The Beginning _ Original version

di MonicaX1974
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dimentichi niente? ***
Capitolo 3: *** Stai bene? ***
Capitolo 4: *** Non posso crederci ***
Capitolo 5: *** Sei un pessimo palo ***
Capitolo 6: *** Sfogati, Chloe, ci sono io con te ***
Capitolo 7: *** Cosa non hai capito di torno subito? ***
Capitolo 8: *** Fastidi e fossette ***
Capitolo 9: *** Adesso vai a dormire ***
Capitolo 10: *** Patetico e vigliacco ***
Capitolo 11: *** Ho appuntamento con il signor Stevens ***
Capitolo 12: *** Ti va una birra? ***
Capitolo 13: *** È davvero troppo tardi per questo ***
Capitolo 14: *** Non posso dimenticarlo, non voglio dimenticarlo. ***
Capitolo 15: *** Sono qui ***
Capitolo 16: *** Io non voglio andarmene... tu vuoi che me ne vada? ***
Capitolo 17: *** Ma con te, niente è normale ***
Capitolo 18: *** Non voglio lasciarti andare ***
Capitolo 19: *** E tu non hai mai dei dubbi? ***
Capitolo 20: *** È un pranzo di lavoro ***
Capitolo 21: *** Non voglio la tua pietà ***
Capitolo 22: *** Lui ride e io guarisco ***
Capitolo 23: *** Non te ne andare ***
Capitolo 24: *** Sconvolgente ***
Capitolo 25: *** Sento puzza di bruciato ***
Capitolo 26: *** Sta succedendo di nuovo, non è vero? ***
Capitolo 27: *** Stewart piantala di fare domande e fidati di me ***
Capitolo 28: *** Non hai niente da dire? ***
Capitolo 29: *** Che succede adesso? ***
Capitolo 30: *** ...è troppo tardi per fermarlo ***
Capitolo 31: *** Forse può funzionare ***
Capitolo 32: *** Mi abbracci per favore? ***
Capitolo 33: *** Mi sento un fottuto detective ***
Capitolo 34: *** Devi smetterla di parlare spagnolo ***
Capitolo 35: *** È ancora valida l'offerta di quel passaggio? ***
Capitolo 36: *** M'importa di te ***
Capitolo 37: *** Sarà un completo disastro ***
Capitolo 38: *** Sì, mia ***
Capitolo 39: *** Sai perfettamente perché non imparo il dannato spagnolo ***
Capitolo 40: *** Sei simpatica come una martellata su un dito ***
Capitolo 41: *** Mi approfitterei di te anche adesso ***
Capitolo 42: *** Sei arrabbiato con me? ***
Capitolo 43: *** Voglio vederli ***
Capitolo 44: *** Ho bisogno di parlare con te ***
Capitolo 45: *** Credo proprio che sia il mio turno ***
Capitolo 46: *** E resto ***
Capitolo 47: *** It's what you want (it's) ***
Capitolo 48: *** EXTRA ***
Capitolo 49: *** Dove cazzo è Harry? ***
Capitolo 50: *** Harry starà bene... non è vero? ***
Capitolo 51: *** È di lui che ho bisogno ***
Capitolo 52: *** Forse mi manchi ***
Capitolo 53: *** Potrebbe essere un tempo molto lungo ***
Capitolo 54: *** Devi solo crederci ***
Capitolo 55: *** È innamorato di te ***
Capitolo 56: *** Che succede Harry? ***
Capitolo 57: *** C'è una cosa che devo dirti ***
Capitolo 58: *** Devi mettere un punto ***
Capitolo 59: *** Non volevo che lo scoprissi così ***
Capitolo 60: *** La risposta alla tua domanda è NO! ***
Capitolo 61: *** Torna da me ***
Capitolo 62: *** Solo io e te ***
Capitolo 63: *** Capitolo extra - Harry & Chloe - New York ***
Capitolo 64: *** Quel ricordo non fa più male ***
Capitolo 65: *** Andrai a Montréal? ***
Capitolo 66: *** Mi dispiace ***
Capitolo 67: *** Credevo che lo sapessi ***
Capitolo 68: *** È cambiato qualcosa Harry? ***
Capitolo 69: *** Non sei come gli altri ***
Capitolo 70: *** Tu non hai la minima idea di quello che hai fatto ***
Capitolo 71: *** Accanto è un posto per pochi ***
Capitolo 72: *** Devi solo continuare a credere in me ***
Capitolo 73: *** Ho detto qualcosa di sbagliato? ***
Capitolo 74: *** Mi ha baciato ***
Capitolo 75: *** Dove sei stato? ***
Capitolo 76: *** Mi sono perso ***
Capitolo 77: *** Andrà bene ***
Capitolo 78: *** Ti sei pentito della tua scelta? ***
Capitolo 79: *** EXTRA pt 1 ***
Capitolo 80: *** EXTRA PARTE 2 (New York) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I feel a little lost in this world

try a little noise and chokeI've honestly never felt this aloneOh, I just need someoneI need a little room to breathe.

'Room to breathe'

You me at six

**************

Non c'è modo di sapere cosa ti riserva il futuro.

Quando è stata l'ultima volta in cui ho sorriso? L'ultima volta in cui ho sorriso per davvero, in cui ero felice... Non lo so, non riesco a ricordarlo. Mi sembra di continuare a cadere sempre più in basso, in un abisso senza fondo dove tutto è nero e c'è solo silenzio.

Non trovo un appiglio a cui aggrapparmi, non trovo un motivo per restare. Il dolore si espande nel mio petto fino a raggiungere tutto il resto del corpo. Ho bisogno di non sentirlo perché sta diventando insopportabile, non so per quanto riuscirò a resistere.

Ogni cosa è cambiata in un attimo, ogni certezza è svanita in quel preciso istante, e quando il punto centrale della mia vita se n'è andato per sempre, è stato come scivolare in un burrone dal quale non riesco a risalire.

Tutto ha perso di significato, anche le cose più semplici sono diventate gravose, e niente ha più davvero importanza. La sua assenza sta diventando troppo difficile da sopportare, in qualche modo devo poter gestire questo dolore.

Nessun gesto affettuoso ha più un significato. Non un abbraccio perché non sei tu ad abbracciarmi, non un bacio perché non sei tu a darmelo, non un sorriso perché non è il tuo viso quello che vedo e nemmeno una carezza, perché non saranno mai più le tue mani a farlo.

Ma alla fine ho toccato il fondo, e anche se è incredibilmente buio quaggiù, adesso non posso fare altro che risalire perché qua sotto non ci voglio stare. C'è qualcuno qui... qualcuno che mi ha offerto un appiglio ed io sto per afferrarlo perché lassù vedo la luce.

È lontana, ma c'è. Sarà difficile questa salita, sarà dolorosa, probabilmente scivolerò una paio di volte, ma quella mano mi regge forte ed io non voglio lasciarla. Ne ho bisogno, e quando arriverò in cima, forse sorriderò ancora. Sorriderò per davvero.
 

§§§§§§§§§§§§§
 

ME

Buonsalve belle persone!

Questa non è altro che la mia fanfiction che potete trovare sull'altro mio account, scritta però senza l'utilizzo dei personaggi famosi. So che non a tutti piace leggere fanfiction e, così facendo, cerco di far leggere questa storia a quante più persone possibili.

Sarà una storia d'amore con annessi problemi e difficoltà, ma fatta anche di momenti divertenti e leggeri. Questa è la storia di una rinascita, la storia di due ragazzi che si aiutano l'un l'altra a superare le loro paure e ad affrontare la vita.

  È un inno alla speranza nel futuro, alla gioia di vivere appieno i momenti che ci vengono offerti e a non dare niente per scontato, perché dobbiamo dare la giusta importanza a ciò che ci circonda, che siano cose o persone, che siano positive o negative.

I protagonisti non si arrenderanno di fronte alle difficoltà, ma le affronteranno insieme, imparando a farsi aiutare.

Detto questo spero che la storia sia di vostro gradimento e vi ringrazio per essere passati a dare anche solo un'occhiata.

Eeeee niente, buona lettura

 

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Capitolo 2
*** Dimentichi niente? ***


«Chloe hai preso il cappotto rosso?» La donna di fronte a me prende dall'armadio quello con all'interno la pelliccia e lo posa sul letto, proprio accanto alla valigia che ho iniziato a preparare solo stamattina.

«Mamma ti ho già detto che a Boston fa meno freddo che qui a Montréal». Mia madre non fa altro che farmi eccessive raccomandazioni. È sempre stata troppo apprensiva anche se, a dire la verità, ultimamente le ho dato motivo per esserlo, ma comunque è sicuramente più ansiosa di me che ho sempre preso le cose molto più alla leggera.

«Ti ricordo che l'inverno scorso la temperatura a Boston è scesa sotto lo zero». Prende il maglione color senape a collo alto e cerca di infilarlo nella valigia.

«Magari perché era inverno?» Come se a Montréal facesse più caldo. So di essere indisponente, e mia madre mi guarda con aria sbigottita.

«Quando prenderai le cose più seriamente Chloe?» Dice portandosi le mani sui fianchi. Poi si gira e si dirige verso il cassettone, dove recupera i calzettoni di lana, e a quel punto non posso più restare a guardare, devo fermarla in qualche modo. Mi avvicino a lei, poso le mani sul cassetto che stava per aprire, e la blocco.

«Mamma ho ventidue anni, sono in grado di preparami da sola la valigia!» So che non dovrei alzare la voce, so che si sta solo preoccupando per me, ma quando è troppo, è troppo.

«È permesso?» Ci giriamo entrambe verso la voce che ha richiamato la nostra attenzione.

«Papà dì qualcosa tu alla mamma!» Mio padre è all'ingresso della mia camera e ci guarda con un'aria divertita mentre osserva le nostre espressioni e il disordine che regna nella stanza.

Ci sono vestiti ammassati sopra le coperte, i cassetti aperti, quattro paia di scarpe che spuntano da sotto al letto, i libri che ho scelto di portare con me ancora sparsi sulla scrivania, il borsone aperto sulla moquette - dal quale s'intravede il computer - e, per completare il quadro generale, vedo una sciarpa che penzola dal lampadario appeso al soffitto, anche se non so come ci sia finita.

«Abigail perché non vieni a darmi una mano di sotto? Stavo provando a fare il caffè e ho combinato un disastro». Sorride nel pronunciare questa frase, mentre lo sguardo di mia madre sembra voglia fulminarlo sul posto.

«Robert, tu e tua figlia vi siete messi d'accordo per farmi impazzire oggi?» Mia madre lo guarda dritto negli occhi, poi si gira verso di me, sembra voglia dire qualcosa, ma alla fine si arrende e con un gran sospiro lascia la stanza.

«Tua madre si preoccupa per te». Il sorriso dolce di mio padre mi fa quasi sentire in colpa per aver trattato bruscamente la mamma. Non l'ho fatto di proposito, ma ultimamente non riesco a tenere sotto controllo i nervi.

«Hai ragione, è che in questo periodo sono proprio intrattabile e a volte non riesco proprio a trattenermi». Mi lascio andare sul letto e mio padre si avvicina a me sedendosi al mio fianco.

Il trasferimento in un'altra città non è facile come l'avevo immaginato. Credevo che riempire una valigia e voltare le spalle alla vita che ho condotto fino ad oggi, sarebbe stato più semplice. Pensavo che questa fosse solo una città, quando in realtà è la mia città, dove vive la mia famiglia, dove ho conosciuto alcune persone per me importantissime, in cui c'è un luogo che mi mancherà terribilmente non rivedere. Non ho intenzione di tornare tanto presto, ora come ora fa troppo male stare qui, eppure fa male anche andarsene.

«Ti vuole bene, e te ne voglio anch'io...» Resta per un attimo a guardarmi. Sembra che abbia gli occhi lucidi. «Ci mancherai Chloe. Da quando tua sorella Rebekah se n'è andata per seguire la sua strada, tua madre ed io ci siamo concentrati su di te e abbiamo affrontato meglio il distacco con lei. Adesso invece questa casa sarà più silenziosa». La malinconia nella sua voce sta rendendo più difficile del previsto la mia partenza.

«Ti voglio bene anch'io papà!» Gli butto le braccia al collo e mi lascio stringere, mentre una lacrima solitaria scende sul mio viso.

«Ora vado da tua madre». So che vorrebbe dire molto più di questo, ma sono sicura che non voglia piangere davanti a me. Si alza dal mio letto e, senza più guardarmi, lascia la mia stanza.

Lo sguardo mi cade poi sulla scrivania dove ci sono le cornici con le foto di Kurt e Hazel, mi alzo e mi avvicino per prenderle in mano. Da queste non mi voglio separare e le infilo nel borsone con un piccolo sorriso nostalgico. Sono le due persone più importanti per me insieme alla mia famiglia, i migliori amici che si possano desiderare, coloro con cui ho condiviso gioie e dolori, e alcuni degli eventi più significativi della mia vita.

Mi guardo intorno: la mia stanza è sempre stato il mio porto sicuro. Guardo i vinili appesi alla parete e ricordo il giorno in cui io e Hazel abbiamo avuto l'idea di disporli in quel modo, o le tante lucine appese al soffitto. Kurt me le fece appendere per farmi sentire come se dormissi sotto ad un cielo stellato. La sedia a dondolo che mi ha costruito mio padre, con ancora seduto il mio orsetto di peluche che ho chiamato "Bear". Me lo regalò mia sorella quando compii cinque anni. La trousse che ho voluto come regalo di compleanno per i miei tredici anni, quando ero fissata con il make-up, il poster di Justin Bieber che Hazel ha appeso durante il suo periodo solo-Justin-Bieber. Disse che oltre ad averlo nella sua stanza, ne voleva uno anche in camera mia, per poterlo avere sempre sotto gli occhi. Rido al solo pensiero della sua espressione mentre con un po' di scotch lo fissava al muro. E, sulla mensola sopra la sedia a dondolo, c'è ancora il carillon che mi ha regalato la nonna. Ricordo che non volevo mai aprirlo perché quella piccola ballerina che iniziava a muoversi non appena si apriva il coperchio, mi intimoriva. Nonna Jewel è stata come una seconda mamma per me. Io e mia sorella Rebekah siamo cresciute in casa sua, ed è proprio a lei che sto pensando mentre indosso le mie converse nere. Devo salutarla prima di partire, non posso lasciare questa città senza passare a trovarla.

Mi avvio verso le scale, la valigia la finirò più tardi, ho ancora tempo prima del volo di stasera. Passo davanti alla cucina, dove vedo i miei genitori intenti a sorseggiare una tazza di quello che credo sia caffè e subito la voce di mia madre mi fa fermare sul posto.

«Dove stai andando?» Mi chiede mamma posando la sua tazza sul tavolo.

«Da Nonna Jewel». I miei genitori mi guardano per un attimo restando in silenzio, poi sento la voce di mio padre.

«Non fare tardi». Mi sorride teneramente. Prendo le chiavi della macchina sul mobile accanto alla porta, ed esco di casa dopo aver infilato il cappotto appeso all'ingresso.

Appena sono fuori, una folata di vento freddo mi obbliga a stringermi di più nella sciarpa che per fortuna ho deciso di prendere poco prima di uscire. Siamo ad ottobre eppure sembra già dicembre inoltrato viste le basse temperature di questi giorni. Una volta salita in macchina, mando un messaggio ai miei due amici dicendogli dove sto andando, poi avvio il motore e accendo subito il riscaldamento, ma non credo che la temperatura interna della mia vecchia auto raggiungerà una temperatura accettabile in questo breve tragitto.

Anche se sto guidando, non posso evitare di prestare attenzione a queste strade così familiari che ho percorso tante volte; questa in particolare, che mi ha sempre permesso di raggiungere la nonna, o la via che ho appena superato alla mia destra che porta a casa di Kurt. Il traffico oggi è particolarmente intenso e ciò mi permette di continuare ad osservare gli edifici che costeggiano la strada, poi lo sguardo mi cade sull'insegna del Mariposa, quello che ormai è diventato il nostro bar, mio e dei miei due amici. Abbiamo passato pomeriggi interi seduti a spettegolare, o a ridere a crepapelle durante le nostre serate karaoke e sorrido immaginandomi Hazel con il microfono intenta a cantare a squarciagola, mentre Kurt cercava di toglierlo dalle sue mani.

Il semaforo torna verde e riprendo il mio breve viaggio. Mi perdo nei miei pensieri per il resto del tempo fino a che arrivo vicino al grande cancello dove trovo un posto per la mia auto. Scendo e mi fermo per un attimo a guardare ogni dettaglio che i miei occhi riescono a catturare. Non so quando tornerò, ma di una cosa sono assolutamente sicura: non voglio dimenticare niente di ogni cosa che riguardi nonna Jewel.

Oltrepasso la cancellata e mi incammino lungo il viale alberato. Incontro un uomo dall'aria triste con un mazzo di fiori in mano e per un attimo i nostri occhi si incontrano. Intravedo un piccolo sorriso sul suo volto e continuo a camminare fino a raggiungere il nostro albero, mio e di mia nonna. Mi siedo, appoggiando la schiena al tronco e rivolgo lo sguardo verso di lei che mi guarda sempre con quel suo sorriso che esprime gioia, anche se lo sta facendo da una foto.

«Ciao nonna, sono passata a salutarti. Oggi non ho potuto portarti nemmeno un fiore perché sto preparando la valigia. Vado via nonna, so che non ne saresti contenta, ma non riesco più a stare in questo posto. Mi hai sempre detto che sono una ragazza forte, invece oggi mi sento persa, perché anche se sono circondata da persone che mi vogliono bene, nessuno riesce a colmare il vuoto che si è impossessato della mia vita. Non riesco a reagire nonna, proprio non ci riesco...» Asciugo le lacrime che stanno cadendo libere sul mio volto e la mia attenzione viene attirata dalla lastra di marmo che si trova ad una decina di metri da qui.

Non riesco ad avvicinarmi più di così, posso solo guardarla da lontano e sperare che, prima o poi, il dolore che provo riesca ad attenuarsi al punto da potermi avvicinare.

«Non ci sono ancora andata nonna e non so se riuscirò mai ad andarci. Spero di non essere una delusione per te, ma proprio non posso farlo». Sento dei passi avvicinarsi e mi giro nella direzione del rumore. Tento di sorridere ai miei due amici che si stanno avvicinando.

«Cleo...» Kurt sta usando il soprannome che utilizza quando vuole farmi sorridere. Quando eravamo piccoli, molto spesso i nostri compagni di scuola sbagliavano a pronunciare il mio nome e quando vuole prendermi in giro, lo usa senza farsi problemi.

«Sto bene Kurty, avevo bisogno di stare qualche minuto con la nonna». Rivolgo di nuovo lo sguardo in direzione della foto incorniciata sulla lastra di marmo e mentalmente le mando un bacio, mentre strofino le mani sul viso asciugando le lacrime. Mi manca tanto, troppo.

Hazel si abbassa fino a sedersi accanto a me e posa la sua mano sulla mia. «Manca anche a noi. Ti ricordi i biscotti che ci faceva sempre il sabato pomeriggio? I più buoni che abbia mai mangiato». Io ed i miei amici andavamo sempre a casa sua per la merenda del sabato pomeriggio e lei ci faceva trovare ogni volta dolcetti diversi.

«E ti ricordi invece quella volta in cui ci ha chiesto di aiutarla a preparare la torta?» Kurt era stato preso di mira a scuola, dopo che le voci sulla sua omosessualità si erano diffuse, e non aveva voglia di uscire perché non voleva vedere nessuno. Nonna Jewel si accorse che quel pomeriggio non eravamo sorridenti e allegri come al solito, così, dopo essere riuscita a farsi raccontare cosa fosse successo, ci guardò uno ad uno e disse che il metodo migliore per far tornare il sorriso era fare una torta tutti insieme. Non ci siamo mai divertiti così tanto come quel giorno. Kurt si sentì parte di qualcosa e riuscì ad affrontare in maniera positiva i giorni seguenti.

I successivi dieci minuti li abbiamo passati a ricordare i momenti e le risate che hanno caratterizzato quel periodo e mi sono alzata solo quando mi sono resa conto che era giunto il momento di rientrare. Le valigie non si sarebbe preparate da sole ed io avrei fatto meglio a tornare a casa prima possibile.

«Dovremmo andare», dico. Hazel si alza in piedi, restando per un attimo al mio fianco, e anche se non la sto guardando so che i suoi occhi sono fissi su di me.

«Vieni con noi?» La voce di Kurt mi arriva chiara, ma non riesco a guardarlo. So cosa vuole fare, non è la prima volta che me lo chiede, ma io non me la sento. Non ancora.

«Vi aspetto qui». Guardo i miei due amici allontanarsi per andare verso la lastra che riesco solo a guardare da lontano. Sono passati tre mesi, ma so che vedendo la sua foto su quella lapide, tutto sarebbe più reale nella mia testa e non sono ancora pronta ad accettarlo.

Vedo la bocca di Kurt che si muove. So che ogni volta gli parla anche se non so cosa gli racconta, a dire la verità non ho mai voluto saperlo. Forse un giorno glielo chiederò. Hazel gli prende la mano, restano per un attimo in silenzio, poi vedo il mio amico asciugarsi una lacrima. Nemmeno lui ha ancora accettato quello che è successo, ma almeno riesce ad andare a trovarlo. A volte mi sento in colpa per il mio comportamento, per non esserci mai andata, ma è come se fossi bloccata in una realtà in cui lui è ancora qui con noi che ride e scherza, e...

Devo allontanarmi da qui

Per fortuna i miei due amici stanno tornando verso di me, ancora mano nella mano, e appena mi raggiungono, prendo anch'io la mano di Kurt nella mia. Ogni volta che viene qui torna a casa distrutto. Un ultimo saluto alla nonna prima di ripercorrere il viale verso l'uscita, in rigoroso silenzio. Questa è l'ultima volta per quest'anno che sono passata a trovare nonna Jewel al cimitero. Mi manca e mi mancherà sempre.

Arrivati alle macchine, decidiamo di fare una breve sosta al Mariposa per salutare Ryan, l'unico barista che si rifiutava puntualmente di servirci degli alcolici, ma anche l'unico che ci portava sempre una brioches in più, o i bicchieri delle bibite più pieni rispetto agli altri. Ryan è il titolare, e ha sempre apprezzato l'allegra confusione che portavamo ogni volta che entravamo nel suo locale.

Parcheggiamo non molto lontano dall'ingresso del nostro bar preferito e, una volta dentro, vedere Ryan sorridente dietro al bancone, allontana subito la tristezza di poco fa. Il mio amato biondo dagli occhi azzurri sta già preparando le tazze che conterranno la nostra cioccolata. Lo fa nelle giornate più fredde, ogni volta che ci vede entrare da quando abbiamo iniziato a frequentare assiduamente il suo bar.

«Allora, sei in partenza?» Ryan riempie le tazze e le avvicina a noi che ci siamo seduti sugli sgabelli di fronte a lui.

«Sì, anche se non ho ancora finito di preparare le valigie». Lui sorride alla mia affermazione mentre io bevo un sorso della mia cioccolata calda.

«Mi stupirei se tu avessi già finito di prepararle». Anche Kurt e Hazel concordano con lui. In questi anni siamo diventati amici. Molte volte mi sono ritrovata a parlargli di me o viceversa, alcune volte gli ho confidato cose molto personali, soprattutto negli ultimi tre mesi durante i quali mi è stato molto vicino.

«Ma sono a buon punto comunque». Ridono tutti alle mie parole, ovviamente nessuno mi prende sul serio, e cominciamo a discutere sul fatto di quanto io sia sempre stata quella dell'ultimo momento. E, mentre loro si divertono un mondo a ridere di me, io mi perdo a guardare questo posto. Osservo i tavolini di legno allineati in fondo vicino alla grande finestra che dà sulla strada, ognuno dei quali ha una candela rossa al centro, le tantissime lampadine che Ryan ha appeso al soffitto in tutti questi anni, una per ogni obiettivo che è riuscito a raggiungere nella sua vita, il menù sempre scritto a mano con un gesso sulla lavagna, il piccolo palco situato in fondo al locale dove si svolgono le esibizioni dei cantanti che vogliono farsi conoscere o le serate karaoke a cui non abbiamo mai mancato. In più di un'occasione è stato Ryan stesso ad essere la colonna sonora della serata con le sue esibizioni al piano.

«Guarda un po' chi è passato a salutare!» Ci voltiamo tutti nella direzione dalla quale è arrivata la voce che richiama la nostra attenzione.

«Ciao Emma!» La salutiamo quasi in coro, mentre lei si posiziona accanto a Ryan che la guarda sempre come se la vedesse per la prima volta. Lui è rimasto stregato da lei nello stesso momento in cui l'ha guardata, si sono sposati due anni fa, e ogni volta che li vedo insieme, sembrano sempre più innamorati.

«Immagino che tu abbia le valigie ancora aperte sul letto giusto?» A quanto pare, mi conoscono troppo bene.

«Potrei anche dirti di no, ma non mi crederesti». Lei sorride scuotendo la testa. «Come stai?» La pancia di Emma è ormai evidente. Ricordo che quando ce l'hanno comunicato, avevano entrambi le lacrime agli occhi per la commozione. Ryan ha appeso una lampadina in più quel giorno, Kurt aveva iniziato a parlare senza riuscire mai a fermarsi, mentre Hazel era il ritratto della felicità. In tutto questo lui mi sorrideva e fatico a reprimere la tristezza che sta per tornare a galla.

«Bene, la creatura cresce, mancano cinque mesi e...» Ma subito Ryan la interrompe.

«Se la cava niente male per essere una trentenne!» Emma lo colpisce scherzosamente sulla spalla.

Le battute e le prese in giro da parte di Ryan sono sempre all'ordine del giorno, e andiamo avanti così a ridere per un po'. Mi mancheranno i loro battibecchi e mi mancherà questo posto in cui ho tanti meravigliosi ricordi, ma ho davvero bisogno di allontanarmi, perché quegli stessi ricordi sono anche i più dolorosi.

Quando mi rendo conto che si è fatto tardi, saluto Emma e Ryan con un lungo abbraccio per entrambi. Si raccomandano che io torni per la nascita del loro bambino e, dopo averli salutati, esco dal locale con Kurt e Hazel. Raggiungiamo poi le nostre auto.

I miei due amici hanno detto che non vogliono sprecare nemmeno un minuto della mia presenza in questa città e mi seguiranno come un'ombra fino al momento della partenza in aeroporto. Durante il tragitto verso casa, ogni tanto li guardo dallo specchietto della mia macchina e sorrido al pensiero che per un po' non rivedrò il rottame che Kurt tanto adora e che si ostina a voler continuare a guidare.

Una volta arrivati davanti a casa mia, parcheggio, e aspetto che anche il mio amico faccia lo stesso. Li guardo scendere dall'auto che è ancora intera per non so quale miracolo e non posso trattenermi dal fare una battuta.

«Kurt la tua macchina è diventata maggiorenne?» Lui si avvicina con gli occhi ridotti a due fessure con un'aria che in realtà ha ben poco di minaccioso.

«Non dire un'altra parola sulla mia macchina. Vuoi che parliamo della tua, perché potremmo rimanere qui fino a domani». Mi fa ridere l'espressione che ha in questo momento e come si scalda per la sua auto, ma devo trattenermi.

«Beh almeno la mia non ha ventidue anni». Hazel si diverte sempre quando lo prendo in giro.

«Anche tu hai ventidue anni, ma non per questo ho intenzione di cambiarti con un'altra amica». Kurt non cambierà idea e, fino a che non lo lascerà a piedi definitivamente, non credo che ne comprerà un'altra. Hazel ride e mi unisco a lei, mentre tutti e tre entriamo dentro casa.

I miei genitori sono sul divano, ci salutano mentre saliamo al piano di sopra diretti in camera mia, dove sul letto ci sono ancora le valigie da finire, ma prima di metterci al lavoro, ci sediamo sul tappeto bianco accanto al mio letto, su cui tante volte ci siamo seduti per parlare, studiare, ridere, o semplicemente per ascoltare musica. L'importante era stare insieme.

«Il poster di Justin lo lasci qui vero?» Hazel ha lo sguardo puntato sul muro di fronte a lei, proprio dove c'è l'immagine del suo ex idolo.

«A dire la verità stavo pensando di portarlo con me, sai com'è... abbiamo passato tante notti insieme, non vorrei che si sentisse solo se lo lasciassi qui». Kurt ci osserva con quel sorriso che tanto amo vedere sul suo viso, quel sorriso che mi ha conquistata la prima volta che l'ho visto.

«Non oserai. Solo perché non è più il mio idolo, non vuol dire che tu ti possa approfittare di lui». Hazel prende la mano di Kurt e si avvicina a lui. Sarebbero stati una bellissima coppia se non fosse per il fatto che i gusti di Kurt non sono per il mondo femminile.

«Beh vorrà dire che sarai costretta a venire a trovarmi per rivedere il tuo adorato Justin». So che non le interessa davvero né del poster, né di Justin. La mia amica è semplicemente troppo sensibile e sta tentando di distrarre i suoi pensieri dal fatto che fra poco ci dovremo separare.

«Chloe muoviti a finire di sistemare i bagagli prima che Hazel scoppi a piangere». Mi alzo e mi sistemo in mezzo a loro due per poterli abbracciare contemporaneamente.

Il resto del pomeriggio lo passiamo fra Kurt che non smette di criticare i miei capi d'abbigliamento, Hazel che tenta di rubare le mie maglie dalla valigia quasi pronta, e le risate che non abbiamo smesso di fare per tutto il tempo. Hanno reso meraviglioso questo pomeriggio e mi mancheranno da morire.

***

«Le valigie le ha messe papà in macchina, il passaporto l'hai preso. Dimentichi niente?» Stiamo uscendo di casa. Kurt e Hazel sono già vicini alla macchina, papà sta chiudendo il baule, e io e mamma siamo le ultime.

«Sì mamma, ho preso tutto, ho controllato la tua lista due volte». Mia madre prepara sempre un elenco di cose da fare e da portare per ogni viaggio. Quello per la mia partenza consisteva in due pagine riempite di parole del tutto superflue.

Rivolgo un ultimo sguardo alla casa che mi ha visto crescere, dove ho imparato a camminare, in cui ho passato giorni meravigliosi, ma non sono più triste come qualche ora fa, anzi sento che questo sarà un nuovo inizio.

«Chloe andiamo, è tardi». Mio papà mi richiama, salgo in macchina, i miei genitori sono davanti, ed io con i miei amici, dietro. Il tragitto fino all'aeroporto non dura più di venti minuti, mio padre parcheggia e mi aiuta a scaricare le due valigie. Ci dirigiamo poi all'interno della struttura, e mi accorgo che mamma è già troppo agitata.

«Il biglietto l'hai preso Chloe?» Il suo tono di voce rivela tutta la sua apprensione.

«Certo, eccolo». Glielo mostro togliendolo dalla tasca della giacca e lei sembra rilassarsi, anche se dura poco, perché una volta arrivati vicino al check-in riprende la sua raffica di domande.

«Sei sicura che il peso del bagaglio sia giusto? E le misure della valigia piccola? Hai preso la sciarpa? ...» Dopo la terza domanda ho smesso di ascoltarla e mi sono avvicinata alla hostess per consegnare il bagaglio mentre papà tentava di calmarla. Una volta finite le procedure mi accompagnano fino ai controlli di sicurezza, dove dobbiamo salutarci.

«Mi mancherai Chloe». La prima ad abbracciarmi è Hazel. Credo sia la prima volta che ci separiamo per così tanto tempo.

«Mi mancherai anche tu Hazel, ma sai che puoi venire a trovarmi quando vuoi». Restiamo strette in un lungo abbraccio fino a che il nostro amico si unisce a noi. Mi volto poi verso di lui e mi sorprende vederlo con gli occhi lucidi.

«Kurty... prenditi cura di lei». Lui mi sorride e credo che non mi abbia mai abbracciata così forte come oggi.

«Lo farò e tu prenditi cura di te. Non voglio trovarti pelle e ossa quando verrò a trovarti». Mi dà un bacio sulla fronte ed è arrivato il momento di salutare i miei genitori.

Mamma ormai non trattiene più le lacrime e papà sembra anche lui sull'orlo del pianto. Li abbraccio entrambi, tentando di rassicurarli e tranquillizzarli.

«Mamma stai tranquilla, ci sarà Rebekah ad aspettarmi all'aeroporto quando arrivo». Ho detto a mia madre che mia sorella verrà a prendermi, in realtà lei ha la macchina guasta e non poteva venire. Ho detto a Reb di stare tranquilla, che me la sarei cavata da sola. Dopotutto sono in grado di prendere la metro, ma non sono sicura che mia madre sia nello stato d'animo più adatto per darmi ragione.

È ora di andare, saluto tutti un'ultima volta e mi allontano da loro, oltrepassando i controlli di sicurezza. Mi volto ancora e vedo le loro mani che si agitano in segno di saluto, gli rivolgo un sorriso e mi dirigo verso il gate da dove partirà l'aereo che mi porterà a Boston, lontano da questo posto dove ultimamente non mi sento più a mio agio.

Mi siedo sulle poltroncine nere vicino agli altri passeggeri, in attesa che chiamino il mio volo, e nel frattempo mando un messaggio a mia sorella avvisandola che sto per partire e che ci vedremo più tardi. Prendo il mio libro, quello che mi ha regalato Hazel per il mio compleanno "La ragazza del treno". Questo non è il genere che leggo di solito, ma in questo periodo è quello che più mi ha aiutato a non pensare troppo, tenendo impegnata la mente in qualcosa che non sia una storia d'amore strappalacrime.

E, sarà che le pagine hanno completamente catturato la mia attenzione, che quasi non mi sono accorta che stanno cominciando a far imbarcare i passeggeri del volo per Boston. Metto velocemente a posto il libro e mi avvio in coda con gli altri. Una volta arrivata in aereo, prendo posto nel sedile segnato sul biglietto, spengo il cellulare e guardo fuori dal finestrino. Sto lasciando Montréal per un tempo indefinito, eppure non sono affatto dispiaciuta, anzi ne sono sollevata. Sento che posso ricominciare a respirare come non riuscivo a fare da qualche mese.

Quando tutti i passeggeri sono saliti, l'aereo comincia a muoversi mentre le hostess danno tutte le indicazioni per il volo e io inizio a sentirmi più leggera. L'aereo arriva all'inizio della pista di decollo, il rombo del motore arriva forte alle mie orecchie e sento salire l'adrenalina. Inizia il rullaggio e sento che tutto sta per iniziare. Poi l'aereo si alza in volo e guardo le luci della città dall'alto dove sono nata e cresciuta, la stessa città da cui non vedo l'ora di allontanarmi. Sto lasciando il passato dietro di me e anche se non ho intenzione di voltare completamente le spalle a tutto ciò che è successo nella mia vita, che inevitabilmente mi ha portato ad essere quella che sono, sento che devo trovare la forza per andare avanti e ricominciare.

E, l'ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi, è per lui.

 

§§§§§§§§§§§§§§§§
 

ME

Eccoci qui al primo capitolo. 

Abbiamo iniziato a conoscere la nostra protagonista e qualche retroscena che riguarda la sua vita, la sua famiglia, i suoi amici e qualcun altro di molto importante per lei, qualcuno che ha segnato in modo indelebile la sua vita.

Chloe ha bisogno di cambiare aria, di cambiare città e ricominciare. Piano piano scopriremo cosa le è successo da renderla così triste e da costringerla ad allontanarsi dal suo passato.

Nel prossimo capitolo farà la sua prima apparizione il nostro protagonista maschile, quindi non perdetelo.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Eeeee niente, buona lettura.

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Capitolo 3
*** Stai bene? ***


«Signore e signori, vi informiamo che tra qualche minuto atterreremo a Boston. Vi invitiamo a controllare che i bagagli siano stivati correttamente, il tavolino di fronte a voi sia chiuso, lo schienale della poltrona sia in posizione verticale con i braccioli abbassati e le cinture siano allacciate...»

L'aereo sta per atterrare. Sono a Boston e non mi sembra ancora vero. Guardo fuori dal finestrino, ma è troppo buio per vedere qualcosa. Ho dormito per buona parte del viaggio, però, essendo un volo breve, mi sento più stordita di quanto non mi sentissi alla partenza. Quando l'aereo si ferma sulla pista, sembra che le persone non vedano l'ora di scendere e sono già tutti in piedi a scaricare i loro bagagli dalle cappelliere. Non ho alcun desiderio di infilarmi in quella confusione e, a costo di aspettare che il velivolo sia vuoto e scendere per ultima, non ho nessuna intenzione di alzarmi finché il corridoio non sarà libero.

Alla fine prendo anch'io il mio borsone, lo zaino e scendo seguendo il fiume di persone che si sta recando al ritiro bagagli. Sembrano tutti di poche parole, forse anche a causa dell'orario. Di solito a quest'ora mi sono fatta almeno un paio d'ore di sonno, e magari è così anche per le persone che stanno camminando davanti a me, quasi come fossero in una processione silenziosa.

Una volta vicino al nastro trasportatore, ancora vuoto ma in movimento, accendo il cellulare per avvisare i miei che sono atterrata e, subito dopo, quando sto per far partire la chiamata per mia sorella, ricordandomi che è già mezzanotte e che sicuramente starà dormendo, blocco subito la comunicazione e rimetto il telefono in tasca.

Dopo qualche minuto vedo arrivare i primi bagagli sul nastro, spero che il mio sia tra questi, voglio solo andare a casa e mettermi a letto, ma sembra che io non sia così fortunata perché, al terzo giro, della mia valigia non c'è traccia. A poco a poco quasi tutti i passeggeri hanno recuperato le loro cose e se ne sono andati. Accanto a me c'è una coppia di anziani, sento lei cercare di calmare lui che si è innervosito perché la loro valigia non è ancora arrivata, alzo poi lo sguardo e di fronte a me c'è un ragazzo. È di spalle e sta parlando con qualcuno al telefono. Ha una giacca di pelle nera, da cui vedo spuntare il colletto rosso e nero di una camicia, ed indossa un paio di jeans scuri. I suoi capelli castano chiaro sono del tutto spettinati e, da dietro, assomiglia terribilmente a...

Non faccio in tempo a terminare il mio pensiero che il ragazzo si gira ed il mio respiro si ferma improvvisamente. I suoi lineamenti, i suoi occhi, le sue labbra, gli somiglia incredibilmente e, per un attimo, mi era sembrato che fosse proprio lui  e non riesco a smettere di fissarlo. Il ragazzo se ne accorge e mi sorride. Non riesco a ricambiare e non riesco a smettere di guardarlo. Mi sento come se fossi catapultata indietro nel tempo. Anche il suo sorriso è terribilmente identico al suo e mi fa provare la stessa sensazione di quando lo vedevo sul suo viso. Quando poi lo vedo muoversi e camminare intorno al nastro trasportatore ormai vuoto, per venire nella mia direzione, non riesco a togliergli gli occhi di dosso.

È ormai a qualche passo da me ed io sono come ipnotizzata da questo ragazzo, e dai suoi movimenti.

«Quante valigie aspetti?» Solo la voce è completamente diversa e finalmente riesco a riprendermi dalla specie di trance nella quale ero caduta.

«Una... una e tu?» Mi sento comunque strana a parlare con lui, soprattutto adesso che è così vicino e i suoi occhi verde azzurro sono troppo somiglianti ai suoi.

«Due, di cui una, contenente documenti di lavoro. Spero solo che non le abbiano perse.» Lo ascolto parlare continuando a fissarlo, probabilmente senza nemmeno sbattere le palpebre. Sono sicura di avere un'espressione da ebete, mi starà prendendo per una a cui manca qualche rotella e non sono in grado di rispondergli. Dopo qualche minuto di silenzio lo vedo allungare una mano nella mia direzione.

«Comunque io sono Dylan». Guardo la sua mano sospesa nel vuoto e non sono in grado di stringerla, non adesso che mi ha detto il suo nome. Lui guarda per un attimo la sua mano, a metà tra noi due, poi me, e alla fine l'abbassa tornando a guardare il nastro dei bagagli che continua a girare completamente vuoto. Mi sembra quasi un incubo tutto questo, non mi sembra reale questo ragazzo e nemmeno tutto quello che è successo in questi ultimi minuti. Ad ogni modo devo smetterla di pensare a lui. Non tornerà e, anche se non riesco a farmene una ragione, questo ragazzo non ha colpe e non merita di essere trattato in questo modo da me.

«Scusami è che sono un po' stanca, io sono Chloe». Lui si gira verso di me, io allungo una mano nella sua direzione e il sorriso che gli vedo nascere sul viso mi scalda il cuore. La sua stretta è forte e decisa e il contatto con la sua mano non mi destabilizza come avevo immaginato.  
Restiamo a parlare per qualche minuto. Mi racconta che è appena tornato da un viaggio di lavoro e tra poche ore dovrà essere in ufficio, ma se non avrà con sé la valigia contenente i documenti che gli servono, il suo capo non la prenderà molto bene. Il signore alla mia destra attira la nostra attenzione. Lo vediamo avvicinarsi al nastro trasportatore e prendere quella che presumo sia la sua valigia, ma delle nostre non c'è traccia. Dopo aver aspettato inutilmente più di mezz'ora, ci rendiamo conto che i nostri bagagli non arriveranno e, quando andiamo a chiedere informazioni, scopriamo che le valigie non si trovano e ci chiameranno non appena avranno notizie.

«A quanto pare ci toccherà tornare in aeroporto». Non avevo intenzione di tornare qui. Non voglio vedere aeroporti per un bel po'. Stiamo camminando verso l'uscita. Ora dovrò prendere una navetta che mi porterà alla metropolitana. Mia sorella mi ha dato indicazioni precise, non dovrei avere grosse difficoltà a trovare il suo appartamento.

«Già... tu abiti lontano da qui?» Dylan mi parla mentre infila le mani in tasca, probabilmente alla ricerca di qualcosa.

«A dire la verità non so dirti bene dove: è la prima volta che vengo a Boston, starò da mia sorella». Mi sistemo meglio lo zaino sulla spalla controllando i cartelli che indicano l'uscita.

«Se vuoi posso darti un passaggio, ho la macchina in un parcheggio qui fuori». Mi mostra le chiavi della sua auto, ma non credo che accetterò, dopotutto non lo conosco e non riuscirei a rimanere ancora a lungo in sua presenza. È davvero troppo somigliante a lui.

«Grazie, ma no». Prendo in mano il cellulare per controllare l'orario. È  quasi l'una del mattino e io sto morendo di sonno. Quando stiamo per uscire dalla porta automatica mi accorgo che ha iniziato a piovere e mi chiedo cosa potrebbe andare ancora storto.

«Sei sicura? Giuro che ti porto a casa sana e salva». Mi sorride e la somiglianza con lui , in questo istante, è incredibile. Sono sicura che non riuscirei a stargli accanto ancora. Ho bisogno di allontanarmi. Probabilmente non lo rivedrò più e voglio cercare di essere più educata possibile, anche se, al momento, vorrei non averlo mai incontrato.

«Sicura, grazie comunque». Tiro su il cappuccio della felpa ed esco seguita da Dylan.

«Allora... ci vediamo». Sorride ancora e non posso evitare di sorridergli anch'io.

«Ciao Dylan». Pronunciare il suo nome fa uno strano effetto. Lo guardo allontanarsi velocemente, mentre io mi dirigo di corsa alla navetta che, per fortuna, trovo in breve tempo e, in pochi minuti, arrivo alla metro.

La stazione è deserta, come anche i vagoni, eccetto per qualche viaggiatore, o qualche ragazzo che rientra dalla sua serata, ed io mi sento libera. Nonostante lo strano incontro avvenuto in aeroporto, il mio cervello si sta svuotando, come se stessi chiudendo in un angolino della mia mente alcuni avvenimenti e iniziassi a sentirmi meglio.

Prendo posto sul primo sedile che trovo e i miei pensieri cominciano a vorticare freneticamente. Non è stato un capriccio volermi trasferire e cambiare città. La crisi interiore che stavo attraversando rischiava di schiacciarmi, avevo bisogno di cambiare aria e sapevo di doverlo fare prima possibile. Ci ho pensato comunque a lungo prima di prendere una decisione e ho valutato ogni pro e contro se rimanere a Montréal. Alla fine ha vinto Boston e, ora che sono qui, mi sento meglio.

È come se questo treno mi stesse conducendo al mio punto di partenza, a quella che è la mia nuova partenza. Non sarà facile, anzi, sarà tremendamente difficile perché non avrò con me i miei genitori, non avrò il supporto dei miei due migliori amici e lui non sarà mai più al mio fianco come ha sempre fatto, a sostenere le mie scelte, a guidarmi nei momenti difficili e a ridere con me in quelli felici.

Non riderà più con me.

Non riderà più.

Ed io invece devo farlo, devo andare avanti, devo trovare la forza di ricominciare a vivere anche senza lui.

Senza rendermene conto mi trovo a stringere tra le dita il ciondolo della mia catenina. È un piccolo e semplice cigno d'argento, realizzato come se fosse un origami. Ricordo ancora il giorno in cui me lo regalò; era il mio compleanno, passammo l'intera giornata insieme ad Hazel e Kurt. Alla sera, dopo aver salutato i nostri amici, mi riaccompagnò a casa e, attraverso la finestra della mia camera da letto, salimmo sul tetto. Ha sempre saputo quanto amassi le stelle e, quella sera, mi fece trovare un cavo di luci completamente illuminato. Mi fece sedere e lui si sistemò accanto a me, avvolse entrambi con quel cavo. Eravamo immersi nel buio, illuminati solo dalle lucine che avvolgevano i nostri corpi. Ad un certo punto estrasse dalla tasca una scatolina, in cui c'era la catenina che sto indossando in questo momento. Mi disse che per lui quel cigno significava amore sincero, fedeltà, forza e coraggio. Non l'ho più tolta da quel giorno, ma improvvisamente i miei pensieri vengono interrotti dalla figura di un ragazzo che è appena salito sul mio stesso vagone.

È alto, i capelli troppo lunghi per i miei gusti, scuri e leggermente mossi. Indossa un completo nero, con una camicia bianca sbottonata fin quasi all'ombelico e sotto mi pare di vedere una specie di cravatta, o forse è solo un nastrino nero. Sul suo petto intravedo dei tatuaggi e, alla fine, noto che mi sta fissando con uno strano sorriso. Si avvicina e si siede proprio accanto a me, senza smettere di guardarmi, e a quel punto non posso proprio continuare a tacere.

«Sai che è maleducazione fissare le persone?» Gli rivolgo uno sguardo minaccioso, ma lui sembra non preoccuparsene, insistendo nel guardarmi dritto negli occhi. Non posso evitare di notare che ha dei bellissimi occhi verdi e, anche se mi fanno vacillare per un attimo, mi riprendo immediatamente quando lo sento parlare.

«Chi dovrei guardare, ci sei solo tu qui». La sua voce è roca e parla con un tono di voce troppo basso per il mio grado di stanchezza attuale.

«Ecco, visto che ci sono solo io e tutti i posti sono liberi, proprio qui dovevi sederti? Perché non vai a sederti laggiù, tipo... in fondo al vagone?» Sul suo viso spunta un ghigno divertito a causa delle mie parole e quando compaiono un paio di fossette sulle sue guance, devo reprimere la mia voglia di infilarci le dita dentro. Non posso spiegare quanto io adori le fossette.

«Non penso di avere voglia di alzarmi solo perché me l'hai chiesto tu». Continua a prendermi in giro con il suo sguardo da menefreghista.

«Ok... allora mi alzo io». Mi metto in piedi e, trascinando il borsone che ho usato come bagaglio a mano, mi sposto di qualche sedile, anzi ora che ci penso, vado io fino in fondo al vagone, il più lontano possibile da questo tipo che pensa di poter fare l'arrogante con me.

Controllo il cellulare dove, in un messaggio che mia sorella mi ha scritto prima di partire, trovo il nome della fermata a cui devo scendere, e mi accorgo che per fortuna non manca molto. Quando rimetto il telefono in tasca, alzo lo sguardo e ritrovo mister antipatia proprio di fronte a me.

Di nuovo.

«Stai scherzando?» Non riesco a credere a quello che sta succedendo e, anche se dovrei preoccuparmi del suo atteggiamento perché è notte e sono sola su un vagone della metro, non ho paura di lui, sono solo totalmente infastidita dalla sua presenza.

«Sto forse ridendo?» E così dicendo si siede di nuovo nel sedile accanto al mio canticchiando un motivo che non sono riuscita a riconoscere, ma che alle mie orecchie è assolutamente irritante.

«Senti... coso, è l'una del mattino, sono incredibilmente stanca... è proprio necessario che debba ascoltare questo tuo noioso e continuo lamento?» Voglio solo andare a dormire ed il pensiero che, quando uscirò dalla metropolitana, ci sarà la pioggia ad attendermi, mi fa sentire sempre più nervosa.

«Coso!? Sul serio?» Scoppia a ridere, per poi riprendere a parlare. «Siamo tornati all'asilo?» Distende le sue lunghe gambe per poi appoggiare meglio la schiena al sedile.

«Quello in età d'asilo mi sembri tu, visto che stai continuando ad infastidirmi». Alla prossima fermata devo scendere, così potrò levarmi di torno il coso antipatico.

Mi alzo in piedi, infilo lo zaino sulle spalle, metto la mano sulla maniglia del borsone e mi dirigo verso l'uscita, ma la sua voce mi interrompe di nuovo.

«Ti prego, non farmi alzare di nuovo per venire vicino a te». È incomprensibilmente indisponente ed io non so per quanto reggerò senza insultarlo.

«Primo, nessuno ti ha chiesto di continuare a stare vicino a me. Secondo, anche se non ti dovrebbe interessare, la prossima è la mia fermata e devo scendere». Non so perché mi ritrovo a dare spiegazioni ad uno sconosciuto troppo fastidioso e che pare abbia bevuto un po' più del dovuto. Almeno è quello che sembra dai suoi occhi verdi leggermente lucidi.

«Infatti non mi interessa che tu debba scendere...» Le porte si aprono e mi affretto ad uscire prima di rischiare di colpirlo in testa con la mia valigia. «Comunque io sono Harry!» Mi urla quando sono ormai fuori dal vagone. Mi giro appena e, con il sorriso più falso che riesco a fare, alzo il mio dito medio nella sua direzione, per vederlo scoppiare a ridere proprio mentre si chiudono le porte.

Dalla linea blu devo passare alla linea verde e spero solo di non incontrare altri fastidi per le prossime ore. Quel ragazzo impertinente e irritante, mi ha reso davvero nervosa. Il resto del tragitto per fortuna è solitario e la mia fermata arriva presto, così, quando scendo, mi dirigo velocemente verso l'uscita.

Sta piovendo più intensamente e spero davvero tanto che casa di Rebekah non sia troppo lontana. Poco prima di uscire dalla stazione controllo nuovamente il nome della via, poi trovo un signore gentile, che credo lavori qui, che mi dà delle indicazioni precise e mi dice che è abbastanza vicino. Dopo averlo ringraziato, esco fuori e seguo la direzione che mi ha indicato quell'uomo. Ci metto più o meno sette minuti ad arrivare a casa di mia sorella, quindi suono e aspetto, nella speranza che non abbia il sonno troppo pesante stasera, ma a quanto pare le mie speranze sono mal riposte perché di Rebekah non c'è traccia, nemmeno dopo aver suonato altre quattro volte.

Sto per arrendermi, sono completamente bagnata per non aver voluto ascoltare mia madre e portare un ombrello e, nel momento in cui sto per sedermi per terra, sento il rumore delle chiavi nella serratura e finalmente la porta si apre.

«Chloe!» Mia sorella mi stringe in un abbraccio che quasi mi toglie il fiato.

«Ero quasi rassegnata che mi avresti lasciata a dormire sul pianerottolo». Si stacca dal mio abbraccio e mi permette di entrare.

«Mi dispiace, è molto che aspetti?» Vorrei dirle che sono fuori dalla sua porta da dieci minuti buoni, ma non voglio farla sentire in colpa più di quanto già non si senta, il suo sguardo è mortificato.

«Voglio solo asciugarmi e andare a dormire». Poso i miei bagagli a terra, mi tolgo il giubbotto, lo metto nel guardaroba all'ingresso e seguo mia sorella all'interno del loft.

È la prima volta che vengo a casa sua, di solito era lei a tornare a Montréal e, anche se ho visto qualche foto che ogni tanto ci mandava, vederlo dal vero è tutta un'altra cosa. Lo spazio della zona giorno è ampio e credo che durante la giornata sia piuttosto luminoso.

«Ti faccio qualcosa di caldo da bere?» Mi tolgo le scarpe mentre mia sorella mi parla, ma non riesco a darle retta e scuoto solo la testa per dire di no. «Com'è andato il viaggio?» La sua voce continua ad essere l'unico rumore in questo silenzio. Io le voglio bene, ma ho bisogno di dormire.

«Sono stanca, ti va se parliamo domani?» Lei mi sorride comprensiva e mi fa cenno di seguirla fino al piano superiore, dove mi mostra la mia stanza e il bagno. Vorrei farmi una doccia, ma ho troppo sonno e credo che finirei per addormentarmi in piedi sotto al getto dell'acqua. Sto per entrare in quella che sarà la mia camera da letto tirandomi dietro le valigie, quando Rebekah mi chiama.

«Chloe...» La guardo incapace di pronunciare anche solo una parola in più per stasera. «Sono felice che tu sia qui». Le sorrido, vorrei avere la forza di andare da lei e abbracciarla, ma sono distrutta e so che sembrerò una pessima sorella, ma riesco solo a mostrare uno stupido e forzato sorriso, l'unico che la mia stanchezza mi permette di fare.

Entro nella stanza chiudendo la porta alle mie spalle, poso i bagagli dove capita, mi spoglio velocemente e indosso il pigiama che ho appena preso dal borsone, buttandomi poi sul letto riuscendo a malapena ad infilarmi sotto le coperte e mi addormento all'istante. Non voglio essere nel mondo reale almeno per le prossime dieci ore.

***

Faccio fatica ad aprire gli occhi, ma la luce del sole entra prepotente nella stanza costringendomi a tirare le coperte ancora più su, fin sopra la testa. Non ho voglia di alzarmi, mi sento quasi reduce da una sbronza colossale. Se non fosse stato per la luce che entra dalla finestra, credo che avrei dormito ancora. Ormai sono sveglia e, anche se continuo a girarmi nel letto, non credo riuscirò a prendere sonno, soprattutto ora che mi sono accorta che mi scappa la pipì e dovrò alzarmi per forza.

La luce del sole invade completamente la stanza e sono quasi accecata dal bianco che domina ogni angolo di questa camera da letto. Il piumone è bianco. Il soffitto, le pareti ed anche i mobili sono bianchi. C'è una finestra alle mie spalle, proprio sopra la testiera del letto, ed una di fronte, situata sopra il mobile dove vedo al centro un televisore. Poggio i piedi per terra e sono piacevolmente sorpresa che ci sia il parquet. Ieri sera ero talmente stanca che non me ne sono resa conto.

Vado verso la mia valigia ancora aperta ai piedi del letto, recupero lo spazzolino e vado in bagno. Mi congratulo mentalmente per aver ascoltato mia madre ed aver messo le cose indispensabili nel bagaglio a mano. Davanti allo specchio mi guardo e mi sembra di essere una donna di cento anni. Devo darmi una sistemata ed una regolata, dopotutto ho solamente perso qualche ora di sonno. Mi lavo i denti e, quando esco dal bagno, provo ad andare in camera di mia sorella, ma la trovo vuota e il suo letto è disfatto. Quando torno indietro noto un post-it attaccato alla mia porta.

Ciao Chloe, sono andata al lavoro. Chiamami per qualsiasi cosa, ci vediamo stasera.

C'è una copia delle chiavi di casa per te nella bacheca vicino all'ingresso.

Baci Reb

Sorrido nel leggere le sue parole e, prima di fare qualsiasi altra cosa, vado a farmi una doccia, ne ho davvero bisogno. Dopo dieci minuti abbondanti di acqua calda, mi sento rigenerata. Ancora con l'accappatoio addosso e l'asciugamano in testa, scendo al piano di sotto per farmi un mega, enorme caffè amaro. Non ho fame per il momento, credo che mangerò qualcosa fuori perché ho voglia di uscire e di godermi questa nuova città.

Torno poi in camera a cambiarmi e, una volta pronta, recupero il mazzo di chiavi che mia sorella mi ha lasciato e finalmente sono fuori. Per un attimo mi sento persa. Un piccolo e solo attimo in cui mi sento sola e stringo il minuscolo cigno che è appeso al mio collo, ma subito dopo riacquisto la mia sicurezza e so che posso affrontare tutto.

Non ho una meta precisa, ho solo voglia di stare all'aria aperta. Prima di venire qui ho cercato qualche informazione sulla città e, tramite le indicazioni stradali, cerco la Freedom trail, il Sentiero della libertà, che è esattamente come vorrei sentirmi io, libera. Ho letto che è segnalato da una continua linea rossa fatto di strade pedonali ed ho quasi voglia di perdermi.

A pranzo prendo un panino e lo mangio continuando a camminare, come faccio per tutto il resto del pomeriggio, sono stata in giro praticamente tutto il giorno. Ho bisogno di rimanere in movimento, non voglio fermarmi, né fisicamente né mentalmente perché devo necessariamente andare avanti. Ad un certo punto sento squillare il mio telefono e lo prendo senza guardare chi sia perché le ho messo una suoneria personalizzata.

«Ciao Rebekah». Mi guardo intorno e credo di essermi veramente persa.

«Chloe tutto bene?» Il ruolo della sorella maggiore apprensiva le calza a pennello.

«Sì. Ho fatto un giro per la città». Sto tentando di trovare un punto di riferimento, ma non so quale riferire a mia sorella.

«Dove sei?» Appunto, ora non so che dirle.

«A dire la verità non saprei dirtelo con precisione. Vedo un tizio vestito in modo strano, credo sia un costume d'epoca». La sento ridere dall'altra parte del telefono.

«Questa sì che è un'indicazione utile». Mi prende in giro e mi rendo conto che non mi sono spiegata molto bene, ma non posso fare a meno di ridere anch'io.

«Non fa niente Reb, credo che se seguirò la linea rossa, dovrei farcela a tornare indietro». Ridiamo ancora insieme e, dopo esserci salutate, mi incammino verso casa e ci metto meno di quanto avessi immaginato. Una volta arrivata, vedo mia sorella venirmi incontro con un mestolo di legno in una mano e uno strofinaccio da cucina nell'altra.

«Ehi ce l'hai fatta! È quasi pronto». Poso le chiavi e la giacca all'ingresso, poi vado in bagno a lavarmi le mani, mentre mia sorella mi segue.

«Che c'è?» La guardo affacciata alla porta che osserva ogni mio movimento.

«Niente... sono solo contenta di averti qui». Conosco quello sguardo, è preoccupata per me e, ora che sono qui, si sente responsabile delle mie azioni.

«Sto bene Reb, smettila di preoccuparti, adesso andiamo a mangiare». Mi asciugo le mani e insieme andiamo in cucina dove le do una mano a finire di preparare.

«Tutto bene il viaggio?» Ci sediamo a tavola e dal suo sguardo sembra volermi studiare.

«Sì, ho dormito praticamente tutto il tempo, ero davvero stanca e spero che mi diano presto notizie della mia valigia». Non che ci fosse chissà che lì dentro, ma è roba mia e ci tengo a riaverla indietro.

Chiacchieriamo ancora del viaggio e, non so perché, ma nel racconto ometto di aver incontrato quel ragazzo al nastro dei bagagli. Forse ho paura che possa venire fuori quell'argomento e non voglio parlarne. Mia sorella è già troppo in apprensione per me. Sono qui per ricominciare e dopotutto sono quasi sicura che non incontrerò più quel Dylan, quindi posso accantonarlo nella mia mente, insieme a tutte le altre cose che ho deciso di nascondere a me stessa.

Finiamo di cenare e, dopo averla aiutata a riordinare, guardiamo un film sul divano e, anche se pensa che non me ne sia accorta, l'ho vista che per tutto il tempo non ha fatto altro che guardarmi, ma non ho intenzione di dirglielo, voglio convincerla che sto bene perché, anche se al momento non è così, sono sicura che posso farcela. L'ho promesso alle persone più importanti della mia vita.

«Io vado a dormire, altrimenti domani non ce la farò ad alzarmi». Mia sorella si alza dal divano e resta per un attimo a guardarmi. «Tu rimani qui?» Alzo gli occhi al cielo e rido.

«Non devi aver paura a lasciarmi da sola Reb». Le sorrido sinceramente perché è davvero tenera. 

«Ok, allora... Buonanotte». Mi sorride e fa per andarsene, ma poi torna subito indietro. «Ah, quasi dimenticavo, domani sera devo partecipare ad una serata di beneficienza. Non ho potuto dire di no, non sai quanto può essere irritante il mio capo quando ci si mette, e tu verrai con me. Buonanotte di nuovo Chloe». Ha parlato talmente in fretta che non sono riuscita a dire niente. Ora mi toccherà accontentarla e la cosa non mi fa impazzire per niente.

Decido di andare anch'io a dormire e, dopo aver spento la televisione, vado nella mia stanza. Il borsone è ancora ai piedi del letto. Mi avvicino e lo apro prendendo le foto dei miei amici per metterle sul mobile in bella vista. Mi mancano già e, dopo aver preso il cellulare, scrivo a Kurt che a quest'ora sarà sicuramente ancora sveglio.

Ehi

In pochi secondi il suo stato diventa online e sorrido

Finalmente! Che fine hai fatto?

Oggi mi sono completamente isolata cercando di allontanare i pensieri, avevo bisogno di stare con me stessa.

Sono stata in giro

Stai bene?

Eccolo, prima mi sgrida, poi si preoccupa.

Starò bene Kurt,  
mi serve solo un po' di tempo

Con lui e Hazel posso essere del tutto sincera.

Mi manchi

Sto per piangere, ma non posso farlo, non posso permettermi di crollare.

Kurt ne abbiamo già parlato 
Non starò via per sempre e  
sai che puoi venire qui  
quando vuoi

Guardo verso l'alto con la speranza che le lacrime che si sono formate non cadano.

D'accordo, ma il biglietto  
aereo lo paghi tu

È riuscito a farmi ridere, come sempre d'altronde.

Solo se porti anche Hazel

Ovviamente, non riuscirei  
a sopportarti da solo

Kurt è speciale, incredibilmente meraviglioso.

Vado a dormire adesso,  
dai un bacio ad Hazel per me 
Buonanotte Kurty

Lo farò

Dormi bene Cleo

Lui e Hazel sono la mia forza, e senza di loro non sarei qui.

Nel senso letterale del termine. 

 

§§§§§§§§§§§§§§§



 

SPAZIO ME

Allora, allora, allora...non succede niente di particolare, siamo ancora all'inizio. La nostra Chloe è arrivata a destinazione, ma al suo arrivo ha fatto un paio di incontri davvero importanti.

Scopriamo qualcosa in più del suo passato, ma molto rimane ancora da sapere.

La sorella l'ha praticamente costretta a partecipare a questa serata di beneficenza.
Chissà cosa succederà o chi incontrerà.

Nel prossimo capitolo tornerà il nostro protagonista e le cose inizieranno a farsi più interessanti.

Fatemi sapere che ne pensate.

Eeeee niente, buona lettura.

 

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Capitolo 4
*** Non posso crederci ***


Harry's Pov

«Harry!» Credo sia la terza volta che il mio nome viene urlato da dietro la porta della mia stanza, o almeno quelle che sono riuscito a contare. Non ho la minima idea di che ore siano, e nemmeno m'importa saperlo. Ho troppo sonno per alzarmi dal letto, e anche se non ho bevuto molto ieri sera, mi fa ugualmente male la testa, forse per le urla che continuano ad arrivare dal corridoio.

«Harold Emerson Stevens!» La porta della mia camera viene spalancata, ma sono totalmente indifferente ai passi di mio padre che sento avvicinarsi sempre di più al letto. Fingerò di dormire sperando che se ne vada. «So che sei sveglio...» Le coperte mi vengono strappate di dosso bruscamente, ma non mi muovo di un solo millimetro. «Alzati immediatamente. Hai quindici minuti per doccia, colazione, e vestirti. Se tarderai anche di un solo minuto ti trasferirò all'ufficio contabilità». Con la velocità di un bradipo mi giro su un fianco.

«Sempre molto gentili i tuoi risvegli papà. Così sì che mi fai venire voglia di alzarmi». La mia voce sembra provenire dall'oltretomba, ma ho davvero troppo sonno.

«Se ti degnassi di comportarti come un adulto maturo ed indipendente, avresti un risveglio degno di tale nome. Ora muoviti prima che dica a Brenda di far sparire nel cestino della spazzatura la tua colazione!» Ho gli occhi semiaperti e lo guardo allontanarsi. È impeccabile nel suo completo firmato fatto su misura e quando si ferma sulla porta, capisco che la sua ramanzina non è ancora finita. «E poi mi spieghi perché continui a dormire qui, quando hai una casa tua?» Non rispondo, non ne ho le forze, quindi il dito medio glielo faccio solo mentalmente.

Non mi sono ancora alzato dal letto e sono già stufo, e il pensiero di passare un'altra giornata in quel dannato ufficio mi fa venire voglia di girarmi dall'altra parte e continuare il sogno che stavo facendo prima che mio padre mi riportasse su questo pianeta.

Mi alzo svogliatamente per andare a fare la doccia nel bagno personale della mia camera da letto. Brenda mi fa trovare ogni giorno un asciugamano pulito e il mio bagnoschiuma preferito, poi scendo e trovo la mia colazione preferita che lei mi prepara ogni mattina. Nell'armadio ho sempre vestiti stirati e ordinati e secondo mio padre dovrei andare a vivere da solo quando qui c'è Brenda che lavora per noi da quando sono nato e mi coccola come se fossi suo figlio.

Può anche scordarselo.

Quando scendo per fare colazione con addosso solo i pantaloni della tuta - che ho messo giusto per non presentarmi in mutande - lei è intenta in cucina a preparare qualcosa. Questa donna è instancabile.

«Buongiorno Brenda». Si volta a guardarmi con un sorriso contagioso.

«Harold perché non ti vesti prima di scendere?» Lei è l'unica, a parte mio padre, ad usare il mio nome per intero. Mi avvicino e le do un bacio sulla guancia. Le voglio bene, mi ha cresciuto lei, e mi è stata molto più vicina di quanto non l'abbia fatto il mio impeccabile genitore.

«Perché papà rompe». Brenda alza gli occhi cielo e, anche se è abituata ai miei battibecchi con papà, non si è mai rassegnata a sentirmi parlare così di lui.

«Harold sai che ti vuole bene, magari è un po' sbrigativo, ma anche tu hai un caratteraccio». Stavolta sono io ad alzare gli occhi al cielo e mi riempio la bocca di pancake per non dire qualche cazzata che la farà sicuramente arrabbiare.

«Feffo... coe oi». Lei si volta di nuovo verso di me con uno sguardo di rimprovero.

«Harold quante volte ti ho detto di non parlare con la bocca piena!» Ma alla fine scoppiamo a ridere mentre cerco di non sputare tutto nel piatto.

Per il resto della colazione cerco di comportarmi meglio, Brenda merita la parte migliore di me. Terminato di mangiare, vado a vestirmi con uno di quegli stupidi completi da ufficio a cui mio padre tiene tanto. Lavorerei allo stesso modo con i miei jeans neri, ma lui non lo vuole capire. Recupero il cellulare che ho messo sotto carica ieri sera e lo accendo, infilandolo in tasca. Metto infine le scarpe, scendo a salutare la mia Brenda lasciandole un bacio sulla guancia, e mi avvio alla porta di uscita per salire in auto con i miei soliti cinque minuti di ritardo.

Papà è già andato, non c'è traccia della Mercedes e nemmeno dell'autista che avrebbe dovuto aspettarmi per portarmi in ufficio. Mio padre continua ad insistere per portarmi sulla retta via, mentre io non ho intenzione di assecondare le sue manie di perfezione. Non diventerò mai come lui, tutto preso dal lavoro come se non esistesse altro al mondo.

Metto in moto la mia Mustang nera, quella che mi ha lasciato il nonno. In realtà non dovrei prenderla, papà me l'ha vietato, ma vorrà dire che la prossima volta si deciderà a dire al suo autista di aspettare quei cinque fottutissimi minuti in più.

Quando sto per uscire dal cancello automatico mi squilla il telefono, metto in vivavoce poi ingrano la marcia ed esco.

«Che c'è?» Ho visto il suo nome prima di rispondere e il mio umore continua a peggiorare proporzionalmente al mio avvicinamento al suo preziosissimo impero che porta il nome Stevens.

«Stai arrivando?» Alzo gli occhi al cielo anche se non può vedermi, svolto a destra e supero un paio di vecchi che avrebbero fatto meglio a stare a casa. Dovrebbero togliergli la patente arrivati ad una certa età.

«Sì». Il mio tono è evidentemente annoiato.

«Ti ricordo che abbiamo una riunione importante. Hai fatto aspettare James?» Credo sia l'autista intransigente.

«James?» Faccio il finto tonto, questa cosa sta iniziando a divertirmi. Accelero per evitare di dovermi fermare al rosso.

«Non sei in macchina con James?» Credo di aver acceso la sua curiosità. «Se non sei con l'autista... Harry... non avrai mica preso...» Chiudo la comunicazione con un gran sorriso soddisfatto sul volto. Il telefono squilla di nuovo, ma non rispondo. Accendo la radio e mi godo gli ultimi dieci minuti di percorso in assoluto relax. Amo quest'auto tanto quanto l'amava il nonno. Ho passato tanti pomeriggi con lui a smanettare sul motore di questo gioiellino.

Una volta arrivato, scendo nel parcheggio sotterraneo lasciando l'auto in uno dei dieci posti riservati a mio padre. Prendo l'ascensore e vado direttamente al ventiquattresimo piano dove devo ritirare i documenti per la riunione. Spero soltanto che il mio amico e collega li abbia già preparati, perché di ramanzine ne prendo già abbastanza di mio, non ho bisogno di subirmi anche quelle per le colpe altrui.

Il ding dell'ascensore mi avvisa che sono arrivato, mi avvio nel corridoio dove incontro un paio di segretarie troppo truccate e troppo sorridenti per essere solo le nove di mattina, che mi salutano con il solito "Buongiorno signor Stevens". Ricambio con il mio sorriso di circostanza e mi dirigo direttamente nel suo ufficio.

«Ciao Dylan». Credo di averlo spaventato, perché si gira improvvisamente con una strana espressione sul viso.

«Ehm... ciao Harry... sei già qui?» È stranamente nervoso e lo guardo stringendo gli occhi a due fessure. Non ho bisogno di chiedergli niente perché sa esattamente cosa sono venuto a fare. «I documenti che dovevo darti stamattina potrebbero non essere qui...», mi guarda sorridendo.

Abbasso le spalle sconsolato appoggiandomi con le mani al bordo della sua scrivania emettendo un lungo sospiro.

«Potrebbero?» Se non porterò quei documenti alla riunione mio padre mi darà dell'incompetente e anche se non è una novità che lo faccia, la cosa mi dà sempre sui nervi.

«Harry li avevo... li avevo tutti, ma mi hanno perso la valigia ieri sera in aeroporto. Ho già chiamato più volte, ma sembra che nessuno sappia dove sia finito il mio bagaglio». Lo vedo che è dispiaciuto, però il suo dispiacere non servirà a niente fra pochi minuti.

«Cazzo! Non potevi tenerli nel bagaglio a mano?» Poi lo guardo negli occhi e mi pento subito della mia reazione. So che sta facendo del suo meglio. «Cerca di recuperarli prima possibile, mio padre non sentirà ragioni». Mi allontano lentamente dalla sua scrivania, ma quando sono sulla porta non posso evitare di fargli notare un particolare. «E sistemati quella cravatta». Sorrido mentre lo vedo abbassare lo sguardo e mettersi a ridere, perché la sua cravatta era perfettamente a posto.

Conosco Dylan da diversi anni, abbiamo frequentato lo stesso liceo, è un amico, e per quanto dovrei essere arrabbiato con lui, non ci riesco. So che sta lavorando sodo e si sta guadagnando la fiducia di tutti in ufficio, è bravo e sa fare il suo lavoro. Per non parlare del fatto che mi para sempre il culo quando ne ho bisogno.

Salgo di nuovo in ascensore, stavolta la mia destinazione è l'ottantasettesimo piano, dove saranno già tutti seduti attorno al tavolo della sala riunioni e mi staranno aspettando. In attesa che le porte si aprano segnalandomi che sono arrivato controllo il cellulare. Ho un messaggio di Louis.

Che fine hai fatto ieri sera?

Ieri sera. Che pessima serata. Una noia infinita. Solito pub, solita birra, solita Jessica che non sa far altro che cercare di attirare l'attenzione di tutti i presenti. Sono stufo di queste uscite.

Siete diventati noiosi

Sono andato via prima del solito senza avvisare nessuno dei miei amici, dopo aver visto Jessica iniziare uno strip sul bancone del bar.

Disse quello che ha tenuto il muso tutta la sera

Come ti ho già detto siete diventati noiosi

Da un po' di tempo a questa parte mi sento vuoto, come se mi mancasse qualcosa. Voglio bene ai miei amici, sono stati molto importanti nella mia vita, ma è arrivato il tempo di qualche novità, ne sento il bisogno.

Le porte dell'ascensore si aprono, metto via il telefono, continuerò questa conversazione con lui più tardi. Mi incammino lungo il corridoio con passo lento e quando arrivo davanti alla scrivania di Dana, mi sorride scuotendo la testa.

«Sei in perfetto ritardo». Le passo davanti senza fermarmi e le rivolgo solamente uno sguardo.

«Come sempre. Non vorrei deludere le aspettative di nessuno». Il mio tono è decisamente ironico, ma è un atteggiamento che posso permettermi con la segretaria di mio padre. Sa che non le sto mancando di rispetto, abbiamo sempre avuto un buon rapporto io e lei.

Dalla vetrata della sala riunioni riesco a vedere che ognuno è già al proprio posto, ed io cerco di inspirare una gran quantità d'aria prima di entrare là dentro.

«Signori buongiorno», dico aprendo le porte ed entrando nella sala. Ognuno dei presenti si gira nella mia direzione, mentre mio padre mi guarda con aria minacciosa e appena mi avvicino a lui si avvicina al mio orecchio per dirmi qualcosa.

«Grazie per averci degnato della tua presenza». L'ho sentito solo io, non ha mai fatto vedere a nessuno che non ha un buon rapporto con suo figlio. Si posiziona poi meglio con la schiena sulla sua poltrona e riprende a parlare. «Harry hai portato i documenti che ti ho chiesto la settimana scorsa?» Nemmeno il tempo di sedermi e già inizia la tortura.

«Li avrei portati se li avessi avuti». Cala il silenzio nella stanza e tutti aspettano che io prosegua. «Ma sono dispersi in aeroporto». L'espressione che vedo sul viso di mio padre mi fa capire quanto l'abbia fatto innervosire, ma dovrà farsene una ragione.

Per tutta l'ora successiva, non faccio altro che tentare di ascoltare le iniziative riguardanti il progetto che c'è in discussione all'ordine del giorno. Il signor Harrison Stevens ha intenzione di ingrandire la società e ha in programma un'acquisizione che dovrebbe fargli guadagnare un bel po' di soldi. Soldi che a me non spettano perché si è messo in testa che sono un immaturo e un irriconoscente, e fino a che non dimostrerò di sapermela cavare in questo mondo con le mie sole forze, potrò solo essere un dipendente come tanti altri.

Vivo con il mio stipendio da direttore. Il mio potente padre dice di avermi dato un ruolo importante per responsabilizzarmi e anche se dirigo un centinaio di persone, devo comunque rispondere del mio operato ai miei superiori. Insomma sono controllato a vista.

Sto quasi per addormentarmi su questa scomoda sedia, quando vedo che le persone sedute a questo tavolo iniziano ad alzarsi. Sto per farlo anch'io, ma mio padre mi fa cenno di stare seduto. Credo ci sia un'altra ramanzina in avvicinamento.

Saluto distrattamente i membri del consiglio di amministrazione che si dirigono verso la porta e mi perdo con lo sguardo sulla vetrata che dà all'esterno. Mi piace guardare il mondo da quest'altezza e, ogni giorno di più, ho voglia di andarmene da qui.

«Perché non puoi arrivare in orario?» La voce di mio padre mi fa voltare verso di lui. Mi fa sempre la stessa domanda e non ho più voglia di rispondergli. Mi distendo meglio sullo schienale della sedia e lo guardo dritto negli occhi. «Harry quando metterai la testa a posto?» Questa è troppo facile.

«La mia testa è perfettamente a posto, solo che non è nel posto in cui la vorresti tu». Incrocio le braccia al petto e aspetto che arrivi inevitabilmente il resto.

«Come sei arrivato in ufficio, se non eri in macchina con James?» I suoi occhi vorrebbero essere minacciosi, ma con me non funziona mai questo suo atteggiamento.

«Non credo ci sia bisogno di dirtelo no?» Sorrido, perché lo vedo alzare gli occhi al cielo, ma in realtà non mi sto affatto divertendo, sono solo soddisfatto di averlo infastidito.

«Quella Mustang era di mio padre, hai intenzione di distruggerla come è successo con la tua auto?» Si riferisce all'incidente che ho avuto un paio di mesi fa, ma la colpa non era assolutamente mia, tanto che l'ha riconosciuto anche l'assicurazione, e la sua affermazione mi fa saltare i nervi.

«Quella Mustang era di mio nonno e ogni pomeriggio che ci ho lavorato con lui, mi ha detto che sarebbe stata mia un giorno, quindi non sto facendo proprio niente di sbagliato stavolta. Avevi solo da dire al tuo James che avrebbe potuto aspettare cinque dannati minuti in più!» Non voglio stare qui dentro - e lui lo sa perfettamente - e costringendomi ad una vita che non voglio non fa che peggiorare ogni cosa.

«Harold quando crescerai? Quando ti deciderai ad essere più responsabile? ...» E poi il resto non lo sento più perché mio padre ha iniziato sempre il solito discorso che ormai ho imparato a memoria.

«...sei un immaturo, tutto quello che faccio è per te e tu mi ringrazi così bla bla bla...» Gli faccio il verso, ripetendo le sue parole, e lui sospira spazientito. Alla fine si volta e se ne va, ma quando è sulla porta si gira ancora una volta verso di me, ed io credo che questa paternale stia diventando infinita.

«Stasera c'è la serata di beneficienza, ti voglio trovare lì». Non aspetta una mia risposta, ma quando lo vedo uscire definitivamente dalla stanza, tiro un sospiro di sollievo.

«Finalmente!» Riesco a dire quando resto solo, ma il mio tono di voce era volutamente alto e sono sicuro che lui l'abbia sentito mentre si allontanava dalla sala riunioni.

Esco anch'io, diretto all'ascensore. Devo parlare con Dylan, poi me ne andrò da qui. Non m'importa quello che mi dirà mio padre. Oggi non posso reggerlo.

Arrivato nell'ufficio del mio amico, entro ovviamente senza bussare. Lui è impegnato in una telefonata e mi guarda con aria di rimprovero, ma mi siedo comunque senza badare alle sue lamentele silenziose.

«Sì... certamente... nessun problema. L'appuntamento è confermato? ... D'accordo. A domani». Non mi ha tolto gli occhi di dosso per tutto il tempo, soprattutto quando ho appoggiato i piedi alla sua scrivania, ma sono il suo capo e se voglio posso farlo. «Harry!» Non è credibile quando tenta di rimproverarmi.

«Dylan!» Lui scuote la testa rassegnato ed io mi diverto un sacco a prenderlo amichevolmente in giro.

«Com'è andata ai piani alti?» Mi guarda poggiando la schiena alla poltrona girevole, lasciando perdere il rimprovero che stava per farmi, tanto sa che con me non la spunta.

«Noia e paternale, come sempre». Dylan sorride, poi risponde ad un'altra chiamata.

«Evans...» Sempre rispettoso del protocollo e risponde con il suo cognome. «Chloe? Ciao!» Ha un'espressione sorpresa, come se non si aspettasse quella chiamata e la mia curiosità si accende mentre vedo spuntare sul suo viso un sorriso enorme. «Sarebbe fantastico!»

Decido di andarmene, sembra che questa telefonata non abbia niente a che vedere con il lavoro, gli faccio cenno con le dita che ci saremmo sentiti più tardi, ma lui alza una mano facendomi capire di restare.

«Perfetto, sarò in debito con te per questo. Grazie, a tra poco allora. Ciao». Posa il telefono e mi guarda con aria soddisfatta. «Le valigie sono state ritrovate, i documenti arriveranno a breve». Annuncia trionfante come se avesse vinto alla lotteria.

«D'accordo chiamami quando arrivano». Mi alzo e lo saluto. Mi dirigo poi nel mio ufficio dove la noia mortale mi sta già aspettando.

*****

Chloe's PoV

Esco di casa trascinandomi le due valigie che il corriere mi ha lasciato. Ho tentato di spiegargli che non sono mie, ma lui continuava a dire che non poteva farci niente, che gli è stato detto di consegnarle tutte e tre al mio indirizzo, il resto non era affar suo. Fortunatamente, sulla targhetta di quei bagagli, c'era indirizzo e numero di telefono, e non sapevo se ridere o piangere quando ho capito che quelle valigie appartenessero a Dylan, quel ragazzo che ho conosciuto l'altra sera in aeroporto. Ne ho avuto la conferma quando l'ho chiamato per avvisarlo che avevano consegnato a me i suoi bagagli. Ero assolutamente convinta che non l'avrei più rivisto, ma a quanto pare mi sbagliavo.

Ho pensato di portagliele per non farlo venire fino a casa. Non voglio fargli sapere dove abito e dopotutto non mi costa una gran fatica fargli questo favore. Riprendo quindi la metropolitana, la stessa che ho preso stamattina per andare a consegnare una domanda di assunzione per il mio lavoro di traduttrice simultanea. Sono solo due fermate, ma queste due valigie sono piuttosto grandi e pesanti, e non ho voglia di portarmele a piedi. Una volta arrivata sul posto, controllo l'indirizzo segnato sulla targhetta e sorrido complimentandomi con me stessa per averlo trovato subito. Entro e la ragazza alla reception mi guarda con aria stranita.

«Sono qui per vedere Dylan Evans». La ragazza bionda mi osserva con attenzione.

«Ha un appuntamento?» Il tono di superiorità nella sua voce è indisponente.

«No, ma...»

«Beh allora non posso farla passare se non ha un appuntamento». Mi interrompe ancora prima che io possa parlare.

«Lei non capisce io...»

«Le ripeto che senza appuntamento non può passare!» Si gira ignorandomi del tutto e non so cosa mi stia trattenendo dal tirarle la valigia in testa. Mi allontano appena dal suo bancone e prendo il cellulare, componendo il numero che ho chiamato prima.

«Pronto?» Mi fa ancora strano sentire la sua voce e sapere che sto per incontrarlo di nuovo mi mette una certa agitazione.

«Ciao Dylan, sono Chloe. Sono arrivata, ma la biondina alla reception non mi fa salire senza appuntamento». Cerco di imitare la voce acuta della ragazza antipatica con cui ho parlato poco fa, poi lo sento ridere e la sua risata mi arriva dritta al cuore.

«Scendo subito, aspettami lì». Chiude la comunicazione e passa davvero pochissimo tempo prima di vederlo uscire dall'ascensore. Cammina sicuro verso di me e non posso fare a meno di notare come stia bene con quella camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e la cravatta bordeaux. Il suo sorriso è ancora più bello di quanto ricordassi e gli sorrido a mia volta.

«Ciao». Adesso che lui è qui davanti a me, non sono più tanto sicura che sia stata una buona idea rivederlo.

«Ciao». La mia voce esce più incerta di quanto avrei voluto.

«Grazie per averle portate fino a qui». Indica le valigie vicino alle mie gambe. Ogni volta che mi guarda negli occhi è come se ritornassi indietro nel tempo.

«Figurati». Mi sento a disagio davanti a questo ragazzo che assomiglia troppo a lui e il silenzio sta diventando alquanto imbarazzante.

«Posso offrirti qualcosa? Giusto per sdebitarmi». Si avvicina un po' di più a me e la sua presenza mi fa tornare in mente ricordi troppo dolorosi.

«Non ce n'è bisogno e poi avrai sicuramente qualcosa da fare». Dico la prima cosa che mi viene in mente.

«Ho tempo per un caffè». Mi sorride ancora e faccio più fatica a rifiutare se continua a farlo.

«Non devi disturbarti, l'ho fatto volentieri». Adesso è un po' più vicino, afferra i manici delle valigie e mi guarda dritto negli occhi.

«Nessun disturbo, è solo un caffè. Dai vieni con me». Si gira e si aspetta che io lo segua senza avermi dato tempo di rifiutare un'altra volta. Mi ritrovo a seguirlo mentre passiamo davanti al bancone della reception, poi mi volto verso la bionda che mi ha trattato in maniera piuttosto sgarbata e la guardo con un gran sorriso soddisfatto mentre seguo Dylan verso l'ascensore.

«Il mio capo sarà felice di sapere che ho recuperato i documenti». Sta per premere il pulsante dell'ascensore, ma si accorge che è già occupato e ci spostiamo a destra per chiamare l'altro che troviamo già direttamente al piano. Una volta che le porte si chiudono spero che il piano al quale dobbiamo arrivare non sia troppo alto. Non so quanto riesco a reggere la sua presenza da questa distanza così ravvicinata. Il suo dito si stacca dal pulsante e quando leggo il numero 24, spero che quest'ascensore sia veloce.

Altre persone si aggiungono a noi nella salita e ne sono contenta, così il silenzio che si era creato è stato meno imbarazzante. Arrivati a destinazione, lui trascina le due valigie ed io lo seguo lungo il corridoio fino al suo ufficio, dove mi fa cenno di sedermi.

«Chiamo subito il mio capo per avvisarlo». Mi siedo in una delle due poltrone davanti alla sua scrivania e mentre lui prende in mano il telefono, io mi guardo intorno. La mia attenzione è attirata subito dalla grande vetrata alle sue spalle che fa entrare la luce del sole. Alla mia sinistra c'è un grande quadro, il cui soggetto non è identificabile, dev'essere arte moderna.

«Credo non sia in ufficio, non risponde, provo al cellulare». Gli sorrido e non posso non notare il perfetto ordine che regna sulla sua scrivania, e sulla destra una cornice della quale vorrei vederne la foto. So che è una stupida curiosità, ma vorrei davvero vederla. «Ciao, ho i documenti...», dev'essere riuscito a contattarlo, «te li porto?» Mi stupisco del fatto che dia del tu al suo capo. «Ma come sei appena uscito? Dove sei andato?» Mi viene da ridere a sentire che lo stia rimproverando, mi viene quasi il dubbio che il suo capo sia un tipo piuttosto rimbambito di cui ognuno si possa approfittare. Me lo immagino basso, un po' in là con gli anni, con i capelli tanto corti da essere rasati. «Ok... te li lascio sulla scrivania». Dylan sospira come se fosse rassegnato e mi scappa un sorriso quando mi rivolge uno sguardo. «Sì ciao, a domani». Riaggancia e si lascia andare all'indietro sulla sedia. «È meglio se andiamo a prenderci quel caffè.» Si alza e lo seguo un'altra volta lungo il corridoio fino alle macchinette in rigoroso silenzio, passando davanti ad un bancone vuoto che suppongo sia destinato alla segretaria del piano.

«Zucchero?» Mi chiede dopo aver inserito le monete.

«No, lo prendo amaro grazie». Si volta preme il pulsante e aspetta che le bevande siano pronte per poi porgermene una.

«Grazie a te per avermi portato quei bagagli». È carino a continuare a ringraziarmi e per un attimo mi sembra di vedere lui nei suoi occhi.

«Non è niente, davvero. Dovevo comunque uscire per portare un'altra domanda di lavoro». Non so perché gliel'ho detto dato che non è vero, ma mi è venuto spontaneo farlo.

«Che tipo di lavoro stai cercando?» Finisce il suo caffè extra dolce, buttando poi il bicchiere vuoto nel cestino.

«Ho studiato lingue e cerco qualcosa che abbia a che fare con le traduzioni». Oltre alla traduttrice simultanea, quando abitavo a Montréal, ho tradotto anche libri e articoli di giornale, e insegnavo inglese ai bambini delle elementari. Passiamo qualche minuto a parlare e per quanto lui sia gentile, e carino... e disponibile... e cordiale, io non riesco più a stare qui e devo proprio salutarlo, ma poi lui mi ferma.

«Ci rivedremo?» La tentazione di dirgli di sì è forte, ma ho l'impressione di volerlo fare solo perché sono suggestionata dal suo ricordo e non credo che questo mi porterà qualcosa di positivo.

«Non c'è due senza tre». Se il destino prevede che ci rincontreremo succederà comunque. «Ora devo proprio andare, ciao Dylan». Gli rivolgo un ultimo sorriso prima di uscire da lì e tornare alla mia vita.

***

Mentre passeggio per tornare a casa ripenso al fatto che mi sono allontanata da Montréal per accantonare i miei pensieri ed invece incontro un ragazzo che è praticamente identico a lui, persino con lo stesso nome e la cosa mi preoccupa. Non ne ho ancora parlato con Rebekah, credo che se lo sapesse mi manderebbe subito da uno strizzacervelli per paura di qualche mio gesto avventato.

Una volta arrivata a casa, mi metto a cercare qualche annuncio di lavoro su internet. Devo trovarne uno al più presto perché ho bisogno di lavorare, ne va della mia sanità mentale. Credo di aver passato troppo tempo al pc, perché improvvisamente sento la voce di mia sorella che mi richiama dal piano di sotto.

«Chloe, sono a casa!» Il rumore della porta che si chiude e quello dei suoi passi su per le scale, mi fanno capire che sta per piombare nella mia stanza, e infatti subito dopo la porta viene aperta all'improvviso. «Vado a farmi una doccia, poi scegliamo insieme un vestito per questa sera ok?» Avevo completamente scordato la sua serata con l'ufficio.

«È proprio necessaria la mia presenza? Stasera avevo intenzione di iniziare una nuova serie TV».

«Ti prego. Lavoro lì da poco più di due mesi, non conosco molte persone, la tua presenza sarebbe molto importante per me». Mi fai i suoi occhioni dolci e non posso evitare di sorridere.

«A proposito, non mi hai ancora raccontato niente del tuo nuovo lavoro». Fino a poco tempo fa era segretaria in uno studio di avvocati, poi hanno ridotto il personale, l'hanno licenziata, ma fortunatamente ne ha trovato un altro in tempi piuttosto brevi.

«Possiamo farlo in un altro momento? È davvero tardi e devo fare la doccia, poi tocca a te». Esce velocemente dalla mia camera, mentre io do un ultimo sguardo alla schermata del computer e poi spengo, rassegnata alla decisione di mia sorella.

Aspetto il mio turno per usare il bagno e dopo essermi fatta una doccia, vado nella stanza di Rebekah che è intenta a cercare qualcosa nel suo armadio.

«Questo ti piace?» Si volta verso di me con un vestito rosso piuttosto corto in mano. La parte superiore è completamente lavorata, senza maniche. Lei indossa un abito nero, anch'esso senza maniche e la parte del decolleté che arriva sopra al seno, è trasparente.

«Sì». Si avvicina per darmelo, ma a quel punto mi accorgo che è davvero troppo corto e lo guardo incerta. «Forse non è una buona idea». Le indico il bordo del vestito, ma lei non vuole sentire ragioni.

«Starai benissimo, vai a cambiarti che è già tardi». Mi spinge gentilmente fuori dalla sua camera chiudendo la porta alle mie spalle ed io sospiro quando entro nella mia per vestirmi. Non sono abituata a questo genere di abito e credo che questa serata sarà una noia mortale.

Una volta pronte, scendiamo e saliamo su un taxi, mi ha detto che glielo paga la società quindi ne vuole approfittare. Il tragitto non è molto lungo e ci fermiamo davanti ad un grattacielo. La location è all'ultimo piano con vista sulla città completamente illuminata. Ci sono già diverse persone presenti nell'enorme salone ai cui lati si trovano diversi tavoli dove è stato allestito il buffet. Al fondo della sala posso vedere un piccolo palco, alla cui sinistra si trova un bancone da bar dove un ragazzo sta preparando dei cocktail per le persone sedute di fronte.

Si respira l'odore dei soldi qua dentro ed io mi sento particolarmente a disagio. Non mi piace stare qui, non mi piacciono queste persone con la puzza sotto al naso e non mi piace il fatto che mia sorella si sia allontanata per andare a salutare il suo capo, lasciandomi sola. Ho decisamente bisogno di bere qualcosa.

«Un french martini per favore». Il barista annuisce e si volta a preparare il mio drink. Quando me lo porge, mi volto osservando le persone che chiacchierano tra di loro in questa sala, buttando giù un gran sorso, quando una voce maschile attira la mia attenzione.

«Chloe?» Mi giro verso di lui e quasi non mi strozzo con il liquido che stava scendendo giù per la mia gola per la sorpresa.

«Dylan!» Sono assolutamente scioccata dal fatto di ritrovarmelo di nuovo davanti.

«Che ci fai qui?» Si siede accanto a me e ora più che mai vorrei essere rimasta a casa.

«Sono qui con mia sorella, e tu?» Stasera è ancora più bello rispetto alle altre due volte che l'ho visto. Quel completo grigio che indossa sembra fatto apposta per lui e quell'accenno di barba lo rende decisamente affascinante.

«Io lavoro per la HS Financial Services, la società che ha organizzato questa serata. Anche tua sorella lavora per la stessa azienda?» Non riesco a credere a questa coincidenza.

«Anche mia sorella Rebekah, a dire la verità». Lui sembra davvero sorpreso dalle mie parole.

«Rebekah Stewart?» I suoi occhi sono praticamente spalancati e i miei non sono da meno.

«Sì...», rispondo incerta, ancora incredula da quello che sta succedendo, «la conosci?»

«Certo che la conosco, è la segretaria del mio capo». Non facciamo in tempo a continuare il discorso, che una voce risuona forte dagli altoparlanti.

«Signore e Signori diamo il benvenuto all'ideatore di questa serata. Il signor Harrison Stevens e suo figlio Harry!»

Dalla sala si leva un forte applauso, mentre io resto senza parole nel vedere il ragazzo che sale sul palco vicino a quello che credo sia suo padre, mentre dalle mie labbra esce un lieve sussurro. «Non posso crederci...»

 

§§§§§§§§§§§§§§§

 

SPAZIO ME

Abbiamo il primo punto di vista di Harry e cominciamo a scoprire qualcosa di lui. Sembra abbia un rapporto difficile con il padre, ma scopriremo più avanti perché si comporta in questo modo. Ha comunque un bel caratterino.

Chloe si ritrova un'altra volta faccia a faccia con Dylan e per un soffio non incontra di nuovo Harry - ricordate il momento davanti agli ascensori? - ma c'è ancora la serata di beneficenza in cui questo potrà avvenire. Si incontreranno?

Il prossimo capitolo sapremo se i nostri protagonisti si sono incontrati e faremo la conoscenza di un nuovo personaggio.

Eeeee niente buona lettura

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Capitolo 5
*** Sei un pessimo palo ***


«Chloe? ... Chloe?» La voce di Dylan mi sembra arrivare da lontano perché sono troppo concentrata sul ragazzo dai capelli scuri in piedi al centro del palco vicino all'uomo che sta ancora parlando al microfono. Non riesco a smettere di guardarlo ora che i suoi occhi verdi sono puntati su di me, ma al terzo richiamo da parte di Dylan riesco a voltarmi e a dedicare nuovamente la mia attenzione al ragazzo seduto al mio fianco. «Chloe stai bene?» Mi sta porgendo un bicchiere di quella che credo sia acqua.

«Sì, scusa ero solo sovrappensiero». Prendo il bicchiere dalle sue mani e lo bevo tutto d'un fiato. Mi giro un'altra volta verso il palco e l'espressione divertita di Harry che guarda nella mia direzione mi innervosisce. Il mio fastidio per essere qui non fa che aumentare. Torno a guardare Dylan e gli sorrido mentre continuo a parlare con lui.

«...e grazie a tutti voi per essere qui stasera». Il discorso del signor Stevens finisce e vedo padre e figlio scendere dal palco. Torno a guardare Dylan, cercando di ignorare Harry che ho notato avvicinarsi a noi.

«Ciao Harry», Dylan si alza, andandogli incontro mentre io non posso far altro che alzare gli occhi al cielo, «ti presento...»

«Io la conosco...», Harry interrompe le sue parole poi si volta verso di me, «tu sei la ragazza della metro». Sta tentando di farmi sentire a disagio con quel sorriso pungente.

«Scusa Dylan, devo raggiungere mia sorella, ci vediamo dopo». Ignoro totalmente Harry che resta a guardarmi con aria sbalordita, ma allo stesso tempo divertita, e mi allontano con un sorrido soddisfatto cercando Rebekah tra le persone che affollano la sala.

Non riesco ancora a credere di averlo incontrato stasera e in questa circostanza. A quanto pare è un ricco e viziato figlio di papà, abituato ad ottenere sempre quello che vuole. Questo spiega il suo essere arrogante e irriverente, probabilmente non è stato abituato alle difficoltà della vita. Magari crede che tutto gli sia dovuto e che ha diritto di prendersi ogni cosa che vuole. Io credo sia solo un prepotente.

«Chloe?» Mi volto e trovo mia sorella proprio dietro di me. «Ti stavo proprio cercando, vorrei presentarti il mio capo». Mi sorride poi mi prende per mano facendo in modo che io la segua senza darmi la possibilità di protestare. Ci stiamo dirigendo di nuovo verso il bar, spero che se ne sia andato.

«Signor Stevens?» Il ragazzo presuntuoso si volta verso di noi.

«Rebekah... quante volte ancora dovrò dirti che devi darmi del tu. Lo sai che lo preferisco no?» Lei sorride imbarazzata.

«Oh sì, mi scusi...» La faccia di Rebekah sembra un pomodoro.

«Ecco, appunto». Ride anche lui; è la prima volta che lo vedo ridere in quel modo. Ha un bel sorriso quando lo fa con sincerità e non so per quale motivo, mi incanto a guardarlo. Mi incanto sulle sue fossette. Chloe riprenditi!

«Ehm... Harry... vorrei presentarti mia sorella Chloe, è appena arrivata da Montréal...» No, no, no! Il resto di quello che dice non lo ascolto più, perché sento il fastidio espandersi nel mio corpo ad ogni cellula. Harry, oltre ad essere il capo di Dylan, è anche il suo capo!

«Ma che piacere Chloe». Sottolinea il mio nome con la sua voce, facendomi capire quanto sia soddisfatto di aver scoperto come mi chiamo.

«Piacere non ricambiato signor Stevens». Rimarco anch'io il suo nome dandogli del lei - dato che non gli piace - con un tono di voce più che infastidito sotto il suo sguardo divertito.

«Chloe!» Mia sorella mi rimprovera tentando di continuare a sorridere al suo capo.

«Avrete sicuramente qualcosa di cui parlare, vi lascio soli». Dico loro mentre mi allontano da Harry, da Dylan, da mia sorella, e da tutte queste persone. Il fastidio che provo è arrivato ai livelli d'allarme e ho decisamente bisogno di una boccata d'aria. Senza aspettare una vera risposta da parte loro, mi volto e mi dirigo verso l'ascensore, sperando che porti anche sul tetto.

Per fortuna l'accesso al tetto è consentito, credo sia un solarium o qualcosa del genere perché vi sono diverse sdraio sistemate una sopra l'altra contro il parapetto. Mi avvicino e mi siedo prendendo il cellulare dalla piccola pochette. Mi mancano i miei due amici, se Hazel fosse qui si divertirebbe un mondo a prendermi in giro per come sono vestita. Non sono abituata a tacchi e vestiti, e non mi piace stare in mezzo a persone che non conosco. Faccio partire la chiamata.

«Chloe ciao!» La voce allegra della mia migliore amica rende già più accettabile questa serata.

«Ciao Hazel». Mentre la mia sembra piatta.

«Stai bene?» Il suo tono di voce rivela la sua preoccupazione per me. Si sono preoccupati fin troppo per me.

«Sì, è solo che mi manchi. Avevo voglia di sentire la tua voce, e sapere come sta Justin». La sento ridere e mi piace.

«Justin sente la tua mancanza, non è più lo stesso da quando non dormi più nella tua stanza, e... mi manchi anche tu». Quel poster di Justin Bieber sarà sempre motivo di divertimento per noi. Chiacchieriamo ancora qualche minuto, fino a che non sento dei passi. Quando mi volto a guardare chi sia, sento di nuovo il fastidio salire fino alla punta dei capelli. Non mi va che senta la mia telefonata, perciò mi sbrigo a salutare la mia amica.

«Devo andare adesso... ti voglio bene anch'io». Ripongo il telefono nella pochette abbinata al vestito che mi ha prestato mia sorella, quando sento di nuovo la sua voce.

«La ragazza acida della metro ha dei sentimenti?» Ha le mani in tasca e cammina sicuro verso di me.

«Non sono acida e ho un nome, sempre che tu non l'abbia già dimenticato». Sorride ancora, facendo spuntare le sue fossette, che gli danno un aspetto gentile, ma non credo che quella parola esista nel suo vocabolario.

«Oh no che non l'ho dimenticato Chloe». Si ferma in piedi esattamente di fronte a me, proprio come quella sera sulla metro.

«Quindi... perché sei qui? Non hai degli ospiti da intrattenere?» Ero venuta qui per stare sola, ma a quanto pare non è possibile.

«Nessuno noterà la mia assenza e forse mio padre ne sarà anche sollevato». Resto sorpresa dalle sue parole.

«E questo è un buon motivo per venire qui ad infastidirmi?» Non posso evitare di punzecchiarlo.

«Tua sorella era preoccupata per te e mi sono offerto di venire a controllare al posto suo». È ancora fermo nella sua posizione, sempre con le mani in tasca, e troppi bottoni della camicia sbottonati. Mi chiedo che fine abbia fatto la sua cravatta.

«Non ho bisogno della baby sitter Harry Stevens». Mi alzo per tornare indietro, ma la sua voce mi fa fermare sul posto.

«Sono qui solo per fare un favore a Rebekah, non sono la baby sitter di nessuno». Stavolta il suo tono non è più divertito, ma è evidentemente seccato e per un attimo, ma solo per un breve attimo, mi sento in colpa ad averlo trattato così.

«Come vuoi». Mi riprendo subito, lasciandolo lì da solo mentre torno nel salone da mia sorella. Entro nell'ascensore, premo il pulsante sperando che le porte si richiudano prima che lui decida di tornare indietro con me. Non sopporterei di condividere la sua stessa aria in un ambiente così ristretto. Una volta arrivata al piano, cerco mia sorella, e quando la trovo mi avvicino a lei.

«Rebekah non c'era bisogno che mandassi qualcuno a controllare dove fossi, devi stare tranquilla, non farò più cazzate, l'ho promesso». Mi rendo conto di quanto sia in ansia per me dopo quello che ho fatto, ma ora è diverso e spero che lo capisca al più presto.

«Chloe guarda che io non ho mandato nessuno a cercarti». Resto per un attimo interdetta e mi chiedo se dovrei riferire del comportamento di Harry a mia sorella, ma un'altra volta ancora, faccio finta di niente e cerco di finire il resto della serata provando a divertirmi. «Ok, senti... Ehm... hai conosciuto qualcuno stasera?» Anche Rebekah ignora quello che le ho detto, non so se volutamente o se non ha ben capito, ma non importa.

«Non esattamente». Dovrei dirle che ho conosciuto Dylan numero due - che somiglia incredibilmente al mio Dylan - proprio la sera del mio arrivo a Boston e subito dopo ho incontrato il suo capo leggermente ubriaco, e indisponente, sulla metropolitana, ma forse non è il momento più opportuno per farlo.

«Qualche faccia simpatica?» Ha sempre la speranza che io faccia amicizia con qualcuno di nuovo per accantonare il passato.

«Simpatica non è proprio l'aggettivo che userei per descrivere le persone con cui ho parlato». Lei si volta a guardarmi con curiosità, aspettandosi che io specifichi il soggetto della mia frase e, per puro caso, in quel momento Harry esce dall'ascensore entrando nel salone. Ho l'impressione che stia guardando nella nostra direzione.

«Con chi hai parlato? Magari lo conosco». Mi chiede mia sorella.

«Sicuramente lo conosci, non siete tutti colleghi qui?» Voglio evitare di specificare con chi ho parlato.

«Beh, non è che io conosca proprio tutti, dimmi almeno il suo nome». Sta insistendo e questo vuol dire una cosa sola. Se la conosco bene teme che io possa aver incontrato Dylan numero due.

«Credo si chiami Dylan numero due, sempre che nel tuo ufficio le persone non abbiano la capacità di reincarnarsi, a quel punto avrei incontrato Dylan numero uno, ma non credo sia possibile». Mia sorella è praticamente sbiancata e non dice più una parola. «Quindi... a meno che lui non avesse un gemello nascosto, il destino mi sta giocando un brutto tiro, e tu lo sapevi». Rebekah è a disagio e mi dispiace averla messa in questa situazione, ma sarebbe comunque venuto fuori prima o poi.

«Sì, te l'avrei detto, è solo che...»

«Eri preoccupata per me, lo so. Dovete smetterla tutti quanti di preoccuparvi per me. Sto andando avanti, sto provando ad andare avanti, ma non mi aiuta il fatto che tu voglia tenermi sotto una campana di vetro». Sto alzando la voce e anche se so che lei non merita questo comportamento da parte mia, non riesco proprio a trattenermi.

«Chloe devi credermi, te ne avrei parlato. Non pensavo che Dylan sarebbe venuto stasera, mi aveva detto che aveva un impegno...» Non ho voglia di stare a sentire più niente.

«Ok... senti ti dispiace se me vado?» Mi sto comportando male, ma non posso stare qui un minuto di più. Non è colpa di mia sorella, non è colpa di Dylan e nemmeno di Harry, o forse è colpa di tutta questa serata messa insieme, ma devo veramente andarmene.

«Chloe aspetta, vengo con te». Vedo che si volta verso il guardaroba per andare a recuperare il cappotto, ma la fermo subito.

«No, tu resta, goditi la serata». Il mio sguardo si addolcisce. Le voglio bene e so che anche lei me ne vuole, ma ho bisogno di allontanarmi da queste persone, da questo posto dove mi sento fuori luogo.

«Posso lasciare tutto e venire con te». Sento ancora la preoccupazione nella sua voce, ma deve rendersi conto che può fidarsi di me, può fidarsi a lasciarmi da sola.

«Devo andare da sola Reb, voglio andare da sola». Le sorrido ancora, poi dopo una breve indecisione, si avvicina e mi abbraccia.

«Mandami un messaggio appena sei a casa». Annuisco e la saluto, poi vado a recuperare il mio cappotto.

Prendo infine l'ascensore e, una volta fuori, resto a guardarmi intorno, indecisa se prendere un taxi o i mezzi pubblici. Potrei andare a piedi, mi farebbe bene, ma non conosco ancora la città e rischierei di perdermi, e a quest'ora, non è proprio una buona cosa, soprattutto su questi tacchi.

È stata una serata difficile: prima Dylan numero due che continua a comparirmi davanti - quando lo guardo negli occhi, sento sempre una stretta allo stomaco -  poi il ragazzo antipatico conosciuto in metro è Harry, il capo di mia sorella, e come ciliegina sulla torta, la preoccupazione di mia sorella che invece di diminuire, sembra non avere limiti.

Alla fine i miei pensieri vengono interrotti da una birra che mi viene sventolata davanti agli occhi. Mi volto alla mia sinistra, seguendo con gli occhi il braccio di chi mi sta porgendo quella bottiglia e resto colpita quando vedo che mi ha raggiunto.

«Cosa ci fai qui?» Il mio tono esce più duro di quanto vorrei.

«Grazie Harry per la birra, sei stato molto gentile». Imita in modo strano la mia voce mentre regge la bottiglia che tiene in mano, ancora davanti al mio viso.

«Grazie Harry per la birra, ma nessuno te l'ha chiesta». Nonostante le mie frecciatine continua a sorridere, sembra che niente possa toccarlo e rimane fermo vicino a me continuando a tenere sospesa la bottiglietta davanti a me.

«Sicura di chiamarti Chloe? Credo che Acidità ti si addica di più». Non muove il suo braccio e alla fine cedo prendendo la bottiglietta dalla sua mano.

«Grazie». Sembra sorpreso dalla mia risposta, ma lo ringrazio mentalmente per non aver fatto nessuna battuta al riguardo.

«Non c'è di che». Si appoggia con la schiena al muro dietro di noi e mi volto a guardarlo poi porta la bottiglia alle labbra bevendone un sorso, ed io faccio altrettanto. Non posso negare che sia bellissimo stasera con quel completo nero che sembra gli sia stato cucito addosso, ma questo non glielo dirò mai.

«Posso sapere il perché?» Indico la birra che mi ha appena dato e poi la sua che ha in mano.

«Per la birra non serve per forza un motivo, anche se mi è sembrato che ne avessi bisogno». Sono stupita della nostra conversazione quasi civile.

«E da cosa l'avresti capito?» Improvvisamente mi ha incuriosita, voglio proprio sapere cosa pensa.

«Dal fatto che sei andata via senza salutarmi». Sorride e inizia davvero a piacermi quel sorriso, ma non posso evitare di alzare gli occhi al cielo alle sue parole.

«Presuntuoso». Ma alla fine sorrido anch'io. «Suppongo tu non me lo dirai vero?» I suoi occhi verdi sembrano accendersi.

«Supposizione corretta signorina Stewart». Beve un altro sorso, si stacca poi dal muro venendomi vicino. «Allora stavi andando via?» Faccio solo un cenno con la testa e lui continua a parlare. «Ti dispiace se ti accompagno?» Non capisco il motivo di questa sua improvvisa gentilezza, ma sono stanca e non ho voglia di altre battute per stasera.

«Non devi tornare dentro? Magari tuo padre ti sta cercando». Dopotutto è il figlio del presidente della società.

«Fidati che mio padre non si accorgerà della mia assenza». Avvicina la sua bottiglia alla mia e le fa tintinnare, alzandola poi verso l'alto bevendone un gran sorso.

«Mi darai un passaggio su uno di quei macchinoni con i vetri oscurati?» Lui ride e istintivamente lo faccio anch'io.

«Non solo stiamo avendo una conversazione normale, ma hai anche fatto una battuta?» Sembra sinceramente divertito e la cosa mi piace.

«Stevens da quando sei gentile?» Voglio vederlo sorridere ancora, non so perché, ma mi piace vederlo quando sorride.

«Oh eccola, mi stavo già preoccupando di non rivedere più miss acidità. Comunque no, niente macchinoni con vetri oscurati, ma hai la fortuna di godere della compagnia di Harry Stevens.»

«Ed eccolo qua il ragazzo presuntuoso, mi stavo preoccupando anch'io sai?» Ridiamo insieme. Una risata spontanea, sincera, come non mi succedeva da tempo. Lo guardo ancora mentre fa un cenno al posteggiatore a cui da un biglietto non appena si avvicina a noi e, dopo pochissimi minuti, torna al volante di una bellissima auto d'epoca mentre un sorriso nasce spontaneamente sulle mie labbra. Harry si avvicina al lato del guidatore salendo non appena il parcheggiatore scende, lasciandogli anche le nostre bottigliette di birra, io salgo dal lato passeggero senza distogliere lo sguardo dalla splendida auto.

Chiudo lo sportello lentamente come se avessi paura di romperlo e, una volta seduta, non riesco praticamente più a muovermi. Quest'auto sembra fin troppo costosa, magari è anche più vecchia della mia, ma le condizioni sono sicuramente migliori.

«Per quanto vecchia possa sembrare quest'auto, non la rovinerai se ti muovi». Anche lui si è accorto che mi sono praticamente immobilizzata sul sedile.

«In realtà non è come pensi. Sto solo cercando di non rovinare il vestito». Se crede che gli darò la soddisfazione di dirgli che ha capito qualcosa di me, si sta sbagliando.

«Sì, come no». Gli spunta un sorriso e lo osservo mentre si immette in strada. «Mi serve l'indirizzo». Mi dice poi con un tono divertito.

«Giusto». Prendo il cellulare dove mia sorella mi aveva scritto l'indirizzo perché non lo ricordo.

«A meno che tu non voglia venire da me...» A quel punto apro il finestrino e con la mano cerco di buttare fuori qualcosa di immaginario. «Ma che stai facendo?» La sua espressione confusa mi diverte.

«Sto mandando fuori la tua presunzione. Questa macchina è troppo piccola per contenerla tutta». Per tutta risposta lui ride.

«Tu hai dei seri problemi lo sai?» Ma sta ancora ridendo mentre io scorro i messaggi alla ricerca dell'indirizzo. Una volta trovato glielo comunico e lui si dirige sicuro in quella che credo sia la direzione giusta. In realtà potrebbe portarmi ovunque e io non mi accorgerei se lo facesse.

Il resto del tragitto è piuttosto silenzioso. Molte volte mi sono ritrovata ad osservare le sue espressioni, sembra piuttosto pensieroso, e anche se mi sento limitata nei movimenti, non posso fare a meno di voltarmi nella sua direzione e guardarlo. L'ho fatto per tutto il tempo, la strada non l'ho praticamente mai guardata, forse c'è più di quel che si vede sotto quello sguardo di sfida al mondo.

Ad un certo punto mi accorgo che sta rallentando e quando accosta mi appresto a scendere. Tolgo la cintura e, mentre scendo dall'auto, mi rendo conto che lo sta facendo anche lui. Forse si illude di avermi già conquistata e che lo inviterò a salire da me.

«Grazie per il passaggio, ci vediamo». Mi volto senza aspettare una sua risposta, ma le sue parole mi fanno fermare immediatamente.

«Ma dove credi di andare?» Mi giro a guardarlo con aria minacciosa. Ha proprio una gran faccia tosta.

«A casa, senza di te». Il mio tono di voce è deciso, voglio fargli capire che non ha alcuna speranza con me.

«E come pensi di farlo?» Non capisco perché abbia quell'espressione divertita.

«Mi girerò, salirò le scale ed entrerò nel mio appartamento». Che razza di domanda mi ha fatto?

«Allora girati, sali le scale immaginarie, ed entra nel tuo appartamento immaginario». Aggrotto le sopracciglia con aria confusa non riuscendo a capire quello che mi ha appena detto, ma poi lo faccio. Mi giro e vedo che alle mie spalle non c'è il palazzo dell'appartamento di mia sorella. Quello che vedo è un piccolo supermercato di quelli che rimangono aperti ventiquattro ore.

«Che diavolo significa?» Ora sta praticamente ridendo.

«Povera e ingenua Chloe. Se non avessi impiegato tutto il tempo ad ammirarmi, ti saresti accorta che non siamo davanti casa tua». Beccata con le mani nel sacco, ma come cavolo ha fatto? E soprattutto perché mi sono comportata in questo modo con lui? «Meno male che siamo all'aria aperta, perché la mia piccola auto non sarebbe riuscita a contenere tutto il tuo imbarazzo». Mi lascia senza parole, mentre lo guardo incamminarsi dentro il supermercato. «Non vieni?» Mi dice poi quando sta per entrare.

«No». Il mio tono di voce esce più seccato di quanto non vorrei dare a vedere.

«Non fare la bambina, non puoi rimanere qua fuori da sola». Ha ragione, so che ha ragione e anche se vorrei rimanere qui con le braccia incrociate facendo il broncio, lo seguo entrando con lui.

«Perché siamo qui?» Vorrei fargli sparire dalla faccia l'aria soddisfatta che ha in questo momento, ma in realtà mi piace la sua faccia.

«Perché ho fame, ma non ho soldi con me. Conosco il tipo che lavora qui, è un coglione, non si accorgerà mai che gli stiamo rubando qualcosa». Sembra un bambino che sta per combinare un guaio.

«Stiamo?» Harry si volta a guardarmi con aria seria.

«Sì, stiamo. Tu mi aiuterai». Si infila nella prima corsia che incrociamo ed inizia a guardare con attenzioni i prodotti esposti sugli scaffali.

«Ho qualche dollaro con me, non possiamo semplicemente comprare quello che vuoi?» Perché ho accettato il suo passaggio stasera?

«E dove lo metti il divertimento? Vieni, i dolci sono da questa parte». Svolta l'angolo e siamo nella corsia successiva, quella dove sono esposti dolciumi di ogni genere.

«Non è divertente rubare, Harry». Sto cercando di impormi, ma lui sembra troppo sicuro di quello che vuole fare per impedirglielo.

«Lo è se lo fai con me». Mi fa l'occhiolino prima di avvicinarsi alla cioccolata.

«Cioccolata? Vuoi seriamente rubare della cioccolata?» Con un paio di dollari la potrei comprare e non ci sarebbe bisogno di fare tutta questa sceneggiata.

«Non è della cioccolata, è la cioccolata! Non farei tutto questo per qualunque cioccolata». Sembra veramente un bambino e non so come fare per uscire da questa situazione. «Ascolta, io metto la cioccolata in tasca, tu controlla che il cretino non sia nei paraggi».

«E come faccio a sapere a chi ti stai riferendo?» Incrocio le braccia al petto e lo guardo più seria che posso. Questa cosa non mi piace per niente.

«È uno scemotto, un po' basso, con l'aria da tonto». Si sta divertendo veramente e la cosa inizia a farmi ridere.

«Certo che con queste informazioni non posso sbagliarmi». Lo prendo in giro, ma lui ride mentre si gira a prendere altre barrette di cioccolata.

«Tranquilla, lo riconoscerai quando lo vedrai». Prende un paio di tavolette di cioccolata troppo in alto e gli cadono per terra facendo troppo rumore nel locale in cui a quest'ora regna il silenzio.

Ci blocchiamo entrambi sul posto cercando di capire se qualcuno stia arrivando, ma non sentiamo niente, Harry prende altre quattro barrette e le infila nella tasca sinistra della giacca, ma quando stiamo per andarcene una voce mi fa gelare il sangue nelle vene.

«Ehi, voi due!» Chiudo gli occhi sperando che il tizio a cui appartiene quella voce non si stia riferendo a noi, ma ho ovviamente poche speranze che non sia così dato che non credo ci siano altri clienti al momento qui dentro. «Fermatevi!» La voce è più vicina e mi volto verso Harry che mi guarda contrariato.

«Sei un pessimo palo». Mi sussurra con tono di rimprovero.

«Sei stato tu ad attirare la sua attenzione, se non fossi stato così maldestro e così ingordo da volere tutta quella cioccolata, non ci troveremmo in questa situazione». Come posso essermi cacciata nei guai per qualche dollaro?

«Smettetela voi due». Un ragazzo dai capelli castani e con gli occhi chiari è davanti a noi. «Svuotate le tasche». Vorrei sprofondare per la vergogna. «Allora? Ho detto svuotate le tasche».

Harry apre le mani e gli mostra le due barrette che ha in mano, poi il ragazzo dagli occhi azzurri guarda nella mia direzione aspettando che anche io faccia la stessa cosa.

«Io non ho preso niente». Gli dico, ma lui sembra non credermi.

«Ora lo vedremo, venite con me». Si gira dandoci le spalle, Harry mi fa cenno di seguirlo ed entrambi ci incamminiamo dietro di lui e poi mi bisbiglia all'orecchio.

«Te l'avevo detto che ha l'aria tonta, ho ancora le tasche piene». Questa situazione lo diverte e non lo preoccupa affatto, mi chiedo come ci riesca. Forse non è la prima volta che lo fa, per me invece è assolutamente imbarazzante tutto questo.

«Stai zitto!» Non voglio più sentire altro per stasera.

Arriviamo fino al bancone, dove il ragazzo con gli occhi azzurri si accomoda sulla sedia accanto al registratore di cassa e passa le due barrette che gli ha appena consegnato Harry.

«Fanno due dollari, o pagate, o chiamo la polizia». Seriamente lo farebbe? Leggo il nome del commesso sulla targhetta che ha attaccata alla maglietta e cerco di essere più gentile che riesco.

«Larry... non c'è bisogno di chiamare la polizia per un paio di dollari, ora controllo quanti soldi ho e sistemiamo la cosa ok?» Nel frattempo con la coda dell'occhio riesco a vedere Harry che ha aperto una delle due barrette e la sta mangiando con l'aria più tranquilla del mondo.

La cosa mi irrita parecchio, perché mentre io sono qui che cerco delle dannate monetine nel mio borsello, nel cuore della notte, nel bel mezzo del nulla, rischiando una denuncia per furto, lui mangia cioccolata. Quando ad un certo punto le cose sembrano degenerare.

«Ma quante cazzo ne hai prese?» Mi giro e la scena che si presenta ai miei occhi è surreale.

Harry ha svuotato completamente le tasche dei pantaloni da tutte le barrette sul registratore di cassa e ne sta tirando fuori altre dalla tasca interna della giacca, e anche da quelle del cappotto, ma la cosa peggiore e che lui e il commesso del supermercato, il Larry dall'aria tonta, stanno ridendo tanto da rimanere senza fiato.

A quel punto capisco di essere stata presa in giro, era tutta una messa in scena ed io ci sono cascata con tutte le scarpe. E cosa dovrei fare ora? Urlargli contro? Offendermi? La cosa migliore è stare al gioco. Mi avvicino a loro che sembra abbiano appena fatto lo scherzo del secolo, prendo una barretta, la apro e mi metto a mangiarla davanti a loro, forse questa cioccolata mi farà sentire un po' meglio.

«I bambini si sono divertiti?» Mi guardano e continuano a ridere con le lacrime agli occhi, alla fine cedo e rido anch'io.

«Scusami, è che questo idiota mi ha convinto a farlo. Ciao mi chiamo Larry». Il bassotto dall'aria tonta - almeno secondo la descrizione di Harry - allunga una mano nella mia direzione senza smettere realmente di ridere.

«Sono Chloe». Gli stringo la mano. «E per la cronaca, non mi sembra che tu abbia l'aria da tonto». Larry si gira verso il mio compagno di serata che cerca di giustificarsi in qualche modo.

«Dovevo rendere più credibile il personaggio». Si infila poi in bocca un'altra barretta di cioccolata con ancora il sorriso sulle labbra.

Alla fine mi raccontano come sono andate le cose. Larry lavora in questo supermercato e il suo amico gli ha scritto poco fa comunicandogli l'idea dello scherzo che gli era appena venuto in mente, il quale ha accettato immediatamente dato che si stava annoiando a morte. Chiacchieriamo ancora qualche minuto, poi sembra che Harry si sia convinto a portarmi davvero a casa stavolta.

Quando salgo per la seconda volta nella sua auto, mi sento più tranquilla rispetto a poco fa. Anche se è stato uno scherzo stupido, ha alleggerito l'atmosfera.

«Ti sei divertito là dentro?» Guardo il portaoggetti pieno delle sue barrette di cioccolata, che alla fine ha pagato, e mi viene ancora da ridere.

«Credo si sia notato. Non è stata migliore la serata che ho organizzato io rispetto a quella di mio padre?» Anche lui è più rilassato. «Ammettilo... ti sei divertita anche tu». Riesco a trattenere a stento un sorriso.

«Può darsi, ma mi sarei divertita di più se fossi già a casa mia». Non lo penso veramente, ma non è facile ammettere che è riuscito a farmi divertire, che è riuscito in qualcosa in cui qualcuno non riusciva da tempo.

«Portati a casa qualche barretta, magari ti addolcisci un po'». Stavolta il suo tono è scherzoso e non irritante come fa il più delle volte quindi evito di rispondere, ma non posso trattenermi dall'alzare gli occhi al cielo, e alla fine mi godo in silenzio il resto del viaggio.

Questa volta osservo meglio la strada e quando riconosco la stazione della metropolitana, so che mi sta portando realmente a casa e mi rendo conto che non sono del tutto contenta che la serata stia terminando.

«Siamo arrivati». La voce di Harry mi distoglie dai miei pensieri. Mi basta aprire lo sportello, scendere e salutarlo, ma mi stupisco di me stessa quando mi accorgo che non voglio veramente farlo.

«Lo ammetto». Le parole mi escono spontaneamente.

«Che cosa?» Sembra davvero che non sappia a cosa mi stia riferendo, o invece vuole solo sentirselo dire.

«Mi sono divertita stasera». La sua aria soddisfatta mi fa capire che non avrei dovuto farlo, forse ora me lo rinfaccerà a vita.

«Lo sapevo». Ride. Alzo gli occhi al cielo sorridendo, sgancio la cintura e apro lo sportello per scendere e quando sto per chiudere sento la sua voce provenire dall'interno dell'abitacolo. «Buonanotte Chloe». Non faccio in tempo a rispondere, però, che lo sportello è già chiuso e lui è già ripartito. Lo guardo allontanarsi mentre il sorriso continua a rimanere sulle mie labbra. Un sorriso che non mi apparteneva da troppo tempo.

 

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SPAZIO ME

Harry e Chloe si sono incontrati e si sono anche divertiti nonostante non manchino mai i loro battibecchi.

Durante la serata, Chloe rivela chiaramente che Dylan è praticamente identico al suo fidanzato, e la cosa, ovviamente, la turba non poco. Sua sorella è preoccupata per lei, ma non temete se non avete ancora ben capito cosa stia avvenendo nella testa di Chloe, pian piano verrà tutto spiegato.

Eeeee niente, buona lettura.

 

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Capitolo 6
*** Sfogati, Chloe, ci sono io con te ***


«Almeno stasera, potevi mettere un vestito!» La voce di Kurt ha il suono del rimprovero, ma a me fa solo ridere.

«Chloe non c'è niente da ridere. È il tuo compleanno cavoli!» Anche Hazel mi sta rimproverando, ma non voglio dare retta ai miei due amici che sembrano troppo perfezionisti in questo momento. Stasera voglio solo divertirmi. La mia migliore amica ha ragione: è il mio compleanno e niente potrà rovinarlo.

«Kurt pensa a guidare questo catorcio, Dylan ci sta già aspettando». Mi ha mandato un messaggio cinque minuti fa dicendomi che lui è già arrivato. Rido ancora mentre cerco di ribattere alle frecciatine del mio amico castano, sul mio abbigliamento.

«La mia macchina non è un catorcio e immagino che Dylan sarà molto più elegante di te». Kurt ha questa fissa dei vestiti abbinati, o alla moda, mentre io no, e Hazel gli dà sempre corda. Sono sempre coalizzati contro di me su questo argomento.

Seduta sul sedile posteriore dell'auto di Kurt, prendo in mano il cellulare cercando un po' di sostegno nel ragazzo che ci sta aspettando al locale.

Era meglio se passavi tu a prendermi

Voglio un bene dell'anima ai miei due migliori amici, ma stasera sembra vogliano farmi impazzire.

Kurt o Hazel?

Rido quando leggo la sua risposta. Starà sicuramente immaginando che uno dei due mi stia facendo la ramanzina su qualcosa di notevolmente importante.

Entrambi

Hanno organizzato loro questa serata, non so assolutamente cosa mi aspetta e sono curiosa, e impaziente, di scoprirlo. Spero solo che non serva davvero l'abito elegante, perché ero sicura che sarebbe stata una serata tra amici. È il mio compleanno, è vero, ma le uniche persone con cui voglio stare sono loro, nessun altro.

Metto di nuovo in tasca il cellulare mentre Kurt sta parcheggiando senza smettere di lamentarsi su quanto io sia di poca compagnia. Il telefono vibra ancora, ma ormai siamo arrivati. Il messaggio è sicuramente di Dylan, che vedo intento ad osservare il suo cellulare mentre entro nel pub seguita dai miei due amici. Lui alza lo sguardo su di me, come se si sentisse osservato, e il sorriso che gli compare sul viso mi riempie il cuore di gioia. Amo vederlo sorridere, soprattutto se sono io la causa del suo sorriso. Lo raggiungiamo al tavolo sul quale vedo già quattro bicchieri contenenti presumibilmente birra, o almeno lo spero, stasera voglio divertirmi.

Ci sediamo tutti e quando lo guardo da vicino riesco a vedere quanto sia ancora più bello del solito stasera. I capelli tirati verso l'alto, la barba leggermente lunga e una luce diversa negli occhi mi fanno credere di aver fatto la scelta giusta. Lui è decisamente la scelta giusta. Lo è quando mi guarda, quando mi sorride, quando mi sostiene, quando mi sprona a migliorare, quando mi parla del futuro, e lo è anche quando mi prende per mano, come adesso ed io non posso che essere più che felice di passare la serata del mio compleanno qui con loro.

«Ragazzi, questi li offre la casa». Ryan appoggia altri quattro bicchieri sul tavolo, poi rivolge il suo sguardo verso di me. «Ma non credere che vi permetterò di esagerare solo perché è il tuo compleanno». Poi mi si avvicina, mi dà un bacio in fronte e si allontana sorridendo. Ryan non è il nostro barista, Ryan è un amico.

La serata sta andando alla grande. Non ho mai riso così tanto. Era da tempo che non mi divertivo come oggi e sono contenta di aver lasciato che organizzassero loro la serata, perché io mi sto godendo solo i lati positivi.

Sentiamo poi arrivare la musica dal piano bar. Ryan sta suonando per me, ed io sto diventando rossa come un pomodoro. So che è per me perché sa quanto amo quella canzone, City of stars. Quando poi sento la sua voce e quella di Emma, le mie lacrime scendono ormai libere sul mio viso, l'emozione che provo in questo momento è incontenibile, e l'unico sollievo è stringere la mano di Dylan.

Non avrei potuto desiderare di conoscere persone migliori di quelle che sono qui con me a festeggiare il mio compleanno. Questa sera la ricorderò per sempre.

«Vieni con me». Dylan mi tiene ancora per mano e mi tira in piedi con lui, costringendomi a seguirlo fino al piccolo palco dove fino a pochi minuti fa c'erano Emma e Ryan, e appena capisco quello che vuole fare, punto i piedi come una bambina piccola che fa i capricci.

«No», lo guardo seria «non lo farò!» Lui sorride con aria furba continuando a trascinarmi.

«Noi lo faremo, insieme. Ti voglio al mio fianco». Siamo ormai arrivati fino al microfono. Lo guardo scegliere con attenzione il brano da far partire, poi si volta verso di me tornando a stringere la mia mano che aveva lasciato poco fa, e quando la musica parte sento che tutto sparisce, tranne io e lui.

So latelybeen wondering
Who will be there to take my place.
When I'm goneyou'll need love
To light the shadows on your face.
If a great wave shall fall and fall upon us all,
Then between the sand and stone,
Could you make it on your own?

Sto facendo fatica a respirare e la vista mi si sta di nuovo appannando. Dylan non ha smesso un secondo di guardarmi negli occhi ed io mi sento su un altro pianeta. Non riesco nemmeno ad immaginare la vita senza di lui.

If I couldthen I would,
I'll go wherever you will go,
Way up high or down low,
I'll go wherever you will go.

La sua voce continua a risuonare in tutto il locale arrivando dritta dritta al mio cuore.

And maybe, I'll find out
way to make it back someday,
To watch you, to guide you
Through the darkest of your days.
If a great wave shall fall and fall upon us all
Then I hope there's someone out there
Who can bring me back to you.

Non so per quanto ancora reggerò: la mano destra è stretta nella sua, la sinistra davanti alla mia bocca come se così facendo riuscissi a trattenermi dal piangere, ma non so per quanto ancora riuscirò a farlo.

Run away with my heart,
Run away with my hope,
Run away with my love.
I know now, just quite how,
My life and love might still go on.
In your heart, in your mind.
I'll stay with you for all of time.

Improvvisamente mi alzo di scatto ritrovandomi seduta sul mio letto, completamente sudata, con il cuore che batte troppo forte nel mio petto. Sto piangendo. Sto singhiozzando senza riuscire a fermarmi. D'improvviso si apre la porta della mia stanza e vedo Rebekah raggiungermi di corsa, sedendosi sul letto accanto a me con un'aria davvero preoccupata.

«Chloe che succede?» Mia sorella è spaventata, ma io non riesco a parlare. Il pianto non si ferma. «Vado a prenderti dell'acqua». Si alza ed io continuo a piangere, fissando il vuoto con un dolore devastante al petto. Le immagini di quella sera continuano a passarmi davanti, ed io non riesco a fermarle.

Rebekah è tornata nella mia camera con passi cauti senza smettere di guardarmi. Posa l'acqua sul mio comodino, poi mi prende tra le sue braccia e a quel punto il pianto esplode in disperazione. Mi lascio andare tra le sue braccia come non ho mai fatto prima. Mia sorella continua ad accarezzarmi teneramente la testa mentre io sto buttando fuori il mio dolore.

«Sfogati Chloe, ci sono io con te». Le mie lacrime seguono le sue parole e continuano a scendere inarrestabili. Continuo a piangere tra le braccia di Rebekah che mi accarezza la schiena per confortarmi. Tutto questo per un tempo che non so quantificare, ma dev'essere stato molto a lungo, perché mi sto risvegliando da sola nel mio letto. Non c'è traccia di mia sorella, mi volto, e il bicchiere d'acqua è ancora sul mio comodino, poi vedo un biglietto appoggiato contro il bicchiere.

Sono andata al lavoro, 
chiamami quando ti svegli.

Devo averla fatta spaventare stanotte. Quel sogno sembrava così reale. Mi sentivo come se stessi rivivendo quella sera. Riuscivo a sentire le risate dei miei amici, la voce di Ryan che cantava, e tutte le sensazioni che provavo insieme a Dylan. Il mio Dylan.

Mi strofino entrambe le mani sul viso rimanendo sdraiata a pancia in su nel letto. Poi mi giro verso l'altro comodino, prendo il cellulare per guardare l'ora.

8:27 a.m.

Aspetterò ancora un po' a chiamare Rebekah, non è uscita da molto di casa. Quando mi metto in piedi sento la stanchezza tutta in una volta, poi decido di andare in bagno per darmi una rinfrescata. Mi sento spossata e senza forze. Trascino i piedi fino al lavandino e, una volta davanti allo specchio, riesco a vedere i miei occhi esageratamente gonfi. Devo essermi addormentata mentre piangevo, perché non ricordo che mia sorella se ne sia andata.

È stata la prima volta che mi sono lasciata andare in quel modo. Appoggio entrambe le mani ai bordi del lavandino e continuo a fissarmi allo specchio ripensando al sogno di stanotte. Guardo la catenina penzolare dal mio collo e penso che, forse, se non fosse stato per il mio compleanno, Dylan sarebbe ancora qui.

Era tanto tempo che non sognavo di lui, forse quel sogno è ritornato a causa di Dylan numero due. Gli somiglia come se fosse suo fratello gemello e la cosa più assurda è che ha il suo stesso nome. Io non so se sia un brutto scherzo del destino, se sia una prova a cui qualche forza misteriosa mi sta sottoponendo, o se sia lui che, come ha detto nella canzone che mi ha cantato quella sera, sarà sempre con me.

Asciugo un'altra lacrima che scende solitaria sul mio viso, apro poi l'acqua fredda per sciacquarmi e fermare un'altra crisi di pianto che sento sta per arrivare. Non voglio piangere, non voglio pensare, devo concentrarmi su qualcos'altro perché non so se sono in grado di far affiorare questo dolore e combatterlo. Fra poco più di un'ora ho il colloquio all'agenzia di lavoro e voglio affrontarlo nel migliore dei modi.

Mi lavo e mi vesto con attenzione, una volta pronta scendo in cucina per il mio caffè. Mangerò qualcosa per strada, ora come ora ho lo stomaco completamente chiuso e non riuscirei a mandare giù niente. Recupero la borsa, il telefono e le chiavi di casa per poi uscire e recarmi al mio colloquio. Prendo la metro anche se sono un paio di fermate perché non voglio rischiare di perdermi, o fare tardi. Ho bisogno di questo lavoro e non voglio che qualcosa possa andare storto.

Una volta arrivata a destinazione, mando un messaggio a mia sorella dicendole che la chiamerò appena avrò finito, poi stringo per un attimo il piccolo cigno appeso al collo e varco la soglia dell'ufficio in cui sono stata inviata dalla signora con i capelli rossi alla reception. L'ambiente è piccolo ed essenziale. Una libreria alla mia destra, due sedie posizionate di fronte alla scrivania situata alle spalle di una piccola finestra. Alla mia sinistra una piccola pianta ornamentale che ho l'impressione sia finta, ma non faccio in tempo ad appurarlo perché l'uomo dai capelli castani, vestito con un elegante completo grigio, seduto di fronte a me, si alza venendomi incontro.

«Buongiorno signorina Stewart, mi chiamo Harvey Spaulding». Allunga una mano nella mia direzione e mi affretto a stringerla. La sua stretta è forte e decisa, ed è, senza ombra di dubbio, un gran bell'uomo. «Si sieda». 
Mi fa cenno di prendere posto in una delle due sedie e lui fa lo stesso, sedendosi accanto a me e non dietro la sua scrivania. Lo guardo con attenzione, la stessa attenzione che lui sta usando per leggere quella che credo sia la mia scheda personale. «Che cosa l'ha spinta a decidere di intraprendere la carriera di traduttrice?»

La sua domanda mi coglie un po' di sorpresa. Solitamente, come prima cosa, chiedono i titoli di studio; quella che mi ha appena fatto è una delle ultime domande durante un colloquio.

«Fin da bambina avevo una grande passione per le lingue. Ho sempre chiesto ai miei genitori di farmi frequentare corsi di lingua straniera extra scolastici. Negli anni, quella passione non ha fatto altro che aumentare e per poter mettere in pratica tutto quello per cui ho studiato, ho pensato che la traduzione fosse la scelta ideale». Segue con attenzione ogni mia parola mentre accavalla le gambe.

«E perché dovrei assumerla?» Posa la cartellina che teneva in mano sulla scrivania, senza quasi guardarla, e mi scruta con attenzione. Sento che dalla mia risposta dipenderà l'esito del colloquio.

«Mi dia un incarico, e lo svolgerò al meglio in breve tempo». Mi mostro decisa e sicura del fatto mio.

«¿Cómo trabaja usted bajo presión?» Non so se dare priorità al significato letterale della sua domanda, o alla domanda stessa, ma poi ho un'idea.

«Arbeiten hart». Lui si alza in piedi, abbottonando il primo bottone della sua giacca e sorridendomi. Poi fa il giro della scrivania, prende un piccolo fascicolo e lo fa scivolare verso di me.

«Qui non si fanno prove. Le cose si fanno e basta. Questo è il suo primo lavoro, lo voglio sulla mia scrivania entro una settimana». Mi guarda serio, ma sento che dietro questo suo aspetto da burbero, ci sia molto di più. «E lasci tutti i suoi recapiti alla mia segretaria». La sua espressione conferma ciò che ho appena pensato.

Prendo il fascicolo e lo saluto prima di uscire dal suo ufficio. Ho ottenuto il lavoro e non vedo l'ora di dirlo a mia sorella. Una volta fuori dall'edificio la chiamo subito sperando di non disturbarla.

«Ehi, ciao». Risponde al primo squillo, come se non aspettasse altro che la mia chiamata.

«Ciao». Il suo tono di voce sembra ancora preoccupato.

«Com'è andato il colloquio?» Sorrido anche se non può vedermi mentre cammino sul marciapiede senza una meta.

«Ho il mio primo lavoro di traduzione proprio in borsa». Sento un piccolo urlo provenire dall'altro capo del telefono.

«Chloe è magnifico! Dobbiamo festeggiare!» Non ne ho alcuna intenzione, non mi sento dell'umore adatto, ma non voglio dirle no, soprattutto dopo stanotte, e la lascio continuare senza interromperla. «Passa da me che pranziamo insieme». Mi fermo per un attimo riflettendo su quello che mi ha appena detto.

Se vado da lei rischio di incontrarlo di nuovo, se non ci vado lei capisce che non sto bene e si preoccuperà ancora di più. A questo punto ho una sola possibilità di scelta. «Per che ora?» Sento che sta sorridendo, lo capisco dal modo in cui mi risponde.

«Facciamo tra un paio d'ore». È evidentemente contenta che io abbia accettato. Stanotte dev'essere stata dura per lei vedermi in quelle condizione e non poter fare niente. L'ultima immagine che ha nella testa di noi due insieme, sono io che piango fino ad esserne esausta. Non proprio qualcosa che la rende tranquilla.

«D'accordo, faccio un giro e arrivo». Mi saluta con entusiasmo prima di riagganciare, mentre io mi dedico a passare questo tempo nel modo più leggero possibile, senza pensieri che possano riportarmi indietro.

Trovo una panchina posizionata in una zona abbastanza tranquilla e decido di sedermi per dare uno sguardo al lavoro che dovrò svolgere in questi giorni. Si tratta di un libro per bambini, sono piccole storie. L'appunto sul post-it dietro la prima pagina dice tradurre da inglese a spagnolo. Sono un centinaio di pagine, su alcune ci sono dei disegni che raffigurano la storia, quindi non dovrei avere problemi a finirlo in tempo.

Sfogliando queste pagine, mi sono talmente concentrata su quello che dovrò fare, che non mi sono accorta di quanto tempo sia già passato. È già ora di andare da mia sorella se non voglio arrivare in ritardo. Qualche fermata di metro e, dopo un breve tragitto a piedi, sono sotto l'edificio che ospita la HS Financial Services. Mando un messaggio a Rebekah, la quale mi risponde che sta finendo un lavoro e che dovrei salire da lei.

Faccio un gran sospiro prima di entrare, poi mi avvicino all'ascensore passando inosservata alla signorina bionda alla reception, e aspetto dato che è occupato. Quando le porte si aprono, salgo dopo che sono scesi due uomini nei loro completi eleganti, e premo il pulsante rimanendo ferma immobile vicino alle porte. Durante tutta la salita non faccio altro che sperare di non incontrarlo, continuando a ripetermi mentalmente che non è detto che accada per forza.

Il ding dell'ascensore mi avvisa che sono arrivata al piano e quando si aprono le porte, ogni mia speranza viene spazzata via in un attimo.

Dylan è proprio qui, davanti a me, e quando alza lo sguardo nella mia direzione, mi si ferma il respiro. Le immagini del sogno di stanotte sono ancora troppo vivide nella mia mente. Quelle immagini che fanno riaffiorare i ricordi ancora troppo dolorosi per poter essere affrontati davanti a chiunque, ma soprattutto davanti a lui.

«Ciao Chloe». È sempre così sorridente e allegro, mentre io fatico a guardarlo in faccia.

«Ciao... sai dove posso trovare Rebekah?» Non appena esco dall'ascensore, lo supero dirigendomi verso il corridoio.

«La trovi alla sua scrivania, da quella parte». Mi indica la direzione da prendere. «Va tutto bene?» Sento il suo sguardo su di me, mentre io guardo ovunque tranne che lui.

«Sì, tutto bene... scusa, ma ora devo andare». Sono stata fredda e scortese. Mi allontano lasciandolo lì senza nemmeno salutarlo. Non meritava questo comportamento da parte mia, ma oggi proprio non riesco a stargli vicino.

Harry's P.o.V.

Sono in piedi nell'ufficio di Bart, o Alan, o Alfred, o come diavolo si chiama, mentre lui continua a parlare, e parlare, e parlare da un tempo infinito, mentre la mia testa ciondola per la noia che mi sta frantumando il cervello. Se non fosse che mio padre mi obbliga ad ascoltare i problemi dei dipendenti, a quest'ora me ne sarei già andato, ma ad un tratto noto dei movimenti vicino agli ascensori. Mi volto del tutto in quella direzione mentre il riccio biondo continua il suo monologo, e osservo quello che sta succedendo.

Dall'ascensore è appena uscita Chloe e sta parlando con Dylan, ma lei sembra infastidita dalla sua presenza, e lui sembra rimanerci male quando lei si allontana. A quanto pare non fa l'antipatica solo con me. Voglio scoprire cosa è appena successo tra loro ed esco dall'ufficio in cui mi trovo, in tutta fretta.

«Ma signor Stevens, non ho ancora finito...» Il tono lamentoso di Alan mi infastidisce.

«Io credo di sì Alfred». Mi incammino nella direzione in cui è andata Chloe mentre sento ancora parlare dietro di me.

«Mi chiamo Albert!» Urla ancora quando sono ormai lontano per rispondergli.

Cammino a passo svelto lungo il corridoio chiedendomi perché mai mi interessi tanto sapere quello che è appena successo davanti agli ascensori, ma subito vengo interrotto da... Merda, non so come si chiama nemmeno quest'altro!

«Signor Stevens buongiorno, volevo chiederle se c'è qualcosa che posso fare per lei». È un ragazzo giovane che ovviamente non conosco e di cui, ovviamente, non ricordo il nome.

«Beh Alan...» Ma lui mi interrompe subito.

«Veramente mi chiamo Aaron». Lo guardo serio per qualche secondo.

«Credo che questo dica tutto». Mi allontano lasciandolo fermo a guardarmi. Non ho tempo per lui in questo momento, credo di non avere tempo per lui mai.

Continuo a camminare. Non mi era mai sembrato così lungo questo corridoio, e quando arrivo alla scrivania di Rebekah non trovo nessuno, né lei né Chloe. Mi guardo intorno e imbocco l'altro corridoio, forse l'acidina si è persa.

Rido a quel pensiero, e rido ancora di più quando la vedo che sta per bussare ad una porta chiusa, e quando le sono vicino scoppio a ridere senza riuscire a trattenermi.

«Che diavolo hai da ridere?» Lei si volta a guardarmi senza capire cosa stia succedendo.

«La scrivania di tua sorella non la troverai nello sgabuzzino». Lei mi guarda con aria confusa poi torna a guardare la porta e di nuovo me. A quel punto mi avvicino, apro la porta per mostrarle che all'interno ci sono solamente gli attrezzi per le pulizie.

È in evidente imbarazzo perché sulle sue guance compare una leggera sfumatura di rosso. La sua espressione confusa, per un attimo mi fa tenerezza, perché per la prima volta la vedo in difficoltà.

«Scusa, devo aver capito male le indicazioni che mi hanno dato». È successo qualcosa, ora ne sono sicuro perché non mi avrebbe mai chiesto scusa, e avrebbe usato qualche battutina per rispondere a tono.

«Vuoi che ti accompagni da tua sorella?» Lei annuisce senza dire niente e camminiamo entrambi in silenzio. Improvvisamente non ho più voglia di punzecchiarla.

Una volta arrivati alla scrivania di Rebekah, la troviamo intenta a rispondere al telefono, ma sembra non riuscire a gestirla.

«Mi scusi, ma proprio non riesco a capirla, io parlo solo inglese». Alza il suo sguardo su me e Chloe. Il suo sguardo è una chiara richiesta di aiuto.

«Che succede?» Le chiedo, mentre lei non fa che guardare sua sorella ancora al mio fianco.

«C'è questo tizio... ma io non lo capisco...» Cerco di interpretare lo sguardo che si stanno scambiando, ma proprio non ci riesco.

«Che lingua parla?» Bisbiglia Chloe verso sua sorella.

«Credo sia spagnolo». Chloe fa cenno a Rebekah di passarle la cornetta, mentre io resto in silenzio ad assistere alla scena.

«Con quién hablo?» Guardo Chloe mentre risponde al telefono e resto sorpreso del suo spagnolo. «Un momento, por favor». Posa la mano sulla cornetta e mi guarda. «Dice di essere il signor Hernandez, che aveva un appuntamento con te la settimana prossima, ma è costretto a rimandarlo». Alzo gli occhi al cielo per la seccatura, poi mi rivolgo a Rebekah.

«Puoi controllare gli impegni in programma?» Lei sfoglia l'agenda mentre io non riesco a non lanciare un'altra occhiata a sua sorella.

«Andrebbe bene giovedì dodici, nel pomeriggio». Annuisco nella sua direzione e Chloe riprende a parlare.

«Jueves doce por la tarde... hasta luego». Riaggancia mostrando il suo sorriso soddisfatto verso sua sorella, la quale ricambia. «Il signor Hernandez ha confermato l'appuntamento per giovedì dodici nel pomeriggio». Sentirla parlare spagnolo mi è piaciuto fin troppo. Mi chiedo se sappia parlare altre lingue.

«Chloe è stata una fortuna che fossi qui. La nostra interprete ha preso qualche giorno e la telefonata di oggi del signor Hernandez, non era prevista. Grazie». Rebekah sorride sinceramente a sua sorella, ed entrambe si voltano a guardarmi, credo si aspettino un ringraziamento anche da parte mia.

«Sì, bene, io devo andare». Sento i loro occhi su di me mentre mi allontano. So che si aspettavano di più da me, ma io non sono così. Non ho chiesto io a Chloe di prendere quella chiamata e non capisco perché mi stia sentendo così a disagio. Devo fare qualcosa per far sparire questa fastidiosa sensazione e so esattamente cosa mi serve.

Mi dirigo verso l'ascensore, una volta dentro premo il pulsante del piano terra. Arrivato fuori dall'edificio chiamo un taxi e do l'indirizzo della mia destinazione. Mentre sono seduto nel sedile posteriore, prendo il mio cellulare dalla tasca per avvisare Dylan che me ne sono andato.

«Dimmi». Risponde al secondo squillo.

«Ascolta sono dovuto uscire, coprimi tu». Sento un sospiro dall'altro capo del telefono.

«Che novità! Per quanto starai via?» Lo immagino mentre alza gli occhi al cielo.

«Domani mattina?» Ormai sono fuori e non ho voglia di rientrare.

«Fanculo Stevens, mi devi un aumento!» Me lo dice sempre, ma non gliel'ho mai dato, anche se so che lo meriterebbe per tutto quello che fa.

«A domani». Chiudo la comunicazione senza dargli la possibilità di ribattere. Sono un pessimo capo e un pessimo amico.

Il taxi non impiega molto ad arrivare. Pago e scendo. Entro nell'ascensore dell'edificio, premo il pulsante dell'undicesimo piano sperando di trovarlo a casa, e continuo a cercare di pensare al motivo reale per cui sono venuto qui da lui, ma non riesco a tradurlo in parole.

Una volta arrivato al piano, busso alla porta del suo appartamento e mi ritrovo a contare i secondi fino a che non vedo la porta aprirsi.

«Non dovresti essere al lavoro?» Mi dice una volta che ha aperto la porta. Non gli rispondo ed entro in casa sua senza essere stato invitato a farlo.

«Anche tu, ma sei a casa...» Chiude la porta alzando gli occhi al cielo.

«Il mio permesso è autorizzato, puoi dire lo stesso del tuo?» Ascolto le sue parole mentre mi siedo poco educatamente sul suo divano.

«Perché non ti fai autorizzare anche una gita alla spa?» Alza gli occhi al cielo, poi si siede di fronte a me.

«Harry che succede?» Posa i gomiti sulle ginocchia mantenendo i suoi occhi verdi fissi nei miei.

«Cosa deve succedere? Non posso venire a trovare mio fratello?» Che scusa di merda che ho! E, per quanto mi sforzi, non riesco a trovarne di migliori.

«Le tue visite non sono mai disinteressate. Ogni volta che sei passato a trovarmi avevi bisogno di qualcosa». Oltre ad essere un pessimo capo e un pessimo amico, sono anche un pessimo fratello.

«Non stavolta Jordan». Continua a guardarmi e ovviamente non è convinto di quello che ho appena detto. Devo trovare qualcosa di convincente da dirgli.

«E quindi perché sei qui?»

«Jordan sono passato a trovarti, ma se vuoi continuare con quest'interrogatorio del cazzo me ne posso anche andare subito». Faccio per alzarmi, ma le sue parole mi bloccano.

«Lei chi è?» Sento di essere sbiancato.

«Cosa!?» Improvvisamente mi sento a disagio su questo divano, mentre sento la mia voce alzarsi di parecchi decibel.

«È troppo presto perché tu sia passato per una birra e di sicuro non sei qui per parlare di lavoro, perché non lo fai nemmeno in ufficio, figuriamoci se vieni a casa mia per farlo. Non si tratta nemmeno di papà perché saresti entrato insultandolo e non ti vedo così agitato da... so che non posso nominarla, ma sai a chi mi riferisco». Su questo ha ragione, non voglio sentirla nominare mai più quella.

«Ti metti a fare lo psicologo ora? Non ti basta fare il vice presidente dell'azienda di famiglia?» Mi sento come se fossi seduto su un milione di spilli. Riesce sempre a farmi innervosire, ma è anche l'unico che sa come prendermi.

«Harry sono più grande di te e ti conosco meglio di quanto tu conosca te stesso. Si tratta di una donna». Ora la sua non è più una domanda, ma un'affermazione.

«Non so di cosa tu stia parlando». Ero venuto da lui per far sparire quella stupida sensazione che mi aveva preso allo stomaco, dopo la telefonata con quel cliente, e invece mi sento più nervoso di prima.

«Se non vuoi parlare, ci resta una sola cosa da fare». Mi guarda con il suo sorriso furbo. Alla fine sapevo di non sbagliare a venire da mio fratello.

Si alza dalla poltrona su cui è seduto e lo guardo andare in camera sua. Ne esce un paio di minuti dopo con due borsoni. Uno dei due è mio, lo lascio sempre qui per le occasioni come questa.

«Andiamo?» Mi dice poi avvicinandosi alla porta.

«Andiamo». Mi alzo, lo seguo, e so che le cose andranno meglio adesso che sono con mio fratello.
 

§§§§§§§§§§§§§§§§§

 

SPAZIO ME

Innanzitutto ciao a tutti/e.

In questo capitolo scopriamo qualcosa di più sul passato di Chloe, qualcosa che l'ha sconvolta e continua a tormentarla. Sta cercando di reagire, ma ha ancora qualche difficoltà.

Harry ha i suoi momenti, che sono quasi sempre "no". Nello scambio di battute con suo fratello c'è una cosa in particolare a cui entrambi accennano e che riguarda un particolare importante nel passato di Harry.

Nel prossimo capitolo Chloe e Harry avranno una nuova occasione per avvicinarsi, la sapranno sfruttare?

Eeeee niente, buona lettura.

 

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Capitolo 7
*** Cosa non hai capito di torno subito? ***


«Allora... ti va di parlarne?» Il tono di voce controllato di mia sorella mi tranquillizza. So che vuole sapere di ieri e so anche che, dopo avermi cullata e consolata nel cuore della notte, merita delle spiegazioni.

«Sono tornati gli incubi». Cerco di non dare peso a quello che sto dicendo, come se fosse una cosa da niente, mentre porto una forchettata della mia insalata alla bocca.

Siamo uscite a pranzo dopo aver lasciato il suo ufficio e, durante il tragitto verso il bar dove ci troviamo ora, mia sorella ha continuato a ripetermi di quanto fosse contenta che io fossi lì, proprio nel momento in cui ha chiamato il loro cliente spagnolo.

«È a causa di Dylan?» Pronuncia incerta il suo nome, anche se sa di avere colto perfettamente nel segno.

«Già». Non aggiungo altro e sono contenta del fatto che mia sorella mi lasci qualche minuto per raccogliere le idee e raccontarle del mio incubo.

Ogni volta è sempre lo stesso. Sogno la sera del mio compleanno, l'ultima sera che io e Dylan abbiamo passato insieme, ed ogni volta il risveglio è sempre peggio del precedente, a causa dei sensi di colpa che non mi danno tregua.

«Lo sai che non è colpa tua Chloe». La voce sconsolata di mia sorella alla fine del mio racconto, mi fa capire quanto sia di nuovo preoccupata per me e non voglio che vadano così le cose. Sono venuta qui a Boston per stare meglio, per far capire a tutti che sono in grado di riprendere in mano la mia vita, ed è esattamente quello che intendo fare.

«Lo so, mi serve solo un po' più di tempo... E, a proposito di tempo, ho solo una settimana per portare a termine la mia prima traduzione». Cambio subito discorso, sorridendole nel modo più sincero possibile, cercando di farle capire che mi sto concentrando su qualcosa che non sia la mia depressione.

«Di cosa si tratta esattamente?» Rebekah ha praticamente finito tutto quello che aveva nel piatto e mi guarda con aria interessata.

Le spiego a grandi linee come si svolgerà il mio lavoro e i suoi occhi brillano mentre mi ascolta. Amo il mio lavoro, amo parlare diverse lingue ed è esattamente quello di cui ho bisogno in questo momento. Devo allontanare il pensiero del mio Dylan, anche se occupa ancora completamente il mio cuore e la mia mente, e anche il pensiero di Dylan numero due, che gli somiglia così tanto nell'aspetto e nell'atteggiamento, tanto che mi ricorda davvero troppo lui. Ogni volta che lo incontro, il solo fatto di vederlo riesce ad aprire un po' di più la ferita del mio cuore che non si è ancora rimarginata.

«Oh merda!» L'imprecazione di mia sorella mi distoglie dai miei pensieri. Sta leggendo un messaggio che le è appena arrivato e la sua espressione è chiaramente contrariata.

«Che succede?» Le chiedo non capendo cosa abbia letto in quel messaggio. Rebekah porta il suo sguardo su di me, poi sullo schermo del suo cellulare, poi di nuovo nei miei occhi e sospira pesantemente.

«Linda, la nostra traduttrice, sai quella che doveva occuparsi dell'incontro con il signor Hernandez? Mi ha appena scritto che non rientrerà dopo i giorni che già aveva chiesto, per problemi personali. Ora dovrò cercare qualcun altro e farlo al più presto, altrimenti chi lo sentirà Harry!» Rido al pensiero di Harry che sbraita perché le cose non vanno come vuole lui.

«Reb, ascolta, posso sostituire io Linda se la cosa è fattibile». Mi offro subito per togliere mia sorella dalla difficoltà in cui si trova, e l'ampio sorriso che le compare sulle labbra mi fa capire che l'idea le piace.

«Lo faresti davvero Chloe?» Mi guarda speranzosa e sentire dal suo tono di voce che può contare su di me, porta i miei pensieri lontano dalla negatività. Sapere che qualcuno ha bisogno di me è assolutamente positivo per il mio benessere psicologico.

«Non te l'avrei proposto se non volessi farlo. Se il tuo capo non ha problemi ad avermi tra i piedi, conta pure su di me. Lavorare non può farmi che bene». Le sorrido per rassicurarla e per farle capire che sono sincera. Lavorare è l'unica cosa che mi ha tenuta lontana da tutte le cose brutte degli ultimi mesi. Ho assoluta necessità di tenere occupata la mente per non commettere qualche stupidaggine.

«Sono certa che non avrà obiezioni al riguardo». La sua espressione è tranquilla mentre ripone con cura il cellulare all'interno della sua borsa.

«Io non ne sarei così sicura». C'è qualcosa di inspiegabilmente irritante in quel ragazzo, qualcosa che non riesco ancora ad identificare con chiarezza, ma allo stesso tempo c'è qualcosa in lui che mi incuriosisce e mi fa credere che, dietro alla sua facciata di indifferenza, ci sia molto di più.

E, appena penso a lui, mi spunta un sorriso sulle labbra al ricordo dello scherzo che mi ha fatto insieme al suo amico Larry al supermercato. Sembravano due bambini piccoli che non potevano fare altro che comportarsi da idioti, eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sono sentita leggera, e tutti quei pensieri che mi tormentano continuamente, sono stati rinchiusi in un angolino della mia mente per lasciare spazio a qualcos'altro o a qualcun altro forse, non saprei dirlo con esattezza, ma qualcosa si è smosso in me.

«A cosa pensi?» La voce di mia sorella mi distoglie da tutti questi pensieri confusi e la guardo con aria interrogativa. «Stavi sorridendo Chloe, e di certo non sorridevi per me. C'è qualcosa che ti fa stare bene?» Penso un attimo se dovrei rivelarle quello che è successo con Harry al supermercato, ma non so se dovrei dirglielo. Alla fine decido di tacere, senza un reale motivo per farlo.

«Le nuove opportunità mi fanno stare bene Reb, sono sicura che le cose stiano per migliorare». Sorride anche lei adesso, mentre si alza facendomi capire che è ora per lei di rientrare in ufficio. Decido di accompagnarla, dopotutto posso stare in sua compagnia ancora per un po' prima di tornare a casa, per iniziare il mio nuovo lavoro di traduzione.

Poco prima di salutarci mia sorella mi chiede di poter passare dal meccanico, che è un amico di Harry, a ritirare la sua auto che dovrebbe essere pronta, e mi dà un bigliettino con il suo indirizzo. Alla fine ci salutiamo e, dopo averla guardata entrare nell'edificio, mi incammino senza fretta verso il nostro appartamento dove dovrò recuperare la copia delle chiavi della macchina; osservo le vetrine dei negozi e le persone che, frettolose, affollano i marciapiedi passandomi accanto e immagino come sarebbe avere qui con me Kurt e Hazel. Quanto mi mancano!

Istintivamente la mia mano finisce per afferrare il cellulare e mi ritrovo a comporre il numero di Kurt. Risponde dopo averlo fatto squillare un'infinità di volte.

«La mia piccola Cleo, come stai?» La gioia di sentirmi trapela chiaramente dal suo tono di voce, che sento però affaticato.

«Ehi ciao, ti ho disturbato?» Mi affretto ad attraversare la strada prima che il semaforo pedonale diventi nuovamente rosso e continuo a camminare per arrivare a destinazione.

«Quando ti entrerà in quella testa dura che tu non disturbi mai? Stavo solo correndo. Hazel ha fatto un'altra volta quella torta al cioccolato e credo di aver mangiato anche la tua parte. Ora devo smaltire». La torta al cioccolato della mia amica è la più buona che si possa mangiare. Ricordo che qualche volta l'ha fatta anche per Ryan e, quando la serviva al locale, era sempre un successo.

La torta al cioccolato di Hazel è la cura per ogni stato emotivo. Se sei triste ti rallegra il morale, se sei felice ti aiuta a festeggiare al meglio, se sei arrabbiato ti fa dimenticare il motivo per cui lo sei, se sei annoiato ti fa tornare la voglia di fare, insomma, è la cura di tutto ed è una delle cose che mi manca di più da quando sono in questa città.

«Ben ti sta, così impari a mangiare le mie tre fette». Dividevamo la torta in tre e la finivamo tutta in un solo pomeriggio, o in una sola serata, era impossibile fermarsi alla prima fetta.

«Quelle fette erano rimaste nel vassoio e non potevo rimanere a guardarle mentre mi imploravano di essere mangiate, me l'hanno chiesto espressamente». La golosità del mio amico è impressionante. Non che io sia da meno, ma lui non è riuscito a trattenersi mai, nemmeno una volta.

«Certo come no, sto già immaginando la scena». Cammino svelta adesso, in mezzo a tutte queste persone che non conosco, e sento la mancanza dei miei due amici sempre di più.

«Non credo che tu mi abbia chiamato per rimproverarmi di aver mangiato troppa torta no? Va tutto bene Chloe?» Il suo respiro è tornato normale e il suo tono di voce non è più scherzoso come poco fa. Mi ha persino chiamato usando il mio nome correttamente.

«Ho avuto un incubo Kurt». Per un attimo c'è solo silenzio dall'altra parte, mentre io sono quasi arrivata all'edificio dove si trova il mio appartamento.

«E come stai?» Ora sento la preoccupazione nella sua voce.

«C'era Rebekah con me, devi stare tranquillo. Forse non avrei dovuto dirtelo». Le parole escono da sole quando parlo con lui, ma stavolta avrei fatto meglio a tacere per non farlo stare in pensiero.

«Vuoi che ti ricordi cosa è successo l'ultima volta che mi hai detto di stare tranquillo?» Non mi sta rimproverando, è solamente preoccupato.

«È tutto diverso adesso. L'ho promesso e stavolta la manterrò. Devi credermi Kurt». Svolto l'angolo e noto un'auto che mi sembra familiare parcheggiata poco più in là.

«Io voglio crederti amica, ma non è questo il punto. Non fare sciocchezze, promettimelo ancora». Faccio ancora qualche passo, stavolta più lentamente.

«Te lo prometto Kurt, dopotutto devo rifarmi di tutte le fette di torta al cioccolato di cui siete in vantaggio». Spero di riuscire a farlo tranquillizzare.

«Non credo sia possibile, Hazel ha detto che ne farà una per domenica per il compleanno di sua cugina Stephanie». Devo ricordarmi di chiamare la mia amica al più presto. Non riesco però a rispondere alle parole del mio amico, perché la persona che vedo scendere da quell'auto e dirigersi verso il mio portone mi fa fermare di colpo.

«Ma che diavolo ci fa qui?» Credevo di aver solo pensato queste parole, ma mi rendo conto di averle dette davvero quando sento la voce di Kurt.

«Di chi stai parlando? Chi c'è lì?» Vedo Harry avvicinarsi al citofono e premere un pulsante.

«Il capo di mia sorella». Sono davvero sorpresa di trovarlo qui e allo stesso tempo curiosa di sapere cosa sia venuto a fare.

«È carino?» Alzo gli occhi al cielo, anche se non può vedermi, e riprendo a camminare, andando verso Harry.

«È presuntuoso e indisponente». Indossa un paio di jeans, un giubbotto nero e un beanie verde dal quale esce qualche ciocca dei suoi capelli decisamente troppo lunghi. È carino? Probabilmente dovrei ammettere che lo è, ma non lo farò.

«Ok, è carino». Sono ormai a qualche passo da lui, che ora ha notato la mia presenza mentre mi avvicino.

«Devo andare adesso, ciao Kurty». Lo sguardo di Harry sembra cambiare per un attimo, non saprei dire esattamente come, ma ho notato qualcosa nei suoi occhi.

«Ciao piccola Cleo, saluta il capo di tua sorella per me». Chiudo la comunicazione e rimetto il telefono in tasca.

«Che ci fai qui?» Sono sicura che non dovrebbe essere qui, ma in ufficio.

«Ciao anche a te». Il suo sorriso irriverente mi irrita come nessuno è mai riuscito a fare.

«Sì, ciao Harry, cosa ci fai qui?» La sua sola presenza mi indispone e uso un tono di voce decisamente cantilenante per farglielo capire senza mezzi termini. È una cosa che mi succede solo con lui.

«Cercavo Rebekah». Lo guardo stringendo gli occhi a due fessure. Mi sta nascondendo qualcosa, ne sono assolutamente sicura.

«Di solito le persone normali sono in ufficio a lavorare a quest'ora, ma ovviamente tu non ne hai bisogno». Quello che ho appena detto l'ha infastidito, lo vedo chiaramente nel suo sguardo, ma non risponde alla mia provocazione, quindi decido di insistere. «Perché sei qui Harry?» È evidente che non cercava mia sorella. Avrebbe potuto chiamarla al telefono o in ufficio. C'è sicuramente dell'altro.

Sta per dire qualcosa, apre la bocca e la richiude senza dire niente. «Lascia stare... ci vediamo». Improvvisamente mi sento in colpa per averlo trattato così. Non so se sia stato per il suo sguardo, per il suo tono di voce o semplicemente perché se ne sta andando via, ma mi ritrovo con una strana voglia di fermarlo.

«Harry?» Si ferma sui suoi passi, poco prima di salire sulla sua auto e si gira a guardarmi. «Devo andare a ritirare l'auto di mia sorella, ti va di venire con me?» Gli spunta un sorriso che mi fa sentire decisamente meglio.

«D'accordo». Non dice altro, ma il suo sorriso è ancora lì.

«Salgo un attimo a prendere le chiavi della macchina... mi aspetti o sali con me?» Non so perché gliel'ho chiesto, ma non sono riuscita a farne a meno.

«Salgo con te». Mi segue mentre salgo le scale e alla fine entriamo nel loft di mia sorella.

Harry resta all'ingresso mentre si guarda in giro, io cerco le chiavi dell'auto di Rebekah nei cassetti, ma ho qualche difficoltà a trovarle. Forse le ha messe da qualche altra parte e ha dimenticato di dirmelo.

«E così è qui che abiti», mi dice, mentre lo vedo avvicinarsi al divano e sedersi comodamente, come se l'avessi invitato a farlo.

«Sì, non eri mai stato qui?» Smetto di guardarlo nel momento in cui vedo che si sta togliendo il cappotto per sistemarsi meglio. Non so perché, ma vederlo compiere quel gesto mi ha fatto sentire strana.

«No, non vado mai a casa delle mie dipendenti». Il tono che ha usato mi spinge a guardarlo e il sorriso che ha in questo momento sul viso, non lascia spazio che ad una sola interpretazione.

«Senti... non riesco a trovare quelle chiavi, vado a controllare in camera sua. Torno subito». Salgo velocemente le scale che portano al piano di sopra e mi reco subito in camera di Rebekah aprendo i cassetti del comodino.

Finalmente le trovo dopo un paio di tentativi e, quando sto per uscire dalla stanza, sento dei passi nel corridoio. Esco dalla camera di Rebekah e con mia grande sorpresa, vedo Harry in piedi davanti alla porta aperta della mia camera da letto.

«Cosa non hai capito di torno subito?» Lui si volta a guardarmi, ma non è affatto in imbarazzo mentre io mi sento terribilmente infastidita dalla sua presenza.

«Questa è la tua stanza?» Non gli importa di quello che ho appena detto e, con quel suo sorriso dannatamente irriverente, mi fa quella stupidissima domanda. Credo di essermi già pentita di averlo invitato a venire con me.

«Sì». Mi metto accanto a lui, allungo una mano e chiudo la porta, privandolo della vista dell'interno della stanza, ma quel sorriso è sempre lì e non fa altro che far aumentare il mio fastidio nei suoi confronti.

«Non lo fai il letto la mattina?» Si volta a guardarmi: è la prima volta che siamo così vicini e, per un attimo, il verde dei suoi occhi sembra più luminoso del solito, tanto che resto in silenzio, incantata da quel colore. «Ma non è un rimprovero il mio... a me piace il letto disfatto...» Un'altra eloquente allusione che mi fa alzare ancora gli occhi al cielo.

«Io non ho la domestica sai?» La sua affermazione mi fa tornare in me, ed è di nuovo il senso di fastidio a prevalere.

«Ma io non ho la domestica...» Sento le sue parole, mentre sto andando verso le scale per scendere al piano di sotto, e mi volto a guardarlo in cerca di spiegazioni. «Io ho Brenda». Resto in silenzio guardandolo con aria interrogativa. «Brenda è di famiglia, non potrei mai considerarla una domestica». Si avvicina, mentre mi spiega chi è Brenda, e sono piacevolmente sorpresa dalle sue parole.

«Dì a Brenda che ha tutta la mia comprensione... adesso possiamo andare?» Lui sorride appena, senza mostrare le fossette.

«Chloe?» Mi piace il mio nome pronunciato da lui, non so perché, non so come, ma quando esce dalla sua bocca riesco solo a pensare che mi piace.

«Sì?» È successo qualcosa in questi pochi secondi, non riesco a capire cosa, ma sono sicura che sia successa.

«No... niente... andiamo...» Mi supera e scende le scale, lo seguo, poi lui recupera il suo cappotto e, in rigoroso silenzio, usciamo dall'appartamento dirigendoci verso la sua auto. «Allora, dov'è che devi andare?» Sembra essergli tornato il buon umore appena si è seduto al volante della sua macchina. Gli mostro il bigliettino e lui non fa una piega, eppure sono sicura che mia sorella mi avesse detto che questo meccanico fosse un suo amico.

«Sai dov'è?» Se lui vuole fare l'indifferente, lo farò anch'io.

«Sì, ne ho sentito parlare». Probabilmente ha in mente qualche altra sorta di scherzo, ma stavolta sono io ad essere un passo avanti rispetto a lui.

«Ed è bravo?» Accende il motore, dopo che entrambi abbiamo allacciato le cinture, e si immette nel traffico.

«Sì, anche se a volte cerca di fregare sul prezzo, ma non preoccuparti, ci penso io». Come può aver consigliato a mia sorella un meccanico che non è onesto? Oppure sta cercando di preparare il terreno per il suo scherzo? Starò al gioco, voglio proprio vedere dove vuole arrivare.

«Pensi che non sappia cavarmela da sola?» Mi fingo indispettita.

«Sono sicuro che tu sia in grado di cavartela da sola, ma io non posso stare a guardare se quello cerca di fregarti». Sta cercando di fare colpo su di me o è solo un idiota? Non l'ho ancora capito del tutto, ma credo che mi piacerà restare a guardarlo mentre porta a termine la sua piccola impresa.

Non rispondo a questa sua ultima affermazione e lui non dice altro. Mi godo il silenzio di quello che spero sia un tragitto breve, interrotto solo dal suono dell'arrivo di un messaggio che non è mio perché non riconosco la suoneria. Mi chiedo se Rebekah gli abbia già detto che mi sono offerta per presenziare all'incontro con il signor Hernandez, ma subito mi dico che no, non gli ha ancora detto niente, altrimenti avrebbe sicuramente fatto qualche battuta al riguardo.

«Allora Chloe... come mai qui a Boston?» Mi sorprendo nel pensare quanto mi piaccia la sua voce e, ancora di più, mi chiedo come sia possibile che mi piaccia così tanto il mio nome quando lo pronuncia lui.

«Volevo cambiare lavoro». La sua domanda mi ha preso alla sprovvista e ho detto la prima stupidaggine che mi è venuta in mente. Non ci crederà mai.

«Ok...», ma forse sì, «adesso dimmi il vero motivo, senza raccontarmi stronzate». Ok, non mi ha creduto. Non voglio dirgli la verità, ma poi sento di poter parlare con lui.

«Hai presente quando ti senti soffocare? Quando tutto nella tua città ti sembra opprimente?» Alla fine gli dico una mezza verità sperando che non insista nel sapere di più.

«Perfettamente». Dal suo tono di voce è chiaro che anche lui sappia di cosa sto parlando. «E hai scelto Boston per via di tua sorella?»

«Sì». Gli rispondo senza approfondire ulteriormente, ma poi lo sento ridere. Mi volto a guardarlo e le sue fossette sono ben visibili. «Che hai da ridere adesso?» Incrocio le braccia al petto decisamente infastidita dal suo atteggiamento. Credevo che stessimo riuscendo ad avere una conversazione quasi normale.

«Stavo ripensando a quella sera che ci siamo incontrati sulla metro...» Quel sorriso è ancora sulle sue labbra mentre non perde mai di vista la strada.

«E che cosa c'è di così divertente?» Si ferma ad un semaforo e per un attimo si volta a guardarmi. Sono assolutamente sicura che ci sia qualcosa di diverso nei suoi occhi in questo momento, qualcosa che mi fa sentire diversa. Non riesco a spiegarlo, ma so che è così.

«No, niente... è stato strano». Continua a ridere e quelle fossette sono sempre lì in bella vista.

«Ok... dimmi il vero motivo per cui l'hai trovato divertente». Mi sto rendendo conto che, per certi versi Harry mi somiglia. Nemmeno lui è sincero e si nasconde dietro ad una maschera, proprio come faccio io.

«Chloe...», ride più forte: la sua risata è contagiosa e faccio fatica a trattenere un sorriso. Non voglio dargli alcuna soddisfazione. «La tua faccia era divertente, eri così infastidita... e acida... sembravamo due bambini dell'asilo... com'è che mi hai chiamato?... ah, sì... coso...» Scuoto la testa mentre alzo gli occhi al cielo e lui non fa altro che ridere.

Ripenso al nostro incontro di quella sera e penso alle strane coincidenze che mi hanno portato ad incontrare prima Dylan e poi lui. Se non avessero perso la mia valigia non avrei conosciuto Dylan e se non avessi perso tempo ad aspettarla al nastro dei bagagli, non avrei incontrato Harry in metropolitana.

«Se ti piace così tanto posso continuare a chiamarti coso, non è un problema per me». Rivolgo il mio sguardo in avanti e mi rendo conto che non ho la minima idea di dove mi stia portando. Mi chiedo come mai io mi fidi così tanto di lui.

«Smetti di fare l'acida... avresti bisogno di fare un po' di sesso, ti farebbe bene». Gli lancio un'occhiataccia che lui deve aver percepito anche senza guardarmi. «Era solo una battuta, non te la prendere». Torno a guardare in avanti, ma sento le guance andare a fuoco. Cafone! «Comunque... da quanto tempo non fai del buon e sano sesso?» Sento la rabbia salirmi fino ai capelli.

«Non sono di certo affari tuoi!» Le parole escono veloci e il mio tono di voce è tagliente, ma a lui pare non importare, perché è ancora del tutto rilassato mentre svolta a destra.

«Ok... allora... che ne dici di una canna? Anche quella potrebbe farti rilassare un po'».

«Harry questa conversazione finisce qui!» Una piccola risata lascia le sue labbra mentre io incrocio strette le braccia al petto con lo sguardo rivolto fuori dal finestrino.

Sento ogni fibra del mio corpo andare a fuoco per la rabbia che sto provando in questo momento e non so se sono più arrabbiata con lui o con me stessa. Non so nemmeno se sono arrabbiata, ma questa conversazione ha messo in subbuglio il mio cervello.

«Scusami se ho esagerato... era solo uno scherzo», mi dice poi, con un tono troppo gentile che quasi non riconosco. Non rispondo e continuo nel mio mutismo. «Allora... hai una cotta per Dylan?» Mi giro di scatto a guardarlo con gli occhi spalancati.

«Ma cosa ti salta in mente?» Il mio tono di voce esce più alto di quanto avrei voluto.

«Beh... ho visto come lo guardi, solo un cieco non se ne accorgerebbe». Non ne sono completamente sicura, ma potrei dire che sembra infastidito da quello che ha appena detto.

«Lo guardo con gli occhi che ho, come dovrei guardarlo?» Dal suo sguardo non sembra molto convinto. «Non ho una cotta per Dylan né per nessun altro!» Lui nemmeno s'immagina cosa rappresenti Dylan per me.

«Nemmeno per me?» Si volta un attimo a guardarmi per poi mettere la freccia ed entrare in un piccolo piazzale, dove si trova un'officina meccanica.

«Nemmeno per te Stevens». Parcheggia e spegne il motore.

«Siamo arrivati». Mi sta sorridendo e sono certa che stia ridendo di me. Non rispondo alle sue provocazioni, scendo dall'auto e mi dirigo a passo sicuro dentro l'officina.

All'interno c'è un gran rumore, in sottofondo sento della musica. Sulla sinistra vedo un paio di macchine sul ponte, a cui un ragazzo sta lavorando, mentre al fondo di questo piccolo capannone c'è un box a vetri, che credo sia l'ufficio. All'interno vi sono due ragazzi in tuta da lavoro che stanno parlando. Mi avvicino, con Harry sempre alle mie spalle, e busso al vetro per attirare la loro attenzione. Escono entrambi e il ragazzo dalla carnagione scura con i capelli neri mi viene subito incontro.

«Salve», mi saluta, ma sembra voltare subito lo sguardo alle mie spalle, mentre tenta di pulirsi le mani in uno strofinaccio troppo sporco per pulirle davvero.

«Salve, devo ritirare la macchina di mia sorella». Il ragazzo di fronte a me mi guarda, ma poi torna a guardare oltre le mie spalle. Mi volto appena e, con la coda dell'occhio, vedo Harry fare dei gesti strani, ma si ferma immediatamente appena si accorge che lo sto guardando.

«Può dirmi il suo nome?» Il ragazzo in tuta da lavoro cerca di darmi retta, ma la sua attenzione è continuamente attirata da Harry e dal suo incessante gesticolare.

«Stewart», rispondo. Credo che il ragazzo di fronte a me sia il suo amico, altrimenti non mi spiego la sua idiozia.

«Sì, mi scusi un attimo...» Punta lo sguardo oltre le mie spalle ed io non posso che fare la stessa cosa. «Harry... si può sapere che cazzo stai facendo?» Guardo Harry mentre spazientito alza gli occhi al cielo.

«Sei sempre il solito rincoglionito, Zach!» Il mio sguardo va da Harry al ragazzo in tuta da lavoro, tipo partita di tennis. Stavolta mi sto divertendo sul serio.

«Io? Ma se sembravi un indemoniato con tutti quei gesti!» Il suo piano stavolta non ha funzionato.

A quel punto Harry esce dall'officina borbottando qualcosa di incomprensibile sotto il mio sguardo divertito e, quando Zach sta per seguirlo, io lo fermo.

«È arrabbiato perché non è riuscito a farmi lo scherzo. Mi aveva detto che non ti conosceva per poi farmi credere di avermi dato una mano al momento del pagamento, a non essere fregata da te». Anche Zach, adesso, alza gli occhi al cielo.

«Che cretino... vieni con me... la macchina è da questa parte». Lo seguo all'esterno. «Ho sostituito il carburatore e cambiato l'olio, adesso dovrebbe essere a posto. Se c'è qualche altro problema, dì pure a tua sorella di chiamarmi».

Dopo aver controllato l'auto ed essere andata nel suo piccolo ufficio per il pagamento - e la consegna delle chiavi originali - lo saluto e torno verso l'auto di Harry con un gran sorriso sulle labbra.

È appoggiato alla fiancata con il cellulare in mano, intento a digitare qualcosa, credo.

«Questo sì che è stato davvero divertente» gli dico, quando mi avvicino, ma lui non sembra affatto divertirsi.

«Lo sarebbe stato molto di più se quel coglione di Zach avesse capito al volo quello che gli stavo dicendo». Sembra veramente arrabbiato.

«Harry?» Alza gli occhi su di me e mi guarda con attenzione. «Mi sono divertita sul serio». Il mio tono è sincero e, nonostante il piccolo scambio di battute che abbiamo avuto prima di scendere dalla sua macchina, in quest'ultima ora sono stata bene, davvero bene, e il suo sorriso mi conferma che anche lui, alla fine, si è divertito. «Mi fai strada fino a casa?» Lui annuisce e sale in macchina, mentre io mi metto al volante di quella di Rebekah, seguendolo per tutto il tragitto.

Tragitto durante il quale non ho avuto altro che pensieri positivi e ho mantenuto il sorriso fino a destinazione dove parcheggio, mentre noto che lui è rimasto seduto al volante della sua auto.

Mi avvicino al finestrino aperto e mi abbasso leggermente. «Grazie Harry».

Lui sorride ancora, ma non abbastanza da veder spuntare le fossette. «Ci vediamo Chloe».

Lo guardo allontanarsi, mentre sulle mie labbra è ancora fermo quel sorriso che lui ha provocato.  

 

§§§§§§§§§§§§§§§

 

SPAZIO ME

Abbiamo conosciuto Zach, un altro amico cretino di Harry, ma che ha un ruolo importante nella vita di Harry.

Chloe ha ancora dettagli del suo passato che la tormentano, e che ancora non ha rivelato.

Harry continua a provocare Chloe che però non cede e resta chiusa nel suo guscio.

Il prossimo capitolo avrà molti momenti Chloe-Harry, alcuni pungenti, altri più dolci, molto carini.

Eeeee niente, buona lettura.

 

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Capitolo 8
*** Fastidi e fossette ***


Había  una  vez  una cigarra  que,  sentada  tranquilamente  sobre  una  hoja,  disfrutando  del sol del verano,  cantaba  todo  el  día.

Il mio lavoro procede spedito. La raccolta di fiabe per bambini si sta rivelando divertente da tradurre, forse anche per il mio stato d'animo piacevolmente migliorato.

Mi piace lavorare a casa: nessuno che mi dica quando e come svolgere, od organizzare il lavoro, anche se, quando ripenso ai bambini ai quali insegnavo inglese nel corso estivo dell'estate scorsa, mi assale una punta di nostalgia; quello è stato uno dei periodi più belli di tutta la mia vita.

Prendo in mano la tazza di tè che mi sono appena preparata e torno al piano di sopra, in camera mia, dove ho organizzato un piccolo angolo dedicato al mio lavoro. Appena entro nella stanza mi torna in mente qualche giorno fa quando: proprio nel punto in cui mi trovo in questo momento, c'era Harry.

Non lo vedo da quando mi ha accompagnata a ritirare la macchina di mia sorella dal meccanico e mi stupisco di me stessa quando mi ritrovo a pensare che mi andrebbe di rivederlo.

Torno a sedermi davanti al computer per finire la traduzione, quando l'arrivo di un messaggio attira la mia attenzione. È un numero che non ho memorizzato.

Mi ha dato il tuo numero tua sorella 
Volevo ricordarti l'appuntamento  
per domani con il signor Hernandez.

Grazie per la tua disponibilità

-HS

Resto a fissare il display incredula. Harry Stevens mi ha appena mandato un messaggio per ricordarmi una cosa che avrebbe potuto benissimo dirmi mia sorella?

Non riesco davvero a credere che quel ragazzo indisponente, figlio del presidente della HS Financial Services, con quel piccolo tatuaggio a croce sulla mano sinistra e i capelli troppo lunghi per lavorare in quell'ambiente alle dipendenze di suo padre, quel ragazzo che sembra abbia voglia solo di divertirsi, mi ha davvero mandato un promemoria tramite messaggio come se fosse il mio segretario?

5:30 p.m. 
Lo ricordo perfettamente 
Sarò puntuale, anzi in anticipo

Memorizzo il suo numero e torno al mio lavoro sorseggiando il mio tè caldo. Ho ancora due giorni di tempo per finire di tradurre il libro, sono perfettamente nei tempi e, mentre sono intenta a leggere e tradurre, vengo interrotta dall'arrivo di un altro messaggio.

Devo vederti

Di nuovo Harry e stavolta il suo messaggio è davvero strano. Resto a fissare lo schermo del cellulare per diverso tempo, per provare a capire il significato delle sue parole, ma dopo un po' è lui stesso a chiarire.

Prima dell'incontro intendo

Dopo essermi ripresa dal momento di stupore, digito velocemente la mia risposta.

Ok... quando?

Probabilmente vuole discutere dell'incontro con il signor Hernandez, magari vuole mettermi al corrente di cosa dovranno parlare. Sono quasi sicura che sia questo il motivo e la sua risposta non tarda ad arrivare.

Stasera...  
come tu ben sai, le persone lavorano  
e sono nel mio disordinato ufficio in questo momento

Quindi... pensavo a stasera

Colgo l'evidente allusione alla battuta che gli ho fatto l'altro giorno, con cui mi sta dicendo che lui è in ufficio in questo momento, cosa che spero avvenga spesso dato che ha delle responsabilità, poi mi chiedo se questa battuta è rivolta a me.

Stasera va bene 
E comunque anch'io sto lavorando

Perché questo ragazzo riesce sempre a farmi innervosire?

Passo a prenderti alle 8

Leggo due volte il messaggio che ho appena ricevuto, perché spero di essermi sbagliata, ma anche alla seconda lettura mi accorgo che Harry pensa di potermi dare degli ordini.

No Harry,  
vengo con la mia macchina

Dimmi dove e ci vediamo lì

Non ho nessun tipo di handicap da aver bisogno che qualcuno mi venga a prendere e, anche se l'avessi, sono sicura che potrei cavarmela da sola. Non ho alcun bisogno di lui.

Sì, come vuoi

Alle 8 sono da te

Il fastidio che provo nei suoi confronti sembra aumentare ogni giorno di più e, se non fosse perché ho promesso a mia sorella che avrei partecipato a quell'incontro, gli avrei già detto di dimenticarsi della mia esistenza.

No Harry, scordatelo!

Ci vediamo alle 8

Mi ignora!

Sta palesemente ignorando quello che gli ho appena detto e, nonostante gli abbia inviato altri quattro o cinque messaggi in cui gli dicevo che non volevo che venisse a prendermi, lui non mi ha più risposto.

Harry è così irritante che ogni parola che esce dalla sua bocca ha la capacità di innervosirmi come nessuno riesce a fare, ma si può scordare che vada con lui. Mi sono già pentita di aver avuto voglia di rivederlo.

Devo rimettermi al lavoro, cercando di concentrarmi sulle pagine di questo libro, piuttosto che sulle sue fossette, e poi perché diamine mi sono venute in mente le sue fossette?

"Forza Chloe è ora di lavorare seriamente, devi fare una buona impressione ad Harvey."

La concentrazione finalmente arriva e, dopo aver accantonato fastidi e fossette, riesco a portare a termine le pagine da tradurre che mi ero programmata di fare entro stasera.

«Sono arrivata!» La voce squillante di mia sorella arriva dal piano di sotto. Chiudo il computer, do uno sguardo alle foto dei miei due amici appoggiate sopra la mensola e sorrido con un po' di malinconia: sapevo che mi sarebbero mancati, ma non avrei immaginato così tanto.

La mia foto con Hazel è davvero ridicola; abbiamo riso davvero tanto quel pomeriggio e, quando abbiamo deciso di imitare le signore alle spa mettendoci sdraiate nel letto con due fette di cetrioli sugli occhi, Kurt ci ha fotografate a nostra insaputa mentre le nostre risate riempivano la stanza. Adoro questa foto perché mi ricorda l'allegria di quel giorno e quanto stiamo bene insieme.

Quella con Kurt, invece, è dolcissima. L'ha fatta Hazel mentre io e lui dormivamo abbracciati sul divano. Quella foto è importante per me perché è stato qualche giorno dopo il funerale di Dylan, dopo la mia prima cazzata. Quella sera ho promesso ai miei due amici che mi sarei presa cura di me e, anche se poi non l'ho fatto, passare la notte sul divano di Kurt stretta fra le sue braccia, mi ha letteralmente salvato la vita.

«Ehi... tutto ok?» Rebekah è sulla porta della mia stanza che mi osserva mentre ho ancora in mano la foto di me e Kurt.

«Sì, stavo per scendere». Poso la foto e sorrido a mia sorella prima che si preoccupi inutilmente.

«Ti mancano eh?» Mi sorride dolcemente mentre si avvicina per osservare le foto.

«Troppo».

«Perché non li inviti qui? È tanto che non li vedo». L'idea di loro due qui con me mi passa per la testa continuamente, ma anche loro hanno degli impegni da cui non sempre è facile allontanarsi.

«Tranquilla Reb, ho già dato loro il permesso di invaderti casa, vedrai che non mancherà occasione». Ridiamo insieme alle mie parole.

«Vado a lavarmi le mani poi ceniamo ok?» E subito mi viene in mente un'idea che la farà sicuramente ridere. Voglio che sia totalmente tranquilla, perché certe idee mi sono passate per la testa in passato, ma ora sto meglio.

«Ok, vengo con te». Lei mi guarda stranita, ma non dice niente e la seguo in bagno.

Reb fa scorrere l'acqua nel lavandino, poi si insapona le mani ed io faccio lo stesso ma senza aspettare il mio turno, iniziando così una piccola lotta di mani piene di schiuma e schizzi d'acqua che hanno come risultato la risata di mia sorella. Lo facevamo sempre quando eravamo più piccole perché facevamo a gara a chi arrivava prima a tavola, poi negli anni è diventato un momento di gioco che facevamo quando una delle due era triste.

«Stai bene davvero Chloe?», mi chiede, dopo che abbiamo finito la nostra piccola battaglia, mentre mi passa un asciugamano.

«Sto meglio Reb... non sto ancora bene, ma sto meglio, devi credermi». Avvolge le mie mani nell'asciugamano e me le asciuga osservandomi attentamente.

«Quando l'hai fatto quello?» Si riferisce al piccolo tatuaggio che ho sul polso sinistro. Lei non l'aveva ancora visto.

«Più o meno un mese fa ... l'ancora è per la salvezza, il timone per la guida ... Hazel e Kurt mi hanno salvato e mi hanno guidato ... l'ho fatto per ricordarmelo». Le mie parole hanno turbato mia sorella, ma sono sicura che non voglia approfondire adesso, perché quest'argomento le fa ancora male.

«Ok ... senti ... il mio capo mi ha detto che ti avrebbe avvisata lui per l'incontro di domani, l'ha fatto?» Ripone la salvietta sull'apposito gancio poi esce dal bagno per recarsi al piano inferiore ed io la seguo.

«Sì, mi ha mandato un messaggio oggi pomeriggio».

«Non ti dispiace se gli ho dato il tuo numero vero? È che ha insistito così tanto ... gli ho detto che te ne avrei parlato io stasera, ma ...»

«Stasera esco con lui». Interrompo mia sorella e il suo monologo.

«Cosa?» Mi guarda con le sopracciglia aggrottate e un'espressione di totale curiosità.

«Sì, dice che mi deve parlare a proposito dell'incontro di domani». Da quello che le leggo in faccia non sembra molto convinta di quello che ho appena detto.

«E tu ci hai creduto?» Va verso la cucina per controllare cosa c'è nelle pentole che ha notato sui fornelli.

«Perché non avrei dovuto crederci?»

«Perché quello è uno che non è capace di tenersi chiusi i pantaloni. Circolano certe storie sul suo conto...» Guardo l'espressione stupita di mia sorella quando si accorge che ho già preparato la cena. «Hai cucinato?» Non lo faccio spesso, ma oggi mi sentivo in vena e mi sembra il minimo ricambiare l'ospitalità di Rebekah.

«Sì, pollo con patate», rispondo, ma subito ripenso alle parole che ha pronunciato mia sorella su Harry e, non so per quale motivo, provo un certo fastidio alla bocca dello stomaco. Probabilmente ho fame. «E comunque non m'importa di Harry e dei suoi pantaloni aperti, si tratta di lavoro. Voglio farti fare una bella figura con lui». Perché è questo il motivo che mi spinge ad uscire con lui stasera.

«Comunque è strano che Harry voglia parlare di lavoro al di fuori dell'ufficio ... non lo fa mai nemmeno lì ... sai quante volte suo padre lo riprende? Ma a lui sembra proprio non importare di niente e di nessuno». Prende i piatti per metterli a tavola e l'aiuto ad apparecchiare.

«Se vedo che è solo una scusa torno indietro. Posso prendere la macchina?»

«Certo, non devi nemmeno chiedere». 

Ceniamo in un'armonia che mi mancava da tempo, mia sorella mi mancava. Odio averla esclusa per un periodo così lungo dalla mia vita, ma adesso ho la possibilità di rimediare ed ho tutta l'intenzione di approfittare di questa vicinanza con lei per recuperare il nostro rapporto.

***

«Chloe! Il telefono!» Sono in camera mia a cambiare la maglia che ho sporcato durante la cena. Ne infilo un'altra poi scendo.

«Eccomi...» Mia sorella è sul divano a guardare per la millesima volta "Pirati dei Caraibi" e mi siedo vicino a lei per prendere il mio telefono, che era appoggiato sul tavolino.

Sono sotto. Scendi

Alzo gli occhi al cielo per quel messaggio. Ma chi si crede di essere?

Arrivo

Sicuramente pensa che salirò in macchina con lui e mi farò scarrozzare a destra e a sinistra. Si sbaglia!

«Reb, io vado». Mi alzo e vado a prendere il cappotto e le chiavi della macchina.

«Ok e fagli tenere chiusi i pantaloni». Rido alle sue parole, poi ci salutiamo e scendo.

Harry è appoggiato al muro ed è strano vederlo senza il suo completo elegante, ma posso dire che anche quei jeans scuri e il giubbotto di pelle gli stanno davvero bene. «La prossima volta mi porterò una sedia per aspettarti», dice, quando nota la mia presenza.

«Pensi davvero che ci sarà una prossima volta?» Quanto è presuntuoso!

«E niente... miss acidità è uscita con te anche stasera». Irritante, fastidioso, indisponente, io davvero non so più come sfogare il fastidio che provo in sua presenza. «Dai andiamo». Sto per rispondere, ma le parole mi muoiono tutte in gola quando lo vedo avvicinarsi ad una moto nera e prendere i due caschi appoggiati al manubrio e porgermene uno.

***

Harry

Improvvisamente la vedo sbiancare e sono sicuro che, quello che le leggo in faccia, sia puro terrore. 

«Stai bene?» Istintivamente mi avvicino a lei con ancora i caschi in mano.

«No, Harry ... non salirò su quella cosa ...» La sua voce trema e sembra aver perso tutta la sicurezza che la caratterizza.

«Hai paura della moto?» In un'altra situazione mi sarei messo a ridere di tutto questo, ma, nel guardare il suo viso, mi rendo conto che per lei non è uno scherzo.

«Ho detto che non salirò su quella cosa!» Stavolta il suo tono è leggermente più alto e nettamente più deciso.

«Ok». Sto per agganciare il casco che avevo portato per lei alla moto quando la sua voce di nuovo tremolante mi fa voltare verso di lei.

«Harry ... perché non lasci la moto e vieni in macchina con me?» C'è qualcosa di strano nei suoi occhi.

«Chloe che ti succede?» Poso entrambi i caschi e torno vicino a lei.

«Non andare su quella cosa ... possiamo andare con la macchina». È veramente spaventata e sento il bisogno di rassicurarla.

«Ascolta, non è la prima volta che la guido, è solo una moto, non succederà niente». Non voglio lasciare qui la mia moto e non mi piace che abbia così paura. «Se non vuoi salire va bene, io vado avanti con la moto e tu mi segui con la macchina». Non sembra molto convinta, ma alla fine accetta.

Salgo in sella alla moto, infilo il casco e la guardo salire sulla sua auto e, poco prima di chiudere lo sportello, la vedo scendere, si gira indietro verso di me e quello che mi dice mi lascia davvero stranito.

«Harry ... fai attenzione...» Mi sorride in un modo che non le ho mai visto fare e non so se sia davvero preoccupata per me o se sia per la paura della moto che parla così.

«Tranquilla, io vado avanti... seguimi».

Accendo il motore e mi immetto in strada, lei fa lo stesso seguendomi nel traffico, che a quest'ora scorre veloce. Non riesco davvero a capire cosa sia successo poco fa. Chloe sembrava così diversa dopo aver visto la motocicletta, vorrei sapere cosa l'abbia portata ad avere questa paura, ma per ora non so se toccare ancora quest'argomento con lei.

Siamo quasi arrivati e ho voglia di correre, so che non può starmi dietro con la macchina, ma posso accelerare un po' ed aspettarla più avanti. Do gas e la mia due ruote risponde all'istante: mi infilo tra due auto e le sorpasso. La strada in questo tratto è stata asfaltata da poco e si guida che è un piacere. Mi piace il rombo del motore quando accelero e mi piace la libertà che respiro quando la guido. Poi rallento e mi fermo sulla destra quando vedo il locale dove ho deciso di andare.

Tiro sul il cavalletto, scendo e mi tolgo il casco. Dopo qualche minuto lei arriva, mette la freccia, accosta, poi scende dalla macchina senza nemmeno spegnere il motore, o chiudere lo sportello, e si avvicina con un'espressione rabbiosa in viso.

«Ma ti sei bevuto il cervello!?» Si è mica arrabbiata perché l'ho lasciata indietro?

«Volevi che ti aspettassi?»

«Ma ti sembra quello il modo di guidare!? Potevi romperti l'osso del collo con quel dannato sorpasso!» È furiosa? Davvero?

«Chloe, datti una calmata, so quello che faccio». Adesso mi sto innervosendo anch'io.

«No che non mi calmo, guidi come un incosciente!»

«Nemmeno mio padre mi ha mai urlato in questo modo per come guido, o mi dai una spiegazione per tutto questo o è meglio se la smetti immediatamente». Non sto urlando, ma non ho intenzione di farmi trattare in questo modo da una ragazza che ho appena conosciuto.

Le mie parole devono averla colpita, perché vedo un repentino cambio di espressione sul suo viso. «Hai ragione Harry, è solo che ... mi sono spaventata. Non succederà più». La guardo tornare verso la sua auto, spegne il motore poi scende e mi raggiunge dopo aver chiuso a chiave. 

Non dico niente, nemmeno lei lo fa. Forse non è il momento adatto per approfondire quanto è appena successo, ma prima o poi mi dovrà una spiegazione.

Vengo spesso in questo locale e, anche se stasera non è molto affollato, ho comunque prenotato per precauzione. Entriamo e noto già Dylan seduto al tavolo che alza la mano per farsi notare. Lo saluto con un gesto e mi avvicino controllando che Chloe sia vicino a me, ma dopo qualche passo mi accorgo che è rimasta indietro con gli occhi puntati su Dylan. Torno sui miei passi e la prendo per mano per attirare la sua attenzione ed è esattamente quello che ottengo.

I suoi occhi sono su di me, come se non mi avesse ancora visto stasera, e il suo sguardo è un misto tra timore e stupore. Le sorrido per tranquillizzarla. Deve aver avuto qualche brutta esperienza con la moto, altrimenti non mi spiego la sua reazione.

Si lascia guidare fino al tavolo mentre la sento stringere forte la mia mano, che lascia a fatica quando ci sediamo, ma non mi sento di fare una battuta su questo, l'espressione che ha sul viso non me lo permette. Chloe saluta a malapena Dylan, che noto esserci rimasto un po' male: l'avevo convinto che lei sarebbe stata contenta di vederlo, ma devo essermi perso qualcosa, altrimenti non mi spiego il comportamento di miss acidità.

Dopo qualche chiacchiera stupida inizio a parlare dell'incontro di domani. È ovviamente una scusa, non m'interessa affatto del signor Hernandez, o di qualsiasi altra cosa riguardi il lavoro in questo momento, ma mi serviva un motivo quantomeno plausibile per vederla. Se le avessi chiesto semplicemente di uscire avrebbe capito che lei mi piace, perché è ormai evidente che mi piace, l'ha capito anche Zach quando l'altra sera ne abbiamo parlato. Anche Larry ha detto lo stesso e non ho fatto che pensare a lei in questi giorni.

Chloe non si fa mettere i piedi in testa e non perde la bava dalla bocca quando mi guarda. Probabilmente mi detesta o fa solo finta di farlo, ma non m'importa. Voglio scoprire se davvero ha qualche tipo di interesse per il mio amico seduto a questo tavolo con noi.

È per questo che ho invitato anche Dylan stasera. Primo: per rendere più credibile questo pseudo incontro di lavoro. Ridicolo pensare che lo sia, ma lei sembra crederci, oppure finge di farlo, comunque l'importante è che sia qui.

Secondo: voglio accertarmi che a Chloe non interessi Dylan, perché è più che evidente che a lui piaccia lei.

Però c'è un'atmosfera strana a questo tavolo. Chloe non parla praticamente più e non smette di fissare Dylan, quasi senza sbattere le palpebre. È come incantata o ipnotizzata, sono certo che lui deve avere qualche effetto su di lei e resto in silenzio, ad osservare la scena per un po', ma poi voglio forzare un po' di più la mano.

«Vado a prendere qualcosa da bere». Chloe non mi degna di uno sguardo. Mi alzo e vado verso il bancone del bar per lasciarli soli. Forse, senza la mia presenza, uno dei due si deciderà ad agire. «Una birra!» chiedo al barista per poi tornare con lo sguardo su loro due.

La scena è sempre la stessa. Dylan parla e lei ascolta, le poche volte che risponde sono quasi dei monosillabi. È sempre rigida nella sua posizione, non si è praticamente mai mossa da quando si è seduta. Non ho ancora capito se lui la metta a disagio o se c'è qualcosa che io non riesco a cogliere, fatto sta che d'un tratto la vedo alzarsi e dire qualcosa al mio amico, lui annuisce abbassando poi lo sguardo sul cellulare mentre lei si allontana.

Seguo Chloe con lo sguardo e la vedo dirigersi all'esterno del locale. Aspetto un minuto, forse due, ma lei non rientra. Prendo la mia bottiglietta e mi avvicino a Dylan per capire cosa sia successo.

«Dov'è andata?» Lui alza la testa di scatto, credo di averlo colto di sorpresa.

«In bagno». Mi guarda come se gli avessi chiesto una cosa decisamente ovvia.

«Da quando hanno messo il bagno fuori?» E adesso mi guarda come se mi fosse spuntato un terzo occhio proprio in mezzo alla faccia.

«Fuori?»

«Sì, è uscita, l'ho vista io». Senza aggiungere altro, mi dirigo verso la porta che dà sull'esterno e il mio amico si alza seguendomi.

Una volta fuori ci guardiamo intorno, ma non riesco a vederla da nessuna parte, poi vedo accendersi i fari di una macchina, la sua macchina, e lentamente parte, immettendosi in strada. Chloe se ne sta andando senza dire niente a nessuno e non riesco ad ignorare il prurito che mi è appena venuto alle mani.

Boom! Un colpo ben assestato sulla nuca del mio amico che è rimasto in piedi accanto a me.

«Coglione! Cosa diavolo le hai detto per farla scappare?» Lui si massaggia il retro del collo con un'espressione dolorante.

«Ma cosa vuoi che le abbia detto? Le ho chiesto un po' di lei, poi le ho domandato se fosse fidanzata e lei non ha risposto, ma si è alzata per andare in bagno».

«Non ti ho insegnato proprio niente in questi anni? Non chiedere mai di un fidanzato o di un ex al primo appuntamento».

«E c'era bisogno di schiaffeggiarmi?» Lo guardo e alla fine rido, perché la sua espressione è ridicola. Sembra un bambino. «Perché stai ridendo adesso?»

«Niente... lascia stare». Rientriamo e torniamo a sederci al tavolo.

Finiamo la nostra serata chiacchierando e finendo la nostra birra, ma c'è ancora la stessa domanda che continua a girarmi per la testa.

Perché è scappata senza dire niente?

Ero assolutamente convinto che tra loro sarebbe successo qualcosa stasera, ma non mi aspettavo di certo questa reazione da parte sua. Avevo programmato una serata totalmente diversa e si è rivelata un completo disastro su tutti i fronti.

Quella ragazza mi farà impazzire prima o poi, me lo sento, ma c'è qualcosa in lei, nel suo modo di agire, che attira la mia attenzione più di quanto mi sarei aspettato. La prima sera in cui l'ho incontrata in metro, pensavo solo a divertirmi e non avrei creduto che l'avrei rivista, ma sono felice che mio padre abbia insistito perché partecipassi alla serata di beneficenza altrimenti non avrei potuto vederla con quel vestito addosso.

Sembra sempre infastidita da tutto, ma non è quello che dice ad avermi colpito. È il modo in cui lo dice, come se cercasse continuamente di difendersi prima ancora di venire attaccata ed è un atteggiamento che riconosco al volo, perché mi comporto allo stesso modo.

Alla fine, io e Dylan ci salutiamo. Risalgo in moto e ripenso ad un paio d'ore fa e alla paura che le ho letto negli occhi, poi mi infilo il casco con l'intenzione di tornare a casa, ma, per qualche strano motivo, mi ritrovo sotto l'appartamento di Chloe. Mi fermo, spengo il motore e prendo il cellulare.

Ehi... tutto ok?

Le ho lasciato del tempo di proposito, volevo che si tranquillizzasse, ma ora ho bisogno di sapere se sta bene.

Aspetto un paio di minuti e della sua risposta non c'è traccia. Spero davvero che stia bene e che non le sia successo niente.

Chloe rispondi

Fisso il cellulare come un idiota e quel cursore che continua a lampeggiare sul display mi sta facendo innervosire. Perché non risponde?

E se provassi con gentilezza?

Per favore

Non è da me usare queste maniere, ma ho veramente bisogno di sapere che sta bene. Lascerò passare un minuto, poi me ne andrò e al diavolo anche lei.

Due minuti, magari non si è accorta del messaggio.

Tre minuti, forse...

Sto bene Harry

Scusa se sono andata via così,  

non mi sono sentita bene

Un sorriso spontaneo nasce sulle mie labbra non appena arriva il suo messaggio, e dopo aver letto le sue parole, sento la necessità di far tornare miss acidità.

Wow! Mi hai chiesto scusa 

Devo pensare che sai anche essere gentile?

Certo che so essere gentile 

Non so se potrei dire lo stesso di te

Ora la riconosco e, sentendomi più tranquillo, decido che posso tornare a casa.

Bentornata miss acidità 

Ci vediamo domani Buonanotte Chloe

Harry?

Resto sorpreso dal suo messaggio, perché quando ho visto che stava scrivendo ho pensato che mi stesse dando a sua volta la buonanotte.

Dimmi

Posso chiederti un favore?

In un attimo ha catturato tutta la mia attenzione.

Solo se non comprende  

prestarti dei soldi

Voglio provocarla di nuovo, alla fine mi piacciono questi battibecchi con lei.

Puoi avvisarmi quando  

sei arrivato a casa?

Aggrotto le sopracciglia alla sua strana richiesta. Perché mai dovrebbe importarle se io sono a casa o no? Questa paura della moto deve essere davvero grave per farla preoccupare per me.

D'accordo

Grazie, Harry

Metto di nuovo in tasca il cellulare, poi metto in moto e, dopo aver infilato il casco, riparto velocemente. Il traffico è praticamente inesistente e sono a casa in poco più di dieci minuti.

Casa di mio padre, ovviamente. Da me non c'è il garage, non saprei dove parcheggiare la moto e, cosa ancora più importante, il frigo è vuoto. Devo decidermi ad andare a fare un po' di spesa.

Sistemo la moto sul cavalletto, sistemo i caschi, poi mi dirigo in casa, che a quest'ora è silenziosa. Accendo la luce della cucina e prendo una bottiglietta d'acqua dal frigo, poi, mentre vado in camera mia, prendo il telefono dalla tasca e apro la conversazione con Chloe e noto che è già online.

Sono a casa 

Vai a dormire adesso

La sua risposta è pressoché immediata.

Grazie, Harry

Buonanotte

Blocco il cellulare e lo metto a caricare.

Poi mi metto a letto e mi stupisco del fatto che riesco a pensare unicamente a lei. 
 

§§§§§§§§§§§§§§§§§

 

SPAZIO ME

Dunque, dunque...

La serata è stata decisamente movimentata: Harry è spiazzato dal comportamento di Chloe e, forse, anche un po' preoccupato. Ha organizzato questa serata, ma non ha ottenuto le risposte che sperava di ottenere.

Nel prossimo capitolo scopriremo qualcos'altro sul passato di Chloe e vedremo come andrà l'incontro con il cliente spagnolo.

Chloe, Harry, Dylan, tutti e tre nella stessa stanza e...

Eeeee niente, buona lettura

 

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Capitolo 9
*** Adesso vai a dormire ***


Tiro un lungo sospiro di sollievo quando leggo il messaggio che mi ha mandato Harry dicendomi che è arrivato. Per un attimo ho rivissuto quella spaventosa serata e sono felice di sapere che adesso è a casa sano e salvo.

Rebekah si è stupita che io sia tornata presto, ma le ho detto che non mi sentivo bene e ha fatto finta di crederci, lasciandomi andare in camera mia senza farmi ulteriori domande. Mi sdraio sul letto rilassando ogni singolo muscolo, sono stata tesa per ore e mi sento stanca come se avessi corso una maratona.

Ho bisogno di rilassarmi e di qualcosa che mi distragga dai brutti pensieri che mi hanno torturato per tutta la sera. Metto le cuffie e faccio partire la riproduzione casuale.

I don't remember one moment  
I tried to forget 
I lost myself yet I'm better not sad  
Now I'm closer to the edge

Sedermi a quel tavolo e trovarmi Dylan numero due di fronte, dopo aver visto Harry su quella moto, è stato devastante per me. Avevo la gola secca, non riuscivo a parlare né ad esprimere frasi di senso compiuto. Il mio cervello è andato in black-out.

It was a thousand to one and a million to two  
Time to go down in flames and I'm taking you  
Closer to the edge

Chiudo gli occhi e mi tiro su le coperte. Subito mi torna in mente l'immagine di Harry che torna indietro dopo essersi accorto che non ero accanto a lui per poi sorridermi e prendermi per mano. Le sue fossette e il contatto con la sua mano, hanno fatto sì che mi sentissi più tranquilla, ma appena si è alzato dal tavolo lasciandomi da sola con Dylan numero due avrei voluto sparire dalla faccia della terra. In quel momento ero tormentata da così tante orribili sensazioni che adesso faccio fatica ad allontanarle.

No I'm not saying I'm sorry  
One day, maybe we'll meet again  
No I'm not saying I'm sorry  
One day, maybe we'll meet again  
No, no, no, no

Adoro questa canzone e cerco di concentrarmi unicamente sulla musica, per togliermi di dosso la paura che ho provato vedendo quella moto.

Ad un tratto mi rendo conto che devo essermi addormentata perché sto ascoltando un'altra canzone.

Run away with my heart, 
Run away with my hope, 
Run away with my love. 
I know now, just quite how, 
My life and love might still go on. 
In your heart, in your mind. 
I'll stay with you for all of time.

L'ultima strofa della canzone non riesco più a sentirla perché sono troppo concentrata a guardare lui che canta per me, che mi sta dedicando queste parole meravigliose. Mi sta abbracciando adesso, la canzone è finita, e torno lentamente a sentire i rumori che ci sono intorno a noi, come gli applausi che provengono da tutte le persone presenti stasera.

«Buon compleanno». Mi sussurra nell'orecchio mentre sono ancora tra le sue braccia. Vorrei fermare quest'attimo per sempre.

Abbraccio anche i miei amici quando torno al tavolo. Loro sapevano quello che sarebbe successo stasera, e vederli commossi tanto quanto me, mi fa sentire al settimo cielo. Non potrebbe essere tutto più perfetto di così.

«Ho ancora una sorpresa per te». Le parole di Dylan mi colgono alla sprovvista, non so cos'altro potrebbe fare ancora stasera.

Dopo aver salutato tutti i nostri amici, usciamo dal locale, poi salgo con lui sulla sua moto, allacciandomi bene il casco che tiene sempre per me. Riconosco la strada che sta percorrendo, mi sta portando a casa mia, e non so davvero immaginare cosa abbia in mente o cosa abbia organizzato. Arriviamo in pochi minuti. Ferma la moto nel vialetto, togliamo i caschi portandoli con noi dentro casa. Salutiamo i miei genitori, che sono seduti sul divano a guardare un film, e ci rechiamo poi al piano di sopra nella mia stanza.

«Cosa siamo venuti a fare qui?» Lo guardo sorridere mentre cammina all'indietro tenendo le mie mani nelle sue.

«Ora lo vedrai». Si volta senza lasciare la mia mano, si avvicina alla finestra e noto che è solo accostata, poi la apre e resto a bocca aperta quando lo vedo scavalcare ed uscire sul tetto. Si volta e mi porge la sua mano invitandomi a seguirlo. «Vieni, ma attenta al filo.» Mi fido di lui, afferro di nuovo la sua mano e mi aiuta a scavalcare facendo attenzione a non tirare il filo che vedo sotto ai miei piedi.

La scena che mi si presenta davanti mi lascia senza parole. Il filo elettrico di prima non è un semplice filo. Vi sono attaccate decine di lucine luminose disposte a cerchio. Mi fa cenno di sedermi, lui si accomoda al mio fianco, poi prende quel filo luminoso, e avvolge entrambi.

«Ti regalerei il cielo intero se potessi, con tutte le stelle. Tu sei come queste luci, illumini la mia vita». Le emozioni questa sera non finiscono mai, sono completamente travolta dalle sue parole, dai suoi occhi e da ogni suo gesto. Come quello che sta compiendo adesso, infilando una mano in tasca ed estraendo una piccola scatoletta di velluto blu. «Il mio cuore è tuo Chloe, appartiene solo a te». Prendo la piccola scatolina dalle sue mani senza dire niente. Non riesco a parlare.

All'interno c'è una catenina con un ciondolo che rappresenta un cigno fatto con gli origami. «Sei forte e coraggiosa, molto più di quanto tu creda, ed io sarò sempre con te. Sempre.» Prende la catenina dalla scatoletta e mi aiuta ad agganciarla. Lo guardo per un attimo, poi lo bacio con forza prendendo il suo viso tra le mani, trattenendolo il più possibile, come se potessi non lasciarlo andare mai.

Resto fra le sue braccia, respiro il suo profumo, ascolto il battito del suo cuore e credo di non essere mai stata così felice come questa sera. Mi ha regalato il compleanno più bello di tutta la mia vita e doverlo salutare mi risulta molto difficile.

«Perché non resti qui?» Separarmi da lui mi sta costando tanta fatica, dopo le ore che abbiamo passato insieme.

«Tuo padre non sarebbe d'accordo...» Lo guardo ancora per tentare di convincerlo, ma lui mi sorride dolcemente. «Sai che non posso, domani mattina mi devo alzare presto e tu hai lezione con i tuoi bambini al corso estivo». So che dobbiamo andare a lavorare, ma stasera proprio non voglio fare a meno di lui. «Ti prometto che recupereremo presto». Mi bacia ancora, mentre io tengo stretta tra le mani la sua maglia per tentare di tenerlo con me.

«Ti amo Dylan e grazie per questa serata». Sorride ancora tenendomi il viso tra le mani.

«Ti amo anch'io Chloe, ti amo da morire e non vorrei andare, ma devo». So che ha ragione, quindi mi decido a lasciarlo andare. Vado con lui fino al vialetto davanti a casa, lo guardo infilarsi il casco e salire sulla moto.

«Scrivimi quando sei a casa». Nonostante io glielo chieda tutte le volte, lui non si infastidisce mai.

«Lo farò, adesso vai a dormire amore mio». Un ultimo piccolo bacio, poi mette in moto e lo guardo partire mentre il rombo del motore si fa sempre più lontano.

All'improvviso mi manca il respiro, mi sento quasi mancare. Mi rendo conto di avere gli occhi chiusi e quando riesco ad aprirli, per un attimo, fatico a capire dove mi trovo, ma poi mi accorgo che sono seduta nel mio letto, a casa di mia sorella, col fiato corto e completamente sudata.

Lentamente riprendo a respirare, mi passo le mani sul viso e scosto i capelli rimasti attaccati alle tempie. Il cuore sembra mi stia per uscire dal petto.

Ho avuto di nuovo quell'incubo.

Mi allungo per prendere il cellulare con mano tremante e controllo l'orario.

3:52 a.m.

E, non so per quale irrazionale motivo, sblocco il telefono, cerco il suo numero e faccio partire la chiamata.

Attenzione, informazione gratuita, il numero da lei selezionato è inesistente.

Io lo so questo, lo so che il suo numero non esiste, ma per me esiste ancora, lui esiste ancora e ogni volta che sento questo messaggio posso solo stringere con forza il ciondolo appeso al collo e rannicchiarmi su me stessa, per tentare di trattenere le lacrime.

Alla fine ci riesco, non piango, ma non riesco più a dormire. Decido di scendere al piano di sotto per farmi qualcosa di caldo, cercando di fare più silenziosamente possibile. Prendo il bollitore, lo metto sul fuoco e, subito dopo, sento dei passi giù per le scale.

«Ti ho svegliata?» Le chiedo quando la vedo avvicinarsi.

«Hai avuto un altro incubo?», mi chiede lei, senza rispondere alla mia domanda.

«Sì». È perfettamente inutile che lo neghi.

«È successo qualcosa ieri sera?» Mia sorella, infagottata nel suo pigiama di flanella rosa, sembra una bambina troppo cresciuta.

«Già... il tuo capo è venuto a prendermi in moto...» L'espressione di Rebekah si fa molto più attenta a queste parole. «Non ci sono salita, sono andata con la macchina, ma guardarlo da lontano su quel dannato affare, mi ha messo troppa agitazione addosso... per di più, al locale ci aspettava Dylan numero due...»

«Mi dispiace così tanto Chloe». Si avvicina ancora e sta per abbracciarmi, ma voglio finire il mio racconto prima.

«Poi ho chiesto a Harry di avvisarmi quando sarebbe arrivato a casa, ero in preda al panico e... lui l'ha fatto, mi ha mandato quel messaggio e sai cosa mi ha scritto?» Mia sorella scuote la testa senza proferire parola. «"Adesso vai a dormire"». A quel punto lei mi abbraccia tenendomi stretta perché sa esattamente cosa vogliono dire per me quelle parole.

Sono le ultime che il  mio Dylan mi ha rivolto prima di andarsene per sempre dalla mia vita, e lo sguardo che mi ha rivolto in quel momento è ancora perfettamente impresso nella mia memoria.

Il bollitore fischia e mia sorella si stacca lentamente dal nostro abbraccio per spegnere il fuoco.

«Mi dispiace averti svegliata», le dico. Lei mi rivolge un sorriso dolce mentre prende due tazze dal pensile sopra ai fornelli.

«Non dirlo neanche per scherzo, non m'importa di essere sveglia nel cuore della notte se posso finalmente darti una mano. Non ho potuto farlo tre mesi fa, ma ora sì, quindi lasciami fare la sorella maggiore... lascia che mi prenda cura di te». Mi sento ancora in colpa nei suoi confronti, per averla esclusa dalla mia vita e averla trattata come se fosse un'estranea, spero solo di riuscire a farmi perdonare.

***

La traduzione è completa, mi resta solo da ricontrollare e domani potrò consegnare il mio lavoro. Sono soddisfatta di quello che ho fatto, spero di soddisfare anche le aspettative di Harvey che, dal nostro primo colloquio, mi è sembrato piuttosto esigente.

Non ha ancora smesso di piovere. Ha cominciato stamattina, poco dopo aver salutato Reb che doveva andare al lavoro. Sono le quattro del pomeriggio e le gocce d'acqua, che ancora scivolano veloci sui vetri della finestra sul tetto in camera mia, mi danno poche speranze che smetta a breve. Tra poco dovrò uscire per recarmi negli uffici della HS Financial Services per l'incontro con il signor Hernandez e sono sicura che arriverò completamente zuppa.

Non ho più sentito Harry dopo ieri sera e non ho avuto il coraggio di chiamare Dylan per scusarmi con lui. Avrà pensato che ho qualche rotella fuori posto, ma davvero non potevo più stargli vicino.

Ieri sera c'è stata un'enorme quantità di coincidenze a me sfavorevoli e sono andata in tilt, ma oggi sarà diverso. So che probabilmente dovrò rivederlo e sicuramente vedrò Harry, ma adesso ne sono consapevole e mi sto preparando psicologicamente ad affrontare questo pomeriggio.

Dylan Evans è solo un ragazzo che lavora con Rebekah, un normale ragazzo con cui posso avere un normale rapporto di amicizia o, meglio ancora, un normale rapporto di lavoro, dato che mi sto recando nei loro uffici per questo, mentre Harry Stevens è un viziato figlio di papà, che crede di poter fare quello che gli pare, quando gli pare, ma non con me. Mi ha trovata in una situazione non facile, ero totalmente impreparata, ma oggi non sarò così docile come ieri sera.

Tornerò ad indossare la mia corazza e i miei falsi sorrisi di circostanza: io basto a me stessa, e al momento non ho bisogno di nessuna complicazione. Sto già facendo fatica a riprendermi da tutto quello che è successo, non voglio che qualcun altro finisca nel casino della mia vita. Soprattutto non Dylan numero due, perché nessuno potrà mai sostituire il mio Dylan.

***

Odio l'autunno, le foglie che cadono e le giornate che si accorciano. Odio la pioggia, il cielo grigio e odio il brutto tempo. Questa stagione mi rende più nervosa del solito e, per rilassarmi qualche minuto prima dell'incontro, ho pensato di anticipare il mio arrivo al grattacielo Stevens per prendere un caffè con mia sorella.

«Mi aspetta il Signor Stevens», dico all'oca bionda, seduta alla reception, che mi guarda con aria davvero scocciata.

«Il suo nome prego?», mi chiede prendendo in mano il telefono. Poi controlla attentamente qualcosa sullo schermo del suo computer.

«Chloe Stewart», rispondo.

«Signor Stevens? C'è qui la signorina Chloe Stewart, posso farla salire?» Che tono gentile e disponibile usa con il suo capo, invece quando parla con me sembra che l'abbia morsa una tarantola. Sorride come se lui potesse vederla e a me verrebbe voglia di romperle quella cornetta sul naso. «D'accordo». Chiude la comunicazione, poi mi porge un cartellino con la scritta visitatore da appendere al collo. «Il signor Stevens la sta aspettando».

«Grazie». Infilo il cartellino in tasca e mi dirigo verso l'ascensore.

Una volta dentro premo il pulsante con scritto 24 e mi metto in un angolino. Sono circondata da uomini in giacca e cravatta e donne in tailleur, o comunque vestite eleganti. Mi osservo un attimo sulla superficie riflettente alla mia sinistra e sono sicura di essere un disastro.

Indosso i miei jeans e il mio giubbotto di pelle nero, non sono completamente bagnata come mi sarei aspettata, ma non sono neanche perfettamente asciutta e i miei capelli sono decisamente in disordine.

Ding!

Arrivo al piano ed esco dall'ascensore, cercando di sistemarmi i capelli con le mani, e mi avvio dritta alla scrivania di mia sorella senza guardarmi in giro. Quando arrivo alla sua postazione lei non c'è, quindi mi siedo poco più in là e decido di aspettarla.

Credo siano passati un paio di minuti, quando una voce maschile attira la mia attenzione.

«Ciao Chloe...» Il suo tono è cauto, come se avesse timore di dire qualcosa di sbagliato.

«Ciao Dylan». Sembra imbarazzato, io di sicuro lo sono perché pensavo sarebbe stato più facile affrontarlo, ma quando lo vedo, ogni cosa va fuori posto nella mia testa. «Scusa per ieri sera, non avrei dovuto...»

«Non fa niente, probabilmente è colpa mia...»

«No!» Lo interrompo subito perché la colpa non è assolutamente sua. «Non è colpa tua. Il fatto è che sto uscendo da un periodo difficile e ieri sera ero particolarmente fuori fase». Gli sorrido; mi viene spontaneo farlo, perché quando lo guardo il mio cuore vede lui.

«Ok... facciamo finta che non sia successo niente, ok?» Sorride, e adesso il mio cuore si distrugge e si ricompone contemporaneamente. «Sei qui per l'incontro con il signor Hernandez giusto?»

«Sì, solo che sono in anticipo e volevo prendere un caffè con mia sorella». Sono ancora seduta e non faccio altro che fissarlo. Oggi indossa un completo scuro con una camicia bianca senza cravatta.

«Rebekah è di là in ufficio con Harry... ti posso offrire io un caffè?» Il mio cervello sta urlando a gran voce NO! Ma mi sento ancora in colpa nei suoi confronti per ieri sera per rispondergli in quel modo.

«Ok...» Mi alzo e lo seguo fino alle macchinette, dove lui infila le monete e preme il pulsante per il caffè.

«Amaro giusto?» mi chiede, quando mi porge la bevanda che ha appena preso per me.

«Giusto». Sorrido al pensiero che lui se lo ricordi.

Prende poi il suo e mi chiede di seguirlo fino al suo ufficio. Non faccio alcuna obiezione, mi sento davvero in obbligo con lui, e poi sono in largo anticipo per l'appuntamento, posso perdere qualche minuto.

«Allora... hai trovato lavoro?» mi chiede, sedendosi sulla sedia alla sua scrivania.

«Sì, ho appena finito di tradurre un libro per bambini, se va bene me ne daranno altri». Mi siedo anch'io cercando di sembrare rilassata e per niente agitata dalla sua presenza.

Chiacchieriamo tranquillamente, soprattutto di lavoro, mi racconta della sua giornata tipo, dei clienti che incontra e del tipo di consulenze finanziarie che offre. Lo ascolto con attenzione, perché trasmette passione quando racconta quello che fa e mi sembra anche piuttosto libero di gestirsi come vuole.

«Sì, beh... in realtà Harry, più che un capo, è un amico, un po' rompicoglioni, ma pur sempre un amico». Rido alle sue parole. Non so come sia successo, ma alla fine siamo arrivati a parlare di Harry.

«Ed è per questo che ti puoi permettere di stare senza cravatta?» Ho visto che praticamente tutti indossano una cravatta qui, ma non lui. Forse può fare davvero quello che vuole data la sua amicizia con il figlio del capo.

«In realtà non ce l'ho perché ho dovuto darla a Harry». Lo guardo con aria interrogativa, e lui mi spiega meglio. «Lui non la mette praticamente mai, ma, quando gli serve, sa dove andare a reperirne una». Rido alle sue parole e inizio a sentirmi meno a disagio qui con lui.

«Quindi, se non ho capito male, il tuo capo si approfitta di te?» Per quel poco che conosco Harry, direi che è un atteggiamento che gli si adatta.

«Non proprio... anche se gli ho parato il culo più di una volta, ma non direi che si approfitta di me. Harry è un amico, con un caratteraccio, ma lui non è quello che dà a vedere...» Lo ascolto con attenzione, stranamente interessata dalle sue parole. «Anche se, in questo caso, è esattamente come dà a vedere...» Controlla l'orario sull'orologio che ha al polso, poi torna a guardarmi. «Possibile che sia sempre in ritardo?» Rido ancora mentre lo ascolto, non riesco a fare altro; non so se sia perché mi sta raccontando aneddoti su Harry, tipo che una volta ha sbagliato l'orario di una riunione ed è arrivato mentre i presenti lasciavano la stanza, o perché mentre lo guardo parlare, in lui continuo a vedere il mio Dylan.

Inizio a credere che, forse, è proprio lui che mi ha fatto incontrare Dylan numero due, e forse, se continuo a parlare con questo ragazzo, e a frequentarlo, posso tenere sempre vivo e presente il suo ricordo... posso tenerlo ancora con me anche se non c'è più...

«Chloe?» Dylan mi sta sventolando una mano davanti al viso.

«Sì... scusa... ero sovrappensiero...» Gli sorrido per tentare di sembrare attenta, ma lui mi guarda con un'espressione strana.

«Inizio a pensare che non gradisci la mia compagnia». Non sembra offeso, ma credo che comunque ne sia infastidito.

«No Dylan, non è questo... ti ho detto che è un periodo difficile per me, ma non è assolutamente colpa tua, e anzi, ti chiedo ancora scusa per ieri sera...» Finisco il mio caffè per evitare di prolungare il mio sproloquio.

«Quindi non prenderai in considerazione l'ipotesi di poter uscire un'altra volta con me?» Nel mio cervello si accendono una decina di lampadine in allarme rosso. Credo proprio che la sua idea sia assolutamente fuori questione.

«Ti ho detto che non è un buon periodo». Gli sorrido dolcemente per cercare di fargli capire che il problema non è lui, ma sono io, anche se non so se mi crederà.

«Messaggio ricevuto Chloe...» Resto in silenzio senza sapere cosa dire. Parlare, o semplicemente stare con lui nella stessa stanza, non è facile e non posso neanche spiegargli il perché. Non me la sento di dirglielo. Poi lo vedo alzare il telefono e comporre un numero. «Harry, io e Chloe ti stiamo aspettando». Mi guarda dritto negli occhi mentre tiene in mano la cornetta, poi alza gli occhi al cielo. Deve avergli detto qualcosa che l'ha infastidito. «Ok, veniamo da te». Poi riaggancia. «Dice che dobbiamo andare da lui». Prende dei fascicoli dalla scrivania e mi fa cenno di seguirlo.

«Si è lamentato di qualcosa?» Usciamo nel corridoio e andiamo verso il suo ufficio.

«Harry ha sempre qualcosa per cui lamentarsi». Sorrido per l'ennesima volta, oggi, per le sue parole, e cammino svelta al fianco di Dylan per raggiungere l'ufficio in fondo al corridoio.

«Vi siete fatti un bel sonnellino?» La voce di Harry ha decisamente un tono beffardo.

«Piantala Harry, ecco qua». Dylan appoggia sulla scrivania i fascicoli, ignorando quasi la battuta del suo capo, e insieme iniziano a controllare il contratto.

Nel frattempo saluto mia sorella che vedo seduta al grosso tavolo situato alla mia sinistra.

L'ufficio di Harry è davvero grande: le due pareti, una di fronte e una a sinistra, sono fatte di vetro e mi piace da morire la vista che c'è da quassù. Non so fino a dove arrivi lo sguardo in una giornata di sole, ma di certo ci dev'essere un panorama spettacolare.

C'è la sua scrivania, in assoluto e completo disordine, ma mi sembra non ci sia nemmeno una cornice per le foto, un paio di armadi contro la parete opposta e il tavolo dove credo ci siederemo per l'incontro con il signor Hernandez.

«Ok, qui è tutto pronto. Rebekah puoi andare. Ti chiamo io se ho bisogno». Harry dà disposizioni senza aver nemmeno salutato. Neanche io l'ho fatto e non ho intenzione di farlo data la sua accoglienza.

Saluto mia sorella, poi mi avvicino di più ai due ragazzi ancora intenti a guardare quei fogli che hanno davanti, ma nessuno dei due mi degna di uno sguardo, decido quindi di andare ad ammirare il panorama recandomi proprio di fronte alla grande vetrata.

Mi piace guardare il mondo dall'alto, mi ricorda di quanto tutto sia piccolo e insignificante visto da quassù. Non soffro di vertigini e non ho paura dell'altezza, anzi vorrei poter stare sul tetto di questo grattacielo per potermi sentire più vicina a lui.

«Di solito le persone hanno paura ad avvicinarsi alla vetrata». Harry è al mio fianco, sento la sua voce vicina, ma non mi volto a guardarlo.

«Di solito le persone salutano quando incontrano altre persone, e non gli fanno la predica senza motivo». Non rispondo alle sue parole, ma ho voglia di fargli notare quanto sia stato sgarbato nei confronti miei e di Dylan.

«E di solito le persone, che vengono annunciate dalle segretarie, si presentano negli uffici dove sono attese». Adesso è chiaro il punto: si è infastidito perché non sono corsa da lui.

Mi volto lentamente nella sua direzione: i suoi occhi verdi sono luminosi e penetranti, come se stesse cercando di leggermi dentro e, per un attimo, il suo sguardo fa vacillare ogni parte di me.

«Sono qui adesso, come vedi, e comunque in anticipo, quindi, Harry, qual è il tuo problema?» Con la coda dell'occhio vedo Dylan che osserva in silenzio il nostro battibecco.

«Non l'hai lasciata a casa miss acidità eh?» Il suo sorriso sghembo mi fa innervosire come nessun altro.

«Miss acidità sta bene dove sta...»

«Ragazzi... sta arrivando il signor Hernandez». Ci voltiamo entrambi verso Dylan e poi verso la figura in fondo al corridoio che avanza verso di noi.

«Eres absolutamente insoportable, como un guijarro en el zapato!» Forse perché so che tra poco dovrò parlare spagnolo, ma mi esce a bassa voce un commento riguardante Harry, che lui coglie perfettamente.

«Non so cosa tu abbia detto, ma sono sicuro fosse rivolto a me, e sono più che sicuro che non fosse un complimento». Alzo gli occhi su di lui, che continua a mantenere quell'espressione sarcastica, come se niente lo toccasse davvero.

«Hola a todos!» Il signor Hernandez entra nell'ufficio di Harry, vestito del suo elegante completo blu.

«Buenos dias señor Hernandez, y bienvenido a HS Financial Services. ¿Qué tal el viaje?» Allungo una mano nella sua direzione e lui si affretta a stringerla.

«El vuelo fue un poco difícil, pero estoy feliz de estar aqui y conocerte Miss...?» Sta facendo il cascamorto con me, ma non importa, sono qui solo per tradurre quindi gli sorriderò e farò finta di niente.

«Mi nombre es Chloe Stewart, este es el señor Stevens...», dico, indicando Harry che si avvicina per stringergli la mano, «y el Señor Evans». Indico Dylan e anche lui stringe la mano al suo cliente. «Y yo sólo estoy aquí para traducir». Mi sorride amichevolmente e prendiamo posto al tavolo dove ci aspettano i documenti di cui dovranno discutere. Spero solo di essere all'altezza della situazione e di non far fare brutta figura a mia sorella.

***

L'incontro è andato decisamente bene, lo dimostrano le vigorose strette di mano e i sorrisi che si sono scambiati gli uomini presenti in questo ufficio. Credo di aver fatto un buon lavoro oggi pomeriggio, o almeno Harry non ha avuto niente da ridire mentre mi allontanavo con Dylan. Lui doveva tornare nel suo ufficio, mentre io volevo passare da mia sorella, credo sia quasi ora, per lei, di tornare a casa, e voglio aspettarla.

«Com'è andata?» mi chiede lei appena ci vede arrivare.

«Benissimo! Tua sorella è incredibilmente brava». È Dylan a rispondere, poi mi sorride e noto uno sguardo indagatore sul viso di Rebekah.

«Grazie», gli dico.

«È la verità. Vado a sistemare questi fascicoli, ci vediamo». Ci saluta e si allontana recandosi nel suo ufficio.

Dylan numero due è un ragazzo estremamente dolce e gentile, non come...

«Rebekah! Avrei bisogno di queste fotocopie... adesso». Eccolo... dicevo, non come quel presuntuoso di Harry.

«Vado subito». Mia sorella prende i fogli dalle sue mani e si dirige verso quella che credo sia la stanza dove ci sono le fotocopiatrici.

«Sei molto brava Chloe». Improvvisamente usa un tono diverso, anche il suo sguardo è diverso, e posso rispondergli solo allo stesso modo.

«Grazie Harry». In un attimo l'atmosfera è cambiata e non so se mi sento più a disagio, o più attratta da tutto questo.

«Senti... stasera usciamo, ci saranno anche Larry e Zach che hai conosciuto. Ti andrebbe di unirti a noi?» Non so a chi si riferisca con  "usciamo", ma ho la netta sensazione che stia parlando di lui e Dylan. «È solo una birra, niente di che...» Credo si sia accorto della mia indecisione perché non ho ancora risposto, ma lui continua ad insistere «Allora?» 

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Capitolo 10
*** Patetico e vigliacco ***


Harry

Non mi sono ancora abituato a questa casa e, nonostante viva qui da quasi un anno, non riesco a sentirla mia. Forse è perché la trovo così fredda rispetto a casa di mio padre, forse perché non c'è Brenda al mio ritorno, e non perché lei mi fa trovare i vestiti puliti o la cena pronta.

È lei quella che sento più vicina, più di quanto non senta mio padre. Lei c'era quando ho litigato con Billy Mason in seconda elementare durante la festa dei genitori, c'era quando ho messo l'apparecchio ai denti, c'era anche quando sono caduto per la prima volta dalla bicicletta, o quando ho preso il primo brutto voto a scuola, o quando mi sono preso la prima cotta, insomma... lei c'era, e c'è ancora.

Ma oggi è il suo giorno libero, e non volevo tornare a casa da mio padre rischiando di incontrarlo perché, anche se oggi mi ha chiamato per farmi i complimenti per il contratto con Hernandez, so che troverebbe altre dieci cose che non vanno per una che ho fatto bene, e non mi va proprio di ascoltarlo, non stasera.

Scendi

È il messaggio che è appena arrivato sul mio cellulare. Zach è arrivato e mi affretto a prendere il cappotto prima di scendere, ma rido quando infilo la mano in tasca. Ho ancora la cravatta di Dylan e, se continuo così, il mio povero amico non ne avrà più da mettere, se non gliele restituisco.

Spengo le luci, chiudo la porta e scendo. Zach è seduto al volante della sua Jeep azzurra che riesce a tenere insieme con il nastro isolante.

«Ciao», lo saluto quando salgo.

«Ciao... allora dove andiamo?» A volte penso che Zach non faccia il rincoglionito, ma che lo sia davvero.

«Nello stesso pub dove andiamo da due anni a questa parte». Scuoto la testa rassegnato, perché mi fa sempre la stessa domanda a cui do sempre la stessa risposta, ma lui sembra non preoccuparsene.

«E quand'è che cambiamo pub?»mi chiede, mentre si ferma al semaforo rosso.

«È quello che continuo a chiedermi anch'io». Sono stanco delle solite cose, delle solite facce e delle solite serate. Ho bisogno di cambiare; non so in che modo, ma ho bisogno di qualche novità nella mia vita, perché quella che sto conducendo mi sta annoiando e mi fa sentire vuoto.

«Alla fine la tua amica ci sarà?» mi chiede Zach, continuando a guidare con tutta calma.

«No», rispondo secco, senza aggiungere altro.

Quando le ho chiesto di uscire con noi, ero convinto che mi avrebbe risposto di sì. Non gliel'avrei mai chiesto se non avessi visto quel cambio di espressione nei suoi occhi. Quando le ho detto che è stata brava nel suo lavoro, sono sicuro, assolutamente sicuro, di aver visto un cedimento nel suo sguardo, come sono sicuro di averlo visto mentre era davanti alla vetrata del mio ufficio. Eppure, subito dopo, ha indossato nuovamente la sua corazza, quella che non permette a nessuno di entrare.

«Come mai? Si è resa conto di quanto sei cretino?» Non ho mai capito da dove prenda tutta la calma che lo contraddistingue. È sempre così tranquillo.

«Perché le ho detto che c'eri tu». Non se la prende mai con me e ride alle mie parole.

«Se le avessi detto realmente che c'ero io, sarebbe corsa da me a gambe levate. Ti avrebbe chiesto il mio numero prima di tutto e a quest'ora non sarei con te, ma con lei». Alzo gli occhi al cielo mentre vedo un sorriso sulle sue labbra: mi sta provocando, è ovvio.

«Quindi ti piace?» gli chiedo, guardandolo per osservare la sua reazione alla mia domanda.

«Non quanto piace a te, ma direi che, se tu volessi ricordarle il mio numero di telefono, non mi lamenterei affatto». Gli do uno schiaffo sulla testa e lui, per tutta risposta, ride, perché ha capito che, come sempre, ci ha preso.

Arriviamo al The Black Rose in poco più di dieci minuti, il mio amico riesce anche a trovare un parcheggio vicino all'ingresso principale, e noto il catorcio di Larry parcheggiato poco più in là: devono essere già arrivati tutti.

Una volta dentro notiamo gli altri seduti al solito tavolo in fondo, con i loro boccali di birra già a metà e il braccio di Larry che si agita per farsi notare - come se non sapessimo che sono lì seduti.

La musica che stanno suonando stasera ha un volume più alto del solito, o forse sono io che non sopporto niente, non lo so davvero cosa mi sta succedendo da qualche tempo a questa parte.

«Ciao ragazzi!» Lawson è sempre l'unico che saluta, mentre Larry e Nate non fanno altro che bere e ingozzarsi con ogni sorta di cibo spazzatura, che non manca mai al nostro tavolo.

Non ci vediamo da qualche giorno, siamo stati tutti impegnati in quest'ultima settimana: Lawson ha dovuto sostituire il suo collega al negozio di dischi, Nate ha lavorato più del solito al ristorante dei suoi genitori, Larry ha fatto il turno di notte, io e Dylan abbiamo fatto gli straordinari in ufficio - più Dylan a dire la verità. L'unico che non ha avuto alcun problema questa settimana, è stato Zach, e stasera un po' di svago non ce lo toglie nessuno.

«Ma la ragazza della cioccolata non c'è?» Larry e le sue domande del cazzo.

«Quale ragazza della cioccolata? Chi è?» Non poteva stare zitto, no? E a Nate non è di certo sfuggita quella frase.

«Una che ha conosciuto da poco. L'ha portata da me al supermercato e le ha fatto credere che avrebbe rubato delle tavolette di cioccolata, così... tanto per divertimento». Larry si mette a raccontare a tutti lo scherzo che ho fatto a Chloe quella sera.

Non volevo che gli altri lo sapessero, non adesso almeno. Non mi va di parlare di lei e, anche se l'intenzione era di portarla qui stasera, alla fine sono contento che non abbia accettato il mio invito.

Quando ci ripenso, continuo a domandarmi che diavolo mi è saltato in mente. Perché mai avrebbe dovuto accettare? E perché mai gliel'ho chiesto? Ancora non me lo spiego. Il fatto è che quando me la sono ritrovata davanti e il suo sguardo ha assunto quell'espressione così diversa da quella fredda che le vedo sempre, non sono riuscito a trattenermi.

«Ne ha portata una anche da me, ma lo scherzo non gli è riuscito: magari è la stessa». Le mani mi prudono e ho tutta l'intenzione di soddisfare il mio prurito, quindi un altro scappellotto a Zach non glielo toglie nessuno. «Ahia!» Il mio troppo tranquillo amico sta ancora ridendo, nonostante la sberla sul coppino.

«Capelli castani, occhi scuri, non troppo alta...» Ormai fanno come se io non fossi presente.

«Lei!» Dice ad alta voce Zach e vedo Dylan prestare più attenzione al discorso.

Ormai non ho il minimo dubbio che al mio collega piaccia Chloe. Oggi pomeriggio, quando la receptionist mi aveva chiamato per dirmi che Chloe era arrivata, mi aspettavo di vederla entrare a breve nel mio ufficio, ma il corridoio era sempre deserto; quando, ad un certo punto, ho deciso di andare a controllare io stesso, l'ho vista con lui nel suo ufficio.

Lei rideva.

Lui la faceva ridere.

E ho visto lo sguardo che lei ha nei confronti di Dylan, stavolta l'ho osservata attentamente. Prova di sicuro qualcosa per lui. Non so dire se sia attrazione o simpatia, o quale altra merdata, ma è palese anche ai muri che lui non le sia indifferente.

«Beh, non sembra affatto male la ragazza, come si chiama?» Nate e la sua curiosità. Curiosità che attira anche l'attenzione di Dylan, ormai evidentemente interessato al discorso.

«Ricordo solo il cognome... Stewart...» Devo aver dato quello schiaffo a Zach troppo piano.

«No ma ... fate pure... fate come se io non ci fossi...» Non sono realmente arrabbiato, è solo che non volevo che Dylan ne venisse a conoscenza.

«E dai Harry! Se c'è una ragazza vogliamo saperlo». Nate insiste mentre sento costante lo sguardo del mio amico, e collega, su di me.

«Piantala Nate, se Harry ne vorrà parlare lo farà». Lawson interviene in mia difesa. Non che ne avessi bisogno, ma i ragazzi ascoltano solo quando parla lui.

«Quale ragazza?» Una voce femminile, dal volume troppo alto, attira l'attenzione di tutti i ragazzi seduti al nostro tavolo.

«Ti giuro che non sapevo ci fosse Jessica». Zach sussurra queste parole al mio orecchio.

Gli avevo detto che non volevo vederla, proprio non mi andava perché mi sta troppo addosso. Ecco... troppo e la parola che la caratterizza.

I suoi capelli sono troppo lunghi e troppo rossi. Il suo vestito è troppo corto, con troppa scollatura. È troppo truccata e troppo espansiva. Parla troppo, di cose troppo superficiali e da quando abbiamo scopato, non me la levo più dai piedi. Nemmeno me lo ricordo, ero troppo ubriaco, ma lei non perde occasione per riportare alla memoria quella notte.

«Allora?» Nessuno ha risposto alla sua domanda precedente, e lei si sente comunque in diritto di insistere.

«Io vado a fumare». Zach si alza ed io lo seguo a ruota.

«Vengo con te». Mi alzo facendo strisciare sonoramente la sedia. So che le dà fastidio, e infatti la sento lamentarsi mentre mi allontano con il mio amico fuori dal locale, ma in fondo chi se ne frega.

Una volta fuori Zach si appoggia con le spalle al muro e si accende la sigaretta, mentre io prendo un lungo sorso dalla bottiglietta di birra che ho portato con me.

Non parliamo, non ne ho bisogno con lui, ed è per questo che ultimamente è quello con cui mi trovo meglio. Non ho voglia di fare casino con Larry, non ho voglia di andare a rimorchiare con Nate, né di ascoltare un'altra paternale di Lawson come quella di qualche giorno fa, e nemmeno mi va di stare con Dylan che ha messo gli occhi su Chloe, esattamente come ho fatto io, solo che lui è riuscito ad attirare la sua attenzione, mentre io no.

Non è così che avevo immaginato questa serata. Volevo solo bere qualche birra, sparare qualche cazzata con i miei amici e tornare a casa con la testa più leggera.

Ho bisogno di un appiglio per uscire da questo turbine di noia e monotonia. È troppo tempo che non mi sento appagato e soddisfatto della mia vita, che ormai mi sta stretta, ma dal momento in cui la mia strada ha incrociato quella di Chloe, c'è stata una piccola scossa, una leggerissima crepa si è formata sui muri che ho costruito intorno a me. Non so di cosa si tratti, ma so per certo che voglio scoprirlo.

«Che dici... ce la fai a tornare dentro?» Zach ha spento la sigaretta e mi guarda in attesa di una risposta.

«Ok, ma se quella non mi dà tregua, me ne vado». Torniamo dentro e i ragazzi sono ancora seduti lì a ridere e bere. Di Jessica non c'è traccia. Devo provare a farmi andare bene la serata.

Larry sembra stia raccontando qualcosa di incredibilmente interessante, non smette di parlare e io sforzo un sorriso quanto più vero possibile quando sento gli altri ridere alle sue battute. Nate continua a bere, al contrario di Lawson, che non ha toccato ancora un goccio, e sono sicuro che toccherà a lui riportare a casa Nate, il biondino. Dylan invece è pensieroso, anche se l'ho visto partecipare a tratti alla conversazione. Sono sicuro che avrà delle domande da farmi quando saremo solo io e lui, ma per ora posso sfuggirgli.

Va tutto bene, mi dico: quest'ultima ora mi sono lasciato andare, ho accantonato ogni pensiero negativo e sono riuscito ad azzerare il cervello, che ora sembra completamente deserto. Alla fine le chiacchiere di Larry sono servite a qualcosa, almeno fino a quando Jessica non è tornata al tavolo.

«Ciao...» Sussurra al mio orecchio, ma io faccio finta di non averla sentita. «Harry? Ti va se ce ne andiamo da qui?» La rossa non ha ancora capito.

«Ottima idea...» le sorrido, poi mi alzo guardando Zach, che stavolta capisce al volo. «Ragazzi io vi saluto!» I miei amici si lamentano un po', ma li ignoro platealmente volendo solo andarmene da qui.

La ragazza del troppo saluta tutti e si dirige a recuperare la sua giacca, o almeno credo, ma la fermo prima che possa allontanarsi del tutto. «Tu puoi rimanere, io sto andando via con Zach». Apre la bocca come per dire qualcosa, ma poi la richiude subito. Non le do il tempo di dire niente e raggiungo il mio amico che è già sulla soglia per uscire.

Saliamo in macchina e lui continua a tenere sulle labbra quel sorriso furbo che conosco bene.

«Dove stiamo andando?» Dalla direzione che ha appena preso è ovvio che non mi stia riportando a casa.

«Sei troppo teso Stevens, devi rilassarti». Sorride un po' di più e stavolta contagia anche me.

Sbottono un po' di più la camicia, il mio amico ha l'abitudine di tenere il riscaldamento in macchina ad una temperatura esageratamente alta, e appoggio il gomito alla portiera godendomi il silenzio di questo momento.

Dopo pochi minuti arriviamo al terminal dei traghetti da cui partono molte navi per le escursioni in barca, lui parcheggia poi scende dall'auto e mi invita a fare la stessa cosa. Ma resto sorpreso quando lo vedo salire sul tettuccio della macchina.

«Che cazzo stai facendo?» gli chiedo, guardandolo con aria confusa.

«Sono salito sopra la macchina?» dice con ovvietà. Si siede a gambe incrociate e mi guarda in attesa che salga anche io.

«Ma perché devo...»

«Piantala di fracassare i coglioni Stevens, e sali». Non mi fa concludere la frase e, sbuffando, salgo con lui. Non mi piace che mi si dica quello che devo fare.

Mi arrampico come riesco e mi siedo con lui. Non mi sento per niente al sicuro sul tettuccio di questo affare, mi dà l'impressione che lo sfonderemo da un momento all'altro, mentre il mio amico sembra assolutamente a suo agio.

«Quindi... stare sul tetto della tua auto dovrebbe rilassarmi?» gli chiedo, mentre lo osservo frugare nelle tasche del suo giubbotto.

«Questa dovrebbe rilassarti». Estrae un paio di piccoli cilindri bianchi dalla tasca e me li mostra con orgoglio.

«Una canna?» gli chiedo, mentre non riesco a trattenere un sorriso.

«Certo... una! Non vorrai mica fumartele tutte e due tu?» Lo guardo incerto, ma subito lui riprende a parlare. «Ma se non la vuoi...» Fa per rimetterne in tasca una e stavolta sono io a farmi sentire.

«No, dammi quella cosa». Lui mi sorride soddisfatto, poi prende l'accendino e me ne passa una.

Zach si sdraia all'indietro piegando le ginocchia, restando a guardare il cielo stranamente limpido stasera.

«Mason?» Non abbiamo mai perso l'abitudine di chiamarci per cognome, come quando erano gli insegnanti a scuola a farlo. Da allora abbiamo continuato a farlo e a nessuno di noi ha mai dato fastidio.

«Cazzo Stevens, fuma e stai zitto una buona volta». Mi sdraio anch'io accanto a lui con il mio piccolo cilindretto bianco tra le dita.

L'aria è decisamente fredda, il cielo è limpido, privo di nuvole, e si vede il bagliore acceso della luna. Il rumore dell'acqua che si infrange sulle chiglie delle barche è come una cantilena. Aspiro la prima boccata di fumo, chiudo gli occhi, lasciando andare tutte le sensazioni che provo: improvvisamente è come se quel fumo arrivasse al mio cervello, annebbiando i pensieri.

Aspiro un'altra volta.

Adesso sento come se il fumo riuscisse ad arrivare fino al cuore, annebbiando anche i sentimenti che non vorrei provare, ma che inevitabilmente si annidano in un angolo e che riesco a malapena a reprimere.

Aspiro una terza volta e la voce di Zach rompe il silenzio.

«Ora puoi parlare» mi dice, mentre io torno ad aprire gli occhi per guardare di nuovo il cielo stellato, ma, d'un tratto, non so più cosa dovevo dire e il mio silenzio prolungato fa parlare nuovamente il mio amico. «Raccontami di lei». Zach aveva ragione, mi sento decisamente rilassato e adesso che l'ha tirata in mezzo nel discorso, so cosa devo dire.

«Chloe è una stronza, acida del cazzo. Sembra sempre sul punto di azzannarmi, quando le rivolgo la parola. Eppure quando la vedo parlare con sua sorella sembra così diversa, o anche quando è con Dylan diventa tutta un sorriso». Perché mi dà così fastidio il pensiero di lei con Dylan?

«Sto cominciando a pensare che ti piaccia sul serio». Il suo tono di voce è più che ironico.

«Sai che quando sono andato a prenderla in moto, non è voluta salire con me, ma poi ha voluto a tutti i costi che l'avvisassi una volta a casa e, cazzo Zach, dovresti sentirla quando parla spagnolo...» Le mie labbra si allargano in un gran sorriso mentre torno ad aspirare una boccata di fumo che rilascio lentamente. «Le parole le escono dalla bocca come se fossero una melodia». Dev'essere l'erba che mi fa parlare in questo modo.

La risata del mio amico mi esplode nelle orecchie e, se non la smette di contorcersi in quel modo, presto cadrà dal tettuccio della macchina.

«Si può sapere che ti prende?» gli chiedo, mentre mi metto a sedere con fatica.

«Mio Dio Harry! Quella ragazza ti piace! Ti piace sul serio!» Si sta divertendo un mondo a mie spese e lo guardo mettersi a sedere a gambe incrociate con la mia stessa fatica, mentre mi osserva con attenzione.

«Ma che cazzo, Zach! Piantala di fare il coglione!» Mi infastidisce il fatto che gli basta guardarmi per capirmi.

«Il coglione sei tu... non ti sento parlare così di una ragazza dai tempi di Winter». Mi irrigidisco come un pezzo di ghiaccio al sentire il suo nome.

«Sai che non voglio sentirla nominare». Ho praticamente proibito a tutti quelli che mi conoscono di nominarla in mia presenza.

«Stevens, quante volte devo ripetertelo che non servirà a niente fare finta che non sia mai esistita? Se n'è andata e non ha intenzione di tornare, devi accettarlo, fartene una ragione e andare avanti. Se è andata male con lei, non vuol dire che con ogni ragazza andrà male». Perché il mio amico riesce a ragionare così lucidamente anche dopo aver fumato erba, mentre io mi sento dannatamente confuso? «Non smetterò di parlare di Winter solo perché tu vuoi che lo faccia».

«Perché stiamo parlando di lei adesso?» Mi sto innervosendo.

«Perché è arrivato il momento di farlo. È arrivato il momento di metterci una pietra sopra».

«Hai per caso preso una laurea in psicologia e non me l'hai detto?» Lo guardo con aria minacciosa, ma la flemma del mio amico non viene minimamente scalfita dai miei occhi stretti a due fessure.

«Harry, non andrà sempre così... non tutte le donne se ne vanno...»

«No certo! Solo quelle più importanti della mia vita!» Urlo in preda alla rabbia. Adesso sono veramente incazzato.

«Harry... ascolta... tua madre...»

«Non nominarla! Se Winter posso affrontarla, lei non voglio sentirla nominare mai più. E adesso voglio andare a casa!» Ogni singola fibra del mio corpo è piena di rabbia, che esplode annebbiando la ragione.

«Harry!» Sono ormai sceso dal tettuccio della macchina quando sento Zach che mi richiama.

«Harry un cazzo! Te l'ho già detto: io non ho una madre, non più e con questo l'argomento è chiuso». La camicia è completamente sbottonata, ma in questo momento non sento alcun freddo a causa dell'adrenalina che mi gira in corpo.

Anche Zach scende dal tettuccio e mi si avvicina con cautela. «Ok... ma non voglio che tu ti precluda tutto a causa di Winter o di qualcun altro. Sei diverso quando parli di questa ragazza che hai conosciuto, se n'è accorto anche Larry, quindi lascia perdere quello che ti ho detto stasera e concentrati su te stesso, ok?» Sarà l'effetto della canna che abbiamo appena spento, sarà che Zach ha sempre troppa influenza su di me, ma le sue parole mi calmano e torno a respirare più regolarmente.

«Ok». Mi appoggio alla fiancata della jeep e Zach fa la stessa cosa.

«Comunque piace anche a me», mi dice, con un gran sorriso sulle labbra. So cosa sta facendo e ho deciso che cederò volentieri alla sua provocazione.

«Vaffanculo Mason, c'è già Evans in mezzo alle palle, dovresti vedere come lo guarda lei». Non ho niente di personale contro Dylan, anzi, gli voglio bene, ma stavolta la sua presenza non è gradita.

«Stevens geloso... è un buon segno». Zach continua a prendermi per il culo.

«Non sono geloso...» Il mio amico si volta a guardarmi come se avessi detto la stronzata dell'anno. «E va bene... lo sono... anche se non ne ho alcun diritto, lo sono, contento?» Lo sento ridere compiaciuto dopo avermi sentito ammettere quello che lui aveva già capito da solo.

«Non sono contento, ma sono soddisfatto, e prima ammetterai tutto il resto, prima vivrai meglio ogni cosa che ti capita». So che ha ragione, ma esternare i sentimenti, quello che provo, o quello che mi passa per la testa, non mi viene particolarmente bene.

Ho vissuto troppi abbandoni nella mia vita per lasciarmi andare facilmente. Prima mia madre, poi il nonno, e quando avevo provato di nuovo a fidarmi di qualcuno, l'ho fatto con Winter, ma anche lei mi ha lasciato, proprio quando credevo che sarebbe durata per sempre.

Adesso sono molto più diffidente e, per quanto cerchi di essere forte, di nascondermi dietro ad una facciata di menefreghismo assoluto, so di essere dannatamente fragile perché tutte le persone che ho amato davvero, o per un motivo, o per un altro, mi hanno lasciato. L'unico che mi è rimasto, è mio fratello Jordan, e so che dovrei considerare anche mio padre tra le persone che mi sono rimaste, ma non riesco a farlo, perché tutto il suo mondo gira intorno alla società. Da che mi ricordi io sono sempre stato l'ultimo tra i suoi pensieri.

Mio fratello è sempre stato quello perfetto, io quello ribelle. Jordan era responsabile, io quello scapestrato. Lui avrà tutto, io me lo dovrò guadagnare.

Ma, nonostante questo, io e lui stiamo alla grande.

Jordan ha cinque anni più di me. Mamma se n'è andata quando io ne avevo sei, e la notte, quando mi svegliavo per un brutto sogno, sapevo di non poter andare da mio padre, perché era diventato scontroso, irascibile e non tollerava la nostra presenza. Io mi ero convinto che fosse arrabbiato con me, che mia madre se ne fosse andata per colpa mia, forse perché non mi comportavo abbastanza bene. Nella mente di un bambino passano tante cose, ma Jordan cercava di allontanare i pensieri negativi anche senza doverglieli confessare.

Mi ha cullato la notte durante i temporali, mi ha aiutato a vestirmi per andare a scuola, mi faceva dormire con lui dopo aver avuto un incubo e non mi ha mai fatto sentire un peso.

«Perché non le scrivi tu?» Zach interrompe i miei pensieri con una domanda a dir poco assurda.

«Perché non scrivo a chi?» So perfettamente a chi si sta riferendo, ma gli ho già dato troppe soddisfazioni stasera.

«Non fare lo stronzo, Stevens, sai benissimo di chi sto parlando». Mi dà una piccola spallata ed io barcollo leggermente.

Non voglio farlo, non posso espormi con lei.

«Ah sì... la stronza acida del cazzo...» Non posso sbilanciarmi con nessuno, non posso permettermelo.

«La stessa stronza acida del cazzo che però era preoccupata che tu arrivassi a casa sano e salvo». Alzo gli occhi al cielo alle sue parole.

«Ascoltami bene Zach: per stasera credo che il tuo lavoro da psicologo mancato sia finito. Non le scriverò, non la chiamerò, non voglio più parlare di lei, di Winter o di qualsiasi altra merdata ti venga in mente, adesso andiamo a farci una birra come si deve, poi voglio andare a morire nel mio letto... da solo!»

Alla fine il mio amico si rassegna e, finalmente, mi dà retta.

Il resto della serata trascorre senza problemi, senza pensieri, senza alcun tipo di interferenza, e posso togliermi dalla testa tutte le stronzate di cui, io e il mio amico/psicologo/rompicoglioni personale, abbiamo parlato. La birra fresca mi dà sollievo, scende veloce giù per la mia gola, facendo schiantare in fondo allo stomaco anche il nodo che mi si era formato un paio d'ore fa al pensiero di tutte le persone che mi hanno abbandonato.

Cazzo! Sono patetico.

Patetico e vigliacco.

E quando Zach mi accompagna a casa, quando mi ritrovo un'altra volta da solo, i pensieri di qualche ora fa tornano ad invadere la mia mente. Cerco sempre di tenerli lontani per non dovermi ridurre come stasera, ma il mio amico ha tirato fuori l'argomento che più mi distrugge mentalmente, e non c'è nemmeno Brenda a prepararmi un tè caldo.

«Sei diventato una femminuccia Stevens», dico a me stesso, quando guardo la mia figura riflessa allo specchio.

Quei pensieri non mi danno pace e, senza nemmeno rendermene conto, il cellulare mi finisce tra le mani mentre mi stavo sdraiando sul letto. Una volta sbloccato il display, faccio scorrere la rubrica fino alla lettera S.

Stewart.

Non la chiamerò... è quasi mezzanotte, sono quasi sicuro che stia dormendo, ma il mio dito sembra dotato di vita propria. Apro la chat, scrivo e invio con la certezza che non riceverò risposta.

Ti sei persa una bella serata

Blocco il telefono, lo poso sul comodino poi mi tolgo i jeans e, appena mi siedo di nuovo sul letto, la vibrazione del cellulare attira subito la mia attenzione.

Bella serata...
mi sembra un aggettivo piuttosto mediocre no?

Non perde occasione per punzecchiarmi, ma alla fine è una cosa che mi piace perché mi permette di mantenere sempre viva l'attenzione.

Soprattutto ti sei persa l'ottima compagnia

Non so perché sia ancora sveglia a quest'ora o perché abbia voglia di battibeccare con me, ma non ha realmente importanza.

Parli del tuo complice Larry 
o di antisgamo-Zach?

Mi pare che tu ti sia divertita  
sia quando hai conosciuto Larry
Sia quando hai conosciuto Zach

La immagino sdraiata sul suo letto, quello che ho visto tutto sottosopra, vestita con uno stupido pigiama rosa, e non fatico ad immaginare cosa nasconda al di sotto. Quando l'ho vista alla serata di beneficenza, con addosso quell'abito rosso, è stata una folgorazione. Le idee che mi sono venute sui modi per poterglielo togliere non credo le farebbero piacere.

Non ti basta che l'abbia ammesso già una volta?

No, Chloe, non mi basta

Non so cosa mi stia spingendo a parlarle in questo modo.

Non so cosa mi stia spingendo a parlarle e basta, ma una volta iniziato questo scambio di messaggi, la mia testa è diventata leggera e mi sono sentito bene.

Beh, non me lo sentirai ripetere una seconda volta

Sorrido come un idiota nel leggere la sua risposta.

Mi farò bastare la tua risposta

Buonanotte Chloe

Sei un cretino

Buonanotte Harry

Non so cos'abbia pensato del fatto che le abbia scritto a quest'ora o delle cazzate di cui ho parlato, ma ho sorriso sinceramente e non ho alcun dubbio che anche lei l'abbia fatto.

E stavolta ha sorriso per merito mio. 

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Capitolo 11
*** Ho appuntamento con il signor Stevens ***


So di aver fatto un buon lavoro, eppure sono sempre nervosa quando devo consegnare una traduzione.

Ed è per questo che sono già sveglia un'ora prima che suoni la sveglia. Non riesco più a dormire, nonostante ieri sera sia andata a dormire piuttosto tardi per finire di ricontrollare tutto il file. prima di consegnarlo oggi.

Sblocco il cellulare per l'ennesima volta da quando ho aperto gli occhi, ma stavolta non è per controllare l'orario: apro la conversazione di ieri sera, quella strana chiacchierata avvenuta con Harry più o meno a mezzanotte e, spontaneamente, nasce un sorriso sulle mie labbra quando rileggo le sue parole.

Non so perché abbia pensato a me ieri sera a quell'ora, ma non posso negare, almeno a me stessa, che mi abbia fatto piacere. Mi piace questo continuo scambio di battute con lui, perché non cerca di fare il gentile solo perché sono una ragazza, e le sue piccole provocazioni tengono sempre viva l'attenzione. Le conversazioni con Harry sono sempre brillanti e stimolanti. Non è mai banale e scontato, e mi sorprendo a pensare queste cose di lui, perché non mi capita di pensare qualcosa di positivo su un ragazzo da tanto tempo.

Forse potremmo essere amici, forse potrei trovare qualcuno che non mi tratti come una bambola di vetro, perché so di avere bisogno di una bella scossa alla mia vita per tornare a vivere davvero.

