Fantasy XXI

di Blue_Rainbow592
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La magia non è un'amica ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** La magia non è un'amica ***


Capitolo 1

La magia non è un'amica

Era una notte come tante nella città di Tokyo, le luci dei quartieri e il vociare confuso erano ovattati dal suono ritmico della pioggia che cadeva e le vie erano invase da ombrelli neri come pece. Eppure, se ci si discostava dalla zona più commerciale e si passavano i negozi decorati da sagome di personaggi dei manga, i ristoranti popolati da turisti, se si superavano le casette, i grattacieli con le loro insegne pubblicitarie luminose e i ristoranti più etnici, quelli frequentati dalle persone che erano nate e vivevano in Giappone da una vita intera, si arrivava in una delle zone più malfamate della città. Lì vivevano le creature che per sangue o anche solamente per la "razza" a cui appartenevano, erano considerate impure. Certo, la presenza umana non mancava, tuttavia quella zona era frequentata soprattutto da orchi e da elfi oscuri che cercavano di tirare avanti rubacchiando ai turisti che circolavano nella zona ingnari di tutto e dai negozianti che, presi dalla disperazione o da un grande coraggio, avevano deciso di aprire le loro attività proprio in quel luogo di fame, violenza, droga e omicidi.

Fu proprio uno di quei minimarket il suo obiettivo. Non era niente di che: solo un piccolo negozietto che vendeva generi alimentari, qualche rivista e qualche attrezzatura per il giardinaggio. Sinceramente, non le importavano nè le condizioni di quel luogo nè ciò che veniva venduto tra le sue mura, le bastava racimolare un po' di denaro: non mangiava da giorni e la debolezza unita alla stanchezza fisica la stavano facendo vacillare. Stava iniziando a sentirsi debole e sempre più disperata.

Quando si coprì il volto e caricò il fucile, comprese il suo livello di disperazione ed era orribilmente alto. Non aveva mai usato un'arma contro qualcuno, sapeva come sparare, però la sua indole non le avrebbe mai permesso di usare quel fucile contro un innocente. Doveva solo fargli paura, prendere tutto e scappare così velocemente da non essere vista da nessuno se non dal proprietario che si sarebbe dimenticato di lei non appena fosse uscita. Cosa poteva andare storto? Erano passati due mesi da quando quell'idea le era entrata nella testa.

Aveva fatto tutto: controllato da cima a fondo quel negozio, racimolato più informazioni possibili sul proprietario in modo da immergersi nella sua routine quotidiana, fino a conoscere ogni sua mossa, e controllato gli orari più favorevoli per il suo colpo, quelli in cui i clienti erano pochi e quei pochi si aggiravano per lo stabile come ombre dai sensi ottenebrati da alcool o droghe. Nulla poteva andare storto.

Inspirò, riuscendo a trovare quel coraggio che le sarebbe servito per compiere la sua folle impresa ed entrò.

Le porte scorrevoli annunciarono il suo arrivo, con il loro suono ovattato. L'uomo alzò lo sguardo e non appena vide il fucile sbiancò: - Dammi tutti i tuoi soldi e se ti azzardi solo a gridare, non rivedrai mai più la tua famiglia. - urlò. Quello iniziò a tremare, come una foglia, guardandosi attorno, terrorizzato: - Ti- ti- ti prego, n-non farmi del male. - la implorò. La ladra allungò verso di lui una borsa da palestra nera: - Allora inizia a svuotare la cassa! -

Si sentiva un mostro, mentre pronunciava quelle parole: fin dal giorno in cui aveva deciso di intraprendere quella missione folle, aveva pensato che quell'uomo fosse la persona più buona mai visto.

L'uomo, del quale non conosceva neppure il nome, aveva aperto il suo negozio per salvare la sua famiglia dalla povertà più totale, quella povertà in cui versava pure la ladra, e, dal giorno in cui quello aveva iniziato la sua attività, aveva cercato di andare avanti con tutte le sue forze, lottando con le unghie e con i denti per salvarsi in una zona come la periferia di Tokyo.

