It's a matter of honor

di Madamedil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The charm of the Champion ***
Capitolo 2: *** Overthrown ***
Capitolo 3: *** Embodiment ***
Capitolo 4: *** Retaliation ***
Capitolo 5: *** Strife ***
Capitolo 6: *** Atonement ***
Capitolo 7: *** Judgment ***



Capitolo 1
*** The charm of the Champion ***


Lavanda, un profumo così delicato e allo stesso tempo persistente non poteva che essere lavanda. Mormorai e respirai profondamente.

Aprì piano gli occhi e sollevai appena la testa. Ecco da dove veniva il profumo, dalla ragazza appoggiata al mio petto che si stava destando a causa del mio movimento.

Gettai la testa sul cuscino. Lo avevo fatto, ancora. Per l’ennesima volta ero andato a letto con la donna di un altro e per di più stavolta ero andato a letto con la ragazza del Texano: Trixi, che non appena si destò ebbe un sussulto.

-Tranquilla…- le sussurrai sorridendo voltando lo sguardo altrove. 

-Cazzo…- un dolce buongiorno  direi. Si alzò in fretta e coprendosi il seno con un braccio si recò  in bagno sbattendo la porta. La sentii piangere. Si era pentita, senza  dubbio: pentita di aver tradito l'uomo che  amava, pentita di aver beccato proprio me nella discoteca più alla moda di Tokyo, pentita del Margarita di troppo,  pentita di aver ballato con me e di essere poi consenzientemente salita sulla mia Ducati fino al mio attico, dove aveva consumato (a detta sua, non sono così vanesio) il migliore amplesso della sua vita gemendo e invocando il mio nome come una sacerdotessa dinanzi all’apparizione del suo Dio (ah… l'alcool!).

Presi il cellulare e controllai per prima cosa l'ora. Sette del mattino, orario discreto. Guardai  il soffitto per poi stiracchiarmi, godendo di quella sensazione di rilassatezza che solo la carnalità poteva donare. Aprii il cassetto del comodino e cercai le sigarette, vizio  che finalmente potevo riassaporare dopo la privazione avuta durante l' allenamento di Lord Flash…

Ah, sbagliato di nuovo accidenti! Warsman, si chiamava Warsman. Cavolo se mi mancava…ancora non capivo il motivo della scomparsa dell'uomo a cui ero più grato in assoluto. 

Sbloccai il cellulare, accesi una sigaretta e cominciai a fumare: il mio after sex preferito.

Trixi uscì dal bagno e cominciò a vestirsi frettolosamente. -Terry non deve sapere nulla…- disse.

La guardai, ma poiché sembrava stesse parlando tra sé e sé non le risposi e continuai il mio rituale.

Presi una boccata di fumo e controllai i messaggi. Non ne avevo ricevuto nelle ultime ore, a parte l'ultimo messaggio di mio padre che mi raccomandava di guidare piano. Già mio padre…finalmente i messaggi di mio padre.

Finalmente il rispetto reciproco nonostante le diversità, finalmente  un rapporto stabile… finalmente mio padre.

Mi era stato vicino per tutto il tempo di terapia e convalescenza dopo la Finale, e in quel periodo avevamo imparato a mettere via i rancori e il tipico orgoglio inglese, a toglierci la maschera (nel vero senso della parola),a conoscerci e a scoprire di aver più cose in comune di quanto pensassi. A parlare della mamma…a elaborare finalmente il lutto che nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di affrontare.  

Ora lui era a Londra, con la promessa che lo avrei raggiunto non appena avessi avuto voglia di Sunday Roast,  di Yorkishire Pudding, o semplicemente di qualcuno che capisse l'umorismo britannico. Lo avrei chiamato più tardi.

-Terry non lo deve sapere!- ripeté lei ad alta voce abbottonandosi i pantaloni rossi attillati.

La guardai soffiando una nuvoletta di fumo e presi tempo nel risponderle, giusto per un sano senso di calmo sadismo contrapposto alla sua agitazione. -Ho capito- risposi pacato. 

Mi sembrava sottinteso che il suo ragazzo non dovesse saperlo, l'ultima cosa che volevo era un duello  all'ultimo sangue col Texano per riscattare l'onore della sua adultera fidanzata.

No, di certo non l'avrebbe saputo…così come il Crucco non sapeva che ero stato a letto con la sua ragazza Kiki,  ruota di scorta dopo essere stato snobbato da Roxanne, l'unica del gruppo che non mi sarei fatto poiché troppo simile a un orango  che a una ragazza. E poi cavolo, era stata con Kid Muscle…

Ma perché noi inglesi dobbiamo essere sempre  così cinici…

Smisi con i miei gossip e mi accorsi che Trixi stava prendendo la borsa per andarsene. -Aspetta…ti accompagno alla porta- dissi alzandomi e infilandomi velocemente i boxer e un pantalone nero di una tuta.

-Ah figurati…- mormorò lei.

-Non vuoi fare colazione?- le chiesi cortesemente indicando con un gesto della mano la cucina.

-No…ho lo stomaco sottosopra…-

-Sono i Margarita, non sembra ma sono micidiali - ripresi cercando di smorzare la tensione(probabilmente in modo patetico)che cominciava a stressare anche me. Era successo e le era piaciuto. Basta piangere sul latte versato.

Lei mi guardò negli occhi con sguardo triste. Sbuffò, cercò di trattenersi ruotando gli occhi lucidi ma invano -Ho fatto una gran cazzata!- disse singhiozzando e pestando un piede a terra in modo puerile.

La guardai stranito sollevando le sopracciglia, ma poi decisi pazientemente di insistere nell'invitarla a restare fino a quando non si sarebbe calmata, poiché così agitata avrebbe potuto creare un casino ancora più grande.

Le mie motivazioni la convinsero, così posò la borsa e si andò a sedere sullo sgabello dell’isola della cucina, per poi asciugarsi gli occhi con la maglia.

Nel frattempo, io ero andato al bagno per sciacquarmi il viso e  infilarmi una t-shirt pulita. 

Tornai in cucina e misi su l'acqua per il thè. Aprii poi la dispensa e presi l'infuso di passiflora e biancospino decidendo che era quello che ci voleva per Trixi.

Mi girai poi verso di lei e cominciai a guardarla. Notai con più attenzione le sue occhiaie e la sua figura che si chiudeva nelle spalle. Tirò su col naso e le porsi un tovagliolo.

-Grazie…è gentile da parte tua…-disse.

-Di nulla- le risposi accennando un sorriso e cominciando a versare l'acqua bollente in due tazze. Poi aggiunsi gli infusori e glielo servii, insieme a del latte e alle zollette di zucchero.

 Lei aggiunse due zollette e cominciò a girare, mentre io, abituato dalla convivenza con Warsman, lo prendevo alla russa: senza zucchero o latte. Per questo, mio padre mi avrebbe sicuramente diseredato.

Feci un sorso, e non appena poggiai la tazzina sul piattino lei cominciò a parlare velocemente con voce al quanto stridula. Cercai di seguirla in un primo momento, ma poi i  discorsi sui suoceri all'antica che la stressavano chiedendo un nipotino maschio,  e sulle sue amiche che la pugnalavano alle spalle, cominciarono a stancarmi.

  Oscillai tra il continuare ad ascoltarla e il proiettare nella mia mente l'immagine di una scimmietta col cappello che suona a tempo i piatti (metodo Homer Simpson) per evadere metafisicamente da quella noiosa conversazione.

Poiché non ero uno yankee quarantenne sovrappeso, ma un distinto signorino inglese tatuato e pieno di piercing decisi di prendere una decisione aristotelica. Ascoltai si e no qualcosa, e annui ogni due o tre frasi, tanto da gran logorroica quale era non avrebbe chiesto il mio parere o una mia risposta. 

Finì quel lungo monologo con un sospiro, lasciandomi un po' intontito. -Lo sai...non so se è stato il thè o lo sfogo ma mi sento meglio. È bello avere una persona che ti ascolti…Terry non mi ascolta mai!!-  e ritornò alla carica con un’altra serie di lagnanze da borghesuccia viziata quale era.

Lui si che deve avere un'orchestra di primati nel cervello per sopportala, pensai sollevando un sopracciglio.

Finimmo di bere il thè e finalmente Trixi decise che era arrivato il momento di togliere il disturbo, per mia immensa gioia. Possibile che una notte di sesso mi fosse costata un’ora buona di pettegolezzi su tutta la Muscle League e sulle mancate erezioni del suo ragazzo, di cui non mi interessava un accidente!

“Il Karma Kevin…è il Karma!” mi ripetevo.

Ci alzammo e l'accompagnai alla porta. Lei si fermò sull’uscio davanti alla maniglia.

-Senti…ho bisogno di sapere cosa siamo io e te.- disse con aria da gatta morta. 

“Biondina, che diavolo possiamo essere se non due che sono andati una sera a letto insieme?! Che diamine di domande fai?”, avrei voluto risponderle. Ma a causa di ragioni precedentemente esposte, la mia risposta ebbe note dalla maggior cordialità possibile.

-Nulla Trixi, non siamo nulla…sono sicuro che riuscirai sicuramente a risolvere i tuoi problemi personali e sarai di nuovo felice.- le risposi con un sorriso tagliente aprendo quasi di forza la porta.

Lei  ammutolì, finalmente…

-Ti auguro un sereno proseguimento di giornata- ripresi aprendo la porta da cui lei uscì a testa bassa, di corsa e senza salutare.

Che modi queste gente della Muscle League…e io che pensavo che il peggiore fosse quel mezzo orango di Kid Muscle (con tutto il rispetto per le scimmie). Ah ma aspetta…hai partecipato al loro torneo e lo hai vinto per giunta, ora sei ancora più strano di loro, Kevin!

Feci spallucce scuotendo la testa e richiusi la porta del mio attico, cominciando a pensare al programma del giorno.

Allenamento completo dalle 9:00 fino alle 14:00. Poi casa, doccia e riposo fino a sera. Dopo avrei deciso se andare a bere qualcosa, oppure restare a casa a guardare Serie tv. Tra le due, la seconda proposta mi sembrava più allettante, giacché ero entrato nel terrore di rimorchiare un altro caso patologico come Trixi. E sicuramente, la mia galanteria inglese non avrebbe retto a un nuovo assedio come quello.

Anzi, all'interno della giornata avrei inserito la ricerca di un volo per l'Inghilterra, giacché avrei voluto affogare  lo stress causato da Trixi, in una grossa Victoria’s cake!!

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Capitolo 2
*** Overthrown ***


“Kid Muscle, Kid Muscle…” era l'ovattato grido della folla, che gonfiava sempre di più i muscoli del giovane principe Kinniku.

Un bagliore indistinto lo guidava. Bagliore caldo, piacevole, che lo cullava.

-Combatto per la mia famiglia, combatto per i miei amici e miei ammiratori….- diceva mentre si trovava probabilmente sulle zone desertiche del suo pianeta natio, sotto un cielo di stelle e nebulose.

-Combatto per la mia famiglia…- si ripeteva vedendo comparire i suoi genitori.

-Combatto per  i miei amici…- che apparivano alle sue spalle.

-Combatto per…- ma non terminò la frase poiché le sue parole furono interrotte dal susseguirsi delle note dell'inno nazionale inglese, che lo trasportarono sul ring del 22nd Torneo Chojin, dove subito dopo il rullo di tamburi sentì le sue ossa spaccarsi, i muscoli del suo corpo lacerarsi e rimanere inermi davanti al corpo aureo del suo nemico che continuava a pestarlo a tempo di musica.

-L'onta della disfatta dei Kinniku…- e alle spalle di Kevin, vi era Robin Mask che lo guardava a braccia conserte con aria seccata, come quando alla Scuola di Ercole lo beccava a gozzovigliare di nascosto-Vergogna, disonore, ignominia…-quelle parole continuavano a ripetersi incessantemente accompagnate da quel fragore di ossa rotte, e alla risata di Kevin Mask…




-Ehi Kid! Sveglia ragazzo, sono le 15:00 passate!- fu la voce del suo Senpai Meat a destarlo da quell'orribile incubo, che oramai non gli faceva più tanta impressione data la sua frequenza.

Aprì gli occhi, anche se avrebbe preferito di no. Di fronte a lui il solito rumoroso ventilatore da soffitto con l'ala rotta che non rinfrescava l'aria già da un po', il solito tetto a spioventi con un buco sul lato destro…

Sospirò e richiuse gli occhi. La solita ansia, la solita malinconia, la solita dannata voglia di piangere a causa di un nodo in gola che da quando era stato sconfitto al Torneo non voleva scendere giù. Sospirò ancora…la solita vita di merda, pensò.

-Alzati Kid!- ripeté Meat. Odiava vederlo così e faceva di tutto per destarlo da quello stato di profonda depressione. Non era abituato a vederlo così triste, spento, come se sul Kid che tutti conoscevano fosse calata un'ombra nera che nessuno riusciva a illuminare. Né lui, né i suoi amici…Né i suoi genitori. Soprattutto i suoi genitori, che troppo abituati a vederlo trionfare non si sarebbero mai aspettati una tale disfatta e proprio da loro aveva ricevuto il colpo più pesante…dal loro pianto, dalla loro delusione.

Tornato in patria non aveva ricevuto una calorosa accoglienza. Una volta atterrato ad accoglierlo c'era stato un assordante silenzio delle persone che lo vedevano passare ,le quali bisbigliando tra loro sfogavano tutto il disprezzo verso colui che era stato sempre acclamato.

Arrivato alla Reggia la situazione era precipitata…

 Nella Sala del Trono lo aspettava tutta la Famiglia Reale e la Corte, nonché i suoi genitori che dall'alto dei loro scranni non proferivano parola e restavano a testa bassa senza avere il coraggio di guardarlo mentre la nonna Sayuri piangeva.

 Delusione era dir poco…e il  tutto veniva accompagnato da un’orchestra di voci che lo denigravano, nonché preoccupate per le sorti del Regno.

Nessuno aveva pensato, nonostante Kevin Mask fosse stato in principio il Favorito della competizione, che sarebbe davvero andata a finire il quel modo.

Per un Mask perdere la corona Chojin costava l'esilio volontario, il disonore, la vergogna…ma per un Kinniku, per un Kinniku la posta in gioco era molto più alta, e questo Kid non l'aveva calcolato nonostante le continue ammonizioni di Meat.

“Principe Mantaro, figlio del cinquantottesimo re del Pianeta Kinniku Sua Maestà Suguru , Signore Assoluto della Nebulosa di Ercole , della stirpe di Kinniku, primo del tuo nome ed erede della Casa Reale. Io, Mayumi Kinniku, capostipite del casato, ti confisco tutti i beni ricevuti alla tua nascita, ti condanno a dieci anni di esilio e ti escludo dalla successione al trono fino a quando non compirai atti che ti rendano degno di essere Re. Fino a quel momento, sarai escluso dalla Famiglia e dalla Corte Reale, dai suoi impegni ufficiali presenti e futuri.”

Era diventato un niente dopo un solo incontro perso…
 
Meat ricordava a memoria quel discorso, e lo stesso Kid, che non era svenuto dal dolore in quella grande Sala solo perché aveva avuto il suo coach, e lui soltanto, a sostenerlo in un'ora così buia e ad asciugare le grandi lacrime scaturite da quella che per il Principe era stata la Morte.

Morte solo in senso figurato,  si intende, e per il piccolo uomo finché la Nera Mietitrice non bussava alla porta, significava che c'è Vita, e se c'è Vita c'è Speranza.  Speranza di vittoria, di riconquista, di rinascita dalle ceneri. Cascasse il mondo,  Meat non avrebbe mai abbandonato il suo pupillo e lo avrebbe aiutato a ritornare sulla vetta…gradualmente.

 Meat di certo non dimenticava, come chi aveva punito il Principe, che Kid aveva solo sedici anni…

-Forza, in piedi! Ho bisogno che tu vada a comperare il latte - era la solita scusa di tutti i giorni per far uscire di casa Kid, il quale troppo distratto dal suo dolore non faceva caso al fatto che Meat gli chiedesse sempre la stessa cosa.

Il principe levò il busto e si sedette sulla sponda del letto portandosi la testa tra le gambe, con gli avambracci posati sulle ginocchia.

Sbuffò. -Che palle…- si ravvivò il ciuffo di capelli castano e si alzò. Prese una felpa a caso e la indossò. L'importante è che fosse bella larga e col cappuccio, in modo da nascondersi e non essere riconosciuto da nessuno. Indossò poi un paio di pantaloncini per poi infilarsi le scarpe. 

Prese i soldi da Meat e uscì sbattendo la porta. Quella mattina il sole era coperto, e il cielo grigio come il suo umore. 

Nonostante ciò i bambini giocavano ugualmente nel parchetto dove era situata la loro catapecchia. In un altro momento Kid avrebbe giocato insieme a loro, ma ora li guardava con disprezzo, non riuscendo a comprendere da dove derivasse tutta la loro gioia di cui era tremendamente invidioso.

-Al diavolo…al diavolo tutto!- imprecò – Perché Meat non mi lascia dormire in pace…- si lamentava. 

Cominciò a camminare verso il centro della città. Camminava pieno di rabbia e allo stesso tempo indifferente. Si sentiva pieno e vuoto contemporaneamente.

Si sentiva abbandonato, solo, nonostante avesse Meat e suo padre che gli veniva a far visita ogni fine settimana. Tutti i suoi amici erano ripartiti alla volta dei loro paesi di origine presi dalle loro vite…ma in fondo, perché dovevano perdere il loro tempo con un perdente come lui.

 Un buon a nulla, un insetto, uno sfaticato, svogliato, pigro, fannullone, scansafatiche, sfaccendato, ozioso, bighellone, e perdigiorno. Tutti complimenti rispetto alle contumelie della Corte Reale…

Avendo imboccato la strada più lunga, si trovò a passare nella zona residenziale più ricca della città. Voltò l'angolo e si trovò di fronte alla copia del Bosco Verticale di Milano, grattacielo famoso per la rigogliosa vegetazione piantata  sui balconi. 

