La stanza rosa

di Gaiaww
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- La casa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1- Una nuova vita ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- L'incontro ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3- Ciò che l'esperienza non racconta ***



Capitolo 1
*** Prologo- La casa ***


I signori Lloyd erano fieri di annunciare che la loro prima figlia sarebbe stata addestrata, sin da piccola, ad essere una delle migliori nel mondo del pattinaggio; avevano progettato tutto: Frank Lloyd, il padre della bambina che sarebbe nata di lì a poco, aveva deciso di acquistare una piccola villetta nei pressi della March Flowers Professional School, un istituto per ragazzi e ragazze di varie età che li avrebbe lanciati nel mondo del teatro, della danza, della musica e del pattinaggio artistico e su ghiaccio. La casetta si apriva su un vialetto di ghiaia bianca curato e pulito, costeggiato da una fila di mattoncini smaltati e circondato, come il resto della villetta, da un verde pratino all'inglese, curato da un anziano giardiniere che da trent'anni prestava i suoi servigi all'istituto d'arte. La signora Brenda, moglie del signor Lloyd e di allora solo ventisette anni, portava elegantemente una larga maglia rossa sopra il pancione liscio, dei jeans attillati e delle scarpe di cuoio con tacco a spillo. La bimba, che si sarebbe dovuta chiamare Lydia, sin da una tenera età avrebbe imparato a camminare con impeccabile eleganza e, subito dopo, a tenere l'equilibrio su un paio di pattini a rotelle; solo allora avrebbe potuto iniziare la sua carriera.

Brenda Lloyd era ormai al settimo mese di gravidanza e avrebbe dovuto tenere l'ultima ecografia di lì a pochi giorni; avevano preparato tutto: dai vestitini firmati alle borsette accessoriate, dai biberon ai bavaglini, la nuova cameretta munita di culla a dondolo infiocchettata di colori pastello, il fasciatoio di legno chiaro e una lista di oggetti e accessori in rosa dei quali la piccola Lydia avrebbe fatto uso.

Per i Lloyd, però, l'ultima ecografia non fu una bella sorpresa: con stupore dei genitori, medici e tutti i presenti in sala, la bambina che la Lloyd avrebbe dato alla luce dopo nove lunghissimi mesi d'attesa, non era altro che un tenero e adorabile maschietto.

~

E ancora un altro, noiosissimo giorno di scuola. E poi ancora pattinaggio. "E tieni la schiena dritta, e il braccio sostenuto, e attento alla testa, e ricordati di sorridere... Basta. Odio la mia solita routine. Perché non posso essere come tutti gli altri ragazzi? Perché non posso praticare Hip-hop o Break Dance come ogni ragazzo che si identifichi tale in questa scuola vorrebbe fare?

Matthew Lloyd odiava la sua vita. Era stato costretto, sin dall'età di tre anni, a praticare una disciplina da ragazze, in una classe di sole ragazze, obbligato a svolgere esercizi da ragazze. Per quanto avesse insistito, i genitori non avevano ammesso che era solo il risultato di un grosso sbaglio. Il ragazzo aveva sempre odiato le attenzioni che la famiglia gli rivolgeva, che sembravano indirizzate alla sua sola carriera da ballerino su ghiaccio. Avrebbe voluto scappare, lontano dalla sua vita. Avrebbe voluto non entrare in classe, quella mattina, restarsene lì fuori a fumare con i ragazzi più grandi, gli stessi che ogni giorno lo prendevano in giro con frecciatine e commenti. Non reagiva per un solo motivo: dava loro ragione. Trovava appropriati i loro commenti, sul suo indirizzo in quella dannata scuola, sul suo atteggiamento eccessivamente femminile. Era per questo che odiava suo padre e odiava se stesso. Era stata sua la brillante idea di desiderare una stella del pattinaggio tra la sua progenie. Matthew avrebbe tanto voluto una sorella alla quale lasciare tutta quella gloria, ma per sua sfortuna sua madre non riuscì ad avere altri figli, così fu lui a subirsi le attenzioni di due genitori decisamente troppo esaltati per riuscire a focalizzare il bene del ragazzo.

~

Matthew percorse a passo rapido il cortile ordinato della March Flowers, le braccia appese alle bretelle del suo zaino e le movenze decisamente troppo effemminate per un ragazzo. Guardava fisso la punta bianca delle sue scarpe da tennis, muovendo periodicamente la testa a sinistra per levarsi un ciuffo troppo lungo di capelli castani dal volto. Nemmeno quelli si decideva a tagliare, per non ricordare ai suoi genitori che tutti i loro sforzi non erano serviti.

I Lloyd pagavano una retta mensile per consentire al proprio unico figlio di frequentare i suoi corsi alla March Flower, e Matthew sapeva che avrebbe dovuto provare un minimo di riconoscenza per tutto ciò che gli davano. Ma purtroppo non si sentiva di ringraziarli per la sua vita, al contrario, sentiva di star facendo tutto quello per loro, perché potessero sentirsi realizzati nell'investire i propri risparmi nel loro sogno per lui.

Trovo che tutto questo sia ingiusto. Odio il pattinaggio. E mai una volta che abbia tenuto le compagne, mai. Sono sempre io ad essere sollevato. Ma andiamo, chi mai potrei reggere, con i miei miseri cinquantadue chili?

Matthew varcò il portone della scuola e si diresse al secondo piano senza salutare nessuno. Percorse il corridoio principale fino a metà, dove era collocato il suo armadietto; inserì la combinazione e lo aprì, lasciando al suo interno il deodorante nuovo e lo shampoo per il pomeriggio, per una doccia calda a fine lezione.

Chiuse l'armadietto e addrizzò il lucchetto, come era di sua abitudine fare, e voltandosi per entrare in classe intravide Logan, che salutò con un sorriso e una pacca sulla spalla. Il suo migliore amico gli scompigliò i capelli e restò ad osservarlo divertito quando il ragazzo si mise le mani tra le ciocche brune per sistemarsi, specchiandosi sullo schermo del suo smartphone spento.

«Buongiorno, Matt» lo salutarono gli altri ragazzi del gruppo di pattinaggio sul ghiaccio tra gli sbadigli e i bicchierini di caffè.

«Salve, ragazzi» ricambiò lui con un sorriso.

«Oggi non ho proprio voglia di entrare», si lamentò Logan come al suo solito «non vedo l'ora che arrivi il pranzo. Così saluto i libri e, soprattutto, mi abbandono al cibo». Matthew roteò gli occhi, come se conoscesse a memoria quel ragionamento.

«Sta' attento che ingrassi, ippopotamo. E poi chi la sente la signorina Wickleman?» La loro insegnante di pattinaggio era sempre stata piuttosto rigida riguardo al fisico di ogni suo allievo, sia ragazzo che ragazza, non poteva sopportare nemmeno un chilo di troppo, nei maschi così come nelle femmine, senza distinzione.

E non era l'unica regola su cui era inflessibile: le ragazze, ad esempio, dovevano presentarsi in palestra con lo chignon senza alcuna variazione, se non volevano beccarsi una sfuriata davanti a tutta la classe.

Anche Matthew era costretto a legarsi i capelli; le sue ciocche brune volteggiavano ad ogni suo movimento quel tanto che bastava ad impedirgli la totale visuale o comunque ad infastidirlo. Se avesse potuto, era certo che sarebbe venuto a scuola con le mollettine laterali a reggergli la frangia.