Inizialmente la ladra aveva cercato un altro negoziante da derubare, ma tutti sembravano nati con il terrore di essere derubati dal primo criminale di turno, molti si erano pure armati contro alla magia, grazie a dei congegni in grado di intercettare la magia e di utilizzarla contro colui o colei che aveva lanciato l'incantesimo.

Quello era uno dei pochi privi di quelle attrezzature in grado di far fronte a pericoli del genere e soprattutto di far fronte alla sua arma segreta.

Il proprietario aveva compreso la cosa fondamentale: i soldi era meglio conservarli per sè; che spenderli in costosissimi ed inutilissimi macchinari che probabilmente non sarebbero mai serviti a nulla: - Ti darò tutto! - esclamò quello abbassando la testa. Lo osservò tastare qualcosa sotto al bancone: cercava un'arma, ne era certa. Era arrivato il momento di mostrarsi per ciò che era. Le dita si mossero da sole, con l'esperienza tipica di chi utilizzava la magia fin dalla nascita tracciò il sigillo nell'aria. Una luce biancastra illuminò leggermente gli occhi completamente neri della ragazza e una stella candida iniziò a roteare nelle pupille di quella: - Ora alzerai la mani. - gli disse con la voce carica di fascino. L'altro rimase immobile con la bocca spalancata.

Il fascino poteva avere effetti diversi a seconda della tipologia di persone: per molti era immediato, mentre altri restavano imbambolati, come se il loro sistema nervoso si volesse ribellare al Condizionamento - Su, forza, mani in alto! - lo esortò. Il negoziante si riscosse e alzò le mani con i palmi rivolti verso di lei a mostrare che era disarmato: - Apri la cassa e metti i soldi nella borsa! Sbrigati! - continuò, iniziando a spazientirsi: quella rapina stava durando più del previsto. Per fortuna, non se lo fece ripetere due volte e svuotò il contenuto della cassa nella borsa. Le banconote piroettavano nell'aria, le monete tintinnavano non appena cadevano, rincuorandola: non aveva mai visto così tanti soldi assieme: - Basta! - esclamò, l'uomo si congelò, con gli ultimi incassi rimasti ancora tra le mani: - Dammi la borsa! -

Non appena potè stringere la refurtiva tra le braccia, diede le spalle all'uomo, ma poi tornò a fissarlo: - Devi ancora farmi un favore, amico: a tutti quelli che verranno a fare domande su questo piccolo furtarello, te devi dire che a derubarti è stato colui o colei che entrerà dopo di me e che non è stata usata, in nessun modo, della magia di nessun tipo. - gli disse uscendo con passo deciso.

Girato l'angolo, sentì i sensi di colpa farsi strada in lei: aveva derubato una brava persona e inoltre avrebbe fatto incolpare un innocente per un crimine commesso da lei.

Le mancava la sua vita nella comunità che l'aveva ospitata per tre anni, prima che lei, due anni prima dei fatti narrati, decidesse di fuggire. Lì nessuno si era mai fatto dei problemi per il suo aspetto poco convenzionale e per i suoi poteri, finchè questi non erano diventati troppo potenti e troppo preoccupanti: un conto era essere in grado di lanciare qualche incantesimo in grado di trasformare una forcina per capelli in una chiave per rubacchiare i dolci in cucina e un conto era riuscire ad uccidere una persona con una parola, oppure poter piegare la volontà di una persona. Arrivata a diciassette anni e con una spiccata propensione a combinare guai con la propria magia, si era ritrovata per la prima volta faccia a faccia con la polizia che si occupava delle creature magiche.
La sua fuga era stata una delle più difficili mai viste. Fu lì che divenne un'assassina e che si lasciò la sua vita alle spalle un'altra volta. Alla fine della storia, si era ritrovata a Tokyo. Aveva trovato molte difficoltà ad integrarsi nella capitale nipponica e nella zona in cui si era autoconfinata: il quartiere degli orchi, l'unico luogo in cui un mago e soprattuttto un mezzelfo come lei poteva passare inosservato. Avrebbe mentito se avesse detto che non aveva mai sognato di vivere tra gli altri elfi nei loro quartieri puliti e tra le vetrine dei negozi di abiti, di dolci e di qualsiasi altra cosa, passeggiando mano nella mano con qualche amica e parlottando tranquillamente tra i ciliegi in fiore.

