Afterwards

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Afterwards
 
 
Quando Tyrion la portò in quella stanza, buia con una sola piccola finestra, Brienne già sapeva cosa ci avrebbe trovato. Se lo sentiva nelle viscere. L’anticipazione quasi si trasformava in ansia e quell’ansia in un tremolio delle mani che nascose nel pugno chiuso ed in incertezza nelle gambe che nascose nei passi lenti.

Jaime Lannister era in quel letto e come sentì il rumore della porta si alzò di scatto per poi portarsi una mano sul costato. La barba sfatta, i capelli lunghi, il fisico consumato. Sembrava quasi il Jaime Lannister che Brienne aveva conosciuto sotto la guida di Catelyn Stark. Tutto sembrava discordare con la sua presenza: il buio, l’assenza anche solo di un raggio di luce, il suo aspetto, il fatto che fosse Tyrion a portarla da lui. Non era come se lo era immaginato ogni notte da quando un corvo, arrivato mesi prima a Grande Inverno, aveva annunciato la sua morte. Una volta aveva addirittura sognato di rincontrarlo in un campo di margherite.
C’era odore di sangue rinsecchito, di stoffa umida, alcol e tizzoni bruciati, niente a che vedere con quello della neve fresca e del bosco d’inverno del quale si era abituata. Era strano, nonostante fosse un uomo del sud, lei lo associava sempre all’inverno.

“Tyrion,” protestò Jaime arrabbiato “ti avevo detto di non portarla qui.”

“Già, Tyrion,” gli fece eco Brienne, infastidita dalla sua presenza, dal fatto che fosse vivo, più che dalle sue parole “te l’aveva detto.”
Jaime sospirò e capì immediatamente da quelle prime battute come sarebbe andato il resto di quella conversazione ed il punto in cui sarebbe naufragata la loro relazione: di nuovo all’inizio, a quando lei lo disprezzava, a quando la sua stessa presenza la inorridiva.

“Brienne, per favore…” Avrebbe voluto chiederle poi di non fraintendere, di cercare di capirlo, forse di accettarlo, per fare non sapeva neanche lui cosa. Agì istintivamente e si mise meglio a sedere, piegando la pancia ed accartocciando le viscere e la ferita. Allungò comunque la mano per toccarla, per cercare un contatto ed il modo in cui lei si allontanò gli fece realizzare che invece erano ad un punto ancora nuovo: quello in cui lui l’aveva ferita e lasciata, lei lo guardava con dolore e disprezzo, ma lui no.
Rimase a guardarla andare via, deluso, amareggiato. Non voleva che andasse così, non sapeva neanche lui come voleva che andasse. Sapeva che aveva passato mesi di merda tra il tra il trauma cranico, la sepsi, il lutto e tutti quei cambiamenti che, uno dopo l’altro, lo mettevano alla prova. Sapeva che ormai era passato troppo tempo per chiedere scusa e stava cercando stupidamente di evitarlo, nascondendosi.
Guardò Tyrion sospirando, dandogli la colpa per com’erano andate le cose, fino a quando non fu Tyrion stesso a mandarlo a quel paese.
 
***
 
“Ogni volta che un forestiero giunge ad Approdo del Re si innamora di due cose: i bordelli ed il vino.” Fece una voce familiare che Brienne riconobbe subito in quella di Tyrion Lannister, mentre entrava entrò in quella fetida bettola che puzzava dell’alcol scadente nello brocche e di quello vomitato sui muri.

Sfortunatamente accanto al cavaliere c’era spazio per un altro ubriacone o un altro innamorato, a seconda dei casi. Brienne guardò lo sgabello con disprezzo. “Non ho visto bordelli in giro.” Si limitò a commentare lei, che ancora sperava che il genere umano non fosse tutto così. No, non tutti i forestieri vanno nei bordelli. Jaime no, per esempio. Ma Jaime si scopava sua sorella, aggiunse una vocina cattiva. Il pensiero di Cercei le diede così fastidio che buttò giù un’altra boccata piena di vino.

“Già,” fece lui “per questo son qui.” Si arrampicò sulla sedia, fino a quando inspiegabilmente riuscì a mettersi seduto. Ordinò del vino e si rigirò il bicchiere tra le dita, lo guardò a fondo come se dentro potesse trovarci le parole giuste per dire quello che doveva dire. “Io so perché passerò l’intera nottata in questo bar, ma tu? Al posto tuo se avessi mio fratello a disposizione…”

“Io non ho tuo fratello a disposizione.” Tagliò corto Brienne.

“E allora?” protestò Tyrion. Si fece portare l’intera caraffa, aspettò che qualcuno gli riempisse di nuovo il bicchiere e poi buttò giù di nuovo come se fosse stata acqua. “E’ vivo! Piuttosto che continuare a piangerti addosso qui puoi abbracciarlo o qualunque altra cosa tu voglia farci.”

Brienne avrebbe voluto rispondere che era proprio quello il punto: Jaime era vivo ed erano passati mesi in cui si era abituata a pensarlo morto, in cui aveva deciso di credere alla sua fierezza per continuare a sopravvivere e l’unico straccio di persona che aveva pensato che Brienne avrebbe meritato di saperne qualcosa di quello stronzo di Jaime Lannister era stata suo fratello.

“Sai perché non voleva che ti portassi da lui?” continuò poi Tyrion, un po’ per riempire il silenzio in cui si trovava a disagio, un po’ per aiutare Jaime“Io e te lo vediamo per quello che è, non per quello che crede di essere. Mio fratello crede di essere come Cercei…” e sprofondò nei ricordi della sorella prima di mandare giù un altro bicchiere.

“Lo so.” s’affrettò ad aggiungere Brienne, come a rivendicare di conoscere almeno un po’ anche lei Jaime Lannister. Se c’era una cosa che per lo meno aveva capito di lui era che se gli altri lo riuscivano a vedere oltre la maschera di sterminatore di re, Jaime non riusciva a togliersela da dosso davanti allo specchio, persino da quando aveva cominciato a stargli stretta.
“Dagli solo una possibilità.” La pregò Tyrion.
 
***
 
Era tornata allora nella stanza umida, buia e fredda che puzzava di sangue. Drizzò il naso prima di aprire la porta, per prendere tempo e farsi coraggio, sperando di poter proteggere in questo modo anche il cuore.

Come entrò, Jaime alzò gli occhi sorpreso e speranzoso. Si fece trovare seduto e spettinato come poco prima, ma aveva qualcosa di più ordinato, come se questa volta fosse preparato ad incontrarla o addirittura la stesse aspettando.
“Siediti.” La invitò lui e quella gentilezza stonava. Fino a poche ore prima non voleva neanche vederla. Le fece persino spazio sul letto perché gli si sedesse accanto. Si spostò di peso una gamba, facendo preoccupare l’altro cavaliere: che fosse rotta? Che non riuscisse a muoverla?

Brienne tentennò, indecisa se chiedergli cosa gli fosse successo, ma poi lui piegò il ginocchio e si rassicurò. Allora si guardò attorno, avanzò e si mise a sedere su una sedia dall’altro lato della stanza.

“Niente armatura?” chiese Jaime, facendoci caso adesso per la prima volta. Brienne si era presentata in casacca e senza ferro addosso. Non aveva neanche Giuramento con sé e questo la rendeva meno sé stessa, quasi fosse scoperta

“No, non credo tu possa farmi male in quelle condizioni.” Disse e la stupida ragazzina che era in lei pensò che già le aveva fatto fin troppo male dentro, era impossibile ferirla di più.

“Oh!” fece lui con una mano sul petto all’altezza del cuore “Me la sono meritata questa.”
Jaime era ironico e sulle sue labbra c’era addirittura l’accenno di un sorriso, finto. Jaime sorrideva quando Brienne avrebbe voluto solo correre via piangendo o urlando. Era loquace, fin troppo e Brienne si ricordò di quelle prime volte in cui lui non faceva altro che parlare: per irritarla, per salvarla, per consolarla persino. O per proteggersi.

“Jaime,” disse chiamandolo direttamente per nome, come se tra loro ci fosse ancora una confidenza che non era andata persa. “scusa, ma non ce la faccio.” Si giustificò e provò ad andare via.

“Brienne, aspetta.” La supplicò Jaime. Avrebbe voluto riuscire ad alzarsi sulle gambe e bloccare quella maledetta porta per non farla uscire e costringerla ad ascoltarlo, a parlare, per rimettere le cose apposto. Era sicuro che se lei lo avesse ascoltato, le sarebbe stato più facile perdonarlo.

Brienne si bloccò sulla porta, appesa alla maniglia. “Vuoi che faccia finta di niente?” sbottò alzando la voce arrabbiata “Che ti perdoni? E di cosa, di avermi lasciata, di avermi scopata, cosa?” Si fece rossa fino alle tempie, la faccia paonazza, gli occhi che quasi le uscivano fuori dalle orbite, le lacrime che cadevano incontrollabili lungo le guance. Si stava sfogando finalmente.

“Scop… cosa?” chiese Jaime confuso. Le urla e le lacrime, ma soprattutto le accuse fecero leva su di lui che prese a risponderle a tono e quasi si lanciò giù dal letto per raggiungerla prima che una fitta di dolore lo rimise apposto. “Che cazzo, era questo che avevi pensato? E che ti aspettavi che facessi, che vivessi felice e contento a Grande Inverno mentre la tua regina faceva arrosto casa mia?”

“Io servo solo Lady Sansa, non era la mia regina.” Puntualizzò Brienne e sembrò come tornare indietro nel tempo.

“Sì, sì, certo. Sansa-maledetta-Stark. C’ero anch’io quando è cominciato il ritornello, ricordi?”

“Che cazzo sono venuta a fare.”

“Forse a farti scopare di nuovo!” urlò Jaime, sul limite della sopportazione. Qualunque cosa succedesse tra di loro, in qualunque periodo della loro vita, finivano sempre per litigare ed insultarsi a vicenda. “Avanti, non essere timida!” le disse provocatorio allargando le braccia per accoglierla.

Per un attimo il Jaime reale, in carne ed ossa, ricordò a Brienne del Jaime di Grande Inverno, quello che profumava di neve e di pino, che era stato dolce e premuroso con lei. Lo raggiunse con due ampie falcate, gli si fermò davanti ad apprezzare soddisfatta la sua faccia terrorizzata che la guardava dal basso in alto e che non credeva che lei avrebbe mai raccolto la sfida.

Le pupille di Jaime si dilatarono per l’anticipazione, immaginandosi tutto quello che da lì a poco sarebbe potuto succedere. Stava per allungare la mano quando invece gli arrivò uno schiaffo in pieno volto, così forte e così rumoroso da farlo cadere sul fianco sul materasso, impedendogli persino di poter vedere Brienne andare via.
 
***
 
Dal primo momento in cui Jaime aveva raccontato quella storia, Tyrion non aveva fatto altro che ridere a crepapelle. Continuava a ridere e ridere, del fratello, il leone dei Lannister, il preferito di papà Twyn, che le aveva prese da una donna, che aveva persino la fama di essere la più brutta dama in tutto il continente. O il cavaliere più valoroso, a seconda dei punti di vista.
“Scusa, scusa, scusa!” cercò di supplicare Tyrion una volta che riuscì a riprendere fiato, prima di scoppiare a ridere di nuovo e ricominciare tutto d’accapo.

“Mi sono preso una coltellata allo stomaco per una donna, ho perso una mano per un’altra. Mi distruggeranno.” Fece melodrammaticamente Jaime, piombando giù sul materasso. Non era in vena di risate, non era contento di quello che era successo con Brienne, ma per qualche strana ragione si sentì più comodo in quella veste di uomo cattivo e rifiutato. Quando era a Grande Inverno invece, era come se avesse dovuto cercare di essere sempre di più, qualcuno migliore, per rispettare tutte le aspettative.

“Ah, Cercei!” sospirò Tyrion “Finalmente se ne può parlare!”

“Quando mai non se n’è potuto parlare.” Rispose l’altro, cercando di mantenere un tono scherzoso per non dover scendere in profondità con suo fratello. Ecco, sì, così era a suo agio.

“Come ti senti?” chiese l’altro allora a bruciapelo.

Jaime sospirò. Come voleva che si sentisse? Come se avesse perso una metà del suo corpo. Come se lui fosse la mano destra ed avesse perso la sinistra. Come se non avesse potuto proteggere nessuno dei suoi figli ed adesso neanche la loro madre, incinta di nuovo. Come se stesse imparando a camminare malamente di nuovo e fallisse ad ogni tentativo. A tal proposito poggiò i piedi a terra e provò a tirarsi su, sotto lo sguardo attendo e preoccupato di suo fratello. Raggiunse la finestra e guardò le macerie su cui la gente di Approdo del Re aveva cominciato a ricostruire. Era così sbagliato che il resto del mondo andasse avanti senza di lei.
“Non mi importa del perdono di Brienne se è servito a stare con lei almeno alla fine.” Considerò Jaime con lo sguardo perso. Gli occhi gli caddero poi verso il mare. Era blu, pulito, limpido.

“Stronzate.” Rispose subito crudo Tyrion. “Hai provato a salvare nostra sorella, lo capisco, sai?” gli fece retorico come se fosse sorprendente tale affermazione. “Ci ho provato anch’io ed amavo la nostra famiglia nonostante tutto. Avrei voluto fare di più, avrei voluto conoscere quello splendido nuovo marmocchio concepito dai miei splendidi fratelli.” E sorrise ed aspettò che anche Jaime sorridesse prima di continuare “Ma ammettere di tenere ad un’altra persona non significa dimenticare o disonorare Cercei. Anzi, se lei avesse avuto un po’ di senno avrebbe voluto che andassi avanti.”

Eccola la verità. O almeno una parte della verità. Jaime si girò verso Tyrion, che quasi s’aspettava di esser attaccato con delle scarse argomentazioni ma esposte in maniera colorita. “Pensa che io sia un brav’uomo.” Sussurrò invece l’uomo, riferendosi questa volta a Brienne e lo disse come se fosse anche questo sorprendente.

“Lo sei.” Gli confessò Tyrion con le lacrime agli occhi. Era stupido come non riuscisse a vederlo solo considerando gli stupidi problemi che si facesse.

“O almeno lo pensava.”

“Lo pensa ancora.”

“La mia guancia la pensa diversamente.” Accennò allora Jaime toccandosi la guancia incriminata, su cui poteva ancora contare i segni delle dita. Si massaggiò sopra alla barba come se potesse sentirla.

Tyrion allora riprese a ridere di nuovo. Sbraitava qui e lì ancora una volta parole come “leone”, “cavaliere” e “damigelle”, prima di ritrovare il contegno e formulare una frase intera. “Esattamente quante donne hai sedotto finora?”

“Nessuna.” Rispose allora l’uomo con una punta di soddisfazione nella voce, mentre suo fratello lo guardava con espressione scettica. “Non ne avevo bisogno.”

“Già, si vede.”
 
***
 
“Si può?”
Nei giorni successivi Jaime si era sforzato di mettere i piedi a terra qualche volta di più e ricominciare a camminare. Con l’aiuto di due stampelle infilate sotto le braccia riusciva a bazzicare da una parte all’altra del castello, o almeno di quel che ne rimanesse.

Brienne, che aveva riconosciuto sia la sua voce che la sua andatura zoppicante, si voltò e si guardò attorno. Si trovava su di un balcone a guardare dall’alto il nuovo porto di Approdo del Re e le nuove navi in costruzione. Scrollò in risposta le spalle, come a dirgli che comunque non avrebbe potuto impedirgli di avvicinarsi.

“Posso scusarmi adesso, propriamente, come conviene?” le chiese. Un passo dopo l’altro la raggiunse fino alla balconata, poggiò via le stampelle e s’appoggiò al muretto di pietra rovinato e polveroso per tenersi dritto. “Mi dispiace. Davvero.” Disse solo guardandola negli occhi e lì all’aperto non poteva fare a meno di pensare che il colore delle sue iridi rispecchiasse quello del mare e del cielo.

“Non c’è bisogno.” Rispose solo lei evitandone lo sguardo. Si fissò su tre uomini che trasportavano una lunga trave di legno. Erano piccoli come formiche, così piccoli che quasi poteva non provare pietà nel bruciarli con un drago. Da quella prospettiva sembrava tutto piccolo, ininfluente.

“Ma voglio farlo.” Tagliò subito Jaime. La guardò starsene in piedi, appoggiata anche lei allo stesso muretto, con gli occhi spenti. Avrebbe voluto prenderle le mani, farle capire quanto davvero gli dispiacesse, supplicare per il suo perdono che sapeva di non meritare o fare qualunque cosa per tirarla su. Gli mancava la naturalezza del suo contatto. “Brienne…” cominciò sperando che pian piano gli venissero le parole.

“Jaime,” lo interruppe lei ed all’improvviso si girò per guardarlo negli occhi, congelandolo lì sul posto, inchiodandolo peggio di quanto avesse fatto l’intera fortezza rossa franandogli addosso “non ti biasimo per aver scelto lei. Era tua sorella, la tua famiglia. Il fatto che tu ti sia sacrificato per lei è stata l’unica cosa che mi abbia aiutato in questi mesi.” spiegò con la chiarezza di chi aveva avuto troppo tempo per pensarci “Ce l’ho con te per esserti nascosto come un topo, avermi fatto soffrire facendoti credere morto sapendo quanto tenevo a te.”

Jaime avrebbe voluto riaprire un discorso, dire che no, non lo sapeva quanto ci teneva, quello che provava, perché non glielo diceva allora? Poi c’era il fatto del topo e sapeva che avrebbe dovuto prima aggiustare quello. “Mi vergognavo” confessò prima di poter cambiare idea.

“Non mi importa.” Bisbigliò Brienne fredda, prima che la sua voce venisse tradita da un fiotto di lacrime bugiarde.

Jaime la guardò piangere. Si sentì impotente: avrebbe voluto consolarla, avrebbe saputo come farlo, come in quelle notti a Grande Inverno. Avrebbe voluto allungare la mano, abbracciarla, lasciarla piangere sulle sue spalle traballanti ed invece era la sua stessa presenza a farle quell’effetto. Non si rese neanche conto di aver cominciato a piangere anche lui. Strinse i pugni, due ancora ne sentiva, batté il palmo sul muretto, strusciò la pelle e si ritrovò tanti piccoli graffi che gemevano sangue a piccole e gonfie gocce.
“Ti lascio sola. Scusa per il disturbo.” Le fece, forzando una fredda cordialità che era nuova nel loro rapporto.

Quelle poche parole fecero breccia in Brienne. Avrebbe voluto urlargli di insultarla o baciarla, tutto ma non quella cortese indifferenza. Si voltò a guardarlo andare via goffamente con quelle stampelle. Avrebbe voluto chiamarlo e baciarlo, ma le parole le morirono sulle labbra dove stavano le sue lacrime che stava ingoiando.
Stupida, stupida Brienne! Stupido Lannister, stupido cuore.


 



Angolo dell'autrice
Pardonne moi, quando sono in periodo particolarmente ispirato pubblico senza neanche rendermene conto. 
Questo vorrebbe essere il seguito di Before/After. La storia sarà comunque alquanto breve, penso di chiudere in 3 capitoli circa. Ovviamente questo mi ha tolto un po' di tempo per continuare "Nodi", ma non vi preoccupate se mi state seguendo. Non l'abbandonerò.
Dunque che dire, ritorna l'Angst che tutti amiamo (sì, dai, lo so che piace anche a voi!) e questo capitolo ne è pienissimo. Non vi anticipo ovviamente cosa accadrà nei prossimi. Mi è piaciuto molto scriverlo proprio per questa ragione. Ho cercato poi anche di dare un senso alle scelte di Jaime, che devo dire ho apprezzato al contrario di molti. Io penso che quando aveva capito che Cercei aveva una qualche chance di vincere, fosse andato ad Approdo del Re per cercare di fermarla (non ucciderla, ma sapendo che sarebbe molto probabilmente morto nel tentativo), dopo ovviamente per salvarla. In fondo era sua sorella, la madre dei suoi figli, incinta. Era tutta la sua vita, tutto il suo passato. Io credo che le parole dette a Brienne siano quello che lui crede di sé stesso, che lui creda che lei lo veda migliore di quanto sia, che voglia vedere quello che vuole vedere. Penso che cercasse un po' di espiare anche le sue colpe, che si è visto sbattere in faccia dal suo arrivo a Grande Inverno. Questo capitolo voleva essere il succo di tutto ciò. 
Bene, non mi dilungo oltre, parleremo di Brienne nel prossimo capitolo. Fatemi sapere quello che ne pensate con una recensione e se effettivamente ho interpretato la serie correttamente. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
Da dopo la guerra, durante la ricostruzione, si respirava un clima di maggiore libertà ad Approdo del Re. Ce n’era così tanta che la gente pensava di avere il diritto di sputarla in faccia a Brienne. La fredda, impassibile Brienne.

“Sei dura con lui.” Pensava Podrick Payne che di recente, forte della sua nuova posizione a servizio del re, aveva cominciato ad esporre più spesso la sua opinione.

“Soffre molto.” Le raccontava Tyrion Lannister.

“Era meglio per tutti quando scopavate!” si era permesso di aggiungere Bronn, senza che gli fosse richiesto.

“Gli uomini commettono errori. Questo li rende uomini.” Aveva detto una volta invece il re Bran durante uno degli incontri del consiglio, guardandola dritta dritta negli occhi.

Tutti a prendersi cura del povero, dolce, ferito Jaime Lannister. E pensare che quando si lamentava che l’intero regno lo odiasse gli aveva pure creduto! A volte Brienne rimaneva a guardarlo dal sua postazione su un balcone, mentre zoppicava qua e là, con suo fratello o con Bronn. Altre volte si imponeva di non farlo mai più, di lasciarlo perdere, di dimenticarlo. Ma come avrebbe potuto dimenticarlo adesso da vivo, quando non era riuscita a farlo neanche quando lo credeva morto?
 “Hai tutti i diritti di sentirti ancora ferita, di decidere di perdonarlo oggi, domani o mai.” Quelle erano state le uniche parole confortanti che aveva ricevuto Brienne e venivano da Lady Sansa, l’unica che avesse capito il suo stato d’animo. Le aveva messo una mano sulla spalla e le aveva parlato col viso vicino al suo. Dopo quel giorno Brienne si sentì legittimata ad odiare Jaime, come se fosse stato un ordine proveniente dall’alto: se persino la Lady di Grande Inverno non sarebbe mai riuscita a perdonare Jaime Lannister, che speranze aveva lei?

Si ripeteva che lo odiava, oh quanto lo odiava. Sapeva che stava cercando di convincersi da solo, ma sembrava in quei mesi l’unico modo per rammendare il suo cuore ferito. Per lo meno riusciva ad addormentarsi la notte senza più versare una lacrima e le sembrava così di aver fatto un passo avanti.
 
***
 
Da quando Jaime aveva cominciato ad uscire dalla sua stanza, Brienne aveva preso ad evitare i piani più bassi, ma a guardarli dall’alto. E sapeva esattamente a che ora del giorno farlo, perché una mattina lo vide di lontano nei nuovi giardini della fortezza rossa, degli spazi verdi con numerose nuove piante e dei sentieri lisci su cui il re potesse passeggiare agilmente anche in solitudine. Jaime aveva scelto quello come terreno di prova. Si era portato appresso suo fratello e Pod, lo stesso Pod che per anni aveva seguito Brienne, che invece si tenne lontana dalla scena senza intromettersi.

Il cavaliere si mise in piedi con l’aiuto delle stampelle, poi una alla volta le abbandonò. Dapprima parve incerto, quasi stesse per cadere. Si poggiò ad una grande fioriera di pietra e rifiutò l’aiuto di chiunque altro. Uno sforzo dopo l’altro tornò nella posizione di partenza e Brienne si ritrovò a fare il tifo per lui: avanti Jaime, non mollare, cammina, cammina. E Jaime camminò. Seguirono poi gli applausi e le grida di giubilo di Tyrion e Pod.

Brienne si stupì e non poteva non sorridere e battere le mani, complimentandosi con lui ma da sola. Ad un tratto però fu certa che lui l’avesse notata e si allontanò.

Lo incontrò di nuovo qualche giorno più tardi, questa volta nei corridoi bui prima di cena.
“Oh, cammini di nuovo.” Fece Brienne stranamente felice ed orgogliosa, come se le importasse di nuovo qualcosa di lui. O meglio, come se avesse smesso di pretendere che cos non fosse.

“Ne sembrano tutti così sorpresi.” Rispose Jaime, che comunque faceva leva più su una gamba che sull’altra, zoppicando pur senza stampelle. L’allegria con cui le rispose però rubò un sorriso a Brienne. Jaime la guardò sorridere e ne rimase incantato. Non se la ricordava sorridere. O forse sì, in una di quelle tante notti a Grande Inverno, quando aveva scoperto che la sua barba sul collo le faceva il solletico, così tanto da farla contorcere prima di scoppiare a ridere a crepapelle.

