We were young and helpless

di Giandra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. she's the one ***
Capitolo 2: *** II. he's the one ***
Capitolo 3: *** III. lux, lucis ***
Capitolo 4: *** IV. draco, draconis ***



Capitolo 1
*** I. she's the one ***


I. she's the one

 

 

 

 

Ι didn't wanna οpen my heart
Νο, I didn't wanna get tοο deep
Ι knew that I'd get lοst in her eyes
Sο Ι step down in my shοelaces
Ι tοοk her to the car in the drive and we stared at the sky
Αnd we laughed 'til we cried
Αnd we gοt so high and she stayed all night
We were yοung and helpless

 

Lucius Malfoy conobbe Narcissa Black in blibioteca. Era il secondo anno a Hogwarts, quello in cui teoricamente gli studenti avrebbero dovuto iniziare ad abituarsi all'atmosfera scolastica; tuttavia lui quel processo l'aveva portato a termine già l'anno precedente: suo padre gli aveva insegnato a rimanere sempre impassibile a prescindere dalla situazione, poiché mostrarsi sorpreso avrebbe testimoniato la sua vulnerabilità. Dunque non aveva battuto ciglio di fronte al soffitto illuminato da candele volanti, o davanti al lauto banchetto di benvenuto, o al cospetto del secolare Cappello Parlante e delle sue filastrocche.

Dentro di sé, però — l'anno scorso, come in quel momento —, gli risultava veramente impossibile non provare almeno un po' di sbalordimento di fronte alle meraviglie che quella scuola nascondeva, prima fra tutte la biblioteca: era forse il luogo meno magico dell'istituto, ma era avvolta da un'aura di arcaicità cristallizzata, come se il tempo lì dentro si fosse fermato e anche solo entrarci rappresentasse già un enorme sacrilegio. Inoltre il suo fascino era incrementato anche dal Reparto Proibito, sul quale aveva messo gli occhi già l'anno prima, e che, prima o poi, avrebbe trovato il modo di penetrare.

La sua famiglia ovviamente lo aveva educato fin dall'infanzia allo studio, alla lettura, ai pesanti pomeriggi passati a ricopiare tomi che sembravano mattoni e a consumare fiotti di inchiostro; però, a differenza di molte altre attività che Abraxas e Medusa Malfoy avevano inserito nella sua formazione, quella lo allettava parecchio: l'idea di conoscere come la pensavano i suoi antenati, annichilirsi nella saggezza degli antichi per uscirne più consapevole... era decisamente un'occupazione nelle sue corde.

Quel pomeriggio del secondo trimestre, alla ricerca del giusto volume da cui studiare l'ultimo argomento di Storia della Magia, Lucius incappò in una bella figura minuta, peculiare per una cascata luminosa di capelli biondi e un viso pallido e lucente che aveva un che di scultoreo. Narcissa Black era bella, non poteva negarlo. L'aveva notata subito alla Cerimonia di Smistamento: brillava di luce propria e spiccava tra gli altri primini.

Ella si accorse di lui e girò il capo nella sua direzione. «Ciao» lo salutò, con un sorriso enigmatico, di quelli che ti spingono a credere che ci sia qualcosa di più sotto e ti invitano a scoprirlo.

«Ciao.»

«Tu sei Lucius Malfoy, vero?»

«Sì» confermò lui, «e il mio nome lo conosci per fama o...?»

«Me l'ha detto mia sorella.»

«Ah, Bellatrix.»

«Sì.»

Lucius stentava a credere che fossero sorelle. Bellatrix aveva una tempesta al posto dei capelli, una di quelle scure e tenebrose delle peggiori giornate d'inverno, che nonostante fosse in contrasto con la pelle chiarissima si sposava alla perfezione con i suoi indumenti sempre immancabilmente scuri, nelle varie sfumature del nero e del marrone; gli occhi castani sembravano due pozzi profondi pronti a inghiottirti per l'eternità; il tutto era coronato da un sorriso folle che non abbandonava mai il suo viso di bambina e mal si conciliava con esso.

Narcissa era l'esatto opposto: poteva apparire quasi celestiale se paragonata alla consanguinea. I suoi occhi azzurri erano talmente splendenti da abbagliarlo.

«Beh, piacere» le disse. Sapeva che la famiglia dei Black fosse una delle Sacre Ventotto, quindi immaginò che i suoi genitori sarebbero stati contenti di un'amicizia stretta con lei.

«Piacere mio.» Narcissa tuttavia lo liquidò con un ulteriore sorriso per ritornare a concentrarsi sul libro che reggeva aperto tra le mani.

Sembrava così assorta che a breve si sarebbe potuta catapultare nella pagina. Dimostrava una grande dedizione per quello che faceva.

«Cosa leggi?» le chiese.

«Nobiltà di natura: genealogia magica. Me lo ha regalato mia madre, come dono di buon augurio per il mio primo anno a Hogwarts.»

Lucius sorrise. «Sembra interessante.»

Narcissa rispose al suo sorriso incurvando le labbra all'insù e annuì. «Lo sarebbe se non l'avessi già letto tre volte.»

«Leggi qualcos'altro, no?»

La ragazzina sembrò meditare su ciò che le aveva appena detto. Carezzò la rilegatura del libro quasi con affetto, come se si fosse trattato del suo animaletto da compagnia, poi lo chiuse con un tonfo, bruscamente. «Sì. Sì, leggerò qualcos'altro» assentì alla fine. «Tu stai cercando qualche libro in particolare?»