Logan salutò l’amico e si avviò verso la propria classe: la prima ora non la avevano insieme.

~

Il ragazzo dalla folta e liscia chioma bruna rientrò in casa, come ogni giorno, alle cinque e mezza del pomeriggio. Posò le chiavi sul tavolino nel corridoio e lo percorse fino alla fine, varcò la soglia del salotto, alla sua destra, e si accasciò sul divano con poca eleganza. Aveva lasciato lo zaino di tela viola sulla poltrona del padre, sopra al giornale lasciato arrotolato lì dalla mattina. Sua madre non era ancora rientrata dal lavoro. Lo trovò insolito, visto che normalmente lo precedeva di alcuni minuti.
Alzò le spalle e senza porgersi ulteriori domande salì al piano superiore, dove dormivano i tre famigliari.

La casa possedeva perfino uno studiolo, nel quale il padre si ritirava a pensare durante i periodi di crisi più intensa per via del lavoro, ma che spesso veniva usato dallo stesso Matthew per studiare o esternarsi dal mondo. Avrebbe potuto farlo anche nella propria camera, se non fosse stato che le pareti tendenti al giallo e al violetto, l'arredamento chiaro e la tappezzeria con motivi floreali gli ricordavano la stanza di una femmina. Probabilmente, se fosse stato un ragazzo normale, non gli avrebbe dato tanto fastidio quell'atmosfera delicata e quel tenue bagliore che la stanza emetteva, così pacato e tranquillizzante, ma nelle sue condizioni si ritrovava ad essere anche piuttosto suscettibile all’argomento “rosa”. In quel momento voleva solo avere qualcosa che lo facesse sentire un uomo, nonostante non si rispecchiasse affatto in quella definizione. Ogni volta che qualcuno lo chiamava “bel ragazzo”, “giovanotto”, o con altri termini spesso usati dalle amiche di sua madre, sentiva come se un meccanismo fosse appena scattato in lui, qualcosa che lo portava a rispondere rapidamente con un “La prego, mi chiami semplicemente Matthew”, ma quando poteva, cercava di limitare anche quello. A scuola pregava gli insegnanti affinché lo chiamassero per cognome tutti quanti, giustificandosi per mezzo dell’imbarazzo che diceva di provare in un colloquio troppo informale con un professore, ma questi ultimi, vedendo che la questione giovava anche al suo rendimento scolastico, lo lasciavano fare. Nessuno si era mai domandato il vero motivo dell’insicurezza del ragazzo.


 

La signora Lloyd rientrò in casa poco dopo, trovando Matthew nello studiolo intento a risolvere un esercizio di matematica. La trovava uno strazio. Con la sua disgrafia, i numeri che la penna tracciava sui grandi quadretti del suo quaderno uscivano sempre storti e deformi.

Sua madre si fermò sulla soglia, ad osservare il figlio mentre alzava lentamente il capo dal quaderno e la guardava con aria annoiata, gli occhi trasmettevano la sconfitta che il ragazzo sentiva, quasi oppresso da essa. Non appena quest’ultimo sollevò totalmente lo sguardo, Brenda lo salutò con un lieve bacio sulla fronte liscia e lo informò che, se avesse avuto bisogno di lei, l’avrebbe trovata di sotto in cucina, a stillare il menù per la cena del sabato seguente. Matthew si limitò ad annuire, tornando a concentrarsi sul copiato di quell’infinita espressione algebrica, che avrebbe saputo risolvere, se non fosse stato che riusciva a malapena a comprendere la sua pessima grafia.

Chiuse il quaderno e la matita in mezzo ai libri e li sistemò su una mensola che sovrastava la piccola scrivania bianca, prendendo poi il cellulare e scendendo in giardino. Aveva abbandonato lo studio, per quel giorno, lasciandolo con la promessa che avrebbe finito di ripassare quella stessa sera, sul tardi, giuramento che non venne mantenuto.

Matthew rimpiazzò lo studio con una breve chiacchierata di appena due ore al telefono con Logan, che non permise all’amico di parlare a causa delle continue frecciatine che gli lanciava, al fine di distrarre e tirare su il morale al bruno, sentendolo giù per via della situazione familiare complessa.

Logan era una persona di cui Matthew poteva senz’altro fidarsi; il ragazzo sapeva tutto, e malgrado gli scherzi con i quali continuamente tirava in ballo il più piccolo, non si sarebbe mai preso gioco di lui e lo trattava sempre con il massimo rispetto. Il ragazzo aveva solo quattro mesi più di Matthew, ma se messi al confronto, Logan poteva sembrare molto più grande. Non era tanto mentalmente quanto fisicamente che il maggiore appariva più imponente: sfiorava il metro e ottantacinque, e i capelli scuri accuratamente pettinati all’indietro gli facevano guadagnare quei poi centimetri necessari a fargli superare la maggior parte dei suoi compagni di scuola, di qualsiasi disciplina. I suoi occhi tendevano all’azzurro, sebbene avessero delle sfumature verdastre che li rendevano più movimentati.

Anche quel pomeriggio, il confronto tra i due aveva aiutato Matthew a sentirsi bene, come se non dovesse sentirsi costretto ad indossare maschere. Solo con Logan, però.

Matthew si lasciò andare sulla sedia di pelle dell’ufficio di suo padre, sbilanciando il capo all’indietro tanto da scostargli totalmente i capelli dalla forte. Quegli attimi di benessere erano andati, come acqua corrente, impossibili da recuperare. Gli sembrava che in quel momento la gravità fosse doppia rispetto al solito, perché sentiva le braccia così pesanti da non riuscire a tirarle su. In quel momento non percepiva nulla, se non il peso di quello che sapeva avrebbe fatto di lì a poco. Non lo voleva, non pienamente, ma sentiva che sarebbe stato giusto farlo.

Poi le lacrime. Una dopo l’altra, pesanti e abbondanti. Sembravano non voler cessare di uscire copiose dalle sue palpebre socchiuse, sembravano voler cancellare, con scarsi risultati, l’essenza del ragazzo. Loro non ce l’avrebbero fatta, ma Matthew sì. Voleva dimenticarsi di quella storia, voleva farla finita con l’imbarazzo che provava in quel divario tra la sua personalità e quello che gli altri volevano che diventasse, voleva, per una volta, che i suoi genitori si sentissero fieri di lui. Logan era uno solo, non sarebbe bastato ad ancorarlo a ciò che era, la maggioranza avrebbe sempre avuto la meglio. Voleva poter provare, almeno una volta, cosa volesse dire essere accettati da tutti gli altri e sentirsi bene in un corpo che, malgrado non gli appartenesse, sentiva suo. E così fece.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1- Una nuova vita ***


Non sapeva esattamente cosa avesse fatto. Arrivato ad un certo punto, le sue mani avevano preso il via, e da sole avevano completato il lavoro.

Matthew fissò soddisfatto la sua piccola agenda sulla quale appuntava i codici e le password che utilizzava per i vari account su internet, per la carta di credito e per l’armadietto della palestra, dove teneva con avida cura i suoi pattini bianchi; sarà stata l’abitudine, ma il sedicenne si sentiva davvero libero negli assoli o durante il riscaldamento, quando non doveva pensare ad altro che a se stesso.