Comunque, lasciata la comunità, il primo problema che le si era posto era stato il lavoro: nessuno sembrava disposto, neppure per i lavori più degradanti, ad assumere una persona con le sue fattezze. Faceva paura, era un abominio per metà elfo e per metà elfo oscuro, un mostro in grado delle azioni più vili, come dicevano gli altri. Era unica nel suo genere e probabilmente la sarebbe stata per sempre.

Superato il vicolo, si tolse il fazzoletto che le copriva il volto e il cappuccio. Fu in quel momento che lo vide: era un orco molto giovane, poco più di un ragazzino, vista la statura esile del suo corpo e il grigio perlaceo della sua pelle. Lo superò senza neppure degnarlo di uno sguardo, ma sicura che quello si fosse accorto di lei: - Nid? Dove vai? Non dovresti girare da queste parti da sola, soprattutto di notte. - la rimproverò quello prendendola per un braccio.

L'elfo si voltò verso di lui digrignando i denti: odiava quando faceva la mammina apprensiva con lei: - Lasciami andare, orco! - gli ordinò, divincolandosi. L'altro la fissò con la bocca aperta: non si era mai comportata così con lui: - Credevo di essere tuo amico. - provò a dire, non trovava altre parole per descrivere il proprio disappunto. La giovane ladra strinse il borsone al petto, temeva che quello la denunciasse: - Io non ho amici, soprattutto se questi sono orchi. - ringhiò correndo via.

Sperò con tutta se stessa che non fosse proprio lui il primo ad entrare in quel dannato minimarket dopo di lei.

Cole, era il nome del giovane orco, aveva cercato di aiutarla fin dal primo giorno in cui l'aveva vista seduta su un marciapiede con le mani tra i capelli e la testa china dal peso di una giornata di continui no. All'inizio erano stati proprio lui e sua madre a nutrirla, poi alla morte della donna, Cole aveva iniziato a tirare la cinghia, anche se ogni tanto le lasciava la spesa davanti alla porta di casa.

Dopo neppure dieci minuti da quell'incontro, si ritrovò davanti alla propria dimora, se poteva definirla casa. Attualmente viveva nella stanza di un motel, gestito dalla creatura più disgustosa mai vista: per essere un umano aveva così tante caratteristiche che lo facevano assomigliare più ad un orco che ad un uomo comunissimo: i lunghi capelli neri gli ricadevano sulle spalle in un nido arruffato, il volto taurino dai piccoli occhi neri e affilati come rasoi, mostrava tutta la cattiveria di cui quello era capace e gli arti erano così pelosi da farlo assomigliare ad un orso. L'aspetto, unito al caratteraccio, erano stati uno dei tanti motivi per cui quel motel era diventato la sua dimora: nessuno avrebbe mai scelto di alloggiare in un luogo simile a meno che non fosse stato costretto. Convincere il proprietario era stato semplice, era uno dei pochi che cedeva facilmente al fascino.

Non appena girò le chiavi nella toppa sentì un mormorio fastidioso rimbalzare da un lato all'altro della testa: quello era il prezzo da pagare per utilizzare la magia: - Ladra! - esclamò una delle voci che parlava nella sua testa dopo l'attivazione dei sigilli. Le avevano spiegato che ogni volta che attivava un sigillo una parte della persona contro cui lo usava diventava parte di lei sottoforma di voce. Nella sua testa ormai non riusciva più a contarle. Ce ne erano alcune più tranquille, mentre altre urlavano così forte da dilaniarla. Le davano della ladra, della codarda e del mostro: - Basta! - urlò con le lacrime agli occhi a causa dell'umiliazione e del dolore.
Fu in quel momento di dolore assoluto che, riflesso nello specchio posto in fondo alla stanza, vide un giovane uomo alto dai corti capelli ramati e gli occhi verde smeraldo osservarla intensamente. Strisciò verso quello specchio: - Mostro! - tornarono a gridare la voci, costringendola a gridare all'uomo nello specchio una disperata richiesta d'aiuto, attirando l'attenzione del giovane allo specchio: - Chi sei? - mormorò lui prima di sparire nel nulla. Intanto, Nidrei era crollata a terra, priva di sensi.

