When we were young.

di slashsriffs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1994 ***
Capitolo 2: *** Think about you ***
Capitolo 3: *** Stuck on you ***
Capitolo 4: *** Amazing ***
Capitolo 5: *** November rain ***



Capitolo 1
*** 1994 ***


 

Lisa se ne stava lì, rannicchiata sul suo letto con una sigaretta in una mano e una rivista nell'altra, sfogliando di tanto in tanto e distrattamente le pagine che discorrevano troppo di moda e tendenze, gossip e pettegolezzi, ma poco di quello che stava accadendo nel mondo. Era il 1994, l'inverno freddo e le strade di Los Angeles affollate. Kurt Cobain era morto, suicidio o omicidio nel mondo del rock le persone si dividevano ora per l'una ora per l'altra fine. I suoi 27 di anni quasi tremavano al pensiero che alla medesima età uno dei più grandi rappresentanti del grunge, forse per una fucilata forse per una dose di troppo, riposava beato sulle nuvole, magari al fianco dei grandi della musica mentre si passano tra loro una canna. Sorrise all'idea, chissà se dopo la morte cosa ci aspetta. Sperava di non dover rivivere quello che aveva visto e sentito, tutte la gioia che portava con sé sempre dolore. Tra qualche ora sarebbe dovuta essere al Roxy, quel giorno toccava a lei lavorare sino al mattino dopo e sbuffó pensando che non aveva trascorso la giornata come voleva: dormendo. 
Inoltre quel posto le ricordava sempre i bei tempi. 
Erano trascorsi sei anni e l'ultima volta che l'aveva visto era stato per sbaglio, mentre era in centro per una passaggiata con l'amica Meredith e una folla accerchiava una limousine nera, e tra i flash dei paparazzi e le urla stridule delle ragazze riuscì comunque a riconoscere una chioma vaporosa e riccia, scura come la pece, svanire dietro la porta girevole. Lo avrebbe riconosciuto tra mille a chilometri di distanza perché per lei lui era stato l'unico. Nessun altro aveva 'fatto breccia nel suo cuore', nessuno aveva conquistato la sua fiducia, nessuno aveva dormito nel suo stesso letto. Tutto quel tempo si era concentrata su se stessa, il lavoro, la casa, mettendo da parte i ricordi, le foto, le promesse non mantenute e gli addii troppo dolorosi. Aveva letto del suo matrimonio, due anni fa. Fu una notte di pianto e amarezza, gelosia e malinconia. Ma il giorno dopo speró che fosse felice, che almeno lui nella vita riuscisse a realizzare tutti i suoi sogni, nonostante tutto. La loro era stata una storia passeggera, forse neanche si amavano, forse si amavano fin troppo da non ammatterlo a loro stessi. Lo capì quando sulla spiaggia si erano guardati per l'ultima volta, quando lui non si voltó al richiamo della ragazza che lo accompagnava, non dopo averle parlato con gli occhi.  Occhi che ammettevano paura e mancanza, risentimento e rimpianti. Lei infondo non aveva mai voluto lasciarlo. Avrebbe vissuto il resto della sua vita al suo fianco, non le importava della droga, se sarebbe morta dopo anni, mesi o giorni, ma l'avrebbe fatto. Pazza, le avrebbe detto Meredith preoccupata. Se solo non avesse pensato a lei, se solo non fosse stata così egoista.
Rimosse quei pensieri dalla mente, si alzò, versandosi un bicchiere di rum e portando la sigaretta alla labbra per aspirare profondamente. Il cielo pian piano stava oscurandosi, lasciando spazio alla notte, la finestra rifletteva debolmente il viso chiaro e tondo che fissava la strada, la bocca rossa da cui pendeva una Lucky Strike e i capelli corti e spettinati, erano tornati biondi dopo l'ennesima tinta. Si diresse verso il bagno, infilando tra un passo e l'altro una canotta bianca, tralasciando di indossare il reggiseno. Si aggiustó i capelli alla meglio, specchiandosi velocemente per poi tornare in stanza per indossare un paio di pantaloni larghi. Guardó la sigaretta spegnersi lentamente nel posacenere poggiato sul suo comodino, spense la luce e diede le spalle alla porta della sua camera per dirigersi a lavoro. Quella sarebbe stata l'ennesima lunga notte trascorsa tra ragazzine troppo ubriache e frenetiche e uomini approfittatori. Scosse la testa, prese un sorso d'acqua dalla piccola bottiglia che portava con sé da giorni nel suo zaino, a pochi metri da lei l'insegna del Roxy già illuminava l'asfalto. Entro, con passo lento ma veloce nello sfilarsi il cappotto, in quel posto il caldo era soffocante.
Lo sguardo era audace e sicuro, ormai tutti la conoscevano lì dentro. Non l'aveva più volte salvata, assicurando sempre un posto anche quando era stata lei stessa ad andarsene. Era quasi un padre per lei, riusciva a cacciarla dalle peggiori situazioni che potevano pararsi dinanzi ai suoi occhi. Era una donna ormai, i suoi 27 anni erano stati temprato da sofferenze e delusioni e non ci sarebbe cascata più così facilmente.

 

 

 

 

 

 

Lisa se ne stava lì, rannicchiata sul suo letto con una sigaretta in una mano e una rivista nell'altra, sfogliando di tanto in tanto e distrattamente le pagine che discorrevano troppo di moda e tendenze, gossip e pettegolezzi, ma poco di quello che stava accadendo nel mondo.

 Era il 1994, l'inverno freddo e le strade di Los Angeles affollate. Kurt Cobain era morto, suicidio o omicidio nel mondo del rock le persone si dividevano ora per l'una ora per l'altra fine. I suoi 27 di anni quasi tremavano al pensiero che alla medesima età uno dei più grandi rappresentanti del grunge, forse per una fucilata forse per una dose di troppo, riposava beato sulle nuvole. Sorrise all'idea.

Sperava di non dover rivivere, in un'altra vita, quello che aveva visto e sentito, tutte la gioia che portava con sé sempre dolore. Quell'anno, l'evitato schianto contro la Casa Bianca, la peste polmonare in India e le sparatorie a Brooklyn avevano surclassato i mondiali e la fine della costruzione del Tunnel della Manica. Il mondo stava andando a rotoli, come diceva Tyler, e infondo non gli si poteva dare torto. E loro altro non erano che spettatori impassibili davanti a quello che la vita gli riservava.

Tra qualche ora sarebbe dovuta essere al Roxy, quel giorno toccava a lei lavorare sino al mattino dopo e sbuffó pensando che non aveva trascorso la giornata come voleva: dormendo. Inoltre quel posto le ricordava sempre i bei tempi. Le notti trascorse a ballare, restare sino a tardi per aspettare l'alba, ascoltare musica sino a farsi venire la nausea, dimenticare quello che l'avrebbe attesa il giorno successivo. Uscire dalla porta sul retro, per evitare di ascoltare canzoni che le erano state dedicate, per poi ritrovarsi a spegnere sotto le scarpe la cicca della sigaretta mentre le lacrime solcavano le sue guance rosse. 

 

Ti ho vista in piedi,

da sola questo posto

è così vuoto per te

ma se hai bisogno di una spalla su cui piangere

o se hai bisogno di un amico

starò con te

fino all’amara fine.

Nessuno ha bisogno della malinconia,

nessuno ha bisogno del dolore,

odio vederti

camminare là fuori

sotto la pioggia,

quindi non punirmi e non

pensare che voglia fare del male a te

bensi a quelli che ti prendono

e poi ti abbandonano lontano

in attesa.