D'un tratto alzo la testa per il rumore che ho sentito fuori dalla mia porta. Blocco lo schermo del cellulare, lo poso sul comodino, poi mi alzo ed infilo il maglione che ho lasciato ieri sera ai piedi del letto, e vado a controllare se sia mia sorella che si è svegliata.

Quando apro la porta sento dei passi giù per le scale e decido di scendere anch'io, ma la persona che trovo in cucina, intenta a prepararsi un caffè, non ha decisamente l'aspetto di mia sorella. È di spalle, indossa una canotta bianca e un paio di jeans. Le braccia sono cosparse qua e là da tatuaggi. I capelli rasati e scuri, e ho la sensazione di averlo già visto.

E mi accorgo di avere ragione quando lui mi sente e si volta per guardarmi e riesco finalmente a vedere il suo viso.

«Ciao Chloe...», mi sorride senza alcun imbarazzo, mentre ha in mano la brocca del caffè, «ti ho svegliata?» Lo guardo con aria confusa stringendomi nel mio maglione a causa del freddo che sento. Come diavolo fa a stare in canottiera?

«No... ero già sveglia». Lui, con una tranquillità disarmante, torna a preparare il caffè come se niente fosse, come se trovarlo in cucina la mattina a fare il caffè, fosse l'abitudine di tutti i giorni. «Zach... che... che ci fai qui?» Sono costretta a chiederglielo dato che lui non si decide a darmi una spiegazione.

«Ti risponderei che sto preparando il caffè, ma sarebbe una risposta troppo banale» Si volta a guardarmi, appoggiandosi ai mobili della cucina, poi incrocia le braccia e riesco a notare ancora una volta l'elevato numero di tatuaggi che ricoprono la sua pelle. «Tua sorella ha avuto un problema con la macchina ieri sera. Erano più o meno le due del mattino e, mentre stava tornando a casa, la sua auto si è spenta. Non ne voleva sapere di ripartire così mi ha chiamato. Poi una cosa tira l'altra ed eccomi qui». Zach continua a sorridere, del tutto tranquillo per questa situazione, mentre io mi sento un po' a disagio.

«E da quand'è che vi frequentate?» Non capisco perché mia sorella non me ne abbia mai parlato. 

«Da ieri sera». Il suo sorriso è ancora più ampio e sinceramente non capisco come possa essere così rilassato in mia presenza. E forse è per la mia espressione confusa che si decide a darmi qualche spiegazione in più. «In realtà non avremmo dovuto incontrarci io e te. Avevo puntato la sveglia in modo da potermene andare prima che mi vedessi, ma, come vedi, non ha funzionato.» 

«Non c'è bisogno che vi nascondiate, non sono mica una bambina». Mi avvicino a lui quando mi accorgo che il caffè è pronto, e in questo momento ne ho decisamente bisogno.

«L'idea non è stata mia, se fosse stato per me avrei dormito ancora. Non sono uno che si fa problemi, io». Sorrido con lui, sentendomi un po' meno a disagio, poi ci sediamo entrambi a tavola, ognuno con la propria tazza di caffè e, adesso che lui è qui davanti a me, mi torna subito in mente il messaggio di Harry di ieri sera.

«Mi ha detto Harry che avete passato una bella serata». Lui mi guarda con le sopracciglia aggrottate, in una chiara espressione di confusione.

«Quando te l'ha detto?» Posa la tazza sul tavolo davanti a sé e mi dedica tutta la sua attenzione.

«Mi ha mandato un messaggio ieri sera, verso mezzanotte».

Zach quasi scoppia a ridere dopo la mia affermazione. «Cazzo... l'ha fatto davvero... non ci posso credere!» Il suo tono è chiaramente divertito.

«A cosa non puoi credere?» gli chiedo, mentre lui non smette di ridere e sorridere, e io mi sto incuriosendo.

«Al fatto che tu sia riuscita a formare una piccola, piccolissima crepa nel muro che Stevens si è costruito finora». Zach sorride soddisfatto, tornando a sorseggiare il caffè ancora caldo, mentre la mia curiosità non fa altro che aumentare.

«Perché dici così?» Ero certa che, dietro alla finta indifferenza, e alla sua sfrontata impertinenza, ci fosse molto di più di quello che vuole mostrare.

«No Chloe, ho già parlato troppo... Se Stevens sapesse che sto parlando di lui con te, mi prenderebbe a calci nel culo fino a Timbuktu». Zach è un amico leale, non mi rivelerà altro su Harry, ma ho ancora altre curiosità da soddisfare.

«Se non vuoi parlare di Harry, perché non mi racconti di com'è andata la serata con Rebekah?» Sta per rispondere quando sentiamo dei passi giù per le scale, segno che mia sorella si è alzata.

«Ehm... ciao Chloe...» L'imbarazzo nella sua voce è più che evidente e Zach sorride ancora di più, contagiando anche me «Sei già sveglia?» Mia sorella è in difficoltà, ma né io, né il mio nuovo tatuato amico, abbiamo intenzione di aiutarla.

«Così sembra...» La osservo, mentre si avvicina a noi facendo andare il suo sguardo da me a Zach.

«Pensavo dormissi a quest'ora...» Le sorrido perché non riesco più a vedere mia sorella maggiore in difficoltà per questa situazione.

«Reb, tranquilla, non mi devi nessuna spiegazione». Finisco il mio caffè, poi mi alzo. Credo di doverli lasciare soli per un po'. «Io vado di sopra». Mi sorridono entrambi. Zach decisamente rilassato, Rebekah quasi rossa in viso, ma ricambio comunque il loro sorriso per poi raggiungere la mia stanza al piano superiore.

Mi siedo sul mio letto a gambe incrociate e accendo la tv per cercare di passare questa mezz'ora prima di prepararmi ad uscire, ma passa poco più di un minuto che sento qualcuno bussare alla mia porta.

«Avanti», dico, posando il telecomando accanto a me. La porta si apre lentamente e vedo spuntare il viso di mia sorella, che mi chiede implicitamente di entrare. «Vieni», le dico, sorridendo.

«Chloe, non avrei voluto che lo scoprissi così...»

«Davvero Reb, non c'è nessun problema, sei libera di frequentare chi vuoi, e poi Zach mi piace». Mia sorella si siede sul bordo del letto. Penso realmente quello che ho appena detto. Per quanto a prima vista possa apparire un ragazzo poco affidabile per via del suo aspetto, Zach mi sembra un tipo a posto.

«Ieri sera la macchina si è fermata e non sapevo chi chiamare. Avevo ancora il suo numero nel portafoglio e, nonostante fosse tardi, ho provato comunque a chiamarlo. Mi ha fatto ripartire la macchina, e poi ho insistito per offrirgli qualcosa da bere per ringraziarlo, dato che non ha voluto nemmeno un dollaro. Alla fine ci siamo baciati e...» lascia la frase in sospeso, non c'è alcun bisogno di aggiungere altro.

«Vi vedrete ancora?» Sto realizzando che mi piacciono molto loro due insieme, e sarei contenta di vederli in una relazione stabile.

«Non lo so Chloe, è solo la seconda volta che lo vedo, per questo mi sono sentita così a disagio nei tuoi confronti. È una cosa che non mi è mai successa, ma con lui è stato diverso», le sorrido comprensiva, per farle capire che non ho nessuna intenzione di giudicarla.

«Dovresti tornare da lui adesso», le dico alla fine, perché credo che abbiano bisogno di parlare un po'.

«D'accordo», sembra indecisa se tornare in cucina, o restare in camera con me, ma alla fine esce dalla mia stanza lasciandomi a guardare la porta che si è chiusa alle sue spalle.

Non avrei mai immaginato questo inizio di giornata, ma devo ammettere che ha comunque avuto qualche risvolto positivo, e la rivelazione della piccola crepa nel muro, che Zach mi ha fatto su Harry, ha acceso in me una certa curiosità, tanto da voler scoprire a cosa si riferisse.

Alcune cose stanno cambiando, molto lentamente, ma qualcosa si è mosso dentro la mia testa. Qualcosa che mi porta a sorridere sinceramente e spontaneamente. E, anche se non accade spesso, quel sorriso, quando arriva, illumina la mia anima spenta.

***

Oggi fa particolarmente freddo e sono contenta che mamma abbia insistito per infilare nella mia valigia il maglione color senape a collo alto. Mi stringo un po' di più nella sciarpa, mentre cammino per arrivare all'ufficio di Harvey dove, finalmente, consegnerò il mio primo lavoro.

Halloween è ormai alle porte. Le decorazioni di zucche, ragnatele e fantasmi, regnano in tutte le strade e in tutte le case, ma quest'anno non lo festeggerò, perché non solo lui non sarà al mio fianco come gli anni scorsi, ma è il giorno del suo compleanno, e il solo pensiero mi riempie di tristezza.

Credo che sia questo il motivo per cui mia sorella non ha tappezzato la casa con zucche o altro, e non posso che apprezzare il suo gesto.

Sono ormai arrivata agli uffici Spaulding, dove mi sta aspettando colui che spero diventi il mio nuovo capo. Prendo una grande boccata d'aria prima di entrare, stringendo forte, tra le mani, il piccolo libro che ho tradotto in questi giorni, ed entro, dirigendomi con andatura sicura verso la segretaria di Harvey.

«Buongiorno, sono Chloe Stewart e devo consegnare questo libro al signor Spaulding.» La donna dai capelli rossi, seduta alla sua scrivania, mi osserva sorridente.

«Harvey è nel suo ufficio, ti sta aspettando». Il suo sorriso è rassicurante. Oltre ad essere obiettivamente una donna molto bella, credo sia anche una bella persona.

«Grazie». Ricambio il suo sorriso, poi mi volto verso destra per andare nell'ufficio che mi ha appena indicato la rossa. Devo ricordarmi di chiederle come si chiama.

Busso alla sua porta e subito sento la sua voce invitarmi ad entrare.

Oggi indossa un completo nero. Dello stesso colore è anche la camicia, ma senza cravatta. È un uomo incredibilmente affascinante e, se avessi vent'anni di più, probabilmente ci farei un pensierino. Il suo sorriso è intrigante, e anche tutto il resto di lui lo è.

«Buongiorno Chloe», mi chiama per nome, osservandomi in ogni movimento.

«Buongiorno, ecco il lavoro concluso». Mi siedo di fronte alla sua scrivania, mettendo il mio operato sul tavolo, di fronte a lui.

Harvey inclina leggermente la testa, mantenendo quel sorriso sulle labbra, prende i fogli che ho stampato contenenti la traduzione e, con aria concentrata, inizia a leggere qua e là pagine a caso, senza cambiare mai espressione.

Non sono mai stata così in ansia come in questo momento per una traduzione, eppure non è la prima che faccio, ma so che ho assoluto bisogno di questo lavoro perché ho la necessità di allontanare i pensieri negativi.

Dopo uno sguardo generale, posa i fogli che aveva in mano, prende una cartellina blu alla sua sinistra, che non avevo notato prima, e la fa scivolare sulla superficie liscia ed ordinata della sua scrivania, avvicinandola a me.

«Che cos'è?» gli chiedo, mentre apro la cartellina e inizio a sfogliare il contenuto.

«Non male come primo giorno». Alzo per un attimo lo sguardo su Harvey e vedo il suo meraviglioso sorriso. Torno subito a guardare i fogli davanti a me e mi rendo conto che non sono altro che il mio contratto di assunzione.

«Grazie, davvero, non la deluderò signor Spaulding».

Non posso descrivere come mi sento in questo momento, ma so che le cose stanno migliorando, e forse riuscirò a mantenere la promessa che ho fatto a Kurt e Hazel. Ce la sto mettendo tutta, sto provando in ogni modo a farlo, perché non voglio che mi guardino con pietà mai più, perché voglio tornare a ridere con loro e voglio che possano ancora contare su di me, così come io so di poter fare con loro. Stasera devo assolutamente chiamarli.

«Ne sono certo. E... un'altra cosa Chloe...» Lascia la frase in sospeso catturando del tutto la mia attenzione «Signor Spaulding è solo per i clienti». Gli sorrido sinceramente mentre mi porge una penna per firmare il mio contratto.

«Ok... Harvey...» Sorrido ancora, mentre firmo la copia per lui.

«Chloe, hai da fare per pranzo?» mi chiede, appoggiandosi all'indietro allo schienale della sua sedia.

«No», affermo decisa, e lo vedo alzare la cornetta del telefono e comporre un breve numero.

«Cheryl, prenota per tre». Riaggancia e torna a guardarmi. «Adesso parliamo del prossimo incarico».

Sorrido ancora, non so fare altro da quando ho avuto la conferma della mia assunzione. Credo addirittura che la mia espressione sia felice per la prima volta dopo mesi, e il mio umore rimane tale per tutto il tempo in cui io e Harvey parliamo del nuovo lavoro che mi ha appena assegnato, discutendone tutti i dettagli.

Arrivata l'ora del pranzo recuperiamo le nostre cose e, insieme a Cheryl, la sua segretaria dai capelli rossi, ci rechiamo in un bar qui vicino per consumare insieme il pranzo. Da come si guardano sono sicura che tra Harvey e Cheryl ci sia molto di più che un semplice rapporto di lavoro, e devo dire che mi piacciono molto insieme.

La compagnia è piacevole, ma, quando stiamo per terminare, il mio telefono si mette a squillare e mi scuso prima di allontanarmi per rispondere.

«Pronto?» Il numero che ho letto sul display non lo conosco.

«Parlo con Chloe Stewart?» Anche questa voce femminile mi è sconosciuta.

«Sono io, chi parla?»

«Salve, mi chiamo Claire Sanders, la chiamo da parte del dottor Stevens...» Per un attimo resto interdetta perché mia sorella Rebekah è la segretaria di uno Stevens, di Harry, ma la donna al telefono non è decisamente mia sorella, e subito mi ricordo che Harry non è l'unico Stevens presente in quel grattacielo.

«Mi dica». Con tutta probabilità sto parlando con la segretaria di suo padre, e subito troppe domande cominciano ad affollare la mia mente.

«Devo fissare un appuntamento con lei. Quando è disponibile?» Questa telefonata mi manda sempre più in confusione ad ogni secondo che passa.

«Un appuntamento?» Non sono nemmeno in grado di chiedere altre spiegazioni tanta è la confusione che queste parole hanno generato nella mia testa.

«Il dottor Stevens mi ha chiesto di convocarla, ma non ha specificato quale sia il motivo per cui vuole vederla». Che dovrei fare adesso? Accettare? Cerco di valutare velocemente le mie opzioni, poi penso che mia sorella lavora lì, potrebbero prendere come un gesto sgarbato il mio rifiuto. Poi mi torna in mente che ho appena lavorato per loro, ho partecipato ad un incontro con quel cliente spagnolo, magari vuole ringraziarmi per il mio lavoro, o magari vuole dirmi di non farmi vedere mai più. In ogni caso sento di volerlo vedere. Sono curiosa di sapere il motivo per cui vuole incontrarmi.

«Non ho grossi problemi di orari, ma forse il dottor Stevens sì, proponga lei un giorno». Sento il rumore delle pagine che sta sfogliando, probabilmente sta consultando la sua agenda.

«Potrebbe andar bene oggi pomeriggio sul tardi?» Non ho altri impegni oggi, e il lavoro che mi ha assegnato Harvey posso tranquillamente svolgerlo da casa, senza giorni o orari stabiliti.

«Va benissimo». La saluto tornando poi al tavolo con i miei due nuovi colleghi per terminare il nostro pranzo insieme.

«Problemi?» mi chiede Harvey, finendo il suo bicchiere di vino.

«No». Spiego loro a grandi linee la telefonata e il motivo per cui credo mi abbiano chiamata.

«Secondo me ti vogliono assumere» mi dice Cheryl, con l'espressione di chi la sa lunga.

«Non credo, hanno già una traduttrice». Addento la mia ultima patatina per poi bere un gran sorso dalla mia bottiglietta d'acqua.

«E io non credo di sbagliarmi». Mi sorride divertita mentre, anche lei, ha finito il suo pranzo.

Paga Harvey per tutti prima di uscire dal locale.

Sono stata molto bene con loro oggi, credo di aver trovato qualcuno con cui lavorare bene e serenamente. Le cose stanno decisamente cambiando e sembra stiano prendendo davvero la piega giusta. Saluto i miei due nuovi colleghi che tornano in ufficio. Io ho il resto del giorno libero e decido di fare una passeggiata perché non ho voglia di chiudermi in casa. Potrò iniziare a lavorare domani, oggi voglio crogiolarmi un po' nei mei pensieri.

Mi avvio verso il piccolo parco che vedo al fondo della strada, anche se fa freddo ho voglia di sedermi su una panchina e raccogliere un po' le idee.

Ripenso ai messaggi di Harry di ieri sera, a Dylan numero due e a quanto sia sempre più difficile stargli vicino, a Zach che ho trovato stamattina in cucina, a mia sorella che si sta facendo in quattro per me, ai miei due migliori amici che non vedo l'ora di rivedere, a quanto mi manchino i miei genitori, al nuovo lavoro, al signor Stevens e al motivo per cui mi vuole incontrare, e inevitabilmente penso anche a lui, perché mi sento un'egoista nei suoi confronti.

Io sono qui, lui no. Sto cercando di andare avanti, di riprendere in mano la mia vita perché l'ho promesso, ma mi sento in colpa nei suoi confronti, perché io posso ancora sorridere, lui no.

Come sto sorridendo adesso leggendo il nome sul display del mio cellulare che sta squillando.

«Hazel?» Mi manca da morire.

«Chloe ciao! Ho una grande notizia...» Subito incrocio le dita nella speranza che mi dica quello che vorrei tanto sentirle dire «Questo week end io e Kurty saremo da te!» Non posso trattenermi, perché le emozioni di questi giorni esplodono tutte insieme al suono delle sue parole. «Chloe stai piangendo?» mi chiede la mia migliore amica, con voce preoccupata.

«Sì, Hazel, ma solo perché sono felice...» Ero praticamente certa che non mi avrebbero lasciata sola proprio in questi giorni. «E sarò ancora più felice se mi porterai la tua torta al cioccolato». Voglio che stia tranquilla e cerco, quindi, di metterla sul ridere.

«Oh no amica mia, non la porterò, ma la faremo insieme, tutti e tre». Sento il cuore traboccare di gioia. Avevo davvero bisogno di loro due.

«Sei sicura di voler avere me e Kurty tra i piedi mentre tu compi il miracolo?» Il pensiero di averli qui tra pochi giorni, mi fa sentire bene, tanto bene.

«Mi manca averti tra i piedi, quindi sì, correrò il rischio». Ridiamo insieme alle sue parole e non vedo l'ora che arrivi il fine settimana per godere della loro compagnia.

Chiacchieriamo un po', lei è in pausa pranzo e voleva essere la prima a farmelo sapere. Ovviamente a Kurt non farà affatto piacere di essere stato battuto sul tempo, e vorrei tanto vedere la sua faccia quando Hazel gli dirà che mi ha già dato la notizia.

Mi ha anche raccontato che è stato proprio lui a proporre l'idea di venire da me questo fine weekend, e lei ha accettato immediatamente. Adesso sono impaziente che questa settimana finisca.

«Fammi sapere quando arrivate così vengo a prendervi». Dopo la nostra lunga chiacchierata, in cui le ho raccontato del mio nuovo impiego è arrivato il momento per lei di tornare al lavoro così ci salutiamo.

«Ok... fai la brava Chloe». Le sue parole hanno più di un significato, e io so che li sto mantenendo tutti.

«Salutami Kurty».

Quando chiudo la comunicazione resta il sorriso sulle mie labbra. Il sorriso che solo la mia migliore amica riesce a far spuntare.

***

Ormai ho imparato a memoria il tragitto per arrivare alla HS Financial services. Sono passata da casa per lasciare in camera mia tutto il materiale che mi ha lasciato Harvey, sul quale devo lavorare, e adesso mi sto recando allo strano ed improvviso appuntamento che mi ha fissato oggi la segretaria del signor Stevens.

Non so cosa aspettarmi da questo incontro e ogni ipotesi che ho formulato nella mia testa, l'ho subito scartata perché mi sembrava assurda.

Hanno già una traduttrice quindi non credo vogliano assumermi.

L'incontro con il signor Hernandez mi sembrava fosse andato bene, quindi non credo voglia chiedermi i danni, e nemmeno credo mi abbia chiamata per farmi i complimenti.

Sono ancora sovrappensiero quando la voce della bionda receptionist mi fa tornare alla realtà. «Desidera?» Il suo sorriso falso è insopportabile.

«Mi chiamo Chloe Stewart e ho appuntamento con il signor Stevens». Mi guarda con aria di sufficienza, poi volta il suo sguardo sullo schermo del computer che ha davanti a sé. La sua espressione si contrae leggermente e poi sento ancora la sua voce stridula mentre mi porge il pass per salire.

«Ottantasettesimo piano. In fondo al corridoio troverà Claire Sanders, si rivolga a lei». Prendo il cartellino con scritto visitatore e mi dirigo verso gli ascensori, pensando al fatto che dovrò fare ottantasette piani in ascensore. Se incontrassi Dylan adesso, non so davvero cosa farei.

Le porte si aprono, salgo. Non ho detto niente a mia sorella del fatto che sono qui, anche se magari ne è a conoscenza, ma se posso, voglio evitare di incontrare quel ragazzo che mi porta alla mente troppi ricordi dolorosi.

Durante la salita si avvicendano molte persone e trattengo il fiato quando sul display interno dell'ascensore leggo il numero 24, ma non appena le porte si richiudono, inizio a pensare che la fortuna stia girando dalla mia parte. Forse almeno per oggi non incontrerò numero due.

Quando arrivo al piano giusto, seguo le indicazioni dell'oca bionda della reception e mi dirigo dritta alla scrivania di Claire Sanders, che scopro essere una bella donna, sulla trentina, con occhi e capelli scuri, e un meraviglioso sorriso.

«Salve, sono Chloe Stewart...»

«Venga, il dottor Stevens la sta aspettando». Non mi lascia terminare la frase e, con molta gentilezza, mi fa strada verso l'ufficio alle sue spalle.

«Grazie», le dico, quando lei sta per bussare.

«Dottor Stevens, la signorina Stewart è arrivata». Apre del tutto la porta e mi fa cenno di entrare, ma, una volta che mi ritrovo davanti l'uomo con cui ho appuntamento, resto di sasso.

Mi aspettavo di vedere il padre di Harry, ero assolutamente sicura che si trattasse di lui, ma ora che ci penso, perché il presidente di questa società perderebbe tempo per parlare con me?

«Prego, siediti». Il ragazzo seduto dall'altra parte dell'enorme scrivania, mi invita a prendere posto su una delle sedie che sono proprio davanti a me. «Ti chiederai chi sono e come mai ti ho fatta chiamare».

«Infatti». Cerco di mostrarmi sicura di me, ma quest'ufficio è enorme, arredato con mobili di lusso, con addirittura un salottino composto da divano e poltrone in pelle alla mia sinistra, e credo che la persona con l'aria divertita seduta di fronte a me, sia un pezzo grosso di questa società.

«Mi chiamo Jordan Stevens, sono il fratello di Harry» In effetti, ora che lo guardo con più attenzione, hanno gli stessi, bellissimi, occhi verdi. Ho appena pensato che Harry ha dei bellissimi occhi verdi? «So che hai fatto da interprete in un incontro con un cliente importante di Harry e che è andato tutto a meraviglia». Sorride, senza mai smettere di giocherellare con la penna che ha in mano.

«Felice di essere stata d'aiuto, ma non credo che mi abbia fatta chiamare solo per congratularsi con me». Le sue parole, il suo sorriso e la sua calma, mi spiazzano. Davvero non so cosa aspettarmi.

«Hai ragione». Si alza dalla sua sedia, che sembra quasi una poltrona, fa il giro della scrivania e viene a sedersi accanto a me. È davvero affascinante. Indossa dei pantaloni eleganti con una camicia bianca, e pur non indossando giacca e cravatta, risulta comunque impeccabile. «Oltre ad essere vice presidente di questa società, mi occupo del personale. Come sai già, Linda, la nostra traduttrice, ha avuto dei problemi e ha dovuto assentarsi. Questi problemi non sono finiti. Linda è incinta e non tornerà al lavoro per un po', e questo mi porta ad avere bisogno di una sostituta». Ho seguito con attenzione ogni parola che ha detto e, adesso che ho capito dove vuole andare a parare, non so proprio cosa fare «Quindi, volevo chiederti se saresti disponibile per ricoprire temporaneamente quel ruolo».

Mi sorride speranzoso, chinandosi leggermente verso di me e poggiando i gomiti sulle ginocchia. Visto da così vicino è ancora più bello, e il verde dei suoi occhi, mi riporta alla mente ancora Harry.

«Signor Stevens...»

«Jordan...» Mi sta chiedendo di dargli del tu o di chiamarlo per nome? Non credo di voler fare né l'una, né l'altra cosa.

«Signor Stevens...» rimarco meglio il suo nome facendolo solo sorridere di più «Io la ringrazio davvero per la proposta, e non vorrei assolutamente sembrare un'ingrata per l'opportunità che mi sta offrendo, ma vede... il fatto è che ho firmato proprio oggi il mio contratto di lavoro per una casa editrice». Stringe le labbra in una linea sottile restando con lo sguardo pensieroso e improvvisamente veniamo interrotti da qualcuno che non ama bussare perché entra all'improvviso.

«Perché non puoi mai bussare quando entri qui!?» Jordan parla senza nemmeno aver guardato chi sia appena entrato e, quando mi giro per vedere chi sia, non sono affatto stupita di vederlo.

«Chloe?» Harry non risponde a suo fratello, dedicando a me la sua attenzione. «Che ci fai qui?» Si avvicina a noi senza aver chiuso la porta alle sue spalle.

«Le ho appena chiesto se volesse lavorare con noi per sostituire Linda». I due fratelli si scambiano uno sguardo che non riesco ad interpretare.

«Quindi lavorerai qui?», mi chiede Harry, senza smettere di guardarmi.

«No, Harry, ho già un lavoro, ho firmato proprio oggi». Harry guarda di nuovo suo fratello. Sembra che riescano a comunicare senza nemmeno parlarsi.

«E se ti chiedessi, saltuariamente, qualche consulenza esterna?» Jordan si alza in piedi, mettendosi alle spalle della sedia sulla quale era seduto, appoggiando le mani allo schienale in attesa di una mia risposta.

«Che cosa intende per "consulenza esterna"?»

«Per esempio, se si trattasse di qualcosa tipo quello che hai già fatto con il cliente di Harry? Si tratterebbe solo di qualche ora, non avresti alcun impegno vincolante con noi, e noi sapremmo di poter contare su una valida interprete in caso di necessità». Per un attimo penso se sia il caso di accettare, poi mi dico che forse potrei farlo. Sarebbe un impegno, ma avrei meno possibilità di pensare, e restare impegnata è quello di cui ho bisogno in questo momento.

«Direi che si può fare». Di nuovo quello sguardo tra i fratelli Stevens, poi Jordan torna a guardare me.

«Posso far preparare il contratto allora?» Per un attimo guardo Harry, che non ha più detto una parola, poi torno con lo sguardo sul maggiore dei due fratelli.

«Sì». Mi alzo e allungo una mano nella sua direzione. La stretta di Jordan è decisa e non posso fare a meno di sorridergli.

Non so se ho fatto bene, di certo so che avrò poco tempo per pensare, e questo non può essere un lato negativo in questo periodo. 

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Capitolo 12
*** Ti va una birra? ***


Harry

L'ho guardata uscire dalla porta dell'ufficio di mio fratello senza riuscire ad aggiungere altro oltre a quello che si sono già detti loro due. Questa cosa che è appena successa qui dentro, mi manda notevolmente in confusione.

«Jordan, si può sapere che stai facendo?» Indico la porta che Chloe ha appena chiuso uscendo di qui. Non ho bisogno di dire altro, so che mio fratello capirà perfettamente ciò che voglio sapere, anche se mi farà sudare le risposte, né sono sicuro.

«Ho appena assunto Chloe Stewart come consulente». Mi sorride mentre torna a sedersi alla sua immensa e bianca scrivania.

«E l'avresti fatto per...?» Mi appoggio con le mani allo schienale della sedia. Non ho voglia di sedermi, mi sento nervoso.

«Perché Linda non tornerà tanto presto e abbiamo bisogno di una valida interprete. Papà mi ha raccontato dell'incontro con Hernandez e mi sono detto perché no?» Il sorriso di mio fratello mi fa chiaramente capire che ci sia molto di più rispetto a quello che ha appena detto.

«Ok... adesso dimmi il vero motivo...» So che Chloe meriterebbe davvero quel posto perché è stata molto brava, ma non capisco perché mio fratello lo stia facendo. Sono sicuro che potrebbe trovare qualcun altro per sostituire Linda.

«Ok... tu sei strano da qualche giorno, in qualche modo è entrata una nuova ragazza nella tua vita, non puoi negarlo, e l'unica di cui sono a conoscenza è quella che è appena uscita dal mio ufficio. Quindi... se la matematica non è un'opinione, uno più uno in questo caso fa Chloe, ed è proprio lei quella ragazza». Alzo gli occhi al cielo scuotendo la testa e rilassando le spalle. Perché diamine Jordan ci azzecca sempre?

«Ma che cazzo di matematica ti hanno insegnato a scuola? Uno più uno fa due e Chloe non è un risultato delle tue operazioni mentali». Vorrei tanto mordermi la lingua, ma ormai è troppo tardi e le mie parole non fanno altro che confermare quello che lui pensa.

«Lo sapevo che era lei!» Sorride di più, soddisfatto di aver capito quello che mi passa per la testa. «Mi piace comunque e non vedo l'ora di poterla conoscere meglio».  Io voglio conoscerla meglio, io voglio passare del tempo con lei, io e non lui. Soprattutto non qui in ufficio.

«Fanculo Jordan». Sospiro pesantemente, prima di voltargli le spalle.

«Harry perché fai così?» Mi fermo sui miei passi, poi mi volto verso di lui che adesso è in piedi, con le mani appoggiate alla superficie della scrivania.

Resto a fissarlo, senza sapere bene cosa dire, senza avere in realtà niente da dire. Sto scappando, ne sono consapevole, ma non voglio affrontare questo argomento con lui, né con nessun altro. Mi ha già frantumato il cervello Zach ieri sera, quando si è messo in testa di farmi da psicologo improvvisato.

«Cosa vuoi che faccia Jordan?» Allargo le braccia come per rassegnarmi alla situazione che non sono in grado di gestire.

«Voglio che torni ad essere felice Harry, voglio che la smetti di fare perennemente lo stronzo con tutti, anche con papà, e se per farlo devo farti trovare tra i piedi quella ragazza, lo farò. Perché rivoglio mio fratello e rivoglio la mia famiglia». Il sorriso è sparito dal suo volto. Adesso, nei suoi occhi verdi, uguali ai miei, riesco solo a vedere il rimpianto: rimpianto per le feste di Natale che non passo mai a casa, per i compleanni che non voglio mai festeggiare con loro, per tutto quello che non voglio mai fare se c'è mio padre.

Non lo odio. Non è lui che odio, ma nemmeno riesco ad andarci d'accordo. Forse provo del risentimento nei suoi confronti, o forse sono davvero uno stronzo come dice mio fratello, ma proprio non riesco a trovare un punto d'incontro con lui.

Amo mio fratello, è l'unico che considero come la mia famiglia, ma non mi sento pronto ad avvicinarmi a mio padre.

«Devo andare». Non voglio più stare in questo ufficio con lui perché non so quanto sia ancora in grado di sopportare il suo sguardo di compassione.

«Harry aspetta...» Mi fermo ancora poco prima di uscire, mentre ho la mano sulla maniglia della porta. «Perché sei venuto da me?» Le mie spalle sono rigide, come anche il resto del corpo, con le dita strette intorno alla maniglia e so che dovrei dirglielo. Dovrei dirgli che ero venuto nel suo ufficio prima di andare via per chiedergli se gli andava di uscire a farsi una birra con me stasera, ma ora ho cambiato idea, perché se uscissi con lui mi riempirebbe la testa delle solite cose e proprio non mi va di sentirlo.

So che agisce per il mio bene e per il bene di tutti; se non fosse per lui, la nostra famiglia sarebbe già allo sfascio da tempo, ma stasera non voglio approfondire nessun argomento.

«Lascia stare Jordan, ci vediamo domani». Non gli lascio il tempo di replicare ed esco dal suo ufficio a passo svelto e sicuro, fino agli ascensori.

Cazzo! Prima Zach che vuole farmi da psicologo, ora ci si mette anche Jordan a fare il cupido della situazione. Devo assolutamente andarmene da qui. Prendo il mio cellulare senza un preciso motivo e mi ritrovo ad aprire la chat della conversazione di ieri sera con Chloe, lasciandomi andare ad un piccolo sorriso.

Quindi ora saremo colleghi?

Digito senza quasi rendermene conto, e penso al fatto che, d'ora in poi, potrebbero esserci più occasioni per vederla e non so quanto questo sia un bene, soprattutto dopo quella specie di chiarimento che ho avuto oggi con Dylan.

*

«Harry posso parlarti un minuto?» Distolgo lo sguardo dal monitor del computer sul quale stavo lavorando.

Dylan è appena entrato nel mio ufficio con una strana espressione sul viso. È da stamattina che ha la stessa espressione quando mi guarda. Ho sempre cercato di fare finta di niente sperando di riuscire a sfuggirgli, ma adesso sembro non avere via di scampo.

«Dimmi». Mi volto completamente verso di lui che si è appena seduto di fronte a me.

«Si tratta di ieri sera... in realtà si tratta di quello che è successo tra te e Chloe...» Lo guardo con aria interrogativa, cercando di fare il finto tonto, cosa che mi riesce malissimo con lui.

«Non è successo niente tra me e Chloe».

«Harry perché hai insistito a volere che uscissi con lei quella sera dicendo che secondo te era interessata a me, ed entrambi sappiamo bene com'è finita la serata, mentre tu continui a fare il cretino con lei?» Il suo tono non è affatto arrabbiato e io mi stupisco di quanto possa essermi amico il ragazzo che mi siede di fronte in questo momento.

«Dylan non puoi non aver notato come ti guarda, a volte sembra che si incanti a guardarti, e io ho fatto il cretino con lei perché... beh, perché sono un cretino...» Il mio amico sospira. Sono sicuro che stia cercando le parole giusto per esprimersi.

«Harry... ti piace Chloe?» La risposta che vorrei riuscire a dargli ce l'ho sulla punta della lingua, ma non voglio dirglielo, e nemmeno voglio dirgli una bugia.

«A te piace?» Quindi rivolgo a lui la stessa domanda, sperando di scoprire qualcosa di più. Anche se sono sicuro di non avere bisogno di una vera risposta perché glielo leggo negli occhi.

«Perché non puoi semplicemente rispondere?» Sembra irrigidire le spalle mentre pronuncia quelle parole.

«Per lo stesso motivo per cui nemmeno tu hai risposto». Il mio amico fa un mezzo sorriso, poi si alza e resta per un attimo a guardarmi.

«Ok Harry, messaggio ricevuto». Poi esce dal mio ufficio senza aggiungere una parola.

*

Non voglio mettere a rischio la mia amicizia con Dylan per una ragazza che ho conosciuto da poco, ma non voglio nemmeno precludermi la possibilità di conoscerla perché, anche se sono convinto che le mie speranze con lei siano quasi nulle, c'è qualcosa che mi spinge a provarci ancora una volta, sperando che non sia la volta che mi farà smettere per sempre di avere fiducia in qualcuno.

Poi, la vibrazione del telefono che ho ancora in mano, mi distoglie da qualsiasi pensiero stessi formulando.

Sono sicura che il signor Hernandez
sarà molto felice di rivedermi.

Sorrido nel leggere la risposta di Chloe e sorrido ancora di più, nel ricordare quanto quel tizio facesse il cascamorto con lei. Non smetteva mai di guardarla, di sorriderle, o semplicemente trovava qualsiasi scusa per parlare un po' di più con lei, mentre io riuscivo a vedere negli occhi di Chloe, quanto fastidio le desse quella situazione.

L'ascensore continua a scendere, tra poco potrò andarmene da qui e, mentre sto per digitare la mia risposta per Chloe, mi ricordo di non aver avvisato Dylan che me ne sto andando. Volevo dirlo a Rebekah mentre stavo andando in ufficio da mio fratello, ma era già uscita.

Lo credo anch'io,  
hai decisamente fatto colpo

Chloe è incredibilmente semplice nel suo abbigliamento, a parte la serata di beneficenza, non ha mai indossato niente di troppo appariscente, eppure il suo viso ha una luce particolare, e i suoi occhi, anche se hanno sempre quel velo di tristezza, sono straordinariamente profondi.

L'ascensore si ferma al mio piano, potrei uscire ed avvisare il mio collega che me ne sto andando, ma stare al telefono con lei, è un'opzione decisamente più divertente. Lo chiamerò più tardi.

Sul signor Hernandez?

Vorrei dirle che ha fatto colpo su qualsiasi persona abbia incrociato la sua strada perché è dannatamente così. Piace a Dylan anche se non me l'ha detto chiaramente, ma è esattamente quello che letto nei suoi occhi. Piace a mio fratello, che ha voluto assumerla. Piace a Zach, che mi ha fracassato le palle per ore con le sue cazzate. Piace a Larry che l'ha vista solo per pochi minuti.

E piace a me.

Non sono uno di quelli che fanno i superiori, che vogliono far finta di niente, e nemmeno sono così rincoglionito da non accorgermene. Chloe mi piace. Punto.

Non solo su di lui

Mi rendo contro troppo tardi delle parole che hanno appena riempito il display e devo pensare velocemente a qualche cazzata da rifilarle.

E su chi altri?  
La sua assistente per caso?

Ed ecco che è proprio lei a suggerirmi la soluzione.

Allora te ne sei accorta anche tu?
La signora Miranda è gay,
e ti guardava con troppa attenzione

In realtà non so niente della signora Miranda, soprattutto non so niente del suo orientamento sessuale, ma devo deviare la sua attenzione.

Arrivo al piano terra e, sempre concentrato sullo schermo del mio cellulare, cammino distrattamente verso l'uscita, quando arriva un altro suo messaggio.

Ti va una birra?

Mi fermo sui miei passi dopo avere letto le sue parole. Cazzo se mi va!

Quando?

Sono immobile vicino alla porta d'uscita con gli occhi fissi sul display e forse anche con uno stupido sorriso.

Adesso

Sento il mio sorriso farsi sempre più grande.

Dove sei?

Forse non si è allontanata molto dopo il colloquio con mio fratello e posso raggiungerla in fretta. 

Alza gli occhi

Lo faccio e resto decisamente sorpreso nel vederla in fondo all'atrio seduta in una delle ultime poltroncine della sala d'attesa e, istintivamente, mi avvicino a lei mettendo in tasca il telefono.

«Come mai sei ancora qui?» È seduta con i gomiti posati sulle ginocchia, ma alza subito la schiena quando le sono vicino.

«Volevo aspettare mia sorella». Il suo sorriso è troppo furbo per farmi credere che stia dicendo la verità.

«Sì, come no. Stavi aspettando me, ma non vuoi ammetterlo. Ti evito l'imbarazzo di confessarlo». Le sorrido anch'io aspettando una confessione che so non arriverà mai.

«Ti va quella birra sì o no?» Si alza in piedi e sta cercando di fare un'espressione scocciata, ma non si rende conto che non le riesce affatto bene.

«Dai, andiamo». Mi alzo anch'io e subito mi ricordo che devo ancora avvisare Dylan. «Aspetta solo un attimo». Chloe resta ferma ad osservarmi con aria interrogativa mentre prendo il telefono che avevo messo poco fa in tasca e compongo il suo numero.

«Evans». Devo assolutamente fargli avere un aumento.

«Sto andando via». Lei continua a guardarmi negli occhi e io non riesco a guardare altro che lei.

«Che novità... Fra poco esco anch'io... ascolta Harry, è tutto a posto tra noi?» Siamo amici da una vita e so che le parole che ci siamo detti oggi, lo hanno messo in ansia, ma in questo momento m'importa solo degli occhi che mi stanno guardando, in attesa che io finisca questa telefonata.

«Certo che sì, ora devo andare». Mi complimento con me stesso per non aver pronunciato il suo nome davanti a lei. So che c'è qualcosa tra loro, anche se ancora non ho capito cosa, ma di certo, non voglio essere io a metterlo sulla sua strada.

Metto un'altra volta il cellulare in tasca dopo averlo salutato e, con un cenno della mano, faccio segno a Chloe di precedermi per uscire da qui.

Forse posso dare retta a Zach.

Forse posso darmi un'opportunità.

***

Chloe

Ancora non riesco a credere di averlo fatto.

Nonostante lui stia camminando al mio fianco, sono ancora stupita di averlo aspettato per invitarlo a bere una birra.

Il fatto è che, quando l'ho visto entrare nell'ufficio di suo fratello, ho ripensato ai suoi messaggi di ieri sera, alle parole di Zach, e al suo sguardo quando ha saputo che avrei potuto ancora lavorare con lui. Tutto questo mi ha portato a fermarmi nella sala d'attesa una volta raggiunto l'atrio, ma restando ben nascosta in fondo, di modo che se avessi visto Dylan avrei potuto facilmente nascondermi.

Non me la sento di incontrarlo, soprattutto in questi giorni così difficili da affrontare.

Harry cammina lentamente al mio fianco, senza dire una parola, ma ho notato le occhiate che mi dà ogni tanto. Non so se sia lui che abbia bisogno di prendere tempo, o se lo stia lasciando a me, ma comunque questo silenzio non mi mette affatto a disagio.

Ho chiamato mia sorella poco fa per avvisarla che avrei tardato un po', senza dirle il reale motivo per cui sono ancora in giro, le ho semplicemente detto che le avrei spiegato tutto al mio ritorno. Non era molto convinta delle mie parole perché sa benissimo cosa vogliano dire questi giorni per me, ma le ho promesso ancora una volta, che sarei stata bene e, in questo momento, direi che sto mantenendo quella promessa.

Sto decisamente bene.

«Quindi Miranda è gay?» Non mi interessa affatto se l'assistente del signor Hernandez sia gay o meno, quello che voglio realmente, è sentire ancora la sua voce.

«Miranda chi?» Mi chiede con aria divertita e non so se mi stia prendendo ancora in giro o no, ma non importa. Sorrido, ed è questo che conta.

«L'assistente del...»

«Oh... quella Miranda...» Interrompe la mia frase prima che possa finirla. «Perché? La cosa ti interessa?» Alza entrambe le sopracciglia voltandosi per guardarmi con più attenzione.

«Vuoi sapere se sono gay?» Lui solleva leggermente le spalle sorridendo ancora di più. La cosa lo fa decisamente divertire. «Ti dispiacerebbe se lo fossi?» Voglio provare a punzecchiarlo un po' perché è sempre divertente quando reagisce.

«Sono certo che tu non lo sia». Il suo tono di voce esce sicuro, realmente convinto di quello che sta dicendo.

«Questo non risponde alla mia domanda». Continuiamo a camminare l'uno accanto all'altra senza smettere di scambiarci degli stupidi sorrisi.

«Non ho mai avuto intenzione di farlo». Spuntano le fossette sulle sue guance e reprimo il forte desiderio di volerle toccare.

«Abbiamo una meta, o stiamo camminando totalmente a caso?» Cambio discorso perché ho capito che non avrò la mia risposta, quindi non insisto, ma inizio a pensare che potrei camminare con lui in questo modo per tutta la sera.

«Stiamo andando in un posto che conosco. Ti disturba camminare a piedi?» Scuoto leggermente la testa per dirgli che non mi dispiace camminare, soprattutto in questo momento con lui, ma questo non lo ammetterò, ed è proprio per questo che non parlo, perché non voglio rivelargli quello che credo sia evidente. «Dobbiamo accontentarci di camminare, almeno fino a che non avrò recuperato i soldi dell'assicurazione». Lo guardo aspettando che continui e lui sembra capirmi al volo perché subito dopo mi dà le spiegazioni che mi aspetto. «Qualche mese fa ho avuto un incidente in macchina, che è praticamente distrutta. Non era colpa mia, l'ha riconosciuto anche l'assicurazione, ma ora devo aspettare che le pratiche vadano avanti per avere i soldi per comprarne un'altra».

«Non potresti semplicemente farti dare i soldi da tuo padre?» Sono sorpresa dalle sue parole.

«Se mi chiamassi Jordan li avrei già avuti, ma il mio nome è Harry, quindi dovrò guadagnarmeli». La sua espressione è cambiata e l'ha fatto in maniera negativa, quindi non voglio approfondire questo argomento, non adesso almeno, perché ho voglia di vedere di nuovo quelle fossette.

«La macchina su cui sono salita io non è tua?» Mi lascio guidare per le strade ancora affollate di una Boston vestita a festa per Halloween, cercando di concentrare la mia attenzione sul ragazzo al mio fianco, sul verde dei suoi occhi e non sull'arancione che caratterizza questi giorni, che vedo ovunque, e che, inevitabilmente, mi ricorda lui.

«Lo è, ma è una storia lunga». Non indago oltre, poi lui mi fa cenno di svoltare a destra, in una piccola via secondaria dove entriamo in un bar dall'aspetto un po' rustico.

I mattoni a vista sono colorati di nero, mentre le parti più alte delle pareti sono chiare. L'ambiente non è molto grande ed è anche scarsamente illuminato, ma la cosa non mi disturba, anzi mi piace perché dà al tutto un senso di maggiore intimità.

Harry mi invita a sedermi al tavolino mentre lui si avvicina al bancone per ordinare per entrambi, mi tolgo il cappotto appoggiandolo sulla sedia accanto alla mia e non posso evitare di osservarlo quando si avvicina al tavolo.

Completo nero, camicia bianca quasi completamente sbottonata, dalla quale si intravedono i suoi tatuaggi, e soprattutto, rigorosamente senza cravatta. Si siede esattamente di fronte a me, toglie la giacca posandola sullo schienale della sedia e sbottona i polsini della camicia, arrotolando le maniche lungo le braccia.

I tatuaggi non li ha solo sul torace, le sue braccia ne sono quasi ricoperte, e non riesco a trattenermi dal fargli una domanda.

«Quanti nei hai?» Indico con un dito le macchie d'inchiostro che gli colorano la pelle.

«Ho perso il conto. Tu nei hai?» Senza nemmeno pensarci, alzo il polsino della felpa e gli mostro il polso dove c'è quello che ho fatto per i miei due amici. «Solo questo?»

«Ne ho altri, ma non tanti quanti ne hai tu». Lui mi osserva serio.

«E hanno un significato?» Tento di non osservare la porzione della sua pelle scoperta ricoperta di disegni, ma mi piace troppo e fatico a tenere gli occhi lontani da lui.

«Sì, e i tuoi?» Anche lui ha un'àncora sul polso sinistro, e mi piacerebbe conoscerne il significato, ma come io non sono pronta a rivelarlo, forse anche lui non lo è.

«Solo alcuni, la maggior parte li ho fatti perché mi andava e basta. Alcuni solo per fare dispetto a mio padre. Sono una testa di cazzo, lo so». Sorride anche lui all'espressione divertita che è apparsa sul mio viso mentre mi raccontava questa piccola parte di sé.

Veniamo interrotti da un ragazzo che porta al nostro tavolo due boccali di birra alla spina. «Grazie», dico al cameriere biondo, che si allontana con un mezzo sorriso.

Portiamo entrambi il bicchiere alla bocca per bere un sorso, ma quello che sento sulla lingua è disgustoso. Non ho mai bevuto una birra così amara, non che io sia un'intenditrice, ma sono quasi sicura che questo non è il gusto che debba avere una buona birra e, con questo pensiero, alzo gli occhi per vedere se anche sul suo viso c'è la mia stessa espressione.

Quando noto che anche lui mi sta osservando con attenzione, scoppio quasi a ridere, lui fa lo stesso, sputacchiando quello che avevamo appena assaggiato.

«Questa birra del cazzo è disgustosa». Si asciuga la bocca con il dorso della mano poi posa il bicchiere ed io faccio lo stesso.

«Ma non avevi detto che conoscevi questo posto?» Per un attimo sembra a disagio, poi torno a leggergli negli occhi quell'ostentata sicurezza che vuole mostrare a tutti i costi.

«Devono aver cambiato gestione, non ho altre spiegazioni». Non saprei dire se mi sta prendendo ancora in giro, o se sta dicendo la verità. Anche stavolta decido di non approfondire, ho la sensazione che lo metterei in imbarazzo e, anche se la cosa non mi dispiacerebbe, in questo momento ho altre priorità.

Restiamo a guardarci per un attimo che mi è sembrato lungo un'eternità, eppure troppo breve, poi, entrambi apriamo bocca per dire qualcosa ed entrambi ridiamo del nostro gesto contemporaneo.

«Prima tu», mi dice Harry, mentre i miei occhi sono puntati sulle sue fossette.

«No, prima tu». Voglio assolutamente sapere cosa stava per dire prima che cambi idea e non parli più.

Per un attimo mi osserva, come se stesse cercando le parole giuste da usare, poi finalmente, si decide a parlare. «Perché hai così paura della moto?» Nonostante il suo tono di voce sia calmo e rassicurante, non posso evitare di irrigidirmi alle sue parole.

Abbasso gli occhi sulle mie mani che adesso stringono più forte il bicchiere ancora pieno sul tavolo. Non voglio dirgli niente, non voglio dargli spiegazioni, non voglio sembrargli patetica, e nemmeno che abbia compassione di me perché finora è stato l'unico ad avermi trattata normalmente.

Poi chiudo istintivamente gli occhi quando sento le sue mani posarsi sulle mie. Il calore della sua pelle, il metallo dei suoi anelli, la morbidezza del contatto con cui le sue dita si appoggiano sulle mie, riesco a percepire ogni più piccolo movimento e ne traggo inspiegabilmente conforto. Apro gli occhi e quel verde meraviglioso mi sta sorridendo.

Lui non dice niente, non fa niente, semplicemente mi guarda e mi sorride in un modo che non gli avevo mai visto fare. È dolce, troppo dolce per pensare che sia lo stesso indisponente ragazzo che ho conosciuto quella sera in metropolitana, eppure non smette di rassicurarmi semplicemente guardandomi e tenendo le sue mani sulle mie.

Il battito del cuore si è calmato, la mia agitazione è praticamente scomparsa. Nessuno è mai riuscito a farlo come ci è riuscito lui in questi pochissimi minuti, forse ne sono passati due, eppure mi sento quasi come se non mi avesse mai posto quella domanda, e il suo sguardo mi ha fatto sentire così bene, che sento di poter rispondere alla sua domanda, anche se solo in parte.

«Una moto mi ha portato via qualcuno a cui volevo molto bene». Mi guarda ancora, non ha mai smesso, e non c'è traccia di compassione nei suoi occhi.

«A me, l'ha portata via un'auto». Mi ha confessato anche lui qualcosa di molto personale. Anche a lui è stato portato via qualcuno, ma non so chi e in che modo questa persona manchi nella sua vita. Sono certa, però, che anche lui stia soffrendo, e non mi sbagliavo nel pensare che dietro alla sua maschera di presunzione, si nasconda molto di più.

«Harry... ti capita mai di pensare che avresti potuto fare qualcosa e invece non l'hai fatto?» Mi sorride ancora, un sorriso sincero che contagia anche a me.

«Ogni fottutissimo giorno Chloe». L'atmosfera è decisamente cambiata, le sue mani sono ancora sulle mie, i suoi occhi ancora nei miei, sento addirittura il flusso dei suoi pensieri che si incastrano con i miei.

«Chi sei tu Harry?» Sento scivolare lentamente la sua presa dalle mie mani fino a perderne il contatto. Poggia la schiena alla sedia e incrocia le braccia al petto.

«Vediamo... un figlio irrispettoso, un dipendente incapace, un pessimo fratello, e un amico del cazzo». Inclina leggermente la testa e mi osserva come per cercare di capire cosa mi stia passando per la testa.

«Questa è l'opinione che hai di te stesso?» Aggrotto le sopracciglia, cercando di capire se quello che ha appena detto sia un modo come un altro per fare l'idiota, o se lo pensa realmente.

«È questo che sono Chloe, non mi nascondo dietro alle belle parole. Faccio schifo come persona, lo so e lo ammetto, ma non puoi negare che so essere divertente». Il suo sorriso sfacciato torna sulle sue labbra. Sta tornando ad essere l'insolente Harry e la cosa non mi dispiace affatto.

«Divertente come quando hai fatto l'idiota con Larry, o come quando Zach non ha capito al volo le tue intenzioni?» Le sue mani non torneranno sulle mie, quindi anch'io porto la mia schiena all'indietro lasciando andare la stretta sul bicchiere rimasto pieno di quella orribile bevanda.

«Divertente come quando riesco a farti sorridere, come... adesso». Mi rendo conto che sto realmente sorridendo. Riesco a farlo sempre più spesso quando sono con lui. «Allora... cosa stavi per dirmi prima che ti facessi quella domanda di merda». Porta i gomiti sul tavolo, incrociando le braccia.

«Volevo parlarti di Zach...» La sua espressione è confusa, chiaro segno che non abbia idea di cosa stia parlando. Non posso ovviamente dirgli niente della piccola conversazione che ho avuto con il suo amico - la piccola conversazione che riguardava proprio lui. Ma posso comunque tentare di scoprire qualcosa di più, rivelandogli un dettaglio importante.

«Non dirmi che ti piace quel cretino!» Sembra decisamente infastidito adesso e io non posso trattenermi dal ridere nel sentire la sua affermazione.

«Certo che no, ma il suo fascino è entrato comunque in casa Stewart». Mi guarda ancora più confuso. Sembra che non riesca a trovare le parole per esprimere quel che pensa. «Stamattina mi sono alzata e l'ho trovato in cucina che preparava il caffè...» Harry sbarra gli occhi alle mie parole, completamente preso alla sprovvista.

«Cosa? Stai scherzando?»

«Ha passato la notte con mia sorella e...» Si strofina un paio di volte le mani sul viso per poi passarle tra i capelli con evidente frustrazione. «Mi sono alzata perché ho sentito dei rumori e lui era lì che tranquillamente si preparava il caffè». Sorrido ancora per la scena surreale che mi si è presentata stamattina nella mia cucina.

«Non mi ha detto niente quello stronzo...» Torna subito a guardarmi. «Hai parlato con lui?» Non saprei dire se l'espressione che ha in questo momento è più nervosa o preoccupata.

«Abbiamo scambiato due parole... qualcosa non va?» Vorrei potermi sbilanciare un po' di più, ma non voglio mettere nei guai Zach che, a quanto pare, avrà già il suo bel da fare nell'affrontare il suo amico.

«È Zach che non va, ma lascia stare... più tardi mi sentirà...» Nonostante la piccola ruga che si è appena formata al centro della fronte, nonostante l'aria pensierosa, Harry resta comunque bellissimo.

Ho appena avuto un altro pensiero su Harry?

«Io ho fame», mi dice lui, improvvisamente. «Ti va se andiamo a prendere qualcosa da mangiare?» 

Voglio passare ancora del tempo con lui? Decisamente sì.

«D'accordo». Lo seguo fuori da questo locale che non ha nemmeno l'insegna con il nome, sperando di aver fatto la scelta giusta. 

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Capitolo 13
*** È davvero troppo tardi per questo ***


Stasera fa davvero freddo, devo ricordarmi di mettere dei guanti. Mi stringo un po' di più nel cappotto, mentre camminiamo verso la metropolitana. 

Scendiamo le scale e, quando arriviamo davanti al tornello, mi fermo per prendere la tessera dalla tasca della giacca, ma subito mi irrigidisco sentendo la presenza di Harry davvero troppo vicina. 

«Che stai facendo?» gli chiedo, girando di poco il viso all'indietro, per ritrovarmelo a pochi centimetri di distanza. 

«Non ho il biglietto». Sorride, mentre sento le sue mani appoggiarsi sui miei fianchi, lasciandomi completamente spiazzata. «Tu passi la tessera e io passo con te». 

«Harry... io non credo che...» Non mi lascia finire la frase. 

La sua mano sinistra resta sul mio fianco, la destra sfila la tessera dalla mia mano, la passa sul lettore, e mi spinge delicatamente per oltrepassare il tornello, restituendomi subito dopo la mia tessera. 

«Visto? Non era così difficile, no?» mi dice con quel suo sorrisetto furbo. 

«E invece era troppo difficile fermarsi a fare il biglietto, giusto?» Mi guarda, ma sembra che la mia espressione corrucciata lo faccia solamente ridere di più. 

Sono quasi sicura che l'aggettivo che meglio descriva Harry sia ribelle: è assolutamente allergico alle regole, o forse è solo un modo di manifestare il suo malessere, perché credo che anche lui nasconda troppo in fondo la sua sofferenza. 

«Un punto per te... Stewart uno, Stevens zero... adesso possiamo andare?» mi chiede, senza smettere di sorridere. 

Arriccio le labbra nel tentativo di reprimere un sorriso, poi mi volto immediatamente. Non voglio dargli la soddisfazione di fargli vedere che, alla fine, riesce sempre a farmi sorridere, e mi dirigo verso la scala mobile per raggiungere la banchina. 

«Guarda che non è mica un reato divertirsi». Harry è in piedi sul gradino dietro di me e, dalla sua battuta, sono certa che si sia accorto del sorriso che ho tentato di trattenere. 

«E imbrogliare è divertente?» Non mi giro a guardarlo, ma lo sento sbuffare, poi la sua voce arriva troppo vicina al mio orecchio. 

«Smettila di essere sempre così acida, potresti divertirti davvero, se solo lo volessi...» La sua voce mi piace sempre troppo, ma da questa distanza così ravvicinata ha un effetto amplificato. 

E nella mia mente penso “Stevens dieci Stewart uno”, perché è questo il numero dei punti che ha totalizzato con una sola frase, pronunciata direttamente al mio orecchio, e le cose non fanno che degenerare perché ogni giorno che passa, i punti che totalizza usando solamente la sua voce, aumentano notevolmente. 

Saliamo sul vagone appena arrivato e, quando mi giro a guardarlo, lui mi sta fissando, con quel sorriso beffardo sulle labbra, e alla fine cedo. 

Sorrido con lui e per un attimo, un breve attimo, tutto intorno scompare: le persone, i rumori, la metropolitana, tutto quanto e mi concentro solo e unicamente su di lui. 

In questo momento non m'importa se vede che resto a fissarlo, se guardo come gli calza a pennello quel vestito che indossa, su come quei pantaloni fascino le sue gambe, e non m'importa nemmeno se si rende conto di quanto mi piaccia quella camicia sempre troppo sbottonata, e che lascia intravedere qualcosa in più di lui, qualcosa che mi piace. 

Con una mano si regge al sostegno in alto, l'altra ce l'ha in tasca, la stessa tasca dalla quale ha preso poco fa un elastico per legarsi i capelli. Sorrido un po' di più nell'immaginare suo padre che lo rimprovera per i capelli troppo lunghi. 

«Perché ridi adesso?» La sua voce mi riporta alla realtà, facendomi ricordare dove siamo. 

«Pensavo a quante volte tuo padre ti abbia pregato di tagliarti i capelli». Anche il suo sorriso aumenta alla mia affermazione e stavolta spuntano le fossette. 

«Molte più di quante immagini». Resta ancora a guardarmi e lo stesso faccio io. Sembra che nessuno dei due riesca a togliere gli occhi di dosso dall'altro, incuranti di tutto ciò che ci circonda. «Stavo pensando che è la seconda volta che prendiamo insieme la metropolitana». Il ricordo di quella sera torna prepotente nella mia mente. 

«Avrei voluto prenderti a schiaffi quella sera, sei stato davvero insopportabile». La sensazione di fastidio che mi ha provocato per tutto il tempo che mi è stato vicino era così intensa che non so cosa mi abbia trattenuta dal mollargli un ceffone. 

«L'avevo intuito dal tuo dito medio alzato». Ridiamo insieme alle sue parole. 

«Stavolta un punto per te Stevens», gli dico. 

Poi mi fa cenno di seguirlo, ci avviciniamo alle porte, e scendiamo alla fermata, diretti dove non lo so, ma Harry ha detto che è un posto in cui si mangia bene. Non mi resta che fidarmi, sperando sia meglio del bar di poco fa. 

Arriviamo in pochi minuti al locale dove prendiamo posto e ordiniamo un paio di hamburger e patatine. Il posto è carino, non molto affollato per fortuna, e il ragazzo che ha preso la nostra ordinazione ha salutato cordialmente Harry, segno che lo conosce. 

«Non avrei mai pensato di rivederti comunque», dice Harry togliendosi la giaccia, lasciandomi così la possibilità di tornare a guardare le sue braccia tatuate. 

«Nemmeno io e quando ti ho visto salire su quel palco insieme a tuo padre, ho pensato che non fosse reale». Ricordo ancora tutte le emozioni che mi hanno travolto quella sera. Dall'aver rivisto Dylan numero due all'aver rivisto lui, ma stavolta in veste del capo di mia sorella. 

Credevo veramente di stare vivendo in una realtà alternativa. Non riuscivo a credere che stessero succedendo tante cose, tutte insieme. Forse anche per lui è stato strano il nostro secondo incontro perché lo vedo pensieroso, come se nella sua mente stesse rivivendo quel momento, esattamente come sto facendo io. 

«Eri straordinariamente bella con quel vestito rosso». Il tono di voce che usa per dire quelle poche parole, lo sguardo che ha in questo momento e, per finire, le parole stesse che ha usato, tutto di lui mi manda in confusione in un attimo. 

Non sono abituata a questo suo cambio di atteggiamento. 

Io so affrontare l'Harry sbruffone, l'Harry irritante, e non questo Harry gentile e affascinante che, con poche parole e un semplice sguardo, ha abbattuto una fila intera di mattoni che costituivano il muro che mi sono costruita per difendermi dalle emozioni. Sta riuscendo ad affacciarsi all'interno della barriera che ho alzato per proteggermi, come ha fatto poco fa al bar, tenendo le mie mani nelle sue e, per quanto non voglia, per quanto io cerchi di tenerlo lontano, mi ritrovo a volerlo vicino. 

Harry ha la straordinaria capacità di entrare nella mia anima dalla porta principale, nonostante io la tenga chiusa a chiave. 

«Wow... ho lasciato Chloe Stewart senza parole?» Il mio sguardo è ancora fisso su di lui. Vorrei trovare il modo di rispondergli con qualche stupida battuta, ma non riesco a farlo, perché quello che mi ha detto pochi secondi fa, mi piace troppo per sminuirlo. «Basta semplicemente un... grazie Harry...» Il suo sorriso è dolce e, nonostante le fossette restino invisibili al leggero movimento delle sue guance, sapere che sono lì, mi spinge a volerle vedere. 

«Grazie Harry». Stavolta sorride compiaciuto e riesco finalmente a vedere le sue fossette. «Ma se vuoi dire il mio nome per intero, ti manca un nome da aggiungere». Ho bisogno di spezzare l'agitazione che lui ha appena provocato in me, così tento di deviare la sua attenzione su qualcosa che credo possa incuriosirlo. 

«Hai un secondo nome?» Ed è proprio quello che ottengo: la sua completa attenzione per l'improvvisa curiosità che gli ho messo addosso. 

«Sì». Mi sposto appena, per permettere al cameriere di posare le nostre ordinazioni sul tavolo di fronte a noi, per tornare subito dopo con lo sguardo su Harry, che non ha smesso di guardarmi un attimo. 

«Lasciami indovinare...», porta il panino alla bocca per addentarlo, mentre pensa ad un nome da dire, «Katherine». Scuoto la testa in senso di diniego, mentre anch'io mangio il mio hamburger, e lui torna a pensare continuando a masticare. «Harriet». Non so con quale criterio stia cercando di rifilarmi questi nomi, ma non posso fare altro che ridere. «Ci sono... Gwendolyn!» 

«Eveleen». Interrompo i suoi vaneggiamenti rivelandogli il mio secondo nome, tornando ad addentare il mio panino. 

«Chloe Eveleen Stewart».  Pronuncia a bassa voce il mio nome per intero, che sembra ancora più bello una volta uscito dalle sue labbra. 

«E tu? Hai un secondo nome?» Cerco di continuare a tenere impegnato il mio cervello, che rischia seriamente di andare in completo black out stasera. 

«Sì... George». Lo dice con aria convinta, ma più lo guardo, e più sono certa che quel nome non gli si addica affatto. 

«Davvero?» gli chiedo, mentre lo osservo ingoiare l'ultimo boccone del suo panino. 

«No». Poi ride come se avesse fatto lo scherzo del secolo e io mi ritrovo ad alzare gli occhi al cielo scuotendo la testa, ma senza poter trattenere un sorriso, che nasce spontaneo sulle mie labbra. 

«Stevens stai accumulando troppi punti stasera». Lo guardo con finta aria minacciosa, cosa che lo fa solamente ridere di più. 

«E tutti questi punti mi faranno vincere qualcosa?» I suoi occhi attenti non si staccano mai dal mio viso, come se volesse impararne a memoria ogni dettaglio. 

«La soddisfazione di aver vinto dovrebbe già bastarti, Stevens». Annuisce appena, poi si porta una patatina alla bocca.   

«Emerson...» mi dice con indifferenza. Lo guardo con aria interrogativa. «È il mio secondo nome». Infila un'altra patatina tra le labbra e la mastica con lentezza, esasperante lentezza, senza mai togliere gli occhi dai miei. 

E io vorrei tanto riuscire a distogliere il mio sguardo dal suo, smettere di guardare quel meraviglioso verde che stasera brilla più del solito, eppure non lo faccio. Non ho ancora ben capito se non posso, o se non voglio, ma alla fine il risultato è il medesimo, continuiamo a fissarci, ignorando tutto e tutti, come se non esistesse nient'altro intorno a noi. 

Sono in crisi, totalmente in crisi, a causa degli sguardi che continua a rivolgermi e del suo modo di parlarmi. Non l'ha mai fatto in questo modo e non so se sia il tono della sua voce ad essere diverso, o se ci sia qualcos'altro, ma sono assolutamente certa che stia accadendo qualcosa stasera a questo tavolo. Un po' come la sensazione che ho avuto stando vicina a lui quel giorno davanti alla porta della mia stanza, solo che ora quella stessa sensazione sembra amplificarsi ad ogni minuto di più. 

«Hai altri fratelli o sorelle oltre a Rebekah?» Per fortuna si decide a parlare, perché io non riesco a fare altro che guardarlo e a continuare a mangiare le ultime patatine, giusto per non far cadere la bava dalla bocca. 

«No, siamo solo io e lei. I miei sono andati un po' in crisi quando anche io sono andata via di casa...» Lascio la frase in sospeso, perché i ricordi iniziano a tornare alla mente e non voglio che succeda in questo momento perché gli dovrei delle spiegazioni che ho intenzione di tenere solo per me. 

«Mio padre sarebbe felice se me ne andassi di casa, dice che devo imparare a responsabilizzarmi e un sacco di altre cazzate di cui non mi frega niente. In realtà ho una casa, un appartamento che ho preso in affitto qualche tempo fa, ma sono spesso a casa di mio padre per svariati motivi...» 

«Uno dei quali suppongo sia trovare la cena pronta». Se continua ad alzare le maniche della camicia farò seriamente fatica a continuare a guardarlo negli occhi, perché lo sguardo continua a cadermi su tutti i disegni sparsi qua e là sulle sue braccia. 

«Credo che quello sia il motivo numero uno». Rido alla sua battuta. 

Rido come se mi stessi liberando di un peso. 

Rido come se fossi una bambina, perché anche se non ha detto una cosa che fa davvero ridere, lui sta riuscendo a portare via l'angoscia, il malessere, i sensi di colpa. Si sta portando via tutto. Sento tutte le sensazioni negative scivolare via dal mio corpo, come se lui le stesse tirando materialmente con le sue mani. 

Quelle stesse mani che non smetto di osservare mentre prende le patatine per portarle alla bocca, mentre si scioglie i capelli mettendo poi l'elastico intorno al polso, o ancora mentre afferra la bottiglietta d'acqua e, a quel punto, i miei occhi tornano a guardare il suo pomo d'Adamo fare su e giù, incantata da quel movimento, tanto che anche io prendo ad alzarmi le maniche. Inizio a sentire caldo. 

«Dove li hai gli altri tatuaggi?» La domanda di Harry mi distoglie improvvisamente da tutti questi pensieri, che minano seriamente la mia salute mentale. 

«Dove tu non potrai mai vederli». Li ho fatti tutti in parti del corpo non completamente visibili, tranne quando indosso il costume da bagno, e la cosa non succede molto spesso. 

«Oh Chloe... questa è una sfida bella e buona. Io vedrò quei tatuaggi... tutti quanti...» Non saprei nemmeno descrivere cos'è appena riuscito a provocare al mio corpo e al mio cervello in pochi secondi, tanti quanti gliene sono bastati a pronunciare quelle poche parole, arrivate dritte alle mie orecchie e rimbalzate in ogni parte di me, lasciando tracce di lui ovunque. 

«E cosa ti rende tanto sicuro di riuscire a farlo?» Il sorriso spunta sulle sue labbra e le fossette diventano evidenti sulle sue guance, mentre si avvicina un po' di più a me, come se volesse sussurrarmi un segreto. 

«Perché non ho mai perso una sfida in vita mia». Sono grata che a dividerci ci sia un tavolino che ci tiene distanti almeno un metro, perché, anche se sono consapevole che il pensiero che mi è appena venuto sia totalmente irrazionale, improvvisamente ho voglia di affondare le mani nei suoi capelli e divorare le sue labbra con le mie. 

«Torno subito». Mi alzo per andare in bagno, per allontanarmi da lui e dall'effetto destabilizzante che sta avendo su di me. 

Per la prima volta sono contenta che ci sia la fila al bagno, così ho più tempo per riprendere pieno possesso delle mie ormai defunte facoltà mentali. 

Volevo solo passare una tranquilla serata con lui per conoscerlo meglio, ma improvvisamente sembra che tutte le carte si siano mescolate e non riesco più a comandare il gioco. Ha lui il pieno controllo della situazione e devo fare in modo di tornare in me stessa per tenere in piedi il muro che mi protegge, e che tiene al sicuro tutte le mie emozioni, come se fosse una diga, che non posso permettermi di far crollare. 

Sto bene con Harry? Certamente. 

Harry mi piace? Più di quanto io sia disposta ad ammettere. 

C'è posto per lui nella mia vita? Sono certa che lui se ne stia creando uno, anche contro la mia volontà, quindi non voglio combatterlo, ma voglio evitare che riesca ad arrivare dove nessuno è riuscito ad arrivare dopo Dylan. 

La fila scorre più veloce del previsto, è il mio turno: entro in bagno, poi mi lavo le mani e il viso con l'acqua fredda, guardando per un attimo il mio riflesso allo specchio in cui vedo Hazel, che mi dice che sono forte, e Kurt, che mi dice che non sono sola, e sorrido. Forse posso permettere a Harry un posticino piccolo, ma senza permettergli di distruggere il mio muro, quindi adesso tornerò di là come quella che lui chiama miss acidità e tutto andrà bene. 

Quando decido di tornare al tavolo è come se lui avvertisse la mia presenza da lontano, perché alza subito la testa dal cellulare nella mia direzione, seguendomi con lo sguardo, fino a che mi metto di nuovo seduta di fronte a lui, a quel punto rimette il suo telefono in tasca. 

«Stavo quasi pensando di fare un sonnellino». Si riferisce ovviamente al fatto che ci abbia impiegato tanto tempo. 

«C'era la fila», rispondo, come per trovare una giustificazione di cui, in realtà, non ho affatto bisogno. 

«E stavo pensando anche a Zach». Il nome del suo amico fa tornare subito il sorriso sulle mie labbra. «Quel cretino mi dovrà più di una spiegazione». Sorride anche a lui e io torno ad incantarmi sulle sue labbra. 

«Siete amici da tanto?» gli chiedo, tentando di portare la mia attenzione su qualcos'altro che non siano le sue labbra rosse, e il suo sorriso, e i suoi occhi, e... insomma che mi sta succedendo? 

«Abbiamo fatto il liceo insieme. Lui, ha un anno più di me, era in classe con Larry, mentre io ero in classe con Dylan. Eravamo tutti nella squadra di football, compresi Nate e Lawson, che non hai conosciuto, e abbiamo continuato ad essere amici anche una volta finita la scuola». Parla con sincero entusiasmo dei suoi amici, gli si legge negli occhi quanto tenga a loro. 

Ed è ancora più evidente quando si lascia prendere la mano dai ricordi. Mi racconta di aneddoti divertenti che lo vedono coinvolto in prima persona, o di episodi successi ai suoi amici, come quando Larry si era nascosto nell'armadio della classe per saltare il test di geografia, o di quando Zach si è addormentato sul pullman, mentre andavano ad una gita, e l'hanno lasciato dormire lì sopra per tutto il tempo. 

Mi piace ascoltarlo, mi piace vedere l'espressione felice che ha negli occhi quando racconta di loro, mi piace vederlo sorridere e mi piace che lo faccia insieme a me. 

Mi piace. 

Lui, mi piace. 

Lo sto realizzando lentamente, ma inesorabilmente. È ormai chiaro nella mia testa e, per quanto mi sforzi di negarlo, per quanto voglia mentire a me stessa, adesso lo so con estrema certezza. Harry mi piace, ha dato una scossa alla mia vita. Da troppo tempo non sorridevo, e da troppo tempo nessuno mi trattava come fa lui, perché Harry non sa niente di me e non ha paura di dire o fare qualcosa che possa riportare alla mente tutto quello che mi fa soffrire. 

Harry è spontaneo, diretto, il più delle volte provocatore, ed è proprio questo che mi piace. Per lui non sono fatta di vetro e quando mi dice qualcosa di gentile, sono certa che lo stia pensando veramente, e che le sue non siano mai solo parole vuote, dette tanto per dire. 

«E tu? Hai lasciato qualche amico a Montréal?» Ha appena bevuto un sorso d'acqua, ed è tornato ad appoggiarsi con i gomiti al bordo del tavolino. Le sue braccia non sono eccessivamente muscolose e la sua pelle sembra morbida. 

Sto davvero pensando alla morbidezza della pelle di Harry? 

«Un paio. Sono due persone eccezionali e non lo dico solo perché sono miei amici... Posso dire solo grazie a loro se sono qui...» Stavo per lasciarmi andare, stavo per dirgli cose che ho deciso sarebbero rimaste con me per sempre, ma per fortuna, mi sono fermata in tempo. Non voglio la sua pietà, voglio che continui a comportarsi come ha fatto finora, ed è per questo che terrò per me ogni cosa brutta che mi riguarda. 

«Ti mancano?» Mi aspettavo qualche battuta pungente, invece lui mi sorprende ancora con una semplice domanda. 

«Moltissimo». Non vedo l'ora che arrivi questo fine settimana per poterli riabbracciare. 

Dopo questo breve momento, in cui entrambi abbiamo accantonato la nostra parte indisponente, siamo poi tornati alle nostre battute. Abbiamo riso, scherzato e ci siamo punzecchiati come se non potessimo farne a meno, e mi sto divertendo più di quanto mi fossi immaginata. 

Quando mi è venuto in mente di aspettarlo nell'atrio della HS Financial Services non ero del tutto convinta di stare facendo la cosa giusta, ma poi ho seguito l'istinto, che mi diceva di provare ad approfondire la conoscenza con questo ragazzo imprevedibile e pieno di sorprese, e adesso sono contenta di averlo fatto. Forse, nonostante le continue frecciatine e battute pungenti, potremmo essere amici, potrei trovare qualcun altro su cui contare, o semplicemente qualcuno che mi tratti senza fare troppo attenzione a quello che dice. 

«Tua sorella...» Harry indica il mio telefono appoggiato sul tavolo, sul cui display è apparso il suo nome con il segnale di chiamata in entrata. 

Non l'avevo sentito, perché l'avevo messo silenzioso e non mi ero accorta che stesse squillando, perché sono troppo impegnata a guardare lui. 

Prendo in mano il cellulare, faccio scorrere il dito sull'icona verde, poi lo porto all'orecchio. «Pronto...» I miei occhi tornano un'altra volta in quelli Harry e i suoi restano fissi nei miei. 

«Ehi ciao... Volevo solo sapere se era tutto ok... è quasi mezzanotte e... niente Chloe volevo solo sentirti...» Sorrido nel sentire il tono preoccupato di Rebekah, e lui sorride con me. Sta di nuovo succedendo quella cosa tra noi, quella cosa per cui non riesco a togliergli gli occhi di dosso. 

«Sto bene Reb, tra poco torno a casa...» Harry allunga una mano nella mia direzione e trattengo il fiato. I suoi occhi sempre lì a tenere inchiodati i miei, e torno a respirare quando mi accorgo che ha preso la mia bottiglietta d'acqua per berne un altro sorso, poi la posa esattamente dove l'ha presa. 

«Non... non volevo essere...» 

«Tranquilla, se non sono a casa tra mezz'ora potrai chiamare l'esercito, fino ad allora non devi preoccuparti». Mia sorella non si è ancora resa conto che ho smesso con le brutte idee, o forse mi vuole troppo bene e non può fare a meno di stare in ansia per me. 

«D'accordo, ma guarda che lo faccio davvero». Rido con lei, senza smettere di fissare quel verde brillante, che non mi ha perso di vista per tutto il tempo della mia telefonata. 

«Ci vediamo dopo». Mi saluta anche lei e poso nuovamente il telefono sul tavolo. 

«Tua sorella è decisamente troppo apprensiva nei tuoi confronti». Harry osserva con attenzione il mio viso, cercando di catturare ogni cambio di espressione, e credo che alla fine riesca a capire molto più di quanto vorrei che facesse. «O forse sei tu che le dai troppe preoccupazioni». Il suo sorriso furbo è segno evidente che mi sta provocando, ma anche che ha colto nel segno. 

«Diciamo che potrei non essere la sorella dell'anno». Negli ultimi mesi ho allontanato mia sorella dalla mia vita e dal mio cuore, e adesso so che devo lavorare molto per poter tornare ad avere il meraviglioso rapporto che avevo prima con lei. 

«Chloe Eveleen Stewart... tu sei una cattiva ragazza... Sei scappata da Montréal, tua sorella è costantemente in ansia per te, e non parli mai di te stessa... che cosa nascondi?» Si avvicina ancora un po', incrociando le braccia sul tavolino. 

«Se te lo dico poi dovrò ucciderti Harry Emerson Stevens». Uso anch'io il suo nome per intero, guardandolo con aria decisamente divertita. 

«Harold...» dice sorridendo. 

«Cosa?» Per un attimo sono confusa, perché non so cosa stia dicendo. 

«È Harold Emerson Stevens, ma non azzardarti ad usarlo». Mi punta un dito contro, quasi a toccarmi il naso, dopo le sue dita tornano ad appropriarsi della mia bottiglietta e ne butta giù un altro sorso, per poi riporla ancora vicino a me. 

«Non potresti semplicemente ordinare un'altra bottiglietta d'acqua invece di continuare a bere la mia?» Non mi dà realmente fastidio quello che sta facendo, ma di certo non glielo dirò. 

«E perché dovrei farlo quando tu non bevi più la tua?» Prendo le sue parole come una sfida. Afferro la bottiglietta, svito il tappo con forza e mando giù tutta l'acqua rimasta senza pensarci due volte. Solo che, quando la tolgo dalle mie labbra, mi rendo conto che lui ha messo la sua bocca esattamente qui, dove l'ho appena messa io, e la sensazione che provo a quel pensiero mi manda un'enorme vampata di calore in tutto il corpo. 

Ho voglia di baciarlo? 

Sì, ho decisamente voglia di baciarlo

E la cosa mi manda nel panico più totale. 

«Ora che abbiamo finito entrambi l'acqua possiamo andare» gli dico con troppa fretta. Ho bisogno di tornare a casa, di allontanarmi da lui e da tutto quello che riesce a provocarmi. 

«Sei una guastafeste Stewart». Lo osservo abbassare le maniche della camicia, abbottonare i polsini, per poi alzarsi in piedi e indossare la giacca, incantata da tutti i suoi movimenti. 

Solo quando lo vedo mettere la sedia, sulla quale era seduto, sotto al tavolo, mi rendo conto che anch'io devo alzarmi e alla fine lo faccio, sotto il suo sguardo divertito. Si è ovviamente reso conto che mi mancava solo la bava alla bocca mentre lo guardavo, ma sono contenta che non abbia fatto alcuna battuta in merito. 

Paga lui per entrambi, nonostante le mie calde proteste, poi usciamo dal locale tornando verso la metropolitana. Non è servito nemmeno oppormi quando lui ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa, mi ha totalmente ignorata e adesso è con me, sotto l'appartamento che condivido con mia sorella. 

«Grazie per la serata», gli dico, sentendomi anche un po' a disagio nel dirgli queste poche parole. 

«Grazie a te per avermi aspettato nell'atrio». So che vorrebbe dire molto di più, glielo leggo negli occhi, che per tutta la sera ho potuto guardare con attenzione e ammirazione. 

«Non ti montare la testa adesso, Stevens». Sto tentando di non mostrare tutta la mia debolezza, tutta quella che lui riesce a tirare fuori, perché non posso permettermelo. 

«Troppo tardi Stewart...», fa un passo verso di me, poi un altro e io non riesco ad allontanarmi, o semplicemente non voglio farlo, alla fine la sua guancia è a pochi centimetri dalla mia, sento il suo respiro sul mio orecchio, e alla fine, la sua voce appena sussurrata, mi porta direttamente su un altro pianeta, «...è davvero troppo tardi per questo...» 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Non posso dimenticarlo, non voglio dimenticarlo. ***


È la centesima volta che controllo l'orario sul display del cellulare.

Ok, magari non è proprio la centesima, ma mi sembra che il tempo non passi mai e ho perso il conto di quante volte ho controllato che ore fossero.

L'euforia con la quale mi sono svegliata stamattina, non fa altro che aumentare. La dose di adrenalina che sta girando per il mio corpo da diverse ore, mi rende elettrica e fin troppo energica, tanto che non ho avuto bisogno della sveglia e ho riordinato l'intera camera da letto prima ancora che sorgesse il sole.

Non sto più nella pelle dalla gioia, ho persino svegliato mia sorella con la colazione a letto perché proprio non riuscivo a stare ferma.

Sono appoggiata alla transenna che delimita l'uscita degli arrivi e il mio sguardo è continuamente rivolto verso l'alto dove ci sono i tabelloni luminosi che indicano l'atterraggio dei voli, fino a che sento aprirsi un enorme sorriso sul mio volto quando leggo che il volo Air Canada è atterrato. Sto per riabbracciarli, finalmente saremo di nuovo insieme, e io non riesco a dire quanto sono felice in questo momento. Spero solo che riescano a fare in fretta con i controlli, perché non vedo l'ora di averli con me.

Dopo qualche minuto iniziano ad uscire alcune persone, ma non so se siano del loro stesso volo, quindi resto totalmente concentrata su ogni volto che vedo sbucare dalla porta scorrevole di fronte a me, fino a che li vedo e il mio cuore sussulta.

Hazel e Kurt stanno praticamente correndo verso di me, come sto facendo anch'io con loro. Allargo le braccia e rimaniamo tutti e tre a lungo in questo abbraccio di gruppo, talmente stretti che sono sicura mi rimarranno i segni sulla schiena, ma non importa perché loro sono qui.

«Quanto mi siete mancati!» Ci allontaniamo giusto quel po' per guardarci in faccia e posso vedere i meravigliosi occhi verdi di Kurt colmi di gioia, e quelli così particolari di Hazel farsi lucidi. La mia migliore amica ha un colore di occhi spettacolare, che va dal verde al marrone chiaro, e cambiano a seconda della luce.

«Piccola Cleo, hai un aspetto orribile». Alzo gli occhi al cielo alla battuta del mio amico, ma so che ha ragione.

Da qualche giorno ho difficoltà ad addormentarmi e mi sveglio sempre troppo presto la mattina, insomma riesco a dormire poco e male. Tutto questo dalla serata che ho passato con Harry.

«Invece tu sei splendido, e anche tu Hazel». Non voglio rispondere alla sua battuta, perché sono fin troppo contenta che loro due siano a pochi centimetri da me. «Dai andiamocene da qui». Li prendo entrambi sottobraccio, posizionandomi al centro, e ci incamminiamo verso la metropolitana che ci porterà a casa.

La presenza dei miei migliori amici in questa giornata, era fondamentale per me. Sono praticamente innamorata di loro e, il fatto che sapessero quanto io avessi bisogno della loro presenza in questi giorni, è solo l'ulteriore conferma di quanto mi vogliano bene.

Nessuno dei tre riesce a stare zitto, come se non ci vedessimo o sentissimo da una vita. È un continuo di domande a raffica da parte loro nei miei confronti, ma la cosa non mi disturba affatto, perché sono come una seconda famiglia per me.

«Hai comprato tutti gli ingredienti che ti ho detto?» Saliamo sul vagone della metro e, subito dopo, la domanda di Hazel mi porta a sorridere per l'ennesima volta in pochi minuti.

«Sì, sono andata ieri sera con Rebekah.» E rido ancora al pensiero della spesa che abbiamo fatto ieri sera al supermercato dove lavora Larry.

*

Ricontrollo ancora una volta nella tasca dei jeans di aver preso la lista che mi ha mandato Hazel tramite messaggio, quella degli ingredienti che servono per la sua favolosa torta al cioccolato.

È la prima volta che faccio la spesa con mia sorella da quando sono arrivata a Boston. Finora ho comprato io qualcosa solo quando serviva, dato che ho molto più tempo libero di lei, ma stasera è uscita presto dall'ufficio proprio per venire con me al supermercato per non lasciarmi sola. Anche mia sorella sa quanto questi giorni siano duri per me.

Fra poco più di ventiquattro ore sarà il compleanno di Dylan e io ho bisogno di quante più distrazioni possibili, per non cadere di nuovo nel baratro dal quale sto risalendo a fatica.

«Cioccolato fondente». Mia sorella mi guarda e insieme ci dirigiamo nella corsia dei dolci.

«Quindi quel ragazzo alla cassa è amico di Harry?» mi chiede lei, spingendo il carrello.

«Sì, sono amici». Non so perché ho deciso di venire qui a comprare quello che ci serve, è stata una scelta d'istinto. Forse non avrei dovuto farlo, ma ormai è tardi per ripensarci.

Ho raccontato a mia sorella della sera in cui Harry mi ha portato qui facendomi quello stupido scherzo e, anche se al solo pensiero di quei momenti mi spunta un sorriso, cerco di allontanare subito quei ricordi, perché devo stare lontana da lui.

«Non riesco proprio ad immaginare il mio capo fare l'idiota in quel modo...»

«Ecco qua». Prendo le tavolette di cioccolata dallo scaffale senza darle il modo di continuare a parlare di lui, perché non voglio pensare in alcun modo a Harry. «Adesso serve il lievito». So che sono un controsenso vivente. Non avrei dovuto venire in questo supermercato dove lavora il suo amico, lo so, ma sono qui comunque.

Finiamo di comprare tutto quello che c'è nella lista di Hazel e anche il resto che ci serve per casa, poi andiamo alla cassa.

«Ti sei affezionata alla cioccolata eh?» mi dice Louis, appena prende il prodotto per passarlo sullo scanner.

 «Già, ma come vedi io la pago». La sua risata cristallina e sincera mi provoca un sorriso che non riesco a trattenere.

«Harry è un cretino a volte...» La sua frase lasciata in sospeso mi lascia credere che volesse aggiungere qualcosa, forse qualche bella parola in favore del suo amico, e non faticherei a credergli, perché sono certa che, dietro la facciata che Harry mostra al mondo, ci sia molto di più.

«Si, lo è». Ma devo interrompere qualsiasi cosa stesse per dire. Non voglio sentire parlare di lui.

Mi avvio verso il fondo della cassa per riempire i sacchetti della spesa, lasciando mia sorella a parlare con Louis non appena li ho sentiti discutere di Harry: sto cercando di tenerlo fuori dalla mia vita e non voglio venire a conoscenza di altri particolari che lo riguardino.

*

Una volta usciti da quel supermercato, il mio telefono si è messo a vibrare, e il mio cuore ha perso un battito quando ho letto il mittente di quel messaggio.

Harry non ha smesso di scrivermi almeno una volta al giorno e io non ho smesso di ignorarlo, proprio come sta avvenendo in questo momento. Guardo il display, per rimetterlo subito in tasca dopo aver letto il nome di chi mi ha appena scritto, sotto lo sguardo attendo dei miei due migliori amici.

«Chi è?» mi chiede Kurt, con lo sguardo di chi vuole assolutamente una risposta.

«Non... nessuno». Mi volto a guardare Hazel, ma anche lei ha lo stesso sguardo mentre mi osserva attentamente. «Che c'è?» La mia amica mi guarda come per incitarmi a parlare, con entrambe le sopracciglia alzate e, quando mi volto verso Kurt, vedo che mi guarda allo stesso modo.

«Piccola Cleo perché non vuoi dirci chi ti ha appena scritto?» Usa un tono a metà tra il rimprovero e il divertito.

«Nessuno Kurty, davvero... nessuno di importante».

«La tua risposta può andare bene adesso, che siamo in mezzo a tutte queste persone, ma stasera me lo dirai, a costo di spulciare ogni messaggio che c'è nel tuo telefono». So che lo faranno, ma devo provare a guadagnare tempo per tentare di fargli cambiare idea.

La sera che ho passato con Harry è stata una delle serate più belle che abbia trascorso dal giorno del mio compleanno, se non la più bella tra tutte.

Sono stata così bene con lui, che avevo dimenticato tutto: il dolore, i sensi di colpa, la rabbia, la tristezza, la disperazione e persino lui, in poche ore Harry mi ha fatto dimenticare tutto. Ho sorriso, ho riso, il mio cuore batteva veloce al ritmo della sua risata e i miei pensieri erano decisamente leggeri.

Una volta a casa, dopo aver fatto una notte intera di sonno senza incubi ed essermi svegliata completamente rilassata, ho realizzato quello che stava succedendo: Harry mi stava facendo dimenticare il mio Dylan, è riuscito a mandarlo così lontano nella mia mente, che, quando me ne sono accorta, mi sono sentita una persona orribile.

È bastata qualche ora con lui per far sparire dai miei pensieri tutto il brutto che riempie la mia vita, per accantonare Dylan in un angolo remoto della mia testa, e io non posso assolutamente permetterlo.

Il resto del viaggio verso casa è stato più tranquillo, Hazel mi ha raccontato di suo fratello, che sembra essersi finalmente fidanzato seriamente, nonostante Kurt insista sul fatto che non ci crede, cosa che faccio anch'io, perché sembra davvero poco credibile che il fratello della mia migliore amica abbia messo la testa a posto.

Arrivati a casa, i baci e gli abbracci si sprecano con mia sorella, che non li vedeva da tanto tempo, poi li accompagno in camera mia per fargli vedere il mio momentaneo piccolo regno personale.

«Questa stanza è bellissima», dice Kurt, dopo essersi buttato sul mio letto. Gesto subito imitato anche da Hazel.

«Lo è davvero». Si girano entrambi a guardarmi, sdraiati, appoggiati sui gomiti, con dei meravigliosi sorrisi, e io capisco subito cosa vogliono.

Mi lancio anch'io sul letto, in mezzo a loro, e restiamo abbracciati così, in silenzio per un po', fino a quando non sento la voce di Kurt.

«Manca una sola cosa qui dentro...» Mi volto alla mia destra per guardarlo, intento a fissare il soffitto. «Le lucine... mancano un sacco di lucine...» Si gira, mi sorride, e io non posso trattenermi dallo stringermi a lui.

«Ehi! Ci sono anch'io!» Hazel mi scavalca mettendosi in mezzo a noi due, che ridiamo di gusto al suo gesto. «Sai cosa manca veramente qui dentro?» Dice per poi mettersi seduta.

«Non è quello che penso, vero?» le chiedo, ma non risponde, poi la vedo alzarsi velocemente dal letto e dirigersi verso la sua borsa per tirarne fuori un grosso foglio arrotolato, e quasi non mi metto a piangere per la commozione quando lo srotola davanti a me.

«Justin!» La mia migliore amica ha portato il poster di Justin Bieber che era appeso nella mia camera di Montréal.

«Tu sei matta!» La mia voce, rotta dall'emozione, fatica ad uscire.

«Perché mi rovini sempre tutto?» Il tono infastidito di Kurt mi fa voltare all'indietro e vedo anche lui che si alza per andare verso il suo trolley. «Il piano era farle una sorpresa, ma nooo, certo che no, tu sei sempre troppo impaziente...» Si rivolge a Hazel mentre sta prendendo un sacchetto che porta vicino a me.

Ci sediamo sul letto e, quando lo apre, non riesco più a trattenere le lacrime di gioia.

Kurt mi ha portato le lucine che lui stesso aveva appeso nella mia vecchia camera, e io mi perdo nei loro abbracci tentando di smettere di piangere come una bambina.

***

«Adesso devi mescolare». Hazel mi porge una ciotola, nella quale ha messo alcuni ingredienti per la sua torta al cioccolato. Il compito di Kurt è quello di preparare la teglia con la quale inforneremo la magia di Hazel.

«Va bene così?» Le chiedo dopo aver mescolato per un po'.

Hazel controlla l'impasto e scuote la testa in senso di negazione e allora riprendo a mescolare. Ci comanda a bacchetta e noi eseguiamo, da bravi soldatini, per riuscire nell'impresa di aiutarla, ma non sono mancate battute da parte di Kurt e rimproveri da parte di Hazel, cose che hanno fatto risultare ancora più perfetto questo pomeriggio.

«Siete meravigliosi.» La voce di mia sorella ci fa voltare nella sua direzione. Ci guarda sorridendo, soprattutto me, perché sa quanto io mi sia rabbuiata in questi ultimi giorni.

«Io di sicuro, loro non tanto». Kurt prende uno schiaffetto sulla testa da me e Hazel che ci congratuliamo l'un l'altra per la nostra reazione avvenuta all'unisono. «Siete perfide!»

«Sentite, io stasera vado ad una festa, vi va di venire?» Mia sorella guarda i miei amici in attesa di una risposta, la mia sa già qual è.

«Che ne dici?» Si voltano entrambi verso di me, con la speranza di una risposta positiva, che però non arriverà.

«No». Il mio tono di voce è fin troppo deciso; non passerò la serata di Halloween a festeggiare, non passerò la serata del suo compleanno a divertirmi mentre lui non potrà mai più farlo.

«Eddai Chloe sarà divertente!» Kurt insiste e io, a stento, mi trattengo, ma è come se nel mio cervello stesse per eruttare un vulcano.

«Ho detto di no». So di risultare scorbutica e antipatica, ma non riesco a farne a meno, e mi irrita terribilmente il fatto che mia sorella, nonostante sapesse come la pensavo, ha voluto comunque chiederlo a loro, credendo che sarebbero riusciti a convincermi. Mi ha giocato un brutto tiro e questo non fa che aumentare il mio malessere.

«Però Chloe...» Ci si mette anche Hazel e io sbotto.

«Lui è tre metri sotto terra, con quale coraggio potrei andare a festeggiare proprio il giorno del suo compleanno!?» Urlo. La mia voce si alza sempre di più, ad ogni parola che esce con violenza dalla mia bocca, mentre loro tre restano a guardarmi senza avere più il coraggio di dire niente. E, a quel punto, dopo essermi resa conto di come li ho appena trattati, mi vergogno di me stessa e scappo in camera mia.

Mi siedo sulla poltroncina bianca accanto al mio letto, vicino alla finestra, rannicchio le gambe al petto e guardo fuori, tentando di andare lontano da qui con la mente.

Mi sento male, malissimo, per come ho trattato tutti di sotto, e per il dolore che provo per la scomparsa di Dylan, ma non riesco a piangere, non l'ho fatto quasi mai perché, se lo facessi, vorrebbe dire lasciarlo andare e non sono ancora pronta a farlo. Lui non c'è più, e la sera in cui è morto, sono morta anch'io, lasciandomi dentro solo tanto freddo.

So che devo reagire, l'ho promesso alla mia famiglia, ai miei due migliori amici e a mia sorella, ma non stasera. Stasera voglio solo ricordarmi di lui, di quanto lo amavo e di quanto lui amava me. Di quanto fosse meravigliosa la sensazione delle sue labbra sulle mie, di quanto mi piacesse quando mi prendeva per mano e mi tirava a sé, ovunque fossimo, senza fare caso al resto del mondo, perché eravamo solo noi due. Voglio ricordarmi dei suoi occhi e di come mi guardava, del suo modo di parlarmi o di come riusciva a farmi ridere.

Il suo modo di prendermi in giro, il tempo passato insieme a studiare, le serate al pub di Ryan, i pic-nic al parco, gli immancabili mercatini di Natale, dove compravamo ogni sorta di decorazione natalizia, e le giornate passate nella città sotterranea... Voglio imprimere ogni cosa, ogni giorno, ancora una volta nella mia testa.

Non posso dimenticarlo. Non voglio dimenticarlo.

Qualcuno bussa alla mia porta. «Si può?», ma non rispondo, e non mi volto a guardare chi è appena entrato. «Chloe?» Il suo tono incerto, e quasi sussurrato, non fa che aumentare la mia vergogna alla mia reazione di poco fa. Sono io quella che dovrebbe tentare di riavvicinarsi a loro, ma come sempre, succede il contrario.

Sento i suoi passi cauti farsi sempre più vicini, ma non mi muovo dalla mia posizione raggomitolata sulla poltroncina, e non sposto lo sguardo nemmeno quando cessa il rumore dei passi.

Dovrei voltarmi, dovrei chiedere scusa per come mi sono rivolta loro, dovrei smetterla di chiudermi come sto continuando a fare, eppure non mi muovo di un millimetro e, anche quando la sua mano accarezza dolcemente la mia testa, io resto ferma, immobile nel mio silenzio.

«Se non vuoi andare non fa niente Chloe, non m'importa della festa... quello che davvero m'importa sei tu...»

«Io non voglio dimenticarlo, Kurty...», gli dico, interrompendolo. Lui si abbassa immediatamente alla mia altezza, piegandosi sulle gambe.

«Nessuno vuole farlo tesoro mio...» Posa le mani sulle mie gambe e finalmente lo guardo. Kurt è così bello, così dolce, e così buono, che a volte credo di non meritare la sua amicizia, che continua a concedermi incondizionatamente. «Tua sorella cercava solo un modo per non farti pensare, per non farti sentire sola. Riesci ad immaginare quanto tutto questo sia difficile anche per lei?» Annuisco in silenzio mentre le sue mani scivolano leggere sulle mie gambe, facendomi rilassare un po'.

Dovrei dire qualcosa, ma resto ancora in silenzio, dovrei dirgli che ha ragione, che tutti loro hanno ragione, ma non ci riesco. Tutto quello che faccio è guardarlo negli occhi, e chiedergli silenziosamente aiuto come faccio sempre.

«Sai che facciamo?» Lo guardo, restando in attesa che lui continui a parlarmi, con quel suo dolcissimo tono di voce. «Stasera stiamo a casa e ci mangiamo tutta la torta di Hazel mentre guardiamo Kung fu panda». Mi sta trattando come una bambina, ma è proprio così che mi sono appena comportata e me lo merito. Devo dire comunque, che il programma che mi ha appena proposto per la serata è troppo allettante per rifiutare e, poco a poco, il sorriso si fa spazio sulle mie labbra.

«Tu lo sai quanto ti voglio bene Kurty?» Abbasso le gambe, poi scendo dalla poltrona mettendomi in ginocchio vicino a lui.

«Me lo dici sempre troppo poco, ma so di esser meraviglioso e, nella mia meravigliosità, ti perdono». Sorrido per poi abbracciarlo e farmi stringere dalle sue braccia.

L'idea che mi ha appena proposto è la stessa serata che abbiamo sempre trascorso noi tre insieme a lui. Cenavamo a casa sua, poi guardavamo Kung fu Panda e infine uscivamo a festeggiare indossando le nostre maschere di Halloween. L'unica cosa che potremo fare quest'anno è guardare il film, ma sarà come averlo con noi.

***

«L'ultima fetta è mia!» Kurt allunga la mano per prendere il piattino e tirarlo a sé.

«Non ci pensare nemmeno, quella fetta è mia, sono rimasta indietro rispetto a voi, questa è mia di diritto». Tiro il piattino verso di me, ma lui non molla la presa.

«Non è colpa mia se hai lasciato Montréal e la scusa che sei rimasta indietro con il numero di fette mangiate, non è cosa che mi riguardi». Tira di nuovo dalla sua parte, il tutto sotto lo sguardo divertito di Hazel e Rebekah.

Mi sono scusata con loro e, anche se non lo meritavo, ho ricevuto due forti abbracci, che ho trattenuto il più a lungo possibile. So di essere fortunata, spero solo di non dimenticarlo mai.

Poi il mio telefono, appoggiato sopra il ripiano della cucina, vibra, distraendomi dal mio tira e molla, così perdo la presa e alzo gli occhi al cielo per il divertimento del mio amico. Mi allontano dal tavolo per andare a controllare chi mi abbia scritto e, quando leggo il suo nome, blocco immediatamente il display, senza nemmeno leggere il messaggio.

Mia sorella è di spalle e non ha notato niente, ma i miei due amici hanno visto tutta la scena, e sono certa che non mancherà molto all'inizio dell'interrogatorio di terzo grado.

«Vado a prepararmi», dice mia sorella, controllando l'orario sull'orologio appeso in cucina e, non appena sale le scale, e sparisce al piano superiore, gli sguardi dei miei due amici, si fanno molto più attenti.

«Adesso puoi dirci chi è...» Non è una domanda quella di Hazel, e so che comunque, prima o poi, dovrò dirglielo. Non si arrenderanno.

«Si chiama Harry...» La loro curiosità si accende. «Ed è il capo di mia sorella...»

«È il tizio carino che ti aspettava quel giorno quando eravamo al telefono?» La memoria del mio amico mi fa quasi paura.

«Quale tizio carino, e perché io non ne so niente?» La voce finta offesa di Hazel mi fa sorridere.

«Non è carino e non mi stava aspettando». Cerco di smorzare il loro entusiasmo perché non voglio che si facciano idee sbagliate, e poco alla volta racconto tutti i dettagli di cui non ho voluto parlare con loro al telefono.

Come l'incontro con Dylan numero due, di quanto si assomiglino, e di quanto mi faccia male stare vicino a lui. Gli racconto di Harry, dello scherzo con Larry, di Zach, e di ogni altro dettaglio che ho volutamente omesso di raccontargli perché sentivo di non poterlo fare al telefono.

Mi ascoltano con attenzione, facendo solo poche domande; voglio che sappiano tutto, perché sento il bisogno di condividere con loro ogni cosa mi stia succedendo, fino ad arrivare all'altra sera, quella che ho passato con Harry, quella che mi ha fatto stare bene, troppo bene per essere una serata qualunque.

Dopo ulteriori domande e chiarimenti, ci sdraiamo sul divano pronti a guardare Kung fu panda. Io ed Hazel facciamo sedere Kurt al centro, poi mi avvinghio a lui come un piccolo Koala pensando al fatto che, l'anno scorso, al posto del mio migliore amico, c'era lui.

«Perché non gli rispondi?» Il film è appena iniziato, ma Kurt non ha ancora smesso con le domande.

«Non voglio farlo e basta». So che se gli dicessi il reale motivo per cui lo sto ignorando, riuscirebbe a convincermi a comportarmi diversamente nei confronti di Harry, ma semplicemente non voglio.

Non insiste, ma sospira pesantemente, segno che non è affatto d'accordo con me, poi la mia attenzione viene attirata da mia sorella che scende le scale indossando il suo costume. È bellissima nel suo vestito completamente nero, aderente, da strega, con i capelli raccolti sotto all'enorme cappello a punta.

«Sei bellissima Reb!» Il commento di Hazel conferma il mio pensiero e resto appoggiata al petto di Kurt mentre la osservo, sentendo la mano del mio migliore amico che accarezza la mia schiena. Stare così vicino a lui, mi ha sempre dato un grande senso di tranquillità e le sue carezze sono sempre state un toccasana per il mio umore.

Poi il suono del citofono fa quasi correre mia sorella per andare a rispondere. «Sì sono pronta. Vuoi salire cinque minuti?» Zach è venuto a prenderla. Andranno insieme alla festa. Mi piacciono molto loro due insieme, spero che continuino a frequentarsi.

Rebekah si avvicina alla porta, dopo aver aperto il portone sotto, aspettando Zach.

«Ascolta bene questa parte...» Kurt mi esorta ad ascoltare attentamente la prossima battuta del film.

“Mollare, non mollare... Spaghetti, non spaghetti... Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C'è un detto: ieri è storia, domani un mistero, ma oggi... è un dono. Per questo si chiama presente.”

«Hai ascoltato?» mi sussurra. Stringo un po' di più la presa sul suo maglione bianco, sentendomi parte di ognuna delle parole che ho appena sentito.

Lo conosciamo a memoria, ogni scena, ogni battuta, eppure quest'anno quelle parole hanno un effetto nuovo nella mia testa. Non gli rispondo, perché non so davvero cosa dire e lui mi stringe un po' di più.

«Ciao a tutti». La voce di Zach arriva alle mie orecchie. Tutti rispondono, me compresa, e poi sorrido quando sento il commento di Kurt, bisbigliato a bassa voce alle mie orecchie.

«Ma quanto è figo il ragazzo di tua sorella?» Non alzo la testa per guardarlo, so benissimo quanto sia carino Zach. In compenso alzo gli occhi al cielo per la battuta del mio migliore amico, alla quale rispondo a mia volta sussurrando.

«Hai detto bene, è il ragazzo di mia sorella, non becchi niente stavolta...» Lo sento sbuffare e poi sussurra di nuovo...

«Oh mio Dio...» Ma non faccio in tempo a chiedergli spiegazioni che la voce di un nuovo ospite arriva forte e chiara ad ogni parte del mio corpo.

«Ciao...» Nel sentire il suo saluto mi aggrappo con più forza a Kurt, come se potessi inglobarmi a lui e sparire alla vista di tutti i presenti.

«E quel fico da paura chi è?» Il tono della voce di Kurty è decisamente troppo eccitato e, non appena gli avrò rivelato di chi si stratta, andrà letteralmente su di giri.

«Oh ciao Harry, vieni anche tu alla festa?» Sento la voce di mia sorella, ma non la sua risposta, perché Kurt inizia subito con il suo interrogatorio sussurrato?

«Oh mio Dio, ma quello è Harry il capo di tua sorella? Quello che tu ignori?»

«Sì, è lui». Continuo a tenere la testa bassa, completamente schiacciata al petto del mio migliore amico.

Avevo scartato l'idea che lui passasse di qua stasera. Sono giorni che mi scrive e che lo ignoro. Non gli ho mai risposto, nemmeno una volta, ma lui ha continuato ad insistere e stasera è qui.

Forse si è presentato per insultarmi di persona, data la mia evidente maleducazione, o forse vuole solo delle spiegazioni perché ho cambiato atteggiamento da un giorno all'altro. La sera prima stavo per saltargli letteralmente addosso, e sono certa che lui se ne sia accorto, mentre il giorno dopo, mi sono comportata come se lui non esistesse, o non fosse mai esistito. Sono stata una stronza, eppure lui è qui.

«Ciao, io sono Harry». La sua voce è più vicina.

«Io sono Hazel, piacere di conoscerti». La dolcezza della mia migliore amica non si smentisce mai.

«Harry, piacere.». D'un tratto, non sento più il peso del braccio di Kurt sulla mia schiena, segno che gli sta stringendo la mano.

«Piacere mio, Harry, mi chiamo Kurt». Il tono di voce melenso del mio amico mi fa alzare gli occhi al cielo, perché sta cercando di fare colpo su di lui.

«Ciao Chloe». Ogni lettera che gli esce dalla bocca arriva al mio cervello ed esplode, lasciando una eco ad effetto tsunami.

«Ciao». Resto ferma nella mia posizione, senza degnarlo di uno sguardo, e mi sento più tranquilla quando la mano di Kurt torna sulla mia schiena.

Anche Zach si avvicina per presentarsi. «Vengono da Montréal, sono amici di Chloe», gli dice Rebekah, mentre lui stringe le mani a tutti e due.

«Piacere di avervi conosciuti; noi andiamo. Harry vieni con noi?» È Zach a parlare, rivolgendosi al suo amico, il quale, per tutta risposta, si accomoda nella poltrona accanto al divano.

«No, adoro Kung fu panda, resterò qui con loro». Credo di stare per avere un attacco di panico: Harry non può e non deve restare qui.

«Ma certo che sì, più siamo meglio è». Questa invece è la voce di Hazel, che credo di iniziare ad odiare un pochino.

Possibile che i miei due migliori amici non capiscano quanto abbia bisogno di crogiolarmi nel mio dolore stasera?

E, alla fine, ci si mette anche il film, con una battuta che comincia a far vacillare ogni mia convinzione.

“Spesso ci si imbatte nel proprio destino, sulla strada per evitarlo.” 

 

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Capitolo 15
*** Sono qui ***


AVVISO IMPORTANTE!!! MI SONO ACCORTA ORA DI AVER SALTATO UN CAPITOLO, ESATTAMENTE IL 7 CHE SI INTITOLA "Cosa non hai capito di torno subito" 
NON SO COME ABBIA POTUTO COMMETTERE QUESTO ERRORE, MA L'HO FATTO. CHIEDO ENORMEMENTE SCUSA, E ORA è ONLINE, SE VOLETE TORNARE INDIETRO A LEGGERLO.
SCUSATE ANCORA


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Le uniche voci che si sentono nella stanza sono quelle di Po, Shifu e tutti gli altri personaggi del film.

Rebekah è uscita con Zach, io sono ancora avvinghiata a Kurt, nonostante lui abbia tentato un paio di volte di alzarsi, ma non gliel'ho permesso. Ho il terrore di restare senza il suo sostegno.

Ho il terrore di restare sola con Harry.

Lui e i miei amici hanno scambiato qualche parola, io sono sempre rimasta abbracciata a Kurt, con la faccia schiacciata al suo petto e le gambe incrociate alle sue. Non m'importa cosa stia pensando Harry in questo momento, cosa gli stia passando per la testa vedendomi così, ma spero si faccia l'idea sbagliata, spero che pensi che io sia una stronza, menefreghista, e opportunista. Spero che mi odi, che mi detesti tanto da andarsene e non tornare mai più.

«Chloe ho bisogno di alzarmi... mi si è addormentata una gamba e devo andare in bagno». È la seconda volta che mi dice che deve andare in bagno, stavolta ci ha aggiunto la scusa della gamba addormentata, ma so cosa sta facendo e io non voglio.

Non gli rispondo. Infilo il piede - infagottato nei miei calzettoni blu - sotto al suo polpaccio e faccio scorrere la mia mano sulla sua pancia fino ad arrivare al fianco per tenermelo bello stretto. Lui sbuffa, ma non si muove, fino a che sento di nuovo la voce di Harry.

«Lo farai soffocare se continui a stringerlo in quel modo». Il suo tono di voce è divertito, non ha fatto il mio nome, ma è evidente che si stia riferendo al fatto che sto stritolando il mio amico.

«Piccola Cleo, Harry ha ragione, ti prego, ho bisogno di alzarmi». Sono costretta a lasciarlo andare per evitare altre battute a cui non so rispondere in questo momento, perché ci sono troppe sensazioni che non riesco a tenere a bada, troppe emozioni che non riesco a controllare, e seguo Kurt con gli occhi fino a quando scompare al piano di sopra.

Per fortuna, Hazel resta seduta. Avevo temuto che non appena Kurt si fosse alzato, lei l'avrebbe seguito lasciandomi sola con Harry, ma a quanto pare mi sbagliavo.

Mi metto seduta meglio, incrociando una gamba sotto al sedere, e sento spesso lo sguardo di Harry su di me: è da quando si è seduto su quella poltrona che guarda nella mia direzione. Pur non essendomi mai girata verso di lui, so che l'ha fatto, è solo una sensazione, ma sono certa che sia così.

Fingo una calma che non provo, una tranquillità che non mi appartiene in questo momento, perché un anno fa a quest'ora stavo mangiando pop-corn con la mano di Dylan che passava tra i miei capelli, mentre adesso sono un fascio di nervi per tutta questa assurda situazione.

Non avrei dovuto uscire con Harry, non avrei dovuto permettergli di avvicinarsi così tanto, e non dovrei essere in questo stato confusionale a causa sua, perché, per quanto tenti di negarlo, la sua sola presenza è il motivo principale della mia scarsa lucidità.

“La tua mente è come quest'acqua, amico mio: quando viene agitata diventa difficile vedere, ma se le permetti di calmarsi, la risposta ti appare chiara.”

Altre parole arrivano dallo schermo del televisore e, mai come questa sera, questo film sta mandando a farsi benedire ogni mio tentativo di essere razionale, fredda, e distaccata. È come se il film mi stesse parlando, come se stesse tentando di mandarmi dei messaggi che però non voglio ascoltare.

Poi cado nel panico vero, quando vedo Hazel alzarsi.

«Sto andando a prendermi un po' d'acqua, volete qualcosa da bere?» Guardo la mia migliore amica in piedi accanto a me, implorandola con lo sguardo di non alzarsi, ma lei continua a sorridermi come se niente fosse, come se non capisse il senso di disperazione che provo e che sto cercando di comunicarle con gli occhi, poi si volta verso Harry aspettando una sua risposta.

«No, grazie», le dice lui, e io cerco mentalmente una scusa per allontanarmi da questo divano, che si è fatto troppo deserto per i miei gusti, ma non faccio in tempo, perché la sua voce torna subito a farsi sentire. «Cleo, eh?» Resto immobile con gli occhi puntati sullo schermo del televisore, come se così facendo potesse non vedermi. «È un soprannome che può usare solo il tuo ragazzo?» mi chiede, ed esulto mentalmente per il fatto che sono riuscita a fargli avere un'idea sbagliata del mio rapporto con Kurt, e questo mi dà la spinta necessaria per continuare ad interpretare il mio ruolo della stronza acida.

«Che t'importa?» Non sono riuscita ad interpretare il suo tono di voce. La mia mente è percorsa in lungo e in largo da una quantità tale di pensieri, che non ho la lucidità necessaria per riuscire a capirlo.

«M'importa Chloe...» Mi giro a guardarlo per la prima volta da quando è entrato in casa: è vestito completamente di nero. Maglietta, giacca, jeans strappati, e persino gli stivaletti, sono tutti accomunati dallo stesso colore, ed è bello da morire con i capelli sciolti. «M'importa sapere perché sei sparita...», le sue labbra si muovono lente mentre pronuncia quelle parole, «m'importa sapere perché mi stai ignorando...», porta la schiena in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, «penso di meritare almeno una spiegazione...»

«E perché mai ti dovrei una spiegazione?» Non riesco a guardarlo negli occhi per troppo tempo, ho bisogno di togliere spesso il mio sguardo da lui perché, quando lo guardo, non riesco più ad essere stronza come vorrei.

«Perché anche tu hai sentito quello che ho sentito io... ci sono volte in cui mi guardi e io so che sta succedendo qualcosa, ma poi scappi e...» Devo fermarlo.

«Non ho visto e non ho sentito niente, Harry, stai dicendo solo una marea di cazzate!» Ho bisogno di prendere le distanze da lui e da quello che sta dicendo, perché è tutto assolutamente vero, ma non posso permettermi di far cadere la maschera di fronte a lui, non posso farlo di fronte a nessuno.

«Cazzate Chloe? Veramente?» Anche lui ha iniziato ad alzare leggermente la voce, mentre si sporge un po' più avanti sulla seduta della poltrona, come per protendersi verso di me.

Devo inventarmi qualcosa per tenerlo lontano, per far in modo che si dimentichi di me e di quella sera che abbiamo passato insieme. Non faccio altro che maledirmi per essermi lasciata andare in quel modo, non avrei assolutamente dovuto farlo.

«Sì, Harry, veramente! Hai visto anche tu che ho un ragazzo no?» Cerco di usare il tono di voce più credibile che riesco ad interpretare.

È stato lui a tirare fuori questa cazzata, credo di poterla sostenere, di fargli credere che sono impegnata, così da fargli sparire dalla testa qualunque idea si sia fatto.

Ho sbagliato a credere che avremmo potuto essere amici, ho sbagliato a credere che non ci sarebbero state conseguenze. Non riesco a fermare l'incontenibile presenza di Harry, non so proprio cosa devo fare.

«A parte che non hai fatto altro che stare a dormire su di lui, in più di un'ora che sono qui - quindi non so quanto quel tizio sia davvero il tuo ragazzo - ciò non toglie che so che è successo qualcosa tra noi. Per quanto ti ostini a negarlo, io so che è così. È successo quando sono stato qui a casa tua. È successo quando sono venuto a prenderti con la moto. È successo quando eri nel mio ufficio, vicino alla vetrata. È successo quando ti ho chiesto di uscire. Ed è successo per tutto il tempo quella sera, quando mi hai aspettato nell'atrio...» Merda! Si ricorda tutto quanto, tutto, e io sono completamente nel panico.

Le sue parole, la sua voce, il modo in cui mi guarda, in cui gesticola o come è continuamente proteso verso di me, ogni cosa di lui mi fa venire voglia di farmi stringere tra le sue braccia, ma non posso farlo, non devo farlo, perché non è giusto.

Poi si toglie la giacca di pelle, restando con addosso solo la maglietta a maniche corte nera, e il mio sguardo cade un'altra volta su tutti i disegni che gli ricoprono le braccia, si alza in piedi e mi si avvicina. A quel punto vengo colta da un'altra ondata di panico, per cui mi alzo anche io andando verso la finestra, ma lui mi segue restando, per fortuna, a qualche passo da me, quando sente la mia voce farsi più dura.

«Non sai niente, Harry, niente!» Non voglio dargli le spalle e non voglio guardarlo in faccia, non voglio che mi resti vicino, ma non voglio che se ne vada. Vorrei solo non averlo mai conosciuto, almeno non mi troverei in questa stupida situazione dalla quale non so come uscire.

«Giusto, io non so niente, e allora perché non me lo dici tu quello che succede!?» Sembra davvero arrabbiato e, se una parte di me soffre nel vederlo così, l'altra parte di me sa che è la cosa giusta da fare per allontanarlo il più possibile.

«Non devo dirti proprio niente», Riesco a vedere le persone in strada che escono a festeggiare, che ridono, che si divertono, che sono felici. Bambini che corrono, gruppi di amici in costume che stanno andando a qualche festa, e anche una coppia che si tiene per mano, ed è la scena peggiore me.

«E invece lo farai!» Volto la testa di scatto alle sue parole piene di collera, dette con il solo intento di provocare.

«No». Sto facendo appello a tutte le mie forze per resistere a Harry, ai suoi occhi, alle sue braccia, alle sue parole, e al fatto che si sta avvicinando a me di un altro passo.

«Sei davvero una stronza acida del cazzo, Chloe...» Sento il rancore nelle sue parole, lo sento sputato in ogni parola che gli esce dalla bocca, e la sensazione che provo è orribile, come se mi trovassi sull'orlo di un precipizio e lui non facesse altro che continuare a spingermi verso il vuoto.

Forse sono sul punto di raggiungere il mio scopo, cioè che lui mi odi, e che mi lasci sola a soffrire come merito.

«Sì, Harry, lo sono...» Lo guardo dritto negli occhi, tentando di trasmettergli tutto il peggio che c'è dentro di me. Tutta la rabbia che provo contro me stessa, e anche verso di lui, che sta riuscendo a distruggere ogni barriera senza che io riesca a fermarlo.

Provo così tanta rabbia che sento persino l'amaro in bocca, come se la mia saliva si fosse trasformata in veleno, forse è il mio sangue ad essere avvelenato da tutti i sentimenti negativi che provo, e forse quello stesso sangue è riuscito ad avvelenare anche il mio cervello, con il quale non riesco più a ragionare lucidamente, soprattutto adesso che Harry è ad un passo da me, e se i suoi occhi potessero farlo, mi avrebbe già incenerita.

«E sei una vigliacca...» Anche lui sembra essere avvelenato e vomita quelle parole con una cattiveria tale da lasciarmi senza niente da dire. «Credi di essere migliore di me?» È come se, con le sue parole, stesse caricando dentro di me energia sufficiente a demolire un intero palazzo. Mi sta insultando? Mi sta provocando? Non lo so quello che sta cercando di fare, ma non mi è assolutamente possibile ignorare il suo sguardo. «Sei patetica!»

Mi sento come se, con queste due ultime parole, avesse appena acceso una miccia nella mia testa e io non ho alcun mezzo per poterla spegnere perché, per quanto ci abbia provato, le parole stanno per uscire come un fiume che ha appena distrutto ogni argine.

«Sì, Harry, sono patetica! Lui non c'è più!... Oggi è il suo compleanno e lui non c'è più! È morto su quella dannatissima moto ed è solo colpa mia!» Sono immobile, di fronte a lui, rigida come una statua di marmo, senza fiato per le parole che gli ho appena urlato in faccia.

Harry non parla più, e per un attimo non vedo più niente, come se non fossi nemmeno nel mio corpo, poi sento un paio di braccia stringermi forte: Harry mi sta abbracciando, riconosco le sue braccia tatuate dopo aver appoggiato di lato la mia testa sul suo petto. Sento il suo cuore battere veloce, il calore del suo corpo, la forza con la quale mi tiene in piedi, perché so con certezza che, se non fossi tra le sue braccia, sarei finita dritta distesa sul pavimento.

Dire quelle parole a lui, ad alta voce, l'ha reso ancora più reale di quanto già non lo sia. Il mio cuore si è spezzato ancora, e ancora, e ancora. Il dolore mi stringe così forte la gola da farmi mancare l'aria, e mi accorgo di stare piangendo solo quando la vista è completamente annebbiata e i singhiozzi mi scuotono il petto in maniera violenta.

Sto piangendo. Lo sto lasciando andare, non voglio farlo, ma non riesco a fermarmi. Il contatto così ravvicinato con Harry è inspiegabile. È come se stesse assimilando il mio dolore senza dire nemmeno una parola, solo con la sua presenza. Come se lui fosse una spugna e stesse assorbendo ogni goccia, se lo sta portando via, lo sta allontanando da me, che inizio a lasciarmi andare dalla mia postura rigida per avvolgere le mie braccia intorno alla sua schiena e aggrapparmi a lui, come se fosse la mia salvezza.

La sua mano risale lenta la mia schiena per arrivare fino alla mia testa, che tenta di tenere ferma, come se potesse fermare i singhiozzi che ancora mi scuotono. Lo sento sussurrare, bisbigliare, ma non ho la minima idea di quello che stia dicendo e, senza una spiegazione plausibile ogni suo gesto, ogni sua carezza e anche ogni parola che pronuncia, anche se non la capisco, tutto questo mi fa sentire meglio ad ogni secondo che passo in questo stretto contatto.

In questo abbraccio sento Harry vicino a me, come non lo è mai stato nessuno, e non parlo di vicinanza fisica, sento che lui c'è, è arrivato lì, dove non ho permesso a nessuno di arrivare, perché sta riuscendo a calmarmi solo tenendomi stretta. I singhiozzi sono sempre meno. Gli occhi li sento gonfi, ma hanno smesso di lacrimare. Il respiro sta tornando regolare, il cuore sta rallentando, ma la sua presa su di me è sempre ben ferma.

«Sono qui Chloe... Respira, sono qui...» Adesso riesco a riconoscere le parole che sta sussurrando con una dolcezza che non aveva mai mostrato, una dolcezza che mi sta facendo desiderare di rimanere in questo abbraccio per sempre, perché so che appena lui si allontanerà da me, i sensi di colpa mi travolgeranno ancora come uno tsunami e tutto questo mi sarà impossibile da sopportare. So che odierò Harry per avermi fatto stare bene.

***

Harry
 

È la prima volta che la vedo così fragile.

Non pensavo davvero le cose che le ho detto, non credo affatto che sia patetica, ma non sapevo più cosa fare per fare in modo che mi parlasse, che mi dicesse quello che le succede. Non ho mai creduto che quel ragazzo, sul quale ha passato la maggior della serata, fosse il suo ragazzo. Devo ammettere che appena li ho visti avvinghiati sul divano ho avuto il sospetto, ma poi lui ha tenuto perennemente le mani a posto, e lei non ha fatto altro che starci sdraiata sopra, come se fosse il suo divano personale.

Ora, che si sta calmando, e sta riprendendo a respirare regolarmente, allento un po' la presa sul suo corpo, che ha smesso da poco di essere scosso dai singhiozzi. Non so dire come mi sento in questo momento. Non avrei dovuto essere così stronzo e dirle tutte quelle merdate.

Non so cosa dire, non so cosa fare, non mi è mai successo di trovarmi in una situazione come questa, vorrei solo poter fare la cosa giusta e migliore per lei, per farla stare meglio, per rimediare al mio comportamento da stronzo. La mia mano scorre lenta sulla sua schiena in una carezza leggera e continua, fino a quando veniamo interrotti.

«Ehi...» Improvvisamente lei scivola via dalle mie braccia per infilarsi in quelle della sua amica. «Va tutto bene Chloe...» Si rifugia con il viso contro il corpo della ragazza che mi guarda quasi dispiaciuta. «Vieni con me». Si allontanano entrambe, lasciandomi lì come un cretino, con la maglietta intrisa delle sue lacrime e l'aria di uno che non ha capito un cazzo di cosa sia appena successo.

Mi strofino con forza le mani sul viso, poi mi lego i capelli e mi appoggio con entrambe le mani alla finestra senza guardare realmente niente in particolare, ma con l'unico scopo di riprendere anch'io fiato. Mi sento come se avessi appena corso diverse miglia.

«Non sono il suo ragazzo». La voce del ragazzo/divano arriva cauta alle mie spalle.

«L'avevo immaginato». Questo tizio o è stupido o è gay.

«È la prima volta che piange». Quello che ha appena detto mi spinge a voltarmi per guardarlo, incuriosito dalle sue parole, e il mio cervello inizia adesso a fare i primi collegamenti.

«Ha parlato di qualcuno che fa gli anni oggi, ma che è morto a causa sua». Solo adesso inizio a realizzare veramente le parole di Chloe. Non ho assolutamente idea di chi stesse parlando, ma è ovvio che fosse qualcuno che ha amato molto. Era suo fratello? Il suo ragazzo? Il suo migliore amico?

«Non... non sono io a doverne parlare. Deve essere lei a dirtelo. Quello che posso dirti è che tu sei riuscito in qualcosa che nessuno è riuscito a fare prima... L'hai fatta piangere, e so che detta così può sembrare una cosa brutta, in realtà ne aveva bisogno. È troppo tempo che si tiene tutto dentro». E io che in questi giorni avevo elaborato le teorie più assurde per il suo silenzio.

Zach e Larry hanno continuato a dirmi di smetterla di pensare stronzate e di parlare con lei per avere un chiarimento, ma ovviamente io sono un cretino e non l'ho fatto.

Dopo la serata che abbiamo passato insieme, avevo creduto di poter instaurare di nuovo un rapporto con qualcuno di cui potermi fidare, ho sentito di potermi aprire a lei, poi è sparita dalla sera alla mattina, e io ho perso la testa.

Un altro neurone nel mio cervello riprende vita, ricordandosi di quello che ha appena detto Kurt, almeno così mi sembra che si chiami. Non sono il suo ragazzo... stava ascoltando? 

«Ci avete lasciati soli di proposito?» Chloe ha alzato diverse volte la voce. Lì per lì non ho pensato a loro due, ma ora che ci rifletto, non possono non averci sentito discutere. Perché nessuno dei due si è fatto vedere fino ad ora?

«Sì». È la sua semplice risposta.

Lo osservo per un attimo, cercando di interpretare la sua espressione, ma i miei neuroni sono stati messi a dura prova stasera, e hanno difficoltà a rimettersi in moto. E probabilmente ha preso il mio silenzio come un'altra richiesta implicita, perché subito dopo riprende a parlare.

«Oggi ci ha raccontato un po' di te, di come tu riesci a porti nei suoi confronti... non che sia stato facile, sia chiaro. In realtà ho dovuto costringerla, ma da quello che mi ha detto, per come la conosco io, e ti assicuro che la conosco meglio di chiunque altro, tu sei riuscito ad infiltrarti nella corazza che si è costruita, sei riuscito a far smuovere tutti i sentimenti che teneva congelati, hai incrinato quel ghiaccio, Harry, e adesso lei non sa più come rimetterlo a posto». Ho ascoltato attentamente ogni singola parola e non resto del tutto sorpreso da quello che mi ha appena detto il suo amico.

Lo sapevo che fosse successo qualcosa tra me e Chloe, ma non riuscivo ancora a capire bene cosa.

«Credi... credi che dovrei andarmene?» Non vorrei farlo, ma non vorrei neanche forzare la mano.

Chloe mi ha appena confessato una cosa molto importante per lei, le ho detto delle cose di cui non vado fiero. Non so in quale stato mentale si trovi in questo momento, sono già parecchio confuso io, non oso immaginare come stia lei, e non vorrei fare qualcosa per cui ogni progresso che ho fatto finora svanisca nel nulla.

«No, Harry, resta, ma solo se tieni veramente a lei. La tua presenza le fa bene, anche se non è ancora disposta ad ammetterlo, ma è così, fidati di me. Invece, se per te Chloe è solo un passatempo, allora ti consiglio di andare via adesso». Non ho bisogno di pensare al fatto se tengo veramente o no a Chloe, perché so che, altrimenti, non sarei nemmeno venuto qui stasera dopo che lei ha ignorato ogni mio fottutissimo messaggio che le ho scritto da quando abbiamo trascorso insieme quella serata.

«Ok. Posso... potrei avere un po' d'acqua?» Il ragazzo/divano mi sorride gentilmente, poi mi fa cenno di seguirlo, cosa che faccio subito arrivando fino in cucina.

Prende un bicchiere da uno sportello, apre l'acqua dal rubinetto del lavandino e lo riempie per porgermelo. «Tieni». Lo afferro dalla sua mano e lo bevo tutto d'un fiato per poi posarlo sul tavolo.

«Siete amici da tanto?» Ora che ho accertato senza ombra di dubbio che non è il suo ragazzo, voglio sapere chi è veramente per lei.

«Da tutta la vita praticamente. Non ho nessun altro oltre lei e Hazel». Ne parla con grande affetto, devono essere molto legati loro tre.

Vorrei fargli altre domande, vorrei scoprire qualcosa in più, ma non so da che parte cominciare, e non so se lui sia disposto a parlarmi di lei. Mi sento così confuso e non so davvero come comportarmi.

«Kurty?» Entrambi ci giriamo nel sentire quella voce. «Chloe vorrebbe parlarti». La sua amica ha un sorriso che sembra tranquillo, ma io mi sento terribilmente nervoso.

«Ok... scusami, Harry». Mi sorride e lo guardo uscire dalla cucina, mentre si dirige nella sua stanza.

Resto solo con la sua amica, che mi osserva con una strana espressione. Non saprei dire se è più divertita o più incuriosita, forse una via di mezzo, ma la certezza è che non smette di osservarmi, mentre tento di sfuggire al suo sguardo indagatore tentando di allontanarmi per tornare nell'altra stanza.

«Non è facile starle vicino e, se vuoi farlo davvero, devi armarti di tanta pazienza». Mi volto a guardarla nel sentirla pronunciare quelle parole. «Ho appena parlato con lei e non ho dubbi sul fatto che tu puoi farla tornare alla vita, Harry». L'ascolto in silenzio, cercando di assimilare ogni parola che ha pronunciato e le domande iniziano a susseguirsi frenetiche nella mia testa.

Voglio sapere davvero cosa le è successo da renderla così fragile? Sono disposto a sopportare un suo eventuale rifiuto? Voglio entrare veramente nella sua vita? Ho davvero tutta questa influenza su di lei come dicono i suoi amici? E la risposta a tutte queste domande è una sola, come dimostrano i miei piedi che, autonomamente, si sono messi in movimento raggiungendo le scale per arrivare al piano di sopra, davanti alla sua stanza, dalla quale riesco a sentire le loro voci, dove la porta è solo accostata, e so che non dovrei assolutamente farlo, ma mi fermo per un attimo sulla soglia quando la sento parlare.

«Quando mi guarda in quel modo, mi fa credere che tutto sia possibile, che mi basti avvicinarmi a lui perché tutto quanto si aggiusti, che tutto questo dolore possa attenuarsi. Quando mi guarda in quel modo, mi fa credere che posso tornare ad essere felice...» Chloe sta parlando di me?

«Tesoro non è una cosa brutta. Dylan ti vorrebbe vedere felice, e non così. Guardati, sei in uno stato orribile, Chloe». Dylan? E ora che diavolo centra Dylan?

«Grazie Kurty... sei sempre gentile!»

«Perché non gli dai una possibilità?» Forse dovrei entrare e smettere di origliare, ma mi fermo con la mano a mezz'aria, mentre stavo per bussare, quando la sento parlare ancora.

«Devo stare lontana da lui...»

«Perché?»

«Perché si sta portando via tutto il mio dolore.» Quel lui di cui sta parlando, sono io?

Dovrei entrare e parlare direttamente con lei, ma allo stesso tempo temo che non voglia confidarsi con me, e sarebbe molto più facile restare qui, fuori dalla sua porta, ad origliare come un fottuto spione. Che situazione del cazzo!

Non voglio essere invadente e non voglio essere codardo. Non voglio entrare nella sua stanza e non voglio restare qui fuori. Non voglio sapere niente, ma voglio sapere tutto, e il pensiero della sua disperazione di poco fa, di come piano piano si è lasciata andare tra le mie braccia, mi fa rammollire del tutto. Ricordo com’era rigida come un pezzo di marmo appena l'ho abbracciata, ma poi l'ho sentita sciogliersi lentamente, e ho sentito tutta la sua disperazione mentre si aggrappava a me con tutte le sue forze.

C'era un'altra Chloe stasera con me, una Chloe che ho sentito il bisogno di consolare, di abbracciare, ho sentito la necessità di farla sentire meglio, di sapere cosa le passasse per la testa, ed è per questo motivo che la mia mano si alza verso l'alto, bussando un paio di volte alla sua porta, per sentire da subito un silenzio assoluto, ma poi quella stessa porta si apre per mostrarmi il suo volto distrutto dal pianto.

«Harry...» Il suo è appena un sussurro, al quale non posso rispondere che con un sorriso.

«Sono qui...» 

 


 
 

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Capitolo 16
*** Io non voglio andarmene... tu vuoi che me ne vada? ***


«Harry non dovresti essere qui...» Sto tentando di tornare alla normalità, alla mia normalità, quella che mi ha permesso di andare avanti fino ad ora, ma se lui continua a spuntare ovunque, mi chiedo seriamente come posso riuscirci.

«Nemmeno tu dovresti essere così acida, eppure lo sei... come vedi non possiamo avere sempre tutto quello che vogliamo dalla vita». Entra nella mia stanza senza aspettare che io gli abbia dato il permesso di farlo e si va a sedere sul letto, proprio vicino a Kurt.

«Stavo parlando con il mio ragazzo, dovresti davvero andartene». Entrambi i ragazzi seduti sul letto mi sorridono, mentre io non trovo assolutamente niente per cui sorridere.

Ho appena avuto una crisi di nervi, sono crollata come non ho mai fatto da quando lui se n'è andato, mi sento spossata e non riesco a riprendere il controllo della situazione, e il mio migliore amico non mi è affatto di aiuto. Mi dispiace di approfittare di lui in questo modo, ma non ho alternative, al momento, per togliermi da questa situazione.

«Chloe forse dovre...» Interrompo il mio amico, per poter tenere in piedi la mia messinscena.

«No, Kurt, è giusto che lui lo sappia». Mi giro verso il ragazzo dagli occhi verdi, che non ha mai smesso di sorridere da quando si è seduto sul mio letto. «Harry, io e Kurt stiamo insieme da molto tempo, quindi non...» Cerco di finire la frase, ma il mio amico parla ancora.

«Chloe ascolta è...» Perché non può reggermi il gioco e basta?

«Kurty è meglio così...» Alla fine alza la voce e sono costretta a zittirmi.

«Chloe basta... Harry sa che non stiamo insieme». Mi blocco all'istante alle parole di Kurt, perché mi rendo conto dell'orribile figura da stupida che sto facendo. «Mi dispiace...», mi dice ancora. In realtà non gli dispiace affatto, è così evidente dal suo sorriso furbo, che l'abbia fatto di proposito. «Parla con lui». Mi dice sottovoce all'orecchio, dopo essersi avvicinato a me. Lo fulmino con lo sguardo, tentando di farlo rimanere con la sola forza del pensiero, ma ormai ha deciso anche per me e io non posso che sbuffare infastidita, posando il mio sguardo sul sorriso soddisfatto di Harry mentre sento la porta della mia stanza chiudersi alle mie spalle.

«Non. Dire. Niente.» Alzo un dito nella sua direzione, per farlo stare zitto, e quel sorrisetto è ancora lì, sulle sue labbra, mentre si appoggia all'indietro con le braccia sul materasso.

Non ho alcuna intenzione di sedermi vicino a lui, torno quindi sulla mia poltrona e rivolgo lo sguardo all'esterno della finestra sperando che, vedendosi ignorato, se ne vada al più presto.

Fingo di non vederlo, di non notare che abbia voltato il viso dalla mia parte e che mi stia osservando. Fingo di essere da sola per non girarmi a mia volta e guardare il suo viso, le sue fossette, che erano così evidenti un paio di minuti fa, quando si stava divertendo per il fatto che io insistessi a dire che Kurt fosse il mio ragazzo. Fingo di non sapere che sia seduto sul mio letto e che si stia domandando il perché del mio comportamento. 

Fingo e basta, perché non so come altro reagire a quello che provo.

«Non dobbiamo parlare per forza se non vuoi...», la sua voce calma e rassicurante mi fa tranquillizzare ogni volta, e io lo detesto un po' di più per questo, «ma se vogliamo comunicare, funziona meglio se parli...» Resta poi in silenzio, proprio come sto facendo io.

Ognuno fermo nella sua posizione, ma mentre lui tenta di avvicinarsi, io tento di allontanarlo il più possibile dalla barriera che ho innalzato e che sta distruggendo parola dopo parola, sorriso dopo sorriso, senza che io riesca a fermarlo.

«Chloe...» Odio quando pronuncia il mio nome in quella maniera, come se ci tenesse davvero a dirlo nel migliore dei modi.

«Non voglio parlare Harry». La mia risposta è secca e interrompo qualsiasi cosa stesse per dire. O almeno lo spero.

Con la coda dell'occhio lo vedo alzarsi, ma non mi volto a guardarlo perché vorrebbe dire al mio subconscio che lui è veramente in questa stanza, e non posso permettermi di smettere di fingere. Forse Harry ha capito e se ne sta andando, forse adesso aprirà la porta ed uscirà dalla mia stanza, lasciando che il mio dolore ritorni a galla per potermi torturare, come speravo di fare stasera, ma con mia grande sorpresa sento delle voci provenire dal televisore e poi torna a sedersi sul mio letto.

Ha acceso la fottuta televisione e fa del fottutissimo zapping ignorandomi beatamente.

'Era quello che volevi no?' Mi ricorda la mia coscienza, e per quanto lo volessi, il fatto che lui lo stia facendo davvero, è fastidioso ai livelli di una forchetta che gratta sulla lavagna.

Mi alzo dalla mia poltrona, continuando a fingere che lui non sia ancora nella mia camera da letto. Potrei riordinare il mobile accanto al televisore; oggi ho buttato per aria tutti i calzini per trovare quelli spessi che sto indossando ora.

Apro il primo cassetto e tento di fare rumore, tanto rumore, richiudendolo, per aprire quello al di sotto, che richiudo con forza per chinarmi e aprire il terzo, dove ci sono tutti i calzini.

«Che cosa stai cercando?» Adesso il suo tono di voce è divertito, ma io non mi sto divertendo affatto.

«La tua simpatia, ma niente... non riesco a trovarla». Mi volto a guardarlo, sentendo che scoppia a ridere, e mi rendo conto che non avrei dovuto farlo.

Mi piace oltre ogni modo guardarlo ridere, è una cosa che mi fa stare bene, ma tutto di lui è estremamente bello: la sua voce, il suo modo di parlare, i suoi occhi, e il suo modo di guardarmi, perché sembra che lui mi veda per davvero, lui riesce a vedere Chloe, e non l'involucro che sono diventata.

«Smettila di ridere!» Alzo appena la voce tentando di essere credibile, tentando di sopraffare la parte di me che è terribilmente attratta dalla persona che è Harry.

«Perché Chloe?» mi chiede, piegandosi leggermente in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, senza smettere di sorridere. «Perché devo smettere di ridere?» Mi guarda aspettando che io risponda, ma non ho una risposta da dargli. «Perché continui ad ignorarmi?» Un'altra domanda esce dalla sua bocca e ancora silenzio da parte mia. «Perché non hai mai risposto ai miei messaggi?» Le sue labbra non sono più ripiegate all'insù e la sua espressione sta tornando seria. «Perché non mi parli, Chloe?» Tento di concentrarmi sui rumori che arrivano dal televisore per non sentire il suono della sua voce, che sembra diventato così dolce.

«Perché non voglio parlare Harry, te l'ho già detto». Non voglio cedere su questo, non voglio cedere e basta. Mi sono già concessa troppo e oggi non è proprio un buon giorno per essere felici.

«Ok, allora non parleremo». Si sistema meglio sul letto e alza il volume della televisione.

Vorrei sapere cosa gli sta passando per la testa e resto a guardarlo, mentre tiene lo sguardo puntato sulle immagini che passano alla tv, mentre si slega i capelli passandoci la mano in mezzo un paio di volte per aggiustarli e mi lancia un'occhiata quando un piccolo sorriso gli spunta di nuovo sulle labbra.

«Dovresti andare Harry...» Non glielo impongo, voglio che sia lui a decidere di andarsene, perché io non voglio che lo faccia realmente, ma ho bisogno che se ne vada; più lui resta vicino a me, più quel dolore si allontana, e più quel dolore si allontana, più si allontana anche Dylan.

«Io non voglio andarmene... tu vuoi che me ne vada Chloe?» Stringe ancora tra le mani il telecomando e, ora, i suoi occhi verdi sono puntati su di me, gli stessi occhi che riescono a farmi stare meglio senza bisogno di fare, o dire altro.

«No...» Alla fine dalla mia bocca esce l'unica risposta che non avrei voluto dargli.

«Allora vieni qui». Mi fa cenno di raggiungerlo e i miei piedi gli ubbidiscono praticamente subito, portandomi vicino a lui; il resto del mio corpo è altrettanto autonomo quando decide di sedersi al fondo del letto, esattamente accanto a lui.

Mi metto anch'io a guardare le immagini che scorrono sullo schermo davanti a noi, senza vederle davvero, perché riesco solo a concentrarmi sul suo profumo, proprio come ho fatto quando mi ha tenuta stretta tra le sue braccia.

Mi rendo conto, una volta di più, che mi basta la sua presenza per non soffocare sotto il peso dei miei sensi di colpa, per non affondare nel dolore che mi devasta il cuore, per lasciarmi scappare un piccolo, piccolissimo sorriso per la sua testardaggine, e per il fatto che si stia sfilando gli stivaletti che indossa per poi, subito dopo, scivolare all'indietro sul materasso, andando ad appoggiarsi ai cuscini sistemati contro la testiera del letto.

«Non farti pregare e vieni qui con me». La voce di Harry alle mie spalle è a metà tra il divertito e il tono più dolce che abbia mai usato con me. Non rispondo subito, ma resto a godermi la sensazione della sua voce, che decide di farmi sentire ancora. «Non vedo la tv. Da qui ho solo la visuale della tua schiena». Sorrido per le sue parole e per il fatto che lui stia riuscendo a rendere questo momento sempre più leggero, facendo finta che io non abbia avuto una crisi isterica solo pochi minuti fa.

«Quanto sei fastidioso!» Ma mi sto comunque alzando per voltarmi a guardarlo mentre è sdraiato sul mio letto e... diamine! L'immagine che mi si presenta davanti è decisamente troppo bella per restare in piedi e così lontana da lui, ed è per questo che, anche se con una finta espressione di fastidio sul volto, mi metto carponi sul letto per raggiungerlo, e il sorriso che gli spunta sulle labbra è decisamente malizioso.

«Chloe...» Pronuncia solamente il mio nome, ma il modo in cui lo fa è del tutto nuovo e mi appoggio ai cuscini accanto a lui, decisamente imbarazzata. Non so cosa volesse dire e resto in silenzio per non indagare oltre. Spero non stesse pensando quello che ho pensato io vedendolo sdraiato sul mio letto.

Dio! Ma perché non riesco a darmi una calmata quando c'è lui!

«Hai cenato Harry?» Dico la prima cosa che mi viene in mente senza guardarlo negli occhi, solo per poter deviare qualsiasi inopportuno pensiero su qualcosa di decisamente più tranquillo e, soprattutto, qualcosa che io riesca ad affrontare.

«Sì, con Zach e gli altri... c'era anche Dylan...» Si volta appena a guardarmi, ma io continuo a tenere lo sguardo dritto davanti a me. Non so perché abbia nominato proprio Dylan, ma sentire quel nome in questo momento, mi provoca un'altra fitta di dolore. «E tu hai cenato?» Mi chiede dopo un po'.

«Sì». Solo due sillabe, pronunciate con un tono molto più freddo rispetto a come ci siamo parlati poco fa; nient'altro esce dalla mia bocca.

Non avrebbe dovuto nominarlo perché, anche se non si tratta dello stesso Dylan, quel nome stasera mi porta a ricordare solo dolore e disperazione, e so che non è colpa di Harry se il mio stato d'animo sembra essere stato schiacciato da numerosi carri armati, ma non riesco ad evitare reazioni brusche.

«Aspettami qui...» Improvvisamente scende dal letto e si avvicina a grandi falcate alla porta della mia stanza. «Non muoverti da lì, mi hai capito?» Mi punta un dito contro e la sua espressione da bambino, che sta per combinare una marachella, mi strappa un sorriso, e mi provoca una sensazione di benessere.

Annuisco in silenzio, poi lo vedo sparire fuori della mia camera e di colpo mi ritrovo sola. Mi sorprendo nel volerlo di nuovo accanto a me; mi sorprendo nel riflettere su quali sensazioni provo quando lui mi è vicino, e la cosa mi terrorizza perché, quando Harry è con me, tutto scompare.

Incrocio le gambe e mi piego leggermente in avanti, poi abbasso la testa, che prendo tra le mani, per poi chiudere gli occhi e andare a ripescare nella mia mente quando è stata l'ultima volta che sono stata sdraiata su un letto a guardare la tv con il mio Dylan, e ricordo che fu qualche sera prima di quel maledetto incidente.

I miei erano fuori con degli amici, io e lui abbiamo cenato in camera mia con una pizza, mentre guardavamo "Will Hunting", stretta tra le sue braccia, con le mie gambe incrociate alle sue e il suo respiro sui miei capelli. Mi manca da morire.

«Eccomi». La voce di Harry mi fa alzare subito lo sguardo e noto che ha qualcosa di rosso nella mano destra e un plaid nella mano sinistra. Si avvicina lentamente al letto, con cautela, come se mi stesse studiando, poi si siede e finalmente smetto di incantarmi a guardarlo.

«Cos'hai portato?» gli chiedo, quando è ormai sdraiato accanto a me.

«Queste...», mi mostra un paio di barrette di cioccolata avvolte da una carta rossa, esattamente uguali a quelle che aveva preso dallo scaffale del supermercato la sera che mi ha fatto lo scherzo insieme a Larry, «per addolcirti un po', e questo...», mi mostra il plaid grigio che c'era sul divano al piano di sotto, «te lo manda il tuo ragazzo...» Alzo gli occhi al cielo, scuotendo appena la testa, ma non posso evitare di trattenere un sorriso alle sue parole.

«Fanculo Stevens...» Prendo la coperta che mi sta porgendo e distendo nuovamente le gambe, per poi coprire entrambi con quel plaid che Kurt ha dato a Harry.

«Non c'è di che, miss acidità...» Prendo anche la barretta e la scarto per addentarne un bel pezzo sotto il suo sguardo soddisfatto, poi incrocio le braccia rivolgendo tutte le mie attenzioni allo schermo della tv, anche se, in realtà, sto osservando i suoi movimenti con la coda dell'occhio.

Addenta anche lui la sua barretta per poi parlare con la bocca piena. «Fecondo te faranno feffo?» Indica la tv con la barretta che ha ancora in mano.

«La mamma non ti ha insegnato che non si parla con la bocca piena?» Mi volto a guardarlo e il sorriso sparisce dal mio viso quando vedo la sua espressione allegra trasformarsi in seria, fino a diventare quasi glaciale.

Devo aver toccato un tasto dolente, non so in che modo, ma aver nominato sua madre, gli ha causato quel repentino cambio d'umore che gli ha radicalmente modificato i tratti del viso. Sembra si sia innervosito, o infastidito, non saprei dirlo con esattezza, ma adesso mi sento in colpa nel vederlo così.

«È un argomento di cui non si può parlare?» Si volta lentamente, con l'espressione ancora dura in volto.

Sembra stia riflettendo sulla domanda che gli ho appena posto, poi i suoi lineamenti sembrano distendersi di poco. «Preferirei di no, ma potrei farlo se tu parlassi con me, se tu mi raccontassi cosa è successo stasera...» Lo guardo e riesco a vedere quanta speranza riponga in me in questo momento.

Non ha mai nominato sua madre e, l'unica volta in cui l'ho fatto io, seppure non di proposito, il suo umore è cambiato totalmente. Forse avrebbe bisogno di confidarsi con qualcuno, forse sente la necessità di tirare fuori quello che lo fa soffrire,o forse è solo una scusa per far tirare fuori a me quello che ho dentro, e io non so se sono pronta per parlarne con qualcuno.

«Harry, io...» Prendo a torturare il bordo del plaid, sulle mie gambe, con la mano sinistra, mentre nella destra c'è ancora la cioccolata appena morsicata. «Io non...» Le parole sono bloccate in gola, non so come andare avanti, vorrei davvero poter parlare, ma proprio non ci riesco.

«Ascolta, facciamo così. Nemmeno io ne voglio parlare, ma se invece di raccontarci tutto adesso, dicessimo solo una cosa?» Lo guardo con aria interrogativa. Non sono proprio sicura di aver capito cosa intenda. «Dimmi solo una cosa che ti va di dire, una qualunque, poi ne dico io una a te». Lo osservo ancora, pensando a ciò che ha detto. Forse non è così male la sua idea. «Credimi, non è facile neanche per me. Ho vietato anche ai miei amici di parlare di mia madre, ma forse possiamo aiutarci a vicenda». Mi sorride e mi tranquillizza nello stesso momento. Lui ci riesce.

Decido quindi di cedere alla sua proposta, pensando che forse non sarà così terribile rivelargli qualcosa.

«Si chiamava Dylan». Osservo attentamente la sua reazione: se dapprima era serio, le sue sopracciglia si aggrottano, come se cercasse di capire più a fondo quello che ho appena detto. «Il ragazzo che ha avuto quell'incidente sulla moto... si chiamava Dylan...» È ancora attento ad ogni mia reazione, e restiamo così, a guardarci per qualche secondo.

«Era il tuo ragazzo?» Non c'è pietà nei suoi occhi, né compassione, e la cosa mi piace.

«Abbiamo detto una cosa sola, Harry, non te ne approfittare». Gli sorrido, per dimostrargli che non sono turbata, lui fa lo stesso con me, mostrando la sua fossetta sinistra.

«Sei troppo pignola, Cleo, posso chiamarti Cleo, giusto?» Sta portando di nuovo la conversazione su un piano più leggero e non posso che apprezzarlo.

«No, solo il mio ragazzo può farlo». Lui ride. Rido anch'io sentendomi un po' di tranquilla.

«Sei davvero ingiusta!»

«Forza... ora tocca a te». Si appoggia di nuovo all'indietro, sui cuscini contro la testiera del letto, con lo sguardo puntato al soffitto tentando, forse, di trovare le parole più adatte per esprimersi, o trovare la piccola cosa da condividere con me.

«Non vedo mia madre da quando avevo sei anni». Sento il dolore nelle sue parole, riesco a percepirlo chiaramente, come se riuscisse a trasmettermelo e, istintivamente, porto la mia mano sul suo braccio scoperto, accarezzandolo dolcemente.

Dopo qualche secondo lui si gira a guardarmi e la mia mano si blocca nel punto esatto in cui sta per infilarsi sotto la manica della sua maglietta nera. Il contatto tra la mia mano e il suo braccio, unito al contatto visivo, fa nascere un'altra volta quella cosa che succede sempre tra di noi, quella cosa che non so spiegare, ma che non mi permette di allontanare lo sguardo dal suo volto, dai suoi occhi verdi che mi tengono incatenata a lui.

«È questo quello che intendevo, Chloe, e so che lo senti anche tu». Non voglio ammetterlo, ma ha ragione. Sento che succede qualcosa fra di noi, qualcosa che mi spaventa a morte, ma allo stesso tempo mi fa stare infinitamente bene. «Non so spiegartelo, ma te lo leggo negli occhi. È qualcosa Chloe... è... qualcosa...»

L'atmosfera è completamente diversa adesso. Non c'è più rabbia, né tristezza, né divertimento, né altro che non sia quella cosa che succede quando ci perdiamo l'uno negli occhi dell'altra, e la mia mano, ferma ancora sul suo braccio, non fa che amplificare tutto quanto.

È come un collegamento invisibile che è totalmente al di fuori del mio controllo, di cui non capisco la natura, ma al quale non riesco in nessun modo a sottrarmi, e adesso la voglia di infilare le dita tra i suoi capelli è ancora più forte, ancora più intensa, ma stavolta il mio istinto mi sta portando oltre...

Oltre la ragione, oltre la razionalità, oltre ogni senso della misura, portandomi a voler scoprire che sapore hanno le sue labbra, in un modo che non mi era mai successo prima di oggi.

Il suo viso è un po' più vicino, o almeno credo lo sia, perché i suoi occhi mi sembrano un po' più grandi, ma sono davvero confusa e non riesco ad avere la percezione di quello che sta succedendo intorno a me, ma poi la magia si interrompe bruscamente per la suoneria del suo cellulare, che sembra irrompere d'improvviso tra di noi, riportandoci alla realtà.

«Cazzo!» Harry afferra bruscamente il suo telefono per far scorrere il dito sul display e rispondere con davvero poca gentilezza. «Che c'è!?» Il suo tono è decisamente sgarbato, facendo capire chiaramente al suo interlocutore il fastidio che prova in questo momento. «No, Larry, assolutamente no!» Ritorno nella posizione iniziale, con la schiena appoggiata ai cuscini e lo sguardo rivolto verso il soffitto... domani io e Kurt appenderemo le lucine che mi ha portato.

Per un attimo penso ai miei due amici al piano di sotto e al fatto che dovrei essere con loro in questo momento, visto che sono venuti qui da Montréal per passare con me il week end; mi sono mancati così tanto, ma poi ripenso al fatto che Kurt mi ha lasciato qui da sola con Harry...

«Perché ho da fare!» Forse non dovrei restare qui ad ascoltare la sua telefonata, forse dovrei lasciarlo solo, quindi decido di alzarmi, ma appena scosto il plaid e sposto le gambe di lato per scendere dal letto, sento le sue dita avvolgersi sul mio polso e quando mi giro a guardarlo, lo trovo che scuote la testa come per dirmi no, non andare.

Mi sistemo allora nella posizione di prima, utilizzando la mano libera per coprirmi nuovamente con il plaid, mentre la mano sinistra, è ancora intrappolata dalla sua. «Larry sei con El, perché mai dovrei venire lì!?» Vorrei riprendere il controllo della mia mano, che lui sta tenendo ancora nella sua, ma allo stesso tempo vorrei restare bloccata in questo modo. «Dylan non ha bisogno della mia compagnia». Si volta subito a guardarmi mentre pronuncia quelle parole, come a controllare la mia reazione, e so che dovrei sorridergli, per rassicurarlo che sia tutto ok, ma non è tutto ok, e non riesco affatto a sorridere nel sentire quel nome. «No, Larry, ora devo andare. Salutami Eloise, buonanotte». Riaggancia e posa il telefono sul comodino, senza guardare realmente quello che sta facendo perché i suoi occhi sono ancora fermi nei miei.

«C'è qualche problema?» gli chiedo.

«L'unico ad avere qualche problema sarà Larry». Sorrido alle sue parole, lo fa anche lui, ma non abbastanza da mostrare le fossette. «Sei in qualche modo interessata a Dylan?» La sua domanda mi coglie di sorpresa, non vorrei affatto rispondergli.

«Avevamo detto una domanda, ricordi?» Ripenso subito all'accordo di poco fa per trovare una scappatoia, per non dare una risposta alla sua domanda, al che lui si volta, prende il suo cellulare e mi mostra l'orario che appare sul display.

00:02 am

«È già domani, ho diritto ad un'altra domanda». Ha un'aria divertita da bambino, che lo rende ancora più bello e, unito al fatto che non ha ancora lasciato il mio polso, sta rendendo tutto ingestibile per me.

«Non avevamo stabilito una domanda al giorno, avevamo detto una domanda e basta.» Sto solo tentando di rimandare, ma so per certo che sarà lui ad averla vinta.

«Beh, l'ho stabilita io adesso... avanti rispondi...» Mi perdo per un attimo a guardarlo, ad osservare i suoi occhi che mi scrutano con sempre maggiore intensità, ai quali riesco a resistere sempre di meno. «Vedila come un nuovo modo per conoscerci... un nuovo inizio...» E, a queste parole, non posso più esitare, perché è esattamente quello che ho cercato quando ho deciso di venire qui a Boston. Un nuovo inizio.

«Non sono interessata a Dylan, almeno non nel senso che intendi tu...» La sua presa sul mio polso si fa più morbida, per diventare leggera quasi come una carezza. «Aspetta...» Mi alzo dal letto, liberandomi dalla sua presa, per prendere il mio telefono, che avevo lasciato sulla scrivania, poi torno a sedermi vicino a lui. Sblocco il display, apro la galleria delle foto, e infine lo metto nelle sue mani, perché io non ho la forza di guardare. «C'è un album intitolato "Noi", aprilo e guarda». Mi guarda con aria scettica, ma poi fa quello che gli ho appena detto.

Non ho la completa visuale di quello che sta guardando, sono foto mie e di Dylan: non le ho mai più guardate da quel giorno e non so quando troverò la forza di guardarle di nuovo, ma sembra che anche su di lui abbiano un forte impatto, e lo dimostrano i suoi occhi spalancati mentre fa scorrere foto dopo foto.

«Ma che cazzo?» Si ferma su una, non so quale sia. Guarda me, poi il display, poi di nuovo me.

«Già». So esattamente quello a cui sta pensando e me lo conferma subito dopo.

«Porca puttana...» Non so se ridere o piangere alla sua imprecazione, ma aver condiviso questo particolare dettaglio della mia vita con lui mi ha fatto bene e, come sempre, devo dare ragione al mio amico Kurt. «Per un attimo ho creduto fosse Dylan, intendevo il mio amico Dylan... voglio dire so che questo nella foto è Dylan, ma... Cazzo!» È ancora incredulo, mentre il suo sguardo continua ad andare dal mio viso allo schermo del telefono.

«Ogni volta che vedo il tuo amico, per me è una coltellata al cuore. Quando mi parla, quando mi sorride, il suo stesso atteggiamento nei confronti delle persone... insomma, tutto di lui mi ricorda Dylan ed è una continua angoscia per me stargli vicino, ma ci sono delle volte in cui il dolore che provo è talmente grande che, avere vicino il tuo amico Dylan mi conforta, perché mi illudo, per un attimo, che lui ci sia ancora e questo allevia un po' la sofferenza...» Ha ancora in mano il mio cellulare, ma sta guardando solo me adesso, e di nuovo non vedo pietà nei suoi occhi.

«Come ci riesci, Chloe?»

«A fare cosa?» gli chiedo, non capendo cosa intenda.

«A sopportare tutto questo». Mi indica il telefono, riferendosi a quanto ha appena visto, poi me lo restituisce.

«Non ci riesco infatti, sto tentando di ricominciare. È per questo che ho lasciato Montréal, stare lì era diventato troppo doloroso...» I ricordi iniziano a riaffiorare uno dopo l'altro nella mia mente e, come chiodi che si infilzano nel mio cervello, le fitte mi dilaniano la mente e non riesco a trattenere una lacrima che sfugge al mio controllo.

La sua mano è più veloce, però. Il suo pollice la ferma prima che possa percorrere la strada completa oltre la mia guancia e, a quel contatto, inclino leggermente la testa verso il palmo della sua mano, come a chiedere che la mano resti lì dov'è.

«Vieni qui». Non me lo faccio ripetere due volte. Mi avvicino a lui, che mi stringe ancora tra le sue braccia, e io mi calmo immediatamente tornando a respirare il suo profumo. «Le domande sono finite per oggi». Il suo tono di voce tranquillo mi porta a sorridere appena, mentre resto appoggiata con il viso tra la sua clavicola e il suo petto.

«In realtà le domande non sono finite, avrei diritto di fartene una anche io», gli dico, tornando ad essere più serena.

«Spara». Mi piace sentire la vibrazione della sua voce attraverso il suo corpo.

«Non adesso...» Non ho abbastanza forze per sopportare altro stasera.

Mi concentro sul suo respiro lento e regolare, sui suoni bassi che arrivano dalla televisione e piano piano mi rilasso, sentendo il mio corpo sempre più pesante, fino a non rendermi quasi più conto di dove sono, accantonando completamente ogni brutto pensiero, pensando solo alla mia mano appoggiata al suo petto e alla sua completamente aperta sulla mia schiena.  

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Capitolo 17
*** Ma con te, niente è normale ***


Sono ormai sveglia, ma non ho alcuna intenzione di rivelarlo per continuare a godere della sensazione di questo tocco leggero sulla mia guancia. La sua mano scivola dolcemente, mi sfiora appena, come se fosse una piuma, e io mi perdo nella sensazione che mi dà sentire il suo palmo sulla mia pelle.

Poche ore fa mi sono addormentata tra le sue braccia, cullata dal battito del suo cuore, e rassicurata dalle sue carezze sulla mia schiena. La presenza di Harry, ieri sera, è stata decisiva per superare quel momento così difficile per me. Ci è riuscito senza fare niente in particolare, solo abbracciandomi e dicendomi che lui c'è. Non è la prima persona che ha avuto questo tipo di atteggiamento nei miei confronti, ma con Harry è stato diverso, lui - e solo lui - ha questa capacità di spegnere i pensieri negativi che affollano la mia mente.

«Ehi...», mi muovo appena al suono di quella voce che non sembra nemmeno la sua, o forse sono io che sono ancora troppo assonnata per rendermi conto di ciò che succede intorno a me, «piccola Cleo...»

Non appena sento quel soprannome i miei occhi si aprono di colpo e resto sorpresa dal fatto che davanti a me ci sia il viso sorridente del mio migliore amico. Devo ammettere che ci sono rimasta male per il fatto che non sia stato Harry a svegliarmi con quelle carezze.

«Ti ho spaventata?», mi chiede con un'espressione divertita.

«No...» Mi sollevo sui gomiti, per poi mettermi seduta sul letto.

Istintivamente mi giro alla mia sinistra, per guardare il posto occupato ieri sera da Harry, che adesso è vuoto. Lo stesso vuoto che sento continuamente, lo stesso vuoto che lui riesce a colmare. Harry ha la capacità di farmi credere che posso far sparire quella sensazione, che posso trasformarla in qualcosa di buono, ma poi, non appena lui si allontana, quel vuoto prende di nuovo il sopravvento, come se volesse combattere il buono che mi circonda, e io mi sento del tutto destabilizzata.

«È andato via stamattina presto». Kurt risponde alla domanda che non avevo il coraggio di fare, ma l'ha capita comunque. «Ha detto che aveva delle cose da fare e che ti ha lasciato un biglietto». Indica il comodino dalla parte del letto opposta alla mia e, in effetti, c'è un foglio piegato in due con su scritto Chloe. Mi allungo per prenderlo, poi sento di nuovo la voce del mio migliore amico. «Tua sorella ha chiamato ieri sera per avvisare che avrebbe passato la notte fuori. Io e Hazel ti aspettiamo di sotto. La colazione è pronta». Gli mostro un sorriso tirato e lo guardo uscire dalla mia stanza, infine apro quel foglio per leggere cosa mi ha lasciato scritto.

Normalmente... non sono io ad andarmene presto la mattina.

Normalmente... con una ragazza non ci dormo in un letto.

Normalmente... le ragazze non le faccio piangere.

Ma con te niente è normale.

Buona giornata Cleo

P.S. posso chiamarti Cleo, giusto?

Mi sento combattuta, provo allo stesso tempo gioia e dolore, quando un piccolo sorriso lotta per spuntare sulle mie labbra.

Gioia, perché non se n'è andato ignorandomi o sgattaiolando mentre non me ne accorgevo per il disagio di dovermi affrontare. Mi ha lasciato delle parole come mezzo per arrivare ancora a lui.

E provo dolore per ieri, per Dylan, e per il fatto che sto permettendo a Harry di portarmelo via.

Metto il biglietto in tasca, non so perché lo faccio, ma lo faccio, poi mi alzo e vado in bagno per darmi una rinfrescata. Mi sento a pezzi, dentro e fuori. Ho addosso ancora i vestiti di ieri e la mia faccia è decisamente orribile stamattina. Dopo essermi asciugata scendo al piano di sotto, dove trovo i miei due amici in cucina, Hazel ai fornelli, Kurt seduto che sorseggia quello che credo sia caffè.

«Buongiorno», dico loro. Hazel si volta sorridendomi e salutandomi a sua volta, Kurt mi allunga una tazza che io afferro per poi raggiungere la mia amica e curiosare quello che sta cucinando. Su un padellino vedo le uova, nell'altro il bacon, la colazione preferita di Kurt.

«Come stai?» mi chiede lei, mentre con una palettina gira il bacon.

«Bene, mi dispiace per ieri sera». Lei si volta a guardarmi con ancora la palettina in mano a mezz'aria.

«Ti dispiace per cosa?» mi chiede, con aria interrogativa.

«Per come mi sono comportata e per essere sparita in camera mia con Harry, non volevo che rimaneste da soli. Siete venuti qui per me e io mi chiudo in camera mia con un quasi estraneo». Nonostante avessi formulato lo stesso pensiero anche ieri sera, non sono riuscita ad allontanarmi da Harry, o forse non volevo farlo.

«Hai avuto incubi stanotte?» La sua domanda mi prende alla sprovvista: non parlo con loro dei miei incubi da quando sono qui a Boston e mi sorprendo ancora di più nel rendermi conto di non dormire così bene da tempo.

«No». Addormentarmi tra le sue braccia, con il suo profumo, il calore del suo corpo, sul mio letto, sotto la stessa coperta, è stato totalmente nuovo, ma incredibilmente piacevole.

«Allora ne è valsa la pena». Mi sorride dolcemente per poi spegnere il fuoco e mettere il tutto su un piatto, che porta a tavola a Kurt, il quale la ringrazia e non perde tempo per gettarsi a capofitto sul cibo. Io e Hazel lo viziamo sempre.

«Harry... ha detto... ha detto qualcosa prima di andarsene?» Non dovrei interessarmi a lui, non dovrei pensare a lui in un certo modo, eppure lo sto facendo. Forse perché è riuscito ad aprirsi un varco per arrivare alla mia anima, senza alcuno sforzo, ma proprio non riesco a smettere di pensare a Harry, soprattutto al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere se il suo telefono non si fosse messo a squillare interrompendoci.

«Niente di particolare, perché lo chiedi?» Il mio migliore amico mi scruta con curiosità mentre porto la tazza di caffè amaro alle labbra.

«No... niente... per sapere». Lui mette le posate sul piatto e incrocia le braccia appoggiandosi al tavolo, senza smettere di guardarmi.

«Chloe, te l'ho già detto ieri sera... non c'è niente di male se lo fai entrare nella tua vita. Non puoi negare che lui riesca a farti sentire meglio...» So che ha ragione, ma non so se sono pronta a farlo.

La scossa di cui avevo bisogno nella mia vita si è presentata nella persona di Harry, eppure adesso, anche se era proprio quello che aspettavo, ho paura.

Paura di affrontare la verità.

Paura di essere felice quando lui non può più esserlo.

«Kurty io...» La mano di Hazel si posa sul mio braccio, mentre il mio amico mi interrompe di nuovo.

«Perché non puoi darti una possibilità?» mi chiede ancora, con i suoi meravigliosi occhi chiari nei miei.

«Perché lui non può più averne di possibilità...» È un pensiero fisso, che non mi lascia mai.

«Tu credi davvero che Dylan vorrebbe che tu continuassi a farti del male come hai fatto finora?» Il suo tono adesso non è più dolce, ma quasi arrabbiato, mentre la presa di Hazel sul mio braccio si fa un po' più stretta.

«Kurt tu non capisci, lui ha avuto quell'incidente dopo essere stato a casa mia, e non posso nemmeno contare le volte a cui ho pensato che, se non fosse mai venuto da me, forse non sarebbe successo niente...» Questo è il senso di colpa che mi ha tolto il sonno la notte, e che mi ha spinto a gesti estremi che non ho intenzione di ripetere, ma che hanno segnato la mia vita e quella di chi mi sta vicino.

«Chloe, io capisco molto più di quanto immagini, è solo che sei così dannatamente concentrata su te stessa che ormai vedi solo il tuo dolore...» Resto di sasso alle sue parole, non solo per quello che ha detto, ma per come le ha pronunciate: non gli ho mai sentito così tanto risentimento nel rivolgersi a me.

«Kurt...» La voce di Hazel esce quasi come un rimprovero e lui sembra pentirsi subito di quello che ha detto, ma per me la cosa non è assolutamente finita qui.

«Kurt che stai dicendo? Come puoi dire una cosa del genere?» Se non lo conoscessi così bene direi che è arrabbiato con me... e se lo fosse per davvero?

Il mio migliore amico guarda prima Hazel, che gli fa cenno di no con la testa, ma a quanto pare lui non riesce più a tenersi dentro certe cose, e si lascia andare ad uno sfogo di cui non sospettavo minimamente.

«Come posso dirlo!? È semplice Chloe, perché ho organizzato io quella sera. Lui voleva darti il regalo per il tuo compleanno su quel palco del karaoke dopo aver cantato insieme a te. Mentre io, che non so mai farmi i dannatissimi affari miei, sapendo quanto ti piacessero tutte quelle piccole lucine, gli ho proposto quella cosa sul tetto di casa tua e... Cazzo, Chloe! Vivo anch'io di sensi di colpa...» Boom! Le sue parole sono state come un fulmine a ciel sereno, totalmente inaspettate e mi hanno fatto sentire una persona orribile.

I suoi occhi si fanno lucidi, non sento più la mano di Hazel sul mio braccio, ma non so se sia perché l'ha tolta o meno. In questo momento riesco solo a concentrarmi su Kurt, su quanto stia soffrendo e sul fatto che io non me ne sia mai accorta.

«Kurt... perché... perché non me l'hai mai detto?» Le mie parole escono quasi in un sussurro. La sua confessione mi ha lasciato senza voce. Non ne sapevo niente e la colpa è solo mia.

«Kurt, adesso basta». Hazel interviene, ma è come se nessuno la sentisse.

«Te l'ho detto poco fa, Chloe... finora non hai fatto altro che pensare a te stessa, e so quanto l'hai amato o quanto lui amasse te, posso solo provare a comprendere quello che hai passato... ma sai anche che per me era più di un fratello e cazzo, se ho sofferto anch'io... Ho sofferto da morire, e tutte le volte che vado al cimitero gli chiedo perdono per la mia stupida idea del cazzo!» La voce gli trema e non saprei dire se lo fa perché è arrabbiato o perché sta soffrendo. Quello che so è che sono un'amica orribile, davvero orribile.

«Mi dispiace Kurt... ma puoi parlare con me, lo sai... se l'avessi fatto ti avrei ascoltato...» Tento come sempre di trattenere le lacrime. Ho già pianto ieri sera, non voglio farlo più, altrimenti quel dolore se ne andrà per davvero.

«A sì!? E quando avrei dovuto farlo!? La prima o la seconda volta che...»

«Kurt! Adesso smettila!» La voce di Hazel sovrasta ogni cosa. Si è alzata in piedi e guarda il mio migliore amico con uno sguardo minaccioso. Lui passa il suo sguardo da me a lei e sembra perdere ogni colore dal viso.

So bene cosa stava per dire e, improvvisamente, quei momenti tornano a devastare la mia mente, riaprendo ferite profonde che non credo si potranno mai rimarginare.

Mi rendo conto del silenzio che si è venuto a creare in questa stanza e di quanto sia assordante. Un silenzio soffocante, che mi toglie l'aria, un silenzio che riempie tutto lo spazio intorno a noi e che sento su ogni centimetro del mio corpo fino ad arrivare all'interno, al mio cervello dove sento implodere ogni cosa; e fa dannatamente male.

«Mi dispiace, Chloe... non avrei dovuto dirlo...» La voce di Kurt si è notevolmente abbassata, ma io non riesco più a guardarlo. Mi vergogno di me stessa e di quello che ho fatto. Li ho fatti soffrire e ho pensato solo al mio dolore.

«No, Kurty, hai ragione... hai sempre ragione... è a me che dispiace... sono una pessima amica...» Il mio sguardo è rivolto alle mie mani, che tengono stretta la tazza di caffè.

Sento il rumore di una sedia, segno che si sta alzando, poi lo vedo con la coda dell'occhio venirmi vicino, fino ad inginocchiarsi davanti a me. «Già... lo sei...» Alzo appena gli occhi per guardarlo e il suo sorriso tirato, ma sincero, mi fa capire che posso ancora rimediare.

Mi inginocchio con lui e lo abbraccio, continuando a ripetergli che mi dispiace stringendolo forte. Si unisce al nostro abbraccio anche Hazel, chiamata da Kurt, e restiamo in ginocchio come tre stupidi fino a che il tutto non finisce in una quasi risata, e posso tornare a sorridere con loro, come è giusto che sia.

***

«Mi fanno male i piedi...» La lamentela di Kurt è la stessa di Hazel di poco fa.

«Non siete davvero stanchi!» Siamo usciti stamattina per vedere la città. Il tempo che hanno a disposizione è poco, per questo avevo deciso di fare una passeggiata per la Freedom Trail, quel percorso lastricato di mattoncini rossi che ti guida attraverso la città ad alcuni luoghi davvero importanti, come il Massachusetts State House, palazzo del 1798 che è tuttora la sede del governo dello stato, il Park Street Church, dove nel 1829 William Lloyd Garrison pronunciò il suo primo discorso contro la schiavitù, o ancora la Statua di Benjamin Franklin, che sorge sul sito dove fu fondata la prima scuola degli Stati Uniti d'America e anche la Old State House, la sede del governo coloniale, dove la dichiarazione d'indipendenza fu letta in pubblico il 18 luglio 1776. 

«Certo che siamo stanchi, sono almeno tre ore che camminiamo». Dopo la nostra sorta di discussione di stamattina ci siamo chiariti e abbiamo deciso di fare una passeggiata, che però è diventata un vero e proprio giro turistico.

«E sto morendo di freddo». Kurt e Hazel hanno praticamente già deciso ormai di tornare a casa, e per me non fa differenza, l'importante è stare con loro, non importa né dove, né come.

«Ok andiamo, ma tu...», indico la mia amica, che mi guarda con le sopracciglia aggrottate per essere appena stata presa di mira da me, «mi farai un'altra torta, così che potrò mangiarla in pace quando non ci sarete». Ridono entrambi alla mia battuta, che tanto battuta non è. Adoro la sua torta e non ho molte occasioni di mangiarla.

Il percorso del ritorno è caratterizzato da battute stupide e risate, senza più alcun pensiero per la testa. Non ho più sentito Harry, non l'ho cercato e lui non l'ha fatto con me. Non so se sia perché ha bisogno di spazio - io sicuramente ne ho - e, anche se sono ancora molto combattuta sul fatto di cercarlo o meno, per adesso riesco a rilassarmi mentalmente con i miei amici e mi concentro solo su questo.

Mia sorella mi ha scritto un'ora fa dicendo che sarebbe tornata in serata. Deve stare davvero bene con Zach per non tornare a casa, non ho comunque sentito il bisogno di chiamarla, perché credo stia troppo bene per essere disturbata e perché voglio concentrarmi su Kurt e Hazel, che domani mattina torneranno a casa e io alla mia nuova routine.

«Tua madre mi ha detto di dirti che devi chiamarla più spesso». Sorrido scuotendo la testa alle parole di Hazel.

«La chiamo abbastanza, è lei che non si accontenta mai». Continua a dire che ci sentiamo troppo poco, ma non credo che tre volte alla settimana siano troppo poco.

Siamo ormai arrivati sotto il mio appartamento e, una volta a casa, dopo esserci spogliati dei nostri cappotti abbandonandoli sul divano, dopo esserci lavati le mani e cambiati per stare più comodi, ci rechiamo in cucina per recuperare gli ingredienti per la torta al cioccolato di Hazel.

«Zucchero... burro... uova... Chloe dov'è il cioccolato?» Hazel sta preparando gli ingredienti sul tavolo.

«Dovrebbe essere qui...» Mi avvicino allo sportello della dispensa, lo apro e cerco, ma del cioccolato non c'è traccia. «Merda...» Sposto ogni cosa che mi ostruisce la vista, ma il prezioso alimento non si trova.

«Non ce n'è più?» mi chiede lei, avvicinandosi un po' per sbirciare all'interno del mobiletto.

«Credo di no...» Sospiro sconsolata, quasi sgonfiandomi come un palloncino bucato. Avevo così voglia di quella torta.

«Non c'è un posto qua vicino dove potremmo comprarlo?» Le parole di Hazel mettono in moto uno strano meccanismo nella mia testa, un meccanismo che prevede di uscire da sola e recarmi in un certo luogo.

«A dire la verità sì...» Poi tutto accade velocemente e, prima ancora di rendermene conto, mi sto già infilando il cappotto e le scarpe, per prendere in seguito il cellulare e le chiavi della macchina.

«Vuoi che venga con te?» mi chiede Kurt, avvicinandosi fino alla porta di ingresso.

«No!» Devo aver risposto con troppa fretta, perché lui mi guarda con un'aria stranita. «No, non importa, faccio in fretta... vado e torno...» Cerco di mantenere un tono di voce neutrale che non lasci trasparire la mia impazienza di uscire e lui sembra lasciarsi convincere.

«Ok...» La sua risposta, però, è incerta, ma non ho tempo per approfondire, voglio uscire prima che uno dei due mi obblighi a portarlo con me.

Una volta in macchina mi dico che sto agendo irrazionalmente, che non dovrei comportarmi come sto facendo, ma il mio corpo sembra non essere d'accordo con la mia testa. Mi ero ripromessa di non cercarlo, di non chiamarlo e, anche se non lo sto facendo direttamente, sta comunque succedendo, perché mi sto recando nel market dove lavora Larry. È come se cercassi un collegamento che mi porti a lui senza che sappia con certezza che sono proprio io a cercarlo, ed è come se lo nascondessi anche a me stessa.

Il fatto è che ho pensato alle parole di Kurt, a darmi una possibilità, e pur non essendo d'accordo con il mio migliore amico, mi ritrovo ad entrare in questo negozio, alla ricerca degli occhi azzurri del suo amico, come se questo potesse portarmi a Harry.

Mi avvicino alle casse, ma di Larry non c'è traccia, potrebbe essere tra gli scaffali a sistemare qualcosa. Prendo un cestino e cammino lenta tra le corsie controllando da un lato all'altro per vedere se riesco a scovarlo da qualche parte. Non so bene cosa gli direi se dovessi incontrarlo, ma sarebbe come avere quel collegamento indiretto con Harry di cui ho bisogno, anche se non sono disposta ad ammetterlo.

Con una punta di delusione, mi rendo conto che oggi Larry non è qui... Ti aspettavi forse che Larry vivesse qui e fosse a tua disposizione? Il mio subconscio mi fa notare l'ovvio e decido di andare a prendere quello per cui sono venuta qui, recandomi nella corsia dei dolci.

Arrivata davanti alle tavolette di cioccolata resto un attimo indecisa se prenderla al latte o fondente, ma poi mi ricordo che Hazel la vuole solo fondente per la sua torta. Ne prendo un po' in più, mentre un sorriso mi spunta sulle labbra, e la metto nel cestino, quando una voce attira la mia attenzione.

«Dovrai pagarla quella, oggi Larry non lavora». Alzo lo sguardo e lo vedo. Ha un sorriso meraviglioso

Harry è qui, con i capelli sciolti, gli occhiali da sole tirati su sulla testa, un giubbotto chiaro su una maglietta bianca, e gli immancabili jeans neri. Ha in mano un cestino come il mio, ma molto più pieno e, dopo il primo momento in cui vederlo così all'improvviso mi ha mandata in confusione, mi riprendo e rispondo a tono.

«Sei tu il ladro di cioccolata, non io». Mi volto del tutto nella sua direzione e do un'occhiata al contenuto del suo cestino, costituito per lo più da cibi surgelati, che credo sia la sua spesa. «Tu mangi quella roba?» gli chiedo, con aria disgustata.

«È tutta roba raccomandata dai peggiori nutrizionisti al mondo, scelgo solo il peggio io. E tu invece? Hai deciso di seguire il mio consiglio e di addolcirti con un po' di cioccolata?» Sono contenta che si stia comportando normalmente con me e che continui a fare le sue stupide battute, a cui posso rispondere in modo ancora più stupido.

«Non ho bisogno della cioccolata per essere dolce». Il mio tono di voce esce più acido di quanto avrei voluto.

«Ieri sera ha funzionato però...» Mi fa il suo sorriso speciale, quello con le fossette, e io lo detesto un po' di più perché riesce ad arrivare dove nessuno è più arrivato.

Al cuore.

Mi volto, alzando gli occhi al cielo senza più rispondergli, perché non so cosa dire. Riesce a farmi rimanere senza parole, cosa non facilissima, ma a lui viene bene, soprattutto quando mi sorride.

«Se non è per addolcirti a che ti serve la cioccolata?» mi chiede, mentre mi segue lungo la corsia per andare verso il banco frigo.

«Non ti riguarda, Stevens; perché non finisci la tua spesa di cibi ricchi di grassi saturi?» Io continuo a funzionare allo stesso modo in sua presenza: il mio cervello mi ordina di allontanarlo, mentre il resto di me lo vorrebbe vicino, e forse lui lo sente perché non smette di camminarmi accanto. Poi prendo il cartone del latte dirigendomi verso la cassa, con lui sempre alle calcagna.

«Si dà il caso che io abbia finito». Mi volto a guardarlo e mi mostra un sorriso davvero stupido. Mi sta prendendo in giro e si sta divertendo a farlo. È tornato l'indisponente Harry, quello che fa il bimbo piccolo, quello che si diverte con i dispettucci da bambino dell'asilo.

«Bravo, se ti comporti bene la maestra potrebbe anche darti un premio». Ricordo bene la sua espressione quando ho pronunciato la parola mamma, ho quindi deciso di fare attenzione e di evitarla.

«E quale sarebbe il mio premio per essermi comportato come un bravo bambino?» La sua voce arriva alle mie spalle mentre metto i miei prodotti sul nastro della cassa.

«Fai sul serio Harry?» Lo guardo, poi torno a voltarmi verso la ragazza alla cassa, che passa i miei prodotti sul lettore per poi comunicarmi il totale da pagare.

«Sempre, sei tu che non mi prendi mai sul serio». Apro il portafoglio e prendo i soldi necessari da dare alla commessa, che mi dà il resto con un'espressione divertita in volto.

Metto la mia roba in una busta, mentre la cassiera passa i cibi surgelati di Harry sul lettore. È la mia occasione per allontanarmi da lui. L'ho visto, ora posso tornare a casa no? «Ci vediamo Harry». Lo guardo negli occhi, quegli occhi verdi che mi fanno tornare in pace con il mondo.

«Dove credi di andare? Stai dimenticando qualcosa...» Lo osservo con le sopracciglia aggrottate, poi il mio sguardo finisce sull'oggetto che sta tenendo in mano. È una delle tavolette di cioccolata che ho preso poco fa dallo scaffale.

«Come...?» Non so nemmeno come chiedergli spiegazioni, mentre il suo sorriso si fa decisamente più ampio e divertito. Controllo nella busta e mi accorgo che ho solo due tavolette di cioccolata, ne manca una, ed è quella che ha lui in mano. Alzo un'altra volta lo sguardo su di lui, che ora sta pagando la sua spesa, mentre io continuo ad avere ancora la stessa espressione inebetita di poco fa.

«Sapevo che saresti scappata via, così, mentre ti sei voltata a prendere il latte, ho preso dal tuo cestino la tavoletta». Sorride ancora, più divertito di prima, mentre io provo di nuovo fastidio per il suo comportamento, perché riesce sempre a tenermi in pugno.

Che diavolo mi è saltato in mente di venire a cercarlo? Avrei dovuto venire con Kurt, anzi meglio di no, lui mi avrebbe spinta direttamente tra le sue braccia. Avrei, però, potuto andare in un altro market. Credo che la prossima volta lo farò.

«Ok, ora ridammela, e visto che continui a comportarti come un bambino cattivo, dirò alla maestra di metterti in punizione!» Ma come parlo? Mi sto davvero comportando come una bambina dell'asilo? Dio! Riesce a farmi fare cose che non avrei mai creduto di fare!

«No, te la darò solo quando saremo fuori». La mette nella tasca interna del giubbotto, poi prende il sacchetto della sua spesa e inizia ad incamminarsi verso l'uscita. Mi volto appena, quando sento una piccola risata provenire dalla mia sinistra: la cassiera sta ridendo, certo... perché siamo ridicoli.

Sbuffando come se fossi un toro inferocito, lo seguo con una camminata davvero poco elegante, facendo una fortissima presa sui manici del mio sacchetto. Mi ha fatto innervosire, crede di avermi in pugno e poter fare come meglio crede. Lui, invece, cammina tranquillo fino alla mia auto, non so dove sia la sua, da qui non la vedo. Prendo le chiavi poi apro lo sportello, appoggiando sul sedile il sacchetto per poi voltarmi verso di lui allungando la mano con il palmo verso l'alto.

«Adesso posso riavere la mia cioccolata?» Harry posa il suo sacchetto per terra, poi prende la tavoletta dalla tasca del giubbotto, per appoggiarla sulla mia mano.  
È un contatto lieve, forse solo il suo mignolo è entrato in contatto con la mia mano, eppure è successo di nuovo. Quella cosa, che mi succede solo con Harry, sta accadendo proprio in questo momento e questo mi coglie, come sempre, impreparata. Lui riesce a farmi provare ogni sorta di emozione, ognuna più confusa e destabilizzante dell'altra, proprio come mi sento in questo momento: confusa e destabilizzata.

E lui lo sa, sono certa che se ne sia perfettamente reso conto e, se andiamo avanti in questo modo, molto presto la cioccolata, che stringiamo tra le nostre mani, potremo berla per il calore che i suoi occhi mi stanno provocando.

Sta per parlare e il leggero movimento delle sue labbra cattura tutta la mia attenzione. «Sai cosa vuol dire non sopportare la tua presenza e nello stesso tempo avere una gran voglia di baciarti?» In un colpo solo riesce a far crollare ogni più piccola barriera che ero riuscita a costruire in questi mesi. Tutto crolla, inesorabilmente, inarrestabile, come una fortezza costruita con la sabbia. Ogni granello, ogni singolo granello, viene giù, verso il basso, lasciando scoperta la parte più vulnerabile che tentavo di nascondere.

Tutto spazzato via, in un attimo.

Non c'è più nessuna difesa a proteggermi, non c'è più niente intorno a me e, se già prima di questa frase lui riusciva ad arrivare a me con una facilità inaudita, ora non ho più nessuna speranza di riuscire a fermarlo.

Afferro stretta la cioccolata, allontanandomi velocemente dalla sua mano. «Devo andare», dico, voltandomi verso l'entrata della mia auto. Scappare è l'unica difesa che mi è rimasta, ma faccio appena in tempo a lanciare la cioccolata sul sedile e nemmeno un passo di più, che lui mi afferra saldamente per un braccio tirandomi verso di sé, facendomi voltare.

Finisco dritta tra le sue braccia senza possibilità di scampo. Le sue labbra sono prepotenti sulle mie, le sue braccia mi avvolgono stretta. Harry fa scorrere le sue mani dal basso della mia schiena fino alla nuca per tenermi ancora più vicina e, in tutto questo, il mio corpo reagisce autonomamente, rispondendo a quel bacio con foga, quasi in maniera aggressiva, portando poi le mie braccia intorno al suo collo, con la totale perdita di controllo di ogni parte razionale che dovrebbe farmi allontanare da lui, ma la forza che usa per tenermi stretta a lui, è assolutamente incontrastabile, e non parlo di forza fisica.

Mi sento in trappola, sua prigioniera, e allo stesso tempo mi sento completamente libera. C'è una continua lotta nella mia testa, quasi la stessa che si sta svolgendo sulle nostre bocche, avide di labbra da mordere, baciare, divorare, come non hanno mai fatto prima.

E, d'improvviso, il terrore riempie ogni angolo del mio cervello. Dov'è il mio Dylan in tutto questo? Perché Harry lo fa sparire sempre?

Mi allontano bruscamente da lui, che resta a guardarmi con aria confusa, e sono talmente veloce a salire in macchina, che non gli do il tempo di dire niente. Non potrei sopportare altro in questo momento.

Scappo, è l'unica cosa che posso fare adesso. Non so quanto durerà questa mia fuga. Lo guardo dallo specchietto retrovisore mentre mi allontano. Lui è rimasto lì in piedi a guardarmi andare via, insieme al mio cuore che ho lasciato nelle sue mani. 

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Capitolo 18
*** Non voglio lasciarti andare ***


Chloe

«È tutto a posto Chloe?» La voce quasi preoccupata di Hazel esce dall'auricolare del mio telefono che ho lasciato suonare troppo a lungo.

«Sì... sì, sto tornando, è solo che ho trovato traffico». La mia migliore amica mi ha chiamato perché ho impiegato troppo tempo a tornare a casa, così le ho inventato la scusa del traffico. In realtà sono ferma da venti minuti sotto casa senza riuscire a fare altro che pensare a quello che è successo con Harry poco fa.

«Ok... guida con prudenza». La saluto e torno a guardare il vuoto davanti a me, portandomi per l'ennesima volta le dita a sfiorare le labbra dove c'è ancora il suo sapore.

Ripenso alle sue mani, alle sue braccia, al suo corpo completamente premuto sul mio, quasi a diventare una cosa sola, quasi un abbraccio disperato, alle sue labbra impossessarsi delle mie quasi con violenza, con estrema passione e, alla fine, mi rendo conto di quanto tutto questo mi abbia fatto stare bene.

Stare bene, ormai, è diventato come dire Harry. Mi basta pronunciare il suo nome per iniziare a sentire tutte quelle sensazioni che la sua sola presenza mi fa provare.

Mi ha preso completamente alla sprovvista e sono ancora incredula su come abbia reagito il mio corpo, a come lui sia riuscito a fare tabula rasa nella mia testa, lasciandomi andare del tutto al puro istinto. Harry è riuscito ad entrarmi nella testa e ne ha preso il completo controllo. Quel bacio inaspettato, quel bacio così aggressivo e così avido, così sbagliato eppure così dannatamente giusto, quel bacio senza mezze misure, quel bacio che lui ha rubato, ma al quale ho risposto senza la minima esitazione, non ha fatto altro che farmi percepire ancora meglio quel legame che sento quando Harry mi guarda in un certo modo.

Strofino entrambe le mani sul viso sentendomi frustrata per non essere riuscita a tenere in piedi il muro che avevo costruito e, con un profondo gemito di irritazione verso me stessa, recupero il sacchetto dal sedile per poi chiudere l'auto, salendo fino al mio appartamento, dove trovo i miei due amici intenti a combinare qualche guaio in cucina e finalmente mi sento meglio, di nuovo nel mio guscio, al sicuro.

«Finalmente!» La voce di Kurt si alza nella stanza e, anche se la sua è chiaramente una lamentela, mi porta a sorridere.

«Hai preso tutto?» mi chiede, Hazel dolcemente avvicinandosi per recuperare il sacchetto dalle mie mani.

«Sì». Il mio sorriso è tirato e il mio amico se ne accorge immediatamente, così, appena Hazel sparisce in cucina, si avvicina per parlarmi sottovoce.

«Che ti è successo?» Mi guarda apprensivo. Si è ovviamente accorto della mia espressione persa nel vuoto e io vorrei dirgli tutto quanto, vorrei dirgli troppe cose tutte insieme, ma alla fine dalla mia bocca non esce alcun suono, riesco solo ad abbracciarlo.

Lui inizialmente resta rigido perché non si aspettava niente del genere, poi, lentamente, sento le sue mani risalire appena sulla mia schiena e, alla fine, mi stringe in un dolcissimo abbraccio, quello che è il mio abbraccio salva vita.

«Lo sai che ti voglio bene, vero Kurty?» Bisbiglio anch'io, non so perché, ma lo faccio. Ho bisogno di dargli certezze, che lui capisca che so di aver sbagliato nei suoi confronti e che non potrei mai fare a meno di lui.

«Lo so piccola Cleo... lo so. Adesso togliti quell'espressione dalla faccia che Hazel è già fin troppo preoccupata per te, falle vedere che stai bene, ma non devi stare bene per finta, sia chiaro... è solo che sto cercando di tranquillizzare lei per quanto riguarda te, e fare in modo che tu stia bene». Si allontana un po', poi mi sorride. «Mi farete impazzire voi due». Ha ragione, non gli rendiamo mai la vita facile. Sorrido anch'io con lui, poi raggiungiamo la nostra amica in cucina e mi metto a pasticciare con loro, ridendo e lasciando al di fuori da questa stanza, ogni pensiero che ha occupato la mia mente fino a poco fa.

***

«Devi mescolare più lentamente, non hai in mano una turbina!» Hazel mi rimprovera per la terza volta da quando abbiamo iniziato a fare la sua meravigliosa torta.

Dopo aver passato il pomeriggio a cucinare cibi poco sani - ma tanto buoni - come focaccine farcite, o brownies al cioccolato, si è fatta sera, Rebekah sta per tornare ed è arrivato il momento di fare la famosa torta al cioccolato, ma la mia migliore amica continua a rimproverarmi.

«Hazel sto facendo del mio meglio». Nessun altro pensiero è venuto a disturbare il mio equilibrio mentale e, alla fine della giornata ero davvero riuscita a lasciarli fuori dalla cucina, dove mi sono completamente dedicata ai miei due amici.

«Voi due dovete per forza dire sempre la stessa cosa quando le fai mescolare quell'impasto?» La voce non realmente infastidita di Kurt ci fa voltare verso di lui. Hazel non è mai soddisfatta di come io mescolo gli ingredienti della sua magia, e ogni volta trova un modo per farmi notare il suo disappunto, ed immancabilmente io devo dire la mia. Succede tutte le volte.

«Piantala Kurt, piuttosto hai finito di mettere la carta forno nella teglia?» gli chiede Hazel, ma lui non fa in tempo a rispondere che veniamo interrotti dal suono del citofono.

«Vado io». Il mio migliore amico si fionda all'ingresso per andare ad aprire mentre io vengo colta da un mini attacco di panico.

E se fosse Harry? Non so perché ho pensato che potrebbe essere lui al citofono, ma se lo fosse? Come diavolo dovrei comportarmi? Improvvisamente mi sudano le mani e il cuore prendere a battere più velocemente. Lo stesso fanno le mie mani con l'impasto della ciotola, ma Hazel mi ferma di nuovo.

«Chloe, che ti ho appena detto?» Mi osserva con le mani sui fianchi e io rallento immediatamente il movimento della mia mano.

«Già... scusa...» Mentalmente sto solo sperando che non sia lui.

Fa' che non sia lui. Fa' che non sia lui. Fa' che non sia lui. Fa' che non sia lui. Fa che non sia...

«È Reb, ha lasciato a casa le chiavi ieri sera!» La voce di Kurt mi fa alzare la testa di scatto, mentre lo guardo tornare a sedersi al tavolo e, finalmente, tiro un gran sospiro di sollievo. Stavo già iniziando ad immaginare scenari in cui lui mi chiedeva spiegazioni e io che scappavo a chiudermi in camera mia come una bambina. Ho persino evitato di controllare il cellulare per non rischiare di trovare qualche messaggio da parte sua.

L'ho semplicemente lasciato silenzioso dentro la borsa e credo ci rimarrà per tutta la sera almeno.

«Ciao a tutti...», Rebekah quasi urla per farsi sentire dall'altra stanza, «guardate un po' chi ho incontrato qua sotto?» Mi blocco di nuovo nel sentire quelle parole: so che è lui, non ho bisogno di alzarmi a controllare come stanno facendo i miei due amici. Harry è qui, e io non ho fatto in tempo a scappare.

***

Harry

Sono rimasto ore a pensare a quel bacio, alla potenza che ha sprigionato il contatto delle sue labbra con le mie che, alla fine, non potevo più restare nell'incertezza, volevo sapere perché anche lei mi ha baciato, perché non mi ha respinto come mi sarei aspettato che facesse.

Alla fine ho ceduto alla tentazione, ritrovandomi sotto casa di Chloe.

E, forse per coincidenza, o forse per uno strano scherzo del destino, proprio quando stavo per cambiare idea perché temevo di metterle troppa pressione, e avevo quasi deciso di andarmene, si ferma un'auto esattamente davanti a me, un'auto che conosco davvero bene per quante volte ci sono salito sopra.

La jeep di Zach accosta e sono costretto a restare a guardare il mio migliore amico che bacia la mia segretaria. Scuoto la testa contrariato, lui si accorge di me non appena lei si allontana per poi scendere dall'auto. Rebekah è in evidente imbarazzo quando si accorge della mia presenza alle sue spalle, Zach ha il solito sorriso da coglione e, dopo avergli urlato un “ci sentiamo più tardi”, e aver spiegato a Rebekah che mi trovo qui per parlare con Chloe, la seguo fino al suo appartamento.

Lei entra e saluta ad alta voce. Non vedo nessuno nella stanza, ma poi, i due amici di Chloe si affacciano alla porta della cucina per salutare. Di lei non c'è traccia, eppure dev'essere qui.

Appoggio il mio cappotto all'appendiabiti all'ingresso, poi Rebekah mi fa cenno di seguirla e cammino dietro di lei fino alla cucina. Fino a poco tempo fa, mai avrei immaginato di trovarmi nella cucina dell'appartamento della mia segretaria, eppure eccomi qui, a cercare un contatto visivo con sua sorella che si sta impegnando al massimo per ignorarmi.

Mi aspettavo questo tipo di reazione da parte sua, ero preparato al fatto che avrebbe tentato di sfuggirmi, e forse ci riuscirà, ma non oggi.

«Ciao Harry». Il suo amico è il primo a venirmi incontro per salutarmi con un sorriso enorme sul volto e lo saluto a mia volta, poi, anche la sua amica alza una mano sorridendomi, ma lei continua a restare concentrata sul movimento della sua mano intenta a mescolare una strana poltiglia marrone all'interno di una ciotola.

«Ciao Chloe». Mi avvicino e parlo direttamente con lei, forse mi degnerà di uno sguardo.

«Ciao». Il suo tono di voce è freddo, anzi gelido, ma non posso evitare di sorridere quando vedo Kurt alzare gli occhi al cielo, evidentemente esasperato dal comportamento della sua amica.

«Chloe, basta così». Hazel le toglie dalle mani la poltiglia marrone e lei si alza immediatamente per andarle dietro.

«Cosa posso fare ora?» le chiede, dandomi le spalle. Si mettono poi, a confabulare qualcosa sottovoce.

Rido per quello che vedo e seguo l'invito silenzioso di Kurt che indica una sedia alle mie spalle e io mi accomodo continuando ad osservare la scena che si svolge davanti a me che sta diventando quasi comica.

Mi sembra di assistere ad un teatrino: Chloe borbotta, Hazel la rimprovera mentre Rebekah cerca di capirci qualcosa per poi voltarsi ogni tanto a sorridermi imbarazzata e in tutto questo lo sguardo di Kurt va, come una pallina da ping-pong, da me alle tre ragazze intente a parlottare tra loro.

«Harry vuoi bere qualcosa?» mi chiede poi Rebekah, con evidente disagio.

«Un po’ d'acqua andrà benissimo grazie». Mi appoggio meglio allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto senza mai perdere la mia espressione divertita, poi Rebekah si avvicina per porgermi il bicchiere d'acqua, la ringrazio, e alla fine esce dalla stanza dicendo qualcosa a cui non ho prestato particolare attenzione.

Anche Kurt esce dalla cucina dicendo di dover fare una telefonata. Ho l'impressione che lo stiano facendo di proposito ad andarsene da questa stanza e la cosa mi sta più che bene.

Le due ragazze in piedi di fronte a me, stanno ancora mormorando qualcosa a bassa voce, poi vedo Hazel infornare quella che credo sia una torta e si volta verso Chloe dicendole “torno subito”, lei allunga una mano per afferrare il braccio della sua amica che però è più veloce di lei e riesce ad allontanarsi per sfuggire alla sua presa.

Ora, siamo solo io e lei nella sua cucina. Chloe è rimasta vicino al forno acceso, è di profilo, e non riesco a vedere bene il suo volto, ma poi si gira, i nostri occhi si incrociano per un attimo troppo breve e la vedo incamminarsi velocemente verso la porta della cucina. Ho detto che oggi non mi sfuggirà ed è quello che farò.

Mi alzo dalla sedia ancora più in fretta di lei, sono alle sue spalle e riesco a chiudere la porta davanti a lei appena prima che varchi la soglia per uscire dalla stanza.

«Dobbiamo parlare, Chloe». È di spalle, tra me e la porta della cucina, il palmo della mia mano a tenere chiusa la porta.

«Non dobbiamo fare proprio niente». La sua postura è rigida, come anche il tono della sua voce. Non so se sia più spaventata o più arrabbiata, ma voglio scoprirlo.

«E invece dobbiamo proprio farlo, che ti piaccia o no». Nessuno dei due si è ancora mosso di un millimetro.

«Non ho nessuna intenzione di parlare con te». Sono vicinissimo a lei, tanto da sentire ancora il suo profumo. Sta tenendo lo sguardo verso il basso e i pugni stretti lungo i fianchi.

«E allora lo farò solo io, tu dovrai solo ascoltare». Addolcisco un po' il tono della mia voce. Non voglio che abbia paura di me. Non voglio che abbia paura e basta.

«Non voglio nemmeno ascoltare». La sua voce trema appena, forse sta cedendo. Devo approfittarne adesso.

Il palmo della mia mano destra è ancora saldamente incollato alla porta, alzo la mano sinistra fino ad appoggiarla delicatamente sulla sua spalla. Si irrigidisce ancora di più al mio tocco e allora resto fermo, aspettandomi una sua reazione negativa che però, non arriva e, quando sento le sue spalle rilassarsi appena, scendo lentamente, in una lieve carezza lungo tutto il suo braccio fino ad arrivare alla sua mano ancora stretta a pugno che avvolgo con la mia.

«Chloe...» Ma lei mi interrompe subito.

«Non voglio sapere niente Harry... niente... voglio solo uscire da questa stanza... lasciami andare». La sua voce è solo un sussurro, quasi una supplica. Adesso sono assolutamente certo che sia spaventata, ma lo sono anch'io.

Tutto quello che ho provato mentre la baciavo mi ha spaventato a morte, eppure quel bacio è stato così travolgente, così potente, che non credo di volerci rinunciare.

«Non voglio farlo Chloe... non voglio lasciarti andare, voglio solo... voglio solo parlare, non ti bacerò se non lo vuoi, ma non posso farti uscire da questa stanza fino a che non avrai ascoltato quello che ho da dire». Le sue spalle si rilassano ulteriormente, anche le sue dita non sono più così rigide, sento che il suo pugno stretto all'interno della mia mano, sta allentando la presa.

Istintivamente, mi avvicino di più alla sua schiena, fino quasi a toccarla con il mio petto, allargo le dita riuscendo nell'insperata impresa di intrecciarle con le sue. Mi lascia stringere la sua mano, forse posso osare di più, quindi tolgo la mano dalla porta di fronte al suo viso, con l'altra mano intrecciata alla sua, la invito a voltarsi verso di me e, lentamente, riesco ad averla di fronte, ma senza riuscire ancora a vedere il suo volto, cosa di cui ho assoluto bisogno in questo momento. Ho bisogno di vedere i suoi occhi.

Porto una mano sulla sua guancia, alzando delicatamente il suo viso, sfiorando lo zigomo con il pollice, ma continua a privarmi della vista dei suoi occhi tenendoli chiusi.

«Voglio che tu te ne vada Harry». La sua voce esce troppo incerta per essere credibile, soprattutto perché non mi guarda mentre lo dice.

«No che non vuoi». Sfioro ancora la sua pelle morbida, mentre memorizzo ogni dettaglio del suo viso.

«Sì, invece, è esattamente quello che voglio». È solo la sua voce a dirlo, nient'altro di lei mi sta facendo capire che quello che ha appena detto sia davvero quello che vuole.

«Guardami Chloe».

«Devi veramente andartene». Stringe appena gli occhi, come se si stesse sforzando per tenerli chiusi.

«Avanti Chloe, guardami...» Mi avvicino di qualche centimetro, giusto per farle percepire maggiormente la mia presenza, quasi a respirarle sul viso e la cosa sembra funzionare perché le sue palpebre iniziano a distendersi, lentamente, fino a mostrarmi i suoi occhi color nocciola che mi osservano con uno sguardo decisamente intenso. «Sono io... sono qui...» Mi osserva in silenzio, restando immobile, ma stringendo di più la presa delle sue dita sulle mie. «Non ti dirò che mi dispiace di averti baciata perché non mi dispiace affatto e so che non dispiace nemmeno a te... non importa se non sei pronta ad ammetterlo, io so che è così, l'ho sentito, ma non lo farò più, non senza il tuo permesso». Credo abbia bisogno di tempo e di essere rassicurata. Voglio sapere cos'è che la frena così tanto.

«Non succederà più, e adesso vattene... per favore...» Le sorrido continuando ad accarezzare il suo viso con il pollice.

«D'accordo... adesso me ne vado...» In realtà non mi muovo di un passo per non interrompere questo contatto con lei. So che quando mi allontanerò, mi chiuderà fuori e non solo dalla sua cucina, o dal suo appartamento. Probabilmente è stato troppo affrettato baciarla in quel modo, ma non ho pensato a niente quando l'ho afferrata per il braccio. È stato spontaneo e quasi non mi sono reso conto di farlo, se non nell'esatto momento in cui mi sono impossessato con così tanta forza della sua bocca.

Restiamo a guardarci in silenzio, non so per quanto tempo, so solo che sto per annegare nei suoi occhi, e forse ha ragione lei. Forse devo andarmene, non voglio farla scappare più di quanto non stia già facendo, quindi allento la presa delle mie dita intrecciate alle sue, lei fa lo stesso, fino a sfilarle completamente. Tengo ancora i miei occhi inchiodati ai suoi, poi allontano anche la mano dal suo viso e lei sembra smettere di respirare per un attimo, poi, è come colta da una forza improvvisa che la spinge lontano da me e si allontana andando verso la parte opposta della stanza.

Non mi giro a guardarla o potrei afferrarla e baciarla di nuovo, resto di spalle, afferro morbidamente la maniglia della porta, poi l'abbasso, la apro, fermandomi un paio di secondi per darle l'opportunità di fermarmi se lo volesse, ma non mi stupisco quando resta in silenzio lasciandomi andare via. Non è il momento di insistere, me ne rendo conto, ma vorrei che non fosse così.

Sorrido quasi nel notare che non c'è nessuno in soggiorno, devono essere tutti al piano di sopra e li ringrazio mentalmente per avermi concesso del tempo da solo con Chloe. Prendo il mio cappotto per indossarlo e uscire da questa casa. Forse non dovrei insistere, o forse sì, ma al momento non ho il coraggio necessario per farlo.

***

Chloe

Stringo con forza le mani intorno al bordo del ripiano della cucina per impedirmi di seguirlo. Non devo farlo, non è giusto, non posso fargli questo, non sarebbe giusto nei confronti di Dylan, e non sarebbe giusto nemmeno nei confronti di Harry. Non posso trascinarlo con me ad affrontare i miei demoni.

Mi sono forzata a dirgli di andarsene anche se non avrei davvero voluto che lo facesse. Il ricordo di quel bacio dirompente, brucia ancora incredibilmente sulle mie labbra, la sensazione delle sue mani su di me, sul mio viso è ancora viva, come se lui fosse ancora qui, e mi sento realmente in colpa verso il mio Dylan.

È un po' come se l'avessi tradito, come se avessi tradito la sua fiducia e, il fatto di poter essere ancora felice, anche senza di lui, mi fa sentire una persona orribile. Ciò nonostante, sento che il ghiaccio che ha avvolto il mio cuore fino ad ora, si sta sciogliendo e io ne sono terrorizzata ed eccitata allo stesso tempo.

Sento la porta d'ingresso chiudersi. Harry se n'è andato e questo mi fa provare un altro tipo di dolore nel petto, un dolore che non sentivo da tempo, qualcosa che mi mancava, ma qualcosa che non è giusto che io abbia ancora.

Tuttavia il corpo agisce un'altra volta come se fosse dotato di una propria autonomia. Mi volto e, molto lentamente, inizio a camminare verso l'ingresso. Poggio una mano sulla maniglia e sto per aprirla. Voglio raggiungerlo, voglio parlare con lui, anche se in realtà non voglio farlo, ma quando ormai ho quasi deciso di farlo, sento dei passi provenire dalla mia destra. Qualcuno sta scendendo le scale.

«Che succede?» La voce preoccupata di Kurt mi fa fermare.

«Se n'è andato Kurty», mi volto verso di lui che subito mi raggiunge per stringermi in un abbraccio.

«L'hai fatto scappare?» Sta cercando di alleggerire la situazione e lui non può immaginare quanto io gliene sia grata.

«L'ho mandato via». Appoggio la testa sulla sua spalla, mentre le sue braccia continuano a confortarmi.

«Stavi per uscire?» Annuisco silenziosamente mentre mi stringo a lui. «Volevi raggiungerlo?» mi chiede ancora.

«Non lo so... sono così confusa...» Sono confusa e spaventata da quello che è successo con Harry, da quello che mi fa provare e, soprattutto, sono terrorizzata dal fatto di poter dimenticare Dylan. Non voglio che accada, non deve succedere. «Non so che cosa fare...» ammetto sinceramente.

«Non devi fare qualcosa per forza adesso, piccola Cleo... puoi prenderti del tempo...» Il tono dolce della sua voce, mi sta aiutando a calmarmi.

«Non so cosa fare neanche domani, o dopo domani...» Mi stacco appena da lui, giusto per guardarlo negli occhi. Voglio vedere la sua reazione quando gli dirò quello che è successo tra me e Harry. «L'ho baciato Kurt...» Il suo sguardo non è sorpreso, mi sorride comprensivo, mentre prende ad accarezzarmi la schiena con infinita tenerezza.

«Dylan non c'è più, non potrà mai più tornare e tu non smetterai mai di amarlo, queste sono delle verità innegabili, che nessuno può mettere in discussione, ma se lui potesse parlarti adesso, ti direbbe che devi continuare a vivere anche per lui. Non puoi smettere di soffrire dall'oggi al domani, forse non smetterai mai di farlo, ma c'è una cosa che devi assolutamente smettere di fare...» Lo guardo aspettando che continui. «Devi smettere di colpevolizzarti, non è colpa tua se ha avuto quell'incidente, e non posso più permettere che continui a farti del male come se dovessi espiare chissà quale colpa...» Ha gli occhi lucidi, so che gli fa male parlare di queste cose, ma resto in silenzio perché mi accorgo che ha ancora qualcosa da dire. «Quella sera... quella sera sul tetto dell'ospedale... ho temuto di perdere anche te e... Chloe voglio solo aiutarti ad essere di nuovo felice... è importante per me...» Credo di avere anch'io gli occhi lucidi e non riesco a dire niente. «Con questo non voglio dirti di correre dietro a Harry se non è quello che vuoi veramente, quello che voglio, però, è che tu apra il tuo cuore. Lascia andare il dolore... se lo farai non ti farà dimenticare di lui. Devi pensare a Dylan con gioia, perché è così che avete vissuto il vostro rapporto».

«Avresti dovuto essere tu il mio psicologo...» Il mio migliore amico mi ha capita molto meglio di quanto abbia fatto quello psicologo da cui i miei mi hanno costretta ad andare.

«Con il tuo stipendio non potresti mai permetterti nemmeno un'ora di seduta con me». Sorrido alle sue parole. Kurt è assolutamente fondamentale nella mia vita. «E per la cronaca... Harry è davvero una gran figo». Stavolta rido sentendomi più leggera.

«Ti voglio bene Kurt...»

«Io te ne voglio solo se mi dici come bacia...», mi guarda con le sopracciglia sollevate mentre io alzo gli occhi al cielo per la sua domanda, «e anche quando l'hai baciato...», cerco di allontanarmi, ma lui rafforza la presa su di me, «e anche dove è successo...»

«Kurt...» Il mio finto rimprovero non lo tocca minimamente.

«E anche come è successo... Chloe devo sapere, sono o non sono il tuo migliore amico?» Veniamo interrotti da una voce.

«Ehi... anche io sono la tua migliore amica, e anch'io voglio sapere cos'è successo...» Scende gli ultimi gradini delle scale venendo vicino a noi che ci stacchiamo per inglobarla nel nostro abbraccio.

Racconterò loro tutto quanto, perché sono la parte migliore della mia vita, insieme alla mia famiglia ovviamente, ma so di non poter raccontare ancora niente a mia sorella. La metterei in imbarazzo con il suo capo e non voglio crearle problemi. Ne parlerò anche con lei, ma non ora.

Adesso voglio concentrarmi su Kurt e Hazel perché domani torneranno a casa e di sicuro non li rivedrò fino a Natale, periodo in cui credo tornerò qualche giorno dai miei.

«Rebekah dov'è?» chiedo alla mia amica.

«È al telefono con quel Zach...»

«Vi va di andare in camera mia ad appendere le lucine?» chiedo loro. È una cosa che ho bisogno di fare con i miei più grandi amici.

«Do uno sguardo alla torta in forno e vi raggiungo». Ci sorride, poi si allontana per andare in cucina, mentre io e Kurt saliamo le scale diretti in camera mia, quando passiamo davanti alla porta della camera da letto di mia sorella la sento parlare.

«Non so cosa le ha detto, ma sembra sia andato via... vedi se riesci a scoprire qualcosa tu, sono certa che Chloe non mi dirà niente...» Lancio uno sguardo a Kurt sorridendogli, poi entriamo in camera mia. Non voglio origliare la telefonata di mia sorella, anche se sta parlando di me e Harry, non voglio sapere altro più di quello di cui sono venuta a conoscenza oggi.

«Appena sale Hazel voglio sapere tutto, ci siamo capiti?» Sta cercando ancora una volta di rendermi le cose più leggere, di alleggerire i miei sensi di colpa, e lui è il migliore in questo.

«D'accordo, ma adesso inizia a passarmi quelle lucine». Salgo in piedi sul letto mentre lui prende il filo elettrico dal suo borsone. Ho recuperato dallo sgabuzzino, dei ganci e dei chiodini, con i quali potrò appendere le piccole lampadine che tanto amo.

Una volta che anche Hazel si unisce a noi, sembra che il tempo sia tornato indietro. Sembriamo davvero spensierati mentre scherziamo e ridiamo, e io mi concentro con tutte le mie forze su questo momento perché potrò aggrapparmi a questo ricordo nei prossimi giorni, sono sicura che ne avrò bisogno.

Harry può aspettare, adesso ho bisogno dei miei amici, delle mie piccole abitudini, dei miei spazi, del mio tempo e del mio comodo mondo. Harry è troppo sconvolgente e non sono ancora pronta a fargli sapere quanto sia già entrato nella mia vita. 

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Capitolo 19
*** E tu non hai mai dei dubbi? ***


Harry

Silenzio.

Silenzio in questa casa, in ogni angolo di ogni stanza, ovunque, tranne che nella mia testa, dove invece regna il caos assoluto.

Mi appoggio con le mani al tavolo della cucina sul quale ho posato qua e là, alcune delle cose che ho comprato oggi pomeriggio al supermercato quando l'ho incontrata.

Ho tentato di lasciare del tempo ad entrambi dopo averla baciata, ho provato a capirci qualcosa da solo, ma ad un certo punto non ce l'ho più fatta e, l'impazienza di chiarirmi con lei, mi ha fatto correre fino al suo appartamento anche se, ero quasi certo, che non avrei concluso niente.

Chloe continua a scappare da me, da tutto, e io non so come comportarmi in questa situazione.

Il mio telefono continua a suonare, ma non è lei a chiamarmi. Il nome Mason lampeggia sullo schermo. Credo sia la quarta o la quinta volta che mi chiama nel giro di mezz'ora, forse dovrei rispondere stavolta.

«Pronto», rispondo, per poi andare in salotto e togliermi le scarpe buttandole da qualche parte.

«Cazzo! Ti ho chiamato un sacco di volte!» La sua voce alterata mi fa allontanare il cellulare dall'orecchio.

«Sì, lo so. Ho guardato il mio telefono suonare». Mi lascio andare all'indietro sul divano, poi mi sdraio fissando un punto indefinito del soffitto.

«Che stronzo! Ti ho chiamato anche con il numero sconosciuto...» Qui lo interrompo subito.

«Ma se non rispondo nemmeno a quelli che conosco!» Porto il braccio libero dietro la testa cercando di accomodarmi meglio per godermi al massimo la sua ramanzina.

«Vaffanculo Stevens, dovrei riservarti il trattamento del silenzio». Non è davvero arrabbiato, lo capisco dal suo tono di voce.

«Sarebbe meraviglioso da parte tua... quando cominci?» Come sarebbe meraviglioso se davvero questo trattamento del silenzio esistesse o in qualche modo funzionasse davvero, perché da quando la mia testa ha ripreso a formulare pensieri sensati, l'ha fatto a pieno ritmo. C'è troppo traffico nel mio cervello, troppo rumore, e fatico a mettere in ordine tutte queste considerazioni.

«Che succede Harry?» La sua domanda è decisamente scomoda in questo momento, in cui ho ancora troppe informazioni da elaborare per sapere cosa rispondere al mio amico all'altro capo del telefono.

«Non ti sento bene Zach...» Mi metto seduto, poggiando la schiena all'indietro.

«Harry non fare il coglione, mi senti benissimo!» Ha ragione, ma non voglio parlare con lui adesso, né con nessun altro. «Senti... stasera usciamo, ti passo a prendere?» Pessima, pessima idea.

Non voglio vedere nessuno, parlare con nessuno, sapere niente di nessuno che non sia qualcosa che possa chiarirmi le idee, e di certo, per quanto gli voglia bene, i miei amici non mi sarebbero affatto d'aiuto.

«Zach, la voce va e viene... non ti sento... non sento niente...» Il mio amico continua ad insultarmi, ma questo non mi fa desistere dalla mia piccola sceneggiata. «Zach?... Zach?» Lui continua ad alzare la voce, urlando cose senza senso e, alla fine, chiudo la comunicazione, lanciando in un punto imprecisato del divano, il telefono, fermandomi per un attimo a guardarlo quando riprende a suonare.

Il nome Mason, lampeggia un'altra volta sul display, prendo un cuscino e glielo metto sopra, poi ancora un altro e un altro, fino a sotterrarlo sotto un cumulo di piume e plaid. Non voglio vedere quell'aggeggio fino a quando il mio neurone solitario non si sarà messo in funzione permettendomi di capirci qualcosa.

Potrei semplicemente mandare all'aria tutto, sarebbe facilissimo, mi basterebbe uscire stasera, inciampare in Jessica e concederle ciò che vuole, e il mio neurone ringrazierebbe per il sovraccarico di lavoro evitato. Sono stato in grado di schivare i sentimenti per tanto tempo, e mi è sempre riuscito alla grande evitare di instaurare rapporti con le persone, sono un vero esperto in questo, eppure stavolta non voglio farlo. Sento il bisogno di capire cosa succede a Chloe, cosa succede tra me e lei, perché quel bacio che le ho rubato è stato troppo intenso perché io riesca ad ignorarlo.

Mi alzo tornando in cucina per sistemare le birre in frigo mentre tento di ricapitolare quello che è successo nelle ultime ore: il suo ragazzo, quello di cui mi ha mostrato le foto che ha ancora sul suo cellulare, quello che somiglia in modo incredibile al mio amico Dylan, è morto per un incidente in moto. Lei mi ha detto che è colpa sua, ma non so altro su questo. È indubbiamente sconvolta, e deve soffrire molto, ma, a quanto dice Kurt, non ha in alcun modo sfogato il suo dolore e questo la porta a chiudersi in sé stessa.

Eppure quando è con me, ci sono stati dei momenti in cui l'ho vista serena, tranquilla, spontanea, sono certo di non sbagliarmi, come sono certo di non esserle indifferente. Il modo in cui ha ricambiato quel bacio ne è la conferma. L'ho sentita letteralmente sciogliersi tra le mie braccia, come ha fatto anche quando è scoppiata a piangere, o quando si è addormentata con la mano sul mio torace.

Ci sono troppe cose che mi portano a voler approfondire tutto ciò che la riguarda, tante piccole cose che contraddicono le sue parole o il suo atteggiamento, tutte le stesse piccole cose che mi portano a volerne sapere sempre di più, a costo di doverle raccontare ogni cosa di me.

Non l'ho mai fatto e, nonostante i miei amici sappiano tutto, non mi piace parlarne, anzi ho messo il veto a certi argomenti per non doverli più portare alla memoria, ma se servisse a farla aprire con me, non esiterei nemmeno un secondo a farlo.

Tutte queste paranoie mi hanno portato a sistemare tutta la cucina senza nemmeno rendermene conto. Decido di fare una doccia, senza riuscire a smettere di pensare. Mi andrà a fuoco il cervello, ne sono certo, soprattutto quando ripenso alle sensazioni che ho provato baciandola.

È stato come risvegliarsi da un lungo letargo, come se avessi ripreso improvvisamente vita dopo uno stato di coma vegetativo, come se il mio corpo diventato nel tempo un deserto arido, fosse stato inondato dall'acqua che lo riporta alla vita, e il fatto di non essere respinto, sentire che anche lei si è lasciata andare con tanto trasporto, mi ha portato a stringerla più forte, come se potessi respirare attraverso di lei.

«Che diavolo mi hai fatto Chloe?» Pronuncio da solo, a bassa voce, guardandomi allo specchio, sorridendo appena quando ricordo la sua battuta sui miei capelli, quando mi ha domandato quante volte mio padre mi ha chiesto di tagliarli e io non le ho detto la verità, e cioè che li sto lasciando crescere solo per fare un dispetto al mio vecchio.

Sbuffo sonoramente, poi mi asciugo lasciando tutto in disordine sulla parete della doccia. Sono già stato fin troppo ordinato in cucina. Mi dirigo in camera mia a vestirmi, poi vado ad accendere la tv in soggiorno, infine, decido di scaldarmi qualcosa al microonde e sorrido ancora di un'altra sua battuta quando prendo la busta dei surgelati in mano, pensando ai grassi saturi.

Da quando tempo non sorrido più per queste piccole cose? Da quanto tempo non sono più così preso per una ragazza? Conosco bene la risposta, ma voglio ignorarla in questo momento perché non voglio darle più alcuno spazio nella mia vita, non di certo ora che sta prendendo una piega diversa.

Il microonde suona, segnalandomi che i minuti che avevo impostato sono arrivati al termine, ma non faccio in tempo ad aprire lo sportello che sento bussare all'ingresso. Resto immobile, come se così facendo, riuscissi a rendermi invisibile a chiunque ci sia dietro la porta. Non aspettavo nessuno e non voglio vedere nessuno, spero solo che il volume del televisore non sia troppo alto.

«Stevens, apri!» Alzo gli occhi al cielo nel sentire la voce di Zach arrivare da dietro la porta, ma non rispondo, magari crederà che non c'è nessuno in casa. Poi, bussa di nuovo. «Stevens lo so che ci sei, sento il televisore e ho visto le luci in soggiorno. Muovi il culo e vieni ad aprire!» Lo ignoro comunque, prendo il piatto dal microonde e vado a sedermi sul divano.

«Va' via Mason, non sono in casa!» Gli urlo poco prima di lasciarmi andare con poca grazia all'indietro, subito dopo aver posato il mio piatto sul tavolino.

«Non fare lo stronzo e apri la porta, perché resterò qui fino a che non vedrò la tua brutta faccia!» Rovescio la testa all'indietro, sullo schienale del divano e sospiro pesantemente al pensiero che quello che il mio amico ha appena detto è vero. Continuerà a bussare fino a che non aprirò e so per certo che lo farà.

Mi alzo malvolentieri e vado verso la porta d'ingresso, do un giro alle chiavi lasciate nella serratura e abbasso la maniglia per poi tirare verso di me la porta. Il viso contrariato del mio amico, appare immediatamente nel mio campo visivo, ma la sua figura sparisce subito dopo, quando mi sorpassa per entrare nel mio appartamento, e dietro di lui compare Larry, seguito da Nate, Dylan e Lawson. Entrano tutti così velocemente e mi salutano così rapidamente, che non ho il tempo di dire nulla. Mi volto verso l'entrata di casa, dando le spalle al corridoio mentre osservo i miei amici sistemarsi sul divano, o andare in cucina, come se fosse casa loro.

«Ma prego, fate pure...» dico a bassa voce, rientrando in casa.

Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci appoggio per osservare la scena che si presenta davanti ai miei occhi: Dylan e Larry sono già stravaccati sul divano, Lawson si è seduto in poltrona, mentre Zach apre i cartoni delle pizze che non avevo notato prima, e infine Nate rovista nel frigo.

Non è la prima volta che succede, è capitato spesso in passato che si presentassero a casa mia per passare la serata insieme, soprattutto quando non avevamo abbastanza soldi per andare a bere da qualche parte, e io voglio un gran bene a tutti loro, ma stasera volevo davvero restare da solo.

Volto lo sguardo verso destra e vedo il mio amico d'infanzia, Dylan, che ride per qualcosa che ha appena detto Larry mentre osservo i tratti del suo viso, così somiglianti a quelli del ragazzo che ho visto su quelle foto che Chloe mi ha mostrato, e sono sempre più confuso per questa somiglianza. Lo conosco da sempre e vedere il suo stesso sorriso sul volto di uno sconosciuto, che al contempo sembrava una persona già conosciuta, mi ha portato a farmi un sacco di domande. Tutto questo, unito al fatto che ho baciato Chloe, e che è stato un bacio a dir poco sorprendente, mi fa venire voglia di mandare tutti quanti via a calci nel culo e affogare la mia confusione in quel piatto che ho abbandonato sul tavolino del soggiorno.

«Cazzo!» Pronuncio ad alta voce, con evidente frustrazione, facendo voltare verso di me, i due ragazzi seduti sul divano.

«Va tutto bene Stevens?» mi chiede Larry con aria sorpresa poggiando la schiena all'indietro.

«Va tutto bene un cazzo, Mitchell!» Cammino verso di loro, recuperando il mio piatto ormai freddo dal tavolino.

«È sempre un piacere quando sei di buon umore». Sorride divertito portando entrambe le braccia dietro la testa, incrociandole.

Non aggiungo altro, vado poi in cucina per tentare di riprendere il controllo del mio appartamento, ma Zach ha piani molto diversi dai miei per stasera e non sembra affatto collaborativo.

«Zach?» Tento di usare un tono deciso, ma lui sembra ignorarlo.

«Harry aiuta Nate con le birre nel frattempo che porto di là questi», mi dice, indicando i cartoni delle pizze aperti sul bancone della cucina.

«Zach?» Lo richiamo un'altra volta cercando di attirare la sua attenzione sotto lo sguardo del nostro amico biondo che va da me a lui tentando di capire cosa stia succedendo.

«E prendi anche qualche tovagliolo. Sai com'è fatto Mitchell...» mi dice ancora Zach, prendendo in mano i cartoni.

«Zach!?» Stavolta alzo di più la voce e finalmente si ferma, poi mi guarda dritto negli occhi.

«Oh scusa Stevens... la voce va e viene, non ti sento...», stringo la mascella e mi obbligo a tacere, «adesso togliti quell'espressione depressa dalla faccia e vieni di là. Ti rilassi un po' con noi e poi mi racconti per filo e per segno quello che è successo, tutto quanto e non m'importa un cazzo se non ti va». Resto a guardarlo mentre si dirige verso il soggiorno dove i fischi di apprezzamento dei miei amici accolgono Zach.

«Ehi?» Mi volto a guardare la mano di Nate sulla mia spalla. «Lo sai che noi ci siamo, no?» So che è così, sono gli unici, insieme a mio fratello, che non mi hanno mai abbandonato. Il resto della mia vita è stato costellato di persone che si sono affacciate per qualche tempo, per poi scomparire per sempre.

«Lo so Nate... andiamo di là prima che Zach torni indietro a prendermi per le orecchie .Il mio amico biondo scoppia a ridere, ma entrambi sappiamo che Mason ne sarebbe capace.

Ci uniamo al resto della comitiva e mi siedo sul divano vicino a Larry che, come immaginavo, ha messo alla tv un canale dove danno una partita di calcio, cercando di ignorare gli sguardi che tutti mi rivolgono. Zach deve avergli detto qualcosa, ma non so cosa, quindi decido di deviare l'attenzione di tutti da me alla partita mettendomi a contraddire ogni cosa che dice Larry, giusto per scaldare un po' la serata.

Passare del tempo con loro, senza altri pensieri per la testa, è sempre un toccasana per me, lo è sempre stato ed è sicuramente per questo che Zach ha portato tutti qui, anche se la maggior parte del tempo l'ho passata a osservare Dylan e a notare quante somiglianze ci siano tra lui e l'ex ragazzo di Chloe. Ogni volta che mi torna in mente qualche immagine di lei che bacia quel ragazzo, o mentre è abbracciata a lui, mi dà irrazionalmente fastidio.

Ma poi, a queste immagini, si sovrappone il ricordo del nostro bacio, ed è allora, che tutto scompare: non c'è più nessun Dylan, né Winter, né nessun altro. Solo io, lei, e le sensazioni che provo quando mi guarda.

«Vado a fumare, mi accompagni?» La richiesta di Larry mi distoglie dai miei pensieri, forse una boccata d'aria mi farà bene.

«Sì». Lui si alza e io lo seguo fino ad uscire dalla finestra per sederci sulla scala antincendio, dove lascio sempre un posacenere per lui e Zach.

Ci sediamo, l'uno accanto all'altro, in silenzio, in questa fredda serata di novembre in cui la mia testa sembra non riuscire a smettere di funzionare, mentre mi concentro sui movimenti del mio amico che porta la sigaretta alle labbra, sul rumore dell'accendino e sulla piccola fiammella che scompare subito. Resto ancora incantato sul fumo che esce dalla sua bocca e si libera nell'aria. Sembro un fottuto e patetico idiota!

«Allora, Stevens... che succede?» La voce di Larry arriva a salvarmi dal mio delirio cerebrale.

Si volta a guardarmi e mi osserva con attenzione, appoggiando i gomiti alle ginocchia piegate.

«Non succede proprio niente». In un certo senso non sto mentendo.

«Certo, ed è per questo che Zach ha rotto le palle per venire qui, giusto?» Prende un'altra boccata di fumo e la butta fuori tutta sopra la mia testa.

Ci guardiamo per un attimo, poi, entrambi torniamo a guardare il vuoto, restando in silenzio. Mi sta dando il tempo di elaborare qualche frase di senso compiuto, e in questo momento ne ho indiscutibilmente bisogno. Non so cosa ho fatto per meritare degli amici così, ma sono decisamente contento di averli.

I pensieri scorrono veloci nella mia mente, senza ordine, e le domande si accavallano sembrando una più importante dell'altra, tanto che non riesco a decidermi su cosa dire al mio amico che ormai è già arrivato a metà della sua sigaretta. Ma poi, ne arriva una in particolare, una che alla fine avrei voluto fargli tempo fa, e che ora mi sembra così giusta per entrambi.

«Larry... come fai a sapere che El è quella giusta?» Si volta di nuovo nella mia direzione e io faccio altrettanto, guardandolo nei suoi occhi azzurri che ora mi sorridono, insieme a tutto il resto del suo viso.

«Io non lo so Harry, non so un cazzo a dire la verità, tranne che quando sono con lei tutto è più bello, anche quando mi trascina a fare del fottuto shopping perché...», si perde per un attimo a guardare nel vuoto, poi torna a parlare ancora più sorridente di prima, «perché quando la guardo non vedo nessun'altra, non m'interessa guardare nessun'altra, non più... non ne sento il bisogno. Ho lei e quando sorride, io mi sento a posto con il resto del mondo». L'ho ascoltato con attenzione e non l'ho mai visto così preso da qualcosa come quando parla di lei, di El, della ragazza che ha conosciuto qualche mese fa, e dalla quale sembra diventato inseparabile.

«E non hai mai dei dubbi?» Quando ho conosciuto Winter era morto da poco mio nonno e mi sono buttato in quella relazione senza mai soffermarmi a pensare. Non ho mai avuto alcun dubbio su di lei, su di noi. Ero certo che sarebbe durata per sempre, ma, evidentemente, mi sbagliavo.

«Ci stiamo davvero facendo delle confidenze come delle ragazzine?» Spegne la sigaretta ormai finita, nel posacenere accanto a lui e torna a guardarmi con aria divertita, ma non rispondo alla stupida domanda, perché stringe gli occhi a due fessure guardandomi attentamente, probabilmente sospetta qualcosa. «Si tratta sempre della ragazza della cioccolata, vero?» Si appoggia all'indietro, al gradino di sopra, e la sua espressione si fa più divertita.

«Che significa sempre?» Gli chiedo facendo il finto tonto?

«Non fai altro che parlare di lei. In un modo o nell'altro ogni tuo discorso finisce sempre lì. Se ti piace perché non la pianti di fare il coglione e fai qualcosa?»

«Ho fatto qualcosa, come l'hai definito tu, ma è scappata». Lui ride, senza ritegno e senza controllo, e alla fine contagia anche me.

«Sei proprio un amico di merda», gli dico, quando smettiamo di ridere, ma con ancora il sorriso sulle labbra.

«E tu sei qui a chiedere aiuto al tuo amico di merda». Alzo gli occhi al cielo non realmente infastidito, ma non posso negare di aver bisogno di lui, dei miei amici.

«Quindi... vuoi rispondere alla mia domanda, sì o no?» Non gli darò la soddisfazione di sentirsi dire che ho bisogno di aiuto.

«Vuoi sapere se ho dei dubbi? Certo che ne ho, continuamente. Sono sempre incerto su come comportarmi con lei, cerco sempre di fare la cosa giusta e, anche se il più delle volte sbaglio, ci provo, perché ho solo questa vita e vedere il suo sorriso vale la pena di ogni tentativo che faccio». L'espressione del suo viso in questo momento, vale molto più di ogni spiegazione possa darmi.

«Cazzo, ma sei innamorato per davvero, Mitchell!» Lo prendo un po' in giro, per deviare l'attenzione da me.

«Come lo sei tu, Stevens». Mi ha sbattuto in faccia le sue parole, che mi sono arrivate come uno schiaffo a tentare di farmi rendere conto della realtà. Sono innamorato di Chloe? Non lo so, ma non è adesso che voglio saperlo o altrimenti i miei neuroni imploderanno per il sovraccarico a cui li sto sottoponendo.

«Molto divertente!» Mi alzo volendo rientrare nell'appartamento perché questa discussione sta diventando troppo scomoda da affrontare.

«L'hai cercata dopo aver fatto quel qualcosa? O ti sei comportato da coglione?» Resto in piedi di fronte a lui nel sentire la sua domanda.

«L'ho baciata, Larry, e lei è scappata. È salita in macchina ed è andata via. Le ho lasciato del tempo... ci sono cose che mi ha raccontato che mi hanno portato a volerle lasciare un po' di tempo, ma poi non ce l'ho fatta ad aspettare e sono andato a casa sua. Sta tentando di sfuggirmi in ogni modo e io non so se sia il caso di insistere, se devo lasciarle altro tempo o cosa cazzo devo fare!» Il tono della mia voce si è alzato alla fine del mio breve monologo, perché quello che sento quando parlo di lei mi porta ad amplificare ogni emozione.

«Non c'è una vera risposta, come non c'è un modo giusto o sbagliato di comportarsi. Devi solo fare quello che senti e vedrai che non sarà un errore». Si alza in piedi anche lui, sorridendomi comprensivo. Forse ha ragione, forse dovrei dargli retta.

«Sei diventato troppo saggio, Mitchell». Gli volto le spalle e mi avvicino alla finestra.

«Adesso, dopo le confidenze ci mettiamo lo smalto?» Sono contento di sentirlo parlare in questo modo perché sta alleggerendo l'atmosfera e rido mentre scavalco per rientrare senza rispondergli. «Dai... El ne ha comprato ieri uno rosa troppo carino, potremmo metterlo mentre parliamo della tua prossima mossa». Rientra in casa anche lui, dietro di me, e le sue parole attirano l'attenzione degli altri.

«Cos'è che ha comprato El?» La voce curiosa di Nate mi porta a guardare nella sua direzione e lo vedo infilare interamente una mano dentro una ciotola piena di patatine.

«Uno smalto nuovo, Mitchell cerca qualcuno con cui provarlo». Il mio amico mi tira un scappellotto sulla nuca.

«Ahia!» Mi fermo per passarmi la mano sulla parte dolente e lui mi sorpassa raggiungendo gli altri sul divano.

«Non ti darò più la priorità Stevens, sei un amico di merda». La sua battuta e la scherzosa frecciatina che solo io e lui possiamo capire, mi porta ad alzare ancora gli occhi al cielo, stavolta però, contento di avere tutti loro qui, con me.

Larry ha ragione, sono un amico di merda e incredibilmente fortunato, aggiungo io, quando li vedo tutti ridere per le stupide battute che si stanno scambiando.

Mi avvicino a loro e, quando sono ormai accanto a Zach, che è rimasto in piedi e che mi osserva con grande attenzione, non posso evitare di dirglielo. «Grazie», pronuncio un'unica parola e sono certo che lui riesca a cogliere i molteplici significati impliciti in queste poche lettere.

«Non c'è di che, Stevens», risponde lui, per poi tornare a guardare la televisione.

So che quando mi affido a lui non sbaglio, ma a volte ho bisogno che insista, come sta facendo spesso ultimamente, e non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che fa per me.

«Comunque... la mia segretaria... era davvero necessario?» gli chiedo, senza volerlo sapere realmente.

«Non dirmi che non ci hai mai fatto un pensierino anche tu, perché non ci crederei mai». Zach si riempie la bocca di patatine senza degnarmi di uno sguardo.

Non posso dire di non aver mai avuto alcun pensiero su Rebekah, ma non è questo il punto della mia domanda e non gli permetterò di rigirarmi sempre contro quello che dico.

«Ma sei stato tu quello che se l'è portata a letto». Lui sorride appena alle mie parole.

«Non è stata una cosa voluta... ero ancora su di giri per via dell'erba che abbiamo fumato quella sera quando mi ha chiamato, e lei non era da meno per la serata con le sue amiche. Quando mi ha invitato a salire non ho aspettato che me lo chiedesse per la seconda volta, voglio dire... l'hai vista? Sarei stato un vero idiota a dirle di no. Poi, non lo so che cazzo è successo dopo quella sera, ma mi piace fin troppo stare con lei...» Si ferma per un attimo e sembra che stia pensando a qualcosa di davvero profondo. «Credi che potremmo diventare cognati?» mi chiede, con aria ridicolmente seria.

«Sei un idiota Mason!» Gli tiro un pugno sulla spalla e lui barcolla appena sotto il misero colpo che gli ho appena sferrato.

«Seriamente, ci pensi? Cene di famiglia, feste di Natale, compleanni... almeno saremmo in due a romperci i coglioni». Gli tiro un altro pugno, stavolta un po' più forte e lui, per tutta risposta, mi mette un braccio sulle spalle e prende a scompigliarmi i capelli. A quel punto mi allontano e la mia mano parte per strizzarlo un po', ma lui capisce al volo le mie intenzioni. Stringe con forza le gambe e si allontana all'indietro con una piccola spinta.

«Mi dispiace, ma questo...», indica la zona che volevo colpire in mezzo alle sue gambe, «non l'avrai mai». Ride divertito dalla sua battuta di merda, gli altri fanno lo stesso dopo aver assistito alla nostra piccola e decisamente finta zuffa.

Mi siedo sul divano, tra loro, lasciando in un angolo i pensieri che mi stanno tormentando, per dedicarmi a loro e a me stesso, almeno per qualche ora, grato di averli nella mia vita. 

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Capitolo 20
*** È un pranzo di lavoro ***


Questa traduzione si sta rivelando più complicata di quanto avessi immaginato, portandomi via più ore del previsto, tanto che lavoro fino a notte fonda alla luce della mia lampada da scrivania. Ieri sera mia sorella mi ha portato una cioccolata calda, cosa che non mi aspettavo assolutamente.

Reb è uscita con Zach, ormai fanno coppia fissa, anche se non hanno ancora affrontato alcun tipo di argomento riguardo la loro relazione, ma sono certa che stanno troppo bene insieme, e quando è tornata erano ormai le due del mattino. Trovandomi ancora china sui libri a lavorare mi ha voluto coccolare, e abbiamo passato una buona mezz'ora a chiacchierare come non facevamo da un po'.

Da quando Hazel e Kurt sono tornati a casa, mi ero di nuovo chiusa in me stessa, ma Rebekah, con tanta pazienza, è riuscita ad avvicinarsi giorno dopo giorno fino a riuscire nell'impresa di farmi confessare ogni cosa riguardo a Harry. Non è rimasta del tutto sorpresa quando le ho detto che lui mi ha baciata, mi ha detto che si aspettava qualcosa del genere da parte sua, perché ha notato gli sguardi che ha sempre avuto per me fin dalla prima volta. Continua a ribadire di fare attenzione con lui, ma ha anche notato l'effetto positivo che ha su di me, per cui anche lei adesso la pensa come i miei due amici, e cioè che dovrei dare una possibilità a me e Harry.

Non sono affatto d'accordo, direi tutto il contrario piuttosto. Devo stargli il più lontano possibile per tentare di cancellare il suo sapore dalle mie labbra, che sembra non voler andare via; come un tatuaggio è rimasto lì, e ho la costante sensazione di riuscire ad assaporarlo ogni volta che mi lecco le labbra.

Non voglio rischiare di accantonare il mio Dylan in un angolo remoto della mente e non voglio rischiare di poter soffrire un'altra volta se le cose dovessero andare male o se dovesse capitargli qualcosa. Non dimentico mai che ha quel dannato affare a due ruote, sul quale ogni tanto va in giro e anche se la cosa mi terrorizza, non ho alcun diritto su di lui per parlargli della mia paura.

In questi giorni, lontana da Harry, sono riuscita a mantenere tutti i miei propositi, che prevedono lavoro e assenza di occhi verdi in cui perdermi. Ogni minuto che passo senza Harry, sono sempre più convinta che sia la cosa migliore che possa fare anche per lui. Cosa potrei mai offrirgli? Dolore? Credo ne abbia già abbastanza di suo per prendersi anche il mio.

Mi ha chiamata un paio di volte. Non ho mai risposto a voce, gli ho solo scritto che non potevo parlare perché ero impegnata. Credo che, se sentissi la sua voce anche solo tramite l'auricolare del telefono, potrei di nuovo cedere e non voglio. Sono certa che più giorni passeranno senza vederlo e sentirlo, più riuscirò a ricostruire quel muro che lui ha fatto crollare.

Con le dita torno a sfiorare le mie labbra. È un gesto che compio spesso, quando mi prendo una piccola pausa dalla traduzione che sto cercando di portare a termine, per poi pentirmene subito dopo tornando ad impugnare la matita e provare a concentrarmi sulle poesie di un emergente scrittore tedesco e, questa in particolare, parla di baci rubati, di baci disperati, di baci intensi.

Poso con forza la matita sulla scrivania e mi alzo per scendere al piano di sotto per prendermi qualcosa da bere. Ho decisamente bisogno di una piccola distrazione e vado a prendermi un po' d'acqua. Lo sguardo mi cade poi sul calendario appeso sulla parete accanto al frigo.

Oggi è il sette di novembre. Trattengo per un attimo il fiato al pensiero che non manca molto a Natale.

Un'altra festa importante per me, un'altra festa che trascorrerò senza di lui. Mi appoggio per un attimo al ripiano della cucina, chiudo gli occhi per trattenere le lacrime. Sto tentando di trattenere ogni cosa che lo riguardi, anche le lacrime che dovrei versare, perché ho paura che, se piangessi, se ne andrebbe qualcosa di lui e non voglio che questo accada. Vengo interrotta dal suono del mio telefono, prendo un gran respiro e torno al piano di sopra per rispondere, ma resto sorpresa quando leggo il nome di chi mi sta chiamando.

«Sì, pronto». Mi siedo sul bordo del letto stringendo la presa sul cellulare.

«Buongiorno signorina Stewart, la chiamo da parte del dottor Stevens. Avrebbe bisogno di parlare con lei». Resto per un attimo in silenzio, poi riprendo a parlare.

«Ok... va bene...» Quando mi chiama vado in confusione. Non sono abituata a parlare con segretarie che mi passano il loro capo. Sento squillare e dopo la sua voce.

«Buongiorno Chloe, come stai?» Il suo tono di voce è squillante e allegro.

«Bene, grazie, e lei?» Lo sento ridere. Sicuramente per il fatto che non mi sono ancora rassegnata a dargli del tu.

«Benissimo... ascolta, abbiamo avuto un imprevisto. Doveva arrivare un cliente da Parigi, e l'incontro era previsto per domani. Ha chiesto di poterlo anticipare ad oggi per dei problemi suoi, il fatto è che la ragazza che doveva presentarsi per assisterci come traduttrice, aveva già un altro impegno per oggi e abbiamo davvero bisogno di te...» Mi assale subito una sconfinata e immotivata sensazione di panico.

«Non avete nessun altro a cui chiedere?» So che mi sono presa un impegno con loro, quando ho firmato il contratto che Rebekah mi ha portato a casa - consegnato da Jordan Stevens in persona - ma gli ho anche chiesto di trovare qualcun altro, ove fosse possibile, dato che ho già un lavoro.

«Non te l'avrei chiesto se avessi qualcun altro per sostituirti...» Già, che domanda stupida.

«Ok... e quando sarebbe questo incontro?» chiedo, mentre tento di ingoiare l'ansia che sta salendo incontenibile fino alle punte dei capelli.

«Subito dopo pranzo, intorno alle 13:30». Sento già che non riuscirò a mandare giù niente per pranzo. Non gli ho chiesto se l'incontro sia con lui o con Harry, ma solo perché ho paura di conoscere la risposta, così potrò restare nel dubbio fino alla fine e tentare di non morire di ansia fino ad allora.

«D'accordo...»

«E... Chloe?» Mi interrompe prima che possa dire altro.

«Sì?» Ho uno strano presentimento...

«Posso invitarti a pranzo? Vorrei parlarti di una cosa». Nella mia mente c'è solo un enorme no.

«È davvero molto gentile da parte sua, dottor Stevens, ma non credo che...»

«Non farti pregare, Chloe, e comunque devi stare tranquilla si tratta di lavoro... È un pranzo di lavoro». Mi interrompe ancora senza lasciarmi terminare la frase e, nel sentire le sue ultime parole, spero sia sottinteso il fatto che saremo solo noi due.

«Va bene», mi lascio sfuggire, senza quasi rendermene conto.

«Perfetto, mando un autista a prenderti fra un paio d'ore. A dopo». Mi dà a malapena il tempo di ricambiare il suo saluto, che subito riaggancia, lasciandomi a fissare il vuoto come un'idiota.

Spero soltanto che saremo davvero solo io e Jordan Stevens, non voglio vedere né Harry, né Dylan numero due. So che non posso evitarli per sempre, ma spero di riuscire a farlo il più a lungo possibile. Questo periodo è difficile da affrontare, e pensare di vedere quel volto così simile al suo mi fa agitare a tal punto che non so se riesco a continuare con la traduzione.

Infilo quindi le cuffie, facendo partire la riproduzione casuale a tutto volume, per vedere se riesco a far tacere il rumore dentro la mia testa.

'End of the beginning' inizia a risuonare prepotente nelle mie orecchie.

Here we are searching for a sign 
Here we are searching for a sign 
It's the end here today 
But I will build a new beginning 
Take some time, find a place 
And I will start my own religion

Un segno? È questo quello che mi serve? Un segno che mi faccia capire che devo ricominciare?

Can you feel it? 
Things are changing 
Can you see it? 
Watch as the worlds colliding 
Can you see it? 
Can you feel it? 
Watch as the worlds... 
Collide into themselves 
Collide into themselves

È quello che siamo io e Harry? Due mondi in collisione? Devo interpretare questa canzone come un segno?

You saw what you get 
If you take what you take 
Look in the eye of the test

Mi tolgo le cuffie senza nemmeno fermare la musica che, a causa del volume impostato, sento ancora a distanza, dopo aver lanciato il tutto malamente sul letto, e la sensazione di disgusto nei confronti di me stessa si fa più forte. Mi avvicino alla finestra, la apro e inspiro profondamente più volte ad occhi chiusi, ma non perché abbia paura del vuoto, piuttosto è decisamente il contrario, ne sono troppo attratta.

Sento i rumori delle auto che si muovono nel traffico, i clacson, il vociare delle persone e l'aria fredda sul volto. Non posso guardare giù, l'ho promesso.

Richiudo la finestra e torno a prendere il cellulare, che ho abbandonato poco fa sul letto, poi fermo la musica e apro la chat con Kurt.

Ehi

Resto a fissare il display. Ho bisogno di lui, adesso, e appare subito online.

Sono qui

Io lo amo ancora

Non so perché glielo sto dicendo, lui lo sa bene che amo ancora Dylan, ne abbiamo parlato proprio pochi giorni fa, quando è stato qui. Forse è solo un modo per ribadirlo a me stessa, forse per paura di dimenticarlo.

Lo so piccola Cleo 
Lo sa anche lui 
Ma questo non deve impedirti di vivere

Mi sembra di fare continuamente dei passi avanti, per poi regredire subito dopo, in un costante alternarsi di momenti buoni a momenti orribili. Sto bene fino a che resto chiusa nella mia stanza, nel mio comodo mondo, ma non appena si affaccia all'orizzonte l'immagine di Harry, Dylan numero due, o qualsiasi altra cosa che sconvolga la mia routine, sento che perdo il controllo sulla mia vita e vado nel panico.

Puoi dirglielo per favore? 
Quando vai a trovarlo,  
puoi dirglielo?

Ci sta mettendo decisamente troppo tempo per rispondere. Scrive, poi smette, poi scrive di nuovo, poi ancora smette. Alla fine arriva la sua risposta.

Va bene, glielo dirò...

Mi aggrappo con tutte le mie forze alle sue parole, sentendomi rassicurata e terrorizzata allo stesso tempo.

Grazie Kurty

Blocco il telefono senza aver letto la sua risposta, sono fuori fase in questo momento senza un motivo preciso per esserlo, totalmente fuori controllo, ed è per questo che vado sotto la doccia così come mi trovo, completamente vestita. Apro l'acqua, non sento nemmeno se sia fredda o calda... non sento niente... vorrei non sentire niente, mi rannicchio a terra fino a riuscire a smettere di pensare, con l'acqua che scorre e porta via il brutto che mi sta passando per la testa.

Non so per quanto tempo resto sotto a quel getto d'acqua, vorrei soltanto che il freddo che sento, riuscisse ad anestetizzare il muscolo al centro del mio petto.

***

La giornata è limpida, ma piuttosto fredda. Per fortuna ho messo un maglione pesante sotto al cappotto. Mi sono quasi congelata sotto la doccia, ma sono contenta di averlo fatto: l'acqua gelida ha rafforzato lo strato di ghiaccio attorno al mio cuore. Mi sento decisamente fredda e non solo fisicamente.

L'autista che ha mandato Jordan è arrivato puntualissimo e mi sento a disagio su questa macchina di lusso, guidata da un estraneo. Ho chiesto a James, così ha detto di chiamarsi, di potermi sedere sul sedile del passeggero, ma mi ha risposto che lui sta facendo solo il suo lavoro, che prevede un certo tipo di procedure. Quindi mi sono accomodata sul sedile posteriore, fissando silenziosamente fuori dal finestrino, concentrandomi su me stessa e su quello che devo fare.

Arrivati al parcheggio sotterraneo del palazzo Stevens, scendo salutando e ringraziando James, che mi indica gli ascensori per raggiungere il piano di Jordan. Sono felice del fatto che non dovrò incontrare l'oca bionda alla reception e, come l'altra volta che sono stata qui, mi ritrovo a sperare che l'ascensore non si fermi al ventiquattresimo piano, tenendo costantemente gli occhi fissi sui pulsanti luminosi sulla parete di fronte a me.

Piano numero tre, cinque, sette, aumentano i piani e aumenta l'ansia.

Salgono e scendono continuamente uomini e donne, e io metto attentamente gli occhi su ognuno di loro.

Diciassette, diciannove, ventitré.

Il prossimo è il piano di mia sorella, di Dylan, e di Harry. Le porte si aprono, scende un uomo, ma non c'è nessuno pronto a salire di fronte alle porte. Le porte iniziano a chiudersi, sembra addirittura lo facciano più adagio, la luce che arriva dal corridoio svanisce lentamente, mentre la mia vista si concentra sulle due porte metalliche che si avvicinano tra loro fino a chiudersi del tutto. Non è salito nessuno e io riprendo a respirare con calma, chiudendo gli occhi e iniziando a rilassarmi.

Piano numero trentasette, quarantuno, quarantatré.

Stavolta mi sono vestita in maniera più professionale. Sto per andare a pranzo con il vice presidente della HS Financial Services, mi ha chiesto lui personalmente di presenziare all'incontro di oggi con un cliente francese, mi sembrava il minimo presentarmi in maniera adeguata, e credo che questo completo nero, giacca e gonna, possa andare bene.

Sessantuno, sessantasette, settantuno.

Mi sento meno a disagio tra tutti questi dipendenti vestiti eleganti, ma iniziano a sudarmi le mani per l'imminente incontro con Jordan. Ho provato ad immaginare di cosa mi volesse parlare, ma non ho la minima idea di cosa si tratti, né del perché abbia voluto invitarmi a pranzo per parlarmene.

Ottantatré, ottantasette. Sono arrivata.

Esco dall'ascensore senza quasi guardare chi ho di fronte.

«Sei un cretino!»

«Ti dico che è così!»

Due voci, una dietro l'altra, che mi fanno alzare immediatamente la testa per confermare i miei pensieri. Tutto succede così in fretta, che faccio appena in tempo a fermarmi per non andare contro alle due figure in piedi di fronte a me.

«Chloe...», dicono entrambi, contemporaneamente.

«Ciao», rispondo più che imbarazzata. Per un attimo rimango ferma a guardarli, incerta sul da farsi; loro restano immobili, come se non sapessero cosa fare, ed è lì che ne approfitto per allontanarmi senza aggiungere altro.

Mi infilo in mezzo a loro due, che si spostano per farmi passare, e vado dritta verso la scrivania della segretaria di Jordan, senza voltarmi indietro.

Questo sarebbe un ottimo momento se un meteorite colpisse questo grattacielo.

O almeno questo piano.

Perlomeno me.

***

Un paio d'ore prima

Harry

Sono qui a ciondolare nel mio ufficio come se non avessi niente da fare. In realtà dovrei sistemare il casino di tutti quei fogli che abitano sulla mia scrivania da giorni, preparare i documenti per la firma con il cliente che deve arrivare da Parigi, e controllare le schede di valutazione dei dipendenti, che ha compilato Dylan per me. Devo decidermi a dargli quel cazzo di aumento.

L'altra sera, poco prima di uscire dall'ufficio, io e Dylan abbiamo chiarito ogni cosa. Mi sento meglio adesso che non ho più niente in sospeso con lui.

*

«Ma questi non sono i documenti che avevi perso in aeroporto?» Stavo per uscire, ma mi sono fermato a salutare Dylan, con il quale parlo a monosillabi da giorni, e la cosa non mi piace affatto. L'ho trovato intento a lavorare, con il viso chino sulla sua scrivania invasa da diverse cartelline.

Continuo a pensare e ripensare alla somiglianza del mio amico, con il quale sono cresciuto, al ragazzo che ho visto sulle foto del telefono di Chloe, e non posso non pormi certe domande. Questa somiglianza non può essere un caso.

«Sì, quelli che mi ha riportato Chloe». Sgrano gli occhi a quell'affermazione. «Non te l'avevo detto?» mi chiede, corrugando le sopracciglia, mentre io scuoto la testa in senso di diniego. «Sì, quelli dell'aeroporto avevano mandato a lei le mie valigie, che a sua volta mi ha portato qui in ufficio. L'ho conosciuta quella sera quando sono atterrato, mentre aspettavamo i bagagli intorno al nastro trasportatore». Si accomoda all'indietro sullo schienale della sedia, mentre io lo ascolto con estrema attenzione restando in silenzio. «Le avevo chiesto se voleva un passaggio per andare a casa, ma ha rifiutato...» In quel momento sorrido perché, se avesse accettato il passaggio offertole da Dylan, non l'avrei incontrata in metropolitana. «Che c'è?» mi chiede, dopo aver visto il mio sorriso.

Forse niente di tutto questo è un caso, o forse lo è.

«Niente...», mi siedo sulla sedia di fronte a lui, poi lo guardo dritto negli occhi, rivedendo un'altra volta in lui la somiglianza con quel ragazzo che ho visto nelle foto di Chloe. Ormai non faccio che pensare a questo quando lo guardo, «lei mi piace, Dylan». Il mio amico sorride scuotendo la testa.

«Sei un coglione Harry. Credevi che non l'avessi capito?» Porto le braccia in alto incrociandole dietro la testa, sorridendo come un idiota. «Anche tu piaci a lei».

«Come fai a dirlo?» Sembra sia evidente a tutti, tranne che a me.

«Ti guarda come se fossi l'unico che vede». Resto interdetto dalle sue parole, senza sapere cosa dire. «Quando guarda me è come se fosse spaventata; magari mi sbaglio, ma a volte sembra che voglia scappare quando restiamo da soli... In realtà l'ha fatto una volta...» Non si sbaglia affatto, ma non posso dirgli che le sue impressioni sono esatte, non posso rivelargli quello che mi ha detto Chloe.

*

Mi fermo ad osservare il panorama che si vede dalla vetrata. La giornata è grigia, lo sguardo non si perde molto lontano, ma non è di andare lontano che ho bisogno. Mi basterebbe che rispondesse almeno una volta alle mie telefonate, o inizio a credere di aver ragione io sul fatto che a lei non importi niente di me.

Non posso pensare che anche lei mi stia abbandonando come fanno tutti, non voglio pensarlo. Farebbe troppo male stavolta, perché con lei è diverso, non so dire come, ma so che lo è. Lo sento quando mi guarda, quando mi è vicina e riesco a sentire il suo profumo... quando ho qualsiasi tipo di contatto con lei.

«Fanculo!» Sbotto, tornando verso la scrivania, sulla quale il piccolo telefono nero, sommerso dalle scartoffie, ha appena iniziato a suonare. «Sì...», rispondo, più sgarbato di quanto avrei voluto.

«Harry scusa se ti disturbo, volevo solo avvisarti che tuo padre sta venendo da te...» Merda!

«Grazie Rebekah». Addolcisco il tono di voce con lei, ma riaggancio con forza la cornetta, strofinandomi il viso con entrambe le mani per la frustrazione che provo in questo momento.

Ho ancora pochi secondi di tempo prima di vederlo spuntare da quella porta per farmi sicuramente un'altra paternale. Potrei raccogliere questi fogli, far finta di stare facendo qualcosa, ma non servirebbe a niente, e poi non ho affatto voglia di compiacerlo.

Torno a guardare all'esterno di questo ufficio attraverso la vetrata alle spalle della mia scrivania, mentre sento avvicinarsi i suoi passi dalla porta lasciata aperta e chiudo per un attimo gli occhi, inspirando profondamente per prepararmi all'inevitabile scontro che sta per avvenire tra poco.

«Quattro...», pronuncio a bassa voce, «tre...», tra poco sarà qui, «due...», sento i suoi passi «uno...»

«Ciao, Harry». La sua voce ferma mi fa voltare verso di lui.

«Papà...» Lo saluto con evidente finto entusiasmo, poi infilo entrambe le mani in tasca facendo un paio di passi nella sua direzione.

«Devo venire nel tuo ufficio per poter parlare con te?» Resto a guardarlo senza dire niente, non so dove voglia andare a parare stavolta. «Sono giorni che cerco di parlarti, ma ogni volta tu sparisci un attimo prima». In realtà non era proprio un caso che riuscissi ad andarmene prima che lui mi trovasse. Rebekah mi è stata d'aiuto in questo, avvisandomi ogni volta che sapeva quando lui stava per venire nel mio ufficio. Probabilmente stavolta non ha avuto l'informazione in tempo per avvisarmi.

«Sono qui adesso... che volevi dirmi?» Non mi impegno nemmeno un po' nel trattenere il mio fastidio.

Lui si avvicina ancora, posando entrambe le mani sullo schienale della sedia che ha di fronte. «Harry, ascoltami bene... voglio affidarti un incarico per dimostrarti che per me non c'è alcuna differenza tra te e Jordan. Le uniche differenze sei tu a crearle». Sento la rabbia salire, lentamente, ma inesorabilmente sta affiorando.

«Il grande capo mi fa una concessione...» Questa giornata non poteva essere peggiore di così...

Lui inspira ed espira profondamente, chiudendo appena gli occhi. Sta cercando di non cogliere le mie provocazioni. «Il signor Hernandez ha in progetto un grosso investimento. Non è l'unico potenziale investitore. Abbiamo pensato...»

«Abbiamo?» Lo interrompo perché voglio sapere di chi sta parlando.

«Ho pensato...», si corregge, e a questo punto sono certo che stesse parlando di mio fratello, «che potresti essere tu a portare a termine questo contratto. Il Consiglio vedrebbe messe in pratica le tue capacità e non saresti più solo il figlio del capo».

«Il Consiglio si lamenta del mio lavoro per caso?» Lo guardo assottigliando appena gli occhi e inclinando leggermente la testa.

«Harry non è questo...» Mio padre è in difficoltà e io lo incalzo.

«Sei tu che hai bisogno di dimostrare qualcosa?» gli chiedo, mostrando tutta la mia avversione nei suoi confronti.

«Cristo, Harry! Perché non puoi approfittare di un'opportunità che ti viene data senza fare tante storie?» Mi rendo conto che non ho una vera risposta per quello che mi ha appena chiesto e non so fare altro che restare in silenzio, silenzio che lui prende come invito a continuare, dopo aver preso un altro profondo respiro. «L'incontro con Hernandez e gli altri investitori è previsto per la settimana prossima, ha già organizzato tutto Jordan, aspetta solo un tuo sì». Sto per rispondere che non m'interessa dimostrare niente a nessuno, che hanno già fatto tutto senza interpellarmi, ma poi lui dice una cosa che non mi aspettavo affatto di sentire. «Per favore...» Non lo sento usare quel tono di voce con me da anni, unito a quelle due parole che ha appena pronunciato, e che mi portano a dargli un'unica risposta.

«Ok». Mio padre mi mostra un sorriso tirato, quasi come fosse a disagio nel farlo.

«Passa da Jordan prima di pranzo». Esce dal mio ufficio senza aggiungere altro. Nemmeno io lo faccio, non credo ce ne sia bisogno in questo momento.

Ho bisogno di sfogare la tensione che ho accumulato in queste ore, decido quindi di farmi un giro per gli uffici, sfogando la mia frustrazione su Alan, Albert, Alex, come cazzo si chiama quel tizio che fa perennemente fotocopie, o almeno credo. Prendo un caffè per me e uno per Rebekah che mi guarda stranita quando glielo porto alla scrivania. Non è da me questo comportamento, non le ho mai portato un caffè, ma oggi ho bisogno di fare qualcosa che mi distragga dallo stato di tensione in cui mi trovo.

Alla fine vado a disturbare Dylan, con cui riesco a far passare il resto della mattinata, per poi andare su da mio fratello per conoscere i dettagli del contratto Hernandez.

«Ti va di accompagnarmi da Jordan?» gli chiedo, mentre lo osservo sistemare un paio di dossier sullo scaffale alle sue spalle.

«Hai paura di perderti?» mi domanda, tornando alla sua scrivania, per poi mettersi a sedere.

«Sei un amico di merda, Evans», gli dico, mettendomi in piedi aggiustandomi i pantaloni.

«Ho preso dal migliore». Si alza anche lui, raggiungendomi verso gli ascensori acconsentendo silenziosamente alla mia richiesta.

Ridiamo come due idioti fino davanti alla porta dell'ufficio di mio fratello. Avevo bisogno di tornare a questo tipo di rapporto con lui, era ridicolo ignorarsi.