Nell'oscurità in cui stava navigando, non c'era nulla che poteva toccarla, c'era solo un dolce calore benefico che allontanava da lei ogni genere di pericolo. Era nel buio dell'incoscienza che riusciva a sentire il vero legame che univa tutte le creature, compresa lei, alle altre. Sentiva il legame tra le madri e i figli, percepiva come una carezza quello incerto degli amanti, l'attraversava come un uragano quello ancestrale della natura e poi ve ne era un altro che sembrava completarla, eppure non riusciva a comprendere la sua natura, lo sentiva come una fiamma che la riscaldava da capo a piedi, rendendo tutte le sue altre percezioni più deboli, pure il suo legame con la magia perdeva ogni importanza di fronte a quel fuoco dall'odore inconfondibile: era molto simile al profumo del muschio unito a quello del caffè e di centinaia di documenti lasciati a prendere polvere su altre centinaia di scaffali. Si perse nella beatitudine che le inspirava quel legame e vi nuotò dentro seprando di non svegliarsi mai più. Poi lo sentì: la rabbia, la forza e la disperazione unite insieme. Furono quelle emozioni a farla riprendere.

Aprì lentamente gli occhi: sopra di lei il soffitto si presentava come un puzzle di macchie e crepe di ogni dimensione possibile, i battiscopa delle pareti erano consumati e ormai mangiati totalmente dalle tarme, mentre la carta da parati stava iniziando a scollarsi dalle pareti di cartongesso ammuffito. Si rannicchiò sulla moquette polverosa e fissò il proprio braccio abbandonato a terra. "Mi stanno cercando." fu il suo primo pensiero dopo che fu riemersa dall'incoscienza, era sicura che l'azzardo di affascinare il commesso aveva avvantaggiato coloro che la stavano cercando e, di conseguenza, aveva messo se stessa in una posizione di svantaggio da cui non sarebbe mai e poi mai uscita. Restò immobile in quella posizione per quelle che le sembrarono ore poi si decise ad alzarsi da terra per standersi sul letto. Non appena toccò il materasso sprofondò in un sonno che la riportò nell'oscurità che tanto amava e di nuovo tornò a farsi sentire quella fiamma che le percorreva tutto il corpo dalle punte delle dita fin al petto dove il cuore batteva con più forza, rischiando di essere strappato dal petto della giovane mezzosangue.

Note dell'autrice

Grazie a tutti coloro che hanno dato una possibilità a questa storia!
Fantasy XXI è stata un'idea nata dopo il tentativo di azzardare a scrivere una storia urban fantasy, inizialmente la storia era nata come un'opera di fantascienza impossibile da evolvere, poi ho avuto un'idea, quella di spedire creature magiche e non nel nostro periodo, il ventunesimo secolo, infatti il titolo è Fantasy XXI per questo motivo e, sinceramente il titolo mi è sembrato carino.
Dopo questa breve spiegazione, vi ringrazio di nuovo e, se ve la sentite, fatemi sapere cosa ne pensate.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Cosa non farebbe un avvocato per il proprio cliente?

Centinaia di persone si fanno sempre la solita domanda: come mai siamo diversi? Il mondo pullula di creature totalmente diverse tra di loro e uniche, eppure tutti tentano di dare una risposta a questo arcano. Certo, in un mondo in cui nulla sembra essere uguale, in effetti, non esiste la parità in nulla, tutto ha una qualche caratteristica che lo rende unico e totalmente diverso da un'altra cosa, pure due entità che esternamente sono identiche tra loro hanno una qualche caratteristica che le diversifica.