 

 

Erano trascorsi cinque anni e l'ultima volta che l'aveva visto era stato per sbaglio, mentre era in centro per una passaggiata con l'amica Meredith. Una folla accerchiava una limousine nera, e tra i flash dei paparazzi e le urla stridule delle ragazze riuscì comunque a riconoscere una chioma vaporosa e riccia, scura come la pece, svanire dietro la porta girevole. Lo avrebbe riconosciuto tra mille a chilometri di distanza perché per lei lui era stato l'unico. Nessun altro aveva 'fatto breccia nel suo cuore', nessuno aveva conquistato la sua fiducia, nessuno aveva dormito nel suo stesso letto.

Tutto quel tempo si era concentrata su se stessa, il lavoro, la casa, mettendo da parte i ricordi, le foto, le promesse non mantenute e gli addii troppo dolorosi. Aveva letto del suo matrimonio, due anni fa. Fu una notte di pianto e amarezza, gelosia e malinconia. Ma il giorno dopo speró che fosse felice, che almeno lui nella vita riuscisse a realizzare i suoi sogni, nonostante tutto. Lei ci teneva ancora, dopo tutti quegli anni che erano trascorsi.

La loro era stata una storia passeggera, forse neanche si amavano, forse si amavano fin troppo da non ammatterlo a loro stessi. Lo capì quando sulla spiaggia si erano guardati per l'ultima volta, quando lui non si voltó al richiamo della ragazza che lo accompagnava, non dopo averle parlato con gli occhi.  Occhi che ammettevano paure e mancanze, risentimento e rimpianti. Lei infondo non aveva mai voluto lasciarlo. Avrebbe vissuto il resto della sua vita al suo fianco, non le importava della droga, se sarebbe morta dopo anni, mesi o giorni, ma l'avrebbe fatto. Pazza, le avrebbe detto Meredith preoccupata. Se solo non avesse pensato a lei, se solo non fosse stata così egoista.

 

 

Rimosse quei pensieri dalla mente, si alzò, versandosi un bicchiere di rum e portando la sigaretta alla labbra per aspirare profondamente. Il cielo pian piano stava oscurandosi, lasciando spazio alla notte, la finestra rifletteva debolmente il viso chiaro e tondo che fissava la strada, la bocca rossa da cui pendeva una Lucky Strike e i capelli corti e spettinati, erano tornati biondi dopo l'ennesima tinta. Si diresse verso il bagno, infilando tra un passo e l'altro una canotta bianca, tralasciando di indossare il reggiseno. Si aggiustó i capelli alla meglio, specchiandosi velocemente, per poi tornare in stanza per indossare un paio di pantaloni larghi.

Guardó la sigaretta spegnersi lentamente nel posacenere poggiato sul suo comodino, spense la luce e diede le spalle alla porta della sua camera per dirigersi a lavoro. Quella sarebbe stata l'ennesima lunga notte trascorsa tra ragazzine troppo ubriache e frenetiche e uomini approfittatori. Scosse la testa, prese un sorso d'acqua dalla piccola bottiglia che portava con sé da giorni nel suo zaino, a pochi metri da lei l'insegna del Roxy già illuminava l'asfalto. Entrò, con passo lento ma veloce nello sfilarsi il cappotto, in quel posto il caldo era soffocante. Lo sguardo era audace e sicuro, ormai tutti la conoscevano lì dentro. Bob l'aveva più volte salvata, assicurandole sempre un posto anche quando era stata lei stessa ad andarsene. Era quasi un padre per lei, riusciva a cacciarla dalle peggiori situazioni che potevano pararsi dinanzi ai suoi occhi.

Era una donna ormai, i suoi 27 anni erano stati temprati da sofferenze e delusioni e non ci sarebbe cascata più così facilmente.

 

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Capitolo 2
*** Think about you ***


I clienti del Roxy erano ormai abituali, quasi poteva attribuire un nome ad ognuna di quelle facce. Spesso erano motociclisti o conduttori di tir a fare il primo ingresso nel locale la notte, essendo di passaggio.

Quella sera sul palco si sarebbero esibite delle ballerine di lap dance, le aveva intraviste mentre indossavano i top di pelle lucida striminsiti nel retro del teatro, dove anche lei era solita cambiarsi.

Le lampade rosse in stile lanterne cinesi illuminavano i bicchieri e i boccali sporchi, alle sue spalle una cinquantina ( se non più ) di alcolici erano pronti per esser sapientemente mescolati e versati. Almeno la ragazza del turno precedente si era degnata di rimettere in ordine gli sgabelli del bancone, spesso lasciati allo sbaraglio, e le sedie dei tavoli di metallo tondeggianti. A quell'ora il bar era ancora vuoto, lo spettacolo sarebbe cominciato molto più tardi. 

Lisa si scostò i capelli dalla fronte, lo sguardo fisso sulle pareti; una delle lampade stava per fulminarsi, la luce illuminava l'ambiente a scatti.

" Hey Lisa!" era Aaron, l'ultimo arrivato.

Alto, castano, gli occhi scuri e vivaci, indossava sempre camicie dai colori a volte improponibili. Era " un ragazzo apposto ", le aveva detto Bob quando gliel'aveva presentato. Lo conosceva da circa un mese, Meredith avrebbe giurato di averlo beccato più volte osservare Lisa in ogni suo minimo movimento; ma la cosa non le interessava. Gli occhi addosso se li sentiva sempre in quel locale. Occhi che sconvolgevano, distruggevano, stravolgevano. Annientavano, tormentavano e spaventavano la sua anima, piena di incomprensioni.

Aaron le stava parlando, richiamando più volte la sua attenzione, distratta dai mille pensieri.

" Hey Lisa, mi stai ascoltando?" e i suoi occhi chiari si spostarono sulla figura alta e slanciata del ragazzo che le stava parlando dal fondo della sala.

" Scusami " Lisa scosse la testa, una ciocca di capelli dorata le ricoprì la fronte calda.

" Come va?" e a quella domanda, Lisa accennò un sorriso, scrollando le spalle, quasi come se non le importasse.

" Che ne dici se una di queste sere.. magari ci vediamo per bere un drink.. insieme?" e in quell'istante, al suono di quelle parole, l'immagine di Meredith lesi parò dinanzi agli occhi, mentre continuava a ripeterle " te l'avevo detto ".

Tentennò, non sapeva cosa dire. Le labbra rosee erano leggermente spalancate, l'aria entrava lentamente nei suoi polmoni intossicati.  Un appuntamento? Erano cinque anni che non usciva con un ragazzo, se quelli tra lei e Slash potessero essere considerati tali. Quasi aveva dimenticato come ci si comportasse in quelleoccasioni. 

La sua risposta però non tardò ad arrivare; mentre la sua mente, inconscia nel pronunciare quelle due parole, era tormentata dai dubbi."

" Va bene " si sorprese; gli occhi grandi osservarono attentamente il viso di Aaron, su cui si aprì un dolce sorriso.

" Allora, domani sera? Che ne dici? Nessuno dei due dovrebbe lavorare" propose, portando una mano dietro al collo sudato. Era imbarazzato? Si era informato sui turni di Lisa?

" Non lavoro " si limitò a dire, accennando un piccolo sorriso. Non voleva credere che stesse arrossendo, anche se la temperatura del suo corpo era decisamente aumentata, e sicuramente non era colpa dell'aria condizionata.

La sua mente iniziò a vagare: cosa sarebbe successo? Le piaceva Aaron? Perchè ha accettato l'appuntamento? Cosa avrebbe indossato? Dove avrebbero trascorso il tempo? I suoi ventisette anni erano diventati tredici.

Scosse di nuovo il capo, appoggiando le mani sul bancone liscio e freddo, per poi salutare il ragazzo con un debole saluto. Aaron ricambiò strizzando un occhio.

Temeva di dover trascorrere altro tempo in sua compagnia, ma per una volta la dea bendata sembrava essere dalla sua parte. I clienti da servire erano stati innumerevoli e la serata era passata inesorabile, senza scontrare il suo sguardo con quello di Aaron per la seconda volta.

