Cupid.

di echois
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'appuntamento di Georg. ***
Capitolo 2: *** Una richiesta d'aiuto. ***
Capitolo 3: *** È difficile trovare quella giusta. ***
Capitolo 4: *** Diversi tipi di amici. ***
Capitolo 5: *** La bacheca. ***
Capitolo 6: *** Il primo appuntamento. ***
Capitolo 7: *** Una nuova posizione nella gerarchia sociale. ***
Capitolo 8: *** Bill offre nuovamente il suo aiuto. ***
Capitolo 9: *** Attuazione del piano. ***
Capitolo 10: *** Rendersi conto. ***
Capitolo 11: *** Qualsiasi piano abbia seguito ha funzionato. ***
Capitolo 12: *** Difendere Bill dalle grinfie di dieci uomini. ***
Capitolo 13: *** Il primo vero appuntamento. ***



Capitolo 1
*** L'appuntamento di Georg. ***


Cupid.
 
 
Capitolo 1.
L’appuntamento di Georg.
 
 

“Che divertente” esclamò ironicamente Bill, alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Dimenticavo che oggi era venerdì, il giorno più divertente della settimana! Se me lo aveste ricordato, ragazzi, mi sarei preparato a morire dal ridere” Puntò gli occhi su due ragazzi, seduti l’uno accanto all’altro, intenti a sghignazzare.
 
“Bill, non puoi rimanere lì impalato per il resto della lezione, siediti” lo ammonì un ragazzo dai lunghi capelli biondo cenere chiusi in dreadlocks e raccolti in una disordinata coda alta. Indossava una felpa rossa di qualche taglia più grande, al punto che copriva quasi completamente le sue mani che reggevano un libro ingiallito. Il ragazzo, il cui nome era Tom, non aveva puntato lo sguardo su Bill nemmeno una volta, quest’ultimo gli mandò un’occhiataccia e incrociò le braccia.
 
“Non mi siederò finché tu non alzerai il tuo culo dal mio posto. Anzi, dal posto di Georg. Georg!” chiamò il nome dell’amico e guardò il ragazzo dai lunghi capelli castani che ricadevano lisci sulle sue spalle. “Come cavolo osi coinvolgere quest’essere nei tuoi infantili scherzi? Anzi, nei vostri infantili scherzi!” Adesso la vittima dello sguardo malefico era il ragazzo dai capelli corti e biondi con gli occhiali, Gustav.
 
“Oh, Dio, sono solo le otto e già starnazzi come una gallina. Siediti!” esclamò Tom e finalmente alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, lo puntò su Bill e poi si aprì in un sorriso che aveva un che di divertito. “Sarà divertente passare una giornata di lezione in tua compagnia”
 
Bill corrugò la fronte e guardò il ragazzo, buttò lo zaino sul posto vacante accanto a lui. “Il fatto che io mi sieda accanto a te non deve essere frainteso: sono stato obbligato, perché se avessi il controllo delle cose, ti starei lontano metri. I miei sentimenti per te, comunque, non cambiano: ricordati che ti odio” disse e finalmente decise di sedersi.
 
Ogni venerdì i suoi due migliori amici, Georg e Gustav, al momento seduti dietro di lui, decidevano di fargli uno scherzo. Erano scherzi di pessimo gusto che molte volte costringevano Bill a qualche seduta di yoga per evitare di diventare violento verbalmente e fisicamente nei loro confronti. Tuttavia, nonostante Bill fosse la persona più zen del mondo, delle volte non riusciva a controllarsi e inevitabilmente inveiva contro i suoi migliori amici, chiamandoli nei peggiori modi possibili. Georg, Gustav e Bill erano amici sin da piccoli: si erano incontrati all’asilo e d’allora erano diventati inseparabili. Erano cresciuti insieme, avevano condiviso tutto e Bill si era ritrovato molte volte a sfiorare la pazzia e l’infermità mentale a causa loro, ma non riusciva proprio a immaginare una vita senza che i suoi due amici gli rompessero le palle giornalmente.
 
“Bill!” esclamò Georg nel suo orecchio destro, il moro, preso alla sprovvista, sussultò. “Ora ti sei fatto un nuovo amico! Non sei contento?”
 
“Preferirei essere solo al mondo piuttosto che essere amico di quest’essere” disse Bill, poco intenzionato a sussurrare e speranzoso di essere ascoltato dal ragazzo accanto a lui. Tom, infatti, senza staccare lo sguardo dal libro che stava leggendo, ridacchiò. Anche lui e Bill si erano conosciuti all’asilo, ma i due erano nemici storici. Tom non sapeva esattamente perché, dato che Bill non gli aveva mai spiegato il motivo del suo rancore, ma l’odio del moro divertiva estremamente Tom, che amava vedere lo strano concetto di vendetta di Bill.
 
Bill sospirò e decise di ignorare il fatto che il posto che normalmente occupava Georg, quello accanto a sé, era stato occupato dal suo arci-nemico per il volere dei suoi migliori amici nel giorno degli scherzi-a-Bill. D’altronde, la sua istruttrice di yoga, Natasha, gli stava giusto insegnando a lasciar scivolare le cose negative, affinché non rovinassero le sue vibrazioni positive. Aprì il suo zaino e cacciò il quaderno di matematica, lo sfogliò e gemette. “Gustav, mi passeresti i compiti di matematica?” chiese Bill senza girarsi.
 
“C’erano da fare compiti di matematica?” chiese l’amico a sua volta.
 
“Cosa?” esclamò Bill e si girò a guardare i suoi due amici. “Non è possibile che per una volta che dimentico di fare i compiti voi mi abbandoniate! Non è nemmeno possibile che senza me che remo questa barca affonda! Ragazzi, ci vuole collaborazione! Questa catena ha tre anelli, non ci sono sempre io, e poi—”
 
“Se smetti di urlare, puoi copiare i miei compiti” disse Tom e i loro sguardi si incrociarono.
 
Bill corrugò la fronte. “È un modo per seppellire l’ascia di guerra?” chiese, diffidente nei suoi confronti.
 
“No, è un modo per salvaguardare il mio udito” disse e chiuse il libro, portò il suo zaino sul banco, frugò un po’ e poi porse un quaderno verde a Bill. 
 
“Accetto solo perché non voglio essere bocciato, perché essere bocciato equivale a rimanere ancora un po’ in questo posto infernale. I miei sentimenti per te—”
 
“Non cambiano, sì, lo so” disse e sorrise, scosse il capo e ritornò a leggere, aspettando che la lezione iniziasse. Bill indugiò per un po’ con il suo sguardo su di lui prima di iniziare a copiare gli esercizi.
 
 
*
 
 
Aprì la confezione di tabacco e prese un filtro, se lo mise tra le labbra. Prese una cartina e mise un po’ di tabacco, distribuendolo per bene per l’intera sigaretta. Prese il filtro tra le labbra e lo mise alla fine della sigaretta, se la portò di fronte gli occhi e la rollò, sistemando talvolta con le dita il tabacco. Leccò la cartina e la chiuse, cercò l’accendino nelle tasche e quando trovò si accese la sigaretta, aspirò il fumo.
 
Il sole di marzo brillava alto nel cielo, non era caldo, ma permetteva comunque ai ragazzi di passare l’ora di pranzo fuori. I tre amici si erano nascosti sulle scale di emergenza, dove avrebbero potuto fumare senza che il preside avesse visto loro. Un leggero vento scosse i capelli di Bill, la cui sigaretta si spense, quindi si rimise alla ricerca dell’accendino.
 
“Ragazzi, esattamente in questo giorno, due anni fa, Angela mi chiedeva una pausa dalla nostra relazione. D’allora non si è ancora fatta viva. Credete che mi abbia lasciato?” piagnucolò Georg, guardò prima Gustav e poi Bill, che si girò dando le spalle al vento per accendere la sigaretta.
 
“Dio, se avessi saputo che oggi non solo era il giorno facciamo-uno-scherzo-demente-a-Bill, ma anche il giorno deprimiamoci-e-piangiamo-sulle-nostre-ex, sarei rimasto a casa” disse il moro, la sigaretta tra le sue labbra gli impediva di parlare, ma le sue parole di offesa arrivarono chiare alle orecchie dei suoi amici.
 
“Ma no, Georgy,” Georgy era il soprannome che Gustav aveva trovato a Georg e con il quale lo chiamava quando voleva essere consolato. Bill lo trovava molto stupido e soprattutto gay (ovviamente aveva fatto sentire la sua opinione in proposito, non che i suoi due migliori amici avessero tuttavia smesso di credere che il soprannome Georgy fosse accettabile) ma in qualche modo riusciva sempre a far sentire Georg meglio. Gustav gli mise una mano sulla schiena e lo accarezzò impercettibilmente, Georg abbassò lo sguardo, amareggiato. “Le pause nelle relazioni possono durare anche anni ed è assolutamente normale. Ad esempio, ti ricordi quel ragazzo della nostra scuola, Edward? Bene, lui si è preso tre anni fa una pausa dalla relazione con la sua ragazza Amber e non sono ancora tornati insieme”
 
“Questo perché Edward si è rivelato essere gay” s’intromise Bill, Georg lo guardò alzando le sopracciglia e sospirò, ritornando a guardare i propri piedi. Gustav gli lanciò uno sguardo di rimprovero.
 
“Questo vuol dire che devo obbligatoriamente diventare gay?”
 
“No, Georg! Non funziona così l’omosessualità!” disse il moro e alzò lo sguardo al cielo. Faceva tanto il duro ma non riusciva a sopportare che uno dei suoi amici, specialmente Georg, stesse male. “Georgy” lo chiamò, utilizzando per la prima volta quel soprannome, ma pensò fosse adatto alla situazione. “Oramai è finita. Ho sentito che Angela è andata in vacanza non con un uomo, non con due, ma con tre. Non c’è nessuna speranza che ritorni da te”
 
“E ora cosa faccio?” chiese e lo guardò, sull’orlo delle lacrime. Almeno aveva imparato a trattenersi quando parlava di Angela, dato che prima scoppiava a piangere istericamente.
 
Bill lasciò che Gustav lo consolasse, guardandosi in giro e pensando a cosa poter fare per aiutare l’amico. Improvvisamente gli venne in mente il tipico modo per aiutare un amico il cui cuore era spezzato: chiodo schiaccia chiodo! Ovviamente il moro non si aspettava che Georg si buttasse a capofitto in un’altra relazione, ma sperava che uscire con nuova gente – magari anche fare sesso con nuova gente – avrebbe aiutato l’amico a non pensare ad Angela fino a dimenticarla. Bill sorrise e guardò l’amico, nuovamente in lacrime per la donna che aveva amato tanto.
 
“Georg, mi è venuta in mente una soluzione al problema!”                                                                   
 
“Troppo tardi: io e Gustav abbiamo già deciso che proverò a far sesso con un ragazzo e a farmelo piacere”
 
“Cosa? No, idiota! Il mio piano non implica un tuo cambiamento di sessualità. Ma poi, quante volte ti devo dire che i gay non funzionano così?!”
 
“Allora, se non devo cambiare sessualità, parla! Sono tutto orecchie. In fondo la vagina mi piace abbastanza” gli disse l’amico e lo guardò, Bill alzò gli occhi al cielo.
 
“Sai, c’è una ragazza molto carina che viene a fare yoga con me, il suo nome è Jilian. Lei si lamenta sempre di come vorrebbe avere un ragazzo ma di come non riesca a trovarne uno. Potrei combinare un appuntamento!” esclamò e Georg lo sguardò, aveva finalmente smesso di piangere, nonostante i suoi occhi fossero ancora rossi e un po’ gonfi.
 
“Davvero lo faresti, Bill? Per me?” gli chiese l’amico e Bill sorrise, aspirò per l’ultima volta la sigaretta e poi la gettò in terra.
 
“Farei di tutto pur di non vedere più la patetica scena di te che piangi e ti fai chiamare Georgy da Gustav”
 
 
*
 
 
Per la prima volta da quando si era iscritto a yoga qualche anno prima, Bill andò a lezione per un obiettivo diverso rispetto a quello di scaricare lo stress e cercare di non uccidere né Georg né Gustav. Fortunatamente Jilian era lì, indossava dei pantaloni da yoga grigi che gli fasciavano molto bene il corpo allenato, una maglia a maniche a giro e delle sneakers nere. I suoi lunghi e lisci capelli biondi erano legati in una coda alta, sebbene vi sfuggissero alcune ciocche, e il suo viso, così grazioso a dir la verità, era invece privo di trucco.
 
Aveva steso il suo tappetino vicino a Bill e aveva iniziato a parlare con lui prima della lezione, lamentandosi per l’ennesima volta di come non riuscisse a trovare l’uomo giusto, quasi come se avesse letto nella mente di Bill. Il moro, però, questa volta non le rispose, come al solito, che sarebbe arrivato il suo grande amore, ma lanciò la carta che nascondeva nella manica e lei, sorprendentemente, così graziosa, accettò di uscire con la bestia che era Georg.
 
Il pomeriggio dopo la lezione di yoga, Bill si ritrovò a casa di Georg insieme a Gustav. Erano nella camera del ragazzo, Bill era seduto sul letto vicino a Gustav a gambe incrociate mentre Georg, ansioso nonostante l’appuntamento fosse previsto per molte ore dopo, camminava avanti e indietro per la stanza.
 
“Ragazzi, sono così ansioso. È da tanto tempo che non esco con una ragazza. Cosa devo fare se lei mi rifiuta o se non le piaccio?” disse Georg, esplicitando i suoi dubbi ai suoi amici.
 
“Sarà sempre meno imbarazzante di quel periodo in cui pensavi che i Panic! at the disco fossero la band più figa di tutti i tempi e non facevi altro che indossare le loro magliette. Ti ricordi che hai scritto anche una lettera al cantante? Oh, Dio, me lo ricordo come se fosse ieri. Hai iniziato la lettera con ‘Egregio signor Brendon Urie’” disse Bill e scoppiò a ridere ripensando a quel periodo durato tre mesi.
 
“Bill! Non stai aiutando. E poi quello è successo l’anno scorso, adesso sono una persona completamente nuova” si giustificò Georg, guardando le pareti dove un tempo c’erano i poster dei Panic! at the disco.
 
“No, tesoro, è successo due mesi fa!” esclamò Bill con un sorriso sulle labbra, alla fine scoppiò nuovamente a ridere.
 
L’amico lo guardò ridere ringraziando mentalmente Gustav per essere la persona più seria di quel gruppo e dunque per farsi trascinare difficilmente nelle stronzate di Bill.
 
“Ti ricordi quando ordinò lo zaino dei Panic! at the disco e invece si rivelò essere una truffa e gli spedirono un album da colorare?” gli ricordò Gustav e Bill continuò a ridere, Georg mandò un’occhiataccia prima a uno e poi all’altro.
 
“Okay, basta, possiamo pensare al mio appuntamento imminente e non a una fase superata e oltrepassata?” chiese l’amico e si andò a sedere anche lui sul letto, sbuffò. Bill si avvicinò a lui e gli mise le mani sulle spalle, assicurandosi di avere lo sguardo e la completa attenzione dell’amico.
 
“Georg, Jilian è una donna di classe. Questo implica che non farai nessuna battuta volgare, né dirai nessuna parolaccia. I complimenti vanno bene, purché si basino su alcune sue caratteristiche non sessuali, quindi niente complimenti sulle tette, né su—beh, qualsiasi cosa tu trovi sessuale in una donna” Georg si aprì in un sorriso e gli fece l’occhiolino più volte, Bill roteò gli occhi. Erano troppo diversi, l’appuntamento sarebbe andato sicuramente male. Avrebbe dovuto pensarci prima di proporlo a Georg. “Inoltre, terminato il primo appuntamento, non potrai farci sesso, né baciarla. Per i baci notoriamente si aspetta il terzo appuntamento, mentre per il sesso—ecco, non lo so, ma sicuramente non al primo!”
 
“Non preoccuparti, Bill, vai sul sicuro con me” gli disse e Bill si preparò mentalmente a consolare l’amico per il fallimento del suo appuntamento.
 
 
*
 
 
Quando Bill entrò nella classe di matematica il giorno dopo notò che il banco vicino al suo non era più occupato da Tom, ma non era occupato ancora nemmeno da Georg. Individuò Gustav e si andò a sedere al banco, presto l’amico lo raggiunse. I due, senza rivolgersi la parola, lessero la preoccupazione l’uno sullo sguardo dell’altro.
 
“Hai sentito Georg?” chiese Bill, prese il suo zaino da terra e lo poggiò sul banco, lo aprì per prendere il suo quaderno di matematica. Gustav scosse il capo e si andò a sedere accanto a lui.
 
“No, né una telefonata, né un messaggio. Tu, invece?”
 
“Nemmeno io” disse e aprì il quaderno, lo sfogliò a lungo finché non trovò i compiti di matematica che aveva fatto il giorno precedente. “Oh, Dio, riprenderà a piangere ininterrottamente una settimana e a spendere tutta la sua paghetta in cioccolata e caramelle gommose. Gli hai buttato il CD di All by myself di Celine Dion, vero?”
 
“Sì, ma  non sono riuscito a strappargli via il DVD di Via col vento e di Titanic” gli disse l’amico, Bill poggiò la fronte contro il banco. “Comunque, c’erano compiti di matematica?”
 
“Certo che c’erano compiti di matematica! Dio, ma perché voi due dovete essere così ignoranti? Sì, c’erano compiti di matematica! È incredibile come questa catena sia sorretta da un unico anello, cioè io! Allora smettiamo di definirla catena e iniziamo a chiamarla cerchio, in cui io sono il centro e tutti i lati!”
“Bill, ti stai confondendo con i triangoli”
 
“Gustav, non farmi riprendere la mia disquisizione sui triangoli isosceli, perché—-” Bill probabilmente stava per ricominciare la sua orazione sui triangoli isosceli, un’orazione che aveva cominciato tempo prima e aveva portato avanti per giorni, ma fu interrotto dalla vista di un Georg che, cupamente, entrò in classe. Gustav s’alzò immediatamente e il ragazzo prese silenziosamente posto vicino a Bill. Mise il suo zaino sul banco, i suoi due amici osservavano ogni sua piccola mossa. Georg sembrava triste, al punto da non parlare, ma nessuno dei due si decideva a chiedergli come stesse.
 
Fu Bill il primo a prendere la situazione e a chiedergli: “Com’è andato l’appuntamento?”.
 
Georg puntò lo sguardo su di lui e Bill si fece il segno della croce, non era pronto a perdere decibel a causa del pianto incessante e delle urla strazianti di Georg, ma se questo era quello che il Signore gli aveva messo sulla strada, allora voleva dire che era abbastanza forte da superarlo. In ogni caso aveva risparmiato abbastanza soldi per andare in Brasile, a Rio de Janeiro, dove avrebbe potuto rifarsi una vita lontano dai suoi amici all’insegna della sanità mentale, una cosa che lui aveva dimenticato ormai da anni.
 
Inaspettatamente Georg si aprì in un enorme sorriso e scostò il colletto della sua maglia per far intravedere un’enorme chiazza violacea sul suo collo. “Benissimo! Abbiamo fatto sesso” esclamò, contento e grato a Bill per l’appuntamento. Il moro non sapeva se fosse più scioccato dal fatto che le sue orecchie fossero apposto, che l’appuntamento fosse andato bene o che Georg non gli avesse dato nemmeno un po’ retta, andando a letto con lei. Tra i mille sentimenti e più che poteva provare in quel momento, scelse di arrabbiarsi per l’ultima opzione.
 
“Georg, brutto scimmione! Ma non mi ascolti quando parlo? Ti avevo detto niente sesso al primo appuntamento! Dio mio, mi domando come mai io perda ancora tempo a parlare con te, dato che nel cervello non hai niente se non un salmone che attraversa il fiume per accoppiarsi!” urlò, ma Georg era troppo contento perché le sue parole offensive potessero anche lontanamente tangergli – non che normalmente si lasciasse abbattere dalle critiche dell’amico.
 
“Ragazzi, è stato spaziale! Siamo andati avanti tutta la notte e lei mi ha detto che le farebbe piacere rivedermi. Capite? Lei vuole rivedermi!” esclamò l’amico e Bill sprofondò nella sedia, decise di stare zitto perché comunque non l’avrebbe ascoltato.
 
Mentre Bill era impegnato nel tentativo di ignorare l’amico, improvvisamente Georg si alzò e urlò a tutti i suoi compagni di corso: “Ragazzi, se volete incontrare una persona speciale rivolgetevi a Bill! Mi ha aiutato a scopare dopo due anni che non lo facevo. Funziona, fidatevi di me!”
 
“Georg, che cazzo— Siediti!” Il moro tentò di far sedere il suo amico, ma era ormai troppo tardi: una folla incuriosita e alla ricerca del vero amore – o, più probabilmente, di una scopata – si era riunita intorno al loro banco. Una parte di loro chiedeva informazioni a Georg e questo era ben felice di rispondere alle loro domande, dando loro informazioni sull’ottimo lavoro che aveva fatto l’amico e sul suo appuntamento; un’altra parte, indifferentemente uomini e donne, invece si dichiarava a Bill pronto a trovare il vero amore. Il moro pensò che forse perdere qualche decibel sarebbe stata un’idea migliore, anche perché così avrebbe avuto una scusa per ignorare i suoi amici. Sprofondò nel suo banco, prese il telefono dal suo zaino e inviò un messaggio alla sua istruttrice Natasha, informandolo che quella sera sarebbe venuto a lezione.


​Chapter End Notes:
​Erano secoli che non pubblicavo una FF! Non so ogni quanto possa pubblicare, impegnata nella scrittura della tesi come sono, ma spero di fare del mio meglio. Spero che la storia vi piaccia, è qualcosa che mi è venuta in mente guardando il mio film preferito, Clueless: le persone che organizzano incontri trovano l'amore alle altre persone, ma se lo facessero semplicemente perchè hanno troppa paura di cercare il proprio?
​echois xx

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Capitolo 2
*** Una richiesta d'aiuto. ***


 
 
 
Capitolo 2.
 
Una richiesta d’aiuto.
 
 
 
 
Bill aveva ingenuamente pensato che la notizia che lui fosse un organizzatore di incontri (ma c’era anche la versione che lo definiva organizzatore di scopate) sarebbe velocemente scomparsa, ma sembrava che più passassero le ore e più questa si diffondesse. Erano passati due giorni dal grande annuncio di Georg che aveva dato il via alla notizia e la vita di Bill era diventata un inferno. Ormai non doveva solamente sopportare le lagne di due persone, i suoi migliori amici, ma praticamente ogni studente della scuola veniva a implorarlo affinché trovasse per loro il vero amore. A Bill mancava veramente poco per cambiare scuola, magari stato, o magari pianeta.
 
“Ehi, cupido!” lo chiamò una voce alle sue spalle mentre camminava per il corridoio, cercando di raggiungere la lezione di storia. Bill la riconobbe e alzò gli occhi al cielo e aumentò il passo. Nonostante ciò, Tom riuscì facilmente a raggiungerlo e non sembrò notare il cambio di velocità di Bill, oppure non gli diede peso. “Posso chiederti se preferisci essere chiamato cupido o san Valentino?”
 
“Preferisco non essere chiamato affatto da te, grazie se rispetterai la mia preferenza” disse Bill e si fermò al suo armadietto, speranzoso che Tom se ne sarebbe andato, ma ormai il ragazzo era abituato alle sue risposte acide. Doveva ammetterlo, c’era stato un periodo in cui aveva tentato di diventare amico di Bill, non perché pensava che fosse il ragazzo più simpatico del mondo, ma perché non sopportava il fatto di essergli così antipatico senza un’apparente ragione. Il moro non faceva altro che rivolgergli battute acide (non che la cosa fosse cambiata ora, certamente), nonostante ciò aveva comunque tentato in qualsiasi modo di farselo amico, aveva addirittura chiesto a Georg e Gustav come avessero fatto ad entrare nelle sue grazie, ma a quanto pare nemmeno loro rientravano nella cerchia delle persone che piacevano a Bill. Tom, però, aveva imparato almeno una cosa sul conto del ragazzo, e cioè che non gli piacevano le evidenti dimostrazioni di affetto, perché, nonostante riuscisse a capire che i suoi due migliori amici fossero alcune delle persone più importanti per lui, non riusciva a non offendere neanche loro. Per quanto affermasse che quei due lo portavano alla follia, voleva loro bene. Tom aveva più incertezze riguardo la sua persona, perché se Bill non aveva mai detto né a Georg né a Gustav di voler loro bene, non aveva detto loro nemmeno di odiarli, cosa che invece puntualmente diceva a Tom.
 
Tom si poggiò contro l’armadietto adiacente a quello del moro, forse un po’ troppo vicino a lui. Guardò i capelli che gli ricadevano lisci sulle spalle, alcuni dei quali gli coprivano gli occhi che, come al solito, erano contornati da pesante trucco. “Sai, non dispiacerebbe neanche a me incontrare il vero amore. Hai qualche suggerimento per me?” gli disse e lo guardò, non riusciva a trattenere un sorriso, perché trovava estremamente divertente il modo in cui il ragazzo lo odiasse. Bill prese il libro di storia e chiuse il suo armadietto, puntò il suo sguardo sul rasta, inclinò un po’ il viso e si aprì in un dolce sorriso, il quale portò Tom a domandarsi se fosse il vero Bill quello che stava guardando e poi a dirsi che era bellissimo. Non che fosse la prima volta che lo notasse, Tom aveva passato ore e ore a scrutare e a studiare gli incantevoli tratti del ragazzo, ma era la prima volta che gli rivolgeva un sorriso così, anzi, la prima volta che gli rivolgeva un sorriso.
 
“In quanto organizzatore di incontri posso dirti che vedo un roseo futuro per te insieme a trentatré gatti. Vuoi che inizi a trovarti dei gatti? Perché sarebbe più semplice che trovare la persona adatta per questo branco di scimmie non addestrate” disse e scosse il capo alzando gli occhi al cielo, si girò e lasciò Tom da solo nel bel mezzo del corridoio, che lentamente si stava svuotando. Il rasta lo guardò andare via e si lasciò sfuggire un sorriso.
 
 
*
 
 
Bill chiuse gli occhi e per la prima volta nell’arco della giornata le sue orecchie non riuscirono a sentire nient’altro se non il piacevole suono del silenzio. C’era qualcosa, però, che lo interrompeva solo per renderlo più piacevole: sentiva gli uccelli che cinguettavano angelici, sentiva il sangue che scorreva nelle sue vene e sentiva il suo cuore battere ritmicamente. Il sole di marzo, raro, in verità, emanava dei tenui raggi che accarezzavano, più che colpivano, la pelle ancora diafana del ragazzo. Quest’ultimo era sempre stato scisso riguardo il tema “abbronzatura”: da una parte, non voleva rovinare il suo colorito incredibilmente pallido; dall’altra reputava che un po’ di colore non gli avrebbe fatto male.
 
A causa di tutto quel silenzio, riuscirebbe difficile credere che Bill non fosse solo, ma in compagnia dei suoi fedeli amici: Gustav aveva deciso di prendere beneficio di quel poco di sole e, così come aveva fatto Bill, si era steso sull’erba per goderselo; Georg, fonte primaria di fastidio e di rumore, stava dedicando tutta la sua attenzione alla messaggistica istantanea, ignorando i suoi amici. Lui e Jilian si erano rivisti ancora dopo il primo appuntamento; Georg aveva seguito il consiglio di Bill e l’aveva portata a prendere un gelato, ovviamente da lui offerto, e il secondo appuntamento era finito come il primo e ora una nuova chiazza violacea ornava il collo di Georg. I due, andando in scuole diverse, non avevano la possibilità di vedersi ogni giorno, ma si scambiavano continui messaggi.
 
Bill sospirò, godendosi il sole sebbene poco caldo. “Georg, se proprio devi scrivere dei messaggi puoi evitare di sghignazzare come il maniaco pervertito quale sei? Qui c’è gente che ha il senso dell’udito perfettamente funzionante” disse il moro interrompendo quel sacro silenzio, o perlomeno, quel qualcosa che si avvicinava al silenzio.
 
“Scusami, ma io e Jilian stiamo scambiando dei messaggi piccanti. Sai, stiamo parlando di concimi, trattori e giardinaggio” lo informò l’amico, senza addentrarsi in troppi particolari.
 
“Cosa c’entrano i concimi, i trattori e il giardinaggio col sesso eterosessuale?” chiese Gustav, Bill non aveva fatto quella domanda perché non gli importava e, a dirla tutta, sapere delle informazioni sulla vita sessuale del suo amico gli faceva un po’ schifo.
 
“Sono delle metafore, idiota! Bill mi ha detto che lei è una ragazza sofisticata e per questo non posso scriverle nulla di esplicito” rispose Georg prima di leggere un messaggio.
 
“Certo. Questo però non ti ha fermato dal farci sesso al primo appuntamento” gli disse Bill senza scomporsi, non gli rivolse nemmeno uno sguardo e si sistemò gli occhiali da sole sul suo naso.
 
“Beh, in ogni caso ho paura che se mi spingo troppo oltre lei scapperà via”
 
“Se non è scappata dopo aver visto quello che hai tra le mutande, allora difficilmente scapperà” Bill ricevette uno schiaffo sul braccio, gemette di dolore prima di ritornare lo stesso schiaffo a Georg.
 
“Uhm, ciao?”
 
Bill sentì una voce ma non la riconobbe, così si tirò su e si mise a sedere. Gli occhi dei tre ragazzi si puntarono su un ragazzo di bassa statura, dai ricci capelli biondo cenere e i grandi occhiali che quasi nascondevano dei grandi occhi color nocciola. Il ragazzo si stringeva in sé, evidentemente a disagio nel parlare con persone che non conosceva. Bill si mise gli occhiali da sole nei capelli e guardò il ragazzo.
 
“E tu chi diavolo sei?” gli chiese e Georg alzò lo sguardo al cielo, gli diede uno schiaffo. “Georg, osa picchiarmi di nuovo e ti taglio le mani e le spedisco in Antartide come dono per gli orsi polari”
 
“Bill, parli tanto di sensibilità e buone maniere e poi non ti rendi conto che questo ragazzo è in imbarazzo e a disagio e tu non stai facendo nulla per metterlo a proprio agio” lo riprese il castano, poi guardò nuovamente il ragazzo e si aprì in un sorriso. “Prego, caro, siediti. Puoi dirci il tuo nome?”
 
Il ragazzo guardò quei tre ragazzi, a suo parere molto strani, e si sedette comunque di fronte a loro. La fama di Bill era così ampia che il suo nome era arrivato addirittura alle sue orecchie e pensava che fosse l’unico che potesse risolvere i suoi problemi.
 
“Tu sei Bill Kaulitz, l’organizzatore d’incontri, giusto?” disse flebilmente, Bill non era tanto contento del fatto che fosse passato un intero fine settimana e ancora questa diceria non era scomparsa.
 
“No, non sono un organizzatore—” Questa volta Bill fu previdente e appena vide la mano di Georg avvicinarsi per dargli un altro schiaffo, scattò in avanti e gli diede un morso. L’amico gemette di dolore e si massaggiò la parte lesa. “Che ti sia di avvertimento, bestia!”
 
“Sei tu la bestia!” urlò Georg mostrandogli il morso.
 
Bill gli mandò un’occhiataccia e poi ritornò a guardare il ragazzo, che non si era mosso dalla sua posizione. Sembrava fosse una statua. “Comunque no, non sono un organizzatore d’incontri” terminò la sua frase e si rimise gli occhiali, si abbassò per ritornare a godersi il sole. Era incredibile come le voci su di lui lo seguissero anche fuori dalla scuola, non poteva godersi una giornata al parco con i suoi amici senza che lo rincorressero. Dannato Georg che aveva dato il via alla sua vita da organizzatore d’incontri.
 
“Ti prego, Bill, mi devi aiutare! Io sono Jaxon, ho 16 e— e sono vergine!” esclamò e guardò Bill, che rimase però impassibile.
 
“Fantastico” mormorò semplicemente, Georg aveva perso ogni speranza di farlo ragionare e tornò al suo scambio di messaggi piccanti con Jilian. Tutt’e tre si aspettavano che il ragazzo se ne andasse, ma lui non fece una mossa, anzi, continuò a guardare insistentemente Bill. Cercava di trattenersi dal dire qualcosa, qualcosa che lo metteva in imbarazzo, ma era necessario affinché il moro lo aiutasse.
 
“Non è fantastico! Anzi, è molto tragico. I miei compagni—” Il ragazzo si guardò intorno, sentiva solo lo sguardo di Gustav addosso, mentre Bill stava inveendo mentalmente perché non smetteva di parlare. “I miei compagni mi prendono in giro e mi picchiano perché pensano che io sia uno sfigato, solo perché non ho mai fatto sesso con nessuno prima. Vorrei che tu mi aiutassi in qualche modo. So che puoi, Bill, ti prego”
 
Finalmente era riuscito a catturare l’attenzione di Bill. In effetti il ragazzo si mise a sedere, si rimise gli occhiali nei capelli e guardò Jaxon, che si stringeva in sé e arrossiva sotto il suo sguardo curioso. “I tuoi compagni ti fanno cosa?” gli chiese di ripetere. Bill poteva sembrare, almeno all’apparenza, insensibile e indifferente a tutto, ma anche lui aveva un cuore e una delle cose che non sopportava era il bullismo. Bill sapeva di essere differente rispetto ai suoi compagni, perché lui si truccava, tingeva i suoi capelli di nero, si metteva lo smalto, si vestiva in un determinato modo e si lisciava i capelli, ma il fatto di essere così schivo aveva fatto sì che ne rimanesse indenne, per sua fortuna.
 
“Beh, loro nel migliore dei casi mi chiamano con appellativi imbarazzanti, ma delle volte mi spintonano e—uhm, mi picchiano” disse e guardò Bill, sospirò e girò di poco il viso. Il moro poté così vedere un livido violaceo sulla sua guancia che non aveva visto sino ad allora, sussultò leggermente.
 
Bill si coprì la bocca con le mani e fissò quel livido che poteva dirgli molte più cose di quanto non stesse facendo Jaxon in quel momento. Jaxon aveva imbarazzo a parlare di ciò che subiva, come se dovesse essere lui a vergognarsi, ma Bill riusciva a capire che reputava tutto ciò che subiva un’offesa al suo orgoglio. Il moro non sapeva cosa fare: da una parte voleva aiutare Jaxon, ma non sapeva assolutamente come fare. Questo perché lui non aveva mai fatto l’organizzatore d’incontri, rimediare un appuntamento a Georg era stata una pura casualità, mentre organizzarne un altro avrebbe richiesto più impegno. Inoltre, non era detto che, una volta trovata una qualsiasi ragazza, questa fosse stata quella giusta, colei che non avrebbe peggiorato ulteriormente la situazione. Dall’altra parte, Bill voleva davvero che questa cosa dell’organizzatore di incontri finisse, ma sapeva che, se le cose fossero andate come previsto, la voce si sarebbe sparsa ancora più velocemente e a lui proprio non piaceva stare al centro dell’attenzione.
 
Scosse il capo, decidendo di fare la cosa giusta e di smettere di pensare egoisticamente solo a lui, almeno per una volta. “E va bene, ti troverò una ragazza” disse infine. Gli occhi di Jaxon si illuminarono e lui si aprì in un ampio sorriso, Georg staccò gli occhi dal telefono per puntarli su Bill, così come aveva fatto Gustav, perché nessuno dei due si aspettava che Bill cedesse. “Però non ti do la certezza che perderai la verginità”
 
“No, certo che no” disse Jaxon, così felice che avrebbe potuto abbracciarlo. Bill lo guardò e sospirò, era così felice che non poteva dirgli di no. Non poteva fallire proprio ora, ma non sapeva come muoversi.
 
“Allora, mi vuoi dare il tuo numero o no?” disse in modo impaziente, aprì la borsa e cacciò l’agenda con una penna. Jaxon si affrettò a dirgli il suo numero di telefono.
 
 
*
 
 
Bill entrò nella palestra della scuola e si guardò intorno, prima a destra e poi a sinistra. Questa sembrava apparentemente vuota, quindi con lo zaino in spalla entrò, chiudendo la porta dietro di sé. Salì sugli spalti e si sedette, poggiò lo zaino accanto a sé, lo aprì e prese un quaderno e una penna, accavallò le gambe.
 
