Una Stella Danzante di Bluelectra (/viewuser.php?uid=516780)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 Volver ***
Capitolo 2: *** Cap.2 La trota salmonata ***
Capitolo 3: *** Cap.3 Intrigo Internazionale ***
Capitolo 4: *** Cap.4 Spettri nel Notturno ***
Capitolo 5: *** Cap.5 Il Vaso di Pandora ***
Capitolo 6: *** Cap.6 Famiglia ***
Capitolo 7: *** Cap.7 Nessuno ***
Capitolo 8: *** Cap.8 Le leggi di Newton ***
Capitolo 9: *** Cap.9 Di Legami e Parole ***
Capitolo 10: *** Cap.10 I Baci Rubati ***
Capitolo 11: *** Cap.11 Guardami ***
Capitolo 12: *** Cap.12 Il gioco degli scacchi ***
Capitolo 13: *** Cap.13 Andare avanti ***
Capitolo 14: *** Cap.14 It's midnight Cinderella [Prima Parte] ***
Capitolo 15: *** Cap.15 It's midnight Cinderella [Seconda Parte] ***
Capitolo 16: *** Cap.16 Rubami l'anima ***
Capitolo 17: *** Cap.17 Confini ***
Capitolo 18: *** Cap.18 C'è di più oltre questo blu ***
Capitolo 19: *** Cap.19 Tempo di Avvento ***
Capitolo 20: *** Cap.20 True love waits ***
Capitolo 21: *** Cap.21 Colpevoli e assolti ***
Capitolo 22: *** Cap.22 With or without you ***
Capitolo 23: *** Cap.23 Il prezzo dei miracoli ***
Capitolo 24: *** Cap.24 L'inganno ***
Capitolo 25: *** Cap.25 Silenzi ***
Capitolo 26: *** Cap.26 Broken Crown ***
Capitolo 27: *** Cap.27 Tre ***
Capitolo 28: *** Cap.28 Le giuste parole ***
Capitolo 29: *** Cap.29 Scegliere ***
Capitolo 30: *** Cap.30 Sbagliando si impara ***
Capitolo 31: *** Cap.31 Fronti di guerra ***
Capitolo 32: *** Cap.32 Istinti negati ***
Capitolo 33: *** Cap.33 Rifiorire ***
Capitolo 34: *** Cap.34 Blood of my blood, bone of my bone ***
Capitolo 35: *** Cap.35 Show must go on ***
Capitolo 36: *** Cap.36 All my tears ***
Capitolo 37: *** Cap.37 Fix you ***
Capitolo 38: *** Cap.38 Notte prima degli esami ***
Capitolo 1 *** Cap.1 Volver ***
Cap.1
La storia
si svolge all’inizio del quinto anno di Angelique ad Hogwarts, quindi quattro
anni dopo la fine de “Il destino non è una catena ma un volo”. Consiglio di
leggerla per capire i riferimenti che verranno fatti, ma come già spiegato
nella presentazione non è necessario.
“Bisogna
avere il Caos dentro di sé per generare una stella che danzi” F.W. Nietzsche.
Cap. 1 Volver
La
persona che parte per un viaggio, non è la stessa persona che torna.
Per
quanto un albero possa diventare alto le sue foglie cadendo ritorneranno sempre
alle radici.
Proverbi cinesi.
l primo settembre di ogni anno il binario 9 e 3/4 era un
distillato di Caos. Le persone si rincorrevano, urlavano a dismisura per
sovrastare il chiasso altrui, si salutavano anche due volte
nell'ansia della partenza. C'era fermento nelle giovani vite che si accingevano
ad iniziare un nuovo anno scolastico, entusiasmo per quelli del primo anno e un
po' di malinconia per quelli dell'ultimo.
In questo scenario di confusione generale una ragazza dai lunghi capelli biondi
e ricci stava rannicchiata dietro un ragazzo, evidentemente contrario a questo
uso della sua persona.
"Angelique dovresti piantarla! Si vede il tuo vestito!"
disse Albus sbuffando.
"Dimmi: a che ti è servito diventare così alto, se non mi
posso nascondere dietro di te!?" ribatté seccata la giovane all'ennesima
protesta.
"A diventare Capitano!" esclamò lui e Angie si figurò
perfettamente il sorriso ebete che gli stava occupando la faccia in quel
momento.
Si accigliò qualche istante a pensare che la logica del suo
migliore amico a volte raggiungeva quella del fratello idiota, quello
sfacciato, maleducato, impertinente, seduttore di giovani oche giulive,
Grifondoro... la sua Piaga d'Egitto.
"C'è ancora suo padre?" domandò Angie stringendo con la
destra un lembo della sua maglietta, nel tentativo di impedirgli di muoversi.
"Ma certo che c'è ancora! Tra poco io vado a salutarlo, tu
continua pure a nasconderti dietro un indice."
La ragazza iniziò a mangiucchiare il labbro inferiore pensando
febbrilmente a come uscire da quella situazione. Era terribilmente imbarazzante
tutto ciò, ma era infinite volte più imbarazzante affrontare quel ghiacciolo
imbalsamato…
"Tu non capisci! Quando ti analizza con quegli occhi freddi
sembra che usi la Leggilimanzia! Non voglio che mi guardi come una..."
"Sciacquetta?" suggerì Albus e Angie avrebbe scommesso
dieci galeoni che il ragazzo aveva alzato il sopracciglio destro. Come
amichevole risposta gli rifilò un pugno nei reni.
“Ehi Gigì che ci fai lì dietro?!” urlò una voce vicina ai due.
James Potter, col solito ghigno strafottente, comparve nel campo
visivo della ragazza, mentre metà delle teste della piattaforma si voltarono
nella loro direzione.
Angie si raddrizzò con tutto quello che restava della sua dignità
e lisciò la gonna dell’abito a maniche corte che indossava, schiarendosi la
voce.
"Il giorno in cui qualcuno ti farà sparire dalla faccia della
terra, sarà sempre troppo tardi, Jessy." gli rispose stampandosi in faccia
un sorriso gelido e incrociando le braccia sul petto.
James Potter fece un sorriso sghembo e si avvicinò notevolmente,
tanto che l'orlo del vestito azzurro, mosso dal vento, sfiorò le sue ginocchia.
"Sono tanto felice anche io di vederti, Gigì." le disse con
voce profonda e un sorriso beffardo. "Sei già nervosa per gli esami? Ti ho
mai parlato di quanto siano difficili e stressati i GUFO? E di come si diventi
brutte, con le occhiaie e non ci sia più tempo di giocare a Quidditch?! Magari
potrei aiutarti a smaltire tutta questa... Tensione..." pronunciò le
ultime parole con quel tono lascivo che utilizzava per mandarla fuori da gangheri.
Parve che la parola Tensione venisse
gustata sulle sue labbra sillaba per sillaba, come la promessa di qualcosa di
estremamente indecente ed allettante.
Sì, decisamente sapeva come farla arrabbiare in tre secondi e con
una sola parola.
"Oh vedrò di sopravvivere, magari sfogando la mia rabbia
repressa sugli animali da abbattere..." ribatté la ragazza assottigliando
gli occhi minacciosa.
Se solo avesse potuto dargli fuoco con un sguardo, di James Sirius
Potter non sarebbe rimasto che un mucchietto di cenere, che nemmeno le ricerche
più sfrenate di Sherlock Holmes sarebbero riuscite a identificare il
primogenito di Harry e Ginevra.
Il confronto visivo durò ancora qualche secondo, quando lei si
decise a distogliere lo sguardo dagli occhi ambrati di James e si guardò
attorno per individuare l’amico. Ma Albus si era allontanato verso la famiglia
Malfoy e stava stringendo cordialmente la mano del capofamiglia, Draco.
Scorpius gli stava accanto e si girò erroneamente nella direzione
della bionda incrociandone gli occhi. Per qualche frazione di secondo, vide i
suoi grigi scorrere lungo la sua figura e quella di James, il sorriso felice
con cui aveva accolto l'amico gli si congelò sulle labbra sottili, per essere
sostituito immediatamente da un espressione disgustata.
Spostò lo sguardo velocemente, come se fosse stato davanti ad un
enorme cumulo di muco di Troll. Angie non riuscì a trattenersi dal gemere e abbandonare
le braccia lungo i fianchi, mentre l’impulso di mettersi a urlare o piangere, o
entrambe le cose insieme, si faceva largo nel suo animo.
Tuttavia prima che potesse reagire in qualsiasi modo, qualcosa si
abbatté sulle sue spalle, saltando sulla schiena a cavallina e rischiando di
farla ruzzolare per terra. Una risata inconfondibile, che assomigliava ad un
ululato, si levò dietro di lei e James la osservò con un sorriso divertito,
forse, immaginò Angie, a causa dell’orlo della gonna che si era leggermente
alzato con l’attacco inaspettato alle retrovie.
"Angie!" urlò nelle orecchie Elena.
"Ehi Ele!" bofonchiò la giovane tentando di riprendere
fiato nonostante le braccia magre strette attorno al collo.
Quando Elena scese e si mise davanti a lei e Potter, Angie sorrise
immediatamente per il caschetto lilla che faceva bella mostra di sé sul suo
capo e le chiese divertita:
"L'arancio è passato di moda? Che dice Lord Zabini della tua
chioma?"
"Oh, il Paparino ha minacciato di diseredarmi se mi presento
a Natale ancora con questi capelli, ma gli ho fatto presente che allora tutto
il suo oro alla Gringott sarebbe andato a suo fratello!" le rispose con
una scollata di spalle e tono indifferente. "Se n'è andato grugnendo come
un maiale!" concluse storcendo leggermente la bocca.
Angie scoppiò a ridere, immaginandosi Elena, con la testa appena
impiastrata di Magishampoo, a fronteggiare con nonchalance il suo rigido e
glaciale padre.
Jessy a quel punto si allontanò senza una parola e concesse alle
due ragazze una panoramica del suo lato posteriore avvolto in una polo bianca e
jeans scuri. Angie dovette ammettere che le era sfuggito un paio di volte lo
sguardo su quell’unico lato positivo di Potter, ma non aveva mai avuto la
sfrontatezza di fissarlo mordendosi le labbra come Elena in quell’istante.
"Per le mutande di Merlino… Cosa non gli farei!" la
sentì sussurrare mentre si passava una mano nei capelli.
Angie aprì la bocca con la precisa intenzione di insultarla per
quella rivelazione, ma una piccola figura sgusciò tra la folla e le corse incontro
abbracciandola alle ginocchia.
"Non te ne andare Angie! Per favore! Per favore!" urlò
Estelle guardandola con i grandi occhi azzurri colmi di lacrime e le guance già
bagnate dalla disperazione.
Prese in braccio la sorellina, e la piccola iniziò a piangere come una
fontana tirando su col naso e singhiozzando. Angie cercò di asciugarle tutte
quelle lacrime portandole via con delicatezza con le dita. Come ogni anno la
sorella minore stava facendo una scenata nel tentativo di impedirle di
partire.
"Estelle, non piangere! Torno prestissimo, lo sai!" le disse
appoggiando la fronte a quella della bambina, ma quella pianse più forte
aggrappandosi al suo collo con straordinaria tenacia.
"Oh, eccola! Ley è qui!" La signora Dursley comparve dalla
folla antistante e urlò in direzione del marito indicando il punto in cui si
trovavano le sue figlie. Si avvicinò con passo sicuro, ed Angie ebbe modo di
notare quanto fosse dimagrita in quell’estate, ma non c’era da
stupirsene con tutti i turni straordinari che le avevano assegnato
all’ospedale.
Elenoire cercò di sciogliere l'abbraccio strangolatore di Estelle,
ma la piccola si era abbarbicata con forza sorprendente, così solo quando arrivò
anche Dudley riuscirono finalmente a liberare la trachea di Angie.
Elena salutò affettuosamente i signori Durlsey e venne immediatamente
ricambiata. Elenoire era entusiasta del suo nuovo colore di capelli, ma
Angelique pesò che se anche lei si fosse presentata a casa con una simile
tonalità sul capo sua madre avrebbe avuto un infarto.
"Dov'è Tristan?" chiese Angie guardandosi attorno in
cerca del fratello.
Come tutti si aspettavano anche Tristan era stato ammesso ad
Hogwarts due anni dopo di lei ed era stato smistato a Grifondoro, insieme a
tutti gli altri Weasley e Potter. In particolare l’eventualità che James
diventasse amico di Tristan le aveva causato non pochi attimi di panico,
ipotesi che si era ovviamente avverata nel giro di un paio di mesi e il Pidocchio
ormai era l’ombra di James Potter.
"È dai Weasley! Hanno chiesto di te prima. Ti conviene andare
a salutarli, è ora tra poco!" le disse la madre osservando l’orologio al
suo polso.
Angie abbracciò i genitori e stinse tra le proprie braccia anche
Estelle, promettendole di scriverle presto e con regolarità, prima di
immergersi nuovamente nella folla.
“Vado a cercare il Prefetto O’Quinn!” urlò Elena strizzando
l’occhio ad Angie, la quale annuì. Entrambe sapevano che Martha sarebbe già
stata sul treno ad occupare uno scompartimento solo per loro.
La giovane ci guardò attorno cercando tra la folla un'isola di
teste rossicce o zazzere di spettinanti capelli neri.
Quando finalmente li individuò e li raggiunse, spintonando e
arrancando tra la gente, fu investita da una marea di abbracci e baci,
come se non fossero passate solo due settimane dalla sua partenza dalla Tana.
Zii e cugini adottivi la salutarono con entusiasmo, Lily Potter si
lanciò quasi di peso su di lei. Con la coda dell'occhio Angie
individuò Tristan e James, che osservavano la scena l'uno accanto all'altro, in
perfetta simbiosi come sempre. Il Pidocchio e la Piaga, sempre a spalleggiarsi
per farla impazzire.
L’ultimo a salutarla fu Harry, lo zio con cui aveva maggiore
confidenza e con cui si sentiva più a proprio agio, forse perché tanto simile
al figlio Albus o forse
perché era il più riservato, il cui carattere le era più congeniale... Lei
adorava zio Harry!
Una
ragazza dai lucenti capelli castani passò vicina al folto gruppo e sorrise maliziosa a James, il quale ricambiò con un sorriso
altrettanto promettente e l'occhiolino.
La scena non sfuggì agli occhi vigili di Ginny, che arrivava a stento alle
spalle del figlio, ma che comunque
decise di rifilargli con un scatto fulmineo un sonoro ceffone sulla nuca,
facendo ridere tutti quanti.
"Ma che ho fatto?" protestò il moro massaggiandosi la
nuca.
"Oh tesoro, questo è per quello che non hai ancora
fatto!" gli disse serafica la madre, suscitando nuovamente le risate della
famiglia.
Nell’aria si udì l’inconfondibile fischio del capotreno che
annunciava l’imminente partenza del treno e i ragazzi si precipitarono sull'Espresso
per Hogwarts.
***
"Finalmente si torna! Ero veramente stanco di usare i
preservativi!" disse stancamente Derek, abbandonandosi con signorilità sul
sedile. James, Fred e Philip scoppiarono a ridere, ma Alice aggrottò la fronte
con aria perplessa e gli rivolse un espressione interrogativa.
"Beh, ti pare che mi faccio espellere per un incantesimo
anticoncezionale?!" le chiese Derek strabuzzando gli occhi.
"E Celia che dice?" ribatté la giovane Paciock inarcando
le sopracciglia.
"Ah, non ne ho idea! Eravamo in pausa estiva." ammise
Derek incrociando i palmi delle mani dietro la testa e poi continuò
leggermente pensieroso: "Chissà come ci rimetteremo insieme questa
volta... Temo di essere a corto di idee."
Alice scosse la testa con un espressione a metà tra il divertito e
l'esasperato. James era certo che stesse pensando che parlare d'amore e di
coerenza con Derek, era come dire a lui di non ingozzarsi ad ogni pasto, o
chiedere a Fred di mettersi i calzini puliti, o come impedire a Philip di dire
una parolaccia ogni due parole... Energie completamente buttate via.
Passarono parecchio tempo ad aggiornarsi sugli avvenimenti estivi
ed Alice ammise di essere uscita con un Corvonero del settimo anno, come Fred.
James si sentì felice per lei, si meritava di trovare una persona
che le volesse bene e con cui avere una normale relazione... Anche perché dopo
il loro tentativo assolutamente fallimentare del quarto anno non l’aveva più vista
lasciarsi andare con qualcuno.
Davanti al loro scomparto passarono veloci due figure, un ragazzo
tanto biondo da sembrare albino, con lo sguardo furente, e una ragazza con
capelli dorati che lo rincorreva.
James avrebbe riconosciuto dovunque quei boccoli ben definiti.
La ragazza agguantò il braccio del ragazzo costringendolo a
fermarsi poco dopo.
"Uh-uh! Sono arrivati i Principi... Che caga cazzo!"
sussurrò Philip, con la consueta delicatezza da scaricatore di porto, sporgendosi leggermente per osservare meglio la scena. James si
alzò velocemente, prese Alice per la vita e la spostò sul sedile davanti, per
poter sbirciare anche lui
"Sempre galante James!" protestò la ragazza, ma il moro
era già troppo preso dalla scena davanti ai suoi occhi per darle retta.
Non riusciva a sentire che cosa si stessero dicendo, ma Gigì cercava
di spiegare qualcosa a Scorpius Malfoy gesticolando. L'altro per tutta risposta
dopo qualche istante le afferrò i polsi sbattendola con forza contro il
finestrino del corridoio, poi le sibilò qualcosa a pochi centimetri dal volto.
James vide chiaramente un lampo di dolore passare negli
occhi verdi di Angelique e farli riempire di lacrime. Senza pensarci il ragazzo
scattò in piedi e aprì con un gesto secco la porta dello scomparto.
A quel rumore entrambi i biondi si girarono verso di lui.
"Lasciala." disse a Malfoy con un tono tanto gelido e
autoritario, che a quell’ordine il ragazzo mollò la presa sui polsi sottili di
Angelique come se si fosse scottato e se ne andò a grandi falcate.
scomparendo nel vagone successivo.
"Scorpius!" lo chiamò Gigì mezza disperata ma l’altro
non la degnò nemmeno di uno sguardo
"Ti ha fatto male?" le chiese avvicinandosi e prendendole
un polso per osservare se ci fossero stati danni.
Quel banale contatto con la pelle tiepida di Angelique ebbe il
potere di suscitare nella testa di James immagini, che di tiepido avevano ben
poco.
"No. Non mi farebbe mai del male." rispose lei con un
tono mesto ritraendo la mano, e abbassò lo sguardo per far sparire le lacrime.
"Sembrava molto... Arrabbiato." le disse osservando come
ipnotizzato i capelli lasciati sciolti sulle spalle.
I ricci fitti dell'infanzia, che aveva appena approdata ad
Hogwarts, non erano cambiati, le coronavano il capo come una piccola criniera
disordinata che le arrivava circa a metà schiena, alcune ciocche dispettose le
ricadevano sul petto.
Il ragazzo inspirò a fondo e notò che il suo profumo era
leggermente diverso. La lavanda era sempre predominante e proveniva dai suoi
capelli, ma mancava l'odore delicato di camomilla. C’era qualcosa di più fresco
e ancor più inebriante, ma James non avrebbe saputo dove ricondurre quel
profumo di fiori, sapeva solo che gli faceva venire una gran voglia di
sprofondare il naso in quella colata di capelli dorati e inspirare fino a
perdere i sensi.
Senza poterlo impedire sentì il cuore martellargli nel petto
velocemente e avvertì una leggera fitta a livello dello sterno. Non capiva se fosse
quell'aroma unico, o i riflessi dorati che i capelli di Gigì mandavano dovunque,
o la pelle delle sua braccia leggermente abbronzata, ma sentiva chiaramente che
tutto il sangue disponibile nel suo corpo stava abbandonando inesorabilmente il
cervello.
Stava pensando seriamente di rapire a quelle labbra carnose,
leggermente imbronciate, un bacio, quando la testa di Angelique si alzò e lo
osservò con gli occhi pieni di tristezza e storse leggermente la bocca.
"Più che altro si è definito... Disgustato. Beh... Buon
viaggio." gli disse con un leggero sospiro e se ne andò dalla parte
opposta di Malfoy.
La osservò allontanarsi, ancora leggermente stordito dai pensieri
che avevano invaso la sua testa nei pochi secondi che lei aveva impiegato a
rispondergli.
Le parole della giovane rimbombarono nella testa di James, spingendolo
a riflettere.
Era tutto molto strano…Gigì che non gli rispondeva male, che non si
barricava dietro le altissime mura di ghiaccio impenetrabile, che non lo
attaccava col suo carrarmato di sarcasmo e ironia, che non difendeva Malfoy a
spada tratta, ma anzi gli rivelava che lui era disgustato da lei. Pensò che
quell’ultimo particolare gli confermava che si trattava solo di un povero
idiota!
Mentre tornava al suo posto si disse che forse era finalmente
finita con quell' ossigenato. E nonostante le strane occhiate che gli rivolsero
gli amici, sentì una sorta di euforia prenderlo.
***
Angelique si buttò di peso sul sedile e sperò con tutta sé stessa
che l'imbottitura l’assorbisse, in modo da ridurre la sua emotività a quella di
un bracciolo. Martha si sporse verso l’amica e le prese una mano tra le proprie
accarezzandone il dorso. Era appena arrivata dal vagone dei Prefetti per vedere
come stava.
"L'hai trovato?" chiese la rossa con sguardo
preoccupato.
"Eccome. Ha ampiamente chiarito il suo... Parere."
rispose Angie cercando di non lasciar trapelare quanto l’opinione di Scorpius
l’avesse ferita.
"Beh... Vedrai che gli passerà!" provò a consolarla.
Angie scosse la testa con aria mesta ma non replicò oltre perché Martha avrebbe
trovato qualche scappatoia di ottimismo in quel groviglio esistenziale, mente
lei desiderava solo abbandonarsi per qualche istante alla disperazione.
Martha era diventata una bellezza mozzafiato, era più alta di
Angie con un fisico molto più snello e le gambe lunghe. Ma ciò per cui Angie
non avrebbe esitato nemmeno per un secondo nell’affermare che era la più bella
dell’intera scuola, era il fatto che sembrava risplendere di una luce
propria. Una meravigliosa aura di fiducia negli amici e nel bene che la vita
può offrire, di bontà e di altruismo era gelosamente custodita nell’animo della
Serpeverde, ma appena trovava uno spiraglio per manifestarsi riusciva veramente
a stupire.
"Oh che vada al diavolo! Te lo devi scordare!" esclamò
Elena a cui Scorpius non era mai andato a genio, non quanto le natiche di
Potter almeno.
"Non è proprio la cosa più semplice di questo mondo dimenticare
tre anni..." mormorò la bionda e nessuna delle altre due rispose.
Angie abbandonò la testa contro il sedile e chiuse gli occhi,
sentendosi improvvisamente stanca e pesante.
Tre anni di sorrisi dolci e incondizionati, di baci prima timidi e
inconsapevoli poi sempre più accesi e passionali. Tre anni in cui le era stato
versato il caffelatte nella tazza tutte le mattine, in cui si era sentita
preziosa come una gemma, in cui erano cresciuti insieme, ed ora... Il deserto,
il nulla.
Peggio, il disprezzo negli occhi grigi e tormentati come un mare
in tempesta.
Il tutto per uno stupido, stupidissimo bacio.
Essendo sincera con sé stessa Angie ammise che non era stato uno e
non era stato stupido per niente. Le labbra che avevano segnato il tracollo tra
lei e Scorpius erano quelle di cui si era davvero innamorata e che aveva
cercato di sradicare dal suo cuore per tutto quel tempo.