 

 

 

A fine serata, intorno alle quattro del mattino, finalmente Bob la raggiunse per dirle di poter tornare a casa, la chiusura del locale sarebbe stata prossima. Nell'esatto momento in cui varcò la soglia della porta d'uscita, Lisa sentì il freddo pizzicarle il viso accaldato; strinse a sè il giubbotto per ripararsi dal vento e si avviò velocemente verso il suo appartamento. 

Un'auto sfrecciava veloce sulla Sunset, i fari illuminavano la sua figura snella avvolta nel buio; si affrettò ad attraversare la strada. E fu in quell'esatto istante che iniziò a ricordare. A pochi passi da lì, lei e Slash si erano conosciuti, era davvero bella quella sera. Un sorriso amaro le decorò il viso, era ironico come non si fosse mai più sentita così bene. Una sensazione che conosceva perfettamente e che non avrebbe mai dimenticato. Era stato l'attimo più bello e travolgente della sua vita, il loro amore sarebbe dovuto ardere in eterno. 

Nel suo cuore non c'era molto, solo un pizzico di affetto che Saul era riuscito a scovare anni fa. Lui continuava ad essere il suo pensiero fisso; nel profondo sapeva che non aveva smesso mai di amarlo, neanche per un secondo. Chissà se lui aveva mai ripensato a Lisa.

 

 

 

 

 

Qualcosa nel suo di cuore era cambiato: aveva trovato la persona con cui stare veramente insieme fino alla fine. Aveva pronunciato il fatidico , e in quel periodo forse avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo. Per evitare il rimorso, mentre sfrecciava a tutta velocità nella sua Cadillac Seville sulla Sunset Boulevard alle quattro del mattino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eh niente ragazze, dopo anni sono tornata. Aveva un po' di nostalgia,

mi mancava scrivere e sinceramente mi mancavano questi due. Quindi niente,

non mi interessa semolti di voi che seguivano Rocket Queen, come me, abbiano

abbandonato efp. Semplicemente scrivo.

Mi scuso per eventuali errori.

Grazie.x

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Capitolo 3
*** Stuck on you ***


Aaron la stava aspettando nel parcheggio del Roxy, seduto in un pick up blu, mentre ascoltava alla radio Come as you are dei Nirvana. Da lontano, Lisa agitò una mano per farsi notare, una camicia lunga a quadretti fuoriusciva dal suo cappotto. Aaron scese dall'auto, il motore rumoreggiava assordante, ma non ci pensò quando la vide camminare con quei jeans chiari e stretti, che nascondevano l'orlo in un paio di Converse, mentre la cintura scura le cingeva la vite e faceva risaltare ancor più le sue curve.

Accennò ad un piccolo sorriso per poi invitarla a salire in macchina: era bellissima, i capelli corti si tenevano dietro le piccole orecchie, risaltando il viso dolce e tondo. Una volta raggiunto in posto di guida e acceso il riscaldamento, Aaron sfrecciò a tutta velocità; il volto rilassato di Lisa ondeggiava ora da un lato ora dall'altro mentre la musica della radio nascondeva l'imbarazzante silenzio. 

Non gli aveva neanche chiesto dove erano diretti, sembrava quasi non le interessasse. Forse perchè qualunque posto sarebbe andato bene, o forse perchè Lisa in realtà stava già pensando al modo in cui scappare da quella situazione e al perchè avesse accettato quell'appuntamento. Forse per accontentare Meredith? Gli occhi dell'amica si illuminarono alla notizia, iniziò a saltellare euforica sul vecchio divano, dopo averle ricordato che ci "aveva visto giusto". Forse era quello il motivo, non riusciva a trovare ulteriori scuse per non essersi presentata all'appuntamento. 

Il caldo in quell'auto stava diventando insopportabile; noncurante delle basse temperature, Lisa abbassò il finestrino, quel tanto che bastava per lasciar entrare qualche spiffero di vento freddo, senza che Aaron se ne accorgesse. Sospirò, pensò che il volume della musica fosse troppo basso per rallegrare la serata.

Aaron ogni tanto distoglieva lo sguardo dalla strada per osservare i movimenti di Lisa, facendola sorridere ogni volta, ma spostando subito lo sguardo da quegli occhi troppo grandi. La immaginava seduta in una stanza troppo piccola e con poca luce, sempre sola. Chissà con quale diritto poi. Non sapeva cosa dire, stava cercando un argomento nella sua mente, recitando una parte che lo costringeva a stare immobile e in silenzio, quando il realtà la curiosità era troppa. Era così bella, non trovava le parole; in quello spazio ristretto il profumo di Lisa aveva preso il sopravvento. Sapeva fosse di poche parole, quel silenzio non lo preoccupava affatto.

Lisa, invece, pensava a quello che avrebbe dovuto ordinare una volta arrivati al locale; sicuramente qualcosa di molto forte che le facesse perdere il fiato ad ogni parola sussurrata. Quanti anni aveva Aaron? Lei era più vecchia? L'avrebbe chiamata il giorno dopo? Gli avrebbe lasciato il suo numero? Voleva giocare? Come si sarebbe conclusa quella notte? Quante cose le frullavano in quella mente malata. A fine serata si sarebbe scusata, doveva proprio andare via. Poteva chiamarla se voleva, o restare al suo posto. Per lei quell'appuntamento si sarebbe dovuto concludere in quel modo. Anche se sapeva che Aaron avrebbe insistito.

Lo osservò, quella camicia proprio non le piaceva. Storse in naso, senza farsi vedere. Aaron intanto la avvertiva che erano finalmente arrivati a destinazione.

 

 

 

 

 

 

Quella sera Reneè era più in ritardo del solito. Sbuffò, accendendo una sigaretta, l'ennesima della giornata, scostando i capelli ricci dalla fronte. ASveva dimenticato di accendere l'aria condizionata, stava morendo di freddo seduto sul suo divano di pelle nera. Aveva appena spento il televisore, dopo che sua moglie gli aveva detto che mancavano cinque minuti e sarebbe stata pronta, e non poteva far altro che trascorrere il tempo a guardare il cielo limpido pieno di stelle. Aveva già bevuto un paio, se non più, di bicchieri di Jack, ma tutto sommato era ancora lucido. 

Stava cercando di decidere se uscire con l'auto o la motocicletta, ma avrebbe voluto evitare le lamentele di Reneè per il freddo. Udì una squillante camminata avvicinarsi al divano. La guardò passare per prendere le chiavi di casa, un chiodo scuro sulle spalle e i jeans stretti avvitati che nascondevano l'orlo del maglioncino bianco; Reneè era una ragazza semplice, che sbatteva però il piede a terrà spazientita. L'orologio segnava le ventuno e trenta e il locale era distante circa quaranta minuti da casa. Quasi aveva l'ansia al pensiero di tutto quel tempo in auto con sua moglie.

Non che non l'amasse, sia chiaro. Ma ormai trascorrevano così poco tempo insieme; Reneè era sempre a Chicago dai suoi genitori o dai suoi amici. Sua madre Ola gli aveva più volte suggerito di raggiungerla e lasciare Los Angeles, ma Saul sapeva che fremeva dalla voglia di diventare nonna, dopo due anni di matrimonio. Non aveva fatto altro che ripeterglielo durante le loro telefonate troppo brevi. Si preoccupava per lui, sapeva quello che aveva passato, Ola sapeva quanto difficile era quel periodo per suo figlio, tra la droga dalla quale non riusciva ad uscire e le bugie che raccontava a Reneè e alla sua band.

"Sei pronta?" le domandò, rialzandosi e parandosi dinanzi ai suoi occhi. 