Era l’ora di pranzo e normalmente lui l’avrebbe passata in mensa a mangiare, oppure da qualsiasi parte della scuola a fumare e a godersi il sole con i suoi due amici, ma intorno a lui c’era sempre così tanto rumore che non riusciva a sentire i propri pensieri e solo Dio sapeva quanto avesse bisogno di pensare. Sospirò e guardò di fronte a sé. Aveva passato la notte a tormentarsi su come potesse fare per trovare una ragazza, oltretutto quella giusta, per Jaxon, ma l’idea migliore che gli era venuta era quella di fermare una a una le ragazze per proporre loro un appuntamento. Era un’idea pessima, eppure era la migliore tra quelle avute.
 
“Quanto vorrei uccidere Georg” disse tra sé e sé, gemette e nascose il viso tra le mani. Improvvisamente sentì un rumore e aprì una fessura tra le dita, sbirciò da questa e notò che la palestra si stava lentamente animando. Alzò lo sguardo e vide la squadra di basket della sua scuola entrare; i ragazzi, che indossavano una canottiera bianca e rossa e dei pantaloncini larghi dello stesso colore, erano contraddistinti ognuno da un numero diverso dall’altro. I giocatori si radunarono al centro parlando allegramente tra di loro, Bill sentiva anche delle risate. “Oh mio Dio” bisbigliò e posò velocemente il quaderno e la penna nello zaino. “Devo andarmene, prima che—”
 
“Ciao, Bill!” esclamò Tom e Bill si fermò a mezz’aria, alzò lo sguardo al cielo mentre il ragazzo saliva le scale per raggiungerlo, si sedette accanto a lui. “Che sorpresa! Cosa ci fai qui?”
 
“Non ti entusiasmare troppo, non sono mica venuto qui per te! Anche se capisco che vedermi non può creare nulla se non gioia, entusiasmo e buonumore” disse senza alzare lo sguardo su di lui, chiuse lo zaino. Tom, seduto accanto a lui, scoppiò in una risata, mise la caviglia destra sul ginocchio sinistro.
 
“Cavolo, e io che pensavo che tu fossi venuto qui per vedermi sudato e senza maglietta” lo stuzzicò Tom, Bill gli mandò un’occhiataccia. Il moro sapeva che Tom era il capitano della squadra di basket, ma quando aveva pensato di venire in palestra era sicuro che non dovesse allenarsi nessuna squadra, anche perché solitamente gli allenamenti occupavano gli studenti il pomeriggio e non l’ora di pranzo.
 
“Già, a proposito, cosa vi spinge ad allenarvi a quest’ora, rovinando il mio momento di riflessione?” chiese Bill, rivolgendo per la prima volta lo sguardo su Tom. Quest’ultimo gli sorrise e il moro si ritrovò leggermente spiazzato quando un pensiero, così veloce, quasi da non poterlo nemmeno esprimere pienamente, gli balenò in testa: Tom aveva dei tratti incantevoli. Il ragazzo aveva la pelle leggermente abbronzata, al contrario di Bill, il cui colore della pelle assomigliava a quello di un foglio di carta. I suoi dread erano raccolti in una coda alta e gli ricadevano dietro le spalle. Non indossava né cappello né fascia come era solito fare e anche i suoi piercing sul viso erano scomparsi. Così come i suoi compagni indossava l’uniforme, sulla quale si leggeva chiaramente un dieci, indossava delle ginocchiere blu e delle scarpe da ginnastica bianche. La sua uniforme era larga, ma la posizione rilassata in cui si trovava permetteva al tessuto leggero di aderire al suo corpo, Bill lo guardò seguendone i lineamenti. La voce di Tom lo riportò alla realtà, obbligandolo a distogliere lo sguardo dai suoi addominali per riportarlo sui suoi occhi.
 
“Tra qualche giorno abbiamo una partita importante e il coach ci ha obbligato a un allenamento extra. Dato che avevamo già tutto il pomeriggio occupato, ha deciso di farci giocare di mattina quando non avevamo i corsi, dunque durante l’ora di pranzo” disse e si passò una mano tra i dread guardando i suoi compagni che iniziavano ad allenarsi, puntò lo sguardo su di Bill. “Come mai il tuo momento di riflessione si tiene proprio in palestra?”
 
“Perché di solito è vuota, ma anche perché normalmente Gustav e Georg mi seguono dappertutto, non mi lasciano da solo nemmeno quando vado in bagno, mentre quando dico loro che vado in palestra credono davvero che io mi vada ad allenare e che probabilmente costringerei loro ad allenarsi e, dato che sono dei pigroni, per una buona volta smettono di seguirmi” disse e guardò anche lui gli altri giocatori che iniziavano a correre intorno il campo.
 
“Il momento di riflessione è dovuto a qualcosa in particolare?” Bill si stupì del fatto che lui e Tom avessero intrapreso una conversazione normale e che nessuno dei due (principalmente Bill) stesse offendendo l’altro. Anzi, Tom sembrava addirittura una persona normale quando lo si conosceva meglio; pareva quasi che quello strano fosse Bill, ma il moro sapeva che era solo apparenza. Tom era la persona più strana che conoscesse (lo diceva come se nel suo raggio di conoscenze non rientrassero anche Georg e Gustav).
 
“C’è questo ragazzo, Jaxon, che ha chiesto il mio aiuto perché è vergine e per questo è vittima di bullismo. Io vorrei aiutarlo, ma non so proprio come fare. Sai, non è che io abbia grandi doti di organizzatore di incontri. L’appuntamento di Georg è andato a buon fine perché Georg avrebbe accettato di uscire anche con un albero di ciliegio” disse e Tom ridacchiò, si stiracchiò e la maglia si alzò un po’, rivelando un lembo della sua pancia. Quel particolare attirò l’attenzione di Bill, ma fu coperto quando Tom ritornò in posizione normale.
 
“Beh, Bill, fa’ quello che fanno gli organizzatori d’incontri”
 
“Non mi sei di grande aiuto”
 
“Loro fanno tipo una lista, sai? Sì, hanno questa lunga lista di persone e per ognuna ne descrivono la personalità, cosa cercano e cosa vogliono, in modo da poter accoppiare due anime affini. Con la fama da organizzatore di scopate che hai—” Tom ricevette uno schiaffo sul braccio da un Bill infuriato, scoppiò a ridere. “Non ti sarà difficile organizzare un elenco analogo. Questo potrebbe facilitare di molto il tuo lavoro”
 
Bill strabuzzò gli occhi. “Oh mio Dio, non riesco a credere come da una bocca così stupida siano potute uscire parole così intelligenti!” esclamò e si alzò, si rimise lo zaino in spalla.
 
“Grazie per le belle parole, suppongo”
 
Bill posò una mano sulla testa di Tom e lo guardò, sembrava stesse accarezzando un cane. “Devo scappare, ho molto a cui pensare. Buon allenamento!” trillò e scappò via, Tom lo guardò correre via e poi si accarezzò la testa dove pochi secondi prima c’era la mano di Bill. Era la prima volta che lo toccava.

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Capitolo 3
*** È difficile trovare quella giusta. ***


 
 
 
Capitolo 3.
È difficile trovare quella giusta.
 
 
 
 
 
Il cortile della scuola era quasi vuoto; tra qualche minuto sarebbe suonata la campanella e un’altra noiosa giornata scolastica sarebbe iniziata. Non solo faceva freddo, ma il cielo era ricoperto di dense nuvole grigie come se potesse iniziare a piovere da un momento all’altro. In effetti piccole gocce cadevano in terra, alcune di queste colpirono e accarezzarono il viso di Bill, ma il moro non se ne preoccupò. Entrò a scuola e calò il cappuccio della sua felpa grigia, si fermò velocemente al suo armadietto e prese il libro di letteratura inglese, poi corse velocemente in classe.
 
Fortunatamente il professore non c’era ancora, sebbene la classe fosse praticamente piena e nessun alunno mancasse all’appello. Entrato, intravide subito i suoi amici e Tom. Quest’ultimo, stanco da tutti gli allenamenti spossanti che il coach obbligava lui e la sua squadra a fare, aveva incrociato le braccia sul banco e vi aveva poggiato la testa sopra, sonnecchiando leggermente in attesa dell’inizio della lezione.
 
“Ehi, Bill” lo salutò Georg quando Bill raggiunse il suo posto accanto a lui. “Sei quasi in ritardo! Per fortuna il professore ancora non è arrivato” Bill sembrò non prestargli nemmeno la minima attenzione, ma non era strano dato che colui che stava parlando era Georg e colui che stava ascoltando era Bill. Quest’ultimo poggiò un piede sulla sua sedia e, dandosi una piccola spinta, riuscì a mettersi in piedi sul suo banco.
 
Si schiarì la voce e immediatamente ricevette gli sguardi di tutti addosso, ad eccezione del rasta che dormiva beatamente, ignaro di tutto quello che stava succedendo intorno a lui. “Ragazzi, ascoltatemi!” urlò ai suoi compagni di classe, nonostante non ce ne fosse bisogno dato che già tutti avevano la sua attenzione. Quelle grida fecero però svegliare Tom, che pensò che l’unica persona che riusciva a starnazzare come un’oca già a prima mattina fosse Bill. In effetti quando si girò vide il ragazzo in piedi intento a tenere banco, Tom corrugò la fronte.
 
“Dato che voi stupidi non mi lasciate in pace per questa cosa dell’organizzatore d’incontri, ho deciso di diventarlo davvero, con la speranza che, una volta accoppiato qualcuno di voi, voi ve ne andiate a quel paese” disse guardando le facce dei suoi compagni. “Per iniziare, però, ho bisogno delle vostre credenziali e di qualche vostra informazione. Chi fosse interessato può recarsi al tavolo della mensa che io, Georg e Gustav soliamo occupare durante l’ora di pranzo. Grazie per l’attenzione” Si aprì in un breve sorriso e poi scese dal banco, si sedette accanto a Georg che lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
 
“Sei per caso pazzo?” gli chiese Gustav girandosi verso i suoi due migliori amici, Bill si passò una mano smaltata di nero tra i lunghi capelli corvini.
 
“Vorrei esserlo, così almeno mi rinchiuderebbero in un manicomio e non vedrei più le vostre brutte facce”
 
 
*
 
 
“Okay, Kate, c’è qualcosa di fondamentale che la tua anima gemella dovrebbe avere?” chiese Bill alla ragazza di fronte a sé. Aveva i capelli rossi a caschetto, le sue ciglia erano ricoperte da troppi strati di mascara che la facevano sembrare una mostruosa bambola di porcellana. Aveva un piercing al naso e, quando sorrideva, il moro poteva intravederne un altro sul frenulo. Indossava una maglia a maniche a giro nera (era strano, considerando che fosse marzo), ma probabilmente era solo per mettere in mostra l’abbondante seno che Madre Natura le aveva dotato.
 
“Deve averlo lungo!” esclamò e Bill alzò le sopracciglia. Gustav, alla sua sinistra, si fece più vicino al tavolo, le prese una mano.
 
“Posso essere la soluzione ai tuoi problemi” le disse e Bill strabuzzò gli occhi guardandolo, stupito che un’affermazione così volgare fosse venuta da lui e non da Georg, alla sua destra. Ma d’altronde il suo migliore amico era interessato a iniziare una relazione con Jilian e per lui al momento non esisteva nessun’altra donna.
 
“Gustav, otto centimetri non è lungo” gli rispose stizzito il moro, il ragazzo distolse lo sguardo e ritirò la mano. Bill scrisse qualcosa sul foglio che aveva preparato per la ragazza, poi la guardò e le sorrise. “Grazie Kate, ti farò sapere molto presto” La ragazza dei capelli rossi sorrise e si alzò, abbandonando il tavolo. Bill sospirò e guardò il posto che aveva lasciato vuoto, non ci sarebbe voluto molto prima che fosse occupato di nuovo. “Ragazzi, non troveremo mai l’anima gemella per Jaxon. Tanto vale arrenderci”
 
“Bill, non puoi arrenderti così!” esclamò Georg e circondò le sue spalle con un braccio. “So che la ragazza giusta è lì fuori da qualche parte. Magari con un po’ di fortuna si trova in questa lunga fila di ragazze di fronte a noi!”
 
“Non mi toccare, verme! Ma come mai ultimamente sei così positivo? Non ti ho mai visto così”
 
“È la primavera” disse sospirando, sorrise guardando in aria.
 
“Certo, la primavera: siamo a marzo e fuori sta scendendo il diluvio universale”
 
“Può darsi che sia l’amore, ma non ne sono sicuro. Anche perché ieri io e Jilian abbiamo provato una nuova posizione erotica. Devo ancora capire che posizione fosse, non so cos’è successo bene, ma a un certo punto inaspettatamente sono venuto e—”
 
“La prossima!” urlò Bill sbattendo una mano sul tavolo, ignorando il suo migliore amico.
 
La ragazza che si sedette di fronte a lui era all’apparenza molto bizzarra. I suoi capelli erano di un colore arancione sbiadito erano cortissimi – le arrivavano poco sotto l’orecchio – e aveva la frangetta. La linea di eyeliner, unita al mascara posto sulle ciglia inferiori e superiori, facevano apparire i suoi occhi molto più grandi; adorabili lentiggini ricoprivano il suo naso.
 
“Ciao, tu ti chiami—”
 
“Non ho bisogno di un appuntamento”
 
“No?” Bill inclinò lo sguardo.
 
“No. Sono venuta qui perché sentivo delle vibrazioni incredibilmente positive” La ragazza si fece più vicina con la sedia e strinse la mano sinistra di Bill tra le sue. “Sento che il tuo nome è Bill”
 
“È troppo semplice: lo sanno tutti” la sfidò Georg, incrociò le braccia, interessato a quella peculiare ragazza.
 
“Sento anche che sei uno scorpione”
 
“Sono vergine” la corresse Bill.
 
“Sì, solamente per quanto riguarda il segno zodiacale” disse Georg e sghignazzò, ricevette uno schiaffo da parte del ragazzo.
 
“Io sono una sensitiva. Riesco a capire il passato, il presente e il futuro di una persona” spiegò, ma non si decideva a lasciare la mano di Bill.
 
“Certo, ci credo che riesci a farlo. Ora mi diresti il tuo nome?” la interruppe Bill, la ragazza alzò lo sguardo al cielo e strabuzzò gli occhi, strinse maggiormente la mano del moro. “Va bene, prenditi il tuo tempo. D’altronde è una domanda impegnativa la cui risposta non è sempre ovvia”
 
“In questo gruppo c’è qualcuno che ha una relazione” bisbigliò e Georg inarcò le sopracciglia, si fece più vicino.
 
“Davvero? Chi dei tre?” le chiese.
 
La ragazza rimase in silenzio a fissare un punto non specifico nel vuoto, finché non disse: “Come dici?”. Bill deglutì, nessuno di loro aveva detto nulla. “Trascina il mio dito, te ne prego”. Alzò  la mano e puntò con l’indice Bill, la mano prima girò lentamente verso destra, andando a indicare Gustav, ma poi con più sicurezza e velocità indicò Georg. Quest’ultimo strabuzzò gli occhi. “Georgy” bisbigliò la ragazza.
 
“Oh mio Dio, è vero!” esclamò Gustav, preso forse quanto l’amico.
 
“No, ragazzi, non è vero!” disse Georg, cercando di riportare tutti con i piedi sulla terra. “Io e Jilian ci stiamo frequentando, ma non stiamo insieme” Sussultò quando quella strana ragazza dopo molto si mosse semplicemente per puntare il suo sguardo su di lui.
 
“Lei ti invierà un messaggio chiedendoti di uscire stasera, poi ti chiederà di ufficializzare la vostra relazione” disse senza scomporsi tanto e all’improvviso il telefono di Georg suonò: era arrivato un messaggio. Con mani tremanti, il ragazzo estrasse il telefono dalla tasca dei suoi jeans e guardò lo schermo. Emanò un urlo acuto prima di buttare il telefono sul tavolo, affinché anche i suoi amici potessero vederlo: era un messaggio di Jilian in cui gli proponeva di uscire quella sera.
 
Bill si schiarì la voce, sapendo che quando Georg emetteva quel tipo di urla poco virili era ora di intervenire: “Bene, allora, facciamo che il tuo nome è Amelia?”
 
“Amelia?” chiese la ragazza.
 
“Lo sto inventando. Non me lo vuoi dire” Bill scrisse su un nuovo foglio il nome della ragazza e poi, a caratteri cubitali, aggiunse: “STRANA. CREDO SIA UN MEZZO DEMONE”. “Bene, Amelia, grazie per essere venuta. Ti faremo sapere!”
 
 
*
 
 
Bill chiuse il libro di storia e si alzò dal letto per poggiarlo sulla sua scrivania, accanto allo zaino che l’indomani avrebbe preparato. Guardò la sveglia sul suo comodino; segnava le nove. La sua stanza poteva sembrare piccola e claustrofobica per la maggior parte delle persone, ma per lui che amava gli spazi quasi angusti che gli davano un certo senso di protezione era perfetta. C’entravano tuttavia un letto, un ampio armadio (i vestiti che possedeva Bill erano infiniti e sua mamma, Simone, sapeva che il ragazzo non si sarebbe accontentato di un armadio modesto) e la sua scrivania. Questa era illuminata dalla luce della mezzaluna che brillava in cielo, circondata da mille stelle.
 
Siccome era ancora troppo presto per andare a letto, decise di dedicarsi al suo nuovo lavoro part-time, ovvero cercare l’anima gemella altrui. Frugò nel suo zaino finché non trovò un grande, enorme raccoglitore rosa. Quando Bill aveva fatto quell’annuncio il giorno prima a scuola non si aspettava che venissero così tante persone, quindi aveva pensato che quei pochi fogli che avrebbe riempito avesse potuto spargerli nel suo zaino senza un ordine ben preciso. Ma le persone che aveva ascoltato quel giorno erano troppe e ben presto aveva ordinato a Georg di andare a comprargli un raccoglitore. Il suo amico aveva giustamente cercato il raccoglitore più virile di cui disponesse la cartoleria in cui si era recato – era di colore rosa pastello, questo era ornato da molti disegni di cuori e fragole – e gliel’aveva portato.
 
Bill si andò a sedere sul letto e posò l’enorme raccoglitore di fronte a sé, iniziò a sfogliarlo molto velocemente. Riusciva a collegare diversi nomi ad alcune facce, quindi sapeva se fossero adatte o meno, mentre quando vedeva nomi di cui non ricordava nulla si fermava a leggere ciò che aveva scritto. D’un tratto la sua mano si fermò su una pagina. Il nome della ragazza era Lydia e subito la ricollegò a un volto, quello di una bella ragazza bionda dagli occhi azzurri, priva di trucco. La ragazza, si ricordava, parlava a malapena, era stato Bill a dovergli tirare fuori delle informazioni, inoltre la sua voce era così bassa che Gustav era stato tentato più volte di chiamare il suo dottore per una visita uditiva, insicuro se il problema fosse il suo udito oppure la voce di Lydia.
 
Lydia sembrava una ragazza perbene, un po’ troppo studiosa, forse, ma sicuramente intelligente. Le sue labbra rosee quando si schiudevano mostravano un bellissimo sorriso e il viso le si illuminava tutto. Si stringeva in sé, quasi avesse paura di quei tre individui strani che erano Georg, Gustav e Bill, eppure rideva alle loro battute offensive e piuttosto volgari.
 
“Cazzo” sussurrò e si sporse a prendere il suo cellulare sul comodino, si segnò il suo numero. Guardò a lungo il telefono tra le sue mani e sospirò, scrisse un messaggio: “Brutto scimmione, ricordati che domani mattina abbiamo il compito di storia”.
 
La risposta di Georg arrivò subito: “Cazzo! Me n’ero completamente dimenticato”.
 
“Hai un’intera nottata per imparare ogni singola azione di Maria Antonietta. Domattina ti interrogherò anche sul numero di amanti che ha avuto. Sappi che non ti aiuterò”
 
 
*
 
 
Alla fine Bill non mantenne fede alla sua promessa e passò il compito a Georg, che lo passò a sua volta a Gustav. “Dio, quei due sono fortunati che sono un ottimo amico, il migliore che esista! Altrimenti li avrei lasciati nella merda, e non mi sarebbe importato se avessero dovuto spalarla con le mani, senza pala! Oh, Dio, probabilmente gli sarebbe andato qualche parte in bocca. Non mi sarebbe importato!” sbraitò fino al suo armadietto, lasciando volontariamente i suoi amici indietro. Arrivò al suo armadietto e lo aprì per riporre il libro di storia, da questo scivolò un biglietto. Posò il libro e si chinò a prenderlo, lo aprì e lo lesse.
 
“Vediamoci alle undici e mezza sul retro della scuola. Ho qualcosa da darti. Jaxon xx” recitava il biglietto. Bill diede un’occhiata all’orario: erano le undici e un quarto. Avrebbe potuto saltare la lezione di chimica (che in fondo non gli interessava affatto) per dire ciò che aveva trovato a Jaxon. Chiuse il suo armadietto e, con il biglietto ancora tra le mani, uscì fuori dalla scuola. I bidelli lo videro, ma erano ormai abituati agli alunni che uscivano a fumare e sapevano che anche urlando non avrebbero impedito loro di uscire.
 
Una volta fuori vide effettivamente un ragazzo disteso tra l’erba, ma essendo lontano non riuscì a vederlo con chiarezza. Solamente quando fu vicino capì che non era Jaxon.
 
“Oh mio, arrivati a questo punto sta diventando anche imbarazzante” disse guardando Tom ai suoi piedi. Il ragazzo aveva aperto gli occhi quando si era reso conto che qualcosa gli stava facendo  ombra, salvo poi accorgersi che era il moro. “Oggi è venerdì, no? Oh, Dio, che idiota! In primis, sarei dovuto rimanere a casa: devo scrivere su tutti i venerdì del calendario di non venire mai più a scuola. Poi la devo smettere di aiutare Georg se lui mi ripaga in questo modo!”
 
“Buongiorno anche a te, Bill. È un piacere sentire la tua delicata voce a prima mattina” disse Tom e si mise a sedere.
 
“Tom, sono arrivato alla conclusione che tu sia più stupido di Georg e Gustav messi insieme. Non c’è altra spiegazione. Perché altrimenti staresti sempre ai loro scherzi? Se tu avessi il quoziente intellettivo di un ragazzo normale e non quello di una carota bollita in brodo probabilmente cercheresti di evitare quei due. Oh, Dio, ma chi mi credo di essere? Anche io frequento quei due. Dio, sono stupido quanto loro” Bill si passò una mano tra i capelli e si sedette accanto a lui, posò a terra il bigliettino, Tom lo prese e lo lesse.
 
“Chi è Jaxon?” chiese leggendo il nome del ragazzo. “Hai un nuovo ragazzo?”
 
“Magari! Saranno mesi che non scopo” disse Bill e sospirò. Quasi si stupì della sua volgarità, ma quando era con i suoi amici era così impegnato a essere quello più normale da dire raramente parolacce.
 
“Beh, lui ti piace?” disse Tom riportandolo sulla terra e interrompendo i suoi pensieri su quante parolacce effettivamente dicesse al giorno. Poche, erano molti di più le interiezioni e gli appelli a Dio o a qualsiasi divinità ci fosse in cielo.
 
“Chi?” gli chiese e lo guardò, Tom ricambiò il suo sguardo.
 
“Questo Jaxon”
 
“Ah, no, lui è solo un mio cliente. Un verginello, ti dirò la verità. Non fa per me” disse e si stese, Tom sorrise e poi si ricordò del perché fosse lì.
 
“Ho qualcosa per te. Me l’ha dato Georg, quindi mi sollevo da qualsiasi responsabilità” disse il ragazzo e prese il suo zaino, lo appoggiò in grembo e lo aprì. Frugò un po’ mentre Bill cercava di ignorare il fatto che stesse con quel mega antipatico di Tom – anche se, a dire la verità, non si stava poi rivelando così antipatico come ricordava che fosse – e godersi il sole di marzo. “Tieni, questo è per te”
 
Bill aprì gli occhi e vide un astuccio di colore rosa con dei disegni di cuori e fragole. “Che cosa—” Quell’astuccio si abbinava incredibilmente a quel raccoglitore rosa che gli aveva comprato qualche giorno prima! Lo aprì e prese in mano la penna rossa che conteneva, aveva un ciuffo di peli rossi alla fine e una fragola che sbucava da questi. La mosse con la mano e la fragola si mosse velocemente a destra e a sinistra. All’interno dell’astuccio c’era un foglietto accartocciato, lo prese e lo aprì.
 
“Hai un raccoglitore rosa e per questo devi essere gay! Per mostrare il mio supporto alla tua sessualità ho deciso di comprare qualche oggetto carino da abbinare. Gay! Georg” recitava il bigliettino e Bill, leggendolo, corrugò la fronte. Tom guardò l’espressione corrucciata del moro e cercò di leggere, ma invano.
 
“Idiota di un Georg! Pensa che solo perché ho un raccoglitore rosa io sia gay! Quant’è stupido! Io ero gay prima di quel fottuto raccoglitore!” urlò e strinse nella mano destra il foglio di carta, il rasta inclinò il capo guardando Bill. Aveva sempre avuto il sospetto che tifasse per l’altra squadra, ma non ne aveva mai avuto la conferma — beh, fino ad ora. Questa cosa non lo infastidì, ma anzi, gli provocò un certo sollievo, e la ragione di questo lo fece stare un po’ male. Salì a galla un certo sentimento che lui stesso in prima persona permetteva di far emergere solamente quando si trovava da solo con se stesso. Era davvero un sollievo sapere che Bill era gay? Ma cosa si aspettava, ora? Che si mettessero subito insieme? Se Bill avesse potuto leggere la sua mente, l’unica risposta che avrebbe trovato adeguata sarebbe stata: “Non funzionano così i gay”.
 
“Gliel’ho anche detto che ero gay e lui mi ha abbracciato, si è messo a piangere e mi ha detto che era qualcosa che aveva sempre saputo ma che aveva troppa paura a dirmelo per la mia reazione. Sembrava che stesse facendo lui coming out!” La frase di Bill fece risvegliare Tom, che puntò lo sguardo sul ragazzo. Oramai non riusciva nemmeno più a capire chiaramente ciò che stesse dicendo – non era davvero importante, dato che a lui piaceva parlare e parlare, dire tante cose senza seguire un filo conduttore. Il rasta abbassò lo sguardo sulle sue mani, focalizzò brevemente l’attenzione sulle vene che s’intravedevano e improvvisamente desiderò posizionarle sul viso di Bill. Non voleva fare nulla di violento, nulla di aggressivo, voleva solo accarezzare il viso del ragazzo e sentire, al tatto, la morbidezza e il calore della sua pelle. “Mi sono ritrovato a dover consolare Georg, perché ha iniziato a piangere a dirotto e a dire quanto il mondo fosse ostico per le persone omosessuali. Avevo anche iniziato a sospettare che fosse anche lui gay, finché non ha detto qualcosa sui clitoridi. Stupido Georg! Gli uomini non hanno i clitoridi!”
 
Bill puntò lo sguardo su Tom e quest’ultimo sussultò, rendendosi conto che il moro aspettava una risposta. Avendo solamente ascoltato l’informazione – non troppo utile, in realtà – riguardo gli uomini e i clitoridi, il rasta si guardò per un momento intorno e poi disse: “Forse anche Georg è un verginello”.
 
“Oh, per favore!” esclamò drammaticamente il ragazzo prima di sistemare il suo zaino come se fosse un cuscino e poggiarvi la testa sopra. “Quando si è gay e non si conosce l’anatomia maschile non si può usare la scusa di essere un verginello come quando si è etero. Se a me piacessero le donne ma non ne avessi mai vista una nuda, allora potrei anche dire – che ne so – che le donne hanno una sorta di folletto nelle mutande. Ma quando sei gay e ti piacciono gli uomini non vale, perché tu hai nelle mutande esattamente la stessa cosa!”
 
“È per domande di questo tipo che è nata la filosofia, Bill” disse Tom con un sorriso e Bill ridacchiò girando leggermente il capo, voleva seppellirsi per quanto fosse carino. Ciò che spaventava di più il rasta era che i pensieri che riguardavano Bill non erano mai di natura sessuale – beh, mai o quasi mai. Questo voleva dire che tutto ciò che voleva fare con Bill era coccolarlo, accarezzarlo, baciarlo e solamente in rare occasioni – quando, ad esempio, lui si sentiva più eccitato del normale – sognava qualcosa di più spinto, ma mai troppo violento. Per lui era come prendersi cura di un fiore: bisogna essere cauti, poiché è molto delicato. Sembrava anche immensamente paradossale, perché a vederlo e a sentirlo Bill poteva apparire tutto fuorché delicato. Un’altra cosa che spaventava Tom era che non aveva mai avuto questi pensieri così, diciamo, romantici nei confronti di nessun’altra persona, mai nei confronti di una ragazza e né di un ragazzo – Bill era inoltre il primo ragazzo che lo faceva sentire in questo modo così strano e anche questo lo spaventava. Se il moro lo avesse saputo avrebbe iniziato a chiamare anche lui “verginello”. A Bill non importava che avesse avuto rapporti sessuali con un’altra persona del sesso opposto, erano comunque un verginello per non averlo mai fatto con un uomo.
 
“Come sono andati gli allenamenti?” gli chiese il ragazzo e il rasta si stupì di quella domanda, semplicemente perché era la prima volta che intraprendevano una conversazione normale. Inoltre potevano considerarsi a un buon punto: avevano iniziato a parlare da un po’ e Bill gli aveva sì ricordato che era un idiota, ma non gli aveva ancora detto di odiarlo. Tom si stese accanto a lui.
 
“Estenuanti, sembra che il coach ci voglia morti. Dopo la partita ho intenzione di dormire ventiquattr’ore di fila” disse Tom e non poté vederlo, ma Bill sorrise. “A proposito—” Il ragazzo s’interruppe perché vide Bill farsi sempre più vicino fino a poggiare la sua testa sulla sua spalla. Deglutì e senza muoversi  - pensava che al minimo movimento Bill sarebbe ritornato al suo posto – lo guardò. Il suo viso era più vicino ora, era più prossimo alla sua faccia che alla sua mano, ma comunque la voglia di accarezzare la sua pelle diafana era più forte della voglia di baciarlo.
 
“Non ti emozionare troppo, mi sto solo godendo il bel tempo di marzo e soprattutto un’ora senza né Georg né Gustav. Le mie orecchie mi stanno ringraziando, la mia pressione è okay e questo mi dà l’illusione che non chiamerò mai più Natasha” disse e, quasi per sottolineare quanto fosse rilassato in quel momento, chiuse gli occhi e sospirò; Tom si sentì felice del fatto che riuscisse a trovarsi così a suo agio con lui. “Stavi dicendo?”
 
“Oh, sì, stavo dicendo qualcosa” Il ragazzo si portò una mano nei dread e si grattò il capo. “Che ne diresti di venire alla partita questa domenica? Mi farebbe molto piacere vederti nelle vesti di cheerleader”
 
Bill si alzò e si girò verso di lui, Tom si chiese cosa avesse fatto di male per essere privato di quella vicinanza e di quella stupenda sensazione, ma il ragazzo sorrise. “Tom, non posso fare la cheerleader. Se lo facessi, farei mettere a piangere tutte quelle ragazze così incompetenti! È colpa loro che non sanno svolgere il loro mestiere, è vero, ma non è compito mio mostrargli come si fa. D’altronde fare la cheerleader, sculettare e muovere il corpo non è qualcosa che s’impara, bisogna averlo nel DNA” Tom fece per aprire bocca, ma il moro parlò nuovamente. “Però mi piacerebbe venire a vederti. Ovviamente indosserò dei jeans e una maglietta e non la minigonna, per le ragioni sovresposte”
 
“Mi accontenterò. La squadra delle cheerleader ti sarà grata per la generosità da te dimostrata nei loro confronti: non è da tutti decidere di non rovinare la carriera altrui” disse Tom inarcando le sopracciglia.
 
Bill si alzò e si pulì i pantaloni. “Avranno modo di ringraziarmi, personalmente preferisco un cesto di frutta fresca”
 
Il rasta si mise a sedere e lo guardò, dispiaciuto che quel breve idillio fosse finito. Vide infatti Bill raccogliere tutta la sua roba e riporre il nuovo astuccio e la nuova penna nello zaino. “Dove stai andando?” gli chiese. “Pensavo volessi passare un’ora in tranquillità”
 
“Infatti eviterò Georg e Gustav come una persona nel Medioevo avrebbe evitato la peste, ma mi sono ricordato che ho un appuntamento da organizzare” Si mise lo zaino in spalla, guardò Tom e gli sorrise. “Ci vediamo domenica” Si girò e se ne andò.

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Capitolo 4
*** Diversi tipi di amici. ***


 
 
 
Capitolo 4.
Diversi tipi di amici.
 
 
 
 
 
 
“Ti prego Bill, vieni con me!” lo pregò Jaxon mentre era seduto sul suo letto.
 
Dopo che Bill aveva salutato Tom era entrato nella scuola e, senza vergogna, era andato nella classe di fisica che frequentava Jaxon per chiamarlo da parte. Gli aveva detto che aveva trovato un appuntamento per lui e il ragazzo si era agitato così tanto che Bill aveva pensato che gli servisse una lezione pre-appuntamento come aveva fatto con Georg.
 
“No, Dio, sarebbe imbarazzante!” esclamò Bill e iniziò a camminare per la sua stanza. “Jaxon, sai quanti punti perderesti se al primo appuntamento ti presentassi con me o con una qualsiasi altra terza persona?”
 
Jaxon strabuzzò gli occhi. “Ci sono dei punti?” disse e il suo sguardo rivelò ancora di più l’orrore che provava. “Potrei perdere?!”
 
“Per favore, calmati, Cristo! Non te lo dico più, la prossima volta passerò alle mani!” esclamò il moro e improvvisamente bussarono alla porta, roteò gli occhi. “Entra, mamma” Da quando aveva detto a Simone, sua mamma, che era gay, ogni volta che portava a casa un uomo, qualsiasi fosse il suo rapporto con Bill, lei lo voleva conoscere, solo per assicurarsi che suo figlio non stesse portando a casa il suo ragazzo senza presentarglielo.
 
In effetti la porta si aprì ed entrò Simone, reggeva in mano un vassoio in argento pieno di biscotti al cioccolato. “Ciao ragazzi, ho fatto i biscotti e ho pensato di portarvene un po’” disse e richiuse la porta.
 
“Certo, come no! Da quando cucini?” le chiese Bill.
 
“Che sciocco, la cucina è la mia passione!” Simone era pessima a cucinare e tutti in famiglia lo sapevano, ma mangiavano ugualmente ciò che cucinava perché non volevano che si offendesse. A un tratto, però, i piatti di Simone non divennero solo mangiabili, ma squisiti: sembrava che la donna avesse improvvisamente imparato a cucinare; accettava i complimenti che le rivolgeva la sua famiglia e sviava talvolta le domande. La buona cucina di Simone durò per una settimana, finché non cadde sotto la pressione di Bill, sospettoso di tutti quei piatti eccellenti: aveva aperto un ristorante take away vicino casa loro e la madre comprava lì i piatti spacciandoli per suoi, stanca delle continue critiche della famiglia. Bill quasi si pentì di averglielo chiesto, perché dopo quella rivelazione i suoi piatti tornarono a essere pessimi.
 
Simone posò il vassoio che reggeva tra le mani sulla scrivania di Bill, fece finta di posare casualmente lo sguardo sul ragazzo seduto sul letto di Bill. “Oh, ma tu non sei Georg! Che schiocca, pensavo fossi lui!” disse. Era palese che stesse fingendo – beh, palese per Bill, ma Jaxon non sospettò di nulla.
 
“Mamma, lui si chiama Jaxon ed è un mio amico, solo un amico” disse il figlio, scandendo per bene la parola amico.
 
“Oh!” Simone sembrò quasi delusa dal fatto che non fosse il fidanzato del figlio mentre lo guardava, ma comunque gli porse la mano per presentarsi. “Piacere, sono Simone, la mamma più simpatica che incontrerai!”
 
“Mamma, non avevi un appuntamento con il club di cucito alle sei?” chiese, affinché la madre capisse che era ora di andare, ma Simone lo ignorò, non sicura che quello fosse davvero solo un amico.
 