 Jack Archer, lo aveva imparato facendo l'avvocato. Aveva centinaia di leggi di ogni genere e tipo che gli frullavano per la testa, eppure, nel momento in cui fu chiamato per difendere quell'orco gli venne naturale chiedersi il perchè di una così varia sfumatura di creature generate tutte allo stesso modo, ma con diverse percentuali di una qualche sostanza nel sangue, tali da diversificarle tra di loro. 

In quel caso, quelle percentuali erano un problema non indifferente per il suo cliente: - Avvocato Archer, vuole porre delle domande al testimone? - domandò il giudice, attirando l'attenzione del giovane avvocato. Archer annuì facendo un passo avanti e notando l'espressione annoiata del giudice: pure lui sembrava stanco, eppure un piccolo crimine sembrava volerlo tenere lontano dalla propria casa, probabilmente, da una moglie amorevole e da qualche bambino capace di tirare sù l'umore grigio dell'uomo. Jack ne era sicuro, era stato fortunato a portare il proprio cliente in tribunale di sabato pomeriggio: il giudice sarebbe stato più indulgente del solito, solo per il desiderio di finire presto il turno, pure lui era umano: - Certo, vorrei chiedere al testimone di raccontare di nuovo alla giuria i fatti che hanno portato alla denuncia. - annunciò. Aveva fatto abbastanza ricerche e visto quel video della sorveglianza così tante volte da poter smentire qualsiasi confessione, anche la più convincente: - Ero da solo nel mio negozio, quando il ladro è entrato. All'inizio sembrava un cliente normale, sorrideva, mi ha salutato con gentilezza. Portava un berretto e una felpa con il cappuccio. Non gli ho dato molto peso. Ero al telefono con mia figlia... - iniziò a raccontare il negoziante: - Dalle riprese di quel giorno, però noi sappiamo che il mio cliente non indossava un berretto e neppure una felpa. Inoltre, in una precedente deposizione lei aveva fornito una versione diversa. - lo interruppe: il testimone si era messo nel sacco da solo. La magia non poteva nulla contro la mente e la sua complessità: la mente di quell'uomo si stava ribellando, mostrando all'uomo quei piccoli particolari che il Condizionamento gli aveva oscurato per svariati giorni: - Sì, ma comunque il suo abbigliamento non c'entra nulla! Le sue azioni parlano chiaro. Ha tirato fuori un fucile. Ho gridato, ma quello ha minacciato di uccidere tutta la mia famiglia. Avevo paura come non ne ho mai avuta... - continuò a raccontare. Stava sudando lo riusciva a vedere pure dalla propria posizione: - Potrebbe dire precisamente a che ora è stato commesso il delitto? - chiese di nuovo. Il video che aveva visto mostrava il proprio cliente che entrava, comprava un pacco di caramelle e poi il commerciante che urlava e si nascondeva sotto al tavolo, niente armi e niente minacce, però quello non era un particolare utile a far capire al giudice che tutti loro erano di fronte ad un caso di fascino bello e buono: - Alle otto e trenta, era quasi orario di chiusura. - mormorò il tester. L'avvocato aggrottò le sopracciglia, era certo che il video risalisse a venti minuti dopo, per le otto e mezza non c'erano riprese, nessuna, solo l'oscurità, cosa a cui neppure il commerciante riusciva a dare una risposta: - Signor Andreson, sa che la falsa testimonianza è un crimine punibile penalmente? - domandò cercando di spingere la mente del testimone a collaborare: - Avvocato, il querelante conosce i suoi diritti, non serve che lei glieli elenchi uno per uno. - lo riprese duramente il giudice: - Scusi. Cos'è successo quella sera, che era il quattro giugno, alle otto e mezza? - 