Un sorriso amaro le increspò le labbra mentre pensava che era
stata tutta energia sprecata.
Quel sorriso, quei capelli, quelle mani, avevano conquistato
centimetro per centimetro il suo cuore, lasciandole in quegli anni l'illusione
di aver dimenticato.
Ma il cuore non dimentica a comando, l’aveva imparato giusto
qualche mese fa.
La McGranitt concluse il discorso di inizio anno e Angie si sentì
chiaramente a disagio. Non aveva ancora riflettuto seriamente sul fatto che una
rottura tra lei e Scorpius avrebbe comportato una frattura anche del loro
gruppo. Infatti le tre ragazze si trovavano quasi dalla parte diametralmente
opposta della tavolata rispetto a Scorpius, Albus e Berty.
Se le avessero detto al primo anno che Bertram Barrach, ragazzino
ossuto, con gli occhiali e balbuziente, si sarebbe trasformato, in quello che
in quel momento i suoi occhi vedevano, grazie agli ormoni, avrebbe riso a
crepapelle.
E invece il piccolo Berty era cresciuto a dismisura, aveva sviluppato un fisico
asciutto e longilineo ma con lievi accenni di muscolatura, aveva iniziato a
indossare le lenti a contatto al posto di quei fondi di bottiglia che gli ingrandivano
in modo buffo gli occhi e aveva ridotto in modo impressionante la sua balbuzie.
Col risultato finale di essere diventato veramente un bel ragazzo, probabilmente,
si disse Angie, ancor più bello di Scorpius.
E molte ragazze lo avevano notato, una in particolare si era fatta avanti con
lui e lo aveva ghermito in una relazione soffocantemente sdolcinata che durava
da un anno ormai. Si chiamava Emma ed era al loro stesso anno ma in Tassorosso.
Albus alzò una mano nella sua direzione e lesse nei suoi occhi, la
promessa di raggiungerla prima o poi. Non avevano mai passato un banchetto di
inizio anno separati, ma quell’anno Angie lo sentiva già sarebbero cambiate
molte cose.
La ragazza scosse lievemente la testa e gli fece capire di restare
al suo posto, in quel momento era fermamente convinta che Scorpius avesse più
bisogno di lei dell’amico.
Elena con su sospiro soddisfatto finì di riempire il suo piatto formando una
piccola montagna di patate, arrosto, pasticcio di carne, torta salata e altre
cose che non riusciva a identificare in quell’ammasso informe di cibo.
"Dovresti imparare a contenerti." disse Martha
osservando critica il piatto di Elena.
In quello della rossa giaceva dell'insalata con pezzetti di petto
di pollo, pomodorini e mais.
Di riflesso Angie diede uno sguardo al suo e le sembrò molto più
simile a quello di Elena, ma si giustificò con la sua Martha interiore
dicendole che doveva affogare il dispiacere nel cibo.
Elena osservò serissima la O’Quinn, con la piccola ruga in mezzo
alle sopracciglia che si formava solo quando era davvero concentrata, come
mentre dipingeva, e prima di infilarsi in quel forno di bocca un boccone enorme
di patate e pasticcio disse:
"Lo vuoi vedere un incidente in galleria?"
Quando Martha aggrottò le sopracciglia con fare interrogativo,
Elena sorrise e spalancò la bocca piena di frammenti di carne e tuberi.
Angelique scoppiò a ridere senza ritegno mentre Martha si dichiarava
ufficialmente indignata.
Quei momenti le davano la speranza che si potesse tornare indietro
e recuperare la complicità tutti insieme, i sei Serpeverde che al primo anno
erano diventati un gruppo inseparabile. Speranza che morì non appena, facendo
vagare lo sguardo per la tavolata con ancora il sorriso sulle labbra, Angie
incontrò un paio di occhi del colore del ferro.
La stavano osservando terribilmente furiosi e colmi di disprezzo,
la fissavano con un'intensità tale che la giovane venne spogliata di tutte
le difese e si sentì solo colpevole.
Scorpius si alzò di scatto e si allontanò dal tavolo senza
salutare i due commensali.
Angelique serrò le mani a pugno tanto forte da conficcarsi le
unghie nella carne e provò con tutte le proprie forze a restare calma, mentre
la frustrazione e la rabbia la invasero e le fecero venir voglia di rincorrere
immediatamente Malfoy.
"Come la fa difficile!” commentò Elena prendendo una
forchettata di spinaci dal piatto di Angie.
Scorpius stava uscendo in quell’istante dal portone della Sala
Grande.
E lei non ce la faceva. Davvero non riusciva a resistere.
“Mia madre diceva sempre che i Malfoy sono rigidi come se avessero
perennemente un palo nel…”
Angie non seppe mai dove la madre di Elena faceva finire quel
palo, anche se lo immaginò con una certa facilità. Scattò in piedi in piedi e iniziò
a inseguire Scorpius, infischiandosene altamente delle occhiate e dei bisbigli
che metà della sala si scambiò in quel momento. Che pettegolezzo succulento, la
Principessa di Ghiaccio che rincorreva il suo Principe!
Ma lui suo non lo era più.
E lo capì nel momento esatto in cui lo raggiunse in un corridoio al primo piano
e cercò di trattenerlo per il polso.
Si girò con una prontezza di riflessi notevole, come se già avesse
saputo quello che lei avrebbe fatto e la stesse aspettando al varco.
Non urlò, non le riversò addosso tutto il suo biasimo. La guardò e
basta.
Angie lottò con un cervello completamente perso e disconnesso per
riuscire a parlare.
"Scorpius, per favore..." iniziò ma si interruppe da
sola con un groppo in gola. Che cosa avrebbe potuto dirgli per far sparire
quell'espressione?!
"Scorpius, io vorrei parlare..." questa volta fu lui a interromperla.
"Ah sì? E di quale argomento vorresti disquisire?"
probabilmente un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male del suo tono duro,
gelido, derisorio perfino.
Angie deglutì e cercò di rimettere in ordine i pensieri che si accavallavano
e le parole che si aggrovigliavano in gola.
Avrebbe voluto spiegare, avrebbe voluto essere abbastanza fredda e
lucida come dava a vedere a tutti, eppure si sentì solo sconfitta da quello
sguardo completamente privo di affetto e di comprensione.
Scorpius tuttavia sembrava molto più distaccato e padrone di sé.
"Vogliamo parlare, per esempio..." fece finte di pensare
e si mise un indice lungo e affusolato sul mento. "Oh sì, ecco! Del fatto
che mi hai mentito e usato per tre anni?! Mentre io ho messo in discussione
la mia vita per te." la sua voce era ancora controllata e fredda, ma
l'emozione sopita iniziava a farsi strada mentre parlava: "O preferisci il
fatto che ti ho detto che ti amavo e ti ho trovata con un altro due ore dopo?!
Aspetta, aspetta, ne ho una migliore: parliamo di quante volte ti sei fatta
sbattere da lui mentre stavi con me!"
Angelique spalancò la bocca offesa da quello che le aveva appena
detto e ribatté indignata:
"Non è successo niente del genere!"
"Ma davvero?!" il giovane si fece una risata priva di
allegria e la fissò nuovamente serio dicendo: "Allora dimmi, Angelique: mi
ami ancora?"
Angie lo guardò leggermente confusa per il salto di passaggi
logici e rimase in silenzio. Vide un tetro trionfo sorgere sul suo viso dato che non riusciva a
rispondergli. Si avvicinò di più e le prese il volto tra le mani con forza
eccessiva.
"L'ho sempre saputo..." sussurrò con una piega amara della
bocca prima di calarla sulla sua, in un bacio rabbioso.
Mentre le labbra di Scorpius premevano per forzare le sue, provò
l'istinto irrefrenabile si scostarsi e spostare indietro la testa, ma le dita
del ragazzo erano intrecciate ai suoi capelli e non le lasciavano spazio.
Nessuno dei due aveva chiuso gli occhi, non era un bacio
romantico. Lo sguardo di Scorpius era feroce come le sue labbra, che mordevano, impromendo a quell'atto una violenza che le spezzava il cuore più di tutto il suo disprezzo.
Angelique non aveva idea di come risultasse il suo, ma aveva una
gran voglia di piangere.
Che
cosa ti ho fatto Scorpius?! Fin dove ti ho spinto per odiarmi così?!.
Gli occhi le si inondarono di lacrime, così li chiuse e si arrese a
quel bacio forzato.
Sperò di fargli capire quello che non era riuscita ad esprimere a
parole, sperò che sentisse nonostante fosse accecato dall'orgoglio ferito.
Non aveva mai voluto fargli del male, non aveva mai giocato con la
sua vita. E a suo modo lo aveva amato.
Dischiuse le labbra e smise di lottare per sottrarsi alla sua
presa, anzi ci si gettò ancor di più passando le braccia attorno alla sua vita.
Con sua grande sorpresa, Scorpius non aggredì la sua bocca come si
era aspettata, ma prese a baciarla dolcemente, mentre la lingua si insinuava
lentamente e accarezzava il suo palato, cercando di coinvolgerla in quell’atto
che per lei aveva il sapore della disperazione.
Le passò una mano sulla nuca e tirò dolcemente i capelli, facendole
inclinare il capo e scoprendole la gola, che venne coperta di baci più accesi e
famelici subito dopo. L’altra mano si impossessò della sua vita e la trasse più
vicino a lui, premendola contro il suo petto.
Avrebbe dovuto essere felice, avrebbe dovuto sentirsi in pace,
visto che finalmente le stava dimostrando di volerla ancora, nonostante tutto…
E invece le venne ancor più voglia di piangere e non riuscì a trattenere
le lacrime che si fecero largo sulle sue gote fino al collo.
Quando le labbra di Scorpius incontrarono il sapore salato delle
sue lacrime, alzò il volto di scatto e la osservò stupito.
Nei suoi occhi non c’era più tutta la freddezza e il disgusto, che
le aveva anche espresso a parole sul treno, ma la semplice domanda
"Perché piangi?".
Scosse lentamente la testa. Non voleva imbrogliarlo mai più. Anche
a costo di uccidere quella piccola parte di lui che la desiderava ancora.
Allora rispose alla sua prima domanda…
"Non come mi ami tu." le parole le scivolarono fuori
dalle labbra in un sussurro e chiuse gli occhi, perché nonvoleva vedere un’altra volta il suo disprezzo.
Angie pensò che una ragazza normale, una ragazza con un po' di
cervello avrebbe urlato "Sì, ti amo!" e avrebbe raccontato che quella
sera alla festa si era ubriacata e che aveva fatto una sciocchezza, baciando un
altro per capriccio... Avrebbe raccontato una piccola bugia per riparare la
situazione.
Lei invece gli stava servendo su un piatto d'argento la ragione
migliore per odiarla, cosa che lei credeva fermamente di meritare.
Sentì le sue mani abbandonare il suo corpo, ma tenne ancora gli
occhi ostinatamente chiusi.
Era davvero finita, ma non aveva la forza di guardarlo andare via.
Quando finalmente riuscì ad aprirli il corridoio era deserto e lei
aveva bisogno di una sigaretta.
***
Gigì aveva rincorso Malfoy davanti a tutta la scuola.
James sapeva perfettamente che non le importava nulla del giudizio
altrui, era abbastanza forte da potersene distaccare con quel sorriso freddo e
terribile che dedicava a chi disprezzava, lui compreso la maggior parte delle
volte.
"Dicono che sia stata a letto con altri tre ragazzi alla festa, l'anno
scorso... per questo lui l'ha lasciata!" disse con fare cospiratorio
Jennifer Parker, seduta a qualche posto di distanza da lui.
James si chiese come diamine fosse possibile che certe voci fossero
messe in giro. Gigì a letto con altri tre ragazzi che non fossero Malfoy?!?!
Che poi non era nemmeno tanto certo che ci fosse mai stata a letto con lui,
nonostante quegli interminabili tre anni.
"Ma no! Io ho sentito che il Principe l'ha trovata ubriaca
fradicia che faceva uno spogliarello ad un Corvonero!" ribatté l'amica del
cuore di Jessica, una Alexis Qualcosa.
Senza potersi trattene oltre il giovane scoppiò a ridere. Quella
era sicuramente la migliore di tutte quelle sentite fino a quel momento!
Avrebbe dovuto fare una raccolta e poi sottoporla al vaglio della
diretta interessata, si sarebbe fatta grasse risate anche lei.
Jennifer e Alexis lo guardarono a metà tra l'imbarazzato e lo
speranzoso, per essere state ascoltate nelle loro illazioni e per averlo fatto
ridere. Credevano di aver fatto colpo, ma quando si accorsero che la sua risata
non si spense al momento opportuno, anzi continuava imperterrita, la loro
espressione virò verso il timore.
"Siete talmente sceme che fate pietà. Dovrebbero eliminarvi
durante le battute di selezione dei daini nella Foresta!" commentò Lily,
che aveva sentito le loro ipotesi, guardandole come insetti particolarmente
schifosi. Effettivamente gli occhi azzurri di Rose sembrarono presi da pietà,
le osservava come due malate terminali.
Le due parevano veramente spiazzate. James non aveva quasi mai
rivolto loro la parola in cinque anni che era stato lì, sia perché facevano
parte di quella che Gigì tempo addietro aveva denominato la Corte di Celia
Danes, sia perché non sopportava quegli atteggiamenti frivoli e snob che male
di addicevano a delle quindicenne, e la prima volta che le considerava era per
deriderle.
Chissà se gli avrebbero mandato ancora quegli ottimi cioccolatini
per San Valentino?! Sarebbe stato un peccato sprecare due soggetti tanto
volenterosi di nutrirlo con quelle prelibatezze… Così decise di riparare un
minimo la situazione.
"Lily, non diventare aggressiva! Non intendevano offendere
nessuno, giusto?!" chiese amabilmente ammiccando nella loro direzione.
Jennifer fu la prima a riprendersi e gli sorrise raggiante annuendo, l'altra
invece fissò alternativamente lui e Lily sperando di capirci qualcosa.
"Jamie… Non mi pare che stessi parlando con te!" abbaiò
la sorella con uno sguardo omicida ancora rivolto a quelle povere scellerate.
Ah! Ecco un altro problema: mai tentare di offendere o di mettere
in dubbio la moralità di Gigì davanti a Lily, poteva finire molto
male. Aveva ereditato l'abilità della madre nelle Fatture Orcovolanti.
Il giovane si passò il tovagliolo sulle labbra e lo abbandonò
subito dopo sul tavolo.
Si alzò gettando uno sguardo agli amici: Derek, ovviamente, aveva
riparato la situazione con la Danes in un quarto d'ora sul treno e ora le stava
accanto sorbendosi tutto il riassunto delle vacanze a Saint Tropez o in Italia.
Fred si era avvicinato a una Corvonero e si vedeva già che sbavava per lei;
James sperò solo che non giungessero fino al punto di togliersi le scarpe,
altrimenti la poverina sarebbe schiattata! Philip e Alice erano vicino a lui,
ma sembravano assorbiti dalla discussione iniziata da Lucy e Rose su una nuova
legge o qualcosa di simile del Ministero.
Non era interessato a nulla del genere in quel momento e poi aveva
un mezzo appuntamento con Fanny.
Volse gli occhi ambrati sulle due ragazze, e chinando lievemente
il capo le salutò con un:
"Signore..."
Allontanandosi riuscì a sentire il sospiro di una delle due, e
avrebbe voluto scoppiare a ridere un'altra volta, ma sarebbe stato controproducente
per i sopracitati cioccolatini.
***
Angelique era seduta sul davanzale di una delle finestre del suo
chiostro preferito.
Il chiostro in cui veniva con lui, dove avevano parlato per ore e
dove si erano scambiati il primo bacio. Accese la sigaretta appena rollata e inspirò
il sapore acre del fumo.
Aveva iniziato quell’estate, a causa di Camille, la cugina francese
più grande che l’aveva introdotta a quel vizio. Aveva trovato divertente
imparare a prepararsi le sigarette con cartine e tabacco, e le era piaciuto
persino quel lieve grattare delle mucose quando il fumo raggiungeva i polmoni.
Se sua madre l’avesse scoperta le avrebbe fatto lo scalpo, sicuro
come l’oro!
Eppure Angie non aveva confessato alle amiche che aveva iniziato a
fumare. Lo pensava come un segreto per sé stessa, non aveva alcuna intenzione
di atteggiarsi come i gruppi che si ritrovavano in cortile tra una lezione e
l’altra per fumare.
Prese un'altra boccata di fumo e espirò lentamente, facendo uscire
la nebbiolina bianca dalla finestrella aperta che dava sul cortile.
Dopo il bacio con Scorpius non era riuscita a tornare in Sala
Comune e aveva camminato per alcuni minuti senza meta, prima di ricordarsi che
lei aveva un posto tutto suo. O loro…
Sentì dei passi alla fine del corridoio e stava per buttare via la
sigaretta e nascondere tabacco, filtri e cartine sotto il maglione quando riconobbe
la sua figura.
Camminava ben eretto con portamento invidiabile. Non era molto
alto, aveva le spalle ampie e le
mani infilate nelle tasche dei calzoni.
Come sempre aveva quell'aria di studiato disordine che lo rendeva
irresistibile. I capelli dalle mille sfumature erano spettinati come se fosse
appena uscito dal letto, la cravatta rossa e oro era leggermente allentata, i
primi bottoni della camicia aperti, le maniche arrotolate a tre quarti per lasciar
vedere la pelle ambrata degli avambracci.
La bocca di Angie si seccò solo a vederlo da lontano mentre il
cuore iniziava ad accelerare i battiti furiosamente. Sentì chiaramente le
membra sciogliersi e cedere di fronte al sorriso smagliante e un po’ malizioso
che lui le stava rivolgendo.
Si appoggiò con un gomito al suo stesso davanzale e le sorrise
ancora.
Angie pensò di avere un' espressione veramente stupida sul volto,
perché si sentiva completamente in balia di quelle labbra piegate verso l'alto
e di quegli occhi scuri che la fissano.
"Non sapevo che fumassi." disse osservando il mozzicone
sospeso tra le dita di Angie.
La ragazza osservò la sigaretta stranita e senza sapere perché lo gettò
fuori dalla finestra, a rimarcare il suo panico interiore. Lui scoppiò a ridere
e poi si avvicinò.
Le sistemò una ciocca dietro l'orecchio e le fece una
carezza lieve sulla guancia che finì sul collo. Il suo profumo raggiunse le narici di
Angelique, la quale inspirò profondamente socchiudendo gli occhi.
Dio, quanto aveva pensato a quel profumo durant l'estate, quanto le era mancato
l’aroma freddo di menta e spezie.
"Mi sei mancata." le disse dolcemente. Questa volta fu
la ragazza a lasciarsi sfuggire una risata, piena però di malinconia.
"Bugiardo."
Sorrise anche lui. Quel sorriso fu come una stilettata nel cuore,
era tanto bello e abbagliante da farle trattenere il fiato.
“Posso restare con te?” chiese dolcemente mentre la sua mano
scivolava sinuosa sul collo e gli occhi neri la osservavano pieni di
aspettativa. Un vago torpore si stava diffondendo in lei, inesorabile, come un
gas paralizzante che aveva il suo sapore.
“Non possiamo…” sussurrò Angie chiudendo gli occhi e scuotendo la
testa lentamente. No, non potevano farlo ancora, sarebbe stato un errore
esattamente come la prima volta.
“Possiamo ciò che vogliamo.” le disse lui con decisione mentre la
sua mano si chiudeva a coppa sulla guancia della ragazza.
Angie aprì gli occhi e lo osservò a lungo prima di emettere un
sospiro di resa.
Certo che voleva… E come sarebbe stato possibile il contrario?
Lui annullava ogni difesa che lei tentava di mettere tra loro con
un semplice sorriso o una carezza, era la sua debolezza, quasi una dipendenza.
Aveva il potere di guardare oltre ciò che gli altri vedevano e cogliere la vera
Angelique, disarmata e arrendevole.
Il bel viso del ragazzo si distese in un sorriso vittorioso.
"Ciao Angelique." sussurrò lui avvicinandosi sempre di
più, accarezzò il suo nome con una dolcezza che le fece correre i brividi per
la schiena.
Avrebbe dovuto balzare giù da quella finestra e andare a dormire,
visti tutti i problemi con Scorpius. Avrebbe dovuto dirgli di non andare mai
più lì. Avrebbe dovuto offrigli una sigaretta e chiudere quella faccenda una
volta per tutte, perché non doveva ricominciare! Avrebbe dovuto sapere che
l’avrebbe solo ferita.
Avrebbe dovuto un sacco di cose, eppure se ne dimenticò.
Chiudendo gli occhi a un centimetro dalle sue labbra, mormorò:
"Ciao Derek."
Note dell'autrice:
Come
promesso sono tornata. Spero che
questo primo capitolo vi sia piaciuto! Aspetto come sempre le opinioni
e le
domande di tutti coloro che vogliano farne. Purtroppo per questa long
non posso promettere aggiornamenti regolari, o comunque non come la
precedente storia.
In caso aveste voglia di seguire anche su facebook aggiornamenti e post vari, vi lascio il link della pagina: https://www.facebook.com/Bluelectra-Efp-408883752831874/?ref=aymt_homepage_panel
A presto.
Tanti baci!
Bluelectra
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Capitolo 2 *** Cap.2 La trota salmonata ***
Cap.2 La trota Salmonata
Cap.2 La trota
salmonata.
"Se non fosse per la nostra vista ed il nostro udito, la luce ed
il suono non sarebbero che confusione e pulsazione dello spazio. Allo stesso
modo, se non fosse per il cuore che ama, saresti solo polvere sottile alata e
dispersa nel vento”
Kahlil Gibran
asciatemi
affogare nel caffè..." mugugnò con tono volutamente melodrammatico
Angelique.
"Smettila,
Angie. La vita va avanti e noi abbiamo due ore di Trasfigurazione avanzata!"
rispose Martha scaricando due toast nel piatto dell’amica.
Ora
sì che desiderava davvero affogare!
Dopo
quattro anni di studio non aveva ancora capito perché diamine fosse così negata
in quella materia. Studiava regolarmente, faceva i compiti e svolgeva gli
esercizi, ma quando si trovava davanti gli oggetti da trasfigurare... Andava
completamente nel pallone!
La
mortificazione di Cavendish nell’assegnarle il minimo di voti nella pratica
rasentava la pietà. Sosteneva che un caso come il suo non gli fosse mai
capitato in vent'anni d'insegnamento; il che rientrava in un grande disegno che
quella mattina non fece altro che abbatterla ancor di più.
Per fortuna condividevano l’aula con i Grifondoro e Angie sarebbe potuta andare
da Rose pregando e inginocchiandosi per aver un aiuto, che la Weasley le avrebbe
offerto, come di consueto, più che volentieri.
Angie
chiuse gli occhi massaggiandosi leggermente le palpebre con i polpastrelli, per
poi posarsi le mani sul viso e reclinare il capo. L’immediata oscurità che
derivò da questo gesto le diede enorme sollievo.
Era
letteralmente scissa tra desideri contrastanti e che cozzavano rumorosamente
nella sua testa.
Era
confusa per tutto quello che era accaduto la sera precedente e di cui non aveva
avuto il coraggio di parlare con nessuno.
Era
tormentata dai ricordi delle sensazioni provate nel piccolo chiostro.
Era
nervosa perché temeva che il suo altarino venisse scoperto in quattro e
quattr’otto, prima ancora che lei fosse riuscita a capirci qualcosa.
Si
sentiva come un animale braccato da molteplici fronti.