“Sono contenta, ragazzi, che voi siate amici” disse Simone, ponendo enfasi nella stessa parola che il figlio prima aveva scandito. Lanciò un’occhiata a Bill e questo alzò gli occhi al cielo. “Sapete, anche io sono stata giovane una volta. Io e Gordon andavamo nei bar dove suonavano sempre buona musica e ballavamo fino a notte inoltrata. Poi Gordon mi accompagnava a casa con l’auto che gli aveva prestato il padre – sapete, allora non si potevano permettere due auto -, io lo invitavo a salire e lì—” lasciò in sospeso la frase e ridacchiò, Bill arrossì e strabuzzò gli occhi guardando la madre. “Pensate che per permettere ai miei genitori di farlo salire inventavo la scusa che fosse un semplice amico!”
 
“Mamma! Non mi sembra il caso di scandalizzarmi in questo modo né a quest’ora!” urlò, rosso in viso. “E poi so dove stai andando a parare: siamo davvero solo amici!”
 
“Suvvia, Billy, è una cosa normale, e poi voi siete grandi” disse e Bill si coprì il volto con le mani, Jaxon ridacchiò per il soprannome.
 
“Niente di ciò che dirò ti convincerà del fatto che siamo solo amici, vero?” sussurrò e sospirò, Simone si aprì in un delizioso sorriso.
 
“Esatto! È stato bello conoscerti, Jaxon, Billy è fortunato ad avere un amico come te” La donna gli fece l’occhiolino e Jaxon arrossì, inarcò le sopracciglia. “Bene, è ora che io vada: alle sei ho un appuntamento con il club del cucito. Tra cinque minuti esco e non farò ritorno che tra un’ora e mezza, non c’è nessun altro in casa” Simone fece di nuovo l’occhiolino al ragazzino, ancora più imbarazzato di prima. “Divertitevi, ragazzi!” La donna uscì dalla stanza e Bill guardò la porta, puntò lo sguardo su Jaxon che lo stava guardando terrorizzato.
 
“Noi—Noi dobbiamo fare sesso?” balbetto, Bill sospirò.
 
“No! A meno che tu non lo voglia” scherzò per rendere l’aria meno pesante, ma Jaxon non sembrò capire la battuta perché strabuzzò gli occhi spaventato. “Jaxon, diamine, non faremo sesso!”
 
 
*
 
 
“Ciao, Troy Bolton!” lo prese in giro Bill, Tom si girò a guardarlo e ridacchiò. Era il giorno della partita e lui si sentiva forte e sicuro di sé, ma allo stesso tempo ansioso. Sapere di avere il moro tra il pubblico lo faceva sentire più nervoso, ma anche più fiducioso. Era venuto a trovarlo negli spogliatoi prima che la partita iniziasse, ma Tom non sospettava che fosse venuto lì solo per vedere torsi nudi piuttosto che lui.
 
“Ciao! Tu quale personaggio saresti?” disse Tom e si tolse la maglia con cui era venuto, Bill si sedette sulla panchina in legno negli spogliatoi accanto a lui e guardò il torso nudo del ragazzo. Era venuto per vedere quello degli altri, ma anche quello di Tom andava bene, lui aveva un fisico incredibile. Era fortunato che Bill avesse superato la fase prepuberale e che quindi fosse in grado di controllarsi, in questo modo la sua antipatia (l’odio che provava per Tom si era trasformata in antipatia) poteva prevalere su qualsiasi altro tipo di eccitazione.
 
“Indubbiamente Sharpay. Davvero hai sentito la necessità di chiedermi questo? Avresti dovuto immaginarlo” disse e Tom ridacchiò, un po’ deluso dal fatto che il ragazzo non ci tenesse a essere Gabriella.
 
“Già, avrei dovuto immaginarlo” Tom frugò nel suo borsone e cacciò la sua divisa. Non che gli desse fastidio la visita di Bill, ma ora avrebbe dovuto cambiarsi di fronte a lui e questo lo metteva un po’ in imbarazzo. Lui, tuttavia, sembrava estremamente calmo e rilassato e il rasta sospirò, avrebbe voluto vederlo altrettanto nervoso a causa della presenza così ravvicinata di un Tom mezzo nudo. “Non hai una minigonna. Come avevi promesso” gli disse, convincendosi che fare conversazione avrebbe reso la situazione meno imbarazzante (beh, imbarazzante per lui. Bill stava guardando il sedere di qualcuno alle sue spalle, ma lui non lo notò) che rimanere in silenzio. Riuscì a togliersi i pantaloni rimanendo in mutande, ma Bill comunque si ritrovò a fissarlo.
 
Rimase estasiato: Tom aveva un fisico asciutto, non aveva gli addominali, era vero, ma Bill riusciva a intravedere un accenno di pettorali e di muscoli. Le sue gambe erano toniche e allenate e il ragazzo si ritrovò a fissarle insistentemente, perché stava facendo di tutto per guardare semplicemente lì e non altrove, magari più in su.
 
“No, esatto, ho indossato i jeans come ti avevo detto, perché in fondo ho un animo buono e non voglio che nessuna ragazza pianga stasera” disse e Tom ridacchiò, si infilò la maglia con cui avrebbe giocato. “Ma comunque perché ti hanno nominato capitano? Hai fatto loro pietà?”
 
“Mi hanno nominato capitano perché sono bravo” gli rispose Tom e si infilò i pantaloncini, si sedette accanto a lui per mettersi le scarpe.
 
“Qualcuno qui dovrebbe farsi un bagno di umiltà”
 
“Sei la persona meno adatta a parlare di umiltà”
 
“Mi stai spingendo a fare il tifo per l’altra squadra: mi manca davvero pochissimo” Il rasta scosse il capo con un sorriso sul volto e si allacciò la scarpa destra. “Non ho mai visto una tua partita a dire la verità, non so il modo in cui giochi, quindi, per quanto mi riguarda, continuerò a pensare che ti abbiano scelto perché gli fai pena finché non inizierò a reputare il contrario”
 
Tom si alzò e si stiracchiò, si girò verso Bill e gli sorrise. Si avvicinò al suo viso e poggiò la fronte contro sua, il moro fissò i suoi occhi color nocciola nei suoi. I loro visi erano davvero molto vicini, al punto che i loro nasi si sfiorarono. Se Bill avesse prestato abbastanza attenzione, avrebbe sentito il cuore del rasta battere così veloce da sembrare un tamburo. “Allora guardami” sussurrò prima di andarsene, lasciò Bill da solo con i suoi pensieri, tra i quali il principale era: “Perché Tom ha dovuto fare un’uscita drammatica, sapendo benissimo che quello è il compito di Bill?”.
 
Bill scosse il capo e si alzò. Tom era andato al centro dello spogliatoio e aveva chiamato a raccolta i suoi compagni di squadra per dire loro qualche ultima parola d’incoraggiamento prima della partita, ma anche per assicurarsi che tutti fossero in forma e che tutti ricordassero lo schema che avevano così duramente preparato e studiato. Il moro lanciò un ultimo sguardo al capitano e poi decise di andare a prendere il suo posto sugli spalti.
 
Bill era pensieroso. Era strano per lui esserlo, ma non riusciva a non pensare all’appuntamento di Jaxon. Ieri sera se n’era andato da casa sua con la testa piena di consigli, ma il moro era il primo a sperare che non li seguisse tutti alla lettera: un primo appuntamento doveva essere innanzitutto spontaneo, non meccanico e innaturale. L’incontro ufficiale tra il ragazzo e Lydia sarebbe avvenuto a breve: i due si erano dati appuntamento alle nove e avevano deciso di mangiare sushi. Era stato Bill a consigliargli di vedersi per cenare insieme, d’altronde il cibo era sempre un ottimo spunto per la conversazione. Ciò che gli dava da pensare era proprio l’appuntamento in sé, perché da questo dipendeva il modo in cui gli altri trattavano Jaxon. Per quanto dimostrasse di essere insensibile, non lo era e voleva che gli altri smettessero di prendere in giro quel ragazzo una volta per tutte.
 
Gli spalti erano pieni di tifosi, ma lui riuscì comunque a trovare un posto per sé. Guardò il campo ancora vuoto e tirò dalla tasca dei suoi jeans il telefono: Jaxon non gli aveva inviato nessun messaggio. Era sicuro che lo avrebbe inondato di messaggi e di telefonate, ma non era così e questo riuscì a tranquillizzare un po’ Bill: magari l’appuntamento stava andando bene. Solamente il giorno dopo a scuola, però, avrebbe visto Jaxon e saputo di più sull’incontro tra i due.
 
A un tratto qualcuno seduto accanto a lui poggiò la mano sul suo avambraccio, Bill, così immerso nei suoi pensieri, sussultò. “Tu sei Bill?” gli chiese il ragazzo alla sua destra. Il moro lo guardò: era un ragazzo alto e incredibilmente magro, la sua pelle era mulatta e i suoi capelli, molto scompigliati, erano castani. Indossava una maglia verde scuro a maniche corte nonostante facesse freddo e dei jeans larghi.
 
“Uhm, sì. Invece tu chi sei?” gli chiese guardandolo da capo a piedi, ma il ragazzo non si sentì in soggezione. “Questa deve continuare a stare qui?” gli chiese facendo cenno alla mano dello strano tipo. Non gli piaceva che gli sconosciuti lo toccassero.
 
“Ho sentito le tue vibrazioni tra queste centinaia di persone” gli disse e lo guardò, continuando a toccarlo.
 
“Oh mio Dio, ricominciamo?” chiese, ancora non aveva allontanato da sé la paura che quella strana di Amelia gli aveva infuso. “Forse hai sentito le mie vibrazioni perché sono vicino a te. Altre persone mi hanno detto di sentire le mie vibrazioni, ma sono sicuro di non averne: forse siete voi che siete un po’ psicopatici”
 
“Hai un gatto?”
 
Bill sospirò, quel tipo gli dava l’impressione di non ascoltarlo. “Eccoci di nuovo. No, non ho un gatto”.
 
“Adesso hai un gatto”
 
“Che cosa?” gli chiese inclinando il capo, il ragazzo lo guardò e Bill ricambiò il suo sguardo. Sentì il suo telefono squillare e lo prese velocemente pensando che fosse Jaxon, ma vide che colei che lo stava chiamando era la madre. Sospirò e disse al ragazzo: “Scusami un attimo”. Accettò la chiamata e mise il telefono vicino all’orecchio. “Mamma?” rispose e sentì un gran rumore intorno a lui: entrambe le due squadre erano entrate in campo; Tom era di fronte ai suoi compagni e si avvicinò all’altro capitano, gli sorrise e i due si strinsero la mano. Bill si tappò l’orecchio per sentire meglio la mano.
 
“Bill, amore! Non so cosa sia successo” urlò la madre, si sentiva che era piuttosto nervosa.
 
“Mamma, stai bene?” lo chiese, iniziando a preoccuparsi anche lui.
 
“Sì, sì, io sto bene. Stavo ritornando dal supermercato con la macchina e per poco non ho investito un gattino! Sono scesa immediatamente dall’auto e lui è venuto ai miei piedi, non so cosa fare!” esclamò la madre, Bill strabuzzò gli occhi e guardò il tipo accanto a lui, questo stava ascoltando la conversazione con lo sguardo fisso sul moro.
 
“Non lo so, ignoralo, mamma!”
 
“Ma è così piccolino e carino!”
 
“Ignoralo!” le ripeté il figlio.
 
Simone sospirò. “D’accordo, allora prendo le buste della spesa e torno a casa”
 
“Così si fa! Ciao, mamma” disse e attaccò. Guardò il ragazzo che lo stava ancora fissando e sorrise. “Mi sa che ti è andata male, io non ho—” Il telefono squillò di nuovo e neanche questa volta era Jaxon. “Pronto, mamma?”
 
“Bill, adesso abbiamo un gattino! Sei libero di decidere il nome. Bacini” disse e la donna riattaccò, Bill inarcò le sopracciglia e guardò il ragazzo.
 
“Io ho un gatto” sussurrò e posò sul suo grembo il telefono. La paura gli era appena passata, era riuscito a convivere con la sensazione di aver incontrato un mezzo demone e adesso un altro mezzo demone gli si presentava davanti. Senza che lui lo volesse, senza che lui potesse fare nulla per evitarlo. Un mezzo demone più un mezzo demone faceva un essere demoniaco completo e la sua paura inevitabilmente si moltiplicò per due. Improvvisamente gli venne un’illuminazione e pensò che un demone felice era un demone inoffensivo.
 
Guardò il ragazzo e gli sorrise, gli mise le mani sulle spalle. “So già come comportarvi con voi mezzi demoni: non volete mai dirmi il vostro nome e quindi lo devo inventare. Facciamo dunque che il tuo nome è Jake? Ti va bene?”
 
“Jake?” ripeté il ragazzo corrugando la fronte.
 
“Sì, Jake è perfetto, perfetto” disse e prese il suo telefono, aprì la rubrica e cercò tra i numeri memorizzati. “Sai, forse non lo sai, ma io ho un lavoro part-time”
 
“Sei un organizzatore d’incontri” gli disse il ragazzo e Bill scosse il capo.
 
“Avrei dovuto immaginarlo che l’avresti indovinato”
 
“In verità tutta la scuola sa che sei un organizzatore di scopate”
 
Il moro sospirò e chiamò l’unico mezzo demone che conosceva. “Ciao Amelia! Sì, sono io, Bill. Lo sai che ti ho rimediato un appuntamento? Ah, lo sapevi già. Va bene, allora ti invio il suo numero via messaggi. Ciao” Chiuse la telefonata e lanciò uno sguardo a Jake. “Mi dai il tuo numero?”
 
 
*
 
 
La squadra di Tom aveva vinto e Bill era rimasto concentrato sulla partita solamente durante gli ultimi venti minuti. Infatti si era velocemente sparsa la voce sugli spalti che lui fosse il famosissimo Bill, quello che riusciva a trovare la donna perfetta per tutti, e numerosi tifosi si erano avvicinati a lui per chiedere informazioni. Bill aveva dunque dovuto tirare fuori il raccoglitore rosa che oramai era abituato a tenere sempre con sé e dispensare qualche numero di telefono, solamente dopo essersi accertato che ci potesse essere un potenziale feeling, ovviamente. Era riuscito a formare cinque coppie, senza contare la coppia demoniaca.
 
Ma durante quei venti minuti in cui Bill si era interessato alla partita aveva dovuto constatare che Tom era davvero bravo: non solo la sua tecnica era perfetta, ma quando qualche suo compagno sbagliava lui si faceva in mille per cercare di risolvere. Quando non aveva la palla urlava qualcosa per incoraggiare i suoi compagni e aiutava loro a fare canestro. Quando l’arbitrò fischiò, segno che la partita era finita, Tom si avvicinò nuovamente al capitano dell’altra squadra e di nuovo gli strinse la mano, ma questa volta si fermò a chiacchierare con lui. Bill immaginava che si sarebbero picchiati, ma i due ridevano e scherzavano.
 
Era incredibile come Tom riuscisse ad andare d’accordo con tutti, anche con l’avversario che aveva appena sconfitto. Si chiese invece perché lui e Tom non andassero d’accordo. Gli era chiaro il motivo della sua rabbia, ma era qualcosa successa anni fa quando loro erano piccoli ed era incredibile come ancora non riuscisse a dimenticarlo. Il rasta non gli aveva mai comunque dato motivo di rancore o astio, anzi, era sempre molto carino nei suoi confronti, anche se delle volte faceva finta di ricambiare l’odio solamente per puro divertimento. Forse Bill annoverava Tom tra le persone che odiava semplicemente perché non voleva ammettere che almeno un po’ gli voleva bene. Era inutile nasconderlo: loro erano cresciuti insieme, Bill era abituato a vederlo ogni singolo giorno oramai e un po’ si era affezionato. Erano come fratello e sorella, ma non sapeva davvero perché il suo rapporto con lui non si fosse evoluto come quello con Georg e Gustav.
 
Quando si risvegliò dai suoi pensieri vide che il campo era vuoto, entrambe le squadre stavano facendo ritorno ai rispettivi spogliatoi e anche gli spalti si stavano svuotando. Guardò alla sua destra e notò che Jake se n’era andato, scosse il capo e si alzò. Scese velocemente le scale e si avvicinò come prima agli spogliatoi.
 
Aveva deciso che smettere di odiare Tom andava bene – d’altronde era qualcosa che aveva già fatto prima – ma non sapeva se fosse pronto a intraprendere una nuova amicizia. Solo Dio sapeva quanto Bill fosse incapace nello stringere amicizie, soprattutto con le persone che aveva odiato sino a quel momento! Se Tom ci teneva a diventare suo amico come dimostrava così disperatamente, allora avrebbe dovuto fare lui il passo più lungo della gamba.
 
Entrò negli spogliatoi e vide Tom circondato dai suoi compagni di squadra. Si sentivano schiamazzi, risate e urla: molti stavano elogiando il capitano per modo in cui aveva giocato, altri invece elogiavano la vittoria – in effetti questa significava molto per loro, essendo una partita parecchio importante. Quando però il biondo, con la coda dell’occhio, vide Bill, disse qualcosa agli altri e questi si dissolsero. Continuarono a parlare in modo piuttosto rumoroso tra di loro mentre si avviavano alla docce.
 
“Ehi” lo salutò il capitano, si passò l’asciugamano con cui aveva circondato il collo sul viso.
 
“Suppongo di doverti dire che sei stato bravo, ma non montarti la testa!” esclamò Bill e Tom rise, ma il ragazzo si rese conto che, se volevano diventare amici, anche lui avrebbe dovuto fare qualche passo in avanti. “Cioè, voglio dire, sei stato molto bravo”
 
“Grazie, Bill. Suppongo allora di dover annullare quel bagno di umiltà che avevo prenotato qualche ora fa”
 
Il moro gli mandò un’occhiataccia. “Sto cercando di mostrarmi simpatico nei tuoi confronti, ma la tua antipatia me lo impedisce. Mi rimangio tutto”
 
Tom rise gettando la testa indietro e Bill guardò il suo viso, era leggermente rosso a causa dello sforzo. “D’accordo, scusami. Adesso sono stato io quello antipatico” gli disse e lo guardò, gli sorrise.
 
“Sei sempre tu quello antipatico. Pensavi che lo fossi io, scusami? Come può qualcuno con la mia personalità essere antipatico?”
 
“Hai ragione, Bill, ma devi scusarmi, il tuo complimento mi ha fatto così montare la testa da dimenticare che sono io l’antipatico e da accusare te di esserlo” lo prese in giro e sorrise. “Ti va di bere qualcosa?”
 
“È il minimo che tu possa fare per farti perdonare”
 
 
 

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Capitolo 5
*** La bacheca. ***


 
 
 
 
Capitolo 5.
La bacheca.
 
 
 
 
 
 
Quando Tom aveva detto a Bill di bere qualcosa, aveva omesso il fatto che intendesse qualcosa senza alcol. Bill, infatti, un po’ sbalordito, aveva visto il ragazzo ordinare una bibita gassata e rispondere, alla sua richiesta di spiegazioni, che entrambi avevano diciassette anni. Tom aveva dovuto spiegarsi ulteriormente, perché il ragazzo non riusciva davvero a capire come questa potesse essere un’effettiva risposta alla sua domanda precedente.
 
“L’età minima per bere in Germania è diciott’anni” disse e Bill inarcò le sopracciglia, inclinò il capo e poi corrugò la fronte. “Non lo sapevi?”
 
“No, cioè, sì, certo che lo sapevo! Ma—davvero rispetti quella legge così stupida?” gli chiese e il ragazzo di fronte a lui gli fece spallucce. Dopo la doccia era ritornato a indossare i suoi abiti enormi con un po’ di dispiacere da parte di Bill: era piacevole vederlo in una tuta, o almeno, era piacevole vederlo in abiti della sua taglia che aderissero al suo corpo, in modo da permettere a Bill di fantasticare su questo almeno per un po’. A questo pensiero Bill sussultò, aveva bisogno di sfogare il suo desiderio con qualcuno: era da davvero troppo tempo che non aveva un ragazzo. “Mi stai facendo capire che non hai mai bevuto alcol?”
 
“No, mai. Quando compirò diciott’anni potrò finalmente ubriacarmi” disse e Bill inarcò le sopracciglia. Erano così pochi gli adolescenti che davvero aspettavano di compiere il diciottesimo anno di età per bere che non pensava esistessero.
 
“Oh, Dio, un verginello dell’alcol” sussurrò Bill e si coprì il viso, sprofondò nella poltrona del pub dove si erano rifugiati per sfuggire alla pioggia che nel frattempo aveva iniziato a scendere. Una cameriera portò loro le bibite che avevano ordinato e Tom rise. Alla fine il moro aveva rinunciato a ordinare qualcosa di alcolico, nonostante sapesse che quel pub vendeva comunque alcol ai minorenni, semplicemente per mostrare supporto a Tom – e per non fare la figura dell’alcolizzato.
 
“Credo che il tuo concetto di verginello si stia espandendo un po’ troppo fino a includere cose che non lo riguardano” disse con un sorriso, girando la cannuccia nel suo bicchiere e facendo scontrare tra di loro i cubetti di ghiaccio.
 
“A proposito di verginello,” disse e velocemente prese il telefono dalla tasca e lo guardò: nessuna chiamata né messaggio da parte di Jaxon. Si mise una mano sul volto mentre fissava lo schermo: questo voleva dire che l’appuntamento era andato estremamente bene o estremamente male. Bill fu propenso a chiamarlo, ma nel caso fosse andato bene e davvero quei due stessero combinando qualcosa avrebbe interrotto loro.
 
“Hai trovato una vergine sacrificale?” gli chiese Tom guardandolo, Bill sembrava un po’ preoccupato. Mentre giocava la partita aveva di tanto in tanto alzato lo sguardo sugli spalti per guardarlo e lo aveva trovato circondato da tifosi accorsi lì per la partita. Era tipico di Bill attrarre molte persone, sebbene con le sue parole e con i suoi modi cercasse di fare esattamente il contrario: allontanare loro. Tom non sapeva esattamente perché ci fosse così tanta folla intorno al ragazzo, ma costui riusciva sempre a tenere banco, in un modo o nell’altro.
 
“Sì, come no. Sono io la vergine sacrificale del mondo” disse e decise infine di scrivere un messaggio a Jaxon, in modo da non disturbarlo troppo nel caso in cui stesse facendo qualcosa di —ecco, animalesco.
 
“È questo il motivo per cui tutta quella gente era intorno a te durante la partita? Hai offerto il tuo corpo a una setta satanica per un sacrificio?” disse Tom e sorrise, Bill ripose il telefono nella tasca dopo aver scritto un breve messaggio al ragazzo per assicurarsi che stesse bene.
 
“Tom, non scherzare su queste cose! Ho incontrato alcune persone molto strane ultimamente che mi hanno fatto molto paura. Tu pensi che Satana non esista, e invece i suoi discepoli sono dappertutto nel mondo. Guardati sempre le spalle” gli disse avvertendolo, il rasta si fece più vicino.
 
“Stai dicendo che ci sono dei satanisti nella nostra scuola?” gli chiese.
 
“Non satanisti, ma mezzi demoni”
 
“Questo è peggio!”
 
“Non ti dirò niente di più, Tom: ho già invischiato Georg e Gustav in questa storia e non vorrei che, nel caso succedesse qualcosa, capitasse qualcosa di brutto anche a te”
 
“Questo è il lato altruista di Bill che non avevo mai visto” gli confessò il ragazzo, Bill roteò gli occhi e poi alzò le spalle.
 
“Già, beh, suppongo di non essere così infernale come mi dipingono tutti”
 
“Come ti dipingi tu” lo corresse Tom, gli sorrise. “Non credo che nessuno ti reputi infernale, altrimenti non si avvicinerebbero a te nemmeno se fossi il migliore organizzatore di scopate sulla faccia della terra” Bill fece spallucce e prese la sua bibita, ne bevve un po’. “E comunque non hai risposto alla mia domanda”
 
“Il lavoro mi segue dappertutto: ho costruito cinque coppie mentre assistevo alla tua partita” Bill finalmente rispose alla sua domanda, prese il bicchiere con la mano destra e lo guardò. “Non capisco perché io abbia tanto successo come organizzatore d’incontri quando ho solamente rimorchiato un appuntamento a quell’idiota di Georg”
 
Tom ridacchiò perché gli faceva ridere il fatto che quando il moro parlasse dei suoi amici dovesse accompagnare i loro nomi a degli aggettivi come “stupido” o, in questo caso, “idiota”. “Forse perché pensano che, se tu ce l’hai fatta con Georg, il caso più difficile della scuola, possa farcela con tutti?” avanzò un’ipotesi, Bill alzò lo sguardo su di lui con una scintilla negli occhi. Si aprì lentamente in un sorriso canzonatorio.
 
“Che stronzo che sei!” lo insultò, ma stava sorridendo e trattenendo le risate.
 
“Hai trovato qualcuno anche per me?”
 
“Oh, Tom, mi dispiace, non conosco nessun gatto da presentarti al momento” disse, ma poi corrugò la fronte. “Aspetta, conosco un gatto, ma non so che aspetto abbia, né conosco il suo nome. Potrei organizzare un incontro!”
 
Il rasta sorrise. “Non voglio un incontro così al buio, Bill”
 
“Va bene, allora prima lo conoscerò e poi te lo presenterò” Il ragazzo si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Sei noioso! Perché non vuoi un appuntamento al buio? Non vuoi provare una sorta di brivido felino?” Scoppiò a ridere per la sua stessa battuta, Tom roteò gli occhi.
 
 
*
 
 
Il corridoio della scuola era abbastanza affollato, ma non c’era molto rumore: gli alunni parlavano allegramente tra di loro e dunque si sentiva un fitto chiacchiericcio, ma per il resto era tutto estremamente tranquillo. Bill inspirò profondamente e lanciò un urlo che squarciò il silenzio in cui, da un po’, esattamente da quando lui non c’era, era immerso il corridoio: “Jaxon!”.
 
Il ragazzo in questione trasalì e si fermò immediatamente, impallidì come se l’avessero chiamato a giudizio. Si girò intorno, ma non vide da nessuna parte la faccia familiare di Bill e per questo si tranquillizzò un po’: forse quell’urlo infernale se l’era solo sognato, riprese a camminare.
 
“Jaxon!”. Nuovamente sentì quella voce, questa volta più vicina e il suo nome fu accompagnato da un’altra frase: “Ma come cavolo osi non rispondere ai miei messaggi?!”. Questa volta Bill sembrava davvero infuriato, così capì bene che l’unica soluzione era fermarsi nuovamente – altrimenti si sarebbe arrabbiato ancora di più – e aspettare l’inevitabile.
 
“Jaxon, eccoti!” urlò Bill e si avvicinò a lui, alle sue spalle, come se fossero le sue guardie del corpo, Georg e Gustav. “Una sola precisazione: ignorare Bill non è il modo giusto per ingraziarsi Bill”
 
Jaxon deglutì e lo guardò negli occhi furenti. “S-Scusami” balbettò e abbassò lo sguardò. Bill sospirò e si mise una mano su un fianco.
 
“Sei perdonato, ma la prossima volta che ti ignoro ci saranno ripercussioni più gravi!” esclamò e poi sembrò davvero calmarsi. “Com’è andato l’appuntamento?”
 
“Oh, Bill, io ti devo ringraziare!” esclamò il ragazzo e circondò il suo collo con le braccia, lo strinse forte a sé. Il moro guardò Jaxon e corrugò la fronte, non gli piaceva essere toccato dagli estranei, nemmeno se uno di questi era Jaxon, il ragazzo che aveva cercato così disperatamente di aiutare.
 
“Okay, ora basta, staccati” disse e Jaxon obbedì, fece due passi indietro. Bill perse la sua aria seriosa e finalmente sorrise, poi gli chiese con il tono più candido che potesse avere: “Hai scopato?”.
 
“No, non ho scopato”
 
“Dio, sei ancora un verginello!”


“Lo dici come se ti facesse schifo”
 
“A me fanno schifo tutte le persone, senza distinzione di razza, di sessualità e di genere” chiarì Bill. “Allora perché è andato così bene?”
 
“Io e Lydia ci siamo trovati sin da subito in sintonia. Pensavo che sarebbe stato un appuntamento penoso” Il ragazzo vide Bill inalberarsi nuovamente e cercò di correre ai ripari. “Non sto mettendo in dubbio le tue capacità da organizzatore d’incontri, ma le mie! Insomma, non ho mai avuto un appuntamento, non sapevo come comportarmi né cosa dire. Avevo molta paura, ma dopo i primi minuti di imbarazzo la conversazione è diventata piacevole e fluida. Ho seguito i tuoi consigli, sai, quelli riguardo i baci e il sesso al primo appuntamento, ma abbiamo promesso di rivederci di nuovo”
 
Bill tirò un enorme sospiro di sollievo, era da ieri che era in ansia per questo appuntamento – e non era nemmeno il suo! “Oh, Dio, Jaxon, mi hai fatto preoccupare così tanto” disse e si mise una mano sul petto, sospirò guardando in alto.
 
“Scusami, ma ieri non avevo visto il tuo messaggio” Jaxon si grattò il capo abbassando lo sguardo.
 
“Non preoccuparti, sono felice di star contribuendo alla perdita della tua verginità”
 
“A proposito di questo” Jaxon s’interruppe e si avvicinò, Bill prestò più attenzione. “Io e Lydia non abbiamo fatto niente ieri sera, ma si è sparsa comunque la voce che abbiamo fatto follie a letto. Le ho parlato di questo e lei mi ha detto che non le dà fastidio che ci sia questa falsa notizia, anche perché entrambi vogliamo aspettare un po’ prima di— ehm, consumare. In ogni caso, nessuno mi prende più in giro perché sono vergine e tutto questo grazie a te, Bill!” Il ragazzo abbracciò nuovamente Bill che sospirò pesantemente.
 
“Cavolo, ma allora hai il vizio di toccarmi! Togliti, non lo ripeto più” Jaxon nuovamente ubbidì, gli sorrise per ringraziarlo dato che al moro non piacevano le dimostrazioni d’affetto. Improvvisamente si ricordò che c’erano altre persone che gli avevano dimostrato la loro gratitudine in altri modi meno carnali.
 
“Hai notato la bacheca di fronte le porte della scuola?” chiese infatti, il moro corrugò la fronte.
 
“Perché avrei dovuto notarla?” chiese e Jaxon sorrise, fece spallucce. Bill lanciò un’occhiata ai suoi amici e poi si avviò velocemente alle porte della scuola, le sue fedeli guardie del corpo lo seguirono senza indugi. Di fronte le porte c’era una grande bacheca, la quale era normalmente vuota. Ma adesso su questa vi erano tre bigliettini, chiaramente fogli strappati malamente da un quaderno, sui quali qualcuno, con grafie diverse, ma sempre disordinate, aveva scritto qualcosa. In cima a questi bigliettini appesi con una puntina ce n’era uno, più grande, che recitava: “Recensioni sul lavoro di Bill”.
 
“Che cazzo?” sussurrò Bill e tolse la puntina a un bigliettino, lo lesse. “Alla partita di basket Bill mi ha rimediato un appuntamento, la scopata più fantastica della mia vita. Cinque stelle su cinque, lo consiglierei a tutti”. Il moro strabuzzò gli occhi e guardò i suoi amici, anche questi si erano avvicinati per vedere cosa ci fosse scritto. “Io—Non so cosa dire”
 
“Bill, la tua attività di organizzatore di scopate sta andando alla grande! Guarda questo bigliettino” esclamò Georg e gli passò un altro bigliettino, affissò quello che Bill aveva tolto dal suo posto. Il moro, un po’ spaventato e con mani tremanti, lesse: “Grazie a Bill ieri sera ho trovato la mia Giulietta, è esattamente come l’aveva descritta Shakespeare. L’unica differenza è che Romeo non ha avuto la possibilità di farsela, mentre io e lei abbiamo fatto follie ieri sera. Sei stelle su cinque”.
 
“Non sapevo di avere tra i clienti un poeta” commentò ironico Bill, passò il bigliettino a Gustav perché voleva leggerlo. Il ragazzo corrugò la fronte e osservò la bacheca, domandandosi chi avesse avuto la brillante idea di fargli tutta questa pubblicità – una così cattiva pubblicità, poi! Cavolo, Bill non sapeva rimediare una scopata per se stesso, come diavolo riusciva a farlo così bene con gli altri? Gli avevano anche dato tutti cinque stelle – il poeta addirittura sei. Voleva essere una persona estranea per potersi chiedere da solo quale fosse il suo trucco, il suo segreto, ma sapeva che non ne aveva uno. Forse doveva iniziare a guardarsi un po’ di più intorno e cercare qualcuno anche per lui, magari si sarebbe addolcito, magari avrebbe smesso di torturare le persone intorno a lui, magari avrebbe smesso definitivamente di andare a yoga e scartato del tutto il pensiero di andare in terapia. Ma come diamine avrebbe fatto a trovare qualcuno? Avrebbe tanto voluto non essere lui l’organizzatore di scopate della scuola, così magari gli si sarebbe rivolto. O forse doveva arrendersi all’idea di rimanere solo al mondo per tutta la vita, con la sola compagnia della sua mano e delle sue dita quando sentiva di fare qualcosa di più spinto? Avrebbe davvero dovuto dormire con Georg qualora gli venisse voglia di riprovare l’ebbrezza di dormire con un uomo peloso e virile? Ma poi, Georg era davvero virile? Peloso certamente, Bill lo aveva visto nudo più volte – per sua sfortuna. Non voleva dormire con Georg, ma sembrava l’opzione migliore. Forse avrebbe dovuto fare qualche pensierino su Gustav.
 
Sospirò, assorto nei suoi pensieri. “Mi domando quale sia il modo più veloce per scomparire da questa città e ritrovarmi a chilometri e chilometri di distanza” disse girando a guardare i suoi amici, dopo infiniti minuti a fissare la bacheca.
 
“Uhm, non credo che ora come ora tu possa andartene senza farti vedere” gli disse Gustav, Bill corrugò la fronte.
 
“Perché?” chiese e poi, finalmente, si guardò intorno. Era come se solo allora i suoi sensi dell’udito e della vista si fossero attivati e gli avessero permesso di capire e comprendere lo spazio intorno a sé. Bill era letteralmente circondato da ragazzi – questo era sempre stato il suo sogno, ma, senza sapere perché, non sembrava star vivendo davvero un sogno, forse più un incubo. I ragazzi spingevano e parlavano ad alta voce, tutti cercavano di parlare e di farsi sentire da Bill a scapito di qualcun altro. Il ragazzo strabuzzò gli occhi e si guardò intorno, improvvisamente senza fiato. “Che cazzo sta succedendo?” urlò il moro ai suoi due amici, ma questi sembravano stupiti quanto lui. “Gustav, cerca di capire cosa vogliono!”
 
“Sembra che vogliano scopare, Bill” disse il ragazzo guardando a una a una quelle facce.
 
“Oh, Dio, anche io” gemette Bill.
 
“Bill, non è il momento!” lo sgridò Gustav. “Allontana queste persone!”
 
Il moro si schiarì la gola e iniziò a indietreggiare, ma quella folla lo seguiva a ogni passo che faceva. Quando si ritrovò con le spalle contro la bacheca, seppe che era davvero impossibile liberarsi. “Gentiluomini, cosa posso fare per voi?” chiese timidamente Bill con un filo di voce, ma tutti lo sentirono benissimo.
 
“Quello per cui ti abbiamo pagato!” urlò un ragazzo biondo nella folla alla sinistra dei tre amici.
 
Bill corrugò la fronte. “Ma voi non mi avete pagato!” esclamò Bill e per un momento la folla si zittì, si sentì immediatamente un mormorio, come se tutti stessero sussurrando tra di loro per decidere il da farsi.
 
“Allora fa’ quello in cui sei bravo!” esclamò un altro ragazzo, ma questa volta a parlare era un ragazzo moro alla destra.
 
“Okay, allora vi dirò il piano che dovremmo seguire alla lettera” disse il moro e ci fu, dopo tanto, un grande silenzio. Bill aveva l’attenzione di tutti: lo osservavano, studiavano i suoi tratti mentre aspettavano che parlasse. Il ragazzo, dal canto suo, osservò in un primo momento quelle facce, poi il loro sguardo scese più in basso verso le loro gambe. Trovò un’improbabile uscita che in una situazione normale non avrebbe mai preso, ma che al momento gli sembrava perfetta. “Ragazzi” sussurrò ai suoi amici, Georg e Gustav lo guardarono. “Seguitemi” Il moro s’inginocchiò e poi si mise a strusciare tra le gambe dei ragazzi che, con qualche urla e movimento, cercarono di interrompere il passaggio dei tre amici. Pochi minuti dopo Bill, Georg e Gustav stavano correndo via, verso la libertà.