Si fermò a guardarla silenziosamente, era lì che abitava Kevin Mask…

Spesso si fermava lì e rifletteva. Immaginava la vita del suo rivale dopo la vittoria, e la sua nel caso avesse vinto lui il torneo e le metteva a confronto. Pensava, pensava…fino a quando non scoppiava a piangere e di corsa si allontanava da quel posto.

 Quel giorno, scostando la vista dal balcone dell'attico di Kevin dove solitamente teneva lo sguardo, vide uscire la grattacielo la ragazza del suo amico Terry piangente che correva via in direzione opposta alla sua.

Nonostante provasse la solita ostinata afflizione, non poté fare a meno di indurre il proprio genio a uno sprizzo di forte curiosità. Trixi era una ragazza benestante, ma non così tanto da vivere lì. Possibile che si fosse incontrata con Kevin mentre Terry era in Texas? E perché piangeva? 

Forse non avrebbe mai potuto saperlo, o forse si…sta di fatto che qualcosa lo spinse a levare le tende  da lì il prima possibile, soprattutto prima di fare brutti incontri…

Ma non appena formulò questo pensiero si vide passare davanti una moto nera guidata da una figura inconfondibile che girò nel viale di ingresso del grattacielo. A causa dell'ansia si bloccò lì di colpo, soprattutto dopo aver capito di essere stato notato. 

“E ora che faccio…” pensava “devo salutarlo…scappo, no!”. Cominciarono a sudargli le mani, respiro corto e battiti accelerati come un uomo primitivo che ha appena visto una tigre dai denti a sciabola dinanzi alla sua caverna.

Restò lì impalato per alcuni minuti, fino a quando la persona che tanto non avrebbe voluto incontrare non sbucò dal vialetto venendogli incontro, e togliendosi il casco lasciò ricadere i suoi biondi capelli sulle spalle.

 Indossava un giubbotto di pelle beige, pantaloni neri stretti che gli fasciavano i torniti muscoli delle gambe e un paio di stivali dello stesso colore con delle fibbie.

 Il giovane rampollo di Casa Mask non indossava il pesante elmo di ferro per concessione di suo padre, il quale, riconoscendo al figlio il merito di aver riportato lustro al  casato gli aveva dato la possibilità di esprimere un desiderio, e qualsiasi esso fosse stato, lui l'avrebbe realizzato. Kevin aveva appunto chiesto di poter indossare la maschera unicamente  durante gli incontri e negli eventi ufficiali della League, per il resto del tempo avrebbe vissuto libero da quella costrizione. Sicuramente Robin Mask avrebbe preferito che Kevin gli chiedesse una villa con piscina su Ganimede, satellite di Giove, anziché una cosa come quella, aliena dalla lunga tradizione dei Mask che risaliva addirittura ai Cavalieri Templari, da cui, secondo la Leggenda discendeva la stirpe dei Mask. 

Ma a dispetto di tutti i suoi avi, che si sarebbero rivoltati nelle loro tombe aveva deciso di accontentare Kevin, riconoscendo dietro alla richiesta del primogenito un desiderio di vita nuova, di far cadere le maschere del passato, sia fisiche che metaforiche ,e alla fine dei conti, anche il conservatore Robin Mask aveva trovato riscontri positivi in quella scelta, che si realizzavano nel piacere di avere il vento tra i capelli che ti accarezza il viso, o quello di poter affogare nell'azzurro marino degli occhi di suo figlio ,così simili a quelli dell'unica donna da lui amata.

-Kid Muscle…sei tu?- disse il Mask avvicinandosi al Principe. Pur non avendolo particolarmente in simpatia, il giovane Cavaliere inglese aveva comunque deciso di andare incontro e salutare il suo rivale, giusto per una questione di cortesia e per la sportiva  riconciliazione che avevano avuto alla fine del match.

-Eh? S-si…Ciao Kevin!- balbettò Kid mordendosi le labbra e torcendosi le mani.

-Ehi Kid tranquillo…- rispose pacato Kevin, accennandogli un sorriso. Vero che sul Ring gli aveva strappato le braccia e quasi provocato un trauma cranico irreparabile, ma al di fuori della competizione non gli avrebbe mai fatto del male(forse)…sta di fatto che si convinceva sempre di più della bizzarria dei suoi colleghi della League   -Che ci fai da queste parti?- chiese.

 Il Principe Kinniku lo guardava fisso negli occhi, e i toni gentili e pacati del suo rivale invece di tranquillizzarlo, lo innervosivano ancora di più  e gli riportarono alla mente il loro primo incontro, dove Kevin era stato tutt'altro che cortese.

“Si vede che per diventare una persona civile, senza quell'orribile lattina sulla testa ha dovuto prima sfogare su di me tutta la sua sociopatia!” pensava il Kinniku stringendo i pugni.

-Ti senti bene Kid?- riprese Kevin Mask.

Se si sentiva bene? Gli aveva davvero chiesto se si sentiva bene? 

Lo guardò ancora fisso negli occhi, poi aggrottò le sopracciglia e tirò su col naso. -No…- e scoppiò in un pianto incontrollato che non stupì così tanto l'inglese.

Kevin sapeva cosa era accaduto al suo avversario. Mentre per lui la vittoria del Chojin era stata una catarsi, per il giovane Kinniku si era rivelata una tragedia.

Lui poteva capirlo in parte, sapeva come ci si sentiva. Sapeva cosa significasse avere su di te grandi aspettative che non riesci a sostenere, avere una famiglia tradizionalista, perdere tutti i tuoi agi in un solo giorno come quando lui era scappato via di casa…e cazzo, in tutto ciò avere sedici anni era la cosa peggiore, anche se essere ripudiato dalla propria famiglia era una sofferenza insostenibile a qualsiasi età.

In quel momento, Kevin Mask vedendo il Principe in quello stato, mise il proprio giudizio da parte. Egli non vedeva dinanzi a lui né l'avversario con il quale aveva combattuto fino all'ultimo sangue sul ring di quel ventitre ottobre né  quel viziato suino che si ingozzava di riso e manzo, ma solo un triste ragazzino che si era trovato in una situazione troppo grande da sopportare, proprio come lui da piccolo…

E quel pensiero commosse l'inglese, il quale era in parte responsabile dell'accaduto anche se una competizione non può essere definita tale se non vi sono due personaggi principali: il vincitore e il  vinto, e Kevin aveva vinto non senza aver gettato sangue e sudore in allenamento e con una forza interiore così potente da trascendere dall'anima e oltrepassare i limiti fisici, manifestandosi come pure luce: il Maelstrom Power.

Il giovane principe continuava a singhiozzare. -Perdonami…non volevo- cercava di giustificarsi mentre Kevin lo guardava serio silenziosamente.

-Senti…Kid- esordì l'inglese. -Ti va di andare a mangiare del riso e manzo? Ci andiamo insieme…-
 
Il pianto si fermò di colpo. Kevin Mask, il temibile Cavaliere Mascherato , colui che gli aveva letteralmente spaccato le ossa lo stava invitando a mangiare fuori per consolarlo. Tutto si sarebbe aspettato dalla vita, tranne di perdere la finale del Torneo e l'essere invitato a pranzo proprio da quella persona. Sicuramente il giovane Kid stava imparando quanto fosse imprevedibile la vita, ma non fu quella la prima riflessione di Kid. 

Dopo lo stupore iniziale, la prima risposta che venne in mente a Kid fu -Si…si.- rispose gioso con una gran voglia di esibirsi nella “danza” celebrativa del suo piatto preferito, ma si astenne per la soggezione che il suo avversario gli metteva. Aveva accettato, perché al riso col manzo, che per la tristezza non aveva più mangiato, non si poteva dire di no, anche se ad offrirtela era il tuo peggior nemico.

-Bene, allora vieni e monta in sella- rispose sorridendo Kevin. 

Salirono in moto, l'inglese accese il motore e partirono. Solo mentre guidava con Kid Muscle con le braccia strette intorno al suo torace (segno che Kid aveva paura) si accorse del gesto che aveva compiuto, e a rendersi conto di quanto fosse cambiato nel giro di neanche un anno, di come togliendosi una maschera non avesse fatto emergere una profonda sensibilità celata da una vita. Forse in questo caso suo padre aveva ragione dicendo che era davvero identico a sua madre...

Quanto a Kid, paradossalmente aveva trovato in quel momento un attimo di felicità in colui che gliela aveva sottratta, e in quel buio tunnel forse stava iniziando a vedere la luce dell'uscita.




 

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Capitolo 3
*** Embodiment ***


Acqua, nuvole, pioggia…

Furono le prime tre parole che mi vennero in mente non appena l'aereo cominciò a perdere quota e a planare sulla pista di atterraggio del London City Airport.

Sorrisi .La pioggia mi aveva sempre dato sensazioni diverse, ma in essa viveva una persona sola: mia madre. Chiusi gli occhi mentre la mente mi donava la sua immagine così come l'avevo vista l'ultima volta, prima di scappare di casa. Dipinta, vestita di bianco mentre teneva tra le braccia un variopinto fascio di fiori di campo sullo sfondo della costa ovest del Galles. Così la raffigurava il quadro che tenevamo alla fine delle scale della casa di Kensington.

Ogni volta che pioveva sentivo che lei era con me perché la pioggia era come il pianto, e mia madre pur essendo dotata di grande forza d'animo, aveva sempre manifestato le sue emozioni attraverso le lacrime.

Lacrime di dolore erano scese dal cielo il giorno in cui ero scappato di casa.

Lacrime di immensa gioia erano invece calate quando avevo vinto la Corona Chojin.

Lacrime di felicità stavano scendendo giù dal cielo per il mio ritorno a casa.

Respirai piano, sentendo una placida sensazione di benessere nel mio animo.

Una decina di minuti dopo misi piede suolo di Londra, finalmente. Non sarei potuto   rimanere in Giappone un minuto di più. Non solo perché avevo un viscerale bisogno di ritornare (e stavolta per riposare, e non per eventi ufficiali, banchetti e premiazioni) nel mio paese, ma anche perché i nipponici e il loro cibo mi avevano stancato…per non parlare di quella maledetta Trixi. 

La ragazza del Texano era tornata a casa mia mentre non c’ero, e pensando che non volessi aprirle la porta, da brava psicopatica quale era, mi aveva lasciato un biglietto di offese fuori la porta e tempestato di messaggi che speravo vivamente avesse avuto la decenza di cancellare dal telefono…beh, nel caso non fosse stato così, sarebbero stati esclusivamente problemi suoi perché io, non solo me ne fregavo , ma ero finalmente, e ripeto finalmente, tornato a casa mia, lontano da lei e da tutta la dannata salsa di soia che il Giappone poteva produrre.

Smisi di pensare a ciò e ripresi a godermi il mio ritorno. Ritirai le valige e uscii dell' aeroporto cercando con lo sguardo l’autista che molto probabilmente mio padre aveva mandato, ma non vedevo nessuno.

 Controllai il cellulare. “Sono qui davanti a te…” scrisse mio padre. Alzai lo sguardo e lo vidi. 

-Non riconosci più il tuo anziano padre, ragazzo?- disse sogghignando mentre era appoggiato a una Porche nera e con l'altra mano teneva l'ombrello aperto sul suo capo.

Effettivamente no, senza maschera avevo avuto difficoltà a riconoscerlo e nemmeno mi sarei aspettato che  fosse venuto lui stesso a prendermi. Non avevo mai visto mio padre guidare, che io ricordassi egli si muoveva sempre con auto guidate da un'autista.

Risi piano e mi avvicinai a lui-Beh in effetti vi vedo più invecchiato dall'ultima volta che ci siamo visti…- lo punzecchiai senza che se la prendesse(Strano ma vero, ora con il Grande Robin Mask si poteva anche scherzare). In realtà la sua espressione austera ma serena, di chi si era tolto un macigno dal cuore, mi dava l'impressione che fosse ringiovanito, anche se i suoi capelli castani non avevano perso l'onda bianca che li attraversava dalla radice.

Ci abbracciammo. Sentivo che mi stringeva forte, come se avesse paura di perdermi. Poi mi prese per le spalle guardandomi fisso negli occhi. Non parlammo perché i nostri occhi lucidi comunicavano meglio che con le parole. Eravamo fatti così io e lui…

Ci staccammo e andai a mettere le valige nel bagaglio di quella lussuosa auto. -Bella macchina, è nuova?- chiesi salendo e chiudendo lo sportello.

-È tua- disse semplicemente.

-Cosa? Ma io non ho la patente per le auto…- risposi tra il grato e lo stupito. Non ero certo abituato a ricevere regali…

-Allora sarà un incentivo a prendere la patente per le auto…-

-Così come quegli ottanta volumi sul diritto intergalattico che mi hai mandato sono stati un incentivo a ricominciare a studiare immagino…- risposi ironico.

-Come nuovo Capitano della Muscle League è tuo dovere conoscere le leggi intergalattiche per saper gestire e tenere insieme wresteler  provenienti da tutto l'universo.- disse severo senza alterarsi. 
“Che brutta fine hai fatto Kevin…”  suggerì la cinica vocina dentro di me.
Sbuffai, ma mio padre aveva ragione. Per divenire nuovo Capitano della League, subentrando a King Muscle dopo trentotto anni, non sarebbero bastate frecce nella mia faretra per gestire vecchi e giovani, soprattutto dopo aver distrutto il loro “eroe” preferito: Kid Muscle.

E tra le tante responsabilità che mi sarebbero toccate, la più difficile per me sarebbe stata quella relativa allo spirito di squadra.

“Il capitano della Muscle League ha il dovere e la responsabilità di guidare e tenere uniti tutti i membri, di tutte le nazioni, pianeti e di tutte le generazioni della Muscle League in conformità al Quarto principio fondamentale:  Ibi semper est victoria, ubi concordia est”

Avevo imparato a memoria quell'articolo del “Codice della Muscle League" nella speranza che mi convertisse da lupo solitario a leader di masse di idiot…

-Kevin!- mi riscosse papà quasi preoccupato per il mio lungo silenzio e per l'inquieta espressione che mi aleggiava sul volto -Torna tra noi mortali, per favore-

-Avete ragione, perdonatemi padre. Ero sovrappensiero…- sospirai, mentre mio padre metteva in moto l'auto. -Dove andiamo?- chiesi curioso notando la valigia di mio padre sul sedile posteriore.

-È la domanda che stavo per porti, Kevin. Per il tempo che staremo insieme, se tu hai voglia di stare con me, voglio che decida tu dove andare e cosa fare- mi rispose calmo e gentile. Dio mio, se eravamo cambiati…gli sorrisi e lui ricambiò. Avevamo perso troppo tempo a litigare, a rimanere divisi, a odiarci a vicenda…era tempo di recuperare, e sentivo di non volere altro che questo.

-Un posto ci sarebbe-  tra le  ville e i castelli del nostro patrimonio, c'era l'imbarazzo della scelta del luogo dove trascorrere del tempo insieme, ma io avevo bene in mente dove recarci – prima però, desidererei fare un'altra cosa…- dissi, mentre mio padre aspettava che terminassi di parlare. – Vorrei fare visita alla mamma…-

~
 
Alisa Mackintosh
“Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d’angelica forma; e le parole
sonavan altro che, pur voce umana; uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.”*

Il sonetto del noto poeta italiano era inciso sul piedistallo di pietra serena del sepolcro di mia madre e ricordavo bene che questa era la poesia che mio padre le aveva sempre dedicato, e che le avrebbe rivolto  anche oltre la vita mortale.

Guardai mio padre, era seduto su una panchina distante, forse in preghiera, o forse rimembrando il tempo trascorso con la donna amata.

Distolsi lo sguardo da lui e tornai ad osservare il monumento funebre. Dal cielo spuntavano vitali raggi di sole che illuminavano la bianca pietra e squarci celesti cominciavano ad allargarsi tra le nuvole, interrompendo  momentaneamente  la perpetua pioggerella inglese.

 Sul piedistallo, ornato a motivi  vegetali, era posta una statua in marmo raffigurante un angelo che teneva tra le mani una ghirlanda di fiori e farfalle. Quasi le somigliava…

Altri piccoli fiori selvatici sbucavano dal terreno ai piedi del blocco di marmo. Mi accovacciai e posai lì vicino il mio dono per la mamma: un bonsai di ciliegio proveniente dal Giappone.

Poi sedetti e carezzai la sua foto in un’ illusoria “corrispondenza di amorosi sensi" ed essendo ignaro di cosa ci fosse oltre la fine, mi piaceva immaginare che lei mi ascoltasse. 

-Ehi…alla fine sono tornato- cominciai, poi riguardai mio padre -ci siamo chiariti sai. Ho capito di non odiarlo, come dissi quella notte…e forse riusciremo a rispettare la promessa di restare uniti che ti abbiamo fatto prima che te ne andassi via. Almeno fino a quando le nostre teste troppo dure non si romperanno come le uova durante gli Egg tapping pasquali- risi piano, pensando a quando prendeva in giro la testardaggine mia e di mio padre, anche se la più caparbia tra noi era sicuramente lei.

Continuai a guardare intensamente la sua foto, ma non dissi più nulla anche se avrei avuto altre mille cose da raccontarle. Nel profondo, avevo la sensazione che lei le sapesse già e che le avesse vissute insieme a me.

Stetti per altri minuti, poi mi alzai e mi diressi verso mio padre pronto per ripartire.
Restammo taciturni per un po'. Il nostro amore verso quella che era stata la donna della nostra vita era il medesimo, e il dolore per la sua mancanza era pari a questo. Nessuna parola avrebbe potuto colmare il vuoto che ella ci aveva lasciato, mentre in quel placido silenzio si placavano tutti i nostri demoni.
~
Durante il viaggio in auto, potei godere della vista della campagna inglese, ornata di dolci colline e infinite distese di prato verde, qua e là macchiato dai colori dei fiori di campo.
Godetti della pace di quei  luoghi, fino a quando il mio ameno idillio non fu bruscamente interrotto dallo squillo insistente del mio cellullare. 
Lo presi dalla tasca e controllai: Trixi Maekawa…

Silenziai la suoneria e lo riposi, ma non meno di dieci secondi dopo il mio iPhone tornò a squillare ripetutamente. Ripetei l'operazione per ben tre volte, stizzendomi alquanto per quella dannata insistenza e urgenza. Che diavolo aveva da dirmi di così importante quella schizofrenica?! 

