Soltanto un Ballo

di AnAngelWithBrokenWings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Con Occhi Diversi ***
Capitolo 2: *** Avances ***



Capitolo 1
*** Con Occhi Diversi ***


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Non si sentiva esattamente a suo agio nel vaporoso abito in tulle che Thorn le aveva fatto confezionare per il Ballo d’Inverno, le sembrava molto ingombrante. Non era abituata a gestire così tanta stoffa. Le mancava la comodità della sua amata sciarpa e dei suoi guanti da lettrice, che per quella sera avrebbero riposato sul davanzale della specchiera intarsiata in legno pregiato.
L’unica cosa che le permetteva di riconoscersi come la solita Ofelia erano gli inseparabili occhiali che le scivolavano continuamente dal naso. Non riusciva proprio a separarsi da loro.
Era visibilmente imbarazzata e preoccupata e gli occhiali se ne accorsero, perché avevano già assunto un colore rosso vermiglio.
Davvero avrebbe dovuto concedere anche un solo ballo al suo non voluto né desiderato futuro marito?
Il tempo del fidanzamento stava scadendo e i rapporti tra Thorn ed Ofelia non erano andati esattamente lisci come l’olio, tante volte si erano trovati in contrasto l’uno con l’altra, per la palese indifferenza e il manifestato atteggiamento di superiorità di lui, o gli sporadici scatti di rabbia di lei. Ma come darle torto? Si ritrovava in un’arca che stava imparando a conoscere giorno dopo giorno e dalla quale si stava abituando a difendere, doviziosa com’era di inganni ad ogni angolo, splendente di illusioni al di fuori, ma marcia all’interno. I sorrisi falsi della corte, i Miraggi e i loro insulsi giochi illusionistici, persino lo stesso Faruk, le facevano ribrezzo: ciò che lui approvava, la corte approvava; ciò che a lui disgustava, alla Corte disgustava; ogni suo capriccio doveva essere seguito dalla condiscendenza dell’intera assemblea. Per essere lo Spirito di Famiglia di un’arca così grande e imponente, era davvero ridicolo.
 
Tra tutti quelli che avevano avuto a che fare con Faruk, solo Thorn manteneva un certo contegno. Certo, era pur sempre costretto ad assecondare ogni suo capriccio e sentenza, ma non si abbandonava mai a salamelecchi o protrusioni di falsa cortesia di fronte a lui. Almeno, questo, Ofelia lo apprezzava.
“Nipote mia, sei bellissima! Per tutte le pergamene, sembri un fiore!”
Zia Roseline fece capolino nella stanza e la allontanò da quei pensieri persi nel tempo passato. Ofelia tornò alla realtà: “Grazie zia, ma non sarà per molto. È solo in occasione di questa festa, finito il ballo tornerò ad essere la vostra normale e noiosa nipote” e così dicendole le rivolse un sorriso sincero che fu ricambiato in modo complice dalla donna, che le accarezzò una guancia tinta di un rosa leggerissimo.
In fondo però la zia aveva ragione, Ofelia era così diversa dal solito che quasi lei stessa non si riconosceva, guardandosi e rigirandosi davanti alla sua immagine specchiata. Il tulle rosa chiaro della gonna – definito dallo stilista stesso rosa dell’innamorato – le ricadeva morbido come una nuvola punteggiata da piccoli brillanti, descrivendo una dolce ruota che accarezzava il pavimento. Il corpetto, della stessa tonalità, le avvolgeva alla perfezione la vita sottile e accoglieva due graziosi seni chiari in uno spaccato a cuore, rivelando una celata femminilità che Ofelia non era avvezza a mostrare. Si chiese se anche quel vestito non fosse un’illusione. Le spalle e le braccia scoperte terminavano con un paio di guanti bianchi merlettati, che quella sera avrebbero sfiorato le mani del suo fidanzato e sposo promesso.
 Il viso, liberato dai capelli sempre intenti a nasconderlo, era appena sfiorato dal trucco, tanto quanto bastava ad Ofelia e alla sua scarsa abitudine a maneggiare rossetti e ciprie: in effetti, sembrava proprio una bambolina di porcellana con quel po’ di lucido sulle labbra e il blush sulle guance, data anche la sua corporatura minuta e la carnagione chiara, punteggiata da piccole lentiggini. Due morbide e voluminose trecce erano acconciate a mo’ di corona sopra il suo viso e rivelavano una sottile collana di perle bianche che giravano attorno ad un collo chiaro come la luna. Era stato Thorn a fargliele trovare in camera sua. Assieme alla confezione, era abbinato solo un biglietto che diceva:
 