“Siamo abituati a pensarti morto.” Brienne rispose acida con una frecciatina, lanciata apposta perché ferisse, ma non in profondità. Il sorriso ormai sparito, ma dopo un lungo silenzio alzò persino gli occhi per controllare di non aver esagerato.

“E tu hai visto anche i morti camminare, di cosa ti stupisci?” continuò lui lungo quella scia, sapendo bene come lei avrebbe reagito a quella risposta. E Jaime non lo faceva perché Tyrion gli aveva suggerito che per conquistare una donna bisogna farla ridere, nei momenti opportuni ovviamente. Jaime lo faceva perché voleva vederla ancora con quel pizzico di allegria sul viso, perché aveva appena scoperto che donava una ingiustificata allegria anche a sé stesso. Egoista, stupido Jaime, sempre a fare le cose giuste per i motivi sbagliati!

Brienne rise di nuovo involontariamente. Saltellava dalla Brienne solare a quella acida tra una battuta e l’altra. Si coprì la bocca per nasconderlo, ma Jaime pareva attendere proprio quella reazione con gli occhi che non la lasciavano un secondo e la controllavano. “Smettila!” lo supplicò, ma lui sentiva “ti prego, continua”.

Si ritrovarono allora con gli sguardi incatenati l’uno nell’altro, verde nel blu. Jaime la guardava con intensità, con aspettativa, come se stesse attendendo qualcosa che desiderava da morire, come un bambino il giorno del compleanno. E Brienne voleva darglielo quel qualcosa, qualunque cosa fosse, ma era vuota dentro. Si era sentita ferita per così tanto tempo che non sapeva più se ce l’aveva quel qualcosa. Oh, quanto sarebbe stato dolce dimenticare tutto e tornare ad amarlo e desiderarlo con tutta sé stessa! Eppure non ce la faceva. Distolse lo sguardo, chiese scusa e si allontanò, persino nella direzione sbagliata.

Da sola nel suo letto quella sera, Brienne pianse di nuovo, come pianse tutte le notti a Grande Inverno. Pianse per Jaime che la guardava con gli stessi occhi con cui lei lo guardava prima che tutto iniziasse (o finisse). Pianse perché lo amava, neanche si ricordava da quanto. E forse anche lui la amava, ma non era abbastanza.

Ripensò alle parole di Lady Sansa: hai tutto il diritto di sentirti ferita, di perdonarlo oggi, adesso o mai. Sentiti ferita allora Brienne, diceva a sé stessa. Piangi. Piangere per un uomo non è da deboli, né da forti, stai solo ammettendo che lo ami ancora.
 
***
 
Solo alcune settimane dopo lo ritrovò nel cortile del castello con Pod.

Finalmente non nascondeva più il viso dietro barba e capelli. Aveva ripreso peso, non era più quell’uomo trasandato e distrutto, che si era consumato in un letto. La sua vita era un po’ meno sottile, le spalle un po’ più larghe, le gambe un po’ più forti. Il biondo ancora ben visibile risplendeva al sole, come se Jaime fosse fatto d’oro, come se fosse nato per rifulgere.
Stava duellando con Pod con un paio di brutte spade di legno che chissà da dove erano saltate fuori. A Brienne non piaceva allenare neanche il suo precedente scudiero con le spade di legno.

Gocce di sudore gli imperlavano il viso e con le labbra il cavaliere si mordeva la lingua per mantenere la concentrazione. Parava bene ed attaccava altrettanto bene. Era elegante nelle sue mosse, seppur ancora dondolasse su un piede più che sull’altro. Aveva quel tipo di mosse che imparano i cavalieri d’alto rango prima di soltanto pensare di divenire cavalieri.
Pod attaccava, ci provava goffamente ad essere un po’ più aggressivo, con passo incerto e la mano timorosa, rendendo facile invece per Jaime parare quel colpo mal assestato con notevole anticipo, dimostrando di non aver mai perso prontezza nei riflessi. I due parevano addirittura divertirsi.

“Pod, che diavolo stai facendo?” fece Brienne per ridare un ordine alla situazione, cercando di nascondere quella punta di invidia che aveva sentito sulla lingua.

I due si voltarono contemporaneamente per appena il tempo di constatare la presenza della donna e poi ricominciare. Questa volta fu Jaime che con un paio di colpi mancini costrinse il giovanotto ad indietreggiare. Le spade si incrociavano con rumori sordi.
“Pratica con ser Jaime,” rispose Pod “ser Brienne.” Aggiunse poi in una forma di cortesia, ripetendo goffamente la parola ser, come se gli suonasse male in bocca la ripetizione.

“Non ti girare.” Gli suggerì Jaime attaccandolo, ignorando completamente la donna cavaliere.

Brienne li guardò indispettita. “E tu, ti eri appena rimesso in piedi.” Fece questa volta a Jaime che non trattenne un sorriso soddisfatto mentre combatteva, senza distrarsi. Questo era il Jaime di cui tutti si ricordavano, quello che affrontava persino i draghi, veniva sconfitto, ma poi si rialzava sempre. Il leone dei Lannister.

“E zoppica ancora!” aggiunse invece il ragazzo mentre parava un colpo, in un buffo tentativo di un ammirato elogio.

“Questo non ti fa fare bella figura, Pod.” Lo bacchettò lei, facendo ridere Jaime, distraendo ulteriormente Pod che perse la concentrazione definitivamente e la spada di legno, finendo a terra con una punta scheggiata al collo.

L’uomo buttò via l’arma e guardò verso Brienne soddisfatto. Sorrideva compiaciuto aspettando forse una qualunque forma di ricompensa o complimento, facendo uscire fuori il bambino viziato di casa Lannister, amato dal papà.

“Ti ha lasciato vincere.” Commentò solo Brienne a braccia conserte.

“Cosa? Pod!” lo ammonì lui, ma ancora allegro, come se anche un allenamento avesse avuto il potere di ridargli il sorriso, farlo tornare il Jaime di un tempo, anche se in scala o in brutta copia.

“Dovrebbe allenarsi con avversari più forti, non più deboli.” Gli disse lei indicando Pod con un cenno del capo e raccolse una di quelle spade, decisa a buttarle via in favore delle letali lame di metallo e del clangore del loro duellare.

Pod nel frattempo si corrucciò col collo in avanti e le mani basse prima di scappare via, lasciando soli i due cavalieri, come gli era stato intimato gentilmente e senza alcuna minaccia da Tyrion e Bronn. Tentennò sperando di cogliere qualche stralcio di conversazione mentre si volatilizzava.

Jaime scrutò Brienne, quasi come se lei lo stesse sfidando. Seguì i suoi passi, la guardò evitare il suo sguardo, rendersi impegnata mentre lui non faceva altro che osservare. “Continui a ferirmi ogni volta che puoi.” Notò poi lui “Significa che conto ancora qualcosa per te.” Si fece coraggioso ammettendolo. Per anni si erano guardati e sfidati senza dire niente, per anni avevano fatto solo questo, non potevano ricominciare d’accapo. Per anni fino a quando, complice l’alcol e l’euforia di aver sconfitto la morte, Jaime non aveva abbassato la guardia e si era avvicinato a lei. Per la verità le si era arreso molto prima senza rendersene conto, come gli fu poi chiaro.

Jaime raccolse la sua spada giocattolo da terra. Si fece girare l’elsa nel palmo della mano: era leggera, così diversa dalla sua di acciaio Valyriano. Ne ricordò dopo mesi il peso, assaporandone il ricordo. Giocò ancora un po’ prima di improvvisare con tracotanza “Voglio sconfiggere te, Brienne.”

A Brienne scappò uno sorriso di scherno e bonariamente divertito. “Ti ho battuto quando eri sano come un pesce. Che speranze hai adesso?” gli chiese. Provava imbarazzo, ne era cosciente. Probabilmente le sue guance si erano imporporate facendola apparire debole ai suoi occhi, solo una donna. Si chiuse dietro sopracciglia aggrottate e sguardo duro. Teneva l’arma bassa intanto, indifesa, che la tradiva, come ogni qual volta che si trovava con lui. Le fu chiaro allora perché aveva provato quella cocente repulsione verso le innocue spade di legno.

Jaime alzò l’arma e toccò quella di Brienne con un colpo debole ed un passo zoppicante. “Non mi hai mai battuto.” Rispose parando le sue battute taglienti.

Brienne si allontanò.
La luce di mezzogiorno cominciava ad essere troppa e l’estate, finalmente alle porte, aveva portato con sé l’afa di Dorne. La calura le offuscava la vista e le faceva sudare la fronte. La disidratazione sciolse le briglie al suo stoico contegno e la portò a rispondere alla provocazione. Affondò la sua spada e fu così veloce e violenta che Jaime Lannister si ritrovò disarmato e col culo nella sabbia sporca. Avrebbe voluto chiedergli scusa, dirgli che non sapeva cosa le fosse preso, ma era fin troppo chiaro ad entrambi che aveva voluto fargli del male.

“Domani.” Decise Jaime asciugandosi la fronte “Di nuovo.” Aggiunse rialzandosi da terra “Finché non avrò vinto.”

Allora le fu chiaro che quello che lui stava cercando era esattamente quello che aveva appena ottenuto: una punizione, combattendo per ottenere l’assoluzione.
“Jaime,” cominciò Brienne preoccupata. “Non ti farò del male.” Gli disse e s’arrese. L’imbarazzo scomparve e con sé portò via anche le formalità. Lanciò via la spada ed alzò le mani in segno di resa “E poi perché ci tieni tanto?”

“Forse perché conti ancora qualcosa per me.”
 
***
 
Jaime ci riprovò davvero nei giorni successivi.
Tutti i giorni, ad orari differenti fino a trovare nel tramonto il momento perfetto, si faceva trovare nei cortili con due spade di legno. Brienne, che non lo guardava più con lontana indifferenza da una finestra, gli passava anzi accanto e lo ignorava. Giorno dopo giorno la tentazione di alzare lo sguardo per cercare il suo viso si faceva sempre più forte, finché non ci provò e gli occhi li alzò per davvero. Trovò i suoi verdi che vagabondavano lungo la figura di Brienne e quando si incrociarono Jaime sorrise quasi imbarazzato. Sembrava persino dolce ed innocente, lo stesso Lannister che di peccati ne aveva una lista piena. Eppure pareva sinceramente dispiaciuto.
Per quanto tempo Brienne avrebbe dovuto sopportare il fardello di quel rifiutato perdono, che ormai pareva pesare su entrambi?
All’improvviso le parole che poco tempo prima le erano state di conforto cominciarono a sembrarle fredde o pesanti. Lady Sansa era una persona poco incline al perdono, plasmata in questo modo dalle vicissitudini.
Brienne sapeva invece di volerlo perdonare.
 
***
 
Per tutta la giornata Brienne aveva pensato a Jaime. Tra i vari impegni pensava a lui: mentre programmava le difese del re al suo prossimo viaggio in mezzo al popolo; mentre ascoltava Tyrion e Bronn discutere al consiglio come se fossero in una taverna; mentre addestrava i prossimi cavalieri; a pranzo, a cena. Jaime era diventato un pensiero fisso. Se lo immaginava con quella triste spada di legno in mano che la aspettava nel cortile tra la polvere, un mezzo sorriso stampato in faccia e baciato dal sole. Spiava spesso attraverso le finestre ed i balconi per cercarlo. Batteva irrequieta il piede a terra aspettando il momento in cui avrebbe potuto lasciare i suoi impegni. Stringeva le mani al ricordo della sua mano che la sfiorava facendole venire la pelle d’oca e di quell’imbarazzo misto a gelosia che l’aveva preso quando se l’era ritrovato alla porta.

Amava Jaime. Lo amava più del suo stesso tradimento, più del dolore che aveva provato a saperlo morto e della gioia che aveva nascosto quando l’aveva rivisto vivo e vegeto. Lo amava più di tutte quelle emozioni messe insieme e voleva tornare da lui, combattere, duellare o qualunque altra cosa avesse voluto fare.

Arrivato il tramonto, si ritrovò a correre per raggiungere i giardini. Lo trovò di spalle seduto su un muretto con le due spade di legno abbandonate per terra sulla polvere gialla. Il sole che scompariva sull’orizzonte gli indorava i capelli. I suoi lineamenti erano nascosti e non poteva vederlo.

“Ciao.” Si annunciò Brienne con voce ferma e decisa.

La schiena di Jaime si irrigidì per la sorpresa. La riconobbe subito, ma si girò lo stesso e strizzò gli occhi per poterla vedere.  “Ciao.” rispose facendole eco.

Brienne strinse la fodera della spada che gli aveva portato. Era la sua, quella col leone nell’elsa, perfettamente identica a Giuramento, appesa invece come sempre alla sua armatura. Gliela mostrò perché la riconoscesse e gliela lanciò.

Jaime l’afferrò al volo, ne saggiò di nuovo il peso nella mano. La guardò prima di sfoderarla. Il riflesso aranciato misto al ghiaccio dell’acciaio valyriano gli si proiettò sul viso, dando al suo sorriso un luccichio addirittura pericoloso.
Era lui il cavaliere che un giorno Brienne aveva cominciato prima ad ammirare, poi a guardare, a cercare ed alla fine ad amare. Senza dire una parola impugnò Giuramento ed incrociando i piedi sferrò un primo attacco lento, di riscaldamento.
Jaime parò subito e poi si fece avanti con passi puliti. Attaccò da un lato, poi dall’altro. Ci mise tutta la forza di cui era capace senza trattenersi, mentre Brienne alternava difesa ed offesa ed era così bello, così liberatorio che quasi si sentì rinato, forte, felice. Sudava e gli piaceva da morire affondare la spada, fingere con forza, allontanarsi per poi ricominciare. Sferrò altri due colpi e Brienne parò ancora in un gioco di difesa. Le loro forze si eguagliavano e l’acciaio sferrava con rumore acuto e stridente.

Brienne si ritrovò di fronte a lui con le spade incrociate, a spingere contro le sue spinte, tentennando e sudando per rimanere in piedi. Poi alzò gli occhi. Jaime era lo stesso di Grande Inverno: non quello quasi stupito, impaurito, il leone preso alla sprovvista che non sapeva quando e se parlare; non quello paralizzato o sopraffatto. Era quello che le diceva di bere, che giocava in taverna, che provava a metterla in imbarazzo togliendole l’armatura, sfiorandola, baciandola. Era quel Jaime che aveva una luce diversa negli occhi, quel Jaime che pareva averla incatenata col sorriso, quello addirittura commosso. Il Jaime che aveva conosciuto a Grande Inverno, in cui si rispecchiava e vedeva in lui il suo stesso trasporto.

Quegli occhi la turbarono. No, non era lo stesso, non era vero, non lo era mai stato. Lui se n’era andato, era morto, ma poi non lo era più ed ancora non era tornato. Brienne non era mai stata abbastanza importante per lui neanche per farle sapere da qualcun altro che era in vita.
Brienne fece uno e poi sempre più passi indietro, interrompendo il duello. Le due spade si separarono bruscamente,  Jaime aggrottò la fronte confuso, poi guardò l’altra lasciar cadere l’arma a terra sollevando una nuvola di polvere giallognola che quasi pareva essere nel deserto.
“Scusa.” bisbigliò Brienne indecisa. Teneva gli occhi bassi, quasi fosse in imbarazzo o cercasse di nascondersi. Ciuffi di capelli biondi le caddero sulla fronte, chiudendola quasi fosse una tenda.

“Brienne?” chiese Jaime preoccupato, addirittura spaventato. Una parte di sé, che cercava di non ascoltare, gli stava dicendo che era arrivato alla fine, che con lei aveva chiuso, che non voleva rivederlo mai più. La raggiunse a grandi falcate, provò la tentazione di sollevare la mano e prenderle il viso per consolarla, asciugare le lacrime, ma lei non avrebbe voluto e rimase allora in piedi imbarazzato, cercando i suoi occhi ed ascoltando i suoi singhiozzi che gli pugnalavano al cuore.

Brienne sentiva la sua calda presenza, vedeva la sua ombra, di nuovo il Jaime di Grande Inverno. Inutile nascondersi pensò. Sollevò allora lo sguardo al cielo per ricacciare dentro le lacrime. Il tramonto la illuminava di rosso ed arancio.

“Brienne?” chiese di nuovo Jaime e nella sua voce c’era attesa, ansia, addirittura timore.

Brienne tornò in sé, riprese contegno, un respiro profondo per non tentennare e poi parlò. “Non posso.” confessò “Non ce la faccio.” continuò. “Scusa.”

Eccole allora quelle parole di cui Jaime aveva avuto paura. Era stato vigliacco ed egoista e stava pagando il conto con l’affetto dell’unica persona che avesse mai contato qualcosa dopo Cercei.
Fece un cenno col capo: capiva, se lo aspettava. Anche se, forse per via di Tyrion o per l’imbarazzo che ancora leggeva in Brienne, una piccola parte di sé sperava che avrebbe potuto riaverla indietro, riconquistarla dimostrandole quanto contasse lei per lui e quanto stronzo invece lui fosse e fosse stato. Bella mossa, capì alla resa dei conti.
La guardò voltarsi per andare via. Giuramento era ancora a terra, abbandonata, restituita. Ecco cosa si prova ad essere lasciato indietro nella neve o nella polvere. “Brienne?” la chiamò di nuovo, mentre la voce di lei che gli chiedeva scusa poco fa gli risuonava ancora nella testa. Aspettò che lei si girasse appena per continuare. “Mi arrendo.” Disse solo e poteva significare invece tante cose: nel duello, nella vita, con lei.

Brienne rimase bloccata un po’ più a lungo, quasi in attesa che le parole di Jaime si trasformassero in realizzazione. Poi abbassò la testa ed andò via, questa volta per davvero.
Ora è davvero finita.
 
***
 
La stanza di Jaime aveva perso l’odore nauseabondo degli ultimi mesi spesi in quel doloroso preludio della morte, tra il dolore e l’autocommiserazione. La luce delle stelle entrava dall’unica finestra piazzata nell’angolo in alto. Le lenzuola erano pulite, il caminetto spento, l’aria riscaldata dal dolce tepore estivo della sera e le mura profumavano di salsedine. Le sue stanze si erano sempre affacciate sul mare, quando per evitare il fetore della città, quando per sentire l’odore di libertà. Il rumore delle onde che si infrangevano inerti contro le mura lo calmava.

Non c’erano chincaglie, seta o vezzi disseminati nel suo ambiente. A Jaime di oro e gioielli non era mai importato molto, forse perché ne aveva sempre avuto a tonnellate. Tutto quello di cui gli era sempre importato era Cercei. Persino dei suoi figli, del sangue del suo stesso sangue non gli era mai importato in ugual misura. O meglio, se dell’oro non gli importava perché ne aveva in gran quantità, dei suoi figli non gli importava perché non erano mai stati realmente suoi. Non si era mai permesso di pensare a Geoffry, Myrcella e Thomen come suoi. Qualche volta di questo pensiero ne aveva addirittura avuto paura. Un po’ come quando aveva cominciato ad aver paura di pensare a Brienne, fino a che non aveva preso a farlo sempre più spesso, ignorando volutamente le motivazioni dietro alla sua ossessione.

Giuramento era abbandonata in un angolo, l’unico gioiello in quella angusta camera. Tornava a guardarlo in continuazione. L’unico gioiello che avesse mai posseduto l’aveva donato a Brienne.
Jaime si addormentò e si risvegliò vuoto più e più volte senza mai togliere gli occhi da quella spada. Cosa avrebbe dovuto farsene adesso? L’avrebbe tenuta con sé forse. Avrebbe indossato la sua e quella di Brienne insieme o magari a giorni alterni. Aveva importanza?
Chiuse di nuovo gli occhi ascoltando il rumore e l’odore del mare perché lo cullassero.

Si svegliò di soprassalto quando la porta si aprì all’improvviso, riportandolo alla triste realtà. Confuso, si ritrovò Brienne in carne ed ossa che a grandi falcate camminava verso di lui. Arrabbiata, gli si bloccò davanti. Jaime credette che stesse per dargli uno schiaffo e rimase allora fermo in attesa, per riceverlo. Non volle neanche chiudere gli occhi per attutire il colpo, aspettò che arrivasse e facesse male.

Invece non accadde. Non arrivò niente.

Brienne se ne stava in piedi davanti a lui e tremava, come se fosse arrabbiata o stesse piangendo  e Jaime maledisse di non aver acceso quel diavolo di camino per poterla vedere meglio. Stava per domandarle cosa stesse succedendo, per tirarsi su e fare qualcosa, ma fu lei a parlare per prima ed esordì con “Ti odio.”

Le tremava la voce, stringeva i pugni e con i piedi non riusciva a star ferma cambiando posizione continuamente. Jaime sentì i suoi singhiozzi ed in quel momento, con quella poca luce, Brienne le sembrò piccola. Avrebbe voluto alzarsi, abbracciarla, consolarla e proteggerla, ma anche lui rimase impalato, nervoso. “Non è vero.” Riuscì solo a dire.

“Ti odio.” attaccò allora lei di nuovo.

Alla nuova disperata richiesta di aiuto, Jaime si tirò su e la raggiunse. Provò ad abbracciarla prima di essere spintonato via.
“Ti odio.” Fece di nuovo e gli corse incontro per strattonarlo ed allontanarlo ancora, prima di perdere freno alle lacrime e prenderlo a pugni disperati sul petto  “Ti odio, ti odio, ti odio.”

Jaime si lasciò colpire, la lasciò sfogare fino a quando non le cadde tra le braccia, fino a quando non si trovò a terra con il suo corpo accucciato contro, la giacca bagnata delle sue lacrime. No, non doveva versarne più. Non più, non più. Non più, piccola, dolce, cara Brienne. La tenne stretta, la accarezzò, la guardò con occhi dolci e colpevoli, sapendo di essere la malattia e la cura del suo cuore. Le poggiò le labbra sulla fronte fino a che i singhiozzi di lei finirono. Piccola, dolce, amata Brienne.

Si addormentò con lei tra le braccia, seduti a terra, accasciati tra una parete ed il camino spento, con l’aria della sera a tenerli freschi, il respiro dell’altro a tenerli caldi ed il rumore del mare a tenerli calmi come una ninna nanna.


 


Angolo dell'autrice
Scusate il ritardo! La gente va in ferie e chi rimane deve lavorare il doppio degli altri ç_ç
Dicevamo, che ve ne pare? Io sono particolarmente soddisfatta di questo capitolo. Adoro l'angst, anche se questo mi pare si fosse capito, e scriverne ancora mi rende felice xD il prossimo penso sarà il penultimo, a seconda di quanto viene lungo. 
Dunque, dunque, fatemi sapere che ne pensate, se i personaggi sono ancora IC, se ho scritto strafalcioni... Non so. 
Ci vediamo al prossimo capitolo :*

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3



Dal primo momento che Jaime era riuscito a muovere di nuovo i primi passi, aveva cominciato a scorrazzare per l’intero castello alla stregua di un bambino. Non lasciava più che Tyrion andasse nella sua stanza con due coppe, una brocca di vino e frutta di stagione per la colazione, ma si alzava prima di lui, si recava nelle stanze del consigliere del re e lo risvegliava. Piuttosto fastidioso, a sentir lui. 

Quando Jaime aprì gli occhi però quella mattina, si ritrovò sul pavimento freddo con un altro corpo schiacciato addosso ed, oltre alle ossa incrinate, dimenticò di suo fratello e della colazione. 

Il sole illuminava appena le fredde pareti di pietra, le ombre occupavano ancora gran parte della stanza. Un venticello fresco soffiava attraverso la finestrella, agitando singoli capelli sul capo di Brienne, che si muovevano disordinatamente. Jaime li appiattì con un bacio ed una carezza che la svegliarono immediatamente. 

“Buon giorno, raggio di sole.” Sussurrò lui prendendola amorevolmente in giro. 

Brienne strizzò gli occhi, se li pulì dalle lacrime incrostate nelle ciglia della sera prima e si mise a sedere allontanandosi dal petto caldo di lui. “Sono in ritardo.” Riuscì solo a balbettare. 

Jaime percepì all’istante l’imbarazzo di lei. Era rigida, si sfregava ancora gli occhi con le maniche della giubba, intenta a non posare su di lui neanche uno sguardo. “Non succederà niente per una volta.” Provò a convincerla, poi cercò di alzarsi, ma tra la schiena dolorante, la gamba addormentata ed una goffaggine che pareva ancora accompagnarlo, quasi cadde di nuovo. Si appese alla parete e si tenne in piedi. 

Immediatamente lei gli fu accanto, subito a tenerlo per le braccia. E pensare che si era immaginato quella scena differentemente. “Vedi, ho davvero bisogno di te qui.” Finse, perfettamente in grado di mantenersi in piedi da solo, massaggiandosi però intanto la schiena, dove il muro gli aveva levigato le vertebre. 