Quella domanda riportò Lucius al motivo per il quale era entrato nella biblioteca. «Sì, uno sulla seconda Guerra dei Troll» rispose con un'espressione schifata.

Lei la ricambiò. «Storia della Magia?»

Lui annuì.

«Non capisco perché ci facciano studiare queste baggianate. Elfi, troll, folletti... cosa dovrebbe importare a me, strega, di quelle insulse creaturine?»

«Bella domanda» concordò il ragazzo, «bisognerebbe porla al Professor Silente.»

«Il preside babbanofilo, così lo chiama mia madre.»

«Anche mio padre. Assieme ad altri appellativi che forse non si addicono alla bocca di una signora.»

Narcissa si sciolse in un sorriso ampio e sincero. Aveva in effetti qualche accenno di quello di Bellatrix, ma Lucius lo trovava di gran lunga più umano.

«Immagino.»

 

Continuarono a incontrarsi in biblioteca almeno una volta alla settimana, finché a un certo punto lei non decise audaciamente che si sarebbero dovuti dare appuntamento per la mattina successiva. «Tanto ci sono buone probabilità che ci vedremmo lo stesso, almeno così ne avremo la certezza» aveva detto e lui non sarebbe potuto essere stato più d'accordo.

Il fatto di aver lasciato a lei la prima mossa non lo aveva particolarmente turbato; al contrario: era stata una piacevole sorpresa. Quella ragazza sapeva veramente il fatto suo.

 

Un giorno però, verso la fine del secondo anno, con la prospettiva delle vacanze estive a separarli per un bel po' di tempo, Lucius realizzò che fosse arrivato il momento di fare l'uomo e di prendere l'iniziativa.

Aprì le porte della biblioteca, si incamminò verso la sezione dei libri sulle streghe e i maghi più famosi della storia e la trovò seduta al loro solito tavolo, lo stesso dove si incontravano, studiavano, chiacchieravano da un tempo che ormai gli sembrava indicibile, ma che in realtà era pari solo a pochi mesi.

«Ehi» la salutò.

«Ehi!» ricambiò lei, radiosa.

Lucius era sicuro che se anche fossero stati lì in piena notte avrebbe potuto illuminare tutta la stanza solo con il suo sorriso.

«Dunque, volevo parlarti di una cosa.»

«Dimmi.»

Era certo che il suo volto non tradisse il nervosismo che stava provando, ma questo poco importava mentre sentiva il proprio cuore battere all'impazzata neanche avesse corso per svariati chilometri. «Mi chiedevo se ti andasse di passare da me, di tanto in tanto, in queste vacanze, Black.»

Nonostante tutto, non avevano ancora smesso di chiamarsi per cognome. Lui non ne aveva nessuna intenzione. Avrebbe reso la cosa, quella che si stava sviluppando tra loro due, troppo concreta e reale. Non lo avrebbe mai detto ad alta voce — o ammesso con se stesso —, ma aveva paura; paura di lasciarsi andare, di lasciar entrare qualcun altro nel castello mentale che si era creato. Era troppo abituato all'ordine, a trovare ogni cosa esattamente dove l'aveva lasciata. L'unico che aveva il permesso di accedervi senza neanche bussare era suo padre, che si prendeva tutte le libertà del mondo e spostava quadri e archiviava fogli e preparava la cena. Ma ci sarebbe stato spazio anche per lei, per Narcissa?

La ragazza sorrise. «Non siamo mai neanche usciti insieme e mi inviti già a conoscere i tuoi, Malfoy

Lucius maledisse i Fondatori — sì, persino Salazar — per il suo colorito così tremendamente pallido, che sicuramente gli aveva tradito un fastidioso rossore a seguito dell'insinuazione maliziosa di Narcissa. Maledetta. E poi quel tono che aveva usato per il suo cognome? Irritante. Lui ormai l'aveva capito che, fosse dipeso da lei, ci sarebbero state decisamente meno formalità tra loro — per dirne una: si sarebbero chiamati per nome —, ma non voleva essere la prima a cedere, a perdere in quel gioco di orgoglio. Davvero irritante.

«Io ho solo detto...»

«Lo so cosa hai detto, Malfoy

Ci risiamo.

«Ovviamente passerò.»

Lucius fece tutto ciò che era il suo potere per non palesarle il sollievo che aveva appena provato. «Beh, e ci voleva tanto?»

Narcissa gli si avvicinò con un sorriso birichino. «No, Malfoy.» Adesso il suo tono gli sembrò decisamente più morbido. Si accostò a lui ancora un po', arrivando a dargli un casto e dolce bacio sulla guancia.

Quella volta, neanche se avesse avuto un colorito vicino al cioccolato sarebbe riuscito a nascondere il rossore.

«Solo che così è più divertente» aggiunse lei, sogghignando, dopo essersi allontanata da lui di circa dieci centimetri.

Lui ricambiò il ghigno mefistofelico, ammaliato, ma decise di non dargliela vinta. La tirò delicatamente per il braccio e le restituì il bacio, poggiando le labbra fredde tra la gota sinistra e l'angolo della bocca. Quel contatto gli provocò una dannatissima pelle d'oca per tutto il corpo. Neanche ci provò a celare il sogghigno di soddisfazione che gli apparve sul viso, soprattutto una volta notato che anche le guance di lei si erano tinte di rosso.

