Un mondo di noi

di Huilen4victory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** 00.1 ***
Capitolo 3: *** 00.2 ***



Capitolo 1
*** Zero ***


Zero

 

Andare a fare la spesa nei fine settimana era diventata la loro routine, una routine che,  nonostante il sapore ordinario e forse soprattutto per quello, entrambi apprezzavano moltissimo.

La domenica iniziava sempre con Jimin che si alzava sin dal mattino presto. Jimin infatti era una sempre stato una di quelle persone a cui piaceva godersi la giornata sin dalle prime ore del giorno, indipendentemente da quanto faticosa fosse stata la giornata precedente. Jimin era solito scivolare fuori dal letto senza esitazioni persino quando il cambio repentino di temperatura tra sotto le coperte ed esterno lo faceva rabbrividire per il freddo. Capitava spesso quindi che saltellasse sul posto per scrollarsi i brividi di dosso tuttavia mai senza fare attenzione a non essere troppo brusco nei suoi movimenti e rischiare così di svegliare Jungkook,

Jimin non lasciava la stanza finché non si era assicurato che il suo amante fosse ben avvolto nelle coperte e continuasse a dormire.

Se glielo avessero chiesto, Jimin avrebbe detto che guardare Jungkook dormire, anche dopo tutti quegli anni, era ancora una delle sue attività preferite. Avere la prova della durabilità quando le statistiche dicevano che ciò che avevano non sarebbe dovuto durare, non aveva prezzo. Perciò Jimin dubitava si sarebbe mai stancato di farlo.

Dopo essersi concesso di guardare Jungkook per qualche secondo, Jimin usciva dalla stanza in punta di piedi e aveva cura di chiudere la porta dietro di se per impedire alla luce di entrare. Camminando piano piano e armato dei vestiti puliti che aveva preso dal loro armadio, Jimin si faceva strada verso il bagno per fare una doccia e rilassarsi sotto il getto dell’acqua calda, senza mai mancare di canticchiare l’ultima composizione di Jungkook.  

Usciva quindi dal bagno tutto pulito e con addosso degli abiti comodi – un paio di vecchi jeans che conservava dai tempi del college e un maglione che era troppo grande per essere suo e che indossava solo perché gli faceva piacere farlo (era di Jungkook).

Si spostava poi verso la cucina, accendeva il cellulare per controllare se ci fosse qualche email urgente. Infine quando era sicuro non ci fossero urgenze di cui occuparsi, faceva partire la sua playlist impostando un volume basso ma abbastanza alto da fargli compagnia mentre preparava la colazione.

Jungkook appariva in cucina nell’esatto momento in cui la colazione era pronta, avanzando a tentoni con gli occhi semi chiusi e le sopracciglia corrugate. Il suo naso sarebbe stato in grado di intercettare l’odore di pancake e caffè anche a chilometri di distanza.

Se glielo avessero chiesto, Jungkook avrebbe detto che avere Jimin che gli preparava la colazione la mattina era una delle sue cose preferite, perché avere qualcuno che si prendeva cura di lui, dopo anni passati a credere fermamente di essere solo, era qualcosa di cui si sarebbe sentito grato in eterno.

Essere degli adulti impegnati spesso significava non poter consumare i pasti insieme e riuscire a vedersi solo a tarda sera – talvolta così tardi che a malapena avevano le energie per scambiarsi più di qualche parola prima di crollare nel loro letto. Eppure anche allora, esausti delle rispettive giornate, non avrebbero mancato di accoccolarsi l'uno sull'altro. Il calore dei loro corpi più confortevole della più soffice delle coperte.

Con il tempo e con l'evolversi della loro relazione, si erano resi conto che amarsi  non era una questione di grandi gesti, ma dei piccoli gesti di una vita quotidiana trascorsa insieme. L’amore, dopo tutto, si cementava sui dettagli e sui compromessi. Fare colazione insieme nei fine settimana a andare a fare la spesa, faccende ordinario agli occhi di tutti, erano diventati il loro significato di casa.

“Hai finito i vestiti puliti? Se ricordo bene avevi fatto il bucato due giorni fa.”

Sebbene avesse assistito alla scena in milione di volte, Jungkook non mancava mai di prenderlo in giro, al tempo stesso in cui ammirava il modo in cui la maglia di turno si allungava sul corpo di Jimin mentre questi in punta di piedi cercava faticosamente di raggiungere lo scaffale più in alto. Jungkook era abbastanza alto da arrivarci con facilità quindi al maggiore sarebbe bastato chiedere tuttavia a Jimin piaceva pensare che l’altezza fosse un dettaglio insignificante così come a Jungkook piaceva vedere l’altro lottare ostinatamente prima di arrendersi e chiedergli aiuto. Era un comportamento infantile da parte di entrambi ma Jungkook amava comunque quelle loro piccole schermaglie, erano il simbolo di un compromesso più grande

Jimin era più grande di lui di quasi quattro anni e per un lungo periodo, all’inizio della carriera di Jungkook, si era preso cura di entrambi ed era per questo che jungkook era ansioso di fare altrettanto in tutti gli aspetti.

D'altro canto a Jimin, essendo una persona orgogliosa, non piaceva dipendere dagli altri. Jungkook non lo aveva mai giudicato per questo, comprendeva appieno infatti la tendenza del maggiore a essere autosufficiente. Avevano fatto molta strada però, e ora nessuno dei due era spaventato all’idea di affidarsi all'altro, anche quando si trattava di una scatola di biscotti sullo scaffale più alto.

“Smettila di lamentarti. Indosso i tuoi maglioni ogni domenica e direi che apprezzi la cosa molto più di me. Ora renditi utile e prendimi i biscotti. Ti sei goduto lo spettacolo anche troppo,” replicò Jimin, lanciandogli un’occhiataccia che non avrebbe fatto paura a nessuno e che causava invece lo sbocciare di un largo sorriso sul viso di Jungkook.

Jimin gli avrebbe tirato un calcio nello stinco ogni volta, lamentandosi di congiure e altre diavolerie di governo stranieri che avevano fatto sì che il cibo che Jungkook aveva mangiato all' estero avessero causato una crescita così repentina in Jungkook mentre quest'ultimo ridacchiava tra sé e sé mentre prendeva con facilità la scatola dei biscotti dallo scaffale.

Jungkook ancora si ricordava dello sguardo stupito di Jimin quando si erano ritrovati per la prima volta dopo che Jungkook era tornato a casa dall’estero. Lui stesso non aveva realizzato quanto fosse cresciuto finché non aveva notato come la testa di Jimin si incastrasse perfettamente nell'incavo del suo collo. Allora non aveva potuto fare a meno di pensare come fossero davvero due pezzi di un puzzle che combaciavano perfettamente. Un pensiero piuttosto sdolcinato da parte sua ma che non di meno lo aveva fatto rabbrividire ogni volta che ritornava li con la mente.

Persino ora.

Una volta che le loro schermaglie erano terminate, si tuffavano sulla colazione - - Jungkook da solo era in grado di divorare quasi due piatti di cibo e fare di Jimin un cuoco più orgoglioso. Discutevano poi su chi dovesse lavare le stoviglie, Jungkook riusciva sempre ad averla vinta dicendo che era compito suo dal momento che Jimin aveva cucinato e guidava il maggiore fuori dalla cucina.

Dopo che aveva finito le faccende andava a farsi una doccia veloce mentre Jimin guardava la tv aspettando il suo ritorno in salotto. Dopo di che erano entrambi finalmente pronti per andare a fare la spesa e per la seconda parte della loro routine della domenica.

Fare la spesa era una battaglia agguerrita, da una lato Jimin voleva attenersi alla loro lista, dall’altro Jungkook cercava di infilare di nascosto nel carrello snack di tutti i tipi. Era un momento leggero. Divertente. Parole che, molto tempo prima, Jungkook non avrebbe mai pensato di associare a quel posto.

Quando era più giovane, Jungkook non aveva odiato nessun posto più del supermercato. Quel luogo era per lui fonte di mortificazione continua. Un luogo in cui persino la banale azione di scegliere cosa mangiare diventava ennesima occasione per rimarcare il suo status.

Un fatto così viscerale che persino ora il motivo per cui il loro traboccava di cibo era perché Jungkook si rifiutava di comprare le confezioni formato famiglia e preferiva invece accumulare scatole singole che occupavano più spazio. Jimin all’inizio era rimasto perplesso da questo comportamento ma, dopo qualche tempo, aveva intuito il significato che si celava dietro quel gesto. Probabilmente la sensazione di sentirsi perso davanti a scaffali pieni di prodotti non adatti a lui gli era tristemente familiare.

Anche così comunque le loro domeniche mattina di fatto non erano nulla di straordinario, eccetto il fatto che fossero dei momenti loro. E, quella particolare domenica mattina di settembre,non sembrava affatto diversa dalle mille domeniche che l'avevano proceduta e con il suo prevedibile dipanarsi aggiungeva un ulteriore senso di stabilità alla loro vita quotidiana.

Jungkook spingeva come al solito il carrello traboccante verso la cassa, così pieno che sembrava potesse collassare da un momento all’altro, mentre Jimin con fare esasperato andava chiedendosi sottovoce se sotto quella pila di cose non necessarie, ci fosse ciò  che serviva loro realmente.

Jungkook sogghignando e divertito di fronte all'espressione dell'altro, si mise in coda dietro ad una madre con il suo bambino, il quale tuttavia sembrava divertirsi un mondo a cercare di stare in equilibrio sulla sbarra di metallo che teneva unite le ruote posteriori del carrello. Avvertendo la loro presenza, il bambino si voltò curioso per vedere chi si era messo dietro al suo carrello e il suo sguardo birichino guizzò su entrambi per poi infine fermarsi con  circospezione su Jungkook.

Jimin sorrise e agitò la mano nel tentativo di attirare l' attenzione del bambino ma questi continuava a guardare Jungkook come se stesse cercando di risolvere un gran mistero poi, come colpito da una realizzazione improvvisa, la sua bocca si allargò in un sorriso sdentato ed esclamò tutto d’un fiato.

"Ti conosco! Tu sei famoso! Mamma, è il ballerino zero!” gridò  il bambino tirando sua madre per il polsino del suo cardigan.

Jungkook sentì gli occhi di un sacco di persone su di loro e vide Jimin contorcersi a disagio accanto a lui.  In pochi secondi e per mano di un bambino innocente la sua normale domenica mattina gli era scivolata tra le dita.

Ma Jungkook era determinato, e se aveva imparato qualcosa in tutti quegli anni era il non lasciare che il mondo esterno privasse lui e Jimin dei loro piccoli momenti di pace.

"Sì, sono io," disse lui sorridendo nello stesso momento in cui sentì le dita di Jimin intrecciarsi con le sue.


Un mondo di noi

 

Diversi anni più tardi –cinque per essere esatti- Jungkook doveva ammettere che molte cose erano rimaste le stesse nel loro piccolo angolo di mondo imperfetto. Altrettante tuttavia erano cambiate.

Jungkook credeva che lui e Jimin fossero quelli ad essere cambiati di più.

Nel loro mondo, Mondo Due, la società era ancora modellata sugli stessi discutibili standard e sulle stesse vergognose regole di cinque anni prima, il che voleva dire che la popolazione era ancora iniquamente divisa ed etichettata in numeri due e numeri zero.

Namjoon una volta aveva detto che avevano bisogno di vincere più di una piccola battaglia per poter vincere l’intera guerra – Jungkook allora gli aveva chiesto quanti ostacoli ancora avrebbero dovuto abbattere prima che le cose smettessero di essere sempre uguali.

Ai bambini appena nati veniva ancor assegnato lo status di essere che automaticamente li bollava, ancora in fasce, come persone di serie a ovvero numeri due e quindi parte buona della società, oppure come persone di serie b ovvero numeri zero e articoli danneggiati di una società che gli avrebbe sempre rifiutati.

“Ma qualcosa è cambiato. Noi siamo cambiati. Per le persone che ancora riescono a vedere e a giudicare con la loro testa, anche una piccola vittoria conta. Ci fa sentire meno soli e più comprensivi. Ci dà speranza,” aveva replicato Namjoon. Nel dire l’ultima parola un sorriso si era fatto largo sul suo viso.

Nella sua ossessione per la perfezione, il loro mondo era ancora imperfetto. C’erano ancora barriere, ingiustizie e odio, come solo il privilegio basato sulla discriminazione poteva generare. Erano ancora divisi tra le persone destinate a trovare l’anima gemella, chiamate numeri Due, e le persone che invece avevano fallito nel raggiungerla, i numeri Zero. I numeri Due erano il giusto tipo di essere umano, mentre i numeri Zero erano la polvere nascosta sotto il tappeto.

Jungkook era un numero Zero.

Ricordava bene l’amara consapevolezza del sapere di dover accettare una condizione impostagli, di dovere accettare il peso di una vita solitaria che non si era scelto. Ricordava la sua rabbia  - sapendo quanti desideri aveva che non si sarebbero mai realizzati. Ricordava la sua testardaggine nel tentare di dimostrare che il sistema era sbagliato, ma più di ogni altra cosa ricordava la disperazione che lo faceva andare avanti e che per anni aveva erroneamente creduto essere forza.

Jungkook era nato per vivere un’esistenza grigia, senza colore, solo perché qualcuno aveva deciso che non meritava di essere felice e che esisteva un solo modo per esserlo.

Cinque anni prima, il referendum che proponeva l’isolamento dei numeri zero in una sola area e la restrizione dei loro diritti era stato rifiutato. Anche se non aveva scosso il mondo alle fondamenta, aveva comunque aiutato una crescita di consapevolezza nelle persone e aveva permesso a Jungkook di perseguire il suo sogno di una carriera nel settore dell’arte e dello spettacolo con il suo status allo scoperto, una cosa mai sentita prima di lui.

I numeri zero venivano fortemente scoraggiati dal prender parte ad attività artistiche ed era addirittura proibito loro l’accesso a un’istruzione superiore in quel campo. Dal momento che l’arte era la forma di espressione naturale di un popolo il governo riteneva pericoloso far avvicinare una minoranza bistrattata ad essa e rischiare quindi che l’arte potesse essere facilmente diventare in un veicolo di frustrazioni, quindi in propaganda e pertanto in uno strumento di ribellione.

Tuttavia il fallimento del referendum aveva dato il coraggio ai numeri zero di uscire dall’anonimato ed esprimere più apertamente i propri sogni. Aveva dato il coraggio  a Jungkook di provare a perseguire il suo. In un mondo migliore, il suo gesto non sarebbe stato nulla di straordinario ma in questo mondo era un privilegio.

Jungkook pensava tuttavia che nulla di tutto quello che aveva raggiunto sarebbe stato possibile senza il suo incontro con Jimin. Cinque anni prima, più meno nello stesso periodo del referendum, Jungkook aveva incontrato Jimin e si era innamorato.

Jungkook aveva ventitré anni allora e Jimin ventisei, entrambi erano numeri zero e quindi senza anima gemella. Entrambi erano stati esclusi dalla felicità comune.

Era stato un viaggio lungo e difficile. Qualche volta era capito che Jungkook avesse finito col ferire Jimin, altre volte invece era stato Jimin a ferire lui. Alcuni giorni aveva persino temuto che l’amore non fosse abbastanza per battere le probabilità che remavano contro di loro.

Non si erano mai arresi.

Nonostante il lavoro impegnativo di Jungkook e le responsabilità di Jimin, avevano continuato a stare insieme. Anche con tutte le insicurezze che si insinuavano sotto la loro pelle e anche quando le cose era state difficili e tese, avevano continuato a stare insieme. Erano due numeri Zero che si erano trovati e avevano portato felicità ognuno nella vita dell’altro nonostante l’ordine mondiale avesse sentenziato tale traguardo fosse una cosa impossibile.

Ed ora che cinque anni che erano trascorsi da quell’incontro, Jungkook non riusciva ad immaginare un presente o un futuro senza Jimin.

Stava vivendo il sogno che neanche il se stesso adolescente avrebbe potuto sognare. Era felice. Era un numero zero ed era felice – un fiore a cui era stato permesso di sbocciare nell’oscurità..

“Cosa stai facendo col naso incollato alla finestra? Faremo tardi,” disse la voce, eccessivamente eccitata, del suo compagno dietro di lui.

Jungkook, che aveva passato l’ultima ora e mezza a cercare di distrarsi e aveva lasciato che la sua mente vagasse libera a ripescare vecchi ricordi mentre aspettava che Jimin fosse pronto, sbuffò a quelle parole.

“Non sono io quello che ha deciso di cambiarsi i vestiti tre volte,” disse Jungkook in protesta, rimprovero che tuttavia perse ogni significato non appena i suoi occhi si posarono sulla figura di Jimin in profondo apprezzamento. Jimin gli lanciò un’occhiata, indifferente, e sollevò le sopracciglia in modo impertinente sapendo bene che effetto stava avendo su Jungkook.

Il tempo non era stato nient'altro che generoso con lui, non potè fare a meno di pensare Jungkook continuando ad adocchiare Jimin senza poterlo evitare. Ogni anno aveva aggiunto solo fascino al suo partner col risultato che Jungkook a stento riusciva a staccargli gli occhi di dosso, soprattutto quando questi si impegnava nel suo look.

Il Jimin che aveva incontrato anni prima aveva avuto l’aspetto di un giovane fragile, quest'ultima sensazione accresciuta da uno sguardo triste e da un'aria di malinconia che gli calzava come una seconda pelle. Ma anche così Jimin si era rivelato la persona più coraggiosa che Jungkook avesse mai incontrato: a differenza di lui Jimin non aveva avuto paura di amare.

Viste le premesse Jimin non poteva che sbocciare nel corso degli anni e il tempo lo aveva trasformato in un affascinante uomo di trentuno anni, il cui giovane viso e la luminosa aura scioglievano il cuore di Jungkook.

“Ci sono sempre molte persone importanti alle feste di Namjoon e Seokjin e io sono il direttore di un’accademia. Non posso dare l’impressione sbagliata,” disse Jimin con una scrollata di spalle che voleva mascherare della tensione

Una cosa di Jimin non era cambiata, anche se Jungkook aveva quasi sperato che accadesse, ed era la timidezza che veniva da una profonda avversione per l’attenzione.

Alcune cicatrici, anche dopo anni, sono difficili da dimenticare e a Jimin non era mai veramente piaciuto attirare troppo l’attenzione e per questo si era scelto un ruolo più dietro le quinte.

Era questo il motivo per cui la maggior parte delle public relations concernenti la loro associazione culturale, che era cresciuta considerevolmente negli anni, erano seguite da Seokjin, la cui adolescenza passata ad allenarsi per un ruolo di comando era tornata infine a rendersi utile.

A Jungkook faceva male pensare come Jimin non fosse sempre stato così timido. C’era stato un tempo in cui aveva amato ballare ed esibirsi di fronte a centinaia di persone, un sorriso che trasudava sicurezza dipinto sul volto. Ma la paura era stata instillata in lui nell’ultimo anno di liceo, quando le attenzioni malevole piovute su di lui lo avevano ferito nel profondo.

“Ci sarà soltanto la famiglia di Namjoon e noi. Hai sentito Seokjin, dopo l’epico fallimento dell’anno scorso non saranno più tollerati imbucati,” disse Jungkook cercando di rassicurare il suo compagno.

L’anno precedente, alcune persone avevano pensato sarebbe stata una buona idea autoinvitarsi alla festa di compleanno dei gemelli, dichiarando di aver portato dei regali di compleanno per i bambini. In realtà erano lì solo per cercare di entrare nelle grazie di Namjoon nella speranza di riuscire a strappargli un accordo di collaborazione. Seokjin era stato furioso, e un Seokjin furioso significava un Namjoon furioso. Tutte quelle persone si erano in seguito pentite amaramente del loro audace gesto e il trattamento che Namjoon aveva riservato loro sarebbe dovuto essere abbastanza un deterrente al ripetersi di episodi di quel genere tuttavia Seokjin aveva comunque deciso che le festa di compleanno si sarebbero tenute sempre a casa loro e nel più completo riserbo. Avevano anche assunto del personale di sicurezza extra per l’evento.

Jimin si guardò la camicia bianca che aveva indosso e Jungkook intuendo il percorso pericoloso dei suoi pensieri lo prese prontamente per mano e lo trascinò fuori dal salotto e poi dalla casa.

“Non pensare neanche per un secondo di cambiarti di nuovo. Se la tua camicia bianca verrà sporcata dai bambini con i loro colori ti servirà da lezione per la tua vanità, ora andiamo o come hai detto tu faremo tardi,” lo ammonì Jungkook anche se a dirla tutta non era per nulla infastidito del tempo che si era preso Jimin nel prepararsi se quello era il risultato.

Jimin provò a protestare ma infine si arrese alla determinazione di Jungkook. Jungkook era sempre stato preciso e il suo lavoro da performer aveva ulteriormente esasperato questo suo tratto. Jimin pensava segretamente che il suo perfezionismo fosse adorabile anche se a volte poteva risultare un po’ troppo pignolo. Per questo motivo era terribilmente divertente vederlo toppare.

“Ti sei accorto che abbiamo lasciato i regali e i portafogli  a casa, vero?” chiese divertito Jimin una volta che furono dentro la macchina con le cinture di sicurezza allacciate. Jungkook arrossì violentemente mentre inveendo contro se stesso sotto voce si slacciava alla velocità della luca e correva in casa a prendere tutto lasciando un Jimin piegato sul sedile per le risate.

Jungkook per sua grande irritazione  lo trovò poco dopo nella medesima posizione

La sua irritazione tuttavia sparì velocemente perchè in verità non c’era nulla che lui amasse di più della risata di Jimin. Era acuta e decisamente ridicola, eppure era contagiosa e gli sembrava di non sentirla da un pezzo.  Sorrise mentre ogni senso di fretta abbandonava il suo sistema e lui apriva con calma lo sportello posteriore dell’auto per sistemare accuratamente i regali nel sedile posteriore.

Quando si sedette sul sedile del guidatore Jungkook era la serenità fatta persona.

La casa di Namjoon and Seokjin si trovava un po’ fuori città, i due avevano deciso di crescere i bambini lontano dai palazzi e in un luogo più verde con spazi più ampi.

Non che Jungkook e Jimin vivessero nel cuore caotico della città, la loro piccola casa si trovava in una zona residenziale abitata principalmente da famiglie. Ma di certo non avevano l’ampio giardino di Namjoon e Seokjin.

Il privilegio di vivere fuori dal centro tuttavia aveva significato per Namjoon quasi due ore di viaggio tra andata e ritorno da lavoro. Ma non gli pesava, la felicità e il benestare della sua famiglia erano di gran lunga più importanti. Dopotutto Namjoon era così devoto a Seokjin che se quest’ultimo avesse espresso il desiderio di vivere in un igloo Namjoon avrebbe probabilmente fatto di tutto per accontentarlo.

Dopo avere ascoltato la storia di come erano finiti insieme, Jungkook aveva subito pensato che se c’era qualcuno che si meritava tutto quello che di stravagante si poteva avere nella vita, quelli erano loro.