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Capitolo 6
*** Il primo appuntamento. ***


 
 
 
 
Capitolo 6.
Il primo appuntamento.
 
 
 
 
 
 
I giorni passarono lentamente dopo lo spiacevole incontro che Bill, Georg e Gustav avevano avuto con una folla inferocita e arrapata. L’organizzatore d’incontri avrebbe dovuto probabilmente smettere di fare quel tipo di lavoro, diventare un monaco buddista, ritirarsi in contemplazione e chiudersi in un silenzio religioso, ma si era reso conto che cercare l’amore per gli altri gli impediva di pensare al suo, ancora inesistente. Aveva dunque stabilito nuove regole con i suoi clienti: andava bene affissare recensioni sulla bacheca, ma in nessun caso avrebbero dovuto toccare o circondare Bill come avevano fatto la scorsa volta. Se avessero voluto parlare con lui direttamente, avrebbero dovuto accordarsi tra di loro e presentarsi uno alla volta, altrimenti il ragazzo non avrebbe ascoltato nessuno. Si era così creato un gruppo su Whatsapp per mettersi d’accordo sull’ora e sul giorno, gruppo in cui era stato ovviamente incluso anche Bill, il quale era uscito dopo essere rimasto scandalizzato per la mole di battutine vergognose e indecenti che quei ragazzi scrivevano.
 
Bill era davvero contento di aver imposto delle regole, perché nessuno lo assaliva più. Era vero, la bacheca continuava a riempirsi di bigliettini che avevano al centro degli stessi il tema delle grandi scopate, ma a lui non importava granché. Da qualche giorno era comparso un bigliettino, l’unico fino a quel momento, che recava due stelle su cinque: il ragazzo in questione aveva rimediato, grazie a Bill, un appuntamento con questa ragazza, salvo poi accorgersi che a lei piacevano tutti fuorché gli uomini. I due avevano dunque passato la serata a commentare le cameriere carine e lei era riuscita addirittura a ottenere da una di queste il numero di telefono. Inutile dire che il ragazzo era venuto a lamentarsi con Bill per come era andato l’appuntamento e l’organizzatore si era preso tutta la colpa: avrebbe dovuto immaginarlo che a lei piacevano le donne quando gli aveva detto che la sua autrice preferita era Saffo.
 
Era l’ora di ricreazione e come al solito i tre amici erano fuori a godersi il sole. Marzo era passato ed era giunto aprile; il sole era dunque un po’ più caldo, sebbene in quei giorni avesse comunque piovuto.
 
Bill rollò la sigaretta e leccò la cartina, la chiuse e poi la posizionò tra le labbra. Si tastò le tasche alla ricerca dell’accendino e quando lo trovò accese la sigaretta, aspirò profondamente. Non aveva fatto nessuna pausa per la sigaretta tra una lezione e l’altra, quindi non era che la seconda della mattinata e solo Dio sapeva quanto l’avesse desiderata.
 
“Quando stamattina sono entrato a scuola ho visto che la bacheca riservata a Bill era piena di bigliettini, al punto che alcuni sono caduti” raccontò Gustav mentre gesticolava freneticamente, la sigaretta, accesa, era tra il suo indice e il medio. “Tra quanto dovremmo comprare una nuova bacheca, secondo voi?”
 
“Non molto” disse Bill, la sua voce non arrivò chiara, avendo tra le labbra la sigaretta.
 
“Il tuo lavoro di organizzatori d’incontri sta andando alla grande, Bill!” si complimentò  con lui Georg. Era da tanto che il suo collo non presentava succhiotti: questo non perché l’amico avesse rotto con Jilian, ma perché non voleva che i suoi genitori sapessero di loro – in fondo, stavano insieme da poco e Georg non era solito parlare delle sue relazioni con i suoi genitori. “Il prossimo passo è trovare una donna per Gustav” Gustav diede una gomitata all’amico seduto sulle scale di emergenza accanto a lui.
 
“Il prossimo passo non è trovare una donna per Gustav” disse Bill e scosse il capo, salì le scale e si andò a sedere sul gradino successivo a quello degli amici, tra di loro. “Il prossimo passo è trovare un uomo per me”
 
“Oh, Billy” lo canzonò Georg, chiamandolo col soprannome con il quale solo la madre lo chiamava. “Ti manca avere qualcuno da stringere la notte quando fuori è buio e impazza una tempesta?”
 
“Sì” ammise tranquillamente Bill e quest’ammissione sconvolse i ragazzi: si aspettavano che il ragazzo facesse l’ironico come al solito oppure, nel peggiore dei casi, schiaffeggiasse Georg, ma ciò non avvenne. Alla faccia leggermente scandalizzata dei ragazzi, Bill fece spallucce. “Cioè, sapete quanta paura ho dei temporali”
 
“Bill, ti senti davvero così solo?” gli chiese Gustav, ma questa volta non stavano scherzando.
 
“Insomma, ci sono una serie di sensazioni che provo, molte delle quali indistinguibili, ma in poche parole sì, mi sento solo. Non fraintendetemi, sto bene con me stesso, non potrei amarmi di più, ma sento che se ci fosse qualcun altro la mia vita, il mio umore e il mio carattere sarebbero meno tetri” disse il moro, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “E poi ho una disperata voglia di fare sesso e vedere tutte queste recensioni sulla mia abilità di organizzatore di scopate non mi fa affatto bene!”
 
I suoi due amici si scambiarono un’occhiata loquace. “Bill” lo chiamò Georg e gli prese la mano.
 
“Non toccarmi, brutto scimmione analfabeta”
 
“È ora che io ricambi il favore e che ti organizzi un appuntamento al buio”
 
“Oh no!” esclamò Bill e strabuzzò gli occhi. “Non tu! Tu hai una capacità di giudizio pari a quella di una mosca che va nella tela del ragno”
 
“Non preoccuparti, Bill, lo affianco io” cercò di calmarlo Gustav.
 
“Questo è peggio! Oh, Dio, vorrei non avere mai parlato” Bill si coprì il viso con le mani, non sapeva ancora cosa i due amici avessero in serbo per lui.
 
 
*
 
 
Era il giorno del suo appuntamento al buio e Bill aveva appena salutato i suoi due amici, i quali erano venuti, senza l’invito di nessuno, a casa sua per prepararlo per bene al suo imminente appuntamento. Questo voleva dire che il ragazzo si era dovuto preparare con le irritanti voci dei suoi migliori amici nelle orecchie e solo Dio sapeva quante volte fosse stato vicino ad ucciderli entrambi. L’unica cosa che l’aveva fermato era il pensiero di finire in prigione: la prigione non era nel suo stile, c’erano davvero troppi brutti ceffi perché lui si potesse adeguare.
 
Georg e Gustav non avevano fatto altro che ripetere ciò che Bill diceva loro prima di ogni appuntamento, parola per parola, senza cambiare nemmeno una virgola: gli avevano detto che non doveva baciarlo al primo appuntamento, né tantomeno farci sesso, inoltre gli avevano fatto una lista sulla quale avevano scritto alcuni spunti di conversazione nel caso questa fosse scemata. Bill era propenso a buttarla – qualsiasi cosa prodotta dall’unione delle menti di Georg e Gustav era sicuramente una bruttissima idea – ma alla fine la tenne, perché una delle cose che odiava durante un primo appuntamento era rimanere senza nulla da dire.
 
Quando si era posizionato di fronte lo specchio, vide la sua pelle più liscia del solito, oltre che estremamente pallida. Era da un po’ di tempo – circa due settimane – che aveva smesso di truccarsi. Di solito lo faceva anche a prima mattina prima di andare a scuola, ma in quel periodo aveva preferito mettersi al massimo solo il mascara. Era una cosa rara per Bill farsi vedere senza trucco, ma c’era qualcosa – anzi, sarebbe meglio dire che non c’era niente che lo spingeva a truccarsi. “Mio Dio,” aveva pensato. “Davvero non avere nessuno accanto a me può cambiare il mio carattere così tanto?”. Si disse che probabilmente l’unica ragione per non truccarsi era che era molto impegnato in quel periodo, si svegliava tardi e non aveva tempo di farlo. Mentre Georg parlava e straparlava – anche se spesso si soffermava a parlare di come fosse andato qualche appuntamento che aveva avuto – si era fatto un make-up completo. Solamente dopo aver messo primer, correttore, fondotinta, ombretto, eyeliner e mascara si sentì di nuovo se stesso.
 
Uscì di casa verso le nove e un quarto, nonostante l’appuntamento fosse alle nove – d’altronde, le signore dovevano farsi un po’ attendere, no? – e si avviò al luogo che Georg e Gustav gli avevano indicato: era un ristorante ottimo, l’ambiente, poi, era fantastico e Bill si chiese chi – se loro o se l’uomo ignoto – l’avesse scelto. Entrò nel ristorante e chiese al cameriere la posizione del tavolo, quello gliela indicò. Era pronto a dire la tipica battuta da manuale, “È tanto che aspetti?”, quando, arrivato al tavolo, s’immobilizzò.
 
“Oh mio Dio” disse e aprì la sua borsa, cercò qualcosa al suo interno.
 
“Cosa stai facendo?” gli chiese il ragazzo seduto al tavolo, lo guardò corrugando la fronte.
 
“Sto cercando il mio telefono”
 
“Per fare cosa?”
 
“Per accertarmi che oggi non sia venerdì!” esclamò quando finalmente trovò il telefono, lo aprì e diede un’occhiata al calendario, strabuzzò gli occhi: era martedì. “Io uccido quei due!” esclamò gettando il telefono nella borsa. “Io mi fidavo di loro e loro cosa fanno? Mi fanno uno scherzo! Questo è molto imbarazzante, rimangio tutto ciò che ho detto sulla prigione e sui brutti ceffi. Li uccido, giuro che lo faccio.  Tanto conosco i loro indirizzi e le loro mamme mi reputano abbastanza affidabile: mi farebbero entrare subito. Sarebbe troppo facile, oh, come sarebbe facile, per me, strangolare quei due! Dovrei ucciderli con le mie mani? Un coltello, una pistola? Non importa, ci penserò mentre li raggiungo. Il primo sarà Georg, lo prendo per i piedi, lo trascino fuori dal letto e—”
 
“Bill” lo chiamò Tom e sorrise. Per la serata aveva indossato qualcosa che normalmente non avrebbe mai indossato e se lo aveva fatto era perché Georg gli aveva fatto il lavaggio del cervello: indossava una camicia bianca, le cui maniche aveva arrotolato quasi fino ai gomiti, e dei pantaloni eleganti neri. Non c’era stato verso di fargli indossare né una cravatta né una giacca, non importava quanto Gustav gli promettesse che avrebbe fatto sicuramente colpo sul loro amico. Tom, comunque, guardandosi allo specchio dopo aver raccolto i suoi dread in un’ordinata coda alta, pensava che fosse elegante – e in un certo senso più vicino al suo stile – anche così. “Accomodati. Aspetta, mi hanno detto qualcosa riguardo a questo” Tom si alzò e allontanò la sedia che avrebbe dovuto occupare Bill, quest’ultimo lo guardò in malo modo prima di sedersi. Il rasta ritornò al suo posto, felice di aver fatto la cosa giusta – almeno per questo ringraziò Georg e Gustav, che avevano invaso casa sua prima di invadere quella di Bill.
 
Bill sospirò. “Va bene, è uno scherzo di pessimo gusto, ma poteva andarmi molto peggio” disse e prese il menù sul tavolo, iniziò a consultarlo.
 
“Peggio di me? Impossibile” disse Tom e sorrise vedendolo tutto imbronciato: era davvero convinto che quello fosse uno scherzo! Allora era vero che non sospettava che Tom avesse una cotta per lui, Georg e Gustav non mentivano. D’altronde nemmeno loro due avevano  avuto il benché minimo sospetto: Tom era bravo a nascondere i suoi sentimenti.
 
“No, conoscendo quei due non è impossibile! Georg ultimamente ha stretto amicizia con—” Alzò lo sguardo e lo puntò su un Tom sorridente e felice di essere al suo primo e vero appuntamento con Bill, ma questo non notò che fosse sinceramente felice, pensava che si stesse divertendo a prenderlo in giro come al solito. “Forse non posso dirti con chi ha stretto amicizia”
 
“È un qualche tipo di segreto?”
 
“No, non è un segreto, è che non so se tu hai contatti con la polizia, non vorrei che Georg venisse sbattuto in cella” disse Bill ritornando a sfogliare il menù, poi si fermò quando si rese conto che c’era la possibilità che Georg, e non lui, andasse in carcere, quindi sorrise. “Georg può venire sbattuto in cella! Benissimo, allora canto come un uccellino. Georg ha stretto amicizia con uno spacciatore da cui compra illegalmente pasticche di marijuana”
 
“Esistono anche le pasticche di marijuana?” esclamò Tom inarcando le sopracciglia, Bill corrugò la fronte.
 
“Cosa? Anche tu sei un drogato?”
 
“Bill—”
 
“Ma Tom!” esclamò e buttò il menù sul tavolo. “Tu aspetti i diciott’anni per bere e poi t’inietti marijuana in vena?”
 
“Hai un po’ le idee confuse”
 
“No, non ho per niente le idee confuse! Oddio, quel drogato di Georg mi ha fatto uno scherzo e mi ha organizzato una cena con un altro drogato!” Tom doveva aver capito che Bill stava per iniziare un nuovo monologo in cui fantasticava su come uccidere i suoi migliori amici, ma lui stava cercando di puntare meno su un soliloquio e più su una conversazione, quindi intervenne prontamente.
 
“Bill, a proposito di questo, ehm, appuntamento” disse e Bill lo guardò, più stupito del fatto che lo avesse interrotto che del resto. “Come avrai notato è martedì, dunque—” Tom si bloccò per un momento, cercò di evitare lo sguardo di Bill che bruciava sulla sua pelle. “Non è uno scherzo”
 
“Cosa?” chiese di ripetere, ma aveva capito benissimo. “È un reale appuntamento?” Tom annuì, Bill corrugò la fronte. “Perché con te?”
 
“Non ne ho idea, ma—” Il rasta si fermò nuovamente, sembrava che quella sera tutto il suo coraggio fosse volato via. Non sapeva nemmeno lui come avesse avuto la fortuna di avere un appuntamento con Bill. Qualche giorno prima aveva incontrato Georg e Gustav che vagavano come anime in pena per tutta la scuola, aveva chiesto loro quale fosse il problema e i due gli avevano risposto che stavano ricercando un appuntamento per Bill ma che non sapevano da dove iniziare a cercare. Tom aveva subito colto la palla al balzo e si era proposto, i ragazzi erano scoppiati rumorosamente a ridere perché pensavano che il rasta stesse proponendo loro di fare un nuovo scherzo al loro amico. Gustav, infatti, fu il primo a recuperare il fiato e a dirgli che almeno per questa volta dovevano essere seri, altrimenti davvero Bill avrebbe interrotto qualsiasi tipo di rapporto con loro. C’era voluto molto – qualcosa come due sedute testa a testa e un gran numero di domande – prima  che Gustav capisse che Tom era innamorato di Bill e lo potesse dunque spiegare anche a Georg. “Fino ad ora c’è stata un’atmosfera che non ti è piaciuta?”
 
“No” ammise sinceramente Bill, Tom sorrise.
 
“Bene, allora possiamo proseguire” disse il ragazzo, il moro non fece una piega. Ancora non aveva capito da chi fosse venuta la decisione di organizzare un appuntamento con Tom; quest’ultimo si stava comportando in maniera parecchio bizzarra per lui, non facilitando affatto il suo compito di comprendere.
 
“Va bene” sussurrò il ragazzo.
 
“Ma, Bill, se non vuoi rimanere puoi andare: non me la prenderò affatto. Anzi, me la prenderei di più se tu rimanessi qui senza volerlo”
 
“No, voglio rimanere. Ci sono alcune cose che devo ancora capire” ammise Bill, poi prese la borsa e cacciò il foglio che gli avevano dato Georg e Gustav, cercò di decifrare la loro scrittura disordinata.
 
“Cos’è quel foglio?” chiese il ragazzo, inclinò il capo per cercare di leggere ma non ci riuscì.
 
“Consigli di Georg e Gustav. So che non dovrei seguirli, ma a quanto pare la conversazione sta scemando” disse e finalmente riuscì a decifrare una delle venti domande che i suoi due amici avevano scritto, esattamente la numero tredici. “Che genere di film guardi?”
 
“Horror” rispose Tom, Bill alzò lo sguardo su di lui con le sopracciglia inarcate.
 
“Tom, dovresti argomentare la tua risposta! Come facciamo ad avere una vera conversazione se tu mi rispondi così?”
 
Tom scoppiò a ridere. “Okay, scusami, colpa mia” Si schiarì la voce e sorrise. “Di solito guardo gli horror, perché mi piace—uhm, non so, spaventarmi? Vedere sangue? Gente morire?” Bill sospirò, il ragazzo era pessimo a mantenere una conversazione viva. “Posso farti io una domanda?”
 
“Certo. Vuoi sapere che tipo di musica ascolto?”
 
“No, non m’importa”
 
“Ehi! Stai perdendo punti”
 
“Merda, Georg mi aveva avvisato che c’erano dei punti” sussurrò e Bill inarcò le sopracciglia: a quanto sembrava c’erano molte più cose che non sapeva di quanto pensasse inizialmente. “Perché mi odi?”
 
“Questa ti sembra una domanda per fare conversazione?” chiese il ragazzo. Il cameriere giunse al loro tavolo chiedendo se fossero pronti per ordinare, i due diedero le loro ordinazioni e il ragazzo riprese i menù, informò loro che i loro ordini sarebbero arrivati presto.
 
“Sì, mi sembra una domanda per fare conversazione” replicò Tom riprendendo la conversazione interrotta; agli occhi del moro sembrava più polemico del normale.
 
Bill si sistemò sulla sedia, si schiarì la voce e poi sospirò. Abbassò brevemente lo sguardo e scosse il capo. “Va bene, te lo dirò. Mi stai obbligando a far riemergere un orribile ricordo che avevo tentato disperatamente di cancellare, un ricordo orribile che fino a poco tempo fa m’impediva di dormire la notte, ma va bene, se questo è quello che vuoi, te lo dirò” disse tenendo lo sguardo basso, Tom ritrovò la regina del melodrammatico che conosceva.
 
“Scommetto che è una faccenda meno seria di quanto tu pensi” disse il ragazzo e sorrise, perché sapeva che Bill si aspettava che  lui rispondesse in un altro modo, magari rimangiandosi la domanda. Un’altra ragione per cui sorrideva era che quando era con lui si divertiva sempre, in un modo o nell’altro.
 
“D’accordo” disse il ragazzo e sospirò, finalmente lo guardò negli occhi, a metà tra il pavido e l’impavido.  “Quando eravamo all’asilo mia madre mi comprò una bellissima macchinina giocattolo. Era stupenda: era rosso brillante e aveva una fiamma disegnata su entrambe le portiere, inoltre grazie alle sue ruote potevo farla camminare. Ero così felice della mia macchinina, al punto che la portai all’asilo per farla vedere ai miei nuovi amici: non sapevo di aver commesso l’errore più grande della mia vita! Tu!” Lo indicò, Tom sussultò: doveva ammettere che Bill era proprio bravo a indossare i panni della regina del melodrammatico, era entrato nel vivo della storia. “Tu, brutta carpa di acqua dolce, tu me l’hai rubata! Hai sottratto a un bambino la sua unica gioia! Da quel momento non sorrido più”
 
Il rasta scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro, sembrava un bambino spensierato, quello stesso bambino che Bill non era più riuscito a essere dopo quel furto. “Questo ti ha spinto a odiarmi per tutti questi anni?” gli chiese quando ebbe finito di ridere.
 
“Sì” sbuffò Bill, incrociò le braccia. “Forse sei troppo insensibile per capirlo, ma ha avuto delle ripercussioni sulla mia capacità di fidarmi degli altri”
 
“Oh, Bill, mi dispiace così tanto. Sono davvero realmente dispiaciuto” Il ragazzo si mise una mano sul cuore, sarebbero sembrate scuse sincere se non avesse avuto un sorriso sulle labbra.
 
“Le tue scuse non faranno nulla: è come mettere un cerotto sul buco provocato da una pistola. Inoltre non credo siano sincere”
 
“Allora ascolta,” iniziò Tom e poi s’interruppe, gli vennero in mente tutti gli avvertimenti che Georg e Gustav gli avevano fatto in precedenza. I loro consigli, però, si adattavano bene a due persone che non avevano mai avuto un appuntamento, ma lui e Bill si conoscevano da anni ed erano già usciti insieme in precedenza: valevano lo stesso? La voce di Bill risuonò improvvisamente nella sua mente: “Tutto ciò che esce dalla mente di Georg e Gustav è una pessima idea”. Decise, dunque, di seguire il suo istinto. “Non ricordo bene, ma dovrei avere ancora quella macchinina rossa in camera. Se vuoi, dopo cena andiamo a prenderla, così magari cancelliamo quest’odio secolare”
 
Bill inarcò le sopracciglia e poi corrugò la fronte. Cosa stava cercando di fare Tom? Lo aveva appena invitato a casa sua al loro primo ufficiale appuntamento! Ma cosa aveva intenzione di fare? Scoparlo? Oh, Dio, Bill sperava di sì. Quest’ultimo pensiero fu immediatamente cancellato, al punto che il moro non ebbe il tempo di formularlo. Ma anche se Tom avesse avuto quest’intenzione, ma come osava pensare che Bill fosse così sciacquetta da concedersi al primo appuntamento? Bill lo guardò a lungo, inclinò il capo.

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Capitolo 7
*** Una nuova posizione nella gerarchia sociale. ***


 
 

 
 
Capitolo 7.
Una nuova posizione nella gerarchia sociale.
 
 
 
 
 
Tom aprì la porta di casa sua con le chiavi e guardò il buio in cui era immersa: probabilmente i suoi genitori stavano già dormendo. Diede un’occhiata al suo orologio da polso e scoprì che era mezzanotte e mezza, eppure non era così tardi. 
 
“Seguimi” sussurrò Tom e prese la mano di Bill, quest’ultimo entrò in casa. Il rasta non voleva accendere la luce per non rischiare di svegliare i suoi, ma scoprì che questa era un’ottima scusa per prendere la mano del moro. Delle volte tratteneva il fiato mentre, con la mano di Bill ancora stretta nella sua, lo guidava verso camera sua. Era così bizzarro il fatto che al minimo contatto non riuscisse più a pensare: nonostante non avesse bevuto nulla fuorché acqua, si sentiva ubriaco e su di giri. La sua testa girava, al punto che dovette usare tutta la sua concentrazione per non cadere e far dunque scivolare anche Bill. Quest’ultimo aveva accettato la mano di Tom e non aveva pensato nemmeno per un secondo che fosse una scusa, ma d’altronde il suo cuore non batteva forte come quello di Tom, non si sentiva nervoso come Tom in quel momento.
 
Sembrò un’eternità, ma i due raggiunsero finalmente la camera di Tom. Quest’ultimo aprì la porta e accese finalmente la luce; gli occhi di Bill, abituati all’oscurità, quasi bruciarono alla vista di quella fioca luce. Tom decise che non poteva continuare a tenere la sua mano senza che sembrasse strano, quindi a malincuore la lasciò. Nonostante questo il suo cuore non riprese a battere a una velocità normale, anzi, la sua mente divenne un posto ancora più confuso quando si rese conto che lui e Bill erano nella sua stanza, nella quale c’era un letto, ed erano soli. Scosse il capo come per scacciare qualsiasi pensiero di quel tipo, perché non voleva saltare addosso a Bill al primo appuntamento. Non che non ne avesse voglia, ma voleva andarci piano ed evitare che lui scappasse via da lui spaventato. Inoltre non era del tutto sicuro che il ragazzo avesse ben compreso che fosse un vero appuntamento e non uno scherzo.
 
“Questa è la mia magione” disse Tom con tono scherzoso facendosi da parte per far vedere a Bill la sua camera. Il ragazzo entrò e si ritrovò in una stanza grande – era più grande della sua, ma qualsiasi altra stanza del mondo sarebbe stata più grande – e finemente arredata. Al centro della stanza, contro il muro, troneggiava un letto da una piazza e mezzo e Bill ci si andò a sedere. Guardò la libreria del ragazzo, piena di libri la maggior parte dei quali con la copertina gialla, e riuscì a leggere il nome di Agatha Christie, inarcò le sopracciglia perché anche lui adorava la famosissima scrittrice di gialli. Se la libreria era molto ordinata nonostante fosse ricolma, non si poteva dire lo stesso della scrivania, occupata da libri, da quaderni e da un computer.
 
“Questa camera è enorme!” esclamò Bill dalla sua posizione sul letto, fece penzolare le gambe mentre Tom si chiudeva la porta alle spalle e si avvicinava alla sua scrivania.
 
“Già, era la camera da letto dei miei genitori, ma li ho convinti a fare cambio” disse mentre cercava qualcosa su alcune mensole posizionate sopra la scrivania, occupata da vari oggetti e delle foto.
 
“Davvero?” chiese il moro inarcando le sopracciglia e guardando il ragazzo.
 
Tom riuscì a trovare la macchinina di cui gli aveva parlato il moro e la prese, si girò e si avvicinò a lui, gliela porse. “No, ma mi piace prenderti in giro” disse e gli sorrise, Bill gli mandò un’occhiataccia prima di accettare il giocattolo che gli veniva porto.
 
“Grazie per questa” disse e alzò la macchinina, Tom si andò a sedere accanto a lui. Non sapeva come riuscisse a mantenere un’apparenza tranquilla, dato che il suo cervello era ufficialmente andato in fumo a causa del fatto che erano entrambi effettivamente seduti sul letto – dove avrebbe voluto che fossero, ma per fare altre cose per cui le parole a poco servivano. Il rasta lo guardò e sembrò che anche Bill, ufficiosamente, fosse normale, semplicemente perché lui non riusciva a provare lo stesso nervosismo del rasta. “Suppongo che il nostro odio secolare termini qui”
 
“Lo spero” esclamò Tom con un sorriso, osservò il viso di Bill, così vicino al suo. Le sue labbra carnose erano irresistibili e qualsiasi dettaglio del suo volto, dagli occhi così profondi al piccolo naso all’insù,  era per lui affascinante. Era come se avesse acquistato un’incredibile opera d’arte: riusciva a vederla sempre, ma riusciva comunque a rimanere incantato dalla sua bellezza. Tom vedeva Bill quasi tutti i giorni da anni, eppure ancora non era immune da quel suo fascino: non solo era, per lui, la persona più bella che esistesse, quasi fosse una divinità dalla bellezza sovrannaturale, ma lui lo faceva ridere, lo faceva stare bene, era divertente stare in sua compagnia. Gran parte del nervosismo di Tom non era causato da ciò che presumibilmente potesse accadere – fare quel tipo di cose con lui non lo spaventava, anzi, fremeva al pensiero – ma dal fatto che Bill era un ragazzo e lui, essendo la prima volta che provava quelle sensazioni non solo nei confronti di un ragazzo, ma in assoluto, non sapeva cosa potesse succedere dopo. Il suo cervello era andato in fumo al minimo contatto con la mano dell’altro (non avevano incrociato nemmeno le dita, ma avevano solo stretto le mani in una presa): che cosa succederebbe se lo accarezzasse? Cosa gli accadrebbe se toccasse il suo corpo, avvicinasse le labbra alle sue, chiudesse gli occhi per sentire quel morbido tocco? Tom aveva paura di tutte le possibilità che gli si presentavano davanti, ma era pronto a sperimentarle tutte. Aveva fantasticato troppo sul ragazzo perché adesso, a un passo da realizzare tali fantasticheria, s’interrompesse. Quando Bill parlò Tom si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri e si rese conto che il suo viso era molto più vicino di quanto si ricordasse: sognando si era lentamente e inconsciamente avvicinato a lui, ma era un movimento così lento e implicito che lo stesso Bill non si era accorto di nulla.
 
“Beh, ti dirò la verità, Tom: ho smesso di odiarti la settimana scorsa” gli rivelò e lo guardò dopo un po’. Improvvisamente si rabbuiò, perché si rese conto dello scenario in cui si trovava: c’erano lui e Tom su un letto, chiusi in una stanza, e nel resto della casa non si sentiva anima viva.  Lui sapeva di desiderarlo, ma doveva tenere in considerazione due punti: da una parte, quello era un primo appuntamento e Bill era già andato oltre i suoi limiti accettando l’invito di Tom di andare a casa sua; dall’altra parte, sapeva che quello era uno scherzo nonostante Tom gli avesse invano spiegato che non lo era, quindi il ragazzo non ci sarebbe mai stato.
 
“A che cosa devo questo onore?” gli chiese il rasta.
 
“Ho notato che sei anche tu un idiota come i miei due migliori amici e non volevo fare nessun favoritismo.  Ho finto di continuare a odiarti per riavere indietro la mia macchinina preferita. Si chiamava Fulmine” Il moro portò il giocattolo di fronte ai suoi occhi e la rigirò: era esattamente come se la ricordava, anche se uno degli adesivi sulla portiera era stato barbaramente strappato via.
 
“Suppongo che volente o nolente riceverò comunque insulti gratuiti da te” disse il ragazzo, ma sul suo volto sembrava esserci un sorriso. Il moro staccò gli occhi dalla macchinina per posizionarli su di lui. “D’altronde gli insulti che mi rivolgi possono sembrare carini in confronto a quelli che dici a Georg e a Gustav”
 
“Oh, mio dolce e caro Tom,” Bill posò accanto a sé il giocattolo e prese le mani di Tom tra le sue, lo guardò in apprensione. “Vuoi che ti chiami fiorellino di campo? Oppure preferisci cuore di zucchero?”
 
“Mi accontenterò di fiorellino di campo” Tom si sforzò di ridere, ma il suo cuore – che solamente poco tempo prima aveva ripreso a battere a un ritmo non accelerato – fece letteralmente un salto. Il silenzio in cui si erano immersi gli permetteva di sentirlo battere velocemente nelle sue orecchie e nel suo petto come un tamburo; era così strano che Bill non si rendesse conto di tutti i suoi cambiamenti: si era irrigidito, il suo viso era leggermente colorato di rosso e sembrava parecchio nervoso. Tutto ciò che voleva fare era portare le mani di Bill alla sua bocca, baciare ogni dito; oppure liberarsi da queste e poggiare le sue mani sul suo viso, attrarlo a sé e baciarlo, poggiare le sue labbra su quelle di Bill, buttarlo sul letto e stendersi su di lui – sentire il suo corpo contro il suo, anche se questo voleva dire solo un contatto di tessuti e non di pelle nuda, ma voleva sentirlo sotto di sé, imprigionarlo con il suo corpo, fare a Bill tutto ciò che aveva sognato di fare e sperare che Bill se lo facesse fare. Ma tutto ciò che fece fu dire: “Ti va del gelato?”.
 
Entrambi furono stupiti da quella domanda, Tom in primis, ma a Bill stava piacendo il modo in cui stava andando quel falso appuntamento. Mangiare era qualcosa molto vicina al sesso ed era questo quello che aveva fatto in quei mesi di astinenza. Ovviamente avrebbe preferito fare altro, anche perché aveva dovuto rimediare a quelle abbuffate con pesanti allenamenti. Ma dato che da quel falso appuntamento non poteva ricavare nulla, il gelato andava benissimo.
 
“Io adoro il gelato” disse Bill e Tom lo guardò, annuì e si alzò.
 
“Ti va di mangiarlo in giardino?” gli chiese e il moro lo imitò.
 
“Hai un giardino?” esclamò e lo seguì fuori dalla sua stanza. A causa del buio non era riuscito a vedere l’interno della casa, ma a vederla dall’esterno doveva essere enorme, al punto che si estendeva per due piani: a Bill era sembrata una reggia. Gli sarebbe piaciuto vedere il modo in cui era decorata, riusciva però a vedere solo qualche particolare illuminato dalla luce della luna o delle stelle. Una statua in marmo raffigurante un busto femminile dall’opulente seno, senza braccia né testa, lo aveva colpito particolarmente mentre Tom lo trascinava in camera sua e si era lasciato catturare dalle venature del marmo. Mentre seguiva il rasta – questa volta non gli aveva preso la mano, perché non avrebbe retto tutte le conseguenze dell’ennesimo contatto con lui – ebbe la possibilità di guardarsi intorno, riusciva a capire di trovarsi in un ambiente quasi regale. “Come vorrei poter accendere la luce!” pensò guardandosi intorno.
 
Quando arrivarono in cucina Tom accese finalmente la luce, che andò a illuminare un ampio spazio. Bill inarcò le sopracciglia a vedere quei banconi in marmo bianco e quell’ambiente così ordinato. “Oh, Dio, ha una pulizia quasi maniacale” disse mentre si avvicinava al piano cottura, Tom lo guardò e sghignazzò, aprì il congelatore per prendere il gelato al cioccolato. “È così pulito che sembra che qui sia stato ucciso qualcuno! D’altronde, Tom, tu hai tutta l’aria di essere un assassino” Bill s’interruppe e poi si girò, i loro sguardi si incontrarono. “Scusa, volevo chiamarti fiorellino di campo”
 
“Idiota” disse Tom con un sorriso mentre chiudeva il congelatore con un gesto.
 
“Guarda che se io non insulto te, tu non puoi insultare me!” esclamò seguendo con lo sguardo i suoi movimenti. Tom si avvicinò a lui e prese due coppette in ceramica, dipinte a mano con delle scintille blu su uno sfondo bianco.
 
“Mi sono reso conto che è impossibile non offenderti” disse Tom e lo guardò, gli sorrise quando vide la sua aria imbronciata. Si fermò a guardarlo, erano l’uno vicino all’altro, spalla contro spalla e si guardavano negli occhi. Sembrava che nessuno volesse fare per primo nessun movimento, non si avvicinavano ma nemmeno si allontanavano, era come se l’uno stesse aspettando l’altro, oppure come se si scrutassero e si studiassero. Bill sapeva che se ci fosse stato un primo bacio questo non sarebbe mai partito da lui; Tom era troppo confuso per capire che cosa fare: era il momento giusto? Doveva baciarlo? Bill lo voleva? Come diavolo funzionavano i rapporti omosessuali? Chi doveva baciare chi? Chi era il maschio? Era troppo confuso per riuscire a venire a capo di quei numerosi quesiti, quindi interruppe quel gioco di sguardi e mise del gelato nelle due coppette. “Comunque ti do ragione, è una cucina super pulita. Mamma ha cambiato ultimamente domestica: deve aver fatto un buon lavoro nello sceglierla”
 
Bill corrugò la fronte molto stupito del fatto che Tom non lo avesse baciato, ma poi fece risuonare quelle parole nella sua testa. “Hai una domestica?” chiese osservando i movimenti quasi meccanici di Tom.
 
“Tu no?”
 
“Non farmi questa domanda come se avere una domestica fosse la normalità!”
 
“Beh, è una casa grande” disse Tom e chiuse il barattolo di gelato, guardò Bill che era ancora troppo scandalizzato dal rispondere, sorrise. “Bill, non è un fatto così sconvolgente! Tieni, puoi leccare il cucchiaio” Gli diede il cucchiaio in mano e poi andò a riporre il gelato nel congelatore.
 
Bill, col cucchiaio parzialmente in bocca, si girò per guardarlo. “Tom, quanti soldi hai?” gli chiese e sentì il ragazzo ridere.
 
“Ritorniamo alla mia affermazione di prima: è proprio impossibile evitare di insultarti” gli disse con un sorriso, prese un cucchiaino e lo posò in una coppetta, le prese entrambe. “Andiamo in giardino?” gli chiese, ma era più un’affermazione che una domanda. Uscì fuori dalla porta posteriore che collegava la casa col giardino seguito da Bill. Il giardino era ovviamente ben curato – il moro non si sarebbe stupito se avesse saputo che avevano anche un giardiniere – e pieno di fiori, prevalentemente gigli bianchi e rose rosse. Vi erano un dondolo e  un adorabile tavolo in vimini accompagnato da sei sedie e il ragazzo pensò che si sarebbero diretti lì, ma Tom si andò a sedere sul prato. Quando Bill lo raggiunse gli porse la sua coppetta di gelato, quella senza cucchiaio.
 