Reneè annuì, voltandosi per iniziare ad incamminarsi verso l'auto, parcheggiata sul cortile esterno. Nell'ultimo periodo era impegnata con la sceneggiatura di un film che sarebbe dovuto uscire nelle sale dei cinema il prossimo anno. Slash sapeva che sua moglie lo amava, era una donna dolce e comprensiva, si preoccupava di tutto e di tutti. Teneva molto alla sua privacy, era molto riservata e questo a Slash andava bene; anche se spesso le discussioni erano innescate da piccoli articoli pubblicati su riviste ficcanaso o da fotografie scattate dai paparazzi durante le uscite tra gli amici. 

Quella sera sarebbe dovuta essere la prima cena insieme dopo circa due mesi separati; era proprio in quel momento che Slash non doveva essere lasciato da solo, non voleva. I Guns and Roses era in crisi, Steven aveva lasciato il gruppo, dopo che Axl aveva più volte minacciato di andarsene se non avessero smesso con la droga. Le discussioni erano ormai quotidianità, lo studio di registrazione un campo di guerra.

Sospirò, premendo un piede sull'acceleratore, mentre i Nirvana suonavano alla radio. Reneè accavallò le gambe, canticchiando quel brano che le piaceva tanto. Guardandosi allo specchietto, portò una ciocca di capelli ribelle dietro l'orecchio.

" Come sta tuo padre? " le chiese, il fumo intanto aveva preso il sopravvento nell'auto e Reneè riluttante abbassò il finestrino.

" Bene... Ti aspetta per una partita a flipper " disse sorridendo. Ultimamente lo stato di salute del suocero era peggiorato ed era anche per questo che sua moglie trascorreva intere settimane a Chicago.

" La prossima volta verrò anch'io " sospirò, anche se non sopportava l'idea di vedere il dolore e la sofferenza del vecchio uomo costretto su una sedia a rotelle.

Il viaggio in auto trascorse tra Slash che si lamentava della band e Reneè che cercava di consolarlo, proponendogli di viaggiare e seguirla nell'Illinois.

In quel momento però Saul non aveva bisogno di una vacanza, ne tanto meno di allontanarsi da LA. Era in cerca di ispirazione, adrenalina, qualcosa che smuovesse il suo animo e spingessero la sua mente ad immaginare cose folli.

 

 

 

 

Aaron la invitò a prendere posto al suo fianco; il bancone lucido del bar era bagnato in alcuni punti e l'odore di alcol era forte.

" Cosa prendi? " le domandò, mentre Lisa muoveva la testa al ritmo della musica sottostante.

" Un Jack " e al suono di quelle parole, il ragazzo iniziò ad immaginarla vestita del solo bicchiere. Le sue guance andarono a fuoco.

Ordinò due Jack Daniel's, il whiskey piaceva molto anche a lui. 

Tra due iniziò una lunga conversazione, tra il lavoro e il tempo libero impiegato chi dormendo e chi lavorando per guadagnare di più. La serata continuava lenta ma la compagnia di Aaron si era rivelata piacevole e così Lisa si lasciò andare, fidandosi.

Stavano discutendo di cibo, tra piatti preferiti e gusti differenti, quando furono costretti ad interrompersi. Dal fondo della sala, qualcosa o qualcuno aveva attirato la clientela. Una coppia si aggirava tra la folla curiosa, qualcuno pronunciò un nome che Lisa aveva letto sulle riviste, accennato in televisione ed evitato alla radio.

" Hey Lisa, guarda c'è quel tipo " disse Aaron, mentre Lisa si voltava lentamente nella loro direzione, quasi ipnotizzata; lo sguardo fisso sulla coppia sorridente che pronunciava qualche saluto. 

Irrigidita, lo sguardo freddo come il whiskey nei loro bicchieri, sperava di andarsene.

Era così difficile pensare che lo stava ancora aspettando. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

cari lettori silenziosi, continuo la storia nonostante gli impegni.

Spero siate curiosi di conoscere il seguito.

Ho finalmente introdotto anche il personaggio di Slahs, ero un po' titubante,

non volevo si incontrassero da soli.

Alla prossima.xx

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Capitolo 4
*** Amazing ***


 