Ad ogni modo complice il poco traffico, Jimin and Jungkook arrivarono a destinazione in meno di un’ora. La residenza Kim era una grande e comoda villetta immersa nel verde. Degli alberi erano stati strategicamente piantati sul davanti per riparare la casa dal sole e una siepe circondava il perimetro e schermava gli abitanti della casa da sguardi indiscreti, anche se le telecamere di sorveglianza poste agli angoli della proprietà assieme alle recinzioni aiutavano certamente ad assicurare la sicurezza.

Con la notorietà di Namjoon e il recente affermarsi di Seokjin nell’alta società, i due numeri due avevano deciso di migliorare il loro sistema di sorveglianza.

Non si poteva considerare una soluzione opprimente data la discrezione con cui tutto era stato gestito eppure, qualche volta Jungkook aveva colto Seokjin adocchiare le telecamere con uno sguardo indecifrabile.

Mentre cercavano un posto per parcheggiare, Jungkook non poté non notare come i posti parcheggio fossero tutti occupati e che pertanto questo faceva di loro gli ultimi arrivati.

“Smettila di fare il broncio. Lo so che probabilmente sei infastidito solo perché hai probabilmente perso qualche stupida scommessa che avevi fatto con Taehyung,” disse Jimin solleticandogli il mento come se fosse un bambino.

Jungkook decise di non replicare perché sapeva che Jimin aveva ragione al cento per cento.

Si conoscevano così bene che erano in grado di predire le azioni e i pensieri l’uno dell’altro con precisione, anche se in quel caso specifico non ci voleva un grande sforzo. Aveva visto Taehyung un paio di giorni prima ed era una conoscenza generale che la sua capacità intellettiva diminuiva drasticamente quando si trovava in sua compagnia, il che rendeva entrambi oggetto di scherno da parte dei rispettivi compagni.

Uscirono dall’auto e si incamminarono verso la villa, entrambi con un pacchetto regalo in braccio.

“Siete in ritardo!” fu il benvenuto di Seokjin non appena aprì la porta. Appariva vagamente contrariato ma le sue sopracciglia erano aggrottate in modo troppo ridicolo per riuscire a prenderlo sul serio. Jungkook non si fece perdere l’occasione di scaricare la colpa su Jimin.

“Non è colpa mia,” disse Jungkook entrando in casa quando Seokjin si scostò per farli passare. Sebbene Jimin fosse dietro di lui Jungkook quasi riusciva a vederlo roteare. Il suo stuzzicare comunque fu interrotto da urla eccitate e ancora più eccitati passi. Jungkook non ci dovette pensare due volte, scaricò il suo regalo nelle braccia di Seokjin, si inginocchiò e allargò le braccia che si chiusero in un lampo sul corpicino di suo nipote.

“Sei in ritardo,” disse il bambino. Le sue parole suonarono come la comica imitazione del tono severo del padre. Era probabile in effetti che avesse sentito Seokjin dire quelle parole a Namjoon moltissime volte. Jungkook scoppiò in una fragorosa risata mentre lanciava uno sguardo divertito a Seokjin che ora alle sopracciglia aggrottate aveva sostituito il broncio.

“Scusa, hai ragione. Ma sai com’è lo zio Jimin,” disse Jungkook, guadagnandosi un non-così-leggero schiaffo sul braccio. Ma appena nominò Jimin il bambino sgusciò fuori dalle sue braccia per tuffarsi su Jimin.

I bambini sono dei traditori, pensò Jungkook mentre Jimin gli sorrideva compiaciuto, dopo aver passato anche lui il suo regalo a Seokjin per abbracciare suo nipote. Seokjin continuò a camminare, lamentandosi sottovoce di come veniva trattato, ma Jungkook sapeva che era tutta una finta. Non c’era niente che a Seokjin piacesse di più che vedere i suoi figli dare e ricevere amore.

Mentre guardava Seokjin, Jungkook non poté non pensare a quanto fosse un ottimo padre e un ottimo adulto.

Anche se a tutti loro piaceva prendere in giro Seokjin per la sua “vecchiaia” essendo lui il maggiore di tutti loro -Taehyung specialmente faceva molte battute al riguardo- agli occhi di Jungkook Seokjin non era cambiato molto d’aspetto.

Certo, quando sorrideva le rughe agli angoli degli occhi erano un po’ più evidenti. Ma, ogni volta che Jungkook guardava Seokjin, vedeva ancora il giovane receptionist che lo aveva accolto la prima volta al circolo ricreativo. Seokjin dopotutto aveva sempre emanato un’aura di affidabilità e sicurezza che Jungkook aveva sempre associato agli adulti e tale prima impressione era rimasto talmente impressa nella sua mente che anche quando il tempo avesse infine raggiunto Seokjin, Jungkook avrebbe continuato a vederlo come quando si erano incontrati la prima volta.

Jimin e Jungkook seguirono Seokjin nel salotto, Jungkook rallentò il passo per camminare a fianco di Jimin e il loro nipote, il quale gli stava raccontando, con il vocabolario limitato dei bambini di tre anni, cosa avevano regalato loro i genitori.

Il salotto, che solitamente era arredato in stile art deco, erano stato ridecorato con palloncini colorati appesi a ogni dove. Gli scatti di Seokjin che solitamente facevano bella mostra di sé alle pareti, erano state sostituiti con poster di principesse e supereroi. E persino il grande tavolo in radica era stato spostato di lato per ospitare i regali e fare spazio a tutti i giocattoli sparpagliati sul pavimento.

Seokjin mise da parte i loro regali mentre diceva loro di accomodarsi pure fuori in giardino dove aveva allestito la festa e dove si trovava il cibo.

Non appena uscirono dalla veranda i loro occhi caddero sul bellissimo gazebo che si stagliava sotto il sole e sotto di esso una tavolata cosparsa di cibo appetitoso. Suo nipote chiese di essere messo giù e appena toccò terra corse dalla sua gemella e gli altri bambini mentre invece Jimin e Jungkook si avviarono verso il tavolo del buffet dove erano seduti tutti gli adulti.

Un coro di “ciao” e “da quanto tempo” diede loro il benvenuto mentre. Hoseok si alzò addirittura in piedi per andare loro incontro e abbracciarli.

“Ne è passato di tempo!” disse, accecandoli con un sorriso smagliante.

Tra tutti loro Hoseok era quello che probabilmente più di tutti aveva conservato lo spirito giovanile. Col passare del tempo, tutti loro avevano trovato difficile tenere il ritmo di quando erano giovani, ma Hoseok al contrario accelerava, guidato da una fonte inesauribile di energia.

Jungkook non sapeva dove Hoseok trovasse la forza per dirigere una clinica, fare il suo lavoro da medico ed essere abbastanza attivo da soddisfare gli inesauribili bisogni di Taehyung. Al contrario di Jimin, che continuava ad avere un viso da bambino, Hoseok ora appariva più maturo ed esperto e secondo le parole di Taehyung, anche se tutti avrebbero preferito non saperlo, ciò non si rifletteva solo sul di lui aspetto

“Questo perché, quando non siete impegnati con il vostro lavoro, voi due siete in giro per il mondo per l’ennesima luna di miele,” disse Jungkook, ricambiando l’abbraccio.

Dopo che lui e Jimin avevano ufficializzato la loro relazione, la maggior parte della tensione che c’era stata tra Jungkook e Hoseok era sparita, lasciando spazio ad un’amicizia di cui Jungkook non sapeva di aver avuto bisogno.

Amava tutti i suoi amici, per lui erano come fratelli, ma non poteva negare che Hoseok avesse un posto speciale tra i suoi affetti.

Dopo avere scoperto il significato di “appartenere” con Jimin, Jungkook aveva finalmente capito quanto fosse stata grande la bontà di Hoseok per avergli permesso di avere un posto privilegiato nella vita di Taehyung. Jungkook non sapeva se sarebbe stato capace di condividere Jimin, come Hoseok aveva fatto con Taehyung se le situazioni fossero state invertite.

Non era infatti normale per un numero due divergere così tanto dal proprio scopo e fare posto nel proprio cuore a qualcuno che non fosse la proprio anima gemella come aveva fatto Taehyung con Jungkook. La loro situazione era stata per molti versi particolare e nel suo egoismo Jungkook aveva visto solo quello di cui aveva bisogno, e non quello che si stava prendendo. Era così grato a Hoseok per essere stato accondiscendente nei loro confronti che le parole soltanto non sarebbero mai state in grado di esprimere.

“Non esiste il termine festeggiare troppo, Jungkook,” disse Taehyung come benvenuto prima di colpirlo sul braccio. “Avanti paga. Ho vinto la scommessa.” Nel dire ciò Taehyung lanciò un sorriso sornione e strizzò poi l’occhio a Jungkook con fare tronfio. Jungkook  scosse la testa esasperato.

Kim Taehyung sarebbe sempre stato un moccioso. Avevano entrambi ventisette anni, ma lui era ancora rumoroso e ridicolo come quando aveva dieci anni di meno e inoltre si comportava ancora da mamma chioccia anche se Jungkook aveva da tempo imparato a badare a stesso.

Segretamente, Jungkook era contento che Taehyung fosse rimasto incontaminato dalla bruttezza e dalla scorrettezza del loro mondo.

Vederlo felice con Hoseok era la prova che le cose perfette esistevano nonostante una realtà perversa.

“Spero non stiate parlando di soldi e scommesse durante la festa di compleanno dei miei preziosi figli,” disse Seokjin con tono minaccioso. Sia Jungkook che Taehyung sapevano che era meglio non tentare la fortuna quando Seokjin usava quel tono e i suoi figli erano coinvolti.

“Ti rendi conto che sono anche i miei figli, vero? Ma in qualche modo io sono il padre solo quando combinano qualche guaio,” si intromise Namjoon con un sorrisetto mentre con un braccio cingeva le spalle di Seokjin.

“È bello vedervi ragazzi,” aggiunse poi Namjoon, dando degli strani buffetti sul braccio di Jungkook e Jimin. Nonostante il fatto che Jungkook e Namjoon fossero diventati considerevolmente più uniti da quando Namjoon lo aveva assunto, Namjoon non riusciva ad essere espansivo o naturale quando si trattava di effusioni. Avrebbe fatto qualunque cosa per Jimin e Jungkook – anche muovere le montagne probabilmente, ma quando si trattava di esprimere il proprio affetto non sapeva davvero da dove cominciare.

la cosa buffa era che Namjoon sembrava essere stato fatto apposta per contro bilanciare i modi eccessivamente affettuosi di Seokjin. Dopo avere passato del tempo con quest’ultimo, Jungkook aveva capito perché per Jimin lui fosse come una seconda madre.

Seokjin infatti capiva sempre quando c’era qualcosa che non andava in qualcuno, come ci riuscisse era per tutti e anche per suo marito, un mistero. Pensava che non ci fosse miglior terapia del cibo perciò forzava tutti  mangiare un buon pasto e si arrabbiava quando pensava che qualcuno di loro fosse stato trattato ingiustamente.

Era assolutamente ridicolo nel suo scaldarsi, ma anche così tenero che a volte Jungkook si ritrovava ad arrossire imbarazzato sotto tutte quelle attenzioni.

Non era affatto una sorpresa quindi che Seokjin fosse risultato essere un genitore entusiasta e attento, quasi come se fosse nato per quello scopo.

‘Sono cresciuto in una casa dove una carezza o un complimento erano considerati segno di debolezza, e le mura di quella casa non avevano visto altro che lacrime. Ho giurato a me stesso che la mia casa non sarebbe mai stata così e che i miei figli sarebbero cresciuti sapendo di essere amati ogni minuto della loro vita.’  

Seokjin gli aveva confessato una volta l’unica in cui avesse accennato alla sua vita prima di Namjoon. Ciò che Jungkook conosceva di quella vicenda erano le informazioni raccolte mettendo insieme le parole criptiche di Seokjin e alcune altre cose che gli avevano detto Jimin e Namjoon ma sapeva di non possedere il quadro completo.

Seokjin era l’erede della famiglia presidenziale Kim, ma per fare in modo di liberare se stesso e Namjoon dalla casa in cui era cresciuto e che li aveva quasi consumati, aveva abbandonato quella vita e aveva lasciato l’incarico a suo cugino, che attualmente era il nuovo console.

Aveva rinunciato a tutto per una possibilità di felicità.

Il suo filo di pensieri fu interrotto da qualcuno che si aggrappava ai suoi pantaloni e quando abbassò lo sguardo vide la sua nipotina sorridergli. Jungkook ricambiò il sorriso, si lasciò prendere per mano e si fece condurre dove il resto dei bambini stavano giocando.

Jungkook era affamato, ma non vedeva i gemelli da tempo e per giunta era il loro compleanno, quindi si disse che quello era un piccolo sacrificio. Se i gemelli avessero voluto giocare con lui per due ore di fila, lui era pronto.

Quando Seokjin e Namjoon tre anni prima avevano annunciato che sarebbero diventati genitori, nessuno ne era stato realmente sorpreso. Tutti pensavano che fosse una naturale evoluzione della coppia ed erano stati felici per loro. Quando Namwoo and Seohyun arrivarono, tutti avevano sentito come se anche le rispettive famiglie fossero cresciute di due.

Namjoon and Seokjin non solo ricoprivano i loro figli di amore, ma facevano in modo che non dessero nulla per scontato.

‘La felicità, dopo tutto, non è qualcosa che puoi pretendere, è qualcosa che devi conquistare,’  Namjoon diceva ai suoi bambini, anche se loro essendo così piccoli non potevano veramente apprezzare il significato dietro quelle parole. Tuttavia Namjoon era convinto che le parole che all’età di tre anni erano sembrate vuote e incomprensibili, potessero essere ricordate dai gemelli da grandi quando inevitabilmente avrebbero dovuto affrontare le difficoltà della vita.

Jungkook tornò al tavolo degli adulti solo qualche tempo dopo, con i capelli arruffati, la camicia macchiata d’erba e con lo stomaco vuoto che reclamava di essere riempito. Jimin si affaccendò su di lui per aiutarlo a ripulirsi mentre Taehyung se la rideva della grossa per la scena sdolcinata.

Taehyung non aveva il diritto di giudicarlo considerando quanto spesso Hoseok si occupasse di lui.

Quando Jungkook finalmente si poté sedere e mangiare qualcosa, non potè non sentirsi bene nel trovarsi in mezzo ai suoi amici.

Con il passare del tempo, era diventato più difficile vedersi. Certo, Seokjin e Jimin erano colleghi, e Taehyung e Jungkook lavoravano per Namjoon, ma le circostanze in qualche modo avevano sempre impedito loro di vedersi regolarmente; Namjoon era sempre impegnato a comporre, Jungkook e Taehyung spesso erano fuori città, Seokjin avevano iniziato a lavorare da casa per assistere all’educazione dei gemelli, e Jimin era sempre impegnato a dirigere più associazioni.

Alla fine, riuscivano a vedersi meno di quanto avrebbero voluto e le riunioni dove tutti e sei erano presenti erano diventate rare e circoscritte alle occasioni speciali.

Questa era la ragione per cui erano tutti così eccitati all’idea di partecipare alla festa, oltre alla felicità che tutti provavano per il compleanno dei loro nipoti.

A Jungkook piaceva pensare che nonostante l’inevitabilità dell’essere adulti, ci sarebbero sempre stati per i momenti speciali di ciascuno.

Erano nati tutti in famiglie diverse e in circostanze diverse. Erano tutti di status diversi – Jungkook e Jimin gli unici numeri zero tra loro. Ma si amavano l’un l’altro, come chiunque avesse condiviso momenti di dolore e momenti di felicità avrebbe fatto. E quando Jungkook pensava alla parola ‘famiglia’, non pensava solo a Jimin, ma anche agli altri quattro, e ciò era molto di più di quanto il governo aveva mai pensato che un Numero Zero avrebbe potuto avere.

Dopo pranzo, la più grande e colorata torta che Jungkook avesse mai visto fu portata sul tavolo. I gemelli, desiderosi di avere la fetta più grande, si apprestarono a raggiungere il tavolo e a soffiare le candeline mentre tutti intonavano Buon Compleanno.

Applausi risuonarono nell’aria mentre tutti cercavano di sbaciucchiare le guance dei bambini. Ma i gemelli, una volta divorate le loro fette di torta non avevano voglia di farsi sbaciucchiare ed erano impazienti di aprire i regali.

Un paio d’ore dopo i bambini crollarono addormentati sulle rispettive sedie e furono da Namjoon a letto. Jungkook si adagiò sulla sedia mentre cercava di fare spazio nel suo stomaco per un’altra fetta di torta. Si passò una mano sul viso mentre con l’altra accarezzava la coscia di Jimin. Erano seduti così vicino che i due si sfioravano piacevo,ente a ogni piccolo movimento.

Strinse la coscia di Jimin, il quale posò la sua mano su quella di Jungkook facendo si che questi sentisse farfalle nello stomaco. Allora come adesso Jungkook avrebbe sempre adorato il tocco di Jimin.

Il momento fu interrotto poco dopo da Namjoon, tornato dall’aver messo a letto i gemelli, prese un bicchiere di cola (non beveva mai alcol davanti ai bambini) e alzò il braccio per chiedere un brindisi.

Tutti si alzarono in piedi per brindare, Jungkook spostò il piatto dal suo grembo per farlo.

Seokjin si avvicinò a Namjoon allora, sembrava emozionato e le sue guance erano arrossate. Un senso di dejavu lo colpì e Jungkook seppe cosa Namjoon stesse per dire dallo sguardo che i due si scambiarono

“Ora che siamo tutti riuniti qui con la nostra famiglia e i nostri amici, vogliamo cogliere l’occasione per fare un annuncio importante. Qualche giorno fa Seokjin ed io abbiamo ricevuto dal tribunale una chiamata con le migliori novità che un genitore possa ricevere: diventeremo di nuovo genitori.”

L’urlo che esplose dentro al gazebo fu così grande, che probabilmente l’intero quartiere lo aveva sentito.

Hoseok fu il primo a lanciarsi su di loro, stritolandoli in un abbraccio così vigoroso che avrebbe potuto spappolare una costola a Namjoon. Taehyung applaudì come una foca ammaestrata e Jimin andò a stringere con dolcezza la mano di Seokjin.

Jungkook era così felice per loro che il sorriso gli andava da un orecchio all’altro.

Poteva la felicità essere aggiunta ad altra felicità? Si chiese mentre si avvicinava alla coppia per abbracciali.

Tutto nella sua vita, nella loro vita, era così bello che aveva paura potesse non essere reale, eppure lo era.

Ecco perché non riusciva a capire perché il sorriso di Jimin non arrivasse agli occhi.

 

 

 

 

Jimin era felice ed era consapevole di stare vivendo una vita privilegiata.

La narrativa del governo diceva che ogni cosa che Jimin aveva portato a termine nella sua vita non potesse essere possibile. Non gli sarebbe dovuto essere possibile avere un lavoro che lo teneva vicino all’arte, non gli sarebbe dovuto essere possibile trovare un compagno che lo completasse, e cosa più importante non avrebbe dovuto essere felice.

Cinque anni prima, era convinto che essere amato non gli sarebbe mai stato possibile. Pensava che sarebbe stato abbastanza passare la vita a prendersi cura di un’altra persona e cercare di aiutarla a sentirsi meno sola – come se due vuoti potessero formare un intero.

Quando la sua strada aveva incrociato quella di Jungkook, tutto quello che sapeva, tutto quello che si era forzato di credere, era stato stravolto. Non erano perfetti, ma Jimin non avrebbe mai cambiato quello che avevano per nulla al mondo.

Avevano trovato una base comune e Jimin credeva che il loro amore era stato possibile solo perché erano stati onesti l’uno con l’altro sin dall’inizio.

Jungkook era sempre stato genuino, non aveva mai nascosto la sua testardaggine o la sua rabbia, e non aveva mai provato ad essere nessun altro se non se stesso. Jimin amava Jungkook anche con il suo evidente bagaglio emotivo e le sue cicatrici.

La rabbia di Jungkook era solo il riflesso di un’anima ferita e Jimin lo capiva perché anche la sua anima era stata distrutta. Ma al contrario di Jimin, Jungkook era determinato ad andare per la sua strada da solo; anche se ciò significava non includere Jimin nei suoi piani per il futuro Jungkook. Jimin non poteva che ammirare la sua determinazione anche se a suo discapito. Era rimasto incantato dalla luce che Jungkook emanava come una falena aveva seguito la fiamma, anche se significava bruciarsi.

Cinque anni dopo, dopo avere superato mille difficoltà insieme era stata la carriera di Jungkook e i sacrifici che essa aveva comportato a mettere della distanza tra loro. Ma avevano tenuto duro ed ogni giorno al fianco dell’altro sera stata una benedizione.

Date le circostanze Jimin sentiva che un numero zero non avesse il diritto di chiedere di più alla vita.

Ma la cosa buffa era che le cose nella vita non erano destinate a rimanere immutate. Le persone si evolvono e i loro sogni e le loro aspirazioni con loro. E anche una delle persone più fortunate in un mondo dove la fortuna era scarsa,  sarebbe stata in grado di chiedere di più ed essere avida.

Tra loro due, Jungkook era sempre stato la persona migliore -- l’uomo migliore. Perché Jimin era avido, Jungkook aveva solo desiderato ciò di cui aveva bisogno, ma Jimin desiderava sempre di più.

“Pensi mai al futuro?” domandò Jimin un pigro pomeriggio. Erano sdraiati su una coperta nel loro giardino a godersi il sole.

“Intendi dopo che la mia carriera sarà finita?” chiese Jungkook di rimando guardando verso Jimin il quale rispose con un cenno della testa. Poteva essere una domanda banale ma qualcosa nel suo tono doveva aver fatto capire a Jungkook che Jimin era serio. Il più giovane  corrugò le sopracciglia e guardò di lato pensoso.

Jimin quasi rimpianse di avergli posto quella domanda. Non gli piaceva quando Jungkook si perdeva nei suoi pensieri.

“Quando ero giovane ero ossessionato dal mio futuro, dalle cose che pensavo di volere per me stesso e da ciò che potevo raggiungere," Jungkook iniziò con sincerità. Sorrideva nel ricordarsi del vecchio se stesso. "Ero convinto di poter compensare per le cose che pensavo di non poter mai avere dalla vita con l'ambizione perché se potevo raggiungere i miei sogni, allora sarebbe stata una piccola vittoria, no? Ma dopo che ti ho incontrato, non ho più potuto pensare al futuro in quel modo. Mi hai cambiato per il meglio, fino al punto che ora non è più il futuro ciò a cui penso, ma il nostro tempo insieme nel qui e ora. Voglio che questo presente duri il più a lungo possibile,” disse Jungkook. Era così puro che Jimin dovette mordersi l’interno della guancia per non reagire.

“Quindi se mi stai stai chiedendo se sto pensando a quale sarà il mio prossimo passo, la risposta è no. Vado passo dopo passo godendomi il momento. Ma se stavi pensando a qualcos’altro…” gli occhi di Jungkook persero la concentrazione, come se un pensiero improvviso fosse apparso nella sua mente.