Anche in quel momento lo stava facendo, stava calibrando il peso delle sue azioni considerandosi l’unica persona sulla quale avrebbero influito, ben sapendo che non fosse così.

Matthew fissava quello che avrebbe dovuto essere il suo nome, quello giusto, quello che corrispondeva a ciò che sentiva in quel momento. Lydia Lloyd. Quel suono, così soave, calzante, così mellifluo e opportuno: era quello il suo nome, e così avrebbe dovuto essere.

Si era sempre chiesto perché i genitori non avessero mai accettato a fondo il suo genere maschile, naturale, funzionale, non avevano mai capito perché avrebbero dato oro per far sì che Matthew fosse una ragazza. Dopo lunghe riflessioni se lo spiegava. In quel momento era arrivato alla conclusione che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta per lui.

Avrebbe potuto sembrare una soluzione presa in fretta, o troppo ragionata perché potesse funzionare, ma Matthew non se ne preoccupava, perché era quella la migliore.

Matthew fissò ancora una volta quel quaderno, dove erano segnati i nomi e le password di tutti i suoi nuovi account, che sui social lo ritraevano come la dolce e delicata Lydia Lloyd. Sperava di trovare un rifugio da se stesso sulle grandi piattaforme che avevano colonizzato il web, di conoscere altre persone come lui, con la sua situazione, o semplicemente che capissero in parte o accettassero il suo modo di essere. Si sentiva libero.

Iniziò con il seguire il sito della scuola, trovando vari studenti online in quel momento. Matthew decise di esplorare dapprima la sezione di pattinaggio su ghiaccio- dove trovò anche i suoi compagni di corso, che decise prontamente di ignorare-, scorgendo tra le foto della pagina anche la sua immagine, decisamente troppo snella ed esile per essere a prima vista ricondotta a quella di un ragazzo. Sospirò soddisfatto, uscendo dal sito e aprendo la prima applicazione che trovò sulla schermata home del suo cellulare. Pubblicò una vecchia foto scattata nella sua stanza rosa prima dello spettacolo conclusivo del trimestre che si chiudeva con la pausa natalizia.

Passò poco tempo prima che il suo animo travagliato si abbandonasse ad un sonno disperato, leggero.

Per la prima volta da quando era nato, probabilmente, quella notte si sentì rilassato. Era come se le sue preoccupazioni, la sua angoscia, il suo costante disagio fossero svaniti con la dissoluzione della sua reale identità. Finalmente si sentiva in Pace con se stesso.

~

«Va bene ragazzi, ci vediamo martedì: lunedì non potremo allenarci poiché sarò impegnata fuori sede per una gara con gli studenti del nono anno; mi raccomando, niente sgarri e serietà.» La signorina Wickleman lasciò che gli studenti fossero liberi di tornare a casa, mancando ormai appena dieci minuti alle cinque. Matthew e Logan si diressero per primi verso gli spogliatoi, cercando di non correre per non far capire alla loro insegnante che non vedevano l’ora di andarsene dopo quella lezione particolarmente pesante. I due amici camminavano fianco a fianco, senza dire una parola. Quando arrivarono alle scalette che li introducevano agli spogliatoi il maggiore posò una mano sulla spalla del bruno, stringendogliela affettuosamente.

«Mi dispiace, Matt» mormorò, sorridendogli compassionevole.

«E di cosa?» chiese lui alzando le spalle.

«Della tua parte. Probabilmente anche quest’anno interpreterai un personaggio femminile secondario.»

Matthew abbozzò un sorriso e iniziò a scendere le scale, seguito dall’amico che lo fissava sconcertato. «Forse è giusto così» commentò quasi soddisfatto da se stesso, aprendo per primo la porta dello spogliatoio. Entrò nell’ambiente freddo perché privo di ogni sistema di riscaldamento; si sfilò la maglietta attillata dal bordo, rimanendo a petto nudo di fronte all’amico. In genere si vergognava del suo corpo, ma forse iniziava ad apprezzare l’esilità delle sue forme.

Matthew e Logan si cambiarono in silenzio, seguiti poi dagli altri quattro ragazzi che frequentavano con loro il corso. Logan restava comunque il più alto, ma a confronto con gli altri risultava più piccolo, forse perché più ingenuo, e inoltre la vicinanza con Matthew lo influenzava.

Il castano si cambiò velocemente e uscì dalla palestra senza aspettare Logan, che aveva un appuntamento con Valentina, la sua ragazza, e quindi era rimasto a farsi una doccia poiché non aveva tempo di tornare a casa.

Camminò rapidamente lungo i marciapiedi che affiancavano le vie di quel paese piccolo, ma intraprendente; ripescò le chiavi di casa dalla tasca anteriore del suo zaino ed aprì il cancello più piccolo, per non dare nell’occhio. Dopo aver intravisto sua madre in cucina, e sapendo che lo aspettava come tutti i giorni per salutarlo e mangiare qualcosa insieme dopo gli allenamenti, strisciò lungo il muro perimetrale dell’abitazione e giunse sul retro, agganciò lo zaino al moschettone che pendeva dal balcone della sua camera e, servendosi della scaletta sulla pianta di mimosa accanto al balconcino, si arrampicò fino alla porta finestra, come da piccolo amava fare; una volta dentro tirò su anche lo zaino, lo gettò sul letto e si chiuse nel bagno di sua madre, fornito di vasca, sali da bagno e prodotti e cosmetici dell’unica donna della famiglia che potesse possederne.

Mio padre sarà felice, pensava ingenuamente, sono quel che devo essere, adesso. Sono certo che Logan non apprezzerà, ma il giudizio dei miei vale mille volte di più.

~

Matthew uscì dalla vasca e si avvolse nell’enorme asciugamano candido; si asciugò tamponandosi il corpo e si infilò i vestiti, raccolse i capelli in un asciugamano più piccolo e lasciò che esso assorbisse la maggior parte dell’acqua. Poi preparò i trucchi: fondotinta, cipria e terre per la pelle, un semplice eyeliner nero e il mascara per gli occhi e una matita e un rossetto dai toni tenui per le labbra. Cercò su YouTube un tutorial per il make up e, presi i pennelli da un cassetto, iniziò a seguire passo passo ciò che la ragazza nel video indicava di fare.

 

Matthew si guardò allo specchio soddisfatto: le gote fini, gli zigomi chiari, erano ora tinti di rosa, in contrapposizione con il viso chiaro e appuntito. Le labbra sottili assumevano una tonalità più scura, quasi scarlatta, ma non risultavano eccessive. Aveva pettinato la folta chioma bruna in una mezza coda alta, arricciando lievemente le punte e fissando l’acconciatura con della lacca.

~

Matthew -ora Lydia- passeggiava per le vie del centro del suo paese su un paio di tacchi otto, mezza taglia più piccoli della sua, le gambe fasciate da un paio di jeans attillati e un maglioncino lungo che copriva il suo corpo lineare fin sotto i fianchi. Teneva sulla spalla una delle borse di sua madre, quella nera di stoffa e pelle con la tracolla intrecciata e le rifiniture di alluminio, all’interno i suoi risparmi di due mesi a quella parte e le chiavi di casa, per evitare ogni tipo di contatto con la famiglia, specialmente conciato in quel modo.