 All'ennesima telefonata, che aveva destato anche l'attenzione di mio padre (il quale  si astenne dal chiedere chi fosse, per rispetto della mia privacy), decisi di spegnere definitivamente il cellulare e riporlo di furia nel cruscotto dell'auto. Non lo avrei acceso fino a quando non sarei ritornato a Londra. 

Sbuffai. Non volevo essere assolutamente  disturbato, per nessuna ragione al mondo! Avrei spaccato le ossa a chiunque si fosse azzardato a rompermi le scatole in quel paio di mesi di vacanza che mi ero concesso.

- Pull yourself together, Kevin- disse mio padre a mo’ di ammonizione, vedendo sbollire poco alla volta la mia rabbia.

-Non è colpa mia se alcune persone non capiscono il significato della parola “Ferie". Dal latino “feriae, feriarum" e  significa: “Non rompermi le palle quando non è il periodo”!- 

Mio padre sorvolando sull'imprecazione se la rise sotto i baffi –Sono quasi commosso dal fatto che tu ricordi ancora il latino studiato da piccolo- disse con una punta di ironia -Ma ti consiglierei, se me lo permetti -riprese enfatizzando sul mio “permesso" – di farci l'abitudine. La League e la tua posizione non si curano delle tue ferie. Quando il dovere chiama, bisogna obbedire…- non riuscii a decifrare il tono della sua ultima affermazione. Era molto combattuta tra la rigorosità di una legge imprescindibile basata sull'ipse dixit, e il seccato, a causa di un Ente, quale la Muscle League, guidata fin troppo spesso da un senso di opportunismo e parzialità, che non aveva mai rispettato i diritti e le priorità di molti dei suoi membri.

Non è che si deve salvare il mondo ogni giorno… dipende da quando i Macmad hanno necessità di far alzare gli ascolti, lo sanno tutti.

-Il mio dovere chiamerà a Settembre- risposi secco, senza aspettarmi una risposta -Ora pretendo il mio periodo di tregua…- terminai riprendendo un inflessione tranquilla. Tregua dalla League, tregua dalle discoteche, dalle donne (specialmente da quelle isteriche), dalle sbronze e soprattutto tregua dai giornalisti e fotografi.

Santo Dio…dal mese di ottobre a questa parte, giornalisti e media non avevano fatto altro che darmi, anzi, darci il tormento, giacché nel ciclone mediatico era finito anche papà, il quale si era ritrovato folle di  giornalisti stanziati in tende da campeggio fuori la porta della casa di Kensington che tentavano in ogni modo di strappargli un’intervista.

La mia vittoria era stata una notizia sensazionale e discussa per mesi sulle testate di tutti i media sportivi, e la mia vita sociale era contemplata dalla cronaca rosa dell'intero universo. Ma il vero scoop per i giornali di tutto il mondo era stata la riconciliazione con mio padre.

E tutto ciò era stato scaturito da una foto(o meglio, una serie di foto, dato che eravamo stati circondati dai fotografi) che era entrata nel mirino dei giornalisti, nella quale avevano immortalato una delle sensazioni più belle della mia vita: la sicurezza scaturita dall’amore incondizionato…
 
 
 “La cintura d'oro che King Muscle indossò dopo i due ultimi Tornei Chojin è ora attorno la vita del nuovo campione Kevin Mask”
 
La folla esultava e urlava forte il mio nome, incurante della pioggia scrosciante che sentivo carezzare il mio corpo.
 
Gioia, tripudio, e un bel po' di adrenalina mi stavano tenendo in piedi a esultare e ringraziare i miei fan.
 
Felice, non ero mai stato così felice in tutta la mia vita e sentivo dentro di me la mia anima esplodere dalla soddisfazione.
 
L'unica spina era la fuga di…Warsman, ma sapevo che prima o poi ci saremmo rivisti.
 
Aspettammo sul Ring fino a quando non terminò la cerimonia, con lo spegnimento della fiaccola Olimpica.
 
Scesi dal ring, ma rifiutai di uscire dallo stadio con una barella. Ero il campione, il migliore dei guerrieri e avrei lasciato la mia arena sulle mie gambe, pur sentendo vacillare le mie forze.
 
Camminai lungo il corridoi, ancora incredulo che il mio più grande desiderio si fosse realizzato…ma qualcosa mancava alla mia missione. 
 
Io avevo fatto tutto questo per uno scopo ben preciso e fino a quel momento lo avevo realizzato solo a metà.
 
Mi appoggiai al muro e ansimai calando il capo  mentre venivo attorniato da folle di giornalisti.
 
Rialzai la testa deciso a continuare la mia marcia, quando vidi una figura avanzare a passo svelto.
 
-Kevin!- mi chiamò.
 
Mi parve di sognare…ciò che desideravo stava per avverarsi.
 
-Padre…- mi diressi a passi svelti verso di lui  usando tutta la forza che mi rimaneva in corpo.
 
Poi tutto tacque. Senza dir nulla ci stringemmo e tutto intorno a noi sembro fermarsi. 
 
Piangemmo, piangemmo di pura gioia come due bambini. Le lacrime avrebbero lavato i peccati e fecondato il nostro legame.
 
In quel momento sentii che la mia vita era completa, la mia “guerra" era terminata e potevo finalmente deporre le armi.
 
I muscoli si rilassarono, la vista cominciò ad annebbiarsi, ma non mi staccai dall'abbraccio perché volevo che quel momento non finisse mai.
 
-Figlio mio…-  sussurrò vedendomi perdere i sensi. Mi mantenne forte per evitare che cadessi e l'ultima cosa che ricordo prima di svenire è che mi prese tra le sue braccia…braccia forti e sicure, le braccia di mio padre…



*Sonetto numero XC del Canzoniere di Francesco Petrarca(1304-1374)
 
 

 

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Capitolo 4
*** Retaliation ***


“I ragazzi di oggi non hanno più rispetto. Né delle persone, né dei sentimenti. Vogliono tutto e subito! Non ci sono più i valori di un tempo, quelli che mandavano avanti il mondo! Ah, che Dio ci salvi!”
Questi erano i petulanti pensieri di Meat. Insoliti per lui, che aveva donato la sua vita al servizio della Nuova Generazione, di cui andava fierissimo.
 
Adorava i ragazzi, tutti, indipendentemente dalla provenienza, dai costumi, dalla bravura , o dal carattere…soprattutto dal carattere.
 
Ma è risaputo che quando ci si trova in momenti di difficoltà che ci causano rabbia e malessere, spesso succede che si dicano o pensino cose che non crediamo davvero.
 
Meat in quel momento non sapeva se gli faceva più rabbia l'essersi perso nelle Highlands in groppa a un mini pony(unico mezzo adatto alla sua statura) , l'essersi perso nelle Highlands alla ricerca di quella testa calda di Kevin Mask, o l'essersi perso nelle Highlands in compagnia di Sweimi, primo maggiordomo della famiglia reale Kinniku, unico disponibile ad accompagnarlo in quella ricerca disperata!
 
No, forse la cosa che odiava di più erano le discordie e i dissapori all'interno della squadra, di cui lui era responsabile.
 
-Temo, signore, che ci siamo persi- fu l'evidente constatazione di servitore.
 
A tale ovvia e irrirante affermazione Meat preferì non rispondere e chiudere in sé la sua frustrazione.
 
Aveva urgente bisogno di trovare la famiglia Mask, li stava cercando da giorni ormai.
 
La sua ricerca era iniziata nel quartier generale di Ataru, dove aveva scoperto che si trovavano in Scozia, nel loro castello nel Nord delle Highlands. Nessun Chojin della Muscle League, pur nascondendosi, poteva non essere rintracciato dal super tecnologico sistema satellitare di Ataru Kinniku, che considerava tale macchina il suo fiore all'occhiello.
 
Il buco nell'acqua però lo avevano fatto quando erano arrivati nella proprietà dei Mask senza trovarli lì.
 
Come gentilmente aveva spiegato il maggiordomo di casa Mask, servendogli il thè in una grande sala coperta di arazzi medievali, il signorino Kevin e suo padre non risiedevano al castello, ma in un cottage a Nord-Est dell'edificio, intenti in una ricreativa battuta di caccia alla grouse.
Si erano dunque infrante le  utopiche speranze di Meat di trovarli seduti su un prato verde a prendere il thè su una tovaglia a quadri da pic-nic.
 
Pur implorando il maggiordomo di accompagnarlo dai Mask, insistendo sull'importanza della sua causa, non era riuscito a smuovere il fedele servitore che non avrebbe disturbato i suoi padroni per nessuna ragione al mondo, così come gli era stato comandato da Robin Mask.
 
Le uniche tracce  dell’ospitalità scozzese erano state il prestargli quei due  pony e dargli le indicazioni per trovare il cottage in mezzo alle infinite distese di brughiera e alle collinette rocciose.
 
Ora però due erano le cose: o il maggiordomo li aveva depistati, oppure il loro senso dell'orientamento era andato a farsi benedire già al primo kilometro dopo il castello.
 
Inoltre, le condizioni atmosferiche non li stavano aiutando. Il sole lo avevano salutato a Edimburgo e dopodiché il cielo si era coperto, e l'aria era diventata sempre più gelida.
 
Non che si aspettavano altro dalla Gran Bretagna, ma avevano comunque confidato in un tempo più benevolo, dato che si trovavano a inizio estate.
 
Le ombre cominciarono a calare, e mentre attraversavano un faticoso sentiero roccioso, cominciarono a sentire un'aria di pioggia, il vento si alzò , e i tuoni che l’accompagnavano non promettevano altro che tempesta.
 
“E ora cosa facciamo…” pensò Meat scoraggiato vedendo stagliarsi dinanzi a sé l'orizzonte di una terra selvaggia, e nemmeno l'ombra della civiltà.
 
Sospirò esausto, poi alzò gli occhiali e premette pollice e indice sugli occhi, allo scopo di scongiurare un forte mal di testa che si stava per abbattere su di lui. 
 
-Signore- lo chiamò il servitore Kinniku-la sente anche lei?-
 
Meat alzò la testa e guardò stanco il suo interlocutore – Cosa dovrei sentire, Swemi? Oltre al gran mal di schiena, dato che siamo a cavallo da tutto il giorno ormai!- urlò Meat, cercando disperatamente di mettere giù la sua mantellina che il vento stava cercando di portare con sé. 
 
- Viene da lontano, da ovest…- riprese il maggiordomo accostando una mano vicino all’orecchio. 
 
In effetti era vero. Il piccolo uomo avvicinò il suo shetland a quello del maggiordomo e concentrando la sua attenzione sui suoni, iniziava a sentire anche lui una melodia lontana proveniente da un pianoforte.
 
Decisero di seguirla, e qualunque fosse stato il posto dove li avrebbe condotti, sarebbe andato bene, perché in quel momento la necessità era trovare un posto dove ripararsi per la notte e dalla tempesta.
 
Avvicinandosi alla fonte, Meat, da buon suonatore di pianoforte abbastanza esperto, cominciò a riconoscere il brano, che era di Chopin. Un notturno, opera nove, numero due, in Mi bemolle maggiore.
 
Superarono una vallata, poi cominciarono a salire un'ennesima collinetta.
 
E quel tocco così sublime …inconfondibile!
 
“Caro Meat, suonare il piano è come carezzare il corpo di una donna, ci vogliono sicurezza, decisione ma per raggiungere l’armonia bisogna avere un tocco soave”
 
“Borioso di un inglese, Robin Mask!” balenò nella mente di Meat.
 
E non appena terminò di ripensare al ricordo di cotanta “perla” di saggezza, ai due pellegrini spuntò dinanzi la tanto agognata abitazione, che stando alla melodia che emetteva,  non poteva non essere la loro meta.
 
Spronarono i piccoli cavalli verso quell’elegante cottage a strapiombo sul mare, immerso nella brughiera fiorita e incorniciato da un tasso maestoso.
 
Il cottage, pur risalendo all'età georgiana, era tenuto in perfette condizioni.
 
Diviso in due piani, con ampio tetto a spiovente, il cottage era provvisto di un altro piccolo ambiente che doveva essere la stalla, da cui proveniva il nitrito e lo scalpiccio degli zoccoli dei due morelli frisone della famiglia Mask.
 
Dalla grande finestra ad aggetto, si intravedeva un sottile spiraglio di luce soffusa proveniente da un fuoco scoppiettante, mentre la musica continuava a danzare nel vento; stavolta stava suonando un’opera di Debussy.
 
 
Meat si fermò a metà del vialetto d'ingresso, costeggiato da roseti e cespugli, e prese un gran respiro. La gioia di essere giunto a destinazione e di non dover campeggiare  insieme ai lupi grigi della Scozia, non doveva distoglierlo dalla sua missione più importante.
 
Non aveva fifa, Meat era sempre un tipo coraggioso, ma non era tranquillo, per niente, perché non riusciva a immaginare il tipo di reazione che avrebbero avuto padre e figlio.
 
 
Scesero da cavallo, e Sweimi condusse i due animali nella stalla. Dopodiché, facendo un altro bel respiro e aggiustandosi gli occhiali, Meat picchiò alla porta con un batacchio dorato  e subito la melodia cessò in uno stridore di note, segno di una spaccatura nella concentrazione del musicista che non  credeva di dover  interrompere il proprio officio.
 
 
Robin Mask si alzò dalla panchetta del pianoforte e andò ad aprire la porta, non senza la leggera preoccupazione di chi non aspetta visite.
 
L'inglese dischiuse l'ingresso della sua abitazione e  il non vedere  (apparentemente) nessuno al di fuori di questa quasi lo impressionò.
 
Meat si schiarì la voce per attirare l'attenzione su di sé. Certo, una persona quando apre la porta guarda dinanzi a sé, e non i suoi stinchi…
 
Robin Mask calò lo sguardo e strabuzzò gli occhi, rimanendo ancora più stupito di aver trovato lui e non un'entità soprannaturale tipica di quei luoghi.
 
Forse l'entità sarebbe stata preferita a Meat…
 
 
Dopo un attimo di sbigottimento Robin Mask si ricompose,  riprese la sua impostatura austera e marziale, abbandonò  la cara rilassatezza che aveva avuto in quel breve periodo di vacanza, vedendo la presenza grave di quel piccolo ambasciatore che di pene ne portava e come.
 
-Alexandria Meat, che innegabile sorpresa…- artificioso galateo inglese – Accomodatevi- disse Robin e subito dopo si sentì un forte rombo di tuono che affrettò i due Kinniku a entrare.
 
Si ritrovarono in un’ambiente caldo e accogliente  ma tutti sentivano che la tensione correva sul filo di rasoio.
 
Come aveva notato da fuori, il fuoco era acceso in un caminetto in marmo intarsiato che all'interno dell’ampia stanza, al di sopra della quale correva il balconcino in legno che dava accesso alle altre stanze, donava una piacevole penombra nella quale Meat scorse l’inconfondibile  figura di un giovane uomo, con i capelli biondi semi raccolti e dallo sguardo celeste, con una piccola cicatrice sulla fronte che andava via via a schiarirsi, inferta molto probabilmente da Mantaro  durante la finale. L'ultima volta che aveva visto quel viso, non aveva di certo quelle fattezze eleganti e severe così simili a quelle di Robin da giovane, ma delle guance paffutelle e degli occhioni blu oltremare che lo guardavano incuriositi, e non  ostili come ora.
 
Kevin Mask, sconvolto tanto quanto suo padre, era rimasto seduto a squadrare il trainer del suo rivale ,e solo dopo aver scambiato un'occhiata con il genitore, consci entrambi della rottura della loro intimità, si era alzato per accogliere gli inattesi ospiti.
 
-Buonasera signori- salutò Kevin con un cenno del capo -Sedete, vi prego. Il viaggio per arrivare fin qui deve essere stato spossante.- disse con una punta di ironia, quasi a voler sottolineare che avrebbe preferito che fossero stati sbranati dai lupi, e non essere giunti fino al suo recondito  angolo di paradiso. “Ma come diavolo hanno fatto?” si chiedeva. Se non si era esperti di quella zona così impervia , era impossibile percorrerla…o quasi, come si stava dimostrando.
 
I due ospiti si tolsero le sopravvesti umide, e si andarono a sedere sul divano damascato di fronte al camino, calpestando tappeti persiani tessuti a fili d'oro con le scarpe sudice del viaggio. Meat pensava che se non fosse morto ora, ammazzato dal padre, e fatto a pezzetti dal figlio, sarebbe divenuto immortale.
 
-Posso offrirvi un whisky, prima che ci illuminiate del fine della vostra visita?- chiese Robin sardonico, ma non perdendo mai la sua integrità di perfetto padrone di casa inglese.
 
Una goccia di sudore scese dalla fronte di Meat, e non per il caldo del camino. Egli rifiutò l'offerta poiché era astemio, poi si guardò attorno, notando il pianoforte appena dietro il divanetto su cui erano seduti, e affianco a questo un tavolino di legno intarsiato, con un abat-jur sotto il quale giaceva un bicchiere di Whisky che Robin non aveva avuto il tempo di consumare, ma che andò a recuperare prima di sedersi di fronte a loro incrociando le gambe.
 
Kevin invece, riprese posto dietro al tavolo rotondo dove era seduto prima, e dove erano accatastate pile di libri che il giovane stava leggendo e studiando.
 
“Diritto intergalattico eh?Non basta per diventare Capitano della Muscle League!” pensava Meat, mentre lui e Kevin si guardavano come se si stessero studiando a vicenda.
 
Poi Meat guardò Robin, e solo scrutandolo senza maschera si accorse di quanto il tempo avesse inciso sulle vite dei suoi compagni. Aveva visto il viso di Robin Mask tempi addietro, quando per salvargli la vita e non farlo morire affogato nel suo stesso sangue gli aveva dovuto togliere (senza che nessuno vedesse) la maschera. Ricordava che il periodo dopo la perdita del 20th Chojin Championship era stato tutt'altro che roseo per Robin, tanto che dopo avergli salvato la vita, l'inglese gli aveva risposto che avrebbe fatto meglio a lasciarlo morire, perché era questo che un perdente si meritava. Nonostante ciò,  Meat non aveva dimenticato quel viso austero e quello sguardo fiero che aveva sempre sostenuto e che ancora oggi, con i dolori dell’età matura ,continuava a conservare.
 