   - Mia figlia mi aveva chiamato: mia nipote si era fatta male. Stavo parlando con lei quando è entrata, era vestita di nero... no era un orco. Mi ha minacciato... no, era disarmato. Oddio, non mi ricordo. - iniziò a balbettare l'accusatore. Il giudice lanciò un'occhiata ai due avvocati. Solo due cose potevano causare una confusione simile: droga o magia. Entrambe improbabili: la prima l'imperatore aveva approvato una legge che imponeva di sottoporre a chiunque entrasse in tribunale in qualsiasi veste a dei test antidroga, mentre la seconda perchè i maghi erano pochissimi e questi pochi vivevano come dei reclusi: - Il testimone risulta inattendibile. Siamo di fronte ad un caso di Condizionamento! Per oggi il processo è sospeso finchè non sarà fatta chiarezza su chi ha commesso veramente il crimine. - annunciò il giudice. Nell'aula si alzò un mormorio preoccupato: un mago a piede libero era una bella rogna. Solitamente coloro che erano in grado di utilizzare la magia venivano messi in quarantena e sparivano dalla faccia della terra, soppressi in qualche struttura governativa. Pure a Londra e nelle altre zone del mondo quella pratica era molto diffusa per salvaguardare tutti coloro che non erano in grado di manipolare ciò che li circondava, tuttavia non era raro che qualcuno riuscisse ad eludere il sistema. Quella piccola percentuale viveva nascosta in sette ultra segrete di cui nessuno conosceva la gerarchia e dell'esistenza delle quali si dubitava. Comunque, quel giorno, la magia in tutta la sua pericolosità, aveva salvato un innocente da un'accusa di rapina a mano armata e dal carcere.

Per Jack fu una soddisfazione vincere quella causa, però in tutto quel caso c'era ancora qualcosa che non gli tornava: se esisteva un mago a Tokyo, perchè le autorità non si erano ancora mosse? L'imperatore si vantava pubblicamente dell'efficacia dei propri mezzi contro la magia, eppure in quel caso non stavano funzionando. Quel mago doveva essere veramente scaltro, oppure straniero e quindi divenire il problema della potenza straniera da cui questo proveniva.

Uscì dal tribunale per ritrovarsi sotto al cielo plumbeo di Tokyo. Quel genere di giornate gli ricordavano la sua amata Londra. Gli mancavano le passeggiate lungo il Tamigi con la sua vecchia fiamma e l'odore costante dell'umidità, pure con il sole aveva sempre l'idea che la pioggia fosse sul punto di cadere. Gli mancavano pure le strade meno affollate. Tokyo era un continuo brulicare di persone, di automobili e di biciclette. Ovunque c'erano persone.

Affondò le mani nelle tasche del cappotto, mentre la pioggia gli colava lungo le spalle. Sentiva un strano presentimento: come se quel caso fosse ancora sulle sue spalle: - Dottor Archer? - lo chiamò una voce roca. L'avvocato si voltò verso il proprio cliente: - Sì? - domandò cercando di mascherare il proprio stupore: - So che il processo è stato sospeso e che sono stato scagionato da ogni accusa, ma ho avuto il terrore di confessarlo alle autorità: io ho visto la ladra fuggire. - 