Per tutto il pomeriggio parlò poco, per non tradire il suo aspetto così esatto, visitò ogni negozio nel quale Logan non l’aveva fatto mai entrare e comprò due paia di reggiseni, tre canottiere con il pizzo, un paio di maglioni e dei fuseaux neri. Non ebbe abbastanza soldi per acquistare anche un paio di stivaletti della sua taglia, ma pensò che, nel peggiore dei casi, si sarebbe fatto andar bene le scarpe da tennis basse.

Tornò a casa in serata, con l’ultimo pullman che portava alla zona quasi rurale dove viveva. Il sole si intravedeva appena dalle grandi nubi nere, ma i suoi raggi rossi non bastavano ad illuminare il cielo, avvolto già nell’ombra. Matthew infilò le chiavi nella serratura bronzea del portone, disattivando l’allarme senza prima neanche controllare che i suoi genitori fossero in casa: era venerdì, e il venerdì i Lloyd si incontravano al paese con una coppia di loro amici per un’uscita a teatro. A Matthew piacevano le rappresentazioni teatrali, ma non era mai stato accompagnato dai genitori a vederne una, e poiché sapeva che per loro poteva rappresentare un problema la sua presenza, trascorreva di norma il fine settimana da solo.

Rintanatosi nella sua stanza, il ragazzo si fiondò sul suo letto dalle lenzuola lilla, si sfilò i tacchi alti e li lanciò sotto il letto. Poi, liberatosi dei vestiti, scelse un paio di boxer e una canottiera delle sue e li indossò, si struccò il viso e si sciolse i capelli, li pettinò un poco e li legò nuovamente, stavolta in una coda alta. Successivamente mandò un messaggio a Logan, che si trovava ancora per strada, dopo aver riaccompagnato la sua ragazza a casa. Gli chiese se fosse libero quella sera, perché la solitudine era l’ultima cosa che avrebbe desiderato in quel momento, e Logan era sempre disponibile per gli amici in difficoltà.

Logan era sempre la soluzione a tutto, per Matthew. L’amico accettò volentieri l’invito e rispose che si sarebbe trovato all’ingresso della villetta il prima possibile. Il bruno scese al piano terra, dove attese il maggiore sul divano, mentre controllava i nuovi account che aveva creato. Nonostante fosse più rischioso, il sito che visitava maggiormente era proprio quello della sua scuola, una piccola comunità sul web composta da ragazzi e ragazze come lui, tutti frequentanti la March Flower Professional School. In quel momento si ricordò della signorina Wickleman e della sua competizione con i ragazzi del nono anno. Aveva capito che sarebbe stata una coreografia di gruppo basata su un brano di musica classica e ideata dall’insegnante in esclusiva per loro, ma non era sicuro di ciò. Avrebbe voluto saperlo, forse per questo durante l’attesa di Logan si era messo a cercare informazioni al riguardo sul sito. Non ebbe il tempo di pensare ad un commento che qualcuno suonò al campanello.

Logan salutò Matthew e lo ringraziò per averlo invitato a passare la notte da lui, posò il suo zaino a terra e si buttò sul divano trascinandolo con sé. I due amici ordinarono una pizza da dividere, per festeggiare l’assenza dell’istruttrice di pattinaggio per l’allenamento seguente, presero una bottiglia di birra di suo padre dalla cantina e scelsero un film da vedere.

«Non so te, ma oggi sento aria di anni ’50». Matthew estrasse dalla pila di cofanetti nell’armadietto accanto alla televisione un disco datato, ma amato da entrambi.

«Grease?» domandò il più piccolo, e Logan annuì.

I due giovani trascorsero le successive due ore a ballare e cantare le canzoni di uno dei musical più celebri della storia, improvvisando anche delle coreografie di coppia. Bevevano un sorso di birra ciascuno e si dividevano le fette di pizza, poi tornavano a volteggiare per il salotto dei Lloyd.

I genitori di Matthew tornarono a un quarto a mezzanotte, soddisfatti della loro serata a teatro, diedero la buonanotte al figlio –e a Logan, poiché erano così abituati alla presenza del ragazzo che ormai sembravano non fare più caso a lui, e gli pareva normale che stesse quasi sempre in casa loro- e si chiusero nella propria stanza. I due amici si cambiarono e prepararono per andare a dormire, felici del fatto che non li avessero scoperti con gli alcolici. Avevano solo sedici anni, era illegale e altamente sconsigliato per gli atleti, ma i due credevano che mezzo litro di birra in due non portasse a conseguenze così gravi e che, per una volta, non sarebbe accaduto nulla.

I ragazzi si rifugiarono nella stanza rosa e iniziarono a spogliarsi e a prepararsi per andare a dormire. Matthew continuava a canticchiare Summer nights, il suo brano preferito dell’intero musical, mentre Logan, steso sul materassino ai piedi del letto dell’amico, lo guardava ridente.

«Sei felice?» domandò Logan quando l’altro finì di cantare e si lasciò cadere sul letto, esausto.

«Ora sì, ma non so quanto possa essere positivo.»

«Cosa intendi dire? La felicità non è un sentimento negativo.»

«Lo so, ma spesso ci si rende conto di essere felici quando si capisce che lo si è solo perché ci sono stati attimi davvero bui, oppure perché si ripensa ai momenti più belli della nostra vita di infelicità». Matthew sospirò afflitto, come se quella felicità fosse dovuta al secondo caso descritto.

«Quindi sei infelice ora?»

«Se così si può dire» spiegò il minore, «sono infelice per una cosa che dovrebbe farmi sentire bene, ma che invece mi fa solo sentire più adeguato, non a mio agio con me stesso. Posso dire di essere felice per ciò che d’ora in avanti mi aspetterò dagli altri, ma il senso di colpa che provo ora compensa e mi fa star male.»

«Mi dispiace che tu ti senta così. Non so cosa è successo, ma se non vuoi parlarmene non tenterò di scoprirlo. Sappi solo che per te ci sono, Matt. Ci sarò sempre, anche quando sembrerà il contrario, capito?»

L’amico annuì, sbadigliò e si infilò sotto le coperte. «Grazie Logan, buonanotte.»

«Buonanotte» rispose il maggiore, poi si sdraio e si addormentò.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- L'incontro ***


«Guardatelo, arriva Matthew, quello dell’undicesimo di pattinaggio su ghiaccio. Ho sentito dire che anche quest’anno avrà una parte femminile, in coppia con Mackenson, per voi è vero? Dai, a sedici anni non si può avere quel corpo, non è umanamente possibile! Voi che dite?» Alcune risatine giunsero subito dopo il commento di uno dei ragazzi del dodicesimo anno, uno dei partecipanti al gruppo di teatro e canto.

«Lo vediamo, lo vediamo. Uno così effemminato non lo puoi non notare. Ti giri perché ti sembra di vedere una ragazza carina… e invece è solo lui. Bah, che fregatura. Anche se devo ammettere che se fosse una femmina non sarebbe affatto male, anzi.»

«Già. Ha delle gambe davvero… apprezzabili» commentò un terzo, facendo un tiro dalla sigaretta di uno dei compagni.

«Per me si fa di estrogeni. Forse è per questo che non ha nemmeno un filo di barba.»

«Oppure è semplicemente un ragazzo con un ritardo nella crescita. E poi cosa vi importa, cosa vi cambierebbe se stesse intraprendendo una cura ormonale? Fatevi i fatti vostri» sbottò un altro dei ragazzi, l’unico non intento a fumare, ma a guardare fisso il display spento e rigato del suo cellulare.