Brienne sospirò “Non dire cavolate.” Fece con voce più delicata, a tratti persino preoccupata, mascherata dietro le solite parole aggressive. Gli ricordò dannatamente della donna calda ed affettuosa che aveva imparato a conoscere a Grande Inverno, un aspetto di lei di cui si era quasi dimenticato. Per di più, sotto i suoi occhi, con lei, si sentiva un uomo diverso: migliore di quel che era ed aveva fatto, anche negli ultimi mesi e meritevole delle sue attenzioni. 

Era sempre stato così con lei, fin dall’inizio. Con Cercei Jaime aveva trovato l’altra metà della mela, ma aveva perso la propria. Da quando aveva conosciuto Brienne aveva invece recuperato sé stesso. Si era ritrovato però a dover unire due pezzi che non combaciavano più. Ci aveva provato a rimetterli insieme così disperatamente senza successo, fino a quando quella metà era scomparsa. 

Non sapeva più che tipo di pezzo fosse Jaime. Non quello di Cercei, era chiaro. Non quello che Brienne credeva. No, quello non sarebbe mai potuto essere. A volte Jaime si chiedeva cosa ci trovasse in lui se non un bel faccino. 

“Già, ho fatto finta,” le rispose sistemandosi in piedi “ho barato per non farti allontanare.”

La donna sospirò di nuovo e lo studiò attentamente, mentre per lui fu difficile sostenerne lo sguardo. Poi sorrise calorosa. Le labbra carnose ed un po’ screpolate si stirarono nel sorriso, occupandole tutte le guance. 

“Ci vediamo dopo.” Gli disse solo e si allontanò. 

“A dopo.” Rispose Jaime sollevando la mano che gli rimaneva, mentre lei sulla porta gli rispose girandosi appena, ancora sorridente ed agitando le dita. 

Era strana la sensazione calda che gli aveva regalato il suo sorriso. Gli aveva fatto saltare un battito del cuore, per poi sentirlo potente e forte che pompava sangue nel petto, come se qualcosa di caldo gli fosse andato di traverso. Non provava niente di simile da quando era giovane e Cercei aveva da poco cominciato ad alzarsi la gonna per lui. 

Brienne era così diversa da Cercei. Cercei era bellissima, la donna più bella di tutta Westeros. Di Brienne invece, Jaime ricordò che una volta non riusciva neanche a guardarla in faccia. Poi il suo aspetto diventò meno importante e cominciò a farlo più spesso, fino a notare i suoi occhi, due grandi e sinceri occhi blu, luminosi ed infervoriti che rispecchiavano tutto quello che Brienne aveva dentro, un’innocenza ed una determinazione che aveva visto solo in sé stesso in gioventù. Quando la vide nuda per la prima volta invece, si rese conto della donna che nascondeva: forte, intrigante, rude, eccitante, selvaggia. Gli tornò duro al solo pensiero. 


***


Quando raggiunse Tyrion, Jaime lo trovò già sveglio, lavato e profumato, seduto al tavolino che lo aspettava sorseggiando un bicchiere di vino e strappando distrattamente acini d’uva da un largo piatto dorato. Approdo del Re era rimasta scintillante persino sotto le ceneri.

“Sei in ritardo.” Sentenziò Tyrion fissando dritto davanti a sé, in qualche punto tra il balcone e la tenda rossa. 

Jaime lo raggiunse destreggiandosi laboriosamente tra i cuscini, le lenzuola ed i vestiti abbandonati sul pavimento. “Per?” chiese alla fine seduto davanti a lui.

“Ho visto la tua lady cavaliere uscire dalla tua stanza stamattina.” Continuò Tyrion, accusando o indagando, neanche suo fratello seppe dire cosa pareva passargli per la testa. 

“Già.” Rispose solo Jaime, sperando invano di poter lasciar decadere il discorso. Si versò del vino ed afferrò un tozzo di pane ed una mela dai vassoi disordinatamente disposti sul tavolo. Forse piuttosto che evitarlo, avrebbe dovuto ringraziarlo per essersi messo in mezzo anche quando gli era stato chiesto di fare l’esatto contrario. Jaime masticò il pane per non parlare. 

Tyrion buttò giù il vino in un sol sorso, con il pomo d’Adamo che gli andava su e giù ad ogni colpo di glottide. Si asciugò poi la bocca e finalmente riuscì a chiedere “Devi raccontarmi ogni cosa.” Disse battendo le mani più volte sul tavolo, come se si trovasse in una qualche taverna piuttosto che in un castello. 

Jaime quasi scoppiò a ridere, mascherano tutto dietro ad un sorriso interrogativo.  

“Per favore.” Supplicò Tyrion “Ne ho bisogno!”

“Tu hai bisogno di una donna.” Lo liquidò Jaime per addentare poi la sua mela, piccola, bozzonuta e farinosa. 

“Avanti.”

“Non ti dico niente.” Cercò di svincolare. Forse il cavaliere sarebbe stato più collaborativo se gli avesse dovuto raccontare di una di quelle tante notti a Grande Inverno, una di quelle di cui avrebbe potuto condividere dettagli sconci e prodezze di cui andare fiero. 

Tyrion se lo studiò da dietro il bicchiere vuoto: timido, imbarazzato, sfuggente… “Non mi dire.” Fece fingendo sgomento. Si mise in piedi, lo raggiunse e lo guardò dall’alto in basso, cercando indizi di chissà cosa. 

“Cosa?” chiese il fratello con voce più acuta, spalle ricurve e l’atteggiamento di uno che stava cercando la via più veloce per scappare. 

“Non te la sei fatta.” affermò Tyrion senza chiedere e Jaime non rispose e lo sapeva che non rispondere sarebbe stata la peggior risposta che potesse dargli, ma non sapeva in che altro modo confessare. “Jaime, fratellone, non ti sarai innamorato?” chiese il nano fingendo preoccupazione, come se stesse parlando di una malattia o chissà cos’altro. 

Oh. 


***


Da quando Brienne aveva lasciato Jaime, per tutta la mattina non aveva fatto che pensare a quella notte. Aveva dormito sul pavimento tra le sue braccia, con lui che la cullava quasi fosse una bambina. Aveva pianto così tanto che le bruciavano ancora gli occhi e la sua voce gracchiava, come se non bastasse. Piangere era stato catartico.  Dopo aver pianto si sentiva leggera, anche se non sapeva ancora cosa quella notte avesse significato.

Avrebbe voluto dare credito a tutte quella voce di bambina che le dicevano che il cavaliere si era invaghito della sua bella, che dormire insieme e quell’affetto significavano qualcosa. Eppure c’era un’altra parte, la donna cresciuta, che aveva vissuto e visto abbastanza per sapere che i bambini non fanno altro che sognare. 

Quando nel primo pomeriggio vide Jaime venirle incontro verso le scuderie si irrigidì spontaneamente. Prese un respiro profondo e si gonfiò il petto a disagio. Persino il cavallo su cui era in groppa si rese conto di quanto fosse nervosa Brienne e quando Jaime si avvicinò, quello allontanò il muso d’istinto. 

“Buono, buono.” Fece l’uomo, afferrando l’animale per la cavezza di pelle consumata. Il cavallo brontolò, s’agitò, scalciò un po’ di terra sporcandogli gli stivali, ma poi conquistato si lasciò calmare con un paio di carezze sulla criniera. 

Jaime era premuroso, tenero, dal tocco gentile. Brienne provò a chiedersi quante altre persone conoscessero quel suo lato del carattere, così diverso dallo sterminatore di re a cui tanto era piaciuto accostarlo negli anni. Forse i suoi figli, si rispose da sola. 

“Una passeggiata?” chiese l’uomo, ancora coccolando la bestia. Se non altro, il cavallo almeno era tranquillo.

La sua voce la riscosse dai pensieri. Il cuore ricominciò a batterle furiosamente nel petto. Ingoiò della saliva per evitare di schiarirsi la voce. “Puoi farcela?” chiese poi. 

Jaime sorrise scrollando il capo. “Continui a sottovalutarmi o sopravvalutarmi. Non hai mezze misure con me.” Allungò la mano, prese quella di Brienne, tentennò qualche secondo prima di sottrarle le briglia dalle dita. Era riuscito a sentire il disegno delle vene sotto la sua pelle, così bene da riuscire a domandarsi come avesse fatto a non notare quella notte quanto la guerra avesse segnato anche lei. Era dimagrita, persino il viso era più emaciato, i capelli più lunghi ed arruffati, la vita più stretta e il seno ancora più piccolo o meglio nascosto. “Allora?” chiese di nuovo. 

“Passeggiata.” Si convinse lei alla fine. 


***


Camminarono in lungo ed in largo nei giardini della fortezza rossa. Le piante stavano diventando sempre più rigogliose, quasi a toccare le finestre dei primi piani, quasi avevano già bisogno di una potatura. L’erba verde, sempre ben curata invece, era ricresciuta. Solo ogni tanto si poteva riconoscere qua e là cenere o carbone. 

Gli spazi verdi erano stati ricreati in modo tale da avvolgere completamente la fortezza e portavano in ogni sua parte tramite dei sentieri. Persino dall’esterno, da Approdo del Re, quando si voleva entrare a palazzo si era costretti a passare su un lastricato in pietra immerso tra le piante. Tutto ovviamente era ben levigato e liscio perché il Re potesse camminarvici, se così si può dire. 

Jaime e Brienne passeggiarono in silenzio lungo tutti i giardini. Era piacevole camminare sotto la frescura delle chiome verdi e profumate. Se c’era qualcosa però che Jaime apprezzava più di tutto era il mare. Quando giunsero sulla balconata di pietra che affacciava direttamente sugli scogli e sull’acqua salata si fermò per guardare fuori. Si poggiò sulle larghe colonne che sorreggevano come una ringhiera il piano di marmo freddo, unica barriera dallo strapiombo. 

Il vento salato gli arrivò in faccia ed il rumore dei gabbiani lo portò in un altro mondo. “Sai,” cominciò a dire “quando venni per la prima volta ad Approdo del Re era estate. Caldo, rumore, il mare e le onde. Sembrava tagliata apposta per me, la città da un lato e l’acqua dall’altro.” Raccontò, ricordandosi dello stupore che aveva provato quando ancora era un ragazzino. Per certi versi camminare in quei luoghi diversi e così familiari insieme l’aveva riportato a quei tempi. 

Brienne sospirò ma non rispose. Provò ad immaginare un giovane ragazzo, nel fiore degli anni, appena nominato cavaliere, appena uscito nel mondo fuori dal suo castello. Forte, che poteva tutto, impavido. Niente a fargli paura. 

Jaime sbirciò la donna al suo fianco. In effetti la giubba le stava più larga di quel che ricordasse. I lineamenti gli parevano quasi più affilati e qualche cicatrice in più le segnava la pelle qui e lì. Sotto la luce del sole e davanti all’acqua, gli occhi le diventavano trasparenti. Era assorta. Guardò di nuovo anche lui il mare e si perse nelle onde.  

“Immagino che Tarth dovesse essere simile.” Bisbigliò alla fine e provò ad avvicinarsi. Si voltò per studiarla, cercare qualche segnale che avesse azzardato troppo o troppo poco e quando non la vide reagire con il gomito le toccò il suo, fino ad accarezzarle il braccio col braccio. 

Brienne aveva una mano dentro all’altra e si stringeva le dita nervosamente. Spostò il peso da un piede all’altro e quando schiuse le labbra le pareva quasi si fossero incollate tra di loro. “Già, solo molte meno persone ed un odore più… pulito.” Scherzò arricciando il naso. 

Jaime rise e chinò il capo. 

Da quella angolazione Brienne riuscì a vedere solo una fossetta sul suo profilo, nascosta in un filo di barba bianca e dorata che stava ricrescendo. Quando il cuore batté, le sembrava che avesse pompato lava calda nel petto e nella testa, mentre stranamente le gambe le parvero arrendersi. Strinse di nuovo le dita ed incoraggiata dal sorrisetto di lui continuò a raccontare. “Le spiagge sono più sabbiose e la vegetazione più armoniosa. Un posto ideale per crescere.”

“Riesco a vedere una piccola Brienne che corre sui prati.” Scherzò Jaime, disegnando nell’aria colline curve con un gesto del braccio. 

“Qualcosa del genere.” Gli rispose per poi tornare a guardare dritto davanti a sé la spuma bianca sulle onde ed a giocare di nuovo con le dita. 

“Brienne?” la chiamò lui e persino sentire il suo nome la rimise in agitazione “sei nervosa.” Constatò Jaime.

“Già.” 

Sentiva il suo sguardo addosso e non aveva il coraggio di rigirarsi a guardare. Che cosa stupida, aveva avuto il coraggio di guardare in faccia la morte, di affrontare uomini ben più grandi di Jaime Lannister ed adesso, davanti a quella voce tenera, da sola con lui ed il rumore del mare, si sentiva in agitazione.

“Perché?” chiese Jaime quasi in un bisbiglio e le prese la mano, interrompendo quella tortura che si stava imponendo da sola. Le accarezzò le nocche con movimenti ripetitivi e circolari del pollice. 

Brienne abbassò lo sguardo e si fermò a guardare. Era tenero ed intimo. Alzò gli occhi e trovò immediatamente i suoi che la catturarono all’istante. Il cuore le batteva così forte nel petto che le toglieva persino il fiato per parlare. Il vento le sollevò i peli sulle braccia e sulla nuca. Jaime era così vicino da sentire il suo calore. “Oh, andiamo.” Rispose, ribellandosi a quella situazione, incapace di soccombere e basta o giocare a quella parte della dama e del cavaliere. “Lo sai. Per quello che stai facendo.” Riuscì a rispondere.

“Parlando?” scherzò Jaime che per una volta vicino a lei si sentiva forte e virile.  

Brienne roteò gli occhi, spazientita. Fece per allontanarsi dandosi una spinta con le braccia, ma si sentì tirare di nuovo verso la balconata, premuta col corpo a quello di lui che la teneva per la mano prima e per una spalla poi. Poi si ritrovò le labbra di Jaime schiacciate prepotenti sulle sue, il naso arricciato contro la guancia, gli occhi di lui chiusi, i suoi aperti. Non era un bacio, era una collisione. Quando lui si staccò da lei però respirava a fatica, aveva l’affanno e sorrideva soddisfatto ed emozionato. Aveva spostato la mano tra il collo e la guancia di lei, accarezzandola come stava facendo poco prima, lento e ripetitivo, così dolce che Brienne chiuse gli occhi e con la fronte si poggiò sulla sua. 

“Stai bene?” chiese Jaime, approfondendo la mano tra i capelli di lei. 

Brienne fece solo cenno di sì e curvò appena il capo per raggiungerlo ed allora arrivò il bacio. 

Era lento, dolce, rumoroso perfino. Le faceva girare la testa e nonostante questo si staccò dal marmo del cornicione e poggiò le mani sui fianchi di Jaime, che si avvicinò di più. Non era un solo bacio, ma un milione di baci umidi. L’uomo le prese il viso con la mano, se la tenne stretta quanto più riusciva, fino a che i baci diventarono più bisognosi, quasi affamati ed affannati.


***

 

Non avevano più dormito insieme da quella notte. Né per davvero, né avevano fatto l’amore. Si incontravano però continuamente nel castello. Non per pura casualità, ovviamente, erano entrambi l’uno alla ricerca dell’altro. Stando a Tyrion si stavano comportando come due adolescenti. 

A Jaime piaceva baciarla. La prendeva alla sprovvista. Non appena il re o uno dei tanti cavalieri o chicchessia giravano le spalle, Jaime spuntava fuori, la tirava per il polso e lasciava che lei gli cadesse addosso in un angolo buio sotto le scale o in uno sgabuzzino e la baciava. Le infilava la lingua in bocca, le scombinava i capelli e le passava la mano e le labbra su ogni lembo di pelle non fosse coperto dall’armatura. La restituiva poi mal volentieri al mondo che demandava la sua presenza. 

“Devo andare.” Fece una volta, di nuovo di fronte al mare dove si incontravano ormai tutte le sere. Teneva le mani sul suo petto cercando svogliatamente di allontanarlo. 

“Vieni da me stanotte.” Le chiese con quella voce quasi supplicante ed il viso di lei cambiò espressione. Era titubante ed aveva gli occhi chiari sgranati. Poteva capirla, davvero: gli aveva già dato tutto una volta e lui l’aveva butto via. Ci sarebbe voluto tempo e devozione e Jaime glieli avrebbe provati entrambi. “Non farò niente, lo prometto.” Aggiunse con una mano sul cuore, sperando che i suoi giuramenti avessero ancora valore ai suoi occhi. 

“Non è questo.” Rispose pacata Brienne. Allontanò il collo, offrendogli solo più pelle da baciare. Sentiva il rumore dei suoi baci vicino all’orecchio, un rumore caldo ed umido, mentre la sua saliva gli bagnava quel punto che la fece tremare e forse era quel tremore ed i gemiti che le uscivano dalla bocca ad intimorirla. 

“E allora cosa?” chiese Jaime accarezzandole il collo con la punta del naso. Lasciò poi un bacio più casto all’angolo del viso. 

“Niente.” Si arrese Brienne e sorrise, cercando di nascondere invece le risa. “Mi fai il solletico.” Riuscì ad aggiungere prima di piegarsi per allontanarlo. 

Jaime scoppiò a ridere divertito e cercò di trattenerla e combattere, passandole delicatamente le dita su quel punto che aveva appena scoperto. 

Continuarono a ridere entrambi, per un motivo o per un altro, non preoccupandosi affatto del luogo in cui fossero, delle persone che avrebbero potuto vederli, dell’impressione che avessero dato. Continuarono a giocare a quarant’anni suonati a farsi il solletico come due bambini, fino a che Brienne implorò una tregua e si lasciò cadere a terra stremata per prendere aria. 

Jaime la raggiunse, portandosi appena dietro di lei, la mano sul fianco ed il viso sulla sua spalla, vicino all’unico lembo di pelle lasciato scoperto tra il collo e la clavicola. “La tua spada è ancora nella mia stanza.” Le sussurrò malizioso, mentre seduto a terra, giocava col tallone nell’erba curata. 

Brienne sbuffò e sorrise insieme. “E’ una pessima scusa.”

“E’ vero.” Convenne lui e spostò la mano, che vagabondò vorace lungo tutta la figura di lei, increspandole gli abiti. Istintivamente Brienne inarcò la schiena, allontanandosi, ma schiacciando il bacino contro il suo. “Ma la spada c’è davvero.” Aggiunse volutamente malizioso, bisbigliandole in un orecchio. Non sapeva cosa gli stesse prendendo: Cercei non aveva mai apprezzato la sua parlantina sconcia e così Jaime l’aveva semplicemente lasciata perdere. Ora era tornata e basta. Si sentiva vivo, entusiasta, pieno di energie, ma non voleva spaventarla. Nossignore. Ed allora la punzecchiò col ginocchio alla ricerca di una reazione.

"Credi di avermi sconvolto?” chiese Brienne dopo un attimo di silenzio, sentendosi lo sguardo di lui addosso che la studiava irrequieto. Si girò e lo trovò con le labbra schiuse, gli occhi neri ed il capo chino che la guardavano. Lo baciò cauta e dolce. Jaime con la bocca prese la sua che la morse piano.

“Aspettami.” Gli bisbigliò, prima di andare via.



***


Jaime aspettava Brienne quella sera camminando avanti e dietro in quella piccola stanzetta. Aveva risistemato tutto, tornando al vecchio ordine militare in cui era stato costretto sin da ragazzo a tenere le sue cose. Jaime era nervoso e quando Jaime era nervoso non si sapeva dare una regolata. Si doveva tenere occupato. Aveva allora controllato più di una volta le lenzuola, le due spade gemelle poggiate nell’angolo, il vaso da notte nascosto sotto il letto, che il pavimento fosse libero da qualsiasi ingombro. Aveva controllato la serratura così tante volte da aver avuto anche il timore di averla consumata o bloccata ed allora l’aveva ricontrollata di nuovo. Si allacciava e slacciava i vestiti sul collo. 

Finalmente, quando il sole era ormai calato e la luna alta, la porta si aprì e Brienne la varcò con una lunga falcata. 

Indossava una giubba blu e dei pantaloni che con quella luce gli parevano marroni. Ancora una volta Jaime notò quanto quelli gli stessero larghi. Con la coda dell’occhio si guardò addosso, cercando di capire se anche a lui facessero quell’effetto. 

“Jaime.” Lo riscosse lei dall’incanto, chiamandolo con voce così bassa che dubitò addirittura che lo avesse chiamato. 

Era nervosa anche lei, lo si capiva dalla postura. Aveva gli occhi blu titubanti, che lo cercavano e lo evitavano insieme. I capelli le erano ricresciuti così tanto che le toccava nascondere qualche ciocca ripetutamente dietro alle orecchie in un gesto quasi vanesio che non le apparteneva affatto, mentre sulla nuca avevano preso a formarsi due ricci che spuntavano fuori dai lati e sul profilo. 

Brienne si fece avanti e raggiunse il letto su cui si sedette. Gli fece cenno di raggiungerla tamburellando una mano sul materasso. Le lunghe gambe accavallate abbellivano da sole la stanza. Avrebbe voluto scalare dal basso con la mano e la bocca fino ad arrivare al suo ventre. 

Si sedette accanto a lei ed aspettò. La guardò leccarsi le labbra morbide e si concentrò su quelle. 

“Ho pensato a lungo se venire qui oppure no. Non sapevo se…” provò a spiegarsi, ma era troppo nervosa o imbarazzata per riuscire a completare la frase. “Dovevo farti una domanda.” Attese un accenno da parte di lui, che mosse appena il capo invitandola a continuare. “Perché mi hai chiesto di venire?”

“Sarebbe questa la domanda?” chiese subito prima di mordersi la lingua impulsiva ed evitando così almeno di sorridere davanti alla sua richiesta banale. Beh, lei perché era venuta? 

“No.” Si corresse subito e poi voltò il capo per concentrarsi su qualunque cosa avesse in testa. “Perché l’hai chiesto a me?” continuò ed attese come se fosse stata chiara. 

“Che intendi?” si decise alla fine Jaime, mentre una parte del cervello gli si mise in allarme fischiando, quasi avesse capito. 

Brienne strinse le labbra, la punta della lingua nel mezzo. “Quello che è successo questo inverno…” cominciò a dire. 

“No.” La fermò subito Jaime. “Non mi stavo consolando, non stavo festeggiando, non cercavo conforto né un letto caldo.” Elencò con rabbia “Né allora, né adesso.”

Brienne sembrò processare quello che gli aveva appena detto. Strinse gli occhi come se avesse voluto evitare di piangere, poi prese un lungo respiro. “Non voglio essere usata o illusa.” Cominciò a dettare regole con voce malferma, insicura. Così dannatamente insicura e fragile davanti a lui. “Voglio che tu sia sincero, che mi dica sempre la verità.” 

“Sissignora.” Rispose Jaime sorridendo, ancora una volta colpito dal suo spirito e dalla sua forza più che dal suo aspetto. 

“E piantala di prendermi in giro.”

Jaime rise di nuovo. “Mi chiedi troppo.” Rispose e cercò una mano con la sua, che si teneva aggrappata alla sponda del letto mentre col pollice grattava una scheggia. La strinse, si avvicinò fino a sfiorarle la guancia col naso. Una ciocca di capelli ribelli di lei gli cadde sulla fronte. “Provo qualcosa per te.” Le bisbigliò alla fine con un fil di voce. 

Brienne ebbe la tentazione di chiedere se la stesse prendendo in giro anche in quel momento. Invece si perse di nuovo in quel sorriso, nell’imperfezione sul dorso del naso, nelle occhiaie che gli solcavano le guance e sentì di nuovo quella sensazione calda nel petto. “Provo qualcosa per te.” Ripeté Brienne, prima di prendergli le labbra nelle sue. 




Angolo dell'autrice 

Ragà, non so, ditemi voi. Ho meditato a lungo su questo capitolo. Non so com'è venuto. In genere pubblico solo quando ne sono sicura al 100%. Ora lo sono, ma non so se è quello che vi aspettate e mi sento sufficientemente insicura. Non ho voluto tornare ad una relazione fisica e farla ricominciare come nella serie. Questa volta ci deve essere qualcos'altro sul piatto, si deve discutere di sentimenti, come farò anche più avanti. Credo inoltre di starmi allungando TANTISSIMO. Ho bozze di non so quante altre pagine ahah

Colgo inoltre l'occasione come sempre per ringraziarvi per l'interesse e le parole ricevute :) 

Font aggiornato, finalmente 


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 
Era stata una notte strana quella.