La felicità era un prezzo troppo caro per lei, per la sua ingenuità. Continuava ad aspettarlo nelle sere, elemosinava il suo amore. Non era nulla di speciale infondo quello che sentiva in quel momento, le bastava che fosse amore. Il suo cuore si ribellava a lui, il suo corpo no. D'improvviso sentì le mani di Saul su di sè, suo strumento e lui esperto maestro. Non era più padrona di se stessa, ma un oggetto, una bambola di porcellana.
Sperava che non la notasse, che non si ricordasse di lei. La solitudine in quegli anni era cresciuta sempre più, nel suo animo aveva lasciato grandi vuoti, immensi.
La folla si era placata, gli amici li accolsero calorosi, invitandoli a prendere posto. Sotto lo sguardo attento di Lisa, Slash di accomodò non accanto alla moglie, ma qualche posto più distante, tra due ragazzi; una sigaretta debolmente accesa pendeva dalle sue labbra, lo sguardo fisso sui bicchieri pieni. Lisa ricordò quando al Roxy era seduto silenzioso al suo fianco, quasi non l'aveva notato quella sera tra le voci assordanti dei ragazzi.
Un brivido le percorse la schiena sudata: era paura o voglia di lui? Il suo viso pallido incontrò lo sguardo rassicurante del ragazzo che le faceva compagnia, seduti a raccontare la propria vita ad un bar pieno di ubriaconi. Ma la sua mente non riusciva a smettere di viaggiare tra i ricordi: ricordava lui il solo rumore delle auto che all'alba sfrecciavano lungo la strada del motel, diverso ogni notte? I chilometri tra auto e aereo? Le canzoni alla radio, ai concerti, ai pub che avevano cantato a squarciagola? I vestiti stretti gettati sul pavimento? C'era sempre un gran sole e la notte la luna sembrava più grande e vicina. Occhi grandi e limpidi, occhi scuri e nascosti tra i troppi capelli.
Scosse la testa debolmente, porgendo senza pensarci la mano nella direzione di Aaron., mentre Amazing degli Aerosmith suonava nella casse alte del locale.
" Vuoi? " col capo indicò la piccola e affollata pista da ballo; a lei non piaceva affatto ballare.
Fu quando strinse quella piccola e fragile mano che Aaron capì che Lisa le piaceva davvero. Scesero al centro della pista, facendosi spazio tra le altre persone. Lisa continuava a guardare un punto fisso dinanzi a lei, lo sguardo perso nel vuoto. Sorrise calorosamente, anche se dentro di lei sembrava che non ce ne fossero più ormai. Cercò di dimenticare che dall'altra parte della sala una coppia si divertiva, felice. Scrollò le spalle, che vuoi che sia un po' di nostalgia? Pensò. Che vuoi che sia se ti ho aspettato tanto? Direte, non finiva mica il cielo se mancava lui. Ma il realtà fremeva dal desiderio di raggiungerlo, guardarlo dritto in quegli occhi che tanto le erano mancati. 
Quell'attesa era pari ad un'agonia, ma il finale di quella serata era ormai un'incognita da quando era entrato Slash. Lo avrebbe invitato a casa sua o sarebbe potuto venire quando voleva; dormire insieme o andare via, era pur sempre sposato. Non riusciva a rinnegare quella passione, ci sarebbe sempre cascata con lui, facendola sentire una piccola donna. Sapeva che male che gli andava, avrebbe avuto sempre lei, tutta lei?
Aaron la colse distratta, sorprendendola e stringendola forte. Lisa sorrise ancora, non sapeva cosa fare, cosa dire. Appoggiò il capo sulla sua spalla, sospirando e serrando gli occhi. Ma fu proprio riaprendoli che incontrò la sua figura slanciata e snella: la moglie di Saul era splendida. Alta, dai capelli tra il castano e il rossiccio, teneva in una mano un bicchiere con dello champagne, mentre l'altra cingeva le spalle di un'altra donna al suo fianco. Cantavano allegramente ogni parola, alzando i calici al soffitto.
“ Questo non penso sia propriamente ballare “ proferì Aaron, suo fratello Tyler pronunciava in continuazione quel “propriamente” e la cosa a volte la urtava.
“ Non sono molto brava “ disse, un po’ si offese ma alla fine la cosa non le pesava.
In quel momento tutto voleva tranne che ballare. O tranne che ballare con lui. Dov’era la Lisa audace? Quella che non si sarebbe lasciata fatta mettere da parte, le cose non se le sarebbe fatte ripetere due volte. Una ragazza libera per non morire mai, fiera del suo passato doloroso, i grandi amori in ostaggio nei suoi pensieri. Perché l’amore l’aveva conosciuto, ne aveva fatto tesoro, aveva amato chi l’aveva amata o l’aveva fatta sentire così.
“ Ti va se torniamo a sederci?” non sapeva neanche perché davvero l’avesse invitato a prendere posto in pista.
“ Va bene, prendo due drink e ci spostiamo?” chiese Aaron, indicando un punto preciso.
Da lontano, socchiudendo gli occhi per guardare meglio, Lisa notò un pianoforte, su un piccolo palco che sembrava fluttuare.
Delle grandi finestre oscurate lasciavano intravedere le stelle che quella sera brillavano fiere nella notte. Annuì, iniziando ad incamminarsi lentamente verso lo strumento, tra urla e corpi che si muovano al ritmo della musica, come lei non sapeva fare. Sbuffò, portando il soffio in alto per scostare una ciocca di capelli che nel piccolo tragitto sembrava volerle insistentemente impedire la vista.
Le sue dita sottili sfioravano i tasti del pianoforte, senza produrre alcun tipo di suono, nonostante nessuno l’avrebbe notato. L’intro di November Rain le occupò la mente, sembrava che qualcuno la stessa suonando lì dinanzi ai suoi occhi. Lo avrebbe fatto lei stessa, ma non era neanche capace di fare quello.
“ Non sapevo sapessi suonare ” una voce, abbastanza vicina, dal sapore di alcol e il suono della notte la fece rabbrividire.
Qualche minuto prima
Mentre Reneè sorrideva e parlava con le sue amiche, lui se ne stava in silenzio, fumando una sigaretta e portando di tanto in tanto il bicchierino stracolmo di rum alle labbra. Slash non era mai a suo agio con quelle persone, sembravano esser sempre pronte a puntare un dito contro o a ridacchiare, uscendosene con qualche battutina sarcastica per evitare lo scontro. Sua moglie sapeva quanto si annoiasse, ma sperava potesse prima o poi abituarsi alla loro compagnia, così come lei aveva apprezzato quella dei Guns e degli amici d’infanzia di Saul. Ma sembrava quasi costretto ad uscire, magari sarebbero potuti restare a casa, una cena informale tra i due, magari una pizza, per poi passare il resto della serata a letto, sotto le coperte. Scosse la testa sorridendo, lasciandosi andare ancora di più su divanetto troppo scomodo. Una musica leggera non riusciva a sovrastare il vociare insistente, quasi gli faceva male la testa al sentirli pronunciare certi discorsi. Quei signorotti di New York o di Chicago non smettevano di parlare di lavoro, affari, soldi, famiglia: tutto quello a cui Slash non era interessato.
Vide Reneè alzarsi per raggiungere con le compagne la pista da ballo: era stupenda e raggiante, contento che lei fosse felice in quel momento. E temendo di dover sostenere una noiosissima discussione con uno degli amici incravattati di sua moglie, si alzò per raggiungere le ampie finestre che davano sulla strada dall’altro lato della sala. Un piccolo corridoio sopraelevato di circa un metro o due dalla pista da ballo lo conducevano titubante verso il pianoforte. Da lontano, notò una ragazza snella, nascosta in una camicia fin troppo larga per essere la sua, che mentre scostava una ciocca di capelli corti e biondi dietro un orecchio, con l’altra sfiorava i tasti dello strumento. Più si avvicinava, più aveva l’impressione di conoscerla. Le sue mani iniziarono a pizzicare, la luce forte gli infastidiva la vista e i capelli schiacciati sulla fronte lo stavano facendo sudare. D’un tratto un brivido gli percorse la schiena, quasi come se stesse cercando di attraversare la strada fredda del dolore, la scelta sbagliata, il replay di tutti i suoi peccati davanti agli occhi, quella bugia che era diventata la sua vita.
Un ragazzo alto, con due drink in mano, raggiunse quella figura quasi angelica, che la vista annebbiata gli impediva di osservare meglio. Lo guardò osservarla per qualche minuto, e lo vide poi avvicinarsi per sussurrarle qualcosa. La ragazza si voltò di scatto e Slash si avvicinò ancor più, quasi come se ipnotizzato non riuscisse a raggiungere quelle dannate finestre. Mancava ormai qualche metro a separarli, ma fu quando un paio di occhi grandi iniziarono a soffermarsi sui suoi movimenti che Saul sbattè le palpebre e vide chiaramente, illuminata da una luce chiara, la donna per la quale aveva sempre provato tanto ma dimostrato poco. 
Lisa era lì, davanti a lui, bella, non ricordava fosse così stupenda. Ricordò di una vecchia fotografia che aveva gelosamente nascosto in uno dei cassetti del suo studio, un piccolo angolo di casa sua dove poteva rilassarsi e comporre. Era cambiata ma al tempo stesso era sempre lei. Era estasiato, il cuore gli batteva a mille, quasi come se fosse quello il momento in cui avrebbe iniziato a stare bene. Allungò una mano, nella sua direzione, ma subito la fece ricadere lungo il fianco quando Lisa spostò lo sguardo sul ragazzo che gli dava le spalle, abbracciandolo.
Saul sorrise, cosa poteva mai aspettarsi dopo cinque anni. Ma lei lo aveva riconosciuto? Era ancora impresso il suo ricordo nella mente che tanto lo aveva affascinato?
Aaron la raggiunse qualche minuto dopo, un bicchiere in ogni mano. Scrollò le spalle, sorridendogli sollevata e accettando il drink che tanto cordialmente aveva accettato di ordinare per lei. D’un tratto notò da lontano la figura di un uomo camminare lungo il palchetto sopraelevato, lentamente, e rabbrividì quando in controluce riconobbe i capelli ricci e scuri come la pece. Slash era lì, fermo, poteva sentire il suo sguardo bruciarle la pelle coperta dai vestiti invernali. I pensieri andavano e venivano veloci, il battito del cuore accelerato, le mani sudate, avrebbe giurato che anche il mal di testa fosse per lui e non per il caos del locale. Lo guardò, sembrava che volesse raggiungerla, sembrava una distanza insormontabile quella tra loro due, e forse l’ostacolo era Aaron. Le parve che avesse allungato verso di lei un braccio, sbattè le palpebre velocemente per accorgersi che in realtà era stato frutto della sua immaginazione.
Fu quando Slash aprì leggermente le labbra, forse per rivolgerle la parola, che si alzò in punta di piedi ed abbracciò Aaron, sussurrandogli un “grazie”, appena perché lo capisse soltanto lui. Non ci sarebbe cascata, nonostante tutto non sarebbe successo di nuovo.
Spazio autrice:
E rieccoci, mi scuso per il ritardo ma causa esame ho dovuto più volte rimandare non solo la pubblicazione ma la stessa fine del capitolo (scrivo i capitoli prima a mano e poi li riporto sul pc). Spero la storia stia continuando a piacervi, anche se siamo solo al quarto capitolo. Ringrazio tutti coloro che hanno votato le parti precedenti e che continuano a lasciare una stellina a Rocket queen. 
Al prossimo aggiornamento.xx