«Andiamo, Ariel, che c’è di male nel chiedersi cos’abbia che non vada un bambinetto effemminato del penultimo anno? Non prendertela tanto» si lamentò uno del gruppo, spegnendo la sigaretta al muro e gettandola nel cestino lì accanto.

«C’è di male che prima di prendere di mira un ragazzino che neanche conoscete dovreste chiedervi cos’abbia che non vada il vostro cervello mezzo marcio, idioti» concluse, tirandosi sul capo il cappuccio della felpa e allontanandosi dal gruppo.

«Non farai sul serio, vero? Didier, aspetta! Dai, stavamo scherzando, torna qua. Ma perché devi essere sempre così permaloso?», lo richiamò il suo migliore amico inseguendolo, per poi rinunciare e tornare dagli altri, consapevole che Ariel l’avrebbe avuta vinta ancora una volta.

~

«Cinque, sei, sette e otto! Uno, due, tre e quattro…» contava l’istruttrice di danza, mentre i suoi allievi eseguivano gli esercizi alla sbarra. Per i ragazzi che studiavano pattinaggio era sempre consigliabile avere delle buone basi di ballo, per questo l’intera classe della Wickelman si aggiungeva, ogni lunedì e giovedì, al corso di classica del loro anno.

«Plié, jeté, plié e salto!» continuava, battendo le mani a tempo. Le scarpette da mezza punta nere di Matthew sfioravano con delicatezza il parquet luminoso. Matthew le fissava attraverso lo specchio; sperò di non essere visto, non doveva tenere lo sguardo basso: un ballerino doveva essere sempre sicuro di sé, fiero di quello che faceva, ma quella maschera impavida non si adattava al volto del giovane.

«Okay ragazzi, ora al centro! Cambio il cd e vi spiego l’esercizio» disse la signorina Dahil mentre sceglieva un disco dal suo repertorio di musica classica.

Il ragazzo si trascinò al centro della stanza con passo lento, sgranchendo nel mentre le caviglie.

L’insegnante spiegò la combinazione di passi e la eseguì da sola una volta, poi tornò allo stereo e accese la musica.

Le braccia in seconda e un salto, plié e un altro salto, atterraggio in seconda. Poi un altro salto, in quinta con il destro avanti e l’ultimo, con atterraggio in quinta e il sinistro avanti. Dalla quinta si passò alla quarta, poi due piroette consecutive. La classe concluse l’esercizio in prima, come aveva iniziato, le braccia in posizione di riposo.

Matthew rivolse a Logan uno sguardo esausto, ma rilassato; amava molto la danza, perché, almeno mentre danzava, la sua insegnante lasciava che si sentisse quello che voleva; legava i capelli come gli altri ragazzi che li avevano lunghi, utilizzava le scarpette da mezza punta nere, come gli altri ragazzi, (al contrario dei pattini, che li aveva bianchi come le ragazze del suo corso per risparmiare sul noleggio ad ogni spettacolo), indossava lo stesso completo nero degli altri ragazzi e veniva considerato come tale, specie quando la classe veniva suddivisa per gli esercizi. Una volta gli era stato permesso addirittura di provare un temp de poisson, un salto tipicamente maschile nel quale poteva trasparire, se ben eseguito, tutta l’eleganza e la leggiadria di un ballerino nel suo singolo splendore.

Al termine della lezione, negli spogliatoi, Matthew guardava gli altri ragazzi, che silenziosamente si cambiavano la maglietta e, radunate le proprie cose, uscivano da quell’ambiente piccolo e freddo per lasciare spazio ai ragazzi del corso seguente che avevano lezione l’ora adiacente alla loro. Ridevano tra di loro, coinvolgendo perfino i compagni della sua classe di pattinaggio, invitandoli ad unirsi ai discorsi del loro gruppo.

Vorrei poter essere anch’io come loro. Dev’essere bello avere aspirazioni comuni, desideri comuni, sentimenti comuni. Perché non posso mai farmi andare bene ciò che mi ha dato la natura?”

 

«Ci sei ancora?» una voce risvegliò Matthew dai suoi pensieri. Apparteneva ad un ragazzo del corso di danza classica, uno di quelli che, sia alla sbarra che durante gli esercizi al centro, si disponeva sempre nell’angolo opposto al suo, come fosse una calamita del suo stesso polo. Era bello, forse troppo, perché non destasse l’attenzione del pattinatore.

Matthew scosse la testa e sorrise al volto gioioso del giovane, come a ricambiare la sua cordialità.

«Scusa, ero solo preso dai miei pensieri. Piacere, mi chiamo Matthew, ma se preferisci puoi chiamarmi come vuoi». La pelle chiara, delicata, violata da sue piccoli nei sopra un angolo della bocca, gli occhi scuri, ma vivi, la chioma bruna, ora sciolta e leggermente mossa, lo incuriosivano più del dovuto, ma Matthew non sembrava curarsene: si lasciava trasportare dal vortice delle emozioni, senza neanche immaginare o provare a chiedersi dove l’avrebbero catapultato. Viveva la sua vita come un’eterna prima volta, sempre con estrema leggerezza.

«Marco, piacere». Tese la mano, ma la ritirò immediatamente e si scusò imbarazzato.

«Scusa, in Italia -e in casa- abbiamo un approccio di socializzazione totalmente diverso.» Detto ciò allargò le braccia e strinse la mano a Matthew, che ricambiò senza convinzione battendo due colpetti sulla sua spalla.

«Non ti preoccupare, mi piacciono i modi di fare italiani. Hanno un certo fascino» lo tranquillizzò, sentendo le guance andare progressivamente a fuoco. «Piuttosto, da quanto sei qui?» chiese ancora, stupito dalle sue capacità di socializzazione.

«Da quando avevo otto anni. Mezza vita, in pratica» ridacchiò educatamente. In quel momento Logan, tornato dal bagno, si avvicinò ai due e li salutò calorosamente.

«Marco! E così vi conoscete?»

«Non proprio, ci stavamo giusto presentando prima. Tu e Matthew siete molto amici invece, vero?»

«È il mio migliore amico, ci conosciamo da quando abbiamo messo piede in questa scuola la prima volta» confermò il maggiore, mentre il più piccolo annuiva imbarazzato.

«Proprio così… ma ora credo sia tardi. Possiamo chiacchierare mentre ci avviamo verso gli armadietti, che ne dite? In fondo abbiamo ancora un'ora di laboratori prima di andare, poi potremo continuare a conversare» suggerì il bruno, mentre invitava l'italiano e il suo migliore amico ad uscire dagli spogliatoi.
«Non lo so, io ho la mia classe nell'ala est dell'istituto, non credo di avere altro tempo. Beh, è stato bello conoscerti. Se vuoi possiamo vederci dopo scuola, o magari domani pranziamo insieme, ti va? Vieni anche tu, Logan, ci saranno anche Valentina e Juliette, dai!»

«Va bene amico, ci saremo. A domani» lo salutò Logan, seguito da Matthew. Poi presero un altro corridoio e sparirono nella folla di studenti.

 

Matthew sospirò e strinse il braccio a Logan, strizzando le palpebre e fermandosi in mezzo al corridoio. Logan si voltò e lo guardò; non fece caso all'orario, perché era sicuro che se avesse controllato l'orologio si sarebbe messo a correre, lasciando Matthew da solo per il ritardo.