-Ebbene…- riprese Robin Mask, dopo aver preso un sorso dal bicchiere.
 
Meat si aggiustò meglio sul divano, si sistemò gli occhiali e dimostrando ancora una volta di avere più forza di quanto uno come lui potesse averne, cominciò a parlare – Io sono qui per te, Kevin.- disse guardando il diretto interessato – Come coach della squadra, in assenza di un capitano ufficialmente investito, secondo il “Codice della Muscle League", che vedo lì aperto dinanzi a te – continuò Meat, facendo cenno al librone sul tavolo dove era seduto il giovane – tocca a me adempiere a questo spiacevole compito- 
 
Kevin Mask strizzò gli occhi e scrutò intensamente quelli di Meat. Non lo dava a vedere, ma cominciava a preoccuparsi.
 
-Terry Kenyon, appellandosi all'articolo numero 4739, ti sfida a duello, in un incontro di wrestling che si terrà ad Amarillo, il cinque agosto del corrente anno. Trovo che questo sia un fatto davvero spiacevole, soprattutto per te che sarai il nuovo capitano-
 
Kevin Mask stava disperatamente cercando di ricordare cosa dicesse l'articolo 4739, quando gli balenò alla mente una scena ben precisa che rivelò inutile tale sforzo.
 
“Terry non deve sapere niente”
 
“Dang…” fu l'imprecazione meno blasfema di Kevin Mask. Quella sciacquetta si era fatta scoprire, senza dubbio, ma la cosa che più gli faceva ribrezzo, era  che quello yankee senza cervello ci tenesse così tanto a sbandierare in diretta mondiale che ce le aveva più lunghe dei suoi buoi.
 
Prima che Kevin potesse parlare, suo padre risposte  allibito e cominciò a scomporsi -Ma quell'articolo arcaico riguarda il circuire le mogli dei propri compagni, cosa centra Kevin?! E da quando quel tale è sposato?- 
 
-Terry sostiene che Kevin abbia insidiato la signorina Maekawa, sua fidanzata ufficiale, il che dalle sue parti è come essere sposati…- rispose Meat paziente – ciò è stato provato dalla testimonianza di…Kid Muscle, che l'ha vista scendere dal tuo appartamento, Kevin- riprese Meat mordendosi la lingua. Conosceva il gesto che Kevin aveva fatto per Kid, e sapeva anche il piccolo germoglio che era la loro amicizia, dopo questo, era stato sicuramente schiacciato.
 
“Schifoso spione ficcanaso, e dire che gli ho offerto anche dodici ciotole di riso e manzo…” pensò Kevin mordendosi il labbro ma non rispondendo ancora.
 
-What kind of idiot…- sboccò Robin Mask. Kevin lo guardò e pensò che se ce l'avesse con lui, non avrebbe perso tempo a riattaccar briga  con suo padre, ma così non fu, anzi…
 
 Il giovane si stupì molto del fatto che suo padre lo difendesse a spada tratta- Un vero membro della Muscle League mette al primo posto la concordia tra i compagni, e poi dopo le donne, o meglio, le poco di buono! E poi sfidare il Capitano! God blind me, se ai nostri tempi ci siamo mai permessi di mancare di rispetto a King Muscle, nonostante tutti i suoi incalcolabili difetti! E voi anziani. Aprire una faida tra due famiglie per questi affari da donnicciole! Ci sono cose più importanti, for crying out loud!- poi si rivolse a Kevin con aria truce – E tu figlio, in tutta la grandezza del Commonwealth dovevi proprio virare la tua nave in quel porto!- sospirò dopo quel lungo sfogo. Poi quasi imbarazzato di aver perso così le staffe, bevve un altro  abbondante sorso di liquore e si massaggiò la fronte. -Ma come pretendiamo di salvare il mondo…- concluse sommesso a bassa voce.
 
Kevin si impose di non ridere  sull'ultima affermazione, rimanendo in uno stato di ascolto e di analisi di quella situazione alquanto kafkiana. Si accese poi una sigaretta, per riflettere meglio sulla questione, in effetti meno preoccupante di quanto si aspettasse, ma assolutamente tediosa .
 
Meat dal canto suo rimaneva in silenzio. Ciò che aveva fatto Kevin non era stato leale nei confronti di Terry, per quanto tra i due non ci fossero mai stati rapporti tranquilli. Ma era d'accordo con Robin. La pace nella squadra veniva prima di tutto, anche a costo di reprimere la propria rabbia e di sorvolare sulle offese ricevute, cosa che a dirla tutta, tra i membri della League ,quasi nessuno era mai riuscito a fare, tranne lo stesso Meat che ne sopportava di cotte e di crude…
 
 In ogni caso, la New Generation (a sostegno di Terry) aveva insistito così tanto, che la League non aveva potuto rifiutare di ascoltare il loro appello. Se avessero usato la stessa foga e ostinazione in allenamento, avrebbero potuto vincere non una, ma tre Corone Chojin!
 
-Non posso che essere d'accordo con te, Robin...- riprese Meat -ma per Terry, e per tutta la famiglia Kenyon diciamo che questa è…- quasi gli mancarono le parole – È una questione d’onore!- terminò Meat respirando profondamente. Cominciava a sentire tutta la stanchezza del lungo viaggio e il suo corpo cominciava ad allentarsi dopo quel grande sforzo che era stato parlare ai Mask.
 
Calò il silenzio, nel quale la tensione andò a stemperarsi ora che le carte erano state scoperte.
 
Kevin Mask prese l'ultima boccata di fumo, per poi alzarsi e andare a gettare la cicca nel camino davanti al quale si fermò, conscio che quella sarebbe stata l'ultima, poggiando poi un braccio sull'architrave. Ora toccava a lui parlare.
 
-Una questione d'onore dici…- cominciò pacato – A me sembra ben altro!- disse con forza. Ciò che  Kevin Mask aveva percepito (e anche Meat a dirla tutta), oltre all' “offesa” in sé da lui perpetrata, egli riconosceva un segnale molto forte da parte dei suoi colleghi: quello di esclusione dal loro gruppo e di rifiuto totale di essere guidati da lui, tanto che stavano cercando di farlo fuori mettendo in campo uno dei loro membri più forti dopo Kid Muscle, che guarda caso era anche la parte “lesa".
 
“Strano che conoscano così bene gli articoli, e io che credevo che a stento sapessero leggere. Mio padre deve averli istruiti bene… ” pensava ironico Kevin Mask, convinto inoltre che dietro di loro ci fosse sicuramente un burattinaio più esperto che li guidasse.
 
È difficile accettare che un ex D.M.P possa diventare Capitano della sua diretta avversaria…Intollerabile! Certe cose Kevin le conosceva bene, essendosi formato in parte con il codice della strada con il quale era cresciuto, e in parte con la “buona” società, fatta di apparenze, menzogne e pregiudizi, in cui era nato.
 
-Ma non starò qui a spiegare cosa penso davvero, perché tu negheresti, cercando di farmi cambiare idea- riprese. Kevin considerava Meat un tipo troppo attaccato alla squadra e troppo idealista per accettare l'esistenza di certi sotterfugi. Il piccolo Kinniku cercò di ribattere, ma fu fermato da un gesto della mano del rampollo di casa Mask -Accetterò, non ho altra scelta. Non vi temo, non temo nessuno di voi, e che vi piaccia o no, una volta schiacciato Terry Kenyon sotto i miei stivali, sarò il Capitano della squadra!- terminò veemente, quasi come se fosse una minaccia. Se non avesse combattuto o fosse stato sconfitto, sarebbe stato sollevato dal titolo di Capitano, e pur se questo gli pesava non voleva perderlo e non voleva coprire di vergogna il proprio nome.
 
Perché in fin dei conti, anche per lui questa era diventata “una questione d'onore"…

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Capitolo 5
*** Strife ***


Kevin's P.O.V

Labbra spaccate dal caldo secco e pelle scottata dal sole già in prima mattinata. Niente di meglio per cominciare quel dannato incontro. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso da quel ranch perso tra le rotolanti balle di salsola e tempeste di sabbia rossa. L'unica cosa che davvero riuscivo ad apprezzare di quel posto era la mandria di splendidi Mustang che Terryman allevava, per quanto quella veloce e libera razza di cavalli si potesse domare.

Respirai profondamente, mentre tendevo le corde del ring in un esercizio di stretching. Chiusi gli occhi, e cominciai a concentrarmi. Non sarebbe stato un incontro difficile, ma mai sottovalutare l'avversario, per quanto debole esso sia.

-Non sottovalutarlo, Kevin… perché noto qualcosa di strano in lui- mio padre, al mio angolo, riprese i miei pensieri. Chi l'avrebbe mai detto che l'uomo da cui ero sempre fuggito, un giorno diventasse il mio trainer. Difficile da ammettere, ma sentire la sua presenza alle mie spalle, andava ad accrescere la mia forza interiore , la stessa che Warsman mi aveva fatto scoprire.

Warsman…come un fantasma, appariva nei miei pensieri. Questo sarebbe stato il mio primo incontro senza di lui al mio angolo.

-Si…l'ho notato anche io- risposi guardando sottecchi il mio avversario all'angolo opposto. Terry the Kid sembrava essersi messo in forma in quegli otto mesi (fin troppo per il suo livello di Chojin), e il suo sguardo accigliato non prometteva altro che odio. 

Tanto meglio, non mi è mai piaciuto vincere facile.

-Continuo a non capire perché tu non abbia voluto indossare l'armatura- continuò il mio nuovo coach. Era rigido, marziale ma al contempo sicuro di raggiungere il nostro successo. Onestamente, anche se non l'avrebbe mai riconosciuto, era anche preoccupato.

Ero pur sempre suo figlio, che tra non meno di cinque minuti avrebbe combattuto all'ultimo sangue su di una pedana quadrata, per la gioia delle tasche dei Mac Mad, che seduti al loro tavolo sotto a un gazebo, a sorseggiare drink ghiacciati, freschi nei loro candidi kandora, gongolavano per tutta l'audience che avrebbero avuto, dato che non era stato il loro ultimo pensiero  pubblicizzare questa incresciosa circostanza. Si sa, intrighi e pettegolezzi fanno sempre gola al pubblico.

Angustie genitoriali a parte, entrambi eravamo consapevoli di essere lottatori, e la nostra vita non avrebbe avuto senso se privata di ciò che ci rendeva tali: il wrestling, di cui facevano parte anche quella serie di grotteschi combattimenti,  a cui un povero Chojin della Muscle League come me era costretto ad affrontare.

-Quella la conservo per le grandi occasioni, non la spreco per questi grezze usanze da retrogradi  sfaccendati- e anche fuori di testa, aggiunsi mentalmente. Parliamoci chiaro, io ero il princeps dei wrestler della Muscle League, come gli era saltato in mente a Terry di sfidarmi. Aveva forse intenzione di suicidarsi per il tradimento della sua donna? Ma andiamo… l'aria che tirava quel giorno, era che nessuno di loro poteva e voleva sopportarmi, cosa confermata dal fatto che tutti gli amichetti del cuore di Terry erano pronti a sostenerlo, uniti spiritualmente a lui nel tentativo di farmi fuori. Poveri idioti…

Avevo però indossato un elmo nuovo, del medesimo colore degli altri ma di una lega di ferro più leggera, ugualmente resistente . Inoltre, all'interno di questa avevo voluto fatto incidere in oro il motto della mia famiglia: “Luceo, non uro"*. Risplendo, non brucio; motto che i miei antenati avevano creato riferendosi sicuramente al Mealstrom Power.

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-39° C/102°F qui al Ranch di Terryman ad Amarillo, nel grande Stato della Stella Solitaria! Qui, Mac Metaphor-

-E io sono un sudatissimo Doc Nakano!- furono le introduzioni dei due immancabili commentatori di wrestling, i quali come i Mac Mad avevano il proprio tavolo coperto da un ulteriore gazebo allestito da Terryman, il quale , per gli spettatori, che consistevano nella New Generation e in quella buona parte della popolazione di Amarillo non impegnata nei pascoli del bestiame, aveva disposto delle panche di legno.

I maggiori esponenti delle League invece erano seduti su degli scranni, e coperti da un tendone provvisto di aria condizionata, comprato apposta per l'occasione, insieme ai palloncini, confetti e regalini acquistati da Natsuko nel caso si dovesse festeggiare la vittoria di suo figlio e del riconquistato onore. Anzi, ne era quasi certa (nonostante quel ragazzaccio di un inglese fosse, come al solito, il favorito) vedendo nel figlio una carica diversa…quasi inquietante.

In ogni caso, sarebbe stata pronta a fare il tifo per il suo bambino, e allo stesso modo avrebbero fatto i suoi amici che contavano su di lui. Terry avrebbe rotto le ossa a quel tracotante Sassenach, e gli avrebbe fatto capire quanto valesse la vera New Generation, diversamente da lui “redento". Tali premesse, confermavano dunque l'idea che si era fatto Kevin Mask su tutta quella storia. D'altro canto, Trixi se ne stava seduta lì sulla panca, in disparte con le sue amichette, senza quasi rendersi minimante conto di ciò che stava accadendo intorno a lei, come se lei non centrasse niente con la situazione.

-Pensi che questo sarà un “Mezzogiorno di Fuoco”, Doc?- chiese Mac al collega, citando il famoso cult western degli Anni Cinquanta.

-Direi che per il caldo che fa, e per il motivo della disfida tra i due Chojin, il ring si incendierà tra non molto!- constatò Nakano, aggiustandosi gli occhiali per scrutare meglio i due combattenti, intenti negli ultimi riscaldamenti.

-Ed ecco che la splendida Jacqueline Mac Mad fa il suo ingresso in scena!- 

La rossa Kinniku saltò le corde del ring, e mentre salutava i fan e conquistava il centro , fece un occhiolino malizioso a Kevin Mask, il quale non la degnò di uno sguardo, quasi preoccupato di dover restituire l'onore anche a quest'altra, con la quale c'era stato qualcosa di molto peggio che un paio di “Margarita”…

-Salve a tutti amici! Oggi siamo qui per rimediare a un torto subito con il più antico rimedio del mondo… un duello all'ultimo sangue!- disse entusiasta la rossa presentatrice.

-All'angolo nero, “perfetto come un angelo, spietato come un demone", Kevin Mask! – disse allungando il braccio verso il suddetto.

-Cosa ne pensi Doc del Team Mask?- chiese Mac, già intuendo la risposta.

-Sicuramente una sorprendente intesa tra padre e figlio, ripensando ai loro precedenti. L'esperienza di Robin Mask unita all’energia di Kevin, non saranno di certo un muro facile da scavalcare per Terry…anzi direi: Invalicabile!-

-All'angolo rosso, il cowboy che combatte per una contesa  passionale, Terry Kenyon!- disse indicando l'angolo opposto di Kevin Mask.

-Io vedo un Terry Kenyon pronto per la scalata Doc. Sembra essersi allenato molto in questi mesi- commentò Metaphor.

-Certo la forma fisica è impeccabile e di grinta ne ha da vendere, glielo si legge in faccia. Ma se vuole vincere dovrà usare la testa, soprattutto quella di Meat!-

-Io la tua testa Doc, la userei come palla la bowling tanto che è liscia- concluse Mac.

All'angolo rosso Meat stava dando gli ultimi consigli a Terry prima che cominciasse il match, o almeno ci provava. Terry sembrava essere fuori di sé, estraneo a tutto ciò che lo circondava.

-Mi stai ascoltando ragazzo?!- e Meat che pensava che Mantaro fosse il suo pupillo più problematico! Terry non le degnò neanche di uno sguardo o di un cenno di assenso, così come aveva fatto per tutto il tempo degli allenamenti. Qualcosa qui gli puzzava…e non erano i calzoncini di Kid, o l'alito di pesce di Wally Tusket, che in questo momento erano seduti uno accanto all'altro a scambiarsi le figurine dei Chojin. (Tentativo del dolce  Wally di sollevare Kid almeno per un po', che in quel giorno era più nervoso del solito).

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Kevin's P.O.V

-Un ultimo consiglio, padre?- dissi carico, volgendo lo sguardo verso di lui.

-In un combattimento non vince chi ne dà di più, ma chi ne prende meno…- rispose glaciale a braccia conserte.


 Pochi secondi dopo la campanella squillò e feci un bel respiro pronto per combattere.

Mi posizionai nello schema di difesa numero sette, con spalle e bacino morbidi pronti per la rotazione, cominciando a parare i potenti pugni di Terry che fendevano l'aria. Forti ma…imprecisi. 

I suoi amichetti del cuore dal basso cominciarono a incitarlo, urlando il suo nome e preso da un impeto di adrenalina, colorò la sua scarica di pugni con un backfist.

Parai e bloccai il suo braccio, poi ruotando lo portai dinanzi a me e eseguii una suplex tedesca.

Si rialzò velocemente -Mi sto solo riscaldando Kevin Mask!- disse assestandomi un calcio ad ascia sulla spalla, facendomi barcollare. A questo seguì un suo tentativo di calcio in pieno petto che io parai con un fluido movimento circolare degli avambracci, tipico degli stili interni delle Arti Marziali cinesi. 

Aggrottò le sopracciglia stupito, mentre io sogghignai. Gli ricordava qualcosa, certo che si, ovvero: tutte le lezioni alla Scuola di Ercole durante le quali sputava noccioline in testa a Kid Muscle, invece di seguire.

Attaccò ancora, cercando di afferrare la punta del mio elmo per eseguire sicuramente la sua tecnica di famiglia  speciale, la “Marchiatura del vitello", ma la sua agilità  venne meno.

Si, forse stavo cominciando a capire cosa avesse di strano…

Approfittai della sua perdita di equilibrio per colpirlo con una serie di gomitate sul cranio, che lo mandarono in ginocchio sul tappeto, ma in ogni caso non sembrava avere segni di stanchezza.

-Ti ricordavo più forte, Kenyon- provocai facendo un paio di passi indietro, mantenendo la guardia alta – prossimo schema, padre?- 

-Quello che preferisci- fu la risposta secca del mio angolo. Sogghignai e andai alla carica, massacrandolo di calci al viso, mentre i suoi amichetti continuavano a incitarlo costantemente.