Fu con quella frase che il suo presentimento arrivò a bussare alle porte della mente: - Vieni con me! - gli ordinò. Poco distante dal tribunale, c'era un piccolo bar. Era un luogo molto tranquillo in cui parlare, ma anche un luogo in cui il giovane avvocato poteva bere senza essere giudicato. Odiava ammetterlo, ma non poteva neppure nasconderlo. La sua dipendenza era iniziata pochi mesi prima, alla morte del fratello, nonchè suo mentore per il periodo di tirocinio che aveva iniziato l'anno prima. Ormai era lucido solo in aula e a volte neppure lì: - Sei sicuro di averla vista? - domandò: sinceramente non si fidava delle parole di un orco, però c'era qualcosa in lui che lo spingeva ad affidarsi a quel piccolo criminale. L'orco si guardò attorno con fare circospetto: -Si aggira per la zona malfamata, ci abita. Non è giapponese, dall'accento sembra americana. Io e mia madre abbiamo tentato di aiutarla alcune volte. - gli rivelò. L'avvocato bevette un bicchiere di sakè d'un fiato per poi aggrottare le sopracciglia: - Come fai ad essere così sicuro che sia lei? Io ritengo che gli elfi siano tutti ug... - provò a dire, ma l'orco lo interruppe sussurrando con voce cospiratoria: - Nessuno si può dimenticare la faccia di quella ragazza, glielo posso giurare. - La curiosità di Jack si fece più pressante: quella storia stava diventando strana, terribilmente vicina alla morte di suo fratello e a ciò che il giovane avvocato aveva visto dopo la morte i quest'ultimo, due anni prima: - Cosa vorresti dire? - gli chiese a mezza voce. L'orco si avvicinò ancora, ormai era totalmente steso sul tavolinetto che tremava sotto al peso gravoso di Cole. Visto così sembrava una spia un po' maldestra in procinto di rivelare un segreto di stato: - Quella ragazza è per metà elfo e per metà elfo oscuro, per questo è anche la creatura più odiata del mio quartiere: gli altri orchi non fanno altro che darle fastidio per allontanarla. Gli unici ad aiutarla eravamo io e mia madre. Ora, di tanto in tanto, le lascio del cibo davanti a casa e cerco di allontanare i miei simili da lei. ma sembra una calamita per le sventure.  - gli raccontò. Aveva ancora in mente tutto ciò che era accaduto quella notte maledetta, compreso il dolore che aveva provato mentre compiva quei duecento passi che lo separavano dal negozio in cui Nid aveva commesso uno dei crimini peggiori: usare la magia: - Resta comunque il fatto che ti ha incastrato per un furto che non hai mai commesso tu. Essere sbattuti in carcere per colpa della persona che hai sempre cercato di aiutare non è un po' un colpo basso? - domandò l'avvocato versandosi un altro bicchiere che l'orco bevette di fronte allo sguardo carico d'odio dell'umano, per non poter bere il liquore che tanto aveva agognato durante il processo: - Non è un colpo basso. Lei cosa avrebbe fatto se fosse rimasto senza cibo, senza soldi e soprattutto se lei fosse braccato? - gli chiese. Jack si lasciò sfuggire un fischio: - L'alcol ti rende un filosofo? - domandò bevendo un sorso di sakè direttamente dalla bottiglia. Si sentiva abbastanza positivo: avrebbe scagionato totalmente il proprio cliente e sarebbe diventato colui che aveva trovato il famigerato mezzosangue: - Sai dove abita? - domandò rispondendo ad una necessità che aveva il suo animo: voleva vederla, parlarle, conoscerla e, chissà, studiarla, per comprendere meglio la logica che stava dietro alla mente di un mago come quello che aveva ucciso suo fratello. L'orco annuì solennemente: - In un motel della zona malfamata, quasi fuori città. Il proprietario la fa vivere lì a patto che paghi la stanza una volta al mese. Una specie di affitto, ma molto ridotto. -

L'avvocato si alzò dalla sedia e gli diede una pacca sulla spalla: - Perfetto, Cole, mi ci dovrai portare. Se abbiamo a che fare con un mago furioso o, peggio, spaventato, dobbiamo essere sicuri di non rischiare la pelle. - fu con quella frase che si allontanò diretto verso il bagno. Era deserto, le piastrelle bianche rilucevano alla luce dei neon, mentre gli specchi riflettevano in contemporanea la sua schiena.