Già,
perché la verità era che non riusciva a pensare in modo razionale, o anche solo
vagamente ragionevole, in quel triangolo ottuso tra lei, Derek e Scorpius. Non
le era possibile attuare i meccanismi di difesa collaudati da tempo immemore. Era
semplicemente in balia del suo corpo che la spingeva dove il cervello urlava di
non andare.
Inconsciamente
si ricordò di una volta che era andata a pescare con suo nonno, molti anni
prima, e l’uomo aveva acciuffato in un torrente gelido una trota salmonata.
La
creatura, prima di essere tramortita e definitivamente stroncata contro i sassi
della sponda dal sopracitato nonno Etienne, (con un shock pressoché
irreparabile per la nipote), si era esibita in una patetica e quanto mai
disperata serie di movimenti convulsi, con una forza e una tenacia
insospettabili. Non era più riuscita a guardare un pesce con gli stessi occhi.
Angie
si sentiva come una trota salmonata appena pescata in cerca di un po’ di
respiro… Cioé sbatacchiava da una parte all’altra della situazione,
stravolgendosi da sola senza cavarci fuori nulla di buono.
Non
erano ancora iniziate le lezioni che Angie implorava di poter tornare a dormire.
Rannicchiarsi nelle lenzuola verdi del suo dormitorio e far regredire il suo
sviluppo cerebrale a quello delle specie ittiche, le sembrò semplicemente
meraviglioso.
Era
estremamente stanca, complice anche il fatto che quella mattina alle sei e
mezza si era esposta alla brezza settembrina per fare pace con Antares.
La
fenice sviluppava ogni estate, quella che Elena aveva ribattezzato “Sindrome da
Abbandono Aggressiva”. Ovvero ad ogni 2 Settembre aggrediva le mani e i polsi
di Angelique, beccandola in modo vendicativo e con aria di palese godimento,
mentre la ragazza cercava di riportarla sotto la propria autorità. Non le
faceva mai seriamente male, le procurava solo delle escoriazioni superficiali
che le bruciavano per un paio di giorni e le rendevano difficile suonare.
Infine
quando la fenice riteneva di aver avuto soddisfazione, per l’onta di essere
stata abbandonata per due mesi e mezzo alle amorevoli cure di Hagrid, si
lasciava accarezzare e si faceva condurre nella solita passeggiata mattutina.
Quella mattina sembrava dunque che Angelique avesse suonato le maracas in un
cespuglio di rovi.
"Dursley
si sente bene?" la voce della Blackthorn raggiunse le sue orecchie prima
che la figura slanciata e severa entrasse nella sua visuale.
Guizzò
a sedersi composta spalancando gli occhi, con lo stesso slancio di un salmone
che risalga le cascate della terra natia per riprodursi. La rassicurò sulla sua
integrità fisica e ricevette l’orario.
“Non
sapevo che frequentassi ancora Divinazione.” commentò Martha inarcando un
sopracciglio, col tipico cipiglio da nobildonna che tanto le donava e che
faceva venir voglia ad Angelique di tirarle una grossa torta di panna in
faccia.
“Hai
fatto questa osservazione anche l'anno scorso. In seguito io ti ho fatto gentilmente notare che, solo perché tu
non hai l'Occhio Interiore, non te la devi prendere con me!”
Elena
davanti alle due riuscì a mascherare la risata con un colpo di tosse.
"Oh
certo! Perché vorresti dirmi che tu ce l'hai?" chiese l’altra leggermente
piccata, col sopracciglio in alto, il nasino perfetto arricciato e la
scintillante spilla da Prefetto appuntata sulla tunica della divisa.
"Mi
pare ovvio che io ne sia priva. Tuttavia l’atteggiamento della docente” e qui chiaramente l’inflessione
della voce prese una sfumatura ironica “Suscita grandissima ilarità in me e la
collega Zabini. Non vedo come potrei fisicamente rinunciare a queste botte di
allegria durante l’anno dei GUFO!" la vaga indolenza del tono rivelava a
chi avesse conosciuto la giovane che in realtà si stava divertendo un mondo.
Ele
levò il calice di succo di zucca e lo fece scontrare rumorosamente con la sua
tazza di caffelatte.
"Parole
sacro sante!" subito dopo tuffò la faccia in una brioches.
"Secondo
me dovreste iniziare a studiare qualcos'altro... Qualcosa di utile per
esempio!" insistette Martha spezzando in due un biscotto e inzuppandolo
nel suo tè con aria sostenuta.
"Martha
tesoro..."disse Angie prendendole una mano tra le proprie e guardandola
con gli occhi verdi colmi di gentilezza e affetto: "Lo vuoi vedere un
incidente in galleria?!"
Elena
scoppiò a ridere sguaiatamente, picchiettando un palmo sul tavolo al ritmo dei
suoi ululati, mentre Martha divenne rossa fino alle orecchie, cosa che accadeva
solo quando la ragazza era veramente arrabbiata o frustrata.
Entrambe situazioni molto frequenti alle lezioni di Divinazione, prima che il Prefetto
O’Quinn decidesse di convogliare le sue doti accademiche sull’Artimazia.
Mentre
Martha borbottava insulti piuttosto coloriti, frammisti di parolacce in gaelico,
ed Elena sghignazzava, Angie si concesse un attimo di isolamento per studiare
il suo orario.
Era,
come tutti gli anni, un po’ troppo pieno.
Aveva
scelto come materie facoltative Cura delle Creature Magiche, Divinazione e
Antiche Rune, inoltre aveva due lezioni di pianoforte a settimana, il martedì e
il venerdì, e gli allenamenti di Quidditch che Albus doveva ancora stabile. Per
fortuna l’anno precedente aveva avuto il buonsenso di smettere di frequentare Latino,
altrimenti non avrebbe avuto tempo nemmeno per dormire la notte.
La
sua trota interiore cominciò nuovamente ad esibirsi in convulsioni poco
eleganti e piene di disperazione. La attendeva un altro anno da nervosi e
attacchi di panico, coronato dagli esami dei G.U.F.O…
Le
parve di sentire il pesce boccheggiare ed esalare l’ultimo rantolante singulto.
Dopo
alcuni minuti contemplazione Martha la richiamò alla realtà, facendole notare che
dovevano dirigersi verso l’aula di Cavendish.
Attraversarono
la Sala Grande in formazione compatta, con Angie al centro, ma da più gruppi
dei tavoli di Grifondoro, Tassorosso e Corvonero si alzò un sommesso brusio,
accompagnato da occhiate furtive rivolte alla bionda. Non appena i suoi occhi
verdi si posavano sui chi discuteva, i discorsi sembravano esaurirsi a suon di
gomitate e cenni del capo.
Angie
istintivamente alzò un po’ di più il mento e strinse leggermente le labbra. Il
fatto che tutte quelle persone spendessero il proprio tempo e le proprie
energie pensando a lei e alla sua storia d’amore romanzesca naufragata, non la
sfiorava minimamente.
Erano tutti oltre le sue mura di ghiaccio, oltre la vera Angelique, oltre la
verità.
Una
mano raggiunse la sua stretta a pugno, adesa al fianco in una posa rigida.
Angie si voltò lentamente e vide che Martha la osservava più in alto di lei con
un sorriso timido e pieno di comprensione, mentre gli occhi color cioccolato
brillavano di affetto.
Angie
aprì la mano e lasciò che Martha scivolasse oltre la barriera gelata, per
insinuarsi in quello spazio caldo e accogliente della sua anima, che riservava
solo alle persone che amava.
La trota parve ritornare a respirare.
Albus sentì Scorpius muoversi irrequieto accanto a lui e alzò lo sguardo dal
manuale di Trasfigurazione avanzata.
Davanti
ai suoi occhi si mostrò la ragione di tanta agitazione: le ragazze erano appena
entrate nell’aula e Angelique la stava attraversando diretta verso Rose. Le due
si abbracciarono e si sedettero vicine.
Scorpius
osservava la chioma dorata e raccolta in una coda alta con inspiegabile
intensità, in un misto di rabbia, gelosia e astio che sembravano consumarlo
come un incendio. Albus sospirò pesantemente e il giovane Malfoy si voltò con
un scatto fulmineo e gli occhi ancora ardenti di emozioni contrastanti.
"Questa situazione è ingestibile." disse cercando di usare un tono
conciliante. Ma di conciliante nell’altro non c’erano nemmeno le cuticole delle
unghie.
"Sai perché Al? Perché non deve essere gestita. Deve essere cancellata,
annullata, sradicata dalla mia testa. Non merita nemmeno uno dei miei
pensieri.” sibilò con decisione.
"Oh adiamo! Smettila di fare questo teatrino! Si vede perfettamente che sei
ancora legato a lei, tanto che per evitare un confronto stai scappando come un
coniglio ad ogni occasione!"
"Io non sto scappando come un coniglio!" esclamò indignato Scorpius.
"Ma davvero?" chiese Albus con tono carico di sarcasmo "Allora
se per te è tutto finito, perché sul treno abbiamo diviso uno scompartimento
con dei Corvonero al posto che con loro? Perché ieri sera non abbiamo cenato
con le ragazze? E perché stamattina mi ha fatto alzare ad un'ora disumana per
fare colazione? Te lo dico io: perché la stai evitando! E se la ignori e allo
stesso tempo la consumi con gli occhi tutte le volte che compare alla tua
vista, significa che ci tieni ancora!"
Il viso di Scorpius si contorse in un'espressione di disgusto e sbottò:
"Semplicemente non voglio condividere la mia aria con un essere tanto
basso e vile."
Al aprì la bocca per ribattere a quella cattiveria, ma nel mentre Cavendish entrò
in classe col solito sorriso gioviale e lui si costrinse al silenzio.
Il
moro osservò la chioma riccia di Angie, che sedeva in seconda fila accanto a
Rose, leggermente china sul banco per prendere appunti sulla spiegazione che il
professore aveva appena iniziato su Evocazione e Evanescenza degli oggetti.
Ovviamente argomenti da portare ai GUFO! Iniziavano sin dalla prima lezione a
massacrarli sull’idea degli esami.
"Quindi la formula per far Evanescere gli oggetti è: Evanesco! Esistono
alcuni particolari incantesimi che bloccano l’incantesimo e quindi ne
impediscono la buona risuscita.” concluse dopo minuti interminabili di spiegazione
e Albus si rese conto con gioia che era trascorsa quasi tutta la prima ora. “Ora
metterò questo cuscino sulla cattedra e voi lo dovrete far evanescere una volta
a testa. Bene iniziamo con Ryan e procediamo fino all’ultima fila.” Il tizio di
Grifondoro si alzò e si mise davanti alla cattedra ma distante di qualche
metro.
Angelique
posò finalmente la piuma, prese la sua bacchetta con la destra e la strinse
nervosamente fino a farsi sbiancare le nocche. Albus vide tutti questi gesti e
pensò immediatamente all’espressione seria e concentrata che l’amica doveva
avere in quell’istante.
In
realtà gli dispiaceva molto vederla fallire pubblicamente la maggior parte
delle volte, ma lei sembrava imperterrita nei suoi tentativi disperati e, nonostante
i pessimi risultati, raramente si tirava indietro!
“Eccellente
Rose! Cinque punti a Grifondoro. Bene adesso… Oh… Ehm… Angelique?” il tono del
professore era interrogativamente dispiaciuto, come ad avvisarla che l’avrebbe
esonerata per quella volta.
Le
spalle di Angelique si mossero per il respiro profondo con cui cercava di
incoraggiarsi. Poi si alzò e si diresse con la schiena ritta e fiera verso la
postazione adibita all’esercitazione. Sembrava un dignitosissimo condannato a
morte.
Non
che ci fosse qualcosa che tradisse la sua tensione a parte la presa un tantino
troppo salda sulla bacchetta, ma Al ebbe la netta sensazione che si sentisse
come un pesce fuor d’acqua.
La
bionda si schiarì la gola e pronunciò chiaramente, senza esitazioni con la
bacchetta puntata verso la cattedra:
“Evanesco.”
E
nello stupore generale, compresa la stessa strega che aveva lanciato
l’incantesimo, miracolosamente il cuscino scomparve per metà. Non che
l’incantesimo fosse completamente riuscito, però in confronto ai fallimenti
plateali di Angie, quello era un vero e proprio risultato.
“Merlino,
si può essere così imbranati!” esclamò con voce piena di derisione Scorpius, suscitando
il risolino idiota di alcune ragazze di Grifondoro e di Goyle.
Non
appena questa parole uscirono dalle labbra del ragazzo il cuscino ricomparve
interamente sulla cattedra.
Cavendish
lanciò un’occhiata ammonitrice a Scorpius, che la ignorò palesemente, restando
seduto scomposto sulla sua sedia e osservando deliziato la scena davanti a sé. Non
poté fare altrettanto con la casuale pestata
sul piede sinistro che gli arrivò da parte del compagno di banco.
Angie
respirò un’altra volta con calma e ripeté l’incantesimo ancora e ancora ma la
sua voce era incerta e il cuscino non accennava minimamente a svanire.
Albus
dovette reprimere con tutta la propria forza di volontà l’istinto di serrare
attorno al collo pallido di Malfoy le sue dita e stringere fino a farlo
stramazzare al suolo.
“Evanesco!”
esclamò per l’ennesima volta la ragazza, senza successo, quando Scorpius decise
di dare nuovamente il suo contributo.
“Forse
si è fatta evanescere il cervello!” dichiarò ad alta voce suscitando l’ilarità
generale.
E
per la seconda volta in una giornata Angie stupì il suo migliore amico.
Si
sarebbe aspettato uno scatto fulmineo e una rispostaccia o una battuta migliore
di quella di Scorpius, oppure un movimento quasi impercettibile della bacchetta
e una fattura, ma non avvenne nulla del genere.
Angelique
rimase voltata e non ribatté in alcun modo.
Doppiamente
umiliata da Scorpius non reagì, ma si limitò a scusarsi col professore e a
tornare al posto rigida come un manico di scopa.
“Visto
che fa battute tanto sagaci, Signor Malfoy, venga a farci vedere quanto è
bravo.” disse con sguardo duro e tono severo Cavendish.
“Con
piacere, professore.” ribatté il ragazzo e si alzò con movimento fluido.
I
capelli biondi gli ricadevano leggermente disordinati sulla nuca e ai lati del
viso creando una sorta di aura attorno alla sua figura.
Albus
avrebbe giurato di aver udito un sospiro trattenuto.
Si
avviò verso la cattedra con una mano in tasca e l’aria un po’ svogliata, alzò
la bacchetta e pronunciò le parole con sicurezza. Ovviamente il cuscino sparì
in un tempo record lasciando solo aria sulla cattedra.
Cavedish
lo rispedì a sedersi con aria poco soddisfatta, aveva sperato di fare giustizia
e invece aveva fatto solamente il gioco di un ragazzo impertinente.
Albus
sentì il sangue ribollirgli nelle vene per quel maltrattamento gratuito. Si
impose di non rivolgersi a Scorpius per il resto della lezione, nonostante
sentisse il suo sguardo puntato contro come a richiamarne l’attenzione. Se
avesse parlato in quel frangente, con l’autocontrollo seriamente minato, si
sarebbe messo a urlare come sua nonna Molly quando scopriva che qualcuno aveva
spostato gli utensili in cucina.
Passò
i restanti cinquanta minuti con un braccio posto tra di loro come separé e la
testa appoggiata alla mano ma rivolta ostentatamente dall’altra parte.
Finalmente
giunse il tanto agognato suono della campanella e Angelique schizzò fuori dalla
classe senza aspettare nessuno, teneva le spalle perfettamente tese sulla linea
orizzontale e lo sguardo fisso davanti a sé.
Al
si voltò finalmente verso Scorpius e lo vide chiaramente distogliere gli occhi
dalla porta.
“Mi
può star bene che tu sia arrabbiato con lei, ma trattarla in questo modo
dimostra solo che sei degno del nome che porti” disse seccamente alzandosi.
Conosceva
perfettamente l’effetto che quelle parole impietose avrebbero avuto sull’amico,
ma si sentiva in diritto di rifilargli un grosso schiaffo educativo.
Fece
per andarsene, ma si bloccò pensando di dover aggiungere anche un’atra cosa:
“Ah, e se la prossima volta non ti prende a pugni lei, lo faccio io.”
L’altro
lo fissò con gli occhi sbarrati e l’espressione stupita.
Albus
uscì velocemente dall’aula, ma della chioma leonina che stava cercando non vide
nemmeno l’ombra.
La
ragazza si era dileguata con velocità sorprendente verso la Torre Nord, per
partecipare a quella farsa di Divinazione.
Una
piccola smorfia di ribrezzo distorse i tratti lineari del suo viso al ricordo
della sua prima lezione con la Cooman. Quella sottospecie di donna, le cui
fattezze venivano sepolte sotto strati di perline di vetro e scialli orrendi,
lo aveva immediatamente riconosciuto come il figlio di Harry Potter e si era
lanciata in una serie di predizioni catastrofiche, comprendenti rapimenti,
mutilazioni e infine una sanguinosa e truce morte.
Dopo
un mese di lezioni, che avevano dato sommo divertimento alla Dursley e alla
Zabini, Albus aveva deciso di frequentare Artimanzia al posto di quella
pagliacciata con tè, pasticcini e racconti dell’orrore. Martha lo aveva seguito
a ruota e avevano preso a frequentarla insieme.
Uno
scricciolo dall’improbabile chioma violetta si catapultò fuori dall’aula con
aria inferocita e lo oltrepassò senza nemmeno salutarlo.
Elena
sembrava furibonda. Camminava con tanta foga che i capelli a caschetto
rimbalzavano ad ogni suo passo.
Martha
uscì immediatamente dopo e lo salutò con un sorriso fintamente innocente, che
celava un espressione sorniona.
Al
inarcò un sopracciglio con fare interrogativo e la rossa per tutta risposta
fece un gesto rapido della mano, come a scacciare una mosca fastidiosa.
“Si
è arrabbiata perché l’ho impastoiata.”
“Ah
sì?” le domandò mentre un sorriso faceva capolino anche sulle sue labbra.
“Beh,
mi ha costretta! Si stava alzando per andare a picchiare Scorpius! Non potevo
far perdere punti a Serpeverde il primo giorno, così le ho lanciato un
bell’incantesimo delle Pastoie Total Body.” replicò l’altra con espressione
estremamente convinta e fiera di sé.
Albus
scoppiò a ridere e si incamminò insieme alla ragazza, che ridacchiava
lanciandogli ogni tanto qualche occhiata sottecchi.
Fissò il suo piatto in preda alla depressione.
Quella
giornata faceva schifo e nemmeno la lezione di Divinazione era stata in grado a
tirarla su di morale. Nonostante la Cooman si fosse sbizzarrita con un povero
Tassorosso, dicendogli che temeva non sarebbe arrivato a fine mese.
Quello
sconforto dilagante trovava origine nella lotta senza quartiere che si svolgeva
nell’animo della ragazza. Con un movimento furtivo lanciò un’occhiata alla
tavola dei rosso e oro e in breve individuò una testa bionda spettinatissima,
su cui il sole giocava a tirare fuori mille riflessi che andavano dall’oro, al
bronzo fino al castano.
Quella
banale vista le procurò una fitta a livello dello sterno, per la consapevolezza
che non avrebbe dovuto provare nulla di simile per un ragazzo che non poteva
essere suo. E lo sapeva perfettamente.
“Avati devi mangiare… abbiamo Cura delle
Creature Magiche oggi pomeriggio, non si mai che cosa possa accadere con
Hagrid!” disse Albus con tono dolce e pieno di preoccupazione.
Angie
alzò gli occhi e incontrò i propri gemelli sul volto dell’amico. Si chiese se, sapendo
che cosa era accaduto la sera precedente, l’avrebbero guardata ancora così.
Arricciò
un angolo della bocca in una smorfia che passò come inappetenza agli occhi dei
presenti.
“Oh
che bello! Non vedo l’ora! Ho già letto tutto il libro! Mi sento
preparatissima! Chissà che cosa vedremo oggi?!” Elena sprizzava entusiasmo da
tutti i pori, in un modo che cozzava rumorosamente con la sua tristezza
latente.
Si
muoveva e parlava come un furetto sotto effetto di anfetamine.
“Qualunque
cosa sia, NON PORTARLA IN CAMERA!” disse lapidaria Martha con la forchetta
puntata contro Ele e gli occhi scintillanti di promesse di morte.
“Ma
dai! è capitato solo un paio di volte… per sbaglio!” protestò l’altra imbronciandosi
e scuotendo il caschetto lilla.
“Oh
certo! Perché far entrare uno Snaso nel dormitorio è stato per sbaglio?!”
chiede la rossa con gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia
Il
suddetto cucciolo aveva letteralmente sfasciato la loro stanza da letto,
rompendo le colonnine dei baldacchini, rovesciando i comodini e sventrando gli
armadi alla ricerca di tesori inesistenti.
Si
erano beccate, tutte e tre, due settimane di punizione a lucidare trofei e
pulire pavimenti con Gazza.
“O
riempire la vasca da bagno di Kappa selvatici cercando di addomesticarli…” suggerì
Angie infilandosi in bocca subito dopo un pezzo di prosciutto.
Lei
era stata la prima vittima di quell’esperimento, poiché era entrata
incautamente in bagno ed era stata attaccata dall’oda assassina di animaletti
acquatici. Si era salvata solo grazie all’intervento di Martha.
Una
settimana di punizione a riordinare le scartoffie della Preside.
“O
cercare di far schiudere uova di Ashwinder sotto il termosifone!” rincarò la
dose Martha.
“O
prendere in prestito da Hagrid uno schifo di Vermicolo, con l’intenzione di
dimostrare al mondo che sono dotati di intelligenza!” disse mentre un sorriso
si allargava sul suo viso ricordando dell’espressione sconfortata di Martha quando
aveva scoperto che tutte le sue divise di ricambio erano state contaminate da
bava di Vermicolo. Quando Rodulfus, il verme gigante, era riuscito
inspiegabilmente a scappare dalla loro stanza e aveva preso residenza nella
Sala Comune, qualcuno se ne era lamentato con la Blackthorn.
Due
giorni di punizione a ripulire la Sala Comune e la loro stanza da bava e
escrementi di Vermicolo.
“O
mettere le fate dentro una boccia per studiare la loro gerarchia sociale.”
Cinque
giorni di punizione e venti punti in meno per aver rapito esseri che vivevano
solo nella Foresta Proibita e che quindi di supponeva fossero stati prelevati
da lì.
“O
cercare di catturare un unicorno…” ma qui venne interrotta da Elena che
vittoriosa esclamò:
“Ma
quello non l’ho mai portato in camera!”
“Solo
perché non sei riuscita a prenderlo.” ribatté la bionda inarcando un
sopracciglio.
“Sei
un incompresa, Nana!” disse Albus pieno di compassione, ricorrendo al
soprannome che le era stato affibbiato quando si erano resi conto che la sua
altezza non avrebbe mai superato il metro e cinquantacinque. Attualmente erano
fermi al metro e cinquanta, ma tutti confidavano nella forza dell’ormone della
crescita.
Elena
non si era mai offesa per quell’appellativo, la prima volta che Albus l’aveva
usato si era limitata a scrollare le spalle e scompigliarsi la chioma colorata.
Aveva detto che le ricordava il cane di Peter Pan e quindi se c’era un animale
di mezzo andava tutto bene.
Angie abbassò gli occhi nel suo piatto per
nascondere l’ampio sorriso che le era finalmente sorto sulle labbra, al
pensiero di quelle avventure degli anni passati. Infilzò una carota che le
parve avere un colorito molto più vivace di quando le aveva prese dal vassoio.