La bionda lo guardò con un'espressione tra il divertito e il vittorioso e, diversamente da prima, non si allontanò, anzi gli poggiò il mento sulla spalla.

Il profumo di rose misto al suo tipico odore di fresco e di mare gli pervase le narici e lo mandò in panne per un tempo non ben definito.

In quell'istante comprese che Narcissa non era il tipo di persona che bussava alla porta e attendeva che le venisse accordato l'accesso. Era più il tipo che si intrufolava di nascosto in casa d'altri, li induceva a offrirle un sontuoso pasto e poi andava via convincendoli che fosse stata tutta una loro iniziativa.

Sorrise gioiosamente, come gli accadeva rare volte e come nessuno gli aveva mai visto fare. Lei era proprio il tipo che faceva al caso suo.





 

Angolo autrice

È strano che io stia scrivendo questa storia, perché Lucius e Narcissa sono due personaggi che proprio non mi piacciono e forse tra quelli sui quali meno mi interessa scrivere; e tuttavia eccomi qui, semplicemente perché dalla prima volta che ho ascoltato questa canzone ho pensato a loro. A loro, che nonostante siano visceralmente diversi da Draco — lui che non ha mai oltrepassato il punto di non ritorno —, hanno sicuramente vissuto due infanzie altrettanto disastrose per la loro psiche. Mi piace immaginare che si siano innamorati fin da bambini, vicini negli ideali ma ancora di più nei sentimenti.
Per quanto riguarda gli IC, non so se ho fatto un buon lavoro; ho cercato di considerare il fatto che fossero ancora dei ragazzini, quindi sicuramente la loro personalità non può essere la stessa di quando li conosciamo noi nei libri. 
Detto questo, spero che la storia vi piaccia! Aggiornerò, credo, ogni tre-quattro giorni. Se vi va, lasciate un segno del vostro passaggio ~

 

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Capitolo 2
*** II. he's the one ***


II. he's the one




 

When Ι wake in the mοrning
Αnd I see the light
Pouring frοm my bedrοοm window
What a day, what a day, what a mοrning
When Ι realize
Ι was cautious but I'm guilty
Ι'm in lοve

 

Alla fine lei era passata da lui non solo di tanto in tanto. Sarebbe più corretto dire che di tanto in tanto non si erano visti, poche giornate che neanche si notavano se viste nell’interezza di quelle vacanze.

Quel giorno era il ventiquattro luglio; ciò significava che in meno di una settimana sarebbero tornati a scuola e avrebbero dovuto dire addio alla routine che avevano creato assieme in quei mesi lontani dalle mura di Hogwarts.

Ogni mattina — o quasi — lui la passava a prendere, o a piedi — quelle rare volte che si sentiva più umile, o forse meno esibizionista del solito —, o sul suo personale manico di scopa, nuovo di zecca. La prima volta che lo aveva visto in sella a esso fuori dal cancello della Villa Black lei aveva sorriso, una smorfia tra il divertito e l’affascinato, consapevole che lo facesse per fare colpo ma incapace di resistere al suo innato fascino. Quello stupido di un Malfoy, infatti, non aveva capito che in fondo l’aveva già conquistata e che non aveva bisogno di indossare la maschera del ricco figlio di papà per indurla a provare dei sentimenti verso di lui.

Narcissa a Villa Malfoy si sentiva a casa, molto più che nella propria, dove sua madre ogni due per tre sbraitava contro sua sorella Andromeda e Bellatrix le dava man forte o se ne stava a sghignazzare sdraiata sul divano, come una regina caduta in disgrazia. Non sapeva dire chi delle tre la infastidiva di più, se la sua genitrice incapace di intraprendere una conversazione senza alzare la voce, o le sue sorelle, la più grande per l’irritante cattiveria e l’altra per la stupidità delle sue argomentazioni.

Più di una volta si era chiesta se non fosse stata adottata.

Decise di parlarne anche con Lucius, in quella mattinata di fine luglio.

«Non le sopporto più» gli disse.

Lui alzò di scatto lo sguardo dal libro di Pozioni, confuso. «Chi?» Dal tono con il quale glielo chiese, a Narcissa sembrò pronto ad ammazzare chiunque le avesse causato la più becera noia; quel particolare le piacque parecchio.

«Mia madre, Bella e 'Dromeda.»

«Ah.» Il ragazzo rimase in silenzio per quasi un minuto intero e aveva tutta l’aria di star riflettendo riguardo qualcosa di importante. «Magari potresti venire a vivere qui.»

Narcissa scoppiò a ridere, ma non nascose un sorriso sorprendentemente grato. «Lucius, praticamente è come se già lo facessi!» ribatté, riferendosi chiaramente a tutto il tempo che trascorrevano assieme — del quale lei non si lamentava di certo, ma che non era sfuggito né alla sua famiglia né a quella di lui.

«Sì» assentì il ragazzo, «ma se non riesci proprio a sostenere i brevi momenti che passi con i tuoi parenti, considerando che non puoi certo ucciderli, potresti considerare la mia proposta di stare qui tutto il tempo.»

Una cosa che Narcissa aveva notato era stata come, nel tempo, a poco a poco, Lucius fosse diventato sempre più aperto e sincero; come fosse meno terrorizzato all’idea di condividere un pensiero o un sentimento con lei, disposto persino a chiamarla finalmente per nome; e tuttavia non aveva smesso neanche per un istante di mantenere quell’atteggiamento quasi freddo, parlandole come se fosse un pomposo adulto.