INDOSSATELI PER IL BALLO DI DOMANI SERA, PER FAVORE
THORN
 
“Noiosa tu?” chiese la zia abbandonandosi a una fragorosa risata “Grazie a te ci siamo cacciati in un bel po’ di avventure, mi sembra. Non avevo un periodo così spericolato da quando il tuo padrino mi chiese di revisionare tutti i registri del suo archivio!” Ad un tratto la donna, come se avesse dimenticato qualcosa di importante, affondò una mano in una tasca del suo abito di velluto verde smeraldo per estrarne un fermacapelli chiaro, ornato di perle dalla parte del manico. Lo incastonò come meglio poté tra i riccioli ben sistemati della nipote le disse: “magari ti porterà fortuna” e, complice, le strizzò l’occhio.
Ofelia quella sera ne aveva veramente bisogno, di fortuna! Le poche volte in cui aveva ballato con i suoi cugini pretendenti di Anima – tutti rifiutati, nemmeno a dirlo – aveva dato loro più pestate ai piedi che gioia nel ballare con lei. Col tempo ci perse le speranze e non andò più nemmeno alle festicciole di famiglia, in cui basta qualche saltello per mettersi a ballare – ad Agata piacevano tanto quelle feste, pensò.
E poi, cosa avrebbero pensato quei venduti della Corte? Avrebbero sparso dicerie sul suo conto per metterla ancora in cattiva luce? Eppure non stava facendo nulla di male, o almeno così pensava. Thorn era un funzionario di Stato, lei una piccola redattrice di un museo polveroso lontano mille miglia; inoltre ormai tutti conoscevano Ofelia e il suo aspetto, come dire, non proprio appariscente. Cosa avrebbero pensato se l’avessero vista così ben agghindata? Tentativo di seduzione nei confronti della corte? Nei confronti di Faruk?
Ma in fondo non le importava.
In fondo, voleva soltanto pensare a stare bene. E quella sera si sentiva un po’ bella, finalmente.
Pensò perfino…
Pensò perfino che forse, in quelle vesti, Thorn l’avrebbe vista con occhi diversi.