Ricordava perfettamente che l’ossessione per le
creature disgustose e/o pericolose era aumentata esponenzialmente al loro terzo
anno. Lo stesso in cui Elena aveva provato per la prima volta il Magishampoo,
l’anno in cui avevano affrontato cose più grandi di loro, armate solo dei loro tredici
anni scarsi e dell’amicizia.
L’anno in cui tutte e tre si erano trasformate in qualcosa di diverso. Avevano
lasciato alle loro spalle le ragazzine che erano state appena arrivate ad
Hogwarts. L’anno della perdita.
Angie alzò gli occhi sugli amici con un sorriso a
incresparle le labbra, ma quell’espressione dolce si congelò non appena si
accorse che non erano soli davanti a lei.
Due ragazze, Tassorosso e Grifondoro, erano in piedi
alle spalle di Elena ed Albus e parlottavano tra di loro come a mettersi
d’accordo su qualcosa.
Si voltarono insieme verso Angie, entrambe con
stampato in faccia un sorriso falsamente gentile.
Angelique si impose a forza di non fare quella che
Elena definiva la sua miglior espressione da Principessa del Ghiaccio e si
limitò a guardarle con indifferenza e un sopracciglio leggermente inarcato.
"Oh...
Ehm... Ciao Angelique!" le disse quella che stava leggermente più avanti rispetto
all’altra, aveva i capelli castani
acconciati in onde perfette che le arrivavano sotto le spalle e la cravatta
gialla e nera.
La Dursley tirò
le labbra verso l'alto per un paio di secondi e poi le lasciò andare
repentinamente, sperando che capissero che non aveva minimamente voglia di
parlare in quel momento.
Abbassò lo sguardo
verso il contenuto del suo calice e sperò che quando lo avesse alzato le due
non ci fosse state più. Venne ampiamente delusa.
"Senti..."
attaccò nuovamente la castana Tassorosso "Noi volevamo chiederti... Beh...
Ma è vero che non stai più con Scorpius?"
Angie restò
immobile per un paio di secondi con lo sguardo ancora puntato sul proprio
calice, ma riuscì comunque a notare Ele e Albus che muovevano freneticamente le
mani per segnalare alle due di scappare.
Una cosa che
raramente viene considerata quando si guarda una trota, forse a causa di
quell’espressione assente degl’occhietti vitrei, è che è un predatore spietato
delle sue zone di potere. Attacca i pesci in difficoltà o più deboli, cibandosi
delle loro carni con famelica violenza grazie ad una chiostra di denti aguzzi e
taglienti.
La trota
salmonata confusa, bistrattata, sbatacchiata, si avventò su quelle ingenue
acciughe da due soldi.
Angelique alzò
la testa con un movimento lentissimo e studiato. Fissò i suoi occhi verdi
dardeggianti e pieni di fuoco sulla ragazza che aveva parlato, con un movimento
quasi impercettibile estrasse la bacchetta da sotto la manica destra e si
ritrovò la punta nel palmo della mano.
La Tassorsso
perse l’iniziativa con il respiro e parve ritirarsi in un guscio invisibile,
indietreggiando di un passo. La Grifondoro, fino a quel momento parte passiva,
le mise una mano sul braccio per rassicurarla.
Un ghigno gelido
e perfido si formò sul suo viso mentre puntava dichiaratamente la bacchetta
contro le ragazze.
“Evaporate.
Ora.”
La parole
uscirono dalle sue labbra con calma, il tono era dolce quasi gentile, ma la
minaccia nella voce era tangibile più della bacchetta rivolta contro di loro.
“Ragazze, credo
sia meglio che andiate.” disse Albus in leggero imbarazzo. Angie si chiese per
quale ragione dovesse sempre sentirsi in colpa quando lei si iniziava a
divertire.
La Grifondoro
trascinò letteralmente via la Tassorosso, che le scoccò un’ultima occhiata con
la stessa espressione che avrebbe potuto avere di fronte ad un paziente del
reparto psichiatrico del San Mungo.
Angie ripose la
bacchetta sotto la manica e, solo quando furono abbastanza lontane, si concesse
finalmente di ridere.
Albus scosse la
testa crollando lo sguardo verso il proprio piatto, Elena corrugò la fronte con
disapprovazione e Martha infine non riuscì a nascondere il sorriso divertito
che premeva agli angoli delle labbra.
“A volte sai
essere davvero terribile… Credo che i tuoi occhi abbiano più potere di quelli
di un basilisco.” commentò Elena guardandola ancora con la fronte corrugata.
“La Principessa
di Ghiaccio.” mormorò Al come se quello spiegasse ogni cosa.
Martha seguitava
a fissare con quel sorrisino enigmatico il contenuto del suo calice dorato.
Angie interruppe la sua risata leggera e disse con fare amabile:
“Miei cari
compagni di Casa, ho una reputazione da mantenere! Voglio sperare che almeno tu
Prefetto O’Quinn ti sia goduta la scena.”
Martha sorseggiò
con calma il liquido e poi rispose arricciando leggermente le labbra:
“Intendi se mi
fa piacere vederti infierire su microcefali, che pensano di potersi infilarsi
nella vita altrui come se fosse loro diritto di nascita?! Quegli stessi esseri
che camminano per i corridoi come se si trattasse della loro ala personale a Buckingham
Palace?! Mah… Direi che mi procura una gioia pari a quando l’anno scorso
abbiamo soffiato la Coppa delle Case a Grifondoro, due giorni prima della fine
delle lezioni.”
Angelique rise
un’altra volta, mentre le labbra di Martha si incurvavano verso l’alto
seminascoste dal calice da cui stava bevendo un altro sorso di succo di zucca.
Lo sguardo di
Angie individuò per caso al tavolo di Tassorosso Berty seduto accanto alla sua
ragazza, Emma Bolton. La giovane teneva il mento appoggiato alla spalla del
ragazzo e con occhi trasognati gli porgeva bocconi scelti accuratamente dalla
sua forchetta.
Arricciò le
labbra nauseata.
Elena si pose
due dita davanti alla bocca e mimò il gesto di vomitare.
Quando Berty
aveva tentato di presentarla agli amici, la ragazza si era auto-ostracizzata
dopo il primo pranzo insieme al gruppo di Serpi. Angie non aveva mai afferrato
se fosse stato a causa della Principessa di Ghiaccio, o dei discorsi deliranti
su draghi e troll di Elena, o dell’atteggiamento di gelida cortesia di Martha,
fatto sta che la bionda e procace Emma non si era quasi più avvicinata ai
Serpeverde per condividere un pasto.
Gli occhi verdi
passarono dai due colombi in amore, al fondo della tavola e quello che vide le
fece scivolare dalle dita la forchetta, che sbatté contro il piatto con rumore
metallico.
Avrebbe voluto
alzarsi e urlare con tutta la forza che aveva nei polmoni “NO!” ma non era
nemmeno sicura di riuscire ancora a respirare.
Scorpius si era
seduto a mangiare con Goyle, con il quale chiacchierava serenamente.
Il ragazzo che aveva
partecipato alla sua aggressione al primo anno, che la odiava visceralmente e
che le avrebbe fatto del male, davvero male, se ne avesse avuta l’occasione.
Un incallito sostenitore della supremazia del sangue puro, che l’avrebbe
eliminata dalla faccia della terra perché aveva rubato la magia a chi spettava per nobile nascita.
Era così quindi
che la colpiva Scorpius?! Era quello il modo di dimostrarle il suo disgusto per
lei?! Con il letale pungiglione del disprezzo, il veleno di uno scorpione
celato sotto il mano chiaro di capelli biondi e sottili come fili di seta.
“Oh...” sussurrò
Elena seguendo i suoi occhi.
Un senso di
vertigine si impossessò di Angie e le venne la nausea per quello che stava guardando.
Prima ancora di
potersi coordinare consciamente si ritrovò in piedi a fuggire quasi di corsa
dalla Sala Grande. I piedi, che si mettevano uno davanti all’altro, sembravano
completamente fuori dal suo controllo, dotati di volontà propria, come se il
suo corpo la stesse allontanando dalla sofferenza.
Appena superò la
Sala d’Ingresso l’aria fresca di Settembre e il suo tiepido sole la colpirono
in faccia, concedendole un po’ di ristoro. Si appoggiò al muro esterno con la
schiena e si lasciò scivolare lentamente al suolo, finché le sue ginocchia non
toccarono il terreno umido e solo allora chiuse gli occhi.
Respirò a fondo
cercando di cancellare dalla memoria l’immagine del suo ex-ragazzo seduto a far
comunella col Gorilla. Involontariamente la sua mano sinistra si strinse
sull’avambraccio destro come a proteggerlo, dove a distanza di tre anni recava
ancora il marchio inflittole da Nott.
Con quel gesto
il braccialetto che ancora portava al polso sinistro le premette contro la
pelle. Strinse più forte, come se imprimendosi nella carne l’impronta delle
rose e delle spine avesse potuto alleviare il dolore che quel voltafaccia le
aveva procurato.
Tuttavia un
pensiero, oscuro e scivoloso come solo le più radicate convinzioni irrazionali possono
essere, era più forte del risentimento per i gesti di Scorpius. Intimamente
Angelique sapeva di essersi meritata l’ira gelida e distruttiva del ragazzo che
le aveva concesso il suo cuore, motivo per cui non poteva reagire. Si sentiva colpevole e il maltrattamento di
Scorpius assumeva i tratti dell’espiazione.
E come se tutto quello
non fosse stato abbastanza c’era Derek.
La sua colpa, il
suo naufragio di buone intenzioni e comportamenti consoni che si affacciava in
continuazione nel suo presente.
Inspirò ed
espirò lentamente con gli occhi chiusi, ma il senso di nausea non si decideva a
lasciarla.
Il ricordo delle
labbra di Derek sulle sue si confuse con la voce di Scorpius che la umiliava davanti
a tutta la classe, la sensazione delle mani di Derek sui suoi fianchi con
l’immagine dei capelli biondi troppo vicini a quelli castani e ispidi di Goyle.
Aveva bisogno di
una sigaretta…
“Gambe molli
Gigì?” una voce irriverente e stranamente vicina la colse di sorpresa facendole
spalancare gli occhi.
Jessy la stava
osservando col volto a pochi centimetri dal suo, negli occhi dai colori caldi,
fissi nei suoi, si celava la curiosità. Le sue gambe lunghe erano dritte,
mentre il busto era piegato verso la ragazza seduta per terra. Come sempre
sulle sue labbra si stendeva un sorriso malizioso e sbruffone.
Angie vide che a
qualche metro di distanza da loro stava impalata la stessa ragazza che sulla
banchina il giorno prima gli aveva sorriso. Teneva le braccia conserte e sul
viso minuto aleggiava un’aria palesemente seccata.
Portava la
cravatta di Grifondoro parecchio allentata, la camicetta era fuori dalla gonna e
le sue gote erano arrosate in modo naturale, inoltre le labbra avevano un
colorito acceso, come se fossero state baciate con foga.
Evidentemente
erano andati ben oltre lo scambio di sorrisi.
Guardò Potter, che
teneva ancora gli occhi ambrati fissi nei suoi, e scosse la testa colta
improvvisamente da un sincero divertimento.
“Ah Jessy… Non
ti concedi un attimo di pausa nemmeno a pranzo?”
Il blando
rimprovero nella sua voce ebbe il potere di allargare il sorriso malizioso di
James e accendere nei suoi occhi ambrati una luce parimente divertita. Il
giovane si raddrizzò, in tutto il suo quasi metro e novanta, e le porse una mano
grande dalle dita lunghe per mettersi in piedi.
Angie la accettò
in un inspiegabile motto di simpatia per Potter e si diede un lieve slancio con
un colpo di reni. Ma Jessy pensò bene di aiutarla ad alzarsi, tirandola
energicamente per il polso, così che la giovane perse l’equilibrio in avanti e
si addossò al suo torace, trovandosi col viso davvero troppo vicino a quello di
lui.
Gli occhi di
James si allargarono stupiti ed Angie provò la vivida sensazione di vedere
l’ambra attorno ala pupilla farsi liquida e assumere tonalità più intense, come
se nei suoi occhi fosse scorso miele liquefatto dal calore.
Lei si allontano
immediatamente rassettandosi la gonna e provando un inspiegabile imbarazzo.
“Angie!” la voce
di Albus appena uscito dal castello la fece voltare verso di lui. Mentre si
avvicinava Angelique poté notare come sul suo viso si dipingesse un espressione
sempre più perplessa osservando l’improbabile terzetto.
“Ciao
fratellino.” trillò James avvicinandosi alla ragazza e mettendole un braccio
attorno alle spalle. Lei gongolò, in un modo che Angie decretò assolutamente
indegno per il genere femminile, mentre la mano di James scivolava dalla spalla
al fianco e si posava su di esso possessiva.
Involontariamente
il sopracciglio destro della bionda scattò in alto.
“Ciao Jamie.”
rispose il fratello con circospezione, come aspettandosi da un momento
all’altro una secchiata di acqua gelida in testa o l’esplosione di una
caccabomba sotto i piedi.
“Che fate voi due
diligenti e ligi Serpeverde venerdì sera?” chiese James assolutamente incurante
dello sguardo adorante che la ragazza gli rivolse dalla testa accoccolata sul
suo petto.
“Ci diamo al
sadomaso, alle droghe di sintesi e ai riti satanici. Come ogni sera, del resto.”
rispose Angelique per entrambi con tono annoiato e leggermente strascicato.
Albus sorrise,
James ridacchiò addirittura, invece la Grifondoro alzò la testa dal petto di
James e fissò Angie con un misto di timore e disgusto. Il sopracciglio
impertinente di Angelique continuò indisturbato la sua scalata all’attaccatura
dei capelli.
Avrebbe portato
una corona di fiori sulla bara di Sarcasmo quanto prima, morto per incomprensione
e solitudine.
“Bene, allora
visto che siete liberi, c’è una piccola festa nel bagno dei Prefetti. Non ci
saranno molti della vostra Casa...” disse Jessy con tono amichevole.
“Un cesso di
festa insomma…” Angelique quasi non si accorse di averlo interrotto, ma la
battuta le era stata servita su piatto d’argento.
Nuovamente
entrambi i Potter risero, ma non la giovane che parve arruffare le penne come
un tacchino caparbio e impettito.
“Ma come ti
permetti?! James si sta impegnando tantissimo!” disse con tono acceso mente i
suoi occhi azzurri la fissavano offesa.
Un angolo della
bocca di Angie si sollevò verso l’alto e non si prese nemmeno la briga di
rispondere. Avrebbe volentieri spiegato alla piccola Grifondoro che, forse, quell’
impegno così indefesso non avrebbe cambiato le sorti del mondo, ma dubitava che
il messaggio sarebbe potuto essere afferrato. Potter intervenne e disse sempre
in tono tranquillo:
“Lascia stare
Fanny, era solo una battuta.” ad Angelique parve di sentire una nota di condiscendenza
nella voce di Jessy, “Comunque ci saranno anche gli altri se vi va di venire.”
Per altri
intendeva Rose, Lily, Lucy, Fred, Louis, Hugo e Dom.
Sarebbe stato un
ottimo motivo per esserci, ma Potter che faceva tanto l’amicone con lei non la
convinceva per nulla… Ci doveva essere sotto qualcosa, di sicuro!
“Dov’è la
fregatura?!” sibilò stringendo gli occhi verdi fino a ridurli a due fessure.
James rise
scuotendo la chioma nera, in modo che le pochissime ciocche che presentavano
ancora una direzione ragionevole la persero all’istante, e le rispose:
“Non c’è,
malfidente di una Dursley! Chiedi a Lily o a Rosie se preferisci.”
Girò i tacchi portandosi
via la ragazza-oggetto-tacchino-offeso.
“Beh ci andiamo?!”
chiese speranzoso Albus dopo alcuni secondi passati ad osservare le spalle del
fratello.
“Ho Il racconto di due città ad attendermi sul
comodino per questo week-end.” gli rispose pregustandosi già la pace di una
serata di solitudine dietro le cortine del baldacchino, fingendo di essere un
essere umano dolce e misericordioso come Lucie Manette e non la ragazza che
solo dodici ore prima aveva ceduto ai più bassi impulsi del suo Subconscio
anarchico.
“Per favore
Angie!” piagnucolò Al osservandola con grandi occhi verdi tristi.
“Al… Non me la
sento molto di affrontare orge nella vasca dei Prefetti, ubriacature moleste e spogliarelli
improvvisati. Non mi piacciono queste feste.” rispose giocherellando con una
pellicina sul labbro inferiore.
“Tu hai bisogno
di uscire! Hai bisogno di sfogare tutta quella rabbia e quella frustrazione che
provi. Dovresti lasciare un’ora d’aria alla Principessa di Ghiaccio!” e la
prese a braccetto iniziando a camminare.
Il fatto che i
suoi amici si riferissero a quella sfumatura del carattere di Angelique come se
fosse stata autonoma, come se un’altra persona vivesse dentro di lei, per
frapporsi tra lei e il mondo, l’aveva spinta effettivamente a considerarla
tale. In seguito aveva anche sospettato che fosse una velata accusa di
schizofrenia, ma non aveva mai sollevato l’argomento per timore di essere
confermata.
Camminarono insieme
verso il limite del Parco di Hogwats, dove un sorridente ed esaltato Hagrid li
stava salutando agitando per aria la manona, mentre con l’altra indicava degli
ippogrifi, parcheggiati in un recinto.
Dalle labbra di
Angelique uscì un flebile gemito.
***
James abbandonò la presa sul fianco spigoloso di
Fanny non appena ebbero varcato la soglia del portone d’ingresso. Il suo
braccio destro scivolò leggero lontano dal corpo della ragazza, e fece finta di
non notare l’irrigidimento istantaneo di lei.
Aveva l’impressione di sentire ancora sui palmi la
stoffa liscia della camicia di Angelique, quel tessuto leggero che aveva potuto
toccare per evitare che lei cadesse. Per qualche istante aveva saggiato con le
dita la consistenza morbida della sua vita e gli sembrava di essere ancora a un
paio di centimetri da quelle iridi verdi sgranate per lo stupore.
Il giovane Potter lanciò un’occhiata fugace alla
ragazza alla sua destra e notò che il visino di porcellana appariva vagamente
contrariato.
Fanny Browen era sicuramente uno degli orgogli della
Casa dei Coraggiosi di Cuore. Una ragazza vivace, simpatica, generosa, sempre
cordiale, con una buona media scolastica, piena di interessi e, cosa non da
meno agli occhi dei ragazzi, era veramente carina. Il suo viso aveva una forma rotondeggiante
dai tratti delicatissimi, che perfettamente si accordavano con l’incarnato
rosato e i grandi occhi azzurri. I capelli castani, lucenti come se fossero stati
costantemente sotto i raggi del sole, le arrivavano all’altezza delle spalle. Sembrava
la ragazza perfetta con cui uscire.
Eppure James in tutta quella appropriatezza non riusciva a scorgere minimamente la possibilità
di innamorarsi. Fanny restava, come tutte le ragazze prima di lei, confinata in
quella sfera asettica in cui lui stesso le confinava.
“Nana, non puoi continuare a mangiare anche dopo
aver finito di pranzare!”
Una voce cristallina, con evidenti note di
esasperazione, indusse il giovane a uscire dalle sue considerazioni mentali per
focalizzare la scena davanti a lui.
“Ma mi serve per crescere! Se non mangio dove trovo
le energie per allungare le ossa, rafforzare i muscoli e far crescere le tette?!
Nel caso non lo avessi notato, io non ce le ho!”
“Le os-sa?”
“Ma no Berty! Le tette!”
Elena Zabini, Martha O’Quinn e quell’altro
spilungone, di cui James dimenticava costantemente il nome, erano appena usciti
dalla Sala Grande. Osservò attentamente il gruppo di Serpeverde avvicinarsi.
La O’Quinn, alta e altera, con l’orgoglio verde e
argento stampato sul viso da bambola, appena incrociò il suo sguardo raddrizzò
immediatamente le spalle e la luce ilare, che aveva illuminato i suoi occhi nello
scambio di battute con l’amica, scemò in un secondo. Non aveva mai capito la
ragione per cui quella frigida della O’Quinn lo guardasse sempre come se fosse
il diretto responsabile della fame nel mondo.
Lo spilungone fece un gesto del capo con un mezzo sorriso.
E poi un paio di occhi vispi, fin troppo grandi per il viso estremamente magro,
lo scrutarono con evidente simpatia. Elena passandogli accanto gli fece l’occhiolino
e gli sorrise apertamente. James sorrise in risposta mentre le tre figure lo
oltrepassavano.
“Bei capelli, Zabini.” disse ad alta voce, gettando
un’occhiata dietro da sopra la spalla.
“Bellissimo sedere Potter!”
“Elena!!!”
James rovesciò la testa indietro e scoppiò a ridere,
sia per quel commento così spregiudicato, sia per il rimprovero tanto
scandalizzato del Prefetto di Serpeverde.
“Quella tizia è proprio strana. A volte se esce con
certe cose…” sussurrò Fanny mentre il corpo del ragazzo era ancora scosso da i
tremiti della risata.
James non rispose, mentre tra sé cercava di immagine
come dovesse essere il dormitorio femminile del quinto anno a Serpeverde, tra
una reazionaria del portamento e dell’educazione, una pazza coi capelli
colorati che diceva cose inopportune e Angelique.
Il sorriso si allargò sulle sue labbra, mentre
varcava la soglia della Sala Grande e si dirigeva verso i suoi amici, senza
curarsi dello sguardo di Fanny che lo seguiva con un velo di malinconia.
Note dell'autrice:
Buongiorno
popolazione! Avendolo già pronto da un pezzo mi sono detta
perché aspettare?! E così ho postato il nuovo capitolo.
So che non succede nulla di particolare e che ancora non ci sono
chiarimenti definitivi sulle vicende passate tra Angie-Derek-Scorpius,
ma questo è un capitolo molto più introspettivo, per
focalizzare meglio l'ottica di Angie. Quindi spero che vi sia piaciuto
e che mi facciate sapere presto la vostra opinione! Per il prossimo
capitolo ci sarà un atmosfera molto meno tesa sul piano
sentimentale e due nuove comparse che ho intenzione di sviluppare.
Ora i miei ringraziamenti: Ayumi Edogawa che è stata la prima a lasciare una recensione sulla storia, FleurDa che non smentisce mai la sua fedeltà assoluta ai miei protagonisti, Roxy_HP, RoseBlack98, _angiu_, Cinthia988 che mi odia ancora un pochino per non aver rispettato i suoi desideri, cescapadfoot che è riuscita a ritagliarsi un angolino di tempo per questa long e Dra!
Grazie alla mia Bambolina, che sta sopportando i miei dubbi amletici sui protagonisti senza mai strozzarmi nel sonno o prendermi a padellate in testa.
Grazie mille
anche a tutti coloro che hanno letto. Non mi aspettavo sinceramente
tanto entusiasmo per questo inizio, quindi ancora GRAZIE!
Tanti baci a tutti quanti.
Bluelectra
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Capitolo 3 *** Cap.3 Intrigo Internazionale ***
Cap.3 Intrigo Internazionale
Cap.3 Intrigo
internazionale
“Le donne sincere mi
spaventano.”
“Perché?”
“Non lo so, mi danno un
complesso di colpevolezza...”
Cary Grant a Eve Marie Saint
in Intrigo Internazionale
Lily scosse la testa in un gesto di disapprovazione
totale.
Lucy accanto a
lei emise un breve sospiro, imitando lo stesso movimento del capo.
Dominique si
limitò a controllare le doppie punte dei capelli con aria angustiata.
“Non può
comportarsi così.” decretò Lily amaramente con gli occhi ancora fissi sul
portone della Sala Grande.