«Non lo so, Lucius. Non credo me lo permetterebbero. Già fanno storie per la frequenza con quale ci vediamo ora» gli rispose. «Inoltre se lo facessi inizierebbero a darsi da fare per i preparativi delle nostre nozze» scherzò, «oh, beh, almeno so che esiste qualcosa che riuscirebbe a metterle tutte d’accordo!»

Lucius arrossì. Sembrò volenteroso di cambiare argomento. «E tuo padre?»

«Ah, Cygnus Black III» iniziò lei con un tono volutamente intriso di sarcasmo, «se non ci fosse in casa giuro che si noterebbe allo stesso modo.»

Lui non trattenne un sorrisetto. Ritornò alla sua lettura. Passarono cinque o sei minuti di silenzio, nei quali lei si era alzata per scegliere un libro per se stessa dal suo comodino, dopodiché lui parlò: «Pensi che si sveglierà almeno il giorno in cui gli chiederò la tua mano?»

Narcissa si immobilizzò. Senza sapere bene perché, il suo primo istinto fu quello di ribattere con un: «Non vedo perché dovresti chiederla a lui la mia mano.» Glielo disse con un tono talmente stizzito che non si sarebbe stupita se lui avesse fatto fatica a riconoscerlo.

«Ovviamente la chiederei prima a te» puntualizzò, senza guardarla negli occhi, anche se lei riuscì comunque a intravedere una sfumatura rossastra spargersi per le sue guance. «Però è tradizione chiedere anche al padre della sposa il permesso di...»

«Il permesso?» sbottò lei.

Quella reazione inaspettatamente aggressiva lo portò a guardarla negli occhi. «Sai cosa intendo.»

«Lo so e non mi piace.» Narcissa tornò sul letto a baldacchino accanto a lui, sollevandosi sulle ginocchia e guardandolo negli occhi con una certa serietà. «L’uomo che sposerò non dovrà chiedere il permesso a nessuno di fare niente

Lucius ghignò. «Nemmeno a te?»

«Solo se ciò che vuole fare riguarda anche me. Altrimenti no, nemmeno io dovrò poterlo fermare.»

Non sapeva da dove provenisse tutta quell'audacia, era un mistero per lei perché quell'ambizione tipica dei Serpeverde fosse venuta fuori proprio in quel contesto, in quel preciso momento. L'unica cosa che le fu veramente chiara era che nella sua vita necessitasse della presenza di una figura possente, non fragile come quella di suo padre; concreta, non buona solo a parlare come quella di sua madre; forte e disposta a tutto, non debole e compassionevole come quella di Andromeda; infine, una che la sapesse amare per davvero, non come quella di Bellatrix.

Doveva farglielo capire. Lui aveva avuto il coraggio di rivelarle un suo sogno, un suo progetto: trascorrere il resto della loro esistenza insieme; e per quanto potesse apparire affrettato, seppur fossero entrambi solo dei ragazzini che della vita non sapevano nulla, sentiva di volerlo anche lei; ma aveva bisogno di essere certa che Lucius fosse quello giusto.

«Capisco» rispose lui, chiudendo il libro che stava leggendo e alzandosi in piedi; la prese per mano e la condusse gentilmente al centro della stanza, della sua camera da letto, maestosa nell'ampiezza e sfavillante per tutto l'oro che conteneva. «Tu vuoi vivere con me, Narcissa?» le chiese con quella voce che non avrebbe mai attribuito a un bambino di dodici anni, quella voce alla quale non avrebbe negato niente.

«Sì.»

«E allora più tardi ti accompagnerò a prendere le tue cose. Qui c'è spazio in abbondanza per entrambi.»

Le vennero gli occhi lucidi. Il modo in cui aveva capito perfettamente il significato di ciò che gli aveva detto le diede i brividi. Lo abbracciò con tutta la forza che aveva.

Lucius le carezzò i lunghi capelli biondi con la mano destra, mentre con l'altra la stringeva a sé come se ne dipendesse della loro sorte.

La sua colonia alla verbena e rosmarino mista al suo tipico odore di agrumi e di zolfo le pervase le narici e le confuse la mente.

Fu come una sensazione, una percezione inconscia, la consapevolezza che tra quelle braccia sarebbe stata pronta persino a morire; in quell'istante capì che Lucius Malfoy facesse proprio al caso suo.


 

 

Angolo autrice
E rieccomi, con qualche giorno di ritardo (chiedo venia).
Sarò sincera e stranamente poco modesta nel dire che mi piace la piega che sta prendendo questa storia, anche se sono — e probabilmente sarò sempre fino alla fine dei miei giorni — ancora parecchio insicura sull'IC dei personaggi e sul modo in cui ho cercato di trasmettere i loro pensieri e le loro azioni.
Spero che mi possiate far sapere cosa ne pare a voi di questo mio piccolo progetto e vi ringrazio a prescindere di essere arrivat* fin qui. ♥

 

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Capitolo 3
*** III. lux, lucis ***


III. lux, lucis




 

I wanted you to stay for the day
but you left with a kiss on my cheek
I couldn't get my mind off the way
that you looked in my daft punk t-shirt
I took a little drive in my car
with a smile on my face
and a hope in my heart
maybe this is a start
of a bon voyage
We were young
and helpless

 

Lucius non aveva preso bene la notizia della sua partenza, ma era ben deciso a non farglielo notare: sapeva che per lei fosse una seccatura esattamente come per lui, non voleva aggiungere ulteriori noie a quelle che già la attanagliavano al pensiero di dover passare un mese intero sola con le sue sorelle e con sua madre.