«Logan, hai visto Marco?»

«Sì, siamo amici... perché?»

«Credo sia uno dei ragazzi più belli che abbia mai visto. È anche dolce, gentile, educato... Insomma, sembra perfetto!»

«Ti piace?» Matthew fissò gli occhi di smeraldo del maggiore, si morse il labbro e annuì, imbarazzato come mai.

«Forse avrei dovuto dirtelo prima, ma mi sono sempre piaciuti i maschi. Ho sempre visto la mia vita con un uomo, sin da quando ero piccolo e… beh, spero che questo non rappresenti un problema, non è come dicono, gli omosessuali non ci provano con tutti...»

«Va bene Matt, ho capito.»

«Tutto continuerà come prima, vero?»

«Sostieni che sia cambiato qualcosa tra di noi?»

«No...»

«E allora non vedo come questo possa cambiare il nostro rapporto». Logan fece l'occhiolino a Matthew e gli strinse forte la mano, per poi avviarsi verso la sua classe.

«Ci vediamo dopo, piccoletto» ed entrò nell'aula.

 

 

~



Il pomeriggio era trascorso tra i libri e le burle di Logan, sempre attento allo stato d'animo del più piccolo. Avevano parlato di Marco, e Matthew aveva saputo dal suo migliore amico che Logan lo aveva conosciuto insieme a Valentina, poiché suo gemello. Quando il maggiore se n'era andato per tornare all'istituto, vivendo in una stanza del convitto insieme ad altri due ragazzi, Matthew si era perso tra le pagine del meraviglioso sito della sua scuola, dove aveva scoperto una sezione che racchiudeva tutti i concorsi canori ancora aperti alle iscrizioni e una pagina dove vi erano allegati i link di alcuni articoli sulla danza moderna, scritti dagli stessi studenti.

Era un mondo nuovo, che il ragazzo bramava di scoprire celato dalla sua maschera al femminile.

Matthew continuò a vagare tra le pagine del sito, leggendo e recensendo gli articoli che reputava migliori con commenti di apprezzamento, sia sul giovane reporter che sui campioni ai quali erano dedicati; non si aspettava che qualcuno considerasse davvero quella manciata di parole lanciate in rete senza peso, come se da loro non potesse mai derivare nulla.


La mattina dopo, a scuola, Matthew fece fatica a tenere alta la concentrazione: le attività della sera precedente lo avevano stremato e trattenuto sveglio oltre la mezzanotte, orario già improponibile per lui.

Al termine delle lezioni si recò insieme a Logan al tavolo dove Valentina, Marco e Juliette li aspettavano. Avevano tenuto occupati due posti per i ragazzi, mentre un posto era per un'altra loro amica, di cui sia Matt che Logan ignoravano l'esistenza.
La ragazza si presentò e disse di chiamarsi Ymir, di venire dal Sud Africa e di star frequentando il corso di teatro. Era di buona compagnia, infatti Matthew riuscì a trascorrere un'ora piacevole e veloce, che lo fece sentire abbastanza riposato da poter dare il meglio durante l'allenamento del pomeriggio.

 

La sera, come ormai faceva da giorni, prese nuovamente in mano i fili di Lydia, la dolce pattinatrice che nessuno aveva mai effettivamente visto, ma che, sempre presente, animava il sito della March Flower Professional School. Aveva scoperto da pochi giorni la possibilità di aprire dibattiti tra almeno due persone, anche privati, quindi non visibili agli altri. Si vociferava che intere classi usassero quel sistema improvvisato di messaggistica, che permetteva agli utenti di accedere sia al sito che alle conversazioni senza dover necessariamente aprire una pagina nuova.

 

~

 

‹‹Sono davvero colpita! Non mi aspettavo che, già al sesto anno di danza, i ballerini riuscissero a danzare e a trasmettere tutto ciò che provo ora… davvero, è fantastico!››

Matthew inviò il commento, senza aspettarsi alcuna risposta o condivisione. Non era nulla di particolare: la semplice verrà. Ma quella volta non aveva la fantasia per trovare un modo originale di rispondere, come di solito faceva.

 

Si accasciò sulle lenzuola lilla. Provò a riposare, ma il suono delle notifiche del cellulare lo dissuasero dal suo riposo. Accese il telefono, visionò le email ed entrò nel sito, dove un commento pubblico e uno privato sovrastavano il lungo elenco di notifiche di aggiornamenti accumulate nei giorni precedenti.

 

>> Personalmente, da quando ho notato i tuoi commenti su questo sito, ho iniziato a consultarlo più spesso. Sembri una persona interessante.

>> Comunque piacere, io sono Ariel.

 

Matthew sorrise nel buio della sua stanza rosa. Accese l’abatjour sul suo comodino e si sedette sul letto, rinunciando al sonno per rispondere al ragazzo che, gentilmente, continuava a presentarsi. Gli raccontò del suo corso di pattinaggio, del ruolo di sfondo che aveva ottenuto anche quell’anno, dei suoi genitori, spesso fuori per lavoro o con amici, della sua passione per la danza, quasi al pari con il pattinaggio. Ariel, dal canto suo, descrisse a Lydia ciò che provava prima degli spettacoli, le emozioni che travolgevano lui e il suo gruppo di hip-hop, nascosto dalle quinte scure. Il ritmo lo pervadeva ogni volta, lo assimilava, trasformandolo in un’emozione in sintonia col resto.

I due ragazzi rimasero svegli fino alle quattro della mattina, quando, sfiniti, si addormentarono con il telefono in mano.

 

Il mattino seguente il pattinatore arrivò a scuola con un’ora di ritardo, riuscendo a stupire sia i professori che gli altri studenti: Matthew Lloyd non era mai in ritardo.

Senza dare nell’occhio arrivò al suo armadietto, afferrò di corsa i libri di testo che servivano per l’ora successiva e si avviò in classe correndo. Entrò nell’aula senza dare nell’occhio, si sedette in ultima fila e aprì il libro sulla prima pagina che capitò; voleva conferire alla scena una nota di casualità, forse eccessiva, essendo ormai noto a tutti il clamoroso ritardo, e inoltre nessuno aveva il permesso di lasciare la propria aula prima del termine della lezione precedente, se non per emergenze.

 

Matthew quella mattina non intravide Logan fino all’ora di pranzo, solo Marco, alla terza ora, quando fu costretto a correre in bagno a causa di una gomitata sul viso, ricevuta per sbaglio mentre correva da una classe a un’altra. Il bruno si tenne una mano sotto il naso fino all’arrivo al lavandino più vicino, dove aprì rapidamente il rubinetto dell’acqua fredda e ci gettò sotto i polsi, per bloccare l’afflusso di sangue ed ostacolare l’emorragia. Lì, Marco comparve con la sua solita grazia, seguito da un altro ragazzo che Matthew non conosceva, probabilmente un compagno di classe dell’amico. Il ballerino accorse all’amico rapidamente, gli porse un fazzoletto e chiese di raccontare cosa fosse accaduto, ma Matthew lo ringraziò a disagio, per poi rassicurarlo che non era successo nulla di così eclatante.