“No davvero!” si
unì Lucy.
“Io credo che
ognuno abbia il diritto di affrontare come meglio crede il proprio dolore.”
disse Rose, con la solita aria pacata e imperturbabile, che avrebbe avuto un
Buddha a due centimetri dal Nirvana.
“Col cavolo!”
sbottò Lily battendo un pugno sul tavolo “Qui c’è in gioco l’onore di
famiglia.”
“Posso
gentilmente farvi notare che non sono affari nostri? E che non c’è nessun onore
da difendere?” replicò ancora serafica Rose, mentre chiudeva con delicatezza un
volume di Incantesimi e rivolgeva i suoi occhi sulle cugine.
“Ma certo che
sono affari nostri!”
“Dobbiamo
fargliela pagare a quel figlio di Mangiamorte!”
“Oh Cielo, devo
rifare assolutamente la manicure!”
Lucy e Lily si
voltarono sconcertate verso Dominique, che eseguito il controllo capelli era
passata alle unghie, e, con profondissima costernazione, aveva notato che sul
suo mignolo sinistro la french-manicure si era danneggiata.
“Comunque…”
proseguì Rose come se nulla fosse “Angelique è estremamente… Brillante nella
difesa personale. Non credo che abbia bisogno di aiuto per rimettere Malfoy al
suo posto.”
“Ma allora
perché non lo affattura!?” chiese Lily mezza disperata, indicando con enfasi il
tavolo di Serpeverde, da cui in quel momento si stava alzando con calma Albus.
“Evidentemente è
una persona più matura di voi e ha deciso di comportarsi civilmente col suo
ex-ragazzo.” la pazienza della Weasley sembrava incrollabile.
“Beh… Non credo
che sotto la definizione di maturità abbiano mai aggiunto la voce –Farsi
umiliare in continuazione e non reagire.- Non è mica una martire!” sbottò Lucy
portandosi subito dopo alle labbra un calice colmo di acqua.
“Già, bisogna
fargliela pagare! Nessuno insulta uno di noi e poi la passa liscia.”
“Lily sei
monotona.”
“Rose sei
pedante.”
“Dom sei
divina!”
Tutte e tre le
teste rosse si voltarono verso la bionda che in assoluta tranquillità piluccava
un grappolo d’uva.
“Dominique, per
favore… Dopo ci occupiamo anche del tuo bisogno spasmodico di attenzioni, ma
ora sono un tantino occupata!” Rose posò la sua mano sul dorso di quella della
cugina facendole una carezza, con la stoica pazienza non ancora scalfita dai
fuochi incrociati.
“Potremmo ordinare
a Jordan Junior di pestarlo a sangue.” mormorò Lily, con la fronte vagamente
aggrottata a testimoniare che stava seriamente prendendo in considerazione
quell’opzione. Dominique annuì con aria assente.
“Oppure potremmo
appenderlo per le mutande nella Sala d’Ingresso, come ai bei vecchi tempi.”
suggerì Lucy aprendo con uno scatto un portasigarette dorato ornato da un
motivo di stelle. Le sue dita scorsero con reverenziale rispetto su quelle
lunghe e sottili sigarette, prima di sceglierne una e infilarsela all’angolo
della bocca.
“Vi riconoscerebbero
immediatamente, è il marchio di famiglia.” ribatté Rose e suo malgrado un
sorriso fece capolino sulle labbra, al pensiero di tutte le volte che Roxanne e
Victoire avevano incollato qualcuno ai muri della scuola.
Rose non aveva
nemmeno fatto in tempo ad arrivare al tavolo della sua Casa, che le cugine
erano già state informate dai pettegolezzi dilaganti sulla scena alla lezione
di Trasfigurazione e ora meditavano vendetta. Inoltre vedere scappare
letteralmente Angelique dalla Sala Grande e trovare Scorpius a mangiare con
Octavius Goyle, aveva acuito ancor di più il loro moto di protesta nei
confronti del comportamento del giovane Malfoy. Così ora toccava a lei
contenere quelle due scatenate delle cugine.
Aveva
ufficialmente preso il ruolo che anni prima era spettato a Molly, ovvero quello
di chioccia saggia e posata che provvedeva a contenere Lucy e Lily, le quali
parimente avevano raccolto l’eredità di Victoire e Roxanne, distorcendola
leggermente.
Nella scuola di
Hogwarts da circa un anno, nell’omertà più assoluta degli allievi e nella finta
ignoranza dei professori, si era formata un’organizzazione molto particolare.
Essa si era
prefissa il nobilissimo e coraggioso fine di introdurre nella scolaresca degli
efficaci diversivi alla dura vita del castello. Il che in parole povere
consisteva in un traffico illegale di alcolici, prodotti di bellezza femminile
quanto mai fantasiosi e… droghe leggere. Queste ultime si limitavano a sigarette,
energizzanti magici, pozioni dai più svariati effetti e occasionali
importazioni di cannabis.
In breve si era
sparsa la voce che “Le Menadi” potevano consegnare le chiavi del divertimento e
del vizio a una cifra relativamente modesta.
Ciò che rendeva
estremamente efficiente questa organizzazione era l’assoluta segretezza
con cui essa operava. Nessuno di coloro che sceglievano di rifornirsi presso di
loro conoscevano il volto di chi consegnava la merce, né tanto meno chi
presiedesse a quel brillante gruppo di contrabbandieri.
Altrettanto
velocemente quindi si erano sparse delle voci interessanti, che avevano
infittito l’aura di mistero aleggiante attorno alle Menadi. Si diceva che
questa articolata rete criminale fosse gestita da una diarchia femminile, le
sorelle Lara e Leda.
Alcuni
sostenevano che fossero criminali evase da Azkaban e infiltrate nel castello,
sotto le mentite spoglie di studentesse, per creare un impero economico e
rovesciare le sorti del mondo magico.
Altri dicevano
che fossero vampire e che attirassero col loro fascino ammaliante giovani donne
e uomini per banchettare delle loro carni.
Altri ancora ipotizzavano
che il traffico illecito di sostanze nella scuola, non fosse altro che un
sostentamento per le loro dipendenze sfrenate e lascive da ogni genere di droga
magica.
Alcuni, con
straordinario realismo, sostenevano che non fossero altri che emissari dei
Mangiamorte irredenti che architettavano un golpe in piena regola alla
roccaforte della McGranitt, a suon di ubriacature e fame chimica.
Quando il
Prefetto Rose Weasley sentiva queste e molte altre voci, si chiedeva come
avrebbero reagito i giovani congetturanti se avessero saputo che la sorella
Lara aveva tredici anni e portava l’apparecchio di notte.
Ebbene sì, Lara
e Leda altri non erano che Lily Luna Potter e Lucy Catherine Weasley. Nutrite
dal metaforico seno di Roxanne, istruite sotto la sua egida finche era stata al
castello, avevano dimostrato subito entrambe una grande propensione alla
trasgressione delle regole e opposizione all’ordine costituito, culminate nel
progetto delle Menadi.
Chi conosceva
l’identità delle sorelle Lara e Leda erano solo tre persone, tutte femmine e
tutte della stessa famiglia.
Dominique
Weasley era il Generale delle Menadi, colei che si occupava, ovviamente,
della sezione dei prodotti di estetica. Era stata informata direttamente da
Lucy e Lily, perché le due avevano bisogno della cugina per ampliare gli
orizzonti della piccola organizzazione e i suoi fondi, affacciandosi sul mondo
della bellezza e della moda. La Serpeverde vedendo i possibili margini di guadagno
vertiginosi aveva accettato con gande entusiasmo e si premurava di sfornare
nuovi prodotti, che a volte richiedevano un paio di settimane di messa a punto
prima di risultare ottimali per l’uso.
Rose Weasley
l’aveva scoperto suo malgrado.
Un giorno
durante una gita ad Hogsmeade aveva assistito ad uno scambio di merci nel retro
della Testa di Porco.
Due uomini, dalla corporatura robusta e l’aria arcigna, avevano consegnato un
sacchetto tintinnante di monete al proprietario del pub, ricevendone in cambio
quattro casse di Firewisky, Acquaviola e Rum babbano.
La giovane Rose
animata dalla curiosità ereditata dalla madre, aveva seguito di soppiatto gli
uomini. Alla Stamberga Strillante i due si erano arrestati e, dopo una serie di
contorsioni dei tratti del viso, riduzione della taglia e abbassamento
dell’altezza, si erano rivelate come Lily e Lucy. Ad attenderle in quella
fatiscente villa avevano trovato Dominique, intenta a limarsi le unghie.
Ora lo spirito
investigativo della Weasley aveva subito compreso di trovarsi di fronte a
quelle che da qualche mese a quella parte si facevano chiamare le Menadi.
Subito dopo si era posta la domanda di chi avesse mai potuto fornire le ingenti
quantità di Pozione Polisucco, necessarie alle cugine per trasformarsi tanto di
frequente in qualcun’altro e portare a termine le contrattazioni.
E chi tra
quelle mura poteva essere in grado di preparare una pozione tanto complessa,
infrangendo un numero indefinito di regole, e fornirla alle ragazze, senza
metterle in una posizione compromettente con degli estranei? La risposta era
stata ovvia. Solo la studentessa più brillante in Pozioni che da molti anni
avesse camminato per i corridoi di Hogwarts, una Serpeverde come il Generale,
famosa per la sua riservatezza e lucidità, un membro della famiglia. Angelique
Girard Dursley, l’Alchimista delle Menadi.
Quando
finalmente il brillante cervello di Rose era giunto alle conclusioni
sopracitate, aveva riunito le quattro criminali e aveva fatto loro una lava di
capo memorabile.
Aveva urlato,
minacciato, rimproverato, sibilato, urlato ancora e infine aveva imposto che
quel commercio cessasse immediatamente, altrimenti le avrebbe denunciate alle
Preside. Per tutta risposta le cugine erano scoppiate a riderle in faccia con
tanto di lacrime e singhiozzi per l’ilarità.
Lucy le aveva
spiegato a quanto più o meno ammontassero i guadagni mensili, a cui nessuna di
loro aveva intenzione a rinunciare. Angelique aveva sorriso in modo innocente e
le aveva annunciato, rigirandosi casualmente tra le dita la bacchetta, che
Vitious aveva assegnato dieci punti alla sua casa per l’impeccabile incantesimo
di memoria che aveva eseguito quella mattina. Lily le aveva proposto una somma
simbolica per il suo silenzio, con la stessa naturalezza con cui le avrebbe
offerto una caramella. Dominique aveva aggiunto alla corruzione anche la
“Lozione Locks” per domare i ricci.
Aveva tentato in
tutti i modi di persuaderle che era una cosa sbagliata e immorale, ma le
giovani non avevano sentito ragioni. Così Rose Weasley, da paladina dell’onestà
e delle regole, si era ritrovata invischiata negli affari malavitosi di
famiglia.
Lucy le aveva
offerto il posto vacante di Consigliere, una figura rispettabilissima,
estranea ai fatti veri e propri ma che si occupasse della diplomazia generale,
nonché del silenzio sull’organizzazione. E Rosie, saggia e lungimirante
ragazza, aveva compreso che l’unico modo per limitare i danni di quelle
sciagurate era proprio quello di diventarne il Consigliere.
“Gli spezzo
tutti gli ossicini a quell’ossigenato borioso…” le intimidazioni di Lily
continuavano imperterrite.
Il motivo quindi
che spingeva Lucy e Lily a indignarsi tanto per il trattamento subito dalla
Dursley, non era solo il senso di protezione famigliare, ma anche l’affetto per
la collega pozionista.
Le minacce della
Potter si interruppero quando una civetta, dall’aria anonima, con un frullo di
ali si posò accanto a Lucy e le tese una zampina, a cui era legata una lettera con
un nastro nero.
Lucy svolse
l’incartamento con agilità e iniziò a leggere la lettera, mentre la sigaretta
pendeva a un angolo della sua bocca. La fronte candida coperta di lentiggini,
come il naso e parte delle guance, si corrugava sempre di più mentre gli occhi
della giovane scorrevano verso il basso.
“Ma porco
Salazard!!!” imprecò a mezza voce chiudendo la lettera e porgendola seccamente
alla coreggente.
Le sopracciglia
di Dominique scattarono verso l’alto, ma la bionda non fece notare la mancanza
di rispetto nei confronti del nobile Fondatore, che aveva commesso l’unico
passabile errorino di sguinzagliare un basilisco nelle fognature femminili. Nel
frattempo l’espressione di Lily iniziava a ricalcare quella della cugina.
“Brutte
notizie?!” chiese cortesemente Rose prima di addentare un pezzo di pollo.
“Quel fituso
di Dawlish ha intercettato il nostro carico per la festa.” ringhiò la più
grande rivolgendo uno sguardo assassino alla tavola dei professori, dove
l’ignaro ex-Auror mangiava tranquillamente.
Il Prefetto
Weasley ritenne superfluo far notare a Lucy che l’espressione appena usata
aveva un vago retrogusto mafioso, ma si calò nel suo ruolo e intervenne
prontamente.
“C’è qualche
possibilità che risalgano ai committenti?”
“Ovviamente no.
Le nostre precauzioni hanno arginato i danni a una sola perdita economica.”
intervenne Lily passando la lettera a Dom, con un tono professionale e
spigliato, che poco aveva a che fare coi suoi tredici anni e il suo apparecchio
notturno.
“E se avessero
posto un Incantesimo di Localizzazione sulla lettera?” obbiettò Rose.
Dominique fece
appena in tempo a deporre sul tavolo il foglio che questo prese fuoco,
autodistruggendosi.
Le Menadi
sogghignarono compiaciute, compresa quella che aveva rischiato l’ustione di
terzo grado.
“Allora che ne
facciamo di Malfoy?”
Lily proprio non
voleva mollare l’osso.
“Ce ne
occuperemo, cara. Ora dobbiamo rimediare a questo piccolo inconveniente.” e
detto ciò Lucy si alzò dalla panca, rivelando le gambe chilometriche e tanto
magre da farla sembrare un fenicottero.
Lily la seguì a
ruota e mentre si allontanavano verso il cortile esterno, per riorganizzare i
fornimenti di alcolici, Rose le osservò divertita.
Quattro anni e
trenta centimetri di differenza non sembravano squilibrare il rapporto delle
due cugine. Lucy trattava Lily con serietà dovuta ad una donna di affari
navigata, la consultava sempre prima di prendere una qualsiasi decisione,
operavano quasi in simbiosi. Eppure nei suoi gesti e nelle famose “precauzioni”
Rose leggeva sempre una protezione maggiore per Lily, che non per sé.
Era sicura che,
se un giorno le avessero scoperte, Lucy non avrebbe esitato a farsi espellere
pur di non coinvolgere la minore delle cugine.
“Ora posso avere
la tua attenzione?!” il tono vagamente seccato di Dominique ridestò Rose dai
suoi pensieri.
“Certo Dom.
Dimmi tutto.” disse con un sorriso affettuoso sulle labbra, mentre l’altra si
lanciava nella spiegazione del nuovo prodotto di punta delle Menadi, delle
calze che non si rovinavano mai.
***
“Ma dico, avete
visto che apertura alare?! Boh.. due metri? Tre metri? Veramente un animale
pazzesco!” il sussurro concitatissimo di Elena non sembrava intenzionato ad
affievolirsi.
Angie si
massaggiò le tempie con movimenti lenti, intimandosi di non perdere la pazienza
e lasciare che l’amica sfogasse l’entusiasmo, magari si sarebbe stancata di
parlare da sola, visto che erano circa due ore che lo stava facendo.
Magari…
“E poi gli
artigli! Per le mutande di Merlino, avrebbe potuto sventrare un rinoceronte con
quelli! Vero Martha?”
Magari no.
“Certo, tesoro.”
il sussurro appena udibile dell’altra suonò tanto disinteressato e distante,
che solo Elena in piena fissa non avrebbe capito che non aveva minimamente
ascoltato.
Infatti.
“E poi il becco!
Quello se si incazza ti stacca un braccio a morsi!”
Angie sospirò
pesantemente e posò la piuma accanto alla pergamena dove aveva iniziato il
compito di Trasfigurazione per la settimana successiva. Con tutto quel
cicaleccio non poteva far altro che ripassare gli appunti presi durante
l’estate sulle pozioni del programma dei GUFO.
Aprì il libro di
Pozioni avanzate, con il sottofondo del disco rotto che era diventata Elena
dopo la lezione di Cura delle Creature Magiche.
Disgraziatamente
sembrava che gli Ippogrifi avessero sostituito gli Snasi nella classifica degli
animali del terrore di Elena. La Zabini era stata tanto entusiasta di quegli
animali che non appena Hagrid aveva accennato alla possibilità di cavalcarne
uno, la giovane si era quasi lanciata sull’animale.
E dopo la
scarica di adrenalina provata a volare sulle ali di un Ippogrifo, Elena non era
più riuscita a stare zitta. Nemmeno il cartello a lettere cubitali in cui
Madame Pince intimava il silenzio aveva potuto fermare il suo disarmante
entusiasmo.
Aprendo il
voluminoso tomo, i suoi occhi videro una chioma bionda dalla parte
diametralmente opposta della sala studio. Era impossibile non riconoscerla,
visto che inconsciamente i suoi occhi lo cercavano in continuazione, nei visi
degli altri ragazzi, nella camminata di uno, nella risata di un altro…
Derek era in
piedi di fronte a Philip Jordan e a Fred Weasley, teneva le mani dalla pelle
ambrata sullo schienale di una sedia libera e stava bisbigliando qualcosa, che
evidentemente era davvero divertente, perché non riusciva proprio a trattenere
il sorriso e ogni tanto una risata spezzava il suo racconto. Quand’ebbe finito
di raccontare Angie vide i due Grifondoro piegarsi letteralmente su sé stessi e
ridere quanto più sommessamente riuscivano, Fred aveva le lacrime agli occhi e
Jordan aveva passato tutte le sfumature di bordeaux esistenti. Derek si lasciò
sfuggire una risata un po’ più rumorosa che attraversò la stanza e le colpì le
orecchie come se fosse stato un suono lacerante.
La ragazza sentì
un dolore sordo all’altezza dello sterno e si ricordò che ogni tanto doveva
anche respirare. Così inspirò a fondo ed ebbe l’illusione di poter respirare il
suo odore.
Un paio occhi
neri, tanto scuri da sembrare senza fondo, passarono per un istante sulla sua
figura senza riconoscerla davvero, ma dopo una frazione di secondo il giovane ritornò
a fissarla vagamente stupito.
Angelique pregò
che il tempo si congelasse e potesse godere ancora qualche istante di quello
sguardo, che la osservava come a bersi ogni suo dettaglio, che la circondava
come se l’avesse abbracciata.
Ma l’incantesimo
si spezzò. Philip lo richiamò e Derek interruppe il contatto visivo.
Angie abbassò
gli occhi sui suoi appunti di pozioni ed emise un respiro spezzato che venne
attutito dalle continue chiacchiere di Elena. Aveva un nodo alla gola così
stretto che a stento sentiva di riuscire a respirare, il suo cuore batteva ad
un ritmo folle, la tensione era stata così palpabile che sentiva un vago
intorpidimento alle braccia e alle spalle.
Ed Elena non la
smetteva un secondo di parlare!!!
All’ennesimo
apprezzamento rivolto a quei pennuti, che Angie personalmente aveva trovato
orrendi, la bionda fece scivolare la bacchetta fuori dalla manica destra, con
la ferma intenzione di lanciarle un Silencio e liberare tutta quanta la
sala studio dalla sua ingombrante personalità.
Quando notò una
cosa che la bloccò sulla seconda sillaba.
Un ghepardo
argentato la stava spiando da un corridoio secondario del reparto di Storia
della Magia. Seminascosto dall’alto mobile in cui venivano riposti i libri, sembrava
irriderla mentre muoveva ritmicamente la coda. In un secondo tutti i pensieri
che non riguardassero l’Incanto Patronus davanti a lei svanirono dalla sua
mente.
Angie si alzò
lentamente e, quando gli occhi vigili di Martha si levarono interrogativi su di
lei, sussurrò:
“Mi sgranchisco
le gambe.”
La rossa annuì
affranta, con la chiara espressione di una che l’avrebbe seguita più che
volentieri.
Angie camminò in
tutta tranquillità fino a dove il grande felino se ne stava acquattato.
L’animale, non appena lei fu vicina, si alzò con movimento elegante e misurato
e iniziò a camminare per i corridoi più isolati e solitari della biblioteca con
movimenti tanto sinuosi da risultare ipnotici.
Il ghepardo si
fermò all’inizio di un minuscolo reparto, di cui la maggior parte degli
studenti nemmeno conosceva l’esistenza, quello dell’arte culinaria. Appena i
piedi della ragazza varcarono la soglia di quell’angusto ambiente di due metri
per uno, il ghepardo si dissolse nell’aria.
“Ciao Angie.”
disse Lucy rivolgendole un sorriso terribilmente malandrino.
Angie senza
rispondere si voltò e gettò un Muffliato sull’ambiente attorno a loro.
Per quanto
dotati di spiccate influenze Serpeverde, i Grifondoro conservavano la
rumorosità e l’impulsività della loro Casa in ogni circostanza.
“Ciao ragazze.
Accorte come sempre noto.” disse lei addossandosi ad una delle tre pareti che
costituivano la giacenza di Hogwarts in merito alla cucina.
“Oh, ma tu sei
talmente brava con gli incantesimi che sicuramente il tuo è più efficace del
nostro!” ribatté Lily con un sorriso luminoso e un sfarfalleggiare delle
ciglia. Era appollaiata sulla sporgenza della libreria che solitamente serviva
ad appoggiarvi i volumi, l’operazione era facilitata dalla corporatura minuta.
Lucy dall’alto del suo quasi metro e ottanta invece stava in piedi, rigirandosi
tra le mani il porta sigarette.
Angie emise uno
sbuffo accompagnato da un sorriso, la sua personale interpretazione del
ridacchiare.
“Non ho molto
tempo. Di che si tratta?” disse laconica incrociando le braccia sotto il seno.
Lily guardò
Lucy, la quale fece un gesto del capo, così la più piccola parlò:
“Ricordi che la
prima commissione di alcolici dell’anno doveva arrivare domani?!” ad un annuire
secco della bionda l’altra riprese: “Beh, quell’impiccione di Dawlish ha
intercettato tutto e l’ha sequestrato al povero Benji Allucemonco. Tradotto,
siamo senza forniture per la festa di inizio anno.”
“Come ha fatto
quell’idiota a farsi beccare?” sbottò Angie senza riuscire a trattenere il tono
seccato.
“Beh pensiamo
che sia stata colpa di Oswald il Guercio, il quale non ha coperto le spalle a
Darren Demente mentre facevano il passaggio alla Stamberga. Pare che non abbia
visto Dawlish fare la perlustrazione. Però si sono smaterializzati in tempo per
non farsi prendere.” spiegò Lily.
Angelique si
sarebbe sbattuta la mano sulla faccia per la frustrazione. Ovvio che non l’avesse
visto… si chiamava il Guercio!!!
In ultima
analisi il fatto che si appoggiassero ad un gruppo di menomati fisici e mentali
per la consegna delle merci, rendeva già un miracolo il fatto che non le
avessero ancora scoperte.
Ma come diamine
si faceva ad affidarsi a uno che si chiamava Darren Demente?!
“Forse dovreste
pensare a sostituirli con qualcuno che abbia un nome normale.” disse Angie
inarcando un sopracciglio
“Perché?! Sono
così gentili! Aggiungono sempre una bottiglia di Acquaviola alle consegne, come
omaggio!” ribatté Lily, anche se lei quell’Acquaviola non l’aveva mai sfiorata.