“Credo che dopo aver visto casa tua non ti farò mai vedere casa mia. È sempre costantemente in disordine perché siamo uno più disordinato dell’altro e ovviamente non possiamo permetterci qualcuno che venga a fare le pulizie. Sì, se venisse qualcuno dovrebbe venire giornalmente: siamo davvero troppo disordinati per accontentarci di qualche giorno a settimana” disse Bill mentre iniziava a mangiare il suo gelato. “Avete anche dei cuochi?”
 
Tom lo guardò e fece spallucce. “Beh, sì, a mamma non piace cucinare”
 
“Oh, Dio!” esclamò Bill e strabuzzò gli occhi. “Anche mia madre odia cucinare, ma—” S’interruppe. Come mai sapeva solo ora di quanto Tom fosse ricco? Ma soprattutto, perché lui aveva scelto come migliori amici Georg e Gustav, poveri come lui? Se avesse fatto le scelte giuste da ragazzino, avrebbe scelto Tom e quindi magari adesso si troverebbe a bordo piscina a godersi il sole in qualche isola esotica. Anche se ormai lui, Georg e Gustav si conoscevano da molti anni, avevano condiviso molte esperienze insieme e avevano iniziato a stargli anche un po’ simpatici – non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonarli tutt’e due per Tom. Sostituire entrambi avrebbe significato che Bill doveva insegnare a qualcun altro il suo carattere, la sua personalità, ciò che gli piaceva e ciò che non gli piaceva e lui davvero non aveva voglia. Mantenere Georg e Gustav nella loro posizione di migliori amici avrebbe invece fatto risparmiare molti mesi, se non addirittura anni.
 
“Bill, riesco a vedere che la tua mente sta galoppando troppo in fretta: smettila. Non partorisci mai buone idee quando lo fai” lo prese in giro il ragazzo facendolo risvegliare dai suoi pensieri, Bill gli diede uno schiaffo sul braccio e Tom rise. “A cosa stai pensando, comunque?”
 
“Tom, ho ragionato molto sul nostro rapporto” iniziò Bill e posò il suo cucchiaio nella coppetta di gelato; non ne aveva preso che poche cucchiaiate. Tom sussultò e lo guardò per un momento, poi cercò di guardare dappertutto tranne che nei suoi occhi. Forse finalmente Bill aveva capito che lui voleva qualcosa di più che un semplice rapporto superficiale, forse finalmente aveva capito che quello era un vero appuntamento. Strabuzzò gli occhi e arrossì quando si rese conto che ciò che aveva a lungo anelato, ovvero un bacio da parte di Bill, stava per arrivare: solo così potevano sugellare la loro nuova relazione, no?
 
“Uhm, sì?” balbettò il ragazzo e ritornò a guardarlo.
 
“Sì” Bill posò la coppetta nell’erba, Tom, con grande impaccio, lo imitò. Si leccò le labbra per prepararsi al bacio imminente, il suo cuore sembrava letteralmente uscito fuori dalla sua gabbia toracica. “Ho pensato che il posto da mio migliore amico è già occupato, quindi posso toglierti dal posto del mio peggior nemico e metterti nel posto di amico. Stai—Stai bene?” Bill mise una mano sulla spalla di Tom mentre lui si strozzava con la sua stessa saliva.
 
“Sì, sì, sto bene” disse Tom riprendendosi. Sospirò, ancora non aveva capito i suoi sentimenti. Tuttavia, rivelarglieli adesso sarebbe stato inconcludente: era ovvio che Bill non ricambiava il suo amore, avrebbe solo rischiato di perderlo. In compenso poteva approfittare del nuovo ruolo di amico del ragazzo per farlo cadere lentamente nella sua trappola. Era vero, si era sentito male quando si era reso conto che ancora Bill non capiva il suo amore, ma adesso si sentiva parecchio positivo al riguardo. Guardò gli incantevoli tratti di Bill, con la sua fronte un po’ aggrottata per la preoccupazione che il suo nuovo amico gli aveva arrecato, e poi gli sorrise. “Bill, ti farò innamorare di me” pensò, ma a voce alta disse: “Per me sarebbe un onore essere suo amico, sua maestà”
 
Bill si aprì in un luminoso sorriso. “Perfetto! Quando arrivo a casa aggiorno i registri” Tom corrugò la fronte e inclinò il capo, non aveva ben capito l’ultima frase di Bill. “Ah, Tom, se partirai per qualche isola esotica non dimenticare di invitarmi”
 
 
 

 

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Capitolo 8
*** Bill offre nuovamente il suo aiuto. ***


 
 
 
 
Capitolo 8.
Bill offre nuovamente il suo aiuto.
 
 
 
 
 
Mentre il filtro era tra le sue labbra, Bill prese una cartina dalla pratica borsetta che aveva rubato a sua mamma per mettere tutto il necessario per farsi le sigarette. Georg, con le sopracciglia inarcate, lo guardò. Bill mise un po’ di tabacco sulla cartina, distribuendolo in modo omogeneo. Gustav, con il volto inclinato, lo guardò un po’ accigliato.  Bill prese il filtro dalle labbra e lo mise alla fine della sigaretta, se la portò di fronte gli occhi e la rollò, sistemando talvolta con le dita il tabacco. Georg e Gustav si scambiarono un’occhiata loquace e breve prima di ritornare a fissare il loro migliore amico. Bill leccò la cartina e la chiuse, cercò l’accendino nelle tasche della giacca, guardò a sua volta i suoi migliori amici.
 
“Gustav, invece di continuare a guardarmi come un maniaco, dammi il tuo accendino. Il mio devo averlo lasciato a casa” disse mentre la sigaretta era ancora tra le sue labbra. Il ragazzo interpellato lo continuò a fissare, Bill corrugò la fronte. Prima si chiese se il suo amico fosse sordo, poi si chiese se avesse qualcosa di strano quella mattina: da quando aveva salutato i suoi amici, questi non facevano altro che guardarlo in modo parecchio bislacco. “Gustav!”
 
“Oh, sì, sì, l’accendino” disse frettolosamente l’amico, mise la mano nella tasca e cacciò un accendino azzurro, lo porse a Bill.
 
“Grazie. Il nuovo apparecchio acustico che ti hanno messo è difettoso: fattelo controllare. In ogni caso, finché questo non accadrà, sarò costretto ad urlare. Ah, la mia povera ugola” disse e accese la sigaretta, alzò l’accendino. “Questo me lo tengo: è la ricompensa per il danno che la tua sordità causerà alle mie corde vocali”
 
“Beh, Bill” iniziò Georg, si schiarì la voce e finalmente fece qualche movimento: ciò permise a Bill di capire che era effettivamente vivo.  “Come è andato il tuo, uhm, appuntamento di ieri?”
 
“Il mio appuntamento con Tom, intendi?” disse Bill con tono aspro, guardò prima Gustav e poi Georg con un sopracciglio inarcato e la sigaretta tra il medio e l’indice. “Devo ammettere che inizialmente ero incazzato con voi per lo scherzo che mi avevate fatto,” Georg e Gustav si guardarono nuovamente e quello sguardo valse più di mille parole: nemmeno Bill aveva capito che Tom era innamorato di lui e forse continuava a non capirlo.  “Ma poi mi sono arrabbiato con me stesso perché vi conosco e non dovevo affidarvi un compito così grande e difficile. Mi dispiace, ragazzi, per avervi sopravvalutato. Non lo farò più” Bill aspirò il fumo della sigaretta, lo ingoiò e poi lo buttò fuori.
 
“E quindi non l’avrai mica abbandonato lì, al ristorante, come un idiota?” s’informò Gustav, tutta la sua attenzione era rivolta a Bill. Quest’ultimo non capiva perché quella vicenda interessasse così tanto ai suoi amici e infatti guardò prima l’uno e poi l’altro con uno sguardo cupo.
 
“Non è nel mio stile essere così stronzo” ammise e aspirò la sigaretta, i suoi amici lasciarono andare un sospiro di sollievo. “Abbiamo passato la serata insieme e poi siamo andati a casa sua”
 
“Avete scopato?” chiese Gustav con un sorriso e le sopracciglia inarcate.
 
“Magari!” esclamò l’amico.
 
“Bill, vorresti scoparti Tom?” gli chiese Gustav, gli mandò un’occhiata sospettosa.
 
“No, scemo, voglio scopare e basta!” esclamò e scosse il capo. “Abbiamo inoltre deciso di diventare grandi amici” I suoi amici gemettero all’unisono e il ragazzo guardò prima l’uno e poi l’altro, corrugò la fronte. “Che cazzo avete?”
 
“Oh, mio Dio. Vieni, Gustav” disse Georg e si alzò, l’amico lo imitò.
 
“Ma—Dove state andando?” gli urlò Bill mentre i ragazzi se ne stavano andando, lasciandolo da solo nel cortile della scuola ad aspettare che la campanella suonasse. “Che strani. E io che pensavo che avessero apprezzato il gesto magnanimo di non odiarli per il resto della mia vita!”
 
 
*
 
 
“È vero: siamo diventati grandi amici” rispose Tom alla domanda di Georg e Gustav, questi ultimi gemettero nuovamente all’unisono. Avevano cercato Tom e lo avevano trovato a chiacchierare con il suo gruppetto di amici, quindi gli avevano chiesto se potessero parlare da soli per un po’. I tre erano andati sulle scale di emergenza, le quali erano vuote, dato che si riempivano normalmente durante la ricreazione. Georg e Gustav si sedettero il primo alla destra e il secondo alla sinistra del rasta.
 
“Gliel’hai detto che non era uno scherzo?” s’informò Georg, Tom annuì.
 
“Sì, gliel’ho detto chiaramente e lui sembrava aver anche capito, ma a quanto pare non è stato così” rivelò ai due, Gustav scosse il capo.
 
“Bill sembra sveglio, ma in realtà è un idiota. Gli ci vuole un po’ di tempo per afferrare le cose” gli confessò Gustav, il rasta lo guardò.
 
“Ma perché non l’hai baciato?” chiese Gustav, quasi sembrava infuriato del fatto che il rasta non avesse fatto alcuna prima mossa.
 
“Perché non sapevo cosa fare e quando farlo. Inoltre, non vorrei che Bill scappasse spaventato” ammise, si grattò una guancia fissando il pavimento.
 
“Oh, Bill è così arrapato che sicuramente non si tirerà indietro” disse a bassa voce Georg, Tom lo guardò.
 
“Cosa?”
 
“Non ha importanza” disse Gustav con un gesto, come per scacciare ciò che aveva detto il suo amico. “Comunque adesso sei rilegato alla posizione di amico: deve essere frustante per te”
 
“Un po’. Sapete, c’è voluto tutto il mio coraggio per dirgli che era un vero appuntamento e non essere compreso mi ha messo un po’ giù di tono. In ogni caso, posso comunque cercare di farlo innamorare di me, no?”
 
“Beh, la vedo dura. Ci vorrebbe qualcuno che lo colpisse letteralmente in faccia e che gli urlasse che sei innamorato di lui” ragionò Georg mentre si accarezzava il mento, pensando a come poter aiutare Tom. Da quando aveva saputo del suo amore per Bill, Tom era entrato pienamente nelle grazie sue e di Gustav: lui era un ragazzo simpatico, carino e perbene, era incredibile che andasse dietro a quell’idiota di Bill. Essenzialmente il rasta era riuscito a ingraziarsi i due perché questi provavano compassione e pietà nei suoi confronti. “Ma perché diavolo ti sei innamorato di Bill?” gli chiese il ragazzo, dando voce ai suoi pensieri e anche a quelli di Gustav.
 
Tom inaspettatamente si aprì in un grande, inebriante e innamorato sorriso, i due ragazzi osservarono il suo viso colorarsi di un tenue rosso e guardarono i suoi occhi sognanti. Era davvero innamorato perso e questo fece entrare in apprensione sia Georg che Gustav: sembrava proprio che dalla faccenda ne sarebbe uscito scottato lui. “Mi sono innamorato della personalità di Bill, certamente, del modo in cui a lui non importi di piacere a nessuno e nonostante ciò sia uno dei ragazzi più polari della scuola. Ha un suo modo di esprimere il suo affetto nei confronti delle persone che ama, è così divertente e spiritoso, ma, al di là di questo— Oh, quando Bill sorride è un’opera d’arte. È una visione così spettacolare che mi fa venire voglia di inquadrare il suo viso in quell’esatta posizione, in quell’esatto momento e chiudere le palpebre per sempre. È come se i miei occhi non fossero meritevoli di vedere altre cose dopo aver visto un tale capolavoro, come se un uomo mortale avesse visto il paradiso e non avesse più la possibilità di tornare indietro. Ma soprattutto amo il modo in cui mi fa sentire quando siamo insieme: fa uscire una parte di me che non avevo mai espresso con nessuno – al punto che, quando stiamo insieme, mi domando se quello che sta parlando sia realmente io”
 
Georg e Gustav insieme inarcarono le sopracciglia e rimasero in silenzio. Anche Tom, dopo aver detto qualcosa del genere, ammutolì, un po’ beandosi della sensazione d’innamoramento che gli provocava Bill, un po’ vergognandosi per aver espresso così chiaramente i suoi sentimenti. Ammettere il modo in cui si sentiva realmente non era qualcosa che faceva di solito Tom: non gli piaceva mostrarsi così vulnerabile, non lo aveva fatto con nessuno, né con i suoi amici né con i suoi genitori. Tom era il confidente di se stesso: quando qualcosa lo affliggeva si metteva di fronte allo specchio, come se stesse davvero parlando con se stesso, e ragionava finché non riusciva a risolvere il problema o almeno a calmarsi. Era come se avesse un gran temporale nel petto: molte parole inespresse, molti sentimenti non detti, molte sensazioni celate premevano per uscire, ma uscivano dal suo cuore attraverso la sua bocca per ritornare nella sua testa.
 
Il primo che parlò per interrompere quel silenzio che era diventato imbarazzante fu Gustav: “Sai cosa, Tom? Come ha detto Georg sarà difficile, sarà l’impresa più ardua in cui ci cimentiamo, ma io e lui ti faremo avere il tuo bel principe”. Questo dovette rincuorare un po’ Tom, perché si lasciò andare a un sorriso sereno.
 
“Davvero?”
 
“Ci scommettiamo le palle!”
 
 
*
 
 
Bill era seduto al suo banco ed era in attesa dell’inizio della lezione di chimica; la professoressa era in ritardo di dieci minuti. Si sentiva un po’ stanco dato che era andato a letto tardi e si era dovuto svegliare presto per andare a scuola, quindi aveva messo i piedi sul suo banco, le mani sul suo stomaco e aveva chiuso gli occhi con la speranza di poter sonnecchiare un po’. Il posto accanto al suo,  normalmente occupato da Georg, era stato invece preso da Gustav, che leggeva un orrendo libro fantasy. Il moro sospirò beato, non c’era troppo rumore e si stava proprio bene: sentiva di starsi riprendendo, ma questo breve riposino di bellezza non era abbastanza per cancellare le orride occhiaie con cui si era svegliato quella mattina, dunque avrebbe dormito altre dieci ore una volta arrivato a casa.
 
“Ciao, Bill!” esclamò una voce pimpante e Bill aprì lentamente gli occhi, gli ci volle un po’ per capire dove si trovasse. Lanciò prima uno sguardo a Gustav, intento a guardare attentamente una persona di fronte al moro, e poi posizionò lo sguardo sulla persona interessata. Di fronte a sé c’era una ragazza piuttosto bassa, i suoi capelli biondi erano raccolti in due trecce che le ricadevano sulle spalle. Indossava degli occhiali quasi più grandi della sua faccia, non aveva trucco sul viso se non del mascara e un rossetto tenue, aveva cercato invano di coprire con del correttore un brufolo sul mento. Indossava una salopette di jeans sotto la quale aveva una maglia a maniche lunghe bianca, nascondeva le mani nelle tasche e fissava il moro.
 
“Gustav, prendimi l’agenda” chiese all’amico, quest’ultimo cercò l’agenda rosa ricoperta di peli e brillantini del ragazzo – un altro brillante ed elegante regalo di Georg –e gliela porse. Bill la aprì e la sfogliò fino ad arrivare alla data del giorno. Controllò l’ora sul suo orologio, erano le dieci e un quarto e, stando ai suoi impegni, lui aveva solo due appuntamenti: uno alle dodici e mezza e uno alla tre meno venti. Richiuse l’agenda e la ridiede a Gustav, guardò la ragazza di fronte a lui. “E tu chi sei?”
 
“Sono Gretchen” gli rispose la ragazza, gli fece un ampio sorriso che rivelò un apparecchio.
 
“Non hai un appuntamento” le fece notare Bill, la ragazza si rabbuiò.
 
“Non sapevo che servisse per, sai, parlare con un mio compagno di scuola” disse e Bill sospirò, alzò gli occhi al cielo.
 
“Tesoro,” disse Georg, si girò dalla sua posizione – ovvero il banco di Gustav, di fronte ai suoi due amici – e guardò la ragazza, quest’ultima ricambiò lo sguardo. “Tu non vuoi parlare con un normalissimo compagno di scuola, tu vuoi parlare con Bill Kaulitz”
 
“Sì, e quindi?” chiese la ragazza, ancora non riusciva a capire.
 
“E quindi hai bisogno di un appuntamento, zuccherino”
 
“Beh, non ci metterò molto. Posso chiedere qualcosa a Bill Kaulitz?” chiese, pronunciando il nome di Bill con un tono da sbruffona.  Georg guardò l’amico per cercare la sua approvazione, questo sbuffò e annuì.
 
“Avevo intenzione di dormire, ma  dato che mi sento magnanimo ti farò quest’onore. Avanti, dimmi tutto” disse il ragazzo, tolse le gambe dal banco e le accavallò, guardò la ragazza in attesa che iniziasse a parlare.
 
“Posso vedere quel raccoglitore rosa che porti sempre insieme a te?” gli chiese docilmente, il moro corrugò la fronte.
 
“Perché dovrei fartelo vedere?”
 
“Perché vorrei assicurarmi che nel tuo archivio ci sia la persona di mio interesse prima di richiedere i tuoi servigi” lo informò e Bill sospirò di nuovo, desiderando ardentemente di essere rimasto a casa a dormire per non dover avere a che fare con delle persone. Aprì lo zaino che aveva buttato in terra e ne estrasse il suo celeberrimo raccoglitore rosa, lo porse alla ragazza. Gretchen sorrise e lo prese, si sedette nel posto libero accanto a Georg e iniziò a sfogliarlo ridacchiando. Il ragazzo accanto a lei osservava ogni suo movimento come se fosse un raro animale: la vide sfogliare l’elenco alfabetico e andare alla lettera T. La ragazza girò pagina dopo pagina, ma a un certo punto sembrava che qualcosa per lei fosse andato storto, dato che corrugò la fronte e dischiuse la bocca in una smorfia di dissenso. Chiuse il raccoglitore mentre sul suo volto si disegnava la pura confusione e si girò da Bill, gli restituì il prezioso oggetto. “Uhm, tu non lavori per Tom?” gli chiese infine.
 
“Tom chi?” le chiese a sua volta Bill, ora più che infastidito da Gretchen sembrava interessato a qualsiasi cosa lei stesse cercando di fare.
 
“Tom Trümper, il capitano della squadra di basket!” esclamò e non appena lo ebbe detto Georg e Gustav trasalirono, ma gli altri non se ne accorsero.
 
“Tom? Beh, lui è mio amico, ma non è nella lista delle persone che devo accoppiare” le rivelò Bill e si accarezzò il mento, fissò il suo sguardo su quella peculiare ragazza. “Perché? T’interessa?”
 
“Io sono follemente innamorata di Tom!” confessò Gretchen con aria sognante, Georg e Gustav strabuzzarono gli occhi, puntarono velocemente il loro sguardo su Bill, questo si era aperto in un sorriso. La situazione gli stava un po’ piacendo. “Sarebbe bellissimo se riuscissi a organizzare per me un appuntamento con lui. Sai, a causa della mia timidezza non sono mai nemmeno riuscita a rivolgergli la parola”
 
“Tesoro, chi mi conosce sa che adoro rendere felici i miei amici cercando per loro l’anima gemella” disse Bill sorridendo, la ragazza sorrise a sua volta. Gli unici che non stavano sorridendo erano Georg e Gustav, che si resero conto che dovevano fare presto qualcosa prima che Bill organizzasse davvero un appuntamento tra Tom e Gretchen.
 
“Ah, sì? Da quando sei diventato Gandhi?” s’intromise Georg, Bill lo guardò inarcando le sopracciglia.
 
“Cosa vorresti dire? Non ti ho forse fatto fidanzare con Jilian?”
 
“Sì, ma—”
 
“Quello che voleva dire Georg,” Gustav intervenne in suo soccorso. “Quello che voleva dire è che Tom al momento non cerca nessuno”
 
“È fidanzato?” chiese la ragazza mentre un’ombra di tristezza compariva lentamente sul suo viso.
 
“No— Cioè, lui ha—” Il ragazzo s’interruppe, aveva paura di rivelare troppo e rovinare qualsiasi piano avesse in mente Tom.
 
“Oh, Gustav, non dire bugie!” disse Bill accompagnando le sue parole a un gesto della mano. “Tom mi ha chiesto tantissime volte di cercargli l’anima gemella, questa mi sembra semplicemente un’occasione d’oro”
 
“Sì, ma quello te l’ha detto tempo fa” Gustav cercò di far cambiare idea in ogni modo all’amico, ma sapeva che quando si metteva in testa di fare qualcosa era quasi impossibile dissuaderlo dal farla. “Può darsi anche che sia cambiato qualcosa nella sua mente, che si sia—ehm, magari si è— innamorato di qualcuno” Bill inarcò le sopracciglia e Gustav e Georg impallidirono. Pensavano che dopo quest’affermazione il loro amico avesse capito dell’amore di Tom, perché riuscivano a vedere che stava riflettendo molto su ciò che aveva appena detto Gustav. Quest’ultimo aveva paura di aver rovinato ogni piano del loro nuovo amico, ma Bill nuovamente riuscì a stupirli con la sua incapacità di capire i sentimenti degli altri.
 
“Che idiota che sei, Gustav!” esclamò infatti. “Ma se me l’ha detto la settimana scorsa! Non può essere cambiato tanto in una settimana”
 
“Magari è sempre stato innamorato di questa persona” disse Georg gesticolando freneticamente, ormai avevano scartato l’idea di lasciare l’ingrato compito di confessarsi a Tom e avevano deciso di cercare di far capire qualcosa a Bill.
 
“Certo, così innamorato da chiedermi di cercargli una donna” Una donna? Cavolo, Bill non aveva capito proprio nulla. “Georg, Gustav, per favore, smettetela di fare gli strani e lasciatemi ai miei affari!”
 
Georg sospirò e guardò il ragazzo seduto accanto al moro. “Almeno ci abbiamo provato” si dissero telepaticamente senza parlare.
 
Bill, rasserenatosi dopo il piccolo diverbio con i suoi amici, sorrise alla ragazza. “Potrei invitare Tom a casa con la scusa di aiutarmi con i compiti di matematica e convincerlo a uscire con te. Già, dovrei fare proprio così! D’altronde Tom per pura casualità è più bravo di me in matematica” Cacciò dal suo zaino un quaderno dal quale strappò un foglio, prese una penna. “Mi dai le tue credenziali, cara?”

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Capitolo 9
*** Attuazione del piano. ***


 
 
 
 
Capitolo 9.
Attuazione del piano.
 
 
 
 
 
 “Ciao, migliore amico!” esclamò Tom comparendo improvvisamente alle sue spalle, Bill sussultò posizionandosi una mano sul cuore.
 
“Tom! Tom, tu sei il mio uomo!” esclamò Bill e si girò, gli sorrise e gli mise le mani sulle spalle. Le strinse sentendo quanto fossero possenti e un brivido di desiderio si fece padrone del suo corpo, chiuse gli occhi e scosse il capo per scacciare qualsiasi pensiero osceno incipiente. Staccò le mani dal corpo di Tom improvvisamente come se fosse diventato fuoco, le nascose dietro la schiena.
 
“Ti serve un favore, vero? Con me indossi la tua faccia da angelo solo per ottenere qualcosa” disse ma non sembrava arrabbiato, infatti gli sorrise. Era dalla sera precedente che non lo vedeva e gli era un po’ mancato. Aveva passato la mattinata a vagare per la scuola, un po’ perché voleva fuggire dai suoi amici e dalle persone che lo seguivano per parlare con lui, un po’ perché, inconsciamente, lo stava cercando. Avevano avuto l’occasione di incontrarsi, però, solamente dopo l’ora di pranzo.
 
“Mi hai letto nel pensiero” disse Bill e dopo essersi assicurato che Tom avrebbe obbedito alle sue parole – o meglio ai suoi ordini – si tolse la maschera da angelo. “Inizialmente devo correggerti: sei il mio amico e non il mio migliore amico”
 
“Mi perdoni, regina, pensavo di avere ottenuto una promozione”
 
“Sono contento che ci capiamo” Tom si aprì in un sorriso e si chiese se dopo la posizione di amico ci fosse quella di migliore amico o, per lui, quella di ragazzo. “Che ne dici di venire a casa mia dopo scuola? Oh, ho dei compiti di matematica così difficili che nemmeno io con il mio grande cervello riesco a risolvere. Pensa che ieri sono scoppiato a piangere e non riuscivo più a fermarmi. Ho versato fiumi di lacrime, stretto il lenzuolo tra i miei pugni e maledetto la matematica. Ho perso il sonno e l’appetito, mamma mi chiede cosa ci sia che non va, ma quei compiti—”
 
“Ho capito, regina del melodrammatico, ti aiuterò a fare quei compiti” disse il rasta e Bill sorrise soddisfatto di sé stesso: era davvero bravo a recitare, avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di fare l’attore.
 
“Grazie. Ti aspetto all’uscita di scuola, così andiamo insieme. A proposito, adoro quando mi chiami regina; sono contento che hai notato la corona sul mio capo” disse guardandolo dall’alto verso il basso, Tom abbassò il capo ridacchiando. Il moro lo guardò ridere e osservò la pelle abbronzata del suo viso, i tratti incantevoli e sereni. Sospirò: Tom era davvero così bello, lui davvero voleva che se lo prendesse Gretchen? Lei non meritava assolutamente qualcuno come Tom. No, lui era incantevole, intelligente e simpatico, erano davvero due persone troppo diverse. Conosceva abbastanza Tom da capire che aveva bisogno di qualcun altro, di qualcuno che fosse al suo livello, da qualcuno— da qualcuno come lui. Bill strabuzzò gli occhi e arrossì al suo ultimo pensiero, un lampo di gelosia invase il suo cuore e la sua mente, ma riprese il controllo di sé abbastanza velocemente da impedire di fargli compiere qualche gesto avventato. Quando infatti Tom riposizionò il suo sguardo su di lui, lo trovò come l’aveva lasciato: sorrideva, era sereno e lo guardava dall’alto verso il basso, non mostrava assolutamente che il flusso di pensieri che aveva attraversato la sua mente lo avesse sconvolto un po’. Bill delle volte si stupiva da ciò che la sua mente folle riusciva a partorire. Ma forse se non lo poteva avere lui – ed era evidente che non potesse essere così, dato che erano stati a un “appuntamento” e Tom non aveva nemmeno provato a baciarlo, inoltre non sapeva nemmeno se lui fosse gay dato che era stato sempre visto uscire con donne – allora Gretchen era davvero la seconda persona perfetta per lui.
 
“Va bene, è ora che io ritorni in classe. La mia pausa da Georg e Gustav è durata abbastanza. Ci vediamo dopo” disse Bill e abbozzò un sorriso, i suoi pensieri continuavano a turbarlo e questo non gli piaceva, non gli piaceva non avere il controllo su una parte di sé. Si ricordò del lampo di gelosia provato prima e alzò lo sguardo sul bellissimo volto di Tom, ornato da piercing e privo di trucco e immaginò di perderlo del tutto – era paradossale, dato che lui non gli aveva mai prestato nemmeno la minima attenzione. Si alzò sulle punte e lasciò un bacio piccolo e bagnato sulla sua guancia, come se davvero fosse l’ultimo loro contatto prima che scomparisse per sempre. Era qualcosa che voleva fare per essere un passo avanti ad Gretchen, dato che lei al momento – e forse ancora per poco – non poteva farlo. Il moro abbassò lo sguardo e se ne andò, Tom lo guardò andare via e si toccò la guancia.
 
Riusciva a sentire l’umido lasciato dalle labbra di Bill e quella era l’unica sensazione che gli permettesse di capire che non si trattava solo di un sogno. Strabuzzò gli occhi e ascoltò i veloci passi di Bill mentre si allontanava, il battito del suo cuore era così veloce che risuonava nel corridoio vuoto come un’eco.
 
 
*
 
 
“So che ti aspetti di vedere una villa o magari un castello, Tom, ma quella che vedrai è una semplice casa. Non tutti vivono in una reggia, non è la normalità” gli spiegò Bill mentre, l’uno vicino l’altro, camminavano per raggiungere casa sua. Il rasta accanto a lui osservava gli alberi che venivano scossi dal leggero venticello primaverile. Il sole era alto nel cielo e illuminava la città con i suoi tenui raggi, Tom socchiuse gli occhi quando lo guardò.
 
“Non so che idea tu ti sia fatto di me, ma sono uscito delle volte dal mio castello, come lo chiami tu, e ho dunque visto la vita delle persone normali” disse il rasta scuotendo il capo.
 
“Bene, allora non dovrò spiegarti le regole basilari. Ad esempio che la gente normale lavora per mantenersi da vivere”
 
“Idiota” disse con un sorriso Tom, gli diede una leggera spinta. “Anche i miei genitori lavorano”
 
“Ah, non so se lo sai, ma dato che non ci sono cuochi non si mangia a un orario preimpostato, ma quando si ha fame. Inoltre per mangiare bisogna fare questa cosa molto strana che si chiama cucinare”
 
“Non farmi pentire di essere venuto ad aiutarti”
 
“No! Non mi abbandonare!” esclamò Bill e si arpionò al suo braccio, lo circondò con le sue. Poggiò il capo contro la sua spalla mentre continuavano a camminare. Tom lo guardò e si beò della sensazione che il corpo del moro contro il suo gli provocava, ma d’altra parte non riuscì a non pensare a quanto fosse brava quella regina del melodrammatico: stava recitando alla perfezione pur di ottenere aiuto! Bill, dal canto suo, era stato oltrepassato da un altro lampo di gelosia – era il secondo della giornata, non andava assolutamente bene – e alle parole di Tom l’aveva visto nuovamente allontanarsi. Era stato colto da una sensazione di isolamento che lo aveva spinto a cercare un maggiore contatto, qualcosa che impedisse al rasta di andarsene.
 
“Cavolo, questi compiti di matematica ti devono far proprio paura” disse Tom ridacchiando, con la mano libera scostò dalla fronte di Bill alcune ciocche corvine. “Non potrei mai abbandonare il mio nuovo amico in queste condizioni”
 
“Grazie” disse Bill e si staccò da Tom ritrovando un po’ di contegno. Si tolse lo zaino dalle spalle e cercò al suo interno le chiavi. “Ti avviso: mamma dirà cose strane”
 
“Cose strane?” ripeté il ragazzo guardandolo mentre cercava le chiavi. Si erano fermati di fronte a una casa di modeste dimensioni dalle pareti bianche e il tetto rosso. Tom la guardò e sorrise, non era così male come la descriveva Bill: sembrava una casa piccola e carina.
 
“Sì” Bill trovò finalmente le chiavi e cercò quella della porta di casa. “Da quando gli ho detto che sono gay pensa che ogni uomo che porto a casa sia il mio ragazzo. Sarà molto imbarazzante, preparati”
 
“Uhm, porti molti uomini a casa?” Tom s’interessò al suo passato sentimentale.
 
“Non molti, ma questo non ha importanza per lei: sono tutti il mio ragazzo” Trovò la chiave e aprì la porta, fece spazio per far entrare Tom.  “Mamma, sono a casa!”
 
“Tesoro!” esclamò la madre dalla cucina, Bill chiuse la porta. Tom si ritrovò in un ambiente modesto e – doveva ammettere – un po’ disordinato. La stanza in cui si trovava era sui toni dell’ocra e doveva essere il salotto: questa conteneva infatti un divano, occupato da una voluminosa borsa da donna, due poltrone, un tappetto, un tavolino da caffè e un grande televisore, le tende erano scostate per far entrare la luce proveniente dal flebile sole. Di fronte a lui c’era una porta che mostrava una stanza mal illuminata, da questa uscì una donna, probabilmente la madre di Bill. Era bassa, i suoi capelli erano tinti di rosso e indossava un abito color tortora a maniche lunghe. Era entrata con un sorriso, ma alla vista di Tom lo perse. “Oh, ma tu devi essere Tom!” esclamò e si avvicinò velocemente ai due ragazzi.
 
Bill corrugò la fronte e posò a terra il suo zaino. “Come fai a conoscerlo?” chiese, si tolse il cappotto e lo poggiò sull’appendiabiti.
 
“Io e sua madre ci conosciamo da anni! In fondo, voi avete frequentato tutte le scuole insieme e lei e io abbiamo avuto molte occasioni per conoscerci. È la prima volta che ti vedo qui, però! Bill ti ha fatto cadere nella sua rete?” chiese e ridacchiò, Tom inarcò le sopracciglia sorridendo. Doveva ammettere che Simone non aveva tutti i torti, Bill lo aveva davvero fatto cadere nella sua rete e nemmeno lui sapeva come.
 
“Tom, vuoi darmi il cappotto?” disse Bill cercando di cancellare dalla sua mente e soprattutto da quella di Tom l’ultima domanda della madre.
 
“Beh, è da poco che siamo realmente amici io e Bill” rispose alla madre di Bill e nel frattempo si tolse lo zaino dalle spalle e si spogliò del cappotto. “Sono venuto qui per aiutarlo in matematica, comunque”
 
“Ah, certo, in matematica! Questa sì che è una bella scusa. Non capisco come mai Bill senta la necessità di dirmi tutte queste bugie” disse e ridacchiò. “Ma d’altronde siamo stati tutti giovani almeno una volta, no? Io non sapevo inventare queste scuse così fantasiose, dicevo a mia madre che Gordon, il signor Kaulitz, mio marito, doveva salire perché gli dovevo restituire un libro”
 
“Mamma, siamo davvero amici” disse Bill sistemando il cappotto di Tom. Quest’ultimo, però, non sembrava affatto infastidito, ma anzi, era parecchio divertito.
 
“Oh, sì, solo amici. Bill qualche giorno fa ha portato a casa un altro amico, un ragazzo molto sensibile, e anche lui a sua detta era solo un amico. È proprio uno sciupafemmine” disse e Tom corrugò la fronte, cercò di domandarsi chi potesse aver portato a casa Bill e se fosse davvero un amico come diceva.
 
“Questo perché siamo davvero solo amici! Mamma, ti giuro che quando mi fidanzerò sarai la prima che lo verrà a sapere. Anzi, chiederò al mio futuro fidanzato di chiedere prima l’approvazione a te e poi a me” disse Bill e prese in mano il suo zaino.
 
“Bill mi crede così sciocca!” esclamò Simone guardando il nuovo ragazzo di suo figlio – era più bello del precedente. “Ma Tom, sono lieta di darti il benvenuto nella nostra famiglia! Spero che ti troverai bene qui con noi e che Bill si riveli essere un ottimo fidanzato” Inaspettatamente Simone si avvicinò a Tom e lo abbracciò, stringendolo a sé. Il rasta inarcò le sopracciglia, insicuro su cosa fare, ma decise di ricambiare quell’abbraccio bizzarro.
 
“Okay, mamma, sta diventando imbarazzante. Andiamo a studiare” disse Bill e si avviò verso la sua camera, la madre lasciò finalmente andare il ragazzo.
 
“Grazie del benvenuto, signora, è stato un piacere fare la sua conoscenza” disse Tom prima di seguire il ragazzo, sorrise alla donna.
 
“Tom! Non darle corda!” urlò Bill dalla sua camera, Tom finalmente lo raggiunse.
 
“Vi porterò dei biscotti, sempre che mi sia permesso entrare!” urlò la madre, la sentirono sghignazzare e poi si rintanò in cucina.
 
Bill chiuse la porta e sospirò. “Dio, la mia vita è un completo casino. Non potevo ricevere una madre normale? Uscirò fuori di testa prima o poi” disse e si avvicinò al suo letto, posò lì il suo zaino.
 