Jordan mi spiega a grandi linee di cosa si tratta, del fatto che dovrò andare a Madrid per qualche giorno, che mi mostrerà nel dettaglio tutti i tipi di investimento da proporre, e che penserà lui alla traduttrice che mi accompagnerà. Ascolto con scarsa attenzione, dato che questo è solo un incontro a scopo informativo, anche se per tutto il tempo mio fratello non ha fatto altro che osservarmi con una strana espressione: sta tramando qualcosa, ne sono sicuro, ma non ho tempo di pensarci adesso. Ha detto che ne parleremo meglio domani mattina, perché adesso aveva un impegno e io ho decisamente fame per restare qui con lui.

Io e il mio amico lo salutiamo, dirigendoci poi verso gli ascensori.

«Secondo me la segretaria di Jordan ha una cotta per te», gli dico, passando davanti alla scrivania di Claire.

«Harry non sai quello che dici». Dylan cammina al mio fianco mentre ci dirigiamo verso gli ascensori.

«Beh, secondo me dovresti provarci, vedrai che ci sta». Arriviamo davanti alle porte dell'ascensore, che si aprono praticamente subito.

«Sei un cretino», mi dice, mentre un paio di persone avanzano verso di noi.

«Ti dico che è così». Poi mi fermo sul posto, notando la ragazza che si sta avvicinando a me e al mio amico.

«Chloe...», sento la mia voce sovrapporsi a quella di Dylan, mentre la guardo senza riuscire a pronunciare altro.

Lei alza la testa, che stava tenendo rivolta verso il basso. «Ciao...» Il suo è quasi un sussurro e il suo sguardo va da Dylan per poi fermarsi su di me.

Nessuno parla più, un silenzio irreale è sceso, avvolgendoci. Non mi aspettavo assolutamente di vederla qui, oggi, e mi sento un vero coglione quando mi accorgo che la sua figura mi passa accanto, sorpassandoci, e avviandosi verso la fine del corridoio.

Perché è qui? Dove sta andando? È con lei che Jordan è impegnato? È lei che sarà la traduttrice che verrà a Madrid? Le domande si susseguono senza fine nella mia testa mentre la guardo entrare nell'ufficio di mio fratello.

«Ci vediamo dopo», dico a Dylan e, senza poi lasciargli il tempo di replicare, mi dirigo a passo svelto verso l'ufficio di Jordan.

Tutte quelle domande nella mia testa pretendono una risposta immediata. 

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Capitolo 21
*** Non voglio la tua pietà ***


Busso alla porta un paio di volte dopo essere stata invitata a farlo da Claire, la gentilissima segretaria che mi ha accolta poco fa, e apro la porta quando dall'interno sento un avanti pronunciato a voce alta.

«Ciao Chloe!» Lo guardo infilarsi la giacca e venirmi incontro. Chiudo la porta e faccio qualche passo verso di lui.

«Buongiorno, dottor Stevens». Gli sorrido, mentre lui allunga una mano nella mia direzione e io mi affretto a stringerla.

«Ci sarà la possibilità, prima o poi, che tu mi dia del tu?» mi chiede, avvicinandosi alla porta alle mie spalle.

«Non fino a che lei sarà il mio capo». Jordan non fa in tempo a dire altro che la porta del suo ufficio viene aperta all'improvviso, facendomi voltare in quella direzione.

«Cosa c'è adesso Harry?» La voce esasperata di Jordan mi porta a sorridere per la sfrontatezza di suo fratello minore, che non si decide a bussare alla porta di questo ufficio.

«È con lei che avevi un impegno?» Harry si rivolge a suo fratello, indicandomi con un dito.

«Sì... per caso è un problema?» gli chiede, con un mezzo sorriso che non riesco ad interpretare, mentre abbottona la giacca in vita.

«Non per me...» Sorride anche lui e io inizio a non sopportare più questa situazione, quando lo vedo rivolgersi un'altra volta a suo fratello maggiore. «È lei che...»

«Scusate!» Lo interrompo con un tono di voce decisamente infastidito. «Potreste evitare di comportarvi come se io non ci fossi?» Il mio sguardo si alterna tra i due fratelli Stevens che continuano a sorridere in modo strano, e io sono incerta sul quale dei due prenderei a schiaffi per primo.

«Harry, Chloe ha ragione, non siamo stati molto carini nei suoi confronti, e... io e lei dobbiamo andare adesso...» Jordan si avvicina a me restando con lo sguardo fisso su suo fratello, che è ancora sulla soglia dell'ufficio. «La vedrai tra poco comunque... è lei che si occuperà del tuo appuntamento con il signor Picard». Harry resta in silenzio, ma ci osserva mentre lo superiamo per uscire dall'ufficio.

Dovevo immaginarlo che avrei dovuto lavorare di nuovo a stretto contatto con Harry e, per quanto una parte di me sia contrariata per la notizia appena ricevuta, l'altra parte, quella più irrazionale e istintiva, sta facendo i salti di gioia e io sto faticando parecchio a tentare di trattenere quell'entusiasmo che vorrebbe prendere il sopravvento.

«Scusa per prima, e ti chiedo scusa anche da parte di mio fratello», mi dice Jordan, affiancandomi non appena entriamo in ascensore.

«Non fa niente». Non lo guardo. Tengo gli occhi dritti davanti a me senza guardare niente in particolare, è solo che voglio sfuggire allo sguardo di Jordan, tanto simile a quello di Harry.

«Grazie, comunque, per esserti presentata con così poco preavviso». Sorrido per educazione alle sue parole, perché mi sento piuttosto nervosa per tutto quello che sta succedendo, ma essere educata e gentile con Jordan mi viene spontaneo.

Sono così diversi loro due che, se non fosse per la notevole somiglianza fisica, inizierei persino a dubitare che siano davvero fratelli.

«Ho un contratto che lo prevede, ma mi fa piacere esserle utile, dottor Stevens». Lui sorride alzando gli occhi al cielo, l'ho notato osservandolo con la coda dell'occhio, e il suo atteggiamento fa spuntare un piccolo sorriso sulle mie labbra.

Arriviamo al piano terra e continuo a camminare al suo fianco, sotto lo sguardo curioso dell'oca bionda alla reception, alla quale mostro il mio sorriso sarcastico, e la soddisfazione che provo nel vedere la confusione sul suo viso è impagabile.

Non mi ha vista entrare, non ho il suo stupido pass con scritto visitatore e sto camminando fianco a fianco del vice presidente, nonché gran bell'uomo, della società per la quale lei lavora. Mi volto in avanti, continuando a sorridere compiaciuta quando Jordan apre per me la porta per uscire. Credo che la bionda si stia mangiando le unghie per l'invidia.

«Grazie», gli dico, precedendolo all'esterno del palazzo.

Lui cammina verso l'auto di fronte a noi, la stessa che mi ha portato fino qui. James, l'autista, è pronto ad aprire lo sportello a Jordan, che lo ringrazia per poi salire sul sedile posteriore. Salgo anch'io, sentendomi leggermente a disagio per tutte queste attenzioni, soprattutto quando è James a chiudere il mio sportello.

«Abbiamo un tavolo prenotato in un ristorante qui vicino», mi dice lui, mentre l'autista fa il giro dell'auto per andare a sedersi al posto di guida.

«Alla mia amica piacerebbe tutto questo», mi lascio sfuggire senza pensarci. Hazel è sempre stata un tipo da vestiti alla moda, eleganti, con l'uomo che ti tiene aperta la porta, o ristoranti raffinati e bicchieri di champagne. Già me la vedo, seduta al mio posto con Jordan che le fa da cavaliere, sarebbero bellissimi insieme.

«Vorrà dire che la prossima volta inviterò anche lei», non rispondo al suo commento, per non dovergli spiegare che lei vive a Montréal, e tutto il resto che ne verrebbe di conseguenza. Sono diventata davvero chiusa, ma è meglio così. Alla fine gli sorrido restando ad ascoltarlo parlare del più e del meno, del suo lavoro, fino ad arrivare davanti al locale che lui ha scelto.

Non c'è ombra di parcheggio da queste parti, la macchina accosta quasi accanto all'ingresso, poi io e Jordan scendiamo, mentre lo sento dire all'autista di tornare tra un'ora. Ci avviciniamo alla porta, che lui apre di nuovo per me, permettendomi di precederlo. Una donna molto elegante ci viene incontro, sorridendo in maniera troppo accentuata quando vede l'uomo al mio fianco.

«Dottor Stevens, benvenuto, le abbiamo riservato il solito tavolo. Prego, di qua». La donna ci fa strada attraverso i tavoli, già quasi tutti occupati.

Mi piacciono i colori di questo posto, regnano il bianco e l'oro, che danno molta luce al locale. Alle finestre solo un paio di semplici ghirlande verdi con qualche fiore rosso, segno che il Natale si sta avvicinando, anche se continuo a evitare di pensarci.

«Grazie, Michelle», le dice lui, quando ci fa accomodare in una piccola saletta privata, dove c'è un solo tavolo e due sedie accanto ad una grande finestra. La donna ci sorride e si allontana, poi Jordan sposta una sedia per me, invitandomi a prendere posto. Gli sorrido per il suo gesto galante, ma non mi piace essere così al centro dell'attenzione. Soprattutto per il fatto che sono assolutamente in grado di prendermi la sedia da sola, ma si tratta di Jordan, posso accettarlo.

«Sei mai stata qui?» mi chiede, dopo aver preso posto di fronte a me, mentre si appresta ad aprire il menu.

«No». Prendo anch'io la lista delle vivande, che non prevede prezzi accanto al piatto corrispondente.

«Dirò ad Harry di portarti». Sgrano gli occhi alla sua affermazione, ma non faccio in tempo a rispondergli che lui inizia a parlare di altro. «Per l'incontro di oggi con il signor Picard, sai già come comportarti. Non è molto diverso da come si è svolto quello con il signor Hernandez». Parla veloce mentre i suoi occhi scorrono su e giù su quel foglio che tiene tra le mani, senza darmi la possibilità di intervenire. «Avrei però anche un'altra proposta da farti». Smette di parlare, portando il suo sguardo nel mio, in attesa di un mio cenno.

«Una proposta?» chiedo, perplessa.

«Stiamo parlando sempre di lavoro Chloe». Mi sorride, quasi divertito dalla mia reazione, per poi continuare a parlare. «Ma prima vorrei ordinare». Torna a leggere l'elenco delle portate e io faccio lo stesso, ma molto più disorientata di quanto non lo fossi poco fa.

I due fratelli Stevens mi faranno diventare matta!

Arriva un cameriere che non so chi abbia chiamato, forse hanno qualche tipo di protocollo che seguono, di cui io non sono a conoscenza, ma non importa in questo momento. Mi limito ad ordinare, seduta composta, osservando Jordan e i suoi atteggiamenti signorili. Potrebbe risultare elegante anche con un hot dog in mano, mentre passeggia per strada.

Consegna poi i menu al ragazzo, che si allontana con le nostre ordinazioni, poi incrocia le braccia sul bordo del tavolo e inizia immediatamente a parlare. «Il signor Hernandez, che tu hai conosciuto, ha raggruppato un gruppo di investitori interessati a far fruttare il loro denaro, con noi. Spostarsi tutti insieme per loro non è così conveniente, però l'affare ci interessa parecchio. Abbiamo quindi deciso che saremo noi ad andare da loro, per esporgli i nostri programmi d'investimento». Lo ascolto attentamente, senza perdere nemmeno una parola. «Questo contratto è molto vantaggioso per la nostra società e ci teniamo particolarmente che vada in porto, perché potrebbe portare maggiori entrate e anche un'eventuale ampliamento della nostra clientela in Europa». Si sposta all'indietro, appoggiandosi delicatamente allo schienale della sedia, rivestita con un tessuto color oro.

«E quale sarebbe il mio ruolo in tutto questo?» Credo di averlo capito, ma sembra davvero inverosimile che, con tutte le persone che conoscono, abbiano scelto proprio me per un lavoro così delicato.

«Vorremmo che fossi tu l'intermediaria linguistica per il nostro rappresentante e che andassi con lui a Madrid per portare a termine il contratto». Resto a guardarlo con gli occhi spalancati per la sorpresa, perché, anche se l'avevo intuito, sentirglielo dire mi ha comunque sorpresa.

«Io... non so cosa dire...» Sono imbarazzata dalla sua richiesta e lui se ne accorge, lo capisco da come sorride comprensivo.

«Tra l'altro il signor Hernandez ha chiesto espressamente di te». Stavolta il suo sguardo è divertito. «Gli hai fatto un'ottima impressione e ha chiesto che fossi tu a presenziare agli incontri con gli investitori». Mi guarda attentamente, sta aspettando una risposta, o almeno un commento da parte mia, ma faccio davvero fatica a trovare qualcosa di sensato da dire, fino a che un dubbio si insinua velocemente nei meandri del mio cervello.

«Chi... chi sarà il vostro rappresentante?» La mia voce esce incerta, perché l'ipotesi alla quale ho appena pensato, mi sta trapanando il cervello come un tarlo inarrestabile.

«Non lo sappiamo ancora, abbiamo qualche candidato da valutare. Sai... è una cosa grossa questa, anzi, a questo proposito ti chiederei di non parlarne con Harry, né con nessun altro fino a che le cose non saranno perfettamente organizzate». Arriva il cameriere con i nostri piatti e restiamo in silenzio il tempo necessario che si allontani nuovamente.

«D'accordo».

«D'accordo non ne parlerai con nessuno? O d'accordo accetti di andare?» Mi osserva con un gran sorriso fiducioso.

Forse potrebbe farmi bene cambiare aria, allontanarmi e mettere tutta questa distanza tra me e la mia vita.

«D'accordo a entrambe le domande». Allunga la mano nella mia direzione e la stringo una seconda volta oggi, confermando la mia volontà di accettare la sua proposta.

«Perfetto! Faccio preparare tutti i documenti per il viaggio allora!» Parla con entusiasmo, sinceramente contento del fatto che io abbia appena accettato, e inizia a raccontarmi altri dettagli di questa piccola impresa nella quale ho deciso di buttarmi.

Durante tutto il resto del pranzo non faccio che stupirmi continuamente per quanto mi venga facile conversare con lui, nonostante non abbia smesso di dargli del lei, cosa che lo fa sempre sorridere. Riesco a sostenere diversi tipi di argomenti senza mai trovarmi nella situazione di dovermi difendere da un'eventuale battuta pungente e sarcastica, come quelle che spesso escono dalla bocca di suo fratello minore.

Mi pento subito del pensiero che ho appena avuto riguardo la bocca di Harry. Non passa giorno in cui non riesca ad evitare di ricordare quel bacio che si è preso senza permesso, ma nel quale ho riversato tutta la mia ansia riuscendo a sentirmi libera, in ogni senso in cui si possa intendere la parola libera.

Ed è stato proprio questo a spaventarmi di più. Non so se sono in grado di reggere tutto quello che lui mi fa provare: Harry ha demolito ogni protezione che mi ero costruita, riuscendo ad entrare in quella parte di me in cui nessuno è più riuscito ad arrivare dal giorno del mio compleanno.

I miei pensieri vengono interrotti quando Jordan avvisa James che abbiamo finito di pranzare, poi si fa portare il conto e, malgrado ci abbia provato, non ho potuto pagare la mia parte. Su questo sono assolutamente uguali lui e Harry. Usciamo e saliamo di nuovo sulla sua auto per tornare in ufficio.

Mi sta tornando l'ansia in questo momento, perché so che tra pochi minuti mi ritroverò davanti Harry, con tutta probabilità anche Dylan e non so assolutamente come comportarmi né con uno, né con l'altro.

Jordan continua a parlare e io continuo ad annuire senza avere la benché minima idea di quello che mi sta dicendo. Sono troppo presa da tutti i miei pensieri per rendermi conto di cosa succede intorno a me.

«Chloe... siamo arrivati», mi dice Jordan, riportandomi alla realtà. Non mi sono nemmeno accorta che l'auto si è fermata e siamo davanti all'ingresso degli uffici.

Mi scuso con lui, saluto James, e insieme scendiamo dall'auto, e solo quando passiamo davanti alla reception, situata nell'atrio, mi riprendo un po' per lo sguardo sempre più sorpreso dell'oca bionda, che non mi perde di vista fino a che non si chiudono le porte dell'ascensore.

«Buona fortuna con Harry», mi dice Jordan, voltandosi a guardarmi.

«Perché mi augura buona fortuna?» Lo guardo con aria interrogativa.

«Perché è intrattabile in questi giorni... intendo molto più del solito». E non posso evitare di chiedermi se sia a causa mia e del fatto che sto continuando ad ignorarlo dopo quel bacio. «Ti faccio chiamare dalla mia segretaria per il resto dei dettagli». L'ascensore di ferma. Sono arrivata al piano e sto per vederlo.

«Va bene e... grazie, dottor Stevens». Lo saluto per poi uscire, avviandomi nel corridoio, ma mi giro un'ultima volta quando sento la sua voce intervallata dal rumore delle porte che si chiudono.

«Jordan!» Urla facendomi sorridere, poi scompare dalla mia vista e prendo un gran respiro prima di avviarmi lungo il corridoio in direzione della scrivania di mia sorella.

Non l'ho avvisata della mia presenza qui oggi, infatti sgrana gli occhi quando mi vede arrivare in lontananza e si alza dalla sua sedia per venirmi incontro.

«Ehi ciao... che ci fai qui?» Non faccio in tempo a risponderle che lei ricomincia con le domande. «E come mai tutta questa eleganza?» Sorride. Adoro il sorriso di mia sorella.

«Sono qui per l'incontro con il signor Picard...» Lei mi interrompe subito in preda all'entusiasmo. 

«Oh, allora è te che hanno chiamato per sostituire Lisa. Harry lo sa? Ti sta aspettando?» Si volta camminando verso la sua scrivania, e a me non resta che seguirla.

«Sì, lo sa e no, non lo so se mi sta aspettando, ma puoi fare il tuo lavoro di segretaria e avvisarlo, no?» Mi guarda per un attimo, assottigliando gli occhi a due fessure, mentre io le sorrido, cercando di farle credere che sto bene riguardo al fatto di vedere Harry, poi alza il telefono componendo un numero.

«È arrivata la signorina Chloe Stewart... sì... posso farla passare?» Si sta divertendo nel prendermi in giro, dimostrandomi quanto sia professionale nel fare il suo lavoro da segretaria. «Il signor Stevens la sta aspettando nel suo ufficio», e insieme ci mettiamo a ridere per la sua piccola recita.

Mia sorella è riuscita a farmi stare meglio, spero solo che, adesso che mi sto incamminando verso l'ufficio del ragazzo che ho evitato come la peste in questi giorni, le cose non cambino. E la scena che mi si presenta davanti riesce a farmi sorridere un po' di più. Dylan sta tentando di annodare la cravatta a Harry, che si lamenta come un bambino capriccioso.

«Questo cazzo di nodo è troppo stretto, Dylan!» Harry tenta di allentare il nodo tirandolo in avanti.

«Finiscila Harry, non hai due anni. Se non la pianti di rompere ti faccio vedere io cosa vuol dire stretto». Busso alla porta aperta dell'ufficio, facendo notare la mia presenza; entrambi si voltano immediatamente nella mia direzione e riesco a vedere le differenze nell'espressione dei loro volti.

Le labbra di Dylan si aprono in un grande sorriso, evidentemente contento di vedermi, mentre quelle di Harry si piegano di poco all'insù, dimostrando quanto la mia presenza gli faccia piacere e si senta soddisfatto. Dal canto mio, invece, provo sentimenti decisamente contrastanti, sia nei confronti di Dylan che in quelli di Harry, ma devo tenere tutto sotto controllo. Sono qui per lavorare, la mia vita è al di fuori di queste mura.

«Ciao Chloe!» Dylan mi saluta con entusiasmo, portandomi a sentirmi in colpa e a disagio nei suoi confronti. Solo stamattina sono crollata a causa di tutto quello che mi passa per la testa. Non posso più rifarlo e, soprattutto, non posso crollare qui, adesso, davanti a loro.

«Ciao Dylan». Pronunciare il suo nome mentre osservo il suo viso così somigliante a quello del mio Dylan, oggi, fa particolarmente male e forse lui si accorge di qualcosa, o forse il mio viso è troppo trasparente, perché mi si avvicina con aria preoccupata, lasciando Harry dalla parte opposta alla scrivania.

«Stai bene?» mi domanda quando è ad un paio di passi da me. Appoggia le mani sulle mie spalle e per un attimo mi sento mancare quando rivedo il suo volto, il suo sorriso, mi sembra persino di sentire la sua voce e barcollo appena. «Direi di no... vado a prenderti qualcosa da bere».

Dylan si allontana, le sue mani vengono sostituite da quelle di Harry. Ora è lui a sorreggermi, letteralmente, mentre mi accompagna fino alla sedia della sua scrivania.

«Ehi...» mi dice, piegandosi sulle ginocchia davanti a me. Il suo sguardo è così intenso da far accelerare rapidamente il battito del mio cuore, e ringrazio di essere già seduta perché le mie ginocchia probabilmente non mi reggerebbero. «È per Dylan?» Lui adesso sa quello che provo quando vedo il suo amico e la cosa mi mette in difficoltà.

«Harry, non farlo...» gli dico, sperando che capisca cosa intendo.

«Cosa?» mi domanda con aria confusa, prendendo la mia mano nelle sue, e mi sembra che prenda immediatamente fuoco a quel contatto.

«Non voglio che anche tu ti preoccupi per me, non voglio la tua pietà». La cosa che mi ha più colpito di lui è stato il fatto che mi trattasse come una persona qualunque, e non come fossi di vetro, come fanno quasi tutte le persone che mi sono intorno.

«Ti assicuro, Chloe, che la pietà non è affatto inclusa nella lista di tutto quello che provo per te». Harry ha sempre la capacità di sconvolgere ogni mio proposito. «Voglio...» Per un attimo è incerto, si ferma dal parlare, ma poi riprende con un altro tono. «Voglio solo aiutarti, Chloe».

«Non voglio nemmeno il tuo aiuto... io non voglio niente da te». Più lo respingo, più si avvicina. Più lo voglio, più si avvicina. Non riesco a trovare una soluzione per riuscire a tenerlo fuori dalla mia vita

«Peccato che tu ti sia già presa parecchio invece...»

La voce di Dylan interrompe la nostra piccola discussione. «Sono...», il suo tono di voce cambia da esuberante a confuso in un paio di secondi, «tornato...» Sfilo velocemente la mano dalla presa di Harry e, ancora più velocemente, mi alzo allontanandomi da lui per andare verso Dylan, che mi guarda con aria perplessa.

«Grazie», gli dico, prendendo il bicchiere dalle sue mani.

«È... è solamente un po' di tè zuccherato», mi spiega, mentre porto la bevanda alle labbra.

Sento Harry muoversi alle mie spalle, dev'essersi alzato, ma non mi volto a guardarlo, devo assolutamente riprendere il controllo della situazione e del mio stato d'animo.

«Dylan, ora che hai addolcito miss acidità, puoi tornare qui con me a controllare il resto dei documenti?» Lo sta facendo. Sta facendo quello che ha detto lui, ma nel modo in cui gliel'ho chiesto io. E cioè, mi sta aiutando, ma senza troppi riguardi nei miei confronti, ed è la cosa migliore che potesse fare per me.

I due ragazzi si avvicinano al grande tavolo, sul quale vedo sistemati vari fogli con relative penne per la firma finale, e io decido di prendermi un paio di minuti, in attesa dell'arrivo del loro cliente, per tornare a respirare con regolarità e mettere in stand by i pensieri che si stanno accumulando in numero elevato, per potere essere elaborati con razionalità in questo momento. 

Mi avvicino alla vetrata, lasciando il bicchiere ormai vuoto nel cestino, fissando ancora il vuoto sotto di me. C'è una lastra di vetro spesso a proteggermi, e i miei occhi continuano a restare concentrati sui minuscoli puntini che percorrono le strade. Ne sono sempre attratta, è come se il vuoto mi invitasse a raggiungerlo, come se me lo chiedesse...

«Quasi non ti riconoscevo vestita così...» Il tono di voce decisamente ironico di Harry mi distoglie bruscamente dai miei brutti pensieri: ero talmente presa che non mi sono nemmeno accorta che si è avvicinato.

«Vuoi dire che di solito faccio schifo come mi vesto?» Reagisco in modo sproporzionato alle sue parole, perché ho il timore che il suo sia un complimento travestito da battuta sarcastica.

«Ma non c'era lo zucchero in quella cosa che hai bevuto prima?» Mi volto a guardarlo dritto negli occhi e il suo sorriso si apre, mostrando le sue meravigliose fossette. «Mi è mancata la tua acidità». Non riesco a rispondere quando mi guarda e sorride in quel modo. Harry è assolutamente troppo.

«Non trovi che sia tutto più spettacolare da quassù?» gli domando, tentando di cambiare direzione al discorso.

«Lo è». Ma con nessun risultato perché lui non sta guardando fuori. Lui sta guardando me.

«Chloe?» La voce di Dylan mi riporta alla realtà e mi impongo di darmi immediatamente un contegno, quindi gli sorrido come meglio riesco.

«Sì?» Mi volto verso di lui, che adesso è al mio fianco, e finalmente lo osservo per quello che è: Dylan Evans, un ragazzo di ventitré anni che quasi non conosco e NON Dylan Peters, di venticinque anni. Ce la puoi fare Chloe!

«Tua sorella ha appena chiamato avvisando che Picard è arrivato». Prendo un gran respiro. Lui si avvicina al tavolo insieme a Harry, che mi sorride facendomi un occhiolino, per poi rimettersi subito al lavoro con il suo amico e collega.

Il tempo di fare un paio di passi verso la porta d'ingresso dell'ufficio, che vedo arrivare quello che credo sia il signor Picard, accompagnato da un uomo e una donna, entrambi con una cartellina rossa in mano.

«Bonjour Monsieur Picard et bienvenue à la HS Financial Services. Je suis Chloe Stewart, voici Monsieur Stevens et Monsieur Evans. Je suis votre traductrice pour aujourd'hui». Sorrido ampiamente mentre riprendo il controllo di me stessa e della situazione. Sono assolutamente in grado di farcela.

«Mademoseille, elle est charmante!» Il signor Picard prende la mia mano nella sua per portarsela alle labbra, lasciandovi un piccolo bacio appena sfiorato.

«Merci». Ringrazio con educazione, ma con la coda dell'occhio riesco a vedere le piccole smorfie che sta facendo Harry e devo davvero trattenermi per non scoppiare a ridere.

Tutti i presenti si stringono le mani, poi ci avviciniamo al tavolo, al quale ci sediamo, e inizio il mio lavoro sotto lo sguardo attento e pungente di Harry. Il tempo sembra passare più velocemente, questo cliente sta dando filo da torcere a Harry e a Dylan, li sta mettendo in difficoltà e sono costretta a parlare più spesso con entrambi, ma quando guardo quegli occhi verdi, che ogni volta mi fanno desiderare cose che non dovrei desiderare, sono io a trovarmi in difficoltà.

L'ho sorpreso spesso ad osservarmi, anche quando non parlavo direttamente con lui, e ammetto che un paio di volte ho dovuto distogliere lo sguardo dai suoi meravigliosi occhi, altrimenti... altrimenti non lo so cosa sarebbe successo, ma non voglio certo scoprirlo, soprattutto davanti a tutte queste persone.

Dopo dieci minuti buoni di colloquio, Harry propone qualcosa da bere per tutti i presenti, che accettano ben volentieri. Credo l'abbia fatto per allontanarsi un minuto da tutto questo, infatti lo vedo sbuffare mentre si dirige alla sua scrivania per chiamare Rebekah e, ancora una volta, devo trattenere il sorriso che lotta per spuntare sulle mie labbra. Quando poi lo vedo tornare verso il grande tavolo al quale siamo seduti, sento suonare il telefono nella mia borsa, segno che è arrivato un messaggio e mi maledico mentalmente per non averlo messo silenzioso.

«Dovresti rispondere... magari è importante...» La voce di Harry è appena un sussurro al mio orecchio, e non immagina nemmeno quello che scatena in tutto il mio corpo quando si comporta in questo modo.

«Excusez-moi». Pronuncio ad alta voce per poi prendere il cellulare con l'intenzione di spegnerlo, ma mi è impossibile farlo quando leggo il nome del mittente del messaggio arrivato poco fa.

Smettila di guardarmi in quel modo 
se non vuoi che ti baci adesso  
davanti a tutti

H.

In un attimo sento asciugarsi la bocca, non ho più salivazione, il cuore mi esplode nel petto, le mani sudano e tremano velocemente, quasi quanto il cuore. Il ricordo di quel bacio inaspettato mi travolge all'improvviso. Lo sento sulle labbra, sulla lingua, come se stesse succedendo in questo preciso momento. Mi manca l'aria e improvvisamente vorrei che sparissero tutti da questo ufficio. 

Tutti... tranne lui.

«Secondo me dovresti rispondere... chi ti ha scritto si aspetta una risposta...» Di nuovo la sua voce, di nuovo sussurrata, troppo vicino al mio orecchio, tanto da sentire il suo fiato sulla mia pelle.

Alzo lo sguardo su di lui e trovo la sua espressione irriverente mentre sorride. A quel punto mi ricordo di tutte le altre persone presenti e mi giro per vedere se mi stanno fissando, ma al contrario di ciò che pensavo, il signor Picard sta bisbigliando con i suoi due collaboratori, mentre Dylan sta leggendo con attenzione un paio di fogli. Nessuno sta prestando attenzione a noi due, e finalmente ritrovo la lucidità necessaria per rispondere a tono alle sue parole, e inizio a digitare velocemente la mia replica, poi invio. Alla fine rimetto in borsa il cellulare, dopo averlo spento. Non voglio rischiare di trovarmi di nuovo in questa situazione davanti a questi estranei, soprattutto dopo quello che gli ho appena scritto.

«Hai spento il dannato telefono!?» Dal suo tono di voce sembra quasi sconvolto per quello che ho fatto e la cosa non fa altro che farmi sorridere.

«Stiamo lavorando Harry, dovresti spegnerlo anche tu se lo stai usando per cazzeggiare». È questo che mi piace fare con lui. Provocarlo, punzecchiarlo e mi piace quando lo fa lui con me.

«Sei una stronza, acida...»

«Del cazzo... sì lo so, me l'hai già detto. Perché non rinnovi un po' il tuo vocabolario?» Mia sorella entra nell'ufficio con i caffè che Harry le ha chiesto poco fa, interrompendo il nostro continuo sussurrare.

«E tu perché non rinnovi un po' il tuo atteggiamento?» Probabilmente le sue parole racchiudono più di un significato, ma per il momento voglio solo concludere questo incontro nel migliore dei modi, grazie alla nuova determinazione ritrovata, e riuscire a sopravvivere a Harry.

Il resto della riunione prosegue spedito e senza ulteriori interruzioni; raggiungono un accordo dopo una trattativa di circa un'ora e mezza, durante la quale io e Harry ci siamo scambiati diversi sguardi che non sono passati inosservati tanto che, alla fine, il signor Picard mi ha chiesto se io e Harry fossimo fidanzati.

Non ho idea di come io l'abbia guardato, ma so perfettamente come mi guarda lui, e quel pensiero è sempre ben presente nella mia testa. Per quanto tenti di scacciarlo, lui è sempre lì, che gira liberamente per la mia mente, facendone quello che vuole dei miei pensieri.

Mi ha detto che io mi sono presa parecchio di lui. Non so a cosa si riferisse, ma una cosa la so. Anche lui si è preso parecchio di me. 

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Capitolo 22
*** Lui ride e io guarisco ***


Il bollitore elettrico si spegne, segno che l'acqua è arrivata alla temperatura giusta. Prendo una tazza, la riempio, e metto in infusione una bustina.

Mi appoggio al ripiano della cucina, in attesa che passino i minuti necessari per tentare di calmarmi con il tè che mi sto preparando. Oggi il senso di inquietudine è più opprimente del solito. Forse perché ieri l'ho visto... li ho visti - entrambi - e non è stato affatto facile riuscire a sfuggire a Harry al termine dell'incontro con il signor Picard. Alla fine sono stata salvata, se così si può dire, da Jordan, che l'ha chiamato nel suo ufficio. Harry mi ha chiesto di aspettarlo e io volevo davvero farlo, volevo provarci, ma poi Dylan mi ha offerto un caffè, e so che l'ha fatto con tutta la gentilezza di cui è capace, ma sentirlo parlare, vederlo sorridere... io proprio non ce l'ho fatta e sono scappata da quell'ufficio con una stupida scusa.

Continuo a vederlo ovunque, anche in questa casa in cui lui non è mai stato. Mi sembra di vederlo sul divano mentre lottiamo per il telecomando, davanti ai fornelli mentre tenta di imparare a cucinare, in bilico su una sedia mentre attacca una cornice con la nostra foto preferita e a volte mi sembra che, se solo allungo una mano, posso addirittura toccarlo.

Sto lottando, ci sto provando, ma ancora non riesco ad immaginare la mia vita senza di lui, la vita che stavamo programmando insieme; inoltre oggi mi sento persa da quando ho acceso la radio che, proprio in quel momento, trasmetteva "Wherever  you will go", la canzone che mi ha dedicato quella sera, e subito dopo il telefono si è messo a squillare. Era Harry, e non ce l'ho fatta a rispondere. Gli ho scritto un messaggio dicendogli che l'avrei richiamato, ma, a distanza di quasi dodici ore, non l'ho ancora fatto, e non ho intenzione di farlo. Almeno fino a quando questa pressione che sento sul petto non mi darà la possibilità di riprendere a respirare regolarmente, non voglio sentire nessuno. Non ho nemmeno risposto al messaggio di Kurt. Vorrei solo spegnere il cervello, così da non sentire più niente e non vederlo ovunque.

Sono grata del fatto che mia sorella sia uscita e che non mi veda in queste condizioni, sembro il fantasma di me stessa e Dio solo sa quanto vorrei esserlo davvero.

Ho fatto di tutto per riuscire a distrarmi oggi. Mi sono concentrata fino allo sfinimento su quella traduzione di poesie, ho preparato la cena, ho ripulito il bagno da cima a fondo, ho fatto persino dello stupido yoga, ma nulla è servito a portarlo via dalla mia mente. Forse potrei uscire, forse potrei stare in mezzo alle persone, vedere facce nuove che non assomiglino a Dylan, o che non abbiano gli occhi verdi.

Sì, è quello che farò.

Abbandono il tè al suo destino, voglio qualcosa che faccia salire il mio livello di adrenalina, voglio sentirmi forte, voglio provare a spegnere la mente, ed è per questo che ho indossato un paio di jeans strappati sul davanti, una canotta aderente bianca, la giacca nera di pelle di mia sorella e i suoi appariscenti stivaletti neri con tacco alto. Un po' di eye-liner e mascara neri, e sono pronta per uscire.

Prendo le chiavi e il cellulare ma, prima di uscire, tengo stretto tra le mani il piccolo ciondolo che non tolgo mai dal collo, chiudendo gli occhi e prendendo un gran respiro. Ora mi sento davvero pronta.

Una volta in strada apro Google Maps e scelgo un locale a caso, poi trovo un taxi e mi faccio portare nel posto in cui ho scelto di passare la serata. Durante il tragitto mi concentro su tutto quello che vedo fuori dal finestrino: persone, luci, strade, incroci, negozi, palazzi, cartelli stradali, pronuncio mentalmente il nome di ogni cosa che vedo, come un automa, per non essere costretta a pensare.  

Non voglio pensare.

Riesco ad entrare facilmente, non c'è molta coda all'esterno, e mi faccio largo tra la folla di persone e i divanetti azzurri o fucsia, non ho capito bene il colore a causa delle luci intermittenti colorate che colpiscono ogni oggetto, e infine arrivo alla mia meta: il bancone del bar.

Gli sgabelli sono tutti occupati, quindi resto in piedi, e dopo qualche minuto riesco ad attirare l'attenzione del barista.

«Cosa prendi?» mi chiede, con un enorme sorriso.

«Qualcosa che mi tiri su di morale, fai tu». Il ragazzo, decisamente carino, annuisce e si volta per prendere un paio di bottiglie colorate e riempire un mixer. Non ho idea di cosa mi stia preparando, ma spero abbia una qualche dote miracolosa, tipo un interruttore off per i pensieri.

«Ecco a te». Mi porge un bicchiere, che afferro immediatamente ringraziandolo, e mi volto ad osservare la pista gremita di ragazzi e ragazze che sembrano divertirsi.

Porto il bicchiere alle labbra, trattenendo con le dita la cannuccia. Sa di frutta e il fresco liquido arancione che scorre lungo la gola, brucia da morire, forse avrei dovuto bere dalla cannuccia, magari era lì proprio per quello, ma ho bisogno di stordirmi più in fretta possibile.

La musica è forte, le luci anche, e ogni persona qui dentro sembra stare bene. C'è chi sorride, chi ride, chi si bacia senza pudore, chi flirta. Tutto quello che vedo è passione, entusiasmo, voglia di vivere, divertirsi e tutto questo dovrebbe essere contagioso, unito all'alcool che sto lasciando libero di circolare nel mio corpo, dovrebbe aiutarmi, dovrei iniziare a sentirmi meglio, ma non succede. Davvero alla gente basta questo per azzerare i pensieri? O sono io che non sono in grado di fermarli?

E inizio a credere di essere io stessa il problema. Forse non voglio fermarli, o forse non ne sono capace, magari ho bisogno di aiuto. E chi o cosa potrebbe aiutarmi?

Per quanto non voglia ammetterlo, la risposta a questa domanda è solo una.

Harry.

È ancora lì, nella mia testa; è tornato ad occupare ogni angolo della mia mente, o forse non se n'è mai andato. Se lui fosse qui con me, mi dimenticherei di questo dolore che mi sta riducendo il cuore in brandelli tanto piccoli? Certo che sì, ma la sua sola presenza è in grado di far sparire completamente Dylan dalla mia testa, e non voglio che accada. Perché non sono in grado di gestire tutto questo?

Mi volto un'altra volta verso il barista, che sta preparando un altro cocktail per la ragazza accanto a me, e noto il suo braccio tatuato che, inevitabilmente, mi riporta alla mente Harry, ma tento di allontanare di nuovo quel pensiero quando mi rivolgo a lui. «Me ne fai un altro per favore?»

«Subito!» Afferra il bicchiere vuoto che gli porgo e me ne prepara un altro.

Inizio a sentire le gambe più molli e sono felice si sia liberato uno sgabello, cominciavo a fare fatica a stare in piedi. Prendo la cannuccia tra le labbra e inizio a sorseggiare lentamente, concentrandomi sui volti delle persone per poi sostituire i lineamenti del viso che appare continuamente nella mia testa, con quelli di questi sconosciuti, e sembra funzionare.

Ora vedo capelli rossi che si confondono a capelli biondi, occhi scuri che diventano azzurri, tutto sembra confondersi con l'ambiente circostante diventando una massa informe di colori e suoni che sembrano più lontani. Mi sto rilassando, ci sto riuscendo, adesso quello che sento nel petto è il rimbombare della musica e sorrido stupidamente per esserci riuscita.

Appoggio i gomiti all'indietro, socchiudo appena gli occhi e tutte quelle macchie colorate, che vedevo poco fa, sembrano prendere vita, muovendosi all'interno delle mie palpebre con un determinato criterio. E più i miei nervi si distendono, più la figura che si sta formando diventa nitida, e riesco quasi a distinguerne i tratti.

È un volto, i capelli lunghi, mossi, castani, la pelle chiara del viso, i lineamenti sono ben marcati, gli occhi sembrano chiari, forse verdi, e sorride. Un sorriso che mi scalda il cuore, che mi trasmette sicurezza, di cui so per certo che posso fidarmi, ma poi su quelle guance spuntano un paio di fossette, ed è a quel punto che lo riconosco.

I miei occhi si aprono lentamente, ma la sua immagine non scompare e io infilo la mano nella tasca della giacca per prendere il telefono. Forse dovrei chiamarlo, forse lui può aiutarmi, forse l'alcool che ho in corpo mi sta liberando la mente, forse...

E, in mezzo a tutti questi forse, la mia mano ha già agito per conto suo sbloccando il display e cercando il numero di Harry nella rubrica per poi far partire la chiamata. So che è tardi, ma è tutto talmente irrazionale stasera che non mi trattengo, probabilmente anche a causa dei cocktail che ho bevuto, e resto in attesa che lui risponda portandomi il telefono all'orecchio.

«Chi cazzo è?» Rido della sua risposta. Trascina le parole, la sua voce è piuttosto assonnata, l'ho svegliato, ma non m'importa. «Chloe?» Domanda non appena mi sente ridere.

«Ciao Harry». Giocherello con la cannuccia del bicchiere ormai vuoto, restando immobile su quello sgabello da tutta la sera. Ormai ho il sedere piatto.

«Dove... dove sei?» Probabilmente sente il suono assordante della musica. Fa fatica a parlare, forse anche a pensare, e la cosa mi fa inspiegabilmente ridere.

«Sono seduta al bancone del bar», rispondo, con un sorriso da idiota sulle labbra.

«Bar? Ma che ore sono?» Questa domanda prevede che io riesca a mettere in atto una certa coordinazione - che non sono certa di avere in questo momento - per riuscire a guardare l'orario sullo schermo del telefono.

«Credo sia ora di dormire». Mi rendo conto di aver dato una risposta stupida, ma non sono abbastanza lucida per fare di meglio.

«Già... proprio quello che stavo facendo...» È vero che la mia mente è ottenebrata dall'alcool, ma sono certa che il suo tono di voce non sia affatto infastidito. Resto per un attimo in silenzio mentre cerco qualcosa di sensato da dire, ma poi è di nuovo lui a parlare. «Non mi hai più richiamato...» La sua non è una domanda e io tento di recuperare i miei pensieri da qualche angolo nascosto del mio cervello.

«Lo sto facendo adesso». Niente da fare, il collegamento bocca-cervello deve avere qualche problema.

«Hai bevuto Chloe?» Quando pronuncia il mio nome è sempre un colpo al cuore, e credo che il liquido arancione, che ho bevuto stasera, non faccia altro che amplificare quella sensazione.

«Un po'», rispondo, senza nemmeno pensare.

«E al bancone di quale bar sei seduta?» Non ne sono certa, ma ho l'impressione che si stia muovendo mentre parla.

«È un locale, aspetta... si chiama... Tunnel, sì. Si chiama Tunnel, lo conosci?» Il braccio con il quale tengo il telefono, è diventato incredibilmente pesante e sono costretta ad appoggiarmi con il gomito al bancone.

«Sì, sei da sola?» Ora non sembra più molto assonnato anzi, sembra essere molto più lucido di poco fa.

«Oh nooo... c'è un sacco di gente qui... non senti la musica?» Adesso è la mia di voce che sembra impastarsi in bocca prima di uscire dalle labbra.

«Tua sorella?» mi chiede, con evidente stupore.

«Reb? Oh lei è con quel tuo amico... sai quello tutto tatuato, credo che si sposeranno quei due... o magari lo stanno facendo proprio in questo momento...» Che diavolo sto dicendo?

«Chloe...» Pendo totalmente dalle sue labbra quando sento la sua voce che pronuncia il mio nome.

«Sì...» Non sento nemmeno più la musica di questo posto, sento solo lui.

«Resta con me...» Lui parla e mi confonde. Lui parla e io mi sento meglio. Lui parla e il mio corpo ubbidisce.

«Ok». Non potrei rispondere in nessun altro modo ora, perché l'intensità con cui le sue parole sono arrivate alle mie orecchie, non mi ha permesso di fare niente che non fosse acconsentire alla sua richiesta.

«Sai dirmi cos'hai bevuto?» Il volume di questa musica è forte e la mia lucidità lascia parecchio a desiderare, ma potrei giurare di aver sentito una porta chiudersi. Forse è solo l'alcool che mi fa immaginare cose che non esistono.

«Un paio di bicchieri, erano... arancioni, sì erano arancioni, e dolci... e anche forti. Dio se erano forti, mi bruciava la gola, sai?» Lo sento ridacchiare e la cosa contagia anche me.

«Chloe sei ubriaca». Anche stavolta non è una domanda la sua, ma non voglio dargli ragione.

«No, Harry, nient'affatto, sono solo... rilassata, ecco sì... sono rilassata». È la parola che meglio descrive come mi sento adesso.

«Puoi anche definirti così se vuoi, ma resta il fatto che sei ubriaca». Il suo tono di voce è decisamente divertito.

«Ti sbagli, non sono affatto ubriaca». Non sono per niente certa di quello che ho appena detto, ma ho voglia di contraddirlo solo per il gusto di sentire ancora la sua voce, di sentirlo parlare con me.

Ed è così che andiamo avanti per molti minuti, tanti che ho perso il conto, ma non voglio finire questa telefonata che mi sta facendo stare bene. Harry continua a parlare, a ridere e a prendermi in giro, ma mi sta bene così, l'importate è che resti con me, come io sto restando con lui.

«Tenga pure il resto». Aggrotto le sopracciglia alle sue parole.

«Con chi stai parlando?» gli chiedo, incuriosita.

«Sto parlando con te», risponde ovvio, ma è palese che non stesse parlando con me.

«Harry... non credo che... non credo che sia proprio come dici...» Il tempo passato al telefono mi ha fatto riacquistare un po' di lucidità, ma non abbastanza per essere certa di quello che entrambi abbiamo detto.

«Lo sto facendo, Chloe, da ventisette minuti». Resto interdetta dalle sue parole, perché non mi ero resa conto del tempo passato a parlare con lui. «Ma non ho più voglia di stare al telefono». Detto questo sento il silenzio assoluto nell'auricolare e resto immobile, con quella che credo sia una chiara espressione di confusione sul viso.

«Harry?» Lo richiamo, ma non sento nessuna risposta. «Harry?» Allontano il cellulare dal viso per guardare il display e noto che la comunicazione si è interrotta, ma non faccio in tempo a chiedermi altro che...

«Possiamo parlare di persona adesso». Lui è qui. Inaspettatamente, lui è qui. Alzo lo sguardo e posso vederlo. È talmente vicino che se allungassi una mano potrei anche toccarlo, eppure non lo faccio e resto a guardarlo come se lo vedessi per la prima volta.

Ha i capelli legati in un chignon, le mani infilate nelle tasche del cappotto nero, ma non riesco a vedere altro dal momento che lo sto guardando negli occhi, perché il suo sguardo è come se si prendesse ogni mia capacità fisica e mentale. È così bello che inizio a pensare di non aver mai visto niente di più bello.

«Sei qui», riesco a dirgli, quando mi riprendo dalle mille emozioni che ho provato in questa ultima mezz'ora.

«Sono qui». Il suo sorriso mostra appena le fossette e io sento qualcosa smuoversi all'interno del mio cuore. Poi allunga una mano nella mia direzione e io mi perdo a guardare quanto sia bella anche la sua mano. «Dai, ti porto a casa», mi dice, come se fossi una bambina, ed è proprio come una bambina che reagisco.

«Io non voglio andare a casa». Soprattutto ora che lui è qui con me.

Harry lascia andare la sua mano lungo il fianco e quasi mi pento della mia risposta perché, se avessi preso la sua mano, avrei potuto toccarlo.

‘Ma che pensieri sto avendo?’

«Chloe sei ubriaca, devi tornare a casa adesso». Se continua a trattarmi in questo modo mi metterò a fare i capricci. Sono ridotta davvero male se continuo a pensare in questo modo.

«Perché non facciamo un gioco?» La mia bocca è molto più veloce del mio cervello, che elabora a fatica ciò che ho appena pronunciato.

«Un gioco?» mi chiede con aria confusa, mentre è ancora in piedi di fronte a me.

«Sì, un gioco. Una domanda a testa, per un totale di cinque, come quella sera a casa mia». Sono davvero io a dire queste cose?

«Chloe Eveleen Stewart, la cosa si fa interessante. Ci sto». La sua aria furba non promette niente di buono, probabilmente mi pentirò di questa insensata idea, ma non voglio rimangiarmi le parole.

«Ma lo facciamo più divertente stavolta» gli dico. 
Lui resta in silenzio, in attesa che io mi spieghi meglio. «Se non rispondi bevi». Harry mi osserva assottigliando lo sguardo, per poi scuotere appena la testa.

«Io non credo che questa sia una buona idea». Lo guardo, ma riesco solo a pensare che è bello da togliere il fiato.

«Hai paura Harold?» Lo sfido, credo sia l'unico modo per ottenere quello che voglio.

«Questo non dovevi farlo». Si avvicina ancora, mi affianca e riesco a sentire il suo profumo mentre mi perdo ad osservare il suo profilo. «Ci prepari dieci shottini?» Harry ha davvero accettato la mia proposta?

Mi volto e vedo il barista riempire quei dieci piccoli bicchierini con un liquido che sembra trasparente - ma che non credo sia acqua - e posarli su un vassoio che mette vicino a noi per tornare ad altri clienti subito dopo.

«Vieni con me», mi dice prendendomi per mano, mentre nell'altra ha il vassoio.

Lo seguo senza ribattere fino ad arrivare ad un divanetto libero. Harry lascia la mia mano, poi posa i bicchierini sul piccolo tavolo davanti a noi. «Siediti», mi ordina, e io eseguo come una brava bambina ubbidiente. Si toglie il cappotto, appoggiandolo accanto alla sua gamba destra, e mi perdo per l'ennesima volta ad osservarlo mentre sbottona i polsini della camicia chiara che indossa. I miei occhi si fermano sugli anelli, salendo verso i tatuaggi che ricoprono gran parte del suo braccio sinistro, per poi arrivare al centro del suo petto dove riesco ad intravedere altre macchie d'inchiostro spuntare dai bottoni lasciati aperti.

«Vuoi cominciare tu?» mi chiede, distogliendomi dal mio stalkeraggio visivo.

«No, comincia tu». Improvvisamente sono io ad avere paura e mi pento di avergli proposto questa stupidissima idea.

«Ti ricordo che sei stata tu a volerlo e sempre tu hai stabilito le regole». Mi sta fissando, mi sta studiando, forse per trovare la domanda giusta da farmi, e io vorrei potermi rimangiare ciò che ho detto, ma non faccio in tempo perché arriva subito la sua domanda. «Perché continui a sparire?» A questa domanda non voglio rispondere, quindi allungo una mano e prendo il piccolo bicchierino che butto giù tutto d'un fiato, sentendomi andare a fuoco subito dopo. «Male, Stewart, iniziamo molto male». Non sta sorridendo, ma la sua espressione è comunque divertita. 

«Non hai mai più visto tua madre?» Il suo viso diventa di nuovo imperscrutabile, proprio come l'altra volta in cui ne abbiamo parlato, sembra privo di emozioni, ma non ne sono sicura perché la sua espressione è assolutamente indecifrabile.

«No, e non voglio nemmeno sapere se è ancora su questo pianeta». La sua risposta riesce a farmi sentire tutta la rabbia che prova nei confronti della donna che l'ha messo al mondo. «Ora tocca a me... Perché hai detto che è colpa tua se Dylan è...»

«Morto... puoi dirlo, sai?» Forse ho usato un tono troppo pieno di cattiveria, ma non riesco a controllarmi in questo momento.

«Ok... perché hai detto che è colpa tua se Dylan è morto?» L'ha detto, gliel'ho chiesto io di farlo, ma le sue parole mi colpiscono in pieno, al centro dello stomaco, facendomi quasi piegare su me stessa. Non voglio rispondere nemmeno a questa. Afferro con forza quel bicchierino e butto giù velocemente un altro po' di alcool. «Cazzo, Chloe, vuoi andare avanti così fino alla fine?» Sembra arrabbiato, ma non m'importa ora.

«Il gioco è mio, le regole sono mie, l'hai detto tu, no?» Non era così che immaginavo di passare questo tempo con lui, eppure non riesco a comportarmi diversamente.

«Che stronza che sei...» Ha ragione, per questo non ribatto. «Forza, tocca a te».

«Sei mai stato innamorato?» Un piccolo sorriso beffardo spunta sulle sue labbra, facendogli alzare solo un angolo della bocca, e il suo sguardo finisce sui bicchierini al centro del tavolino, ma poi alza lo sguardo verso di me.

«L'amore è fatto solo per essere venduto nelle canzoni, nei film, nei libri, ma Chloe... l'amore non esiste». C'è una tale dose di amarezza nelle sue parole che credo la sua anima ne sia impregnata. 

«Non hai risposto alla domanda». Lui sospira, distoglie lo sguardo, sbuffa ancora, poi torna un'altra volta a guardarmi come se volesse leggermi dentro.

«Sì». La sua risposta mi spiazza totalmente, dato che è tutto il contrario di ciò che ha affermato poco fa, ma non ho il tempo di elaborare molti pensieri che la sua ulteriore domanda arriva immediatamente dopo. «Perché mi hai baciato?» Questa è la domanda che mi ha posto con più determinazione rispetto alle altre.

«Sei stato tu a baciare me». Cerco di svicolare la risposta con una non risposta.

«Chloe sai benissimo cosa intendo». Ha ragione, lo so.

«Perché ne avevo voglia, Harry». Stavolta ho risposto, sincera e diretta, anche se la mia spiegazione non è molto approfondita, ma almeno ho risposto. Dalla sua espressione credo fosse esattamente la risposta che si aspettava perché ha ripreso a sorridere. «E tu perché mi hai baciata?»

«Perché ne avevo voglia...» Resto un po' delusa quando risponde nel mio stesso modo, ma subito dopo mi lascia senza parole. «Ne avevo voglia da morire». Ogni muscolo che ho nel corpo sembra essere colpito da una piccola scarica elettrica. Le sue parole, il tono di voce che ha usato, hanno provocato un piacere folle in ogni centimetro del mio corpo, e sono certa che lui se ne sia accorto, perché ha un'espressione totalmente compiaciuta.

«Tocca a te...», gli dico, per distogliere ogni attenzione da questo argomento che mi terrorizza terribilmente.

«Perché non vuoi piangere?» So benissimo che si riferisce a quella sera a casa mia, quando ho avuto quella crisi di pianto.

«Perché ho paura di dimenticarlo». Il mio timore è che piangendo io lasci andare il dolore, e con il dolore ho paura di lasciare andare lui.

Harry non commenta, sembra voler assimilare e analizzare le mie risposte mentre continua a studiarmi con attenzione, ma non voglio dargli ulteriore tempo.

«Come si chiamava la ragazza di cui eri innamorato?» Sapere che lui ha provato questo sentimento mi provoca sensazioni contrastanti che non sono in grado di decifrare a causa del mio stato fisico e mentale.

Lui mi guarda, non sorride, ma allunga una mano e ingoia tutto d'un fiato il suo primo shottino. Ha risposto ad ogni domanda, ma non a questa, e la cosa mi confonde ulteriormente.

«Adesso tocca a me». Il suo tono di voce è cambiato, l'argomento ex dev'essere al pari dell'argomento mamma.

«È la tua ultima domanda, fanne buon uso». L'atmosfera si è fatta più pesante e provo ad alleggerire il suo umore, che sembra essere precipitato in un buco senza fondo.

«Cos'è successo quella sera?» Sono certa che si stia riferendo alla sera in cui è avvenuto l'incidente di Dylan, ma io non sono pronta a parlarne, ed è per questo che afferro un bicchierino e butto giù, per fare la stessa cosa anche con un altro, giusto per sottolineare quanto io non voglia raccontargli niente.

«Messaggio ricevuto, Stewart!» Le sue parole mi arrivano lontane, come ovattate. Ho decisamente bevuto troppo, ho abusato di me stessa e della mia resistenza. Mi gira la testa, tanto che sono costretta ad appoggiarmi allo schienale del divanetto. Provo a chiudere gli occhi, ma la cosa sembra aggravarsi.

«Apri gli occhi, Chloe, se li chiudi è peggio». La sua voce arriva più vicina, sento la sua mano posarsi sulla mia guancia ed è come se riprendessi vita a quel contatto, come se la sua pelle sulla mia mi desse nuova forza. Alla fine i miei occhi si aprono, perché voglio vederlo ed è bellissimo. «Dai, ti porto a casa adesso, non stai affatto bene». Vorrei dirgli che non è vero, che sto benissimo, ma riesco solo a guardarlo, ad annegare nel verde dei suoi occhi che mi guardano con dolcezza.

Indossa il cappotto, infila un braccio dietro la mia schiena, e mi aiuta ad alzarmi. Mi aggrappo a lui con tutte le forze che ho, mi lascio guidare in silenzio attraverso la moltitudine di persone che affollano il locale, sento la musica che mi sta martellando la testa, e il caldo che sento mi sta facendo mancare l'aria. Harry mi tiene stretta, assicurandosi ad ogni passo che io riesca a stargli dietro.

Una volta fuori una folata di aria gelida mi investe in pieno ed è come se riuscissi a risvegliarmi, ma quel benefico effetto dura troppo poco e sono costretta ad aggrapparmi di nuovo alle sue spalle, mentre il suo braccio è ben ancorato al mio fianco.

«Harry?» Lo richiamo, e lui si ferma voltandosi a guardarmi.

«Cosa c'è?» Sì, era di lui che avevo bisogno per stare meglio, e la cosa mi piace e mi terrorizza allo stesso tempo.

«Io devo ancora farti l'ultima domanda». Lui sorride dolcemente e io lo interpreto come un assenso a continuare. «Posso passare la notte da te?»

«Stewart che fai, ci provi?» Il suo tono canzonatorio è musica per le mie orecchie.

«Non voglio che mia sorella mi veda in questo stato, e so che quasi sicuramente non tornerà a casa, ma non voglio correre rischi». Il suo sorriso torna ad essere irriverente.

«Se vuoi usarla come scusa per stare con me, farò finta di crederci». Cerco di colpirlo con un pugno, ma la coordinazione è peggiorata durante la serata e la cosa lo fa ridere di gusto.

Quella risata arriva fino al mio cuore, riuscendo a compiere qualcosa di incredibile. Sono certa che ogni pezzetto del mio cuore distrutto si stia riavvicinando, perché sento meno dolore e più serenità quando Harry è con me.

Arriviamo alla sua macchina, parcheggiata poco distante, mi aiuta a salire e lo guardo fare il giro dell'auto fino a sedersi sul sedile del guidatore. È la stessa dell'altra volta, quella macchina d'epoca che avevo paura di rovinare solo muovendomi sul sedile, ma stavolta non ho la lucidità che avevo allora. Spero di non combinare disastri.

«Se devi vomitare dimmelo immediatamente, capito?» Scivolo più in basso sul sedile e appoggio la testa all'indietro biascicando un sì, di cui si accontenta, per poi mettersi alla guida.

Non ho idea di quanto ci abbiamo messo, come non avevo idea del fatto che fossimo già arrivati. Credo di essermi addormentata subito dopo che lui si è immesso in strada. «Forza Chloe, devi scendere». Apro gli occhi e il suo viso è la prima cosa che vedo. Sta tentando di aiutarmi a scendere dall'auto e, con movimenti rallentati, seguo i suoi fino a trovarmi davanti all'entrata di quello che credo sia un condominio.

«Ce la fai a stare un attimo in piedi da sola?» mi chiede, quando siamo davanti ad una porta rossa. Annuisco senza parlare e mi aiuta ad appoggiarmi al muro, mentre lui prende le chiavi dalla tasca del cappotto e apre. Mette di nuovo il braccio attorno al mio fianco e lo seguo fino alle scale. «Terzo piano senza ascensore, ce la fai?» mi chiede, quando sto per salire il primo gradino.

«Certo che ce la faccio, Stevens, per chi mi hai preso?» Non ho idea di come farò tre piani in questo stato, ma non voglio fare la rammollita.

«Per una che ha bevuto troppo». Ride.

Ride di me, ma la cosa non mi dispiace, perché lui ride e io guarisco. 

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Capitolo 23
*** Non te ne andare ***


Harry

«Aspettami qui». Aiuto Chloe a sedersi sul divano, dopo aver fatto tre piani a piedi con enorme fatica.

Non so se abbia bevuto troppo o se non sia in grado di reggere l'alcool. Trovo più plausibile la seconda opzione, mentre la osservo appoggiarsi all'indietro.

Chloe è qui.

Mi ha chiamato ed è qui. 

Stavo dormendo, ero a casa di mio padre, e non ho nemmeno guardato chi mi stesse chiamando quando il telefono si è messo a squillare. Ero convinto fosse quell'idiota di Larry, ma sono rimasto di sasso quando, invece, ho sentito la sua voce.

Credevo che non mi avrebbe più cercato, che fosse il caso di lasciarla stare ma, contrariamente a quanto pensavo, l'ha fatto. Non so se mi ha chiamato perché non ha nessun altro qui, ma voglio pensare che avesse bisogno di me. Dopotutto avrebbe benissimo potuto non chiamare nessuno, ma ha chiamato me. Deve voler dire qualcosa.

Le prendo una bottiglietta d'acqua dal frigo, ma mi blocco quando sento della musica arrivare dal soggiorno. La raggiungo e la trovo in piedi vicino allo stereo, che ha appena acceso. «Vieni qui», mi dice, con aria tranquilla quando si accorge della mia presenza.

Si è tolta le scarpe ed è a piedi nudi sul tappeto di fronte al divano. È assolutamente bellissima anche con l'aria stravolta dalla serata. «Tieni». Le porgo la bottiglietta, che lei prende e lascia andare dietro di sé. Non ho idea di dove sia finita perché sono letteralmente incantato dai suoi movimenti e dal suo sguardo.

«Fammi ballare, Harry». Improvvisamente sembra un'altra persona. Più sfrontata, più sicura di sé e per niente turbata dagli eventi della vita.

«Tu sai ballare?», le domando, quando è ormai ad un passo da me.

«No, ma ero andata in quel locale per ballare, alla fine non l'ho più fatto...» Continua a sorridere e io continuo a guardarla. «E tu, sai ballare?» Appoggia una mano proprio dove il mio cuore ha iniziato a martellare più forte, guardandomi dritto negli occhi.

«Nemmeno un po'». Anche l'altra sua mano arriva su di me, le fa scorrere lentamente sulle spalle fino a farle incrociare dietro alla mia nuca e mi tira un po' di più verso di sé, mentre la musica riempie la stanza.

Nothing goes as planned  
Everything will break  
People say goodbye  
In their own special way  
All that you rely on

Appoggia la testa sul mio petto e io la stringo a me. Non dovrei farlo, non dovrei approfittarmi di questa situazione. So che, se non fosse ubriaca, non farebbe mai quello che sta facendo, eppure non riesco a fermarmi.

And all that you can fake  
Will leave you in the morning  
But find you in the day

«Non lasciarmi andare, Harry». La sua voce è a malapena udibile, un sussurro, una supplica, e per tutta risposta posso solo stringerla di più.

Oh you're in my veins  
And I cannot get you out  
Oh you're all I taste  
At night inside of my mouth  
Oh you run away  
Cause I am not what you found  
Oh you're in my veins  
And I cannot get you out

Questa canzone sembra voler dire troppe cose, e io sto perdendo la testa con il suo corpo stretto al mio, mentre ondeggiamo lentamente; inoltre quelle parole mi entrano nel cervello come proiettili, distruggendo la mia precaria stabilità mentale.

Everything will change 
Nothin' stays the same 
And nobody here's perfect 
Oh but everyones to blame 
All that you rely on

E, quando si allontana appena per guardarmi, i suoi occhi sembrano accendersi e la sensazione del suo corpo sul mio, del suo sguardo nel mio, accende anche me. 

Ogni parte di me. 

Poi la sua espressione cambia, come se avesse paura.

Oh you're all I taste 
At night inside of my mouth 
Oh you run away 
Cause I am not what you found 
Oh you're in my veins 
And I cannot get you out. 
No I cannot get you out. 
No I cannot get you.

«Stai bene, Chloe?» Lo dico piano, a voce bassa, per non farla agitare di più. Non vorrei che scappasse proprio in questo momento.

Ma lei non risponde, resta solo a guardarmi e nei suoi occhi posso vedere emozioni contrastanti, è come se riuscissi a leggere tutto quello che prova. Vedo il dolore e la sofferenza, vedo l'indecisione e i dubbi che la assillano, ma vedo anche chiaramente il desiderio che si concentra in quegli occhioni luminosi che continuano a fissarmi.

«Chloe, parlami». Provo ad insistere, la richiamo, ed è come se ritornasse alla realtà. Non balliamo più, anche se la canzone non è ancora finita, noi siamo fermi. 

Io tengo stretta lei. 

Lei apre le mani, poggiando i palmi sulla mia nuca e non riesco più a pensare ad altro che a baciarla di nuovo. Mi sta spingendo verso di sé e so che non dovrei, è ubriaca, non so nemmeno se si renda conto di quello che sta facendo, ma cazzo! Ho decisamente troppa voglia di lei. Le sue labbra sono lì, sento il suo respiro sulle mie labbra e alla fine tento di ripulirmi la coscienza come posso. «Posso fermarmi quando vuoi», le dico, quando ormai le mie labbra stanno sfiorando le sue, anche se non credo di poterlo realmente fare.

«Non voglio che tu lo faccia». Lo dice piano, come fosse un segreto, ed è quello che la mia bocca stava aspettando per avventarsi sulla sua. Per un attimo tutto scompare: le paure, i pensieri, i problemi, non c'è niente, tranne lei tra le mie braccia, che si lascia andare, che non oppone più resistenza, e io mi prendo tutto quello che posso mentre torno a sentire lo stesso bisogno disperato, lo stesso desiderio che ho provato la prima volta che l'ho baciata.

Lei mi stringe di più e il suo gesto non fa altro che riscaldare ulteriormente il mio corpo, già messo a dura prova da tutta questa situazione ma, quando inizia ad indietreggiare, sento suonare un enorme campanello d'allarme nella mia testa. Sta andando verso il divano, senza mai staccare le sue labbra dalle mie e, quando sento provenire dalla sua bocca un gemito strozzato, so che è arrivato il momento di dire basta, prima che per me arrivi il punto del non ritorno.

«Chloe aspetta un attimo...» Lei mi guarda confusa, e io ho paura di dire o fare qualsiasi cosa che possa farla scappare. «Aspetta qui... torno subito, vado un attimo in bagno, devo... devo prendere una cosa». Lei sorride maliziosa, credendo di sapere a cosa io mi stia riferendo, ma non ne ha alcuna idea.

«Ok... fai in fretta». Si lascia andare all'indietro sulla superficie morbida del mio divano, che domani vedrò sotto una luce diversa - visto che lei non aveva solo intenzione di starci seduta.

Mi segue con lo sguardo mentre mi allontano, facendo dei profondi respiri; mi dirigo in bagno e, dopo aver chiuso la porta, mi ci appoggio contro, chiudendo gli occhi per la frustrazione. «Cazzo, cazzo, cazzo!» Devo riuscire a calmarmi, il rigonfiamento nei miei pantaloni sta soffrendo parecchio e non posso tornare da lei in queste condizioni. «Cazzo!» Mi avvicino al lavandino e apro l'acqua fredda, gelata, la faccio scorrere sulle mani, con le quali mi bagno la faccia, il collo, la nuca per provare a calmare i bollenti spiriti.

L'ho sognato già troppe notti che tutto questo succedesse, ma non voglio che sia così. Mi odierebbe se lo permettessi, ma allo stesso tempo non voglio rifiutarla, perché ho paura di combinare qualche disastro che rovinerebbe tutto.

«Cazzo!» Non riesco a dire altro per sfogare la mia frustrazione, mentre resto con le mani sul bordo del lavandino, in attesa che qualche miracolo possa intervenire a salvare la situazione.

E quasi cado per terra dallo spavento quando sento bussare improvvisamente con forza alla porta. «Harry, apri ti prego!» Corro ad aprire e lei si fionda dentro la stanza come un fulmine, e a quel punto capisco cosa sta per succedere. 

«Vieni qui». In fretta la direziono verso il gabinetto, sul quale si china appena in tempo per rigettare ogni cosa contenuta nel suo stomaco. «Sei una mezza sega, Stewart», le dico ridendo, quando l'aiuto a rialzarsi.

«Ti prego... non è proprio il momento...», mi dice, chinandosi sul lavandino per sciacquarsi la bocca, e rido quando la vedo mettersi un po' di dentifricio sul dito per lavarsi i denti. «Vedo che la cosa ti diverte...», dice, prima di infilarsi quel dito in bocca.

«Più di quanto immagini», rispondo, per poi uscire subito dopo dal bagno. Non potevo guardarla così piegata sul mio lavandino dopo che sono riuscito a fatica a calmarmi.

Vado in camera mia a prendere qualcosa per cambiarmi e preparo sul mio letto qualcosa anche per lei, poi recupero una coperta dall'armadio e torno in soggiorno.

«Mi dispiace, Harry». La sua voce mi fa voltare nella sua direzione e riesco a vedere quanto sia mortificata per poco fa.

«Va tutto bene, Chloe. Ti ho preparato qualcosa sul letto in camera mia per cambiarti, puoi dormire lì». Cerco di rassicurarla, ma non aspetto una sua risposta e mi volto verso il divano per posare l'altra coperta.

«Harry, no, dormirò io sul divano, non devi preoccuparti per me», È evidentemente tesa, ma non voglio che lo sia.

«Com'è che sei così gentile? Per caso, quando hai vomitato, hai buttato fuori la tua acidità?» Alza gli occhi al cielo, ma le spunta un piccolo sorriso, e a me basta questo per sapere che sto facendo la cosa giusta.

«Eres increiblemente...», si ferma, come se cercasse la parola migliore da dire, per poi finire la frase con stizza, «increible!»

Si allontana di gran fretta mentre io le urlo dietro: «È un complimento, vero?» E rido, quando la vedo tornare indietro con aria indispettita.

«Dov'è la tua camera?» Ha i pugni chiusi lungo i fianchi, ma so che non è realmente arrabbiata.

«È quella». Le indico la stanza alle sue spalle. Si volta e se ne va. «Buonanotte, Chloe!» Dico a voce alta, prima che sparisca dietro la porta.

Prendo il cellulare e avviso sua sorella che Chloe è qui con me, prima che chiami la guardia nazionale, poi mi sistemo per andare a dormire.

Sperando di riuscire a dormire.

***

Mi sveglio di soprassalto. Qualcuno sta urlando e ci metto un secondo a capire che non è qualcuno: è Chloe che sta urlando. Mi alzo velocemente per andare di corsa nella mia stanza. Apro la porta e la trovo rannicchiata sul letto che piange. Mi siedo accanto a lei e la prendo tra le braccia nella speranza di consolarla.

«Chloe è stato solo un incubo». Sembra che non mi senta, sembra che nemmeno mi veda. «Chloe va tutto bene, sono qui...» Continua a piangere, singhiozzando, e io non mi sono mai sentito così impotente. «Chloe sono qui... va tutto bene...» Non mi fermo, continuo a ripeterglielo senza sosta, fino a che, qualche minuto dopo, sembra calmarsi.

Il suo corpo da rigido inizia a rilassarsi sotto le mie carezze ripetute, si appoggia su di me con la testa e afferra la mia maglietta per stringerla in un pugno. «Sono qui», le dico ancora, quando sono certo che mi stia ascoltando.

«Non te ne andare», mi risponde subito lei, con un tono che è una chiara richiesta d'aiuto, stringendo ancora di più la sua mano intorno alla stoffa della mia maglietta.

«Non vado da nessuna parte, Chloe». Salgo meglio sul letto sistemandomi dietro di lei, che pare proprio non volermi lasciare andare, e a me sta decisamente bene.

Si aggrappa al mio corpo come se ne andasse della sua vita, mentre ci sdraiamo l'uno accanto all'altra sul mio letto. In silenzio, al buio, con il suo corpo che aderisce perfettamente al mio, quasi a completarlo, mentre provo a pensare se potrei fare qualcosa di più per lei, per alleviare il suo dolore.

«Grazie», sussurra piano, e io posso solo stringerla, accarezzarla e farle sentire che ci sono, fino a che sento il suo corpo completamente rilassato, il suo respiro regolare. Sta dormendo, ed è incredibile la sensazione che provo nell'averla qui con me, totalmente indifesa, e finalmente un po' zitta.

***

Credo di aver passato la notte più serena da diverso tempo a questa parte, non ricordo nemmeno più quando è stata l'ultima volta che mi sono svegliato così di buon umore.

Mi muovo appena per non svegliarla, ma la gamba mi sta facendo impazzire, è bloccata dalla sua e mi fa male, ma non voglio assolutamente rompere questa tranquillità che si disintegrerà non appena lei aprirà gli occhi.

Provo una strana sensazione nello svegliarmi nel mio letto con lei accanto. Non è la prima volta che mi sveglio con una ragazza nel mio letto, ma è una novità che io ci abbia solamente dormito.  
Sento il suo profumo da qui, ed è una sensazione piacevole.  
Sento il calore del suo corpo, ed è una sensazione ancora più piacevole, tanto che ho di nuovo voglia di baciarla.

Mi avvicino un altro po', le sfioro il viso per poi spostare una ciocca di capelli dalla sua guancia. Si muove appena sotto il mio tocco e apre gli occhi lentamente, mi guarda, per poi sorprendermi con un enorme sorriso.

«Ehi... come ti senti?», le chiedo a bassa voce.

«Come se mi fosse passata una pressa sopra la testa... ma sto meglio». Richiude gli occhi stringendo a sé il cuscino.

«Hai fame?», le domando, mentre la mia mano scivola sulla sua pancia per tirarla a me.

«Harold... Dove mi trovo?» Sorrido alla sua domanda. Avrei dovuto immaginare che sarebbe stata frastornata stamattina.

«Sono venuto a recuperarti ieri sera, eri parecchio fuori di te. Non hai voluto tornare a casa tua. Sei nel mio letto». Sento che questo momento sta per svanire, quindi continuo ad accarezzarla fino a che me lo permette, per non perdermi nemmeno un attimo con lei.

«E perché siamo così attorcigliati?» Mi stupisce che non si sia ancora messa a sbraitare, ma sono contento che non lo stia facendo.

«Perché abbiamo fatto l'amore tutta la notte». Nel sentire le mie parole, il suo corpo reagisce come una molla scattando in avanti, mentre la sua mano aperta finisce direttamente sulla mia faccia, nel tentativo di allontanarsi. «Ahia!» Mi lamento come un bambino.

«Che diavolo stai dicendo?» Non riesco a non ridere della sua espressione e, a quel punto, lei capisce che stavo scherzando. «Sei un cretino, Stevens!» Mi lancia il cuscino che aveva portato con sé e resta in piedi, al fondo del letto.

«Credi davvero che mi sarei approfittato di te?» La sua espressione si ammorbidisce mentre mi ascolta. «Hai avuto un incubo e mi hai chiesto di restare con te, tutto qui». Sono certo che la sua mente abbia preso a vagare alla ricerca di qualche ricordo a conferma delle mie parole. «Vieni qui adesso...», batto la mano sul materasso accanto a me, «così puoi scusarti per avermi colpito». Non sembra molto convinta, ma io non voglio cedere su questo. «Stavo avendo un ottimo risveglio, fino a quando non sei schizzata in piedi, quindi torna qui e concedimi quel risveglio, credo di meritarmelo». Lei mi osserva con aria confusa.

«Credi di meritarlo?» Incrocia le braccia al petto, ma continua a rimanere laggiù, al fondo del letto.

«Sì, Chloe, credo proprio di meritarlo. Mi hai svegliato ieri sera, sono venuto a recuperarti prima che combinassi qualche casino, ti ho tenuto la testa mentre vomitavi nel mio bagno...»

«Ho vomitato?», mi domanda, con aria disgustata.

«Oh sì. E, cosa molto importante, ho avvisato tua sorella che eri qui». I suoi occhi si spalancano non appena finisco di parlare.

«Merda! Reb! Davvero l'hai avvisata?» mi chiede speranzosa.

«Certo che l'ho fatto!» Ricordo quando quella sera mi ha detto che la fa sempre preoccupare, e ho pensato che, se l'avessi avvisata, non sarebbe successo qualche casino tra loro due.

«Oddio... grazie, Harry!» È decisamente sollevata da questa notizia e io ne approfitto subito.

«Per ringraziarmi dovresti tornare qui e lasciarmi il tempo di svegliarmi come si deve». I tratti del suo viso iniziano a distendersi lentamente, fino a mostrare un piccolo, piccolissimo sorriso, ma tanto basta perché io rincari la dose. «Forza, vieni qui». La invito di nuovo più dolcemente e alla fine cede, salendo di nuovo sul letto, ma è ancora troppo lontana da me. «Ho bisogno di te, qui». Voglio abbracciarla come poco fa, voglio sentirla ancora vicina.

Resta a guardarmi per un paio di secondi, poi si convince e torna ad occupare il posto di prima, così da permettermi di riuscire ad infilare un braccio sotto il suo collo e l'altro sul fianco, fino alla pancia, così riesco a portarla contro il mio corpo. Adesso entrambi siamo consapevoli della presenza dell'altro, e lei è decisamente più rigida di prima.

«Ho... ho fatto, o detto, qualcosa ieri sera?» La sua voce è incerta e preoccupata. Pare che davvero non ricordi niente e io mi sento in difficoltà.

Devo dirle la verità? Devo raccontarle di quel gioco delle domande? Devo dirle che ci siamo baciati di nuovo?

«Non ricordi proprio niente?» Provo a sondare il terreno per vedere dove posso arrivare.

«Ricordo di aver avuto una pessima giornata. Volevo distrarmi, liberare la mente, e mi sono ritrovata ad andare in quel locale, ma non è servito a niente. Riuscivo solo a pensare a...» Smette di parlare e si stringe su sé stessa, aderendo di più al mio petto.

«A cosa, Chloe?», le chiedo, vedendo che non parla più. «A cosa pensavi?» Insisto, perché voglio che si confidi con me.

«A far sparire quel dolore». Non credo affatto a quello che ha detto, ma non posso insistere oltre. 

«Adesso basta pensare. Fra poco ti preparerò la colazione e vedrai che starai meglio», le dico, rafforzando un po' di più la presa intorno al suo corpo.

«È surgelata?»

«Cosa?» le chiedo.

«La colazione! È una di quelle buste che hai preso al supermercato?» Il suo tono di voce è divertito e le sue parole mi fanno sorridere.

«La colazione surgelata è ottima, credimi». Il suo corpo vibra leggermente, segno che l'ho fatta ridere. Poi restiamo in silenzio. Voglio solo godermi questi pochi minuti prima che la bolla esploda.

«L'ho sognato, Harry», mi dice dopo un po', rompendo il silenzio.

«Cosa?», le chiedo, sperando che non si blocchi di nuovo.

«Ho avuto ancora quell'incubo...» Ha detto ancora, vuol dire che l'ha sognato più di una volta. «Ho sognato la sera dell'incidente». Sono incerto se devo stare zitto oppure no, ma poi penso al fatto che mi sta parlando e non posso fare finta di niente.

«Ne vuoi parlare?» le chiedo cauto.

Non risponde subito, passano alcuni secondi, durante i quali mi dico che è meglio non insistere adesso e lasciarle il suo tempo. Alla fine mi rendo conto che era la scelta migliore, perché spontaneamente inizia a parlare.

«Era la sera del mio compleanno: Hazel e Kurt sono venuti a prendermi a casa mia e non hanno fatto che lamentarsi per tutto il tragitto del fatto che non avessi indossato un vestito quella sera... Me ne sono poi pentita di non averlo fatto...», è evidente l'amarezza nelle sue parole, «siamo stati al nostro bar, dove c'era Dylan ad aspettarci. È stata una serata meravigliosa e lui... lui mi ha cantato una canzone, me l'ha dedicata. Nei giorni successivi ho pensato a quanto fosse stata profetica quella canzone». Si ferma un attimo e non posso evitare di chiederglielo.

«Quale canzone?» Mi sorprende quando la sento posare le sue mani sulle mie fino ad intrecciarne le dita.

«Wherever you will go». Di nuovo silenzio, le lascio altro tempo, fino a che non riprende a parlare.

«Ma lui aveva un'altra sorpresa per me quella sera: abbiamo salutato tutti, siamo saliti sulla sua moto e mi ha portata fino a casa mia». La sua voce trema, carica di emozioni, e io non riesco a fare altro che tenerla stretta a me. «Siamo usciti dalla finestra della mia stanza per andare sul tetto. Lui aveva preparato già tutto: c'era un filo di luci con il quale ha avvolto entrambi, ed è stato quello il momento in cui mi ha dato il regalo, il ciondolo che porto sempre». Fa decisamente fatica a parlare, come se ci fosse qualcosa che le opprime le vie respiratorie.

«Chloe, non sei obbligata a...»

«No, Harry, lasciami finire... ne ho bisogno e... e so che posso fidarmi di te». Le sue parole mi stupiscono e mi riempiono di soddisfazione al tempo stesso.

«Siamo rimasti per un po' su quel tetto, abbracciati, in mezzo a tutte quelle luci, in silenzio, mentre, con la mia testa appoggiata al suo petto, potevo sentire il battito del suo cuore. Il bacio di quella sera è stato romantico, quasi disperato, come se entrambi avessimo capito che quello sarebbe stato il nostro bacio d'addio... Quando è arrivato il momento per lui di tornare a casa, l'ho accompagnato fino alla moto, si è messo il casco e l'ho guardato andare via». Il dolore e la disperazione nelle sue parole sono toccanti, e quando ricomincia a parlare, sembra distaccarsi dalla realtà.

*

Torno in casa, do la buonanotte ai miei genitori, poi, dopo essere stata in bagno, mi infilo il pigiama e mi metto sotto le coperte con il cellulare in mano, aspettando il messaggio di Dylan per potermi mettere a dormire. Questa giornata è stata lunga e densa di emozioni, sono davvero stanca, talmente stanca che non mi sono accorta di essermi addormentata. Mi sveglio di soprassalto perché il mio telefono sta squillando, e il cuore schizza fino in gola quando leggo che non è Dylan il nome che leggo sul display, ma quello di suo padre.

«Pronto...» Il terrore si è già impossessato di me, spero solo che ci sia un equivoco.

«Chloe...» Ma sembra che non ci sia nessun equivoco. È proprio suo padre a chiamarmi e ha pronunciato il mio nome con una disperazione tale da spezzarmi il cuore.

«Signor Peters... che succede?» Nel silenzio della notte, ogni rumore mi sembra assordante, anche il rumore del mio cuore lo è.

«Dylan...» L'aria ha smesso di entrare nei miei polmoni, il sangue ha smesso di circolare, e forse anche il tempo ha smesso di scorrere. «Ha avuto un incidente...» La vista si annebbia e la salivazione è completamente scomparsa. Vorrei riuscire a dire qualcosa, ma non ci riesco. «Siamo in ospedale... Dylan ha fatto il tuo nome prima di entrare in sala operatoria». Non importa se sono in pigiama, non importa se sono le due del mattino, e non importa se non mi sto allacciando le scarpe. Sveglio i miei genitori, avvisandoli di quello che sta succedendo, poi corro giù per le scale ignorando mia madre che continua a chiamarmi, esco sbattendo quasi la porta e salgo in macchina diretta in ospedale.

Non ho mai provato così tanta paura come adesso e devo fare appello a tutta l'adrenalina che mi scorre in corpo per poter correre da lui, perché altrimenti sarei già caduta a terra per l'angoscia che si è impossessata di ogni parte di me.

Una volta arrivata in sala d'attesa, trovo i suoi genitori nella disperazione più totale. Sua madre è seduta e non fa che piangere, suo padre cammina avanti e indietro come se fosse impossibilitato a fermarsi. Mi spiegano che un ubriaco l'ha travolto in pieno mentre tornava a casa. Non hanno chiamato subito i soccorsi perché sia Dylan, sia l'altro guidatore, hanno perso conoscenza con l'impatto, che è stato violento, e solo in un secondo tempo un altro automobilista, che passava di lì, ha avvisato il 911.

Non so quanto tempo abbiamo passato in quella agghiacciante sala d'attesa, a me è sembrato fosse passata una vita. So solo che quando il medico è tornato da noi, la sua espressione non prometteva niente di buono.

«C'erano diverse lacerazioni ed emorragie interne, ha subito dei gravi danni e ha perso molto sangue. Abbiamo fatto il possibile, ora possiamo solo aspettare». Le parole del medico sono state devastanti.

Un'altra volta tutto si è fermato, tutto è stato stravolto e io mi sono sentita morire.

Dopo averlo vegliato per un po', la madre di Dylan mi ha finalmente chiesto se volessi sostituirla. Le ho detto che sarei rimasta con lui per tutto il tempo necessario e, quando sono entrata nella sua stanza, la visione di lui attaccato a tubi e macchinari mi ha devastato ulteriormente il cuore. Ho cominciato a piangere senza nemmeno rendermene conto, poi mi sono seduta accanto al suo letto, ho preso la sua mano nella mia e ho iniziato a parlare con lui.

Ero sicura che mi sentisse, che si sarebbe svegliato e mi avrebbe sorriso, che mi avrebbe stretto la mano e che avrei sorriso nel vedere i suoi occhi aperti, ma per quanto gli parlassi, per quanto lo supplicassi, i suoi occhi rimanevano chiusi e il bip di quel macchinario, che monitorava il suo cuore, era decisamente lento.

«Ti prego... non lasciarmi... ho ancora bisogno di te... resisti...»

Non riuscivo a dire altro, come se, ripetendolo, potesse esaudire la mia preghiera.

Poi, d'improvviso, quel bip non è più intermittente, ma continuo e costante, un rumore che stride con l'intero ambiente circostante, un suono di morte, dolore e disperazione. Lo stesso dolore e disperazione che provo io stringendomi a lui piangendo e urlando, facendo accorrere i suoi genitori, i medici, e non so chi altro perché io ormai non c'ero più.

Ero morta con lui, nello stesso momento.

Per questo mi è sembrato normale allontanarmi e salire sul tetto.

Mi è sembrato normale avvicinarmi al parapetto e guardare verso il cielo.

Mi è sembrato normale resettare il cervello e concentrarmi su di lui per sentirlo vicino, per poter tornare a casa con lui.

Ma per averlo più vicino, sapevo che avrei dovuto fare ancora un passo.

L'ultimo.

Poi l'avrei rivisto e sarei rimasta con lui per sempre, senza il dolore, senza la disperazione, solo io e lui.

E all'improvviso tutto scompare. Non c'è più il cielo, non c'è più il pavimento, nemmeno il vuoto e neanche la percezione del mio corpo. Sento solo il mio nome urlato da una voce che conosco. Urlato forte, con disperazione, ma non riesco a vedere chi sia, e quando riapro gli occhi vedo solo bianco e faccio fatica a mettere a fuoco.

Mi rendo conto di essere sdraiata, su un letto credo, ma mi sento troppo debole per compiere dei movimenti. Riesco solo a girare appena la testa e, quando davanti ai miei occhi appare il volto di mia madre segnato dalle lacrime, mi rendo conto che non ce l'ho fatta, sono ancora in questo orribile mondo dove lui non c'è più.

*

Chloe ha finito di parlare, ma faccio fatica a dire qualsiasi cosa, come se le sue parole mi avessero prosciugato. Cerco di elaborare quello che mi ha appena detto, provando a rendermi davvero conto di ciò che le uscito dalla bocca, ma sono sconcertato, quasi sconvolto dalla sua confessione.

«Hai... hai tentato di toglierti la vita?» le domando incerto.

«L'ho fatto, Harry. Quella stessa notte, sul tetto dell'ospedale. È stato Kurt a salvarmi. Mi ha afferrato per un braccio poco prima che mi lanciassi nel vuoto. Sono svenuta in quel momento e non ricordo niente». Adesso sono decisamente frastornato, come se avessi preso una botta in testa. «E l'ho fatto anche una seconda volta, con i medicinali che mi aveva prescritto lo psicologo. È stato sempre Kurt, insieme ad Hazel, a portarmi in tempo al pronto soccorso. Dopo quella volta, dopo aver visto il dolore che ho causato a tutte le persone intorno a me, ho promesso loro che non l'avrei più fatto». Ogni parola che esce dalla sua bocca è decisamente sconvolgente. «Sono stata in analisi, ma alla fine ho sentito il bisogno di scappare da Montréal, dove ogni cosa mi ricordava lui. Non sono nemmeno mai stata sulla sua tomba, sai?» Mi ha davvero fatto una domanda o non è il caso che io risponda?

Le sue parole sono davvero difficili da elaborare e adesso capisco il perché della costante preoccupazione di Rebekah nei suoi confronti. Tutto quello che mi ha appena raccontato continua a vorticare nella mia testa e non trovo niente di sensato da dire.

Mi sento un vero idiota. Lei mi ha appena confessato qualcosa di decisamente importante e io non riesco a spiccicare nemmeno una parola. Poi la sento muoversi, si sta girando sul fianco fino a voltarsi completamente. Adesso è perfettamente di fronte a me, mi guarda dritto negli occhi e io mi sto impegnando per non farle capire tutto quello che le sue parole mi hanno provocato.

«Ti ho lasciato senza parole, Stevens?» Sorride appena. Un sorriso sforzato, ma è pur sempre un sorriso.

«Stewart... tu mi farai impazzire, lo sai?» Vorrei baciarla, vorrei stringerla, vorrei farle troppe cose, ma so che questo non è il momento più adatto.

Posso aspettare.

Lei si è confidata, si è aperta con me, adesso so che posso farcela. 

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Capitolo 24
*** Sconvolgente ***


È assurdo.

Tutto quanto.

Non so in che cosa mi sto cacciando, e sta diventando difficile, praticamente impossibile, fermarmi.

Lo vedo e, quando succede, non posso fare altro che corrergli incontro con tutta la forza che ho, come un treno lanciato a grande velocità che non ha più freni per arrestare la sua folle corsa, e ogni volta mi ritrovo contro di lui, spiaccicata contro di lui, tanto da non riuscire ad allontanarmi.

Proprio come sta avvenendo in questo momento, in cui mi sta guardando da questa misera distanza, mentre sono tra le sue braccia, sdraiata accanto a lui, nel suo letto, e non riesco a pensare ad altro che non vorrei essere in nessun altro posto se non qui, sotto queste lenzuola, insieme a questo ragazzo che sta curando la mia anima ferita, che sta alleviando il mio dolore trasformandolo in qualcosa di positivo.

Quando ho aperto gli occhi stamattina, mi sono resa conto quasi subito delle sue braccia tatuate intorno a me, delle sue carezze leggere e, anche se sapevo perfettamente che la situazione era piuttosto anomala, la sensazione che ho provato nello risvegliarmi nello stesso letto con Harry è stata talmente travolgente che non ho potuto fare altro che sorridere ed esserne felice, invece di dare di matto come avrei potuto fare se non avessi visto quei tatuaggi.

Ho provato una serenità che non provavo da tempo, avevo quasi dimenticato quanto potesse essere piacevole questa sensazione, una tranquillità mentale che mi permetteva di sorridere sinceramente, senza dovermi sforzare di fingere. Ancora prima di aprire gli occhi, la sensazione di benessere aveva ormai pervaso tutto il mio corpo, mi sono sentita protetta e coccolata, al sicuro, nonostante Harry sia ancora una persona nuova nella mia vita. Tutte cose che nessuna medicina, nessun tranquillante, nessuno psicologo, è mai stato in grado di fare.

L'unico a farmi stare meglio, quando mi teneva tra le sue braccia, è sempre stato Kurt, con lui ho sempre avuto un rapporto diverso. Anche Hazel è stata di grande sostegno per me, ma il mio amico Kurty è sempre stato qualcosa di speciale nella mia vita.  
Ma tutto, con Harry, passa ad un livello superiore.

È come se... come se per tutto questo tempo che ho passato al buio, io non abbia fatto altro che vagare alla cieca alla ricerca di un interruttore per poter accendere una luce, in modo da poter vedere la via giusta da percorrere, ma fallendo miseramente. Almeno fino a quando non ho incontrato Harry. Sembra che lui sappia perfettamente dove sia quell'interruttore, e che riesca anche a regolare l'intensità della luce che illumina il mio cammino... la mia vita.

È successo anche stanotte, quando ho aperto gli occhi dopo l'ennesimo incubo che riporta il mio dolore al punto di partenza, in un loop che sembra infinito, che però lui riesce a spezzare, proprio come quando è corso in questa stanza e non ci ha pensato due volte a prendermi tra le sue braccia e farmi sentire la sua presenza. Inizialmente, proprio come quando ho avuto la prima crisi di pianto con lui, non capivo cosa mi stesse dicendo, ma poi è riuscito di nuovo nell'impresa di calmarmi in meno di due minuti.

È stato spontaneo parlare con lui, confidarmi, ne ho sentito il bisogno, ho sentito che era il momento giusto e lui la persona giusta per ascoltarmi, con cui condividere i miei dolori più profondi, la mia parte più oscura, quella di cui mi vergogno e che vorrei poter cancellare.

Ed è stato meraviglioso come è rimasto ad ascoltarmi, senza mai avere quell'espressione dispiaciuta che ha di solito chi mi guarda e sa cosa sia successo. Ho potuto parlarne liberamente, sono riuscita a raccontargli ogni cosa, anche quelle più brutte, e ora che lo sa non mi sta guardando diversamente. Nei suoi occhi non c'è alcuna traccia di pietà, né di commiserazione. Quello che vedo in questo momento è luce, tanta luce, che ho voglia di seguire.

«Quindi... questa è casa tua?» Dico una cosa qualunque, la prima che mi viene in mente, perché guardarlo sta diventando troppo... troppo!

«È la casa in cui vivo... di tanto in tanto». Continuiamo a parlare praticamente abbracciati, e fatico a concentrarmi su ciò che dovrei dire, o su ciò che dice lui, perché i nostri corpi sono divisi solamente dai sottili strati di stoffa che indossiamo, e questo pensiero sta spazzando via qualsiasi altro si affacci nella mia mente.

«Non ti piace qui?» L'ha detto con distacco, come se non gli importasse.

«Non è che non mi piace... è che non è casa mia. È un posto dove vivo quando voglio allontanarmi da tutto, come potrebbe esserlo qualsiasi altro. Casa è qualcosa di diverso». Stavolta parla con più entusiasmo e mi godo appieno ogni piccola sfaccettatura di lui che riesco a cogliere nelle cose che dice.

Harry sembra sempre disinteressato a quello che accade intorno a lui, poi succede che dice qualcosa, come ha appena fatto ora, su un argomento così banale come questo sulla casa, e io mi rendo conto, una volta di più, che dietro la sua indifferenza ci sono un sacco di cose che voglio conoscere, che voglio scoprire. Non voglio fermarmi alle battute che fa, voglio andare oltre, voglio arrivare più a fondo e conoscere il vero Harry, quello che lui tiene solo per sé.

I pensieri che mi passano per la testa in questo momento sono così tanti che credo impazzirò a breve, e non vorrei alzarmi da questo letto, anche se so che dovremo farlo a momenti, perché ho paura che, una volta fuori da queste lenzuola, la pace che avvolge la mia anima svanirà, consentendo all'inquietudine di riappropriarsene.

«A cosa stai pensando, Stewart?», mi chiede con quel mezzo sorriso, che non è abbastanza ampio da mostrare le sue fossette.

«Cosa ti fa credere che io stia pensando a qualcosa?» Gli sorrido, perché sembra che lui riesca davvero a leggermi negli occhi, e cerco di deviare la sua domanda fino a che mi è possibile.

«Stai facendo un casino infernale con tutti quegli ingranaggi che si muovono dentro la tua testolina e io non ci sono abituato». Sorride un po' di più, e io con lui.

«Già... il tuo neurone solitario non sa mai con chi parlare giusto?» La sua mano si muove appena sulla mia schiena. Un movimento lento, leggero, ma così incredibilmente intenso per il mio corpo.

«Esatto! Si sta spaventando... quindi smetti di pensare a qualsiasi cosa ti stia passando per la testa e concentrati solo su di me». Ridacchio alle sue parole perché non sa che era proprio quello che stavo facendo. O forse lo sa e vuole solo fare l'idiota. Ma non voglio espormi, quindi non gli rivelerò quello a cui stavo pensando.

«Meglio non spaventarlo allora, che magari si terrorizza e ti abbandona anche lui». Non appena finisco di parlare il sorriso beffardo scompare improvvisamente dal suo volto, le sue mani scorrono via velocemente dal mio corpo e si mette seduto sul letto, mettendo giù le gambe e dandomi le spalle.

La sensazione di vuoto improvviso che mi lascia la sua lontananza è difficile da accettare e ci metto qualche secondo a realizzare la sua reazione: ho decisamente usato le parole sbagliate.

Harry resta nella sua posizione, con le spalle rigide e lo sguardo rivolto verso il basso. So di dover fare qualcosa per lui e, anche se non so più come si fa a risollevare il morale a qualcuno, sento che devo provarci. Glielo devo.

Mi alzo e mi trascino gattonando fino a lui. Mi siedo sulle mie stesse gambe, piegando le ginocchia, sistemandomi dietro la sua schiena. Gli poso una mano sulla spalla, ma lui non fa una piega. «Ho detto qualcosa che non va...» Mi sento così colpevole nei suoi confronti.

Harry non risponde, resta chiuso nel suo silenzio, ma ha fatto così tanto per me che voglio poter fare qualcosa per lui. Faccio leggermente leva sulla sua spalla per tentare di farlo voltare verso di me, ed è proprio quello che ottengo, ma quello che gli leggo sul viso fa male al cuore. Poi d'improvviso ho un flash...

*

«Sei mai stato innamorato?» Un piccolo sorriso beffardo spunta sulle sue labbra facendogli alzare un solo angolo della bocca e il suo sguardo finisce sui bicchierini al centro del tavolino, ma poi alza lo sguardo verso di me.

«L'amore è fatto solo per essere venduto nelle canzoni, nei film, nei libri, ma Chloe... l'amore non esiste». C'è una tale dose di amarezza nelle sue parole che credo la sua anima ne sia impregnata. 

«Non hai risposto alla domanda». Lui sospira, distoglie lo sguardo, sbuffa ancora, poi torna un'altra volta a guardarmi, come se volesse leggermi dentro.

«La risposta alla tua domanda è sì».

*

A quel punto sento un piccolo dolore, quasi al centro del mio petto, e non so se sia dato più dalle mie parole nei suoi confronti, per averlo messo a disagio, o dalle sue risposte.

«Harry...» Non so bene cosa dovrei dire, ma lui mi ferma prima che io possa continuare con qualche stupido sproloquio.

«Si chiama Winter...» A quel punto un altro flash nella mia mente...

*

«Come si chiamava la ragazza di cui eri innamorato?» Sapere che lui ha provato questo sentimento mi provoca sensazioni contrastanti, che non sono in grado di decifrare a causa del mio stato fisico e mentale.

Lui mi guarda, non sorride, ma allunga una mano e ingoia tutto d'un fiato il suo primo shottino. Ha risposto ad ogni domanda, ma non a questa, e la cosa mi confonde ulteriormente.

*

Le immagini di ieri sera tornano all'improvviso, come pezzi di un puzzle che devo sistemare per tentare di ricordare cosa sia successo con lui, in quel locale, e non so come sentirmi al riguardo.

«Non sei obbligato a parlarne se non vuoi...» Sono certa che si stia facendo del male per dover ricordare quella ragazza e per parlarne con me.

I suoi occhi sembrano essere attraversati dai ricordi, sono cupi e molto lontani da qui. Sta soffrendo e sembra che abbia paura, non so se di quello a cui pensa, o di rivelarmi i suoi pensieri, ma non gli avevo mai visto l'espressione che ha ora.

«Ho attraversato tre fasi da quando Winter se n'è andata...» Parla guardando nel vuoto, con voce piatta, come se tentasse di distaccarsi dalle sue stesse parole. «La prima è stata bere... alcune sere ho bevuto così tanto che non so come ho fatto a non finire in ospedale...» C'è tanta amarezza nelle sue parole, così tanta che non posso evitare di far scorrere la mia mano sulla sua spalla, avanti e indietro, come se potessi in qualche modo rassicurarlo. «La seconda è stata scopare con qualsiasi ragazza disponibile e che puntualmente ignoravo dal giorno dopo, solo per farle soffrire, come se fosse una cosa che facessi a lei...» Le sue parole mi rivoltano lo stomaco sottosopra per la sofferenza che traspare dal suo tono di voce, per il senso stesso di ciò che ha detto, e per un milione di altre cose che mi passano velocemente per la testa, di cui nessuna piacevole.

Sembra poi fermarsi, non so se per decidere cosa dire, o se abbia deciso di non parlare più, e io sto impazzendo perché vorrei davvero sapere il resto, ma non voglio forzarlo perché è evidente quanto questo argomento sia difficile per lui. E la cosa mi provoca sentimenti contrastanti, voglio che mi racconti, ma non voglio sentire parlare di altre ragazze, voglio sapere cosa prova, ma non voglio che soffra e, alla fine, vince la mia curiosità.

«E la terza fase?», gli chiedo cauta, quasi a bassa voce.

Per un attimo sembra ancora lontano, poi alza lentamente lo sguardo e posso tornare a perdermi in quel bellissimo verde, che adesso sta guardando me, e posso dire con certezza che lui è tornato qui, in questa stanza, con me.

«È quella che sto vivendo adesso... sto riprendendo in mano la mia vita... sto lottando per essere di nuovo felice...»

Sconvolgente.

Non saprei come altro descrivere la sensazione che le sue parole, unite al suo sguardo, mi stanno facendo provare. Vorrei chiedergli di più, tipo a cosa si riferisce quando dice "adesso", ma non so fare altro che guardarlo e so che sta succedendo ancora. Quella cosa che succede sempre quando mi guarda come sta facendo ora, e io non cosa dire, non so nemmeno se devo dire qualcosa...

«Adesso che ci siamo tolti tutti i dubbi... possiamo passare ai vestiti?» Resto immobile, paralizzata e ipnotizzata da ciò che ha detto, da ciò che riesce a farmi sentire su ogni piccolo centimetro del mio corpo, anche quelli che lui non può vedere.

Per un attimo dimentico tutto, per un breve attimo sento che potrei davvero lasciarmi andare e darmi una possibilità, potrei essere felice anche io, potrei essere felice con lui, ma è solo un attimo, troppo breve per essere preso davvero in considerazione.

«Harry...» Non so bene cosa dire, ma cerco di prendere tempo.

«Nemmeno per farmi vedere i tuoi tatuaggi?» Adesso sorride, alleggerendo notevolmente il momento diventato troppo intenso e non posso che sorridere con lui.

«Scordatelo Stevens...»

«Sei davvero noiosa, Stewart... eri molto più divertente ieri sera», mi dice, alzandosi dal letto per andare verso la porta.

«Che ho fatto di divertente?» Lui si volta verso di me e mi guarda con aria divertita, mentre afferra la maniglia con la mano sinistra.

È bello.

Semplicemente.

Anche se si è appena alzato e ha fatto una nottataccia a causa mia. Sono più che certa di essere uno straccio, ma lui no. Il suo sorriso, le sue labbra, i suoi occhi, il suo viso, tutto è così perfetto, persino i suoi capelli che, anche se sono lunghi, non sono affatto in disordine come lo saranno sicuramente i miei.

«Scordati che ti risponda, Stewart». Abbassa la maniglia e si volta per uscire dalla stanza.

«Dove vai ora!?» Urlo per farmi sentire, quando mi accorgo che ha deciso di allontanarsi.

«A scongelare la colazione!» Urla lui a sua volta con un tono totalmente diverso da poco fa, quando era completamente preso dai suoi ricordi. Un tono finalmente beffardo, quello che mi piace di lui.

Resto ferma dove mi trovo, ancora piegata sulle ginocchia, e so che dovrei alzarmi da questo letto, ma non ne ho ancora intenzione. Adesso che sono sola in questa stanza, e che tutte le mie attenzioni non sono calamitate da lui, mi guardo intorno alla ricerca di qualsiasi dettaglio mi porti a conoscerlo meglio.

Alle mie spalle c'è una parete di mattoni grezzi con una grande finestra che dà sulla strada, il bianco è il colore predominante del resto della stanza ed è anche quello del comodino, sul quale c'è solo una piccola lampada. Mi alzo dal letto e apro le ante dell'armadio, in cui regna il caos assoluto. I suoi vestiti sono buttati a caso qua e là, e il suo profumo è ovunque qui dentro.

Ed è dentro all'armadio, dove non posso trattenermi dal prendere un maglione blu e portarlo vicino al mio viso per inspirarne il profumo a pieni polmoni. È impregnato nella tuta che indosso, quella con cui ho dormito. Era sul cuscino e tra le lenzuola dove mi sono poi risvegliata, con lui decisamente vicino a me. Lui sa di vita, di gioia, di speranza, di possibilità, di infinito. È questo tutto quello che provo, e che sento, quando la sua presenza mi priva di tutto il brutto che c'è nella mia testa.

Richiudo e recupero i miei vestiti di ieri sera, ma non vorrei davvero cambiarmi, mi sento bene con la sua tuta addosso, anche se è troppo grande, ma sa di lui ed è come averlo con me.

Esco dalla stanza per recarmi in bagno e lo trovo in cucina, indaffarato a trafficare con le manopole del forno mentre borbotta qualche imprecazione incomprensibile.

«C'è qualche problema?», gli chiedo, con tono canzonatorio?

«Nessun problema», risponde, mentre mi guarda con un sorrido davvero stupido. «Me la sto cavando perfettamente». È chiaramente una balla, ma non voglio chiedergli se ha bisogno d'aiuto.

«Ok... il bagno è quello?» Indico la porta alla mia sinistra.

«Hai bisogno d'aiuto?», mi domanda, avvicinandosi.

«No, Stevens, sei tu che ne hai bisogno... sicuro che sia tutto a posto con quel forno?» Mi allontano da lui, che sembra non volersi fermare.

«Conosco il mio forno, so esattamente quello che sto facendo...» Arrivo davanti alla porta del bagno e riesco ad infilarmici dentro, chiudendogli quasi la porta in faccia. «Dai, apri la porta, devo vedere quei tatuaggi!» Mi urla da dietro la parete di legno.

«Nei tuoi sogni!», gli dico, per poi posare i miei vestiti sul ripiano del lavandino, darmi una sciacquata alla faccia con l'acqua fredda e legarmi i capelli con uno dei suoi elastici che ho trovato sul ripiano dello specchio.

Altri brevi flash di ieri sera mi tornano alla mente, come quando gli ho chiesto di passare la notte qui da lui. Non ricordo cosa o quanto ho bevuto, ma non reggo affatto bene l'alcool e il mal di testa sta diventando più insistente, forse per ricordarmi di quanto sia stata stupida.

Ero fuori di me, la testa aveva iniziato a vagare senza che riuscissi in alcun modo a fermarla, e il dolore era diventato insopportabile. Ma tutto si è immediatamente ridimensionato quando lui ha iniziato a farsi strada tra i ricordi; la sua presenza, poi, ha fermato completamente la giostra dei miei pensieri.

Mi sforzo, tentando di ricordare altre cose, tipo perché l'ho chiamato o perché gli ho fatto quel genere di domande, o ancora cos'è successo prima di mettermi a dormire. Spero di non aver combinato niente di imbarazzante o stupido, perché lui mi ha detto che ero molto più divertente ieri sera.

Infilo la mano nella tasca della giacca e recupero il mio cellulare. Non ricordavo di averlo spento, forse l'ha fatto lui, cerco il nome di mia sorella tra i contatti e faccio partire la chiamata.

Mi guardo intorno anche in questa piccola stanza e noto che nemmeno qui c'è niente che mi possa parlare di lui, a parte il suo spazzolino e il disordine che regna sulla parete della doccia, con asciugamani e accappatoio abbandonati.

«Ehi... stai bene?» Risponde al secondo squillo con voce più che preoccupata.

«Sì, Reb, sto bene...»

«Quando ho letto il messaggio di Harry io...» Sono certa che mi stesse per dire che si è preoccupata da morire, ma quasi tutti ormai fanno sempre attenzione alle parole quando si tratta di me. «Dove sei adesso?», mi domanda poi, cambiando discorso.

«Sono ancora qui, da lui. Ti ho chiamata per non farti preoccupare, Reb... sto bene, davvero». La sento sospirare e le do qualche secondo di tempo per rendersi conto delle mie parole.

«Quando torni?», mi chiede dopo un po'.

«Non lo so, adesso sono in bagno, lui è di là che sta preparando la colazione...» Le mie parole vengono interrotte dalla sua fragorosa risata. «Perché stai ridendo?», le chiedo confusa.

«Harry Stevens sta preparando la colazione? Lo stesso Harry Stevens che conosco io?» Poi sento la sua voce più lontana, sta parlando con qualcun altro. «Mia sorella ha detto che Harry sta preparando la colazione...» Subito dopo la voce di Reb sento una sonora risata maschile, una di quelle risate di gusto, vere e spontanee.

«Che succede?», le chiedo.

«Zach sta ridendo, o meglio: sta morendo dal ridere». Anche il tono di voce di mia sorella è decisamente divertito.

«Insomma che avete da ridere?» Sto praticamente ridendo anche io nel sentire loro due.

«Harry non è capace ad allacciarsi nemmeno le scarpe, figuriamoci a preparare la colazione...» Questa è la voce del suo amico, poi sento di nuovo mia sorella. «Davvero Chloe, è assolutamente fuori dall'ordinario che Harry stia facendo una cosa del genere». Credo che stiano esagerando, non penso che non sia in grado di badare a sé stesso, dopo tutto vive da solo.

«Ok... ascolta Reb, ci sentiamo più tardi?» Decido quindi di non dare loro corda e taglio corto questa assurda conversazione.

«Va bene, Chloe... solo ... stai attenta...» Sorrido nel sentire l'apprensione nella voce di mia sorella.

«Anche tu, ciao». Ci salutiamo e resto per un attimo a fissare il vuoto, mentre torno a pensare a ieri sera, tentando di ricordare come siamo arrivati qui. Credo con la sua auto, ma non ci giurerei.

Poi, d'un tratto, i miei pensieri vengono interrotti.

«Cazzo!» La sua voce, che impreca ancora, mi porta a voler uscire dalla stanza per controllare cosa stia succedendo, e la scena che mi si presenta è meravigliosa.

C'è lui che continua a pronunciare espressioni piuttosto colorite davanti al forno aperto, dal quale esce una notevole quantità di fumo.

«Sei riuscito a bruciare una banalissima colazione surgelata?», gli dico con aria divertita, e lui si gira con uno sguardo davvero infastidito. Forse Rebekah e Zach non avevano tutti i torti.

«Perché non apri la finestra invece di prendere per il culo?» Faccio come mi dice, senza smettere di sorridere, ma quando alzo la sottile lastra di vetro verso l'alto, guardo verso il basso e, per un istante, torno ad essere la Chloe di ieri sera, quella che respinge la vita a tutti i costi.

«È tutto a posto, Chloe?» La sua voce è molto più vicina, adesso, e mi permette di tornare indietro sui miei passi, di tornare a sorridere accanto a lui, che adesso è a pochi centimetri da me.

«Sì... è tutto a posto». D'improvviso mi viene il dubbio... se ho fatto bene a confidarmi con lui, ma far uscire quelle parole dalla mia bocca mi ha fatto sentire libera da un peso. Spero solo che adesso non sia Harry a portare quel peso per me. «Tranne la tua colazione surgelata». Scuote appena la testa alzando gli occhi al cielo, poi si allontana dandomi poi le spalle mentre cammina verso la sua camera.

«Ti porto a casa a cambiarti poi andiamo a fare colazione». Aggrotto le sopracciglia alla sua affermazione e gli corro dietro, fermandomi ad un paio di passi da lui.

«Che cosa?», gli domando confusa. Lui si ferma poco prima di entrare in camera sua e si volta a guardarmi.

Indossa il pantalone di una semplice tuta grigia, piuttosto consumato, e una banalissima t-shirt bianca, con scollo a V, è a piedi nudi, con i capelli scompigliati e uno strato di barba praticamente inesistente. Il suo sorriso è appena accennato, le sue labbra sono sollevate per metà solo da un lato, e giuro di aver sentito di nuovo qualcosa nel mio cuore, ma non era il rumore di qualcosa che si rompe, è più come qualcosa che rinasce, che risorge dalle proprie ceneri.

«Sei per caso diventata sorda?» Mi guarda come se arrivassi da un altro pianeta.

Faccio appello alla poca forza di volontà rimasta vagante nella mia testa e tento di rispondere a tono. «Ho sentito benissimo... è solo che mi chiedevo da quand'è che ti senti in diritto di darmi ordini...» Voglio vedere proprio come te la cavi adesso, Stevens...

Non risponde subito, resta a guardarmi per qualche secondo, poi fa gli ultimi due passi che gli mancano per raggiungermi e parla solo quando il suo viso è ormai a pochi centimetri dal mio. «Da quando mi hai dimostrato che sei in grado di perdere il controllo...», si sta riferendo sempre al fatto che ieri sera ho bevuto troppo? «e da quando ho scoperto che non sei capace di divertirti...» Il suo sorriso beffardo mi fa salire il sangue al cervello e riesce ad accendere quella scintilla che mi fa sentire viva.

«Io sono capace di divertirmi!» La mia voce esce decisamente stizzita, perché la sua capacità di leggermi dentro è assolutamente incredibile, e io non lo sopporto perché non riesco a nascondermi da lui.

«Ubriacandoti e vomitando nel mio bagno?» Sì, si sta divertendo, e tanto anche, dal momento che io non so cosa rispondere. «Scommettiamo che sono in grado di farti divertire come non ti sei mai divertita in tutta la tua vita?» Mi sta sfidando, lo fa sempre, e io non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro.

«Non ti sembra di spararle un po' troppo grosse?» Lui si avvicina ancora un po', riesco quasi a sentire il suo fiato sul mio viso e, se non si allontana in fretta, probabilmente perderò davvero il controllo.

«Hai per caso paura di perdere, Stewart?» Forse sarei contenta di perdere, forse sarei contenta di perdere il controllo, anzi... vorrei davvero lasciarmi andare, perché quando lui mi è così vicino io perdo letteralmente la testa.

«Nient'affatto». Non so con quale forza riesco a rispondergli, ma ce la faccio.

«Allora passa ventiquattro ore con me... ventiquattro ore in cui non dovrai fare altro che dirmi sempre di sì...»

Le sue parole mi incantano e allo stesso tempo mi terrorizzano. Ho paura, è vero, ma la mia voglia di scoprire cosa lui ha da offrirmi è decisamente più forte.

«Ok...» Risposta semplice e inequivocabile, ma sono con lui, niente può andare storto. 

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Capitolo 25
*** Sento puzza di bruciato ***


Amo questo mix di suoni che sembrano ricreare una melodia perfetta.

Il suono del silenzio: quello che c'è nella mia testa in questo momento, seduta accanto a lui, sul sedile passeggero della sua auto, mentre è concentrato alla guida, in direzione dell'appartamento che condivido con mia sorella.

Il suono del battito del mio cuore: lento e regolare, senza sussulti improvvisi a causa di ansie o paure, a causa dei sensi di colpa, che lo portano quasi a voler uscire dalla cassa toracica quando i miei pensieri prendono il sopravvento.

Il suono della sua voce: sentirlo parlare, ridere o, come adesso, canticchiare una canzone di Michael Bublè che sta passando alla radio. E, a proposito di Bublè, devo ricordarmi di prendere il suo CD natalizio per mia sorella che ha una vera e propria fissa per lui.

È passato poco più di un mese da quando sono qui a Boston, da quando, quella sera, sono atterrata in questa città. Serata nella quale ho avuto due incontri che hanno stravolto tutto ciò che mi ero proposta. Prima Dylan numero due, con cui non sapevo, e non so tutt'ora, come rapportarmi, e poi Harry, che è diventato ormai una costante per me. Nonostante lo abbia respinto più volte, nonostante abbia tentato di imporre a me stessa la sua assenza, lui è sempre presente e non solo nei miei pensieri.

«Non ti va mai a fuoco il cervello?» La sua battuta sarcastica mi porta a voltarmi verso di lui.

Ha i capelli legati e un sorriso beffardo che non fa altro che confermare quanto riesca ad essere indisponente.

«Tu non corri di certo questo pericolo». Rispondo a tono, perché lui riesce sempre, in un modo o nell'altro, a tirar fuori la mia grinta e la mia voglia di reagire.

«Come tu non corri il pericolo di divertirti». Non ho una risposta per questo e lui lo sa, dato che continua con le sue domande. «Quand'è stata l'ultima volta che ti sei rilassata al punto da riuscire a goderti la giornata?» Il suo sguardo è sempre rivolto in avanti, verso la strada, eppure quando mi dice questo genere di cose, lo sento su di me, anche se non mi sta guardando direttamente. È come se riuscisse ad entrare direttamente nella mia anima dalla porta principale, senza neanche chiedere il permesso.

«Beh, ma ieri sera...»

«Oh, per favore Chloe...», mi interrompe, mentre cerco di accampare qualche scusa, «quello di ieri sera non era divertirsi... quello che hai fatto lo conosco molto bene e si chiama annebbiarsi la mente, ma ti assicuro che non serve a un cazzo». Ha ragione, ha pienamente ragione, ma non ho alcuna intenzione di assecondarlo.

«A proposito di ieri sera...» Riesco ad evitare di rispondere chiedendogli una cosa che mi interessa particolarmente. «C'è qualcosa che dovrei sapere?» Per un attimo ho l'impressione che il suo viso cambi espressione, sembra diventare più serio rispetto a poco fa, come se fosse indeciso se parlare o meno, ma poi, quando si ferma al semaforo, si volta a guardarmi con quel suo solito sorriso beffardo.

«Vuoi sapere se hai fatto qualcosa di sconveniente?» La malizia nel suo tono di voce è palese, ed è ovvio a cosa stia alludendo. «Tipo baciarmi?» Ha la mano sinistra sul volante, la destra sul cambio, è ancora leggermente voltato nella mia direzione e alla fine succede ancora: quella cosa per cui non riesco a smettere di guardarlo, quella stessa cosa per cui i suoi occhi diventano più intensi e profondi, nei quali vorrei perdermi fino a non ritrovarmi più.

Ma il momento viene interrotto dall'improvviso strombazzare di un clacson alle nostre spalle. Il semaforo è diventato verde e noi non ce ne siamo accorti, troppo presi da noi stessi. «Vaffanculo!» Impreca Harry. Talmente presi che non siamo nemmeno riusciti a fare una stupida battuta, ma ora che Harry ha ripreso a guidare e i suoi occhi sono di nuovo puntati in avanti, riesco a ritrovare la lucidità necessaria per tornare a volere una risposta.

«Pensi di rispondere alla domanda?», gli chiedo. Vedo il suo viso solamente di profilo, ma si sta aprendo un gran sorriso sulle sue labbra fino a mostrare la fossetta sulla guancia.

Lancia velocemente uno sguardo nella mia direzione, poi torna con gli occhi sulla strada. Siamo quasi arrivati, manca pochissimo ormai, e ho il dubbio che non mi darà alcuna soddisfazione.

«Credo che non lo farò». Il suo tono di voce divertito mi spinge a guardarlo e sta sorridendo.

Sta sorridendo, e a me piace quando lo fa. Mi piace davvero troppo.

«Sei davvero un cattivo ragazzo». Un'ultima svolta e parcheggia proprio sotto al mio appartamento. Spegne l'auto e sono costretta a fermarmi prima di scendere quando sento la sua voce.

«Esattamente come te». Mi volto a guardarlo con aria confusa.

«Ah sì?« Sono curiosa adesso. «E perché?»

«Non risponderò alla tua domanda, così impari a spegnere il cellulare durante le riunioni, per ignorarmi». Si riferisce all'incontro con quel cliente francese, a quando ho spento il mio telefono subito dopo aver risposto al suo messaggio provocatorio.

«Harry, si può sapere quanti anni hai?» Si comporta come un bambino a volte, come se non potesse fare a meno di fare qualche dispetto.

«Abbastanza da essere in grado di leggere il tuo messaggio... cito testuali parole "E tu smetti di fare lo sbruffone, non ne avresti il coraggio" ... credi davvero che non ne avrei avuto il coraggio?» Il suo tono di voce è completamente diverso, il suo sguardo anche e i suoi occhi mi tengono inchiodata a questo sedile. «Sai benissimo che avrei potuto baciarti davanti a tutti, è per questo che hai spento il telefono, giusto?» Ha ragione, è esattamente per quello che l'ho fatto.

È stato come se, spegnendo il telefono, fossi riuscita ad interrompere le sue azioni e, anche se poi è proprio così che è andata, sono certa che si sia trattenuto dal farlo per non mettermi a disagio, ma non sono sicura di poterlo fermare per sempre.

Soprattutto non so se voglio fermarlo.

Scendo dalla sua auto senza rispondergli. Scende anche lui. «Prima o poi ne dovremo parlare, Chloe!» Mi urla dall'altra parte dell'auto. Non rispondo ancora. Infilo le chiavi nella serratura del portone, poi sento i suoi passi dietro di me fino a raggiungere la porta dell'appartamento, che però non faccio in tempo ad aprire.

Improvvisamente vedo apparire la sua mano alla sinistra del mio campo visivo, che va a fermarsi proprio di fronte ai miei occhi, con il palmo aperto sulla superficie di legno.

I miei occhi sono concentrati sulla piccola croce tatuata in quella piccola porzione di pelle tra il pollice e l'indice, e sulla punta dell'ancora che ha sul polso, che spunta dal polsino del giubbotto. È esattamente dietro di me e la mia mano si blocca con le chiavi in mano senza aver fatto nemmeno un giro nella toppa.

La sua voce arriva piano, quasi sussurrata al mio orecchio «Ho detto che non ti bacerò più senza il tuo permesso, ma non costringermi a metterlo come opzione nel programma di oggi. Sai che se lo facessi saresti costretta a dirmi di sì...» Ogni parola, ogni singola lettera che è uscita dalla sua bocca, ha il potere di scatenare qualcosa di incontenibile dentro la mia testa e in tutto il mio corpo, ritrovandomi a desiderare che lui lo faccia, che mi metta realmente nella condizione di non potergli dire di no e, date le premesse di questa giornata, sono quasi certa che succederà.

«Vedremo», dico, per poi riuscire ad aprire la porta e, per quanto mi sia possibile, tentare di sfuggirgli. «Reb!» Urlo per farmi sentire da mia sorella.

Sento il rumore della porta che si chiude alle mie spalle, segno che anche Harry è entrato. Mi tolgo la giacca con l'intenzione di raggiungere mia sorella, che sembra essere in cucina dato che vedo la luce accesa. Sto per fare un passo in quella direzione quando la sento ridere di gusto, e subito dopo anche la risata di Zach arriva chiara alle mie orecchie, ma non fermo la mia camminata.

«Fossi in te non andrei di là», mi suggerisce Harry. Mi fermo e mi volto a guardarlo. «L'hai chiamata e non ti ha risposto, è con Zach, se sai fare due più due, capirai anche tu che non è il caso di andare di là». Il suo sorriso malizioso gli illumina il viso e anche i suoi occhi mi fanno chiaramente capire cosa intende con quello che ha appena detto; ma ho voglia di contraddirlo, quindi non ascolto il suo consiglio e decido di andare in cucina da mia sorella per farle sapere che sono qui.

«Ehi cia...» Non appena mi affaccio nella stanza le mie parole si interrompono per la scena che si presenta ai miei occhi.

Zach è in piedi, appoggiato al tavolo della cucina. Indossa un paio di jeans e una canotta bianca, a piedi nudi. In mezzo alle sue gambe leggermente divaricate, c'è mia sorella con addosso quella che credo sia la maglia di Zach. È del tutto appoggiata al corpo di lui e gli ha appena spruzzato in bocca una notevole quantità di panna spray. Sono entrambi sporchi di panna su tutto il viso e, dal rossore che compare sulle guance di mia sorella, è palese che non mi abbiano sentita entrare.

«Ehi, ciao Chloe!» Mia sorella fa per allontanarsi da Zach, che però non è dello stesso parere, perché la tiene stretta a sé. «Non ti ho sentita...»

«Ao... oè Hay?» Zach cerca di parlare, ma la quantità di panna che ha in bocca mi porta a tentare di indovinare quello che sta cercando di dirmi.

«Vuoi sapere dov'è Harry?», gli domando, per assicurarmi di aver capito bene. Lui annuisce sorridendo senza mai mollare la presa su mia sorella. «È di là», gli indico con il pollice la stanza alle mie spalle e, a quel punto, lascia andare Rebekah lasciandole un bacio sulle labbra al sapore dolce della panna che lui le spalma sul viso.

Zach finisce di ingoiare tutto quello che ha in bocca, prende un tovagliolo ed esce dalla stanza, credo per raggiungere il suo amico che non ha messo piede in cucina, lasciandomi da sola con mia sorella, che ha lo sguardo più imbarazzato che le abbia mai visto.

«Harry è di là?», mi chiede lei preoccupata.

«Sì, mi ha accompagnata qui solo per cambiarmi, passeremo la giornata insieme...» Ma non faccio in tempo a spiegarle altro perché inizia uno sproloquio che mi porta a sorridere.

«Oddio... Harry è qui... merda! Il mio capo è qui, e io indosso solo una dannata maglia... merda! Merda! Merda!» Cammina avanti e indietro, da me al tavolo, come se fosse impossibilitata a stare ferma. «Non posso farmi vedere così... io... merda!» A quel punto rido, senza potermi trattenere, e finalmente lei si ferma osservandomi con aria minacciosa.

«Scusa... hai ragione, non fa ridere, ma puoi stare tranquilla. Harry non entrerà in cucina. Aveva sconsigliato anche a me di farlo, ma come vedi non l'ho ascoltato. Ora calmati e ascoltami...» Sembra calmarsi, così inizio a raccontarle del programma di oggi, evitando di dirle il motivo per cui ho bevuto.

Non so se mi abbia creduta del tutto, ma sono grata del fatto che non mi abbia fatto troppe domande e mi abbia lasciata andare piuttosto in fretta, forse anche in virtù del fatto che non vedesse l'ora che io e Harry uscissimo di casa, evitandosi l'imbarazzo di trovarsi mezza svestita davanti al suo capo.

Una volta finito di spiegare a Reb tutto ciò che ritengo sia necessario che lei sappia, mi dirigo in camera mia passando dal soggiorno, dove vedo i due ragazzi intenti a parlare, e mi stupisco una volta di più dell'espressione sorridente che ha continuamente Zach. Un po' lo invidio, vorrei essere come lui e, con questo pensiero, entro nella mia stanza; come prima cosa, mi sfilo questi dannati stivaletti dando respiro ai miei poveri piedi, poi recupero dal cassettone un paio di jeans comodi, una felpa e, quando sto per andare in bagno, sulla soglia della porta compare Harry, sorridente, tanto da mostrare le fossette.

«Te l'avevo detto che era meglio non entrare», mi dice, con tono ovvio.

Se ne sta in piedi di fronte a me, bloccandomi il passaggio con entrambe le braccia allargate in alto, con le mani appoggiate agli stipiti. La maglietta bianca che indossa si è leggermente alzata e intravedo macchie d'inchiostro che spuntano da sopra la cintura dei jeans. «Sono quassù...» dice divertito, mentre io mi affretto ad alzare lo sguardo per trovare i suoi occhi luminosi che mi osservano curiosi.

«Sì … e potresti anche toglierti? Devo andare a cambiarmi...» In qualche modo riesco a riprendermi a rispondergli a tono.

«Puoi cambiarti qui, così posso vedere quei tatuaggi che tieni nascosti». Non riesco a smettere di guardarlo negli occhi, è come se il suo sguardo non mi permettesse di guardare altrove.

«Che problemi hai con i miei tatuaggi?», gli domando, stringendo di più tra le mie mani le cose che ho preso per cambiarmi, perché, in realtà, vorrei metterle da tutt'altra parte: ad esempio sulla porzione di pelle che ho intravisto poco fa da sotto la sua maglietta.

«Non ho nessun problema con i tuoi tatuaggi. Il problema ce l'ho con te, che non mi permetti di vederli». Non saprei dire se il suo tono di voce sia più malizioso o più divertito, ma questa conversazione mi piace.

«Nemmeno io ho visto tutti i tuoi, se è per questo, ma mica continuo a chiedertelo!»

«Se la metti così, sappi che non avresti bisogno di chiedermelo una seconda volta». Stavolta il suo tono di voce è inequivocabile e io lo sento in ogni parte del mio corpo. Forse è meglio che mi allontani subito da lui.

«Vado a cambiarmi». Mi abbasso, passo sotto il suo braccio e, alla fine, lui si sposta per lasciarmi passare, ma sento la sua risata fino a che non mi chiudo dentro al bagno e finalmente posso riprendere fiato.

Poso i miei indumenti sul ripiano accanto al lavandino, faccio scorrere l'acqua fredda, poi mi riempio le mani sotto il getto, e ne metto quanta più possibile sul viso, in modo da far abbassare la temperatura corporea, che si era notevolmente alzata a causa di Harry, della sua pelle scoperta e delle sue parole. Alzo lo sguardo e mi osservo allo specchio. Nonostante la serata di ieri, l'alcool, l'incubo di stanotte e le leggere occhiaie, i lineamenti del mio viso sono distesi. A dire la verità mi sento bene, anche se lui riesce sempre a spiazzarmi; ma è proprio di questo che ho bisogno, di sentirmi viva, e Harry ci riesce perfettamente perché arriva in tutti quei posti di me che ho sempre tenuto nascosti.

Prendo una grande quantità d'aria per poi emettere un lungo sospiro. Sono fortemente combattuta, ma oggi voglio fare quello che gli ho promesso. Gli dirò sì a tutto, darò ad entrambi la possibilità di fare un passo avanti nel nostro strampalato rapporto, che non posso in alcun modo etichettare perché non siamo amici, dato che ci siamo baciati in un modo in cui due amici non fanno. E un solo bacio non mi fa diventare automaticamente la sua fidanzata, quindi non siamo nemmeno quello. Colleghi? Non proprio, quindi, non potendo in alcun modo definire quello che siamo, mi accontenterò di queste ventiquattro ore per scoprire se, in qualche modo, il nostro rapporto può avere un futuro.

Mi cambio e metto i vestiti di ieri sera nel portabiancheria, esco dal bagno per tornare nella mia stanza e quando entro vedo la scena che mi aspettavo di vedere: Harry è seduto alla mia scrivania che sfoglia i miei appunti con una totale noncuranza, come se fosse una cosa normale che si metta a curiosare tra le mie cose, ma non mi aspettavo niente di diverso da lui.

«Trovato qualcosa di interessante?», gli domando, sperando di coglierlo di sorpresa, ma non succede.

Lui alza lo sguardo su di me con le sopracciglia aggrottate. «Si può sapere quante lingue conosci?», mi chiede, decisamente incuriosito.

«Quattro, compresa la mia lingua madre». Mi avvicino per prendere dalle sue mani il mio libricino di appunti, chiuderlo e riporlo sulla scrivania accanto al resto del mio lavoro quasi finito. Credo di riuscire a consegnare prima di partire per Madrid.

Già... Madrid. E se fosse proprio Harry il rappresentate di cui mi ha parlato Jordan? Dopotutto Hernandez è un suo cliente e credo che le probabilità che il mio compagno di viaggio possa essere Harry, siano decisamente alte. E, d'improvviso, mi ritrovo a sperare di dover partire con lui, di trovarmi in un altro continente a condividere con Harry, questa grossa opportunità.

Allontano, per ora, questi pensieri e vado verso il mio cassettone per recuperare un paio di calzini, poi mi siedo sul letto per infilarli, mentre lui prende in mano una delle due cornici che ho sulla scrivania. Da qui riesco a vedere che ha preso quella in cui sono sdraiata sul divano con Kurt.

«Quella ce l'ha scattata Hazel la sera in cui mi hanno dimesso dall'ospedale», gli dico, attirando la sua attenzione. Tiene ancora in mano la cornice, ma adesso il suo sguardo è tutto per me. «La seconda volta, quella in cui ho pensato di fare cena con le pastiglie prescritte dallo psicologo». Cerco di metterla sul ridere, non voglio avere nessun muso lungo oggi.

«Quindi... tu e Kurt...» La sua espressione confusa mi fa ridere.

Mi alzo in piedi dopo aver infilato entrambi i calzini. «Io e Kurty siamo amici, ottimi amici, ma niente di più. La sua presenza è fondamentale nella mia vita, mi ha letteralmente salvata per ben due volte, però non sono io quella a cui mira...», mi avvicino alla scarpiera e prendo le mie scarpe da ginnastica, «ma tu». L'espressione che ha adesso sul viso è impagabile, mi fermo ad osservarlo per imprimerla nella mia mente.

«Cioè... stai dicendo che io piaccio al tuo amico Kurt?» Sembra incredulo e rido di più, sedendomi sul bordo del letto per allacciarmi le scarpe.

«Sì, Harry, è esattamente quello che ho detto». A testa bassa stringo bene i lacci e resto per un attimo ferma quando, vicino ai miei piedi, vedo comparire le sue scarpe.

Alzo lentamente lo sguardo, mentre vedo le sue gambe piegarsi. Adesso i nostri volti sono quasi alla stessa altezza. Ha i gomiti appoggiati sulle ginocchia, e le sue labbra sono piegate in un mezzo sorriso compiaciuto, un mezzo sorriso che sento dritto nello stomaco fino ad arrivare ancora più giù. Ed ecco che succede ancora quella cosa, a cui ancora non riesco dare un nome, ma succede sempre quando il verde dei suoi occhi diventa intenso, tanto da non permettermi di distogliere lo sguardo dal suo.

Sento la sua mano appoggiarsi dolcemente sul mio ginocchio, leggera, come ad accertarsi che io accetti la sua presenza. Non lo respingo, ma ho paura. Lui lo sa, senza bisogno di parlare, lo sa. Fa scivolare lentamente la sua mano facendola risalire all'esterno della mia gamba ma, quando sta per arrivare al fianco, vengo assalita dal panico. Con la mia mano sinistra afferro la sua mano destra, la stringo nella mia per fare poi intrecciare le nostre dita, senza perdere mai il contatto visivo e quello che vedo nei suoi occhi è straordinario.

Non c'è pietà, non c'è compassione e nemmeno delusione. C'è solo comprensione e nello stesso tempo desiderio. Lui mi desidera, ed è l'unica cosa che riesco a vedere in quel verde meraviglioso.

«Ho fame, quindi è meglio se ce ne andiamo adesso». Non so a quale appetito si stesse riferendo con le sue parole, ma credo di averne una mezza idea.

«D'accordo», gli rispondo.

Lo guardo alzarsi e, quando si volta, chiudo per un attimo gli occhi per tentare di riprendermi dall'intensità di quello che ho provato un paio di secondi fa. Ascolto il rumore dei suoi passi farsi un po' più lontani poi apro gli occhi e, quando lo vedo uscire dalla porta della mia stanza, devo faticare per reprimere la voglia di corrergli dietro, riportarlo nella mia stanza e chiudere a chiave la porta.

Harry ha messo appetito anche a me.

«Pensi di riuscire a farcela entro stasera?» Il suo tono sarcastico mi arriva da lontano, credo stia già scendendo le scale, quindi mi decido ad alzarmi e raggiungerlo.

Al piano di sotto non c'è nessuno, ma sento la voce di Zach arrivare dalla cucina. Decido di raggiungere i due piccioncini, ma mi accorgo che Harry è rimasto indietro. Credo non voglia vederli in atteggiamenti, diciamo, intimi.

Mi affaccio alla porta e li vedo seduti entrambi sul ripiano della cucina mentre sorseggiano qualcosa da una tazza. «Reb io vado. Lascio a casa il cellulare perché è scarico». Lei annuisce incerta.

So che è preoccupata per me. Ieri sera ho passato la notte fuori con il suo capo, e non le ho ancora dato grandi spiegazioni, ma non ho tempo adesso per farlo. Zach, invece, ha un'espressione completamente diversa e totalmente compiaciuta. Sono fatti l'uno per l'altra, non ho alcun dubbio al riguardo.

«Ok... stai attenta...» Le sorrido, saluto Zach con un cenno della mano, e faccio per voltarmi quando lo sento urlare...

«Ciao Harry!» Rido, e lo faccio ancora di più quando il suo amico gli urla in risposta dall'altra stanza.

«Ciao, coglione!» Per tutta risposta il suo amico non fa altro che ridere.

Ci infiliamo le nostre giacche, prendo le chiavi di casa e usciamo dall'appartamento, entrambi con un gran sorriso sulle labbra: questa giornata sarà splendida, lo so, e sono certa che niente possa rovinarla.

Non i miei pensieri, che sto tenendo perfettamente rinchiusi a chiave dentro ad un cassetto nascosto nella mia mente. Non le mie paranoie, che voglio provare ad accantonare, per pensare solo a divertirmi e dimostrargli che anche io sono capace di godermi la vita.

Posso farlo, so che ne sono capace, e voglio provare a me stessa, ai miei due più cari amici e alla mia famiglia, che posso tornare a vivere, anche se il più delle volte mi è difficile, quasi impossibile, ma Harry ha il potere di convincermi che sono in grado di combattere e che forse potrei anche vincere.

La sua sola presenza sembra essere il rimedio universale a tutti i miei demoni, perché lui riesce a sconfiggerli, riesce a far emergere quella parte di me che i miei sensi di colpa tendono a soffocare. Quando mi guarda, i suoi occhi arrivano ovunque, fino alla mia anima distrutta, rimettendone insieme i pezzi. E quando arriva il contatto fisico, che sia la sua mano o quel bacio travolgente, il dolore si trasforma.

Quando sono da sola sento il dolore come se mi attraversasse fisicamente, lo sento nei muscoli, nelle ossa, nella mia testa, persino scorrere all'interno delle mie vene, quasi come se fosse qualcosa di concreto che posso toccare, ma quando Harry è con me, quello stesso dolore cambia forma e colore, si disperde, diventa sottile, quasi come una presenza trascurabile, e alla fine resta solo la parte migliore di me, quella che si era spenta il giorno del mio compleanno, qualche mese fa.

«Sento puzza di bruciato». Le parole di Harry mi portano a ruotare gli occhi al cielo mentre stiamo uscendo in strada.

«Non è che quando sono in silenzio vuol dire che io stia per forza pensando a qualcosa». In realtà ha ragione, ma di certo non voglio dargli questa soddisfazione.

Si ferma proprio vicino alla sua auto, con le mani infilate nelle tasche del cappotto, e io faccio altrettanto, restando davanti a lui senza riuscire a smettere di guardarlo.

«Chloe tu pensi sempre a qualcosa, il tuo cervellino non è capace di stare fermo, quindi è inutile che lo neghi». Ha ragione e io ho torto, cosa che mi porta a restare in silenzio. «Ma per tua fortuna, oggi, grazie a me, avrai la possibilità di spegnerlo». Lo guardo con aria interrogativa, cercando di capire se si riferisca a qualcosa in particolare. «E cominceremo da questo». Sfila lentamente la sua mano destra dalla tasca e mi mette davanti alla faccia le chiavi della sua macchina.

Il suo braccio resta sospeso con le chiavi che penzolano dalle sue dita, mentre il mio sguardo va da quei piccoli oggetti ciondolanti ai suoi occhi troppe volte, finché poi lo sento ridere; le sue labbra sono ripiegate all'insù con una chiara espressione divertita sul volto. «Hai la patente, no?» mi chiede ironicamente.

«Certo, ma...»

«E sai guidare, giusto?» Alzo gli occhi al cielo per la sua affermazione.

«Certo che so guidare, ma...» Non mi lascia parlare, continua ad interrompermi.

«Allora prendi queste chiavi e mettiti al volante». Allunga la sua mano libera per afferrare la mia, apre il mio palmo e vi appoggia sopra il mazzo di chiavi, per poi richiudere le mie dita intorno. «Sbrigati, ho fame, e tu non puoi dirmi di no, oggi». Si allontana, avvicinandosi alla portiera dal lato passeggero, e io non posso far altro che acconsentire e mettermi al posto di guida.

Apro lo sportello e salgo, lui fa lo stesso, ma stare da questa parte della sua automobile d'epoca mi mette parecchia soggezione. Poso le mani sul volante e il mio sguardo resta a fissarlo. E se non fossi capace di guidarla? Io so guidare, ma non so se sono in grado di farlo con un'auto come questa, e se dovessi combinare qualche disastro e rovinarla? Non so se mi perdonerebbe, ma i miei pensieri vengono interrotti dai suoi movimenti.

Mi volto a guardarlo e noto che, dopo aver abbassato il finestrino, con le mani sta spingendo all'esterno qualcosa di invisibile, un po' come ho fatto io la prima volta che sono salita su questa macchina con lui. «Che diavolo stai facendo?», gli chiedo confusa.

«Sto mandando fuori la puzza di bruciato che arriva da quegli ingranaggi». Indica la mia fronte con il suo dito indice.

«Sei un cretino, Stevens!» Non posso più trattenere il sorriso che si fa spazio sulle mie labbra, poi sorride anche a lui e quello che dice mi mette definitivamente ko.

«Sono il più cretino dei cretini, Stewart, ma vincerò questa scommessa...», il suo sguardo è completamente rivolto dalla mia parte e, ogni volta che mi guarda in quel modo, mi ha in pugno e credo che lo sappia, «e anche quella che riguarda i tuoi tatuaggi. Ora ho decisamente fame, quindi ti pregherei di mettere in moto e partire se non vuoi che inizi a mangiare ora». 

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Capitolo 26
*** Sta succedendo di nuovo, non è vero? ***


«Non sei affatto male, Stewart», dice Harry, riferendosi alla mia guida, mentre scendiamo dalla sua auto.

Me la sono cavata abbastanza bene; sono abituata al cambio manuale, perché la mia auto a Montréal ne è provvista, per il resto Harry è stato paziente e mi ha insegnato un paio di trucchetti per non farla singhiozzare. Alla fine mi sono decisamente divertita al volante della sua bambina, come l'ha chiamata lui.

«Dove siamo?», gli domando, osservando con curiosità l'enorme casa che vedo di fronte a noi.

Non l'avevo notata dalla strada perché gli alberi la nascondono quasi per intero, ma ora che abbiamo percorso tutto il vialetto, fino ad arrivare sotto ad un piccolo portico, non posso non notare quanto sia immensa. «Non avevi detto che mi portavi a fare la migliore colazione del mondo?», gli chiedo, non appena ci fermiamo davanti alla porta principale.

«E infatti è così». Prende un altro mazzo di chiavi dalla tasca del suo cappotto, ne infila una nella serratura e resto a guardarlo con occhi sbarrati quando mi accorgo che la porta si apre e lui entra con nonchalance all'interno, invitandomi a fare lo stesso. «Devo venire a prenderti in braccio?», mi chiede, quando è dentro.

«Harry...» ,mi affaccio alla porta. Si sta togliendo il cappotto per metterlo in quello che credo sia un armadio a muro, e a quel punto mi nasce un sospetto. «Ma questa non sarà mica...»

«Sì, Chloe, è casa di mio padre...», Harry conferma l'ipotesi che si stava concretizzando nella mia testa, ancora prima che potessi rivelargliela, «ora, puoi gentilmente entrare?» Mi guarda e sorride, si sta divertendo della mia incertezza.

«Ma non potevi dirmelo prima?» Entro anch'io, ma sono infastidita da questa sorta di sorpresa.

Di certo non mi aspettavo di entrare in casa del presidente della società, senza avvisare e vestita come se stessi scappando di casa.

«Dammi il tuo giubbotto». Allunga una mano verso di me e io lo tolgo, ma mi sento estremamente a disagio. Lo mette insieme al suo poi chiude l'armadio. «Vieni con me e smettila immediatamente di pensare. Adesso!» Allunga di nuovo la mano e stavolta l'afferro, tentando di fare quello che mi ha chiesto, ma mi devo impegnare davvero tanto per riuscirci, quindi decido di concentrarmi sul contatto delle nostre mani unite, mentre osservo l'ampia scala che porta al piano superiore, ma poi i miei occhi finiscono sulle sue ampie spalle e non riesco più a guardare altro.

Lasciamo la scala alle nostre spalle e lo seguo fino alla fine del corridoio. Sento dei rumori provenire dalla stanza illuminata di fronte a noi, ma non faccio in tempo a chiedere niente perché siamo subito dentro. È una cucina enorme, molto moderna, dotata di qualsiasi tipo di elettrodomestico, e spicca un'isola al centro della stanza con tre sgabelli perfettamente allineati. Vicino ai fornelli c'è una donna indaffarata a preparare un qualcosa che da qui non riesco a vedere.

«Buongiorno». Non appena Harry la saluta, lei si volta nella nostra direzione e il suo sorriso è davvero dolce.

Credo sia sulla cinquantina, capelli corti e scuri. «Ciao... Pensavo fossi uscito presto stamattina», gli dice la donna, soffermando il suo sguardo sulle nostre mani ancora unite.

«Più o meno... Mio padre?», chiede Harry, che lascia la presa sulla mia mano per posare il palmo alla base della mia schiena, invitandomi implicitamente ad avanzare nella stanza.

«È uscito stamattina presto», risponde lei, guardandoci con attenzione, e posso chiaramente vedere l'espressione di fastidio sul volto di Harry - è sempre così quando parla di suo padre -, ma poi noto anche quanto si sforzi per tornare sorridente.

«Brenda, ti presento Chloe». Allungo la mano che lei afferra, dopo essersi strofinata con forza le mani sul grembiule, stringendola saldamente.

«Ciao, Chloe, è un piacere conoscerti». È evidente quanto sia sincera mentre lo dice. Il suo fare materno mi ha conquistata subito e sembra che anche Harry abbia un debole per lei.

«Brenda, ci prepareresti la colazione?», chiede Harry, con una gentilezza nella voce che non gli avevo mai sentito prima d'ora.

«Certo, avete qualche preferenza?», chiede ad entrambi.

Non mi sognerei mai di dirle di prepararmi una cosa piuttosto che un'altra, non la reputo di certo la mia cameriera, quindi mi limito a restare in silenzio e ad ascoltare le parole di Harry.

«No, Brenda, fai tu, io intanto faccio fare un giro della casa a Chloe e vado a cambiarmi». Si sorridono l'un l'altra e, senza aggiungere altro, Harry torna a prendermi per mano e mi trascina fuori della stanza. «Questo è il salotto», mi dice, dopo aver sorpassato nuovamente la scala, ma faccio a malapena in tempo a vedere che ci sono un paio di divani e un enorme tappeto al centro perché poi mi trascina su per le scale.

«Harry non sono un cane, smettila di trascinarmi come se avessi un guinzaglio». Per tutta risposta lui aumenta la presa sulla mia mano e si volta a guardarmi con l'aria soddisfatta non appena arriviamo in cima alle scale.

«Non credo tu sia un cane, Chloe, smettila di lamentarti inutilmente».

«Posso riavere la mia mano?», gli domando, quando sta per voltarsi nuovamente.

«No». Riprende a camminare lungo il largo corridoio. «Qui sopra ci sono le camere da letto, queste due sono quelle degli ospiti...», indica le porte a sinistra e a destra dopo il nostro passaggio, «questa a destra è sempre stata la camera di Jordan, quella in fondo appartiene a mio padre, mentre questa, è la mia». La porta davanti alla quale si ferm, è esattamente davanti a quella di suo fratello.

Abbassa la maniglia, apre ed entriamo in una stanza davvero grande. C'è una grande finestra che occupa tutta la parete di fronte a noi, il letto matrimoniale è più grande del normale e, sulla parete opposta al letto, c'è un grande televisore appeso al muro, ed è tutto perfettamente in ordine, ma non vedo niente di personale in questa stanza, eccezion fatta per la piccola cornice sulla scrivania, dentro la quale sembra esserci una foto con due bambini.

«Vado un attimo in bagno, torno subito», mi dice Harry, sparendo subito dopo dietro ad una porta di cui non mi ero accorta.

Mi avvicino alla sua scrivania per osservare da più vicino quella foto che ho adocchiato appena entrata, ed effettivamente è l'immagine di due bambini. Il più grande è vestito da cow boy con un cappello decisamente grande per lui e stivali alla texana. Il piccoletto è vestito da Zorro, ma la mascherina sembra essere il doppio del suo piccolo viso, e anche il mantello, che arriva a toccare l'erba del prato su cui i due bambini sono in piedi, è piuttosto grande. I baffi poi, dire che sono disegnati in maniera approssimativa, è dire poco. Sono certa che siano i due fratelli Stevens da piccoli e non trattengo una risata mentre continuo ad osservare Harry vestito da Zorro.

«Che hai da ridere?» Mi volto nella direzione da cui arriva la sua voce, lo vedo infilarsi una maglietta nera e, nonostante i suoi movimenti siano veloci, riesco ad intravedere una grossa farfalla tatuata all'altezza dello stomaco.

Ho ancora in mano la cornice con la foto dei due piccoli fratelli, ma non ho più quel sorriso che avevo poco fa, perché se n'è andato, con quasi tutte le mie facoltà mentali, non appena ho intravisto il suo torace mezzo nudo. Sono certa che lui si sia accorto di quello che mi sta succedendo, perché non mi fa ulteriori domande, ma si avvicina lentamente, come farebbe un predatore che si avvicina alla sua preda. Pochi passi e me lo ritrovo ad un palmo dal naso, riesco a sentire il suo respiro sul mio viso.

Si posiziona davanti a me, prende la cornice dalla mia mano e si allunga oltre la mia schiena per posarla sulla scrivania, appoggiandosi del tutto contro il mio corpo; resto intrappolata tra la superficie di legno e lui. «Non hai più voglia di ridere?», mi chiede, quando la mano, con la quale ha posato la foto, si ferma sul mio fianco e quel contatto mi toglie quasi il fiato, tanto che non riesco a rispondere mentre mi tiene inchiodata semplicemente con il suo sguardo, diventato ora troppo intenso. «Sta succedendo di nuovo, non è vero?», domanda ancora, ma io non ho la forza di dire niente, riesco solo a guardarlo. Nella mia testa non c'è niente, assolutamente niente a cui possa fare appello per trovare il modo di dire una cosa qualsiasi.

L'altra sua mano arriva sul mio viso e, istintivamente, chiudo gli occhi a quel contatto. La sua mano è calda, sento i suoi anelli sulla mia pelle, sento ogni suo dito che stringe un po' di più sul fianco, sento il suo petto alzarsi e abbassarsi sul mio e il suo fiato è ormai a pochissima distanza dalle mie labbra. Voglio baciarlo di nuovo, voglio che lui mi baci di nuovo...

«Ecco qua!» Una voce femminile interrompe l'attimo che sembrava incredibilmente perfetto e, come una doccia fredda, tutte le mie paure tornano prepotenti nella mia testa.

Scivolo via dalla sua presa e, mentre scappo a nascondermi nel bagno, vedo Brenda, sulla soglia della stanza con un vassoio in mano, che sembra si stia scusando con Harry.

Chiudo la porta alle mie spalle, dove mi appoggio con la schiena, tentando di prendere il fiato che ho trattenuto finora. Tengo gli occhi chiusi, ma sono costretta a riaprirli quando mi rendo conto che l'immagine del viso di Harry non smette di comparirmi davanti.

Non so perché sono scappata, ma l'ho fatto comunque, e ora mi sento incredibilmente stupida e anche tremendamente in imbarazzo. Continuo a scuotere la testa rimproverandomi da sola, non so come uscire da questa situazione, se solo potessi parlare con Kurt saprebbe cosa consigliarmi. Faccio un paio di passi all'interno della stanza e l'occhio mi cade sul cellulare che noto al bordo del grande mobile del lavabo.

Senza pensarci due volte mi avvicino e lo prendo in mano. È il telefono di Harry, deve averlo dimenticato qui prima. Potrei chiamare Kurt, ma poi scarto subito l'idea, sicuramente mi sgriderebbe, mi direbbe di tornare immediatamente da lui. Faccio scorrere il dito sul display e lo schermo si sblocca. Mi aspettavo un qualche tipo di blocco e invece non c'è. Osservo per un po' lo schermo, che ha come sfondo una foto di lui con tutti i suoi amici mentre fanno delle stupide smorfie. Sorrido nel guardare quella bellissima immagine, ma quando sento bussare alla porta quasi non mi cade il telefono di mano.

«Chloe... è tutto a posto?» La voce di Harry arriva ovattata da dietro la porta.

«S-sì... arrivo... arrivo subito», rispondo incerta.

«Ok».

Torno con lo sguardo sul cellulare che stringo tra le mani e decido di comporre il numero che conosco a memoria.

«Pronto, chi parla?» La sua voce mi fa tirare un sospiro di sollievo.

«Hazel sono Chloe...» Cerco di parlare a bassa voce, per non farmi sentire da lui, in caso fosse ancora dietro la porta.

«Chloe? Da che numero mi stai chiamando? E perché stai parlando sottovoce?» Ho pensato che chiamare lei invece di Kurty sarebbe stato più semplice per me, ma ora non ne sono più tanto sicura.

«Ora non posso parlare, ti sto chiamando con il cellulare di Harry...»

«Sei con Harry?» La mia migliore amica m'interrompe, con un tono di voce palesemente sorpreso.

«Cosa sta succedendo, Cleo?» Sospiro nel sentire la voce del mio migliore amico arrivare improvvisamente dall'auricolare. Credevo di poterla scampare, ma ovviamente mi sbagliavo.

«Ciao Kurty...» Mi siedo sul bordo della gigantesca vasca da bagno.

«Ciao Kurty un cazzo, che succede, piccola Cleo?» Non so se sia più preoccupato o più arrabbiato.

«Sono a casa di Harry, ma non a casa sua, siamo insieme a casa di suo padre, e Brenda, che lo chiama Harold, ci stava preparando la colazione, ma poi lui stava per baciarmi e io mi sono chiusa in bagno...» Cosa???

«Non ho capito un cazzo. Calmati e spiegati meglio...» Tiro un gran sospiro e mi concentro per provare a chiarire quanto ho appena detto.

Ci riesco dopo un paio di tentativi, durante i quali, ripensando e ripetendo a voce quanto successo in queste ultime ore, mi rendo sempre più conto di quanto abbia reagito in maniera infantile e stupida. Enormemente stupida.

«Ora vai di là, ti comporti normalmente e ti godi la giornata. Ci siamo capiti? Altrimenti vengo lì e ti sbatto la testa contro il muro fino a che non rinsavisci». Kurt parla senza mezzi termini e so che ha ragione.

«Chloe, dovresti farlo. Hai bisogno di tornare a ridere, quindi prova a lasciarti andare». Hazel è sempre più diplomatica e io sospiro per l'ennesima volta da quando ho iniziato questa telefonata.

«Ok, ci proverò, ma non è facile...» Mi alzo in piedi, pronta a tornare da Harry.

«Cosa lo è?» Kurty centra sempre in pieno il punto e io non posso in alcun modo ribattere.

«Vi voglio bene». Mi mancano sempre.

«Anche noi, ora vai...»  Chiudo la chiamata, poso il cellulare dove l'ho preso e cammino lentamente verso l'uscita, pronta a tornare da lui ma, quando tiro verso di me la porta, per poco Harry non mi finisce addosso.

«Stavi origliando?», gli chiedo, curiosa e indispettita allo stesso tempo.

Lui si ricompone come se niente fosse. «Ti ho già detto che non puoi usare Harold». È l'unica cosa che dice, tornando poi verso l'interno della sua stanza.

Lo guardo sedersi sul suo letto dove c'è un vassoio con diversi cibi, dolci e salati, poi si volta verso di me, ma non può più trattenere il sorriso. «Muoviti... vieni qui», mi dice, mentre compaiono le fossette sulle sue guance e io perdo ogni volontà di rimproverarlo per aver origliato, anche perché ho usato il suo telefono senza permesso e lui è incredibilmente paziente nei miei confronti.

Non me lo faccio ripetere due volte, mi avvicino e mi siedo di fronte a lui che ha già infilato in bocca un pancake stracolmo di sciroppo d'acero. Decido di non chiedere chiarimenti sul perché sia rimasto ad origliare - non sono nella posizione di potergli fare una predica - e decido di concentrarmi su di lui, sull'espressione del suo viso, sul suo sorriso e su questo momento, che sembra prendere una piega completamente diversa da poco fa nell'istante, in cui Harry inizia a fare l'idiota con ogni cibo che mette in bocca, e io non faccio altro che ridere.

Ridere come non facevo da troppo tempo.

***

«Portiamo la macchina in garage e poi andiamo». Annuisco in silenzio alle sue parole mentre salgo sul sedile passeggero.

Dopo aver terminato la colazione, tra una risata e l'altra, e aver riportato il vassoio in cucina per ringraziare Brenda, Harry mi ha comunicato una minuscola parte del suo programma di oggi, e cioè che dobbiamo andare a prendere la metropolitana, ma prima doveva mettere a dormire la sua bambina.

Non abbiamo più ripreso il discorso bacio mancato, ma sono certa che Harry non perderà l'occasione di ricordarmelo, e sorrido come un'adolescente nel ripensare alla sensazione che ho provato quando era incredibilmente vicino, quando il contatto della sua mano sul mio viso mi ha fatto andare in iperventilazione.

«Qualcosa di divertente?», mi chiede, interrompendo la mia fantasia.

«Non esattamente». Non voglio dargli altre spiegazioni e, nel frattempo, mi accorgo che ha già perfettamente parcheggiato l'auto all'interno del garage.

«Dio, Chloe! Non ti stanchi mai di pensare così tanto?» Non aspetta una vera risposta perché subito scende, chiudendo lo sportello, cosa che faccio anch'io, ma resto di sasso quando vedo davanti a me, la sua motocicletta. Non riesco a guardarne una e non rimanere paralizzata dallo stato di terrore che mi provoca. «Prima o poi ci salirai di nuovo e non ti farà più paura...» La voce di Harry è proprio alle mie spalle e, inspiegabilmente, riesce a farmi tornare immediatamente in me. «Ora andiamo, abbiamo un sacco di cose da fare». Mi prende di nuovo per mano, regalandomi uno sguardo furbetto, e io mi dimentico della moto, della mia paura, chiedendomi da dove arriva questo ragazzo meraviglioso.

Probabilmente non lo merito, anzi sono certa di non meritarlo, ma per qualche motivo, che non riesco a spiegarmi, lui vuole me. L'ha dimostrato più volte e lo sta facendo anche adesso, mentre camminiamo fianco a fianco per raggiungere la stazione della metro. Ha lasciato andare la mia mano, ma non per questo lo sento più distante, tutt'altro.

«Allora... era o non era la colazione più buona che tu abbia mai mangiato?», mi chiede, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

«Lo ammetto... lo era...» Sorride in maniera troppo furba, sta pensando a qualcosa e sono sicura che non mi farà aspettare molto per mettermi a conoscenza di quello che gli sta passando per la testa.

«Anche se ci ha interrotto sul più bello?» Ci fermiamo per attraversare e i suoi occhi sono un'altra volta su di me, mentre sulle sue labbra c'è quel sorriso con cui fa di me quello che vuole.

«Oh... lo era proprio per quello!» Sa che sto mentendo, ma sta al gioco, dandomi una leggera spallata per poi attraversare nel momento in cui il semaforo torna verde.

Le persone che attraversano insieme a noi, quasi ci circondano, chi cammina svelto, chi più lentamente, ma è come se non riuscissi a vedere altri che lui nel suo cappotto nero, i capelli sciolti e la camminata da idiota, solo per farmi ridere. 

E il bello è che ci riesce.

Entriamo nella stazione, scendiamo con le scale mobili, lui dietro di me, e di nuovo mi prende alla sprovvista quando si avvicina per parlarmi all'orecchio. «Adesso fai quello che ti dico io». Mi volto a guardarlo con aria interrogativa. «Abbiamo un accordo, no? Quindi farai quello che ti dico, quando te lo dico». Apro leggermente la bocca per protestare, ma non faccio in tempo a dire niente. «Finora ti sei divertita, anche se baciandomi ti saresti divertita di più, ma abbiamo ancora tempo per questo. Quindi non voglio sentire altro». Arriviamo alla fine della scala mobile, lui mi sorpassa e io lo seguo affiancandolo proprio vicino ai tornelli.

«Harry, cosa stiamo facendo?», gli domando, mentre lui osserva le persone che si avvicinano per obliterare il biglietto.

«Shhh!» Mi volto a guardarlo con le sopracciglia aggrottate per il modo in cui mi ha zittita.

«Dovremmo comprare il biglietto», gli dico ovvia. Non ho portato con me il mio abbonamento perché credevo non mi servisse.

«Puoi almeno provare a stare zitta?» Mi sgrida. Alzo gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto restando in attesa di un qualcosa che non so.

Harry ha ancora le mani in tasca, mentre tiene costantemente gli occhi sulle persone che gli passano davanti, è come se stesse aspettando qualcuno. Poi, improvvisamente, appoggia la sua mano destra alla base della mia schiena. «Andiamo», mi dice, mentre mi spinge delicatamente in avanti verso i tornelli.

Non faccio in tempo a chiedergli "andiamo dove? ", che mi ha già fatta posizionare dietro ad una signora anziana che sta per passare il suo biglietto e, non appena il tornello si apre, lui si appoggia completamente a me, spingendomi in avanti così da passare insieme alla signora, esattamente nello stesso modo in cui ha fatto quella sera con me, solo che questa volta siamo in due a non aver pagato il biglietto.

Non ho mai fatto una cosa del genere prima d'ora, mi sento come una bambina che sta trasgredendo alle regole. Sento paura ed eccitazione al tempo stesso. È stupido, me ne rendo conto, è solo un biglietto della metropolitana, ma mi sento come se stessi compiendo il più terribile dei reati.

Harry mi affianca con naturalezza, mentre io mi sento un fascio di nervi. Lui sorride, mentre io non riesco a muovere nemmeno un muscolo facciale. E poi arriva quel momento. Il momento in cui il cuore ti schizza direttamente fino in gola. «Ehi! Voi due!» Una possente voce maschile mi fa voltare alla mia sinistra e faccio a malapena in tempo a rendermi conto che qualcuno sta camminando velocemente verso di noi. Anche Harry se ne accorge.

«Corri!», mi dice, accelerando il passo.

Mi prende per mano, mi trascina con sé, scendiamo velocemente giù per la seconda rampa di scale mentre quell'uomo continua ad urlare «Fermatevi!» e, nello stesso momento, sento il rumore del treno che sta arrivando. Non riesco nemmeno a vedere dove metto i piedi, sento l'adrenalina scorrere velocemente nelle mie vene e riesco solo a concentrarmi sulla stretta della sua mano, che non ho alcuna intenzione di lasciare andare.

Il tempo di arrivare sulla banchina che il treno si ferma, riusciamo a salire e possiamo vedere quell'uomo avvicinarsi, proprio mentre le porte si chiudono tra noi e lui, e io resto immobile a guardarlo attraverso il vetro, con il fiato corto e il cuore che mi martella nelle orecchie.

Il treno riparte, mentre quell'uomo resta fermo a guardarci, senza poter fare niente e io cerco di riprendere fiato. Non che la corsa sia stata particolarmente faticosa, il problema vero è che mi sono spaventata perché non è da me infrangere in questo modo le regole e, al momento, mi sento particolarmente a disagio.

«Era proprio necessario?!» Il mio tono di voce non lascia spazio ad equivoci: sono nervosa, molto nervosa.

«Direi proprio di sì, a meno che tu non volessi pagare la multa». Harry risulta decisamente tranquillo, per niente affannato o preoccupato.

«Intendevo... non pagare il biglietto... era proprio necessario?» Non l'ho mai fatto, nemmeno da ragazzina, ed è una cosa totalmente nuova per me.

«Sì, Chloe, era decisamente necessario.». C'è una luce diversa nel suo sguardo, qualcosa che non riesco ad interpretare.

Qualcosa che non mi permette di dire altro, perché resto incantata a guardarlo.

Toglie la mano dal sostegno giallo per sfilarsi l'elastico che ha al polso e legarsi i capelli. Lo fa con naturalezza e, un'altra volta, non posso che restare a guardarlo, nello stesso modo in cui lui lo sta facendo con me, incantata dai suoi movimenti.

«Perché?» Riesco a chiedergli, nonostante i suoi occhi non lascino i miei nemmeno un attimo.

«Perché voglio che tu esca dai tuoi schemi mentali, Chloe, e con questo non voglio dire che quello che fai sia sbagliato. È ammirevole il tuo modo di rispettare le regole, gli orari, le consegne, persino i tuoi sensi di colpa, ma ogni tanto avresti bisogno di essere meno rigida con te stessa, di lasciare andare le preoccupazioni, i problemi e tutto quello che ti distrugge il cervello, per goderti il momento perché, altrimenti, non ne uscirai mai». Harry è incredibile: con poche parole è riuscito ad arrivare al centro del problema, cioè io.

Riesce a capirmi molto più di quanto io non riesca a fare con lui. Sa cosa provo e sa di cosa ho bisogno perché, ammettiamolo, alla fine, la corsa per scappare dal controllore, non è stata poi così male. È vero che inizialmente ero arrabbiata per il fatto che mi avesse praticamente costretta ad infrangere le regole, ma il pensiero di essere riusciti a sfuggire a quell'uomo, di averlo fatto insieme, come due bambini che non vedono l'ora di combinare una marachella, solo per il gusto di disubbidire, sta riuscendo a tenere lontano il mio dolore.

«So che non lo ammetterai, almeno per oggi, ma so per certo che ti sei divertita, e ti sentirai ancora meglio fra un'ora». Il sorriso che ha in questo momento mi crea grandi aspettative e sono sicura che le manterrà tutte.

«Perché? Cosa succederà tra un'ora?», gli chiedo curiosa.

Lui si avvicina un po'; la mano destra stretta al sostegno, la sinistra arriva lenta verso il mio viso, per sistemarmi i capelli scompigliati dopo la corsa di poco fa. Le sue dita vicino alla tempia, con un contatto leggero, ma al tempo stesso intenso per il suo sguardo sempre nel mio. Porta i miei capelli all'indietro, lasciandomi più scoperto il viso, e poi arriva la sua voce bassa a completare il quadro perfetto che è riuscito a creare.

«Non te ne rendi conto, Chloe, ma sei piena di rabbia, come lo ero io...» Ho come l'impressione che stia per rivelarmi qualcosa di terribilmente importante per lui. «Mia madre se n'è andata da un giorno all'altro, senza una dannata spiegazione. Ha lasciato me, mio fratello e mio padre senza nemmeno dirci addio. Ho visto la delusione sul volto di mio padre, l'ho sentito piangere quando lui credeva che stessi dormendo. Lei ha rovinato la nostra vita e io credevo che fosse colpa mia, perché mio padre ha smesso di dedicarmi il suo tempo pensando solo al lavoro». Le sue parole mi provocano un tale nodo alla gola, che non riesco a dire niente. «Mio nonno è stato un'ancora di salvezza per me, ho riposto in lui ogni speranza per il futuro, era la mia unica figura di riferimento rimasta, ma poi se n'è andato anche lui da un giorno all'altro, per un infarto, e mi è rimasto solo Jordan». A quel punto è istintivo, per me, alzare una mano e posarla sopra la sua, ancora ben ancorata al sostegno. «Poi è arrivata Winter, mi sono fidato di lei, ho creduto che...» Si interrompe, e io non voglio che soffra, perciò resto in silenzio e stringo di più la mia presa sulla sua mano, senza mai perdere il contatto visivo con lui. «Insomma ero decisamente arrabbiato con il mondo intero e mio fratello è riuscito, come sempre, a tenermi sulla giusta strada». I suoi occhi, da scuri e cupi come erano diventati poco fa, tornano luminosi e brillanti, il suo sguardo sorride, come le sue labbra, e io mi unisco a lui.

«Quindi stiamo andando da tuo fratello così potrà portarmi sulla giusta strada?», gli domando, con un tono di voce piuttosto ironico.

«No. Ti porterò nello stesso posto in cui mi ha portato Jordan e, dopo che ci sarai stata, starai meglio. Te lo prometto». La sua promessa non è solo nelle sue parole, ma è evidente anche nel suo sguardo.

E io so che posso fidarmi di lui. 

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Capitolo 27
*** Stewart piantala di fare domande e fidati di me ***


Camminiamo l'uno accanto all'altra mentre non faccio altro che ripensare alla confessione che mi ha appena fatto, a quanto abbia aperto il suo cuore e mi abbia confidato cose così personali.

Non mi sarei mai aspettata di arrivare a questo livello di confidenza con Harry, eppure mi viene così facile parlare con lui: è come se mi conoscesse da sempre, e sa fino a dove arrivare e quando fermarsi, sa toccare le corde giuste senza mai esagerare, sa quando è il momento di provocarmi per ottenere qualcosa di più e quando è il caso di lasciarmi in pace. Tutto questo non è mai successo... mai, con nessuno, e quando dico nessuno, intendo davvero nessuno.

Ho sempre avuto una gran complicità con Dylan, spesso ci capivamo al volo e ci trovavamo d'accordo su quasi tutto, con Kurt e Hazel è sempre stato, più o meno, la stessa cosa, ma con Harry è tutto ad un livello superiore. Ed è proprio questo che mi manda in confusione. Ho già difficoltà ad accettare i cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi nella mia vita, e tutto quello che comporta avere Harry intorno mi disorienta. Se da un lato sono totalmente contraria a voler continuare questa conoscenza, dall'altra sono elettrizzata nel voler scoprire cosa mi riserva il futuro e un possibile avvicinamento a questo ragazzo, che non mi tratta come una bambola di porcellana.

«Parlami di lui». La voce di Harry mi coglie di sorpresa.

Dopo aver camminato per un paio di isolati al di fuori della stazione della metropolitana nel totale silenzio, le sue parole mi stupiscono.

«Vuoi che ti parli di Dylan?» Credo intendesse questo, ma nessuno mi chiede mai di parlare di lui, anzi evitano accuratamente l'argomento.

«Sì, che tipo era?» Si volta appena a guardarmi mentre continuiamo a camminare sul marciapiede, verso una meta ancora a me sconosciuta, e il suo sorriso non è affatto di compassione, piuttosto sembra curioso.

Ci metto un attimo a realizzare la sua domanda, nessuno me l'ha mai fatta, mi trovo quindi totalmente impreparata, come se non fossi capace di ricordarmi le sue qualità o i suoi difetti, o ancora come sorrideva. Mi sto dimenticando di lui?

«Stewart, la domanda è troppo difficile per te?» Mi punzecchia ancora, mi provoca, e la voglia di smentirlo vince su tutto il resto.

«Cretino!», gli dico, dandogli una piccola spallata, e lui si lascia scappare una mezza risata. Quel suono che esce dalle sue labbra mi scalda sempre il cuore. Poi resta in silenzio, dandomi il tempo di metabolizzare la sua domanda e raccogliere le idee per riuscire a rispondergli. «Dylan era... pieno di vitalità, aveva sempre il sorriso sulle labbra...», il solo pensiero del suo sorriso porta anche me a fare la stessa cosa, mentre riesco a vedere la sua immagine nella mia mente. Erano mesi che non lo ricordavo sorridente. L'unica immagine di lui che era ben impressa nella mia testa, era l'ultima, in quel letto di ospedale, attaccato a tubi, aghi, con i rumori dei macchinari che aveva intorno. Riuscivo solo a vedere le bende e quanto fosse immobile, e mi manca da morire il ricordo dei suoi occhi.

«Quindi riusciva a sopportarti?» Interrompe le mie parole e i miei pensieri con il suo solito sarcasmo.

«Essere antipatica mi riesce bene solo con te». Ride ancora, la sua fossetta è più che evidente sulla sua guancia e prima o poi cederò alla tentazione di toccarle.

«Vedi... la fortuna a volte?» Alzo gli occhi al cielo nel sentire le sue parole, ma non sono realmente infastidita.

«Dylan era sempre allegro, imbranato in cucina, ma decisamente bravo negli studi. Perfettamente ordinato a casa, ma un disastro totale nell'organizzarsi al di fuori, per questo si appoggiava sempre a Kurt...» Erano davvero come due fratelli e io non riesco a perdonarmi per aver trascurato il mio migliore amico.

E, mentre parlo di lui a Harry, riesco ad immaginarlo perfettamente nei miei pensieri. Ricordo come si muoveva, come parlava, la luce che aveva negli occhi quando mi guardava, mentre riporto alla mente tanti momenti belli trascorsi con lui e il suo amore per me. Mi rendo conto che stavo rischiando di dimenticare tutto questo perché ero troppo concentrata su tutto il brutto che è successo. Kurty ha ragione quando dice che penso solo a me stessa, al mio dolore e a un sacco di stronzate che dovrei mettere in secondo piano per mettere a fuoco le cose davvero belle e molto più importanti che ho nella mia vita.

«Quando rideva chiudeva gli occhi...», continuo a parlare a ruota libera, mentre Harry ascolta nel più rigoroso silenzio, «il suo piatto preferito era la carne, cucinata in qualsiasi modo, l'importante era che fosse carne. Gli piaceva passare le serate con gli amici, ma amava anche passare i pomeriggi nel mio letto a guardare film che odiava solo per farmi contenta...» Lo sento ridere ancora e mi volto del tutto verso di lui. «Che c'è?», gli chiedo, stavolta decisamente più infastidita di poco fa.

«Deduco fosse anche molto paziente». Mi sta evidentemente prendendo in giro e il suo magnifico sorriso non mi permette di ribattere come vorrei. «Siamo arrivati», mi dice, per poi fermarsi davanti ad un ingresso totalmente anonimo.

«Dove siamo?», gli chiedo, scrutando con curiosità quella porta grigia di fronte a noi.

«Io la chiamo la camera della rabbia...» Mette le sue mani sulle mie spalle, i suoi occhi verdi sono fissi nei miei, e io non posso guardare altro che lui. «Dylan se n'è andato e tu devi lasciarlo andare, devi lasciare andare la parte peggiore che questo comporta e tutta la rabbia che provi per la sua perdita...» Se solo mi soffermo a pensare a quello che ha appena detto, mi rendo conto che ha pienamente ragione.

Sono arrabbiata, anzi no, sono furiosa perché lui non c'è più, perché me l'hanno portato via, e perché io non ho potuto fare niente per salvarlo, ed è in questo momento che sento quel sentimento affiorare sempre di più, mentre prende il sopravvento su qualsiasi altro tipo di emozione io stessi provando.

«Forza, vieni con me...» Mi prende per mano, apre la porta, ed entriamo all'interno dove, dietro ad un bancone, c'è un ragazzo intento a scrivere qualcosa. «Ciao, avremmo bisogno di una stanza». Mi volto a guardarlo con gli occhi sbarrati, mentre lui parla al ragazzo che adesso ha alzato la testa e ci guarda sorridente.

«Una stanza?», gli chiedo sconcertata. Non ho la minima idea di quello che sta succedendo.

«Chloe lasciami fare...», bisbiglia, per poi tornare a rivolgersi al ragazzo davanti a noi, che mi guarda con aria confusa., «è disponibile?» Harry torna a guardare in avanti ignorando la mia richiesta.

«Sì, certo. Per quanto tempo vi serve?» Sono sempre più sconvolta da questo tipo di dialogo, che sembra alquanto surreale. Avevamo davvero bisogno di una stanza a tempo quando casa sua è libera? E poi che diavolo vuole fare qui? Le domande si accavallano l'una sull'altra restando senza risposta, la confusione aumenta mentre vedo Harry dare dei soldi al ragazzo dicendogli che ci sarebbero bastati venti o trenta minuti, mentre mi sento completamente disorientata da quanto sta succedendo davanti ai miei occhi.

«Harry, ma che diavolo sta succedendo?», gli chiedo, mentre lo seguo quando vedo che si sta allontanando dirigendosi verso il corridoio alla nostra sinistra.

«Stewart piantala di fare domande e fidati di me». So che posso fidarmi di lui, ma non sapere cosa sta per succedere mi mette una certa dose di agitazione addosso, unita alla rabbia che stavo provando prima di entrare e, se ci aggiungo che Harry non ha intenzione di darmi alcuna risposta, sento tremare le mani a causa del mio stato d'animo.

Sento provenire forti rumori dalle porte che sorpassiamo, ma non faccio in tempo a chiedere chiarimenti che lui apre una porta ed entriamo dentro. C'è una parete bassa, sul cui ripiano vedo due paia di occhiali trasparenti, quelli protettivi, e due pile di piatti, l'una accanto all'altra. «Che significa?», gli chiedo, non appena sento chiudere la porta alle mie spalle, ma senza guardarlo perché i miei occhi restano fissi su quello che c'è davanti a me.

Sento i passi di Harry farsi più vicini, poi si posiziona di fronte a me e i miei occhi tornano nei suoi. Spunta un piccolo sorriso sulle sue labbra, mentre le sue mani prendono le mie. «Voglio che tu prenda tutta la tua rabbia e la scagli insieme a quei piatti contro il muro. Distruggili tutti quanti e, se ne sentirai il bisogno, ne prenderemo ancora, e ancora, fino a che ti sentirai meglio».

«Vuoi dire che siamo qui per rompere piatti?», gli domando incerta.

«Sì, per rompere piatti e per sfogare la rabbia». Mi sporgo appena oltre la sua spalla e guardo incerta quelle stoviglie, decisamente scettica su quanto mi ha appena detto, ma voglio farlo, perché fino ad ora - quando gli ho dato retta - è stata la scelta migliore che potessi fare. «Ora voglio vederti spaccare tutto, Stewart».

Annuisco in silenzio, poi mi allontano da lui avvicinandomi a quei piatti. Infilo gli occhiali e prendo in mano il primo. È completamente bianco e liscio, come tutti gli altri; sembrano nuovi e un po' mi dispiace doverli rompere, ma poi ci provo. Piego il braccio all'indietro e penso a Dylan, scagliando con forza quel povero piatto contro il muro lontano qualche metro.

Ne prendo un altro, penso a quando ho sentito il bip continuo e assordante di quel macchinario e aumento la forza con la quale quel piatto finisce in mille pezzi, poi un altro e ripenso alla sera del mio compleanno, mentre eravamo seduti sul tetto, e ci metto sempre più forza. Ed è così che vado avanti per i successivi trenta piatti, anche se è un numero approssimativo - non li ho veramente contati - e più andavo avanti, più aumentavo la forza con la quale distruggevo quelle stoviglie.

Piatto dopo piatto, sentivo quel peso sul cuore farsi più leggero, come se potessi allontanarlo, mentre ogni fibra del mio corpo si caricava di adrenalina, di grinta e di determinazione.

Adesso, anche se sono leggermente affaticata, mi sento molto più libera, come se mi fossi alleggerita da un pesante macigno e, nonostante il fiato corto, dovuto più all'adrenalina che alla stanchezza, riesco a sorridere con soddisfazione. Mi volto verso Harry, rimasto alle mie spalle per tutto il tempo, che mi guarda aspettando la mia reazione.

«Ne vorrei altri», gli dico, con un enorme sorriso, e lui non se lo fa ripetere due volte.

Esce dalla stanza e torna con il ragazzo che ci ha accolto, portando entrambi una piccola quantità di piatti che posano sul ripiano; poi il ragazzo esce dallo stanzino e io riprendo a scagliare ogni piatto con maggiore potenza rispetto a prima, e alla fine ci riesco: riesco a lasciare andare la rabbia. Harry mi ha insegnato a riconoscerla, a guidarla nella giusta direzione fino ad usarla a mio favore, ed è nel momento in cui l'ultimo piatto lascia la mia mano, che mi tolgo velocemente gli occhiali, lanciandoli da qualche parte a caso, per girarmi, andare verso di lui e baciarlo senza pormi domande, senza pormi condizioni e, soprattutto, senza pensare.

Voglio solo sentire le sue mani sui miei fianchi, i suoi capelli sotto le mie dita, le sue labbra che divorano le mie, voglio sentire il suo corpo che preme sul mio mentre mi imprigiona contro il muro, voglio sentire la vita che scorre tra me e lui. È questo che sento, la vita sotto le dita, sulle labbra, nei pensieri.

Harry è la vita.

«Verremo qui tutti i giorni se questo è il risultato...», mi dice, allontanandosi quel po' da poter parlare ancora sulle mie labbra, senza lasciare la presa delle sue mani su di me, ed è in questo momento che mi torna in mente di ieri sera.

Io l'ho baciato anche ieri sera!

Lui non mi ha detto niente, dovrei dirgli che me ne ricordo? Anzi, che mi ricordo tutto quanto in realtà, anche se per alcune cose ho fatto finta di non ricordare, perché era più comodo per me evitare certi argomenti; ora tutto è tornato al suo posto nella mia mente, ma sono ancora incerta sul da farsi, quindi decido che per ora non dirò niente.

«Non ci fare l'abitudine», gli dico, togliendogli gli occhiali protettivi, che aveva ancora addosso, così da riuscire a vedere più chiaramente quel luccichio che gli illumina gli occhi ogni volta che mi bacia.

«E perché no?» Non aspetta una risposta, mi bacia di nuovo, stavolta è un bacio più calmo, ma la presa delle sue mani è sempre più salda, come la mia tra i suoi capelli. Vorrei restare così per sempre.

Si allontana di nuovo, ferma un'altra volta il suo sguardo nel mio, e io mi sento incredibilmente bene. «Grazie, Harry». Lui sorride e io mi perdo in quel sorriso.

«È meglio andare adesso». Percepisco un tono velatamente contrariato, come se non volesse davvero fare quello che ha appena detto, ma si allontana comunque, facendomi chiaramente sentire la sensazione di vuoto non appena il suo corpo si allontana dal mio.

«Dove andiamo?» Apre la porta per uscire da lì, ma si ferma un attimo a guardarmi.

«Ho di nuovo fame». Sparisce dalla mia vista, provocando la comparsa di un enorme sorriso sulle mie labbra.

***

Quando ero piccola mi piaceva passare del tempo con mio papà a guardare i documentari sugli animali, ero affascinata dal loro aspetto, dalle loro abitudini e dal loro modo di vivere. Soprattutto mi appassionavo alle lotte per la sopravvivenza, a come un animale cercasse di prevalere sull'altro, e mi chiedevo come si sentiva la preda mentre veniva braccata o quando veniva azzannata.

Credo di averlo realizzato negli ultimi mesi. Sono stata preda della rabbia per troppo tempo, senza nemmeno rendermene conto, perché la mia anima ne era completamente intrisa, ma oggi l'ho vista. Era lì, l'ho vista venir fuori dal nascondiglio nel quale è stata per tutti questi mesi, mi braccava, mi azzannava, l'ho sentita invadere il mio corpo, e ho sentito il sollievo quando sono riuscita a liberarmene, l'ho vista andarsene e spero solamente di essermene liberata del tutto.

La sensazione che provo in questo momento, di un giorno qualunque di novembre, quasi all'ora di pranzo, è di libertà assoluta, come se avessi infinite possibilità di fronte a me e io non vedo l'ora di coglierle. Tutte cose che non credevo possibili solo poche ore fa, quando ero caduta nel mio solito buio senza fine, ma poi è arrivato Harry, mi ha teso una mano, l'ho afferrata saldamente, e sono più che felice di averlo fatto.

«Quindi, adesso che sei stata tu a baciarmi, posso sentirmi libero di farlo quando ne ho voglia?» La sua schiettezza è sorprendente, ma non posso trattenere un sorriso.

«No, Stevens. Piuttosto perché non mi dici dove stiamo andando adesso?» Svicolo l'argomento perché non sono ancora pronta a parlarne e, nonostante vorrei continuare a baciarlo tutto il giorno, ho bisogno di andarci con i piedi di piombo.

«Che palla che sei! Comunque siamo arrivati», dice, quando arriviamo davanti ad un fast food.

Camminare con lui è stato piacevole, mai noioso, a tratti fastidioso, ma comunque sempre stimolante, tanto che non mi sono nemmeno accorta di aver fatto tanta strada.

Lo seguo all'interno del locale, fino al bancone, dove lui si avvicina per stringersi in un mezzo abbraccio - e conseguente pacca sulla spalla - con un ragazzo biondo dagli occhi azzurrissimi, uscito per salutarlo.

«Ehi, amico, come mai da queste parti?», gli chiede il biondo, che credo sia tinto, lanciando un'occhiata nella mia direzione.

«Ti presento Chloe Stewart». Harry si volta indicandomi e io allungo una mano verso il suo amico, che non perde tempo a stringerla con decisione.

«Ciao, Chloe, piacere di conoscerti, io sono Nate un amico di Harry». Il suo enorme sorriso trasmette un'allegria decisamente contagiosa.

«Piacere mio, Nate». Gli sorrido, non posso farne a meno.

«Com'è che con lui sei così gentile?», mi chiede Harry, facendo sparire quasi subito il mio sorriso. 

«Perché è evidente quanto io sia più simpatico di te». Le parole di Nate fanno alzare a Harry gli occhi al cielo e fanno tornare il sorriso sulle mie labbra. «Ad ogni modo sembra che oggi vi siate dati appuntamento qui», dice Nate, rivolto ad Harry.

«Ti prego, non dirmi che è Larry», si lamenta Harry con un tono speranzoso.

«Lawson», Il biondo gli indica un ragazzo con i capelli castani, seduto al tavolo e che sta alzando la mano nella nostra direzione.

«Meno male, non avevo voglia di sorbirmi i suoi racconti smielati da innamorato». Non so se stia dicendo sul serio o se voglia solo fare l'idiota, come non so in che rapporti siano tra loro, decido quindi di restare al mio posto e fare da spettatrice fino a che non capirò, almeno un po', le dinamiche che stanno dietro alla loro amicizia. «Vieni». Harry mi prende di nuovo per mano, per poi andare a sederci vicino al ragazzo che abbiamo appena salutato.

Il ragazzo seduto si alza per salutare Harry, con abbraccio e pacca sulla spalla, poi mi sorride. «Ciao io sono Lawson». Anche la sua stretta di mano è decisamente energica.

«Ciao... io sono Chloe».

«Sei schifosamente gentile anche con lui», mi dice Harry, e stavolta sono io ad alzare gli occhi al cielo.

«Dovresti cominciare a farti qualche domanda su questo, Stevens...», gli dico, non veramente infastidita.

Il suo amico ci invita a sederci al suo tavolo e scambiamo qualche parola. Lawson è veramente simpatico, cordiale: chiacchieriamo come se lo conoscessi da tempo e non da soli dieci minuti. Stranamente non mi fa troppe domande del tipo come mai conosco il suo amico, anzi, ho come l'impressione che lui mi conosca già, come se Harry gli avesse parlato di me ma, quando penso che vorrei approfondire l'argomento, veniamo interrotti da Nate, che non mi sono accorta si fosse avvicinato al nostro tavolo.

«Volete ordinare?» Il suo tono di voce non è più allegro come poco fa.

«Che succede, Nate?» gli chiede Lawson, anche lui deve aver notato il cambio d'umore del biondino.

«Ti ricordi di Mike? Quello che avevo chiamato per la pubblicità al locale?» Nate si rivolge direttamente a Lawson.

«Sì, mi avevi detto che proprio ieri ti ha dato la conferma». Io e Harry seguiamo in silenzio la piccola discussione tra i due.

«Già, peccato che mi ha chiamato proprio ora per darmi buca». Nate è decisamente seccato per l'inconveniente e mi spiace vederlo così, tanto che non riesco a tenere a freno la lingua.

«Possiamo fare qualcosa?», gli domando, cercando di rendermi utile.

«No, ma grazie di averlo chiesto. Allora, cosa vi porto?», chiede, tornando a guardare tutti i presenti al tavolo.

«Oh, invece possiamo!» La voce di Harry attira l'attenzione di tutti e ci voltiamo contemporaneamente a guardarlo.

Lo sguardo di Harry finisce su di me e, a quel punto, sono certa che stia architettando qualcosa che non mi piacerà per niente. Resto con gli occhi nei suoi, ma sento anche gli sguardi di Nate e Lawson su di noi. «Che cos'hai in mente?», chiedo cauta.

«Aiuteremo Nate. Saremo io e te a fare pubblicità al suo locale». Il suo sguardo non promette niente di tranquillo o di semplice.

«Che cosa intendi con...» Le mie parole vengono interrotte da lui che si alza e afferra il mio polso per tirarmi via dal tavolo al quale siamo seduti.

«È sempre sul retro giusto?!» Harry urla a Nate, mentre continua a portarmi con sé.

«Sì!» Il suo amico risponde decisamente divertito da questa situazione, cosa che mi fa insospettire più di quanto non stessi già facendo.

«Harry vuoi spiegarmi cosa stiamo facendo?» Arriviamo sul retro del locale, credo sia una specie di magazzino, e finalmente lui si ferma.

«Chloe smettila di parlare». Accende la luce e mi rendo conto che è davvero un magazzino, con scatole appoggiate qua e là, e alcuni armadietti sulla parete alla nostra sinistra. Lui si dirige sicuro proprio lì, senza mai lasciarmi andare, apre uno sportello e subito capisco cosa sta per succedere.

«No!» Cerco di liberarmi dalla sua presa, ma lui stringe di più. «No, Harry, non lo farò!»

«Andiamo, Chloe, sai che non puoi dirmi di no, oggi». Il suo sorriso furbo e il suo tono di voce mi portano a strofinarmi la mano libera sul viso sbuffando esasperata.

«Harry io...» Cerco di prendere tempo perché gli ho promesso che non gli avrei detto di no, ma questa cosa che vuole farmi fare è totalmente nuova per me.

«Tu cosa?» Si avvicina un po' di più a me, che sono rimasta più indietro. «Abbiamo un accordo, devi solo scegliere dove cambiarti, ma se vuoi farlo qui non sarò di certo io ad impedirtelo». Di nuovo le sue dita sul mio viso a sistemare ciocche che non hanno affatto bisogno di essere sistemate.

È diventata un'abitudine ormai, lo fa spesso quando i nostri volti sono così vicini, e non so se lo fa perché è una cosa che gli piace fare o se perché ha capito che con questo suo gesto mi ha completamente in pugno.

«Ok, ma voglio cambiarmi da sola, quindi esci». Sorride soddisfatto di sé, fa scivolare la punta delle sue dita lungo la mia mascella e fa un paio di passi indietro.

«Tanto prima o poi li vedrò quei tatuaggi». Alzo gli occhi al cielo, ma non posso evitare di sorridere della sua espressione.

«Più poi che prima...», gli dico, tentando di smorzare il suo entusiasmo.

«Quindi non lo escludi... Mi posso accontentare... Per ora...» Mi fa l'occhiolino ed esce dal magazzino, lasciandomi alle prese con la mia voglia di aiutare Nate.

Dieci minuti dopo mi ritrovo sul marciapiede di fronte al locale insieme a Harry, entrambi con il nostro enorme costume da hot-dog, mentre distribuiamo volantini promozionali per il suo biondo amico.

«Questa me la pagherai, Stevens!» Lo dico solo per il fastidio che provo a causa del prurito che questo tessuto mi provoca sulla pelle.

«Smettila di fare l'acida. Sei bellissima anche vestita da hot-dog». Evito di guardarlo, perché quello che è appena uscito dalla sua bocca mi agita più di quanto mi piaccia ammettere.

Se ne esce all'improvviso con frasi come questa e la cosa mi spiazza, tanto da dovermi concentrare sulle persone che mi passano accanto, dando loro i volantini che ho in mano, per alleggerire il turbamento che ciò che mi ha appena detto mi ha provocato.

Non so quanto tempo abbiamo passato così, distribuendo volantini mentre ci scambiavamo stupide battute, ma quando quei foglietti sono finiti, finalmente possiamo rientrare e toglierci questo stupido costume.

«Tu rimani qui», dico a Harry, per poi chiudermi dentro al magazzino da sola, e lui borbotta parole incomprensibili che mi strappano un sorriso.

Mi tolgo a fatica il costume ingombrante per poi metterlo a posto e recuperare i miei vestiti da indossare. Non trattengo un sorriso quando il mio sguardo cade sul tatuaggio che ho sull'anca sinistra, una piccola rosa che ho fatto quando avevo solo diciassette anni in un punto strategico, così da non poter essere visto dai miei dato che l'avevo fatto di nascosto.

Dopo essermi vestita vado ad aprire la porta per far entrare Harry e, quando sto per uscire, lui mi afferra per il polso. «Resta...», mi dice, con un tono di voce in netto contrasto con lo stravagante costume che ancora indossa.

Vorrei farlo, vorrei restare, vorrei guardarlo mentre si cambia, ma l'intensità dello sguardo con cui me lo sta chiedendo, è davvero troppo per me, non sono sicura di essere in grado di gestire tutto quello che provo quando lui è con me. «Devo... devo andare in bagno, Harry». La mia voce è incerta, e lui lo sa, perché sorride furbo.

«Guarda che io sono disposto a farti vedere i miei tatuaggi». Sta tentando di alleggerire l'atmosfera per togliermi dall'imbarazzo facendo l'idiota. Sa capire anche questo, senza alcun bisogno che io glielo dica.

«Ma io non sono disposta a vederli...» Disposta non è proprio la parola più adatta a quello che intendevo, ma per ora non posso proprio permettermi di più.

Sfilo lentamente il mio polso dalla sua presa e mi allontano, mentre lo sento urlare "ti preferivo ubriaca!", e rido ancora mentre torno dai suoi amici.

Non vedo Nate, ma Lawson è seduto nello stesso punto di poco fa, intento ad osservare con attenzione lo schermo del suo cellulare, e si accorge della mia presenza solo quando mi siedo di fronte a lui.

«Ehi... avete finito?», mi domanda, con un enorme sorriso per poi bloccare lo schermo del telefono e posarlo sul tavolo.

«Sì, finalmente. Quel costume è terribile!» Lawson ride delle mie parole.

«Lo so, una volta Nate l'ha fatto fare a me... d'estate...», la sua espressione lascia chiaramente intendere i suoi pensieri, «gli ho detto che se me l'avesse fatto fare un'altra volta, poteva scordarsi di avermi come amico». Stavolta sono io a ridere e andiamo avanti così a parlare fino a che anche Harry non si aggiunge a noi.

«Ho già detto a Nate di portarci qualcosa da mangiare», mi dice, quando si siede al mio fianco, tanto vicino che la sua gamba è a diretto contatto con la mia, ma non voglio spostarmi perché voglio mantenere questo contatto con lui.

Passiamo così un paio d'ore, per alcuni minuti si è unito a noi anche Nate. I suoi amici sono davvero simpatici: nonostante li abbia appena conosciuti sono riusciti a farmi integrare perfettamente nei loro discorsi, e io continuo a pensare che sono mesi che non mi sento così bene.

«Beh, io devo proprio andare», dice Lawson mentre si alza, per poi infilarsi la giacca. «È stato un piacere conoscerti, Chloe...», mi dice con un gran sorriso, «Harry... ci sentiamo». I due ragazzi si salutano. Lawson si allontana e restiamo di nuovo da soli, ma lui non mi dà tempo di pensare a nulla.

«Andiamo anche noi». La sua non è una domanda.

Si alza dalla panca, allunga una mano nella mia direzione e io mi affretto ad afferrarla. «Dove andiamo?», gli domando, sperando che stavolta abbia voglia di rispondermi.

«Hai bisogno di rilassarti adesso». Non ho alcuna idea di cosa intenda, ma il contatto della mia mano con la sua mi spinge ad alzarmi e a seguirlo.

E, in questo momento, mentre mi guarda in quel modo, lo seguirei in capo al mondo. 

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Capitolo 28
*** Non hai niente da dire? ***


Negli ultimi mesi il risveglio per me è stato quasi sempre traumatico perché voleva dire tornare alla realtà, quella realtà in cui realizzavo che Dylan non c'era più - soprattutto quando sfioro il piccolo ciondolo che ho appeso al collo - e, istantaneamente, venivo travolta dai ricordi della sera del mio compleanno, la serata che ha distrutto la mia vita.

Ma tutto questo non è successo stamattina. Quando ho aperto gli occhi ho avuto solo la percezione del corpo di Harry contro il mio, delle sue mani su di me e del suo profumo, che mi regalavano uno splendido risveglio. Quando ha detto quella stupidaggine dell'aver fatto l'amore tutta la notte, ammetto di esserci quasi rimasta male quando ho scoperto che mi stava prendendo in giro, ma poi mi sono detta che, se fosse successo, avrei voluto ricordarmi ogni più piccolo particolare.

Ci sono momenti in cui mi sento in colpa per i pensieri che ho su Harry e vorrei solo non averlo mai conosciuto, ma questo succede solo quando sono da sola e i ricordi tornano a tormentarmi, perché quando lui è con me non posso fare a meno di concentrarmi su ogni cosa che lo riguarda, fosse anche solo osservarlo mentre si slega i capelli e ci fa scorrere una mano in mezzo, proprio come sta facendo in questo momento, seduto di fronte a me su questo vagone deserto della metropolitana - stavolta regolarmente muniti di biglietto - diretti ad una meta a me ancora sconosciuta.

«Quando hai deciso di farli crescere?», gli domando curiosa. I suoi capelli sono decisamente lunghi.

Lui solleva lo sguardo e mi dedica un meraviglioso sorriso. «Il giorno stesso in cui mio padre mi ha chiesto di tagliarli». Scuoto la testa, ma sorrido per la sua affermazione. «È un'ottima motivazione sai?»

«Per quale motivo ce l'hai tanto con lui?» Sembra che oggi siamo in vena di confidenze, quindi non mi costa niente provare a fargli qualche domanda più personale.

«Perché ha smesso di fare il padre da quando... da quando lei  se n'è andata». Suppongo che, con quel lei, intendesse sua madre. «Ha cominciato a dedicarsi solo al lavoro, io e Jordan ci siamo sempre appoggiati a Brenda e al nonno, ma la notte eravamo solo io e lui». C'è amarezza e risentimento nelle sue parole. «Una notte l'ho sentito piangere così tanto che sono entrato in camera sua, avevo sette anni, e lui mi ha cacciato via dalla sua stanza, così ho iniziato a pensare che mia madre se ne fosse andata a causa mia e che mio padre fosse arrabbiato con me per questo. Da quel momento il rapporto con mio padre è peggiorato di giorno in giorno fino ad arrivare ad oggi. Lui mi odia e io non lo sopporto. Praticamente abbiamo trovato il nostro equilibrio». Harry sorride ancora, ma stavolta è un sorriso finto, di circostanza. Dice di non sopportare suo padre, ma sono certa che soffra per questa situazione, anche se non lo dice apertamente.

«Io non credo che tuo padre ti odi. Quando vi ho visto quella sera sul palco, il suo sguardo per te era...»

«Era apparenza, Chloe, c'erano un mucchio di soldi in ballo, credi davvero che davanti a tutte quelle persone avrebbe potuto mostrare il vero sé stesso?» Mi interrompe bruscamente e il suo tono di voce non ammette repliche, credo di dover lasciar perdere l'argomento, almeno per ora.

«E pensi di tagliarli prima o poi?» Riporto il discorso su qualcosa di più leggero e i lineamenti del suo viso tornano a distendersi, mentre quell'espressione furba, che mi piace tanto, fa capolino nei suoi occhi.

«Potrei... o potrei lasciarli diventare lunghi come i tuoi...» Alzo gli occhi al cielo e non faccio in tempo a dire altro perché lui si alza in piedi. «La prossima è la nostra». Mi alzo anche io e mi avvicino a lui, verso la porta d'uscita, poi il treno si ferma e scendiamo.

Non sono mai stata qui, quindi non ho la minima idea di dove stiamo andando. Camminiamo per un lungo tratto sul marciapiede, in completo silenzio, come se ognuno di noi stesse elaborando gli eventi di questa giornata che, guardati singolarmente, possono anche sembrare banali ma, per le storie che entrambi abbiamo alle spalle, trovo questa giornata straordinaria sotto tutti i punti di vista.

Harry mi ha fatto uscire dalla mia routine o, come dice lui, dai miei schemi mentali, e devo ammettere che ha funzionato. Sto bene, molto bene, e spero con tutto il cuore che, una volta tornata a casa, il mio cuore non si spenga, perché sembra che riesca ad accendersi solo in presenza di Harry.

Arrivati alle strisce pedonali attraversiamo, per poi ritrovarci in un parco enorme. Ci sono giochi per bambini, un campo da football, sentieri, panchine, alberi meravigliosi e io non so da che parte guardare, tanto è bello questo posto.

«Ti piace qui?», mi chiede Harry, mentre camminiamo l'uno accanto all'altra. Deve aver notato la mia espressione sognante.

«È bellissimo!» Ho un perenne sorriso sulle labbra per ogni dettaglio che i miei occhi riescono a catturare.

La giornata è fredda e il parco non è molto affollato, ma immagino che d'estate lo sia. C'è un tale senso di pace in questo posto e io ne ho un incredibile bisogno sia per la mia mente che per il mio cuore.

«Bene, ma non è qui che volevo portarti». Mi volto a guardarlo aggrottando le sopracciglia, ma lui non dice altro, continua a camminare fino a che non attraversiamo tutto il parco arrivando ad una strada, al di là della quale riesco a vedere l'oceano.

Il freddo non ci impedisce di fermarci sul muretto che delimita la spiaggia, sul quale ci sediamo restando in silenzio ad ammirare il magnifico spettacolo di fronte ai nostri occhi. Una punta di nostalgia si fa viva nel mio cuore nel momento in cui ripenso che, l'ultima volta in cui sono stata al mare è stato con Dylan, ma Harry non mi permette di soffermarmi oltre su questo pensiero, perché attira la mia attenzione quando lo vedo cercare qualcosa nella tasca interna del suo cappotto.

Ne tira fuori un piccolo astuccio rigido di colore bianco, poi lo apre e resto a bocca aperta quando ne vedo il contenuto. «Prendine una», mi dice Harry, avvicinandomi quell'astuccio.

«Harry io non...» Sto per protestare, ma alla fine mi trattengo perché so che gli ho promesso che oggi non gli avrei detto di no, però questo è oltre ogni mia aspettativa e mi coglie totalmente impreparata.

«Niente Harry... prendine una». Mi sorride ancora, stavolta è quel sorriso di cui so che posso fidarmi ciecamente e, a quel punto, non posso più rifiutarmi.

Allungo una mano e prendo il piccolo cilindretto bianco con pollice e indice, e pare che la cosa lo faccia ridere. «Non hai mai fumato?», mi domanda con aria divertita.

«Non ho mai neanche provato a fumare una sigaretta, figuriamoci questa...», mi sento strana a tenere in mano questo spinello, «e poi, chi te l'ha data?» D'improvviso ho la curiosità di volerlo sapere.

«Zach, stamattina...» Smette di parlare per portarsela alla bocca e accenderla. «Ma visto che per te è la prima volta, magari facciamo a metà di questa». Espira il fumo, me la toglie di mano e la rimette a posto insieme all'accendino.

E poi fa qualcosa che mi coglie totalmente di sorpresa. Da seduto al mio fianco si volta appena, dandomi le spalle, e si sdraia sul muretto appoggiando la testa sulle mie gambe, distendendo in avanti le sue, incrociando poi i piedi. Chiude gli occhi mentre inspira il fumo, lo trattiene qualche istante per poi rilasciarlo e io non posso trattenere la mia mano che va ad infilarsi tra i suoi capelli provocando un meraviglioso sorriso sulle sue labbra. «Non smettere», mi dice, tenendo ancora gli occhi chiusi. Inspira un'altra volta, poi, mentre espira, mi porge lo spinello, che io afferro incerta con la mano destra.

Tento di imitare i suoi gesti, ma il fumo mi va di traverso e inizio a tossire. «Sei davvero una mezza sega, Stewart!» Harry usa un tono di voce divertito, ma tranquillo. Lo guardo e ha ancora gli occhi chiusi. Riprendo a passare le dita della mano sinistra tra i suoi capelli accarezzandolo lentamente e riprovo ad inspirare. Stavolta va un po' meglio, ma mi sento decisamente ridicola, per cui la rimetto di nuovo tra le sue dita. «Non ti starai già arrendendo, vero?», mi chiede, restando sempre nella stessa posizione, con gli occhi chiusi.

«Harry, tu credi davvero che questa cosa possa davvero farmi rilassare?», gli domando, continuando a tenere i suoi capelli tra le mie dita.

«Chloe questa è la stronzata più stronzata che uno può fare nella vita, ma oggi, e solo per oggi, voglio che non pensi a niente, voglio che tu faccia tutte le cazzate che riesci, per dire a te stessa che, se vuoi, puoi fermare tutto quel dolore. Sei in grado di farlo, voglio solo che tu lo capisca, quindi per ventiquattro ore sei libera di fumare, anche se poi non lo farai mai più nella vita, e spero che tu non lo faccia più...» Riporta la sigaretta alle labbra, aspira ed espira. «Nella prima fase post-Winter, oltre a bere, ho fumato esageratamente tanto, ma ora si tratta di una volta ogni tanto, solo con Zach e solo quando la merda che ho nella testa non mi lascia tregua». Di nuovo aspira, espira, e l'allunga nella mia direzione.

Imito ancora i suoi gesti, cercando di controllare la respirazione e riesco a non morire soffocata. Quando arriva il momento di rimetterla nelle sue mani, mi accorgo che Harry ha aperto gli occhi e mi sta fissando. «Che c'è?», gli domando, per poi liberarmi di quella cosa e lasciarla a lui.

Sento il suo sguardo farsi insistente e contemporaneamente sento il mio corpo diventare più molle.

«Sei bellissima anche da qui...» Chiudo gli occhi, rivolgendo il viso verso l'alto per assimilare le sue parole. Continua a ripetermelo e io resto ancora in silenzio, nemmeno un misero grazie è mai uscito dalla mia bocca, ma non posso negare che ogni volta arrivano al mio cuore sia le sue parole, che il suo sguardo. «Ne vuoi ancora?», mi domanda.

«Mi gira la testa, Harry...» E non solo per quello che ho fumato, anzi, sono certa che il motivo principale sia lui, e tutto quello che sta facendo per me.

«Ok...» Non dice altro e restiamo in silenzio ad ascoltare il rumore delle onde che si infrangono sulla riva, il rumore del vento, e il chiacchiericcio delle persone che ci passano accanto.

Vorrei davvero sapere a cosa sta pensando, cosa gli sta passando per la testa in questo momento, vorrei conoscere i suoi pensieri più profondi e, soprattutto, perché sta facendo tutto questo. La mia mano è ancora lì, tra i suoi capelli, l'altra è appoggiata sul muretto. Cerco di non guardarlo, di tenere lo sguardo dritto davanti a me, perché so che mi incanterei ad osservarlo.

Mi concentro su questo silenzio, che non ha niente di imbarazzante, anzi, lo trovo quasi come qualcosa di intimo che non puoi condividere con chiunque, perché non sento il bisogno di dire per forza qualcosa, mi basta sentirlo qui con me.

«Ho voglia di baciarti di nuovo...» La sua voce bassa mi porta a guardarlo e il suo sguardo intenso mi lascia senza fiato. «Non hai niente da dire?» Stavolta il suo tono è leggermente provocatorio, ne è la conferma quel mezzo che sorriso che ha in questo istante. Non so se lo stia facendo perché si rende conto di quanto io mi trovi in difficoltà, o se abbia solo voglia di prenderla alla leggera, ma ogni volta che sorride il mio cuore si aggiusta.

Resto incantata a guardarlo, con lo sguardo nei suoi occhi verdi, e vorrei dirgli che anche io ho una gran voglia di baciarlo, ma ho anche una gran paura, che ancora non mi permette di lasciarmi andare del tutto.

Lui alza un braccio, avvicina la mano alle mie labbra e ne traccia il contorno con le dita, mentre io sono totalmente in suo potere. «Va bene se non vuoi, Chloe... volevo solo che tu lo sapessi». Il suo dito è ancora lì, sulle mie labbra socchiuse, i miei occhi incatenati ai suoi e Dio solo sa quanto vorrei poterlo fare, essere capace di dare un colpo di spugna a tutto il brutto che mi devasta il cervello e dedicarmi solo a Harry, a quanto mi fa stare bene, ma non riesco proprio a farlo.

«Stai cercando di mettermi in difficoltà?» Cerco a mia volta di punzecchiarlo, sono certa che gli piaccia quando lo faccio.

Sposta la sua mano e si alza, mettendosi seduto accanto a me. La sua mano è di nuovo sul mio viso, a giocherellare con qualche ciocca dei miei capelli non necessariamente fuori posto. «Ti sto mettendo di fronte alla realtà, prima o poi la vedrai anche tu». Gli sorrido, non so fare altro, e mi sento uno schifo per non riuscire ad essere diversa. «Ora smettila di pensare, che stavamo andando così bene. Ho in programma un'altra cosa per te, oggi». Si alza in piedi, porgendomi la mano che io afferro subito, e mi aiuta ad alzarmi.

«Dopo la colazione bruciata, quella perfetta di Brenda, la fuga dal tizio in metro, la camera della rabbia, i costumi da hot-dog e lo spinello, non so davvero cosa aspettarmi», gli dico, mentre iniziamo ad incamminarci verso un'altra meta sconosciuta, decisamente più infreddoliti.

«Stai dimenticando la parte migliore, Stewart!» Si volta a guardarmi con il suo sorrisetto furbo e io lo osservo assottigliando lo sguardo. Credo di immaginare a cosa si stia riferendo.

«Era l'adrenalina!», gli rispondo, non veramente infastidita, perché non mi è dispiaciuto affatto baciarlo.

«Non importa cos'era, ho già prenotato quel posto per le prossime due settimane... tutti i giorni...» Gli tiro scherzosamente un piccolo pugno sulla spalla e continuiamo in questo modo per tutto il resto della nostra camminata, fino al ritorno alla metropolitana, ma stavolta non sono riuscita ad averla vinta e siamo passati senza pagare il biglietto, con la mia conseguente agitazione per aver infranto le regole.

Ci ritroviamo al centro di Boston circondati da grattacieli - indenni da controllori - camminando a stretto contatto, fino ad arrivare sotto ad un imponente struttura; credo sia un condominio di lusso, quelli in cui gli appartamenti sembrano vere ville, praticamente quello che non potrò mai permettermi.

Ci fermiamo davanti all'ingresso e Harry prende il suo cellulare dalla tasca per poi comporre un numero. «Ehi, sei a casa?», chiede al suo interlocutore, tenendo i suoi occhi nei miei. «Ok, salgo un attimo a prendere la borsa...» Lo guardo incuriosita da quello che sta architettando. «Ti ho avvisato perché non sono da solo, altrimenti col cazzo che ti avvisavo...» Rido istintivamente alla sua affermazione, ma sono anche un po' preoccupata perché non ho la minima idea di chi sia la persona con cui sta parlando. «Ok, arriviamo». Riaggancia e mi sorride furbo.

«Con chi parlavi?», gli domando, nella speranza che mi risponda.

«Tra dodici piani lo vedrai». Lo seguo all'interno fino all'atrio, dove noto il portiere che lo saluta.

«Buonasera, signor Stevens!», gli dice, l'uomo dietro al grande bancone centrale.

«Buonasera, Steve». E, a quel punto, credo di aver capito dove stiamo andando.

«Stiamo andando da tuo fratello?», gli chiedo, quando siamo di fronte all'ascensore.

Le porte si aprono ed entriamo. «L'hai capito dal buonasera signor Stevens, vero? Mi sono rovinato la sorpresa!» Sbuffa mentre si avvicina alla pulsantiera e io non posso non sorridere, anche se non sono del tutto tranquilla nel sapere che sto per andare a casa di Jordan Stevens.

Un po' mi mette soggezione sapere che sto per incontrare il mio capo part time, e un po' mi mette soggezione il fatto che sia proprio suo fratello a portarmi a casa sua, di domenica sera. Sicuramente si farà delle domande perché sono con lui e nel frattempo sto morendo di curiosità per tutta questa situazione.

«Cosa c'è di così divertente a casa di tuo fratello?» Provo ad insistere con la mia richiesta, ma sembra che Harry non voglia cedere, e non voglia rivelarmi nulla perché resta in silenzio, ma con un fantastico sorriso sulle labbra. «E se io non volessi venire a casa sua?» Provo anche a sfidarlo, forse otterrò qualcosa.

«Non puoi, abbiamo un accordo». Volta appena il viso verso di me e mi fa l'occhiolino, poi l'ascensore si ferma. Siamo arrivati.

Usciamo entrambi e arriviamo davanti ad un elegante porta scura, alla quale Harry bussa, decisamente con poco garbo. Passano pochissimi secondi e la porta si apre mostrando il sorriso divertito del fratello maggiore. «Ciao ragazzi!,» ci dice, per poi spostarsi e lasciarci entrare.

«Sì, ciao», risponde Harry, mentre entriamo nel luminoso appartamento.

Il salone è enorme, le due finestre in fondo sono talmente grandi che occupano entrambe le pareti, dando una meravigliosa visuale sui grattacieli della città. Due divani chiari, uno di fronte all'altro, sono sistemati al centro della stanza su un grande tappeto bianco, divisi da un tavolino rivestito in stoffa. Ai lati dei divani ci sono due poltrone scure, ed è proprio su una di queste che mi sistemo quando Jordan ci fa accomodare.

«Posso offrirvi qualcosa?», domanda Jordan ad entrambi, e mi rendo conto solo ora che Harry è rimasto in piedi.

«No, sono passato solo per prendere il mio borsone», dice Harry a suo fratello, dopo di che si allontana, lasciandomi sola con il fratello maggiore.

«Chloe, è un piacere averti qui», dice lui, sedendosi sul divano vicino alla poltrona sulla quale sono seduta in maniera molto poco rilassata.

«Mi spiace per il disturbo, non sapevo che Harry avesse intenzione di passare di qui». Non so bene per cosa io mi stia scusando in realtà, forse è solo a causa dell'imbarazzo che provo nel trovarmi a casa sua.

«Non dirlo neanche, sono felice che tu sia qui... con lui...» Non faccio in tempo a rispondere che la figura di Harry entra nel mio campo visivo.

«Ok... possiamo andare». Io e Jordan ci voltiamo a guardarlo.

È in piedi, sulla soglia della porta del salotto, con la mano destra tiene ben saldo sulla spalla un borsone scuro e guarda solo me, come se non ci fosse niente e nessuno in questa stanza oltre a noi due.

«Oh... la porti...»

«Sì, Jordan!» Harry stronca sul nascere quello che suo fratello stava per dire, ma senza mai distogliere il suo sguardo dal mio. «Dai, Chloe, andiamo». Mi invita a raggiungerlo e, anche se mi spiace essere piombata in casa di suo fratello in questo modo, e andarmene ancora più velocemente, non posso far aspettare ancora Harry, quindi mi alzo dalla poltrona e vedo Jordan fare lo stesso.

«Beh... divertitevi», dice il fratello maggiore, con uno strano sorriso in volto.

«Grazie». Mi sento in imbarazzo per poter aggiungere qualunque altra cosa, quindi gli sorrido e mi avvicino a Harry, che allunga una mano verso di me non appena arrivo ad un passo da lui, per stringerla e avviarci verso la porta d'ingresso.

«Ci sentiamo Jordan!» Harry saluta così suo fratello quando siamo quasi fuori.

«Ciao!» Urla lui dall'altra stanza e io posso tirare un sospiro di sollievo appena fuori dall'appartamento di Jordan, per poi entrare di nuovo in ascensore.

«Oh mio Dio! È stato imbarazzante!», gli dico, mentre premo il pulsante rosso sulla parete, dato che sono io ad avere ancora una mano libera. Lui tiene il borsone e me.

«Solo perché non vuoi deciderti a dargli del tu, guarda che non ti mangia mica!» Il suo tono di voce è incredibilmente divertito.

«Tu come sai che non voglio dargli del tu?» Mi volto a guardarlo e vedo che sorride.

«Vi ho sentiti parlare, no?» Sono certa che non sia solo questo, ma decido di non indagare oltre per concentrarmi su ciò che porta sulle spalle e che ho appena visto da vicino entrando in ascensore.

«A cosa serve questo?», gli domando, indicando il borsone.

«A distruggerti». Lo dice con un tono scherzoso, ma provocatorio al tempo stesso, senza smettere di guardarmi, facendomi sentire qualcosa che si smuove dentro di me, non so bene in quale parte del mio corpo stia succedendo, ma senza ombra di dubbio sta succedendo.

Non parlo più, non ci riesco, nemmeno lui lo fa. Restiamo incantati a guardarci e forse, se non ci fossero altre persone con noi in ascensore, ci troveremmo molto più vicini di quanto già non siamo.

Arriviamo al piano terra, tutti escono, sto per farlo anch'io, ma la sua mano mi trattiene. Le porte si richiudono e sento un gran tonfo, poi mi ritrovo schiacciata contro la pulsantiera da lui, che tiene premuto il pulsante stop guardandomi con un'intensità tale da farmi tremare le gambe. «Ti ho già detto una volta di non guardarmi così, se non vuoi che ti baci davanti a tutti». Le mie corde vocali sembrano essere decedute sul colpo, forse anche i miei neuroni devono essere stati rasi al suolo, perché non c'è più alcun collegamento cervello bocca, e io posso solo restare a fissare il verde brillante e acceso dei suoi occhi. «Io ci provo a resistere, Chloe, ma non so fino a quando ci riuscirò».

La sua mano libera arriva sul mio viso, il contatto della sua pelle sulla mia è come se fosse benzina sul fuoco, e io mi accendo come un falò, ogni parte del mio corpo riprende vita; sono io ad avventarmi sulle sue labbra, sono io a non riuscire più a fermarmi, a trattenermi, sono io a trattenere il suo viso tra le mani, a mordere e baciare le sue labbra, e lui non si risparmia perché si spinge ancora di più contro di me. La sua mano sulla mia nuca mi spinge ancora di più contro la sua bocca, poi sento anche l'altra mano sul mio fianco, poi sulla mia schiena, che preme e stringe, e io sto perdendo la testa.

Poi, come nel peggiore dei clichè, un forte colpo di tosse attira la nostra attenzione, e ci stacchiamo velocemente sotto lo sguardo severo di un paio di uomini che stanno entrando in ascensore, ma lui non si perde d'animo e, con il suo sorriso beffardo, si china a raccogliere il borsone, mi prende per mano e usciamo di corsa. «Buona giornata!», urla loro, mentre ci allontaniamo e non smettiamo di ridere.

Arriviamo all'esterno e di nuovo si ferma, mi blocca facendo aderire la mia schiena contro la vetrata accanto all'ingresso. «Questo vuol dire che posso baciarti quando ne ho voglia d'ora in poi?»

Lui è perfettamente di fronte a me ora, ma, anche senza le sue mani su di me, torno a sentire la sensazione di poco fa e il mio corpo riprende fuoco; faccio appello a tutte le mie forze per trattenermi. «Questo vuol dire che sei stato bravo a giocare le tue carte, Harry, ma non vuol dire che puoi fare di me quello che vuoi, quando ne hai voglia». In realtà le cose funzionano esattamente al contrario di ciò che ho appena detto, ma non posso e non voglio farmi prendere dall'entusiasmo del momento. Harry mi piace, e mi piace molto anche, ed è proprio per questo che non voglio essere precipitosa, anche se credo che ormai il danno sia fatto.

«Oh... io dico di sì, invece». Stavolta si allontana, ma non smette di sorridere.

Scuoto leggermente la testa e sorrido anch'io mentre lo affianco lungo il marciapiede. «Quindi ... adesso si può sapere dove stiamo andando?» Cerco di evitare di pensare a quanto è appena successo nell'ascensore - o in queste ultime ore. Ci penserò domani, ora voglio concentrarmi solo ed esclusivamente sul momento che sto vivendo, perché è troppo bello per essere rovinato dalle mie paranoie.

«Non è molto lontano, puoi riuscire a sopportare l'attesa se t'impegni», mi dice, aumentando il passo.

«E mi piacerà?», gli domando, tentando di avere qualche dettaglio in più.

«Finora c'è qualcosa che non ti sia piaciuto?» Mi guarda con aria di superiorità e non posso nemmeno smentirlo perché ha detto la verità. «Il tuo silenzio parla da solo». Sbuffo spazientita mentre tento di stare dietro al suo passo.

Arriviamo davanti ad una struttura sportiva e lo seguo all'interno, ma ci fermiamo poco prima di arrivare al bancone dell'accoglienza. Resto in silenzio ad osservare curiosa tutti i suoi movimenti. Harry si china per terra, sul suo borsone aperto, e ne tira fuori un paio di suoi pantaloni della tuta ed una t-shirt. «Tieni», mi dice, porgendomi gli indumenti che ha in mano.

Allungo una mano e li prendo. «Che devo farci con questi?», gli domando, mentre lui chiude il suo borsone e lo riporta sulle spalle mettendosi in piedi.

«Di là...», mi volto a guardare ciò che sta indicando, «spogliatoio femminile, o se vuoi vieni con me, spogliatoio maschile». Mi giro a guardarlo con le sopracciglia sollevate, mentre nei suoi occhi c'è una chiara espressione provocatoria.

«Andrà benissimo di là», gli dico, mentre lui non fa altro che sorridere.

«Noiosa...», mi punzecchia, ma ovviamente non cederò per niente al mondo, senza contare che lo spogliatoio non è ovviamente a suo uso esclusivo.

«Pratica, direi...», ribadisco ciò che penso, ma lui non perde il suo sorriso ironico.

«Come vuoi... senti, cambiati con quelli e ci vediamo di là». Non aggiunge altro, si avvicina al bancone e io lo seguo, curiosa come non mai di sapere cosa stiamo per fare.

«Vorrei noleggiare un campo per mezz'ora», dice Harry, rivolto al ragazzo che digita qualcosa sulla tastiera del computer.

«Ok, le attrezzature le trovate direttamente a bordo campo», risponde il tizio, mentre prende i soldi dalle mani di Harry, il quale si volta verso di me e con le labbra mima un "vai a cambiarti", al che sbuffo come una bambina e mi dirigo verso gli spogliatoi femminili con un piccolo broncio sul viso, ma che non fa nessuna differenza per lui: non ha intenzione di rivelarmi niente.

Trovo un armadietto libero e inizio a spogliarmi, posizionando all'interno i miei abiti. Prendo in mano i pantaloni e la maglietta che mi ha appena dato Harry e, prima di indossarli, non posso fare a meno di stringerli tra le mani per poi posarvi sopra il naso e inspirare a fondo.

Anche questi hanno il suo profumo, il profumo di Harry, della speranza che riesce a trasmettermi, e di tutto quanto comporti la sua miracolosa presenza nella mia vita. 

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Capitolo 29
*** Che succede adesso? ***


Esco dallo spogliatoio entrando in palestra: il campo di gioco vero e proprio è recintato da alcune paratie, uguali a quelle che delimitano le piste da ghiaccio, solo che non c'è ghiaccio sul pavimento, ma un tappeto d'erba sintetica. Le bandiere a stelle e strisce sono ai quattro lati del campo, le gradinate sono deserte, poi noto alcune, enormi, sfere gonfiabili trasparenti alla mia sinistra e mi chiedo a cosa diavolo possano servire.

Non faccio in tempo a farmi altre domande che la porta dello spogliatoio maschile si apre: Harry fa il suo ingresso con addosso maglietta bianca, pantaloncini neri e scarpe arancioni, ma poi non vedo nient'altro che il suo sorriso irriverente mentre cammina verso di me con passo sicuro. «Sei pronta?», mi chiede, avvicinandosi ancora un po'.

«Pronta per cosa, Harry? Cosa dobbiamo fare?» Lui non risponde e si volta a guardare altri due ragazzi che sono appena usciti dallo spogliatoio maschile.

«Siamo contro di loro», afferma sicuro. «Chloe ti presento Joe e Steve, i nostri avversari». I due ragazzi allungano una mano verso di me e io mi affretto a stringerla, sorridendo imbarazzata perché non ho la minima idea di cosa devo fare. «Vieni», mi dice poi, allontanandosi dai due per andare in direzione delle enormi sfere trasparenti.

«Harry?» Lo richiamo nella speranza che mi risponda. «Harry?» Riprovo, ma sembra che non abbia alcuna intenzione di darmi retta. «Harry!?» Alzo un po' di più la voce e, finalmente, si ferma e si volta a guardarmi.

«Chloe Eveleen Stewart sei la donna più rompiscatole che abbia mai conosciuto!» Non è veramente arrabbiato, lo posso capire dal mezzo sorriso che tenta di spuntare sulle sue labbra.

«Quindi, ora me lo dici cosa dobbiamo fare?» Uso il tono più infantile che riesco a fare e lui sospira rassegnato.

«Le vedi quelle?» Indica le sfere trasparenti giganti con un dito e io annuisco in silenzio. «Guarda me, guarda come faccio io». E come potrei non guardarlo? Chloe smettila di sbavare e fai attenzione se non vuoi che ti prenda per stupida!

Non posso credere di stare parlando da sola nella mia testa. Scaccio questi pensieri e lo osservo mentre si infila dentro all'enorme sfera, poi si china leggermente in avanti. «Qui ci sono le maniglie che devi stringere con forza». Mi mostra due maniglie in plastica posizionate all'interno della sfera.

«E poi, che succede?» Non so bene se ridere o essere preoccupata, ma la sua espressione divertita mi fa essere più propensa per la seconda opzione.

«Giocheremo a calcio». Il suo tono trionfale mi fa sgranare gli occhi.

«Cosa?», gli chiedo, decisamente confusa.

«Dio, Chloe, piantala di pensare, di domandare e di rompere! Fai quello che ti dico senza fare tante storie». Stavolta è infastidito dalla mia reazione.

«Ok...» Mi infilo anche io dentro a quel pallone gonfiabile e, anche se con qualche difficoltà, lo seguo fino al centro del campo da gioco dove gli altri due ragazzi sono già pronti.

«Siete pronti?», chiede Joe, o forse era Steve...

«Prontissimi», risponde Harry e, d'improvviso, non riesco più nemmeno a capire se sono a testa in su, o a testa in giù.

Dovrebbe essere una partita di calcio, in realtà è tutta una scusa per prendersi a spintoni e rotolare lungo il campo da gioco, e io non mi sono mai divertita tanto in vita mia. Tutti cerchiamo di recuperare quel pallone, ma alla fine pare che lo scopo principale di ognuno di noi sia quello di far cadere e rimbalzare chiunque ci capiti a tiro, che siano gli avversari o i compagni di squadra.

Non ho mai riso tanto come in quest'ultima mezz'ora, soprattutto quando sono finita gambe all'aria e non riuscivo più a rimettermi in piedi, e non sono mai stata così serena e felice dal giorno del mio compleanno. Mi fanno male le costole, mi fa male la pancia, mi cola persino il naso dal troppo ridere, ma non sono mai stata meglio di così.

La partita è finita, andiamo a riporre le bolle d'aria dove le abbiamo prese, e salutiamo i ragazzi che hanno giocato con noi. Cammino verso lo spogliatoio, ma ho come l'impressione che qualcuno stia camminando dietro di me. Mi volto e non mi sorprendo di vedere Harry quando sto per aprire la porta. «Dove credi di andare?», gli domando sorridendo.

«A fare la doccia!», mi risponde con un tono più che ovvio.

«Il tuo spogliatoio e la tua roba sono di là», gli indico la porta a qualche metro di distanza, ma lui continua a restare con lo sguardo su di me.

«Non fa niente, posso farne a meno». Sorride furbo e io non posso che sorridere con lui per il suo atteggiamento presuntuoso.

«Non entrerai in questo spogliatoio, Stevens». Lui sbuffa, ma sembra non voglia darsi per vinto.

«So che muori dalla voglia di mostrarmi i tuoi tatuaggi, quindi facciamola finita ed entriamo». Fa un passo verso la porta dello spogliatoio femminile, ma io mi paro davanti per bloccargli il passaggio.

«Non vedrai i miei tatuaggi né ora, né mai, quindi torna pure di là».

Le sue labbra si piegano all'insù solo per metà, poi si avvicina al mio orecchio. «Questo è quello che credi tu». Si allontana e si dirige verso lo spogliatoio maschile, lasciandomi senza nemmeno un briciolo di fiato per rispondergli. Riesco ad entrare nel mio spogliatoio solo quando la porta del suo si chiude e io non posso più vederlo.

Mi avvicino all'armadietto dove avevo lasciato i miei vestiti, lo apro e mi sfilo la maglietta di Harry completamente sudata per appenderla al gancio, quando sento dei passi ed istintivamente porto la maglietta a coprirmi il torace.

«Mi piace quello...» Mi volto di scatto nel sentire la sua voce alle mie spalle.

«Che diavolo ci fai qui!?» La mia voce si alza di parecchi decibel, ma il suo sorriso soddisfatto resta fermo sulle sue labbra.

«Ti ho portato un asciugamano e un po' di bagno schiuma...» Si avvicina porgendomi il flacone che tiene in mano e, subito, nella mia mente si affacciano immagini di me e lui sotto la doccia, così velocemente, e così intensamente, da farmi girare la testa.

«Non era necessario...» La mia voce si abbassa, mentre fatico ad allontanare dai miei pensieri quelle immagini.

«Sì che lo era... e, se fossi stato più silenzioso, avrei potuto vedere meglio quello che hai sulla schiena...» Sorride ancora, compiaciuto di sé stesso, mentre io tento di coprirmi come posso e con uno stato mentale più confuso di quanto non lo sia mai stato da quando lo conosco. «E uno l'ho quasi visto...» Harry continua a parlare riferendosi al tatuaggio che ho tra le scapole, ma sono certa che non abbia capito cosa fosse.

«E adesso puoi andare...» La mia voce sembra abbassarsi di più ad ogni parola che esce dalla mia bocca, ma è solo a causa dell'effetto che lui ha su di me.

Inizialmente sembra incerto se farlo davvero oppure no, poi sembra darmi retta. Poggia ciò che ha in mano sulla panca e mi sorride per poi allontanarsi. Ritorno a respirare solo quando sento la porta chiudersi. Chiudo gli occhi e le immagini di me e lui sotto la doccia si ripresentano con prepotenza, ma, ora che non sono sotto il suo sguardo attento, posso permettermi di lasciar vagare per un po' i pensieri senza sentirmi sotto pressione.

Mi reco sotto la doccia ripensando a Harry, a quanto sono stata bene oggi e a quanto mi faccia paura tutto quello che provo quando siamo insieme, ma ho anche più paura quando resto da sola, lontana da lui.

Ho paura che sia la fine di tutto, o che sia l'inizio di tutto.

Ho paura di perdere me stessa e Dylan, e ho paura di trovare me stessa e Harry.

Alla fine le emozioni vincono. Mi lascio andare e, sotto al getto dell'acqua calda, le lacrime si uniscono alle gocce che scorrono sul mio viso, lungo il mio corpo. Ho bisogno di lasciare andare qualcosa, altrimenti non potrò mai mantenere le promesse fatte ai miei amici. Troppe emozioni, troppo forti, tutte insieme, e io devo lasciare andare quelle brutte, perché ho fatto delle promesse anche a Harry, promesse che voglio provare a mantenere, ed è per questo che riesco a sentirmi meglio in breve tempo per asciugarmi, rivestirmi, e tornare all'ingresso della palestra, dove mi siedo e lo aspetto con un bel sorriso stampato in volto. Harry merita gioia e felicità, e io sono pronta a concludere la nostra giornata al meglio.

Quando lo vedo uscire dallo spogliatoio, insieme agli altri due ragazzi, ha quel meraviglioso sorriso, quello che mostra le fossette mentre parla con loro e il mio cuore perde un battito, forse più di uno, ma lui riporta tutto nella giusta dimensione quando mi arriva vicino. Posa il borsone a terra, si china, apre la cerniera e prende ciò che ho in mano per metterlo all'interno e chiudere. Poi si alza in piedi e allunga una mano. «Andiamo?», mi domanda, con un tono di voce che mi fa sentire al sicuro da tutto.

Non rispondo, ma afferro la sua mano seguendolo all'esterno della struttura.

È quasi buio, non so dove mi stia portando, ma in questo momento lo seguirei in capo al mondo. 

«Hai fame?», mi chiede, senza nemmeno guardarmi, ma sono certa che si stia comportando così per non mettermi a disagio. So che ha notato il mio sguardo perso poco fa nello spogliatoio.

«Sì, e tu?» Lascia andare la mia mano, si ferma, prende il cellulare dalla tasca dei jeans e digita qualcosa.

«Io ho sempre fame quando ci sei tu». Torna a parlarmi in maniera sfacciata, ma la cosa non mi dispiace affatto.

Specialmente quando mi guarda in quel modo.

Incrocio le braccia al petto e lo guardo con aria di sfida, anche se non sono realmente infastidita da quello che ha detto.

«Ho ordinato due pizze, passiamo a prenderle prima di andare a casa mia», mi dice, per nulla intimorito dalla mia espressione e dal mio atteggiamento.

«E chi ti dice che voglio mangiare la pizza?» Non mi dà fastidio nemmeno che abbia ordinato da mangiare senza interpellarmi, ma non voglio dirglielo.

«Andiamo, a chi non piace la pizza?» Mi guarda serio e io cerco di mantenere la mia espressione contrariata, ma faccio davvero fatica a farlo se non la smette di mettere in mostra le sue fossette. Adesso sta sorridendo, sa di avermi in pugno e io non posso fare altro che scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo. «Lo sapevo!» commenta poi soddisfatto. «Adesso andiamo».

Si incammina e io con lui. «Com'è che il tuo borsone da palestra ce l'aveva tuo fratello?», gli chiedo curiosa.

«Lo lascio sempre a casa sua. È stato lui a farmi conoscere il bubble soccer e, da allora, ogni tanto veniamo qui insieme. È stato molto terapeutico per me». Parla ormai apertamente e a me piace ascoltarlo.

«È per questo che mi hai portata qui?», gli domando, mentre scendiamo le scale per arrivare alla metropolitana.

«Sì. Ora prova a dirmi che non ti sei divertita». Ovviamente non posso dirgli che non mi sono divertita. Non ho fatto altro che ridere durante tutta la partita, credo che sia stato il momento più intenso di tutta la giornata, soprattutto quando si è presentato nello spogliatoio femminile, forse anche più di quando l'ho baciato poche ore fa, perché sembra che più tempo passiamo insieme, più si radicano in me sensazioni ed emozioni che non posso ignorare.

«Ok... un punto per te, Stevens...», rispondo senza dargli troppa soddisfazione, ma la sua espressione più che compiaciuta mi conferma quanto abbia capito di me senza che io abbia dovuto spiegarglielo.

«Grazie, Stewart», mi dice, prendendo poi qualcosa dalla tasca, che riconosco come due biglietti della metro.

«E quelli da dove arrivano?», gli domando, aggrottando le sopracciglia.

«Erano qui da stamattina». Me ne porge uno sorridendo, soddisfatto del suo comportamento infantile.

«Vuoi dire che siamo scappati inutilmente da quel controllore?» Lo seguo, mentre lui ha già passato il suo biglietto.

«Non siamo scappati inutilmente, in realtà a qualcosa è servito». Non mi lascia il tempo di replicare, si incammina verso la banchina della metro, e sono costretta, almeno mentalmente, a dargli ragione. Se non mi avesse presa alla sprovvista non avrei mai fatto una cosa del genere, e credo non la ripeterò tanto presto, ma se ci ripenso adesso, la corsa insieme a lui, aver condiviso qualcosa di nostro, mi è piaciuto tremendamente tanto.

Il ritorno verso casa sua è molto più leggero, perché non facciamo altro che ridere, continuando a parlare della partita a bubble soccer e di tutte le mie cadute, soprattutto di quella in cui lui mi ha vista per terra e ha pensato bene di lanciarsi sopra di me. In quel momento ho pensato che la bolla sarebbe esplosa e io avrei preso una gran testata, ma così non è stato, per fortuna.

Usciti dalla metropolitana ci rechiamo al take away dove ha ordinato le pizze, che troviamo già pronte, ritiriamo e arriviamo poi sotto casa sua, dove io ho un flash della serata di ieri, di me appoggiata a questa porta mentre lui prende le chiavi per aprire, poi entriamo e saliamo a piedi, e altre immagini di Harry che mi sostiene lungo le rampe di scale che portano fino al suo appartamento. Che idiota sono stata!

Apre la porta, entriamo e, dopo aver posato il borsone sul pavimento vicino all'ingresso, prende le pizze dalle mie mani e va verso la cucina. Resto per un attimo vicino al divano, dove mi ricordo perfettamente di avergli chiesto di ballare e di averlo baciato ancora. È tutto assolutamente chiaro adesso, forse troppo chiaro. Ricordo perfettamente l'incubo, lui che corre da me, io che gli chiedo di restare. Ricordo ogni cosa, compresa la sensazione di tranquillità e protezione che provo quando sono tra le sue braccia dopo un attacco di panico.

«Ti sei persa?», mi urla Harry dall'altra stanza.

«Arrivo», gli dico, andando da lui, e sorrido quando, arrivata sulla soglia della porta, vedo con quanto impegno sta tagliando a fette le due pizze.

«Stai tentando di ucciderle?», gli domando, andando verso di lui.

«Tu saresti mia complice, però...» Mi guarda velocemente, poi torna a torturare quelle povere pizze.

Ridacchio alle sue parole, poi mi tolgo la giacca e la poso sulla sedia. «Dove sono i bicchieri?», gli chiedo, cercando di rendermi utile.

«Lì dentro», mi indica uno sportello, e prepariamo per consumare la nostra cena da asporto, nella più tranquilla delle serate che abbiamo trascorso insieme.

Harry sorride sereno, raccontandomi aneddoti sulla sua vita, e io faccio la stessa cosa con lui. Niente battute, niente malizia, nessun secondo fine. Regna solo la voglia di condividere qualcosa di nostro con l'altro, di trascorrere del tempo insieme e di accantonare ogni pensiero che le nostre menti tormentate non fanno altro che propinarci durante una giornata qualunque.

Sto incredibilmente bene in questo momento. Harry riesce in tutto ciò in cui le altre persone accanto a me non sono mai riuscite: i miei pensieri e i miei occhi sono solo per lui, che è terribilmente bello, non solo quando indossa i suoi completi eleganti in ufficio, ma ha lo stesso effetto, se non addirittura meglio, con i capelli scompigliati e la normalissima tuta che aveva stamattina.

La mia voglia di discutere su qualsiasi cosa è scomparsa del tutto; il modo in cui Harry è capace di allontanare i pensieri negativi da me, ha qualcosa di straordinario e ho tutte le intenzioni di approfittare di ogni singolo istante che mi resta da passare con lui per questa serata. Tra poco dovrò tornare a casa e, anche se questo mi provoca un po' di malinconia, cerco di tenere lontano questo pensiero per non rovinarmi il momento.

È bello vederlo rilassato, con la schiena appoggiata alla sedia, la braccia incrociate dietro la testa, le gambe allungate in avanti, mentre i miei occhi cadono spesso su tutti i tatuaggi che posso vedere sulla sua pelle. Indossa una maglietta a maniche corte nera, dello stesso colore dei suoi jeans.

«Mi prendo un'altra birra, ne vuoi una?», mi chiede, mentre si alza per andare verso il frigo.

«No, va bene l'acqua per me», rispondo, ripensando a ieri sera.

«Peccato... l'alcool ti rende decisamente più disinvolta...» Apre lo sportello, prende la sua birra e torna al tavolo con la sua aria furbetta sul volto.

«Vuoi dire che sono più simpatica quando bevo?», gli domando, non realmente offesa.

«Molto più simpatica». Si siede, apre la bottiglietta e ne beve un sorso, per posarla poi sul tavolo.

«Quindi ora non apprezzi la mia compagnia?» Lo punzecchio un po' per il fatto che so esattamente cosa intendeva quando ha detto disinvolta.

«Sai che non è così...» Il suo tono di voce è diverso da poco fa, e anche il suo sguardo è cambiato. «Vorrei soltanto che non fossi così severa con te stessa. Quando non pensi, stai meglio...» La sua non è una domanda, ma una chiara affermazione. Lui mi ha capita in un lasso di tempo decisamente breve.

«Harry non è così facile...» Non voglio essere una di quelle che si lamentano in continuazione e voglio provare a fargli capire il mio punto di vista, ma lui non mi lascia il tempo di continuare la mia frase.

«Devi imparare a perdonarti e smetterla di usare ogni energia per il tuo dolore. E se ti capita di farlo comunque, devi trovare un modo per ricaricare quelle energie, fai qualcosa che ti faccia stare bene veramente. Non restare da sola... L'hai già fatto per troppo tempo e continuare a farti del male non serve a niente...»

L'atmosfera è completamente cambiata: Harry mi sta di nuovo leggendo dentro e io mi ritraggo ogni volta che succede, perché so che ha ragione su tutto, ma non riesco a sganciarmi dal passato, o forse non voglio. Però so che, quando Harry mi guarda in quel modo, non c'è niente che possa farmi distogliere lo sguardo dal suo.

«Sei decisamente troppo lontana da quella parte del tavolo...» Le sue parole arrivano tutte dritte al mio cervello, infilandosi all'interno con una tale potenza che non posso più restare seduta a guardare i suoi occhi così brillanti e così espressivi.

Sto per alzarmi, ma veniamo interrotti dalla suoneria del suo telefono.

«Merda!» Lo sento imprecare mentre si alza per andare a recuperare il suo cellulare in salotto, e io ringrazio mentalmente chiunque lo abbia chiamato in questo momento, perché Harry è sempre troppo intenso e io non sono ancora in grado di riuscire a controllare quello che provo quando mi guarda come se esistessi solo io. «Che c'è?» Sorrido nel sentire il suo tono più che infastidito. «Proprio adesso?» Sento che il fastidio nella sua voce si sta trasformando in autentica insofferenza. «Non me ne frega un cazzo!» Penso ad uno dei suoi amici, che magari ha bisogno di un favore, ma lui sembra poco propenso ad accontentare il suo interlocutore. «Sì!» Lo sento ancora parlare e, mentre aspetto, decido di alzarmi per togliere i cartoni della pizza dal tavolo.

Mi appoggio con una mano al bordo del ripiano e con l'altra mi strofino con forza la fronte e il viso, come a voler cancellare le cose brutte che mi passano per la testa, e sospiro pesantemente. «Ti ho già detto di sì». Ora si sta alterando, non ho alcun dubbio su questo. «Sì... addio Zach!» Non trattengo un piccolo sorriso nel sentire le sue ultime parole.

Probabilmente Zach l'ha chiamato perché gliel'ha chiesto mia sorella, forse voleva solo accertarsi che fosse tutto a posto. Sono davvero una pessima sorella e devo ricordarmi di ringraziarla per tutto quello che fa per me.

Sono ancora presa dai miei pensieri quando sento i suoi passi alle mie spalle farsi sempre più vicini, ma non mi volto a guardarlo e, d'improvviso, sussulto leggermente quando sento le sue mani appoggiarsi delicatamente sui miei fianchi. A quel punto non posso più continuare ad ignorare la sua presenza e mi volto verso di lui.

Me lo ritrovo vicino, troppo vicino per fingere di non vedere il verde così brillante dei suoi occhi. Non è la prima volta che siamo così vicini, ma una volta di più la sensazione del suo corpo a contatto con il mio mi provoca sensazioni che avevo dimenticato e che, forse, non dovrei provare con lui.

«Stai bene, Chloe?» Harry mi ha parlato, so che l'ha fatto. Ho visto le sue labbra muoversi, ho sentito il suono della sua voce, ma la sua vicinanza ha mandato in tilt qualcosa nella mia testa, e non ho capito nemmeno una parola di quello che ha detto.

Nei suoi occhi posso vedere un mare di emozioni che si accavallano l'una sull'altra. È tormentato almeno quanto lo sono io, forse di più, perché mi rendo conto di portarlo sempre all'esasperazione, ma lui non molla mai, e adesso riesco a vedere chiaramente il desiderio che si concentra in quel verde che ormai mi ha ipnotizzata.

«Chloe parlami...» Il mio nome pronunciato dalle sue labbra mi riporta alla realtà. Una realtà in cui mi rendo conto che qualsiasi cosa stia per succedere, io non sono più in grado di poterla fermare.

Il suo naso ormai sfiora il mio, stiamo condividendo la stessa piccola quantità di aria. Io respiro la sua, lui respira la mia, mentre la sua mano arriva sul mio viso per giocherellare con i miei capelli sulla fronte, sulla tempia, vicino all'orecchio e le sue dita, che continuano a sfiorare la mia pelle senza mai toccarla davvero, mi stanno mandando fuori di testa.

«Harry...» Riesco a pronunciare unicamente il suo nome, nient'altro esce dalla mia bocca e non riesco a distogliere gli occhi dai suoi.

«Sono qui». Anche la sua mano sinistra arriva sul mio viso. Ora che entrambe sono a contatto con la mia pelle, sento il calore espandersi per tutto il mio corpo, ma non è caldo quello che sento. «Sei qui con me, Chloe?», mi domanda ancora, senza lasciare i miei occhi, che ormai non vedono altro che lui.

«Sì Harry... sono qui... con te...» Non ho mai provato niente di simile in tutta la mia vita. Mai.

Questo ragazzo, che mi sta tenendo stretta a lui, mi fa sentire incredibilmente viva. Ogni sensazione, ogni emozione, accanto a Harry è amplificata, come se lui fosse la mia cassa di risonanza. Tutto quello che provo parte da me e, quando arriva a lui, esplode in un trionfo di sensazioni che non mi era mai capitato di provare.

Mi guarda con una tale intensità da farmi sentire i brividi in tutto il corpo senza nemmeno toccarmi e, quando si passa la lingua sul labbro inferiore con straziante lentezza per poi morderlo appena, come se stesse assaporando qualcosa di decisamente buono, vorrei solo che tutta questa sceneggiata finisse, per poter essere io a sentire il sapore di quelle labbra così rosse. Harry si avvicina ancora un po' e io sono letteralmente ipnotizzata da ogni suo movimento e resto ferma a respirare il suo respiro sulle mie labbra.

«Voglio baciarti, Chloe.» Ci separano solo pochi millimetri e i suoi occhi non si sono mai spostati dai miei. Posa le sue labbra all'angolo della mia bocca e, immediatamente, chiudo gli occhi, ma non mi allontano, sperando che quel contatto duri più a lungo possibile. È il suo modo di chiedermi il permesso  io non alcun motivo per negarglielo. «E voglio farlo adesso».

Non so quale straccio di lucidità riesco a recuperare dal mio cervello annebbiato, ma riesco a rispondere. «Vuoi approfittare del nostro accordo per il quale, oggi, dirò sì a tutto?» I miei occhi sono ancora chiusi, ma riesco a sentire quanto sia vicino perché continua a respirare sulle mie labbra.

«Assolutamente sì». In un attimo annulla le distanze e non parlo solo di quelle fisiche.

Le sue labbra si prendono tutto delle mie, in maniera prepotente. Le mie mani si muovono autonomamente, andando a fermarsi sul suo petto, alla ricerca del battito del suo cuore accelerato. Tutto nella mia testa prende a vorticare velocemente, come una violenta tempesta di emozioni e pensieri nei quali non riesco a distinguere più niente.

Sento il gusto della birra che ha appena bevuto, sento il calore delle sue mani su di me, che sembra non riescano a trovare una posizione stabile perché continuano a vagare dal mio viso, ai miei fianchi, alla schiena, e le nostre labbra sembrano come incollate.

Non credevo di poter tornare a provare questo tipo di emozioni che, a dire il vero, sono molto più forti e intense di quanto ricordassi. La sensazione prevalente è quella di riuscire a volare in alto, perché è questo che provo quando lui mi tiene tra le sue braccia, in questo modo così sicuro e protettivo.

Le sue mani scivolano lentamente lungo i miei fianchi, le mie risalgono fino ad allacciarsi dietro alla sua nuca, mentre lui continua la sua discesa fino a stringere dietro le cosce e a fare presa su di esse per alzarmi e farmi sedere sul ripiano della cucina, ed è a quel punto che ci stacchiamo e lui mi guarda con il mezzo sorriso che tanto mi piace. «Ogni volta che ti bacio diventa sempre più difficile fermarmi...» La mia mano è tornata sul suo cuore, che sembra accelerare un po' di più mentre pronuncia quelle parole.

Resto in silenzio, con le dita dell'altra mano tra i suoi capelli e i suoi occhi nei miei, a godermi questo momento, ad imprimerlo nella mia mente. «Posso smettere di chiederti il permesso per baciarti?,» mi domanda dopo un po', in maniera non del tutto scherzosa.

«In realtà non ne hai mai avuto bisogno». Le mie parole escono di getto, spontanee, come tutti i baci che ci siamo scambiati finora.

«Mi era parso di averlo capito, ma meglio essere chiari». La sua mano torna sul mio viso per giocherellare con i miei capelli.

«Harry?»

«Mh?»

«Che succede adesso?» La sua presenza è totalizzante per me, ma la sua assenza non è da meno, e la paura di cadere, dopo aver volato così in alto, si fa spazio nella mia mente a poco a poco.

«Finiamo queste ventiquattro ore insieme». L'altra sua mano è ancora sul mio fianco.

«Credevo che mi avresti accompagnata a casa tra poco...» Davo per scontato che la giornata sarebbe finita con la cena, ma evidentemente mi sbagliavo.

«Ho detto ventiquattro ore Chloe, che sono iniziate stamattina, ergo, finiranno domani mattina». Siamo ancora nella stessa posizione: io sul ripiano della cucina, lui tra le mie gambe, le mie mani sul suo petto, le sue non riescono a stare ferme, con i suoi occhi nei miei, completamente presi da noi stessi, tanto da dimenticare tutto il mondo che c'è all'esterno di questa stanza.

Harry vuole concentrarsi sul presente, ed è la stessa cosa che voglio fare anch'io.

E non c'è altro posto al mondo in cui vorrei essere in questo momento. 

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Capitolo 30
*** ...è troppo tardi per fermarlo ***


C'è un piacevole senso di quiete nel rumore della pioggia contro il vetro della grande finestra alla mia destra.

È piacevole anche essermi svegliata per la seconda mattina di seguito nel suo letto, con lui accanto. Mi volto lentamente a guardarlo: è completamente spalmato sul materasso, a pancia in giù, con la testa girata di lato, dalla mia parte, schiacciata sul cuscino e i capelli gli ricoprono il volto per metà. Mi alzo su un gomito, sposto delicatamente alcune ciocche per poterlo osservare meglio e mi rendo conto che non ha più la maglietta con la quale si è addormentato ieri sera, o per meglio dire stamattina.

Ci siamo addormentati praticamente all'alba, abbiamo parlato per quasi tutta la notte. Nessuno dei due voleva sprecare il tempo a dormire, ma poi il sonno ha preso il sopravvento. L'ultima volta che ho guardato l'ora erano le 4:57 a.m.

È stato in quel momento che mi sono sdraiata e Harry ha fatto la stessa cosa. Abbiamo parlato per un po' l'uno di fronte all'altra, coricati sul suo letto, poi ha iniziato a giocherellare con i miei capelli e credo che siano state quelle carezze a farmi addormentare. Non ho più sentito niente, non mi sono nemmeno accorta che lui si fosse tolto la maglietta, ma ora ho la possibilità di vedere la sua schiena lasciata scoperta per metà dal piumone. Ha tatuaggi sul fianco sinistro, e il braccio ne è quasi del tutto ricoperto fino alla spalla.

Vorrei toccarlo, vorrei accarezzarlo, ma alla fine ritraggo la mano sospesa a mezz'aria e scelgo di lasciarlo dormire ancora un po'. Non ho idea di che ore siano, ma la sveglia impostata sul suo cellulare non è ancora suonata per lui che deve andare a lavorare, decido quindi di preparargli la colazione.

Scivolo lentamente fuori dalle coperte cercando di non fare alcun rumore e meno movimenti possibili. Harry non si muove di un millimetro, continua a respirare regolarmente con la bocca socchiusa, segno che non l'ho affatto disturbato.

Vado prima in bagno, mi sciacquo velocemente il viso, poi vado in cucina alla ricerca di qualcosa di veramente commestibile, non come la sua colazione surgelata bruciata.

Non posso trattenere un sorriso al ricordo di lui che litiga con il suo forno nel vano tentativo di salvare quei poveri pancake. Quella scena resterà viva nella mia mente per molto tempo.

Mi avvicino agli sportelli della cucina cercando del cibo vero, ma non trovo un granché, a parte una confezione di pane da tostare, una di cereali e del burro d'arachidi. Nello stipetto accanto trovo del caffè. Certo non posso preparare una colazione come quella che ci ha preparato Brenda, ma nemmeno come quella bruciata di Harry.

Recupero due tazze e le riempio con il caffè, spalmo un po' di burro d'arachidi sul pane tostato, un piatto che uso come vassoio per portare tutto di là e, molto silenziosamente, torno in camera sua dove lui è ancora nella stessa identica posizione in cui l'ho lasciato pochi minuti fa.

Poso tutto sul comodino e mi siedo delicatamente accanto a lui. «Harry?», dico a bassa voce, mentre la mia mano, in totale autonomia, scorre lentamente sul suo braccio scoperto. «Harry?» Mugugna qualcosa di incomprensibile strappandomi un piccolo sorriso. «Devi svegliarti...»

Per tutta risposta continua a proferire strani versi facendo, poi, la sua mano arriva sul mio polso. «Harry non capisco niente di quello che dici», gli dico, facendogli passare con dolcezza una mano tra i capelli.

«Non posso andare a lavorare... Non mi sento bene...» Harry biascica le parole con voce assonnata e graffiata. Decisamente sexy.

«Che succede?» Tolgo la mano dai suoi capelli per posarla sulla sua fronte che non trovo particolarmente calda.

«Non lo so... Perché hai tolto la mano dai miei capelli?» Le sue parole mi fanno sospettare.

«Harry... Che c'è che non va?» Insisto, mentre lui si gira su un fianco verso di me sbattendo più volte le palpebre.

«Non mi sento bene... Non posso andare in ufficio...» Si lamenta come un bambino capriccioso, e io non sono molto propensa a credergli, quindi decido di stanarlo.

«Ok... Quindi, se non vai al lavoro, cosa ti va di fare oggi?» Il mio tono di voce è provocatorio e l'effetto che ottengo è proprio quello che mi aspettavo.

Scatta velocemente a sedersi con un enorme sorriso sulle labbra «Beh... Potremmo tornare alla camera della rabbia, ti aveva fatto bene, no?» Alzo gli occhi al cielo e faccio decisamente fatica a non ridere.

«Stevens sei un cretino!» Lui sbuffa, lasciandosi andare all'indietro per sprofondare di nuovo con la testa sul cuscino.

Faccio per alzarmi, ma la sua presa sul mio polso si fa più ferma. «Dai! È vero che sto male!»

«Piantala... Mi stavo alzando per prenderti la colazione». Harry sorride alle mie parole, mostrando un'aria decisamente poco sorpresa. Non so se sia perché si aspettava una cosa del genere da parte mia, o se semplicemente ha fatto finta di dormire e mi ha sentita.

«Mi hai preparato la colazione». Il suo tono di voce è compiaciuto, mostrando tutta la soddisfazione che prova.

«Era il minimo, dopo tutto quello che hai fatto per me ieri». Non so se potrò mai sdebitarmi con lui, o quanto meno fargli capire quanto io gli sia grata.

«Dove l'hai lasciata?», mi domanda, assottigliando gli occhi.

«Che cosa?», chiedo a mia volta, non capendo a cosa si riferisca.

«La tua acidità!», risponde lui ovvio.

«Potrei averla messa nel tuo caffè», gli dico, con uno stupido sorriso sulle labbra.

Sfilo la mia mano dalla sua presa e mi alzo prendendo le due tazze di caffè per darne una a lui, che si mette di nuovo seduto per prendere la tazza che gli sto porgendo e mi diventa difficile, praticamente impossibile, evitare di guardare tutte le macchie d'inchiostro che decorano il suo corpo seminudo che sembrano aumentare ad ogni sguardo.

Ne ha sul petto, all'altezza delle clavicole, sulle spalle, alcuni sono piccoli, altri più grandi. Ci sono disegni, scritte, numeri e simboli apparentemente posizionati a caso, ma forse non è così. Forse non è come mi ha detto lui, e magari ogni piccolo tatuaggio ha un significato che non è ancora pronto a rivelare, ma tutte le mie riflessioni vengono interrotte improvvisamente.

«Ma che cazzo!» L'imprecazione di Harry mi porta a distogliere lo sguardo dai disegni sul suo corpo e noto la sua espressione schifata.

«Cosa?», gli domando confusa.

«Non hai messo il dannato zucchero nel caffè!» Mi guarda come se fossi un extraterrestre appena atterrato sulla terra.

«Scusa... è che non sapevo come lo preferivi... lo zucchero è qui». Rido mentre mi allungo verso il comodino, dove ho messo due bustine di zucchero trovate nel cassetto dei cucchiaini.

«Che schifo! Non ce n'è altro?» Si lamenta ancora lui mettendo lo zucchero all'interno della tazza per poi mescolare energicamente.

«Quelle sono le uniche due bustine che ho trovato», gli dico, tentando di trattenere una risata.

«Mi accontenterò. Per stamattina lo berrò amaro!», dice ancora, con un'espressione più che schifata.

«Amaro? Con due bustine di zucchero?», gli chiedo, sbalordita dalla quantità di zucchero.

«Ecco perché tu sei acida e io no». Ruoto gli occhi per la sua battuta.

Poi penso che sembra tutto così normale: io che mi sveglio accanto a Harry, lui che si prepara per andare a lavorare, io che gli porto la colazione a letto, le nostre battute, i nostri sorrisi, è tutto così maledettamente normale e allo stesso tempo incredibilmente straordinario, e credo che, se non presto la massima attenzione a tutto questo, rischio di essere assurdamente felice.

Lo osservo bere il caffè, parlare a bocca piena mentre mastica una fetta di pane con la schiena appoggiata all'indietro, e penso a come sarebbe se fosse così ogni mattina, se non avessi i miei sensi di colpa a ricordarmi che non è giusto che io pensi in questo modo a me stessa, e poi la sveglia interrompe qualsiasi pensiero.

«Vado a farmi una doccia, mi fai compagnia?», chiede, spegnendo quell'orribile suono, mentre sul suo viso si fa spazio un'evidente espressione maliziosa.

«No», rispondo velocemente, poi Harry sposta la coperta e si alza sbuffando.

«Cazzo, Stewart! La prossima volta nel caffè, invece dell'acidità, mettici un po' di bourbon!» Esce dalla stanza lasciandomi a guardarlo allontanarsi e, sulle mie labbra, nasce un enorme sorriso per i sottintesi delle sue parole.

Ho deciso che non gli confesserò che mi ricordo quanto è successo l'altra sera. Voglio vedere come gestirà la cosa, se deciderà di dirmi o meno che l'ho baciato, che gli ho chiesto di ballare e tutto il resto. Non mi ha mai deluso fino ad ora e sono certa che non lo farà nemmeno in questa occasione.

Porto in cucina le tazze sporche e da qui riesco a sentire lo scrosciare dell'acqua proveniente dal bagno. Di nuovo si affacciano nella mia mente immagini di me e lui insieme sotto l'acqua, e penso che devo trovarmi qualcosa da fare per distrarmi, per impedirmi di aprire la porta che, sono certa, lui ha deliberatamente lasciato socchiusa.

E, per tenermi più impegnata, mi viene in mente che potrei fare qualcosa per lui. Torno in camera sua e vado verso l'armadio, alla ricerca di un completo che possa indossare per andare in ufficio, e non ho alcuna difficoltà nello scegliere perché ne trovo solamente uno, al quale abbino una camicia chiara. Apro un cassetto alla ricerca di una cravatta e, di nuovo, non posso fare altro che sorridere al pensiero che quelle che sto guardando, probabilmente sono tutte, o quasi, di Dylan, il suo collega. Appendo il tutto allo sportello dell'armadio, poi recupero un piccolo sacchetto di carta dal fondo del ripiano e lo riempio con tutte le cravatte che trovo sparse. Infilo anche un biglietto e richiudo il tutto con cura.

«Credo che potrei tenerti rinchiusa qui dentro per il resto dei tuoi giorni...» La sua voce alle mie spalle mi fa voltare improvvisamente.

Indossa solo un asciugamano bianco stretto in vita. Il mio cervello è completamente andato in tilt nel momento in cui ho seguito con lo sguardo una goccia d'acqua proveniente dai suoi capelli, scivolare sulla spalla, continuando sul petto e poi più giù, sugli addominali, fino alla perfetta V che scompare al di sotto della spugna.

È lui che è praticamente nudo di fronte a me, eppure sono io a sentirmi vulnerabile sotto il suo sguardo sicuro. «Ti ho preparato il completo...», gli dico con voce incerta, distogliendo lo sguardo dal suo corpo perfetto.

«Lo vedo». Sento la sua voce più vicina e, improvvisamente, mi manca l'aria. Devo allontanarmi.

«Ti aspetto di là», gli dico, senza nemmeno guardarlo in faccia, mentre esco quasi di corsa dalla sua camera da letto.

Vado verso la finestra del soggiorno, mi volto per un attimo indietro e vedo che ha di nuovo lasciato la porta aperta. Mi sento emotivamente instabile, completamente esposta, perché Harry riesce a captare ogni cosa io provi o pensi, e quando mi è così vicino, come poco fa, sento che potrei acconsentire a qualsiasi cosa mi chiedesse.

E forse è proprio per questo che mi trovo a respingerlo più di quanto in realtà voglia fare, nonostante il mio corpo lo chiami a gran voce, e faccio sempre più fatica a staccarmi da lui.

«Che dovrei fare con queste?» La voce di Harry mi riporta alla realtà.

È bellissimo nel suo completo scuro mentre tiene in mano il sacchetto che gli ho preparato prima.

Deglutisco a fatica prima di parlare. «Sono le cravatte di Dylan, così gliele puoi restituire». Lui alza gli occhi al cielo e poi lancia quel sacchetto sul divano.

«Stewart sei tornata troppo velocemente in modalità precisina». Fa un passo verso di me e sento di nuovo quella sensazione che mi spaventa a morte, quella che mi porta a combattere con me stessa, e che mi porta inevitabilmente a continuare a pensare a lui.

«Vado a cambiarmi», gli dico, sfuggendo così a qualsiasi cosa avesse in mente, passandogli accanto in fretta, chiudendomi alle spalle la porta della camera da letto, cercando di tenerlo lontano, perché in questo momento sono troppo fragile per permettermi qualsiasi tipo di reazione.

Resto appoggiata alla porta chiusa e sobbalzo quando sento che bussa delicatamente. «Chloe?» Non voglio che anche lui si preoccupi per me.

«È tutto ok, Harry, mi cambio e arrivo...» Devo trovare il modo per tranquillizzarlo. «E non insistere perché non vedrai i miei tatuaggi...» Abbiamo passato dei momenti meravigliosi e non voglio rovinare tutto adesso, ma l'angoscia che ha preso a tornare prepotente nella mia testa è difficile da tenere sotto controllo.

Non ricevo alcuna risposta e resto in silenzio per un po', in attesa di qualcosa che però non arriva.

Quanto vorrei che fosse tutto più semplice, far capire alla mia testa che in realtà è davvero semplice, che posso accettare tutto quello che lui ha da offrirmi senza dovermi per forza giustificare con me stessa, vorrei evitare di tornare a soffrire per ogni momento felice che vivo. Harry ha completamente raso al suolo il muro che avevo costruito per difendere me stessa dagli altri, lo stesso che avevo tirato su per difendere gli altri da me, e adesso non so assolutamente come comportarmi.

Dopo aver finito di cambiarmi, ripiego con cura la sua tuta, quella con la quale ho dormito, riponendola al fondo del letto disfatto e vuoto, che guardo con anticipata nostalgia. Non abbiamo fatto nulla di particolarmente eclatante tra quelle lenzuola disordinate, ma ho condiviso con lui momenti importanti e molto più intimi che aver fatto sesso. Non so se o quando ritornerò in questa stanza, ma non voglio creare alcun tipo di aspettative nella mia testa. Con Harry è tutto meravigliosamente imprevedibile.

Torno in salotto. Lui è seduto sul divano, intento a fare qualcosa con il suo cellulare e alza subito la testa quando mi sente arrivare. «Sono pronta», gli dico, con una punta di malinconia nella voce. Non credevo sarebbe stato così difficile allontanarmi da lui.

«Sono ancora in tempo per avvisare che non vado in ufficio...», gli sorrido e lui sorride a me, «posso dire che non mi sento bene...», sorrido ancora, scuotendo la testa. Non voglio che si metta nei guai a causa mia e poi ho bisogno di allontanarmi da lui per poter vedere le cose più lucidamente, o forse perché la sua sola presenza mi mette seriamente in difficoltà.

«Devi andare a lavorare e anche io ho del lavoro da finire prima di...» Mi blocco subito prima di terminare la frase e vorrei potermi rimangiare le ultime parole, ma ormai è tardi.

«Devi finire prima di cosa?» Si alza, si avvicina, e mi osserva con curiosità. Devo trovare qualcosa di credibile da dirgli.

«Prima di essere licenziata per incompetenza e ritrovarmi a lavorare solo per te». Sembra credermi. Di certo non potevo dirgli che voglio finire la traduzione prima di partire per Madrid, ho promesso a Jordan che non l'avrei fatto.

«E sarebbe così grave lavorare solo per me?» Si avvicina ancora un po', stavolta il suo tono di voce e la sua espressione sono decisamente provocatori.

La sua mano destra finisce sul mio viso, il suo cellulare sembra magicamente sparito, mentre l'altra sua mano arriva sul mio fianco. «Harry...» Il mio è solo un sussurro, con niente da dire in particolare. Ho pronunciato il suo nome per tentare di tenermi ancorata alla realtà, perché quando lui mi è così vicino, da respirare la stessa aria, io rischio di perdere completamente la testa.

«Chloe...» Ed è in quel preciso momento che anche le ultime, irriducibili, ma misere difese che tentavano di proteggermi, crollano una dopo l'altra su loro stesse, e a me non resta che arrendermi alle sue labbra, che si posano delicatamente sulle mie per poi prenderne possesso con più forza fino a togliermi il fiato.

Harry si sta prendendo tutto: mente, cuore e anima, ed è troppo tardi per fermarlo.

***

Harry's POV

Non sento più quel dolore costante al centro del petto, non sento più quella rabbia che mi accompagnava durante il giorno, e non sento più nemmeno la voglia di distruggere tutto, anche i rapporti con le persone, ma la verità è che non so realmente come mi sento. È una sensazione strana, nuova, ma piacevole anche se mi disorienta e, a volte, mi spaventa. Potrei riassumere tutto questo in una sola parola: Chloe.