“Penso spesso a quella casa con le finestre tinte di blu vicino al mare,” disse Jungkook. Gli occhi di Jimin si spalancarono. Si era aspettato un sacco di cose, ma non questa.

“Dopo che la mia carriera sarà finita, dopo che tutte le luci saranno svanite e noi saremo invecchiati, penso che potremmo vivere in un posto come quello – solo tu ed io,” disse Jungkook, voltando lentamente il viso verso Jimin, le labbra allargate in un bellissimo sorriso. A Jimin si formò un nodo in gola che non gli permise di dire alcuna parola.

“Troppo sentimentale? Noioso?” chiese Jungkook, arrossendo, e aggrottando di nuovo le sopracciglia.

“No, affatto,” disse Jimin prima di sporgersi in avanti e posare un bacio sulle labbra di Jungkook.

 

Jimin non aveva mai chiesto di essere amato, ma Jungkook lo aveva fatto lo stesso.

Considerando come le cose erano riuscite bene nella sua vita, anche realizzare cose che non aveva mai neanche osato sognare, perché si sentiva comunque mancante?

Jimin scosse la testa. Non c’era nulla da temere, doveva solo smettere di crearsi dei drammi. Come aveva detto Jungkook, il loro presente era più che sufficiente specialmente in un mondo iniquo come il loro.

Dopo il fallimento del referendum, le cose nel loro mondo erano rimaste pressoché immutate -- il sistema dei numeri era ancora intatto. Ma qualcosa era cambiato -- la percezione delle persone.

Le persone sembravano rendersi conto che l'insoddisfazione non era una sensazione rara e non era nemmeno una prerogativa di uno status. Seguendo la narrativa governativa, la maggioranza costituita dai numeri due avrebbe dovuto votare per l'isolamento della minoranza. Ma o i numeri due erano stati mossi da una pietà umana che nessuno si aspettava da loro, o essi non era affatto la maggioranza, quindi il referendum non poteva che fallire.

Le persone una volta pensavano che tutti avessero un’anima gemella. In realtà, ciò che la maggior parte della gente aveva era un cuore spezzato. Era triste pensare che un sistema sociale creato per portare felicità alle persone, aveva invece creato disperazione. Ma nonostante il dolore che il sistema aveva inflitto sulle persone ad esso assoggettate, esso aveva creato qualcosa che la felicità non avrebbe mai potuto e che i governanti non avevano previsto.

Il dolore aveva portato comprensione.

La consapevolezza di ciò non era immediata, si era diffusa piano piano da casa a casa, da persona a persona. E Jimin aveva paura di averlo dimenticato.

Che il suo privilegio lo avesse reso cieco e questo aveva esacerbato la sua auto-disapprovazione.

Cercò di scacciare via quei pensieri e di ingoiare qualunque stupida preoccupazione avesse.

Dopo tutto, lui era un uomo adulto con un lavoro e un compagno di cui prendersi cura. Non posso permettermi di lasciarmi distrarre dalle mie stesse sciocchezze, si disse quella mattina mentre guardava il suo riflesso nello specchio, la mano ferma nell’atto di allacciarsi la cravatta. Se Jungkook fosse stato lì, sarebbe stato in grado di scacciare via le ombre dalla sua mente. Ma invece, al suo risveglio si era ritrovato da solo e i suoi pensieri lo avevano tormentato dal momento in cui era andato in bagno a sciacquarsi il viso e per tutto il tragitto fino al posto di lavoro.

Era arrivato al circolo ricreativo principale leggermente in anticipo quella mattina. Era un'abitudine che aveva sviluppato così da poter prendersi il tempo necessario per leggere attentamente i documenti e poter parlare con tutti gli insegnanti prima di iniziare le lezioni. Tuttavia al suo arrivo rimase perplesso nel notare la macchina di Seokjin nel parcheggio. Seokjin aveva già ridotto il suo tempo all'accademia e lavorava spesso da casa per poter stare con i bambini.impegnato com’era a casa coi bambini. Con un nuovo bambino in arrivo, Jimin immaginava che Seokjin sarebbe stato ancora più impegnato.

Guardò la macchina, stranito, ma quella non fu l’unica cosa fuori posto che trovò.

Mentre camminava verso l’edificio, notò alcuni operai che tinteggiavano il muro esterno di sinistra.

Confuso, entrò nell’edificio dalla porta sul retro riservata al personale, ma quando mise piede all’interno, invece di essere accolto dalle chiacchiere tipiche dei suoi dipendenti, fu circondato dal silenzio.

Una brutta sensazione si stava facendo strada in lui, ma cercò di non darle troppo peso.

Giusto mentre stava per andare verso l’ufficio di Seokjin, udì del rumore provenire dalla stanza del ristoro e decise quindi di cambiare direzione e dirigersi li.

Era Seokjin. Era in piedi appoggiato al muro che beveva il caffè della macchinetta.

“Jimin,” disse Seokjin, non appena Jimin entrò nella piccola stanza.

Seokjin sembrava stanco, e per la prima volta nella memoria di Jimin, sembrava più grande della sua età. Una piega si formò sulla fronte di Jimin.

“Seokjin? Che cosa ci fai qui? Voglio dire, sono felice di vederti e tutto, ma pensavo saresti stato impegnato con i gemelli e le preparazioni per il nuovo bambino,” disse Jimin, cercando di decifrare il suo umore.

Non voleva saltare a conclusioni affrettate o sembrare allarmato. Dopo che la sua vita aveva preso un corso decisamente più felice, Jimin aveva giurato a se stesso che non sarebbe più stato un peso per gli altri. Sentiva come se si fosse approfittato del buon cuore di Seokjin per troppo tempo e si era ripromesso di saldare ogni debito di riconoscenza nei confronti del maggiore e non aggiungere mai più altro stress sulle sue spalle.

Se qualcosa di brutto era accaduto, Jimin era pronto per essere al suo fianco.

“Niente di troppo serio. Nessuno si è fatto male e niente è stato danneggiato, eccetto forse il nostro muro; qualcuno ha disegnato un graffito su di esso. Alcuni dei nostri vicini me lo hanno comunicato, quindi per questo mi trovi qui. Me ne sono occupato io. Purtroppo le lezioni subiranno un ritardo anche se con un po' di fortuna tutto dovrebbe essere a posto in un paio d’ore,” disse, bevendo l’ultimo sorso di caffè.

Non sapeva se avrebbe dovuto sentirsi lusingato dal tentativo di Seokjin di provare a proteggerlo ancora una volta, o sentirsi un po’ offeso dal fatto che lui vedesse ancora Jimin come troppo fragile per gestire le cose da solo.

“Okay, ora che hai finito il tuo piccolo discorso, comincia di nuovo da capo e dimmi esattamente cosa è successo. Sei bravo in molte cose Seokjin, ma recitare non è mai stata una di queste,” disse Jimin incrociando le braccia al petto.

“Potrei avere perso il mio tocco dopo tutto,” replicò Seokjin, scrollando le spalle.

“Smettila di evitare le mie domande e dimmi perché non mi hai chiamato. Sei super impegnato, perché stai cercando di nascondere qualcosa che tu stesso hai detto essere ‘nulla di importante’?” domandò Jimin, preoccupato.

Seokjin lo guardò negli occhi e dopo qualche minuto di ponderazione, abbandonò la postura rigida, sospirò pesantemente e su lasciò cadere nel divano della sala caffè.

“Qualcuno ha deciso che il nostro muro necessitasse di un rinnovamento artistico e ha pensato che un graffito avrebbe fatto al caso nostro. I nostri vicini si sono accorti del nuovo disegno e hanno deciso di chiamare i rinforzi. E prima che tu me lo chieda, non ti ho chiamato non perché non mi fido di te. Dopo tutti questi anni, dovresti sapere che ti affiderei la mia vita. Un agente di pattuglia è arrivato, e considerando la natura del nostro lavoro, non credevo che chiamarti fosse una buona idea,” disse Seokjin, sembrando ancora più stanco.

Per la maggior parte, dopo il fallimento del referendum, la loro associazione aveva attratto solo vibrazioni positive, registrando un flusso costante di studenti Numeri Due. La tendenza, per quanto lenta, non si era mai fermata.

Era come se uno dei desideri nascosti di Seokjin fosse diventato realtà. Al contrario di Jimin, che aveva solo voluto offrire ai numeri zero un posto dove sentirsi al sicuro e studiare le arti e le materie umanistiche, per Seokjin il centro aveva un significato più profondo.

La sua speranza era sempre stata quella di creare un posto dove tutti, indipendentemente dal loro status, potessero incontrarsi e imparare insieme.

Dal momento che non avevano un orientamento politico, e lavoravano sodo per evidenziarlo, erano stati per la maggior parte lasciati in pace. Nell'offrire attività educative e ricreative per i giovani, l’associazione stava di fatto offrendo servizi a tutti.

Pertanto fino a quel momento, gli incidenti erano stati rari e lui si era quasi completamente dimenticato che fossero accaduti.

Quest'episodio sembrava diverso.

Seokjin stava minimizzando il problema considerando che i vicini avevano creduto che fosse abbastanza serio da chiamare la polizia.

Per quanto vi fossero state aperture in termini di opportunità, la carriera di Jungkook nel campo dell’intrattenimento ne era un chiaro esempio, ci sarebbe voluto molto di più di qualche concessione sporadica per fare dimenticare loro l’odiosa etichetta che era stata loro imposta.

Ecco perché il personale governativo e la polizia erano ancora temuti dai numeri zero ed era meglio evitarli il più possibile.

“Cosa c’era scritto sul muro?” domandò Jimin, l’indignazione che gli scorreva nelle vene. Dopo tutto quello che avevano fatto, dopo tutto l’impegno che avevano messo nel costruire la loro reputazione, nell’offrire il loro lavoro senza pregiudizi – questo era quello che ottenevano in cambio?

Seokjin scosse la testa cercando di far cadere l’argomento, ma entrambi sapevano che non sarebbe successo.

“Cosa c’era scritto Seokjin?” insistette ancora Jimin, questa volta con tutta la calma che gli riuscì di trovare. Ce la poteva fare. Qualunque cosa fosse, Jimin poteva sopportare la sua parte di fardello.

Seokjin gli sorrise triste prima di dire con tono tombale le seguenti parole.

Traditori. Hanno scritto Traditori.”

Jimin si sentì come se lo avessero schiaffeggiato.

"Il Freedom movement."

 



NdA: Sono tornata! Non avete idea di quanto sia felice che l'avventura in mondo 2 ricominci. Grazie per aver voluto bene a Un mondo per noi due, spero vorrete altrettanto bene a Un mondo di noi. Un grazie a https://twitter.com/martina9896 per avermi aiutato con la traduzione, senza di te non sarebbe stato così veloce. Lasciatemi un commento, sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Come sempre per preview, aggiornamenti e chiacchierate potete trovarmi su Twitter :D

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Capitolo 2
*** 00.1 ***





Se c'era una cosa che Jimin aveva imparato nel corso degli anni era che i cambiamenti, richiedevano tempo.
Richiedevano la perseveranza per superare i dossi lungo la strada, così come la pazienza di capire che cambiare non era una meta da raggiungere, ma un processo che andava vissuto.

Erano trascorsi cinque anni dal referendum in cui la popolazione, nonostante la forte e insistente propaganda a votare sì, aveva detto no a quel cambio di costituzione che, se fosse avvenuto, avrebbe significato la definitiva reclusione per i numeri zero.

La notte del conteggio dei voti, lui e Jungkook avevano deciso di allontanarsi da tutto e tutti e andare in campeggio in un posto dove il rumore del mondo non avrebbe potuto raggiungerli. Erano stati spaventati, erano stati eccitati, erano stati - più di ogni altra cosa - determinati ad affrontare qualsiasi risultato, insieme.

Il giorno dopo si erano svegliati lentamente e con riluttanza, inconsciamente volendo continuare a essere protetti dal loro transitorio stato di ignoranza.

Al loro ritorno sembrava che tutto fosse rimasto come l'avevano lasciato. Il quartiere di Jimin appariva immutato e non sembrava ci fosse alcun dettaglio diverso che avrebbe potuto dare loro un indizio sulla tempesta di cambiamenti che stava per abbattersi su di loro.

Era stata stranissimo sperimentare come il cambiamento, seppur potente, non si manifestasse in modi ovvi. Non c'erano state grida di giubilo per le strade, niente grandi gesti, nessuna notizia appariscente che annunciava il vento del cambiamento. Jimin, e molti numeri zero con lui, rimasero in un primo momento con l'amaro in bocca.

Il risultato del referendum aveva fermato l'escalation ma sembrava che ai numeri zero non avesse apportato nulla che non avessero già.

Molti erano stati felici anche di quella piccola vittoria perchè sebbene le cose non fossero migliorate, almeno non erano peggiorate.

In questo status di apparente impasse alcuni videro un'opportunità.

Con il fallimento del referendum, ai numeri zero era stata data la prova di non essere soli nelle loro sofferenze. Se avessero osato, forse avrebbero potuto contare non solo sui loro simili, ma anche sul supporto dei loro contrari. E col passare dei giorni e delle settimane tutti e ovunque furono in grado di percepire questo senso di coesione. 

Sembrava improvvisamente che il mondo fosse stato lavato da un tocco di realtà, poiché le espressioni facciali della gente, il proverbiale sorriso zuccheroso perennemente dipinto sui numeri due, apparivano meno stucchevoli e più genuine. Nonostante ciò molti rimasero sorpresi dalla velocità fulminea con cui alcuni numeri zero furono un grado di capitalizzare questo nuovo sentimento. Quasi fossero già pronti e fossero stati semplicemente in attesa di un segnale.

La prima volta che Jimin sentì il nome Freedom Movement, neanche due mesi dopo il referendum, fu quando venne pronunciato da Seokjin. Il nome fu detto con un tono pieno di perplessità e di scetticismo.

Era normale, pensò Jimin allora, che fra i suoi amici Seokjin fosse il più informato. Anche se Seokjin aveva abbandonato la scena politica senza rimpianti, alcune abitudini erano rimaste radicate in lui e così il maggiore non aveva mai smesso di tenere occhi e orecchie aperti.

Seokjin, e i numerosi articoli che la censura del governo non era stata in grado di eliminare, spiegarono a Jimin tutto ciò che desiderava sapere sul movimento.

Il Freedom Movement era un'associazione semi-organizzata il cui scopo dichiarato era quello di rappresentare i numeri zero nella scena politica. Il loro obiettivo come movimento non era solo l'uguaglianza tra i numeri in materia di diritti civili, ma la totale abolizione del sistema delle anime gemelle. Apparivano preparati e determinati e non avevano paura di agire né di far sentire la loro voce.

Molti numeri zero, inizialmente, simpatizzarono per loro ed erano felici che qualcuno avesse preso in mano il compito di guidare la battaglia dei diritti. Jimin era stato uno di loro.

Dopo anni di autocensura e silenzi imposti da una parte della società all'altra in una sorta di lavaggio del cervello collettivo, i numeri zero avevano finalmente iniziato a reagire. 

Dapprima vennero le manifestazioni e i picchetti di fronte al parlamento, poi l’invasione via web, insistendo finché non furono in grado di imbastire una contro campagna che potesse rivaleggiare con la propaganda governativa, cercando di pubblicizzarsi via etere e mettendosi sotto ogni sorta di riflettore mediatico. Anche quando i loro toni risultarono essere sopra le righe e le loro campagne piuttosto aggressive, Jimin, e molte persone con lui, furono entusiasti del fatto che il loro dolore avesse trovato infine una voce. Al punto che, per mesi, il Freedom Movement fu l'unico argomento di cui Jimin aveva parlato con i suoi amici.

Stranamente Jungkook era stato molto tiepido nei confronti del movimento e, considerando quanto era stato appassionato da giovane, Jimin aveva avuto difficoltà a capirne il motivo.

Giovane Jungkook sarebbe inciampato sui suoi stessi piedi nella fretta di unirsi a loro, volendo essere in prima fila a gridare per i suoi diritti.

"Ero così prima di incontrarti, Jimin," Jungkook aveva risposto quando Jimin aveva espresso il suo sconcerto. "Per molto tempo sono stato triste e infelice ma non sono stato in grado di ammetterlo a me stesso fino a quando non ti ho incontrato. Ed ho capito cosa mi mancava. Forse ci sono persone che possono vivere una vita appagante da soli, ma io non sono una di loro. Tu eri ciò che mi mancava da sempre e quando l'ho capito, mi sono reso conto che il fuoco non doveva necessariamente essere distruttivo. Incontrare Namjoon e Seokjin e conoscere la loro storia mi ha sicuramente aiutato a espandere il mio punto di vista, ma sei stato tu Jimin. Solo tu. Quindi, anche se penso  che sia il momento giusto perché gli zeri facciano sentire la loro voce, non sono sicuro che quella del Freedom Movement sia la strada giusta. Le battaglie non devono necessariamente essere violente per avere successo."

Pensare a quelle parole, anche adesso, causava a Jimin una piacevolissima sensazione di calore, seguito da un fiotto di furioso orgoglio. Il ragazzo Jungkook era fiorito in un giovane e rispettabile uomo.

Dopo aver ascoltato le parole di Jungkook, Jimin provò quindi a essere più cauto nel suo giudizio e a non farsi influenzare dai suoi sentimenti personali . Dopotutto, essendosi autoletti portavoce dell'intera comunità di numeri zero, il Freedom Movement aveva il compito non solo di proteggere le speranza di tutti, ma di essere responsabile delle azioni compiute in loro nome.

Purtroppo, la luce con cui il Freedom Movement li aveva abbagliati si rivelò essere il fuoco fatuo di una meteora e quello che era stato un inizio fiammeggiante finì con l'arenarsi nel fango.

I loro picchetti dimostrativi si trasformarono presto in scontri violenti. Le proteste un tempo fatte davanti ai palazzi governativi, furono spostate in favore di luoghi affollati e pubblici, principalmente scuole, in un goffo tentativo di dirigere la loro propaganda sui giovani.

Con la scusa di voler illuminare la popolazione prima del loro effettivo ingresso in società, il movimento riversò la propria rabbia e odio contro adolescenti appena usciti da scuola, il cui unico crimine era stato esercitare il diritto di iscriversi alle facoltà umanistiche in quanto numero due. 

Il movimento divenne sordo alle critiche e si fece vendicativo verso coloro che osavano parlare loro contro. Il loro significato di noi si restrinse fino ad includere solo i numeri zero e non più la società intera e i loro discorsi divennero monologhi e sempre meno un confronto. Quando qualcuno cercava di far loro notare il comportamento scorretto, avevano il coraggio di dire che dopo anni di soprusi e torture a colpi di discorsi senza senso da parte dei numeri due, era arrivato il loro turno di fare come volevano e non ascoltare.

Nello sforzo di farsi sentire, avevano smesso di preoccuparsi di come. E quando passarono dalle parole alle azioni, il loro comportamento peggiorò soltanto.

Fu allora che Jimin voltò la testa, disgustato.

Nessuna quantità di ingiustizia avrebbe mai potuto giustificare un'altra ingiustizia. 

Senatori minacciati, giornalisti attaccati, giovani studenti terrorizzati, violenti atti di vandalismo e persino percosse per chiunque osasse sbarrare loro la strada, anche e maggiormente verso quei numeri zero che non la pensavano come loro.

Se questo era il movimento che avrebbe dovuto rappresentare i numeri zero, Jimin non voleva avere nulla a che farci.

Comunque sembrava che la violenza, invece di disgustare, apparisse attraente agli occhi di alcune persone e il movimento continuó a crescere in dimensioni attirando a sé tutte le persone arrabbiate e irritate che volevano giustizia a tutti i costi, e con ogni mezzo.

Jimin si chiedeva come la gente non riuscisse a vedere che quello che dicevano e quello che facevano, non era diverso da quello che il governo aveva sempre fatto.

Avere lo status di numero due non aveva reso costoro superiori così come l'aver sofferto non rendeva i numeri zeri vicino alla santità. 

No. La malvagità e la bontà non erano ad appannaggio di nessuna categoria.

Se i numeri zero, dopo essere stati discriminati, si erano lasciati cadere di proposito nella stessa menzogna solo per coprire i propri misfatti, allora significava che tutti quegli anni di sofferenza, tutte le lacrime versate, non ammontavano a nulla.

Era il sistema e non il popolo il vero nemico e comportandosi così offrivano al governo ulteriori scuse, come se ne avessero avuto bisogno, per giustificare la propria narrativa, contribuendo con le loro azioni al mantenimento dell’ingranaggio della società.

Considerato quanto violentemente il movimento avesse deviato, affermare che Jimin era deluso sarebbe stato un eufemismo.

La cosa ironica era che ora non avevano più un solo oppressore, ma due, e nessuno poteva davvero sentirsi completamente al sicuro poiché si rischiava di essere l'obiettivo di una o anche di tutte e due le fazioni. Provare a rimanere neutrali era considerato un atto di tradimento da entrambe.

Ed ora persone che avevano passato tutta la vita a cercare di accorciare il divario tra i numeri, venivano chiamate traditori. Persone come lui e Seokjin, gli insegnanti del centro, i collaboratori e tutti quei genitori che muovendosi insieme, si erano impegnati a costruire un luogo sicuro dove i giovani potessero interagire e imparare senza essere giudicati da un'etichetta. Il loro peccato era rifiutarsi di conformarsi a chi faceva la voce grossa.

Jimin sospirò passandosi nervosamente una mano sul viso mentre pensava al Freedom Movement, alla sua situazione e a come aveva la brutta sensazione che tutto ciò fosse solo l'inizio.

Non ne aveva bisogno, non aveva bisogno di più pressione sul suo cuore già oppresso. Tuttavia, come aveva imparato da molto tempo, la vita amava giocare con le persone e Jimin sapeva bene che lamentarsi era infruttuoso. Quello che poteva fare era mettersi in gioco e provare a lottare per il suo lieto fine, non importava quanto difficile sembrasse a prima vista.

C'erano state un paio di tempeste che avevano rischiato di spazzarlo via,  l'ultima gli aveva però regalato Jungkook e quindi Jimin aveva smesso di avere paura del cattivo tempo.

Eppure, anche se lui era pronto lo era anche la tempesta e per giunta stavolta sarebbe stata colpa sua. Stava per rovinare la cosa più preziosa che avesse mai avuto la fortuna di avere con le sue stesse mani.

I sentieri che conducono verso il basso erano sempre così facili da prendere.

Aveva intenzionalmente smesso di innaffiare i suoi desideri usando il silenzio per asciugarli e per molto tempo la strategia aveva funzionato. Ma i desideri non possono essere soffocati e più a lungo li ignori, più forti diventano quando alla fine trovano una via d'uscita.

Le sue decisioni erano risultati nella più efficace danza della pioggia e la tempesta era alle loro porte. Jimin non sapeva se avrebbe dovuto battere forte la testa sul muro o coprirsi il volto per la vergogna e rimanere lì.