“Come fai a non capire che tua madre è molto carina e simpatica?” gli chiese Tom mentre si guardava intorno: la stanza di Bill era così piccola, ma sembrava che lui ci stesse bene. Guardò la scrivania e tutti gli oggetti che rappresentavano una parte di sé. Prese in mano una cornice, che conteneva una foto di Bill, Georg e Gustav sul dorso di un grande elefante. I tre sembravano molto più giovani – avranno avuto forse tredici o quattordici anni – e sorridevano felici all’obbiettivo.  Posò la foto e guardò la macchinina che lui stesso gli aveva ridato, vi mise un dito sopra e la fece andare avanti e indietro. Il fatto che quel giocattolino fosse lì insieme ad altri ricordi di Bill gli diede una bella sensazione: anche lui, in qualche modo, rientrava nel cerchio ristretto che era la vita di Bill, ben testimoniato dalla sua scrivania. In questa facevano la loro comparsa le persone che più erano care a Bill – c’erano molte foto con Georg e Gustav, ma anche alcune con i genitori. Tom prese in mano per vederla meglio quella che li ritraeva tutti e tre felici allo zoo – e tutti i suoi hobby – c’erano infatti un libro che Bill stava leggendo e, sul muro, un piccolo poster di Nena – e in questo cerchio chiuso e ristretto c’era anche lui, Tom, la cui bandiera era portata dalla macchinina, anche se questa una volta era appartenuta allo stesso Bill.
 
“Carina e simpatica? Certamente, non lo nego, ma è anche molto invadente!” si lamentò Bill, si tolse le scarpe. “Quando avrò un fidanzato sarò spaventatissimo dal farglielo conoscere. Se con i miei amici fa così, non oso immaginare cosa farà con il mio vero ragazzo”
 
“Hai intenzione di farglielo conoscere molto presto?” gli chiese Tom, interruppe la sua esplorazione nella vita di Bill per guardarlo. Quest’ultimo poggiò le mani sul letto e distese i piedi, lo guardò a sua volta.
 
“A meno che non compaia una fata che mi dia magicamente un fidanzato, no, non glielo farò conoscere presto” disse e sorrise, si alzò per sistemare le sue scarpe. “A proposito di fidanzato, Tom” disse il ragazzo mentre sistemava le scarpe nella scarpiera, il rasta lo guardò, ma questo gli dava le spalle e non riusciva a osservare il suo viso. Finalmente si girò e lo guardò. “Ti ho trovato l’anima gemella!”
 
“Per l’ultima volta, Bill, non mi fidanzerò col tuo gatto. Lo sai che la zoofilia è reato, vero? E lo sai che se vado in carcere mi si macchia la fedina penale e non mi ammettono all’università, vero?” chiese ironicamente Tom, si andò a sedere sul letto di Bill.
 
“Che scemo” disse Bill scuotendo il capo, si andò a sedere accanto a lui. “Sei mio amico e dato che occupi questa posizione io ho il compito morale di badare a te. Poiché ti lamentavi con me di non riuscire a trovare una ragazza e imploravi il mio aiuto, te ne ho trovato una. La notizia più strabiliante è che è umana e non felina!”
 
“Certo, ora mi porterai il tuo gatto, vero?”
 
“No, idiota! Sono serio” disse Bill e si guardarono a lungo, solo immersi in un silenzio quasi religioso e con lo sguardo dell’uno fisso in quello dell’altro Tom si accorse che era davvero serio. “Lei si chiama Gretchen ed è— uhm, bella? Cioè, non so se è bella, non me ne intendo di donne e non ho una reale capacità di giudizio nei loro confronti quando si tratta di queste cose. In compenso posso dirti che è simpatica e che è molto decisa. Adora i Rolling Stones!”
 
Tom lo guardò inarcando le sopracciglia, dischiuse la bocca per lo stupore. Il suo cuore si incrinò e si spezzò un po’ al pensiero che Bill gli aveva cercato l’anima gemella senza nemmeno prendere in considerazione il fatto che potesse essere lui stesso. “Oh,” disse infatti e abbassò il capo, Bill lo guardò corrugando la fronte. La missione che si era preposto e di cui aveva parlato anche a Georg e Gustav adesso sembrava impossibile: come faceva a far innamorare di sé qualcuno che lo considerava solo come un amico, cioè come qualcuno da voler bene e non da amare? Magari Bill non pensava che Tom potesse avere realmente dei sentimenti per qualcuno. Eppure era solo grazie a lui – o a causa sua – che il rasta stava cercando di uscire da quel bozzo in cui si era rintanato da quando era cresciuto abbastanza da capire come funzionava il mondo. Cavolo, lui aveva avuto il coraggio di dire a Georg e Gustav cose che non aveva mai ammesso nemmeno a se stesso! Lui si faceva forza per fare mille passi verso di Bill, ma questo si allontanava sempre di più: era come un’onda che si infrangeva sullo scoglio e poi tornava indietro. Alzò lo sguardo su Bill e si chiese cosa diamine dovesse fare con quella testa di coccio che era. Diavolo, stava addirittura pensando che Bill lo vedesse come qualcosa di più – l’aveva baciato sulla guancia e aveva abbracciato il suo braccio poggiando la testa sulla sua spalla! Forse la sua mente galoppava troppo in fretta, ma era innegabile che lui si fosse avvicinato un po’ di più. Probabilmente lo faceva solamente in virtù della sua nuova posizione da amico.
 
Tom, con la bocca chiusa, pesante per tutti quei baci non dati, non riusciva a pronunciare una sola parola, forse perché stava ancora pensando a una risposta. Infine decise di imboccare una strada piuttosto pericolosa. “Mi farebbe molto piacere conoscerla” disse e Bill fu, quanto Tom, stupito di quella risposta.
 
“Ah—vuoi-vuoi conoscerla?” ripeté Bill e Tom internamente sorrise: forse aveva fatto finalmente la mossa giusta. “Ma… ma non hai detto che gli appuntamenti al buio non ti piacevano?” Tom aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto sul nascere da alcuni colpi alla porta; Bill roteò gli occhi. “Mamma, puoi entrare” La porta si aprì e fecero la loro comparsa non solo Simone, ma anche Gordon e il loro nuovo gattino dalla pelliccia nera. “C’è per caso una riunione di condominio nella mia stanza di cui io non sapevo niente?”
 
“È lui?” chiese Gordon tenendo gli occhi fissi su Tom, Simone, accanto a lui con un vassoio di biscotti al cioccolato, annuì sorridendo.
 
“Sì, è lui: è il nuovo fidanzato di Bill, Tom. Non è adorabile? Oh, Gordon, io conosco sua madre: è un angelo sceso in terra, un tesorino. Il figlio, ti dirò, non è da meno” disse Simone e Tom sentì Bill sussurrare qualche bestemmia. “Ragazzi, vi ho portato i biscotti! Li ho fatti con le mie mani, spero vi piacciono”
 
“Mamma, non hai avuto il tempo materiale di farli: scommetto che sei andata a comprarli in pasticceria” disse il moro osservando i movimenti della madre, il padre e il loro nuovo gatto, Mr. Black, sostavano ancora sulla soglia della loro porta.
 
“Che sciocco che sei, Bill! Lo sai che amo cucinare!” esclamò e Bill corrugò la fronte.
 
“Non è vero! Stai solo cercando di fare bella figura di fronte a Tom!”
 
“È legittimo cercare di fare bella figura di fronte al mio genero,” Il moro roteò gli occhi e il rasta, accanto a lui, sorrise e si sporse a prendere un biscotto. “Ma li ho fatti io: spero ti piacciano i biscotti a cioccolato e mandorla, Tom caro”
 
“Li adoro. Sono buonissimi, Simone, ti devo fare i miei complimenti” disse il ragazzo aprendosi in un sorriso.
 
“Oh, che caro ragazzo che sei!”
 
Gordon finalmente entrò in camera del figlio e andò a stringere la mano del ragazzi. “Piacere, io sono Gordon, il padre di Bill. Benvenuto nella nostra famiglia” disse il padre e Bill guardò i due uomini stringersi una stretta di mano virile di fronte ai suoi occhi e questo letteralmente lo terrorizzò. Era vero, sua madre Simone scambiava ogni suo amico – ad eccezione di Georg e Gustav, s’intende – per il suo fidanzato, ma questa volta aveva addirittura trascinato suo padre! L’uomo, infatti, a quest’ora doveva trovarsi a lavoro, ma Bill avrebbe scommesso tutt’e due le sue palle che lo aveva chiamato apposta per fargli conoscere Tom. Cavolo, Gordon era l’unico sano di mente in quella famiglia, l’unico su cui Bill poteva contare, non lo poteva abbandonare così! Non poteva arrendersi alle idiozie di Simone!
 
“Papà! Ora che siete tutt’e due qui voglio chiarire che io e Tom siamo solo amici. Non c’è nulla di romantico o—beh, altro tra di noi. Papà, non lasciarti trascinare da mamma in queste cose, ti prego!” lo implorò Bill e vide la madre sghignazzare come se sapesse la verità nonostante tutto ciò che diceva il figlio. Mr. Black miagolò e salì sul letto di Bill, andò sul grembo di Tom e vi si accovacciò, iniziò a fare le fusa. “Mr. Black! Non starai dando anche tu il benvenuto a Tom?!”
 
Tom scoppiò a ridere e accarezzò la pelliccia nera del gatto. “Gatti e biscotti: questo deve essere il paradiso! Credo che verrò più spesso qui” disse Tom e Bill strabuzzò gli occhi. E lui che lo aveva invitato solo per assecondare il suo piano malvagio!
 
“Sarai sempre il benvenuto qui, Tom. Puoi venire quando vuoi, non ci sono problemi”  disse il padre e Bill si coprì il volto con le mani. Voleva morire e seppellirsi, anzi, voleva seppellirsi vivo: avrebbe sofferto abbastanza da espurgare tutti i suoi peccati e, con un po’ di fortuna, sarebbe andato direttamente in paradiso senza passare per il purgatorio. “Bene, io e Simone vi lasciamo ai vostri compiti di matematica” Gordon lo disse come se non credesse a quella bugia che il figlio gli aveva raccontato, questo arrossì a dismisura: ora anche suo padre pensava che facesse sesso con Tom. “Ma ricordatevi che io e Simone siamo di là in salotto. A dopo” I suoi genitori uscirono e Mr. Black, dopo aver aperto gli occhi, seguì i coniugi in salotto. Gordon si chiuse la porta alle spalle.
 
Tom guardò Bill: questo cercava di evitare a ogni costo il suo sguardo, si fissava i piedi come se fossero la cosa più interessante del mondo ed era arrossito a dismisura. Il rasta scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro e questo li liberò dalla tensione che si era accumulata. “I tuoi genitori sono davvero simpatici!” disse Tom e prese un altro biscotto, Bill scosse il capo guardando il vassoio.
 
“Li ha fatti lei un corno! Ha dimenticato di togliere l’involucro trasparente della pasticceria!” strepitò il moro e il rasta scoppiò a ridere nuovamente.

 

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Capitolo 10
*** Rendersi conto. ***


 
 
 
 
Capitolo 10.
Rendersi conto.
 
 
 
 
Jilian, dai lunghi e biondi capelli raccolti in un’ordinata coda alta, portò la sigaretta alle labbra e l’aspirò. La guardò bruciarsi lentamente tra le sue dita e poi lanciò uno sguardo al cielo: era molto nuvoloso, al punto che avrebbe scommesso che si sarebbe messo a piovere di lì a breve. Il mese di aprile era stato molto indulgente con loro fino a quel momento, ma da qualche giorno il cielo sembrava sempre saturo di pioggia, nonostante non ci fosse ancora stato un temporale. Indossava dei pantaloni della tuta grigi sotto al quale ne indossava un altro paio, ma corti; sulle spalle aveva uno zaino dal quale sbucava un tappetino per fare yoga rosa. Il suo telefono squillò e si posizionò la sigaretta tra le labbra, cercò l’oggetto nel suo zaino. Quando lo trovò sorrise rendendosi conto di chi la stesse chiamando, accettò la chiamata e mise il telefono vicino l’orecchio. “Ciao, amore!” esclamò felice e il suo cuore si riempì di gioia. Nonostante lei e Georg passassero insieme gran parte delle giornate, quando erano distanti il suo ragazzo la chiamava perché voleva sentire la sua voce. A Jilian questa cosa piaceva incredibilmente, perché era una dimostrazione che, divisi, Georg sentiva la sua mancanza – non che lei non provasse la stessa cosa. “Sono di fronte la palestra, sto aspettando che inizi la lezione di yoga” lo informò, aspirò un’ultima volta la sigaretta e poi la buttò nel cestino lì accanto. “No, non è ancora arrivato”
 
La ragazza sorrise e salutò due ragazze che in quel momento stavano entrando, ma continuò a parlare con il suo ragazzo. “Certo che mi ricordo il piano! Ho passato tutta la mattinata a ripassarlo con scrupolosità. Mi sento una sorta di spia russa!” disse e rise a una battuta di Georg. “Non preoccuparti, amore! Andrà tutto bene: è incredibile che debba consolarti per questo tipo di cose” Jilian sorrise, mostrando i suoi denti bianchi e perfetti. “Mi verresti a prendere tra un’ora? Potrei raccontarti se il piano è andato a buon fine. Inoltre i miei genitori non torneranno che stasera tardi e abbiamo casa libera” La bionda sghignazzò e alzò il capo. “Ora devo lasciarti, credo di averlo visto arrivare. Ciao, tesoro, a dopo! Ti amo” disse e chiuse la telefonata.
 
Bill  si trascinò lentamente verso la palestra. Si sentiva stanchissimo, quella sera non aveva chiuso occhio. Aveva passato la notte a pensare incessantemente, ma quando si era sforzato di non farlo comunque non era riuscito a prendere sonno. Ciò che lo metteva in dubbio era qualcosa di cui non aveva mai dubitato: il suo comportamento.
 
Dopo che i suoi genitori se n’erano andati dalla sua camera il giorno precedente, lui e Tom erano rimasti da soli. Bill voleva chiedergli alcune cose, come ad esempio perché avesse accettato di uscire con Gretchen – in realtà lo sapeva, perché Tom gli aveva detto tante volte che voleva uscire con qualcuno, ma gli voleva porgere quella domanda affinché il rasta rispondesse a un’altra, inespressa: perché a me importa?
 
Bill, arrivato a quel punto strano della sua vita, aveva organizzato milioni e milioni di appuntamenti, ma nemmeno una volta si era dispiaciuto che uno dei suoi clienti non fosse più sulla piazza –anzi, ne era in qualche modo felice.  Anche quando l’appuntamento di Georg, il suo migliore amico, era andato a buon fine lui ne era stato incredibilmente entusiasta: gli voleva bene e vederlo felice, per mano sua, poi, rendeva anche lui felice. Ma quando aveva organizzato l’appuntamento a Tom – il quale sarebbe stato giusto quella sera – si era sentito in maniera strana, si era sentito geloso, come se non volesse perdere Tom, come se il fatto che lui uscisse con Gretchen lo avrebbe inevitabilmente allontanato da lui. Ma per Bill questo era paradossale, soprattutto perché a lui, almeno fino a poco tempo addietro, non importava nulla di Tom: lui era il suo nemico storico, una sorta di insetto fastidioso.  Sospirò perché aveva dei sentimenti che non riusciva a decifrare, ad analizzare, a distinguere l’uno dall’altro: erano tutti troppo mischiati, troppo accavallati perché lui potesse capirne qualcosa.
 
“Ciao, Bill!” esclamò Jilian e il ragazzo sussultò: era così perso nei suoi pensieri che non si era nemmeno reso conto che la bionda fosse di fronte alla palestra ad aspettarlo. “Come stai?”
 
“Capirai, Jilian, che per essere qui stasera non devo essere in ottima forma” disse Bill e si sistemò il suo borsone sulle spalle, si fermò con la ragazza.
 
“Sei stressato come al solito? Cos’hanno fatto Georg e Gustav stavolta?”
 
“Nulla, stranamente nulla. Mi sento solo molto confuso e non riesco a pensare. Anzi, cioè, sto pensando troppo ultimamente; ho bisogno di un diversivo” disse e rabbrividì per il freddo che faceva. Aveva indossato anche la tuta leggera, sperava che non gli venisse un accidente.
 
“Ti va di entrare? Sta iniziando a fare freddo” gli chiese la ragazza indicando la palestra, Bill annuì ed entrarono. Entrarono nella sala dove avrebbero fatto yoga, attualmente occupata da un’altra classe, quindi si sedettero a terra in un angolo. “Non mi dirai a cosa pensi, vero?”
 
“Eh, se lo sapessi, te lo direi volentieri” disse e abbozzò un sorriso, scosse il capo. Quei pensieri continui lo stavano rendendo noioso.
 
“Georg mi ha detto che hai un nuovo amico!” esclamò la ragazza e Bill la guardò: lui era confuso per via di Tom e lei gli parlava di Tom? Cosa diamine aveva fatto al mondo in quei giorni? Perché sembrava che tutti ce l’avessero con lui?
 
“Oh, sì, si chiama Tom”
 
“Ah, il capitano della squadra di basket, no? È davvero molto carino!”

“Ma tu non sei fidanzata con Georg?” chiese Bill con un sorriso, Jilian rise.
 
“Beh, sì, ma gli occhi ce li ho anche io” I due risero e il moro sospirò.
 
“Sì, è carino” dovette ammettere, la ragazza gli sorrise come se sapesse qualcosa che lui ancora non sapeva e si fece più vicina.
 
“E perché non ci provi? Perché è solo un tuo amico?”
 
“Cosa?” esclamò Bill e strabuzzò gli occhi, arrossì all’inverosimile. Lui che ci provava con Tom? Quante idiozie diceva quella benedetta ragazza! Passare tutto il suo tempo con Georg le stava facendo davvero male al cervello. “Non ci provo perché non mi piace, ecco tutto”
 
“Già, non ti piace” ripeté la ragazza come se sapesse che si trattava di una bugia. “È per questo che sei arrossito: perché lui ti è indifferente, no?”
 
Okay, quella ragazza iniziava a stargli sui nervi. “Che cosa vuoi dire?” disse assottigliando gli occhi.
 
“Scusami, Bill, so che non sono affari miei, ma io e te siamo diventati amici e tu mi confessi sempre di quanto vorresti avere un ragazzo e ora che si presenta Tom mi sembra paradossale che tu non gli abbia ancora messo un anello al dito! Lui è bello, intelligente e simpatico”
 
“È anche ricco” sussurrò Bill, perso nuovamente nei suoi pensieri.
 
“Già, è anche ricco” disse la ragazza e sorrise guardando l’amico. “E poi da quando sto con Georg sono così felice che vorrei che tutti avessero qualcuno accanto! Inoltre mi sento in dovere nei tuoi confronti proprio per avermi permesso di conoscere qualcuno come Georg”
 
“Sono tante belle parole, Jilian, ma abbiamo un grande problema” disse ragionevolmente Bill, Jilian inarcò le sopracciglia.
 
 “Quale sarebbe?”
 
“Stiamo dando per scontato che Tom sia gay”
 
“Ah, tu non lo sai?” gli chiese la ragazza, Bill inclinò il capo e la guardò.
 
“Cosa dovrei sapere?”
 
“A Tom piacciono sia le donne che gli uomini!”
 
La dolce e leggermente acuta voce di Jilian riecheggiò a lungo nella sua testa prima che lui ne capisse a pieno il significato. “Cosa? E tu come lo sai?” le chiese strabuzzando gli occhi.
 
“Me lo ha detto Georg”
 
“E Georg come lo sa?!”
 
“Lo sai che Georg è un chiacchierone, da quando hai stretto amicizia con Tom lo ha fatto anche lui. Mi ha detto che si sono ritrovati a parlare di queste cose e Tom glielo ha rivelato” La ragazza fece spallucce e Bill la guardò a lungo. Oh, Dio, senza saperlo gli aveva reso i pensieri più confusi. Tom gay – anzi, bisessuale? Ma da quando il mondo stava cambiando così tanto? Ma perché lui veniva a conoscenza di queste cose riguardanti Tom solo ora? Ah, giusto: non aveva rivolto la parola a Tom praticamente mai sino ad allora.  Ovviamente Tom, che aveva avuto una vita indipendente da Bill, aveva sviluppato dei tratti e una personalità che Bill non conosceva assolutamente. Improvvisamente gli venne voglia di conoscerla, di sedersi con lui e parlare ore e ore per capire cosa si fosse perso. Bill c’era sempre stato, ma lui era nell’ombra, così come Tom era solo un’ombra nella sua vita e adesso voleva capire qualsiasi aspetto della stessa.
 
Natasha chiamò sia lui che Jilian: la lezione stava per iniziare.
 
 
*
 
 
“Bill, amico! Vuoi un passaggio?” gli chiese Georg sporgendosi dal finestrino della macchina di sua madre. Jilian andò a occupare il posto del passeggero e si sporse per dargli un bacio, Bill si avvicinò alla macchina.
 
“No, grazie Georg. Credo che andrò a piedi” disse e l’amico lo guardò.
 
“Sei sicuro? Sembra proprio che si stia per mettere a piovere” gli disse, ma Bill gli sorrise come per fargli capire che sarebbe andato a piedi comunque. Georg lo guardò a lungo mentre si allontanava a piedi in modo sospettoso: da quando Bill gli faceva quel sorriso sincero? Anche lui capì che c’era qualcosa che non andava e che qualcosa era cambiato. Rivolse la sua attenzione alla ragazza. “Dì un po’: com’è andato il piano?”
 
“In maniera eccellente!” esclamò e si sporse per abbracciarlo. “Mi sento Cupido”
 
Già cadevano alcune gocce quando Bill s’incamminò per raggiungere casa sua, che non era distante dalla palestra se non dieci minuti. Mentalmente il ragazzo stava elencando tutto ciò che aveva appreso ultimamente su Tom: lui era ricco ed era bisex. Ma quante cose in più non conosceva di lui? Eppure erano sempre stati così vicini – beh, Bill pensò che fosse stata una vicinanza sempre e solo fisica e mai morale.
 
Oramai aveva capito che aveva di fronte a sé un intero oceano da esplorare, ma questa era l’unica cosa che aveva davvero compreso: la matassa di sentimenti, emozioni e sensazioni, invece, era ben lontana da essergli chiara. Era riuscito a venire a capo di un unico sentimento, ovvero la gelosia, ma questo gli creava ancora più interrogativi. Perché era geloso? Perché di Tom, poi? Da che cosa diamine era scaturita? Aveva sentito più volte affermare dalle persone che la gelosia nasceva sempre da un interesse di tipo romantico. “Se sei geloso è perché ci tieni,” dicevano loro, ma Bill non ci aveva mai creduto fino in fondo. Lui era stato innamorato prima, ovviamente lo era stato, ma non era mai stato geloso dei suoi partner: si fidava di loro e non sentiva la necessità di esserlo. Eppure sembrava che tutti pensassero che la gelosia fosse necessaria, che fosse intrinseca a una relazione e che da questa non potesse distaccarsi. Per Bill gelosia voleva dire oppressione, ma lui non voleva opprimere nessuno; sapeva bene che più si stringe qualcosa più questa tende a scivolare lentamente dalle mani.
 
Iniziò a piovere e Bill guardò il cielo, come se la sensazione delle gocce che gli colpivano il viso e gli inumidivano i capelli non fosse abbastanza per capire che stesse effettivamente piovendo. Si ricordò di una domanda che gli aveva fatto un suo ex: “Ma tu non sei nemmeno un po’ geloso di me?”. Alla sua risposta negativa era stato per lui come verificare che Bill davvero non ci tenesse a lui; dopo poco lo tradì, ma Bill pensò che quello fosse un caso unico nel suo genere. Il problema che gli si poneva adesso di fronte era di natura diversa: lui non era geloso di Tom, ma era geloso di lui in relazione a qualcos’altro. Bill si sarebbe strappato i capelli pur di sapere cosa fosse questo qualcos’altro.
 
Si sistemò il borsone sulle spalle e miracolosamente schivò una bicicletta che andava a tutta velocità. Guardò il ragazzo e questo si girò a guardare lui, chiedendosi come mai stesse facendo una tranquilla e lenta passeggiata sotto la pioggia.
 
Ci ragionò su a lungo e quando scoprì cos’era questo qualcos’altro Bill si fermò; i suoi vestiti erano completamente zuppi d’acqua, i suoi capelli bagnati. Bill era geloso di Tom in relazione ad Gretchen! Ma perché? Non dovrebbe essere felice per lui? Stava per realizzare il suo sogno di trovare l’anima gemella! Gretchen non è l’anima gemella di Tom, si disse, quei due erano troppo distanti. Perché allora Tom aveva accettato? Beh, le possibilità erano due: Tom era troppo gentile per rifiutare; oppure Bill gli aveva descritto Gretchen come  una perla rara e lui ci aveva creduto. Questo, però, non spiegava il suo sentimento. Gli venne in mente di quando l’aveva baciato sulla guancia e di quando si era arpionato al suo braccio, soprattutto si rese conto perché l’aveva fatto: era geloso del fatto che ben presto Gretchen potesse fare quelle cose a Tom e lui no.
 
Strabuzzò gli occhi e guardò di fronte a sé. Oh, Dio, lui non era geloso di Tom – Bill per la sua persona non poteva esserlo – ma era geloso di Gretchen: era geloso di tutti i baci che avrebbe potuto dargli, di tutte le carezze a cui si sarebbe lasciata andare nei suoi confronti. Ma questo cosa significava? Perché avrebbe voluto baciare e accarezzare Tom? Perché aveva questa paura di perderlo? Anche se lui si fosse messo con Gretchen non lo avrebbe perso come amico. Amico, era questo il problema: Bill non lo voleva come amico.
 
“Oh mio Dio,” esclamò Bill e si fermò immediatamente, si guardò intorno con occhi sbarrati, come se si fosse perso, come se fosse confuso e non sapesse più dove si trovasse. “A me piace Tom!” urlò.  Ma come faceva a conquistare qualcuno che, apparentemente, non aveva interesse nei suoi confronti? Come faceva a far innamorare di sé qualcuno che ci stava provando con un’altra? Guardò il cielo in cerca di risposte.
 
 
*
 
 
Bussarono alla sua camera e Bill, nascosto dal pesante piumone, rispose: “Avanti!”. Sua madre Simone aprì un po’ la porta e lanciò un’occhiata dentro. La camera del figlio era incredibilmente in ordine e lui giaceva sotto le coperte. Il comodino accanto al letto era pieno di fazzolettini usati, vi erano anche delle medicine e un termometro: sembrava una farmacia.
 
“Amore, ci sono Georg e Gustav” disse e si fece da parte per far entrare i due ragazzi. Questi entrarono e guardarono l’ammasso di coperte alla ricerca di una faccia, di un braccio, una mano, un piede, insomma, qualcosa che gli confermasse che sotto c’era una persona – preferibilmente Bill.
 
“Ragazzi, siete voi” disse Bill con una voce nasale e si scostò le coperte dal viso, i due amici sussultarono a vederlo. “Cosa c’è? Sono così brutto?”
 
“No, non così brutto,” cercò di consolarlo Georg avvicinandosi a lui. “Ma che ne dici se per tutta la durata della nostra conversazione tieni coperta quella faccia?”
 
“Georg!” lo riprese Gustav, prese la sedia della scrivania e l’avvicinò al letto, si sedette. “Bill, come stai?”
 
“Gustav, sono così brutto?” gli chiese invece di rispondere alla sua domanda, allungò la mano affinché l’amico la prendesse tra le sue e così fece.
 
“Bill, brutto non è un aggettivo che si addice alla tua persona, in nessuna occasione”
 
“Oh, Guss!” esalò Bill, aveva gli occhi lucidi ma i due non capivano se fosse per la febbre o per la belle parole di Gustav. “Questa è la ragione per cui tu sei il migliore dei miei migliori amici. Hai sentito, Georg? Prendi appunti!” Georg roteò gli occhi; quando Bill era malato diventava ancora più irritante.
 
“Idiota! Come stai, piuttosto?” chiese Georg e si sedette ai piedi del letto. Bill, la regina del melodrammatico, strinse la mano di Gustav ed emanò un debole sospiro. Era circondato da cuscino e il suo corpo era coperto da un enorme piumone bianco. Il suo viso aveva lo stesso colorito di quella coperta: il suo naso era leggermente rosso per tutte le volte che l’aveva soffiato e aveva anche le occhiaie.
 
“Sento che le forze stanno sempre di più abbandonando il mio corpo, ragazzi, non mi rimane molto tempo” disse con voce flebile.
 
“Finalmente!” esclamò Georg, Bill rivolse uno sguardo a Gustav.
 
“Gustav, hai il mio permesso di dargli un pugno: io sono troppo debole e gli darei  una carezza invece, non voglio che si senta così incoraggiato” disse e l’amico ridacchiò, ma obbedì agli ordini. Georg gemette di dolore.
 
“Allora avevi bisogno di quel passaggio in auto ieri, mmh?” gli chiese l’amico, Bill sospirò alzando gli occhi.
 
“Sì, forse dovevo accettare, ma avevo molto a cui pensare”
 
“Cioè?” gli chiese l’amico.
 
“Ragazzi, vi devo confessare una cosa” disse e guardò prima Gustav e Georg, se la sua mano sinistra era stretta dal primo, affidò la sua mano destra al secondo, che gliela strinse a sua volta. “Tom mi piace”
 
“A chi Tom non piace? Io sono etero, ma devo ammettere che quando penso a lui mi sento molto sedotto” disse Gustav, Bill gli mandò un’occhiataccia.
 
“Gustav!” lo riprese, scosse il capo. “Comunque io gli ho organizzato un appuntamento con Gretchen ieri. A quest’ora saranno già innamorati e sposati. Magari staranno pensando di adottare un cane, forse un pitbull!” esclamò e ritirò le mani dalla presa dei suoi amici per coprirsi il viso.
 
“Te l’avevamo detto di non farlo, Bill! Non puoi incolpare nessuno se non te: vergognati di te stesso” lo accusò Georg incrociando le braccia, inarcò un sopracciglio. “E comunque non credo che gli ci sia voluto così poco per sposarsi: sai quanto ci mettono le donne a organizzare un matrimonio”
 
“Già, non credo che lei si sarebbe sposata con un abito dozzinale” assentì Bill grattandosi la guancia e osservandosi i piedi. “Un abito da sposa scadente è tutto ciò che ottieni se ti vuoi sposare dall’oggi al domani”
 
“I ristoranti non accettano prenotazioni così improvvise per quanto riguarda i matrimoni” Gustav si unì al ragionamento.
 
“Per non parlare dei preti! Loro hanno lunghe liste infinite di persone che si sposano: se fossero andati ieri a prenotare la chiesa avrebbero attesto come minimo un anno” disse Georg e tutte quelle ipotesi rincuorarono un po’ Bill, che sorrise. “Bill, hai un anno per conquistare il cuore di Tom”
 
“Oh, ma ragazzi, come diamine faccio? Di solito mi recapiterei fiori e cioccolatini da solo per fargli capire che ci sono altri mille pretendenti che mi vogliono, ma non so se Tom ci cascherebbe” si lamentò il ragazzo, inclinò un po’ il viso.  “Sapete, per farlo ingelosire e tutto”
 
“Sai, Bill” disse Gustav e gli prese di nuovo la mano, gli sorrise. “Ho come la sensazione che conquistare Tom sia più semplice di quanto non immagini”
 
Bill si aprì in un sorriso e poi abbassò lo sguardo. La malattia lo stava rendendo un pappamolle. “Grazie, ragazzi. Ma voi non dovreste essere a scuola a quest’ora?”
 
“Non ha importanza!” esclamò Georg e sbatté una mano sul letto. “Organizziamo un piano di conquista!”
 
“Io non seguirò nessuno dei piani che la vostra mente malata elaborerà!”
 
 

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Capitolo 11
*** Qualsiasi piano abbia seguito ha funzionato. ***


 
 
 
 
Capitolo 11.
Qualsiasi piano abbia seguito ha funzionato.
 
 
 
 
 
Bill fu svegliato da un gran fracasso. Aprì lentamente gli occhi e guardò la sua stanza: era vuota e silenziosa. Si mise lentamente a sedere e si toccò la fronte, la testa gli girava e si sentiva stanco. Guardò l’orologio: erano le cinque e mezza di pomeriggio. Sentì nuovamente il gran rumore e si mise in ascolto: sentiva la voce della madre, acuta e squillante come al solito, ma sentiva anche quella di suo padre, più calma e controllata. Non pensò che stessero litigando, anche perché sua madre sembrava felice e suo padre tranquillo. Ben presto venne a conoscenza del motivo per cui sua madre stesse urlando e della ragione per cui suo padre – nella sua tranquillità apparente – sembrasse euforico.
 
Bussarono alla porta della camera e lui invitò ad entrare chiunque stesse bussando, strabuzzò gli occhi quando l’oggetto dei suoi pensieri – l’ultimo che avrebbe voluto vedere in quel momento, in realtà – si materializzò in camera sua.
 
“Oh, Dio” disse Tom appoggiando le spalle contro la porta. “È stato dannatamente difficile entrare qui. Tua madre mi ha trattenuto, parlava, mi faceva domande, si è aggiunto poi anche tuo padre, Mr. Black miagolava perché voleva essere accarezzato. Pensa che quando sono arrivato qui erano le cinque, mentre ora—” Il rasta guardò l’orologio che aveva al polso, inarcò le sopracciglia. “Cavolo, sono le cinque e mezza! Sono dovuto letteralmente scappare dalla cucina” Il ragazzo si avvicinò al letto e andò a occupare la sedia che Gustav aveva trascinato vicino al malato.  Bill osservava attentamente ogni suo movimento con gli occhi sbarrati, era leggermente arrossito e quasi tremava. Non aveva avuto tempo né di elaborare un piano di conquista – non voleva assolutamente seguire quello suggeritogli da Georg e Gustav – né di pensare a come comportarsi con Tom, che in quel momento era proprio di fronte a lui in tutta la sua divina bellezza. Aveva legato i dreadlock in una coda alta, questi gli cadevano sulle spalle e ciò che colpì Bill era che non indossasse né un cappello né una fascia. Il suo volto sembrava pulito e il ragazzo fece scivolare lo sguardo sul suo collo alla ricerca di un succhiotto, ma non ve ne era traccia.  Il rasta indossava un’enorme felpa rossa che gli arrivava a metà coscia con una piccola scritta bianca al centro e Bill s’aspettava che indossasse i suoi soliti pantaloni enormi, ma lo stupì quando gli vide indosso invece dei jeans skinny neri.
 
“Come stai?” gli chiese Tom e poggiò i gomiti sulle sue cosce. Il moro si concentrò sulle sue mani, erano coperte gran parte dalle maniche della felpa e per questo si vedevano solo la punta delle sue dita affusolate.
 
“Ho la febbre, il raffreddore, mi gira la testa, non riesco a respirare e mi viene da vomitare: non sono mai stato meglio!” esclamò e vide Tom ridere, abbozzò un sorriso. Forse doveva semplicemente essere se stesso per conquistarlo. “Se mi dai una mano ad alzarmi posso farti vedere come faccio la ruota. O preferisci la verticale?”
 
“Devo dire che il pensiero di te che fai la verticale mi alletta molto, tuttavia non vorrei essere responsabile della tua morte, quindi rimani al caldo e al sicuro nel tuo letto” gli disse e gli sorrise, abbassò lo sguardo.
 
Il moro lo osservò come incantato: tutto in Tom era meritevole della sua attenzione, dal suo viso imberbe e pulito alle sue mani, alle sue spalle, al suo petto piatto, al suo corpo. Sospirò e distolse lo sguardo quando si rese conto che stava guardando qualcosa che non poteva avere perché era già di qualcun altro. Forse timido per la prima volta nella sua vita, Bill gli voleva domandare come fosse andato l’appuntamento, ma la voce e il coraggio gli venivano meno. Puntò lo sguardo sulle proprie cosce e le accarezzo, senza guardare Tom gli chiese: “Allora com’è andato il tuo appuntamento?”.
 