È così dalla prima volta in cui l'ho vista quella sera sulla metro e, con il passare del tempo, tutto quello che provo quando sono con lei non fa che crescere fino a portarmi al limite della ragione. Baciarla è esattamente come avevo immaginato che fosse, travolgente e intenso, e non fa altro che migliorare ad ogni bacio. Credo proprio di aver perso completamente la testa, anche se non voglio buttarmi a capofitto dentro ad una storia, non dopo quello che è successo con... con lei.

Ho sofferto troppo e per troppo tempo. Adesso ho paura ma, quando Chloe è con me, non riesco a tenere a freno niente. Non le mani che, quando entrano in contatto con il suo corpo, non posso controllare, non gli occhi che, quando si posano su di lei, mandano immagini al mio cervello che fatico a reprimere, e non la mia bocca, che desidera così tanto la sua da non riuscire a fermarmi.

Non è banale attrazione fisica, quella l'ho provata e dovrei detestare la sua impertinenza, se si trattasse solamente di questo, invece mi piace anche quella parte del suo carattere indisponente.

Mi lascio andare stancamente sul sedile della metro, mentre tengo stretto tra le mani il sacchetto che lei ha preparato con le cravatte di Dylan. Non ha voluto accompagnarmi in ufficio, nemmeno che l'accompagnassi a casa, e io ho provato qualcosa che non mi è affatto piaciuto. È stato come darle una specie di addio. L'ho sentita distante stamattina, come se stesse cercando di allontanarsi.

Più arrivava il momento di andare in ufficio, più lei era fredda. È tornata ad essere presente davvero solo quando l'ho baciata poco prima di uscire da casa mia. In quel momento era realmente con me, ed è così ogni volta che la bacio. Pochi attimi in cui è solo mia.

La vibrazione del mio cellulare mi distoglie dai miei pensieri.

Sei in ritardo 
O pensi di non presentarti?

Sorrido da solo alle sue parole e digito velocemente una risposta per il mio collega.

Sto arrivando 
E ho anche una sorpresa per te

Questo lunedì sembra più affollato del solito, o forse sono io che vorrei essere già arrivato e non sopporto la confusione di questa mattina in cui vorrei essere da tutt'altra parte.

Sicuro di stare bene?

Immagino chiaramente la sua espressione confusa, le sue sopracciglia aggrottate; poi abbino l'immagine del mio amico d'infanzia che ho nella testa a quella delle foto che ho visto sul cellulare di Chloe, e ancora non mi spiego una tale somiglianza e come riesca lei ad affrontarlo senza andare fuori di testa.

Sto bene, coglione 
Benissimo

Metto il cellulare in tasca, sono quasi arrivato, mi alzo per avvicinarmi alle porte per scendere e faccio a mala pena in tempo ad allontanarmi che la signora anziana che era in piedi vicino a me quasi mi travolge per prendere il mio posto. Mi ha guardato male per tutto il tempo nella vana speranza che le lasciassi il posto, cosa che non avevo la minima intenzione di fare.

Una volta arrivato, cammino lentamente per arrivare a destinazione, tanto sono già in ritardo, un paio di minuti non cambieranno niente. Saluto la bionda alla reception, che non ricordo mai come si chiama, entro in ascensore diretto al mio piano e vedo una strana espressione sul viso di Rebekah non appena mi vede avanzare nel corridoio.

«Buongiorno», le dico, quando sono praticamente di fronte a lei.

«Buongiorno...» Sono certo che voglia chiedermi un sacco di cose, ma si sta trattenendo. Decido però di accontentarla. Almeno un po'.

«Tua sorella è andata a casa, ha detto che aveva del lavoro da finire». Non voglio raccontarle di ogni dettaglio, sarà sicuramente Chloe a farlo.

«Stava bene?», mi chiede con tono preoccupato.

«Sì, devi stare tranquilla, mi ha detto di dirti che ti avrebbe chiamata non appena sarebbe arrivata a casa». Sembra calmarsi nel sentire le mie parole. «Ho qualche appuntamento stamattina?», le domando, ma poi non ascolto veramente quello che mi sta dicendo mentre mi elenca gli impegni della giornata leggendoli dalla sua agenda, perché i miei pensieri sono già tornati a Chloe.

« ... e ti ha cercato tuo padre», mi dice alla fine.

«Ok, grazie». Mi allontano per recarmi nel piccolo ufficio del mio amico e lo trovo, come sempre, intento a lavorare.

«Ciao, Dylan». Lui alza la testa di scatto, colto alla sprovvista, probabilmente non mi ha sentito entrare.

«Buongiorno capo...» Si lascia andare all'indietro, appoggiando la schiena e piegando le braccia dietro la testa. «Qual è la sorpresa?», mi chiede, particolarmente interessato.

«Tieni». Poggio il sacchetto con tutte le sue cravatte sulla scrivania e lui si precipita a guardarci dentro per poi tornare con lo sguardo sbalordito su di me.

«Ecco spiegato perché piove, oggi». Sto per rispondergli, ma vedo che, da quel sacchetto, tira fuori un piccolo biglietto che legge ad alta voce. «Grazie per la tua pazienza. Harry». Mi osserva corrugando le sopracciglia, ma io sono confuso quanto lui. «Mi hai scritto un biglietto di ringraziamento?» Il suo tono di voce è più che divertito e, a quel punto, capisco.

«In realtà non sono stato io...» È stata lei a scriverlo, non so se per farmi fare bella figura con lui o se per farmene fare una da stupido, ma non posso evitare di sorridere nell'immaginarla mentre nasconde quel biglietto. «Senti, adesso devo andare, mio padre mi stava cercando». Evito sul nascere la domanda che stava per farmi perché non voglio parlare di Chloe con lui, non ora che non saprei nemmeno cosa dire, perché lei si ostina a sfuggirmi e a non voler parlare di tutti quei baci che continuiamo a darci.

Esco dal suo ufficio senza dargli modo di replicare, ma ho visto la chiara espressione confusa che aveva sul volto, sono certo che, in un modo o nell'altro, questo argomento verrà di nuovo fuori, ma adesso voglio solo chiudermi le porte del mio ufficio alle spalle e provare a scappare dalla mia vita per un po'.

Mi avvicino alla vetrata per poi perdere lo sguardo nel vuoto, mentre ripenso alle parole di Chloe e del suo tentativo di togliersi la vita la sera stessa in cui il suo ragazzo le è letteralmente morto tra le braccia. Faccio fatica a rendermi conto di cosa le passi per la testa e non so neanche se sto andando nella direzione giusta, ma sento che, quando è tra le mie braccia, non c'è nessun altro oltre a noi due, di questo ne sono assolutamente certo, ma questo non toglie che non so cosa fare per lei quando non è con me.

Qualcuno bussa alla porta del mio ufficio. «Avanti!», dico, senza nemmeno voltarmi a guardare chi sia.

«Ciao, Harold». Chiudo per un attimo gli occhi, respirando a fondo prima di rispondergli.

«Ciao, papà». Mi giro e lo osservo, vestito con il suo completo su misura e con una strana espressione sul viso.

«Brenda mi ha detto che sei passato da casa, ieri», mi dice, con un mezzo sorriso sulle labbra.

«Sì, e ovviamente tu non c'eri...» Il mio tono di voce è volutamente acido. Voglio che capisca quanto mi dia fastidio la sua continua assenza, voglio che gli entri bene in testa, perché forse non sono stato molto bravo a farglielo capire in tutti questi anni, magari ha bisogno di un'ulteriore conferma.

«È sorto un problema con Hernandez e...»

«Fammi indovinare...», lo interrompo bruscamente, «non sarò più io ad andare a Madrid!», gli dico, in maniera più che sgarbata.

«No, Harry, non si tratta di questo. Sarai tu ad andare a Madrid, abbiamo solo dovuto rimandare la partenza». Si sta trattenendo dall'urlarmi in faccia quanto mi stia detestando in questo momento, glielo leggo negli occhi, ma non ho alcuna intenzione di rendergli le cose più facili.

«Ed era assolutamente indispensabile e improrogabile la tua presenza di domenica mattina, giusto?» Lo provoco, lo faccio sempre, non posso farne a meno.

«Ci sono cose che non posso trascurare. Se lascio andare a rotoli le cose in quest'azienda...»

«E ci sono altre cose che puoi trascurare vero?» Lo incalzo senza lasciare che concluda la sua frase. «Come tuo figlio, no?» Adesso il mio tono di voce lascia trapelare tutta la rabbia che provo nei suoi confronti.

«Cristo santo, Harry! Perché non la finisci con questa storia?!» Le sue mani stringono saldamente e con forza il poggiatesta della sedia che ha di fronte a sé, forse immagina che quella sedia sia io. 

«E perché? Perché sto dicendo la verità?»

La porta si apre improvvisamente e Jordan fa il suo ingresso, alternando lo sguardo da me a nostro padre. Non so se sia più arrabbiato o divertito dalla situazione, ma credo sia più plausibile la prima, dato che chiude la porta velocemente per rivolgersi ad entrambi con un tono aspro.

«Ancora?! Veramente?! Non credete che sia ora di finirla con questa storia?» Né io, né mio padre rispondiamo al rimprovero di mio fratello e restiamo a guardarci con fare minaccioso. «Siete ridicoli!» Sbotta Jordan attirando l'attenzione di entrambi, ma nessuno dei due dice nulla e mio fratello sospira pesantemente. «Papà dovresti venire con me, devo parlarti di una cosa...», dice mio fratello rivolto all'uomo vestito elegantemente, che stento a riconoscere ogni giorno di più. Papà esce dal mio ufficio, rivolgendomi un ultimo sguardo contrariato, e Jordan sta per seguirlo, ma poi torna indietro. «Devi smetterla di usare ogni pretesto per prendertela con lui, perché non usi questi momenti per qualche discussione costruttiva invece di fare sempre lo stronzo?» Serro i denti e la mascella alle parole di mio fratello. Non voglio dargli contro, ma nemmeno ragione. «Dagli una chance, Harry...», la sua voce è molto più tranquilla ora, «dalla ad entrambi». Non aspetta una risposta e segue mio padre che è già alla fine del corridoio.

«Fanculo!» Impreco, tornando a guardare fuori dalla vetrata, ma non faccio in tempo a formulare nemmeno un pensiero che il mio cellulare si mette a suonare.

Lo sfilo velocemente dalla tasca sperando che sia Chloe, ma aggrotto le sopracciglia quando non riconosco il numero che appare sul display. «Pronto?», rispondo, aggrottando le sopracciglia.

«Ciao, Harry, ti disturbo?» Resto sorpreso nel sentire quella voce, che ho faticato un attimo a riconoscere e che assolutamente non mi aspettavo di sentire.

«No, figurati, ma...» Mi sento un idiota, completamente preso alla sprovvista e non so che dire.

«Ho il tuo numero perché Cleo ha chiamato Hazel con il tuo telefono l'altro giorno...» Già, mi era andato via di mente. Sorrido ancora al pensiero di me che origliavo dietro la porta durante la sua telefonata, quando è scappata a nascondersi nel mio bagno. Quando mi sono reso conto che stava usando il mio telefono per chiamare i suoi amici non sapevo se ridere o entrare per interrompere quella telefonata.

«Tranquillo, dimmi pure, Kurt». Sento la rabbia, che provavo fino a poco fa, scivolare via lentamente, mentre mi siedo sulla sedia alla mia scrivania.

«Ecco... non so bene da che parte cominciare...» E mi viene un dubbio? Non è che sta per dichiararsi? «Si tratta di... di Dylan...» Non so bene se tirare un sospiro di sollievo, o continuare a preoccuparmi.

«Di quale Dylan stai parlando?», gli chiedo, facendogli capire che sono a conoscenza di entrambi.

«Chloe te ne ha parlato?», mi chiede, palesemente sorpreso.

«Chloe mi ha parlato di molte cose...» Gli lascio intendere che so molto di lei, senza entrare nello specifico, perché non credo siano questioni di cui si debba parlare per telefono.

«Davvero? È sorprendente che l'abbia fatto...» Sorrido compiaciuto di me stesso anche se lui non può vedermi. «Ad ogni modo, volevo chiederti una cosa. Chloe mi ha detto che Dylan e il tuo amico Dylan, si assomigliano in maniera incredibile. Tu... voglio dire, tu...»

«Li ho visti entrambi, Kurt...» Lo interrompo perché lo sento in difficoltà e credo di aver capito a cosa si stia riferendo. «Si somigliano in maniera impressionante e, proprio oggi, mi chiedevo come fa Chloe a rapportarsi con lui quando lo incontra».

«Il tuo amico Dylan sa qualcosa di tutto questo?», mi chiede ancora.

«Lui non ne sa niente. Credo si sentirebbe a disagio se lo sapesse». Perlomeno io lo sarei. Il fatto di somigliare così tanto al suo ex ragazzo morto è decisamente inquietante.

«E tu cosa ne pensi?», mi domanda, facendo accendere una piccola lampadina nella mia testa.

«Di cosa, esattamente?» Mi raddrizzo con la schiena prestando maggiore attenzione alle sue parole.

«Del fatto che si somiglino così tanto, voglio dire non lo trovi... insolito?» Alzo lo sguardo in direzione del corridoio, come se potessi vedere da qui il mio amico.

«Kurt, cosa intendi con insolito?» Non ho ancora ben chiaro a cosa si riferisca, ma la cosa si sta facendo interessante.

«Ok, te lo dico, ma non voglio che Chloe sappia di questa telefonata».

«Ho la bocca cucita», gli confermo, per fare in modo che lui mi spieghi la sua teoria.

«Com'è possibile che due ragazzi che vivono a così tante miglia di distanza, siano così simili, addirittura uguali, senza un vero motivo che possa spiegare questa somiglianza?» Le sue parole sono come una doccia fredda: come ho fatto a non pensarci?

«Tu credi che ci sia un legame tra loro?», gli chiedo, sentendomi parecchio confuso.

«Non lo so, Harry, ma credo che tu sia l'unico in grado di scoprire qualcosa».

Quando chiudo questa telefonata mi sento particolarmente fuori fase. Non lo so se Kurt ha ragione, se davvero c'è un legame tra quel Dylan e il Dylan che conosco da tutta la vita, ma se così fosse? Se davvero ci fosse qualcosa che li collega? O se invece fosse solo una coincidenza? E se ci fosse una qualche sorta di legame, a quel punto cosa dovrei fare?

«Merda!» Impreco ancora, perché, a parte le prime due ore di oggi, questa giornata fa davvero schifo!  

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Capitolo 31
*** Forse può funzionare ***


Mi lascio andare all'indietro sul letto e resto a fissare il soffitto.

Quando sono tornata a casa e ho acceso il telefono, ho immediatamente ricevuto la chiamata di Kurt. La sua intenzione era quella di voler conoscere ogni dettaglio della giornata di ieri, ma sono rimasta sul vago, chiedendogli di avere pazienza. Non sono pronta a parlarne, ho prima bisogno di metabolizzare parole e gesti che mi hanno particolarmente destabilizzata. Stranamente non ha insistito più di tanto e, in realtà, è stato strano per tutto il resto della telefonata, come se volesse dire qualcosa, ma si trattenesse dal farlo. Forse sta provando a farmi fare di testa mia, o forse sono solo troppo confusa per ragionare lucidamente e vedo cose che non esistono.

Accendo le lucine appese sopra la mia testa e mi sento già meglio, come se i miei migliori amici fossero qui con me. Non li vedrò fino a Natale, speravo che saremmo stati insieme per il giorno del Ringraziamento, ma Jordan mi ha avvisato che la partenza per Madrid è stata rimandata e potrei non tornare in tempo. Mamma non ne sarà affatto contenta.

Devo tornare al mio lavoro, la traduzione non andrà avanti da sola, quindi mi metto di nuovo alla mia scrivania, impegnandomi come posso per concentrarmi solo sulle parole scritte sui fogli davanti a me e non sulle parole che mi vorticano nella testa da ieri. Quante volte mi ha detto sei bellissima? Più di quante avrei meritato e io non ho fatto altro che restare a guardarlo. Sono davvero stupida.

A fatica, riesco poi ad indirizzare ogni mia energia al libro di poesie che devo tradurre e mi sono resa conto che è arrivata l'ora di pranzo solamente quando il suono che segnala l'arrivo di un messaggio, interrompe i miei pensieri in tedesco.

Era proprio necessario 
Il biglietto di ringraziamento?

È Harry. Si riferisce al biglietto che ho scritto in sua vece per Dylan, così da ringraziarlo per la sua costante disponibilità nei suoi confronti. Abbiamo parlato un po' di lui, ieri, non molto a dire la verità, ma mi ha detto quanto Dylan sia sempre pronto ad aiutarlo, nonostante la maggior parte delle volte non riceva lo stesso comportamento da parte di Harry.

Se l'ho fatto 

È perché lo ritenevo necessario

 

Rispondo a tono, come mi piace fare sempre con lui, ma sono grata del fatto che non sia con me adesso, perché è in grado di distruggere tutto ciò che io costruisco e, in questo momento, sto tentando di ricostruire gli argini che mi permettono di tenermi insieme, quelli che lui ha travolto stamattina con quell'ultimo bacio, dal quale fatico ancora a riprendermi.

Ci vediamo per pranzo?

Un altro messaggio, al quale non posso che rispondere in un unico modo.

Devo finire il lavoro

Non è proprio così, ma ho bisogno di qualche ora per disintossicarmi dal potere che ha su di me. 

Cena? 
Andiamo dovrai pur mangiare!

Vorrei davvero dirgli di sì, ma vorrei anche potergli dire che, nonostante il mio cuore vada a mille quando si tratta di lui, c'è ancora un piccolo strato di ghiaccio che riesce a riformarsi quando è lontano, e che mi impedisce di lasciare scorrere libere le emozioni. Vorrei riuscire a confessargli tutte le mie paure e vorrei essere in grado di ricambiare quello che fa per me, ma non ci riesco. Non oggi che la sua presenza è ancora così forte nella mia testa.

Un'altra volta Harry 

Ora devo proprio andare

 

Spengo il telefono per sicurezza, lo infilo nella tasca dei jeans e mi alzo dalla mia postazione per andare a mettere le scarpe. Ormai la concentrazione è andata e io sento il forte bisogno di una boccata d'aria. Metto la giacca, prendo l'ombrello, le chiavi, ed esco. Credo che mangiare fuori mi farà bene, ho bisogno di distrarmi.

Ho voglia di mangiare, ho voglia di fare shopping, ho voglia di non pensare, e l'unico posto che mi viene in mente per fare tutto questo è un grande centro commerciale, dove posso confondermi con le persone e sparire per un paio d'ore. Chiedo aiuto a Google Maps e mi dirigo, senza esitazione, al punto indicato sulla mappa, con l'aiuto dei mezzi pubblici.

Non vagavo a vuoto per le gallerie di un centro commerciale da non so quanto tempo. Forse l'ultima volta l'ho fatto con Hazel perché aveva bisogno di consolarsi a causa della sua recente rottura. Aveva bisogno di shopping e siamo state lì dentro per sei ore comprando le cose più inutili della storia, come un paio di sopracciglia giganti da attaccare ai fari della sua auto.

Sorrido al ricordo di lei e di quella giornata. È stata una delle ultime in cui mi sono sentita veramente bene prima di... prima che tutto cambiasse.

Scaccio questi pensieri e mi infilo dentro Starbucks per un pranzo super veloce. Non voglio perdere tempo e, soprattutto, non voglio avere il tempo di pensare che avrei potuto essere con Harry in questo momento - se solo non fossi così stupida. Ordino una cheesecake e un cappuccino enorme da portarmi a passeggio, mentre osservo le vetrine ormai addobbate con decori natalizi.

Entro in ogni negozio, anche in quelli di articoli per la casa, voglio vedere quante più cose possibili e provare ad occultare quello che sta tentando di venire a galla nella mia mente, che è ormai quasi del tutto abbandonata all'immagine dei suoi occhi verdi che mi osservano attenti, pronti a cogliere ogni dettaglio, ogni particolare...

E poi mi salva un negozio di dischi. Finalmente posso realmente concentrarmi su qualcosa che distoglierà i miei pensieri, ormai costantemente rivolti a Harry. Comprerò il regalo per mia sorella, anche se con grande anticipo, così, se mi impegnerò nella ricerca del cd di Bublè, forse posso non pensare a lui... almeno per qualche minuto.

Credo siano in ordine alfabetico, trovo la B, ma una voce attira la mia attenzione. «Chloe?» Sono certa di aver già sentito questa voce e, quando alzo lo sguardo, lo riconosco subito.

«Lawson!». dico ad un tono di voce troppo alto. Vederlo mi ha riportato alla mente la giornata di ieri e le emozioni sono tornate ad inondare il mio cuore freddo e assetato.

«Tutto bene?», mi chiede, con un gran sorriso rassicurante ad illuminargli il viso.

«Sì, benissimo grazie, e tu?» Perché mai mi sto agitando in questo modo?

«Alla grande...» Una signora interrompe la nostra piccola chiacchierata.

«Scusi sto cercando questo, potrebbe aiutarmi?» La signora si rivolge a Lawson mostrandogli un foglietto.

«Certamente», le dice, poi si rivolge a me, «torno subito». Mi sorride e indica alla signora di seguirlo, mentre io resto ad osservare la scena che si svolge di fronte ai miei occhi.

Lawson cerca un cd nello scaffale in fondo al locale e lo porge gentilmente alla signora che lo ringrazia, poi torna verso di me con ancora il sorriso sulle labbra.

«Tu lavori qui?», gli chiedo, inarcando le sopracciglia.

«Sì, da un paio d'anni. Se cerchi qualche disco introvabile, ti basta chiedere a me». Lo osservo parlare e riesco a sentire quanta sicurezza riesca a trasmettere con qualche parola e il suo sguardo sereno.

«Me lo ricorderò», rispondo, sorridendogli a mia volta.

«Stavi cercando qualcosa di particolare?», mi domanda, dimostrandomi la sua disponibilità.

Gli spiego che stavo cercando il cd natalizio di Michael Bublè, l'unico che manca nella collezione di mia sorella, glielo regalerò per Natale. Lawson mi aiuta a trovarlo e ci rechiamo insieme alla cassa. «Senti, stavo andando in pausa, ti va di fare due chiacchiere?», mi chiede, mentre il suo collega mi porge il sacchetto con cd e scontrino.

«Ok...» Mi sono detta, perché no? E poi ho capito che era solo un modo come un altro per stare vicino ad Harry in maniera più soft.

«Perfetto». Sorride più ampiamente mentre usciamo dal negozio. «Allora... cosa mi racconti?», mi domanda, non appena ci incamminiamo lungo il largo corridoio e io lo guardo con aria sicura.

«A che proposito?», gli chiedo, non del tutto sicura di cosa voglia dire con la sua richiesta.

«A proposito di Harry... non lo vedevo così da troppo tempo». Mi sorride ancora e io ne voglio sapere di più su quanto ha appena affermato.

«Così stupido?», gli chiedo, con un tono scherzoso, mentre lo seguo all'interno di Starbucks.

«Già, decisamente stupido, ma allegro. Prendi qualcosa?», mi chiede, quando siamo vicino al bancone.

«No, grazie, ho appena bevuto un cappuccino gigante». Annuisce in silenzio e ordina il suo caffè, poi andiamo a sederci ad un tavolino libero.

«Ti dicevo che è bello vederlo di nuovo sorridente, hai una buona influenza su di lui», mi dice, per poi portarsi il bicchiere alle labbra.

In realtà è lui quello che ha una buona influenza su di me, più che buona direi, anche se io sono pessima e dovrei dare una possibilità ad entrambi, smettendo di comportarmi da egoista quale sono.

«Non credo sia come dici tu», gli dico, imbarazzata dalle sue parole.

«Credimi invece». Beve un altro sorso della sua bevanda e noto che non ha preso nemmeno una bustina di zucchero.

«Anche tu lo bevi amaro il caffè?», gli chiedo, mentre torna a guardarmi dritta negli occhi. Lawson ha degli occhi marroni dolcissimi.

«Sì, da sempre. Zuccherato mi fa venire sete. Anche a te piace amaro?»

«Sì, finalmente trovo qualcuno a cui piace amaro. Harry stamattina si è lamentato del caffè che gli ho preparato...» Mi blocco immediatamente rendendomi conto di quello che ho appena detto.

Gli ho appena fatto capire di aver passato la notte con Harry e sono certa di aver colto un piccolo sorriso sulle labbra di Lawson, che però scompare subito quando si accorge del mio evidente disagio.

«A Harry non piace il caffè con lo zucchero. A lui piace lo zucchero al caffè...» Rido alle sue parole. «Pensa che una volta eravamo proprio qui e ha messo così tante bustine di zucchero in quel povero caffè, qualcosa tipo una decina, che ho creduto gli venisse il diabete istantaneo». Ridiamo insieme per ciò che mi ha appena raccontato e passiamo così altri dieci minuti, poi la sua pausa finisce e deve rientrare al lavoro.

Lo accompagno fino all'ingresso del negozio, dove ci salutiamo. «È stato un piacere parlare con te», gli dico, mentre lui mi sorride.

«Lo è stato anche per me, e...», si ferma per un paio di secondi, nei quali io aspetto che continui a parlare, «qualsiasi cosa stai facendo a Harry, continua a farla. Ci vediamo, Chloe». Non mi dà il tempo di ribattere che entra nel negozio, lasciandomi lì con quelle parole che rimbalzano da una parte all'altra della mia mente.

Mentre mi allontano penso che forse ha ragione Harry, quando dice che prima o poi mi andrà a fuoco il cervello a forza di pensare così tanto, ma, soprattutto oggi, non riesco a farne a meno, perché è lui che occupa ogni pensiero, come se i miei neuroni fossero stati del tutto stregati da ogni cosa che lo riguarda.

Devo parlarne con qualcuno e, quel qualcuno, non può essere altri che mia sorella. Ho bisogno di lei, di farle sapere cosa mi passa per la testa, di consentirle di starmi vicino come avrebbe voluto fare tempo fa, quando io non gliel'ho permesso. Devo riprendere quel legame che ci ha unito fino a pochi mesi fa, quello stesso legame che io stavo per rovinare con il mio stupido egoismo.

Decido di passare al supermercato e comprare qualcosa per stasera, magari del pollo e delle patate da fare al forno, che lei adora. Dovrei coccolarla un po' di più, dovrei pensare più a lei e meno a me stessa... già, dovrei.

*****

È quasi tutto pronto, ancora una decina di minuti di forno e la cena sarà pronta.

Da quando sono rincasata non ho fatto altro che occuparmi della casa e della cena. È tutto perfettamente in ordine e non mi resta che aspettare l'arrivo di mia sorella. Accendo il cellulare, che ho lasciato spento da stamattina, e poco dopo arrivano un paio di notifiche. Leggo il primo messaggio, quello di Rebekah che mi chiede se sia tutto ok. Le rispondo subito dicendole che la sto aspettando per cena.

Il secondo è di Harry, ed è la risposta al mio ultimo messaggio inviato.

Hai intenzione di ricominciare a scappare?

Mi sento uno schifo non appena leggo le sue parole, di certo non merita un comportamento del genere da parte mia, e ha ragione Kurt quando mi rinfaccia di pensare solo al mio dolore. È solo che l'ho fatto per così tanto tempo che mi risulta difficile riuscire ad essere di nuovo più socievole e ben disposta verso gli altri come ero mesi fa.

Sto per rispondergli quando sento la porta di casa aprirsi. Mi alzo dalla mia sedia in cucina e mi dirigo verso l'ingresso: Reb è appena entrata, si sta togliendo il cappotto per appenderlo e sorride quando si accorge della mia presenza.

«Che buon profumino!», dice, camminando verso di me.

«È quasi pronto», le dico, sorridendole a mia volta, nel tentativo di tranquillizzarla, perché leggo chiaramente nei suoi occhi quanto sia preoccupata per me.

Sono tutti preoccupati per me e io so provocare solamente sofferenza. Questa cosa deve finire, e deve finire stasera. Perciò sorrido senza tregua, mentre provo a far capire a mia sorella la mia determinazione a far in modo che le cose migliorino.

«Sei sparita oggi», mi dice, riferendosi al fatto che ho tenuto il cellulare spento.

«Non succederà più, anzi, scusa se ti ho fatta preoccupare per l'ennesima volta». Nella mia voce c'è un po' di quella grinta che credevo di aver perso.

«Che succede?», mi chiede con aria interrogativa, e il mio sorriso si fa sempre più ampio. «Non dirmi che in tutto questo c'entra qualcosa il mio capo?»

«Perché me lo chiedi?» Harry le ha forse detto qualcosa?

«Perché stamattina aveva un'espressione diversa ed era gentile. Capisci? Harry Stevens gentile! È una cosa che non mi è quasi mai capitata di vedere, a parte quando ha bisogno di qualcosa...» Ruoto gli occhi alle sue parole, pensando che in realtà lui è davvero così come lei l'ha descritto, solo... un po' diverso quando è con me.

«Ascolta, Reb... facciamo così. Ti cambi, ti lavi, fai quello che devi... quando sei pronta vieni in cucina e mentre ceniamo ti racconto tutto...» Lei sorride entusiasta all'idea e subito si dirige al piano di sopra.

«Torno subito!» Mi urla quasi, quando inizia a salire le scale.

Ci mette davvero pochi minuti a tornare al piano di sotto, mentre io ho già sfornato la cena e riempito i nostri piatti. Ci sediamo una di fronte all'altra e posso chiaramente leggere nei suoi occhi tutta l'impazienza di conoscere i dettagli della giornata di ieri.

«Allora?», mi chiede, mentre infila in bocca un paio di patate con le quali rischia di scottarsi, il che mi fa ridere.

«Prima di tutto voglio sapere di te. Come va con Zach?» Non voglio monopolizzare la serata, e voglio farle capire che m'importa di lei e della sua vita.

«Dobbiamo davvero parlare di Zach? Vuoi sapere quanto è meraviglioso sotto ogni punto di vista?» Sorrido per la malizia che utilizza nel sottolineare la parola ogni, al che capisco che le cose non potrebbero andare meglio.

«Ok... messaggio ricevuto...» Addento una coscia di pollo mentre lei mi guarda con grandi aspettative.

«Forza, io voglio sapere di Harry!», dice con entusiasmo, mentre mi guarda come se le dovessi rivelare chissà quale verità.

«Io l'ho baciato ancora...», il suo sguardo si fa più attento, «poi mi ha baciata lui, e poi ancora...», i suoi occhi si spalancano per le mie parole, «non immagini nemmeno quanto sia stata bene in queste ore che abbiamo passato insieme». Sono certa di riuscire a trasmetterle tutte le sensazioni di benessere che provo quando ripenso a ieri, perché le sento ritornare tutte in me. «Lui è...», mi fermo un attimo perché voglio trovare la parola perfetta per descriverlo, «lui è straordinario!» Lo affermo con convinzione, perché è così che lo vedo.

Harry è al di fuori dell'ordinario. È stato in grado di capire ciò di cui avevo bisogno molto meglio di quanto non abbia fatto io. Sembra in grado di compiere magie e io voglio vedere cosa riesce ancora a fare con me.

Le racconto di tutti i posti in cui mi ha portata e il motivo per cui l'ha fatto, tralasciando ovviamente le cose che mi ha raccontato di sua madre e di... di quella - al cui solo pensiero mi sento rivoltare lo stomaco - mentre Reb mi ascolta con attenzione divorando la sua cena con gusto.

«Sicura che stiamo parlando della stessa persona?», mi domanda, inarcando le sopracciglia con un tono di voce divertito.

«Sono sicura, Reb!» Abbiamo finito di cenare e stiamo riordinando la cucina insieme.

«E allora mi spieghi perché sei ancora qui?» La guardo, restando per un attimo interdetta, poi mi ricordo di averle raccontato del breve scambio di messaggi di oggi e lei mi ha quasi rimproverata per il fatto di averlo ignorato.

So che ha ragione, so che Harry merita molta più considerazione di quella che gli sto dando, e forse dovrei fare qualcosa in proposito. «Tu dici che dovrei chiamarlo?», le chiedo, quando mi fermo ad osservarla con ancora in mano il piatto che stavo asciugando.

«Beh... se Harry è anche solo una minima parte di ciò che mi hai raccontato stasera, credo proprio che dovresti farlo». Mi sorride comprensiva, incoraggiandomi a compiere quel piccolo ultimo passo che mi porterebbe inesorabilmente verso Harry, ma sono certa che abbia inteso quanta incertezza vaghi ancora per la mia mente, perché posa lo strofinaccio che aveva in mano e mi si avvicina continuando a sorridere. «Ascolta Chloe...», mette le sue mani sulle mie spalle e tiene gli occhi fissi nei miei, «non lo stai tradendo, non l'hai mai fatto...». si sta riferendo a Dylan, «stai solo cercando di andare avanti. Lui non vorrebbe vederti soffrire, non credi?» Annuisco in silenzio, tentando di trattenere il dolore in un angolo del mio cuore. «E non perché vuoi frequentare un altro ragazzo ti dimenticherai di lui, questo non succederà mai, lo sai. no?» In realtà non sono molto convinta di quest'ultima parte, perché quando Harry è con me non esiste più niente, ma questo ancora lo voglio tenere per me. «Adesso chiamalo». Un ultimo sorriso poi mi abbraccia, e io mi lascio stringere in questo abbraccio tra sorelle che tanto mi era mancato.

«Grazie, Reb», le dico, quando ci stacchiamo. Lei non aggiunge altro e io vado a prendere il cellulare che avevo abbandonato sul ripiano della cucina un paio d'ore fa. Apro la conversazione con Harry, digito e invio.

Ti va un dopo cena?

Blocco il display e lo infilo in tasca. Non so neanche se mi risponderà. Avrebbe ragione se non volesse parlarmi. Sono troppo scostante e acida, e lui farebbe bene se...

I miei pensieri vengono interrotti dalla vibrazione proveniente dalla mia tasca. Prendo il telefono, sblocco lo schermo e non posso trattenere un sorriso quando vedo che mi ha appena risposto.

Scendi

In un primo momento resto immobile nel leggere quell'unica parola, poi credo di aver capito e rispondo.

Sei qua sotto?

Resto a fissare il display e la sua risposta arriva immediata.

Stavo per citofonare

«Che succede?», mi chiede mia sorella, probabilmente deve aver notato l'enorme sorriso sulle mie labbra, che pare non abbia alcuna intenzione di sparire molto presto.

«È qui», le dico, senza alcun bisogno di specificare a chi mi stia riferendo.

«Cosa!?» La sua espressione sorpresa è più o meno uguale alla mia quando ho letto il messaggio di Harry in cui mi diceva di scendere.

«Sì, mi sta aspettando di sotto». Sorrido come un'adolescente alle prese con la prima cotta.

«Non farlo aspettare... Lui odia aspettare». Sorrido con lei.

Forse può funzionare.

Forse possiamo funzionare insieme.

***************

Kurt

Mi manca.

Mi manca tutto.

Mi manca la mia migliore amica, mi manca Dylan che per me era come un fratello, mi mancano le serate insieme, i pomeriggi da Ryan, le serate pizza, Halloween e Kung fu Panda, mangiare insieme la torta al cioccolato di Hazel... mi manca.

Ma tutto questo resta chiuso nella mia stanza, non voglio rovinare la serata a nessuno. Non a Hazel che è sempre al mio fianco, non a Ryan e Emma che sono al settimo cielo per la creatura che arriverà e non a me, che voglio solo pensare a cose positive.

«Vi porto qualcos'altro?» La voce di Ryan mi distoglie dai miei pensieri.

«Io vorrei un'altra birra, tu Hazel vuoi qualcosa?» Mi rivolgo alla mia amica che vedo pensierosa, ma la colpa è mia.

«No, per ora no...», risponde lei distrattamente.

«Ok». dice Ryan, che poi si allontana, e io rivolgo la mia attenzione alla ragazza seduta al mio fianco.

«Hazel?» La richiamo per attirare la sua attenzione. Lei mi osserva, ma non parla. «Cosa c'è?», le domando, posando la mia mano sulla sua.

«È che... che sto ancora pensando a quello che mi hai detto...» Le ho espresso i miei dubbi in merito alla somiglianza tra i due Dylan e anche lei ha cominciato a far viaggiare la mente, forse un po' troppo.

«È inutile pensarci ora. Ti ho detto che ho parlato con Harry, ci penserà lui». Stringo un po' di più la sua mano e lei mi sorride debolmente.

«Ecco qua». Ryan poggia sul tavolo la bottiglietta di birra che ho appena ordinato, poi si siede con noi. «Allora... ci sono novità?» Ci chiede guardando entrambi.

«Nessuna per ora, ma lei sta bene», gli dico, sorseggiando la mia birra.

Anche Ryan e Emma sentono la mancanza di Chloe e non vedono l'ora che torni a farci visita per il giorno del Ringraziamento, abbiamo tutti voglia di vederla.

«Secondo te quell'Harry scoprirà qualcosa?», mi chiede Ryan, poggiando i gomiti al bordo del tavolo.

«Ne sono certo». Ho parlato dei miei sospetti anche a lui. Ryan e Emma sono come di famiglia per noi, soprattutto per me, e mi fido ciecamente di loro due.

«Certo che è strano...» Anche Ryan trova quanto meno sospetta questa famigerata somiglianza tra due ragazzi che apparentemente non hanno niente a che vedere l'uno con l'altro.

«Cosa è strano?», chiede Emma quando si unisce a noi, con tutta la sua bella pancia.

«Stavamo parlando di quello di cui ti ho parlato prima, sai della somiglianza...», spiega Ryan a Emma.

«Oh sì...» Si siede anche lei e Ryan la guarda stranamente.

«Questo vuol dire che devo tornare al bancone?», le chiede lui non realmente indispettito, quando la osserva sedersi al tavolo con noi.

«Tu sì che capisci una donna!», gli risponde lei, mostrandogli un gran sorriso, al che lui alza gli occhi al cielo e si alza per tornare al lavoro. «Allora... che mi dici di questo Harry?», mi chiede Emma, accarezzandosi la pancia. È un gesto che compie spesso.

«Che è un gran figo!» Le due donne sedute al tavolo con me scoppiano a ridere per la mia affermazione.

Io credo che Harry sia perfetto per lei. Ho visto come si guardano, come lui è riuscito a farla calmare, come è riuscito ad entrare in sintonia con lei senza il minimo sforzo. So che non è più stata in grado di lasciarsi andare con nessuno dal giorno dell'incidente, ma l'ho vista con lui e sono assolutamente certo, senza ombra di dubbio, che Harry sia l'unico che possa farla tornare alla vita.

«E mi pare anche molto etero», risponde Hazel, facendomi ruotare gli occhi al cielo.

«Perché vuoi sempre rovinare le mie illusioni!», le dico stando allo scherzo, mentre Emma ride con la mia migliore amica.

Vorrei che tutto fosse sereno come in questo momento. Vorrei che tornassimo a sorridere tutti quanti, Chloe per prima, e non dovermi più preoccupare, se trovo il suo telefono staccato, pensando che abbia preso qualche stupida decisione. Le voglio bene, un bene immenso, ma ha bisogno di qualcuno che la faccia reagire e Harry ne ha la capacità.

Sono sicuro che, se solo Dylan potesse comunicare con lei, le direbbe le stesse cose che le ho detto io. Ricordo che una sera, mentre eravamo seduti in questo bar e la stavamo aspettando, lui mi disse che il suo più grande desiderio era vedere Chloe felice e, se questo avesse voluto dire un giorno rinunciare a lei, l'avrebbe fatto senza pensarci due volte.

Non ho mai visto due persone amarsi tanto come Dylan e Chloe, ma ora lui non c'è più, e ho promesso sulla sua lapide che mi sarei preso cura di lei, che in un modo o nell'altro l'avrei riportata alla vita. Gli ho promesso che avrei realizzato il suo sogno: quello di vederla felice, e sono certo che Harry è la sua felicità, devo solo riuscire a farlo capire anche a lei. 

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Capitolo 32
*** Mi abbracci per favore? ***


"Everything i need"

Picture This

hat do you bottle it up for 

When you could just talk to me 
If you just opened up more 
I could put you at ease

 

Mentre scendo le scale il cuore batte a mille, lo stomaco sembra attorcigliarsi per la tensione che sta prendendo possesso della mia mente. Non è la prima volta che esco con lui, ma è la prima volta che tutte queste sensazioni sono così forti poco prima di vederlo. Forse perché questa volta sono più consapevole, perché le parole di Kurt, nella telefonata di poco fa, hanno riacceso una piccola fiammella nel mio cuore e continuano a vorticare nella mia testa.

*

«Kurt, dimmi che non sono una persona orribile...» Reb mi ha detto di non fare aspettare Harry, ma non potevo uscire senza sapere di avere il supporto incondizionato del mio migliore amico.

L'ho chiamato per metterlo a conoscenza del fatto che sto per uscire di nuovo con Harry, per dirgli che questa volta sto cercando di ignorare quanto io senta che sia sbagliato quello che sto per fare, ma razionalmente so che non sto facendo niente di male.

«Piccola Cleo certo che non sei una persona orribile... Ascoltami, e spero che questa sia l'ultima volta che ti debba dire queste cose... Il passato è passato e non puoi cambiarlo, con questo non dico che tu debba dimenticartene, ma devi andare avanti, altrimenti quel passato non sarà passato perché continuerà ad essere il tuo presente se non fai qualcosa per superarlo... Devi lasciarlo andare, lui vorrebbe che tu fossi felice...»

*

Con il coraggio che le parole del mio Kurty mi hanno dato, scendo lentamente gli ultimi gradini che mi conducono all'esterno dell'edificio. Lui è fuori da questa porta, sulla quale ho posato la mano, e mi rendo conto che, anche se sono passate poche ore da quando ci siamo salutati stamattina, mi sembra di non vederlo da una vita, per di più ci si mette l'agitazione che mi stanno provocando le parole di Kurt e tutto ciò che la mia mente sta creando.

Abbasso la maniglia, tiro la porta verso di me, e non faccio in tempo a mettere un piede fuori che, d'improvviso, le sue mani sono sul mio viso, sento i suoi anelli sulle mie guance, le sue labbra sulle mie. Mi tiene stretta, poi ancora più stretta, ma non ho alcuna intenzione di scappare, né di allontanarmi. Le sue braccia sono l'unico posto in cui vorrei essere in questo momento.

«Desideravo farlo da quando ci siamo salutati stamattina...» Sussurra poi sulle mie labbra tenendo gli occhi fissi nei miei. «Devi smetterla di scappare...», le sue labbra si muovono, sfiorando appena le mie, «stasera noi due parleremo...», resto in silenzio, incantata dal suo sguardo, dai suoi gesti, da quello che mi fa provare... da lui..., «e non c'è modo che tu possa evitarlo, stavolta». Mi bacia ancora.

Chiudo gli occhi lasciandomi trasportare dai suoi movimenti, dalle sensazioni che provo, dalle sue mani che mi tengono ferma, come se volessi davvero allontanarmi. Mi tiene stretta come se avesse paura che io possa dissolvermi e io mi aggrappo a lui, le braccia dietro al suo collo, le mani nei suoi capelli e il suo corpo plasmato sul mio contro la porta rimasta aperta mentre mi sostiene, perché ormai le gambe non mi reggono più dopo questo bacio.

Qualcuno si schiarisce la voce e veniamo interrotti. «Scusate, dovrei passare...» Il tono di voce indispettito di un uomo sulla cinquantina, che vuole entrare nell'atrio del condominio, fa allontanare Harry che mi porta subito con sé.

«Prego», risponde Harry, con evidente ironia mentre usciamo all'esterno, e io non posso trattenere un sorriso divertito per la situazione, per il fatto che lui stia continuando a borbottare contro il disturbatore molesto, come l'ha chiamato poco fa, prima di salire in macchina.

So tell me the worries that haunt you 

It's okay if you cry 
Your words will never leave this room 
I'll never be out of sight

 

Quando mi siedo sul sedile del passeggero, lui mette subito in moto, ma io non riesco ad aspettare e devo chiederglielo subito.

«Aspetta». Si volta a guardarmi poco prima di inserire la marcia, piega leggermente la testa e mi sorride.

«Cosa c'è?», mi domanda, con un tono di voce troppo dolce perché io riesca a vedere in lui il solito, indisponente, Harry.

«Perché eri già qui se non ho fatto altro che ignorarti?» Il mio comportamento nei suoi confronti è quantomeno discutibile, eppure lui c'è sempre.

«Perché so che non puoi continuare ad ignorarmi per sempre: prima o poi smetterai di scappare, ti fermerai, e io sarò lì». Il suo tono non è affatto saccente, direi piuttosto consapevole, del tutto convinto di ciò che ha appena detto.

«Come fai ad esserne così sicuro?» Sembra che lui abbia solo certezze, mentre io continuo a nutrirmi di dubbi.

«Sicuro? Io non sono sicuro di niente, tranne di quello che succede quando mi guardi, come so che lo senti anche tu. È il tuo corpo a dirmelo, lo leggo nei tuoi occhi...» La sua mano si allontana dal cambio e arriva leggera sul mio viso. «Mi desideri nello stesso modo in cui io desidero te Chloe...», le sue parole mi lasciano senza fiato perché ha ragione, .è solo di questo che sono sicuro... il resto mi fa maledettamente paura». La sua rivelazione mi mostra un altro aspetto di Harry, un aspetto a cui non avevo ancora prestato alcuna attenzione.

Le sue parole arrivano dritte al mio cuore e hanno un impatto devastante su quel sottile strato di ghiaccio che si era appena riformato, sgretolandolo del tutto, facendolo sciogliere e sparire, e poi le sento. Calde, umide, farsi strada lungo il mio viso e non c'è modo che possa fermarle. Le sue parole, il suo sguardo, la sua voce, tutto questo ha liberato le lacrime che tenevo intrappolate, e la dolcezza con cui le sue dita si posano sulle mie guance, con cui i suoi pollici ostacolano il loro percorso, è solo un modo in più per conquistarmi.

«È tutto ok, Chloe, va bene se piangi...», mi dice con un tono comprensivo e non compassionevole, «vuol dire che sei viva e che puoi andare avanti...», con questo le dighe si rompono del tutto e lui si avvicina abbracciandomi. «Lascialo andare, Chloe... lascia andare il dolore...» Mi stringo a lui come se fosse la mia ancora di salvezza e, in un certo senso, lo è per davvero.

And tell me if you wanna talk it out 

It's okay if you wanna scream and shout

 

«Puoi parlare con me, puoi urlare, puoi fare tutto quello che vuoi in realtà...» Le sue ultime parole, pronunciate con un tono diverso da poco fa, mi strappano un piccolo sorriso.

Mi allontano quel tanto che basta per guardarlo negli occhi, mi asciugo le lacrime con le dita e poi lo guardo, tentando di fargli capire anche con lo sguardo quanto io gli sia grata.

«Grazie», gli dico, mentre sento le sue mani scivolare via dalla mia schiena per tornare sul mio viso.

«Potrai ringraziarmi più tardi...» Il suo tono è volutamente provocatorio. So che sta riportando l'atmosfera ad un livello più respirabile per me e io non posso fare altro che stare al gioco. «Adesso andiamo, prima che mi allaghi la macchina». Gli sferro un piccolo pugno sul braccio che lui non sente nemmeno, poi ingrana la marcia immettendosi in strada.

«Non mi dirai dove andiamo, giusto?» Glielo domando tanto per curiosità, ma non sono certa che avrà voglia di rispondermi.

«Posso dirti che non stiamo andando al Polo Nord». Mi guarda per una frazione di secondo, con un meraviglioso sorriso beffardo, mentre io mi sto asciugando le ultime lacrime, poi torna con lo sguardo sulla strada.

«Sei davvero divertente, Harold...», gli dico, appoggiandomi con la schiena al sedile per rilassare i miei muscoli tesi, «forse dovresti cambiare lavoro e diventare un attore comico». Lo sento ridacchiare e non mi trattengo dal voltarmi a guardarlo per davvero.

I capelli sono sciolti, indossa il suo immancabile cappotto nero, stasera ha anche una sciarpa che non gli avevo ancora visto, e un paio di jeans scuri, strappati sulle ginocchia. Sorride, non ha praticamente mai smesso da quando si è immesso in strada, e la cosa mi piace parecchio.

«Non conosco nessun Harold, ma se decidessi di fare l'attore comico, sarei il migliore attore che si sia mai visto». Sorride ancora, tenendo saldo il volante, e si muove con naturalezza mentre guida la sua bambina.

«E anche il più presuntuoso», aggiungo, voltandomi di lato per concentrarmi solo su di lui.

Voglio cogliere tutti i più piccoli dettagli, esattamente come fa lui con me.

«Che c'è?», mi chiede, notando che lo sto fissando.

«Niente», gli rispondo, non sapendo bene cosa dirgli. È una cosa nuova per me, mi sento come se non avessi mai guardato un ragazzo. Sono imbarazzata e allo stesso tempo non riesco a smettere di guardarlo.

Mi godo il momentaneo silenzio avvolto da quell'atmosfera magica che Harry riesce a creare con la sua sola presenza, cercamdp di non perdermi nemmeno un attimo, assaporando ogni istante che mi regala. Voglio imprimere nella mia mente le piccole pieghe della sua pelle intorno agli occhi quando ride, il profilo del suo naso perfetto, la squadratura della mascella e la forma delle fossette che rende i suoi lineamenti assolutamente ineguagliabili.

«Guarda che non mi dispiace affatto se continui a fissarmi», mi dice, chiaramente divertito dal  mio atteggiamento.

Decido di non rispondere a tono perché voglio solo godermi l'attimo. «Mi piacciono le tue fossette», ammetto sincera.

«Piacciono a tutte le ragazze», afferma, da vero sbruffone quale è in questo momento.

«Quanto te ne sei approfittato?», gli chiedo curiosa.

«Delle mie fossette?», mi domanda lanciandomi velocemente uno sguardo, per tornare subito a guardare la strada.

«Sì». Mi sistemo meglio sul sedile, portando una mano a stringere lo schienale.

«Da uno a dieci direi... ottantasette». Rido alle sue parole, anche se, lo devo ammettere, una punta di fastidio si sta facendo largo alla bocca dello stomaco.

Ovviamente anche lui ha avuto un passato e il fatto che me ne abbia parlato credo sia una cosa positiva, ma quando lo immagino baciare un'altra, o che abbia fatto qualsiasi cosa con qualcun'altra, non riesco a trattenere quel fastidio che si libera all'interno del mio stomaco, facendolo contorcere.

«Pensi di approfittarne anche con me?», gli domando, per stuzzicarlo un po'.

«Con te non ne ho bisogno...» Sto per dirgli di nuovo quanto sia presuntuoso, ma le sue parole fermano le mie prima che possano uscire. «Con te posso essere Harry». E, per l'ennesima volta, mi sorprende.

«E chi è Harry?», gli domando di getto, senza nemmeno pensare a ciò che gli ho appena chiesto.

«Harry è uno stronzo che sa di esserlo, che ha passato un lungo brutto periodo, ma che ora può condividerlo con qualcuno...», mi guarda di sfuggita, facendomi capire chiaramente che quel qualcuno sono io, «senza più doversi nascondere dietro a finti sorrisi, perché adesso i sorrisi sono veri».

«Harry...», pronuncio solo il suo nome, incapace di articolare frasi di senso compiuto dopo la sorta di confessione che mi ha appena fatto.

«Sì, mi risulta essere il mio nome...», sdrammatizza come al solito, «e non c'è bisogno che aggiungi altro, anche perché siamo arrivati». Svolta a sinistra, in un piccolo vialetto, e parcheggia accanto ad una casa per poi spegnere l'auto.

Il tragitto è stato breve, una quindicina di minuti al massimo, ma non ho la più pallida idea di dove ci troviamo, dato che per tutto il tempo non ho fatto altro che guardare Harry e il suo sorriso. È una strada stretta, alberata, costeggiata in entrambi i lati da case singole. Siamo fuori città, credo.

Cos I am the light inside your door 

I am the footprints on the floor 
You're my never-ending dream 
You are everything I need

 

«Dove siamo?», gli chiedo, non appena scendiamo dalla macchina.

«Questa è... era casa di mio nonno. Vengo qui quando ho bisogno di tranquillità». Prende un mazzo di chiavi dalla tasca del suo cappotto, le infila nella serratura ed entra per poi accendere le luci, mentre io lo seguo in silenzio, con il cuore che batte più veloce per le parole che ha appena pronunciato.

La stanza è accogliente, un salotto con un grande divano angolare di colore azzurro. Un vecchio camino, che credo non venga utilizzato da parecchio tempo e sulla cui mensola riesco a vedere molte foto, divide questa stanza dalla piccola cucina che intravedo appena da qui.

«Vuoi bere qualcosa?», mi chiede, chiudendo la porta d'ingresso alle mie spalle.

«Qualcosa di analcolico», gli rispondo, certa che coglierà il sottinteso.

«Hai paura di tornare ad essere irrimediabilmente divertente?», mi domanda, con una pungente ironia.

«Continui a ripetermelo... c'è qualcosa che dovrei sapere riguardo a quella sera?» Voglio proprio vedere fino a quando si terrà il ricordo di quella sera tutto per sé. Harry sorride sereno, per niente turbato da ciò che ho appena detto, poi mi volta le spalle e si dirige verso la cucina, che è piccola ma ha tutto ciò che serve, persino il microonde incassato nel pensile sopra ai fornelli. «È molto carina questa casa», gli dico, mentre lui prende due bottigliette d'acqua dal piccolo frigo, che avevo scambiato per una lavastoviglie a causa della sua posizione e forma.

Ne prendo una e mi appoggio al ripiano della cucina restando ferma ad ascoltarlo.

«Io e Jordan ci venivamo spesso da piccoli, papà ci lasciava qui quasi tutti i week end subito dopo che lei se n'è andata...» Dal suo tono di voce posso chiaramente capire che si sta riferendo alla madre. «Questo è l'unico posto che io sento veramente come una casa». Lo dice con affetto, si percepisce ad ogni parola e alla luce che gli si vede nello sguardo.

«Mi sarebbe piaciuto conoscerlo», ammetto sincera, poi i miei occhi si soffermano sul suo pomo d'Adamo che va su e giù dopo aver bevuto un sorso d'acqua.

«A lui saresti piaciuta tu». Chiude la bottiglietta, la posa sul ripiano della cucina e mi si avvicina.

La mia bottiglietta è ancora perfettamente chiusa, e adesso ne vorrei bere almeno un goccio per il fatto che la mia salivazione sta scomparendo, ma, nel momento in cui lui si appoggia del tutto contro di me, ogni collegamento fra il cervello e il mio corpo salta, lasciandomi senza scampo. «Forse tanto quanto piaci a me», mi dice ancora, ed è in quel momento che sento le sue mani posarsi sui miei fianchi.

I am the bed in which you lay 

I am the breath you blow away 
You're the place where I find peace 
You are everything I need

 

Le mie mani si fermano sul suo petto, ma non perché io voglia tenerlo a distanza, è solo perché mi piace sentire il battito del suo cuore sotto i miei palmi, ma d'improvviso qualcosa scatta nella mia testa e la paura arriva a travolgere quel momento, come fosse un'ombra dalla quale non posso nascondermi. Lo stomaco mi si aggroviglia nuovamente e quel tormento lo sento risalire fino alla gola, stringendomi fino a farmi mancare l'aria. Fatico a respirare e i miei occhi sono ancora puntati nei suoi. So che mi sta parlando, vedo le sue labbra muoversi, ma non riesco a sentire quello che dice, fino a quando lui ci riesce ancora.

La sua voce ha il potere di spazzare via i miei attacchi di panico, i suoi occhi riescono a tenermi ancorata a lui, alla realtà. Torno lentamente a percepire le sue mani che stringono un po' di più i miei fianchi e, piano piano, torno anche a sentire le sue parole. «Concentrati su di me». Distendo lentamente le dita che non mi ero accorta di aver stretto con forza attorno al tessuto della sua maglia. «Così, brava». Il suo tono dolce, il suo sguardo intenso, mi portano a sentire che, di nuovo, quella cosa sta per prendere il sopravvento.

Harry riesce ad infondermi calma e sicurezza, riesce a portarmi dove vuole, riesce a tenermi stretta e a farmi volare in alto nello stesso momento.

Your tears'll form the notion 

That travels down my hall 
My door is always open 
All you have to do is call

 

«Come ci riesci?», gli chiedo, con quel poco di voce che mi è rimasta.

«A fare cosa?» Le sue mani scivolano lentamente verso la mia schiena e il suo corpo si appoggia un po' di più al mio.

«Qualsiasi cosa». Sembra che non si sforzi mai, nemmeno un po', eppure sembra sapere sempre cosa fare e come farlo.

«Faccio tutto totalmente a caso, Chloe, io non so fare proprio un bel niente. Vado a istinto e, anche se ho una dannata paura, e non è affatto facile per me, sto provando a fidarmi di qualcun altro che non sia me stesso». Lo ascolto parlare, incantata per il fatto che mi stia aprendo l'ingresso principale al suo cuore in un modo così sincero e diretto. Mi sta confessando le sue debolezze e non potrebbe essere più vulnerabile di come lo sto vedendo in questo momento.

La fioca luce della cucina gli illumina il viso solo per metà, ma il luccichio che ha negli occhi compensa la penombra sulla parte restante del suo volto. Vorrei essere capace come lui, riuscire a leggergli dentro come lui riesce a fare con me, infondergli la fiducia nel futuro che lui infonde a me, ma in questo momento riesco solo ad essere egoista e prendere tutto quello che lui mi offre. 

«Beh, ma sembra che il tuo istinto sappia esattamente quello fa», gli dico, sentendo farsi un po' più stretta la presa delle sue mani tornate sui miei fianchi.

«Tu dici?» Annuisco e non riesco a smettere di guardarlo dritto negli occhi. «Io so solo che non riesco ad ignorarlo, so che c'è qualcosa tra di noi, e so che lo senti anche tu perché riesco a sentire quando sei con me, quando sei realmente con me, come adesso...» Le sue mani scorrono lente sopra il tessuto della mia maglia, così lente che riesco perfettamente ad immaginarne il percorso e sentirne il calore sulla pelle attraverso la stoffa.

«Harry...» Come al solito, ogni cosa che lui fa, mi toglie il fiato e la capacità di ragionare, e io riesco a malapena a pronunciare il suo nome, giusto per fargli capire che sono ancora capace di intendere.

«Non pretendere di farcela con le tue sole forze, Chloe, è praticamente impossibile...» Le sue parole sono a pochi centimetri da me. Riesco a sentire tutta la forza con cui le pronuncia, la stessa forza che arriva al centro del mio petto. «Se non avessi avuto Zach, e gli altri, non so che fine avrei fatto. Anche se non è proprio la stessa cosa, so cosa vuol dire perdere qualcuno a cui tieni, se ci aggiungi che sono cresciuto senza una madre e tutto il resto...» Si ferma un attimo, non so bene per quale motivo, ma non ho il coraggio di interromperlo. «Ascolta, Chloe, non è una gara a chi ha sofferto di più, voglio solo farti capire che non puoi fare tutto da sola, e io non voglio lasciarti da sola...» Le sue parole sono più vicino perché il suo viso lo è. I suoi fianchi sono sui miei, che resto appoggiata al ripiano della cucina, e le sue mani sono sempre lì, a tenermi stretta.

So why don't you come and sit by me 

And we can stay up all night 
And in the morning I'll be 
Still sitting by your side

 

«Voglio sapere cosa mi succede quando sono con te, voglio sapere perché quando non sei con me tutto cambia e voglio che ne parliamo adesso». Le sue labbra sono sempre più vicine alle mie. Come può pretendere una risposta a quello che ha appena detto se io non riesco a pensare ad altro che al sapore di lui nella mia bocca?

«Cosa...» Riesco ad articolare solo parole a caso, senza un vero senso logico.

La logica l'ho persa nel momento in cui ho sentito i suoi fianchi appoggiarsi ai miei. Non riesco a pensare ad altro che voglio baciarlo. La mia mente è annebbiata e il mio cuore pompa il sangue così velocemente da farmi fischiare le orecchie. Sento caldo e freddo allo stesso tempo e non posso più controllare le mani, che ora vagano sul suo petto, salgono sulle sue spalle e finiscono in mezzo a i suoi capelli, che quasi stringo per la voglia che ho di lui.

«Ti sto facendo entrare nella mia vita, Chloe, e voglio entrare nella tua. Voglio sapere cosa ti va di fare e cosa no. Voglio parlarne con te, voglio discuterne e arrivare ad una soluzione che stia bene ad entrambi, perché voglio baciarti ancora e ancora, voglio tenerti così come ti sto tenendo adesso perché sento che averti è l'unica cosa che mi fa stare bene». Si avvicina ancora un po'. La distanza tra le mie labbra e le sue è così irrisoria che ne sento il calore, e i suoi occhi non fanno altro che far aumentare il mio battito cardiaco. Credo che tra poco avrò un infarto se non mi bacia subito, e se non lo fa lo farò io.

«Perché non mi baci e basta?» La mia voce è un sussurro a malapena udibile.

Le sue labbra si piegano leggermente all'insù in un piccolo sorriso compiaciuto. «Vuoi che ti baci, Chloe?» Sento il suo respiro sulle mie labbra, sento le sue dita scorrere ancora lente in una piacevole tortura che mi sta facendo perdere la testa.

«Voglio baciarti io», gli dico, in un impeto di coraggio, dovuto forse all'impazienza di poter assaggiare ancora le sue labbra.

«Ma io non intendo accontentarmi delle briciole, non voglio più vederti scappare e restare ad aspettare che tu torni a farti sentire, e nemmeno voglio più correrti dietro come un cagnolino, non credo di meritarlo. Voglio potermi fidare di te, voglio sapere che non sparirai dall'oggi al domani». Non so se mi stia chiedendo di impegnarmi in qualcosa o se stia cercando solamente di fare chiarezza nel nostro strampalato rapporto, ma ciò che dice mi spaventa e mi rassicura contemporaneamente.

Harry non sta giocando con me, non che l'abbia mai realmente pensato, ma sapere che il nostro rapporto gli sta così a cuore, mi porta a preoccuparmi per lui, perché non sono certa di poter essere la persona affidabile di cui lui avrebbe bisogno. Sono instabile, scostante, paranoica ed egoista, molto egoista, ma stare con lui finora mi ha portato a migliorarmi, a sentirmi bene come non mi succedeva da tempo. L'unico mio problema è che non credo di meritarmi la felicità che provo quando sono tra le braccia di Harry, come in questo momento in cui tutto mi sembra possibile e realizzabile.

«Che cosa vuoi, Harry?», gli chiedo, sentendo le sue labbra ormai sfiorare le mie.

«Voglio te Chloe... voglio te con il tuo cuore spezzato e le tue paure, voglio te con il tuo dolore e i tuoi sensi di colpa... voglio anche la tua irritante acidità... voglio il pacchetto completo, perché non mi sono mai sentito vivo come da quando ti ho conosciuta». Le sue parole sono una potente iniezione di fiducia che mi fanno sentire molto più importante di quanto meriterei.

Non mi sono comportata come avrei dovuto con Harry, eppure lui non mi ha mai voltato le spalle. Si sta facendo carico del mio dolore aiutandomi a sopportarne il peso, senza mai compatirmi, anzi spronandomi a reagire, e tutte le volte che gli ho dato retta ne ho tratto solo benefici. Tutto questo non può essere così negativo, no?

È l'unico in grado di tirarmi fuori da un attacco di panico in pochissimo tempo, ed è anche l'unico ad avere il coraggio di non trattarmi come qualcosa da maneggiare con cautela per la paura che si rompa da un momento all'altro. E tutto questo mi riporta alle parole che ha appena pronunciato ad un soffio dalle mie labbra.

Harry mi fa sentire viva.

I am the light inside your door 

I am the footprints on the floor 
You're my never-ending dream 
You are everything I need

 

Avevo trovato l'amore della mia vita, ma mi è stato portato via. E se Harry fosse la mia seconda possibilità di essere felice? Se Harry fosse la mia opportunità di ricominciare?

«Baciami, Harry», gli dico, sentendomi spinta da una forza nuova.

E lui lo fa. Mi bacia, mi bacia ancora, e ancora, e io mi sciolgo tra le sue braccia, come succede ogni volta che la sua bocca prende possesso della mia. Mi bacia con forza, come nessun altro ha mai fatto, e la mia mente è completamente avvolta dalla nebbia. Non c'è più alcun pensiero, non so nemmeno se siamo ancora in questa stanza o su un altro pianeta.

E comunque non ha importanza il luogo, lui è con me, io sono con lui, non c'è altro che vorrei in questo momento.

Mi bacia ancora, trasformando ogni sentimento negativo che provo verso me stessa, verso la vita, in qualcosa di meraviglioso che voglio continuare a provare, mentre mi aggrappo con più forza al suo collo, alle sue spalle, sprofondando in questo bacio interminabile, nelle sue labbra dalle quali non voglio staccarmi.

Da quanto tempo non provo tutto questo? E mi rispondo subito, pensando che sono tutte cose che non ho mai provato, non in questo modo così intenso e travolgente, tanto da non voler smettere, tanto da non voler perdere...

«Chloe...» Allontana le sue labbra di qualche millimetro dalle mie, mi parla con il fiato corto, e io fatico a riaprire gli occhi, a causa delle sensazioni a cui mi sono letteralmente abbandonata.

«Mh...» Non riesco a pronunciare una vera parola. Posso solo emettere una sorta di suono per fargli capire che l'ho sentito.

«Io ho fame...» Comincia a baciarmi dolcemente la mandibola, scendendo lentamente fino al collo, in una scia di piccoli baci che lasciano un percorso bollente sulla mia pelle.

So esattamente cosa intende con fame e, anche se io ho la sua stessa fame, non so se sono pronta per quello che mi sta chiedendo. Lo desidero in una maniera così violenta da fare quasi male, ma c'è ancora un filo che mi tiene legata al passato, un filo che non sono ancora riuscita a tagliare e ho necessariamente bisogno di farlo, di dare un taglio a ciò che mi frena per potermi sentire completamente libera di godere appieno di tutto quello che Harry mi sta promettendo. Non voglio alcun freno per potergli dare tutta me stessa, incondizionatamente, e in questo momento non posso farlo.

«Harry?» Lo richiamo con un filo di voce.

Lui ferma subito la sua discesa, poi risale ancora più lentamente di quanto non abbia fatto prima, sfiorando con le sue labbra tutto il percorso a ritroso fino a tornare a pochi millimetri dalle mie. Stavolta ho bisogno di guardarlo negli occhi, di vedere la luce che sprigiona quel verde meraviglioso e che gli illumina il viso, quel luccichio carico di passione e di speranza.

«Mi abbracci per favore?», gli chiedo, poi sento i miei occhi farsi lucidi.

Non se lo fa ripetere. Le sue braccia mi stringono e io appoggio la guancia sulla sua spalla. Il suo corpo aderente al mio, sento il suo cuore battere sul mio petto, il suo fiato sui miei capelli, le sue mani aperte scorrere lente sulla mia schiena e così, avvolta dal suo calore, piango in silenzio, senza singhiozzi, lasciando scorrere via la tensione e la rabbia verso me stessa per non riuscire a dargli ciò che merita.

«Andrà tutto bene, Chloe», mi dice con un filo di voce, «non mi muovo da qui».

Non è la prima volta che sento le parole andrà tutto bene , ma stavolta sono certa che siano vere, perché è stato Harry a dirle e perché non si è limitato a prometterlo. Ha specificato chiaramente che lui ha tutta l'intenzione di restare e io gli credo.

You're all I need 

You're everything I need 
You're all I need

 

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Capitolo 33
*** Mi sento un fottuto detective ***


Harry

«Harold!» Mi muovo lentamente, molto lentamente, fra le lenzuola pulite. «Harold!» La voce è sempre più forte. Non ho idea da quanto tempo stia urlando e bussando alla mia porta, che sento aprirsi di colpo. «Cristo santo, Harry! Ma perché non rispondi mai?!» Non appena la voce alterata di mio padre si avvicina ad una distanza insopportabile, devo obbligatoriamente nascondere la testa sotto al cuscino per attutire i decibel che arrivano alle mie orecchie.

Sento lo stridio dei ganci del tendone della grande finestra ed è come se mi perforasse i timpani. Ma perché diavolo deve fare tutto questo casino? Sento il rumore che provocano le sue scarpe farsi sempre più vicino e poi ancora la sua voce. «Harry! La colazione è pronta, hai esattamente ventidue minuti per prepararti, dopodiché James non ti aspetterà». Mi strappa il cuscino dalla testa e io mi tiro su la coperta.

«Sembri un disco rotto...», biascico, con la voce ancora impastata dal sonno.

«Se solo tu ti svegliassi in orario non avrei bisogno di ripeterti sempre le stesse cose». Vorrei dire qualcosa di sensato, ma riesco solo a mugugnare parole incomprensibili persino a me stesso, ma ho davvero troppo sonno oggi.

Credo si sia arreso perché sento i suoi passi allontanarsi e, a quel punto, mi giro su un fianco, poi a pancia in su, tengo gli occhi chiusi e sorrido come un idiota al ricordo di ieri sera, mentre allungo le braccia, e poi sbadiglio sonoramente. Non mi ha promesso niente, nemmeno io ho promesso niente a lei, eppure è come se l'avessimo fatto, come se tra tutti quei baci avessimo stretto un patto silenzioso, come se avessimo riconosciuto entrambi, che quel qualcosa che c'è tra noi non può più essere ignorato.

Sposto il piumone, mi metto seduto sul letto e strofino con forza il viso, poi mi metto in piedi e vado in bagno, dritto sotto la doccia ripensando a quando l'ho accompagnata a casa. Il suo viso era così sereno e tranquillo come gliel'ho visto poche volte, e sono assolutamente certo che fosse con me in ogni senso ieri sera. Sia la sua mente, che il suo corpo, erano lì con me, a casa di mio nonno, dove non ho mai portato nessuna, ma ieri sera l'ho voluta lì, per condividere quell'atmosfera che respiro sempre quando entro in quella casa e, a quanto pare, non ho sbagliato a farla partecipe di una cosa tanto importante per me.

L'ho sentita sciogliersi tra le mie braccia, ho visto nei suoi occhi il completo abbandono a quello che provava, fino a quando non sono stato così idiota da tentare di oltrepassare il limite; avrei dovuto immaginarlo che non era ancora arrivato il momento per lei, ma sono felice di essere almeno riuscito a rassicurarla e a non farla scappare.

Ora, dopo essermi lavato e asciugato, infilo un paio di pantaloni e scendo a fare colazione. Ieri sera, dopo averla lasciata a casa sua, non avevo voglia di tornare da me. Sarei stato da solo e avrei anche dovuto prepararmi qualcosa stamattina, o andare al bar, e la voglia di fare tutto questo era meno di zero, soprattutto perché sapevo che non sarei riuscito a prendere sonno molto presto, e non mi sono sbagliato su questo. Mi sono girato e rigirato nel letto più volte perché non riuscivo a smettere di pensare a Chloe, perché quello che lei ha scatenato al mio corpo ieri sera è stato difficile da far sparire, e non è sparito ancora adesso.

Merda!

«Buongiorno», dico a Brenda, intenta a trafficare vicino al lavandino.

Si volta a guardarmi con un enorme sorriso. «Buongiorno a te, Harold!» La sua espressione è ovvia, so benissimo cosa sta per dirmi, ma tento di ignorarla mentre mi siedo sullo sgabello di fronte al piatto di pancake che ha già preparato per me e, come immaginavo, smette di fare ciò che stava facendo per venire a dirmi ciò che ha lì, sulla punta della lingua. «Chi è la ragazza che hai portato qui?»

Alzo gli occhi al cielo alle sue parole, mentre addento un enorme pezzo di pancake, ma non sono realmente infastidito da lei, e nemmeno da quello che ha detto, è solo che voglio che capisca che non sono ancora così propenso a parlare di lei. Brenda aspetta paziente che io finisca di masticare, solitamente avrei parlato con la bocca piena, ma voglio farla aspettare. «È la ragazza che sostituisce Linda, sai... la traduttrice che è andata in maternità...» La prendo alla lontana, ma so perfettamente che non si accontenterà di questa risposta e, prima che possa chiedermi altro, mi riempio la bocca con la metà restante del pancake.

«E...?», domanda, esattamente come prevedevo. Continuo a masticare, stavolta più lentamente, e noto la sua espressione farsi più impaziente. «Hai sempre parlato con la bocca piena, perché stamattina dovrebbe essere diverso?» Quasi sputo quello che ho in bocca per la risata che le sue parole hanno provocato, avevo capito che era impaziente di avere altre notizie, ma non pensavo così tanto.

Ingoio l'ultimo boccone, bevo un sorso di spremuta e poi la guardo sorridente. «Sto solo mettendo in pratica i tuoi insegnamenti 'non si parla con la bocca piena, Harold'.» Imito la sua voce, prendendola scherzosamente in giro, e lei non può evitare di sbuffare.

«E proprio stamattina dovevi metterli in pratica?» Mette le mani sui suoi fianchi e mi guarda con gli occhi chiusi a due fessure.

Devo darle qualche risposta, le merita. «È... Chloe è...» Mi fermo un attimo perché non so bene come definirla e Brenda mi osserva con attenzione, sinceramente interessata alle mie parole. Ogni definizione mi sembra banale e stupida. Chloe non rientra in nessuna etichetta esistente, lei è... «Chloe è... Chloe...» È semplicemente lei.

Il sorriso sulle labbra di Brenda è allusivo, ma io non voglio cogliere nulla, quindi faccio finta di non capire e addento il secondo pancake dopo averlo annegato nello sciroppo d'acero. A quanto pare avevo fame anche di cibo, non solo di lei. Meglio se smetto per un po' di pensare a Chloe o dai miei pantaloni sarà evidente a cosa io stia pensando.

Si volta con ancora il sorriso sulle labbra e torna al suo lavoro. «Non è un granché come risposta, ma immagino mi dovrò accontentare». Sarei un povero idiota senza Brenda.

Finisco di ingozzarmi con il resto della colazione, poi torno in camera mia a cambiarmi. Stamattina mi tocca prepararlo da me il completo da indossare per l'ufficio. Sorrido al pensiero del suo gesto dell'altra mattina. Nessuno, a parte Brenda, ha mai fatto una cosa del genere per me e, sapere che è stata proprio Chloe a farlo, mi ha sorpreso piacevolmente. Dopo essermi vestito, controllo l'orario sul cellulare e noto che mi restano tre minuti esatti per scendere. Potrei anche non presentarmi e prendere la Mustang, ma non ho voglia di guidare stamattina, quindi decido di approfittare di James.

Recupero il cappotto e il resto delle mie cose, poi scendo di corsa, passo dalla cucina per salutare Brenda e mi fiondo sul retro, dove trovo James al volante dell'auto con il motore acceso. Apro lo sportello e mi siedo sul sedile posteriore. «Buongiorno, James», dico, per poi accomodarmi in maniera molto poco elegante.

«Buongiorno signor Stevens», risponde, ingrana la marcia e partiamo.

Il totale silenzio che regna in quest'auto viene interrotto dalla suoneria del mio cellulare.

«Ciao coglione», rispondo, e lo sento ridere dall'altra parte dell'auricolare.

«Vedo che sei di buonumore stamattina, per caso c'entra una certa signorina Stewart?» La sua allusione ha assolutamente colto nel segno, ma ovviamente non gli darò questa soddisfazione.

«Sono sempre di buonumore, sei tu che rovini sempre tutto». Mento e lui lo sa, sarei perso anche senza di lui. Mi ha tenuto in riga nonostante le tante cazzate che abbiamo fatto insieme, e ne abbiamo fatte davvero tante, ma lui è sempre riuscito a tenere un piede ben piantato nella realtà, nella quale mi ha trascinato quando stavo per perdermi del tutto.

«Le parole Harry e buonumore sono molto di rado nella stessa frase...» Alzo gli occhi al cielo anche se non può vedermi.

«Quindi... questa telefonata ha motivo di esistere?» Interrompo sul nascere le sue stronzate perché non ho ancora voglia di raccontare niente di ciò che è avvenuto ieri sera con Chloe.

«Volevo solo assicurarmi che stessi bene...» Zach è uno di quelli che ha vissuto più in prima persona, rispetto agli altri, tutte le fasi della mia vita e non so che farei senza le sue idee del cazzo.

«Sto bene, Zach, e credo che non avrò più bisogno di quella roba...» Chloe mi ha fatto chiaramente capire il suo inesistente apprezzamento quando abbiamo fumato, e ho promesso a me stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta.

«Felice di sentirtelo dire... E... volevo chiederti... hai deciso cosa fare per il Ringraziamento?» Di solito lo passo insieme a lui e al resto dei nostri amici, ma quest'anno è ancora tutto incerto, soprattutto perché Jordan mi ha comunicato che la partenza per Madrid è stata rimandata.

«No, Zach, e tu?», gli domando, ricordandomi che lui sta frequentando Rebekah e forse ha programmi diversi che fare il coglione con noi.

«Nemmeno io... Sì, arrivo subito!»  Credo sia al lavoro e qualcuno lo stia chiamando perché sento altre voci in sottofondo. «Ascolta, Harry, ora devo andare, ci sentiamo ok?»  Lo saluto, per poi guardare fuori dal finestrino oscurato, e mi rendo conto che siamo quasi arrivati.

Saluto James appena prima di scendere dall'auto, ferma davanti all'ingresso principale, e salgo in ascensore, diretto in ufficio in perfetto orario, cosa che non mi succedeva da tempo, tanto che anche i dipendenti mi guardano strano. Arrivo davanti alla scrivania di Rebekah, che non mi ha notato perché intenta a scrivere qualcosa. «Buongiorno», le dico, e lei alza la testa di scatto guardandomi con gli occhi sgranati per la sorpresa.

«Oh... sei già qui... Stavo giusto ricontrollando gli impegni di oggi e ho notato che hai un impegno fra pochi minuti.. e stavo per disdirlo...» Devo assolutamente interromperla.

«Con chi ho appuntamento tra pochi minuti», le domando con un sorriso, per farle capire che è tutto ok.

La sua espressione è confusa, ma poi si riprende in fretta e torna a guardare l'agenda che stringe tra le mani. «Tuo fratello ti aspetta nel suo ufficio», dice alla fine, ma ho l'impressione che abbia ancora altro da dire perché non smette di guardarmi.

«C'è altro?», le chiedo, poggiando le mani sul ripiano della sua scrivania. Sta per aprire la bocca, ma poi le parlo ancora. «Intendo... altro che non riguardi tua sorella...» A quel punto, Reb richiude la bocca, e capisco di aver colto nel segno.

«Non c'è altro». Le sorrido e mi allontano per andare dritto dal mio amico.

Ho pensato e ripensato alle parole di Kurt, e più ci ragionavo su, più mi convincevo che l'amico di Chloe non abbia tutti i torti. Ci dev'essere un legame di qualche tipo tra Dylan che conosco io e... beh... l'altro.

Appena arrivo davanti al suo ufficio lo osservo per qualche istante e non faccio alcuna fatica a continuare a sovrapporre i tratti del suo viso con l'immagine di quel ragazzo che ho visto sulle foto del telefono di Chloe. Non riesco nemmeno ad immaginare cosa voglia dire per lei ritrovarsi davanti una persona così somigliante a colui che deve essere stata una parte fondamentale della sua vita.

Prendo un gran respiro ed entro nel suo piccolo ufficio, cogliendolo di sorpresa. «Sei veramente tu?», mi chiede, prendendomi chiaramente per il culo.

«No, sono un cazzo di ologramma», gli rispondo, per poi sedermi sulla sedia di fronte alla sua scrivania.

«E come mai sei già qui?» Assottiglia leggermente gli occhi, scrutandomi con attenzione.

«Mio padre mi ha buttato giù dal letto con le sue solite maniere gentili». Approfitto di quanto accaduto stamattina per portare l'argomento nella direzione in cui voglio che vada.

«Non andrai mai d'accordo con lui, vero?», mi chiede, prima tornare a fissare lo schermo del computer digitando qualcosa sulla tastiera.

Dylan è sempre stato molto preciso nel suo lavoro, puntuale nelle consegne e decisamente responsabile. Probabilmente è anche grazie al suo carattere che è così. Ha dovuto cavarsela da solo in più di una circostanza perché sua madre faceva un doppio lavoro, quando lui era piccolo, per potergli dare tutte le cose che io avevo senza troppi sforzi.

«Come prima cosa dovrebbe interessarmi il fatto di andare d'accordo con lui, invece non è così...» Provo a pungerlo sul vivo. Per lui l'argomento papà è sempre stato delicato.

«Dovresti farlo, invece, dato che ne hai uno». Il suo tono di voce, infatti, si fa più duro.

Dylan è cresciuto con un solo genitore, sua madre, perché il padre è morto in un incendio. A quanto mi ha raccontato, per salvare la moglie incinta, suo padre è rimasto bloccato all'interno dell'appartamento in cui vivevano e lei non ha potuto fare niente per salvarlo, restando a guardare mentre la casa andava in fiamme con il marito all'interno.

«Dylan...»

«Senti, Harry, non voglio parlare di questo, lo sai, no?», mi interrompe, prima che possa dire qualunque cosa.

So che questo argomento è molto delicato per lui. Avrebbe tanto voluto conoscerlo, sua madre gli ha raccontato cose meravigliose di lui, e il fatto che tutto ciò che avevano sia andato bruciato in quell'incendio, lo porta ad essere ancora più sensibile quando si parla di suo padre, perché non ha nemmeno una foto che glielo ricordi.

«Ok, mi dispiace... hai ragione...» Non potrò ottenere da lui più di quanto io sappia già. Non voglio ferirlo o farlo soffrire inutilmente. Troverò le informazioni che mi servono in qualche altro modo.

«No, Harry, scusami tu... è colpa mia...» Vorrei dirgli che non è affatto colpa sua se soffre perché gli manca un padre che non ha mai conosciuto, ma non è il momento di ribadire l'ovvio, quindi devo dire qualcosa per tornare all'atmosfera leggera di sempre.

«Senti... non è che ti avanza una cravatta?», gli domando, per poi vedergli comparire sul viso quell'espressione contrariata, la stessa che ha ogni volta in cui gliene chiedo una.

«Cazzo, me le hai appena restituite!» Allarga le braccia, come rassegnato a quanto io sia irrimediabilmente allergico alle cravatte.

«Già, errore mio, scusa...» Ride con me e iniziamo a dire stupidaggini fino a quando quel velo di tristezza, che aveva negli occhi poco fa, sembra sparire lentamente.

Lo saluto per andare in ufficio da mio fratello, e sono certo che nemmeno lui risparmierà domande su Chloe, proprio come ha fatto Brenda, solo che non si accontenterà della mia risposta/non risposta che ho dato a Brenda. Jordan insisterà e, forse, è proprio questo il motivo per cui ha chiesto a Rebekah di vedermi. Magari pensa che io creda sia per questioni di lavoro, ma è mio fratello e lo conosco. Se avesse voluto parlarmi di lavoro sarebbe venuto da me nel mio ufficio, senza prendere alcun appuntamento.

Avrei voluto passare questa mattinata molto più tranquillamente, crogiolandomi nei miei pensieri e ciondolando senza meta per il mio ufficio. Volevo restare semi sdraiato sulla poltrona, con i piedi sulla scrivania e Chloe nella testa. Volevo ripensare a quando l'ho riaccompagnata a casa, a come si è seduta a cavalcioni sulle mie gambe mentre la baciavo, prima che scendesse per tornare nel suo appartamento. Dio! Forse dovrei smetterla di pensare a quel momento, perché ogni volta i miei pantaloni sono rivelatori dei miei pensieri.

Le porte dell'ascensore si aprono, ma non sono ancora arrivato al piano di Jordan, e sono costretto ad unire le mani sul davanti, nel tentativo di coprire i miei 'pensieri' al tizio che sta entrando in questo momento.

«Buongiorno, signor Stevens!», mi saluta con entusiasmo il ragazzo di cui non conosco il nome. O forse lo conosco, ma non lo ricordo, soprattutto in questo momento in cui riesco solo a pensare a lei, sulle mie gambe.

Non riesco a dire niente e lo saluto con un sorriso forzato, mentre lui mi affianca premendo un tasto sulla pulsantiera e io vorrei solo che sparisse, ma devo pazientare fino al piano.

«Arrivederci, signor Stevens!», mi dice a gran voce il tizio rimasto indietro.

«Sì, addio Arthur!», rispondo a denti stretti, camminando verso il bagno. Prima di vedermi con mio fratello, devo darmi una sciacquata con l'acqua fredda, molta acqua fredda, dopodiché sarò pronto, o quasi - l'importante è smettere di pensare a Chloe - all'interrogatorio che sono certo mi stia aspettando dietro la grande porta di legno, alla quale non busso nemmeno stavolta, ma non prima di aver salutato la sua segretaria che è sempre troppo gentile con me, e che sono assolutamente convinto che abbia un debole per Dylan.

Abbasso la maniglia, spingo la porta, ed entro nel grande ufficio in cui mio fratello lavora con grande dedizione e serietà, da poco più di un paio d'anni. Inizio a credere di avere dei geni difettosi, perché tutti sembrano essere responsabili, tranne il sottoscritto.

Jordan mi guarda alzando gli occhi al cielo per il fatto che io sia entrato senza bussare, ma io non faccio altro che sorridergli e aspettare che finisca la telefonata nella quale è impegnato, sedendomi sulla poltrona di fronte alla sua scrivania.

«Ma certo... Non ci sono problemi per questo... Senz'altro, e mi saluti sua moglie. Arrivederci». Sono le sue ultime parole prima di riagganciare e rivolgermi uno sguardo di rimprovero.

«Perché diavolo non vuoi mai bussare?», mi chiede, poggiando i palmi delle mani al bordo della sua scrivania.

«E perché dovrei?», gli domando, per poi piegarmi in avanti verso di lui e guardarlo con aria furba. «Per caso c'è il rischio che possa trovarti in atteggiamenti intimi con la tua segretaria?» Lo provoco un po', è uno dei miei passatempi preferiti.

«Sei un cretino, Harry! Ma che ci parlo a fare con te...» Si siede alla sua scrivania e digita qualcosa al computer.

«A parte insultarmi, perché mi volevi vedere?», gli domando, mettendomi più comodo sulla poltrona.

«Sono pronti i documenti per Madrid...» Jordan si alza e fa un paio di passi verso la sua stampante, sistemata all'angolo della scrivania, poi torna al suo posto e posiziona sul tavolo, di fronte a me, il foglio che ha appena stampato. «Ha tutto la mia segretaria, passa da lei dopo. Questa invece è la richiesta per un'operazione in banca, ho bisogno che sia tu a portarlo a Kelly, personalmente». Prendo in mano quel foglio e lo osservo distrattamente.

Non è la prima volta che succede. Di solito Jordan chiede a me quando c'è qualcosa di importante da fare in banca con i conti della società, ed è sempre stata Kelly ad occuparsene, si occupa dei nostri conti, personali e aziendali.

«Ok». Faccio per alzarmi, ma la sua voce mi porta a sedermi di nuovo con molta poca grazia.

«Harry?» Ruoto gli occhi per poi lasciarmi andare all'indietro contro lo schienale.

«Che c'è?», gli chiedo, con tutta la scortesia di cui sono capace, perché so cosa sta per chiedermi. 

«Sono stato sorpreso di averti visto con Chloe, ma devo ammettere che siete molto carini insieme», afferma, con una certa dose di malizia nella voce.

«Non stiamo insieme, Jordan, siamo solo amici. Abbiamo giocato a bubble soccer, non c'è altro». Sono certo che lui sappia che non è solo questo, ma non voglio parlare di lei adesso, perché non voglio che mi torni in mente quello che ho provato con lei sulle mie...

Merda! Troppo tardi!

«Non importa se non vuoi dirmi niente, io so quello che ho visto». Vorrei alzarmi e andarmene da questa stanza, ma non mi è possibile al momento, devo quindi trovare un argomento che mi distragga.

«Invece di fare cupido, perché non mi dici chi verrà con me a Madrid?» Non capisco perché ne faccia una questione di stato, a meno che...

«Perché non è ancora stato deciso. Sono in ballo due o tre nomi, lo saprai quando sarà necessario». Si mette seduto e rivolge lo sguardo al monitor del computer.

È arrivato il momento di andarmene, devo approfittare del fatto che è distratto e che non si accorgerà del mio stato. «Allora vado».

'Chloe, che mi hai fatto?' , penso, mentre cammino verso la porta del suo ufficio.

«Fammi sapere», mi dice lui, senza nemmeno guardarmi.

Mi avvicino al bancone della scrivania della segretaria di Jordan e, fortunatamente, è abbastanza alto da coprirmi fino oltre la vita. «Mi ha detto Jordan di chiedere a te per i documenti di Madrid». La ragazza si volta alla sua sinistra e prende una busta marrone con su scritto Stevens e noto che al di sotto ce n'è una assolutamente identica, ma anonima.

«Ecco», mi dice, porgendomi la busta.

«E quella?», le chiedo, indicandole l'altra rimasta sulla sua scrivania.

«Quella è per la traduttrice», mi dice candidamente, con un sorriso ingenuo.

«E posso sapere chi è?», le domando sorridendo, tanto da mostrare le fossette.

«No, la busta è sigillata, solo il dottor Stevens lo sa». Scuoto la testa alla sua risposta senza smettere di sorridere.

«Grazie», le dico, voltando lo sguardo verso la porta dell'ufficio di mio fratello, che a quanto pare si sta divertendo a tenermi sulle spine. Potrei tornare indietro e chiedergli spiegazioni, ma non sono certo di ottenere le risposte che voglio, e rischierei solo di perdere tempo. È ovvio che è ormai entrato nella parte di cupido, e non ho più davvero bisogno di leggere il nome nascosto all'interno di quella busta uguale alla mia.

Rivolgo lo sguardo al foglio che devo portare in banca e do la priorità a questo, perché sto per andare a parlare con Kelly, la madre di Dylan, e non potevo sperare di avere un'occasione migliore di questa.

Mi dirigo verso gli ascensori, poi avviso Rebekah che sto andando in banca per conto di Jordan. Per fortuna ho in tasca la cravatta che mi ha prestato Dylan. Ripiego il foglio in due e lo metto in tasca, poi cerco di fare il nodo alla cravatta mentre l'ascensore mi porta al piano terra. 'Chloe stai fuori dalla mia testa, almeno per le prossime due ore', penso, mentre sto risalendo sulla macchina guidata da James che mi sta aspettando, proprio come ha organizzato Jordan.

Il tragitto in macchina è fatto di pensieri aggrovigliati e teorie strampalate, mentre sto cercando di trovare un modo per porre a Kelly le domande giuste senza spaventarla. 'Mi sento un fottuto detective' penso ancora, non appena arriviamo a destinazione.

James parcheggia proprio di fronte all'ingresso principale. L'enorme palazzo nel quale è situata la banca si trova in una via a senso unico. Sul lato opposto al marciapiede, sul quale sto camminando io, ci sono dei lavori in corso e troppi taxi parcheggiati. Se non entro immediatamente tutto questo rumore mi farà saltare i nervi.

Percorro a grandi falcate l'immenso atrio, lancio un'occhiata alle casse affollate di clienti, poi mi reco al piano superiore dove c'è l'ufficio di Kelly, la nostra operatrice finanziaria. Lavora per noi da alcuni anni e la società ha piena fiducia in lei. Non siamo, ovviamente, i suoi unici clienti, ma per il fatto che suo figlio lavora con noi, ha un occhio di riguardo in più come, ad esempio, prendere un appuntamento in più durante la giornata anche se non era previsto, proprio come questo.

La porta trasparente mi permette di vederla ancor prima di bussare: è concentrata sullo schermo del computer, sta leggendo qualcosa, e io ho la possibilità di concentrarmi sui suoi lineamenti per trovarne le somiglianze con il mio amico d'infanzia, e a dire la verità ne trovo poche. Credo si sia sentita osservata perché alza lo sguardo nella mia direzione e mi sorride, facendo un cenno con la mano per farmi capire di entrare.

Sorrido anch'io, apro la porta ed entro. «Ehi! Potevi bussare, no? Ti stavo aspettando», mi dice, alzandosi per venirmi incontro.

«Ciao, Kelly, come stai?», mi abbraccia, come fa sempre. La conosco da quando ero bambino, un sacco di volte sono stato a casa loro per studiare con Dylan.

«Bene, mi ha detto Jordan che hai del lavoro per me», mi dice, tornando al suo posto dietro alla scrivania. Mi siedo anch'io sulla sedia riservata ai clienti.

«Sì». Prendo il foglio che avevo messo in tasca e glielo porgo.

Lei lo legge con attenzione e io torno a fissarmi sul suo volto, intestardendomi per trovare qualcosa che mi riporti alla mente il viso del mio amico, ma non trovo molto a parte il colore dei capelli.

Torna a guardarmi, poi sorride notando un dettaglio. «Quella non è la cravatta di mio figlio?», mi chiede con un tono divertito.

«Lo è», le rispondo, ma senza riuscire ad aggiungere altro. Dio! Sembro un idiota!

«Va tutto bene, Harry?» Kelly ha notato il mio strano comportamento e io trovo subito un aggancio per poter arrivare anche con lei all'argomento di cui mi interessa parlare.

«Più o meno... il fatto è che poco fa, senza volerlo, ho toccato un argomento delicato con Dylan e credo di aver rovinato il suo solito buonumore». Tendenzialmente è sempre allegro, ma quando si parla di suo padre il suo umore diventa ombroso.

«Ho capito...» Non dice altro e torna a leggere il foglio anche se non sono convinto che lo stia facendo veramente. Anche lei non ne parla mai, devia sempre il discorso. Ho sempre pensato che per lei fosse un argomento doloroso da affrontare, ma ora credo ci sia dell'altro.

«Soffre molto per non aver niente di lui, nemmeno una foto...» Non so bene cosa dire, o come impostare il discorso, ma qualcosa devo dire...

«Lo so... una volta... credo avesse otto anni, a scuola c'era la giornata con il papà, lui non voleva andare a scuola perché era così arrabbiato di non avere anche lui il papà come i suoi compagni, che mi ha incolpato di non averlo salvato da quell'incendio...» Smette immediatamente di parlare, la voce le trema e ha anche gli occhi lucidi. Non credo sia il caso di continuare questo discorso, non adesso almeno.

Mi sento uno stronzo nel vederla soffrire in questo modo. Ho provocato io il suo malumore, come ho fatto anche con Dylan, e voglio assolutamente rimediare.

«Kelly, ti va un caffè?», le chiedo, sperando di riuscire a cambiare argomento a breve.

«No, Harry, ma grazie lo stesso». Resta concentrata sul monitor, ma la sua voce non è ancora tornata perfettamente stabile.

«Ti servirà se devi continuare a sopportarmi». Riesco a strapparle un mezzo sorriso e si volta a guardarmi.

«Ok, Harry, vada per il caffè, ma ora smettila di interrompermi», mi dice, prima di tornare a guardare lo schermo e a digitare qualcosa sulla tastiera.

Mi alzo per andare a prenderle un caffè alle macchinette, cercando di pensare ad un metodo più efficace e meno da stronzo per riuscire a sapere qualcosa in più su quanto è successo in quell'incendio. 

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Capitolo 34
*** Devi smetterla di parlare spagnolo ***


I giorni scorrono veloci e mi sembra di non avere abbastanza tempo per fare tutto ciò che vorrei.

Manca ormai pochissimo alla partenza per Madrid e sono felice di essere riuscita a finire la traduzione del libro di poesie. Oggi andrò a consegnare il lavoro terminato così da poter essere libera di preparare la valigia e organizzarmi. Rebekah mi ha portato la busta con i documenti per la partenza e io ancora non so con chi dovrò partire. Jordan non mi ha detto più niente e io non ho voluto essere rompiscatole, quindi ho lasciato perdere e scoprirò chi sarà il mio compagno di viaggio solo il giorno della partenza.

Un paio di giorni fa ne ho parlato con Harry, dicendogli che dovrò partire per qualche giorno...

*

«Harry?» Cerco di distrarlo dal film che sta guardando.

«Cosa...», mi risponde lui, ma senza guardarmi perché sembra essere troppo preso dalle immagini che scorrono sul televisore della mia camera.

«Fra qualche giorno dovrò partire», gli dico, mentre sono appoggiata al suo petto, con la mia mano sul suo fianco e il suo braccio intorno alla mia schiena.

Non è la prima volta che passa qui da me la serata. È già capitato che ci sdraiassimo sul mio letto, che scegliessimo un film da vedere – anche se, molte scene alla fine ce le perdiamo, perché siamo troppo occupati a rubarci il respiro a vicenda – e trascorriamo così la serata, fino a che non arriva il momento, per lui, di andare a casa.

Alzo lo sguardo, lui smette di guardare la tv,  e dedica a me la sua attenzione; quando mi guarda così da vicino, mi prendo sempre un paio di secondi per ammirare i suoi occhi, che sono diventati una certezza per me.

«Dove devi andare?», mi domanda, portando la sua mano all'altezza del mio viso per giocare con le ciocche dei miei capelli vicino all'orecchio.

«Io...» Vorrei dirglielo, ma Jordan mi ha chiesto di non farlo. Avevo pensato anche ad una scusa da raccontargli, ma l'ho dimenticata ora che lui mi sta guardando in questo modo, ora che mi sta accarezzando il viso con una meravigliosa e piacevole lentezza, e comunque non riuscirei a mentirgli. «Io devo partire per lavoro... devo fare da interprete ad un incontro di lavoro...» Gli ho detto una mezza verità. Voglio essere sincera con lui, ma ho promesso a suo fratello che non ne avrei parlato a Harry, anche se ancora non ne capisco il motivo. Ho addirittura pensato che non volessero mandare Harry e non volessero dirglielo per non farlo infuriare, dato che Hernandez è un suo cliente.

Lui mi regala uno splendido mezzo sorriso. L'angolo sinistro della sua bocca si ripiega all'insù, lasciando bene in vista la fossetta sulla sua guancia. «E dov'è che devi andare?», mi chiede, mentre la sua mano sinistra continua a vagare dal mio viso ai miei capelli, per poi tornare indietro e arrivare al mio collo, dove sento chiaramente il passaggio sulla pelle di ogni suo dito.

«In... in Europa...» Cerco di restare vaga e cerco anche di mantenere la concentrazione, dato che le sue carezze stanno iniziando a mandare a fuoco il mio corpo.

«Tutta l'Europa?», mi domanda con un tono di voce divertito. Sa esattamente quello che mi sta facendo, conosce la reazione del mio corpo al contatto con il suo, e gli piace sempre provocarmi per la soddisfazione di vedere con i suoi occhi e sentire sotto le sue mani quanto io abbia voglia di lui.

«Certo che no!» Sono troppo presa dai movimenti delle sue mani su di me per replicare in modo adeguato alla sua battuta, perché riesco solamente a concentrarmi sulle sensazioni che mi fa provare. «Credo di stare via per qualche giorno, ancora non so bene quanti...» Lui si volta completamente su un fianco, verso di me. Le sue braccia mi attirano di più al suo corpo, che sento in fermento tanto quanto il mio, forse anche di più.

Dovremmo smetterla di stare sul mio letto, dovrei smetterla di farmi baciare e accarezzare per poi imporgli un limite, ma non riesco né a fare una cosa, né a fare l'altra.

Non riesco a rinunciare a sentirlo così vicino e non riesco ancora a permettergli di avvicinarsi quel tanto che basta per superare il limite. Sto facendo progressi, enormi progressi, ma questo ancora non riesco a metterlo in pratica.

«Potrei venire con te», mi dice, poi comincia a baciarmi il collo. «Potremmo prenderci qualche giorno lontano da tutto». La sua voce roca, lenta e graffiata, arriva ad ogni cellula del mio corpo mentre non smette la piacevole tortura a cui mi sta sottoponendo con la scia bollente lasciata dalle sue labbra sulla mia pelle.

«Harry...» Pronuncio il suo nome solo per mantenere entrambi ancora in questa dimensione, perché sono certa che stiamo per perdere il controllo.

«Lo so Chloe...», mi bacia ancora, non si ferma, e io lo lascio fare, «e non m'importa...» Sa che non otterrà ciò che si aspetta, ma rispetta comunque i miei tempi. Harry è la persona migliore che mai avrei potuto conoscere.

*

Quella sera non mi ha fatto altre domande sulla mia partenza, si è semplicemente limitato a scherzarci sopra, dicendomi che con ogni probabilità potrebbe presentarsi in aeroporto con una valigia, e io non ho smesso di ridere per le sue idee campate per aria. Ogni tanto credo che lui possa farlo sul serio, che si presenti davvero in aeroporto con una valigia pur non dovendo partire, solo per il fatto di dimostrarmi che fa sempre quello che dice, anche se... è stato talmente sfrontato quando l'ha detto, che mi è venuto il sospetto che potesse essere lui il portavoce della HS a cui dovrò fare da traduttrice.

Ho però voluto scartare subito questa opzione perché sarebbe troppo da affrontare, sia se fosse la verità o meno perché, se fosse davvero lui a venire con me a Madrid, avrei la tachicardia perennemente, da ora fino alla partenza e oltre, mentre, se non fosse lui, rimarrei troppo delusa, preferisco quindi non farmi aspettative e vedere cosa succederà.

Sono ormai quasi pronta. Ho preparato con cura tutto il materiale da consegnare per la traduzione che ho portato a termine e sono pronta a consegnare. Stavolta Harvey mi ha chiesto di consegnargli anche tutti gli appunti che ho preso durante il mio lavoro, così da vedere in quale modo procedo per orientarsi meglio nei prossimi lavori che mi assegnerà.

Dopo aver indossato il mio cappotto e aver preso tutto ciò che dovrò consegnare, esco di casa e mi reco alla stazione della metropolitana. Sorrido ogni volta che devo oltrepassare il tornello, e questo succede sempre da quella volta in cui io e Harry siamo scappati per essere passati senza biglietto. Ogni volta che ripenso a quella giornata, non posso far altro che ammettere quanto quelle ventiquattro ore abbiano cambiato il mio modo di vedere le cose e di viverle.

Adesso, mentre penso ad Harry, sto imparando a tenere sotto controllo i miei sensi di colpa nei confronti di Dylan, a veicolare le mie energie in maniera positiva e non distruttiva. Non che sia facile - la maggior parte delle volte, soprattutto quando sono da sola finisco per detestarmi per riuscire ad accantonare Dylan in un angolo remoto della mia mente -, ma quando sono con Harry mi rendo conto che non lo sto realmente accantonando, sto solo cercando di andare avanti e di farlo nel miglior modo possibile.

È successo anche ieri sera, quando lui ha preso tra le dita il mio ciondolo.

*

Non riesco a stargli lontana, ma non riesco nemmeno ad oltrepassare la linea di confine che mi sono auto imposta, e so che lo sto facendo diventare matto, ma ho ormai una sorta di dipendenza dal contatto ravvicinato con lui di cui proprio non riesco a fare a meno, come ora, sdraiati sul divano di casa sua.

In realtà eravamo seduti fino ad un paio di minuti fa, poi la pubblicità ha interrotto il film, e noi abbiamo interrotto la visione del film. Ho chiuso gli occhi nell'esatto momento in cui ho sentito le sue labbra posarsi sulla mia tempia. Succede sempre, perché quello che provo al contatto con le sue labbra è troppo intenso da sostenere e, se dovessi anche guardarlo, non so proprio se il mio cuore sarebbe in grado di sopportare il ritmo a cui viene sottoposto.

Le sue labbra si spostano dalla mia tempia lungo il mio viso fino al collo, dove arriva subito dopo anche la sua mano dalla parte opposta, infilandosi appena sotto al colletto della felpa, scivolando sulla mia pelle accaldata mentre sento tendersi i muscoli della spalla al suo passaggio. Ogni volta mi ritrovo come se fossi catapultata in un'altra dimensione in cui ci siamo solo io e lui, una dimensione in cui mi sento leggera e felice, una dimensione in cui non provo ansia e dolore, una dimensione in cui mi sento libera di potermi lasciare andare a ciò che sento senza pensare alle conseguenze dei miei gesti.

Ciò che provo quando sono con Harry, quando mi bacia, non è descrivibile, perché lui è una straordinaria combinazione di sensazioni, luci, e colori che posso vedere anche ad occhi chiusi, e suoni, come il respiro sulla mia pelle o come la sua voce roca che pronuncia il mio nome...

«Te l'ha regalato lui?» La sua voce mi riporta da lui. Ero troppo presa da quello che stavo provando e quasi non mi sono accorta che ha smesso di baciarmi.

Apro gli occhi lentamente e lui è a pochi centimetri da me, sta tenendo in mano il ciondolo che ho al collo e lo sta osservando con attenzione. Non c'è bisogno che specifichi a chi si riferisca quando dice 'lui', ed è in quel momento che sento una fitta al cuore.

«Sì... me l'ha dato quella sera sul tetto...» Fatico a parlarne, ma quando lui alza lo sguardo guardandomi negli occhi, il verde brillante delle sue iridi mi dà la forza di non crollare perché riesce a farmi sentire che è qui, con me, e io posso attingere a piene mani dal suo coraggio.

«Mi piace», mi dice poi, cogliendomi del tutto alla sprovvista, mentre un piccolo, piccolissimo sorriso nasce sulle sue labbra. Un sorriso che di dolce non ha proprio niente. «Mi piacerebbe vederti solo con questo addosso...» Le sue parole mi bloccano il respiro, mentre il cuore impazzisce di colpo. Nessuno mi ha mai parlato con una tale intensità, che non so assolutamente gestire, e poi mi bacia di nuovo, come se niente fosse, come se non avessimo interrotto quei baci poco fa, almeno fino a quando qualcuno non ha iniziato a bussare alla sua porta con particolare insistenza.

*

Rido ancora a quel pensiero mentre esco dal vagone della metro dirigendomi alle scale mobili: Harry ha iniziato ad imprecare in maniera piuttosto colorita mentre si dirigeva verso la porta per aprire al suo amico, che non ha smesso di dare colpi alla porta e chiamarlo con insistenza fino a quando Harry non ha aperto, ed è stato allora che il sorriso di Larry ha illuminato praticamente la stanza per la sorpresa di trovarmi lì, e il suo 'ops', pronunciato con evidente ironia, mi risuona ancora nelle orecchie provocandomi un ulteriore sorriso proprio nel momento in cui sto per arrivare a destinazione.

Entro nell'edificio dove si trova la casa editrice e trovo Cheryl alla sua scrivania. La sua espressione raggiante è più che evidente quando alza lo sguardo su di me dopo essersi accorta della mia presenza.

«Buongiorno», le dico, appoggiando sul bancone i libri che ho in mano.

«Ciao, tutto bene?», mi domanda, portando tutta la sua attenzione su di me.

«Sì», le rispondo, e penso che è la prima volta dopo mesi che rispondo sinceramente a questa domanda. «E tu?», le chiedo, quando vedo il suo sorriso farsi ancora più ampio.

Lei si guarda intorno, come se verificasse che non ci siano orecchie indiscrete nei paraggi, poi con un dito mi fa cenno di avvicinarmi mentre si allunga leggermente verso di me. «Credo ci sia qualcosa di buono nell'aria», afferma, con una espressione decisamente sognante, ma non capendo a cosa si riferisca aggrotto le sopracciglia.

«Che intendi?», le domando, per capire meglio.

«Harvey si è deciso finalmente, quindi, se vuoi cogliere l'attimo, sono certa che questo sia il momento più favorevole di sempre. Le stelle devono essersi allineate...» Sto per chiederle ulteriori chiarimenti, ma una voce maschile ci interrompe.

«Non lo starai raccontando anche a lei?!» La voce spazientita di Harvey ci fa voltare verso di lui, che sta guardando Cheryl come a volerla rimproverare, poi sospira, alzando gli occhi al cielo, dopo aver visto il sorriso sul viso della rossa seduta al di là della sua scrivania. «Andiamo Chloe...», mi dice voltandosi, per incamminarsi verso il suo ufficio, «abbiamo del lavoro da fare noi».

È palese il tono ironico che ha usato per pronunciare l'ultima parola, ma l'espressione di Cheryl continua a rimanere sognante, senza essere minimamente intaccata da quanto appena successo. Sorrido alla ragazza per poi seguire Harvey nel suo ufficio, nel quale entro chiudendo la porta alle mie spalle.

«Non so cosa ti abbia detto, ma ha sicuramente esagerato», afferma lui, sbottonandosi la giacca e sedendosi sulla sua sedia girevole.

«In realtà ha accennato a qualcosa tipo l'allineamento delle stelle», gli dico, posando il mio lavoro sulla superficie della sua scrivania.

Lui scuote leggermente la testa, ma non può trattenere un sorriso che lo fa sembrare più dolce e meno rigido di quanto voglia dimostrare di essere.

«Ok, senti... parliamo di lavoro. Hai finito giusto?», mi chiede, minimizzando la cosa e allungando una mano verso il plico che ho appoggiato poco fa.

«Sì, lì trovi il lavoro terminato e qui ci sono tutti i miei appunti». Gli mostro il tutto mentre i suoi occhi attenti scorrono lungo le pagine che sta visionando.

I minuti che seguono sono di totale silenzio. Harvey legge con attenzione, sfoglia i miei scritti con grande interesse e, anche se probabilmente dovrei sentirmi sotto esame a causa del suo sguardo, che sembra non voler smettere di concentrarsi sulle parole che sta leggendo, sono certa di aver fatto un buon lavoro e mi sento piuttosto tranquilla.

Alla fine alza lo sguardo e vedo la sua chiara espressione compiaciuta. «È esattamente ciò che mi aspettavo... Le prime impressioni contano e quella che hai fatto su di me è stata... notevole». Gli sorrido mentre lui torna a guardare il mio lavoro, segnando qualcosa sui miei appunti.

Restiamo a discutere della traduzione fino a quando non mi dà un altro incarico. Stavolta è un intero libro già tradotto, ma Harvey non è soddisfatto, dice di aver riscontrato parecchie incongruenze con la lingua originale, lo spagnolo, e mi ha affidato il compito di revisionarlo da cima a fondo, per poi riportarglielo una volta che avrò finito di correggerlo.

Dopo esserci accordati su tutti i dettagli, lo saluto, saluto anche Cheryl, che non ha smesso di tenere sul viso la sua espressione estasiata, e decido di andare alla HS per vedere mia sorella.

'In realtà è tutta una scusa per vedere Harry, ma non vuoi ammetterlo.'

Scaccio la voce della mia coscienza perché quando la sento, e lui non c'è, ho sempre l'impressione di fare qualcosa di sbagliato; mi dirigo verso la metro, tentando di non pensare a nient'altro che non sia mia sorella per non far prevalere la parte negativa di me.

Una volta arrivata a destinazione stringo tra le mani il libro che dovrò controllare, prendo una grande quantità d'aria e m'incammino verso l'oca bionda per dirle che devo vedere mia sorella, ma non faccio in tempo a parlare che la sua voce irritante arriva alle mie orecchie. «Il dottor Stevens è in riunione», mi dice, con un tono presuntuoso al quale rispondo con altrettanta superbia.

«Sì, me l'aveva detto, infatti ci vedremo più tardi. Adesso sono qui per vedere mia sorella, Rebekah Stewart». Ricordo ancora con quale sguardo di fuoco mi aveva guardata il giorno in cui sono passata davanti a lei in compagnia di Jordan per andare a pranzo con lui, e mi è venuta voglia di dirle una bugia solo per vederla un'altra volta verde d'invidia.

Mi porge il badge con scritto visitatore, ma la sua espressione e i suoi gesti stizziti mi fanno capire di aver colto nel segno e, alla fine, cammino verso l'ascensore con un gran sorriso soddisfatto, che non fa altro che aumentare, quando mi volto nella sua direzione, vedendo che mi sta ancora osservando e, se potesse, mi avrebbe già incenerita.

Arrivo al piano e mi dirigo direttamente alla scrivania di mia sorella, ma non la trovo così decido di aspettarla. Mi appoggio al ripiano alto del bancone e una voce attira quasi subito la mia attenzione.

«Chloe?» Mi volto e, per un attimo, resto a guardarlo rendendomi conto di non aver pensato affatto alla possibilità che questo potesse accadere.

Non ne conosco il motivo, ma il mio cervello ha scartato completamente l'ipotesi di poterlo incontrare, forse perché ero totalmente presa dall'idea di vedere Harry, o forse perché ho realmente accantonato nella mia testa ogni cosa che riguarda Dylan, ma in questo momento mi sento incredibilmente stupida qui in piedi davanti a lui.

«Stai bene?», mi chiede, avvicinandosi un po'.

Cerco di riprendermi, poi gli rispondo. «Sì, scusami, ero sovrappensiero...», gli sorrido, certo non un sorriso spontaneo, ma almeno sorrido, «stavo aspettando mia sorella». Non del tutto falso, in realtà, ma non posso certo dirgli il reale motivo per cui sono qui.

«È nell'ufficio di Harry, ne avranno per un po'. Ti offro un caffè mentre aspettiamo», mi sorride dolcemente, inclinando leggermente la testa di lato, e io non riesco a dirgli di no.

Cammino accanto a lui fino alle macchinette delle bevande ripensando a quando ho parlato di lui con Harry.

*

«Cosa succede nella tua testa quando lo vedi?» La domanda di Harry è diretta e mi costringe a guardarmi dentro.

Stringo tra le mani il bicchiere contenente l'aperitivo analcolico al kiwi che ha ordinato per me, mentre lui sorseggia la sua birra senza smettere di guardarmi, in attesa che io risponda alla sua domanda.

«Io... è tutto incasinato nella mia testa. Stare con Dylan, intendo il tuo amico, è come riaprire la ferita e girarci un coltello dentro. Quando... quando lo vedo, quando mi parla o mi sorride, io non vedo il tuo amico...» Soffro nel dirgli queste cose, ma vedo la stessa mia sofferenza nei suoi occhi. «Non so dirti cosa provo, ma è qualcosa che mi mette sottosopra, qualcosa che non riesco a gestire...»

Harry posa il suo bicchiere, allunga le sue mani e le posa sulle mie, ancora strette attorno al bicchiere. Lo guardo e mi sento già meglio, mentre il tocco delle sue mani fa il resto, compiendo la solita magia, perché è senz'altro di magia che si tratta, dato che non dice nulla, ma ogni sentimento negativo in me scompare, lasciando spazio solo ai suoi occhi nei miei e a tutto ciò che questo sguardo comporta.

*

È successo quell'unica volta, poi non abbiamo più affrontato l'argomento. Non so se l'abbia fatto di proposito oppure no, proprio non so che pensare al riguardo. Solo che, quando ne abbiamo parlato, sono certa che le mie parole lo abbiano ferito, ma non so in quale misura, dato che non ho voluto approfondire l'argomento per non dover più vedere quell'espressione di sofferenza sul suo volto.

«Amaro giusto?», mi chiede Dylan, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

«Giusto». Afferro il bicchiere dalle sue mani e osservo i suoi movimenti mentre preme il pulsante della macchinetta.

Gli somiglia così tanto... forse potrei tentare di superare le difficoltà che ho nel rapportarmi con lui... forse potrei provare a vedere Dylan Evans davanti a me – concentrandomi sul fatto che è un'altra persona, che non ha assolutamente niente a che vedere con il mio Dylan Peters – e magari potrei anche sentirmi meglio, magari potrei andare oltre e vivere più serenamente la mia vita.

«Allora, come vanno le cose?», mi chiede lui, portandosi il bicchierino alle labbra.

«Piuttosto bene, e tu?» Devo ricordarmi che il ragazzo di fronte a me si chiama solo casualmente Dylan...

«Un po' stanco, Harry mi sta facendo sclerare con una serie di documenti... senti, a questo proposito, ti dispiace se andiamo nel mio ufficio così, mentre scambiamo due chiacchiere, faccio partire alcune stampe che gli servono entro stasera...»

«Vuoi dire che Harry sta lavorando sul serio?» Dylan ride alle mie parole, mentre mi tiene aperta la porta che dà sul corridoio.

«Sembra strano anche a te vedo...» Mi impongo di non pensare, di non rimuginare e di concentrarmi solo ed esclusivamente su questo attimo. Voglio dimostrare a me stessa che posso andare avanti, devo almeno provarci, e mi dispiace dover "usare" Dylan per farlo, ma lui è ciò che di meglio mi potesse capitare per poterlo fare.

«Già... Le parole Harry  e lavoro nella stessa frase suonano alquanto strane...» Ridiamo ancora e mi sento un po' più leggera quando arriviamo nel suo ufficio, dove mi accomodo sulla sedia di fronte alla sua scrivania mentre finisco di bere il mio caffè parlando con lui.

Lo osservo lavorare e nel frattempo cerco di azzerare i pensieri che tentano di tornare a galla. Dylan mi parla con tranquillità, concedendomi uno sguardo ogni tanto, mentre io resto seduta ad ascoltarlo, obbligandomi a focalizzarmi sul fatto che lui è Dylan Evans.

Me lo ripeto continuamente e, dopo un po', le cose iniziano ad andare meglio, mi sento più tranquilla davanti a questo ragazzo dai capelli scompigliati e il sorriso dolce. Il dolore che provo avvelena ogni parte di me e devo accantonarlo, devo trasformarlo, proprio come mi ha insegnato a fare Harry, ed è per questo che mi rilasso, poggiandomi più comoda allo schienale della sedia, accavallando le gambe e liberando il sorriso che la sua battuta ha provocato mentre parla del suo capo svogliato e della sua mania per gli zuccheri.

«Giuro, tra zucchero e cioccolata non so come faccia a non mettere su un grammo. Credo che la sua glicemia sia ormai fuori controllo», afferma Dylan, raccontandomi di quanto piacciano le cose dolci a Harry.

Lo ascolto senza intervenire più di tanto, perché non so se lui sia a conoscenza del fatto che io e Harry ci stiamo frequentando, e non sono certa di volerne parlare con qualcuno, soprattutto con lui. Quello che sto vivendo con Harry è qualcosa di speciale, che non sono ancora disposta a condividere.

Mi alzo per buttare il bicchiere del caffè ormai vuoto e poso sulla scrivania il libro sul quale devo lavorare. Dylan osserva la scena, noto che resta a guardare la copertina del libro di fronte a lui e allunga una mano per girarlo verso di sé. «Posso?», mi domanda, alzando lo sguardo su di me.

«Certo», gli rispondo, e lo guardo poi far scivolare il libro nelle sue mani per sfogliarlo.

Lo osserva con un'espressione buffa, il che mi porta a sorridere sinceramente. Sono contenta di riuscire ad essere più naturale con lui, stava diventando ingestibile incontrarlo.

«Devi tradurlo?», mi chiede, tornando a guardarmi.

«In realtà è già stato tradotto, ma il mio capo non è soddisfatto del lavoro e vuole che lo ricontrolli». Dylan annuisce in silenzio e torna a guardare le pagine.

«Mi piacerebbe imparare lo spagnolo», dice, richiudendo il libro e mettendolo nuovamente dove l'ha preso poco fa.

«Perché proprio lo spagnolo?», gli domando, incuriosita dalla sua affermazione.

«Perché tu lo parli particolarmente bene e mi piace molto di più da quando l'ho sentito parlare da te». Sorrido imbarazzata dalle sue parole, probabilmente sono anche un po' arrossita, ma è solo perché mi è tornato in mente un episodio di qualche sera fa.

*

«Stewart mi spieghi perché sei sempre così acida?» La voce divertita di Harry è sempre un suono meraviglioso da sentire.

«Sai che mi viene spontaneo solo con te...», gli dico, mentre lui accosta sotto casa mia per poi spegnere il motore e voltarsi verso di me.

Mi volto a guardarlo e non ricordo nemmeno più di cosa stavamo parlando, perché il suo sguardo mi ha fatto dimenticare persino come mi chiamo.

«E cos'altro ti viene spontaneo con me?», mi chiede, portando la sua mano sinistra a spostarmi una ciocca di capelli che non aveva bisogno di essere spostata, ma mi piace quando lo fa, mi piace da morire quando gioca con i miei capelli, talmente tanto che non riesco nemmeno più a formulare un pensiero sensato. «Se non sai rispondere potrei darti qualche suggerimento». Allunga anche l'altra mano, mi sgancia la cintura di sicurezza e l'accompagna all'indietro, avvicinando notevolmente il suo viso al mio. «Ad esempio so che ti viene spontaneo baciarmi». Lascia un piccolo bacio sulle mie labbra per poi allontanarsi subito per osservare la mia reazione e il suo sguardo divertito mi suggerisce un'unica risposta.

«Harry... eres presumido y descarado...» Il suo sguardo cambia ancora non appena pronuncio quelle parole.

I suoi occhi si accendono di desiderio, sono quasi certa di poterci vedere delle fiamme che accendono anche me. Quel verde diventa così intenso che riesco a vederlo anche se è buio e siamo illuminati solo dai lampioni.

«Devi smetterla di parlare spagnolo», mi dice, avvicinandosi al mio viso con una lentezza straziante.

«Perché?», gli domando con un filo di voce, a pochissimi centimetri dalle sue labbra.

«Perché quando lo fai io perdo la testa». Non ho il tempo di ribattere che le sue mani sono sul mio viso per attirarmi a lui. La sua bocca si impossessa della mia con forza e mi ritrovo un'altra volta a cavalcioni sulle sue gambe, mentre le mie mani finiscono tra i suoi capelli, che stringo tra le dita, mentre sento un suono incredibile provenire dalla sua bocca, che si riversa nella mia, tra le mie labbra, così potente da farmi aggrovigliare lo stomaco e forse anche tutti gli altri organi.

*

Non so cosa sarebbe successo quella sera se non fossimo stati in macchina parcheggiati in strada, e se non mi fossi spostata quel tanto che è bastato per farci saltare per aria quando mi sono appoggiata sul clacson. A quel punto siamo scoppiati a ridere, per poi tornare a guardarci in silenzio, per un tempo che è sembrato infinito, con le mie mani tra i suoi capelli e le sue al di sotto della mia maglia, a diretto contatto con la mia pelle, sui miei fianchi, in una leggera stretta con cui sembrava non volermi lasciare andare.

«Forse è meglio che lo chiami». La voce di Dylan mi riporta alla realtà. Credo si riferisca ad Harry. Lo guardo mentre alza il telefono nero sulla sua scrivania, aspettando una risposta.

«Strano, non risponde nessuno», mi dice, per poi chiudere la comunicazione e prendere il suo telefono dalla tasca interna della giacca appoggiata sullo schienale della sua sedia. «Provo con il cellulare», mi dice con un mezzo sorriso imbarazzato, poi fa partire la chiamata, ma deve farlo più volte perché sembra non lo senta.

«Ehi... dove sei?» Deve aver risposto. «Come sarebbe a dire che stai andando a casa?» La voce di Dylan si alza di diversi decibel e io resto a guardarlo, confusa quanto lui. «Cazzo, Harry, potevi anche dirlo però... sì, sì ok... ciao». Dylan chiude la comunicazione imprecando a bassa voce, poi alza lo sguardo su di me. «Credo che tua sorella sia tornata alla sua scrivania, perché quello stronzo di Harry se n'è andato e mi ha lasciato a coprirgli il culo... come sempre...»

«Mi dispiace», gli dico sinceramente, perché sono venuta qui con l'intento di vederlo, ma a quanto pare non sarà possibile.

«Non è mica colpa tua, fa sempre così», mi dice, scuotendo leggermente la testa.

«Beh... allora ti lascio lavorare adesso... vado da mia sorella», gli dico, per poi alzarmi stringendo il mio libro tra le mani.

«Grazie per la compagnia», mi dice sorridendo.

«Grazie a te per il caffè», gli rispondo, lo saluto, ed esco dal suo ufficio, camminando lungo il corridoio per raggiungere Rebekah, con una punta di delusione nel cuore. 

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Capitolo 35
*** È ancora valida l'offerta di quel passaggio? ***


Harry

Perché cazzo ho deciso di camminare a piedi me lo devo ancora spiegare.

'Forse perché dovevi scaricare l'inquietudine...'

La mia coscienza mi parla troppo spesso ultimamente, devo trovare un modo per tornare a farla tacere come ha fatto finora. Mi fanno male i piedi e sta piovigginando, ma per fortuna sono quasi arrivato.

Sono le cinque passate ormai, ho girato senza meta per l'intero pomeriggio e, non appena entro nel piccolo supermercato, mi passo una mano tra i capelli tentando di asciugarli un po', poi vago alla ricerca del mio amico e lo trovo quasi subito. È in piedi sulla scaletta davanti allo scaffale del cibo per cani che sistema alcune lattine una sopra l'altra.

«Ciao Larry», gli dico, per attirare la sua attenzione.

Il mio amico si volta immediatamente quando sente la mia voce e la sua reazione è esattamente quella che mi aspettavo, perché alza gli occhi al cielo scuotendo leggermente la testa. «Che cazzo ci fai qui?», mi chiede con un tono di voce decisamente divertito.

«Sono venuto a comprare la cioccolata», gli dico, sorridendo come un idiota.

Sistema l'ultima lattina e scende i tre gradini per piazzarsi di fronte a me. «Intendevo dire: perché a quest'ora?» So benissimo cosa intendeva, solo che non ho voglia di rispondergli.

«Perché? C'è un'ora particolare per venire a comprare la cioccolata?» La sua espressione sconsolata mi fa ridere.

«Sei un caso perso, Stevens». Larry ripiega la scaletta e poi la prende per portarla con sé mentre camminiamo lungo la corsia. «Stacco tra un paio di minuti», mi dice, voltandosi a guardarmi.

«Lo so, prendo un paio di tavolette e ci vediamo fuori», gli rispondo, infilandomi in tasca la cravatta che avevo ancora in mano.

«Ok, vado a cambiarmi». Lui va verso gli spogliatoi e io a prendere la mia nuova droga, per poi andare a pagare e uscire, per aspettare il mio amico sotto la tettoia esterna.

Sapevo che Larry stava per terminare il suo turno, è proprio per questo che sono qui - a parte per la cioccolata ovviamente - perché ho bisogno di parlare con qualcuno, e lui è la mia migliore alternativa in questo momento. Non posso parlare con Zach perché sta frequentando Rebekah ed è troppo coinvolto per essere obiettivo, e non posso nemmeno parlare con Nate o Lawson, perché dovrei raccontargli tutto dall'inizio e proprio non ne ho voglia. Dylan è assolutamente fuori discussione per ovvi motivi.

Prendo una delle due tavolette dalla tasca della giacca, la scarto e ne addento un bel pezzo appoggiandomi con la schiena al muro mentre aspetto che il mio amico esca, e la mastico con gusto mentre i miei pensieri tornano a poco fa, a quando l'ho vista seduta in maniera del tutto rilassata sulla sedia di fronte a Dylan.

Avrei dovuto entrare, salutarla o fare qualsiasi altra cosa che non comprendesse scappare come un vigliacco, ma era la prima volta che la vedevo così serena in sua compagnia e non me la sono sentita di rischiare di vanificare i suoi progressi con la mia presenza.

E, soprattutto, non sarei riuscito a guardarla in faccia dopo quello che ho appena scoperto, specialmente perché erano tutti e due nella stessa stanza. Sono certo che uno dei due avrebbe capito che ci fosse qualcosa che non andava in me, perché non sarei riuscito a guardarli e a fare finta di niente. «Cazzo!» Impreco senza un motivo preciso, giusto per la voglia di sfogarmi.

«La cioccolata non è buona?» La voce di Larry attira la mia attenzione e sospiro frustrato, per poi ricoprire la tavoletta e rimetterla in tasca.

«La cioccolata è ottima, sono io che non sono buono...» Il mio amico mi guarda con aria confusa e infila le mani nelle tasche del suo giubbotto. Estrae sigarette e accendino, ne prende una e l’accende, sistemandosi contro il muro accanto a me.

Restiamo per un po' in silenzio, come sottofondo si sentono solo il leggero rumore delle poche gocce di pioggia che cadono e il suo respiro, che si libera nell'aria quando espira il fumo. Voglio trovare le parole giuste da dire. Nemmeno lui sa esattamente cosa mi sta succedendo, non l'ho detto a nessuno, ma so che non mi farà domande se non sarò io a dirgli quello che voglio che sappia, e ho bisogno di parlarne in un modo o nell'altro.

«Ti va una birra?», mi chiede, poco prima di lanciare il mozzicone lontano.

«Solo se ci posso affogare dentro», gli rispondo, poi lo sento ridere.

«Perché sei così coglione?», mi chiede dopo aver alzato gli occhi al cielo.

«Non credo di esserlo più di te». Ridiamo insieme delle stronzate che abbiamo appena detto, poi lo seguo fino alla sua macchina, mi siedo sul sedile passeggero del suo catorcio e lo guardo prendere il cellulare dalla tasca del suo giubbotto.

«Avviso El che stasera dovrà venire a recuperarmi in qualche pub», mi dice ridendo, digitando qualcosa sul display, rido con lui con la consapevolezza che ha già capito che ho bisogno di parecchio tempo e, forse, parecchie birre.

Il tragitto fino al pub è di nuovo silenzioso e lo ringrazio per questo, perché ho il tempo di raccogliere le idee per cercare di parlare con lui, sfogandomi senza però rivelargli il vero motivo per cui mi sento così in difficoltà e incredibilmente stupido per non essere in grado di gestire ciò di cui sono venuto a conoscenza.

Mi sono reso conto che da solo non sarei riuscito a scoprire molto sul passato di Dylan e mi sono sentito una merda per il fatto di indagare su di lui a sua insaputa, ma alla fine ho dato retta a Kurt e l'ho fatto: ho ingaggiato un detective privato che, in pochi giorni, è tornato da me con notizie che sto cercando ancora di digerire.

«Harry vuoi restare qui tutta la sera?» Mi volto di scatto verso Larry che mi guarda con aria confusa.

Ero talmente preso dai miei pensieri che non mi sono accorto che siamo arrivati e ha già parcheggiato vicino al The Black Rose.

«Hanno un servizio in macchina?», gli domando, con la mia solita aria da stupido.

«Le tue battute stanno peggiorando, Stevens... dai scendi». Scendiamo dall'auto ed entriamo nel locale, dove ci sediamo al tavolo posizionato in fondo alla sala.

Sono grato del fatto che stasera il locale sia semideserto, la confusione è già dentro la mia testa, non ho bisogno che sia anche intorno a me. La ragazza che serve ai tavoli prende le nostre ordinazioni, poi si allontana lasciandomi sotto lo sguardo indagatore del mio amico, seduto di fronte a me.

«Sai che non sono rompicoglioni per natura, ma si può sapere che cazzo ti è successo?», mi chiede, poggiando i gomiti sul bordo del tavolo dopo essersi tolto il giubbotto e averlo sistemato dietro la sua sedia.

«Posso iniziare a parlare alla quarta birra?», gli chiedo, tentando di fare una battuta, ma a quanto pare stasera non apprezza molto il mio humor inglese.

«No, parla Harry, adesso!» Mi tolgo il cappotto e lo appoggio al mio fianco, sulla panca verso il muro, mentre tento di prendere tempo. Non so davvero da che parte cominciare.

«Sto uscendo con Chloe», gli dico, e posso vedere i suoi occhi azzurri farsi più grandi nel sentire le mie parole, mentre alza entrambe le sopracciglia per la sorpresa.

«State insieme?», mi domanda, con un tono di voce a metà tra il divertito e il meravigliato.

«Che cazzo ne so...» Mi mette incredibilmente a disagio parlare di questo con lui, o con chiunque altro. È un argomento troppo delicato da affrontare per me. Sono due anni che non esco seriamente con una ragazza e ho paura anche solo al pensiero che qualcosa potrebbe andare storto.

«Come sarebbe a dire che cazzo ne so?» La sua domanda è ovvia e scontata, e devo provare a spiegargli quello che mi passa per la testa.

«Ci stiamo frequentando, Larry... non c'è niente di definito tra di noi... l'unica cosa che so è che non voglio fare a meno di lei...» Un sorriso si apre sulle sue labbra, molto lentamente, fino a diventare enorme, proprio nel momento in cui la ragazza porta le nostre birre al tavolo.

«Scusa, puoi portarci anche due bourbon?» Alzo gli occhi al cielo quando Larry ordina i due super alcolici alla bionda, che annuisce sorridente per poi allontanarsi di nuovo diretta verso il bancone del bar.

«Larry siamo a stomaco vuoto, era proprio necessario?», gli domando, mentre sbottono i polsini della camicia per arrotolare le maniche lungo l'avambraccio.

«Se vuoi possiamo anche ordinare da mangiare, offro io». Il suo entusiasmo mi porta a ridere. «Che c'è da ridere? Dobbiamo festeggiare!» Si riferisce chiaramente alla mia confessione di poco fa.

Dicendogli che sto frequentando Chloe ha capito che per me Winter è acqua passata, che l'ho superata. Mi sono stati tutti incredibilmente vicini, anche nelle scelte peggiori che io abbia mai fatto, perché sapevano che le avrei fatte comunque, ma standomi vicino hanno limitato i danni. Non potrò mai ringraziarli abbastanza per ciò che hanno fatto per me in questi anni.

Loro c'erano dopo le discussioni con mio padre, c'erano quando il dolore per l'abbandono di mia madre mi stringeva la gola, c'erano quando mio nonno se n'è andato, c'erano anche quando Winter mi ha lasciato come un coglione, e ci sono stati fino ad oggi.

«Comunque, l'avevo immaginato, sai?», mi dice, portandosi il boccale alle labbra e guardandomi con l'aria di chi la sa lunga.

La ragazza torna al nostro tavolo con i due bicchieri di bourbon. «Ecco a voi ragazzi», dice, ma quando fa per voltarsi e andarsene, il mio amico la ferma di nuovo.

«Scusa, puoi portarci anche due fish and chips?» La ragazza sorride di nuovo al mio amico, che a quanto pare ha voglia di esagerare stasera, poi si allontana e lui torna a guardarmi con lo stesso sguardo di poco fa. «Quando ti ho visto con lei quella sera, ho notato come la guardavi, e immaginavo che fosse solo questione di tempo». Parla come se sapesse esattamente ciò che sta dicendo, e magari è così, solo che in questo momento non sono in grado di ragionare lucidamente a causa della confusione che ho in testa.

Bevo un altro sorso di birra, posando lo sguardo su un punto indefinito del tavolo. Stavo imparando a lasciare andare i fantasmi del passato, stavo imparando a godermi i momenti con lei, e credo stessimo andando alla grande per due tormentati come noi, ma poi sono venuto a sapere quelle cose su Dylan, di conseguenza il precario equilibrio che si stava creando si è rotto, e adesso mi sento travolto da qualcosa di più grande di me, che non so se sono in grado di gestire.

«Harry...» La voce del mio amico mi porta ad alzare lo sguardo su di lui e ad incrociare i suoi occhi azzurri, che mi osservano con attenzione cercando di capire dalla mia espressione cosa mi passi per la testa.

«Le cose vanno bene con lei, o almeno credo...», gli dico, cercando di rassicurarlo almeno da questo punto di vista.

«E allora mi spieghi il senso di quella faccia da funerale?» La cameriera bionda, di cui non ricordo mai il nome pur avendola vista spesso negli ultimi due anni, torna al nostro tavolo portandoci le nostre ordinazioni e se ne va dopo che l’abbiamo ringraziata.

«Non posso dirtelo, Larry...» Non voglio dirlo a nessuno per il momento, almeno fino a che non ne avrò parlato con Kurt e aver deciso insieme a lui cosa fare delle informazioni di cui sono venuto a conoscenza.

«E allora che cazzo siamo venuti a fare qui?», mi chiede con aria confusa, o forse scocciata, non saprei dirlo con precisione.

«A bere», gli rispondo, alzando il bicchiere nella sua direzione.

Lui sembra pensarci un attimo decisamente breve, poi alza il suo bicchiere verso il mio e li fa tintinnare. «Ok, alla tua, Stevens», dice, con un gran sorriso contagioso.

«Alla tua, Mitchell». Brindo con lui e insieme mandiamo giù un gran sorso di bourbon.

Lo sento bruciare lungo la gola e vorrei poter ottenere lo stesso effetto sui miei neuroni per potermi dimenticare per almeno qualche ora quello che ho scoperto, e l'indecisione su come disporre di quelle informazioni.

Sapevo di poter contare su di lui, infatti ha smesso subito di fare domande, avendo capito che ho bisogno di smettere di pensare, e passiamo il tempo parlando di tutt'altro, mangiando patatine e bevendo birra, più di un paio in realtà - o forse un paio di un paio -, fino a che riesco a smettere di pensare al dannato detective e a tutti quei fogli contenuti nella cartellina che mi ha mostrato quando sono entrato nel suo ufficio.

Dopo due ore, o forse tre, un paio di birre - ma erano sicuramente di più - il bourbon e qualche shottino di vodka, la testa ha iniziato ad essere più leggera, tanto che a malapena ricordo il motivo per cui ho voluto passare la serata con Larry invece che con Chloe, e credo che, forse, dovrei chiederglielo.

«Larry perché cazzo sono qui a bere con te e non sul mio divano con Chloe?» Lui sta per rispondermi, ma la vibrazione del mio telefono mi distrae dalla sua risposta. Prendo il telefono dalla tasca dei jeans per vedere chi mi sta chiamando. «È lei...», dico al mio amico che mi guarda serio.

«Non rispondere! Non vorrai mica che ti senta ubriaco?», mi dice con uno stupido sorriso sulle labbra.

D'improvviso ho un flash, ricordo che stasera non volevo parlare con lei, e pian piano mi tornano alla mente tutte le cose per cui sono scappato dall'ufficio oggi, quando l'ho vista parlare con Dylan.

«Non sono ubriaco». Contesto la sua affermazione posando il cellulare sul tavolo con lo schermo rivolto verso il basso. «Non ancora, almeno...», dico poi, pensando che vorrei qualcos'altro da bere.

Alzo la mano e chiamo la ragazza bionda, che ora ha i capelli neri e mi chiedo come sia possibile. Forse sono davvero ubriaco. «Ci porteresti altri due di questi?», le domando, senza nemmeno sapere cosa ho appena ordinato.

«Subito», risponde lei, ma mi sembra che abbia qualcosa di strano agli occhi, o forse è la mia vista che si sta appannando.

«Bravo, Stevens, così si fa!» Larry si complimenta con me e andiamo avanti per altre due ore a parlare e a bere.

In realtà non so quanto tempo sia passato, non ne ho la minima idea, come non ho la minima idea di quanto e cosa abbiamo bevuto, ma quell'angoscia che avevo ad inizio serata sembra essersene andata.

Ora mi sento stanco e anche il mio amico lo sembra. Lo deduco, in maniera molto intelligente, dal fatto che abbia appoggiato entrambe le braccia sul tavolo e vi abbia nascosto dentro la faccia. Che si sia addormentato?

«Larry?» Lo scuoto leggermente aspettando che reagisca, ma non si muove quindi riprovo, tentando di metterci più forza, cosa che non mi riesce molto facile. «Larry?» Emette qualche verso indistinto che non riesco a comprendere, poi mi guardo intorno, come se potessi trovare un qualche suggerimento su quello che devo fare, perché credo siano ubriachi anche i miei neuroni.

Poi sento il suo telefono squillare, scivolo sulla panca per tentare di alzarmi e provare a recuperare il cellulare dalla sua tasca. Ci riesco dopo due, no tre tentativi, e in qualche modo rispondo. «Pronto», dico con la voce impastata dall'alcool.

«Harry?» Una voce femminile, che mi sembra di aver già sentito, pronuncia il mio nome, deve avermi riconosciuto, ma io non so distinguere, tra i miei ricordi, chi sia lei.

«In carne e alcool», rispondo, ridendo della mia stessa battuta, anche se non sono sicuro facesse ridere davvero, perché la persona dall'altra parte del telefono non sembra affatto divertita.

«Dov'è Larry?», mi chiede con un tono di voce irritato.

«Ssshhhh sta dormendo», rispondo abbassando la voce e sento la ragazza dall'altra parte del telefono sospirare.

«Siete al Black Rose?», mi chiede, e io mi guardo un paio di volte intorno per capire dove mi trovo.

«Credo di sì», rispondo, tornando a sedermi.

«Arrivo», mi dice, ma io non le ho chiesto di venire qui.

Non so nemmeno più quello che sto dicendo o che sto pensando. Forse è alcool quello che mi sta scorrendo nelle vene e, alla fine, crollo anche io con la testa sul tavolo, fino a quando non mi sento scuotere il braccio e, con una certa dose di fatica, riesco ad aprire gli occhi e mettere a fuoco il volto della ragazza che mi sta parlando.

«Ehi Harry, dai alzati, ti porto a casa», mi dice con una gentilezza che non credo di meritare.

«Ciao El», le dico, mentre cerco di mettermi dritto contro lo schienale della sedia.

«Dai, ho già aiutato il cretino del tuo amico a salire in macchina, ora tocca a te», mi dice, tentando di aiutarmi a mettermi in piedi, ma io non voglio andare a casa con i due piccioncini.

«Non ce n'è bisogno, El...»

«Harry non ti reggi in piedi, hai bisogno di una mano, forza non fare il testone», mi dice ancora, mettendomi un braccio intorno alla schiena per farmi alzare.

«No, El, davvero, chiamerò Jordan, tu porta pure a casa il tuo ragazzo di poco spirito», rido ancora alla mia battuta, ma evidentemente lei non l'ha capita.

«Harry, ho la macchina qua fuori, davvero...»

«No, El!» Tento di alzare la voce per imporre la mia idea, ma ho come l'impressione che le lettere delle parole che pronuncio si allunghino notevolmente rispetto al normale. «Voglio andare a casa con Jordan». Non voglio in alcun modo andare a casa con loro.

Lei sospira rassegnata ai miei capricci da bambino. «Mi prometti che lo chiami?» Faccio cenno di sì con la testa, poi si allontana dopo qualche secondo, raccomandandosi ancora di farmi venire a prendere; dopo averla salutata, prendo il mio cellulare e, con un paio di gesti scoordinati, riesco a sbloccare il display. Clicco un paio di icone sbagliate prima di riuscire ad aprire quella giusta della rubrica, faccio scorrere a tentativi i nomi verso l'alto fino ad arrivare alla S.

Ora, mentre tento di mettere a fuoco il nome Stevens, mi cade l'occhio sul nome che c'è subito sotto, Stewart, e mi dico che devo fare molta attenzione con i miei movimenti rallentati e impacciati o rischio di fare un casino. Avvicino lentamente il dito allo schermo e prendo bene la mira poi chiudo gli occhi mentre mi sorreggo la testa con una mano, e sento il segnale di linea libera. Sta squillando.

«Harry!» Questa non mi sembra la voce di mio fratello. «Harry!» è una voce femminile, piuttosto spaventata.

«Stewart sei tu?», domando incerto, faticando a parlare.

«Cazzo! Mi hai spaventato a morte Harry! Dove sei? Stai bene?» Sembra davvero terrorizzata, devo provare a tranquillizzarla.

«Scusa, Chloe, ho sbagliato numero. Stavo... volevo chiamare mio fratello». Non ricordo quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui ho bevuto così tanto come stasera.

«Harry sei ubriaco, dimmi dove sei che vengo a prenderti». La sua voce trema e io penso a quanto sono stronzo per averla fatta spaventare in questo modo.

«Non ce n'è bisogno, adesso chiamo Jordan, non preoccuparti», le dico, mentre mi sento scivolare all'indietro.

«Ne sei sicuro? Non voglio che torni a casa da solo», mi dice sempre più preoccupata.

«Sono sicuro, adesso lo chiamo e mi faccio portare a casa, stai tranquilla, te lo prometto». Cerco di calmarla come posso perché, anche da ubriaco, mi rendo conto di quanto possa essere stata spaventosa per lei questa telefonata in piena notte.

«Ok... Harry?» Mi richiama poco prima che io riagganci.

«Dimmi...»

«Se... se ti ricordi... mi avvisi quando sei arrivato?» Riesco a percepire il terrore nelle sue parole. Le sto facendo rivivere il suo incubo un'altra volta...

«Chloe non mi succederà niente, capito?» La sento sospirare o forse sta tirando su con il naso, ma sono troppo fuori fase per dire altro, meglio se sto zitto prima di peggiorare la situazione. «Appena sono a casa ti chiamo, adesso riaggancio e chiamo subito Jordan». Sembra convincersi delle mie parole e, leggermente incerta, mi saluta.

Mi sento un vero schifo per questa telefonata che, senza ombra di dubbio, le ha riportato alla mente quella notte, e anche perché le mentirò spudoratamente, omettendo quello che ho appena scoperto. Non voglio turbarla più di quanto già non sia, soprattutto ora che si sta riprendendo e che sta dando una possibilità ad entrambi di essere felici.

A fatica muovo il mio dito fino a cliccare il contatto giusto sulla rubrica e, quando vedo il nome Stevens Jordan sul display, tiro un sospiro di sollievo, che scompare subito dopo aver sentito il messaggio 'Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile'.

«Fanculo!» Impreco ad alta voce dopo aver chiuso la comunicazione.

Non posso richiamarla, non voglio rischiare di farla spaventare un'altra volta, anche se il pensiero di averla di nuovo con me inizia a farsi avanti con prepotenza nella mia mente, scavalcando qualsiasi altro. Sto troppo bene quando siamo insieme, perché lei riesce a mettere a tacere tutti i miei demoni, il dolore, la delusione verso il resto del mondo. Chloe riempie ogni spazio della mia mente e del mio cuore, e io sto rischiando di farla soffrire ancora.

La suoneria del mio cellulare mi fa riaprire gli occhi, che tenevo chiusi mentre provavo a concentrarmi sui dettagli del suo viso, e quello che vedo sul display è proprio il suo nome. «Pronto», rispondo più in fretta possibile per non farla preoccupare più di quanto non abbia già fatto.

«Hai chiamato tuo fratello?», mi chiede impaziente.

«Sì, l'ho fatto», le dico, reggendomi la testa con la mano libera.

«Sta arrivando?», domanda ancora con più impazienza, e io non posso evitare di immaginare la sua espressione imbronciata, con quella piccola ruga che si forma sulla fronte quando è preoccupata, o troppo presa dai suoi pensieri.

Ho imparato ad osservarla attentamente in questi giorni e potrei benissimo dire cosa le passi per la testa solo guardandola. «Non devi preoccuparti per me...» Non voglio che lo faccia, ma non posso negare a me stesso quanto questo mi renda felice, perché è troppo tempo che nessuno lo fa.

«Non puoi chiedermi questo... dimmi solo se Jordan sta arrivando...» La sua voce è leggermente più bassa e io chiudo un'altra volta gli occhi per concentrarmi sulla sua immagine, riportando alla mente la serata di beneficienza, quando aveva addosso quel vestito rosso.

«Potrei ubriacarmi tutte le sere solo per sentirti parlare in questo modo». Credo sia l'alcool a parlare per me, o forse mi permette solo di essere più sincero e senza filtri.

«Harry...»

«Dillo ancora...», la interrompo solo per farle una richiesta, «mi piace quando pronunci il mio nome...» Non so per quale motivo io lo stia pensando, ma sono certo che stia sorridendo in questo momento.

«Anche se ti chiamo Harold?» Sì, adesso non ho nessun dubbio sul fatto che stia sorridendo, e sorrido anch'io come un idiota.

«Puoi chiamarmi Harold quanto ti pare...», la sento ridacchiare e allora decido di rincarare la dose, «a patto che tu mi faccia vedere i tuoi tatuaggi...» Lei resta in silenzio, sicuramente sta alzando gli occhi al cielo. «Mi immagino la scena sai?» Ormai ho preso il via e non riesco a tenere a freno la lingua. «Potrei sfiorare la tua pelle nuda mentre tu continui a sussurrare Harold tutte le volte che vuoi...» Sto avendo di nuovo lo stesso problema ai pantaloni, no, dentro ai pantaloni e non va affatto bene. Non dovrei essere così reattivo con tutto quello che ho bevuto...

«Harry...» Potrei fare qualche pazzia se fosse qui, con me, in questo momento, dopo averle sentito pronunciare il mio nome in quel modo.

«È ancora valida l'offerta di quel passaggio?», le domando, impaziente di averla di nuovo tra le mie braccia.

«Dimmi dove sei...» Io davvero non lo so quanto potrò resistere e trattenermi dall'averla sotto di me con addosso solo quel ciondolo.

*

Chloe

Il battito cardiaco sembra non volerne sapere di rallentare. Lo sento ancora in gola, nelle orecchie, che rimbomba nella cassa toracica, e credo andrà ancora avanti in questo modo, almeno fino a quando non arriverò a quel dannato pub che sto faticando a trovare.

Quando la suoneria del telefono mi ha fatto letteralmente saltare sul letto ho avuto una terribile fitta alla testa e ho sentito che il mondo stava per crollarmi addosso, soprattutto quando ho letto il nome di Harry sul display. È stato come rivivere quella notte e non so se ringraziare o meno per il fatto che mi sia dimenticata il cellulare acceso. Di solito lo spengo quando vado a dormire, ma ieri sera me ne sono dimenticata e, a questo punto, posso solo dire menomale, perché ho potuto ricevere la sua chiamata.

Freno di colpo quando mi accorgo di averlo trovato, fortunatamente c'è parcheggio a quest'ora, mi fermo e scendo, attraverso la strada ed entro nel locale. Harry è seduto nell'ultimo tavolo in fondo, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate sul tavolino. Mi avvicino, mentre il cuore inizia a calmarsi e il sorriso spunta sulle labbra.

Lui è qui e sta bene, un po' sbronzo, ma sta bene.

Mi siedo accanto a lui e gli appoggio dolcemente una mano sulla schiena. Lo accarezzo lentamente, se ne accorge e alza piano la testa per poi voltarsi verso di me e sorridermi. «Ce la fai a camminare?», gli chiedo, mentre lui si mette dritto con la schiena.

«Stewart non sono una mezza sega come te, ce la faccio eccome», mi dice, per poi mettersi in piedi e barcollare.

«Sì certo, come no». Lo affianco e lo aiuto ad infilarsi la giacca e il cappotto, cercando di non replicare alle sue continue proteste perché lui 'ce la fa da solo'... «Dai, fatti aiutare», gli dico, per poi infilare un braccio intorno alla sua schiena.

«Solo perché così posso abbracciarti», risponde lui con voce impastata.

Sorrido scuotendo la testa e insieme, l'uno abbracciato all'altra, usciamo dal locale, camminando incerti verso l'auto parcheggiata dall'altra parte della strada. Lo aiuto ad entrare, tenendogli una mano sulla testa perché non sbatta contro il tettuccio della macchina, anche se lui continua a protestare.

Con l'aiuto di Google Maps arrivo fino all'edificio dove si trova il suo appartamento, parcheggio, poi scendo velocemente per aiutarlo, prima che rotoli per terra. A fatica facciamo anche i tre piani a piedi, ridendo del fatto che stavolta i ruoli sono invertiti ed è lui ad inciampare nei suoi stessi piedi ad ogni rampa di scale.

Sono io a prendere il mazzo di chiavi dalle sue mani, perché non riesce a centrare la serratura, e sono sempre io ad aiutarlo a stare in piedi mentre prova a lavarsi la faccia e i denti senza smettere di ridere perché l'acqua gli sta colando sulla camicia.

«Adesso devi aiutarmi a sbottonarla», mi dice, riferendosi al fatto che non riesce ad afferrare correttamente i bottoni della camicia, e non so quanto sia vero, ma voglio stare al gioco.

Mi avvicino a lui, che è in piedi vicino al suo letto. Porto le mani sul primo bottone e lo faccio passare lentamente attraverso l'asola, poi faccio la stessa cosa con l'altro, e con l'altro ancora, fino a sfilare la camicia dai pantaloni, ma quando alzo lo sguardo nei suoi occhi, sembra che io abbia perso la capacità di muovermi. D'improvviso mi sento come immobilizzata dall'intensità con cui mi sta guardando e, altrettanto improvvisamente, sento la necessità di poggiare le mani sul suo petto, e senza pensarci una seconda volta lo faccio, sentendo sotto i miei palmi la velocità a cui sta battendo il suo cuore.

Le sue mani arrivano sul mio viso con una coordinazione che non mi aspettavo, e altrettanto velocemente la sua bocca è sulla mia, unite da una passione che ha bisogno di riversarsi sull'altro. Le mie mani risalgono sul suo torace, fino alle sue spalle, senza che io possa controllarle e faccio scivolare la sua camicia verso l'esterno. Le mie dita scorrono sulla sua pelle fino ai bicipiti, ed è a quel punto che sento di nuovo quel suono dalla sua bocca alla mia, quel suono che mi blocca il respiro e sono costretta ad allontanarmi leggermente, ma lui continua a tenermi stretta. La sua fronte sulla mia, mentre respiriamo la piccola quantità d'aria che stiamo condividendo.

«Non ho mai voluto nessuna come voglio te, Chloe...», sussurra e mi bacia, «resta qui con me stanotte...»

Sussurra ancora.

Mi bacia ancora.

La sua camicia scivola ancora.

Lui mi stringe.

«Resto...» La mia voce esce a fatica mentre sono tra le sue braccia.

Esattamente dove voglio essere. 

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Capitolo 36
*** M'importa di te ***


Il caffè è quasi pronto ed è l'unica cosa che ho potuto preparare stamattina perché non ho trovato altro. Credo sia passato troppo tempo dall'ultima volta in cui Harry è andato a fare la spesa. Mi sono rifiutata di guardare nel congelatore, non ho alcuna intenzione di mangiare roba surgelata appena sveglia.

Mi lego i capelli con uno dei suoi elastici, trovati in bagno davanti allo specchio, dove posso osservare il mio riflesso. Nonostante mi sia addormentata tardi, il mio aspetto sembra migliore stamattina, forse per merito del sorriso che la sua presenza nella mia vita continua a provocare.

Esco dal bagno e vado in cucina per mettere il caffè in due tazze, poi vado in camera sua, sedendomi sul bordo del letto, accanto a lui che dorme ancora profondamente, e infine poso le tazze sul comodino, accanto al bicchiere d'acqua che gli ho preparato prima, per poter prendere l'analgesico che gli servirà non appena aprirà gli occhi.

Stanotte è crollato come una pera cotta non appena si è sdraiato. Ho dovuto sfilargli i pantaloni e infilargli quelli della tuta, non senza difficoltà perché non ha collaborato per niente. Sono stata sveglia a guardarlo per parecchio tempo ripensando ad ogni momento trascorso insieme, da quella sera in metropolitana, fino al bacio di stanotte, combattuta tra quello che sento per Harry e quello che mi tiene legata al mio passato.

Lancio un'occhiata alla sveglia sul comodino e mi accorgo che è arrivata l'ora di svegliarlo. «Harry?» Lo scuoto leggermente posando la mano sulle sue spalle nude. Non sono riuscita ad infilargli la maglietta, ma so che spesso dorme senza e adesso sono contenta non la stia indossando. Mi piace far scorrere le dita sulla sua pelle. «Harry?» Si muove appena, voltando la testa dall'altra parte. «Harry devi alzarti», gli dico, lasciando un bacio sulla sua spalla.

E, non appena le mie labbra sono sulla sua pelle, non posso fermarmi. Gli lascio un altro bacio poco più in là, verso il collo, e ancora un altro, e un altro, poi sento la sua voce che pronuncia parole indistinte che mi fanno ridere, ma poi, quando vedo che non ha intenzione di alzare la testa, mi trovo costretta ad insistere. «Devi alzarti, Harry», gli ripeto, spostandogli i capelli di lato per poter vedere parte del suo viso.

«Non ne ho alcuna intenzione», dice, restando fermo nella stessa posizione, «e non smettere di baciarmi». La sua voce assonnata, con i postumi della sbornia di ieri sera, è qualcosa di incredibilmente sexy.

«Devi alzarti, ti aspettano alla riunione con il consiglio di amministrazione», gli dico, obbligandomi ad ignorare le sue parole, ricordandogli il suo impegno di stamattina. Mi ha chiesto mia sorella di farlo.

Ieri sera, quando l'ho avvisata che sarei rimasta qui da lui, mi ha chiesto di svegliarlo in orario stamattina perché suo padre si è raccomandato che fosse presente a quella riunione.

«Non m'importa del consiglio, torna a fare quello che stavi facendo». È ancora nella stessa posizione, con le braccia sotto al cuscino e parte del viso nascosta.

«Harry tuo padre ti vuole lì, Reb si è raccomandata di farti arrivare in orario, quindi ora alzati». Mi allontano dalle sue meravigliose spalle - questo ragazzo mi sta davvero facendo perdere la testa - e prendo una tazza di caffè.

«Che palle...», biascica a fatica, per poi voltarsi verso di me, restando per un attimo a pancia in su mentre si strofina il viso e si passa le mani tra i capelli. Alla fine si mette seduto. «Cazzo che mal di testa!» Rido della sua imprecazione e gli porgo l'acqua che lui afferra incerto.

«Tieni», gli allungo anche l'analgesico, «ne hai bisogno», dico ancora, mentre lui mette in bocca la compressa che manda giù con un po' d'acqua. «Ne è valsa la pena bere in quel modo?», gli domando, passandogli la tazza di caffè che ho preparato per lui - stavolta con cinque bustine di zucchero, spero siano sufficienti -.

Harry mi guarda con uno sguardo furbo, sorride appena, poi afferra la tazza dalla mia mano e ne beve un sorso senza lamentarsi... Forse era abbastanza dolce. «Per averti qui con me? Direi che ne è valsa la pena», afferma, tornando a bere il suo caffè. «Mi spiace solo di essermi addormentato come un coglione», dice ancora, e io rido della sua affermazione. «Perché mi sono addormentato, vero?», mi domanda, come se non ne fosse davvero sicuro.

«Hai paura di aver fatto qualcosa di cui non ti ricordi?», gli domando provocandolo.

«Cazzo! Se ho fatto qualcosa con te e non me lo ricordo voglio rompermi la testa contro il muro». Rido ancora per le sue parole. Mi alzo dal letto e sto per uscire dalla stanza, ma la sua voce mi fa fermare sulla soglia. «Ti prego, dimmi che non abbiamo fatto niente stanotte...» Sembra davvero disperato e non posso evitare di ripagarlo con la stessa moneta.

«Non ti dirò un bel niente, Stevens, ora alzati». Lo sento imprecare ancora mentre esco dalla sua stanza. Riporto la tazza in cucina, mettendola nel lavandino, e subito dopo sento i suoi passi dietro di me.

Mi volto a guardarlo ed è una meravigliosa visione: a torso nudo, con i tatuaggi a decorare la sua pelle, i pantaloni grigi della tuta bassi in vita, a piedi nudi, con una mano tra i capelli, e io che tento di non farmi colare la bava dalla bocca.

«Se ti dicessi cos'hai fatto tu la sera che hai bevuto, mi diresti se stanotte io e te siamo stati a letto insieme?» Le sue parole, la sua voce, il modo che ha di pronunciarle, il significato delle stesse... Dio! Ogni cosa mi manda fuori di testa...

« Stevens, sei davvero così disperato da chiedermi un favore?» Ho bisogno di punzecchiarlo, perché sta provocando troppi danni ai miei neuroni.

«Non è proprio un favore... è più uno scambio di informazioni». Sorride e si avvicina a me, che sono rimasta ferma vicino al lavandino.

«Non ho bisogno di scambiare niente...», ho ricordato tutto di quella sera, ma lui non lo sa, «e adesso è tardi, devi andare a prepararti per la tua riunione». Mi sposto e mi allontano, andando in camera per recuperare i miei vestiti. Ho deciso che la sua tuta, quella che sto indossando, è ormai diventata mia.

Ho bisogno di aria, perché restando vicino a lui vado in carenza d'ossigeno.

«Acida!», mi urla lui, quando ormai sono nell'altra stanza, e non ribatto, perché stavolta ha ragione, ma non potevo fare altrimenti dato che con la mia attuale temperatura corporea avrei potuto riscaldare tutto l'appartamento senza aver bisogno del riscaldamento acceso.

Prima o poi succederà, e probabilmente lo voglio più di quanto mi piaccia ammettere, forse tanto quanto lo vuole lui, ma ho paura... paura di me, di lui, di noi... Sto risalendo dal fondo e non vorrei scivolare di nuovo in basso proprio ora che sono quasi arrivata in superficie.

***

Da quando sono rientrata a casa non faccio altro che guardarmi intorno. È tutto uguale a ieri sera, ovviamente, eppure tutto mi sembra diverso. Vedo ogni cosa diversamente, non so dire precisamente come, ma tutto mi sembra più bello. Non so se sia possibile, o se è pensare a Harry che porta inevitabilmente ad essere di buonumore e, di conseguenza, arriva la visione migliore, ma vorrei poter far durare questo stato d'animo per tutto il giorno e anche per i giorni futuri.

Mi siedo alla scrivania, posizionata a lato del mio letto, pensando all'ultimo bacio di stamattina, quello fatto solo di labbra che si sfiorano prima di uscire da casa sua, quello che gli ho dato quasi di corsa prima di scendere velocemente le scale, per potermi allontanare in fretta e tornare ad avere una frequenza cardiaca che non superi i duecento battiti al minuto - cosa assolutamente nella norma quando sono con lui, anzi, credo che prima o poi il cuore mi uscirà dalla cassa toracica - e sfoglio le pagine del libro che ho aperto, senza guardarle davvero.

Sto provando a concentrarmi, ci sto provando davvero, ma non riesco a fare altro che pensare alla sensazione che ho provato quando gli ho sbottonato la camicia e le mie mani sono finite sul suo torace, allo sguardo che aveva in quel momento e a quello che il mio corpo ha provato quando mi ha detto che mi voleva come non ha mai voluto nessun'altra.

Credo proprio che non riuscirò a lavorare oggi!

Per di più ci si mette anche il telefono. Guardo il display e sospiro prima di rispondere.

«Ciao, mamma», dico, alzandomi dalla sedia per andare a sedermi sul mio letto.

«Tesoro, come stai?» Sono certa sia seduta sulla sua poltrona in soggiorno, quella gialla.

«Sto bene, mamma, voi come state?», le chiedo, poi vado con la schiena all'indietro per sdraiarmi e guardare le lucine. Dovrei accenderle.

«Stiamo bene, ma tuo padre ha voglia di vederti...» Sono certa che sia lei ad avere voglia di vedermi, ma non vuole ammetterlo e si nasconde dietro mio padre. «Torni a casa per il Ringraziamento, vero?» E la domanda che temevo è arrivata.

«Non lo so, mamma, tra qualche giorno devo partire per Madrid, ti ricordi che te ne avevo parlato?»

«Sì che lo ricordo, ma per quanto tempo starai via?», mi domanda, con un tono di voce chiaramente ansioso.

«Potrei tornare in tempo, come potrei non farcela, tutto dipende da come andranno le trattative tra le due aziende, sai che non dipende da me, ma Rebekah tornerà sicuramente». Cerco di deviare la sua attenzione da me a mia sorella.

«Sai che non è la stessa cosa se non siamo tutti insieme...» So quanto mamma tenga a quel giorno.

Da che ho memoria, il giorno del Ringraziamento l'abbiamo sempre passato a casa, in famiglia, con il solito menu, anno dopo anno, e questo sarebbe il primo che passerei lontana da casa, se gli incontri tra la HS e Hernandez dovessero protrarsi più del previsto. Jordan mi ha spiegato che sono trattative delicate e non è sicuro il giorno del ritorno in patria. Non posso promettere a mia madre qualcosa che rischio di non poter mantenere. L'ho già fatto troppe volte, non lo merita.

«Lo so, mamma, e sarò a casa se tornerò in tempo da Madrid, in caso contrario sarò comunque con voi, con il cuore». Mi sto impegnando a creare loro meno problemi possibili, perché questi mesi non sono stati difficili solo per me, e questo, a volte, tendo a dimenticarlo. «E comunque per Natale ci sarò, questo te lo prometto.»

«Ok...», sembra accontentarsi della mia risposta, anche se lo fa con un gran sospiro,  «ma ricorda che l'hai promesso». Sorrido anche se non può vedermi.

«Sì, mamma, stai tranquilla. Sto bene e verrò a Natale, ora però devo andare, ho del lavoro da finire». Non ho veramente mentito con quest'ultima frase, ma non posso di certo dirle che invece di concentrarmi sul controllo della traduzione che devo portare a termine, riesco solo a pensare a me e Harry insieme nello stesso letto...

«D'accordo... ti voglio bene Chloe...»

«Ti voglio bene anch'io mamma, dai un bacio a papà», Ci salutiamo e, quando chiudo la comunicazione, resto ancora sdraiata sul letto nella stessa posizione, ma accendo le lucine che mi ha portato Kurt, lasciando andare un'unica lacrima che non sono riuscita a trattenere.

Mi manca.

Mi manca tutto.

I miei genitori, nonna Jewel, che ho decisamente trascurato da quando sono qui, Ryan e Emma - non vedo l'ora di scoprire quanto sia cresciuta la sua pancia - mi mancano Hazel e Kurt, e mi manca Dylan.

Mi manca la mia vita di qualche mese fa e so che non posso fare niente per far tornare tutto come prima. Porto la mano al ciondolo che ho al collo per trovare un appiglio con il passato, e mi sorprendo quando, oltre al mio passato, ci trovo qualcos'altro. Harry è riuscito ad arrivare anche qui, è riuscito a lasciare qualcosa di sé in questo piccolo oggetto che era solo mio... mio e di Dylan. «Che cosa mi hai fatto Harry?», domando a me stessa, a bassa voce, nella solitudine della mia camera da letto e, probabilmente, non ho nemmeno bisogno di una risposta.

Perché stamattina è tutto così difficile da gestire?

Da quando Harry è entrato a far parte della mia vita, tutti quei piccoli gesti affettuosi che avevano perso significato, ne hanno acquistato uno nuovo. Ho ritrovato conforto in un abbraccio, ho rivisto la gioia e la spensieratezza in un sorriso e ho provato di nuovo cosa vuol dire desiderare qualcuno, desiderare i suoi baci, le sue carezze e la sua presenza. Questo è Harry, lui è la mia nuova linfa vitale e, nonostante sappia che non sto facendo del male a nessuno - perché razionalmente lo so che è così - c'è ancora quella piccola parte di me che mi accusa di dimenticarmi di lui  troppo in fretta.

Devo fare qualcosa per tenermi impegnata e sembra proprio non essere la giornata adatta per concentrarmi sul lavoro, quindi mi dico che devo dedicarmi a qualcos'altro per poter tenere a bada i pensieri negativi, che so per certo stiano per invadere la mia testa mandando in tilt le sinapsi.

Mi metto al computer per controllare la temperatura e il meteo per i prossimi giorni a Madrid, così da potermi preparare la valigia - cosa insolita per me prepararmi con anticipo, ma ne ha bisogno la mia sanità mentale - poi vago su internet alla ricerca di qualcosa da fare se dovessi avere del tempo libero. È la prima volta che vado a Madrid, spero di poterne approfittare e vedere la città.

Inizio a guardare immagini, leggere articoli e recensioni e, in pochi minuti, tutti i miei pensieri vengono proiettati oltre oceano e, senza un vero motivo, immagino me e Harry visitare la città come due banalissimi turisti, con la testa libera dai pensieri e dai nostri demoni.

E mi volto di scatto quando improvvisamente sento vibrare il mio telefono, lasciato poco più in là del portatile.

È un messaggio.

È Harry.

Stai preparando la valigia? 
Io la mia l'ho già finita.

Non posso evitare di ridere per le sue parole, perché continua ad insistere sul fatto che vuole partire anche lui per Madrid.

Ho una certa avversione per le valigie 

Hai chiesto a Jordan il permesso per partire?

 

Ed è di nuovo tutto scomparso. Harry compare e il dolore se ne va. È come una di quelle leggi di causa/effetto, o qualcosa del genere.

Non ho bisogno di chiedere il permesso 
Se non vuoi preparare la valigia non farla 
Non avrai bisogno di altri vestiti con me

Sorrido del suo messaggio, ma non posso negare che le sue parole abbiano generato un notevole calore in tutto il mio corpo.

Presumido y descarado 

Inizia ad imparare lo spagnolo se vuoi partire

 

E se fosse davvero lui il rappresentante della HS a cui devo fare da traduttrice? Ogni volta che penso a questa possibilità, quel calore al mio corpo diventa quasi bollente.

Presuntuoso e sfacciato 
(grazie Google) 
Non ho bisogno di imparare, lo sai già tu 
(e smettila di parlarlo perché lo sai che effetto ha su di me)

Probabilmente è lo stesso effetto che ha la sua voce su di me, specialmente quando sussurra e mi tiene stretta... Dio! Probabilmente in questo momento avrei altri ricordi su cui concentrarmi, se ieri notte non si fosse addormentato perché era ubriaco.

Non hai del lavoro da fare?

Devo almeno provare a buttare acqua, sul fuoco che i suoi messaggi stanno accendendo. Non sono in grado di gestire ciò che lui mi fa provare, non da sola, perché ormai ho capito quanto la sua presenza sia diventata indispensabile per poter affrontare tutto ciò che, finora, mi ha impedito di vivere la mia vita.

Chiedimelo in spagnolo...

Rido per la sua contraddizione e mi accomodo meglio sulla sedia per godermi il resto della conversazione.

Hai appena detto che non vuoi che parli spagnolo

Osservo il display del cellulare, impaziente di leggere la sua risposta che non si fa attendere.

Me lo rimangio 
Adesso chiedimelo in spagnolo...

Ancora non mi spiego come, con poche e semplici parole, riesca a mandarmi fuori di testa e decido che voglio stare al suo gioco, perché mi piace, perché è Harry.

No tienes que trabajar?

Resto di nuovo a fissare lo schermo, mentre la mia mente non fa che immaginare la sua espressione in questo preciso istante, ed è un'immagine che mi piace anche troppo.

Potrei salire in macchina e correre da te proprio adesso... 
Se non fosse che sono in riunione...

Ruoto gli occhi e sorrido per il fatto che stia deliberatamente ignorando la sua riunione e stia cazzeggiando con me al telefono.

E allora dovresti smetterla di scrivermi 

Non voglio che tu abbia altri problemi  
con tuo padre a causa mia

 

Abbiamo parlato un paio di volte dei problemi che ha con suo padre, ma entrambe le volte ha troncato a metà il discorso, dicendo che non vuole sentir parlare di lui. Mi dispiace sentirlo parlare così e vorrei poter fare qualcosa per lui, come lui lo ha fatto per me, vorrei poter trovare un modo per far sì che Harry possa migliorare il rapporto burrascoso che ha con il padre.

Non m'importa di lui 
M'importa di te

Io voglio andarci piano ed è per questo che non abbiamo definito niente nel nostro rapporto. Entrambi abbiamo situazioni difficili alle spalle e abbiamo stabilito che non ci sia niente di deciso tra di noi, che vediamo come va senza porci domande sul futuro, che spaventa entrambi, ma se mi dice certe cose, mi diventa difficile restare con i piedi per terra, e sto per rispondergli, ma mi fermo quando vedo che sta scrivendo ancora.

Devo andare

Il suo stato torna offline, un po' come il mio cervello dopo questo scambio di messaggi. Non so per quale motivo abbia abbandonato la conversazione, ma sono grata che l'abbia fatto... io davvero non sapevo cosa dire. Quando fa così mi trovo completamente spiazzata e, se dessi retta solamente all'istinto, anch'io starei salendo in macchina per correre da lui.

Poso il cellulare sulla scrivania dopo aver bloccato il display e mi porto entrambe le mani sugli occhi, strofinandoli leggermente, mentre cerco di riprendermi mentalmente, ma anche fisicamente, dall'effetto che hanno sempre le sue parole su di me.

Harry è il mio terremoto personale: arriva, fa crollare tutto, poi, esattamente come è arrivato, se ne va, lasciandomi lì a cercare di capire cosa sia successo, con la conseguente consapevolezza che, l'unica cosa che mi è successa, è Lui.

***

Harry

«Cazzo!»,  borbotto a denti stretti, sperando di non essere sentito.

«Come?» Mio fratello si avvicina e mi chiede a bassa voce cosa abbia appena brontolato.

«No, niente», sussurro a mia volta.

«Puoi almeno provare a fare finta che ti interessi stare qui?», mi chiede, quasi come una supplica, e non posso dirgli di no. Non a lui.

«Scusa», gli dico, rimettendo a posto il cellulare nella tasca interna della giacca.

Non mi frega un cazzo di questa riunione, anche se dovrebbe. Mio padre e mio fratello sono i pilastri di questa società e io non faccio altro che abusare della loro pazienza, soprattutto di quella di Jordan, ma oggi, più di ogni altro giorno che ho passato chiuso tra le pareti di questa sala riunioni, non sopporto restare qui.

Vorrei poterle dare lo spazio che abbiamo deciso di darci a vicenda, ma non riesco a farlo quando lei si allontana da me come fa sempre, come stamattina e come altre volte in cui il momento di separarci diventa troppo somigliante ad un addio e lei torna ad essere fredda. Ed è per questo che con gli ultimi messaggi mi sono lasciato andare. Troppo, a dire la verità e, per evitare di fare ulteriori danni, ho dovuto interrompere la nostra conversazione. Mi stavo sbilanciando, e non voglio farlo. Lei non è pronta a sentirlo, io non sono pronto a farlo, ma so che la voglio più di quanto abbia mai voluto qualcosa in vita mia.

E poi c'è il peso del segreto che mi sto tenendo dentro. Ciò di cui sono venuto a conoscenza mi sta divorando il cervello e so che devo parlarne con Kurt il più in fretta possibile.

«E tu cosa ne pensi, Harry?» La voce grave di mio padre mi riscuote dalle mie paranoie.

Non ho sentito un cazzo, non so di cosa stessero parlando, ma ho sempre la mia risposta pronta, quella che molte volte mi ha salvato il culo. «Io sono d'accordo con Jordan», dico, e poi vedo mio fratello alzare gli occhi al cielo mentre tenta di non farsi notare dal resto del consiglio.

Vorrei dirgli che mi dispiace di essere un fratello così stronzo, ma oggi ho un paio di ottimi motivi per non partecipare alla riunione - la prima volta che succede a dire la verità - e mi piacerebbe parlarne anche con lui, ma non è ancora arrivato il momento per farlo.

Prima devo riuscire a gestire quello che sento e quello che provo. Non voglio farla scappare, ma neanche voglio farmela scappare, voglio avvicinarmi a lei, ma devo anche ammettere che ho paura, perché Chloe è ancora molto fragile, potrebbe scappare e abbandonarmi come hanno fatto già troppe persone.

Non lo sopporterei, non più, non con lei, che sembra essere diventata una presenza indispensabile nella mia vita.

Il flusso inarrestabile dei miei pensieri viene interrotto dai movimenti dei membri del consiglio che si alzano dalle loro sedie. Deduco che la riunione sia finita, quindi mi alzo anch'io cercando di passare inosservato agli occhi di mio padre, e stavolta ci riesco perché è troppo impegnato a parlare con l'amministratore delegato per degnarmi della sua attenzione, così mi confondo con le persone che stanno lasciando la sala e torno verso il mio ufficio, ma prima mi fermo per l'ennesima volta fuori dall'ufficio di Dylan per guardarlo ancora.

Dovrei parlare anche con lui, ma questa cosa è surreale, e non sono in grado di affrontarla da solo, ho bisogno di un aiuto o quantomeno di un consiglio.

«Signor Stevens?» Una voce, decisamente troppo acuta, attira la mia attenzione e mi volto.

«Che c'è, Alfred?», gli domando quando vedo che mi sta osservando come se potessi risolvere il problema della fame nel mondo.

«Il mio nome è Albert...», mi dice imbarazzato.

«Sì... fa lo stesso. Cosa vuoi Alfred?» Sembra infastidito, però non ho certo tempo da dedicare a lui.

«Avrei questi documenti da farle firmare». Mi mostra i fogli che ha in mano, ma io non ho alcuna intenzione di perdere tempo con queste stronzate ora.

«Lasciali alla mia segretaria, grazie, Arthur». Mi volto, cammino svelto verso il mio ufficio e mi sembra di sentire ancora la sua voce da lontano, ma non gli do retta, perché in questo momento ho bisogno di fare una telefonata.

Mi chiudo la porta alle spalle e vado verso la mia scrivania, mi siedo, prendo il cellulare e cerco il contatto di Kurt per poi far partire la chiamata.

'Il cliente da lei chiamato...'

«Cazzo!» Impreco ad alta voce, per poi bloccare lo schermo e lanciare malamente il telefono sulla scrivania; vorrei anche dirne un'altra decina, ma qualcuno bussa alla mia porta.

«Avanti!», dico con il mio solito garbo, e la persona che entra è proprio colui da cui mi stavo nascondendo, mentre l'imprecazione di poco fa, continua a girare a ciclo continuo nella mia testa.

«È tutto ok?», mi domanda camminando verso di me, guardandomi con un'espressione confusa. 

«Sì, Dylan, è tutto ok.» Sono sfuggente con lui e so che se n'è accorto, ma che cosa mai gli potrei dire?

«Beh, non sembra... ho fatto qualcosa di sbagliato?», mi chiede, non appena arriva esattamente di fronte a me.

«No, Dylan, non hai fatto assolutamente niente di sbagliato, ti assicuro che è tutto ok». Sembro un dannato disco rotto, ma non so cosa diavolo dirgli.

«Hai discusso di nuovo con tuo padre?», mi chiede incerto, e io non posso fare altro che attaccarmi alle sue parole, pur sapendo che sto per mentirgli.

«Lo sai come fa, no?» Evito di entrare nei dettagli perché è già difficile intrattenere questa conversazione, se inventassi qualche stronzata, di sicuro me la dimenticherei.

«Non capisco perché non vuoi deciderti a dargli una possibilità...» Lo guardo mentre parla, lo guardo... e so che potrei demolire tutte le sue certezze da un momento all'altro, e mi sento un tale vigliacco... «Senti... ti ho portato questi...», non mi ero nemmeno accorto che avesse dei fogli in mano, che ora mi sta porgendo, «me li ha dati Albert, dovresti firmarli». Non commento ulteriormente, non ne sarei capace in questo momento.

«D'accordo». Li prendo e li sfoglio senza guardarli davvero.

«Torno dopo», mi dice Dylan, prima di uscire dal mio ufficio con una strana espressione in viso.

Mi sento uno schifo a tenergli nascosto quello che so, ma non posso parlare con lui, non ancora.

Resto a guardare le porte chiuse, perdendomi con lo sguardo a fissare un punto indefinito, poi la suoneria del mio cellulare mi riscuote. Lo afferro e tiro un sospiro di sollievo quando leggo il nome di chi mi sta chiamando.

«Kurt!» rispondo in fretta.

«Mi hai cercato?», mi chiede con un tono di voce decisamente troppo tranquillo per i miei gusti.

«Dobbiamo parlare», gli dico, poggiando la schiena all'indietro. 

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Capitolo 37
*** Sarà un completo disastro ***


Harry

È surreale.

Non dovrei essere seduto alla scrivania del mio ufficio mentre tengo tra le mani alcune notizie sul mio amico d'infanzia e ne parlo al telefono con un ragazzo che, dopotutto, per me è solo un estraneo.

Eppure lo sto facendo. Ho indagato su Dylan Evans, mio compagno di scuola da sempre, collega di lavoro, amico fidato, e ne sto discutendo con il migliore amico di Chloe, decidendo insieme a lui cosa fare delle notizie di cui siamo venuti a conoscenza.

«Ti prego, ripetilo, perché mi sembra una cosa assurda», mi chiede Kurt incredulo.

Ho faticato a crederci anche io e mi schiarisco la voce per poi riprendere a parlare. «Kelly, la madre di Dylan, non è mai stata sposata e non ha perso nessun marito in nessun incendio. Lui porta il cognome della madre, anche se non sembrerebbe, perché lei l'ha cambiato dopo che è nato il figlio. E, cosa ancora più pazzesca, prima che nascesse il mio amico, lei ha lavorato per un anno a Montréal, poi, senza alcun preavviso, ha chiesto il trasferimento...»

È la seconda volta che gli spiego quello che ha scoperto il detective che ho ingaggiato e, anche stavolta, dopo aver finito di parlare, sento assoluto silenzio dall'altra parte.

Le certezze del mio amico crollerebbero una dopo l'altra, se gli rivelassi che sua madre non è mai stata sposata e che suo padre non è morto in un incendio, probabilmente non è nemmeno morto, e il cognome che porta non è quello del suo eroico padre.

«Harry... l'investigatore ha scoperto dove lavorava Kelly?» Sento la voce di Kurt ancora incerta e posso sentire anche una certa dose di preoccupazione.

«Sì, aspetta te lo leggo...» Sfoglio il piccolo dossier tra le mie mani fino ad arrivare alla pagina che parla del suo lavoro a Montréal. «Si tratta di una banca, esattamente...»

«Bank of America...» Resto sorpreso da quello che dice Kurt interrompendomi.

«Come lo sapevi?», gli domando, posando i fogli sulla scrivania mentre mi sento decisamente confuso.

«Perché è la banca dove lavora da una vita il padre di Dylan... Il signor Peters...»

«Cazzo!»

Poi cala il silenzio, mentre io e Kurt iniziamo a trovare il posto giusto a tutti i tasselli di cui stiamo venendo a conoscenza. Credo che ormai sia chiaro il legame tra tutti i pezzi, ma ancora non riesco a farmene una ragione. È assurdo e io non riesco a fare altro che continuare a scuotere leggermente la testa incredulo. Per quanto vorrei con tutte le mie forze, che tutto questa fosse solo una serie di coincidenze, credo non lo sia, ma l'unico modo per averne conferma, per essere sicuro al cento per cento di ciò che la mia mente sta elaborando, è tornare a parlare con Kelly e, stavolta, non con domande casuali e ipotetiche.

«Che cosa facciamo adesso, Harry?», mi domanda Kurt, come se io davvero fossi in grado di trovare una soluzione.

Né io, né Kurt abbiamo formulato ad alta voce la nostra ipotesi, ma non credo ce ne sia bisogno. «Adesso vado a parlare con Kelly, poi vedremo». Non voglio sganciare questa bomba in testa al mio amico - e non solo su di lui - senza aver in mano tutte le carte per poter valutare ogni possibile conseguenza. Ci sono altre persone coinvolte in tutto questo, non posso agire d'istinto. 

«Dobbiamo dirlo a Chloe...»

«No!», rispondo velocemente, interrompendo Kurt. «No... non ancora...» Ho paura di rovinare ogni progresso che lei ha fatto finora. «Lasciami prima scoprire il resto, poi glielo dirò». Ho bisogno di prendere tempo, un po' per sapere esattamente come stanno le cose, un po' per capire come dirlo a lei senza distruggere le certezze che sta cercando di costruirsi a fatica.

«Harry, lei deve saperlo». So che ha ragione, so che devo dire a Chloe quello che ho scoperto, ma non ora.

«Glielo dirò... voglio essere io a dirglielo...» Sento Kurt sospirare dall'altra parte del telefono e devo fare qualcosa per convincerlo. «Ascolta, non abbiamo ancora la certezza matematica di niente. Lasciami il tempo di parlare con Kelly, poi glielo dirò». Kurt resta per un attimo in silenzio. Un silenzio che mi fa dubitare di essere stato abbastanza convincente, quindi insisto. «Kurt, ascoltami... non l'hai vista com'era con Dylan. Parlava e sorrideva con lui come se niente fosse, come se davanti a lei avesse un ragazzo qualunque. Sta iniziando a riprendersi, lo sta superando, non posso distruggerla proprio ora, non fino a che non so realmente come stanno le cose. Ci tengo a lei, non voglio che soffra». Credo ad ogni singola parola che ho detto e spero che mi ascolti, perché non posso permettere che Chloe sprofondi di nuovo nel buio, non adesso che ha davvero afferrato la mia mano e non la sta lasciando andare.

«Nemmeno io voglio che soffra, Harry, vorrei solo che fosse felice, ma questa cosa è troppo grande da tenere nascosta, lo capisci?» Anche stavolta so che ha ragione, ma sono egoista e vigliacco e non voglio cedere su questo.

«Lo capisco, Kurt, più di quanto immagini, ma ti prego... lascia che glielo dica io...» Provo ancora la carta della disperazione, sperando di impietosirlo e lasciarmi la possibilità di decidere come e quando parlare a Chloe di questa cosa.

Lui sospira pesantemente, probabilmente sta valutando mentalmente le sue opzioni, e io decido di lasciargli il suo tempo. Credo di aver insistito abbastanza. «Ok, Harry, lascio a te la decisione, ma devi dirglielo al più presto». Tiro un sospiro di sollievo quando si arrende alla mia richiesta e chiudo immediatamente il dossier sulla scrivania.

«Grazie, Kurt», gli dico, mettendo quei fogli in un cassetto della mia scrivania, che chiudo a chiave.

«Sento che sarà un disastro!», dice Kurt. «Ricordati che sarà tutta colpa tua», dice ancora, ma sono certo che stavolta il suo tono di voce sia molto meno serio di poco fa.

«Non preoccuparti per questo, ci sono abituato», gli dico, pensando a mio padre.

«A parte gli scherzi, Harry, questa cosa rimarrà tra me e te fino a che non lo saprà anche Chloe. Non ne farò parola nemmeno con Hazel, ma tu devi dirglielo!» Capisco perfettamente il suo punto di vista e, probabilmente, mi comporterei come lui se fossi al suo posto, ma io non sono lui e voglio gestire le cose a modo mio.

«Lo farò, ora vado. Ti chiamo io». Anche Kurt mi saluta, poi riaggancio, e resto a fissare per qualche istante un punto indefinito di fronte a me, mentre tento di mettere in ordine le idee, pensando bene a cosa devo fare in questo momento, e non ho dubbi sulla prossima mossa.

Infilo la chiave del cassetto in tasca insieme al cellulare, prendo il cappotto ed esco dal mio ufficio camminando a passo deciso verso l'ufficio del mio amico. Lo trovo intento a lavorare, come sempre, e la mia presenza attira subito la sua attenzione.

«Non dirmelo!», mi dice rassegnato, dopo avermi visto con addosso il mio cappotto, e aver capito al volo le mie intenzioni.

«Si tratta solo di un'ora, faccio in fretta. Grazie Dylan», gli dico, ma non aspetto la sua risposta e lo sento borbottare qualcosa mentre mi allontano dal suo ufficio.

Lui immagina di dovermi coprire il culo per le mie solite fughe dal lavoro, non immagina minimamente dove io stia andando e il motivo per cui lo stia facendo. Passo davanti a Rebekah e mi fermo per avvisare anche lei.

«Reb, ho dimenticato di dire una cosa importante a Kelly quando sono andato da lei l'altro giorno e se mio padre lo scopre mi rompe i coglioni, quindi sto andando a rimediare, ma ti prego di non farne parola con nessuno, se qualcuno mi cerca chiama Dylan». Rebekah annuisce in silenzio, rassegnata anche lei alle mie uscite non previste.

Non hanno quindi alcun sospetto mentre io sparisco dall'ufficio per un po'. Percorro il corridoio fino al fondo, prendo l'ascensore per arrivare fino al piano terra, dove attraverso tutto l'atrio ed arrivo in strada. Mi è capitato poche volte di aver un estremo bisogno di aria, ma questo è uno di quei giorni. Inspiro, quindi, una grande quantità d'aria, poi m'incammino verso la stazione della metro per arrivare alla filiale della banca dove lavora Kelly.

Quando mi siedo sul sedile del mezzo pubblico, non faccio altro che chiedermi come le parlerò, cosa le dirò, in che modo lei reagirà, e se io sono davvero pronto a sentirle dire ciò che la mia mente ha già realizzato.

Poggio i gomiti sulle ginocchia, piegandomi leggermente in avanti, e infilo le mani tra i capelli, stringendoli alla radice per il nervosismo che sembra aumentare proporzionalmente al mio avvicinamento al luogo di lavoro di Kelly.

È poi la vibrazione del mio telefono a distogliermi dai miei pensieri. Lo prendo dalla tasca interna della giacca e sorrido come un ragazzino nel leggere il suo nome sul display.

Ho appena finito di preparare la valigia 

Ci vediamo prima che io parta?

 

Il mio sorriso si fa ancora più ampio nel leggere le sue parole: ancora continua a credere che io stia scherzando sul fatto di partire con lei e mi sta bene così. Sono impaziente di vedere la sua faccia quando mi vedrà davvero all'aeroporto, credendo che io voglia fare l'idiota, per poi rendersi conto che realmente partirò con lei per Madrid. Dio! Non vedo l'ora di andarmene da qui con Chloe, anche se è solo per lavoro, ma saremo solamente io e lei.

È la prima volta che sei tu a chiedermi di vederci 
Dovrò segnarlo sul calendario 
Ti ricordo che anche la mia valigia è pronta. 
Possiamo partire quando vuoi

E torno a realizzare che quello di cui sto per parlare con Kelly, dovrò dirlo anche a lei, e non sarà affatto facile.

Tu no eres molesto, sino aburrido.

Al mio corpo succede qualcosa quando lei parla spagnolo. È successo dalla prima volta in cui l'ho sentita casualmente parlare al telefono. Il suo modo di pronunciare le parole in quella lingua mi manda fuori di testa, anche solo quando le leggo, perché so che provengono da lei.

Apro immediatamente una pagina del browser, poi cerco la traduzione in inglese e sorrido ancora quando scopro cosa significa.

Non sono più irritante, ma sono diventato noioso... 
Sai bene che sono tutto tranne che noioso

Pensare di doverle dare queste notizie mi rende particolarmente agitato. In questo periodo il suo equilibrio è piuttosto precario e, pensare che potrei essere io a distruggerlo, non mi fa sentire bene.

È un sì?

La sua domanda è un chiaro tentativo di evitare l'argomento, ma fa bene anche a me troncare questa conversazione, perché ormai sono arrivato a destinazione, e non posso permettermi di pensare a lei adesso.

È un sì... 
Ti chiamo più tardi

Blocco il display e metto nuovamente il telefono in tasca, poi mi alzo per avvicinarmi alle porte d'uscita. Cammino lentamente, non sorpasso nessuno sulle scale mobili, e ritorno a prendere una grande quantità d'aria quando sono di nuovo in superficie. Senza fretta mi avvicino all'ingresso della banca, come l'altra volta lancio uno sguardo veloce ai cassieri, poi mi reco al piano di sopra e arrivo fino davanti al suo ufficio.

Kelly è al telefono, girata di spalle. Sta scrivendo qualcosa su un foglietto, poi chiude la comunicazione, si volta e nota la mia presenza, al che mi sorride, e mi fa cenno con una mano di entrare.

Le sorrido anch'io, anche se credo mi sia uscita più una smorfia che un sorriso, poi abbasso la maniglia e apro la porta, entrando all'interno della piccola stanza. «Ehi, ciao Harry, ho per caso dimenticato qualcosa?», mi chiede, non appena sono davanti alla sua scrivania.

La sua espressione è tranquilla e non sospetta minimamente ciò che sono venuto a fare qui oggi. «In un certo senso sì», le dico, per poi prendere posto sulla sedia riservata ai clienti.

Lei mi guarda con aria interrogativa. «Eppure mi sembrava di aver rispettato tutte le consegne che mi ha segnato Jordan...», si volta velocemente verso il monitor, «dammi un minuto che controllo...»

«Non si tratta di lavoro, Kelly». Lei si ferma immediatamente e mi guarda con aria ancora più confusa, aspettando che io continui. «Si tratta di Montréal».

È ovvio che io abbia colto nel segno, si è completamente irrigidita, i suoi occhi sembrano più grandi, e preme strette le labbra tra di loro, mentre il suo sguardo è più che preoccupato. «Cosa... che intendi?», mi chiede poi, lasciando perdere il monitor del computer.

«Credo che tu lo sappia», le dico, cercando di restare più neutrale possibile.

«Hai indagato su di me, Harry?» Sembra che la cosa la tocchi parecchio, visto che il suo viso si sta colorando di una leggera sfumatura di rosso.

«Kelly non prendertela, ho dovuto farlo...»

«Hai dovuto?!», mi chiede, alzando la voce, mentre la sua postura diventa sempre più rigida. «Che significa che hai dovuto?» So che non devo arrabbiarmi con lei e comprendo bene la sua reazione, perché credo stia solo cercando di proteggere suo figlio, ma devo approfondire questo argomento adesso.

«Sì, Kelly, ho dovuto. Il padre di Dylan non è affatto morto, non è vero?», le domando a bruciapelo, ed è in quel momento che i suoi occhi si spalancano a causa delle mie parole.

Sembra sconvolta, sembra quasi che non riesca a respirare, come se l'avessi colta sul fatto, e le lascio qualche momento per riprendersi dalla sorpresa e rispondere.

«Il padre di Dylan è morto...», mi guarda come a volermi intimare il silenzio solo con lo sguardo e, un'altra volta, le lascio il suo spazio per potersi esprimere, «non fisicamente, ma per me è morto.» Cazzo! Le cose non si mettono affatto bene e la mia ipotesi prende sempre più forma non appena lei pronuncia quelle parole. «Perché me lo stai chiedendo, Harry? Perché hai indagato su questa storia?» Dovrei parlarle di Chloe e di tutto il resto, e probabilmente sarebbe la cosa più giusta da fare, ma mento.

«Perché è giusto che la verità venga a galla, Kelly, perché Dylan merita di sapere come stanno le cose». Il mio amico ha un padre, quello che ha sempre voluto, e lui non ne è a conoscenza.

«Quale verità merita di conoscere Dylan? Che ha un padre che non lo voleva, che il suo padre eroe non esiste, che ho dovuto cambiare cognome per potergli dare il mio, per dargli l'illusione che avesse un padre che lo amava?» Il suo tono di voce si alza ad ogni parola e il suo colorito, adesso, è di un rosso intenso.

«Kelly non ti sto accusando, credimi. Voglio solo capirci qualcosa», le dico, con un tono di voce calmo e rassicurante.

«Perché, Harry? Perché hai dovuto tirare fuori questa storia?» Sembra calmarsi e mi dico che forse posso dirle qualcosa per farle capire la mia buona fede.

«Perché un ragazzo è morto, e potrebbe essere il fratello di tuo figlio», le dico, guardandola negli occhi, mentre i suoi si aprono a dismisura. Mette una mano davanti alla bocca e trattiene il fiato.

«Aspetta... di chi stai parlando?», mi chiede lei, sporgendosi in avanti, per poi appoggiarsi con i gomiti sulla scrivania.

«Kelly, ho bisogno che mi racconti cos'è successo prima che nascesse Dylan...» Lascio la frase in sospeso e resto in attesa della sua reazione, che non tarda ad arrivare.

Prende un gran respiro, poi inizia il suo racconto. «Ero stata trasferita a Montréal per un periodo che doveva andare da uno a tre mesi, ma mentre ero lì ho conosciuto un uomo, me ne sono innamorata, credevo che anche lui amasse me, e il mio trasferimento temporaneo è diventato definitivo. Ho chiesto di restare lì e mi è stato concesso. Sapevo che lui era sposato, ma continuava a ripetermi che non era felice con la moglie, che era solo questione di tempo e che avrebbe divorziato, e io gli credevo...» Si ferma un attimo, probabilmente sopraffatta dai ricordi, ma non voglio insistere adesso, quindi le lascio altro tempo, fino a che riprende spontaneamente a parlare. «Gli credevo, anche se sapevo che aveva avuto da poco un figlio... un figlio di cui parlava con aria sognante... avrei dovuto immaginare che erano tutte bugie, ma io lo amavo davvero... Un giorno ho scoperto di essere incinta e, quando ne ho parlato con lui, mi ha detto che... mi ha detto che non avremmo mai potuto avere un futuro e... e di liberarmene...» Sentire le sue parole è stato terribile. Scoprire quello che ha dovuto passare mi fa sentire stronzo nei suoi confronti, per averla costretta a raccontarmelo.

«Dio! Kelly, mi dispiace...», le dico, senza ben sapere cosa fare.

«Non è colpa tua, Harry... io non avevo alcuna intenzione di abortire, ma non volevo restare lì un giorno di più. Ho voluto troncare con lui ogni contatto e ho chiesto il trasferimento immediato. Mi hanno mandato qui a Boston e, quando ho saputo di aspettare un maschio, non ho potuto fare altro che dargli lo stesso nome di suo figlio, era come avere ancora un po' di lui con me.» Ed è in quel momento che ogni pezzo va perfettamente al suo posto, credo ormai di non aver nemmeno bisogno di sentire il cognome di quell'uomo. «Nonostante tutto, il sentimento che ho provato per quello stronzo che mi ha abbandonata, non se n'è mai andato e, quando mi parlava di suo figlio Dylan, sembrava che il suo cuore volasse. Ho voluto dargli lo stesso nome per ricordarmi di quanto sia stata stupida e di quanto gli avrebbe voluto bene se le cose fossero andate diversamente».

«Perché hai raccontato a Dylan quelle storie su suo padre?», le chiedo curioso.

«Sarebbe cresciuto senza padre, non volevo che avesse anche dei sentimenti negativi nei suoi confronti. Ho pensato che fargli credere che fosse un eroe, gli avrebbe fatto sopportare meglio quella mancanza. Per questo gli ho raccontato la bugia dell'incendio, così avrei potuto giustificare il fatto di non avere nemmeno una foto». È evidente quanto stia soffrendo mentre mi racconta queste cose. «Non credere che sia stato facile per me dovergli mentire. Ho passato mesi e mesi a trovare un modo per rendergli le cose meno dolorose e ogni volta che lo guardo vedo un ragazzo sereno, del resto non m'importa».

Sento l'orgoglio di una madre ferita, l'affetto che prova per suo figlio, e il dolore che sente quando gli mente. Sento la rabbia nei confronti di un uomo che non si è comportato come tale e la paura che il suo castello di sabbia crolli da un momento all'altro, ma c'è ancora una cosa che ho bisogno di sapere, una cosa che toglierà anche il più insignificante dubbio.

«Kelly... qual è il cognome di quell'uomo?», le domando guardandola negli occhi.

Vedo una scintilla nel suo sguardo, qualcosa che vorrebbe dimenticare, ma per fortuna decide di parlare. «Si chiama Ethan Peters...»

«Cazzo!» Lei mi guarda attenta mentre io mi alzo in piedi, incapace di restare ancora seduto.

«Cosa c'è, Harry?», mi chiede, ansiosa di conoscere la risposta.

«Dylan Peters, il figlio dell'uomo sposato con cui hai avuto una relazione, è morto qualche mese fa in un incidente con la moto...» Lei si porta una mano davanti alla bocca, spalancando gli occhi e non trattenendo più le lacrime.

Kelly è travolta da un mare di emozioni e, anche se non lo sto dimostrando, anche io sono decisamente sconvolto. Il mio amico d'infanzia è fratello dell'ex ragazzo di Chloe, ecco spiegata la somiglianza, ma adesso come lo spiego a loro due? Come posso stravolgere di nuovo le loro vite? Con che coraggio posso distruggere le illusioni di Dylan e la ritrovata serenità di Chloe?

Resto in piedi vicino alla finestra che dà sulla strada e mi lego i capelli, per evitare di continuare a passarci le mani in mezzo per la frustrazione. «Come cazzo glielo dico adesso?», dico a me stesso, pensando a Chloe e alle conseguenze che questa notizia potrebbe avere su di lei.

«No, Harry, non dirgli niente». La voce di Kelly è subito dietro di me, mi volto e lei è lì, a guardarmi implorante, e sono certo che si stia riferendo a suo figlio. «Non voglio che Dylan sappia nulla di questa storia».

Aggrotto le sopracciglia mentre la guardo. «Lui ha diritto di saperlo, non è più un bambino, credi che non sarebbe in grado di affrontarlo?», le domando.

«Non è questo, sono certa che sarebbe in grado di affrontarlo, ma... ma ho paura che mi odierebbe per avergli mentito per tutto questo tempo». Il suo sguardo continua ad implorarmi, ma io non voglio che questo segreto rimanga tale.

«Kelly, lui deve saperlo, o glielo dici tu o glielo dico io. Non mi piace mentirgli, non lo merita». Dylan si è sempre schierato dalla mia parte, non posso ricambiarlo tenendogli nascosta una parte così importante della sua vita.

Lei sospira, poi mi guarda. «Ok, ma voglio essere io parlare con lui, voglio che senta dalla mia voce come sono andate le cose, dammi solo qualche giorno». Resto a guardarla, pensando se è giusto dover aspettare qualche giorno per dirglielo. «Per favore», mi chiede ancora, con un'espressione incredibilmente sofferente, alla quale non posso dire di no, anche perché capisco perfettamente quello che mi ha appena chiesto.

«Ok, ma non far passare troppo tempo». Lei annuisce incerta, poi si asciuga gli angoli degli occhi ancora bagnati dalle lacrime e non posso evitare di abbracciarla prima di lasciare il suo ufficio. Mi sono messo nei suoi panni e capisco la sua posizione, che è, più o meno, la stessa che ho io nei confronti di Chloe, e mi rendo conto di quanto sia difficile per lei dover dire la verità.

Sarà un completo disastro.

************

Chloe

«Non importa se non mi credi, ho fatto la valigia e ho chiamato Harry, questo è quanto!», dico soddisfatta di me stessa a Kurt.

Mi ha chiamata lui, ma non ho ben capito il motivo della sua telefonata, anche se, alla fine non è così importante il perché mi abbia chiamata. Avevo voglia di sentirlo, mi manca.

«Harry ti fa decisamente bene se hai anche preparato la valigia in anticipo». Non c'è alcun velo di malizia o provocazione nel suo tono di voce, ma è solo una chiara constatazione della realtà.

«Hazel mi ha detto la stessa cosa oggi? Non è che vi siete messi d'accordo?» Quando l'ho chiamata le ho raccontato le novità e sentirla sinceramente felice per me, mi ha caricato di ottimismo e positività.

«Ti ha detto la stessa cosa perché è la verità». So bene quanto lui tifi per Harry, cosa che fa anche Hazel, ma sentirglielo dire così chiaramente mi mette ancora un po' di difficoltà. «E piantala di farti quelle paranoie, perché so che te le stai facendo Cleo. Harry va bene, ti fa stare bene, e non deve essere un problema per nessuno, questo devi ricordartelo sempre, capito?» Le parole di Kurt hanno sempre un'ottima influenza su di me e, spontaneamente, sorrido, anche se lui non può vedermi.

«Kurt, mi ricordi perché sono tua amica?», gli chiedo, per smorzare un po' la tensione, che sembra essersi venuta a creare nella mia testa dopo le sue parole.

«Non sto scherzando, piccola Cleo, Harry è ciò che di meglio ti potesse succedere». Resto in silenzio, perché quello che il mio migliore amico mi ha appena detto, mi ha toccato il cuore... perché so che è la verità. «E sei mia amica perché io sono il migliore». Fortunatamente, però, riesce a riportare la conversazione su un piano più leggero, e io lo ringrazio mentalmente per questo.

«Lo sei, Kurt», gli dico sincera, cercando di fargli sentire con queste parole, quanto lui sia importante per me.

«Cazzo, Chloe, quando torni per Natale ho intenzione di sequestrarti, non immagini nemmeno quanto mi manchi!» Non trattengo una lacrima non appena lui pronuncia la sua dichiarazione d'amore per me, perché questa, senz'altro, lo è.

«Mi hai fatto piangere, Kurt», ammetto con voce tremante.

«Ben ti sta, così impari, per tutte le volte che mi hai fatto piangere tu». Sorrido alle sue parole e so che non pensa davvero ciò che ha appena detto.

L'amicizia con Kurt e Hazel è una delle cose migliori che mi potessero capitare nella vita, devo molto a loro due e spero, un giorno, di poter ricambiare tutto ciò che hanno fatto per me.

«Adesso devo andare, Kurty...», gli dico, quando mi accorgo che è ormai arrivata l'ora di uscire.

«Lo so, piccola Cleo. Stasera non pensare a niente... nemmeno a me...», sorrido ancora per la sua finta presunzione e mi stringo un po' di più nel mio maglione mentre resto ad osservare le lucine sopra al mio letto.

«Ci proverò», gli rispondo, poi ci salutiamo e vado a darmi una sciacquata alla faccia con l'acqua fredda prima di uscire. Non voglio che Harry si accorga che ho pianto, non voglio che nessuno lo sappia.

Voglio che tutti sappiano che sto bene, perché è la pura verità.

Da quando mi sono decisa a dare una possibilità a me e Harry, mi sento un'altra; più positiva, più ottimista, meno depressa, ma senza mai mettere il mio ricordo in un angolo. Non dimentico niente, ma hanno ragione quando dicono che devo andare avanti, e io ci sto provando. Per questo motivo, stasera, invece di stare in casa come facciamo sempre, ho acconsentito ad uscire. 

Voglio stare con lui in mezzo alle persone e non importa se verranno a saperlo. So che lui sarà al mio fianco, il resto posso affrontarlo.

Scendi

Il messaggio di Harry mi distoglie dai miei pensieri. Gli rispondo, poi mi infilo le scarpe, indosso il cappotto e la sciarpa, alla fine chiudo la porta alle mie spalle, dopo aver preso chiavi e cellulare, e scendo con un gran sorriso sulle labbra. È seduto al volante della sua auto, sulla quale salgo, e faccio appena in tempo a chiudere lo sportello che subito afferra il mio viso con entrambe le mani per baciarmi con un'intensità tale da togliermi il fiato.

Un bacio travolgente, carico di passione e di desiderio, ma quello che mi trasmette è anche rassicurazione, è come se mi stesse promettendo che lui c'è e ci sarà, e io non posso fare altro che assaporare le sue labbra, che sanno di lui, che sanno di promesse e di futuro, mentre sento le sue dita fare una leggera pressione sul mio viso e i suoi anelli strofinare appena la mia pelle. Le mie mani agiscono quasi da sole, aggrappandosi alla sua maglia che afferro attraverso l'apertura del cappotto. Mi sto aggrappando a lui, fisicamente e metaforicamente, fino a che, a corto di fiato, si allontana leggermente, quel poco che gli serve per guardarmi negli occhi.

«Sei sicura di voler uscire?», mi chiede, con una tenerezza che non gli appartiene.

«Sì, Harry... e tu?», chiedo a mia volta, tenendo gli occhi fissi nei suoi, che sembrano piacermi sempre di più.

«Sarei rimasto volentieri a casa...», un bacio, «sul divano...», ancora un bacio, «sotto le lenzuola...», un altro ancora, «o anche sopra...», le sue labbra ancora sulle mie e, se continua così, non so se riuscirò ancora a mantenere il controllo, ma poi il suo telefono inizia a suonare ed entrambi non riusciamo a trattenere una piccola risata per l'interruzione.

Si allontana da me lentamente, anche le sue mani scivolano via dal mio viso con una lentezza straziante, mentre il suo cellulare continua a suonare, ma i suoi occhi non perdono i miei nemmeno un attimo. Prende il telefono dalla tasca del cappotto e lo porta all'orecchio, dopo aver fatto scorrere il dito sul tasto virtuale di risposta.

«Che c'è, Larry?», chiede restando a guardarmi, mentre io sono ancora voltata verso di lui. «Stiamo arrivando», dice ancora, poi allunga la mano verso il mio viso e sistema una ciocca di capelli. «Ok, ciao». Chiude la comunicazione, ma non smette di guardarmi, e io non mi sono mai sentita meglio di così. «Ci stanno aspettando», mi dice sorridendo.

È la prima volta che usciamo con i suoi amici, e io mi sento elettrizzata. «Ok», gli rispondo, e so che lui vorrebbe davvero restare a casa, ma ho bisogno di affrontare anche questa cosa, e non lo ringrazierò mai abbastanza per la pazienza che sempre mi dimostra. 

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Capitolo 38
*** Sì, mia ***


Mi sento carica di energia positiva, senza alcuna ombra ad oscurare il mio stato d'animo, ma non potrebbe essere diversamente, dato che questo breve tragitto in auto con Harry è stato tutt'altro che silenzioso. Harry non ha fatto altro che cantare dal momento in cui ha acceso la radio e non ricordo neanche quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ho riso così di gusto - se escludo la partita a bubble soccer - per il suo modo strampalato e stonato di cantare. L'altra volta che l'ho sentito canticchiare in macchina non me n'ero accorta, forse perché l'aveva fatto sottovoce e non ha canticchiato più di qualche parola, ma stasera sembrava particolarmente ispirato e ho potuto cogliere ogni stonatura, di ogni strofa, di ogni canzone che è riuscito a rovinare.

«Spero che tu non abbia mai cantato in pubblico», gli dico, prima di aprire lo sportello della sua auto.

Siamo arrivati e mi sento emozionata, come se non fossi mai uscita in compagnia di qualcuno. So che è stupido perché è solo una semplicissima uscita tra amici, ma per me è molto di più, come credo lo sia anche per Harry, perché entrambi stiamo mettendo in gioco i piccoli traguardi che abbiamo raggiunto insieme.

«Scherzi? Sono uno dei più acclamati al karaoke!», risponde lui, mentre scende e chiude lo sportello, e io sorrido per la sua battuta, poi lo seguo fino all'entrata del pub.

«Beh, di sicuro senza di te non sarebbe la stessa cosa», mi lascio sfuggire, poco prima che lui appoggi la mano sulla porta.

Harry si ferma e si volta con un gran sorriso compiaciuto sulle labbra. Resto immobile di fronte a lui e sento sempre lo stesso battito accelerato quando mi rivolge quello sguardo.

«Stewart mi hai appena fatto un complimento?», mi chiede, inarcando appena un sopracciglio e io, ogni volta che lo guardo, ho l'impressione che sia sempre più bello della precedente. Non so come sia possibile, eppure pare proprio così. Forse sono i capelli lunghi, forse è il suo modo di camminare, o forse è il suo sorriso. Sì, credo sia il suo sorriso. Lo stesso sorriso che mi riporta alla vita ogni volta che lo dedica a me.

«Non farci l'abitudine», gli rispondo, senza smettere di tenere gli occhi fissi nei suoi.

«Oh... io credo che ci farei volentieri l'abitudine...» Alzo gli occhi al cielo alla sua affermazione, ma senza poter trattenere il sorriso che nasce spontaneo sulle mie labbra.

«Adesso possiamo entrare?», gli chiedo, mentre lo guardo togliersi la sciarpa.

Sembra che ogni suo movimento riesca ad incantarmi, e lui lo sa, sono certa che lo sappia perché si avvicina, ci dividono solo pochissimi centimetri e io sono ancora immobile. Senza dire niente allunga una mano portandola sul mio viso. Sento il palmo della sua mano a metà tra il mio collo e il volto, mi avvicina a lui e mi lascia un bacio dolcissimo, poi si allontana decisamente troppo presto con una meravigliosa luce negli occhi.

«Adesso possiamo entrare», dice, lasciandomi senza parole.

Lo seguo all'interno del locale sentendomi ancora un po' scombussolata per questo bacio, perché è vero che ha solo appoggiato per un paio di secondi le sue labbra sulle mie, ma mi è sembrato molto più intenso di quanto avrebbe potuto sembrare ad un occhio esterno, o forse è solo lui che riesce a farmi percepire ogni sensazione molto più intensamente del normale.

Mi tiene per mano fino a raggiungere il tavolo dove ci sono già Larry e la sua ragazza. Riconosco il posto, che è lo stesso di quando sono venuta a recuperarlo quella sera, quando era decisamente sbronzo. Harry mi ha spiegato che questo è il pub che frequentano da anni, sin dai tempi del liceo, e sono più che emozionata di poter condividere l'ennesima cosa con lui.

Larry lo conosco già, ogni tanto mi capita di ripensare a quella sera, al supermercato dove lavora, e allo scherzo che mi hanno fatto con le tavolette di cioccolata ed è una cosa che mi fa sempre sorridere, quindi lo saluto velocemente per poi allungare una mano verso la ragazza dai capelli castani che mi osserva sorridente.

«Ciao, io sono Chloe», le dico, sorridendole a mia volta.

«Ciao, io sono Eloise, ma puoi chiamarmi El». Stringe la mia mano con energia e mi siedo accanto a lei.

Ordiniamo da bere e sorprendo me stessa - e Harry - quando mi ritrovo a volere una birra. Mi sento bene stasera e non credo che una sola birra possa farmi ubriacare.

Per tutto il tempo riesco a non avere alcun tipo di pensiero. Siamo riusciti a parlare di tutto senza entrare mai veramente nei dettagli, ma mi sta bene questo tipo di conversazione, perché è proprio ciò di cui avevo bisogno per staccare la spina dalla mia vita e sentirmi più leggera.

Larry ha provato a raccontare qualche aneddoto del liceo, ma ha dovuto subire le gomitate al fianco dal suo amico, seduto accanto a lui, che sembrava volerlo fulminare con lo sguardo. Non mi sentivo così da troppo tempo e non so se dovrei sentirmi in colpa, o apprezzare il fatto di riuscire ad andare avanti nonostante il mio cuore sia ancora in parte distrutto.

In parte... perché Harry è diventato il mio collante speciale. Uno ad uno sta rimettendo insieme i pezzi del mio cuore, che sta ricominciando ad avere l'aspetto originale, lo stesso di prima che si sgretolasse improvvisamente, una sera di luglio.

«Ehi... è tutto a posto?», mi chiede Harry, posando la sua mano sulla mia al centro del tavolo, distogliendomi dai pensieri che stavano per prendere il sopravvento.

«Sì», rispondo semplicemente, guardandolo dritto negli occhi, per poi sorridergli nella maniera più sincera possibile, perché è vero che è tutto a posto.

Lui è qui con me, cosa potrebbe andare storto?

«Ciao ragazzi!» Una sgradevole voce femminile attira l'attenzione di tutti i presenti al tavolo.

Mi volto alla mia sinistra e, in piedi vicino a noi, c'è una ragazza dai lunghi capelli rossi, pesantemente truccata e molto poco vestita. Non la conosco e non ci tengo a conoscerla, ma lei sembra pensarla diversamente. «Non mi presentate le vostre amiche?», chiede lei, rivolgendosi ai due ragazzi, con un tono di superiorità nella voce da darmi sui nervi.

«Ciao Jessica, lei è El, la mia ragazza», dice Larry, con un tono di voce apatico, rivolto a quella che ho capito chiamarsi Jessica. El allunga una mano verso la rossa, la quale si affretta a stringerla.

«E tu, Harry?» Non mi piace il tono con cui ha appena parlato e nemmeno lo sguardo che gli rivolge.

«No», dice semplicemente, senza degnarla di uno sguardo. E so per certo che non la sta guardando, perché pare avere occhi solo per me, ma non mi sembra affatto turbato da questa situazione. Se proprio dovessi definire quello che riesco a vedere nei suoi occhi in questo momento, potrei dire che sembra infastidito e divertito al tempo stesso.

«No? Perché no?», gli domanda ancora lei.

Harry alza gli occhi al cielo, poi intreccia le sue dita con le mie, dolcemente, senza fretta, continuando a dedicarmi ogni sua attenzione, infine gli spunta un piccolo sorriso. «Ok...», risponde quasi rassegnato al fatto che la tizia non si arrenderà, «lei è Chloe... la mia ragazza...» Vorrei davvero alzare lo sguardo e vedere l'espressione sul volto della rossa in piedi, accanto a noi, perché credo ne varrebbe la pena, ma proprio non ci riesco.

L'unica cosa che riesco a fare è tenere gli occhi nei suoi, in quel verde brillante, perché non c'è altro che io riesca a guardare in questo momento, dato che mi ha appena fatta sentire il centro del suo mondo. E non m'importa il motivo per cui l'abbia detto, se per tenerla lontana o se perché lo pensa realmente, quello che conta è solo la sensazione che le sue parole mi hanno scaraventato contro, quando meno me l'aspettavo.

È così che mi sono sentita, come se fossi stata investita in pieno da quello che non avevo ancora realizzato. Io e Harry non abbiamo stabilito niente per il nostro rapporto, abbiamo entrambi deciso di frequentarci e vedere come va, ma sentirgli dire queste parole mi rende felice e mi spaventa al tempo stesso. So bene di essere una continua contraddizione, ma non è facile per me, e sono certa di aver già fatto passi da gigante con lui, come non ho mai fatto con nessun altro.

«La tua ragazza?», domanda lei, con un tono contrariato.

«Sì, mia», risponde ancora lui, con gli occhi fissi nei miei, come se stesse parlando con me e non con lei, ed è in quel momento che sento chiaramente crollare ogni tipo di barriera io abbia eretto da quella notte fino ad ora.

Sento distintamente il rumore degli ultimi muri che si sgretolano, quello del ghiaccio che si scioglie, e anche quello del battito cardiaco che accelera, fino a far scorrere sempre più velocemente il sangue nelle vene. Lo sento rimbombare nelle orecchie, lo sento in gola, nell'arteria che pulsa nella gola, e nel calore che si sta diffondendo lentamente, ma inesorabilmente, in ogni parte del mio corpo.

«Come vedi siamo al completo», le dice Larry, ma è come se la sua voce fosse lontana, o è come se io e Harry fossimo in un mondo solo nostro.

La ragazza dice qualcosa a cui non presto la minima attenzione, poi, lentamente, riesco a tornare alla realtà, una realtà in cui mi sento meravigliosamente e assurdamente felice.

Il resto della serata prosegue come era iniziato, tra risate e battute, comportandoci come semplici amici. Ho anche scambiato il mio numero di telefono con El, nella speranza di poter trovare un'amica anche qui a Boston, lontana da casa, perché la mancanza di Kurt e Hazel sta diventando insopportabile. Non che con questo io voglia sostituirli, ma sento che El potrebbe aiutarmi a tenere sotto controllo la nostalgia. Mi sono trovata davvero bene con lei stasera.

«Ragazzi noi dobbiamo andare, io mi devo svegliare presto domani mattina», dice Larry ad un tratto, dopo aver controllato l'ora sul suo telefono.

Ci salutiamo, promettendoci che ci rivedremo presto, e io spero che sia davvero così; poi se ne vanno, lasciando soli me e Harry, a quel punto non posso evitare di fargli la domanda che mi gira per la testa da quando la rossa ha lasciato il nostro tavolo.

«Era una tua ex?», gli domando, senza la minima traccia di fastidio nella voce. Almeno credo.

«Non esattamente», risponde lui con tranquillità. Sembra proprio che questo argomento non lo tocchi per niente e non ho bisogno di capire cosa siano stati l'uno per l'altra con questa semplice risposta. Cosa che cerco immediatamente di togliermi dalla testa. «Ti darebbe fastidio se lo fosse?», mi domanda con un sorriso furbo.

Alla sua domanda penso a loro due che si baciano, o peggio nudi sullo stesso letto e, anche se fosse stata una sola volta e basta, il mio stomaco si sta annodando come non mi era mai successo. Se mi dà fastidio? Sì, sì, cazzo sì che mi dà fastidio! «Assolutamente no», rispondo, cercando di tenere la voce ferma.

«Stewart... non vali un granché come bugiarda». Le mie guance sembrano prendere fuoco alla sua ultima affermazione, cosa che lo fa sorridere di più dato che il mio corpo mi tradisce, dimostrandogli quanto, ancora una volta, abbia ragione, ma non ho intenzione di dargli soddisfazione, almeno a voce.

«È la verità», dico, per poi distogliere lo sguardo e dedicarlo alla mia bottiglietta quasi finita, portandomela alle labbra per bere ciò che rimane della mia unica birra di tutta la serata.

«Dovresti sforzarti un po' di più se vuoi risultare credibile almeno un po'». Il suo tono di voce divertito mi porta ad alzare lo sguardo e il suo sorriso è incredibilmente sfacciato. «Dai, ti porto a casa», dice infine, alzandosi e indossando il cappotto.

Imito i suoi gesti in silenzio, con la consapevolezza che lo spasmo che continuo a sentire allo stomaco è dovuto alle immagini di loro due insieme e, per quanto stia provando a scacciarle, sono ben chiare nella mia mente. Si avvicina poi al bancone per pagare e lo seguo fino all'esterno per poi salire sulla sua auto nel più totale silenzio.

Una volta chiuso lo sportello e agganciata la cintura di sicurezza, la sua voce risuona chiara all'interno dell'abitacolo. «Smettila di pensare», mi dice, e io mi volto a guardarlo. «Qualunque cosa tu stia pensando... lascia stare», mi dice, con un tono di voce tranquillo.

E, come sempre succede, anche stavolta non fa eccezione a tutte le altre: Harry riesce a portarmi dove vuole. I miei pensieri cessano immediatamente e siamo solo io e lui, seduti sui sedili della sua auto parcheggiata davanti ad un pub. Niente e nessuno può interferire tra noi quando mi guarda in quel modo, o quando sento le vibrazioni della sua voce arrivarmi fino all'anima.

Harry riesce a vedere oltre: oltre i miei pensieri, oltre le cose, oltre i problemi e oltre il dolore. È come se avesse qualche tipo di super potere, come se fosse capace di ricostruire qualcosa da zero sulle macerie del mio cuore, qualcosa di molto più resistente, o come se fosse capace di sovvertire l'ordine delle cose e rendere possibile l'impossibile, e lo fa semplicemente, come un battito di ciglia.

Non posso più restare a guardarlo senza fare niente, così sono io a prendere il suo viso tra le mani e baciarlo. Sono io a prendermi tutto quello che posso di lui, mentre le mie mani scorrono per arrivare tra i suoi capelli, che adoro sentire sotto le dita quando le sue labbra sono sulle mie, poi sento le sue mani su di me, una su un fianco una quasi sulla nuca, come per tenermi più ancorata al suo corpo, che sembra attirarmi come una calamita.

«Chloe...» Il mio nome appena sussurrato, tra un bacio e l'altro, la sua voce bassa che riesce ad arrivare in ogni punto più nascosto del mio corpo... credo che, se non fossimo in macchina, gli avrei permesso di oltrepassare quella linea che gli ho imposto.

«Scusa...», gli dico quasi sottovoce, allontanandomi di qualche centimetro, giusto per riuscire a guardarlo negli occhi, in tempo per vedere uno splendido sorriso divertito sulle labbra che ho appena morso.

«Prima un complimento, ora mi chiedi scusa, non è che poi viene fuori che ti piaccio davvero?» Ridacchio per la sua battuta e lo ringrazio mentalmente per avermi riportata su questo pianeta, perché ogni volta che lo bacio mi sembra di venire catapultata in un'altra dimensione e, ogni volta, sembra sempre più difficile tornare alla realtà.

Non rispondo, perché dovrei ammettere che ha ragione e, dato che l'ho ammesso da poco a me stessa, non sono ancora pronta a rivelarlo anche a lui, come non sono pronta a chiedergli spiegazioni su quello che ha detto stasera alla rossa, o su quello che ha detto guardandomi negli occhi e mi godo il contatto delle sue dita, che sono tornate a giocare con i capelli ai lati del mio viso, ma, se ripenso all'intensità con cui ha pronunciato la parola 'mia', sento che potrebbe venirmi un infarto da un momento all'altro.

«Prenderò il tuo silenzio come un sì», mi dice, per poi lasciarmi un piccolo bacio sulle labbra e allontanarsi del tutto.

Mette in moto l'auto e mi riaccompagna a casa. Il tragitto del ritorno è molto più tranquillo di quello all'andata, ma non mi lamento perché, nonostante il silenzio, non mancano gli sguardi e i sorrisi. Parcheggia sotto casa, spegne il motore, e si volta verso di me che faccio la stessa cosa.

«Ci vediamo domani in aeroporto?», mi chiede, posando la mano sul mio ginocchio, con l'aria di chi sta per combinarne una.

«E come ti giustificheresti con tuo fratello?», gli domando, solo per il gusto di sentire cosa risponde.

«Non preoccuparti per lui», dice, sicuro del fatto suo.

«Ma non sai nemmeno a che ora devo partire...» Non l'ho messo a conoscenza di tutti i dettagli del viaggio, proprio come mi ha chiesto di fare Jordan.

«Non preoccuparti neanche di questo», afferma sorridendo, mentre le sue dita stringono un po' di più la presa sul mio ginocchio.

«C'è forse qualcosa di cui dovrei preoccuparmi?», gli chiedo, curiosa e divertita dal suo atteggiamento. Poi vedo una strana luce nei suoi occhi, una sorta di bagliore che li rende più cupi, ma che sparisce altrettanto in fretta di quanto è comparsa.

«L'unica cosa di cui devi preoccuparti è la biancheria intima...», afferma con l'espressione più sfacciata che gli abbia mai visto sul volto, e sono contenta che sia buio e la luce dei lampioni non riesca ad illuminare adeguatamente l'interno dell'abitacolo, altrimenti vedrebbe di nuovo quella sfumatura di rosso spiccare sulle mie guance.

«Sei un cretino, Stevens...» Non so come togliermi da questo imbarazzo e l'unica cosa che riesco a fare è provare a smorzare il suo entusiasmo.

«Sarò anche un cretino, ma mi piace il nero», continua lui, per nulla turbato dalla mia risposta.

Alzo gli occhi al cielo per la sua insistenza, ma non mi dà veramente fastidio il suo comportamento, anzi, probabilmente lo invidio un po' perché lui riesce a lasciarsi andare, o quantomeno ci prova, mentre io ho ancora tutti i paracadute aperti.

«Ora devo andare... ci vediamo quando torno...», gli dico, mentre cerco di mascherare il mio tono di voce, che rischia di fargli capire troppo chiaramente cosa lui riesce a provocare in me.

«Ci vediamo quando ci vediamo, Chloe», risponde lui, poi mi bacia ancora, così, all'improvviso, come se mi stesse promettendo qualcosa.

Non so cosa intendesse con ciò che ha appena detto, ma non riesco ad approfondire alcun argomento stasera. Sono decisamente su di giri e con troppe emozioni da gestire, per poter ragionare lucidamente. Ho comunque alcuni giorni di tempo per poterci pensare - sempre se domani non me lo ritrovo realmente in aeroporto - quindi, per ora, mi godo questo momento e mi concentro sul contatto delle nostre labbra e delle sue mani, che non smettono mai di accarezzarmi ad ogni bacio.

«Buonanotte, Harry», gli dico quando si allontana.

«Buonanotte, Chloe», risponde lui, allontanandosi del tutto, per poi farmi sentire già la sua mancanza nel momento in cui anche la sua mano lascia il mio viso.

Gli sorrido ancora, apro lo sportello, e scendo dall'auto. Resto a guardarlo ripartire fino a che non riesco più a vederlo, solo a quel punto rientro in casa con un sorriso che sembra non volersi spegnere.

*****

Harry

Chiudo la porta alle mie spalle cercando di fare più silenzio possibile. Non voglio svegliare mio padre, se mai dovesse essere in casa, il mio umore è decisamente troppo alto per essere rovinato da un non voluto incontro notturno con lui. Passo dalla cucina a prendermi una bottiglia d'acqua e sorrido nel vedere in frigo il succo di mela. Avevo chiesto a Brenda di comprarlo perché era finito e lei mi ha subito accontentato. Richiudo il frigo e, con la sola luce della torcia del cellulare, raggiungo la mia camera da letto.

Mi tolgo ogni indumento buttandoli a caso accanto al lavandino, poi mi infilo sotto la doccia, fredda, ne ho bisogno, ma se non smetto di pensare a lei, nemmeno l'acqua gelata potrà aiutarmi con il mio problema. Cerco, quindi, di spostare la mia attenzione su Dylan e su tutto quello che comporta aver scoperto quello che so, ed è assolutamente frustrante l'idea di dover distruggere le sue certezze, per non parlare del fatto che non sarà solo una famiglia a vedere rivoluzionata ogni cosa che credeva di sapere.

Sbuffo e impreco per tutto il tempo della doccia, ma forse è meglio se ora apro un po' di acqua calda se non voglio morire congelato, poi mi asciugo e infilo la prima tuta che trovo nel cassettone in camera. La mia valigia è già pronta, a terra ai piedi del letto. L'ha lasciata così Brenda, perché io potessi controllarne il contenuto dato che, ovviamente, è stata lei a prepararla. L'unica cosa che ho messo io, proprio ora, è la scatolina blu che tengo nel mobiletto del bagno, sperando davvero di usarne l'intero contenuto.

Se non la smetto di avere quei pensieri su Chloe, mi toccherà fare un'altra doccia fredda!

Mi sdraio sul letto e ripenso alla sua espressione, a quando le ho detto che ci saremmo visti domani in aeroporto. Lei sembra convinta che io stia scherzando, ma non vedo l'ora di scoprire la sua reazione quando mi presenterò con la mia valigia proprio come le ho detto che farò.

Ho la speranza che, in questi giorni lontano da tutto e da tutti, il nostro rapporto riesca a fare un passo avanti, spero che possa fidarsi completamente di me, perché è ancora troppo trattenuta, mentre io voglio che si lasci andare del tutto, voglio che pensi solo a me, solo a noi.

Ho in programma di vedere la città nel tempo libero, di passare con lei quanto più tempo possibile, voglio che non pensi a niente che non riguardi l'essere felice, voglio che si rilassi e che si diverta, soprattutto voglio che pensi a noi e a quello che potrebbe essere se si affidasse a me nello stesso modo in cui io sto mettendo tutto nelle sue mani.

Non è per niente facile per me, sia per il fatto di affidarmi di nuovo ad un'altra persona che non sia me stesso, sia per il fatto che lei è ancora divisa tra il presente e il passato. Non nego che qualche volta sono stato tentato di mandare all'aria tutto, ma poi succede che la vedo e, quando è davanti a me, quando posso baciarla, toccarla, niente ha più importanza, perché sento di volerla in un modo che non mi è mai capitato di provare.

Mi infilo sotto le coperte, cercando di prendere sonno, ma mi ritrovo a pancia in su, con le braccia piegate dietro la testa a fissare il soffitto, quando mi torna in mente la scena in cui Jessica si è avvicinata al nostro tavolo. Negli occhi di Chloe sono passati diversi tipi di emozioni e io le viste tutte. Era infastidita, dannatamente gelosa, anche se non l'ha voluto ammettere, poi ha guardato solo me, sono assolutamente certo che vedesse solo me, e non so se fosse per le parole che ho detto - che mi sono uscite spontaneamente - ma il suo sguardo parlava chiaro: mi voleva, ed era lo stesso sguardo che aveva in macchina, quando è stata lei a baciarmi. Dio! Forse dovrei portare due scatole. «Cazzo, Chloe! Mi farai diventare cieco!», impreco ad alta voce, perché la doccia fredda non è servita proprio a niente.

***

Kurt

Suo fratello.

Da quando ho parlato con Harry, quelle sono praticamente le uniche parole che il mio cervello riesce ad elaborare.

È suo fratello.

Nonostante il freddo, esco per prendere una boccata d'aria, appoggiandomi alla ringhiera del piccolo balcone della mia camera da letto. Sono le due del mattino, ma non riesco a dormire perché le parole di Harry non smettono di girarmi nella testa.

Il signor Peters ha avuto una relazione extra coniugale, ha messo incinta una donna che poi ha lasciato al suo destino continuando la sua vita come se niente fosse. Non solo ha tradito sua moglie, ha anche permesso che i suoi due figli crescessero a centinaia di miglia di distanza l'uno dall'altro, ognuno all'insaputa dell'esistenza del fratello, e adesso Dylan non c'è più e non potrà mai conoscerlo.

«Cazzo!» E questa è l'unica parola che riesco a dire da quando mi sono rinchiuso in camera mia.

Ho promesso a Harry che non avrei detto niente a Chloe e, quando l'ho sentita al telefono, è stato difficile riuscire a mantenere il silenzio, ma mi sono sentito un po' meglio quando ho percepito il suo buonumore e la sua voglia di positività nei confronti della vita e in quelli di Harry. Capisco come si possa sentire lui al solo pensiero di distruggere un'altra volta i suoi equilibri, ma questa è una cosa che deve assolutamente venire a galla; magari Chloe ci sorprenderà e sapere che Dylan Evans è il fratello del suo Dylan potrebbe darle conforto... come potrebbe riportarla di nuovo nel baratro dal quale sta riuscendo a tirarsi fuori.

«Cazzo!» Vorrei poterne parlare con Hazel, ma credo che al momento sia meglio che lo sappiano meno persone possibile.

Forse Harry ha ragione a voler prendere un po' di tempo, non è facile da digerire una cosa del genere, ma oggi pomeriggio non ho potuto fare a meno di andare al cimitero e dirglielo, anche se sono certo che lui, ormai, lo sapesse già. Guardavo la sua foto, quella che gli ho scattato proprio io senza sapere che sarebbe stata usata per la sua lapide, e mi chiedevo cosa avrebbe fatto se avesse saputo di avere un fratello, anche se non ho avuto bisogno di pensarci molto a lungo, perché, senza ombra di dubbio, sarebbe volato a conoscerlo prima ancora di discuterne con suo padre.

La loro manifesta somiglianza fisica è spiegata adesso: sono fratelli, figli dello stesso padre, con due anni di differenza. Non ho mai visto Dylan Evans, ma non ho dubbi sulla sincerità delle parole di Harry, che mi ha detto di essere rimasto shockato quando ha visto le foto sul cellulare di Chloe.

Alla fine torno in camera mia, chiudo la porta alle mie spalle e torno a sdraiarmi sul letto, tentando di allontanare questa inquietudine che mi sta togliendo il sonno, sperando che le cose possano risolversi per il meglio. 

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Capitolo 39
*** Sai perfettamente perché non imparo il dannato spagnolo ***


Sto uscendo ora, Reb 

Ti chiamo quando arrivo

 

Blocco il display del cellulare dopo aver digitato il messaggio per mia sorella, avvisandola che sto per uscire di casa, dato che non è ancora rientrata dal lavoro, poi lo metto nella tasca anteriore dei jeans, do un'occhiata in giro per vedere se ho dimenticato qualcosa, ma mi sembra di aver preso tutto.

Era strana stamattina, quando le parlavo del viaggio per Madrid, aveva l'espressione tipica di chi sta nascondendo qualcosa. Mi ha guardata raramente negli occhi e le sue risposte erano piuttosto evasive. Le ho anche chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, ma è stata sbrigativa, dicendo solamente che era stanca. Spero solo che non abbia qualche problema con Zach e che non si stia trattenendo dal parlarmene.

Dopo che è andata al lavoro, mi sono messa a organizzare il controllo della traduzione che devo fare, così da portarmi avanti ed essere già preparata per il mio ritorno. Ho verificato il contenuto della mia valigia due volte, per essere sicura di non dimenticare niente, e ora sto indossando il mio cappotto.

Esco di casa trascinando il mio trolley e salgo sul taxi mandato dalla HS, che ha organizzato il viaggio in tutti i dettagli, trasferimenti compresi.

«Buonasera», dico al tassista, che molto gentilmente ha anche caricato il mio bagaglio, e mi accomodo sul sedile posteriore.

«Buonasera signorina, devo accompagnarla all'aeroporto, giusto?», mi chiede, pur sapendo già la mia risposta, ma sono contenta che voglia fare conversazione perché sento la mia ansia che sale.

«Sì, giusto», gli rispondo, poi ci mettiamo a parlare di vari argomenti che mi tengono impegnata per tutto il tragitto, anche se sento come un formicolio alle dita che mi porta ad essere nervosa.

Succede da tutto il giorno, ma so esattamente il motivo.

È per Harry.

Per tutto il giorno non ho fatto altro che ripensare a ieri sera, alle sue parole, al suo sguardo e mi sono portata a chiedermi più volte quanto ci fosse di vero in ciò che ha detto, e quanto fosse solamente frutto della mia fantasia. Mi sono imposta di non approfondire nessuna delle cose che continuano a girarmi per la testa, un po' per la paura che mi confermasse che sono vere, e un po' per la paura di sentire che non lo fossero. So bene di essere contraddittoria, ma la paura di soffrire ancora, di far soffrire lui, i sensi di colpa, e tutto il resto, mi impediscono di vivere al cento per cento quello che provo per Harry.

So che devo superare anche questa fase e so anche di potercela fare, ma devo arrivarci per gradi, altrimenti sarà tutto inutile.

«Siamo arrivati», mi dice l'uomo alla guida, distogliendomi dai miei pensieri.

Ha parcheggiato proprio davanti all'ingresso principale ed è sceso per scaricare la mia valigia. Scendo anche io, lo ringrazio, poi mi saluta, e risale in macchina, pronto per un'altra corsa.

Inspiro una grande quantità d'aria ed entro all'interno della struttura, controllando sui grandi schermi luminosi gli orari degli aerei in partenza. Sembra che il volo per Madrid sia in perfetto orario. Hanno scelto un volo serale, così da arrivare lì la mattina ed avere almeno un giorno di tempo per smaltire il jet lag.

Mi reco al terminal 'E' per il check-in, poi mi siedo sulle poltroncine in attesa che chiamino il mio volo. Ogni tanto mi guardo intorno per vedere il misterioso portavoce della HS, ma non mi sembra di conoscere nessuno. C'è un signore elegantemente vestito seduto in fondo alla fila di poltroncine, sta leggendo un giornale di finanza e resto a guardarlo per un po'.

Potrebbe anche essere lui, dopotutto non conosco quasi nessuno in quella società. Magari hanno chiesto a qualcuno di esperto di sovrintendere a questo incontro, per essere davvero certi del risultato. Jordan mi ha spiegato quanto sia importante per loro questo contratto e, quasi certamente, avranno voluto affidare le trattative ad una mente esperta nel settore delle finanze.

Nelle ultime ore si era radicata in me l'idea che sarebbe stato Harry che avrei dovuto assistere in questi giorni, ma non lo vedo qui e forse è più giusto così, anche se non posso negare di esserne rimasta delusa, soprattutto perché oggi non l'ho sentito.

Gli ho scritto stamattina, ma non mi ha risposto, e questo non ha fatto altro che far aumentare il mio senso di frustrazione. Ieri sera ha detto a quella che ero la sua ragazza, ha detto mia così intensamente che ho creduto di rimanerci secca all'istante, e mi ha baciata con un tale trasporto che ho quasi maledetto il fatto di essere in auto in mezzo alla strada, invece oggi è totalmente sparito.

'Ci vediamo quando ci vediamo' , mi ha detto in macchina, e forse era questo che intendeva. Forse voleva dire che aveva bisogno di staccare un po', ma non lo biasimo per questo. Io l'ho fatto fin troppe volte con lui. Prendo un gran respiro e mi alzo in piedi, con l'intenzione di andarmi a presentare a colui che, con ogni probabilità, è l'uomo con il quale dovrò lavorare in questi giorni. Mi asciugo bene le mani sui pantaloni, non so perché ma sono nervosa, poi mi incammino verso l'uomo di mezza età che sta ancora leggendo il giornale fino ad arrivare davanti a lui.

«Buonasera...», lui smette di leggere e mi guarda incuriosito, «sono Chloe Stewart...», allungo la mano nella sua direzione. L'uomo chiude il giornale e mi guarda con aria confusa, poi allunga anche lui una mano verso di me, stringendo la mia.

«Mi dica», mi dice lui, restando in attesa.

«È lei a cui dovrò fare da traduttrice?» L'uomo mi guarda con aria decisamente confusa, e io inizio a credere di aver sbagliato persona.

«Come prego?», mi domanda lui, ma poi sono costretta a voltarmi quando sento la sua risata.

Harry è in piedi a pochi passi da me, vestito con il suo completo nero, rigorosamente senza cravatta, la camicia bianca sempre troppo sbottonata, con i capelli sciolti e le fossette in bella mostra... uno degli spettacoli più belli che i miei occhi abbiano mai visto.

Fa gli ultimi passi che lo dividono da me, poi si rivolge direttamente all'uomo seduto, che ci guarda stranito. «La scusi, è solita importunare le persone, ora ci penso io, non si preoccupi». Resto senza parole nel sentire quello che dice all'uomo con il quale ho appena parlato e sono così sconcertata che resto in silenzio quando lo sento prendermi per mano, invitandomi a seguirlo fino al fondo del salone, ma a metà strada mi riprendo dal mio shock iniziale.

«Harry, si può sapere che ci fai qui?» Lui si volta appena, sorridendomi, con quel sorriso che usa sempre per prendermi in giro.

«Dobbiamo partire per Madrid, no?», risponde con tono ovvio.

«Io devo partire per Madrid...»

«Anche io devo partire per Madrid». Ribadisce il concetto con aria divertita e io aggrotto le sopracciglia, ma poi sorrido improvvisamente ripensando alle sue parole.

Arriviamo all'ultima fila di poltroncine ed entrambi ci sediamo sulle ultime due rimaste libere.

«Quindi l'hai fatto davvero?», gli dico. «Avrei dovuto aspettarmi che non stessi scherzando quando dicevi che saresti partito anche tu, vorrei vedere la faccia di Jordan se sapesse che sei qui? Ma come hai fatto a passare i controlli? ... Oddio non avrai fatto veramente il biglietto... e...» Mi torna subito in mente ciò che è successo pochi secondi fa. «Perché mi hai fatto fare quella figuraccia con quell'uomo?», gli chiedo, incrociando le braccia al petto, mentre lui non fa altro che sorridere divertito dal mio sproloquio.

«Veramente la figuraccia la stavi facendo da sola...» Improvvisamente tutto è chiaro nella mia mente. Credo di essere stata incredibilmente stupida e ingenua.

«Cazzo!» Impreco, probabilmente diventando anche molto rossa.

«Sei tu... sei tu che parti con me per Madrid...», dico ad alta voce, dopo aver realizzato quello che sta succedendo.

«Tecnicamente sei tu che stai partendo con me», risponde con un tono sempre più divertito per la situazione.

Mi porto una mano sul viso, strofinandomi prima gli occhi e poi il resto del volto. Vorrei sparire per la doppia brutta figura che ho appena fatto, credo di essere diventata ancora più rossa perché sento le guance bruciare, poi apro lentamente indice e medio, ci guardo attraverso per vedere se Harry mi sta ancora guardando e, ovviamente, lo sta facendo. Sta sorridendo, il suo meraviglioso sorriso che illumina tutta la sala d'attesa, e alla fine contagia anche me, che gli sorrido a mia volta.

Si avvicina, avvolge delicatamente le dita intorno al mio polso e sposta la mia mano per potermi guardare meglio. «Te l'avevo detto che sarei partito anche io, no?», mi dice, quasi a volermi prendere in giro.

«Sì, me l'avevi detto, ma non credevo che dicessi sul serio». Mi sento stupida per non averlo capito.

«Chloe, ormai dovresti saperlo che non parlo a vanvera». Mi rendo conto di quanto ci sia dietro alle sue parole, perché non si sta riferendo solo a questa specifica occasione, e il mio cuore prende a battere più velocemente ricollegando le sue parole di adesso a quelle di ieri sera.

«E da quando lo sapevi?», gli chiedo curiosa.

Lascia andare il mio polso e si sistema meglio all'indietro sulla poltroncina. «Non lo sapevo con certezza, lo sospettavo, ma l'ho capito senza ombra di dubbio quando mi hai detto che dovevi partire». Sembra decisamente divertito da questa cosa, e poi, uno dopo l'altro, tutti i tasselli vanno al loro posto e inizio a realizzare ogni cosa.

«Lo sapeva anche mia sorella quindi?» Non poteva non saperlo, è la sua segretaria, e Dylan mi ha detto che hanno lavorato parecchio in questi ultimi giorni.

«Le ho chiesto io di non dirtelo... Dio! Non vedevo l'ora di vedere la tua faccia oggi!» Ride e non importa se sta ridendo di me, perché la sua risata è la mia medicina.

«Per questo stamattina era strana e sfuggente...» Do voce ai miei pensieri. «Quindi Jordan ha chiesto anche a te di non dire niente su questo viaggio?», gli domando.

«Già...» Ho avuto come l'impressione che volesse aggiungere qualcosa al suo "già", ma poi è come se si fosse bloccato, come se qualche pensiero gli avesse impedito di concludere la frase, o forse sono solo io che l'ho immaginato. «Quindi davvero pensavi di dover fare da traduttrice a quel tizio?», mi domanda con lo stesso tono di voce canzonatorio che ha usato finora.

«Beh... era vestito elegante, leggeva un giornale di finanza, non c'era niente che mi facesse pensare il contrario...»

Mi interrompo quando vedo che si stacca dallo schienale per appoggiare i gomiti sulle ginocchia in modo da avvicinarsi di più a me. «E per quale motivo hai dato per scontato che non fossi io?» La sua voce è più bassa ora.

Dovrei dirgli che non ho dato per scontato un bel niente, che ero combattuta tra l'idea di fare questo viaggio con lui e tra quella di restargli lontano per giorni, dovrei dirgli che speravo fosse lui tanto quanto speravo che non lo fosse, perché la sua presenza è sempre troppo sconvolgente, proprio come ora che, in attesa di una mia risposta, porta la mano sul mio viso per sfiorare appena i miei capelli vicino all'orecchio.

Questo gesto, che compie spesso, porta sempre troppo scompiglio dentro di me. È appena una carezza, quasi non mi tocca, eppure riesce ad arrivare ad ogni parte del mio corpo e della mia mente. Riesce a catturare ogni cosa con quel leggero movimento delle dita: la mia attenzione, i miei pensieri, le mie sensazioni, fino ad arrivare al mio respiro, perché riesce a prendersi anche quello.

Ma non faccio in tempo a rispondergli perché veniamo interrotti dall'annuncio all'altoparlante.

«Signore e Signori buonasera. Iniziamo l'imbarco del volo American Airlines 8640 con partenza per Madrid...»

«È il nostro volo», gli dico, ma senza muovermi di un millimetro dalla mia posizione per non dover rinunciare a quel contatto.

«Dovremmo andare», risponde lui, restando fermo come me, mentre gli altri passeggeri ci passano davanti diretti all'uscita d'imbarco, ma noi non riusciamo a farlo, perché sta succedendo di nuovo e io non riesco ad allontanarmi da lui.

«Sì... dovremmo davvero andare...», ripeto le sue parole, giusto per provare a restare ancorata alla realtà, perché in questo preciso momento vorrei essere da tutt'altra parte, senza nessuna persona intorno, perché è solo lui che voglio.

Lentamente la sua mano lascia spazio al vuoto quando si allontana dal mio viso e mi ritrovo costretta a prendere di nuovo contatto con il mondo circostante, un mondo in cui mi tocca darmi una mossa e seguirlo fino al gate d'imbarco, se non voglio restare imbambolata su questa sedia.

Le procedure si svolgono abbastanza in fretta, a parte per un signore che sembrava avesse perso i documenti e che ha fatto rallentare la fila, poi arriviamo sull'aereo, dove ci sediamo - lui accanto al finestrino - e penso al fatto che questo è il mio primo volo intercontinentale. Non ho paura di volare, ma non ho mai affrontato così tante ore di volo e ho cercato di organizzarmi per passarle nel miglior modo possibile.

Dopo aver sistemato entrambi i nostri bagagli a mano nelle cappelliere ed aver preso posto, recupero il piccolo zainetto nel quale ho messo qualcosa che ho pensato mi avrebbe fatto passare il tempo più velocemente e più serenamente.

«Che c'è lì dentro?», mi chiede Harry, quando nota lo zainetto che ho messo sulle gambe.

«Qui c'è un libro e un tablet con qualche film». Lui sorride divertito.

«Non ne avrai bisogno», mi dice con l'aria di uno che sa il fatto suo. «Sono poco meno di sette ore di volo, fra poco serviranno la cena dopodiché potrai dormire, senza nemmeno accorgerti che stiamo volando». Sono ancora frastornata da quanto successo negli ultimi minuti, a partire dalla figuraccia che ho fatto con quel signore, per finire con la sorpresa di averlo con me, e non riesco a rispondere a tono.

Resto semplicemente in silenzio, in attesa che tutti i passeggeri si sistemino, seduta al suo fianco, fino a quando l'aereo è pronto per decollare e inizia a muoversi molto lentamente sulla pista fino a raggiungere la zona di rullaggio, mentre penso soltanto che passerò i prossimi giorni a stretto contatto con Harry, lavorando fianco a fianco, e non posso negare di essere elettrizzata ed allo stesso tempo spaventata.

L'aereo si posiziona all'inizio della pista, il rumore del motore inizia a farsi sentire, poso lo zainetto in mezzo ai piedi e metto le mani sulle gambe in attesa dell'accelerazione. Sto per andare a Madrid con Harry e, anche se è solo per lavoro, voglio provare a lasciare da questa parte dell'oceano tutto ciò che c'è di negativo nella mia vita. Il rumore del motore aumenta ancora, l'aereo inizia l'accelerazione e io stringo i pugni per l'agitazione che i miei pensieri mi hanno provocato, ma subito dopo, la sua mano arriva sulla mia, che si apre spontaneamente al contatto delle sue dita, che intreccia subito con le mie, strette, senza nemmeno guardarmi, ma riesco a vedere un piccolissimo sorriso sulle sue labbra.

Sorrido anch'io, perché sono certa che abbia appena avuto i miei stessi pensieri.

*************

I bagni in aereo sono orribili: stretti, troppo stretti, ma avevo davvero bisogno di una rinfrescata al viso e non ho potuto farne a meno, e mentre mi sto asciugando sento bussare.

«È occupato!», dico, con tono palesemente scocciato per il fatto che si vede benissimo dall'esterno che il bagno è occupato, non capisco quale motivo ci sia per bussare, dopo tutto non sono mica qui dentro da ore...

«Chloe apri». Mi blocco all'istante nel sentire la voce di Harry provenire dall'esterno. «Dai apri!» insiste lui e, a quel punto faccio scattare la serratura, apro la porta, ma quando sto per uscire lui mi spinge all'interno del piccolo spazio.

Richiude la porta a chiave e, senza darmi il tempo di dire nulla, le sue mani arrivano possessive sui miei fianchi, le sue labbra sulle mie, mentre il mio cervello si resetta all'istante, i neuroni implodono e niente ha più importanza di quello che sta succedendo ora. Non importa se siamo in aereo perché a dire la verità me ne rendo conto a malapena, poi le sue mani scendono lentamente dai miei fianchi fino a dietro le mie cosce, mi alza fino a farmi sedere sul ripiano del minuscolo lavandino senza smettere di baciarmi le labbra, il collo, le sue mani risalgono fino a sotto la maglia artigliandosi alla mia pelle, poi ancora più su e io, ormai, ho decisamente perso il controllo.

Harry torna a baciarmi le labbra, mentre io tento a fatica di aprire gli occhi, con molta fatica, sento le palpebre pesanti, ma voglio guardarlo, voglio vedere l'espressione del suo viso, voglio vedere i suoi capelli scompigliati dalle mie mani, voglio vedere noi due perfettamente incastrati l'uno nell'altra e, quando alla fine ci riesco, quando i miei occhi si aprono resto per un attimo interdetta, forse anche più di un attimo perché sono seduta sul mio sedile mentre la mano di Harry è sul mio viso, a giocare come sempre con i miei capelli, ma mi rendo conto che sta tentando di svegliarmi. Era un dannatissimo sogno!

«Stai bene?», mi chiede lui, probabilmente deve aver visto la mia espressione parecchio confusa. 

«Sì... sì...», rispondo quasi balbettando, poi mi metto dritta con la schiena.

«Non volevo svegliarti, ma avevi il respiro pesante, ho pensato che stessi avendo un incubo», mi spiega, con un dolcissimo sorriso sulle labbra.

Sono certa si stia riferendo all'incubo che ho avuto a casa sua la prima notte che ho dormito da lui, ma non immagina nemmeno che il sogno che stavo facendo non assomigliava minimamente ad un incubo.

«No... non... non ho avuto un incubo...» Credo di stare andando a fuoco, ogni parte del mio corpo brucia perché riesco a sentire ancora chiaramente le sensazioni che provavo nel sogno. Erano decisamente troppo reali.

«Ad ogni modo stiamo per atterrare... sicura di stare bene?» Posa una mano sulla mia fronte, poi sulla mia guancia. «Sei calda... sei davvero sicura di stare bene?» Harry insiste nel farmi la stessa domanda, mi volto a guardarlo per fargli capire che sto realmente bene, ma non appena lo guardo, le immagini del sogno tornano vive nella mia mente e sento di nuovo il calore riaffiorare con prepotenza sulle mie guance.

«Ti ho detto di sì, forse ho solo lo stomaco sottosopra». Distolgo lo sguardo e incolpo la prima cosa che mi passa per la mente, poi mi slaccio la cintura intenzionata ad alzarmi e andare a sciacquarmi realmente la faccia con l'acqua più fredda che posso.

«Dove vai?», mi chiede, quando vede che mi alzo in piedi.

«In bagno», rispondo ovvia, ma subito la voce dell'hostess mi fa fermare nella mia posizione.

«Signorina stiamo per atterrare, deve tornare al suo posto e allacciare la cintura». Sospiro rassegnata e torno a sedermi, sperando di recuperare in fretta le mie facoltà mentali.

Mi allaccio la cintura e, con la coda dell'occhio, noto un sorriso furbetto sulle labbra di Harry. Non so a cosa stia pensando e nemmeno voglio saperlo, più che altro per la mia salute mentale. Ricordo che, prima di addormentarmi, abbiamo cenato, poi abbiamo parlato, ha preso la mia mano nella sua più volte, si è avvicinato illudendomi che mi avrebbe baciata, ma è rimasto a pochi millimetri dal mio viso, troppo per poter avere un vero contatto, troppo poco per dire che non ha sfiorato le mie labbra un paio di volte, mentre non faceva altro che provocarmi chiedendomi se avevo messo in valigia qualcosa di nero... Ecco perché sono andata in iperventilazione e ho sognato noi due chiusi in quel piccolo stanzino... Devo smetterla di pensarci e devo farlo subito.

«Tu hai dormito?», gli chiedo, cercando di pensare ad altro che non sia lui che si spinge contro di me seduta su quel lavandino... non ce la farò mai!

«No...» Ha la testa appoggiata allo schienale e mi volto verso di lui quando mi rendo conto che lui si sta girando verso di me. «Ho guardato i film sul tuo tablet...» Sgrano gli occhi alle sue parole, che pronuncia con un tono candido.

«Ma non avevi detto che non era necessario quello che ho portato?» Lo punzecchio perché mi piace farlo, perché mi piace quando lui reagisce a tono, perché mi piace e basta.

«Mi annoiavo, Stewart... tu te ne stavi lì, con la bava che ti scendeva dalla bocca aperta mentre russavi...» Non gli do il tempo di finire la frase che gli sferro un pugno sulla spalla e che, ovviamente, non gli provoca alcun danno, anzi lo fa ridere, poi si avvicina e la sua voce arriva sussurrata al mio orecchio. «Ho dovuto per forza fare così... dovevo togliermi dalla testa l'idea di te con addosso solo quel ciondolo...» Il calore di prima torna ad invadere ogni parte di me, mentre la sua risata arriva forte e chiara.

«Mi fa piacere che tu ti diverta», gli dico, incrociando le braccia al petto nel vano tentativo di togliermi dall'imbarazzo.

«Ti assicuro che non mi sto affatto divertendo, ma saprei esattamente come fare per far divertire entrambi».

«Signore e signori vi informiamo che tra qualche minuto atterreremo a Madrid. Vi invitiamo a controllare che i bagagli siano stivati correttamente, il tavolino di fronte a voi sia chiuso, lo schienale della poltrona sia in posizione verticale con i braccioli abbassati e le cinture siano allacciate...» 

Fortunatamente l'annuncio dell'equipaggio mi salva dalla sicura esplosione del mio cuore, per le troppe sollecitazioni a cui è stato sottoposto in questi ultimi minuti.

Non ho idea di cosa possa succedere in questi giorni tra noi due, certo è che le premesse per oltrepassare quella linea ci sono tutte, e mi stupisco di me stessa quando mi rendo conto che non sono davvero spaventata, anche se c'è ancora quella piccola parte di me che mi obbliga a prestare la massima attenzione alle mie azioni. Tuttavia, c'è anche un'altra parte di me, quella che sta riprendendo in mano la propria vita, che mi spinge a voler osare di più per poter di nuovo toccare la felicità, che adesso ha il volto di Harry.

L'aereo atterra, scendiamo, recuperiamo i nostri bagagli, che fortunatamente non si sono persi, prendiamo un taxi che ci porta direttamente in albergo, e io non faccio altro che guardarmi intorno non appena entriamo in città. Sta per succedere qualcosa, qualcosa di buono, qualcosa di meraviglioso, lo sento nell'aria che respiro dal finestrino leggermente aperto. Siamo stati fortunati, la giornata è soleggiata e la temperatura è particolarmente mite, soprattutto per me che sono abituata alle temperature di Montréal.

Non faccio altro che guardarmi intorno e tentare di rispondere alle numerose domande di Harry. Per lui è come se io, dato che conosco lo spagnolo, fossi tenuta anche a conoscere la storia di Madrid. Qualcosa so, ma non molto, per questo abbiamo deciso che compreremo un libricino che ci farà da guida turistica. Harry ha detto che, dal momento che oggi abbiamo la giornata libera, vuole andare in giro per la città. Gli ho spiegato che non credo sia una buona idea dato che, se fossimo a Boston, staremmo dormendo in questo momento, ma lui non ha voluto sentire ragioni.

Il taxi si ferma esattamente davanti all'ingresso principale dell'hotel prenotato dalla HS, un cinque stelle, ma non avrei potuto aspettarmi qualcosa di diverso.

«Gracias», dico al tassista che ci sta aiutando a scaricare i bagagli e sorrido quando sento Harry pronunciare la mia stessa parola.

«Espero que disfrute de su estancia en Madrid, hasta luego». Il tassista ci saluta e risale in macchina, ma non posso non ridere quando, mentre stiamo entrando nella hall, sento le parole di Harry pronunciate a bassa voce.

«Che cazzo ha detto?» Sto per rispondergli, sto per tradurgli le parole che il tassista ci ha rivolto, ma poi ci ripenso.

«Harold ti avevo detto che avresti dovuto studiare lo spagnolo», dico, camminando verso la reception e il mio sguardo si perde nella bianca vastità del marmo dei pavimenti, dei dettagli dorati dei lampadari e delle piastrelle sui muri.

«Dimenticati di Harold e sai perfettamente perché non imparo il dannato spagnolo». Ignoro la sua ultima affermazione e quello che le sue parole mi provocano, o almeno ci provo, perché siamo ormai alla reception e tocca a me fare il check-in.

«Buenos días, tenemos una reservación a nombre de Stevens». Il ragazzo mi sorride gentilmente e, dopo avermi salutato, controlla sul monitor di fronte a sé quello che credo sia l'elenco delle prenotazioni.

Harry è impaziente al mio fianco, lo vedo da come sposta il peso da una gamba all'altra ogni tre secondi e, istintivamente, allungo una mano a stringere la sua. Pare che il mio gesto abbia avuto l'effetto voluto, perché smette quasi subito di muoversi.

«Bien, vamos a necesitar la identificación de cada uno». Apro la borsa e il portafoglio per prendere i documenti mentre Harry resta a guardarmi.

«Gli servono i nostri documenti», gli spiego, e anche lui prende il suo portafoglio.

Durante le pratiche per il check-in il ragazzo al di là del bancone non ha fatto altro che sorridermi e flirtare con me, non sono stupida da non accorgermene, ma la cosa non mi importa, quello che davvero mi interessa in questo momento è vedere Harry con la coda dell'occhio che continua a fulminarlo con lo sguardo, anche se a Enrique, è questo il nome del ragazzo, sembra non dare fastidio lo sguardo minaccioso di Harry.

«Cuarta planta, habitación 232 e 236, el ascensor a la izquierda». Enrique mi porge le chiavi elettroniche e mi fornisce le indicazioni per le nostre camere.

Io e Harry ci incamminiamo senza i bagagli, che ci verranno portati in camera da qualcuno, e ho la netta sensazione che lui stia per esplodere perché il suo pugno sinistro non smette di aprirsi e chiudersi senza sosta. Premo il pulsante di chiamata, le porte si aprono ed entriamo, premo il numero quattro e, non appena le porte si richiudono, mi ritrovo schiacciata dal suo corpo, contro la parete metallica, le sue labbra che si appropriano delle mie con possessività, le sue mani strette intorno ai miei fianchi, e le mie mani tra i suoi capelli, poi si allontana appena, giusto per baciarmi la mandibola, poi il collo, mentre io abbandono la testa all'indietro capace solo di sospirare.

«Non ce la farò mai a sentirti parlare spagnolo per tutto questo tempo senza stenderti sulla prima scrivania che mi capita a tiro...» E se mai avessi pensato di poter avere una qualche via di scampo, dopo queste parole so con assoluta certezza di non averne, e nemmeno la voglio. 

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Capitolo 40
*** Sei simpatica come una martellata su un dito ***


Apro la valigia, sistemata al fondo del letto, che mi hanno portato in camera subito dopo che siamo arrivati al piano. Ho appena finito di fare la doccia, che era assolutamente necessaria, in uno splendido bagno in cui regna ovunque il marmo bianco. Sto morendo di sonno, ma Harry mi ha detto di sbrigarmi che vuole uscire. Dice che più tardi andremo a dormire, meglio sarà per combattere l'effetto del jet-lag. Non so se sia vero o se l'abbia inventato, ma voglio assecondarlo. Prendo un paio di jeans puliti, un maglione bianco e mi vesto, non ho lavato i capelli, lo farò più tardi, forse. Il pensiero di restare sveglia ancora tutte queste ore mi stanca.

Infilo il cellulare in tasca e prendo la chiave elettronica prima di uscire dalla stanza ampia e luminosa, con un meraviglioso parquet in legno come pavimento. Chiudo la porta alle mie spalle, mi guardo intorno, ma di Harry non c'è traccia. Mi appoggio con le spalle al muro e riprendo il telefono per inviare un messaggio a mia sorella.

Ciao stronzetta 

Siamo arrivati sani e salvi

 

Sorrido dopo aver inviato. Non credo che lo leggerà, perché sta dormendo a quest'ora, e invece mi stupisce rispondendomi praticamente subito.

Divertiti,  
spero che Harry abbia portato i preservativi

Sgrano gli occhi per quel messaggio e sento prendere fuoco il mio intero viso. Non sono così pudica, ma un approccio così diretto non l'abbiamo mai avuto, e non faccio in tempo a rispondere che subito mi arriva un altro messaggio.

Scusa Chloe, è stato Zach 
E scusa anche per non avertelo detto 
Rilassati e vedrai che andrà tutto bene 
Ti voglio bene

Rido nel leggere quel messaggio, poi le rispondo dicendole che anch'io le voglio bene, e lo penso veramente. 

In questi giorni abbiamo parlato ancora di Harry - di Harry e me - e ogni volta la sua conclusione era sempre la stessa: mi ha detto che non si aspettava affatto un comportamento del genere da parte sua, che l'ha piacevolmente stupita, soprattutto dopo aver sentito le chiacchiere che giravano su di lui in ufficio, e continua a spingermi a provarci, a provare ad essere felice perché, secondo lei, con Harry posso esserlo.

Il rumore di una porta che si apre mi distoglie dai miei pensieri, mi volto verso destra e lo vedo uscire dalla sua stanza, mentre mi chiedo se possa essere più bello di così. Non indossa più il completo che aveva prima, ora indossa dei normalissimi jeans neri, un normalissimo maglioncino nero, il suo solito cappotto, eppure il sorriso che gli spunta sulle labbra non appena mi vede, rende tutto incredibilmente straordinario.

«Sei pronta?», mi chiede, camminando nella mia direzione.

Vorrei rispondergli che non sono mai pronta quando mi guarda in quel modo, che non sono mai pronta a qualunque cosa riguardi lui, ma sono convinta di volerci provare, di provare ad essere felice, quindi c'è solo una risposta che posso dargli.

«Io continuo ad essere dell'idea che dovremmo farci qualche ora di sonno». Ho bisogno di punzecchiarlo perché lui è troppo da gestire, e io ho bisogno di imparare a farlo un po' per volta.

La sua espressione cambia, credo gli sia appena venuto in mente qualcosa che non può essere detto davanti a dei bambini, poi si avvicina ancora fino ad essere ad un palmo dal mio naso. «Se vuoi possiamo andare a letto, ma non credo ti lascerei dormire...» La sua sfacciataggine ormai non conosce più alcun limite, ma la cosa non mi dà realmente fastidio. Quello che mi infastidisce realmente sono io, le mie paranoie e le mie inutili - e ormai superflue - barriere immaginarie, ma voglio buttarle giù, insieme a lui.

«Signor Stevens, queste sono molestie sul luogo di lavoro», gli dico, sorridendogli nello stesso modo in cui lui sta sorridendo a me.

«E allora, se non vuoi che le metta in pratica, ti conviene muoverti. Abbiamo una città che ci aspetta». Mi supera e si incammina verso il corridoio. Non mi resta che seguirlo, sorridendo quando si volta a guardarmi non appena arriva all'ascensore, che non troviamo vuoto stavolta, e non facciamo altro che lanciarci sguardi complici fino all'arrivo alla hall.

Vicino al bancone della reception c'è un espositore con vari depliant, brochure e cartine della città, ne prendiamo alcuni e ci rechiamo all'esterno. Lui insiste per prendere la metro, mentre io voglio stare all'aria aperta e vedere quanto più possibile, dopo tutto siamo in pieno centro e credo che, con tutte le ore di volo e di sonno che abbiamo sulle spalle, non sia proprio il caso di allontanarsi molto. Alla fine cede alle mie richieste, non senza sbuffare, e facciamo una passeggiata nella commerciale Gran Via a guardare vetrine.

Mi piace vederlo camminare rilassato, senza alcun pensiero, perché è così che siamo entrambi in questo momento, solo io e lui, senza nessuno dei nostri demoni che viene a torturarci. Spesso mi ha preso per mano, a volte mi ha abbracciato da dietro mentre mi incantavo a guardare qualche vetrina, poggiando il mento sulla mia spalla e, probabilmente, a chi ci guardava saremmo potuti sembrare una coppia in viaggio di piacere e, anche se non è del tutto vero, non è nemmeno del tutto falso.

Siamo una coppia? Non lo so, ma non è importante ora, quello che conta è riuscire a capire fino dove entrambi siamo disposti a spingerci nel nostro rapporto, cosa siamo disposti a rischiare, sempre se siamo disposti a rischiare qualcosa, e se siamo in grado di buttarci il nostro passato alle spalle.