Li ignorai, nella pura convinzione di aver trovato il suo punto debole. -Non mi fai nulla, Kevin Mask, i tuo colpi non mi hanno scalfito! Io mi sono allenato in questi mesi, non come te che ha dormito sugli allori della gloria pensando che nessuno potesse venire a scalfire il tuo bel titolo! Inoltre, hai disonorato il Chojin sbagliato…me la pagherai per questo! - urlò alzandosi e alzando la guardia.

-Ti sbagli, Texano.- risposi calmo e glaciale – Perché quando si arriva al top, o si continuano a scalare le stelle, o si cade giù  nel baratro dei perdenti.- dissi schivando la sua presa. – Ma questo non è un tuo problema, dato che dal fondo non sei mai risalito…- bloccai il suo contraccolpo con un calcio circolare che lo spinse verso il centro .  

Lo afferrai dalle spalle chiudendo le sue braccia in una morsa. -Presa della Scimmia con Salto mortale!-

-Cosa…?-


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-Se gli occhi non mi ingannano Doc, quella è personalissima Suplex di  Ramenman!- commentò Mac, unendosi allo stupore di tutti gli spettatori.

-Non ti sbagli Mac. Kevin Mask, per entrare ufficialmente nella Muscle  League ha dovuto affrontare lo stesso percorso di studi degli altri. Brillantemente aggiungerei, visto che lo ha terminato in meno di una settimana con ottimi risultati. Si dice che abbia combattuto e messo al tappeto tutti  gli addestratori della Vecchia Guardia- concluse Nakano, continuando a vedere la pioggia di colpi che i due atleti si stavano scambiando.

-Terry Kenyon sembra però non aver accusato nessuno colpo di quelli inferti da Kevin Mask, eppure non sembra che il Campione gli stia facendo le coccole!- replicò il collega.

-Forza figliolo!- esultò Natsuko. -Terry- riprese poi rivolta al marito – perché sei seduto lì con il broncio e non fai il tifo per tuo figlio?!- chiese stizzita.

Terryman aveva il suo cappello da Cowboy ben calato sulla fronte che alzò per rispondere alla moglie. – Perché qualcosa non va, e prego tutti gli spiriti di questa terra che non sia come penso- L'uomo, oltre a essere in principio in  disaccordo con il figlio sul combattere quell'incontro, sentiva che non tutto stava andando nel verso giusto, che qualcosa in Terry non andava.

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Kevin's P.O.V
-Sai cosa dice tuo padre di me…- continuai a stuzzicarlo nei suoi punti più deboli, mentre paravo i suo colpi. – “Robin, tuo figlio è un Mustang poderoso e incontenibile”– dissi mentre lo stringevo in una presa al collo di sottomissione a terra, facendolo andare su tutte le furie per quel complimento che il padre mi aveva riservato. Terry aveva sempre avuto quella gelosia morbosa verso suo padre, che lo rendeva così infantile e instabile.

-Terry, ti decidi a usare la tecnica di liberazione che ti ho insegnato, o aspetti di diventare blu come il Grande Puffo?!- urlò il piccolo Meat dal suo angolo, da cui si era sgolato per tutto l'incontro senza che Terry ascoltasse uno dei suoi consigli.

L'ultima ammonizione sembrò però risvegliarlo, tanto da riuscire a ricordargli come uscire da quella semplice presa, sgusciando via dalle mie gambe che gli stringevano la testa.

Subito si rialzò e prese aria boccheggiando e allontanandosi verso il suo angolo. – Ora ti decidi ad ascoltarmi per una buona volta Terry?! Hai voluto tu questo macello, cerchiamo di non uscirne morti- lo ammonì il suo coach.

-Pagherà per quello che ha fatto…- ansimò -e non diventerà mai il mio Capitano…- concluse mantenendosi alle corde e continuando a consultarsi con Meat.

“Ancora…” pensai sbuffando. Stavo cominciando a perdere la pazienza con quel tipo lì, e anche con il resto dei suoi amici che continuavano a esultare il suono nome. Ho capito la “Forza dell'amicizia", ma non è solo con quella che si vincono gli incontri, Kid Muscle ne era l'esempio vivente.

Ciò che distingue il vincitore dal perdente,  è l'uso del cervello e poi della forza bruta.

In quel momento ci trovavamo in una situazione di stallo. Combattevamo, ma nessuno dei due aveva la vinta sull'altro, sia perché su dieci colpi suoi ne andavano a segno due, imprecisi e poco efficaci, e sia perché, dovevo ammetterlo, non volevo fargli davvero del male, poiché già da solo se ne era fatto tanto a voler per forza combattere quell'incontro.

Il sole cominciò a scottare ancora di più e si piantò su alto nel cielo, segno che era quasi mezzogiorno. Sì, stavamo per entrare in un girone infernale. Avrei voluto terminare quell'incontro solo per gettarmi un secchio di acqua gelata addosso.

-Ci vorrà ancora molto, padre?- chiesi al mio trainer che per guardarmi mise una mano davanti agli occhi  per pararsi dal sole.

-Non molto- rispose -Ora sta parlando con Meat, ma non gli darà retta…- guardò la coppia avversaria all'angolo – Appena attacca, non muoverti- 

Non muovermi… mi fidavo e l'avrei fatto, sperando che a mio padre il sole non fosse andato alla testa.

Feci un grande respiro, poi vidi Terry balzare verso di me come un toro scatenato, ignorando le urla di Meat. In quei pochi secondi sentii i battiti del mio cuore esplodere nelle vene, ma resistei all'istinto di agire piantando i piedi a terra.

Mio padre aveva ragione, era finita. Tutta la foga che voleva riversare su di me andò a finire nel palo, confermando i sospetti di molti di noi.

-È finito dell'effetto degli steroidi, Terry Kenyon? – annunciò severo e irritato mio padre. -Guardati, non sei più padrone di te stesso! È questo che ti abbiamo insegnato alla Scuola di Ercole?!- 

Magari avesse fatto abuso solo di steroidi. Terry Kenyon si era fatto chissà quale cocktail di doping per arrivare al livello di perdere le sue funzioni cognitive…dannazione, poteva andare peggio di così quella sottospecie di incontro?

-Sei una vergogna Terry Kenyon- sibilò mio padre verso il suo allievo che si teneva forte la testa, come se volesse staccarsela.

-Meat… aiutami, maledizione!- urlò verso l'allenatore che rimase zitto nel suo angolo. Probabilmente lo aveva capito da prima anche lui, ma non aveva voluto crederci fino a quando non aveva avuto le prove lampanti. Ora, il texano invocava il suo aiuto, ma anche il piccoletto aveva un po' di amor proprio, che gli impediva di continuare a sostenere il suo protetto.

Aveva voluto vincere a tutti i costi…ma non è così che si vince.

-Rialzati amico mio!- gli urlò Dik Dik disperato , quasi volendo negare l'evidenza di quei fatti.

-Per ciò che hai fatto, è meglio se cominci a strisciare ora e poi per tutta la tua vita- dissi scostandomi da lui e incrociando le braccia disgustato. Non lo biasimavo, per nulla. Nella mia vita anche io avevo giocato sporco, alleato con personaggi della peggior specie, ma non mi  ero mai dopato, perché avevo sempre pensato che chi ricorresse a certi mezzi fosse nient'altro che un vile perdente, che non crede nelle proprie capacità e si sente meno di zero.

Guardai il pubblico, tutti tacevano, persino quella gallina di sua madre che fino ad allora era convinta della vittoria del figlio. Terryman invece era scuro in viso, tormentato da un senso di vergogna che gli stava divorando l'anima.

-Credo che l'incontro possa terminare qui, visto che Terry dovrà essere squalificato per questo…- annunciò Ramenman scendendo la proprio scranno e avvinandosi al tavolo di Ikemon, il quale non si era smosso per nulla, anzi, gongolava ancora di più per l'audience che avrebbe fatto quel colpo di scena.

-No Ramenman, questo tipo di incontro non può essere sospeso. L'articolo parla chiaro, finché nessuno dei due wrestler si arrende o viene sconfitto , l'incontro non può essere sospeso per nessun motivo- rispose glaciale lo stesso presidente Mac Mad. -Non appena scenderà di lì, sarà tutto vostro, ma fino a quando resteranno in piedi entrambi, nessuno può fermare tutto ciò-

-Ma è una follia!- sbraitò Buffaloman alzandosi di colpo e gettando all'aria il proprio scranno.

Una follia…una grandissima presa per il culo! Che cazzo di regole erano quelle, giacché ci siamo tiriamo fuori i coltelli e le pistole. Sbuffai, e guardai papà nella speranza (incredibile ma vero) che mi dicesse cosa fare. 

Mentre al tavolo della Campana continuavano a discutere, il mio avversario, che fino a quel momento non aveva percepito nessuno dei miei colpi, ora era a terra stremato a contorcersi in indicibili dolori alla testa, effetto collaterale di chissà cosa si era messo in corpo.

Mentre lo guardavo, mi scervellavo sul da farsi. Date le attuali condizioni, non avrei impiegato più di venti secondi, per metterlo definitivamente K.O, e la tentazione, lo ammetto, era molto forte e incitata dal tifo che facevano contro di me…

Ma non lo avrei fatto. 

Nella mia vita avevo preso una decisione: entrare nella Muscle League, e farne parte significava adattarsi alle loro regole e credere, o almeno sforzarmi di farlo, nei loro valori. Per me, farne parte, significava essere un uomo diverso, un uomo nuovo, distante da un'infanzia oscura e da un’adolescenza sediziosa.

-Io mi rifiuto di combattere con un avversario ridotto in queste condizioni- fu la mia risposta definitiva. Non sarei tornato a prevaricare sugli altri, a cercare di distruggere il mio prossimo approfittando delle sue debolezze. Soprattutto in un incontro del genere, figlio di un incoscienza scaturita da una rabbia eccessiva. No, io non ero più così. Non ero più un D.M.P. -Non sarebbe sportivo per entrambi- le Leggende annuirono.

-Non sarebbe cosa?!- urlò Ikemen allibito, troppo abituato a vedermi massacrare gli avversari. -Dimmi un po' Kevin Mask, hai forse preso un’insolazione a causa del ferro rovente che hai sulla testa?- 

-Ha capito bene, signor Mac Mad. Non combatterò- ripresi fermo incrociando le braccia al petto. Mi voltai verso mio padre, curioso di vedere la sua reazioni. Era impassibile,  nella mia stessa posizione a braccia conserte e mantenendo sempre il suo alto contegno. Non commentò, perché rispettava la mia decisione.
Ikemen continuò a sbraitarmi contro. Poteva urlare quanto voleva, tanto non mi sarei mosso. Non ero una marionetta, che si muoveva con i fili.

Terry intanto, ancora sofferente, cercava le corde per mettersi in piedi, dato che il conteggio dei dieci secondi era cominciato, per volere del Presidente Vance Mac Mad, il quale, contrariamente ai capricci del figlio, aveva intuito che quella storia doveva finire.
 
Sei…
Terry perse la presa sulla corda  e ricadde. Era pietoso, tanto che mi avvicinai a lui per aiutarlo,  come segno di pace, unicamente per allenarmi a essere un buon Capitano e per un’irreprensibile  spirito di Fair Play anglosassone, sottolineando ancora di più la spaccatura con il mio vecchio me.

-Forza, Kenyon.- dissi tirandolo su per le ascelle – finiamola qui- si irrigidì.

-Io non mi arrenderò mai contro uno come te, che non sarà mai uno dei nostri ma sempre e solo uno sporco D.M.P- e dopo queste parole non sentì altro che un freddo pungente all'altezza del fianco. Poi il calore del sangue che cominciava a colare…

Caddi in ginocchio, lottando tra l’incoscienza e una crescente scarica di adrenalina.
 
Nella mia testa, mentre prendevo i suoi colpi, mi vorticarono immagini varie, ricordi: Londra, le bande criminali, la pioggia…

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Kid's P.O.V
-No!- urlai a squarciagola alzandomi di furia. -Basta!- scappai poi vicino al ring.

-Kid!- mi chiamò Meat ma io non ascoltai. Tutti erano sotto shock. Terry aveva pugnalato Kevin con un coltello che aveva nascosto addosso, e adesso che Kevin era a terra in ginocchio quasi privo di sensi, lo stava riempiendo di calci all'inguine e al volto.

Non era Terry, no…era completamente fuori di sé. E tutto questo era per colpa mia, solo per colpa mia. Cominciai a singhiozzare rumorosamente…

Flashback 
Era una sera tranquilla quella in cui i ragazzi vennero a bussare alla mia porta. Erano tornati da poco dal loro periodo di licenza, e adesso avrebbero dovuto riprendere gli allenamenti e tutte le loro attività di Chojin della League (cioè bighellonare e andare in cerca di fan con cui divertirsi). Anche io in realtà, ma non ne valeva tanto la pena…così come non valeva la pena di uscire insieme ai miei amici quella sera. 

Avrei di gran lunga preferito richiudergli la porta in faccia e andare a dormire, ma dato che Meat mi incitava ad uscire e i miei amici mi stavano letteralmente tirando fuori di casa, decisi di uscire con loro, ma di malavoglia e sbuffando.

Perché le persone non capiscono? Io volevo rimanere solo e non buttarmi nella chiassosa movida di Tokyo a far danno e chiasso insieme a loro, non mi andava…davvero.

-Muoviti Kid! Le ragazze ci aspettano!- gridò gioioso Terry in testa al gruppo di amici.

Si certo, le ragazze…ragazze…Trixi, e ricordai che pochi giorni prima l'avevo incontrata giù da Kevin Mask. Guardai Terry, ma rimasi in silenzio, sarebbe stato meglio non parlargliene e dimenticare. 

Decidemmo, anzi,  decisero senza interpellarmi, come sempre, di andare nel solito karaoke del quale eravamo clienti affezionati. 

-Dai Kid, stasera ci divertiremo!- disse Wally abbracciandomi da dietro. Quanto volevo bene a Wally…sorrisi piano, ma senza convinzione. Sorridere era così…strano, lontano dal mio stato d'animo.

Entrammo e  sedemmo sui divanetti disposti a cerchio. Nessuna delle ragazze mi rivolse la parola, gli  facevo schifo prima, figuriamoci ora. Se in passato mi stavano dietro, era solo perché ero un vincente, ma ora quali motivazioni potevano avere? Nessuna…

Dik Dik intonò un duetto con CheckMate, e quell’attività che prima mi divertiva tanto, adesso la trovavo ridicola e fastidiosa. Tutti ridevano, ma a me faceva venire il mal di testa. Incrociai gambe e braccia, guardando in terra, sperando che quella tortura finisse quanto prima, ma così non fu…

Dopo avermi stordito con le loro stonature, i miei amici ordinarono da bere e da stuzzicare qualcosa. Io non mangiai nulla, avevo troppa nausea e un continuo senso di malessere.

-Come stai Kid?- esordì Kiki seduta in braccio a Jaegar, una volta che non ebbero più argomenti da mettere in mezzo. Ma grazie per la considerazione…davvero, grazie mille.

“Come potrei stare secondo te, stronza?” avrei voluto risponderle, ma avrei rovinato la serata. -Bene.- risposi secco.

-Da quanto non ci vediamo?- chiese Trixi ridendo.

-Dall'altro giorno, sotto casa di Kevin Mask- risposi con noncuranza. La mia risposta creò un boato di assordante  silenzio, e in questo compresi la gravità delle mie parole. 

...si, ero un cretino. Non avrei dovuto parlargliene, e invece lo avevo fatto, d'istinto, senza riflettere. Ma che diavolo mi aveva preso? E menomale che dovevo dimenticarlo! Speravo che Terry non avesse capito, ma in realtà avevano già  cominciato a litigare.

Avevo fatto un mastodontico disastro. Cavolo, cavolo, cavolo. Nascosi il viso tra ginocchia e mi tappai le orecchie, i sensi di colpa mi bruciavano l'anima e le urla di Terry mi martellavano il cervello.

Volevo scomparire…

-Lo ammazzerò quel bastardo! Cosa pensa? Che avendo vinto tutto gli sia concesso? Si sbaglia!- urlò Terry dando un pugno nel muro, che si crepò.

-Her Kenyon ha ragione! Kevin Mask si sente Dio sceso in terra! Dagli una bella lezione Terry- lo incitò Jeagar.

-Signori, l'offesa è grave, ma non scaldiamoci così tanto. La situazione può risolversi in altro modo… Egli diventerà presto  il nostro Capitano…- CheckMate cercò di attenuare i bollenti spiriti dei due.

-Neanche per sogno!- Terry era davvero fuori di sé, non lo riconoscevo. Tutti sapevano quanto tenesse alla sua relazione con Trixi, che era scappata piangendo. Sicuramente Terry non avrebbe risolto la questione davanti a una tazza di thè.  -Pagherà per quello che ha fatto, gli strapperò l'onore così come lui ha fatto con me. Lo sfiderò a duello, è così che si risolvono le questioni dalle mie parti- pazzo, era completamente fuori di sé. Che speranze poteva avere contro Kevin, che neanche io, con l'Ultimate Muscle ero riuscito a vincere.

-Ja! Facciamogli capire che uno come lui, non potrà mai essere uno dei nostri…- 



Strinsi le dita nei palmi fino a sbiancarle e abbassai la testa. Non volevo vedere quell'incontro e il  bagno di sangue che era diventatato, dato che la ferità di Kevin sanguinava copiosamente sporcando il tappeto.

Io non avrei mai voluto una cosa del genere, nulla. Terry era mio amico…Kevin era un mio amico. Non volevo che si ammazzassero a vicenda, o che arrivassero al punto di barare in quel mondo come aveva fatto Terry, che alla fine aveva fatto più male a sé stesso che al sul nemico.

E tutti ciò che stava facendo era ingiustificabile…sbagliato! Alzai la testa e mi morsi un labbro. Tutti fino a quel momento erano stati dalla parte di Terry, ma ora era calato il silenzio, un silenzioso che io stesso avrei rotto.