“Oh, il mio appuntamento con Gretchen” disse Tom, aveva cercato di dimenticarlo per tutta la mattinata e giusto quando c’era riuscito Bill lo riportava a galla. Il suo appuntamento era stato pessimo: Tom non aveva da ridire nulla sull’aspetto della ragazza, ma questa non aveva fatto altro che parlare per tutta la serata, lasciando a Tom ben poche battute. Gli argomenti di conversazione erano stati oltretutto tremendamente noiosi e il ragazzo non aveva visto in lei quel nescio quid che gli aveva fatto desiderare un secondo appuntamento. Da galantuomo la aveva riaccompagnata a casa e, sull’uscio della sua porta, lei si era anche avvicinata di più a lui, segno che voleva essere baciata, ma a Tom lei non interessava affatto. Mentirebbe a se stesso se dicesse che l’unica ragione per la quale con Gretchen non c’era stata intesa fosse la sua personalità. Il cervello e il cuore di Tom erano legati a un’unica persona, completamente diversa da Gretchen, che adesso era di fronte a lui, imbacuccata, col viso pallido e le guance rosa. Ma decise di mentire a Bill, perché quando aveva finto interesse nei confronti della ragazza lui si era in qualche modo ingelosito e Tom voleva disperatamente vedere e rivedere i segni di un probabile interesse amoroso da parte di Bill nei suoi confronti. “È andato molto bene! Abbiamo parlato moltissimo, c’era una sorta di intesa tra di noi” disse infatti e vide Bill corrugare la fronte e poi vide un lampo di tristezza sul suo viso – era stato breve, ma c’era stato – indice che il piano di Tom stava funzionando almeno un po’.
 
“Davvero? È andato bene?” chiese con un tono di genuino stupore, inarcò le sopracciglia e lo guardò. Il tono di stupore era andato a sostituire il cipiglio, ma era ormai troppo tardi. Tom gli sorrise dolcemente.
 
“Sì, è andato bene. Da come parli sembra che non ci sperassi”
 
“Certo che non ci speravo, Tom, sei la persona più antipatica di questo mondo!” disse e il ragazzo scoppiò a ridere, Bill lo guardò e poi distolse lo sguardo. Una cosa che a Tom era mancata durante il suo appuntamento e che con Bill invece non veniva mai meno era ridere. “Quindi vi vedrete una seconda volta?”
 
“Può darsi” disse Tom accarezzandosi il mento, Bill inarcò di nuovo le sopracciglia. Un secondo appuntamento? Le cose stavano diventando ridicolosamente serie. Il moro si rabbuiò e improvvisamente gli venne voglia di un contatto maggiore con il rasta, sempre perché Gretchen ancora non poteva farlo e lui voleva essere un passo avanti, ma non poteva cercarlo senza sembrare strano. D’altronde Bill era malato – aveva la febbre – e poteva fare cose strane senza che la gente ragionasse troppo sul suo comportamento. Era ora di far entrare in scena la regina del melodrammatico; questa compariva così tante volte che Bill avrebbe dovuto darle sul serio un nome – qualcosa tipo Jessica o Charlie. Sì, Charlie andava benissimo. Era ora di far entrare in scena Charlie.
 
“Tom, dato che sto per morire—”
 
“Non stai per morire!”
 
“Tom, non è bello interrompere un moribondo che sta annunciando il suo testamento”
 
“Oh Dio, questo è un testamento? Dovrei prendere un foglio e una penna?”
 
“Ti conviene: hai un cervello così piccolo che non so se ricorderai tutto, bestia insensibile!” esclamò e Tom sorrise, ma stette al gioco e si alzò. Si avvicinò alla scrivania di Bill alla ricerca di un foglio e una penna e, quando trovò loro, ritornò a sedersi.
 
“Okay, sono pronto” disse sorridendo e mise la caviglia sul ginocchio, scivolò un po’ sulla sedia. Bill osservò il corpo di Tom: era stato davvero ingiusto da parte sua decidere di indossare gli skinny proprio quel giorno. Bill si sentiva così debole a causa della febbre che non sapeva se riuscisse a controllare gli ormoni come faceva di solito. Già alla semplice vista di Tom lui si sentiva già incredibilmente fiacco, ma vedere il modo in cui quei jeans fasciavano le sue cosce magre lo destabilizzava completamente. Si coprì gli occhi con una mano, perché fino ad allora erano rimasti fissi sulle sue gambe e lui non voleva andassero oltre. Tom non riusciva a capire come ogni cosa che facesse, ogni suo piccolo particolare, lo rendesse così incredibilmente debole. Infatti il ragazzo aveva puntato lo sguardo su di lui, in attesa di scrivere il testamento. “Tutto bene?” chiese quando notò che il ragazzo sembrava strano – cioè, Bill era sempre strano, ma in quel contesto lo era particolarmente.
 
Bill si riebbe e scosse il capo. “Scusami, è il giramento di testa” mentì e guardò Tom, distolse lo sguardo da quei fottuti, dannatissimi jeans che gli ricordavano il suo periodo di astinenza. “Mi sento un fottuto dodicenne”
 
“Cosa?” disse Tom sbuffando una risata, inclinò il capo.
 
“Niente. Comunque, inizia a scrivere: io, Bill, moribondo in questo letto,” dettò e Tom, col sorriso sulle labbra, prima professionalmente scrisse la data del giorno e poi ciò che gli dettava Bill. “Sento che le forze mi stanno abbandonando. Mentre le mie membra diventano sempre più fredde, necessito di maggior calore, dunque impongo che colui che sta scrivendo il testamento venga a svolgere la sua funzione di termosifone umano in questo letto” Bill era pronto a seppellirsi vivo per ciò che aveva detto. Aveva immaginato che Tom avrebbe corrugato la fronte e detto categoricamente di no, ma questo scoppiò a ridere e Bill lo guardò ridere con le sopracciglia inarcate: aveva capito che lo aveva detto davvero oppure pensava che lo stesse prendendo in giro? Ma Tom poteva essere così stupido? Sì, poteva.
 
“Va bene, ma voglio essere ricompensato” disse e posò il foglio e la penna sul letto. Aveva cercato di dissimulare il nervosismo che provava al pensiero di stare così vicino a Bill, aveva cercato anche di nascondere la gioia e lo stupore che aveva provato a sentire quell’invito, ma doveva esserci riuscito perché Bill sembrava assolutamente normale e tranquillo – anzi, forse un po’ in imbarazzo per la sua sfacciataggine. Tom si tolse le sneakers e si alzò dalla sedia, Bill gli fece spazio nel suo letto. Il ragazzo si sedette e poggiò la schiena contro il muro, il moro, invece, circondò con le braccia la sua vita e poggiò il capo sul suo petto. “Senti che la morte si sta comunque avvicinando?” gli chiese Tom sorridendo, alzò la mano e iniziò ad accarezzare i capelli di Bill, questo chiuse gli occhi, rilassandosi a quel tocco.
 
“La morte è una cosa seria, Tom! Per te nell’aldilà non c’è nulla se non l’inferno” disse e il rasta scoppiò a ridere, ma non smise di accarezzare i suoi capelli. “Gretchen più è simpatica di me?” chiese all’improvviso, il rasta inarcò le sopracciglia per la domanda inaspettata, soprattutto perché pensava che avessero già parlato troppo del suo appuntamento.
 
“Non dire stronzate: nessuno è più simpatico di te” disse il rasta prendendolo in giro, ricevette uno schiaffo dal moro e ridacchiò.
 
“Tom, devi essere sincero con me. Non mi offendo se dirai che lei è più simpatica di me. Insomma, hai ragione a dire che nessuno è più simpatico di me, è difficile – anzi, impossibile – trovare uno che sia solamente alla mia altezza, figuriamoci a superarmi! Ma in ogni caso – cosa stavo dicendo? Ah, sì, che devi dirmi la verità!” bofonchiò Bill, Tom guardò il suo capo sul proprio petto e sorrise. Oramai aveva capito che era geloso.
 
“Ti ho già detto la verità, Bill: non è simpatica quanto te. Devo ancora trovare qualcuno che sia altrettanto irriverente, ahimè, è così difficile” disse Tom facendo uscire un po’ la regina del melodrammatico che albergava in lui, anche se la sua non era tanto sviluppata quanto quella di Bill – il rasta era una frana a fingersi una primadonna irritabile, mentre al moro riusciva benissimo.
 
“Dici sul serio?” chiese Bill e alzò il capo per guardare Tom. I loro visi erano poco distanti l’uno dall’altro e a Tom venne in mente di nuovo una domanda: devo baciarlo? Sembrerebbe inopportuno se lo facessi qui e ora? Dall’ultima volta che si era porto quella domanda le cose erano leggermente cambiate: Bill sembrava sinceramente interessato a lui, era geloso di quella specie di appuntamento che aveva avuto con Gretchen e tutto questo gli dava la speranza che stesse aprendo almeno un po’ il suo cuore a Tom.  Tuttavia lui era ancora relegato nella posizione di amico e il ragazzo non aveva dato segni di voler far cambiare tale situazione. La mente del ragazzo era attanagliata da una serie di dubbi, non aveva mai messo in discussione così tanto le sue azioni fino ad allora: normalmente con le ragazze era padrone di sé, sapeva cosa fare e quando farlo, ma si rese conto che era solo perché con loro non sarebbe riuscito ad andare oltre qualche incontro passeggero. Ma con Bill le cose erano diverse, si sentiva così tremendamente bene quando stava con lui, lo faceva ridere ed era divertente, ma soprattutto percepiva alcune cose che non aveva mai percepito prima: Tom non aveva mai sentito il suo cuore battere così forte al minimo contatto con un’altra persona, Tom non aveva mai sentito le farfalle nello stomaco fino ad allora, ma erano tutte cose che la vicinanza con Bill gli provocava. Era come sentirsi ogni volta ebbro senza aver bevuto nulla e dai discorsi senza senso che facevano lui e Bill potevano davvero sembrare ubriachi. Con Bill non voleva nulla di passeggero, con Bill voleva un amore vero, sincero e travolgente, magari da raccontare ai nipotini di fronte al fuoco, magari da raccontare a degli sconosciuti e sentir loro esclamare: “Oh, come siete fortunati!”. Tom si sentiva già tanto fortunato a stare con Bill e a essere suo amico, ma c’era qualcosa che la sua posizione al momento gli impediva di fare ed era tuttavia tutto ciò che egli desiderava ardentemente.
 
Tom sollevò la sua mano libera, la sinistra, e la poggiò sul viso di Bill, si chinò lentamente e, nella sua discesa, chiuse gli occhi, si fermò quando le sue labbra incontrarono quelle del ragazzo. Bill, con la bocca dischiusa, chiuse gli occhi e si spinse di più contro il ragazzo. Il loro era un semplice sfiorarsi di labbra, ma il cuore di Tom stava per esplodere e lui, scioccamente, dovette più volte trattenere le lacrime per non sembrare un idiota agli occhi di Bill: era tutto quello che aveva sempre desiderato e lo stava ottenendo. Aveva raggiunto il traguardo, aveva vinto il premio, lo aveva portato a casa. Le labbra di Bill erano morbide, ma screpolate e a tratti urtavano quelle di Tom, ma quel piccolo dolore non gli permise di ritornare sulla terra; stava volando. Quando si staccarono, un po’ a malincuore, si sentì lo schiocco delle loro labbra – era musica per le orecchie di Tom, nonché la conferma che non era stato un sogno – e Bill ritornò nella sua posizione, come se non fosse successo niente. Ma qualcosa era successo, perché la sua mente era confusa, ma era in uno stato tale di beatitudine che chiuse gli occhi, si stava godendo la bellissima sensazione di aver ricevuto un bacio, il primo, oltretutto, da Tom.  Questo prese un respiro spezzato e riprese ad accarezzare i capelli di Bill, per fortuna che questo era girato e non riusciva a vedere il suo viso completamente rosso. Il moro annullò tutti i sensi, ad eccezione del tatto, che gli permetteva di sentire le dita di Tom sulla sua nuca, e dell’udito, che gli consentiva di ascoltare il battito accelerato del cuore del ragazzo, e in poco tempo si addormentò.
 
 
*
 
 
Tom starnutì e si coprì la bocca con la mano, con l’altra libera cercò i fazzoletti nella tasca degli enormi jeans. Georg lo guardava attentamente con le sopracciglia inarcate, lanciò un’occhiata a Gustav, in piedi accanto a lui. “Amico, che schifo!” esclamò, ma Tom lo ignorò e, trovati i fazzoletti, si soffiò il naso.
 
“Ho il raffreddore, Georg, so di non essere la persona più piacevole con cui stare, oggi” disse, tirò su col naso. “Ma vi va di entrare dentro? Fa freddissimo qui” Si strinse in sé alla ricerca di maggior calore.
 
“Tanto mi è passata la voglia di fumarmi una sigaretta” disse Georg e sospirò, si avvicinò all’entrata della scuola. “Tra te e Bill mi sembra di essere al festival dei germi” La prima campanella della giornata doveva ancora suonare, quindi l’atrio della scuola era ancora vuoto e i tre ragazzi andarono a sedersi sulle scale. Il rasta si massaggiò le tempie: aveva un mal di testa incipiente e aveva una lunga giornata di fronte a sé. Gemette quando si rese conto che doveva affrontare un duro ed estenuante allenamento quel pomeriggio e non ne aveva assolutamente voglia.
 
“Solo andando a casa di Bill ti è venuto il raffreddore?” chiese Gustav guardandolo, Tom scosse il capo.
 
“No, è che ci siamo baciati” disse e non riuscì a trattenere un sorriso.
 
“Che cosa?!” esclamò Georg, strabuzzò gli occhi.
 
“Durante uno scambio di saliva e i suoi germi sono entrati nella mia bocca e—”
 
“No, che schifo! Non volevo sapere questo” disse il ragazzo e si fece più vicino al rasta. “Quando avresti avuto intenzione di dircelo?”
 
“Uhm, adesso?”
 
“Sì, beh, parla!”
 
Tom sospirò beato e si aprì in un tenero sorriso, Georg e Gustav si guardarono e scimmiottarono la sua espressione da beota innamorato. “Sono andato a casa sua e mentre mi chiedeva come fosse andato l’appuntamento con Gretchen ho notato quanto fosse geloso in realtà. Questo mi ha dato un po’ di coraggio e quando mi si è presentata l’occasione l’ho colta e l’ho baciato. È durato poco, purtroppo, e dopo lui si è addormentato su di me. Insomma, Bill non è l’essere umano più carino e più puro che voi abbiate mai avuto la fortuna di incontrare?”
 
Georg e Gustav scoppiarono a ridere, Tom si stupì di quella reazione improvvisa e guardò loro corrugando la fronte. “Puro?!” esclamò tra le risate Georg, poggiò una mano sul ginocchio di Tom. “Bill è la persona meno pura di questo pianeta. Fidati, io e lui siamo entrati piuttosto in confidenza e mi racconta tutto ciò che fa a letto: abbi fede, è la persona meno pura di questo pianeta”
 
“Georg, non anticipargli nulla!” urlò Gustav prima di continuare a ridere, Tom arrossì.
 
“A-Anticipare?” balbetto, strabuzzò gli occhi. “Io e Bill—”
 
“Oh, Dio” lo interruppe Gustav, sembrava spossato dalle troppe risate. Tom lo guardò e si chiese quando loro tre fossero esattamente diventati amici: lo avevano aiutato con Bill e d’allora erano entrati in confidenza, al punto che Tom raccontava a loro tutto ciò che non raccontava ai suoi amici più stretti. A questi, ad esempio, non aveva ancora raccontato di essere almeno un po’ gay e immensamente innamorato di Bill. Loro ancora credevano che si odiassero quando Tom ieri aveva finalmente avuto la soddisfazione di assaggiare le sue labbra! Tom al solo pensiero avvampava e sentiva un brivido corrergli lungo la schiena.
 
“Ragazzi, non ci crederete!” sentirono urlare Bill e Tom entrò in paranoia perché non sapeva cosa avrebbe dovuto fare: doveva salutarlo con un bacio? Oppure era meglio un abbraccio? Doveva far finta che non fosse successo niente? In un’altra occasione avrebbe preso la ragazza e l’avrebbe baciata e non gli sarebbe importato della gente che osservava, ma era semplicemente perché voleva affrettare le cose e arrivare al dunque. Con Bill non aveva tutta questa fretta, voleva fare le cose per bene, ma non sapeva quale fosse il suo prossimo passo. Tom guardò Georg e Gustav chiedendo silenziosamente cosa avrebbe dovuto fare, ma loro non seppero dargli una risposta. Poco dopo comparve Bill. Questo indossava dei jeans neri un po’ troppo grandi che teneva fermi in vita con una cintura nera borchiata, aveva una maglia bianca – anche questa molto grande, al punto che le sue maniche corte gli arrivavano poco sopra il gomito – e delle converse nere. Aveva il suo zaino rosso poggiato su una spalla, in mano reggeva un foglietto bianco a cui stava dedicando tutta la sua attenzione e i suoi capelli gli ricadevano lisci sulle spalle, i suoi occhi erano contornati di nero e il suo viso era molto pallido – Tom non sapeva dire se fosse a causa del trucco o a causa del raffreddore. Il rasta arrossì al pensiero di ciò che era successo il giorno prima, a quanto pare era costretto ad avvampare ed entrare in confusione ogni volta che vedeva Bill. “Il ragazzo che è uscito con una ragazza che si è rivelata lesbica mi ha lasciato un’altra recensione. A quanto pare anche la nuova ragazza che gli ho fatto conoscere fa il tifo per l’altra squadra!” Bill scoppiò a ridere e continuò a leggere. “Siamo entrati in un gay bar e lei ci ha provato con la barista. È stato imbarazzante, credo che rifiuterò l’aiuto di Bill. Avevo un unico requisito, trovare una ragazza etero, e lui l’ha violato per la seconda volta.  Firmato ragazzo_saffico” Bill rise di nuovo e poggiò lo sguardo sui suoi amici, chiedendosi perché non stessero ridendo. I suoi occhi incontrarono quelli di Tom e sussultò. “Oh, ciao Tom”
 
“Ehi, Bill” ricambiò il saluto Tom e abbozzò un sorriso, Bill evitò il suo sguardo.
 
“Beh, in ogni caso se ragazzo_saffico continua a lasciarmi recensione negative rovinerà i miei affari” disse Bill andando a riporre il biglietto di ragazzo saffico al suo posto, ovvero nella famosa bacheca.
 
“I tuoi non possono definirsi affari, Bill, dato che non ne ricavi un centesimo” gli ricordò Gustav, guardando la longilinea figura dell’amico. “Anzi, forse dovresti proprio iniziare a farti pagare”
 
“Gustav, sei pazzo?! Quella è prostituzione, mi chiudono in carcere!” disse e, fermo di fronte ai tre ragazzi, si mise le mani sui fianchi. “Non voglio finire in prigione per prostituzione. Per omicidio sì, soprattutto di voi due, ma per prostituzione no. Lo sai cosa farebbero in carcere a dei tipi come me”
 
“Sì, nelle docce ti chiederebbero di chinarti a prendere la saponetta che è caduta” disse Georg scuotendo il capo.
 
“Incredibile quanto tu possa essere cafone. Ogni giorno mi dico che non puoi superarti, eppure lo fai puntualmente” disse il moro scuotendo il capo.
 
“Comunque non credi che indossare una semplice maglia a maniche corte quando fuori piove e tu hai appena avuto la febbre sia inadatto?” gli chiese l’amico, Bill fece spallucce.
 
“Nessuna delle maglie a maniche lunghe che avevo si adattava al mio outfit di oggi e sinceramente ho pensato a tutta la notte a cosa mettermi. Non avevo né tempo né voglia di cambiare tutto” si giustificò il moro.
 
“Dovrei avere una giacca nel mio armadietto,” s’intromise Tom e Bill posizionò lo sguardo su di lui, sorrise. “Forse è meglio che la indossi”
 
“Sì, Bill, lo sai che hai mischiato il raffreddore a Tom? Cerca di non mischiarlo più a nessuno! Sinceramente io non vorrei prenderlo e poi doverlo mischiare a Jilian, sai, attraverso i baci o il sesso” Bill lo prese in giro facendo finta di vomitare. “Mischialo a Gustav, che non ha nessuno con cui fare sesso!”
 
“Non è vero!” si difese il ragazzo.
 
“Non è vero? Mi stai dicendo che se Bill ti mischiasse il raffreddore lo prenderebbe metà della popolazione mondiale perché fai sesso con metà della popolazione mondiale? È così, Gustav? Mi stai dicendo questo?” chiese Georg incrociando le braccia.

“Che idioti! Vieni, Tom, andiamocene, non voglio stare ad ascoltarli” disse Bill alzando lo sguardo al cielo e si avviò verso l’armadietto del rasta, questo si alzò velocemente e lo raggiunse.
 
“Non sono un malato di sesso come te, Georg, non scopo con metà della popolazione, ma non è vero che non scopo!” disse a sua volta l’amico, Georg lo guardò con sospetto.
 
“E con chi scopi?!”
 
“Fatti gli affari tuoi! Te lo sto dicendo con le buone, la prossima volta potrei usare le parolacce”
 
“Vuoi usare la parola cazzo, Gustav? Ma sai almeno cos’è?”
 
Gustav sospirò sconfitto. “Ti odio”.
 
“Sarei dovuto rimanere a casa, mi ero quasi dimenticato che avrei dovuto incontrare Georg e Gustav. Quei due mi fanno venire la febbre e le convulsioni!” si lamentò Bill seguendo Tom per i corridoi vuoti, quest’ultimo ridacchiò.
 
“Non credo che Georg e Gustav siano così antipatici come li disegni tu,” disse il ragazzo e si fermò al suo armadietto, inserì la combinazione. “Se ti verrà un accidente, inoltre, Bill, l’unico che dovrai incolpare sarai tu! Sei venuto a maniche corte come se fosse ferragosto” Bill sbuffò e si appoggiò contro l’armadietto con le braccia incrociate mentre guardava Tom frugare tra la sua roba.
 
“Ti ho davvero mischiato il raffreddore?” chiese un po’ preoccupato, Tom trovò la giacca di jeans che si era portato quella mattina per paura di sentire troppo freddo – era comunque felice di prestarla a Bill, sperava che prendesse almeno un po’ il suo profumo.
 
“Sì, ma è solo un raffreddore, non morirò. O almeno spero” disse e chiuse l’armadietto, porse al moro la giacca e vide il suo cipiglio. “Bill, ti giuro che non morirò”
 
“Mmh, ti credo” disse e prese la giacca, la indossò. “Se morirai non ho un completo nero, ma solamente blu. Tutti lo sanno, Tom, che non ci si presenta ai funerali vestiti di blu: è inaccettabile a livello mondiale”
 
“Oh, è vero, Bill: è risaputo, Chanel si rivolterebbe nella tomba” gli diede ragione il ragazzo e sorrise quando vide che la giacca era enorme per Bill: gli arrivava a metà coscia, le maniche coprivano completamente le sue mani e gli andava grande di spalle, al punto che sembrava immensamente piccolo e carino e a Tom venne voglia di baciarlo di nuovo.
 
“Ho il presentimento che Chanel sia l’unica stilista che conosci e che hai saputo nominare”
 
Tom sghignazzò. “Hai ragione”
 
“Tom,” lo chiamò Bill ma quando il rasta lo guardò, questo abbassò lo sguardo. “Mi dispiace per ieri per, sai, averti baciato”
 
“Oh, no, scusami tu. Insomma, ti ho baciato io” borbottò il rasta ed evitò anche lui lo sguardo di Bill. Quest’ultimo guardava il corridoio vuoto e Tom il pavimento, tutt’e due evitavano lo sguardo dell’altro.
 
“Beh, in ogni caso sento la necessità di scusarmi comunque. Non vorrei creare nessun malinteso con Gretchen dato che voi due vi frequentate”
 
“No, Bill” disse Tom sospirò, scosse il capo. “In primo luogo non devi scusarti, ma dovrei farlo io dato che ho— uhm, iniziato io. In secondo luogo vorrei dirti che io e Gretchen non ci frequentiamo. È stato bello l’appuntamento che abbiamo avuto, ma mi sono reso conto che lei non fa per me” Bill finalmente puntò lo sguardo su Tom e inarcò le sopracciglia.
 
“Quindi nessun secondo appuntamento?”
 
“Nessun secondo appuntamento” confermò il ragazzo.
 
“E non mi lascerai una recensione negativa?”
 
“No, a quello ci pensa già ragazzo_saffico”
 
Bill sorrise e si fece un po’ più vicino a Tom. “Che sfortuna, mi piace rovinare relazioni” disse con fare malizioso, Tom si aprì in un sorriso.
 
“Mi dispiace che non ci sia nessuna relazione da rovinare” disse e boccheggiò quando notò che il ragazzo si stava facendo sempre più vicino. Di nuovo: cosa avrebbe dovuto fare? Non si fece in tempo a porre la domanda che fu Bill a fare il primo passo. Si alzò sulle punte e fece sbucare le mani dalle lunghe maniche, le posizionò sul viso di Tom e lo baciò, chiuse gli occhi. Il rasta lo guardò pensando che questa volta fosse stato molto più semplice ricevere un bacio. Si spinse contro e Bill sorrise quando gli cinse la vita e lo avvicinò di più al suo corpo.

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Capitolo 12
*** Difendere Bill dalle grinfie di dieci uomini. ***


 
 
 
 
Capitolo 12.
Difendere Bill dalle grinfie di dieci uomini.
 
 
 
 
 
 “Oh, ragazzi” si lamentò Richard e si sedette accanto a lui. Tom era nello spogliatoio della palestra con i suoi migliori amici e con i suoi compagni di squadra. I baci di Bill dovevano aver avuto un effetto terapeutico su di lui, perché non solo il mal di testa gli era passato, ma si sentiva anche alla grande. Era pronto per affrontare un altro estenuante allenamento e ritornare a casa strisciando perché aveva letteralmente perso tutte le forze. “Vorrei tanto trovare una ragazza, ma sono troppo timido per parlare con qualsiasi portatrice di vagina” continuò a lamentarsi il suo amico Richard. Era noto a tutti che avesse un grosso problema quando si trattava di parlare con persone nuove, soprattutto ragazze, essendo incredibilmente timido. Una volta Tom lo aveva spinto a parlare con una ragazza che faceva parte del loro gruppo e si era messo in disparte nascosto per vedere come andava. Richard era partito bene, ma aveva ben presto iniziato a balbettare e diventare rosso, finché non era scappato via e Tom aveva dovuto inseguirlo per diversi chilometri prima di riuscire ad afferrarlo. Il suo amico era quasi in lacrime e c’era voluto un po’ prima di convincerlo a ritentare con la ragazza – Tom aveva dimenticato quante volte avesse detto “non esistono le vagine con i denti” e “le vagine non mordono!” – ma quando erano ritornati a scuola lei era scappata un po’ spaventata. Richard era nuovamente sul punto di piangere e Tom aveva dovuto consolarlo di nuovo.
 
“Perché non chiedi aiuto a quell’organizzatore d’incontri? Come si chiama? Ah, sì, Bill Kaulitz!” disse un altro suo amico, Neil, e a sentire il nome di Bill Tom sussultò. Lui e Neil erano amici da quando avevano messo piede in quella scuola e il ragazzo era letteralmente l’opposto di Richard: era sicuro di sé e le donne apprezzavano molto questa caratteristica; Neil ci sapeva fare e Tom aveva smesso di contare le sue amanti quando era arrivato a diciotto. “Sembra che il suo nome sia sulla bocca di tutti in questi ultimi mesi. La ragazza che ho rimorchiato ieri, Gretchen, mi ha parlato di lui addirittura mentre stavamo scopando”
 
“Cosa? Hai scopato con Gretchen?” chiese Tom inarcando le sopracciglia, ma non era infuriato, anzi, era un po’ divertito.
 
“Sì, forse avrei dovuto dirtelo, ma tu mi avevi detto che non la volevi più vedere né sentire” disse l’amico facendo spallucce, s’infilò la maglia che recava scritto un sette.
 
“Non sono arrabbiato! Dai, avanti, dimmi com’è stato. Ha fatto schifo? Sono sicuro che ha fatto schifo” iniziò a spettegolare Tom e si mise sull’attenti. Normalmente non gli sarebbe piaciuto ascoltare le avventure sessuali di Neil, ma in quel caso c’era di mezzo Gretchen.
 
“Ha fatto schifo” confermò l’amico e si andò a sedere alla sua destra per infilarsi le scarpe. “Pensa che a un certo punto mi ha chiamato Tom!”
 
“Oh, Dio. Imbarazzante”
 
“Mi sono ammosciato tutto e non ho saputo più proseguire”
 
“Mi dispiace tanto, Neil, sento che in qualche modo è colpa mia”
 
“Sì, beh, mi sono ripreso dopo, perché in ogni caso io porto sempre a termine ciò che inizio”
 
“Ragazzi?” chiamò loro Richard e i suoi due amici si voltarono a guardarlo. “Stavamo parlando di me”
 
“Che palle che sei, Richie” lo prese in giro Neil, si mise la scarpa destra. “Vai da Bill, altrimenti io e Tom iniziamo una colletta per farti avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con una spogliarellista”
 
“Divertente” Richard incrociò le braccia e mandò un’occhiataccia all’amico. “Sono già andato da Bill e lui mi ha propinato ben due volte due ragazze lesbiche. Io non posso farci niente se a loro non piace ciò che ho tra le gambe! Devo dire la verità, essere stato rifiutato per quel motivo mi ha rincuorato un po’, insomma, io non ci posso fare niente se sono un uomo”
 
“Sei tu ragazzo_saffico?!” esclamò Tom e lo guardò. Non sapeva perché Richard non riuscisse ad avere fortuna con le ragazze, lui era un ragazzo molto carino: aveva i capelli ricci castano chiaro, occhi azzurri e tratti androgini, quasi puerili.
 
Richard arrossì. “T-Tu leggi le recensioni di Bill?”
 
“Chi non le legge? Sono divertenti” ammise Neil e ridacchiò, si allacciò la scarpa sinistra. Neil aveva invece tratti più forti e virili, la pelle era mulatta e i capelli erano neri come la liquirizia. Aveva origini ispaniche da parte della madre e questo si vedeva sia nelle sue caratteristiche somatiche che comportamentali: era molto simpatico e vivace e a Tom piaceva passare il tempo in sua compagnia. “Comunque se anche il dio dell’organizzazione delle scopate ha fallito, devi aspettare che il tempo faccia il suo corso. Prima o poi incontrerai qualcuna così idiota da voler stare con te” Neil si alzò e diede un’occhiata ai suoi amici.
 
“Oh, mio Dio! Rimarrò vergine a vita!” piagnucolò Richard mentre seguiva Neil fuori dallo spogliatoio, Tom sorrise guardando il modo in cui il ragazzo moro gli dava una pacca sulla schiena più per prenderlo in giro che per rincuorarlo e pensò che avrebbe messo una buona parola per lui con Bill.
 
Il rasta si alzò senza aspettare che gli altri compagni di squadra fossero pronti e uscì. La luce del sole che invadeva la palestra quasi lo accecò e dovette coprirsi gli occhi, ma quando riebbe la vista notò che gli spalti erano vuoti ad eccezione di una persona. Bill stava seduto ed era impegnato a svolgere qualche compito, senza prestare attenzione ai pochi giocatori in squadra, e indossava ancora la giacca che gli aveva prestato quella mattina. Tom inevitabilmente sorrise; la prima volta che lo aveva beccato lì il moro gli aveva detto che aveva bisogno di pensare ed era vero, ma adesso era venuto lì apposta per vederlo – d’altronde Bill conosceva bene i giorni in cui Tom si allenava. Il rasta salì sugli spalti e si andò a sedere accanto a Bill, questo era assorto in alcuni esercizi di matematica e sussultò quando se lo ritrovò vicino.
 
“Ciao, Troy Bolton” lo prese in giro Bill sorridendo, chiuse il quaderno. Tom gli sorrise e si stiracchiò, si stese parzialmente poggiando le mani dietro la schiena e rilassando le gambe.
 
“Ciao, Sharpay” ricambiò il saluto il ragazzo.
 
“Oh, per favore, smettila di chiamarmi Sharpay. Credo di voler essere Gabriella ora”
 
“Come vuole, mia regina” disse Tom e Bill sorrise soddisfatto: amava essere chiamato regina. “Sei venuto di nuovo per pensare?”
 
 “No, sono venuto per guardarti giocare. Ho scoperto che sei estremamente carino quando lo fai” disse e Tom abbassò lo sguardo, sperando che i rasta potessero coprire il suo volto: era arrossito. “Ma sono anche venuto per chiederti di uscire con me, stasera”
 
“Wow, un appuntamento” disse Tom riprendendosi un po’ della dignità e della sicurezza in sé che una volta gli erano proprie e che quando era con Bill scomparivano.
 
“Il nostro primo appuntamento!”
 
“Bill, non è il nostro primo appuntamento”
 
“Che vai dicendo?”
 
“Siamo già andati a un appuntamento. Ti ricordi? Siamo andati a cena e poi sei venuto a casa mia”
 
“Oh” Bill inarcò le sopracciglia. Dopo settimane aveva finalmente capito che era un vero appuntamento! Era vero, c’era voluto un po’, ma tutti sapevano – Bill incluso – che lui non era esattamente una cima. Il ragazzo sorrise malizioso e si avvicinò al rasta, Tom arrossì quando vide che il viso di Bill si faceva più vicino. Pensava – e sperava – di ricevere un bacio, ma il moro si fermò a pochi centimetri dal suo viso. “Che idiota che sono stato,” sussurrò e guardò Tom negli occhi con quel sorriso malizioso che faceva impazzire e ribollire il sangue nelle vene del rasta. “Eravamo io e te da soli su un letto e non ho approfittato della situazione”
 
Tom si rese conto che Bill stava flirtando con lui e che si aspettava una risposta che fosse in qualche modo sexy, ma era troppo impegnato a ricordarsi della loro posizione sul letto. Poi, improvvisamente, quella scena reale divenne fantasmatica quando Tom immaginò tutto quello che sarebbe potuto succedere. Le scene si accavallavano velocemente nella sua testa, Bill era così vicino a lui e riusciva a sentire il suo buon profumo misto al suo grazie alla giacca che indossava, ma Tom sapeva che i loro odori potavano mischiarsi in maniera migliore di questa. Il rasta alzò una mano e accarezzò con le nocche il viso imberbe di Bill, la sua pelle era così pallida e morbida. “Sono sicuro che avrai un’altra occasione per rifarti, Bill” sussurrò a sua volta. Era una cosa segreta, chiusa tra loro, il mondo esterno non poteva ascoltare né farne parte. Bill sorrise e chiuse gli occhi, poggiò le mani sulla mano di Tom e si spinse a quel tocco.
 
“Sei libero questa sera?” gli chiese dopo aver riaperto gli occhi.
 
“Per-per fare—”
 
“Per il nostro secondo appuntamento, Tom” disse Bill sorridendo. Era incredibile quanto Tom fosse impacciato quando si trattava di essere maliziosi.
 
“Oh” Tom sospirò, cercò di darsi un contegno. “Sì, comunque, ci sarò”
 
“Perfetto” Bill prese la mano di Tom e la portò alle labbra per baciarla. “Vienimi a prendere alle nove”
 
“Oh, Bill, prima che io ritorni a giocare” disse il ragazzo ricordandosi di una cosa, Bill alzò lo sguardo su di lui: aveva tutta la sua attenzione. “C’è questo mio caro amico, Richard—”
 
“Ragazzo_saffico?” chiese il moro con un sorriso divertito.
 
“Sì, esatto, lui. Richard è un ragazzo estremamente carino e simpatico, inoltre è vergine—”
 
“È un verginello?” Bill si rabbuiò.
 
“Sì, Bill, poverino, devi avere compassione di lui” disse il ragazzo assecondando il moro. Sapeva la sua opinione nei confronti delle persone vergini e pensava che solo assecondandolo e facendo passare Richie per un povero ragazzo che non aveva ancora perso la verginità avrebbe ottenuto i suoi favori. “Non potresti ritentare? Magari la terza volta è quella buona”
 
“Uhm, non lo so” Il moro scosse il capo pensieroso. “Lui aveva detto di non volere più il mio aiuto”
 
“Sono sicuro che cambierà idea” Tom lo guardò, era bellissimo come sempre, e poi fece scendere lo sguardo sulla sua mano destra, intrappolata nelle sue all’altezza del cuore, e sorrise. Finalmente. Qualsiasi divinità ci fosse, lo aveva ascoltato. Sembrava troppo bello per essere vero – sembrava paradossale anche il solo fatto che Bill lo stesse toccando! “D’altronde tu sei il dio degli organizzatori d’incontri”
 
“Beh, sono piuttosto bravo nel mio mestiere”
 
“Certo! Sono sicuro che riuscirai a trovare una donna etero per Richie, tu sei così bravo in ogni cosa che fai” disse continuando ad adularlo e questo sembrò funzionare.
 