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Capitolo 2
*** Avances ***


Dal canto suo, Ofelia almeno ci stava provando. Probabilmente l’invito al Ballo d’Inverno era solo una formalità per ufficializzare il futuro matrimonio, ma proprio perché fosse una formalità Thorn avrebbe anche potuto declinare. Declinava questo genere di eventi ogni qual volta potesse farlo: veniva assillato sempre con lamentele riguardanti tasse troppo alte, ricchezza della popolazione maldistribuita, problemi statali e burocratici.
Forse per una sera anche lui voleva solo concedersi un freno dal continuo fluire delle responsabilità.
Ma no! pensò Ofelia, avrà colto l’occasione buona per fare vedere in pubblico la coppietta bizzarra che siamo per poi tornarsene immediatamente nel suo studio.
Come faceva sempre, del resto. Si rintanava nel suo nido, al lume di quella poca luce che gli consentiva di lavorare sulla scrivania che non molto tempo prima Ofelia aveva imbrattato con della china nera, per poi tentare maldestramente di ripulire alla bell’e meglio.
L’Intendenza era il rifugio al quale Thorn tornava sempre dopo aver concluso le sue commissioni. Perché quella sera sarebbe dovuta andare diversamente?
Presentarsi al Ballo d’Inverno.
Incontrare Ofelia.
Scambiare convenevoli con qualche personalità di spicco.
Piantare in asso la sua fidanzata.
Sparire nel suo angolo di mondo.
Lasciarla da sola.
Tutto perfettamente regolare e scandito, come il suo inseparabile orologio.
Solo a pensarci, gli occhiali le divennero di un colore vermiglio infuocato: si sentiva arrabbiata, perché non sapeva come si sarebbe comportato Thorn questa volta, ma allo stesso tempo si sentiva una completa idiota, un agnellino di rosa vestito che stava per andare in pasto ai lupi. Il tornado di pensieri che la stava trascinando in quel momento si arrestò quando Ofelia si trovò davanti al portone d’ingresso della Sala da Ballo. Una grande area del Gineceo che poteva ospitare più di duecento persone, con tanto d’orchestra, due rampe di scalinate bianche e curvilinee, che dominavano un pavimento nero lucidissimo, al centro del quale era stata dipinta un’enorme bussola indicante il Nord, arricchita di volute e riccioli. Esso era in grado di cambiare colore in sintonia con la melodia in esecuzione e lo stato d’animo di chi vi danzava sopra: le tonalità del giallo e del verde per le danze più allegre e spensierate, i colori dell’azzurro tenue per le danze tradizionali del Polo, le sfumature del rosso per le melodie romantiche. I miraggi più esperti erano stati chiamati a produrre quel pavimento, quel che ne risultò fu una vera opera d’arte. L’illuminazione di quella sala così magica era affidata a tre lampadari enormi.
Ci siamo, pensò Ofelia, e tirò un bel respiro profondo per calmare i nervi e infossare i pensieri che l’assillavano.
Dopo tutto è solo un ballo, cosa mai potrebbe cambiare?
Niente, e lo pensava veramente in cuor suo.
Così, il valletto che stava lì in piedi davanti al portone, le lasciò libero il passaggio, una volta che Ofelia si fu presentata come la fidanzata dell’Intendente. La porta si aprì e una luce magnifica avvolse il suo abito. Ofelia si sentiva una piccola nuvola di zucchero filato sotto tutto quel tulle.
Qualcuno si voltò, delle dame della Corte la squadrarono da capo a piedi. Altre, nascoste dietro ai ventagli più bizzarri, già iniziavano a spettegolare con le loro dame da compagnia. La sala scese presto in un silenzio imbarazzante, si sentiva solo l’orchestra che, imperterrita, continuava le note di una melodia andante.
Ofelia si sentì assalire dal rossore, e per un attimo resistette alla tentazione di soffiarsi il naso rosa dal freddo. Scese il primo gradino, poi l’altro, poi il successivo…
Perché, perché, perché? continuava a ripetersi tra sé e sé, mentre il ticchettìo dei suoi tacchi scandiva la discesa verso la pista da ballo.
Ma l’imbarazzo diede spazio a un briciolo di fastidio quando si accorse che nel mare di sguardi catalizzati su di lei, soltanto quello di Thorn non la degnava di un’occhiata. Rigido come uno spaventapasseri, non dava cenno di volersi voltare.
Sta bene, mi comporterò di conseguenza, cosa mi aspettavo da un misantropo come lui?