Matthew sorrise al ragazzo di fronte a sé, che gli tamponava il naso e le labbra con un pezzetto di carta igienica imbevuta d’acqua. Teneva le mani sulle sue braccia lisce, la schiena appoggiata al muro e il mento sollevato, per poter fissare gli occhi profondi del ragazzo davanti a sé. Nel giro di poco tempo, Marco stava diventando una presenza sempre più importante nella vita di Matthew, da poter essere quasi paragonata a Logan. Si stava davvero innamorando di lui?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3- Ciò che l'esperienza non racconta ***


>> Lydia, non trovi anche tu che la discussione sul forum di canto di oggi pomeriggio sia stata insolitamente divertente?

 

Matthew sorrise nuovamente all’arrivo del messaggio. Erano trascorsi solo cinque giorni dalla prima presentazione di Ariel, e ogni giorno il suo umore non faceva che migliorare. Sdraiato sul letto, si rigirava tra le dita una ciocca bruna di capelli, accuratamente piastrata. Il trucco non lo aveva, ma i residui del mascara sulle ciglia inferiori erano ancora evidenti. Nella sua mente vagava ogni sorta di riflessione confusa avuta nei giorni precedenti sulla sua identità, su chi fosse e chi volesse essere veramente. Non lo sapeva davvero, le possibilità erano infinite. La vita gli stava ruotando attorno, senza prima avere il suo consenso sulle decisioni che prendeva, agendo in autonomia rispetto alla volontà del ragazzo. Era uno dei pochi casi in cui Matthew si comportava secondo l’istinto, e forse l’unica volta nella quale per lui sarebbe andato bene tutto, ma al tempo stesso non lo avrebbe soddisfatto nulla. La cosa per lui più difficile da capire era forse il perché le sue identità fossero differenti a seconda dell’ambiente in cui si trovava. Notò con consapevolezza che ad ogni nuovo incontro provava a presentarsi come una ragazza, specie sul web, dove nessuno avrebbe avuto modo di confermare il suo genere, mentre con gli amici e con Marco continuava a sentirsi… se stesso? Era quello il vero Matthew? O era solo la versione adattata ad un ambiente chiuso e per nulla apprensivo? Era per colpa dei pregiudizi che solo online si definiva come una ragazza? Oppure era proprio perché il parere di chi lo circondava non potesse toccarlo, il suo cambio d’identità su internet? Era uno sfogo, un capriccio? Semplicemente, si sentiva Matthew in alcuni momenti e Lydia in altri.

 

Un messaggio da parte di Logan giunse al telefono del sedicenne poco dopo, ma Matthew lo ignorò prontamente, malgrado si fossero lasciati con la promessa che si sarebbero messi d’accordo per il weekend appena liberi da ogni impegno. Solo, il minore era occupato. A sprecare ore preziose del suo pomeriggio che avrebbe dovuto passare a studiare, invece di parlare con uno sconosciuto, ma era pur sempre un impegno che si era preso per la propria felicità.

 

~

Quel sabato tra ragazzi aveva sciolto la tensione di Matthew, sfinito già alle prime luci del tramonto. Avevano deciso che avrebbero passato la serata e la notte a casa di Marco e Valentina con tutto il gruppo di amici. I signori Galanti, genitori dei gemelli, avevano lasciato loro la possibilità di attrezzare le rispettive camere con brandine, sacchi a pelo e lettini da campeggio, così scomodi che il fatto che il mattino seguente non si risvegliassero con la schiena a pezzi era da considerarsi un miracolo.

 

Il gruppo al completo, formato da Matthew, Logan, Ymir, Juliette e i due gemelli, si presentò davanti all’abitazione di questi ultimi appena prima delle otto, dopo aver cenato in un fast food a pochi isolati da essa. I genitori di Marco li avevano aspettati a casa, ma avevano informato i ragazzi che sarebbero usciti quasi subito, perché li attendeva una serata con una coppia di amici di vecchia data che negli ultimi tempi non avevano mai avuto l’occasione di vedere.

Valentina prese per mano Logan e fece strada agli altri ragazzi, spiegò dove fossero il bagno e le camere da letto e consigliò agli altri di posare le cose per la notte al piano di sopra.

 

~

 

«Dai Matthew, tocca a te! Gira la bottiglia!» Il bruno afferrò titubante la bottiglia di birra ormai vuota, la fece roteare con il pollice e il medio e attese ansioso che si fermasse. Sentiva caldo, sia per l’effetto dell’alcol ingerito durante tutta la serata, sia per la troppa vicinanza di Marco, che dopo i primi due drink cominciava ad essere troppo espansivo con chiunque.

«Ogni vin fa alegria se el se beve in compagnia!» canticchiava Marco nel proprio dialetto, reggendosi in posizione eretta grazie all’aiuto di Matthew, che gli sussurrava di stare tranquillo all’orecchio mentre lanciava occhiatacce a Logan, il quale li osservava divertito, dall’altra estremità del circolo in cui erano seduti. Valentina, Ymir e Juliette si erano allontanate per prendere altre patatine, ma si erano fermate a chiacchierare in cucina, abbandonando l’italiano ai due amici.

 

Matthew riuscì, con l’aiuto di Logan, a portare Marco nella sua stanza, dove lo adagiò sul letto e aspettò che si riprendesse un poco. L’odore di alcol gli invadeva le narici. Sul comodino vi erano impilati quattro libri dalle copertine consunte, una scatolina di pasticche per la tiroide e una lampadina che emetteva una luce calda e fioca. Marco continuava a parlare da solo, guardando il soffitto candido e rivolgendosi ad esso come ad un interlocutore adirato. Il pattinatore restava ad osservarlo imbarazzato, mentre Marco si avvicinava sempre di più al bordo del letto, ma quando Matthew pensò che stesse per cadere, il ballerino afferrò il minore per i fianchi e lo fece sdraiare accanto a lui.

I loro corpi cozzavano ritmicamente, mentre l’odore di alcol si impossessava furiosamente di tutta la stanza. Le mani del maggiore sfioravano l’altro, incerto sul da farsi. Matthew amava davvero quella sensazione di calore e serenità che gli trasmetteva Marco, ma era la cosa giusta da fare, sapendolo ubriaco? Decise di non preoccuparsene, non era lui a dover badare alla vita degli altri.

Il ballerino lo sorprese poco dopo, quando salì sopra di lui e, accarezzandolo, premette le proprie labbra sulle sue.

 

“Cosa cavolo sta facendo? Se non la finisce mi ci metto pure io, ma poi non sono sicuro che andrà tutto bene. Non è nemmeno cosciente, domani non si ricorderà nulla, ma se adesso lo fermassi probabilmente ci rimarrebbe male… no, poverino, sarebbe così ingiusto… Lo lascerò fare: del resto, forse ne ha voglia anche lui.”

 

Matthew si lasciò baciare il collo e le clavicole, chiudendo gli occhi e, beandosi di quel contatto tanto desiderato, si abbandonò al piacere e non pensò a nulla, se non a se stesso. Marco, per quanto ubriaco, seguiva una procedura specifica, studiata e ripetuta, ma al minore non risultava squallido o banale: era il suo primo vero bacio, le prime carezze da una persona amata, da qualcuno che, forse, gli voleva davvero bene.

 

I racconti di Logan, durante i quali mi immedesimo più in Valentina che in lui, le esperienze raccontate, la mia stessa vita non basteranno mai a trovare un’altra occasione in cui io mi sia sentito così. Non sento il dolore sulla mia pelle delicata dei tuoi canini, che pur non essendo eccessivamente aguzzi fanno male per la forza e la passione che ci stai mettendo, non sento bruciare, percepisco solo il calore del tuo corpo sopra il mio, le tue mani grandi che cingono i miei fianchi e i tuoi capelli troppo lunghi che mi solleticano il viso. Sarà perché ti amo, ma mi sta piacendo moltissimo, come mai ho apprezzato nient’altro”.