Angie avrebbe
voluto ribattere che nemmeno per un tir pieno di Firewisky lei si sarebbe fatta
guardare le spalle da uno che era soprannominato il Guercio. Questo la diceva
lunga sul buonsenso di quei mentecatti.
“Inoltre hanno
in mano tutta la malavita di Hogsmeade. Sono estremamente utili, solo che ogni
tanto si sbagliano.” disse Lucy in tono comprensivo. Anche questo la diceva
lunga sul potenziale intellettivo degli abitanti di Hogsmeade.
“E qui ci servi
tu.” intervenne Lily rivolgendole un sorrisone e uno sguardo adorante.
Angelique le
guardò immediatamente seria.
“Benji manderà
un suo uomo con del materiale stanotte, Il Bruschetta ci porterà due casse al
solito posto nella Foresta e noi gli diamo i soldi al momento.” spiegò Lucy con
gli occhi nocciola scintillanti.
“Il Bruschetta?”
chiese Angelique esterrefatta osservando alternativamente Lily e Lucy.
“Sì, pare che
abbia una bruciatura sulla guancia! Sono proprio curiosa di vederlo.” trillò
con inspiegabile entusiasmo Lily.
“E volete che
venga con voi dal Bruschetta?!” domandò sinceramente divertita.
Lucy scosse il
capo e la guardò con quel sorriso che da solo denunciava una serie di crimini
capitali.
“Ci serve quella cosa.” disse infine con
naturalezza.
Angie si
raddrizzò immediatamente abbandonando la parete di libi e fissò Lucy senza più
la minima ilarità.
“Ve ne avevo
lasciata una dose prima delle vacanze, per le emergenze.” sibilò stringendo gli
occhi.
“L’abbiamo
usata.” esclamò Lily con una scrollata delle spalle.
La verità
inconfessabile alla Serpeverde era che la Pozione Polisucco di emergenza era
stata usata da Lily per introdursi in un locale di Notturn Alley quell’estate,
per partecipare al concerto di un gruppo di vampiri, i Booldy Hell, a cui erano ammessi solo maggiorenni. E Lily come
denotava la sua statura non si avvicinava minimamente all’età richiesta.
“Beh, non so che
dirvi! Dovete aspettare il prossimo ciclo lunare, posso incominciare a
preparala solo dalla settimana prossima.” ribatté seccamente e fece per
voltarsi ma la voce graffiante, leggermente rauca, di Lucy la bloccò.
“Pensavamo ad
un’altra cosa.” attese di avere nuovamente gli occhi di Angie su di sé per
proseguire “La Blackthorn ha delle scorte, lo so per certo.”
Gli occhi di
Angie si spalancarono per lo stupore e le sopracciglia si inarcarono
prontamente, dopo qualche istante proruppe in una risata fragorosa.
“Avete pensato
seriamente che lo avrei fatto?!” chiese interrompendo le risate e guardandole
incredula.
“Sì. Sei
l’Alchimista, questo è il tuo ruolo. Sei pagata per questo.” rispose seria
Lucy.
Angie serrò la
mascella e osservò la Grifondoro freddamente.
“No, non sono pagata
per questo. Sono pagata per fabbricare pozioni, non rubarle alla mia
Direttrice.” ribatté leggermente piccata da quel riferimento monetario.
Lucy abbandonò
immediatamente l’aria da dura, che assumeva nel ruolo di Leda, e sbuffò
sonoramente.
“Avanti Angie,
non possiamo chiederlo a nessun altro! Sei l’unica di cui ci fidiamo a
conoscere il suo studio. Inoltre sai riconoscere al volo la Pozione Polisucco.”
“Chiedetelo a
Dom.” propose alzando le spalle.
Lucy e Lily
inclinarono contemporaneamente la testa verso una spalla e la osservarono
allucinate.
“Già, avete
ragione.” ammise la Serpeverde.
Spontaneamente
iniziò a camminare avanti e indietro per quel ristrettissimo spazio, mentre la
sua mano destra iniziava a pizzicare dolcemente l’epidermide del labbro
inferiore.
Che fare? Intrufolarsi
nello studio della Blackthorn col rischio di essere scoperta? O abbandonare
definitivamente le Menadi?
La seconda era
decisamente da escludersi, le mancavano ancora un mucchio di galeoni per
comprarsi la nuova Winterwind… Però l’ira della Blackthorn era terrificante. Eppure
aveva davvero bisogno del nuovo manico di scopa, e quello era a dir poco
perfetto per lei… Inoltre c’era il Mantello di Al che teneva sempre in fondo al
baule per le emergenze e quella lo era davvero.
“Va bene, lo
farò.” dichiarò voltandosi verso le due ragazze, tuttavia non lasciò loro il
tempo di esultare. Alzò una mano in aria e le fermò: “Voglio un aumento.”
Lucy strinse gli
occhi e la osservò da attraverso la ciocca rossa che ricadeva scomposta sulla
metà destra del viso magro. Portava un taglio cortissimo, quasi da uomo,
leggermente addolcito da quel folto ciuffo lungo fin sotto il mento.
“Sei sempre la
solita! Non potresti fare un po’ meno la Serpeverde per una volta?” protestò
Lily.
“Quanto vuoi?”
chiese lentamente Lucy portando alle labbra la sigaretta e accendendola con un
colpo della bacchetta, completamente incurante della carta centenaria e dei
mobili di legno stagionato che la circondavano.
Quel gesto aveva
appena dato il via alla trattativa vera e propria. Gli occhi verdi di Angelique
si accesero di un scintillio di furbizia e divertimento.
“Voglio settanta
galeoni, per questa volta.” Lily spalancò la bocca e trattenne rumorosamente il
fiato, Lucy aspirò più forte dal filtro. “E da ora in poi per ogni partita di
Polisucco facciamo…Mmm… quaranta galeoni. Il prezzo delle pozioni in commercio
invece resta invariato.”
Lily e Lucy si
guardarono attentamente, sembrò che tra quelle due paia di occhi scuri
avvenisse una complessa discussione.
Dopo alcuni istanti di silenzio Lily allargò le braccia con fare esasperato,
Lucy annuì un paio di volte, Lily a questo punto si grattò il lobo sinistro,
Lucy inarcò un sopracciglio. Poi due sospiri pesanti emessi all’unisono
decretarono la perdita di un mucchio di galeoni.
“Andata.” esalò
infine Lily con tono luttuoso. Poi sembrò illuminarsi di colpo e rivolse ad
Angelique un’occhiata maliziosa: “A proposito, Dursley… Hai intenzione di dare
una lezione a Malfoy o dobbiamo fare tutto da sole?”
I tratti
delicati del viso di Angelique si indurirono in un lampo, l’ilarità che aveva
pervaso i suoi occhi scemò velocemente insieme al sorriso.
“Non sono cose
che vi riguardino.” decretò fermamente.
“Uff… Lo dice in
continuazione anche Rose!” continuò Lily balzando giù la suo trespolo con un
salto.
“Dove ci
incontriamo col malloppo?” chiese Lucy spegnendo la sigaretta in un barattolino
tirato fuori dalla divisa.
“Secondo piano
nella galleria coi gargoyle. Sette e quarantacinque.” decretò Angie.
“Puntuali!”
“Bene. In bocca
al lupo, Alchimista.” disse Lily facendole l’occhiolino. Lucy le sorrise in
quel modo tanto criminale, che la paternità di Percy sarebbe stata veramente
dubbia se non avesse avuto tutti quei capelli rossi, quelle lentiggini e
l’altezza di un atleta di salto in alto.
Angelique annuì
brevemente e lasciò che le due rosse la oltrepassassero. Si morse il labbro
inferiore, con l’intento ferreo di non aggiungere nulla, ma pochi secondi dopo
le sue labbra si mossero da sole.
“Ragazze… Fate
attenzione.” disse senza voltarsi. Ma udì chiaramente il passi delle altre
fermarsi per qualche istante prima di riprendere la marcia.
***
Doveva pensare
intensamente alla Winterwind. Com’è che recitava la didascalia a Diagon Alley?!
Ah sì…
Dal cuore delle
Foreste Africane un manico di ebano pregiatissimo, squisitamente intarsiato a
mano. Sensibile anche al minimo tocco. La coda composta esclusivamente da rami
di pioppo bianco selezionati uno ad uno dai nostri artigiani. Linea elegante e
sottile, per un prodotto assolutamente fuori dal comune. Scopa ufficiale delle
Holy Arpies nel campionato venturo. Dotata di tutti i sistemi anti-malocchio e
scudi protettivi base. Sistema auto-frenante e rimbalzante non di serie. Pezzo
su richiesta.
Fece un profondo
respiro mentre sussurrava l’incantesimo di Invalicabilità nella zona attorno
all’ufficio della Blackthorn. Pensare alla Winterwind la calmava, le pervadeva
l’animo di un piacevole torpore.
Benedetto
Salazard, quanto avrebbe voluto una sigaretta in quel momento! La mano sinistra
nascosta dal mantello nero le tremava visibilmente, ma la destra impugnava
saldamente il ciliegio della bacchetta.
Dominique
accanto a lei emise uno squittio. Angie col cuore in gola si guardò attorno
puntando la bacchetta prima a destra e poi a sinistra, ma senza vedere nulla di
sospetto.
“Che c’è Dom?!”
bisbigliò con il cuore che non smetteva di martellarle in petto.
“Mi si è
smagliata la calza!” quasi singhiozzò l’altra anche lei celata dal cappuccio
nero del mantello.
Angelique si
voltò verso la porta di quercia che sigillava l’ufficio della Blackthorn con un
unico movimento secco.
L’avrebbe
uccisa. Avrebbe commesso un omicidio lento, pieno di dolore e torture, così che
la sua vittima avrebbe implorato che ponesse fine alla sua esistenza.
Prima però si
sarebbe fustigata da sola per essersela portata dietro al posto di Rose; la
quale con ogni probabilità però avrebbe rifiutato la missione insieme ai
venticinque galeoni di paga.
“Alhomora.”
Sussurrò rivolta alla porta.
La serratura
scattò istantaneamente, ma uno strano bagliore blu si irradiò per una frazione
di secondo dalla maniglia. Angelique imprecò violentemente.
“Anche tu
vero?!” mormorò tragicamente Dom, posandole una mano sul braccio e scuotendo la
testa con fare comprensivo. La ragazza pareva immune a tutta l’angoscia che
quella situazione portava con sé.
“No. C’è un
allarme!” ringhiò quasi Angie.
Soppesò per un
istante tutte le possibilità. Non potevano fuggire, la Winterwind altrimenti
sarebbe diventata un miraggio e Lucy e Lily avrebbero avuto seri problemi col
Bruschetta. Ma se l’allarme fosse scattato, come Angie presumeva, sarebbero
accorse decine e decine di persone indesiderate. Non le restava che un'unica,
disperata e folle alternativa.
Fidarsi di
Dominique.
“Dom, ho bisogno di te.” Le disse con tutta la
serietà e la gentilezza che riuscì a imprimere nella propria voce.
La Weasley alzò
le mani perfettamente curate verso il viso e con un gesto rapido fece scivolare
il cappuccio sulle spalle. Tutta l’aria frivola si era volatilizzata in un
secondo dal viso della ragazza, ora nei grandi occhi azzurri si leggevano una
serietà e una determinazione che ricordarono ad Angie la sorella Victoire. Si
sentì immediatamente confortata.
“Non appena io
aprirò la porta, tu devi imperturbarla. Devi essere il più veloce possibile
Dom, altrimenti ci sentiranno fino alle serre.”
Dominique
sfoderò la bacchetta e annuì senza dire una parola.
Il cuore di
Angelique pompava con tanta energia contro la gabbia toracica, che alla ragazza
parve che lo si potesse udire a due metri di distanza. Un lieve strato di
sudore le si stava formando sulla nuca, accaldata a causa dei capelli raccolti
in quel punto, e quando una goccia le scivolò lungo la schiena, un brivido le
percorse gli arti violentemente.
Fece un profondo
respiro e gettò un’ultima occhiata a Dominique per segnalarle che avrebbe
aperto la porta.
Uno…
Angie appoggiò
la mano sulla maniglia di ferro gelido.
Due…
Strinse
lievemente.
Tre!
Con uno strattone
secco spalancò la porta e istantaneamente una sirena dal volume
insopportabilmente alto esplose nei timpani delle due. Angie con uno scatto
fulmineo si introdusse nello studio e chiuse la porta alle proprie spalle.
Il frastuono era
tale che la giovane non riuscì a sentire se Dominique avesse scagliato o meno
il Colloportus. Il martellare
dell’allarme sembrava crescere di intensità di secondo in secondo.
Angie si guardò
attorno disperata cercando la fonte della sirena. Sembrava provenire dall’alto,
da sopra la porta, ma non riusciva a capire che cosa esattamente emettesse quel
suono assordante a causa dell'oscurità della stanza.
“Lumos”
finalmente i contorni della stanza si delinearono sotto la luce della sua
bacchetta, ma dell’allarme nessuna traccia visibile.
Dopo circa
trenta secondi stava per mettersi a urlare pure lei, in preda alla
frustrazione, pensando che in quel preciso istante fuori dallo studio della
Blackthorn di sicuro si stava assiepando una fiumana di gente. Poi lo vide.
Si trattava di
un piccolo gufo nero appoggiato ad uno scaffale attiguo alla porta, che
sfiorava il soffitto. L’animaletto nella quasi oscurità della stanza passava
inosservato, non poteva dirsi altrettanto di quell’assordante suono.
“Finite!”
esclamò Angie rivolgendo la bacchetta al sopramobile. Il gufo continuò
imperterrito il suo ruolo di segnalatore di intrusi.
“Finite
Incantatem!” provò anche con la formula intera ma nessun risultato.
In preda al
panico più assoluto Angelique pensò che l’unico modo per interrompere l’allarme
fosse di far sparire il gufo. Letteralmente.
“Evanesco!” urlò
disperata puntando la bacchetta contro il soprammobile. Un battito di ciglia
dopo il gufo non c’era più e finalmente il silenzio era sceso sulla stanza. Pazzesco,
era riuscita far evanescere qualcosa!
Angie col fiato
corto per la dura prova a cui i suoi nervi erano stati sottoposti si accinse ad
aprire la porta, con la certezza che lì fuori ad aspettarla ci sarebbero stati
Preside, Vicepreside, Blackthorn furiosa , una folla di curiosi e magari anche
James Potter pronto a riderle in faccia.
Invece quando lo
spiraglio si aprì sul corridoio non vide altro che le spalle di Dominique
avvolte dal mantello nero, su cui ricadevano i lunghissimi capelli lisci.
“Fatto Angie?”
sussurrò la giovane senza voltarsi ma continuando a osservare l’ambiente con la
bacchetta spianata davanti a sé.
“No, devi
aiutarmi. Quel maledetto coso non la smetteva più e quindi l’ho fatto sparire.
Dobbiamo sostituirlo.” Bisbigliò Angelique spalancando la porta e lasciando che
l’altra scivolasse all'interno della stanza con un frusciare leggero delle
vesti.
“Ok. Non è che
sia un genio in Trasfigurazione, ma sono meglio di te di sicuro.” Ammise con
una nota di allegria Dominique.
L’altra scrollò
le spalle incurante. Al momento era fin troppo orgogliosa di essere riuscita a
far evanescere completamente un oggetto per curarsi delle frecciatine. E
comunque Dominique aveva ragione. Lei era un schiappa in quella maledetta
materia.
Angelique aggirò
la scrivania portandosi vicina agli armadietti di vetro. Alzò la bacchetta e
illuminò i vari ripiani stipati di centinaia di boccette delle più svariate
forme, dimensioni e colori.
“Che devo fare
esattamente?”
“Devi
trasfigurare un qualsiasi oggetto in un gufo nero altro circa dieci centimetri.”
Mormorò Angie scrutando con attenzione le etichette con cui erano identificate
le pozioni. Stava provando a capire il modo in cui la Blackthorn le aveva
ordinate per prelevare la Pozione Polisucco e fuggire il prima possibile.
“Un gufo… ma che
animale carino.” Trillò l’altra e poi si udirono una serie di respiri affaticati e un tonfo.
“Ma che…?” Angie
si voltò di scatto pronta a schiantare chiunque si fosse eventualmente
introdotto nella stanza, ma non fu necessario.
Dominique sedeva
per terra sul tappetto davanti alla scrivania e con notevoli difficoltà cercava
di togliersi le calze da sotto la gonna.
“Dominique, ti
supplico… Dimmi che cosa stai facendo?” esalò estenuata Angie abbandonando le
braccia lungo i fianchi.
Dominique alzò
gli occhi azzurri sull’altra, sbattendoli ripetutamente con un’aria
sinceramente stupita.
“Mi tolgo le
calze smagliate, mi sembra logico. Solo che temo di aver sbagliato
l’incantesimo stamattina… Sai pensavo di aver applicato bene un incantesimo
Indurente per non farle rovinare, e invece si sono irrigidite tanto che non
riesco a toglierle…” altri ansiti affaticati “Sembra che siano ingessate
attorno alle gambe...”
Angie si coprì
il volto con una mano e coi polpastrelli tirò le palpebre verso l'esterno.
Doveva pensare
alla Winterwind... Era tutto un lungo, doloroso e snervante percorso che
l'avrebbe condotta a quel manico di scopa perfetto.
Avrebbe dovuto
indubbiamente chiedere a Rose, anche a costo di metterla sotto Imperio.
I suoi occhi
verdi corsero rapidamente alle scritte sulle bottigliette, per continuare la
ricerca disperata, e dopo qualche minuto di borbottii a mezza voce, sia da
parte sua che di Dom, comprese il meccanismo con cui la brillante pozionista
aveva archiviato i suoi prodotti.
Aveva diviso nei
tre armadietti le pozioni più semplici, quelle medie e quelle difficili, e poi
ancora suddivise per ordine alfabetico. Ragionando sull’abilità della
Blackthorn, Angie si disse che la Polisucco per lei dovesse rientrare nella
sfera di quelle medie. Così si chinò leggermente e scorse tutti i titoli fino a
giungere alla prescelta: Pozione Polisucco.
Tre bottigliette
panciute erano state disposte in fila una dietro l’altra. Angie prese l’ultima
e si alzò per appoggiarla alla cattedra alle sue spalle. In seguito trasse
dalla tasca interna del mantello una fiaschetta e una boccetta intonsa.
Svitò tutti e
tre i tappi dei contenitori che aveva davanti agli occhi e si accinse a passare
il contenuto di quella della Balckthorn nella propria boccetta pulita, quando i
continui mormorii e gorgoglii di Dominique la indussero a interrompere il
travaso e guardarla.
La Weasley
teneva nel palmo della mano sinistra un gufetto nero e lo stava grattando sotto
il becco con l'indice destro e un espressione intenerita. Ma ciò che fece quasi
frantumare la boccetta di Angie al suolo, era il fatto che il minuscolo animale
si muovesse, sbattendo lievemente le ali e ciondolando appena il capo,
in completa estasi per le carezze ricevute.
"Dominique..."
il suono che uscì dalle sue labbra somigliava molto di più a un imprecazione
che a un nome. "Non un gufo vivo!"
L'altra si voltò
con un'espressione perplessa.
"Oh... Non
avevo capito." esclamò per poi osservare crucciata l'animaletto nel suo
palmo. "E adesso?!"
"Adesso lo
trasformi in una statua." sibilò Angie riprendendo le sue operazioni con i
vari contenitori.
"Ma non
posso ucciderlo!" esclamò indignata l’altra.
"Ti avviso
Dom, se quando ho finito qui non trovo un gufo nero immobile sullo
scaffale, non ti do nemmeno uno zellino." mormorò tranquillamente
Angelique.
Con un gesto
secco passò un liquido melmoso e grigiastro dalla sua fiaschetta alla
bottiglietta della Blackthorn.
Una delle cose
che aveva imparato dal suo mentore, la buonanima di Roxanne Weasley, era che
quando si compiva un misfatto, bisognava cancellare ogni segno del proprio
passaggio. Quindi rubare direttamente la bottiglietta dalle scorte della
Direttrice di Serpeverde sarebbe stata un'azione quanto mai avventata e
stupida. Ergo aveva preso solo il contenuto, sostituendolo con un fac-simile.
Poiché nel caso in cui la professoressa avesse usato quell'ultima bottiglia,
semplicemente la pozione non avrebbe funzionato, cosa che si sarebbe facilmente
potuta imputare a un errore commesso durante la preparazione.
Angie sigillò
attentamente tutti e tre i contenitori, ripose nel mantello i propri e posizionò
la falsa Pozione Polisucco nell'armadietto della Blackthorn.
"Hai
concluso Dom?" chiese rialzandosi.
"Sì."
rispose con tono flebile l'altra e le mostrò il risultato.
Il piccolo
volatile la osservava con occhi spalancati e le ali aperte, completamente e
perfettamente immobile, esattamente come le aveva chiesto.
"Molto
bene, brava! Adesso, diamocela a gambe che abbiamo tre minuti di ritardo."
ribatté laconica Angie e si diresse verso la porta, spalancandola di fretta.
Non si rese
conto quindi dell'occhiolino che la Weasley lanciò al gufetto, trasfigurato
dalle sue calze smagliate, prima di posarlo sullo scaffale.
***
La consegna
venne effettuata senza problemi, visto che il corpo docenti e la stragrande
maggioranza degli allievi era intenta a sfamarsi in quel preciso orario.
Una riluttante
Lily consegnò il sacchetto con i settanta galeoni pattuiti ad Angie, la quale
ringraziò e si dileguò insieme a Dominique alla volta della tavola imbandita
verde e argento. Imboccarono la via delle scale mobili in religioso silenzio.
Sembrava che entrambe stessero recuperando il proprio autocontrollo ferreo dopo
l’episodio del gufo.
Tuttavia
sull’ultima rampa che conduceva alla Sala Grande, Dominique trattenne il fiato
bruscamente e si posò le dita affusolate e laccate di rosso ciliegia sulle
labbra. Gli occhi azzurri erano spalancati e fisavano il vuoto oltre la testa
di Angelique, qualche gradino sotto di lei.
“Mi sono
scordata di avvertire Lily delle calze! Le indossava anche lei.” esalò alla
fine mordendosi il labbro inferiore in preda a un terribile dilemma. Rifarsi
tutte le rampe in salita, cercare le cugine, avvisarle, scendere un’altra volta
e trovare solo gli avanzi della cena o infischiarsene e mangiare un pasto
caldo?
Dominique, da
buona Serpeverde, scolò le spalle non curante e scese gli ultimi gradini con la
grazia naturale di una regina.
Angie attese
prima di seguirla, per non destare sospetti nella maggior parte delle persone
che le vedevano solo come conoscenti e non come colleghe scassinatrici e ladre,
così ebbe modo di osservare la plateale entrata in scena di Dominique Weasley a
gambe nude sotto la gonna a plissé della divisa.
Angelique
incrociò le braccia mentre un sorriso divertito le increspava le labbra. Dom
aveva un talento naturale nell’attrarre tutti gli sguardi su di sé.
Moltissime delle
teste maschili si levarono dai propri piatti per fissarsi estatiche sulla
figura di Dominique. La ragazza rallentò appositamente l’andatura leggermente
ancheggiante per concedere a tutti gli esponenti dell’altro sesso di bearsi
dell’immagine della sua perfetta fisionomia da pronipote di una Veela.