«Magari potresti uccidermi» gli aveva proposto sarcastica qualche giorno prima, subito dopo aver sganciato la notizia bomba, «almeno morirei felice tra le tue braccia e mi risparmierei questa agonia.»

Non poteva negare che quella frase lo avesse reso davvero orgoglioso e che egoisticamente sarebbe quasi stato pronto ad accontentarla, se non per il piccolo dettaglio che senza di lei non riusciva più neanche a respirare nel giusto modo, come si confà a un rampollo Malfoy.

«Lux.»

Aveva preso a chiamarlo così già dallʼanno precedente. Irritante.

«Mi chiamo Lucius» la corresse, come di consueto. «Comunque, che cʼè?»

«Lucius viene dal latino lux-lucis, che vuol dire splendore.» Come al solito lei non lasciava mai perdere una discussione se credeva di aver ragione, nemmeno se lʼaltra persona dava segno di volerla chiudere in fretta. «E ti sta bene, se proprio lo vuoi sapere.»

Sentì le sue gote imporporarsi e la maledisse mentalmente. «Che cosa vuoi?» le domandò di nuovo, più brusco.

Narcissa rise e quella risata lo fece sì infervorare ancora di più, ma allo stesso tempo lo ammorbidì: lo trovava il suono più melodico che esistesse.

«Niente in particolare, in ogni caso. Ti ho chiamato solo perché ti ho visto un poʼ assorto.»

Quando hai imparato a leggermi così bene? pensò Lucius. Una serie di flashback di quei tre anni a Hogwarts passati assieme non fu in grado di dargli una risposta esauriente. Cʼera stato un momento? Un giorno? O era grazie a un suo strano potere magico — che non aveva niente a che fare con bacchette, pozioni e tutto il resto — che riusciva a capirlo sempre e alla perfezione?

«È solo che questa sarà la prima estate che non passeremo insieme» le rispose con onestà, cercando di mantenere un certo contegno, di mostrarsi calmo ed equilibrato.

Lei sorrise e si avvicinò; gli allacciò le braccia al collo e poggiò i gomiti sulle sue spalle. «Starò via solo per un mese, riusciremo comunque a spendere del tempo assieme prima che ricominci la scuola» lo tranquillizzò, «o sei diventato così dipendente da me che non resisti trenta giorni senza la mia straordinaria presenza?»

In quel momento avrebbe volentieri assecondato la sua richiesta di essere uccisa. «Niente del genere» negò, categorico, cercando senza successo di scollarsela di dosso. «Semplicemente, sono un tipo abitudinario, ecco tutto.»

Narcissa finse di essersi offesa — anche lui ormai riusciva a capirla e quella era proprio la faccia che faceva quando mentiva —, si scostò da lui e inscenò un atteggiamento sconsolato. «Quindi non sono altro che unʼabitudine per te?» Abbassò anche lo sguardo, rivolgendolo al pavimento in marmo lucidato della camera da letto di lui, e congiunse le dita in vita ostentando nervosismo e delusione. Era brava, dannazione.

«Sai bene che non è così» le sfiorò il fianco sinistro con le dita, senza riuscire a trattenere un sogghigno, «o mi sbaglio?»

«Io lo credevo» cominciò lei; prese a camminare per tutta la stanza teatralmente, palesando la sua finzione, e spalmandosi un braccio sul viso continuò: «ma tu dici queste cose crudeli, cosa dovrei pensare? Solo che allʼuomo che amo non mancherò perché sono io, ma perché ormai si è abituato alla mia presenza...»

Lucius decise che la tragedia poteva finire lì, senza particolari applausi. La attirò a sé tirandola per il bacino e congiunse le loro bocche, sentendo morire sulle labbra di lei le sue prossime parole — sicuramente altre drammatiche stupidaggini che fu contento di essersi risparmiato. Lʼuomo che amo, aveva detto; non credeva che lei avesse idea, non nel profondo, di cosa frasi del genere scatenassero in lui.

I loro baci erano saette. Ogni volta che la toccava sentiva di andare a fuoco e sebbene non intendesse spingersi oltre — lei era di un anno più piccola, inoltre ci sarebbe voluto ancora molto tempo prima che si sarebbero potuti sposare... — non riusciva a controllarsi quando gli era così vicina. Chiese gentilmente e con una delicatezza che — ne era consapevole — non gli apparteneva — e che sfoggiava solo con lei — lʼaccesso alla sua bocca con la lingua e lei glielo garantì subito, unendo a essa la gemella. Quella danza durò per un poʼ e nel frattempo le mani di lei si poggiarono sul suo petto mentre quelle di lui scesero leggermente più in basso...

Interruppe immediatamente il contatto tra di loro, allontanandosi. «Scusami» le disse, realmente mortificato, con il fiatone per il lungo e passionale bacio.

Anche il respiro di Narcissa era irregolare. Lo stava guardando confusa. «Per cosa?»