«Ti va un caffè?», mi domanda, quando passiamo davanti ad un bar.

«Hai bisogno di caffeina per tenerti sveglio?» Lui mi risponde alzando gli occhi al cielo.

«Sei simpatica come una martellata su un dito», mi dice, poi non aspetta una mia risposta ed entra nel locale senza nemmeno guardare se lo sto seguendo.

Mi avvicino a lui, che ora è davanti al bancone intento a leggere il menù affisso in alto, e non ho alcuna intenzione di aiutarlo, come pare lui non abbia alcuna intenzione di chiedermi aiuto.

«Un café americano, gracias», gli sento dire in uno spagnolo stentato, ma non posso non essere fiera del fatto che ci stia provando.

«Signor Stevens... è piuttosto sexy anche lei, quando parla spagnolo», gli dico sottovoce, ottenendo la reazione che avevo immaginato non appena sente le mie parole.

Si volta di scatto, i suoi occhi brillano e il suo sorriso si accende. «Vuoi provare il bancone, Stewart? No perché se continui così sei decisamente sulla buona strada...» Ed è l'esplosione di ogni cellula del mio corpo provocata dal suo sguardo, unito al suono della sua voce e al significato delle sue parole: potrei strappargli i vestiti di dosso ora, se non fossimo in un luogo pubblico.

Non riesco a rispondere a tono, perché il mio corpo è in totale subbuglio, mi sta solamente guardando, non mi sta nemmeno sfiorando, eppure riesco a sentire le sue mani sui miei fianchi al di sotto del maglione, come ci riesca non lo so, ma ci riesce e la cosa è destabilizzante.

«Ti aspetto al tavolo», gli dico con voce incerta, poi mi allontano senza più guardarlo, ma sono certa che stia sorridendo compiaciuto, come sono certa che si sia accorto dell'effetto che le sue parole hanno avuto su di me.

Dopo aver consumato il suo caffè iper extra mega zuccherato - dieci, non due, non tre, non quattro bustine di zucchero, ma dieci - ci godiamo il resto della giornata con più tranquillità. Pranziamo a pomeriggio inoltrato con un paio di tortillas prese ad un chiosco nella più totale serenità. Non mi sentivo così mentalmente libera da mesi. È come se potessi non soffrire mai più, come se il dolore che ho provato fino a poco tempo fa, fosse ormai un ricordo lontano, perché vicino a lui riesco ad essere libera di poter vivere.

Stare con Harry vuol dire rinunciare ad avere paura, a provare dolore, a sentirsi sola e carica di sensi di colpa, vuol dire ridere, avere fiducia nel futuro, apprezzarsi, perché la persona accanto a te lo fa e ti sprona a fare lo stesso, vuol dire stare bene e fidarsi dell'altro fino al punto di confidargli il brutto che avvelena la propria anima e amare anche quella parte.

E, mentre camminiamo verso l'hotel, troppo stanchi per poter continuare a restare in giro, sembriamo solo due ragazzi che hanno voglia di stare insieme senza pensieri, senza conseguenze, perché è così che mi sento.

Appena arrivati davanti all'ingresso principale lui si ferma. «Come si dice ciao amico?», mi chiede con aria seria.

Lo guardo stranita, aggrottando le sopracciglia. «Hola amigo, perché me lo chiedi?» Harry sorride e mi trascina dentro la hall tenendo stretta la mia mano nella sua senza rispondermi, e poi rido quando lo sento salutare Enrique, che è in piedi al suo posto alla reception.

«Hola amigo». Poi alza la mano nella sua direzione, ma non quella libera. Alza la mano con la quale sta stringendo la mia, probabilmente, anzi, quasi certamente, è solo una dimostrazione a chi fa la pipì più lunga … quelle stupide gare tra maschi che giocano a segnare il territorio.

Enrique saluta entrambi con un gran sorriso, poi continuiamo a camminare.

«Quanto sei infantile, Stevens?», gli chiedo ridendo, quando arriviamo davanti all'ascensore.

«Stewart ho parlato spagnolo, dovresti ripetermi quanto sono sexy». Preme il pulsante di chiamata e attendiamo davanti alle porte metalliche.

«Se vuoi posso ripeterti che sei infantile... non c'era bisogno di fare quella specie di scenetta davanti a Enrique». Pronuncio il nome di quel ragazzo di proposito, solo per provocarlo, ed è esattamente quello che ottengo.

Si volta a guardarmi con una strana luce negli occhi, ma è costretto ad interrompere qualsiasi intenzione gli stesse passando per la testa perché le porte dell'ascensore si aprono ed escono un paio di persone, poi mi trascina all'interno ma, quando stanno per chiudersi, una mano ne ferma la corsa e le porte si riaprono, mentre Harry sbuffa per il fastidio.

«Disculpa, vengo retrasado», dice l'uomo entrando trafelato, per poi premere il pulsante con il numero tre.

«Che cazzo ha detto ora questo?», mi chiede, con l'aria più scocciata che gli abbia mai visto.

«Si scusa di aver fermato l'ascensore, ma era in ritardo», gli spiego, per poi osservare con attenzione la sua espressione corrucciata, con quella piccola ruga in mezzo alla fronte nella quale vorrei affondare il dito per farla distendere.

Poi borbotta qualcosa che non ho intenzione di approfondire, sono troppo stanca per farlo, ma credo di poter intendere comunque i suoi pensieri.

Durante la salita, salgono e scendono altre persone e noi restiamo in silenzio fino al nostro piano, poi ci incamminiamo lungo il corridoio fino alla mia stanza. Una volta davanti alla porta prendo la chiave elettronica dalla tasca dei jeans e, quando sto per rivolgergli la parola, lui me la strappa quasi di mano. Con gesti rapidi e decisi fa scattare la serratura, mi trascina all'interno della stanza e mi ritrovo improvvisamente intrappolata dal suo corpo contro il muro, la sua bocca che reclama la mia con forza, le sue mani sono già sotto la mia maglia, e la sua gamba si fa spazio tra le mie tenendomi bloccata come se io avessi la benché minima intenzione di allontanarmi.

Non ci penso nemmeno e infilo le mani tra i suoi capelli stringendo, strappandogli un gemito che si riversa nella mia bocca e che accende ogni fibra del mio corpo, che si spinge contro il suo con ogni forza che mi è rimasta. Faccio scorrere le mani in basso per far scivolare sulle spalle il suo cappotto, e lui toglie velocemente le mani dalla mia maglia, sfila le maniche del cappotto senza mai lasciare le mie labbra, poi fa la stessa cosa con il mio cappotto, che scivola a terra nello stesso modo del suo, le sue mani tornano sotto la mia maglia, ed è a quel punto che il mio cervello si disconnette del tutto.

I pensieri sono completamente azzerati, ora c'è solo il puro istinto che mi porta a volere ogni parte di lui, quell'istinto che mi porta a desiderare di avere molto più di questo. Harry non è di certo il primo ragazzo che abbia avuto, ma è di sicuro il primo con cui provo questo genere di sensazioni, il primo che sia riuscito ad annullare ogni pensiero negativo, come se non fosse mai esistito. Lui riesce a farmi sentire come se fossimo solo io e lui, come se fossimo sempre stati solo io e lui e, mentre scende a baciarmi il collo, con ancora il suo ginocchio a tenere separate le mie gambe, lascio andare un profondo sospiro di liberazione.

«Cazzo! Adoro quando lo fai...», sussurra appena sul mio collo.

«Cosa... quando faccio cosa...», riesco a malapena a pronunciare.

«Quel suono... quando io faccio così...» Apre le labbra appoggiandole tra il collo e la spalla, sento chiaramente un suono provenire dalla mia bocca, un suono che lo spinge ancora di più contro il mio corpo, mentre le sue mani stringono di più la presa sulla mia schiena nuda.

E poi sento improvvisamente il vuoto. Apro gli occhi, Harry si è allontanato e non posso descrivere quanto sia meravigliosamente sexy in questo momento, con gli occhi lucidi e i capelli spettinati dalle incursioni delle mie mani. Mi guarda come se fossi la cosa più bella che abbia mai visto, ed è esattamente così che mi sento. «Chloe... torno subito... non muoverti da qui...», mi dice, iniziando a camminare lentamente all'indietro senza smettere di guardarmi, e io resto ferma contro il muro, mentre lo guardo aprire la porta della mia stanza e rido quando sento le ultime sue parole poco prima che sparisca dalla mia vista. «Dio! Che fame!»

*****************

Harry

Chiudo la porta della stanza di Chloe, mi infilo in tasca la sua chiave elettronica e prendo la mia, dirigendomi a passi veloci verso la mia camera con un solo e unico obiettivo: recuperare la scatolina blu!

Sta per succedere, finalmente potrò averla. L'ho desiderato dalla prima volta in cui l'ho vista, e anche quella volta alla serata di beneficienza con quel dannato vestito rosso, che spesso ho sognato di toglierle. Arrivato davanti alla porta inserisco la tessera, ma il led resta rosso, riprovo, ma niente da fare, tento una terza volta e quel dannato led è ancora rosso. «Cazzo!», impreco ad alta voce. Ho fretta e questa stupida porta non si vuole aprire. Poi mi dico che forse ho sbagliato, che potrei aver preso la chiave di Chloe, quindi scambio le tessere e stavolta la luce diventa verde. «Sì!», dico con entusiasmo.

Accendo la luce ed entro quasi di corsa, fiondandomi direttamente sulla mia valigia, che ho lasciato per terra vicino all'armadio. Mi inginocchio sul pavimento e inizio a tirare fuori velocemente tutto quello che trovo, ma di quella scatolina non c'è traccia. «Merda! Eppure l'ho presa!» Continuo a parlare da solo, come un idiota, fino a che svuoto completamente il bagaglio e infine la trovo, continuando a darmi del coglione perché non mi ero ricordato che ero stato proprio io a nasconderla, per evitare che Brenda la trovasse in caso volesse dare una controllata. 

Mi rimetto in piedi e, quando sto per arrivare alla porta, il mio cellulare inizia a squillare. Lo afferro velocemente per controllare chi mi stia chiamando, magari è Chloe che ha bisogno di qualcosa, ma sbuffo sonoramente quando leggo il nome di mio fratello sul display.

Resto a fissarlo, indeciso se rispondere o meno. Non ho davvero alcuna intenzione di perdere tempo con lui proprio adesso, ma il telefono continua a squillare e squillare, quindi lo poso sul tavolino alla mia sinistra e mi avvicino alla porta per uscire, poi lancio un ultimo sguardo al telefono che smette di suonare, così tiro un sospiro di sollievo e abbasso la maniglia, ma quel dannato aggeggio riprende a suonare. «Che cazzo!» Sospiro frustrato, mi allontano dalla porta e vado a prendere il telefono rassegnato al fatto che mi tocca rispondere.

«Cosa!?» So perfettamente di essere sgarbato e maleducato, ma in questo momento non me ne può fregar di meno. Chloe è nell'altra stanza, impaziente tanto quanto me, e mi sto già maledicendo per conto mio per farla aspettare così tanto, non avevo certo bisogno di questa telefonata.

«Buongiorno anche a te, Harry, mi fa piacere che mio fratello sia felice di sentirmi, che non veda l'ora di farmi sapere che va tutto bene e che non è morto in un incidente aereo...» Il tono sarcastico di Jordan mi innervosisce.

«Se ci fosse stato un incidente aereo l'avresti saputo in ogni caso», ribatto più duramente di quanto lui meriti.

So bene quanto mi stia comportando male nei suoi confronti in questo momento, ma non posso spiegargli la situazione e non sono abbastanza lucido per ragionare, dato che ogni goccia di sangue che ho in corpo si è completamente riversata nelle parti basse e il mio neurone solitario sta annaspando nel vuoto più totale.

«Pensavo che spedirti lì con Chloe ti avrebbe fatto bene, ma devo essermi sbagliato», mi dice con un tono di voce divertito, e vorrei tanto potergli rispondere che non si è affatto sbagliato, ma al momento ho altre priorità che non stare qui a chiacchierare amabilmente con mio fratello.

«Senti possiamo parlarne in un altro momento?» Provo a troncare questa inutile conversazione che mi sta solamente facendo perdere tempo, potrò parlare con lui più tardi. Forse.

«Beh pensavo avresti avuto più domande per me riguardo al fatto di averti mandato lì con Chloe...» Devo interromperlo.

«Jordan! Ne riparliamo più tardi. Sono vivo...», anche se penso “non so ancora per quanto” dato che sto per esplodere, «Chloe è viva, l'aereo non è precipitato quindi, se non è una questione di vita o di morte, la possiamo chiudere qui?» Il mio tono è scorbutico, me ne rendo conto, ma non riesco a pensare che ad una cosa sola in questo momento, e non è di certo restare a parlare con lui.

«Sei più stronzo del solito... ho capito, ci sentiamo più tardi...» Gli rispondo stentatamente per poi chiudere la comunicazione, spegnere il cellulare e metterlo dentro al cassetto del comodino. Alla fine lo chiudo anche a chiave, non si sa mai.

Esco dalla mia stanza e dopo aver fatto qualche passo in direzione della camera di Chloe, mi rendo conto di aver dimenticato sul letto la scatolina blu. «Ma che cazzo!» Torno indietro con un enorme senso di frustrazione addosso, riapro la porta, recupero la scatolina, esco un'altra volta e chiudo per l'ennesima volta in pochi minuti la porta della mia stanza.

«Perché diavolo ho deciso di dormire in un'altra stanza?», dico a me stesso, ripensando al fatto che, anche se mio fratello ha prenotato due stanze avrei potuto benissimo sistemarmi nella stanza con lei ed evitare questo andirivieni, ma poi penso che, forse, Chloe non sarebbe stata d'accordo, o forse sì... Devo andare da lei, subito!

Non faccio in tempo a fare quattro passi nella direzione della mia destinazione che sento una voce chiamarmi e mi fermo sul posto senza voltarmi. «Señor Stevens?» Giuro che, se avessi una qualsiasi arma, in questo momento sarei in grado di usarla. «Señor Stevens?» La voce maschile si avvicina e io sono costretto a voltarmi, sfoggiando il sorriso più falso che sia mai riuscito a fare.

«Sì?», rispondo, senza saper bene cosa fare.

Il ragazzo si avvicina e lo riconosco: è Enrique, il cretino che faceva il cretino con Chloe, con tutta la sua aria da cretino. «Señor Stevens», mi parla in spagnolo, ovviamente. «Puede ir a la recepción a retirar los pasaportes». Spagnolo, ancora spagnolo, e io non ho capito un cazzo di quello che ha appena detto, ma sono certo che non sia venuto fin quassù per parlare con me.

«Gracias», gli rispondo, senza sapere assolutamente cosa mi abbia detto, magari mi ha detto di scavarmi una fossa con le mie mani e io ho fatto una gran figura di merda, ma se non avevo tempo per mio fratello, figuriamoci se ne ho per il cretino.

Resto fermo nella mia posizione, lui mi sorride incerto come se si aspettasse qualcosa da me e, dato che nemmeno lui si muove, decido di dargli una pacca sulla spalla per poi voltarmi e andare dritto verso la mia destinazione, ignorando anche la bomba atomica se dovesse esplodere in questo momento. Il cretino tace, meglio così, ma non mi volto a controllare se sia rimasto lì o se si sia allontanato, e arrivo davanti alla porta di Chloe. A scanso di equivoci tiro fuori entrambe le chiavi elettroniche, ne provo prima una, che ovviamente mi dà luce rossa, poi l'altra, luce verde e, finalmente, entro, chiudendo il mondo fuori da qui.

Ma quando la vedo mi rendo conto di essere stato colpito da un enorme boomerang, sul quale viaggiava il karma.

Sta dormendo. Chloe è sdraiata sul letto, girata su un fianco, con gli occhi chiusi e sta dormendo. «Fanculo!», pronuncio a bassa voce, senza più traccia di rabbia, ormai rassegnato al fatto che anche oggi andrò in bianco.

Mi avvicino lentamente al letto, mi lego i capelli con l'elastico che ho al polso, e mi siedo dolcemente per non svegliarla. « Stevens sei proprio un coglione», dico a me stesso, sottovoce, pensando al fatto che non avrei dovuto portarla in giro per la città, dovevo darle retta e rinchiuderla subito dentro a questa stanza.

Porto una mano sul suo viso, la sfioro appena, poi prendo una ciocca dei suoi capelli, non posso farne a meno, da quando l'ho fatto la prima volta è diventata una cosa nostra, non l'ho mai fatto in passato, ma con lei mi viene bene. A dire la verità con lei mi vengono bene molte cose, tranne andare a segno, ma ho fiducia nel futuro.

Ridacchio del mio stupido pensiero, poi rivedo nella mia mente la sua espressione di oggi mentre passeggiavamo in quella via, mentre guardava i negozi o semplicemente quando rideva per qualcosa. Ho adorato la sua risata ogni singola volta, perché riuscivo a sentire quanto si fosse lasciata andare, quanto sia riuscita a lasciare il passato a Boston, perché lei era con me, oggi, sia quando camminavamo per strada come due semplici turisti, sia quando l'ho baciata, proprio in questa stanza, contro il muro. Lei era con me.

«Harry...» È ancora immobile nella sua posizione, ma ha pronunciato il mio nome con un filo di voce, e non so se stia sognando oppure sia sveglia.

«Sono qui», le dico, continuando a giocare con i suoi capelli.

«Dov'eri finito?», mi chiede, e io sorrido nel sentirglielo chiedere.

Non può immaginare che tutte le stelle, i pianeti, le galassie, conosciute e non, si siano allineati per mettersi contro di me, perché sono sicuro che è andata così, altrimenti non si spiegano tutti questi contrattempi che mi hanno portato a metterci troppo tempo a ritornare qui, cosicché la stanchezza ha preso il sopravvento e si è addormentata come una bambina.

«Scusa se ci ho messo tanto», le dico, poi lascio cadere per terra la scatolina blu che ancora tenevo tra le dita.

Chloe allunga una mano, la muove nell'aria come a ricercare la mia, l’afferro subito e lei la stringe, portandosela al petto. Immaginavo qualcosa di diverso per noi due in questo preciso istante, ma evidentemente c'è qualcosa che cerca di impedirci di stare insieme, e non parlo solo delle interruzioni di oggi, è da parecchio che questa cosa va avanti. Prima la sua indecisione nel voler fare il passo successivo nel nostro rapporto, poi gli intoppi che hanno portato a... a niente di fatto. Ho persino pensato al fantasma del suo ex, ma poi mi sono detto che era una stronzata.

«Harry... ti va di restare?», mi chiede ancora, con un filo di voce.

E dovrei dirle che sì, mi va di restare, mi va più di qualsiasi altra cosa, ma in questo momento, forse, è meglio che io torni nella mia stanza perché ho un problema da risolvere.

«Sei stanca, Chloe, sono stanco anch'io...», problema relativo per me, ma sembra proprio che il momento sia sfumato e non voglio dare l'impressione di essere disperato, anche se lo sono, «dovresti dormire e dovresti anche cambiarti...» Non è di certo il massimo dormire con i jeans, potrei sempre aiutarla a toglierli... «Vado a dormire un po' anch'io...» Per tutta risposta, lei rafforza un po' di più la presa sulla mia mano, ma resta con gli occhi chiusi, nella più totale immobilità, poi mi lascia andare, lentamente, come se anche lei facesse fatica a separarsi da me, ma credo che in questo momento sia l'unica alternativa possibile.

«Ho già lasciato disposizioni per la sveglia domani mattina», dice ancora, mentre faccio scivolare via la mia mano dalla sua.

«D'accordo, adesso dormi, buonanotte Chloe», le dico, per poi avvicinarmi e lasciarle un bacio sulla tempia.

Mi alzo dal suo letto, chiudo i tendoni alle finestre ed esco silenziosamente dalla sua stanza - dopo aver recuperato la scatolina -, con il pensiero fisso di quello che potrebbe essere stato e invece non è, con il pensiero che mi ero ripromesso di parlarle, di dirle tutto quello che so su Dylan e tutto il resto, ma sono un vigliacco e ho solo voglia di lei, di stare con lei e di godermi ogni secondo. 

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Capitolo 41
*** Mi approfitterei di te anche adesso ***


Sento un rumore, credo sia la suoneria di un telefono. Tiro fuori il braccio dalle coperte calde e muovo a tentoni la mano sul comodino, ma non riesco a trovare niente di utile a fermare quel rumore. Sono costretta a mettermi seduta, mi stropiccio gli occhi poi tento di aprirli, ma sono decisamente pesanti. A fatica riesco a capire che mi trovo in una stanza d'albergo e che è il telefono sul comodino opposto alla parte del letto dove ho dormito io, che sta suonando. Mi allungo sopra le coperte e porto la cornetta all'orecchio: «Sì?», dico con voce impastata dal sonno, e tutto quello che sento è un messaggio pre-registrato che mi comunica l'orario.

Sono le sei e trenta, sto morendo di sonno nonostante abbia dormito più o meno dodici ore, e sto anche morendo di fame, dato che non ho cenato. Riaggancio, poi mi lascio andare all'indietro sul letto mentre tento di fare mente locale sugli ultimi avvenimenti di ieri, ed è in quel momento che sento tornare a galla tutte le meravigliose sensazioni che ho provato con lui. Dalla passeggiata per la Gran Via, al rientro bollente in hotel.

Porto le mani sulle mie guance nel sentire riaffiorare il calore che mi provoca l'immagine di lui con il suo ginocchio tra le mie gambe mentre mi tiene ferma contro il muro...

«Merda!» Lascio andare un sospiro per la frustrazione e mi volto su un fianco, raggomitolandomi per trovare un conforto che so per certo di non poter trovare da sola.

Continuo a pensare solo ed esclusivamente a lui, nessun altro pensiero è venuto a turbare il mio sonno e neanche il mio risveglio. Per quanto mi sforzi, non riesco davvero a pensare ad altro se non a Harry e a quello che solo lui è riuscito a farmi provare. Non mi è mai capitato di annullarmi in quel modo, di spegnere il cervello e lasciar parlare solo il mio corpo, e adesso posso dire che è stato fantastico sentire la sua passione attraverso le sue mani, o le sue labbra, o ancora attraverso i suoi movimenti... non ho mai desiderato niente come desidero lui.

Sbuffo uscendo dalle coperte per andare in bagno, mentre mi godo appieno la sensazione dei piedi nudi sul parquet. Davanti al lavandino mi prendo del tempo per guardarmi allo specchio e sorridere a me stessa, per sorridermi sinceramente, senza provare odio per l'immagine che vedo riflessa, e succede per la prima volta dopo mesi passati a torturarmi per quanto è successo la sera del mio compleanno.

Devo smetterla subito di pensare a quella sera, perché Harry non è qui con me, e ho paura di ricadere dentro a quel baratro se non posso aggrapparmi a lui. Mi sfilo la maglia che ho usato per dormire - i jeans li ho tolti stanotte quando mi sono alzata per andare in bagno a fare pipì - tolgo anche la biancheria, poi mi fiondo sotto la doccia e quasi urlo per il getto freddo che mi colpisce immediatamente, ma per fortuna riesco a regolare la temperatura in fretta.

Ieri sera sono crollata come una pera cotta mentre aspettavo che lui tornasse. Mi sono sdraiata sul letto per stare più comoda e credo di essermi messa troppo comoda, perché non l'ho sentito tornare, mi sono accorta di lui solo quando ha iniziato ad accarezzarmi il viso, ma a quel punto ero troppo assonnata per riuscire ad aprire gli occhi. Lui è stato meraviglioso in quei pochi attimi in cui, per l'ennesima volta, non mi ha forzata in alcun modo, e io penso di dover fare qualcosa per lui.

Esco dalla doccia, mi asciugo più velocemente possibile, do un colpo di phon ai capelli, poi li lego, indosso una tuta che ho portato per stare in camera, recupero la chiave elettronica ed esco dalla mia stanza. Mi guardo intorno, di Harry non c'è traccia, cammino svelta fino agli ascensori, scendo al piano terra e vado dritta nel salone dove stanno servendo la colazione. Spiego le mie intenzioni e invento un paio di motivazioni per cui vorrei portare la colazione in camera, e vengo subito accontentata. In realtà non credo mi avrebbero fatto comunque storie, essendo un hotel a cinque stelle avrei benissimo potuto chiamare il servizio in camera, ma volevo essere io stessa a portargli il primo pasto della giornata.

Con il mio bel vassoio carico di un sacco di cose buone - ma nessuna di queste surgelate - un misto tra dolce e salato, succhi di frutta, caffè e non so che altro, arrivo davanti alla porta della sua stanza e, per un attimo, sono indecisa su come bussare: sono certa che se usassi il piede sembrerebbe che io voglia buttare giù la porta, le mani non riesco ad usarle perché è già stata una specie di miracolo che io sia riuscita ad arrivare fino a qui senza rovesciare nulla e, alla fine, opto per la scelta più facile. Provo a chiamarlo, sperando che sia sveglio e riesca a sentirmi.

«Harry!?», dico ad un tono di voce non troppo alto per non disturbare gli altri clienti dell'albergo. «Harry!?», alzo appena il tono e, subito dopo, la porta viene aperta.

Credo sia superfluo dire quanto sia bello anche la mattina appena alzato, dopo tutte quelle ore di volo e ore di sonno arretrate a causa del jet lag, mentre indossa un banale pantalone della tuta, a piedi nudi, senza una dannata t-shirt che possa fermare i miei occhi, che continuano a vagare liberi sul suo corpo, fino a che è la sua mezza risata che mi riporta alla realtà.

«Devo capire se stai sbavando per me o per quello che hai sul vassoio», mi dice lui, divertendosi chiaramente a prendermi in giro per la mia stupida espressione incantata, poi, senza aggiungere altro, prende il vassoio dalle mie mani e si sposta per lasciarmi entrare nella sua stanza. «Colazione in camera, eh?», dice ancora, camminando verso il suo letto disfatto dove posa il vassoio. «Non è che vuoi farti perdonare per esserti addormentata ieri sera?» Il suo tono di voce pungente e canzonatorio mi irrita, a tal punto da sentire prurito alle mani.

Non ho ancora detto niente e lui non ha perso tempo a fare le sue solite, stupide, battute, e ora, mentre è in piedi al fondo del letto, che mi guarda con quell'espressione irriverente da "sono intelligente, acuto e me ne vanto", non posso trattenermi dal rispondergli l'unica cosa che mi passa per la testa. «L'unico che dovrebbe farsi perdonare qui sei tu...», gli dico, sedendomi sul bordo del letto, vicino al vassoio, per poi portarmi alla bocca la tazza di caffè amaro.

«Io? E cosa dovrei farmi perdonare?», mi domanda, con l'espressione sul volto di chi davvero non ha capito a cosa mi stia riferendo.

«Oh... per esempio del fatto di averci messo una vita e mezza a tornare nella mia stanza?» Alzo lo sguardo su di lui, che sorride ben consapevole del fatto che ciò che ho appena affermato sia vero. «Aspetta, com'era?... ah sì... "più tardi andremo a dormire, meglio sarà per l'effetto del jet-lag"», dico, tentando di imitare la sua voce, al che lui solleva le mani in un gesto di resa e si siede sul suo letto, di fronte a me, dall'altra parte del vassoio.

«A mia discolpa posso dire che, se fosse dipeso esclusivamente da me, non sarei nemmeno uscito dalla tua stanza». Prende le bustine di zucchero vicine alla tazza destinata a lui e inizia ad aprirle una dietro l'altra per rovesciarle dentro al caffè, cosa che mi strappa un sorriso, alleggerendo l'aria che si stava inevitabilmente facendo più pesante, battuta dopo battuta.

«Hai intenzione di metterle tutte?», gli domando, riferendomi alle bustine che continua imperterrito a strappare, per poi bere un altro sorso della mia bevanda calda.

«In realtà ne metterei qualcuna nel tuo caffè, magari potresti essere un po' più dolce...», mi dice, accartocciando l'ennesima bustina per poi buttarla insieme alle altre.

«Se fossi più dolce ti approfitteresti di me», gli rispondo, per poi posare la tazza ormai vuota.

Harry sorride, prende un muffin al cioccolato e ne rompe un pezzetto con le dita, ma contrariamente a ciò che credevo, non se lo mette in bocca. Si allunga leggermente verso di me con la mano a mezz'aria, avvicinandosi alle mie labbra - che reagiscono da sole al suo movimento - e si schiudono appena, lasciandogli la possibilità di infilarmi in bocca quel pezzo di dolcetto. Continua a guardarmi dritto negli occhi, anche quando i miei denti sfiorano il suo dito, che ritrae lentamente proprio mentre le mie labbra gli si chiudono intorno e, quando è del tutto fuori dalla mia bocca, non si allontana, ma accarezza con straziante lentezza il mio labbro inferiore, lasciandomi completamente spiazzata.

«Mi approfitterei di te anche adesso...», pronuncia a bassa voce, portandosi il dito alla bocca, lo stesso che fino ad un attimo fa era sulle mie labbra.

Vorrei rispondergli a tono, vorrei minimizzare ogni sensazione che mi provoca quando si comporta in questo modo, ma non sarebbe giusto né nei suoi confronti, né nei miei, perché sarebbe come negare l'esistenza di qualcosa che posso quasi toccare con mano, tanta è l'intensità di quello che succede al mio corpo quando il suo sguardo mi cattura in quel modo particolare, che succede solo con lui.

Lui mi guarda.

Io lo guardo.

Ed è come se non ci fosse nient'altro a questo mondo, niente che non riguardi noi due. Non c'è paura, non c'è dolore, non c'è alcun sentimento negativo, ma solo la voglia di lui, che è in grado di riempire ogni angolo del mio cervello, facendomi credere che ogni cosa sia assolutamente possibile.

«Harry...» Il suo nome scivola fuori dalle mie labbra, sfuggito al mio controllo, senza un reale motivo per pronunciarlo, ma solo per la necessità di fargli percepire - attraverso la mia voce - il mio stato d'animo, e sono certa che l'abbia capito perfettamente, perché il suo sorriso mi fa sentire il centro del mondo.

«È lo stesso per me...», risponde lui, dimostrandomi, come se ce ne fosse ancora bisogno, quanto riesca a leggere i miei pensieri, molto più di quanto non riesca a fare io con me stessa, «ma forse dovremmo rimandare il discorso a stasera...», dice ancora, mentre inizia a mescolare il suo caffè carico di zucchero, «altrimenti credo che Hernandez potrebbe darci per dispersi...», sorrido alle sue parole perdendomi nel verde brillante dei suoi occhi, «perché... una volta che resterai senza vestiti, non ti permetterò di rimetterli tanto presto...» Le sue parole non lasciano adito ad equivoci e, improvvisamente, mi sento come se avessi della sabbia in bocca che non mi permette di parlare o di articolare nessuna parola, mentre non faccio altro che guardarlo e desiderarlo più di quanto non abbia mai fatto in vita mia con nessuno.

Poi il suono del suo cellulare riporta entrambi bruscamente alla realtà e mi sento come se all'improvviso mi mancasse qualcosa, come se mi fosse stato strappato via, mentre lo guardo alzarsi e andare a recuperare il suo telefono da sopra al tavolino dietro di sé.

«Sì?», risponde, e si volta a guardarmi. «Sì». Lo allontana dal suo viso e lo vedo mimare con le labbra "è la segretaria di Hernandez"  e mi sembra di capire che stia mettendo in vivavoce.

«El Sr. Hernandez mandará un coche a tomarvos dentro de treinta minutos», sento pronunciare distintamente da una voce femminile.

«Muchas gracias, estaremos listos», rispondo, per poi salutarla e alzarmi in piedi. «Hernandez ci manderà una macchina tra mezz'ora», spiego a Harry, che sta riponendo il suo telefono dove l'ha preso e si avvicina senza smettere di sorridere.

«Quindi non c'è modo che io mi possa approfittare di te adesso...», dice, quando è ad un passo da me, lasciandomi ancora senza parole, specialmente quando sento le sue mani arrivare sul mio viso, «ma niente mi impedirà di fare questo...», e poi solo buio. Chiudo gli occhi, lasciandomi andare alla sensazione delle sue labbra sulle mie, delle mie mani sulla sua pelle nuda che scorrono dal suo petto ai suoi fianchi per finire sulla sua schiena e conficco leggermente le unghie nella sua carne quando sento ancora quel suono provenire dalla sua bocca e che si riversa nella mia.

Non vorrei allontanarmi da lui per nessun motivo al mondo e so che quando lui lo fa, si sente costretto quanto me dalla situazione. La sua fronte ancora appoggiata alla mia e il sorriso irriverente sulle sue labbra mi fanno desiderare di sparire con Harry dalla faccia della terra. «È meglio che tu vada ora, prima che io mandi a monte l'intero contratto...», mi dice con un filo di voce che riesce a toccare ogni parte di me.

«Ok», riesco a pronunciare con voce incerta, poi lui si allontana ancora, lentamente, fino a perdere definitivamente ogni contatto con me e voltarmi le spalle per chiudersi dentro al bagno, ma sorrido quando penso che, oggi, guardarlo in faccia senza avere pensieri sconci su di lui, mi sarà praticamente impossibile.

****************

Seduti nella macchina che il signor Hernandez ha mandato a prenderci, l'uno accanto all'altra, mentre lui mi mette a conoscenza degli ultimi dettagli di cui dovranno discutere oggi, sono attenta ad ogni suo sguardo, ad ogni suo gesto nello stesso modo in cui lui lo è con me. Siamo decisamente presi l'uno dall'altra, ma il lavoro che dobbiamo portare a termine è molto importante, non solo perché potrebbe portare a casa una bella soddisfazione nei confronti di chi, nel consiglio di amministrazione non crede in lui, ma sarebbe anche un buon punto di partenza con suo padre, per non parlare del fatto che ci sarebbero maggiori introiti per la società e molte persone ne trarrebbero beneficio.

«Harry...», lo richiamo per spiegargli il mio punto di vista, perché il suo sguardo provocatorio è sempre presente, «dovresti smetterla adesso...», non credo ci sia bisogno di specificare che mi sto riferendo alla sua mano sul mio ginocchio, che ha iniziato una lenta salita sulla mia coscia, tentando di infilarsi sotto la gonna.

«Perché? Siamo arrivati?» Si diverte ancora a prendermi in giro, ma non ho dubbi che abbia capito ciò che volevo dire.

«Harry!», dico decisa, con il tono di voce più fermo e serio che riesco a fare nonostante la sua mano sia ancora lì, ma con un basso volume tentando di non farmi sentire dall'autista.

Lui sorride sempre, mentre fa scorrere lentamente le sue dita sulla mia gamba, come a voler segnare un percorso immaginario, tenendo ben fermi i suoi occhi nei miei.

«Ok, Stewart, solo lavoro, promesso». Sembra rassegnarsi, tornando a poggiare la schiena all'indietro sul sedile posteriore e io torno a respirare regolarmente, mentre il cuore inizia lentamente a rallentare, ma non perde il sorriso, anche se non è più rivolto verso di me.

Osservo il suo profilo mentre guarda fuori dal finestrino, per poter imprimere nella mia mente questa sua immagine così serena e tranquilla, per potermi ricordare di questo suo sorriso così sfrontato e di quella speranza che gli leggo negli occhi, nonostante sia certa di scorgere una leggera dose di preoccupazione che non so come interpretare.

Potrebbe essere preoccupato per queste trattative: suo padre gli ha affidato un compito impegnativo e, anche se non vuole darlo a vedere, sono sicura che ci tenga a fare un buon lavoro per dimostrare quanto valga.

Potrebbe essere preoccupato per me, per come sto vivendo il nostro rapporto, ma potrebbe anche essere preoccupato per sé stesso, per come lui sta prendendo tutto quello che è accaduto tra noi due. Non ha più parlato di Winter e, per quanto io sia curiosa di conoscere ogni dettaglio della loro relazione, sono più che felice che lui la lasci fuori.

Ma in realtà potrebbe essere preoccupato per un milione di altri motivi di cui io non sono a conoscenza. Ad esempio è stato evasivo sul perché abbia passato quella serata a bere insieme a Larry, e io non ho voluto approfondire, però sono sicura che la sua sbronza fosse dettata da un motivo ben preciso.

Mi accorgo che la macchina inizia a rallentare, poi accosta sulla destra fino a fermarsi del tutto. «Hemos llegado a nuestro destino», ci avvisa l'autista, che ci guarda dallo specchietto retrovisore.

«Gracias, ha sido muy amable», gli rispondo, aprendo lo sportello per scendere dall'auto.

Sento anche Harry pronunciare un gracias  in direzione dell'autista, cosa che mi porta a sorridere per il fatto che sia stato gentile, poi scende anche lui, raggiungendomi poco prima di entrare nell'atrio, mentre sentiamo il motore della macchina che si allontana.

Camminiamo lungo il breve corridoio sul bellissimo pavimento di marmo, oltrepassando le porte trasparenti, fino al grosso bancone nero della reception che si trova al centro dell'atrio, dove chiediamo del signor Hernandez. Lasciamo i nostri nomi e ci vengono consegnati due badge per accedere al piano ma, una volta arrivati davanti agli ascensori, non posso evitare di guardare l'espressione contrariata di Harry.

«Che c'è?», gli domando.

«Io non mi attacco questo cartellino del cazzo», dice, per poi infilarlo in tasca.

«Anche alla HS funziona così... ogni volta che devo salire, l'oca bionda alla reception me ne dà uno...» Le porte dell'ascensore si aprono, così come il suo sorriso che si fa spazio sulle sue labbra.

«Oca bionda?» Ripete, una volta dentro il vano metallico, con un tono di voce chiaramente divertito.

«Non puoi negare che lo sia, se potesse mi fulminerebbe ogni volta che mi vede», gli dico, incrociando le braccia al petto. Pensare a quella mi fa sempre innervosire.

«E dimmi... quante volte hai indossato il fottuto cartellino? Perché io non te l'ho mai visto...» Harry poggia la schiena all'indietro contro la parete, tenendo strette al petto le cartelline contenenti i contratti, incrociando un piede sull'altro.

Oggi indossa un completo grigio scuro, che sembra essergli stato cucito addosso, e il suo sorriso irriverente che non vuole sparire dalle sue labbra. Ho perso il conto di quante volte abbia pensato che Harry sia bello da morire, ma non gliel'ho mai detto e, improvvisamente, ho dimenticato la sua domanda; le parole che si sono affacciate nella mia mente premono così forte sulla punta della lingua che non posso trattenerle, non più. «Questo completo ti sta davvero bene».

Harry alza entrambe le sopracciglia alla mia affermazione, credo per la sorpresa di sentire un apprezzamento da parte mia, e le sue labbra si curvano ancora di più fino a mostrare la fossetta sulla guancia sinistra. «Cazzo, Stewart, questo è un vero complimento», e io non posso che alzare gli occhi al cielo per le sue parole.

Per fortuna mi accorgo che siamo arrivati al piano e posso evitare di ribattere - o che lui continui a farmi notare l'ovvio - quindi accelero il passo, sperando che si dimentichi di questo momento, perché non voglio affrontare questo argomento proprio ora che stiamo per incontrare un cliente importante e che ho bisogno di tutta la mia concentrazione.

Nei giorni precedenti la partenza mi sono informata e ho studiato con attenzione diversi termini finanziari, con la speranza che mi sarebbero tornati utili, ed è a questo che sto pensando mentre ci avviciniamo alla scrivania della segretaria, che si alza non appena ci vede arrivare venendoci incontro sorridente.

«Bienvenidos...», allunga la mano, che entrambi stringiamo, mentre continua a parlare, «el Sr. Hernández los recibirá, sígueme». Ci volta le spalle per incamminarsi lungo il corridoio e sorrido nel vedere l'espressione smarrita di Harry.

«Dobbiamo seguirla», gli spiego, poi entrambi ci dirigiamo nella sua direzione fino a raggiungere un grande ufficio angolare con enormi vetrate con vista sulla città. Gli arredi sono moderni, prevalentemente di colore beige e nero, con un enorme tavolo situato alla nostra sinistra, al quale vedo sedute già diverse persone.

La segretaria ci sorride e ci invita ad entrare, cosa che facciamo subito. È il signor Hernandez ad accorgersi subito della nostra presenza, della mia soprattutto, perché mi viene incontro a grandi falcate con un gran sorriso.

«Que lujo volver a verla, señorita Stewart!» Stringe con forza la mia mano e sembra quasi ignorare Harry, che però non ha alcuna intenzione di restare in disparte e, mentre lo saluto, la mano di Harry entra nel mio campo visivo, fino quasi a togliere la mia da quella di Hernandez, per prenderla nella sua.

«Que tenga un buen día, señor Hernández!» Mi volto a guardarlo spalancando gli occhi per la sorpresa e il suo sorriso soddisfatto, e compiaciuto, è una delle espressioni più belle che gli abbia mai visto.

Anche Hernandez sembra piacevolmente sorpreso, poi si allontana dicendo che vuole presentarci agli altri e io approfitto subito di questo momento per chiedergli spiegazioni.

«Ma hai studiato?», gli domando sottovoce.

«No, ho imparato solo una stupida frase del cazzo perché ero certo che avrebbe fatto il cascamorto con te». Sorrido alle sue parole perché è palesemente una dichiarazione questa.

«Sei geloso, Stevens?» Non ho davvero bisogno che lui risponda, ma punzecchiarlo è qualcosa di cui non posso fare a meno.

«Più o meno come lo sei tu di Jessica», mi risponde con un sorriso sfacciato.

Sento la rabbia salire nel sentire le sue parole fino a farmi arrossare le guance. «Io non sono gelosa di quella!» Sono sicura che l'abbia detto solo per provocarmi e, a quanto pare, ci è riuscito perfettamente.

«Io non ne sarei così sicuro...», mi strizza l'occhio e mette la sua mano dietro la mia schiena, invitandomi a raggiungere gli altri presenti per poter procedere con le presentazioni.

Inizio il mio lavoro cercando di concentrarmi al massimo per poter accantonare quello che ha appena detto. La differenza tra me e lui, in questo caso, sta nel fatto che Hernandez l'ho visto solo due volte, ed è lui che fa il galantuomo con me, ma credo non abbia alcun secondo fine, mentre per quanto riguarda lui e quella, le cose sono decisamente diverse, ma non devo pensarci ora, altrimenti potrei tradurre cose irripetibili.

Prendiamo posto al grande tavolo rettangolare, io accanto a Harry, e indossiamo auricolari e microfoni che ci permettono di comunicare senza disturbare, e che agevolano la mia traduzione simultanea, per poi iniziare questa lunga mattinata di trattative, che spero porti buone notizie a Harry.

*****

«Ho decisamente fame!» Le parole di Harry mi fanno fermare sul posto e non posso evitare di guardarlo con occhi sbarrati.

Per tutta la mattina, appena ne aveva l'occasione, non ha fatto altro che farmi battute allusive a ieri sera, o ad altri momenti che abbiamo vissuto insieme, tipo sul mio letto, o nella sua macchina e così via, quindi ho tratto le mie conclusioni non appena ha pronunciato queste parole, perché ogni volta che le ha dette, era ovvio di cosa avesse fame.

«Harry!» Lo rimprovero per il suo essere costantemente inopportuno, ma niente mi poteva preparare al meraviglioso sorriso che gli vedo nascere sulle labbra, un misto tra malizia e divertimento.

«Ah, Stewart, riesci a pensare ad una cosa sola tu, credo di doverti accontentare al più presto...», pronuncia a bassa voce vicino al mio orecchio, mentre camminiamo verso il ristorante in cui siamo stati invitati per pranzo, poi si allontana e mi guarda dritto negli occhi poco prima di entrare nel locale, «intendevo che ho fame di cibo, almeno per il momento...», strizza di nuovo l'occhio ed entra, lasciandomi indietro, ridendo serenamente mentre si incammina all'interno.

Consumiamo il pranzo di lavoro insieme a tutti questi investitori, che non fanno altro che parlare di finanza, e devo impegnarmi con tutta me stessa per non addormentarmi sul tavolo, ma poi i miei sensi sono tornati subito all'erta non appena la mano di Harry - seduto accanto a me e nascosto dalla superficie del tavolo - scorre sulla mia gamba, il più delle volte tentando di infilarsi sotto la gonna, con una tale disinvoltura che sono assolutamente certa che nessuno se ne sia accorto.

Il resto del pranzo prosegue nello stesso modo e, a causa di tutti i movimenti sotto al tavolo, il mio corpo è in fibrillazione. Harry ha evidentemente deciso di farmi impazzire, forse per vendicarsi di tutte le volte che l'ho fatto io con lui. Non l'ho fatto intenzionalmente, ma lui sì, e si sta anche divertendo nel farlo perché è ovvio quanto si compiaccia di sé stesso nel notare le mie reazioni.

Quando torniamo in ufficio, per fortuna, torna ad essere professionale e il lavoro procede regolarmente. Lui che spiega in cosa consistono gli investimenti, i clienti che gli fanno le domande più improbabili, sicuramente per il semplice gusto di metterlo in difficoltà, perché sono certa che non si aspettassero un ragazzo così giovane a condurre una trattativa di tale portata.

Invece Harry ha sorpreso tutti, me per prima, con la sua preparazione e la sua prontezza nel rispondere e risolvere le questioni più delicate. Non che lo credessi un incompetente, ma per come mi ha sempre prospettato la sua voglia di stare in quella società, non credevo avrebbe avuto voglia di dimostrare quanto vale veramente, e sono sempre più piacevolmente sorpresa nel sentirlo parlare di piani di investimento, strategie, capitali e dinamiche dei cicli economici.

La prima giornata finisce con strette di mano e sorrisi, gli investitori sembrano soddisfatti di questa prima parte, poi salutiamo Hernandez, e Harry non si lascia scappare l'occasione di prendermi per mano poco prima di uscire dal campo visivo del suo cliente, e sorrido nel sentire il contatto dei suoi anelli tra le mie dita.

«Ti va di mangiare qualcosa prima di rientrare?», mi chiede, mentre scendiamo con l'ascensore.

«Abbiamo la cena in albergo», gli faccio notare, ma lui sorride e si avvicina appena al mio viso.

«Una volta rientrati in albergo non voglio alcuna interruzione...» Lo dice a bassa voce, cosicché solo io possa sentirlo, e il suo fiato sul mio collo mi porta a rabbrividire, e non di certo per il freddo.

Non so se sia lui a creare aspettative o se sia la mia mente a farlo, ma spero davvero di poterle vedere realizzate tutte, una ad una. 

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Capitolo 42
*** Sei arrabbiato con me? ***


Tre giorni.

Con oggi sono passati tre indimenticabili giorni da quando siamo arrivati nella capitale spagnola e io non mi sentivo così da... da troppo tempo per non apprezzare anche la leggera pioggia che batte contro il vetro della mia stanza d'albergo.

Sorrido, non faccio altro da quando siamo atterrati in questo stato, al di là dell'oceano rispetto a dove ho vissuto la mia intera vita e, se dicessi che tornare a casa non mi spaventa, mentirei spudoratamente, perché la verità è che sono terrorizzata di tornare in America, a Boston dove c'è Dylan, di cui non mi sono dimenticata - non potrei mai farlo data la sua somiglianza con il mio Dylan - e poi c'è il problema, se così vogliamo chiamarlo, del mio ritorno a Montréal per Natale. Detesto dovermi separare da Harry proprio in questo periodo in cui sembra che non riusciamo a fare altro che avvicinarci.

So di avere tante cose meravigliose di cui occuparmi lì, come la mia famiglia, i miei migliori amici, Ryan e Emma, ma quella è la città dove tutto è iniziato e tutto è finito, un po' anche la mia vita è terminata quel giorno, e anche se Harry è stato in grado di farmi uscire dal buio tirandomi con forza e fermezza, il mio timore è che, una volta tornata in quella città, non sarò in grado di tenere a freno il mio cervello.

Chiudo la valigia dopo aver controllato ovunque nella stanza di non aver dimenticato nulla e sorrido malinconica al pensiero di me e Harry in giro per la città, spensierati e sorridenti come ieri sera dopo l'ultimo incontro con tutti gli investitori - incontro che è andato alla grande. Harry ha portato a termine ogni singola richiesta di suo padre, se l'è cavata più che bene e Hernandez ha detto che porterà altri clienti, quando ne avrà l'opportunità, e che si raccomanderà di lavorare con lui personalmente.

Prendo la sua felpa, quella che ha lasciato qui ieri sera, la indosso sopra al mio maglioncino scuro e tiro su la cerniera fino al fondo stringendomi nelle spalle, come se fosse lui a farlo. Rimpiango il fatto che in nessuna di queste sere siamo riusciti a... come dire... "soddisfare il nostro appetito", ma sembrava davvero che ci fosse qualcosa che remasse contro di noi.

La prima sera, a causa di vari impedimenti, lui ha impiegato troppo tempo a tornare nella mia stanza e il jet lag ha fatto il resto, facendomi addormentare come un sasso. La sera successiva Harry ha passato un'intera ora in video conferenza con suo padre e suo fratello, mentre io lo aspettavo nel mio letto, ma per la seconda volta di seguito mi ha trovata nel mondo dei sogni. La cosa bella, però, è che si è comunque infilato nel mio letto e l'ho trovato al mio fianco quando mi sono svegliata.

Stamattina ci siamo alzati presto per recarci negli uffici di Hernandez per le firme finali e la definitiva conclusione del contratto, e ora ci stiamo preparando per andare in aeroporto. Il suo cliente ci ha invitato a pranzo e, per quanto Harry abbia insistito a dire che non ce ne fosse bisogno, alla fine ha dovuto cedere e siamo rimasti lì fino a poco fa.

Mi siedo sul bordo del letto per infilarmi le scarpe e, mentre lego i lacci, sento bussare alla porta. Mi alzo per aprire e sono certa di sapere chi sia. Abbasso la maniglia, tiro verso di me la porta e il suo sorriso è capace, ancora una volta, di farmi sentire bene e di rassicurarmi. «Sei pronta?», mi chiede, tenendo stretta tra le mani la sua valigia.

Anche lui è vestito molto più casual rispetto alla partenza. Indossa un paio di jeans scuri, strappati alle ginocchia, una camicia nera - come sempre troppo sbottonata - e il suo cappotto. Ha i capelli legati in uno chignon alto e una strana espressione sul viso, come se ci fosse qualcosa che lo turba. Che sia anche lui preoccupato per il mio rientro? Che anche lui stia pensando al fatto che posso avere un altro crollo emotivo una volta tornata a casa?

«Sì, ho appena chiuso la valigia ora... stai bene?», gli domando apprensiva.

«Sì, certo». Il suo tono non è spavaldo come al solito, sono sicura che gli stia passando qualcosa di negativo per la testa. «Dai andiamo...», si volta e fa per andarsene, ma io non posso restare ferma senza fare niente, non posso vedere ancora quell'espressione sul suo viso, quindi lo raggiungo, afferro la sua mano per farlo fermare, e lo faccio voltare verso di me.

«Harry cosa c'è che non va?» Resta in silenzio, ma sono certa che voglia dirmi qualcosa, glielo leggo negli occhi, ed è per questo che insisto. «Sei arrabbiato con me?» Lui aggrotta le sopracciglia.

«Perché mai dovrei essere arrabbiato con te?», mi domanda con aria confusa.

«Non lo so... forse perché mi sono addormentata e...»

Le sue labbra e le sue mani arrivano contemporaneamente sul mio viso, lasciandomi per un attimo interdetta, ma poi afferro il bavero del suo cappotto, come per aggrapparmi a lui. Improvvisamente mi è venuto questo dubbio, che possa essere arrabbiato con me, che possa aver avuto dei ripensamenti su di noi, è l'unica cosa che possa spiegare questo suo cambiamento nei miei confronti.

Si allontana leggermente, poi mi abbraccia, tenendomi stretta, molto stretta. Il mio torace è perfettamente aderente al suo, le sue braccia ad avvolgermi le spalle, le mie mani sulla sua schiena al di sotto del cappotto e io respiro lui a pieni polmoni, cercando di catturare ogni più piccola sensazione che questo dolcissimo abbraccio mi sta regalando.

«Non sono arrabbiato con te Chloe...», torna a guardarmi lasciando le sue mani sul mio viso «e comunque non potrei mai esserlo per un motivo così stupido». Le mie mani tornano sul suo petto, all'altezza del suo cuore, che sento battere velocemente. «Adesso andiamo o perderemo l'aereo». Mi lascia un bacio veloce, poi gli sorrido, torno in camera per recuperare la mia valigia e lo raggiungo vicino all'ascensore.

Al piano terra sbrighiamo le pratiche per il check-out e ci dirigiamo all'esterno, restando sotto la tettoia in attesa del taxi. Harry è silenzioso e io non riesco disturbare i suoi pensieri, che sembrano preoccuparlo molto.

Il tragitto fino all'aeroporto è accompagnato solo dal rumore del traffico e dalla radio che il tassista ha acceso. L'unica cosa che mi consola è che mi ha preso la mano non appena saliti in macchina e non l'ha più lasciata fino all'arrivo a destinazione, quando abbiamo dovuto necessariamente allontanarci per scendere, prendere le nostre valigie, e recarci al check-in, ma non appena leggiamo le informazioni sul tabellone luminoso, ci guardiamo entrambi con espressione sorpresa.

Il nostro volo è stato cancellato.

Cancellato.

Il primo pensiero è quello di voler sapere il motivo per il quale il nostro volo non verrà effettuato, ed è per questo che camminiamo a passo spedito verso il bancone dell' American Airlines per chiedere chiarimenti. L'hostess ci spiega che una bufera di neve si è abbattuta su Boston e che l'aeroporto è impraticabile, quindi non possiamo nemmeno decollare diretti a qualche aeroporto vicino, perché non è comunque facile arrivare poi in città senza imbattersi nella tempesta.

Stamattina mia sorella mi aveva scritto dicendomi che da ieri aveva iniziato a nevicare, ma non credevo avrebbe potuto presentarsi questa evenienza. «Vi consiglio di passare la notte in albergo, non credo ci sia la possibilità di ripartire a breve», ci spiega ancora la ragazza, scusandosi per il disagio.

Harry telefona a suo fratello spiegandogli la situazione, il quale gli dice di usare la carta aziendale per fermarci in albergo il tempo necessario. Quando chiude la chiamata si avvicina di nuovo al bancone per chiedere alla hostess qualche indicazione, mentre io resto in disparte, seduta sul mio trolley, a fare da spettatrice al suo spirito d'iniziativa. I lineamenti del suo viso sono meno tesi e ha una luce nuova che gli brilla negli occhi. Sembra essersi ripreso dal suo malumore e io non posso che esserne contenta.

«Vieni, dobbiamo andare di qua», mi indica la direzione verso cui andare, per prendere una navetta che ci porterà ad un hotel qui vicino.

Il tragitto è breve, solo qualche minuto per arrivare all'albergo. Stavolta è lui ad occuparsi dei documenti e di tutto il resto. Mi piace guardarlo, mi piace vedere come interagisce con le persone... mi piace... Mi piace anche osservarlo mentre cammina a passo tranquillo verso di me, che sono rimasta seduta sulle poltroncine della hall perché mi ha detto "faccio io".

«Visto? Era solo Ernesto che non capiva l'inglese, ma sono certo che lo facesse di proposito», mi dice, con un tono di voce infastidito.

«Chi?», gli domando, non capendo a chi si stia riferendo.

«Ernesto, il tizio alla reception che ti sbavava dietro», continua, con un tono ancora più infastidito di poco fa.

«Si chiamava Enrique, non Ernesto...», rido per le sue parole, ma a lui sembra non piacere la cosa.

«È uguale...», mi dice troncando il discorso, «andiamo?»

Mi alzo e lo seguo fino ad arrivare davanti ad una stanza, che lui apre con la chiave elettronica. Mi fa cenno di entrare, poi entra anche lui e infine chiude la porta alle sue spalle. Mi volto a guardarlo e lo vedo. Sulle sue labbra c'è un sorriso che sta combattendo per venir fuori, ma lo sta trattenendo con ogni forza.

«Harry... hai preso una sola stanza?» Non so perché glielo sto chiedendo. È ovvio che sia così, ed è anche ovvio quanto lo vogliamo entrambi, eppure adesso sono agitata, non spaventata, ma nervosa.

«Devo andare in bagno», risponde lui, sparendo dalla mia vista senza degnarmi di uno sguardo.

Lascio la mia valigia vicino alla piccola scrivania, poi appoggio i palmi delle mani sul bordo della superficie liscia, inspirando ed espirando lentamente, tentando di tenere a bada l'agitazione che sta salendo ad ogni secondo che passa.

Voglio Harry? Certo che lo voglio, ma sapere che sta per succedere sul serio, e non solo ipoteticamente, cambia tutto. Lui è al di là di quella sottile porta e, quando mi raggiungerà, non ci sarà più niente che possa interromperci.

Tolgo il cappotto e anche la sua felpa, perché il calore del mio corpo sta iniziando ad aumentare senza che lui nemmeno sia vicino a me. 'Dio Harry! Cosa mi hai fatto?' Torno ad appoggiarmi al bordo del tavolino, chiudo gli occhi, e sento il rumore della porta del bagno, poi i suoi passi sempre più vicini.

Sobbalzo appena quando le sue mani arrivano sui miei fianchi fino ad arrivare sul mio ventre, e il suo corpo si appoggia al mio, poi mi lascia un delicato bacio sulla nuca e posa il mento sulla mia spalla, respirando appena vicino al mio orecchio.

«Harry?» La mia voce è a malapena udibile, sono senza fiato e lui mi sta solo abbracciando.

Non risponde, ma mi lascia un altro bacio sul collo, proprio sotto l'orecchio, lasciando le sue labbra a contatto con la mia pelle per un tempo più prolungato rispetto a prima, ma non posso accontentarmi di questo come risposta. «Che succede adesso?», gli chiedo, con ancora gli occhi chiusi, non riuscendo a tenerli aperti.

«Tutto quello che vuoi che succeda...» La sua voce vibra sulla mia pelle, dentro di me, le sue labbra si posano ancora sulla parte di collo lasciata scoperta dal mio maglioncino e le mie mani si posano sulle sue intrecciando le nostre dita, mentre lascio andare la testa all'indietro sulla sua spalla.

L'agitazione e l'ansia di poco fa stanno svanendo rapidamente, è come se lui riuscisse a farmi estraniare dal mondo intero. Non ci sono più io e non c'è più lui, ma ci siamo noi, insieme, a dare vita a qualcosa di magico.

Fa una leggera pressione con le mani, invitandomi a voltarmi verso di lui, e io lo faccio, lentamente, senza più alcun pensiero negativo ad occupare la mia mente, senza più alcun pensiero e basta.

Le sue mani arrivano sul mio viso. «Guardami, Chloe», e io lo faccio, faccio ogni cosa mi sta chiedendo, e lo guardo.

I suoi occhi sono profondi, quel verde pare non avere fine, e a me sembra di affogarci dentro, ma non voglio essere salvata, voglio restare lì, nel suo sguardo, dove mi sento al sicuro.

«Voglio che tu sia sicura, Chloe. Voglio che sia esattamente quello che desideri. Non voglio che tu abbia rimpianti, non potrei sopportarlo...» Se in questo momento mi chiedesse di scalare l'Everest senza bombole di ossigeno, e senza una dannata attrezzatura, lo farei all'istante, senza pensarci due volte. Gli concederei qualsiasi cosa volesse, nello stesso modo in cui voglio concedere a me stessa la possibilità di sentire il sapore della felicità, della felicità con Harry.

«Sono sicura, Harry», rispondo senza esitazioni, senza perdere di vista i suoi occhi che non vedono altro che me, poi mi bacia ancora, con sempre più passione mentre io mi lascio andare ad ogni suo tocco.

Ad un tratto non sento più il pavimento sotto i piedi: Harry mi sta sollevando facendomi appoggiare sul ripiano della piccola scrivania contro la parete. Si fa spazio tra le mie gambe e non lascia mai andare la presa sulle mie cosce e sui fianchi. La sua bocca è ancora sulla mia, che bacia, morde, divora ogni millimetro di pelle che incontra.

Le mie mani arrivano decise sul suo torace e inizio a sbottonare la sua camicia con movimenti sconnessi e impacciati, mentre lui non fa altro che spingersi sempre di più contro il mio corpo, che ormai brucia per le attenzioni che Harry gli sta rivolgendo. Sento il fuoco invadermi, lo sento nei suoi gesti affrettati e intensi, nei suoi baci che ora sono arrivati sul collo, nel contatto delle mie mani sulla sua pelle, scoperta dalla camicia che ho ormai definitivamente sbottonato.

Le sue mani si allontanano giusto il tempo di potersi sfilare le maniche e tornare immediatamente su di me. Le sue dita si ancorano al bordo della mia maglia, che sfila subito dopo in un gesto deciso e torna ancora a baciarmi, ma adesso il contatto diretto della sua pelle sulla mia, non fa altro che far aumentare la velocità a cui sta andando il mio cuore.

Lo sento rimbombare forte nel mio petto contro il suo, lo sento chiaramente nell'arteria del collo, in gola, nelle orecchie, lo sento anche nella pancia, nelle mani, sotto le sue, di mani, su ogni punto in cui le sue dita si fermano, stringono, accarezzano, sulla scia di baci che sta lasciando sulla mia spalla, mentre con le dita fa scendere la bretellina del reggiseno. Lentamente lascio andare la testa all'indietro, contro il muro, poi un sospiro lascia le mie labbra, mentre, ad occhi chiusi, posso solo percepire la sua bocca, la sua lingua sulla mia pelle, e la morbidezza dei suoi capelli sotto le mie dita.

La sua mano aperta sul fondo della mia schiena per tenermi stretta a lui, l'altra nell'incavo del mio ginocchio per tenere la mia gamba contro il suo corpo, il suo torace a contatto con il mio, e io non sento altro che il suo respiro affannato che soffia sulla mia pelle.

«Harry...», dico senza un reale motivo, al che lui si ferma, non dice niente, e torna a mettersi dritto, lascia la mia gamba per tornare sul mio viso prendendolo tra le mani, abbassandolo alla sua altezza, e io, a quel punto, apro gli occhi, e posso solamente vedere il verde acceso dei suoi occhi, carico di desiderio.

Mi accarezza con una dolcezza che potrebbe farmi sciogliere in una piccola pozzanghera, infila le dita tra i miei capelli e mi lascia un piccolo bacio sulle labbra. «Non mi stai per chiedere quello che penso, vero?», mi domanda con voce bassa, con un tono quasi divertito, che mi strappa un piccolo sorriso e alleggerisce un po' il mio cuore, duramente provato dagli ultimi minuti che abbiamo trascorso quasi appesi a questo tavolino.

Probabilmente sta immaginando che io voglia chiedergli di fermarsi, perché l'ho fatto davvero impazzire in quest'ultimo periodo, ma non è assolutamente questo, quello che mi passa per la testa in questo momento.

«Se intendi che voglio passare ad una superficie più morbida, allora è esattamente quello che pensi», lui sorride compiaciuto, mette velocemente le mani sotto alle mie cosce e mi solleva di nuovo senza sforzo, cammina verso il letto, che è praticamente dietro di noi, e mi posa dolcemente sul materasso mentre la sua bocca torna sulla mia.

Mi appoggio con le mani all'indietro, lui si inginocchia tra le mie gambe, le sue mani risalgono dal fondo della schiena fino all'altezza del gancetto del reggiseno che apre senza troppe difficoltà. Mi bacia ancora, senza sosta e, con entrambe le mani, fa scendere lentamente le spalline del reggiseno fino a sfilarmelo completamente dalle braccia.

Sono seminuda di fronte a lui, eppure non provo alcun imbarazzo, perché lo sguardo che ha per me mi fa sentire incredibilmente speciale, come se lui non avesse mai visto niente di più bello in vita sua. È così che mi fa sentire, anche quando si mette in piedi per sfilarsi scarpe e pantaloni, in fretta, per tornare a baciarmi con più passione, con più foga, come se non potesse più riuscire a contenere quello che prova.

Mi lascio andare con la schiena all'indietro quando lui inizia a scendere con le labbra sul collo, poi ancora, lo sterno, in mezzo ai seni fino all'ombelico, e io credo di impazzire a breve, specialmente quando non sento più le sue labbra, e sto per aprire gli occhi, ma subito arrivano le sue mani sul bottone dei miei jeans e, a quel punto, devo assolutamente guardarlo.

Alzo la testa e riesco a vedere quanto sia assurdamente bello e sexy con addosso solo un paio di boxer neri, mentre armeggia con i bottoni dei miei pantaloni, con movimenti lenti, guardandomi negli occhi trasmettendomi quanta voglia abbia di me. Dopo l'ultimo bottone continua a tenere lo sguardo sul mio viso e sento le sue mani sui miei fianchi, infilarsi appena sotto il tessuto che, lentamente, fa scivolare in basso, lungo le mie gambe, mentre io calcio via le scarpe.

Osservo attenta ogni suo movimento quando cammina con le ginocchia sul letto, fino a ritornare alla posizione di poco fa, tra le mie gambe, con le mani che vagano libere sul mio corpo, con la sua bocca a divorare la mia e non posso più tenere gli occhi aperti, perché è davvero troppo tutto quello che sto provando.

«Riesci ad immaginare da quanto tempo lo sognavo», mi dice a bassa voce, a diretto contatto della mia pelle, tra un bacio e l'altro all'altezza della clavicola, ma non rispondo, non ci riesco, sembra che si sia preso anche la mia voce, e riesco solo a sospirare ad ogni contatto con le sue labbra. «È successo ogni notte, Chloe». Le mie mani sulla sua schiena, lui che si sostiene su un gomito, la mano libera di appropriarsi di ogni centimetro di pelle, e la sua bocca che continua ad infliggermi questa meravigliosa ed irrinunciabile tortura. E arriva ancora la sua voce, fino dentro ad ogni più piccola parte del mio corpo. «Ogni», mi bacia sul collo, «fottutissima», mi bacia ancora più in basso, «notte», e ancora più giù, e più giù, e ancora, mentre inarco la schiena stringendo con forza i suoi capelli che mi solleticano la pancia.

Non ho mai provato niente del genere in vita mia, non mi ero mai sentita così tanto desiderata e riesco a concentrare ogni mia attenzione a tutte le sensazioni che lui è capace di farmi provare. Non c'è più niente che opponga resistenza, nemmeno la più piccola cellula del mio corpo è in grado di opporsi a lui. Neanche i miei pensieri sono più in grado di farlo. Harry è riuscito a farmi oltrepassare la linea che mi ero imposta di non oltrepassare, anzi, l'abbiamo fatto insieme, mano nella mano, proprio come ora, che sta tenendo la mia stretta nella sua, intrecciando le nostre dita con forza.

Non riesco a tenere gli occhi aperti, vorrei guardarlo ancora, vorrei non perdermi nemmeno un secondo di questo momento, ma Harry è così intenso, così incredibilmente appassionato, che non riesco a controllare i miei movimenti. Il mio bacino continua ad andare incontro al suo come se fosse dotato di una propria volontà.

La sua mano, dapprima stretta intorno al mio seno con fare possessivo, scende lentamente, con una carezza bollente lungo il mio fianco fino ad arrivare al bordo degli slip, mentre le sue labbra non lasciano il mio collo, e quando le sue dita scivolano piano sotto la stoffa, quasi mi si blocca il respiro ed emetto uno strano suono.

«Cazzo... fallo ancora...», mi dice con voce strozzata, e il mio corpo gli obbedisce immediatamente, riproducendo ancora lo stesso suono. «Voglio sentirlo ancora...», sussurra abbassando di più i miei slip.

E il mio corpo continua ad obbedirgli, riproducendo quel gemito strozzato non appena le sue dita scorrono sulla mia pelle, lungo le cosce, passando per le ginocchia, arrivando alle caviglie e non voglio più tenere gli occhi chiusi. Mi impongo di guardarlo quando non sento più alcun contatto con lui.

Non ho più alcun indumento addosso e lo sguardo che ha per me in questo momento è una delle cose più belle che abbia mai visto. «Dio, Chloe! Non hai la minima idea di quello che mi fai, non è vero?» Non rispondo alla sua domanda, non so nemmeno se è una vera domanda.

Mi alzo leggermente sui gomiti e non sopporto già più la sua lontananza. «Vieni qui», gli chiedo, quasi implorandolo. Ho bisogno di sentirlo ancora vicino.

«Aspetta», dice, poi si allontana, e forse dovrei sentirmi a disagio completamente nuda su questo letto, ma sono così presa dal guardarlo muoversi all'interno della stanza con addosso solo un paio di boxer, che non mi passa nemmeno per la testa.

I miei occhi sono fissi sulla sua schiena quando si piega sulla sua valigia aperta sul pavimento, intento a cercare qualcosa e non posso evitare di ridere mentre vedo volare i suoi vestiti che ora sono sparsi sul pavimento.

«Ora ti faccio smettere di ridere», dice serio, e resto un'altra volta incantata dai suoi movimenti. Non riesco a guardare altro che non siano le sue mani che fanno scendere i boxer lungo le sue gambe, le sue dita che strappano la bustina del preservativo per poi indossarlo e infine ancora la sua voce, più bassa, più roca, più graffiata che mai. «Non ridi più... bene...»

Torna con le ginocchia sul letto e si sistema tra le mie gambe. Mi appoggio con la schiena al materasso, posando le mani sul suo torace e chiudo gli occhi, concentrandomi sul battito accelerato del suo cuore. «Guardami, Chloe». Il suo tono non ammette repliche e il mio corpo gli ubbidisce ancora.

Le mie palpebre si spalancano, i miei occhi sono nei suoi, e riesco a sentire tutta l'intensità di questo momento entrarmi nelle vene, nelle viscere, e arrivare al cuore, che sta scalpitando impazzito per lui.

«Voglio che mi guardi, voglio che tu mi veda... voglio che tu veda me...» Il suo riferimento sottinteso è ovvio, e io non voglio che ci sia nessun altro qui con noi in questo momento.

«Ti vedo, Harry... vedo te...», gli dico, con quel poco di voce che mi è rimasta.

E poi scivola, scivola lentamente, dentro di me, e sento un basso e profondo suono, quasi di sollievo, lasciare le sue labbra e arrivare direttamente al mio orecchio, un suono che accende maggiormente la parte più sensibile del mio corpo, e mi artiglio con forza alle sue spalle, per non crollare a causa della potenza delle sensazioni che provo in questo istante di pura estasi.

«Dimmi che non te ne andrai», mi dice, spingendosi ancora contro di me, «dimmi che sarai qui domani mattina», spinge ancora, e ancora, ma io non riesco a dire una sola parola, «dimmi che non te ne andrai, Chloe, dimmelo...» Le sue parole sono quasi una supplica che non posso ignorare.

«Non me ne vado, Harry...», gli dico, facendo pressione con le dita sulla sua carne, alla base della schiena, per chiedergli ancora di più, come se potessimo diventare una cosa sola, io e lui.

Le sue spinte si fanno più profonde, più veloci, e io mi sottometto completamente ai suoi movimenti, che si stanno prendendo ogni cosa di me. I suoi baci, i suoi morsi, le sue mani stanno prendendo possesso di ogni millimetro di pelle che raggiungono, mentre la sua voce, i suoi respiri affannati hanno preso la mia mente, la mia anima e il mio cuore che adesso batte solo per lui.

I miei fianchi si muovono sempre più convulsamente, alla ricerca di un maggiore contatto con i suoi, mentre lui continua a tenermi sotto di sé contro il materasso senza smettere di affondare in me con sempre più forza; poi pronuncia il mio nome, "Chloe", come se fosse l'unica cosa che possa salvarlo, e il mio corpo esplode sotto di lui, seguito a ruota dal suo non appena dalle mie labbra esce il suo nome, "Harry", poi si accascia su di me, abbracciandomi con dolcezza, mentre il mio corpo continua a tremare per la violenza delle sensazioni a cui è stato sottoposto, e gli unici rumori che si sentono nella stanza sono i nostri respiri affannati, e il fruscio della coperta che lui sta tirando sopra di noi. 

 

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Capitolo 43
*** Voglio vederli ***


Non avrei mai immaginato di passare il giorno del Ringraziamento in questo modo.

Credo sia buio fuori, mi sembra di intravedere la luce dei lampioni filtrare dalle tende chiuse.

Non sono in questo letto, non sono qui, sono in qualche luogo/non luogo, non so spiegarlo, ma sono con lui, è l'unica cosa che riesco a percepire con chiarezza, e sono dove vorrei restare per il resto della mia vita.

Mi lascio cullare dal ritmo lento e regolare del suo respiro, dall'alzarsi e abbassarsi del suo petto nudo, sul quale sono appoggiata, e sul quale la mia mano è ferma, a palmo aperto, proprio al centro, quasi a coprire l'enorme tatuaggio che ha all'altezza dello stomaco.

Mi sento parte di qualcosa, parte di lui, che si è allontanato da me giusto il tempo di andare in bagno, mi sento bene, mi sento serena, a mio agio, ma soprattutto sento un infinito senso di pace stretta tra le sue braccia, a contatto con il calore del suo corpo, con le sue dita tra i miei capelli e le mie a tracciare ghirigori sul suo torace. La mia gamba destra incastrata tra le sue, e la sua mano sinistra sulla mia mia spalla, che scende a ritmo intermittente lungo il braccio, per poi tornare su, e ancora l'unico rumore a tenerci compagnia è solo il fruscio delle lenzuola quando lui si muove appena, io non ne ho la forza.

Non voglio muovermi da qui, non voglio fare assolutamente niente, voglio solo continuare ad inebriarmi del profumo della sua pelle. Chiudo gli occhi per potermi concentrare solo su quello, per imprimere ogni traccia del suo odore nella mia mente, per poterlo tenere con me in sua assenza.

Harry non parla, resta in silenzio, forse sta pensando anche a lui come me, o forse si sta solo godendo il momento, mentre io mi perdo a seguire il ritmo del suo respiro, quello del suo cuore, o anche quello della sua mano, che continua a fare su e giù lungo il mio braccio. Ho bisogno di concentrarmi su qualcosa per restare aggrappata alla realtà, per restare qui, in questa stanza, con lui, per non perdermi nemmeno un secondo di questo meraviglioso istante di felicità.

«Chloe?» Pronuncia il mio nome sottovoce, quasi come se non volesse disturbarmi.

«Dillo di nuovo... il mio nome, dillo di nuovo», gli chiedo, solo per il piacere di poter sentire vibrare di nuovo il suo petto sotto la mia mano, e per l'immenso piacere di sentire ancora la sua voce bassa, più roca del solito, che chiama il mio nome con un tono di voce che gli ho sentito usare solo tra queste quattro mura.

Ridacchia per la mia richiesta, ma poi mi accontenta. «Chloe...», si ferma, forse in attesa di un'altra richiesta da parte mia, ma non ne ho e mi stringo di più al suo corpo, «voglio vederli», mi dice poi, facendomi sentire una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale.

«Cosa?», gli domando, pur sapendo bene a cosa si stia riferendo.

«Lo sai cosa, Chloe...» Non so se abbia pronunciato di nuovo il mio nome di proposito.

«Adesso?» Conosco la risposta anche a questa domanda, è solo che sto tentando di prendere tempo, anche se sono certa che non servirà a nulla.

«Adesso», conferma lui, muovendosi per mettersi su un fianco per potermi guardare negli occhi.

«Non li hai visti prima?», gli domando, riferendomi al fatto che mi abbia visto nuda fino a pochi minuti fa.

Siamo sdraiati uno di fronte all'altra, i suoi occhi lucidi e brillanti sono carichi di emozioni e, quando porta la sua mano sul mio viso per giocherellare con i miei capelli, il mio cuore perde più di un battito, tanto che mi sforzo con tutta me stessa per trattenere una lacrima. Lui davvero non si rende conto di quello che mi sta provocando e io fatico a gestire la potenza di ciò che provo in questo istante.

«Ero impegnato a guardare te, prima...» Il mio cuore si ferma, riprende a battere e si ferma di nuovo, esattamente come il mio respiro. «Adesso posso guardare anche il resto...», posa le dita sul bordo del lenzuolo che mi copre, soffermandosi per qualche secondo, come se mi stesse chiedendo il permesso, che sa benissimo che otterrà, «ne ho intravisto uno qui...», abbassa lentamente la stoffa, fino a fermarsi appena sotto la mia clavicola sinistra.

Sfiora con il pollice la piuma che si trasforma in piccole rondini. «Questo l'ho fatto l'anno scorso», gli dico, mentre i suoi occhi restano fissi sulla figura che macchia la mia pelle, «doveva essere un portafortuna». Alza per un attimo lo sguardo, poi riprende a far scendere il lenzuolo e non mi sento in imbarazzo, anche se ancora non sto indossando niente. Il mio disagio nasce nel momento in cui lui sistema il mio ciondolo esattamente al centro del mio petto, ma riesce a far sparire subito quella sensazione quando la sua mano scorre lenta sulla mia pelle fino a portare il lenzuolo all'altezza dell'ombelico. Mi volto di lato – portando una mano a coprirmi sul davanti – su un fianco, per mostrargli quello che ho all'altezza del seno sinistro.

Ci sono tre lettere, una K, una H e, leggermente spostata, una D. Harry accarezza anche quelle, senza dire niente, provocandomi un milione di brividi ogni volta che le sue dita sono su di me, come adesso che continua a far scendere il lenzuolo fin sotto l'anca. «Questo è il primo che ho fatto...», lo copre con la mano e porta i suoi occhi nei miei, «l'ho fatto di nascosto, tanto per fare la ribelle», Toglie la mano e ci lascia un bacio.

Non posso descrivere come mi sento. È come se mi distruggessi in un milione di pezzi ad ogni suo sguardo e lui mi ricomponesse ad ogni suo tocco. Sento caldo e freddo contemporaneamente, felicità e dolore nello stesso momento, paura e coraggio che si scontrano nella mia testa, dolore e conforto che tentano di prevalere l'uno sull'altro, vorrei non aver mai conosciuto Harry e, nello stesso tempo, vorrei non avere un passato così ingombrante.

«Smettila...», mi dice improvvisamente, interrompendo le mie paranoie, «non farlo». So bene cosa intende, so che si è accorto del mio conflitto interiore, e voglio dargli retta, lo merita, merita la mia totale presenza qui con lui.

Gli sorrido sincera, poi mi volto ancora un po', per mostrargli il giglio dietro la spalla, ma la sua attenzione viene subito attirata dal tatuaggio che ho tra le scapole. Mi fa voltare del tutto e ora ha la completa visuale della mia schiena, con il lenzuolo a coprirmi dal sedere in giù. Resto in silenzio e aspetto che mi chieda qualcosa, mentre sento la pelle d'oca formarsi in ogni parte del mio corpo, quando le sue dita percorrono leggere i contorni del disegno raffigurato sulla mia pelle.

«Mi piace», afferma, e sono certa che non lo stia dicendo solo per farmi contenta.

«Rappresenta la mia vita», gli spiego.

È un puzzle, non ancora completo: alcuni pezzi sono colorati, altri in bianco e nero, e racconta i momenti che hanno segnato dei cambiamenti, non sempre positivi. Ci sono i miei migliori amici, ci sono i miei genitori, mia sorella, c'è la nonna, e c'è luilui  che sono costretta a tenere lontano in questo momento, perché non posso, e non voglio, farmi trasportare dai ricordi.

Mi alzo leggermente, porto il lenzuolo fino alle spalle, e mi volto verso di lui, che ha ancora una strana espressione sul volto, forse a causa di ciò che gli ho detto, perché so che riesce sempre ad andare oltre le mie parole, e non mi piace quando succede, perché ho paura di ferirlo senza nemmeno rendermene conto.

Poso una mano sul suo viso, fino a portare il suo sguardo nel mio. Sta chiaramente pensando a qualcosa, qualcosa che lo impensierisce. «Harry che succede?», gli pongo la stessa domanda che gli ho fatto qualche ora fa, sperando di avere una risposta.

Lui mi guarda ma non dice nulla, anche se sono certa che vorrebbe dire qualcosa, glielo leggo nello sguardo preoccupato, e non posso permettere che resti così, io ho bisogno delle sue certezze, della sua sicurezza, e di tutto il coraggio che riesce sempre ad infondermi, e decido, quindi, di provocarlo un po'. «Questo è il periodo più lungo che abbiamo passato insieme senza le tue stupide battute, Stevens».

La provocazione arriva subito a segno. Le sue labbra si allargano in un gran sorriso, tanto da mostrare le fossette. «Le mie stupide battute ti piacciono da morire, Stewart, e ti piace anche questo». Si avventa ancora sulle mie labbra, le morde, le bacia, e io mi arrendo a lui, e a quello che provo.

**************

Harry sta dormendo da più o meno un'ora, io non riesco a farlo. Sto ancora tremando, ma non credo sia a causa del freddo. Mi sono seduta accanto a lui, rannicchiata come una pallina con le ginocchia strette al petto. Ho indossato la sua felpa, ho legato i capelli con il suo elastico – è un'abitudine ormai –, e ho infilato un paio di calzettoni scuri, ma quel tremore non passa, continua a scuotermi il corpo in maniera discontinua e io non so più cosa fare. Alla fine decido di distendermi contro la sua schiena, abbracciandolo per trovare il conforto di cui ho bisogno.

Lui è stato meraviglioso in tutto, nei suoi gesti, nelle sue parole, mi sono sentita al sicuro, ho sentito che tutto stava andando per il verso giusto, ma tutto è cambiato quando lui ha preso sonno. Improvvisamente è scattato qualcosa nella mia mente, non saprei dire bene cosa, ma non è niente di positivo. Mi stringo di più alla sua schiena, lui si muove appena, poi chiudo gli occhi tentando di concentrarmi solo su quanto è successo poco fa tra noi due, chiudendo fuori dalla mia mente il resto del mondo.

Lentamente, sento i miei muscoli rilassarsi, il tremore è cessato, le palpebre sono sempre più pesanti, mi sto addormentando, ma d'un tratto mi ritrovo nella mia camera da letto, quella a casa dei miei, e sento l'ansia opprimermi la gola.

Il filo elettrico delle lucine è abbandonato sul pavimento, ed è spento. Mi volto e il mio letto è vuoto e disfatto, le mie scarpe non ci sono. Scendo di corsa le scale, i miei genitori sono in cucina con addosso il pigiama, è notte fonda e loro hanno un'espressione evidentemente preoccupata.

«Mamma?», la chiamo, ma è come se non mi vedesse. «Mamma!?», alzo la voce, ma lei continua a parlare con mio padre. Non riesco a capire quello che dice, ma è ovvio che sia qualcosa di brutto.

«Papà?», provo con lui, ma non funziona e sento l'ansia trasformarsi in paura che stringe lo stomaco.

Sto per riprovare ad attirare nuovamente l'attenzione dei miei genitori, ma mi ritrovo in un corridoio bianco, troppo illuminato a confronto della penombra della mia cucina di poco fa. Strizzo gli occhi, sbattendo le palpebre più volte per abituarmi alla luce e, quando ci riesco, sento delle voci concitate farsi sempre più vicine. Mi volto e mi rendo conto di essere in ospedale, il personale medico sta spingendo una barella velocemente lungo il corridoio in cui mi trovo io, mi passano accanto in un attimo. Non riesco a vedere chi sia la persona esanime che stanno trasportando, ma, dopo aver notato in quale stanza sono entrati, mi avvicino lentamente e cerco di aprire le porte, che però sembrano bloccate. Non riesco in alcun modo ad aprirle e la paura si trasforma in terrore che mi toglie letteralmente il fiato.

Chiudo gli occhi, li riapro e mi ritrovo in quella che sembra una sala d'attesa. Sento qualcuno che piange dietro di me, mi volto e mi sento quasi mancare quando vedo i genitori di Dylan che si stringono in un abbraccio disperato.

Sta succedendo di nuovo, ho ancora quell'incubo che non avevo da giorni, ma stavolta è diverso, c'è qualcosa di più inquietante della realtà che ho vissuto quella notte, qualcosa che mi sta rendendo praticamente impossibile respirare, poi sento dei passi, dei passi molto veloci. Qualcuno entra in sala d'attesa e si ferma per un attimo a guardare i genitori di Dylan, il mio sguardo va lentamente su quella persona, come al rallentatore, ed è in quel momento che capisco cosa ci sia di diverso in questo incubo.

La persona che vedo stringersi alla donna disperata sono io, sto vedendo me stessa, sto vedendo la disperazione sul mio volto, e rivivo tutto un'altra volta, l'ennesima, ed è sempre più distruttivo.

La scena davanti ai miei occhi cambia ancora. Vedo di nuovo me stessa, sto per entrare in una stanza e so benissimo cosa troverò dall'altra parte. La me stessa del sogno apre la porta, entra silenziosa, sento il suo groppo alla gola, sento le sue mani tremare, poi la porta si richiude e non riesco a restare qui, quindi mi avvicino e la seguo.

Sento i bip dei macchinari, sento me stessa pregare Dylan di restare, sento l'angoscia in ogni particella d'aria che riempie questa stanza, e il mio respiro che si ferma di nuovo, incastrandosi in gola. Compio gli ultimi passi che mi restano per avvicinarmi al letto. So quello che sto per vedere, l'ho visto, rivisto, e rivissuto per così tante notti, eppure fa sempre male come quella sera. Stringo i pugni, serro i denti e, lentamente, arrivo alle spalle di me stessa. Vedo le loro mani intrecciate, i tubi dei macchinari, le flebo, ma poi qualcosa attira la mia attenzione: il braccio di Dylan, quello in cui è infilato l'ago della flebo, ha delle macchie, delle macchie nere. Il mio sguardo corre veloce fino al suo viso, o almeno ci provo, ma tutto sembra rallentato, è come se più in fretta volessi arrivare a scorgere il suo volto, più lentamente si muovessero i miei occhi, ma alla fine ci arrivo e quello che vedo fa fermare il mio cuore, il mio respiro, il mondo intero.

Il ragazzo sdraiato sul letto, quello attaccato ai macchinari, quello che ha appena avuto un incidente in moto, quello che sta rischiando la vita, non è Dylan. 

È Harry.

Mi alzo di colpo mettendomi seduta sul letto. Sono sudata, mi manca l'aria, fatico a respirare e tremo come una foglia. Il mio primo istinto è quello di voltarmi e il mio cuore riprende a battere non appena mi accorgo che Harry è qui, accanto a me che dorme tranquillo, ignaro di quanto è appena avvenuto nel mio dannato incubo.

Mi prendo la testa tra le mani, stringo con forza i capelli fino a farmi male. 'Harry è qui. Harry sta bene. Harry non ha avuto nessun incidente.'  Continuo a ripeterlo nella mia mente, senza smettere, come se avessi bisogno di convincermene davvero, ma non riesco a calmarmi. So che se lo svegliassi e mi abbracciasse, tutto sparirebbe nel giro di un paio di minuti, ma non voglio farlo, non voglio che mi veda sempre debole.

Scendo cauta dal letto, facendo attenzione a non svegliarlo. Ho bisogno di aria, non posso più restare chiusa in questa stanza. Infilo i jeans, indosso il cappotto, poi prendo la chiave elettronica ed esco nel corridoio, chiudendo piano la porta alle mie spalle. Non so bene dove andare, ma sento di aver bisogno di spazio. Mi dirigo istintivamente verso le scale e salgo, salgo fino ad arrivare davanti ad una porta di metallo che credo dia sul tetto. Abbasso la maniglia ed emetto un sospiro di sollievo quando mi accorgo che si apre.

Non c'è nulla qui sopra, a parte qualche sdraio accatastato in un angolo, forse lo usano come una sorta di magazzino. Mi siedo su una di queste, stringendomi di nuovo le ginocchia al petto e piango, piango tutte le lacrime che il mio corpo ha trattenuto, piango come non ho mai pianto prima, senza freni, senza condizioni. Sento il dolore in ogni parte di me, nella mia mente, in ogni cellula del mio corpo, nel mio cuore, nella mia anima. Lo sento sulle dita che non smettono di tremare, lo sento nel mio petto scosso dai singhiozzi, lo sento nella mia pancia stretta in una morsa, lo sento sulla mia schiena che resta incurvata sotto al suo peso, e continuo a sentirlo, devastante, distruttivo, mentre mi annienta.

Vedere me stessa in quella situazione e rendermi conto che ho sostituito Dylan in tutto, e che Harry potrebbe correre lo stesso identico rischio a causa della sua moto, è stato travolgente come uno tsunami. Ho perso Dylan, poi ho permesso che qualcun altro prendesse il suo posto, qualcuno che potrei perdere ancora nello stesso modo.

Le lacrime continuano a scendere, inarrestabili, non mi preoccupo di asciugarle, voglio liberarmene perché non riesco più a sopportarne il peso. Voglio smettere di soffrire, di pensare, di esistere...

Quest'ultimo pensiero si fa spazio nella mia mente, mentre lo realizzo lentamente.

Un pensiero che si avvicina adagio alla sua preda come una leonessa, senza farsi notare, per poterla aggredire all'improvviso senza lasciarle alcuna via di scampo.

Nello stesso modo, quell'ultimo pensiero, che la mia testa ha formulato, sta avanzando fino a farsi sempre più nitido. Adesso è lì, chiaro ai miei occhi, e non avrei nessuna difficoltà ad alzarmi da questa catasta di sdraio, avvicinarmi al muretto e compiere quell'ultimo passo che non ho potuto fare quella sera sul tetto dell'ospedale.

Ma è proprio quell'ultimo passo che mi riporta alla mente Kurty, Hazel, e tutto il resto. Dio! Non potrei fare loro una cosa del genere, come potrei farli soffrire ancora come ho fatto finora? Loro, che non hanno fatto altro che lottare per me. Loro, che hanno annullato la loro vita per pensare alla mia.

Piego la testa in avanti, per nascondere il viso tra le ginocchia. Penso a Harry, a quanto abbia fatto lui per me da quando ci siamo conosciuti, fino a quello che ci ha unito stasera. Ha fatto l'amore con me. So distinguere il sesso da qualcos'altro, e quello non era sesso fine a sé stesso. Era qualcosa, quel qualcosa che entrambi abbiamo continuato a sentire già prima di quel bacio rubato fuori dal negozio.

E la realizzazione di quel qualcosa mi colpisce in pieno, come un fulmine che si schianta nella mia testa mandando a fuoco ogni cosa. Resto ferma, rigida, le lacrime si fermano, gli occhi si spalancano, perché adesso so cos'è quel qualcosa, lo so senza ombra di dubbio, senza esitazioni, ed è spaventosamente reale.

La paura prende il sopravvento, il timore che tutto possa ripetersi, che possa perdere anche lui nello stesso modo, o in qualunque altro modo, mi porta a considerare la possibilità di troncare tutto ora, subito, prima che quel qualcosa porti altro dolore nella mia vita. Potrei dirgli che è stato uno sbaglio, potrei dirgli che il nostro tentativo di far funzionare le cose non va come pensavamo, che non è la cosa giusta da fare, che dovrebbe continuare a divertirsi, che...

Che non voglio fare a meno di lui, che è la mia àncora di salvezza, che è il mio porto sicuro, che è la mia rinascita, la mia voglia di vivere... sì, Harry è la mia voglia di vivere, ed è con questo pensiero positivo che allontano definitivamente quello negativo di poco fa. Ripenso ancora a lui, alle sue mani, ai suoi baci, e alla promessa che gli ho fatto. Mi ha chiesto di non abbandonarlo e io non posso, e non voglio, farlo.

Mi asciugo bene il viso, mi alzo in piedi, scorgendo da lontano le prime luci dell'alba. Un aereo sorvola quasi la mia testa, probabilmente non è nemmeno il primo, ma ero talmente presa da quello che mi stava succedendo che ho completamente ignorato i rumori intorno. Mi stringo nel cappotto a causa di una folata di vento freddo, poi rientro velocemente. Non voglio che si svegli da solo, gliel'ho promesso.

Faccio una breve tappa nel salone dove servono la colazione alla ricerca di qualcosa al cioccolato e trovo una piccola scatola con dei cioccolatini, ne prendo alcuni, poi li avvolgo in un tovagliolo e mi dirigo velocemente verso la nostra stanza. Appoggio la chiave elettronica alla serratura e apro la porta, ma quello che vedo mi fa fermare sulla soglia: la lampada che era sulla scrivania è per terra, come se fosse stata scaraventata da qualcuno, le lenzuola del letto sono completamente rimosse dal materasso e buttate all'aria, i suoi vestiti coprono la maggior parte del pavimento. È come se qui dentro ci fosse appena stata una guerra.

Faccio cautamente un passo verso l'interno, richiudo la porta alle mie spalle e, nello stesso momento, si apre la porta del bagno situata alla mia destra.

Lo sguardo di Harry è impenetrabile, di ghiaccio, freddo e distaccato. Mi guarda per un paio di secondi, poi mi supera come se fossi invisibile, come se non fossi niente, e si dirige verso i suoi vestiti sparsi per la stanza.

«Harry?», dico con un filo di voce, mentre la paura inizia a farsi spazio in me, ma lui non risponde e sono costretta a chiamarlo di nuovo. «Harry?»

«Prepara la tua roba, l'aereo sarà pronto al decollo tra un paio d'ore». La sua voce dura mi trapassa da parte a parte come una lama affilata, per poi affondare con forza nel cuore.

Faccio un passo verso di lui, poi lo richiamo di nuovo con la voce che trema. «Harry...»

Resta inginocchiato e si volta a guardarmi, ma se il suo sguardo potesse fulminarmi, adesso sarei cenere. «Proprio non senti quando parlo... ti ho detto di preparare la tua roba», dice secco, tornando a fare ciò che stava facendo e una piccola lampadina si accende nella mia testa.

"Proprio non senti quando parlo..."  Non può credere che io me ne volessi andare...

«Harry sono andata a prendere questi...», gli mostro i cioccolatini che ho in mano, sperando che capisca, sperando che mi dia ascolto.

Si volta di nuovo, poi si mette in piedi. È a torso nudo, indossa solo i jeans, i capelli sciolti e gli occhi più rabbiosi che gli abbia mai visto. Guarda con disprezzo il contenuto della mia mano, poi sento una risata sarcastica lasciare la sua bocca.

«E dove cazzo sei andata a prenderli? Sei andata fino a Madrid?» Lo guardo con aria confusa, ma lui si affretta a continuare. «Sono sveglio da almeno un'ora... quanto cazzo di tempo ci vuole a prendere due fottuti cioccolatini e tornare?» Ha i pugni stretti lungo i fianchi, la mascella tesa, e gli occhi di un verde spento e scuro.

Non l'ho mai visto così arrabbiato, così fuori di sé e non so cosa fare. Sento che sta per gettarmi addosso tutta la sua rabbia, lo sento, e non sono in grado di gestirlo, non sono in grado di fermarlo, perché lo sguardo che mi sta riservando in questo momento fa molto più male di qualsiasi parola possa uscire dalla sua bocca.

«Harry...»

«Harry un cazzo!» La sua voce alta mi interrompe, facendomi chiudere gli occhi e trattenere il respiro.

Fa male, fa dannatamente male, ma non lo biasimo. Cerco di mettermi nei suoi panni e posso solo immaginare cosa abbia provato nello svegliarsi da solo dopo essersi sentito promettere che sarei stata con lui, che non me ne sarei andata.

«Harry, io non... non intendevo...» Mi interrompe. Ancora.

«Tu cosa?» Mi guarda con rabbia e dolore, e io non riesco a rispondere. «Tu non volevi? Tu non intendevi andartene?» Continua a farmi domande e io continuo a tacere, senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso. «Lo fai sempre, lo fai continuamente! Dimmi che non ti è passata per la testa nemmeno per un secondo l'idea di scaricarmi...» Resto in silenzio, ancora, come se non fossi in grado di parlare.

Dovrei dirglielo che ci ho pensato, ma dovrei anche dirgli tutto quello che mi è passato per la testa in queste due ore in cui sono stata da sola. Dovrei raccontargli dell'incubo, dei miei dubbi, dei miei ripensamenti, del fatto che ho capito che è lui ciò che voglio, che non voglio più escluderlo dalla mia vita, e invece resto ferma, in piedi, con quei cioccolatini in mano, e il labbro che continuo a mordere, incapace di proferire parola.

«Cristo!» Impreca ad alta voce, distogliendo lo sguardo dal mio. Il mio silenzio è stato eloquente, ma quando sto per spiegarmi, i suoi occhi tornano su di me, ancora più aggressivi di prima. «Tu lo sapevi... tu sapevi cosa avrebbe voluto dire per me. Mi sono confidato con te, ti ho parlato di cose di cui non ho mai parlato con nessuno, ti ho implorato ieri sera, ma a te è fregato meno di un cazzo di niente! Te ne sei andata... Nel cuore della notte... Ti sei alzata da quel dannatissimo letto e hai scelto deliberatamente di lasciarmi lì, come il coglione dei coglioni, e adesso ti aspetti che quei cioccolatini del cazzo possano sistemare tutto?»

Anche lui è senza fiato, proprio come lo sono io.

Anche lui è distrutto, proprio come lo sono io.

Anche lui sembra perso, proprio come lo sono io...

«Harry...», è l'unica cosa che riesco a dire. Mi attacco con tutte le mie forze al suo nome, perché non ho altro in questo momento.

«Prepara la tua roba, torniamo a Boston». Le emozioni sono di nuovo scomparse dal suo volto e dalla sua voce. È tornato imperscrutabile, poi si volta, si inginocchia e ricomincia a riempire a caso la sua valigia.

Non c'è più traccia di rabbia in lui, non c'è più traccia di alcun sentimento. È come se si fosse distaccato completamente dalla realtà.

E ora, in questa stanza, sento solo i rumori che lui provoca sistemando la sua valigia, e quello dei pezzi del mio cuore che cadono, uno dopo l'altro, perché non c'è più Harry a tenerli insieme. 

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Capitolo 44
*** Ho bisogno di parlare con te ***


Spengo il bollitore del tè, ne verso un po' in una tazza, poi metto in infusione la bustina e torno in camera mia, con l'unica cosa che sono riuscita a buttare giù in questi due giorni, per poi nascondermi sotto le coperte.

Non ho fatto altro, da quando sono tornata da Madrid, se non bere tè e passare il tempo a letto.

Mia sorella dovrebbe tornare oggi da Montréal. Ci siamo sentite, ho sentito anche i miei amici, i miei genitori, e mi sono sorpresa di me stessa e della mia capacità di mentire quando ho detto loro di stare bene, quando in realtà sono un cumulo di macerie.

Harry non mi ha più rivolto la parola da quando mi ha detto che tornavamo a Boston. È come se mi avesse cancellata dalla sua vita. Mi ha ignorata per tutte le ore di volo e, una volta atterrati, ha pagato un taxi per portarmi a casa. Lui se n'è andato, non so dove, ma non con me. Non mi ha dato modo di parlare, non ha voluto sentire ragioni, si è semplicemente chiuso in sé stesso tagliandomi fuori.

Dovrei avercela con lui per il suo comportamento, invece, non è così perché riesco a capire come si sia sentito, perché conosco bene la sensazione del perdere qualcuno, quindi resto semplicemente qui, ad aspettare che prima o poi si decida a darmi un'altra possibilità, ma senza smettere di fargli sapere che continuo a pensare a lui.

Prendo il cellulare che ho lasciato poco fa sul comodino, sblocco il display, cerco il suo contatto, e digito il messaggio.

Ho bisogno di parlare con te

È sempre lo stesso messaggio, continuo a scriverlo con la speranza che, prima o poi, mi risponda.

Ieri ho provato a chiamarlo, ma ha chiuso la linea al secondo squillo. Non mi sono arresa, ho riprovato subito dopo, ma solo per avere lo stesso risultato. Non importa. Non importa cosa dovrò sopportare, non importa se vorrà continuare a calpestare ciò che rimane di me per il resto dei miei giorni, quello che mi importa davvero è vederlo tornare a sorridere, fiducioso e pieno di vita.

Un rumore al piano di sotto attira la mia attenzione. «Chloe!?» La voce di mia sorella arriva chiara alle mie orecchie. 

«Sono di sopra, arrivo!», rispondo, poi scosto le coperte e mi metto in piedi, camminando nei miei calzettoni rosa, mentre scendo al piano di sotto portando con me la mia tazza di tè.

La osservo mentre scendo le scale: è chinata, si sta togliendo gli stivaletti, poi sfila il cappotto, la sciarpa, e li attacca al mobile all'ingresso mentre io sono ormai arrivata dietro a lei, che si accorge della mia presenza e mi viene incontro allargando le braccia e stingendomi in un abbraccio che mi riscalda.

Nonostante abbia la tazza in mano, faccio quello che posso per stringerla forte, per riuscire a trarre da lei il conforto di cui ho un estremo bisogno.

«Ehi...», la sento dire appoggiata alla mia spalla. Si allontana un po' per guardarmi negli occhi tenendo le mani sulle mie spalle. «Che succede?» Le sorrido, ma so che ha capito.

«Andiamo in cucina, ho appena fatto il tè, così ti racconto». Lei annuisce e mi segue.

Le preparo una tazza, ci sediamo al tavolo e sento le parole venir fuori da sole. Le parlo di Harry in versione turista, di Harry versione geloso, di Harry in veste professionale, di Harry irriverente, Harry sfrontato, di Harry, e di tutto quello che lo riguarda. Nella mia testa c'è solo lui e quello che potrebbe essere stato se non fossi stata così stupida da deluderlo in quel modo. E potrebbe anche risultare esagerato, ma so che per lui non è stato facile tornare a fidarsi di qualcuno, e io gli ho chiaramente fatto capire che c'è stato un attimo in cui ho pensato di andarmene, ovvio che in quel momento la sua mente si sia annebbiata e non abbia più pensato lucidamente, ma devo trovare il modo per dirgli anche il resto che mi è passato per la testa quella notte.

Ho cercato di spiegare a Reb ogni cosa, anche quelle più personali mie e di Harry, mi fido di lei e so che le terrà per sé. Avevo bisogno di esternare tutto quanto, di tirare fuori ogni cosa con lei, e di essere finalmente sincera con qualcuno.

«Davvero non sei arrabbiata con lui?», mi chiede quasi sorpresa.

«Sì, davvero», le confermo.

«E non trovi esagerata la sua reazione nemmeno un po'?» Le spiego il mio punto di vista sulla sua vita, paragonandovi tutto quello che è successo a me e, alla fine, anche mia sorella concorda sul fatto di dargli altro tempo, anche lei crede che ne abbia bisogno.

Le chiedo poi di mamma e papà, mi racconta di loro, dei miei amici che sono passati a trovarla, della pancia di Emma che cresce e devo ammettere che inizio a sentire nostalgia di casa.

«Chloe... sono così felice di questa chiacchierata...», mi dice mia sorella, dopo quasi due ore che siamo sedute a gambe incrociate sul tavolo della cucina.

«Già, anche io». Non parlavo in questo modo con mia sorella da talmente tanto tempo che nemmeno me lo ricordo, ne avevamo bisogno entrambe e sentire la sua mano che stringe la mia, mi fa sperare cose belle per il mio futuro.

Veniamo poi interrotte dal citofono e sono certa di sapere di chi si tratti.

«È lui!», mi dice mia sorella, con gli occhi che le brillano per la felicità.

Lei e Zach, visti da fuori, sono la coppia peggio assortita che si possa vedere: lei è sempre ordinata, ben vestita, con i capelli perfetti, il trucco impeccabile e quasi mai le ho sentito dire una parolaccia. Zach è... diciamo l'opposto: non l'ho mai visto senza la giacca di pelle, a volte indossa un'orrenda canottiera bianca, e jeans strappati, e anfibi, sono all'ordine del giorno. Probabilmente non ha mai usato un pettine, ma solo le mani per sistemarsi i capelli. Ha sempre quell'aria trasandata, con la barba, e la sigaretta sempre in bocca, ma quando sono insieme, come in questo momento, quando si salutano con un bacio così travolgente, non si può dire che non sembrino fatti per stare insieme, come se uno fosse la parte mancante dell'altro.

Non dovrei guardarli, dovrei lasciare loro un po' di privacy, ma non riesco a smettere, sono così belli che non posso non farlo. Lui si allontana appena, le mani tatuate di Zach sono sul viso candido di Reb e il modo in cui la guarda farebbe innamorare chiunque. "Mi sei mancata"  le dice lui con un filo di voce.  "Mi sei mancato anche tu",  risponde lei, per poi baciarlo di nuovo come se non l'avesse appena fatto e, a quel punto, decido che è arrivato il momento di lasciarli soli.

Accosto la porta della cucina e mi affaccio alla finestra. Ha smesso di nevicare, ma ne è caduta così tanta che il bianco è il colore che prevale, mentre il mio sguardo si perde in un punto indefinito. Mi piaceva la neve quando ero piccola, mi piaceva uscire con mio padre e giocare con lui, mi piaceva giocare con Kurty e Hazel quando uscivamo da scuola, mi piaceva guardarlo  sciare... ora non mi piace più: pensare alla neve porta a galla solo ricordi dolorosi.

«Ehi...» Mi volto non appena sento la sua voce.

Zach è entrato in cucina, cammina tranquillo nella mia direzione e io verso di lui. Lo abbraccio, ne ho bisogno, ho bisogno di qualsiasi tipo di conforto riesca ad avere.

Mi sento persa, avevo ritrovato la strada giusta da percorrere, ma all'improvviso si è aperta una voragine lungo il percorso. Lui è andato avanti, mi ha lasciata indietro, e mi ritrovo da sola a trovare il modo per oltrepassare quel baratro.

«Va tutto bene?», mi domanda, quando mi allontano da lui.

«Chiedilo allo stronzo del tuo amico», dice mia sorella precedendomi nella risposta, e strappandoci un sorriso.

«Che cazzo ha fatto Harry?», mi chiede Zach sciogliendo l'abbraccio.

«Non è colpa di Harry... è colpa mia...», gli dico.

«Non so se devo crederti... Harry di solito è un disastro», sorrido con Zach alle sue parole, e ci sediamo intorno al tavolo mentre Reb sta prendendo una birra dal frigo.

«Davvero Zach, è colpa mia, lui non ha fatto niente», continuo a difenderlo, perché credo davvero che sia così.

Non sarebbe successo nulla se io non avessi avuto quello stupido incubo, seguito da quell'ancora più stupido dubbio. E continuo a ripetere che non importa se la sua reazione è stata esagerata, io so per certo che è più che comprensibile e che abbia bisogno di tempo.

«Beh... sarebbe la prima volta», scuoto la testa con un mezzo sorriso che fatica a formarsi.

Gli racconto a grandi linee ciò che è successo mentre mia sorella interviene a spada tratta in mia difesa, ma io cerco di minimizzare le sue parole, e anche Zach comprende bene i motivi della sua reazione, pur non condividendola del tutto.

Mi ha raccontato di ogni volta che ha dovuto aiutarlo a rialzarsi, di ogni volta che l'ha visto distrutto e che l'ha aiutato a ricomporsi pezzo per pezzo. Non è stato facile per nessuno arrivare dove siamo, e ora è lui quello che sta soffrendo più di tutti, quello che non vede una via d'uscita, e vorrei tanto essere per lui quello che lui è stato per me, ma sembra che non abbia intenzione di darmene la possibilità.

«Vedrai che gli passerà, è solo questione di tempo... più tardi passerò da lui», mi dice Zach, quando il mio racconto è ormai arrivato al termine.

«Non devi farlo per forza...», non voglio che anche lui si senta in obbligo nei miei confronti.

«Ti assicuro che non lo faccio per forza. Per due giorni è stato un'enorme rottura di coglioni e adesso capisco il perché. Stevens è una testa di cazzo, ma posso garantirti che non ne trovi un altro così in giro». Sento l'affetto nelle sue parole, sento una grande amicizia quando l'uno parla dell'altro, e posso solo sperare che Zach abbia maggiore influenza su di lui di quanta ne abbia io. 

«Ora possiamo smettere di parlare del mio simpaticissimo capo, che tra l'altro dovrò sorbirmi domani, e ordinare le pizze?» Mia sorella Reb si è intrufolata nel discorso e la ringrazio mentalmente per questo. Credo che passare una serata con loro non può farmi altro che bene.

****************

Harry

La mano sinistra completamente aperta sulla seduta del divano accanto a me, la destra stretta intorno alla bottiglia di birra. Ignoro le immagini che scorrono davanti a me sullo schermo del televisore mentre il mio unico pensiero è lei, lei, e ancora lei.

Era qui, e ora non c'è più, non c'è più niente.

Chloe se n'è andata, come fanno tutti, e ho iniziato a pensare che il problema potrei essere io. Forse mia madre se n'è andata perché ero un figlio insopportabile, magari mio padre non mi tollera perché sono davvero stronzo, e probabilmente Winter ha trovato di meglio che un cretino come me. Sì, dev'essere così.

Ma se così non fosse? Se non fossi davvero io il problema? Perché anche lei ha pensato di lasciarmi?

Gliel'avevo espressamente chiesto, l'avevo implorata di non farlo, ma l'ha fatto lo stesso.

E allora mi chiedo: non le ho dato abbastanza? Non sono stato in grado di tenere stretta la sua mano per tirarla fuori dal buio?

Per non parlare di tutta la storia di Dylan e del suo fottutissimo padre, perché quando anche questa storia verrà a galla, perderò anche un amico. Anche lui mi volterà le spalle, mi odierà per aver agito a sua insaputa, per aver tenuto nascosta la verità quando avrei potuto dirgli tutto quanto.

«Vaffanculo!» Impreco ad alta voce al pensiero che continuo a perdere pezzi della mia vita.

Tutto mi sta sfuggendo di mano un'altra volta, non riesco ad allontanarmi da questo circolo vizioso dal quale non vedo via d'uscita. Mi ero ripromesso che non avrei più dato a nessuno la possibilità di spezzarmi il cuore, e invece eccomi ancora qui, a piangermi addosso, come una fottuta femminuccia. Speravo di potermi distrarre un po' in questo fine settimana, ma Zach è stato uno scassa palle di prima categoria.

Stasera uscirò da solo, succeda quel che succeda.

Il campanello suona e sospiro pesantemente, sperando che chiunque sia, non sentendo risposte, rinunci e se ne vada. «Stevens apri questa cazzo di porta!»  Mason, mi tocca alzarmi e aprire, non se ne andrà. Non se ne va mai.

Per fortuna...

Mi trascino stancamente fino all'ingresso, faccio girare le chiavi nella serratura, e apro, lasciando al mio amico lo spazio per entrare.

«Hai un aspetto di merda», mi dice superandomi, per andare dritto in cucina. Non gli rispondo, non ne ho nessuna voglia.

Lo raggiungo e mi appoggio con la schiena al ripiano della cucina mentre lo osservo frugare nel mio frigo. Ne esce fuori con una bottiglietta uguale alla mia, la stappa e si appoggia con un fianco allo sportello dell'elettrodomestico, ne beve un sorso e si mette a fissarmi, aspettando che sia io a dire qualcosa, ma sta aspettando inutilmente. La mia intenzione è che si rompa così tanto di stare qui da mandarmi a fare in culo e lasciarmi da solo. Solo... come è giusto che stia.

«Quando pensavi di dirmelo?», mi chiede all'improvviso, rompendo quel meraviglioso silenzio.

«Di dirti che cosa, esattamente?» Incrocio le braccia al petto dopo aver posato accanto a me la bottiglia.

«Andiamo, Stevens, sai benissimo cosa intendo, ma posso farti un nome se non ci arrivi... o forse gli zombie ti hanno mangiato il cervello?» Alzo gli occhi al cielo alle sue parole, sbuffando in maniera evidente. «Allora? Quando pensavi di dirmelo?» Zach insiste.

«Domani... pensavo di dirtelo domani...», gli dico, ma senza crederci veramente.

«Domani?», mi chiede lui, alzando entrambe le sopracciglia con aria interrogativa, perché è ovvio che ha capito che sto dicendo una stronzata.

«O forse mai». Stavolta rispondo con sincerità, perché non so se avrei mai affrontato questo argomento di mia spontanea volontà.

«Harry, ho parlato con Chloe... perché non le permetti di spiegarti?» Al suono del suo nome sento una lama conficcarsi al centro del petto e girare su sé stessa, dapprima lentamente, poi sempre più veloce fino ad allargare il buco che la sua assenza mi ha provocato, e so che è tornato il momento in cui devo spegnere il cervello.

«Scusa, ma non riesco a sentirti». Riprendo la mia bottiglia e mi allontano da lui, tornando in salotto.

«Non fare l'idiota», risponde lui, seguendomi come un'ombra.

Mi lascio andare all'indietro sul divano e alzo il volume della tv. «No davvero», gli dico, «sono stato dal medico perché non riuscivo a sentire bene e mi ha detto che ho la... aspetta, non mi ricordo bene come si chiama...» Il mio tono è serio. Zach mi guarda aggrottando le sopracciglia, poi si siede sulla poltrona e posa la sua birra sul tavolino.

«Otite?», mi chiede incerto.

«No, era un'altra...» Mi prendo il labbro inferiore tra le dita, facendogli vedere che mi sto concentrando.

«Parotite?» Riprova lui, poi appoggia i gomiti sulle ginocchia guardandomi serio.

«No... aveva un nome più strano...» Alzo le gambe poggiando i piedi sul tavolino di fronte a me.

«Acufene?» Ritenta ancora, e vorrei tanto scoppiare a ridere per il suo impegno. Non mi aspettavo tanto da parte sua, credevo che a quest'ora mi avrebbe già mandato a quel paese, e invece è ancora qui, a fare domande su domande. Ma non si stanca mai di me?

«No... aspetta, ora ricordo perché non riesco a sentirti. Ho una malattia che si chiama nonmenefregauncazzo», Come minimo mi aspettavo un vaffanculo, o qualcosa del genere, invece lui sorride, abbassa per un attimo gli occhi, poi torna a guardarmi con l'aria di qualcuno che si è rassegnato alle mie stronzate.

«E io che credevo fossi un coglione qualunque... invece sei il coglione dei coglioni». Non riesco a ridere della sua battuta, perché è esattamente come mi sono auto definito durante quella sera, mentre urlavo contro Chloe.

L'azzeramento del mio cervello deve andare avanti.

«Grazie del tuo parere non richiesto, adesso appoggialo pure lì da qualche parte, magari gli darò un'occhiata». Non mi piace trattarlo così, lui non lo merita, ma voglio che se ne vada, così come fanno tutti.

«Sai...», continua lui con l'aria più tranquilla che gli abbia mai visto, «c'è una frase di Jack Sparrow che ti descrive perfettamente in questo momento...» Lascia la frase in sospeso, aspettando che io gli chieda di continuare.

«Spara la tua stronzata e sparisci, Mason». Lo guardo con attenzione e la sua espressione è ancora completamente rilassata.

«Jack Sparrow dice "il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento nei confronti del problema. Comprendi?"» Lo guardo con aria confusa, come se fosse diventato biondo all'improvviso.

«Che cazzo vuol dire?», gli domando, con un tono di voce palesemente annoiato.

«Vuol dire che smetterebbe di essere un problema se smettessi di vederlo come tale e se le dessi la possibilità di parlarti». Lo dice come se avesse risolto il problema del buco dell'ozono.

Non è così semplice come lo fa sembrare lui, o forse ha ragione e il problema non è il problema, ma non ho più voglia di parlare di Chloe, di Jack Sparrow, e del perché sia la terra che gira intorno al sole e non viceversa.

«Zach perché non vai a casa tua, ti metti a letto e fai un bel sonno? Tipo un coma…» Il mio amico non se la prende, ma ride, ride di gusto, ride di me, e non sono nemmeno infastidito dal suo atteggiamento, voglio solo che se ne vada.

«Essere tuo amico mi fa pensare a quanto abbia fatto bene a non prendere il porto d'armi...», si ferma, ma non lo interrompo perché so che sta per dire qualcos'altro, «perché non la smetti con queste risposte del cazzo?» Beve un sorso della sua birra, con tutta la tranquillità che lo contraddistingue.

«Se non vuoi risposte del cazzo, non farmi domande del cazzo...» Poso la bottiglietta sul tavolino, accanto ai miei piedi, poi torno con la schiena all'indietro piegando le braccia dietro la testa mentre continuo a guardare - ma senza vederle veramente - le immagini che si alternano sullo schermo del televisore acceso.

Continuo con il mio atteggiamento da stronzo, nella vana speranza che se ne vada. Non voglio parlare con lui, non voglio parlare e basta, voglio solo fare tabula rasa di tutto quello che mi passa per la testa, perché sta diventando insopportabile pensare a lei, molto più di quanto immaginassi.

Ho sofferto abbastanza, ma stavo meglio, stavo davvero bene, come non mi sentivo da tempo, mi sono fidato, e alla fine è successo ancora. Sono di nuovo qui, sul mio divano, a raccogliere pezzi di me.

«Smettila di piangerti addosso come una femminuccia, ne ho pieni i coglioni di sentire le tue lamentele», mi dice lui, senza essere realmente arrabbiato. Non lo è mai stato con me, a parte una volta.

«Se non vuoi sentire le mie lamentele, quella è la porta, Mason, perché io non ho ancora finito con la mia autocommiserazione, anzi potrei restare qui a farlo per il resto dei miei giorni», gli rispondo, senza distogliere lo sguardo dal televisore.

Ad un tratto si alza, posa il suo anfibio sui miei piedi e li butta giù dal tavolino, poi prende il telecomando e spegne il televisore.

«Perché cazzo l'hai fatto?», gli domando, col tono più infastidito di quanto non sia in realtà.

«Perché adesso alzi il tuo culo moscio da lì e vieni con me», afferma sicuro del fatto suo.

«Non vengo da nessuna parte con te», gli dico, tornando a mettere i piedi sul tavolino.

Probabilmente vuole attirarmi in qualche trappola per poi farmi trovare casualmente  Chloe nei paraggi. Non voglio vederla, non voglio parlare con lei, non voglio sapere niente di lei. La ferita che si è riaperta nel mio cuore, nel momento in cui ha praticamente ammesso di volersene andare, fa ancora troppo male, e non sono pronto ad affrontarla.

Lei continua a scrivermi, mi ha anche chiamato, ma sono un vigliacco, so di esserlo, e non voglio sapere nulla che la riguardi in questo momento.

Per tutta risposta Zach alza di nuovo il suo piede, chiuso nel suo anfibio, e spinge di nuovo sul pavimento i miei piedi incrociati. Sbuffo e compio ancora lo stesso movimento per rimettermi nella stessa posizione, ma anche lui lo fa. Anfibio, spinta, e i miei piedi sul pavimento, sbuffo e tutto si ripete... anfibio, spinta, e i miei piedi sul pavimento, e così per troppe volte, fino all'ennesima. Anfibio, spinta, e i miei piedi finiscono sul pavimento, ma stavolta lui resta con il suo scarpone appoggiato al bordo del tavolino, mette il gomito sul ginocchio e resta a guardarmi. Lo guardo anche io, ma mentre io cerco di rimanere serio, lui ha sul viso quel sorriso strafottente che vorrei riempire di schiaffi.

«Vaffanculo, Mason!» Mi alzo e mi muovo con movimenti bruschi. «E il mio culo non è affatto moscio!» Zach ride ancora, mentre resta a guardarmi entrare in camera mia.

Sbatto la porta con forza, per fare più rumore possibile, per fargli capire quanto mi dia sui nervi il suo atteggiamento, anche se so che non gli importerà nulla e continuerà imperterrito ad insistere con la sua idea di voler andare chissà dove, a fare chissà cosa.

Mi cambio, infilo un paio di jeans e una camicia, mentre penso al fatto che il mio amico non mi farebbe mai cadere in una trappola, ne sono certo, ed è per questo che mi sono deciso ad alzarmi e unirmi a lui. Forse uscire da questa casa potrebbe avere dei vantaggi, forse potrei svagarmi, magari potrei... potrei... potrei essere più stronzo di lei.

Potrei.

Esco dalla mia stanza non appena sono pronto e noto Zach digitare qualcosa sul cellulare. Alza lo sguardo solo quando mi sente alle sue spalle. «Ho avvisato gli altri che ci vediamo al solito posto» Gli altri... non so se si riferisca a tutti gli altri o no, ma non voglio chiederglielo.

«Sono pronto», gli dico, con il tono più scocciato che riesco a fare.

Usciamo da casa mia diretti al solito pub. L'ultima volta ci sono stato con lei e vorrei tanto riuscire a togliermela dalla testa, ma ho solo due metodi per resettare il cervello. Il primo è bere, il secondo... il secondo non vorrei doverlo mettere in pratica. Dicono che chiodo scaccia chiodo ed è un tarlo che continua a girarmi in testa. Non che abbia funzionato ogni volta che ho messo in pratica quel pensiero da quando Winter mi ha lasciato, ma... ma non so nemmeno io che cazzo fare.

«Zach non si può abbassare la temperatura qui dentro?», gli chiedo, mentre cerco di manovrare le manopole del riscaldamento della sua macchina. È vero che siamo in pieno inverno, ma qui dentro sembra di essere in mezzo al deserto del Sahara nel momento in cui il sole è più alto.

«No, adesso stai zitto e fermo che siamo quasi arrivati», risponde lui. Sbuffo e mi sistemo di nuovo sul sedile del passeggero sperando di arrivare prima possibile, o almeno prima che mi tolga la camicia.

La camicia. Ricordo perfettamente le sue dita su ogni bottone, sulle mie spalle, la sensazione del suo corpo contro il mio, del mio corpo nel suo... D'improvviso ho ancora più caldo e vorrei poter smettere di pensare a lei, a quella sera, a tutto quanto, ma non ci riesco.

«Adesso ti togli quel muso lungo. Per stasera non c'è niente nella tua testa di cazzo, capito? Voglio che non pensi assolutamente a niente...», mi dice Zach, non appena ferma la macchina davanti al pub.

Forse ha ragione, forse dovrei fare davvero come dice lui, e magari potrei calmarmi, potrei smettere di soffrire.

Scendo dall'auto senza dargli una risposta e, insieme, entriamo nel locale dove ci sono già gli altri ad aspettarci, e con gli altri, intendo tutti gli altri, Dylan compreso. Ero riuscito ad evitarlo in questi due giorni e so che non avrei potuto evitarlo per sempre, ma non ero psicologicamente pronto a vederlo stasera, lo ero per domani, visto che devo rientrare in ufficio, ma non stasera.

Ci avviciniamo al tavolo e mi concentro solo su di lui, sulla sua espressione serena, dalla quale deduco che Kelly non gli abbia ancora parlato. Dylan è ancora all'oscuro di tutto e, in questo momento, non posso che esserne contento. Non sarei riuscito a gestire anche questo.

***

Ridiamo, scherziamo e beviamo mentre guardiamo la partita che stanno trasmettendo, e sto meglio, sì sto meglio. Zach aveva ragione, come sempre: avevo bisogno dei miei amici. Di Nate e dei racconti delle sue conquiste, di Lawson e delle sue pacche sulla spalla, di Larry e delle sue stupide battute, e anche di Dylan, perché vederlo sorridente e sereno mi fa illudere che tutto possa andare bene.

Zach e Larry sono appena andati fuori a fumare una sigaretta, Lawson è in bagno e Nate sta chattando con qualcuno, o qualcuna, al telefono. È il momento dell'intervallo della partita e ognuno di noi si prende una piccola pausa, ma speravo di non rimanere praticamente solo con Dylan.

«Allora... non mi hai fatto sapere niente... com'è andata a Madrid?», mi chiede esattamente quello che mi aspettavo mi chiedesse.

Bevo un lungo sorso della mia birra, poi poso il bicchiere sul tavolo, tenendolo stretto tra le mani, sentendo di nuovo lei sotto le dita - e sotto la mia camicia.

«Me la sono cavata, mio padre stranamente è stato contento del mio lavoro. Non ha avuto da ridire nemmeno una volta». Ripenso a quando abbiamo fatto quella videochiamata in cui abbiamo parlato civilmente di lavoro e siamo riusciti a metterci d'accordo senza saltarci alla gola come due cani rabbiosi. E dire che non vedevo l'ora di finirla quella chiamata, ma nonostante tutto, quando mi sono accorto che mi stava trattando come se fossi uno in gamba, non ho potuto fare lo stronzo.

«E chi ti hanno mandato come traduttrice?», mi domanda curioso.

Il solo pensiero di lei è come avere di nuovo quella lama che gira e rigira nel mio cuore, e sto per rispondergli, ma il mio telefono vibra. «Scusa un attimo», gli dico, per prendere tempo.

È un messaggio.

È il solito messaggio.

È il suo solito messaggio.

Ho bisogno di parlare con te

Vorrei farlo, vorrei parlare con lei, ma ho troppa paura. Le avevo detto che non avrei sopportato un'altra assenza, non la sua, ma ha continuato a pensare a sé stessa, ai suoi fantasmi e ha pensato di potermi comprare con due cioccolatini del cazzo.

Sento di nuovo la rabbia entrare in circolo, la sento partire dalla mia testa ed espandersi come una macchia d'olio a tutto il mio corpo. Se fosse qui in questo preciso momento vorrei che soffrisse come sto soffrendo io, vorrei che si sentisse come mi sento io, vorrei essere io a ferirla, vorrei vendicarmi...

«Ciao ragazzi!» Una voce femminile attira la mia attenzione e quella dei miei amici.

Ci voltiamo tutti a guardarla, compreso Lawson che è appena tornato dal bagno. Beh chi non la guarderebbe, è impossibile non farlo, dato che indossa praticamente... niente.

«Ciao Jessica!» Nate è l'unico che sembra essere entusiasta di vederla.

«Ciao...», risponde lei, per poi sedersi accanto a me, mentre mi fa spostare un po' più in là sulla panca, «non c'è la tua ragazza?», mi sussurra infine all'orecchio.

Le immagini, le parole, e le espressioni di Chloe durante la serata che abbiamo passato proprio qui, insieme a Larry ed Eloise, tornano prepotenti alla mia mente. Era tutto così diverso...

«Jessica, senti...» Mi interrompo subito quando sento la sua mano risalire lungo la mia gamba.

«Perché non mi fai sentire qualcosa tu?» La sua voce continua ad essere udibile solo da me perché bisbiglia ancora una volta vicino al mio orecchio.

Dovrei mandarla via? Sì, dovrei.

Dovrei andare con lei? No, non dovrei.

Sono fuori di me? Sì, lo sono.

Sono arrabbiato? Da morire e con il mondo intero.

Mi farebbe dimenticare? Forse sì, forse per poco.

Potrei farlo? Sì, potrei.

«Allora... andiamo?», mi domanda ancora, mentre la sua mano esercita un po' più di pressione sulla mia coscia.

Chiudo gli occhi, inspiro una grande quantità d'aria, stringo con forza il bicchiere, espiro lentamente ed è quello il momento in cui so quello che devo fare.

«Ragazzi, io vado!», dico ai presenti, allontanandomi in fretta da lì. 

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Capitolo 45
*** Credo proprio che sia il mio turno ***


«No Chloe, no!» Il tono di voce di mia sorella mi fa chiaramente capire che sto combinando un disastro.

Non sono brava in queste cose, non lo sono mai stata. È lei la maga di trucco, parrucco, e outfit, io mi sono sempre limitata a farmi guidare, ma stasera volevo fare da sola, per poterle dimostrare che ho imparato qualcosa in tutti questi anni.

È stata lei ad aiutarmi con il vestito del ballo scolastico, sempre lei a truccarmi la prima volta che sono andata a cena a casa dei genitori di Dylan, ed è stata ancora lei a pettinare me e Hazel in occasione del matrimonio di una nostra cugina.

E ora, mentre stavo cercando di tirarmi su i capelli per farmi lo chignon, non c'è stata nemmeno una ciocca che abbia voluto collaborare con i miei tentativi per fare bella figura con Rebekah, quindi mi rassegno ad abbassare le braccia e lasciarle fare quello che sa fare meglio: la sorella maggiore.

«Come prima cosa devi tirare bene i capelli e fare una coda...», mi è stata vicina in questi giorni, le ho permesso di farlo - come avrei dovuto fare molto tempo fa -, ma sono cambiata, lo devo a Harry, anche se non mi parla da quando siamo tornati da Madrid, «poi devi sistemarli in questo modo, vedi?»

«Reb sono anni che me lo spieghi, ma come vedi non sono una brava allieva», le dico, facendola sorridere.

Siamo state bene in queste settimane; nonostante i miei alti e bassi, sono stata in grado di mantenere un certo equilibrio, e sono molto orgogliosa del lavoro che sto facendo su me stessa. Ho proseguito con professionalità nel mio impiego di traduttrice alla casa editrice, ho cominciato ad uscire per vedere la città, per scoprire un nuovo modo di vedere le cose, l'ho fatto insieme ad Eloise, con la quale sto instaurando un bel rapporto, e sto chiamando più spesso i miei genitori.

So che la maggior parte del merito di tutto questo va ad Harry, perché è lui che ha dato il via a questo cambiamento, ma posso dire che ci sto mettendo del mio, sto cercando di mettere in pratica tutto quello che ho imparato da lui, tutto quello che mi ha trasmesso, nella speranza di potergli dimostrare quanto lui sia meraviglioso, perché mi ha riportata alla vita.

Sono almeno tre settimane che cerco di parlargli e ancora non ci sono riuscita; mi evita, ignora le mie chiamate, i miei messaggi, mi ha evitato anche quando sono stata in ufficio da lui per fare da traduttrice durante un incontro di lavoro.

Mi aveva chiamata Jordan il giorno prima e io ero al settimo cielo all'idea di poter parlare di nuovo con lui. Insomma avrebbe dovuto per forza rivolgermi la parola e mi ero preparata un bel discorso, ci avevo pensato tutta la notte, avevo preso appunti, avevo parlato davanti allo specchio come se stessi parlando con lui, avevo fatto le prove, e quando sono stata nel suo ufficio, quando l'ho visto con il suo completo nero e la cravatta presa a Dylan, mi sentivo come se potessi tornare a bere dopo una settimana passata nel deserto.

Lui è stato molto freddo, distaccato, come se non mi conoscesse, e io ho stretto i denti, ho fatto finta di non vedere il suo atteggiamento, dicendomi che avrei potuto chiarire tutto non appena quell'incontro sarebbe finito, e invece lui se n'è andato con una stupida scusa, lasciandomi ad aspettarlo per l'intero pomeriggio. Non è più rientrato in ufficio e mi sono ritrovata, mio malgrado, a fare compagnia a Dylan.

È sempre merito di Harry se adesso riesco ad avere un rapporto normale con il suo amico e collega. Ho imparato a distinguere realtà e immaginazione, e ora so che quando parlo con lui non devo pensare al passato.

«Sta continuando ad evitarti?», mi chiede poi mia sorella, dopo aver completato la sua opera: adesso i miei capelli sono perfettamente tirati su.

«Già, ma non importa. Posso aspettare». Sì, lo posso fare, non importa per quanto.

«Lo sai, vero, che ci sarà anche lui stasera?», mi ricorda lei, appoggiandosi al mobiletto del bagno.

«Sì, lo so», le rispondo, sentendo che il mio battito cardiaco inizia ad accelerare al solo pensiero di poterlo incontrare.

La HS Financial Services organizza ogni anno una serata per i dipendenti prima delle feste natalizie, un modo come un altro per scambiarsi gli auguri di Natale, e io sono incredibilmente agitata al pensiero di vederlo. Potrebbe essere il momento giusto per riuscire a parlare con lui, o forse no, ma voglio pensare in positivo.

«È bello vederti così, Chloe», mi dice Rebekah, con un gran sorriso e gli occhi lucidi, cosa che mi spinge ad abbracciarla tenendola ben stretta.

Sono serena, sono tranquilla, sto andando avanti, senza dimenticare quello che ho dietro, e so di essere noiosa e ripetitiva, ma devo tutto a Harry, per questo non posso permettere che le cose finiscano in questo modo.

Mia sorella si allontana da me con uno strano sguardo negli occhi. «Che c'è?», le domando con aria confusa.

«Harry sarà lì e voglio vederlo sbavare per tutta la sera...», non mi dà modo di ribattere che mi prende per mano e mi porta in camera sua.

«Reb che stai facendo?», le domando, quando la vedo immergersi nei suoi vestiti appesi all'armadio.

«Ora vedrai», mi dice, con la testa nascosta tra i suoi abiti. Ogni tanto la sento borbottare qualcosa mentre riemerge dalle ante aperte tenendo tra le mani un capo o un altro, per poi sparire subito dopo. «Trovato!», dichiara con tono trionfale.

Osservo con attenzione il lungo abito bianco che tiene in alto per non farlo strisciare sul pavimento. «Cos'è che hai trovato?», le chiedo, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel candido bianco che illumina tutta la stanza.

«L'abito che farà ritornare la voce a Harry!» Lo afferma con voce sicura, con un sorriso furbo che contagia anche me.

Sorrido sincera, lo faccio spesso, anche se l'atteggiamento di Harry nei miei confronti mi ferisce, anche se pensare al mio Dylan non è ancora così facile, e anche se, a volte, credo di non farcela, ma dura un attimo, perché l'idea di poter sistemare le cose con Harry è la mia priorità.

«Reb, Harry non ha perso la voce, mi sta solo evitando e ti ho anche spiegato il perché. Lui ha dato tempo a me, ora è giusto che io lo faccia con lui». Ha rispettato i miei tempi, le mie paranoie, e il mio passato, il minimo che possa fare per lui è aspettare. 

Aspettarlo.

«Sì, come vuoi, ma se indossi questo avrò la soddisfazione di vedere il mio capo sbavare come un bambino. Non vorrai privarmi di questa gioia, no?» Rido alle sue parole.

Ha sempre preso le mie difese con lui, anche se io le ho sempre dato contro, spiegandole tutte le volte i motivi che lo portano a comportarsi in questo modo, ma lei insiste a dire che "è un orgoglioso del cavolo e dovrebbe scendere dal suo piedistallo". Ormai è la frase che mi ripete più spesso e l'ho imparata a memoria.

Prendo il vestito dalle sue mani, accarezzando delicatamente il tessuto morbido. «Lo metto, ma solo perché è meraviglioso», le comunico, mentre nella mia mente inizia a farsi spazio l'idea che non mi dispiacerebbe affatto attirare la sua attenzione, anche nel senso che intende mia sorella.

Da quella notte a Madrid non ho fatto che pensare a lui e al momento magico che mi ha fatto vivere. È stato un momento di pura estasi, di unione perfetta tra corpi e anime, le nostre.

«Chloe hai capito?» La domanda di Rebekah mi riporta alla realtà dalla quale mi ero estraniata. Succede sempre quando ripenso a quella notte.

«No, scusa, ero distratta, cosa dicevi?», le domando, concentrandomi su di lei.

«Ti ho chiesto se hai bisogno di una mano per indossarlo», mi sorride dolcemente, e io annuisco in silenzio.

Lo tiro su per le gambe, poi lei mi aiuta con la cerniera sulla schiena che è quasi completamente nuda, come le braccia. Ha uno spacco sulla gamba destra che arriva fino a metà coscia, ma si vede solo quando cammino. È bello, bellissimo, e l'immagine che vedo riflessa allo specchio mi fa sperare di poter avere una chance con lui, stasera.

Ci avevo sperato anche un paio di giorni fa quando mi sono presentata a casa sua. Ho trovato il portone aperto e mi sono infilata su per le scale. Ho bussato alla sua porta, più volte, ma non ho ricevuto risposta. Ho pensato che forse non fosse in casa, so che a volte dorme a casa di suo padre, ma ho sperato che dovesse rientrare da un momento all'altro e mi sono detta che potevo aspettarlo. I minuti, però, sono diventate ore, fino a che non mi sono accorta di essermi addormentata sul pianerottolo appoggiata alla sua porta. Non l'ho visto quel giorno e non l'ho visto neanche quando sono stata in ufficio alla HS Financial Services, convocata da Jordan per parlare del viaggio a Madrid. Speravo che ci sarebbe stato - e in realtà avrebbe dovuto esserci - ma non si è presentato. Suo fratello ha provato a chiamarlo, ma il suo cellulare risultava sempre spento e, con quella delusione amara nel cuore, che sempre mi accompagna dal mio rientro in patria, ho lasciato gli uffici, ringraziando Jordan per tutto ciò che ha fatto.

«Ti sta d'incanto, Chloe», dice mia sorella, e, quando la guardo negli occhi, sembra quasi commossa.

«Grazie, Reb, è tutto merito tuo», rispondo con il suo stesso ampio sorriso.

Finiamo di prepararci mentre chiacchieriamo come quando eravamo più piccole, davanti allo specchio di casa di mamma e papà. Torno indietro nel tempo, quando tutto era più facile, e cerco di riempire la mia testa con tutta questa positività.

Stasera andrà bene.

Stasera deve andare bene.

***********************

Il nostro autista è Zach e sono rimasta colpita da lui stasera: nonostante i tatuaggi che spuntano dai polsini della giacca, vederlo indossare un completo elegante mi ha piacevolmente meravigliata, e ho pensato a Kurt, a quanto avrebbe sclerato nel vederlo vestito in questo modo.

Kurt... è stato strano in queste settimane. A volte era evasivo, altre volte distratto, spero solo che non mi abbia mentito sul fatto che non ci fosse niente che non andava. Gliel'ho chiesto più e più volte, stavolta non voglio fare l'amica ingrata, voglio esserci per lui, come lui c'è stato per me, ma fra pochi giorni sarò a Montréal, così potrò accertarmi di persona se davvero c'è qualcosa che lo preoccupa e se posso aiutarlo in qualche modo.

«Siamo arrivati», annuncia Zach, non appena ci troviamo davanti all'ingresso di un parcheggio sotterraneo.

La festa si terrà in un salone di un hotel prenotato per l'occasione. Ci sarà una cena, musica e... e spero Harry.

Zach sceglie un posteggio a caso, scendiamo dall'auto, e ci dirigiamo verso gli ascensori. Reb mi ha prestato una giacca bianca di finta pelliccia o sarei morta di freddo, e mi ha prestato anche la pochette nera, all'interno della quale ho solamente le chiavi di casa e il cellulare, con cui ho mandato l'ennesimo messaggio a Harry stasera, lo stesso di sempre, lo stesso che continua a rimanere senza risposta.

Vedo le dita di mia sorella premere il numero 37 e, istintivamente, trattengo il fiato. Mi sento in ansia, ma non per paura di incontrarlo, sono in ansia perché spero di incontrarlo, perché non vedo l'ora di riuscire a parlare con lui. Ne sento il bisogno, voglio riuscire a chiarire questa situazione, voglio tornare ad avere lo stesso rapporto di prima con lui, soprattutto ora che so cosa vuol dire averlo avuto tutto per me.

Arriviamo al piano e seguiamo le indicazioni che ci portano al salone, che sembra già piuttosto affollato.

L'ambiente è moderno, ai lati del salone ci sono i tavoli, tutti rotondi, elegantemente apparecchiati con tovaglie bianche, bicchieri di cristallo e uno splendido mazzo di fiori al centro. Alle finestre ci sono decori natalizi e un enorme albero bianco, in fondo, a dominare l'intero ambiente.

Lasciamo le nostre giacche al guardaroba, poi una ragazza ci accompagna al nostro tavolo, al quale vedo una decina di posti, di cui quattro già occupati. Mia sorella mi presenta i suoi colleghi seduti di fronte a noi e scambiamo qualche parola fino all'arrivo della prima portata.

Ascolto distrattamente i presenti a questo tavolo mentre chiacchierano, ogni tanto porto alla bocca la forchetta, senza ancora aver ben capito cosa sto mangiando perché la mia mente è interamente concentrata su Harry. Ho evitato di guardarmi intorno, sono già troppo in ansia così per peggiorare la situazione se non dovessi vederlo.

Mi manca così tanto. Mi manca la sua voce, le sue parole, mi mancano i suoi incoraggiamenti e mi mancano i suoi baci, le sue carezze, le sue mani. Mi manca da morire il suo modo di giocare con i miei capelli e mi ritrovo troppo spesso a ripensare all'unica notte che abbiamo avuto.

«Non ti piace?» La voce di mia sorella mi distoglie dai miei pensieri.

Sto girando e rigirando la forchetta nel contenuto del mio piatto, nel cibo divenuto ormai irriconoscibile, credo dovesse essere un arrosto, ma non ne sono più tanto sicura.

«È che non ho più tanta fame...», le rispondo, poggiando la posata sul bordo del piatto.

La cena prosegue lenta, le chiacchiere anche, il mio livello di adrenalina si è notevolmente abbassato, ormai. Non ho idea di quanto tempo sia passato da quando ci siamo seduti a tavola, ma sembra troppo.

«Chloe dovresti...»

«È arrivato...» La voce di Zach ci interrompe. Il suo sguardo è oltre le mie spalle e, d'improvviso, sento tutta l'ansia, che ho accumulato in questi giorni, salire fino ai capelli. Le mani iniziano a sudare, mi tremano le gambe, e torno a trattenere il fiato.

Harry è qui, alle mie spalle, non so a che distanza sia, ma lo sento, sento il suo sguardo bruciare sulla mia pelle. Non posso vederlo, ma sono certa che i suoi occhi stiano vagando sulla mia schiena, sulle spalle e su tutto il resto. Il mio corpo sta ricordando perfettamente la sensazione del palmo della sua mano che scorre sui miei fianchi, quella del suo corpo aderente al mio e il calore prende pieno possesso di ogni parte di me.

E ho voglia di vederlo. Un'incredibile voglia di vederlo. Un'assurda voglia di toccarlo e un'incontenibile voglia di baciarlo.

«Ti sta guardando», mi dice Zach, con sorriso divertito. «Dovresti vedere la sua faccia in questo momento», mi dice ancora, poi alza una mano facendo un cenno di saluto, certamente rivolto al suo amico, e la sua successiva risata mi contagia anche se non ne conosco il motivo.

«Perché ridi?», gli domando curiosa.

«Perché con il suo solito garbo mi ha appena salutato con il dito medio». Zach sorride ancora, poi finisce il contenuto del suo piatto.

E, se fino a poco fa sentivo di aver poca fame, in questo momento ho lo stomaco completamente chiuso.

Potrei alzarmi ed andare subito da lui, ma non voglio metterlo alle strette, probabilmente sarebbe controproducente e potrei peggiorare la situazione.

Potrei voltarmi, guardarlo, e restare a fissarlo, ma mi accorgo subito che,anche questa opzione, è decisamente stupida. A dire la verità è da tempo che, ogni volta che penso ad un modo di avvicinarlo, sembra non essere plausibile, perché le volte che ci ho provato non sono andate bene, lui è sempre riuscito a sfuggire, ma non ho intenzione di arrendermi.

«Chloe...» Una voce maschile, proveniente dalla mia destra, attira la mia attenzione e mi volto lentamente a guardarlo.

È bello, elegante, e affascinante, sono certa che l'oca bionda sia qui da qualche parte a sbavare per lui e a preparare fulmini e saette per me.

«Buonasera, dottor Stevens», gli rispondo, poi lo vedo alzare gli occhi al cielo, per poi sorridere divertito.

Jordan si volta per salutare Rebekah, che gli rivolge il mio stesso saluto, al che lui si avvicina, posa i palmi delle mani sul bordo del tavolo, guarda prima Reb, poi me, e infine Zach. «Ti prego, almeno tu puoi salutarmi normalmente?»

«Ma dottor Stevens, non potrei mai mancarle di rispetto», risponde Zach, portandosi teatralmente una mano sul cuore.

«Ah! Vaffanculo Mason, non ti ci mettere pure tu!», ridono entrambi e sono certa che siano più che divertiti da questa situazione. «Anzi, visto che sei qui, perché non vai da quel genio del tuo amico capellone e non gli metti un po' di sale in zucca?» Per un attimo non avevo collegato che Zach e Jordan si conoscono per via di Harry, ma dopo averli visti così in confidenza ho realizzato che, sicuramente, si conoscono da diverso tempo.

«Jordan, ho intenzione di godermi la serata, quindi ho deciso che starò alla larga dal tuo sempre troppo gentile fratello», gli risponde Zachary, appoggiando la schiena all'indietro.

«Stasera è più intrattabile del solito», borbotta Jordan, tornando a mettersi dritto.

I due ragazzi continuano a parlare tra di loro scambiandosi battute e ridendo di gusto, mentre io e mia sorella non possiamo fare a meno di goderci la scena. Insomma, non è cosa da tutti i giorni assistere alle risate del vice presidente della società, intervallate da qualche imprecazione qua e là. Non ci sono abituata, ho sempre visto Jordan in veste professionale e impeccabile, ma questa versione di lui è piacevole.

«Quindi... Chloe... Non hai alcuna intenzione di darmi del tu?», mi domanda Jordan d'un tratto, porgendomi una mano per farmi alzare. Cosa che faccio subito e mi ritrovo in piedi, accanto a lui, mentre le note di una canzone che non conosco, si spandono nell'aria.

Non so perché ancora non riesco a farlo, ma dargli del tu non mi viene affatto facile. «Io...»

Non mi lascia finire la frase e mi interrompe. «Non siamo in ufficio e mi fai sentire fin troppo vecchio quando lo fai. Anche tu Rebekah...» Jordan si rivolge a mia sorella, offre una mano anche a lei, che si alza affiancandolo. «Che poi non ho ancora capito come fai ad uscire con quell'idiota...» È ovvio che "l'idiota"  di cui sta parlando sia Zach, che al momento sta alzando gli occhi al cielo per le parole di Jordan.

«Jordan, l'idiota qui presente non è poi così male, sai?», risponde Zach, incrociando le braccia al petto.

«Ero indeciso a quale delle sorelle Stewart chiedere di ballare...», dice Jordan guardando Zach con aria seria, «ma è ovvio, a questo punto, su quale ricadrà la mia scelta...» Sorride a Zach, porge la mano a mia sorella, con la quale non ha alcun bisogno di insistere perché si fa condurre immediatamente al centro del salone, mentre Zach resta a guardare la scena con aria divertita a causa dell'atteggiamento del suo amico.

«Jordan non smetterà mai di fare da cupido», dice Zach, portandosi il bicchiere di vino alle labbra.

E io penso a Madrid, ancora - come se già non lo facessi abbastanza - e a quando Jordan mi ha portata a pranzo, dicendomi che avrebbe suggerito a suo fratello di invitarmi. Anche io avevo avuto l'impressione che al maggiore dei fratelli Stevens piacesse fare da cupido.

It's now or never, 

Come hold me tight

 

Kiss me my darling, 

Be mine tonight 
Tomorrow will be too late, 
It's now or never 
My love won't wait.

 

D'un tratto, le parole di Elvis riecheggiano nel salone, e non posso trattenere un sorriso al pensiero che è il cantante preferito di mio padre; ricordo che una volta, a Natale, avrò avuto circa dodici anni, mio padre cantò proprio questa stessa canzone a mia madre durante il pranzo, di fronte a tutti i parenti. È stata la cosa più romantica che gli abbia mai visto fare.

Con la coda dell'occhio noto dei movimenti alla mia destra, mi volto, e vedo Dylan che si sta avvicinando, con un gran sorriso sulle labbra. Gli sorrido anch'io, poi, senza dire niente, mi prende per mano e mi trascina al centro della sala, dove già altre persone stanno ballando, senza darmi la possibilità di protestare. Mi ritrovo così semi abbracciata a lui, mentre Elvis continua a cantare.

«Dylan... io...» Mi sento a disagio qui con lui, perché quando mi sono accorta di qualcuno che stava camminando nella mia direzione ho pensato che fosse Harry.

«Che c'è? Non sai ballare?», mi domanda con un tono di voce dolce, e io non riesco a sostenere il suo sguardo perché mi ritrovo a cercarne un altro nella sala.

E lo trovo, ci sta guardando,  mi sta guardando, e il mio disagio sembra non poter che aumentare.

«Non è questo... il fatto è che...» Non so come comportarmi, non so cosa dire...

«Tranquilla, nemmeno io so ballare...» Continuo ad essere distratta, dovrei dare retta a Dylan, ma i miei occhi non fanno altro che ricercare i suoi. «Volevo solo ballare con te prima che Harry ti portasse via...» Le sue parole attirano tutta la mia attenzione e lo guardo con aria confusa.

«Non credo che succederà», gli dico, mentre ripenso alle settimane appena trascorse e a quante volte mi abbia ignorata, ed evitata.

«Io credo proprio di sì, invece, e succederà tra pochissimo. Lasciami divertire un po'... Harry ha solo bisogno di una spinta...» Guardo Harry, poi guardo lui in cerca di risposte, che non tardano ad arrivare. «Non sono cieco, mi sono accorto di quello che c'è tra di voi... Quindi, ora, ti prego, resta in silenzio e lasciami godere questo momento prima che lui arrivi e ti porti via di peso... Dopotutto devo vendicarmi in qualche modo per tutte le cravatte che non mi ha mai restituito...» Mi strappa un sorriso con le sue parole, dette con estrema dolcezza. «A proposito, grazie per quelle che sei riuscita a farmi riavere...» Mi lascio stringere e penso a quanto questo ragazzo assomigli al mio Dylan, anche nel modo di comportarsi.

It's now or never 

My love won't wait.

 

Passano pochi secondi, che il nostro abbraccio viene interrotto.

«Credo proprio che sia il mio turno». La voce bassa di Harry arriva in ogni parte del mio corpo e mi accorgo che mi mancava molto più di quanto immaginassi. I suoi occhi sono solo su di me, come se questo salone non fosse pieno di persone.

«Non abbiamo ancora finito», dice Dylan, con tono divertito, senza lasciare andare la mia mano.

«Io dico di sì», risponde Harry, senza lasciare mai i miei occhi.

Mi è mancato così tanto il suo sguardo, la sua voce, le sue attenzioni, che il mio corpo sembra sul punto di esplodere da un momento all'altro, così come non so quanto riesco a tenere a bada la felicità che è esplosa nel mio cuore, nell'istante in cui i suoi occhi si sono posati su di me.

Distolgo per un solo attimo lo sguardo da lui per guardare Dylan e fargli capire che è tutto ok, che il suo piccolo stratagemma ha funzionato, e che non potrei esserne più felice. Lui mi sorride a sua volta e non può evitare un'ultima battuta.

«Sarà per il prossimo ballo, allora», dice Dylan, mentre lascia andare la mia mano, e io sorrido nel sentire la risposta di Harry.

«Non contarci», afferma, continuando a guardarmi e posando la sua mano sul mio fianco per poi tirarmi a sé.

Sto per esplodere, è così. Sento l'elettricità ovunque, in ogni fibra del mio corpo, la sento passare dal mio al suo, e riesco a vedere la stessa reazione nei suoi occhi, tanto che, invece di ballare, con la mia mano stretta nella sua, mi trascina in mezzo alle persone, con le quali sono costretta a scusarmi più volte, per le volte con cui mi sono scontrata con qualcuno.

Arriviamo davanti agli ascensori, lui preme con insistenza il pulsante come se, così facendo, potesse arrivare prima. Nell'attesa si avvicinano altre persone che, come noi, entrano nel vano non appena si aprono le porte. Una volta dentro, sento la presa della sua mano farsi sempre più stretta sulla mia. Non ha ancora parlato, nemmeno io l'ho fatto. Non mi ha più guardata, e nemmeno io l'ho fatto, riusciamo solo a tenere stretta la mano dell'altro, così stretta da far quasi fermare il sangue, eppure non vorrei che fosse diversamente.

L'ascensore si ferma al piano interrato, quello dei garage e lui resta fermo a guardare le persone di fronte a noi che si allontanano. Resto immobile al suo fianco, poi usciamo anche noi lentamente e, quando sento le porte richiudersi, mi ritrovo all'improvviso con la schiena al muro, le sue labbra sulle mie, le sue mani sui miei fianchi, le mie tra i suoi capelli, e sono un'altra volta in un'altra dimensione, la nostra, quella che lui crea quando mi bacia in questo modo così travolgente.

È il nostro universo parallelo, in cui ci siamo solo noi due, in cui niente può ferirci, in cui possiamo essere felici, in cui percepisco perfettamente il sapore del vino che ha appena bevuto, il metallo dei suoi anelli che scorrono sulla pelle della mia schiena nuda, la morbidezza delle sue labbra sulle mie, che passano poi al mio collo, del suo torace contro il mio, dei suoi fianchi contro i miei, e se continua così perderò la testa in questo luogo. Non importa dove sono, l'ho ritrovato, ho ritrovato Harry, e tutte le sensazioni che lui sa regalarmi, il resto è niente.

«Vieni a casa con me», sussurra tra un bacio e l'altro, sulla pelle del collo diventata troppo sensibile, «adesso», dice ancora, con il fiato corto, e la presa delle sue mani che si fa sempre più possessiva.

«Sì». La sola e unica risposta che potrei dargli. 

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Capitolo 46
*** E resto ***


Harry

Posso solo ringraziare mentalmente mio fratello per aver insistito affinchè ognuno prendesse la propria auto stasera.  
Ora ho capito perché.

Sapevo che lei ci sarebbe stata a questa cena e, anche se non ero pronto ad ammetterlo, sapevo che, con ogni probabilità, avrei perso ogni freno che mi ero imposto. 

E così è stato.

Quando l'ho vista seduta al tavolo poco più in là del mio, non ho fatto altro che tenere gli occhi sulla sua schiena, sulla sua nuca, su ogni parte di lei che riuscivo a vedere e, per tutto il tempo, non ho fatto altro che impazzire per la distanza che sembrava aumentare ad ogni minuto di più.

In queste settimane ho sbollito la rabbia nei suoi confronti, ma il mio orgoglio del cazzo ha fatto il resto, tenendomi lontano da lei. Forse si è messa di mezzo anche la paura che tutto si ripetesse di nuovo, che anche lei mi avrebbe abbandonato prima o poi, ma ho capito che non è così.

I suoi continui messaggi, la sua evidente voglia di vedermi, e cercarmi per chiarire, mi hanno fatto cambiare idea. Il suo appostamento dietro la porta del mio appartamento, poi - durante il quale sono stato seduto sul pavimento per tutta la notte, solo per vedere fino a che punto si sarebbe spinta per me - è stato ciò che mi ha fatto ricredere su tutta la linea.

Lei non è Winter, non è mia madre, e io non permetterò che succeda ancora.

L'autocommiserazione fa schifo, stare senza di lei fa schifo, il pensiero che devo ancora dirle la verità su Dylan fa schifo, ma ora è qui con me, seduta sul sedile passeggero della mia Mustang, con lo spacco di quel vestito che mostra la sua gamba destra, e stringo con forza le dita sul volante per obbligarmi a non sprofondare con la mano nella sua coscia.

E non c'è nessun altro pensiero nella mia mente a cui sia in grado di dare spazio che non riguardi la sua pelle, scoperta e non.

Nessuno dei due ha più parlato da quando siamo saliti in macchina, riusciamo solo a guardarci e, quando lo fa, riesco a sentire ancora quella cosa  che succede solo con lei, solo quando i suoi occhi sono nei miei, e sto facendo di tutto per non bruciare i semafori rossi e rispettare i limiti di velocità per arrivare a casa prima possibile.

Non appena formulo questo pensiero, non posso trattenere un sorriso al ricordo di essere più che felice di aver dato retta a Zach quella notte.

Dopo che Winter ha deciso per entrambi che non avremmo più dovuto stare insieme, non sono più riuscito a dormire nel letto che abbiamo condiviso e dormivo sul divano. Una sera, dopo aver bevuto quel tanto che bastava per avere questo tipo di idee, Zach mi ha proposto di bruciare il letto. All'inizio gli ho dato del coglione, ma lui sembrava convinto, così, dopo aver deciso di dargli retta, abbiamo iniziato a smontarlo pezzo per pezzo, l'abbiamo caricato in macchina, siamo andati in un luogo isolato e gli ho dato fuoco.

È stato incredibilmente liberatorio, mi sono sentito come se fossi riuscito a togliermi una scheggia dal cuore, e ora, che sto per tornare a casa con Chloe, con cui so di voler condividere il mio letto, non posso che essere felice della scelta di quella notte.

Arriviamo sotto casa mia e scendiamo. Le ho dato la mia giacca per coprirsi e ha avvisato sua sorella, con il mio cellulare, che non sarebbe tornata nel suo appartamento. Non volevo separarmi da lei nemmeno un secondo di più di quanto siamo già stati lontani, quindi non è più tornata indietro a prendere le sue cose. Saliamo i tre piani con lo stesso silenzio che ci ha accompagnato durante il breve tragitto fino a qui, ma non appena entriamo in casa io non posso più resistere.

Mi appoggio letteralmente contro il suo corpo, stretto tra me e il muro, e finalmente riprendo possesso delle sue labbra, faccio scivolare la mia giacca dalle sue spalle, poi torno a stringere i suoi fianchi con prepotenza, e la sua coscia, che afferro con la mano oltrepassando lo spacco che le lascia scoperta la gamba mentre lei si lascia andare ad ogni mio tocco, ad ogni mia carezza, ad ogni mio bacio.

«Harry...», la sua voce è a malapena udibile, non so nemmeno se ha pronunciato davvero il mio nome oppure lo sto solo immaginando. Non riesco a fermarmi, non voglio fermarmi, perché la voglia di lei è diventata ingestibile in queste settimane, specialmente dopo averla avuta, dopo aver provato cosa vuol dire averla sotto di me. «Harry...» Stavolta sono quasi certo di averla sentita e trattengo il fiato per potermi fermare e guardarla negli occhi.

Porto entrambe le mani sul suo viso, le sue si fermano sul mio petto, i suoi occhi sono lucidi ed è evidente la felicità che riesco a leggerci dentro. «Mi dispiace, Chloe», le dico sincero, mentre la guardo negli occhi, tentando di trasmetterle tutto quello che sto provando in questo momento.

«No, Harry, è a me che dispiace, non avrei dovuto comportarmi così quella sera». La sua voce trema, è carica di emozioni che non può trattenere, come non riesco a farlo nemmeno io.

«Lo capisco, invece... capisco cos'hai provato ed è a me che dispiace...» Lei mi guarda con aria confusa e non resisto un secondo di più, devo baciarla ancora. Uno, due, tre, dieci, venti volte, non lo so ... ho perso il conto e smetto solo quando sento le sue labbra incurvarsi in un sorriso. «Devo dirti una cosa, Chloe», le dico ancora, tornando a guardarla. Lei non risponde, resta in silenzio in attesa delle mie parole.

Continuo a tenerla bloccata al muro, con le mani sul suo viso e i miei pollici ad accarezzarla. Il suo sguardo si fa più serio, quasi preoccupato mentre io continuo a stringerla come se potesse sfuggirmi da un momento all'altro.

«Che succede, Harry?», mi domanda infine, ritrovando un po' di voce.

«Un paio di giorni dopo che siamo rientrati da Madrid, ero così fuori di me che avevo deciso che sarei uscito quella sera e non mi sarebbe importato di quello che sarebbe successo. Avrei bevuto, avrei fumato, avrei tentato di annebbiare la mente in ogni modo che conosco». I suoi occhi si fanno sempre più scuri, so che sta pensando al peggio, ma ho bisogno di dirle tutto di quella sera. «Io, Zach, e gli altri siamo stati al Black Rose, abbiamo bevuto, poi è arrivata Jessica...», sento il suo respiro fermarsi, i suoi occhi si aprono un po' di più, «ha iniziato con le sue solite stronzate e io continuavo a dirmi che forse avrei potuto farlo, che forse mi avrebbe aiutato a cancellare quello che mi stava distruggendo la mente...»

«Harry...» Ora sento la paura nella sua voce, la vedo nei suoi occhi, nelle sue mani che tremano e io la stringo di più, perché se non lo faccio ho paura che potrebbe scivolarmi via un'altra volta. Ho capito perfettamente cosa vuole chiedermi, la domanda che non ha il coraggio di farmi è proprio lì, nei suoi occhi, ma non voglio che quelle parole escano dalla sua bocca.

«Ascoltami, Chloe, ti prego...», la sento irrigidirsi sotto le mie mani, ma non ho alcuna intenzione di lasciarle via libera, quindi infilo una gamba tra le sue per tenerla lì, dove deve stare, «voglio che ascolti tutto quello che ho da dire...», le dico ancora, tornando a stringerla con maggiore forza. «Ho pensato che se fossi andato via con lei avrei cancellato il dolore, ma l'ho pensato solo per un attimo, un solo e unico attimo, e subito dopo mi sono detto che non avrei mai potuto fare una cosa del genere... mai...» La sento tornare a respirare, i suoi lineamenti si rilassano come anche la presa delle sue mani sulla mia camicia. I palmi delle sue mani si aprono lentamente permettendomi di tornare a rilassarmi io stesso sotto il suo tocco. «Sono tornato immediatamente a casa, sono uscito dal locale e mi sono fatto accompagnare da Zach. Per giorni ci ho ripensato, poi ho capito che quel piccolo attimo avrebbe potuto rovinare ogni cosa, ma non ho ceduto, ed è la stessa cosa che hai fatto tu, quella notte. Mi sono reso conto che anche per te è stato un piccolo attimo, probabilmente è stato solo quello, e io non ho avuto il coraggio di stare a sentire il resto e...»

«Dio, Harry! Certo che è così!» Mi interrompe, quasi con le lacrime agli occhi per la gioia che fatica a contenere in questo momento. «È stato un unico attimo, dettato dalla paura, quella notte ero così confusa, avevo la testa come annebbiata...»

«Perché non mi hai svegliato?», le chiedo interrompendola.

«Ho avuto di nuovo quell'incubo, Harry...», mi dice, e io capisco che si riferisce al sogno che continua a fare, quello della notte del suo compleanno.

«A maggior ragione avresti dovuto svegliarmi!» Perché non l'ho sentita alzarsi quella notte? Me lo chiedo continuamente.

«Harry... eri tu... eri tu al suo posto in quell'incubo...» I suoi occhi lucidi si riempiono di lacrime, che tenta in ogni modo di trattenere, e io non so cosa altro fare se non baciarla, baciarla per rassicurarla, baciarla per poi stringerla in un abbraccio che riesca a farla sentire al sicuro.

«Perché cazzo non l'hai detto subito». Mi sento un tale coglione adesso.

«Non...», stava per dire qualcosa, ma si è fermata, per poi riprendere subito dopo, e mi allontano leggermente per poterla guardare negli occhi, ma senza lasciare andare il suo viso, dal quale asciugo un paio di lacrime con i pollici. «C'è un'altra cosa che devi sapere, Harry...», mi dice con un'ombra negli occhi, un'ombra che non mi piace affatto, «c'è stato un altro attimo quella notte, sul tetto...»

«Sul tetto?», le domando, non sapendo a cosa si stia riferendo.

«Sì, quando sono uscita dalla stanza, dopo aver fatto quell'orribile incubo, avevo bisogno di aria e sono salita fino al tetto, mi sono seduta su una sdraio e i pensieri hanno iniziato ad arrivare uno dietro l'altro, e io non sapevo più a quale dare retta per primo. C'eri tu, c'era quel sogno, c'era la paura di perdere tutto di nuovo e poi...» Si ferma ancora, mi guarda come se io potessi davvero salvarla.

«E poi?» Voglio sapere... voglio sapere tutto quanto.

Resta per un attimo in silenzio, forse incerta se continuare o meno, ma poi ricomincia a parlare. «E poi, ho pensato... ho pensato per un solo unico attimo, che avrei potuto smettere di soffrire per sempre...», chiudo gli occhi inspirando una grande quantità d'aria non appena sento le sue parole, perché ho capito cosa intende, «ma è stato realmente un attimo, perché poi ho pensato a quanto ho di bello nella vita, e il mio primo pensiero è stato tornare nella nostra stanza per provare a non deludere anche te, ma come sai non ho fatto in tempo...»

Ci sono così tante cose che avrei potuto fare quella sera, come ci sono cose che anche lei avrebbe potuto fare per poter evitare tutta questa sofferenza. Sarebbe bastato che mi avesse svegliato non appena ha avuto quell'incubo, o che io mi fossi degnato di ascoltarla non appena è tornata in stanza, ma entrambi siamo rimasti nelle nostre posizioni, determinando ciò che è successo nelle settimane successive.

So che lei non ha smesso di cercarmi, però non ero pronto per essere trovato, avevo bisogno di elaborare quello che è successo quella notte, perché è successo qualcosa di molto di più che una semplice notte d'amore, lo so bene adesso, ma non ero pronto ad ammetterlo a me stesso tre settimane fa. Avevo bisogno di capire come avrei dovuto comportarmi nell'immediato futuro, e avevo anche bisogno di passare del tempo con Dylan, perché quando quella storia verrà fuori, tutto cambierà.

«Chloe... siamo due completi disastri...», le dico, dopo essermi ben impresso nella mente l'immagine di lei in questo momento. Lo dico con il sorriso, perché ho la necessità di allontanare da noi la negatività e per farle capire che non m'importa di altro in questo momento che non sia lei, qui con me.

«Lo dici come se ti piacesse», risponde con un meraviglioso sorriso.

«Mi piace da morire, Chloe...» E poi la bacio ancora, e ancora, e ancora, fino a sentire il respiro farsi sempre più accelerato, fino a sentire che sta di nuovo lasciandosi andare tra le mie braccia

*****

Chloe

Succede ancora.

Succede sempre.

Succede ogni volta che sono con lui, ogni volta che mi bacia, che mi stringe, che pretende ogni parte di me.

Succede che sto bene, meravigliosamente bene. Harry riporta alla luce le cose belle, quelle positive, quelle che mi fanno sperare in un futuro luminoso, privo di ombre.

La mia testa riversa all'indietro contro il muro, la sua bocca che vaga sul mio collo, le mie mani strette tra i suoi capelli, le sue che vagano senza una meta sul mio corpo, il fiato corto, il suo sulla mia pelle, la mente che si azzera lasciando posto solo al cuore che batte veloce, e al suo che batte a ritmo del mio.

Poi i movimenti diventano sconnessi, quasi frenetici, i suoi baci sono sempre più intensi, le sue mani fanno sempre più forza sulla mia pelle nuda della schiena, ma senza farmi male, e io non posso non stringere ogni suo muscolo sul quale riesco a posare le mani.

«Girati». Il suo è un ordine al quale il mio corpo ubbidisce senza aspettare nemmeno un attimo.

Mi volto appoggiando il corpo contro il muro. Le sue mani sono veloci sul gancino dietro al collo, quello che tiene agganciata la parte superiore del vestito. Velocemente lo toglie dall'asola, poi scende alla cerniera. «Per tutta la sera non ho fatto altro che guardarlo...», dice, mentre fa scorrere i polpastrelli delle sue dita sul tatuaggio in mezzo alle scapole, «ero così arrabbiato quando ti ho vista con questo vestito...», la cerniera è ormai completamente aperta, «ho aspettato così tanto per vederlo e tu l'hai messo in bella vista...», la sua voce è talmente lenta e bassa che arriva tutta al centro del mio corpo, senza lasciarmi la possibilità di pronunciare nemmeno una parola, «dimmi che l'hai fatto di proposito, Chloe...», sono ancora contro il muro e la sua mano destra arriva delicata sulla mia spalla, «dimmi che l'hai fatto per me...», anche l'altra sua mano arriva sull'altra spalla, poi scendono lungo le braccia, lungo i fianchi, poi sento il bordo del vestito scivolare lungo le gambe e finire sul pavimento. «Voglio che tu lo dica, Chloe», bisbiglia quasi, poggiando il suo corpo sulla mia schiena.

«Cosa vuoi che dica, Harry?» In qualche modo riesco a trovare la forza di parlare. «Che speravo mi notassi? Che volevo che mi guardassi? Che volevo che vedessi solo me?» Fa una leggera pressione con le mani sui miei fianchi per farmi voltare verso di lui.

Indosso solo gli slip e le scarpe, ma non provo alcun tipo di disagio in questo momento, perché il suo sguardo è fuoco puro, mi sento assolutamente meravigliosa quando i suoi occhi si posano su di me. «Io vedo solo te, Chloe», mi dice, posando le mani sui miei fianchi, per tenermi stretta a lui. La mia pelle nuda a contatto con la sua camicia, le mie gambe a sfiorare i suoi pantaloni e le sue mani completamente aperte sulla mia schiena, che scendono lentamente. D'un tratto mi bacia, più aggressivo di quanto non abbia fatto finora e lo lascio fare, ne ho bisogno, e infine sento le sue mani stringermi sotto le cosce mentre mi solleva. Mi aggrappo con forza alle sue spalle e stringo le gambe intorno alla sua vita mentre lui cammina a tentoni fino alla sua stanza, tra un bacio e una risata per aver colpito lo stipite di una porta.

Mi lascia andare all'indietro sul letto con poca delicatezza, poi si appoggia con un ginocchio in mezzo alle mie gambe, le braccia ai lati della mia testa e i suoi occhi fissi nei miei. «Non immagini nemmeno da quanto tempo ti volevo su questo letto», dice, con un tono così carico di desiderio che istintivamente tento di chiudere le gambe, ma non posso farlo perché lui è lì in mezzo.

Allontano subito dalla mia mente chi possa essere stata su questo letto - nel suo letto - se ha o non ha portato qualcun'altra, non voglio pensarci né adesso, né mai. Porto le mani sui bottoni della sua camicia e mi sorprendo della velocità con cui riesco a portare a termine il mio lavoro. Tiro la stoffa fino a farla uscire completamente dai pantaloni e appoggio i palmi sul suo torace, chiudendo gli occhi al contatto con la sua pelle.

«Nessuna...», gli sento dire, e riapro gli occhi per osservarlo. Le mie mani si sono fermate, il mio respiro anche e il suo sguardo è più che divertito.

«Nessuna?», gli domando, senza capire cosa stia dicendo.

«Non c'è stata nessuna prima di te su questo letto», mi dice, come se mi avesse letto nel pensiero, ma non mi stupisce che l'abbia fatto, lui lo fa sempre.

«Nessuna?» Ripeto incredula.

Lui piega leggermente i gomiti per avvicinarsi al mio viso, mi bacia sulle labbra, poi torna a guardarmi con aria divertita.

«Questo letto è nuovo, quello vecchio l'ho bruciato», mi dice, con un enorme sorriso.

«L'hai bruciato?», gli chiedo stranita. La sua mano destra arriva sul mio volto, mi accarezza i capelli vicino all'orecchio, poi scende lentamente, molto lentamente, fino alla clavicola.

«Sì, l'ho bruciato...», le sue dita non si fermano e, delicate come una piuma, arrivano sul mio seno, e io non sono più in grado di ragionare, non so più come si formula una domanda, perché riesco solo a concentrarmi sul tocco della sua mano, che continua la sua discesa fino ad agganciarsi al bordo degli slip che ancora indosso.

Chiudo gli occhi, azzero i pensieri, e lascio andare ogni cosa.

«Brava, così... non pensare più a niente...» Vorrei potergli sfilare la camicia, ma i movimenti delle sue dita mi hanno tolto anche l'ultimo briciolo di lucidità. L'unica cosa che riesco a fare è inarcare la schiena a causa dell'intenso piacere che lui sta provocando al mio corpo.

Un suono strozzato lascia la mia bocca, sono travolta dall'intensità delle sue parole, della sua voce, unita a quella del suo tocco e non riesco a trattenermi, ma nemmeno voglio farlo. Voglio lasciare andare del tutto quello che provo, quello che sento con lui e per lui, voglio che Harry percepisca ogni cosa, voglio lasciargli libero accesso ad ogni parte di me, voglio che si prenda ogni cosa, nello stesso modo in cui io voglio prendermi ogni cosa di lui.

Trattengo il fiato quando lo sento allontanarsi da me, portandosi dietro i miei slip che tira verso il basso. A quel punto apro gli occhi: voglio vederlo, voglio guardarlo, senza perdermi la sua espressione e i suoi movimenti mentre sfila la camicia. Si allontana, si mette in piedi, e mi regala una meravigliosa vista di sé a petto nudo. Vedo le sue dita armeggiare con bottone e cerniera dei pantaloni, che fa scendere velocemente sulle gambe, stessa cosa fa con i boxer e contengo a fatica un sorriso, trattenendo il labbro inferiore tra i denti, quando mi offre la completa visuale del suo lato b mentre fruga fra gli indumenti del primo cassetto.

Ne tira fuori un preservativo, che indossa velocemente, per tornare nella posizione di poco fa, tra le mie gambe, mentre mi prendo qualche secondo ad osservare i suoi occhi, che tanto mi sono mancati in queste settimane.

«Sei qui», mi dice, e so che non è una domanda.

«Sono qui, Harry, ed è qui che voglio stare», gli dico per rassicurarlo.

Si abbassa un po', senza dare troppo peso, facendo forza su un gomito. «E resti qui», dice, con un tono di voce più basso.

«Resto qui, Harry», anche la mia voce sembra abbassarsi nel momento in cui lo sento sfiorare la mia intimità.

Poi, senza smettere di guardarmi negli occhi, si avvicina ancora un po'. Lo guardo anch'io, non posso farne a meno e, con una straziante e infinita lentezza, entra in me mentre ripete le sue parole. «E resti qui, Chloe».

«Resto qui, Harry», dico, quasi senza fiato, mentre è completamente in me, mentre sta facendo sua ogni più piccola parte di me, mentre si sta prendendo corpo, cuore, e anima.

Arretra appena, mi guarda, lo guardo, affonda di nuovo. «E resti».

«E resto». Lo guardo, respiro, e gli dono me stessa.

Poi aumenta il ritmo, appoggia la testa alla mia spalla, io metto le mani sulla sua schiena, lo stringo a me in ogni modo possibile, i gemiti che lasciano le sue labbra e arrivano dritti sulla mia pelle mi travolgono, provocandomi sensazioni che rischiano di farmi perdere la testa, o forse l'ho già persa. 

Sicuramente l'ho già persa.

L'ho persa mentre assecondo i suoi movimenti, mentre sento la sua voce pronunciare il mio nome come se fossi la sua salvezza, l'ho persa mentre il mio battito cardiaco continua ad aumentare con l'aumentare del ritmo del suo bacino contro il mio, e l'ho persa definitivamente quanto sento esplodere in me un piacere violento, tale da farmi stringere qualsiasi parte del suo corpo abbia tra le mie dita in questo momento.

Probabilmente l'ha persa anche lui quando l'ho sentito emettere un suono roco e profondo, per poi lasciarsi andare del tutto su di me, fino a che i nostri respiri non si calmano, ma non si muove dalla sua posizione, resta lì, dentro di me, poi alza il viso, prende il mio tra le mani e sorride, contagiando anche me.

«Resti», ripete a bassa voce.

Gli sorrido, ma non faccio in tempo a rispondergli perché mi bacia con una tale intensità che non riesco nemmeno a capire da dove riesca a prendere tutta questa forza. Le sue labbra, la sua lingua, le sue dita sul mio viso, riescono a darmi un po' di quell'energia che lui ha ancora, e porto le mie braccia sulla sua schiena per poterlo avvicinare a me quanto più possibile.

Non ho mai vissuto un momento così intenso, così carico di emozioni, così potente da annullare tutto il resto del mondo, e tutto questo è difficile da reggere per me, ma i piccoli baci di Harry, quelli che sta distribuendo su tutto il mio viso, la dolcezza con cui la sua mano si sta infilando tra i miei capelli, rendono tutto più facile.

«Certo che sei davvero rumorosa», mi dice, guardandomi con aria divertita.

Lo guardo e penso che mi stia prendendo in giro. «Non è vero», gli dico. In realtà non saprei dirlo, perché ero concentrata solo su di lui.

«Sì che è vero, Stewart, i vicini ti hanno sentita di sicuro», mi dice, mentre il sorriso sulle sue labbra si fa sempre più ampio.

Non so se sia vero o no, ho fatto fatica anche a respirare, mi chiedo come abbia fatto ad emettere anche dei suoni. «La prossima volta farò più attenzione», gli dico sorridendo a mia volta, ma so che non sarà affatto possibile perché le cose stanno diventando incontrollabili con lui.

«Non provarci nemmeno, anzi, la prossima volta voglio che ti senta tutto il palazzo. Adesso, però, ho bisogno del bagno», mi dice, allontanandosi da me, lasciandomi percepire chiaramente il senso di vuoto quando il suo corpo non è più stretto al mio.

Mi infilo sotto le coperte quando lui esce dalla stanza e, non so per quale motivo, mi torna in mente poco fa, quando mi ha detto di aver bruciato il vecchio letto. Non trattengo un sorriso a quel pensiero, mentre mi rannicchio e mi stringo al suo cuscino, che profuma di lui. Non riesco ad immaginarmi la scena, ma sapere che su questo materasso, a parte lui e me, non c'è stato nessun altro, non può che portare il mio livello di felicità ai massimi livelli.

Poco fa, quando ha detto che doveva dirmi una cosa, ho subito temuto il peggio. Quando ha iniziato a raccontarmi di Jessica e di tutto quello che lei ha fatto per provocarlo, di quanto lui fosse arrabbiato con il mondo intero, e che uno dei suoi modi per dimenticare il dolore, fosse andare a letto con la prima che gli capitasse, ho davvero creduto, per un breve attimo, che avesse ceduto.

In quel momento ho sentito mancarmi la terra sotto i piedi, ho sentito il mio cuore schiacciato da un peso enorme. Avrei preferito essere inghiottita dal pavimento piuttosto che sentirgli pronunciare quelle parole, e quando mi ha detto che non l'ha fatto, che si è fatto accompagnare a casa da Zach, quel peso se n'è andato e sono tornata a respirare.

«Sei ancora qui, Stewart...», sento la sua voce alle mie spalle, poi il materasso abbassarsi, segno che è salito sul letto, e infine si infila con me sotto le coperte, senza la minima traccia di vestiti addosso. Lo adoro. Adoro sentire quando mi abbraccia e posso sentire la sua pelle nuda.

«Sì, Stevens, sono ancora qui...», gli dico sorridendo, anche se lui non può vedermi perché gli sto dando le spalle. «Davvero l'hai bruciato?» Non ho potuto resistere e ho dovuto chiederglielo.

Lo sento ridere, sento il suo petto scuotere appena la mia schiena. Il suo braccio mi stringe, la sua mano si infila sotto al mio, per andare ad intrecciarsi con la mia. «Sì, io e Zach una sera abbiamo bevuto, lui si era rotto le palle di vedermi dormire sul divano, così mi ha proposto di smontarlo e andare a bruciarlo, e io l'ho fatto», mi spiega.

«E ti ha fatto sentire meglio?», gli domando curiosa.

«Molto meglio... molto molto meglio», dice ancora, per poi farmi voltare verso di lui.

Mi guarda. Lo guardo. Mi accarezza i capelli, ci gioca, come ormai è abituato a fare. «Mi sei mancato, Harry», mi lascio quasi sfuggire. Quasi... perché volevo dirglielo comunque, ma l'immagine di lui in questo momento, così vicino, così dolce, così solamente mio, mi ha letteralmente rubato le parole dalla bocca.

«No, tu mi sei mancata, Chloe». Ed è così che succede.

Succede che tu non sei più padrona del tuo cuore, perché lui se l'è preso, ma non t'importa, perché sai che lui ne avrà cura. 

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Capitolo 47
*** It's what you want (it's) ***


Sembra che oggi il sole splenda solo per me.

Siamo a metà dicembre e solitamente il tempo in questo periodo a Boston è piovoso, o nevica, o è grigio, o qualche altra orribile intemperia, ma non oggi. Oggi c'è il sole, splendente, luminoso. I raggi penetrano a malapena dalle tende lasciate accostate, arrivano sul mio viso e sono costretta a spostarmi leggermente sul cuscino per non dovermi tenere una mano sugli occhi, e tutto mi sembra splendente, come la luce che rischiara la stanza... la stanza di Harry.

Sorrido al pensiero di ieri sera, al pensiero di noi due insieme. Mi allungo leggermente, poi mi volto per poterlo guardare e resto sorpresa quando lo trovo sdraiato su un fianco, appoggiato sulla mano destra a reggersi la testa e un sorriso che mi scioglie il cuore.

«Ciao», mi dic,e con voce assonnata e sexy.

«Ciao», gli rispondo, stropicciandomi gli occhi e tirandomi su il lenzuolo. «Sei sveglio da tanto?», gli chiedo, allungando una mano verso la sua, che lui si affretta a stringere.

«No», dice solamente, senza aggiungere altro.

«Che stavi facendo?», gli domando ancora, mentre i miei occhi non possono evitare di posarsi sul suo corpo ancora meravigliosamente nudo.

«Stavo cercando di interpretare quel disegno che hai sulla schiena», lascia la mia mano per sistemarmi i capelli dietro l'orecchio.

«Non c'è niente da interpretare. Ogni pezzo rappresenta qualcuno che per me è stato importante. Se è colorato è un ricordo felice, se è in bianco e nero è un ricordo che non voglio dimenticare». La sua mano indugia sul mio viso, ancora, e io resto a godermi quel contatto delicato per qualche secondo. «Che ore sono?», gli chiedo ancora.

«Non lo so e non m'importa», mi dice, con un meraviglioso sorriso.

«Ma io ho fame», affermo, senza dare peso alle parole che ho appena pronunciato.

«Ancora Stewart? Non ne hai avuto abbastanza?», mi dice con tono provocatorio. Sorrido e alzo gli occhi al cielo per la sua solita battuta allusiva, ma che non mi dispiace affatto sentire.

«Di cibo, Stevens, ho fame di cibo», specifico. La sua mano scende dal mio viso, sul collo, fino al lenzuolo che sposta leggermente per sbirciare al di sotto.

«Beh anch'io ho fame», dice in modo estremamente sexy, ed è ovvio che non stia affatto pensando ad alcun tipo di alimento.

Stringo il lenzuolo, riportandolo contro il mio petto, privandolo della visuale del mio corpo nudo. «Sia chiaro, ho fame anche io, Stevens, ma ora ho bisogno di cibo».

«Posso accontentarmi, per ora...», afferma soddisfatto. «Facciamo così: io adesso scendo, vado a comprare qualcosa di commestibile e, quando torno, voglio trovarti qui, ci siamo capiti?» Annuisco sorridendo, lui si avvicina, mi lascia un veloce bacio sulle labbra e resto a guardarlo scendere dal letto.

A parte i tatuaggi, non c'è altro a coprire la sua pelle. Seguo con lo sguardo ogni suo movimento, ogni suo spostamento attraverso la stanza alla ricerca di qualcosa da indossare, mentre lui continua a lanciarmi sguardi divertiti senza dire assolutamente nulla. Non ne abbiamo bisogno, lo fanno i nostri occhi per noi e, quando esce dalla stanza, alza soltanto il suo dito indice puntandomelo contro, mi osserva, poi, lentamente, cammina all'indietro e sparisce dalla mia vista, lasciandomi nel silenzio più totale.

Oggi quel silenzio ha il suono della perfezione, quello del battito del mio cuore, costante e sereno, quello del deserto nella mia testa, dove sembrano rotolare solo quei ramoscelli secchi del far west, quello delle lenzuola del suo letto, in cui non c'è stato nessun altro che noi. Sorrido ancora al ricordo delle sue parole.

"L'ho bruciato."

Riesco ad immaginare perfettamente la scena di loro due mentre accatastano ogni pezzo del letto per poi dargli fuoco e restare a guardare soddisfatti il loro lavoro, magari complimentandosi per l'idea - cosa che farò di sicuro non appena vedrò Zach.

È una cosa stupida, me ne rendo conto, perché so bene che anche lui ha un passato e, a quanto pare, decisamente poco solitario, ma il piacere che mi dà sapere che in questo letto, nel quale mi sto rilassando dopo la notte passata con lui, non c'è stato nessun altro al di fuori di me e lui, è assolutamente immenso.

E sorrido di nuovo - non faccio altro stamattina - al pensiero della nostra notte insieme. Abbiamo fatto l'amore, abbiamo mangiato del gelato, abbiamo riso, parlato e abbiamo fatto di nuovo l'amore... Dio! Questo ragazzo è meraviglioso.

Emetto un enorme sospiro a causa dei pensieri che mi sono appena passati per la testa, e suppongo di aver bisogno di una doccia dopo la nottata appena trascorsa, quindi mi alzo, recupero qualcosa di suo per vestirmi dopo essermi lavata, e vado in bagno, infilandomi sotto il getto dell'acqua calda che oggi, credo a causa delle sensazioni che provo, mi porta a cantare.

È una cosa che non facevo da mesi, quella di cantare sotto la doccia.

Five days done, the mood is swung, I'm moving on

I puff my chest, come up for air and take a breath
 

Ma oggi è diverso. Oggi sento scorrermi nelle vene la grinta che avevo perso, sento la voglia di vivere esplodere in ogni fibra del mio corpo, sento l'energia che non riesco a contenere.

It's what you want (it's) 

It's what you need

 

Ora lo so, senza la minima possibilità di sbagliare, lo so: è lui, è Harry quello che voglio. Voglio lui e basta, ed è l'unico pensiero che riesco a formulare.

It's been a hell of a week 

I couldn't bring myself to sleep

 

Sono state tre settimane orribili, vissute nell'incertezza. Ho passato ore al telefono con Hazel e Kurt, che mi hanno sempre sostenuta - dopo avermi rimproverata per il mio comportamento, per aver palesemente sbagliato - e mi hanno incoraggiata a non arrendermi, perché Harry ne vale la pena.

Chiudo il getto dell'acqua, ma non smetto di cantare perché sono felice, finalmente e pienamente felice. Afferro l'accappatoio che avevo lasciato prima sulla parete del box doccia, lo avvolgo attorno al mio corpo e resto bloccata quando appoggio un piede sull'asciugamano che avevo lasciato sul pavimento.

Harry sorride, sorride felice, in piedi, con le braccia incrociate, appoggiato al bordo del lavandino, con un piede accavallato sull'altro mentre mi osserva inclinando leggermente la testa. Mi stringo nell'accappatoio, sentendomi più a disagio adesso di quanto avrei dovuto fare qualche ora fa. Il fatto è che... non lo so qual è il fatto, so soltanto che mi sento più nuda adesso di quando ero sotto le lenzuola insieme a lui.

«Sei brava», mi dice poi, interrompendo il silenzio imbarazzante - almeno per me - che si era creato. «Canti incredibilmente bene», dice ancora, allontanandosi dal lavandino con un colpo di reni per avvicinarsi a me, che sono rimasta ferma sul posto.

«È tanto che sei qui?», gli chiedo, mentre lui prende un asciugamano da mettermi in testa sui capelli bagnati.

«È bello sentirti cantare...», non risponde alla mia domanda, anzi me ne fa un'altra lui. «Sei felice Chloe?» Le sue mani ai lati della mia testa, a tenere l'asciugamano, e i suoi occhi nei miei. La stessa energia che sento scorrere dentro di me, la vedo nel suo sguardo, la sento anche attraverso le sue mani, e tutto questo mi porta a dare un'unica risposta.

«Sì, Harry, sono felice».

«Allora sbrigati ad asciugarti che il caffè si raffredda». Avvicina il mio viso al suo, un bacio, poi un altro, e un altro, fino a che lo sento sorridere sulle mie labbra. «Forse è meglio se ti aspetto di là». Fa scivolare lentamente le mani, poi esce dalla stanza lasciandomi con un'espressione sognante sul volto, tipo quella di una ragazzina di quattordici anni a cui è stato dato il suo primo bacio.

E quel sorriso continua a restare sulle mie labbra anche mentre mi asciugo, mentre mi vesto, mentre strofino i capelli con l'asciugamano, e anche mentre vado in cucina da lui, che mi sta aspettando per fare colazione insieme.

«Amaro», mi dice, porgendomi il bicchierone appena acquistato, con una chiara espressione di disgusto sul volto.

«E non fare quella faccia, ti farà male tutto quello zucchero che metti», gli dico, per poi portarmi il bicchiere alle labbra.

La sua espressione cambia all'improvviso diventando più maliziosa. Cammina verso di me, facendomi indietreggiare fino a  bloccarmi tra lui e il tavolo. «Hai ragione, sono abbastanza dolce io per tutti e due». Mi toglie il bicchiere dalle mani, lo posa sul tavolo e resta a guardarmi, così, senza dire niente, poi la sua mano arriva sul mio viso, mentre il verde dei suoi è incastrato nei miei. «Domani non tornerà tutto come sempre, vero?», mi domanda poi d'un tratto.

So che si riferisce ai miei sbalzi d'umore, alle mie fughe da lui e ad ogni volta che mi sono fatta negare. Ha bisogno di essere rassicurato, di sapere che stavolta sarà diverso, ed è quello che voglio fare, perché ho finalmente capito che lui è esattamente quello che voglio.

«Aspetta... com'è che mi chiamavi?», gli chiedo, per vederlo di nuovo sorridere.

Sulle sue labbra spunta un sorriso, quello che volevo vedere, quello di cui avevo bisogno, poi infila la mano tra i miei capelli, l'altra sul mio fianco mentre le mie finiscono sul suo petto, sul suo cuore. Infine la sua voce arriva in un sussurro. «Stronza, acida del cazzo...», lo pronuncia lentamente, con un tono tale da farmi sentire le vibrazioni della sua voce arrivare in luoghi decisamente nascosti del mio corpo.

«Lo fai sembrare un complimento...», affermo con un filo di voce.

«Oh... ma lo è, fidati...», sorride ironico, riuscendo ad alleggerire appena l'atmosfera. Sto per rispondere, apro la bocca per parlare, ma lui mi ferma. «E non azzardarti ad usare Harold, signorina Eveleen», sbarro gli occhi alle sue parole, perché sapeva esattamente cosa stavo per dire.

Il suo sguardo è più intenso, la presa della sua mano sul mio fianco anche, e io ho bisogno di allontanarmi un attimo da lui, perché stare a così stretto contatto, scatena un'energia che ancora faccio fatica a controllare. Non posso assumerne in grandi quantità o rischio di mandare a monte tutti i miei sforzi.

«Ti andrebbe di uscire?», gli domando, cambiando totalmente discorso.

«Stai scappando di nuovo, Chloe?», mi chiede con un mezzo sorriso, un misto tra l'irriverente e il divertito.

«Se continui a stringere in questo modo, credo proprio che non andrò da nessuna parte», gli dico, per fargli capire che non ho intenzione di scappare.

«E allora non la smetto». Le sue labbra arrivano veloci sulle mie, la sua mano si infila sotto la mia maglia, l'altra sulla mia nuca e le mie tra i suoi capelli.

È tutto troppo.

Lui è troppo intenso, i suoi baci lo sono, le sue mani sulla mia pelle anche, e quello che provo quando mi bacia è incredibilmente intenso. «Harry...», riesco a dire, quando lui passa a baciarmi il collo.

«Un minuto, ti prego... poi usciamo...», sussurra lui sul mio collo, e a quel punto lo lascio fare perché so che, come sempre, rispetterà i miei tempi, portandomi comunque dove vuole lui.

*********************

«Mi annoierò a morte!», esclama Harry, non appena entriamo nel centro commerciale in cui gli ho chiesto di andare.

Volevo fare qualcosa per lui, come lui l'ha fatta per me in quelle ventiquattro ore che hanno cambiato il mio modo di vedere le cose, ma non sono brava come lui e si dovrà accontentare di questo.

«Piantala di lamentarti e ascoltami...», gli dico, facendolo voltare dalla mia parte.

Mi guarda con aria annoiata, alzando un paio di volte gli occhi al cielo mentre gli spiego la mia idea.

In un'ora di tempo e con un piccolo budget - uguale per entrambi - dobbiamo comprare qualcosa per l'altro. Qualcosa che crediamo all'altro piaccia, o che pensiamo dovrebbe assolutamente avere, così da riuscire a capire quanto siamo in sintonia.

«È una cazzata, Stewart», mi dice lui, incrociando le braccia al petto.

«Solo perché non hai idee su cosa comprarmi», ribatto, sicura del fatto mio.

«So bene cosa vorrei vederti addosso...», si avvicina ad un palmo dal mio naso, «e cioè, niente...» Trattengo il fiato alle sue parole, perché i ricordi della notte passata insieme a lui tornano tutti nella mia mente, sentendolo parlare in quel modo.

Harry si allontana con un sorriso compiaciuto sulle labbra per l'effetto che sa di avere su di me, ma riesco a riprendermi e rispondo come posso. «Non si tratta necessariamente di qualcosa da indossare...»

«O da togliere...», mi interrompe di nuovo lui.

«O da togliere... come vuoi!», rispondo spazientita dal suo tono indisponente che, a dire la verità, un po' mi mancava. «Ci vediamo qui tra un'ora», gli dico voltandomi, ma senza riuscire a fare un passo perché mi afferra per un polso e mi fa voltare velocemente verso di lui. Non ho nemmeno il tempo di capire cosa stia succedendo che le sue labbra sono di nuovo sulle mie, in un bacio aggressivo e prepotente che scalda ogni parte di me.

Le sue mani stringono, le sue labbra premono forte, poi morde il mio, quello inferiore, facendomi anche leggermente male, mentre si allontana aprendo gli occhi per guardarmi. «Così non ti dimentichi del sottoscritto», ribadisce con forza, per poi allontanarsi senza nemmeno aspettare una risposta da parte mia.

Resto imbambolata per qualche secondo, lo guardo allontanarsi, e riesco solo a concentrarmi su questo bacio, potente come un pugno nello stomaco, tanto da lasciarmi senza fiato.

Non posso dirlo ad alta voce, non posso nemmeno pensarlo, ma credo che ormai non ci siano dubbi su ciò che provo per Harry Stevens.

Prendo una grande quantità d'aria, poi m'incammino, sicura della mia destinazione. Non ci metto molto a trovarlo e, quando entro, i nostri sguardi si incrociano subito, provocando in entrambi un gran sorriso.

**************

Harry

Ovviamente non credo che la sua idea sia una cazzata e, sempre ovviamente, lei ha ragione quando dice che non so che cosa comprare per lei. Sono però curioso di sapere cosa lei prenderà per me, tanto che non riesco a concentrarmi su cosa acquistare, anche perché i miei pensieri continuano a rimbalzare tra i ricordi di stanotte e l'incertezza che le ho letto negli occhi prima di uscire.

Lo sento, so che siamo ad un passo dall'essere felici, e penso a quanto abbia fatto bene ad accettare il compromesso che mi ha proposto Kelly. Abbiamo deciso di aspettare che siano finite le feste natalizie per rivelare a tutti la verità, di modo che tutti possano trascorrere delle serene feste in famiglia.

Kurt non è stato d'accordo, mi ha detto che più tempo lasciamo passare, più le conseguenze saranno gravi, ma al momento non m'importa, perché finalmente sono di nuovo con lei e, da bravo egoista e codardo che mi ritrovo ad essere, nient'altro mi interessa.

Cammino senza una meta precisa, guardo le vetrine, ma tutto mi sembra stupido. Il mio primo istinto è stato quello di comprarle una catenina, ma poi ho scartato immediatamente l'idea. Potrebbe pensare che io voglia che tolga quel cigno e, anche se nella realtà è così, non posso chiederglielo, non lo farei mai. Probabilmente mi sentirei anche un po' in colpa se lo facesse, ma solo un po', giusto il tempo di lavarmi la coscienza. Non ho niente contro quel Dylan, ma a volte è come lottare contro un fantasma, un ricordo perfetto, intoccabile, contro il quale non posso fare niente, ed è una competizione davvero sleale.

Io faccio errori continuamente, come tutti gli esseri umani, ma a lei è rimasto solo il suo ricordo, dal quale attinge esclusivamente le cose più belle, diventando così quasi il simbolo del fidanzato perfetto. O magari sono io a sentirmi minacciato in questo modo, ma in alcuni momenti la presenza di quel ragazzo è molto più ingombrante della sua assenza.

Scaccio con forza questi pensieri quando mi ritrovo davanti ad un negozio di biancheria intima, dal quale vengo attirato all'interno come da una calamita. Mi ritrovo a girare fra i prodotti esposti, tra mini mutande ed altre cose che credo potrei toglierle con un immenso piacere.

«Ti serve una mano?» La voce di una ragazza attira la mia attenzione e mi rendo conto di quanto possa risultare ambigua la sua richiesta non appena vedo l'espressione del suo viso.

Mi sta squadrando dalla testa ai piedi, ci sono abituato. Non faccio né il finto modesto, né mi piace vantarmi a caso, ma sono realista, so che le ragazze mi guardano, e molte volte me ne sono approfittato, ma non ora. «No, credo di poter fare da solo», le dico gentilmente.

«Se hai bisogno, non esitare a chiedere», risponde lei sorridente.

Sorrido anch'io poi torno a curiosare tra i tanti capi appesi, soprattutto quelli neri, ma ce n'è uno rosso che ha attirato notevolmente la mia attenzione.

************

Chloe

Entro all'interno del negozio avvicinandomi a lui, che mi sorride con dolcezza.

«Ehi... come stai?», mi domanda, per poi abbracciarmi come se fossimo amici da sempre.

«Bene, e tu Lawson?», chiedo a mia volta, sciogliendo l'abbraccio.

«Bene, sono solo un po' stanco. Sto facendo quasi sempre il doppio turno. Sai... sotto le feste il lavoro aumenta». Annuisco e sorrido guardandomi intorno e constatando che effettivamente il negozio di dischi è pieno di gente. «Sei qui da sola?», domanda ancora.

«No, in realtà sono con Harry...»

«Avete parlato?», mi interrompe con un'altra domanda, che sembra stargli particolarmente a cuore.

«Sì», rispondo semplicemente, senza smettere di sorridere.

«E...» Non so cosa voglia sapere esattamente, o meglio lo so, ma faccio finta di non saperlo, così evito di rispondere.

«E niente, sono qui per comprargli un disco», affermo evitando l'argomento.

«Ottimo, sai già cosa vorresti?», mi chiede entusiasta.

«Avrei qualche idea sì, ma non suggerire o altrimenti Harry crederà che ho imbrogliato». Lawson aggrotta le sopracciglia confuso e io gli spiego l'idea di comprare qualcosa l'un l'altro.

«Ma che ti importa di quello che pensa e poi non farei mai la spia con lui», rido con Lawson, rido perché mi sento bene, rido perché tutto sembra andare per il meglio e la mia più grossa difficoltà, in questo momento, è scegliere tra i Beatles o i Rolling Stones.

Alla fine scelgo entrambi, poi scambio ancora qualche parola con Lawson fino a che non viene richiamato all'ordine dal suo responsabile, a quel punto lo saluto, ed esco dal negozio andando alla ricerca di Harry.

****************

Harry

Alla fine non è stato difficile scegliere cosa comprare: Chloe si aspetta sicuramente che io abbia preso un completo di biancheria intima, ed è questo che mi ha fatto venire l'idea che la coglierà impreparata. Mi incammino verso il luogo dove abbiamo appuntamento impaziente di tornare a casa. Non ho più voglia di stare in giro, voglio tornare nel mio letto, che è ancora disfatto, che sa di lei, di noi. Domani devo rientrare al lavoro e non ho più voglia di sprecare la giornata a fare questi stupidi giochini.

Voglio lei e la voglio adesso.

Evito abilmente di farmi vedere da Lawson camminando accanto ad un gruppo di ragazzi, dopo essermi tirato su il cappuccio della felpa. Non ho tempo di chiacchierare con lui adesso. Abbasso il cappuccio non appena sorpasso il negozio di dischi, poi arrivo vicino al bar dove lei mi sta già aspettando.

Mi prendo qualche secondo per guardarla, per fermare nella mia mente l'immagine del suo viso che sorride. La sua espressione è felice, chiaramente felice, senza ombre e, una volta di più, credo di aver fatto bene ad accettare la richiesta di Kelly di rimandare ogni rivelazione, così che possa godermi per più tempo questo momento. Non ho la minima idea di come prenderà la notizia che Dylan è fratello dell'altro Dylan. Potrebbe esserne felice per avere ancora qualcosa di lui - anche se questo non credo sia positivo per me - o potrebbe tornare a sprofondare nei ricordi, a pensare a come avrebbe potuto essere se i due fratelli si fossero conosciuti, potrebbe sobbarcarsi sensi di colpa che non le competono, perché il suo equilibrio psichico è ancora troppo precario.

D'un tratto, come se si sentisse osservata, alza la testa e mi guarda. Il suo sorriso diventa più ampio e io non ho più motivo di restare qui in piedi come un cretino, in mezzo alle persone che mi passano accanto. Vado da lei, per restare con lei.

**********************

Chloe

Non mi è più possibile guardarlo senza sentirmi sotto sopra, senza sentire quella tempesta di farfalle nello stomaco, senza pensare che lui potrebbe essere molto di più che solo il mio presente, e dovrei aver paura, l'ho sempre avuta, ma quando lo vedo così sorridente camminare verso di me, per poi averlo così vicino nel momento in cui mi siede accanto, mi viene voglia di far sparire il mondo intero, tranne noi.

«Hai finito le tue spese, Stewart?», mi domanda, posando un braccio dietro lo schienale della mia sedia.

«Sì». E, così dicendo, gli mostro i due cd che tenevo sotto le mani.

Lui sorride annuendo, forse ho azzeccato la scelta. «Sei stata da Lawson?» Harry osserva i cd, poi guarda me, e credo che la sua non sia una vera domanda.

«Se pensi che mi abbia suggerito qualcosa, ti dico subito di no», gli rispondo, ancora incantata dal suo mezzo sorriso.

«Sei sempre sulla difensiva...», si avvicina per parlarmi quasi all'orecchio, «credo che due volte non ti siano bastate...» Il tono della sua voce è assolutamente incredibile e sento ogni parte di me fremere per lui. Poi sorrido ripensando ad una delle prime volte che siamo usciti insieme, a quando mi ha detto che avrei dovuto rilassarmi e che faccio poco sesso.

«Può darsi...», gli rispondo, con la chiara intenzione di provocarlo.

«E allora perché siamo ancora qui?», mi domanda, lasciandomi poi un bacio sul collo.

«Perché devi dirmi cos'hai comprato tu...», riesco a rispondere, nonostante le sue labbra siano ancora sulla mia pelle ricoperta di brividi.

Si allontana da me lentamente e inizia a sfilarsi il cappotto. «Non volevo che avessi una cosa qualunque...», si abbassa la cerniera della felpa, «volevo che fosse qualcosa di più...», sfila le braccia dalle maniche, restando solo con la t-shirt, «volevo che fosse qualcosa di mio...», si toglie del tutto la maglia, la posa sul tavolo, poi, inizia a sbottonare il mio cappotto e io sono totalmente stregata da tutto. Dalla sua voce, dai suoi movimenti... da lui.

Lo fa scivolare sulle mie spalle, continuando a guardarmi negli occhi, e io lo agevolo sfilandomi le maniche. Harry riprende la sua felpa, la posa sulle mie spalle, poi infilo le braccia, lui chiude la cerniera e io sono ormai senza fiato.

«La tua felpa?», gli domando con un filo di voce?

«La mia felpa...», conferma sorridendo, poi allunga una mano, infilandola nella tasca della maglia che mi ha appena fatto indossare, «e sotto solo questo...», sorrido alla vista di un completo di biancheria intimo nero. «Adesso andiamo, perché voglio vedere come ti sta...» Si alza senza aggiungere altro, rimettendosi il cappotto mentre resta a guardarmi a riprendere fiato.

Ci riesco dopo un po', quando, molto lentamente, riesco anche io a mettere di nuovo il mio cappotto. «Harry?», gli dico, mettendomi in piedi di fronte a lui. Devo trovare qualcosa con cui rallentare i pensieri, perché in questo momento mi sento come se fossi stata travolta da un'onda anomala. Harry è assolutamente sconvolgente.

«Che c'è adesso, Stewart?», mi dice, alzando gli occhi al cielo.

«Non c'è niente da mangiare a casa tua. Voglio passare a comprare qualcosa». In realtà la mia idea è di cucinare qualcosa con lui per condividere quante più cose possibili.

«Passiamo a prendere due pizze surgelate e poi andiamo», mi dice, incamminandosi verso il supermercato.

«Scordatelo, Stevens, voglio del cibo vero», gli dico, affiancandolo mentre inspiro a pieni polmoni il suo profumo, che arriva dalla sua felpa.

Sono ancora su di giri per il suo gesto di poco fa, per le sue parole e per ogni cosa che fa, ma voglio vivere appieno queste ore, prima che la giornata finisca e saremo costretti a tornare alla quotidianità.

Gli ho chiesto quale fosse il suo piatto preferito e lui mi ha risposto che non ha un piatto preferito, gli piace tutto, poi ho pensato che avesse ragione dato che, quando cucina da solo, si prepara solo quelle schifezze, quindi ho scelto io. Avevo voglia di risotto ai funghi, un piatto non troppo elaborato, ma che richiede attenzione.

Dopo aver comprato tutti gli ingredienti, siamo tornati a casa sua, e non è stato affatto semplice convincerlo che avremmo, prima di tutto, cucinato. Si è lamentato come un bambino per i primi dieci minuti, poi si è rassegnato, e adesso è qui vicino a me che affetta i funghi.

«Ammira», dice lui con soddisfazione, dopo aver finito il suo lavoro.

«Non sei male, Stevens», rispondo, constatando quanto sia stato bravo per essere la prima volta che si cimenta in cucina.

Harry sbuffa, poi mi infastidisce, mentre continuo con la preparazione, dicendo che si è già stancato. A volte replico a tono alle sue battute, altre volte rido, altre volte ancora mi lascio abbracciare, come ora mentre cerco di mescolare il risotto che ho messo a tostare nel tegame, le sue mani sono scivolate dai miei fianchi fino al mio ventre, il suo mento sulla mia spalla, poi le sue labbra sul mio collo.

«Harry...», provo a richiamarlo, anche se non so per quanto tempo riuscirò a tenere sotto controllo la situazione.

«Chloe...», pronuncia il mio nome tra un bacio e l'altro.

«Il riso...», le parole escono dalle mie labbra a fatica, perché lui non smette un secondo di stringermi e baciarmi.

«Non m'importa niente del riso...», dice, facendo passare la sua mano sotto la mia maglia a diretto contatto con la mia pelle.

«Ma Harry...», cerco di protestare, perché davvero vorrei portare a termine questo piatto, ma lui me lo sta rendendo impossibile.

Mi sfila il cucchiaio dalle mani e lo posa accanto alla pentola, poi allunga una mano, spegne il fornello e mi fa voltare verso di lui.

«Sono sicuro che sarebbe stato buonissimo», dice, prima di baciarmi come se non l'avesse mai fatto in vita sua, e io perdo il controllo della situazione, mentre perdo il controllo di me stessa, ma felice di perderlo. 

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Capitolo 48
*** EXTRA ***


Ci credevo.

Ci credevo davvero che cambiare città, allontanarmi dal luogo nel quale tutto è finito, sarebbe bastato ad alleviare l'immenso dolore che continua a restare bloccato nel petto, all'altezza del cuore, ma il solo spostarmi da Montréal a Boston non era servito.

Lui era sempre lì, al centro dei miei pensieri, qualunque cosa facessi, con qualunque persona parlassi, in ogni attività in cui mi cimentassi, lui c'era... in un modo o nell'altro c'era.

E c'è ancora quando osservo la catenina al collo, quando la stringo tra le dita, quella con il piccolo cigno che mi ha regalato la sera del mio compleanno, l'ultima in cui l'ho visto sorridere, l'ultima in cui mi ha baciata, l'ultima in cui abbiamo parlato.

Ma la sola aria di Boston non mi ha dato modo di tornare a respirare come avevo sperato. Il nuovo lavoro da traduttrice alla casa editrice è stato decisamente stimolante, ma è stato in grado di tenere a bada i problemi solo temporaneamente. A volte non riuscivo nemmeno a portare a termine una pagina, perché ero troppo concentrata sui miei sensi di colpa per pensare a lavorare, o a mangiare, e persino a vivere.

La notte del mio ventitreesimo compleanno è stata la più bella e la più terrificante della mia vita fino a quel giorno, nel quale ho passato delle ore meravigliose in compagnia dei miei due migliori amici e dell'amore della mia vita. Abbiamo festeggiato al nostro bar preferito, lui mi ha dedicato "Wherever You Will Go" al Karaoke - cosa che ho poi interpretato come un saluto d'addio - ed è un ricordo che conservo nella mia mente con grande affetto.

Mi ha dato il suo regalo sopra al tetto della mia camera da letto, mentre eravamo avvolti dal cavo di lucine che io ho sempre adorato, e lui lo sapeva. Dylan sapeva sempre cosa mi piaceva e cosa no, cosa mi rendeva felice e cosa mi infastidiva, ed è riuscito a rendere speciale anche quella sera.

Non avrei mai potuto immaginare che, quando l'ho salutato, prima che tornasse a casa sua, sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei sentito pronunciare il suo 'ti amo', non potevo nemmeno lontanamente ipotizzare che da lì a poche ore tutta la mia vita sarebbe stata stravolta, distrutta, polverizzata, con una banale telefonata in piena notte.

È ancora perfettamente chiaro in me il ricordo della corsa in ospedale, delle lacrime dei suoi genitori, della disperazione nella voce di sua madre, e dell'immenso dolore che ho provato nel vederlo attaccato a tutti quei tubi. L'angoscia che ho provato mentre gli tenevo la mano, e il bip intermittente di quel macchinario che accompagnava il suo respiro, la sofferenza, l'incertezza, e la preoccupazione che occupavano ogni parte di me... è questo che continuo a provare ogni volta che l'incubo di quella notte torna a tormentare il mio sonno.

C'è un suono che ancora ricordo distintamente, quello continuo e prolungato del bip del macchinario, che persiste nel devastare il mio cuore ogni qualvolta in cui fa capolino nei miei ricordi, quello che ha segnalato con totale freddezza che il suo, di cuore, aveva smesso di battere e, con il suo, anche il mio aveva cessato di esistere.

Da lì la disperazione è stata completa e distruttiva, talmente incontrollabile da portarmi a fare gesti estremi, dai quali sono stata salvata - senza realmente meritarlo - dal mio migliore amico, arrivato in mio soccorso come un cavaliere sul cavallo bianco.

Mi sono fatta del male, emotivamente e fisicamente, ho ferito le persone che mi stavano vicine, non ho mai apprezzato niente di ciò che facevano per me, perché non ho mai voluto essere davvero salvata. Non ha potuto niente la mia famiglia, i miei amici, e nemmeno lo psicologo, con il quale non ho mai voluto instaurare alcun tipo di rapporto.

I sensi di colpa mi hanno sempre portato a pensare che, se non fosse stato per il mio compleanno, Dylan, forse, non sarebbe venuto a casa mia quella sera, non avrebbe percorso quel tratto di strada e non avrebbe avuto quell'incidente che gli ha portato via tutto il suo futuro. Gli stessi sensi di colpa che mi hanno divorato l'anima e la mente per mesi.

Volevo solo sparire dalla faccia della terra per raggiungerlo, per stare ancora con lui, ma non ci sono riuscita la prima volta, così ho iniziato a mentire, a dire che stavo bene, a sorridere quando volevo solamente piangere, solo per poter approfittare della fiducia delle persone che mi stavano intorno e tentare di raggiungere il mio Dylan, al di là del cielo, non appena possibile, ma fortunatamente il mio migliore amico ha sempre vegliato su di me, proprio come un angelo custode.

Ho capito troppo tardi quanto anche le altre persone avessero sofferto e sto provando a rimediare ai miei errori nei confronti delle persone a cui voglio davvero bene, e a cui devo molto. 

Ce n'è una in particolare che merita solo cose belle, una persona che si è fatta spazio nella mia mente e nel mio cuore poco alla volta, come un fiume che scava il proprio letto, lento, ma costante e inarrestabile. Una persona che ha afferrato la mia mano contro la mia volontà, contro la quale ho lottato a lungo, ma alla quale, alla fine, non ho potuto oppormi. Una persona che mi ha riportato alla vita contro ogni previsione, senza bisogno di farmaci o sedute, semplicemente essendo sé stesso.

Mi ha provocata, mi ha consolata, mi ha dimostrato che non sono sola, non si è arreso quando lo rifiutavo ed è stato in grado di accettare ogni lato di me, anche quelli più oscuri, quelli che normalmente fanno paura a chi conosce il mio passato, ma lui non è come gli altri.

Lui non ha paura di trattarmi come una persona 'normale', non ha paura che io possa rompermi in mille pezzi come una bambola di porcellana. Lo faceva quando non conosceva il mio passato, e ha continuato a farlo anche dopo essere venuto a conoscenza di quello che mi tormenta. E mi accetta. Accetta che il mio cuore avrà sempre e comunque un posto per Dylan, per quel ragazzo che ho amato incredibilmente tanto e che non vedrà mai più la luce del giorno, accetta di condividere con me ciò che più l'ha fatto soffrire nella vita, come tutti gli abbandoni che l'hanno segnato in questi anni, da quello volontario di sua madre, a quello per la morte del nonno.

Ci credevo al fatto che Boston sarebbe stata la mia salvezza, la mia via d'uscita, e così è stato, perché è stata la sera stessa in cui ho messo piede in questa città che l'ho incontrato e, da lì, una lunga serie di coincidenze hanno portato le nostre strade ad incrociarsi più e più volte, fino al punto in cui siamo arrivati oggi.

Io e Harry ci siamo incontrati e scontrati varie volte e su più fronti, ma nessuno è mai stato capace di stare realmente lontano dall'altro. Per quanto io ci abbia provato a scappare da lui, e da quello che stavo iniziando a provare, Harry mi ha sempre riacciuffato con determinazione. C'è sempre stato qualcosa che ci riportava al punto di partenza, al nostro punto di partenza, dal quale abbiamo iniziato questo cammino che sembra essere destinato a restare unito, portandoci ad andare in un'unica direzione, insieme, per mano.

Harry è in grado di tirare fuori il meglio di me, ma anche il peggio, riesce a calmare i miei attacchi di panico con un semplice abbraccio e farmi sorridere usando solamente il suo sorriso. È riuscito a tirare fuori tutti i sentimenti che ho tenuto nascosti, quelli che mi divoravano l'anima, facendo in modo che potessi liberarmi di ogni cosa negativa che albergava in me, nello stesso modo in cui ha fatto per le cose positive, portandomi a sorridere sinceramente sempre più spesso.

Harry mi ha riportato alla vita e l'ha fatto senza che io me ne rendessi conto.

Lui è fatto di provocazioni e battute pungenti, ma anche di carezze tra i miei capelli e parole sussurrate. Con lui sono tornata a ridere spontaneamente, a sentirmi libera di tornare a provare sentimenti positivi senza per questo sentirmi colpevole. Non che i miei sensi di colpa siano scomparsi, ma ora riesco a gestire meglio quello che è successo, riesco a razionalizzarli e a non esserne schiacciata.

«Chloe, stai facendo un casino infernale», la voce assonnata di Harry mi distoglie dai miei pensieri.

Il suo braccio rinsalda un po' la presa sul mio fianco per tirarmi verso di sé.

«Ma se non mi sono nemmeno mossa!», gli rispondo, mentre mi rilasso contro il suo torace per poi intrecciare la mia gamba con le sue.

«Il tuo cervello è iperattivo, placalo prima che mi tolga il sonno», con un braccio tiro su la coperta e sorrido al pensiero che lui si accorge sempre del mio stato d'animo senza nemmeno aver bisogno di guardarmi in faccia.

L'ha sempre fatto, non so come ci riesce, ma ci riesce... ci riesce sempre.

«Il mio cervello lavora normalmente, è il tuo che è in letargo», gli rispondo, senza trattenere un sorriso.

Il nostro rapporto, fatto di battute sarcastiche, è qualcosa che mi piace fin troppo. Con lui rido come non facevo da tempo e mi sento a posto con il resto del mondo, ma soprattutto con lui.

«Chloe non so che ore siano, ma sono sicuro che sia il momento di spegnerlo per oggi...» Senza ombra di dubbio si riferisce ai miei pensieri, che ultimamente viaggiano ad un ritmo sostenuto.

Le cose stanno succedendo in fretta, ma non mi dispiace, perché sento che il momento sta arrivando.

Il momento in cui posso tornare ad essere felice, perché Harry è tutto ciò che voglio. Harry è la mia felicità.

«D'accordo... buonanotte, Harry...» Mi spingo ancora un po' all'indietro per un ulteriore contatto con il suo corpo.

«Buonanotte, Chloe». La sua voce mi rassicura ed è una promessa per il futuro.

E non vedo più un futuro che non comprenda la sua presenza. 

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Capitolo 49
*** Dove cazzo è Harry? ***


Cosa si dice quando le cose vanno troppo bene?

Non voglio saperlo e non credo sia questo il caso. Le cose stanno andando veramente alla grande e io non posso permettermi di essere negativa. L'ho già fatto per troppo tempo, adesso è il momento di essere positiva.

Sto andando a consegnare il libro di cui ho ricontrollato l'intera traduzione, constatando che, in effetti, c'erano parecchi errori, ma lavorare è stato facile in questa settimana. Nessun pensiero negativo, nessun momento buio, nessun incubo e nessuna paranoia a distruggermi il cervello, perché nella mia mente c'è stato solo e soltanto lui.

Harry.

Dalla notte che ho passato a casa sua, quella della festa, è stato un crescendo di momenti di autentica felicità. La sera, al termine del suo orario di lavoro, veniva a prendermi. Passavamo la serata ad imparare a cucinare – anche se ha tentato, ogni volta, di sabotarmi come la prima volta con il riso – poi cercavamo di guardare un film. Sì, cercavamo, perché finivamo sempre con lo spegnere la televisione per ritrovarci in camera sua. Non che mi dispiaccia, sia chiaro, anzi, se potessi nemmeno mi alzerei dal suo letto quando arriva la mattina, ma il dovere chiama entrambi e, di malavoglia, prima di andare in ufficio mi riaccompagnava a casa.

È successo anche stamattina, e ora, camminando sulla Freedom Trail, mi sento veramente libera.

Mi sento libera di respirare perché non sento più quel peso opprimente sul cuore, mi sento libera di ascoltare ogni parola di Harry e di farla entrare nella mia mente, mi sento libera di lasciare andare i miei sentimenti per lui, e so che dovrei dirglielo, che dovrei fargli sapere quello che provo quando mi bacia e quando non lo fa, quando mi tiene stretta e quando mi lancia le sue battute pungenti, ma non so se sia il momento giusto.

Sto andando bene, quindi cerco di non farmi troppi problemi e di agire più spontaneamente possibile con lui.

Arrivo alla casa editrice e, come sempre, c'è Cheryl ad accogliermi, con un sorriso che la dice lunga sul suo stato d'animo.

«Ehi, ciao Chloe, il capo ti sta aspettando», afferma con entusiasmo. Credo che anche per lei sia un buon periodo.

«Grazie, Cheryl», le rispondo, poi mi dirigo nell'ufficio di Harvey.

È seduto alla sua scrivania, sta parlando al telefono. Mi fermo sulla soglia, ma lui mi fa cenno di entrare, così lo faccio, poi chiudo la porta alle mie spalle e mi siedo sulla sedia di fronte a lui, tenendo stretto tra le mani il libro che devo consegnargli.

«Non m'importa un accidente di niente... no... che si fotta, qui da me non entrerà mai più... Ok, ok, ci sentiamo più tardi. Ciao Joe». Harvey chiude la chiamata emettendo un gran sospiro, dopo posa il cellulare sulla sua scrivania.

«Problemi?», gli chiedo per tastare il terreno.

«Niente che non possa risolvere. Hai finito con quello?», mi domanda, guardando il libro che ho in mano.

«Sì», gli porgo il libro, poi prendo la chiavetta usb che ho in tasca. «E qui c'è il file corretto». Lui afferra entrambi con un'espressione soddisfatta sul viso.

«Grazie, mi hai salvato la giornata». Poi si siede, infila la pennetta nella porta usb del computer e controlla il file, annuendo ripetutamente. Credo sia contento del mio lavoro.

«Harvey...», lo richiamo, lui distoglie lo sguardo dal monitor e mi osserva con aria interrogativa, «ascolta, torno a casa dalla mia famiglia per un po', quindi preferirei non prendere nessun impegno per ora», gli spiego. Non vorrei promettere qualcosa che poi non posso portare a termine.

«Tranquilla, passa queste vacanze con la tua famiglia, quando torni... perché torni, vero?», mi chiede con un mezzo sorriso e io non posso che annuire e sorridere a mia volta. «Ok, quando torni, ci rivediamo. Ho un altro progetto per te», mi dice infine.

Restiamo a parlare ancora un po', si unisce a noi anche Cheryl quando ci avviamo alle macchinette del caffè, e sono contenta di averli conosciuti, e di lavorare per Harvey. Mi piace qui, mi piace il mio lavoro, e mi piace quello che sto vivendo.

Dopo averli salutati ed esserci scambiati gli auguri di Natale, decido di passare in ufficio da Harry. Probabilmente non dovrei, magari potrebbe trovarmi asfissiante, però, nonostante siano passate appena poche ore da quando mi ha riaccompagnata a casa dopo aver passato la notte insieme, ho voglia di vederlo e mi ritrovo a percorre il tragitto fino all'edificio dove si trova la HS Financial Services, per sorridere stupidamente all'oca bionda alla reception, che mi porge quel ridicolo pass visitatore che infilo in tasca ridendo, perché Harry avrebbe fatto la stessa cosa.

Arrivo al piano numero ventiquattro – ormai conosco bene il corridoio – e vado dritta alla scrivania di mia sorella, che trovo al suo posto intenta a digitare qualcosa al computer.

«Buongiorno», le dico, con un gran sorriso.

«Scommetto che non sei qui per me», dice, con chiara ironia nella voce.

«Cosa te lo fa credere?», le domando, appoggiandomi con i gomiti al bancone.

«I tuoi occhi a forma di cuore», sorrido, alzo gli occhi al cielo e sorrido ancora.

«Non ho gli occhi a forma di cuore», rispondo, non realmente infastidita, e poi non posso fare a meno di sorridere ancora con lei.

Non ci siamo viste molto in questa settimana, ma l'ho tenuta aggiornata su quanto sta accadendo con Harry e sulla mia vita in generale, come ha fatto lei con la sua parlandomi dell'ottimo rapporto che sta creando con Zach. Credo che non potrebbe andare meglio di così.

«Harry è impegnato con suo fratello in questo momento, credo che gli stia facendo il solito cazziatone, ma puoi aspettarlo qui», mi dice, alzando poi un dito nella mia direzione per dirmi di aspettare mentre risponde al telefono che sta squillando. «Sì? ... sì... ok... c'è qui una persona per te, posso mandartela? ... oh, io credo di sì invece... ciao». Reb alza lo sguardo verso di me e sorride ancora di più. «È di pessimo umore, ma adesso è da solo».

«Ok, vado», le dico, poi mi allontano e m'incammino verso il suo ufficio in fondo al corridoio.

Nel percorso passo davanti all'ufficio di Dylan, che saluto con un cenno della mano quando vedo che è impegnato al telefono, poi proseguo fino ad arrivare davanti alle due grosse porte di legno, alle quali busso gentilmente.

«Avanti!» Sento dire dalla sua voce con un tono più che brusco.

Apro con cautela e mi affaccio all'interno. Harry è in piedi, con lo sguardo rivolto verso l'esterno della grande vetrata, le braccia conserte e una postura rigida.

«Ehi...», dico piano, e lo vedo rilassarsi, alzare il viso al cielo e abbassare le braccia.

«Dio, ti ringrazio!», pronuncia con evidente sollievo nella voce, poi si volta e io chiudo la porta alle mie spalle avvicinandomi alla sua scrivania.

«Brutta giornata?», gli chiedo, anche se la risposta è ovvia.

«Di merda rende di più l'idea, ma non voglio parlarne adesso». Fa il giro della scrivania e viene a sedersi proprio di fronte a me – che ho preso posto sulla sedia – si accomoda sullo spigolo, lasciando una gamba a penzoloni, e mi guarda con aria divertita. Credo sia felice che io sia qui. «Hai consegnato il tuo libro?», mi chiede più tranquillo.

«Sì», rispondo, perdendomi nei suoi occhi. Continua a farmi lo stesso effetto.

«E ti ricordi per caso qualche frase di quel libro?», mi chiede, con un sorriso malizioso sulle labbra.

«Cos'hai in mente?» Credo di aver capito, ma è decisamente troppo bello sentire uscire certe cose dalla sua bocca.

«Il fatto è che avrei bisogno di sfogare lo stress e potremmo provare la scrivania, se volessi dirmi qualche frase di quel libro». Sorrido per la sua richiesta e, se fossi assolutamente certa che nessuno entrasse da quella porta, avrei già iniziato a dirgli qualsiasi cosa in spagnolo, perché – lo devo ammettere – la sua idea mi piace.

« Stevens finiscila con queste molestie sul lavoro!», gli dico, e sono contenta di veder sparire dal suo volto il broncio che aveva poco fa, per essere sostituito dalle sue meravigliose fossette.

«Ti piacciono le mie molestie, lo so...», dice compiaciuto di sé stesso, «senti, stasera i ragazzi hanno organizzato una serata, ti va se...»

«Sì!» Non gli do il tempo di terminare dopo aver capito cosa stesse per chiedermi.

«Davvero?» Il suo tono di voce sembra persino sorpreso.

Ormai lo sanno anche le pietre che stiamo insieme, devo solo riuscire ad affrontare le mie reazioni di fronte ai suoi amici... di fronte a Dylan, perché è lui la mia maggior preoccupazione.

Il mio comportamento nei suoi confronti è notevolmente migliorato, ma c'è ancora qualcosa dentro di me, qualcosa che mi frena dal sentirmi completamente me stessa quando mi trovo nella stessa stanza con Harry che mi abbraccia e Dylan che guarda. Quando lo guardo vedo ancora i suoi occhi, non riesco ad evitarlo ed Harry lo sa, ma nonostante ciò, accetta anche questa parte di me senza riserve.

«Davvero... fra un paio di giorni torno a Montréal e sarebbe carino poter salutare i tuoi amici». Si alza subito in piedi non appena sente le mie parole. Non gli piace il fatto che io torni a casa per le vacanze di Natale, ma l'ho promesso a mia madre e non ho intenzione di infrangere nessuna promessa.

Fa di nuovo il giro della sua scrivania, si siede sulla sua poltrona girevole e guarda qualcosa al computer con grande concentrazione. «Mi spiace, ma non puoi andare», afferma con tono serio.

«Cosa?», gli domando, con aria interrogativa.

«Sì, guarda qui...», gira il monitor verso di me mostrandomi velocemente una specie di tabella, poi lo volta di nuovo impedendomi di controllare meglio cosa ci sia su quello schermo, «dice che sei impegnata con il tuo capo, che poi sarei io, per i prossimi... ehm... sempre», afferma convinto e io rido.

Rido perché mi sento bene, rido perché sento di poterlo fare, rido perché è lui che mi ha guarita.

«Ci vediamo stasera, Stevens», gli dico, alzandomi dalla sedia girevole.

«Che palle che sei... ci vediamo direttamente lì, vieni con Zach, io devo andare da mio padre stasera».

È evidente quanta poca voglia abbia di fare ciò che ha appena comunicato, ma sono fiduciosa – forse a causa del mio buonumore – e sento che prima o poi le cose tra loro due andranno meglio.

«D'accordo, ci vediamo stasera allora...», gli dico allontanandomi e raggiungendo la porta per uscire, ma mi fermo sulla soglia, mentre lui continua a guardarmi, ed è lì che ho l'idea. «Tengo que volver al trabajo», dico, aspettando la sua reazione, che non si fa attendere.

Stringe gli occhi a due fessure e fa un paio di passi nella mia direzione, poi si ferma. «Ripetilo più tardi... quando sarai nel mio letto...» Vorrei ridere, ma non ci riesco, perché le sue parole arrivano direttamente in basso, mentre non vedo l'ora che arrivi stasera.

**************

Siamo qui da poco più di mezz'ora e di Harry non c'è traccia. Credo che la discussione con suo padre si stia protraendo per le lunghe, ma non voglio chiamarlo, né scrivergli, perché penso abbia bisogno di stare tranquillo se le cose non si sono messe bene.

Nel frattempo c'è El che riprende Larry per le sue battute, Rebekah che fa lo stesso con Zach quando quest'ultimo si mette a dare man forte all'idiozia del suo amico. C'è Nate che non smette di provarci con la cameriera, che sembra avere occhi solo per Lawson, e poi ci sono io che chiacchiero con Dylan di quando lui e Harry erano piccoli, e muoio dalle risate per il modo in cui mi presenta ogni episodio che mi racconta.

Siamo sempre al loro pub preferito, credo sia diventato anche il mio pub preferito ormai e, mentre mi perdo ad ascoltare le chiacchiere al tavolo, sento la vibrazione del mio cellulare.

Arrivo tra dieci minuti

Quattro parole, nient'altro. Non credo sia andata benissimo, ma spero di riuscire a tirargli su il morale in qualche modo. Voglio, e devo, poter fare qualcosa per lui, perché sento di dovergli molto e perché c'è qualcosa nel mio cuore che preme per uscire; non so ancora quanto posso trattenere quello che sento e non so nemmeno se sia giusto farlo, ma è troppo importante per me e non voglio commettere errori.

Gli rispondo che siamo tutti qui ad aspettarlo e il tempo che ci impiega ad arrivare è esattamente quello che ha detto, solo che mi si ferma il fiato in gola quando lo vedo entrare nel locale: nella mano sinistra tiene il suo casco. È venuto qui con quella dannata motocicletta...

«Ciao a tutti», dice, avvicinandosi al tavolo.

Non c'è traccia di sorriso sulle sue labbra. I suoi amici lo salutano con pacche sulla spalla, fino a che arriva a sedersi sulla panca, ci scivola sopra fino ad arrivare vicino a me. Passa il braccio intorno alle mie spalle, mi tira a sé e posa, con una meravigliosa dolcezza, le sue labbra sulla mia tempia.

«Scusa se ho fatto tardi», bisbiglia al mio orecchio.

« Stevens che chiede scusa... questo sì che è un evento...», sussurro a mia volta, riuscendo a strappargli un mezzo sorriso.

«Non ci fare l'abitudine, Stewart, ricordati che mi devi ancora una frase in spagnolo», continua lui il nostro scambio di battute che sembra riportare il suo umore allo stato di quasi normalità.

Lo sento rilassarsi lentamente, un po' da come tiene il braccio sullo schienale della panca dietro di me, un po' da come la sua mano continua a fare su e giù sulla mia gamba da sotto al tavolo, e un po' da come inizia a sciogliersi mentre parla e ride con i suoi amici.

È bello vederlo così, che sorride, sereno, vorrei che lo fosse sempre, vorrei che stasera fosse la mia normalità, per questo mi sto impegnando, con ogni forza che ho, a vivere al meglio ogni minuto, anche quando il suo braccio passa dallo schienale alle mie spalle, per tirarmi a sé in un gesto che compie spesso, ma che ora, davanti ai suoi amici, davanti a Dylan, mi porta a sentirmi strana.

Porto lo sguardo sul suo amico che mi guarda sorridente, che guarda tutti con allegria e mi rendo conto di non essere affatto il centro dei suoi pensieri, perché lui non è quel Dylan, non ha niente a che vedere con il mio passato, quindi mi rilasso e mi godo semplicemente il resto della serata, come una ragazza che vuole passare del tempo in compagnia di amici meravigliosi.

Va tutto bene, va tutto nel modo giusto, e passiamo una grande serata, fino a che è ora di ritornare a casa e mi ricordo che lui dovrebbe risalire su quella due ruote.

«Harry perché non vieni a casa non noi?», gli chiedo, quando ci ritroviamo tutti al parcheggio dopo essere usciti dal locale.

«Chloe, non posso lasciare qui la moto, domani ne troverei almeno sei, o sette», dice lui sorridendo.

«E perché sei venuto qui con quella?», gli domando ancora, come se continuare a parlare della motocicletta servisse a farla sparire.

«Avevo bisogno di correre, Chloe, e mio padre ha chiuso la macchina in garage. Ora devo portarla a casa e so che non vuoi salirci, ma ti porterei con me se solo...»

«No», rispondo velocemente. «Lo sai che non posso». Resto a guardarlo, lui guarda me, gioca per un attimo con i miei capelli, poi Larry attira la nostra attenzione.

« Stevens! Sei diventato così smielato...» Ridiamo entrambi alle sue parole, perché sappiamo che gli sta solo restituendo le sue battute.

«Ti chiamo appena arrivo, te lo prometto», mi dice poi, stringendomi in un abbraccio dal quale proprio non vorrei separarmi.

Cerco di tenere a bada i pensieri che stanno cercando di prendere il sopravvento nella mia mente, ma è davvero difficile.

Alla fine ci salutiamo tutti, io, Reb e Zach andiamo via per primi - non volevo vederlo salire su quella cosa - e ci dirigiamo a casa. Una volta arrivati a destinazione non li aspetto, salgo per prima, fiondandomi in bagno e poi in camera mia, come se quel luogo potesse proteggermi dai fantasmi che si stanno facendo avanti.

************************

Non riesco a dormire, mi sto rigirando da troppo tempo nel letto e mi sto innervosendo. Forse dovrei alzarmi e prepararmi una camomilla, perché il mio cervello sta elaborando troppi pensieri negativi e un brutto presentimento si sta facendo avanti nella mia testa.

Scosto le coperte, scendo dal letto e mi infilo i calzettoni, poi scendo al piano di sotto, pensando che non avrei dovuto permettergli di andare a casa in moto, avrei dovuto insistere di più sul fatto che dormisse qui, che venisse a casa con me. Dio! Quanto detesto quel dannato affare a due ruote.

Scaldo l'acqua, metto in infusione la bustina, poi mi siedo a tavola, spostando dallo schienale la felpa di Zach. È rimasto di nuovo qui, per la terza sera di seguito. A breve mi toccherà cambiare appartamento, perché sono sicura che non mancherà molto all'annuncio della loro convivenza.

Sorseggio con calma la bevanda calda, provando a rilassarmi, ma non ottengo alcun effetto benefico dopo aver finito l'intero contenuto della mia tazza, che ripongo nel lavandino, e torno in camera mia. Salgo piano le scale per non fare rumore, non voglio svegliare i due piccioncini, e penso che potrei mettermi a leggere un po', in modo da distrarmi fino all'arrivo del messaggio di Harry.

Sto passando davanti alla porta della camera di mia sorella, quando sento chiara la voce di Zach attraverso la sottile porta.

«Ma mi prendi per cretino? Certo che non dico niente a Chloe, dove sei ora?... Arrivo...» La voce di Zach si interrompe, il mio respiro anche, come anche il battito del mio cuore.

Resto come paralizzata per qualche secondo, giusto il tempo di capire cosa devo fare, poi apro la porta di scatto trovando mia sorella seduta sul letto e Zach in piedi che si sta infilando i jeans, ed è in quel momento che tutto diventa estremamente chiaro.

«Cosa sta succedendo?», conosco già la risposta, ma voglio sentirglielo dire.

«Niente... Non sta succedendo assolutamente niente», Zach parla con estrema calma, mentre si abbottona i pantaloni, poi afferra la felpa - un'altra - e si avvicina a me, che sono rimasta sulla soglia. «Chloe... Dovrei passare...», mi dice lui, notando che gli sto bloccando il passaggio.

«Dove devi andare a quest'ora?», gli domando, senza muovermi di un passo.

«Chloe, non te la prendere, ma... non credo siano affari tuoi», dice Zach, con un tono pacato.

Guardo per un attimo mia sorella e leggo paura nel suo sguardo, poi torno a guardare Zach di fronte a me. «Dov'è?», gli chiedo, mentre sento salire il panico.

«Non so di cosa tu stia parlando», mi dice restando incredibilmente tranquillo. «Ora, per favore, dovrei andare».

« Zach! Dimmi dov'è Harry?», gli chiedo, sentendo la mia voce iniziare a tremare.

«Chloe...»

«Dove cazzo è Harry?!» Alzo la voce, perché ormai il terrore ha preso il sopravvento in me.

«Ascolta Chloe...»

«No, Zach, ascolta tu! Voglio sapere cosa sta succedendo e lo voglio sapere adesso». Tento di tenere ferma la voce, ma mi è quasi impossibile. Sto tremando dalla testa ai piedi e mi assale il panico quando vedo mia sorella alzarsi e camminare nella mia direzione.

«Chloe...»

« Zach ti supplico, devo saperlo», ormai lo imploro, perché la paura mi sta annebbiando i sensi.

Lui fa un grande sospiro, poi risponde rassegnato alla mia richiesta. «Non c'è assolutamente niente di cui preoccuparsi, ma... Harry ha avuto un incidente».

Non è possibile, non di nuovo, non lui, non adesso. Tutto si ferma, il tempo si dilata e non è più misurabile.

I battiti cardiaci rallentano, le funzioni cerebrali anche e tutto diventa relativo. È come se niente avesse più importanza, niente che non riguardi Harry, e mi sembra di vedere la mia vita proiettarsi come in un film al rallentatore. Zach mi sta parlando, vedo muoversi le sue labbra, ma molto lentamente. Sento la sua voce, ma è come se fosse modificata, le immagini diventano sfocate e faccio appello ad ogni mia piccola goccia di energia per reggermi in piedi.

«Stai andando da lui?», riesco a chiedergli dopo un tempo che mi è sembrato non finisse mai.

«Sì, Chloe, ma...»

«Vengo con te». Non aspetto una sua risposta e, anche se lo sento dire qualcosa mentre mi allontano per andare verso la mia camera, non mi fermo. Corro a recuperare un paio di scarpe, un giubbotto, e lo raggiungo al piano di sotto.

Io e Zach usciamo dall'appartamento sotto lo sguardo preoccupato di mia sorella, che ci chiede di darle notizie al più presto, poi salgo con lui sulla jeep e ci rechiamo al pronto soccorso.

«Harry mi ammazzerà», dice lui, immettendosi in strada, mentre io non riesco a pronunciare una sola parola.

Lo sapevo che quell'affare era pericoloso, spero con tutto il cuore che ciò che dice Zach sia vero, perché non potrei sopportare se gli succedesse qualcosa.

Ripenso all'incubo che ho avuto quella notte a Madrid, a quando ho visto Harry collegato a tutti quei tubi in quel letto d'ospedale al posto di Dylan, mentre mi auguro che non sia stata una premonizione.

«Chloe davvero, non è successo niente di grave, ho parlato personalmente con lui, devi stare tranquilla», mi dice ancora, ma io non riesco a non pensare al peggio. È come se tutti i miei sensi di colpa fossero venuti di nuovo a bussare alla mia porta, ma stavolta potrebbero buttarla giù e io non sarei in grado di tenerli ancora fuori dalla mia testa, non senza l'aiuto di Harry.

Quando mi accorgo che l'auto sta rallentando, e mi rendo conto che Zach sta per parcheggiare, gli do a malapena il tempo di fermare la macchina, poi scendo di corsa, andando verso il pronto soccorso, mentre Zach mi corre dietro urlando di fermarmi.

Ho il fiatone, ma non importa, entro al pronto soccorso e trovo un'infermiera che fermo subito. «Mi scusi sto cercando Harry Stevens, l'hanno portato poco fa al pronto soccorso per un incidente in moto».

La signora di mezza età che indossa il camice mi guarda e poi mi risponde. «Lei è una parente?» mi domanda troppo tranquilla.

«Sono la sua fidanzata», dico sicura di me, sperando che si muova a darmi sue notizie.

«Servirebbe un familiare, ma il ragazzo mi ha detto che stava aspettando un suo amico...», e tra me penso che, se ha parlato, forse la situazione non è grave, ma subito dopo mi ricordo che anche Dylan ha chiesto di me prima di entrare in sala operatoria, e che quelle sono state le sue ultime parole, «lo trova lungo quel corridoio». La ringrazio e mi allontano velocemente verso la direzione che mi ha appena indicato la donna, poi sento la voce di Zach dietro di me.

«Cazzo, Chloe, fermati!» Ma non posso dargli retta, devo andare da Harry subito.

Ci sono delle barelle lungo il corridoio, rallento il passo e mi soffermo a guardare i volti delle persone che vi sono sdraiate sopra.

L'ansia e la paura aumentano ad ogni passo che compio lungo questo sterile corridoio, nel quale si respira solo sofferenza. Sono così spaventata che non ho ancora capito se il cuore sta aumentando il battito per l'agitazione, o se sta tentando di fermarsi per la paura di sapere cosa sia realmente successo.

Quando l'ho visto entrare nel locale con quel casco mi sono sentita così male, ma ho tentato di mantenere la calma, cosa che ho fatto anche quando mi ha detto che sarebbe tornato da solo a casa sua. Poi quell'orribile presentimento, quello che non mi faceva dormire, si è avverato, e ora mi ritrovo di nuovo in un ospedale per colpa di una dannatissima due ruote, ma stavolta non può andare allo stesso modo, stavolta deve essere diverso.

«Chloe!» Sento ancora la voce di Zach, ma non mi volto perché l'ho trovato, e non riesco più a respirare.

Harry è sdraiato, immobile, su una barella in mezzo ad un corridoio, con gli occhi chiusi e, d'un tratto, ogni cosa torna a galla, come quella notte.

La mia corsa in pigiama verso l'ospedale, lui sdraiato su una barella in stato di incoscienza, il terrore di perderlo e, mentre le immagini dei due ragazzi - di Harry e Dylan - si sovrappongono alternandosi velocemente, vengo travolta dal dolore che mi fa piegare su di lui, mentre mi stringo al suo corpo con forza e piango, piango perché ho paura, perché sono disperata, perché non voglio perderlo. 

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Capitolo 50
*** Harry starà bene... non è vero? ***


È come se non fossi realmente qui, come se stessi rivivendo per la milionesima volta quell'incubo che mi ha torturato per quasi tutte le notti da quando è avvenuto quel maledetto incidente.

Le luci fredde del corridoio dell'ospedale, la sensazione di essermi persa in un limbo dal quale non so come uscire, le voci ovattate delle persone intorno a me, e la sensazione opprimente sul petto, quella di un dolore devastante che ti toglie il fiato e la voglia di vivere.

Poi ho come l'impressione che lui si sia mosso e mi ritrovo catapultata con forza nella realtà. Mi scosto appena dal suo corpo e mi rendo conto che due mani mi stanno alzando il viso.

Le sue mani.

E, quando apro bene gli occhi, vedo l'espressione preoccupata di Harry...

«Ehi...ehi...», dice lui, cercando di mettersi seduto.

Torno a respirare, il mio cuore torna a battere, e io torno vivere.

«Oh mio Dio, Harry...» Non riesco a dire di più perché sono scossa di singhiozzi

«Sto bene, tranquilla, sto bene...» Poi mi stringo a lui, talmente forte che è come se tentassi di inglobare il mio corpo al suo.

«Testa di cazzo! Perché lei è qui?» Sento la voce di Harry oltre la mia spalla.

«Perché tu sei un cazzone, come diavolo hai fatto a cadere dalla moto?» Non so come ci riesca, ma Zach è ancora calmo.

Sento la testa di Harry muoversi appena, forse vorrebbe allontanarmi, ma io non riesco a mollare la presa su di lui.

«Chloe calmati adesso, non è successo niente...», continua Harry, mentre tenta di tranquillizzarmi, «Zach ha ragione, sono un cazzone. Sono scivolato da solo e sono qui solamente per precauzione, non mi sono fatto nulla, capito?» Io ho capito perfettamente quello che mi ha detto, solo che non sono in grado di lasciarlo andare, e forse se ne rende conto anche lui, perché smette di parlare e mi tiene stretta, allo stesso modo di quando avevo gli attacchi di panico, e funziona.

I muscoli iniziano a distendersi, la presa delle mie mani anche, il respiro e il battito tornano a regolarizzarsi, poi, però, sono costretta a lasciarlo andare quando chiamano il suo nome.

«Stevens, tocca a lei», dice, quella che credo sia un'infermiera.

Passo dalle braccia di Harry a quelle di Zach, che mi fa allontanare accompagnandomi in sala d'attesa, dove prendiamo posto su quelle orribili sedie di plastica.

«Hai visto? Non è successo niente, fra qualche ora sarà a casa». Zach tenta di rassicurarmi tenendomi stretta.

«Zach... Harry starà bene, non è vero?» Ho bisogno di ulteriori conferme, ne ho bisogno come l'aria che respiro.

«Sì, il capellone starà bene», dice, e io mi stringo a lui, sperando che ciò che dice sia vero, «ha la pelle dura». Non riesco a replicare, non riesco a dire nulla in realtà, sono ancora sotto shock. «Chloe mi dispiace che tu abbia sentito quella telefonata», dice ancora, con tono mortificato.

«Non dirlo nemmeno, Zach...»

«È che...», alzo la testa dalla sua spalla per guardarlo, perché sembra stia per dirmi qualcosa di importante, «so quello che è successo quella sera, Chloe...», mi si forma di nuovo il groppo in gola, «Harry mi ammazzerà per avertelo detto...»

«Ti prego, Zach, non dirlo più... quella parola... non dirla più...» Non voglio sentire nessuna parola che sia simile o ricordi la morte, non stasera, non adesso, e forse mai più. Non potrei sopportarlo.

«Hai ragione... scusami... allora diciamo che mi cambierà i connotati?» Apprezzo il suo tentativo di strapparmi un sorriso, ma ho serie difficoltà a farlo adesso. Finché Harry non sarà tornato qui non sarò in grado di concentrarmi su nient'altro.

Torno ad appoggiarmi alla sua spalla, lui mi tiene stretta a sé. «A dire la verità non mi dispiace che lo sappia anche tu», gli dico poi sincera. In Zach ho trovato anch'io un amico e sono felice di non dover raccontare di nuovo di quella notte, non ne ho le forze.

«Starà bene», dice ancora, stringendo un po' di più la presa intorno alle mie spalle.

Non so quanto tempo siamo rimasti in quella posizione ad aspettarlo, ma finalmente arriva, camminando sulle sue gambe, tenendo stretto qualcosa sul collo, sorridendo, e io piango di nuovo, ma stavolta sono lacrime di gioia.

Mi alzo in piedi e corro. Corro verso di lui, finendo dritta tra le sue braccia che mi stringono forte, e posso tornare a respirare il suo profumo.

Posso tornare a respirare e basta.

«Andiamo a casa», mi dice direttamente all'orecchio.

La sua voce è la mia medicina e non c'è nient'altro che vorrei in questo momento.

************

«Perché non hai tenuto il collare?», chiede Zach mentre è alla guida della sua auto, a Harry che continua a sbuffare.

Il suo amico ci sta accompagnando a casa. Ho deciso di restare con Harry stanotte, quindi andrò con lui a casa di suo padre, non importa se lo incontrerò, se mi vedrà sconvolta e in pigiama in piena notte. Non ho alcuna intenzione di allontanarmi da Harry adesso.

«Perché non ho bisogno di un collare del cazzo, non sono mica un cane!», dice Harry, seduto vicino a me sul sedile posteriore, mentre tiene fermo sul collo, con la mano sinistra, il sacchetto del ghiaccio che gli ha dato l'infermiera.

«No, certo che no, non sei mica un cane. Sei solo uno stupido idiota!» Sento Harry ridere alle parole del suo amico, ma ho colto il significato sottinteso e non posso che essere d'accordo con Zach.

«Harry, Zach ha ragione, avresti dovuto tenerlo». La sua mano si stringe intorno alla mia, le sue dita s'intrecciano alle mie e mi guarda sorridendo.

«Certo, così poi comprerete un guinzaglio e io non dovrò far altro che abbaiare e scodinzolare. Potete anche scordarvelo», dice per poi guardarmi inclinando leggermente la testa. «Sto bene, smettete di rompere le palle». Ho capito cosa sta facendo.

Sta evitando di farmi preoccupare in qualsiasi modo possibile. Sta minimizzando ciò che è successo per renderlo diverso e insignificante, per alleggerire il mio cuore... Sta rendendo sopportabile quello che per me sarebbe insopportabile se lui non fosse qui a sorridermi, a stringermi la mano.

Non dico altro per il resto del viaggio e resto in silenzio a sorridere ascoltando i loro battibecchi. Zach continua a rimproverarlo, mentre Harry non smette di protestare senza mai lasciare la mia mano, fino ad arrivare all'enorme casa di suo padre.

Zach posteggia lungo il vialetto, spegne il motore poi scende con noi, restando vicino alla sua auto con la portiera aperta. «Chiamami per qualsiasi cosa, capito?», dice rivolto a Harry che, per tutta risposta, gli si avvicina abbracciandolo e dandogli un'amichevole pacca sulla spalla.

«Grazie amico», risponde lui, per poi tornare da me.

«Chloe trattamelo bene che ha appena avuto un incidente», mi dice Zach salendo in macchina, senza aspettare una vera risposta da parte mia.

Io sorrido, Harry alza gli occhi al cielo, ma non può più trattenere un sorriso quando sentiamo allontanarsi la sua auto e restiamo soli davanti alla porta d'ingresso.

«Non devi sentirti obbligata a restare», mi dice mentre recupera le chiavi all'interno della tasca del cappotto.

«Stai dicendo che non mi vuoi qui?» Lo punzecchio perché voglio fargli capire che ce la faccio. Sono con lui, quindi ce la faccio.

«In realtà tu avresti dovuto dire "Oh no... nessun obbligo, io voglio restare...", ma figurati se potevi dire una cosa gentile, Stewart». Ride mentre gira le chiavi nella serratura e apre la porta.

«Non ti avrei lasciato da solo per nessun motivo al mondo». Le mie parole lo bloccano sul posto. «Ti ho detto che resto Harry...», rilassa le spalle e si volta a guardarmi con un enorme sorriso sulle labbra, «e resterò».

«Volevo solo sentirtelo dire», torna indietro e, con la mano libera, quella che non è costretta a tenere il ghiaccio, arriva sul mio viso, la infila tra i miei capelli e mi guarda con una tale intensità da farmi tremare le ginocchia. «Mi dispiace per questo casino», dice a pochi centimetri dalle mie labbra.

«L'importante è che tu stia bene», rispondo con sincerità, perché, alla fine, è quello che penso. Pazienza se mi sono preoccupata, se mi sono fiondata fuori casa in pigiama, in piena notte, e con il cuore in gola. Ciò che conta davvero è poter vedere ancora il suo meraviglioso sorriso.

«Sotto quell'orribile pigiama c'è qualcosa di nero?», mi domanda con un tono impertinente nella voce.

«Il mio pigiama non è orribile», gli dico, ben consapevole del colore della biancheria intima che sto indossando.

«Non hai risposto alla domanda, quindi è sì, o magari non indossi niente...», gli sorrido, incapace di fare altro in questo momento, «è meglio se non ci penso adesso o non entreremo mai in casa...» Si volta e io lo seguo all'interno, tentando di non fare alcun rumore. «Ho bisogno di un po' d'acqua prima». La voce di Harry arriva bassa.

Lo seguo ancora, in silenzio, fino alla cucina, dove recupera una bottiglietta dal frigo, poi saliamo al piano di sopra, fino alla sua stanza, dove entro prima di lui che si chiude la porta alle spalle.

A chiave.

Mi volto a guardarlo mentre si toglie il cappotto e io faccio la stessa cosa con il mio.

«Se hai bisogno del bagno vai pure prima tu», mi dice, mentre si massaggia il collo dopo aver lanciato il sacchetto del ghiaccio, ormai inutilizzabile, sulla scrivania.

Solo ora mi rendo conto che i suoi jeans sono piuttosto sporchi. Credo sia a causa della caduta. «Si può sapere che è successo stasera?», gli chiedo adesso che sono molto più tranquilla.

Harry si avvicina, poi si siede sul bordo del letto e mi fa cenno di raggiungerlo. Mi accomodo al suo fianco e resto in attesa. Sembra preso da qualche pensiero, come se si stesse concentrando per trovare le parole giuste, e non ho alcuna intenzione di mettergli fretta.

«Stasera ho parlato con mio padre...», e questo me l'aveva detto. Spero solo che le cose possano andare meglio tra loro. Non ho mai voluto intromettermi nel loro rapporto, ma sono certa che si vogliano bene, devono solo trovare un modo per comunicare tra loro. «È stato... strano. Per la prima volta dopo anni non ho avuto voglia di saltargli al collo mentre mi parlava. Forse perché stavolta mi parlava davvero e non urlava quanto fossi irresponsabile...» Continua a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, come se stesse rivivendo la stessa scena. «Mi... mi ha detto che è orgoglioso di me». Non riesco a trattenermi e gli poso una mano sul ginocchio, lui mette immediatamente la sua sulla mia.

Riesco a sentire dal suo tono di voce quanto sia colpito dalle parole di suo padre. «Harry, non potrebbe essere diversamente» gli, dico, pensando a come ha lavorato bene a Madrid.

«No, Chloe, non capisci... era sincero stavolta». Si volta a guardarmi e leggo nei suoi occhi tutto il suo stupore. «Mi ha offerto una promozione».

«Ma è fantastico! Non sei contento?», gli dico, sinceramente felice per lui.

«In realtà sono confuso», afferma, per poi tornare con lo sguardo di fronte a sé.

Anche quando è arrivato al pub, stasera, aveva la stessa espressione che ha in questo momento. «È per questo che hai usato la moto stasera?»

«Avevo così voglia di correre...» La sua frase resta in sospeso.

«Cosa gli hai risposto?», gli chiedo curiosa.

«Non ho risposto. Sono stato in silenzio, come un coglione, e gli ho detto che ci dovevo pensare, poi me ne sono andato». Adoro questa versione di Harry insicuro, che non sa proprio tutto come vuole dare a vedere la maggior parte delle volte, che ha bisogno di un consiglio, o semplicemente di un abbraccio.

Volto la mia mano con il palmo rivolto all'insù per intrecciare le mie dita con le sue e lui si gira a guardarmi. «Ho fatto la figura del coglione, vero?», mi chiede, arricciando leggermente il naso.

Non posso non sorridere. «Non hai fatto niente di cui vergognarti, Harry». La sua mano sinistra arriva improvvisa tra i miei capelli, mi tira velocemente a sé e mi bacia come se non mi vedesse da giorni.

Le sue labbra premono con forza sulle mie per dieci, venti, trenta secondi, non lo so da quanto tempo mi sta tenendo così stretta, ma adoro questo contatto, poi, molto lentamente, si allontana, sostituendo le sue labbra con il pollice.

«Puoi far sparire questo pigiama orribile mentre vado a farmi una doccia?» Anche la sua mano si allontana e resto a guardarlo mentre cammina verso il bagno. Credo abbia fatto il bagno in una pozzanghera.

«Si può sapere come sei caduto?», gli chiedo.

Si volta e mi guarda con aria minacciosa. «Sono caduto per evitare un gatto del cazzo che doveva attraversare proprio mentre stavo passando io...», mi mordo il labbro inferiore per evitare di ridere della sua espressione, «ho anche rovinato i miei jeans preferiti». Abbassa lo sguardo sui suoi pantaloni infangati, poi si allontana brontolando qualcosa di incomprensibile contro il povero animale.

«Ti sei liberata di quel pigiama?», mi urla da dentro al bagno.

«No!» Ho ancora addosso la sensazione del suo bacio di poco fa, del suo dito sulle mie labbra, ed è chiaro il motivo per cui continui a chiedermi del mio orribile pigiama.

«Muoviti se non vuoi che gli dia fuoco!» Rido alle sue parole, ma le mie mani stanno già slacciando le scarpe, per poi passare al pigiama. So che riderà del mio intimo rosa, ma so anche che la sua risata non durerà molto, non appena entrerò nella doccia con lui.

*************

Che giorno è oggi? Sabato? Domenica? Non me lo ricordo, non m'importa. Quello che davvero mi interessa è il braccio di Harry infilato sotto al mio cuscino, la sua gamba sinistra ad invadere la mia parte di materasso e il respiro lento e regolare a fare da colonna sonora di questo risveglio.

Non è la prima volta che mi sveglio al suo fianco, anzi, a dire la verità, ultimamente è successo quasi tutte le mattine, ma oggi, vedere il suo viso come prima cosa dopo aver aperto gli occhi, ha un valore aggiunto.

Harry sta bene, quello che ho avuto a Madrid è rimasto solo un incubo, e tale deve restare. Poso delicatamente la mano sulla sua schiena nuda, poi faccio scorrere lentamente le dita sulla spina dorsale, fino ad arrivare all'altezza dei fianchi. Scivolo ancora di lato, usando solo i polpastrelli e, finalmente, ottengo una piccola reazione da parte sua.

Si muove appena, allunga la gamba che teneva piegata, e sposta il braccio da sotto il cuscino. Fermo per un attimo la mia mano, ma lui non è d'accordo. «Non smettere...», biascica a fatica, restando con gli occhi chiusi.

Mi avvicino, gli bacio la spalla, la scapola, poi mi sposto più al centro. Alla fine mi sollevo del tutto, mi metto a cavalcioni sulla sua schiena ed inizio a massaggiargli le spalle, poi il collo, con calma, mentre continuo a sentire tutti i suoi mugolii di apprezzamento.

«Stai bene Harry?», gli chiedo, mentre le mie dita continuano a muoversi sulla sua pelle.

«Sesso nella doccia e massaggio al risveglio...», sorrido per le sue parole, ma la sua voce bassa e roca è sempre incredibilmente piacevole la mattina.

«Suppongo sia un sì». Lo sento ridacchiare, il suo corpo vibra leggermente.

«È un gigantesco sì», dice, poi si volta piano e mi alzo appena per agevolarlo nei movimenti. «Sei una meravigliosa visione da qui». Le mie mani sul suo torace, le sue si infilano sotto la maglietta che indosso, la sua, quella che mi ha infilato lui dopo la doccia.

«A parte gli scherzi, come ti senti?» Harry afferra la maglietta dall'interno e mi tira giù, verso di sé.

«Non sto affatto scherzando, Chloe». Appoggio la testa sul suo petto, poi sento le sue mani risalire lungo la mia schiena, per ridiscendere e tornare a salire, e ancora.

«Puoi semplicemente dirmi un sì o un no». So che è superfluo sentirglielo dire, ma ne ho davvero bisogno. «Per favore...»

Le sue braccia si avvolgono intorno al mio corpo, mi sta abbracciando, e io chiudo gli occhi in attesa di sentire la sua voce. «Sto bene, Chloe, mi sento bene, è stata solo una stupida caduta. Sono andato in ospedale solo per precauzione. Non volevo farti spaventare, per questo non volevo che lo sapessi da Zach». Resto ferma nel suo abbraccio mentre ascolto le sue parole.

«Dov'è la moto?», gli domando, dopo essermi convinta delle sue parole.

«Mentre aspettavo l'ambulanza ho chiamato il carro attrezzi dell'officina di Zach. È lì adesso». Alzo la testa per guardarlo con aria interrogativa.

«No... Fammi capire... Tu stavi aspettando l'ambulanza e pensavi alla moto?», gli chiedo, corrugando le sopracciglia.

«Chloe te l'ho detto: si è trattato di una stupida caduta. Non sono mai stato davvero in pericolo...», le sue mani escono dalla maglietta e arrivano sul mio viso, «devi smetterla di preoccuparti, sono qui, sto bene». Mi sorride, mi accarezza, sta bene ed è con me.

Ha ragione, devo smetterla di preoccuparmi e riprendere a godermi la vita insieme a lui, che approfitta di un mio momento di distrazione e, in un attimo, si alza con me sopra, facendomi ritrovare con la schiena contro il materasso e lui sopra di me.

«E ho una gran fame...» L'espressione sul suo viso è inequivocabile, ma non ho intenzione di assecondarlo adesso.

«Harry tuo padre potrebbe essersi svegliato», gli dico, ritrovandomi le sue labbra sul collo.

«E, sicuramente, con tutto il rumore che fai ti sentirebbe, giusto?» Porta il suo viso all'altezza del mio, mostrando un enorme sorriso provocatorio.

«Io non faccio rumore», gli dico, per non ammettere che abbia ragione. Ieri sera ero ancora fuori fase e lui mi ha garantito che suo padre ha il sonno particolarmente pesante, altrimenti non mi sarei mai tolta l'orribile pigiama. Adesso, invece, è mattina, suo padre potrebbe essere già sveglio. «L'unico appetito che puoi soddisfare adesso è quello per la colazione», gli dico, per poi tentare di liberarmi dalla sua presa.

Ci riesco dopo vari tentativi, ma forse è solo perché lui ha deciso di lasciarmi andare. Mi dà una tuta per vestirmi e scendiamo in cucina. Brenda è davanti ai fornelli, intenta a cucinare qualcosa.

«Buongiorno!» La voce di Harry attira l'attenzione della donna, che si volta per dargli uno sguardo veloce, ma si volta poi di nuovo, di scatto, non appena si accorge della mia presenza.

«Buongiorno, Brenda», dico sorridendo, per poi prendere posto sullo sgabello accanto ad Harry.

«Buongiorno», risponde lei con aria stranita, e subito dopo l'attenzione di tutti viene attirata dall'uomo che è appena entrato in cucina.

«Buongiorno a tutti». Sono decisamente a disagio. Vorrei poter sparire, ma ovviamente non mi è possibile e mi tocca la presentazione più imbarazzante di tutta la mia vita.

«Buongiorno, signor Stevens, mi chiamo Chloe Stewart». Mi alzo, lo raggiungo, e allungo una mano nella sua direzione.

Sulle sue labbra si apre immediatamente un sorriso. «Ti prego, chiamami Harrison», mi dice lui.

«Tanto non lo farà mai, Jordan sta ancora aspettando che gli dia del tu». L'ironia di Harry fa sorridere di più suo padre, ma non me, che vorrei davvero tirargli qualcosa dietro, in questo preciso momento.

«Chloe, finalmente, sono felice di conoscerti. Jordan mi ha parlato molto bene di te, e Harry mi ha detto del tuo magnifico lavoro a Madrid». La mia mano è ancora stretta nella sua, o per meglio dire nelle sue. Mi sorride sincero.

«Mi scusi se mi presento così...»

«Tranquilla, non ricordo un risveglio così tranquillo da tanto tempo...» Lascia andare la mia mano e io torno a sedere vicino ad Harry, che sembra si stia divertendo nel vedermi in difficoltà.

La parola che meglio descrive questa colazione è evidente: si parte dal mio evidente imbarazzo nel gestire questa situazione, per passare all'evidente divertimento di Harry nell'osservarmi mentre parlo con suo padre, e ancora l'evidente indecisione di Brenda nel capire a chi dare retta per primo - se al padrone di casa o ai capricci di Harry - per arrivare, infine, all'evidente curiosità del signor Stevens, che non smette di farmi domande e di osservare me e suo figlio insieme.

«È stato bellissimo, ma noi dobbiamo andare». La voce di Harry attira l'attenzione di tutti. Si alza, mi prende per mano, e mi trascina con sé, dandomi giusto il tempo di salutare prima di uscire dalla cucina.

Conoscere suo padre non è stato così male come immaginavo. Il signor Harrison è un uomo semplice, che non sfoggia il suo status e, sarà stata forse la mia presenza, ma si respirava un'atmosfera piacevole stamattina tra di loro. Sono assolutamente certa di aver visto Harry sorridere ad una battuta di suo padre.

«Ti porto a casa così puoi cambiarti e io vado a controllare come procedono i lavori sulla moto», dice Harry, non appena entriamo in camera sua.

Mi blocco sul posto alle sue parole e lo guardo corrugando le sopracciglia, perché sono certa di aver capito bene quello che ha appena detto, ma vorrei proprio non averlo sentito. «Cosa?», gli domando, con un brusco tono di voce.

Lui si volta verso di me con un'espressione serena e tranquilla sul volto. «Hai capito benissimo, e no! Non smetterò di andare in moto», dice, come se mi avesse letto nel pensiero, avvicinandosi a me.

«Harry, domani parto per Montréal, pensavo che avremmo passato la giornata insieme». In realtà non avevamo programmato niente, ma glielo dico solo perché non voglio che lui torni su quel maledetto trabiccolo.

Le sue mani arrivano sul mio viso, il suo sorriso mi calma all'istante e lo guardo, in attesa delle sue parole. «So che domani devi partire, ma ho una sorpresa per te, stasera. Quindi lasciami fare». Poi mi bacia, un bacio casto, veloce, ma il contatto delle sue labbra sulle mie è sempre sorprendente, e mi sento già meglio. «Ora recupera quel pigiama che non voglio più vedere, così ti porto a casa». Sorrido alle sue parole senza dire più altro. Voglio affidarmi a lui, finora non ho sbagliato a farlo, e sono troppo curiosa di scoprire quale sia la sorpresa.

*****************

L'abbraccio che mi aspettava al mio rientro, quello che mi ha dato mia sorella non appena ho varcato la soglia di casa, mi ha riempito il cuore di gioia. Era preoccupata per Harry, ma l'ho rassicurata spiegandole cosa fosse davvero successo. Abbiamo passato così l'intera mattinata a chiacchierare in cucina, con un tè caldo, mentre entrambe avevamo indosso vestiti non nostri. Abbiamo riso contemporaneamente quando ci siamo accorte che io avevo ancora la tuta di Harry e lei quella di Zach: è stato un meraviglioso momento tra sorelle.

Il pranzo è stato un misero e triste panino perché ci siamo davvero perse a parlare, ma ne avevamo bisogno. Adesso, però, dobbiamo necessariamente terminare di sistemare le valigie per la partenza di domani.

«Tu sai a che ora passano i ragazzi?», chiedo a Reb, non appena ha finito di vestirsi per la nostra uscita di stasera.

«Non lo so, ma credo saranno qui a breve», risponde.

Facciamo appena in tempo a scendere al piano inferiore che sentiamo suonare il citofono. Mia sorella risponde e, dopo avermi comunicato che sono loro, usciamo di casa per raggiungerli.

Sono eccitata all'idea di questa misteriosa sorpresa che Harry ha preparato per me, non ho fatto altro che pensarci tutto il giorno. Non ho la minima idea di cosa sia, lui è talmente sconvolgente che non sarei mai in grado di arrivarci, quindi, con il sorriso sulle labbra - quello che mi accompagna da tutto il giorno - usciamo all'esterno del condominio, ma il fiato mi si ferma in gola non appena lo vedo.

Non riesco a credere a quello che sta per chiedermi, è assolutamente inconcepibile per il mio cervello, e so che dovrei continuare a camminare, che dovrei raggiungerlo al bordo del marciapiede, ma è come se mi fossi immobilizzata e non fossi più in grado di muovermi.