La felicità era un prezzo troppo caro per lei, per la sua ingenuità. Continuava ad aspettarlo nelle sere, elemosinava il suo amore. Non era nulla di speciale infondo quello che sentiva in quel momento, le bastava che fosse amore. Il suo cuore si ribellava a lui, il suo corpo no. D'improvviso sentì le mani di Saul su di sè, suo strumento e lui esperto maestro. Non era più padrona di se stessa, ma un oggetto, una bambola di porcellana.
Sperava che non la notasse, che non si ricordasse di lei. La solitudine in quegli anni era cresciuta sempre più, nel suo animo aveva lasciato grandi vuoti, immensi.
La folla si era placata, gli amici li accolsero calorosi, invitandoli a prendere posto. Sotto lo sguardo attento di Lisa, Slash di accomodò non accanto alla moglie, ma qualche posto più distante, tra due ragazzi; una sigaretta debolmente accesa pendeva dalle sue labbra, lo sguardo fisso sui bicchieri pieni. Lisa ricordò quando al Roxy era seduto silenzioso al suo fianco, quasi non l'aveva notato quella sera tra le voci assordanti dei ragazzi.
Un brivido le percorse la schiena sudata: era paura o voglia di lui? Il suo viso pallido incontrò lo sguardo rassicurante del ragazzo che le faceva compagnia, seduti a raccontare la propria vita ad un bar pieno di ubriaconi. Ma la sua mente non riusciva a smettere di viaggiare tra i ricordi: ricordava lui il solo rumore delle auto che all'alba sfrecciavano lungo la strada del motel, diverso ogni notte? I chilometri tra auto e aereo? Le canzoni alla radio, ai concerti, ai pub che avevano cantato a squarciagola? I vestiti stretti gettati sul pavimento? C'era sempre un gran sole e la notte la luna sembrava più grande e vicina. Occhi grandi e limpidi, occhi scuri e nascosti tra i troppi capelli.
Scosse la testa debolmente, porgendo senza pensarci la mano nella direzione di Aaron., mentre Amazing degli Aerosmith suonava nella casse alte del locale.
" Vuoi? " col capo indicò la piccola e affollata pista da ballo; a lei non piaceva affatto ballare.
Fu quando strinse quella piccola e fragile mano che Aaron capì che Lisa le piaceva davvero. Scesero al centro della pista, facendosi spazio tra le altre persone. Lisa continuava a guardare un punto fisso dinanzi a lei, lo sguardo perso nel vuoto. Sorrise calorosamente, anche se dentro di lei sembrava che non ce ne fossero più ormai. Cercò di dimenticare che dall'altra parte della sala una coppia si divertiva, felice. Scrollò le spalle, che vuoi che sia un po' di nostalgia? Pensò. Che vuoi che sia se ti ho aspettato tanto? Direte, non finiva mica il cielo se mancava lui. Ma il realtà fremeva dal desiderio di raggiungerlo, guardarlo dritto in quegli occhi che tanto le erano mancati. 
Quell'attesa era pari ad un'agonia, ma il finale di quella serata era ormai un'incognita da quando era entrato Slash. Lo avrebbe invitato a casa sua o sarebbe potuto venire quando voleva; dormire insieme o andare via, era pur sempre sposato. Non riusciva a rinnegare quella passione, ci sarebbe sempre cascata con lui, facendola sentire una piccola donna. Sapeva che male che gli andava, avrebbe avuto sempre lei, tutta lei?


Aaron la colse distratta, sorprendendola e stringendola forte. Lisa sorrise ancora, non sapeva cosa fare, cosa dire. Appoggiò il capo sulla sua spalla, sospirando e serrando gli occhi. Ma fu proprio riaprendoli che incontrò la sua figura slanciata e snella: la moglie di Saul era splendida. Alta, dai capelli tra il castano e il rossiccio, teneva in una mano un bicchiere con dello champagne, mentre l'altra cingeva le spalle di un'altra donna al suo fianco. Cantavano allegramente ogni parola, alzando i calici al soffitto.
“ Questo non penso sia propriamente ballare “ proferì Aaron, suo fratello Tyler pronunciava in continuazione quel “propriamente” e la cosa a volte la urtava.
“ Non sono molto brava “ disse, un po’ si offese ma alla fine la cosa non le pesava.
In quel momento tutto voleva tranne che ballare. O tranne che ballare con lui. Dov’era la Lisa audace? Quella che non si sarebbe lasciata fatta mettere da parte, le cose non se le sarebbe fatte ripetere due volte. Una ragazza libera per non morire mai, fiera del suo passato doloroso, i grandi amori in ostaggio nei suoi pensieri. Perché l’amore l’aveva conosciuto, ne aveva fatto tesoro, aveva amato chi l’aveva amata o l’aveva fatta sentire così.
“ Ti va se torniamo a sederci?” non sapeva neanche perché davvero l’avesse invitato a prendere posto in pista.
“ Va bene, prendo due drink e ci spostiamo?” chiese Aaron, indicando un punto preciso.
Da lontano, socchiudendo gli occhi per guardare meglio, Lisa notò un pianoforte, su un piccolo palco che sembrava fluttuare.
Delle grandi finestre oscurate lasciavano intravedere le stelle che quella sera brillavano fiere nella notte. Annuì, iniziando ad incamminarsi lentamente verso lo strumento, tra urla e corpi che si muovano al ritmo della musica, come lei non sapeva fare. Sbuffò, portando il soffio in alto per scostare una ciocca di capelli che nel piccolo tragitto sembrava volerle insistentemente impedire la vista.
Le sue dita sottili sfioravano i tasti del pianoforte, senza produrre alcun tipo di suono, nonostante nessuno l’avrebbe notato. L’intro di November Rain le occupò la mente, sembrava che qualcuno la stessa suonando lì dinanzi ai suoi occhi. Lo avrebbe fatto lei stessa, ma non era neanche capace di fare quello.
“ Non sapevo sapessi suonare ” una voce, abbastanza vicina, dal sapore di alcol e il suono della notte la fece rabbrividire.