Si dava della stupida per aver creduto, per un solo momento, che quell’uomo freddo come il Polo e inflessibile come l’acciaio stesse provando a conoscerla un po’ meglio.
Neanche il tempo di percorrere l’ultimo gradino che Archibald, chioma spettinata e bellezza selvaggia, le balzò davanti con un gran sorriso a trentadue denti.
“Come siete incantevole sta sera, fidanzata di Thorn, avete cambiato stile!” si complimentò, alzando il cilindro con fare solenne. Ofelia rispose: “Immagino di sì, vi ringrazio – in quel momento la sala riprese il suo animo originario. Ringraziò mille volte Archibald dentro di sé per aver messo un punto a quell’atmosfera tesa.
“Anche se devo ammettere che non è proprio il mio genere.” Continuò lei sorridendo appena.
Non avendo altri argomenti da tirar fuori dal sacco, Ofelia proseguì con un inchino un po’ goffo e fece per andarsene, se non che il giovane le afferrò la mano e adagiò un galante baciamano sul suo guanto di pizzo. Col solito sorriso splendente aggiunse: “Siete proprio carina questa sera fidanzata di Thorn. Non penso che abbiate la carrozza che si trasforma in zucca, quindi mi concedereste l’onore di un ballo?” condì la proposta con una levata di cappello.
Ofelia si sentì a disagio. Biascicò qualche parola di scuse, cercando di declinare gentilmente l’invito del donnaiolo più noto di Chiardiluna (o probabilmente dell’intera Città Cielo!) senza essere offensiva né scortese. Se non che, improvvisamente, una terza mano inguantata di bianco affondata in una manica nera afferrò il braccio di Archibald.
“Ah! Carissimo Intendente, sei in gran forma sta sera, tu e l’uniforme siete un duo inseparabile. Non ti dispiacerà se ti rubo questa bella fanciulla per qualche minuto, vero? Giusto il tempo di qualche giravolta”. Thorn rimaneva lì, fermo col braccio ancora avvinghiato attorno al polso di quell’uomo seducente quanto letale, la costante indecifrabilità del suo volto rimaneva ancora un mezzo mistero per Ofelia.
“In realtà mi dispiace” rispose secca la voce profonda dell’Intendente.
“Oh, andiamo! Quando potrò avere di nuovo il piacere di questa visione angelica? Non me la volete concedere neanche un po’? Sarebbe crudele” concluse a mo’ di scherzo, ma Ofelia non stava ridendo: prima sulla pista da ballo, e poi dove? Non voleva conoscere i passi successivi.
“No, ora vogliate perdonarmi” con un movimento deciso fu improvvisamente lui il cavaliere di Ofelia, offrendole il braccio. La guidò sulla pista da ballo, in prossimità della grande bussola con i ghirigori. Senza che se ne fosse accorta, Ofelia si ritrovò mano nella mano con l’uomo che fino a pochi minuti prima non l’aveva degnata di uno sguardo.
Con la coda dell’occhio notò un sorriso divertito sul volto di Archibald, quasi come se si aspettasse la reazione di Thorn.
Si sentì profondamente umiliata, già il pettegolezzo si stava diffondendo nella sala. Abbassò lo sguardo per non doverlo incrociare con quello di Thorn, anche se avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.
Ma fu proprio Thorn a prendere la parola: “C’è qualcosa che dovrei sapere?” aveva un tono monocorde, come al solito. Le parole uscirono dalle labbra di Ofelia come un sussurro, abituata com’era a parlare a bassa voce: “Io… non vi… isco… oprio”.
“Potreste parlare un po’ più forte, se non è chiedere troppo” ribatté il fidanzato.
Non ne poté più: “Ho detto che io non vi capisco proprio!” esclamò Ofelia respingendolo all’improvviso, le guance in fiamme. Qualche cortigiana, assistendo alla scena, aveva già iniziato a commentare dietro al ventaglio.
Ofelia proseguì: “Non dovete essere voi a decidere con chi io debba passare questa serata, il fidanzamento non è un vincolo tanto grande da impedirmi di ballare con chi voglia. Poco fa… mi sono sentita…” le tremava la voce. Voleva tornare al suo museo, alla sua familiarità, voleva rivedere la sua sciarpa e indossare i suoi vestiti di sempre.
Ofelia voleva tante cose, sulla pista da ballo del Gineceo.
Seguì un profondo silenzio tra i due, anche se la sala era in festa, i calici di champagne liberavano il loro odore frizzantino e il frusciare dei vestiti sul pavimento cangiante preludeva ad una primavera che il Polo non conosceva.