Brienne aveva sbadigliato e Jaime l’aveva cullata giù sul materasso. Il letto era piccolo, scomodo, non adatto ad una persona sana figurarsi a due. Era quello su cui Jaime aveva vissuto per mesi prima di avere le forze o la volontà di tirarsi su. Non se ne era lamentato fintanto che gli venivano consegnate lenzuola pulite, acqua per lavarsi, vino e del buon cibo con cui sfamarsi. Le molle cigolavano ad ogni movimento, qualcuna pungeva addirittura.
Si erano distesi di fianco, faccia a faccia sopra alle lenzuola. Nessuno dei due voleva perdersi niente di quella notte, non una carezza, non uno sguardo, non un sorriso. Cercavano di rimanere svegli. A volte chiudevano gli occhi per riaprirli poco dopo con un sussulto ed essere riaccolti nel mondo del dormiveglia con un bacio.

“Resta con me.” Le chiedeva Jaime a bassa voce e Brienne faceva un cenno col capo, strizzava gli occhi per cancellare il sonno e si avvicinava per sfiorargli le labbra con le sue.

Anche le sue palpebre erano pesanti. Le ciglia nere gli nascondevano gli occhi verdi, impossibili comunque da ammirare in una camera buia di notte. Tutto quello che Brienne vedeva di Jaime era quello che sentiva con la pelle: la barba ispida che grattava sotto le dita, le spalle larghe coperte da una camicia sottile, il petto ampio e caldo che la riscaldava, i muscoli tesi, forti di nuovo, che nascondevano le ossa.
“Hai freddo?” le chiese Jaime. Le avvolse un braccio attorno alle spalle, le sfregò la schiena e la sentì accoccolarsi a lui quasi fosse una bambina. Le lasciò un bacio nei capelli e sentì l’odore del vento.

“No.” Rispose piano Brienne. Non s’era accorta di aver cominciato a tremare, né dei lunghi brividi che le percorrevano la schiena.

Jaime non ascoltò, le sorrise perché ormai sorrideva a qualunque cosa lei gli dicesse. Sorrideva per la sua ostinatezza, perché voleva dimostrare ancora una volta di non aver bisogno di niente. Sorrideva per la timidezza con cui gli dimostrava di esser donna ogni volta, davanti al suo corpo nudo e alla sua anima nuda. Sorrideva perché tremava, ma era troppo dura per chiedere una coperta.
Si mise a sedere, recuperò un lenzuolo piegato da sopra una sedia lì vicino e le tornò affianco coprendo entrambi. Quel gesto rientrava tra i tanti compiti che non potevano essere svolti con l’uso di una mano soltanto. Gli toccò allungare meglio il tessuto, tirarglielo su fino al collo e poi risistemarsi al suo posto su di una metà già minuscola del materasso. Si ricordò di una notte simile, passata sotto le pellicce a Grande Inverno. Allora era stata complice la passione, i sospiri, i gemiti a riscaldarli ed a far evaporare quel velo di impaccio ed esitazione. Adesso non gli rimaneva altro che il coraggio e l’incertezza del futuro ad aiutarlo.

“Sei bella.” Trovò la forza di dire a voce bassa stringendola nel lenzuolo.

Brienne abbassò gli occhi e piegò appena il capo. La povera luce della luna le faceva apparire la pelle d’alabastro, imporporata all’istante da un color rubino che quasi le cancellava le lentiggini che le costellavano il naso e le guance. “Ti avevo detto di non prendermi in giro.” Gli rispose ancora nascosta nello spazio caldo che li divideva.

“Ed io non te l’ho promesso,” Scherzò Jaime “ma sono serio.” Aggiunse e le pettinò una ciocca di capelli ribelli dietro all’orecchio.
Era vero, la trovava bella. Bella da morire. Non sapeva dire se fosse migliorata con gli anni, se lo fosse sempre stata e lui un cieco a non vederla. Il suo corpo era quanto di più femminile avesse mai visto: i fianchi larghi, la vita stretta, le gambe lunghe. Non stonavano affatto le spalle larghe, che anzi la bilanciavano. Né tanto meno le braccia muscolose e leggermente asimmetriche per il peso della spada. Era un’amazzone, forte tanto dentro quanto fuori, con due gemme blu al posto degli occhi ad adonarla.
“Non mi credi?”

“No.” Rispose Brienne e scosse il capo come a rimarcare ancora di più la sua perplessità. Sorrideva anche lei mentre gli parlava, forse perché lui era contagioso, i suoi umori contagiavano gli altri come una malattia. Si strinse nelle spalle e con una mano fermò il lenzuolo attorcigliandoselo sotto al collo, coprendosi completamente. Sotto quel leggero tessuto intanto l’unica mano di Jaime vagabondava dietro la sua schiena con un leggero tocco delle dita, faceva su e giù ed intanto la cullava. Era così difficile non chiudere gli occhi, non lasciarsi andare, rimanere svegli.

“Beh,” cominciò Jaime cercando di sopprimere uno sbadiglio che gli impastò il resto del discorso “io vedo te come una donna fantastica e tu vedi me come un valoroso cavaliere. Direi che siamo pari.”

Brienne voltò gli occhi al cielo e si morse le labbra nascondendo una sincera risatina “Tu sei un cavaliere.”

“Ho detto valoroso.” La corresse lui, mettendo a nudo le proprie debolezze ed insicurezze, così come aveva fatto anche lei “Mi hai sempre visto così.” Le confessò. Non era capace di sostenere il suo sguardo mentre parlava, anche se non poteva vederla e probabilmente neanche lei. “Da Harrenhal hai smesso di vedere il vero Jaime.”

Brienne gli prese il viso tra le mani e sorrise intenerita. Si ricordò di quello che le aveva detto suo fratello Tyrion in quella puzzolente taverna qualche settimana prima. “Io lo vedo il vero Jaime ed è uno stronzo,” disse e sentì il suo sorriso con le orecchie e con le mani. “ma è anche un uomo valoroso.”

Jaime sospirò. Che sensazione calda nel petto che sentiva! Si ricordò di quando era giovane, aveva appena lasciato Castel Granito ed era stato fatto cavaliere da Ser Arthur Dayne ed allora era un eroe, un eroe dei sette regni. Era stato acclamato e finalmente qualcuno riconosceva il suo valore fuori dall’ombra di suo padre. Oppure si ricordò di quel triste e glorioso ultimo minuto con Myrcella, quando quella tenera splendida ragazza gli confessò che era felice che fosse lui suo padre. Quanto s’era sentito forte ognuna di quelle volte? Quanto si sentiva forte in quel momento, invaghito e con la stima della donna più valorosa che conoscesse in tutte le terre ad ovest?

“Dormi, Ser Brienne di Tarth.” Le disse colpito. Le posò un bacio a fior di labbra, perché non avrebbe mai saputo spiegare a parole ciò che sentiva in quel momento.

“Buona notte, Ser Jaime Lannister.” Rispose lei e chiuse finalmente gli occhi e si lasciò andare nel mondo dei sogni, pensando che qualunque cosa avesse visto non avrebbe mai potuto pareggiare la realtà.
 
 
***
 
Il mattino seguente Jaime si svegliò da solo. Ricordava bene gli impegni e gli orari che sosteneva quando era Lord Comandante, per cui non si sorprese di trovare le coperte accanto a lui vuote e fredde. Ci passò una mano stirandone le pieghe per ricordare la notte appena trascorsa. Si stiracchiò, si rifece il letto e poi considerò l’idea di rimanere a sonnecchiare ancora un altro po’, invertendo l’ordine logico delle cose. Si distese, ma tornare a dormire lo faceva sentire malato o ferito, colpa ancora una volta della rigida educazione militare che aveva ricevuto. Si tirò su all’istante, si sfregò gli occhi per combattere il sonno e si apprestò a raggiungere le grandi sale dove venivano serviti i pasti.

Il salone era ampio, aperto a chiunque desiderasse sfamarsi, un sistema architettonico che gli ricordava quello del castello di Grande Inverno. Ovvio, pensò Jaime. Ogni re che si insediava nella fortezza rossa apportava qualche cambiamento, come lo stesso Robert aveva fatto, Cercei con la sua mappa delle terre dell’ovest ed ora anche Bran, a cui spettava il pesante compito di ricostruirla dalle ceneri.
Cercò tra le tante facce qualcuna che gli sembrasse familiare. Sperava di poter trovare Podrick Payne o ser Davos, il cavaliere delle cipolle. Scrutò ogni angolo allungando il collo. I vetri decorati di verde e rosso delle finestre creavano uno strano gioco di luci che lo aiutò nell’impresa illuminando le teste.

Riconobbe solo un uomo tra i tanti sconosciuti in lontananza, che si stava intrattenendo con una donna troppo giovane per lui, bella, ben vestita, ma priva di gioielli, forse appartenente a qualche casata minore.
“Ser Bronn di…” gli fece Jaime quando lo raggiunse, suonandogli una sonora pacca dietro la schiena che voleva essere una ritorsione per l’ultima volta in cui si erano incontrati. “Altogiardino?” chiese, ironicamente sorpreso che alla fine il cavaliere fosse riuscito nell’impresa.

La dama si irrigidì. Scrutò Jaime dall’alto in basso, con la bocca aperta e gli occhi castani da cerbiatta spalancati, incantata. Poi cominciò a balbettare qualcosa che rimase incomprensibile ad entrambi i gentiluomini che le stavano di fronte. Imbarazzata, raccolse allora la gonna del vestito rosa e con un inchino si scusò e si congedò, rimuginando per tutto il cammino della pessima figura che aveva fatto in presenza del famoso bel cavaliere.

“Ser Jaime Lannister.” Salutò seccato Bronn, guardando la ragazza andare via “Quante diavolo di volte dovrò dirti di camminare almeno a dieci passi di distanza quando mi vedi con una donna?” lo ammonì deluso, mentre pensava che gli sarebbe toccato pagare qualche donna per quella sera.

Jaime gli si sedette allora di fronte, prendendo il posto di quella dama. Gli sottrasse il piatto dal tavolo e scrutò quel che vi era dentro, per poi scegliere un pezzo di formaggio e della frutta tagliata a fettine. “Il Lord di Altogiardino ha difficoltà a trovar moglie?” chiese ironico Jaime “Com’è cambiato il paese!”

“Non cercavo una moglie.” Sbuffò Bronn.

“Allora ti toglieranno Altogiardino.” Commentò il Lannister masticando, ricordandosi una delle tante lezioni che era solito impartirgli papà Twyn. Una di quelle su cui aveva più insistito a dir la verità.

Sul volto del Lord di Altogiardino comparve un ghigno cattivo. “E tu, ti stai impegnando per non farti togliere Castel Granito? O Tarth?” alluse Bronn “Con quelle occhiaie è meglio che ti sia anche divertito.” Aggiunse come se non fosse stato chiaro abbastanza.

Jaime sgranò gli occhi verdi. Non era nuovo ad inciuci e pettegolezzi di palazzo, veritieri o fasulli che fossero. Lascia che parlino, si era detto tutta la vita. Aveva sempre protetto Cercei e la sua virtù in quel modo: non facendo nulla. Non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi invece con Brienne. Negare, negare, negare? “Chiudi quella fogna!” decise alla fine impulsivamente mentre gli si arrovellava il cervello. Sempre con quella lingua lunga!
“Chiudi quella fogna, mio Lord.” Lo corresse Bronn, rimarcando la voce sulle ultime due parole, ridendo mentre Jaime andava via.
 
 
***
 
Man mano che Jaime riacquisiva forze ed abilità, come quella di camminare sopra a tutte, le giornate diventavano sempre più noiose. Aveva imparato a girare nel castello ed aveva appreso con stupore che alcune ale erano rimaste in piedi: c’era la torre dei cavalieri a cui guardò con una certa nostalgia, gli appartamenti reali, la stanza del consiglio, le cucine, la stanza dove dormiva. Eppure, come per la sala dei banchetti, anche quelle avevano qualcosa di diverso. I tessuti damascati erano scomparsi, gli spazi piccoli e privati erano stati trasformati in ampi ed aerosi, tutti i piccoli intralci come tavolini, sedie e tappeti erano stati eliminati. La fortezza rossa aveva un aspetto completamente differente da quello che era una volta. Addirittura le sue mura esterne si erano sporcate di grigia cenere, cancellando l’illusione di quel colore caldo ed acceso che aveva una volta.

Si recò allora nell’unico posto che ancora riconosceva bene, le stanze del primo cavaliere del re. Prima di suo padre, poi di suo fratello, Jaime aveva passato ore o giorni in quelle mura.
Quando aprì la porta venne accolto da un prepotente odore di carta ed inchiostro. Alla sua destra ed alla sua sinistra riposavano fogli appena scritti, probabilmente lasciati ad asciugare, distribuiti su ogni superficie piana: tavolini, sedie, scrittoi, poltrone.

“Fratellone!” esultò Tyrion non appena lo vide “Benvenuto nel mio incubo!” aggiunse e poi con le mani tastò sulla scrivania appiattendo pergamene e libri aperti uno sopra all’altro, probabilmente alla ricerca di un polverino.

Jaime si fece spazio alla scrivania, mise da parte un paio di fogli bianchi e vi si sedette di fronte. “Che incubo sarebbe?” chiese distrattamente, mettendo in rassegna tutti gli oggetti davanti a lui, deluso dal fatto di non aver trovato una brocca di vino o di semplice acqua a tenerlo occupato.  

Tyrion prese un respiro profondo, poi cominciò ad elencare, battendo ogni punto sull’ultima falange di ogni dito “I contadini chiedono più terra, i marinai più navi, i mercanti più acquirenti, i soldati più puttane ed ovviamente le Isole di Ferro più libertà.”

“Come sempre.” Rispose l’altro, per nulla avvezzo e completamente disinteressato alla politica ed alle tattiche governative.

“Già, come sempre.”

Jaime recuperò un anello dorato dalla scrivania. Lo pesò sul palmo e se lo girò attorno al pollice facendolo roteare, fino a riconoscere l’incisione di un leone, probabilmente usata per fissare la ceralacca. “E’ rimasto ancora qualcosa dei Lannister.” Considerò, stupito ed abituato all’idea che la loro casata ormai fosse morta del tutto o scomparsa, i loro averi arsi e la loro ereditò distrutta, come se con Cercei fosse stato troncato l’ultimo ramo del loro albero familiare.

Tyrion sbuffò, guardò le sue ordinanze, le sue missive, i suoi compiti e decise di prendersi una pausa. “Ci siamo ancora tu ed io.”  

Jaime abbozzò un sorriso: già, erano rimasti ancora due leoni alla deriva. “Che ne è stato di Castel Granito?” chiese poi curioso.

Tyrion rimase spiazzato. “Sai, tanti mesi passati ad Approdo del Re e mi ero completamente dimenticato di Castel Granito.” pensò a quel castello dove aveva passato l’infanzia, ormai disabitato per quel che ne sapeva. Se chiudeva gli occhi riusciva a rivedere tutta quella gente che lo abitava: i lord, i camerieri, i valletti, i cuochi, i contadini, i coppieri. Chissà che fine avevano fatto. “Non lo so.” Confessò alla fine “Dovresti andare a controllare.” Aggiunse, sperando in una parte di sé che suo fratello ci andasse davvero.

“Forse.” Replicò Jaime malinconico, lasciandosi distrarre di nuovo dalla forma del leone dalla folta criniera e dalle zanne appuntite, in cui una volta si riconosceva. Quel leone era stato per molto tempo la sua identità, poi uno scudo per il corpo ed un’armatura per l’anima e alla fine più niente. Alla fine era diventato solo un leone, solo un oggetto.

“Perché me lo chiedi?” domandò curioso Tyrion, anche se in parte già conosceva la risposta “Hai intenzione di fare il Lord e continuare la dinastia?”

Jaime sorrise, infilandosi e provandosi l’anello. “Curioso,” rispose ammirandosi la mano sinistra “oggi Bronn mi ha detto qualcosa di simile.”

“Curioso che Bronn riesca a dire qualcosa.” Concluse il più piccolo dei Lannister, imitando l’espressione imbronciata del comune amico. Attese che Jaime sorridesse e poi tornò serio. “Ancora niente?”

Il cavaliere alzò gli occhi dal suo giocattolo, studiò l’espressione di Tyrion, le sopracciglia alte ed indiscrete, fino a capire a cosa si riferisse. “Niente.” Rispose, ma nascose comunque un sorrisetto compiaciuto ricordandosi della notte appena passata.

“Ho un buon naso per queste cose.” Scherzò Tyrion, indicandoselo con il dito che puntava verso la cicatrice peculiare che portava al centro della faccia, rendendo la scena ilare ed ancor più esilarante.

“Raccapricciante.” commentò prima di cominciare a ridere.
 
***
 
Tra un inutile vagabondaggio e l’altro si fece lentamente sera.

Le serate alla nuova Approdo del Re erano musicali e giocose. Per certi versi ricordavano la corte di Re Robert, che approfittava del clima gioviale per il vino e per le prostitute. Quello che era diverso era ovviamente il comportamento del monarca.
Re Bran sedeva al centro di una lunga tavolata, circondato da tutti i suoi consiglieri, il Gran Maestro, qualche cavaliere come Ser Podrick Payne e, quando erano presenti, i suoi ospiti. Gli spazi utilizzati per la colazione durante il giorno, venivano riempiti di prelibatezze per la sera: polli arrosto, patate, pasticcio di piccione, pane fresco, frutta e verdura di stagione. Erano invitati chiunque volesse avvicinarvisi, mossa che era stata tentata per combattere la povertà di una nazione arsa al suolo e che faticava a rimettersi in piedi. Ognuno collaborava come poteva a quelle feste e la città avara si era presto trasformata in una comunità collaborativa, filantropa e liberale.

Ser Brienne era tenuta a presenziare e difendere il re qualora fosse stato necessario, rimanendo in posizione eretta a diversi passi di distanza dalla tavolata principale, punto in cui era più facile osservare chiunque entrasse dalla porta principale o uscisse da quella di servizio. Erano calcoli che anche Jaime era stato tenuto a fare e che ormai continuava a fare per forza dell’abitudine: una volta cavaliere non si smette mai di essere cavaliere ed in effetti ancora lo era.

Quando il Re le faceva cenno, Brienne lasciava la sua posizione, dandosi il cambio con alcuni suoi fidati e raggiungeva il suo posto al tavolo tra la gente. Nonostante l’armatura preferiva non isolarsi tra i pochi, ma piuttosto fare parte dei molti che aveva giurato di difendere.

Jaime le fu accanto non appena la vide unirsi agli altri commensali. “Bronn lo sa.” Le disse sedendolesi accanto, bisbigliandole come se stesse parlando di strategie militari.

Si aspettava di trovarla allarmata, infastidita o magari arrossita. Si aspettava che avesse paura di quello che avrebbe detto la gente, della sua preziosa nuova reputazione bianca e dorata sporcata. Invece Brienne aggrottò le sopracciglia incuriosita da quel suo modo di fare. “Tanta gente lo sa.” Gli rispose, come se fosse scontato.

Quasi l’avessero attaccato o sorpreso, l’uomo indietreggio “Cosa, davvero?”

“H-hm.” Mugugnò lei, mettendosi in bocca una coscia di pollo e staccandone la carne dalle ossa mentre il sugo oleoso le colava dai lati “Tuo fratello lo sa, il re lo sa.”

“Bran lo sa?”

“Re Bran lo sa.” Lo corresse Brienne, pulendosi la faccia “Ed ha perorato la tua causa.”

“Ah, sì,” fece piacevolmente sorpreso Jaime “Dovrei chiedergli udienza più spesso, magari può perorare la mia causa più spesso.” Rispose ironico utilizzando le sue stesse parole, ma con fare malizioso ed allusivo.

A Brienne si bloccò il respiro in un primo momento e le andò di traverso qualunque cosa stesse mandando giù. Tossì, si diede un paio di pugno sul petto e poi, tutta bianca poi blu in faccia, controllò a destra ed a sinistra di non aver attirato troppo l’attenzione e che non ci fosse nessuno nei paraggi che potesse aver sentito o che avrebbe potuto sentire quello che stava per dire “Non ne hai bisogno.” Trovò il coraggio di rispondere, arrossendo su tutte le guance fin sopra agli occhi.

Jaime si allungò verso di lei, che ancora si stava nascondendo. Le posò velocemente le labbra sul collo e la mano sulla coscia. La accarezzò ripetitivamente all’altezza del ginocchio, dove l’armatura di metallo lasciava spazio ai pantaloni di tessuto e riusciva a sentire la carne morbida, fino a che Brienne non aprì le cosce ed allora si lanciò a baciarla sulla bocca.





 






Angolo dell'autrice
Hello folks!
Dunque, come sempre ringrazio prima tutti quelli che mi hanno seguito e commentato. Siete stati tutti carinissimi e vi adoro. 
Poi, hm, parliamone. Allor, ho domandato a due persone e mi è stata avanzata la proposta di scrivere un capitolo NC-17. Mi sono riservata quindi la possibilità di farlo col prossimo. Rigiro pubblicamente la domanda per avere altre opinioni. Ovviamente questo significherà alzare il raiting. 
Altra cosa: come vi avevo promesso, ci sarebbe stato tempo per parole tra i due, che sarebbero arrivate in prima battuta ed eccole. Ovviamente ce ne saranno altre. La notte passata insieme senza dormire mi pareva un'idea molto dolce e realistica. Altra cosa, sto aprendo il mondo post GOT tramite Jaime, se non si fosse capito, o almeno ci sto provando. Più lui si riabilita e gira, più aggiungo posti ed un contesto, in modo che non sia proprio una storia isolata. In ultimo, mi piace aggiungere qualche personaggio qui e lì, che tra l'altro mi è servito per far maturare una certa idea in Jaime. Bronn è un Inception in realtà lol
Vabbè chiudo, sennò non finisco più.
Ps. Visto che ho fatto presto? ;D

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 
 
Erano arrivati nell’angusta stanza di Jaime così velocemente che Brienne non parve neanche rendersene conto. Un momento era seduta al tavolo e mangiava, il momento dopo la mano di lui la stava accarezzando lungo le cosce. Il suo fiato era caldo, le respirava a contatto con la pelle e le dava piacevoli brividi che le correvano lungo gambe e la pancia. Avrebbe voluto anche lei allungare una mano per cercarlo e sentirlo.
Le bocche di entrambi sapevano della cena appena consumata. Il grasso della carne ungeva ancora le labbra e la barba di Jaime, mentre sulla pelle di Brienne creava una patina oleosa che si mischiò presto a saliva.

Jaime aprì e richiuse bruscamente la porta tirandosi con sé la donna, mentre a capo chino rideva e si sentiva vivo. Si ritrovò Brienne davanti e non riusciva a smettere, fino a che sul suo viso comparve una strana espressione tra il confuso ed il divertito. Per lavarla via e fugare ogni dubbio la baciò di nuovo e cercò con la mano la sua pelle, trovandosi invece sopra uno strato di metallo immodificabile e duro, così diverso dalle morbide forme che si aspettava di toccare.
“A te piace rendermi le cose impossibili.” Le disse col sorriso sulle labbra, mentre si faceva aiutare a sciogliere i nodi che tenevano insieme parti della sua armatura, che una dopo l’altra cadevano a terra con un tonfo che non parve infastidirlo. C’erano quindici dita frenetiche che provavano volta per volta, attorcigliandosi, a liberarle prima le gambe, poi il petto e poi le braccia e presto la frenesia e le inspiegabili risate presero entrambi.

Jaime si fermò a guardarla. Brienne non era una bellezza convenzionale. Non aveva i capelli lunghi e morbidi, non profumava di rosa, il suo seno non era prosperoso ed i suoi lineamenti non erano delicati, però aveva gli occhi del colore del mare, i suoi muscoli fibrillavano ogni volta che lui la toccava, le gambe lunghe ed il sedere alto e sodo gli facevano venire strane idee e poi il colore così candido della sua pelle lasciava trapelare le sue emozioni come un libro aperto. Quando era imbarazzata si tingeva di rosso e rimaneva a bocca aperta, tra lo stupore e l’incertezza, proprio come in quell’istante.

“Nervosa?” le chiese, perché in fondo anche lui lo era.

Brienne scosse il capo. “No.” Bisbigliò piano. Si avvicinò fremente e gli afferrò il bordo della tunica e della camicia. Li tenne insieme tra le dita e glieli tolse entrambi via, lasciandolo all’improvviso a petto scoperto. Lo cercò con la punta delle dita, lo sfiorò delicatamente, così piano da fare il solletico.

Istintivamente anche Jaime la cercò ed infilò la mano sotto la camicia, gustandosi il contatto della sua pelle liscia e del ventre piatto, scoprendole la vita grande appena quanto un palmo di mano e la lunghezza del dita. Aveva i muscoli tesi, l’addome contratto ed il respiro trattenuto. Con lentezza esasperante le scoprì l’ombelico, il costato, il seno piccolo. Quando le sollevò via l’indumento notò sotto ogni braccio delle escoriazioni lineari. Le riconosceva, erano quelle lasciate dal bordo dell’armatura che sfregava continuamente contro la pelle. Brienne portava i segni di una guerriera addosso.