“D’accordo, allora oggi pomeriggio mi dedicherò alla ricerca della donna perfetta per ragazzo_saffico” disse e lasciò andare la mano di Tom.
 
“Sono sicuro che sarà una ricerca fruttuosa” disse il ragazzo e si alzò, gran parte dei suoi compagni di squadra erano in campo, ma il coach mancava.
 
“Sì, ma prima ti guarderò giocare un po’” disse Bill alzando lo sguardo verso di lui. “E poi con te ci vediamo dopo”
 
“Sono entusiasta di avere una cheerleader di questo calibro, mia regina” disse sorridendo, si chinò a baciarlo.
 
 
*
 
 
Quando Tom finì l’allenamento Bill era già andato via da un quarto d’ora. Guardò gli spalti vuoti e poi i suoi compagni che si avviavano chiacchierando verso gli spogliatoi, li seguì. Mentre erano tutti riuniti, il coach entrò per fare loro i complimenti e ricordare che in due settimane avevano un’altra importante partita. Disse di tenersi liberi, perché poteva decidere di programmare un allenamento in qualsiasi momento. Tom sentì mormorare in dissenso i suoi compagni e si avvicinò al suo borsone, prese l’asciugamano e con questo si circondò il collo.
 
“Ehi, capitano!” disse una voce dietro di sé. Elton, uno dei suoi compagni di squadra, gli diede una pacca dietro le spalle e si mise accanto a lui. “Sei preoccupato per la partita?”
 
“Sono più stanco che preoccupato. Vorrei dormire per ventiquattrore di fila” disse il ragazzo con un sorriso mentre cercava la sua bottiglietta d’acqua e, quando la trovò, bevve.
 
“Ho visto che tu e Bill Kaulitz vi siete baciati, prima!” disse andandosi a sedere sulle panche per guardarlo in faccia, Tom inarcò le sopracciglia e arrossì. “State per caso insieme?”
 
Tom guardò Elton e si rese conto che adesso tutti i suoi compagni di squadra, inclusi i suoi due migliori amici, erano sull’attenti e lo guardavano, desiderosi di sapere la risposta a quella domanda. “Uhm, non stiamo esattamente insieme, direi piuttosto che ci stiamo frequentando” disse e trattenne il respiro. Il fatto che lui fosse gay era davvero, per loro, un fulmine a ciel sereno: Tom aveva frequentato solo donne sino ad allora – non che a lui piacesse sbandierare la sua vita personale ai quattro venti, ma tutti a scuola lo avevano visto uscire solo con ragazze. Inoltre Tom proprio non riusciva a rientrare nell’immagine stereotipata che avevano degli omosessuali: non sembrava androgino, non aveva atteggiamenti femminili, giocava a basket e sembrava piuttosto virile, come se tutti i gay dovessero essere così.  In ogni caso aveva un po’ paura che la voce si spargesse, non perché volesse nascondere il fatto di stare con Bill – diamine, lui amava Bill e voleva che tutti lo sapessero – ma perché sapeva il trattamento che era riservato a molte persone omosessuali e non voleva riceverlo a sua volta. Forse, però, lui era troppo in alto nella scala gerarchica della scuola per ricevere un qualche tipo di bullismo dai suoi compagni. In fondo sopra di lui non c’era nessuno, gli altri, secondo quella stupida scala gerarchica, stavano tutti sotto.
 
“Esci con lui solo perché è popolare?” gli chiese un altro compagno di squadra, Frank.
 
Tom corrugò la fronte e guardò velocemente quelle facce. Si sentiva profondamente a disagio: non gli piaceva parlare di sé di fronte a poca gente, figurarsi di fronte a un’intera squadra di basket! “No, assolutamente” disse scuotendo il capo. A Bill importava così poco di essere famoso che Tom dimenticava puntualmente che fosse popolare quanto lui. D’altronde lui e il moro erano alcuni dei pochi di quel rango che guardavano le persone per ciò che erano e non per la posizione che occupavano.
 
“Wow, amico” disse Neil intromettendosi nella discussione, si appoggiò agli armadietti incrociando le braccia e sorrise. “Invece di chiedere aiuto hai portato a letto direttamente lui, incredibile! Sei fortunato”
 
Tom non sentì la necessità di specificare che lui e Bill non erano andati ancora a letto insieme. In ogni caso sembrava che i suoi amici avessero accettato di buon grado il fatto che si stessero frequentando, senza fargli ulteriori domande sulla sua sessualità – stavano parlando di questa cosa da dieci minuti e non lo avevano ancora chiamato finocchio! Tom si sentiva super felice. Ma c’era qualcosa nella frase di Neil che non aveva ben compreso. “Fortunato? Come fortunato?” gli chiese infatti. Lui sapeva benissimo di essere stato fortunato ad aver incontrato Bill e di poter conoscerlo in un modo che agli altri non era permesso, ma voleva capire in che modo i suoi amici lo reputassero fortunato.
 
“Beh, Tom, se tu ti aprissi di più con i tuoi compagni di squadra capiresti che circa metà di loro stravede per Bill” disse il suo migliore amico con un sorriso, Tom inclinò il capo e guardò i suoi compagni di squadra. Il suo sguardo doveva sembrare minaccioso, perché vide i colpevoli sussultare.
 
“A te—piace Bill?” chiese a Neil. Se fosse piaciuto anche a lui la situazione sarebbe diventata davvero imbarazzante. Innanzitutto perché Tom lo conosceva da tanto e molto bene e non aveva mai sospettato che a lui piacessero i ragazzi – anche perché Neil mentre chiacchieravano molto spesso iniziava ampie digressioni che avevano come tema principale quanto facesse impazzire a letto le ragazze. Dio — e se Cindy si chiamasse in realtà Cyndio? E se Theresa fosse stata in realtà Thereso? Tom  aveva davvero così poca sensibilità nei confronti degli altri da non capirlo?
 
“No, Tom,  a me non piace Bill. Sono uno delle poche persone ancora cento per cento etero in questa squadra, fidati di me” disse il ragazzo e gli fece l’occhiolino. Tom si voltò verso Richie e questo sussultò. “No, nemmeno a lui piace!” esclamò e sospirò, si staccò dagli armadietti e si mise al centro dello spogliatoio, esattamente tra Tom e la folla di amici, che lo guardava unanime un po’ spaventata e sorpresa. “Alzi la mano a chi piace Bill” urlò Neil, ma nessuno osava fare la prima mossa. “Vi giuro che non ci saranno ripercussioni, il mio corpo vi farà da scudo e vi proteggerà dalla furia omicida di Tom”
 
Il rasta spalancò la bocca quando almeno dieci persone alzarono timidamente la mano, incluso Elton, ancora seduto vicino a lui. “Oh, mio Dio, siete troppi. Non posso proteggere Bill dalle grinfie di così tante persone” sussurrò Tom e si sedette anche lui sulle panche, Neil ridacchiò.
 
“Ragazzi, andate a fare la doccia, ora. Tom, io, tu e Richie ci andiamo a prendere un gelato dopo, così parliamo un po’” gli disse Neil e gli sorrise, si avviò con gli altri verso le docce.
 
 

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Capitolo 13
*** Il primo vero appuntamento. ***


 

Capitolo 13.
Il primo vero appuntamento.





“Gustav, davvero non credo sia necessaria la tua presenza qui” disse Bill mentre muoveva frettolosamente le mani per far asciugare prima il suo smalto nero. Guardò l’amico camminare per tutta la sua camera e andarsi a sedere sul letto.

“Certo che è necessaria!” disse e frugò nella busta della spesa che aveva portato con sé. “Ho portato le patatine!”

Bill guardò le patatine che reggeva Gustav e poi guardava le sue mani: prenderle avrebbe fatto rovinare lo smalto e Dio solo sapeva quando Bill odiasse rimetterlo una seconda volta. Ma allo stesso tempo non voleva arrivare con lo smalto imperfetto al suo appuntamento di Tom – niente doveva avere difetti – quindi guardò Gustav e disse: “Okay, la tua presenza è necessaria”. Si girò verso la scrivania e prese lo smalto trasparente che metteva su quello colorato per farlo durare più a lungo.

Gustav si alzò dal letto e si avvicinò alla scrivania, prese una sedia e si sedette accanto al suo amico. Aprì il pacchetto di patatine e vide Bill controllare, toccandolo, se lo smalto si fosse asciugato. Quando il moro iniziò a mettersi lo smalto trasparente Gustav prese una patatina e la avvicinò alla bocca dell’amico, questo la mangiò.

“Ti ha inviato quella bestia di Satana, vero? Lui dov’è? A farsi scopare come una puttanella?” chiese guardandosi le unghie e vi soffiò sopra.

“Esatto” disse Gustav e mangiò una patatina, quella successiva era invece riservata al moro. “Dice che dobbiamo rendere una tradizione il fatto di visitare un amico prima di qualsiasi appuntamento”

“Preferirei rimanere solo con trentadue gatti per il resto della mia vita!” esclamò Bill e prese un po’ di cotone imbevuto di acetone, con cura tolse lo smalto che era finito sulle dita.

“Noto che ancora usi il cibo come sostituto del sesso. Tu e Tom ancora non avete fatto niente?”

Bill strabuzzò gli occhi e si voltò di scatto verso Gustav. “Stai dicendo che sono ingrassato?!”

“No, no!” si affrettò a dire il ragazzo. Era sul filo del rasoio: un passo falso e sarebbe caduto inevitabilmente verso la morte. “È che il Bill che scopa avrebbe rifiutato le patatine dicendo che stanno dieci secondi in bocca e dieci anni sui fianchi”

“Oh, Dio, hai ragione” disse Bill sconsolato e gemette. “Allontana quelle cose da me. I miei fianchi davvero non meritano tutto questo”

“Sì, okay, ma hai evitato la mia domanda” disse Gustav, felice che le patatine fossero solo per lui.

“Beh, è vero che io e Tom ci conosciamo da anni, ma abbiamo iniziato a frequentarci solo da qualche giorno. Non vorrei saltargli addosso già ora e sembrare un disperato!”

“Ma lo sei!”

“Hai fottutamente ragione, sono disperatissimo. Ho iniziato a sognare di fare certe cose. Mi sveglio nel cuore della notte con un’erezione tra le gambe e non so cosa farne di me stesso. Voglio sbattere la testa contro il muro: ma perché è così difficile vivere senza sesso?!” si lamentò e gemette di nuovo, Gustav sghignazzò. “Gustav, tu come fai?”

“Ehi, io scopo!” si difese l’amico. Ma perché né Bill né Georg credeva che avesse una vita sessuale?

“E con chi scopi?!” esclamò infatti il moro, improvvisamente Gustav aveva tutta la sua attenzione.

“Fatti gli affaracci tuoi! È incredibile, in questo gruppo di amici non si può avere un po’ di privacy, cazzo!”

“Hai usato la parola cazzo, Gustav? Ma sai almeno cos’è?”

Gustav sospirò, sembrava che i suoi due migliori amici si fossero messi d’accordo. “In ogni caso non stare a seguire delle stupide etichette e degli stupidi regolamenti: se senti che è il momento giusto perché non farlo?”

“Con Tom sembra sempre il momento giusto. Ma dico, hai visto quant’è carino?” disse Bill con aria sognante, si mise una mano sulla guancia e alzò lo sguardo al cielo, perdendosi nei suoi pensieri. Tom, nella sua mente, era circondato da nuvolette e arcobaleni, i suoi capelli venivano scossi da un vento rosa. Quando si guardò le unghie notò che un pezzo di smalto mancava e si trovava ora sulla sua guancia. “Cazzo!”

 
*


Erano le nove in punto e Tom era fermo di fronte la casa di Bill, appoggiato contro il muro. Aveva visto Simone entrare piena di buste della spesa e l’aveva soccorsa. La donna l’aveva ovviamente riempito di parole e di domande, ma quell’interrogatorio era durato poco – a detta sua aveva la zuppa ancora sul fuoco e nessuno dei membri della famiglia ad eccezione di lei era apparentemente in grado di girarla – e quando se n’era andata gli aveva lanciato il suo sguardo tipico che diceva: “So che cosa sta succedendo”. Infatti Simone gli aveva lasciato intendere che era molto strano che lui lo stesse aspettando sotto casa, dato che Bill era solito con i suoi amici darsi appuntamento in qualche posto. Tom come risposta aveva arrossito, dando la conferma alla donna che non era una semplice amicizia – o meglio, lo era stata, ma ora non lo era più.

Alle nove e cinque finalmente la porta si aprì e Tom si staccò dal muro, pronto a vedere uscire Bill, ma chi uscì fu invece Gustav con un pacchetto di patatine vuoto in mano. “Gustav?” lo chiamò e Gustav puntò lo sguardo su di lui e si avvicinò.

“Ehi, Tom!” lo salutò, si guardò intorno per cercare un cestino.

“Che ci fai a casa di Bill?”

“Oh, abbiamo inaugurato una nuova tradizione, cioè vederci prima di ogni appuntamento per rafforzare la nostra amicizia. Sai, è un po’ come dire che le relazioni vanno e vengono, ma gli amici ci saranno sempre” disse enigmaticamente il biondo e gli fece l’occhiolino, questo gettò Tom in un’immensa confusione. Corrugò la fronte guardando il ragazzo.

“Anche tu vuoi scopare Bill?!”

“Cosa? No! Non abbiamo scopato!” si affrettò a dire Gustav, allarmato. Tom scosse il capo: da quando aveva scoperto che almeno mezza squadra di basket andava dietro a Bill non riusciva a vedere più le cose nel modo corretto. Il suo problema era che tutto ciò che stava vivendo con Bill gli sembrava un sogno e aveva paura che qualcosa lo facesse svegliare bruscamente. L’aver raggiunto ciò che aveva desiderato così tanto in tutti quegli anni lo stava gettando in uno stato di ansia perenne. “Comunque lui è pronto, ma deve farsi attendere da brava regina. Ah, ricordati di dire che non era molto che aspettavi”

“Uhm, giusto, dimentico sempre queste regole alla Bill. Grazie, Gustav” disse e il ragazzo gli sorrise, se ne andò e mentre lo faceva buttò la busta delle patatine. Tom ritornò ad appoggiarsi contro il muro. Mentre usciva dagli spogliatoi aveva temuto a lungo la famigerata chiacchierata che Neil gli aveva promesso di avere di fronte un gelato, ma alla fine scoprì che Neil aveva solamente voglia di un gelato e qualsiasi scusa era quella buona. I suoi migliori amici gli avevano detto che non avevano nulla contro il fatto che lui fosse gay e innamorato di Bill, ma questa notizia per loro era molto improvvisa dato che non avevano mai avuto neanche il sospetto. Neil gli aveva detto che per lo shock che questa notizia gli aveva arrecato doveva offrire sia a lui che a Richie il gelato: ovviamente il ragazzo non era rimasto così scioccato come diceva, era solo una scusa per farsi offrire il gelato.

Poco dopo Bill uscì; si era ripromesso di uscire verso le nove e mezza, ma non vedeva l’ora di vedere Tom. Lo vide fuori dalla sua porta appoggiato contro il muro e gli si avvicinò saltellando, sorrise. “Ciao, Tom! È da tanto che aspettavi?” chiese e Tom lo guardò boccheggiando. Bill sorrise soddisfatto, era così tanto che non si dedicava al trucco nella maniera in cui voleva da pensare che ci avesse perso la mano, ma lo smokey eyes che si era fatto era perfetto. Gli strati di fondotinta che si era messo rendevano la sua pelle perfetta e i due diversi correttori – uno dei quali verde, che aveva portato Gustav a chiedere se l’appuntamento fosse a tema “alieni”. Bill aveva sospirato e stretto la boccettina di smalto nella mano per evitare di ucciderlo – davano l’illusione che non avesse imperfezioni. Il suo rossetto era di un rosso così chiaro da far sembrare le sue labbra naturalmente rosso – Bill sghignazzò: nessuno sapeva del suo trucco. Beh, se Tom lo avesse baciato e si fosse ritrovato sulle sue labbra il colorito rosso di Bill si sarebbe fatto due domande e avrebbe capito.

Tom guardò Bill da capo a piedi e quasi si diede un pizzicotto per accertarsi che fosse realtà e che non stesse sognando. Era bellissimo e i jeans che aveva aderivano al suo corpo fasciandogli le cosce e il sedere – Tom si era ritrovato a spiarlo, era vero, ma si era obbligato a guardare Bill negli occhi – gli stavano alla perfezione. Aveva deciso finalmente di indossare una felpa bianca a maniche lunghe che dava al suo viso un tocco di angelico, reggeva in mano una giacca di pelle e al collo aveva una lunga collana con un arco e una freccia. Si dimenticò della risposta che doveva presumibilmente dare a Bill e si dimenticò perfino di cosa avesse detto, circondò il suo viso con le mani e gli diede un bacio. Normalmente si sarebbe limitato a sognare di farlo, ma adesso che poteva farlo non trovava ragioni sufficientemente valide per trattenersi. A Bill, però, sembrava che avesse fatto piacere il fatto che Tom per una volta non avesse obbedito alle sue regole e si fece più vicino, lo strinse a sé. Tom si staccò dal bacio e guardò il moro: questo era aggrappato alla sua t-shirt come se da lui dipendesse la sua vita e lo guardava con gli occhi socchiusi aspettandosi un altro bacio nell’immediato, ma il rasta si beò di quella visione ancora un po’ prima di baciarlo di nuovo.

“Tom, non dovresti dire qualcosa?” disse Bill interrompendo la serie di baci che Tom gli stava dando.

“Uhm? E cosa dovrei dire?” chiese guardando le labbra del ragazzo invece che i suoi occhi. Adesso le sue labbra sembravano meno rosse, Bill passò un dito su quelle del rasta per togliere via i residui del suo rossetto affinché Tom non scoprisse il suo segreto. Ogni donna aveva un trucco di bellezza e Bill non era da meno.

“Ti ho chiesto se era tanto che aspettavi”

“Beh, erano quindici minuti, ma mi ha tenuto un po’ compagnia Gus—”

“Tom! Dio, sei un casino, devo ancora insegnarti tante cose”

“Ah, okay, ho capito! No, ero appena arrivato” mentì sorridendo, Bill gli ricambiò il sorriso.

“Vedo che ci capiamo”

Tom gli prese la mano e s’incamminarono verso il centro della città. “Hai pensato a un posto dove mangiare?” gli chiese il rasta guardando le strade buie illuminate dalla luce artificiale dei lampioni.

“Ho dovuto pensare a farmi bello, Tom, non posso pensare a tutto io” gli disse il ragazzo scuotendo il capo, Tom sghignazzò.

“Hai ragione, quindi dato che tu sei stato così bravo a farti bello io m’impegnerò a scegliere un posto in cui mangiare” gli disse il ragazzo e si fermò, guardò Bill e si avvicinò a lui, lo abbracciò circondandogli le spalle con le braccia e gli baciò il capo. “Stasera sei mozzafiato” gli sussurrò e il cuore di Bill perse un battito.

 
*


“Georg può sembrare l’amico più demente che io abbia, ma devo dire che trova in Gustav un valido avversario” disse Bill gesticolando. Alla fine avevano mangiato pizza e il moro non poteva essere più contento: adorava la pizza. Dopo essere usciti Tom gli aveva proposto di fargli vedere un posto che forse non conosceva. Avevano salito tante scale in pietra e Bill stava per vomitare tutta la pizza al formaggio che aveva mangiato – se avesse vomitato avrebbe maledetto Tom a vita, perché quella felpa che aveva era malauguratamente bianca ed era malauguratamente nuova – ma quando erano saliti in cima Bill si era ritrovato di fronte a un piccolo spazio aperto chiuso da una ringhiera, vicino alla quale vi era una panchina. La vista era spettacolare: da lì si poteva vedere tutta la città, con le sue luci, la sua vita e i suoi movimenti, illuminata dalla luna e dalle stelle. I due ragazzi si erano seduti l’uno di fronte all’altro sulla panchina, ma non era passato molto tempo prima che Bill si fosse lamentato di qualche dolore inventato e si fosse piazzato sulle gambe di Tom. Quest’ultimo non si era lamentato, comunque, dato che aveva avuto la possibilità di cingere i suoi fianchi con le braccia. “Una volta siamo usciti e lui continuava a dire che le mutande che aveva deciso di indossare quel giorno erano incredibilmente comode. Non faceva altro che ripeterlo! Lo diceva qualcosa tipo ogni dieci minuti. Quando ci siamo fermati al bar a prendere un tè, lui ci ha abbandonato per andare in bagno e quando è tornato ci ha detto che aveva scoperto di non essersi messo le mutande” Tom scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro e Bill sospirò ricordandosi quel giorno. “Alla fine non è ritornato a casa a indossarle, ma ha continuato a vivere la sua vita come se nulla fosse accaduto!”

“Beh, se fosse tornato a casa per metterle, tu cosa avresti pensato?” gli chiese Tom con un sorriso sulle labbra. Bill dava le spalle alla luna e la luce che questa emanava delineava il contorno della sua figura, il suo viso era parzialmente oscurato ma al rasta non poté non sembrare ancora di più un angelo.

“Avrei pensato la verità, cioè che è un gran cafone”

“Avresti pensato male di lui comunque, ha fatto bene a infischiarsene del tuo giudizio” disse il ragazzo sorridendo.

“Ehi! Il mio giudizio vale molto” disse lamentandosi, poggiò le mani sul petto di Tom e boccheggiò a sentire i suoi pettorali sotto i polpastrelli, rabbrividì al pensiero della posizione in cui si trovavano; Bill era proprio seduto sull’inguine di Tom.

“Solo gli idioti penserebbero il contrario” lo assecondò il ragazzo e staccò una mano dai suoi fianchi per andare ad accarezzargli il viso.

“Tocca a te: dimmi un aneddoto divertente” gli disse Bill sorridendo, faceva scorrere le sue mani sul petto di Tom sfiorandogli talvolta il collo per vedere che tipo di effetto ne ricavava.

Il rasta fece spallucce. “Sul momento non me ne vengono” ammise.

“Questo è perché sei una persona tremendamente noiosa”

“Esatto! Mi pare che avessimo già stabilito che fossi tu la persona più simpatica del mondo”

“Tom, non devi comparare la tua simpatia alla mia, altrimenti è ovvio che ne esci sconfitto. Cerca di paragonarla a quella di qualcun altro” gli consigliò Bill e per il buon consiglio ricevette un bacio. “Comunque come fai a sapere di questo posto?” chiese guardandosi intorno.

“L’ho scoperto per caso da ragazzino. Prima mi piaceva fare lunghe passeggiate in posti sperduti, ma quando ho trovato questo mi sono fermato. È il luogo in cui vengo quando voglio stare da solo e quando voglio riflettere” disse e guardò Bill, sulle sue gambe, osservare il luogo mal illuminato. Tom pensò che non fosse la prima volta che era lì con Bill, dato che lui c’era stato a lungo, ma era solo nei suoi pensieri. Tom era andato molte volte lì a interrogarsi sui suoi sentimenti, sul suo amore per quel ragazzo e sulla sua sessualità. Aveva guardato la città silenziosa e si era ripromesso di portare Bill lì una volta fosse riuscito a farlo suo e aver mantenuto fede alle sue promesse lo rese nuovamente fiero. Quello era anche il luogo in cui Tom poteva incontrare puntualmente il suo solo e unico confidente, ovvero se stesso, lontano dal chiasso che provocavano gli altri.

“Tu rifletti?” gli chiese scherzosamente Bill, poggiò la fronte contro la sua e Tom sorrise.

“No, non rifletto. L’ho detto perché mi sembrava che mi rendesse figo” disse e incatenò i suoi occhi in quelli di Bill e venne completamente risucchiato dall’abisso che nascondevano quegli occhi color nocciola. “Sei davvero bellissimo” sussurrò Tom e Bill gli circondò delicatamente il collo con le mani, con i pollici lo accarezzò lentamente.

“Non hai bisogno di dire niente, sei già figo così come sei” gli disse ricambiando il complimento e sorrise, congiunse le labbra. Tom lo strinse a sé e il bacio presto si fece più disperato, più bisognoso. Il moro si lasciò completamente andare e cercò di seguire – sebbene non gli piacesse farlo – il consiglio di Gustav. Voleva lasciarsi trasportare dal momento, voleva lasciarsi trasportare dalle sue emozioni e da quello che stava provando in quegli attimi. La presa del rasta sui suoi fianchi si fece più stretta come se avesse paura che Bill scappasse via, ma il moro circondò il suo collo con le braccia mentre inclinava il capo per non far scontrare i loro nasi: lui non era intenzionato ad andare da nessuna parte. Tom strinse in un pugno la felpa del ragazzo, sapeva che si stavano inoltrando in un terreno a lui sconosciuto e aveva una paura fottuta e allo stesso tempo una voglia immensa. Voleva conoscere Bill, voleva conoscere il suo corpo, vedere la sua pelle nulla, baciarne ogni centimetro e accarezzarne ogni lembo. Non riusciva a pensare correttamente, non riusciva a pensare affatto, i baci di Bill erano alcolici e sentiva la sua testa leggera, si sentiva fuori dal suo stesso corpo, come se lui fosse qualcun altro e da spettatore esterno stesse guardando la scena. Il profumo di Bill penetrava nelle sue narice e lo rendeva ancora meno coscienzioso, ancora più inebriato.

Bill, esperto in ciò che faceva, sentì un brivido corrergli lungo la schiena e s’inarcò. Questo movimento urtò l’inguine di Tom sul quale era seduto e il moro boccheggiò quando si rese conto di essere seduto su qualcosa di duro. La lingua del moro trovò velocemente quella del ragazzo e giocarono tra loro, Bill prese una mano di Tom e la posizionò sul suo fianco: voleva che lo accarezzasse, voleva che indagasse sul suo corpo e voleva che esplorasse sotto la sua felpa. Questo capì il significato di quel gesto e, timidamente, fece scivolare la mano lungo il fianco del ragazzo e quest’ultimo, sfiorato nel suo punto sensibile, si inarcò di nuovo andando a incontrare nuovamente l’erezione di Tom. Il cuore di questo batteva all’impazzata, si sentiva vicino alla morte, si sentiva vicino al piacere. Trattenne il fiato mentre faceva scivolare la mano sotto la maglia di Bill e solamente dopo aver accarezzato la sua pelle diafana riprese a respirare, ma era un respiro veloce, affannato, famelico.

“Bill” sussurrò e il ragazzo sopra di lui aprì lentamente gli occhi, si staccò leggermente da lui e Tom sentì il calore venire meno. Erano ancora nella stessa posizione: Bill, ancora duro, era seduto sulla sua erezione, aveva circondato il suo viso con le mani e Tom teneva la sua mano sotto la sua felpa, questa era leggermente alzata e gli faceva intravedere un lembo dello stomaco del ragazzo. A entrambi ci volle un po’ prima di riprendersi e di rendersi conto di dove si trovassero e cosa stessero facendo – o meglio, cosa stessero per fare. “Ti devo dire una cosa, oh, so già che mi prendere in giro”

Bill corrugò la fronte e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, il suo viso era leggermente rosso e il suo respiro affannato. “Cosa?”

“Io non ho mai fatto sesso con un uomo” gli disse e Bill strabuzzò gli occhi.

“Non hai mai fatto—”

“No, mai” disse e vide il ragazzo rabbuiarsi, un cipiglio si presentò sul suo viso.

“Sei un verginello?!”

“Beh, ho fatto sesso con donne” disse facendo spallucce, il moro posizionò le mani sulle sue spalle.

“Oh, Dio, sei un verginello” Tom sorrise, delle volte dimenticava che per Bill il sesso eterosessuale non esisteva: per lui esisteva solo il sesso omosessuale e non averlo praticato rendeva le persone vergini, almeno secondo la sua opinione.

“Se la vuoi mettere in questi termini” disse con un sorriso.

Bill improvvisamente scese dalle sue gambe e Tom lo guardò con le sopracciglia inarcate, il ragazzo si sedette accanto a lui in maniera scomposta con le mani in mezzo alle gambe e guardò il panorama. “Oh, mio Dio, scusami Tom” disse scuotendo il capo, si mise una mano sul viso.

“No, Bill, non devi scusarti! Non è che tu mi abbia molestato o altro,” disse facendosi più vicino a lui. “Anzi, quello che stavamo per fare – qualsiasi cosa fosse – mi stava piacendo”

“Davvero? Non ti sei sentito molestato?” disse Bill lanciandogli timidamente uno sguardo.

“Ero piuttosto consenziente”

Bill sospirò lasciandosi andare a un sorriso, lo guardò. “Hai permesso che prendessi in giro altri verginelli quando anche tu lo sei” disse scherzando, Tom sorrise.

“Ero sotto copertura! E poi tu li avresti comunque preso in giro” disse e il ragazzo sorrise, abbassando lo sguardo.

“Quindi vuoi aspettare o qualcosa del genere?” gli chiese timidamente, Tom arrossì.

“Non è che sia la mia prima volta in assoluto, non pensare che io sia vergine fino a quel punto” Il rasta lo guardò e Bill ricambiò il suo sguardo, ricevette un’impercettibile carezza sul viso da grandi mani. “È che è qualcosa di nuovo per me e non so cosa fare”

Bill prese la sua mano e gli baciò le dita, abbassò lo sguardo. “Mi permetteresti di insegnarti? Inizieremo dalle basi” sussurrò e Tom inarcò le sopracciglia, avvampando.

“Era quello che speravo avresti fatto dieci minuti fa” rispose con un sorriso, il moro lo guardò e sorrise a sua volta. Si alzò e riprese la sua posizione sulle sue gambe, ritrovò la durezza che aveva abbandonato poco tempo prima.

“Sarò gentilissimo e delicatissimo con te, mia bella vergine” scherzò Bill circondando il suo collo con le braccia, portò una mano tra i rasta del ragazzo e gli accarezzò la cute.

“Lo sapevo che mi avresti preso in giro” gli disse il rasta con un sorriso, ma chiuse gli occhi alle carezze del ragazzo sul suo scalpo e gli circondò i fianchi con le braccia. Bill ricongiunse le loro labbra e i suoi baci erano adesso più delicati, come se temesse di ferirlo, ma ben presto ritornarono a essere vogliosi. Non ci poteva fare nulla: lui desiderava Tom e non riusciva a nasconderlo. Il moro ritornò ad accarezzare il petto del ragazzo lentamente e a ogni carezza riusciva a scendere sempre di più in profondità. Lo baciò sulle labbra di nuovo e poi iniziò a scendere: gli baciò il mento, la mascella, poi il collo e infine gli morse il lobo dell’orecchio. Sentì il ragazzo irrigidirsi sotto di lui e sopprimere un gemito, ma più che allontanarlo lo stava stringendo ancora di più, lo voleva più vicino, voleva percepirlo di più, come se fosse possibile. Bill leccò con la punta della lingua il collo di Tom e andò a baciare lì dove aveva lasciato bagnato, riportò le mani sul petto del ragazzo ma questa volta scese e s’intrufolò sotto la maglietta. Percepì la sua pelle calda e le sue mani scivolarono più su: erano ora sul suo petto e lo sentivano alzarsi e abbassarsi mentre Tom respirava affannosamente.

Il moro si staccò dal collo di Tom e si alzò, quest’ultimo si obbligò ad aprire gli occhi temendo che si stesse allontanando di nuovo, ma quasi svenne quando si alzò solo per mettersi inginocchiato di fronte a lui. Bill gemette sottovoce quando le sue ginocchia si appoggiarono sul pavimento pieno di sassolini, ma non ci presto tanta attenzione, essendo impegnato a pensare ad altro. Si fece più vicino al cavallo dei pantaloni del ragazzo e sorrise. I due si guardarono negli occhi mentre Bill sbottonava i pantaloni del ragazzo e abbassava la cerniera.

“Mi dai il permesso, ragazzina illibata?” disse con un sorriso Bill, Tom gettò la testa all’indietro gemendo, si coprì il viso con le mani.

“Non avrei dovuto dirti niente” disse mentre sentiva che i suoi pantaloni venivano abbassati fino alle sue caviglie, Bill rise.

“Lo sapevi cosa ti aspettava!” disse e guardò l’erezione di Tom che pulsava sotto i suoi boxer bianchi, vi posizionò un bacio sopra il tessuto e ancora un altro. Il rasta annaspò alla ricerca di aria, Bill era così lento. Questo si decise finalmente ad abbassare anche i boxer, che fecero compagnia ai pantaloni. Il moro sghignazzò e si guardò il polso: aveva avuto la buona coscienza di portarsi un elastico, perché si era quasi fatto convincere da Gustav a lasciarsi andare. Per fortuna che l’aveva fatto! Era davvero così lungimirante. Si legò i capelli affinché non gli dessero fastidio e mise le mani sulle gambe di Tom per fargliele aprire ulteriormente.

Bill lasciò umidi baci su tutta la lunghezza di Tom, leccò con la punta della lingua la cappella e sentì il ragazzo fremere di piacere sotto di lui. Ora era nelle sue mani; la vita del rasta dipendeva da ciò che avrebbe fatto con la sua bocca e con le sue mani. Prese in mano la sua erezione e vi sputò sopra, finalmente accolse in bocca il pene di Tom, che gemette a sentire la bocca umida e calda del ragazzo. Questo iniziò lentamente a salire e a scendere, le sue mani erano ancora sulle cosce di Tom e quest’ultimo decise di stringerle nelle sue.

Bill scese in profondità e il ragazzo gemette, chiuse gli occhi gettando la testa all’indietro. Sentiva il nucleo del piacere che iniziava a manifestarsi nel suo basso ventre, strinse le mani del ragazzo cercando di focalizzarsi su quello e sulla piacevole sensazione che la bocca di Bill riusciva a dargli. S’irrigidì quando il moro, con ancora il pene nella sua bocca, tracciò dei cerchi sul suo glande. La sensazione del piacere si stava facendo più intensa, più forte, si stava espandendo per tutto il suo corpo.

Il moro si staccò dall’erezione che aveva reso bagnata con la sua saliva per guardare Tom: era da un po’ che stava operando su di lui e non riusciva a non smettere di gemere, lo aveva sentito anche dire parolacce. Bill riprese il pene in bocca, ma adesso i suoi movimenti erano più veloci – riusciva a capire dai gemiti del ragazzo che era vicino all’orgasmo – ma rallentava solo per andare più in profondità.

“Bill,” sussurrò Tom, non riusciva a fare più che questo: sussurrare. Quello doveva essere il pompino migliore che avesse ricevuto nella sua vita – pensava di aver avuto delle brave amanti in precedenza, ma era perché ancora non aveva conosciuto Bill in quel modo. Tom era tutto rigido, cercava di procrastinare l’orgasmo, ma allo stesso tempo cercava di afferrarlo e di raggiungerlo. Trattenette il fiato, ma quella bella sensazione – quella di essere al vortice e di star per cadere – premeva e pesava sul suo petto. “Sto per venire” trovò infine le parole per avvertirlo.

Bill si staccò dall’erezione con uno schiocco, lo guardò con un sorriso e disse: “Tom, non hai bisogno di dirmelo! Io ingoio”. Quella fu davvero la goccia che fece traboccare il vaso: Bill riprese l’erezione in bocca e i suoi movimenti si fecero più frettolosi, Tom gemette e posizionò una mano sul suo capo, strinse i suoi capelli mentre con un movimento di bacino si svuotava dentro la sua bocca; l’orgasmo si diffuse in tutto il corpo quando lui glielo permise.

Quando Tom venne, Bill si staccò e ingoiò di fretta: non gli piaceva il sapore, ma gli piaceva farlo. Lanciò un’occhiata al ragazzo e lo vide stremato, spalmato sulla panchina. Sorrise e si alzò, si pulì le ginocchia e si sedette sulle sue gambe.

“Oh, cazzo” disse Tom passandosi una mano tra i rasta. “Dove cazzo hai imparato a fare i pompini così?”

Bill ridacchiò e accarezzò il suo viso, il rasta lo guardò. “Anni di pratica” ammise sorridendo. Nascose il viso nell’incavo del suo collo, ispirò il suo profumo e chiuse gli occhi.



​Chapter End Notes:
​Ho pubblicato ben CINQUE capitoli (nemmeno io ci credo) perchè li avevo scritti e mi sentivo un po' in colpa a tenerveli nascosti!! Inoltre la mia relatrice mi ha dato un mese di pausa e io non so che fare, mi annoio tutto il giornoooo ;(( sono ben accetti tutti i consigli che mi faranno perdere tempo in queste afose giornate (a proposito di questo, volevo informarvi che sto morendo di caldo)
​echois xx

 

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