“Molto bene” concluse l’Intendente. Estrasse il suo orologio perfettamente regolato e lucidato, lo aprì, valutò l’ora (o almeno così credeva Ofelia) e lo richiuse, riponendolo sotto la redingote scura, poi continuò: “Se ritenete più gradevole la compagnia di questa compagine cortigiana, accomodatevi. Non vi fermerò” ma all’occhio attento dell’Animista non sfuggì la sua mascella contratta nel pronunciare queste parole, un segno che imparò a distinguere molto bene in Thorn: non sapeva come chiederle scusa e la situazione lo faceva sentire a disagio quanto lei.
Thorn girò i tacchi e, stava già iniziando a guadagnare l’uscita, quando si sentì afferrare da dietro l’uniforme. Sorpreso, si voltò e vide la piccola figura di Ofelia, occhi bassi sulle sue scarpette bianche.
“Ascoltatemi, vorrei solo cercare di andare d’accordo, non sembra così difficile. Poco fa ho esagerato. Per quanto riguarda Archibald, non sono estranea ai suoi modi con le donne, è solo che…” – ebbe un momento di esitazione guardandolo negli occhi, non potendo fare a meno di percorrere con lo sguardo ogni centimetro della cicatrice che gli attraversava l’orbita, arrivando al di sopra del sopracciglio – “è solo che, ecco, vorrei che fosse più semplice.”
Non era mai stata brava con le parole, non le capitava spesso di tenere discorsi.
L’intendente, occhi affilati e postura rigida, si divincolò dalla presa di Ofelia e posò un ginocchio a terra di fronte a lei. Per un attimo pensò che volesse farle la proposta di matrimonio e si agitò nel tulle vaporoso, ma Thorn le pose entrambe le mani guantate sulle spalline nude, con gentilezza e decisione, dichiarandole: “Farò in modo che sia semplice, è una promessa” - accennò ad una sorta di smorfia che forse voleva essere un sorriso, poi riprese - “Dovete lasciare fare a me. La mia preoccupazione principale è portarvi incolume fino al matrimonio. Sul mio onore, non permetterò mai che qualcun altro oltre me vi avvicini con questi giochi di seduzione.” La guardava dritto negli occhi con uno sguardo carico ed intenso e Ofelia seppe che le stava dicendo il vero. Thorn rispettava sempre le sue promesse.
Si rimise in posizione eretta, diventando improvvisamente altissimo, ma quella sera meno del solito, dato che Ofelia con i tacchi era riuscita a guadagnare qualche centimetro in più.
Quasi dimentica della rabbia portata dentro poco prima, pose la sua piccola mano da lettrice su quella affusolata del fidanzato, quando lui gliela porse, ma subito la ritirò quando partì una melodia andante dal complesso d’archi.
“Qualcosa non va?” le chiese paziente Thorn.
“Ecco, io…” che stupida che sei, Ofelia, proprio una stupida “… io non sono molto portata per questo genere di cose, intendo ballare. Sono piuttosto scoordinata e rischierei di pestarvi un piede o rovinarvi l’uniforme” dichiarò osservando i bottoni dorati della sua tenuta nera. Il volto che le diventava sempre più rosa per la vergogna.
Ci fu qualche secondo di silenzio, allora Thorn, sollevandole il mento perché potesse guardarlo bene negli occhi, le rispose, non senza un pizzico d’ironia: “Se mi pesterete un piede, questi buffoni della corte non potranno che esserne contenti. Diamo loro quello che vogliono.”
Sta volta, quando si diressero al centro della pista da ballo, Ofelia aveva rimosso qualsiasi timore e dopo i primi passi incerti e qualche pestata di piedi al fidanzato, prese più sicurezza e fece ondeggiare il suo abito senza troppe difficoltà tra tutti quei pizzi e quelle gambe che si muovevano all’unisono.
Si stava ancora guardando i piedi per assicurarsi di non inciampare quando Thorn le disse: “State molto bene sta sera”.
Per poco non prese una storta e cadde.
Ofelia alzò lo sguardo verso quello di Thorn, gli sorrise. Rimasero così, a sostenere lo sguardo l’uno dell’altra per molto tempo quella sera, le braccia intrecciate e i piedi danzanti sulle dolci note dell’orchestra della sala.
“Devo ringraziare voi per questo vestito, non ne ho mai avuto uno così vistoso”
Per una volta Ofelia non pensò a casa.

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