La portò con sé verso il centro della minuscola stanza, finché non riuscì a sedersi sul letto con Brienne che gli troneggiava in piedi davanti. Le accarezzò le gambe sopra ai pantaloni, sopra e sotto, fino a raggiungere i lacci che le reggevano gli indumenti addosso. S’appese con un dito e se li trascinò giù, lasciandole un bacio sul ventre tonico.
Brienne lo aiutò scavalcando i vestiti. Gli mise poi le mani sulle spalle attirandone l’attenzione. Jaime la guardò dal basso verso l’alto: aveva i capelli spettinati, il verde degli occhi scomparso attorno alle pupille nere, le labbra schiuse bagnate della sua saliva in un’espressione arresa ed inebetita e respirava velocemente. Lei gli accarezzò il capo arruffandogli ancor di più i capelli biondi, un po’ impepati dagli anni. Era così bello che quasi la spaventava. Gli sorrise aspettando che anche lui sorridesse e poi lo raggiunse abbassandosi sulle ginocchia.
Jaime stava aspettando, Brienne lo sapeva. Fremeva e quasi tremava dall’attesa, come se i ruoli si fossero invertiti.

La donna si avvicinò piano al bordo dei suoi pantaloni e poi con fare frenetico e nervoso sciolse via il laccio che li teneva. Jaime la lasciò fare sorridendo per quei gesti goffi che non aveva in nessun’altra attività. Avesse avuto due mani, gliele avrebbe prese entrambe e l’avrebbe guidata con cautela, lentamente, come lei si meritava d’esser guidata ed amata. Si dovette accontentare di incrociare solo cinque dita e distendersi, sperando che lei lo seguisse.
Brienne gli si chinò addosso. Il seno piccolo le pendeva dal torace e gli sfiorava la pelle sull’addome. Jaime si piegò per riuscire ad avere una miglior visuale, ma il fianco era ancora indolenzito, quasi la pugnalata che aveva preso mesi prima gli avesse lasciato un livido.
Brienne se ne accorse e lo guardò. “Hai cicatrici nuove.” Concluse lei, ma lui non rispose. Aveva visto il suo petto nudo diverse volte: quando erano in viaggio da soli, prima di venir catturati, quando Jaime la stuzzicava spogliandosi, cercando di sminuirla e farla sentire una donna debole e nient’altro davanti alla virilità del suo corpo; quella volta in cui le era svenuto addosso in una vasca da bagno; a Grande Inverno quando era stata lei a spogliare entrambi. Ognuna di quelle volte, aveva memorizzato tutte le cicatrici, ogni linea del suo corpo, prima di nascosto, poi sempre più sfacciatamente, quasi vergognandosene.

C’era una ferita lunga, irregolare, ancora rossa, persino in rilievo. Dov’era lei mentre qualcosa si infilava nella carne di Jaime e gli spillava tanto sangue? Brienne si incupì mentre ne saggiava la consistenza con la punta delle dita. Dovette alzare gli occhi per cercare il suo viso per ricordarsi che lui era ancora vivo, che respirava ed era lì con lei. Una smorfia gli aveva deformato il bel viso. “Fa male?” chiese lei.

“Punge.” Rispose Jaime. “E prude.” Aggiunse, resistendo alla tentazione di grattarla e rovinare il momento. Si concentrò sulle carezze di lei per dimenticarsene. Buttò la testa indietro e tornò a distendersi sul materasso, ancora coi piedi a terra e le gambe aperte ad offrirle tutto.
Brienne si sentì prendere da un’insicurezza nuova, una titubanza che quasi sfociava nella paura o nell’ansia. Che ti prende, si diceva, l’hai già fatto con lui. Ma allora non sapeva cosa fosse, che aspettarsi il mattino dopo, quanto la guerra sarebbe durata, quanto tempo Jaime sarebbe rimasto. Ora quanto tempo sarebbe rimasto Jaime? Che voleva da lei, che sarebbe successo poi?

“Tutto bene?” le chiese Jaime alzando il capo.

“H-hm.” Mormorò Brienne istantaneamente per celare ogni perplessità.

“Vieni qui.” La invitò lui. Si mise di profilo sul piccolo lettino per farle spazio e la aspettò allargando le braccia per poterla tenere vicino.

Il contatto della pelle nuda contro la pelle nuda diede ad entrambi i brividi, trasportandoli come in un altro mondo lontano. Lì il seno di Brienne era sodo ed i capezzoli turgidi schiacciati contro il suo petto, quasi lo invitassero. Jaime chiuse gli occhi e soffiò via dalla gola un’onda di calore che dalla pancia l’aveva travolto in basso ed in alto, fino ad avvolgerlo tutto ed ormai era pronto abbastanza per tuffarsi dentro di lei.

“Sei nervoso.” Constatò Brienne, ripetendogli le parole che lui stesso le aveva detto poco prima, studiando l’espressione a volte assente, altre volte concentrata ed i gesti veloci e ripetitivi.

Jaime scosse il capo. No, era irrequieto, impaziente, frenetico e smanioso. La strinse di più ed altra pelle toccò altra pelle, la sua virilità toccò la femminilità di lei, separati dal tessuto sottile dei suoi pantaloni, rendendolo ancor più ansioso. Aprì gli occhi e la guardò, sperando di leggere lo stesso desiderio dentro di lei. “Hai degli occhi bellissimi.” Riuscì a dirle. Un complimento che gli venne fuori dal nulla, che per la verità avrebbe sempre voluto farle, ma non l’aveva mai detto a voce alta.

Brienne schiuse le labbra colpita, emozionata, perché mai a nessuno era mai piaciuto niente di lei: era stata ammirata per come combatteva, per la devozione ed il coraggio di cui faceva bella mostra. Ogni volta che leggeva sgomento negli occhi di chi la guardava, provava orgoglio per la donna che era riuscita a diventare. Quelle poche parole invece, quello stupido complimento mormorato da Jaime, la trasformarono in una timida dama con le guance porpora. Stava per dire qualcosa, ringraziare forse, ma lui fu più veloce e le prese la bocca con la sua. Le schiacciava prepotentemente le labbra sul volto e con la lingua si fece spazio fino a toccare la sua, allora si calmò e le sue carezze diventarono più lente e languide. Ogni contatto ed ogni carezza divennero sempre più elettrizzanti un bacio dopo l’altro. Il timore lasciò spazio ad una insolita allegria che ricordava quella del vino.

Istintivamente Brienne lo avvolse con le gambe e lui le si schiacciò addosso. Provò anche lei quella frenesia da cui lui s’era fatto prendere poco prima e lo cercò con le mani, trovando finalmente il coraggio che le era mancato poco prima. Lo sfiorava, lo toccava, lo prendeva, ne studiava ogni reazione ed il suo modo naturale di arrendersi a lei. Le piaceva guardargli il petto e le spalle imperlate di sudore, mosse dall’affanno e dall’impazienza, gli occhi chiusi e l’espressione in estasi e contrita.

“Ferma, ferma.” La bloccò Jaime dopo un po’. Provò ad allontanarsi, ma il letto era piccolissimo e si ritrovò subito sul bordo che minacciava di farlo cadere. Si risistemò e la pregò di nuovo di aspettare. La baciò e con la bocca sulla sua, respirava dal naso con affanno. Chiuse gli occhi sperando che il buio lo distraesse, si prese una pausa, ma niente. Le sorrise ad occhi chiusi, scoprendo i denti. Sulla guancia gli comparve una fossetta nascosta dalla barba. Brienne la toccò come se non ci credesse che fosse lì. Jaime aprì gli occhi e si trovò con quelli nei suoi. Il sorriso scomparve in fretta e la baciò subito di nuovo. Fece per sistemarsi sopra di lei, mentre Brienne apriva le gambe ed occupava tutto il materasso. Poi sentì Jaime dentro di lei e tutto intorno a lei: il rumore del suo respiro affannoso; il fiato caldo sulla guancia, il collo e la clavicola; le braccia che la circondavano ai lati della testa; il rumore della pelle sudata che sbatteva contro la pelle; la mano che le prendeva la sua, gliela alzava sulla testa e poi si perdeva tra i capelli; la bocca che la baciava al centro del petto e sulle labbra; gli occhi ridotti ad una fessura color smeraldo tra le palpebre che cercavano i suoi; l’odore misto di saliva, sudore e sesso che impregnava le coperte.

Sin dalla prima volta che era stata con lui, Brienne aveva conosciuto un uomo completamente diverso da come veniva dipinto. Era stato gentile, premuroso ed attento, lontano dal gemello perverso e spregiudicato di cui si portava la fama. Si preoccupava, la cercava, la studiava tra un gemito e l’altro, cercando di cogliere la sua reazione ogni qual volta che cambiava il ritmo e la forza di ogni movimento. La guardava attraverso le palpebre socchiuse, troppo pesanti da tenere aperte. Le sue pupille si concentravano sulle iridi di lei, sulle gocce di sudore lungo il suo collo, su quella macchia rossa che le aveva appena lasciato sulla spalla. E quando le sembrò sul punto di perdersi, ne saggiò il sapore poggiando un suo dito sulle labbra di lei, beandosi di quel contatto.

Anche Brienne cercava di non perdersi niente di Jaime: l’espressione quasi disperata; gli occhi persi in un’estasi simile al dolore; la sua mano che le stringeva prepotentemente la carne e le dita; le sue labbra sulla pelle che la baciavano, mordevano, sfioravano. Era ancora bello, bello come il sole al buio. Ed era così indifeso tra le sue braccia. Voleva stringerlo, proteggerlo, allungare le dita, entrargli nelle ossa, raccoglierlo e tenerlo unito, vivo. Lo strinse forse per sentire ogni centimetro di pelle addosso, fino a quando Jaime soffocò un rantolo, un verso tra la spalla ed il collo di lei ed in pochi secondi le scese di dosso.

Brienne si scostò, posizionandosi di profilo per fargli spazio. Il letto pareva sempre più piccolo, costringendo Jaime ad attorcigliare le sue gambe con quelle di lei. Brienne lo accoglieva nel suo spazio, come se fossero ormai l’uno abituato alla presenza ed al corpo dell’altro. Timidamente il cavaliere la sentì allungare le mani e poggiarsi sul suo petto.

“Avrei dovuto procurarmi un letto più grande.” O una stanza più grande, pensò Jaime, allungando un braccio per consentirle facile accesso vicino al suo cuore. La abbracciò ed immerse il viso nei capelli disordinati di lei, crespi e scomposti ma che sapevano di erba, acciaio e mare, l’odore che aveva avuto la propria infanzia.

“Va bene così.” Rispose piano Brienne, lasciandosi stringere ed abbracciare.

“Se vuoi che stia vicino a te, basta chiedere.” La canzonò Jaime con un sorrisetto arrogante e soddisfatto sul viso, per un attimo tornato ad essere il cavaliere sicuro di sé e mascherando al contempo l’insicurezza di cui si era sempre sentito affetto vicino a lei.

Le guance di Brienne presero fuoco. Non poteva vedersi, ma sapeva di essere arrossita. Nascose il viso imbarazzata, con l’atteggiamento innocente che all’uomo ricordava una timida e giovane vergine, facendolo sorridere intenerito. La sua reazione dovette irritare ancora di più Brienne, che riscossasi dall’imbarazzo, gli diede una spinta, facendolo quasi cadere giù se solo non le si fosse appeso addosso, girandole un braccio attorno alle spalle.

Finirono col ridere e punzecchiarsi a vicenda, fino a crollare sfiniti tra le coperte calde ed umide. Brienne si addormentò per prima. Jaime aveva la testa sul cuscino ed i capelli di lei tra il naso e la bocca. Li appiattì con la mano, cogliendo l’occasione anche di carezzarle la testa. La donna si era stretta nelle sue spalle e con la fronte si era quasi poggiata ad altezza del cuore. Era nascosta tra le lenzuola e Jaime la scoprì, preoccupandosi che respirasse là sotto. Le sue gambe ed i suoi piedi sporgevano fuori dal letto al freddo, convincendo sempre di più l’uomo a cercarsi una stanza più grande, appartata, ma sempre affacciata sul mare.

Jaime si guardò attorno studiando l’ambiente minuto. Era ancora buio nella notte fonda, la pietra delle mura fredda, la luce sempre scarsa. Quando si girò, vide l’armatura di Brienne, scompostamente depositata a terra, un rompicapo da dover ricostruire più tardi. Era lucida, perfetta, ben tenuta, rifletteva luce dorata. Su una sedia invece era abbandonato il mantello bianco. Jaime ricordava la consistenza di quel mantello sotto le dita, quel tessuto talmente spesso e lucido che non si lasciava mai piegare e creava quel gioco d’ombre e di movimenti ogni qual volta che lo indossava e si girava o svolazzava via. Era come per Cercei giocare con la sua gonna, sollevarla e farla volteggiare quando programmava un’uscita d’effetto.

Quei colori, il bianco e l’oro, ormai per Jaime non significavano più niente. Erano stati per anni sporcati ed infangati dalla perversione di ogni cavaliere di cui riuscisse a ricordare il nome. Guardò allora Brienne dormire.
C’era qualcosa che lo turbava. Sapeva di essere con lei, sapeva di poterla stringere, baciarla e fare l’amore con lei, eppure sembrava tutto così effimero e sottile. Con la punta del naso cercò di scavare nei suoi capelli, fino ad arrivare al volto e riuscire a catturarne le labbra, costringendola così a svegliarsi.

Brienne, sorpresa, non riuscì neanche ad aprire gli occhi. Non sapeva che ora fosse e per un momento brevissimo si dimenticò persino dove si trovava. Jaime la stava inondando di baci frenetici che diventavano uno ad uno sempre più spasmodici e tormentati. Erano diversi da quelli di qualche ora prima in cui c’era solo una dolcezza immensa a cui non sapeva dare un nome. C’era quasi dolore e timore questa volta.

“Che cos’è?” chiese Jaime tra un bacio e l’altro, imprimendole con prepotenza la forma delle sue labbra.

“Cosa?” domandò Brienne con un filo di voce impastata di sonno.

“Questo.”

La donna allora sembrò titubare. Si staccò da lui, prese fiato, ma non le uscì niente dalle labbra, quasi avesse difficoltà o paura di dare un nome a quello che rappresentava qualunque cosa ci fosse tra loro due.

“Vuoi saperlo da me?” le chiese lui venendole in soccorso, riprendendo quell’assurdo metodo di conversazione continuamente interrotto. Brienne fece cenno di sì col capo, mentre ora anche lei si era fatta trasportare da quella folle danza. “Un impegno.” Rispose Jaime.

Non era la risposta che lei s’aspettava, né quella che sperava. Per certi versi la spaventava. Un impegno, una promessa, un nodo.

Il fantasma di quell’armatura dorata, pudica, pulita e casta lo perseguitava alle spalle. Lo sentiva, lo avvertiva nelle ossa, era sbagliata, non poteva portarla, nessuno dei due avrebbe potuto. Tutti quei giuramenti, quelle promesse gli erano andati stretti tutta la vita. Quando aveva Cercei vicino erano sopportabili, perché anche lei aveva fatto le stesse promesse sposando Robert e fra loro c’era sempre stata l’euforia del segreto, che solo quando aveva smesso di amarla lo aveva assalito al collo impedendogli di respirare. Ed ora aveva paura di smettere di respirare di nuovo, di essere messo ancora in un angolo dalle ambizioni della donna che era nel suo cuore.

“Un impegno.” Ripeté Jaime.

** 

Il mattino seguente quando Jaime si svegliò, sentì il letto estraneamente grande e vuoto. Appena riaprì gli occhi vide Brienne già in piedi al centro della stanza, circondata da mille granelli di polvere che le danzavano attorno alle tenue luce del mattino. Indossava la camicia lunga e nient’altro. Da quella prospettiva vedeva le gambe snelle e sode che spuntavano fuori dall’indumento. Era così diversa senza vestiti, senza quell’armatura addosso che ingannava tutti. Era eccitante alla tenue luce del mattino. Era bella a modo suo, forte e così donna nel suo timido modo di nasconderlo.

Si alzò ritrovandosi, nudo in pochi passi in punta di piedi, dietro di lei. Brienne ebbe appena il tempo di sentire il letto cigolare che Jaime la strinse alle spalle. Il  suo mento le arrivava appena sulla spalla, le braccia la intrappolavano e la sua mano scivolava sull’ombelico e sui fianchi.
“Lady comandante.” Le fece lui con voce languida.

“Suona bene.” Rispose Brienne con un fil di voce, ma orgogliosa.

Avrebbe voluto toccarla tra le cosce, prenderla lì, così, ma la sua armatura era davanti a loro due e li guardava, lo minacciava, incombeva su di lui che si dovette allora accontentare di poter stringere quella donna impossibile tra le braccia ed annusarne dal collo l’odore acre che insieme avevano lasciato tra le lenzuola.
“A me non piace.” Confessò alla fine Jaime.

“Cosa? Perché?” chiese Brienne con una sorpresa che non s’aspettava neanche lei di sentire nella sua voce.

“Non potrai mai sposarti. Tarth ed il suo bel mare rimarranno senza un degno erede.” Spiegò Jaime sotto voce, portandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Lo disse sognante, immaginando di poter essere una persona come tante, un Lord come tanti, con una donna come tante, una Lady come tante, lontano da quel folle avido mondo di regine e cavalieri.

“Nessuno vuole sposarmi.” Rispose Brienne derisoria, prima di capire, ripetendo a memoria una frase che aveva continuamente pronunciato durante la sua adolescenza. Quando Jaime la accarezzò di nuovo, Brienne realizzò e si paralizzò. Non ebbe il coraggio di voltarsi e cercare nei suoi occhi una risposta o un nuovo significato a quello che lui le aveva appena detto, per paura che lo intendesse per davvero e per paura che così non fosse.

“N0n è vero.” Disse solo lui.

“E Castel Granito allora?” chiese Brienne come per ribadire un concetto, come per metterlo di fronte al fatto che si trovavano nella stessa posizione. Tremava e non riusciva a metter correttamente in fila i pensieri, che le vorticavano furiosamente negli occhi. “Sei ancora un cavaliere.” Aggiunse, cercando di spiegarsi. Per la prima volta temette di scoprire quanto la sua rotta fosse diversa da quella di Jaime, quanto le loro strade divergessero ancora una volta e definitivamente.

Ad un tratto l’idea del cavalierato e della cappa bianca a Jaime sembrò estranea. E cosa ne sarebbe stato di Castel Granito? Un angolo della sua testa sembrava parlare per nome di suo padre. Eppure non era proprio del castello che gli importava. Si bloccò, fissando la pelle sporca e scamosciata degli stivali abbandonati ai piedi del letto. Era il nome dei Lannister a cui teneva? La consapevolezza di essere libero da Cercei, di non dover giustificare pubblicamente quella relazione con il celibato? La possibilità di prendere moglie, riconoscere dei figli? Guardò Brienne, poi la sua armatura e seppe allora di non poter continuare a percorrer quel cammino. “Ho bisogno di allenarmi prima di tornare in servizio.” Mentì, ma almeno suonava credibile. Mentì così bene che riuscì a convincere anche sé stesso.

Il capo di Brienne si mosse frenetico, accettando quella bugia. Cercò di ignorare la paura di perderlo che stava provando proprio lì tra le sue braccia. Si voltò e gli si trovò di fronte. Gli arrotolò le braccia al collo e si strinse addosso a lui, che sorpreso la accolse carezzandole il capo.


 




Angolo dell'autrice
Saaaaaalve. 
Torno ora dopo tanto tempo causa trasloco. Vogliate perdonarmi. Però almeno torno con un capitolo bomba, più o meno, no? ;P Vogliatemi bene lo stesso!
Ho provato a scrivere il capitolo NC17, come avevo promesso, senza alzare il raiting. Non sono mai stata troppo esplicita, credo, e la cosa mi ha tolto molto tempo, devo ammetterlo. Beh fatemi sapere cosa ne pensate!
Comunque, come avrete ormai capito io adoro l'angst. Ricominciano i problemi, soprattutto perché siamo arrivati al classico lieto fine, ma dove si va da lì? Che succederà? Che ne faremo delle nostre vite? E' un tema che mi sarebbe sempre piaciuto trattare dal punto di vista di Jaime in particolare. 
E niente, vediamo che succede? 
Ringrazio chi mi ha seguito fin qui e chi ha letto oggi. Mi scuso di nuovo per il ritardo ed al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
“Non posso avere la cappa bianca.” Rispose Jaime alla proposta di un altro, ennesimo re. Si era ritrovato una mattina convocato e presto inchinato davanti ad un altro Stark, nel bel mezzo di un giardino, circondato dai membri più fidati del suo consiglio. Se lo ricordava bene il giorno in cui aveva dovuto farlo davanti alla sorella più grande nel freddo Nord. Sebbene Jaime conservasse ancora i ricordi di quei reggenti quando era ancora bambini, non riusciva a non pensare che fossero tagliati apposta per quel ruolo, che traspirassero regalità, che ogni gesto ed ogni parola frutto della loro educazione li avesse resi così adatti al ruolo che adesso occupavano. Forse era sempre stato per questo che Twyn Lannister aveva avuto paura di loro. Ne riconosceva il potenziale. Per un attimo Jaime pensò anche alla sua di sorella, a Cercei, a come lei imponesse i suoi ordini da tiranna, mentre loro, i due Stark ascoltassero e proponessero, creando un clima più aperto, quasi di libertà. Jaime si sentiva padrone di sé finalmente e di libero arbitrio. Si poteva dire che stesse vivendo in un mirabile e nuovo mondo.

Re Bran aggrottò la fronte. Sembrava perplesso, come se non capisse. Era capace di guardare nel passato e nel futuro, proprio come un vero oracolo. Quello che però a Bran mancava era la ragione per cui erano mosse le azioni degli uomini, da cui ormai prendeva sempre più le distanze. “Perché?” chiese.

“Non la merito, sua altezza.” Rispose semplicemente Jaime. Si guardò indietro e cercò Brienne, che si ergeva in mezzo a quel piccolo gruppo di persone che formavano il Consiglio. La sua armatura luccicava sotto al sole, più di qualunque tipo di gioiello che le dame di corte solevano indossare. Lei lo guardava preoccupata. Avrebbe voluto risponderle che non si trattava di falsa modestia, ma di consapevolezza. Prendeva finalmente atto delle sue azioni e ne era pronto a pagarne lo scotto.

“Non dovrebbe meritare il cavalierato un uomo che ha difeso prima il suo popolo e poi la sua regina?” chiese il Re, di nuovo elencando solo una serie di azioni, scevre da ogni qual tipo di emozione.

Jaime ci pensò. Già, erano azioni da vero cavaliere. “E’ quello che ho fatto nel mezzo di cui non vado fiero.”

Bran incrociò le dita in grembo. Guardò verso Tyrion che, come ad evidenziare il suo ruolo, stava tra il Re e quel timido gruppetto, un po’ più avanti rispetto agli altri. Tyrion si limitò a ricambiare il suo sguardo e poi guardare verso Jaime con curiosità. “Da quello che so, nel mezzo, ser Jaime,” cominciò il re, quasi spazientito “hai difeso ed aiutato tuo fratello, un uomo innocente; hai cercato di salvare una principessa da una nazione ostile; hai difeso una donna da abusi già decisi; hai conquistato terre senza spargere sangue.”

Jaime chiuse gli occhi. Non era giusto parlare così dei suoi errori. Vista così la sua vita sembrava una mera somma algebrica di buone e cattive azioni e non era giusto in quel modo. Riaprì gli occhi e guardò il re seduto su quella sedia. “Maestà, probabilmente una serie di buone azioni possono fare ammenda per tutte le scelte sbagliate che ho fatto,” cominciò a dire Jaime. La frase rimase appesa per una vita e con essa anche Brienne, che dal mezzo di quel gruppetto pareva pendere dalle sue labbra timorosa. “Ma rifiuto comunque la sua generosa offerta.”

Il nodo di confusione si sciolse finalmente dal viso del re. Bran guardò Brienne, avendo compreso finalmente quale fosse la posta in gioco che ser Jaime non era disposto a lasciar andare. Brienne dal canto suo invece fraintese quel cenno come un consenso ad intervenire.

“Sua maestà,” disse allora lei, avanzando ed inginocchiandosi al fianco di Jaime, di fronte al Re e di fronte a Pod che da dietro di lui osservava tutta la scena. “Ser Jaime è incapace di vedere la parte migliore di sé. Dategli più tempo, almeno la sua decisione sarà presa a mente lucida.”