Fortunatamente un bussare alla sua porta interruppe il treno di riflessioni oscure.

"Avanti," disse Jimin mentre cercava di comporre la sua faccia in una parvenza di normalità. Era già abbastanza orribile scavare la sua tomba che non aveva bisogno che gli altri iniziassero a preoccuparsi per lui. Aveva fatto il danno, spettava a lui sistemarlo.

La testa di Seokjin fece capolino qualche secondo dopo. Il maggiore rimase sulla soglia per un po', guardandosi attorno come per accertarsi di non star disturbando. Le sopracciglia di Jimin si corrugarono.

"Jin hyung, cosa fai ancora qui? Non dovevi essere sulla strada di casa a quest'ora?" Chiese Jimin, preoccupato.

Quella mattina Seokjin era stato svegliato all'alba dalla polizia ed era dovuto correre al centro per occuparsi del disastro causato dall’atto di vandalismo. Dal momento che Namjoon era già partito per il suo lavoro aveva dovuto svegliare i genitori di Namjoon e chiedere loro di prendersi cura dei bambini. Dopo che i graffiti erano stati prontamente coperti di vernice fresca, Seokjin sarebbe dovuto tornare dalla sua famiglia. Dopo tutto, era il suo giorno libero e stare qui, preoccuparsi a morte per qualcosa che non era in suo potere controllare, non poteva essere considerato un'attività salutare.

"I bambini sono dai genitori di Namjoon e scommetto che i nonni li stanno viziando a morte. Non sono necessario al momento e non posso lasciare te e lo staff qui sapendo che la polizia potrebbe tornare o che altre cose potrebbero accadere. Non posso credere che tutti i nostri insegnanti abbiano rifiutato di cancellare le loro lezioni e che solo un paio di genitori si siano spaventati abbastanza da non portare qui i loro bambini oggi,” concluse Seokjin, scuotendo la testa incredulo.

"Sanno che non sei responsabile degli atti degli estranei e che operiamo sempre per mantenere questo posto il più sicuro possibile per i bambini".

"Lo so ma stiamo parlando del Freedom Movement. Non dovrebbero sottovalutare gli effetti negativi di finire nella loro lista nera e nemmeno noi dovremmo," ribatté Seokjin prima di allontanarsi definitivamente dall'ingresso e sedersi di fronte a Jimin con aria di sfida. Tuttavia dalla sua posa rigida era chiaro quanto ancora fosse nervoso e quella vista fece stringere il cuore a Jimin.

Jimin capiva troppo bene come era essere un bersaglio e sapeva che Seokjin probabilmente si sentiva vulnerabile e scosso.

"Non sappiamo se sono stati i militanti del Freedom Movement", Jimin disse, cercando di minimizzare, ma lo sguardo di Seokjin gli fece capire chiaramente che non stava ingannando nessuno.

Erano molto apprezzati nel loro quartiere e in tutti i quartieri dove era stati aperti dei centri gemelli di loro gestione.

Entrambi erano consapevoli che l'unico  possibile responsabile di un tale atto era il Freedom Movement 

Sin dall'inizio, Seokjin era stato molto chiaro con la comunità e gli insegnanti; il suo progetto di promuovere materie artistiche tra i numeri zero e il suo desiderio di aprire le porte a tutti quei numeri due che volevano seguire le loro lezioni, non era posto sotto alcuna ideologia politica, ma perseguiva il semplice scopo di aiutare i giovani, tutti giovani, ad imparare. Jimin era stato entusiasta del progetto e non aveva esitato a sostenere finanziariamente ed emotivamente il suo amico.

Il centro era finito col diventare uno dei principali, se non l'unico, luogo di aggregazione in grado di trascendere le differenze di status. Sapere di essere i genitori di questo piccolo miracolo, oltre a vedere le loro speranze di aggregazione tra numeri diventare reali, era una fonte di gioia e orgoglio. Quindi essere testimoni ora delle calunnie contro le loro buone intenzioni non li infastidiva soltanto: li spaventava.

“Va bene. Forse erano loro. Ma anche così, l'unica cosa che possiamo fare è continuare con il nostro lavoro. Gli insegnanti lo sanno e questo è il motivo per cui sono qui a portare avanti le lezioni come ogni giorno. Hyung, sei stato tu a insegnarmi il modo giusto per combattere le nostre battaglie. Non dimenticare la tua lezione. "

Vide la faccia di Seokjin scomporsi mentre veniva attraversato da una miriade di emozioni.

C'era stata una volta in cui Seokjin era stato l'erede del primo console Kim e Namjoon il suo consorte. Le storie che raccontavano di quel tempo parlavano di soffocanti muri e verità ancora più soffocanti e, per un lungo periodo, parlarne seppur brevemente era stato in grado di rattristare la coppia.

Adesso erano in grado di scherzare sul loro passato, trattando i loro giorni come eredi del titolo consolare come se fosse un episodio divertente, ma Jimin sapeva che c'era voluto molto impegno per riuscire a guardare ai loro giorni passati con un cuore leggero. Jimin poteva solo immaginare quanto dovesse essere stato duro e ammirava profondamente la forza che avevano dimostrato nel sacrificare una vita facile per una reale, la loro personale sfida al sistema.

"Saresti stato un ottimo console, Jimin," disse Seokjin sospirando drammaticamente. Era uno scherzo debole, ma Jimin rise nonostante ciò. Se il suo amico stava tentando di scherzare significava che era riuscito infine a rilassarsi un po'. 

"Mi lusinghi, ma preferirei ballare nudo piuttosto che avere a che fare con il governo," replicò Jimin ancora spaventato dalle storie che Namjoon gli aveva raccontato a riguardo.

"Comprensibile, scommetto che Jungkook lo apprezzerebbe," disse Seokjin, muovendo le sopracciglia in modo suggestivo. Questa volta Jimin rise di cuore.

"Non osare mettergli in testa strane idee," Jimin lo ammonì, "e dal momento che sei qui, il che significa che non hai altro da fare, tanto vale che tu torni davvero a casa a riposare come è giusto che sia."

"Ho molto da fare", provò Jin, "infatti, l'elenco dei nuovi studenti per tutti i distretti è appena arrivato e deve essere compilato".

"Lo faccio io. Sai che mi piace organizzare le cose. Tu vai pure. Ti accompagnerò personalmente alla porta se necessario," disse Jimin ancora più testardo..

"D'accordo, d'accordo, mi arrendo," disse Seokjin alzando le mani e ammettendo la sconfitta.

Jimin sorrise, ma nonostante le parole amichevoli di Seokjin, decise comunque di seguirlo quando questi finalmente si alzò.  Meglio assicurarsi che non cambiasse idea a metà strada.

Seokjin era un genitore ora e aveva il diritto di godersi il tempo con i suoi figli almeno finché non ricominciava la scuola. Non doveva rimanere chiuso in ufficio durante il suo giorno di riposo nell'attesa che succedesse un altro episodio spiacevole.

Camminarono fianco a fianco lungo il corridoio principale del centro ricreativo e nel passare davanti alle aule furono investiti dal suono di chiacchiere.

Nel corso degli anni, lui e Seokjin avevano lavorato per ampliare l'offerta formativa, non solo aumentando i corsi dei doposcuola, ma anche creando corsi per adulti e anziani e  recentemente avevano aperto le iscrizioni a bambini dell'asilo, con il risultato che il centro ricreativo età diventata quasi una scuola e le stanze erano piene dall'alba fino a mezzanotte.

Le voci degli insegnanti che spiegavano la loro materia, le domande degli studenti, alcune risate, il suono delle persone che si allenavano nelle palestre e il debole suono degli strumenti che venivano accordarti...Tutti quei rumori mescolati insieme erano il respiro di una comunità.

Fu un balsamo per le loro ferite e una volta che ebbero raggiunto la porta principale Seokjin si vedeva visibilmente rinfrancato. Eppure quando parlò, disse.

"Sai, ero così fiero di noi, così compiacente. Ogni volta pensavo al centro ricreativo e cosa significasse per le persone che vengono qui. Eppure ultimamente sono convinto che non abbiamo fatto nulla di speciale, la comunità lo ha fatto.” Si era soffermato sulla soglia delle porte scorrevoli che separavano il centro dal mondo esterno e in qualche modo la sua figura appariva più impattante del solito. 

Poi, con un tono che proveniva da sue sofferte riflessioni, aggiunse, "sono le loro voci quelle che dovrebbero venir ascoltate. Meritano di meglio del trattamento che altri gli riservano, meritano di meglio che essere chiamati ... "Seokjin si fermò, incapace di pronunciare ancora una volta la parola traditori.

Quelle parole non ferivano solo loro, ma anche le persone che credevano nel loro progetto e che mettevano anima e corpo nel centro ricreativo.

Jimin chiuse gli occhi per un lungo momento, un sospiro sfuggì dalle sue labbra.

Sì, meritavano di meglio ma cosa potevano effettivamente fare al riguardo?

Erano solo un numero zero e un numero due che avevano avuto una buona idea e che lavoravano duramente per diffonderla. Nel farlo avevano creato un posto sicuro e avrebbero continuato a lavorare affinché rimanesse così.

"Rimaniamo uniti, è il meglio che possiamo fare. Rimaniamo uniti. Ma se trovi un modo hyung, ti sosterrò come sempre," rispose Jimin con fervore. Intendeva ogni parola che aveva appena detto.

Seokjin lo guardò in modo strano, come se la sua mente fosse altrove. Ma fu un momento fugace e il suo sguardo tornò rapidamente al presente. Il maggiore annuì poi, sorridendogli,  attraversare le porte aperte e se ne andò.

Jimin attese un ragionevole lasso prima di lasciarsi andare, la sua maschera che si faceva a pezzi. All'improvviso si sentì solo e d'istinto abbracció se stesso nella speranza di raccattare un po' di calore umano.

Seokjin aveva ragione, meritavano di meglio, meritavano tutti di meglio. Meritavano di essere autorizzati a perseguire i loro sogni senza paura e a non rimanere frustrati nei loro desideri, condannati a desiderare senza alcuna speranza di soddisfazione reale.

Pensò di chiamare Jungkook per un momento,  la sua voce avrebbe allontanato i suoi pensieri ossessivi e disteso la sua mente. Ma alla fine, decise diversamente.

Jungkook era probabilmente occupato, e se fosse stato scosso anche più tardi poteva sempre parlargli dell'episodio a cena. La verità era che Jimin aveva paura che se lo avesse chiamato, sarebbe finito per esplodere e confessare quanto non bene stesse.

E lui non poteva farlo.

Fino a quando i muri che aveva costruito per contenere se stesso avrebbero resistito, Jimin avrebbe tenuto fede al suo punto.

Lanciò un'ultima occhiata all'entrata ormai deserta, prima di ritirarsi nel suo ufficio. Aveva una lista di nuovi studenti da riorganizzare.






 

Jungkook era famoso per essere l'unico numero zero che lavorava nel mondo dello spettacolo con il suo status dichiarato.

Tutti, tra i normali cittadini, avevano sentito il suo nome almeno una volta e la maggior parte di loro aveva anche memorizzato il suo viso. Eppure era innegabile che, anche se era generalmente ben noto, non per questo lo si poteva considerare una star. Non guadagnava milioni di dollari, non c'erano paparazzi, né orde di fan alla sua porta. Jungkook era ben contento di questo stato delle cose. Dopotutto non era entrato nel settore per la fama ma per il riconoscimento.

Jungkook era un ballerino. Era il leader di un gruppo di ballo che lavorava spesso per cantanti e gruppi famosi e altrettanto spesso veniva invitato come ospite ai loro tour. Teneva spettacoli da solista, appariva di tanto in tanto anche in televisione e aveva appena terminato con successo un tour tra i più importanti teatri del paese. 

Se si voltava a guardare alle sue origini, a come aveva iniziato e a quanto fosse stato dubbioso e spaventato di essere sotto i riflettori, Jungkook si sentiva estremamente orgoglioso di aver sopportato la pressione ed essere riuscito a raggiungere il suo obiettivo di vivere d'arte.

Certamente aver firmato sotto la casa discografica di Namjoon era stato fondamentale per la buona riuscita della sua carriera e Jungkook sarebbe stato per sempre grato al maggiore per l'opportunità. Era anche grato di come Namjoon non avesse mai mancato di incoraggiarlo.

All'inizio, Jungkook aveva voluto solo essere un ballerino di supporto, una figura anonima che si confondeva tra gli altri ballerini, quasi invisibile agli occhi del pubblico ma in grado di fare ciò che aveva sempre voluto fare - anche quando sapeva che il suo cuore desiderava di più.

Namjoon era riuscito a vedere attraverso di lui, e aveva dichiarato che non sarebbe stato un buon uomo d'affari se avesse permesso che tanto talento rimanesse nascosto e andasse  sprecato e anche quando Jungkook aveva sostenuto che il suo status come numero zero non gli avrebbe mai permesso di progredire nel settore, Namjoon aveva replicato "lascia fare a me. Il tempo di nascondersi è finito. "

E così era stato.

Era stato difficile soprattutto perché ogni consulente aziendale aveva sconsigliato a Namjoon tale mossa. Un simile piano poteva infatti mettere a serio rischio la reputazione della sua azienda e per giunta non solo era di incerta riuscita ma andava ben oltre il rischio d'impresa e poteva danneggiare le carriere degli altri artisti sotto la sua etichetta. Namjoon aveva continuato a sostenere la sua linea, sostenendo che i successi arridevano a chi osava e che credeva in Jungkook e le sue capacità.

Proseguirono e Jungkook fu presentato al mondo come un artista numero zero.

Jungkook si ricordava quanto era stato terrorizzato al solo pensare alla quantità di fiducia che Namjoon aveva risposto in lui, ma per fortuna non c'era stata solo la paura ma anche il desiderio di rendere orgogliosi i suoi amici e tutte le persone che credevano in lui.

Lavorò sodo. Si impegnò anima e corpo perché era consapevole della posta in gioco e sapeva che quella era l'opportunità della vita.

Sorprendentemente, il pubblico reagì meglio di quanto tutti loro si fossero aspettati. Ci furono diversi articoli di giornale che parlavano di lui come numero zero e alcuni imprenditori dello show business si rifiutarono di lavorare con lui e tuttavia, la maggior parte del pubblico e degli addetti ai lavori guardò alla cosa senza animosità.

La verità era che nel mondo dello spettacolo c'erano diversi numeri zero sotto mentite spoglie che tifavano segretamente per Jungkook mentre per quanto riguardava la censura governativa, la loro autostima era stata così profondamente abbattuta dal risultato del referendum, che preferivano non fare troppo rumore e rischiare di dargli troppa importanza. Dopotutto, Jungkook era solo un ballerino e non pensavano che avrebbe potuto fare troppi danni.

Dal canto suo Jungkook non aveva mai voluto causare rivoluzioni ma solo essere libero.

Da allora erano trascorsi quattro anni da quando aveva iniziato ed erano stati anni molto stancanti ma anche soddisfacenti e, anche quando i suoi muscoli a volte dolevano e la sua schiena non dava a Jungkook alcun riposo, non avrebbe scambiato il suo lavoro per nessun’altra cosa al mondo.

Eppure, ultimamente, nell'aria si avvertiva un senso di nervosismo e irrequietezza. Giravano molte voci e da quando alcuni artisti famosi avevano deciso di uscire dal loro stato di segretezza, le chiacchiere si erano fatte ancora più selvagge. Qualcosa stava cambiando e Jungkook non sapeva se gli piaceva la piega che le cose stavano prendendo.

Di recente aveva notato che l'interesse per la sua persona era cresciuto.

All'improvviso veniva invitato in tv più spesso e la sua agenzia aveva ricevuto diverse richieste di interviste da diversi canali importanti. Un tale aumento della domanda sarebbe stato accolto favorevolmente da parte sua se non fosse stato per un fastidioso dettaglio. Tutte le richieste avevano come temi principali il suo status di numero zero e il freedom movement. E Jungkook odiava questa cosa con tutto il cuore.

Aveva lavorato sodo per essere in grado di esibirsi al meglio delle sue condizioni ed era contento di aver ottenuto il riconoscimento. Ma per il suo talento. Non per il suo status.

Namjoon gli aveva promesso che non avrebbe mai usato lo status di Jungkook come principale strategia di marketing perché avrebbe ostacolato lo scopo di farlo risaltare per le sue doti. Il messaggio, per cui avevano spinto tutti i loro sforzi, voleva essere che i numeri zero non mancavano di nulla quando si trattava di abilità rispetto alla loro controparte numero due. 

Erano stati quindi estremamente attenti a rivelare il suo status come una informazione di servizio piuttosto che una strategia marketing, non volendo che sembrasse solo il rimbombo rumoroso di un contenitore vuoto.

Jungkook non era stupido, capiva fin troppo bene l'attuale situazione politica ed era consapevole di quanto fragile fosse l'equilibrio della loro società.

Fin da bambino, una volta che era stato  in grado di capire come funzionava la realtà circostante, Jungkook si era impegnato a tenere le orecchie e gli occhi aperti e aveva cercato di fare del suo meglio per essere un cittadino ben informato. Come membro di una minoranza ostracizzata per lui la politica contava, e molto. Erano quelle vecchie cariatidi del senato che decidevano se rendere la sua vita più facile o più difficile.

Vivevano in un periodo di transizione poteva, un periodo in cui il cambiamento aveva preso una forma e riusciva a farsi sentire forte in ogni angolo.

Jungkook non sapeva se era più deluso dal rifiuto del governo di riconoscere il cambiamento o dal fatto che coloro che erano riusciti a far sentire la loro voce, erano quelli che molto probabilmente non meritavano di essere ascoltati.

La violenza e coloro che agivano spinti dall'unico scopo di distruggere, non importava quanto pietosi fossero gli abiti con cui si travestivano per giustificarsi, non sarebbero mai stati la risposta per lui.

Jungkook era disgustato da entrambe le parti e per la prima volta nei suoi ventisette anni di vita, aveva messo distanza tra sé e il mondo esterno.

Avrebbe dovuto capire che era impossibile non venire trascinato in questa bolgia. Come sempre, il suo status aveva dimostrato quanto fosse difficile per lui avere una certa libertà di movimento.

Quasi rise alla sfortunata scelta di parole che il suo cervello aveva evocato. Poteva sentire la sua fronte corrugarsi in preoccupazione anche quando sapeva che irritarsi non avrebbe risolto nulla e sarebbe riuscito solo nell’intento di farsi venire un gran mal di testa. Eppure eccolo lì, a fissare stupidamente il muro del suo studio come un bambino troppo cresciuto, incapace di concentrarsi sul computer dove una nuova canzone a cui stava lavorando suonava in loop.

Non ne aveva bisogno.

Non aveva bisogno che un'altra preoccupazione cadesse a macigno sulle sue spalle, non quando era ancora confuso sul recente sviluppo della sua vita e non quando una sensazione di malessere lo stava rodendo dall'interno e continuava a urlargli che aveva dimenticato di notare un dettaglio.

Il ricordo del sorriso finto di Jimin durante la festa dei gemelli gli balenò davanti agli occhi e il suo cuore si strinse.

Nemmeno un secondo dopo, quasi la sua matassa di pensieri oscuri avesse inviato un segnale di sos, qualcuno bussò alla sua porta. 

"Jungkook sono io, Namjoon, sto entrando", venne la voce profonda di Namjoon dall'altra parte della porta.

Tecnicamente quelle erano le stanze di Namjoon avendo investito tutti i suoi soldi per acquistare quell'edificio che sarebbe stato il quartier generale della sua nuova casa discografica, eppure non si era mai comportato come il proprietario e aveva sempre dato grande libertà ai suoi artisti. Chiedeva il permesso ogni volta che voleva parlare con loro. Considerava infatti gli studi un'estensione delle persone che lo usavano e un posto molto privato.

"Sì," disse Jungkook perché, nonostante le sue parole, Namjoon aveva aspettato la sua conferma prima di entrare.

Jungkook si voltò verso di lui con la sedia girevole non appena sentì la porta aprirsi. Namjoon entrò con una circospezione che di solito non apparteneva alla sua persona, i suoi passi erano lenti e attenti e quando Jungkook lanciò una buona occhiata alla sua espressione facciale, capì che Namjoon non era lì solo per chiacchierare ma per avere un conversazione seria.

Sospirò internamente. Non era esattamente sorpreso di quella visita, dato che aveva appena sabotato un'intervista importante che era stata programmata con settimane di anticipo in preparazione del lancio del suo nuovo spettacolo.

"Jungkook, come stai? In questi giorni ero impegnato quindi non sono riuscito a dare un’occhiata alle canzoni su cui stai lavorando, ma Taehyung, che ha sentito i demo, ne è entusiasta, quindi ho delle aspettative ,” commentò Namjoon.

Quando Jungkook espresse il desiderio di espandere i suoi orizzonti ed addentrarsi nella composizione, Namjoon si era attivato subito e un paio di settimane dopo la sua richiesta, a Jungkook era stato assegnato un mini studio dotato di tutto ciò di cui aveva bisogno. Conosceva Namjoon già da molti anni e sapeva esserlo un’ottima persona, ma quando Namjoon faceva cose del genere, gli faceva ricordare ancora una volta quanto fosse fortunato a lavorare con lui.

Namjoon era molto appassionato del suo lavoro, preciso e accurato quando si trattava di composizione e produzione, e anche molto diretto quando doveva esprimere la sua opinione sul lavoro dei suoi artisti e compositori.

Ma era anche logico e ragionevole ed era il tipo di persona che cercava il confronto trasparente piuttosto che l’imposizione forzato del proprio giudizio sugli altri.

Dato che avevano un AD che gestiva la governance della casa discografica, Namjoon raramente doveva preoccuparsi del lato burocratico e tecnico dell'azienda e quindi era libero di comportarsi più come un direttore creativo che come un amministratore. Questo accordo gli aveva permesso di avere relazioni amichevoli e informali con i suoi dipendenti.

Con lui e Taehyung, due persone con cui aveva stretto amicizia prima di assumerle, Namjoon era particolarmente aperto e disinvolto.

I tre andavano molto d'accordo e le occasioni in cui si scontravano o avevano un disaccordo artistico erano piuttosto rare.

Eppure quel giorno Jungkook sapeva di aver oltrepassato alcuni limiti e sapeva che la visita di Namjoon non era solo quella di un amico che passava a salutare.

L’imbarazzo di Namjoon era palpabile e lui stesso si sentiva un po' a disagio.  Aveva paura di essere finalmente riuscito in quello che temeva di più ossia deludere il maggiore.

"Quando si tratta di me, Taehyung è di parte , ma mi fido di lui come musicista, quindi sono contento che non abbia pensato che fosse un completo disastro", disse Jungkook tradendo un po' di nervosismo.

Nonostante avesse imparato ad essere più vocale, Jungkook aveva ancora qualche problema ad aprirsi come un essere umano normale. Jungkook aveva sperato che superata una certa età alcuni problemi si sarebbero risolti da soli una volta raggiunto un livello più alto di consapevolezza, purtroppo non era stato così per tutto e alcune insicurezze erano più difficili da superare rispetto ad altre.