-Forza Kevin!- urlai a pieni polmoni. Per quanto avesse potuto sbagliare nei confronti di Terry e per quanto fosse caliginoso , non meritava tutto questo astio, perché sotto la maschera c'era una celata bontà, una bontà che avevo conosciuto e che aveva dimostrato anche ora, quando tutti gli erano andati  contro.

E se nessuno lo sosteneva, lo avrei fatto io. In realtà però il mio tifo risultò quasi superfluo, perché Kevin  più colpi prendeva e più luce emanava il suo corpo. Nonostante ciò,  continuai a urlare forte il suo nome, ignorando il silenzio e l'orrore che aleggiavano nell'aria.

Kevin Mask alzò piano la testa, e con calma glaciale blocco il piede di Terry che stava per colpirlo ancora una volta. Si alzò con una forza sovraumana, risplendete di luce  come il figlio del sole che ora picchiava sulle nostre teste, e prendendolo per la caviglia lo lanciò brutalmente in aria, pronto per terminare nel modo in cui aveva fatto di tutto di evitare.

Come una visione mistica , con il pugnale da caccia ancora conficcato nelle carni, si scagliò contro Terry, lo afferrò saldamente, ed eseguì, fatale, la sua tecnica di chiusura: “Colpo del Big Ben”.
Una volta a terra, Kevin lasciò Terry stramazzato al suolo con la faccia rivolta verso il tappeto. Si alzò, ancora luminoso, incurante del dolore, per poi afferrare il suo avversario per i capelli. Ebbi paura per Terry, speravo che non facesse la fine di Turbinsky, che Kevin non scatenasse la sua ira cieca e tremenda. Tirando la ciocca di capelli l'inglese lo porto al livello della sua faccia e gli gridò, come un animale che impone la sua forza - I'M YOUR CAPTAIN!- chiaro e inequivocabile. Lasciò la testa di Terry sbattendola al tappero.
Oltre al conteggio, non si udì più nulla. Era finita, stavolta davvero…

La figura di Kevin cominciò a ritornare normale, e affannando, ma a testa alta, si avvicinò verso le corde. Non appena la campana rintoccò i tre colpi che segnavano la fine dell'incontro decretando la vittoria di Kevin, Robin Mask si fiondò sul ring in soccorso del figlio,  mentre i paramedici cominciavano ad occuparsi di Terry.

Entrambi erano ridotti male, e non sapevo a chi dei due avvicinarmi. Temevo per le loro vite, e per il loro futuro. Mi sentivo afflitto…pensavo che entrambi mi odiassero.  

-Padre, vi prego …toglietemelo…- udendo la sua voce flebile, mi voltai verso Kevin Mask assistendo a una scena che non dimenticherò mai. 

Robin Mask mise la mano sul pugnale che trafiggeva il figlio, ma tremava. Non l’avevo mai visto così atterrito. Non aveva il coraggio di estrarre il pugnale dal ventre del figlio, e Kevin accorgendosi di ciò,  posò la sua mano su quella del padre stringendola e tirandoselo via lui stesso con le ultime forze, per poi accasciarsi tra le braccia di suo padre spuntando un conato di sangue…


Era tutta colpa mia!





*motto della famiglia Mackenzie della saga “Outlander" di Diana Gabaldon.

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Capitolo 6
*** Atonement ***


Un respiro. Poi un altro più profondo. Il regolare battito del mio cuore  sussurrava nelle orecchie, e il mio corpo era ancora intorpidito.

Sentii sulla mia mano il contatto leggero con un'altra, simile alla mia, e d'istinto la strinsi forte, sospirando poi per il dolore che cominciava a destarsi.

Aprii piano gli occhi e vidi il possessore della mano sussultare  e destarsi anche lui da uno spossato dormiveglia. 

Posò il suo sguardo nei miei occhi, e accentuò l’unione dei nostri palmi. Poi delicatamente, accostò la mia mano alle sue labbra e la baciò dolcemente pungendola con la sua barba incolta, come simbolo di un amore non ancora espresso e conservato nello scrigno del suo cuore. Un amore del quale capivo ogni giorno di più di avere un disperato bisogno, nonostante fossi oramai un giovane adulto. -Buongiorno…- disse.

-Padre…- mi passai una mano sulla fronte, iniziando a ricordare gli avvenimenti che mi avevano portato in quel letto d'ospedale, e ogni scena era come un chiodo battuto nella mia testa. Mormorai un'imprecazione, poi riguardai di nuovo mio padre, in condizioni davvero insolite per lui.

Si era sempre presentato in una maniera a dir poco impeccabile: barba fatta, profumo di ginepro con note di zagara e benzoino di Sumatra, abiti puliti e stirati alla perfezione.

Ora invece lo vedevo sfatto, con la camicia pieghettata, sbottonata e con le rughe del suo volto più evidenti.  

-Siete rimasto qui per tutto il tempo?- chiesi con voce rauca.

-Non volevo lasciarti solo, Kevin. E poi, avevo bisogno di espiare la mia costretta inettitudine, l’impossibilità, per quanto il mio cuore di padre mi avesse esortato a salire sul ring, e sfracellare le ossa del tuo avversario, dopo quell'atto indegno-  confessò abbozzando un mesto sorriso. Aveva gli occhi lucidi e arrosati. E quel fiume di parole, mentre mi teneva stretta la mano, indicava in lui una sofferenza che non riusciva a celare. Ma legge era uguale per tutti, e un suo intervento durante l'incontro avrebbe generato un disastro peggiore di quello.

-Padre…- sussurrai.  

-Mi dispiace, ma nonostante abbia trascorso tutta la mia esistenza a combattere, ad assistere a tanta violenza gratuita, al sangue e alla guerra, nonostante io abbia visto gente morire sul ring…- prese un pausa stringendo le labbra – Non riesco a vederti sul ring in quel modo, tra la vita e la morte nelle mie braccia. Ho la forza di mille uomini ,ma non quella di perderti di nuovo, di venire meno ancora una volta alla promessa che ho fatto a tua madre…- disse con fil di voce, vedendo cadere dinanzi a sé  il rinomato orgoglio, la compostezza e la misura: i pilastri del suo carattere. Chiuse gli occhi, poggiò la testa su entrambe le mani e sospirò. In quel momento della mia vita, mi resi conto delle piccole fragilità di un grande uomo . Tutti gli  eroi avevano il loro tallone di Achille, Robin Mask compreso.

Non sapevo cosa dirgli, qualsiasi cosa sarebbe stata superflua difronte a quella confessione a cuore aperto, alla cosa più bella che mi avesse mai detto. Tempi addietro, avrei pensato che quella fosse debolezza… ma ora no, era diverso. Rimasi in silenzio, unico mezzo per comunicare tutto  ciò che sentivo: non mi sarei separato da lui, per nessuna ragione al mondo, al di là delle nostre divergenze e delle nostre incornate da cervi.

Avevo dormito molto, sentivo tutto il corpo indolenzito e non sapevo ancora cosa avesse provocato quella maledetta pugnalata. Ripensai alla faccia di Terry Kenyon, e di come mi sarebbe piaciuta fracassarla di pugni.

“Calma Kevin, ora non sei nelle condizioni di brillare come una lampadina alogena” dissi tra me e me. L'autoironia non l’avevo persa (per fortuna), nonostante l'incontenibile dolore al ventre, nel punto dove avevo ricevuto il colpo.

Non mi restava che scoprire ciò che aveva reso papà così afflitto, guardando al di sotto del lenzuolo bianco che mi copriva.

Ne afferrai un lembo e vidi come prima cosa, oltre alle mie nudità e alle varie ecchimosi, una cicatrice di circa quindici centimetrici, infiammata, bagnata di Betadine e con una sfilza di punti di sutura. La fissai attentamente. Grazie alle lezioni di anatomia di Warsman, capii che il pugnale non aveva intaccato organi interni, ma aveva sicuramente lacerato carne e muscoli, e quasi sfiorato una vena iliaca. Ebbi l'impulso di toccarla, ma mi trattenni. Non mi faceva impressione, ma pensare che appartenesse al mio corpo mi dava un forte senso di rabbia, perché non era solo una ferita ma… un tradimento, un affronto, una ripugnanza ingiustificatamente esorbitante nei miei confronti, un…un qualcosa che si poteva evitare, così come le ferite che sicuramente avevo provocato al mio avversario.

-A cosa stai pensando?- mi chiese papà, preoccupato per la mia espressione seccata. Deposi il lenzuolo, aveva già sofferto abbastanza per questa storia, forse più di me dal punto di vista spirituale;  non volevo continuare a svigorirlo. 

-Sto pensando a quale tatuaggio posso farmi fare per coprirla- risposi beffardo sorridendo con malizia. 

Lui mi guardò canzonatorio, per poi sogghignare divertito. – Hai la pelle dura tu…- commentò alzandosi dalla sedia  per prendere una boccata d'aria alla finestra della stanza asettica  ma luminosa.

-E il mio avversario?- chiesi curioso. Come minimo avrebbe dovuto avere la sospensione a vita dalla Muscle League: per il doping, per l’uso delle armi e per l'effettivo tentato omicidio. Che testa… Riflettendo però, capivo che non sarebbero stati troppo duri con lui, sia per un riguardo a Terryman, che aveva donato la propria vita al servizio della League, sia per un riguardo alle tasche dei Mac Mad, che senza Terry avrebbero perso fin troppa audience.

 “Una questione di vita o di morte questa audience” pensai ironico.

Papà scrollò le spalle -Non ne ho idea perché ho mandato tutti al diavolo- il che era un evento straordinario, date le sue responsabilità come Preside della Scuola di Ercole e Segretario della Muscle League (o “sbroglia documenti” come spesso definiva quel ruolo) .Poi incrociò  le braccia al petto -Te l'hi detto, non mi sono mosso un attimo dal tuo capezzale. Questo anche per contenere un'irrefrenabile necessità di spaccare la faccia a qualcuno- che dire, picchiare la gente era un affare di famiglia, e mio padre, che non saliva su un ring da tempo ormai, cominciava a soffrire della mancanza di quella che tutto sommato, era stata una valvola di sfogo.

Avrei voluto rispondergli, ma sentivo di avere la gola troppo secca per parlare, così cercai di allungarmi verso la brocca d'acqua sul comodino, ma il dolore mi stese. Strinsi i pugni fino a sbiancare le nocche: più aumentava il dolore e più sentivo la rabbia montarmi in corpo. 

“Maledetto Texano bastardo, maledetto tu e quella troia della tua ragazza…” avrei voluto urlare a squarciagola. Feci un bel respiro. L'unica cosa in cui speravo era che l'incontro con Terry facesse da monito a tutti coloro che avessero intenzione di mettersi davanti al mio cammino e di sopraffarmi. Gli avevo urlato in faccia:“I'm your Captain!”,  come se lo stessi gridando a ognuno dei membri della Muscle League…

Accorgendosi della mia necessità, papà si avvicinò al letto e mi versò lui un bicchiere d'acqua. -Sono felice che ti accontenti dell'acqua. Quando ti ho bagnato le labbra mentre dormivi,  nel sonno mi hai chiesto un Cuba Libre con doppio Rum- disse ridendo piano, e io insieme a lui, calmandomi e  sentendo l'atmosfera farsi più leggera.

Non ricordavo quella particolare frase, essendo stato perso tra sogni sconnessi , ma non era lontana dai miei gusti in fatto di drink.

-Vi ringrazio- dissi prendendo il bicchiere. Mentre bevevo guardai l'ora. Erano le sei dell'…otto agosto. Hm…mi ero svegliato piuttosto tardino.

-Hai dormito per tre giorni. L'emorragia è la cosa che ti ha stremato più di tutto, oltre alla febbre causata dal pugnale infetto - riprese piano mio padre guardandomi da capo a piedi,  per avere la conferma che quel terribile momento fosse passato.

Poi sogghignò. -Non ti aspetteresti mai l'identità del tuo donatore di sangue-

Inarcai le sopracciglia interrogativo. 

-Solo due Chojin della  Muscle League hanno il gruppo sanguigno 0 negativo. Tu e Kid Muscle- 

-Kid Muscle!- ripetei stupito da quel suo gesto.

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Kid's P.O.V

Di sabato mattina, solo tre persone possono venire a bussare alla tua porta : i testimoni di Geova, i bambini del parco che  hanno lanciato la palla dentro il buco del tetto e…

-Ciao papà…- dissi sospirando seduto sulla sponda del mio materasso. Mi strofinai gli occhi e poggiai la testa sul palmo della mano. Poi posai gli occhi sul suo solito sorriso inebetito. Un sorriso che però mi faceva stare bene, e uno sguardo che mi trasmetteva serenità.

Ogni sabato appena lo vedevo, la sua presenza inizialmente mi disturbava, per il semplice motivo che di quell'espressione bonaria ne avevo bisogno in tutti i momenti, e non solo il sabato.

Avevo bisogno che lui e la mamma  mi dicessero che andava tutto bene, che nonostante non avessi vinto loro erano fieri di me, che nonostante non fossi più il principe Kinniku mi amassero ugualmente. 

Ciò però non era possibile, non solo perché gli  era stato proibito di avere contatti con me , ma anche perché, nonostante cercassero di tenermelo nascosto, sul Pianeta Kinniku stavano per nascere focolai di rivolta contro la Corona, che sostenevo l'ascesa al trono degli altri Clan del pianeta, ora che non c'era più un erede…Che vada al Diavolo tutto il mio pianeta, un'erede ce l'avevano, me, e mi avevano cacciato via. Ben gli stava adesso che si massacrassero tra loro in una sanguinosa guerra civile!

Sbuffai e mi alzai, ma solo  per abbracciare un attimo mio padre, perché subito dopo mi risedetti al tavolo a gambe incrociate.

-Guarda cosa a preparato la mamma!- disse entusiasta sedendosi di fronte a me, e aprendo una tovaglia bianca a quadri blu, mostrò una ciotola doppia porzione di riso e manzo. Sorrisi… menomale che esisteva il riso e manzo. 

Meat portò dell'acqua a tavola con i bicchieri e si sedette a sua volta . -È sempre bello averti con noi, grande Re!- disse gioioso verso mio padre. Mai, non sarei mai riuscito a comprendere tutta quella ammirazione e devozione che il mio allenatore riservava a mio padre. SÌ,era un grande wrestler, un grande eroe. Un mito insuperabile… o semplicemente uno che nella vita aveva avuto fortuna. Sì, più  che un tipo forte e intelligente, lo avevo sempre considerato uno che nella vita aveva avuto molta fortuna. Fortuna di avere amici che lo adoravano, di avere una forza disumana e di avere Meat al suo angolo a fargli da cervello. Giudizio indebito a detta di molti e forse davvero mi sbagliavo, ma ora l’unica cosa importante era di godere dell'ultimo piacere della mia vita.

Incrociai le bacchette, pronto a gustare quel saporito e succulento piatto di carne e riso. 

Presi una fettina di manzo e presto ne assaporai il sapore squisito, l'aroma intenso controbilanciato da un gusto tenero. Solo la mamma sapeva cucinare il Riso con la ciccia così bene…

Chiusi gli occhi mentre masticavo, ma la maledizione del nodo in gola si ripresentò, in compagnia di un forte senso di nausea, non appena la mia mente formulò il pensiero della ferita grondante sangue e scarnata di Kevin Mask, e il setto nasale di Terry maciullarsi , dopo che l'inglese gli aveva sbattuto la testa contro il tappeto, tanto da sentire il rumore delle piccole ossa che si frantumavano.

D'istinto, per evitare un conato di vomito, sputai il manzo in un tovagliolo, lasciando Meat e mio padre sconvolti, tanto da azzittire il loro piacevole chiacchiericcio. 

Sospirai, bevendo un sorso d'acqua. Sudai freddo e tremai. Ansia, paura, colpa… tormento. La mia vita era un inferno già prima, figurarsi ora che  portavo sulle spalle il peso di ciò che era successo ai miei amici.

Come espiazione, avevo trascorso due notti accanto a Terry, nonostante lui cercasse di allontanarmi con insulti e anche con la forza che andava presto recuperando. E questo perché avevo fatto il tifo per Kevin Mask, al quale avevo donato il mio sangue, non curante delle leggi sacre  del mio pianeta che impedivano ai membri della famiglia reale quel genere di generosità, considerando il nostro sangue sacro e inviolabile, perché alimentato dalle “Sacre Acque di Wisdom", che solo noi potevano bere. (Ma come facevo a ricordare ancora tutte quelle cazzate…).

Ma ciò che avevo fatto non era abbastanza. Non lo era…

-Adesso basta ,Mantaro- papà per chiamarmi con il mio vero nome, significava che era molto arrabbiato e il suo tono autoritario (alla Robin Mask) confermava la mia ipotesi. Si alzò dal tavolo e si allontanò (per quanto ci si possa allontanare in 10 metri quadrati) verso la finestra, dandoci le spalle con le mani incrociate dietro la schiena. Meat lo seguì con lo sguardo, per poi abbassare il capo. 

Allo stesso modo lo guardai io, stringendo gli occhi.

-È ora di reagire!- si girò di scatto alzando la voce. In quel momento non vidi più il solito vecchio rimbambito puzzolente, ma un Re. Un re che soffriva per la sua famiglia, per suo figlio, per le pressioni esercitate dalla Corte e da un popolo sempre più scontento. 

Mi astenni dal rispondergli. Non era lui che era stato privato irrimediabilmente  di tutto ciò che gli era più caro, dei suoi privilegi ,della sua vita.

– Se non vuoi farlo per te…- riprese notando il mio sguardo vacuo, indifferente. -Fallo per chi ami, che davvero non resiste più a vederti così… Fallo per il tuo onore!-si abbassò al mio livello e mi strinse la spalla guardandomi con occhi lucidi. Onore, questa parola era stata ripetuta così tanto in quel periodo, che ne stavo perdendo il senso.

Ebbi i brividi. Quelle parole mi scossero, come se avessero acceso una fiammifero nel buio più totale. Lo guardai intensamente e sentii le mie gote bagnarsi. Lottare per chi amo, avevo dimenticato questa possibilità, la stessa che negli incontri più difficili mi aveva dato la forza di brillare.

Strinsi la  mano poggiata sulla mia spalla e pronunciai una parola che il mio animo mi suggeriva da tempo -Aiuto…- Ecco, “Aiuto". Avevo bisogno di una mano, che mi afferrasse in  quella caduta libera della mia vita.