Il sorriso, che avevo fino ad un secondo fa, è scomparso, per lasciare il posto alla sensazione di disorientamento che sta prendendo possesso della mia mente. Come può anche solo pensare che gli dirò sì? Che abbia la benché minima intenzione di accettare ciò che sta per chiedermi? Non credo che non si renda conto di ciò che sta per fare, come credo se ne siano resi conto anche mia sorella e Zach, che restano in disparte a guardare la scena.

Harry continua a sorridere con un'espressione di calma irreale, poi lo vedo camminare verso di me, come se fosse una scena che si sta svolgendo al rallentatore e io, istintivamente, faccio un passo indietro, ma trovo il muro a fermarmi e sono costretta a guardarlo negli occhi non appena arriva esattamente di fronte a me.

«Harry... no!» Rispondo alla sua domanda implicita ancora prima che sia lui stesso a farmela, ma questo non gli fa perdere il sorriso.

«Perché no?», mi domanda tranquillo.

«Cazzo, lo sai perché no!» Io non credo di dovergli delle vere spiegazioni!

«Voglio che tu lo faccia, invece, e che lo faccia con me». Mi tiene inchiodata contro il muro senza nemmeno toccarmi, gli basta guardarmi negli occhi e, in quel verde acceso, leggo solamente serenità, quella che sta cercando di trasmettermi in questo momento.

Sto per rispondere ancora, ma la voce di mia sorella arriva prima della mia. «Harry non è...», ma subito viene interrotta da Zach.

«Reb, lascialo fare...», anche lui sembra troppo calmo per questa situazione, poi torno a concentrarmi su Harry e sul suo sguardo.

«Chloe so benissimo quanto sia difficile per te quello che ti sto chiedendo, ma voglio che tu lo faccia... Non puoi sapere quando sarà il momento... Può essere stasera su quella dannata moto, o domani mentre attraversi la strada, o semplicemente mentre dormi nel tuo letto, ma, fino ad allora, non puoi privarti di ogni momento che potrebbe renderti felice». Le sue parole arrivano con forza dentro di me e non riesco a fare altro che ascoltarlo. «Il metodo migliore che io conosca per superare una paura è affrontarla. Sono caduto ieri sera e devo risalirci immediatamente, ma voglio farlo con te, voglio che la superiamo insieme. So che puoi farlo».

Finisce di parlare e mi tende la mano, senza mai smettere di sorridere, e io lo guardo, guardo la sua mano tesa verso di me, poi di nuovo il suo viso, infine i suoi occhi, dove ritrovo la stessa serenità di poco fa, quella che riesce sempre a farmi provare.

Ho paura.

No, sono terrorizzata, ma il suo sguardo mi sta dicendo che posso farlo, che possiamo farlo insieme.

Alzo la mano che trema, tutto il mio corpo in realtà sta tremando, afferro incerta la sua, che si avvolge stretta intorno alla mia. Adesso, quella stessa serenità, la sento scorrere nel contatto tra le nostre mani unite, e faccio un piccolo passo verso di lui.

Non c'è più niente intorno a noi. Solo io, lui, e quel dannato affare a due ruote, ma forse ha ragione, forse io posso essere più forte. Harry fa un passo indietro senza smettere di guardarmi, io ne faccio un altro verso di lui, poi lui ne fa un altro, ancora indietro, e io un altro ancora verso di lui, e andiamo avanti così fino ad arrivare alla fine del marciapiede.

A quel punto lui si volta e prende un casco per infilarmelo in testa. «Andrà tutto bene», mi dice, mentre mi allaccia il cinturino sotto al collo. Poi indossa il suo e monta in sella, invitandomi a fare lo stesso. Allungo le mani sui suoi fianchi fino a stringermi a lui con forza.

«Non lasciarmi, Chloe», dice, e sono certa che ci sia molto di più dietro a queste parole che non implichi semplicemente il fatto di non lasciare la presa.

«Non ti lascio, Harry», rispondo allo stesso modo, con voce tremante.

Quasi smetto di respirare non appena sento il rombo del motore. Cazzo, sta per succedere, e non credevo sarebbe mai successo in vita mia. Ingrana la marcia, si muove lentamente per immettersi nel traffico e io strizzo gli occhi con forza, mentre mi stringo a lui. Sento il suo petto vibrare, forse sta ridendo.

«Chloe mi soffochi così», sento la sua voce direttamente nel casco e allento un po' la presa. «Apri gli occhi», mi dice ancora. Non so come faccia a saperlo, ma lo sa, e non posso fare altro che dargli ascolto, ancora.

Le mie palpebre si aprono lentamente, poi metto a fuoco il paesaggio che scorre, ma non troppo velocemente e penso che lo sto facendo davvero: sono su una moto, il cuore batte forte, ma lo sto facendo.

Harry si muove sicuro nel traffico e io mi sento sicura stretta a lui. Mi sento più forte ad ogni metro di asfalto che ci lasciamo alle spalle, e lui aveva ragione.

«Tutto bene lì dietro?», mi chiede, quando si immette in una strada in cui le auto sembrano andare più veloci.

«Sì», rispondo, mentre i miei occhi si perdono a guardare il panorama che cambia.

«Posso correre un po'?», mi domanda.

«Credo tu possa fare qualunque cosa», gli dico, sinceramente convinta del fatto che lui sia realmente in grado di fare qualunque cosa si metta in testa, e riesca anche a farla bene.

«È un sì?», sorrido al pensiero che mi sembra di rivivere la stessa conversazione che abbiamo avuto stamattina nel suo letto.

«È un gigantesco sì». Non lo vedo, ma sono assolutamente certa che stia sorridendo.

«Tieniti forte», dice ancora, e io lo faccio.

Mi aggrappo a lui come se potessimo diventare un unico corpo, assecondo i suoi movimenti quando piega, e inizio a lasciarmi andare per davvero. Mi godo la sua presenza, l'aria che sferza contro i nostri corpi, il suono del motore, e la libertà che tutto questo mi sta regalando.

Credevo che tutto questo non avrebbe mai potuto realizzarsi, ma Harry ha reso possibile anche questo, perché è proprio questo che lui fa.

Rende possibile l'impossibile e io, adesso, lo so senza ombra di dubbio quello che c'è nel mio cuore. 

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Capitolo 51
*** È di lui che ho bisogno ***


Sono già tre mesi che non torno nella mia città natale e, ora che sto per toccare di nuovo suolo canadese, mi rendo conto che un po' mi è mancata. Sono successe tante cose da quando sono partita da qui con quel profondo dolore nel cuore, un dolore che sta lasciando spazio ad altro, un dolore che ha smesso di divorare ogni cellula del mio corpo, ed è con questa leggerezza che accolgo l'aria che mi sta riempiendo i polmoni, la stessa aria che mi investe non appena inizio la mia discesa dalla scaletta dell'aereo: è fredda, ghiacciata, ma è aria di casa. 

Mia sorella cammina tranquilla davanti a me mentre ci rechiamo all'uscita. Abbiamo con noi solo un bagaglio a mano, non abbiamo bisogno di portarci dietro molto dato che dormiremo entrambe nelle nostre camerette a casa di mamma e papà, dove abbiamo ancora un sacco di cose lasciate qui.

Quando ho preparato la valigia - a distanza di poche ore dalla partenza - mi sono fortunatamente ricordata di metterci dentro il cd di Michael Bublè, quello che ho comprato da Lawson per Reb, per quanto riguarda i regali che ancora devo fare a tutti gli altri, ci penserò domani andando in centro con Hazel e Kurt. Mi mancano da morire!

«Ecco papà!», esclama mia sorella entusiasta, non appena usciamo dalle porte scorrevoli degli arrivi.

Non trattengo un enorme sorriso nel vedere la scena che si svolge di fronte ai miei occhi, quella in cui mio padre e mia sorella si abbracciano con forza, lo stesso trattamento che rivolge a me subito dopo, non appena mi avvicino a loro.

«Le mie bambine!», dice lui, chiudendo entrambe nello stesso abbraccio.

La gioia che provo in questo momento è assolutamente indescrivibile. Riesco a percepirla in ogni fibra del mio corpo, in ogni muscolo, in ogni pensiero, e so che per questo ho una meravigliosa persona da ringraziare, la stessa persona che si è fatta trovare in aeroporto a Boston prima della mia partenza.

So di essere stata io a chiedergli di non venire in aeroporto, ma sapere che lui ha accettato e non sarà qui al momento in cui varcherò i controlli del check-in, mi mette comunque addosso una punta di tristezza perché mi manca già.

Il giro in moto di ieri sera è stato incredibile. È stato come se, durante quella corsa, avessi perso la mia diffidenza e la mia paura. Quando si è fermato nei pressi di quel meraviglioso parco, mi ha fatto togliere il casco e, tanta era l'adrenalina che avevo in corpo, che l'ho baciato così intensamente che non sapevo più dove finivo io e dove iniziava lui. Rido ancora al ricordo di cosa mi ha detto subito dopo. "Cazzo, Stewart, se la moto ti fa questo effetto ti ci porterò tutte le sere."

***

«Chloe, devo andare un attimo in bagno, arrivo subito». Annuisco alle parole di mia sorella e mi fermo vicino alle poltroncine della sala d'attesa. Mi chino verso la cerniera della mia valigia, piegandomi sulle gambe, per recuperare i biglietti e quasi mi si blocca il respiro quando vedo un paio di scarpe comparire nella mia visuale.

Le sue scarpe.

I suoi stivaletti, per la precisione, quelli neri, gli stessi che aveva l'altra sera...

«Mi piaci piegata ai miei piedi». Alzo lo sguardo nel sentire la sua voce. Lui è qui.

Non riesco nemmeno a vedere cosa indossa perché riesco solo a concentrarmi su quel mezzo sorriso, che mette in mostra la sua fossetta sinistra, e io non posso che continuare a capitolare ancora e ancora.

Faccio forza sulle gambe e mi metto in piedi solo per continuare ad arrendermi a lui, al suo sguardo, a quel verde che non fa altro che conquistarmi ogni volta più della precedente.

«Felice che tu non mi abbia dato retta», gli dico, riferendomi al fatto che è venuto comunque a salutarmi prima della partenza, nonostante mi avesse detto che non ci sarebbe stato.

«Come faccio a darti retta se dici delle stronzate!» Sorride e fa quell'ultimo passo che lo teneva lontano da me.

La sua mano arriva tra i miei capelli, leggera, poi le sue dita continuano la loro corsa fino ad arrivare alla mia nuca. Mi attira a sé e passa l'altro braccio dietro la mia schiena - le mie mani sui suoi fianchi- e mi abbraccia stretta, tanto da far mancare l'aria ad entrambi, ma da riempirmi il cuore di una gioia mai provata.

«Hai ragione... era una stronzata...», riesco dire con un filo di voce mentre, a destra e a sinistra, camminano svelte le persone con la loro valigia tra le mani, e io, invece, mi ritrovo ferma, al centro di questo viavai con la sola percezione della sicurezza che la sua presenza riesce a darmi.

«Io ho sempre ragione, Stewart». Può fare lo sbruffone quanto gli pare, ma ho sentito chiaramente anche la sua voce incrinarsi non appena ha parlato.

«Lo so», rispondo, incapace di allontanarmi da questo abbraccio.

Ed era proprio questo il motivo per cui avrei preferito non averlo qui stamattina, ma non posso negare che questo contatto prolungato e così ravvicinato mi stia regalando una grande forza da cui potrò attingere nei prossimi giorni, perché so che ne avrò bisogno: per quanto tenterò di evitarli, quei ricordi torneranno a farsi avanti, e spero proprio che la forza che Harry mi sta regalando in questo abbraccio, possa aiutarmi a superare quei momenti.

«Stai perdendo colpi... oppure hai messo lo zucchero nel caffè stamattina». So che sta cercando di rendere più facile questa separazione, ma niente è facile con lui, soprattutto lasciarlo andare adesso, anche se è solo per qualche giorno, perché abbiamo appena superato insieme un momento molto difficile, e ho paura di cadere senza la sua mano a tenermi stretta.

«Harry...»

«Andrà bene, Chloe». Non mi dà modo di dire altro, riuscendo a capire ciò che volevo dirgli senza nemmeno doverlo fare. «Sarò esattamente qui quando tornerai», dice ancora con lo stesso tono di voce di poco fa.

Harry ha paura, tanta quanta ne ho io. È una grande prova, questa, per noi due che non sappiamo ancora camminare da soli, che stiamo risalendo adesso dalla nostra oscurità, ma è giusto che l'affrontiamo.

Mi allontana leggermente, quel poco che gli basta per guardarmi negli occhi, tenendo ben ferma la sua mano sul mio viso.

«Chiamami quando vuoi. Di giorno, di notte, non m'importa, tu chiama...», me lo dice tenendo i suoi occhi intensi nei miei.

Sposto le mie mani dai suoi fianchi al suo viso per sentire sotto alle mie dita quell'invisibile strato di barba che stenta a crescere. «Harry...» Non ho davvero qualcosa da dire, voglio solo imprimere nella mia mente questa immagine di lui con gli occhi lucidi, il sorriso, le fossette, e la sensazione che provo nell'averlo con me.

«Io ti aspetto, Chloe, ma tu torna da me». Ed ecco tornare con forza tutta la sua insicurezza.

«Io torno da te, Harry, ma tu aspettami». Poi lo bacio, senza badare al fatto che siamo in mezzo ad un sacco di persone, perché l'unica cosa che conta in questo momento è che voglio che senta quanto mi mancherà.

***

Il breve tragitto fino a casa non è affatto silenzioso. Reb sembra un vulcano di parole e mi coinvolge in ogni argomento che viene fuori, ma mi sta bene, sono felice di vederla così entusiasta e di essere a mia volta serena e tranquilla.

Papà continua a sorridermi dallo specchietto retrovisore, sembra quasi che mi stia studiando, che stia verificando il mio effettivo stato d'animo, come se non gli fossero bastate le mie parole, con le quali ho cercato di rassicurarlo, ma lo capisco. Ho mentito loro talmente tante volte sul fatto che mi sentissi meglio, che ora hanno bisogno di più conferme per credermi, per questo non me la prendo, anzi cerco di fargli capire quanto io stia realmente bene.

«Vostra madre sta impazzendo per il vostro ritorno da ieri sera, quindi abbiate un po' di pazienza con lei». Le parole di mio padre fanno sorridere me e mia sorella. So quanto può essere snervante la mamma se non va tutto come da lei programmato, e so benissimo quanto sia sempre ansiosa, in special modo dopo gli ultimi avvenimenti, e anche per il fatto che entrambe le sue figlie vivano lontano da qui.

Seguiamo papà fino alla porta di casa, che apre lasciandoci entrare per prime. «Mamma?» Mia sorella alza la voce per farsi sentire e subito la vediamo spuntare dalla cucina con uno strofinaccio in mano e un enorme sorriso sul volto, poi cammina svelta verso di noi e subito si fionda tra le braccia di mia sorella.

«Rebekah da quanto tempo non tornavi a casa?!», la rimprovera amorevolmente nostra madre.

«Mi sei mancata anche tu mamma», risponde lei, senza rimproverarla a sua volta per il fatto che è stata qui solo qualche settimana fa per il Ringraziamento, mentre viene stritolata tra le sue braccia, fino a che arriva il mio turno.

Mamma mi osserva con attenzione, poi si avvicina, mi stringe forte, e io faccio la stessa cosa con lei.

Mi sento forte, mi sento pronta a ricevere tutto l'affetto che ho rifiutato in questi mesi, quindi lascio durare questo abbraccio per tutto il tempo di cui entrambe abbiamo bisogno. So di essere stata molto dura, di essermi scontrata con lei per i motivi più banali, ma adesso sono pronta a ricevere tutto l'amore che è in grado di donarmi.

«Hai un aspetto magnifico, tesoro», mi dice poi, guardandomi negli occhi. «Boston ti ha fatto bene». Dovrei dirle che è stato Harry ad avermi fatto bene, ma non ora. Adesso è il momento di dedicarmi ai miei genitori, che ho trascurato anche troppo.

«Grazie, mamma», le dico, e spero che capisca che il mio grazie si riferisce a molto più che a questo momento.

«Dai, andate a cambiarvi, il pranzo è quasi pronto». Mamma scioglie l'abbraccio e torna in cucina, forse per nascondere gli occhi lucidi, e io sorrido al pensiero di quanto mi senta bene in questa casa, tra le mie vecchie cose.

Arrivata in camera mia, mi siedo sul bordo del letto e accendo il cellulare, che inizia quasi subito a vibrare per l'arrivo di diciassette messaggi. Tutti di Kurt. Sorrido nel guardare il display, ma, prima di rispondergli, faccio partire una chiamata.

«Ehi...» Un solo misero squillo e la sua voce risuona forte e chiara nell'auricolare.

«Sono arrivata», gli dico, lasciandomi andare all'indietro con la schiena sul materasso.

«Ti sembro diventato un rammollito per caso?» La sua strana domanda mi fa ridere.

«Non sei affatto un rammollito», rispondo sicura. Non so cosa intenda con ciò che ha appena detto, ma, in qualunque senso si possano intendere quelle parole, Harry Stevens non potrebbe essere mai essere definito rammollito. «E chi ti ha detto una cosa del genere è solo invidioso». Sono troppo lontana da Boston per punzecchiarlo, ho invece bisogno di fargli sentire quanto mi manca e quanto io apprezzi ogni cosa di lui.

«Hai sentito!?» Rido di nuovo di gusto nel sentirgli urlare quelle parole a qualcuno.

«Chi c'è lì con te?», gli chiedo, immaginandolo con qualche suo amico.

«Mi sbagliavo... siete due rammolliti...» Rido di più nel sentire la voce di Zach. Sono contenta che non sia da solo. È fragile anche lui in questo periodo e ha bisogno di qualcuno che lo rassicuri.

«Che state facendo?», gli chiedo, restando con lo sguardo puntato al soffitto.

«Sto aspettando che tua sorella lo chiami per prenderlo per il culo». Rido, ancora, mi è impossibile fare diversamente. «Fottiti Stevens!» Ancora la voce di Zach e prendo un gran respiro. Mi manca.

Siamo ancora in un equilibrio precario, che abbiamo appena iniziato a stabilizzare, e basterebbe la minima variazione per far crollare uno dei due. Né io, né lui, possiamo permetterci una caduta in questo momento perché non so se saremmo in grado di rialzarci, ma ho tutte le intenzioni di provare a restare aggrappata con tutte le mie forze a questa storia, alla nostra storia.

Non so per quanto altro tempo restiamo a parlare, ma sembra troppo poco. Mia madre è salita in camera mia a chiamarmi; il pranzo è pronto e sono costretta a salutarlo, anche se avrei voluto restare ancora con la sua voce a riempirmi la testa. Forse Zach ha ragione, siamo diventati due rammolliti, ma adesso quello di cui ho bisogno è averlo con me, non importa se sembrerò debole.

«Scusami se ti ho disturbata...»

«Non dirlo nemmeno, mamma...» Credo che mia madre si stia scusando con me per aver interrotto la mia telefonata. «Lo richiamerò più tardi», dico, senza nemmeno rendermi conto di essermi fatta sfuggire un particolare che attira immediatamente la sua attenzione.

«Stavi parlando con Kurt?», mi domanda, mentre siamo ormai in fondo alle scale. «L'ho sentito ieri, mi ha detto che lui e Hazel saranno qui subito dopo pranzo», mi dice, guardandomi dritta negli occhi, ed è ovvio che abbia capito non fosse lui.

Sta cercando di carpire qualche informazione in più, che io non ho intenzione di negarle. «No, mamma, non stavo parlando con Kurt», le dico, mentre sulle mie labbra compare un enorme sorriso, chiara manifestazione di cosa provo al solo pensiero del ragazzo che mi fa fatto perdere la testa.

«E... posso chiederti...»

«Si chiama Harry», le dico interrompendola, per toglierla dal suo imbarazzo nel domandarmi altro, «e sta rendendo la mia vita straordinaria». Non ho dovuto sforzarmi per trovare qualcosa che lo descriva, perché è esattamente questo che fa lui per me.

Devo averla colta di sorpresa perché resta ferma in piedi di fronte a me, i suoi occhi stanno diventando lucidi, e mi sembra di notare un leggero tremolio in lei, quindi le sorrido ancora, giusto per rassicurarla sul fatto - già piuttosto evidente - di quanto io stia bene e sia felice.

«Non avrei creduto che...», mamma si ferma ancora, non riesce a terminare la frase, ma non ho bisogno di sentirle pronunciare quelle parole, gliele leggo negli occhi.

«Nemmeno io, ma è successo. L'ho combattuto in ogni modo, l'ho respinto, l'ho fatto davvero disperare, ma lui è rimasto. Sempre... Harry è incredibile, e...», la lascio un attimo in sospeso, solo per il gusto di farlo, per attirare un po' di più la sua attenzione, «ed è il capo di Rebekah». Mamma sgrana gli occhi alla mia affermazione.

«Cosa?», mi chiede incredula.

«Sì, mamma...», la voce di Reb ci fa voltare entrambe, «mia sorella e il mio capo...», poi fa uno strano verso e una strana espressione, come se fosse realmente nauseata da questa circostanza.

«Reb!» Mamma la rimprovera, ma io e mia sorella non possiamo trattenere una risata per la sua reazione.

Rido.

Lo faccio per davvero. La mia è una risata sincera. Mi sento libera, libera di essere felice, e sembra che mia madre se ne accorga, perché quegli occhi lucidi si riempiono un po' di più e, con un cenno del capo, faccio capire a Rebekah le mie intenzioni, cosicché entrambe abbracciamo la mamma, che si lascia andare e piange, ma stavolta di gioia.

«Che succede qui?» Il tono stranito di papà mi fa voltare nella sua direzione ed è in quel momento che includiamo anche lui nell'abbraccio, così stretto da risultare un cerchio perfetto.

*****************

Sono atterrata da alcune ore nella mia città, ma mi concentro solo ora sul paesaggio, sulle decorazioni, su quanto ogni cosa intorno a me ricordi il Natale: le case, i negozi, le strade, ovunque si respira l'aria natalizia. Mamma e papà hanno voluto aspettare me e Reb per adornare con festoni e fili d'argento le scale che portano al piano superiore, come anche per gli altri decori, e per andare a comprare l'albero, proprio come facevamo qualche anno fa, quando entrambe vivevamo qui con loro.

Sembra proiettato tutto indietro. La mia infanzia, la mia giovinezza, la mia adolescenza: ripercorro tutte le fasi della mia vita mentre passeggio per negozi insieme ai miei due migliori amici, che non mi hanno lasciato praticamente andare da quando ci siamo rivisti.

Anche passeggiare con loro equivale ad un tuffo nel passato: tutti gli anni, in questo periodo, facevamo shopping natalizio., io per loro, loro per me, io per lui...

«Cleo?» La voce preoccupata di Kurt mi distoglie dai miei pensieri e non posso evitare di lasciare andare un profondo sospiro. «Resta qui», mi dice sorridendo. Ha ovviamente percepito i miei pensieri mentre sto osservando una vetrina dove c'è uno snowboard blu e bianco, praticamente uguale al suo.

«Hai ragione, scusami». Mi stringo nel mio cappotto, poi prendo entrambi sotto braccio e mi sforzo di tornare a cinque minuti fa.

Dopo aver pranzato con la mia famiglia, ed essere andati a prendere l'albero, i miei due amici ci hanno raggiunto, poi mi hanno sequestrata e ora, dopo un giro veloce per vetrine - lo shopping vero e proprio è riservato per domani - ci stiamo dirigendo al "Mariposa" da Ryan e Emma, che non vedo l'ora di rivedere.

«Ancora il catorcio, Kurty?», gli chiedo, mentre saliamo sulla sua macchina.

«Smettila di chiamarla così se non vuoi che ti lasci a piedi», dice, non realmente infastidito, mentre si siede al posto di guida.

Ridiamo per qualche stupida battuta dopo che lui si è immesso nel traffico e mi sembra davvero di essere tornata indietro nel tempo. Sono felice, senza ombre nella mia testa, ma manca ancora una cosa. «Kurty, potresti...»

«Stavo aspettando che me lo chiedessi», mi dice, voltandosi per un breve attimo nella mia direzione, per poi tornare con lo sguardo sulla strada di fronte a sé.

Ho bisogno di vederla, di salutarla, di dirle che sto meglio, che sto sorridendo di nuovo e non posso restare qui senza essere passata da lei. Il mio amico imbocca la strada per il cimitero, dove arriviamo dopo pochi minuti. Entriamo in silenzio, come abbiamo sempre fatto, poi mi lasciano proseguire sola, fino all'albero a cui mi appoggio sempre per parlare con lei e, anche stavolta, lo faccio: mi siedo di fronte alla sua lapide per guardare la sua foto sbiadita dal sole, dalla quale continua a sorridere.

«Ciao nonna», le dico con un gran sorriso, «hai visto che sono tornata? E sono tornata con una novità, sei contenta?» Sento una piccola fitta al cuore mentre pronuncio quelle parole, ma è solo un attimo, quindi proseguo. «C'è... c'è una persona a cui mi sono legata molto...», di nuovo quella fitta si fa sentire, stavolta è un po' più forte, ma voglio andare avanti, «sarebbe stato bello se avessi potuto conoscerlo, sono certa che ti sarebbe piaciuto...» Il dolore torna e la mia testa si gira lentamente, come se io non potessi controllarla, verso un'altra lapide poco più in là, come se mi stesse chiamando.

D'improvviso mi sento di nuovo smarrita, come se fossi sul ciglio della strada e non riuscissi a rimettermi in carreggiata. Quella piccola fitta, che ho sentito al cuore poco fa, torna a farsi sentire più chiaramente, questa volta riesce anche a farmi mancare l'aria per un attimo. 'Mi manchi Dylan, non ti ho dimenticato'

Riesco a formulare questo pensiero giusto un attimo prima che i miei due migliori amici si siedano accanto a me, uno per parte, facendo tornare la mia attenzione alla lapide di fronte a me, quella di nonna Jewel.

«Lo sa», mi dice Hazel, poggiando la testa sulla mia spalla. Ho come l'impressione di essere decisamente trasparente per loro, ma la cosa non mi dispiace affatto.

«Ed è anche felice per te», Le parole di Kurt, invece, hanno uno strano effetto. È come se quel senso di colpa, che stavo tentando di soffocare, fosse risalito a galla tutto in una volta nel sentirglielo dire.

Con ancora la testa della mia amica sulla spalla, mi piego alla mia destra, poggiandomi a Kurt che abbraccia entrambe, e restiamo in questa posizione per una decina di minuti, nel più totale silenzio. Stanno rispettando i miei tempi senza lasciarmi sola, e io non posso dare loro altri pensieri, quindi, anche se controvoglia, decido di alzarmi e mettere su un bel sorriso convincente, mentre ci incamminiamo di nuovo verso l'auto per andare al bar.

Durante il tragitto in macchina tento di riappropriarmi dei miei pensieri, di pensare ad Harry, di aggrapparmi alle sue parole e ai nostri momenti insieme. Torno a sorridere sinceramente e finalmente arriviamo al bar, nel quale entriamo - loro due davanti e io dietro, leggermente nascosta.

Ryan sta versando da bere ad un paio di clienti e non ha ancora notato la nostra presenza, di Emma sembra non esserci traccia. Ci avviciniamo al bancone e io mi abbasso dietro Kurt.

«Ciao ragazzi, arrivano subito due cioccolate calde», dice loro Ryan, per poi voltarsi e darci le spalle.

«Ne fai tre?», dico ad alta voce, uscendo dal mio nascondiglio improvvisato.

Ryan si volta di scatto e sbarra gli occhi non appena mi vede. «Porco caz... Chloe!» Gli spunta un meraviglioso sorriso, resta fermo per un attimo e poi fa il giro del bancone per venire ad abbracciarmi. Si è fatto crescere la barba e, se possibile, è ancora più affascinante. «Quando sei arrivata?», mi chiede, dopo aver sciolto l'abbraccio.

«Stamattina», rispondo, continuando a sorridere.

«Non mi avete detto niente voi due, eh?» Si rivolge ai miei amici, che sono rimasti seduti a godersi la scena. Sorridono anche loro e, una volta di più, mi ritrovo come proiettata all'indietro, quando passavamo qui quasi tutti i giorni, io, i miei amici e lui. Sento di nuovo quella piccola fitta, ma fortunatamente la voce di Ryan mi riporta nella giusta direzione. «Era ora che tornassi da queste parti, come stai?»

Iniziamo a parlare, poi viene interrotto da un paio di clienti che ordinano due caffè, così torna dietro al bancone per mettersi al lavoro, e io mi guardo intorno senza evitare di trovarmi proiettata ancora nel passato.

Mi rivedo seduta a quel tavolo con lui e i miei amici in una delle nostre serate karaoke, o durante quell'ultima sera, quella che ha segnato le vite di tutti noi. Mi porto la mano al petto per attenuare il dolore, che torna inevitabile al ricordo di quei momenti.

«Ehi...», mi giro verso Hazel che mi ha appena richiamato. Non dice altro, ma mi sorride tentando di trasmettermi la serenità di cui ho bisogno. Credo abbia capito il pensiero che mi ha appena attraversato la mente, dal quale ho assoluto bisogno di distrarmi, quindi mi volto verso Ryan.

«Dov'è Emma?» Ho voglia di vederla.

«Oggi aveva una visita di controllo, ma domani sarà qui», dice, mentre continua a lavorare.

Cerco di restare concentrata sul presente, su questo preciso momento, ma non è facile come credevo. Ed è per questo che, dopo appena una mezz'ora, ho detto loro di voler tornare a casa, perché stare qui dentro è troppo doloroso, adesso. Mi sento come se iniziasse a mancarmi l'aria e, dopo aver salutato Ryan promettendogli che sarei tornata l'indomani per salutare Emma – cosa che voglio assolutamente fare – quando siamo fuori alzo lo sguardo verso il cielo pensando a Harry e a quanto vorrei che fosse qui con me.

«Scusate...», dico ai miei amici, quando saliamo in macchina, senza dover specificare a cosa mi stia riferendo, non credo ce ne sia bisogno.

«Tranquilla, non c'è fretta, anzi volevo dirti una cosa da quando ti ho vista oggi...», la voce di Hazel è calma e rassicurante, «hai un aspetto meraviglioso rispetto all'ultima volta in cui ci siamo viste a Boston, dovremmo fare una statua a Harry», dice sorridendo rivolgendosi a Kurt, e io non posso che sorridere con lei al pensiero di quel ragazzo irriverente e presuntuoso che mi ha riportato alla vita senza chiedermi il permesso, al quale devo moltissimo.

«Più che una statua direi che sarebbe meglio un monumento...», Kurt rincara la dose, ma il mio sorriso diventa un po' più ampio, «non so come abbia fatto a sopportarti finora», dice infine, per poi accendere l'auto e dirigersi verso casa mia con il sottofondo delle loro battute pungenti nei miei confronti, mentre non fanno altro che decantare le qualità di Harry.

Li convinco a fermarsi a cena, anche se non ho dovuto insistere poi molto. Facciamo l'albero insieme alla mia famiglia, tornando, per l'ennesima volta oggi, indietro nel tempo, a quando ero ragazzina – ed è lì che cerco di tenere ferma la mia mente, a quel periodo felice – a quando io e Reb appendevamo le calze al camino per poi addormentarci sul divano in attesa di Babbo Natale e, immancabilmente, la mattina ci ritrovavamo nel nostro letto.

Tento di riportare alla mente quanti più momenti felici possibili, perché in questo momento è solo da lì che posso attingere la mia forza per resistere alla tentazione di aprire quelle due scatole che ho in fondo all'armadio.

Dopo aver cenato con tutti loro e passato una serata in assoluta e totale armonia, adesso, chiusa nel silenzio della mia camera da letto, il mio sguardo continua a restare puntato in quella direzione, ma non posso farlo, non voglio alzare quei due coperchi. Sarebbe come aprire il vaso di Pandora e regredire in un attimo. Tutti i progressi che ho fatto negli ultimi tempi svanirebbero all'istante, ne sono certa, e non posso permetterlo, di certo non senza Harry al mio fianco.

Harry.

È di lui che ho bisogno.

Ora.

Recupero il telefono da sopra il comodino, sblocco il display e faccio partire la chiamata. Lui risponde al terzo squillo, con la bocca piena e il sottofondo delle chiacchiere dei suoi amici, il che mi fa sentire meglio. Harry non è solo, non si sta perdendo nei suoi pensieri. Lo sento ridere, insultare Larry che tenta di rubargli il cellulare, o Zach che fa una stupida voce femminile, ma lui ride, ed è la sua risata a tenermi insieme.

Harry rimane il mio collante speciale, quello di cui ho bisogno per non rompermi ancora. 

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Capitolo 52
*** Forse mi manchi ***


Al risveglio da quel dannato incubo la sensazione è sempre la stessa. Mi manca l'aria, che fa fatica a passare per arrivare a riempirmi i polmoni, tremo come una foglia, sudo, e non riesco a chiudere gli occhi, come per la paura che, richiudendoli, le immagini che ho appena vissuto nella mia mente, possano tornare a tormentarmi.

La porta della mia stanza si apre di colpo e mia sorella si fionda sul mio letto, sedendosi accanto a me per tenermi stretta tra le sue braccia. Devo aver urlato, anche oggi come ieri, per la seconda volta di seguito. Mi aggrappo con forza a lei, alle sue spalle, ma non riesco a piangere, non riesco a far uscire quello che ho dentro, e il motivo è ben chiaro nella mia testa.

Inizio a concentrarmi sui suoi occhi verdi, sulla sensazione delle mie dita tra i suoi capelli, sulla forza del suo abbraccio, sul suono della sua voce, che ha il potere di calmarmi come niente è mai riuscito a fare e, alla fine, funziona - non come se lui fosse realmente qui, ma devo accontentarmi.

«È passato Reb», le dico, quando riprendo a respirare quasi regolarmente.

Mia sorella si allontana quel poco che le basta per guardarmi negli occhi. «Non è passato affatto, Chloe...» Poggia entrambe le mani sul mio viso portandomi i capelli all'indietro e mi guarda con attenzione. «Gliel'hai detto?» Sospiro pesantemente alla sua domanda, perché vorrei non parlarne, ma so che dovrò farlo.

«No, Reb, non voglio che si preoccupi. Lui è così sereno in questi giorni...» Mia sorella insiste sul fatto che dovrei raccontare a Harry di questi incubi, mentre io non voglio farlo. Un po' perché non voglio farlo preoccupare, un po' perché penso che dovrei imparare da sola a superare questa paura.

È stato proprio lui ad insegnarmi che per superare una paura bisogna affrontarla, quindi è quello che sto facendo, ma mi rendo conto che i risultati sono evidentemente scarsi.

'Forse perché lui ti ha detto che le paure vanno sì affrontate, ma insieme!',  mi ricorda prontamente la mia coscienza, che tento di ignorare con ogni mezzo possibile. Non voglio coinvolgerlo, voglio sentirlo continuare a ridere durante le nostre telefonate, perché è quello che mi dà la forza che mi serve per tenermi insieme e non crollare.

«Chloe...»

«No, Reb, non glielo dirò». Resto ferma nella mia posizione alle insistenze di mia sorella, perché Harry ha sofferto troppo, anche a causa mia, non voglio più essere motivo di sofferenza per nessuno. «Mamma e papà non sanno niente, vero?» Mi preoccupo anche di loro e del loro benessere. Mi hanno vista così serena da quando sono rincasata, che sono tornati a sorridere spensierati. Riconosco le loro espressioni libere da preoccupazioni e non posso permettere che sul loro viso torni quel velo costante di ansia per colpa mia.

«Non ho detto niente a nessuno, Chloe...», i nostri genitori hanno il sonno pesante e finora sono passata inosservata, «solo...», trattengo il fiato mentre osservo la sua espressione cambiare.

«Cosa intendi con solo? A chi l'hai detto, Reb?» Il mio tono di voce esce più acido di quanto avrei voluto. Mia sorella non merita affatto questa mia reazione, ma le avevo chiesto di mantenere il segreto.

«Io non volevo dire niente, ma lui ha capito che non stavi bene. Lo sai che non gli puoi nascondere niente». Porto entrambe le mani sul mio viso per strofinarlo con forza.

Avrei dovuto saperlo che con Kurt non ho via di scampo. «Allora è per questo che mi ha chiesto di passare la giornata con lui, oggi...», pronuncio ad alta voce quando mi torna in mente ciò che mi ha scritto ieri sera con quello strano messaggio.

Oggi è il terzo giorno che sono qui a Montréal ed è la vigilia di Natale.

Per assecondare la teoria di Harry - quella di affrontare la paura per superarla - sono stata al cimitero sia il giorno del mio arrivo, che ieri, e ho intenzione di andarci anche oggi, con la speranza di riuscire ad avvicinarmi alla sua lapide.

Forse è per questo che continuo ad avere quell'incubo, ma ultimamente è sempre peggio, perché le immagini di Dylan si sovrappongono a quelle di Harry e viceversa, e io non so quanto ancora posso reggere.

Nella mia testa c'è un enorme caos: l'incubo, Dylan, Harry, e quelle due scatole che so essere dentro all'armadio, che non ho ancora avuto il coraggio di aprire, e non so nemmeno se ci riuscirò, ma so che ci sono, ed è come se mi chiamassero dall'interno del mobile.

«Reb... ti va se ci facciamo qualcosa di caldo da bere?», le domando, dopo aver fatto un gran sospiro.

«Sì», risponde sorridendomi dolcemente, e infine arriva l'abbraccio, quello con la A maiuscola, quello che mi aiuta a restare a galla. La tengo stretta, lei lo fa con me, e vorrei poter lasciare andare qualcosa, ma non ci riesco e so che sarà così fino a che non sarà di nuovo lui a stringermi. 

Lui, Harry.

**************

Controllo l'orario sul cellulare e mi rendo conto che tra poco Kurt sarà qui. Ha detto che verrà al cimitero con me oggi. Ieri ci sono stata da sola, dopo che ho fatto visita ad Emma al bar. La sua pancia adesso è evidente, l'ho accarezzata, ho sentito la bambina muoversi ed è stato emozionante guardare negli occhi i futuri genitori e leggervi dentro tanta speranza e un infinito amore.

Alcuni colpi alla porta della mia stanza mi distolgono dai miei pensieri, dev'essere arrivato. «Entra», pronuncio ad alta voce per farmi sentire.

«Ehi... che ci fai lì per terra?», mi chiede Kurt, dopo avermi trovata seduta sul tappeto ai piedi del mio letto.

Richiude la porta alle sue spalle e mi raggiunge, sedendosi a gambe incrociate accanto a me.

«Stavo pensando di aprire quelle due scatole, ma non ne ho la forza da sola», gli dico, indicando i due contenitori che ho appoggiato sul tappeto di fronte a me.

«Lo facciamo insieme?», mi chiede, con un meraviglioso sorriso.

«Ok», rispondo, poi osservo i suoi movimenti.

Kurt allunga una mano e apre la scatola più vicino a lui, quella che contiene tutte le foto di me e Dylan, e improvvisamente mi sento come se fossi colpita al centro del petto da un colpo così forte da farmi bloccare il respiro. Il mio migliore amico se ne accorge subito e afferra la mia mano, dicendomi qualcosa che non capisco. È come se i suoni mi arrivassero ovattati. Ci metto un po' a riprendermi e finalmente riesco a sentire quello che mi sta dicendo. «Cleo sono qui, non sei obbligata a farlo, posso richiudere se vuoi...» Ma lo blocco proprio mentre sta per farlo.

«No, Kurty, voglio farlo». In realtà non voglio affatto, ma devo, quindi mi costringo a prendere quelle foto e guardarle.

Per ognuna di quelle immagini, in cui potevo vedere chiaramente la felicità di due ragazzi innamorati, ho sentito un dolore continuo e costante trapassarmi da parte a parte e, quando non ce l'ho più fatta, il mio migliore amico l'ha semplicemente capito, togliendomi le foto dalle mani per richiuderle dentro la scatola bianca.

«Le metto via», dice, poi fa per alzarsi, ma un'altra volta lo fermo.

«Aspetta! Proviamo con l'altra», gli chiedo, quasi implorandolo. Non sembra molto convinto, ma poi mi accontenta.

Toglie il coperchio alla scatola gialla ed è un altro duro colpo per me. Ci sono lettere, biglietti e vedo chiaramente la palla con all'interno la neve finta, quella che abbiamo comprato insieme lo scorso Natale, quella che avremmo dovuto mettere nella nostra futura casa e, forse a causa della mia espressione, lui si alza, chiude il coperchio e toglie le scatole dalla mia vista, mentre io sono rimasta ferma immobile al mio posto.

È come se fossi stata in vacanza dalla mia vita e adesso fossi tornata, ritrovando intatti tutti i problemi che ho lasciato alla mia partenza.

«È stata una pessima idea, Cleo», dice Kurt, sedendosi proprio di fronte a me. Sento le sue dita sul mio viso, mi sta asciugando le lacrime, della cui presenza non mi ero nemmeno accorta. «Forse non dovremmo andare», dice ancora, con un tono di voce preoccupato.

«Ti prego, Kurt, non posso arrendermi senza nemmeno provarci. Devo provare a dimostrare che sto andando avanti, lo devo a tutti», gli dico, mentre sento il peso di ogni parola e sensazione piegarmi le spalle.

«È a causa di quello che ti ho detto quando ero a Boston? Perché se è per quello che lo fai... non ce n'è bisogno, Cleo, è acqua passata. Ci siamo chiariti e per me la cosa è finita lì». Si riferisce alla piccola discussione sul fatto che io l'abbia trascurato pensando solo a me stessa. Aveva ragione, e io sento la necessità di rimediare ad ogni mio errore, ma in questo momento sento il bisogno di dimostrare a me stessa che non sto tradendo nessuno. Né Dylan con Harry, né Harry con Dylan, quindi voglio riuscire a dirgli addio e andare avanti.

«Lo sto facendo per me», mi asciugo le ultime lacrime, tiro su con il naso e gli sorrido. Lui mi abbraccia senza aggiungere altro, un abbraccio lungo, stretto, che riesce a trasmettermi tutto il bene che sente per me.

«Ok, allora datti una sistemata, io metto in ordine queste scatole e ti aspetto di sotto, ok?» Il sorriso del mio migliore amico è sempre una certezza per me.

Annuisco in silenzio, poi lo guardo uscire dalla mia stanza. Prendo dei profondi respiri cercando di allontanare i pensieri negativi fino a che riesco a calmarmi concentrandomi, ad occhi chiusi, sul verde dei suoi occhi.

Dopo un profondo respiro, mi alzo, apro il trolley con il quale sono partita da Boston, e recupero il regalo per mia sorella, il cd che ho comprato al negozio da Lawson. Dovrei darglielo stasera, ma non ho più voglia di aspettare, perché stamattina mi ha coperta con mamma e papà e ho bisogno di dirle grazie in qualche modo.

Stanotte, quando ci siamo alzate per andare in cucina, siamo tornate a dormire senza lavare le tazze, che abbiamo lasciato nel lavandino e stamattina, quando mamma ha chiesto spiegazioni, Reb ha detto che non è stata bene ed è venuta a chiamarmi per non disturbare loro. Non so se l'hanno bevuta, ma non posso non apprezzare il gesto che ha fatto mia sorella.

Busso alla porta della sua camera ed entro non appena la sento dire "avanti".

«Ehi... disturbo?» Entro tenendo il pacchetto dietro la mia schiena.

Lei è davanti allo specchio che sta finendo di vestirsi. «Certo che no», mi dice, voltandosi a guardarmi.

Faccio un paio di passi verso di lei e le sorrido mentre lei mi guarda con aria sospettosa, ma non le do modo di dire niente e le mostro il pacchetto che tenevo nascosto. «Buon Natale, Reb», le sorrido sincera, forse anche un po' emozionata, perché ora ha sul viso una strana espressione.

«Ma...» Ovviamente non se lo aspettava.

«È solo un piccolo pensiero per dirti grazie. Grazie di esserci sempre: come sorella, come amica, come spalla, grazie, Reb». Dovrei fare molto di più per lei, come dovrei fare molto di più per tutti gli altri, ma sto iniziando a piccoli passi, spero di potermi sdebitare con tutti, prima o poi.

Lo scarta con cura, come se potesse romperlo, e il suo sorriso si fa più ampio quando vede di cosa si tratta. «Grazie, Chloe! Adesso la mia collezione è completa!» Mi abbraccia, lo abbiamo fatto spesso in questi giorni, e la cosa mi piace.

«Stavi uscendo?», le chiedo, non appena scioglie l'abbraccio.

«Sì, volevo andare a comprare qualcosa per Zach, ancora non ho deciso cosa e sono nel panico», afferma, con un tono di finta disperazione nella voce.

«Io e Kurt stiamo uscendo, vuoi un passaggio?», le domando.

«Sì, magari. Porto anche questo così lo ascoltiamo?», dice, mostrandomi il cd che le ho appena regalato.

«A Kurt piacerà un sacco», le dico. Sarebbe piaciuto anche ad Hazel, ma oggi aveva un impegno con i genitori e non è potuta venire con noi.

«Due minuti e sono pronta», dice ancora, tornando a guardarsi allo specchio.

«Ti aspetto di sotto», poi, mentre sto uscendo dalla sua stanza, vengo distratta dalla vibrazione del mio cellulare.

Forse mi manchi

Un enorme sorriso si apre sulle mie labbra non appena leggo il messaggio di Harry, che è dolce anche se sta cercando di nasconderlo dietro a quel forse.

Forse mi manchi tu

Rispondo allo stesso modo poco prima di avvicinarmi alla cucina e imbattermi in mia madre, che mi osserva con uno strano sorriso mentre aggrotta le sopracciglia.

«Prima che tu me lo chieda, sì, è Harry che mi ha appena scritto», le dico, continuando a mantenere lo stesso sorriso che le parole che ho appena letto mi hanno provocato.

Ho parlato un po' con mamma in questi due giorni, le ho raccontato un po' come stanno andando le cose a Boston, le stesse cose che le ho sempre detto al telefono, ma che ripetute di persona, mentre mi può guardare negli occhi, sembra abbiano avuto tutto un altro effetto. Le ho anche accennato qualcosa di Harry, ma sono rimasta sul vago, come se volessi tenerlo per me.

«E allora perché non lo inviti?», mi dice ovvia.

«Per Natale?», le domando stranita.

«Ma no, certo che no. Per Natale sarà sicuramente impegnato con la sua famiglia...», non le ho detto nulla del rapporto burrascoso che ha con il padre e che non vede sua madre da quando era solo un bambino, «mi riferivo a quello di cui abbiamo parlato a cena».

Ieri sera, tra una portata e l'altra, mamma e papà ci hanno comunicato che hanno intenzione di rinnovare le loro promesse matrimoniali e lo faranno in primavera. Io e mia sorella abbiamo accolto con entusiasmo la notizia e non abbiamo parlato più di altro da quel momento.

«Non lo so, mamma... vedremo». Vorrebbe dire un grosso coinvolgimento da parte di entrambi e non so se siamo pronti per questo.

«Posso chiederti una cosa, Chloe?», mi dice ancora, quasi con un tono imbarazzato.

«Certo, mamma, puoi chiedermi quello che vuoi». Voglio tornare ad avere un buon rapporto con lei, come un tempo.

«Quando... o... o come è successo?» Sono certa che si stia riferendo a come ho conosciuto Harry.

Le sorrido per rassicurarla ancora. «Sul fondo, mamma... quando ero sul fondo, lui mi ha trovata lì...»

È lì che ci siamo incontrati, quando entrambi vagavamo a vuoto sul fondo, ma insieme siamo riusciti a risalire.

«Ogni volta che parli di lui ti brillano gli occhi. Sono felice che tu sia andata a vivere da tua sorella». Sta per piangere, lo vedo, ma per fortuna dei rumori distolgono la nostra attenzione dalle lacrime incombenti di mamma.

«Sono pronta, andiamo?» Reb sorride con il suo cd in mano, poi salutiamo mamma e usciamo, salendo sulla mia auto, Kurt è insieme a noi e cantiamo le canzoni natalizie di Michael Bublè a squarciagola.

Dopo aver lasciato mia sorella al centro commerciale, ci rechiamo alla nostra destinazione e l'atmosfera inizia a cambiare velocemente all'interno dell'abitacolo.

L'allegria e la spensieratezza lasciano lentamente il posto all'inquietudine e al dolore man mano che ci avviciniamo alla nostra destinazione e, nonostante la voce di Michael Bublè continui a spandersi all'interno della mia auto, non riesco più a sorridere come poco fa, non appena scorgo la cancellata d'ingresso.

Parcheggio, spengo il motore e l'autoradio, poi scendiamo, e chiudo l'auto con movimenti lenti.

Il silenzio viene interrotto dal suono del telefono di Kurt che segnala l'arrivo di un messaggio. «È Hazel?», gli chiedo, tenendo lo sguardo fisso davanti a me.

Lui e la mia migliore amica non hanno fatto altro che messaggiare per tutto il tempo. «Sì... Sì è lei...», risponde lui quasi incerto, come se gli dispiacesse disturbarmi.

Kurt mi ha detto che Hazel è molto dispiaciuta di non essere potuta venire con noi, ma capisco che non posso essere il centro della sua vita e va bene così.

Ci incamminiamo lungo il viale alberato e Kurt non si allontana mai da me. Tiene il suo braccio sulle mie spalle mentre percorriamo il viale che conduce alla lapide di nonna, dove mi fermo, incapace di continuare.

Il cuore batte più veloce, il respiro accelera, come se avessi il fiatone, mentre sento un peso che opprime il petto. Chiudo gli occhi e cerco di concentrarmi, mi ripeto che posso farlo, che posso dirgli addio, ma i miei piedi continuano a restare inchiodati sul posto.

«Vuoi che ti lasci sola un momento?», mi domanda cautamente Kurt. Non so in realtà cosa dovrei fare, non so se voglio continuare da sola o no, e resto in silenzio, che lui prende come un sì. «Ti aspetto poco più in là, se hai bisogno di me, basta che ti volti e ti raggiungo, d'accordo?»

Annuisco semplicemente, senza dire altro, restando ad occhi chiusi, mentre cerco di tornare a respirare regolarmente.

Sono completamente rigida, come una statua di marmo e mi rendo conto che sto tentando di immobilizzare, oltre al mio corpo, anche quello che sento. Sono in un limbo di pensieri ed emozioni, di ricordi e sensazioni, sospesa tra presente e passato, tra quello che avrebbe potuto essere e quello che potrà essere, tra un paio di occhi azzurri e un paio di occhi verdi, con i pugni stretti, la mascella serrata, senza nemmeno sentire il freddo pungente di dicembre, lasciando scorrere inesorabile il tempo, che diventa del tutto relativo, mentre tento di trovare il coraggio necessario alla mia piccola impresa.

Tuttavia, quel limbo esplode all'improvviso con il suono di una voce che fa sparire tutto in un semplice istante.

«Possiamo togliere quel forse?» La sua voce è un'altra volta la mia cura.

D'improvviso è come se mi sentissi strappare via dal corpo ogni sensazione negativa. Prima scompare l'angoscia, poi l'ansia e il dolore. È come se lui ne fosse la calamita, come se potesse assorbire tutto ciò che non va in me. L'aria torna a fluire regolare e costante attraverso le mie vie respiratorie, il battito cardiaco torna ad un ritmo più rilassato e inizio persino a percepire la bassa temperatura di questa fredda giornata.

Mi volto mentre apro gli occhi. Indossa il suo immancabile cappotto, le mani in tasca, i capelli legati, i jeans neri, ed è straordinario nella sua semplicità, con quel meraviglioso sorriso che mette in evidenza le fossette, quelle che si vedono solo quando il suo sorriso è davvero ampio e sincero.

«Harry...» Credevo che non sarei riuscita a proferire parola e invece, anche se solo con un filo di voce, sono riuscita a pronunciare il suo nome.

«Puoi usare Harold, so che ti piace un sacco», dice con la sua solita espressione irriverente, quella che mi piace vedere sempre più spesso.

Fa un passo verso di me. Io ne faccio uno verso di lui. «È vero... Mi piace Harold...» Un altro passo. Lui è qui, sempre più vicino.

«Io lo detesto...» Un ultimo passo e restano solo pochi centimetri a dividerci, e vorrei toccarlo, abbracciarlo, ma sono così sorpresa di ritrovarmelo davanti così all'improvviso che ho paura che, se allungassi le mani, lui svanirebbe nel nulla, come se potesse essere solo frutto della mia immaginazione.

«Tu devi imparare ad apprezzarti un po' di più». Non lo fa mai abbastanza.

«E tu devi imparare a chiamarmi quando hai bisogno d'aiuto». Non c'è più motivo di aggiungere altro.

Mi fiondo tra le sue braccia, che mi accolgono con tutta la forza che ho imparato a conoscere. Mi stringo a lui e lo respiro a pieni polmoni. Il suo profumo, il suo calore, la sua presenza, ogni cosa riesce a capovolgere il mio stato d'animo in un attimo.

«Volevo farcela... Lo volevo davvero», dico, con il viso appoggiato alla sua spalla.

«Lo so, ma sono qui adesso... Non c'è niente che tu debba fare per forza». Chiudo gli occhi per concentrarmi solo sulla sua voce bassa e lenta.

Resto tra le sue braccia, con le mie intorno al suo corpo. Apro gli occhi e vedo Kurt, che ci guarda con un gran sorriso sulle labbra. «È stato Kurty?», gli chiedo, cercando di spiegarmi la sua presenza qui - anche se credo che la risposta sia ovvia.

«Hai un amico che ti conosce meglio di quanto tu conosca te stessa. Un amico che aveva previsto il tuo crollo già ieri, quando mi ha chiamato per dirmi che sarebbe stato meglio se oggi fossi stato qui e, a quanto pare, non si sbagliava». Allenta un po' la presa del suo abbraccio, sento le sue mani scorrere su di me fino a sentirle sul mio viso.

Il suo sguardo ravvicinato mi permette di leggere le sue emozioni nel verde brillante dei suoi occhi. Mi sento così al sicuro con lui, quasi invincibile, poi abbasso per un attimo le palpebre per potermi dedicare alla sensazione delle sue dita, ormai arrivate tra i miei capelli.

«Probabilmente dovrò fargli un regalo più grande», gli dico, riferendomi alla Moleskine che ho comprato per il mio migliore amico.

Non so cos'ho fatto per meritare Kurty, ma so che devo apprezzarlo come merita. Ha previsto il mio crollo nervoso, che stava per avvenire proprio poco fa, e ha chiamato Harry, sapendo che era l'unica soluzione possibile per me.

Harry sorride alle mie parole, senza smettere di lasciare le sue carezze qua e là sul mio viso. «Ti ricordi cosa ti ho detto su come superare la paura?»

«Bisogna affrontarla», rispondo, come una brava bambina che è stata attenta alla lezione.

«Insieme... Bisogna affrontarla insieme.» 'Te l'avevo detto', mi ricorda la mia coscienza. «Vuoi farlo con me?», mi domanda poi, senza smettere di guardarmi negli occhi.

So cosa mi sta chiedendo e forse potrebbe essere la cosa migliore che mi potesse succedere, ma adesso che lui è qui, non sono più tanto sicura di volerlo fare. Torno a sentirmi insicura, forse non sono così pronta a dirgli addio, o forse non sono pronta a vedere la sua foto su quella lastra di marmo, o forse mi sento semplicemente in colpa nei suoi confronti nel dedicare ogni mia attenzione a Harry, o più semplicemente, è solo con Harry che voglio stare adesso.

«No», riesco a dire dopo un lungo momento di silenzio.

«No?» Scuoto la testa con forza. «Sei sicura?» Il suo tono di voce non è di certo tranquillo.

«Sono sicura», affermo convinta.

«Chloe so che puoi fare anche questo, proprio come sei salita sulla moto...» Per un attimo mi torna in mente la sensazione che ho provato quella sera, di come mi sono sentita libera dopo aver superato quel blocco psicologico, ma questo è diverso.

«Harry...»

«Ascoltami Chloe, possiamo farlo, siamo insieme... Possiamo farlo...» Sembra così convincente che, per un attimo, stavo per cedere, stavo per dire di sì, ma la verità è che ora voglio allontanarmi da qui prima possibile.

«Hai ragione, siamo insieme, ed è l'unica cosa che conta», gli dico, stringendo con forza il bavero del suo cappotto.

Lui mi guarda per un attimo, poi stringe gli occhi a due fessure e mi osserva con sospetto. «Chi sei tu? E cosa ne hai fatto della Stewart che conosco io? Sai, quella acida...» Non posso trattenere un sorriso alle sue parole e vorrei dirgli fin troppe cose, ma alla fine penso a dove ci troviamo e che potrei condividere qualcosa con lui.

«Posso presentarti qualcuno?» Non aspetto la sua risposta e mi volto alla mia sinistra indicandogli la lapide di fronte a noi. «Lei è mia nonna Jewel... Le saresti piaciuto». Si volta anche lui, mettendosi al mio fianco, appoggiando il suo braccio sulle mie spalle.

«Conosci qualcuno a cui non piaccio?», dice con il suo solito tono ironico, cosa che mi fa alzare gli occhi al cielo. Apro la bocca per rispondere, ma lui mi precede. «A parte te in versione acida, intendo...», lo sento poi ridacchiare e stringere un po' di più la presa sulle mie spalle.

«Le saresti decisamente piaciuto», dico, rassegnata al fatto che non ha intenzione di darmela vinta. Sono certa che sarebbero andati d'accordo.

Restiamo in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri, poi, il passaggio di una persona accanto a noi, mi fa tornare alla realtà. Volto lo sguardo e Kurty è ancora lì ad ammirare la sua sorpresa perfettamente riuscita. «Dovremmo andare», dico a Harry, che annuisce e mi segue fino ad arrivare dal mio migliore e meraviglioso amico.

Mi fermo di fronte a lui, che mi osserva con la sua aria furba. «L'ho fatto solo perché ero già stanco di vederti quel muso lungo», afferma con un gran sorriso sulle labbra.

Non rispondo alla sua dichiarazione di infinito affetto nei miei confronti - le sue parole indubbiamente lo sono - e lo abbraccio forte, sussurrandogli un 'grazie' all'orecchio mentre lui ricambia la mia stretta.

Ci incamminiamo, infine, verso l'uscita, diretti alla mia auto. Kurt chiede subito di poter ascoltare di nuovo il CD di Bublè rimasto in macchina, forse sperando di sfuggire alle mie domande - perché ovviamente arriveranno - e io lo accontento, ma solo per adesso, perché cantare con lui sulle note di "Jingle Bells", sotto lo sguardo divertito di Harry, è molto più divertente. Per le spiegazioni c'è tempo.

Accompagno a casa Kurt e poi mi dirigo verso casa mia. Harry mi ha chiesto di continuare a cantare ed io lo faccio, fino a che arriviamo a destinazione, dove fermo l'auto spegnendo il motore, ma non scendo subito e mi volto verso di lui.

«Sicuro di volerlo fare?», gli chiedo, riferendomi al fatto che stiamo per entrare in casa a conoscere i miei genitori.

«Assolutamente no», risponde, e ridiamo insieme per la sua affermazione.

Risata che scompare quasi subito quando nell'abitacolo riecheggiano le note di un'altra canzone. L'atmosfera cambia, il suo sguardo anche e la sua mano arriva subito tra i miei capelli.

Stockings are hung with care 
As Children sleep with one eye open 
Well, now there's more than toys at stake 
'Cause I'm older now but not done hoping

Resto immobile, a guardare i suoi occhi, a sentire le sue dita che si muovono appena.

The twinkling of the lights 
As Santa carols fill the household 
Old saint nick has taken flight 
With a heart on board so please be careful

Dovrebbe essere una semplice canzone natalizia, eppure sembra molto più di questo. Il suo viso si sta avvicinando, oppure sono io che lo sto facendo, non lo con certezza, ma so che i suoi occhi e le sue labbra sono sempre più vicine.

Each year I ask for many different things 
But now I know what my heart wants you to bring 
So please just fall in love with me this Christmas 
There's nothing else that I will need this Christmas

Adesso non sento più la musica, non sento più niente che non siano le sue labbra sulle mie, il suo sapore sulla mia lingua e la sua mano sulla mia nuca, a tenermi stretta in un bacio che sprigiona tutta la potenza di ciò che proviamo l'uno per l'altra.

Ogni cosa scompare e resta solo lui.

While talking to the mistletoe tonight 
I want something that lasts forever 
So kiss me on this cold December night  

They call it the season of giving 
I'm here, your stroll of taking 
They call it the season of giving 
I'm here, I'm yours  

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Capitolo 53
*** Potrebbe essere un tempo molto lungo ***


La porta scura d'ingresso è davanti a me, mi basterebbe alzare il braccio, chiudere il pugno, e dare qualche colpo per poter bussare o, molto più semplicemente, potrei prendere le chiavi di casa dalla mia borsa, infilarle nella serratura, aprire, e ritrovarmi all'interno dell'abitazione dei miei genitori, invece sono qui ferma, con gli occhi piantati sul numero 458 affisso accanto allo stipite, in attesa di non so bene cosa.

«Qui a Montréal si usa fissare la porta per così tanto tempo prima di poter entrare in casa?» Rido per la domanda di Harry, che sembra molto più tranquillo di quanto non lo sia io.

Sto per presentare un ragazzo ai miei genitori e mi sembra di non essere in grado di affrontarli, ma d'altra parte mi sembra di non essere in grado di affrontare niente in questi giorni.

«Non mi sei d'aiuto così, Stevens», gli dico, restando con lo sguardo fisso.

«Esattamente, per cosa dovrei esserti d'aiuto? Mi sembra che tu riesca benissimo a fissarla da sola la porta, o forse questa si apre con la forza del pensiero?» Continua a prendermi in giro, ma, proprio quando sto per rispondergli, la porta si spalanca e resto ancora più immobile di poco fa.

«Chloe? Che ci fai qui?» Mio padre mi osserva stranito per avermi trovata impalata, di fronte all'ingresso, poi rivolge lo sguardo al ragazzo in piedi al mio fianco, aggrotta le sopracciglia, e la sua espressione diventa ancora più confusa. «E tu chi sei?», gli domanda, mentre sistema meglio lo scatolone che sta stringendo tra le braccia.

«Signor Stewart è un piacere conoscerla...», allunga la mano verso mio padre, che tenta in qualche modo di incastrare la scatola sul fianco e afferra la mano del ragazzo in piedi accanto a me, «il mio nome è Harry Stevens», dice, con orgoglio e con un gran sorriso, che mette bene in evidenza le sue fossette. Crede di affascinare mio padre con le sue fossette? Probabilmente sì.

«Ciao, Harry, sei un amico di Chloe?», gli domand,a tenendo ben salda la sua mano.

Mi volto a guardarlo, dopo qualche secondo di silenzio, e mi accorgo che quel sorriso è ancora lì sul suo viso, ma è come se si fosse bloccato, sembra addirittura che sia sbiancato.

«Papà... in realtà Harry è...», intervengo io per toglierlo dall'imbarazzo nel quale sembra essere improvvisamente sprofondato.

«Oh aspetta», dice ancora mio padre, «ho capito...» Papà tiene ancora la mano di Harry e sulle sue labbra spunta un enorme sorriso, ma non di quelli divertiti, sembra più una sorta di... minaccia? Credo che mia madre abbia parlato con lui e gli abbia raccontato qualcosa. «Ciao ragazzo di Chloe e benvenuto. Vi andrebbe di darmi una mano con queste?» Chiede ad entrambi mostrandoci la scatola di decorazioni che ha ancora appoggiata al fianco. «Tua madre mi ha chiesto di addobbare l'albero qui fuori», si rivolge poi direttamente a me, ma ha ancora la mano di Harry nella sua e sembra non volerla lasciare andare.

In tutto questo Harry non ha più proferito parola, come se ne avesse perso l'uso. È rimasto fermo, con quel sorriso che adesso sembra più una smorfia, e sembra riprendersi solo quando mio padre gli lascia la mano e ci supera, allontanandosi di qualche passo.

Vorrei alleviare il suo disagio, lo vorrei davvero fare, ma ho bisogno del nostro rapporto speciale - come credo ne abbia bisogno anche lui - quello fatto di battute e prese in giro, quindi non posso proprio evitare di dirglielo, proprio come ha fatto lui con me poco fa. «Chi sei tu? E che ne hai fatto dell'irriverente Stevens?»

«Tuo padre è grosso quanto un armadio, la mia mano è ancora sotto shock! Credo che l'irriverente Stevens se ne starà buono a cuccia per un po'...» Rido, lui no, ma io non posso fermarmi quando lo vedo minacciarmi con lo sguardo.

«Oh... Ciao ragazzi...», la voce di mia madre fa cessare la mia risata.

Harry ha smesso di guardarmi per rivolgere la sua attenzione alla donna di fronte a sé, con un'espressione decisamente preoccupata.

«Mamma ti presento Harry», le dico, togliendo entrambi dall'imbarazzo.

I due si stringono la mano, poi noto sul viso di mia madre lo sguardo che ha nei momenti di crisi, quello da "panico da ospiti" e sto per dire qualcosa, ma lei mi precede.

«Oh tu sei Harry! Chloe perché non mi hai avvisato che sarebbe arrivato? Avrei preparato qualcosa in più... Adesso devo mandare tuo padre al supermercato e poi devo ancora...», mamma continua a parlare mentre Harry resta a guardarla, incapace di intervenire e, se non fosse che il suo delirio lo sta spaventando, la lascerei continuare solo per il gusto di vederlo così a disagio.

«Mamma!», stranamente riesco a farla bloccare. «Non sapevo nemmeno io che sarebbe arrivato, è stata una sorpresa di Kurt. Se hai bisogno di qualcosa al supermercato possiamo andare io e lui». Mi guarda per un attimo, poi si rende conto della situazione, lascia andare la mano di Harry e sorride.

«Assolutamente no, Harry è un ospite, fallo accomodare. Andrà tuo padre». Mamma ci fa cenno di entrare in casa mentre sento Harry ringraziare gentilmente, poi sento ancora la voce di mio padre.

«Abigail, quei due ragazzi mi servono!» Urla lui da vicino al piccolo abete.

«Robert, Harry è un ospite, non lavorerà in alcun modo. Sbrigati a finire lì che devi andare al supermercato!», urla lei a sua volta mentre noi due saliamo le scale di corsa per sfuggire ai loro piccoli battibecchi.

Mi infilo dritta nella mia stanza, lui dietro di me, poi chiudo la porta con ancora il sorriso sulle labbra per quanto appena successo con la mia famiglia. «Scusa», gli dico, poggiandomi con la schiena al muro, «mamma è sempre troppo agitata».

Harry mi guarda sorridendo, poi volge lo sguardo intorno a sé. «Non hai niente di cui scusarti», mi parla con il naso all'insù, osservando ogni dettaglio che i suoi occhi riescono a carpire, «hai una bella famiglia». Sono certa di aver sentito un pizzico di amarezza nella sua voce. «Questa è la tua stanza?», chiede, camminando verso il mio letto e sedendosi sul fondo.

«Sì», rispondo, per poi raggiungerlo e sedermi accanto a lui. «Non è grande come la tua, ma ci sono sempre stata bene». Lui resta in silenzio, senza smettere di guardarsi intorno, mentre io non posso smettere di continuare a guardare lui.

«Che c'è?», mi domanda, quando si accorge della mia espressione letteralmente incantata.

«Niente... Sono felice che tu sia qui...», gli rivelo sincera.

La sua mano torna ad accarezzare i miei capelli, mentre mi osserva con attenzione. «Avevo già mezza intenzione di raggiungerti, ma quando Kurt mi ha chiamato non ho più avuto alcun dubbio».

«Che ti ha detto Kurt?», appoggio la mia mano sul suo ginocchio, perdendomi nel verde dei suoi occhi.

«Quello che avresti dovuto dirmi tu». Non so a cosa si riferisca in particolare, ma il resto della spiegazione arriva subito dopo. «So del tuo incubo e di tutti i tuoi piccoli momenti di crisi... Non tagliarmi fuori, Chloe». Sento chiaramente la preoccupazione nella sua voce.

«Non volevo farti stare in pensiero». Gli ho già dato un sacco di problemi, non voglio più essere un peso per nessuno.

«Se non mi parli le cose non funzionano. Io voglio esserci per te». Entrambe le sue mani adesso sono sul mio viso. «Puoi contare su di me, anzi, voglio che tu lo faccia». L'intensità del suo sguardo, il modo con cui pronuncia quelle parole, è talmente profondo da farmi dimenticare dove mi trovo e per quale motivo lui me le stia dicendo. «Non voglio venire a sapere da Kurt quello che ti succede, voglio che sia tu a dirmelo, voglio che ti fidi di me».

«Hai ragione, mi dispiace». Non so che altro dire. Mi sento completamente nelle sue mani, letteralmente e non, e il contatto dei suoi palmi sul mio viso non fa che amplificare la sensazione di benessere che provo quando lui è con me.

«Abbiamo già rischiato di perderci una volta perché non abbiamo parlato, non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere se Kurt non mi avesse chiamato...» Il ricordo del dolore che ho provato quella notte a Madrid, quando lui ha indossato di nuovo quella maschera di imperscrutabilità sul viso, torna con la stessa intensità, come un boomerang.  
Non voglio provarlo mai più.

Ed è per questo che non lo faccio finire di parlare. Lo bacio mentre mi tornano immediatamente le parole di quella canzone che abbiamo sentito poco fa in macchina, e mi aggrappo con ancora più forza alle sue spalle, per poi portare le mani tra i suoi capelli per stringerli, e sento le sue mani tenermi stretta, le sue labbra adattarsi perfettamente alle mie, le mie sottomettersi completamente alle sue, fino a rendermi conto di cosa c'è davvero dietro a tutta questa passione, a tutto questo desiderio che non smette di far bruciare entrambi.

È un sentimento che si è fatto avanti lentamente, ma inesorabilmente, ed ora è chiaro nella mia mente, ha superato tutti gli ostacoli che io stessa gli ho posto davanti senza nemmeno accorgermene, e ora è qui, che reclama con forza la sua presenza, e io non posso più negarlo.

«Ragazzi? Siete qui?» Harry sorride sulle mie labbra quando il nostro bacio viene interrotto dalla voce di mia madre, proveniente da dietro la porta.

«Rispondi prima che tua madre chiami l'armadio che porta il tuo cognome, altrimenti potrebbe far sparire le fossette dalla mia faccia», dice a bassa voce, quando si rende conto che io non faccio altro che restare a guardarlo, stregata da lui.

Mi allontano controvoglia, mi alzo dal letto e vado ad aprire la porta. «Dimmi mamma». Non so che cosa abbia letto nei miei occhi, ma sul suo viso si apre un enorme sorriso. Credo abbia capito quanto io sia felice in questo momento.

Lei allunga leggermente la testa all'interno della stanza e, dopo aver individuato Harry, inizia la sua raffica di domande. «Ecco... Harry volevo chiederti se hai qualche intolleranza alimentare, o qualche allergia... preferisci qualcosa in particolare? Perché ovviamente pranzerai con noi giusto? Io stavo preparando la rapee pie... spero ti piaccia...»

«Mamma!» Lei si ferma, poi si rende conto del suo solito modo di fare, e gli sorride gentilmente.

«Signora Stewart andrà bene qualsiasi cosa lei stia preparando». Mi volto a guardarlo per l'incertezza che gli sento nella voce e noto chiaramente il suo sguardo imbarazzato.

«Ok, allora... io... vado...» Sorrido ancora a mia madre, poi sono costretta a chiuderle praticamente la porta in faccia, perché continuava a restare ferma sulla soglia invece di andarsene. Sembrava non essere in grado di staccare gli occhi di dosso a Harry.

«Non ti ho mai visto così a disagio come oggi», gli dico, tornando a sedermi vicino a lui.

«Che cazzo è la rapae cosa?» Scoppio a ridere per la sua domanda.

«Adesso sì che ti riconosco...», gli dico, cercando di smettere di ridere, «è un pasticcio di carne tipico di queste parti. Il suo nome originale è pâte à la râpure. Normalmente parleremmo francese, ma da quando Rebekah si è trasferita a Boston parliamo molto più l'inglese della nostra lingua madre».

«Mi mancava sentirti parlare un'altra lingua», si avvicina di nuovo, infilando ancora la sua mano tra i miei capelli, «non mi dispiace quando parli francese...», appoggia per un attimo le sue labbra sulle mie, poi mi guarda allontanandosi di pochi millimetri, «mi ripeti il nome di quella cosa? In francese però...», e non posso negarglielo.

«Pâte à la râpure», dico con un filo di voce.

«Posso accontentarmi, in mancanza dello spagnolo». Poi mi bacia ancora, e ancora, mentre io penso solo che vorrei essere un'altra volta a casa sua, perché mantenere il controllo in questo momento è una tortura.

************ 

Ho sempre pensato a Harry come ad un ragazzo sicuro di sé stesso, praticamente ormai un uomo che sa esattamente come comportarsi per ottenere ciò che vuole, scaltro, e che non si fa mettere i piedi in testa dal primo che capita, ma oggi, dopo il primo apparente momento di sicurezza, l'ho visto perdere tutte le sue certezze in un attimo, come se la presenza di mio padre prima, e quella di mia madre poi, abbiano avuto il potere di renderlo insicuro.

È strano vederlo così a disagio, come se fosse un pesce fuor d'acqua, mentre siamo in cucina con mia madre, pronta a dirigermi come un soldatino per organizzare un degno pranzo della vigilia di Natale. Eppure è lì, in piedi, in un angolo, che non sa nemmeno se tenere le mani in tasca o dedicarsi al suo cellulare, ma credo abbia paura di risultare maleducato, così lo ripone e torna a guardarmi mentre aiuto mia madre a sistemare la tovaglia.

«Siamo arrivati!» Aggrotto le sopracciglia nel sentire la voce di mia sorella arrivare dall'ingresso... che parla al plurale. Istintivamente mi volto verso Harry, sul cui viso vedo aprirsi un sorriso mentre gli compare una chiara espressione di sollievo, ma non faccio in tempo a chiedere spiegazioni che due figure fanno capolino dalla porta della cucina, e subito capisco.

«Anche tu qui?», dico ad alta voce, lasciando perdere ogni cosa che stavo facendo per andargli incontro e abbracciarlo, sotto lo sguardo stranito di mia madre.

Lui mi stringe, poi lo sento sussurrare al mio orecchio. «È stato il tuo ragazzo a volermi qui, ha detto che si cagava sotto a conoscere i tuoi», rido di gusto alle sue parole, poi mi allontano per permettere anche a mamma di conoscerlo.

«Mamma, lui è Zach», afferma orgogliosa mia sorella, avvicinandosi al ragazzo che, con un gran sorriso, afferra la mano che lei gli sta porgendo.

«È un vero piacere conoscerla, signora Stewart». Lui le sorride e mamma sembra sconvolta, ma non ho ancora capito se la turbi di più il fatto di avere entrambi i ragazzi delle sue figlie a casa - e di farne la conoscenza contemporaneamente - o di avere ospiti improvvisi a pranzo.

«Oh... ciao Zach...», dice dopo qualche secondo, «devo aggiungere un posto, Reb aiutami con i piatti, ma vostro padre che fine ha fatto?» Poi tutti restiamo immobili nel sentire una voce maschile provenire dall'ingresso della stanza, lenta e quasi infastidita.

«Ma questo è un incubo!» Ci sta osservando uno per uno, soprattutto i due nuovi arrivati, e credo di notare nei suoi occhi la gelosia di un papà che vede entrambe le sue figlie che non hanno più occhi solo per lui.

«Robert, non è il momento! Hai preso quello che ti ho chiesto?» Interviene mamma a rompere il silenzio che si era appena creato. Si avvicina a lui e recupera le borse che ha in mano, nel frattempo anche Zach gli si avvicina.

«Signor Stewart, io sono Zachary Mason». Con un enorme sorriso sulle labbra, allunga una mano in direzione di mio padre che, rassegnato, la stringe a sua volta, borbottando cose tipo 'ecco il risultato di avere figlie femmine'.

«Chloe...», mia sorella mi si avvicina tenendo in mano un piccolo sacchetto, «ti ho preso delle lucine nuove da appendere in camera tua», mi dice, mostrandomi il contenuto. Al che mi viene un'idea per togliere Harry dalla graticola in cui sembra trovarsi - mentre il suo migliore amico sembra essere decisamente rilassato.

«Se ti chiedessi di appendere queste in camera mia, facendoti aiutare da Zach, mentre noi sistemiamo la cucina?» Lui mi guarda come se gli avessi appena salvato la vita.

«Se solo l'armadio non mi stesse fulminando da lontano, ti starei già baciando», dice lui a bassa voce e io non posso fare altro che sorridere.

«Mamma, accompagno loro due di sopra poi torno ad aiutarvi», le dico, facendomi seguire dai due ragazzi, che sento borbottare tra di loro per tutto il tragitto fino alla mia stanza. «Spero di trovarla ancora intera», dico loro, lasciandoli soli e tornando al piano di sotto.

Potrei essere più felice di così? Non lo so, ma di certo devo chiamare Kurt per ringraziarlo.

********************

Harry

Pessima, pessima, pessima idea!

Non immaginavo che sarebbe stato così imbarazzante conoscere i suoi genitori. Anche lei si è sentita così quando ha conosciuto mio padre? Non credo. L'idea che a quell'armadio basti uno schiaffo per mettermi ko, non mi entusiasma per niente. Mi odia di sicuro, è evidente.

«Harry puoi aiutarmi?» La voce provocatoria di Zach mi distoglie dalle mie paranoie.

«Che c'è?!», gli rispondo seccamente, e so che non dovrei, ma mi sento troppo nervoso per fare diversamente.

«Tutto questo filo del cazzo mi si è attorcigliato e non riesco a liberarmi». Lo osservo con più attenzione e mi accorgo che ha il polso destro completamente avvolto dal filo elettrico e non posso non ridere.

«Sei un incapace», gli dico, avvicinandomi per aiutarlo a liberarsi.

Quando Kurt ieri mi ha chiamato e mi ha detto che Chloe non stava affatto bene, che ha avuto di nuovo quell'incubo – che non aveva più da giorni ormai – non ci ho pensato due volte a correre qui da lei, ma non volevo ritrovarmi da solo con i suoi genitori, così, approfittando del fatto che anche Zach volesse vedere Rebekah, gli ho chiesto di accompagnarmi. Ero sicuro che non mi avrebbe detto di no.

È la prima volta che mi trovo in questa situazione, e non credevo sarebbe stato tanto complicato rapportarmi con i genitori della ragazza che frequento, anzi, non che frequento semplicemente , è ormai chiaro da giorni quello che provo per lei, ma non riesco a dirglielo. Non posso farlo fino a che non verrà tutto a galla.

Mentre poco fa le chiedevo di parlare con me, di non tagliarmi fuori, mi rendevo conto di quanto risultassi ipocrita ad ogni parola, ma non voglio che lei ripiombi in quel buio senza fondo dal quale è uscita a fatica. Tuttavia, fino a che non sarò del tutto sincero con lei, non posso dirle ciò che provo, perché, quando lo farò, non voglio che ci siano ombre nel nostro rapporto.

Dopo diversi tentativi riesco a liberare il polso del mio amico e ci guardiamo intorno per guardare dove appendere le lucine che tanto ama. Non mi piace particolarmente farlo, perché ripenso al racconto che lei mi ha fatto di quella notte, in cui loro due erano proprio qui, su questo tetto, e non posso negare che la cosa mi faccia restringere la bocca dello stomaco.

«Stevens puoi smettere di fare la bella statuina e aiutarmi?» Ruoto gli occhi alle parole del mio amico, che è in piedi su una sedia con le braccia verso l'alto mentre tiene sospeso quel filo di luci.

«Che devo fare?», mi avvicino e lo guardo dal basso.

«Intanto smettila di guardarmi, poi prendi quei ganci che vedi lì...», mi indica un punto sulla scrivania, alla quale mi avvicino e vedo il sacchetto dei gancini che mi ha appena indicato, ma lo sguardo mi cade sulla foto incorniciata di una piccola bambina con addosso un cappottino bianco, dello stesso colore del cappellino, che abbraccia un'altra bimba, di poco più grande, entrambe con un enorme sorriso. Devono essere Chloe e sua sorella. È la prima volta che vedo una sua foto da bambina e la cosa mi piace.

«Stevens mi cadranno le braccia se non ti muovi!» Sbuffo, poi torno da lui con quei gancini. «Questa è la stanza della tua ragazza e sono io a dover lavorare?», mi sgrida mentre gli passo quei cosi.

«Nessuno ti ha chiesto di farlo, sei stato tu a...» Non mi fa finire la frase che subito scende dalla sedia lasciandomi il posto.

«Prego...», mi dice passandomi il filo e rubandomi dalle mani il sacchetto dei gancini.

«Che stronzo», bofonchio, mentre salgo sulla sedia portandomi dietro il filo.

«Sei stato tu a volermi qui...», ribadisce il concetto con tono ironico, «quindi lavora!»

«Non mi sembravi così dispiaciuto quando ti ho proposto di accompagnarmi». Attacco il primo e appendo il filo.

Continuiamo a lavorare così, fra battute stupide e risate, ma sono davvero felice di averlo con me anche in questa occasione. In realtà non ho dovuto faticare per convincerlo. Tra il fatto che casa sua in questo periodo si riempie di parenti, e che avrebbe potuto stare di nuovo con Rebekah, non ha avuto molto su cui riflettere per scegliere. Sua madre non è stata proprio contenta, ma le ha promesso che sarà a casa domani sera, cosa che dovrò fare anch'io.

Non l'ho ancora detto a Chloe, ma sto dando a me e mio padre una possibilità, così gli ho promesso che sarei stato a cena con lui e Jordan domani sera, se mi fossi assicurato che lei non ha più bisogno di me. Papà mi ha detto di prendermi cura di Chloe, ma spera con tutto il cuore che io ci sia. Sto cercando di accontentare tutti, spero di riuscirci.

«Ma che cazzo, Stevens?» L'imprecazione di Zach attira la mia attenzione, così lo guardo, ma non mi accorgo di niente, però, quando guardo meglio, mi rendo conto di aver combinato un pasticcio assurdo. In un modo a me incomprensibile ho fatto un groviglio che sembra indistricabile, e il mio amico sembra alquanto contrariato.

«Che diamine è successo?», gli chiedo, decisamente confuso.

«Lo stai davvero chiedendo a me? Eri tu a piazzare il dannato filo!» Zach si abbassa per cercare l'inizio, ma anche lui ha qualche difficoltà.

«Sì, ma eri tu a tenerlo, me lo stavi passando tu!» Cerco anch'io qualcosa che assomigli ad un inizio, ma con scarsi risultati.

«Se tu non stessi continuamente pensando ai fatti tuoi, forse avresti fatto attenzione a quello che stavi facendo!» Si lamenta ancora il mio amico, restando inginocchiato per terra.

«Faremo la figura degli incapaci quando l'armadio si accorgerà che non siamo stati in grado di appendere uno stupido filo elettrico». Mi affanno alla ricerca di quel maledetto inizio, ma più lo cerco e più quel groviglio si complica.

D'un tratto la porta della stanza viene aperta ed entrambi ci voltiamo in quella direzione, reggendo tra le mani quella che è ormai diventata una palla di fili e lucine.

«Avete fatto?», chiede Chloe entrando per prima, subito dietro di lei c'è sua sorella.

«Praticamente finito», risponde Zach, alzandosi in piedi.

Lo guardo assottigliando gli occhi a due fessure, poi Chloe si china di fronte a me e sorride divertita. «Sembra che stiate facendo un ottimo lavoro», afferma palesemente ironica.

«Non è colpa mia, lui ha...»

«Harry...», m'interrompe, pronunciando il mio nome in un modo che non le ho mai sentito usare.

Mi concentro sul suo viso, mentre distrattamente mi accorgo che Rebekah e Zach escono dalla stanza.

È felice. Lo vedo dalla piega del suo sorriso, dai suoi occhi scuri e profondi, illuminati da una luce brillante che li rende più luminosi, da quelle piccole rughette intorno agli occhi e da come inclina leggermente la testa.

Lo sento nella sua mano, che arriva sulla mia, da come le sue dita s'intrecciano con le mie, o nell'altra che arriva sulla mia guancia, nel contatto delle sue dita sul mio zigomo, che mi porta a chiudere gli occhi e assimilare ogni più piccola sensazione di questo momento.

«Grazie per essere qui», mi dice poi, portandomi a riaprire gli occhi.

«Non vorrei essere da nessun'altra parte», le rispondo di getto, perché è davvero quello che penso, perché è con lei che voglio stare.    

«Per quanto resterai?» La sua voce appena sussurrata mi fa venire in mente cose a cui non dovrei affatto pensare, con l'armadio al piano di sotto, ma proprio non riesco ad evitarlo.

«Per tutto il tempo di cui hai bisogno», le dico, concentrandomi solo sul contatto delle sue dita sul mio viso.

«Potrebbe essere un tempo molto lungo», risponde lei, con un sorriso incredibilmente dolce.

«Potrebbe non dispiacermi... Magari senza l'armadio a controllarmi», le dico, facendola ridere. Mi piace vederla ridere. Ricordo che la prima volta che è successo mi sono sentito potente, come se avessi avuto un incredibile super potere.

«Domani sarà Natale e non immagini nemmeno quanto vorrei che restassi qui, ma dovresti passare la giornata con la tua famiglia...» Sento la malinconia nelle sue parole e, per quanto anch'io vorrei poter restare, in questo periodo della mia vita sento di dover migliorare i rapporti con le persone a cui tengo particolarmente.

«Passerò la notte qui, voglio passare l'intera giornata a tenerti sotto controllo e, se vedrò che noi due non correremo alcun rischio, domani mattina tornerò a Boston». Non saprei dire esattamente cosa le stia passando per la testa in questo momento - di solito mi riesce particolarmente bene - ma una cosa mi è assolutamente chiara: Chloe Eveleen Stewart è felice e, un po', è anche merito mio.

«Harry...» Il suo è a malapena un sussurro, che ho persino fatto fatica a sentire, e non riesco a dire niente, perché sembra che ciò che sta per dirmi sia qualcosa di particolarmente importante. «Harry...», resto a guardarla con il fiato sospeso, come se lei ne avesse preso il totale controllo. «io...»

«Ragazzi è pronto!» L'armadio è lì, sulla soglia della porta, e io riesco perfettamente ad immaginarlo con un forcone in una mano e una saetta pronta da lanciare nell'altra.

«Ok...», pronuncia lei, così distolgo la mia attenzione da quell'uomo, che inizia a farmi seriamente paura, e posso vedere un pizzico di delusione nei suoi occhi.

Chloe si alza in piedi e io faccio la stessa cosa. Non so cosa stesse per dirmi, ma sembrava qualcosa a cui lei teneva molto, e non posso nemmeno insultare suo padre, se voglio continuare a mantenere la mia faccia al suo posto.

Seguo entrambi al piano di sotto, ma, man mano che ci avviciniamo alla cucina, sento salire velocemente il panico per il pranzo al quale sto per partecipare.

L'armadio mi farà a pezzi e io non potrò evitarlo. 

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Capitolo 54
*** Devi solo crederci ***


È una strana vigilia di Natale, strana, ma in modo piacevole. Non avrei mai immaginato che questo pranzo sarebbe stato costellato di sguardi divertiti e allegri - tranne quello di Harry, che sembra essere seduto su un ripiano pieno di puntine da disegno - ricco di risate e battute, e io vorrei che questo momento durasse per sempre.

Zach è seduto vicino a mia sorella, con la sua solita aria distesa e rilassata, mentre non fa altro che parlare per tutto il tempo con mio padre di motori e altre cose che riguardano la meccanica. Harry ha provato ad intervenire un paio di volte, ma papà l'ha palesemente ignorato per tornare a discutere con Zach di carburatori e filtri.

Mamma persiste nel chiedere a tutti i presenti a tavola se vogliono altro cibo, altra acqua, altro vino, e io rido nel vedere come Harry non riesca mai a dirle di no. Sono stata un po' stronza, lo devo ammettere, ma lui è sempre così sicuro di sé che, vederlo così in difficoltà per un banale pranzo in famiglia, mi ha portato a non essere tanto diversa da come mi ha conosciuta.

Ricordo bene come Harry ha affrontato tutti quegli investitori a Madrid, loro hanno tentato di complicargli le trattative in ogni modo, ma lui è stato in grado di fronteggiarli e risolvere ogni piccolo, o grande, problema gli ponessero pensando che un ragazzo non sarebbe stato in grado di farcela, e invece ha lasciato tutti senza parole

Mentre ora è lui quello ad essere rimasto senza parole. Credo siano passati almeno venti minuti dall'ultima volta che ha aperto bocca e allungo una mano sulla sua gamba per attirare la sua attenzione.

«Così non sei d'aiuto, piccola Stewart», mi dice lui a bassa voce, mentre muove a caso la forchetta nel piatto, spostando il cibo svogliatamente da una parte all'altra.

Credo si riferisca alle mie dita sulla sua coscia, ma non ho alcuna intenzione di spostare la mano, anzi stringo un po' di più la presa, portandomi un pezzo di carne alla bocca e masticandolo con lentezza mentre lo guardo di sottecchi, e non trattengo un sorriso quando mi accorgo che mi sta guardando con aria di sfida. Si vendicherà, questo lo so, ma suppongo che la cosa non mi dispiacerà affatto.

«E tu, Harry, che lavoro fai?» La voce di mio padre interrompe il nostro scambio di sguardi, con la coda dell'occhio vedo che lui apre la bocca per rispondere, ma mia sorella lo precede.

«Papà, lui è il mio capo... in realtà anche quello di Chloe...» Papà assottiglia lo sguardo, mentre lui resta in silenzio, in attesa della prossima domanda, che tarda ad arrivare. Harry è evidentemente a disagio mentre beve un sorso d'acqua.

«Quindi tu hai tutte e due le mie figlie sotto di te?» La sua reazione è decisamente comica, perché trattiene a fatica l'acqua che stava bevendo, mentre tenta di non soffocare dopo aver sentito la domanda decisamente ambigua di mio padre. «Va tutto bene ragazzo?», continua a provocarlo.

«Sì, mi scusi, signor Stewart...», bofonchia Harry dopo essersi ripreso, posando il bicchiere sul tavolo. «Le sue figlie sono alle dipendenze della società di mio padre, io sono un dipendente proprio come loro», gli risponde lui.

«Sei il figlio del capo con quei capelli così lunghi?» Papà non smette di punzecchiarlo, credo voglia solo metterlo alla prova, e io sono troppo incantata a guardarlo per aiutarlo, ma sono certa sappia cavarsela da solo. E, se lo aiutassi, mio padre crederebbe che lui è un rammollito, cosa che non è affatto.

«Sono il direttore della divisione investimenti...» Harry gli spiega in cosa consiste il suo lavoro e lo sento acquistare più sicurezza ad ogni parola che pronuncia, ma sembra si stia scaldando perché lo vedo sbottonare i polsini della camicia e arrotolarli lungo l'avambraccio e, nonostante siamo a tavola con i miei genitori, non posso non trovare estremamente sexy il suo gesto.

Lo sguardo di mio padre cade sulle sue braccia, poi si sposta su quelle di Zach che, malgrado le maniche lunghe della sua felpa coprano la maggior parte dei suoi tatuaggi, mostrano palesemente la presenza di inchiostro sotto la pelle.

Non gli sono mai piaciuti, ha protestato anche per i miei, e i due ragazzi seduti di fronte a lui ne hanno davvero tanti.

«Siete tutti e due scarabocchiati!», dice con tono infastidito.

«Robert!» Lo riprende subito mia madre. Zach ride, Harry no. Mamma si alza in piedi e lo fulmina con lo sguardo. «Ho bisogno di una mano con il dolce», gli dice, e il suo è chiaramente un ordine al quale mio padre sa di non potersi sottrarre, ma ci prova comunque.

«Abigail hai qui entrambe le tue figlie, perché non chiedi a loro?» Si pulisce accuratamente la bocca con il tovagliolo, che poi infila sotto al lato del piatto, e si accomoda meglio all'indietro contro lo schienale della sedia.

Mamma non risponde, lo guarda in silenzio, e lui capisce che non può ribattere. Si alza sbuffando e la segue in cucina. Rido quando restiamo soli e sento Harry imprecare sottovoce.

«Non fa ridere, piccola Stewart!», mi dice con un tono piuttosto contrariato.

«Fa decisamente ridere, Stevens!», risponde Zach per me.

«Facile per te, sembra che tu e l'armadio andiate piuttosto d'accordo», dice ancora Harry, guardando il suo amico con aria minacciosa.

«Non fare il bambino», ribatte il suo amico mentre si porta il bicchiere di vino alle labbra.

«Ascolta, te la stai cavando alla grande, non essere così nervoso...» Lui si volta a guardarmi non appena finisco di parlare e vorrei immediatamente sprofondare nei suoi occhi.

«Dici sul serio?», mi domanda incerto.

«Sì», gli sorrido e lui mi bacia all'improvviso, tenendomi ben salda con una mano dietro la nuca. Un bacio casto, fatto solo di labbra, ma incredibilmente intenso, tanto da mandare a fuoco ogni parte di me.

Si allontana appena per sussurrarmi all'orecchio «Ricordati che ho bisogno di sfogare tutto questo stress», ritorna poi nella sua posizione sorridendomi. La sua allusione è decisamente chiara e gli sorrido a mia volta, facendogli capire che sono d'accordo con lui.

Il resto del pranzo continua allo stesso modo, con papà che sforna battute pungenti - specialmente per Harry - mamma che lo rimprovera, e io e mia sorella che restiamo a goderci la scena, fino a che è proprio lei ad alzarsi da tavola, a pranzo terminato, comunicando a mamma e papà che saremmo usciti per tutto il pomeriggio.

Papà non sembra molto contento, ma è in minoranza ed è costretto a guardarci uscire, mentre lui resta a casa ad aiutare la mamma a sistemare la cucina.

Le ore del pomeriggio scorrono troppo veloci mentre passeggiamo nei luoghi dove sono cresciuta. Ci raggiungono anche Kurt e Hazel per andare tutti insieme al bar di Ryan, al quale ci fermiamo per la nostra cioccolata calda.

Ammiro Harry per tutto quello che sta facendo. Sono certa che si stia ponendo diverse domande sui posti che gli ho mostrato - sono certa lo stia facendo anche ora mentre si guarda intorno - ma non ha ancora tirato fuori l'argomento, e con argomento mi riferisco a Dylan. Non so per quale preciso motivo lo stia facendo, se sia perché non vuole farmi soffrire, o se sia perché lui stesso non vuole soffrire, ma per quanto vorrei poterlo evitare, non mi è possibile negare la presenza di Dylan in ogni luogo che ho frequentato, e lui lo sa. Non so se sarei coraggiosa come lui.

Harry e Ryan sembrano andare parecchio d'accordo, non hanno smesso di parlare da quando siamo entrati qui dentro, e la cosa mi rende felice perché tutte le persone che mi stanno intorno lo stanno accettando senza riserve, anche mio padre che, per quanto possa sembrare riluttante all'idea di un ragazzo al mio fianco, sono sicura sia piaciuto.

È ormai tempo di tornare a casa e prepararci per la cena. Salutiamo Ryan, i miei amici, e rientriamo giusto in tempo per cambiarci e andare al ristorante al quale i miei genitori hanno riservato un tavolo, proprio come fanno ogni anno. Fortunatamente i proprietari sono amici di papà, così non è stato un problema chiedere di aggiungere due posti.

Harry e Zach hanno dovuto disdire la camera d'albergo che avevano prenotato per la notte, dato che mia madre non ha voluto sentire ragioni. Ha insistito sul fatto che sono nostri ospiti e abbiamo una camera in più in cui potranno dormire. Papà ha storto il naso, ma non ha potuto fare altro che accettare la decisione di mamma.

Ci avviamo con due macchine e non posso evitare di continuare a sorridere per l'espressione nervosa di Harry. «La smetti di prendermi per il culo?», mi dice lui, poco prima di scendere dalla macchina guidata da mia sorella.

«E perché dovrei?», gli rispondo, appoggiando la testa allo schienale del sedile posteriore, sul quale entrambi siamo seduti.

Lui allunga una mano per arrivare ad infilarla tra i miei capelli, che ho lasciato sciolti, poi la sua espressione cambia in un attimo. Non è più scherzosa, né infastidita. L'unica cosa che leggo nei suoi occhi è la sua voglia di me. Si avvicina lentamente, fino a sfiorare il mio orecchio con le labbra. «Saprei esattamente come farti smettere di ridere... aspetta di tornare a Boston...», mi sussurra, in modo che possa sentire solo io e, quando si allontana per tornare a guardarmi, posso chiaramente vedere il suo sorriso soddisfatto, perché sa bene qual è l'effetto che ha su di me.

Non faccio in tempo a riprendermi per rispondergli a tono perché la voce di mia sorella ci interrompe, comunicandoci che siamo arrivati. L'auto è ferma vicino all'ingresso del ristorante, mamma e papà hanno parcheggiato poco più in là, e tutti insieme entriamo all'interno del locale mentre io cerco ancora di riprendere fiato per le parole di Harry, che ancora mi girano per la testa.

Raggiungiamo il tavolo e ci accomodiamo. L'atmosfera sembra un po' più rilassata rispetto a qualche ora fa, forse mamma ha parlato con papà e gli ha detto di smetterla con le sue domande imbarazzanti o, più semplicemente, è troppo concentrato su Reb e me per occuparsi dei nostri ragazzi scarabocchiati.

«Sono così contento che siate qui tutte e due... non potevo sperare in un regalo migliore questo Natale...», ci dice lui, con un piccolo velo di malinconia negli occhi, ma né io, né lei facciamo in tempo a rispondergli perché una voce attira l'attenzione di tutti i presenti al tavolo.

«Robert!?» Mio padre si volta nel sentirsi chiamare e sorride all'uomo in piedi accanto a lui.

«Ethan!» Lo saluta con entusiasmo. Si alza in piedi e si abbracciano dandosi un'amichevole pacca sulla spalla.

Sembrano a loro agio mentre si salutano, mentre io sembro aver subito una paralisi istantanea. Non li vedo da mesi, ma so che sono sempre rimasti in contatto con i miei genitori, io, invece, li ho tagliati fuori dalla mia vita nel momento in cui sono salita sull'aereo per Boston, e non pensavo che li avrei incontrati proprio stasera, alla presenza di Harry.

La mamma si alza per salutare i signori Peters, poi lo fa anche mia sorella, e io guardo mio padre, che mi osserva a sua volta invitandomi silenziosamente a salutarli. Allungo la mano su quella di Harry, la stringo con forza, e credo che ormai anche lui abbia capito chi siano le due persone che mi sto apprestando a salutare.

Harry ricambia la stretta, facendomi capire che è sempre al mio fianco, così mi alzo e mi avvicino a loro, ma mi accorgo che non mi ha lasciata sola, ed è proprio accanto a me mentre allungo la mano verso l'uomo che mi guarda sorridente. «Buonasera, signor Peters», lui afferra la mia mano e la stringe con forza.

«Ciao Chloe, è bello rivederti», mi dice, con un tono malinconico che mi tocca il cuore.

«Come sta?», gli domando, senza lasciare la sua mano.

«Andiamo avanti. Ti trovo bene», mi dice ancora, per poi rivolgere lo sguardo verso Harry, che non ha mai tolto la mano dalla mia schiena per tutto il tempo.

«Lui è Harry... Harry ti presento il signor Peters...», gli dico presentando i due, «il padre di Dylan». Sento un dolore nel petto mentre pronuncio il suo nome, sento tornare i sensi di colpa, ma il tutto viene alleviato dalla voce di Harry vicino a me.

«Buonasera, signor Peters, io sono Harry Stevens». Non riesco ad interpretare l'espressione di Harry. Potrebbe essere disagio o gelosia, non lo so, sono troppo fuori fase io stessa per riuscire ad interpretare quello che vedo sul suo volto, ma non sembra niente di buono.

«Ciao, Harry, è un piacere conoscerti», risponde lui, e sono assolutamente certa di aver sentito Harry bisbigliare un 'non credo', ma non faccio in tempo a chiedergli nulla, perché anche la madre di Dylan si avvicina per salutare.

«Ciao, Chloe!» Si avvicina e mi abbraccia dolcemente.

Non posso fare a meno di chiudere gli occhi e tornare mentalmente a quella sera, quando l'abbraccio di questa donna sapeva solamente di disperazione. Faccio fatica a reprimere quello che sta tornando a galla in questo momento e, se non fosse per la mano di Harry costantemente sulla mia schiena, non credo riuscirei ad affrontare tutto questo.

«Come sta, signora Peters?», le domando, quando si allontana leggermente da me.

«Avevamo detto Annie, ricordi?», mi rimprovera affettuosamente per non averla chiamata per nome, e io le sorrido tornando vicina ad Harry. Ho assolutamente bisogno di lui in questo momento e non posso far altro che tornare a ringraziare mentalmente Kurt per averlo chiamato. 

«Sì... Annie...», le dico, per poi stringere la mano di Harry.

«Ti trovo bene, Chloe, sono contenta di vederti felice». Il suo riferimento ad Harry è palese nello sguardo che gli rivolge, ma sono certa che sia sinceramente contenta per me.

«Lui è Harry», presento anche a lei il ragazzo al mio fianco, che le sorride molto più dolcemente di quanto non abbia fatto poco fa con suo marito.

«Felice di conoscerla, signora Peters», le stringe la mano, poi torna ad accarezzare la mia schiena, facendomi percepire costantemente la sua presenza al mio fianco.

I genitori di Dylan tornano a parlare con i miei mentre io resto immobile a fissare la scena che si svolge davanti ai miei occhi. Vorrei dire qualcosa, vorrei riuscire a muovermi, ma mi sento quasi sotto shock.

Poi sento la mano di Harry stringere la mia, mi sembra che abbia parlato con qualcuno dei miei, e infine mi ritrovo a camminare velocemente dietro di lui. Non so dove mi stia portando, non riesco nemmeno a rendermi conto di dove mi trovi, ma sono contenta che mi stia allontanando da lì.

Mi ritrovo improvvisamente all'esterno, dove vengo investita da un'aria gelida, poi non sento più freddo, perché le sue braccia sono intorno a me. L'abbraccio di Harry è la mia cura a tutto.

Non mi ero accorta di stare trattenendo il respiro fino a quando non ho lasciato andare l'aria che stavo tenendo imprigionata nei polmoni. Non mi ero accorta che avevo smesso di sentire i rumori circostanti fino a quando ho iniziato a sentire la voce di Harry ovattata, come se arrivasse da lontano. E non mi ero nemmeno accorta che il mio cuore stesse battendo ad un ritmo fin troppo accelerato, almeno fino a quando non ha iniziato a rallentare, nel momento in cui ho cominciato a percepire le carezze delicate di Harry sulla mia schiena.

La sua voce bassa, le sue mani che sanno esattamente come muoversi su di me, e il calore del suo corpo stretto al mio, hanno sempre l'effetto di calmare i miei attacchi di panico in brevissimo tempo.

«Sono qui, Chloe...», adesso la sua voce arriva più nitida alle mie orecchie. «Va tutto bene, sono qui...», mi stringo a lui, facendogli capire che sono tornata lucida.

Sapevo che prima o poi sarebbe successo, che li avrei incontrati, ma non avrei immaginato di avere questa reazione. Ogni volta che credo di essermi lasciata indietro il passato, questo ritorna con tutto il suo bagaglio di sofferenza, riportando a galla i ricordi di quella notte, ma stavolta il mio personale giubbotto di salvataggio è qui con me, e non mi lascia andare a fondo, tenendomi con forza.

Non so per quanto tempo restiamo in questa posizione, so soltanto che sto tornando alla realtà quando lui si allontana quel poco che gli basta per guardarmi negli occhi mantenendo le mani sul mio viso. «Ehi...», dice soltanto, con un piccolo sorriso.

«Sto bene Harry... Adesso sto bene...», gli dico, tentando di tranquillizzarlo.

«Credo sia passato troppo tempo dall'ultima volta in cui te l'ho detto...» La sua voce ha lo stesso effetto benefico di sempre.

«Detto cosa?» Ci sta riuscendo, sta allontanando da me il dolore, e lo fa semplicemente con la sua presenza.

«Che sei bellissima anche da qui». Non posso e non voglio più restare a questa distanza da lui. Per questo lo bacio, per poter attingere ancora dalla sua forza e da tutto quello che può darmi.

«Grazie, Harry», gli dico poi, restando ancora tra le sue braccia - che domani mi mancheranno incredibilmente tanto - riferendomi non soltanto a ciò che mi ha appena detto.

«Credo che dovremmo ringraziare Kurt», dice infine, tornando ad abbracciarmi, e penso che non potrei trovarmi d'accordo con lui più di così.

«Già, sarà la prima cosa che farò domani mattina...» Harry sorride carezzandomi ancora una volta i capelli, regalandomi uno degli sguardi più dolci che gli abbia mai visto.

«Torniamo dentro?» Annuisco in silenzio, poi ci rechiamo all'interno, mentre lui continua a farmi sentire la sua presenza tenendo la sua mano sulla mia schiena.

Credevo di aver fatto dei progressi, e magari li ho anche fatti, ma sembrano non essere sufficienti per riuscire a farcela da sola - non ancora almeno - ma so che lui è qui con me, stasera, e niente potrà più abbattermi.

Arrivati al nostro tavolo noto che mamma, Reb e Zach sono tornati ad occupare i loro posti. I genitori di Dylan non ci sono più e nemmeno papà, di cui chiedo subito notizie.

«Papà?», chiedo a mia madre, la quale guarda subito oltre le mie spalle.

Mi giro e lo vedo arrivare dalla stessa direzione da cui sono venuta io poco fa, ma non faccio ulteriori domande. Al momento voglio solo riuscire a passare indenne queste ore con le persone a cui tengo.

****************

Mi sono sciacquata la faccia, ho lavato i denti, ho legato i capelli e sono quasi pronta per andare a dormire.

È stata una splendida serata, se tralascio l'incontro con i signori Peters, ma non è certo colpa loro se non sono in grado di affrontarli. Il fatto è che quando li ho visti dopo tutto questo tempo, mi è sembrato di essere stata scaraventata indietro nel tempo e di venire travolta da tutto ciò che è successo quella maledetta sera.

So che nessuno m'incolpa di niente, però sono io stessa a farlo, perché il pensiero che se non fosse stato per il mio compleanno, forse Dylan non avrebbe percorso quel tratto di strada, forse non avrebbe avuto quell'incidente e forse...

Alcuni colpi alla porta della mia stanza mi fanno trasalire. Mi alzo dal bordo del letto, sul quale ero seduta quasi in stato di trance, e vado ad aprire. L'immagine davanti ai miei occhi è meravigliosa.

Harry è appoggiato con un fianco allo stipite della porta, le braccia conserte e il sorriso sulle labbra, e io non posso non restare a contemplarlo, cosa che lo fa ridere. «Resteremo così ancora per molto?», mi chiede in tono ironico.

Gli sorrido. «Vuoi entrare?», gli domando, spostandomi per lasciarlo passare.

«A dire la verità preferirei di no», mi dice, mantenendo il suo sorriso, e io lo guardo aggrottando le sopracciglia, perché la sua risposta mi ha confuso. Ero assolutamente convinta che volesse entrare in camera mia, ma il suo chiarimento non tarda ad arrivare. «Perché non vieni tu di là?», mi sta chiedendo di raggiungerlo nella camera degli ospiti e non ho intenzione di dirgli di no.

«Ok», rispondo, per poi spegnere la luce, chiudere la porta alle mie spalle, e seguirlo fino alla stanza in fondo al corridoio.

Da quando siamo tornati dal ristorante papà non ha fatto altro che tenerci d'occhio - sia me che mia sorella, ma soprattutto i due nuovi arrivati -, ma ora sembra non esserci traccia di genitori nei dintorni, quindi mi infilo di soppiatto con Harry nella camera degli ospiti, che lui chiude immediatamente dopo essere entrato.

« Zach?», chiedo voltandomi per guardarlo.

Lui mi si avvicina lentamente, mantenendo il suo splendido sorriso su quelle labbra, a cui credo di non riuscire a resistere ancora per molto. «È con tua sorella», afferma con voce bassa.

Credo di aver capito perché non ha voluto restare in camera mia. Il mio letto è sempre lo stesso da sempre e ci sono ricordi ovunque. Qui, invece, possiamo essere solo io e lui, ed è giusto così.

«Non ce l'avrei fatta stasera senza di te», gli dico, quando le sue mani arrivano sul mio viso.

«Sei molto più forte di quello che pensi, Chloe, devi solo crederci», la sua voce è sempre più bassa e io voglio solamente baciarlo e stringerlo, ma proprio quando sto per farlo, qualcuno bussa alla porta.

Harry alza gli occhi al cielo e io non riesco a trattenere un sorriso a causa dell'interruzione. Si allontana lentamente da me per avvicinarsi alla porta. «Sì?», domanda incerto.

«Sono Robert». Harry si volta immediatamente verso di me sgranando gli occhi, nei quali riesco a leggere il terrore allo stato puro.

«Merda!», mi lascio sfuggire sottovoce. Non credo mi farebbe storie se mi trovasse qui, ma forse Harry non farebbe una bella figura. La cosa migliore da fare è nascondermi. «Digli di aspettare», continuo bisbigliando.

«Un attimo!», dice Harry, sistemandosi dietro la porta.

Valuto velocemente le mie possibilità - in realtà ne ho solo una se non voglio essere vista - quindi esco dalla finestra e mi sistemo sulla sporgenza laterale della stessa.

Rido della situazione, mentre muoio di freddo, e sento la voce di mio padre farsi un po' più vicina. «Scusa se ti disturbo a quest'ora Harry...»

«Nessun problema, come vede sono ancora sveglio», la voce di Harry risulta leggermente incerta e vorrei davvero vedere la sua espressione in questo momento.

«Volevo solo... Volevo solo dirti che ho visto quello che hai fatto per lei stasera...» Adesso è la voce di mio padre ad essere malferma.

«Cosa... Cos'ha visto?», domanda Harry.

«Nessuno è mai riuscito a contenere un attacco di panico di Chloe come hai fatto tu». Sento sollievo nella voce di papà e mi do mentalmente della stupida per aver fatto preoccupare così tanto lui e la mamma.

«Non ho fatto niente...» Harry minimizza sempre i suoi meriti.

«Non so cosa ti sappia a riguardo, ma sembra che tu sia perfettamente in grado di prenderti cura di lei... Ti sei accorto prima di tutti noi che stava avendo un attacco, l'hai portata fuori e ti sono bastati meno di due minuti per calmarla...» La tentazione di rientrare nella stanza è forte, ma non voglio far fare questa figuraccia a Harry, quindi mi trattengo, però domani abbraccerò mio padre così forte che se lo ricorderà per mesi.

«Io non...» Harry imbarazzato, mi piacerebbe vederlo...

«Ecco... Io volevo solo ringraziarti e dirti che sono contento che ci sia tu al suo fianco». Sorrido un po' di più per le parole di mio padre.

«Signor Stewart io...»

«Non c'è bisogno che tu dica niente, solo... non è che potresti tagliarti i capelli?» Sono costretta a trattenere una risata per la richiesta di papà.

«Anche mio padre sta aspettando che io lo faccia, ma credo di non potervi accontentare». Riesco a percepire chiaramente quanto adesso sia più rilassato.

Mio padre ridacchia alle parole di Harry, poi sento dei passi farsi più lontani. Forse se ne sta andando.

«Ora vado...», sento il rumore della porta che si apre, «buonanotte Harry».

«Buonanotte, signor Stewart». Tiro un sospiro di sollievo.

«Ah, un'ultima cosa... buonanotte Chloe!» La voce alta di mio padre pronuncia quelle parole e il suo tono è decisamente divertito.

Non mi muovo dalla mia posizione fino a che non sento la porta richiudersi e non vedo Harry spuntare dalla finestra aperta. «Tuo padre è un segugio!», dice ridendo, mentre allunga una mano nella mia direzione per aiutarmi a rientrare.

«Potrebbe essere passato dalla mia camera prima di venire qui», gli dico, ipotizzando il motivo del perché abbia immaginato fossi in questa stanza, mentre rientro dalla finestra.

«O forse ha pensato che tenere la finestra aperta in piena notte a dicembre volesse dire qualcosa...» Il tono di Harry è palesemente ironico, ma il suo sguardo sembra cambiare non appena i nostri occhi si incrociano.

«Già». Sorrido con lui. «Allora... quand'è che ti tagli i capelli, Stevens?», gli domando, passando le dita tra le ciocche dietro al suo orecchio.

«Non credo di voler rinunciare a quello che stai facendo...» Le sue mani si posano sui miei fianchi e mi attira a sé, facendomi aderire perfettamente a lui.

Restiamo in silenzio a guardarci. Resto a guardare ogni dettaglio del suo viso. Dalla forma degli occhi, a quella del naso, dal modo in cui piega leggermente le labbra per sorridere, a come quella fossetta sembra chiamarmi a gran voce non appena spunta sulla sua guancia. Resto ad ammirare la sua espressione rilassata mentre le mie dita continuano a giocare con i suoi capelli e sono certa che qualcosa sia cambiato nei suoi occhi.

Sembra sparire tutto e non so a cosa lui stia pensando, ma sono assolutamente chiare nella mia mente due parole, semplici, precise, che stanno premendo per uscire e so che dovrei dirle adesso, ma ora che le sue labbra sono sulle mie, ora che mi sta baciando come se ne andasse della sua stessa vita, credo di aver perso quel briciolo di lucidità che mi era rimasta dopo essermi persa nei suoi occhi. 

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Capitolo 55
*** È innamorato di te ***


Alti e bassi, alti e bassi, alti e bassi, non saprei in quale altro modo descrivere i giorni che hanno seguito il Natale.

E non saprei dire se siano stati più gli alti dei bassi perché quando stavo bene c'erano solo alti. Al contrario, quando stavo male, vedevo solo bassi, e nero, e tristezza, e... disperazione.

Fino al giorno in cui Harry è stato qui, credevo di aver superato nel migliore dei modi l'incontro con i genitori di Dylan la sera della vigilia di Natale, ma quando è ripartito per Boston mi sono ritrovata a combattere i miei demoni da sola, e non ho sempre vinto.

Stare con Harry significa accantonare tutto, persino me stessa, significa lasciare che lui diventi l'aria che respiro, che diventi l'essenza stessa della mia vita, ma se questo va bene quando è con me, è totalmente controproducente quando non posso rimanere con lui, perché nel momento stesso in cui ha oltrepassato il check-in in aeroporto, mi sono sentita persa.

*

«Non voglio vederti con quella faccia». La voce di Harry ha un palese tono sarcastico e io mi sto sforzando in ogni modo di non fargli vedere quanto la sua partenza mi stia pesando.

Non voglio farlo sentire in colpa, perché è giusto che raggiunga la sua famiglia, oggi, ma il bisogno che sento di averlo con me sta diventando quasi ingestibile, ed è per questo che devo trovare un modo per non fargli capire quanto io voglia che rimanga qui.

«Mi dispiace, Stevens, ma questa è l'unica faccia che ho». Cerco di deviare la sua attenzione con una battuta che, anche se stupida, è pur sempre una battuta. Non voglio che mi veda triste o giù di morale, e il nostro rapporto fatto di ironia e sarcasmo è qualcosa che mi piace troppo per farlo diventare qualcos'altro.

«Oh no Stewart, ne fai una che mi piace molto di più...» Afferra dolcemente il mio viso tra le mani, poi si avvicina con la bocca al mio orecchio per sussurrare qualcosa. «E di solito sei sotto di me quando succede...» Le sue parole hanno il potere di far aumentare il mio battito cardiaco in un attimo.

«Harry...» Pronuncio il suo  nome con l'unico filo di voce che mi è rimasto nei polmoni, a causa di questo contatto ravvicinato, e della sua voce calda decisamente troppo vicina.

«Non dirlo più in quel modo quando siamo in mezzo alla gente» dice ancora, per poi allontanarsi e sorridermi. «Resterà tutto uguale quando tornerai, giusto?» mi domanda con un velo di incertezza negli occhi.

«Ho detto che resto, Harry... che resto con te...» Mi stringo di più a lui, che sembra diventato improvvisamente insicuro.

«Qualsiasi cosa succeda?» mi chiede ancora, guardandomi con maggiore intensità.

«Sì, Harry, qualsiasi cosa succeda». Lo rassicuro ancora e ho come l'impressione che abbia realmente timore di qualcosa... qualcosa che non è solamente la paura dell'abbandono di cui soffre. È qualcosa che lo spaventa e me ne accorgo dal fatto che ha la stessa espressione che aveva nel momento in cui abbiamo incontrato i genitori di Dylan al ristorante.

Probabilmente il fatto che io torni ai miei ricordi, ai miei sensi di colpa, o al mio passato in generale, gli fa credere che io possa avere un altro crollo emotivo e che lo abbandoni per potermi crogiolare nel mio dolore, ma non sarà così. Non adesso che i sentimenti per lui sono diventati chiari nella mia mente e nel mio cuore.

«Ok... adesso devo andare... ci vediamo a Boston, Stewart». Non mi dà modo di rispondere perché mi bacia, ed è un bacio interminabile. Mi rendo conto che in questo bacio c'è molto di più di un normale saluto, c'è molto di più in lui. Riesco a sentire quello che prova attraverso le sue mani sul mio viso, dal modo in cui le sue labbra si appropriano con forza delle mie. C'è qualcosa in Harry che non ho mai trovato in nessuno. Quando mi stringe e mi bacia in questo modo è come se sentissi di aver trovato la mia esatta metà... la mia metà perduta.

*

Mi giro su un fianco, poi mi rannicchio, tirandomi su la coperta fino al viso. Dovrei alzarmi - Kurt sta per passare a prendermi, per uscire anche con Hazel -, ma non ne ho nessuna voglia, stamattina, perché continuo a ripensare al risveglio di qualche giorno fa, quando la prima cosa che ho visto è stato il suo viso sorridente che mi augurava buon Natale.

I miei pensieri continuano a volare a Boston, ma devo restare qui ancora un paio di giorni. L'ho promesso a mia madre e non ho più intenzione di non mantenere le promesse, perché voglio far capire alle persone a cui tengo che si possono fidare di me, che non farò più loro del male.

I miei pensieri vengono interrotti da un leggero bussare alla porta della mia stanza.

«Avanti!» dico alzando la voce, per farmi sentire. Non so che ore siano di preciso, ma credo che l'ora della colazione sia già arrivata da un pezzo.

La porta si apre lentamente e ne spunta il viso allegro di mio padre. Sorrido anch'io nel vedere la sua espressione serena. Entrambi i miei genitori sono rimasti contenti del mio cambiamento rispetto ad un paio di mesi fa e ho spiegato loro a cosa - o per meglio dire a chi - è dovuta la mia positività nei confronti della vita.

«Sei sveglia» dice mio padre entrando del tutto, per poi venire a sedersi sul bordo del materasso. 

«Sì, stavo per alzarmi». Non è del tutto vero, ma non è nemmeno del tutto falso. Devo alzarmi se non voglio che Kurt mi butti giù dal letto.

«Mamma ha preparato la colazione, scendi con noi?» mi domanda, accarezzandomi un braccio da sopra la coperta.

«Ok» rispondo, per poi alzarmi e mettermi seduta mentre restiamo a guardarci come a volerci studiare. Sono certa che papà lo stia facendo con me.

«Sei sicura di non voler tornare a Boston prima del previsto?» mi domanda con un'espressione indagatrice sul volto. Ormai ha capito quanto mi manchi la mia nuova città e tutto ciò che comporta tornare lì.

«Ho promesso a mamma che sarei rimasta fino all'anno nuovo ed è così che farò» gli dico, incrociando le gambe, sorridendogli sincera.

«La mamma non se la prenderebbe se le spiegassi perché vuoi tornare prima, e nemmeno io» dice infine, con un gran sorriso che contagia anche me, al ricordo del giorno della partenza di Harry. Ricordo bene il suo discorso quando io e Reb siamo tornate a casa dopo aver accompagnato lui e Zach all'aeroporto.

*

«Credevo che foste partite anche voi!» L'esclamazione di mio padre ci arriva chiara alle orecchie nonostante lui sia in soggiorno e io e mia sorella in cucina.

Mamma alza gli occhi al cielo. «Lasciate stare, è un papà geloso...» ci dice, mentre ci sediamo con lei a prendere un tè caldo. «A me piacciono Zach e Harry» afferma lei, portandosi la tazza alle labbra.

«Oh certo!» Stavolta la voce di papà è proprio dietro le mie spalle. «Bastava vedere come li guardavi!» dice ancora, poi si siede tra Reb e mamma rivolgendosi a quest'ultima.

«Perché? Come li guardavo Robert?» domanda lei, guardandolo con entrambe le sopracciglia alzate.

«A voi donne basta vedere capelli lunghi, scarabocchi sulla pelle e non capite più niente» dice lui, chiaramente indispettito, incrociando le braccia al petto.

«Papà, mi sembrava che andassi d'accordo con Zach» dice mia sorella, posando la sua tazza di fronte a sé.

In effetti mio padre e il ragazzo di Reb non hanno fatto altro che chiacchierare e ridere per la maggior parte del tempo, quindi devo dedurre che la frecciatina sia rivolta a Harry.

«Questo non vuol dire che io sia contento che lui ti metta le sue mani addosso».

«Robert...» mamma lo riprende subito, «Zach mi sembra un ragazzo a posto e anche molto educato. E adoro il fatto che lui e Harry siano così amici, sembrano molto legati». Io e mia sorella confermiamo le parole di mamma riguardo all'amicizia che lega i due ragazzi.

«Chloe, ma perché Harry non si taglia i capelli almeno?» Cosa dovrei rispondere a mio padre? Che a Harry piace quando gli passo le dita tra i capelli mentre lo bacio? Non credo sia il caso di fare una dichiarazione del genere.

«Non sono i suoi capelli a dire che tipo di persona sia, e per quanto mi riguarda è meraviglioso con i capelli lunghi, corti o senza. È merito suo se sono tornata ad amare...» Ho gli occhi di tutta la mia famiglia puntati su di me e devo assolutamente deviare la loro attenzione da ciò che ho appena detto, perché non voglio ritrovarmi a spiegare le mie parole quando non ho ancora avuto il coraggio di confessare niente a Harry. «Sono tornata ad amare la vita, le persone, e persino me stessa, quindi, davvero papà, dagli una possibilità» gli dico, credendo in ogni singola parola che ho appena pronunciato.

«In realtà credo si sia conquistato da solo la sua possibilità» mi dice guardandomi con uno strano sorriso, e so bene che si riferisce al discorso che ha fatto con lui nella camera degli ospiti, mentre io ero appollaiata fuori dalla finestra. «E adesso voglio proprio vedere cosa mi avete regalato» dice infine, alzandosi per andare in soggiorno, dove ci sono ancora tutti i regali sotto l'albero.

*

«Non lo so, papà, e poi oggi devo uscire con Kurt e Hazel». I miei due migliori amici sono parte fondamentale della mia vita e non posso deluderli dopo aver promesso loro di trascorrere insieme l'ultimo giorno dell'anno.

«Credo che anche loro capirebbero». Si alza per lasciarmi un bacio sulla fronte. «Io scendo, ti aspetto di sotto». Lo guardo allontanarsi e uscire dalla mia stanza.

Capisco bene perché mi stia dicendo di tornare a Boston dato che, da quando Harry se n'è andato, i sorrisi più sinceri li ho fatti al telefono con lui. Soffro incredibilmente tanto a stare così lontana. Ci sono momenti in cui - soprattutto quando mi trovo da sola in camera mia - vengo sopraffatta dai ricordi, dal passato, e vorrei restare qui dentro per continuare a soffrire come credo di meritare, ma poi il telefono squilla, e torno a sorridere quando sento la sua voce, che fa la solita magia di riportarmi alla vita.

Lo fa ogni volta.

Non ho più toccato le scatole che tengo ben nascoste in fondo all'armadio, quelle contenenti tutti i ricordi di me e Dylan, perché fa ancora troppo male pensare a lui e forse lo farà sempre, ma stare in questa stanza, dove ogni cosa mi parla di noi, è difficile da gestire. Sono in una fase di precario equilibrio. Sto ritornando alla vita, ma mi sento come in bilico su un burrone e probabilmente basterebbe un alito di vento per farmi cadere di sotto, se non avessi una mano forte a cui aggrapparmi.

Decido di alzarmi, mi lavo, mi cambio velocemente, poi scendo al piano di sotto, dove mamma e papà stanno già facendo colazione. «Reb?» chiedo a mia mamma, che mi sta riempiendo la tazza di caffè nero.

«Sta ancora dormendo» risponde lei, con mezzo sorriso.

Non è molto contenta del fatto che mia sorella abbia deciso di tornare a casa domani mattina, ma non può fare niente per trattenerla qui, sa bene che ha resistito più del solito nel restare a Montréal. A mia sorella non è mai piaciuta questa città e, ora che a Boston ha Zach che l'aspetta, non resterà qui un minuto di più.

Il resto della colazione è silenzioso. Mamma è pensierosa, forse preoccupata, non saprei dirlo con precisione, perché non mi ha ancora guardato negli occhi da quando mi sono seduta a tavola, ma non voglio chiederle niente, tanto non mi direbbe nulla se sono io ad impensierirla.

«Allora domani sera esci con Kurt e Hazel?» mi domanda mamma, non appena metto in bocca l'ultimo pezzo di pancake.

«Sì» le rispondo, cercando di capire cosa le stia passando per la testa.

Abbiamo passato molto tempo insieme in questi giorni. Abbiamo fatto shopping, abbiamo cucinato e abbiamo semplicemente chiacchierato, sedute sul divano con un plaid e una tazza di cioccolata calda, a riscaldarci dalle gelide serate invernali canadesi. Ho cercato in ogni modo di mostrarle quanto io sia migliorata, per fare in modo che non sia sempre preoccupata per me, quando non mi avrà più sotto gli occhi.

«Mamma, va tutto bene?» le chiedo, per assicurarmi di non aver fatto qualcosa di sbagliato.

«Certo che va tutto bene». Non faccio in tempo a dire altro che il mio telefono si mette a suonare. 

Lo estraggo dalla tasca e il mio sorriso diventa enorme non appena leggo il suo nome sul display.

«Scusate» dico ai miei genitori - entrambi mi guardano – andando in soggiorno a rispondere.

Mi allontano e li sento parlare tra di loro a bassa voce, ma mi dirigo dritta al divano, dove mi siedo a gambe incrociate e faccio scorrere il dito sull'icona verde prima di portarlo all'orecchio.

«Ehi!» rispondo con tono allegro.

«Buongiorno, piccola Stewart!» Parla con un tono decisamente sarcastico. Gli piace un sacco prendermi in giro, e da quando è stato qui gli piace particolarmente farmi notare che sono la più piccola della famiglia e che tutti mi stanno addosso come ad un cucciolo indifeso.

Vorrei rispondergli come ho fatto l'altra volta, quando l'ho chiamato piccolo Stevens - cosa che lo ha fatto irritare notevolmente - ma oggi non ci riesco, perché la mancanza che sento mi sta stringendo alla gola.

«Ciao, Harry, sei in ufficio?» gli domando, guardando un punto indefinito di fronte a me, mentre lo immagino seduto alla sua scrivania, vestito nel suo completo elegante e, con ogni probabilità, la cravatta sottratta a Dylan.

«Signorina Stewart le ricordo che la gente lavora. Io non sono mica il favorito del dottor Jordan Stevens, e non ho diritto a tutti quei giorni di ferie che ha lei». Rido ancora per le sue parole.

«Effettivamente so che il dottor Stevens ha un debole per me, ma devo rivelarti un segreto...» gli dico per stare al suo gioco, «in realtà è il fratello di Jordan ad occupare i miei sogni...»

«Maledizione, Stewart! Quando torni?» Sorrido compiaciuta nel sentirgli usare quel tono. Sentire quanto mi desidera solo attraverso le parole, attraverso la sua voce, è qualcosa di assolutamente appagante per me.

«Un paio di giorni, Harry». Anche se, a dire la verità, vorrei già essere lì in questo preciso momento. 

«Arthur, devi bussare! ...» gli sento dire subito dopo. «No che non l'hai fatto, altrimenti avrei sentito!» Credo se la stia prendendo con quel povero ragazzo che cerca sempre di compiacerlo. Sono sicura che abbia bussato, ma Harry era troppo preso dalla nostra telefonata per prestare attenzione a qualcuno che stava bussando alla porta del suo ufficio. «Ti chiamo io quando ho finito, Alfred». Alzo gli occhi al cielo e sorrido, mentre sento come si rivolge al suo collega. «Perché quel ragazzo non mi ascolta mai!?»

«Cerca solo di compiacerti, Harry» gli dico, pensando a quel poveretto che gli corre dietro ogni volta che lo vede, solo per farsi notare da lui.

«L'unica che dovrebbe compiacermi sei tu. Quindi torna e rispolvera un po' di spagnolo se vuoi mantenere il suo posto di lavoro». Il suo tono è volutamente provocatorio, ma la cosa non mi dispiace affatto. Mi manca ogni cosa di lui e non è l'unico a non vedere l'ora che arrivi il momento del mio rientro a Boston.

«Mi mancavano le tue molestie sul lavoro» rispondo con lo stesso tono, perché voglio che capisca quanto anche io senta il bisogno di lui.

«A me manchi tu, Chloe...» L'atmosfera è cambiata. Da scherzosa è diventata incredibilmente profonda e intensa, proprio come ogni cosa che lo riguarda.  «Mi manchi fottutamente tanto». Resto senza fiato, senza parole, con unicamente la voglia di correre da lui.

«Harry... io...»

«Mi dispiace, non dovevo dirlo...» Mi interrompe prima che possa terminare la frase. Credo stia pensando che le sue parole mi facciano sentire in colpa e, anche se è così, non sarebbe cambiato molto per me, dal momento che anche lui mi manca come l'aria quando stai per annegare.

«Due giorni, Harry» gli dico poi, tentando di tirare su il morale di entrambi.

«Due giorni» ripete lui, «non uno di più, signorina Stewart» Non credevo sarebbe stato così difficile stare lontani, né per me, né per lui, ma evidentemente mi sbagliavo, perché nessuno dei due riesce a fare a meno dell'altro.

«Non uno di più». E, la mia, è chiaramente una promessa.

«Devo andare adesso, il tuo capo è appena entrato nel mio ufficio». Sorrido alla sua affermazione, perché sono certa che stia parlando di suo fratello.

«Salutami Jordan». Mi lascio andare all'indietro contro lo schienale del divano, appoggiando la testa per restare a fissare il soffitto.

«E tu salutami i tuoi, soprattutto l'armadio». Scoppio a ridere alle sue parole. Si sente ancora in soggezione con mio padre, ma non lo biasimo, dato che per tutto il tempo non ha fatto altro che fare battute e frecciatine sui suoi capelli o sui suoi tatuaggi. Sono certa, però, che Harry gli piaccia.

«D'accordo, buona giornata, Harry». Ci salutiamo, giusto in tempo per sentire suonare il citofono.

Mi alzo di corsa dal divano e vado ad aprire al mio migliore amico con un enorme sorriso sulle labbra.

«Scommetto che eri al telefono con lui» dice Kurt, osservando la mia espressione radiosa.

«È così ovvio?» gli domando, chiudendo la porta alle sue spalle dopo averlo fatto entrare.

«Direi di sì, dato che hai ancora il cellulare in mano e gli occhi a cuoricino, per non parlare del fatto che intorno a te sembrano fiorire arcobaleni» dice dirigendosi in cucina, e io non posso nemmeno contraddirlo perché ha ragione. «Buongiorno a tutti!» Kurt saluta i miei non appena entra nella stanza in cui i miei sono ancora seduti a tavola.

«Ciao tesoro, hai fatto colazione? Posso offrirti qualcosa?» Mamma pende sempre dalle sue labbra, ma è praticamente impossibile non amare Kurt.

«No, grazie, mamma stamattina mi ha rifilato tutti gli avanzi dei giorni scorsi, credo di non poter mangiare più di così». Mia madre ridacchia e mio padre finisce il suo caffè, poi va con Kurt in soggiorno mentre io salgo al piano superiore per cambiarmi.

Recupero un paio di jeans e un maglione, ma devo fermarmi sulla porta perché, quando sto per uscire dalla mia stanza, mi rendo conto che mia madre è proprio lì ferma, sulla soglia, con un sorriso insicuro sulle labbra.

«Mamma!» esclamo, sorpresa per essermela trovata di fronte all'improvviso.

«Mi piace Harry» mi dice, senza che io le abbia chiesto niente.

Non so cosa rispondere, mi ha presa alla sprovvista, e resto in piedi a guardarla senza proferire parola.

Mamma è stata quella che più si è colpevolizzata per il mio comportamento nel passato. Ha sempre detto che lei, più di chiunque altro, avrebbe dovuto accorgersi del mio malessere, e non si è mai perdonata per non aver capito quanto fossi davvero logorata dalla morte di Dylan.

Ovviamente non è colpa sua. Ero diventata molto brava a far finta di niente, a far credere a tutti che stavo meglio solo per poter riconquistare la loro fiducia, ed è stato un caso se Kurt è arrivato in tempo a salvarmi la vita per la seconda volta, un puro e semplice caso.

«Sei innamorata di lui?» Non credo sia una vera domanda.

«Me lo stai chiedendo veramente?» domando a mia volta. Non voglio rispondere, perché non è lei la prima persona a cui voglio dirlo.

«Anche lui è innamorato di te» afferma sicura di sé. «E non dirmi che non te ne sei accorta, perché è chiaro come il sole quello che prova». Resto in silenzio, senza sapere bene cosa dire.

È davvero così evidente ciò che proviamo l'uno per l'altra?

«Mamma...» dico incerta, in realtà non so bene cosa dire dopo le sue affermazioni e resto a guardarla mentre mi si avvicina.

«Chloe...» poggia le sue mani sulle mie spalle, e riesco a vedere nei suoi occhi lucidi quante emozioni la stanno attraversando in questo momento, «voglio solo dirti quanto sia felice di vederti così serena e quanto io sia grata a quel ragazzo che ti ha fatto perdere la testa». Le sorrido anch'io, proprio come sta facendo lei con me.

«Harry è davvero meraviglioso, mamma... forse è stato Dylan a metterlo sulla mia strada o forse no, ma quando sto con lui mi sembra di poter fare qualsiasi cosa». Mi sento assolutamente invincibile accanto a lui. «Lo sai che il giorno prima di venire qui mi ha fatto fare un giro sulla sua moto?» Mamma sbarra gli occhi totalmente incredula.

«Stai scherzando?» mi domanda.

«Non scherzerei mai su una cosa del genere. Harry è riuscito dove i medici hanno fallito». Non incolpo i medici che mi hanno seguita, di non essere riusciti nel loro lavoro perché, con ogni probabilità, ero io a non voler essere aiutata, ma quando Harry è entrato nella mia vita tutto è cambiato, e non potrei esserne più felice di così.

«Oh, Chloe... se non è amore questo, allora non so proprio cosa sia». Poi mi abbraccia con tenerezza e riesco a sentire tutta la sua sofferenza nella forza che mette per stringermi. Mi ritrovo a ricambiare mentre tengo ancora in mano gli indumenti che avevo preso per cambiarmi, ma non la lascio andare. Mamma ha sofferto davvero tanto a causa mia, quindi ho intenzione di lasciarle prendere ogni minuto che ritiene opportuno fino a che resterò qui. «Ti lascio andare adesso» afferma, allontanandosi da me.

«Ceno a casa stasera» le dico, prima che esca del tutto dalla mia stanza.

«D'accordo» risponde lei, con ancora gli occhi lucidi.

Sono una figlia orribile per tutti i problemi che ho causato ai miei genitori, ma spero di essere ancora in tempo per rimediare ai miei sbagli.

***************

Mi fanno male i piedi.

Stiamo uscendo da quello che credo sia il centesimo negozio della giornata.

Kurt e Hazel sembrano impazziti, come se volessero recuperare in un'unica giornata i mesi della mia assenza da Montréal. Abbiamo fatto tappa in ogni negozio della città sotterranea, abbiamo pranzato, ma sembrano non essere mai stanchi.

«Possiamo fermarci dieci minuti?» chiedo a nessuno in particolare.

I miei due amici, che mi camminano accanto, si fermano e si voltano a guardarmi come se fossi un'aliena venuta dallo spazio che non ha mai fatto shopping in vita sua.

«Ok...» risponde Kurt, con un tono vagamente scocciato, «restate qui, torno subito» dice a me e a Hazel, che lo guardiamo allontanarsi in direzione dei servizi pubblici.

Alzo lo sguardo e non posso non sorridere malinconicamente nel soffermarmi a guardare l'enorme albero di Natale, che arriva quasi ai lucernari che danno all'esterno. L'anno scorso ero qui con Dylan, ora di lui ho solo questa catenina che stringo tra le dita.

«Sei riuscita ieri ad andare a trovarlo?» mi domanda la mia migliore amica, distogliendomi dai miei ricordi.

Abbasso lo sguardo e la guardo negli occhi pieni di speranza. Ho detto loro che avrei provato ogni giorno ad andare sulla lapide di Dylan, ma non ci sono ancora riuscita.

«No» le rispondo, ripensando a ieri pomeriggio quando ci sono andata con Kurt.

*

Tengo stretta la sua mano, il mio migliore amico stringe la mia, ma non c'è modo che i miei piedi si muovano per portarmi poco più avanti. Sono immobile, vicino alla foto di nonna Jewel, ed è come se davanti a me ci fosse un muro invisibile che non riesco ad abbattere.

«Kurty... non ci riesco...» gli dico, dopo essermi arresa per l'ennesima volta.

«Non importa, ci riproverai ancora» mi dice lui, con tono comprensivo.

«E se non ci riuscissi mai?» gli chiedo, turbata dall'idea che potrei non superare mai questo blocco che mi impedisce di dirgli addio.

«Ci riuscirai, ne sono sicuro. Devi solo aspettare il momento giusto». Lui e Hazel hanno la pazienza di accompagnarmi in questo cammino, che però si ferma sempre in questo punto.

«Il fatto è che mi sento come se volessi mettere un punto al mio passato, come se volessi accantonare tutto per vivere ciò che ho adesso». I sensi di colpa nei confronti di Dylan non sono mai spariti del tutto e, da quando sono tornata a Montréal, ad ogni giorno che passa, si fanno sempre più pressanti, e io ho paura di non riuscire a gestire la cosa senza Harry.

«Piccola Cleo... hai abbastanza amore nel tuo cuore per tutti. Andare avanti non vuol dire necessariamente dimenticare chi sei stata e tutto il resto...» Parlare con Kurt è liberatorio e lui centra sempre il punto.

Mi volto a guardarlo con un gran sorriso. «Torniamo domani con Hazel?» gli chiedo, e lui annuisce sorridendo per poi stringermi nel suo abbraccio, nel quale mi lascio cullare.

*

«E come hai trovato Kurt?» mi domanda Hazel, riportandomi alla realtà.

«Un po' nervoso, a dire la verità» le confesso, mentre osservo la sua espressione. «C'è qualcosa che non so?» le domando, cercando di capire se mi stiano nascondendo qualcosa.

«Non che io sappia, ma è da un po' di giorni che lo trovo strano, come se ci fosse qualcosa che lo preoccupa. Magari mi sbaglio...» dice lei con tono vago.

«Forse hai ragione» le rispondo, ricordando qualche episodio dei giorni precedenti.

Kurt è scostante: in alcuni momenti è assolutamente allegro e spensierato, in altri, invece, sembra estraniarsi dal mondo.

«Sarebbe troppo strano se si fosse preso una cotta per Harry?» mi domanda ,con una strana espressione sul viso.

«Una cotta per Harry?» le chiedo dubbiosa.

«Sì, prima che tu tornassi a Montréal mi è capitato più di una volta di parlare di te con Kurt, del fatto che finalmente sembra andare tutto per il meglio e lui ha sempre concordato con me, ma quando parliamo specificatamente di Harry, sembra cambiare umore. Le prime volte ho pensato che fosse preoccupato per te, che si preoccupasse che Harry ti facesse soffrire, ma negli ultimi giorni mi sembra che ci sia qualcosa di diverso». Mi stringo nelle spalle, mentre ascolto le sue parole, e penso che ho già trascurato il mio migliore amico una volta senza rendermi conto di quanto soffrisse. Non voglio che succeda di nuovo, quindi scoprirò quello che gli succede, e lo farò oggi stesso.

«Lo sapremo presto» le dico, osservando Kurt che cammina verso di noi.

Sorride tranquillo e sembra che niente stia turbando i suoi pensieri, ma voglio esserne sicura. Mi volto per un attimo a guardare Hazel, che capisce al volo le mie intenzioni. Entrambe lo affianchiamo e lo prendiamo sotto braccio. Lui guarda prima lei, poi me, e infine alza gli occhi al cielo.

«Che succede?» ci domanda con un tono divertito.

«Kurty c'è qualcosa che vuoi dirci?» gli domando, ed è chiarissimo il cambio di espressione sul suo viso, ma dura decisamente troppo poco perché io riesca ad interpretarlo.

«Riguardo cosa?» chiede cauto.

«Riguardo Harry...» gli dico, mentre cerco di capire cosa gli stia passando per la testa. È evidente che ci sia qualcosa che non va perché la sua espressione si fa più cupa, ma non posso credere che si tratti dell'ipotesi di cui mi ha parlato Hazel. L'unica mia possibilità è chiederglielo direttamente. «Hai una cotta per Harry?» Lui si volta di scatto e mi osserva corrugando le sopracciglia, poi, improvvisamente, scoppia a ridere.

«Una cotta per Harry? Ma come ti viene in mente?» dice. Il mio sguardo va dal suo a quello di Hazel e non sono ancora convinta della sua risposta. «Non che non sia un figo assurdo, ma qui l'unica che ha una cotta colossale per Harry sei tu, anzi, sai che ti dico? Dovresti tornare a Boston, prima di subito». Le sue parole non mi convincono, come neanche il suo tono di voce, ma quello che ha detto è vero, anche se mi ha dato l'impressione che abbia tentato di svicolare il discorso.

«Non posso tornare a Boston, ho promesso a mia madre che sarei rimasta altri due giorni». Per quanto Harry mi manchi, non posso mancare ad una promessa.

«Credo che tua madre capirebbe e poi sei così noiosa quando lui non c'è!» Kurt alza entrambe le braccia per posarle sulle mie spalle e quelle di Hazel, poi ci stringe a sé dolcemente.

«Non sono noiosa!» mi lamento, ma anche la mia migliore amica si mette a dargli man forte.

Non so bene cosa dovrei fare. Kurt ha sicuramente evitato di approfondire il discorso deviando l'attenzione da lui a me, e il pensiero di tornare a Boston, adesso, è l'unico che occupa la mia testa. 

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Capitolo 56
*** Che succede Harry? ***


Di tutte le volte che ho preparato la mia valigia a tempo di record, questo è il record più record di tutti. Ho passato nella maniera più intensa possibile ogni momento qui a Montréal, sia con i miei genitori che con i miei amici. Sono stata tutti i giorni al cimitero e, nonostante non sia riuscita ad andare sulla tomba di Dylan, non posso e non voglio più rimandare oltre la mia permanenza in questa città.

Ho parlato con Kurt e Hazel, entrambi d'accordo a rispedirmi a Boston il più velocemente possibile, poi ho chiarito anche con i miei genitori. Mio padre è stato il primo a dirmi che avrei dovuto tornare indietro, perché si è reso conto di quanto stare lontana da quello che sono riuscita a conquistare in questi mesi mi stesse facendo male, e mia madre, anche se a malincuore, ha detto le stesse cose.

Mi ha confessato che è stata sul punto di dirmi di tornare a Boston più volte, ma il fatto di avermi di nuovo con lei e vedermi sorridere in maniera sincera, le impediva di lasciarmi andare. Non la biasimo per questo, so quanto ha sofferto per me, e non avrei voluto andarmene prima di quanto avevo programmato, se anche lei non avesse insistito così tanto.

Così mi sono ritrovata a spostare la data del volo di ritorno. Fortunatamente ho trovato posto nello stesso volo prenotato da Reb – non abbiamo i posti vicini, ma non importa.

Ho chiuso di nuovo quelle scatole in fondo all'armadio, quelle che contengono ciò che riguarda me e Dylan, ho recuperato le poche cose che avevo portato con me, ho sistemato il filo di lucine che Harry e Zach non sono riusciti a piazzare, e ho preso anche il piccolo regalo che ho comprato per Harry. Avevamo detto nessun regalo in una delle nostre serate a casa sua, ma non ho potuto resistere: quando l'ho visto ho dovuto assolutamente comprarlo.

Mamma, papà e Reb non fanno altro che parlare durante il tragitto per l'aeroporto, mentre io non riesco a dire nemmeno una parola. L'unica cosa che faccio è sorridere, al pensiero che tra poche ore sarò di nuovo con lui. Arriviamo a destinazione e scendo non appena la macchina si ferma, recupero il mio trolley dal bagagliaio e mi raggiungono immediatamente Kurt e Hazel, che ci hanno seguito con la loro macchina per potermi salutare.

«Mi dispiace che tu vada già via, ma sono contenta che torni da lui» dice la mia migliore amica ,prendendomi sotto braccio quando mi affianca.

Ha un meraviglioso sorriso, decisamente felice. Per Natale le ho regalato una foto di noi tre: tra quelle che abbiamo fatto quando sono venuti a trovarmi a Boston, ho scelto una di quelle più stupide, con le bocche sporche di cioccolata dopo aver assaggiato l'impasto della sua torta. Le sono venuti gli occhi lucidi nel guardare la nostra immagine e ha contagiato anche me, tanto che Kurt ci ha preso in giro per le nostre lacrime da femminucce.

«Ti aspetto a Boston, Hazel, promettimi che verrai». Mi sento in colpa a lasciarli un'altra volta e già mi mancano, anche se il suo braccio è ancora sotto al mio.

«Puoi scommetterci che verrò, non vedo l'ora di conoscere Jordan» e mi fa l'occhiolino. Le ho parlato tanto di lui e sono sicura che andrebbero d'accordo, potrei presentargliela e scoprire che anche io non sono male come Cupido.

«Per me niente, vero?» Si lamenta Kurt, piazzandosi dal lato opposto della mia amica mentre camminiamo verso l'ingresso dell'aeroporto, con il resto della mia famiglia alle mie spalle.

Lo prendo sottobraccio e vorrei tanto portarlo con me. L'ho visto strano in questi giorni e, nonostante lui si ostini a negarlo, sono sicura che ci sia qualcosa che lo preoccupa. Gliel'ho letto negli occhi, e forse ha ragione Hazel quando dice che potrebbe avere una cotta per Harry, perché ogni volta che parlavo di lui, il mio migliore amico sembrava voler cambiare argomento, a volte invece non partecipava affatto alla conversazione, estraniandosi del tutto.

«Per te io ci sono e sai che puoi parlarmi di tutto quello che vuoi, vero? Non voglio più commettere lo stesso errore» gli dico, tentando per l'ennesima volta di farmi dire cosa lo stia turbando, perché sono assolutamente sicura che qualcosa gli stia passando per la testa e che non sia niente di piacevole.

«Lo so, piccola Cleo, so che hai imparato la lezione, ma davvero... non... voglio solo che pensi al tuo rientro e a goderti ogni momento con Harry. Lui è la scelta migliore che potessi fare, non dimenticarlo mai questo» afferma con un tono di voce fin troppo serio.

Non voglio insistere per il momento, ma adesso è più che ovvio che il suo problema riguardi Harry, in qualche modo che ancora non riesco a comprendere. Forse non è una cotta, forse è solo preoccupazione nei miei confronti, o forse lui vede qualcosa che io non vedo, ma al momento non posso chiedergli altro, dato che siamo ormai arrivati alla zona del check-in.

«Kurty lo sai che ti devo tutto, voglio solo che tu sappia che puoi parlare con me in qualsiasi momento, anche in piena notte, se ti andasse di farlo» gli dico, facendogli capire che sono a sua totale disposizione in qualsiasi momento abbia bisogno di me. Kurt mi ha salvato la vita, per due volte, il minimo che possa fare è stare ad ascoltarlo.

«Lo so, adesso voglio che pensi solo a lui e a quanto ha fatto per te. Voglio che ti concentri su tutto quello che è migliorato nella tua vita da quando c'è Harry... promettimi che lo farai...» Sento l'angoscia nella sua voce e non posso fare altro che abbracciarlo, forte, sperando di riuscire a trasmettergli quanto mi mancherà.

«E tu promettimi che mi chiamerai» gli dico, restando ancora stretta tra le sue braccia.

«Lo farò, piccola Cleo». Non sembra molto convinto di ciò che ha appena detto, ma quando si allontana vedo i suoi occhi lucidi, e non voglio andare via con negli occhi l'immagine di lui che piange, perciò non insisto, gli lascio un bacio sulla guancia e mi rivolgo poi a Hazel abbracciando anche lei.

«Tienilo d'occhio per me» le sussurro all'orecchio, quando la saluto.

«Puoi scommetterci. Ti chiamo se dovessi avere qualche novità, ora pensa al tuo Harry» mi dice ancora, sorridendomi con immenso affetto.

Mi allontano da loro per dedicarmi ai miei genitori. Papà è il primo che mi abbraccia. «Quel ragazzo mi piace, ma vedi se riesci a fargli tagliare i capelli» rido per l'affermazione di mio padre. Non gli sono mai piaciuti i capelli lunghi, ma non sarò certo io a convincere Harry a tagliarli.

«Sai che non lo farò, vero?» gli sorrido, lui sorride a me, e in realtà, in questo momento, non importa a nessuno dei capelli di Harry, quello che conta è che mio padre sappia che sono felice.

«Lo farò io la prossima volta che verrà qui» rido con lui, lo abbraccio ancora una volta, poi mi avvicino a mia madre che sta ormai praticamente piangendo.

«Mamma...» le dico, guardandola bene negli occhi.

«Mi ero ripromessa di non piangere, ma non ci riesco, scusami...» dice quasi mortificata.

«Non devi scusarti» poi l'abbraccio e fatico a trattenere una lacrima, ma non voglio che mi veda piangere, voglio solo che mi veda sorridere.

Il nostro abbraccio dura più del solito, ma come è successo quando sono arrivata, anche ora, al momento della partenza, la lascio abbracciarmi tutto il tempo che vuole; ho un sacco di errori a cui porre rimedio, e averle negato il mio affetto è uno dei primi a cui posso trovare una soluzione.

Si allontana, poi si asciuga gli occhi cercando di darsi un contegno e mi sorride. «Ricordati di avvisare quando arrivate e ricordati di non prendere impegni per quando io e tuo padre rinnoveremo le promesse, e... e cerca di essere sempre così sorridente...» Le sorrido ancora, poi le lascio un bacio sulla guancia.

«Chloe, dobbiamo andare». Mia sorella mi richiama attirando l'attenzione di tutti. Ultimi baci e abbracci, poi io e Reb ci avviamo oltre il check-in, mentre sulle mie labbra va stampandosi un sorriso che la dice lunga su quanto io sia contenta di rientrare a Boston.

************

Quando sono atterrata per la prima volta in questa città, il mio cuore era devastato, la mia mente annebbiata dal dolore e le ferite sembravano non potersi rimarginare, poi, vicino al nastro trasportatore dei bagagli, ho incontrato per la prima volta Dylan Evans, così somigliante al mio Dylan che per un attimo mi è sembrato lui.

Ho pensato fosse uno strano scherzo del destino e che non l'avrei mai più rivisto, dopotutto Boston non è una piccola città in cui tutti si conoscono, e non avrei potuto immaginare che di lì a poco avrei conosciuto il suo capo, nonché capo di mia sorella, nonché l'unico ragazzo in grado di prendersi ogni parte di me, cuore, corpo, mente, e anima.

Non ha chiesto il permesso per entrare nella mia vita, come non l'ha fatto quando mi ha baciata la prima volta, ma sono straordinariamente felice che l'abbia fatto.

«Eccolo lì!» La voce di mia sorella mi riscuote dai miei pensieri.

Siamo agli arrivi e c'è Zach ad aspettarci. Gli ho chiesto di non dire niente a Harry del mio rientro anticipato e le sue testuali parole sono state "mi dispiace solo non poter vedere sparire la sua faccia depressa quanto ti vedrà", al che non ho potuto trattenere un sorriso. Non mi fa piacere sapere che lui fosse giù di morale in mia assenza, ma venire a conoscenza che non fosse particolarmente felice durante questo periodo, mi fa pensare che gli mancassi parecchio, e la cosa mi fa ben sperare per quanto ho da dirgli.

Resto per un attimo in disparte mentre i due piccioncini si salutano, poi mia sorella si ricorda che ci sono anch'io, Zach mi saluta e li seguo fino alla macchina.

Lascio parlare loro due per tutto il tragitto, io ho bisogno di concentrarmi su me stessa. Ho cercato di lasciare a Montréal i miei demoni, ma alcuni riescono a seguirmi ovunque io vada, solo che oggi non voglio che succeda niente, perché Harry è la mia priorità.

Voglio fargli capire quanto mi è mancato, voglio farlo sentire al primo posto perché voglio che sappia quanto è importante per me. Da dopo l'incidente non ho mai permesso a nessuno di entrare nella mia vita, nemmeno a lui, ma Harry è stato in grado di conquistarsi ogni centimetro, ogni secondo, ogni pensiero, e ora sono decisamente felice che l'abbia fatto.

«Siamo arrivati». La voce di Zach mi riporta alla realtà e mi rendo conto che l'auto è ferma davanti alla palazzina dove abita Harry. Mi hanno accompagnato fino a qui, loro due andranno da qualche parte, presumibilmente a casa di Zach. «Dovrai suonare più volte per farti aprire perché gli ho detto che sarei passato da lui, quindi, pensando che sia io, non ti aprirà, non subito almeno». Zach sembra decisamente divertito dalle sue stesse parole.

«Ok, ci sentiamo, ciao ragazzi». Saluto entrambi e scendo.

Resto per un attimo ferma a guardarli allontanarsi, poi recupero il cellulare dalla tasca e mando un messaggio a mamma, e uno in chat per Kurt e Hazel per avvisare che è tutto ok, e infine mi intrufolo nel portone lasciato aperto e salgo lentamente le rampe di scale dei tre piani fino al suo pianerottolo, trascinandomi dietro il mio trolley.

C'è solo la porta a dividermi da lui e mi sento agitata. Non vedo l'ora di vederlo, ma allo stesso tempo inizio a pensare che forse avrei dovuto avvisarlo, che forse non avrei dovuto presentarmi così alla sua porta... E se fosse impegnato? Non dico che debba essere per forza con un'altra - anche se non mi tolgo dalla testa quella Jessica - ma potrebbe essere stanco o voler stare da solo...

Smettila con queste stupide e inutili paranoie, bussa a quella porta!

Sospiro a questo pensiero, poi alzo la mano destra e do qualche colpo alla porta e resto in attesa, ma c'è solo silenzio. Zach mi ha detto che l'avrei trovato a casa, quindi riprovo con maggiore forza, però non ottengo niente di diverso.

Riprovo ancora, stavolta con maggiore energia e non posso evitare di ridere quando sento la sua voce alta. «Va via Zach, ti ho detto che non mi va di uscire». Non rispondo e busso ancora. «Mason, torna a casa!» Il suo tono di voce scontroso mi porterebbe a farmi riconoscere, ma la voglia di vedere la sua espressione quando aprirà la porta è troppo alta, quindi insisto. «Cazzo Zach...» Poi la porta si apre, si spalanca, il tempo si ferma, il mio respiro anche.

È meravigliosamente bello, a piedi nudi, con un paio di pantaloni della tuta, senza maglietta, mentre i miei occhi divorano ogni centimetro di pelle scoperta. I suoi occhi sono sbarrati e mi guarda come se non fossi realmente qui. Anche lui è fermo, immobile, incredulo, con la mano ancora sulla porta d'ingresso, poi finalmente riesco a sorridere ed è come se, così facendo, permettessi anche a lui di riprendersi.

In un attimo mi ritrovo tra le sue braccia, stretta al suo petto. Le mie mani sulla sua schiena nuda dove percepisco chiaramente il calore del suo corpo. Chiudo gli occhi appoggiando il volto alla sua spalla e inspiro il suo profumo, beandomi di questo momento in cui non ci siamo altri che noi due.

«Chloe...» dice, allontanandosi leggermente per potermi guardare negli occhi.

«Ciao» riesco a dire, mentre mi sento esplodere di gioia.

«Ciao? Mi fai prendere un colpo e mi sai dire solo ciao?» Il suo sorriso si fa più ampio, mostrando chiaramente le sue fossette. Lui è felice di vedermi e io lo sono ancora di più.

«Sorpresa!?» Le mie mani sono rimaste sul suo petto e non posso dire quanto io adori questo contatto così ravvicinato.

«Sei pessima, Stewart... Pessima, ma non immagini quanto sia felice di vederti» e non posso rispondere perché preme con forza le sue labbra sulle mie, poi mi stringe a sé e io, in questo bacio, lascio andare tutte le mie ansie, tutte le mie paure, che si trasformano immediatamente in scariche elettriche che mi percorrono la spina dorsale per poi arrivare in ogni parte del mio corpo. «Forse è meglio se entriamo...» dice infine a bassa voce, ancora sulle mie labbra.

Con la sua mano appoggiata alla base della mia schiena, entriamo nel suo appartamento dove niente è cambiato - a parte il disordine che regna sovrano. Ci sono un paio di cartoni della pizza accartocciati sul ripiano della cucina, un paio di bottiglie di birra vuote dentro al lavandino, una felpa abbandonata su una sedia, un paio di calzini sul pavimento vicino al divano e altre cose, che lui non mi permette di notare perché mi ritrovo con le spalle contro la porta, intrappolata dal suo corpo mentre le sue labbra tornano ad impossessarsi delle mie con maggiore foga. Le nostre mani ovunque e la mente che si svuota.

Tutto sta tornando al suo posto e il mio cuore sta riprendendo nuove energie. Torna a farsi sentire la sensazione di felicità che mi accompagna sempre quando sono tra le sue braccia.

«Non mi chiedi neanche come mai sono già di ritorno?» gli domando, quando mi permette di prendere fiato.

Avrei dovuto tornare tra un paio di giorni perché avevo promesso a mia madre che sarei rimasta con loro fino all'anno nuovo, ma tutti si sono resi conto di quanto avessi bisogno di tornare da Harry, e non li ringrazierò mai abbastanza per avermi dato la possibilità di essere qui.

«Non m'importa il perché, Chloe... Sei qui...» Le sue mani mi bloccano il viso, come se volesse fare in modo che il mio sguardo sia solo per lui.

Ogni volta che è così dolce, è il momento in cui il suo lato fragile viene fuori. Ed è anche il momento in cui ha più bisogno di essere rassicurato. Dice di aver superato le sue perdite, ma sono sicura che non l'abbia ancora fatto perché, quando nei suoi occhi c'è quel velo di timore, so che è ancora insicuro, e non lo biasimo per questo, anzi, voglio solo continuare a confermargli quanto io voglia restare con lui, al suo fianco.

«E resto qui» gli dico, sapendo bene che ciò che mi aspetta, adesso, è un altro assalto delle sue labbra, che non tardano ad arrivare sulle mie, ancora più prepotenti, ancora più bisognose, alle quali non ho alcuna intenzione di negarmi.

*************

Ad occhio e croce sono passate circa dodici ore dal mio ultimo pasto di stamattina – una colazione degna di un sultano arabo, forse mia madre pensava che stessi partendo per la guerra – e inizio a sentire i primi morsi della fame nei piccoli brontolii che il mio stomaco sta facendo sentire nel silenzio della stanza.

Harry si muove appena, sistemandosi meglio con la schiena, per poi stringermi un po' di più, facendo aderire meglio la mia schiena nuda al suo petto, sotto le lenzuola del suo letto, per poi posarmi una mano sulla pancia.

«Hai fame, Stewart?» mi chiede parlando piano, direttamente al mio orecchio.

«Non so mai cosa risponderti a questa domanda, Stevens» rispondo sorridendo, per le sue continue allusioni al tipo di fame che intende.

«Tu rispondi sempre sì e vedrai che non puoi sbagliare». L'ironia nella sua voce mi porta a sorridere, ma è la cosa che mi viene meglio da quando l'ho rivisto.

Ho sorriso per la sua espressione più che sorpresa, ho sorriso quando è inciampato sulle sue scarpe lasciate in mezzo alla stanza mentre camminavamo alla cieca diretti nella sua camera da letto, e continuo a sorridere perché mi sento a posto, al mio posto, con lui.

Ha iniziato di nuovo a nevicare intensamente, credo che di questo passo, entro sera, sarà tutto bianco e probabilmente le strade diventeranno impraticabili. «Non hai organizzato niente per stasera?» gli chiedo, pensando che oggi è l'ultimo giorno dell'anno e forse lui e i suoi amici avevano in programma qualcosa.

«Qualsiasi cosa abbia organizzato l'ho dimenticata. Ho intenzione di sfamarti, quindi non ti muoverai da qui» sorrido ancora, mi verrà una paresi al volto, ma non importa perché sono felice.

Mi volto su un fianco per poterlo guardare. Il suo sorriso furbo è ancora lì, sulle sue labbra. Appoggio la mano sinistra sul suo torace mentre l'altra la porto sul suo viso. «Intendi dire che hai imparato a cucinare?» gli domando, curiosa di sapere cosa risponderà.

«Intendo dire che so soddisfare la tua fame» afferma sicuro di sé, lasciandomi un altro bacio sulle labbra.

Alzo gli occhi al cielo alle sue parole, ma continuo a sorridere. «Quindi il mio acquisto non è stato sbagliato...» dico, per poi lasciare la frase in sospeso.

«Quale acquisto?» mi chiede piuttosto interessato.

«Ti ho preso una cosa prima di partire». Aggrotta le sopracciglia leggermente confuso.

«Chloe avevamo detto niente regali...» Il suo sguardo è cambiato, sembra quasi turbato da ciò che ho appena detto, ma forse mi sbaglio.

«Lo so, ma non è niente di che, è solo una cosa stupida» gli dico, pensando a cosa gli ho comprato. Non volevo metterlo a disagio per il fatto di avergli comprato un regalo di Natale mentre lui non l'ha fatto. «Non è proprio un regalo... è solo una cosa che volevo tu avessi...» i suoi lineamenti sembrano rilassarsi «vado a prenderlo».

Faccio per alzarmi, ma lui mi tiene stretta, impedendomi di tirarmi su. «Per quanto amerei vederti andare in giro per casa senza niente addosso, non voglio che tu esca dal mio letto... Vado io...» Scivola fuori dalle lenzuola e si mette in piedi. «Dov'è?» mi chiede.

«Nel trolley, ma non ricordo dove l'abbiamo lasciato» gli dico, provocandogli un altro sorriso.

Esce dalla stanza e mi lascia ad ammirare il suo lato b che si allontana. Mi abbraccio al suo cuscino, chiudo gli occhi, e inspiro sentendo il suo profumo, quello della felicità. Harry ritorna quasi subito nella camera, portando con sé la mia valigia e posandola sul pavimento.

«Apri la cerniera, lo troverai subito» gli dico, incontrando ancora i suoi occhi curiosi.

Harry fa scorrere la zip, poi apre la parte superiore trovando immediatamente il pacchetto, lo prende e si infila di nuovo nel letto, sistemandosi al suo posto. Gli lascio il suo cuscino, mi tiro il lenzuolo al petto e mi siedo accanto a lui. Harry scarta velocemente il pacchetto, poi mi guarda con aria confusa. «Un libro di ricette?» mi domanda con aria disgustata. «Tu credi che ora imparerò a cucinare con questo?»

«Harry... perché non lo guardi meglio» gli dico sorridendo.

Torna con lo sguardo sulla copertina di quel libro e trattengo una risata quando si rende conto di un particolare. «Merda!» dice voltandosi verso di me e guardandomi dritto negli occhi. «È in spagnolo!» I suoi occhi si accendono e l'angolo sinistro delle sue labbra si piega all'insù, mostrando la fossetta.

«Così puoi imparare lo spagnolo mentre impari a cucinare» dico ironicamente, ma so che non farà né l'una, né l'altra cosa. Quando ho comprato quel libro la mia idea era solo quella di farlo sorridere, esattamente come sta facendo ora.

«L'unica cosa che imparerò a fare con questo libro è sfamarti». Lascia cadere il libro accanto a sé, poi infila la mano tra i miei capelli, si avvicina, e mi bacia così dolcemente da destabilizzarmi. È un bacio che cattura l'anima, che toglie il fiato per l'intensa emozione che mi provoca questo contatto, e che fa sparire tutti i demoni che vivono nella mia testa lasciando solo lui, solo noi.  

Credo sia il bacio più potente e intenso che mi abbia mai dato, ancora più del primo. Ho l'impressione che lui mi stia comunicando qualcosa in questo momento, qualcosa che lo sta tormentando e non sono sicura che sia qualcosa di negativo, ma nemmeno di positivo, so solamente che il suo animo non è sereno come vuole dare a vedere.

«Chloe...» dice poi con un filo di voce, senza guardarmi negli occhi.

«Che succede, Harry?» gli chiedo, portando entrambe le mani sul suo viso per portarlo alla mia altezza. Nei suoi occhi è chiaro che ci sia qualcosa che lo preoccupa, ma se lui non parla con me,  posso solo fare supposizioni.

Lui mi guarda restando in silenzio, mentre io passo in rassegna ogni probabile motivo per cui il suo umore sia precipitato così in fretta. È forse per la paura dell'abbandono che non ha mai superato? Si tratta di qualcosa legato a suo padre? L'ho messo in difficoltà facendogli un regalo? Sto iniziando a pensare anche alle cose più stupide, perché lui permane nel suo silenzio e io non so come fare a tirargli fuori i pensieri.

«Harry...» lo vedo che quello che vuole dirmi è lì, dovrebbe solo aprire la bocca e parlare, ma si sta trattenendo per non farlo. «Harry mi stai facendo preoccupare» gli dico infine, tentando di spingerlo a confidarsi.

Poi, apre la bocca e, proprio quando sta per parlare, il suo telefono si mette a suonare, così richiude le labbra, richiudendosi nel suo silenzio. Sta per alzarsi, ma lo fermo stringendo le mie dita attorno al suo polso. «Harry...» Lo richiamo ancora, nella speranza di ottenere delle risposte. 

Lui torna a guardarmi, mi sorride dolcemente, poi mi lascia un piccolo bacio sulle labbra. «Ne parliamo un'altra volta, Chloe». Sfila il suo braccio dalla mia presa e si alza, lasciandomi a guardarlo senza darmi modo di ribattere.

Mi stringo il lenzuolo al petto mentre resto in ascolto della sua voce che arriva dal soggiorno. Credo stia parlando con Larry. Adesso sembra più tranquillo mentre parla con il suo amico, ma sono più che certa che stesse per dirmi qualcosa che lo preoccupa o quantomeno lo impensierisce. E, mentre lo sento ridere per quello che il suo amico gli ha appena detto, mi trovo a domandarmi se sia giusto o meno insistere nel volergli tirare fuori le parole con la forza, o se sia meglio lasciargli i suoi tempi e fidarmi ciecamente, come lui ha sempre fatto con me.

Mi strofino le mani sul volto, poi scivolo con la schiena verso il basso fino a sdraiarmi sulle lenzuola che hanno ben impresso il suo profumo. Mi volto su un fianco e chiudo gli occhi cercando di capire cosa sia meglio fare e, alla fine, decido che non insisterò. Non voglio fargli pressioni che potrebbero portarlo a chiudersi ancora di più in sé stesso. Finora il nostro scambio di rivelazioni è sempre stato spontaneo, non vedo quindi perché dovrei imporgli qualche cosa che potrebbe compromettere il nostro rapporto.

D'un tratto sento abbassarsi il materasso. «Stai dormendo?» La sua voce mi arriva vicina, così apro gli occhi e lo ritrovo inginocchiato al lato del letto, con i gomiti appoggiati e uno sguardo totalmente diverso da poco fa.

«Dipende» gli dico, con mezzo sorriso che contagia anche lui.

«Da cosa?» mi domanda, appoggiando il mento sul materasso.

«Da come hai intenzione di soddisfare la mia fame, perché il mio stomaco non smette di brontolare». Harry ride e il mio cuore torna a battere forte, perché quando lo sento ridere io ritorno a vivere.

«Facciamo così... usciamo a pranzo, ma stasera mi leggi qualcuna di quelle ricette» dice ,indicando il libro che gli ho regalato, abbandonato sopra le coperte.  

Ed è chiara la sua allusione, ma mi sta bene, perché non c'è altro di cui debba preoccuparmi per il momento, se lui sta bene e sorride.  

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Capitolo 57
*** C'è una cosa che devo dirti ***


Harry

È l'ultimo giorno dell'anno, un anno che è cambiato continuamente con l'andare dei mesi.

Ho vissuto ogni emozione, ne ho provate di nuove, ho allontanato il dolore e mi sono riavvicinato a mio padre. Mi sembra ancora impossibile che tutto questo sia avvenuto, dato che all'inizio di quest'anno l'unica cosa che provavo era rancore.

Provavo rancore nei confronti di mio padre per aver trascurato la famiglia ed essersi dedicato completamente al lavoro, mentre ora sto provando a capire il suo punto di vista e lasciando andare i sentimenti negativi, che mi hanno praticamente annebbiato la testa. Non posso dire di averlo perdonato, ma credo di essere riuscito a fare qualche passo verso di lui, e forse potremo arrivare ad avere un normale rapporto padre-figlio, un giorno.

Il rancore per mia madre, invece, è rimasto invariato. È come scomparsa dalla faccia della terra, e ancora non riesco a spiegarmi come può essersi dimenticata dei suoi figli. È una cosa inconcepibile per me e non credo di poterla perdonare.

La rabbia per la morte del nonno si sta trasformando in nostalgia, ma so che, se voglio tenerlo nel mio cuore e nei miei ricordi, devo necessariamente soffrire. Per smettere di provare quel dolore dovrei dimenticarmi di lui ed è una cosa che non voglio fare, quindi ho imparato a convivere con questa sofferenza, pur di tenerlo con me.

Per quanto riguarda Winter il discorso è diverso. Lei è riuscita a distruggere ogni mia difesa, la mia autostima e la mia dignità. Avevo fatto affidamento su di lei per ritrovare la fiducia nella vita, mi ero completamente affidato alla nostra storia e lei si è presa tutto senza lasciarmi niente.

Cercare di placare i miei demoni non è stato facile e posso dire di avercela fatta solo grazie a Jordan e ai miei amici, che non mi hanno lasciato mai solo. Da allora non ho più permesso a nessuno di entrare nella mia vita, non volevo dare a nessuno il potere di potermi distruggere come e quando voleva. Non volevo più provare quei sentimenti, che ero convinto mi avrebbero portato ancora a soffrire, ma poi è arrivata Chloe.

Il suo modo di trattarmi senza troppo garbo, la sua continua voglia di sfidarmi, e il suo modo di guardarmi, come se io potessi salvarla, mi fa sentire potente, importante, e prezioso per lei.

È successo in fretta, ma non ho saputo trattenermi, non ho fatto niente per evitare di essere coinvolto nella sua vita, anzi l'ho voluto dal primo momento, da quando l'ho vista quella sera, sulla metropolitana, in cui aveva lo sguardo di chi chiede disperatamente aiuto, lo stesso che avevo io. Quando l'ho vista scendere ero convinto di aver perso la mia opportunità, ma poi l'ho rivista alla serata di beneficenza, ed è stato lì che ho capito che doveva essere mia, che il destino me l'ha fatta incontrare, e io avrei dovuto fare di tutto per non lasciarmi sfuggire la mia possibilità di essere felice.

Ed è così che mi sento in questo momento, felice.

Sono felice, nonostante il mio passato ogni tanto torni a farsi sentire, sono felice anche se non ho ancora del tutto chiarito con mio padre, e sono felice anche se c'è quell'ombra che tende ad oscurare tutto, quella che prevede il momento in cui Kelly racconterà a Dylan la verità sul suo passato, un passato legato in qualche modo a quello di Chloe, di cui non riesco a prevedere la reazione, e so bene che dovrei essere preoccupato - non che non lo sia -, ma in questo momento preferisco godere della vista del suo corpo coperto solo dalla biancheria intima mentre sta tornando dal bagno dopo aver fatto la doccia. Mi sono imposto di stare immobile sul suo letto per non raggiungerla, o non saremmo mai usciti stasera.

«Sei comodo, Stevens?» mi domanda, voltandomi le spalle per cercare qualcosa nel cassettone di fronte a me.

«La vista da qui non è male, ma sarei più comodo se tu fossi qui con me» le dico senza poterla guardare negli occhi, perché sta continuando a rovistare nel cassetto senza degnarmi di uno sguardo.

«Trovato!» afferma soddisfatta senza rispondermi.

Mi accomodo meglio sul suo cuscino e resto a guardarla mentre si veste, mentre si infila quei jeans chiari che tanto mi piacciono su di lei, e il maglioncino scuro che ha appena preso da quel cassetto che ha chiuso con forza.

Mi ha privato della vista del suo corpo, ma se chiudo gli occhi posso ancora vederlo. Ho perfettamente impresso ogni centimetro di pelle, ogni tatuaggio, e ogni perfetta imperfezione che la rendono unica e bellissima.

«Stai dormendo?» Riapro gli occhi nel sentire la sua voce che mi richiama e le sorrido.

«In realtà ti stavo immaginando senza niente addosso» le dico la verità, provocando la sua solita reazione.

Alza gli occhi al cielo, ma sorride, e io so che non è infastidita, anzi le piace sapere che continuo a pensare a lei, ormai non faccio altro.

«Lo sai che siamo in ritardo?» dice, abbassandosi a cercare, presumibilmente, le scarpe.

«Perché? Dobbiamo timbrare il cartellino? E poi non è colpa mia, sei stata tu a passare trentaquattro minuti in bagno». Mi rendo conto solo dopo che le parole hanno lasciato la mia bocca, di quello che ho appena detto, e sorrido come uno stupido.

«Mi hai cronometrata?» mi domanda, inarcando un sopracciglio.

«Mi stavo annoiando, Stewart, sei pronta?» Mi metto seduto, in attesa di una sua risposta, ma ho voglia di baciarla, proprio adesso, quindi mi alzo in piedi e mi avvicino, mentre lei è ancora alle prese con la ricerca delle sue scarpe e, non appena si mette in piedi, le prendo il viso tra le mani e mi impossesso delle sue labbra, della sua bocca, di ogni cosa che riesco a prendermi di lei.

Profuma di vaniglia, le sue labbra sono assurdamente morbide, e adoro quando posa le sue mani sul mio petto, specialmente come fa ora, intrufolandosi nella scollatura della mia camicia lasciata sbottonata. Lascio scorrere le mie mani fino ad infilare le mie dita tra i suoi capelli, poi mi sciolgo del tutto quando la sento che si lascia andare tra le mie braccia, lo fa sempre, dalla prima volta in cui l'ho tenuta stretta. Riesco a sentire perfettamente quanto si fidi di me, e per un attimo mi sento uno stronzo a tenergli nascosta una cosa tanto importante.

Mi stacco da lei malvolentieri. «Dovremmo andare...» le dico, ad un soffio dalle sue labbra, ma non m'importa un accidenti di andare a questa stupida festa, il fatto è che mi sento in colpa nei suoi confronti e ho bisogno di prendere un attimo le distanze.

«Hai ragione... mi metto le scarpe...» Scivola via lentamente dalla mia presa, che si fa sempre più debole, permettendole di sedersi sul bordo del letto per indossare i suoi tacchi.

Mi strofino con forza le mani sul volto, costringendomi ad allontanare i pensieri che mi tormentano. Dylan non può avere altro spazio stasera, devo e voglio concentrarmi su Chloe, su di me, su di me e lei insieme. «Stai bene Harry?» mi domanda, posando una mano sul mio braccio. So di non riuscire a nascondere bene il mio malessere, ma voglio che stasera si diverta, quindi devo cercare di tirar fuori tutte le mie scarse doti di attore e darmi una regolata.

«Sì, è solo che vorrei tornare a casa mia, così potresti leggermi qualche bella ricetta in spagnolo» le sorrido, sperando di riuscire a convincerla.

«Improvvisamente ti è venuta voglia di cucinare?» mi domanda stando al gioco.

«No, improvvisamente mi è venuta fame, perciò, se non vuoi che ti chiuda a chiave qui dentro, ti conviene sbrigarti». Mi sorride, poi mi lascia un veloce bacio sulle labbra e cammina svelta fuori dalla sua stanza, sotto al mio sguardo divertito.

Scuoto leggermente la testa, poi recupero il mio cappotto e infilo distrattamente la mano in tasca. Mi rendo conto solo ora di avere ancora con me il regalo che le ho comprato per Natale e che non ho avuto il coraggio di darle.

Ho agito d'impulso, per poi pentirmene subito dopo averlo avuto tra le mie mani, mentre tornavo a casa. È una catenina che ho visto in vetrina quando ho accompagnato Zach, che doveva comprare un regalo per Rebekah. Lì per lì ho creduto che fosse un'idea grandiosa, con quel piccolo ciondolo a forma di vagoncino di metropolitana, ma poi, quando il mio neurone solitario si è attivato, ho capito di aver fatto una stronzata.

Come posso darle questa catenina senza chiederle implicitamente di togliere l'altra? Potrebbe persino pensare che l'ho fatto di proposito, che non voglio più vedere quel piccolo cigno quando facciamo l'amore, o in qualsiasi altro momento, e anche se in realtà è così, non potrei mai chiederle una cosa del genere.

«Harry!» La voce alta di Chloe arriva dal piano inferiore e mi riscuote dalle mie stupide paranoie.

«Arrivo!» urlo a mia volta per farmi sentire.

Risistemo la scatolina in tasca, richiudo la piccola cerniera interna del cappotto, e scendo al piano di sotto, dove lei mi sta già aspettando.

«Sei lento, Stevens » mi dice, aprendo la porta di casa per uscire.

«Sei acida, Stewart» rispondo con un sorriso, per non farle capire cosa mi sta passando per la testa.

Niente auto stasera, useremo i mezzi pubblici, più precisamente la metropolitana. Scendiamo le scale mobili velocemente, poi ci avviciniamo ai tornelli e non resisto, devo farlo. Di nuovo.

Chloe si avvicina per passare il biglietto e io mi stringo a lei, da dietro. «Harry!» la sento lamentarsi, ma non le do retta, le resto appiccicato, facendo scorrere una mano dal suo fianco al suo ventre, poi mi avvicino al suo orecchio per bisbigliare.

«Muoviti, Stewart, se non vuoi di nuovo correre» le dico, ricordandole la fuga dal controllore di quel giorno insieme. Non se lo fa ripetere, passa il biglietto, il tornello si apre e io la spingo all'interno, restandole incollato.

Si volta poi di scatto e mi guarda con aria minacciosa, ma non posso evitare di sorridere. «Era necessario?» mi domanda stizzita.

«No, ma è stato divertente». Mi avvicino e le lascio un bacio veloce sulle labbra, poi mi allontano camminando verso la banchina senza fermarmi per aspettarla.

Sento il rumore veloce dei suoi tacchi dietro di me, mi raggiunge, e resta ad osservarmi assottigliando gli occhi, con le braccia incrociate. È bella, bellissima, anche con l'espressione corrucciata, anche quando è struccata, o appena sveglia la mattina. È bellissima sempre, da ogni punto di vista la si guardi, e non posso fare a meno di restare a guardarla quando mi sveglio prima di lei, o quando è impegnata a fare qualcosa e non si accorge che la sto osservando.

Sollevo una mano per portarla all'altezza del suo viso, la poso appena sotto la mandibola che accarezzo lentamente solo con il pollice. Le piccole rughette all'altezza della fronte spariscono quasi subito e i lineamenti del suo volto si distendono, infine torna a sorridere, ma il più bello arriva quando lei si avvicina e mi bacia. Ogni volta che lo fa io vorrei fermare il tempo.

«Com'è che alla fine vinci sempre tu?» mi domanda, quando sentiamo il treno avvicinarsi.

«Sono o non sono Harry Stevens?» le rispondo come uno stupido idiota, che poi è quello che sono: uno stupido idiota decisamente innamorato.

Il treno si ferma, le porte si aprono, e noi entriamo nel vagone, sistemandoci in un angolo fino alla nostra destinazione.

Lei ancora non lo sa qual è il locale a cui stiamo andando, non gliel'ho detto solo per potermi gustare la sua espressione non appena lo riconoscerà. Larry mi ha parlato di una festa e, quando mi ha detto il luogo in cui si sarebbe svolta, gli ho detto che ci saremmo stati. Non che m'importi davvero partecipare ad uno stupido veglione di fine anno, ma a lei sembrava piacere l'idea di trascorrerlo con i miei amici e non ho saputo oppormi. Se fosse stato per me avrei passato l'intera serata a sfogliare quel libro di ricette in spagnolo e non trattengo una risatina al pensiero che mi è appena passato per la testa.

«Che c'è?» mi chiede lei a bassa voce.

«Vuoi davvero saperlo?» le domando con un sorriso ironico. Lei annuisce in silenzio, così mi avvicino al suo orecchio. «Stavo pensando ad una lunga lista di ingredienti per una di quelle ricette scritte sul libro che mi hai regalato». Lei ridacchia, poi mi dà un debole pugno su un braccio.

«Non ti stanchi mai, Stevens?» mi dice prendendomi in giro.

«Di te? Mai!» Mi lascio andare alla sincerità di una risposta che premeva per uscire e che non avrei potuto trattenere in alcun modo.

I suoi occhi restano fissi nei miei e vorrei realmente potermi lasciare andare del tutto e dirle quello che sento, ma devo prima risolvere la questione di Dylan. Fortunatamente mi salva la nostra fermata, che è arrivata giusto in tempo. La prendo per mano, restando nel più totale silenzio, e ci dirigiamo verso l'uscita.

Mi piazzo davanti a lei sulle scale mobili solo per nasconderle la vista di dove stiamo andando, so che non potrò tenerlo segreto ancora per molto, ma voglio provare a non farglielo capire il più a lungo possibile.

Una volta arrivati in superficie lei inizia a guardarsi intorno. «Harry, ma non siamo già stati qui?» mi chiede, osservando la via che stiamo percorrendo.

«Allora qualcosa lo ricordi?» La punzecchio, solo per il piacere di osservare la sua espressione confusa.

Ci sono molte più decorazioni e luci in giro rispetto a quella sera, ma noto che lo ricorda comunque. «Stiamo andando al 'Tunnel'?» mi domanda leggermente stranita.

«Già» le sorrido, mentre immagini di lei, che butta giù shottini, per non dover rispondere alle mie domande, mi passano veloci davanti agli occhi.

Sembra passata un'eternità da allora per quante cose sono successe tra noi due. Avvicinarmi a lei non è stato facile, conquistare la sua fiducia nemmeno, e magari dovrei raccontarle del bacio di quella sera.

«A cosa stai pensando?» le chiedo, vedendola persa tra i suoi pensieri quando siamo ormai ad un passo dall'ingresso del locale.

Lei si ferma e si posiziona di fronte a me. «A quanto sono stata stupida quella sera» afferma, avvicinandosi per poi mettere le sue mani sui miei fianchi. Porto le mie sul suo viso e lei inclina leggermente la testa per fare aderire meglio la sua guancia al mio palmo.

«Decisamente stupida...» le dico, ripensando al fatto che volesse ubriacarsi da sola, «ma abbastanza intelligente da chiamarmi prima di fare qualche stronzata».

«Quindi sono abbastanza intelligente, eh?» Il suo tono di voce è palesemente ironico.

«Abbastanza sì... abbastanza intelligente da venire via con me...» le accarezzo dolcemente gli zigomi con i pollici, «abbastanza intelligente da ballare con me nel mio soggiorno...» il suo sguardo si fa più attento, «e abbastanza intelligente da baciarmi anche se eri sbronza...» il suo sorriso si fa più ampio, come se sapesse già quanto le ho appena raccontato. La guardo chiudendo di poco gli occhi, fingendo uno sguardo minaccioso, ma lei sorride di più. «Tu lo sapevi?» le chiedo.

«Sì, Harry, mi sono ricordata tutto di quella serata. Tu che mi trascini su per le scale, io che divento sfacciata chiedendoti di ballare, quel bacio meraviglioso, poi la mia corsa al bagno, l'incubo e tutto il resto... Volevo solo che fossi tu a dirmelo...» Le sue parole mi colpiscono molto più di quanto lei non immagini.

Ha fiducia in me, si aspetta che io sia sincero con lei, ma io non lo sto facendo, le sto nascondendo una cosa importante. Forse dovrei dirglielo io, prima che lo sappia in qualche altro modo... Sì, è da me che deve saperlo. «Chloe...» lei mi guarda con attenzione, restando in silenzio, ma proprio quando sto per parlare veniamo interrotti.

«Siete arrivati prima di noi!» La voce di Zach arriva subito dopo la sua pacca sulla spalla e, d'un tratto, ho perso tutto il coraggio che mi stava spingendo a rivelarle la verità.

Chiudo per un secondo gli occhi, poi li riapro, e le sorrido, lo fa anche lei, e io mi dico che devo darmi una regolata se non voglio combinare un disastro. Ci sarà anche Dylan stasera, come potrei rovinare la festa a tutti? E poi non ho alcun diritto di farlo... o sì?

«Harry, entriamo?» Scuoto leggermente la testa per riprendermi dai miei vaneggiamenti, in tempo per vedere Zach che mi osserva con una strana espressione. Lui sa. Nel viaggio di ritorno da Montréal si è accorto di quanto il mio cervello stesse andando a fuoco e di quanto avessi bisogno di parlare, di tirare fuori quello che mi stava torturando, e non ha mollato la presa fino a che non ho vuotato il sacco.

Mi ha ascoltato in silenzio, totalmente incredulo. So bene che sembra tutto un maledetto piano del destino, io stesso ho stentato a crederci all'inizio, ma Kelly ha confermato ogni parola, e fingere davanti a Dylan sta diventando sempre più insopportabile.

«Sì, scusami...» Chloe e sua sorella si sono incamminate davanti a noi, che le seguiamo all'interno del locale, già estremamente affollato ed estremamente rumoroso.

«È tutto a posto?» mi domanda il mio amico, mentre ci stringiamo per passare in mezzo alla ressa di persone accalcate davanti al bancone del bar.

«Sì, Zach, ero solo sovrappensiero. Sai se gli altri sono già arrivati?» gli chiedo, cambiando discorso per non dover rovinare anche a lui la serata.

«Mi ha scritto Larry che è già al tavolo. Praticamente aspettano solo noi». È stato Larry ad organizzare la serata, lui a prenotare il tavolo per tutti. È sempre stato l'anima della festa.

Ci facciamo largo tra la folla e arriviamo al nostro piccolo angolo, dove trovo già riuniti tutti quanti. C'è Nate con una ragazza che non avevo mai visto, Lawson con la bionda che ha iniziato a frequentare la settimana scorsa, c'è Larry attaccato ad Eloise come una cozza, e c'è Dylan, che so essere ancora infatuato di Chloe. Non me l'ha mai detto apertamente ma, da quando abbiamo avuto tempo fa quella sorta di chiarimento, io so che lui è attratto da lei, me ne accorgo da come la guarda, da come le parla e non posso che darmi dell'idiota al pensiero che la stavo spingendo tra le sue braccia.

Saluto tutti, lo fa anche Chloe, poi mi siedo in un angolo, lei sul divanetto accanto a me. Si appoggia con la schiena sul mio petto e il mio braccio intorno al suo collo. Tengo la mano sulla sua spalla e il mio braccio trema appena quando lei ride per qualche stronzata detta da Larry, che stasera sembra più lanciato del solito, ma forse è l'effetto dello champagne, che sembra non voler smettere di bere.

La serata sta andando bene, molto meglio di quanto mi aspettassi. I miei amici sorridono, ridono e si divertono. Chloe si stringe a me, non sapendo neanche di quanto io abbia bisogno di questo contatto con lei stasera.

Arriva la seconda bottiglia e anche Chloe sembra gradire, tanto che è al suo terzo bicchiere. So bene quanto poco regga l'alcool e inizio a pensare che stasera non mi leggerà nessuna dannata ricetta in spagnolo, ma si addormenterà come una bambina.

«Perché non ne vuoi?» Chloe si è appena voltata verso di me, con un bicchiere pieno in mano, e gli occhi decisamente lucidi.

«Perché stai già bevendo tu per entrambi» le dico, provocandole una piccola smorfia sulle labbra, che mi affretto a baciare.

Torna ad appoggiarsi a me, tenendo il bicchiere tra le dita. In realtà non sta bevendo così tanto, ma io voglio restare completamente lucido. Ho troppe cose per la testa e voglio prestare attenzione ad ognuna di esse. Come ad esempio il discorso fatto con mio padre il giorno di Natale, discorso in cui mi ha proposto di prendere il posto di Jordan per la gestione del personale. Mio fratello era entusiasta dell'idea, io un po' meno, dato che sono abituato a prendere giusto un paio di decisioni l'anno, ma in questo caso si tratterebbe di maggiori responsabilità e non so se posso farlo, dato che non ricordo nemmeno come si chiami Alan.

«Mi fai ballare, Harry?» mi domanda ancora, voltandosi solo leggermente con il viso.

«C'è solo un posto dove vorrei farti ballare, adesso, e non si tratta di quella pista piena di persone». Chloe ridacchia per la mia allusione, poi si gira, e mi bacia. Resta a guardarmi, il suo sorriso scompare, il mio anche, la sua mano arriva sul mio viso per lasciarvi una carezza, e l'unico posto dove vorrei davvero essere è dentro al mio letto con lei.

«Torno subito» dice a bassa voce e, lentamente, scivola via dalla mia presa per alzarsi.

La guardo allontanarsi insieme a sua sorella e alle altre ragazze, mentre si dirigono verso la pista da ballo. È goffa, ma comunque incredibilmente sexy anche indossando un semplice paio di jeans. Mi accomodo meglio sul divanetto per guardarla, per osservare i suoi movimenti e il suo corpo, che posso perfettamente immaginare senza gli indumenti che ha addosso.

D'un tratto una figura attira la mia attenzione. È di spalle, ma non credo di sbagliarmi su chi sia. La pace e la serenità, che stavo provando fino ad un attimo fa, vengono bruscamente interrotte da uno strano senso di inquietudine che si fa spazio nel mio petto, come un presagio che qualcosa di molto poco piacevole stia per avvenire.

'Non può essere' mi dico mentalmente, mentre continuo a tenere gli occhi sulla sua figura snella, proprio accanto a Chloe: credo stia per avverarsi il mio incubo peggiore. Poi la ragazza si gira e il mio fiato resta bloccato tra i polmoni e la gola, il cuore sembra improvvisamente cessare di battere, non sento nemmeno più il rumoroso frastuono della musica martellante che mi ha assordato finora le orecchie. Mi sembra di percepire un unico fischio, continuo, che mi avvisa dell'imminente pericolo e, quando riesco a voltarmi verso i miei amici, li trovo tutti a guardarmi con gli occhi sbarrati, a dimostrazione che non sto avendo una fottuta allucinazione.

Lei è lì, accanto a Chloe, esattamente alle sue spalle, e io non so davvero cosa cazzo fare!

Sono paralizzato, come uno stupido idiota, e so bene che dovrei fare qualcosa invece di restare a fissare loro due in mezzo alla pista, una accanto all'altra, ma non mi aspettavo di vederla di nuovo, qui, stasera, e sono completamente disorientato.

«Harry!?» La voce di Zach mi fa voltare nella sua direzione. «Pensi di restare a guardare ancora per molto?» mi chiede, spronandomi ad agire in qualche modo.

«Che cazzo devo fare?» gli domando, usando un tono fin troppo scontroso, come se fosse colpa sua, e so bene che non è così, ma sono praticamente terrorizzato. Se mi alzassi per andare da Chloe, lei mi vedrebbe di sicuro, se restassi qui, e lei mi vedesse, potrebbe avvicinarsi al tavolo, e Chloe la vedrebbe comunque

Non bastava la rivelazione di Kelly e relativi sensi di colpa nei confronti del mio amico, il regalo che ho ancora in tasca e che non ho coraggio di darle, il fatto che non possa dirle quello che provo perché non voglio fondare qualcosa su cose non dette, e mio padre che mi promuove a completare il disastro nella mia testa, no! Ci voleva anche il suo stramaledetto ritorno.

Sono confuso, mi sento sottosopra, e per fortuna non ho bevuto ancora un goccio, ma potrei scolarmi l'intera bottiglia in un attimo solo per potermi dimenticare quello che sta succedendo.

«Vado a chiamare Chloe così le puoi spiegare quello che potrebbe succedere?» suggerisce Larry.

«Perché tu credi che se andassi lì non ti riconoscerebbe?» Conosce bene tutti i miei amici, se dovesse vedere qualcuno di loro, capirebbe subito che sono qui.

«Harry dovresti lasciare perdere e goderti la tua serata. Non le devi alcuna spiegazione, non le devi proprio niente». È Zach a parlare, e forse ha ragione. «Se n'è andata, ha preso la sua strada, ignorala come lei ha ignorato te...»

Emetto un lungo sospiro, poi mi appoggio con i gomiti sul bordo del tavolo e nascondo il viso tra le mani. Vorrei non essere venuto qui stasera, vorrei poter risultare invisibile, e vorrei non dover rischiare di rompere l'equilibrio che io e Chloe abbiamo raggiunto, ma sono quasi certo che, se lei sapesse chi è la ragazza alle sue spalle, non sarebbe così sorridente e rilassata come è in questo momento.

Il tempo scorre inesorabile, senza che io riesca a prendere una decisione sul da farsi. «Harry stai bene?» Sento la mano di Chloe posarsi sulla mia testa piegata in avanti. È tornata al tavolo e io non ho ancora risolto nulla.

Si siede accanto a me, facendo scivolare la sua mano sulla mia schiena. Alzo la testa e resto a guardare il suo viso preoccupato. «Sto bene, solo...» cazzo, devo assolutamente dirglielo!

«Solo?» mi incita lei, non appena smetto di parlare.

«C'è una cosa che devo dirti...» devo smetterla di fare il vigliacco, dopotutto non ho fatto niente di male.

«Harry mi stai spaventando». Leggo chiaramente nei suoi occhi la paura per le parole che ho appena pronunciato. Devo rimediare subito, ma, quando sto per aprire di nuovo la bocca, sento chiaramente quella voce, quella che appartiene alla ragazza che ha preso il mio cuore per calpestarlo sotto al suo tacco dodici, riducendolo in minuscoli pezzettini.

«Ciao, Harry!» Chloe si volta immediatamente in direzione di quella voce, istintivamente lo faccio anche io, ma molto più lentamente e, ritrovarla dopo tanto tempo a questa poca distanza, mi provoca una forte fitta al petto che fatico a tenere sotto controllo.

«Ciao Winter...»

E, nonostante il frastuono, sono certo di aver sentito un piccolo crack... 

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Capitolo 58
*** Devi mettere un punto ***


Harry

Da piccolo ho passato parecchio tempo da solo.

Il più delle volte quel tempo l'ho passato davanti alla TV guardando film di supereroi che salvavano il mondo. Ho sognato spesso di avere dei superpoteri, forse per compensare le mancanze che sentivo, ma uno di quelli che volevo di più era quello di fermare il tempo. Soprattutto quando, in un paio di occasioni, mio padre si è alzato dal letto per prepararmi la colazione. Sapevo che sarebbe stata un'occasione più unica che rara ed era per quello che avrei voluto fermare quel momento; il momento in cui papà mi sorrideva, porgendomi la tazza colma di latte e cereali: immaginavo di poterlo fare con una sola parola magica, ma per quanto ci provassi non succedeva mai.

Adesso, invece, pare sia successo. Mi è bastato salutare la ragazza in piedi di fronte al nostro tavolo e tutto si è come congelato. I miei amici sono come paralizzati, riesco a percepire, come unico movimento, lo spostarsi dei loro occhi da me a lei. Anche le persone sulla pista sembrano essersi fermate, come pure la musica, che non riesco più a sentire.

Il mio cervello sembra risvegliarsi quando mi volto lentamente verso Chloe: anche lei sembra essere stata immobilizzata dalla presenza di Winter. Poso una mano sulla sua gamba sotto al tavolo, poi ritorno con lo sguardo sulla mia ex, che non mi ha tolto gli occhi di dosso nemmeno un secondo.

«Come stai?» Lei riprende a parlare e sembra che tutto il resto del mondo riprenda a muoversi.

«Sto bene» rispondo, ma non è quello che avrei voluto realmente dirle.

Tutto quello che mi passa per la testa in questo momento è veloce e confuso. Vorrei dirle una marea di cose, ma allo stesso tempo vorrei che sparisse dalla mia vista. Mi ha lasciato come un coglione e la sensazione che provo adesso, nel ritrovarmela davanti senza preavviso, è assolutamente la stessa: mi sento un coglione che non sa come reagire, come comportarsi, né con lei e nemmeno nei confronti delle persone che sono con me, soprattutto con Chloe.

«Possiamo parlare un attimo?» Istintivamente mi volto verso la ragazza seduta al mio fianco, che fa la stessa cosa con me.

Non le sto chiedendo il permesso e lei non mi sta dicendo che è d'accordo. Quello che leggo nei suoi occhi è totale e sconfinata fiducia in me. Le sue labbra si piegano leggermente all'insù accennando un piccolo sorriso, mi si avvicina e mi sussurra all'orecchio.

«Forse dovresti mettere un punto a tutto questo...» mi dice. Infine si scosta da me, si alza, guarda sua sorella, e insieme si allontanano. Chloe mi sta lasciando la possibilità di decidere cosa fare, in totale autonomia, senza che la sua presenza mi possa minimamente influenzare.

E mi basta un solo attimo per capire che ha ragione, che devo mettere la parola fine ad una storia che è finita da un pezzo, ma che è rimasta come una spada di Damocle sulla mia testa fino a questo momento.

Ho tenuto la mia vita in standby per lei per un tempo troppo lungo, perché avevo la vana speranza che, prima o poi, sarebbe tornata da me, che si sarebbe accorta di aver commesso un errore, ma ho finito solo per detestarmi sempre di più.

Mi alzo, la raggiungo, lei mi sorride come se fosse la cosa più normale del mondo, io non riesco a farlo. Mi incammino verso l'uscita del locale, mentre lei mi segue, e mi guardo intorno, con la troppo ambiziosa aspettativa di incontrare il suo sguardo, ma non riesco a vederla da nessuna parte.

Arriviamo all'esterno, l'aria gelida mi colpisce in pieno, ma non m'importa adesso. Quello che voglio è sistemare questa faccenda per tornare da Chloe.

«È la tua ragazza?» mi domanda, posizionandosi di fronte a me.

«Sì» rispondo sincero e orgoglioso.

«È carina» dice con un tono di voce che non mi piace affatto.

«Winter perché non mi dici subito cosa vuoi da me, così ognuno potrà tornare alla propria vita?» Ci provo ad essere tranquillo, ma non è facile. L'unica cosa che vorrei fare è urlarle in faccia quanto io la detesti.

«Harry non stare sulla difensiva... sono in città per festeggiare l'ultimo giorno dell'anno con i miei amici» dice, facendo un passo verso di me.

«E ti aspetti che io ci creda?» So che sta mentendo, o comunque non è del tutto vero quello che ha appena detto.

Winter ridacchia. A quel punto capisco di averci preso in pieno. «Ho saputo che avrai una promozione» dice, continuando a sorridere.

Tento di recuperare nella mia mente i motivi per cui lei sia venuta a conoscenza di quella notizia. D'un tratto mi ricordo che, alcune volte, suo padre ha fatto degli investimenti tramite mio padre. Che i nostri genitori siano ancora in contatto? Non è così importante ora, però...

«E questo ti ha portato di nuovo a parlarmi?» le chiedo, mentre sento l'adrenalina iniziare a scorrere più velocemente.

«Beh, mi faceva piacere farti le mie congratulazioni...» Fa un altro passo verso di me e io uno indietro.

«Sia chiaro, non ti devo alcuna spiegazione, ma te lo dico lo stesso. Non so se accetterò quella promozione e non credo che tu voglia semplicemente congratularti con me...» Sorride, fa un altro passo, e posa le sue mani sui due lembi della camicia che indosso, quelli sbottonati.

Lo sguardo mi cade sulle sue dita, sulle sue unghie smaltate rosso fuoco, e per un attimo vengo catapultato indietro nel tempo. Quante volte quelle mani sono state su di me? E quante volte ho desiderato averle di nuovo su di me quando lei se n'è andata?

Un mare di emozioni contrastanti riaffiorano tutte insieme a quel contatto. Sento chiaramente il dolore dei giorni che sono seguiti alla sua partenza, quello della sofferenza quando non rispondeva alle mie chiamate, e quello della disperazione, della solitudine nel mio appartamento, quando mi sono ritrovato improvvisamente da solo per l'ennesima volta, abbandonato dalla persona a cui tenevo di più.

E se tutto questo fosse capitato qualche mese fa, probabilmente la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata cadere di nuovo ai suoi piedi, sarei corso a stringerla tra le braccia per poterla tenere di nuovo con me, ma mi ha fatto troppo male, lasciandomi come se io non fossi mai stato niente, come se non valessi niente.

Svegliarmi la mattina senza di lei al mio fianco era diventato insostenibile perché, dopo che aveva accettato di venire a vivere con me, ero ormai convinto che sarebbe stata lei la donna della mia vita, che stavamo iniziando a costruire qualcosa insieme, ma lei ha distrutto tutto quanto.

Percepisco l'avversione nei suoi confronti, il disprezzo per me stesso, il risentimento che ho provato per mesi, torturandomi come se fosse stata colpa mia, il rifiuto per le persone che avevo intorno, dovuto alla delusione che lei ha provocato tagliandomi fuori dalla sua vita, come se fossi diventato inutile.

Non voglio più provare quelle sensazioni, non voglio più vivere quei momenti.

«Non sono più il tuo giocattolo, Winter!» affermo deciso, spostando le sue mani da me.

«Andiamo, Harry...» Continua a sorridere come se niente fosse, come se non mi avesse annientato.

«Volevo darti tutto, ma a te non stava bene niente, non ti accontentavi mai...» Le parole iniziano ad uscire. Chloe ha ragione, devo mettere un punto a tutto questo. Winter non avrà più alcuno spazio nella mia vita. «E sinceramente non m'importa il motivo per cui sei tornata, perché, adesso, so che non ti ho mai amata». L'ho detto, cazzo! L'ho detto! Non credevo sarei mai arrivato a dirlo, ma ora so che posso farlo: lei non ha più alcun potere su di me.

Non voglio più sapere altro, non m'importa di lei, ora è tutto molto più chiaro. Avevo bisogno di questo sfogo, di questo confronto, di guardarla in faccia e rendermi conto che lei non è niente per me, assolutamente niente. «Ora puoi anche andare, tanto sei bravissima a farlo!Ti auguro di passare una bella serata» le dico, poi mi volto senza aspettare una sua risposta e inizio a camminare verso l'interno del locale.

«Aspetta, Harry!» mi richiama a gran voce, ma non voglio voltarmi, non voglio restare, non voglio più parlare con lei.

«C'è già qualcun altro che mi sta aspettando!» le urlo senza aspettarla.

Ho messo il punto, ora devo tornare da lei.

**************

Chloe

Assurdo, è decisamente assurdo.

Non riesco a pensare ad altro che non sia questa parola mentre mi guardo allo specchio, con le mani appoggiate al bordo del lavandino di questa orribile toilette, affollata di ragazze ubriache.

Assurdo, totalmente privo di logica, come quello che ho fatto io, spingendolo tra le braccia della sua ex. Secondo quale stupida logica mi sono comportata in questo modo, suggerendogli di andare a parlare con lei?

Inaccettabile, totalmente inaccettabile, come il comportamento di 'quella' nei confronti di Harry, o come la mia decisione di suggerirgli di mettere la parola fine alla loro storia.

Non avevo alcun diritto di farlo e sono stata piuttosto stupida a dirgli di andare da lei.

Winter è bella, molto bella: alta, biondissima, occhi azzurro ghiaccio, un paio di meravigliose gambe, messe in risalto da quella gonna indiscutibilmente mini e che le sta particolarmente bene.

«Vedrai che la manderà a stendere» dice mia sorella, per quella che credo sia la terza volta da quando siamo entrate nel bagno delle signore.

Non lo so se sarà così, anche se in cuor mio non faccio altro che sperarlo, perché perdere Harry vorrebbe dire tornare al punto di partenza.

«Reb, ma l'hai vista?» le domando, restando a fissare la mia immagine allo specchio. Normalissimi e lisci capelli castani, occhi scuri, con un banale paio di jeans, come potrei mai competere con lei?

E, anche se volessi sorvolare sull'aspetto fisico, che non è cosa da poco, c'è sempre il fattore emotivo.

Lui e Winter hanno condiviso molto di più che una banale storiella da quattro soldi, hanno un passato importante che li lega, hanno vissuto insieme, e lei l'ha lasciato senza nemmeno dargli modo di discuterne, o di rendersene conto. Quando l'ho conosciuto non riusciva nemmeno a nominarla, segno che la ferita che lei ha lasciato nel suo cuore era ancora aperta e faceva male. Mi ha rivelato di essere stato innamorato di lei proprio la sera che eravamo qui, in questo stesso locale, con quello stupido gioco degli shottini. Ricordo che, anche quella sera, sapere che lui è stato innamorato di un'altra mi ha dato fastidio, ma oggi è decisamente peggio.

Sono quasi certa che anche lui provi qualcosa per me, ma se non fosse abbastanza? Se tutto quello che provava per lei fosse tornato a galla e fosse di gran lunga superiore a quello che abbiamo io e lui? In fin dei conti io l'ho fatto decisamente impazzire da quando ci conosciamo, e non sono una persona semplice da gestire a causa del mio passato.

«L'ho vista e ha l'aria da stronza. Ho imparato a conoscere Harry e non potrebbe mai stare con quella!» afferma decisa, tornando ad accarezzarmi la schiena come stava facendo poco fa. «Chloe... guardami...» Mi volto lentamente verso di lei, che mi sta sorridendo per confortarmi. «Scommetti che sta già tornando da te?»

Non appena finisce di pronunciare quelle parole, il vociare delle ragazze che affollano la toilette si alza notevolmente. Sento urla e fischi, come se stessero incitando qualcuno, e poi capisco il perché di tutta questa confusione: Harry compare alle spalle di Reb con un sorriso incredibilmente divertito sulle labbra, mentre io resto ferma ad osservare la scena che si sta svolgendo davanti ai miei occhi, come se non fosse reale. Supera mia sorella per posizionarsi velocemente tra lei e me.

Le sue mani arrivano sul mio viso, le sue labbra premono con forza sulle mie, mentre i fischi non fanno che aumentare. Ci metto qualche secondo per capire cosa stia succedendo, ma poi mi rendo conto che Harry mi sta realmente baciando, che non è frutto della mia immaginazione e rispondo al suo bacio con la stessa passione che ci sta mettendo lui. Le mie mani risalgono sul suo petto, fino alle clavicole per andare ad allacciarsi dietro la nuca. Le sue scendono sui miei fianchi, e restiamo stretti in questo abbraccio che mi toglie il fiato, ma che mi sta restituendo Harry.

«L'ho fatto Chloe...» mi dice, quando si allontana quel poco che gli basta per guardarmi negli occhi «ho messo quel punto». Resta serio, in attesa di una mia reazione, ma io non riesco a dire, né a fare niente, perché la felicità che mi investe è talmente potente che non riesco a controllarla e mi ci vuole qualche secondo per riprendere a respirare.

«Tu... tu...» Vorrei trovare il modo per parlare, per dirgli quello che con poche e semplici parole è riuscito a scatenare dentro di me, ma non ci riesco. È tutto lì, fermo, tra la gola e il cuore.

«Andiamo fuori da qui» mi dice, prendendomi per mano, per trascinarmi fuori dai bagni delle donne, mentre faccio appena in tempo a lanciare uno sguardo a mia sorella che mi sorride comprensiva.

Si fa spazio tra la folla con me, che tengo stretta la sua mano per non perderlo di vista. Cammina veloce e io fatico a stargli dietro, ma non importa, perché sento il cuore traboccare di una gioia infinita. Il solo contatto delle nostre mani è già qualcosa di assolutamente perfetto e meraviglioso, se ci aggiungo il fatto che mi ha appena detto che ha definitivamente chiuso con la sua ex, mi resta difficile capacitarmi come sia possibile che il mio cuore non sia ancora esploso.

Si ferma solo quando arriviamo vicino al nostro tavolo. «Ragazzi, vi auguro un meraviglioso anno nuovo...» lascia la mia mano e recupera i nostri cappotti «vi bacerei tutti, ma non siete il mio tipo...» prende anche la mia borsa, sotto lo sguardo confuso di tutti, compreso il mio. Harry si muove veloce senza dare tempo a nessuno di ribattere. «Io e Chloe vi salutiamo, ci vediamo l'anno prossimo!» dice, con un tono piuttosto divertito. Poi torna a prendermi per mano e, mentre con il braccio destro tiene accartocciate a sé le nostre cose, ricomincia a trascinarmi in mezzo alle persone fino all'esterno del locale, dove si ferma improvvisamente.

«Harry, cosa...» sto per domandargli cosa sta combinando, ma il suo sorriso mi porta a zittirmi.

Prende il mio cappotto per aiutarmi ad indossarlo, mi consegna la borsa, poi infila le braccia nelle maniche del suo, di cappotto, e torna con le mani sul mio viso guardandomi negli occhi.

«Ti ricordi le regole della punteggiatura?» mi domanda, osservandomi con attenzione, e sono sicura di avere la faccia di una che non ha capito niente, ma lui si affretta a spiegarmi con la sua solita espressione di quando mi prende in giro. «Ti ricordi a cosa serve un punto quando scrivi una frase?» Credo di aver capito dove vuole arrivare, ma credo anche di volerlo sentire uscire dalle sue labbra, quindi sorrido per poi afferrare il bavero del suo cappotto e avvicinarmi un po' di più a lui. «Ok, te lo spiego... forse non eri così brava a scuola... La virgola serve a dividere i vari elementi all'interno di un periodo, il punto e virgola, e i due punti indicano che i due periodi sono in qualche modo legati, ma il punto... il punto fermo è quello che chiude un periodo. Vuol dire che tutto quello che viene dopo è nuovo, che quello precedente è finito, e io ho fatto esattamente questo. Ho messo un punto fermo dopo la parola Winter, ora è tutto nuovo per me...»

Non so spiegare quanto le sue parole siano arrivate fino in fondo al mio cuore, alla mia anima. Hanno toccato corde che credevo ormai irraggiungibili. Harry è andato oltre a tutto quello che è riuscito a fare finora. Ha distrutto il muro di protezione che mi ero creata, ha fatto crollare ogni difesa io avessi alzato per difendermi dai sentimenti, si è aperto un varco nel mio cuore, nella mia mente ed è arrivato fino alla mia anima, dove si è creato un posto tutto suo, un posto dal quale riesce a curare le mie ferite e a tenere sotto controllo il mio dolore.

«Harry... io non so cosa dire...» Perché è proprio così che sono in questo momento, sono senza parole, con il cervello in completo blackout.

«E tu non dire niente, vieni a casa con me...» Sono concentrata unicamente sul suo sguardo, persa nei suoi occhi verdi, dove posso leggere tutte le promesse che mi sta facendo senza nemmeno bisogno di dirle ad alta voce. «So che volevi passare con loro la serata, ma io voglio te Chloe, solo te. Voglio arrivare a casa prima di mezzanotte e iniziare l'anno insieme, solamente noi due. Vorrei che il prossimo anno fosse solo nostro...» Il suo sguardo, le sue parole, le sue mani ancora sul mio viso, ogni cosa è decisamente carica di emozioni che non posso e non voglio ignorare.

«Sì, Harry» riesco a dire, non senza sforzo.

Lui sorride, è felice, e non c'è altro che sia più importante di questo al momento.

************************

Una delle notti più straordinarie della mia vita.

È stato questo il primo pensiero di stamattina. Non appena ho aperto gli occhi e ho visto il volto disteso e sorridente di Harry al mio fianco, ho sentito di stare bene.

Ieri sera siamo rientrati nel suo appartamento quando mezzanotte era passata da pochi minuti. Abbiamo sentito i fuochi d'artificio mentre salivamo di corsa le scale. Lui si è fermato all'improvviso e mi ha baciata lì, sui gradini, tra una rampa e l'altra, come se al mondo non esistessimo che noi. Non mi sono resa conto di dov'ero, perché tutto ciò che sentivo erano le sue labbra, la sua lingua e i suoi denti, sentivo lui che reclamava la mia presenza solo per sé stesso e io che gli concedevo ogni cosa lui volesse.

Questo letto è stato messo a dura prova stanotte. Harry e la sua fame sembravano incontenibili, non che io mi stia lamentando, anzi, e il sorriso che ha ancora sulle labbra porta a far sorridere anche me. Gli passo una mano delicatamente tra i capelli, ma lui non fa una piega: suppongo sia stanco, molto stanco, ma soddisfatto.

Credo proprio che meriti una colazione con i fiocchi, quindi mi alzo, mi infilo una delle sue felpe, un paio di leggins che ho lasciato qui, e mi dirigo in cucina. Abbiamo fatto la spesa da poco - da quando ho iniziato a dormire qui si è deciso a comprare qualcosa di più commestibile - perciò non ho difficoltà a preparare qualche pancake.

Mescolo la pastella e ripenso a ieri sera, alle parole che mi ha detto fuori dal locale e sento un'inspiegabile piccola fitta alla bocca dello stomaco. Dovrei continuare ad essere felice, dovrei sentirmi bene come mi sono sentita fino a pochi minuti fa, invece succede qualcosa nella mia testa, qualcosa che non mi piace per niente.

Ho passato dei momenti meravigliosi con lui, carichi di emozioni positive, talmente positive che... che ho resettato il cervello e non ho ragionato, non ho nemmeno ben capito cosa stesse succedendo, perché ero presa solo dalla mia felicità e da me stessa.

«Dio! Che stronza egoista che sono!» Impreco a bassa voce non appena mi rendo conto di come mi sto comportando.

Lui mi sta dando tutto, e intendo davvero tutto di sé. Mi sta dando ogni spazio possibile, mi sta rendendo la sua priorità, e io che faccio? Io prendo, prendo e continuo a prendere, mentre continuo ad approfittarmi della sua pazienza e di tutto quello che ha fatto per me.

Lui mi ha rincorso quando lo allontanavo, è riuscito a calmare i miei attacchi di panico, e i miei incubi scompaiono quando sono con lui. Mi ha insegnato a gestire la rabbia e a divertirmi, ha alleviato i miei sensi di colpa ed è entrato nel mio cuore dalla porta principale. È volato fino a Montréal per me, e io cosa ho fatto per lui?

Harry ha messo il suo punto, io non sono stata capace di farlo. Il dubbio si insinua subdolo nella mia testa e non posso evitare di pormi una domanda decisamente scomoda: e se non volessi mettere il mio punto? Se non fossi capace di farlo? Vorrebbe dire che ci sarebbe sempre un'ombra tra me e Harry. Non ne abbiamo mai parlato apertamente, Harry ha sempre avuto troppo riguardo per me per mettermi di fronte ad una scelta, ma sono assolutamente sicura che lui soffra per la presenza di Dylan, perché, alla fine, lui è sempre presente.

Lo è nella mia testa quando riaffiorano i sensi di colpa - perché ancora non li ho davvero superati - lo è in ogni angolo della mia casa a Montréal... Che stupida! Gli ho anche dato quelle lucine da piazzare quando lui sa bene cosa rappresentano per me... Credevo di fargli un favore per allontanarlo momentaneamente dai miei genitori, per dargli un attimo di respiro, mentre, probabilmente, gli ho solo creato altra sofferenza chiedendogli di occuparsi di quel filo elettrico in camera mia, dove ci sono ricordi di Dylan ovunque...

E se non fossi in grado di lasciarlo andare? Se non fossi in grado di vivere appieno la mia vita? Harry non merita una storia a metà e nemmeno una donna che può donargli solo metà di sé stessa... A questo punto mi chiedo... sono in grado di dargli davvero e realmente tutta me stessa? 

«Merda!» Salto quasi per aria dallo spavento. Il cucchiaio con il quale stavo mettendo la pastella nel padellino per i pancake mi è volato per terra, e il cuore mi è saltato in gola.

Non l'ho sentito arrivare, ma ora lo sento ridere sulla mia spalla, mentre le sue mani si fanno strada sotto la felpa che indosso e il suo corpo aderisce perfettamente alla mia schiena.

«Mi hai spaventata, Harry...» gli dico, per poi fare dei respiri profondi tentando di calmarmi.

«Ben ti sta, così impari a svegliarmi». Mi bacia appena sotto l'orecchio.

«Non credevo di aver fatto così tanto rumore» gli dico, convinta del fatto di essere stata più che silenziosa sia con la padella, sia con gli sportelli dei mobili e tutto il resto.

«Ti ho già detto un sacco di volte che gli ingranaggi iperattivi del tuo cervello fanno un casino infernale quando si mettono in moto...» Mi giro all'interno del suo abbraccio. Sento le sue mani scorrere sulla mia pelle nuda fino ad intrecciarsi dietro la mia schiena, poi lo guardo negli occhi, che sono luminosi, in cui ci posso leggere tutta la felicità che prova in questo momento «A cosa stavi pensando?» mi domanda, studiando attentamente la mia espressione.

Non voglio rovinare questa giornata, non voglio incrinare la sua felicità, perciò non gli dirò che uno dei miei orribili conflitti interiori è venuto a farmi visita e che mi sta torturando da diversi minuti. Non posso dirgli che credevo di essere ad un passo dal mio obiettivo, ma mi sono resa conto di aver fatto troppi passi indietro lungo il tragitto che ho percorso fino ad oggi.

Mi sono svegliata percependo la felicità, come se potessi toccarla, ma sentendo anche che c'è qualcosa che stride, qualcosa che rende imperfetto il quadro a cui stiamo dando origine.

«Stevens, dì la verità... ti sei svegliato perché dovevi andare in bagno...» Cerco di deviare la sua attenzione, non credo di avere grandi possibilità, ma devo almeno provarci.

«Stewart ti conosco... c'è qualcosa in questa tua testolina, e sono sicuro non sia niente di buono...» Non posso e non voglio dargli ragione. Non oggi che è così felice.

«In realtà c'è qualcosa di buono... stavo facendo i pancake... veri, non surgelati...» Stavolta ride, le fossette diventano evidenti sulle sue guance e io mi sento meglio.

«Questo è un colpo basso... sento la mia autostima compromessa». La sua espressione da finto offeso continua a farmi sorridere.

«Allora vai a rattristarti da qualche altra parte perché io ho da fare». Le mie mani sono già tra i suoi capelli.

«Sei una donna insensibile, Stewart...» le sue mani risalgono sulla mia schiena «una donna insensibile che non indossa il reggiseno...» il suo tono di voce si fa più malizioso, ma ho deciso che voglio preparagli una colazione decente e lo farò.

«Ma non avevi un problema con la tua autostima?» gli domando.

«Non ci mangio con l'autostima» dice, senza smettere di sorridere.

«Hai fame, Stevens?» gli domando, avendo ben capito a cosa sta alludendo.

«Io ho sempre fame, se poi ci aggiungi che ti trovo senza reggiseno...» ora le sue mani stanno scivolando sul davanti del mio corpo, che si ricopre di brividi perché l'effetto che ha su di me è sempre lo stesso.

«E allora...» Infilo le mie mani sotto la mia felpa e le metto sulle sue per bloccarle «dovresti lasciarmi finire di preparare la colazione, così poi possiamo mangiare». Pronuncio volutamente l'ultima parola con un tono più marcato, e lui sembra accettare il compromesso.

Toglie le mani dai miei fianchi e mi regala un altro meraviglioso sorriso. «Sarà meglio per te che quei pancake valgano l'attesa» dice allontanandosi.

Lo osservo fino a che lo vedo lasciarsi andare sul divano e prendere in mano il suo cellulare, lo accende, poi torno ad occuparmi della colazione, anche se in realtà non ho la minima idea di che ore siano, ma non ha una grande importanza.

D'improvviso sento il suo telefono suonare e, istintivamente, mi volto a guardarlo. La sua espressione si rabbuia nel momento in cui osserva il display. Non risponde, ma resta a fissare il piccolo schermo come se fosse indeciso sul da farsi, ma alla fine lo fa.

Porta lentamente il telefono all'orecchio e il suo tono di voce è incredibilmente serio. «Che succede?» chiede, senza mai guardare verso di me. «Ascolta...» Il suo tono è più preoccupato e anche io sento la stessa preoccupazione, ma non capisco il perché. «No, no, no, no Kelly... Kelly calmati...» Harry raddrizza la schiena e continua a tenere lo sguardo basso. So bene di aver già sentito quel nome, ma ora non ricordo dove.

C'è una brutta sensazione che mi attanaglia lo stomaco, come un brutto presentimento, e vorrei davvero sapere cosa sta succedendo, ma lui non mi guarda, non riesco a capire perché, e non riesco a ricordarmi chi sia questa Kelly.

«No, il telefono l'ho appena acceso...» Sento odore di bruciato, così mi volto e mi rendo conto che avevo messo un pancake nel padellino, ma adesso è immangiabile. Spengo il fuoco e torno con lo sguardo su di lui che ora è in piedi. «Ci penso io, Kelly, ma ora ti devi calmare... No, io non credo che...»

Poi, un forte rumore alla porta d'ingresso fa piombare il silenzio in casa. Il mio sguardo va dalla porta a Harry, il suo è fisso verso l'ingresso, mentre tiene il telefono ancora stretto nella sua mano destra. Passano un paio di secondi in cui né io, né lui, sembriamo sapere cosa fare, e quel bussare così forte e insistente si ripete, ma stavolta si aggiunge una voce che riconosco. «Cazzo, Harry, apri!»

Sul pianerottolo c'è Dylan, il suo amico e collega, che sta bussando come impazzito.

«È qui» dice Harry al suo interlocutore, con lo sguardo fisso alla porta, poi chiude la comunicazione e finalmente mi guarda.

Ora riesco a vedere i suoi occhi e sono certa che sia spaventato, ma come potrebbe esserlo? Dopotutto lì fuori c'è il suo amico d'infanzia, quello con cui ha condiviso gran parte della sua vita privata e lavorativa, per quale motivo dovrebbe avere paura di lui?

«Chloe, ti giuro che non volevo che venissi a scoprirlo in questo modo...» Ora sono decisamente spaventata.

«Harry! Vuoi aprire questa cazzo di porta?!» La voce di Dylan torna a farsi sentire ancora più forte, ma nella mia testa continuano a vorticare le parole che mi ha appena detto Harry.

«Cosa significa? Cosa non avrei dovuto scoprire in questo modo?» gli chiedo, sentendo le gambe farsi sempre più molli e il respiro sempre più corto.

Harry fa un paio di passi verso di me. «Chloe, davvero io non volevo che...»

«Harry maledizione!» Un altro urlo di Dylan... un altro urlo che fa bloccare entrambi sul posto.

«Cazzo! Mi dispiace, Chloe...» dice ancora, per poi allontanarsi e andare ad aprire la porta, che il suo amico potrebbe buttare giù da un momento all'altro.

Nel momento in cui Harry apre, riesco a scorgere la figura del suo amico fermo in piedi. Il suo viso è una maschera di sofferenza e rabbia. I due ragazzi si guardano per qualche secondo nel più totale silenzio, poi è Dylan a parlare per primo.

«Cosa cazzo è successo alla mia vita?» 

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Capitolo 59
*** Non volevo che lo scoprissi così ***


Dylan è in piedi, accanto alla finestra, chiuso nel suo silenzio da quando è entrato nell'appartamento. Harry si sta legando i capelli mentre gli si avvicina, e io mi sento decisamente di troppo, ma c'è qualcosa che mi spinge a restare, e non solo per le parole che ha pronunciato Harry – non volevo che lo scoprissi così – ma anche per come insiste a guardarmi, come se continuasse a chiedermi scusa solo con lo sguardo.

È per questo che non sono ancora andata via, che resto in attesa di qualcosa che possa darmi delle risposte.

«Dylan...» Harry pronuncia il nome del suo amico a bassa voce, come se avesse paura di qualche sua reazione, ma lui non si muove.

Non mi ha salutato quando è entrato, ma credo che non si sia nemmeno accorto della mia presenza, perché il suo sguardo continua a restare perso nel vuoto.

«Dylan...» Harry lo richiama, ma lui sembra essere da un'altra parte.

Vorrei solo sapere cosa sta succedendo, vorrei sapere il motivo per cui Harry ha detto quello che ha detto, perché Dylan è così disperato, e perché io ne sono in qualche modo coinvolta, dato che senza ombra di dubbio è così, o non saprei come spiegare la preoccupazione di Harry nei miei confronti.

«Tutta la mia vita è stata una bugia, Harry». La voce di Dylan è tremolante e bassa, quasi come se avesse paura di dire ad alta voce quello che è successo. «Tutta la mia cazzo di vita è stata una cazzo di bugia!» Ripete con un tono più duro e sarcastico, tanto da farmi percepire il suo stato d'animo, come se lo conoscessi da sempre.

«Dylan...»

«E smettila di usare quel cazzo di nome!» Il suo amico si volta di scatto guardando Harry come se volesse fulminarlo con lo sguardo.

Ha gli occhi iniettati di sangue, arrossati, forse ha anche pianto, o forse è arrabbiato con il mondo intero, ma Harry non reagisce, restando tranquillo.

«Ascolta... perché non ne parliamo con calma?» gli domanda Harry, usando un tono pacato, lo stesso tono che usa con me quando ho un attacco di panico.

«Con calma? Harry come posso restare calmo quando mia madre mi ha mentito per tutta la vita?» Dylan tiene i pugni serrati e guarda il suo amico con una tale cattiveria da farmi sentire un brivido poco piacevole percorrermi la schiena.

«Su cosa ti ha mentito?» gli chiede, senza distogliere lo sguardo da lui.

«Su chi sono veramente...» Aggrotto le sopracciglia mentre la confusione non fa che aumentare. «Thomas Evans non è mai esistito, non è mai morto in quel dannato incendio e...» Che sta dicendo? Io non ci capisco niente, poi resto ancora più sorpresa quando seguo lo sguardo di Dylan, che sta guardando Harry con una strana espressione sul viso, come se stesse cercando di capirci qualcosa anche lui.

Harry ha chiuso gli occhi mentre il suo amico parlava, e sono quasi certa che stia trattenendo il respiro. «Aspetta un attimo...» dice Dylan, avvicinandosi minacciosamente ad Harry «tu lo sapevi?»

«Dylan...»

«Ti ho detto che non voglio sentire più quel cazzo di nome!» Gli urla praticamente in faccia mentre Harry continua a restare impassibile. «Mi fidavo di te, Harry, sei la prima persona da cui sono corso dopo aver scoperto che mia madre mi ha mentito su tutto, e tu lo sapevi!?»

«Non spettava a me dirtelo, e so che sei arrabbiato...»

«Arrabbiato?» Dylan ride sarcastico allargando le braccia. «Io non so nemmeno più chi sono, Harry...» La sua voce si abbassa, quasi con rassegnazione.

Le sue spalle si abbassano come se venissero schiacciate da un peso e io, istintivamente, senza nemmeno pensarci, faccio un passo nella sua direzione senza un reale motivo. A quel punto Dylan alza lo sguardo, probabilmente attirato dal mio movimento, e sembra accorgersi solo in quel momento della mia presenza. Anche lui cammina verso di me.

«Chloe... mi dispiace così tanto...» Mi guarda con rimpianto, poi mi abbraccia forte, ma sono così confusa che resto rigida come una statua tra le sue braccia.

«Per cosa ti dispiace?» gli domando, cercando di capirci qualcosa, ma subito interviene Harry.

«Lasciala fuori!» dice a Dylan, con un tono molto più brusco rispetto a poco fa.

Mi lascia andare lentamente, poi si volta verso Harry e lo guarda con l'aria seria. «Lei non sa niente?» gli chiede con voce piatta.

«Sapere cosa?» Torno a chiedere con più insistenza, perché ora è assolutamente chiaro che io c'entri qualcosa in tutta questa situazione.

«Chloe il tuo...» La voce di Dylan, però, viene interrotta un'altra volta bruscamente da Harry.

«Dylan ti ho detto di lasciarla fuori!» Stavolta ha alzato la voce e sembra quasi spaventato da quello che il suo amico stava per dire.

«E io ti ho chiesto di non usare più quel nome!» Dylan urla più forte come in una gara a chi fa la voce più grossa, mentre io sento crescere un enorme senso di angoscia ad ogni parola che i due ragazzi, di fronte a me, fanno uscire dalle loro labbra.

«Era tuo fratello, cazzo!» Le urla di Harry rimbombano in tutto l'appartamento.

Restiamo immobili per qualche secondo, presi alla sprovvista da quello sfogo improvviso. Quel senso di angoscia che provavo poco fa è sempre più opprimente. Nel momento in cui ho sentito Harry urlare quelle parole ho provato una fitta al cuore, un dolore a cui non so dare una risposta. 

«Già, e mia madre mi ha privato della possibilità di conoscerlo». Dylan si esprime con rabbia, ma quello che ha appena detto ha uno strano effetto su di me. Le mani mi tremano, il respiro accelera, e sento quell'angoscia arrivare in ogni parte del mio corpo. Continuo a chiedermi di cosa stanno parlando, cosa diavolo sta succedendo, ma so anche di avere paura delle risposte a queste domande.

«Che cosa... sta... succedendo?» riesco a chiedere con un filo di voce, interrompendo il silenzio.

«Chloe... devo parlarti di una cosa...» dice Harry, con un tono molto più calmo e dolce nei miei confronti.

«Già... forse dovresti...» afferma Dylan, voltandosi per poi iniziare a camminare verso la porta d'ingresso dell'appartamento.

Harry è più veloce di lui, lo raggiunge e lo trattiene per un braccio. «No, tu non te ne vai» dice rivolto al suo amico, poi si gira verso di me. «Dobbiamo parlare Chloe, ma prima devo farlo con lui». Mi fido di Harry, ma tutta questa situazione mi ha messo troppa agitazione addosso e vorrei non dover rimandare, ma Dylan non mi dà modo di replicare.

«E perché invece non lo facciamo tutti insieme? Tanto dobbiamo parlare della stessa cosa, no?» La sua voce è carica di rancore e risentimento, tanto che mi lascia incapace di ribattere.

«Dylan, per favore...» dice ancora Harry.

«Già... Dylan...» si libera con forza dalla presa della mano del suo amico e lo guarda con aria di sfida. «Vuoi parlare di Dylan?» gli domanda, arrivando ad un palmo dal suo naso.

«Ascolta... sei sconvolto, è meglio se usciamo a prendere una boccata d'aria» gli propone, ma stavolta sono io a non essere d'accordo.

«Nessuno va da nessuna parte finché non mi avrete spiegato cosa sta succedendo...» affermo decisa, passando il mio sguardo da uno all'altro, che mi fissano con attenzione.

Voglio sapere, ma allo stesso tempo sono spaventata da quanto sta accadendo davanti ai miei occhi. I due ragazzi continuano a discutere di cose che non riesco a comprendere, ma ci sono pezzi, qua e là, decisamente familiari, che mi portano a credere che io sia coinvolta nella loro discussione: non so in che modo o a quale titolo, ma sono sicura di essere parte di questa situazione.

«Vuoi cominciare tu?» dice Dylan rivolto a Harry, con un tono che di amichevole non ha proprio niente, ma Harry continua a tenere lo sguardo su di me, come a volermi rassicurare.

«Ascolta, Chloe, lasciami parlare con lui prima, poi parlerò anche con te...» mi dice abbassando la voce, tenendo i suoi occhi fissi nei miei.

«Harry, voglio solo sapere cosa succede» gli rispondo con lo stesso tono, per fargli capire quanto io abbia bisogno di conoscere il motivo di questa discussione.

«È complicato...» Lascia la frase in sospeso, ma al suo amico pare non piacere questa risposta, perché lo vedo agitarsi.

«Harry non c'è niente di complicato nel dire che...»

«Basta!» L'urlo di Harry mi paralizza e ammutolisce il suo amico, che resta a guardarlo per niente spaventato, ma molto più arrabbiato di prima. «Vuoi che lo sappia? E allora sarò io a dirglielo, ma adesso io e te ci facciamo un giro!» gli dice poi in tono sprezzante.

«Harry voglio solo che anche lei sappia la verità, perché ho appena scoperto di aver vissuto tutta la mia vita nella menzogna e non immagini quanto faccia male...» Improvvisamente Dylan sembra come un palloncino svuotato, il suo tono di voce si abbassa notevolmente, il suo sguardo si intristisce, poi si piega sulle ginocchia, che sbattono sulle piastrelle e, alla fine, crolla sul pavimento.

Anche Harry si abbassa sulle ginocchia, proprio di fronte a lui, lo abbraccia, mentre Dylan si lascia andare ad un pianto disperato, e si lascia stringere dalle braccia del suo amico.

Mi si stringe il cuore a guardarli in questo momento. Non ho ancora ben capito cosa gli sia successo, ma vedere Dylan in questo stato è frustrante perché so che non posso fare nulla per lui, e sapere che soffre così tanto da lasciare andare le lacrime, fa venire da piangere anche a me.

Vorrei unirmi al loro abbraccio, ma so bene che non c'entro niente. Vorrei lasciarli soli, ma so che c'è qualcosa che dovrei sapere e non riesco ad allontanarmi da qui.

«La mia vita non esiste più... Il padre che conoscevo non è mai esistito, Harry...» Dylan parla a fatica e io resto immobile ad ascoltare. «Ol mio vero padre non mi ha mai voluto, e mio fratello è morto senza che potessi conoscerlo...» Mi appoggio al mobile della cucina nel sentire le sue parole e mi lascio scivolare fino ad arrivare a sedermi sul pavimento. Mi stringo nelle ginocchia e so che, in qualche modo, la parola morto mi riguarda da vicino, non ho idea del perché io lo stia immaginando, e spero che sia tutto una coincidenza, che sia solo perché quella parola mi riporta alle mente dei ricordi troppo dolorosi, ma da qualche parte dentro di me, so già che non è così. Probabilmente il mio subconscio ha già la risposta, ma io non sono pronta a leggerla.

«Detesto il mio nome, Harry... lo detesto e allo stesso tempo non vorrei averne un altro...» dice ancora Dylan con voce rotta, e il mio fiato si ferma a metà, tra i polmoni e la gola.

Harry alza lo sguardo su di me e so che vorrebbe fare molto di più che lanciarmi uno sguardo, so bene che vorrebbe dirmi qualcosa, ma il suo amico ha bisogno di lui e non posso mettermi in mezzo.

«Ehi...» Harry lo interrompe, riuscendo a fermare momentaneamente il suo pianto. «Sei stanco, hai bisogno di calmarti e riposare... Hai dormito almeno?» gli domanda con affetto.

«Non ho dormito un cazzo, Harry... quando sono tornato stanotte ho trovato mia madre che piangeva, così le ho chiesto cosa avesse e mi ha confessato tutto». Dylan sembra davvero sfinito. 

«Ascolta, perché non ti metti di là in camera mia a riposare un po' e poi ne parliamo più tardi con calma?» gli propone Harry, riuscendo a rimetterlo in piedi.

«Non voglio dormire, Harry, voglio solo tornare a qualche ora fa e non fare mai quella domanda a mia madre» risponde, guardando un punto indefinito.

«Dylan...» non appena pronuncia il suo nome, il suo amico lo guarda, ma i suoi occhi sembrano spenti «hai davvero bisogno di riposare... forza vieni con me». Harry riesce a prenderlo sotto braccio e a farlo appoggiare a sé. È così sfinito che fatica anche a camminare.

«Ok» risponde lui, senza la forza di obiettare.

«Chloe, puoi... per favore...» Non ho bisogno che Harry concluda la frase per capire ciò che mi sta chiedendo.

Mi alzo velocemente e mi dirigo in camera per dare una sistemata al letto. Ci metto sopra un lenzuolo pulito e recupero un'altra coperta dall'armadio. Subito dopo entrano i due ragazzi ed è arrivato il momento di lasciarli soli, così esco e torno in soggiorno andando verso la finestra alla quale era appoggiato Dylan poco fa.

Sono confusa, i miei pensieri sono una massa informe di idee assurde che si rincorrono senza sapere da che parte andare. Non ho idea di cosa sia appena successo, eppure sono sicura che mi riguardi e questo pensiero sta diventando ossessivo.

Dylan... il suo nome... un padre che non è un padre... un fratello morto senza averlo conosciuto... sua madre gli ha mentito...

Mi sembra di impazzire, di non poterne uscire, quasi di non riuscire a respirare...

«Ehi...» Harry sussurra alle mie spalle, come se non volesse spaventarmi.

Mi volto, lo guardo, e la prima cosa che faccio è fiondarmi tra le sue braccia. Ho fretta di sapere quello che vuole dirmi, ma ho più bisogno del suo abbraccio, perché è l'unico in grado di tenermi insieme. Le sue mani sulla mia schiena con i palmi aperti, che riesco a percepire perfettamente anche attraverso la felpa che indosso, e il battito del suo cuore che sento quando appoggio la mia mano sul suo petto, infine il suo viso che si appoggia alla mia testa e il calore del suo corpo, ogni suo gesto rende questo abbraccio perfetto.

«Volevo dirtelo, Chloe, davvero...» Sento chiaramente dal suo tono che è sincero, che crede davvero in quello che dice, ma non riesco a trovarne conforto.

«Cos'è che volevi dirmi, Harry?» Mi allontano per guardarlo negli occhi, per leggere in quel verde velato di rimpianto, quanto sia dispiaciuto.

«Io... dopo che mi hai fatto vedere le foto di Dylan sul tuo cellulare, e che ho potuto vedere da solo quanto loro due si somiglino, mi è venuto un sospetto e ho iniziato ad indagare...»

«Indagare?» ripeto, aggrottando le sopracciglia e sciogliendo l'abbraccio, ma senza allontanarmi da lui.

Harry sospira, chiude gli occhi come per trovare le forze per continuare, poi torna a guardarmi. «Ho assunto un investigatore privato, per scoprire se ci fosse realmente il legame di cui sospettavo tra loro due».

Lo sto ascoltando, ma tutto sta diventando semplicemente assurdo.

«Cosa stai dicendo?» Non so per quale motivo, ma faccio un passo indietro, come intimorita dalle sue parole.

«Conosco il mio amico da sempre e so bene ogni cosa che lo riguardi. Ha sempre avuto un unico genitore, sua madre Kelly, che gli raccontò che suo padre morì in un incendio per salvare lei e il figlio dalla loro casa in fiamme. Dylan è cresciuto con l'idea che suo padre fosse un eroe, sua madre ha continuato per anni a parlare di quest'uomo meraviglioso e lui non ha fatto altro che rattristarsi per non ricordare niente di lui. Ha sofferto tanto per non aver mai avuto un padre da cui correre quando aveva qualche problema, e si è sempre arrabbiato con me per il rapporto che ho con il mio...» Harry mi sta facendo entrare piano, piano nella vita di Dylan.

«Che cosa c'entra tutto questo con me, perché me lo stai dicendo?» Faccio un altro passo indietro, con il presentimento che quello che sta per dirmi non mi piacerà affatto, e lui ne fa uno verso di me.

«Perché, in realtà, il padre di Dylan non è morto. Kelly ha vissuto all'estero per un periodo di tempo, durante il quale ha conosciuto un uomo di cui si è innamorata, ma quell'uomo era sposato e, nonostante le avesse promesso che avrebbe lasciato la moglie per lei, quando gli ha rivelato di essere incinta lui non ha più voluto saperne, però Kelly non ha abortito...» Fa ancora un passo nella mia direzione e ora mi trovo con le spalle al muro.

«Te lo richiedo, Harry: che cosa c'entra tutto questo con me?» Mi ha raccontato una storia molto triste, ma ancora non capisco il collegamento che riporta a me.

Si avvicina ancora, prende le mie mani nelle sue e io glielo lascio fare; ho bisogno anche io di questo contatto con lui, lascio che mi tiri a sé, senza opporre nessuna resistenza. «Kelly ha lavorato nella sede della Bank of America di Montréal...» lascia la frase in sospeso, in attesa di una mia reazione, ma io resto immobile, quasi senza battere le palpebre, perché il mio cervello sta iniziando a mettere insieme i pezzi.

So bene chi lavora in quella banca, ci ha lavorato da sempre come direttore, e mi manca solo la conferma di quello che ho appena ipotizzato.

«Harry...» Pronuncio unicamente il suo nome, come per chiedergli di continuare, e lui lo fa.

«L'uomo di cui era innamorata Kelly era il signor Peters, e Dylan è suo figlio...» Mi si blocca il respiro, mi gira la testa, e il cuore inizia a battere ad un ritmo incredibilmente veloce.

Adesso il puzzle è completo, ogni pezzo è andato ad incastrarsi perfettamente al suo posto, ma invece di essere soddisfatta per aver risolto il rompicapo, mi sento attraversata da un'ondata di dolore che mi devasta il cuore, sento che le gambe non mi reggono, ma poi sento le braccia di Harry sorreggermi prima che io cada, accompagnandomi fino al divano, dove mi aiuta a sedermi.

«Ti porto un po' d'acqua» mi dice allontanandosi, per poi tornare subito dopo con ciò che mi ha promesso.

Porto il bicchiere alle labbra, ma non riesco a mandarne giù più di un sorso perché il peso che sento sul petto non me lo permette. «Da quanto tempo lo sapevi?» gli domando, voltandomi verso di lui.

«Chloe...»

«Da quanto, Harry?!» gli chiedo più decisa.

Lui sospira pesantemente. «Da prima della partenza per Madrid» mi confessa, e so che è realmente mortificato, glielo leggo negli occhi, ma non riesco a fermarmi.

«E in più di un mese non hai mai trovato un momento per dirmelo?» gli dico con un tono molto più duro di quanto non voglia, ma la notizia che ho appena ricevuto mi ha sconvolto.

«È che non mi sembrava mai il momento giusto, e poi avevo promesso a Kelly che le avrei dato la possibilità di essere lei stessa a confessare la verità a Dylan. Se te l'avessi detto puoi giurarmi che non saresti corsa da lui a dirglielo?» mi domanda con un tono preoccupato, ed è una domanda per la quale io non ho una risposta perché so che ha ragione. «Ti giuro che te l'avrei detto, Chloe, mi devi credere». La sua voce ha il suono di una supplica. Mi sta implorando di credergli e io lo sto facendo, ma questo non toglie che quanto ho appena saputo mi abbia toccato nel profondo.

Volto lo sguardo verso la porta chiusa della camera da letto, poi verso Harry, che resta a guardarmi senza dire nulla. «Quindi sono fratelli?» gli chiedo, come se avessi bisogno di una conferma.

«Non è ufficiale, ma non credo ci siano dubbi» mi dice, scivolando sul divano più vicino a me, per poi togliermi il bicchiere dalle mani e stringere le mie nelle sue. «Volevo essere io a dirtelo... volevo...» lascia di nuovo la sua frase in sospeso, un po' come mi sento io. «Stai bene, Chloe?» mi chiede incerto.

«Non lo so, Harry... abbracciami per favore...» dico senza nemmeno pensarci, perché non so rispondere a ciò che mi ha appena chiesto, dato che non ho la minima idea di come mi sento.

Mi rannicchio contro di lui, mi lascio stringere e trovo conforto tra le sue braccia, come sempre succede. Chiudo gli occhi e tento di concentrarmi solo sul suo profumo, sulle sue mani che accarezzano la mia schiena, sulle sue labbra che si posano delicate sulla mia tempia e sul suo respiro lento e regolare che mi tranquillizza.

Ho bisogno di allontanare dalla mia mente quello che ho appena saputo, devo tentare di metabolizzare questa notizia per ragionarci con lucidità e razionalità. L'istinto mi ha portato a delle scelte a dir poco discutibili, e non me lo posso permettere. Ho fatto troppi errori, ho fatto soffrire le persone più importanti della mia vita, e non voglio che si ripeta, soprattutto con Harry. 

Gli credo ciecamente, so che era sincero quando mi ha detto che avrebbe voluto dirmelo, e capisco bene il suo punto di vista nel voler proteggere il suo amico e nel mantenere la promessa fatta a Kelly. Non lo biasimo e non lo incolpo di niente, non sono affatto arrabbiata con lui, anche se non me ne ha parlato subito tenendomi nascosto per tanto tempo una cosa così dannatamente importante, e penso che, forse, se le parti fossero invertite, mi sarei comportata nello stesso modo.

«Harry?»

«Mh?»

«Dovresti avvisare sua madre che è ancora qui». Mentire ad un figlio, come ha fatto Kelly, credo sia quantomeno discutibile, ma non sta a me giudicare. Comunque sono sicura che lei gli voglia bene e sia seriamente preoccupata per lui.

«Lo so... ora vado, ma tu non muoverti da qui» mi dice più tranquillo, lasciandomi un ultimo bacio sulla tempia.

Lo guardo andare verso il suo cellulare, che ha lasciato sul tavolo, resto a guardarlo anche quando compone il numero e porta il telefono all'orecchio in attesa che Kelly risponda. Lo fa anche lui con me, tenendo i suoi occhi nei miei, anche mentre parla con la mamma di Dylan spiegandole che è riuscito a convincerlo a stendersi un po'. Mi tiene gli occhi addosso per tutto il resto della telefonata, e io non posso fare diversamente. Lui ha bisogno di essere rassicurato sul fatto che io non sia arrabbiata con lui, e io ho bisogno di essere rassicurata e basta.

Noi siamo questo: abbiamo bisogno l'uno dell'altra, siamo l'uno la forza dell'altra e, dopo aver chiuso la chiamata ed essere tornato a sedersi vicino a me, sento la necessità di dimostrargli che non è cambiato niente tra noi. «Avrei preferito se me l'avessi detto subito, ma capisco perché non l'hai fatto» gli dico, incrociando le mie gambe con le sue.

«La sera della vigilia di Natale, quando ho visto quel Peters, avrei voluto rompergli il naso, e dover tacere è stata una tortura» mi racconta, appoggiando la testa all'indietro.

«E poi il mio attacco di panico ti ha rovinato del tutto la serata». Troppo spesso dimentico che non sono solo io ad essere coinvolta in questa circostanza.

«No, che dici! Quella è stata l'unica parte positiva della serata» mi dice con uno strano tono di voce, al che lo guardo con aria confusa e lui si affretta a spiegarmi. «Se ricordi bene l'armadio si è complimentato con me per quello...» Alzo gli occhi al cielo senza poter trattenere un sorriso alle sue parole, un sorriso che solo lui poteva far spuntare dopo quanto successo, e gliene sono grata perché so che lo sta facendo di proposito.

«Conosco Ethan Peters da anni e ho sempre pensato che fosse un grande uomo. Amava molto suo figlio e non riesco a concepire che abbia mentito a tutti in questo modo». Harry mi osserva con attenzione mentre gli parlo. «Dylan sarebbe stato felice di avere un fratello, ne avrebbe sempre voluto uno... a volte lui e Kurt fingevano di esserlo... Si aiutavano, si sostenevano e si vedevano quasi tutti i giorni. Se uno aveva bisogno di un consiglio correva subito dall'altro... a volte andavano a sciare loro due da soli... è stato Kurt ad organizzare la serata del mio compleanno su richiesta di Dylan...» Una piccola, ma profonda, fitta al petto mi colpisce al ricordo che mi è appena tornato in mente.

Credo che Harry se ne sia accorto, perché ha appena posato la sua mano sulla mia gamba. «Resta con me...» mi dice con un filo di voce, dopo essersi accorto del mio stato d'animo. 

«Sono qui» gli dico, rifugiandomi tra le sue braccia.

Il passato, quando torna a galla tutto insieme come oggi, è terribilmente doloroso. Ci provo ad allontanare il dolore, i sensi di colpa e, nonostante le mani di Harry sulla mia schiena, oggi mi sembra un'impresa titanica. Forse perché nell'altra stanza c'è il fratello di Dylan, ed è un frammento della sua vita talmente tangibile che non posso ignorare, o forse perché ho appena ricordato cosa vuol dire perdere qualcuno di importante e la ferita è tornata a sanguinare.

Tutte le mie buone intenzioni, di accantonare quanto appena successo, sono andate a farsi benedire. Non riesco a smettere di pensare a Dylan e a suo fratello al di là di quella porta, alle menzogne del signor Peters e a come avrebbe potuto essere la loro vita se le cose fossero andate diversamente.

Ed è in quel momento che voglio sapere di più. «Harry?» alzo lo sguardo su di lui, che mi guarda con aria pensierosa. «Mi racconti come l'hai scoperto?» gli domando, restando stretta al suo corpo.

«Sei sicura?» mi chiede, e so che si sta preoccupando per me.

«Sì» rispondo decisa, ma in realtà non sono sicura di niente. So soltanto che voglio sapere quante più cose possibili riguardino questo avvenimento.

Così lo ascolto mentre mi spiega di come è avvenuto l'incontro tra Kelly e il padre di Dylan, di come si sono innamorati e di tutto quello che è seguito a quei giorni. Non perdo nemmeno una sua parola, non lo interrompo mai, e sento tutte queste informazioni riempirmi la testa come fossero piccoli sassi che si scagliano con forza sui miei ricordi. Tutto si confonde, tutto diventa complicato e, alla fine del suo racconto, mi sento sfinita anche io, come se avessi vissuto in prima persona tutto quanto.

Restiamo in silenzio per un po', mi appoggio al suo petto, sento che lui sta coprendo entrambi con un plaid, e io chiudo gli occhi per concentrarmi solo su Harry, perché lui è il mio rifugio sicuro. 

Quando ti rendi conto che c'è qualcosa che stride nella felicità che ti stai costruendo, devi essere pronto a capirlo, devi essere pronto a cambiare qualcosa, e non puoi permetterti l'indecisione, perché il colpo, quando arriva, arriva all'improvviso, e una volta scagliato non puoi più fermarlo.

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Capitolo 60
*** La risposta alla tua domanda è NO! ***


Harry

«Sì, Alan, ho capito, adesso fammi queste fotocopie» dico al ragazzo in piedi di fronte a , che mi guarda con aria confusa.

«Dott. Stevens... veramente il mio nome non è Alan...» dice lui timidamente.

«E io non sono il dottor Stevens... ora fai queste fotocopie che le porto al vero Dottor Stevens». So di aver alzato la voce e che Alan, o come cazzo si chiama, non ha colpa del mio malumore, ma non riesco a fare altrimenti.

Sono dovuto venire in ufficio stamattina per parare il culo a Dylan, che oggi aveva un appuntamento con un paio di investitori, ma non è ancora in grado di lavorare.

Due giorni fa si è presentato alla mia porta, dopo aver scoperto la verità sul suo passato e, da allora, non è ancora uscito da lì. Tengo informata Kelly sul suo stato perché lui mi ha detto che non vuole parlare con sua madre. È arrabbiato e lo capisco, gli lascerò tutto il tempo di cui ha bisogno per riordinare le idee e tornare in sé, credo proprio di doverglielo per tutto quello che ha fatto per me in questi anni.

Ho chiamato Kurt, stamattina, non appena sono arrivato in ufficio, chiedendogli se Chloe l'avesse chiamato per raccontargli quanto successo, e mi sono stupito che lei non l'abbia fatto, come sono stupito che stia prendendo tutta questa situazione con troppa calma.

Non si è arrabbiata perché le ho tenuto nascosta la verità, e sembra aver accettato troppo di buon grado che il mio amico sia il fratello del suo... Ah non voglio nemmeno dirlo... È troppo comprensiva e non ha ancora espresso nessun parere.

Non so cosa mi aspettavo da lei, ma di sicuro non questa calma innaturale. Ho immaginato diversi scenari pensando al momento in cui le avrei rivelato la parentela tra i due ragazzi e, fra tutti quelli che ho ipotizzato, la dolcezza del suo abbraccio quando eravamo seduti sul mio divano non l'ho mai presa in considerazione.

Mi appoggio alla vetrata del mio ufficio con entrambe le mani, nell'attesa che Alfred mi porti quei documenti fotocopiati, e ripenso a ieri sera, a quando sono passato da lei prima di tornare a casa mia. Era strana, troppo gentile e non ha mai risposto a tono alle mie battute. Spero solo che non stia architettando qualcosa.

Qualcuno bussa alla mia porta. «Avanti» dico, tornando alla scrivania.

«I documenti sono pronti». Alfred, o Alan, si avvicina e mi porge i fogli che ha in mano per lasciarmeli visionare.

«Ok, grazie» gli dico, recuperando il plico dei contratti per portarli a mio fratello. «Per adesso puoi andare».

Il biondo imbranato borbotta qualcosa che non comprendo, ma non mi preoccupo di chiedere spiegazioni. Voglio sbrigarmi ad andare da Jordan per sottoporgli questi contratti che ho appena stipulato con due nuovi clienti. Prima vado, prima finisco, prima posso tornare da Chloe. 

Cammino svelto verso l'ascensore, premo il pulsante e mi infilo all'interno non appena si aprono le porte metalliche. Metto la mano in tasca alla ricerca del cellulare, ma mi ritrovo ad imprecare, sotto lo sguardo infastidito di due uomini di mezza età, quando mi rendo conto di averlo dimenticato in ufficio. L'avevo posato nel cassetto per non distrarmi durante l'incontro con gli investitori e me ne sono scordato; non fa niente, lo prenderò dopo.

Saluto velocemente Claire ed entro nell'ufficio di Jordan senza farmi annunciare, e senza bussare. Mio fratello è seduto alla sua scrivania e si volta appena nella mia direzione, alzando gli occhi al cielo per via del mio ingresso.

«Ti ricordi il giorno di Natale quando ti ho detto tutte quelle belle cose?» La domanda di Jordan ha un tono assolutamente sarcastico.

Ricordo bene quel giorno. Eravamo tutti e tre seduti a tavola a casa di papà, che ha anche preparato il pranzo. Non cucinava per noi da quando eravamo bambini e l'atmosfera che si respirava mi mancava così tanto, che mi sarebbe stato impossibile rovinarla. Abbiamo riso, parlato, e mi sentito parte della famiglia.

La sera stessa, quando sono rincasato, mio fratello mi ha chiamato per dirmi quanto fosse orgoglioso di me e di quanto gli era mancata la nostra famiglia.

«Sì» gli rispondo, immaginando già dove voglia andare a parare, ed è proprio quel pensiero che mi provoca un enorme sorriso.

«Beh... Me le rimangio!» Non trattengo una piccola risata alle sue parole, ma non ribatto.

Mi siedo sulla sedia girevole di fronte alla sua scrivania, dopo aver posato davanti a lui i contratti conclusi. Jordan osserva le cartelline, poi mi guarda socchiudendo appena gli occhi, guardandomi con sospetto. «Hai già finito?» mi domanda, prendendo in mano quei fogli.

«Ti dimentichi che mi chiamo Stevens...» gli rispondo, soddisfatto di me.

Mio fratello inizia a sfogliare ciò che gli ho portato da verificare. Di solito è Dylan ad occuparsi di queste cose, io mi sono sempre appoggiato al mio amico, ma dopo l'esperienza di Madrid, e tutto il resto della mia vita che sta viaggiando in una direzione del tutto nuova, mi sono detto che posso provarci, anzi no, posso riuscire ad essere migliore.

«Chloe ti ha fatto decisamente bene» afferma, chiudendo l'ultima cartellina, per poi tornare a guardarmi negli occhi con l'aria di chi è molto soddisfatto.

«Grazie per credere in me» gli dico scherzando. So bene quanto abbia ragione, la maggior parte del mio cambiamento lo devo a lei, ma ci ho messo del mio per essere come sono oggi.

«Harry, io ho sempre creduto in te, come l'ha fatto anche papà, l'unico a non farlo eri tu». Alzo entrambe le mani e abbasso leggermente la testa per fargli capire che concordo con lui, ma non lo ammetterò mai ad alta voce.

Per tutti questi anni ho riversato sugli altri i miei problemi, il mio senso di frustrazione e di quanto mi sentissi impotente di fronte a tutti gli abbandoni che hanno segnato la mia vita. Poi è arrivata Chloe, qualcuno per cui lottare, qualcuno da cui ritornare. Mi ha fatto tornare la voglia di rimettermi in gioco, perché lei riesce a farmi sentire speciale. Mi è bastato uno sguardo per capire quanto mi desiderasse, nello stesso modo in cui l'ho sempre desiderata io, e quando l'ho baciata la prima volta ho sentito il modo in cui si è abbandonata completamente a me, cosa che fa ancora, lo fa sempre, mi basta abbracciarla per sentirlo.

Lei mi vuole e non parlo solo di attrazione fisica, lei vuole me per quello che sono, mi vuole per le mie battute stupide, per il mio modo di farla ridere, per come sta bene con me, tra le mie braccia, e io voglio lei.

«Visto che sono stato bravo, me ne posso andare?» gli domando, posando entrambe le mani sui braccioli della sedia.

Jordan mi guarda aggrottando le sopracciglia. «Mi stai davvero chiedendo il permesso?» mi domanda stupito, e io non posso fare a meno di sorridere come un idiota. «Questo sì che è un evento... sono commosso» dice ancora, facendo una voce stupida, ma nemmeno lui riesce a trattenere il sorriso.

«Dovresti trovarti una ragazza, Jordan» gli dico alzandomi in piedi, per poi camminare verso la porta.

«Fottiti!» Mi risponde lui, dopo aver capito la mia allusione al fatto che sia tremendamente acido con me.

Richiudo la porta alle mie spalle e mi avvicino alla scrivania di Claire per salutarla.

«Mio fratello ti fa lavorare troppo» le dico, appoggiandomi con i gomiti al bancone.

«Tuo fratello mi ha già dato le ferie per la settimana prossima» dice con un gran sorriso, mostrandomi il foglio del permesso firmato da lui.

«Jordan ha un cuore!» dico enfatizzando ogni parola, poi seguo il suo movimento nel posare quel foglio sul ripiano della scrivania e lo sguardo mi cade sul foglio immediatamente sotto al suo, sul quale leggo Stewart.  
Reb non mi ha informato che si sarebbe presa dei giorni. «La mia segretaria ha chiesto ferie?» le domando, restando con gli occhi su quei fogli.

Lei mi guarda confusa, poi sposta leggermente quel foglio, e resto confuso anch'io quando leggo quel nome. «Non è Rebekah ad aver chiesto dei giorni» mi dice tranquilla.

«Devo andare, Claire, ci vediamo» le dico, per poi allontanarmi in fretta.

Entro in ascensore, che fortunatamente si trova al piano, per tornare al mio ufficio. Impreco ancora per essermi dimenticato il cellulare nel cassetto, mentre penso che questo percorso non mi è mai sembrato così lungo. Quando le porte si aprono, cammino a grandi passi lungo il corridoio fino ad arrivare alla mia meta. Apro il cassetto, prendo il telefono, sblocco il display e trovo una chiamata persa proprio da Chloe. Mi porto immediatamente il cellulare all'orecchio per richiamarla, ma il suo risulta irraggiungibile. «Merda!» Ho un brutto presentimento.

Spengo il computer e le luci, poi esco, diretto a casa, sua mentre continuo a provare a richiamarla. Il suo numero risulta irraggiungibile per tutto il tempo che impiego per arrivare al suo appartamento.

Arrivo, citofono, e aspetto. «Chi è?» La voce è quella di sua sorella.

«Sono Harry» rispondo velocemente e, altrettanto velocemente, lei mi apre il portone.

Faccio gli scalini a due a due e arrivo davanti alla porta d'ingresso, che trovo aperta. Reb è sulla soglia con un'espressione che non promette niente di buono.

«Dov'è?» le domando, ormai preoccupato.

«Mi ha chiesto di darti questa». Abbasso lo sguardo sulla busta stretta nella sua mano e il primo istinto è quello di prenderla e strapparla in mille pezzi, perché ho paura di quello che c'è scritto lì dentro.

«Che cazzo significa?» le domando, senza riuscire a toccare quella lettera.

«Mi ha solo chiesto di consegnartela, non so altro» dice ancora, mortificata.

«Mi sta lasciando con una lettera del cazzo?» Ho alzato troppo la voce, Reb non c'entra niente, ma non sono riuscito a fare diversamente.

«Harry abbassa la voce» appare Zach alle sue spalle, con la sua solita tranquillità «dovresti leggere quello che c'è scritto, invece di prendertela con lei...» dice ancora, mettendo un braccio sulle spalle della sua ragazza.

Torno a guardare quella busta bianca che Rebekah tiene ancora tra le dita, e vorrei essere molto più sicuro di me per poterla prendere, ma è come se rappresentasse del fuoco. Ho paura che, afferrandola, mi brucerò, e non ho più alcuna protezione a difendermi.

«Harry prendila» mi incita il mio amico.

E così faccio. La prendo, li saluto e torno in macchina. Resto seduto al volante della mia auto con quel foglio tra le mani. Sono terrorizzato da questo stupido pezzo di carta e vorrei solo distruggerlo, ma allo stesso tempo è l'unico che contiene la risposta alla domanda che occupa la mia intera materia grigia.

Alzo per un attimo lo sguardo e mi dico che, se dovessero essere brutte notizie, voglio leggerle in un posto dove sono stato decisamente bene con lei, quindi metto la lettera nella tasca interna della giacca, poi accendo l'auto e guido fino al mare, fino a quel parco che a lei è piaciuto tanto. Raggiungo a piedi lo stesso muretto sul quale siamo stati seduti quel pomeriggio e resto per un po' a fissare le onde agitate dell'oceano, un po' come mi sento io.

Avrei dovuto aspettarmelo, c'era troppa calma, e ho paura che, adesso, stia per scatenarsi la tempesta.

Prendo la busta dalla tasca, ne sfilo il contenuto, poi apro il foglio e chiamo a raccolta tutto il coraggio che riesco a trovare per iniziare a leggere.

No, Harry!

La risposta alla tua domanda è NO!

Non me ne sono andata e non ti ho lasciato, non potrei mai farlo.

Ma c'è qualcosa che devo fare e devo farlo da sola.

Ho visto con i miei occhi quanto tu sia coraggioso, quanto tu ti sia messo in gioco per me, mentre io non ho fatto altro che prendere, e prendere. Sei stato a Montréal, negli stessi posti in cui è stato lui prima di te e non mi hai mai chiesto niente. Non hai mai messo in discussione nulla, hai accettato con il sorriso ogni situazione, ogni incontro, ogni luogo, e ogni persona. Mi hai sempre lasciata libera di agire come meglio credevo e mi hai sempre supportato, sempre.

Ho solo bisogno di qualche giorno, perché la verità sulla famiglia Peters ha riportato a galla dei momenti terribili, e non voglio diventare un peso nel nostro rapporto.

Qualche giorno, Harry... torno presto.

Mi appoggio con le mani sulle gambe, mentre tengo ancora stretto tra le dita quel foglio, e rivolgo lo sguardo verso l'acqua dell'oceano, increspata dalle onde, provo a concentrarmi sui rumori circostanti, ma non riesco a sentirli. L'unica cosa che sento è silenzio, come se qualcuno con un telecomando avesse premuto il tasto mute.

«Vaffanculo, Stewart!» Non trattengo la rabbia che provo in questo momento e lo urlo come se lei potesse realmente sentirlo, poi accartoccio il foglio e lo infilo in tasca. «Non è così che andranno le cose...» dico a me stesso, prendendo il cellulare dalla tasca per poi far partire la chiamata. Risponde al secondo squillo.

«Harry...»

«Perché non me l'hai detto?» gli domando, tentando di tenere a freno la collera che sento pervadermi ovunque.

«Detto cosa?» Chiudo gli occhi e trattengo il fiato, per non insultare anche lui. Devo mantenere la calma se voglio sapere qualcosa.

«Dimmi solo dov'è!» dico con il respiro bloccato in gola, per l'angoscia che questa maledetta lettera mi ha provocato.

«Harry... come faccio a dirti dove si trova se non so che il suo aereo è partito per Montréal stamattina?» Tiro un sospiro di sollievo e contemporaneamente la paura torna prepotente nella mia testa. Per un attimo c'è silenzio, io non dico nulla, lui nemmeno, ma poi riprende a parlare. «Mi ha fatto promettere di non dirti dove avresti potuto trovarla e, tecnicamente, non l'ho fatto, dato che ti ho semplicemente detto quale destinazione avesse l'aereo con cui è partita...» Non riesco a dire nulla anche se vorrei dire mille cose. «Harry... vai a prenderla...»

È come se le sue ultime parole avessero riattivato l'interruttore del mio cervello, che si era spento poco fa. Adesso so cosa fare. «Grazie, Jordan» pronuncio, con tutta la gratitudine che sento per mio fratello.

Chiudo la comunicazione ed è ovvio cosa devo fare adesso.

************

Chloe

«Grazie e arrivederci». Il tassista, che mi ha appena lasciato davanti a casa dei miei, mi saluta non appena scendo dalla sua auto, poi chiudo la portiera e resto a fissare l'abitazione per qualche istante prima di entrare, mentre sento il rumore del motore del taxi allontanarsi.

Non immaginavo che sarei tornata dopo così pochi giorni, come non immaginavo di aver avuto il fratello di Dylan davanti agli occhi durante questi mesi. Avrei dovuto capirlo e non l'ho fatto. Si somigliano così tanto: stesso sorriso, stessi lineamenti, stessa postura, e stesso atteggiamento positivo nei confronti della vita e delle persone.