"Ma scommetto che non sei venuto qui solo per dirmi questo,” aggiunse subito dopo Jungkook prendendo Namjoon alla sprovvista. Decisamente non era un mostro di tatto e nella sua ansia di comunicare spesso lo faceva in modo troppo diretto. Sperava che Namjoon lo avrebbe aiutato ad attraversare il ponte.

"No, non solo per questo", rispose Namjoon senza perdere la calma. Il bello di  Namjoon era che c'erano davvero poche cose nella vita che potevano infastidirlo e lui nel complesso era più affidabile di una roccia.

Era facile fidarsi di lui, dato che era sempre onesto. "Ero sincero ma ammetto che in effetti il mio era un tentativo di farci sentire più a nostro agio prima di passare ad argomenti più difficili,” confessò Namjoon emettendo un sospiro.

“Quando si tratta di interazioni non credo di poter giudicare, probabilmente sono peggio di te,” commentò Jungkook cercando di mantenere un umore leggero.

"Sì, ma se consideri che in gioventù ero effettivamente addestrato a fare discorsi, è abbastanza vergognoso quanto io sia ancora inadeguato," commentò Namjoon, battendosi distrattamente il mento mentre la sua mente per un momento si perdeva nei ricordi del passato.

Jungkook emise una risatina, mentre l'immagine di un Namjoon vestito in modo formale gli attraversava la mente. A volte era difficile pensare che il suo capo, il suo amico, in un universo alternativo avrebbe potuto essere il secondo uomo più potente del paese.

"Dato che è chiaro che non siamo bravi a sorvolare...Dimmi cosa è successo stamattina Jungkook?" Chiese Namjoon guardandolo dritto negli occhi.

Jungkook dovette combattere la tentazione contorcersi sulla sedia mentre cercava le parole giuste per descrivere i fatti di quella mattina.

Eppure il suo cervello aveva deciso che era più facile ammutinarlo e Jungkook rimase lì, con la mente vuota e la bocca asciutta, incapace di spiccicare parola.

Come avrebbe potuto spiegare a Namjoon perché aveva agito in quel modo?

Non c'era modo di mascherare i fatti e lui non era il tipo da cercare scuse, eppure aveva disperatamente bisogno che Namjoon capisse il suo punto.

Lui era probabilmente quello che si vergognava di più dell’accaduto.

Per tutta la vita, il suo obiettivo era stato quello di agire al meglio delle sue possibilità e di non dare occasioni agli altri di critica quando si trattava del suo lavoro perché sapeva che i suoi nemici stavano aspettando un suo passo falso per accusarlo del suo comportamento sciatto e fare del suo status la ragione.

Aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai comportato come una vittima.

Era venuto meno alle sue aspettative e non importava quanto fosse stato provocato, nel momento in cui era fuggito via dall’intervista, aveva dato prova di quanto ancora doveva lavorare su se stesso visto che con un unico gesto aveva gettato al vento anni di sforzi comuni.

Jungkook non poteva perdonare a se stesso di essere stato così poco professionale.

"Il tuo manager mi ha chiamato un paio d'ore fa, raccontandomi gli avvenimenti di questa mattina. Non sono qui per sgridarti o giudicarti Jungkook, penso che abbiamo un tipo di relazione che va oltre i piccoli screzi e lo scopo del tuo manager non era certo di screditarti quando ha deciso di informarmi. Voleva che ti parlassi personalmente per capire cosa è successo. Ti sei isolato nel tuo studio non appena sei tornato in azienda ed era molto preoccupato. Quindi eccomi qui sono tutto orecchi. Ti conosco molto bene e so che non fai le cose per capriccio e se devo difenderti dal mondo esterno, ho bisogno di sapere tutto quello che è successo. "

"Mi vuoi difendere?" Chiese Jungkook colto di sorpresa. Poi si rese conto che durante tutto il discorso di Namjoon aveva tenuto la testa bassa per la vergogna. Quando sollevò la testa, vide quanto serio fosse Namjoon.

"Sì, difenderti. Mi preparo a combattere in prima linea dal momento in cui abbiamo deciso di non nascondere il tuo status", rispose Namjoon come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

Non lo era. Dannazione, non lo era.

In un mondo in cui i numeri due erano addestrati a guardare dall'alto in basso i numeri zero, persone come Namjoon erano la prova di come esistesse ancora il libero arbitrio e, in definitiva, il motivo per cui il referendum non era andato come previsto dal governo.

Jungkook provò sollievo e calore e molte altre cose complicate ma piacevoli che gli diedero il coraggio di ricordare l'episodio.

"Come saprai, avevo in programma un'intervista stamattina. Si trattava di un'intervista importante per un canale importante. Avevamo concordato che il primo segmento del programma sarebbe andato a me e dato che la mia tournée sta per ripartire, non potevamo perdere l'occasione. Quindi mi sono svegliato prestissimo stamattina perché lo staff potesse prepararmi e poi una volta pronto il mio manager mi ha accompagnato in studio. Lo staff della stazione televisiva era estremamente gentile e non vi era indizio alcuno del disastro che di lì a poco avrebbe avuto luogo. Perciò mi hanno ritoccato il trucco, mi hanno messo un microfono e mi hanno fatto sedere nello studio elegantemente arredato per l'intervista. Ho sorriso e l'intervistatore mi ha sorriso chiedendomi se le luci andavano bene continuandomi a ripetere di fare come se fosse casa mia. All'inizio le domande sono state piuttosto innocue, mi hanno chiesto del mio ultimo spettacolo e dei miei piani. Ma l'atmosfera è mutata rapidamente. Hanno iniziato chiedendomi se mi piaceva leggere i giornali e se mi piaceva tenermi informato ed ho risposto di sì, che ho sempre fatto del mio meglio per essere aggiornato sulle ultime notizie perché credevo fosse mio dovere di cittadino essere informato. 

Mi hanno ingannato. Mi hanno portato esattamente dove miravano di portarmi fin dall'inizio, ma me ne sono reso conto troppo tardi. L'intervistatore ha sorriso e poi ha cominciato a leggere alcuni titoli di giornale che parlavano dei danni alle proprietà pubbliche per mano degli insurrezionalisti. Per un momento sono rimasto senza parole ma mi sono ripreso abbastanza per rispondere che non ne sapevo nulla  e che comunque non ero d'accordo con nessuna forma di violenza. Ho immaginato che non avrebbero chiesto altro perché non era affatto quello che avevamo concordato. Non si sono fermati e hanno continuato. Hanno letto un'altra notizia su una molotov gettata alla stazione di polizia e poi hanno continuato a leggere altre notizie chiedendomi quale fosse la mia opinione al riguardo, tempestandomi di domande senza lasciarmi il tempo di rispondere correttamente a nessuna di esse. Hanno anche commentato come di recente molte celebrità fossero uscite allo scoperto e mi hanno chiesto se ero d'accordo con chi diceva che queste celebrità erano degli ipocriti che hanno munto l'industria a suon di menzogne. E ancora se come primo numero zero dichiarato, non ero quello che più di tutti doveva parlare e se il fatto che ero uscito allo scoperto fin dall'inizio non faceva di me un rivoluzionario. La telecamera ha continuato a girare per tutto il tempo e scommetto che hanno registrato dieci minuti solidi di me che spalancavo e chiudevo la bocca come un pesce fuor d'acqua. Mi hanno distrutto e non ho nemmeno saputo difendermi."

"Non hai niente da dire al nostro pubblico Jeon Jungkook?" L'intervistatore aveva concluso con un sorriso, soddisfatto della sua opera di umiliazione. E umiliato Jungkook si era sentito. 

"Mi sono lasciato prendere dal panico. Sono un uomo adulto ma mi sono fatto prendere dal panico e prima che il mio cervello potesse registrare cosa stavo facendo, ero già in piedi e stavo fuggendo. Il nostro manager mi ha trovato mezz'ora dopo chiuso in una toilette del primo piano della stazione televisiva. Mi dispiace. Avrei dovuto gestire meglio la situazione, lo so. Mi dispiace di aver causato un simile inconveniente alla compagnia, "disse Jungkook sospirando e cercando di resistere all'impulso di coprirsi il viso.

La rabbia era arrivata troppo tardi. Prima era arrivata la paura e poi la vergogna. 

"Non essere dispiaciuto, non è colpa tua Jungkook." Brividi lo percorsero da capo a piedi nel sentire il tono di ghiaccio di Namjoon

Ebbe comunque il coraggio di guardare in alto, sorpreso di trovare la convalida invece della punizione.

Namjoon si alzò e fece dei passi nervosi verso la finestra, le mani appoggiate sui fianchi in un gesto che ricordava a Jungkook  sua madre quando si arrabbiava. Si fermò lì come se stesse cercando di contenersi.

"Namjoon?"

Namjoon si voltò. Sembrava furioso.

"Non c'è niente che avresti potuto fare di meglio Jungkook, non è stato un incidente ma un'imboscata. E non devi preoccuparti della registrazione, farò in modo che non venga trasmessa. Se pensano che non ti proteggerò  solo perché sei un artista numero zero si sbagliano di grosso.

"Non sei arrabbiato con me? Per la mia completa mancanza di professionalità? Avrei potuto dire qualcosa, gestirla meglio, dire qualcosa di più invece di fare la figura dell'idiota."

"Jungkook sei un ballerino, non un politico."

"Lo so, ma ... forse hanno ragione, forse anch'io sono un vigliacco a non dire niente."

"Se in futuro vorrai parlare del tuo status ed essere assertivo su questioni sociali attraverso la tua arte non ti fermerò, ma solo se sei disposto a farlo e non quando sarai trascinato con la forza per dimostrare il punto di vista malato che alcuni hanno sui numeri zero."

Le dita di Jungkook affondarono dolorosamente nelle sue cosce mentre una nuova verità si svelava davanti a lui.

"Continuerà ad accadere, non è vero?" Chiese, con la gola secca, la mascella contratta così dolorosamente da fare male.

La faccia seria di Namjoon era una risposta sufficiente.

"Cercherò di fare del mio meglio per evitare che ciò accada, ma devi essere preparato e ..."

"Lo so, lo sarò e farò di tutto per non coinvolgere ulteriormente te e la compagnia il meno possibile. Hai già fatto così tanto per me."

Namjoon scosse la testa come se fosse addolorato di sentire quelle parole.

Namjoon era un sognatore, lo era sempre stato, da quando era scappato dalla famiglia Kim, ogni passo che lui e Seokjin avevano fatto era stato per vivere una vita diversa da quella che il governo aveva programmato per loro.

"La prossima volta vieni da me prima. Viviamo in tempi difficili e dobbiamo restare uniti."

Jungkook guardò Namjoon a lungo mentre cercava disperatamente di pensare al modo giusto per esprimere quanto l'amicizia di Namjoon significasse per lui, quanto fosse grato per tutto ciò che aveva fatto e stava ancora facendo per lui, ma prima di riuscire ad articolare qualcosa di più di un rumore strozzato, il telefono di Namjoon squillò.

Il maggiore sobbalzò sul posto e tirò fuori il suo cellulare dalla tasca posteriore con tutta l'intenzione di mettere a tacere il dispositivo, se non fosse stato per il nome sul display. Il suo viso si trasformò da infastidito a confuso.

"È Seokjin ..." disse, aggrottando le sopracciglia e accettando la chiamata mentre sillabava uno scusa a Jungkook.

Sia Namjoon che Jungkook sapevano che Seokjin non era il tipo da chiamare durante l'orario di lavoro, a meno che non fosse la pausa pranzo, preferendo comunicare attraverso i messaggi. Gli unici casi in cui aveva chiamato durante le ore di lavoro, era stato quando era successo qualcosa alla famiglia o Seokjin era stato in urgente bisogno di Namjoon su qualche questione importante.

"Pronto, Jin?" quelle due parole furono seguite da un fiume di parole dall'altra parte, dette in tono così nervoso e acuto che persino Jungkook riuscì a sentirle vagamente dal suo posto.

Namjoon tornò alla finestra a camminare nervosamente avanti e indietro.

"Ma stai bene? Vuoi che torni? Posso tornare anche subito. Ti sento agitato, "Jungkook sentì Namjoon dire.

Non era un buon segno.

Jungkook si fece piccolo sulla sedia, cercando di non origliare e di dar loro un po 'di privacy ma proprio mentre stava meditando l'idea di uscire e lasciare il suo studio a Namjoon, questi tornò alla sua scrivania e mise il telefono in viva voce.

"Stamattina qualcuno ha imbrattato le pareti del nostro centro comunitario con vernice. L'accaduto ha allarmato i nostri vicini che hanno chiamato la polizia: non è successo nulla di veramente irreparabile e hanno già coperto i graffiti lasciati sul muro ma, nel caso improbabile che questo diventi notizia data la popolarità dei nostri centri, ho preferito parlartene. Non volevo che tu sentissi questo da un'altra fonte e non da me. "

"Jimin, sta bene?"

"Oh ciao Jungkook, ci sei anche tu? Comunque sì, sta bene, non ti ha chiamato?"

Jungkook tirò fuori il telefono dalla tasca ma sul suo display non c'era nulla di nuovo.

"No, non l'ha fatto."

"Ah, quel ragazzo, probabilmente non voleva disturbarti, non preoccuparti Jungkook, sta bene, l'ho lasciato a lavorare con il resto degli insegnanti. Sono al sicuro, la polizia pattuglia il quartiere nel caso in cui il colpevole ci riprovi. "

"La polizia, Jin? Stai dicendo che non c'è nulla di cui preoccuparsi, ma ci stai anche dicendo che la polizia è stata coinvolta? Perché erano coinvolti se la faccenda non è nulla di serio?" Namjoon chiese concitato rubando a Jungkook le parole di bocca.

"Joon, calmati, sono solo graffiti."

"Eppure i tuoi vicini hanno deciso di chiedere un intervento e tu stesso sembri spaventato, non provare a nasconderlo. Che cosa hanno scritto su quel muro Seokjin?" Namjoon incalzò.

Un silenzio inquietante seguì la domanda e poi il suono chiaro di un sospiro pesante. "Traditori, hanno scritto traditori ma non è davvero nulla di cui preoccuparsi ..." Namjoon tolse il vivavoce e si portò con urgenza il telefono all'orecchio per assicurarsi che la sua voce raggiungesse chiaramente il suo compagno.

"Vengo. Ora, dove sei?" Namjoon chiese scambiandosi uno sguardo di preoccupazione con Jungkook prima di uscire dalla stanza.

Jungkook sentì una stretta spiacevole allo stomaco.

Seokjin poteva blaterare quanto voleva sul fatto che fosse solo un graffito, ma conosceva solo un gruppo di persone a cui la parola traditori suonava giusta e la cosa non piaceva a Jungkook affatto.

Strinse il telefono nella sua mano mentre cercava freneticamente tra le sue notifiche se in qualche modo avesse avuto una chiamata persa da Jimin, ma niente. Jimin credeva davvero di disturbare Jungkook parlandogliene?

Jungkook sospirò.

All'inizio della loro relazione non era stato l'unico ad avere problemi ad aprirsi.

Anche se Jimin era decisamente più genuino e onesto quando si trattava di esprimere i suoi sentimenti, era molto riservato invece quando quelle sensazioni coinvolgevano i suoi problemi personali. 

Jungkook capiva, lo capiva davvero, l'abitudine ad essere autosufficienti. Da numero zero venivi cresciuto con l'idea che l'unica persona su cui avresti potuto contare nella vita eri tu stesso e Jungkook aveva abbracciato l'amara verità e si era impegnato a cavarsela da solo per il resto della sua vita. Questo avrebbe dovuto renderlo una persona arida ma così non era stato. Anche se aveva imparato a nascondere la maggior parte delle sue emozioni, Jungkook era ancora in grado di esprimere le sue più profonde preoccupazioni alle persone di cui si fidava. Ogni volta che sentiva di affogare non aveva esitato ad andare a Taehyung e, quando aveva iniziato a frequentare Jimin, ad andare da quest'ultimo.

Jimin invece faceva il contrario considerava il parlare dei suoi problemi un'imposizione e ci era voluto del tempo perché entrambi si adattassero l'uno all'altro e capissero che per crescere insieme dovevano lasciarsi alle spalle le loro abitudini sbagliate. Imparare a fidarsi e fare affidamento l'uno sull'altro senza vergogna o paura di essere giudicati non era semplice, ma Jungkook pensava che avessero fatto progressi nel corso degli anni, quindi perché Jimin non aveva chiamato?

Questa era una cosa importante. Si trattava del fottuto Freedom movement per l'amor di Dio.

Digitò in fretta un messaggio a Jimin chiedendogli come procedesse la sua giornata e sperando che Jimin abboccasse e parlasse con lui.

Namjoon tornò prima che ci fosse qualsiasi risposta da parte di Jimin.

"Jin sta andando a casa dei miei genitori dove sono i bambini e andrò lì anch'io, anche se mi ha chiesto di restare qui. Se vuoi andare da Jimin puoi farlo."

"Grazie Namjoon, sento Jimin e vedo cosa fare," rispose Jungkook debolmente.

Namjoon annuì prima di ritirarsi e lasciare Jungkook da solo.

Quando Jungkook guardò il suo telefono, vide che Jimin aveva risposto. Aprì frettolosamente il messaggio solo per leggere le parole di Jimin che diceva che stava andando tutto bene e gli augurava una buona giornata. Non menzionava nulla di ciò che Seokjin aveva appena detto loro.

Jungkook si sentì affondare, un peso che lo trascinava a fondo: la realizzazione che vi fosse qualcosa che non andava in Jimin. Ma che cosa fosse, Jungkook non ne aveva idea e per la seconda volta quel giorno, si sentì impotente.

Per un momento pensò di chiamare Jimin e affrontarlo. Forse nel sentire la voce di Jungkook si sarebbe convinto a parlare. Continuò a fissare  il suo telefono invece e più lo fissava, più si sentiva incerto.

Quello che era successo lo preoccupava e il silenzio di Jimin lo preoccupava ancora di più. Eppure una parte di lui, nonostante Jungkook morisse dalla voglia di correre dal maggiore, gli suggeriva di aspettare. Rimanere a vegliare finché l'altro non si fosse convinto ad abbandonare il suo piano di silenzio.

Quella parte vinse.

Quindi Jungkook rispose a sua volta qualcosa di generico, dicendo che aveva una giornata tranquilla e cercando in modo sottile di far sapere a Jimin che tempo per parlare ce lo aveva.

Decise quindi di continuare a comporre per un po' prima di lanciarsi negli allenamenti di ballo, ma non importava quante volte controllasse il telefono, Jimin non menzionava mai l'incidente.

Dire che Jungkook era deluso, era un eufemismo.

Il giorno si trascinò dolorosamente lento e, anche se aveva parecchie cose da fare, decise di tornare a casa presto, incapace di resistere un'ora in più lontano da Jimin.

"Sono a casa", annunciò Jungkook non appena varcò la soglia di casa.

Il delizioso profumo di cibo che si cuoceva colpì le sue narici e Jungkook capì immediatamente che Jimin doveva essere tornato da un po',  ​​abbastanza presto per avere il tempo di preparare un pasto delizioso.

La vita domestica era qualcosa di cui Jungkook non avrebbe mai smesso di sentirsi grato.

Si tolse le scarpe e le posizionó con cura vicino alla porta e accanto a quelle di Jimin, prima di dirigersi verso la cucina.

Vi si tuffò dentro desideroso di vedere la faccia di Jimin. Come aveva immaginato, Jimin era ai fornelli a mescolare qualcosa dentro una pentola. Stava canticchiando sottovoce l'ultima canzone di Jungkook, gli auricolari infilati nelle orecchie che spiegavano il perché non avesse sentito l'arrivo di Jungkook.

Jungkook rimase a fissare le sue spalle per un po ', le sue paure pacificate alla vista di tanta normalità. Coprì gli ultimi passi che li separavano e, nonostante il suo tumulto interiore, non riuscì a trattenersi. Posó un bacio leggero sulla sua tempia allo stesso tempo in cui le sue mani si posavano delicatamente sui fianchi di Jimin, stringendolo.

Jimin trasalì per la sorpresa, ma quando si voltò verso di lui questa lasciò immediatamente il posto a un sorriso stupendo.

"Jungkook!" Esclamò togliendosi gli auricolari. "Sei qui presto," disse, stiracchiando il collo di lato per poter premere le labbra su quelle di Jungkook. 

La sua espressione non tradiva nessuna emozione negativa e se Jungkook non avesse saputo meglio, avrebbe creduto che nulla fosse successo, ma le parole di Seokjin erano incise nel suo cervello.

"Sì, oggi è stato un giorno strano, ecco perché sono tornato presto", commentò Jungkook cercando di vedere se nell'aprirsi, Jimin avrebbe avuto voglia di fare lo stesso.

"Giorno strano?" Le sopracciglia di Jimin si sollevarono preoccupate e il suo viso fu dipinto da un sentimento così genuino che per un attimo Jungkook dimenticò il suo scopo e si lasciò sopraffare dalle proprie emozioni post intervista.

Il suo viso probabilmente mostrava parte della sua pena perché Jimin sollevò la mano e la appoggiò sulla guancia di Jungkook come forma di conforto.

"È successo qualcosa," disse Jimin guardando Jungkook negli occhi in cerca di risposte.

Jungkook trovava ingiusto che Jimin fosse così generoso con gli altri ma così avaro con sé stesso. 

Il sugo dentro la pentola scoppiettó rumorosamente facendo sobbalzare tutti e due.

"C'è stata una disavventura al lavoro, ma prima il cibo o brucerà", rispose Jungkook gentilmente mentre prendeva la mano Jimin e se la portava alle labbra, posandovi un piccolo bacio prima di fare qualche passo indietro.

Jimin spense i fornelli invece e si voltò rapido verso Jungkook, che si era nel frattempo appoggiato al tavolo della cucina.

"Questo può aspettare, dimmi cos'è successo," Jimin insistette, camminando verso di lui finché non gli fu di fronte. Intrecciò le dita con le sue e così facendo le ultime barricate di Jungkook crollarono.

"Oggi avevo un'intervista, ti ricordi? Quello che stavo aspettavo con ansia. Beh, non è andata come immaginavo," rispose Jungkook e poi con un sospiro gli raccontò tutto quello che era successo quella mattina.

Il volto di Jimin si trasformò man mano che lui proseguiva nel suo racconto e il volto del maggiore da preoccupato si fece aspro.

"Mi dispiace che sia successo a te, Jungkook," disse Jimin con il tono addolorato di chi era costretto ad assistere alle iniquità quotidianamente senza essere in grado di fare qualcosa per aggiustarle. "Lavori sodo e non meriti un trattamento del genere ma Namjoon ha ragione, non è colpa tua quindi non incolpare te stesso per una reazione che non avresti potuto evitare".

Non era giusto come Jimin sapesse sempre quali parole dire per farlo sentire meglio. Non era giusto perché rendeva il suo compito di avercela con lui piuttosto difficile.