A quel punto fu Jaime ad aggrottare la fronte. Davvero lei non capiva? Davvero credeva che fosse tutto là? Davvero era disposta a sacrificare il loro legame, le loro vite, il futuro di entrambi per servire un re che tutti amavano, che era già circondato dalle migliori menti e dai migliori muscoli giovani e freschi del paese? “No.” Rispose Jaime quasi offeso, sorprendendo tutti, alzando la voce e mettendosi in piedi.

“No?” chiese Brienne confusa a voce bassa, supplicandolo con lo sguardo di rimettersi in ginocchio ed accettare la sua offerta almeno.

Jaime si piegò di nuovo, mettendosi su entrambe le ginocchia per raggiungere la sua altezza. Le parlò teneramente come si fa con bambino, fottendosene degli sguardi di tutte quelle persone attorno, della luce del sole e della terra che gli stava infangando i vestiti. Poteva sentire gli sguardi di Tyrion, del re, di Pod, di Bronn, di Tarly parlare. Poteva vedere le loro smorfie, ma non gli fregava niente. Non gliene era mai fregato niente dell’opinione degli altri. “Quando prende la cappa bianca un cavaliere giura per la vita di non prendere moglie né generare alcun figlio.” Disse a Brienne. Le prese entrambe le mani con la sua per farsi sentire più vicino, perché lo capisse un po’ di più “Ho rotto già quel giuramento, tre volte. Ed io sono tutto fuorché un esemplare di virtù.” Si leccò le labbra, si guardò attorno. Non era così che pensava di dirglielo. Cominciò a carezzarle le dita affusolate con il pollice. “Sono innamorato di una donna come lo ero allora. E come allora romperò di nuovo quel giuramento.” Disse. Il viso di lei passò dallo stupore, alla sorpresa, alla tenerezza e forse il tutto condito con un pizzico di rabbia “Se lei non me lo impedisse.” Aggiunse abbassando lo sguardo “Mi conosci.” Jaime sorrise, poi alzò gli occhi e vide comunque il mantello bianco e l’armatura dorata di Brienne.

Come se lei leggesse in quello sguardo aggiunse subito “Ho desiderato questo tutta la vita.” Manteneva sempre la voce bassa, come se non volesse che gli altri udissero, come se si vergognasse di ammettere ormai quel legame sotto la luce del sole.

“E non vorrei mai che tu ci rinunciassi.”

Da dietro al re, sentirono tutti Pod soffiarsi il naso e sfregarsi le narici. Tyrion lo guardò sospirando, facendo una smorfia, pregandolo quasi di far silenzio o andar via. Bronn teneva le braccia incrociate, mal sopportando tutta la situazione, che gli pareva essere la solita sempre la solita vecchia storia che tutti si aspettavano. Tarly rimase sorpreso, li guardava schivo, non aveva mai pensato, mai capito, ma erano affari loro e per rispetto abbassò gli occhi e strinse le mani come in preghiera.
Brienne si guardò attorno, sentendosi lo sguardo di tutti addosso. Era proprio come quando era bambina a Tarth. Con orgoglio ricacciò dentro lacrime che minacciavano di ricaderle sulle guance. Si rimise in piedi e guardò di nuovo tutti quasi affrontandoli."Con permesso.” Fece alla fine alzandosi ed allontanandosi quanto più velocemente potesse.
 
***
 
Più tardi Jaime si ritrovò nella sua stanza. Si era fatta notte e si aspettava di vederla entrare come era stato nei giorni precedenti da un momento all’altro. Aveva seguito l’andamento della luna fino a trovarla alta in cielo. Doveva essere mezzanotte e Brienne non si era ancora fatta vedere. Si guardò attorno, studiò il letto con le lenzuola sfatte, la spada ancora lì nell’angolo che gli pesava come se la portasse in spalla, come un’opprimente memorabilia di quelle che erano le idee di lei ed i suoi valori, quelli che una volta erano anche i suoi: i suoi ideali di adolescenza traditi, rinnegati, ormai superati.

Si alzò, spense la candela che gli aveva fatto luce dalla scrivania e si diresse verso quella balconata sul mare dove i due avevano parlato e si erano baciati, non più di qualche settimana prima. Era una lunga camminata, che gli faceva apprezzare Approdo del Re dall’alto, di notte. Da giovane aveva vissuto la città illuminata dalla luna persino tra le strade. Conosceva a memoria i rumori che avrebbe potuto cogliere: le risatine delle donne, i passi veloci di un ladro, il tintinnare dei bicchieri, i singhiozzi degli ubriachi. Dall’alto erano così distanti da non essere udibili. Dall’alto pareva un posto diverso.

Riconobbe subito la figura di Brienne quando la vide. Aveva ancora l’armatura addosso. Forse era rimasta là tutto il tempo. Era sicuro che lei l’avesse sentito, ma non osò avvicinarsi per poterla ammirare ancora una volta in contemplazione da lontano, interrogandosi su cosa più di tutto l’avesse spaventata così tanto, se il fatto che lui l’amasse o il fatto che volesse poterla sposare.
“Puoi avvicinarti se vuoi.” Interruppe lei il flusso dei suoi pensieri, senza neppure girarsi.

Jaime la raggiunse e studiò il suo viso. In apparenza rilassato, ascoltava il rumore delle onde, poggiata su quel solito muretto che dava sul mare aperto. Dentro invece pareva essere in tumulto. Correvano veloci sul suo viso emozioni che lasciavano il segno in una ruga, una screpolatura, una piega della pelle sulla fronte in mezzo agli occhi o sulle guance. “Ti aspettavo.” Riuscì a dire solo Jaime, come una constatazione ininfluente.

Brienne abbozzò ad un mezzo sorriso con un lato della bocca “Credevo non mi volessi.” Disse cogliendo l’ironia della cosa. Ogni loro comportamento era dettato dal fatto che nessuno dei due parlasse con l’altro, come era sempre stato da quando era cominciata. Avevano perso la capacità di comunicare. Forse potevano essere ottimi amici, ottimi cavalieri insieme, ma pessimi, pessimi amanti.

“Posso cominciare a fare una cosa nuova?” chiese Jaime raggiungendola, mettendosi al suo fianco e cercando di guardare lo stesso punto che fissava lei.

“Sarebbe?”

“Parlare.”

“E’ da quando ti conosco che non fai altro.”

Colpito, pensò. Ed avrebbe voluto dirlo ad alta voce invece di storcere solo il naso, ma non voleva perdere il filo. “Quello che ho detto oggi, non significava che aspetto solo il momento giusto per…” cominciò a spiegarsi, passando in rassegna gli ultimi giorni, l’idea di Castel Granito, quella di una dinastia da mandare avanti, quella di ricominciare in un altro posto lontano da quella città che era diventata davvero asfissiante con tutti quei re e cavalieri. Pensò ai figli che aveva perso e mai riconosciuto, a quello che non aveva avuto il tempo di crescere nel grembo di sua sorella prima che morisse con lei, al sogno mai realizzato di un uomo adulto di sposarla e vivere sotto la luce del sole. Forse avrebbe dovuto scusarsi con Brienne, perché stava proiettando quei vecchi desideri su di lei e non avrebbe dovuto. Forse era anche per questo che lei si sentiva offesa o come se le fossero cadute addosso tutte le aspettative che invece Jaime aveva riposto in Cercei. Era questo che stava facendo? O la guerra gli aveva fatto per davvero vedere le cose sotto un’altra prospettiva?

Provò a spiegare quel concetto quando lei lo interruppe con una mano in alto, prima ancora che cominciasse a parlare. “Jaime.” Cominciò con voce ferma “Sono stata cresciuta nella convinzione di dover sposare un lord delle terre o delle isole di vattelappesca ed avere dei figli. Ho aspettato quel lord, sono stata ripudiata da tanti altri e ha fatto schifo, fino a che non ho preso una spada in mano. Jaime, io sono questo.” Agitando la spada nella sua fodera, appesa al suo fianco.

Jaime riusciva a vederla quella Brienne, la ragazzina a cui erano stati inculcati i valori di qualcun altro, la convinzione di dover servire un popolo ed il bene più grande, come ogni ragazza di alto rango. Se la immaginava una septa che le spiegava come accontentare un uomo, come tenerselo, come generare dei figli. Aveva visto con Cercei da lontano quella educazione, mentre lui era libero di scegliersi la strada che preferiva. Per reale volontà o spirito di ribellione. Ripensò alla sua spada, alle ragioni per cui anche lui aveva deciso di impugnarla, a ser Arthur Dayne, al destino di sua sorella, al trono. “Non sei una spada.” Disse Jaime, ripetendo a voce alta quello che aveva imparato anni orsono. “Ed il cavalierato è una stronzata. Sono giuramenti ipocriti, fatti per ragazzini ipocriti che non conoscono ancora niente della vita.” Fece, ripercorrendo a mente tutto il suo percorso.

“Un tempo non la pensavi così.” Fece lei tristemente.

“Un tempo ero un ragazzino ipocrita.”

Brienne prese un respiro profondo. Il vento gonfiò il suo mantello bianco, la luna illuminava l’armatura dorata. Trattenne l’orlo del tessuto per sentirlo sotto le dita, tastare il coronamento di un sogno. Guardò Jaime e si chiese se fosse lui o il mantello che preferisse. “Credi che io sia ipocrita?”

“Credo che tu sia debole.”

“Come scusa?” fece lei improvvisamente irritata, sbottandosi ed affrontandolo finalmente faccia a faccia.

Jaime sorrise sotto i baffi. Abbassò il capo e cercò di trattenersi. L’aveva conosciuta mentre si ergeva sola donna in un esercito di uomini, mentre maciullava soldati armati, mentre forte dei suoi principi e dei suoi valori stringeva promesse e giuramenti e, fedele a sé stessa, cercava di mantenerli. Quello in cui credeva la rendeva forte. “Hai paura.” Si corresse Jaime, cercando di cancellare quella risatina saccente. “Non riesci ad ammettere di essere cambiata. È questo che ti rende debole.” Spiegò poi saggiamente “Credimi, lo so.” Aggiunse, ricordandosi di quel giorno in quell’arena prima della guerra, quando fu Brienne stessa a parlargli, a farlo ricredere sulle alleanze ed i valori di una vita, a fargli vedere il cambiamento in sé stesso che prima non riusciva ad ammettere. Era stato un processo inverso il suo, ma ugualmente importante e pesante da digerire. Aveva dovuto accettare di non vedere più sua sorella come la vedeva all’inizio. Aveva dovuto accettare di essere un cavaliere che aveva giurato di difendere i vivi ed i deboli. Aveva dovuto accettare che l’amore in cui credeva si era dissolto dopo anni, in cui era diventato prima un’abitudine poi niente più.
Jaime attese una risposta che pareva non arrivare mai. Forse aspettava soltanto che lei decidesse che fosse ora di andare a dormire e si incamminasse verso la sua stanza. La guardava contemplare la luna sopra al mare, il cono luminoso che disegnava tra le onde, il disegno di un’estate “Ti lascio sola.” Disse lui alla fine. “Ser.” Fece pure cominciando un inchino.

Brienne si girò di soprassalto, come scossa da qualcosa. “No.” Ebbe solo il coraggio di dire ferma e flebile. Detestava essere messa alle strette, detestava che lui anche se innocentemente le facesse una cosa del genere. Avrebbe voluto che la spronasse forse fino a farla incazzare o che muovesse lui i fili fino a farla cadere, tutto ma non farle provare quella ostinata disperazione che pareva averla pervasa. Si sentiva debole, proprio come lui le aveva detto.

“Vengo nella tua stanza?” chiese immediatamente Jaime raggiungendola. In un lampo era da lei, tutto attorno al suo corpo, abbracciandola, accarezzandola, stringendola.

Brienne si lasciò stringere ed abbracciare. Sospirava col capo nascosto nel suo collo, mentre scuoteva la testa e gli diceva che no, non voleva. Quella torre, quegli alloggi, tutte le sue nuove cose, persino il mantello la strozzava e toglieva il fiato. Era come una morsa da cui non si riusciva a liberare. Se ne voleva andare addirittura. A volte quello che vogliamo così disperatamente non è quello di cui abbiamo bisogno, considerò. E Brienne aveva bisogno di sentirlo vicino, di essere amata.
Se Jaime fosse morto per davvero, Brienne sarebbe andata avanti. Avrebbe messo da parte tutto quello che provava ed in un modo o nell’altro ce l’avrebbe fatta. La sua esistenza così costante invece nella sua vita la metteva in crisi su un nuovo piano. Il fatto di essere ricambiata poi le apriva nuove strade e nuove possibilità. Per tanti anni si era cucita un personaggio addosso tagliato a modello delle sue esigenze. Se quelle esigenze non fossero più esistite, sarebbe crollato tutto. Irregolare quel vestito si scuciva, lasciandola nuda, esposta. La vera Brienne, una donna che tra le altre cose Jaime conosceva, rendendola ancora più debole, indecisa ed insicura.
Lo abbracciò e lo tenne stretto, scivolando sulla pietra divenuta calda nella notte. Rimasero seduti a lungo. Complice il buio, scivolavano quasi a turno in un fragile ed agitato dormiveglia, fino a quando il mattino non li sorprese e dovettero di nuovo separarsi.
 
***
 
Quel mattino, senza neanche passare più per la sua stanza, un posto come un altro che utilizzava solo per dormire, Jaime raggiunse suo fratello per la colazione.
Da quando si erano ritrovati, durante tutta la sua convalescenza, Tyrion era diventato di nuovo il suo migliore amico e confidente. Conosceva tutto di Jamie, ne intuiva i pensieri e prima che lui riuscisse ad ammetterlo sapeva cosa voleva e cosa provava. Si riuscivano a capire con uno sguardo, che a volte sembrava addirittura superfluo. Tyrion era infatti dotato di una particolare intelligenza retorica e linguistica, oltre che di forte empatia nei confronti del fratello. Gli piaceva parlare, sbattergli in faccia i suoi stessi problemi, forse per contrastare come l’acqua col fuoco la riservatezza di Jaime che tanto aveva biasimato negli anni. Anche a Jaime piaceva quello scontro verbale. Se certe volte gli pareva difficile arrivare ad una qualche soluzione, Tyrion lo metteva di fronte ad una nuova prospettiva, semplicemente e brutalmente insieme, come era solito anche lui affrontare le cose.

Quando Jaime entrò nella stanza, suo fratello alzò la testa da un mucchietto di carte impilate sparse sulla scrivania. Accanto a lui riposava un cesto di frutta, del pane ed una brocca d’acqua. “Che faccia.” Gli fece con fare occupato, spronandolo a modo suo ad accomodarsi ed a parlare quanto prima. Un modo come un attimo per accorciare i tempi.

Jaime sospirò, raggiunse la scrivania e si sedette a guardarlo. “Per certi versi sembri nostro padre.” Considerò. Forse era il suo modo di fare indaffarato oppure l’espressione corrucciata che aveva sul viso quando si occupava di questioni politiche interne.

Tyrion non sorrise neppure. “Sei venuto qui solo per offendermi?” chiese, sempre con lo stesso tono piatto, un po’ stanco, sicuramente annoiato.

“Per la colazione.” Rispose Jaime. Si staccò poi con le dita diversi acidi d’uva dal grappolo. Si mise a mangiare e rimase in silenzio, fissando il vuoto di lato, in alto alla sua sinistra.

In realtà Tyrion era consapevole di ciò che stava affliggendo Jaime, così come lo era sfortunatamente il re ed una serie di altri consiglieri che avevano assistito alla scena della scorsa mattina. Probabilmente lo sapeva tutto il castello e Jaime stava ancora là con un’espressione sciocca dipinta sul viso. Non che non avesse tempo per lui, anzi, sempre. Era stanco più del fatto che pareva essere lì per richiedere consigli che sarebbero stati ovvi per chiunque, a cui sarebbe dovuto arrivare con un giro di parole non da poco “È successo qualcosa?” chiese.

“No.” Rispose l’altro continuando a masticare “Calma piatta.”

Tyrion lasciò perdere i suoi bilanci, le missive e tutte le altre carte. Incrociò le mani davanti a sé coi gomiti sul tavolo e si mise a guardare attentamente suo fratello, che intanto lo evitava. “Dobbiamo trovare solo qualcuno che perori la tua causa.” Disse poi, attirandone finalmente l’attenzione e seguendo poi il suo sguardo scettico “Sono sicuro che il Lord Bronn di Altogiardino sarà dalla nostra parte. Probabilmente anche Lord Tarly.” Poi prese a tamburellare le dita sul tavolo, come se sotto la sua mano ci fosse ogni parte del regno, che poteva controllare con la punta del polpastrello. Pareva progettare più in grande, vedeva qualcosa che avrebbe potuto finalmente cambiare per migliorare, un’occasione di progresso. Tyrion si considerava in questo senso il re Mida delle opportunità sociali. In effetti somigliava a Twyn Lannister, anche se di colore più liberista. Quello che gli mancava rispetto al padre era solo una certa capacità militare, che però compensava bene in mediazione politica, rendendo le armi persino inutili e superficiali. Iniziava una nuova era ormai. “Re Bran è molto attento alla forma, alle opinioni di chi lo circonda. Democratico, si direbbe.” Disse alla fine per incoraggiare il fratello.

“Quale causa?” chiese solo Jaime, confuso da tutto quel parlare, senza lasciarsi distrarre dal fulcro del discorso.

“Quella sul celibato.” Rispose l’altro ovvio “Mi sono sempre chiesto che senso avesse, non ho mai conosciuto un cavaliere sopra ai trent’anni che non tornasse a casa dalla propria famiglia. Stava bene a tutti e tutti chiudevamo un occhio.” Considerò, pensando a come funzionavano le cose in passato e come stavano continuando ad andare. Gli pareva di riferirsi a leggi ormai antiquate, di cui nessuno più si curava. Erano come un vecchio vaso di ceramica che nessuno più usava, nascosto in un angolo da così tanto tempo che ci si era fatta l’abitudine.

Jaime sbottò ridendo sprezzante, persino acido “Che senso ha?” chiese. C’era sicuramente cose più importanti a cui badare che fregarsene di come e se usavano il cazzo giovani cavalieri che sarebbero comunque morti senza indugio per la causa.

Tyrion ne dedusse che quella donna con cui suo fratello andava a letto era ancora più testarda di quel che si aspettava. “Potresti sposarti e mantenere il cavalierato. Brienne potrebbe sposarsi.” Gli spiegò, imboccandogli il suo piano passo passo e dando per scontato che alla fine era in quel modo che sarebbero andate le cose.

“Non vuole sposarsi.”

“Gliel’hai chiesto?”

Jaime si bloccò sorpreso. “No.” Riuscì a sillabare, notando finalmente che Brienne non aveva dato nessuna risposta perché non le era stata fatta mai nessuna domanda. Sorrise e ripose tutte le sue speranze in quell’ultima occasione. Non sapeva come sarebbe andata, ma se non altro c’era ancora qualcosa da provare.
Mollò tutto, tornò in stanza e si lasciò cadere sul letto. Si addormentò abbandonandosi all’immaginazione, sognando Castel Granito, i muri bianchi, il mare sullo sfondo e Brienne al suo fianco.  

 


Angolo dell'autrice
Salve! Da quanto tempo vero? Sento di dover dare qualche spiegazione. Beh dunque, mi ero fermata qualche mese fa un po' perché nella mia testa la storia era già finita, un po' perché notavo un certo calo di interesse per la ship in generale. Nel senso, ho visto meno ff pubblicate, minor presenza dei gruppi su tumblr e mi sono fatta un po' trascinare da questi abbandoni. L'ispirazione è tornata quando un'utente mi ha scritto una recensione sotto un'altra ff. Sebbene per me questa storia fosse ormai conclusa (nel senso che avevo ben chiaro ogni passaggio fino alla fine) , ovviamente per chi la seguiva no. Ho deciso quindi di riprenderla in mano e pubblicare quel che ne resta, anche perché mancano ormai solo 1 o 2 capitoli. E quindi beh eccomi qua. 
Vi ringrazio quindi come sempre di essere arrivati fin qua e vi lascio con un abbraccio forte. A presto!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
 
Le onde avevano un effetto calmante per Brienne. Sin da piccola si era rifugiata nel mare per superare i suoi momenti difficili. Raggiungeva la spiaggia, guardava le onde ed a volte si immergeva quando il mare era in tempesta, per sentire il panico di essere schiantata a fondo e l’adrenalina quando si riusciva a rialzare. Era un modo come un altro di sentirsi forte e coraggiosa, come sapeva di essere, nonostante la realtà cercasse di convincerla costantemente del contrario.

Era nata donna e non l’aveva mai considerato uno svantaggio. Brienne cercava le sfide, le affrontava e le vinceva e quella era sicuramente la più grande di tutte. All’inizio, quando aveva conosciuto Jaime era costantemente irritata dal fatto che lui avesse ragione, che in fondo in fondo era una donna come le altre, nonostante il coraggio, il valore, l’armatura e la spada. Voleva essere amata ed amare come chiunque altro. Aveva amato Renly e si era dedicata a lui. Per anni era rimasta convinta che quel sentimento platonico fosse sufficiente. Poi era arrivato Jaime, così brutalmente onesto, così vicino. Jaime aveva così tanta fame di un contatto fisico da contagiare chiunque attorno. Un tocco dopo l’altro, Brienne aveva cominciato a farci l’abitudine, diventando però poi a mano a mano sempre più bramosa. Il sentimento platonico era allora cambiato, era diventato più maturo, quasi completo. Rivedersi ogni volta aveva creato un impulso, un’energia rimasta in sospeso più e più volte, fino a Grande Inverno e poi ad Approdo del Re.

Se doveva pensare a sé stessa, Brienne si vedeva come un cavaliere. Vedeva la sua armatura, la spada, tutte le imprese eroiche compiute e quelle ancora in sospeso. Vedeva il suo coraggio, la sua lealtà ed il suo coraggio, più che il suo sesso o il suo aspetto fisico. Non aveva mai neanche considerato l’ipotesi di poter condividere un destino diverso accanto ad un uomo.

Il fatto era che Brienne ad un futuro con Jaime non aveva mai pensato per due ragioni. La prima era che Jaime rimaneva comunque un cavaliere, esattamente come di recente anche lei, quindi non avrebbe mai potuto avere figli o sposarsi. Poteva solo brulicare nell’ombra. La seconda ragione invece, più articolata, era che tutto era stato sempre così fugace, così breve da non darle modo neanche di pensare ad un futuro. Riusciva ad immaginare ed accettare che Jaime volesse baciarla, che lui provasse una certa forma di affetto nei suoi riguardi, forse persino una strana attrazione che non si sapeva spiegare, ma mai che lui potesse volerla sposare. Credeva che prima o poi sarebbe tornata a camminare da sola.

Le passò per la testa persino il pensiero che come al solito, Jaime si stesse sottovalutando o svalutando addirittura, fino a punirsi. Da qui la sua decisione di incatenarsi a lei. Sebbene fosse fin troppo contorto, macchinoso ed inverosimile, aveva provato una fitta di rabbia nei suoi confronti. L’aveva fatta cavaliere, portando a compimento un suo sogno e poi glielo disfaceva davanti agli occhi di tutti. L’aveva fatta apparire una donna debole, indecisa. Ed in effetti lo era e lo detestava.

Era a tutte queste cose che aveva pensato quella notte, dopo il suo commento davanti al re, prima di incontrare Jaime ed anche dopo, al mattino successivo, quando tra una mansione e l’altra si ritagliava un momento di pausa.
Jaime aveva ragione, era debole, ma non per le ragioni che lui le aveva elencato. Lo era perché voleva quelle cose: sposarlo, avere dei figli ed invecchiare a Castel Granito. Ormai la sua vita e la sua carriera era avviata, rinunciarci sarebbe stato da vigliacchi, deboli, persino pensarlo lo era. Ricostruire l’immagine che aveva di sé stessa poi era da folli.

Nonostante tutti gli impegni era tornata là, sul mare. Il rumore delle onde che si infrangevano contro le alte mura del castello le regalava un senso di temporanea pace. Perdeva persino il conto delle ore. Non riuscivano nemmeno a deconcentrarla quei passi goffi e pesanti che si avvicinavano. Una presenza poi la raggiunse e le si mise a fianco. Brienne alzò gli occhi curiosa e vide Pod, il suo scudiero. Era cresciuto, davvero tanto, come si conviene per un adolescente. Aveva la barba, decisamente più peli, capelli più ordinati, vestiti più lussuosi e quasi sempre puliti. Era diventato anche alto. Con la punta dei capelli le arrivava al naso ormai. “Ma guardati.” Fece lei con voce malinconica “Sei diventato grande, ormai sei quasi un vero cavaliere.” Disse strizzando l’occhio alla spada che gli vedeva appesa alla cintola. Provò persino la tentazione di chiedergli perché non fosse col re, ad ottemperare ai suoi doveri.