Qualche minuto prima






Mentre Reneè sorrideva e parlava con le sue amiche, lui se ne stava in silenzio, fumando una sigaretta e portando di tanto in tanto il bicchierino stracolmo di rum alle labbra. Slash non era mai a suo agio con quelle persone, sembravano esser sempre pronte a puntare un dito contro o a ridacchiare, uscendosene con qualche battutina sarcastica per evitare lo scontro. Sua moglie sapeva quanto si annoiasse, ma sperava potesse prima o poi abituarsi alla loro compagnia, così come lei aveva apprezzato quella dei Guns e degli amici d’infanzia di Saul. Ma sembrava quasi costretto ad uscire, magari sarebbero potuti restare a casa, una cena informale tra i due, magari una pizza, per poi passare il resto della serata a letto, sotto le coperte. Scosse la testa sorridendo, lasciandosi andare ancora di più su divanetto troppo scomodo. Una musica leggera non riusciva a sovrastare il vociare insistente, quasi gli faceva male la testa al sentirli pronunciare certi discorsi. Quei signorotti di New York o di Chicago non smettevano di parlare di lavoro, affari, soldi, famiglia: tutto quello a cui Slash non era interessato.
Vide Reneè alzarsi per raggiungere con le compagne la pista da ballo: era stupenda e raggiante, contento che lei fosse felice in quel momento. E temendo di dover sostenere una noiosissima discussione con uno degli amici incravattati di sua moglie, si alzò per raggiungere le ampie finestre che davano sulla strada dall’altro lato della sala. Un piccolo corridoio sopraelevato di circa un metro o due dalla pista da ballo lo conducevano titubante verso il pianoforte. Da lontano, notò una ragazza snella, nascosta in una camicia fin troppo larga per essere la sua, che mentre scostava una ciocca di capelli corti e biondi dietro un orecchio, con l’altra sfiorava i tasti dello strumento. Più si avvicinava, più aveva l’impressione di conoscerla. Le sue mani iniziarono a pizzicare, la luce forte gli infastidiva la vista e i capelli schiacciati sulla fronte lo stavano facendo sudare. D’un tratto un brivido gli percorse la schiena, quasi come se stesse cercando di attraversare la strada fredda del dolore, la scelta sbagliata, il replay di tutti i suoi peccati davanti agli occhi, quella bugia che era diventata la sua vita.
Un ragazzo alto, con due drink in mano, raggiunse quella figura quasi angelica, che la vista annebbiata gli impediva di osservare meglio. Lo guardò osservarla per qualche minuto, e lo vide poi avvicinarsi per sussurrarle qualcosa. La ragazza si voltò di scatto e Slash si avvicinò ancor più, quasi come se ipnotizzato non riuscisse a raggiungere quelle dannate finestre. Mancava ormai qualche metro a separarli, ma fu quando un paio di occhi grandi iniziarono a soffermarsi sui suoi movimenti che Saul sbattè le palpebre e vide chiaramente, illuminata da una luce chiara, la donna per la quale aveva sempre provato tanto ma dimostrato poco. 
Lisa era lì, davanti a lui, bella, non ricordava fosse così stupenda. Ricordò di una vecchia fotografia che aveva gelosamente nascosto in uno dei cassetti del suo studio, un piccolo angolo di casa sua dove poteva rilassarsi e comporre. Era cambiata ma al tempo stesso era sempre lei. Era estasiato, il cuore gli batteva a mille, quasi come se fosse quello il momento in cui avrebbe iniziato a stare bene. Allungò una mano, nella sua direzione, ma subito la fece ricadere lungo il fianco quando Lisa spostò lo sguardo sul ragazzo che gli dava le spalle, abbracciandolo.
Saul sorrise, cosa poteva mai aspettarsi dopo cinque anni. Ma lei lo aveva riconosciuto? Era ancora impresso il suo ricordo nella mente che tanto lo aveva affascinato?














Aaron la raggiunse qualche minuto dopo, un bicchiere in ogni mano. Scrollò le spalle, sorridendogli sollevata e accettando il drink che tanto cordialmente aveva accettato di ordinare per lei. D’un tratto notò da lontano la figura di un uomo camminare lungo il palchetto sopraelevato, lentamente, e rabbrividì quando in controluce riconobbe i capelli ricci e scuri come la pece. Slash era lì, fermo, poteva sentire il suo sguardo bruciarle la pelle coperta dai vestiti invernali. I pensieri andavano e venivano veloci, il battito del cuore accelerato, le mani sudate, avrebbe giurato che anche il mal di testa fosse per lui e non per il caos del locale. Lo guardò, sembrava che volesse raggiungerla, sembrava una distanza insormontabile quella tra loro due, e forse l’ostacolo era Aaron. Le parve che avesse allungato verso di lei un braccio, sbattè le palpebre velocemente per accorgersi che in realtà era stato frutto della sua immaginazione.
Fu quando Slash aprì leggermente le labbra, forse per rivolgerle la parola, che si alzò in punta di piedi ed abbracciò Aaron, sussurrandogli un “grazie”, appena perché lo capisse soltanto lui. Non ci sarebbe cascata, nonostante tutto non sarebbe successo di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

 E rieccoci, mi scuso per il ritardo ma causa esame ho dovuto più volte rimandare non solo la pubblicazione ma la stessa fine del capitolo (scrivo i capitoli prima a mano e poi li riporto sul pc). Spero la storia stia continuando a piacervi, anche se siamo solo al quarto capitolo. Attendo sempre con piacere un commento o un messaggio, se siete timidi. Ovviamente non siete costretti. 

Al prossimo aggiornamento.xx

 

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Capitolo 5
*** November rain ***


La serata si concluse con un bacio mancato ed una carezza di troppo. Aaron l'aveva accompagnata a casa, dopo aver chiacchierato a lungo seduti vicino al pianoforte. In macchina invece il tragitto era stato silenzioso: lui continuava a pensare a quell'abbraccio, al calore dei loro corpi vicini; Lisa pensava a Slash, non riusciva ancora a capacitarsi di quello che era successo. L'aveva riconosciuta, si era avvicinato a lei, l'aveva invitata a fare cosa? Ballare? Parlare? O scappare? Avrebbe accettato tutte e tre le opzioni se solo avesse capito le sue intenzioni al volo, come faceva un tempo. Non aveva intuito neanche se quella mano tesa nella sua direzione fosse frutto della sua immaginazione o era realmente accaduto; in realtà sperava che la stesse ancora attendendo.

Una volta scesi dal pick up Lisa ringraziò Aaron per la splendida serata, mentendo più a se stessa che a lui. Quando si avvicinò per lasciargli un lieve e quasi inesistente bacio sulla guancia accaldata, la mano di Aaron le aveva sfiorato il viso, stringendo una ciocca di capelli corti che continuava a pizzicarle l'orecchio a causa della lacca. Indecisa e amareggiata, Lisa si scansò lentamente, sorridendogli e dandogli le spalle per raggiungere il suo appartamento. Aaron sospirò, la osservava andare via mentre quel fine serata si era concluso diversamente nella sua mente. Aveva sperato in teneri abbracci e piccoli baci rubati, infondo si conoscevano già da circa un mese, avevano lavorato spesso negli stessi momenti della giornata al Roxy. Provava una forte attrazione fisica quando le stava vicino, sentiva il suo corpo surriscaldarsi; ma al tempo stesso era una ragazza dolce; nonostante il suo silenzio che spesso lo tormentava, incapace di comprendere cosa le frullasse nella testa. Scosse il capo, accese il motore che rombante lo riportò a casa, contento di quel primo appuntamento ma al tempo stesso frustrato e confuso: cosa doveva aspettarsi da quel momento?

La serata sembrava essere interminabile, erano chiusi in quel locale da circa tre ore e Slash non aveva più voglia di raggiungere il bancone ogni volta per un bicchierino di whisky in più: i camerieri scarseggiavano, le persone erano troppe e la compagnia era pessima. Avvertì Reneè che sarebbe tornato a casa, nonostante lei fosse restia all'idea: come al solito suo marito era ubriaco marcio. Aveva trascorso tutta la serata in silenzio, biascicando due o tre parole senza senso tra un discorso e l'altro; il posacenere posto all'angolo del tavolino era pieno zeppo delle sue sigarette, troppe per contarle ed immaginarle. Tentò di convincerlo a restare, sarebbero andati via presto, anche se le ragazze continuavano a parlare di discoteca e drink. Ma non volle farselo ripetere due volte, Reneè lo osservò mentre, senza neanche salutare, si accingeva ad indossare il giubbotto di pelle e a raggiungere velocemente l'uscita. Sospirò, forse sarebbe dovuta andare con lui. Ma nonostante la preoccupazione, all'ennesimo bicchiere di champagne parato dinanzi agli occhi, Reneè sembrò dimenticare tutti i problemi che pian piano creavano delle crepe nel loro matrimonio e pensò che per una serata trascorsa separati di certo non avrebbero raggiunto il divorzio. Sorrise, contenta, mentre portava il suo bicchiere accanto a quelli degli altri, facendoli tintinnare.