"Non avrei mai dovuto illudermi di poter avere  un trattamento imparziale. Ma lavorare con Namjoon e fare quello che sognavo da quando ero un bambino per giunta senza dover nascondere il mio status come se fosse una malattia, mi ha fatto sperare che le cose potessero cambiare. Quando faccio i miei spettacoli e la gente applaude, non sono Jungkook il numero zero ma Jungkook il ballerino. È così facile dimenticare l'ambiente circostante. È così dannatamente facile che quando vieni riportato dal sogno alla realtà è come essere investiti da un treno. E fa paura. "

Jimin strinse la sua mano, e in quel gesto c'era tutta la comprensione e l'empatia di chi aveva subito delle cicatrici simili e quindi poteva capire. Jungkook sentì il peso scottante della sua delusione sciogliersi  un po' e fu per l'ennesima volta grato di avere il maggiore al suo fianco.

Sapeva di essere fortunato per molte più ragioni dell'essere riuscito nell'impresa di trovare l'amore in una realtà in cui esso era stato decretato fuori dalla sua portata. Essere in grado di fare ciò che hai sempre sognato supportato dalla persona che ami era un risultato che anche alla parte eletta della loro società riusciva difficile. Ma lui ce l'aveva fatta. 

In quel momento fu colpito dalla consapevolezza di quanto fosse importante il lavoro di Jimin e quanto ciò che il maggiore faceva influenzasse positivamente la comunità. Lui e Seokjin avevano creato un luogo in cui le persone potevano ottenere gli strumenti per cercare di rendere i propri sogni possibili. Non era come se Jungkook non se ne fosse mai accorto, era infatti orgoglioso di quello che Jimin aveva fatto, ma alla luce degli eventi recenti, improvvisamente che Jimin potesse continuare a operare pacificamente e indisturbato, appariva vitale.

Sapeva che anche Jimin era consapevole di ciò, eppure sembrava non pensare che l'episodio che gli era successo fosse abbastanza serio o peggio ancora, sembrava convinto che non fosse qualcosa di cui Jungkook dovesse preoccuparsi.

Quando avrebbe imparato Jimin che la felicità significava sopportare insieme le difficoltà?

"Grazie," sussurrò Jungkook stringendo volta la mano di Jimin. "Grazie per essere qui per me a sostenermi, spero che tu sappia che anche io sono qui per te. Sempre."

Ci fu un momento di esitazione da parte di Jimin che durò un battito di ciglia e Jungkook non se ne sarebbe accorto forse se non fosse stato che conosceva Jimin come il palmo della sua mano.  Eppure, quando Jimin aprì la bocca, non fu per raccontare quello che gli era successo, ma fu per tenere la verità per sé.

"Lo so," rispose, e l'affetto che traboccava da quelle parole era evidente  e Jungkook si fidava del loro legame abbastanza da sapere che tutto ciò che Jimin faceva era per una ragione e che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere pur di non ferire Jungkook.

Tuttavia, nella fretta di mantenere lo status quo, stava facendo esattamente quello che aveva voluto evitare. Stava ferendo Jungkook. 

E Jungkook non capiva il perché di quella bugia, perché quel silenzio, perché quella decisione quando si amavano così tanto?

Pensava davvero che Seokjin non lo avrebbe detto a Namjoon? Pensava davvero che Namjoon non avrebbe condiviso con lui l'informazione non appena l'avesse scoperta?

Non aveva alcun senso. Non aveva alcun senso e questo lo spaventava più di qualunque cosa il mondo esterno gli lanciasse addosso.

Jungkook avrebbe potuto dire qualcosa, indurre con le cattive il maggiore a raccontargli l'episodio, eppure sentiva che la volontà di farlo doveva venire da Jimin. Per quanto volesse smussare ogni piccolo incidente che potesse ostacolare il loro viaggio insieme, sentiva di dover dare a se stesso e a Jimin spazio di manovra e che quest'ultimo sentisse di poter venire da lui.

Costringendolo avrebbe forse risolto quell'istanza ma non avrebbe aggiustato le loro dinamiche a lungo termine, Jungkook ragionò con se stesso. 

E quando più tardi quella sera, dopo che avevano cenato e si erano rilassati sul divano di fronte alla tv, erano andati a dormire e giacevano sdraiati fianco a fianco, il corpo di Jimin rannicchiato su di lui e il suo naso che sprofondava nell'incavo del suo collo, Jungkook decise che avrebbe aspettato tutto il tempo di cui Jimin aveva bisogno.

Pregò affinché Jimin potesse sentirsi libero di dirgli qualunque cosa lo infastidisse perché era sicuro che il silenzio che manteneva su quell'incidente era solo la punta di un problema più serio ed era anche chiaro che il maggiore stava avendo delle difficoltà a venire a patti con esso. Lo addolorava sapere che l'altro soffriva in silenzio e avrebbe voluto che l'abbraccio con cui stringeva Jimin fosse sufficiente a proteggerlo da qualunque tristezza gli fosse caduta addosso.

Perché il tempo in cui erano condannati a soffrire da soli, era da tempo finito.

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Capitolo 3
*** 00.2 ***


00.2
 
La routine poteva essere una benedizione e una maledizione.

Considerando quanto aggrovigliato e confuso era stato l’inizio suo e di Jimin, Jungkook aveva accolto a braccia aperte l’arrivo della routine.

Era la ricompensa a tutte le difficoltà a cui erano andati incontro fin da quando erano piccoli, e la serenità tanto agognata dopo le brutture che il loro status aveva imposto su di loro.
Tuttavia, Jungkook avrebbe dovuto sapere che le cose non sono fatte per rimanere immobili. Per quanto si potesse amare la pace, essa era solo uno stato transitorio tra una fase e l’altra e tempi diversi, portano sfide diverse con le quali doversi misurare.

Aveva erroneamente pensato che la routine potesse essere solo una benedizione e non si era aspettato che questa si trasformasse nel più perfido dei camuffamenti. La sua ripetitività aveva finito col diventare la maschera dietro cui celare verità scomode e Jungkook si chiedeva con orrore da quanto questo andasse avanti.

Era passata appena una settimana dall'incidente al centro ricreativo e Jungkook era stato costretto ad assistere allo spettacolo di Jimin che si alzava, andava a lavorare e tornava a casa, comportandosi come se nulla fosse successo. Jimin lo salutava con lo stesso sorriso, lo accarezzava con la stessa premura e, se era stato più affettuoso del solito, era perché si preoccupava dell’episodio di Jungkook e non certo del suo.

Stava diventando fin troppo frustrante vedere il suo amante infliggersi questo trattamento, al punto che Jungkook si chiedeva se fosse stata una buona idea lasciare che Jimin stabilisse il suo ritmo e trovasse le proprie risposte prima di affrontarlo. Ora invece aveva paura che il maggiore avesse scelto di reprimere e soffrire in silenzio pur di non causare un disturbo.

Jungkook non poteva fare a meno di sentirsi colpevole. Le sue capacità percettive erano sempre state penose ma era stato davvero così concentrato su sé stesso da non capire che qualcosa non stesse andando da tempo? D'altra parte, era anche vero che Jimin era un maestro nel nascondere le sue emozioni.

Nonostante le sue mancanze, a Jungkook rimaneva una qualità redentiva. Amare Jimin moltissimo.

Quindi alla fine ci era arrivato, ma non appena la verità gli era stata infine evidente, allo stesso modo lo era stata la sua impotenza. Non poteva costringere Jimin a fare affidamento su di lui, poteva solo ricordargli ogni giorno con i suoi gesti e parole che lui sarebbe sempre stato lì al suo fianco.

Seokjin una volta gli aveva detto che l'amore riguardava il lasciar andare e Jungkook non aveva capito allora, perché non poteva immaginare di lasciar andare Jimin in alcun modo. Ora, quelle parole avevano un senso.

Jungkook sospirò rotolando di lato nel letto solo per trovare l'altra parte vuota. Tastò le lenzuola che erano calde al tocco segnale che Jimin non doveva essersi alzato da troppo tempo.
Almeno l'altra sua questione era stata risolta, si disse. Namjoon aveva compiuto il miracolo ed era riuscito a requisire la scandalosa intervista prima che venisse trasmessa, diventando sostanzialmente l'unico motivo per il quale Jungkook aveva ancora una scaletta di attività e quindi una carriera.

I giorni a seguire, in particolare, sarebbero stati molto intensi e avrebbero richiesto la sua piena attenzione.

Si trascinò fuori dal letto, a piedi nudi, preoccupandosi a malapena di indossare una maglietta. Uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina, dove sapeva che avrebbe trovato il maggiore.

"Buongiorno!" fu il saluto squillante di Jimin non appena Jungkook ebbe oltrepassato la porta. Sbatté le palpebre nel tentativo di disperdere gli ultimi rimasugli di sonno e mettere a fuoco il maggiore.

Jimin era già vestito con suoi abiti da direttore dell’accademia, pantaloni grigi e camicia bianca, capelli pettinati lateralmente. Stavano diventando lunghi e gli incorniciavano il viso in modo delizioso, non riuscì a fare a meno di notare Jungkook sebbene assonato. Ma dopotutto Jimin era sempre uno spettacolo da guardare anche quando faceva cose ordinarie come servirsi una tazza di caffè.

Aveva peraltro già servito una tazza fumante per Jungkook, con tanto di cartone del latte a fianco e zuccheriera, l’unico modo in cui Jungkook riusciva a bere il caffè.

Era un gesto di routine dettato dall’abitudine ma era anche la prova di come Jimin si prendeva cura di lui ogni giorno. Incapace di resistere si avvicinò a Jimin, prese tra le mani il suo viso e lo baciò dolcemente assaporando le sue labbra. Dopo che si furono staccati fissò il suo volto per un lungo momento, il pollice andò ad accarezzare lo zigomo con reverenza e venerazione ammirando il fluttuare timido delle ciglia dell’altro, prima che le sue dita andassero ad afferrare una ciocca di capelli e rimetterla a posto dietro l'orecchio del maggiore.

"Un ciuffo ribelle, " mormorò Jungkook quasi in trance.

"Non hai bisogno di una scusa per baciarmi,” mormorò Jimin, alzandosi poi in punta di piedi per premere di nuovo le labbra contro quelle di Jungkook.

Si separarono troppo presto per i gusti di Jungkook e fu difficile trattenersi dal seguire Jimin al suo posto e riprendere le loro attività, al diavolo la colazione.

Jimin gli lanciò un sorrisetto come se sapesse esattamente cosa gli passava per la testa. Fortunatamente per l’orgoglio di Jungkook decise di non commentare e decise invece di cominciare a mangiare. Jungkook seguì con riluttanza il suo esempio, sedendosi e versando il latte nel suo caffè fino a riempire la tazza fino all'orlo.

"Oggi potrò tornare a casa presto, e tu?" Chiese Jimin, sorseggiando dalla sua tazza.

"Ricordi quello spettacolo che dovevamo girare con gli altri artisti senior?" Disse Jungkook mentre divorava un biscotto dopo l’altro.

"Aspetta, è oggi?" Chiese Jimin, improvvisamente scioccato dalla consapevolezza di aver dimenticato un fatto del genere. Guardò il calendario appeso sul frigorifero dove aveva segnato con un cerchio rosso tutti gli eventi di Jungkook. Jimin era molto attento quando si trattava di eventi particolarmente speciali soprattutto quando questi finivano in televisione, cosa così rara per un numero zero.

C'era, in effetti, una data cerchiata per quel mese, ma non era il giorno corrente.

“Oggi ho le prove e alcune pre-registrazioni, ma lo spettacolo è domani. Però sai come vanno queste cose, molto probabilmente starò fino a tarda notte ad aspettare il mio turno visto che la mia parte è piccola.”

"Fammi sapere quando manderanno in onda la tua esibizione. Devo registrarla,” disse Jimin risoluto.

"Non è la fine del mondo se ti perdi una delle mie apparizioni televisive, sai,” cercò di scherzare Jungkook. L’entusiasmo di Jimin riusciva sempre a farlo galleggiare tre metri sopra terra.

“E invece sì. Soprattutto perché adoro vederti ballare, non me lo perderei per nulla al mondo.”

"Anche io adoro vederti ballare," rispose Jungkook con affetto, ricordando lo spettacolo fatto insieme tanti anni prima.

“Ah. È stato tanto tempo fa."

"E anche così sei ancora il mio ballerino preferito."

Jimin scosse la testa e Jungkook sapeva che quello che sarebbe stato tutto. Una volta aveva chiesto al maggiore se si fosse mai pentito di aver messo da parte la danza una seconda volta dopo averne riscoperto il piacere, ma Jimin aveva negato ogni tipo di qualsivoglia rimpianto e aveva giurato di essere felice della svolta che aveva preso la sua vita.

Jungkook era convinto che l’essere un numero zero non glielo avesse impedito, Jimin sarebbe naturalmente cresciuto nella sua arte. Ballava in modo così sublime.

Tuttavia quando la giusta occasione si era infine presentata nella forma del nuovo progetto di Namjoon, Jimin si era tirato indietro con la scusa dell’essere troppo vecchio per quel tipo di carriera ed era vero, Jungkook stesso aveva fatto una scommessa bella grossa nell’accettare l’invito.  

Eppure pur essendo evidente l’amore di Jimin per il suo attuale lavoro, Jungkook non riusciva a fare meno di pensare ai se e a volte si chiedeva se non avesse sottovalutato l'entità dei sacrifici di Jimin.

"Immagino che non ti vedrò molto in questi giorni, allora", commentò Jimin con un sospiro. “Almeno Taehyung è tornato, mi sento sempre meglio quando c’è lui, soprattutto quando tu non sei disponibile. È un po’ come avere te."

"E questo cosa vorrebbe dire?" Jungkook chiese con una risata incredula. Era vero che lui e Taehyung erano amici d'infanzia e avevano un sacco di manierismi in comune, con tutti quei giorni trascorsi fianco a fianco era stato inevitabile, ma erano comunque due entità separate e due persone completamente diverse. Almeno lo sperava. Amava Taehyung, ma il suo migliore amico era decisamente ridicolo.

“Beh, vi comportate spesso nello stesso identico modo. Avete entrambi un forte senso competitivo, vi lasciate spesso trasportare dalle vostre passioni al punto che non riuscite a notare altro e avete una devozione all’arte che sfiora la venerazione. Anche Hoseok la pensa così, credo sia uno dei motivi per cui non ha potuto fare a meno di adottarti tanti anni fa,” replicò Jimin pensieroso.
La strana relazione che Hoseok, Taehyung e Jungkook avevano condiviso era qualcosa di cui non si sarebbe mai pentito e, tuttavia non sarebbe mai riuscito a liberarsi dell’imbarazzo che provava ogni volta che pensava a quanto inopportuno era stata la sua presenza nella coppia.

Non poteva immaginare quanto fosse dovuto costare a Hoseok ignorare il suo istinto da numero due che gli urlava di avere Taehyung tutto per sé, e includere Jungkook nelle loro dinamiche.
Non c'erano parole per descrivere quanto Jungkook era grato alla coppia per averlo fatto sentire meno solo.

“Per favore, non dirlo mai più. Taehyung è un idiota."

Jimin scoppiò a ridere, e Jungkook fu contento - no sollevato, di vedere il maggiore rilassato.

“Come preferisci, Jungkook. Immagino saprai che lui dice qualcosa di simile. In effetti l’ultima volta ha detto che le mie reazioni alle sue storie sono molto migliori delle tue e che le tue battute non sono affatto divertenti "

Jungkook arricciò il naso.

"Non sono divertenti? Puoi dirgli che c’è un bel paese in cui può andare?"

"Mi assicurerò di dirglielo quando lo incontrerò più tardi," disse Jimin, soffocando un'altra risatina. Jungkook non poté evitare di sorridere a sua volta, anche se era a sue spese.
Erano frangenti come questi che gli facevano desiderare che il mondo potesse fermarsi e catturare solo loro due e la loro minuscola ma lucente bolla che era la loro casa. Ma non poteva essere così, vero?

Esistevano in questo mondo e il mondo sarebbe sempre venuto a pretendere la propria parte nelle loro vite.

"Meglio che vada," disse Jimin lanciando uno sguardo eloquente all’ora indicata dall'orologio sul muro, seppur ancora scosso dalle risate. Si alzò lentamente, evidentemente riluttante ad abbandonare l’atmosfera leggera che aleggiava in cucina, per mettere via le sue cose e lavare la sua tazza.

Tuttavia fu con il solito brio che una volta finito si diresse verso Jungkook, lo abbracciò forte da dietro e gli sussurrò "buona fortuna!" nell'orecchio prima di stampargli un bacio sulla guancia e scappare dalla cucina.

Jungkook tuttavia fu più rapido e afferratelo per un polso lo attirò verso di sé, bisognoso di sentire quelle labbra sulle sue ancora.

"Riguardati," sussurrò in tono accorato prima di lasciare andare uno sbalordito Jimin.

Jungkook sapeva che, nonostante fosse un amante affettuoso, uno slancio così drammatico non era proprio da lui.

"Anche tu," sussurrò Jimin, stringendogli la mano a mo’ di rassicurazione.

Jungkook guardò Jimin allontanarsi dalla cucina, lo sentì indossare le scarpe all'ingresso e poi il suo solito "Vado, a dopo!” con cui era solito congedarsi, e infine il suono della porta che si apriva e si chiudeva.

Fu solo quando fu sicuro che Jimin si era allontanato, che Jungkook si lasciò andare. Si coprì il viso con entrambe le mani.

Doveva rimanere forte e avere fiducia nel loro legame. Aveva deciso di dare a Jimin tempo e Jungkook avrebbe aspettato che l’altro fosse pronto.

Scosse la testa sconsolato mentre si alzava per lasciare la tazza nel lavandino. Improvvisamente non aveva più così tanta fame, perciò decise di prepararsi per uscire a sua volta.
Nonostante Jungkook si fosse ripromesso di mantenere i propri propositi per quanto difficile, era comunque uscito dal seminato e chiesto a Seokjin di tenere d’occhio Jimin quando lui non c’era. Se aveva imparato qualcosa nell’innamorarsi di Jimin, era che solo perché eri in grado di fare qualcosa da solo, non significava che eri costretto a farlo. Avere qualcuno al tuo fianco oltre a te stesso faceva la differenza e Jungkook, e tutti i numeri zero con lui, lo sapeva bene.

Per questo aveva fatto giurare a Seokjin su tutto ciò che aveva di più prezioso che gli avrebbe detto se le cose si fossero fatte strane e pericolose.

"Parla con lui," aveva insistito Seokjin in tono secco. Sebbene avesse promesso non aveva risparmiato a Jungkook la paternale.

“Non risolverebbe il problema. Deve essere lui a venire da me e non io, o non potremo mai andare avanti."

"Lasciargli nascondere tutto sotto il tappeto non è una soluzione però,” rispose Seokjin accigliato. C’era rimasto molto male quando aveva saputo da Jungkook della chiusura di Jimin.

"Non lo è. Ma qualcuno una volta mi ha detto che amare è anche saper lasciar andare,” gli disse Jungkook guardandolo negli occhi. Il cipiglio di indignazione di Seokjin si sciolse all'istante, lasciandosi dietro un silenzio triste.

"Va bene, d’accordo. Ho capito," concesse alla fine con un sospiro mentre scuoteva la testa in disappunto. “Che cosa devo fare con voi bambini, eh? Finirete col farmi invecchiare più velocemente.”

"Non hai bisogno del nostro aiuto per comportarti da vecchio,” aveva ribattuto Jungkook cercando di alleggerire la tensione. Il che finì con guadagnarli un cuscino del divano in faccia.

No, non doveva necessariamente agire da solo, forse con l'aiuto dei suoi amici sarebbe riuscito a mantenere Jimin al sicuro.

"Attenzione. Segnaliamo che il centro città è da questo momento chiuso. Il centro città è chiuso. Vi terremo aggiornati, ci scusiamo per il disturbo."

Jungkook sussultò dal suo torpore. Era salito come ogni mattina sul metro che lo avrebbe portato lavoro e il dondolio del vagone gli aveva fatto chiudere per un attimo gli occhi. Ora invece si sentiva completamente sveglio. E allerta.

Stava sicuramente succedendo qualcosa di losco.

Gli annunci che avvertivano la cittadinanza della chiusura di certe aree della città erano iniziati dopo che si era svolta la prima manifestazione ed essi quindi erano finiti con il diventare una necessità. Un tale oscurantismo non solo era una tattica di contenimento e repressione del governo - negavano visibilità al freddom movement, motore dei manifestanti e permetteva loro di gestire meglio le informazioni, ma era anche un ottimo strumento di controllo e al tempo stesso una tattica politica.

Con la scusa di voler impedire l’alimentarsi delle manifestazioni attraverso i posti di blocchi stradali veniva di fatto marcata ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, la differenza di status tra i cittadini e attribuita la responsabilità di gesti singoli all’intera categoria.

Solo ai numeri due era permesso raggiungere i luoghi chiusi per necessità o lavoro. I numeri zero venivano respinti, non importava quanto importante fosse la ragione del loro spostamento, in qualità di pericolo per la tranquillità pubblica.

Jungkook non era stato affatto sorpreso del maltrattamento né di venir trattati alla stregua di auto con targhe dispari invece di pari. Al di là delle sue considerazioni politiche personali, ciò che più scocciava Jungkook era come queste limitazioni interferissero con la sua vita e nello specifico come in quel momento gli stessero impedendo di raggiungere il suo posto di lavoro.
L'unico modo per arrivare al KN Entertainment era passare attraverso il centro. Che ora era chiuso.

Jungkook imprecò sottovoce.

Era la prima volta che gli succedeva. Tutte le altre volte infatti era stato o a casa o si era già trovato nell’edificio, quindi al momento non sapeva come comportarsi e non poté evitare una leggera ondata di panico al pensiero dei suoi impegni giornalieri. Dove diamine avrebbe potuto fare gli ultimi aggiustamenti per la sua esibizione se non poteva andare alla sua sede dai suoi istruttori?

Nonostante ciò a Jungkook non passò per la testa, nemmeno per un attimo, l’idea di non seguire le istruzioni che scorrevano a caratteri cubitali nei piccoli schermi appesi all'interno della metropolitana, e pertanto scese all'ultima fermata prima del centro città. Non si fermò fino a quando non giunse finalmente all’area aperta e lontano dal personale di vigilanza che controllava i passeggeri in uscita. Il suo ultimo incontro con la polizia e affini, non era stato carino e non voleva essere trascinato in una cella un’altra volta per un qualsivoglia futile motivo.

Una volta fuori e con la rete dati in funzione, Jungkook chiamò subito il suo manager per capire il da farsi.

Come artista della KN Ent., avrebbe potuto usare i servizi della compagnia e lasciarsi accompagnare dal suo manager ovunque, ma Jungkook aveva preferito che la sua vita rimanesse il più normale possibile e aveva sempre respinto qualsiasi soluzione che potesse influire sulla sua libertà di movimenti.

Questo nuovo sviluppo avrebbe potuto finire con il cambiare del tutto le cose.