“Oh, no, Ser.” Rispose subito lui con riverenza “Mai.” Aggiunse.

La donna prese un respiro profondo, guardò di nuovo il mare. Era libero. E proprio come il mare anche il mondo stava aspettando l’arrivo di un’onda di novità, di libertà ed uguaglianza. La gente sembrava più attenta ai temi sociali. Parole come quelle si sentivano spesso per le strade a svantaggio di altre come “rango”, “titolo” e “servitù”.
“Chiamami Brienne.” Fece lei adeguandosi “Sembra che Lord Tyrion stia diffondendo queste nuove idee di uguaglianza. Siamo uguali io e te. Respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua.”

“Abbiamo gli stessi diritti.” Continuò Pod per lei.

“Già. Immaginavo simpatizzassi per le sue idee.” Non che lei non lo facesse, anzi, sembrava proprio il corso naturale delle cose.

Pod scrollò le spalle e seguì gli occhi della sua Lady Comandante, persi nel blu dell’orizzonte. Cercò la stessa bellezza che stava guardando lei, senza però riuscire a coglierla. Avrebbe voluto parlarle, anche se ormai era abituato ai suoi silenzi. Sentiva che in quel caso potesse essere almeno un po’ d’aiuto, che la sua visione semplicistica delle cose potesse darle una mano. Sapeva che la sua Lady tendeva sempre ad ingigantire i suoi problemi, ma non trovò mai il coraggio di parlare e di dirle la sua.

Fu Brienne poi a rompere il silenzio, come al solito. “Prenderai mai moglie, Pod?” lo spiazzò con la stessa calma ed imperturbabilità della voce.

“C-cosa?”

Brienne sorrise. Ecco, era esattamente quello che stava provando anche lei “Vorresti sposarti? Avere dei figli?” chiese piatta.

Per Pod, quella monotonia della voce era sbagliata. Era cresciuto in una famiglia umile, dove ogni nascita o unione erano vissuta come una festa. Avrebbe voluto spiegarle tutto a parole, ma era difficile raccontare un concetto così difficile ad una persona che aveva sempre considerato più saggia di lui, come tenere una lezione ad un maestro. Persino quello era sbagliato ed il ragazzo suppose che proprio questo suo senso di inadeguatezza avesse consentito alle idee di Tyrion di attecchire “Io non…”

“Già, neanch’io ci avevo mai pensato.” Disse lei, ignorando quel processo interiore che lui stava vivendo “Non di recente. Non mi ci vedo più ora. Forse è più corretto dire che ci avevo rinunciato.”

Se c’era un’altra cosa che Pod stava imparando per le strade, dopo aver visto due draghi crollare, era che chiunque era in potere di fare qualsiasi cosa. Era assurdo poi credere che proprio Ser Brienne questo non l’avesse capito. “Tu puoi fare quello che vuoi, Ser…” disse “Brienne.” Aggiunse correggendosi.

Abbassa la maschera, Lord Tyrion! Pensò Brienne e sorrise di nuovo. “Grazie Pod, lo terrò a mente.” Non faceva che provare tenerezza di fronte a quel ragazzo. Prese un respiro profondo e decise che era ora di andare.
Avrebbe lasciato che il mare e le onde facessero il loro corso. Li avrebbe affrontati con coraggio, come faceva da bambina. Sarebbe caduta e si sarebbe rialzata, un po’ ferita, ma più forte di prima.
 
***
 
“Ti posso parlare?” chiese Jaime a cena.

L’ampio salone, gli ampi tavoli, la stessa cena servita a tutti alla stessa ora creava confusione. Si era sempre circondati da persone a cena. Le voci degli altri coprivano sempre la propria, rendendo difficile farsi sentire. Si era costretti ad urlare per parlare persino con il proprio vicino. Era difficile persino estraniarsi, qualche orecchio troppo curioso rimaneva sempre nel proprio raggio. Jaime fece cenno con un dito di raggiungerlo fuori. Neanche lui sapeva cosa intendesse per fuori. Persino fuori c’era troppa gente, la stessa che poi entrava ed usciva dal grande salone.

“Non puoi aspettare?” chiese Brienne, guardandosi nel piatto, invitando anche lui a notare che non avesse ancora finito di mangiare. Era solo un pezzo di carne maciullata ed appallottolata, cotta sopra olio e condita con una purea di patate, eppure pareva il pasto più importante della sua vita.

“No, davvero.” Rispose lui con impertinenza. Eppure, non ci poteva fare niente, di certo non costringerla a parole, né tanto meno strascinarla fuori con la forza. Prese un respiro profondo spazientito, come se l’atteggiamento evitante che Brienne stava perseguendo gli toccasse una qualche corda. “Ti aspetto su.” Disse alla fine, senza necessità di puntualizzare quale posto intendesse.

Si allontanò e qualcuno fischiò nella sua direzione. “Sei andato in bianco, Jaime Lannister!” disse quello per attirare la sua attenzione.

Jaime ci fece appena caso, come ad un rumore di fondo. Si fermò, guardò quel mezzo cavaliere, bardato del mantello bianco e dell’armatura luccicante. Gli spinse la testa nel piatto, portandolo ad imbrattarsi di patate ed olio. “Fottiti.” Bisbigliò solo e se andò.

Brienne lo seguì con lo sguardo. Pareva triste, disperato, malconcio dentro. Trattenne un pugno, stringendo le dita al tavolo e finse di continuare a mangiare indifferente. Era ormai arrivata ad una conclusione, che sperava arrivasse quanto più tardi possibile. Le faceva paura confrontarsi con Jaime. La cosa sarebbe potuta andare solo in due modi, nessuno dei due gradevole.

Batteva i piedi sotto al tavolo della mensa facendo tremare la sua sedia e quella affianco nervosamente. Un nodo le aveva definitivamente chiuso lo stomaco e si disse che se l’avesse raggiunto sarebbe definitivamente cambiato tutto di nuovo. Sentiva le viscere contorcersi e se non le avesse fermate presto avrebbe vomitato.
Non voleva perderlo.

Si ritrovò a camminare per i corridoi e su per le scale, senza neanche sentire i suoi piedi che la stavano portando da lui. Quando raggiunse i balconi, l’aria fresca così innaturale per l’estate la colpì in pieno viso come un vento. Eccolo il vento, quei cambiamenti, le onde che stava ormai aspettando. Raggiunse Jaime con rinnovato coraggio e si portò accanto a lui, come aveva fatto lui stesso una sera prima.

L’uomo si voltò verso di lei e si poggiò coi gomiti sulla balconata di pietra. I vestiti gli si incollarono addosso, spinti dal vento, disegnandone la figura longilinea che stava riprendendo il tono di un tempo. Indossava abiti da camera, che Brienne non aveva notato prima. Erano dei semplici pantaloni, una semplice casacca e degli stivali infilati di corsa “Ci ho pensato molto.” Cominciò lui subito, come se non aspettasse altro che parlare. Giocava con le dita nervoso, tamburellandole sulla pietra che gli lasciava una sottile polvere bianca sotto i polpastrelli. Le guardava una spalla, la bocca, la fronte, ma non gli occhi, come se la stesse evitando, quasi non avesse il coraggio.

Eccolo, il momento in cui sarebbe tutto finito. C’era quel suo modo premuroso di parlare, di accoglierla, di confrontarsi con lei che non avrebbe mai voluto perdere. Se l’avesse lasciato continuare, se avesse lasciato le cose come stavano, gli avrebbe chiesto un altro abbraccio e non l’avrebbe mai più lasciato. “No.” Lo fermò allora subito.

Il viso di Jaime si corrucciò. Non era così che si era immaginato sarebbe andata e tutto quello che voleva era che lei lo lasciasse parlare. “Posso andare avanti?” chiese sperando di poter virare sull’ironia, senza lasciarsi preoccupare da quel broncio che ormai portava da tutto il giorno. Il viso di Brienne era diventato paonazzo. Gli occhi si erano cominciati a bagnare di lacrime ed aveva chiuso le labbra perché non le uscisse alcun singhiozzo dalla bocca. Faceva solo segno di no con la testa e Jaime si chiede a cosa stesse rispondendo di no.

“Non sai neanche cosa voglio chiederti.”

Brienne si strinse la pancia con le braccia. Cominciava a sentire un dolore irradiarle da dentro, dal centro del cuore, fin dentro allo stomaco. “Jaime, non posso.” Cominciò a biascicare, riuscendo a malapena a guardarlo in viso. Cercò di riprendere fiato, ricacciò dentro le lacrime, si poggiò al muretto e tirò su quanto più aria poteva. “Io sono questo.” Disse indicandosi l’armatura, ricordandogli ancora una volta che era quella strada che aveva deciso di seguire da anni.

Jaime non ci riusciva a credere. Neanche aveva avuto modo di parlare. La sua domanda rimase sospesa tra loro. Non le aveva ancora chiesto niente, non aveva ancora sentito tutto quello che aveva in mente, quindi cosa stava rifiutando esattamente? Le avrebbe detto tutto il suo piano e solo così, dopo aver sentito tutto, avrebbe accettato il suo rifiuto. Quel barlume di speranza provato da quando Tyrion gli aveva illuminato la via non se ne sarebbe andato così facilmente. “Vuoi essere un fottuto cavaliere?” chiese preso dal fervore, puntandogli il dito contro l’armatura “Bene, vieni ad essere un cavaliere con me, ad ovest, a Castel Granito. Anche là la gente muore di fame ed ha bisogno di aiuto.” Disse poi indicando il mare.

Quell’attacco spiazzò Brienne. “Che cazzo significa?” chiese brusca.

Jaime avrebbe voluto essere calmo, avrebbe voluto ignorare la sua inutile cocciutaggine, l’armatura che indossava sempre, i vestiti dietro a cui si nascondeva persino da lui. Glielo voleva chiedere là, in quel posto tanto speciale per lei, sotto la luna. Una cosa che neanche con Cercei si era mai immaginato di fare. Aveva persino pensato di fare l’amore là, come una coppia di novelli promessi, teneri, caldi, così presi l’uno dall’altra. La rabbia di lei, il suo continuo temporeggiare, il modo in cui l’aveva evitato apposta, le voci di tutta quella gente che neanche gli aveva mai rivolto la parola, tutto fece scattare anche la rabbia di lui. “Che ho smesso di prendere decisioni per compiacere qualcun altro.” ringhiò “Non rimarrò qua perché un altro Re me lo chiede o per un’altra donna che ha tutta l’intenzione di preservare il mio celibato alla luce del sole e venire a letto con me di nascosto.” Le disse indicandola. E già, era proprio così. Si stava comportando proprio come Cercei. “E che cazzo succederà quando non sarò abbastanza attento e ti renderò gravida?” e preso dal ricordo di quel che era successo nelle ultime quattro volte, della promessa neanche alla fine mantenuta da Cercei, diede un calcio ad una di quelle stupide colonnine di marmo, che cadde e si frantumò. Brienne indietreggiò, sorpresa dal suo scatto di rabbia.

Il rumore e la confusione attutirono la collera ed il dolore che Jaime provava al piede. Chiuse gli occhi, strinse il pugno. Nella sua mente riusciva a stringere anche l’altro. Poi sospirò, una calma strana lo prese, come se avesse finalmente preso una decisione. “Io torno a Castel Granito.” Disse, formalizzando l’impulsiva decisione. “E ti chiedo di venire con me e sposarmi.”

Brienne si portò una mano davanti alla bocca. L’aveva detto. Jaime le aveva davvero chiesto di sposarla. Stava piangendo come una donna qualunque. L’armatura le si fece troppo grande e troppo pesante addosso, così tanto che provò l’impulso di accucciarsi a terra e nascondercisi dentro come una tartaruga. E piangere, piangere e piangere. Si interrogò su quanto fosse ironico il destino, pensò a quanto in ritardo avesse sentito quelle parole, sul fatto che fosse stato un uomo di cui era effettivamente innamorata a pronunciarle. Pianse perché non era più quella ragazzina che stava aspettando quella domanda. Continuava solo a piangere ed a fare di no col capo. Nel frattempo, Jaime l’aveva raggiunta, l’aveva presa per le spalle e la guardava col suo solito modo amorevole, con quegli occhi carichi di sentimento e di speranza. “Non sono tagliata per questo.” Trovò solo il coraggio di dirgli, perché se lo meritava. Cominciava a credere di essere lei quella sbagliata, che si stava invece sopravvalutando di continuo, al contrario dell’altro.

Jaime sorrideva guardandola. Le lacrime di lei e quella reazione così forte l’avevano convinto che alla fine Brienne sarebbe capitolata, come quel giorno nella sua stanza. “Ti ci sembro io?” ironizzò puntandosi la mano al petto. La vide crogiolarsi nei suoi pensieri, in tutti i suoi dubbi, le sue incertezze. “Puoi essere sia forte che una donna.” Le disse tenendole stretto il viso, guardandola negli occhi con fare rassicurante. “Guarda la tua Lady Sansa, per la miseria!” sbraitò, indicando col naso per aria, dove presumeva si trovasse il Nord.

Brienne fece di nuovo di no col capo. Non voleva che lui pensasse di poterla avere vinta ancora una volta. “Lo sono già.” Rispose, forte del fatto di essersi sempre definita una donna e sempre forte. Si rassicurò però, forse era stato il suo abbraccio ed il suo calore a farle pensare che le sarebbe stato comunque sempre vicino.

Jaime sembrò ingoiare un groppo di saliva. “No, stai facendo finta da tutta la vita.” Le disse solo, confermando quelle che erano sempre state le sue impressioni su di lei: faceva tanto la forte, tanto la spadaccina, ma quello che il suo cuore dentro voleva era sentirsi una donna, come era appena stato. E per questo s’era spaventata. “Aspetterò che tu prenda una decisione, fino ad allora sarò qui.”

Brienne sembrò realizzare una parola alla volta quello che le aveva appena detto. Desiderò che persino le onde si zittissero per farla concentrare. La paura la prese all’improvviso. Significava che nel momento in cui avrebbe rifiutato la sua proposta non sarebbe più rimasto? “Jaime, vuoi andartene di nuovo.” Constatò a voce alta.

“No, questa volta sei tu ad essere andata via.” La baciò “Ci vediamo domani sera. Qua. Ti prego pensaci.” Le disse e la lasciò.
 
***
 
La aspettò per davvero là sopra.
Non che avesse molto da fare ancora ad Approdo del Re e quello era parte del problema. Passò il giorno successivo a guardare la gente affaccendarsi per le strade: chi ricostruiva, chi vendeva, chi comprava, chi beveva, chi chiedeva l’elemosina. E poi da un altro lato c’era un anziano, un maestro, uno dei pochi sopravvissuti. Era circondato da una schiera di bambini e leggevano o facevano operazioni di matematica, chi poteva saperlo. Quel gruppo era come un ciuffo d’erba che cresceva sulla cenere. La chiamavano scuola, gli disse Tyrion qualche giorno prima. La presenza di quel ciuffo d’erba l’aveva ispirato.
Il clima stava cambiando, l’estate finiva, lasciando spazio piano piano ancora all’autunno. Il verde in lontananza si stava ingiallendo. Là in fondo, durante l’inverno, un incendio aveva raso al suolo le mura che ancora rimanevano aperte. Era venuta la primavera che Jaime non avevano visto, poi l’estate e la natura era rifiorita dove l’uomo aveva portato distruzione.
Tutto quello che aveva vissuto l’aveva reso saggio. Non si riconosceva più nello Jaime sterminatore di Re, né nel leone dei Lannister. Erano diventate tutte parole vuote, così come anche lui prima era.

Non dovette aspettare molto perché Brienne lo raggiungesse. Di nuovo come la sera prima il vento tirava forte. L’aveva fatto dal pomeriggio, poi il sole aveva cominciato a calare. Il freddo gli schiaffeggiava la pelle, ma non gli importava, significava che era vivo. Sul volto di lei era stampata già la sua risposta.
Prima che lei cominciasse a parlare, volle guardarla e ricordarsela così, con la luce del sole arancione che le illuminava il viso, sotto le nuvole rosa che esaltava la sua pelle, con i capelli appena un po’ più lunghi che si muovevano con i fischi del cielo in ciocche spesse appena arricciate sulle punte. Decise che era così che l’avrebbe ricordata: ancora giovane, ingenua, ostinata, innamorata, forse persino preoccupata di arrecargli altro dolore.

Brienne gli si avvicinò e lui la aspettò come la lama di un boia, ormai arreso. Quando gli fu di fronte cominciò a parlare “Jaime, non posso.” Gli disse. Si teneva ancora un po’ distante. Voleva sentirla un’ultima volta e tenerle la mano. Prese a fissare quelle mentre lei continuava “Devo essere fedele a quello che sono. Se le nostre strade non coincidono la decisione sembra semplice.”

Jaime sorrise amaramente. Credeva si amassero di più. Credeva che tutte quelle chiacchiere, le risate, le carezze valessero più di quella spada. Perché si trattava sempre di spade? Brienne fissata per la propria, Cercei per quelle del suo maledetto trono. Eppure, era giusto. Se Brienne non poteva garantirgli amore, se non poteva nemmeno farlo per sé stessa, se aveva conosciuto il sentimento vero, la condivisione ed aveva declinato, la decisione era semplice. A volte l’amore non basta e per lui non era mai bastato. L’avrebbe pensata negli anni avvenire. L’amore e la stima che nutriva per lei l’avrebbero aiutato ad aiutare il regno, servendolo. Magari un giorno l’avrebbe incontrata di nuovo ed allora l’avrebbe guardata da lontano, pensando a Grande Inverno ed alle notti fredde o all'estate tra quelle mura. Se lo aspettava. Non poteva dire il contrario.
Eppure, era finita troppo presto. Era certo che lei lo amasse fino a quel punto ed anche oltre. Era così che lei l’aveva fatto sentire.
Non gli rimaneva che accettare la sua decisione.  

Poi Brienne cominciò a piangere, di nuovo come la sera precedente. La guardò meglio e notò gli occhi gonfi. Non doveva aver fatto altro durante tutto il giorno. Alzò la mano, le accarezzò la guancia, le asciugò le lacrime, avrebbe fatto di tutto pur di consolarla.
“Io ti amo.” Scoppiò lei, dirompendo come o peggio quella notte in cui l’aveva lasciata sola a Grande Inverno.

Con uno slancio Jaime la raggiunse. Non era così che voleva sentirselo dire. Non era così che doveva andare. Non c’era da piangere. Avrebbe dovuto ridere, emozionarsi, arrossire. Così se l’era immaginata, così doveva andare, ma a volte l’amore non basta e Jaime lo sapeva, lo sapeva bene, fin troppo bene.
La tenne stretta e fu difficile alla fine lasciarla andare, di nuovo nelle sue stanze, dove l’avrebbe attesa un letto freddo, una notte insonne e poi il mattino coi suoi doveri, a cui era tanto devota.
“Vai.” Riuscì a sussurrarle. La baciò sulla guancia e la salutò come se le stesse dicendo arrivederci.
 
***
 
Quando era ferito, quando se ne stava comatoso in un letto tra la febbre e l’anemia, quando credeva che non si sarebbe più ripreso e non sarebbe mai stato più quello di prima, annegato nella vergogna e nell’autocommiserazione, Jaime aveva pensato che il tempo fosse un'invenzione. Che non esistesse alcuno scorrere di niente. C’erano solo persone che si muovevano nello spazio e che quel muoversi desse loro l’impressione del tempo. Da fermi il tempo non esisteva. Quando si prova dolore il tempo non esiste e questo l’aveva già imparato negli anni.
In passato aveva incontrato la noia solo di sfuggita. Si era lanciato in guerre, sfide, battaglie, tra le gonne di sua sorella o negli avvincenti discorsi di suo fratello pur di evitarla. Non cogliere lo scorrere del tempo o provare noia l'avrebbe portato a rimanere solo con sé stesso, a scontrarsi faccia a faccia con quello che provava e col dolore che gli lacerava il petto. In passato a quel dolore Jaime non aveva mai dato spazio.
Ad Approdo Del Re, avrebbe voluto tornare ad essere quella persona. Quella infrangibile, quella animata ancora dalla gioventù e dal desiderio di vendetta.  Allora nascondeva il dolore, lo mascherava anzi.
In quei giorni troppo lenti, troppo immobili si trovò a doverlo affrontare, a perdere ed ad accettarlo come compagno. Non poteva combatterlo. Era inutile, senza niente da fare, senza una ragione per respirare. Provava dolore e si sentiva spaesato, mentre gli altri si muovevano attorno a lui, mentre il tempo scorreva per tutti ma non per lui.

Si era innamorato di nuovo di una donna che non lo amava allo stesso modo, non quanto lui amasse lei, non da rinunciare a tutto, non da dedicarglisi a pieno, non come anche lui amava lei.

I giorni passarono veloci, fin troppo. Il dolore divenne cupo, le lacrime più sporadiche, la ferita al cuore una bolla pulsante, colma di sangue pronta a scoppiare da un momento all’altro. La città diventava opprimente, grigia, gialla. E Jaime pungolava quel dolore. Si metteva a spiare Brienne dall’alto, con un velo di malinconia, guardando tutti i suoi sogni infranti che diventavano sempre più distanti. A volte pensava che in suo onore avrebbe dovuto mettersi d’impegno per fare di più, prendere d’esempio da lei e rendersi utile. Cominciare a cogliere di nuovo il tempo.

La lontananza, il dolore, la noia, quella voglia di tornare ad essere il Jaime combattivo che realizzava qualcosa, l’uomo onorevole che lei aveva creduto essere, tutte queste emozioni lo portarono poi davvero a prendere una nave ed a salpare verso Castel Granito, Lannisport e le terre ad Ovest. Avrebbe dato una mano per davvero. Avrebbe aiutato là quella povera gente. Là forse sarebbe diventato tutto più sopportabile, meno reale.

Chissà come l’avrebbero accolto.

“Lord di Castel Granito suona un po’ come un declassamento visti i tuoi precedenti.” Gli disse suo fratello Tyrion all’imbarco, mentre uomini più capaci in un gran baccano fissavano le corde, le vele, controllavano le ancore, il timone, la rotta. Jaime li guardò e pensò che qualche giorno di viaggio così gli avrebbe fatto bene.

“Avrete bisogno di più aiuti.” Disse ormai parlando al plurale “Dorne, Altogiardino e le Isole di Ferro non sono sufficienti. Anche se non sono sicuro sul come.” E forse guardò Tyrion con sguardo supplicante, chiedendogli di spiegargli come si fa a governare addirittura un castello.

“Te la caverai benissimo.”

“Sei tu quello intelligente.”

“Posso condividere il titolo.”

Finito lo scambio di incoraggiamenti, Jaime si perse di nuovo. Guardò ancora la nave, sperando che quella gli regalasse la sensazione di sollievo che tanto sperava. Cominciava a desiderare disperatamente quella lontananza. Prese un respiro profondo e guardò Tyrion, mano ufficiale del Re, con la sua spilla dorata che svolgeva il suo lavoro al meglio; la nave che l’avrebbe portato presto al suo luogo natale dove era sempre destinato a finire. “Siamo esattamente al posto che nostro padre aveva scelto per noi.”

Tyrion sorrise. “Non esattamente. Nostro padre aveva scelto una cella per me.”

“Non posso darti torto.” Rispose sorridendo Jaime, ma era un sorriso finto, che calò presto, rivelando quella tristezza ed impotenza che lo pervadeva ormai da giorni.

“Starai bene?” chiese l’altro preoccupato, cercando di consolarlo massaggiandogli la spalla, come se quel gesto avesse davvero potuto fare un qualche effetto.

“Ci proverò.”

“Tienimi aggiornato.”

“Anche tu.” Rispose e si sforzò di sorridere di nuovo. Anche Tyrion sorrise e sotto la barba Jaime riuscì a riconoscere il suo fratellino che tanto aveva amato e protetto, l’ultimo della sua famiglia rimasto, quello con cui scorrazzava nel castello d’infanzia. Lo abbracciò, gli promise che si sarebbero incontrati presto, ancora una volta, come sempre ormai.
Avrebbe voluto dare più spazio alle smancerie, ma si imbarcò e respirò il mare.
 
***
 
Tyrion era rimasto sul molo a guardare la nave andare via. Avrebbe voluto sentirsi solo triste, ma c’erano in più tanta rabbia, delusione ed amarezza. Pensò così tante parole per descrivere quello che stava provando, che se avesse voluto recitarle ad alta voce avrebbe impiegato più di cinque minuti. L’emozione che però più di tutte lo disturbava era la rabbia. Non cercava neanche di nasconderla, anzi voleva che si vedesse da fuori. Voleva che qualcuno notasse gli occhi rossi e le rughe vicino alla cicatrice sul naso.