 

«Sei bellissima stasera…» mormorò Marco con l’espressione imbambolata. Matthew annuì e si lasciò baciare, ancora, fino a che non cedette al sonno e si addormentò.

~

 

Logan e Marco ancora dormivano, quando Matthew si svegliò. Non ci pensò più di tanto, ma seppe con certezza di non aver mai avuto un risveglio più brusco di quello. Aveva improvvisamente aperto gli occhi, sudato e dolorante, come se avesse riposato su un tappeto di piccole pietre dure e roventi. I capelli appiccicati al collo madido lo irritavano e non poco, ma la presenza accanto a sé del ragazzo con cui aveva osato la sera prima lo tranquillizzò. Il volto angelico di Marco, per il quale scorrevano rivoli di bava secca e goccioline di sudore, si trovava pericolosamente vicino al suo.

«Pssst. Logan! Svegliati, piccola talpa!» Allungò il piede fuori dal materasso e stuzzica l’amico, cercando di smuoverlo e, magari, farlo cadere a terra: ce l’aveva ancora con lui per quella volta che, nella stanza rosa, l’aveva abbandonato quando ancora dormiva, lasciandogli il letto pieno di serpenti di gomma. Da quel giorno ogni volta che dormivano insieme cercavano di sorprendersi a vicenda con scherzi di pessimo gusto, ma Matthew lasciava rare volte la vittoria all’amico: sapeva essere molto vendicativo, quando voleva.

Il moro mugolò infastidito e si voltò dalla parte opposta, facendo imprecare Matthew. Aveva bisogno di aiuto, non poteva muoversi, intrappolato com’era dalle robuste braccia di Marco!

 

Poco dopo, Logan si svegliò di soprassalto. Strizzò le palpebre un paio di volte e inforcò gli occhiali sul comodino di Marco, poi, voltandosi verso i due ragazzi, sorrise maliziosamente al suo migliore amico e scoppiò a ridere, silenziosamente.

Non bastarono due occhiatacce di Matthew e un cuscino premuto sul viso per fermarlo. Ogni volta che posava lo sguardo sul corpo avvinghiato e l’espressione intontita di Marco sorrideva, sogghignava e non si controllava più.

«Grazie davvero per la collaborazione, Mackenson. Il tuo migliore amico soccombe al peso di un bufalo addormentato e tu resti lì a guardare? Davvero, bravo amico che sei.»

«Beh, intanto Marco è un ballerino di danza classica, non credo sia appropriato definirlo un “bufalo”. Andiamo, non sembra una delle dodici principesse danzanti? E poi fino a ieri sera non sembrava ti dispiacesse la sua vicinanza… o sbaglio?» Matthew si morse il labbro e guardò a terra.

«Non sembrava in sé… non era in sé. Credimi, Logan, per quanto ieri potesse piacermi la sua compagnia, adesso me ne pento. Mi sento sporco, sbagliato; ho approfittato di un ragazzo incosciente che probabilmente una volta svegliatosi non ricorderà nulla, o crederà sia stato soltanto un sogno. Non lo dovevo fare, ma l’ho fatto, e credimi, il rimorso mi sta uccidendo.»

 

Logan annuì comprensivo e lo aiutò a liberarsi senza svegliare Marco, che continuava a dormire profondamente. Lo accompagnò al bagno per darsi una sciacquata al viso e si recarono in cucina, dove le ragazze avevano già iniziato a fare colazione.

 

~

 

«Puoi raccontarmi cosa è successo?» Matthew e Logan si trovavano ora soli, seduti sulle altalene in un parco del paese mentre sorseggiavano un milk-shake. «Ero nell’altra camera con le ragazze, ho pensato avreste preferito restare soli. Quando sono entrato già russavate entrambi.»

Il minore gli prese un braccio e lo strinse, senza riuscire a cingerlo con le sue mani troppo piccole.

«Non penso nascerà mai qualcosa tra noi due, siamo troppo diversi… e lui è troppo etero.»

«Talmente etero che quando ha visto che non ti opponevi ha continuato. Comunque non è questo che ti ho chiesto. Allora, cosa avete fatto? Il mio bro sta bene?»

«Adesso sì» Matthew arrossì violentemente, cercando di nascondere il viso tra i capelli. «Ci siamo… solo baciati.»

«Niente morsi?»

«Forse uno…» Aggiunse incerto il bruno. Logan alzò un sopracciglio «okay, forse due. Più di due. A me è rimasto il segno, a lui spero di no: non saprei come giustificarlo.» Logan gli spostò i capelli dal volto paonazzo e gli scoprì il collo pallido marchiato da piccoli segni rossi.

Il minore sospirò. Non stava per niente bene. Il modo in cui si era sentito quando lo aveva chiamato “bellissima” lo preoccupava, ma aveva troppa paura per confessarlo a Logan.

 

~

 

Matthew aveva il terrore di incontrare i suoi amici nei corridoi. Da quella sera aveva cercato di distaccarsi il più possibile per l’imbarazzo che potesse accadere qualcosa di spiacevole che gli potesse rovinare tutti i rapporti che si era costruito fino a quel momento. Marco non sembrava aver dato molto peso al succhiotto ritrovatosi sul collo quella domenica mattina, ma non ricordando nulla di ciò che aveva fatto la sera precedente non gli importava: del resto era ubriaco e supponeva lo fosse anche la persona autrice di quel segno, come poteva pretendere che qualcuno potesse chiarire la sua confusione? Nel dubbio, lasciava correre.

 

Per i muri dei corridoi dell’ala ovest iniziavano a correre poster e volantini che annunciavano la festa di Halloween della scuola, organizzata tutti gli anni dai gruppi di canto e teatro per i ragazzi dal nono anno in su.

Era un’occasione per indossare un costume fuori dagli spettacoli senza che la signorina Wickelman stesse costantemente ad urlare di mangiare meno e stare più composti.

 

Mancavano solo due settimane alla festa, e Matthew non vedeva l’ora: forse quella sera, celato dal buio e dai suoi modi femminili, avrebbe potuto finalmente incontrare Ariel.

 

~

 

 

>> Ho bisogno di parlarti.

 

Matthew prese in mano il cellulare e cominciò a mandare messaggi ad Ariel, quando finalmente rispose:

 

>> Dimmi tutto cara, sono qui.

 

Matthew raccontò la storia di Marco ad Ariel, mentre già una lacrima solcava il suo viso leggermente truccato. Non fece il suo nome, però, per evitare di infangare una reputazione ancora pulita, per non cacciarlo in situazioni delle quali non aveva colpa.

 

>> Dal tuo messaggio non mi sembra poi così tragica come situazione. In fondo tra voi c’è stato solo qualche bacio, dico bene? Non farne un dramma, le cose sono due: o resterete amici o continuerete per altro tempo con baci rubati nella notte, poi qualcuno prenderà in mano la situazione e allora non potrai che essere felice.

 

Come vorrei che avessi ragione, Ariel…” sospirò Matthew, spegnendo la luce e calandosi sotto le coperte. Era quasi passata l’una, quando la ragazza si addormentò.

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