«Per...» Che non se ne fosse neanche accorta? Del resto le aveva solo sfiorato i glutei per un paio di secondi, però gli sembrava un poʼ strano che non ne avesse minimamente avuto la percezione. «Per... insomma, non capiterà più, davvero. Scusa.»

Il sorriso che si palesò sul viso di lei non aveva niente a che vedere con i soliti ghigni maliziosi o derisori che di solito esibiva, al contrario: era intriso di una dolcezza mista a gratitudine. «Lucius... mai più? Dai, mi pare un poʼ eccessivo.»

«Voglio dire... non fino a che... tu non lo vorrai... Non fino a che...»

Senza sapere come, senza che neanche riuscì ad accorgersi dello scorrere del tempo, Narcissa gli saltò in braccio e lo baciò di nuovo. La afferrò in fretta per non farla cadere, ma preso alla sprovvista perse lʼequilibrio e caddero entrambi sul letto a baldacchino dove avevano trascorso immensi pomeriggi a leggere, studiare e chiacchierare, a raccontarsi le reciproche vite, a guardarsi negli occhi e a vederci dentro più di quanto le parole potessero mai esprimere. Rispose al bacio e la strinse a sé tenendo le mani ben ancorate ai suoi fianchi morbidi e sinuosi. Così bella...

Si separarono solo per mancanza di ossigeno.

«Lux, prima di decidere se voglio o meno una cosa, sarebbe il caso di chiedermelo» decretò, scrutandolo seria in volto.

Lui non seppe bene che dire. Davvero lei voleva...?

«Non sto dicendo che lo voglio» aggiunse subito, come a leggergli il pensiero. «Non... non è che non voglio, solo magari non adesso» specificò. «Però cerca di non farti troppi problemi e non chiedermi scusa per cose che non lo necessitano.»

Alzò la schiena, seduta su di lui, con le mani strette alle sue spalle; e sorrise.

Lucius pensò che i Black dovevano essere stati pazzi a non capirlo subito, a non accorgersi che era lei più di chiunque altro a meritare un nome che cʼentrasse con la lucentezza, con il sole, con lo splendore del mondo, della luna e delle stelle. Illuminava tutta la dannata stanza e anche oltre, a guardarla quasi rimase accecato.

«Okay» disse solamente e sperò che lei sentisse cosa nascondeva quella parola: era la dimostrazione che aveva compreso, sia come voleva essere trattata da lui, sia che non si sentiva ancora pronta per quel passo importante.

 

Il giorno dopo si svegliarono talmente vicini che avrebbero potuto respirare lʼuna lʼaria dellʼaltro. Lucius si beò di quella condizione e non ebbe il coraggio di sciogliere lʼunione delle loro dita, che si erano cercate e si erano trovate. Quella notte erano andati a dormire estremamente tardi, così tardi che neanche ricordava di essersi coricato. Erano probabilmente caduti tra le lenzuola troppo esausti per farci caso.

Avevano parlato, come al solito, come parlano due persone che sono state istruite a farlo solo se interpellate quando non vengono osservate. Con lei si sentiva libero di dire qualsiasi cosa. Le aveva persino confessato che dei Gufo che avrebbe affrontato quellʼanno non gliene poteva fregar di meno, cosa che neanche sotto tortura avrebbe ammesso davanti ai suoi genitori, che ci tenevano tanto ai suoi voti.

Semplicemente gli sembrava molto stupido applicarsi tanto in materie inutili, prima su tutte Difesa contro le arti oscure: difesa? Per lui che aveva intenzione di praticarle, che in parte già le praticava? Non aveva alcun senso.

Si riscosse da quei pensieri quando la stretta delle loro mani venne meno. Guardò lo splendido volto di Narcissa, che risultava estremamente buffo appena sveglio, e si accorse che aveva appena aperto gli occhi e che li stava serrando con forza come riparo dal raggio di luce che entrava discreto dalla finestra. Era palese che avesse ancora parecchio sonno.

«A che ora dovete partire?» le chiese, sperando che riuscisse già a connettere chi fosse, dove si trovasse e cosa avrebbe dovuto fare di lì a poche ore.

«Alle dieci» rispose lei e ancora una volta lui si stupì di come fosse sempre sullʼattenti, quasi si aspettasse un pericolo imminente un momento sì e lʼaltro pure.

«Sono le sette. Puoi dormire ancora un poʼ» la rassicurò, carezzandole i capelli; adorava immergersi in quellʼoceano dorato che lo accoglieva tanto volentieri.

«Resta con me» gli disse, «dormi anche tu.» Gli si accoccolò contro, poggiando la parte sinistra del viso sul suo petto e allacciandosi alla sua vita.

«Mi hai scambiato per un cuscino?» ironizzò, pur ricambiando subito la tenerezza e accettando di buon grado la sua. Le avvolse le spalle con il braccio sinistro, mentre lʼaltra mano restava tra i suoi capelli a vezzeggiarla con un ritmo ben scandito che sapeva lei conoscesse a memoria e che aveva sempre il potere di rilassarla, anche dopo una giornata no.

«Esattamente» scherzò.

Lucius ridacchiò.

Non riuscì a riprendere sonno, troppo impegnato a coccolarla, a passare le dita sulla sua pelle con finezza, a bearsi del suo profumo paradisiaco.

Narcissa si risvegliò unʼora e mezza più tardi e quando si accorse di essere ancora appiccicata a lui quasi tremò. Lui non seppe come interpretare quel gesto, ma immaginò fosse una cosa positiva quando lei si arpionò alla sua maglietta e poggiò una coscia sul suo fianco.