-Ma certo che ti aiuteremo, Kid- riprese mio padre tornando ai toni dolci e pacati di sempre. Poi guardò Meat che sorrideva guardandoci. 

Il nodo in gola si sciolse, e cominciai a rilassarmi sotto le carezze circolari alla schiena di mio padre. -Tu puoi ritornare ad essere principe, anzi… se riesci nell'impresa che sto per proporti, tu potrai diventare Re…un grande Re, forse più grande di me. Ma che dico forse- rise-  di sicuro più grande di me!- 

Tutta quella convinzione e quelle aspettative  mi agitarono, e il restare sulle spine mi tormentava. Cosa avrei dovuto fare per ottenere la Corona del mio Pianeta? Un’ “impresa”, solo la parola  mi sembrava una montagna insormontabile, non alla mia portata…

-Ci sono speranze?- chiesi con voce flebile, spaurito.

-Certo, ragazzo mio!- esclamò Meat prendendo parola entusiasta di quel mio piccolo passo avanti. -Basta crederci!-

Lo guardai torvo -Io Credevo di vincerla la Corona Chojin…- risposi ironico. Forse però non ci avevo creduto abbastanza; non mi ero mai saputo regolare con queste cose.

-Figliolo, è ora di lasciarsi il passato alle spalle, e di riconquistare il tuo futuro- riprese fiero mio padre. -Che dici, vuoi rimanere in questa catapecchia a piangerti addosso tutta la vita, o tornare a combattere per ritornare al posto che ti spetta di diritto?!- disse stringendo i pugni.

Mi fermai un attimo, respirando piano. Tutta l' energia delle parole di mio padre,mi stava investendo come luce, e allo stesso tempo sentivo spuntare dalla terra arida del mio spirito il germoglio dell'entusiasmo e della mia forza vitale.

Aveva ragione, dannatamente ragione. Lo guardai negli occhi, poi incrociai lo sguardo di Meat e sorrisi annuendo.

-Io rivoglio solo la mia vita…- dissi semplicemente.

-E la riotterai Kid!- urlo gioioso Meat non riuscendo a frenare l'impulso di stringere le sue braccine intorno al mio collo, in un abbraccio sfrenato a cui si unì papà amorevolmente.

-C'è solo una cosa Kid…- riprese mio padre staccandosi dal lungo abbraccio. -Avrai bisogno di un compagno per scalare la vetta…- annunciò serio.

-Beh…c'è Meat con me!- risposi gioso e sicuro alzandomi in piedi. 

Mio padre si schiarò la voce. -Meat non potrà esserti vicino in quest’avventura- disse in tono grave, deludendomi…senza Meat ero come una nave senza timone, perso in un mare di guai… come si era già dimostrato nella Finale del torneo Chojin.

-Perché avrai bisogno di un compagno di  squadra, che combatta insieme a te come se foste un solo uomo…- 

"Come se fossimo un solo uomo”… cioè dovevo trovare un compagno disposto a combattere insieme a me e per me, con il quale avrei dovuto avere un'intesa eccezionale, un legame indissolubile, un'amicizia straordinaria.

Ma chi poteva? Terry mi odiava, Dik Dik e Wally per quanto mi fossero cari, non avrebbero potuto sostenere quelli che sarebbero stati i più duri della mia vita. Jaegar, certo Jaegar, con il quale avevo già avuto un'esperienza simile, quando avevo combattuto contro Mars. Ma no…non si sarebbe potuto assentate dagli impegni della League, poiché  lui faceva parte della Generazione X , sulla quale la League faceva incondizionato affidamento in ogni istante. Con tutti gli altri poi, non avevo un legame così profondo. 

Ed eccomi arrivato di nuovo  al punto di partenza…sembrava che tutto fosse contro di me, che non ci fossero speranze…

Mio padre, Meat e io dopo averci riflettuto  per un po', ci guardammo: stavamo pensando alla stessa persona.

-Kevin Mask?!- diedi voce stupita alla nostra idea comune. Stavano scherzando? Kevin Mask non avrebbe mai accettato, perché…beh perché era Kevin Mask, dannazione! 

Ma era la mia unica speranza, e questa sarebbe stata l'ultima a perire,  subito dopo di me…


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Capitolo 7
*** Judgment ***



Kevin's P.O.V

Se soffrissi di astrofobia? No, non credo, ma le alte stelle perse nell'infinita oscurità dell'universo, e la notte perenne del Pianeta Kinniku, andavano a ribadire l'inezia e lo smarrimento delle umane genti rispetto al cosmo. 

Mi facevano pensare a come ci affanniamo a primeggiare, lucrare, a cercare di trionfare sul mondo  in un’invincibile competizione  di maestosità.

In quest’ottica, vivere era  inutile, perché qualsiasi cosa l'uomo facesse, egli rimaneva sempre un impercettibile frammento  dell’eternità.

Dunque , quello scenario era di certo pernicioso per la mia megalomania e  la mia competitività, e per questo motivo Kid Muscle e suo padre, avrebbero fatto meglio a sbrigarsi a salire quegli ottantacinquemila gradini, se non volevano che me ne andassi, o che la folla dei loro sudditi  si trasformasse da protestanti  in guerriglia. 

L'attesa non era mai stato il mio forte, specie quella in corridoi lugubri e polverosi, come quello del Palazzo del Consiglio dei Maggiori Saggi Kinniku.
Mio padre, seduto sullo scomodo faldistorio in legno intagliato di fronte a me, sbuffò controllando l'ora dal suo orologio da polso, poi incrociò le gambe e appoggiò un gomito sul manico della sedia, cercando una posizione comoda. 

Non aveva fatto commenti in merito alla mia scelta, avendo imparato a rispettarmi senza giudicare (spesso  mordendosi la lingua per non pronunciarsi ) ,ma un celato sorriso compiaciuto gli era scappato dalle labbra.


                                           -

Flash Back

Tra i tanti alimenti che mi erano stati proibiti in ospedale, tra questi (per fortuna) non mancava la cara bevanda britannica, che allo stabilito orario non mancai di sorseggiare. 

Avevo il busto eretto poggiato sui cuscini messi in verticale, e non avendo da un po' il cellulare a portata di mano, la mia attività preferita, pur se illecita, era diventata lo scrutare la vita oltre lo spigolo della finestra. 

Bambini giocare con le macchinine mentre le madri erano intente ai lavori domestici, un'anziana e sua nipote intente al ricamo, un uomo che sempre alla stessa ora poggiando le braccia alla ringhiera fumava un sigaro, erano gli attori di quello spettacolo di vita quotidiana che mi si parava dinanzi. 

Così, perso in quell’osservazione, sorseggiai il mio Darjeeling, per poi poggiare la tazza sul piattino finemente dipinto a motivi nipponici. 

-Ehi Kevin!- sentii improvvisamente urlarmi sul collo.

-Porca troia!- imprecai sonoramente, sobbalzando dalla paura e sbiancando le dita attorno al collo di quel visitatore non identificato, mentre la tazzina si infrangeva rumorosamente al suolo. 

Incrociai due spaventati occhi cerulei e un grugno suino facilmente riconoscibile. Il dolore per lo slancio improvviso mi fece perdere la forza nella mano che si staccò dal collo ricadendo sul lenzuolo insieme al mio corpo ancora debole. 

Sospirai, e chiusi gli occhi per un attimo, mentre il mio visitatore si toccava i segni rossi che gli avevo lasciato sul collo massaggiandolo. 

-Maledetto Kinniku… non ti hanno insegnato a bussare! E poi che cosa ci fai qui?- dissi guardandolo stupito e arcigno. Come avevo fatto a non sentirlo entrare?

Ma soprattutto, cosa voleva da me quel…ragazzino. Oramai era da un po' che lo consideravano tale, non riuscendo a vedere altro in lui.  

-Beh…- cominciò imbarazzato ma sorridente torcendosi le mani e sedendosi, nonostante la mia poco gentile accoglienza -Volevo vedere come stavi…tutto qui!- disse semplicemente, senza convincermi. C'era qualcos'altro, di sicuro, glielo si leggeva in viso.

 Aggrottai le sopracciglia e lo guardai dritto negli occhi, ma egli imbarazzato distolse lo sguardo. 

-È stato difficile entrare qui senza tuo padre- constatò, cercando di cambiare discorso. -Sono stato qui un giorno intero aspettando che se ne andasse- infatti , solo dopo aver fatto leva sul suo senso del decoro e della decenza, assicurandolo delle mie condizioni in netto miglioramento, ero riuscito a convincerlo ad andare in albergo a riposare e a darsi una sistemata.

Mantaro aveva aspettato fuori nel corridoio che egli uscisse per vedermi, da solo. Un gesto garbato quello di venirmi a trovare, ma non del tutto gradito.

Certo, gli ero grato per avermi donato il suo sangue, per il tifo, segno di amicizia, ma non so se ero pronto ad avercelo fra i piedi, specie in un momento di tale intimità, come quello della convalescenza.

-Poi…- “Quando un Kinniku viene a far visita, non è mai di pura cortesia, cerca di tenerlo a mente Kevin", ripetei tra me e me. Mi era sembrata strana quella visita così invogliata e caparbiamente attesa. Gettai gli occhi al cielo, ma quel mio atteggiamento disturbato mise Mantaro, che chinò il capo, ancora più in difficoltà. 

-Dimmi cosa vuoi, e poi vattene.- ripresi con tono freddo e deciso. Avevo ancora un dolore lancinante, e non riuscivo a sopportare anche Kid Muscle in panico, che mi teneva sulle spine. 

-Ho bisogno di un compagno forte con il quale lottare contro mille avversità… di un amico sincero, con il quale condividere i miei dolori… ho bisogno che tu mi aiuti a diventare un Re!- disse d'un fiato con voce rotta offuscata da un pianto impellente.

Cercai di ribattere, volendo fargli presente che un rapporto del genere tra noi due non aveva molte speranze di vita , ma non appena aprii bocca, egli aggiunse, prima di lasciarsi sopraffare dalle sue emozioni -Ti prego, Kevin. Sei la mia unica speranza!- 

Tutte quelle parole insieme, cominciarono a vorticarmi nella testa. Chiusi gli occhi, e mi passai una mano tra i capelli concentrandomi… Mantaro Kinniku mi aveva appena chiesto di diventare il suo compagno di squadra, e di aiutarlo nella sua risalita al potere, ben sapendo che i suoi amichetti del cuore non sarebbero mai stati all'altezza di quel ruolo. E questo era il pelo d'acqua della questione, perché il vero fondo, era che Kid Muscle mi stava chiedendo di mettere a repentaglio: la mia carriera, il mio ruolo di Capitano (che avrei perso nel caso in cui fossi stato sconfitto prima dell'investitura ufficiale ) e, sicuramente, la mia stessa vita, in chissà quale Massima Sfida Kinniku, o incontro all'ultimo sangue con mostri della peggior specie.

Lo fissai con faccia contrariata, mi sentivo in una posizione di difficoltà. Egoisticamente non volevo mettere a repentaglio la mia vita per lui, il mio rivale numero uno.

-Ti prego- supplicò tirando su col naso e giungendo le mani in preghiera – Farò qualsiasi cosa per sdebitarmi- supplicò, asciugandosi le calde lacrime che mi bagnarono la mano.

Egli risollevò la testa, e ancora una volta incrociammo i nostri sguardi, il suo della consistenza del cielo, il mio della profondità del mare… cielo e mare che si unirono in un astratto percepibile orizzonte nel quale, ancora una volta rividi le paure e le difficoltà del mio passato, la solitudine e la voglia di riscossa. 

E navigando nei miei pensieri, rincontrai il cartografo che mi aveva disegnato la via verso la vittoria: Warsman, senza il quale, non avrei mai raggiunto la vetta su cui ero ora. 

Arrivai a una consapevolezza: non sempre da soli, riusciamo a vincere i nostri demoni. Il “lavoro di squadra”,  un karma che mi si ripresentava sempre più spesso, il tassello mancante, e che avevo sempre ritenuto inutile, del mosaico della mia esistenza. 

L'idea di aiutare Kid Muscle allora, poteva rivelarsi un'esperienza formativa per me, un qualcosa che potesse rafforzarmi. E poi sentivo che se non lo avessi affiancato me ne sarei pentito amaramente,  perché sarei venuto meno a un dovere di Capitano (che doveva aiutare i propri compagni), e in qualche modo avrei tradito quel giovane  me stesso, che rivedevo nel principe Kinniku…

Cavolo, lo stavo facendo davvero, e addirittura da sobrio.

-Qualsiasi cosa dici?- risposi ironico.

Lui sussultò alla mia risposta quasi divertita e inaspettata,  immaginando a una  reazione da parte mia, ancora più violenta delle precedenti. Kid scosse energicamente il capo in segno di assenso.

Sorrisi. – E allora prendimi le sigarette che stanno su quel tavolo, che non resisto più…- e il suo volto s’illuminò di un’aria  radiosa.



                                    -

“Ottantaquattromilanovecentoventise, Ottantaquattromilanovecentoventisette, Ottantaquattromilanovecentoventinove…” 

Contare i gradini, non gli avrebbe rimesso energia in corpo o contrastato il dolore pungente come quello di mille spilli che sentiva alle gambe , né aggiunto più forza di quanto l'Ultimate Muscle gli avesse predisposto geneticamente. Men che meno lo avrebbe teletrasportato alla Sala del Consiglio, ma lo avrebbe se non altro distratto dal pensiero  di quella che sarebbe stata l'impietosa sentenza degli Anziani Kinniku.

Era angosciato già prima di entrare. Non temeva le loro critiche, a quelle oramai ci aveva fatto il callo, ma a un ulteriore umiliazione: il confronto.

Confronto con quel cavaliere di Riace, con quel San Michele Arcangelo privo di Grazia che era Kevin Mask ai suoi occhi. A quanto pare, caduto in un profondo complesso di inferiorità, ignorava l'indole irruenta e i patimenti interiori di cui il suo nuovo compagno di squadra non era sprovvisto, anzi, ne aveva di gran lunga molti più di lui.

C'era da dire però che in quel senso di millimetrica piccolezza, Mantaro aveva scovato: la consapevolezza che nella vita non tutto gli era dovuto, che l'essere servito e riverito era un privilegio riservato esclusivamente ai principi ,e paradossalmente, aveva appreso il sentimento della gratitudine, quella che mette radici eterne nella vita di un uomo, quella vera, che fino ad allora aveva provato fievolmente solo per Meat. 

-Forza figliolo!- lo incitò King, approfittando del tifo che faceva per il figlio, per incoraggiare anche sé stesso, giacché era rimasto una decina di gradini dietro al figlio, che spesso si era  arrestato per dargli il tempo di raggiungerlo. Gli anni c'erano e si sentivano, e tutto lo stress accumulato in quel periodo di certo non aveva giovato alla sua salute, e non riusciva neanche a invocare l’Ultimate Muscle, tanto si sentiva teso e preoccupato. Affannò e lo raggiunse. 

No, contare i gradini non serviva a nulla… E allora cosa spingeva i due reali a scalare quella montagna, pur sapendo che terminata quella ce ne sarebbe stata una ancora più elevata? 

La speranza, è naturale, unita a una minima parte di certezza  ( nel cuore del Re Kinniku) in un esito positivo.

Kevin Mask era il wrestler più forte del mondo, e nelle vene  di suo figlio scorreva sangue di guerriera stirpe reale…perché non auspicare? 

“Perché la sfida che il Consiglio proporrà, sarà molto di più di un semplice incontro…” pensò Suguro tenendo gli occhi fissi sul figlio e che aveva raggiunto finalmente l'ultimo piano.

Kevin Mask e suo padre, li stavano aspettando nei pressi della porta che li separava dal Consiglio.

 Robin, nel suo completo con casacca a alto colletto  ametista su camicia e pantalone blu, sulla quale ricadeva un candido mantello ( uniforme che simboleggiava il suo status e ruolo all'interno della casta Kinniku), li scrutava severamente  con gambe larghe e braccia conserte.

Alla sua destra, di simil austero contegno, il rampollo di Casa Mask spalleggiava il genitore, pur avendo optato per il suo outfit da combattimento (recidivamente sprovvisto di armatura),  comodo, e pronto per qualsiasi evenienza, aspettandosi di tutto da quel gruppo di cresta- muniti. Maestosi, alteri, facevano a pezzi i due Kinniku, vestiti di grigio, appena giunti, con i loro sguardi taglienti.

-Robin!- lo salutò King, affannando e mantenendosi all'uscio destro dell’ingresso, mentre suo figlio in ginocchio, aveva poggiato la testa sul sinistro. -Siamo arrivati insieme prima, come avete fatto a salire così velocemente?- stupendosi di vederli lì, freschi (mentre loro sgorgavano sudore anche dai posti più reconditi), seppur resi impazienti da una lunga attesa. E dire che era stato così preso dalle sue ansie e preoccupazioni da dimenticarsi dei due inglesi, tra cui vi era la persona senza la quale nulla sarebbe potuto nascere.

-Ma se c'è l'ascensore, King…- rispose seccato l'antico compagno facendo un ampio gesto con il braccio ,mentre Kevin scosse piano la testa, assistendo a un inizio fin troppo poco convincente…


                -
Le differenze tra i due chojin erano evidenti, non vi era nemmeno la necessità di dirlo. 

Alla cupa riservatezza dello sguardo basso di Kid, si contrapponeva la spavalda testa alta di Kevin Mask, per nulla intimidito da quel gruppo di anziani Kinniku, uno più bizzarro dell'altro, a partire dalla caricatura del maestro Joda, il Gran Cancelliere Minch, che seduto al centro della sala, ricambiava lo sguardo di sfida dell'inglese assottigliando gli occhietti scuri.

Kevin arrestò la sua avanzata, e si fermò nel punto preciso della Sala consentito dall’etichetta della famiglia reale del pianeta Muscolo, che appresa da bambino, teneva ben a mente , pur considerandola un’ inutile  quisquiglia. 

Il principe vedendo il proprio compagno fermarsi, ne seguì l'esempio ma tenendosi qualche passo indietro, quasi a voler usare il corpo di Kevin come scudo contro le occhiate arcigne e sfiduciate.