Durante il volo ho ripensato a tutte le volte in cui me lo sono trovato davanti, e di quando ho cercato di evitarlo perché la sua somiglianza con il mio Dylan mi turbava parecchio.

Ho pensato di andare a parlare con lui prima di venire qui, ma non ci sono riuscita: entrambi abbiamo bisogno di tempo per accettare questa notizia. Ho parlato a lungo con mia sorella prima di partire, le ho raccontato tutto su Dylan Evans e suo padre biologico, il signor Peters, abbiamo valutato diverse opzioni e lei ha cercato di convincermi in ogni modo a restare, ma ho bisogno di fare questa cosa. Non posso più rimandare.

Una discussione simile l'ho avuta con Jordan proprio ieri, quando l'ho chiamato per comunicargli che sarei stata via qualche giorno. Harry aveva già raccontato a suo fratello di Dylan e, di conseguenza, di quello che mi lega a questa storia; mi sono confrontata anche con lui, che ha tentato di convincermi a parlare con Harry prima di prendere qualsiasi decisione, ma in quel momento ero assolutamente convinta di quello che volevo fare e gli ho fatto promettere di mantenere il silenzio.

Quando sono tornata a casa gli ho scritto quella lettera per fargli capire che questa lontananza non è definitiva, per fargli capire che non ho intenzione di abbandonarlo - non sopporterei l'idea che si ripeta ciò che è successo a Madrid.

Nel momento in cui stavo per salire sull'aereo ho ripensato alle parole di Reb, poi a quelle di Jordan e ho avuto un ripensamento. Ho preso il telefono e ho chiamato Harry, mi sono detta che, se avesse risposto, gli avrei detto ciò che stavo per fare e, se me l'avesse chiesto lui, non sarei partita.

Ho lasciato squillare fino a che non è caduta la linea: Harry non ha risposto e io sono salita sull'aereo. Ora sono qui, davanti alla porta d'ingresso della casa dei miei genitori, con il mio trolley al seguito, mentre tento di trovare le parole giuste per spiegare la mia presenza qui a mamma e papà.

Busso con forza e passano pochi secondi prima che la porta venga aperta. «Ciao, papà» gli dico sorridendo. La sua espressione è decisamente confusa.

«Chloe? Che ci fai qui?» mi domanda, restando fermo sulla soglia.

«Sono felice anch'io di vederti» rispondo ironicamente, senza smettere di sorridere. È ovvio che sia preoccupato di vedermi qui, ma tento di alleggerire la situazione.

«Certo che sono felice di vederti, ma...» e subito dopo, alle sue spalle, spunta la mamma.

«Chi è? ... O mio Dio! Chloe!» La sua espressione cambia da curiosa a spaventata in un nano secondo e, immediatamente dopo, mi ritrovo tra le sue braccia. «Stai bene?» mi chiede, tornando a guardarmi.

«Sto bene... possiamo entrare? Si gela qui fuori» dico loro, con il perenne sorriso sulle labbra, ma non credo di essere riuscita nel mio intento di tranquillizzarli, dato che dalle loro facce si potrebbe dire che abbiano appena visto un fantasma.

Entriamo in casa, mamma mi aiuta a togliere il cappotto e papà sistema il trolley vicino al mobile dell'ingresso, poi andiamo in cucina, perché mia madre ha deciso che devo bere qualcosa di caldo. Mi siedo al tavolo insieme a loro e, dopo una serie di domande banali, arrivano quelle vere, quelle con cui mi chiedono il vero motivo per cui mi trovo di nuovo a Montréal nel giro di pochi giorni e, soprattutto, senza averli avvisati.

Prendo un gran respiro e spiego loro tutto quello che ho scoperto sul signor Peters. Papà resta nel più totale silenzio mentre mamma, ogni tanto, si lascia andare a commenti tipo 'o mio Dio' oppure 'non ci posso credere' o ancora 'è assurdo', ma entrambi sono esterrefatti per quanto hanno appena appreso. Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del genere e venire a scoprirlo ti scombina la vita, come succederà anche alla mamma del mio Dylan, e sono certa che succederà presto.

«E come sta adesso quel ragazzo?» mi domanda mia madre, non appena finisco di raccontare.

«Non bene, mamma. È rinchiuso nell'appartamento di Harry da due giorni». Credo abbia bisogno dei suoi tempi per digerire la notizia e capire cosa vuole fare, ma suppongo che, prima o poi, vorrà conoscere suo padre.

«E, in tutto questo, tu perché sei qui?» La domanda che più mi aspettavo arriva da mio padre.

«Sono qui per Harry» dico loro, che mi guardano con aria confusa.

Spiego loro esattamente cosa intendo. Mamma mi tiene la mano e papà non sembra essere molto convinto, ma non dice nulla, mentre io spero di riuscire a combinarne una buona, una volta tanto.

**************

Il resto della mattinata l'ho passato in camera mia, chiusa tra i miei pensieri e i miei ricordi. A quest'ora, forse, Harry avrà già letto la mia lettera e spero solo che non l'abbia presa troppo male.

Il mio telefono giace ancora muto nella tasca del cappotto perché, se parlassi con lui, non riuscirei a portare a termine ciò che mi sono prefissata - sempre sperando di farcela. Ho chiesto a mamma il suo per poter chiamare Kurt e Hazel, e ora sono sdraiata sul mio letto, con tutte le lucine accese, pronta a far partire la chiamata.

Sento squillare e la sua voce subito dopo. «Abigail buongiorno, tutto bene?» risponde lei, dopo aver letto sul display chi la sta chiamando.

«Va bene lo stesso se non sono mia madre?» le dico, immaginando la sua espressione stranita.

«Chloe? Perché mi stai chiamando con il telefono di tua madre? È successo qualcosa?» Sto per risponderle, ma mi blocco quando sento un'altra voce. «Chloe? Che succede?» Questo è Kurty, i miei due migliori amici sono insieme e io sorrido solo per aver sentito la loro voce.

«Sto bene» mi affretto a dirgli, per non farli preoccupare.

«Sei qui?» mi domanda la mia amica, con un tono apprensivo. Credo abbiano capito che mi trovo a Montréal, per via della telefonata dal cellulare di mia madre.

«Sì, ci vediamo?» dico loro, senza aggiungere altro.

«C'è anche Harry?» La domanda arriva da Kurt, ma gli sento uno strano tono.

«No, lui non c'è» Questa cosa sta iniziando a diventare sospetta. Se non ha una cotta per lui c'è solo un altro motivo per cui è sempre così agitato quando si parla di Harry. «Kurt... Tu lo sai, non è vero?» gli domando, senza specificare di cosa sto parlando.

«Sì, Chloe, lo so» risponde, come se si fosse liberato di un peso.

«Che cosa sai?» chiede Hazel e suppongo siano in vivavoce. «Chloe che sta succedendo?» domanda ancora dopo il nostro silenzio.

«Mi dispiace non avertene parlato...» dice ancora Kurt, che non prova nemmeno a giustificarsi.

«Di cosa state parlando? Io non capisco...» è ovvia la confusione nella voce della mia amica, ma non voglio discuterne al telefono.

«Hazel credo sia meglio se ci vediamo» dico, tornando a mettermi seduta.

«Ok» risponde lei, poi ci salutiamo dopo aver detto loro che li aspetto a casa mia.

Adesso si spiega lo strano comportamento di Kurt. Non ha mai avuto una cotta per Harry, ma con lui condivideva un segreto. Sapeva ogni cosa e si è tenuto quel peso dentro di sé per così tanto tempo. Non so nemmeno come sentirmi al riguardo. In un discorso logico dovrei essere arrabbiata con lui, ma proprio non posso esserlo. Ha sofferto come me, per Dylan, e io ero troppo presa da me stessa per rendermene conto, ma non voglio fare lo stesso errore.

Mi sdraio di nuovo sul letto, con lo sguardo fisso sulle lucine appese al soffitto, quelle che hanno piazzato Harry e Zach. Mi spunta un sorriso nel ripensare a quel giorno, un sorriso che, però, si spegne non appena penso alla lettera che gli ho lasciato: spero solo che Harry abbia compreso il mio punto di vista.

Mi sono appoggiata a lui per ogni cosa, mi ha aiutato come nessuno è mai riuscito a fare, ma devo dimostrare a me stessa, e a lui, che posso camminare da sola, che anche io posso fare qualcosa per lui, ma se fosse qui con me, sarei nuovamente aggrappata a Harry con tutte le mie forze.

Qualcuno bussa alla mia porta. «Avanti» dico, mettendomi nuovamente seduta.

La porta si apre ed è Hazel che entra per prima. Il suo sorriso è incerto, credo sia comprensibilmente confusa. «Ciao». Anche la sua voce risulta insicura. Si chiude la porta alle spalle e legge nella mia espressione la domanda che sto per farle. «Kurt è rimasto di sotto». La mia amica si ferma sulla soglia.

«E perché?» Mi metto in piedi e mi avvicino a lei.

«Non lo so. Che succede Chloe?» Mi metto nei suoi panni e mi rendo conto che, se fossi in lei, sarei altrettanto impaziente di sapere qualcosa, ma, per quanto io voglia bene a Hazel, la mia priorità in questo momento è Kurt.

L'abbraccio, lei abbraccia me, e so di essere fortunata ad avere loro due. «Andiamo da Kurty e ti racconto tutto». Hazel scioglie l'abbraccio e insieme ci rechiamo al piano di sotto.

Kurt è seduto sul divano, da solo, mentre si sta tormentando le mani l'una con l'altra, piegato in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. È evidente quanto sia in difficoltà, e so che devo fare qualcosa per alleviare il suo disagio.

Mi avvicino silenziosamente e lui si accorge della mia presenza solo quando gli sono ormai di fronte. Alza lo sguardo su di me e posso leggere nei suoi occhi quanto gli sia costato tenersi dentro questo segreto.

«Ehi...» richiamo la sua attenzione inginocchiandomi davanti a lui, che tiene a fatica i suoi occhi nei miei.

Il mio migliore amico è evidentemente sconvolto, con il viso tirato e pallido. Posso solo immaginare cosa stia provando in questo momento.

«Aveva un vero fratello, Chloe... un fratello, come ha sempre voluto... e nessuno gli ha permesso di conoscerlo...» So bene quanto Dylan desiderasse un fratello e so anche molto bene quanto lui e Kurt fossero uniti sotto questo aspetto. «E mi dispiace non avertelo detto, ma Harry ci teneva così tanto a dirtelo lui stesso che non ho potuto dirgli di no...» Poso le mani sulle sue ginocchia, lui mette le sue sulle mie.

«Vieni qui...» gli dico soltanto, per poi stringerlo in un abbraccio nel quale vorrei riuscire a trasmettergli quanto io gli voglia bene.

Stavolta è lui a piangere sulla mia spalla e, per la prima volta dopo mesi, posso ricambiare in qualche modo tutti gli abbracci che lui mi ha regalato, tutti i minuti e le ore che ha passato con me, tutti i gesti che mi ha dedicato.

Dopo un po' nel nostro abbraccio si infila Hazel. «Io non ho capito un'accidenti di quello che avete detto, ma questo abbraccio è troppo bello per restare a guardare». Kurt sorride, ed è il primo ad appoggiare la mano sulla sua schiena per attirarla a noi.

«Potrei sforzarmi di essere etero solo per voi due» dice lui, facendomi sorridere.

«Questo sì che è un complimento da fare ad una donna» continua la mia amica, posando una mano sulla nuca di entrambi. «Ma ora voglio sapere cosa mi state nascondendo... sto morendo dalla curiosità!» Questa volta è stata lei ad alleggerire l'atmosfera e non potrei esserle più grata di così.

Trascino entrambi in camera mia, ci mettiamo seduti sul mio letto in un improbabile incrocio di gambe a tre. Io e Kurt spieghiamo, ad una Hazel incredula, l'intera storia di Dylan Evans e di come porta al nostro Dylan. È rimasta sorpresa anche lei per tutto ciò di cui è venuta a conoscenza e la domanda di tutti ora è: che cosa facciamo?

Nessuno di noi tre ha ancora deciso cosa fare di preciso. Non possiamo andare a parlare con il signor Peters perché crediamo sia una cosa che solo Dylan debba fare, ma c'è una cosa che io vorrei poter mettere in pratica, ma che sto continuando a rimandare. Mi ero ripromessa che l'avrei fatto subito: non appena scesa dall'aereo mi sarei fatta portare direttamente al cimitero, ma quando il tassista mi ha chiesto dove dovessi andare, ho dato l'indirizzo di casa dei miei. Mi sono detta che avrei potuto farlo dopo pranzo, ma ho chiamato i miei amici per raccontare loro l'accaduto. Forse, inconsciamente, sto continuando a rimandare l'inevitabile. La verità è che non ne ho il coraggio, non riesco a dirgli addio, perché per farlo ho bisogno di lui, ho bisogno di Harry nella mia vita. Ho voluto provarci per l'ennesima volta e, per l'ennesima volta, ho fallito.

Le nostre chiacchiere vengono interrotte da un leggero bussare alla porta che si apre subito dopo mostrando la figura di mamma con un vassoio in mano contenente delle tazze. Il profumo di cioccolata arriva subito alle nostre narici. «Grazie, mamma» le dico, quando ci lascia il vassoio sul comodino vicino al mio letto. Anche i miei amici la ringraziano e lei ci sorride per poi lasciare la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Sorridiamo tutti e tre al ricordo di quante volte abbiamo bevuto cioccolata calda sul mio letto, quando passavamo interi pomeriggi a fare esercizi di matematica o a studiare spagnolo. Ognuno di noi racconta un episodio di quel periodo e io mi faccio un po' prendere dalla nostalgia, ma veniamo nuovamente interrotti da mamma che bussa.

«Vieni, mamma» le dico tranquilla.

La porta si apre, ma la persona che è appena entrata in camera mia, non è affatto mia madre. 

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Capitolo 61
*** Torna da me ***


Ho decisamente sottovalutato la determinazione che vedo nei suoi occhi verdi, la stessa che mette in tutto quello che fa, e in quello a cui tiene di più. L'ho visto crescere molto da quando l'ho conosciuto, e forse è l'unico di noi due ad aver fatto dei veri progressi, perché io, in questo preciso momento, con il suo sguardo di rimprovero a tenermi inchiodata, mi sento persa.

Dal momento in cui è entrato nella mia stanza non ha guardato altri che me. I miei due amici sono usciti in silenzio, lasciandoci soli, e ancora adesso lui non fa altro che guardarmi, mentre io guardo lui, che indossa il suo solito cappotto nero, con i capelli legati e le mani in tasca, sicuramente strette a pugno, con la stessa forza con cui tiene serrata la mascella.

È arrabbiato... è arrabbiato con me, o forse è deluso, o magari entrambe le cose. Resta fermo, rigido nella sua posizione, ad un paio di passi dalla porta d'ingresso della mia stanza, senza staccarmi gli occhi di dosso, e io vorrei trovare il coraggio di parlare, di chiedergli qualsiasi cosa pur di non restare in questa situazione di stallo, ma il suo sguardo è così furioso che sento la bocca completamente sigillata, come se non fossi in diritto di dire nulla, e magari è proprio così.

«Mi spieghi cosa diavolo vuol dire questa stronzata?!» È lui a rompere il silenzio, con un tono di voce molto duro e molto freddo. Toglie la mano destra dalla tasca e mi mostra un foglio accartocciato che io riconosco subito: è la lettera che gli ho scritto prima di partire.

«Mi dispiace...» riesco a pronunciare con un filo di voce, indietreggiando fino a scontrarmi con la finestra.

«Ti dispiace!? Che significa che ti dispiace!?» Lui fa un passo verso di me, tenendo stretto tra le dita quel foglio. Il suo sguardo mi ferisce, la sua voce alta e le sue parole anche, ma forse me lo merito.

«Volevo dimostrarti che sono forte quanto te...» gli dico a fatica, perché, adesso, tutte le parole che ho scritto in quella lettera mi sembrano sbagliate.

«E per farlo c'era bisogno di scappare di nascosto!?» Il suo tono di voce continua ad essere provocatorio, il suo sguardo sembra volermi scavare dentro, come fosse alla ricerca delle risposte che non sono in grado di dare a voce.

«Volevo fare da sola, avevo bisogno di farlo da sola...» rimarco con forza le parole, per tentare di fargli capire la mia necessità di provare ad essere più indipendente.

«Fare cosa esattamente!? Continuare a scappare!? Perché è questo che stai facendo, Chloe, lo sai, no!?» So bene quanto abbia ragione, ma non sono mai stata disposta ad ammetterlo, nemmeno ora che mi sta guardando così intensamente.

«Non sto scappando, Harry...»

«E nemmeno puoi farlo, perché in qualunque luogo andrai non potrai mai scappare da te stessa... perché è questo che stai facendo, e non c'è posto al mondo in cui tu possa nasconderti...» Nessuno me l'ha mai detto, è la prima volta che la verità mi viene sbattuta in faccia con una sincerità tale da lasciarmi senza parole.

Harry ha ragione, sto scappando da me stessa, l'ho sempre fatto e sto continuando a farlo senza nemmeno rendermene conto. Ero convinta di essere migliorata in questi mesi, di aver fatto dei progressi, ma la realtà è che non sto bene, non ancora. In tutto questo tempo non ho fatto altro che accantonare tutto in un angolo della mia testa, come si farebbe nascondendo la polvere sotto al tappeto. Harry ha avuto la capacità di alzare quel tappeto e far riaffiorare un'altra volta tutto quanto.

Non ho accettato la morte di Dylan e, tantomeno, l'ho superata. Sto vivendo la mia vita e il mio rapporto con Harry a metà; non lo merito io e non lo merita soprattutto lui, che sta mettendo tutto sé stesso in questa relazione. Questi pensieri, però, non fanno altro che far aumentare i sensi di colpa, perché ora ne ho anche nei confronti del ragazzo che sta in piedi di fronte a me, volato un'altra volta fino a Montréal da Boston solo per parlarmi. Non lo merito, non merito niente, ne sono consapevole e forse dovrei fare un passo indietro...

«Hai ragione, Harry... io... io non... io non ce la faccio...» La mia voce si abbassa. Ero convinta di essere andata avanti, ma forse non è così.

«Smettila di piangerti addosso e smettila di autocommiserarti! Non serve a niente questo tuo atteggiamento del cazzo». Harry alza di nuovo la voce e si avvicina a me, che resto immobile accanto alla finestra. «Ti piace così tanto ferire le persone che ti vogliono bene!?» Fa un passo in avanti e io stringo a pugno le mani, tanto da infilare le unghie nella mia stessa carne. «Sei un'egoista del cazzo, Chloe, ti importa solo di te stessa e di quello che provi tu! Ti sei mai fermata a pensare a quello che provano gli altri!?» Fa un altro passo verso di me, ma io non riesco a muovermi e nemmeno a ribattere a tutte le verità che mi sta scagliando contro. «A quello che provo io!?» Le sue parole, unite al volume della sua voce, diventato decisamente alto, mi fanno mancare l'aria, e mi odio un po' di più.

«Harry sta' lontano da me». Non voglio che si avvicini più di quanto non abbia già fatto in tutto questo tempo, non voglio trascinarlo sul fondo insieme a me, perché non sono così sicura di essere risalita. In questo momento non vedo altro che nero.

«Qual è il tuo cazzo di problema!?» La voce di Harry risuona in tutta la stanza, mi percuote l'anima e il cuore, poi lo guardo, quasi senza fiato, con gli occhi sbarrati e i pensieri che vorticano confusi.

Continua a provocarmi e non resisto più. Le sue parole hanno l'effetto di una palla da bowling lanciata con forza sulla superficie liscia della pista. I miei pensieri vengono tramutati in parole nella mia bocca e si allineano come birilli, fino a che quella palla li colpisce facendo strike e, inevitabilmente, pensieri e parole rotolano fuori dalle mie labbra.

«Il mio cazzo di problema è che ti amo!» E l'effetto che sortiscono le mie parole, è proprio quello di uno strike.

«No, Chloe, non... non può essere...» La sua espressione è turbata, quasi spaventata direi.

«Hai ragione, Harry, non può essere... io ti detesto perché ti stai prendendo tutto quanto... la mia testa, il mio cuore, e io lo sto dimenticando, Harry, per colpa tua lo sto dimenticando...» Ormai non trattengo più niente e scoppio in un pianto disperato, fatto di singhiozzi e lacrime che non posso più tenere per me, mentre lascio andare ciò che mi opprime l'anima.

***********

Harry

Piange, singhiozza, decisamente scossa, mentre si appoggia al mio petto, dandomi piccoli pugni che non mi farebbero mai male quanto vederla in questo stato.

La lascio sfogare, non mi muovo di un millimetro, incapace di reagire per le parole che ha appena pronunciato, e per il bisogno che ha di riversare su di me la sua rabbia, ma poi non riesco più a vederla continuare a consumarsi in quel modo a causa di quello che prova, e decido di fermarla.

Le mie mani sul suo viso, con una presa decisa, ma comunque dolce e non le do il tempo di capire cosa stia per succedere. «Ora basta!» Le mie labbra sono sulle sue, in maniera del tutto inaspettata e improvvisa; vorrei davvero poterle portare via tutto il dolore con questo bacio.

Lei non oppone alcuna resistenza, mi bacia con forza. Le sue mani si distendono immediatamente sul mio petto, poggiando i palmi sulla mia maglia, al di sotto del cappotto, per poi stringerla tra le sue dita, che si chiudono a pugno per tirarmi a sé quanto più possibile, e io continuo a divorare le sue labbra con le mie, mentre sento aprirsi un enorme varco nel mio cuore. Quello che lei ha aperto per farsi strada, arrivando dritta al centro e prendendone completo possesso.

Chloe continua a piangere. Nonostante la passione che sento sprigionarsi tra di noi ad ogni secondo che passa, sento le sue lacrime continuare a scendere sul suo viso e, forse, non bastano più le mie dita a raccoglierle. Mi allontano dalle sue labbra per baciare il suo viso, tutto quanto, per provare ad assorbire almeno un po' dei sensi di colpa che sono sicuro non le diano tregua.

Dopo un po' inizia a calmarsi, la sento completamente abbandonata fra le mie braccia, ed è adesso che decido di parlare. «Vieni con me...» le sussurro all'orecchio.

Mi allontano quel poco che basta per guardarla negli occhi arrossati, le asciugo le lacrime che continuano a scendere lungo il suo viso.

«Che vuoi fare, Harry?» mi domanda con voce tremolante, mentre è ancora aggrappata con le sue mani alla mia maglia, stretta tra le sue dita.

«Mettiti il cappotto» le dico con un tono gentile, ma deciso. Questa cosa deve finire, e deve finire oggi, quindi non me ne andrò da Montréal fino a quando le cose non andranno come voglio che vadano.

Si allontana di malavoglia, ma lo fa, poi indossa il suo cappotto e la sciarpa. Le chiedo di seguirmi al piano di sotto. I suoi genitori e i suoi amici sono in cucina, ma nessuno ci ferma quando ci vedono uscire. Arriviamo fino alla sua auto e mi metto alla guida, facendola sedere al lato passeggero.

«Dove vuoi andare?» mi chiede, dopo aver agganciato la cintura di sicurezza ed essersi voltata nella mia direzione.

«Sai bene dove voglio andare» le rispondo, mettendo in moto la macchina.

Il tragitto è silenzioso, tranne per le sue indicazioni che mi aiutano a raggiungere la mia meta, ma non ho fatto altro che pensare alle sue parole per tutto il tempo.

Mi ama... mi ha detto che mi ama e io sono stato zitto, anzi no, ho fatto di peggio, le ho detto che non era possibile che mi amasse. Che cretino! Ma il fatto è che mi ha preso totalmente alla sprovvista. Io ero così arrabbiato con lei per come si stava comportando, per avermi, in un certo senso, abbandonato un'altra volta, che non pensavo affatto che fosse il momento per dire una cosa del genere. Forse sono state le mie provocazioni ad indurla a confessarmi ciò che prova, e io continuo a guidare con un unico pensiero: mettere fine alla sua fuga da sé stessa.

Arriviamo a destinazione, parcheggio, e scendiamo dall'auto. La vedo prendere un gran respiro mentre resta a guardare la grande cancellata di fronte a noi. Sarà difficile per entrambi, ma è assolutamente necessario. «Andiamo» le dico, prendendola per mano, per poi incamminarmi all'interno.

Ricordo bene il percorso spiegatomi da Kurt e raggiungiamo la nostra meta senza alcuna esitazione. Mi fermo di fronte alla lapide di sua nonna, giusto il tempo per darle modo di farlo da sola, e aspetto. Un minuto, poi due, tre, cinque, ma quando mi rendo conto che i suoi piedi non hanno alcuna intenzione di muoversi, decido di intervenire.

Chloe reagisce solo quando viene provocata o forzata, non vedo perché questo momento dovrebbe essere diverso.

La mia mano è ancora nella sua e inizio a camminare. Inizialmente sembra fare resistenza, ma poi mi segue, stringendo con forza le mie dita, fino ad arrivare di fronte alla lapide di Dylan, che ci guarda sorridente dalla sua foto incorniciata nel marmo. Mi volto a guardarla e anche lei sembra una statua di marmo, quasi non sbatte le palpebre e respira a malapena. «Forza, Chloe...» la incito a fare quello che doveva fare mesi fa, ma in questo istante sembra essersi assentata dal mondo.

Il suo sguardo è assente, sembra quasi sbiancata, le sue mani tremano, ma so che tutto questo non è dato dal freddo pungente di gennaio. Osservo anch'io il ritratto di quel ragazzo, un'immagine felice, ferma nel tempo. Sembra quasi perfetto, nel suo sorriso che trasmette serenità, e devo ammettere che mi sono sempre sentito minacciato da tutto ciò che lo riguarda perché lei, ormai, l'ha idealizzato, e sono disposto ad accettare questa competizione - seppur sleale - ma deve capire che, anche se non è proprio la stessa cosa, come ho messo io un punto alla mia storia e ho ricominciato da zero, anche lei deve farlo, e non per me, ma per sé stessa.

«È arrivato il momento... devi lasciarlo andare...» le dico, restando al suo fianco.

Sto provando a lasciarle il suo tempo, ma pare che questo sia uno di quei momenti in cui ha bisogno di essere spronata con un po' più di grinta. Lascio la sua mano, lei resta impassibile con lo sguardo fisso avanti a sé, mi porto alle sue spalle, metto le mani sui suoi fianchi e mi avvicino per abbracciarla, facendo aderire la sua schiena sul mio petto. Voglio che senta che sono qui con lei. La sento sospirare profondamente e sono sicuro che, ovunque sia stata in questi minuti, stia tornando qui.

«Devi dirgli addio, Chloe...» Mi appoggio con il mento alla sua spalla e la sento irrigidirsi alle mie parole.

«Non ci riesco, Harry...» Sento la sua voce che si incrina mentre parla. Posso solo immaginare cosa stia provando, ma deve capire che io sono qui.

Non lui, ma io.

«Sì che ci riesci, Chloe, devi farlo, o non ci sarà mai un noi. Dirgli addio non vuol dire che devi dimenticarlo, sai bene che non te lo chiederei mai, ma non sarai mai libera di amare davvero qualcuno se lui continuerà ad essere così presente. Non potrai mai amare nemmeno te stessa fino a che non lo farai, perché continuerai a distruggerti per i tuoi irragionevoli sensi di colpa». Sta piangendo, lo sento da come respira. La stringo un po' di più e le lascio un bacio sulla guancia. «Dylan non tornerà, ma tu puoi farlo... torna da me, Chloe... torna, e ripetimi quello che mi hai detto a casa tua...» Stavolta è lei a stringersi a me. Stringe le mie mani nelle sue, le porta ad avvolgere più stretto il suo corpo, poi respira profondamente e vorrei poter fare di più, vorrei riuscire a farla smettere di piangere perché non sono abituato a vederla in questo stato. Non piange praticamente mai, ma quando succede mi si spezza il cuore.

Sento allentare la presa delle sue mani e io faccio la stessa cosa con lei, poi mi lascia andare e la osservo mentre la vedo inginocchiarsi di fronte alla lapide. Accarezza la foto che Kurt ha fissato di lato, poi gli parla a bassa voce. Non voglio sentire quello che gli sta dicendo, così mi allontano un po' per lasciare loro questo momento, di cui credo entrambi avessero bisogno.

Resto in piedi, con le mani in tasca a tenere stretta la scatolina contenente la catenina che le ho comprato per Natale, e che non ho mai avuto il coraggio di darle, mentre la guardo straziarsi l'anima per un altro, che non è nemmeno più su questa terra. Non è facile da mandare giù, ma se può servire a portare ad un livello superiore il nostro rapporto, sono felice che lo stia facendo e che lo stia facendo con me.

Si rimette in piedi dopo qualche minuto, si ripulisce i jeans sulle ginocchia passandoci sopra le mani, poi si raddrizza restando qualche secondo in quella posizione. Alla fine, quando si gira verso di me, ha un sorriso tirato, ma sorride. Si passa le mani sul viso, per asciugare le ultime lacrime e stavolta sono io a non trattenere una piccola risata.

Lei mi si avvicina e mi guarda aggrottando le sopracciglia. «Che c'è da ridere?» mi domanda, evidentemente confusa.

Porto la mano destra sul suo viso e strofino delicatamente lo zigomo, che adesso presenta una striscia marroncina. «Dovrei fare come quelle mamme che si leccano le dita e poi le passano sulle guance del loro bambino che si è appena sporcato, ma te lo risparmio...» Continuo a passare il pollice sulla sua pelle, nonostante l'abbia già ripulita da ogni traccia residua di terriccio che si era portata lei stessa sul volto.

«Detestavo quando lo faceva mia madre...» mi dice, con un tono di voce che sembra essere più tranquillo, ma non posso comunque evitare di chiederglielo.

«Stai bene?» La mia mano, adesso, è sul suo collo. Lei si avvicina un po' di più e io torno ad abbracciarla.

«Sì... Sto bene... Harry io...»

«Non qui». Interrompo qualsiasi cosa stesse per dirmi perché, qualunque cosa sia, voglio che sia solo nostra.

«Hai ragione» risponde lei e credo abbia compreso perfettamente a cosa stessi pensando, ma poi mi sorprende. Si allontana da me senza, però, lasciare la mia mano. «Andiamo via da qui». Cammina svelta avanti a me e sono costretto ad accelerare il passo per starle dietro, fino ad arrivare alla macchina. «Adesso guido io» mi dice, allungando la mano verso di me per chiedermi le chiavi.

Infilo la mano in tasca e le consegno le chiavi con tutta l'intenzione di godermi questo momento. Saliamo a bordo, mettiamo la cintura, e mi volto ad osservarla, mentre lei sta cercando qualcosa sul suo cellulare. «Che stai facendo?» le domando curioso.

Si gira a guardarmi con un sorriso divertito. «Sto cercando dei posti in cui non sono mai stata» dice, tornando a guardare lo schermo del suo telefono. Non ho la minima idea di cosa voglia fare, ma non protesto e resto in attesa. «Adesso dimmi un numero da uno a cinque e sceglierò la nostra destinazione» dice ancora, privandomi della vista del display.

Mi piace questa sua iniziativa, mi piace che voglia fare qualcosa con me che non ha mai fatto, quindi sto al gioco senza farmi ulteriori domande. «Tre» le rispondo senza riflettere.

«New York!» afferma con tono trionfale.

«New York?» le domando, non troppo sicuro di ciò che ho sentito.

«Non hai mai sentito parlare di New York, Stevens?» mi chiede, senza distogliere lo sguardo dal suo cellulare. Sta ancora digitando qualcosa che non so, ma che vorrei tanto scoprire.

«Spiritosa... si può sapere cosa stai facendo?» Mi sporgo verso di lei, che però si sposta indietro impedendomi di sbirciare.

«Andiamo a New York!» asserisce con enfasi, poi blocca il cellulare, lo mette in tasca e gira le chiavi per accendere l'auto.

«Adesso?» le chiedo ancora incredulo.

«Certo che no! La mia macchina non ce la farebbe mai» afferma, immettendosi in strada. «Ho prenotato un volo per stasera».

Mi volto a guardarla e riesco a vedere quel piccolo sorriso che le illumina il viso. Un sorriso sincero che mi porta ad essere ottimista e a sorridere a mia volta. «Stai scherzando, vero?» Mi sta prendendo per il culo, è ovvio... è ovvio no?

«Non potrei mai scherzare su New York» afferma con convinzione. Ricordo che una volta avevamo parlato di posti in cui non siamo mai stati e lei mi disse che avrebbe tanto voluto andare un giorno a New York. «Hai scelto il numero tre, e il numero tre corrispondeva a New York». Il suo tono di voce è più sereno e lo sono anche io.

«E a cosa corrispondevano gli altri?» le domando, mentre si ferma al semaforo rosso.

Si porta un dito alle labbra e alza gli occhi verso l'alto, come se si stesse sforzando di ricordare, ed è lì che capisco in cosa consiste la sua presa per il culo. «Fammi pensare... le altre scelte erano New York, New York, New York e... a sì... New York!» dice, rivolgendomi uno sguardo assolutamente radioso.

«Lo sapevo che mi stavi prendendo per il culo...» le dico, poggiando la testa all'indietro e rilassandomi sul sedile.

«Ti stavo lasciando credere che avessi scelto tu, ma hai rovinato tutto». Il semaforo torna verde e lei riparte, mentre io chiudo gli occhi per il piacere di concentrarmi soltanto sul suono della sua voce che adesso è molto più tranquilla.

«Cantami qualcosa, Chloe». Non la sto guardando, ma sono certo che abbia quell'adorabile espressione confusa, quella che fa arricciando leggermente le labbra. «La prima che ti viene in mente...»

Mi concentro sui suoni, sui rumori e sulla sua voce che inizia ad intonare i primi versi.

I think I want you more than want  

And no I need you more than need  
I want to hold you more than hold  
When you stood in front of me  
I think you know me more than know  
And you see me more than see  
I could die now more than die  
Every time you look at me

 

Sono del tutto andato... non avrò mai il coraggio di darle il mio regalo, non dopo quanto è successo oggi.

When it's right it's more than right  

Those you feel it more than feel  
I could take this moment now  
Ride into the great with me

 

Me lo sta dicendo ancora e ancora, anche senza usare quelle due parole, ma sono certo che il messaggio che vuole farmi arrivare sia quello.

Well I've seen you in jeans with no make-up on 

And I've stood there in awe as your date for the prom  
I'm blessed as a man to have seen you in white  
But I've never seen anything quite like you tonight  
No, I've never seen anything quite like you tonight

 

E non c'è più modo che possa restare qui buono. «Fermati per favore» le chiedo aprendo gli occhi.

Lei accosta poco più avanti, io mi tolgo la cintura e, non appena la macchina è ferma, mi avvicino a lei così in fretta che quasi non se ne accorge. Le mie labbra sono sulle sue, ma lei resta per un attimo immobile, forse confusa dal mio gesto, ma non appena le mie mani sono sul suo viso, la sento sciogliersi in un momento.

Voglio ogni cosa di lei. La sua mente, la sua anima, il suo cuore, il suo corpo, è tutto mio e non so cosa darei in questo momento per potermi prendere tutto. «Se solo non fossimo in mezzo alla dannatissima strada...» dico a bassa voce, parlando direttamente sulle sue labbra.

«Prenota un albergo, Stevens». Adesso è lei a parlare sulla mia bocca in un modo in cui non aveva mai fatto prima, anche il suo sguardo è diverso. Il bacio stesso lo è stato, perché è stato assolutamente e completamente totalizzante.

Non lo so se sono io ad essermi auto suggestionato dopo tutto quello che è successo oggi, ma fra la sua dichiarazione, l'addio al cimitero, e la canzone che mi ha appena cantato, io potrei fare una pazzia in questo preciso momento. «Se continui così, ti chiudo dentro quella stanza d'albergo, e New York te la faccio vedere solo in cartolina...» La bacio ancora, respiro il suo respiro, assaggio le sue labbra come fosse la prima volta, con la stessa intensità di quel pomeriggio davanti al supermercato, ma la sua risposta a questo bacio supera ogni mia aspettativa.

«La cosa más importante es que te acuerdas el servicio en habitación...» Sussurra... In spagnolo... E il mio cuore sta letteralmente per esplodere.

«Voglio sentirtelo ripetere quando non avrai più nemmeno un indumento addosso...» E la bacio, ancora, e ancora, e ancora, desiderando di essere in tutt'altro luogo, desiderando che questo momento non finisca mai.     

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Capitolo 62
*** Solo io e te ***


Sto bene.

Sono stata bene con mamma in versione isterica, per l'improvviso arrivo e conseguente improvvisa ripartenza con Harry al mio fianco. In realtà si è agitata solo per il fatto di aver visto sul mio viso il ritratto della felicità quando sono rientrata dalla mia visita al cimitero.

Sono stata bene con papà, che mi girava intorno come un cagnolino in cerca di attenzioni. La sua gelosia nei confronti di Harry è evidente, ormai, persino ai muri, e io gli ho dedicato qualche attenzione in più prima della partenza.

Sono stata bene con Hazel e Kurt, che mi hanno detto di non avermi mai visto così serena e sorridente. Ed è proprio così che mi sento, serena e tranquilla.

Sto bene mentre scendiamo dall'aereo che da Montréal ci ha portato a New York, come sono stata bene durante il breve volo, in cui Harry non ha fatto altro che chiedermi di parlare esclusivamente in spagnolo. L'ho accontentato più di una volta, perché vedere il suo sguardo totalmente perso per me era decisamente irrinunciabile.

I miei programmi per questo fine settimana non erano di certo questi, ma sono contenta che alla fine sia successo tutto questo. So bene che l'unica persona che devo ringraziare è il ragazzo che sta camminando al mio fianco mentre usciamo dall'aeroporto, perché se non fosse stato per lui, e per la sua determinazione, non so proprio dove sarei a quest'ora, e non parlo solo di questi ultimi due giorni.

Ha avuto la pazienza di un santo con me ed è ora che io faccia sul serio qualcosa per lui, per fargli capire quanto io... quanto io lo ami. Non era in programma nemmeno la rivelazione che mi è sfuggita all'improvviso come conseguenza delle sue provocazioni, ma era sulla punta della lingua da troppo tempo ed è bastato un niente per farla venire fuori.

Lo amo, gliel'ho confessato e non m'importa che lui non abbia risposto, avevo bisogno di dirglielo, avevo bisogno che lui lo sapesse e adesso ho bisogno di dimostrarglielo. Harry è un ragazzo meraviglioso che merita tutto il bene del mondo, e voglio provargli che non c'è più niente tra me e lui, nemmeno una piccola ombra, perché ora ho davvero, ma davvero, compreso quanto sia profondo il sentimento che provo per Harry.

Non appena mi ha piazzata davanti alla lapide di Dylan avrei solo voluto correre più lontano possibile da lì e nascondermi in un angolino buio, dal quale non sarei uscita mai più, ma non ho potuto farlo. Nel momento in cui ho sentito le sue braccia sui miei fianchi, le sue parole al mio orecchio, e ho ripensato a tutto quello che ha fatto lui, ho smesso di essere codarda ed egoista.

Dylan sarà sempre nel mio cuore, occuperà un posto speciale che non gli toglierà nessuno, ma l'ho lasciato andare permettendo a me stessa di essere libera. Spero solo che possa perdonarmi, che possa comprendere le mie scelte, perché non sono più disposta a rinunciare a quello che provo per Harry.

Non sono più disposta a rinunciare a Harry.

Sto bene anche quando saliamo sul taxi, totalmente ignara della nostra destinazione - dato che ha comunicato l'indirizzo dell'hotel al tassista senza che io potessi sentire - con la mano di Harry sul mio ginocchio e il suo sguardo perso oltre il finestrino. Non riesco a trattenermi e devo accarezzare il suo volto illuminato da un meraviglioso sorriso felice. Le mie dita scorrono lente e delicate sulla sua guancia, sulla sua mascella, e lui continua a sorridere, chiudendo gli occhi. 

«Non smettere mai» mi dice con un filo di voce, e non so se si riferisca alle carezze che gli sto facendo, o ad altro, ma qualsiasi cosa sia non smetterò.

Il tempo è grigio, ha nevicato parecchio anche qui, ma per me è come se fosse primavera inoltrata e ci fosse un sole splendente. Con la mano ancora sul suo viso, mi perdo anch'io a guardare la città fuori dal finestrino di quest'auto. Nessuno dei due è mai stato a New York, ed è proprio per questo che ho scelto questa città, così potremo condividere una cosa solamente nostra, come voglio che sia ogni cosa tra noi d'ora in poi.

Restare a Montréal avrebbe voluto dire non allontanarmi dal mio passato e comunque so bene, anche se non me l'hai mai detto apertamente, quanto Harry si trovi a disagio nel sapere che un certo luogo l'ho condiviso con Dylan prima di lui. Come la sera della vigilia di Natale, quando non ha voluto entrare in camera mia. Credo abbia pensato che il letto dentro alla mia stanza non mi fosse servito solo per dormire e basta, quindi capisco bene cosa provasse a stare lì dentro. L'ho visto guardarsi intorno in ogni angolo di casa dei miei, allo stesso modo di come ha fatto quando siamo stati al bar di Ryan. Harry era a conoscenza del fatto che quello fosse l'ultimo posto dove io e Dylan siamo stati, la sera del mio compleanno, ma è rimasto, senza dire nulla, pienamente consapevole di quanto fossero rilevanti certi dettagli per me.

Il taxi rallenta, poi accosta. «Siamo arrivati» dice il nostro autista. Harry paga la corsa, recuperiamo i nostri trolley dal porta bagagli e ci avviamo verso l'elegante ingresso di questo albergo.

Oltrepassiamo un'enorme cancellata dorata dopo aver varcato l'ingresso e ci avviciniamo al bancone della reception, completamente nero con venature di bianco sul marmo che decora la superficie, sulla quale ci appoggiamo.

«Benvenuti, avete una prenotazione?» ci domanda il ragazzo che ci accoglie con un gran sorriso.

«Ho prenotato una stanza a nome Stevens». Il ragazzo sorride a Harry, poi digita qualcosa sulla tastiera del suo computer e finiamo tutte le procedure per il check-in fino alla consegna della chiave elettronica. Ci fornisce poi le indicazioni per la nostra stanza e prendiamo l'ascensore.

Ad ogni passo che compiamo in questi corridoi mi rendo sempre più conto che questo non è un albergo qualunque, non uno che io potrei permettermi. «Harry, non sarà troppo caro questo posto?» gli domando, quando vedo che si ferma davanti ad una porta bianca, che credo sia la nostra stanza.

«Probabilmente sì» fa un passo verso di me «probabilmente quando dovrò pagare il conto mi verrà un mezzo infarto» un altro passo e la sua voce è un po' più bassa «ma non m'importa...» sono ancora immobile, completamente stregata dai suoi movimenti, da lui che si avvicina ancora un po' per parlarmi direttamente all'orecchio, posando la sua mano sul mio collo «credo ne varrà la pena...» mi lascia un lungo bacio appena sotto il lobo «adesso entriamo» sussurra alla fine, per poi allontanarsi e lasciarmi imbambolata a guardare il suo meraviglioso sorriso.

Ho bisogno di qualche secondo per riprendermi da quello che mi ha detto; lo osservo sparire all'interno della stanza, poi mi riscuoto dallo stato di trance in cui mi ha fatto cadere e lo seguo. Una volta dentro devo rimangiarmi quello che ho detto: non è una stanza, ma una suite. L'ingresso è su un piccolo salottino, davanti al quale è posizionato un grosso televisore a muro. Sulla destra c'è una piccola cucina e io mi fermo, senza poter avanzare di un altro passo per lo stupore. «Harry?» lo richiamo, mentre mi accorgo che lui si sta già togliendo il cappotto per lasciarlo sul divano.

«Cosa c'è adesso, Stewart?» mi domanda, alzando gli occhi al cielo.

«Era davvero necessaria la cucina?» Ho ancora il mio trolley stretto nella mano destra e mi sembra che tutto questo sia davvero troppo.

Lui sorride, cammina lentamente nella mia direzione per fermarsi esattamente di fronte a me. «La cucina mi era indispensabile» dice a bassa voce, poi si china leggermente verso sinistra e mi sfila la valigia dalla mano posandola sul pavimento. Porta le sue mani sul mio cappotto e inizia a sbottonarlo. «Avremo bisogno di mangiare...» anche il secondo bottone è andato. Harry parla senza distogliere mai il suo sguardo dal mio, e io mi ritrovo incapace di parlare e di reagire, come se fossi sotto ad un piacevole incantesimo. «E non ho intenzione di uscire da questa stanza per le prossime dodici ore...». Anche l'ultimo bottone è stato aperto e sento le sue mani sulle mie spalle far scivolare lentamente il cappotto che cade per terra.

Io non riesco a muovermi, a mala pena respiro, e i suoi occhi continuano a non perdere di vista i miei, come a volersi assicurare che vada tutto bene. Le sue mani risalgono lungo le mie braccia e arrivano sul mio collo passando per le spalle. I suoi palmi caldi sulla mia pelle, le sue labbra a pochi centimetri dalle mie e i suoi stupendi occhi verdi che mi stanno leggendo dentro, e so che qui, davanti a me, ho la perfezione assoluta.

È perfetto nei lineamenti del suo viso, è perfetto nella forma delle sue labbra, nel colore dei suoi occhi. Sono perfette le sue fossette, i capelli lunghi, sciolti. Sono perfetti i suoi occhi, che mi comunicano quanto lui mi voglia nella sua vita. Sono perfette le sue mani, con gli anelli a decorarle, quando sono sulla mia pelle e ne posso sentire la morbidezza. È perfetto nei suoi movimenti, mentre mi sfila la maglia e mi guarda con ammirazione. È perfetto il suo corpo, che posso toccare e guardare dopo aver aperto uno ad uno i bottoni della sua camicia nera. Ed è perfetto anche il suo bacio, quello che mi sta dando in questo momento, a cui mi sto abbandonando.

Mi abbandono a lui, ai suoi baci, alle sue carezze e alle sensazioni che ogni contatto con il suo corpo mi provocano. Lascio andare libere le mani sul suo torace, lascio che le sue vaghino sul mio corpo, sulla mia schiena, sui miei fianchi mentre la sua bocca sta prendendo possesso della mia. Poi le sue labbra passano sul resto del mio viso, sul collo, mentre con le mani tenta di sganciare il reggiseno, ma sembra trovare qualche difficoltà.

«Forse è meglio se lo sganci tu, prima che te lo strappi via» mi dice, parlando a diretto contatto con la pelle del mio collo.

Sorrido alle sue parole, porto le mani dietro la schiena e stacco il gancetto, le sue mani arrivano subito sulle mie spalle, spingendo le bretelline verso il basso, e il mio corpo è interamente coperto di brividi. Poi il mio respiro si blocca per un attimo quando mi stringe a sé, quando i nostri corpi entrano in contatto e io credo di stare per entrare in paradiso.

«Harry...» Pronuncio il suo nome solo per rendermi conto che sono ancora su questo pianeta.

Lui non risponde, ma mette le mani sotto le mie cosce, si abbassa e mi prende in braccio. Chiudo le gambe intorno al suo bacino, le braccia dietro al suo collo e cammina in questa posizione verso la camera da letto, mentre io non smetto di guardarlo e sorridere... di sorridere e guardarlo...

«Strano...» dice, quando mi lascia scendere facendomi restare in piedi proprio di fronte al letto.

«Che cosa c'è di strano?» gli domando, non capendo a cosa si riferisca.

«Hai per caso sbattuto la testa?» mi chiede con uno strano sorriso sulle labbra.

«Non so dove vuoi andare a parare, ma spara subito la tua stronzata» gli dico, impaziente di tornare ad avere ogni centimetro di lui solo per me.

«Non sento il rumore degli ingranaggi del tuo cervellino» dice ancora, sfregando leggermente la mia tempia con un pollice.

«Harry, in questo momento non so nemmeno di averlo un cervello» rispondo sincera, tornando ad abbracciarlo.

«Oh, la piccola Stewart è affamata...» le sue mani arrivano sui miei fianchi, ma invece di abbracciarmi come immaginavo stesse per fare, le fa scorrere sul davanti, verso il basso, e sbottona i miei jeans con una lentezza tale da farmi trattenere il fiato, mentre i suoi occhi continuano a restare fissi nei miei. «Allora, forse, non dovremmo perdere tempo...» Le sue dita fanno scendere la zip con la stessa lentezza di poco fa, e io sono in suo completo potere.

Credo sia la prima volta che si muove così lentamente, che mi guarda con così tanta attenzione, forse anche lui sente quello che sento io, forse anche lui si è reso conto che oggi c'è qualcosa di diverso tra noi, qualcosa in più. È come se stesse valutando attentamente ogni gesto e non volesse lasciare niente al caso.

Le mie mani seguono l'esempio delle sue e sbottono i suoi pantaloni, bottone per bottone, le sue dita agganciano il bordo dei miei jeans, li allarga un po', poi li lascia scivolare lungo le gambe. Anche stavolta lo imito, lasciando andare giù i suoi pantaloni. Entrambi ci aiutiamo con i piedi a sfilarli insieme alle scarpe.

«Sei assolutamente meravigliosa...» dice con un filo di voce «assolutamente meravigliosa». Le sue labbra arrivano subito dopo sulle mie, la sua bocca è in grado di annientare ogni mia capacità, che sia fisica o mentale, perché quando mi bacia il mio corpo e la mia mente gli appartengono senza riserve.

Mi spinge delicatamente all'indietro, aiutandomi a sdraiarmi sul letto. Lui si sostiene con un gomito, e una mano torna tra i miei capelli per avvicinarmi ancora al suo viso. Riprende a baciarmi con più forza. Non ci sono più solo labbra e lingua, ma ora anche denti e morsi, le mie mani che vagano sul corpo, le gambe intrecciate, e io credo di non averlo mai voluto come lo voglio in questo momento.

Voglio Harry, e voglio che lui abbia me.

«Aspetta un attimo...» gli dico, quando mi dà un secondo di tregua.

«Che c'è?» mi domanda, guardandomi con attenzione.

Mi permette di mettermi seduta, spostandosi al mio fianco. Ho messo un punto, sono andata a capo, e sto ricominciando da zero, ed è esattamente quello che voglio fare con lui in questo momento.

«Che stai facendo, Chloe?» mi domanda quasi preoccupato, quando si accorge che mi sto togliendo la catenina che mi ha regalato Dylan, quella con attaccato il piccolo cigno.

«Voglio che siamo solo io e te Harry...» Metto la collana in un cassetto del comodino e torno a guardarlo. Sembra un pulcino smarrito, come se si fosse perso, ed è meravigliosamente dolce la sua espressione. «Posso indossarla dopo, ma ora, qui, adesso, questo momento dev'essere solo tuo e mio...» Voglio che sappia quanto tengo a lui, quanto amo ogni istante che viviamo insieme, e questo, in particolare, voglio che sia solamente suo.

***********

Harry

Credo di avere l'espressione dell'idiota per eccellenza, ma vederla portarsi le mani dietro al collo per sganciare quella catenina, che non toglie mai - e con mai intendo veramente mai - e riporla in un cassetto per chiuderla all'interno, ha completamente disintegrato il piccolo neurone che vive solitario nel mio cervello.

Per la prima volta siamo solamente io e lei, per la prima volta sto guardando solo lei. Non c'è più niente che possa mettersi tra noi, niente a dividerci, nemmeno l'ombra del suo fantasma. Siamo Harry e Chloe chiusi tra queste quattro mura, e posso concentrarmi solamente sul suo respiro, su quei piccoli gemiti che lasciano le sue labbra quando le mie mani percorrono lente il suo corpo, libero da ogni vincolo con il passato.

È come se stessi per fare l'amore con lei per la prima volta, come se non l'avessi mai vista prima. Anche il suo sguardo è diverso. Me ne sono accorto subito che c'era qualcosa di diverso in lei, e anche in me, nel momento in cui il suo cappotto è caduto per terra. Tutto ha un sapore nuovo, persino lei, che non riesco a smettere di baciare.

La sua bocca, il suo collo, il suo corpo, voglio che le mie labbra coprano ogni millimetro della sua pelle, voglio che sia mia, unicamente mia. Faccio sparire anche i suoi slip, i miei boxer, non voglio nemmeno quell'ultimo strato di stoffa a dividermi da lei, e vorrei non dovermi allontanare, ma devo mettere quel dannato preservativo.

Quando torno sul letto per riposizionarmi tra le sue gambe, mi soffermo a guardare i suoi occhi per l'ennesima volta e riesco a leggere quelle due parole che ha pronunciato a casa sua, le vedo chiare adesso, e credo proprio sia arrivato il momento che io risponda.

«Harry...» ma lei mi precede, così resto fermo, facendo leva sul gomito per non darle troppo peso.

La mia mano destra sul suo fianco, le sue sulle mie spalle. «Chloe...» Non riusciamo a fare altro che sussurrare, come se entrambi avessimo perso la voce.

«Io ti amo...» Lo dice per la seconda volta, ma stavolta le sue parole non sono cariche di rabbia e le pronuncia con una tale intensità che anche adesso, come qualche giorno fa, mi sembra che tutto inizi a girare. «Ti amo, Harry, e non ho più paura...» Sento il cuore farsi più pesante e più leggero nello stesso momento.

«Chloe...» io non riesco a fare altro che pronunciare il suo nome... ad ascoltare le sue parole e dire il suo nome...

«Ti amo, hai capito? Amo te, Harry... amo te, Harold Emerson Stevens... ti amo così tanto che non posso più tenerlo dentro... ti amo così tanto e in un modo così intenso che non credevo nemmeno potesse esistere...» Le sue dita fanno una leggera pressione sulle mie spalle e io sento che sto per perdere la testa per tutto quello che mi sta dicendo.

Ho aspettato tanto che succedesse, ho lottato per lei, per noi, come non ho mai fatto per nessun altro in vita mia, e sapere che io sono per lei tutto ciò che lei è per me... sento potrei impazzire da un momento all'altro se non faccio qualcosa.

«Chloe...» In qualche modo pronuncio ancora il suo nome, poi chiudo gli occhi mentre affondo dentro di lei con una straordinaria lentezza per potermi appropriare di ogni centimetro con consapevolezza.

Voglio assaporare ogni secondo, ogni istante di questo momento perfetto.

Per la prima volta ci apparteniamo davvero.

Per la prima volta la sento diventare mia, solamente mia. Riesco a cogliere l'attimo esatto in cui succede, la sento priva di ogni difesa, senza alcun tipo di controllo sulle sue emozioni mentre le sue dita, le sue unghie, si aggrappano con forza alle mie spalle.

«Guardami, Harry...» E io lo faccio. I miei occhi nei suoi, che sembrano essere diventati più limpidi, ancora più leggibili, in cui posso riflettermi, in cui vedo solo me stesso.

«Cazzo se ti amo, Chloe!» E non posso più aspettare, la voglio, ora, perché adesso ci siamo solo noi due.

Affondo di nuovo con più aggressività dentro di lei che mi sta accogliendo senza più ostacoli, senza ombre e ad ogni movimento è sempre più mia, solamente mia. Potrebbe esplodermi il cuore nel petto da un momento all'altro a causa dell'intensità di quello che sto provando, ma non m'importerebbe se succedesse. Ho vissuto il mio attimo di paradiso e credo che niente possa eguagliare ciò che i miei occhi hanno la possibilità di vedere ora.

Gliel'ho detto, adesso lo sa, sa tutto e io non mi sono mai sentito così libero come ora che posso guardarla e saperla completamente persa per me.

E poi arriva il momento in cui la sento lasciarsi andare completamente, come se mi si sgretolasse tra le mani e io potessi ricomporla in un attimo, proprio quando anche per me arriva il momento di non ritorno ed è lei a tenermi insieme, sussurrando il mio nome con un filo di voce.

Ora so che ho tutto di lei. Corpo, mente, cuore, e anima. E io l'amo da morire.

*************

Chloe

La sua mano scorre lenta sulla mia schiena nuda, lasciata scoperta dal lenzuolo che mi copre a mala pena dal fondo schiena in giù. Le sue dita si soffermano spesso sul tatuaggio al centro delle scapole, ne delinea i contorni, poi i suoi polpastrelli tornano a scendere lungo la mia spina dorsale, mentre il mio corpo continua a ricoprirsi di brividi che non sono affatto dovuti al freddo. In questa stanza c'è tutt'altro che freddo.

Sono sdraiata a pancia in giù da diversi minuti con il viso rivolto dalla parte opposta alla sua, mentre tento di riprendermi dall'intensità di questo momento. Ho dovuto girarmi per non fargli vedere le mie lacrime, perché non voglio che pensi che io sia triste.

È stato tutto troppo.

Le mie parole, le sue, i nostri gesti e il piacere travolgente che ho provato, è stato assolutamente troppo intenso, e queste due lacrime sono state l'unico modo per riuscire a scaricare un po' di questa potenza che si è accumulata nel mio corpo. Quindi, nel momento in cui lui si è alzato per andare in bagno, ne ho approfittato per asciugarmi il viso e nascondermi fino a quando me lo permetterà.

Non voglio che creda io stia provando sentimenti negativi o qualche rimpianto. Non mi pento di niente e rifarei ogni cosa dall'inizio, perché amare Harry è ciò che di meglio mi potesse capitare, perciò continuo a restare immobile, a godermi la sua mano sulla mia spalla, che scende sulla scapola, poggiando poi completamente il palmo al fondo della schiena.

Sento il materasso abbassarsi leggermente vicino al mio fianco. Harry si è avvicinato alla mia spalla per lasciarvi sopra un lungo e dolcissimo bacio. «È passato?» mi chiede, restando con il mento appoggiato sulla mia pelle.

«Come?» rispondo con un'altra domanda, sperando che non sia quello che credo.

«Le ho viste, Chloe... le tue lacrime, le ho viste...» Stringo tra le dita il cuscino, chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Non c'è più motivo che io mi nasconda, così mi volto verso di lui, che mi guarda con un sorriso incredibilmente dolce. «Allora... è passato?» mi domanda ancora, portando il palmo della sua mano sul mio viso per passare poi a giocherellare con i miei capelli.

«Sto bene, Harry, è solo che... è solo che è stato tutto così...» Non so bene come esprimere a parole quello che sento, non saprei come descrivere tutto ciò che ho provato e che mi sta passando per la testa, così lascio la frase in sospeso.

«Sei felice?» mi domanda, con il sorriso più bello del mondo.

«Sono schifosamente felice, Harry...» La mia frase resta di nuovo in sospeso perché la sua bocca è un'altra volta sulla mia, in un bacio interminabile, come se le sue labbra stessero memorizzando ogni piccola sfumatura delle mie, e mi sento come se non avessi aspettato che questo momento da tutta la vita.

Il momento perfetto, quello in cui sai che non potrebbe essere meglio di così, in cui riesci a vedere tutto più nitidamente, senza le ombre che abitano nella tua testa ad oscurarti la visuale, in cui i colori ti sembrano più colorati, la luce ti sembra più luminosa e la giornata grigia che c'è fuori non ti sembra così grigia.

Si allontana un po', mi guarda ancora negli occhi, e io porto la mia mano sulla sua guancia, a ricoprire quelle meravigliose fossette, nelle quali ho voluto affondarci le dita dal primo momento in cui le ho viste. Passo le dita sul suo quasi inesistente strato di barba, poi le infilo tra i suoi capelli e resto a perdermi nel verde acceso dei suoi occhi, che non hanno smesso di studiarmi nemmeno per un istante.

La sua mano arriva sul mio collo, le sue dita scorrono lente sulle clavicole, sul posto occupato costantemente dalla catenina che mi ha regalato Dylan. Non mi guarda più negli occhi, il suo sguardo, adesso, è tutto per quella porzione di pelle che la sua mano sta accarezzando, completamente libera da quel filo di metallo e sono assolutamente certa che stia pensando a qualcosa che lo preoccupa.

«Stavolta sei tu a fare rumore» gli dico, attirando la sua attenzione, riferendomi alla sua solita battuta sul fatto che il mio cervello fa troppo rumore quando pensa.

I suoi occhi tornano nei miei. «Ho un unico neurone, come può far rumore?» rido delle sue parole, ma so che sta solo deviando il discorso in un'altra direzione.

«Smettila di sottovalutarti, Harry. Sei intelligente, molto più responsabile di quanto tu non voglia dimostrare. Sei paziente, molto paziente. Sei un ottimo amico e sei assurdamente bello, ma questo tu lo sai...» Non voglio più tenere per me tutto quello che penso di lui, e voglio che venga a conoscenza dei miei pensieri.

«Concordo pienamente sull'ultimo punto» afferma con tono ironico, provocandomi un enorme sorriso, che probabilmente mi resterà stampato sulla faccia per giorni. «Hai dimenticato di dire quanto io sia dolce, gentile, cordiale...»

«Sì, certo, specialmente con quel tuo collega di cui ti ricordi sempre il nome» gli dico, facendo spuntare sulle sue labbra un sorrisetto furbo.

«Chi? Abdul?» Alzo gli occhi al cielo per la sua risposta, ma non posso dire altro che in un attimo mi ritrovo sotto di lui. Chiude entrambi i miei polsi in una mano e li porta in alto sopra la mia testa. Ritrovo il suo viso a pochi centimetri dal mio. «Signorina Stewart la deve smettere di alzare gli occhi al cielo con il suo capo». La sua voce bassa, roca, e graffiata, riesce ad arrivare in ogni angolo del mio corpo. La sua voce ha sempre avuto questo potere su di me, e sono certa che lui lo sappia.

«Il mio capo è il dottor Stevens » gli dico per provocarlo.

«No, piccola Stewart, sono io il tuo capo... com'è che ha detto tuo padre? Ah, sì! Ho sua figlia sotto di me» dice con un tono di voce ancora più sexy di prima, mentre muove appena il suo bacino contro il mio.

«Potresti solo peggiorare la tua posizione con lui se ti vedesse in questo momento... con sua figlia sotto di te» gli dico ancora, tentando di spuntarla.

«La mia posizione non potrebbe essere meglio di così...» Sto respirando la sua aria ormai, le sue labbra sfiorano le mie ad ogni parola che pronuncia, e il mio corpo è di nuovo in fiamme.

Sto bene, e non stavo così bene da... Non so nemmeno io da quanto tempo non stavo così bene. Sono a New York, con Harry, e mi ha detto che mi ama in una maniera così potente da riempirmi il cuore in un attimo. Lui ha chiuso con il suo passato, io sto andando avanti, forse è davvero arrivato il momento giusto per ricominciare.

«Harry, questo è il nostro nuovo inizio?» gli domando piena di speranza.

Il suo sguardo diventa improvvisamente dolce, il suo sorriso mi scalda il cuore, e mi lascia senza fiato quando pronuncia quelle parole. «Questo è l'inizio di tutto quello che vuoi». Poi arriva il suo bacio, nel quale mi perdo.

Ma mi ci perdo con tutta la felicità del mondo. 

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Capitolo 63
*** Capitolo extra - Harry & Chloe - New York ***


Come on and open up 
Open up my love I know it's a front 
You've been hiding behind 
Come on and open up
Open up my love 
Why don't you tell me 
What's really on your mind

"Open up"

Matt Simons

************

Cinque, forse sei, o sette, non lo so con precisione da quante ore siamo chiusi dentro a questa suite, ma alla fine non m'importa davvero, perché non è del posto che mi interessa; sono con Harry e non c'è niente che vorrei di più.

È un altro punto e a capo, un altro periodo, un altro inizio, una nostra prima volta insieme; gli attimi che stiamo vivendo dentro a queste mura sono tutto questo, e anche molto di più.

Tutte le barriere sono cadute: fisiche, mentali, i pregiudizi, le finte scuse, le inutili protezioni e ogni limite che entrambi ci eravamo imposti, credendo che fosse la cosa migliore per preservarci dalle delusioni, dal dolore e dalla sofferenza. Niente di più sbagliato: se avessi continuato a tenere su quei muri, adesso io e Harry non avremmo saputo che gusto avesse la felicità, non avremmo mai sentito il suono di quelle parole che ancora mi riempiono la testa.

"Cazzo, se ti amo"

Non posso evitare di sorridere per il modo che ha usato per esprimere ciò che prova per me, ma va bene, perché è stato sincero, l'ha fatto a modo suo, e io ho amato il suo modo di dirlo, le sue parole, e il momento in cui l'ha fatto, quando era così perso da non poterlo più trattenere.

Ho sentito ogni parola, ogni lettera, penetrarmi la carne e arrivarmi fin dentro all'anima, dove ancora le sento risuonare, in una eco infinita, che continua a farmi restare in uno stato di estasi costante. Per questo motivo continuo a sorridere senza sosta, anche ora che, vestita solo della sua maglietta e di un paio di slip, mi sono messa a preparare qualcosa da mangiare.

Alla fine ho dovuto dargli ragione: la cucina nella suite era necessaria, perché ora, dopo aver finito di cucinare un paio di omelette, con marmellata e frutta - i pochi ingredienti che Harry si è fatto portare su dal servizio in camera, perché lui aveva voglia di qualcosa di dolce - so di poter ritornare immediatamente nel letto, dove lo ritroverò fresco di doccia, senza alcun indumento addosso.

Aveva ragione anche quando diceva che rinunciare al servizio in camera vero e proprio, per poter condividere anche questo momento insieme, sarebbe stato qualcosa di unico, ed è con questo spirito che mi accingo ad impiattare le nostre omelette, per poi tornare di là, nella speranza che lui abbia già finito la sua doccia.

Quasi non sobbalzo, quando sento le sue mani scivolarmi lungo i fianchi, per fermarsi sul mio ventre mentre mi stringe a sé, facendo aderire la mia schiena al suo corpo.

«Che profumino, Stewart» dice a bassa voce, strofinando il viso sul mio collo, per poi lasciarmi un bacio sul collo, con le labbra ancora umide, ma, ora che ci faccio caso, il suo intero corpo è umido.

Sento la mia maglietta iniziare a bagnarsi all'altezza delle scapole, sento qualche goccia, proveniente dai suoi capelli, cadere sulla mia spalla, sento le sue mani rafforzare la presa su di me, mentre le mie sembrano diventare molli, tanto che lascio cadere la palettina con la quale volevo prendere le omelette e metterle sul vassoio.

«Stavo per portare il piatto di là» dico a bassa voce, chiudendo gli occhi, mentre porto la testa all'indietro per appoggiarla alla sua spalla «è solo un po' di frutta e...»

«Ma io non mi riferivo al cibo...» dice interrompendomi «io parlavo di te...»

Le sue labbra tornano sul mio collo, lecca, morde, mentre le sue mani finiscono sotto la maglietta che indosso: sento il mio corpo ricoprirsi di brividi, come se mi stesse toccando per la prima volta, come se non lo facesse da giorni, non so come ci riesca, ma lui ha il potere di renderlo speciale ogni volta.

Sono voluta venire qui, a New York, perché potessimo avere un posto nostro, nel quale ritrovare dei ricordi solamente miei e suoi, voglio dimostrargli di essere andata oltre, di amarlo davvero, e voglio dimostrarlo anche a me stessa, permettendomi di lasciarmi andare più di quanto non abbia fatto finora con lui, lasciando che si prenda ogni respiro, ogni istante, ogni sguardo, perché voglio che tutto quello che mi riguarda, d'ora in poi, sia soltanto suo.

Voglio affidarmi a lui e voglio che lui si affidi a me, voglio poter essere me stessa e voglio che lui faccia altrettanto, voglio vincere tutte le mie paure e fare in modo che lui possa conoscere ogni aspetto di Chloe, in ogni momento e in ogni sfumatura, e poi voglio andare oltre, voglio sperimentare, voglio dargli più di quanto sia abituata a dare, perché il sentimento che mi lega a Harry è così potente, che non potrei fare diversamente, nemmeno se lo volessi.
Harry è cuore, ragione, sentimento, e corpo, e carne, e desiderio, puro, autentico. Harry è in grado di farti perdere la testa con un sorriso, con uno sguardo, e con un bacio sei già completamente spacciata. La voglia di lui è esplosa in un attimo, al primo bacio, e per quanto abbia provato a reprimerla, alla fine ha sempre vinto lui, e la cosa non mi dispiace affatto.

E, mentre tutti questi pensieri si diradano lentamente nella mia testa, le sue dita, totalmente prive di anelli, scorrono lente sulla mia pelle, accendendo la mia mente e il mio corpo all'unisono, unendoli verso lo stesso desiderio; la sua bocca non smette di assaltare collo, spalle, nuca, poi, il resto di lui, completamente nudo, si appoggia contro la mia schiena per farmi sentire quanto abbia voglia di me.

«Avevi detto di avere fame» gli dico, e trattengo il fiato quando sento la sua mano farsi spazio al di sotto della maglietta per poi ricoprire per intero il mio seno sinistro.

«E infatti è così, Stewart» sussurra piano, poi la sua mano destra scorre lenta verso il basso, sento le dita farsi strada al di sotto del bordo degli slip «sto morendo di fame».

Il mio corpo si incendia all'istante, come se le sue parole avessero appena acceso una miccia ad accensione rapida, come se ogni parte di me stesse reclamando a gran voce le sue attenzioni, un suo tocco, un suo bacio, una carezza, e lui sembra voler accontentare ogni millimetro della mia pelle, del mio corpo, già alla sua completa mercé. Sento i miei muscoli contrarsi quando le sue dita si fanno strada verso la mia intimità, mentre il respiro si fa più accelerato quando continua a sussurrare al mio orecchio.

«Voglio prendermi cura di te» mi accarezza, mi stringe, e la sensazione della sua mano dentro ai miei slip è qualcosa che mi manda letteralmente fuori di testa, tanto che non riesco a replicare «voglio dimostrarti quanto sei speciale per me».

«Harry...» sussurro a fatica, quasi in un gemito, quando fa scorrere lentamente un dito dentro di me.

«Adoro sentirti dire il mio nome quando sei così eccitata...» mi manca l'aria, continua a farmi impazzire, e io resto inerme, a godere di ogni suo assalto, come quello della sua bocca che si apre lenta sul mio collo, mentre succhia una piccola porzione di pelle, e le sue mani stanno prendendo tutto ciò che vogliono.

Mi arrendo, lo lascio fare, mi abbandono alla magia che riesce a creare in pochi minuti, in cui tutto l'universo scompare, per lasciare spazio soltanto a quello che proviamo l'uno per l'altra. Volto lentamente il viso all'indietro, perché voglio baciarlo, voglio che senta quanto anche io sia affamata di lui.

Le labbra di Harry trovano subito le mie, la sua lingua si fa spazio lentamente nella mia bocca, come a voler davvero assaporare qualcosa di buono, come se volesse percepirne ogni parte, per entrarne in pieno possesso. Trattengo di nuovo l'aria quando sento le sue dita scivolare fuori dai miei slip, perdendo il contatto con il mio corpo, mentre mi fa voltare nel suo abbraccio. Mi stringe i glutei con decisione, ma con delicatezza, per portarmi più vicino a sé, sento chiaramente la sua erezione contro il mio ventre, e porto le mani sui suoi fianchi, per poi scendere più in basso, senza mai perdere il contatto con la sua bocca, che diventa via via sempre meno delicata e più aggressiva.

Non riesco a credere che mi senta così eccitata come se non facessi sesso da mesi, quando credo siano passate a malapena un paio d'ore da quando abbiamo fatto l'amore su quell'enorme letto nell'altra stanza, eppure la voglia che ho di lui in questo momento sembra essere ancora più forte di prima, e ho tutta l'intenzione di farglielo capire. Così spingo di più il mio bacino verso il suo, per il gusto di sentire il suo gemito riversarsi nella mia bocca; divoro la sua voce strozzata, il suo fiato che sembra fermarsi per un attimo quando le mie dita stringono la carne dei suoi glutei, per portarlo ancora più vicino a me.

«Lo sai che adesso non arriverai al letto, vero?» dice a bassa voce, come se fosse una minaccia, ma il solo pensiero delle sue parole ha una prospettiva così piacevole, che non credo di volerci rinunciare.

«In realtà ci speravo» affermo sicura, perché è così che mi sento quando sono tra le sue braccia, quando lui mi guarda come se ogni suo respiro dipendesse da me.

«Non c'è bisogno che tu lo ripeta». Si abbassa all'improvviso, mi solleva, per poi voltarsi tenendomi in braccio e farmi sedere sul bordo del tavolo.
Mi aggrappo alle sue spalle mentre le sue dita affondando nei miei fianchi, per poi risalire velocemente quasi subito, portandosi dietro la maglietta che indosso.

Per un attimo tutto sembra fermarsi, come se la nostra vita fosse diventata un fermo immagine: seduta sul bordo del tavolo, con addosso solo un paio di slip, resto immobile sotto il suo sguardo acceso, quasi senza respirare, mentre porto indietro le braccia, appoggiandomi con le mani alla superficie lucida. Lo sguardo di Harry resta per qualche secondo nei miei occhi, poi scende lentamente, e forse dovrei sentirmi a disagio, o in imbarazzo, invece quello sguardo di fuoco ha il potere di farmi sentire incredibilmente bella e sexy.

«Non c'è niente che vorrei più di te...» dice, tornando a guardarmi negli occhi «di noi due...» si avvicina di più, si sistema tra le mie gambe, fa scorrere le dita leggere appena al di sotto del mio collo, da una clavicola all'altra, percorrendo la linea occupata solitamente dalla catenina che indosso «di noi due...» ripete ancora, stavolta con voce più bassa, e io so quale sia il reale significato delle sue parole, ma non voglio pensarci adesso, perché gli ho promesso che saremo solo noi due, e non permetterò a nessuna ombra di interferire in questo istante così intenso, così nostro.

«Noi due, Harry» gli dico, portando una mano sul retro del suo collo, per avvicinarlo di più a me «solamente noi due» rimarco quelle parole, perché voglio che lui ne sia certo, che non abbia dubbi sul fatto che io sia presente qui con lui, e non solo fisicamente.

Si lascia baciare, lo faccio lentamente, senza fretta, dando ad entrambi il tempo di sentire ogni brivido, ogni fremito, ogni sensazione che questo contatto sta provocando ai nostri corpi. Le sue mani si posano delicate sui miei fianchi, risalgono ancora più lentamente lungo il mio corpo, per poi fermarsi sui miei seni e, stavolta, sono io ad ansimare nella sua bocca, ed è lui a catturare i miei gemiti tra le labbra, divorandoli, trasformando un bacio dolce in uno più passionale, senza darmi quasi tregua.

Affondo le dita nei suoi muscoli per potermi sorreggere, mentre lui non si risparmia nel continuare a baciarmi come se ne traesse forza ed energia.

«Devo...» dice con un filo di voce, allontanandosi leggermente, quasi senza davvero capire cosa deve dire, poi riprende a baciarmi, poi si ferma di nuovo «devo andare a...» mi bacia ancora, poi un altro stop, e sorrido nel vedere il ritratto dell'impazienza sul suo viso. «Merda! Torno subito...» dice poi, per andare nell'altra stanza, mentre io mi godo la visuale del suo lato B quando si allontana.

Mi appoggio di nuovo all'indietro e lo vedo tornare un attimo dopo con un'espressione furba sul volto; mi si avvicina, appoggia accanto alla mia coscia la bustina argentata, poi appoggia le mani sulle mie ginocchia.

«Voglio mangiare, Chloe...» dice con la voce più bassa che gli abbia mai sentito, così roca e graffiata che la sento percorrermi tutta la spina dorsale, per poi riversarsi al centro delle mie gambe, facendomi contrarre i muscoli e stringere le cosce, ma lui non me lo permette, perché scorre lento con le dita sulla mia pelle accaldata, mentre mi divarica le ginocchia, sistemandosi all'interno «e ho bisogno di un piatto...»

Lo osservo con aria confusa, ma non mi lascia nell'incertezza per molto: posa una mano sulla mia spalla e, facendo una leggera pressione, mi fa stendere sul piano liscio, sostenendo la mia schiena con l'altra, fino a che rabbrividisco nel percepire il freddo della superficie sulla quale mi ha fatto distendere.

«Sei bellissima anche da qui, Chloe» dice ancora, mentre sembra che io abbia perso la parola. «Non ti muovere» dice, poi giro la testa all'indietro quando lo vedo allontanarsi e andare verso il piccolo piano cottura, per recuperare il piatto con le omelette farcite di fragole e tornare ad occupare il piccolo spazio tra le mie gambe, che ha lasciato solo per qualche secondo. «Lo senti com'è bello il silenzio senza il casino di tutti i tuoi ingranaggi?» domanda divertito, forse per alleggerire un momento davvero troppo intenso, tenendo in mano quei dolcetti. «Adesso voglio sentirti riempire il silenzio, ma non con i tuoi pensieri».

Solleva la parte superiore della prima omelette, mentre l'aspettativa per ciò che ha in mente, sta facendo salire l'eccitazione e sparire l'aria dai polmoni, prende un paio di fettine di fragole e le posa appena al di sotto del mio ombelico, poi mi guarda negli occhi, mi sorride, e riprende a sistemare le fragole sulla mia pelle, provocando brividi ad ogni contatto della frutta.

Non ho mai fatto niente del genere in tutta la mia vita, non ho idea di cosa stia per fare, ma sono impaziente di scoprirlo. Sono tesa, ma non nervosa, sono rigida, con la schiena leggermente inarcata, ma non perché la situazione sia imbarazzante. Non vedo l'ora di scoprire cosa e come vuole mangiare, quindi resto immobile, ad osservare i suoi movimenti, ruotando soltanto gli occhi, e trattenendo il fiato.
Harry si sposta di lato, mettendosi accanto a me, si abbassa all'altezza del mio orecchio e sussurra in un modo così sexy che sento di essere già quasi al limite della sopportazione: «Rilassati...»

Come se fosse una cosa realmente fattibile, come se potessi davvero rilassarmi, quando il suo viso arriva a pochi millimetri dal mio sterno, sul quale ha appoggiato la prima fragola. Sollevo leggermente la testa, mi appoggio sui gomiti per non perdermi niente. Mi guarda, ma io non riesco a togliere gli occhi dalla sua bocca: lo vedo sorridere, poi si abbassa ancora. Trattengo il fiato quando sento la sua lingua scorrere lenta, per prendere in bocca la fettina di frutta, poi le sue labbra chiudersi, per risucchiare la piccola porzione di pelle al di sotto, e infine osservarmi, per sorridere compiaciuto della mia reazione.
Credo mi si legga in faccia quanto questo gesto mi abbia fatto perdere la testa.

«Questo sì che è mangiare...» afferma divertito, per poi compiere gli stessi gesti: si abbassa, passa la lingua sulla mia pelle per prendere la frutta in mezzo ai seni, poi le labbra, e sorride.
E ancora, un po' più in basso, lingua, fragola, labbra, ma stavolta aggiunge la sua mano sul mio fianco, mentre io non so nemmeno come mi chiamo. Sta arrivando sempre più in basso e non ho idea di come potrò sopravvivere a tutto questo. Torna in mezzo alle mie gambe, tiene entrambe le mani sui miei fianchi e ripete quella parola.

«Adesso rilassati, Chloe...» Torna ad abbassarsi, fa scorrere la lingua appena al di sopra del pube, ma stavolta non risolleva il volto dopo aver messo in bocca la frutta, invece continua a scendere con le labbra, con la lingua, mentre le sue mani scivolano dai miei fianchi fino alle gambe, per poi percorrere una breve linea immaginaria sull'interno coscia. A quel punto sono un fascio di nervi per l'aspettativa di ciò che sta per avvenire. E come dovrei rilassarmi a questo pensiero? Come posso rilassarmi quando vedo sparire il suo viso tra le gambe? E come posso continuare a respirare quando sento le sue dita agganciare il bordo degli slip per poi sfilarli? Come posso evitare un colpo al cuore quando sento la sua lingua compiere lo stesso movimento che ha compiuto finora sulla mia pelle, solo nella zona più intima del mio corpo?

Vorrei davvero continuare a guardarlo, ma l'immagine del suo volto che sprofonda nella mia carne è uno spettacolo di un livello erotico talmente alto che al momento non sono pronta a reggere, se non voglio rischiare un attacco cardiaco, così mi limito a reclinare la testa all'indietro, a chiudere gli occhi e abbandonarmi al piacere che Harry mi sta donando.
È così intenso tutto questo, che è quasi come se potessi lasciare il mio corpo; mi lascio andare del tutto all'indietro, torno a sdraiarmi e riesco a rilassarmi, a distendere ogni muscolo, anche quelli in balia della bocca di Harry, che sembra essere in grado di portarmi in paradiso. Porto le braccia all'esterno, per aggrapparmi ai bordi del tavolo, inarco la schiena e gemo più forte quando stringe le mani sui miei fianchi, per portarmi ancora più vicino e affondare con la lingua, risucchiare con le labbra, in una meravigliosa tortura che vorrei durasse per sempre.

«La tua voce ha un suono decisamente migliore dei tuoi pensieri» dice, interrompendo quella piccola meraviglia, per lasciarmi qualche bacio sull'inguine, e continuare a parlare, mentre risale lentamente. «Anche il tuo respiro ha un suono migliore rispetto agli ingranaggi del tuo cervello». Si sta divertendo, io sono troppo eccitata per ridere, o soltanto sorridere, in realtà sono troppo eccitata e basta.
La sua bocca, la sua lingua, non smettono di percorrere il mio corpo, poi si sofferma sul seno, e ancora vorrei guardare mentre morde e dedica altre attenzioni al mio corpo già ipersensibile, ma non credo di farcela.

«Harry...» mi sfugge il suo nome, senza nemmeno rendermene conto.

«Mi vuoi, Chloe?» mi domanda, e la sua voce sembra sempre più bella e profonda ad ogni parola che pronuncia.

«Sì... Ti prego...» Lo sento ridacchiare per la mia reazione, poi perdo il contatto con ogni parte di lui, sento il rumore della bustina argentata che viene strappata, poi le sue mani sui miei fianchi, per farmi scivolare sul tavolo, finendo con il sedere sul bordo.

«Dimmelo ancora, Chloe» mi dice, e la sua richiesta mi spinge ad aprire gli occhi, per vedere quanto sia diventato brillante e profondo il verde dei suoi occhi «dimmi che resti».

«Resto, Harry...» Il fiato rimane bloccato in gola, quando lui entra lentamente dentro di me, poi lascio andare l'aria, unita alla voce, che forma un gemito rumoroso.

«Cazzo!» impreca lui, per poi ripetere lo stesso movimento e ottenere il medesimo suono, che lascia le mie labbra in maniera più lenta e prolungata. Si piega in avanti, tiene una mano sul mio fianco, l'altra la porta dietro la mia schiena, aiutandomi a sostenermi, poi riprendere a muoversi. «Resta con me».

Riesco a sentire tutto il suo bisogno di essere rassicurato, tutta la sua insicurezza, la sua fragilità, così mi aggrappo ai suoi bicipiti e fisso il mio sguardo nel suo.

«Resto con te, Harry...» gli dico seria, cercando di trasmettergli quanto credo in quelle parole «resto con te» ripeto, poi lo bacio mentre lui mi tiene stretta, mentre le sue spinte si fanno sempre più veloci, più aggressive, come se potesse prendersi ogni cosa di me attraverso i suoi affondi. Assecondo i suoi movimenti, lascio che si prenda tutto ciò che vuole, mentre io faccio lo stesso con lui, fino a quando mi porta al limite.

«Con me...» La sua voce si riversa nella mia bocca, tra un bacio e un morso, le vibrazioni della sua voce arrivano fino alla mia gola, si riverberano dentro al mio corpo, mentre sento ogni più piccola parte di me esplodere all'improvviso in un piacere intenso, quasi violento, che mi toglie il fiato, la voce, la lucidità, mentre affondo le unghie nella sua carne e lui afferra con più forza il mio fianco. «Con me, cazzo...»

Sento il suo corpo irrigidirsi, poi i suoi affondi rallentano, fino a fermarsi del tutto, restando immobile per qualche secondo, nei quali cerco di capire se sono ancora su questo pianeta o sulla luna.

«Le fragole più buone di tutta la mia vita» dice dopo un po' sollevandosi leggermente e guardandomi negli occhi. La sua mano arriva sul mio viso, le sue dita percorrono ogni centimetro, come ad assicurarsi che io sia qui, fino a soffermarsi sulle mie labbra.

«Peccato che te le sia mangiate tutte tu» rispondo, tentando una battuta, perché ho bisogno di tornare alla realtà.

«Bastava dirlo che avevi bisogno di un piatto, mi sarei offerto volentieri» sorride divertito, poi si abbassa e mi bacia.

«Me lo ricorderò, la prossima volta» ribatto, restando con gli occhi nei suoi.

«La prossima volta...» ripete lui «ha un bellissimo suono, no?» Gli sorrido e concordo con lui.

Abbiamo entrambi bisogno di certezze, di sapere che possiamo contare l'uno sull'altra, che possiamo avere un futuro, un futuro nel quale saremo ancora insieme, e non c'è assolutamente niente che voglio più di questo.

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Capitolo 64
*** Quel ricordo non fa più male ***


Il suono della sveglia sembra entrarmi nel cervello.

«Distruggila, falla in mille pezzi, lanciala dal balcone, ma fai smettere di suonare quella cazzo di sveglia...» La voce roca e assonnata di Harry mi fa spostare dalla mia comoda posizione nel letto. 

A fatica apro gli occhi alla ricerca dell'aggeggio infernale, che non smette di emettere quel suono martellante. La trovo dopo alcuni tentativi e riesco finalmente a spegnerla.

«Adesso torna qui» dice ancora lui, alzando solo un braccio invitandomi a raggiungerlo. Sgattaiolo fino a lui, gli passo un braccio sotto al collo, e mi stringo al suo corpo godendo degli ultimi minuti di tranquillità.

Siamo tornati ieri sera tardi da New York, dove abbiamo trascorso un meraviglioso fine settimana. Dopo le prime dodici ore, che abbiamo passato rigorosamente a letto - come mi aveva promesso appena arrivati - abbiamo girovagato per la città senza una meta precisa, abbiamo cenato in un ristorante molto carino e abbiamo immortalato ogni momento, esattamente come avrebbero fatto due adolescenti alla prima cotta. Non credo di aver mai fatto tante foto come in questi due giorni, ogni scusa era buona per prendere in mano il cellulare e fermare l'attimo.

È una frase che Harry ha ripetuto spesso in queste ultime quarantotto ore e io mi sono prestata ad ogni sua singola richiesta. Ho voluto dedicarmi completamente a lui in questi due giorni perché oggi deve necessariamente tornare a lavorare - anche se dice che non ne ha nessuna voglia - mentre io potrei andare da Harvey per un nuovo lavoro.

In realtà c'è una piccola cosa che mi frulla per la testa, ma sono ancora indecisa se portarla a termine oppure no.

«Si sente che siamo tornati a Boston... I tuoi neuroni hanno ripreso l'attività a pieno ritmo» dice lui con voce stanca, ma decisamente divertito, dal momento che mi sta prendendo in giro.

«Harry?» Lo richiamo per comunicargli lo stupido pensiero che mi è appena venuto in mente.

Lui si volta lentamente su un fianco e vederlo la mattina appena sveglio mentre mi sorride, mi fa credere che il paradiso esiste. «Che c'è adesso, Stewart?» mi domanda, portando le sue dita a spostare qualche ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio.

«Stavo pensando che, se arrivassi in ufficio insieme a mia sorella, l'oca bionda potrebbe pensare che avete passato la notte insieme...» Lui sorride, ancora più divertito di poco fa.

«Beh... Non sarebbe un'ipotesi del tutto sbagliata, dato che Rebekah ha dormito nella sua stanza, proprio accanto alla tua» dice ancora con lo stesso sorriso.

«Sì, ma si farebbe un'idea comunque sbagliata» gli dico con un pizzico di fastidio nella voce, sperando che lui non l'abbia colto.

«Proprio non ti va giù, Carol, eh?» mi punzecchia, mentre la sua mano scende lentamente per arrestare la sua corsa sul mio fianco.

«Carol? Non ti ricordi mai un nome e sai che quella si chiama Carol?» Non avrei voluto risultare così acida, ma non ho potuto trattenermi al pensiero che Harry conosca il suo nome.

«Sei gelosa...» mi dice, senza chiedermelo realmente. La sua è una semplice constatazione ed è anche la verità.

«Certo che lo sono» gli dico, mettendomi a cavalcioni su di lui «adesso che ti ho trovato non ho nessuna intenzione di perderti» ammetto con grande sincerità, usando un tono piuttosto basso.

«Potrei abituarmi a questa versione di te così dolce...» mi mette le mani sui fianchi, appena al di sotto della maglietta.

«E io potrei abituarmi a svegliarmi in questo letto insieme a te...» mi abbasso per baciarlo e stringermi a lui.

«Ma così io dovrei rinunciare a Brenda, alla sua colazione, al letto rifatto, ai vestiti lavati e stirati e... Ahia!» Si ferma dall'elencare tutti i suoi vizi - perché di questo si tratta - quando gli tiro un piccolo pugno sulla spalla.

Potrei davvero abituarmi al suo lato romantico, alla vita con lui. Sono ormai pochi i momenti in cui non siamo insieme nella stessa casa - che sia l'appartamento che condivido con mia sorella, come ora, oppure nel suo appartamento in affitto - e penso che mi piacerebbe molto se diventasse qualcosa di più: immaginare una vita con Harry non è poi così difficile.

«Non lo so il suo nome, Chloe...» mi dice alla fine, quando si rende conto della mia espressione pensierosa.

«Mi hai preso in giro?» gli domando non realmente infastidita. Direi più che altro frustrata per il fatto che vince sempre lui.

«Non mi capita spesso di vederti gelosa, non potevo non approfittarne». La mia reazione non ha modo di manifestarsi perché lui capovolge la situazione facendomi finire sotto di lui. «E quasi quasi approfitto anche di questa posizione...» dice ancora, con tutta la malizia di cui è capace.

«Harry si sta facendo tardi... sai che Jordan ti aspetta presto stamattina» gli dico, rovinando il suo piano, ma so che suo fratello si è raccomandato che fosse puntuale oggi, dato che Dylan non tornerà al lavoro per almeno tutta la settimana.

«Tu e Jordan siete dei guastafeste di prima categoria» dice sbuffando, mentre si lascia andare sul materasso al mio fianco. «Vado a farmi una doccia». Si alza dal letto, si infila boxer e pantaloni della tuta, poi esce dalla mia stanza e io emetto un profondo sospiro quando si chiude la porta alle spalle e sparisce dalla mia vista.

Mi metto seduta sul letto, poi recupero qualcosa con cui vestirmi, e infine apro il cassetto del comodino per prendere la catenina con il cigno e la aggancio di nuovo al collo.

È diventato il rituale di ogni mattina ormai; so bene quanto Harry abbia apprezzato il mio gesto - pur non dicendolo mai ad alta voce - di toglierla quando siamo a letto insieme, e ogni sera - quando non ho quella collana - come pure ogni mattina - quando la collana torna al suo posto - le sue dita ne tracciano il contorno: in maniera più marcata quando non c'è, e più delicatamente quando i suoi polpastrelli passano vicino alla catenina.

Non ho ancora ben capito come interpretare il suo gesto, ma forse ha un doppio significato. Vorrei potergli chiedere di più, però temo di toccare un tasto dolente per lui, così lo lascio libero di agire e di dirmi, come e quando vuole, ogni pensiero che gli passi per la testa.

Mi alzo in piedi e tolgo dalla sua custodia il completo che deve indossare oggi. L'ha portato qui l'autista ieri pomeriggio, James mi pare che si chiami, avvisato da Harry mentre eravamo ancora a New York. Prendo poi una penna e un bigliettino che gli infilo nella tasca interna della giacca, infine la ripongo al suo posto proprio accanto al suo cappotto e sistemo anche quello, appendendolo sulla gruccia dopo averlo preso dalla sedia sulla quale era appoggiato, per far sì che non sia troppo stropicciato. Lo liscio con le mani per togliere qualche piega che si è formata sul davanti.

«Che stai facendo?» La voce alta e improvvisa di Harry mi fa saltare in aria per lo spavento.

«Mi hai spaventato!» gli dico, lasciando perdere quello che stavo facendo.

Lo guardo camminare verso di me con un'espressione che sembrerebbe preoccupata e lo osservo confusa. «Scusa... non volevo» dice, andando a sistemare lui stesso il suo cappotto.

«Non dovevi fare la doccia?» gli chiedo, notando che è completamente asciutto.

«C'era tua sorella in bagno» dice voltandosi verso di me.

In questo momento sembra strano, quasi disorientato. «Va tutto bene, Harry?» gli chiedo avvicinandomi a lui.

Le sue mani arrivano subito sul mio viso, mi lascia un bacio dolcissimo, poi compie quel gesto: con le dita della mano destra passa delicatamente da una clavicola all'altra, percorrendo tutto il piccolo spazio occupato dalla catenina che mi ha regalato Dylan il giorno del mio compleanno.

«Lo sai che ti amo, vero?» gli dico per rassicurarlo, perché sembra che stamattina ne abbia bisogno.

«Lo so, cazzo se lo so...» dice con un filo di voce, poi sospira pesantemente e mi tira a sé in uno stretto abbraccio «e io non credevo di poterti amare così tanto».

Le sue mani si aprono sulla mia schiena, io cerco di trasmettergli tutta l'emozione che lui sta facendo sentire a me, ma non è facile, perché lui è sempre incredibilmente intenso e non so se sono in grado di essere alla sua altezza.

Forse dovrei toglierla definitivamente, forse dovrei lasciare andare anche questa piccola parte che ho ancora di Dylan, forse il mio è stato solo un punto e virgola, mentre Harry merita quel punto, ma separarmi da questa catenina, mi dà l'impressione di rinnegare quella parte della mia vita. Lui non mi ha chiesto di farlo, non lo farebbe mai, ma forse è arrivato anche quel momento.

Il nostro abbraccio viene poi interrotto da mia sorella che bussa alla porta. «Il bagno è libero!» dice lei ad alta voce per farsi sentire.

«Grazie Reb!» rispondo allontanandomi leggermente da lui. «Puoi andare ora» gli dico sorridendogli.

«Non credo di volerci più andare...» I suoi lineamenti si rilassano e il suo sorriso torna ad illuminargli il volto. «Adesso voglio solo te».

Mi richiude nel suo abbraccio, dal quale non vorrei mai liberarmi.

*********

Harry

Sapevo che non sarebbe stato semplice rientrare in ufficio, oggi, ma non credevo che mi sarebbe stato quasi impossibile concentrarmi.

Sto provando a sostituire Dylan perché ancora non se la sente di rientrare al lavoro, come non se la sente di affrontare sua madre. Da quando si è rifugiato nel mio appartamento non ne è più uscito. Io e gli altri nostri amici ci siamo presi cura di lui perché, in fondo, il nostro gruppo è una piccola famiglia. Ci supportiamo a vicenda; l'abbiamo fatto con Zach quando è morto suo padre, l'hanno fatto con me da sempre, e ora è Dylan ad avere bisogno dei suoi amici. Ci siamo dati il cambio per non lasciarlo mai da solo e stamattina è rimasto Lawson, l'ho chiamato poco fa, prima di arrivare qui, e mi ha detto che è sempre uguale, senza alcuna voglia di parlare.

L'unica con cui vorrebbe parlare è Chloe, mi ha chiesto più volte di poterlo fare, ma sto continuando a rimandare perché lei ha appena affrontato un momento molto difficile e non sono sicuro che parlare con il mio amico di tutta questa situazione possa avere una buona influenza su di lei. Mi dispiace per Dylan, è solo che sto tentando di proteggerla, forse sbagliando, ma è l'unico modo che conosco.

Ho chiamato anche Chloe, prima di entrare in ufficio, perché mi sentivo in colpa per aver reagito in quel modo quando mi sono accorto che stava toccando il mio cappotto: quella dannata scatolina è ancora lì, in quella tasca, e il momento per darle quel regalo sembra sempre sbagliato. Soprattutto ora che ha iniziato a toglierla la sera e nei momenti più intimi.

Quando l'ha fatto a New York, nel momento in cui le ho visto sganciare la collana e chiuderla in un cassetto, ho creduto che sarei potuto impazzire da un momento all'altro. Eravamo davvero solo io e lei, ed ero immensamente felice, ma a mente fredda ho realizzato che, a quel punto, darle la catenina che le ho comprato io, sarebbe risultato molto più ambiguo di quanto non lo fosse prima, così ho rimandato ancora. Non so se arriverà mai il giorno in cui avrò il coraggio di darle il mio regalo.

«E poi vorrei rubare la valigetta del Presidente, quella con i codici per lanciare la bomba nucleare...»

«Sì, ok...» rispondo a mio fratello, senza nemmeno aver capito cosa stesse dicendo. In realtà non gli ho dato retta in alcun modo da quando sono entrato nel suo ufficio poco fa, ma ho decisamente la testa altrove.

«Quindi sei d'accordo?» Mi riprendo per un momento dai miei vaneggiamenti e lo guardo negli occhi. Lui mi guarda con attenzione, mi sta studiando. Che si sia accorto della mia distrazione? Certo che se n'è accorto, è Jordan...

«Ho come l'impressione che non dovrei esserlo...» dico incerto, mettendomi a sedere più composto sulla sedia girevole.

«Dipende dai punti vista...» dice lasciandosi andare indietro contro lo schienale della sua sedia. «Qualcosa non va?» mi domanda ancora, giocherellando con la sua penna da duecento dollari.

Perché mai una persona dovrebbe pagare duecento dollari per una penna?

Potrei provare ad evitare di rispondergli con qualche stupida battuta, ma qui si tratta di Jordan, non sono mai riuscito a sfuggirgli e non succederà sicuramente adesso. E in realtà ho bisogno di parlare con lui. «Il fatto è che non ho ancora capito se la mia vita stia migliorando, se posso essere felice oppure no, perché ogni volta che qualcosa si aggiusta, dalla parte opposta c'è qualcosa che si rompe».

«Benvenuto nel mondo dei grandi...» Mio fratello si ostina a divertirsi alle mie spalle e io non posso evitare di alzare gli occhi al cielo per la sua risposta.

«Così sì che mi sei d'aiuto» gli dico, incrociando le braccia al petto.

«Posso aiutarti con Dylan, ti ho aiutato ad avvicinarti a Chloe, sai bene che oltre a questo non posso andare. Sono estremamente inutile se si tratta di donne». Incrocia le braccia dietro la testa, allunga le gambe sotto alla scrivania mentre il suo sorriso si fa più forzato.

Non è stato molto fortunato con le ragazze, ma non perché sia uno stronzo, anzi tutt'altro, è decisamente troppo gentile e ha sempre troppa fiducia nel prossimo. Quando si tratta di me sa sempre cosa fare, ma quando si tratta di sé stesso è un vero disastro. Forse la colpa è mia, perché è cresciuto dovendo pensare a me, dovendo preoccuparsi prima di me e poi di sé stesso, e pare che la cosa sia rimasta invariata nel tempo.

«Sai bene che non è così... Inutile non è la parola adatta in questo caso...» gli dico, provocando una certa curiosità nel suo sguardo.

«Ah sì? E quale sarebbe la parola più adatta, mister so tutto io?» Mi sfida, con un sorriso sulle labbra.

«Tu non sei estremamente inutile, sei estremamente buono, e forse stavolta potrei essere io a fare qualcosa per te...» Lui mi osserva curioso mentre infilo la mano nella tasca della giacca per prendere il cellulare. «Chloe mi ha detto che vorrebbe farti conoscere la sua migliore amica e qualcosa mi dice che potreste andare d'accordo...» Abbasso lo sguardo per guardare il telefono che ho tra le mani perché voglio chiedere a Chloe di darmi il numero di Hazel. Ne abbiamo parlato qualche tempo fa, ed entrambi siamo d'accordo sul fatto che mio fratello e la sua migliore amica potrebbero essere una bella coppia, ma mi trovo costretto a fermarmi quando mi accorgo che, insieme al telefono, dalla tasca ho preso anche un piccolo foglietto che non ho mai visto prima.

Lo apro curioso di sapere di cosa si tratti...

Non so come hai fatto a trovarmi laggiù, 
ma non permettere che io mi perda ancora. 
Ti amo più di quanto possa dire

C.

La calligrafia è quella di Chloe, so bene che è la sua, la riconosco senza problemi, eppure non riesco a credere che abbia avuto un simile pensiero per me. Lo rileggo con attenzione, come se non fossi in grado di comprendere il significato delle sue parole, ma la verità è che questo piccolo foglietto, questo gesto che potrebbe sembrare persino banale, fatto da lei diventa eccezionalmente importante e mi ha reso assurdamente felice.

«Credo di non averti mai visto un'espressione più sdolcinata di quella che hai in questo momento». Alzo lo sguardo su mio fratello quando lo sento pronunciare quelle parole, e sono certo che abbia ragione, perché io non mi sono mai sentito così innamorato.

«Questo perché ancora non conoscevo Chloe» rispondo, provocandogli un sorriso.

«Beh... mi dirai quello che volevi dirmi più tardi; ora, visto che sei così felice, forse sei davvero pronto per ascoltare quello di cui ti stavo parlando prima, ma a cui non hai minimamente prestato attenzione...» Il suo viso si fa più serio e immagino che sia qualcosa che non mi piacerà affatto.

«Ho come l'impressione che sia qualcosa di piuttosto spiacevole» gli dico richiudendo il biglietto e mettendolo nel portafoglio. Rimetto anche il telefono in tasca, infine torno ad appoggiarmi allo schienale della sedia e lo guardo serio in attesa del verdetto.

«Il discorso lungo per prepararti non l'hai ascoltato, quindi te lo dirò senza troppi giri di parole: il cliente con cui doveva lavorare Dylan è Benjamin Foster». Chiudo gli occhi mentre inspiro una grande quantità d'aria non appena sento pronunciare quel nome da mio fratello. «Non ti aveva detto niente per non farti preoccupare, e dev'essersi dimenticato di avvisarti con quello che sta passando...» Riapro gli occhi e trovo lo sguardo di Jordan molto più serio di poco fa, in attesa di una mia reazione.

«C'è anche lei?» gli chiedo, sperando in una sua risposta negativa.

«Non lo so, ma sai che è una possibilità da prendere in considerazione» dice ancora Jordan con tono serio.

Mi alzo e cammino verso la vetrata, come se potessi evadere almeno con lo sguardo da qui, perché sapere di dover lavorare con il padre di Winter, e che lei potrebbe essere ancora nei paraggi, non mi entusiasma per niente.

«Ok... facciamolo» dico, restando con lo sguardo rivolto verso l'esterno e i pensieri rivolti a Chloe.

«Ci sta aspettando nell'ufficio di papà» mi dice ancora, e io mi volto quando sento il rumore della sua sedia che si sposta.

Lo osservo indossare la giacca che aveva sistemato sullo schienale della sua poltrona, e non posso fare altro che ammirarlo per tutto quello che è riuscito a fare nella vita, e anche per la meravigliosa persona che è. So bene che gli devo molto, e magari un giorno troverò un modo per sdebitarmi di quanto ha fatto per me.

Lo seguo all'esterno del suo ufficio e, insieme, ci dirigiamo nell'ufficio di nostro padre: non so come andrà a finire, ma di sicuro la giornata non si prospetta piena di sorrisi sinceri e cordiali.

E, cosa più importante di tutte, dovrò dirlo a Chloe.

*********

Chloe

Sospiro per l'ennesima volta al pensiero dell'improvviso cambio d'umore di Harry di stamattina. Sembrava stesse andando tutto bene, ma quando è uscito dalla porta della mia stanza dev'essere successo qualcosa nella sua testa, perché quando è rientrato in camera era come se avesse visto un fantasma.

Credo non sia facile nemmeno per lui: vuole sempre farmi credere che vada tutto perfettamente bene, ma sono sicura che stia ancora combattendo con i suoi demoni, specialmente dopo aver rivisto quella. Mi ha detto di aver messo un punto e io gli credo ciecamente, ma sono anche certa che non possa cancellare tutto così, da un momento all'altro, e voglio concedergli tutto il tempo di cui ha bisogno, voglio poterlo aiutare come lui ha fatto con me.

Attraverso la strada non appena il semaforo pedonale diventa verde e mi incammino svelta verso la mia nuova destinazione. Sono appena stata da Harvey per riprendere il lavoro, mi sento piena di energie e molto positiva, quindi ho pensato fosse il momento buono per ricominciare. Mi ha affidato delle nuove traduzioni, una serie di libri per bambini che sono sicura di portare a termine in breve tempo.

La bassa palazzina di mattoni rossi è proprio davanti a me, suono il citofono e aspetto.

«Chi è?» Il suo tono di voce è decisamente sorpreso. Non credo aspettasse qualcuno.

«Sono Chloe» rispondo, poi il portone viene aperto, poi entro per salire le scale e arrivare al suo pianerottolo, dove trovo già la porta aperta e qualcuno pronto ad aspettarmi.

Mi sento un po' in colpa ad essere qui senza averne discusso con Harry, non credo ne sarebbe molto felice, soprattutto perché non gliene ho parlato, ma so anche che, se gli avessi rivelato le mie intenzioni, mi avrebbe ostacolato. Stasera dovrò dirglielo, però, e con ogni probabilità discuteremo, ma non voglio tenerglielo nascosto.

«Che ci fai tu qui?» mi chiede non appena gli sono davanti.

«Ciao, Lawson, anch'io sono felice di vederti» gli dico ironicamente, restando ferma sulla soglia.

«Scusa... è solo che sono sorpreso... Harry non c'è e...»

«Sono qui per Dylan» gli dico interrompendolo, dato che lo vedo in difficoltà. «Vorrei parlare con lui». Lawson resta fermo sulla porta con una mano sulla maniglia e l'altra sullo stipite, bloccandomi completamente il passaggio. «Posso entrare?» gli dico infine, quando vedo che è ancora immobile al suo posto.

«Oh, sì... scusami...» si sposta e mi lascia entrare per poi chiudersi la porta alle spalle.

Mi segue fino al soggiorno perfettamente ordinato - non ho mai visto questa stanza così ben sistemata quando Harry è qui da solo - dove trovo Dylan, seduto sul divano con una tazza in mano, che alza subito lo sguardo su di me. Le sue labbra si aprono in un enorme sorriso, chiaramente contento di vedermi.

«Ciao» mi dice con grande entusiasmo alzandosi in piedi.

«Ciao... come stai?» gli domando avvicinandomi a lui.

«Proprio non lo so, ma sono contento che tu sia qui». Posa la tazza sul tavolino e viene ad abbracciarmi.

«Già, anche io... credo dovremmo parlare...» gli dico sciogliendo l'abbraccio.

Dylan è visibilmente emozionato, forse anche spaventato, ma io non sono da meno. Entrambi abbiamo bisogno di confrontarci su un argomento in comune e sono sicura di potergli dare almeno un po' di conforto, perché al momento ne ha davvero bisogno.

La sua vita è caduta in pezzi improvvisamente, ora ha bisogno di rimettere insieme quei pezzi e, stavolta, potrei essere io quella che dà una mano.

Mi tolgo il cappotto e ci sediamo sul divano, l'uno di fronte all'altra. «Vuoi bere qualcosa?» mi domanda Lawson quasi a disagio.

«No, grazie, sto bene così» gli rispondo, per tornare a dedicare la mia attenzione a Dylan, che sembra rimasto come in attesa di qualcosa. «Allora... hai parlato con tua madre?» So che non dev'essere facile, ma dovrà farlo prima o poi, perché è l'unica che possa spiegargli come sono andate davvero le cose e anche i motivi per cui si è comportata in quel modo. Non voglio giustificarla, ma nemmeno potrei condannarla.

«Non ancora, no...» risponde con un tono incerto nella voce «ma... mi chiedevo se tu... se potessi raccontarmi qualcosa di lui...» I suoi occhi sono lucidi e la sua voce è ancora più tremolante di poco fa.

«Certo che posso... chiedimi tutto quello che vuoi...» Il suo sguardo si accende, come se fosse un bambino che ha appena ottenuto una grande gioia.

Lo guardo e osservo la loro somiglianza una volta di più. Sono molto simili nel sorriso, nello sguardo, nel muovere le mani, nella dolcezza che mettono nel rapportarsi con gli altri e nel modo che ha di guardarmi.

«Sono felice che Harry abbia accettato che venissi a parlare con me...» afferma sorridendo «credevo che, a forza di rimandare, non te l'avrebbe detto mai» dice ancora, e io vorrei dirgli che infatti è così, che non me l'ha mai detto e che sono qui perché l'ho fatto di mia iniziativa, senza parlarne con Harry, e ora so che ho fatto bene a non dirglielo, altrimenti non avrei mai potuto provare ad aiutare Dylan. Sapevo che mi avrebbe dato sollievo parlare con lui, non mi fa più male il suo ricordo, anzi, poterlo condividere con qualcuno mi fa sentire meglio; sapere che la persona che ho qui davanti è suo fratello, e che posso essergli utile, è qualcosa che mi scalda il cuore.

Ho sempre visto il mio Dylan come figlio unico, l'unico che poteva considerarsi quasi un fratello era Kurt, ma sarebbe stata tutta un'altra storia se ne fosse venuto a conoscenza. Sono cresciuti a distanza, eppure sono decisamente simili, non si sono mai frequentati, ma la pensano allo stesso modo su vari argomenti. Hanno lo stesso padre, il suo stesso DNA, però nessuno dei due sembra essere così meschino come lo è stato lui nel lasciare una donna incinta e innamorata al suo destino, come se fosse una cosa che non serve più, che dà solo fastidio e di cui bisogna liberarsi al più presto.

Non ho alcuna idea di come mi comporterò con il signor Peters quando me lo ritroverò davanti, adesso che so la verità su di lui. La sua condotta ha fatto in modo che molte persone venissero messe in condizione di soffrire. Sarebbe bastato molto poco perché le cose andassero diversamente e invece tutti questi segreti hanno solo complicato le cose. Non voglio più segreti nella mia vita e, per ora, devo accantonare il pensiero che io e Harry ne abbiamo ancora.

«Ok... ti racconterò tutto quello che so di tuo fratello...» Dylan sorride e lo faccio anch'io.

Quel ricordo non fa più male.

Quel ricordo, adesso, è un ricordo felice. 

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Capitolo 65
*** Andrai a Montréal? ***


Fino a qualche tempo fa non lo credevo possibile, eppure, adesso, parlare di Dylan è facile.

È facile perché riesco a visualizzare nella mia mente i momenti felici, è facile perché posso condividerlo con qualcuno, è facile perché sono riuscita a trasformare il dolore che non mi abbandonava mai.

Quel dolore era lì presente ogni mattina, sembrava che il mio corpo e la mia mente non potessero più farne a meno, quasi come se ne fossi diventata dipendente. Ero convinta che fosse giusto provarlo, che fosse giusto continuare a far vivere in me quel male che mi avvelenava giorno dopo giorno, ma poi, senza quasi rendermene conto, qualcosa è cambiato. Il cuore è stato più forte di tutto, anche di quel dolore. Harry è stato capace di distruggere tutti i muri che avevo eretto intorno a me, e l'amore che provo per lui è stato in grado di abbattere tutte le barriere della mia mente, una dopo l'altra.

Harry non ha cancellato niente come io temevo potesse fare: i miei sensi di colpa sono ancora lì, il mio dolore anche, ma ora sono capace di vedere tutto sotto un'altra prospettiva. Sono riuscita ad elaborare la perdita, l'ho affrontata insieme a lui, e ne sono uscita arricchita, perché ora so che posso continuare ad amarlo in un angolo del mio cuore, ma questo non mi priva di poter amare ancora, e amare con grande intensità.

Harry è stato capace di correggere la traiettoria del cammino che avevo intrapreso dopo la morte di Dylan, ed è stato l'unico a riuscirci. Non so quanto tempo ci avrei messo se avessi impiegato unicamente le mie forze, a dire la verità non so nemmeno se ci sarei mai riuscita, ma non importa adesso, perché io ho Harry.

Dylan, il suo amico, sta ancora guardando le foto sul mio cellulare, pare che non riesca a smettere. Per far sì che si rendesse conto della reale somiglianza tra lui e suo fratello, ho pensato che sarebbe stato meglio mostrarglielo direttamente. Forse è un po' aggressivo come metodo, ma niente come un'immagine potrebbe fargli comprendere quanto tutto questo sia reale.

«Adesso capisco la tua reazione quella notte in aeroporto.» Dylan alza lo sguardo su di me mentre tiene ancora il mio cellulare in mano per scorrere le foto di suo fratello.

«Non immagini nemmeno cosa volesse dire per me guardare il tuo viso e vedere il suo...» Ricordo ancora perfettamente quella notte, quando lo incontrai per la prima volta, ed ora posso raccontargli cosa ho provato quando l'ho guardato, quando gli ho parlato e quando gli ho stretto la mano.

Ero scappata da Montreal con l'idea che, lontana da quella città, avrei potuto tenere a bada i ricordi e il dolore, avrei potuto ricominciare da zero, ma la prima persona che incontrai quella sera fu Dylan Evans. Mi resi conto che non avrei potuto fuggire in alcun modo dalla mia mente, che nonostante le miglia di distanza, lui, in qualche modo, era comunque presente nella mia vita e che non avrei mai e poi mai potuto accantonarlo. Poi, solo poche ore dopo, l'ho rivisto a quella serata di beneficienza ed è stato quello il momento in cui ho capito che non avrei mai potuto sottrarmi dall'affrontare la perdita.

Solo che non ero in grado di farlo da sola, ed ogni volta che ho avuto bisogno di un sostegno per superare le prove a cui ero sottoposta, c'era Harry.

C'è sempre stato.

«È per questo che mi hai sempre evitato?» mi domanda con un pizzico di imbarazzo nella voce.

«Già... e anche perché gli somigli non solo fisicamente. Hai il suo stesso sorriso e i suoi stessi modi di fare. Sei gentile... Mi ricordo la prima volta che mi hai offerto quel caffè alle macchinette... te lo ricordi?» gli domando quando gli vedo spuntare un piccolo sorriso sulle labbra.

«Me lo ricordo... tu eri così a disagio... Credevo di aver fatto qualcosa di sbagliato o di aver detto qualcosa che ti avesse offesa in qualche modo, perché sembrava che non vedessi l'ora di andartene.»

«In effetti era così... non vedevo l'ora di andarmene perché stare vicino a te non è mai stato facile...» Ricordo ogni sensazione che ho provato quando ero con lui.

«E adesso lo è?» mi chiede osservandomi con attenzione.

«Sì, adesso lo è, e lo devo a Harry...» Dylan è ancora arrabbiato con il suo amico per non avergli detto la verità. Hanno avuto una discussione durante la quale entrambi non hanno fatto altro che far presente il proprio punto di vista, ma non hanno ascoltato veramente cosa avesse da dire l'altro. È stato un dialogo a senso unico, senza arrivare mai ad una vera svolta. «... e non fare quella faccia ogni volta che si parla di lui, lo sai che prima o poi dovrai parlare con Harry seriamente... ti vuole bene davvero» gli dico, dopo aver visto il suo cambio di espressione non appena ha sentito il nome del suo migliore amico.

«Può darsi, ma ora che sei qui voglio sapere altro di lui...» cambia di nuovo discorso, e al momento non posso fare altro che accontentarlo. «Voglio sapere cosa gli piaceva e cosa detestava, di cosa aveva paura e per cosa lottava, se preferiva l'estate o l'inverno, se gli piaceva lo sport o era un pigrone... io voglio sapere tutto Chloe... tutto...» Mi guarda con gli occhi lucidi, evidentemente commosso al pensiero del fratello che non potrà mai conoscere realmente.

«D'accordo... A Dylan piaceva l'inverno perché poteva andare a fare snowboard, ma gli piaceva anche l'estate perché potevamo andare al mare. Gli piaceva fare sport, ma gli piaceva anche passare un intero pomeriggio sdraiato sul letto a guardare film e mangiare schifezze...» inizio a raccontargli ogni particolare che riesco a riportare alla mente, ogni dettaglio da poter condividere con lui, che mi ascolta con grande attenzione. Gli racconto alcuni aneddoti divertenti, altri più seri, mentre cerco di fargli conoscere ogni aspetto del suo carattere e della sua vita, evitando accuratamente di nominare il padre, di cui non voglio assolutamente parlare.

«Avrei tanto voluto conoscerlo...» afferma lui con rimpianto.

«Sono certa che lui avrebbe voluto conoscere te, se l'avesse saputo. Sarebbe volato qui in un batter d'occhio, ma se n'è andato troppo presto... avevamo un sacco di progetti, avremmo dovuto provare una marea di cose insieme. Abbiamo vissuto intensamente, perché lui era così... viveva tutto intensamente, progettando il futuro con cura e con passione...»

«Riesco a sentire quanto lo amavi...» mi dice tornando a sorridere.

«Già... lo amavo, e lo amo ancora, ma in modo diverso. Credevo di odiare la vita perché mi aveva tolto la possibilità di essere felice, ma in realtà mi stavo togliendo da sola la possibilità di esserlo ancora, e sono sicura che, in qualche modo, sia stato Dylan a farci incontrare... io, te e Harry...»

«Ti manca?» mi domanda senza mai smettere di guardarmi negli occhi.

«Ci sono giorni in cui mi manca talmente tanto che quasi non riesco a respirare, e ci sono giorni più facili da superare, ma la sua mancanza è sempre lì, la sento continuamente. Siamo stati insieme quattro anni, siamo cresciuti assieme, abbiamo condiviso tanto l'uno della vita dell'altra e avevamo stilato una lista di cose da fare, che ovviamente rimarrà incompiuta...» Ricordo che era un pomeriggio decisamente freddo, io e Dylan eravamo accoccolati sul divano a casa dei miei mentre ci stavamo annoiando davanti ad un film, di cui non ricordo il titolo. I protagonisti avevano redatto una lista di cose da fare assolutamente e la volle fare anche lui. Così prendemmo carta e penna e scrivemmo tutto ciò che ci venne in mente.

«Cosa ne è stato di quella lista?» mi domanda con sincero interesse.

«È chiusa in una scatola in camera mia a Montreal, insieme ad un mare di ricordi che non ho più avuto coraggio di riguardare. Ci ho provato quando sono tornata a casa per Natale, ma non ci sono riuscita...»

Improvvisamente la suoneria di un cellulare ci fa voltare verso l'origine di quel rumore, e mi ricordo solo in quel momento che nella stessa stanza con noi c'è anche Lawson, che ora si sta alzando per andare a rispondere allontanandosi, e non credo di sbagliare se dico che dall'altra parte del telefono c'è Harry, perché lo sguardo che Lawson mi ha rivolto, non appena ha guardato il display, parlava da solo.

Probabilmente sta chiamando per avere notizie di Dylan, dato che il suo amico non gli parla molto volentieri, tuttavia Harry continua ad interessarsi in ogni modo a lui, lo dimostra il fatto che gli sta lasciando il suo appartamento.

«Chloe?» Mi volto di nuovo verso Dylan che mi ha appena richiamato, accantonando momentaneamente il pensiero di Harry, che resta comunque latente nella mia testa.

«Dimmi...» rispondo sorridendogli.

«Credi che... che potrei avere quella lista?» mi domanda con uno sguardo carico di speranza.

«La lista delle cose da fare che ha scritto Dylan?» gli chiedo cercando la sua conferma alle mie parole, mentre tengo un orecchio teso in direzione di Lawson per tentare di capire cosa stia dicendo, ma parla ad un volume di voce troppo basso.

«Sì... Non ho niente di lui, vorrei poter entrare in qualche modo nella sua vita e realizzare quello che avrebbe voluto fare lui, mi farebbe sentire parte di... di mio fratello...» Lo dice quasi con timore, come se quella parola fosse un tabù.

«È tuo fratello, certo che puoi avere quella lista...» gli dico pensando subito a Kurt, che potrebbe essere un buon sostegno per lui. «... anzi, sai che ti dico?» Le parole che ha appena pronunciato mi hanno sinceramente toccato e sento un grande bisogno di fare qualcosa per lui. «Voglio che tu abbia una cosa di Dylan.»

Mi porto le mani dietro al collo, sgancio la collana, quella a cui è attaccato il piccolo cigno, poi la tolgo e l'allungo nella sua direzione. Dylan apre il palmo della sua mano ed io vi poso sopra la catenina.

«Che cos'è?» mi domanda con aria confusa mentre osserva con estrema attenzione quel piccolo gioiello.

«Me l'ha regalata... tuo fratello il giorno del mio compleanno, la sera in cui... l'ultima sera che abbiamo passato insieme...» mi trema appena la voce quando gli spiego la provenienza di quella collana e gli racconto del giorno in cui l'ho ricevuta.

Non è mai facile parlarne. Riportare alla luce gli eventi di quella sera significa riviverli, significa rivedere nella mia mente le immagini di lui, sdraiato in quel letto, collegato a quei tubi, completamente privo di conoscenza. Significa tornare a provare quel dolore soffocante al petto che, impietoso, mi ricorda quello che non potrò avere mai più.

Ogni volta la sequenza è sempre la stessa: la telefonata, la corsa in ospedale, l'abbraccio con sua madre, la paura di perderlo quando sono entrata nella sua stanza e la disperazione quando il bip di quel macchinario è diventato continuo. Evito di dirgli cosa è successo dopo, sul tetto dell'ospedale, perché non è su di me che voglio concentrare la conversazione.

Per tutto il tempo in cui gli ho raccontato gli eventi di quella sera, Dylan non ha fatto altro che stringere tra le dita la catenina che gli ho appena consegnato senza mai togliermi gli occhi di dosso, e posso capire cosa voglia dire per lui tenere tra le mani qualcosa di... di suo fratello.

«Sei sicura che vuoi separartene?» mi domanda infine con una strana luce negli occhi. Credo che quello che gli ho appena raccontato lo abbia toccato.

«Quando me l'ha regalata mi ha detto che quel cigno rappresentava amore sincero, forza, fedeltà e coraggio, quindi sì, sono sicura. Voglio che la tenga tu, ne hai molto più bisogno di me.» Dylan sforza un piccolo sorriso ed io sento che sto facendo la cosa giusta.

Sono sicura che il mio Dylan sarebbe contento del mio gesto nei confronti di un fratello che non ha mai potuto conoscere, ma che avrebbe amato incondizionatamente, senza riserve, donandogli tutto ciò che aveva.

«Grazie Chloe, sapevo che parlare con te mi avrebbe fatto stare meglio» dice con un tono quasi sollevato.

«Sono felice di esserti stata d'aiuto e se vorrai ancora parlare non devi fare altro che chiamarmi.» Lui si avvicina e mi abbraccia, stringendo ancora tra le dita della mano destra la collanina, ed in quel momento torna Lawson a sedersi vicino a noi.

Sciolgo l'abbraccio con Dylan e mi rivolgo al ragazzo castano seduto di fronte a noi, che ha una strana espressione. «È tutto a posto?» gli domando osservandolo con attenzione. Non lo conosco benissimo, ma per quel poco che so di lui sono quasi certa che sia a disagio.

«Sì... sì, è tutto a posto...» dice quasi balbettando. «... e voi?» chiede ancora.

«Era Harry al telefono?» gli chiedo evitando di rispondere alla sua domanda. Lawson annuisce in silenzio. «Sta venendo qui?» Annuisce di nuovo, quasi in imbarazzo, ed io sorrido al pensiero di Harry che cammina a passo svelto verso l'uscita per arrivare qui più in fretta possibile, con lo sguardo decisamente contrariato mentre borbotta frasi incomprensibili, e alla fine mi volto verso Dylan. «Potresti parlare con lui. È tuo amico ed è solo preoccupato per te... Ti vuole bene, e anche tua madre te ne vuole...» Dylan sospira, poi si alza dirigendosi verso la cucina.

«Non immagini quanto gliene voglio io...» dice strappandomi un sorriso, facendomi sperare che le cose si possano sistemare presto.

***********

Harry

Avrei dovuto saperlo, avrei dovuto capirlo sin dal primo momento che lei non sarebbe rimasta in disparte a guardare, ad aspettare che le cose si sistemassero. Avrei dovuto immaginare che sarebbe corsa da lui alla prima occasione e che mi avrebbe tagliato fuori, ma mi ero messo in testa che avevo tutto sotto controllo, che sarei stato in grado di gestire Chloe e Dylan affinché nessuno restasse incastrato in qualche ricordo, dal quale rischiasse di non riuscire più a liberarsi.

E invece non ci sono riuscito, tutto mi è sfuggito di mano e Chloe è, per l'ennesima volta, alle prese con i suoi demoni, ed ho paura che riusciranno a vincere se non sarò lì con lei. Sono diversi giorni che non ha più incubi, che dorme per tutta la notte serenamente, ma proprio in questo preciso momento, lei ed il fratello ritrovato del suo defunto ex, sono insieme a rivangare dolore e disperazione. Ho un orribile presentimento, o forse è solo la paura di perderla che mi fa avere brutti pensieri, ma comunque sia, non posso più restare qui dentro.

Devo trovare un modo per andarmene, per scappare da questo incontro al quale vorrei non aver mai partecipato, ma al quale so bene di non potermi sottrarre, perché il signor Foster continua a lanciarmi strane occhiate da quando sua figlia è entrata in ufficio qualche minuto fa.

Non ho capito cosa diavolo è venuta a fare qui, perché non ha mai presenziato a nessun appuntamento di lavoro di suo padre, dato che tutto il tempo in cui il signor Foster era con mio padre, lei era con me da qualche parte, e non è di certo di lavoro che parlavamo. Adesso, invece, se ne sta lì, in piedi, accanto a suo padre e non ha ancora smesso di guardarmi, con quel sorriso che ora mi dà davvero sui nervi.

«Papà posso parlarti un attimo?» Attiro l'attenzione di mio padre sottovoce, il quale si scusa con i presenti e mi segue fino ad arrivare fuori dalla porta del suo ufficio.

«Che succede?» mi domanda quando siamo soli.

«Si tratta di Dylan... e anche di Chloe...» Sto provando ad avere un normale rapporto con lui e quindi decido di dirgli la verità. Non voglio più trovare delle scuse per assentarmi.

«Che succede Harry?» Stavolta il suo tono è più preoccupato di poco fa.

Gli ho parlato del mio amico, gli ho raccontato la sua storia, e di conseguenza anche quella di Chloe. L'ho fatto principalmente per motivi di lavoro, perché avrebbe sicuramente notato le assenze del mio amico, ma alla fine mi ha fatto bene parlare con lui. È stato il momento in cui l'ho sentito più vicino.

«Ho chiamato Lawson per sapere come stesse Dylan e mi ha detto che Chloe è lì con loro, e che stanno parlando del passato...»

«Credi che non siano in grado di cavarsela da soli?» mi domanda aggrottando le sopracciglia.

«Non è questo papà... è che...» Dovrei dirgli che ho paura, perché è di questo che si tratta, ma non riesco a terminare la frase che la porta che avevamo chiuso alle nostre spalle, si apre mostrando la figura longilinea della ragazza bionda che sta ancora tentando di farsi notare.

«C'è qualche problema?» domanda lei guardando prima mio padre, poi me.

«No Winter, arrivo subito... Harry se devi andare vai pure, ci pensiamo io e Jordan qui.» Mio padre mi dà una pacca sulla spalla per poi rientrare in ufficio lasciandomi solo con lei.

«Ci vediamo» le dico voltandomi mentre cerco di sfuggirle, ma lei mi afferra per un braccio.

«Aspetta!» dice facendomi fermare. «Stai andando da lei?» mi chiede con un tono che non mi piace affatto.

Mi volto appena nella sua direzione, solo ruotando di poco il busto. «Non sono affari tuoi dove sto andando.» Rispondo brusco perché non ho nessuna voglia di essere gentile con lei.

«Harry ti ho già detto che non devi stare sulla difensiva, volevo solo essere gentile.» Sorride ancora, ma non le credo.

«Sì, come no. Ora devo andare.» Mi libero della sua presa e m'incammino lungo il corridoio senza voltarmi indietro, con l'unico pensiero di arrivare al mio appartamento ed accertarmi con i miei occhi che cosa sta succedendo.

Entro in ascensore, che mi porta al garage sotterraneo, poi percorro velocemente in auto tutto il tragitto fino al mio appartamento, trattenendo quasi il fiato a causa dei pensieri che mi stanno passando per la testa, e non sono bei pensieri.

Non dovrei pensare ad un'altra ricaduta di Chloe dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni o dopo New York, ma la paura che possa succedere ancora è sempre lì. Non dimenticherà mai il suo ex, perché non si tratta di una storia finita male. Lui non se n'è semplicemente andato, e lei non l'ha sbattuto fuori casa perché lui l'ha tradita. Hanno passato insieme una meravigliosa serata, e poi lui è morto, tra le sue braccia, devastando - forse per sempre - la sua mente.

In tutto questo doveva mettersi in mezzo anche Winter. Cazzo! È rimasta fuori dalla mia vita finora, perché non poteva semplicemente continuare a farlo!? Non avevo bisogno della sua presenza, non mi serviva ritrovarmela intorno mentre sbatte le sue ciglia lunghe o ancheggia nei suoi vestiti aderenti mentre cammina sui suoi tacchi alti.

Finalmente arrivo sotto casa mia, così posso allontanare i pensieri della mia ex e concentrarmi sulle persone davvero importanti per me. Salgo velocemente le scale, poi prendo le chiavi dalla tasca, le infilo nella serratura e, quando apro la porta, la scena che mi si presenta davanti non era assolutamente contemplata nel ventaglio delle opzioni a cui avevo pensato.

Chloe è seduta sul divano accanto a Dylan e stanno ridendo. Ridono entrambi, e non sono certo risate di circostanza quelle che vedo. È palese quanto stiano bene in questo momento e, se da una parte sono sollevato del fatto che tutti e due non siano sprofondati in qualche crisi esistenziale, dall'altra sono preoccupato perché hanno qualcosa che li lega, qualcosa di molto importante per loro, ed io mi riscopro geloso, fottutamente geloso.

«Ehi... ciao.» È Lawson ad accorgersi della mia presenza e la sua voce attira l'attenzione dei due seduti sul divano.

«Harry!» Chloe si alza velocemente per venirmi incontro. Sembra sinceramente felice di vedermi, mentre io resto immobile come una statua nel suo abbraccio. «Stai bene?» mi domanda quando si accorge della mia reazione, o meglio della mia non reazione, perché sono ancora impalato e muto sulla soglia d'ingresso come un dannato imbecille.

«Tu di sicuro» le dico con un tono molto più brusco di quanto avrei voluto.

Lei mi guarda con aria confusa, ma non le do modo di chiedere altro. La supero e mi dirigo all'interno avvicinandomi a Lawson, che mi saluta con un sorriso imbarazzato. Non so cosa stesse succedendo qui dentro, ma è ovvio che fosse qualcosa di importante.

Mi volto verso Dylan e posso vedere chiaramente quanto i lineamenti del suo viso siano molto più distesi rispetto a qualche giorno fa. Ho tentato di sabotare questo incontro il più a lungo possibile, ma alla fine è avvenuto comunque e non sono sicuro di voler sapere cosa abbia provocato in Chloe tutto questo, se le ha causato nostalgia, se i ricordi le hanno riportato ancora lui alla mente, perché io non potrei sopportare di perderla.

«Ciao Harry.» Dylan mi saluta alzandosi dal divano venendomi incontro. Si avvicina, mi abbraccia e mi dà una piccola pacca sulla spalla mentre parla ancora a bassa voce. «Grazie per averle detto di passare da me, e grazie per avermi fatto restare qui.» Poi si allontana e mi lascia lì, in piedi, ed io cerco di realizzare quello che ha appena detto.

Lui è convinto che sia stato io a dire a Chloe di passare a trovarlo, ma non è così, e se l'ha detto anche a Chloe? Se lei è venuta a conoscenza del fatto che il mio amico mi chiedesse di lei ed io non gliel'ho mai rivelato?

Sono un tale coglione!

Mi volto appena con il busto e lo vedo avvicinarsi al lavandino e prendersi un po' d'acqua, poi è lui a voltarsi verso di me. «Domani tolgo il disturbo» mi dice portandosi il bicchiere alle labbra.

«Torni a casa?» gli chiedo stranito.

«No... vado a Montreal... sono stato qui a piangermi addosso per troppo tempo. Devo parlare con quel bastardo e... e voglio... voglio andare da mio fratello...» Un orribile presentimento mi stringe la bocca dello stomaco, talmente forte che temo mi si stia per frantumare l'intero organo. 

«E pensi di riuscire ad affrontare tutto da solo? Voglio dire... tuo padre, tuo fratello...»

«Non sarò da solo» afferma con un sorriso che poi rivolge a Chloe, ed è lì che ogni mia certezza si disintegra in mille pezzi. Lei andrà con lui ed io la perderò.

D'improvviso mi sembra che niente abbia più senso, che nulla di quello che ho fatto sia valso a qualcosa e, come se mi sentissi di troppo nella mia stessa casa, cammino velocemente verso la porta dalla quale sono appena entrato, perché sono un vigliacco e non voglio assistere alla mia sconfitta.

«Harry!» Sento la voce di Chloe dietro di me, ma non voglio fermarmi e cammino svelto giù per la prima rampa di scale. «Harry!» Ora sento anche i suoi passi allo stesso ritmo dei miei. «Cazzo Harry, fermati!» La sua voce è più alta, rimbomba tra le strette pareti, e stavolta mi fermo. Il rumore dei suoi passi è più vicino, poi la sua figura entra nel mio campo visivo. «Si può sapere cosa ti è preso?» Mi sta rimproverando ed io non so se ho voglia di sentire o dare spiegazioni di alcun tipo.

Continuo imperterrito nel mio silenzio, evito di guardarla negli occhi perché non so proprio come dovrei comportarmi. Sono venuto qui pensando al peggio, e forse l'ho anche trovato. Non credo di essere pronto ad accettarlo però.

«Una volta mi hai detto che se non volevo dire niente andava bene lo stesso, ma avrebbe funzionato meglio se avessi parlato... Mi hai detto che se vogliamo far funzionare le cose dobbiamo parlare... quindi... parlami Harry...» Si posiziona esattamente di fronte a me, mentre ci troviamo a metà della rampa di scale del secondo piano. Vorrei solo stringerla tra le braccia e far sparire tutti gli altri. So che non posso, e la cosa è decisamente frustrante. «Harry...» pronuncia ancora il mio nome ed io non posso più trattenermi.

«Perché non mi hai detto che venivi qui?» le chiedo alzando gli occhi su di lei.

«Credo per lo stesso motivo per cui tu non mi hai detto che Dylan voleva parlare con me...» Non credo sia proprio questa la ragione. «... forse perché dobbiamo ancora imparare a parlare...» Ha ragione, so che ce l'ha.

Sono io il primo a tenerle nascoste troppe cose. La catenina che le ho comprato e che tengo ancora in tasca, il fatto che Dylan volesse parlare con lei, e ora Winter. Non ho avuto occasione di dirglielo, ma non sono sicuro di volerlo fare, anche se sono assolutamente consapevole che devo, o le cose non dette continueranno ad accumularsi formando un muro che potrebbe dividerci.

«Quindi andrai con lui a Montreal?» le domando, sperando che dica di no.

La sua espressione si fa confusa, come se non avesse idea di cosa io stia parlando. «Cosa?» mi chiede infine rilassando le spalle.

«Ti ho chiesto se andrai a Montreal con Dylan.» Era quasi inevitabile come conclusione finale al loro confronto, ed era quello che cercavo di evitare.

«No... Certo che no... Come ti viene in mente?» Aggrotta le sopracciglia e mi osserva come se avessi detto qualcosa di assurdo.

«Per quello che ha detto Dylan poco fa...»

«Harry...» mi interrompe pronunciando il mio nome e posando le sue mani sul mio viso. «... Dylan andrà a Montreal... Con Kurt... Sarà lui ad occuparsi del tuo amico...» Chloe mi sorride, sento le sue dita sulla mia pelle e mi sembra di tornare a respirare.

«Kurt?» le chiedo cercando ulteriori chiarimenti.

«Sì, Kurt. L'ho chiamato, ed insieme a Dylan abbiamo pensato fosse la soluzione migliore per lui. Potrebbe sostenerlo in ogni decisione e stargli vicino se decidesse di andare a parlare con il signor Peters. Nessuno meglio di lui potrebbe farlo.» Mi guarda e mi sorride, ed io mi sento un completo idiota.

«Kurt...» Stavolta non glielo sto chiedendo, lo sto solo pronunciando ad alta voce come per rassicurare me stesso.

«Ti ho detto che resto Harry, ti ho detto che ti amo. È qui che voglio stare, con te, e non c'è niente che io voglia più di questo.» Mi ama. Io amo lei, e lei non ha nessuna intenzione di andarsene per continuare ad inseguire il suo passato.

«Kurt...» Ripeto ancora come un disco rotto, come se fosse l'unica cosa che riesco a dire. Ma in realtà il nome del suo migliore amico è l'unica parola che mi esce dalla bocca.

«Credo che apprezzerebbe il modo in cui continui a pronunciare il suo nome» dice poi con evidente ironia.

Si avvicina leggermente, le sue mani passano dal mio viso alla mia nuca mantenendo i suoi occhi fermi nei miei. La guardo e sono sicuro di non aver mai amato nessuno così tanto in tutta la mia vita.

«E a me non è mai piaciuto pronunciarlo così tanto come ora» rispondo portando le mie mani sui suoi fianchi per stringerla a me.

«Quindi devo supporre tu sia geloso Stevens?» mi sorride, mi provoca ed io ho decisamente voglia di stare al gioco, perché so bene come finirà.

«Fottutamente geloso Stewart... Fottutamente. Geloso.» I nostri volti sono sempre più vicini, il suo profumo è sempre più intenso ed io so che perderò la testa a breve. Ci sono ancora cose da chiarire, ma ora sento di avere qualche sicurezza in più.

«Sei assolutamente sexy geloso» mi dice abbassando la voce, a pochi millimetri dalle mie labbra.

«Dimmelo in spagnolo» bisbiglio respirando la sua stessa aria.

Lei ha scelto me, mi ha scelto nonostante il suo passato sia ancora troppo presente, ed io ho voglia di perdermi in questo bacio, di lasciare andare ogni preoccupazione e godermi la sua presenza, non solo fisica. 

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Capitolo 66
*** Mi dispiace ***


Apro lentamente gli occhi e sento già le mie labbra piegarsi all'insù in un enorme sorriso. Mi volto a sinistra e la prima cosa che vedo è la sua schiena scoperta. 

Ancora non mi spiego come possa dormire a torso nudo in pieno inverno, non fa altro che scoprirsi durante la notte. Non che mi stia lamentando della vista, è solo che io non potrei mai restare semi nuda, fuori dalle coperte, per tutta la notte.

Alzo il lenzuolo e mi avvicino a lui, poso la mano sul suo fianco e faccio scorrere lentamente le dita sulla sua pelle verso l'alto per arrivare all'altezza del suo petto, dove arresto la mia corsa. Avvicino il viso alle sue scapole, poi vi poso la guancia e mi stringo a lui, che inizia a dare i primi segni di risveglio, tendendo i muscoli ed emettendo strani versi molto poco comprensibili, ma decisamente molto, molto sexy.

«Buongiorno» gli dico a bassa voce, lasciandogli un bacio sulla scapola e un altro sulla spalla allungandomi verso l'alto.

«Puoi ripeterlo?» biascica lentamente, tenendo gli occhi chiusi e la guancia appoggiata sul cuscino.

«Che cosa?» dico anch'io a bassa voce. «Vuoi che ti ripeta buongiorno

«Sì, e magari mi dici anche le previsioni meteo...» si volta verso di me e apre gli occhi «sai bene cosa voglio sentire...» Sorride appena mentre porta la sua mano sul mio fianco, al di sotto della t-shirt.

«Se vuoi posso dirti anche le temperature» gli dico, rispondendo a tono alla sua battuta.

«Quelle sono sempre fin troppo calde quando sei con me». La sua frase finisce con la sua mano che scorre lenta verso l'alto lungo il mio fianco, poi scivola all'indietro, sulla schiena, e mi tira a sé. «Forza Stewart... non farti pregare...» dice ancora, senza distogliere il suo sguardo dal mio.

«Beh... per una volta non mi dispiacerebbe se fossi tu a pregarmi...» Il suo sorriso si fa decisamente più ampio perché coglie al volo la mia allusione e le sue dita affondano un po' di più nella mia carne, stringendo la presa su di me, ma è una stretta assolutamente piacevole.

«No, tesoro... sarai sempre e solo tu a pregare me...» So bene che mi chiama tesoro solo quando vuole fare lo sbruffone, ma mi piace quando lo fa. Si alza, poi mi ritrovo sotto di lui. «Adesso dimmi quello che voglio sentire...» I miei polsi finiscono di nuovo sopra la mia testa, imprigionati dalla sua mano. Sono in trappola, ma adoro ogni volta di più la sensazione che mi regala quando mi tiene ferma in questa posizione, perché siamo solo io e lui.

«Ti amo, Harry, e non c'è nessun altro posto dove vorrei essere se non qui... con te...» Allenta la presa sui miei polsi e io mi libero dalla sua stretta, porto le mani sul suo viso mentre lui si appoggia con i gomiti ai lati della mia testa.

«E adesso voglio sentire il resto». Il suo sorriso si apre solo per metà, con un ghigno furbetto.

«Con 'il resto' intendi quando ti ho detto che sei assolutamente sexy geloso?» Le mie mani sono ora sul suo torace, lui dà peso sul gomito sinistro per portare la mano destra sulla mia tempia, infilando le dita tra i miei capelli.

Ho sempre adorato questo suo gesto, perché tutte le volte che lo fa ogni sinapsi si concentra sui suoi movimenti. Riesce a rubarmi ogni pensiero, quando mi accarezza così dolcemente, perché è capace di farmi sentire quanto tiene a me con una sola piccola azione.

«Mi accontento di assolutamente sexy e basta».

Poi restiamo in silenzio, completamente persi l'uno negli occhi dell'altra, e io vedo che c'è qualcosa che lo preoccupa, ma non voglio fargli nessuna domanda in questo momento perché lui ha bisogno di essere rassicurato, e non ho alcuna intenzione di privarlo di questo conforto. Ha sofferto parecchio, anche a causa mia, ora è il mio turno di essere il suo sostegno ed è quello che ho intenzione di fare.

«Forse dovremmo alzarci» gli dico poi, quando la sua mano è tornata sotto la mia t-shirt arrivando ad accarezzarmi appena sotto al seno. Non vorrei realmente allontanarmi da lui, ma il fine settimana è ancora lontano e c'è un ufficio in cui lo aspettano.

«Perché devi sempre rovinare tutto?» mi dice scherzando, senza togliere la mano da dove si trova.

«Perché credo che sia tardi e dovresti già essere in ufficio» gli ricordo, ma senza muovermi di un millimetro dalla mia posizione.

«Dato che è già tardi, che fretta c'è?» dice, tornando ad accarezzarmi con estrema lentezza, sorridendo compiaciuto di sé stesso quando si rende conto dei brividi che ricoprono la mia pelle dove le sue dita stanno passando.

«Harry, davvero...» non mi dà modo di terminare la frase che la sua mano arriva velocemente sulle mie labbra interrompendomi.

«Non vuoi che me ne vada, e io non voglio andare, quindi...» E stavolta è lui ad essere interrotto dal bussare insistente alla porta della mia stanza.

«Stevens esci da qui entro trenta secondi oppure entro io e non m'importa un cazzo se sei vestito o no!» Rido alle parole di Zach, soprattutto quando Harry si lascia andare a peso morto accanto a me, lasciandomi libera di muovermi.

«Non ci posso credere...» sbuffa Harry, portando le braccia in alto sul cuscino e chiudendo gli occhi.

Sorrido, poi gli lascio un bacio veloce sulla guancia e mi allontano recuperando un paio di calzettoni e una felpa per scendere al piano di sotto. «Vado a prepararti la colazione» gli dico, per poi alzarmi e uscire dalla stanza, mentre lui resta immobile sul letto.

Mi chiudo la porta alle spalle e trovo Zach con lo sguardo divertito e le braccia conserte appoggiato al muro proprio di fronte alla mia camera.

«Buongiorno» mi saluta lui, con un sorriso palesemente ironico.

«Buongiorno a te. Mia sorella è già sveglia?» gli domando, sorridendo a mia volta.

«Reb è già al lavoro e mi ha chiesto di svegliare il fannullone prima di uscire da casa». Si volta incamminandosi verso le scale e io lo seguo.

«Hai già fatto colazione?» gli chiedo, scendendo le scale dietro di lui.

«Sì, stavo per andare a lavorare» risponde, precedendomi in cucina per poi versarsi del caffè. «Allora... come vanno le cose?» mi chiede, portandosi la tazza alle labbra.

«Intendi con Harry?» Mi avvicino alla brocca del caffè per servirmene anche io.

«Suppongo che il capellone stia meglio dopo stanotte» dice con tono divertito. Mi volto a guardarlo sentendo un lieve calore spargersi sulle mie guance. Sono arrossita e la cosa lo fa ridere, ma a me non tanto perché resto seria a guardarlo. «Scusami, non volevo ridere, ma stavo pensando alla scena di tua sorella che nasconde la testa sotto al cuscino per non sentire il rumore del letto contro al muro» afferma, continuando a ridere mentre si appoggia con la schiena sul lato del frigo.

Chiudo gli occhi, incapace di guardarlo in faccia a causa di quanto mi ha appena detto. Non immaginavo che ci avessero sentito e so che non è una cosa di cui dovrei vergognarmi, dopotutto siamo tutti grandi e vaccinati, ma sapere che mia sorella ha sentito, e che il ragazzo che era nel mio letto è il suo capo, non mi mette di certo a mio agio.

«Davvero Reb ha sentito?» gli domando, tornando a guardarlo negli occhi.

«No» poi ride ancora, come se fosse un bambino, e in fondo credo che lo sia. «Ma io sì...» Finisce in un sorso ciò che rimane del suo caffè, poi posa la tazza nel lavandino e mi si avvicina.

«Sei stronzo come il tuo amico al piano di sopra» gli dico, per poi sorridere anche io.

Zach ridacchia, poi la sua espressione si fa un po' più seria. «E Dylan come sta?» mi chiede, sinceramente interessato.

«Sta meglio, deve ancora riprendere in mano la propria vita, ma sta meglio. Ha deciso che andrà a Montréal» gli comunico, mettendo a posto la brocca del caffè.

«Stai gestendo bene la cosa, Harry credeva che sarebbe successo un casino quando saresti venuta a conoscenza di tutto, ma io ho continuato a dirgli che te la saresti cavata alla grande». Zach indossa la giacca di pelle che era appoggiata alla sedia, mentre mi osserva con attenzione.

«Vuoi vedere che ero l'unica a non saperlo?» gli dico con tono scherzoso.

Zach sorride, poi si appoggia con entrambe le mani al bordo del tavolo e torna serio. «Da quando ti ha conosciuta sei stata la sua priorità. Non l'ho mai visto così...» dice infine, ma senza specificare realmente ciò che intende, e io non posso evitare di chiedergli spiegazioni.

«Così come?» gli domando, mentre osservo ogni più piccolo cambiamento della sua espressione.

«Innamorato, Chloe... Non è mai stato così innamorato, quindi ti chiedo solo una cosa». Resto in silenzio, completamente incapace di parlare per quello che Zach mi ha appena riferito. Silenzio che lui prende come un invito a continuare. «Non spezzargli il cuore... Non lo sopporterebbe stavolta...» Riesco a percepire l'enorme affetto che lo lega a Harry, e so bene che ogni parola che ha pronunciato era solo per il bene del suo amico, a cui tiene davvero tanto.

«Non lo farò». Lo rassicuro, perché non ho alcuna intenzione di farlo soffrire.

Harry è la mia priorità. 

Harry occupa i miei pensieri e il mio cuore. 

Harry è un ragazzo meraviglioso che merita solo cose belle, perché di cose brutte ne ha già viste fin troppe, e io voglio fargli capire quanto lui sia importante, anche preparandogli la colazione. Voglio coccolarlo, viziarlo, e amarlo in ogni modo possibile.

«Sembri affidabile» mi dice ancora sorridendo, mentre mi si avvicina. «Vieni qui». Zach allarga le braccia e io non me lo faccio ripetere nascondendomi nel suo abbraccio.

Ho trovato un amico in Zach, un amico sincero con cui ho qualcosa di importantissimo in comune: Harry.

«Una sola sorella Stewart non ti basta Mason!?» Ridiamo entrambi nel sentire la voce di Harry.

«Sai bene che entrambe preferiscono me» risponde Zach sciogliendo l'abbraccio e sorridendo al suo amico, che sta entrando in cucina avvicinandosi a noi. «Ma ho chiesto a Chloe di continuare a fingere che le importi di te, sai per non farti sentire un idiota». Si allontana del tutto da me lasciandomi assistere al loro scambio di battute.

«Vaffanculo, Mason...» Lo dice ridendo, mentre gli si avvicina per dargli il solito mezzo abbraccio e pacca sulla spalla.

«Ci stavo giusto andando» risponde Zach, salutandolo a sua volta per poi rivolgersi a me. «Ciao Chloe» Lo saluto anch'io e lo accompagno alla porta, infine torno in cucina, dove trovo Harry ad aspettarmi con le braccia conserte, le gambe incrociate, appoggiato al mobile della cucina.

«Non vedo la mia colazione» mi dice quando mi avvicino.

«Ero impegnata con il tuo amico» rispondo appoggiandomi a lui che mi stringe in un abbraccio. Mi sorride mentre mi guarda negli occhi, nei suoi riesco a leggere quanto sia felice in questo momento e io non chiedo altro dalla vita.

«L'ho detto io che è meglio non rinunciare a Brenda, per lei sì che sono l'uomo della sua vita. A quest'ora avrei una splendida colazione ad aspettarmi e...»

«Ti amo, Harry» gli dico interrompendolo e prendendolo alla sprovvista un'altra volta.

Resta in silenzio a guardarmi, come se fosse incantato o volesse imprimersi nella mente questo momento di me e lui, stretti l'uno all'altra, insieme contro il resto del mondo.

«Lo sapevo che del buon sano sesso ti avrebbe reso meno acida». Alzo gli occhi al cielo per la sua battuta, ma poi rido, di cuore, buttando leggermente la testa all'indietro e mi fermo soltanto quando sento le sue dita percorrere il tratto di pelle che va dalla mia clavicola destra a quella sinistra, esattamente lo spazio occupato dalla collanina che mi ha sempre visto indossare.

Il suo viso è serio, sembra pensieroso o forse solo triste, e non voglio vederlo così perché la luce che aveva negli occhi poco fa era troppo bella, e voglio vederla di nuovo, la voglio vedere ogni giorno.

«L'ho regalata a Dylan» gli confesso. Lui alza subito lo sguardo. I suoi occhi sono nei miei adesso, e riesco a leggerci tutta la confusione che gli sta passando per la testa. «La catenina con il cigno, l'ho regalata a Dylan, ne aveva più bisogno lui di me» dico infine, portando le mani sul suo petto. 

«Sei sicura della tua decisione?» mi domanda con un'infinita speranza sia nel tono di voce, sia nel suo sguardo.

Credo di immaginare quanto abbia sofferto per me, perché io non riuscivo a staccarmi dal mio passato, ma nonostante questo lui ha sempre lottato per noi, e sapere che io mi sono separata da un oggetto al quale davo la massima importanza dev'essere per lui un gesto che conta.

«È solo un oggetto, Harry. Non nego che mi abbia dato conforto in molti momenti, ma lui sarà sempre nel mio cuore anche senza quella collana». Le sue dita riprendono a scorrere lentamente da una clavicola all'altra mentre i suoi occhi restano ancora nei miei.

Potrebbe sparire l'intero universo in questo momento che non m'importerebbe niente che non riguardasse lui, o noi due. Dio! Lo amo da morire!

«Però così non vale...» mi dice tornando a sorridere, e io so già che sta tentando di alleggerire l'atmosfera. Mi rendo conto anche io, come credo se ne sia reso conto lui, di quanto sia intenso questo momento.

«Sentiamo la tua sparata di oggi, Stevens» gli dico sorridendo, mentre porto le mani dietro la sua nuca.

«Tutta questa dolcezza mi farà rinunciare a Brenda» dice, poi sorride anche lui, ma per poco perché torna serio, le sue labbra arrivano sulle mie, prepotenti e con forza, ogni cosa scompare davvero mentre mi stringe, mi accarezza e mi bacia, e io so di aver trovato il mio posto.

******

Harry

Mi chiudo la porta alle spalle tirando un sospiro di sollievo dopo la riunione che ho avuto poco fa con il consiglio di amministrazione al completo. Lo sapevo che oggi sarebbe stato meglio starmene a casa, magari a casa di Chloe, o magari nel letto di Chloe, con dentro Chloe...

Non faccio altro che pensare a lei, più del solito intendo, forse perché saperla gelosa mi ha fatto sentire speciale. Era da troppo tempo che non mi sentivo così.

Sarà perché continua a ripetermi che mi ama, e io non mi stancherei mai di sentirglielo dire, perché ogni volta che quelle parole escono dalla sua bocca, riesco a sentire quanto crede a ciò che dice.

O forse sarà per il fatto che non rivedrò più quella catenina sul suo collo, e se da un lato non posso fare a meno di gioire per il suo gesto, perché non c'è davvero più niente a tenerla lontana da me, dall'altro penso che, adesso, darle quella che ho comprato per lei prima di Natale sia diventato quasi impensabile.

Potrebbe pensare che io voglia cancellare il ricordo del suo ex, e non mi sento di rompere questo meraviglioso equilibrio, quindi, da bravo vigliacco quale sono, tengo ben nascosta la scatolina, in attesa di trovare in vendita una potente dose di coraggio.

Sono ancora appoggiato alla porta del mio ufficio quando sobbalzo nel sentire squillare il telefono sulla mia scrivania. Sono decisamente troppo preso da mille pensieri stamattina: Chloe, la sua catenina, Dylan che è partito per Montréal, il signor Foster ancora nei paraggi, io che non ho ancora parlato a Chloe di Winter, Kelly che mi chiama un giorno sì e un giorno no, e... e quel dannato telefono che non smette di suonare.

«Ho sentito, cazzo!» Impreco ad alta voce mentre mi avvicino alla scrivania per rispondere a quella chiamata. «Sì!» rispondo in maniera molto poco gentile.

«Brutto momento?» La voce è quella di Rebekah, quindi prendo un profondo respiro e riprendo a parlare.

«Arrivo da una riunione con il consiglio di amministrazione, come credi che stia?» le dico con voce stanca, lasciandomi andare sulla poltrona girevole dietro la mia scrivania.

«Allora preparati a peggiorare la tua giornata. La signorina Foster sta arrivando da te».

«Merda!» dico a denti stretti. «Grazie Reb». Chiudo la comunicazione e anche gli occhi, come se così facendo potessi sparire da qui.

Rebekah sa bene chi sia per me Winter, e non solamente la figlia di Benjamin Foster, il grosso cliente di mio padre che bazzica in giro per i nostri uffici da giorni con la sua aria da grand'uomo - come credono alcuni dipendenti. Non l'ho mai sopportato, ma facevo buon viso a cattivo gioco per lei, perché ci teneva o forse voleva solo far credere al mondo che la sua famiglia fosse perfetta, ma tutto questo non ha più importanza ora.

Avrei voluto chiedere a Reb di non dire nulla a Chloe perché vorrei essere io a farlo, nei modi e nei tempi che ritengo più opportuni, ma so che non è giusto coinvolgerla nei miei casini. Spero di non combinare l'ennesimo disastro.

Questa giornata era iniziata particolarmente bene, ma non appena sono entrato qui dentro è cambiata radicalmente, e ovviamente non poteva che finire peggio. Sento bussare e chiamo a raccolta ogni briciolo di pazienza che mi è rimasto per poter affrontare questo incontro, prima di poter finalmente uscire da qui. «Avanti» dico a bassa voce, sperando di non essere sentito, ma subito dopo la porta si apre ed è proprio lei ad entrare.

«Ciao, Harry» dice camminando verso di me, sui suoi tacchi alti, fasciata nel suo vestito nero, mentre non fa che sorridermi.

«Ciao» rispondo senza un minimo di entusiasmo, restando seduto scomposto sulla mia sedia.

Lei fa il giro della scrivania e arriva proprio accanto a me, appoggiandosi al ripiano ricoperto quasi per intero da tutte le scartoffie che non ho ancora sistemato..

«Sembri stanco» dice continuando a guardarmi.

«Lo sono, è stata una giornata pesante». Ero incredibilmente pieno di energie stamattina, ma le ore passate a svolgere il mio lavoro e quello di Dylan, le hanno assorbite tutte.

«So io quello che ci vuole per te». E, così dicendo, si sposta, portandosi dietro di me per poi posare le sue mani sulle mie spalle, che inizia a massaggiare.

Se dovessi contare i giorni durante i quali ho sperato che tutto questo succedesse di nuovo, non mi basterebbe un calendario intero. Ho passato mesi a sperare in un suo ritorno, in una sua chiamata o anche solo un fottutissimo messaggio, ma lei era come sparita nel nulla. Ed ora è tornata e sta tentando in ogni modo di ritornare nella mia vita. Non sono uno stupido, ho capito che sta tentando di manipolarmi come ha sempre fatto. Conosce bene i miei punti deboli e sa come usarli a suo vantaggio, e io oggi sono decisamente stanco, sia mentalmente che fisicamente.

«Va meglio, non è vero?» mi domanda dopo un po', ed è in quel momento che mi rendo conto di quello che sto facendo, così mi alzo dalla mia sedia per allontanarmi da lei.

«Winter, se hai qualcosa da dire fallo ora, perché io devo andare». Non la voglio vicino.

Mi sorride, poi mi raggiunge vicino alla vetrata, alla quale mi sono appoggiato con una mano guardando le prime luci della città, restando a qualche passo da me.

«Non so quanto mi fermerò a Boston, dipende da alcune cose... volevo chiederti se ti va di uscire stasera, potremmo parlare un po', potremmo chiarire quello che abbiamo lasciato in sospeso...»

«Quello che tu hai lasciato in sospeso! Non ci saremmo mai lasciati se fosse stato per me!» La mia voce esce ad un volume piuttosto alto e non riesco proprio a guardarla a causa della rabbia che provo nei suoi confronti quando ripenso a come mi ha lasciato.

«Lo so, hai ragione». Sento il rumore dei suoi tacchi sul pavimento farsi più vicino e mi accorgo della sua presenza accanto a me quando sento la sua mano appoggiarsi alla mia spalla. «Mi sono comportata da stronza e vorrei recuperare il nostro rapporto, almeno da amici...» Quando sento le sue parole mi volto a guardarla e sono sicuro di avere un'aria decisamente confusa. «Non immagino nemmeno come tu ti sia sentito, ma vorrei porre rimedio ai miei sbagli, se me ne dessi la possibilità...» L'avrei fatto senza nemmeno pensarci se tutto questo fosse successo qualche mese fa, sarei caduto ai suoi piedi, come ho sempre fatto.

Sento riaffiorare il rancore, la rabbia e tutto il risentimento che provo nei suoi confronti, e stringo con forza il pugno lungo il fianco per trattenermi dal fare qualche stronzata di cui potrei pentirmi, ma proprio quando sto per risponderle sento vibrare il mio cellulare. Lo prendo velocemente dalla tasca interna della giacca e lo porto subito all'orecchio per rispondere.

«Ehi» le dico, mentre mi ritrovo a guardare negli occhi la ragazza bionda che ora si trova al mio fianco.

«Ehi, qualcosa non va?» Deve aver notato il mio strano tono di voce, e io mi ritrovo a dovermi giustificare come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

«Sono solo stanco, tu stai bene?» le domando, continuando a guardare Winter come se ne fossi ipnotizzato.

«Sì. Sei ancora in ufficio?» La sua voce allegra porta un po' di conforto al mio cuore, messo alla prova in questi giorni.

«Sì» le rispondo, mentre penso a quanto mi senta colpevole a parlarle con la mia ex di fronte a me. «Scusa un attimo». Non posso più continuare la conversazione in questo modo, quindi metto una mano sul telefono e chiedo silenziosamente a Winter di uscire dal mio ufficio. Lei mi sorride e si allontana, lasciandomi solo. «Eccomi» le dico, tornando a guardare un punto indefinito al di fuori di questi vetri.

«Sono stata adesso da Harvey per quella traduzione che mi ha dato da fare, sono dalle parti del tuo ufficio e pensavo che potevo passare da te, così potremmo tornare insieme». Avevo dimenticato che il programma di stasera era di restare a casa mia perché Dylan è partito e il mio appartamento è di nuovo libero.

«Mi dispiace, l'avevo scordato. Chloe non so per quanto ne avrò ancora, forse è meglio se rimandiamo» le dico, sentendomi uno stronzo, perché è questo quello che sono.

«Ok... non fa niente... ci sentiamo più tardi?» So bene che è delusa dal mio comportamento, lo sento dalla sua voce.

«Sì, ci sentiamo più tardi» rispondo, sapendo già di mentire.

«Harry lo sai che ti amo... sicuro che vada tutto bene?» So che si è resa conto del mio stato d'animo, e forse ha anche capito che le sto mentendo, ma non posso dirle altro in questo momento.

«Va tutto bene, Chloe, è solo che non sono abituato a lavorare così tanto» rispondo con una battuta, sperando di distrarla. «La colpa è di Dylan, ma lo farò recuperare quando torna». La sento ridacchiare, forse sono riuscito nel mio intento.

«Senti... allora io vado a casa...» mi dice incerta, e io mi sento molto più che stronzo.

«Mi dispiace, Chloe» le dico, incapace di trovare altre giustificazioni.

«Non preoccuparti, il lavoro è lavoro» dice ancora, e io vorrei prendere a testate questa vetrata fino a sfondarla.

«Devo andare adesso» le dico, voltandomi verso la scrivania per recuperare le chiavi della macchina.

«Ok... ciao Harry». Riesco a sentire l'amore che prova per me nel modo in cui pronuncia il mio nome.

«Ciao, Chloe». Chiudo la comunicazione in fretta per poter smettere di mentire, ma in questo momento è necessario.

Spengo il computer, le luci, ed esco dal mio ufficio. Devo assolutamente finire questa cosa.

********

Chloe

Non nego di esserci rimasta male per il fatto che non tornerò a casa con Harry stasera, ma so bene quanto sia importante il lavoro per lui in questo periodo. Deve sostituire Dylan e mantenere il buon rapporto che è riuscito a raggiungere con suo padre, ed è ovvio che stia spendendo il suo tempo e le sue energie per ottenere i migliori risultati possibili.

L'ho sentito stanco al telefono, forse anche preoccupato, e non c'è occasione migliore di questa per potermi prendere cura di lui facendogli una sorpresa.

Probabilmente tornerà a casa distrutto e non avrà voglia nemmeno di prepararsi quei suoi piatti pronti surgelati, quindi andrò a casa sua come da programma e gli preparerò la cena, una vera cena, e lo aspetterò sveglia.

Risalgo sulla metro, la stessa su cui sono salita stamattina insieme a Dylan per accompagnarlo all'aeroporto, ma stavolta nella direzione opposta, dirigendomi verso l'appartamento di Harry, di cui mi ha dato le chiavi, e mi siedo pensando a quanti momenti importanti ho vissuto su questi vagoni da quando sono in questa città, e li ho vissuti tutti con Harry.

Non potevo di certo immaginare che quella notte, quando sono atterrata a Boston, avrei incontrato due persone che avrebbero avuto un'enorme influenza sulla mia vita: Dylan, il mio collegamento con il passato, e Harry la mia speranza nel futuro.

Arrivo a destinazione quasi senza rendermene conto, cammino svelta fino all'appartamento di Harry, nel quale adoro stare. È diventato ormai il nostro piccolo nascondiglio dal mondo - tranne quando arriva Larry all'improvviso.

Una volta entrata poso il cappotto, mi cambio con una sua tuta - e non importa se mi sta grande - poi mi lavo le mani e infine cerco qualcosa di commestibile da cucinare per cena.

Ci metto più o meno un'ora a preparare tutto, compreso il tavolo, poi controllo l'orario e vado a sistemarmi sul divano dopo aver lasciato la cena al caldo nel forno. Sono quasi le otto, di Harry non c'è traccia, così mi copro con un plaid mentre faccio zapping davanti alla TV.

Il tempo scorre lento, tra pensieri e immagini che mi passano per la testa. Ho controllato il cellulare più volte, ma l'unico messaggio che ho trovato era di Kurt, nel quale mi diceva che Dylan avrebbe passato la notte da lui e che ci saremmo sentiti il giorno dopo. L'ultima volta che ho guardato l'ora erano passate da poco le undici, poi credo di essermi addormentata, ma non era un sonno tranquillo.

*********

Harry

Non credevo che avrei fatto così tardi. Il tempo è passato in fretta e non mi sono nemmeno reso conto che si sono fatte quasi le undici. Ripenso alla delusione che ho sentito nella voce di Chloe quando le ho detto che non ci saremmo visti stasera e accelero senza farci nemmeno caso, come se così facendo potessi sfogare la frustrazione che provo in questo momento. So bene che devo parlarle di Winter, e di quella scatolina che sembra bruciare dentro la tasca del cappotto, ma mi sembra sempre il momento sbagliato, o forse sono solo io che sono incapace di trovare il coraggio di farlo.

Arrivo sotto casa mia in pochi minuti, parcheggio e salgo, ma resto a bocca aperta quando apro la porta del mio appartamento: Chloe è sdraiata sul divano, la YV è accesa, ma lei non si muove. È coperta da un plaid e, quando mi avvicino silenziosamente, mi accorgo che sta dormendo. Mi ha aspettato fino ad addormentarsi, che imbecille che sono! Devo andare assolutamente a farmi una doccia prima di svegliarla, non voglio che mi veda così.

E mi sento ancora peggio quando mi rendo conto che aveva preparato la cena per entrambi, probabilmente non ha nemmeno mangiato per aspettarmi. Vado velocemente in bagno perché non riesco a guardare ancora tutto quello che Chloe ha fatto per me, e ancora più velocemente mi faccio la doccia per tornare da lei, sperando di non averla svegliata.

Mi asciugo, mi infilo una tuta e torno vicino al divano, inginocchiandomi davanti al suo viso. Le accarezzo dolcemente i capelli e lei si muove appena, credo si stia svegliando.  
Avrei dovuto tornare prima. 
Avrei dovuto essere qui con lei.

«Sei tornato...» mi dice con un sorriso, stropicciandosi gli occhi.

«Mi dispiace di aver fatto tardi, se avessi saputo che eri qui sarei tornato prima». Mi sento davvero in colpa per averla fatta restare qui da sola.

«Se avessi saputo che ero qui non sarebbe stata una sorpresa. Hai lavorato fino a tardi...» Non me lo sta chiedendo, non è una domanda la sua, e io devo trovare un modo per risponderle.

«Sì... mio padre l'ha tirata per le lunghe...» Resto sul vago perché mento, non vorrei farlo, ma devo.

«Adesso sei qui, però...» Mi sorride e allunga una mano sul mio viso. Chiudo gli occhi per godere di questo contatto più a lungo possibile. Ne ho bisogno. «Mi sei mancato» dice ancora.

Non sono abituato a sentirla parlare in questo modo così gentile, ma mi piace da morire. «Tu mi sei mancata» le rispondo, accarezzandole il viso.

Mi avvicino di più a lei, poi non resisto più, devo baciarla subito, e lei risponde sempre con grande passione. La sento sempre sciogliersi tra le mie braccia, sulle mie labbra, abbandonandosi completamente a me, tanto da farmi dimenticare ogni stupido segreto che mi porto dentro. 

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Capitolo 67
*** Credevo che lo sapessi ***


Se il buongiorno si vede dal mattino, posso dire, quasi senza ombra di dubbio, che questo non lo sarà - non del tutto almeno. Mi giro e mi rigiro tra le lenzuola da più di quaranta minuti, giusto il tempo di dare al forte senso di inquietudine che provo ogni mattina quando apro gli occhi, lo spazio necessario ad invadere ogni cellula cerebrale, così da lasciarmi in uno stato di sospensione.

Sospesa... è così che mi sento, come se stesse succedendo qualcosa intorno a me, ma io non riuscissi a vederla. Il mio cervello è sempre stato iperattivo, ma da un po' di tempo a questa parte, la mattina, non appena apro gli occhi, la mia materia grigia viene sottoposta ad un super lavoro, perché ci sono troppe cose che stanno succedendo e a cui non riesco stare dietro come vorrei.

Alla fine decido di alzarmi lo stesso anche se la sveglia non ha ancora suonato: sono troppo tesa per restare a letto, potrei preparare la colazione a mia sorella, così da impegnare la testa per qualche minuto, almeno riuscirei a distrarmi e far smettere le continue palpitazioni causate da questo senso di ansia costante che mi preme sul petto.

Scendo le scale in silenzio, sperando di non svegliare nessuno - Reb non ha dormito da sola stanotte, come succede da parecchie notti a questa parte - e sorrido spontaneamente quando vedo qualcuno che mi ha preceduta e sta mettendo due fette di pane a tostare per poi prendere due piattini dalla dispensa e riporli sul tavolo.

«Buongiorno, sei già sveglia?» mi domanda con il suo pacato tono di voce.

«Non riuscivo a dormire, e tu?» chiedo a mia volta dirigendomi verso il frigo dal quale prendo il succo d'arancia.

«Devo uscire presto oggi, ho diversi lavori da finire in giornata. Come mai non riuscivi a dormire? Ancora incubi?» Recupera un altro piattino e lo posa vicino agli altri due.

«No, niente del genere. Senti, stavo pensando di organizzare qualcosa per il compleanno di Harry, senza dirglielo ovviamente.» Propongo la mia idea a Zach: è suo amico deve sapere se l'idea può funzionare oppure no.

«L'importante è che non sia niente di eccessivo. Non gli sono mai piaciute le cose esagerate, ma sono sicuro che gli farebbe piacere sapere che hai fatto qualcosa per lui.» Zach si muove per la cucina come se fosse a casa sua, ed in un certo senso lo è. Non torna nel suo appartamento da più di una settimana, si sta praticamente trasferendo qui, ed io ho capito che sono diventata di troppo. Prima o poi dovrò cercarmi un altro posto dove stare.

«Perfetto, puoi avvisare tu Larry e gli altri?» mi siedo a tavola dopo che lui ha messo sopra ogni piattino pane tostato e uova. Non è la mia colazione preferita, ma è un gesto troppo carino per rifiutare.

«Non ci penso nemmeno... l'idea è tua, e tu te la sbrighi. Lì c'è il mio cellulare, prenditi tutti i numeri che ti servono.» Poi si siede di fronte a me, addenta la sua fetta di pane e mi sorride divertito mentre mi indica il suo telefono, che ha lasciato sul ripiano della cucina.

Sorrido per le sue parole, poi mi alzo, prendo il suo telefono per mandarmi tutti i contatti dei suoi amici e ho un piccolo tuffo al cuore quando leggo il nome di Harry nella rubrica.

Non lo sento da ieri mattina, dice che sta lavorando tanto a causa di un grosso cliente che continua a tirare per le lunghe una trattativa, e anche perché sta sostituendo Dylan in ogni mansione dato che è ancora a Montreal. Kurt mi tiene aggiornata sull'evoluzione della situazione: so che Dylan ha ripreso i contatti con sua madre, che ha fatto visita più volte al cimitero dove si trova suo fratello, e che è stato nei luoghi che abbiamo frequentato per avvicinarsi a lui. Kurt mi ha detto che l'ha accompagnato a casa mia e che hanno frugato nelle scatole che tengo nell'armadio, quelle con tutti i nostri ricordi; mi ha detto che hanno trovato la lista di cui avevamo parlato qualche tempo fa e che ne ha fatto la sua ragione di vita.

Dylan non rientrerà al lavoro prima di fine mese e fino ad allora è Harry ad occuparsi di tutto in ufficio e, tra sostituire il suo amico, recuperare il rapporto con il padre e lavorare al contratto di questo cliente importante, ci siamo visti davvero poco ultimamente. È molto più nervoso e a volte si comporta in modo strano, ma credo sia a causa della grande quantità di stress a cui è sottoposto.

È per questo che voglio organizzare una piccola festa per il suo compleanno, niente di particolare, solo i suoi amici più cari, magari a casa sua, così che capisca che non è solo. Ha molte persone intorno che gli vogliono bene, e voglio che sappia che può contare su di noi nel caso ne avesse bisogno.

«Fatto» dico a Zach una volta terminato il trasferimento dei contatti.

Gli restituisco il cellulare avvicinandolo al suo piatto e mi rendo conto che ha già finito di mangiare. Ora sta riempiendo l'altro piattino con l'aria molto concentrata, poi versa il caffè in una tazza e li prende in mano rivolgendomi un bellissimo sorriso felice. «Vado a svegliare Reb» mi dice sparendo dalla mia vista.

Credo sia davvero arrivata l'ora per me di trovarmi un'altra sistemazione, questi due hanno tutta l'aria di voler fare sul serio ed io non voglio essere il terzo incomodo.

Finisco la mia colazione, sistemo velocemente la cucina poi torno in camera mia per iniziare a lavorare alla traduzione, ma, nonostante io ci stia provando da alcuni minuti, fatico a concentrarmi per i tanti pensieri che sono venuti a bussare alla mia mente non appena ho aperto gli occhi. Harry ha sicuramente bisogno di un sostegno, il problema è che non so come aiutarlo perché non mi parla. Continua a dire che è solo stanco, ma sono certa ci sia dell'altro, qualcosa che lo rende particolarmente nervoso.

I miei pensieri vengono interrotti dal bussare alla mia porta. «Avanti» dico tornando ad ignorare il computer e il resto dei miei appunti, voltandomi verso l'ingresso della mia stanza.

«Ciao.» La voce allegra e il sorriso di mia sorella sono contagiosi. Reb è chiaramente felice, e la causa è il ragazzo che è appena uscito di casa urlando un 'ciao' mentre scende velocemente giù per le scale.

«Ciao» le rispondo sorridendole.

Entra quasi in punta di piedi e viene a sedersi sul mio letto, proprio di fronte a me. «Mi ha detto Zach che vi siete incontrati per colazione poco fa.»

«Già, e ho potuto vedere quanto sia premuroso con te.» Le mie parole provocano un altro sorriso da parte sua. Sono davvero belli insieme.

«Lo è, ed è una continua sorpresa... mi sono innamorata Chloe e sono felice.» Mi alzo dalla mia sedia per andare vicino a lei.

«Sei il ritratto della felicità Reb» le dico sincera.

«E tu invece? Mi ha detto Zach che hai dormito poco, qualcosa non va?»

«Il tuo ragazzo ha decisamente la lingua lunga...» dico cercando di evitare una domanda che so bene di non poter evitare, perché il suo sguardo è fisso nel mio e non posso mentirle dicendo che va tutto bene, non più. «... in realtà non ho un vero motivo per sentirmi così, sono ansiosa per qualcosa, ma non chiedermi cosa.»

«Tu e Harry vi siete visti poco ultimamente, forse è per questo?» mi domanda ipotizzando il motivo della mia inquietudine.

«Può darsi, non lo escludo e ti confesso che mi manca.» Ho passato diverse sere ad aspettare che tornasse dall'ufficio, ma ogni volta succedeva qualcosa per cui tornava talmente tardi che mi trovava addormentata, oppure lo aspettavo invano nel mio letto.

«Sono sicura che la colpa è di quella stronza, trova sempre una scusa per trattenerlo in ufficio.» Aggrotto le sopracciglia alla sua affermazione, perché non ho la più pallida idea di chi stia parlando.

«Quale stronza?» le domando decisamente confusa.

«La bionda oca senza cervello» dice ancora, e la sua espressione cambia mentre osserva la mia completamente disorientata.

«Di quale bionda stai parlando Reb?» Sento posarsi sul mio cuore un piccolo peso quando le pongo questa domanda.

«Vuoi dirmi che non lo sai?» Il tono di voce di mia sorella si fa più incerto, quasi timoroso.

«Sapere cosa Reb? Di cosa stai parlando?» Sento che l'apprensione provata appena sveglia non è niente in confronto a ciò che sento in questo momento.

«Io credevo che lo sapessi, che lui te l'avesse detto.»

«Reb!» La richiamo perché questa incertezza mi sta portando a pensare cose che non mi piacciono affatto.

«Ok... Si tratta di Winter...» Non appena pronuncia quel nome è come se ricevessi un pugno al centro dello stomaco, talmente forte da farmi mancare l'aria.

Harry sta lavorando con la sua ex e non me l'ha detto. È per questo che è sempre strano e fa sempre tardi? Non posso e non voglio saltare a conclusioni affrettate, ma una cosa è certa: Harry mi sta nascondendo qualcosa.

«Chloe mi dispiace, io credevo che tu lo sapessi.» Mia sorella è evidentemente mortificata per avermi rivelato questo particolare di non poca importanza.

«Non sei tu a doverti dispiacere.» Cerco di inspirare una grande quantità d'aria, ma è come se ci fosse qualcosa ad ostruire le mie vie respiratorie.

«Sono sicura che abbia i suoi motivi per non avertelo detto» dice ancora per rassicurarmi, ed io voglio provare a crederle.

«Sì, dev'essere così. C'è sicuramente un motivo per quello che fa.» So di non essermi sbagliata su di lui, ma so anche quanta paura ho di perderlo.

Provo a pensare ai motivi per cui ha taciuto su un particolare così importante, ci provo davvero, ma non mi viene in mente nulla e per fortuna interviene mia sorella a togliermi da questo turbine di cattivi pensieri, che stavano per prendere possesso di ogni sinapsi.

«Senti... Zach mi ha anche detto che vuoi organizzare qualcosa per il compleanno di Harry...» Ecco, questo è la giusta distrazione per smettere di pensare. Sì, devo concentrarmi sul compleanno di Harry.

«È così, niente di impegnativo, solo una serata tra amici, ma ci tengo che sia una sorpresa...» Devo pensare al suo compleanno che è tra una settimana, devo pensare solo a quello e non a quella bellissima ragazza che gli ha spezzato il cuore senza un reale motivo, quella ragazza per cui lui non ha fatto che consumarsi per mesi...

«Chloe?» La voce di mia sorella mi fa riprendere dai miei deliri mentali. Mi volto a guardarla trovando di nuovo il suo sorriso. «Vedrai che non è niente... andrà tutto bene.» Tenta di rassicurarmi ed io voglio convincermi che sarà così, che non accadrà niente, perché io lo amo da morire e non posso perderlo adesso che l'ho trovato, adesso che ho capito cosa vuol dire stare con lui.

«Sì, hai ragione» rispondo cercando di essere positiva. Andrà tutto bene.

O almeno lo spero.

*********

Il telefono squilla, ma lui non risponde. Resto con l'orecchio attaccato al cellulare fino a che non sento totale silenzio, segno che la comunicazione è stata interrotta.

Ho aspettato il momento della pausa pranzo in modo da non disturbarlo, ma non è servito perché la mia chiamata è andata a vuoto. Sospiro delusa mentre ripongo il telefono in tasca, poi attraverso la strada dopo essere uscita dal negozio nel quale ho prenotato il suo regalo di compleanno.

Voglio che abbia un regalo speciale e meditavo di fare qualcosa del genere per lui da tempo. L'occasione del suo compleanno fa proprio al caso mio e non vedo l'ora di scoprire cosa ne penserà.

Cammino svelta verso la fermata della metro e, mentre sto per scendere le scale, la vibrazione del mio telefono mi fa fermare dopo qualche gradino. Lo estraggo velocemente dalla tasca e, quando leggo il suo nome sul display, porto immediatamente il telefono all'orecchio, incurante di tutte le persone che mi passano accanto.

«Ehi» gli dico con evidente apprensione nella voce.

«Stai bene Chloe?» Anche lui sembra in ansia.

«Sì, sto bene» rispondo non del tutto sincera, perché fisicamente sto bene, ma psicologicamente non ho ancora ben capito come mi sento. Confusa potrebbe rendere quasi l'idea, ma è più di questo.

«Dove sei?» Mi sposto contro il muro per lasciare passare le persone che camminano frettolose.

«Sono uscita a fare un giro, avevo bisogno di staccare un po' da quella traduzione.» Parlare di nuovo con lui mi fa sentire meglio ad ogni secondo che passa.

«Anche io avrei bisogno di una pausa da tutto questo» dice sospirando.

«Non puoi uscire prima stasera? Magari ci vediamo e...»

«No Chloe, non sai quanto mi dispiace, ma stasera proprio non posso. Devo vedermi con mio fratello per definire i termini di un contratto, poi mio padre mi vuole portare a cena.» Ingoio ancora la delusione e tento di non fargli capire quanto mi costi stare per l'ennesima sera senza di lui.

«Domani?» gli chiedo cauta, usando un tono di voce più allegro possibile.

«Non lo so, io... Mi dispiace così tanto Chloe, ma ti giuro che mi farò perdonare.» So che è sincero in questo momento, che gli dispiace davvero non potermi accontentare, ma questo non mi fa sentire meglio.

«Ascolta Harry, questo periodo passerà e avrai occasione di farti perdonare.» Provo a mantenere la conversazione su un piano leggero, proprio come faceva lui con me quando i nostri ruoli erano invertiti.

«Hai già in mente qualcosa Stewart?» Il suo tono di voce si fa più sereno e per un attimo torniamo ad essere Harry e Chloe contro il mondo.

«Può darsi... Quello che posso dirti è che non te la caverai con poco.» Sorrido mentre gli parlo perché riesco ad immaginare le fossette spuntargli sulle guance, segno che anche lui sta sorridendo con me.

«Mi sembra una minaccia decisamente piacevole.» Sorrido ancora alle sue parole, poi cala il silenzio.

Vorrei sapere cosa non va, vorrei sapere cosa gli passa per la testa, vorrei davvero sapere cosa fare, ma riesco solo a restare in silenzio, ascoltando il suo, di silenzio, mentre vorrei dirgli che so di Winter e che è uno stronzo a tacere su qualcosa di così importante, ma non lo faccio, perché il mio cuore non me lo permette. Mi sono sempre fidata di lui e non me ne sono mai pentita, non può essere questa la prima volta.

«Chloe?» Dopo un po' sento la sua voce bassa, quasi un sussurro.

«Harry...» Pronuncio anche io solamente il suo nome.

«Io ti amo, questo non è cambiato.» Sembra voglia rassicurarmi, ed in un certo senso ci riesce, ma una piccola parte della mia mente insinua il dubbio nascosto nelle sue parole: qualcos'altro è cambiato invece?

Non riesco a dire niente, non riesco a rispondere, nonostante il mio 'ti amo' vorrebbe esplodere con tutta la sua forza, ma resta fermo in gola, come se fosse bloccato da qualcosa.

«Chloe, hai sentito quello che ho detto?» Adesso riesco a percepire la preoccupazione nella sua voce.

«Ho sentito Harry, è solo che...»

«Mi manchi anche tu Chloe...» Harry mi interrompe prima che possa finire la frase, sapendo perfettamente ciò che stavo per dire. «... vaffanculo tutto, mi manchi come l'aria e se potessi sarei lì con te!» La sua voce si alza di qualche decibel con un tono più aggressivo di poco fa, ed io riesco a sentire ogni sua parola arrivarmi dentro, fino al cuore, facendomi sentire decisamente meglio.

Non c'è più l'assenza di questi giorni, la presenza minacciosa di Winter o la mia inquietudine che mi accompagna da giorni, adesso c'è solo lui.

«Già... vaffanculo tutto, mi manchi tu Harry.» Anche se ha solo immaginato che stessi per dirglielo, voglio che lo senta direttamente dalla mia voce.

«Devo... devo andare adesso...» Trattengo per un attimo il fiato e chiudo gli occhi non appena lo sento parlare.

«Ok, ciao Harry.» In realtà non è affatto ok, ma non posso fare altro in questo momento.

«Ciao piccola Stewart.» È sempre incredibile come la sua voce riesca a farmi stare meglio. Tutto si aggiusterà e questi giorni saranno solo un ricordo da accantonare in un piccolo angolo remoto della mente.

«Basta così?» La voce della ragazza dietro al bancone mi riporta alla realtà.

«Sì, basta così grazie.» Afferro il mio bicchiere di caffè ed esco dal bar, mentre non faccio che pensare alla telefonata con Harry.

Non ho fatto altro per l'intero pomeriggio e sto continuando ancora a pensarci. Ho girovagato per le strade di Boston per tutto il tempo. Non riuscivo a concentrarmi sulla traduzione, così ho deciso che una boccata d'aria - seppure le temperature siano ancora piuttosto rigide - non avrebbe potuto farmi troppo male.

Sono stata al supermercato dove lavora Larry, ma mi hanno detto che oggi era il suo giorno libero, così ho camminato fino al fast food di Nate, ma era ora di pranzo e non ha potuto darmi retta, dato che il locale era molto affollato. Il negozio di dischi di Lawson non era comodo da raggiungere da dove mi trovavo, ma avevo assoluto bisogno di parlare con qualcuno, così sono salita sulla metro, ho preso l'autobus e sono arrivata al centro commerciale, ma dato che la giornata sembra essere un completo disastro, lui non c'era: i suoi colleghi mi hanno detto che aveva staccato da poco ed era andato a casa. Avrei potuto andare da Zach, ma mi ha detto che aveva parecchio lavoro da fare.

Sulla strada del ritorno dal centro commerciale ero davvero convinta di voler ritornare al mio appartamento, ma non so come, mi sono ritrovata nei pressi della HS Financial Services ed ho provato a non infilarmi nell'atrio per salire fino al ventiquattresimo piano, ci ho provato realmente, tanto che mi sono seduta sullo sgabello di un bar ordinando un caffè, in attesa che mi passasse questa inarrestabile voglia di vederlo.

Il tutto invano, perché non appena ho varcato la soglia del locale e mi sono ritrovata in strada, il mio sguardo è tornato fisso sul palazzo che ospita gli uffici in cui lavora Harry, ed i miei piedi hanno iniziato a muoversi, come fossero indipendenti dal resto del mio corpo, portandomi esattamente di fronte all'ingresso; ho camminato ancora fino all'atrio e, trovando vuota la postazione di lavoro dell'oca bionda, ho proseguito fino all'ascensore. Il mio dito ha premuto il pulsante con il numero ventiquattro e ho trattenuto il fiato fino all'arrivo al piano.

L'orario di chiusura degli uffici è passato da poco, i corridoi sono praticamente deserti e non incontro nessuno fino a che raggiungo l'ufficio di Harry, che trovo aperto. Mi ha detto che doveva vedersi con Jordan, ma potrebbe essere ancora qui, quindi mi affaccio silenziosa all'interno del suo ufficio nel quale c'è qualcuno, che però non è Harry.

«Signorina Stewart!» Il ragazzo impegnato a sistemare fogli e cartelle si alza di scatto non appena si accorge della mia presenza.

«Albert ti prego, ti ho già detto di darmi del tu.» Entro nella stanza avvicinandomi al ragazzo che ora è in piedi.

«L'avevo dimenticato...» risponde imbarazzato. La sua timidezza è adorabile. «Sta... Stai cercando il signor Stevens?» chiede portandosi una mando dietro la nuca.

«Harry... chiamalo Harry, e sì stavo cercando lui.»

«È andato più di mezz'ora fa nell'ufficio del dottor Stevens, suo fratello, poi non so altro. Io sono rimasto qui a riordinare i contratti di oggi.» La sua devozione a Harry e a questo impiego dovrebbe essere premiata.

«Ok, grazie Albert, vado a vedere.» Lo saluto e lui mi sorride tornando al suo lavoro.

Ripercorro il corridoio fino all'ascensore, nel quale entro premendo il pulsante numero ottantasette. Una volta arrivata al piano finisco di bere il mio caffè in un sorso, butto il bicchiere nel primo cestino che trovo e mi reco alla scrivania di Claire, che però è vuota. Mi avvicino comunque al bancone per capire se sia ancora qui o se sia già uscita.

Il monitor del computer è spento e sull'appendiabiti non vedo il suo cappotto: Claire non c'è. Mi volto verso l'ufficio di Jordan, cammino in quella direzione e busso alla porta, con quel senso costante di ansia che non vuole proprio abbandonarmi.

«Avanti!» Apro dopo aver sentito la sua voce, poi entro lentamente, quasi come se stessi facendo qualcosa di sbagliato, ed i miei occhi vagano per tutta la stanza alla ricerca del viso di Harry, che però non vedo da nessuna parte. «Ciao Chloe!» Mi saluta con entusiasmo mentre si alza dalla sua sedia per venirmi incontro.

«Dottor Stevens buonasera» gli rispondo provocandogli un enorme sorriso.

«Avevamo superato la fase di te dipendente ed io capo» afferma con aria divertita guardandomi dritto negli occhi.

«Ma qui siamo in ufficio.» Gli sorrido a mia volta ricordando di una sera, a casa di Harry, durante la quale lui è passato a trovare suo fratello e, dopo avermi trovato lì, mi ha fatto promettere che avrei smesso di dargli del lei. Ho ceduto quasi subito alla sua ennesima richiesta, perché frequentando Harry sarebbe risultato quantomeno ridicolo se non avessi cominciato a dargli del tu, ma la mia condizione riguardava il fatto che avrei comunque continuato a dargli del lei se ci fossimo trovati in ambienti di lavoro.

«Siamo solo io e te Chloe, puoi anche infrangere le regole» dice ancora ridacchiando.

«Solo io e te?» gli domando dimenticandomi di cosa stavamo parlando, sentendo salire un po' di più quel pochino di ansia.

Lui gira la testa a sinistra, poi a destra, infine torna a guardarmi. «Io non vedo nessun altro. Non dirmi che sei qui per Harry...» Vorrei rispondergli che è ovvio che io sia qui per Harry, per quale altro motivo sarei venuta fino a qui altrimenti?

«A dire la verità sì...» dico mentre sento quell'ansia stringermi sempre di più la gola.

«Pensavo fossi qui per me, dato che sono già andati via tutti.» Jordan mi guarda con aria confusa, ed è anche come mi sento io. Confusa.

«Tutti?» gli domando ancora.

«Tutti tranne me e mio padre.» Non faccio in tempo a dire altro che le voci provenienti alle mie spalle attirano la mia attenzione.

«No Harrison, sarà almeno mezz'ora che mia figlia se n'è andata.»

Dalla porta dell'ufficio di Jordan sono appena entrati due uomini. Riconosco uno dei due come il signor Stevens, il padre di Harry e Jordan, mentre l'altro sono sicura di non averlo mai visto.

«Chloe! Che piacere vederti!» Il signor Stevens mi si avvicina allungando la mano nella mia direzione, ed io mi affretto a stringerla costringendomi a sorridere come se andasse tutto bene.

«È un piacere anche per me signor Stevens » dico a fatica, mentre l'aria sembra non riuscire a passare restando incastrata da qualche parte dentro di me.

«Se stai cercando Harry se n'è già andato... probabilmente starà correndo da te come tutte le sere. Jordan ricordami di tagliare lo stipendio a tuo fratello, dato che se la svigna sempre troppo presto.» Gli uomini presenti in questa stanza ridono per le sue parole, mentre io non faccio altro che sentirmi sempre più disorientata.

Harry non esce presto da questo ufficio da quasi un mese ormai. Resta a lavorare fino a tardi, è per questo che non abbiamo potuto vederci in tutti questi giorni.

È per questo, giusto?

«Scusa, che maleducato. Ti presento il signor Foster.» Allungo la mano sorridendogli, ma il mio istinto mi dice che non dovrei. «È con noi da alcuni giorni, te ne avrà parlato Harry, no?»

No, Harry non mi ha parlato di niente in realtà, e se non mi sono rimbambita del tutto, credo di aver capito chi sia questo signor Foster.

«Sì, certo che me ne ha parlato» dico cercando di non far trapelare il fastidio che sto provando in questo momento. «Piacere di conoscerla signor Foster.»

«Il piacere è mio Chloe, mi hanno detto grandi cose di te.» Non sono certa che sia sincero, il mio istinto mi porta a fare buon viso a cattivo gioco, quindi gli sorrido anche se vorrei solamente dirgli che non m'importa nulla di ciò che pensa.

«Io devo andare, vi lascio lavorare.» Provo a tenere la voce ferma, ma sono sicura di non esserci riuscita perché Jordan mi guarda stranito. «Signor Foster è stato un piacere, signor Stevens spero di rivederla presto» dico ai due uomini di fronte a me che mi salutano a loro volta. «Jordan...»

«Ti accompagno» dice lui affiancandomi.

Gli sorrido e camminiamo insieme verso la porta del suo ufficio che superiamo fino a raggiungere l'ascensore.

La sua mano resta alla base della mia schiena fino ad arrivare alla fine del corridoio, cosa che mi fa sentire meglio, ma il malessere torna in fretta non appena lui interrompe il contatto e mi guarda negli occhi con espressione preoccupata.

«È per il padre di Winter?» La domanda di Jordan non fa che confermare i miei sospetti - non che ce ne fosse davvero bisogno.

«Beh... non posso dire che stavo morendo dalla voglia di conoscerlo...» Premo il pulsante di chiamata e torno a guardare il maggiore dei fratelli Stevens.

«Chloe sai che puoi contare su di me per qualsiasi cosa» mi dice facendomi sorridere sinceramente.

«Lo so.» Apprezzo il fatto che non mi stia facendo domande scomode, e sono felice che si renda disponibile nei miei confronti. «Grazie Jordan.»

Un ultimo sorriso, poi ci salutiamo e salgo in ascensore diretta al piano terra mentre cerco di raccogliere le idee.

Ho scoperto da mia sorella che Winter gira liberamente per i loro uffici accampando scuse per far fare tardi a Harry, il quale mi ha detto che avrebbe avuto una riunione con suo fratello e poi avrebbe cenato con suo padre, ma non era vero. Infine ho sentito dire dal signor Foster che sua figlia era già uscita.

Io non voglio affatto trarre conclusioni, non voglio pensare a niente di negativo. Voglio dare retta a ciò che ha detto il signor Stevens: probabilmente Harry è andato a casa, magari dovrei raggiungerlo, forse mi sta aspettando, e con questi pensieri faccio il percorso inverso, prendo la metropolitana e arrivo fino al suo appartamento, tenendo il più possibile lontano da me il pensiero di quella.

Salgo velocemente le scale, arrivo al pianerottolo e faccio un gran sospiro, poi busso e aspetto, ma non succede niente. Busso ancora, aspetto ancora, ma non sento alcun rumore proveniente dall'interno, così prendo le chiavi dalla mia borsa e apro la porta.

L'appartamento è completamente al buio e immerso nel silenzio. Harry non c'è.

«Dove sei?» La mia domanda cade nel vuoto, un po' come mi sento io.

Vuota. 

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Capitolo 68
*** È cambiato qualcosa Harry? ***


Da bambina detestavo i puzzle.

Avevo dodici anni quando mia zia Rose me ne regalò uno a Natale, credo fossero mille pezzi e non sono mai riuscita a finirlo. Dopo alcuni giorni di tentativi persi la pazienza e buttai tutto all'aria, raccolsi tutti quei piccoli pezzettini in un sacchetto e li richiusi dentro alla loro scatola, che nascosi sotto al letto. Da allora non ho più provato a farne uno.

Fino a stasera almeno.

Mentre sono seduta sul pianerottolo del suo appartamento mi sento intrappolata nell'incertezza, nella mia mente vagano i pezzi di questo puzzle che non riesco a risolvere. Sembra che, non appena trovo il posto di uno, quelle due parti non si incastrino più con il resto. Non so nemmeno se gli elementi che ho concorrano tutti a risolvere lo stesso rompicapo o siano completamente slegati l'uno dall'altro.

Quasi sicuramente manca qualcosa per riuscire ad ottenere le risposte di cui ho bisogno, perché ci dev'essere una spiegazione a tutti i suoi ritardi, alle sue bugie su Winter e alle altre di cui sono venuta a conoscenza.

Harry mi ama, so che è così, eppure c'è qualcosa che mi sfugge, qualcosa che mi porta a sentirmi in bilico su un precipizio.

Prendo il telefono per controllare l'orario, perché non so da quanto tempo sono qui seduta su questi gradini ad aspettarlo. Non volevo restare all'interno del suo appartamento da sola, perché adesso ho bisogno di parecchie spiegazioni per tornare a sentirmi parte della sua vita, dato che al momento mi sento tagliata fuori.

È quasi mezzanotte, non ho fame, ma la stanchezza inizia a farsi sentire. Ho chiamato mia sorella per dirle che sarei rimasta da Harry stasera, ho anche chiamato Kurt, che mi ha aggiornato sui progressi di Dylan, ma non ho chiamato lui, non ci sono riuscita pur avendoci provato un paio di volte. La paura di venire a sapere qualcosa che non mi piacerà era troppa, e poi voglio sentirmi dire da lui il motivo del suo comportamento mentre mi guarda negli occhi.

Ad un tratto sento dei passi per le scale farsi sempre più vicini. Mi raddrizzo con la schiena e tendo l'orecchio verso la fonte di quel rumore. Forse mi sto auto suggestionando, ma potrei dire, con assoluta certezza, che questi sono i suoi passi.

E so di non essermi sbagliata quando una figura slanciata svolta l'angolo. Non indossa il suo completo da ufficio, ma un paio di jeans strappati che vedo da sotto al cappotto, i capelli sono legati e la sua espressione si potrebbe dire sorpresa - usando un eufemismo.

Si blocca all'istante non appena si accorge della mia presenza, tiene sospese a mezz'aria le chiavi di casa e mi guarda come se non mi avesse mai visto in vita sua, o come se non avesse voluto vedermi proprio qui e proprio adesso.

«Ciao» gli dico rompendo il silenzio, continuando a restare seduta.

«Ciao... che cosa ci fai qui?» Il suo tono è incerto, la sua voce è leggermente tremolante ed io cerco di pensare che voglio dargli fiducia.

«Ti stavo aspettando» rispondo provando a mantenere la calma, ma poi quella frecciatina è lì, sulla punta della lingua, ed io non riesco proprio a trattenerla. «Ti dispiace che sia qui?»

«No! Certo che no!» Sembra riprendersi dopo la mia battuta e si avvicina a me porgendomi una mano. «Dai andiamo dentro.»

Guardo incerta le sue dita, ma è un'indecisione che dura poco. La mia mano afferra la sua e il contatto con la sua pelle mi fa provare il solito brivido. Vorrei solo alzarmi e baciarlo, dimenticandomi di tutto, ma non devo farlo. Ho bisogno di risposte e le avrò stasera.

Mi aiuta ad alzarmi, lo affianco in silenzio mentre infila le chiavi nella serratura, poi lo seguo all'interno dell'appartamento. Harry accende la luce e si toglie il cappotto, lasciandolo sul divano. Tolgo anche io il mio, lasciandolo accanto al suo, poi lo seguo in cucina.

«Vuoi bere qualcosa?» mi domanda prendendo un bicchiere dalla dispensa.

«No» rispondo senza aggiungere altro.

«Hai fame? Hai cenato?» mi chiede ancora, ma so bene che non sono queste le domande che vorrebbe farmi.

«Non ho sete e non ho fame Harry, vorrei solo che tu parlassi con me.» Lo vedo deglutire a fatica, ed è ormai chiaro che mi stia nascondendo qualcosa.

«E di cosa dovrei parlare?» Il suo sguardo è sfuggente, e per quanto questa situazione mi faccia male, so che devo andare avanti.

«So che non eri in ufficio...» gli dico andando dritta al punto.

«Come lo sai?» Ho l'impressione che si stia agitando e che la mia affermazione gli abbia dato fastidio.

«Ero passata a trovarti perché mi eri sembrato strano al telefono.»  
La mia intenzione era quella di passare qualche minuto insieme, giusto il tempo di un abbraccio o di un bacio, perché mi manca davvero tanto.

«Io... Io sono uscito perché ero troppo stanco e avevo bisogno di una boccata d'aria.» Si muove nervosamente per la stanza. Posa il bicchiere nel lavandino, controlla qualcosa in uno sportello alla sua destra, poi apre il frigo senza prendere nulla.

«Dove sei stato?» La mia voce è bassa e calma. Non voglio fargli un interrogatorio, voglio solo che lui si apra con me, che mi dica cosa succede nella sua vita.

«In giro... Sono stato in giro...» Continua a muoversi, come se non fosse in grado di stare fermo.

«Harry fermati.» Si ferma di colpo alle mie parole.

È ancora rivolto verso il frigo, mi dà le spalle, che vedo tese. Fa respiri profondi, lo vedo dai suoi movimenti, e tiene la testa bassa, mentre i suoi pugni sono stretti. Vorrei posare le mie mani sulle sue per farle distendere e poter intrecciare le dita, ma quel senso di inquietudine, con il quale mi sono svegliata stamattina, mi sta stringendo la gola e non riesco a muovermi dalla mia posizione.

«Guardami per favore» gli dico abbassando ulteriormente la voce per fargli capire che non ho niente contro di lui, quello che voglio è solamente parlare.

Si volta con lentezza e finalmente mi guarda negli occhi. Sembra spaurito, come se non fosse in grado di gestire questa situazione.

«Chloe...» Pronuncia a malapena il mio nome, poi si ferma e lo vedo dai suoi occhi quanto abbia bisogno di un piccolo aiuto.

Mi avvicino a lui lentamente, mentre tiene gli occhi fissi nei miei. «Harry... Dimmi solo la verità...» Allungo le mie mani per posarle sul suo viso. Lui chiude gli occhi per poi lasciare andare un sospiro profondo.

«Volevo dirtelo, ma non ci sono riuscito...» riapre gli occhi e mi guarda, stavolta mi guarda davvero. «Si tratta di Winter... lei... lei è nei nostri uffici... tutti i giorni... e mi dispiace di essere stato un vigliacco...» Sentirlo ammettere la verità con la voce rotta e lo sguardo perso, mi fa capire quanto sia dispiaciuto del suo comportamento, ma questo non basta a farmi sentire meglio, perché ci sono ancora cose che non mi ha detto.

«Harry sei sempre stato tu quello che mi spingeva a parlare, ad aprirmi con te, perché sei tu a non farlo adesso?» Ho bisogno di sapere perché mi sta mentendo e fino a che punto quella ne è coinvolta.

«Ho sbagliato Chloe, lo so, ma ti giuro che tra noi non è successo niente.» Il fatto che mi stia dando delle giustificazioni non richieste, mi fa credere che stia mentendo ancora.

«Non hai risposto alla mia domanda.» Le mie mani sono ancora sul suo viso. Sto cercando di trasmettergli quello che provo anche attraverso il contatto fisico, e non solo con le parole, ma lui è troppo sfuggente.

«Che cosa vuoi che dica Chloe?» Alza di poco la voce, quasi come se si stesse innervosendo.

Le mie mani scivolano via dal suo viso, ma non mi allontano da lui. «Voglio che tu ti senta libero di parlare con me.» I lineamenti del suo viso si contraggono, ed ora sono assolutamente certa che mi stia nascondendo qualcosa.

«Non c'è niente da dire. Il padre di Winter è un cliente di mio padre e lei lo sta seguendo nel suo lavoro, questo è quanto.» Il suo tono di voce freddo mi fa provare una piccola fitta al cuore.

«Questo non è quanto Harry, perché invece non...»

«Ok! Vuoi sapere perché non te l'ho detto?!» La sua voce si alza di parecchi decibel interrompendomi bruscamente. Resto immobile e in completo silenzio mentre lo guardo negli occhi, che sembrano diventati più scuri, in attesa che continui a parlare. «Perché ho una dannata paura della tua reazione, perché ho una fottuta paura di perderti, e perché sono un codardo del cazzo, ecco perché!»

Serra la mascella e i pugni, è rigido nella sua posizione, sembra davvero spaventato e posso dire con assoluta certezza che crede ad ogni parola che ha appena pronunciato, ed io non l'ho mai visto così insicuro come stasera.

Probabilmente dovrei urlargli contro i miei pensieri come ha appena fatto lui, forse dovrei pestare i piedi e pretendere che mi riveli all'istante tutto ciò che gli passa per la testa, o magari dovrei solo prendere la porta e andarmene sbattendola con forza, ma l'unica cosa che mi riesce di fare in questo momento è abbracciarlo.

Mi stringo improvvisamente a lui, che resta immobile per qualche secondo, ma poi sento le sue braccia sulla mia schiena e mi stringe come se non volesse lasciarmi più andare.

Mi perdo nel suo abbraccio, inspiro a pieni polmoni il suo profumo, mi concentro sulle sue mani che mi accarezzano lentamente, e nel giro di pochi secondi sembra sparire ogni traccia di discussione, come se non fosse successo nulla. Succede sempre quando sono tra le sue braccia e stavolta non è diverso dalle altre, nonostante ci sia un buon motivo per cui dovrei essere arrabbiata con lui.

«È cambiato qualcosa Harry?» gli chiedo a bassa voce, incerta delle mie stesse parole.

Lui si scosta leggermente per guardarmi negli occhi. «Cambiato qualcosa? Cosa dovrebbe essere cambiato?» mi domanda confuso.

«Tra di noi...»

«Certo che no! Cosa ti salta in mente?» I decibel della sua voce tornano ad alzarsi ed io non so se prenderlo come un buon segno - il fatto che si stia alterando - o prenderlo come un meccanismo di difesa per non essere scoperto.

«È solo che..» L'unica domanda che vorrei davvero fargli è 'che cosa ci è successo?' e invece le parole restano ferme proprio dove stavano per nascere.

«Non stai avendo dei dubbi vero?» Lo guardo e finalmente lo sento di nuovo vicino, e non parlo di vicinanza fisica.

«Harry dimmi solo che...»

«Ti amo Chloe, io ti amo cazzo! Questo non puoi metterlo in dubbio!» Mi interrompe di nuovo e questa volta la sua voce assume un tono quasi disperato.

Improvvisamente mi stringe di nuovo, con più forza di quanta ne abbia messa poco fa. «Dimmi che mi credi Chloe.» Lo dice a bassa voce, quasi come fosse una preghiera.

«Harry...»

«Ti prego... Tu devi credermi. Sono stato un coglione a mentire sul fatto che Winter fosse sempre in ufficio, me ne rendo conto, ma non so che altro dire se non che mi dispiace.» So che crede realmente in quello che dice, lo sento nel mio cuore, ma oltre a dirmi che mi ama e a rivelarmi di Winter in ufficio - cosa che probabilmente ha fatto perché ha capito di essere stato scoperto - non mi ha dato grandi spiegazioni.

«Harry...»

«Ok... senti, non dire niente adesso.» Ancora un'interruzione che non mi permette di dire quello che vorrei. «Io vado a farmi una doccia, tu ti rilassi un po' e poi, a mente fredda, ne riparliamo. Che ne dici?» Le sue mani arrivano sul mio viso e mi guarda con grande intensità. I suoi occhi non sono più scuri, ora sono più limpidi e potrei dire anche tristi. «Prendiamoci qualche minuto...»

Sia il suo sguardo, sia il suo tono di voce, non mi permettono di negargli ciò che mi ha appena chiesto. «Ok.» A quel punto sorride. È un piccolo sorriso tirato, che mi fa capire quanto sia teso.

«Faccio in un minuto.» Mi lascia un veloce bacio sulle labbra e si allontana mentre io resto immobile, completamente succube dei miei pensieri.

Io voglio dargli fiducia e il mio cuore gli crede ciecamente, ma la mia testa mi dice tutta un'altra cosa. Ha mentito sul fatto che Winter fosse presente nei loro uffici, e sta continuando a mentire sui suoi continui ritardi.

Mi ha detto di essere stato in giro, ma in giro dove? E con chi? Da solo? E tutte le sere? C'è qualcosa che non mi di dice, ed io sto impazzendo.

Sento il rumore dell'acqua provenire dal bagno ed io mi sento persa senza le sue braccia a stringermi, senza i suoi occhi a rassicurarmi e senza la sua voce, senza lui...

In un attimo mi prende un attacco di ansia, mi sembra che tutto inizi a girare e mi manca l'aria. Forse dovrei uscire a prendere una boccata d'aria, forse dovrei fare due passi e poi tornare qui. Istintivamente prendo il cappotto dal divano e lo indosso, poi vado verso la porta di casa, afferro la maniglia, ma quando sto per uscire mi do mentalmente della stupida per quello che stavo per fare. Non posso di certo andarmene senza dirgli niente, non farei che aumentare le sue insicurezze, così torno indietro stringendomi nelle spalle e infilando le mani in tasca, ma tutto si ferma di nuovo quando tra le dita sento uno strano oggetto che estraggo lentamente.

È una piccola scatolina blu, nelle quali di solito vengono confezionati i gioielli, e il mio sguardo cade sull'indumento che ancora ho addosso. Il cappotto è quello di Harry, l'ho indossato per sbaglio, ma ora la domanda è: a chi appartiene questa scatolina? È di Harry? Qualcuno l'ha regalata a lui o è proprio lui a doverla regalare a qualcuna? Vorrei aprirla, vorrei conoscerne il contenuto, ma non credo di poterlo fare, forse per il timore di scoprire la verità, e resto immobile a fissare quella scatolina mentre sono in piedi al centro del suo salotto.

Sento il mio cuore tornare a sprofondare nel limbo del dolore e dell'incertezza, credevo che potesse funzionare, ne ero sicura, ma evidentemente mi sbagliavo. Sto per scivolare di nuovo nel buio, ma senza la sua mano ho paura di restarci intrappolata.

«Chloe...» La sua voce mi fa alzare lo sguardo su di lui, e posso vedere quanto smarrimento ci sia nei suoi occhi.

Ha i capelli ancora umidi ed indossa la sua tuta grigia, quella che mi piace tanto vedergli addosso. Guarda me, poi la mia mano che tiene ancora stretta quella scatolina, che ora sembra bruciarmi la pelle.

«L'hai aperta?» mi chiede timoroso avvicinandosi a me.

«No» rispondo più spaventata di lui, che però sembra riprendersi dopo la mia risposta.

«Posso aprirla io per te?» Avanza ancora, arrivando a posare la sua mano sulla mia, così dolcemente che lascio scivolare quella scatolina dalle mie dita alle sue. «Magari mentre ti racconto la storia dell'idiota che l'ha comprata?» Il suo tono di voce sembra più sereno e, nonostante il suo sguardo sembri ancora impaurito, sento che sta tornando da me.

Annuisco restando in silenzio, lui mi prende per mano ed insieme raggiungiamo il divano, sul quale ci sediamo l'uno accanto all'altra mentre i miei occhi non lo perdono di vista nemmeno per un attimo.

«Era quasi il giorno di Natale quando l'idiota ha accompagnato il suo migliore amico a comprare un regalo per la sua fidanzata, ma l'idiota, in quanto tale, non ha resistito alla visione di un piccolo oggetto che ha visto in vetrina, così l'ha comprato senza pensare alle conseguenze...» D'improvviso l'atmosfera sembra più rilassata. La sua sola presenza è in grado di allontanare ogni negatività ed io lo osservo con grande attenzione mentre le sue mani aprono la scatolina rivelandone il contenuto.

Resto quasi senza fiato nel vedere la catenina contenuta all'interno, il cui ciondolo è un piccolo vagoncino della metropolitana. «L'idiota, però, non ha calcolato che la sua fidanzata ne aveva già una a cui teneva molto, così l'ha tenuta in tasca pensando che dargliela sarebbe stato come chiederle di togliere l'altra...»

«Harry no...»

«Aspetta... l'idiota ha fatto di peggio...» sorride di sé stesso mentre io vorrei solo abbracciarlo, e sono felice di stare indossando ancora il suo cappotto così posso sentirlo vicino «... gli sembrava sempre il momento sbagliato per darle il suo regalo, poi un giorno scopre che la sua fidanzata si è liberata per sempre dell'altra catenina così, da bravo vigliacco qual è, ha tenuto ancora nascosta la scatolina perché credeva che, se gliel'avesse data dopo il suo gesto, avrebbe voluto dire che lui stava tentando di sostituirsi al suo passato...»

«Harry basta...» Cerco di interromperlo, ma è lui ad interrompere di nuovo me.

«Lasciami finire.» Richiudo la bocca per lasciargli terminare il suo racconto. «Ho sbagliato, lo so... ma ad ogni giorno che passava, svaniva anche quel poco di coraggio che mi ha spinto a comprarla. Io non voglio sostituirmi a nessuno, tantomeno al suo ricordo e...»

Lo zittisco all'improvviso con un bacio. Ho assoluto bisogno di baciarlo perché ho assoluto bisogno di lui come dell'aria che respiro. Mi avvicino di più, fino a ritrovarmi a cavalcioni su di lui mentre lo stringo, mentre lui stringe me, mentre le mie labbra divoravano le sue, mentre il mondo scompare lasciando solo noi due sul suo divano.

«Fammi capire...» dice a bassa voce quando mi allontano da lui, restando, però, con la fronte appoggiata alla sua «... io mi comporto come uno stronzo e tu mi baci così!?» Gli sorrido tenendo il suo viso tra le mani dimenticando quasi il motivo per cui abbiamo discusso. «Non che mi stia lamentando Stewart, ma forse non...»

«Tu mi ami Harry?» Lo interrompo bruscamente, perché, alla fine, è questa la cosa che più mi preme sapere.

«Cazzo sì!» Le sue mani si fanno strada al di sotto del suo cappotto che ancora indosso, arrivando sui miei fianchi ed è quel contatto, insieme alla risposta che mi ha appena dato, uniti allo sguardo che ha in questo momento, a farmi avventare di nuovo sulle sue labbra.

Un altro bacio, e un altro ancora fino a che, senza nemmeno rendermene conto, non ho più il suo cappotto a coprirmi e nemmeno la mia maglia. Me ne accorgo solamente quando d'improvviso si ferma a guardarmi, e mi guarda per davvero, come non faceva da tempo. Forse non dovrei lasciarmi andare, e con ogni probabilità fare l'amore con lui non risolverà i nostri problemi, ma mi è mancato così tanto in questi giorni che non credo di poter rinunciare al tocco delle sue mani che scivolano lente sulla mia pelle, che freme dalla voglia di sentirlo ovunque.

«Ti voglio con ogni parte di me Chloe, e mi dispiace di essere stato uno stronzo...» Sento la sincerità trapelare da ogni poro del suo corpo ed ora non voglio concentrarmi su altro che non sia lui, che è finalmente qui con me.

«Dov'è la catenina?» gli domando ricordandomi all'improvviso di quella piccola scatolina blu.

Lo vedo sorridere, poi si allunga alla sua destra e recupera l'oggetto della nostra discussione, la apre lentamente e ne tira fuori la collana mettendola nella mia mano.

«Mi sento così stupido» dice scuotendo leggermente la testa.

«E fai bene...» Alza lo sguardo su di me e sorride quando vede la mia espressione divertita «... adesso aiutami a metterla.» Metto la collanina nella sua mano e punto gli occhi nei suoi mentre lui apre il gancino e si avvicina a me per metterla intorno al mio collo, poi l'aggancia e ripete lo stesso movimento che faceva tempo fa quando indossavo l'altra.

La sua mano parte dalla clavicola destra e sento i suoi polpastrelli scorrere lenti sulla mia pelle lungo tutto il filo metallico fino ad arrivare alla parte opposta, arrestando la sua lenta corsa, poi mi guarda, la sua mano risale posandosi sul collo. Mi appoggio al suo palmo chiudendo gli occhi, poi sento la sua presa scivolare via. Le sue dita scorrono verso il basso fino ad arrivare al ciondolo che prende tra le dita ed io apro gli occhi per non perdermi questo momento.

«Davvero stupido...» ripete ancora a sé stesso mentre osserva il piccolo vagoncino appeso al mio collo.

«Incredibilmente stupido» rincaro la dose perché se lo merita.

«Assolutamente stupido» dice tornando a guardarmi negli occhi mentre la sua mano lascia andare il piccolo vagone e sento ogni suo dito posarsi sul mio fianco lasciato scoperto dall'assenza della maglia.

«Totalmente e completamente stupido» dico abbassando la voce a causa dei brividi che mi provocano le sue dita che affondano appena nella mia carne, mentre le mie mani risalgono lente lungo il suo petto per arrivare sul suo collo.

«Il più stupido che sia mai esistito.» Le sue parole escono in un sussurro mentre io mi sto avvicinando al suo viso, fino a portare le mie labbra a pochi millimetri dalle sue.

«Sono d'accordo» sussurro al contatto della mia bocca con la sua.

Le sue mani risalgono lente lungo la mia schiena fino ad arrivare al gancino del reggiseno che allenta, ma senza lasciarlo andare del tutto. «Anche bianco non mi dispiace» sussurra ancora riferendosi al colore della mia biancheria.

«Mi sei mancato così tanto Harry» dico iniziando a perdere la ragione per tutte le sensazioni che provo quando sono così vicino a lui.

«Molto più che stupido... Dio! Come mi sei mancata!» Ogni distanza si annulla ed io sento scorrere impetuoso un mare di emozioni nel mio cuore. Le sento sulla sua pelle, nei suoi baci, nel suo modo di toccarmi e stringermi.

Dovrei forse farlo aspettare, dovrei discutere fino alla nausea di tutto questo, dovrei chiarire i punti che ancora non mi sono chiari, ma adesso, mentre le sue labbra mordono le mie, mentre la sua bocca mi reclama con prepotenza, mentre le sue mani impazienti cercano ogni parte del mio corpo, io non posso resistergli e mi ritrovo a sciogliermi tra le sue braccia, a lasciare andare ogni pensiero perché ora c'è solo lui.

Ed è solo lui che voglio.

*******

Apro gli occhi quasi di scatto al suono della sveglia, ma i miei movimenti non sono così veloci come lo sono state le mie palpebre. Spengo la sveglia, richiudo gli occhi e mi giro su un fianco, allungo il braccio alla ricerca di Harry, ma per quanto muova la mano sul materasso, di lui sembra non esserci traccia, così mi costringo a riaprire gli occhi, e mi accorgo di essere sola in questo letto.

Però non faccio in tempo a chiedermi dove sia perché sento rumori e imprecazioni arrivare dalla cucina, e non posso trattenere un sorriso. Mi alzo quanto più velocemente i miei movimenti me lo permettano, recupero qualcosa da indossare e lo raggiungo nell'altra stanza.

La scena che mi trovo davanti è più o meno quella di qualche mese fa, quella della mattina in cui mi ha fatto promettere di passare ventiquattro ore con lui. Harry è in piedi davanti al forno, ma stavolta non c'è puzza di bruciato.

È meravigliosamente a torso nudo, con i suoi pantaloni della tuta, scalzo e con i capelli legati: potrei passare la vita intera a guardarlo.

«Dai... Non farmi fare un'altra figura di merda...» Harry impreca verso il forno mentre armeggia con i pulsanti e le manopole. «Dai, cazzo!» A quel punto scoppio a ridere e lui si accorge della mia presenza voltandosi di scatto nella mia direzione.

«Non ho bruciato niente» afferma con tono indispettito.

«Intendi non ancora» rispondo restando appoggiata alla parete alle mie spalle.

«Intendo che non ho ancora nemmeno acceso il forno.» La sua voce si alza di qualche decibel tornando a minacciare il forno con la sola forza del pensiero.

Mi avvicino a lui facendo aderire il mio corpo alla sua schiena, poi lo abbraccio stringendo le mani all'altezza del suo stomaco.

«E pensi di farlo prima o poi?» Appoggio la guancia sulla sua scapola. Le sue mani si posano sulle mie e sento distendersi i suoi muscoli dopo il mio abbraccio.

«Penso di portarti fuori a fare colazione.» Si gira verso di me, le sue mani arrivano sul mio viso, le mie sui suoi fianchi mentre mi perdo per l'ennesima volta nel suo sguardo.

«La colazione proprio non è il tuo forte.» Lo prendo in giro e il suo sorriso furbo mi fa capire che si sta divertendo per il nostro scambio di battute.

«Sai bene qual è il mio forte, ma se vuoi possiamo tornare di là e ti rinfresco la memoria.» Vorrei sorridere della sua battuta, ma le sue dita scorrono verso il basso, s'infilano appena al di sotto dello scollo della maglia che indosso, per arrivare a sfiorare il ciondolo della mia collana. «È stato meraviglioso stanotte averti con solo questo addosso.» Torna a guardarmi negli occhi con un'intensità tale da farmi quasi mancare il fiato.

«E giusto perché tu lo sappia, Harold...» la sua smorfia arriva puntuale nel sentire il suo primo nome per intero «... l'avrei indossata anche prima se me ne avessi dato la possibilità.»

«Abbiamo già approfondito a lungo la mia stupidità, non c'è bisogno che me la ricordi.» Non è veramente infastidito perché le sue mani tornano sul mio collo.

«In realtà volevo solo dirti quanto mi piace questa catenina, questo ciondolo e quanto apprezzo la tua preoccupazione nei miei confronti. Io amo tutto questo, ma... ma non devi farlo, non devi più preoccuparti in questo modo per me, perché posso affrontarlo...» Resta in silenzio, completamente preso da ciò che gli sto dicendo. «Il dolore, i problemi... Tutto... posso affrontare tutto grazie a te, quindi non devi più nascondermi le cose pensando che io sia troppo fragile per reggere il colpo.»

Ho l'impressione che vorrebbe parlare, ma c'è qualcosa che lo frena. Mi sta nascondendo più che un semplice regalo, e dovrei insistere per sapere la verità, ma lui ha avuto un'incredibile pazienza con me in questi mesi ed ora è il mio turno di essere paziente con lui.

La mia mente continua ad avere dei dubbi, ma il mio cuore gli appartiene e gli crede ciecamente ed è per questo che gli darò il beneficio del dubbio e gli lascerò altro tempo. Sono sicura che sarà lui stesso a parlarmene quando si sentirà di farlo.

«Beh... Devo ammettere che sono stato piuttosto bravo con te...» Sorrido alzando gli occhi al cielo per la sua battuta. «Ma devo anche ammettere, Eveleen...» rimarca con ironia il mio secondo nome solo perché io l'ho chiamato Harold, e sorrido un po' di più «... che il merito è tuo.»

Lo dice con un certo orgoglio, il che rende orgogliosa anche me. «Siamo stati bravi entrambi» dico sorridendogli sincera.

«Ma io un po' di più Stewart.»

Ridiamo insieme e per un attimo tutto scompare, permettendomi di godere della vista del suo ampio sorriso che mette in mostra entrambe le fossette.

«Noi ce la faremo Harry?» gli domando quando torniamo seri.

L'idea di perderlo non è minimamente contemplata e quindi ho bisogno di pensieri positivi.

«Noi ce la faremo piccola Stewart.» Poi mi bacia, io bacio lui. Le sue mani su di me, le mie su di lui. Siamo solo Chloe e Harry, capaci di diventare una cosa sola. Lo sento da come mi tocca, da come mi bacia e da come mi stringe che posso fidarmi di lui.

Perché se non potessi fidarmi di lui, non avrei niente. 

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Capitolo 69
*** Non sei come gli altri ***


Sto tentando di far prevalere il pensiero positivo. Ho fatto alcune ricerche su internet e ho letto che bisogna vedere ogni aspetto della vita - soprattutto quando si presentano degli ostacoli o delle difficoltà - come un fattore di crescita personale.

So bene che non devo farmi coinvolgere dai momenti negativi che, inevitabilmente, accadono nella vita di ognuno, perché ogni volta che l'ho fatto ne sono stata travolta e non riuscivo più a liberarmene, tanto che i momenti peggiori sono, in qualche modo, rimasti radicati dentro di me.

Lo stesso discorso vale per le persone.

A partire da me stessa: sto tentando di tenere lontana la negatività in ogni modo possibile, cercando di trovare in me solo cose che mi rendano felice, e mi rendo conto di averlo fatto - anche se non di proposito - con Dylan, perché stare con lui inizialmente voleva dire riportare a galla i momenti più dolorosi della mia vita, ma dopo averlo frequentato ed essere venuta a conoscenza del suo passato, ho iniziato a vedere tutto sotto un'altra prospettiva.

Tutte cose giuste - che ho fatto inconsapevolmente finora - ma quel meccanismo dev'essersi inceppato quando quella ha tentato di rientrare nelle nostre vite. Sì, nostre, perché io mi sento pienamente parte della vita di Harry e lei sta tentando di rientrarci senza essere stata invitata.

Amo Harry come non ho mai amato in vita mia, in un modo totalmente nuovo ed incredibilmente intenso, e non ho nessuna intenzione di perderlo. Per questo lotterò per lui, per noi e per la possibilità di essere felice. Non m'importa che lui continui a fare tardi la sera, sparendo per ore intere senza sapere bene dove sia - perché ogni volta che glielo chiedo continua ad essere evasivo - non importa nemmeno se lei sia talmente bella da attirare su di sé ogni sguardo, e neanche che i dubbi si siano insinuati in ogni angolo del mio cervello, perché il mio cuore gli crede, ha fiducia in lui e mi dice che devo solo dargli del tempo, come lui l'ha sempre concesso a me, senza domande e senza pressioni di alcun tipo.

Il suo comportamento non è cambiato in questi giorni, la sua assenza continua a pesarmi e le sue telefonate sono rare, ma non per questo sembra essersi allontanato da me. Sono combattuta tra sentimento e ragione, che sembra voler prevalere, però, quando sento la sua voce, quando riesco a guardarlo negli occhi, in quelle pochissime volte che ci siamo visti dopo che ho trovato la catenina nella tasca del suo cappotto, il sentimento che provo per lui prevale su tutto e dimentico ogni minuto in cui è stato lontano da me.

Oggi, però, non c'è pensiero negativo che tenga: stasera è la vigilia del suo compleanno e lui la passerà con me. Non importa se deve lavorare o andare a prendersi la sua "boccata d'aria" - come lui chiama la sua fuga serale - sto per entrare nel suo ufficio e lui non mi sfuggirà in alcun modo. Questo grazie anche alla complicità di suo fratello maggiore, che mi ha aiutata a preparare questa piccola sorpresa.

Io e Jordan ci siamo trovati d'accordo sul fatto che Harry sia troppo nervoso e troppo stanco per le ore che passa al lavoro. Ha bisogno di una pausa, di staccare da tutto quello che sta assorbendo le sue energie, e il suo compleanno è l'occasione giusta per portarlo fuori di qui e costringerlo a prendersi cura di sé stesso almeno per un giorno.

Ho organizzato ogni cosa, a partire da questo momento fino a domani sera e lui potrà protestare, fare capricci o qualsiasi altra cosa, ma niente mi tratterrà dal trascinarlo fuori da questo edificio e portarlo a casa con me.

L'oca bionda all'ingresso mi ha lasciato passare, con la sua solita espressione di disappunto, per il fatto che sul suo computer ci fosse scritto che avevo appuntamento con Jordan Stevens, ed io mi sono divertita come al solito nel guardarla osservarmi di sbieco mentre salivo in ascensore. Una volta arrivata al piano, cammino lentamente guardandomi intorno nella speranza di non incontrare quella.

Mia sorella mi sorride silenziosamente quando si accorge della mia presenza: anche lei è al corrente della mia sorpresa per Harry ed ovviamente ha mantenuto il segreto.

Sorpasso la sua scrivania senza dire assolutamente niente e mi dirigo a passo svelto verso l'ufficio di Harry e quando passo davanti al piccolo ufficio di Dylan ho un piccolo tuffo al cuore. A dire la verità mi manca e non sono sicura che le cose vadano benissimo a Montreal. Durante l'ultima telefonata che c'è stata tra me e Kurt ho avuto l'impressione che mi stesse nascondendo qualcosa. Stessa cosa per quanto riguarda Dylan, che sembrava più distratto del solito, o forse non ha ancora trovato un modo di far quadrare tutti gli aspetti della sua vita, ma la sensazione che ho avuto parlando con lui è stata proprio quella di confusione. Non vedo l'ora che torni per potergli parlare.

Adesso, però, ogni mio pensiero è diretto al ragazzo che si trova al di là di questa porta, alla quale sto per bussare mentre sento il cuore iniziare a battere più velocemente, quasi come se fosse la prima volta che entro qui dentro.

«Non ci sono!» La sua voce arriva forte da dietro la superficie di legno. Direi che è anche più nervoso di quanto mi aspettassi.

Abbasso comunque la maniglia della porta e mi affaccio solo con il viso. Non trattengo un sorriso quando lo trovo a testa bassa sulla scrivania, concentrato come l'ho visto fare poche volte.

«Ho detto che non ci sono Arthur! Sei forse sordo?» Poi, appena quel piccolo sfogo esce dalle sue labbra, alza gli occhi dai fogli sparsi sulla sua scrivania e la sua espressione sorpresa è impagabile.

«Lo siento, pero no soy Albert» dico con la chiara intenzione di provocarlo in ogni modo possibile.

«Non so cos'hai detto, ma suona dannatamente bene» dice alzandosi per venirmi incontro con un enorme sorriso, quel sorriso che mette in mostra le fossette, quello sincero. «Non so nemmeno perché sei qui, e neanche m'importa.»

Non ho modo di rispondere perché mi bacia come se non lo facesse da troppo tempo, come se ne avesse un gran bisogno, infilando le dita tra i miei capelli per portarmi ancora più vicino se fosse possibile, mentre le mie mani stringono la sua camicia all'altezza del petto, ed io mi perdo ancora, lasciandomi andare tra le sue braccia.

«Sono così felice che tu sia qui» dice con un filo di voce tenendomi stretta a sé.

«Y yo soy feliz de estar aquí...» Il suo sguardo si accende un po' di più nel sentire le mie parole. Sento le sue mani scendere sulla mia schiena mentre mi allontana quel po' che gli basta per guardarmi negli occhi.

«Hai intenzione di continuare a parlare in questo modo?» La sua voce si abbassa e la sua presa si stringe leggermente.

«Hablaré sólo en español hasta casa.» Non resisto ed infilo la punta delle dita in quello spazio della camicia tra un bottone e l'altro.

Harry chiude gli occhi al contatto dei miei polpastrelli al di sotto della sua camicia, poi mi stringe di nuovo e sono costretta ad indietreggiare fino a quando la mia schiena entra in contatto con la superficie della porta, dove mi fermo e sento il suo corpo poggiarsi completamente sul mio.

«Stewart... Ti avviso che se non la smetti di parlare in questo modo ti prenderò adesso, qui, contro questa porta e non m'importa un cazzo se entrerà qualcuno.» Stavolta sono le sue parole ad accendere me e mi congratulo mentalmente con me stessa per avere ancora questo effetto su di lui.

«No tengo ninguna intención de pararme...» lo sussurro sulle sue labbra, guardandolo dritto negli occhi, mentre le sue mani hanno iniziato a sbottonare il mio cappotto per poi posarsi con forza sui miei fianchi.

La sua bocca torna ad impossessarsi della mia con ancora più foga di prima, e non so quanto resisterò prima di perdere del tutto la ragione.

Da quando è iniziato l'anno nuovo - al contrario di ciò che mi aspettavo - il mio rapporto con Harry sembra sfuggirmi dalle mani, un po' come quando stringi in pugno un po' di sabbia e quella ti scivola via attraverso le dita, ma ora, in questo preciso istante, lui è totalmente con me. Lo percepisco da come le sue labbra insistono sulle mie, da come il suo corpo reagisce a contatto con il mio e dal suo modo di guardarmi, quel modo solamente suo, quello che mi fa sentire l'unica al mondo.

«Adesso ascoltami bene...» riesco a dire con un filo di voce quando lui si abbassa per baciarmi il collo, e la mia difficoltà a parlare non fa che aumentare. Smette di fare ciò che stava facendo, sento le sue labbra scivolare sulla mia pelle, come una lenta carezza fino ad arrivare sulle mie e il suo sguardo è talmente intenso che devo fare appello a tutta la mia forza di volontà rimasta per non cedere al mio istinto. «... sistema quello che devi sistemare, spegni il computer, fai quello che devi per chiudere questo ufficio perché adesso tu vieni via con me.» Leggo confusione nei suoi occhi e la cosa mi diverte.

«Adesso? Ma non posso... Io... Devo finire delle cose, Jordan...»

«Jordan è al corrente del fatto che sono venuta a portarti via da qui.» Lo interrompo perché lo vedo in difficoltà.

«Jordan lo sa?» ripete ancora più confuso di prima.

«Sì, lo sa» rispondo confermando le sue parole.

«Ma devo davvero finire...»

«Sono sicura che tu abbia un sacco di cose importanti da fare, ma niente mi impedirà di portarti via di qui. Tu uscirai con me da questo ufficio e lo farai adesso.» Mi sorprendo a parlargli con questa sicurezza, ma tengo troppo a Harry e ai programmi che ho in serbo per lui, per farmi fermare da qualche suo impegno - reale o presunto che sia.

«Avevo un appuntamento tra poco... con... con un cliente e non posso disdire adesso...» Sta accampando delle scuse. Non so per quale motivo lo stia facendo - e sono quasi certa che non si tratti di un vero cliente, data l'incertezza nel suo tono di voce -, ma di sicuro non gli darò la possibilità di sfuggirmi, non stasera.

«E invece lo farai Harry. Chiama quel cliente e digli che hai avuto un imprevisto. Verrai via con me, che ti piaccia oppure no.» Il suo sguardo cambia ancora, stavolta sembra divertito dal mio atteggiamento, ed io porto le mani sul suo viso come se potessi fermare quello sguardo.

«Stai diventando prepotente Stewart?» mi domanda con un mezzo sorriso sulle labbra.

«Te quiero conmigo y no hay nada que pueda pararme.» Il suo mezzo sorriso scompare, la sua presa sui miei fianchi torna a rafforzarsi, ed io so di aver raggiunto il mio scopo.

«Vado a fare quella telefonata» afferma con tono deciso, poi si allontana da me per tornare dietro alla sua scrivania, prende il suo cellulare, sul quale digita qualcosa, e lo porta all'orecchio, mentre io sono rimasta ferma sulla porta ad osservare ogni suo movimento. «Sì ciao, senti... stasera non possiamo vederci...» dice mentre sistema i fogli sulla scrivania con la mano libera. «... lo so, ma ho avuto un imprevisto...» dice ancora alzando lo sguardo nel mio sorridendomi, poi torna a dedicare le sue attenzioni al computer. «... sì, domani va bene...»

«No!» dico ad alta voce attirando la sua attenzione.

Harry mi guarda con le sopracciglia aggrottate ed uno sguardo interrogativo. «Aspetta un attimo» dice al suo interlocutore, poi allontana il telefono dal suo viso mettendoci sopra una mano. «Che vuol dire no?» mi domanda.

«No vuol dire no. Non puoi prendere alcun appuntamento per almeno ventiquattro ore.» Un piccolo sorriso si apre lentamente sulle sue labbra, le sue sopracciglia si distendono e scuote leggermente la testa mentre riporta il telefono all'orecchio.

«Nemmeno domani... Ti chiamo io...Sì, sì ottima idea. Ok, ciao.» Non ha smesso di guardarmi negli occhi per tutto il resto della chiamata, sicuramente incuriosito dal mio comportamento, poi torna a guardare il computer mentre il suo dito clicca freneticamente il tasto del mouse. «Che cosa stai combinando Stewart?» dice senza guardarmi.

«Voglio che passi ventiquattro ore con me...» alza subito lo sguardo su di me non appena pronuncio queste parole. Per entrambi hanno un significato particolare per quello che rappresentano, e sono contenta che lui abbia colto il loro significato. «... ventiquattro ore in cui non dovrai far altro che dirmi di sì.» Quel giorno è stata una svolta nella mia vita e anche per il nostro rapporto. Sono sicura che potrebbe essere una nuova opportunità per noi e non ho intenzione di lasciarmela scappare.

«Stai usando i miei metodi contro di me Stewart?» Il suo tono palesemente ironico mi fa capire quanto gli piaccia tutto questo.

«I tuoi metodi funzionano Stevens, quindi sì, li userò, ma non sono contro di te. Hai bisogno di staccare, e non me ne andrò da qui senza di te.» Torna a mettersi dritto dopo aver finito di sistemare computer e scrivania, si avvicina all'appendi abiti per recuperare il suo cappotto e mi si avvicina senza perdere quel sorriso.

«Sei diventata intraprendente... sono proprio curioso di scoprire che intenzioni hai.» Indossa il cappotto, poi si posiziona di fronte a me, che sono rimasta con la schiena appoggiata alla porta, e allunga una mano in direzione del mio fianco. «Se avessi intenzione di spostarti potremmo uscire da qui tesoro» dice con lo sguardo che fa quando vuole prendermi in giro.

Mi rendo conto solo ora di essermi appoggiata quasi contro la maniglia,quindi mi sposto mentre lui ride di me. «Ok, un punto per te Stevens » rispondo quando lui chiude la porta alle nostre spalle, poi ci incamminiamo lungo il corridoio che porta all'ascensore.

Spero di non incontrare quella. Non è successo prima e non voglio che succeda nemmeno adesso, soprattutto ora che l'umore di Harry è il migliore che io abbia visto da diversi giorni a questa parte. Arriviamo indenni fino alla scrivania di Reb, che ci guarda divertita e saluta entrambi, poi entriamo in ascensore diretti al parcheggio sotterraneo dove saliamo sulla sua auto, che mette in moto per uscire in strada.

«Posso sapere dove stiamo andando?» mi domanda dopo essersi immerso nel traffico cittadino.

«Il tuo appartamento.» La mia risposta gli provoca un sorriso furbo ed io finalmente mi rilasso lasciandomi andare con la schiena all'indietro sul sedile.

Sono riuscita a portarlo via da lì. È vero che ha protestato, ma non in maniera energica, anzi si è lasciato convincere piuttosto facilmente ed io spero di riuscire a riportarlo da me.

Il tragitto fino a casa sua è stato caratterizzato da sguardi e sorrisi. Le parole sono state molto poche, è stato quasi come se ci stessimo studiando, o forse avevo troppa voglia di guardarlo, di vedere il suo sorriso felice sulle labbra per rischiare di rovinare il momento dicendo qualche stupidaggine, così ho preferito tacere.

«Allora...si può sapere cos'hai in mente?» mi chiede mentre apre il portoncino che dà sulle scale. 

«No, non ancora, ma ti piacerà» rispondo seguendolo sui gradini che portano fino al pianerottolo del suo appartamento.

«Vuol dire che passeremo tutta la notte svegli?» Ridacchia dopo averlo detto mentre entra nell'appartamento. Risata che si spegne quasi subito quando si accorge di quello che ho fatto.

Ci sono diversi lumini elettrici sparsi sul pavimento, il soffitto è interamente ricoperto di palloncini rossi ad ognuno dei quali è attaccato un biglietto che ho scritto in questi giorni pensando unicamente a questa serata. Harry entra in silenzio mentre si guarda intorno con aria smarrita. Lo seguo continuando a guardarlo, senza perdermi nessuna sua espressione, e quando si accorge dell'enorme striscione appeso alla parete dietro al divano vorrei solo abbracciarlo e baciarlo senza mai smettere.

«Ammettilo...» la sua voce è appena un sussurro mentre legge le frasi che ho scritto per lui. «...tu non sei come gli altri e tutto questo non è solo ok... è fottutamente meraviglioso...» Poi resta immobile, in completo silenzio, continuando ad osservare quel telo bianco sul quale ho scritto quelle parole. «Quando... quando hai fatto tutto questo?» mi domanda voltandosi verso di me.

«Diciamo che mi sono organizzata, dimmi solo che ti piace.»

Ci tengo davvero tanto a far sì che queste ventiquattro ore per lui siano speciali, come lui è riuscito a rendere speciali quelle che ha dedicato a me.

Le mie sono iniziate e finite in questo appartamento, e sarà così anche per le sue.

«Se mi piace?» mi chiede avvicinandosi a me per poi portare le sue dita ai lati del mio viso per giocherellare con i miei capelli, come non faceva da tempo. «È fottutamente meraviglioso!» Ancora uno sguardo poi annulla le distanze e mi bacia con estrema urgenza tenendomi stretta, come se potessi scappare da un momento all'altro.

«Mi sei mancato così tanto Harry» dico con un filo di voce quando le sue labbra si spostano sul mio collo e le sue mani mi sfilano il cappotto lasciandolo cadere sul pavimento.

Questo bacio sta diventando incredibilmente potente. Le sue labbra sembrano diventare una cosa unica con le mie quando torna sulla mia bocca, il suo sapore sulla mia lingua si confonde con il mio e le sue mani stringono, accarezzano e si appropriano di sempre più centimetri di pelle quando iniziano a risalire verso l'alto, passando sotto al mio maglione.

«Aspetta Harry...» La mia voce è udibile a malapena, perché le sensazioni che sto provando in questo momento sono troppo intense per riuscire a gestirle con facilità.

«Non voglio aspettare...» Anche la sua voce esce a fatica mentre si spinge contro di me per avere maggiore contatto.

Il bisogno che sentiamo l'uno dell'altra è arrivato a livelli tali in questo periodo che non so se e quando uno dei due riuscirà a riprendere il controllo.

«Ma devo dirti una cosa...» Ricordo che avevo fatto dei programmi per questa serata, ma il contatto delle sue mani che sfilano velocemente la mia maglia mi fanno rallentare i pensieri, ma non i movimenti perché in un attimo anche il suo cappotto è caduto da qualche parte, e la giacca del suo completo l'ha seguito a ruota.

La sua bocca torna sul mio collo e sento chiaramente le sue labbra, la sua lingua e i suoi denti afferrare lembi di pelle, allo stesso modo delle sue mani sui miei fianchi, come se i suoi polpastrelli riuscissero a lasciare le impronte digitali ovunque al loro passaggio.

«Non voglio sentire altro dalla tua bocca che non siano quei suoni meravigliosi che fai quando faccio questo.» Riprende la sua paradisiaca tortura ai danni del mio collo, spingendosi ancora contro di me fino a farmi indietreggiare verso il tavolo della cucina, e mi lascio andare sentendo quel gemito strozzato che lascia le mie labbra seguito a ruota dal suo.

Il suo bacino preme contro il mio permettendomi di sentire quanto mi desidera, poi il mio fondo schiena finisce contro il tavolo provocando un rumore che mi riporta alla mente uno dei motivi per cui siamo qui.

«Harry...»

«Ti voglio adesso Chloe, qui, sul tavolo» le sue parole mi fanno perdere completamente il senno e mi dimentico del fatto che il tavolo sia già apparecchiato per due, completo di piatti, bicchieri, posate e...

«Merda!» Esclamo mentre mi rimetto dritta, causando la sua espressione confusa, quando mi ricordo della bottiglia di vino rosso pronta per essere stappata, posizionata esattamente al centro del tavolo.

«Cazzo! Che c'è?» mi chiede guardandomi con un'espressione che è una via di mezzo tra la confusione e l'incazzatura più nera.

Gli sorrido, poi allungo la mano dietro la mia schiena fino a riuscire ad afferrare la bottiglia, che porto in avanti mostrandola anche a lui.

«Ti ho preparato la cena» gli dico a giustificazione del mio atteggiamento.

«E io ho fame Stewart, ma di te» dice tornando ad avvicinarsi nello stesso modo in cui lo farebbe un predatore con la sua preda.

«Harry, io...» Non posso dire altro perché le mie parole muoiono nella sua bocca che torna ad impossessarsi della mia. Sto per arrendermi a lui, alle sue labbra e alle sue mani che hanno tolto la bottiglia dalle mie ed hanno preso a sbottonarmi i jeans con estenuante lentezza.

«Harry... i palloncini» So che erano importanti, ma ora che le sue dita sono arrivate al di sotto dei miei pantaloni non ne ricordo più il motivo.

«Quei palloncini non scappano tesoro...» dice parlando direttamente a contatto con la mia pelle appena al di sotto del ciondolo mentre sento il tessuto dei jeans scivolarmi lungo i fianchi.

«E nemmeno io.» Non c'è più modo che possa fermarmi, che possa rinunciare a quello che sta succedendo, e magari non succederà qui in cucina, ma succederà, uuuuu e anche molto presto perché, dopo avermi sfilato del tutto i pantaloni, io ho scalciato via le scarpe, poi mi sono ritrovata sollevata da terra in un continuo contatto di labbra fino a ritrovarmi distesa sul suo letto, mentre lui è rimasto in piedi a guardarmi.

Indosso ancora la biancheria intima e lui ha uno sguardo di completa venerazione per me. Uno sguardo che non vedevo da qualche tempo. Uno sguardo che in questo momento mi sta facendo dimenticare qualsiasi piccolo o grande problema che c'è stato tra noi nell'ultimo periodo.

Mi alzo leggermente appoggiandomi sui gomiti per non perdermi nemmeno un secondo dello striptease che pare abbia intenzione di regalarmi. Le sue dita agiscono lentamente su ogni bottone della sua camicia grigia mentre la sua voce bassa e graffiata accompagna i suoi movimenti.

«La sera in cui ti ho incontrata sulla metro ho pensato che eri davvero stronza...» via il primo bottone.

«Acida?» chiedo senza perdere di vista le sue mani sulla camicia.

«Sì... una stronza acida del cazzo e ho pensato che avresti avuto bisogno di una sana scopata...» via il secondo bottone.

«E tu ti saresti sacrificato per la causa?» Torno a guardarlo negli occhi e mi accorgo dell'espressione furba sul suo viso.

«Ti avrei preso in ogni modo possibile e non solo quella sera, ma anche quella dopo, quando ti ho vista con quel vestito...» Ancora un altro bottone ed inizio ad intravedere le macchie d'inchiostro sul suo torace.

Le sue dita continuano a sbottonare fino a sfilare del tutto la camicia dai pantaloni, la sfila dalle braccia ed io sento il bisogno di toccarlo. Faccio per alzarmi, ma lui non me lo permette. «Resta dove sei...» mi dice con un filo di voce quando le sue mani arrivano al bottone dei suoi pantaloni. «... voglio guardarti...»

Non so se questo sia il momento più intenso che abbiamo mai vissuto o se è il mio corpo in fiamme a farmelo pensare. Di certo c'è che ogni fibra del mio corpo è completamente impazzita per Harry Stevens, che sta abbassando la cerniera senza mai togliere i suoi occhi dai miei, per poi lasciar cadere a terra i pantaloni ed avvicinarsi al letto.

«Ti ho mai detto quanto ti voglio?» Il suo ginocchio arriva in mezzo alle mie gambe, le sue mani poggiano ai lati del mio viso ed io sono totalmente presa da ogni cosa che lo riguardi.

«Dimmelo ancora...» Potrebbe chiedermi qualunque cosa in questo istante ed io la farei, perché quando mi parla e mi guarda come se fossi l'unica al mondo, come sta facendo ora, non gli negherei assolutamente niente.

Ma lui non risponde e sorride. «E ti ho mai detto quanto tu mi faccia impazzire?» Sposta il peso su una mano e con l'altra arriva a toccare i miei capelli.

«Puoi ripeterlo tutte le volte che vuoi.» Mi ha in pugno. Mi ha soggiogata. Mi ha stregato. Ed io sono più che felice di essere in suo potere, perché l'amore che provo per lui è incontenibile.

Le mie mani arrivano sul suo petto, le mie dita tracciano i contorni dei suoi tatuaggi, poi i miei occhi tornano nei suoi e stavolta ha una luce nuova, molto più intensa, decisamente più brillante. Il verde delle sue iridi sembra essere diventato più profondo ed è come se in un attimo sparisse l'intero universo.

Le sue dita ancora tra i miei capelli, le mie mani sul suo torace e i suoi occhi ancora nei miei, fermi, immobili, come a non voler perdere la più piccola espressione. «E ti ho mai detto quanto cazzo ti amo?»

Vorrei davvero riuscire a dire qualcosa, ma l'intensità con cui quelle parole sono uscite dalla sua bocca è decisamente troppo per riuscire a respirare normalmente, figuriamoci a parlare.

Però mi rendo conto che non aspetta una vera risposta, dato che subito dopo le sue labbra sono sulle mie, che lo ricevono, pronte a ricambiare tutta la passione che sento sprigionare da questo bacio, che si sta prendendo anche il mio respiro.

La sua mano scivola sotto la mia schiena, che inarco istintivamente per permettergli di arrivare a sganciare il reggiseno. «Nero... Ben fatto Stewart...» afferma compiaciuto - riferendosi ai pochi indumenti che mi sono rimasti addosso - quando riesce nella sua piccola impresa.

Le bretelline scendono sulle spalle accompagnate dalle sue dita, che sembrano lasciare una scia bollente lungo il loro percorso. Poi risale lungo il mio addome per arrivare al ciondolo, passando in mezzo ai seni scoperti. Lo afferra tra le dita, lo guarda, infine i suoi occhi tornano nei miei, mentre la sua mano lascia il pendente e arriva sul mio collo. Mi lascio andare alla sensazione delle sue dita che accarezzano la mia guancia, all'intensità del suo sguardo, e credo di non aver mai provato qualcosa più forte del sentimento che nutro per Harry. È come se fosse lui stesso la mia fonte di vita.

«Pensi davvero quello che hai scritto di là?» mi chiede con una punta di incertezza nella voce.

«Non solo lo penso, io ci credo Harry. Credo in te e credo in noi.» Il sorriso torna sulle sue labbra, poi si abbassa su di me.

«Nessuno ha mai fatto per me tutto questo. Non mi sono mai sentito così speciale per qualcuno come per te stasera...» la sua voce trema leggermente ed io riesco a sentire tutte le sue emozioni direttamente sulla mia pelle. «... ti prometto che tutto questo  "lavoro"  finirà presto e tornerò ad essere il solito rompicoglioni...» Le sue dita s'infilano tra i miei capelli e il suo pollice sfiora dolcemente il mio zigomo.

Vorrei che tutto sparisse, che restassimo solo noi due e quello che proviamo l'uno per l'altra, perché in questo momento riesco a percepire chiaramente tutti i suoi sentimenti, quasi come se potessi addirittura toccarli con mano. Non lo sentivo così vicino da tempo e non voglio perdermi nemmeno un secondo, perciò mi concentro su ogni suo movimento, ogni sua espressione perché amo ogni dettaglio di Harry.

«Ti amo così tanto Harry...»

Le mie parole muoiono nella sua bocca, catturate da un bacio dolcissimo. Chiudo gli occhi per potermi concentrare sul contatto del suo corpo sul mio, delle sue mani sulla mia pelle, del suo sapore sulla mia lingua e dell'amore che sento in ogni suo gesto, anche in quello che sta compiendo adesso. Le sue labbra scendono sul collo, sul petto, passando per l'addome, arrivando al bordo degli slip. Non riesco a guardare, ma sento le sue dita infilarsi ai lati dell'indumento, che poi mi viene sfilato. Lo sento scivolare sulla mia pelle fino alle caviglie, poi, dopo qualche secondo, ancora il calore del suo corpo - ora completamente nudo - torna su di me e a quel punto torno ad aprire gli occhi.

Il suo viso è a pochi centimetri dal mio e il suo sguardo mi lascia senza fiato. È come se stesse guardando direttamente dentro di me. «Io ti amo molto più di quanto possa dire...»

È difficile riuscire a parlare dopo tutto questo, ma devo riuscire a farlo perché voglio che sappia quanto io sia pazza di lui. «E io ti amo da togliere il fiato...»

Un altro bacio cattura le mie parole e il suo corpo cattura il mio stringendomi, accarezzandomi, facendomi sentire meravigliosamente bene. Riesco a sentire tutto quello che prova per me quando le sue mani ricoprono ogni centimetro di pelle scoperta, quando i suoi movimenti si fanno più sconnessi, infiammando ulteriormente il mio cuore e il mio corpo.

«Ti voglio adesso...» La sua voce, decisamente bassa e più roca che mai, mi fa perdere l'ultimo barlume della poca ragione che mi era rimasta. Sento ruotare gli occhi all'indietro mentre inarco la schiena cercando un maggiore contatto con lui. «... stai ferma o non farò in tempo a mettere il dannato preservativo...»

Poi sento il vuoto. Si è allontanato e sento il rumore del cassetto del comodino. Non riesco ad aprire gli occhi, non riesco quasi a respirare, voglio solo che lui torni qui da me e mi sento meglio quando percepisco di nuovo il suo corpo sovrastare il mio.

«Guardami Chloe.» E, come se fosse un vero ordine, i miei occhi si aprono.

Le mie mani sul suo petto, scendono fino ai fianchi, poi le stringo forte dietro la sua schiena.

«Ti vedo Harry. Tu mi vedi?» Non volevo chiederglielo, mi è sfuggita quella piccola rassicurazione di cui anche io sento il bisogno.

«Io vedo solo te...»

Poi il fiato si ferma, il mondo anche. Entra in me con una lentezza tale da farmi percepire ogni centimetro di lui senza ma distogliere lo sguardo dal mio.

Si muove lento, cauto, come se stesse studiando ogni piccolo gesto, ma ben presto entrambi perdiamo ogni controllo. I suoi movimenti diventano più veloci, io non riesco in alcun modo a tenere gli occhi aperti mentre mi aggrappo al suo corpo in ogni modo. È come se riuscissi a diventare una cosa sola con lui, e non c'è niente che potrebbe farmi stare meglio.

Sento il piacere pervadere ogni fibra del mio corpo, sento di appartenergli totalmente, sento esplodere ogni parte di me in un'armonia di suoni e colori, completamente proiettata in un'altra dimensione. Sento il suo corpo fremere, stringersi al mio mentre pronuncia parole che restano a metà, fino a che non lo sento lasciarsi andare, adagiandosi del tutto su di me.

Il mio cervello è spento, sto provando a recuperare qualche pensiero per capire se sono ancora su questo pianeta, ma non riesco a trovare niente di niente. Non ho mai provato nulla di minimamente paragonabile all'intensità di questo momento, perciò resto immobile a godere del contatto delle mie mani sul suo fondo schiena, del suo torace sul mio petto e del suo respiro affannato che è come una melodia.

C'è un unico momento che mi riporta alla realtà, ed è quando sento la sua voce bassa. « Cazzo se ti amo!» 

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Capitolo 70
*** Tu non hai la minima idea di quello che hai fatto ***


Silenzio.

Solitamente non mi piace perché sono costretta a ritrovarmi con me stessa e, negli ultimi mesi, non sono stata in pace né con me stessa né con il mondo intero. 

Nell'ultimo periodo ho evitato il silenzio perché era il momento in cui i dubbi si insinuavano nel mio cervello, come dei tarli impossibili da cacciare.

Oggi, invece, il silenzio mi piace, perché in questa quasi totale assenza di rumori riesco a sentire il suo respiro lento e regolare esattamente accanto a me. Non ho idea di che ore siano, ma dev'essere piuttosto presto, dato che è ancora buio.

Ieri sera ci siamo addormentati tardi. Dopo aver fatto l'amore, e aver passato la successiva mezz'ora aggrovigliati tra le coperte a tenerci stretti l'un l'altra, sono riuscita a convincerlo ad alzarsi dal letto per cenare. Ci siamo seduti al tavolo della cucina e abbiamo passato il tempo a chiacchierare come non facevamo da tempo, senza nessuna ombra ad oscurare il nostro rapporto. Ogni tanto tirava giù un palloncino per leggere i biglietti che avevo scritto per lui, e credo di non avergli mai visto un'espressione felice come quella di ieri sera. Ha detto che non li avrebbe letti tutti insieme perché vuole far durare quel momento più a lungo possibile.

Si sentiva il centro del mondo. Lui lo è per me, e voglio che lo sappia senza ombra di dubbio.

Il dopocena è stato un secondo round: dopo aver sparecchiato, senza più alcun ingombro sul tavolo, niente l'ha potuto fermare dal mettere in pratica quello che desiderava fare dopo aver letto lo striscione appeso al muro.

Poi, ancora completamente nudi, siamo rimasti abbracciati sul divano, coperti da un plaid, fino allo scoccare della mezzanotte quando mi sono alzata - portandomi dietro la coperta nonostante le sue proteste - ho aperto il frigo e ho preso la mini torta che ho ordinato ieri solo per noi due; ho messo sopra la candelina, gli ho cantato "Happy birthday", ma in spagnolo, e quasi ho pianto quando ho visto i suoi occhi lucidi fissi sul dolce che tenevo in mano.

Ho ancora il fiato corto quando mi rannicchio sul divano dopo aver recuperato il plaid per coprirmi, ma questo non mi impedisce di godere della vista di Harry che torna dal bagno con addosso solo i suoi tatuaggi. Si siede accanto a me, infilandosi anche lui sotto la coperta, poi mi chiude in un abbraccio nel quale vorrei restare per sempre.

Con la testa appoggiata al suo petto riesco a sentire il suo battito cardiaco leggermente accelerato, mentre la sua mano scorre lenta lungo il mio braccio, poi chiudo gli occhi quando mi lascia un bacio tra capelli. Un gesto dolcissimo che ruba un'altra volta il mio cuore.

«Stai bene Chloe?» mi chiede quasi con timore.

«Sì Harry, sto bene.» Lui è qui con me e non solo fisicamente. Non potrei stare meglio.

«Ti ho fatto male?» Sorrido per la sua domanda. Devo ammettere che si è lasciato trasportare dal momento, poco fa, ma non è stato il solo. La mancanza che ho sentito in questo periodo è stata così forte che il bisogno di lui è diventato quasi ingestibile, e vedere che perde la testa per me in questo modo, non può farmi che bene.

«No, non mi hai fatto male.» La sua preoccupazione nei miei confronti è adorabile.

«Ne sei sicura? Perché credo di essere stato un po'...»

«Passionale, è questo ciò che sei stato.» Certo, il tavolo non era così comodo, ma ne è valsa la pena per poter sentire Harry così desideroso di me.

«Stavo per dire aggressivo, ma la tua definizione mi piace di più.» Alzo il viso per guardarlo, lui mi sorride, poi mi bacia e resta a guardarmi. «Eri bellissima su quel tavolo, e sei bellissima anche da qui.» Sono io a sorridere adesso, mentre faccio scorrere la mia mano sul suo petto per arrivare fino al suo viso.

«Sai essere incredibilmente romantico Stevens.» Il suo sorriso si fa più ampio.

«Sono il più romantico che tu abbia mai conosciuto» pronuncia con un certo grado di soddisfazione.

«E anche il più passionale.» I suoi occhi si accendono nel sentire le mie parole.

«Vuoi dire che non l'avevi mai fatto sul tavolo?» Ovviamente ha capito subito quello che intendevo.

«Già.» Il suo sguardo soddisfatto è una chiara testimonianza di quanto sia stato felice di sentirmelo dire.

Non voglio fargli la stessa domanda perché sono sicura che la risposta non mi piacerebbe. Certe cose è meglio non saperle.

Il silenzio, fatto solo di sguardi, dura almeno qualche minuto. Un silenzio in cui entrambi cerchiamo di imprimere nella nostra mente ogni dettaglio dell'altro. Un silenzio nel quale non faccio che dire a me stessa quanto abbia fatto bene ad organizzare queste ventiquattro ore per lui.

«Quindi è questo che hai fatto negli ultimi giorni?» dice indicando i palloncini sopra le nostre teste.

«Anche, ma non solo.» L'organizzazione non è stata facile. Io non sono brava come Harry a capire le persone e ho pensato a lungo cosa fare per lui, e comunque non sono certa di aver fatto abbastanza.

«Sono davvero curioso di scoprire cos'hai in mente.»

Passiamo ancora altro tempo a parlare, a raccontarci a vicenda le rispettive giornate di lavoro. Mi ha detto di quanto gli manchi Dylan - non solo perché sta facendo anche il suo lavoro. Mi ha anche detto che ha avuto l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava quando l'ha sentito un paio di giorni fa, come se ci fosse qualcosa che non volesse dire. Entrambi crediamo che sia perché sta vivendo un momento delicato. Sia io che Harry sappiamo quanto sia complicato, a volte, rimettere insieme tutti i pezzi e, forse, parlarne per telefono non è così facile.

Ieri l'ho chiamato dicendogli della piccola festa a sorpresa che sto organizzando per Harry e che al suo amico avrebbe fatto piacere trovarlo qui. La sua risposta è stata evasiva dicendo che mi avrebbe fatto sapere qualcosa, ma non l'ho più sentito.

«Che ore sono?» gli domando non appena mi torna in mente una parte del mio piano.

«Non lo so. Ha importanza?» mi chiede con aria stranita.

«Molta importanza.» Allungo una mano sul tavolino accanto a noi per prendere il telecomando e accendo la televisione per vedere se in qualche modo riesco a scoprire che ore sono, dato che non ho alcuna intenzione di alzarmi da qui senza un valido motivo, e il valido motivo lo trovo quando mi rendo conto che mancano pochi minuti a mezzanotte.

Mi alzo velocemente portando con me la coperta, che avvolgo attorno al mio corpo. «Dove vai!?» mi chiede alzando la voce.

«Torno subito» rispondo allontanandomi.

«Ho freddo Chloe.» Mi volto per un attimo a guardarlo e sorrido nel vederlo completamente nudo.

«Non è vero» gli rispondo, poi devo fermarlo quando mi accorgo che si sta alzando. «Non muoverti da lì!» ordino perentoria sperando che mi dia retta.

Mi guarda per un attimo, poi alza gli occhi al cielo e torna ad appoggiarsi allo schienale. «Spero per te che ne valga la pena.»

Mi volto di nuovo e vado verso il frigo, dal quale prendo la piccola torta al cioccolato, recupero la candelina dal cassetto, un accendino e due cucchiaini.

«Sto diventando un ghiacciolo Stewart!» Rido nel sentire la sua finta lamentela, ma non rispondo alla sua provocazione.

Poso la torta sul ripiano, sistemo la candelina e l'accendo, poi prendo i due cucchiaini in una mano e la torta nell'altra per tornare da lui.

«Cumpleaños feliz...» Il suo sguardo non ha assolutamente prezzo. «Cumpleaños feliz...» cammino lentamente. I suoi occhi sono fissi sulla torta che ho in mano. «Te deseamos todos...» Sono ormai di fronte a lui e posso vedere i suoi occhi lucidi. «Cumpleaños feliz.» Posiziono la torta davanti al suo viso, ma lui sembra non volersi muovere. «Dai Harry, esprimi un desiderio e spegni la candelina.»

Sembra concentrarsi, poi soffia, infine mi guarda. «Adesso torna qui.»

Poso la torta sul tavolino e mi siedo accanto a lui, torniamo entrambi sotto la coperta, ed infine riprendo la torta che non vedo l'ora di assaggiare.

Harry sorride mentre infila in bocca un pezzetto di torta, e scuote la testa divertito. «Dimmi che non hai mai festeggiato un compleanno in questo modo» gli chiedo sperando di sentire la risposta che vorrei.

«Questo è in assoluto il primo compleanno che festeggio in questo modo.» Infila un altro po' di torta in bocca e i miei occhi cadono sul movimento delle sue labbra. «E tu sei decisamente invitante.» Non faccio in tempo a rispondere che il suo cucchiaino è nella mia bocca con un po' di torta.

Lo mastico con lentezza mentre lui mi guarda dritto negli occhi, poi torna a guardare la sua porzione di dolce, vi affonda il cucchiaino e torna con gli occhi su di me. Mi imbocca di nuovo, e lo fa ancora un paio di volte. D'un tratto i suoi occhi si accendono, lascia andare il cucchiaino e affonda direttamente le dita, ne prende un pezzo e lo mette nella mia bocca mentre le mie labbra si chiudono intorno alle sue dita.

Sembrava un bambino, un bambino felice, un bambino che ha appena ricevuto proprio il regalo che desiderava. Alla fine il plaid è finito sul pavimento, e noi siamo diventati un tutt'uno con il dolce.

Il terzo round è stato sul suo divano.

Sembrava non ne avesse mai abbastanza, come se volesse recuperare il tempo perso, ed io non potevo chiedere di meglio. Lui è stato presente fisicamente, ma lo era anche mentalmente. Non è stato mai distratto da nessun pensiero, e l'ho visto sereno e felice per tutta la sera.

Mi volto lentamente, cercando di farlo più piano possibile per non svegliarlo, poi mi accoccolo vicino a lui posando una mano sul suo petto, in corrispondenza del suo cuore, e mi riaddormento al ritmo di quel battito così tranquillo.

Non so quanto tempo sia passato, ma d'un tratto sento le sue dita leggere sulla mia schiena, talmente leggere che non sono sicura se stia succedendo realmente o se sto sognando, ma comunque non mi muovo, per continuare a godermi queste piccole e dolcissime carezze.

Sento i suoi polpastrelli scorrere da una scapola all'altra e ritorno, lentamente e senza sosta, in un continuo andirivieni sulla mia pelle nuda, ed è in quel momento che mi ricordo del regalo per il suo compleanno.

Faccio per voltarmi, ma la sua voce bassa e roca mi ferma. «Non muoverti.» Ritorno nella mia posizione, ma non so cosa darei per poter vedere l'espressione sul suo viso in questo preciso istante. «Quando l'hai fatto?» Le sue dita indugiano più a lungo in un punto preciso, proprio accanto alla mia scapola sinistra.

«Qualche giorno fa, è il tuo regalo di compleanno.» Il suo movimento si ferma e la punta delle sue dita segue il disegno sulla mia schiena.

Da ieri sono stata nuda così a lungo che credevo non sarei mai riuscita ad arrivare a oggi per mostrargli il suo regalo, invece ci sono riuscita, e dal suo tono di voce credo di aver fatto qualcosa che lui ha gradito parecchio.

«È una H...» La sua non è una vera e propria domanda e il suo tono è piuttosto incerto.

«È il pezzo del puzzle che mancava per completare la mia vita. C'è una H su quel pezzo perché sei tu quello che completa la mia vita.» Finalmente posso dirgli quello che mi tengo dentro da giorni.

Ho pensato a lungo quale potesse essere il regalo perfetto per questo primo compleanno che festeggiamo insieme, e ho pensato che prendere una piccola parte di lui per fonderla con una piccola parte di me, sarebbe potuto essere un gesto per fargli capire, una volta di più, quanto lui conti per me e quanto sia stato importante per il cambiamento che mi ha riportato alla vita.