«Tutto bene?» le chiese, in un sussurro.

«Tutto benissimo» rispose lei.

 

«Hai dimenticato qualcosa?»

«No, niente.»

«Sei sicura?»

«Sì, mamma

Lucius valutò lʼidea di strangolarla. «Fai poco la spiritosa» la avvertì, «e scordati che venga fino in Spagna a portarti qualsiasi sia la cosa che sicuramente hai dimenticato e della cui assenza ti accorgerai troppo tardi

Narcissa scoppiò a ridere. «Che uccellaccio del malaugurio! Ho guardato la lista: c'è tutto; smettila di preoccuparti.»

Lui annuì. «Okay, allora andiamo.»

«Andiamo? Noi?»

«Ti accompagno sotto casa» chiarì il ragazzo e subito rivolse la sua attenzione, apparentemente indifferente, al proprio manico di scopa, pur di non incontrare lo sguardo di Narcissa, la quale sicuramente si era sciolta in qualche stupido e inopportuno sorrisetto malizioso a seguito della sua — troppo romantica, ne era a conoscenza — frase.

Salì in sella allʼultimo modello di Nimbus e le fece segno di fare altrettanto con un cenno del capo.

Lei lo imitò e gli si aggrappò forte al busto, mentre poggiava il viso alla sua schiena. «Vai pure, mio bel principe

Stupida.

Arrivarono di fronte al suo cancello in un breve lasso di tempo, o così gli sembrò, troppo assorto nei suoi pensieri per notare con accuratezza quanti angoli avesse svoltato o quanti minuti ci avesse impiegato. Lʼavrebbe lasciata lì e non si sarebbero più visti per un mese, trenta giorni, settecentoventi ore, quattromilatrecentoventi minuti. , cʼera mancato davvero poco che contasse anche i secondi. Sei diventato ridicolo, Lucius Abraxas Malfoy.

«Eccoci» disse, scendendo dalla scopa e aiutandola a fare lo stesso.

«Eccoci» ripeté lei. «Allora io vado. Mi staranno aspettando.»

«Certo. Ci vediamo tra un mese.»

«Sì» e sorrise, un sorriso estremamente brillante e sincero, «sì, esatto.»

Aprì il cancello ed entrò. Lucius aveva immaginato che avrebbe proseguito dritta verso la sua villa, senza voltarsi indietro, invece lei si girò e lo guardò per un paio di minuti, in un silenzio che lui non ruppe.

Poi parlò. «Sei la mia Lux, Lucius (1). Non dimenticarlo.»

Sentì il cuore battere più forte, istantaneamente, senza che potesse impedirlo. Sbarrò gli occhi e schiuse le labbra — facendo quasi sicuramente la figura dellʼidiota, standosene lì impalato incapace di dire alcunché.

Narcissa, infatti, rise di gusto davanti alla sua espressione e corse via avvicinandosi sempre di più alla porta dʼingresso e allontanandosi sempre di più da lui.

Quando fu del tutto fuori dal suo raggio visivo, Lucius si lasciò sfuggire un sorriso sereno, compiaciuto e irrimediabilmente innamorato.







Angolo autrice
ehi u guys!
Volevo chiedervi scusa se gli aggiornamenti sono un po' più lenti di quanto avevo programmato, ma siamo già a metà canzone quindi state pur certi che per la fine di agosto o al massimo per l'inizio di settembre (iinsomma, prima che ricominci la dannata scuola) riuscirò a concludere la raccolta. 
Spero tanto che questi capitoli vi stiano piacendo e vi ringrazio di essere arrivati fin qui.
(1) Sei la mia Lux, Lucius. Questa parte avrebbe reso molto meglio in inglese: You're my Lux, Lucius; avrebbe infatti doppia valenza: sia "tu sei il mio lux, cioè il mio ragazzo, il ragazzo che amo e che solo io chiamo così" e sia "sei la mia luce, Lucius"; anche l'aggettivo possessivo che in inglese non è né maschile né femminile avrebbe giovato alla frase.
 

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Capitolo 4
*** IV. draco, draconis ***


IV. draco, draconis

 

 

 


When Ι wake in the mοrning
And I see the light
Pouring from my bedroom window
What a day, what a day, what a morning
When I realize
I was cautious but I'm guilty
I'm in love


 

Il rumore della porta d'ingresso che si chiudeva la riempì di gioia e allo stesso tempo la fece fremere di rabbia.

«Lucius, maledizione.»

La loro maestosa Villa emanava un fortissimo odore di fiori freschi che si disseminava in ogni stanza e pentrava le narici di Narcissa.

Il piccolo Draco iniziò a piangere rumorosamente.

«Ma no, tesoro». La donna prese in braccio suo figlio, un pargoletto di poche settimane, con una spruzzata di capelli biondi sulla testa e un faccino pallido e morbido. Lo dondolò con delicatezza tenendolo dolcemente stretto al proprio petto e quello pian piano si calmò, stringendole il tessuto del mantello con la piccola manina.

Narcissa sorrise, non riuscì a farne a meno — come ogni volta che guardava il suo bellissimo bambino —, si sedette sul letto, lo adagiò tra le coperte e gli carezzò una guancia.

«Mi hai chiamato, cara?»

L'espressione sul suo volto cambiò immantinente.