Tutta la sua storia era iniziata proprio in quel bagno. Aveva ancora un ricordo vivido di quella notte, gli schizzi di sangue sul muro, le sue urla di dolore, quella luce accecante e lo scoppio. Si ricordava pure la forma perfetta del sigillo come se stesse ancora danzando di fronte i suoi occhi. Da quel giorno tutto era cambiato, da quel giorno tutte le sue impressioni, tutte le sue lotte per la salvaguardia dei maghi e dei loro diritti, erano andate in fumo. Dalla morte del fratello era iniziata la sua crociata contro la magia e chiunque fosse un grado di utilizzarla: - Aiuto! - esclamò una voce femminile alle proprie spalle. Si voltò di scatto e vide tutti gli specchi riflettere la solita immagine: una figura femminile dai capelli candidi, ma dal volto da ragazzina. Si rivestì e si avvicinò a quell'apparizione, con una mano tesa: - Ti prego, aiutami. - piagnucolò quella. Fu in quel momento che vide i suoi occhi: erano totalmente neri come se l'iride e la sclera fossero state inghiottite dalla pupilla e, proprio al centro di quei pozzi privi di fondo, piroettava un sigillo dorato, simile a quello che aveva ucciso suo fratello: - Mi stanno cercando! - urlò lei posando le mani sullo specchio. Un lieve mal di testa iniziò a martellargli la mente, mentre i pensieri iniziavano a seguire un flusso discontinuo, come se quella stessa tentando di entrargli nella testa: - Chi? - fu l'unica parola che riuscì a pronunciare. La mezzosangue si voltò per puntare lo sguardo un punto imprecisato alle sue spalle: - Coloro che ho ucciso. - rispose per poi essere sostituita dal riflesso del giovane. Un brivido gli percorse la spina dorsale: quella creatura era lei, ne era sicuro, era la ladra. Nulla di simile a lei era mai esistito sulla faccia della Terra. "Ha gli occhi da elfo oscuro, ma i tratti e la carnagione di un elfo comunissimo. " pensò sapendo che quell'immagine gli sarebbe rimasta impressa per sempre nella mente. Era così bella e allo stesso tempo così terribile. Ritornò nel salone dove lo stava aspettando il proprio cliente.

Pagò da bere per tutti e due. Non riusciva a placare il tremito che lo aveva preso dal momento in cui aveva incrociato quei due occhi. "Devi salvarla. " momorò una voce nella sua mente. Con quel pensiero a tormentarlo, uscirono dal locale. Tokyo come al solito era affollata come poche città, nella sua enormità sembrava una bestia affamata, assopita in un letargo eterno, ma pronta in qualsiasi momento a svegliarsi e a nutrirsi di tutto quello che giaceva su di sè. La prima volta che vi aveva messo piede, Jack aveva pensato che quella calma piatta che aleggiava su quella moltitudine fosse inquietante come poche. Con il tempo, aveva iniziato a farci l'abitudine e a sentire quelle strade, quei grattacieli di metallo e vetro con appese centinaia di pubblicità e tutte quelle stranezze tipiche del popolo giapponese, come la propria casa. Certo, Londra gli mancava, era nella capitale inglese che lui e suo fratello avevano lasciato la  famiglia per aprire oltreoceano uno studio legale che si occupava dei problemi del popolo magico. A volte si malediceva per quella scelta e ogni volta che quei pensieri facevano capolino, li annegava nell'alcol, unica consolazione che gli era rimasta dalla morte del fratello. Aveva sempre ammesso che la sua fosse ormai una dipendenza pericolosa e altamente stupida, eppure ogni volta che si ubriacava a tal punto da non riuscire a fare neppure mezzo ragionamento logico, sperava di poter porre fine a tutto, ma qualcosa in lui lo bloccava prima dell'inevitabile. Quella volta quel qualcosa non si fece vivo, quasi come se lanciarsi tra le braccia di un possibile nemico fosse una cosa normale: - Quanto può essere pericolosa? - domandò dopo un lunghissimo minuto di silenzio. L'orco non parlò, fissando il marciapiede sotto ai propri piedi: - Molto, ma non l'ho mai vista fare del male a qualcuno. Cerca di nascondersi. Però, un giorno mi ha confessato una cosa del suo passato: due anni fa ha ucciso otto uomini con i propri poteri. Il suo potenziale è immenso e terribile, però non ci farà del male, ne sono sicuro. - gli spiegò come se cercasse di far apparire quella mezzosangue come una creatura indifesa e spaventata. L'avvocato aveva una sgradevole sensazione.


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