"Jungkook, tutto bene?" chiese il suo manager due squilli dopo che Jungkook aveva chiamato. Il suo manager era un brav’uomo, un po’ troppo apprensivo forse, ma decisamente una persona per bene. Era anche un numero due felicemente accasato e con una vita domestica e lavorativa invidiabile.

Il sistema gliela aveva fornito su un piatto d’argento e sulla carta era probabilmente l'ultima persona interessata a sostenere il primo artista numero zero mai uscito allo scoperto, eppure eccolo lì, a lavorare per lui e lo aveva fatto con dedizione sin da quando si erano conosciuti.

Aiutava Jungkook a fare il lavoro che in teoria non avrebbe mai dovuto fare.

"Sì. Sono appena sceso dalla metropolitana e sto cercando di capire come raggiungere la KN ent.”

“Dimentica la KN, è troppo rischioso. Ho già organizzato per te delle prove direttamente nel luogo in cui si svolgerà la registrazione dello spettacolo. L'ultima cosa che voglio è mettere a rischio la tua carriera o il tuo benessere solo perché non abbiamo preso sul serio il divieto. Dimmi solo dove sei e farò in modo che qualcuno ti dia un passaggio dove ti serve. Lo farei io, ma sto ricontrollando i tuoi programmi per assicurarmi di avere un piano B nel caso le cose non…vadano."

Jungkook avrebbe voluto protestare perché probabilmente tutti questi nuovi riarrangiamenti erano fonte di ulteriore stress e lavoro per il suo staff, ma sapeva anche che il suo manager aveva ragione. Considerando quanto fosse fragile lo stato delle cose, sapeva che disobbedire o protestare avrebbe potuto causare un danno alla società e ai suoi dipendenti. Dopotutto, Namjoon gli aveva chiesto di essere pronto e ora si rendeva conto che forse aveva inteso anche questo.

Quindi Jungkook fece come gli era stato detto, condivise la sua posizione e cercò un bar vicino dove poter aspettare che arrivasse la macchina per lui.

Si sentiva stranamente cauto, come se si aspettasse che la polizia facesse irruzione da un momento all’altro per arrestarlo. Sapeva di essere un po' paranoico, ma non gli piaceva come la situazione si stava evolvendo e non aveva in generale un buon presentimento al riguardo.

Ordinò un caffè, anche se sapeva che era il secondo nell'arco di appena un'ora e che molto probabilmente lo avrebbe reso più nervoso di quanto non fosse già.

Jungkook si strinse nella sua giacca e addosso alla finestra al cui tavolo si era seduto, controllando la strada ogni due minuti sperando di riconoscere una macchina aziendale.

Pensava tuttavia che sarebbe stato difficile per loro essere veloci perciò fu grande la sua sorpresa quando, con più della metà del caffè latte ancora da bere, una macchina della KN parcheggiò lì di fronte e suonò il clacson.

Jungkook si affrettò a uscire dal bar, giusto in tempo per vedere il faccione di Taehyung che lentamente appariva da sopra il finestrino che si abbassava.

"Buongiorno!" il suo amico lo salutò, prima di aprirgli la portiera e scivolare di lato sul sedile posteriore e fargli spazio.

"Che ci fai qui?" Chiese Jungkook incredulo mentre sistemava la borsa tra di loro.

"Bentornato Taehyung, è bello rivederti amico mio, grazie per avermi salvato o mia altra metà,” cantilenò Taehyung, incrociando le braccia sul petto indispettito.

"Dovresti essere alla KN o dvunque tu debba essere in questo momento e non qui a interrompere il tuo programma giornaliero per me,” lor rimproverò invece Jungkook.

Odiava essere un peso per gli altri, soprattutto se a farne le spese era Taehyung dopo che Jungkook gli aveva imposto i suoi problemi praticamente per tutta la vita.

“Ho sentito le notizie alla radio e ho chiamato il tuo manager. Eravamo quelli più vicini a te e quindi darti un passaggio era la cosa più sensata da fare,” replicò Taehyung, facendo cenno al suo manager di proseguire.

"Anche se significasse andare nella direzione opposta?" Chiese Jungkook, sospirando.

"Soprattutto. Poi non ci vediamo dal compleanno dei gemelli. Mi mancava il mio migliore amico,”ribatté Taehyung con una scrollata di spalle, ma c'era qualcosa di un po' troppo disinvolto nel suo modo di fare perché Jungkook potesse credergli sulla parola.

Taehyung lo stava osservando con lo stesso sguardo che aveva avuto quando gli aveva annunciato che la sua introduzione con la sua anima gemella era vicina. Timoroso. Preoccupato. Estremamente determinato a far capire a Jungkook che Taehyung non aveva intenzione di andare da nessuna parte senza di lui.

Gli occhi di Jungkook si strinsero sospettosamente. "Namjoon ti ha detto tutto, vero?" Il volto imbarazzato di Taehyung fu una risposta sufficiente.

Jungkook si strinse la radice del naso tra le dita in esasperazione.

“Prima di prendertela con Namjoon, devi sapere che lui non voleva dirmelo sono io che gliel’ho estorto. Per quanto tu abbia cercato di metterlo a tacere, le voci corrono anche nella nostra compagnia. Mi sono permesso solo perché si tratta di te e del tuo benessere e perché lo so come sei fatto, tu non me l’avresti mai detto perché pensi ancora di importunarmi, non importa quante volte io ti abbia ripetuto il contrario."

“Dato che la questione era già stata risolta, non pensavo fosse necessario parlartene. Non voglio che ti preoccupi per cose che sono già passate."

"Cazzate. Ti conosco Jeon Jungkook e non ti lascerò minimizzare questo incidente solo perché vuoi continuare a comportarti come se nulla fosse successo," Jungkook distolse lo sguardo, incapace di continuare a guardare in faccia il suo migliore amico. Soprattutto perché aveva ragione.

Il viso di Taehyung era abbronzato per tutto il sole che aveva preso durante le sue vacanze e in qualche modo rendeva la sua presenza ancora più radiosa. Eppure quando Jungkook infine tornò a guardarlo in volto, anche lui sembrava contagiato dal suo stesso stato di angoscia. Esattamente l’ultima espressione che Jungkook aveva voluto vedergli addosso.

“Alla fine te l'avrei detto. Però credo anche sia importante che io impari ad affrontare problemi del genere da solo, devo farlo se voglio continuare a fare questo lavoro."

“Siamo amici Jungkook, è un po' scritto tra le righe del contratto invisibile che abbiamo firmato da bambini che è mio dovere impicciarmi. L'hai detto a Jimin almeno?”

"Certo che l'ho fatto,” rispose Jungkook immediatamente, quasi offeso dall'implicazione di Taehyung. Era stato spesso definito troppo testardo per il proprio bene, ma sapeva che la comunicazione era alla base di ogni relazione e che essere in due significa condividere il bello ma anche il brutto. Cercò di ignorare il sentimento di sgomento che lo consumava dall’interno nel constatare il comportamento al contrario di Jimin.

"Sono contento di sapere che ti apri con lui," rispose Taehyung, chiaramente sollevato.

Jungkook aveva sempre saputo che per anni la più grande preoccupazione di Taehyung era stata assicurarsi che Jungkook non si sentisse mai solo, ed era per questo che all’epoca era stato il sostenitore numero del matrimonio combinato tra lui e Jimin.

Le cose alla fine erano andate come lui si era augurato ma non certo perché Jungkook avesse ceduto da subito. C’era voluta molto pazienza, infiniti sforzi, e tanti ostacoli da superare e forse, chissà, anche un po’ di destino.

Tuttavia Taehyung doveva sapere che solo perché lui desiderava un lieto fine con tutto il cuore, questo non doveva per forza accadere.

“Taehyung, hai la tua carriera e io ho la mia. Per quanto ci sia piaciuto credere in tutti questi anni che entrambi siamo allo stesso livello, tutto ci sta mostrando come chiaramente non è così. Tu sei un numero due e io un numero zero, la discriminazione del mio status è inevitabile, mi sorprende in realtà che non sia successo prima. Namjoon è convinto che d’ora in poi gli episodi negativi potrebbero intensificarsi e sono d'accordo con lui. Questo è qualcosa che devo affrontare da solo per quello che sono, un numero zero, ed è qualcosa che aveva messo in preventivo sin da quando ho firmato per la KN ent. Né tu né io possiamo frenare l’inevitabile."

"Può darsi. Ma posso avere gli occhi e le orecchie aperti. Posso espormi anche io seguendo le mie convinzioni. Posso essere d’aiuto, come numero due."

Jungkook scosse la testa e sorrise tristemente. “Non mi perdonerei mai se la tua carriera ne risentisse solo perché ti sei esposto per me Taehyung.”

Taehyung lo guardò, cercando qualcosa nel viso di Jungkook che gli lasciasse qualche speranza e quando non la trovò, inspirò stancamente, come se gli stesse costando un pezzo troppo grande di se stesso sottostare alla verità.

“A volte odio questo mondo così tanto. Vorrei poter trovare un modo per fare di più,” sussurrò Taehyung.

"Fai sempre moltissimo per me Taehyung," disse Jungkook, stringendogli la mano. Poi distolse definitivamente lo sguardo sopraffatto dai suoi sentimenti.

Non parlava solo del Taehyung che era venuto a dargli un passaggio, ma si riferiva a tutte le scelte che il suo migliore amico aveva fatto per aiutare il numero zero Jungkook. E fino a che punto si era spinto pur di dimostrare che il suo rispetto per Jungkook non era definito dalla possibilità o meno di stare insieme.

Kim Taehyung era un nome molto noto nella scena musicale, era sicuramente più famoso di Jungkook e avrebbe potuto raggiungere la fama mondiale molto tempo addietro se non fosse stato per il suo rifiuto di lasciare che il pubblico vedesse la sua faccia. Non solo Taehyung non aveva mai concesso servizi fotografici ma anche i cellulari erano stati banditi durante i suoi concerti e il numero di foto che si potevano trovare su Internet poteva essere contato su una sola mano e non era neppure recenti o di qualità (erano sufficienti comunque a creare un gran rumore intorno alla sua avvenenza).

La gente e i critici musicali pensavano che la sua compagnia stesse usando il misticismo come mezzo per assicurargli una carriera a lungo termine o che addirittura gli stesse tarpando le ali per paura di perderlo. Era una congettura ridicola, considerando che era stato Taehyung stesso a chiedere di scrivere quella clausola sul suo contratto.

"Avevo voglia di essere apprezzato per la mia musica e nient'altro,” aveva affermato spesso nelle sue interviste.

Naturalmente, non gli avevano creduto. Dal loro punto di vista nessun CEO con almeno un po’ di fiuto per il denaro avrebbe mai permesso a qualcuno con il volto avvenente di Taehyung di rimanere nascosto, non importava quanto nobile fosse la causa. Una tale decisione diceva moltissimo sul carattere rivoluzionario di Kim Namjoon ma anche, se chiedevi a Jungkook, sull’ammontare di rispetto che questi aveva nei confronti dei suoi artisti e delle loro opinioni.

A volte però Jungkook non aveva potuto fare a meno di chiedersi se la decisione di Taehyung non fosse stata più politica di ciò che lasciava credere a tutti. A volte Jungkook non aveva potuto fare a meno di chiedersi se nel rifiutarsi di usare la sua faccia - la faccia di un numero due - per promuovere se stesso, non ci fosse un tentativo da parte di Taehyung di costringere la stampa e il pubblico a non prestare attenzione solo all'aspetto superficiale delle cose e concentrarsi invece su ciò che contava davvero del loro lavoro.

L'arte.

Che andava consumata cruda e senza pregiudizi. Libera da ogni etichetta.

Il cuore di Jungkook si stringeva ogni volta che ci pensava. “E tu Jeon Jungkook. Cosa stai facendo invece?"

Tutti sembravano determinati e pronti a promuovere i propri ideali nella funzione delle rispettive professioni, Namjoon e Taehyung come artisti, Hoseok con il suo ospedale pubblico, Seokjin e Jimin con i loro istituti.

Jimin.

"So che incontrerai Jimin più tardi,” Jungkook disse improvvisamente, cambiando bruscamente argomento e facendo sussultare Taehyung.

La conversazione con Taehyung lo aveva scombussolato a tal punto che invece di parlare e usare quell’occasione per aprirsi, Jungkook aveva finito con il guardare fuori dal finestrino per il resto del tempo. A giudicare dagli edifici, in effetti, non erano lontani dalla stazione televisiva dove avrebbe avuto luogo la registrazione dello spettacolo e il loro tempo insieme era agli sgoccioli.
"Tienilo d'occhio per me, ok?" chiese mentre autentica sorpresa sbocciava sul viso di Taehyung.

Forse la sua carriera si stava dirigendo verso un sentiero ripido, ma onestamente, se Taehyung voleva davvero tenere gli occhi e le orecchie aperti per qualcuno, preferiva che concentrasse le sue energie su qualcosa, qualcuno, molto più importante.

Una parte di lui avrebbe quasi voluto chiedere a Taehyung di indagare per conto suo, ma sapeva che usare simili sotterfugi avrebbe ferito tutti e basta e non avrebbe fatto bene alla sua relazione. Taehyung aveva detto di essere felice che Jungkook si aprisse con qualcuno, anche se quel qualcuno non era lui quindi anche Jungkook, imitando il suo esempio, avrebbe dovuto ritenersi soddisfatto che Jimin potesse parlare di ciò che lo preoccupava, anche se la persona con cui lo faceva non era lui.

"È successo qualcosa?" Chiese Taehyung, agitandosi.

"Non proprio. Sono solo ... "la macchina si fermò. Erano arrivati. "Ora non abbiamo tempo, ma promettimi che lo farai,” chiese Jungkook, consapevole di quanto la sua suonasse come una supplica.

"Ma certo!" Taehyung disse senza neanche doversi fermare un secondo a pensare. “Tu assicurati di distruggere quel palcoscenico. Voglio vedere tutti quei numeri due tifare per te! A Jimin ci penso io," Esclamò Taehyung con quasi il fuoco negli occhi.

Jungkook finalmente sorrise.

Commosso come lo era ogni volta che coloro che lui amava si dimostravano dalla sua parte.

Anche dopo anni, il suo rapporto con i suoi genitori non si era mai completamente risolto. Jungkook avrebbe potuto perdonare la paura per il benessere di qualcuno che ami, ma non la sfiducia e la disapprovazione di tutte le sue decisioni come se la sua opinione non avesse importanza. Naturalmente Jungkook li amava ancora, eppure non poteva fare a meno di provare un amore speciale verso i suoi amici e verso il suo partner, i quali senza condividere nemmeno un briciolo del suo DNA, gli guardavano le spalle sempre e comunque.
 
 

 
Mentre invecchiava e attraversava questa nuova fase chiamata età adulta, Jimin aveva capito che essere un adulto non significava esattamente avere tutte le risposte. In effetti, la maggior parte delle volte significava essere in grado di mantenere una faccia da poker mentre si sclerava internamente.

Jimin era preoccupato.

Era preoccupato per il suo lavoro e gli ultimi avvenimenti, era preoccupato per il futuro che questi eventi stavano prospettando, era preoccupato per Jungkook (molto) per il possibile contraccolpo che il giovane poteva ricevere senza meritarlo.

In generale era preoccupato per ciò che tutto questo poteva significare per lui e Jungkook.

Sì, era preoccupato e non riusciva a smettere di pianificare. I suoi pensieri vorticavano confusi mentre il suo cervello cercava di metter ordine alla ricerca di un piano che potesse funzionare, valutando scenari e possibilità e continuando a ripetersi ogni mattina di “andare avanti”.

Eppure più di ogni altra cosa, era preoccupato che tutti questi sforzi non sarebbero stati abbastanza.

Sapeva di essere testardo e che doveva solo aprirsi con il suo compagno, ma di fronte a tutte le difficoltà che Jungkook stava attraversando, Jimin non pensava di avere il diritto di lamentarsi di suoi personali desideri egoistici.

Jungkook probabilmente si sarebbe arrabbiato se lo avesse sentito parlare così di sé stesso.

Aveva voluto essere molto chiaro sin dall’inizio della loro relazione, di modo che Jimin sapesse che non c'era più la necessità di nascondergli qualcosa, che avrebbe accettato ogni cosa, e che amava le sue brutture così come tutte le sue ferite in quanto facenti parti di Jimin e quindi Jimin stesso.

A Jimin tuttavia, appunto perché amava Jungkook alla follia, riusciva difficile non volerlo proteggere dall'angoscia che il loro stato di impotenza avrebbe inevitabilmente causato loro.
Non importava quanto Jungkook si fosse impegnato, augurato o sperato, questa non poteva aggiustarla, e Jimin non voleva che si sentisse come se avesse fallito Jimin in alcun modo, soprattutto quando Jungkook si era messo per sé stesso degli standard altissimi. E non quando per lui "fallimento" equivaleva a essere Min Yoongi.

“Per quel che mi riguarda, la mia anima gemella sei tu, " aveva detto Jimin con tutta la sincerità di cui era stato capace quando Jungkook gli aveva confessato il suo complesso nei confronti del suo ex amante.

Jimin certamente non poteva negare di essere stato innamorato di Yoongi. Ma pur sapendolo e anche nei rari momenti in cui le cose sembravano andar bene, aveva sempre saputo in cuor suo che l’amore non avrebbe potuto mettere una pezza al fatto che fossero due pezzi di un puzzle destinato a non essere mai composto.

Ecco perché aveva fatto così tanto male, da sempre.

Anche quando lo aveva creduto un numero zero, Jimin sapeva che non era per lui.

Eppure con Jungkook, nonostante il giovane fosse stato perentorio nel dichiarare più e più volte il suo diritto all’indipendenza dal momento che il sistema lo aveva lasciato solo, Jimin non si era mai sentito disperato né inadeguato. Perché Jungkook non aveva fatto altro che dire la verità.

Erano numeri zero e sulla carta erano le ultime persone che avrebbero potuto stare insieme e mantenere una relazione.

Denudati di ogni artifizio e aspettativa, Jimin e Jungkook si erano avvicinati per quello che erano, stampi vuoti dello stesso legno i quali tuttavia nello sfregarsi avevano generato calore.
Quello che avevano era troppo prezioso perché Jimin lo rovinasse con i propri problemi e perciò era determinato a sopportare in silenzio il più a lungo possibile, sperando che il solo desiderarlo fosse sufficiente a farlo sparire.

La negazione, dopo tutto, era la sua unica arma.

Jimin si dimenò nervoso sulla sedia, mentre scrutava nervosamente l'ambiente circostante.

Come aveva detto a Jungkook, si era messo d’accordo con Taehyung di pranzare insieme e sperava che la presenza dell’amico lo aiutasse a calmarsi.

E questo perché oltre a essere una persona molto calorosa, Taehyung gli ricordava davvero Jungkook, non importava quanto questi si indignasse per l’affronto di un tale confronto.
C'erano molte piccole abitudini e modismi che entrambi avevano, di cui non erano neppure consapevoli, che li rendeva simili. Il modo in cui mangiavano sempre con la forchetta tenuto al rovescio; il fatto che entrambi odiavano il caffè schietto e lo bevevano solo se affogato in tre litri di latte e zucchero; le mimiche facciali tendente al dramma; e il modo in cui entrambi tendevano a esprimere la propria opinione sempre e comunque senza preoccuparsi di censurarsi troppo.

Era un fatto che sia Jimin che Hoseok trovavano affascinante e Jimin era contento che crescendo i due avessero potuto contare sull’altro al punto da influenzarsi a vicenda. Naturalmente Taehyung gli piaceva anche per la persona che era individualmente.

Più estroverso e frizzante di Jungkook, Taehyung aveva una disposizione così positiva verso la vita che era in grado di sollevare l'umore di chiunque.

Aveva perfettamente senso, in effetti, che fosse finito per essere l'anima gemella di Jung Hoseok, il suo compagno di danza quando erano bambini, e probabilmente la persona più accomodante e piena di energia che Jimin avesse mai conosciuto.

In conclusione Taehyung era, per molti motivi, l'amico di cui non sapeva di aver avuto bisogno e che era grato di aver incontrato. Jimin gli voleva molto bene.

Eppure anche così, un sentimento angoscioso aveva iniziato a mettere radici nel suo cuore. Diffondeva il suo veleno lentamente e inesorabilmente, non importava quanto Jimin combattesse contro di esso, e così ogni volta che incontrava un numero due, e nella fattispecie Taehyung, un profondo e bruciante sentimento di invidia rischiava di annegarlo tutto.

Nonostante la sua situazione, Jimin non aveva mai nutrito sentimenti negativi nei confronti dei numeri due. Odiava il sistema per aver creato disuguaglianze e seminato discordia tra le parti e si arrabbiava con le persone che usavano il sistema per giustificare le loro azioni sbagliate, ma non era mai stato contro i numeri due solo per via della loro etichetta.

Tuttavia via via che i suoi desideri mettevano radici così cresceva anche la sua avidità, e diventava sempre più difficile non provare invidia nei confronti di tutti quelli che potevano facilmente avere ciò che a lui non era concesso, e ancora di più verso coloro che – come Taehyung - pur avendo i privilegi, non ne facevano uso.

La porta del ristorante tintinnò e questa volta la persona che oltrepassò la soglia fu Taehyung, che scandagliò subito la stanza alla ricerca di Jimin.

Avrebbero dovuto incontrarsi nel loro solito ristorante nel centro della città, ma la polizia aveva imposto blocchi stradali per impedire l'ingresso di numeri zero per Dio sapeva quale motivo. Ed era per questo che avevano deciso di mangiare nella caffetteria accanto al centro ricreativo, che era ben lungi dall'essere un luogo turistico e probabilmente un posto che normalmente una persona sul raffinato andante come Taehyung non avrebbe mai considerato.

Il centro ricreativo era stato fondato in una parte della città considerata zona B, suburbio composto da capannoni di piccole fabbriche, case modeste e vecchi condomini abitativi mai restaurati. Non era un luogo esteticamente bello ma era sicuro e al riparo da occhi indiscreti. Non solo i cittadini del centro città non ci sarebbero mai andati, ma anche le istituzioni vi prestavano poca attenzione e dal momento che si trattava di luoghi poco popolari, chiudevano un occhio sulle attività di un distretto così dimenticato.

Era stato un buon posto per operare senza problemi e a Jimin piaceva pensare che la buona reputazione che il centro aveva costruito intorno a sé nel corso degli anni, avesse contribuito a elevare lo status di quella parte della città, rendendola un quartiere più accogliente.

Jimin sollevò un braccio per farsi notare e il sorriso che Taehyung gli diede quando i loro occhi si incontrarono lo fece vergognare dei sentimenti che stava nascondendo. Taehyung era un buon amico. Non aveva bisogno che lui si sentisse così nei suoi confronti.

"Hey! Riesci a credere che sono venuto qui per visitare te e Seokjin un sacco di volte ma non mi sono mai fermato nel quartiere? Ammetto di essermi perso, quindi scusami per il ritardo!” Taehyung disse tutto d’un fiato mentre si sedeva di fronte a Jimin.