Adesso il puzzle, che rappresenta momenti e persone che hanno cambiato radicalmente la mia vita, è completo, e anche Harry rimarrà impresso per sempre sulla mia pelle a testimonianza di quanto sia importante per me.

«Tu non hai la minima idea di quello che hai fatto...» Pronuncia lentamente ogni parola, facendo in modo che ogni singola lettera riesca ad arrivare al mio cuore, e non resisto più in questa posizione, devo assolutamente girarmi a guardarlo.

È su un fianco, appoggiato con il gomito al materasso, il lenzuolo che gli arriva in vita, lascia scoperto il suo busto. La sua mano arriva subito a lato del mio viso per tornare a tormentare dolcemente i miei capelli, con i quali ha instaurato un rapporto molto particolare. È come se trovasse conforto passandoci le dita in mezzo - o comunque qualche tipo di rassicurazione - mentre per me è un modo tutto nostro di avvicinarci e diventare sempre più uniti.

«Che cosa ho fatto?» gli chiedo con un filo di voce che fatica ad uscire a causa dell'intensità del suo sguardo.

«Io non ho più paura Chloe, nemmeno un po', nemmeno per sbaglio e nemmeno di me stesso.» Ero certa che le sue insicurezze fossero tornate a fargli visita, che fosse tormentato dai suoi dubbi e dalla paura di essere abbandonato ancora - dopotutto è andato come un treno in corsa per me e mi aspettavo un crollo prima o poi, ma non immaginavo fosse di queste proporzioni.

«Harry è solo un tatuaggio...»

«Oh no... Non è solo un tatuaggio. Sono io, sei tu, siamo noi, insieme...» Si sminuisce continuamente e non posso permetterlo.

«Harry è solo un tatuaggio e non ha alcun senso se non siamo noi a darglielo.» Resta in silenzio mentre mi guarda. «Sei tu che glielo stai dando, sono i tuoi sentimenti a parlare.» La mia mano si posa sul suo petto, la sua si sposta sul mio fianco e mi tira a sé con un piccolo sorriso.

«Non è così Stewart e tu lo sai...»

«Io so che tu sei speciale e chi non l'ha capito è un vero idiota...» Lancio una battutina contro quella, nella speranza di cogliere qualche segnale da parte sua che mi faccia capire che la cosa lo infastidisca, ma quello che ottengo è un meraviglioso sorriso che mette in evidenza entrambe le fossette. «... e devi smetterla di sottovalutarti. Io ti amo in un modo che nemmeno credevo esistesse, credevo che non sarei più uscita dal mio stato vegetativo, ma l'ho fatto grazie a te, e se non hai più paura lo devi solo a te stesso.»

Scuote leggermente la testa senza perdere il sorriso mentre la sua mano continua ad accarezzarmi. «Dalla tua espressione deduco che tutto quello che ti ho detto non servirà a niente e continuerai a pensarla a modo tuo» dico ancora, rassegnata al fatto che non mi darà ragione.

«Non sono esattamente queste le parole che avrei usato io, ma il senso è lo stesso.» Sorrido nel pensare che il suo linguaggio è sempre molto colorito.

«Allora ti piace?» Metto per un attimo da parte quest'ultimo argomento per concentrarmi su quanto mi ha detto poco fa. Quel tatuaggio siamo noi, insieme, e non poteva dirlo meglio.

«Com'è che hai scritto di là? Ah, sì, è fottutamente meraviglioso.» Il mio cuore esploderà se continuerà così.

«Hai fame Harry?» gli domando cambiando discorso, perché l'intensità con la quale ha detto quelle parole mi fa girare la testa, ma poi mi rendo conto di cosa ho appena detto.

«Sempre!» Sorrido e alzo gli occhi al cielo, poi faccio per allontanarmi, ma lui mi trattiene. «Dove stai andando?»

«A preparare la colazione.»

«Aspetta... Vieni qui.» Mi avvicino, lui allunga una mano verso il mio collo, la fa scivolare all'indietro, mi afferra dolcemente la nuca e mi avvicina a sé per posare le sue labbra sulle mie in un lungo e dolcissimo bacio. «È il regalo più bello che mi abbiano mai fatto.» Sorrido ancora, poi cerco di spostarmi, convinta di poterlo fare, ma lui mi trattiene e mi bacia ancora, solo le sue labbra sulle mie.

Quando mi allontano il suo sguardo è diverso, sono certa che voglia dire qualcosa, ma non lo fa. Restiamo in silenzio, riprovo a spostarmi, ma lui mi trattiene baciandomi di nuovo, e quando mi guarda riesco a leggere tutta la sua incertezza.

«Chloe...» Pronuncia il mio nome con una punta di preoccupazione, ma io voglio vederlo tornare a sorridere sereno come ieri sera.

«Ti preparo la colazione, resta qui. La giornata prevede assoluto, totale e completo relax, quindi non muoverti da qui.» Avremo tempo per parlare, ma non oggi.

Oggi voglio farlo sentire importante, speciale, voglio che si rilassi e che si concentri su di noi. Voglio che sappia cosa abbiamo e che capisca che su di me può sempre contare.

Il resto del mondo aspetterà domani.

Stavolta sono io a baciarlo e lui mi lascia andare, pur avendo ancora quello sguardo smarrito negli occhi. Non so cosa stesse per dire, ma non è oggi il giorno in cui voglio saperlo, perché non sono sicura che mi piacerebbe.

*****

La sua espressione imbronciata mi piace, ma non sono così obiettiva dato che mi piace tutto di lui.

Siamo usciti dopo aver fatto colazione e, nonostante Harry non abbia fatto altro che chiedere dove stessimo andando, sono riuscita a non dirgli nulla. Non che siano dei posti speciali come quelli che aveva scelto lui per me, ma non voglio dargli la soddisfazione di cedere alle sue richieste.

«Io non voglio farlo!» Si lamenta come un bambino per l'ennesima volta.

«E invece lo farai. Il nostro accordo prevede che tu dica sì ad ogni mia richiesta.» Trovo questa parte molto divertente ed ho intenzione di approfittarne per quanto mi sarà possibile.

«Credevo che le tue richieste sarebbero state più interessanti, come quelle a casa mia...» È ancora imbronciato e la cosa mi fa sorridere di più.

«Quelle erano le tue richieste, non le mie» gli faccio notare piccata.

«Ah... Ecco perché erano più interessanti.» Alzo gli occhi al cielo per il suo tono di voce e per la sua chiara allusione.

«Adesso smettila di fare i capricci e fai quello che ti ho detto» dico tentando di deviare la sua attenzione. «Anche io ho fatto cose che non volevo, come fumare una stupida canna, ma ho rispettato l'accordo e l'ho fatto.»

«Non ti ho realmente obbligata, sei stata tu a volerlo fare, e ammetti che ti è piaciuto.» Mi osserva con l'aria di chi la sa lunga, ma non ho intenzione di ammettere quanto abbia ragione.

È vero che mi è piaciuto, ma non per lo spinello fine a sé stesso. Il fatto è che ho imparato a trasgredire le mie regole, quelle che avevo imposto a me stessa e che mi impedivano di divertirmi ed essere felice. Ora lui non ha bisogno di trasgredire e questa cosa che voglio fargli fare a tutti i costi non è assolutamente necessaria, ma è una soddisfazione che non so se mi ricapiterà ancora di potermi prendere, quindi non cederò.

«Non ammetto un bel niente Harry e ora compra quei biglietti per la metro. Abbiamo un appuntamento tra mezz'ora.» Un sorriso soddisfatto compare sulle sue labbra. Sa di avere ragione, ma non replica ulteriormente.

«Sei una bugiarda... So che ti è piaciuto e a me non piace quello che vuoi farmi fare, va contro la mia natura.» Incrocia le braccia indispettito, e io vorrei soltanto baciare le sue labbra, che tiene strette mentre tenta di non guardarmi.

Mi avvicino a lui, mi porto alle sue spalle e poi gli sussurro all'orecchio: «Cómpralos y ya está.» Lo vedo trattenere un sospiro.

«Cosí sei sleale però.» Le sue spalle si abbassano e si avvicina al distributore automatico dei biglietti, infila le monete, poi ritira i documenti di viaggio e si volta a porgemerli. «Ecco, sei contenta adesso?» Non è davvero infastidito, ma è ovvio che non può darmela vinta.

«Contentissima, adesso andiamo.» Mi incammino verso il binario della linea verde con lui che borbotta alle mie spalle.

«Dov'é che hai detto che stiamo andando?» Scuoto la testa e sorrido a causa del suo vano tentativo di scoprire la nostra destinazione.

«Non l'ho detto, adesso passa il biglietto e supera il tornello senza imbrogliare.»

«Quanto sei noiosa Stewart, non hai proprio imparato un bel niente da me.» Mi sta prendendo in giro, ma mi piace perché siamo insieme, soltanto io e lui.

«Pensi di smetterla di lamentarti o vuoi continuare così?» gli domando non appena arriviamo alla banchina.

«Penso di continuare così» afferma con decisione. «A meno che tu non decida di restituirmi il telefono.»

«Allora puoi continuare a lamentarti» rispondo seria.

L'unica condizione che gli ho davvero imposto è stata quella di tenere spento il suo telefono e lasciare che lo tenessi io. Jordan sa che può chiamare me se hanno bisogno di lui, i suoi amici lo vedranno stasera, il resto del mondo può aspettare domani, o mai.

«Hai davvero intenzione di non darmi nemmeno una soddisfazione?» mi chiede mentre sta arrivando il treno.

«Non ti sento Harry, c'è troppo rumore.» Lui sorride, alza gli occhi al cielo, poi mi si avvicina.

«Non m'importa un bel niente del cellulare, dei biglietti o di qualsiasi cosa tu abbia in programma per oggi. Io ho te, non mi serve altro.» Le sue parole mi fanno bloccare sul posto. Lui mi sorpassa, sale sul vagone, si appoggia al palo giallo e mi sorride più che divertito. «Che fai? Resti lì?»

Mi riprendo appena in tempo per salire prima che le porte si chiudano, mentre la sua risata cristallina mi riempie il cuore di gioia. Non voglio altro che renderlo felice nello stesso modo in cui lui rende felice me.

Il resto del tragitto lo passiamo tra le sue prese in giro e le mie proteste, fino ad arrivare a destinazione. Usciamo in superficie e cammino con lui al mio fianco fino al luogo che ho scelto per passare le prossime tre ore, fermandomi proprio davanti all'ingresso.

«Una stanza in un hotel di lusso? È questa la tua idea di relax» mi chiede con espressione divertita mentre indica la porta girevole di fronte a noi.

«Non esattamente» rispondo vaga senza aggiungere ulteriori dettagli, poi entro.

Harry mi segue fino al bancone dove una ragazza, fin troppo sorridente dopo aver visto il ragazzo accanto a me, verifica la mia prenotazione e ci fa accompagnare fino alla nostra stanza, che da sola non avrei di certo potuto permettermi, e sono certa che anche Harry stia pensando la stessa cosa da come si guarda intorno.

«Questo è il regalo di compleanno di Jordan.» Mi ha consigliato lui questo posto dicendomi che è il luogo ideale per poter staccare un po', e mi ha detto che sarebbe stato felice se avesse potuto fare qualcosa per suo fratello.

«Jordan me la pagherà» dice quando il ragazzo ci fa entrare nella stanza a noi riservata.

So che non dice sul serio, e mi fa sorridere vederlo a disagio perché qualcun altro, che non sia lui stesso, sta pensando a renderlo felice. Ha sempre fatto tutto da solo, rifiutando categoricamente l'aiuto da parte di qualcuno, ed ora si ritrova ad accettare l'affetto che proviene dalle persone che lo circondano senza esserci più abituato.

«Direi che Jordan sta pagando già una cifra considerevole per tutto questo.» Poi il ragazzo che ci ha accompagnato ci lascia soli, ed io mi avvicino a lui fino a circondargli i fianchi con le braccia «Adesso smettila di pensare a qualunque cosa ti stia passando per la testa. Siamo qui per rilassarci. Nessuno ci disturberà. Non ci sono telefoni, clienti o contratti da firmare. Sei fin troppo teso ultimamente, e per qualche ora vorrei che dimenticassi qualsiasi cosa ci sia là fuori.» Le sue mani arrivano sul mio viso, i suoi pollici sfregano delicatamente sugli zigomi, poi i tratti del suo viso si distendono e compare un piccolo sorriso.

«D'accordo Stewart, faremo a modo tuo...» dice con un tono più pacato, poi diventa irriverente e decisamente più rilassato. «... ma non c'era bisogno di tutto questo. Se volevi un altro round non avevi che da chiedere.»

« Stevens ho detto che devi rilassarti, non...»

«Ma io mi rilassarei. Basterebbe che fossi tu a stare sopra.» Alzo gli occhi al cielo per la sua battuta.

«Ascolta, adesso devi spogliarti e indossare l'accappatoio che c'è sopra il letto.»

«Sembra interessante, e poi?»

«E poi avremo a disposizione due massaggiatori per un'ora, dopodiché faremo idromassaggio ed una sauna.» Gli rivelo il programma di questa mattinata.

«Massaggiatori? Uomini?» mi chiede con una smorfia di fastidio che mi fa ridere.

«No. Ho chiesto che fossero un uomo e una donna.» Ho pensato che fosse la cosa migliore. «Avremo a disposizione questa stanza per tutta la mattina, per questo ci sono due letti. Faremo qui i massaggi, nella stanza di là c'è la vasca per l'idromassaggio e una per la sauna...»

«Un uomo e una donna...» ripete, ignorando tutto quello che ho detto dopo, con l'espressione concentrata.

«Sì, ho pensato che sarebbe stato meglio no?» Mi stringe un po' di più ed io mi perdo nei suoi occhi. Succede sempre quando siamo così vicini.

«Quindi ti spoglierai anche tu?»

«L'idea era quella, pensavo che avremmo potuto farlo insieme...» Non riesco però a terminare la frase perché continua ad interrompermi.

«In questa stanza?»

«Sí, io e te in questa stanza, ognuno sotto le mani del proprio massaggiatore e...» mi interrompe. Ancora.

«Le uniche mani sotto a cui devi stare sono queste» dice infilando le dita tra i miei capelli. «E gli unici occhi che possono vederti senza niente addosso, sono i miei.» È gelosia quella che sento nelle sue parole?

Sembrerebbe proprio di sì. È la prima volta che manifesta questo sentimento nei miei confronti e non nascondo che la cosa mi faccia piacere.

«Potrei dire la stessa cosa, ma...» Sembra che sia solo lui a poter parlare.

«Ma l'ho detta prima io.»

Mi chiedo quanto si possa amare una persona, quanto amore possa contenere un cuore.

Il mio sembra non avere un fondo. 

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Capitolo 71
*** Accanto è un posto per pochi ***


«Ha usato benissimo anche gli occhi e non solo le mani!» La voce di Harry si alza di qualche decibel mentre saliamo la scala mobile della metropolitana.

Non ha smesso di lamentarsi dell'uomo che è stato il suo massaggiatore per un'ora. Ha continuato a dire che mi guardasse un po' troppo - cosa non del tutto falsa -, ma non sembrava rendersi conto di quanto sbavasse la donna che avrebbe dovuto dedicarsi a me e che invece ho dovuto richiamare più di una volta perché distratta da qualcosa - per meglio dire da qualcuno, più precisamente da Harry e da ogni cosa che lo riguardasse, che fosse una battuta o un minimo movimento.

Dopo il massaggio abbiamo fatto l'idromassaggio - durante il quale è stato difficilissimo tenerlo a bada. Sembrava che volesse recuperare, in poche ore, tutto il tempo perso nelle settimane scorse. Non mi dispiace il suo costante apprezzamento nei miei confronti, ma l'obiettivo è fargli distendere i nervi, non continuare mantenerli in tensione. Sto facendo il possibile per resistergli, ma non so per quanto durerò senza cedere.

«Quindi Harry Stevens è geloso» dico con tono soddisfatto.

«Ho gli occhi per vedere e sto facendo solo una constatazione.» Non ammette di essere geloso, ma non importa: il suo sguardo vale più di mille parole, quindi non insisterò su questo tasto.

Arriva la metro e saliamo, diretti verso la nostra prossima destinazione.

«Comunque la sauna non è stata così male» dice ancora, dopo aver preso posto in fondo al vagone, sorridendo divertito.

«Per te di sicuro» dico guardandolo di sbieco.

Per tutto il tempo che abbiamo passato lì dentro, il suo divertimento è stato togliermi l'asciugamano bianco che avevo stretto appena sotto le braccia. È stato una costante provocazione tra baci, carezze e parole sussurrate. Sono stata ad un passo dal cedere alle sue lusinghe e fare l'amore con lui dentro la sauna, dimenticandomi di dove fossimo. Alla fine non è successo, ma forse è solo grazie al fatto che l'addetta alla sauna è venuta a chiamarci, comunicandoci che il nostro tempo era scaduto.

«Non del tutto a dire la verità.» Mi si avvicina, le sue labbra sfiorano il mio orecchio, poi bisbiglia con un tono fin troppo sexy, tanto da farmi venire i brividi in ogni parte del corpo. «Ma potresti farti perdonare se mi dicessi dove stiamo andando adesso.»

Anche questo è stato un argomento al centro dei nostri discorsi da quando abbiamo lasciato la Spa. Gli ho detto che, la volta scorsa, io mi ero affidata completamente a lui, ora è il mio turno e lui dovrebbe fare altrettanto con me senza lamentarsi.

«La risposta è ancora no Harry.» Non mi farò corrompere dalle sue attenzioni. Devo mantenere il controllo.

«Quanto sei noiosa! Puoi dirmi almeno con chi stavi parlando prima al telefono?» A fine trattamento, Harry ha finito di rivestirsi dopo di me, così ne ho approfittato per parlare con Larry, chiedendogli se fosse tutto pronto. Mi ha confermato che aveva già terminato e aspettava solo che fossimo nei paraggi per lasciarci libero il luogo della prossima tappa.

«La risposta è sempre e soltanto no.» Sbuffa infastidito mentre fa i capricci come un bambino, ma non otterrà altro da me.

«E se Jordan avesse bisogno di me?» dice ancora lasciandosi andare contro lo schienale del sedile.

«Non avrà bisogno di te, e se ci fosse una catastrofe imminente ha detto che ti chiamerebbe sul mio cellulare.» È stato proprio suo fratello a dirmi di tenere spento il suo telefono e che, se avesse avuto bisogno di lui, avrebbe saputo come rintracciarlo.

«Tu e mio fratello coalizzati siete il massimo della noia.» Sbuffa, ma non ho intenzione di dargliela vinta.

In questa giornata voglio che pensi solo a sé stesso. Il lavoro, o qualsiasi altra cosa lo stia tenendo lontano da me, dovrà aspettare domani. Abbiamo lavorato tanto su noi stessi per arrivare a come siamo oggi ed io lotterò per noi, per lui. Non ha importanza cosa o chi lo stia facendo tardare la sera, il mio cuore sa che Harry non lo distruggerebbe. A dispetto dei brutti pensieri che qualche volta mi passano per la testa, il mio cuore si fida di lui e da ieri sera, quando sono andata a rapirlo nel suo ufficio, ogni suo atteggiamento è stata una conferma - a parte quella telefonata intercorsa con quel cliente, che non credo fosse un vero cliente.

Si è lasciato portare via tra baci e sorrisi, quando gli ho preso il cellulare, e l'ho spento dicendogli che non l'avrebbe avuto prima di ventiquattro ore, ha protestato in maniera piuttosto debole, ma la cosa più importante di tutte è che l'ho sentito vicino come non succedeva da quasi un mese a questa parte. Anche adesso è così mentre mi sorride, o quando fa una delle sue stupide battute, o ancora mentre mi prende per mano dopo essere scesi dalla metro, e ancora quando si stringe a me quando risaliamo in superficie con la scala mobile.

Mi è mancato così tanto che il pensiero che da domani tutto tornerà come ieri mi mette una punta di tristezza.

«Non farlo Stewart.» Mi fermo, restando accanto a lui, non appena pronuncia quelle parole.

« Che cosa?» Le sue mani si posano ai lati del mio viso e tutto intorno a noi sparisce.

«Tutto questo rumore. Gli ingranaggi hanno ripreso a lavorare a pieno ritmo.» Sorride, permettendo alle fossette sulle sue guance di comparire. «Lo so di essere stato pessimo in questo periodo, ma questa situazione non durerà per sempre.»

«Dylan ti ha già detto quando tornerà al lavoro?» So che non è quello il motivo delle sue assenze, perché non è in ufficio che passa le sue serate, e non so nemmeno perché gliel'ho chiesto.

«Non ancora. Ha detto che tornerà presto, ma non mi ha ancora comunicato una data precisa.» Sentire le sue mani, le sue dita, sul mio viso è sempre straordinario. È un piccolo gesto, ma il contatto che riesce a stabilire semplicemente guardandomi negli occhi è assolutamente straordinario. «Ascoltami, adesso dimenticati di Dylan, del lavoro e di qualsiasi altra cosa ci sia dentro questa bella testolina. Siamo io e te, e tu stai andando alla grande.»

Le sue parole mi rassicurano, i suoi occhi lo fanno anche di più. Harry non è uno stronzo doppiogiochista, non con quello sguardo, non con quel suo modo di stringermi a sé e neppure con il bacio che arriva subito dopo, un bacio che spazza via ogni insicurezza, un bacio dolce e profondo al tempo stesso, un bacio nel quale riesco a sentire quello che lui prova per me e nel quale tento di fargli capire quello che io provo per lui.

«Adesso, però, sono curioso di sapere dove stiamo andando» dice a pochi centimetri dalle mie labbra quando si allontana quel poco che gli basta per guardarmi negli occhi.

«E allora andiamo.»

Riacquisto un po' più di sicurezza dopo quello che mi ha detto e dopo il suo bacio. Ci incamminiamo verso la nostra destinazione senza che lui abbia smesso di parlare nemmeno per un attimo: che fosse una lamentela o una battuta per niente divertente, ho avuto modo di poter ascoltare la sua voce per tutto il tragitto.

Poco prima di attraversare il parco mi fermo, prendo il cellulare dalla mia borsa e mi allontano leggermente da lui per digitare il messaggio per Larry, dicendogli che siamo arrivati.

«A chi scrivi?» Harry fa un passo verso di me allungando il collo per sbirciare sul display.

«Non te lo dirò.» La risposta di Larry è immediata, così blocco lo schermo è rimetto a posto il telefono. «Possiamo andare.» Riprendo a camminare e lui mi segue a passo svelto.

«Siamo già stati qui.» La sua non è una domanda. Adoro questo posto, mi ricorda il pomeriggio in cui ho trasgredito ad ogni mia regola, il posto in cui i miei sentimenti per lui hanno cominciato ad essere molto più prepotenti nel voler uscire allo scoperto.

«Sì.» Siamo stati incredibilmente bene quel giorno, mi sono innamorata di questo luogo, di lui, e non vedevo l'ora di tornarci insieme.

Camminiamo in silenzio lungo il sentiero fino ad arrivare alla strada che divide il parco dalla spiaggia. Vedo il muretto sul quale ci siamo seduti quel giorno, quando Harry ha appoggiato la testa sulle mie gambe e si è lasciato passare le dita tra i capelli. Vedo anche quello che ha preparato Larry e sorrido, poi mi volto a guardarlo prima di attraversare, ma sul suo viso non c'è l'espressione che mi aspettavo di vedere.

Credevo gli avrebbe fatto piacere essere qui, invece ho come l'impressione che vorrebbe essere da tutt'altra parte. «Qualcosa non va?» gli domando cauta.

Harry sembra perso nei suoi pensieri, quasi come se si fosse assentato, ed io vorrei poter essere nella sua testa per sapere cosa gli è appena successo, perché qualcosa che non riesco a capire è innegabilmente successa nella sua mente. Il suo sorriso è scomparso, e sono sicura che stia elaborando un pensiero dopo l'altro.

Devo fare in modo di riportarlo da me, quindi mi posiziono di fronte a lui, porto le mani sul suo viso e ottengo subito ciò che speravo. Harry mi guarda mentre tenta di sorridere come a volermi rassicurare.

«Che succede Harry?» gli domando ancora.

«È che... Non ho solo dei bei ricordi legati a questo posto...» Porta le sue mani sui miei fianchi, alza per un attimo lo sguardo, poi torna a guardarmi. «Quando sei scappata a Montreal io sono venuto qui per leggere la lettera che avevi lasciato per me a tua sorella...» Le sue parole sono come una stilettata al petto. Sento il dolore nella sua voce arrivare fino a me. «... e ti ho detestato così tanto in quel momento che l'ho urlato a squarciagola...» Ad ogni parola che pronuncia mi rendo sempre più conto di quanto io sia stata egoista, e mi sono ripromessa che non succederà mai più. «... ma è durato un attimo, e adesso, col senno di poi, ripenso alla serie di eventi che ci hanno guidato in quelle ore. Se io non avessi dimenticato il cellulare in ufficio quel giorno, tu non saresti partita, io non mi sarei arrabbiato con te, non sarei venuto a cercarti carico di rabbia e forse starei ancora aspettando di sapere quanto mi ami.» Il suo tono di voce è completamente diverso da quando ha iniziato a parlare poco fa, e i suoi occhi non sono più bui come quando si è accorto di dove fossimo.

«Mi dispiace di averti fatto soffrire» gli dico portando le mani sulla sua nuca.

«Ormai è passato... Per fortuna che hai un ragazzo pressoché perfetto» afferma infine con tono divertito.

Le sue parole mi provocano un sorriso e conseguente rotazione degli occhi, ma non importa, il nostro umore è tornato sereno.

«Dai andiamo ragazzo perfetto» dico sciogliendo l'abbraccio ed incamminandomi verso la spiaggia.

Harry ridacchia mentre mi segue senza lasciare andare la mia mano, poi le sue parole mi fanno bloccare proprio poco prima di calpestare la sabbia. «Ma secondo te chi può essere quel coglione che piazza una tenda su questa spiaggia in pieno inverno?» Poi ride per ciò che ha appena detto mentre io resto a guardarlo, e quando si rende conto che io non sto affatto ridendo, la sua espressione torna lentamente seria.

«La cogliona sarei io» dico notando come il divertimento nei suoi occhi sia sempre più evidente.

«Stavo giusto per dire quanto sia geniale piantare una cazzo di tenda il primo di febbraio nel caldo inverno di Boston.» Poi ride ancora, ed io non riesco a restare seria. Dovrei forse sentirmi infastidita da quello che ha detto: la verità è che la sua risata mi scalda così tanto il cuore che potrebbe ridere di me all'infinito se questo lo rendesse felice.

«Ti ho mai detto quanto sei cretino?» Lui finge di pensarci mentre io non aspetto la sua risposta e mi dirigo verso la tenda.

«Solo qualche centinaio di volte!» dice ad alta voce mentre mi raggiunge, poi mi ferma tenendomi per un braccio giusto prima che io apra la cerniera per poter entrare. «Nessuno si è mai dato tanto da fare per me.» La sua voce è molto più bassa e non c'è più traccia di divertimento in lui. «È il compleanno più bello che abbia mai passato.» Mi guarda per un attimo ed io non riesco a dire nulla, perché il suo sguardo e le sue parole sono troppo per me, infine mi bacia, solo le sue labbra che premono con forza sulle mie mentre le sue braccia mi stringono a sé.

Mi lascia andare, mi guarda ancora, ci scambiamo un sorriso e, senza aggiungere altro, faccio scorrere la zip per riuscire ad entrare all'interno della tenda di medie dimensioni che ha montato Larry. Quando gli ho parlato di questa idea, lui mi ha detto che aveva una tenda che sarebbe stata perfetta e si è anche offerto di aiutarmi a realizzare questo piccolo progetto. El, la sua ragazza, ha pensato al resto: i sacchi a pelo, le coperte, i pop-corn, i panini e anche il computer con il film da vedere. Loro due sono stati di grande aiuto per me.

«Puoi dirmi cosa faremo qui?» mi chiede mentre io mi siedo sul sacco a pelo.

«Cinema in spiaggia» affermo sicura. Lui mi guarda con le sopracciglia aggrottate, così prendo il computer e glielo mostro.

«Ma non dovevamo pranzare?» mi domanda sedendosi accanto a me.

«Infatti.» Mi volto alla mia sinistra dove trovo il sacchetto con il nostro cibo e lo metto davanti a lui.

«Cazzo Stewart sei davvero organizzatissima, se avessi anche un preservativo sarebbe il massimo.» Ride a causa della mia espressione.

«Non ti sei soddisfatto abbastanza da ieri sera?» gli domando togliendomi le scarpe per infilare le gambe dentro al sacco a pelo.

«Tutt'altro, sono così soddisfatto da volere il bis...» mi si avvicina e mi lascia un bacio sulla guancia «... del bis...» un altro bacio, stavolta vicino all'orecchio e il mio autocontrollo viene nuovamente messo alla prova. «... del bis...» I suoi denti stringono appena il lobo ed io mi sento completamente paralizzata. «... del bis...» Si allontana e mi guarda compiaciuto di sé stesso. «Per ora mi accontento della tua espressione.»

Certo, perché è ovvio, ai suoi occhi, quanto io voglia la stessa cosa!

«Forza, vediamo cos'hai in programma» dice ancora sorridendo mentre sbircia all'interno del sacchetto del pranzo, nel quale ci sono semplici tramezzini, ma resto sorpresa quando vedo che Harry tira fuori una bottiglia di vino. Mi accorgo che attaccato c'è un biglietto, che lui legge con un gran sorriso.

«Ancora non mi spiego perché stia con te dopo avermi conosciuto, ma non importa, hai smesso di frignare, quindi vedi di non fare qualche stronzata e non fartela scappare.  
Come dice Jack Sparrow "Accanto è un posto per pochi".  
Buon compleanno.  
Zach » La sua espressione divertita porta anche me a sorridere.

«Non sapevo che fosse lì dentro.» Deve averla messa nel sacchetto quando l'ha consegnato a Larry.

« Zach e le sue citazioni di Jack Sparrow...» Lascia cadere la frase senza concluderla, ma è palese quanto affetto ci sia in quelle parole per il suo amico.

«Ti vuole bene, come tutte le persone che hai intorno.» Sorride, poi scuote leggermente la testa, ed infine ritorna a curiosare dentro al sacchetto, dal quale estrae un cavatappi e i tramezzini che io stessa ho preparato, ma poi c'è anche un'altra cosa che non avevo visto finora.

Allungo una mano per prendere la piccola confezione di carta rosa, la apro e dentro trovo uno splendido cupcake - neanche a dirlo - al cioccolato, il gusto preferito di Harry - che vivrebbe solo di cioccolata. Accanto al dolce c'è un altro biglietto.

«Non credo di averti mai vista così felice, e nonostante la tua felicità sia Harry Stevens, capo rompi scatole, irritante, indisponente ed esasperante, spero tu possa essere così felice per sempre. Reb» Alzo lo sguardo su di lui dopo aver letto le parole di mia sorella e ridacchio per l'espressione infastidita di Harry.

«Quei due si sono proprio trovati.» Apre un tramezzino e se lo infila per metà in bocca. «Oo ue oi» Rido di gusto nel sentirlo parlare con la bocca piena. Non so cos'abbia detto, ma è ovvio che si stesse lamentando.

«Adesso mangia che abbiamo un film da vedere.» Mi osserva con l'aria confusa, così gli spiego le mie intenzioni. «Picnic e cinema sulla spiaggia, ci sono anche i popcorn» gli dico mostrandogli l'altro sacchetto.

«Basta che non sia uno di quei pallosi film d'amore, perché non ci tengo affatto ad asciugarti le lacrime.» Sgrano gli occhi alle sue parole, come se mi avesse colta sul fatto.

«Io... Io avevo pensato che "Le pagine della nostra vita" ti sarebbe piaciuto...» Harry finisce di masticare poi ingoia velocemente il boccone.

«Stavo giusto per dire che mi piacerebbe vedere un fottutissimo film strappalacrime, uno di quelli che quando finisci di guardarli capisci che la tua vita fa schifo e...»

«Stavo scherzando!» Interrompo il suo monologo senza trattenere un sorriso.

«Grazie al cielo!» dice portandosi teatralmente una mano sul cuore. «E allora cosa vediamo?» chiede continuando ad ingurgitare il suo panino con poca eleganza.

«Kung fu Panda.» Smette di mangiare e mi dedica tutta la sua attenzione. Credo sappia già dove io stia andando a parare. «La sera di Halloween è stata la prima volta in cui sono riuscita a piangere dopo mesi. Ti sei aperto un varco per arrivare a me, e per quanto io ti abbia ostacolato, sei riuscito ad arrivare al mio cuore.» Sembra essersi incantato ad ascoltarmi. «Vorrei che lo rivedessimo insieme perché, da quella sera, questo film non porta più con sè ricordi negativi. Tu te li sei portati via e adesso posso vedere "Kung fu Panda" sorridendo per te, e non piangendo per lui.»

Non gli ho mai detto quanto lui sia stato fondamentale per me quella sera in cui non facevo altro che continuare a lasciarmi andare sempre più in basso. Harry è arrivato al momento giusto, ha allungato una mano e mi ha afferrata contro la mia volontà, senza più lasciarmi andare.

«D'accordo, insieme.»

Da quel momento siamo tornati ad essere Harry e Chloe. Harry indisponente, con le mani che potrebbero essere benissimo paragonate a quelle di un polipo. Chloe che risponde a tono, che non disdegna le attenzioni di Harry, ma cerca comunque di portare a termine quello che si è prefissata.

I popcorn sono finiti per metà nel sacco a pelo, che alla fine abbiamo condiviso; del film abbiamo visto solo qualche immagine ogni tanto: la maggior parte del tempo l'abbiamo passata a guardarci e a baciarci, a parlare e ancora a baciarci, e il mio autocontrollo è andato a farsi un giro in un posto molto lontano, lontanissimo, perché ora mi ritrovo senza vestiti, tra le braccia di Harry che sembra proprio non volermi lasciare andare, nonostante sullo schermo del computer stiano correndo i titoli di coda.

Stare tra le sue braccia è sempre meraviglioso, mi sembra di essere nata apposta per questo. Mi sento appagata, protetta e amata. Le sue carezze curano le mie ferite, i suoi baci mi trasmettono quello che prova per me: lo sento in ogni battito del suo cuore, in ogni respiro, in ogni sguardo, persino nel suo modo di prendermi in giro.  
Quello che proviamo io e Harry, l'uno per l'altra, è qualcosa di assolutamente unico, al di fuori di ogni mio schema mentale, al di là di ogni logica e ragione, al di sopra di tutto e di tutti.

«Passeremo qui il resto del pomeriggio?» La sua proposta mi attira parecchio, ma ho un'altra cosa da fare per lui prima di stasera.

«No, dobbiamo fare un'altra cosa adesso.» Mi volto verso di lui, restando tra le sue braccia. In questo momento i lineamenti del suo volto sono completamente rilassati. «Sei stanco?» gli chiedo provocandolo un po'.

«Stewart, quattro botte di vita come in queste ultime ore, di ottimo e sano sesso mi hanno leggermente provato, ma non dirò mai no se tu non ne avessi avuto ancora abbastanza.» Sorrido mentre ruoto gli occhi.

«Sì, lo so che sei un super macho, e non c'è bisogno che tu me lo provi; ora, però, dobbiamo andare.» Mi metto seduta tirandomi al petto il sacco a pelo.

«Dobbiamo rimettere a posto questo casino?» La sua espressione furba mi fa capire a quale "casino" si stia riferendo.

«Solo quello che c'è qua dentro, tra poco passerà Larry a portare via il tutto.» I suoi amici mi hanno dato un grande aiuto per organizzare la giornata di oggi, non so come avrei fatto senza di loro.

«Perché a te danno sempre retta e a me no?» Mi avvicino per lasciargli un bacio sulle labbra.

«Perché è evidente quanto sia più simpatica di te.» Non è così, ovviamente, perché i suoi amici lo adorano, altrimenti nessuno si sarebbe dato da fare per far in modo che questa giornata fosse perfetta, ma ha voglia di scherzare, di fare le sue solite battute ed io non ho intenzione di tirarmi indietro.

«Certo, come no...» Un altro piccolo bacio, poi mi allontano leggermente e allungo una mano per recuperare i miei jeans.

Non è stato facile indossare di nuovo i miei vestiti, un po' per lo spazio ridotto e un po' per il fatto che lui mi abbia reso le cose più complicate, a volte con il solletico e a volte nascondendomi l'indumento, ma quando l'ho sentito ridere mi sono detta che gli avrei permesso di continuare a farmi quei piccoli dispetti, perché è davvero troppo tempo che non lo vedo così sereno.

*****

Siamo seduti l'uno accanto all'altra, il suo braccio sulle mie spalle, la mia testa nell'incavo del suo collo mentre gioco con i suoi anelli durante il tragitto fino alla prossima tappa.

La metro rallenta per fermarsi e mi accorgo che dobbiamo scendere. Mi alzo prendendolo per mano e mi avvicino alle porte, felice del fatto che abbiamo aspettato Larry così da lasciare tutto a lui e non portarci niente dietro. Ho adorato assistere al loro scambio di battute e abbracci, si vogliono un gran bene e, nell'assistere a quella scena, è tornata a farsi sentire con prepotenza la mancanza di Hazel e Kurt: devo assolutamente chiamarli domani.

«Adesso cosa ci aspetta? Collaudo di materassi?» Il tono di voce di Harry è palesemente sarcastico, ed io non posso che ruotare gli occhi a causa delle sue parole.

«Primo: non so se ce la faresti ancora...»

«Stewart...» mi Interrompe prima che possa terminare la frase. «... stai sempre a pensare al sesso. E comunque ce la farei benissimo.» Continua a prendermi in giro mentre scendiamo dal vagone avviandoci verso l'uscita.

«Secondo...» Non ho intenzione di dargli soddisfazione, quindi ignoro ciò che ha appena detto e proseguo con quello che stavo per dire, mentre sulle sue labbra compare un enorme sorriso divertito con tanto di fossette. «... la mia intenzione era quella di farti rilassare, avresti dovuto dirmi sempre di sì, ma a quanto pare sembra che sia io a non riuscire a dirti di no...» confesso con grande sincerità.

Non posso negargli niente, dopotutto l'unica cosa che voglio è renderlo felice, e non sono in grado di resistergli: il mio corpo, la mia mente vogliono ogni cosa di lui, tutto scompare quando siamo insieme ed io ho finalmente capito che Harry è la mia perfetta metà e non ho intenzione di perderlo; la signorina di ghiaccio farà bene a stare al suo posto, perché quello accanto a Harry è già occupato. Da me.

«Ma io sono rilassato, completamente rilassato, e questo anche grazie al fatto che non sai dirmi di no.» Camminiamo insieme alle altre persone fino a raggiungere la scala mobile, poi mi trattiene ed io mi fermo, mettendomi di fronte a lui. Le sue mani si posano ai lati del mio viso, le sue dita si infilano di poco tra i miei capelli e i suoi occhi compiono il resto della magia, quella che usa per far scomparire il mondo facendomi sentire l'unica. «Ti ho mai detto quanto amo il fatto che tu non sappia dirmi di no?» La sua voce è bassa, talmente bassa che non dovrei sentirla in mezzo a tutta questa gente, ma poi mi ricordo che lui ha fatto sparire tutto e tutti, adesso ci siamo solo noi due.

«No» riesco a dire con il suo stesso tono.

«Potrebbe essere vista come una debolezza, ma so che non lo è, perché io provo le stesse cose. Nemmeno io so dirti di no, perché voglio te in ogni modo possibile...» Lo guardo cercando di imprimere nella mia mente lo sguardo di completa adorazione che ha per me in questo momento. «Voglio il tuo corpo, voglio i tuoi pensieri, voglio i tuoi amici, i tuoi genitori... Voglio ogni cosa che ti riguardi, compresi i problemi, i momenti bui, persino la tua acidità...» dice, provocando un sorriso ad entrambi. «Adoro questa giornata, a parte quando mi hai costretto a comprare i biglietti della metro e ad usarli...» Rido con lui sentendo quanto siamo vicini in questo momento. «Non c'è niente che non farei per te, devi solo chiedere...» Non so se la sua sia una vera richiesta. Il mio istinto mi dice che questa è una meravigliosa dichiarazione d'amore, qualcosa che non direbbe mai con leggerezza.

Harry mi ama, io amo lui e non c'è niente che possa interferire tra noi.

Giusto?

«Adesso sei tu ad avere la minima idea di quello che mi stai facendo?» Un sorriso si apre lentamente sulle sue labbra, un sorriso pienamente soddisfatto, il sorriso che mi fa innamorare di lui una volta di più.

«Più o meno quello che tu hai fatto a me.» Sento amore in ogni sua parola, un amore intenso, tanto da far vibrare la sua voce che risulta parecchio emozionata.

«Credo di sì...» Il suo meraviglioso sorriso è ancora lì. «... Abbiamo ancora qualcosa da fare prima di stasera...» Cerco di non sbilanciarmi, ma è difficilissimo quando mi guarda come se la sua vita dipendesse esclusivamente da me.

«Cosa dobbiamo fare? E cosa succede stasera?» La sua curiosità si accende all'istante.

«Pensi ancora che te lo dirò?»

 Autocontrollo Chloe, autocontrollo!

«Hai appena detto che non sai dirmi di no...» Un altro sussurro, un altro bacio, un'altra volta il mondo reale scompare.

Siamo solo io e lui, Harry e Chloe, in piedi, vicino alla scala mobile della metropolitana, eppure io mi sento di far parte di un altro mondo, un mondo in cui niente e nessuno potrà mai mettersi tra noi. 

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Capitolo 72
*** Devi solo continuare a credere in me ***


Quando un oggetto fragile cade e si rompe, non c'è modo di rimetterlo insieme. Puoi raccogliere i pezzi e tentare di incollarli, ma la maggior parte delle volte mancherà sempre qualche minuscolo frammento che non tornerà mai più al suo posto.

Io sono stata molto più fortunata.

Il mio cuore era incredibilmente fragile e si era sgretolato. Ero convinta che non avrebbe potuto aggiustarsi mai più, che le ferite erano così profonde e devastanti da non poter essere più rimarginate. Riuscivo a provare solo dolore e sofferenza, e credevo fosse giusto, che il mio organo vitale non sarebbe più stato in grado di provare altro.

Poi è arrivato Harry, che è riuscito a rimettere insieme ogni pezzo, anche le schegge più piccole. Uno dopo l'altro li ha rimessi insieme, e quel cuore in frantumi ha ricominciato a battere allo stesso ritmo del suo. Ha curato ogni ferita, ha guarito ogni cicatrice, ha riordinato i pensieri nella mia testa ed è riuscito ad interrompere quel meccanismo con cui tenevo tutti a distanza e per cui tutto ciò che c'era di positivo nella mia vita, mi sembrava sbagliato.

Adesso, invece, ogni cosa mi sembra giusta.

È giusta la mia mano nella sua mentre lo trascino per le strade di Boston, è giusto il mio sorriso che pare essersi stampato sulle mie labbra, ed è giusta la sua presenza al mio fianco. 
Sento quanto sia giusto quando mi bacia, quando mi lascio andare tra le sue braccia o quando facciamo l'amore, ed è giusto il suo modo di attirarmi a sé, proprio come sta facendo ora.

Mi chiude nel suo abbraccio, mi guarda intensamente negli occhi, poi accenna un piccolo sorriso mentre io resto incantata ad osservare ogni sua espressione, la luce che ha negli occhi, così verdi e luminosi, ed una volta di più riesce a far sparire il mondo.

«Che c'è?» riesco a chiedergli in un attimo di lucidità.

La sua presa sulla mia schiena si rafforza un po' di più facendomi sentire indispensabile per lui.

«Niente, volevo solo guardarti negli occhi.» Lo dice con un tale trasporto da farmi credere che tutto sia possibile...

«E cosa vedi?» gli chiedo abbassando la voce mentre mi stringo un po' di più a lui.

«Vorrai dire cosa non vedo... Non vedo più la paura, né l'insicurezza, né il dolore e neanche i sensi di colpa. Vedo te. Vedo quanto sei cresciuta, quanto il male che ti è successo ti abbia portato, alla fine, ad apprezzare di più la vita, persino la sua mancanza...» Stringo il labbro inferiore tra i denti mentre ascolto ogni parola che pronuncia, pensando a come riesca sempre a capirmi, a vedere dentro di me più di quanto io riesca a dirgli. «... quella che sembrava dovesse distruggerti, e invece sei qui a sostenere entrambi...»

Dovrei dire qualcosa? Non ne sono sicura, l'unica cosa che so è che riesco a sentire il tocco delle sue mani anche attraverso il cappotto, riesco a sentire tutto quello che prova solo guardandolo negli occhi. Harry non mi farebbe mai del male, non volontariamente. So che posso fidarmi di lui e lasciargli il tempo di cui ha bisogno.

«Se sono diventata quello che sono, è perché ho te al mio fianco. Non sarei riuscita ad affrontare nemmeno un decimo di tutti i miei demoni se tu non fossi stato presente nella mia vita.» Provo a guardarlo nello stesso modo in cui lui sta guardando me, ma non so se sono in grado di riuscire a farlo.

«Non mi sembrava che avessi messo dello zucchero nel caffè stamattina...» mi dice quando spunta un sorriso furbo sulle sue labbra.

Sono certa che il suo sia un tentativo - ben riuscito tra l'altro - di deviare il discorso su qualcosa di più leggero, ma non mi dispiace che l'abbia fatto, altrimenti ogni mio tentativo di farlo rilassare, andrebbe vanificato.

«Non è lo zucchero Stevens... sei tu! Adesso finiscila, prima che ti chieda di venire a vivere con me...» Le parole sono uscite fuori dalla mia bocca ad una velocità tale che non sono riuscita a controllarle.

In realtà non mi sono nemmeno resa conto di stare per dire ad alta voce una cosa del genere, e non sono l'unica a restarne sorpresa: l'espressione di Harry è una via di mezzo tra la paura e il terrore puro. Resta immobile davanti a me, come se con una sorta di incantesimo avessi avuto il potere di farlo immobilizzare, solo i suoi occhi si muovono frenetici alla ricerca dei miei come a cercare un conforto, o più probabilmente una smentita, ma nemmeno io riesco più a tirare fuori quell'argomento, che non era assolutamente in programma nè oggi, nè domani e forse non ci avevo mai pensato davvero.

«Adesso dobbiamo andare, abbiamo un'altra cosa da fare.» In qualche modo riesco a riprendermi.

La sua presa rigida torna ad essere avvolgente, i palmi delle sue mani si aprono sulla mia schiena, mi stringe ancora e poi riesce ancora a farmi mancare il fiato. «Cazzo Stewart, io ti amo da perderci la testa.»

La mia risposta resta bloccata tra le mie labbra e le sue, racchiusa in un bacio che sa di meraviglia nonostante non sia il primo, un bacio che sa di magia, quella che riesce a creare catapultandoci in un mondo solo nostro, un bacio che sa di lui, di Harry, il gusto migliore che abbia mai assaporato.

«Adesso portami dove devi portarmi prima che cambi idea e ti trascini a casa.» Le sue parole, sussurrate a pochissima distanza dal mio viso, il suo fiato direttamente sulla mia pelle e il suo corpo contro il mio, mi dicono che dovrei optare per la seconda ipotesi che ha appena proposto Harry, tuttavia riesce a prevalere quella parte di me che vuole portare a termine questa giornata a tutti i costi, perciò mi costringo ad allontanarmi da lui, senza dirgli quanto mi abbia acceso il suo bacio.

«Andiamo...» Scivolo lentamente fuori dalla sua presa, ma senza perdere il contatto con lui perché ho bisogno di una minima distanza in questo momento.

Gli tengo stretta la mano e cammino verso la nostra meta - che non è più molto lontana - mentre ci scambiamo qualche sguardo di tanto in tanto. Non c'è più traccia di paura nei suoi occhi, ma solo la voglia di stare insieme e divertirsi.

«Tu oggi vuoi distruggermi in tutti i sensi.» E lo dimostrano anche le sue battute.

«Pensavo di averlo già fatto, sai... dopo la tua battuta di prima... quella di aver avuto, cito testuali parole, "quattro botte di vita di ottimo e sano sesso"» Io rido, lui no.

«Ti ho anche detto che non mi tiro indietro se volessi fare il bis, del bis, del bis...» Mette il broncio come un bambino permaloso ed io vorrei solo riempirlo di baci, ma siamo arrivati a destinazione.

«Beh... Allora non ti dispiacerà affatto quello che ho pensato per te» gli dico fermandomi di fronte al locale in cui un'altra coppia ci sta precedendo all'ingresso.

«Vuoi fare una cosa di gruppo?» Mi chiede con l'aria da prendermi in giro indicando i due che sono appena entrati.

Ruoto leggermente gli occhi alle sue parole, scuotendo poi la testa. «No, Stevens », ma mi è impossibile trattenere un sorriso.

«Meno male, perché non ho intenzione di dividerti con nessuno.» Come se ce ne fosse bisogno, riesce ad arrivare, una volta di più, dritto al mio cuore, ed io mi sciolgo come un panetto di burro sul fuoco.

«Hai ragione Stevens, c'è da perderci la testa con te. Adesso però vieni con me.» Non gli do il tempo di ribattere, mi è bastato vedere la sua espressione compiaciuta per sapere che ha gradito parecchio la mia affermazione.

Lo tengo ancora per mano mentre spingo la porta per entrare e lo sento avvicinarsi al mio orecchio. «Ma non abbiamo già pranzato mezzi nudi dentro ai sacchi a pelo?» bisbiglia quando si rende conto che siamo entrati in un ristorante.

«Benvenuti, da questa parte prego.» Non faccio in tempo a rispondergli, perché l'uomo all'ingresso ci accoglie indicandoci dove dobbiamo andare. Lasciamo i cappotti in una piccola stanza adibita a guardaroba, poi proseguiamo lungo il corridoio.

Harry continua a borbottare, impaziente di capire cosa stiamo per fare, ed io non riesco a trattenere un sorriso a causa dei nostri ruoli invertiti: di solito è lui che si occupa di fare e disfare, ora che sono io in una posizione di vantaggio, lui non fa che lamentarsi.

Le postazioni sono già tutte occupate da coppie come noi, mi volto verso Harry, dopo che mi ha raggiunta, e la sua espressione non è più né confusa, né infastidita. Nei suoi occhi, adesso, leggo agitazione.

«Hola a todos y bienvenidos...» Lo chef fa il suo ingresso, ma non posso guardarlo perché quello che leggo negli occhi di Harry è decisamente più interessante. «... qualcuno è qui per la prima volta, qualcuno è già più esperto, ma quello che conta è che vi divertiate. Il mio nome è José e stasera cucineremo il gazpacho» dice ancora l'uomo con la casacca bianca, in un inglese dal forte accento spagnolo.

Lo sguardo di Harry passa dallo chef a me, poi mi si avvicina per bisbigliare al mio orecchio. «E con questo la quinta botta di vita non te la toglie nessuno.» Si allontana guardandomi con aria compiaciuta.

«Cucinare non è il semplice atto di preparare dei cibi per mangiarli...» Lo chef attira di nuovo la nostra attenzione, interrompendo momentaneamente il nostro scambio di battute. «... La cucina e l'enogastronomia vanno sempre a braccetto con la cultura, con le persone. Cucinare bene non è quello che fanno i grandi chef. Cucinare bene vuol dire prestare attenzione a sé stessi, alle persone e all'ambiente che ci circonda. Cucinare bene è un modo per prendersi cura di chi amiamo. Cucinare bene è un atto d'amore.» La mano di Harry si posa sulla parte bassa della mia schiena ed io vorrei solo girarmi e abbracciarlo, ma non mi è possibile perché lo chef continua a parlare. «Bien. ¿Estáis listos para esto?»

«Sono proprio curiosa di vedere quanto riuscirai a concentrarti» dico alla fine, voltandomi a guardare la sua espressione divertita e la scintilla nei suoi occhi.

Stiamo per partecipare ad una lezione di cucina, tenuta da un cuoco spagnolo, nella quale prepareremo un piatto tipico della cucina iberica ed io non vedo l'ora di vederlo all'opera.

«Ora ti faccio vedere io quanto riesco a concentrarmi...» bisbiglia al mio orecchio, poi si raddrizza e alza la mano gesticolando per attirare l'attenzione di José.

«Dime!» José lo guarda curioso, come del resto tutti i presenti nella stanza.

«La mia ragazza...» dice con un enorme sorriso sulle labbra mentre mi indica. «... parla perfettamente lo spagnolo.»

«¿Qué, lo dices en serio?» chiede José rivolgendosi direttamente a me.

«Sí, y mi novio es un imbécil» rispondo osservando la sua espressione divertita.

«Credo tu mi abbia appena insultato, ma non importa...» Le fossette sono in bella vista sulle sue guance e so per certo che si sta divertendo parecchio.

«Muy bien, allá vámonos, primera pregunta. Cominciamo con la prima domanda, chi di voi è bravo a cucinare?» Alla domanda dello chef sento un'irresistibile voglia di alzare la mano, così mi allungo verso l'alto e gesticolo nella direzione di José per farmi notare.

«Il mio ragazzo è bravissimo a cucinare.» Mi volto nella sua direzione per vedere che mi sta guardando con una aria che dovrebbe essere minacciosa, ma che, in realtà, mi spinge solo a mettere ulteriormente alla prova il mio autocontrollo, perché vorrei solo baciarlo, qui, adesso, senza badare a tutte le persone che sono presenti in questa stanza.

«Il tuo nome?» gli chiede José.

«Harry» risponde lui a denti stretti per poi tornare a guardarmi.

«Ok Harry, vieni qui con me, anche se sono quasi sicuro che tu non sappia un bel niente di cucina, ma tu ami la tua ragazza, giusto?» Gli fa cenno di raggiungerlo, ma Harry mi rivolge ancora uno sguardo.

«Non sono sicuro che la parola amare sia sufficiente per descrivere quello che provo per te, ma questo non toglie che non hai la minima idea di quello che ti aspetta quando torniamo a casa.» Nessuno ha sentito quello che ha detto, tranne me, e la sua voce bassa e graffiata è arrivata a colpire ogni parte di me, tanto che fatico a restare ferma mentre lo guardo camminare verso José e posizionarsi proprio accanto a lui.

A dirla tutta è lui che non ha la minima idea di quello che lo aspetta quando torneremo a casa, o almeno lo spero. Ho cercato di rendere la sua giornata perfetta, esattamente come ha fatto lui con me.

Non avrei mai immaginato di stare così bene con qualcun altro dopo quello che è successo la sera del mio compleanno. Non avrei mai pensato che sarei tornata a sorridere, e che non avrei più potuto fare a meno di quel ragazzo strafottente che ho incontrato quella sera sulla metropolitana.

Istintivamente porto una mano sul piccolo ciondolo che ho al collo. Harry si accorge del mio gesto e sorride.

Non avrei mai creduto di potermi innamorare di nuovo, in un modo diverso e assolutamente totalizzante come il sentimento che provo per lui.. Se me l'avessero detto qualche mese fa non ci avrei mai creduto. Adesso, invece, sono qui, in questo ristorante a tagliare pomodori mentre scambio sguardi complici con Harry, che cerca di eseguire le indicazioni di José con scarsi risultati, e non vorrei davvero essere in nessun altro luogo se non con lui.

**********

«Quello non era nemmeno uno chef, te lo dico io.» L'ennesima lamentela di Harry arriva quando stiamo salendo sul vagone della metropolitana, diretti al suo appartamento.

Abbiamo preparato il gazpacho, poi l'abbiamo assaggiato: quasi tutti erano abbastanza buoni, tranne quello di Harry che, nonostante la presenza di uno chef al suo fianco, è riuscito a sbagliare la dose dell'aceto e gli è caduto il pepe, e il sale... Insomma era immangiabile e José gli ha detto di darsi da fare a imparare, se vuole davvero prendersi cura di qualcuno.

Mi è piaciuto assistere a quello scambio di battute, come mi è piaciuto guardarlo cimentarsi in qualcosa in cui è decisamente negato, ma non perdo la speranza, sono sicura che prima o poi imparerà.

«Harry?» Ci sediamo l'uno accanto all'altra, ma io ho bisogno di guardare ancora i suoi occhi.

«Che c'è?» Si volta verso di me e mi osserva con attenzione, nel frattempo posa la sua mano sul mio ginocchio e mi sorride.

«Non importa se non sai cucinare...» Più ci avviciniamo a casa e più mi sento nervosa. Spero di non essere stata esagerata e che sia contento della sorpresa che lo aspetta.

«Questo l'avevo intuito...» Allunga l'altra mano verso il mio viso, sposta i capelli dietro l'orecchio e mi sorride ancora. «Ma ho intenzione di prendermi cura di te Chloe. Devi solo continuare a credere in me e...» Lascia la frase in sospeso, indeciso se continuare o meno, ed io resto a guardarlo, in attesa che concluda, senza fargli pressione, ma il suono del mio cellulare interrompe il momento.

«Non rispondi?» mi domanda fermando le dita tra i miei capelli.

«È un messaggio, e comunque può aspettare...» Nemmeno io concludo la mia frase, lasciando intendere che può terminare di parlare se vuole, io non lo interromperò.

«Magari è importante.» Non interrompe il contatto, né quello della sua mano sul mio viso, né quello dei suoi occhi nei miei, ed è in quel momento che vedo tornare a galla tutta la sua insicurezza.

Non voglio insistere, non voglio farlo allontanare di nuovo da me, quindi, senza aggiungere altro, infilo la mano in borsa per recuperare il mio telefono.

È un messaggio di Reb in cui mi comunica che è tutto pronto. Le rispondo, poi lo ripongo in borsa e torno a guardarlo.

«È tutto ok?» mi chiede lui.

«Sì, è tutto ok.» rispondo.

«Ovviamente non mi dirai chi era giusto?» Sta tentando di riportare la conversazione ad un livello più leggero, e credo di doverlo assecondare se voglio rendere questa giornata degna di essere ricordata. Avrò tempo domani per fargli le domande che mi assillano, oggi c'è solo lui.

«Ovviamente...»

«Non sei un granché come bugiarda.» dice con un sorriso furbo sulle labbra.

«A dire la verità, nemmeno tu.» So che mi sta nascondendo qualcosa, glielo leggo negli occhi, e so anche che vorrebbe liberarsi di quel peso che si porta dentro, ma c'è qualcosa che gli impedisce di farlo. Potrebbe essere paura, o potrebbe essere che sta aspettando il momento giusto per parlarmene, e qualunque sia il motivo che lo porta a tacere, io non insisterò, per potergli lasciare il tempo di gestire a modo suo la situazione.

«Chloe ti prometto che tra pochi giorni tutto tornerà come prima...» il suo sguardo mi implora di fidarmi di lui «... devi solo continuare a credere in me.»

«Certo che credo in te.» È il mio cuore a parlare in questo momento.

«Grazie piccola Stewart.» Mi lascia un lungo bacio sulla tempia ed io credo di poter diventare una piccola pozzanghera da un momento all'altro.

«Non devi ringraziarmi.» Non gli sto facendo un favore, faccio semplicemente quello che sento.

«Sì invece, oggi è stato il compleanno più bello di sempre. I ricordi che hai costruito in questa giornata sono tra i più belli che ho.» Porta un braccio sulle mie spalle e mi tira a sé.

Appoggio la testa sulla sua spalla e mi godo questo momento in cui non c'è niente che possa interferire con noi. Non riesco a rispondere alle sue parole perché mi hanno toccato l'anima. Harry nasconde un lato molto dolce e anche molto fragile. Gli abbandoni che ha subito nella vita l'hanno reso insicuro, ma io non farò lo stesso sbaglio con lui. Qualunque cosa stia succedendo nella sua vita l'affronteremo insieme, starò al suo fianco e non mi farò spaventare dalla signorina di ghiaccio, sempre se è di lei che si tratta.

Ho perso tanto nella vita, mi è stato strappato via in un attimo. Non ho potuto fare niente per Dylan, non ho potuto combattere contro la morte, ma adesso ho la possibilità di farlo e non ho intenzione di restare a guardare. Posso e voglio lottare per quel noi che mi ha restituito la fiducia nella vita. Lotterò per Harry e lotterò anche per me.

«Siamo arrivati» gli dico quando mi rendo conto che la prossima è la nostra fermata.

Non avrei voluto allontanarmi da questo abbraccio, ma devo, se voglio portare a termine la sorpresa.

«Stiamo andando a casa?» mi chiede quando scendiamo dalla metro e ci incamminiamo verso l'uscita.

«Sì, non dovrai più comprare altri biglietti oggi.» È stata una lotta ogni volta che doveva comprare il biglietto per la metro, ma è stato soddisfacente prendermi questo piccolo momento di gloria.

«Non mi obbligherai mai più a comprarne nemmeno uno.» Saliamo con le scale mobili, mentre io non faccio che sorridere per il suo adorabile broncio da bambino offeso.

Camminiamo verso il suo appartamento con un continuo borbottio di sottofondo, costituito dalle sue lamentele, che però ignoro, dato che sono concentrata su ciò che sta per avvenire a casa sua.

Prendo il cellulare dalla borsa e sblocco il display per inviare un messaggio.

«Sto iniziando a diventare sospettoso» dice Harry dopo avermi osservata digitare qualcosa sul display senza fargli leggere nulla.

«E cos'è che sospetti?» gli chiedo quando siamo arrivati davanti all'edificio in cui abita.

«Che tu e Larry stiate tramando qualcosa.» Harry prende le chiavi dalla tasca per aprire il portoncino d'ingresso.

«Non era Larry stavolta» affermo con un tono di voce soddisfatto perché non ha indovinato.

«Era tua sorella?» mi chiede alla prima rampa di scale.

«No.»

«Allora era l'amico di Capitan Jack Sparrow.» Non rispondo alla sua affermazione, ma non voglio dargli la soddisfazione di fargli capire che ha indovinato.

«Supongo que pronto lo averiguarás.» Sento un profondo e rumoroso sospiro provenire dalle mie spalle e un enorme sorriso spunta sulle mie labbra per la sua reazione.

«Stewart vuoi che ti prenda qui, sulle scale?» Il pensiero mi ha sfiorato, ma non ho certo intenzione di incoraggiarlo. «Perché tutto quello spagnolo alla lezione di cucina non ha fatto altro che ricordarmi di te a Madrid.»

Un brivido mi corre lungo la schiena al ricordo della nostra prima volta. È stato uno dei momenti più belli di tutta la mia vita.

«Conserva estos pensamientos un poco más» gli dico quando ormai siamo sul pianerottolo del suo appartamento.

Mi afferra per le spalle, mi fa voltare verso di lui, poi non vedo più niente.  
I miei occhi si chiudono nell'istante in cui le sue labbra prendono possesso delle mie. Mi bacia con passione, mentre le mie mani si infilano tra i suoi capelli per poi stringerne alcune ciocche tra dita. Le mani di Harry, invece, sembrano non trovare una meta perché continuano a passare dal mio viso alla mia schiena e viceversa, come se volesse prendere tutto di me in un solo tocco.

All'improvviso sento scontrarsi la mia schiena con il muro alle mie spalle, proprio accanto alla porta d'ingresso, il corpo di Harry è completamente appoggiato al mio e la sua bocca sembra non trovare pace. Sento le sue labbra accarezzare il mio viso e le sue mani ovunque, mentre penso che stavo per dirgli qualcosa poco fa, ma ora non so nemmeno più come mi chiamo.

Poi credo di sentire dei rumori, forse il rumore di un mazzo di chiavi, ma sono troppo presa dai suoi baci per voler capire cosa sia quel rumore e se l'ho sentito davvero. Harry mi tiene ferma contro il muro mentre la sua mano si allontana da me, ed io cerco con insistenza la sua bocca con la mia perché quando mi bacia così io non capisco più niente.

Ma l'incanto viene interrotto bruscamente.

«Sorpresa!» Un coro di voci si alza all'improvviso.

«Ma che cazzo!?» Poi la voce di Harry mi riporta del tutto alla realtà, ricordandomi qual era la cosa che dovevo dirgli.

Si allontana leggermente da me, ma senza perdere il contatto con il mio corpo. I miei occhi si posano sul suo viso confuso mentre guarda ogni persona che si trova all'interno del suo appartamento.

«Sgancia dieci dollari amico!» É Zach a rivolgersi a Larry allungando una mano nella sua direzione, con un gran sorriso furbo.

«Avete fatto una cazzo di scommessa su di me?» dice Harry quando si allontana del tutto da me, poi mi prende per mano ed insieme entriamo in casa.

«Ci puoi giurare, ed io ho vinto» afferma in tono trionfale Zach ricevendo un piccolo schiaffo sulla nuca da parte di mia sorella. «Ahia!»

«Lasciali perdere Harry. Buon compleanno!» Mia sorella è la prima ad andargli incontro per fargli gli auguri.

«Grazie» risponde lui ricambiando l'abbraccio, ma con l'aria ancora disorientata.

Harry si volta poi nella mia direzione, probabilmente in cerca di spiegazioni, ma gli sorrido restando in disparte, perché i suoi amici sono arrivati in gruppo su di lui e, fra pacche sulle spalle, abbracci e battute, li lascio divertirsi come i bambini che diventano quando sono insieme.

Ci sono Zach e Larry che ancora discutono sulla scommessa che hanno fatto prima che arrivassimo. C'è Lawson che cerca di fare da arbitro tra Harry e i due scommettitori perché "ok che è il mio compleanno, ma questo non vi dà il diritto di prendermi per il culo", e c'è Nate che si diverte un mondo a vedere Lawson in difficoltà e non ha alcuna intenzione di dare una mano.

Poi il mio sguardo cade su un altro ragazzo. Non so come abbia fatto a non accorgermi di lui, forse ero troppo presa a guardare Harry - oggi succede più del solito -, ma lui è lì, vicino ai suoi amici, però resta quasi in disparte. Anche Harry, proprio come me, nota in ritardo la sua presenza, si volta verso di me per accertarsi che anche io l'abbia visto, e gli sorrido. Alla fine i due amici si stringono in un lungo, lunghissimo abbraccio, e vederli così uniti è un piccolo colpo al cuore, un gesto che mi fa commuovere.

«Buon compleanno Harry.»

«Quando... Come...» Harry ha serie difficoltà ad articolare un'intera frase.

Dylan è come comparso all'improvviso: Harry non si aspettava affatto di trovare qui nessuno - meno che mai il suo amico partito per Montreal ormai da più di due settimane - ed io non credevo avrebbe preso in seria considerazione la mia proposta di partecipare alla festa a sorpresa per il compleanno di Harry.

Invece, contro ogni aspettativa, Dylan è qui a Boston per festeggiare il suo amico, cosa che, né sono certa, ha commosso anche l'impertinente Harry.

«Mi ha chiamato la tua ragazza.» Dylan è di poche parole e sembra anche un po' nervoso, come se si sentisse fuori posto.

I due ragazzi si voltano a guardarmi, entrambi sorridenti ed io non so più come fare a contenere la gioia che è esplosa nel mio cuore.

Devo chiamare Kurt e ringraziarlo: se non fosse per lui non sarei qui ad asciugarmi gli occhi per l'emozione e a tirare su con il naso, perché proprio non riesco a trattenere e contenere tutto quello che provo in questo momento. 

 

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Capitolo 73
*** Ho detto qualcosa di sbagliato? ***


È bello vederlo sorridere sinceramente, non quel sorriso sforzato che mi ha propinato nei giorni scorsi, ma un sorriso che nasce all'improvviso, una risata che esplode in tutto il suo fragore per una stupida battuta di uno a caso dei suoi amici, tutti riuniti qui per lui.

Io, mia sorella e la ragazza di Larry, siamo rimaste in disparte, a goderci la vista di quest'amicizia che si manifesta in tanti piccoli gesti: dalla pacca sulla spalla allo sguardo complice, dal finto pugno al basso ventre all'abbraccio senza motivo. Sono bellissimi tutti insieme, mi sento fortunata a far parte di questo gruppo e felice di poter assistere a questo momento di gioia.

Persino Dylan, che sta vivendo un momento difficile, riesce a sorridere sereno insieme a loro.

Non mi aspettavo di vederlo qui stasera, anche se in realtà ci speravo. Quando l'ho chiamato, per fargli sapere della festa di Harry, mi è sembrato piuttosto evasivo e incerto sul fatto se ci sarebbe stato o meno. Ho pensato che fosse perché le cose non stavano andando nel verso giusto a Montreal, e quando ho chiesto spiegazioni a Kurt, ho ricevuto quasi le stesse risposte che avevo già sentito da Dylan.

Entrambi mi hanno detto che le cose non sono state semplici, che Dylan ha avuto uno scontro non troppo piacevole con suo padre, dal quale è uscito piuttosto provato. Il mio migliore amico mi ha anche detto che non conosce a fondo i dettagli perché non ha voluto più parlarne.

Ne ho discusso con mia sorella e anche lei la pensa come me: probabilmente necessita di più tempo per metabolizzare la notizia, e forse ha bisogno solo di una spalla sui cui appoggiarsi. Tutti abbiamo bisogno d'aiuto, io l'ho imparato a mie spese e vorrei provare ad essere la sua spalla, se solo me lo permettesse.

«Non credo sia così tranquillo come sta tentando di dare a vedere.» Le parole di Reb si riferiscono a Dylan e sono le stesse a cui stavo pensando io.

«Lo credo anch'io.» Il mio timore è che stia reagendo proprio come ho fatto io, nascondendo il dolore dietro ai finti sorrisi, e la sofferenza dietro a qualche battuta.

So bene che questo atteggiamento non porta a nulla di buono, perché reprimere tutto quello che si prova serve solo a rimandare l'inevitabile, e quando quelle emozioni esploderanno - perché prima o poi lo faranno - saranno molto più potenti di quanto non lo siano mai state, portandolo, forse, a compiere azioni di cui potrebbe pentirsi.

Dylan è un ragazzo dolce a cui è stata sottratta - seppur in buona fede - la possibilità di scegliere. È cresciuto con certe convinzioni che, d'improvviso, gli sono state strappate via. Sarebbe destabilizzante per chiunque e ci tengo a fargli sapere che non è solo. Ci sono tante persone, intorno a lui, disposte a tendergli una mano, e il primo è Harry, che si sente ancora in colpa per avergli nascosto la verità su suo padre.

Tuttavia, al momento, credo sia giusto lasciare loro la leggerezza e la spensieratezza di questo momento, credo faccia bene a tutti e non solo a Dylan.

Harry sembra essere rinato in queste ore che abbiamo trascorso insieme, non è più teso e nervoso come mi succedeva di trovarlo le poche volte che siamo riusciti a vederci in queste ultime settimane. Lo stress sembra essergli scivolato via di dosso, per lasciare il posto al solito irriverente Harry che ho potuto ammirare al corso di cucina.

Spero di essere riuscita a fare per Harry quello che lui ha fatto per me, e cioè riportarmi su quella che tutti chiamano 'la retta via'. So bene che anche lui ha un passato difficile alle spalle, che sta cercando in tutti i modi di restare a galla, ma so anche che il bordo a cui ti aggrappi con forza per non affondare, può essere scivoloso, puoi arrivare a toccare il fondo più di una volta prima di poterne uscire del tutto.

E se nel mio caso scivolare significa scappare e chiudermi in me stessa, ho paura che per lui scivolare diventi sinonimo di Winter. Ho la certezza che, se dovesse mai succedere, lui lo farebbe perché non sarebbe affatto lucido, e per quanto potrei comprendere la sua debolezza, non sono sicura che potrei accettarla.

Ma anche questo potrebbe venire messo in discussione, perché quello che provo per Harry non potrebbe svanire nemmeno tra un milione di anni.

«Io voglio una cazzo di torta gigante...» Alzo gli occhi al cielo nel sentire le parole di Zach «... non tutti questi sdolcinati palloncini.»

«Sai che guiderò io la jeep stasera, giusto?» Mia sorella gli si avvicina e gli toglie dalle mani quella che credo sia la quarta birra della serata - se non ho contato male le bottigliette posate a terra vicino ai suoi anfibi.

Siamo qui da un paio d'ore, i ragazzi si stanno divertendo mentre danno fondo alle casse di birra che ha portato Nate.

«Scordatelo, dovrai passare sul mio cadavere» risponde lui sdraiandosi all'indietro sulla poltrona, per poi incrociare le mani dietro la testa mentre le sorride come un idiota.

«Cadavere o no, le chiavi le ho io.» Lui sbuffa, ma non sembra voglia dargliela vinta. Mia sorella si allontana e lui si allunga verso il divano dove c'è Larry, al quale toglie di mano la bottiglia dalla quale il suo amico stava bevendo - con conseguenti proteste da parte di Larry - poi sorride a Reb facendole anche l'occhiolino. Lei borbotta qualcosa, ma non è davvero infastidita, ed io continuo a guardare ogni scambio di battute con il cuore gonfio di gioia per il fatto di essere qui, con tutti loro, a condividere questo momento con le persone che amo.

La torta arriva poi per davvero, anche se non è gigante come da richiesta di Zach. Harry soffia sulle candeline dopo che i suoi amici hanno cantato una strana canzoncina, che solo loro conoscono e, fra una fetta di torta e un bicchiere di vino, riesco a scambiare qualche parola con ognuno di loro.

Nate mi ha invitata a passare di nuovo da lui, stavolta senza fare l'hot-dog gigante. Lawson mi ha promesso di farmi da guida turistica un giorno. Larry ed Eloise hanno espresso la volontà di un'altra serata a quattro con me e Harry, ed io ho promesso loro che lo faremo presto. Zach è il solito idiota che trovo quasi tutte le mattine nella cucina che ormai condividiamo, ma ci tenevo a ringraziarlo per la bottiglia di vino che ci ha fatto trovare al pic-nic.

Non mi resta che scambiare quattro chiacchiere con il ragazzo che per tutta la sera non ha fatto altro che sfuggirmi, e quale occasione migliore di lui da solo in cucina a prendersi un bicchiere d'acqua?

«Ehi, ce l'hai fatta alla fine!» gli dico avvicinandomi a lui, che mi osserva con aria confusa. «Ad essere qui per la festa a sorpresa di Harry» gli spiego.

«Ah... Sì... alla fine ci sono riuscito.» È ancora vago, oserei dire che sembra quasi a disagio.

«Come stai?» gli domando avvicinandomi ancora un po'.

«Sono stato meglio.» Il suo sorriso è tirato ed è evidente quanto si senta sui carboni ardenti.

«Kurt mi ha detto che hai avuto qualche problema con...»

«Mio padre? Puoi dirlo sai?» mi interrompe vedendomi in difficoltà.

«È che... io l'ho sempre chiamato signor Peters e adesso...»

«Ascolta, non voglio sembrare antipatico, ma non mi va di parlare di lui, non stasera. Sono venuto qui perché ho bisogno di stare con i miei amici e lasciare da parte, almeno per qualche ora, tutto quello che mi sta succedendo.» La sua richiesta è una piccola stretta al cuore per me, perché so cosa sta facendo, e so anche che non è la soluzione giusta accantonare i problemi. D'altro canto mi rendo conto che, quello che gli è successo, non si può certo risolvere dall'oggi al domani.

«Lo so, e hai ragione a volerti distrarre, ma voglio dirti che, se hai bisogno di parlare, io ci sono.» Dylan posa sul ripiano della cucina il bicchiere che ancora aveva in mano per poi guardarmi con un espressione davvero dolce.

«Lo so Chloe, stai tranquilla che lo so. È solo che... Mi sono successe cose che hanno stravolto completamente la mia vita, non ho più niente di certo se non le persone che sono qui stasera. È questo il motivo per cui sono qui. Non ho bisogno di distrarmi per far finta di niente, ma di certezze, di sapere che c'è ancora qualcosa del vecchio Dylan a cui mi posso aggrappare per non dover credere che ogni singola cosa di quello che ho vissuto finora sia stata una farsa.» Parla tutto d'un fiato, con un tono di voce che è un misto tra tristezza e rabbia.

Vorrei essere in grado di poter fare qualcosa che lo faccia sentire meglio, ma non sono io quella brava a capire le persone.

«I tuoi amici ti sosterranno sempre e credo che tua mamma, per quanto sia discutibile la sua scelta, anche lei sarà sempre al tuo fianco.» Non condivido la scelta di Kelly di tenergli nascosta la verità su suo padre, ma non la giudico per questo. Credo che anche lei non se la stia passando troppo bene.

«Ho passato ore al telefono con mia madre quando ero a Montreal, è stato Kurt a spingermi a farlo. Stamattina, dopo essere atterrato a Boston, sono andato subito a casa e... Io e mia madre abbiamo chiarito ogni cosa.» Il suo sorriso è più sincero mentre parla di lei, e riesco a sentire il suo affetto in ogni parola che ha pronunciato.

«Kurt è meraviglioso, riesce sempre ad arrivare al cuore delle persone senza nemmeno sforzarsi. Sono contenta di sapere che ti è stato d'aiuto.» Il suo sorriso si fa più tirato, e potrei anche conoscerlo poco, ma è evidente che qualcosa non va. «Ho detto qualcosa di sbagliato?» gli domando incerta.

«No, non hai detto niente di sbagliato.» Ho l'impressione che si sia irrigidito o che non gradisca l'argomento.

«Hai avuto dei problemi con Kurt?» Mi è sembrato che il suo viso si sia contratto non appena gli ho parlato del mio migliore amico.

«No... No, non...»

«Avete finito di spettegolare voi due?» La voce di Harry arriva all'improvviso, interrompendo qualsiasi cosa stesse per dire Dylan. «Ho per caso interrotto qualcosa?» chiede Harry alternando lo sguardo da me al suo amico, che continua ad avere un'espressione decisamente confusa.

«No.» Risponde Dylan per entrambi. «Adesso vado di là con gli altri.» Poi mi si avvicina, chiudendomi in un abbraccio. «E hai ragione su Kurt...» Lo bisbiglia al mio orecchio, poco prima di allontanarsi da me e voltarsi verso Harry. «Mi sei mancato» gli dice stringendo anche lui come ha fatto con me.

«Mi sei mancato anche tu amico» risponde Harry con le piccole, consuete pacche sulle spalle ed io resto a guardarli ancora un po' stordita da quanto è appena successo.

Dylan si allontana anche da Harry, poi esce dalla stanza lasciandoci soli. «Che è successo qui?» mi chiede lui restando con lo sguardo verso la porta da dove è appena uscito il suo amico.

«Non ne ho idea» rispondo guardando nella stessa direzione.

«Sbaglio o si comporta in modo strano?» mi chiede avvicinandosi.

«Sta rivoluzionando la sua vita, e ha avuto uno scontro spiacevole con quello che dovrebbe essere suo padre, è comprensibile che sia confuso, dobbiamo solo dargli tempo.» Cerco di mettermi nei suoi panni e credo non sia facile superare questo momento, ma sono certa che con il tempo e il sostegno delle persone che gli vogliono bene, supererà ogni cosa.

«Forse hai ragione, abbiamo tutti bisogno di tempo.» Le sue mani si posano sui miei fianchi e mi attira a sé.

Ha una luce meravigliosa stasera nei suoi splendidi occhi verdi, e ho di nuovo una gran voglia di baciarlo non appena le mie dita si infilano tra i suoi capelli. Oggi, più del solito, mi sembra di non essere in grado di fare a meno delle sue labbra e nemmeno del suo sorriso, come quello che si sta aprendo ora e che mi permette di vedere ancora le sue fossette.

«Anche tu hai bisogno di tempo, Stevens?» Il mio corpo aderisce ormai perfettamente al suo mentre le sue mani si stringono sulla mia schiena.

«Sì, Stewart. Ho bisogno di più tempo con te.» Mi guarda, mi sorride, mi stringe ed io vorrei davvero che queste ventiquattro ore non finissero mai. Il pensiero che domani mattina lui sarà di nuovo in una stanza con la signorina di ghiaccio, non mi fa impazzire di gioia, anzi mi fa proprio salire il sangue al cervello. «Quanto rumore da questa piccola testolina.» Dev'essersi accorto di quanto sia pensierosa. «Che c'è?»

«Niente che non possa aspettare domani.» È il suo compleanno e non voglio che qualcosa interferisca con quel meraviglioso sorriso che gli vedo sulle labbra, soprattutto se quel qualcosa ha a che fare con quella.

«Sono colpito da tutti questi progressi, Stewart.» Le sue mani passano dalla mia schiena al mio viso. Sento il calore dei suoi palmi sulle mie guance, gli anelli che sfregano leggermente sulla mia pelle e i suoi occhi che sembrano volermi comunicare molto più di quanto dicano le sue parole, ed io adoro ogni cosa. Ogni cosa.

«Ho avuto una buona guida.» Voglio che sappia quanto lui sia stato fondamentale affinché io tornassi alla vita. Per questo motivo non smetterò mai di ricordarglielo.

«In effetti non sono affatto male.» Fa lo sbruffone, ma ne ha tutti i motivi per farlo.

«Adesso, però, voglio baciarti.» Le mie braccia si stringono intorno al suo torace, le sue sono ancora sul mio viso e il suo sorriso si fa decisamente più ampio.

«Sei una continua sorpresa oggi, Stewart.» Vedo quel verde così brillante ancora per un attimo, poi i miei occhi si chiudono nel momento in cui le sue labbra si posano sulle mie, e per quanto vorrei assecondare la dolcezza infinita con la quale mi sta baciando, ho bisogno di avere molto di più.

Per questo motivo faccio forza con le mani sulla sua schiena, faccio maggiore pressione con le mie labbra sulle sue mentre mi stringo forte al suo corpo, senza nemmeno rendermi conto di averlo spinto contro il ripiano della cucina ed essermi appoggiata a lui. Sento il sapore del vino che ha bevuto, sento quanta passione sta mettendo per ricambiare il mio bacio, e sono talmente presa da questo momento da dimenticare tutto quello che mi torturava il cervello fino a poco fa. A dirla tutta, mi sono dimenticata anche di dove mi trovo, ma...

«La camera da letto è di là.» Una voce che arriva fin troppo vicino al mio orecchio, mi riporta bruscamente alla realtà.

Ci allontaniamo e ci voltiamo entrambi verso la voce che abbiamo appena sentito. «Che cazzo Zach!» Harry è infastidito mentre il suo amico si sta decisamente divertendo.

«Scusate se volevo un po' d'acqua senza rischiare di guardare un porno.» Sì, Zach si sta divertendo parecchio a prendere in giro Harry, ed io, nonostante la battuta di Zach abbia fatto colorire di un bel rosso acceso le mie guance, non ho intenzione di perdermi questo scambio di battute.

«La tua fidanzata ha ragione quando dice che hai bevuto troppo» dice ancora Harry guardandolo con un'espressione piuttosto irritata.

Zach si volta per dirigersi verso il lavandino e prendere un bicchiere d'acqua. «La mia fidanzata ha sempre ragione, ma voi non diteglielo, ok?» Butta giù l'acqua fredda tutta d'un fiato, poi posa il bicchiere dentro al lavandino e, prima che qualcuno possa dire qualcos'altro, Reb fa il suo ingresso in cucina camminando verso Zach.

«Che ne diresti se andassimo a casa?» gli chiede lei con un tono di voce talmente dolce da provocarmi un sorriso mentre li guardo interagire tra loro.

«Intendi per sempre? Perché se è quello che intendi, la mia risposta è sì.» Zach si avvicina a mia sorella con andatura incerta, poi le circonda la vita con le braccia e l'attira a sé.

Non so bene se dovremmo uscire dalla stanza e lasciare loro un po' di privacy - e il mio cervello mi sta urlando di farlo -, ma la meraviglia che vedo negli sguardi di entrambi mi tiene ferma qui, ad osservare la scena che si sta svolgendo sotto ai miei occhi mentre mi stringo a Harry.

«Zach hai bevuto, non sai quello che dici.» Non ho mai sentito mia sorella così insicura come in questo momento.

So quanto ama Zach, mi ha parlato di lui per ore e mi ha detto quanto sarebbe felice se lui si trasferisse definitivamente da lei. Mi ha anche detto che ne hanno parlato qualche volta, e che lui sembrava entusiasta all'idea di vivere insieme, ma lei credeva fossero progetti a lungo termine e non imminenti.

«Oh Reb, so bene quello che dico, e sono lucido abbastanza da sapere quello che voglio. E quello che voglio sei tu.» Gli occhi di mia sorella non perdono di vista quelli del suo ragazzo nemmeno per un attimo. «Perché mai dovrei svegliarmi da solo a casa mia quando posso farlo insieme a te, nel tuo letto?» Lui la stringe a sé e la guarda come se non ci fosse altro intorno a lui.

Evidentemente per Zach non era né solo un'idea, né solo un progetto.

«Zach...» La voce di Rebekah è udibile a malapena.

«La mia risposta è sì Reb, voglio venire a vivere con te. So che me l'avresti chiesto. Ti ho solo aiutata, dato che ti ho vista in difficoltà.» Lei alza appena gli occhi al cielo, ma sorride. «Ti amo Reb e non c'è alcun motivo per cui dovremmo rimandare.» Il tono di voce di Zach è molto più serio adesso, e mi rendo conto che è davvero arrivato il momento di lasciarli da soli, quindi tiro leggermente la mano di Harry per fargli capire che dovremmo uscire dalla cucina, ma lui non si muove, così mi volto a guardarlo e vedo una strana espressione nei suoi occhi, come se si fosse incantato a guardare i due piccioncini.

«Harry?» Lo richiamo a bassa voce e lui sembra davvero risvegliarsi, come se si fosse assentato. «Stai bene?» gli chiedo quando si volta a guardarmi.

«Sì... Sì, ero solo sovrappensiero.» Non sono del tutto sicura che mi stia dicendo la verità, anzi sono piuttosto certa del contrario. È successo qualcosa nella sua testa mentre Rebekah e Zach parlavano di vivere insieme.

So che Winter ha vissuto in questo appartamento con lui per un po' - tendo sempre a nascondere questa cosa in un angolino della mia mente, ma non riesco mai ad ignorarla del tutto - e il pensiero che questo momento così significativo tra mia sorella e il suo fidanzato gli abbia ricordato qualcosa di doloroso, mi fa contorcere lo stomaco per la rabbia, che non smette di aumentare nei confronti di quella.

«Andiamo di là» gli dico prendendolo per mano e raggiungendo gli altri, che sono ancora seduti - più o meno composti - sul divano a finire la torta rigorosamente al cioccolato, non buona come quella di Hazel, ma non era male. Credo che per Nate sia la terza fetta quella che si è appena messo nel piattino, e non posso evitare di sorridere quando sento Lawson che lo rimprovera per la sua ingordigia.

Avevo invitato anche i miei migliori amici stasera, ma Hazel mi ha detto che doveva lavorare e Kurt non mi ha dato nessuna conferma, forse anche lui ha avuto da fare, e questo mi ricorda quanto si faccia sempre più urgente una telefonata con lui.

Lo chiamerò domani.

Ci sediamo sul divano insieme al resto della compagnia, e Harry sembra riprendersi insieme a Larry: le loro battute sono decisamente pessime, ma il loro rapporto funziona e rende felici entrambi. Spesso mi sono ritrovata a discutere con Eloise di quanto siano scemi quando sono insieme, ma dopotutto l'amicizia è anche questo no?

«Ragazzi io me ne vado. Ho trovato la donna della mia vita e me la porto via prima che cambi idea.» La voce di Zach attira l'attenzione di tutti ed è evidente per chiunque quanto siano felici in questo momento. «Quindi tanti auguri Harry e buona festa a tutti. Vi voglio bene. Ciao.» Recupera i loro cappotti e non dà modo a nessuno di replicare che quasi trascina mia sorella - che tenta di salutare come può - fuori casa di gran fretta, poi si chiudono la porta alle spalle e per un attimo regna il silenzio.

Mi guardo attorno e posso vedere la confusione sul volto di ognuno dei presenti, poi è Larry a parlare per primo. «Ma che cazzo è successo?»

«È successo che anche tu hai bevuto abbastanza per stasera.» Eloise si alza in piedi invitando il suo ragazzo a fare lo stesso. Larry, dopo aver opposto una debole resistenza, si lascia convincere ad andare a casa.

Nate e Lawson li seguono subito dopo, e Dylan si accoda ai due amici. Resto a guardare il loro abbraccio ed è quasi palpabile il bisogno di Dylan di non restare solo, ma so che sta tornando a casa da sua madre e la cosa mi fa sentire meglio. Dylan ha bisogno di parlare con qualcuno, di tirar fuori quello che gli opprime il cuore o soffrirà ancora.

Harry chiude la porta, vi si appoggia contro con una mano restando di spalle, ed io mi stringo a lui. Le mie mani si posano sui suoi fianchi per passare al suo petto, mentre appoggio il mio viso tra le sue scapole. Sento i muscoli della sua schiena tesi, le spalle rigide, poi la sua mano sinistra si posa sulla mia e restiamo in silenzio.

Non ho la minima idea di cosa gli stia passando per la testa, non voglio parlare per non rischiare di dire la cosa sbagliata, ma posso stringerlo a me facendogli capire che io sono qui con lui. Sempre.

Si muove lentamente per voltarsi verso di me e il suo sorriso porta a sorridere anche me. Non è un sorriso forzato come uno di quelli che gli ho visto spesso sulle labbra nell'ultimo periodo, è un sorriso sereno, di qualcuno che sta bene, bene per davvero, ed io non posso che stringermi di nuovo a lui.

«Il mio migliore amico e la mia segretaria eh?» dice dopo qualche secondo.

«Ti ricordo che la tua segretaria è mia sorella.» Lui sorride di più e le fossette tornano a fare la loro comparsa.

«Il risultato finale è lo stesso. Zach è sempre un passo avanti agli altri.» Le sue mani arrivano sul mio viso, il suo sguardo si fa più intenso ed io mi dimentico di volergli chiedere una spiegazione su quanto ha appena detto. «Metti la giacca, voglio portarti in un posto.»

«Non dovrei essere io a dire a te cosa devi fare?» Sentire il suo corpo e la sua mente così vicini mi fa credere che ogni cosa sia possibile con lui, che niente e nessuno potrebbe mai mettersi tra noi, perché sento tutto quello che prova per me. Lo sento sotto le mani, lo sento nel cuore che batte veloce e lo leggo nei suoi occhi limpidi.

«La tua autorità è terminata con le tue ventiquattro ore, che sono finite già da un po'. Adesso metti la giacca che usciamo.» Il suo tono, nonostante sia divertito, non ammette repliche, ed io non ho voglia di protestare, perché l'unica cosa di cui m'importa davvero è fare in modo che quel sorriso resti lì dove si trova in questo momento.

«Sei molesto, lo sai?» gli dico con il chiaro intento di punzecchiarlo.

«Ti piace quando sono molesto.» La sua non è una domanda ed io non ho intenzione di contraddirlo.

Resto in silenzio, sorrido, poi mi allontano per recuperare la giacca mentre lui si reca in cucina, alla fine usciamo, e mi sorprendo quando mi rendo conto che siamo arrivati a casa di suo padre.

«È qui che mi volevi portare?» gli chiedo quando vedo da lontano la sua abitazione.

«Non proprio» risponde lui quando lo vedo sorpassare l'ingresso e dirigersi verso il garage, e finalmente capisco quello che ha in mente.

E la cosa non mi dispiace affatto.

Fa freddo e non è il periodo migliore per prendere la moto, ma l'idea di salire di nuovo lì sopra con lui e provare le stesse emozioni dell'altra volta, mi porta ad assecondare il suo momento di follia. Per questo motivo sorrido quando lo vedo avvicinarsi alla due ruote confermando i miei pensieri.

Afferra i due caschi attaccati al manubrio, me li porge, poi porta all'esterno la motocicletta, continuando a rivolgermi sorrisi e sguardi complici. Lo osservo prendere posto sulla sella, con gli occhi che gli brillano per l'eccitazione che gli circola in corpo in questo istante, ed è la stessa che provo io quando mi siedo dietro di lui allacciando il casco.

Harry accende la moto, sento il rombo del motore espandersi nella mia cassa toracica. Il cuore accelera allo stesso ritmo della sua moto che aumenta di velocità lungo la strada. Il cervello si resetta, permettendomi di godere di ogni secondo che sto vivendo, al massimo dell'intensità.

L'aria è gelida, eppure non sento freddo, anzi mi sento forte, potente, mi sento invincibile. Io e Harry, insieme, contro il mondo, e non c'è niente che possa fermarci. 

 

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Capitolo 74
*** Mi ha baciato ***


«Fantastico! Stai andando alla grande e se riuscissi a consegnarmi il resto entro la fine della settimana prossima, sarebbe assolutamente perfetto!» Harvey ha un gran sorriso stamattina, ma non tanto grande quanto il mio.

Ho avuto parecchio tempo per lavorare in queste ultime settimane perché Harry era quasi sempre impegnato e, per evitare di angosciarmi senza un reale motivo, mi sono buttata a capofitto nel lavoro.

Tradurre pagine su pagine era la prima cosa che facevo la mattina non appena aprivo gli occhi, perché la mancanza che sentivo era troppo grande da sopportare.

Stamattina, invece, il risveglio è stato incredibilmente dolce, e romantico, e passionale, e intenso, ma anche irriverente e sfacciato e così incredibilmente sexy. Non succedeva da troppo, troppo tempo, e io non voglio togliermi dalla testa il suo sorriso, il suo sguardo e la sua voce graffiata non appena ha aperto gli occhi: credo non esista al mondo visione più sexy di Harry Stevens appena sveglio.

Non abbiamo pensato a nient'altro che a noi, come se potessimo realmente isolarci dal mondo e chiuderci dentro la nostra bolla di baci e meraviglia. Eravamo Harold e la piccola Stewart, in un groviglio di corpi e lenzuola, che non avevano alcuna intenzione di fare a meno l'uno dell'altra.

La bolla è esplosa al suono della sveglia, ma il ritorno alla realtà è stato molto più lento di quanto avessi immaginato. Harry mi ha costretta ad assistere al suo tentativo di preparare la colazione dicendomi: "ti ho detto che quello non era uno chef, so fare di meglio che un intruglio di pomodori e aglio."  Neanche a dirlo il suo tentativo è naufragato in una quasi chiamata ai vigili del fuoco. Chiaramente lui ha minimizzato e io ho esagerato, in un perfetto equilibrio che non ha potuto risolversi in altri modi se non con un bacio rovente mentre mi prendeva in braccio facendomi sedere sul ripiano della cucina.

«Con questi siamo a posto, aspetto gli altri.» La voce di Harvey mi distoglie dai miei pensieri. «Ci vediamo la settimana prossima.» Mi stringe la mano e lo saluto, poi esco dal suo ufficio e mi dirigo verso la scrivania di Cheryl - anche lei con un sorriso che le va da un orecchio all'altro - notando con quanta poca nonchalance stia mettendo in mostra la sua mano sinistra.

«C'è qualcosa che vorresti dirmi?» le domando, senza evitare di accecarmi con la luce riflessa dal brillante al suo anulare.

«No, credo ti abbia già detto tutto questo splendore!» dice, riferendosi, ovviamente, al suo abbagliante anello. L'entusiasmo nella sua voce è contagioso e posso solo unirmi alla sua gioia sorridendo con lei.

«Sono così felice per voi!» le dico, sinceramente contenta della notizia.

Sembra che le cose si stiano mettendo bene per tutti: mia sorella e Zach hanno deciso di vivere insieme - cosa che mi porta a dovermi cercare un'altra sistemazione il prima possibile -, Harvey e Cheryl si sono fidanzati, Dylan è tornato a sorridere - anche se non si è ancora ripreso del tutto -, Harry sta ricostruendo il rapporto con suo padre e io... Beh io ho smesso di torturarmi e ho ricominciato a vivere.

Mi ritrovo in strada dopo aver salutato Cheryl, sono ferma al semaforo mentre tutti questi pensieri non riescono a fermarsi, ma poi lo fanno.

Lo fanno quando mi passa davanti una moto e il ricordo di ieri sera ritorna ad invadere ogni piccolo meandro del mio cervello.

*

Il paesaggio cambia, non vedo più le luci e i palazzi della città. La moto rallenta fino ad arrivare al parco che tanto mi piace, quello vicino al mare.

Harry si ferma, io scendo e mi tolgo il casco. Chiudo gli occhi,  inspirando a pieni polmoni l'aria fredda e l'odore dell'oceano a pochi passi da noi. Riesco a sentire una meravigliosa sensazione di benessere in ogni fibra del mio corpo, sento la serenità che tanto mi è mancata in questi giorni, e sento la sua mano appoggiarsi sulla mia per sfilarmi il casco, che ancora tenevo stretto tra le dita, ma non apro gli occhi.

Resto lì ferma, in piedi, concentrata sui rumori circostanti e sulle sensazioni che provo, con le braccia lungo i fianchi e il viso rivolto verso l'alto. Lascio andare l'ansia, le preoccupazioni, i problemi, e ogni cosa che non mi ha fatto stare bene nell'ultimo periodo.

«Sei bellissima da ogni punto di vista io ti guardi.» La sua voce è vicina, tanto da portarmi ad aprire gli occhi per guardarlo.

«E tu sei meraviglioso...» adoro essere io a provocare quel sorriso. «Perché mi hai portato qui?» gli chiedo, tenendo ben fissi i miei occhi nei suoi per non perdermi nemmeno una minima variazione di colore, o di espressione, o altro, perché non voglio perdermi proprio niente di questo momento.

«Perché so quanto ami questo posto, perché ci siamo stati insieme e perché, proprio lì, ho vissuto il picnic più bello di tutta la mia vita.» Stavolta sono io a sorridere a causa delle sue parole.

«Lo so che sei abituato a prenderti cura di te stesso, ma non è così male se ogni tanto lo lasci fare a qualcun altro, no?» Non riesco più a stargli lontano, così afferro con le dita le tasche del suo giubbotto per attirarlo a me.

«Forse hai ragione. A parte avermi obbligato a comprare quegli inutili biglietti, il maniaco alla spa, e lo chef enciclopedico, direi che oggi è andata benone.» So che mi sta prendendo in giro, so anche che lo sta facendo perché non è abituato a dire grazie, e io ho voglia di stare al gioco.

«Praticamente un disastro completo!» Mi lamento, lui ride e io sono felice.

«Beh, no. Vorrei dare cinque stelle al momento dei sacchi a pelo, a quello del tavolo della mia cucina, a quello del divano e... Ahia!» Si ferma dall'elencare tutti i posti in cui abbiamo fatto l'amore nelle ultime ore solo quando gli do un piccolo pugno sul braccio.

«Credevo che volessi fare un gesto romantico portandomi qui, invece...»

«Ti amo, Chloe...» mi interrompe, lasciandomi praticamente senza fiato per l'intensità con la quale pronuncia quelle poche parole «e ti ho portato qui perché volevo dirtelo nel posto in cui l'ho capito per la prima volta.» Le mie mani si posano sul suo petto, le sue sul mio viso, mentre l'aria sembra voler abbandonare i polmoni. «Ti amo, Chloe, e ti amavo anche quel pomeriggio, ma ero troppo spaventato per dirtelo. Adesso non ho più paura di quello che provo, non ho più paura di fidarmi di qualcuno che non sia me stesso e...» Sembra essere sul punto di dire qualcosa, ma si sta trattenendo dal farlo. «Cazzo, io ti amo da morire!»

Poi le parole svaniscono, i suoi occhi anche, perché i miei si chiudono nell'istante in cui mi perdo nel suo bacio, che sembra voler essere molto più che un bacio. Sembra una promessa, la meravigliosa promessa del 'per sempre'.

*

La calca delle persone alle mie spalle quasi mi investe quando il semaforo pedonale diventa verde. Attraverso anch'io la strada con ancora il sorriso sulle labbra, al pensiero di ieri sera e dell'ultimo bacio che ci siamo scambiati prima di tornare a casa.

Harry era già seduto sulla moto, io mi sono avvicinata per baciarlo, lui mi ha stretta forte, tanto da ritrovarmi a cavalcioni su di lui, entrambi sul sellino della sua due ruote: uno dei baci più sconvolgenti di tutta la mia vita.

E, a proposito di baci sconvolgenti, non riesco a trattenere un sorriso quando, lungo il marciapiede, mi imbatto in due ragazzi che si baciano senza badare minimamente a chi hanno intorno. Uno assomiglia al mio migliore amico e l'altro assomiglia al suo ex, quello che l'ha lasciato perché le cose si erano fatte troppo serie. Il mio pensiero va subito a Kurt e recupero il cellulare dalla borsa per chiamarlo, come mi ero ripromessa di fare ieri.

Faccio partire la chiamata e aspetto che lui risponda, mentre proseguo a camminare senza una meta precisa.

«Ciao, piccola Cleo.» Ha risposto piuttosto in fretta e dal suo tono di voce credo si aspettasse la mia telefonata.

«Ciao, Kurty.» Sentire la sua voce è sempre una stretta al cuore. Mi mancano molto i miei amici. «Come stai?»

«Hai parlato con Dylan?» Accorgermi che evita di rispondere ad una semplice domanda per porgermene un'altra, mi conferma che c'è davvero qualcosa che non va. È successo qualcosa a Montréal, qualcosa che voglio scoprire.

«A dire la verità è stato molto vago. Che succede, Kurt?» Continuo a camminare senza nemmeno rendermi conto di dove sto andando perché sono troppo concentrata su quello che mi sta dicendo.

«Non sta a me dirlo, Cleo. Gli ho promesso che non avrei interferito con le sue scelte.» Kurt vuole darmi l'impressione di essere convinto, ma io lo conosco bene e so che è a disagio.

«Tu meglio di chiunque altro sai quanto può essere pericoloso chiudersi in sé stessi, quanto può essere rischioso mantenere il silenzio...» Cerco di spingerlo a parlare in qualche modo perché non posso permettere che accada qualcosa di brutto a Dylan.

La sua vita è stata stravolta, ha perso tutte le sue certezze in un attimo. È stato tradito dalla persona di cui si fidava di più e, per giunta, l'incontro con suo padre sembra essere andato male. Non so come possa reagire a tutto questo, ma non voglio correre rischi.

«Lo so, Cleo, lo so bene... molto bene, ma non è questo il caso.» Sembra volermi convincere, ma non posso mollare ora. Mi stanno nascondendo qualcosa che sembra essere importante e non mi piace restare all'oscuro di ciò che è successo.

«Dylan sta vivendo un momento difficile e ieri sera mi ha dato l'impressione di nascondere ciò che prova, senza volerlo affrontare veramente.»

«Non sta nascondendo niente, ha solo bisogno di tempo...»

«Non lo conosciamo così bene da esserne sicuri. Anche io fingevo di stare bene, ma ho tentato un'altra volta di...»

«Dylan non tenterà il suicidio!» La voce di Kurt si alza all'improvviso, interrompendomi bruscamente. «Scusami... Non volevo...»

«Non fa niente.» Non importa se ha alzato la voce, e non importa se l'argomento fa ancora male. Adesso si tratta di un ragazzo a cui tengo, in grossa difficoltà, quindi manderò giù il boccone e insisterò.

«Non è vero che non fa niente...» Sento nella sua voce quanto sia dispiaciuto. «Dio, Chloe! Quanto vorrei che fossi qui!» Il mio migliore amico ha bisogno di me e questa è una chiara richiesta d'aiuto.

«Dimmi cosa succede Kurty, sai che puoi fidarti di me.» Lo sento sospirare, ma resta in silenzio. Stessa cosa faccio anche io per provare a dargli il tempo di rispondere, ma non lo fa, ostinandosi a tacere. «Kurt...» Sospira ancora, profondamente, forse risponderà.

«Mi ha baciato...» Silenzio. Solo silenzio da parte di entrambi non appena lui pronuncia quelle parole. Faccio fatica a realizzare quanto ho appena sentito, come se stessi vivendo un'illusione. «Chloe hai sentito quello che ho detto?»

«Sì... certo che ho sentito, ma...»

«Lo so, faccio fatica persino io a crederci, ma quello che è rimasto più sconvolto è lui...» Resto ancora in silenzio senza avere la minima idea di cosa dire. «Ero convinto che fosse etero e lo era anche lui. È per questo motivo che ha bisogno di tempo. La sua vita ha subìto troppi stravolgimenti tutti insieme, ogni cosa che credeva certa è diventata incerta, persino sé stesso, quindi ti prego, lascialo in pace. È già abbastanza sotto pressione senza che qualcuno ne aggiunga altra. Dylan ha bisogno di staccare un attimo da tutto quello che l'ha travolto nell'ultimo mese. Se proprio vuoi aiutarlo, fallo sorridere...» Ho smesso di camminare, come se così facendo potessi prestare maggiore attenzione alle sue parole.

Sono ferma davanti ad un negozio di articoli sportivi, sto guardando all'interno della vetrina come se realmente mi interessasse qualcosa. In realtà non sto vedendo niente perché sto cercando di capire cosa mi ha appena detto, ma poi, come un'illuminazione, capisco.

«Sei innamorato di lui?» gli chiedo parlando lentamente.

Sospira di nuovo. «Lui mi piace, Cleo, mi piace parecchio anche. Abbiamo vissuto in simbiosi ogni momento che ha passato qui. Non sono mai stato così bene con qualcuno come con lui, ma sapevo che era etero e me n'ero fatto una ragione, poi, una sera, eravamo seduti sul mio letto come facevamo spesso e lui mi ha baciato. Ne è rimasto scioccato, il giorno dopo non mi ha quasi rivolto la parola, poi hai chiamato tu per dirgli della festa di Harry e io l'ho spinto a tornare. Aveva bisogno dei suoi amici... Aveva bisogno di allontanarsi da me...»

Il mio meraviglioso amico è un fiume in piena, aveva decisamente bisogno di parlare con qualcuno, e sono ancora più felice di averlo chiamato. È arrivato il mio turno di essergli utile, posso aiutarlo e non mi lascerò sfuggire questa occasione.

«Tu sei innamorato!» Lo pronuncio con un gran sorriso sulle labbra e stavolta non è una domanda.

«E lui è sconvolto...» Non ha smentito quello che ho detto. Kurt è sempre Kurt: non penserà mai per primo a sé stesso.

«Kurty...»

«Promettimi che non gli dirai niente.»

«Sarò muta come un pesce, ma tu puoi parlare con me e io voglio sapere tutto.» Voglio ribadirgli che io ci sono per lui.

«E ti giuro che ne parleremo, ma gli ho promesso che non ti avrei detto niente...»  Capisco cosa intende e non voglio metterlo in difficoltà più di quanto già non sia.

«D'accordo, ma dimmi almeno una cosa.»

«Che vuoi sapere?»

«Secondo te è stato solo un momento di confusione per lui o c'è di più?»

«Era a pezzi quella sera e potrei essere stato l'unico conforto che aveva a disposizione in quel momento. Solo lui può sapere cosa sente nel suo cuore.» Vorrei essere lì con lui per poterlo abbracciare.

«Kurt non lo so come andranno le cose, ma noi le affronteremo insieme.» Gli devo la vita, letteralmente, non lo abbandonerò mai, e a tale proposito mi torna in mente il motivo per cui l'avevo chiamato.

«Lo so, piccola Cleo... Dimmi com'è andata la festa...» Sembra che anche lui abbia bisogno di distrarsi.

«È stato tutto perfetto grazie a te.»

«Grazie a me? Ma se non ho fatto niente?»

«Sono qui grazie a te, e con qui sai bene che non intendo Boston. Sono felice e lo devo solo a te.» 

«E tu sai bene che io ho sempre ragione. Te l'avevo detto sin dall'inizio quanto fosse giusto per te mister figo 'sono il capo di tua sorella'.» Non posso evitare di sorridere nel sentire le sue parole.

«Sei meraviglioso, Kurt, e posso dirti che qualcun altro condivide questa mia opinione su di te.»

«Chi ha questa stupida idea?»

«Oh andiamo Kurty, sai bene di chi sto parlando...»

«Te l'ha detto lui?» mi chiede con un tono carico di speranza.

«Sì, mio meraviglioso amico.»

Il resto della telefonata è più leggero, gli racconto qualcosa di me per distrarlo un pochino, e mi si riempie il cuore di gioia quando lo sento ridere mentre gli racconto del corso di cucina. Lui ha bisogno di me e io voglio esserci.

Poi ci salutiamo, gli prometto che manterrò il segreto e che lo terrò informato sull'evolversi della situazione. Ora che so come stanno le cose, mi sarà più facile tenerlo d'occhio e interpretare meglio il suo comportamento.

Una volta chiusa la telefonata riprendo a camminare senza meta. Ho bisogno di pensare e non riuscirei a chiudermi in casa. Vorrei sapere ogni dettaglio di quello che è successo tra loro due, vorrei sapere quello che passa per la testa confusa di Dylan, e inizio ad immaginare quanto possa essere stato destabilizzante per lui quello che è avvenuto con Kurt.

Mi torna in mente quello che mi ha detto ieri sera sul fatto che tutte le sue certezze fossero crollate, e che aveva bisogno di ritrovare qualcosa del vecchio Dylan per riguadagnare un po' di sicurezza; ora capisco a cosa si stesse riferendo e quanto può essere difficile affrontare questo momento da solo.

So che non posso dirgli niente - ho fatto una promessa a Kurt e ho tutte le intenzioni di mantenerla -, ma questo non toglie che possa andare a trovarlo e fargli capire che può contare su di me e anche su tutti i suoi amici.

Le mie gambe sembrano aver recepito questo pensiero ancora prima che finissi di formularlo, perché si muovono svelte in direzione della fermata della metropolitana. Harry mi ha detto che oggi Dylan sarebbe stato in ufficio, ed è proprio lì che mi sto dirigendo.

Il percorso sembra più lungo del solito, forse perché non vedo l'ora di arrivare, e prendo un gran respiro quando arrivo a destinazione, giusto poco prima di entrare nell'atrio per vedere quella bionda antipatica che non smette di guardarmi male, soprattutto ora che ho un accesso preferenziale garantito da Harry.

«Buonasera, signorina Stewart.» Lo dice sempre a denti stretti, con un tono palesemente infastidito, ma non m'importa: Harry ha lasciato indicazioni per farmi passare ogni volta che voglio e lei rosica da far paura.

«Buonasera.» Le rivolgo il mio sorriso da stronza, poi vado agli ascensori senza badare più a lei.

Controllo l'orario sul cellulare: non mi ero accorta che fosse così tardi. Non so se sarà ancora in ufficio, ma ormai sono qui e spero che non sia già andato a casa. Mia sorella se n'è andata di sicuro, infatti non trovo nessuno alla sua scrivania, quindi cammino fino al cubicolo di Dylan, ma anche qui non trovo nessuno. Il computer è spento, ma potrebbe essere nell'ufficio di Harry.

Mi dirigo svelta in quella direzione sperando di trovarlo lì, ma quando busso non ricevo alcuna risposta dall'altra parte. Riprovo, ma ancora silenzio. Abbasso lentamente la maniglia, spingo la porta ed entro. L'ufficio è completamente al buio, credo che nemmeno Harry sia in ufficio.

«Lui non c'è.» Una voce femminile mi fa voltare immediatamente all'indietro.

È lei, la signorina di ghiaccio, con una minigonna di pelle che mette in risalto le sue gambe lunghe, e i capelli più biondi e splendenti che abbia mai visto. Se fossi un uomo, o se fossi gay, probabilmente sbaverei per lei, ma sono Chloe ed Harry è mio.

«Prego?» le rispondo facendo finta di non averla nemmeno sentita, perché non avrà più nessuna importanza nella nostra vita.

«Harry non c'è» dice sorridendo, per poi incrociare le braccia al petto.

«Sì, lo so, ma non è lui che stavo cercando.» In realtà immaginavo di trovarlo qui - anzi ci speravo -, ma avere la certezza che lei non è con lui mi dà la grinta necessaria per affrontarla come merita.

«Se stai cercando Dylan stai perdendo tempo. È rimasto qui un paio d'ore stamattina, poi è tornato a casa. E Harry l'hai mancato per un soffio. Eravamo insieme fino a pochi minuti fa.» Avrei tanta voglia di prenderla a schiaffi, ma la mia rivincita su di lei dev'essere schiacciante, tanto da zittirla per sempre.

«E guarda caso se n'è andato... e non con te.» Richiudo la porta dell'ufficio di Harry alle mie spalle, per dedicare a quella tutta la mia attenzione.

«Ma è con me che passa la maggior parte del tempo.» Sorride come una stronza.. Ah, già.. perché è una stronza!

«Vuoi davvero giocare a questo gioco?» le dico, avvicinandomi per guardarla da più vicino. Dio! È tanto bella quanto odiosa. «Perché, se davvero vuoi giocarci, devi prepararti a perdere.» Resta ferma nella sua posizione ostentando una gran sicurezza che non credo abbia realmente.

«Sicura? Perché sembra essere qui che passa la maggior parte del suo tempo.» Mi sta chiaramente sfidando, l'ha fatto dall'istante in cui mi ha vista, ma non sono più la Chloe che ha paura del mondo, perché il mio mondo è Harry adesso, e lei di certo non ne fa più parte.

«Lui sta con me adesso, lo capisci? Con me, non con te. Con. Me. Hai avuto la tua occasione e l'hai distrutta. Non c'è niente che tu possa fare per cambiare le cose.» La sua sicurezza sembra perdere colpi.

«Sta con te, ma vive ancora nell'appartamento che ha condiviso con me.» La signorina di ghiaccio si sta arrampicando sugli specchi, credo sia arrivato il momento di affondare il colpo.

«Intendi l'appartamento in cui io e Harry abbiamo fatto l'amore cinque volte nelle ultime ventiquattro ore? Lo stesso in cui mi ha presa sul tavolo, in bagno, e sul nostro letto?» Non ha più lo sguardo convinto che aveva poco fa, e credo sia il momento giusto per finire questa stupida discussione. «Sì, il nostro letto! Uno nuovo, perché si è sbarazzato di quell'altro molto tempo fa.» Non voglio scendere in ulteriori dettagli, certe cose sono solo mie e di Harry, ma le farà bene sapere di non essere più il centro del suo mondo già da molto tempo. Harry è andato avanti, è passato oltre e non pensa più a lei, ne sono più che sicura ormai.

Non avrebbe avuto alcun senso spingermi a credere che Harry passasse le sue serate con lei se fosse stata la verità, perché è talmente stronza che si sarebbe fatta scoprire sul fatto pur di farmelo sapere. Anche quel minuscolo dubbio che il mio cervello aveva concepito, adesso è svanito nel nulla, e il mio cuore esulta, soddisfatto di avere avuto sempre ragione.

I suoi occhi non hanno più alcuna espressione trionfale. L'ho ferita, ho vinto, eppure non mi sento soddisfatta come dovrei, perché Harry non è comunque qui e nemmeno so dove sia.

«Senti, io adesso devo andare.» Le dico iniziando a camminare per allontanarmi da lei. La sorpasso, ma lei mi ferma continuando a parlare.

«Non hai idea di come renderlo felice.» Il suo tono di voce è duro, il suo sguardo si è decisamente incattivito, e quel minimo di compassione che provavo per lei fino ad un attimo fa è scomparsa nel momento in cui si è rivolta a me con tanto disprezzo.

«Sei tu quella che non ha la minima idea di come renderlo felice. Non l'hai avuta due anni fa e non l'avrai nemmeno tra cento. Harry è andato avanti, dovresti farlo anche tu.» Non aggiungo altro, non aspetto una sua risposta, perché non mi interessa averla. Quello che conta adesso è Harry, è Dylan, sono io e tutte le persone a cui voglio bene, e lei non fa parte di queste.

Mi avvicino agli ascensori senza guardarmi indietro, premo il pulsante e aspetto. Mi sento nervosa, molto nervosa. Mi tremano le mani e ho una stupida voglia di rompere qualcosa. Una volta in ascensore, dopo aver premuto il pulsante per la discesa e aver aspettato che le porte si chiudessero, lascio andare un urlo liberatorio, potente, per sfogare un po' della rabbia che ho accumulato negli ultimi minuti. È una stupidaggine, lo so, eppure mi fa sentire meglio, facendo anche spuntare un piccolo sorriso sulle mie labbra.

Non ho vinto niente, perché Harry non è un trofeo, ma so che l'odiosa signorina di ghiaccio non avrà più alcun potere su di noi, e questo mi basta.

«Chloe!?» Una voce maschile attira la mia attenzione non appena esco dall'ascensore. Mi volto e sorrido di più, quando i miei occhi incrociano i suoi mentre mi viene incontro sorridendo a sua volta. «Come stai?»

«Sto bene. Ero passata per parlare con Dylan, ma non l'ho trovato. Tu come stai?» gli domando, sentendo iniziare a scemare l'effetto dell'adrenalina.

«Non c'è male. Dylan si è fermato poco oggi. Non ha ancora deciso quando riprenderà a pieno ritmo. Stai andando via?» mi chiede guardandosi intorno.

«Sì, sto andando a casa.»

«A casa tua o da Harry?» La sua è una strana domanda. Perché mai dovrebbe interessargli dove sto andando?

«Credo che andrò a casa mia. Harry non l'ho sentito tutto il giorno, e non so dove sia in questo momento.» Ma sapere che non è con lei è già qualcosa.

«Ok...» Di nuovo si guarda intorno e finalmente ne capisco il motivo.

«Jordan, se ti stai preoccupando che non la veda, è troppo tardi.» I suoi occhi, tanto simili a quelli di Harry, corrono subito a cercare i miei. Forse si aspettava un'espressione diversa da quella che mi vede in volto, perché mi guarda con curiosità.

«L'hai vista?» mi domanda, come a volersi accertare di quanto ho detto.

«Sì, Jordan, ho visto Winter e spero di non rivederla mai più.» Lui sorride e sembra rilassarsi. Forse era davvero preoccupato per me, o forse voleva parare il culo a suo fratello, ma questo dimostra quanto Jordan Stevens pensi sempre troppo agli altri e troppo poco a sé stesso.

«Non dovrebbero restare a Boston ancora per molto» dice, riferendosi presumibilmente alla stronza e a suo padre. Le sue parole mi tranquillizzano almeno un po'.

«Questa è una bella notizia.» Gli sorrido e lui posa le sue mani sulle mie spalle.

«Adesso ti lascio andare. Io torno su a sistemare le ultime cose, poi me ne andrò anch'io.» Mi abbraccia e l'occhio mi cade sulla bionda alla reception che sembra voglia fulminarmi con lo sguardo.

«Buona serata, Jordan.» Ci salutiamo, lui sale in ascensore, e io esco senza più prestare attenzione alla biondina.

Non ho voglia di pensare a lei, né a nessun'altra bionda. La cosa che mi preme di più, adesso, è tornare a casa, per vedere se lui è lì.

Durante il tragitto verso il suo appartamento di tanto in tanto provo a chiamarlo al cellulare, ma risulta sempre irraggiungibile. Arrivo alla palazzina, entro, salgo le scale, e arrivo fino al pianerottolo, poi infilo le chiavi nella serratura e, una volta dentro, mi rendo conto che lui non c'è.

Una sorta di déjà-vu mi colpisce in pieno, e anche se stavolta la mia mente non è angosciata come l'altra volta, l'incertezza di non sapere dove sia - e di non avere sue notizie - non mi rende la persona più tranquilla sulla faccia della terra.

«Dove sei Harry?» Mi lascio andare all'indietro sul divano, sperando che questa attesa non mi porti cattive notizie. 

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Capitolo 75
*** Dove sei stato? ***


Harry

Non manca molto ormai. Tra poco tutti questi stratagemmi per sfuggire a Chloe saranno finiti, e io potrò tornare a godermi appieno ogni minuto con lei.

Sono state settimane complicate da gestire sotto ogni punto di vista, e il mio compleanno - una volta tanto - è stato utile. Chloe mi ha aiutato a staccare un po' la spina. Avevo decisamente bisogno di passare del tempo con lei. Non ricordo nemmeno più da quanto tempo non festeggiavo questo giorno, ma quest'anno c'era di che festeggiare. Sono innamorato, schifosamente e perdutamente innamorato, e il pensiero di stasera porta il mio battito cardiaco ad accelerare notevolmente.

Entro nell'atrio degli uffici Stevens, al bancone della reception ci sono un paio di sorveglianti che chiacchierano tra loro, mi dedicano uno sguardo veloce e un saluto quasi indifferente. Vado dritto agli ascensori, che trovo deserti, ma è normale a quest'ora: devono essere già andati tutti a casa, e invece io mi ritrovo a gironzolare per questi corridoi perché ho dimenticato il dannato cellulare nel primo cassetto della scrivania. L'avevo spento e messo via a causa della riunione con mio padre e i soci di maggioranza, i quali si sono pronunciati in maniera positiva sulla mia promozione e io, dato che ho quasi messo la testa a posto, mi sono comportato da figlio modello, lasciando il telefono in ufficio per evitare di ritrovarmi a perdere tempo con qualche stupido giochino e fare la figura del coglione.

Ora, però, il telefono mi serve. Devo chiamare Chloe, e devo farlo in fretta prima che l'agitazione mi divori lo stomaco.

Aggrotto le sopracciglia quando, avvicinandomi al mio ufficio, mi rendo conto che la luce all'interno è accesa. Rallento il passo per poter ascoltare se sento la voce di qualcuno, ma c'è solo il rumore dei miei passi a rompere il silenzio che regna in questi corridoi. Mi avvicino piano alla porta, mi affaccio e non posso evitare di sorridere quando vedo chi c'è dietro al computer della mia scrivania.

«Pensi di andare a casa o hai intenzione di restare qui?» La sua smorfia infastidita mi fa capire che non ha gradito l'interruzione. «Jordan vai a casa, sono andati via tutti» gli dico, avvicinandomi a lui.

«Ho quasi finito, ora vado. Tu che ci fai qui? Non eri andato via dopo pranzo?» Smette di smanettare sulla tastiera del PC e mi rivolge uno sguardo curioso.

«Ho dimenticato il telefono...» Apro il primo cassetto e recupero l'oggetto per cui sono venuto fino a qui - cosa di cui avrei fatto volentieri a meno. «Ecco, adesso posso andare».

Mio fratello si appoggia all'indietro contro lo schienale della sedia girevole e mi osserva con attenzione, il che non fa altro che aumentare la mia già notevole agitazione.

«È stasera?» mi chiede, con un tono di voce più apprensivo di quanto mi aspettassi.

«È stasera» gli confermo, senza lasciare andare completamente l'aria che ho appena inspirato.

«Glielo dirai stasera!?» Alzo gli occhi al cielo per la sua insistenza, che aumenta la pressione che sento su di me.

«Jordan, così non mi faciliti le cose». Sentire l'agitazione anche nella sua voce mi porta ad essere sempre meno tranquillo.

«È stata qui oggi» mi dice guardandomi dritto negli occhi, e io riesco a pensare ad un'unica parola.

«Merda! Era qui per me?» Bravo Stevens, continua a fare domande del cazzo!

«Era passata per parlare con Dylan, ma poi è andata nel tuo ufficio e...»

«Le ha parlato?» domando, sentendo l'ansia schizzare alle stelle.

«Chloe non me l'ha detto con precisione, ma credo di sì. Aveva lo sguardo provato». Inspiro una grande quantità d'aria e la butto fuori con forza, sbuffando rumorosamente.

«Quando se ne va?» chiedo a mio fratello, sperando nella risposta che vorrei.

«Dovremmo concludere l'ultima transazione entro la fine della settimana prossima, poi non hanno più un vero motivo per restare.» Jordan si alza in piedi, mi si posiziona di fronte e mi guarda comprensivo.

«Non ti ha detto altro?» Sono molto più in ansia ora, spero solo che vada tutto bene.

«Mi ha detto che stava andando a casa sua.»

«Ok...» sospiro ancora mentre tento di farmi coraggio da solo «allora, io vado... fammi gli auguri.» Mi avvicino a mio fratello e lo abbraccio per trarre da lui un po' di conforto. Non ho mai avuto tanta paura come stasera.

«Non ne hai bisogno, Harry, vedrai che andrà bene.» La sua pacca sulla spalla mi infonde coraggio. Jordan è l'unico sul quale ho sempre potuto contare

«Lo spero.» Lo saluto e, con il mio cellulare stretto tra le dita, mi reco fino al parcheggio dove ho lasciato la mia auto, poi salgo e mi dirigo verso il mio appartamento con il cuore che continua la sua mille miglia.

Devo dirle la verità, devo dirle dove ho passato tutte queste sere in cui l'ho trascurata, devo dirle cos'ho fatto, sperando che per lei non sia troppo da sopportare e che non scappi un'altra volta.

Arrivo in fretta al mio appartamento, ho assolutamente bisogno di una doccia prima di vederla, e il fatto che Jordan mi abbia detto che Chloe stava andando a casa sua, mi dà quel margine di tempo per cui posso continuare a respirare regolarmente prima di guardarla negli occhi e dirle tutto.

Salgo velocemente i gradini, a due a due, voglio fare in fretta e l'adrenalina mi sta aiutando a spingere sulle gambe fino al terzo piano, il mio pianerottolo, dove recupero le chiavi dalla tasca, ma non faccio in tempo ad aprire la serratura, perché la sua voce mi spaventa al punto tale che le chiavi mi cadono per terra.

«Dove sei stato?» Mi volto alla mia destra, verso la rampa di scale che porta al piano superiore, fino alla porta che dà sul tetto, e la vedo.

È seduta sui gradini, i gomiti appoggiati alle ginocchia, le mani strette l'una nell'altra, i lineamenti del viso tesi, allo stesso modo in cui sono tese le sue spalle. Il suo sguardo è fisso nel mio, eppure è come se fosse perso nel vuoto.

«Chloe che ci fai lì?» le domando, facendo un passo verso di lei.

«Harry resta lì e rispondi alla mia domanda.» Sembra quasi spaventata.

Tutti i miei progetti per la serata devono essere rivisti. 
Immediatamente.

**********

Chloe

L'attesa su questi gradini è stata più breve del previsto. Non immaginavo di vederlo qui così presto. La sua espressione dice chiaramente quanto sia spaventato, e non credo sia solo per il fatto che l'ho colto di sorpresa facendomi trovare qui sulle scale. No. Lui era assolutamente sicuro di non trovarmi qui, glielo leggo negli occhi.

«Chloe entriamo dentro e ne parliamo con calma.» Tenta un altro passo verso di me, ma stavolta non voglio cedere.

Ho bisogno di risposte e voglio sentirle arrivare direttamente dalla sua bocca. Non m'importa di quella e non m'importa nemmeno se ha fatto qualcosa di sbagliato. Tutta questa incertezza sta diventando insostenibile. Ho bisogno di Harry e ho bisogno di chiarire con lui, ma averlo troppo vicino mi fa perdere la lucidità necessaria per arrivare ad una conclusione. È per questo che devo mantenere una piccola distanza di sicurezza.

«Dimmi solo dove sei stato» gli dico, allungando una mano nella sua direzione facendogli cenno di fermarsi.

«Sarei venuto da te per dirtelo... Volevo solo farmi una doccia... Per favore, Chloe, vieni dentro con me...» Anche lui allunga una mano nella mia direzione, ma non di certo per tenermi a distanza come ho fatto io.

«E allora rispondi... Ho avuto pazienza, ho aspettato, ti ho lasciato tutto il tempo di cui avevi bisogno, ma adesso non ce la faccio più... Devo sapere...» Il pensiero di poterlo perdere mi sta uccidendo.

«E io voglio dirtelo, ma non così... sulle scale... Per favore...» Fa un altro passo verso di me senza abbassare la mano e senza smettere di guardarmi negli occhi.

«Ho parlato con Winter» dico, cercando di cogliere la minima variazione di espressione sul suo viso, e lui sembra non averne, ma non perdo di vista i suoi occhi così espressivi e così sinceri.

«Non c'è stato niente tra me e lei, devi credermi.» Lo guardo, lo osservo, studio ogni suo movimento, e non c'è assolutamente niente che mi faccia credere che mi stia mentendo.

«Ti credo, Harry.» Ormai ho capito che ciò che mi sta tenendo nascosto non ha nulla a che fare con la sua ex, ma questo non toglie che c'è comunque un segreto tra noi.

«Davvero?» Sembra sorpreso della mia affermazione.

«Davvero.»

«Vuoi farmi credere che non ti ha detto qualche stronzata per indurti a credere che io fossi stato con lei?» I lineamenti del suo viso si rilassano e spunta anche l'ombra di un sorriso divertito.

«Al contrario... Mi ha detto che eri con lei fino a qualche minuto prima, che ha vissuto qui con te e che non so come renderti felice.» Per un attimo torna serio, poi sorride di nuovo posando il piede sul primo gradino.

Si sta avvicinando di nuovo, ma stavolta non lo fermo, potrebbe essere un bene annullare le distanze.

«E tu cosa le hai risposto?» mi chiede, sedendosi accanto a me.

«Le ho fatto il culo» dico con una certa soddisfazione nella voce.

Non lo so se davvero le ho fatto il culo o se mi sono a malapena difesa, in questo momento non sono in grado di stabilire niente, perché il suo braccio, seppur coperto dalla manica del cappotto, si posa lentamente sulla mia spalla e io riesco quasi a sentirlo. La sua mano arriva tra i miei capelli per accarezzarli come fa spesso, e i suoi occhi sembrano sempre più profondi ad ogni secondo che passa.

«La piccola Stewart ha tirato fuori gli artigli» dice con voce bassa. «Mi sarebbe piaciuto assistere alla scena, sai?» Le sue dita sono ancora lì e l'intensità del suo sguardo inizia a farmi mancare l'aria.

«Harry...»

«Ti prometto che stasera risponderò ad ogni tua domanda, ti toglierò ogni dubbio, ma fidati di me ancora un po', proprio come hai fatto finora.» Non vorrei aspettare, perché l'ansia di voler sapere tutto mi sta mangiando viva. «Ti prego... Ho davvero bisogno di una doccia...»

«Ok.» Acconsento a seguirlo all'interno del suo appartamento, lui sembra rilassarsi ulteriormente, mentre io non faccio che agitarmi di più, e nel tempo che Harry resta sotto la doccia, io non faccio che pensare a quello che mi ha appena rivelato.

Mi ha detto che sarebbe venuto da me stasera per dirmi cosa sta succedendo e per rispondere alle mie domande, ha deciso di interrompere il suo silenzio e di essere chiaro, ma non so perché la cosa non mi tranquillizza come mi aspettavo.

Resto seduta sul suo divano, in una posizione che non si può definire rilassata, cerco di concentrarmi sul rumore dell'acqua proveniente dal bagno per non divagare troppo con la mente, fisso un punto indefinito di fronte a me e rimango immobile. La sensazione è quella di essere in un limbo, e tutto dipende da ciò che mi dirà quando uscirà da quella porta. Non so se dovrei fargli delle domande o semplicemente lasciargli modo di spiegarsi da solo, adesso come adesso non so bene cosa fare.

«Dammi ancora due minuti.» La sua voce mi distoglie dalle mie riflessioni.

Alzo la testa e me lo vedo passare davanti con addosso solo un asciugamano bianco legato in vita. I capelli ancora asciutti, legati in una crocchia alta, e il sorriso meraviglioso di cui continuo ad innamorarmi ancora, poi sparisce oltre la porta della sua stanza per uscirne poco dopo con addosso un paio di jeans neri e una camicia scura che sta ancora abbottonando.

«Sono pronto» mi dice, camminando verso di me.

«Pronto per cosa?» domando, aggrottando le sopracciglia con una chiara espressione confusa sul volto.

«Ti ho detto che ti avrei detto tutto, ma non posso farlo qui. Metto il cappotto e andiamo.» Sono ancora confusa, ma non protesto in alcun modo. Mi alzo e lo seguo in silenzio.

Usciamo dall'appartamento e scendiamo al piano terra, poi saliamo sulla sua auto, parcheggiata fuori, e io continuo a non dire niente perché sono decisamente in ansia e non saprei neanche da che parte cominciare. Lo guardo allungarsi dalla mia parte per aprire il porta oggetti, dal quale tira fuori un pezzo di stoffa scuro.

«So bene di non essere stato un granché in queste ultime settimane, credimi, lo so. Come so anche che posso contare su di te. Me l'hai dimostrato continuamente: non mi hai mai assillato con domande o sospetti assurdi, anzi, mi hai sempre appoggiato. Adesso ti chiedo di fidarti ancora una volta di me.»

«Ok.» Mi lascerei guidare da lui in capo al mondo.

Non aggiunge altro, poi lo vedo protendere le mani verso di me e poggiare quel pezzo di stoffa sui miei occhi.

«Harry...?» Non so cosa chiedergli, la situazione è sempre più confusa, ma alla fine non mi muovo e resto lì a farmi bendare, mentre lo sento ridacchiare.

«Dovremmo provarla in un altro momento. Questa benda ti sta fin troppo bene.» Le sue labbra si posano sulle mie, mentre i miei occhi sono completamente al buio. La sensazione che mi regala questo brevissimo bacio è incredibilmente potente, forse perché mi ha privata della vista e mi sono concentrata solo su quel rapido contatto della sua bocca sulla mia, o forse perché, semplicemente, è lui ad avermi baciata e io ne ho bisogno come l'aria. Lo sento ancora sporgersi su di me, sento scorrere la cintura di sicurezza per poi agganciarla. «Sei pronta?»

«Dove stiamo andando?» gli chiedo, quando sento che accende il motore.

«Stewart, se te lo dico che senso avrebbe avuto bendarti?» Ridacchia ancora, poi sento la macchina in movimento.

«Non puoi dirmelo e basta?» Sono tremendamente in ansia e particolarmente curiosa. Non immaginavo che la serata avrebbe preso questa piega, ma sono contenta di non essere da qualche parte ad urlarci contro per motivi stupidi e banali.

«Se non la smetti di parlare cercherò un'altra benda da metterti sulla bocca.» Sta scherzando.

«Stai scherzando, giusto?» gli chiedo, pensando all'eventualità di lui che mi benda sul serio.

«Mettimi alla prova, Stewart. Continua a fare domande, alle quali sai benissimo che non riceverai risposta, e vedrai se sto scherzando oppure no.» Il suo tono di voce è divertito, e io mi rilasso un po'.

Sento le mie spalle abbassarsi, torno a fare dei respiri più lunghi, ma il mio cuore non ne vuole sapere comunque di rallentare, perché, anche se non sono agitata per il fatto di stare per scoprire la verità, sono ugualmente emozionata per quello che sta per succedere.

«Ok, se non vuoi dirmi dove stiamo andando, puoi almeno dirmi perché hai aspettato fino ad oggi per parlarne con me?» Il mio cuore ha sempre avuto piena e totale fiducia in lui, ma non nego che la mia mente, a volte, mi ha fatto dubitare persino di me stessa, portandomi a credere che Harry potesse fare qualcosa di sbagliato.

«Non adesso... Anzi, credo di non poter rispondere a niente, ma non dovrai aspettare ancora molto.» Sembra tranquillo e il suo buon umore è contagioso. Mi concentro sul suono della sua voce, sui rumori esterni, e sulla sua mano che si posa sulla mia gamba di tanto in tanto, come a volermi rassicurare.

E ci riesce, perché mi sento meglio quando sono con lui. È sempre stato così, anche quando non lo conoscevo abbastanza da sapere che potrei affidargli la mia vita.

Sento la macchina rallentare, poi il motore tace, e lascia spazio alla sua voce, dalla quale riesco a percepire un certo livello di agitazione.

«Siamo arrivati. Aspettami lì.» Faccio come mi dice. Sento il rumore del suo sportello aprirsi e chiudersi: per un attimo resto sola in auto, al buio, in silenzio e mi rendo conto di quanta fiducia nutro in lui. Sento il rumore della portiera quando viene aperta. Sento il suo corpo rubarmi il respiro quando si posa leggermente sul mio per sganciare la cintura, e infine la sua mano sulla mia. «Vieni con me, ma non togliere ancora la benda.» Il suo è un invito a scendere e io lo seguo senza protestare.

Mi fa strada indicandomi dove mettere i piedi, mentre sento l'ansia per l'attesa salire a dismisura. Vorrei poter aprire gli occhi, e allo stesso tempo vorrei fermare questo momento in cui lui mi tiene per mano, l'altra è posata alla base della mia schiena, e l'unico suono che riesco a sentire è la sua voce.

Un po' com'è stata la mia vita da quando l'ho conosciuto.

Dopo l'incidente di Dylan mi ero persa, la mia intera esistenza si era spenta e io vagavo nel buio più fitto. Continuavo ad andare a sbattere contro qualunque ostacolo, finendo per essere vittima e carnefice di me stessa. A lungo ho cercato di poter accendere una luce - o almeno ero convinta di farlo - e il mio cammino era assolutamente insensato.

Fino a quando una sera, che credevo una sera qualunque, ho incontrato Harry. Da quel momento mi ha teso la mano, ha stretto la mia e mi ha guidata nel buio fino a vedere di nuovo la luce, come adesso che mi sta togliendo la benda dagli occhi e quello che vedo è una continua meraviglia.

Apro lentamente gli occhi e ci metto un attimo a rimettere a fuoco la vista.

«Ci siamo, piccola Stewart.» Il suo tono di voce è innegabilmente emozionato, come pure i suoi occhi, lucidi e brillanti.

Mi guardo intorno dopo aver osservato il suo sorriso tirato e riconosco il luogo, nonostante mi sembri ci sia qualcosa di diverso, qualcosa che non riesco ad identificare. «Perché mi hai portata qui?» So bene quanto Harry ami questo luogo.

Casa di suo nonno è il suo rifugio, e sapere che l'ha condiviso solo con me, non può che rendermi felice.

«Perché volevo che vedessi con i tuoi occhi dove ho trascorso il mio tempo nelle ultime settimane.» Infila le chiavi nella serratura e mi fa cenno di entrare.

Il mio sguardo meravigliato cattura ogni dettaglio: la casa è diversa pur essendo sempre la stessa. Non c'è più la moquette sul pavimento, ma un caldo parquet. Sono sicura che il divano sia nuovo, ma la poltrona rossa, quella di suo nonno, è ancora al suo posto. Le foto di famiglia sono sempre in bella vista sul camino, ma la parete e la mensola le ricordavo di un colore diverso. La cucina è completamente rinnovata, gli elettrodomestici sono nuovi, e io inizio ad essere confusa da tutti questi cambiamenti.

«L'ho ristrutturata.» Harry risponde alla domanda che si stava facendo spazio nella mia testa, ancora prima che gliela ponessi.

Mi volto a guardarlo. È in piedi accanto a me e sembra un bambino emozionato.

«È bellissima, Harry.» Ha avuto la straordinaria capacità di rinnovarla senza però stravolgerla del tutto, lasciando l'impronta di suo nonno. Ovunque si guardi c'è una piccola traccia di quell'uomo che ha un posto speciale nel cuore di Harry.

«Non volevo più stare in quell'appartamento, volevo qualcosa che fosse davvero mio, un posto da poter chiamare casa, così ho parlato di questa idea con mio padre e mio fratello. Entrambi mi hanno detto che sarebbero stati felici se io fossi venuto a vivere qui.» Adesso nella sua voce ci sono entusiasmo e gioia. Poche volte l'ho sentito parlare in questo modo e non posso fare altro che guardarlo incantata. «Ho già dato la disdetta al contratto d'affitto e devo lasciare l'appartamento entro fine mese. Per questo motivo ho dovuto passare qui quasi tutto il mio tempo libero. Volevo che i lavori fossero finiti in tempo per il trasloco.»

«Perché non mi hai detto niente?» Sono disorientata e poco lucida, e non riesco a capire perché mi abbia tenuto nascosto una cosa tanto bella.

«Volevo che fosse una sorpresa» mi si posiziona davanti, posa entrambe le mani ai lati del mio viso. I suoi occhi sembrano brillare e il dono della parola sembra perdersi nel nulla, perché non riesco ancora a parlare. «Volevo sorprenderti così tanto che non avresti potuto rispondermi altro che sì.» Le sue dita rafforzano leggermente la presa, sento le punte infilarsi tra i capelli e i suoi occhi sono carichi di speranza.

«A cosa dovrei rispondere sì?» Come un fulmine che arriva all'improvviso, una parte del mio cervello ha compreso perfettamente ciò che sta per succedere, mentre l'altra parte si rifiuta di capire e accettare quello che sta per uscire dalla sua bocca.

«Vieni a vivere qui con me.» Nella sua voce non ho sentito alcun tono di domanda e l'aria sembra essere completamente sparita dai miei polmoni.

«Harry...» Riesco a pronunciare solo il suo nome, in un lieve sussurro che quasi fatico a sentire io stessa.

«Avremmo un posto solo nostro, ho anche pensato ad uno spazio tutto tuo dove potresti metterti a lavorare  alle tue traduzioni.» Il mio cervello sembra essersi svuotato, come se ci fosse un blackout.

«Harry...» Vorrei dire tante cose, ma l'unica cosa che esce dalle mie labbra è il suo nome, pronunciato a bassa voce, mentre resto in balia di lui e delle sue parole, che continuano ad arrivare al mio cervello, ormai andato in tilt.

«Vieni, ti faccio vedere il resto della casa.» Mi prende per mano e mi trascina nelle altre stanze illustrandomi, per ognuna, i cambiamenti che ha apportato, come togliere la vasca da bagno per mettere una doccia abbastanza grande per due persone, o tutte le modifiche alla stanza in cui dormiva lui quando era piccolo, rendendola lo studio per me.

Le pareti sono chiare, c'è una grande scrivania dotata di lampada e materiale da cancelleria, come matite e quaderni per appunti. Una libreria copre la parete sinistra e resto a guardare ammirata ogni particolare, notando come Harry abbia pensato a tutto.

«Ti piace?» mi domanda incerto, e io vorrei dirgli quanto trovi meraviglioso tutto questo, ma è ancora in corso il blackout nella mia testa e, come un disco rotto, riesco a pronunciare un'unica parola.

«Harry...»

«Aspetta, c'è ancora una stanza da vedere.» Le parole sono ferme nella mia gola, sembra che le mie corde vocali siano entrate in sciopero. Non mi resta che seguirlo ancora fino a che non si ferma davanti ad una porta, che apre per mostrarmi l'interno.

È una camera da letto matrimoniale molto spaziosa, che guardo solo per un attimo perché ho subito la necessità di guardarlo negli occhi. Lui non fa che guardare me, come se non avesse mai visto nulla di più bello.

Mi avvicino di più, poso entrambe le mani sul suo petto, risalgo verso le scapole per poi allacciarle dietro la sua nuca. Sento il suo corpo contro il mio e le sue mani posarsi sulla mia schiena. «Harry...»

«Andiamo, Stewart, non vorrai dirmi che vuoi restare con Mason e Stewart senior?» Credo abbia timore della mia risposta perché io non faccio altro che pronunciare unicamente il suo nome, e lui non fa che interrompermi. «Quei due sono rumorosi e poi non vorrai ritrovarteli sul tavolo della cucina quando scendi a fare colazione. Per non parlare del fatto che quando hai qualche incarico da noi, potremmo andare insieme in ufficio e potrei venire nel tuo studio mentre stai lavoran...»

«Sì.» Si ferma di colpo quando mi sente pronunciare quelle due lettere. Stavolta sembra il suo cervello ad essere andato in blackout, data la sua espressione stupita.

«Hai detto sì?» mi domanda stringendomi di più a sé.

«Ho detto sì.» Sorrido nel veder spuntare le sue fossette.

«Cosa ti ha convinto? Mason e Stewart senior sul tavolo della cucina?» Mi sono totalmente persa nei suoi occhi.

«Credo sia stato quel bacio fuori dal supermercato ad avermi convinta...» gli dico riferendomi al nostro primo bacio, quello che mi ha definitivamente rubato il cuore «ma anche l'argomento Mason e Stewart senior ha avuto il suo peso.» Ridacchia e mi stringe.

«Davvero è stato quel bacio?» mi domanda, continuando a tenermi stretta.

«Quel bacio è stato determinante. È stato in quel momento che mi sono resa conto che non sarei mai stata capace di respingerti. Mi sono innamorata di te in quel momento. E succede ogni volta che mi baci.» Le mie parole gli tolgono il sorriso, la sua espressione cambia. Adesso ha voglia di baciarmi, glielo leggo negli occhi, e poi lo fa.

Azzera le distanze, mi bacia come quel giorno, nel parcheggio del supermercato, prendendosi il mio respiro, la mia bocca, mentre le sue braccia mi stringono come a voler diventare una cosa sola.

«Hai detto sì» ripete abbracciandomi.

«Ho detto sì» confermo, con il viso nascosto nell'incavo del suo collo.

«Hai detto sì, cazzo!» Mi scappa una piccola risata nel sentire tanto entusiasmo da parte sua. «Resta qui con me stasera.» C'è ancora qualche domanda che vorrei fargli, ma credo possa aspettare domani mattina. Adesso voglio essere io stessa a spegnere il cervello per potermi concentrare solo su di lui.

«Basta che non sia tu a preparare la colazione domani.» Ride con me, ma quel sorriso scompare quasi subito, poi la sua bocca è di nuovo sulla mia e io indietreggio fino a fermarmi contro la parete.

Il suo corpo preme sul mio, la sua bocca e la sua lingua non mi danno tregua, mentre le sue mani si infilano sotto la mia maglia. Le mie si posano sul suo addome, alla ricerca dei bottoni della camicia. In breve tempo i nostri vestiti sono sul pavimento e i nostri corpi vivono l'uno per l'altro, in una perfetta sintonia che mi porta a volerlo per me, per sempre.

**********

Ho aperto gli occhi già da un po', sono troppo eccitata per dormire. Credo sia presto perché è ancora buio, ma non ho la minima idea di che ora sia. Sul comodino non c'è la sveglia, e i nostri cellulari li abbiamo lasciati in salotto. Io non ho impegni urgenti oggi, e lui credo possa permettersi un ritardo.

Voglio restare a guardarlo più a lungo possibile, vorrei che questo momento non finisse mai, perché la gioia che provo è davvero sconfinata.

Harry ha fatto tutto questo per noi, ha passato le sue serate qui dentro per realizzare un sogno. Non è mai stato con quella, e quando stanotte me l'ha confermato il mio cuore è esploso ulteriormente, perché ha sempre avuto ragione. Dopo aver fatto l'amore per la prima volta nella nostra casa - parole sue - abbiamo parlato un po' mentre mi teneva tra le sue braccia, e mi ha raccontato che, la sera in cui sono passata a rapirlo in ufficio, avrebbe dovuto venire qui per ultimare un paio di cose con il responsabile dei lavori. Avevo ragione a pensare che non fosse un cliente, ma non avrei mai immaginato quello che in realtà c'era dietro.

«Ritiro la mia offerta, se tutte le mattine devi fare tutto questo rumore...» La voce di Harry mi distoglie dai miei pensieri e lo guardo muoversi per poi voltarsi verso di me. «Che succede?»

«Niente, sono felice. Hai fame?» gli chiedo, posando una mano sul suo torace.

«Cazzo se ho fame, ma adesso vieni qui.» Mi fa appoggiare sul suo petto e mi lascio stringere tra le sue braccia. «Ho un mazzo di chiavi per te, così oggi potrai portare qui un po' di roba tua.»

«Davi per scontato che ti avrei detto sì?»

«In realtà ero terrorizzato dall'idea che mi avresti detto no, così, con quel mazzo di chiavi per te, cercavo di convincermi che sarebbe andata bene.» Mi stringo di più a lui, lo bacio sul petto, poi alzo lo sguardo per trovarlo sorridente.

«Ti amo, Harry... Ti amo così tanto...» Non so se riuscirò mai a descrivere a parole quello che provo per questo ragazzo meraviglioso.

«Porta qui tutte le tue cose oggi, non voglio aspettare un giorno di più.» Sentire che per lui è lo stesso mi rende felice oltre ogni immaginazione.

«Spero che tu abbia fatto almeno la spesa.» Ho bisogno di spostare l'argomento della conversazione, perché sto per scoppiare a piangere da quanto sono felice.

«Ma certo, cosa credi? La cucina è fornitissima, se vuoi provare ad essere all'altezza di Brenda... Ahia!» Si lamenta per il piccolo pugno che gli ho tirato sullo stomaco.

«Sono sempre meglio di te, che rischi di dare fuoco alla casa ogni volta che ti metti in cucina.» Non potrò mai essere all'altezza di Brenda.

«La mia è tutta una tattica per essere coccolato.»

«Sì, certo, come no.» Mi allontano per potermi alzare dal letto. Mi infilo la maglia che avevo ieri sera, e quando sto per uscire dalla stanza, la sua voce mi ferma.

«Piccola Stewart?» Mi volto a guardarlo e mi innamoro di lui, ancora. «Io ti amo.» Gli sorrido, incapace di replicare, perché quando me lo dice in quel modo, io mi sciolgo.

Esco dalla camera da letto e mi reco in cucina, quando sento la vibrazione di un cellulare. Mi avvicino alla fonte del rumore e mi rendo conto che proviene dalla tasca del cappotto di Harry. Lo prendo e vedo che è suo fratello a chiamarlo, così glielo porto pensando che potrebbe essere importante.

«È Jordan» gli dico, porgendogli il telefono.

«Ma che cazzo! Gli avevo detto di non chiamarmi a meno che non fosse una questione di vita o di morte!» Si mette seduto, poi prende il cellulare, tocca l'icona sul display e se lo porta all'orecchio. «Che c'è?» risponde, evidentemente seccato.

La sua espressione cambia immediatamente, da felice e sorridente a scocciato, fino a quella di un bambino sperduto e spaventato man mano che suo fratello parla dall'altra parte del telefono. Sono in agitazione mentre aspetto che lui chiuda la chiamata. È successo qualcosa di brutto, qualcosa che sta mandando all'aria tutto il nostro buonumore, e anche io inizio ad essere spaventata.

«Ok... ok...» Riaggancia, poi mi guarda serio, e quello che dice subito dopo, oltre al tono con cui lo dice, mi fa gelare il sangue nelle vene.

«Mia madre è tornata.» 

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Capitolo 76
*** Mi sono perso ***


Salutarlo è stato straziante.

Sapere di essere del tutto impotente in questa situazione mi sta facendo uscire di testa.

Dopo la telefonata di Jordan, il volto di Harry si è trasformato in una maschera inespressiva. Non ha voluto fare colazione - a parte una tazza di zucchero con un po' di caffè - e ha smesso quasi completamente di parlare, fatta eccezione per qualche mono sillabo che usciva dalle sue labbra in occasione di alcune mie domande, ma erano risposte totalmente a caso, come quelle che mi ha dato in macchina mentre mi accompagnava a casa.

***

«Harry?» Vorrei davvero fare qualcosa per lui, per farlo sentire meglio, ma non so proprio cosa.

«Mh?» Risponde come se fosse un automa.

«Non sei costretto a vederla se non sei pronto a farlo.» Abbiamo affrontato il discorso dell'abbandono di sua madre una sola volta, e il dolore che traspariva dalle sue parole, non credo di poterlo dimenticare mai più.

«Mh mh...» Non so se ha davvero capito quello che gli ho detto, o se semplicemente non ha voglia di parlarne.

«Possiamo farlo insieme se può farti sentire meglio, sai che farei qualunque cosa per te.» Farei davvero qualsiasi cosa per lui, specialmente per vederlo tornare a sorridere come ieri sera.

«Ok...» Resto sorpresa della sua risposta, perché è uscita dalla sua bocca troppo velocemente.

«Davvero vorresti che venissi con te?» Devo assicurarmi che mi stia davvero dando retta, ma ho l'impressione che sia perso tra i suoi pensieri.

«No...» La sua negazione non è affatto decisa, né tantomeno convinta. Mi sembra solamente un risponditore automatico casuale, ma ho la domanda giusta per capirlo.

«Sono stata a letto con Jordan.»

«Ok...» Il suo sguardo è vuoto, continuamente proiettato in avanti, non sono nemmeno sicura che stia guardando la strada.

«Più di una volta.» Siamo ormai quasi arrivati e lui sembra essere atterrato su un altro pianeta.

«Ok...» Questa è la conferma che Harry non è qui con me in questa macchina. C'è solamente il suo corpo, la sua mente è da tutt'altra parte.

Mi rassegno e mi appoggio al sedile. Non parlerà con me, non adesso che è così preso dal suo tormento.

Harry ferma la macchina, e io sono felice del fatto che almeno si renda conto di dove sta andando. Il pensiero che si possa mettere in pericolo mi terrorizza.

«Ehi...» Richiamo la sua attenzione dopo che ha parcheggiato a lato della strada, e quando si volta nella mia direzione vedo nei suoi occhi, ora scuri, tutto il dolore che questo ritorno ha riportato nella sua vita.

«Passo a prenderti stasera appena esco dall'ufficio.» Nelle sue parole è chiaro il messaggio implicito di tenermi a distanza. Non so se sia il caso di lasciarlo da solo, io ho sempre avuto bisogno di lui, ma forse devo lasciargli provare ad uscirne da solo.

«Harry non sei costretto a fare niente, neanche ad andare a lavorare...»

«Ho detto che passo a prenderti stasera. Niente rovinerà i nostri progetti.» Il suo tono di voce è quasi brusco, ma non protesto e annuisco tentando di sorridere.

«D'accordo, a stasera allora, ma ricordati... Puoi chiamarmi quando vuoi...» Per un attimo sembra perdersi, poi, d'improvviso, le sue mani arrivano sul mio viso, le sue labbra sulle mie per un bacio urgente, al quale mi abbandono totalmente lasciando che si prenda tutto il conforto di cui ha bisogno.

*

Sposto la maglietta che Zach ha lasciato appesa al gancio del mio accappatoio, e sorrido al pensiero che la proposta di Harry è arrivata proprio al momento giusto. È giunta l'ora di togliere le tende da qui, mia sorella ha tutto il diritto di vivere la sua vita nel suo appartamento, mentre io voglio vivere la mia con Harry.

Ripenso alla sua espressione la sera del suo compleanno, quando abbiamo assistito alla scena di Zach che chiedeva a mia sorella di convivere e negli occhi del mio ragazzo era comparsa un'espressione terrorizzata. Ora ne conosco il motivo, ma quella sera non avevo di certo colto il senso dei suoi occhi fissi sul suo migliore amico. Credevo fosse spaventato dall'idea di convivere, invece era solo infastidito per essere stato preceduto.

Recupero i miei pochi oggetti personali - tipo lo spazzolino e la pinzetta per le sopracciglia - e torno in camera mia per finire di riempire il beauty, che poi metterò in valigia: il mio programma prevede di preparare quanta più roba possibile da portare con me stasera, quando Harry passerà a prendermi per andare a casa sua.

Nostra... casa nostra, devo ancora farci l'abitudine.

Lo squillo del cellulare mi distoglie dai miei pensieri, lo recupero dalla scrivania dove era appoggiato e mi stupisco di vedere chi mi sta chiamando.

«Ciao, mamma» dico, senza nascondere il mio tono sorpreso.

«Ciao tesoro! Lo so che ci siamo sentite ieri, ma mi sono dimenticata di dirti una cosa...» Mia madre sa che non mi piace chiamare tutti i giorni a casa, perché mi sono sempre sentita controllata a vista quando ho dovuto farlo. E so che avevano ragione ad essere preoccupati per me, ma adesso sono una persona diversa e voglio dimostrare a tutti di essere in grado di cavarmela da sola.

«Dimmi, mamma» le dico, sedendomi sul bordo del mio letto.

«Io e tuo padre abbiamo anticipato la data per il rinnovo delle promesse, ti ricordi che te ne avevo parlato?» Sospiro in silenzio per il fatto di essermene completamente dimenticata.

«Ma certo che me lo ricordo. Come mai avete anticipato?» Tento di fare la brava figlia e di farle credere che non l'avessi dimenticato, ma con quello che è successo con Dylan, l'avevo del tutto scordato.

«Perché tuo padre mi ha fatto una sorpresa e ha prenotato una crociera proprio nei giorni in cui avremmo dovuto celebrare le nostre promesse, ma il costo era così conveniente che abbiamo preferito spostare la data del ricevimento piuttosto che perdere un'occasione del genere.» L'entusiasmo nella sua voce è contagioso, tanto che non posso trattenere un sorriso.

«Avete fatto bene, mamma, vi meritate davvero una vacanza senza pensare a niente.» Hanno dedicato la loro vita a me e a mia sorella, ed è giusto che ora possano godersi dei giorni da sposini. «A quando avete anticipato?»

«La settimana prossima, lo so che è pochissimo tempo per potervi organizzare, ma Rebekah mi ha già dato la sua risposta, mi servirebbe anche la vostra, sai... per poter confermare il numero al ristorante...» Un altro sospiro silenzioso da parte mia, stavolta perché la mia situazione è davvero incerta.

«L'invito è rivolto anche a Harry?» chiedo cauta.

«Certo che sì! È il tuo fidanzato, fa parte della famiglia ormai...» Di nuovo l'entusiasmo di mamma mi fa sorridere. Lei ci vede già sposati e con figli, mentre papà mi vorrebbe ancora con i codini e le rotelle alla bicicletta.

«Mamma...» sto per rispondere, ma poi mi rendo conto che non ho una vera risposta da darle. Non so cosa succederà ora nella vita di Harry, e credo che partecipare ad un evento che celebra l'unione dei miei genitori, sia l'ultima cosa che si aspetta di fare, ora come ora. «Ci saremo...» rispondo alla fine, giusto per evitare altre domande. Se Harry non sarà presente posso sempre inventare la scusa di un'emergenza al lavoro.

«Perfetto! Allora confermo anche per voi due. A proposito, come va?» Glielo dico? So che non vede l'ora di sapermi felice, e forse questa può essere la notizia che la tranquillizzerà del tutto, facendole capire senza ombra di dubbio quanto io sia andata avanti.

«Mi ha chiesto di andare a vivere con lui proprio ieri sera.»

«Cosa!? Ma è meraviglioso tesoro! Spero tu gli abbia detto di sì!» Ancora una volta il suo entusiasmo mi contagia e mi porta a sorridere, nonostante la mia preoccupazione non sia diminuita nemmeno un po'.

«Sì, mamma.» Restiamo a parlare di quanto sia magnifico Harry, se n'è innamorata anche lei, ma non mi stupisco, perché è questo l'effetto che fa Harry alle persone.

Ti innamori di lui, non puoi evitarlo.

La saluto quando sento la voce di mio padre in sottofondo, perché la sta chiamando per un qualche tipo di emergenza da marito, promettendole ancora che non mancherò per niente al mondo a quello che io reputo il loro secondo matrimonio.

Mi lascio andare all'indietro sul materasso, lo sguardo ricade sulle lucine spente, e il pensiero vola subito fino a Montréal. Forse dovrei chiamarlo, forse dovrei accertarmi che stia bene, e forse dovrei togliere tutti questi forse, perché non è con quelli che lui mi è stato vicino.

Sblocco il display e faccio partire la chiamata, lui risponde al secondo squillo.

«Ciao, piccola Cleo...» Il suo non è un semplice saluto, è il suo modo di dirmi che gli manco.

«Ciao, Kurty, ti ho chiamato per sapere come stai e non dirmi che è tutto ok.» È arrivato il mio turno di ricambiare almeno una piccola parte di ciò che lui ha fatto per me. Non mi sdebiterò mai abbastanza, ma posso provare a fare qualcosa di buono per il migliore amico che abbia mai avuto.

«In realtà avevo intenzione di dirti che mi sento uno schifo.» Non dovrei sorridere per quello che ha appena detto, eppure lo faccio.

«Non l'hai più sentito?» Non credo sia necessario specificare il suo nome.

«Al contrario... Mi chiama tutte le sere e passiamo almeno un'ora a sviscerare ogni motivo per cui non dovremmo più sentirci.» È chiaro, dalla sua voce, quanto sia combattuto.

«Ne avete trovato qualcuno?»

«Nemmeno uno misero, ma è chiaro quanto tutto questo lo mandi in confusione, e rinuncerei immediatamente alla possibilità di poterlo conoscere meglio se solo lui fosse più deciso nel tenermi lontano, solo per lasciargli il tempo di capire davvero che cosa vuole. Ti giuro che non voglio influenzarlo in alcun modo, e ogni sera, alla fine della telefonata, mi promette che ci penserà, che si prenderà del tempo per rifletterci, ma la sera successiva mi chiama di nuovo e tutto ricomincia da capo.» Il mio migliore amico è tormentato. Devo fare qualcosa per lui.

«Kurt... Sei incredibilmente bravo a capire cosa sia giusto per gli altri, ma una totale frana quando si tratta di te stesso...» Lui resta in silenzio, come se stesse cercando di elaborare le mie parole. «Prenditi qualche giorno e vieni qui a Boston. Dylan non vuole affatto tenerti a distanza, ti vuole qui, possibile che tu non lo capisca?» Non oso nemmeno immaginare la confusione che ha Dylan per la testa, ma è chiaro come il sole che ha bisogno di Kurt. Come può far chiarezza su quello che prova se il centro dei suoi pensieri si trova in un altro Stato?

«Non so se posso prendermi qualche giorno...»

«Kurt, tua madre ti darà sicuramente qualche giorno...» il mio migliore amico lavora nel negozio di sua madre, di sicuro gli permetterà di assentarsi «poi torniamo a Montréal insieme alla fine della settimana.» Anche i miei amici sono stati invitati al ricevimento dei miei genitori.

«Non lo so se è una buona idea. E se prendesse la mia presenza come se volessi mettergli pressione?» È proprio andato e, se fosse qui, mi stringerei a lui come se fossi il suo piccolo koala.

«Andiamo, Kurty... Se Dylan volesse davvero del tempo per pensarci non ti chiamerebbe tutte le sere. È normale che sia spaventato, per lui è tutto nuovo, tutta la sua vita lo è, ma è chiaro che abbia bisogno di un piccolo aiuto... Il tuo... Ti sta chiedendo di correre a prenderlo, perché da solo non è in grado di fare quel passo.» Sono assolutamente certa che sia così perché, la sera del compleanno di Harry, non appena ho nominato Kurt tutto il suo turbamento si è manifestato attraverso i suoi occhi.

«Lo credi davvero?» Io non so cosa darei per poterlo aiutare ad essere felice.

«Sì, Kurt. Anzi lo dico anche a Hazel, così non sei solo durante il viaggio.» In realtà il mio nuovo progetto da Cupido prevede anche un piccolo piano amoroso per la mia migliore amica, e la scusa di accompagnare Kurt è un'ottima copertura.

«E se Dylan non...»

«Non c'è nessun se... Dylan ha bisogno di te... Io ho bisogno di te...» Alla fine mi sfugge quello che non volevo sfuggisse. Sono sicura che coglierà di certo il mio tono preoccupato.

«Non dirmi che hai fatto di nuovo incazzare Harry!» La sua battuta mi strappa un sorriso. È sempre stato dalla parte di Harry, e ha sempre avuto ragione, perché il problema sono sempre stata io, ne sono consapevole.

«Perché pensi che sia colpa mia?» Torno a mettermi seduta. L'occhio mi cade sulla cornice con le foto dei miei migliori amici e mi appunto mentalmente che devo metterle in valigia per portarle a casa di Harry.

A casa nostra... Prima o poi mi entrerà in testa.

«Vorresti negare che è sempre a causa tua se lui è incazzato?»

«Non lo nego, ma stavolta io non c'entro niente...» Inspiro profondamente prima di dargli la notizia. «Sua madre è tornata.»

***************

Harry

Non era così che doveva iniziare questa giornata.

Dopo aver aperto gli occhi accanto a lei, in quella che sarà la nostra casa, credevo che avremmo chiacchierato in cucina, mentre lei mi prendeva in giro per le mie inesistenti doti culinarie, e io avrei finito per baciarla, magari provando qualche nuova superficie, fino a che lei non mi avrebbe richiamato all'ordine, o più probabilmente avrebbe ceduto ad ogni mia richiesta.

Le avrei lasciato il suo mazzo di chiavi dopo averla accompagnata al suo appartamento, così avrebbe preparato un po' di cose che avremmo caricato stasera in macchina quando sarei passato a prenderla dopo l'ufficio. Avremmo preparato insieme la cena, avremmo potuto passare la serata sul divano a fingere di guardare la TV mentre avrei tentato di distrarla in ogni modo possibile. Ci saremmo addormentati insieme, dopo aver fatto l'amore, e ci saremmo risvegliati il giorno dopo per rivivere in loop la felicità che era finalmente arrivata nella mia vita.

E invece è riuscita a far crollare il mio umore ai minimi storici. Sono consapevole che non dovrei darle tutta questa importanza, lei non ne ha mai data a me, ma quella ferita, quella che lei ha provocato sparendo da un giorno all'altro, senza dare più alcuna notizia di sé, stava iniziando a chiudersi da poco, e adesso l'ha riaperta.

E, cazzo, se fa male!

Fa talmente tanto male che non ho pensato ad altro che tentare di proteggermi in qualunque modo, chiudendo testa e cuore, di modo che nient'altro potesse arrivare ad infierire sul sangue che sto continuando a perdere. Mi rendo perfettamente conto di aver ignorato Chloe in macchina, ma il meccanismo di difesa si è attivato in automatico non appena mio fratello ha finito di pronunciare quelle parole.

Mi sono concentrato unicamente sulla strada e sul traffico perché devo tenere a bada i pensieri. Non posso permettere che prendano il sopravvento, non posso perdere la lucidità necessaria per affrontarla. Vorrei avere un interruttore in grado di spegnere l'emotività, perché voglio che capisca che lei non conta niente per me, assolutamente niente, ma non posso farlo se le mani continuano a tremare o se la voce sembra essersi volatilizzata.

Sono seduto al volante della mia macchina, parcheggiata nel vialetto di casa di mio padre, da quasi venti minuti: mi ha detto Jordan di venire qui, se non mi fossi presentato sarebbe venuta in ufficio e non mi va di fare sapere a tutti i cazzi miei, quindi stringo con forza un'ultima volta le dita intorno al volante, poi scendo dall'auto per entrare in casa.

Ho il respiro corto, segno della mia crescente agitazione, il cuore che batte forte, lo sento fino in gola, ma niente mi impedirà di sbatterle in faccia tutto il mio rancore.

Entro lentamente in cucina. Jordan è in piedi, appoggiato al ripiano accanto al frigo, con le braccia incrociate, papà è seduto a tavola totalmente preso da lei, che mi guarda non appena si accorge della mia presenza, e io sento una profonda coltellata al petto non appena mi sorride.

«Harry!» Si alza in piedi per venirmi incontro.

«Resta dove sei!» le dico bruscamente, intimandole di fermarsi non solo con le parole, ma anche con lo sguardo.

Tutta la rabbia che ho accumulato in questi anni è appena venuta a galla. È amara, velenosa, e soffocante. Detesto con tutto me stesso quella donna ferma in piedi accanto al tavolo, quella che avrebbe dovuto essere mia madre, il mio punto di riferimento, e invece è stata colei che mi ha distrutto. Sono arrivato a un passo dall'autodistruzione e, questo, non posso proprio dimenticarlo.

«Harry!» Mio padre mi richiama, ma lei lo interrompe.

«Lascialo stare, Harrison, non fa niente. Harry ha ragione.» Torna sui suoi passi e si siede di nuovo di fronte a mio padre. «Perché non vieni a sederti qui?» dice, rivolgendosi a me.

«Preferisco mio fratello...» dico, camminando nella sua direzione «l'unico che è stato una vera famiglia per me.»

«Harry!» Mio padre alza leggermente la voce e io inizio ad infastidirmi per il suo atteggiamento.

«Harrison non importa, davvero. È normale che sia arrabbiato.» Parla a mio padre con un enorme sorriso, e forse potrà prendere per il culo lui, perché credo non abbia mai smesso di amarla, nonostante tutto, ma non me.

«Arrabbiato dici? Arrabbiato? Oh, credimi... Arrabbiato non rende affatto l'idea!» Incrocio anch'io le braccia e sento l'amaro di quella rabbia raggiungere ogni parte della mia bocca.

«Harry adesso smettila!» Mio padre persiste nel suo comportamento ostile nei miei confronti, ma questo non fa che aumentare il malessere che provo in questo momento.

«Harry invece ha appena iniziato» affermo, con tono sarcastico.

«Tua madre è venuta qui per parlare, perché non puoi restare ad ascoltare come fa tuo fratello?» Mio padre insiste nel volerla difendere.

«Suo fratello resta in silenzio perché non ha niente da dire, ma questo non vuol dire che stia ascoltando.» È Jordan a parlare, almeno lui è dalla mia parte.

«Harrison va bene così, è normale, devono avere il tempo di accettare che io sia qui.» Non riesco a credere alle mie orecchie.

«Tu credi davvero che possiamo accettare il tuo ritorno così? Come se niente fosse?» Sento il sangue pompare in fretta nelle vene, risalire verso l'alto, portandomi a sentire caldo.

«Certo che no, Harry» risponde lei «quello che vi chiedo è di darmi la possibilità di parlare...»

«Darti la possibilità di parlare!? Come quella che tu hai dato a noi quando te ne sei andata!?» Sento il sangue salire fino agli occhi e sto tentando di trattenermi in ogni modo, ma l'unica cosa che vorrei fare è spaccare qualcosa.

«Harry!»

«Harry un cazzo!» Mio padre mi sta facendo andare fuori di testa. È sempre stato talmente accecato dai sentimenti che prova per lei, che non si rende neanche conto che sta andando contro suo figlio, ancora. «Ti sta raggirando di nuovo, sta raggirando tutti quanti, perché non lo capisci!?»

«Harry è di tua madre che stai parlando!» Papà non molla, ma nemmeno io ho intenzione di farlo.

«Ed è la stessa persona per cui hai passato notti a piangere, e l'hai fatto per mesi...» Gli occhi di mio padre si spalancano alla mia affermazione. «Io ti sentivo, sai!? Sentivo la tua disperazione attraverso i muri e l'unica volta in cui ho avuto il coraggio di venire nella tua camera, tu mi hai buttato fuori. E sai chi c'era a consolarmi? Jordan! Lui c'era sempre! Avevo solo sette anni, cazzo!» Le lacrime dettate dalla rabbia, che si è appena impossessata di ogni fibra del mio corpo, sono pronte ad uscire con tutta la loro forza. Le ho trattenute troppo a lungo, ma non darò a nessuno la soddisfazione di vederle.

Esco dalla stanza a grandi falcate e percorro velocemente il corridoio. Qualcuno mi richiama a gran voce, ma non riesco a riconoscere chi sia. Potrebbe essere Jordan, ma la mia mente è così in tempesta che ho difficoltà a connettere. Non mi fermo. Apro la porta che dà all'esterno, mi appoggio alla staccionata del portico, e inspiro velocemente grandi quantità d'aria per riuscire a calmarmi.

È tutto talmente pazzesco che non mi sembra nemmeno vero. Sto cercando di dire a me stesso che è reale, ma sembra solo senza senso.

Sento poi il rumore dei passi di qualcuno alle mie spalle e non ho bisogno di voltarmi per sapere chi è.

«Posso parlarti?» Vorrei dirle che non voglio sentire niente, ma la mia rabbia è talmente intensa da tenermi bloccate le corde vocali. Lei prende il mio silenzio come un assenso e continua a parlare. «Sono qui per tuo padre e...»

«Gli hai rovinato la vita già una volta, l'hai rovinata a tutti! Non te lo farò fare una seconda volta!» Mi brucia la gola per quanta rabbia sta uscendo insieme alle mie parole.

«Voglio solo provare a rimediare a tutti i miei errori, voglio prendermi cura di voi...»

«Sono quasi vent'anni che ce la caviamo da soli, non abbiamo bisogno di te. Io non ho bisogno di te.» La detesto con ogni parte di me.

«Harry sono io ad aver bisogno di te. Anche se sono tua madre sono io quella che ha bisogno di suo figlio.» Detesto il suo viso sorridente che tenta di abbindolarmi.

«Avermi partorito non ti rende automaticamente mia madre.» Le parlo con tutto il disprezzo che provo nei suoi confronti, ma sembra che il mio atteggiamento non la tocchi minimamente.

«Harry... Io ti devo parlare...»

«Di cosa vuoi parlare!? Eh!? Del fatto che sei riuscita a rovinare la mia giornata oltre che la mia quasi intera vita!?» Stavolta sembra accusare il colpo e non m'importa di farla soffrire.

«Davvero non vuoi sapere perché sono tornata?» La sua voce è più bassa, e forse dovrei avere compassione per la sua espressione avvilita, ma non ne ho.

«Non m'importa di te, non m'importa perché sei tornata e non m'importa cos'hai da dire. Non sono papà, non aspettarti niente da me, esattamente come io non mi sono aspettato niente da te per quasi vent'anni!» Resta in silenzio, con lo sguardo fisso sul mio viso. Ha l'aria di chi si è pentito, ma io non le credo e, anche se fosse, non m'importerebbe. «Quest'anno è stata la prima volta che ho passato un compleanno felice. Te ne sei andata quando avevo sei anni e per tutto questo tempo, ogni anno ho sperato che il primo febbraio avresti pensato a me, che ti saresti ricordata di avere un figlio, che ne so... Mi sarebbe andato bene anche uno stupido bigliettino del cazzo, ma non succedeva mai, e ad ogni anno che passava io mi sentivo sempre peggio. Ti sei mai chiesta, anche solo una fottutissima volta, cosa diavolo stesse facendo la tua famiglia!?» Ormai non contengo più nulla e urlo a gran voce il mio rancore mentre le vomito addosso tutto il dolore che ho accumulato in questi anni.

«Harry...»

«Harry non ha finito!» Non voglio sapere niente di ciò che ha da dire. «Ho vissuto una vita di abbandoni. Prima tu, poi papà, il nonno e...» mi fermo perché non voglio parlare di Winter, che ormai non conta più nulla «mi sono perso... mi sono riempito così tanto di odio che ero convinto non avrei mai provato niente per nessuno. È Jordan che mi ha tenuto insieme e, con i miei amici, è l'unica famiglia che ho mai conosciuto. Non puoi venire qui dopo diciotto anni a dirmi che vuoi parlare, perché adesso sono io a non volerti ascoltare!»

Non voglio stare con questa donna un secondo di più. Mi volto e cammino svelto verso il garage, nel quale entro. Infilo il casco, lo allaccio, poi salgo in sella, accendo il motore con un rombo potente, esco all'esterno e lei è ancora lì, in piedi sul portico a guardarmi con quell'aria dispiaciuta che, invece di farmi compassione, mi fa solo incazzare.

Guardo dritto avanti a me, ingrano la marcia e accelero, senza più guardarmi indietro. Mi immetto nel traffico concentrando ogni pensiero sulla guida. Voglio andare quanto più lontano possibile per alimentare l'illusione che più lontano andrò, meno quel dolore che mi sta aprendo il petto, farà male. Così mi immetto nella superstrada e corro, giro la manopola dell'acceleratore fino ad arrivare al massimo e vado avanti così per diverse miglia, fino a che sento il respiro regolarizzarsi. Decido di rallentare e mi rendo conto di essere arrivato in periferia, nei pressi di un parco, vicino al quale mi fermo. Spengo la moto, la parcheggio e mi siedo su una panchina dopo aver tolto il casco.

Ho bisogno di stare da solo e di rimettere insieme i pezzi della mia vita... Pezzi che sono saltati per aria non appena la mia felicità è stata stravolta.

**********

Chloe

È sera, ormai. L'orario d'ufficio è passato da un pezzo, Reb è tornata dal lavoro già da mezz'ora e mi ha detto che nessuno della famiglia Stevens si è visto oggi. In questo momento lei e Zach sono al piano di sotto, intenti a preparare la cena, mentre io sono seduta sul letto, con il cellulare tra le mani, in attesa di una sua telefonata.

Non l'ho chiamato per tutto il giorno per non rischiare di interrompere qualsiasi tipo di discussione potesse essere in atto tra lui e la sua famiglia, ma adesso sto impazzendo perché non ho la minima idea di dove sia.

Jordan mi ha chiamato qualche minuto fa chiedendomi se avessi sue notizie, perché a lui non risponde. Il peggio è arrivato quando mi ha detto che è corso via in moto dopo aver discusso animatamente con sua madre, e io vorrei davvero non essere invadente e lasciargli ancora altro spazio, ma la moto rappresenta per me qualcosa di troppo doloroso per continuare ad ignorare il suo silenzio.

Sblocco il display e sto per far partire la chiamata, poi lascio andare il respiro, che non mi ero accorta di stare trattenendo, quando vedo comparire il suo nome.

«Harry!» Ho ancora il cuore in gola e le tempie che pulsano, mentre gli rispondo.

«Sto bene...» dice, come se avesse percepito la mia preoccupazione. «Chiedi a Zach di accompagnarti a casa... a casa nostra...» Ho le lacrime agli occhi per la gioia di sentire la sua voce, perché quella moto non me l'ha portato via, e perché ha detto casa nostra. «Ci vediamo tra poco, piccola Stewart.»

«Ci vediamo tra poco.» Chiudo la comunicazione lasciando andare una lacrima.

Harry sta bene, almeno fisicamente. Posso prendermi cura del suo cuore malconcio, posso prendermi cura di lui e guarire le sue ferite come lui ha curato le mie. 

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Capitolo 77
*** Andrà bene ***


Mi sento attrice della mia stessa vita, con un copione preconfezionato da recitare, senza possibilità di uscire dagli schemi che la regia di questo film ha fissato.

Ed è così da circa quarantotto ore, da quando Harry è tornato a casa dopo la corsa sfrenata in moto, dalla quale avrebbe potuto non tornare tutto intero. Ho ricominciato a respirare regolarmente solo quando ho sentito aprirsi la porta e l'ho visto varcare la soglia di casa con il casco in mano e un sorriso tirato sulle labbra.

Non abbiamo parlato quella sera, nemmeno una singola parola è uscita dalle nostre bocche. Il casco è rimasto sul divano, i nostri vestiti sul pavimento - a segnare il percorso fino alla camera da letto - e ognuno ha trovato il conforto necessario nel corpo dell'altro. Le uniche parole che hanno lasciato le nostre labbra sono stati i nostri nomi sussurrati, bisbigliati, nel silenzio della nostra stanza, la stessa in cui ci troviamo adesso, e mentre lo guardo sembra sempre più fragile.

È per questo che mi è sembrato di essere costretta a recitare un copione, perché ho paura di ferirlo e mi costringo a frasi di circostanza, o sto molto attenta a quello che dico, perché temo mi chiuda fuori dalla sua vita. È questa la reazione che avrei avuto io tempo fa, ma ora sono una persona nuova grazie a lui, e non potrei più concepire un atteggiamento del genere.

La mattina successiva all'incontro con sua madre, la prima cosa che mi ha detto, non appena si è svegliato, è stata: "non voglio parlare di lei", e io ho acconsentito pensando di fare il suo bene. Ho accuratamente evitato il discorso durante la cena, e anche il giorno dopo, ma mi sono resa conto che non è servito a nulla, perché stiamo solo fingendo qualcosa che non esiste, stiamo fingendo che vada tutto bene, quando sono certa che dentro di lui stia andando tutto a rotoli.

Se i nostri ruoli fossero invertiti, Harry mi avrebbe provocato fino a farmi esplodere per farmi tirare fuori quello che mi stava facendo soffrire. Forse non è il metodo giusto da adottare con lui, ma non posso più restare a guardare mentre si distrugge da solo.

Sembra tranquillo in questo momento. Il respiro regolare a muovergli ritmicamente le spalle, i lineamenti del viso rilassati - senza quella costante ruga che ha deciso di stabilirsi proprio al centro della sua fronte - e il braccio sinistro allungato dalla parte opposta alla mia. Passo una mano lentamente tra i suoi capelli e mi accorgo che è sveglio quando lo vedo trattenere il fiato per il mio gesto, ma non mi fermo e continuo con lo stesso movimento a far scorrere le ciocche tra le mie dita fino a quando si volta dalla mia parte e si stringe al mio corpo, posando la testa sul mio ventre. Nemmeno ora smetto di accarezzarlo, stavolta uso entrambe le mani, raccogliendo i capelli in un codino - non bello come quando se lo fa lui - che faccio e disfo più volte, mentre lui rafforza la presa intorno a me.

Anche oggi non sembra avere voglia di parlare, ma non aspetterò un altro giorno per tentare di farlo confidare. Ne ha bisogno, perché so bene quanto può essere devastante tenersi tutto dentro.

«Harry?» Ha già capito le mie intenzioni, perché il suo corpo non è più rilassato come un attimo fa.

«Ti ho già detto di no, quella donna non avrà più il minimo spazio nella mia vita. Non merita il fiato di nessuno.» Traspare rabbia e rancore da ogni parola che pronuncia

«Non è per lei che voglio usare il mio fiato, ma per te.» Alzo lo sguardo lentamente verso di me e nei suoi occhi leggo una chiara richiesta d'aiuto. Anche se si ostina a negarlo, io so che è così. «Parlami, Harry, dimmi cosa succede. Tu sai quanto può essere terribile tenere per sé certe cose.»

Il suo sorriso si apre mostrando un accenno di fossette, la sua mano scorre verso l'alto, fino a stringere tra pollice e indice il piccolo ciondolo che pende dal mio collo, quello che mi ha regalato lui poco dopo Natale.

«Sto bene, piccola Stewart, smettila di preoccuparti. L'unica cosa a cui devi pensare sono i tuoi amici. Oggi avrai il tuo bel da fare con loro.» Gli ho detto che arriveranno Kurt e Hazel da Montréal, ma non gli ho rivelato il motivo per il quale ho chiesto loro di raggiungermi a Boston.

«Come posso evitare di preoccuparmi, Harold? È di te che stiamo parlando.»

Sorride ancora, poi si mette seduto, poggiandosi con la mano destra sul materasso, all'altezza del mio fianco sinistro. Allontano la schiena dalla testiera del letto, alla quale ero appoggiata, per avvicinarmi a lui e posare le braccia intorno al suo collo.

«E allora smettiamo di parlare di me.» Il suo rimandare non gli fa bene, e io devo farglielo capire senza mettergli troppa pressione addosso per non farlo scappare.

«Ma tu sei un argomento interessante, Stevens, perché dovrei smettere di parlare di te?» Le mie dita scorrono lente sulla sua pelle nuda, sulle spalle, giù sul suo petto, per poi girare intorno al torace e allacciarsi dietro la sua schiena. «Avanti, Harold... Dimmi cosa ti passa per la testa?»

«Bel tentativo di distrarmi, Stewart, ma non m'incanti. Non avrai il mio corpo con questa mossa sleale...» Tenta una battuta, poi scivola via dal mio abbraccio, mentre mi rendo conto che la sua espressione è cambiata. Quella piccola ruga sulla sua fronte è tornata. «Vado a farmi una doccia. Jordan mi aspetta per le nove.» Con questo mi ha fatto chiaramente capire che l'argomento è chiuso, ma non ho intenzione di mollare la presa.

Harry ha bisogno del mio aiuto e non importa se continua a rifiutarlo, lo avrà comunque.

*********

Allungo il collo e mi metto in punta di piedi nel tentativo di riuscire a scorgere i miei due amici, che dovrebbero uscire a breve dalla porta scorrevole. L'aeroporto di Boston è sempre affollato, ma oggi lo sembra in modo particolare, o forse sono io che sono impaziente di vederli.

Sono le undici del mattino e sono già tremendamente in ansia. Lo sono per Harry, che è riuscito a sfuggirmi anche oggi, lo sono per Kurt, che ha decisamente bisogno di chiarire con Dylan, lo sono per l'appuntamento a sorpresa che ho organizzato nella mia testa per Hazel e Jordan, e lo sono anche per la promessa che ho fatto ai miei genitori di essere presente il giorno del rinnovo delle loro promesse, ma il pensiero che Harry possa dire di no mi spaventa, perché non voglio lasciarlo solo e non voglio deludere i miei.

Perché deve succedere tutto insieme?

Le porte si aprono per l'ennesima volta da quando sono qui, e mi spunta un sorriso enorme quando vedo il volto smarrito del mio migliore amico alla ricerca del mio. Alzo un braccio nel tentativo di farmi notare ed è Hazel ad accorgersi della mia presenza. Cammino nella loro direzione, loro fanno lo stesso verso di me e finiamo per stringerci in un abbraccio di gruppo che non immaginavo mi mancasse così tanto.

«Dio! Quanto mi siete mancati!» dico loro, mentre li stringo forte.

«Ah! Non fare tante storie, sei tu che hai voluto andare via, e credo che nemmeno tornerai più.» Kurt mi rimprovera di avergli promesso che sarei tornata a Montréal prima o poi ma, da quando gli ho detto che sono andata a vivere con Harry, non perde occasione di farmi qualche battuta pungente. So che è felice per me, ma c'è anche una punta di gelosia, di quella buona però, perché da quando sono qui a Boston non ha mai smesso di dirmi quanto gli manco. È chiaro, però, che la mia convivenza ha rimesso in gioco tutta la mia vita.

«Già, ormai la signorina Stewart si è dimenticata di noi, e sicuramente anche di Justin.» Per quanto riguarda Hazel il discorso non cambia. Mancano anche a me le uscite di shopping intensivo e le serate film strappalacrime che ho fatto solo con lei. Mi piacerebbe poter vivere di nuovo vicino a loro un giorno.

Magari il mio piano da Cupido va a segno e si trasferiscono entrambi a Boston!

«Chloe?» Non mi ero accorta di essermi persa nei miei pensieri fino a quando la voce di Hazel non è risuonata nelle mie orecchie.

«Sì, scusa, stavo pensando al tuo Justin, che ho lasciato nell'appartamento di mia sorella.» La mia migliore amica alza gli occhi al cielo, ma sorride con me. Spero continuerà a farlo quando capirà quello che ho in serbo per lei.

«Allora, dove stiamo andando?» chiede Kurt, mentre ci avviamo verso la metropolitana.

«Andiamo alla HS Financial Services, ho appuntamento con Harry per pranzo.» Non ho del tutto mentito, perché voglio vedere Harry per pranzo, ho solo omesso il resto, ma tra pochissimo lo scopriranno anche loro.

«Meno male! Ho una fame! Mi sono svegliata troppo presto oggi.» Hazel è contenta della mia affermazione, Kurt, invece, sembra essersi irrigidito nel sentire il nome della società per la quale lavora anche Dylan.

È venuto qui per incontrare lui, ma sapere che è la prima cosa che succederà appena lasciato l'aeroporto, l'ha messo in agitazione.

«Magari passiamo prima da casa, così lasciate le valigie, vi date una rinfrescata e vi mostro dove mi sono trasferita...» Kurty sembra tirare un sospiro di sollievo e Hazel non sta più nella pelle per la curiosità di vedere dove abito.

Mi ha riempito di domande per tutto il tragitto, ha smesso solo quando - una volta arrivati - si è chiusa in bagno. Kurt si è ripreso dai suoi pensieri poco prima di arrivare a destinazione, e credo di potergli chiedere qualcosa senza farlo agitare più di quanto non lo sia già.

«Gli hai detto che saresti venuto qui oggi?» gli chiedo, sedendomi accanto a lui sul divano.

«Assolutamente no! Spero che tu abbia ricordato a Harry di mantenere il silenzio.» Sorrido per la sua espressione da ragazzino innamorato.

«Certo che gliel'ho ricordato e, se te lo stai chiedendo, la risposta è no, non gli ho detto niente di te e lui.» Sospira e si lascia andare all'indietro contro lo schienale imbottito. «Vedrai che sarà felice di vederti.»

«Spero che tu abbia ragione.» Gli sorrido, anche se lui non mi sta guardando, poi mi avvicino e lo abbraccio. Mi manca davvero tanto la mia amicizia con loro e chiudo gli occhi quando sento il suo braccio sulla mia schiena, godendomi questo attimo di tranquillità.

*********

Il palazzo si erge imponente di fronte a noi. La stretta della mano di Kurt nella mia, si fa un po' più serrata, mentre lo sguardo di Hazel si perde verso l'alto con grande ammirazione.

«Wow! Questo posto è immenso!» Sembra una bambina che non ha mai visto un grattacielo, ma so che lo sta facendo per tentare di distrarre Kurt dal suo pensiero fisso.

Anche lei è della mia stessa opinione su Dylan, ma Kurty sembra aver perso tutta la sua sicurezza e più ci avviciniamo agli uffici, più continua a dire che è stata una pessima idea presentarsi qui senza avvisare.

«Dai, entriamo. Harry mi starà già aspettando.» Cammino trascinandomi dietro il mio migliore amico e osservando Hazel con la coda dell'occhio. La bionda alla reception sta fulminando con lo sguardo anche lei, e io penso a quanto potrebbe rosicare se la mia idea andrà a buon fine.

«Perché stai sorridendo in quel modo?» mi chiede lei, mentre entriamo in ascensore.

«Pensavo al fatto che Harry ha detto alla tizia alla reception di lasciarmi passare tutte le volte che voglio, e ogni volta che mi vede con Jordan vorrebbe farmi fuori.» Premo il pulsante con il numero ventiquattro e anche io inizio ad agitarmi.

«Beh, ci credo! Jordan è un gran figo!» Sorrido di più nel sentire chiaramente cosa pensa di lui, poi mi volto verso Kurt, che sembra aver perso l'uso della parola. «Ehi... Andrà bene» gli dice Hazel, mentre gli prende il viso tra le mani. «Guardami!» Lui alza lo sguardo su di lei e la guarda negli occhi. «Cosa ti ho detto prima di partire?»

«Devo per forza ripeterlo?» È talmente dolce che non mi stupirei affatto se Dylan si fosse innamorato di lui. Credo che Kurt sia una delle persone migliori che si possano incontrare durante un'intera vita.

«Certo che sì!» Insiste lei.

Le porte dell'ascensore si aprono, siamo arrivati al piano, ma loro due sembrano non volersi muovere, così metto una mano davanti alla fotocellula e assisto sorridente al loro scambio di battute.

«Io sono l'unico, meraviglioso e ineguagliabile Kurt Hummel. Non c'è niente che non possa fare.» Alza gli occhi verso l'alto non appena finisce di parlare.

«Magari potevi dirlo con un po' più di entusiasmo, ma può andare.» Gli lascia un bacio sulla guancia ed esce dall'ascensore, così mi avvicino anche io per compiere lo stesso gesto e, mentre io e Hazel lo precediamo lungo il corridoio, non posso evitare di ascoltare il suo borbottio sommesso, ma entrambe lo ignoriamo per non vederlo cadere in una crisi di nervi.

La scrivania di mia sorella è vuota, forse è in qualche ufficio per la corrispondenza, la superiamo e siamo ormai ad un passo dal piccolo ufficio occupato da Dylan. Vado avanti io per prima, mi affaccio alla porta e lui è chino sulla tastiera del computer, intento a digitare qualcosa.

«Si può?» Alza subito lo sguardo su di me non appena sente la mia voce, e mi tranquillizzo quando gli vedo spuntare un enorme sorriso.

«Ciao! Come stai?» Si alza e mi viene incontro.

«Bene.» Mi abbraccia, io ricambio, mentre i miei due amici sono rimasti fuori dalla porta. «Tu come stai?»

«Bene... meglio... Sei qui per Harry?» So bene che mi ha fatto un'altra domanda così da non dover rispondere lui ad una che potrei fargli io.

«Anche... in realtà non sono qui da sola...» Faccio un passo indietro e lui mi osserva aggrottando le sopracciglia, ma non chiede altro e anche lui esce dall'ufficio voltandosi immediatamente a sinistra, nota subito i miei due amici e la sua espressione sarebbe da immortalare.

Dire che è sorpreso è dire poco. È come se d'improvviso avesse perso la capacità di parlare. Dylan resta con lo sguardo fisso su Kurt, come se non ci fosse nessun altro in questo corridoio al di fuori di lui, quasi non batte ciglio e respira a mala pena. Mi volto verso Kurt e mi rendo conto che la sua condizione non è molto diversa, così io e Hazel ci guardiamo e con un rapido cenno d'intesa, ci capiamo al volo sul da farsi.

«Ciao Dylan.» La mia amica lo saluta avvicinandosi a lui, facendo in modo di togliere entrambi i ragazzi dalla situazione di stallo in cui si trovavano.

«Ciao, che... che sorpresa...» farfuglia lui mentre lei lo abbraccia velocemente. Si sono conosciuti nel periodo che lui ha trascorso a Montréal, e quando ho parlato con lei ho notato con piacere che era della mia stessa opinione: questi due si piacciono da morire, ma è ovvio che per Dylan non sia così facile da comprendere, o forse da accettare.

«Già... senti, io andrei a cercare Harry, ma voi due potete salutarvi con calma. Hazel vieni con me? Vorrei presentarti una persona!» Credo di averli tramortiti con le parole, perché restano a guardarsi senza parlare, ma non appena io e la mia amica ci allontaniamo - camminando con la testa rivolta all'indietro - i due si sorridono e Dylan fa entrare Kurt nel suo ufficio.

Cosa darei per essere una piccola mosca in questo momento!

«Andrà bene, vero?» mi chiede lei quando siamo di nuovo vicino agli ascensori.

«Certo che sì» le rispondo, premendo il pulsante di chiamata. È il suo turno adesso, anche se ancora non lo sa.

«Era così agitato stamattina...» entriamo in ascensore e premo il pulsante ottantasette «ma l'ufficio di Harry non era sullo stesso piano di quello di Dylan?» mi domanda, quando si rende conto che stiamo salendo.

«Sì, ma voglio davvero presentarti una persona. Perché era così agitato? Insomma è chiaro che anche Dylan provi qualcosa per lui, certo deve ancora rendersene davvero conto, ma sono sicura che sia così. Come si fa a non amare Kurt?» Hazel mi guarda in modo strano, poi incrocia le braccia al petto e mi osserva con sospetto.

«Chi devi presentarmi?» Fortunatamente questi ascensori sono veloci e siamo quasi arrivate, così le sorrido e basta, mentre tengo le labbra chiuse premendole tra loro. «Chloe!?»

«Non essere impaziente... siamo arrivate.» Le porte si aprono ed esco velocemente, camminando lungo il corridoio, con lei alle mie spalle che continua a richiamarmi. Improvvisamente mi viene in mente che potrei incontrare ancora quella in questi corridoio, ma spero proprio che non succeda.

«Chloe!?» mi richiama ancora, non appena arriviamo davanti alla scrivania della segretaria di Jordan.

«Salve, Claire.» Hazel mi tira per la manica del cappotto, ma la ignoro.

«Ciao, Chloe, stai cercando Harry?» Ormai mi conoscono tutti qui, e non solo perché ci lavoro saltuariamente come traduttrice.

«A dire la verità stavo cercando Jordan.» Sento che potrei prendere fuoco da un momento all'altro a causa dello sguardo minaccioso della mia amica.

«È nel suo ufficio, gli dico che stai arrivando.» Ringrazio sorridendo, poi mi allontano mentre Claire alza il telefono per avvisare Jordan del nostro arrivo e Hazel mi segue tirandomi per il braccio.

«Sei una stronza, altro che migliore amica!» si lamenta lei, ma ormai sto già bussando alla grande porta di legno scuro.

«Avanti!» La voce di Jordan mi spinge ad aprire la porta e lo vedo venirci incontro non appena varchiamo la soglia d'ingresso. «Chloe, come mai da queste parti?» Mi stringe in un abbraccio non appena è di fronte a me, poi il suo sguardo cade sulla mia migliore amica.

«Sono passata a trovare Harry per vedere come sta.» Oggi sembro la campionessa di imbrogli, ma alla fine è vero che voglio passare da Harry.

«Non benissimo, ma credo che tu lo sappia già. Era così felice di proporti di vivere insieme... Non ci voleva proprio questa...» Il fratello maggiore continua a preoccuparsi del fratello minore. Adoro il loro rapporto perché sono molto più che fratelli.

«E tu come stai?» Tutti si sono sempre preoccupati di Harry, ma chi si prende cura di Jordan?

Lui guarda per un attimo la mia amica, i due si sorridono, e forse non ho davvero bisogno di sapere come sta, perché sono riuscita a farlo sorridere, cosa di cui sono certa avesse bisogno.

«Lei è Hazel, ti ricordi che ti avevo parlato di lei?» Lui mi guarda come se non sapesse di cosa sto parlando. «Ti ricordi quella volta che siamo andati a pranzo in quel ristorante dove mi hai proposto di andare a Madrid?»

«Sì, ma non mi ricordo che...»

«Ti avevo detto che avevo un'amica a cui sarebbe piaciuto quel posto...» lui sorride. Forse ricorda, o forse no, ma quello che conta è che sta allungando una mano nella sua direzione, con un sorriso sulle labbra che si fa sempre più ampio.

«Ciao, Hazel, io sono Jordan, il fratello Stevens con la testa a posto.»

«Piacere di conoscerti, Jordan.» La situazione di poco fa sembra ripetersi: quei due si guardano come se non ci fosse nessun altro con loro.

«Perché non la porti a pranzo proprio in quel ristorante? Appena scesa dall'aereo mi ha detto che stava morendo di fame.» Inizio a camminare all'indietro, verso la porta rimasta aperta. «Io vado a vedere se Harry è libero.» Ancora un paio di passi mentre loro due mi guardano. «Ci vediamo più tardi, ti voglio bene. Ciao.» Mi rivolgo alla mia amica prima di chiudere la porta, senza dargli modo di rispondere, poi mi allontano, saluto Claire e prendo l'ascensore per tornare al ventiquattresimo piano.

Mi auguro con tutto il cuore che Dylan e Kurt possano chiarire la loro situazione, e che Hazel e Jordan possano approfondire la loro conoscenza. Soprattutto spero di arrivare nell'ufficio di Harry e accorgermi che la piccola ruga sulla sua fronte è scomparsa. Vorrei solamente che tutti fossero felici quanto lo sono io.

Una volta arrivata al piano esco dall'ascensore, ma mi fermo quando davanti a me trovo i due ragazzi che ho lasciato solo pochi minuti fa.

«Ehm... Stavamo andando a pranzo... Vuoi... Vuoi venire con noi?» L'imbarazzo nella voce di Dylan è adorabile.

«Grazie, ma Harry mi sta aspettando.» Faccio un passo e li supero, mentre tengo le dita incrociate.

«Aspetta! Dove hai lasciato Hazel?» È Kurt a fermarmi, così mi volto e gli sorrido.

«In buone mani, buon pranzo!» Non gli do modo di ribattere e mi allontano velocemente da loro, che hanno decisamente bisogno di stare da soli.

Stavolta mia sorella è alla sua scrivania, ci salutiamo, scambiamo qualche parola su Zach, Harry, la convivenza, e ci rendiamo conto di aver proprio bisogno di un momento tra sorelle perché abbiamo troppe cose di cui parlare, così ci mettiamo d'accordo per una serata da trascorrere solamente io e lei, poi ci salutiamo e finalmente posso raggiungere la destinazione a cui tengo di più.

L'ufficio di Harry è proprio di fronte a me, la porta è socchiusa e, non appena mi avvicino, lo sento brontolare per qualcosa che non gli sta bene.

«Alfred non è quello che avevo chiesto! Possibile che devo ripeterti le cose almeno tre volte prima che tu le capisca?» In realtà è proprio Harry quello ad aver bisogno di qualche ripetizione, perché non ha ancora imparato il nome del suo dipendente.

«Dottor Stevens è stato lei a dirmi di fare le fotocopie in questo modo.»

Sorrido nel sentire i loro continui battibecchi e per il fatto che Harry non si deciderà mai a dire giusto il nome di quel ragazzo. Decido che è arrivato il momento di interromperli, quindi apro la porta e busso un paio di volte allo stipite.

«Disturbo?» domando, attirando l'attenzione di entrambi.

«Scherzi!? Tu mi stai salvando la vita!» Harry si alza e mi viene incontro, poi, come se fossimo soli, afferra saldamente il mio viso tra le mani e mi lascia un lungo bacio sulle labbra come se da quel gesto ne traesse forza. «Ciao, Stewart.»

«Scusatemi... Io vado...» Il povero biondino si defila in fretta e non faccio in tempo a dire nulla che quel ragazzo è già uscito chiudendosi la porta alle spalle.

«Dovresti smetterla di torturarlo in quel modo» gli dico, provocandogli un piccolo sorriso furbo che da troppo tempo non vedevo sulle sue labbra.

«Preferisci che me la prenda con te?» Alzo gli occhi al cielo per la sua battuta perché ho capito a cosa si sta riferendo.

«Preferisco vederti sorridere, come stai facendo adesso...» sorride di più, e penso di poter rincarare la dose per vedere le sue labbra completamente rivolte all'insù «ma sai che non mi dispiace il tuo modo di torturarmi...»

«Lo sai che non sono bravo a resistere alle provocazioni e la tua è una provocazione in piena regola.» Le sue mani si spostano per arrivare tra i miei capelli, le mie si stringono sul bavero della sua giacca blu e i nostri occhi si perdono gli uni negli altri.

«Adesso, però, andiamo a pranzo.» Per quanto vorrei continuare a provocarlo, o cedere alle sue, di provocazioni, mi piacerebbe riuscire portarlo fuori da qui, almeno per un po'.

«In effetti mi hai fatto venire fame...» sorrido scuotendo leggermente la testa «aspetta, ma dove sono i tuoi amici?» Mi guarda con aria interrogativa, poi le sue mani scendono fino ad arrivare a stringere le mie.

«Diciamo che al momento sono impegnati.» Il suono del telefono sulla sua scrivania attira l'attenzione di entrambi, ma Harry non sembra intenzionato a muoversi. «Non vuoi rispondere?» gli chiedo quando lo vedo sbuffare.

«No» risponde secco.

«Magari è Rebekah che ti avvisa di qualche visita imprevista, tipo il signor Foster...» Non mi ha più parlato della sua ex, e so che non è il nostro principale argomento di conversazione - e poi c'è stato l'arrivo di sua madre - ma non ne abbiamo più parlato, mentre io muoio dalla curiosità di sapere se è andata via.

«Non essere gelosa, piccola Stewart, tutto quello che c'è sotto le tue mani è solamente tuo, e solo a titolo informativo, Foster e sua figlia se ne sono andati...» Quel telefono squilla ancora, ma adesso non importa più nemmeno a me che lui risponda: Winter se n'è andata e spero che stavolta sia per sempre.

«Ci puoi scommettere che sono gelosa, non capita tutti i giorni di poter avere Harry Stevens tutto per sé.» Lui sorride compiaciuto, poi si avvicina lentamente al mio viso, lasciando una distanza irrisoria tra le sue labbra e le mie.

«Harry Stevens è a tua completa disposizione per tutta la durata della pausa pranzo. Fanne buon uso.» Poi mi bacia, dapprima dolcemente, poi più intensamente, come se non lo facesse da giorni. Sento il muro dietro la schiena e il suo corpo che aderisce perfettamente al mio, le sue mani si fanno strada sotto al mio cappotto, mentre le mie stringono alcune ciocche dei suoi capelli. «È meglio se andiamo prima che mangi qui...» Mi lascia un ultimo bacio veloce sulle labbra, poi si allontana leggermente e ci guardiamo straniti quando sentiamo bussare.

Harry mi fa cenno con un dito sulle labbra di fare silenzio, ma la porta si apre comunque, rivelando la presenza di qualcuno che credevo non fosse qui oggi.

I due nuovi arrivati ci guardano curiosi, soprattutto la donna che non ho mai visto, ma non è difficile capire chi sia, dato che l'uomo che è con lei è il signor Harrison Stevens.

«Noi stavamo andando a pranzo» dice Harry prendendomi per mano, tentando di uscire dal suo ufficio, ma si ferma quando sente parlare la donna.

«Sono venuta a salutarti!» Lui è ancora fermo, di spalle rispetto ai suoi genitori. Ha lo sguardo perso nel vuoto, il suo viso è completamente trasformato rispetto a poco fa, e può insistere quanto gli pare dicendomi che sta bene, ma è palese che questa situazione lo distrugga. «Torno a Londra.»

«Beh... Almeno stavolta hai avuto la decenza di dirlo.» Il suo tono di voce è tagliente e lo sguardo che ha per sua madre è freddo, come non l'avevo mai visto prima.

«Non tornerò più, Harry.» La sua mano si stringe un po' più forte intorno alla mia, e io ricambio la sua stretta, sperando che se ne accorga, e che capisca che non è solo.

«Ok...» Vuole far credere che non gli importi nulla di tutto questo, ma sta soffrendo, sta soffrendo davvero molto. «Ciao...» Ruota il busto, fa mezzo passo per andarsene, ma lei lo ferma di nuovo.

«Sono malata, Harry e... e non so quanto mi resta.» Lui è di nuovo di spalle, completamente rigido, con il respiro fermo in gola e non so cosa darei per poterlo aiutare a stare meglio. «Vorrei che veniste con me a Londra per un po'.» Chiude gli occhi alla richiesta di sua madre, stringe ancora un po' la mia mano, ma resta in silenzio.

Il mio sguardo cade su tutti i presenti, mentre mi sento improvvisamente di troppo qui dentro, anche se nessuno sta guardando me, perché l'attenzione di tutti è concentrata su Harry e la sua reazione non si fa aspettare. Lascia andare la mia mano e inizia a camminare a grandi falcate lungo il corridoio. Non faccio in tempo a richiamarlo che il signor Harrison mi precede, urlando il nome del figlio a gran voce, per poi seguirlo.

Avrei voluto essere io a correre da lui, invece mi ritrovo da sola con questa sconosciuta, che mi sorride non appena mi volto verso di lei.

«Sei la sua fidanzata, giusto? Chloe...» mi domanda gentile.

«Sono io.» Mi sorprende che lo sappia.

«È stato Harrison a parlarmi di te, se te lo stessi chiedendo. Mi sto rimettendo al pari con le vite dei miei figli tramite mio marito. So che non è un granché, ma questa malattia mi ha fatto capire quali siano le cose davvero importanti della vita.» L'ascolto in silenzio, perché non mi sento di poter dire nulla. «Ho fatto degli errori enormi nella mia vita, ma sto cercando di rimediare, per loro e anche per me. Vorrei poter lasciare questo mondo senza rimpianti per nessuno.» Riesco a capire perfettamente il suo punto di vista, perché so cosa vuol dire quando qualcuno se ne va e tu non hai potuto dirgli addio.

«Che cosa mi sta chiedendo?» Sono sicura che voglia qualcosa da me dopo tutto questo discorso.

«Solo tu puoi convincere Harry a passare qualche giorno a Londra, e io ho davvero bisogno di fare ammenda con lui.» La sua voce trema leggermente e mi guarda con speranza.

«L'unica cosa che posso dirle è che sosterrò Harry qualunque decisione vorrà prendere. Ha sofferto tanto nella sua vita, ha affrontato quasi tutto da solo. Se deciderà di venire a Londra sarò felice per lui, ma se sceglierà di restare a Boston, non glielo impedirò.»

«Grazie, Chloe.»

«Non ho fatto niente. Adesso mi scusi, ma vado da lui.» Mi sorride, poi mi volto e inizio a camminare lungo il corridoio.

Harry ha bisogno di me e io ho bisogno di lui. Tutto il resto può aspettare almeno qualche ora. 

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Capitolo 78
*** Ti sei pentito della tua scelta? ***


Harry

«Harry!» La sento chiamarmi, ma è come se non fossi in grado di controllare le mie stesse gambe. «Harry, fermati!» La sua voce è più alta, e anche più vicina, ma per quanto vorrei fermarmi, proprio non ci riesco. Sento i suoi passi farsi più veloci, poi la sua mano afferra il mio braccio e finalmente mi fermo, come se lei fosse stata in grado di farlo per me. «Harry parla con me... ti prego...»

Mi volto lentamente verso di lei, che ora mi guarda con lo sguardo triste, ed è triste a causa mia. Ho appena discusso piuttosto animatamente con mio padre, riguardo il fatto di non aver voluto ascoltare quella donna che avrebbe dovuto essere mia madre, e sono troppo nervoso per parlare con Chloe, ho paura che potrei dirle cose di cui sicuramente mi pentirei. Lei non merita la mia rabbia, ma è un sentimento talmente forte in questo momento, che temo di non riuscire a contenerlo.

Continua a guardarmi e io continuo a restare in silenzio, mentre le persone camminano in fretta accanto a noi, incuranti del mio malessere. Sono uscito di corsa dall'ufficio e, chiuso in ascensore con mio padre, ho lasciato andare tutto il rancore che mi sta opprimendo il petto. Non so come Chloe abbia fatto a trovarmi, dato che sto camminando a caso da quando sono uscito dalla HS, eppure eccola qui, per me, e io non so fare altro che fare scena muta.

«Harry non devi decidere adesso, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Io sarò dalla tua parte qualsiasi cosa deciderai di fare.» Lei mi ama, ma forse non mi amerebbe così tanto se sapesse che persona orribile sono in realtà. «Harry...»

«Baciami e basta!» E lei lo fa, mi bacia, non si nega mai a qualsiasi mia richiesta, si affida completamente a tutto ciò che le dico, mentre io non riesco a lasciare andare quest'ultima parte, che non ho ancora condiviso del tutto con lei.

Le ho parlato di qualsiasi cosa riguardi la mia vita, ma non di mia madre, perché è un argomento troppo doloroso per me, soprattutto adesso. La stringo a me con forza, perché sentirla così vicino mi dà il coraggio necessario per affrontare questa merda.

«Ti ricordi cosa mi hai detto quando eravamo a Montréal?» La scosto leggermente per guardarla negli occhi, e sento che potrei restare in questa posizione per tutto il giorno. Per tutta la vita.

Dio! Come mi sono rammollito!

«Ho detto un sacco di stronzate quando eravamo a Montréal, a quale delle tante ti riferisci?» Ci provo ad essere il solito idiota, ma non so se mi riesce abbastanza bene da riuscire a tranquillizzarla.

«Insieme. Hai detto che possiamo farcela, insieme...» Sentire il calore del palmo delle sue mani sul mio viso mi porta a chiudere gli occhi, e a concentrarmi solo e unicamente su questo contatto, l'unico che mi tiene insieme. «Non tagliarmi fuori Harry...» Vorrei poterlo fare, vorrei davvero riuscirci, ma non sono così coraggioso come lei crede.

***

Non sono riuscito a parlare con Chloe, né quel giorno quando mi ha seguito fuori dagli uffici, subito dopo la scoperta della malattia di mia madre, e nemmeno nei successivi, quando ha tentato in ogni modo di farmi dire cosa ne pensassi. Lei è stata meravigliosa, come nessuno lo è mai stato con me, ma proprio non riesco a dirglielo, perché ho paura che mi vedrebbe con occhi diversi, che capirebbe che sono un persona orribile e smetterebbe di amarmi. Lei crede che io sia buono, ma se potesse leggermi dentro in questo momento si renderebbe conto di quanto io sia menefreghista.

È questa la cosa che più mi preoccupa adesso, perché è la sua opinione quella che più conta per me.

L'altro ieri mi ha chiesto di andare con lei a Montréal per partecipare ad una sorta di secondo matrimonio dei suoi genitori, e io ho avuto una reazione spropositata, non perché fossi geloso del fatto che i suoi genitori stanno così bene insieme da avere voglia di rinnovare le loro promesse matrimoniali, ma per il fatto che mia madre è tornata ad incasinarmi la vita, e invece di essere a casa mia, con Chloe, a romperle le scatole mentre tenta di preparare la valigia, sono qui, a casa di Jordan, perché l'ho trattata malissimo, da bravo idiota quale sono.

Pensavo che venire qui da mio fratello mi avrebbe aiutato a chiarirmi le idee, che avrei trovato un motivo per giustificare il mio atteggiamento nei confronti di tutta questa situazione, ma l'unica cosa che ho ottenuto è restare ad osservare mio fratello che chatta come un adolescente.

«Jordan sei il fratello più inutile che si possa avere!» Non è vero, ovviamente, ma se non lo punzecchio un po' non mi dà retta.

«Ti ho già spiegato almeno una decina di volte che non hai bisogno di me. Diglielo e basta, no?» Mi parla senza nemmeno guardarmi perché continua a tenere gli occhi sullo schermo del suo cellulare.

«Non posso dirglielo e basta! E se dovesse cambiare opinione su di me?» Non posso concepire di poterla deludere in qualche modo.

«Chloe non cambierà opinione su di te e adesso smettila di piangerti addosso!» Blocca il display del cellulare e lo posa accanto a sé. «Hai deciso cosa farai riguardo mamma?»

«No, e tu? Pensi di andare a Londra?» La mia testa è un totale casino, pensavo che Jordan mi avrebbe aiutato a prendere una decisione, ma non sembra voglia farlo. Continua a dirmi che la decisione è solo mia e che accetterà qualunque cosa deciderò di fare, praticamente le stesse cose che mi ha detto Chloe, solo in maniera un po' meno dolce rispetto a lei.

«Io ho già preso la mia decisione.» Lo guardo in silenzio, sperando che capisca che muoio dalla curiosità di sapere cos'ha deciso, e finalmente si decide a parlare. «Vado a Montréal.»

«Cosa?» Aggrotto le sopracciglia e mi raddrizzo con la schiena dopo aver sentito la sua affermazione.

«Hazel ha bisogno di un accompagnatore per andare al ricevimento dei genitori di Chloe, e io ho deciso di andare con lei.»

La partenza è prevista per stasera, esattamente lo stesso giorno in cui è fissata la partenza per Londra. Io e Chloe ne abbiamo parlato ieri, prima della nostra discussione; le ho raccontato che mia madre si aspetta che io, Jordan, e mio padre saliremo con lei su quell'aereo, ma non sa che un figlio l'ha già perso ancora prima di partire.

«Harry... Lo capirei se volessi passare qualche giorno con lei. Anche Chloe non te ne farebbe una colpa. Eri solo un bambino quando se n'è andata e sarebbe più che normale se tu volessi chiarire con lei, ma io non posso farlo. Non voglio farlo, perché per troppi anni ho letto il dolore nei tuoi occhi, per troppo tempo ho dovuto fare quello che avrebbe dovuto fare lei, e anche io ero poco più di un bambino. Mi sono occupato di te e di papà, quando avrei dovuto solo pensare ai videogames e alla scuola. Ora viene qui e dice che vuole rimediare? Come può rimediare a tutti gli anni che ho perso a causa sua!?» È la prima volta che mio fratello si sfoga in questo modo. Ha sempre tenuto tutto per sé, ma credo che anche per lui sia arrivato il momento di dire basta.

Lui la detesta - e almeno prova un sentimento nei suoi confronti - io mi sono reso conto che non m'importa niente di lei. Non sono preoccupato per la sua malattia, non m'interessa se morirà, e non me ne frega nulla se soffre per ciò che ha fatto alla nostra famiglia. Ed è proprio per questo che ieri sera ho troncato la discussione con Chloe, perché avevo paura di dirle queste cose, e che avrebbe pensato che non sono la bella persona che lei crede.

Mi ha detto che forse dovrei affrontare mia madre, che dovrei andare con lei a Londra per evitare di avere rimpianti un giorno, e lì per lì ho pensato che potesse essere una buona idea. Forse dovrei togliermi questo pensiero e tentare quest'ultima possibilità che ho, per cercare di alleggerire il mio cuore, ma so che lo farei solo per non far capire a Chloe i miei pensieri riguardo mia madre.

«Quindi andrai a Montréal con Hazel, eh?» Le labbra di mio fratello si piegano all'insù. Pare proprio che Chloe avesse ragione su loro due.

«Decisamente sì.» Da quando gli amici di Chloe sono arrivati qui a Boston, mio fratello e la sua migliore amica sono stati inseparabili.

«Pare che io sia l'unico a non aver deciso di andare a Montréal.» Mi lascio andare di nuovo all'indietro contro lo schienale del divano.

Anche Zach è in partenza per il Canada, insieme a Rebekah. Ho parlato a lungo con lui di quanto è successo in questi giorni, e mi ha detto di essere sincero con Chloe. Ci ho provato ieri sera, ma quando mi ha guardato negli occhi e ho letto in quello sguardo quanta ammirazione ha per me, non me la sono sentita di dirle che persona meschina io sia in realtà e, con la scusa di volermi confrontare con mio fratello, sono praticamente scappato di casa.

«Davvero, Harry, se deciderai di andare a Londra nessuno se la prenderà con te.» Sospiro pesantemente mentre porto le mani dietro la testa e chiudo gli occhi.

Devo scegliere se deludere le aspettative di Chloe dicendole che l'interesse per mia madre è pari a zero, o deludere me stesso e andare a Londra, comportandomi da ipocrita, pur di non far vedere lo schifo che ho dentro, all'amore della mia vita.

«L'hai già detto a papà?» gli chiedo, senza nemmeno guardarlo in faccia.

«Sì. Non è stato contento, ovviamente, ma se ne farà una ragione. L'ho sempre sostenuto, ma adesso non posso farlo.» Apro gli occhi e lo vedo alzarsi in piedi. «Vado a finire la mia valigia.»

Non rispondo e resto a guardarlo mentre va in camera sua.

Adesso tocca a me fare una scelta.

**********

Chloe

Posso dire di averci provato in ogni modo. L'ho coccolato, l'ho amato, l'ho sgridato, l'ho forzato a parlarmi, ho ascoltato il suo silenzio, l'ho fatto incazzare, poi l'ho amato ancora, l'ho baciato e l'ho tenuto stretto.

Ha pianto - so che l'ha fatto mentre teneva nascosto il viso sul mio ventre -, poi ha riso, poi ancora ha urlato e alla fine ha smesso di fare tutto, chiudendosi in un mutismo che mi ha fatto male.

Credevo di esserci quasi riuscita, che mi avrebbe parlato, e so che è stato sul punto di farlo, ma evidentemente non sono brava abbastanza, non come lui almeno. Se i nostri ruoli fossero invertiti, adesso tutto sarebbe già sistemato perché lui avrebbe trovato un modo per aiutarmi, mentre io so combinare solo disastri.

È uscito, ieri sera, sbattendo quasi la porta, dicendo di aver bisogno di parlare con suo fratello, e io ho capito di aver fallito su tutti i fronti. Non sono stata capace di aiutarlo e non sono stata nemmeno in grado di stargli vicino. Forse Winter aveva ragione, magari è vero che non sono capace di renderlo felice...

Sbuffo per l'ennesima volta da quando mi sono svegliata stamattina, mi siedo sul bordo del letto ancora intatto - dato che ho dormito sul divano, perché stare sotto le coperte senza di lui era impensabile - e recupero la biancheria da mettere in valigia. L'aereo per Montréal partirà tra poche ore e Harry non mi ha ancora dato una risposta. Ho anche pensato di chiamarlo stamattina, ma ho cambiato idea per paura di mettergli troppa pressione addosso... però un messaggio credo di poterglielo inviare senza complicargli vita.

Non posso cambiare le cose, 
ma possiamo condividerle. 
Sono lì con te, ovunque tu sia.

Invio, poi blocco il display e poso il telefono sul comodino. Finisco di sistemare la piccola valigia che ho intenzione di portare con me, mentre, di tanto in tanto, lancio un'occhiata al cellulare sperando di vederlo illuminarsi, ma non succede mai.

«Si può?» Mi volto in direzione della voce che sento arrivare alle mie spalle.

«Sei già pronto?» chiedo al mio amico, già vestito di tutto punto e con un enorme sorriso sulle labbra.

«Sì. Vado... a pranzo... con Dylan...» Adorabile? Non saprei come altro definire il suo imbarazzo nel dirmi che la loro conoscenza sta procedendo a gonfie vele.

Sono usciti a cena per due sere di seguito e, anche se non si è sbilanciato nel raccontarmi quanto è successo tra loro nelle ultime quarantotto ore, dal suo sorriso deduco siano solo cose belle, o almeno sembrano una buona prospettiva per il futuro.

«Lo sai che prima o poi dovrai raccontarmi tutto.» Lascio perdere quello che stavo facendo e mi avvicino a lui, che è rimasto sulla soglia.

«Dovresti dire la stessa cosa a Hazel.» Si mette sulla difensiva, ma non insisterò, adesso, perché voglio che si goda al meglio questi momenti con lui. Non hanno molte occasioni per stare insieme - per il momento.

«Tranquillo che lo chiederò anche a lei, perché voglio sapere ogni dettaglio.» Il suo sorriso si spegne subito dopo le mie parole.

«Notizie di Harry?» Scuoto la testa per dirgli che non l'ho ancora sentito. «Vedrai che lo troverai ad aspettarti all'aeroporto, ne sono sicuro.» Gli mostro un sorriso tirato, poi lo abbraccio. Non so se lo troverò all'aeroporto, o se deciderà di andare a Londra, ma spero si faccia sentire presto.

«Ci vediamo dopo allora?» gli chiedo, sciogliendo l'abbraccio.

«Sì, direttamente al check-in.» Si volta e fa un paio di passi, ma poi lo fermo.

«Kurty?» Lui si volta e mi osserva. «Non consumarlo» gli dico, riferita a Dylan. Il mio migliore amico alza gli occhi al cielo e borbotta un "se mi permette di consumarlo lo faccio eccome" mentre si dirige verso il salotto, provocandomi un sorriso sincero.

Spero che vada tutto bene.

*********

Il cuore batte veloce e sono agitata come non mi sentivo da tanto tempo. Anche il respiro è accelerato, come se fossi reduce da una corsa, ma sono ferma in piedi da più di quindici minuti, con il mio trolley a lato delle gambe e il biglietto aereo in mano. Hazel è accanto a me che cerca di distrarmi come può, ma il pensiero di Harry è l'unico che il mio cervello riesce a concepire. Mi ero convinta che l'avrei trovato qui ad aspettarmi, come ha detto Kurt, ma non c'è. Poi ho pensato che sarebbe dovuto passare da casa per prendere la valigia che in ogni caso avrebbe dovuto portare con sé, ma non l'ho visto, e ora sono con lo sguardo rivolto nella direzione da cui dovrebbe arrivare se decidesse di partire con me, ma vedo solo volti di estranei, tranne uno.

«Ecco Jordan!» L'entusiasmo di Hazel è contagioso. Allungo di più la vista per vedere se suo fratello è con lui, ma più si avvicina, più mi rendo conto che è da solo, e il sorriso che avevo sulle labbra poco fa va pian piano spegnendosi.

La mia amica e il fratello del mio ragazzo hanno legato parecchio in questi giorni, tanto che lei lo ha invitato a Montréal e lui ha accettato senza nemmeno doverci pensare. Jordan mi ha detto che non ha intenzione di andare a Londra con sua madre e io non ho voluto chiedere spiegazioni. Sono certa che abbia i suoi motivi e che siano tutti validi. Non posso giudicare nessuno di loro per come si comportano o per quello che decidono, ma so che i due fratelli Stevens hanno sofferto tanto e non è facile, per nessuno dei due, riavvicinarsi alla madre in così poco tempo. Lei ha fatto una scelta e, di quella scelta, ne porterà le conseguenze. Non giudico nemmeno lei, ma di certo non riesco a capire i motivi che l'hanno portata lontana dalla sua famiglia per così tanto tempo, senza dare mai notizie di sé o senza cercare di averne dei suoi due figli.

«Ciao...» dice il maggiore dei fratelli Stevens quando ci si avvicina, e so che il suo non è un semplice saluto. Mi sta dicendo che gli dispiace non avere notizie del fratello e io gli sorrido comprensiva, dopotutto non è colpa sua. «Non l'hai sentito?» mi chiede.

«No.» Non aggiungo altro, nemmeno lui lo fa, sospira leggermente, poi si volta verso la mia amica, che lo guarda in una sorta di venerazione, cosa che mi strappa un sorriso.

Passano pochi minuti e da lontano vedo arrivare anche Kurt e Dylan. Quest'ultimo ha approfittato dell'invito del mio migliore amico per tornare a Montréal e andare a salutare suo fratello, cosa che non aveva fatto quando era ripartito per Boston. Credo che mi unirò a lui quando andrà al cimitero, perché adesso posso farlo.

«Ci siamo tutti?» chiede Kurt, dopo che si sono uniti a noi.

Mi guardo intorno sperando di vederlo arrivare, controllo il cellulare per vedere se mi ha cercata, ma di Harry sembra non esserci traccia.

«Sì» rispondo rassegnata, e insieme agli altri ci rechiamo al check-in per il controllo valigie.

Non so se ha deciso di andare a Londra o se ha semplicemente pensato di restare qui a Boston da solo, ma se non avessi promesso ai miei che sarei stata presente alla loro cerimonia, adesso starei facendo dietro front.

Sono l'ultima della fila, e penso che potrei provare un'ultima volta a cercarlo. Se mi dicesse che non parte, potrei pensare seriamente di annullare anche la mia partenza. Faccio partire la chiamata, ma non fa in tempo a squillare che parte immediatamente la segreteria telefonica.

«Harry sto per salire sull'aereo per Montréal. So che hai bisogno di tempo, ma smettila di ignorarmi... ti prego, Harry, richiamami...» Riaggancio, sospiro, metto il cellulare e le altre cose sulla cassettina, che poi metto sul nastro trasportatore per il controllo doganale.

Sento l'ansia salire ad ogni passo che mi avvicina al gate d'imbarco, per poi aumentare ad ogni minuto che trascorriamo nella sala d'attesa fino a quando chiamano il nostro volo e ci imbarchiamo, e di Harry ancora nessuna notizia.

Saliamo a bordo - il posto accanto al mio resta vuoto perché è quello destinato a Harry - le hostess fanno sistemare i passeggeri con i relativi bagagli, e io mi accomodo sul mio sedile mantenendo lo sguardo verso l'esterno, come se da lì potessi vederlo arrivare.

Sembra proprio che abbia deciso di non venire con me e sto seriamente ripensando a questa partenza. Posso davvero andarmene senza di lui?

La mia attenzione viene attirata dal parlottare di due persone alle mie spalle. «L'hostess ha detto che c'è un passeggero in ritardo, che dobbiamo aspettare, e per questo tarderemo di qualche minuto.» «Ma come diavolo si fa ad arrivare in ritardo per un volo?»

Le mie speranze tornano ad alimentarsi al suono di queste parole, forse il passeggero che è in ritardo è Harry... Tengo le dita incrociate e lo sguardo rivolto all'indietro, verso l'entrata del velivolo, ma il mio sorriso scompare quando vedo salire un ragazzo trafelato, che si scusa con la hostess, alla quale dà il suo biglietto. Torno a sedermi normalmente mentre il mio sguardo si perde di nuovo al di fuori dell'oblò, e penso che forse dovrei proprio scendere e tornare indietro, ma quando sto per farlo mi dico che potrebbe essere in volo per Londra in questo momento e risulterebbe inutile che io tornassi a casa, perché lui potrebbe non essere lì...

«Dio! Mi sta andando a fuoco il cervello!» esclamo a voce alta.

«Sentivo il casino dei tuoi ingranaggi da quando sono sceso dal taxi.» Mi volto al suono di quella voce, e resto senza fiato quando lo vedo in piedi accanto a me.

Lui è qui.

«Harry!» La mia voce esce quasi strozzata a causa della gioia immensa che ho provato nel ritrovarmelo qui.

«Harold... so che lo preferisci...» dice a bassa voce, con un meraviglioso sorriso furbo e un occhiolino che mi fa venire voglia di alzarmi e di baciarlo, poi mi dico che non c'è un vero motivo per non farlo, così, in una frazione di secondo, sono in piedi, gli butto le braccia al collo e pianto con forza le mie labbra sulle sue.

«Sei qui» gli dico, tenendo ancora il suo viso tra le mani.

«In carne, ossa, e fiatone. Per un attimo ho creduto che non ce l'avrei fatta.»

«Scusate, dovreste prendere posto.» La hostess ci interrompe, ma non importa, lui è qui, quindi torno a sedermi e Harry fa la stessa cosa, sistemandosi al mio fianco.

«Alla fine hai deciso di essere qui.» Stringo la mia mano alla sua senza riuscire a smettere di guardarlo.

«Possiamo parlarne più tardi? Adesso vorrei godermi tutta la gentilezza di cui Miss acidità è capace.» Potrebbe chiedermi qualunque cosa in questo momento, che non gli direi di no. «Ti prometto che ti dirò tutto, ma ora voglio solo avere un altro bacio.»

Sorrido, poi lo bacio. 
Lui è qui, posso aspettare.

**********

Un piccolo gazebo decorato con fiocchi bianchi, lo stesso colore che domina in ogni direzione si guardi in questa grande sala, che i miei genitori hanno affittato per l'occasione, alcuni tavoli addobbati con tovaglie e stoviglie bianche, e il catering che ha quasi finito il servizio. Sono questi gli elementi che stanno attirando adesso la mia attenzione.

La cerimonia è stata breve, ma non per questo meno commovente. Mamma e papà si sono guardati per tutto il tempo come se si stessero sposando per la prima volta, e io e mia sorella abbiamo rischiato più volte di metterci a piangere. Ci siamo salvate dalle nostre lacrime solo guardando Zach e Harry darsi gomitate e borbottare per tutto il tempo. Mi è scappato più di un sorriso nel notare i loro battibecchi, e anche per Reb è stato lo stesso.

Jordan e Hazel sono stati inseparabili, sia durante la cerimonia che durante il ricevimento e, ora che mi sto guardando intorno, mi sono resa conto che sono spariti già da un po', esattamente come gli altri due. Kurt e Dylan non si vedono da prima che servissero il dolce, e ora i miei occhi sono puntati su Zach e Reb, che ondeggiano al ritmo della musica lenta sulla pista da ballo, mentre non fanno altro che guardarsi.

Mamma e papà sono seduti al tavolo, dopo la prima pausa dalla loro sessione intensiva di ballo.

I signori Peters non sono presenti: i rapporti tra loro e la mia famiglia si sono deteriorati dopo che i miei sono venuti a conoscenza del comportamento del padre di Dylan, mentre la madre non se l'è sentita di partecipare perché ancora scossa. Credo sia difficile per lei mandare giù tutto quello che ha fatto il marito.

«Se continui così non si sentirà più nemmeno la musica.» Sorrido nel sentire la voce di Harry che si riferisce ai miei pensieri frenetici.

Stasera è particolarmente bello nel suo completo nero. «Mio padre ha gradito il tuo nuovo taglio?» Siamo arrivati ieri sera - stavolta abbiamo preso una stanza in albergo - e quando ci siamo svegliati lui è uscito presto dicendo che voleva fare una sorpresa a mio padre. Quando è tornato in stanza mi è quasi preso un colpo: aveva tagliato i capelli, e nonostante fosse comunque meraviglioso, non ero preparata a non vedere più il suo codino raccolto..

«Tuo padre mi adora, tua madre mi adorava anche prima e le tue dita hanno ancora un ottima presa tra i miei capelli: direi che ne è valsa la pena.» Si siede accanto a me, sistemando la sua sedia vicino alla mia, poi porta il braccio dietro lo schienale per tenermi più vicino.

«Ti sei pentito della tua scelta?» gli chiedo, poggiando la testa sulla sua spalla.

«Stiamo parlando sempre del taglio dei miei capelli?» La sua non è una vera domanda, perché so che ha capito a cosa mi sto riferendo.

*****

Siamo appena entrati nella nostra camera d'albergo, sto posando la mia valigia ai piedi del letto, poi sento la porta chiudersi e il mio nome sussurrato alle mie spalle.

«Chloe...» Il tono di voce di Harry mi fa trattenere il fiato, perché sembra non promettere niente di buono. «Voglio parlare adesso.»

Mi volto verso di lui, che ora sta camminando verso di me. L'ansia mi sta divorando viva, il cuore batte forte contro la cassa toracica e vorrei che avesse già finito di parlare.

«Se fossi andato a Londra, l'avrei fatto solo per te.» Lo guardo confusa, perché proprio non capisco a cosa si riferisca.

«Per me? Io non te l'ho chiesto!» gli dico.

«So che non me l'hai chiesto, e che mai l'avresti fatto. Sei stata e sei molto importante per me, più di quanto io riesca a dire. E so che non te l'ho dimostrato abbastanza, ma...» Il suo tono incerto mi fa sorridere. Ho capito cosa sta cercando di fare, ma non è molto esperto in materia.

«Harry... Stai cercando di scusarti?» Le sue spalle si rilassano, come anche i lineamenti del suo viso.

«Ascoltami bene tesoro, perché non è mia abitudine farlo, ma so che devo, lo meriti, quindi scusa... Scusa per averti mentito, scusa per essere stato uno stronzo e scusa se in questo ultimo periodo mi sono perso, ma ora sono qui.» Se non fosse che sono sicura abbia altro da dire, gli sarei già saltata addosso.

«Sono felice che tu sia qui.»

«Il motivo per cui non sono andato a Londra è perché non m'importa nulla di lei, io... Non m'importa che stia soffrendo, ma non volevo dirtelo, perché non volevo che cambiassi opinione su di me, che pensassi che io sia una persona meschina, o che...»

«Harry no! Non potrei mai pensare che tu sia una persona meschina. Sei meraviglioso e niente potrebbe farmi cambiare opinione su di te.» Mi avvicino e infilo le mani tra i suoi capelli.

«Forse un figlio non dovrebbe pensare queste cose sulla propria madre, ma io non posso perdonarla. Quello che ho passato, a causa del suo comportamento, ha rischiato di distruggere la mia vita e quella di coloro che amavo di più. Adesso ho trovato la mia felicità... Tu sei la mia felicità, non c'è niente che mi importi più di te.»

«Io ti amo, Harry Stevens, ti amo così tanto che non so nemmeno dire quanto, e non potrei cambiare opinione su di te per quello che mi hai detto. Ho detto che ti avrei sostenuto qualunque decisione avessi preso, ed è esattamente quello che farò. Sono con te, Harry... Sono qui, con te...»

*****

«Sai bene a cosa mi riferisco.» Ieri sera l'ho visto in una versione ancora più fragile

La sua preoccupazione era che io pensassi che lui fosse una persona orribile a causa dei pensieri che ha su sua madre. La sua insicurezza l'ha portato a credere che avrei persino potuto smettere di amarlo, ma gli ho spiegato che questo non potrebbe mai, mai e poi mai succedere. Gli ho fatto capire che nessuno potrebbe giudicarlo per la sua scelta, ma gli ho anche detto che se domani, o dopodomani, o un giorno qualunque lui cambiasse idea e volesse andare da lei, anche se fosse solamente per dirle quello che pensa, io sarò con lui e lo accompagnerò ovunque voglia andare.

«Non mi sono pentito di nessuna delle mie scelte, Stewart, tantomeno di quella di tagliarmi i capelli. L'armadio mi ha chiesto se ho aggiunto qualche scarabocchio, ma adesso mi guarda con ammirazione...» Alzo gli occhi al cielo per la sua battuta, anche se non può vedermi, poi rivolgo lo sguardo al centro della sala e sorrido quando mi rendo realmente conto che nella mia vita va tutto bene.

Mamma e papà stanno bene, e sono più felici che mai. Il sorriso che vedo sulle labbra di tutte le persone presenti mi fa capire che ognuno di loro è felice. Tutte le persone a cui tengo di più sono qui, sono felici, e dopo aver rivolto un pensiero a nonna Jewel e a Dylan, alzo lo sguardo per guardare negli occhi la persona a cui tengo di più.

«Sei felice Harry?» Lui me l'ha chiesto spesso per accertarsi che lo fossi davvero.

«Ti guardo negli occhi, piccola Stewart... Come potrei non essere felice?» La sua mano si posa a lato del mio viso per giocherellare con i miei capelli. «Fino a quando potrò fare questo, sarò lo scarabocchiato più fortunato sulla faccia della terra.» Poi le sue labbra arrivano sulle mie, con urgenza, intense, portandomi con lui in un'altra dimensione, quella in cui ci siamo solo noi due. 
Adesso e sempre.

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Capitolo 79
*** EXTRA pt 1 ***


Il risveglio accanto a lui è sempre meraviglioso: aprire gli occhi e vedere il suo viso rilassato, la testa leggermente sprofondata nel cuscino, con le labbra semichiuse e l'inesistente strato di barba che non riesco a vedere nemmeno se non si rade per tre giorni di seguito.

So di essere fortunata, molto fortunata, e non lo dimentico mai.

Harry è stato ciò che di meglio mi potesse capitare nella vita. Sono riuscita ad arrivare a lui grazie ad una serie di tristi eventi. A volte mi intristisco nel pensarci, altre volte sorrido perché è come se lui fosse arrivato per guarirmi, ma gran parte del sorriso che ho spesso sulle labbra lo devo anche a Kurt: anche questo non lo dimentico mai.

Ieri sera siamo rientrati tardi in albergo perché ci siamo fermati a parlare con i miei genitori dopo che tutti gli invitati se n'erano andati. In realtà non eravamo solo noi, ma c'erano anche mia sorella e Zach. Rebekah mi ha confidato di avere grandi aspettative per il futuro, un futuro che riesce a vedere solo accanto a Zach.

Papà è ancora simpaticamente burbero nei confronti dei due ragazzi, che incolpa di avergli "rubato" le figlie, ma entrambi hanno imparato a conoscerlo e vivono meglio le sue battute pungenti. A dirla tutta, Harry è ancora un po' intimorito da mio padre – Zach non lo è quasi per niente, forse perché il suo carattere gli permette di essere molto più rilassato –, ma le cose sono nettamente migliorate e vederli scherzare, e punzecchiarsi, su qualsiasi tipo di argomento, mi porta a sorridere, perché è ormai entrato a far parte della famiglia a pieno titolo.

Mi sposto lentamente per avvicinarmi a lui cercando di non svegliarlo, ma alla fine cedo alla tentazione di toccarlo e poso una mano all'altezza del suo stomaco, poi la testa sul suo petto, e infine porto la mia gamba sopra la sua, per godermi il calore del suo corpo. Si ostina a non indossare nessuna maglietta per dormire e alla fine la cosa non mi dispiace affatto.

Accenna qualche piccolo movimento, poi il suo braccio si chiude sulla mia schiena e la sua mano sinistra si posa sulla mia che tengo ancora ferma sopra al suo tatuaggio.

L'ho svegliato, ma non dice nulla.

Non avrei mai immaginato che avrei potuto essere ancora felice - non dopo ciò che ha spezzato la mia vita - e nemmeno ci speravo più. Credevo che quella notte tutto fosse cambiato e ho fatto incredibilmente fatica a metabolizzare che quel capitolo della mia vita fosse finito, ma Harry mi ha fatto capire che ho altri capitoli da leggere in questo libro e non voglio perdermi più nemmeno una parola.

«Si può sapere perché sei già sveglia, Stewart?» Amo il suono della sua voce bassa e graffiata che ha la mattina appena sveglio; è un suono che mi entra fin dentro le ossa e mi riempie il cuore di una felicità che a volte faccio fatica a contenere.

«Non lo so, Harry, mi sono svegliata e basta». Muovo leggermente le dita sulla sua pelle in una piccola carezza. Amo il suo corpo e tenere le mani su di lui, come amo allo stesso modo quando le sue sono su di me, che si tratti di un momento appassionato o di uno più dolce, non importa, amo il contatto con lui, di qualsiasi natura sia.

«E allora hai pensato bene di svegliare anche me, giusto?» La sua mano scorre lenta sulla mia schiena e non posso più restare in questa posizione perché voglio guardare i suoi meravigliosi occhi verdi.

«Non volevo svegliarti, in realtà, ma non ho resistito alla tentazione... colpa tua che continui a dormire mezzo nudo». Il suo sorriso si apre malizioso solo per metà, poi sposta le braccia all'indietro per prendere il mio cuscino e metterselo sotto la testa, infine le sue mani tornano su di me mentre io sorrido con lui.

«Si sta comodi senza maglietta, dovresti provare anche tu, sai?» afferma con tono divertito, senza smettere di passarmi le dita tra i capelli.

«Se io non indossassi nessuna maglietta non starei affatto comoda, perché tu saresti sopra di me». La mia allusione è ovvia e so che ha capito a cosa mi riferisco perché il suo sorriso diventa più ampio.

«Lo sai che puoi stare tu sopra, non mi formalizzo su questo». Ruoto leggermente gli occhi alle sue parole e sorrido con lui senza allontanarmi di un millimetro. «Adesso puoi dirmi perché i tuoi ingranaggi stanno facendo rumore?» La sua mano si ferma per giocherellare con un'unica ciocca che fa arrotolare su indice e medio.

«Stavo solo pensando a quanto sono fortunata». Abbiamo ancora tanta strada da fare davanti a noi, ma se continueremo a camminare l'uno accanto all'altra sarà più facile aiutarci a rimetterci in piedi quando, inevitabilmente, cadremo a causa di qualche imprecisione del terreno sul quale stiamo camminando.

«Sicura che non ci sia nient'altro?» mi domanda, guardandomi attentamente negli occhi per capire se sto dicendo la verità oppure no.

Ha sempre avuto la capacità di leggermi dentro, come se fosse nella mia testa, e non ho mai potuto, né voluto, impedirglielo. Il fatto che lui riesca a capirmi così bene senza che io abbia bisogno di parlare è stato uno dei motivi per cui ho perso la testa per lui. Harry mi guarda e sa già cosa mi passa per la testa.

«Beh... se proprio devo dire la verità, una cosa ci sarebbe...» gli dico, lasciando in sospeso la frase, ma tenendo sulle labbra un sorriso divertito per fargli capire che non è niente di cui preoccuparsi.

«Ok... vado a prendere un preservativo» dice, e fa per alzarsi, ma lo tengo fermo, impedendogli di allontanarsi.

«No, Harry» gli dico ridendo.

«Hai cominciato a prendere la pillola e non me l'hai detto?» Sta scherzando, lo so.

O no?

«Harry smettila, non è niente a che vedere con il sesso!»

Si lascia andare all'indietro contro il cuscino e sbuffa, ma sorride. «Peccato, sarebbe stato un bel risveglio» dice ridendo, con lo sguardo rivolto verso l'alto, poi torna a guardarmi e io mi perdo ancora in quel verde, lo faccio sempre. «Lo sai che ti amo, vero piccola Stewart?» La sua mano torna tra i miei capelli e io sento il mio cuore un po' più gonfio.

«Lo so, ed era proprio a questo che stavo pensando, che ti amo così tanto e che sono fortunata ad essere qui con te». Credo che sappia a cosa mi riferisco, ma ormai quel vecchio discorso riusciamo a tenerlo in un angolo, ma senza mai dimenticarlo.

«Sai cosa amo più di te?» Le sue dita scorrono lente sulla mia fronte, poi la sua mano si infila tra i miei capelli e io non riesco a guardare altro che i suoi occhi verdi che stamattina sembrano più luminosi del solito.

«Cosa, Harry?» gli chiedo, stingendomi un po' di più a lui, perché ho la sensazione che riuscirà ancora, dopo tutto questo tempo, a farmi perdere la ragione.

«Noi». Una sola e semplice parola, che racchiude tutto quello che proviamo l'uno per l'altra, tutto quello che vogliamo essere l'uno per l'altra, una cosa sola. «Non c'è niente che io ami più di noi due, Chloe».

Si libera dalla mia presa mettendosi su un fianco restando di fronte a me, la sua mano non perde il contatto con il mio viso, i suoi occhi restano fissi nei miei e io so di aver fatto la scelta giusta lasciando andare la parte peggiore di me per potermi perdere nel suo sguardo che urla amore.

«Tu credi che noi riusciremo ad essere felici come i miei genitori?» Assistere al loro scambio di promesse dopo tanti anni come se fosse la prima volta è stato qualcosa che mi ha davvero colpito. Hanno affrontato tante cose insieme, positive e negative, ma ora, a distanza di tutto questo tempo, sono ancora così uniti da sembrare due fidanzati.

«Abbiamo i domani per una ragione, piccola Stewart». La sua mano scende lentamente, si posa sul mio collo e il contatto delle sue dita, dei suoi anelli che scorrono sulla mia pelle, mi provoca sempre un milione di brividi. «Ora... perché non lasci in pace quei poveri ingranaggi e ci godiamo oggi?» Il suo sorriso si fa malizioso, io continuo a perdermi nei suoi occhi, e mi piace terribilmente farlo, perché non c'è altro posto in cui vorrei perdermi.

«Tutto quello che vuoi Harry».

Oggi, domani, e domani ancora, l'importante è non perdere di vista quel noi, perché non è soltanto lui ad amare quella parola.

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Capitolo 80
*** EXTRA PARTE 2 (New York) ***


Come on and open up 

Open up my love I know it's a front 

You've been hiding behind 

Come on and open up 

Open up my love 

Why don't you tell me 

What's really on your mind

"Open up"

Matt Simons

************

Cinque, forse sei, o sette, non lo so con precisione da quante ore siamo chiusi dentro a questa suite, ma alla fine non m'importa davvero, perché non è del posto che mi interessa; sono con Harry e non c'è niente che vorrei di più.

È un altro punto e a capo, un altro periodo, un altro inizio, una nostra prima volta insieme; gli attimi che stiamo vivendo dentro a queste mura sono tutto questo e anche molto di più.

Tutte le barriere sono cadute: fisiche, mentali, i pregiudizi, le finte scuse, le inutili protezioni e ogni limite che entrambi ci eravamo imposti, credendo che fosse la cosa migliore per preservarci dalle delusioni, dal dolore e dalla sofferenza. Niente di più sbagliato: se avessi continuato a tenere su quei muri, adesso io e Harry non avremmo saputo che gusto avesse la felicità, non avremmo mai sentito il suono di quelle parole che ancora mi riempiono la testa.

"Cazzo se ti amo"

Non posso evitare di sorridere per il modo che ha usato per esprimere ciò che prova per me, ma va bene, perché è stato sincero, l'ha fatto a modo suo, e io ho amato il suo modo di dirlo, le sue parole, e il momento in cui l'ha fatto, quando era così perso da non poterlo più trattenere.

Ho sentito ogni parola, ogni lettera, penetrarmi la carne e arrivarmi fin dentro all'anima, dove ancora le sento risuonare, in una eco infinita, che continua a farmi restare in uno stato di estasi costante. Per questo motivo continuo a sorridere senza sosta, anche ora che, vestita solo della sua maglietta e di un paio di slip, mi sono messa a preparare qualcosa da mangiare.

Alla fine ho dovuto dargli ragione: la cucina nella suite era necessaria, perché ora, dopo aver finito di cucinare un paio di omelette, con marmellata e frutta - i pochi ingredienti che Harry si è fatto portare su dal servizio in camera, perché lui aveva voglia di qualcosa di dolce - so di poter ritornare immediatamente nel letto, dove lo ritroverò fresco di doccia, senza alcun indumento addosso.

Aveva ragione anche quando diceva che rinunciare al servizio in camera vero e proprio, per poter condividere anche questo momento insieme, sarebbe stato qualcosa di unico, ed è con questo spirito che mi accingo ad impiattare le nostre omelette, per poi tornare di là, nella speranza che lui abbia già finito la sua doccia.

Quasi non sobbalzo, quando sento le sue mani scivolarmi lungo i fianchi, per fermarsi sul mio ventre mentre mi stringe a sé, facendo aderire la mia schiena al suo corpo.

«Che profumino, Stewart» dice a bassa voce, strofinando il viso sul mio collo, per poi lasciarmi un bacio sul collo, con le labbra ancora umide, ma, ora che ci faccio caso, il suo intero corpo è umido.

Sento la mia maglietta iniziare a bagnarsi all'altezza delle scapole, sento qualche goccia, proveniente dai suoi capelli, cadere sulla mia spalla, sento le sue mani rafforzare la presa su di me, mentre le mie sembrano diventare molli, tanto che lascio cadere la palettina con la quale volevo prendere le omelette e metterle sul vassoio.

«Stavo per portare il piatto di là» dico a bassa voce, chiudendo gli occhi, mentre porto la testa all'indietro per appoggiarla alla sua spalla «è solo un po' di frutta e...»

«Ma io non mi riferivo al cibo...» dice interrompendomi «io parlavo di te...»

Le sue labbra tornano sul mio collo, lecca, morde, mentre le sue mani finiscono sotto la maglietta che indosso: sento il mio corpo ricoprirsi di brividi, come se mi stesse toccando per la prima volta, come se non lo facesse da giorni, non so come ci riesca, ma lui ha il potere di renderlo speciale ogni volta.

Sono voluta venire qui, a New York, perché potessimo avere un posto nostro, nel quale ritrovare dei ricordi solamente miei e suoi, voglio dimostrargli di essere andata oltre, di amarlo davvero, e voglio dimostrarlo anche a me stessa, permettendomi di lasciarmi andare più di quanto non abbia fatto finora con lui, lasciando che si prenda ogni respiro, ogni istante, ogni sguardo, perché voglio che tutto quello che mi riguarda, d'ora in poi, sia soltanto suo.

Voglio affidarmi a lui e voglio che lui si affidi a me, voglio poter essere me stessa e voglio che lui faccia altrettanto, voglio vincere tutte le mie paure e fare in modo che lui possa conoscere ogni aspetto di Chloe, in ogni momento e in ogni sfumatura, e poi voglio andare oltre, voglio sperimentare, voglio dargli più di quanto sia abituata a dare, perché il sentimento che mi lega a Harry è così potente, che non potrei fare diversamente, nemmeno se lo volessi.
Harry è cuore, ragione, sentimento, e corpo, e carne, e desiderio, puro, autentico. Harry è in grado di farti perdere la testa con un sorriso, con uno sguardo, e con un bacio sei già completamente spacciata. La voglia di lui è esplosa in un attimo, al primo bacio, e per quanto abbia provato a reprimerla, alla fine ha sempre vinto lui, e la cosa non mi dispiace affatto.

E, mentre tutti questi pensieri si diradano lentamente nella mia testa, le sue dita, totalmente prive di anelli, scorrono lente sulla mia pelle, accendendo la mia mente e il mio corpo all'unisono, unendoli verso lo stesso desiderio; la sua bocca non smette di assaltare collo, spalle, nuca, poi, il resto di lui, completamente nudo, si appoggia contro la mia schiena per farmi sentire quanto abbia voglia di me.

«Avevi detto di avere fame» gli dico, e trattengo il fiato quando sento la sua mano farsi spazio al di sotto della maglietta per poi ricoprire per intero il mio seno sinistro.

«E infatti è così, Stewart» sussurra piano, poi la sua mano destra scorre lenta verso il basso, sento le dita farsi strada al di sotto del bordo degli slip «sto morendo di fame».

Il mio corpo si incendia all'istante, come se le sue parole avessero appena acceso una miccia ad accensione rapida, come se ogni parte di me stesse reclamando a gran voce le sue attenzioni, un suo tocco, un suo bacio, una carezza, e lui sembra voler accontentare ogni millimetro della mia pelle, del mio corpo, già alla sua completa mercé. Sento i miei muscoli contrarsi quando le sue dita si fanno strada verso la mia intimità, mentre il respiro si fa più accelerato quando continua a sussurrare al mio orecchio.

«Voglio prendermi cura di te» mi accarezza, mi stringe, e la sensazione della sua mano dentro ai miei slip è qualcosa che mi manda letteralmente fuori di testa, tanto che non riesco a replicare «voglio dimostrarti quanto sei speciale per me».

«Harry...» sussurro a fatica, quasi in un gemito, quando fa scorrere lentamente un dito dentro di me.

«Adoro sentirti dire il mio nome quando sei così eccitata...» mi manca l'aria, continua a farmi impazzire, e io resto inerme, a godere di ogni suo assalto, come quello della sua bocca che si apre lenta sul mio collo, mentre succhia una piccola porzione di pelle, e le sue mani stanno prendendo tutto ciò che vogliono.

Mi arrendo, lo lascio fare, mi abbandono alla magia che riesce a creare in pochi minuti, in cui tutto l'universo scompare, per lasciare spazio soltanto a quello che proviamo l'uno per l'altra. Volto lentamente il viso all'indietro, perché voglio baciarlo, voglio che senta quanto anche io sia affamata di lui.

Le labbra di Harry trovano subito le mie, la sua lingua si fa spazio lentamente nella mia bocca, come a voler davvero assaporare qualcosa di buono, come se volesse percepirne ogni parte, per entrarne in pieno possesso. Trattengo di nuovo l'aria quando sento le sue dita scivolare fuori dai miei slip, perdendo il contatto con il mio corpo, mentre mi fa voltare nel suo abbraccio. Mi stringe i glutei con decisione, ma con delicatezza, per portarmi più vicino a sé, sento chiaramente la sua erezione contro il mio ventre, e porto le mani sui suoi fianchi, per poi scendere più in basso, senza mai perdere il contatto con la sua bocca, che diventa via via sempre meno delicata e più aggressiva.

Non riesco a credere che mi senta così eccitata come se non facessi sesso da mesi, quando credo siano passate a malapena un paio d'ore da quando abbiamo fatto l'amore su quell'enorme letto nell'altra stanza, eppure la voglia che ho di lui in questo momento sembra essere ancora più forte di prima, e ho tutta l'intenzione di farglielo capire. Così spingo di più il mio bacino verso il suo, per il gusto di sentire il suo gemito riversarsi nella mia bocca; divoro la sua voce strozzata, il suo fiato che sembra fermarsi per un attimo quando le mie dita stringono la carne dei suoi glutei, per portarlo ancora più vicino a me.

«Lo sai che adesso non arriverai al letto, vero?» dice a bassa voce, come se fosse una minaccia, ma il solo pensiero delle sue parole ha una prospettiva così piacevole, che non credo di volerci rinunciare.

«In realtà ci speravo» affermo sicura, perché è così che mi sento quando sono tra le sue braccia, quando lui mi guarda come se ogni suo respiro dipendesse da me.

«Non c'è bisogno che tu lo ripeta». Si abbassa all'improvviso, mi solleva, per poi voltarsi tenendomi in braccio e farmi sedere sul bordo del tavolo.
Mi aggrappo alle sue spalle mentre le sue dita affondando nei miei fianchi, per poi risalire velocemente quasi subito, portandosi dietro la maglietta che indosso.

Per un attimo tutto sembra fermarsi, come se la nostra vita fosse diventata un fermo immagine: seduta sul bordo del tavolo, con addosso solo un paio di slip, resto immobile sotto il suo sguardo acceso, quasi senza respirare, mentre porto indietro le braccia, appoggiandomi con le mani alla superficie lucida. Lo sguardo di Harry resta per qualche secondo nei miei occhi, poi scende lentamente, e forse dovrei sentirmi a disagio, o in imbarazzo, invece quello sguardo di fuoco ha il potere di farmi sentire incredibilmente bella e sexy.

«Non c'è niente che vorrei più di te...» dice, tornando a guardarmi negli occhi «di noi due...» si avvicina di più, si sistema tra le mie gambe, fa scorrere le dita leggere appena al di sotto del mio collo, da una clavicola all'altra, percorrendo la linea occupata solitamente dalla catenina che indosso «di noi due...» ripete ancora, stavolta con voce più bassa, e io so quale sia il reale significato delle sue parole, ma non voglio pensarci adesso, perché gli ho promesso che saremo solo noi due, e non permetterò a nessuna ombra di interferire in questo istante così intenso, così nostro.

«Noi due, Harry» gli dico, portando una mano sul retro del suo collo, per avvicinarlo di più a me «solamente noi due» rimarco quelle parole, perché voglio che lui ne sia certo, che non abbia dubbi sul fatto che io sia presente qui con lui, e non solo fisicamente.

Si lascia baciare, lo faccio lentamente, senza fretta, dando ad entrambi il tempo di sentire ogni brivido, ogni fremito, ogni sensazione che questo contatto sta provocando ai nostri corpi. Le sue mani si posano delicate sui miei fianchi, risalgono ancora più lentamente lungo il mio corpo, per poi fermarsi sui miei seni e, stavolta, sono io ad ansimare nella sua bocca, ed è lui a catturare i miei gemiti tra le labbra, divorandoli, trasformando un bacio dolce in uno più passionale, senza darmi quasi tregua.

Affondo le dita nei suoi muscoli per potermi sorreggere, mentre lui non si risparmia nel continuare a baciarmi come se ne traesse forza ed energia.

«Devo...» dice con un filo di voce, allontanandosi leggermente, quasi senza davvero capire cosa deve dire, poi riprende a baciarmi, poi si ferma di nuovo «devo andare a...» mi bacia ancora, poi un altro stop, e sorrido nel vedere il ritratto dell'impazienza sul suo viso. «Merda! Torno subito...» dice poi, per andare nell'altra stanza, mentre io mi godo la visuale del suo lato B quando si allontana.

Mi appoggio di nuovo all'indietro e lo vedo tornare un attimo dopo con un'espressione furba sul volto; mi si avvicina, appoggia accanto alla mia coscia la bustina argentata, poi appoggia le mani sulle mie ginocchia.

«Voglio mangiare, Chloe...» dice con la voce più bassa che gli abbia mai sentito, così roca e graffiata che la sento percorrermi tutta la spina dorsale, per poi riversarsi al centro delle mie gambe, facendomi contrarre i muscoli e stringere le cosce, ma lui non me lo permette, perché scorre lento con le dita sulla mia pelle accaldata, mentre mi divarica le ginocchia, sistemandosi all'interno «e ho bisogno di un piatto...»

Lo osservo con aria confusa, ma non mi lascia nell'incertezza per molto: posa una mano sulla mia spalla e, facendo una leggera pressione, mi fa stendere sul piano liscio, sostenendo la mia schiena con l'altra, fino a che rabbrividisco nel percepire il freddo della superficie sulla quale mi ha fatto distendere.

«Sei bellissima anche da qui, Chloe» dice ancora, mentre sembra che io abbia perso la parola. «Non ti muovere» dice, poi giro la testa all'indietro quando lo vedo allontanarsi e andare verso il piccolo piano cottura, per recuperare il piatto con le omelette farcite di fragole e tornare ad occupare il piccolo spazio tra le mie gambe, che ha lasciato solo per qualche secondo. «Lo senti com'è bello il silenzio senza il casino di tutti i tuoi ingranaggi?» domanda divertito, forse per alleggerire un momento davvero troppo intenso, tenendo in mano quei dolcetti. «Adesso voglio sentirti riempire il silenzio, ma non con i tuoi pensieri».

Solleva la parte superiore della prima omelette, mentre l'aspettativa per ciò che ha in mente, sta facendo salire l'eccitazione e sparire l'aria dai polmoni, prende un paio di fettine di fragole e le posa appena al di sotto del mio ombelico, poi mi guarda negli occhi, mi sorride, e riprende a sistemare le fragole sulla mia pelle, provocando brividi ad ogni contatto della frutta.

Non ho mai fatto niente del genere in tutta la mia vita, non ho idea di cosa stia per fare, ma sono impaziente di scoprirlo. Sono tesa, ma non nervosa, sono rigida, con la schiena leggermente inarcata, ma non perché la situazione sia imbarazzante. Non vedo l'ora di scoprire cosa e come vuole mangiare, quindi resto immobile, ad osservare i suoi movimenti, ruotando soltanto gli occhi, e trattenendo il fiato.
Harry si sposta di lato, mettendosi accanto a me, si abbassa all'altezza del mio orecchio e sussurra in un modo così sexy che sento di essere già quasi al limite della sopportazione: «Rilassati...»

Come se fosse una cosa realmente fattibile, come se potessi davvero rilassarmi, quando il suo viso arriva a pochi millimetri dal mio sterno, sul quale ha appoggiato la prima fragola. Sollevo leggermente la testa, mi appoggio sui gomiti per non perdermi niente. Mi guarda, ma io non riesco a togliere gli occhi dalla sua bocca: lo vedo sorridere, poi si abbassa ancora. Trattengo il fiato quando sento la sua lingua scorrere lenta, per prendere in bocca la fettina di frutta, poi le sue labbra chiudersi, per risucchiare la piccola porzione di pelle al di sotto, e infine osservarmi, per sorridere compiaciuto della mia reazione.
Credo mi si legga in faccia quanto questo gesto mi abbia fatto perdere la testa.

«Questo sì che è mangiare...» afferma divertito, per poi compiere gli stessi gesti: si abbassa, passa la lingua sulla mia pelle per prendere la frutta in mezzo ai seni, poi le labbra, e sorride.
E ancora, un po' più in basso, lingua, fragola, labbra, ma stavolta aggiunge la sua mano sul mio fianco, mentre io non so nemmeno come mi chiamo. Sta arrivando sempre più in basso e non ho idea di come potrò sopravvivere a tutto questo. Torna in mezzo alle mie gambe, tiene entrambe le mani sui miei fianchi e ripete quella parola.

«Adesso rilassati, Chloe...» Torna ad abbassarsi, fa scorrere la lingua appena al di sopra del pube, ma stavolta non risolleva il volto dopo aver messo in bocca la frutta, invece continua a scendere con le labbra, con la lingua, mentre le sue mani scivolano dai miei fianchi fino alle gambe, per poi percorrere una breve linea immaginaria sull'interno coscia. A quel punto sono un fascio di nervi per l'aspettativa di ciò che sta per avvenire. E come dovrei rilassarmi a questo pensiero? Come posso rilassarmi quando vedo sparire il suo viso tra le gambe? E come posso continuare a respirare quando sento le sue dita agganciare il bordo degli slip per poi sfilarli? Come posso evitare un colpo al cuore quando sento la sua lingua compiere lo stesso movimento che ha compiuto finora sulla mia pelle, solo nella zona più intima del mio corpo?

Vorrei davvero continuare a guardarlo, ma l'immagine del suo volto che sprofonda nella mia carne è uno spettacolo di un livello erotico talmente alto che al momento non sono pronta a reggere, se non voglio rischiare un attacco cardiaco, così mi limito a reclinare la testa all'indietro, a chiudere gli occhi e abbandonarmi al piacere che Harry mi sta donando.
È così intenso tutto questo, che è quasi come se potessi lasciare il mio corpo; mi lascio andare del tutto all'indietro, torno a sdraiarmi e riesco a rilassarmi, a distendere ogni muscolo, anche quelli in balia della bocca di Harry, che sembra essere in grado di portarmi in paradiso. Porto le braccia all'esterno, per aggrapparmi ai bordi del tavolo, inarco la schiena e gemo più forte quando stringe le mani sui miei fianchi, per portarmi ancora più vicino e affondare con la lingua, risucchiare con le labbra, in una meravigliosa tortura che vorrei durasse per sempre.

«La tua voce ha un suono decisamente migliore dei tuoi pensieri» dice, interrompendo quella piccola meraviglia, per lasciarmi qualche bacio sull'inguine, e continuare a parlare, mentre risale lentamente. «Anche il tuo respiro ha un suono migliore rispetto agli ingranaggi del tuo cervello». Si sta divertendo, io sono troppo eccitata per ridere, o soltanto sorridere, in realtà sono troppo eccitata e basta.
La sua bocca, la sua lingua, non smettono di percorrere il mio corpo, poi si sofferma sul seno, e ancora vorrei guardare mentre morde e dedica altre attenzioni al mio corpo già ipersensibile, ma non credo di farcela.

«Harry...» mi sfugge il suo nome, senza nemmeno rendermene conto.

«Mi vuoi, Chloe?» mi domanda, e la sua voce sembra sempre più bella e profonda ad ogni parola che pronuncia.

«Sì... Ti prego...» Lo sento ridacchiare per la mia reazione, poi perdo il contatto con ogni parte di lui, sento il rumore della bustina argentata che viene strappata, poi le sue mani sui miei fianchi, per farmi scivolare sul tavolo, finendo con il sedere sul bordo.

«Dimmelo ancora, Chloe» mi dice, e la sua richiesta mi spinge ad aprire gli occhi, per vedere quanto sia diventato brillante e profondo il verde dei suoi occhi «dimmi che resti».

«Resto, Harry...» Il fiato rimane bloccato in gola, quando lui entra lentamente dentro di me, poi lascio andare l'aria, unita alla voce, che forma un gemito rumoroso.

«Cazzo!» impreca lui, per poi ripetere lo stesso movimento e ottenere il medesimo suono, che lascia le mie labbra in maniera più lenta e prolungata. Si piega in avanti, tiene una mano sul mio fianco, l'altra la porta dietro la mia schiena, aiutandomi a sostenermi, poi riprendere a muoversi. «Resta con me».

Riesco a sentire tutto il suo bisogno di essere rassicurato, tutta la sua insicurezza, la sua fragilità, così mi aggrappo ai suoi bicipiti e fisso il mio sguardo nel suo.

«Resto con te, Harry...» gli dico seria, cercando di trasmettergli quanto credo in quelle parole «resto con te» ripeto, poi lo bacio mentre lui mi tiene stretta, mentre le sue spinte si fanno sempre più veloci, più aggressive, come se potesse prendersi ogni cosa di me attraverso i suoi affondi. Assecondo i suoi movimenti, lascio che si prenda tutto ciò che vuole, mentre io faccio lo stesso con lui, fino a quando mi porta al limite.

«Con me...» La sua voce si riversa nella mia bocca, tra un bacio e un morso, le vibrazioni della sua voce arrivano fino alla mia gola, si riverberano dentro al mio corpo, mentre sento ogni più piccola parte di me esplodere all'improvviso in un piacere intenso, quasi violento, che mi toglie il fiato, la voce, la lucidità, mentre affondo le unghie nella sua carne e lui afferra con più forza il mio fianco. «Con me, cazzo...»

Sento il suo corpo irrigidirsi, poi i suoi affondi rallentano, fino a fermarsi del tutto, restando immobile per qualche secondo, nei quali cerco di capire se sono ancora su questo pianeta o sulla luna.

«Le fragole più buone di tutta la mia vita» dice dopo un po' sollevandosi leggermente e guardandomi negli occhi. La sua mano arriva sul mio viso, le sue dita percorrono ogni centimetro, come ad assicurarsi che io sia qui, fino a soffermarsi sulle mie labbra.

«Peccato che te le sia mangiate tutte tu» rispondo, tentando una battuta, perché ho bisogno di tornare alla realtà.

«Bastava dirlo che avevi bisogno di un piatto, mi sarei offerto volentieri» sorride divertito, poi si abbassa e mi bacia.

«Me lo ricorderò, la prossima volta» ribatto, restando con gli occhi nei suoi.

«La prossima volta...» ripete lui «ha un bellissimo suono, no?» Gli sorrido e concordo con lui.

Abbiamo entrambi bisogno di certezze, di sapere che possiamo contare l'uno sull'altra, che possiamo avere un futuro, un futuro nel quale saremo ancora insieme, e non c'è assolutamente niente che voglio più di questo.

 

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