Kevin voltò la testa verso di lui, e posandogli una mano sulla schiena, lo invitò a mettersi di fianco a lui, cercando di trasmettergli la sicurezza necessaria per superare quel momento . 

Il giovane inglese poi, salutò cordialmente i Saggi con un mezzo inchino prima di assumere una posizione marziale a gambe larghe e mani dietro la schiena.

-Hm, bene bene…- iniziò Minch – Se sei qui Kid Muscle, è perché hai deciso finalmente di abbandonare il nido e spiccare il volo, piccolo cardellino.- 

-Cardellino…tsk, al massimo mio nipote può assomigliare a un bucero deforme!- contestò ripugnato il ruvido Sergent Muscle. 

Non che Kevin ci capisse qualcosa di ornitologia, ma l'esempio del piccolo alieno verde e la risposta affermativa di Kid, gli facevano intuire, pur rimanendo interdetto da quel modo di comunicare, che Kid, se avesse vinto quella sfida, sarebbe diventato un uomo.

-Sei consapevole, giovane Kid, che rispetto agli altri pretendenti al trono- cioè i rampolli dei grandi Clan del Pianeta Muscolo, lì rappresentati da quelle autorità – partirai da zero, affrontando la sopravvivenza sul pianeta Nubu-Ku e i combattimenti che dovrai sostenere senza timore o tentennamento?- recitò Minch serio rivolgendosi al Principe Kinniku, che prima di rispondere guardò per l'ennesima volta il suo nuovo compagno, cercando in lui fiducia e fortezza. 

Kevin Mask, al di sotto del suo elmo, si morse un labbro. Non si aspettava che dovessero affrontare anche le prove di sopravvivenza; come se gli incontri non lo fossero già di loro! Nonostante la preoccupazione, non si sarebbe tirato indietro, e nascose la sua tensione, per trasmettere al Principe, ciò di cui aveva bisogno in un momento così spinoso.

-Noi ci impegniamo- dissero i due contendenti in coro, come se oramai la questione si fosse trasformata nella meta comune della coppia, e in realtà lo era. 

Kevin metteva in gioco il proprio onore e la propria Carica; Kid, la sua unica e ultima possibilità di diventare Re.

Gli anziani li scrutarono da capo a piedi confabulando tra loro, per poi passare la propria decisione alle orecchie del Cancelliere che annunciò – Molto bene, il Consiglio è d'accordo a farti intraprendere questa sfida Kid Muscle, ma c'è un punto su cui la commissione non è unanime…-

-Cosa?!- rispose spaventato Kid Muscle, che a un passo dal salire quell'alto gradino, si sentì buttare giù, rotolando da tutte le scale.


                           --
Kevin's P.O.V 

Sembrava finita, sembrava che la questione si fosse risolta e che potevamo partire o cominciare ad allenarci fin da subito per lo meno…e invece.

“Maledetti, petulanti Kinniku,  maledetti oggi e sempre” pensai.

Cos’altro c'era da discutere? Sospirai piano, ma mantenni ugualmente la mia posa altera e voltai lo sguardo verso quella congregazione, le cui espressioni rivolte verso la mia persona, non promettevano lodi e felicitazioni.

-Che tu sia una caccola di nasica, Kid, questo lo sappiamo già- quelle metafore cominciavo a darmi la nausea, anche se bisognava ammettere che la conoscenza del mondo animale di Ataru Kinniku era veramente estesa – ma non possiamo, per legge, negarti la possibilità di rinascere dalle tue ceneri…- iniziò il Sergent, per poi essere succeduto da un altro membro, che indossava una grossa gorgiera bianca.

-Ma non possiamo non considerare colui che hai scelto come partner, sul quale nutriamo forti incertezze.-

Lo sguardo di Kid si smarrì nella Sala, mentre io invocavo il britannico self- control presente nel mio Dna, pur desideroso di riporlo, per andare a stringere la gorgiera di quel Kinniku intorno al suo grasso collo viscido.

Non solo ero lì, non solo gli stavo facendo a Kid uno dei favori più grandi della sua vita, mettendo a rischio la mia carriera, il mio onore , in chissà quale stramba peripezia, ma di punto in bianco, risultavo essere io il problema?

Feci uno sforzo enorme per non girarmi verso papà , ma lo sentii avanzare verso il centro della sala in cerca di spiegazioni, data quella svolta inaspettata . Almeno sapevo che lui non c’entrava nulla.

-Fermo dove sei Robin. – gli intimò calmo Minch – Non potete biasimare il Consiglio.- disse poggiando entrambe le manine verdastre sul bastone, mentre le gambe erano incrociate sul cuscino cremisi dello scranno. 

Il Sergent Muscle si alzò e riprese parola -Non possiamo fidarci di uno che ha rivelato i segreti della League a un D.M.P, e che è sguazzato nella loro stessa feccia fino a quando gli è convenuto!- sbraitò, mentre stringevo le dita dietro la schiena quasi a volermele spezzare. Odiavo essere rinfacciato i miei errori, soprattutto da chi non conosceva la mia vita. – Non può stare in mezzo a noi. Tuo figlio è un traditore, Robin! – 

Quelle parole, vomitate addosso per l'ennesima volta, mi scalfirono. Strinsi i denti per poi portare le braccia ai fianchi stringendo le palme. Feci per controbattere, volendo essere il più duro possibile, ma la voce di mio padre mi sovrastò, il quale aveva letto in quelle parole un attacco diretto specificamente a lui e alla famiglia.

-Meglio un figlio traditore, che un figlio morto…- rispose a denti stretti con rabbia, volendo sottolineare che un figlio, anche se peccatore, rimane inevitabilmente  carne delle tua carne. Quella frase spezzò la tensione accumulata, e come una scintilla con il gas, nella sala esplose un vocio rumoroso e urla in lingua Kinniku dirette alla mia persona, o sempre tra loro che non riuscii a comprendere, ma solo ad alimentare la mia rabbia crescente. Guardai mio padre, e il suo sguardo vermiglio mi prometteva protezione e forza, pur sapendo che anche senza di lui me la sarei cavata lo stesso.

Tre colpi della punta del bastone di Minch al pavimento, servirono a rimettere la Sala nell'ordine e nel silenzio originario.  Mi stupii di quanta autorità e potere avesse quel nanerottolo alieno.

-Ciò che dice Ataru Kinniku è vero- riprese pacato e freddo, poi mi scrutò sottecchi, prendendosi una lunga pausa – Ma io so che Kevin Mask, non è più lo stesso teppista che combattevamo qualche anno fa. Anzi, ne approfitto per congratularmi per la tua fortezza che ti ha permesso di essere dove sei ora, mio giovane cavaliere-

Dopo tutto quel trambusto, non mi aspettavo un elogio del genere. Ne fui fiero, quasi orgoglioso, ma non mi rilassai. Ringraziai rispettosamente, e il Cancelliere mi rispose con un gesto della mano.

-Nonostante ciò,- storsi il naso, e lo sfidai con lo sguardo aspettando la sua contumelia – il tuo “castello" è costruito sulla sabbia…-  di nuovo  con quelle metafore a causa delle quali non riuscivo a comprendere le vere problematiche. Kid dal canto suo, stava tremando come una foglia al vento di autunno (  mi stavo facendo prendere anche io dalle figure retoriche ), e questo mi faceva inquietare ancora di più. Lo guardai interrogativo allargando le braccia, senza rispondere ancora.

-Vale a dire Kevin Mask, che dietro il tuo vigore ci sono grandi fragilità. Dolori che ti porti da quando eri un fanciullo, mancanza di affetti, la perdita di tua madre e della guida che riponevi in Warsman, solitudine, collera cieca, disprezzo per le regole grevi…- alle sue parole, sentivo come se mi stesse mettendo a nudo davanti a tutti, e ciò mi fece infuriare. -Per di più, raramente ammetti davvero i tuoi errori…- lo stavo odiando con tutte le mie forze; Cancelliere o no, come osava spiattellare ai quattro venti i miei sentimenti più intimi, le mie debolezze, i miei punti più scoperti? Mi opposi con forza .

-Mi permetto di dissentire! Ora sono uno di voi, uno della Muscle League: ho vinto il Torneo, ho superato l'addestramento alla scuola meglio di chiunque altro , e per di più sono stato estremamente sportivo anche con chi con me non lo è stato per nulla- dissi con voce tagliente, riferendomi a tutto il mio percorso di “redenzione” fino ad allora. Minch mi ascoltava poggiando il mento sul bastone -E ora sono qui, per aiutare Kid! Per sostenere un mio compagno di squadra!- sottolineai quel punto.  Non erano queste prove sufficienti a dimostrare che ero una persona nuova, che mi sforzavo di accettare quel passato burrascoso nella mia nuova vita e fare in modo che si trasformasse in qualcosa di positivo. Sospirai con forza dopo quella mia arringa, e solo dopo averla sostenuta, capii di aver acceso molto i toni, trasformandola in un eruzione di violente giustificazioni che erano valse davvero a poco. Se c'era qualcosa che mio padre aveva inciso nel mio carattere, era che un uomo acquisiva valore dai fatti, non dalle parole. Mi sentii frustrato: allora tutto ciò che avevo compiuto fino allora non erano valso a nulla. La testa rotta sui libri del benedetto diritto intergalattico, l'impegno profuso nella Scuola di Ercole volto a battere tutti i record della storia dei Kinniku… tutto inutile?

Dopo un altro lungo e scomodo silenzio, Minch riprese parola bloccando qualsiasi ulteriore intervento da parte degli altri.

-Molto bene, giovane cavaliere. Sia come tu dici.- quel repentino cambiamento di opinione mi confuse, ma allo stesso tempo mi fece tirare un sospiro di sollievo, che non riuscii a terminare, (dannazione ! ) poichè la successiva gentile affermazione del Cancelliere fu come ricevere un fulmine sulla punta dell'elmo. -Ora, se non ti dispiace, mostraci la cicatrice che ti hai inferto Terry Kenyon-

… Cazzo se mi dispiaceva! Mormorai fra me e me, non riuscendo momentaneamente a reagire data l'assurdità di quella richiesta così… ho già detto assurda, vero? Ma poi che modi erano: far spogliare la gente in un luogo pubblico come se fosse una merce da contrattare. Quel giorno non smisi per un attimo di maledire la razza Kinniku…

Ah dannazione! Mi volta verso mio padre che si nascondeva esasperato e imbarazzato il viso con una mano scuotendo la testa, quasi non avendo il coraggio di assistere alla scena che gli si sarebbe parata dinanzi. 

-Qualcosa non va, Kevin Mask?-

-No, signore…nulla- mentii. Mandai giù la saliva e respirai profondamente, mentre le gote del mio viso, fortunatamente coperto dalla maschera, si infiammarono. Ciò che più mi preoccupa, non era il denudarmi dinanzi a quel gruppo di loschi individui, ma temevo la loro reazione da cultori dei mores nipponici e alleati secolari del Giappone, dopo aver contemplato la “grandissima inverecondia" ( no, con quel tatuaggio papà non si era morso la lingua e io, alla sua sfuriata, mi ero quasi divertito) che mi ero tatuato per coprire la cicatrice. 

Mi schiarii la voce. Non potevo tirarmi indietro: mi dovevo assumere  la responsabilità di ciò che sarebbe accaduto in seguito, tanto, peggio di così. 

Guardai Kid ancora un'altra volta, che da tempo non proferiva parola, intimidito dal contesto. La confusione tempestosa e l'ansia logorante del sul stato d'animo si percepivano a pelle.

Mi tolsi piano la t-shirt nera, mostrando la mia schiena nuda, semicoperta dai lunghi capelli biondi, da cui si intravedeva la grossa e minacciosa ragnatela che la copriva per intero. Essa agitò un’onda di indignazione su coloro che erano alle mie spalle. “Errare  humanum est, mai sentito, vecchi rimbambiti? Ma solo io ho studiato latino qui…” pensai.

Sul davanti si cominciavano invece a intravedere squame colorate e code di pesce che quasi…guizzavano fuori dai pantaloni.

Con una calma snervante, mi slacciai la cintura e se non avessi avuto la maschera avrei esposto in bella vista la risatina imbarazzata e insieme provocatoria che non voleva scomparire dal mio volto.

Errare era umano, ma perseverare…

Calai i pantaloni fino al basso ventre, mostrando quasi i peli pubici ,e subito saltarono agli occhi inorriditi del Consiglio, quella coppia di Carpe Koi tatuate da ambo i lati del mio ventre.

Sul lato opposto alla cicatrice mi ero tatuato una carpa nera con un fiore di loto sulla coda, in turbinio d'acqua, mentre “nuotava” verso la parte alta del mio corpo. Secondo la leggenda, la carpa koi era in grado di risalire le cascate del Fiume Giallo per diventare un dragone, e generalmente, assumeva il significato di perseveranza e di resistenza, la propria voglia di superare ostacoli apparentemente invalicabili. Una sintesi della mia vita direi, e in particolare la carpa nera era simbolo  di successo contro il dolore e le avversità, che nella mia vita, come aveva ricordato il caro Cancelliere, erano state molteplici.

Fino a questo nulla di strano, nulla di preoccupante, se la carpa nera non avesse avuto una gemella blu che nuotava, diciamo cosi… “verso il basso". 

Ed era quella che più aveva creato scandalo nella Sala, poiché la carpa blu, che copriva perfettamente la cicatrice  simboleggiava virilità e una “discreta" potenza sessuale…

Un ribellione? Un affronto? Un’ allusione alla brutta faccenda in cui ero stato coinvolto? Un’inflessibile  negare le mie colpe con un richiamo a quello che per Kenyon era stato il mio peccato fatale (cioè donare un orgasmo alla sua tipa)? Ovvio che sì. 

-Perché vi stupite tanto? Che c'è di male in quei pesciolini?- chiese ingenuo e stordito Kid. Ragazzino…proprio un ragazzino.

Gli anziani ignorarono la sua domanda, e ripresero a rimproverarmi, mentre da parte mia, non calò mai il nuovo sguardo di sfida che gli rivolgevo.

-Cancelliere! Cosa state aspettando a gettarlo fuori da qui!-

-E lui dovrebbe diventare il Capitano della League?-

-Almeno King Muscle aveva l'umiltà di ammettere la sua stupidità! Lui nemmeno questo-

Bla bla bla…

Sbuffai e cominciai a rivestirmi. Chiacchiere, null'altro che inutili chiacchiere. “Sai che c'è di nuovo…” pensai.

-Robin! Invece di riprendertelo sotto la tua ala avresti dovuto diseredarlo!- 

Basta così. -Vaffanculo…- mormorai, voltandomi indietro e incamminandomi deciso verso l’uscita. 

-Dove vai Kevin?- chiese Kid oramai disperato, soggiogato da quell’indicibile situazione. Ugualmente suo padre.

Le loro grida e i loro insulti divennero ovattati. Non li ascoltavo più, era inutile. Non ero arrivato fin lì per farmi insultare da un ospizio di alieni, ma per dare una mano a un…amico! Ma ora basta, il Kevin buono si era stufato. Fanculo tutto: Kid, la Corona, il ruolo di Capitano e tutta la Muscle League.

Ero a pochi metri dalla porta, quando venni però riscosso da una stretta all’avambraccio. Una morsa forte, tanto da sentire le ossa scricchiolare e gelarsi nella carne, mentre lo stemma dell'anello mi marchiava la carne.

-Fermo dove sei, ragazzo.- fu la voce tagliente di mio padre, che non aveva nessuna intenzione di allentare quella presa ferrea. Il suo era un ordine, secco, imprescindibile, come quelli di quando ero bambino…

Strinsi i denti, e con foga mi strattonai dalla stretta liberandomi. -Devo continuare a farmi insultare, padre? A far gettar fango sul mio nome? Sul mio onore e su quello della mia famiglia?- sibilai furioso allargando le braccia. 

-Stolto!- rispose iracondo. -Se te ne vai adesso, confermerai le loro accuse. Sii l’uomo che hai sempre dimostrato di essere, Kevin.- continuò cercando di riportarmi alla luce della ragione.

-Kevin!- ripeté cupo mio padre, nelle cui parole sentii un accenno di disperazione. Nonostante per me questo fosse doloroso, ancora di più lo sarebbe stato continuare a far calpestare la mia dignità.

-Giovane Cavaliere- la voce di Minch arrestò allo stesso momento il frastornante brusio del Consiglio e la mia avanzata. Voltai il capo verso l'omino verde, che si servì di un lungo silenzio per studiarmi da capo a piedi. Ci guardammo intensamente. In qualche modo sentivo che stava cercando di entrare in me, nella mia testa. Assottigliò lo sguardo e lo stesso feci anche io -Tu sei giovane, e impaziente. Sei un fuoco indomito, pronto ad alimentare le tue fiamme con un soffio di vento. – disse serio. Poi il suo tono si ammorbidì stupendomi e riconquistando la mia attenzione – Ma tu hai un cor gentile, giovane Cavaliere. – sentii papà stringermi la spalla con calore -E per me questo basta- strinsi i pugni. Che idiota ero stato, mi ero comportato come uno stupido.  La smania mi aveva fatto perdere di vista il mio vero io, e avevo adottato un comportamento decisamente immaturo.

I Saggi mormorarono ancora frasi di disprezzo, ma vennero presto zittiti da Minch.

-Silenzio, miei signori!- ammonì -La decisione è stata presa: Kevin Mask, tu accompagnerai con valore il principe Kinniku. – Kid rise gioioso correndomi incontro e abbracciandomi così stretto da farmi incrinare le costole.

Quel gesto così impetuoso, così familiare ,mi sconvolse, ma subito dopo un bocciolo di fastidio, fiorì il tepore di quel gesto puro, di affetto e gratitudine incondizionata. Gli carezzai la schiena, unico, ma sincero gesto che mi sentii di fare, e subito dopo si staccò per scrutarmi con due occhi  brillanti di lacrime. 

-Insieme al Principe, avrai modo di crescere e maturare- riprese il Gran Cancelliere alzandosi e sistemandosi la toga. -Cosicché tu possa diventare il miglior Capitano che la Muscle League abbia mai avuto, sotto il regno di un grandioso Sovrano.-


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