Dom si passò una
mano tra i lunghissimi capelli biondo-argento, portandosi indietro una ciocca e
inducendo anche tutte le altre a danzare in mille riflessi chiari sotto la
calda luce delle torce. Finalmente decise di aver avuto abbastanza attenzioni
per il momento e si sedette nel gruppetto delle sue compagne di dormitorio, tra
cui anche la velenosa cugina di Elena, Sybil la quale rivolse un’occhiata di
fuoco alla Cacciatrice di Serpeverde. Non prima però di aver lanciato un
sorriso luminoso e accattivante a Gordon Pucey, che si rovesciò l’intero
contenuto del suo calice sulla divisa in preda all’entusiasmo.
Angie aveva
constato che una delle tattiche migliori per passare inosservati in ogni
situazione era venir dopo Dominique. Così mentre la Sala si riprendeva dal
silenzio adorante con cui aveva accolto la Weasley, la bionda scivolò
silenziosamente nella Sala Grande e per la prima volta dal giorno precedente
non fu accompagnata da brusii e cenni del capo che la colpivano alle spalle
come tanti piccoli spilli.
Mentre
percorreva tutto il lungo tavolo cercò di ignorare con ogni fibra del proprio
essere il capo biondo di Scorpius accanto a quello di Goyle.
Non voleva
rovinarsi un altro pasto, vista la fame impressionante che le era venuta dopo
la capatina nello studio della Blackthorn. Chissà perché tutte le volte che le
capitava di subire uno shock o una situazione di pericolo, subito dopo aveva un
buco nero al posto dello stomaco?! Era come se il suo corpo si fosse reso conto
di essere ancora integro e in salute e avesse deciso di immagazzinare quanta
più energia per la missione suicida successiva.
"Dove sei
stata?" la domanda di Martha, posta col solito tono gentile e caloroso che
riservava agli amici, ebbe tuttavia l'effetto di una manciata di puntine sulla
panca dove si era appena seduta.
Il cuore le
prese a battere con una velocità impressionante e un vago dolore alle spalle le
segnalarono che il suo corpo era all'estrema tensione sopportabile. Era appena
caduta nella propria trappola. Indossava ancora il mantello con relative
boccette. Aveva le guance arrossate per l'ansia di essere scoperta e il
maledettissimo cuore non accennava a rallentare. Inoltre aveva il Mantello
dell’Invisibilità sotto la divisa.
Drizzò
lentamente il capo e fissando il sopracciglio destro della ragazza disse atona:
"A fare una
passeggiata.". Non riusciva proprio a guardarla fissa in quegli occhi
color cioccolato e mentirle spudoratamente!
Martha le
sorrise come se le avesse appena chiesto di condividere il resto della loro
esistenza insieme e questo ebbe il potere di far sentire Angie ancora più
colpevole
"C'è il
tortino di verdure, il tuo preferito." disse Albus prendendo un vassoio e
porgendoglielo con un sorriso incoraggiante, come a dirle che se l'era proprio
meritato quella sera.
Era una
congiura. Sicuramente.
"Ah e c'è
anche la torta al cioccolato!" trillò Elena da dietro la solita montagna
di cibo che occupava il suo piatto.
Il suo cuore
accelerò ulteriormente i propri battiti mentre la bionda guardava
alternativamente i propri amici in preda all'angoscia.
“E-e ti abbiamo
salvato un po’ di pasta al forno dalle grinfie di Goyle!” esclamò gioioso
Berty, che per la prima volta in due giorni condivideva con loro il pasto.
Angie li fissò
con la bocca spalancata e gli occhi dilatati dalla paura.
Sapevano?!
Possibile che avessero capito tutto? Le Menadi, Scorpius, Derek, la Winterwind,
lo studio della Blackthorn, anche il gufo! Sapevano tutto!!! Altrimenti perché
blandirla col cibo e sorriderle in modo così disarmante?!
Stava per
iniziare un apologia serrata, volta a discolparsi parzialmente dalle sue
inammissibili e colpevoli azioni, quando la rossa riprese:
"Tesoro,
devi mangiare un po'. Con tutto quello che hai subito oggi devi
recuperare." la voce carezzevole e premurosa come quella di una mamma, la
fece voltare con gli occhi ancor più spalancati se possibile verso Martha.
"Subìto?!"
chiese con voce strozzata. Il cuore aveva appena imboccato la via della trachea
per uscirle dal petto.
"Beh,
sì..." il tono della O'Quinn si fece un po' più incerto mentre abbassava
leggermente lo sguardo e la osservata da sotto le lunghe ciglia "Per come
ti ha trattata Scorpius, abbiamo avuto lezione con Hagrid e poi hai dovuto
sorbirti Elena tutto il pomeriggio. Sono cose che proverebbero chiunque!"
"Ehi!"
bofonchiò Elena cercando di non far uscire nessun pezzetto di carne dalla
propria bocca straripante. Tentativo fallito.
Martha le
rivolse un'occhiata a metà tra lo sconsolato e il disperato per quello sfoggio
di buona educazione.
"Oh..."
il sussurro debole di Angie fu appena udibile mentre afferrava il vassoio del
tortino e sentiva il peso opprimente della colpa scivolarle ad altezza caviglie.
Si affrettò a
mangiare le pietanze di quella sera, pur mantenendo sempre una certa
compostezza, sia per non destare sospetti sulle sue attività, sia per dare un
minimo di soddisfazione a Martha, la quale non riceveva mai dalla Zabini.
Riuscì comunque
ad alzarsi per prima e con una scusa dell'ultimo secondo sparì dalla Sala
Grande, per andarsi a fumare quella sigaretta che agognava da tutto il giorno.
Note dell’autrice:
Puntuale,
come il compianto Piton nel togliere punti a Grifondoro e a inveire contro
Potter, ecco il terzo capitolo! Sinceramente mi sono divertita un mondo a
scriverlo, soprattutto per quanto riguarda Le Menadi, quindi Lily e Lucy, le
mie due nuove comparse. Vi piacciono?
So
che questo capitolo è molto Angie-centrico, ma infondo il suo punto di vista è
quello dominante nella storia e in più volevo introdurre adeguatamente Lara e
Leda!
Per
quanto riguarda le adorabili fanciulle che hanno commentato lo scorso capitolo
e che mi hanno chiesto notizie della festa, rispondo che dovranno pazientare
ancora un altro capitolo, oltre a questo, per leggere della sconvolgente
baldoria in cui si lanceranno i giovani.
Quindi
passiamo ai ringraziamenti speciali: _angiu_,
RoseBlack98, Sono_un_unicorno, che ti ringrazio a fare?! Lo sai che ti
adoro, Cinthia988, Fleur_Da, non
devi più scrivermi recensioni così appassionate, il mio ego rischia di
scoppiare per auto-compiacimento! ;) , Roxy_HP,
Ayumi Edogawa, sei incrollabile quanto la pazienza di Rose nella tua
costanza verso le mie storie! e Dra.
Come
sempre un doverosissimo GRAZIE a
tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate o
che semplicemente hanno letto.
E…Bambolina, grazie per l’angolino
scrittura!
A
presto.
Tanti
tanti tanti baci a tutti!
Bluelectra.
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Capitolo 4 *** Cap.4 Spettri nel Notturno ***
Cap.4 Spettri nel Notturno
Cap.4 Spettri nel Notturno
Come fuor della tenebra che abbuia
alza il volo un’argentea colomba
e nella luce oriental, sovr’ali
mosse solo al candido piacere
rapida scocca: tal nei regni eccelsi,
luoghi di pace e sempiterno amore
l’anima tua fuggì,
[…]
Perché in noi c’è un affanno che
menoma la gioia?
John
Keats
James piaceva camminare. In particolare gli piaceva molto farlo mentre la sua
testa si arrovellava su quesiti inestricabili. Nel meccanico ripetersi della
camminata trovava grande conforto rispetto alla confusione che si agitava in
lui. Era come se lasciando andare le gambe a movimenti automatici avesse potuto
anche riprendere un minimo il controllo della sua psiche.
E infatti la maggior
parte delle volte funzionava.
A volte fuggire dalla
Torre dei Coraggiosi di Cuore diventava indispensabile. La sua meravigliosa
famiglia sapeva diventare una presenza opprimente, i suoi fidati amici a volte
si riducevano ad un degrado umano che lo lasciava stupefatto. Quella sera, per
esempio, Derek aveva dovuto assistere alla prima riunione annuale del Corte di
Celia. Non che le dirette interessate sapessero di tale denominazione, era solo
il modo che tempo prima Angelique aveva inventato per chiamare tutta quella marmaglia di
satelliti attorno al Sole splendente della Danes.
A James invece non
piaceva per niente Celia Danes. Non perché avesse molto più a cuore la
settimana della moda di Parigi che gli esami MAGO. No, James professava la
libera superficialità e quindi nella sua ottica ognuno era completamente libero
di scegliere il proprio grado di disinteresse per la cultura e l’istruzione.
Ciò che veramente James non aveva mai sopportato di Celia era il modo in cui
trattava le sue dame e in generale chiunque non rientrasse nella sua sfera di
interesse, per ragioni politiche, economiche o di prestigio.
Suo padre gli aveva
detto infinite volte “Se vuoi sapere com'è un uomo, guarda bene come tratta i
suoi inferiori, non i suoi pari” e anche lo zio Sirius lo aveva ripetuto in più
occasioni dalla cornice del quadro nella Sala della Memoria.
E James da ignaro
undicenne si era limitato ad osservare come lei inzuppasse di veleno e sarcasmo
le sue parole quando si rivolgeva alle compagne di dormitorio, che in poco
tempo erano diventate le sue subordinate. A come gli occhi scuri della ragazza
scintillassero di malizia quando vedeva passare lui o un membro della sua
famiglia, e cercasse in ogni modo di avvicinarsi e introdursi nella cerchia.
Ed era stata proprio
quell’indole traditrice, ipocrita in modo strisciante, servizievole e
impeccabile con chiunque rappresentasse una fonte di interesse per i giochi di
potere, ma crudele e maligna con coloro che erano solo dei sottoposti per lei,
che nel corso degli anni, rivelandosi appieno, lo aveva indotto a disprezzarla.
Una Regina di Cuori,
bellissima, dai tratti magnetici e la pelle serica, che mutilava ogni relazione
paritaria, ogni sodalizio sincero, per ottenere una sudditanza cieca e
obbediente.
La Regina dei
Grifondoro nella sua mente era sempre stata contrapposta ad un’altra
personalità. Una gelida e impenetrabile Principessa, istrionica e caparbia con
qualunque sconosciuto, ma così sincera e generosa con i pochi eletti che
avevano accesso al suo cuore…
Una vaga melodia in
lontananza lo distrasse dai suoi pensieri. Non si era nemmeno reso conto di
aver raggiunto l’ala Sud, quella dove risiedevano le aule dell’Accademia Orfeo.
Qualcuno era restato
fino a tardi per studiare.
James socchiuse gli
occhi mentre tendeva l’orecchio per distinguere meglio i suoni attutiti dagli
imponenti muri di pietra.
Mosso dalla curiosità
si avvicinò di soppiatto alle cinque porte
che ospitavano gli strumenti musicali su cui i giovani di Hogwarts si
esercitavano e si perfezionavano nell’arte musicale. Mentre i suoi piedi si
posavano silenziosi sulle pietre del pavimento, la melodia si fece più nitida
ed ebbe modo di distinguere chiaramente il pianoforte.
Raggiunta la seconda
porta capì che chi stava suonando era proprio lì dentro.
Era un brano insolito,
la prima cosa a cui pensò il giovane Potter, dopo alcuni minuti, era che
trasudava instabilità. La causa era
il un continuo alternarsi di momenti di note suonate con minuziosa calma e cura,
come a farne gustare ciascuna, e cascate di battute frenetiche, caratterizzate
da scale velocissime e accordi suonati con veemenza. Il passaggio dalla dolce
nostalgia, eseguita con delicatezza, alla frizzante energia quasi violenta,
scuoteva nel profondo. Il succedersi metodico di continue contrapposizioni
tonali e tecniche coinvolgeva in modo strabiliante.
James senza nemmeno
rendersene conto aveva chiuso gli occhi e si era appoggiato alla parete accanto
allo stipite della porta. Si stava beando letteralmente di quelle note,
l’abilità con cui erano suonate non sfuggiva nemmeno a lui, che non si poteva
certo definire un esperto di musica classica.
Gli sembrava di
galleggiare nelle note di una delle parti lente e nostalgiche quando il ritmo
cambiò ancora in modo completamente imprevisto, ma dopo solo un paio di battute
ci fu una frattura. Un accordo completamente stonato col resto e la musica si
interruppe.
Seguì un solo secondo
di silenzio e poi un’imprecazione esplose con rabbia e fastidio:
“Mais putain!!!”
James spalancò gli
occhi all’istante.
Ci fu un suono di note casuali,
emanate con violenza tale la lasciar supporre che si fosse trattato di un colpo
inferto alla tastiera per rabbia o ripicca.
“Pathétique de mes bottes! Je vais
me montrer!” (Patetica dei miei
stivali! Te la faccio vedere io!) urlò ancora la voce all’interno e James non
ebbe più dubbi su chi vi fosse all’interno. Chi inavvertitamente aveva suonato
per lui…
Eccola lì, celata dalla
porta di legno massiccio, la Principessa di Ghiaccio, spogliata delle due
difese e abbandonata alla musica tanto da dimenticare la sua impeccabile buona
educazione e la naturale inclinazione a non lasciar trasparire niente di sé.
Tanto da imprecare senza accennare ad essersene accorta.
Un sorriso increspò le
labbra di James al pensiero dell’espressione che doveva avere in quel momento
Angelique: la fronte corrugata e le labbra strette nel tentativo di produrre
un’espressione minacciosa, col solo risultato di risultare buffa, a causa
comportamento infantile che la coglieva quando era contrariata.
Avrebbe voluto
spalancare la porta e andare a farle il solletico, per farla sorridere e
ridere. Per sentirla contorcersi sotto le sue mani mentre dalle sue labbra
scaturiva quel suono argentino e spensierato.
Oh, quanto gli piaceva
sentirla ridere. E come sarebbe stato gratificante sentire quel suono e sapere
che lei stava ridendo con lui, non di lui.
Trasformare poi quelle
risate in un silenzio e darle un bacio, un altro e un altro ancora. Far vagare
le mani nei riccioli color del grano, accarezzarle ogni centimetro di pelle
mentre lei si sarebbe contorta ancora sotto di lui, ma per altri motivi. Più
dolci, più intensi e più brucianti.
Ma non era ancora il
momento.
Con una lieve spinta si
allontanò dalla parete su cui aveva trovato riposo in quel breve intermezzo
notturno di musica. Angelique all’interno della stanza aveva ripreso da capo il
brano e così James su quelle note instabili si dileguò nel buio della notte.
Non era ancora il
momento.
***
“Ti
dico che non si tolgono!"
"Questo non è possibile. Come le hai messe le
togli, no?"
"Per le mutande bucate di Merlino! Mi
piacerebbe farti provare!" il tono di Lily Luna Potter sfiorava l'isteria.
Lucy con un paio di falcate si avvicinò alla più
piccola e provò anche a lei a sfilare le calze dalle sue gambe, ma quelle
restavano adese alla pelle come se si fossero incollate.
"Riesci a muovere le gambe?" chiese
osservando la situazione che le si presentava davanti con gli occhi socchiusi.
Lily era stesa per terra, senza scarpe e senza gonna, con un maglione
letteralmente gigantesco e le gote arrossate per i molteplici tentativi di
disfarsi di quell'indumento scomodo.
"Sì."
"C'è un problema col tessuto. è come se le
calze non volessero essere tolte. Si irrigidiscono solo quando le tocchi per
levarle." ribattè con aria meditabonda e dopo si accucciò davanti alla
cugina sfoderando la bacchetta.
Lily non si ritrasse davanti a quel gesto ma si
irrigidì impercettibilmente. Lucy posò la punta del legno sul collo del piede e
mormorò:
"Diffindo." fece scorrere lievemente la
bacchetta lungo tutta gamba fino ai fianchi e al suo passaggio il tessuto si
lacerava con un taglio netto. Ripetè l'operazione anche dall'altra parte e
finalmente Lily fu libera.
"Grazie." disse con un sospiro liberatorio
la più piccola e si accinse a infilarsi un paio di calzoni di fustagno in cui ci sarebbero state almeno altre
quattro Lily. "Chi siamo questa volta?" chiese allegramente mentre
cercava di non cadere, infagottata in quegli indumenti sovrabbondanti.
"Due tizi poco raccomandabili, come al
solito." ribattè Lucy stappando la fiala di vetro che le aveva portato
Angelique.
Versò metà del contenuto in un bicchiere e vi lasciò
cadere dentro alcuni capelli scuri.
"Il tuo tonico per i nervi, cara." disse
sbattendo le ciglia e tendendo il bicchiere a Lily, la quale sogghignò
apertamente e prese il bicchiere tra le dita.
"Mi chiedevo oggi... Ma secondo te tutta la
Pozione Polisucco che mi sono bevuta in questi anni, mi ha bloccato la
crescita?" chiese dopo qualche attimo fissando intensamente il liquido
diventato color fango con la fronte aggrottata.
"Non saprei proprio. Dovremmo chiedere
all'Alchimista." rispose scrollando lievemente le spalle e aggiungendo
alla propria dose una peluria biondo cenere che fece diventare la pozione color
verde marcio. "Che faccia schifo non ci piove..." mormorò poco dopo.
"Agli affari Leda!" disse Lily portando in
alto il bicchiere.
"Agli affari Lara!" rispose Lucy e mimò il
gesto.
Qualche minuto e tonnellata di muscoli dopo, due
uomini nerboruti uscivano a fatica dallo stretto passaggio sotto il Platano
Picchiatore e si avviavano verso la Foresta Proibita sotto la luce dei raggi
lunari. Il più basso e tozzo stringeva tra le labbra una sigaretta e aspirava
assiduamente dal filtro, l'altro più alto e moro si portava di frequente una
mano vicino al cavallo dei calzoni.
"Merda! Non riesco mai ad abituarmi a sto coso
nelle mutande." sbottò Lily dandosi ancora una sistematina.
"Mmm... Sai, se lo metti nel verso giusto,
diventa quasi piacevole..." fece per rispondere Lucy con voce
insolitamente gutturale, ma si interruppe da sola spalancando gli occhi. I due
omoni si guardarono per qualche istante e poi scoppiarono a ridere insieme, con
due timbri che avrebbero fatto tremare anche i sotterranei del castello.
"Ma qui c'è gente che fa baldoria e non siamo
stati invitati..." una voce roca e profonda si fece largo nell'oscurità e
raggiunse le due sotto mentite spoglie, inducendole al silenzio immediatamente.
Lucy con un incantesimo non verbale fece luce
davanti a sé e illuminò i contorni di due figure appoggiate ai tronchi secolari
della foresta.
Uno, facilmente identificabile col Bruschetta, era secco
fino a sembrare rachitico. Era alto all'incirca un metro e settanta, con un
volto molto simile a quello di un furetto, in cui spiccavano due occhi azzurri
stralunati. Il suo volto recava la cicatrice per cui gli avevano dato
quell'inclemente soprannome: sulla guancia sinistra si estendeva, dallo zigomo
fino alla mascella per metà volto, il segno di un'ustione.
L'altro invece era un volto sconosciuto alle due
giovani ed era anche quello che aveva parlato. Era un uomo alto, dalle spalle
larghe e le braccia muscolose avvolte in una camicia di lino candida,
rabboccata fino ai gomiti. L'incarnato del viso, del collo e degli avambracci
era brunito, come quello degli zingari, che vagabondando per il mondo accolgono
i raggi del sole sulla propria pelle.
Aveva una mascella marcata e labbra carnose piegate in un ghigno, gli zigomi
erano alti e incorniciavano un naso irregolare sul setto nasale, come se fosse
stato rotto e non aggiustato bene. E poi gli occhi.
Aveva gli incredibili occhi di un gatto, dorati con
pagliuzze marroni all'interno. Sembravano una colata di oro fuso su quel volto
scuro e dai tratti forti, brillavano nel buio come dotati di luce propria. Lucy
pensò che sarebbe stata ore ad osservare come quelle iridi rilucevano sotto il
chiarore della luna. Non aveva mai visto nulla del genere.
L'uomo sorrise rivelando denti candidi e perfettamente
allineati. Fece un lieve inchino nella direzione dei due uomini appena
arrivati.
"Sono Benjamin Richardson, o Benji Allucemonco
in affari." Lucy sentì un fremito percorrerle le gambe come se quella voce
baritonale fosse riuscita a farla vibrare. Era un uomo decisamente sensuale.
Lily le diede una poderosa gomitata nelle costole
per rompere il silenzio. Doveva imparare ancora a calibrare il suo nuovo
fisico.
Dopo un breve gemito e un'imprecazione Lucy si
schiarì la voce.
"Lieti di conoscerla. Dove sono le casse con
l'alcool?" chiese e le parve che la sua voce fosse terribilmente
sgraziata, simile a un ringhio canino.
"Sono al sicuro. Sarebbe opportuno, signori,
che vi presentaste anche voi."
Nessuno di quelli che avevano fatto le consegne
prima di lui aveva mai chiesto un nome, così Lucy iniziò a pensare febbrilmente
a qualcosa di credibile.
"Arthur Evans." sbottò Lily con
sorprendente lucidità e prontezza di spirito.
Lucy avrebbe sorriso del fatto che avesse scelto i
nomi dei nonni, se non fosse stata impegnata a pensare a un nome decente, un
nome ad effetto che lo lasciasse stupito.
Altra gomitata da parte di Lara. Iniziava a
prenderci un po' troppo la mano con quel fatto del gomito piantato nel suo
costato.
"Clark Kent." grugnì infine. Solo dopo
qualche istante si rese conto di aver scelto il nome di Superman e pregò
intensamente che Allucemonco non fosse babbano di nascita.
Benji sorrise ancor di più, mettendo in risalto il
candore dei suoi denti sulla pelle olivastra, e chinò il capo in gesto
elegante. Lucy notò che portava al lobo destro un cerchio d'oro piccolo e
sottile, proprio come un pirata.
"Sono venuto a scusarmi di persona per
l'incidente di ieri notte, pensando di trovare Lara e Leda..."
"Non vengono mai di persona." grugnì Lily
interrompendolo.
“Capisco… Sono molto caute, ragazze intelligenti.”
nel tono di Benji si riuscivano a distinguere chiaramente sia ammirazione sia
divertimento. Che le trovasse buffe? Loro erano un’organizzazione seria, per
Godric! Mica delle ragazzine che compravano il Firewisky per ubriacarsi ai
pigiama party! Gestivano degli affari da centinaia di galeoni… Non poteva
trovarle buffe!
“Riferiremo le scuse. Dove sono le casse col Firewisky?”
domandò ancora Lucy con tono indurito dalle proprie riflessioni e fece un passo
avanti.
Benji fece un movimento pigro con la bacchetta e da
dietro il tronco a cui era appoggiato si levarono in volo due casse di legno
sigillate e piene di alcool. Sembrava vagamente contrariato da tutta quella
fretta, ma non disse nulla, nemmeno quando sia Lily sia Lucy le aprirono e
controllarono che i prodotti fossero a posto.
“Bene. Ecco i trecento galeoni.” disse Lucy e gli
lanciò un sacchetto di velluto nero stracolmo di monete tintinnati. Lily guardò
con profondo dolore tutti quei soldi venir portati via dalle sue tasche, come
una madre avrebbe fatto col figlioletto strappato alle sue braccia.
Benji lo afferrò al volo con la mano alzata sopra la
testa, tuttavia lo rilanciò al mittente, sfoderando nuovamente il suo sorriso
letalmente sensuale e rivolgendosi a Lucy:
“Questa volta offriamo noi, per rimediare agli
errori dei miei uomini. Ma la prossima volta gradirei davvero fare la
conoscenza di Lara e Leda. Potreste riferire cortesemente?”