Raggiunta l'auto, buttò la testa all'indietro, sbattendo i pugni contro il volante. Tutto intorno a lui iniziò a girare vorticosamente, non sentiva più la musica del locale in sottofondo perchè i suoi pensieri erano ancor più rumorosi. Era davvero lei? Era Lisa? Scosse il capo, stizzito per non esser riuscito ad avvicinarla, a parlarle. Avrebbe tanto voluta stringerla tra le sue braccia, affondare la testa nel suo collo e respirare profondamente per fare suo il profumo della sua pelle. Sentì i suoi occhi scuri pizzicargli, portò le dita per strofinare rendendoli ancora più rossi e si stupì quando una lacrima aveva bagnato il dorso della sua mano. Un buco allo stomaco forte, quasi un pugno, iniziò a fargli girare la testa. Arrabbiato, pazzo di gelosia, sfrecciò a tutta velocità, facendo girare i passanti allo sgommare delle ruote.

Non aveva la minima intenzione di tornare a casa, odiava tutto e tutti in quel momento. Non era lucido, non avrebbe ricordato nulla di quello che era successo il giorno dopo. E forse per il rancore, forse proprio perchè avrebbe dimenticato tutto, quando sul ciglio della strada notò un gruppo di prostitute girovagare intorno al fuoco, si fermò e senza neanche guardarle in viso ne scelse una e si allontanò. Non la stava neanche ascoltando mentre parlava di prezzi, di cosa lui volesse fare, di dove stavano andando, preservativi, sesso, auto. Sbuffò, urlandole di stare zitta e parcheggiando la macchina nel primo parcheggio isolato che gli si era presentato davanti agli occhi. Voltandosi, la osservò con la vista annebbiata. Quanti anni aveva? Diciassette? Sedici? Era davvero giovane. La guardava sorridere e giocare con i suoi capelli. Gli aveva detto il suo nome ma Slash l'aveva già dimenticato. La ragazza passò dietro, le gambe erano scoperte e il sedere ondeggiava davanti ai suoi occhi mentre raggiungeva i sedili posteriori. Slash si liberò del giubbotto, scostando i capelli dalla fronte sudata e raggiungendola, il suo seno era già scoperto. Rideva, mentre lui non riusciva a passare tra i sediolini dell'auto. Dio, quanto era ubriaco; quella ragazza era oscena, con tutto quel trucco ormai sciolto intorno agli occhi. Le mani fredde e piccole di Nicole o Natasha o Naomi, proprio non se lo ricordava, raggiunsero la cerniera dei suoi jeans stretti e velocemente lo liberarono anche dell'intimo che in quei momenti era sempre superfluo.

Mentre era sdraiato e la ragazza intenta a dargli piacere con le mani, quasi si paralizzò quando gli tornarono alla mente le immagini di lui stretto a Lisa mentre insieme facevano l'amore in auto, nel parcheggio del Roxy. Lunghi capelli ricci, occhi grandi e chiari come l'alba, guance rosse e lo sguardo che lasciava intravedere quello che pensava, sincero: strinse gli occhi per rimuovere quei pensieri ma si alzò di scatto, facendo spaventare Nadia o Natalie che si ritrasse scossa. Slash si ricompose velocemente, si sentiva a disagio e quasi in imbarazzo. Portò le mani al portafoglio, lasciando sulle sue gambe nude qualche banconota di troppo e la lasciò lì, mentre confuso e amareggiato decise di tornare a casa.

Lisa aveva trascorso la notte insonne, le ore erano passate inesorabili tra il tocco di una carezza e il sapore di un bacio mai dimenticati. La persone sveglie sino al giorno dopo sono innamorate, sole o ubriache e Lisa quella sera era tutte e tre le cose. Aveva così tanti pensieri, tanti ricordi e il protagonista era lui. Sognava ad occhi aperti: di loro due che restavano svegli una notte intera,a parlare di tutto e a bearsi del silenzio; a vivere quelle ore del tempo che per gli altri erano inesistenti, tra complimenti e timidi sorrisi; a guardarsi senza sapere cosa dire, per poi scoppiare a ridere senza motivo; ad aspettare le prime luci dell'alba e prendersi la mano.

Sospirò, il pacchetto di sigarette era quasi finito e nel prenderne una decise di raggiungere il tabacchi aperto ventiquattro ore su ventiquattro dall'altro lato della strada. Aspirò profondamente quando il freddo si fece sentire sulla sua pelle liscia; i capelli corti le lasciavano il collo scoperto mentre il vento si insinuava tra i suoi vestiti. Notò in lontananza un'auto parcheggiava proprio al bordo della strada; una multa non gliel'avrebbe tolta nessuno pensò, quando notò la presenza di qualcuno che lasciava penzolare il braccio fuori dal finestrino. Si affrettò a pagare, pochi spiccioli che si nascondevano nella tasca del cappotto, e ad uscire, quasi correndo, per raggiungere il caldo della sua camera.

A farle rallentare il passo fu la vista di una figura, dalle braccia incrociate, quasi a nascondere il cuore, che appoggiava la schiena sull'auto notata prima. Le labbra serrate, gli occhi stretti per vedere meglio, rabbrividì nel riconoscere Saul che a stento si reggeva in piedi: era lei la sua casa. Fece un piccolo passo verso di lui, lui ne fece troppi invece e la raggiunse.

" Allora eri davvero tu " Lisa notò le sopracciglia aggrottate di Saul, quasi come se fosse arrabbiato e frustrato.

Annuì silenziosa, le gambe le tremavano al pensiero di lui che l'aveva rincorsa. Cercava quelle iridi scure che aveva sempre sperato di incontrare tra i passanti, così come quei piccoli difetti che conosceva a memoria, sul suo viso. Le sarebbe piaciuto esprimere la contentezza e il suo amore, perchè era ritornato; sperava non nel cercare quello che non ricordava. Non sapeva cosa dire, cosa fare: gli avrebbe dato tutta se stessa, di più non aveva.

Slash vedeva negli occhi di Lisa tutto quell'amore trattenuto, ma lei non sapeva che lui provava la stessa identica cosa. Era consapevole che tutto fosse cambiato, nulla durava per sempre: c'erano dentro da così tanto tempo, cercando semplicemente di far passare il dolore. Se solo avessero la possibilità di raccontarsi chiaramente, lasciando riposare il cuore al pensiero che si appartenessero. Sperava che non si limitasse: se Lisa provava ancora qualcosa per lui, era quello il momento giusto. Le avrebbe lasciato il tempo, tutti hanno bisogno di trascorrere momenti in solitudine, lui più degli altri. Slash aveva solo bisogno che qualcuno guarisse il suo cuore spezzato, placasse le sue paure più nascoste: sapeva che l'amava e potevano ancora, nonostante l'oscurità, tornare a provare gli stessi sentimenti di un tempo,se lei avesse voluto. Aveva bisogno di Lisa.

Quando sentì la sua fredda mano accarezzarle la guancia, fece un passo indietro. Il cielo, quasi ormai chiaro per le prime luci del sole, era ricoperto di nuvole plumbee; di lì a poco sarebbe arrivato un temporale. Era stato impossibile dimenticarlo, il cuore ancora le batteva forte al solo pensiero di loro due insieme. Ma consapevole del suo dolore, decise di voltarsi, mordendo le labbra per la rabbia, e di lasciarlo lì;mentre le prime gocce iniziavano a mischiarsi con le lacrime che, spontaneamente e senza che neanche se ne accorgesse, solcavano le guance fredde di Saul.






Spazio autrice:
perdonate l'aggiornamento così tardivo, anche su Wattpad non scrivo da mesi (questo capitolo e i prossimi due sono già disponibili su quella piattaforma). Ho intenzione di continuare e terminare questa storia, solo che non me ne volete per il tempo che impiegherò ahahahah alla prossiima, lettori silenziosi xx


 

 

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