Una persona più di tutte doveva vederla. Aveva notato la sua ombra alta ed imponente troneggiare sul pavimento di cemento grigio non appena la nave prese largo. Quella persona aveva avuto il coraggio di guardare Jaime andar via da lontano, nonostante sapesse che era lei la causa di quell'abbandono. Si era permessa di buttare via un affetto così grande dopo averlo ritrovato a stento. Di rinunciare ad un’occasione di essere felice da una volta nella vita, magari senza sentirsi neanche in colpa.

“Vuoi sentire da me una cosa che lui non ti avrebbe mai detto?” le disse Tyrion. Non sapeva quanto fosse lontana, se riuscisse a sentirlo, così urlò in modo che il messaggio le arrivasse forte e chiaro “Sei una stronza vigliacca.” Concluse e se ne andò con disprezzo, senza voltarsi, sperando che la fredda uscita ad effetto le avrebbe fatto ancora più male del dovuto.

Brienne rimase là a guardare la nave allontanarsi e diventare piccola. Avrebbe voluto che le parole di Tyrion colpissero tanto a fondo quanto lui sperava. Avrebbe voluto provare più dolore di quanto ne stava provando solo per poter fare ammenda. Lo amava, lo amava da morire e se gliel’avesse chiesto per lui sarebbe morta di nuovo. Lo amava così tanto però che non sarebbe riuscita a vivere invece per lui. Non poteva dare via tutto di nuovo. Non poteva più sentirsi debole un’altra volta. Aveva visto morire Renly e gli dei solo sapevano quanto l’avesse amato. Aveva vissuto l’abbandono e poi la morte di Jaime. Era stata lasciata indietro ogni singola volta. Così tante da non riuscire più ad immaginare di poter essere amata da qualcuno, così tante da non sapere più se avesse potuto reggerle e lo strazio che stava provando ne era la prova. Era andata a fondo e stava ingoiando acqua. Si stava lasciando schiacciare dalle avversità mentre Jaime le stava cavalcando.

Provò rimorso e voglia di rimediare. Riusciva a sentire solo le onde che ancora la tiravano giù.



 


Angolo dell'autrice
Eccolaaa
Ok, questo è il penultimo. Dopo questo c'è solo l'epilogo.
Vi ringrazio nuovamente per la partecipazione. Ringrazio in particolar modo un utente speciale che si sta prendendo la briga di scrivermi volta per volta :) 
Vi lascio con un bacio :* a presto

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
Quando Jaime arrivò a Castel Granito cominciò a respirare i ricordi di un tempo ormai andato. Quella terra raccontava quello che era e quello che era stato. Il castello imponente era ormai spoglio, vuoto e sporco. I magnifici arazzi di famiglia erano stati strappati ed abbandonati, forse dalle guardie della Madre dei Draghi, forse dagli stessi abitanti di quelle terre. Il porto, una volta centro di commercio a cui giungevano le migliori sete ed i migliori gioielli del paese, era diventato un parcheggio per piccoli pescherecci locali. Puzzava di pesce andato a male, di urina ed alcol.

Le terre dei Lannister erano state depredate e distrutte, la povera gente lasciata a morire di fame e pochi piccoli commercianti polarizzavano la ricchezza locale. Lo spirito di costruzione che aveva invaso Approdo Del Re non era mai arrivato fin in quel posto, abbandonato all’incuria. Più guardava quell’indecenza, più capiva suo padre Twyn che riteneva necessaria la presenza di una grande famiglia in quel castello.

Ed eccolo lì, l’ultimo piccolo stupido pesce dei Lannister che avrebbe cercato di nuotare in quello sporco stagno. Avrebbe voluto capirlo Tyrion, quando tanto voleva quelle terre. Avrebbe voluto vederlo in quel castello vuoto, dove l’unica cosa che sentiva era la sua voce che rimbombava. Era vuoto, sterile, inutile. Un posto come un altro dove finire il resto dei suoi giorni. Sarebbe stato la testimonianza vivente del declino del nome dei Lannister, lasciando invece a suo fratello il compito di reggerne il peso.
Si sentiva a suo agio tra gli scheletri della sua infanzia, tra quelli di Cercei, Twyn o sua madre. Era il posto dov’era iniziato tutto, da dove una volta sarebbe voluto fuggire. Jaime guardava le radure infinite, le spiagge, la pietra bianca che sapeva di salsedine e vedeva il ragazzino colmo di ideali che si allenava con la spada. Quel posto era l’emblema dell’innocenza infantile che a sedici anni aveva deciso di abbandonare per lei.

Ora che Cercei non c’era più si sentiva di nuovo vicino a quel bambino. Era in quello stesso modo che si era sentito con Brienne. Era tornato ad essere sé stesso, pulendo con lei quel cuore sporco che si era ritrovato. Aveva brillato di nuovo, in modo più spento rispetto al cavaliere della sua gioventù, ma brillava ed il motivo di quel luccichio era Brienne. Si sentiva sudicio e razziato di ogni più piccola emozione quando poi lei lo aveva lasciato.
Tornare a Castel Granito lo faceva sentire a suo agio in mezzo a tutta quella polvere. Era tornato come un figliol prodigo, accolto di nuovo in quel castello sporco, ma misericordioso.
 
***
 
Brienne accarezzò la copertina del Libro dei Confratelli dopo averlo chiuso. Aveva riempito la pagina di Jaime ed ormai non c’era più spazio. Aveva scritto del suo altruismo; di come fosse dedito a proteggere gli indifesi, proprio come aveva fatto quella volta che aveva perso la sua mano; della sua lealtà verso la regina, sua sorella; dei suoi voti rispettati. Solo un bel romanzo mitologico per ispirare le future generazioni.

Quando chiuse quel libro Brienne si rese conto che quello impresso sulla carta non era il vero Jaime Lannister. Jaime era prima di tutto fedele al suo cuore, o quanto meno lo era stato fino a prima di andar via. Quando chiuse quel libro, Brienne aspettava e sperava in un senso di pace che non sarebbe mai arrivato. Col passare dei giorni cominciava anzi a sentirsi arrabbiata. La rabbia le ribolliva sottopelle, pronta ad esplodere come una bolla purulenta.
Erano bugie, solo bugie: Jaime che le diceva che l’amava e poi la lasciava dopo essersi ritrovati ed aver passato ore magiche tra le mura di Approdo Del Re.
Era così strano stare là senza di lui.

Jaime era molto di più di quello che il cuore di Brienne bramava da una vita. Lo amava. Si era resa conto della portata di quel sentimento con la sua assenza. Per giorni era stata convinta che ce l’avrebbe fatta da sola, come al solito, come era sempre stata abituata a fare, fino a che la sua assenza era diventata asfissiante ed aveva iniziato a cercarlo in tutte le piccole cose, persino su quel libro. Sperava di ritrovarlo tra le quelle pagine, che ci fossero più parole di quelle che ricordava, che gli riportassero alla memoria il Jaime Lannister dei primi tempi, quello di cui poteva fare a meno.

Si era invece ritrovata a scrivere per colmare il vuoto. Chi meglio di lei?

Quello che aveva scritto era una farsa. Non era quello che ricordava, era la metà delle cose che aveva fatto. Un uomo non può essere solo la somma delle sue azioni. Mancava quella parlantina fluida e pungente che lo mettevano continuamente nei guai; quella tenacia con cui aveva imparato di nuovo ad usare una spada con la mano sinistra; quel sorriso che come una calamita richiamava uomini e donne, persino Brienne stessa, che si ritrovava a gravitare in quel vortice, senza notare che era lui invece a trovarsi attorno a lei su una sua orbita. Poi c’era quell’innocenza che cercava di nascondere, quella che aveva perso durante l’infanzia e poi stranamente ritrovato e che gli illuminava gli occhi. Jaime era tutto questo, non soltanto un cavaliere. A volte Brienne pareva dimenticarlo.

Cos’era lei allora? Un cavaliere? Una donna? Entrambi?

Aveva fatto bene a rimanere ad Approdo del Re per servire Bran Lo spezzato? Per inseguire la cappa bianca ed il controllo dell’esercito? Per ambizione? Non remava contro ogni principio che aveva adottato da ragazza, dopo aver imbracciato la sua prima spada? Non aveva seguito Renly Baratheon perché credeva potesse diventare re. Né aveva servito Cathelyn Stark perché pensava che suo figlio potesse sedere sul trono di spade. O Sansa Stark, perché fermamente convinta che avrebbe regnato presto al Nord. No, l’aveva fatto perché era la cosa giusta, perché erano persone giuste. Che ne era stato della Brienne di un tempo?

Ecco allora come ci si doveva sentire a tradire sé stessi. Arrabbiati, stupidi, irremovibilmente fermi sulle proprie posizioni per non dover ammettere la verità e provare vergogna.

Brienne si accasciò a sedere, da sola nella sua stanza alla sua scrivania, con le mani sulla fronte. Sbirciò il bianco luccicante del suo mantello, l’impegnativo drappeggio decorato d’oro che la distingueva dagli altri cavalieri. Strizzò gli occhi, sperando di cancellare il fastidio che stava provando. Quando li riaprì quel prurito era ancora là, misto a disperazione e vergogna. Vergogna per non averlo capito prima, per averlo lasciato andare. Perché aveva ragione, era stata una codarda.
 
***
 
Si ritrovò nelle stanze degli altri cavalieri prima ancora di riflettere su quel che stava facendo. Si sentiva presa da una smania di sistemare le cose, di recuperare quello che aveva perso, sperando di poter cancellare le scelte sbagliate. Corse nel castello in punta di piedi, eccitata abbastanza da esser veloce e lenta abbastanza da non far rumore. Contò le stanze numerandosele sulla punta delle dita, fino a raggiungere quella che stava cercando. Controllò la serratura che per fortuna era aperta, come lei stessa gli aveva insegnato ed entrò.
Podrick Payne dormiva nel suo letto, grande quel che bastava perché ci entrasse disteso sulla schiena. Abbracciava l’orlo delle coperte arrotolato sotto al collo. Dal focolare la brace emanava scaglie di luce rossa, dalla finestra invece la luce bianca della luna, ovattata dalle nuvole, rendeva visibile il contorno degli oggetti che le stavano attorno.

“Pod?” chiamò Brienne, aspettandosi di svegliarlo con un solo bisbiglio.

“Hm” si lamentò lui mugolando tra le labbra. Scosse leggermente la spalla per scacciare qualunque cosa l’avesse disturbato.

Brienne sbuffò impaziente. “Pod, sveglia.” Insistette.

Il ragazzo aprì gli occhi all’improvviso, come se qualcuno l’avesse strappato dal sonno con la violenza. Mise a fuoco cercando di capire chi gli stava accanto, prima di biascicare un assonnato “E’ successo qualcosa? Chi è…”

“No, nessuno.” Lo rassicurò Brienne “Sono venuta per salutarti.” Spiegò poi. Cercò di nascondere dietro uno sguardo cupo quella frenesia che da qualche ora l’aveva presa, senza riuscirci. Quella che Pod si trovò davanti era una Brienne ansiosa ed irrequieta.

“Dove…?” provò a chiedere lui.

“Castel Granito.”

Pod sospirò accondiscendente. Forse l’aveva già capito e se lo aspettava. Forse ci sperava, ma gli dispiaceva saperla andare via.  

“C’è un’ultima cosa. Posso contare su di te?”

Quello fece sì con la testa nel buio.

Brienne staccò il mantello dalla sua armatura. Accarezzò per l’ultima volta il pesante tessuto bianco ed oro. Si era sempre chiesta quale fosse il senso dietro quella scelta di colori: al buio risplendevano. Mentre ne sentiva la trama delle cuciture sotto alle dita per l’ultima volta, pensò a come si fosse lasciata corrompere così facilmente, senza neanche fermarsi a pensare; pensò al suo passato, alla sua storia, a come aveva sempre scelto di non schierarsi con alcuna casata in ogni guerra interna, a come fosse contato sempre il bene più grande per lei. “Consegnalo a Lord Tyrion domani mattina.” Gli chiese “Per favore.” Aggiunse, per trattarlo da suo pari.

Pod titubante allungò le mani, lasciandole il suo tempo per abbandonare il mantello, come se fosse un lungo addio. Poi quando lei fu pronta, lo prese tra le mani, lo soppesò sulle braccia e lo tenne sulle gambe, timoroso anche solo di poggiarlo sul suo letto. Non voleva che si sporcasse. Sospirò e poi guardò Brienne che continuava a seguire l’oggetto con lo sguardo. “Le cose che facciamo per amore.” Disse Pod, ripetendo una frase che una volta aveva sentito dire, neanche ricordava dove.

La donna alzò gli occhi stupita, all'improvviso, quasi avesse visto un fantasma. Quelle poche parole suonarono come un segno di aver fatto la scelta giusta alle sue orecchie. Sorrise e pensò a Jaime, alla prima volta che si erano incontrati, alla lunga avventura in su e in giù per tutta Westeros, ai giorni passati al Nord e poi nella capitale. Sembrava tutto averla preparata per confluire in quel momento. La sua vita si stava chiudendo come un cerchio, pronta poi ad aprirne un altro in cui però non sarebbe stata da sola. O almeno lo sperava. “Le cose che facciamo per amore.” Confermò.

Salutò Pod con lo sguardo e corse via fino alle stalle. Sellò il cavallo che le parve più riposato e lasciò la fortezza. Davanti ai cancelli due guardie le sbarrarono la strada Le guardò con timore, sperando che non fosse stato Tyrion Lannister ad ostacolarla, decidendo per suo fratello e per lei che Brienne non avrebbe dovuto rivedere Jaime mai più. Quando alzò gli occhi però quello che vide fu Re Bran alla finestra. La guardava con le mani che stringevano i braccioli della sua sedia. Una coperta di lana col simbolo degli Stark gli copriva le gambe.
Ancora una volta Brienne credette che non l’avrebbe lasciata andare. Nella sua testa ogni persona che le capitava di incrociare lungo il suo cammino, si stava frapponendo tra lei e Jaime. Sempre che lui l’avesse ancora voluta.

Il re guardò Brienne, come a cercarne di capire le intenzioni, poi sembrò aver visto qualcosa. Chiuse gli occhi soddisfatto di qualunque cosa avesse potuto leggere a quella distanza nello sguardo di lei. Fece un cenno a quelli che le aprirono la porta.
Brienne fuggì allora da Approdo Del Re, col favore della notte e di Bran Lo Spezzato.
 
***
 
Quando arrivò a Castel Granito rimase per molto tempo ad ispezionare le terre, prima da lontano, poi sempre più da vicino. Voleva conoscere la gente, il profumo delle città, quello del mare e delle campagne. Era quello il posto dove Jaime era nato e cresciuto. Brienne aveva indugiato sull’idea di visitare quel posto quando lo credeva morto, fino a qualche mese prima. Poi era diventato sempre meno importante, fino a quando non l’aveva lasciata ancora ed allora aveva cominciato a cercarlo di nuovo. Sperava che tra le persone riuscisse a riconoscere quello spirito piccante e gioviale tipico dei Lannister, tipico di Jaime e di suo fratello Tyrion.

Avrebbe potuto semplicemente avvicinarsi, cercarlo, parlargli, ma più la distanza diminuiva più un altro tipo di angoscia faceva strage del suo coraggio. Aveva paura che lui potesse non volerla più, che si fosse dimenticato del suo decantato amore per lei. Aveva paura che provasse repulsione per lei, ora che anche la sua ostinata tenacia ed il suo bianco candore se n’erano andati. Aveva paura di aver perso ogni cosa di lei che lo attraesse. E poi c’era sempre la possibilità che avesse trovato un’altra, che un’altra donna più giovane e più bella di lei potesse avergli rubato il cuore.

Per tutto quel tempo si era tenuta a debita distanza. Era meglio sperare che niente fosse cambiato, piuttosto che vedere coi propri occhi di essere stata dimenticata. Rimase nascosta fino a quando qualcuno cominciò a mormorare della sua presenza. Ebbe paura che quelle voci arrivassero anche a lui.

Il cuore le martellava nel petto. Pareva rimbombare e produrre un rumore sordo contro l’armatura. Era diventata così pesante da volersela togliere. Tutte quelle stringhe sotto al collo le mozzavano il respiro. Si tenne stretta le redini del cavallo che si era portata appresso mentre avanzava a viso scoperto, sotto un sole tenue di primavera lungo le vie di Lannisport verso Castel Granito.

Quando raggiunse la fortezza, trovò tutte le porte aperte, alcune persino scardinate ed abbandonate nel cortile. Chiunque sarebbe potuto entrare per dormire, rubare o ammazzare i suoi abitanti nel sonno. Lasciò il suo cavallo all’ingresso e continuò ad avanzare, stringendo la spada ed a mano a mano sciogliendosi e dimenticando pezzi di armatura lungo il cammino. I pavimenti erano stati da poco ripuliti, un sottile strato di polvere fumosa li ricopriva. La sala principale era ariosa e luminosa, completamente diversa dalla Fortezza Rossa che si trovava più a sud. Gli arazzi della famiglia Lannister erano appesi quasi su ogni muro: leoni dorati su fondo rosso inquietavano ed opprimevano chiunque li guardasse, come a fare sfoggio di una regale potenza e ricchezza, così diversa dal selvaggio lupo di casa Stark.

Il rumore dei suoi passi rimbombava nell’ambiente, rimbalzando tra un muro e l’altro. Ed ora? Dov’era Jaime? Esplorò il castello, la sala da pranzo, quella dei ricevimenti, i piani più alti con le camere da letto. Tutto era deserto.

Qualunque cosa avesse provato negli ultimi giorni ritornò quasi più forte a farsi sentire: la preoccupazione, l’ansia, l’amore, la rabbia, culminando alla fine in disperazione. Lasciò che uscisse ancora una volta tutto fino ad emettere un gemito ed accasciarsi al pavimento. Successe all’improvviso che si ricordasse delle conversazioni avute sulla balconata davanti al mare. Brienne sentì l’odore del vento e della salsedine che la ispirò e la guidò passo dopo passo verso una torre bianca, dove le scale correvano a spirale al suo interno, distorcendo il suono del vento in fischi che quasi le ricordavano un temporale. Si immaginò il castello, nel pieno del suo splendore, magari solo pochi anni prima: le porte chiuse ed imponenti, alte e spesse talmente tanto da opporsi ai fenomeni della natura e cancellare quel suono. La guerra aveva portato via persino la tranquillità in quel posto.

Fece le scale a due a due, con l’armatura che ancora le pesava sulle spalle come togliendole tutte le energie. La fame di ossigeno e la fatica le facevano pulsare il cuore fin nelle tempie, fino a quando si trovò in cima ad una torre che si affacciava sul mare in ogni lato. Si girò da un lato, poi dall’altro ed alla fine eccolo là.

Jaime se ne stava a rivolgere le spalle al mare con fare pensieroso. I pantaloni gli fasciavano di nuovo le gambe, il lino scuro della sua camicia sbuffava dai bordi della sua giacca rigida di pelle battuta marrone. Si voltò appena col sole che gli baciava una guancia. Portava di nuovo i capelli corti e pettinati, la barba curata, gli occhi incupiti da un’ombra malinconica. “Mi chiedevo quando saresti arrivata.” Disse Jaime alla fine tetro. Gli angoli delle labbra gli si curvarono appena verso l’alto, disegnando una fossetta su una guancia.

Brienne stava ancora riprendendo fiato. La irritò pensare che lui la stesse aspettando, che la sua fosse una mossa premeditata, che fosse caduta come una preda nella sua trappola. La rabbia le si disegnò di nuovo sul volto, quasi avesse l’infantile bisogno di contraddirlo.

“Mi hai quasi lasciato andare.” Disse poi Jaime e finalmente il viso gli si aprì in un sorriso illuminato dal sole. Lui invece non poteva essere più felice di vederla là, sotto il sole, con l’armatura e l’odore di sale e mare che era ovunque. Aveva sempre odiato quel posto, quel castello. Faceva caldo, sì sudava, il sole era soffocante e solo l’aria salmastra riusciva a placare l'afa che gli mozzava il fiato. Realizzò che Brienne stava sudando anche lei. Era una cosa stupida da pensare, ma si sentiva di nuovo bene, come fosse una prova della sua presenza ed esistenza. Per la prima volta da tantissimi, troppi anni sentiva qualcosa che si stava avvicinando alla felicità. Brienne però non era felice. Perché non era felice? L’incertezza del salto, del futuro. La consapevolezza di non sapere se stesse agendo nel suo interesse o per seguire uno stupido sogno da ragazzina. Il sentirsi ingenua, innamorata, esposta, scoperta. Come poteva la paura portarla alla felicità? Jaime rideva. Come poteva ridere della paura di lei? Ed infatti non poteva, non avrebbe dovuto almeno.

Brienne gli suonò un ceffone, forte abbastanza da fargli piegare il collo dall’altro lato, ma Jaime rideva, non riusciva a smettere.
“Che hai da ridere così tanto?” gli chiese. Non ne aveva diritto, intanto pensava. “Hai avuto il coraggio di andartene di nuovo? Per ben tre volte? Rispondi!” urlò alla fine.

“A cosa?” le chiese finalmente Jaime guardandola negli occhi. Le si avvicinò ancora fino ad essere ad un respiro dal suo viso. “Devo fare finta di essere incazzato con te?” le chiese stanco di essere incazzato, di fare la guerra, di fare finta di ronzarsi attorno casualmente per così tanti anni “Anzi, sì, porca puttana, lo sono. Predichi il valore ed il coraggio e poi non hai le palle di affrontare me.”

“Già, non ce le ho.” Rispose stizzita lei. Mai nessun’altra affermazione poteva suonare più letterale.

Jaime roteò gli occhi, ad imitare quegli sguardi che era lei una volta a lanciargli, come quando le diceva una sciocchezza. “Che cazzo c’entra?” chiese ridendo poi ancora degli assurdi toni e dell’assurda piega che stava prendendo la conversazione.

“Sono una donna, okay? Ti amo e non ho neanche mai pensato che tu mi volessi sposare. Poi l’hai detto.” Disse e le vennero invece le lacrime pensando al momento più bello e disperato della sua vita. Lavarono via la rabbia dal volto di Brienne. Il busto le si muoveva in spasmi, la gola emetteva suoni come se non riuscisse a respirare. “Poi l’hai detto e volevo solo urlarti di sì, ma... Ma…” pensava che l’armatura, i modi di fare, i vestiti, la spada, il talento allontanasse chiunque, che le avrebbero impedito di soffrire ancora in futuro. Invece no, era tutto cambiato. Voleva che qualcuno si avvicinasse, la spogliasse, la toccasse. Voleva che qualcuno la amasse, ma senza tutte quelle cose era esposta, aveva paura. Quando Jaime se n’era andato da Grande Inverno aveva creduto di aver avuto ragione. Poi lui si era avvicinato ancora di più e... “Non ho mai avuto le palle.” Le mancava il coraggio di lasciarsi amare.

“Lo so.” Le disse e finalmente la abbracciò. Fu come tornare a casa. Lei forte, intelligente. Aveva fatto fuori i migliori cavalieri di Westeros. Letale, leale, gentile, calda, accogliente. Lei era tutto questo e molto di più. E l’amava, così tanto da passare inosservato all’inizio, prendergli l’inconscio e rapirgli i pensieri. Annusava l’odore dei suoi capelli che ormai sapeva di mare, di sudore e di crine di cavallo. Si nascose nella piega pulsante tra il collo e le spalle. Emanava calore. Jaime amava quel calore. La baciò finalmente. Era con lei ed era di nuovo a casa. “Ed ora?” le chiese alla fine con le labbra sulle sue.

“Io sono questo.” Rispose lei, battendosi le mani sui fianchi per sottolineare l’ovvietà.

“Lo so.”

Fu il turno di Brienne per nascondersi nel suo corpo. “Chiedimelo ancora.” Fece con la saliva che gli bagnava la pelle ad ogni parola.

“Mi vuoi sposare?”

“Sì.”
The end.




Angolo dell'autrice
Hello! Ed eccoci qua di nuovo ad una fine. O meglio eccomi qua.
Dunque, prima ovviamente i ringraziamenti. Ringrazio chi sta leggendo, chi pensa di recensire, chi ha aggiunto questa storia in qualche lista. Ringrazio genius_undercover in particolare, che ha cominciato da poco a lasciare recensioni e l'ha fatto seguendo le mie storie e di questo non potrei esserne più onorata.
C'è un clima di solennità coi finali, vero? Beh onde evitare di rovinarlo mi fermo qui. 
Per chi mi segue, faccio solo presente che continuerò winter's memory ed a breve posterò un'altra modern AU, lunga qualche capitolo. Bene, detto questo vi lascio. Vi invito a farmi sapere se la storia tutta vi è piaciuta e come vi è sembrata. Un abbraccio forte forte a distanza a tutti, mano sul cuore e bacioni cybernetici.
Summers

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