"Non preoccuparti, sono appena arrivato anch'io,” disse Jimin, agitando una mano per minimizzare.

In realtà era arrivato con mezz'ora d’anticipo, sperando che un cambio di aria lo avrebbe aiutato a dimenticare l'espressione ferita di Seokjin quando l’agenzia per la sicurezza che avevano assunto per installare un sistema di video sorveglianza nel centro, era venuta a fare il proprio lavoro. Era stata una decisione difficile da prendere perché entrambi odiavano ogni tipo di strumento di monitoraggio, eppure la sicurezza della comunità veniva prima dei sentimenti personali.

Taehyung sorrise ancora una volta prima di prendere il piccolo menu e seppellirci il naso.

Jimin osservò le linee rilassate del suo volto e si chiese se anche lui un giorno avrebbe avuto quel tipo di aspetto fantastico. Jimin non stava parlando di avvenenza, anche se era indubbio che Taehyung fosse un bel ragazzo. Jimin intendeva quella brillantezza che sembrava risplendere da ogni suo poro, di chi sa che al mondo nulla può turbarlo o nel caso così non fosse che questo potesse essere facilmente sistemato.

Jimin immaginava che tornare da una tua terza luna di miele desse un aspetto spettacolare a chiunque, ma la verità era, in effetti, che Taehyung aveva ben poco di cui preoccuparsi.
Certo come ogni persona doveva affrontare i piccoli dossi quotidiani della vita adulta ma, per ammissione stessa di Taehyung, per anni la sua unica e più grande fonte di preoccupazione era stata il benessere di Jungkook e dal momento che il suo migliore amico si trovava in una relazione felice, anche quella ragione era scomparsa.

Jimin si chiedeva cosa avrebbe pensato Taehyung se avesse saputo che tipo di pensieri gli turbinavano in testa.

"Allora, com'è andato il tuo viaggio?" Chiese Jimin dopo che il cameriere fu passato a raccogliere i loro ordini.

"Meraviglioso! Tu e Jungkook dovete andarci almeno una volta, penso di non aver mai visto spiagge più belle!" Taehyung disse con entusiasmo.

Per un momento Jimin si permise di fantasticare sull'idea. Non sembrava una brutta idea uscire dal loro paese e godersi la pace che solo la bolla sicura di una vacanza era in grado di offrire. Fu una fantasia breve. Sapeva che loro non potevano.

“Magari un giorno. Siamo sempre così impegnati, poi dati i recenti sviluppi è meglio se non ci muoviamo troppo,”disse Jimin con un sospiro.

Aveva saputo dei blocchi stradali solo in mattinata e subito dopo aveva immediatamente chiamato Jungkook il quale gli aveva assicurato che stava bene. Jimin era stato sollevato, ovviamente, ma la notizia non dipingeva uno buono scenario per i numeri zero. Il governo stava operando sulla mobilità dei numeri zero sempre più spesso ed era capitato che a molti viaggiatori zero fosse stato impedito di attraversare i confini per motivi non ben definiti.

Considerando quanto fosse fragile la situazione politica, Jimin non voleva viaggiare e rischiare di non poter uscire, o peggio, tornare.

"Vado via solo per dieci giorni e le cose riescono a farsi ancora più strane,” commentò Taehyung, una smorfia di disappunto in volto. “Namjoon mi ha raccontato cosa è successo con l'intervista di Jungkook. Sfortunatamente, non sono riuscito a convincere Jungkook ad elaborare ulteriormente sull’accaduto.” Sentendo il suo tono dispiaciuto Jimin cercò di porre rimedio alla situazione.
“È spaventato e non vuole che ti preoccupi per lui. Immagino che non sia stato facile neppure dirlo a me, ma quando ha iniziato questa carriera gli ho fatto promettere che non mi avrebbe nascosto nulla e per fortuna ha sempre prestato fede alla parola data,” Jimin spiegò con trasporto. Jungkook, leale e onesto Jungkook che manteneva sempre le promesse.

“Sono il suo migliore amico e gli amici si coprono le spalle. Ma solo stamattina mi ha detto che pensa che questo sia qualcosa che deve affrontare da solo. E tecnicamente anche noi abbiamo una promessa in piedi, accidenti a lui!” Taehyung protestò, spaventando il cameriere che era appena venuto a portare il pranzo.

Se Taehyung non fosse stato così irremovibilmente e completamente innamorato del suo numero uno Hoseok, forse Jimin si sarebbe sentito geloso del tipo di legame che Jungkook e lui condividevano. Ma considerando che era stato quel legame che era riuscito a far superare a Jungkook le difficoltà ed anche la ragione per cui Jimin aveva avuto modo di incontrare una persona così intera e meravigliosa, Jimin non pensava di poter mai provare alcun tipo di animosità al riguardo.

Non ne avevano mai parlato con Hoseok il quale aveva assistito di prima persona e molto più a lungo di lui a quel legame speciale, ma Jimin pensava che forse non ce n'era bisogno di confrontarsi per capire. Taehyung e Jungkook erano come due facce diverse della stessa medaglia.

“Non abbiamo sempre bisogno di sapere tutto per prenderci cura di chi amiamo. Anch'io mi preoccupo per lui, ma non posso essere lì ventiquattro su ventiquattro per proteggerlo da qualunque cosa gli possano lanciare addosso anche se lo vorrei. Posso solo fidarmi che mi permetterà di condividere il peso dei suoi affanni e rimanere al suo fianco durante i tempi meno belli. Anche se confesso che sapere che sia tu che Namjoon lo tenete d'occhio è ciò che mi ha impedito di andare fuori di testa,”Jimin disse prima di masticare finalmente un boccone della sua bistecca.
Taehyung fece una faccia strana, che Jimin non riuscì a decifrare, ma poi la piega delle sue sopracciglia si appianò e qualsiasi cosa Taehyung avesse pensato scomparve.

“Puoi sempre contare su di me, Jimin. Non solo per via di Jungkook, spero che tu lo sappia,” disse Taehyung guardandolo negli occhi. “Seokjin e Namjoon, Hoseok e io, siamo numeri due e potremmo non capire mai cosa avete passato entrambi, cosa passate entrambi ogni giorno della vostra vita, ma vi amiamo. Quindi, anche se siamo ignoranti e non lo capiremo mai, noi ci siamo," Taehyung disse e Jimin sentì ribollire il sangue nelle vene per il disperato bisogno che improvvisamente sentiva di aprirsi.

“Che voi siate numeri due non è mai contato per noi. Anche noi vi amiamo a prescindere,” rispose Jimin accorato.

Il sorriso di Taehyung era così largo e genuino che i sentimenti di Jimin stavano correndo il rischio di strabordare. Che male avrebbe fatto confessare? Era lecito aprirsi con Taehyung e non con Jungkook?

Non ci era riuscito neppure con Seokjin, il suo migliore amico.

Taehyung si stava asciugando la bocca, ma si fermò non appena si rese conto che Jimin lo stava guardando intensamente.

"C'è qualcosa sulla mia faccia?" chiese innocentemente, e Jimin scosse la testa ancora incerto, incapace di formare parole.

"No, il tuo viso è perfettamente pulito, in realtà ... Volevo chiederti una cosa,” riuscì a far uscire Jimin alla fine.

"Certo, spara!" Taehyung disse, incoraggiante. Jimin poteva davvero fare questo a Jungkook? Ma aveva bisogno di dirlo a qualcuno anche se non poteva pensare di ferire la persona che amava di più.

"Ti sei mai sentito come se tutto quello che hai, tutto quello di bello che hai, sia tantissimo eppure non abbastanza allo stesso tempo? Sei mai stato tormentato dal desiderio del volere di più?"

"Di più di cosa?" Chiese Taehyung, sopracciglia che si aggrottavano, confuse.

Fu come essere schiaffeggiato in faccia, perché quella era la stessa domanda che si poneva ogni volta che il problema riappariva, ma per una volta Jimin lo sopportò e andò oltre.

“Ognuno di noi ha la sua parte di preoccupazioni e problemi e certamente il mondo esterno non sempre aiuta le nostre situazioni… però la mia vita, è una buona vita. Molto buona. Eppure anche così… non ti svegli mai con la sensazione di non poter continuare a fare gli stessi passi ancora e ancora, come se stessi soffocando nella tua stessa pelle al pensiero che possa esistere qualcosa che potrebbe rendere la tua vita migliore? Come se tu ti stessi perdendo qualcosa di importante?”

Jimin non sapeva come spiegarsi senza essere spaventosamente esplicito, ma doveva provare così e capire prima se Taehyung era in grado di immaginarsi qualcosa di diverso da quello che già aveva.

"Non so se sto capendo cosa stai cercando di dire, Jimin,” disse Taehyung, fronte corrugata in profonda confusione. “Da quando ho incontrato Hoseok ho sempre pensato che ogni giorno che aggiungiamo al nostro tempo insieme sia migliore del giorno precedente. Come se l'amore invece di espandersi, si accumulasse, strato dopo strato in una montagna enorme di euforia. Non riesco a pensare a qualcosa di più, non riesco a pensare di vivere diversamente da come sto già vivendo. Solo io e Hoseok, è più di quello che avrei mai potuto augurarmi per me,” concluse Taehyung con una semplicità così terrificante, che ogni pensiero di voler confessare morì in gola a Jimin.

Avrebbe dato il suo braccio destro per poter provare la stessa cosa.

Forse il governo aveva sempre avuto ragione, forse c'era qualcosa di sbagliato nei numeri zero, qualcosa di indubbiamente difettoso. Jimin peraltro non si sentiva solo imperfetto. Si sentiva orribile.

Eppure anche Jungkook era un numero zero e Jimin non riusciva a pensare a un’anima più bella della sua, quindi alla fine forse era lui.
Era lui, il problema.

“Ma perché me lo chiedi? C'è qualcosa che ti preoccupa Jimin? Non sei soddisfatto del tuo lavoro, sei ... c’entra Jungkook ...stai ripensando alla tua relazione? " Taehyung chiese incerto, quasi vergognandosi di porre l'ultima domanda, eppure guardandolo come se fosse pronto a ricevere una bomba.

Gli occhi di Jimin si spalancarono per lo shock.

"Che cosa? No! Assolutamente no! Amo Jungkook, lo amo più di quello che posso esprimere a parole. È la cosa migliore che mi sia mai capitata! Non pensare mai diversamente, per favore!" Rispose Jimin agitato.

Sentì il calore aumentare nelle sue guance e sapeva che più di un paio di sguardi erano atterrati su di lui, ma non gli importava, sostenne lo sguardo di Taehyung perché aveva bisogno che l'altro non avesse alcun dubbio.

"Mi dispiace! Mi dispiace! Non era mia intenzione offenderti! Jungkook dice sempre che ho il tatto di un elefante in un negozio di cristalli e immagino che avesse ragione! È solo che Jungkook sembrava preoccupato stamattina e ora mi stai dicendo questo ... Ho fatto due più due ma probabilmente non era questa la somma da fare. So che vi amate, è solo che il tuo discorso mi ha confuso. Perdonami Jimin, non sono una persona intuitiva,” Taehyung concluse mortificato e ugualmente agitato.

"Non è colpa tua Taehyung, sono un pessimo oratore e scommetto che le mie parole non sono state affatto chiare,” rispose Jimin, stringendo la mano di Taehyung in modo rassicurante.
Taehyung sospirò sollevato e Jimin gli sorrise. Anche se gli costò farlo.

Aveva sempre saputo, nel profondo, che non poteva confessarlo a nessuno. Chiuse brevemente gli occhi mentre si preparava a dire ancora un'altra mezza verità. E un'altra mezza bugia.

“Questi tempi sono strani e pericolosi. A volte temo che succederà qualcosa a strappare via la mia felicità. Mi piacerebbe trovare il modo di fare di più, trovare un modo per impedire che accada qualcosa di brutto. "

C’era del vero in quelle parole perché Jimin non poteva negare che il governo con le sue regole spietate assieme a un mondo esterno aspro e senza cuore stessero minando il loro equilibrio, ma c’era qualcosa di molto più personale e meno a che fare con l’esterno in quello che sentiva Jimin.

Ed ora aveva la prova del fatto che Taehyung non poteva capire. E molto probabilmente nemmeno Jungkook.

Come per dare più autenticità alle sue parole, neanche si fossero messi d’accordo, il proprietario del bistrot alzò il volume della TV che faceva sfoggia di dietro al bancone. La voce piatta e priva di intonazione di un giornalista si propagò nella stanza per annunciare che i blocchi stradali erano stati sollevati e per informare la popolazione che il governo era riuscito ad arrestare un gruppo di disturbatori.

Durante tutti quegli anni, dacché ne aveva memoria, i canali di informazione avevano riportato per lo più solo brevi riassunti di politica, alcune novità banali e gli incidenti occasionali che persino il loro governo oppressivo non poteva impedire come disastri naturali o incidenti. Anche allora però la narrazione era orientata a sottolineare come il governo fosse puntualmente riuscito a contenere i danni. In sintesi, il filo conduttore delle trasmissioni televisive era stata la perfezione del loro sistema governativo.

Tuttavia, ciò che era sempre stato notevole e che non aveva mai smesso di essere fonte di incredulità per lui, era la facilità con cui tutti sembravano essere in grado di ingoiare qualsiasi cosa il sistema desse loro in pasto.

Fino ad ora.

Il cambiamento era sottile, ma era lì. Una volta il cittadino medio non si sarebbe mai interessato di politica o questioni sociali e comunque non così apertamente. Dopo il referendum tuttavia, lentamente ma con costanza, la facciata aveva iniziato a mostrare le sue crepe. Adesso la gente ascoltava e guardava con attenzione. Non era chiara comunque quale svolta avrebbe preso questa nuova consapevolezza.

Considerando che il primo risultato di questo primo interesse era stato il freedom movement, Jimin era molto più che leggermente preoccupato.
Tuttavia, per quanto preoccupante fosse, ciò che stava congelando il sangue di Jimin nelle vene era il fatto che la TV stesse mostrando immagini e video di atti di vandalismo molto simili a quello che era accaduto a loro.

Jimin riuscì a respirare solo quando le notizie furono passate e non fu riportata una parola sul centro ricreativo. In un attimo il suo castello di carta sarebbe potuto crollare se avessero mandato in onda l’incidente prima che lui fosse riuscito a parlare con Jungkook.

Jimin era stato uno sciocco a credere di poter nascondere tutto sotto il tappeto. Scommettere così sulle circostanze nella cieca speranza che Namjoon non discutesse degli avvenimenti del centro con Jungkook.

“Jimin?” Taehyung gli stringeva forte la mano preoccupato. Jimin distolse gli occhi dallo schermo per riportarli su Taehyung.

La faccia di Taehyung era tesa. Indicò la porta, suggerendo silenziosamente di uscire di lì se questo era ciò che Jimin voleva, considerando come si era raggelato l'ambiente circostante. Jimin inghiottì le sue paure e scosse la testa.

"Restiamo. Non abbiamo ancora finito e mi rifiuto di andarmene senza dolce.”

Taehyung annuì, si accomodò meglio sulla sedia e bevve un grande sorso dal suo bicchiere.

Jimin sapeva che Taehyung non aveva mai dovuto fingere nemmeno uno dei suoi sorrisi durante la sua vita perché per lui era vero che la sua felicità era la sua anima gemella designata. Ma Taehyung non era ingenuo né cieco: aveva visto i suoi cari soffrire per mano di quello stesso sistema di anime gemelle che aveva concesso a lui così tanto.

Rimasero lì come aveva richiesto Jimin e fecero del loro meglio per godersi ogni cosa. Si separarono con riluttanza, desiderando entrambi di avere più tempo perché era palpabile l’aria di sospensione che aleggiava tra di loro. Taehyung però doveva tornare alla KN Ent. e Jimin al centro ricreativo.

IL centro ricreativo ormai diventato più un istituto nella sua struttura, doveva inaugurare il nuovo anno accademico e Jimin doveva ancora finire di organizzare il programma della giornata aperta. Anche se la cerimonia di apertura si svolgeva solo nella sede centrale, Jimin e Seokjin dovevano ancora controllare che i corsi non si sovrapponessero e assicurarsi che tutto procedesse senza intoppi. Era un sacco di lavoro, ma a Jimin piaceva. Per giunta prima del giorno della cerimonia, era loro tradizione tenere il centro aperto per quei genitori e quelle persone che erano ancora incerti sull'iscrizione o non avevano fatto in tempo a iscriversi.

Non volendo intimidirli imponendo la loro presenza in quanto direttori, Jimin e Seokjin di solito lasciavano questo lavoro di benvenuto ai loro insegnanti. Jimin sapeva che, nonostante la loro buona reputazione, alcune persone potevano essere ancora incerte o scettiche. Dopotutto, lo era stato anche Jimin quando Seokjin gli aveva restituito il volantino dei corsi di ballo.

Durante le giornate aperte quindi Seokjin lavorava da casa e Jimin si chiudeva nel suo ufficio.

Quindi ora si affrettava per le strade, impaziente di tornare nel suo ufficio e nascondercisi dentro.

Taehyung gli aveva offerto un passaggio, ma Jimin aveva rifiutato. Desiderava respirare un po’ d'aria fresca e chiarire i suoi pensieri.

Aveva fatto un buon lavoro nel nascondere i propri sentimenti, ma Jimin ammetteva di essere più scosso di quello che voleva ammettere. Si sentiva nervoso e infelice e si trovò quindi a percorrere il paio di isolati che lo separavano dal centro con un senso di struggimento a cui si sommava la paura per ciò che aveva visto in TV soprattutto se correlato agli avvenimenti della giornata.
Per l'amor di Dio. Prima le sue stupide fantasie. Non Aveva bisogno di iniziare a paranoiarsi anche sul resto.

"Jimin, vieni qui!" una voce - la voce di una donna - urlò nella sua direzione.

Colto di sorpresa quasi inciampò sui suoi stessi piedi e con la mente che correva a immaginarsi i peggiori scenari, rimase immobile e impietrito sul posto. Ma qualunque pericolo la sua mente aveva evocato nel suo stato accelerato, non accadde mai.

“Jimin! Quante volte ti ho detto di non correre davanti a me!” Disse la donna in tono di rimprovero. Non guardava nella sua direzione né tantomeno si stava rivolgendo a lui.
Parlava a una bambina che saltellava a un paio di metri da lui, la quale sfoggiava il broncio più grosso che Jimin avesse mai visto, probabilmente nel tentativo di ammorbidire sua madre.
"Scusa mamma. Non lo farò più,” mormorò la bambina. A giudicare dal sorriso di sua madre, ci era riuscita.

"Sarà meglio. Ora andiamo a casa e rimani qui accanto a me, " rispose la donna prima di prendere la piccola mano della bambina tra le sue. Quest'ultima contenta di aver scampato una sgridata saltellò su stessa felice.

Jimin si sentì sollevato e nel complesso un po' stupido.

Jimin era un nome abbastanza comune e adatto sia un maschio che a una femmina, quindi ovviamente tutti quelli che urlavano quel nome non si rivolgevano necessariamente a lui.

Osservò il duo riprendere il cammino, mano nella mano, inconsapevole di aver attirato l'attenzione di uno sconosciuto, ma questo cambiò quando la donna guardò di fronte e se lo trovò davanti. Lo squadrò torva da capo a piedi e Jimin, imbarazzato per essere stato sorpreso a assistere a un momento così tenero, sorrise nella loro direzione a mo’ di scusa. La donna lo ignorò, puntò rapidamente lo sguardo a terra e accelerò il passo, passandogli accanto come se lui non esistesse.

Jimin fece una smorfia. Probabilmente doveva essere parso uno stralunato.

Per qualche motivo rimase fermo un paio di secondi a fissare le due figure. La bambina si era voltata e aveva agitato timidamente la mano nella sua direzione. Jimin intenerito fece un cenno con la mano a sua volta e rimase lì fino a che non le vide scomparire dietro l’angolo.

Le sue spalle si afflosciarono.

Non c'era pericolo alcuno la fuori, ma solo una madre che si prendeva cura di sua figlia.

Era meglio che si desse una calmata se una bambina col suo nome era in grado di scuoterlo così tanto.
 

 

 
Jungkook stava provando la sua esibizione da ore in una delle sale della stazione televisiva. Non era l'ideale perché c'erano molti altri artisti, con i quali non aveva molta familiarità, che avendo avuto un problema simile utilizzavano lo stesso spazio.

C'era un cantante in particolare che aveva guardato Jungkook storto per tutto il tempo. Jungkook lo conosceva, anche se non molto bene. Era un giovane cantante fresco fresco di debutto, che non aveva mai lavorato con Jungkook e non capiva perché quindi costui avrebbe potuto avere animosità nei suoi confronti. Lavoravano in diversi campi artistici e il giovane era un numero due, chiaramente un livello irraggiungibile per Jungkook, e quindi decisamente uno spreco di tempo da parte sua darsi al bigottismo di classe quando contava già più di Jungkook.

Fortunatamente, il suo staff dedicato e il suo manager arrivarono non troppo tempo dopo che lui era arrivato e lo avevano aiutato a sistemarsi e perfezionare gli ultimi dettagli della sua esibizione. Dopo ore di lavoro, ora era quindi pronto a fare una doccia veloce nel suo camerino e passare per la sala trucco. E liberarsi dello sguardo insistente di quel giovane almeno per un po’.
Jungkook era sempre stato orgoglioso, ma non voleva dover mettere al suo posto un novellino alla vigilia di un evento così importante. Tuttavia prima che potesse uscire dalla sala, una voce lo chiamò.

"Jeon Jungkook?"

Si voltò verso la persona che si stava rivolgendo a lui, mentre si asciugava il sudore dal viso con un soffice asciugamano. Una giovane donna lo stava aspettando sulla soglia della sala di prova. Jungkook non aveva idea di chi fosse.

"Mr. Lee vorrebbe scambiare alcune parole con te, quindi dopo la prima registrazione sentiti libero di passare dal suo camerino,” disse, porgendogli un biglietto da visita. Quando Jungkook lesse il biglietto quasi si lasciò sfuggire un verso per la sorpresa.

Con "Mr. Lee ", la giovane donna aveva inteso quel Mr. Lee, uno dei cantanti più popolari della nazione. Ed anche il suo scandalo più recente, considerando che era fresco di coming out sul suo status.

Jungkook era convinto che se non bandito da ogni esibizione, sarebbe stato lui stesso a cercare di non esporsi troppo dopo quel fatto. E invece il cantante era lì come da programma ed ora chiedeva di lui. Perché?

"Allora sono vere le voci che dicono che hai amici ai piani alti,” osò rivolgergli la parola il giovane cantante.

Apparentemente aveva assistito al breve scambio, ma anche così Jungkook non capiva perché questo tizio stesse facendo un commento del genere con una così chiara mancanza di rispetto ed educazione.

Tuttavia, prima di poter chiedere chiarimenti al ragazzo questi si era già allontanato.

Le sopracciglia di Jungkook si corrugarono mentre le sue dita stringevano violentemente il biglietto da visita.

Che cosa stava succedendo?
 

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