Guardò negli occhi Lucius, che avanzava con cautela nella loro stanza da letto, ancora con il cappuccio nero in testa e la maschera da Mangiamorte tra le mani.

«Non so, che tu sappia conosco qualcun altro di nome Lucius?» ironizzò.

Lui ghignò in risposta, facendola innervosire ancora di più.

«Scordati di farti perdonare un'intera settimana di totale assenza con dei dannati fiori, Lucius.»

«Ti piacciono?» chiese quasi con noncuranza, avvicinandosi a uno dei vasi che tenevano sul comodino per sfiorare un petalo bianco e sottile.

«Certo che mi piacciono, sono narcisi» rispose stizzita, alzandosi con un ultima tenerezza rivolta a Draco.

Lucius allargò la smorfia soddisfatta sul proprio volto e la attirò a sé. La baciò e lei, ovviamente, ricambiò il bacio, stringendosi con forza alle sue spalle. La maschera che ancora teneva nella mano destra cadde per terra e invece di raccoglierla lui strinse Narcissa più forte a sé. Alla fine il bacio si trasformò in una sorta di abbraccio intenso e deciso, nel mezzo del quale di tanto in tanto le loro labbra andavano a incontrarsi.

«Lux, Draco è nato da due settimane e due giorni.»

Sapeva che chiamarlo con quel soprannome che gli aveva affibbiato quando erano solo dei ragazzini lo avrebbe messo meno sulla difensiva.

«Lo so.» L'uomo si staccò da lei senza né rabbia né nervosismo e incastrò lo sguardo nel suo. «Lo so.»

«Hai uno strano modo di dimostrarlo.»

«Narcissa, lo so

Sai che cosa, Lucius? Sai che non potremmo mai fare a meno di te? Sai che a Draco serve un padre tanto quanto io ho bisogno di mio marito? Sai che ogni volta che vai lì fuori conto i minuti in cui non ci sei e temo che non tornerai più? Sai tutto questo, Lucius?

«E che cosa avresti fatto in questi sette giorni di silenzio?»

«Ti ho pensata ogni secondo, ovviamente.»

Immaginò che fu la propria occhiata di fuoco a farlo tornare serio.

«Ero con tua sorella e con Severus. Avevamo degli affari da portare a termine.»

«Quanto sono contenta di non essere stata invitata in questa bella riunione di famiglia» ironizzò lei, con un sorriso amaro.

Lucius esitò. «Non credo che sia saggio farti venire con noi. E anche Bellatrix la pensa così.»

Narcissa poggiò nella culla suo figlio con riguardo, dopodiché prese Lucius per il colletto della sua camicia bianca. Quello sbiancò ma non disse nulla, al contrario la donna lesse un forte abbandono nei suoi occhi. Se è da te, mi lascerei fare qualsiasi cosa. Cercò di non lasciarsi addolcire. «Non pensate neanche per un secondo di poter prendere decisioni al posto mio» puntualizzò con una nota d'ira nella voce. «E poi, da quando ti interessa di quello che pensa mia sorella? L'hai sempre ritenuta una schizzata. E anche Piton, in fondo, l'hai sempre reputato uno sfigato. Non senza buone ragioni, per inciso; in entrambi i casi.»

L'uomo sorrise con dolcezza e Narcissa vacillò: accettava tutto ciò che gli rivolgeva senza mai nessuna remora ed era certo dei suoi principi, delle cose in cui credeva; era diventato il marito che lei aveva sempre desiderato: amava lei e il loro bambino più di ogni altra cosa, avrebbe attraversato oceani e scalato montagne per loro, e non permetteva a nessuno di dirgli come comportarsi.

«Non sto cercando di dirti cosa fare. Tu non vuoi venire con noi, altrimenti nessuno sarebbe stato in grado di fermarti.»

Narcissa lo lasciò, consapevole che avesse ragione.

Draco riprese a piangere. Lucius lo prese in braccio. «Non dimenticarti mai perché lo abbiamo chiamato così» le disse.

E come potrei? si chiese lei. Entrambe le nostre bacchette hanno un nucleo di corda di cuore di drago. Fin da bambini l'abbiamo ritenuta una combinazione davvero curiosa. Cosa che mi è tornata alla mente come in un lampo appena ho stretto il nostro piccolo tra le braccia. Gli aspetta una vita di gloria e di successo sotto il nome dei Malfoy e l'influenza dei Black. E sarà con il cuore di un drago che andrà avanti nonostante le difficoltà che a volte essi potranno comportargli.

«Non c'è pericolo» gli disse soltanto.

Lucius carezzò la fronte di Draco, che tra le sue braccia smetteva sempre di piangere in mezzo secondo, inspiegabilmente mansueto di fronte agli occhi grigi del padre. Dondolò il bacino per un po', cullandolo tra le sue braccia, poi lo rimise a dormire nella sua morbida culla.

Si voltò verso la moglie e la strinse a sé. «Ti amo, lo sai?»

Nonostante tutto, Narcissa non poté fare a meno di sorridere anche lei. Era certa che le si fosse illuminato di felicità il volto, come accadeva sempre quando la teneva tra le sue braccia. «Lo so, Lucius» rispose stancamente, poggiando la fronte sulla sua spalla. Lui le carezzò la nuca e riprese a muovere dolcemente il bacino e le spalle, come aveva fatto con Draco, accompagnandola in una lenta danza senza musica che però la coinvolse totalmente.

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