Lucy lo fissò imbambolata per qualche secondo e poi
grugnì un assenso secco, prima di voltarsi e fuggire nella notte, lontano da
quelle corde vocali in grado di destabilizzarla.
***
Angie chiuse il coperchio nero e lucido della tastiera
con cura. Appoggiò i gomiti sopra di esso e si passò una mano sulla nuca
dolente, massaggiandola.
Dopo sette anni di studio non aveva ancora imparato
a tenere la testa dritta. Sua madre scherzosamente le diceva che ogni volta che
suonava sembrava un torno che dovesse caricare un torero.
Il pensiero di casa, degli abbracci di sua madre,
della goffaggine di suo padre, della risata di sua sorella e del calore di
quell’edificio sorto all’ombra di un enorme tiglio, le strappò un sospiro.
Si chiese che cosa avessero fatto loro tre mentre
lei aspettava nel chiostro, infreddolita dalla brezza notturna, un ragazzo che
non era arrivato. Chissà quale meraviglia di origine bretone aveva messo in
tavola sua madre quel martedì, perché di solito in quel giorno riusciva a tornare
a casa un po’ prima e cucinava le prelibatezze della terra natia.
Magari aveva preparato montagne di galette farcite in ogni modo possibile,
oppure il kig ha farz da cui Estelle
avrebbe scartato metodicamente tutte le carote perché non le piaceva il colore.
Oppure avrebbe cucinato un enorme pentolone di cozze, da cui attingere i
bivalvi imbevuti di un sugo meraviglioso.
Angelique fissò lo sguardo sulle alte finestre
gotiche da cui filtravano i raggi lunari. La luce algida si posava sul
pavimento antico, circoscrivendo un rettangolo che da solo illuminava
fiocamente la stanza.
Avrebbe desiderato essere a casa, stare con la sua
famiglia per qualche ora, anche con quel seccatore di Tristan, che tutto
sommato non era male se preso a piccole dosi. Ovviamente senza Potter nei
paraggi.
Avrebbe voluto sentire il calore delle braccia di
sua madre e annusare un po’ quel profumo semplice, che sapeva di pulito, per
lavare via la delusione cocente che le serpeggiava nel petto e batteva contro
lo sterno in modo martellante.
Lo aveva aspettato e lui non era venuto. Aveva
promesso e non aveva mantenuto la parola data.
Ma ciò che bruciava davvero nel suo cuore, non era
tanto il fatto che lo avesse atteso inutilmente per un’ora e mezza, immobile
sul cornicione di una finestra, sotto lo sguardo di gelide stelle, troppo
lontane per provare compassione.
No, ciò che veramente l’aveva fatta capitolare era
stata la consapevolezza di aver pensato seriamente di poter sopportare una
relazione del genere, di essere abbastanza priva di scrupoli per attenersi al
ruolo di amante notturna. Il suo giocattolo conservato all’ombra dei grandi
pilastri di pietra, la confidente della sera, celata dalle ombre che coprivano
ogni genere di vergogna. L’innominabile passatempo delle sue vuote ore, lontano
da lei.
Era perfettamente consapevole che il tempo in cui il
suo sedere si era gelato contro la pietra fredda, Derek lo aveva passato
ascoltando le vuote ciance di Celia, baciato le sue labbra, accarezzato i suoi
capelli bruni e lisci, guardato con amore
le sue espressioni buffe… Sempre che ne avesse, cosa di cui dubitava.
E lei tutto quello non lo avrebbe mai avuto. A lei
sarebbero stati sempre preclusi gli attimi di complicità vissuti alla luce del
sole, sotto gli occhi di tutti. La spontaneità di poterlo prendere per mano, di
fare colazione insieme, di mettergli dietro un orecchio una ciocca di oro
zecchino ribelle, sarebbero state cose all’infuori del loro mondo.
Il mondo delle ombre della sera, che prendeva vita
non appena il sole calava e gli altri andavano a riposarsi.
Poteva davvero farlo?
Il secondo sospiro, rotto e molto più aspro del
primo, irruppe dalle sue labbra violentemente.
Tutto nella sua testa urlava di no, di allontanarsi
da quel gioco pericoloso, che rischiava solo di bruciarla ancora… Eppure ogni
volta che lui compariva per brevi attimi, affacciandosi nella sua vita con
quella grazia e disinvoltura che gli erano proprie, ogni tormento veniva
lenito, ogni dubbio cancellato dalle sue labbra sulle sue. Labbra che si
posavano regolarmente anche sull’altra…
Com’erano arrivati a
quel punto?!
Si alzò lentamente dalla panca foderata di pelle
nera e uscì dalla stanza, mentre la sua mente ripercorreva quel primo incontro
la primavera passata.
Angelique aveva trovato quel chiostro qualche
settimana prima. Non che fosse niente di speciale! Ce n’erano almeno un’altra
cinquantina nel castello di simili, ma quello era diventato speciale per lei
perché era particolarmente isolato. A parte qualche fantasma, che passava
veloce in una leggiadra nuvola d’argento, nessuno sembrava conoscere
l’ubicazione del piccolo chiostro.
Lei si era rifugiata lì una sera in cui le sue
compagne di dormitorio avevano litigato un’altra volta, per il nuovo gattino
della O’Quinn. Elena aveva osato mettere in dubbio la bellezza un po’ particolare dell’animale e Martha era
letteralmente scoppiata. Dopo dieci minuti di recriminazioni vicendevoli Angie
se l’era data a gambe, iniziando a girovagare per il castello senza meta.
Quando si era ritrovata in quel piccolo spazio, aveva avuto la vaga sensazione
di averlo già visto, ma il ricordo era sfuocato e nebuloso come una sensazione
antica, rimossa dal succedersi degli eventi. Solo molto più avanti aveva compreso
di aver ritrovato il chiostro in cui si era nascosta dopo che James l’aveva
baciata al primo anno, quel giorno surreale di cui conservava pochi ricordi
chiari, tra cui il dolore lancinante al braccio e la sensazione di quel primo
bacio.
Così aveva iniziato a fuggire lì quando voleva
leggere in pace, quando voleva passare qualche minuto di solitudine, quando
semplicemente voleva pensare da sola senza la costante presenza di qualcuno dei
suoi amici o del suo ragazzo.
E lì una sera Derek era sbucato per caso dal
corridoio correndo come un forsennato. Ed esattamente come la prima volta che
lo aveva conosciuto, o meglio che lui si era abbattuto sulla colazione che lei
aveva preparato per le amiche, stava scappando da James Potter.
Inizialmente lo aveva guardato allibita, poi lui si
era fermato e le aveva fatto un inchino con un sorriso sghembo sul viso. Quel
gesto anacronistico fatto con la premura di un vero cavaliere l’aveva veramente
spiazzata e l’aveva indotta a sorridere a sua volta, vagamente sbigottita.
Lui si era seduto a ridosso della finestra accanto
alla sua per riprendere fiato e avevano iniziato a parlare di banalità come il
tempo, la scuola, i compagni...
Così era iniziato tutto, parlando.
Forse per il fatto che con un estraneo è sempre
molto più semplice discutere di ciò che si sente veramente, senza rischiare di
ferire i suoi sentimenti perché non è immischiato nella propria vita, o forse
perché aveva un sorriso irresistibile, Angelique aveva scoperto che con lui
poteva parlare con una facilità sorprendente, con una naturalezza che non aveva
mai conosciuto, e per lui sembrava lo stesso.
Si erano ritrovati sempre più spesso in quel
chiostro a condividere qualche momento serale, finché i minuti non erano
diventati ore, e le chiacchiere futili confessioni vere e proprie.
Angelique gli aveva parlato di come gli equilibri
del suo mondo ad Hogwarts erano stati completamente ribaltati al suo terzo
anno, della solitudine che l’aveva colpita quando Roxanne se n’era andata, di
quanto avesse sentito la sua mancanza, della presenza invadente di suo
fratello, della nostalgia primi tempi e di come avesse reagito a tutto quello.
Ovvero diventando più dura, più inflessibile, più impenetrabile ancora per
proteggersi.
Derek aveva ascoltato in modo paziente e aveva
consigliato, con una saggezza che lei non gli avrebbe mai attribuito conoscendo
le sue frequentazione. Era stato riservato all’inizio, esattamente come lei, ma
quando lei aveva raccontato tanto spontaneamente di sé, anche lui aveva ceduto.
Solo allora Angelique aveva connesso e compreso
molte cose che le erano sempre sfuggite di Derek.
Il suo vero nome era Maximilian Derek Schatten, ma
lui preferiva il secondo nome perché era così che lo chiamava sua madre. Era l’ultimo
discendente maschio di un’antica casata tedesca quasi decaduta, che suo padre
con duro lavoro aveva riportato al prestigio e al fasto sociale. Era stato educato
rigidamente da un padre padrone, che aveva la spiacevole abitudine di
schiacciare le personalità altrui per imporre il proprio volere. Abbandonato
dalla madre quando aveva tre anni, aveva trovato un po’ di riparo nella
matrigna, una donna dall’indole dolce completamente soggiogata dal carattere di
Kurt Schatten.
Ricordava la sua infanzia come un succedersi di
punizioni e insegnamenti impartiti all’ombra del timore. Ma dopo era arrivata
Hogwarts, che era stata la sua liberazione e la sua croce, perché anche da
lontano suo padre aveva scelto per lui chi avrebbe dovuto frequentare e chi
evitare.
Così, con un lieve rossore sulle gote dall’incarnato
dorato, le aveva rivelato che suo padre gli aveva imposto di avvicinare James e
che quella che era nata solo come una relazione d’interesse, si era rivelata la
miglior cosa che gli potesse capitare, perché James era stato un vero amico con
lui. Poi al secondo anno era comparsa Celia e anche in quel frangente suo padre
si era intromesso. Gli aveva ordinato di
non lasciarsi sfuggire quella ragazza di ottima famiglia ed educazione, non ché
posizione sociale.
Questo era quindi Derek, un ragazzo incastrato in
relazioni indesiderate ma da cui cercava di trarre il meglio e un sorriso.
E lei si era innamorata.
La cotta del primo anno, che lo aveva visto
protagonista dei suoi sogni ad occhi aperti, non aveva nulla a che vedere con
quello che si era resa conto di provare per lui. Il fatto che fossero entrambi
fidanzati non aveva potuto nulla contro quell’inarrestabile fiume di emozioni.
Angelique si era ritrovata ad amare contemporaneamente due persone in modo
completamente differente, rendendosi conto che i suoi sentimenti per Scorpius
erano scivolati verso qualcosa di più radicato, più mite e consolidato,
qualcosa che si avvicinava a quello che provava per Albus. Mentre Derek aveva iniziato
a suscitarle emozioni sopite o mai provate, desideri contrastanti che le
infiammavano la testa di notte. Ne era attratta come non le era mai successo
prima con nessuno.
Da lì al primo bacio non c’era voluto molto. Non
ricordava se fosse stata lei a baciarlo o viceversa, ma quel momento era stato
liberatorio, disperato e intenso. Era stato uno degli ultimi giorni di maggio.
Subito dopo si erano scusati entrambi e avevano
deciso di non vedersi più, troppo coinvolti per riuscirsi a salutare con
indifferenza. Poi c’era stato il terribile momento della verità…
“Angie? Sei tu?” il bisbiglio assonnato di Martha la
fece sobbalzare leggermente. Era arrivata in camera e aveva cercato di essere
il più silenziosa possibile, per non svegliare le due che dormivano.
“Sì, scusami. Continua a dormire.” mormorò spegnendo
la candela accanto al suo comodino di ebano e per qualche attimo la stanza fu
illuminata solo dai bagliori del Lago che provenivano dall’oblò.
Sentì un frusciare di tessuti, il miagolio
contrariato di un gatto che veniva svegliato e nell’oscurità vide la figura
alta e flessuosa di Martha infilarsi la vestaglia e accendere la propria
candela. Comparvero nel tremolio della fiamma una capigliatura di disordinati
ricci ramati e un corpo fasciato da una lunga tunica verde smeraldo di seta,
allacciata in vita.
Era impressionante come anche appena uscita dal
letto riuscisse ad essere così… Signorile. Le tracce dell’antica nobiltà degli
O’Quinn erano innegabili in quell’ultima rappresentante della famiglia.
Sorrise debolmente mentre l’amica si avvicinava.
Ricordare era terribilmente stancante, soprattutto se si aveva alle spalle un
primo giorno di scuola, un umiliazione pubblica, un furto con scasso e allarme,
un appuntamento mancato e un passaggio nella Patetica di Beethoven che non si
riusciva a risolvere.
Terribilmente stancante.
Martha non si mise accanto a lei come si sarebbe
aspettata ma si inginocchiò ai piedi del letto. Quando si rialzò teneva tra le
mani una cofanetto molto voluminoso di legno scuro e la sua espressione era
estremamente triste.
Angie la guardò incuriosita mentre si avvicinava
nuovamente e si lasciava cadere, con estrema grazia e delicatezza, sul suo
copriletto posandole sulle gambe l’oggetto del mistero.
La bionda guardò il coperchio di quel bauletto ed
ebbe un tuffo al cuore.
Sulla sommità del parallelepipedo era impresso il
blasone della famiglia Malfoy in argento sbalzato, una squisita manifattura dei
folletti, recante anche il motto del nobile casato “Sanctimonia vicit semper.”*
Aprì, con un tremolio visibile delle dita, quel
pesante coperchio, prevedendo già che cosa vi avrebbe trovato dentro, e la
prima cosa che i suoi occhi incontrarono fu una sciarpa di morbida lana azzurra
recante tre lettere ricamate in blu: S.H.M.
Angie chiuse di scatto la scatola e gli occhi, per
ricacciare indietro le lacrime.
Scorpius Hiperyon Malfoy le aveva appena restituito
tutti i regali che lei gli aveva fatto da quando si conoscevano. Persino quel
primo regalo di Natale, quando non erano altro che amici… Ed era tutta colpa
sua.
“La purezza vince sempre, Martha. Mentre le bugie ci
trascinano nel fango.” mormorò con un filo di voce riaprendo gli occhi e
sentendoli ancora umidi.
Martha le posò un bacio sulla tempia e le trasse con
una mano il capo vicino al proprio. Con un braccio le cinse le vita e con la
mano dell’altro accarezzo lentamente i ricci. Esattamente come avrebbe fatto
sua madre.
E quel gesto fece rispuntare le lacrime che aveva trattenuto
precedentemente, ma questa volta le lasciò fluire silenziosamente sulle guance.
***
Benji Alluncemonco si riteneva un uomo d’affari.
Di certo non quello che la sua famiglia avrebbe
definito “rispettabile” uomo d’affari, ma in fondo aveva smesso di curarsi della
loro opinione quando a diciassette anni era fuggito da Hogwarts per
intraprendere la sua prima avventura. Si era imbarcato su una nave di stregoni
che recuperavano tesori smarriti nei fondali oceanici e nei mari di tutto il
mondo.
Dopo dieci anni circa di vagabondaggi e peripezie in
ogni continente, al seguito di svariate organizzazioni legali e non, aveva
accumulato sufficiente denaro per aprire un’attività propria.
Aveva svolto accurate indagini su quale strada
percorrere e dove stabilirsi, e per una serie di calcoli strategici in ultima
analisi il luogo migliore era risultato Hogsmeade. Era un villaggio di soli
maghi, vicinissimo ad Hogwarts e mancava di quello che lui poteva offrire.
Ovvero il contrabbando.
Nessuno aveva ancora trovato il modo di smerciare
nella scuola tutti i prodotti di cui gli adolescenti sapevano fare un uso
spropositato, quindi alcool, sigarette e magari qualche canna!
Per prima cosa dunque avrebbe dovuto ottenere il
controllo sulle attività della malavita del villaggio e solo poi si sarebbe
potuto avvicinare a qualche studente selezionato, per aprire la propria filiale
nella scuola. Ma non appena aveva portato a compimento la prima operazione, la
quale tra l’altro non aveva richiesto nemmeno troppo impegno, gli studenti erano
venuti da lui.
In realtà erano stati due dei suoi uomini a
comunicargli di aver trovato qualcuno interessato a comprare da loro per poi
rivendere all’interno della mura del castello.
Benji aveva accettato, sinceramente divertito da
quei tentativi adolescenziali di criminalità, pensando che sicuramente in poche
settimane li avrebbero scoperti e avrebbero dato loro una sonora tirata
d’orecchi. Invece la piccola organizzazione era cresciuta, aveva iniziato a
produrre guadagni notevoli e di conseguenza anche Benji si era arricchito
grazie a quegli scaltri studenti.
Inizialmente aveva tentato di soffocare una vaga e
insistente curiosità che cresceva in lui, convincersi che in quanto uomo d’affari
non dovesse immischiarsi nella vita privata dei suoi clienti.
Eppure quel pungolo continuava a farsi sentire, fino
a spingerlo a fare domande sempre più di frequente ai suoi uomini. Ma le tracce
erano ben coperte, ogni volta mandavano qualcuno di diverso a ritirare le
partite di alcoolici e le stecche di sigarette, c’erano solo quei due nomi che
aleggiavano sulle Menadi: Lara e Leda.
Il fiasco del Guercio e di Darren gli aveva dato
l’occasione per avvicinarsi senza che il suo irreprensibile comportamento di
capo e uomo d’affari venisse minato. Sperava davvero di conoscere quelle
ragazze che avevano avuto successo dove lui non era nemmeno riuscito ad
arrivare. E forse lo faceva anche un po’ per fastidio nei confronti di quelle
due, per rimbeccarle e ridimensionarne la fama. Già perché tutti i suoi uomini
nutrivano un rispetto che lui non si spiegava nei confronti delle Menadi.
“Capo… Capo esce qualcuno!” il bisbiglio del
Bruschetta lo riportò immediatamente al presente.
“Bruschetta chiudi gli occhi e girati verso la
foresta.” disse volgendo gli occhi verso il Platano Picchiatore, punto in cui
prima era scomparsi i due uomini.
“Capo?!”
“Fa come ti ho detto, Jerry.” ordinò secco.
Il Bruschetta si voltò verso la foresta con
espressione alquanto perplessa sul volto da furetto e Benji per sicurezza gli
bendò gli occhi con un incantesimo. Voleva vedere chi fossero davvero i due
energumeni che avevano preso le casse, visto che ovviamente avevano mentito sui
nomi. Chi diamine avrebbe mai potuto chiamarsi davvero Clark Kent?!
Finalmente dalle radici sbucò una figura. Era molto
alta e, per quanto il lungo mantello nero consentisse di vedere, sembrava
estremamente esile. Sì guardò attorno un paio di volte scandagliando la zona e
del volto, celato dal cappuccio, Benji riuscì a scorgere solo un paio di labbra
sottili, piegate in una linea dura.
Subito dopo un’alta figura molto più bassa fece
capolino al suo fianco. Sembrava arrivare a stento al gomito dell’altra e,
quando quella più alta iniziò a camminare verso il castello, per coprire ogni
falcata della compagna impiegava almeno due o tre passi, col risultato di
trotterellarle accanto.
Benji capì che si stavano allontanando dalla sua
postazione di osservazione troppo rapidamente e avanzò di un paio di passi,
spinto dalla curiosità di carpire qualche dettaglio in più di quelle misteriose
figure. Non fece attenzione a dove le sue suole si posarono e il piede destro
finì inesorabilmente su una delle numerose sterpaglie della Foresta.
Il rumore discreto del legno che si spezzava sotto
il suo peso risuonò nel silenzio notturno come un rombo di tuono.
Immediatamente, con uno scatto da felino, la figura
più alta si voltò verso la foresta con la bacchetta già impugnata saldamente
nella destra. Tuttavia l’impeto del movimento fu tale da lasciar scivolare
sulle spalle il cappuccio, e sotto i raggi freddi e perlacei della luna apparve
il volto di una giovane donna.
Aveva un viso magro, dai tratti quasi spigolosi,
grandi occhi scuri, che scandagliavano la zona alla ricerca della fonte del
rumore, e corti capelli di un rosso fiammeggiante. Il naso era dritto e lungo,
con un taglio decisamente poco femminile.
Ma tutta quella durezza fisionomica in realtà aveva
una propria armonia. Il contrasto tra il pallore della pelle e il colore caldo
della chioma era magnifico agli occhi dell’uomo, celato dall’incantesimo di
Disillusione.
Quella visione quasi evanescente durò per pochissimi
istanti, la ragazza infatti recuperò il tessuto che le aveva garantito
l’anonimato poco prima e lo calò nuovamente sul capo.
Le due ombre notturne si mossero rapidamente,
voltandosi ancora e salendo quasi di corsa la collinetta che portava al
castello. Benjamin osservò affascinato una mano spuntare dalla manica del
mantello della ragazza e posarsi in un gesto protettivo sulla spalla della più
piccola. Era affusolata e bianca, come la piuma di un cigno, dalle dita lunghe
e sicure che si mossero con grazia.
Benji Allucemonco si riteneva un uomo d’affari,
eppure era appena venuto meno a uno dei suoi principi fondamentali.
Mai indagare sui propri clienti, si rischia di
venire coinvolti.
***
James entrò nel ristretto passaggio che la Signora
Grassa aveva appena lasciato libero, non prima però di essersi lamentata
ampiamente per il fatto che fosse tornato dopo il coprifuoco. Attorno a lui si
aprì una stanza dalla luce calda e soffusa, piena di morbidi divanetti, di
cuscini sparsi qua e là accanto al fuoco, di stendardi vermigli con un grifone
rampante ricamato in oro e, cosa più importante, immersa in un meraviglioso,
impareggiabile silenzio.
La Sala Comune finalmente era tornata alla quiete.
Evidentemente la Corte si era ritirata per il sonno di bellezza, prescritto ad
ognuno dei suoi membri.
Tuttavia dopo poco il silenzio si rivelò non poi
così totale, infatti un rumore vago e soffuso raggiunse le sue orecchie.
Somigliava a un brusio sommesso e sembrava provenire dalla zona vicina al
caminetto. James avrebbe tranquillamente continuato la sua strada verso il
baldacchino caldo e accogliente, se non fosse stato per una particolare
esclamazione che attirò la sua attenzione.
“Lo sapevo! Putain!”
James sorrise ampiamente nel riconoscere quella voce
maschile, che recava ancora il timbro della fanciullezza. Quella parolaccia era
una delle poche cose che aveva in comune con la sorella, quindi era impossibile
sbagliarsi.
Forse perché condivideva molto di più di quello che
sembrava con lei, nonostante le apparenze che li vedevano agli antipodi, forse
perché rivedeva in quella testa di ricci neri arruffati sé stesso, o forse
perché semplicemente trovava incredibilmente ingegnoso quel ragazzino, ma James
adorava Tristan.
Camminò molto lentamente verso il divanetto da cui
era provenuta la parolaccia. Fece grande attenzione a non produrre alcun rumore
e ci riuscì alla perfezione, anche grazie al numero spropositato di tappeti che
ricoprivano il pavimento.
Nel frattempo le voci erano diventate ben distinguibili
e, se non si sbagliava, dietro il divanetto giallo ocra si celavano Tristan,
Hugo e Lily.
“Tris, non piegarla!” sussurrò Hugo mentre James
appoggiava un ginocchio e poi l’altro sui cuscini.
“L’ho trovata io, se mi va mi ci soffio il naso…” rispose
immediatamente l’altro un po’ scontroso.
“Tris, la stai rovinando.” intervenne Lily con tutta
calma.
“Mmm… Hai ragione!” bisbigliò Tristan con tono
ammansito.
James con movimenti lentissimi appoggiò il petto
allo schienale e puntellandosi sui gomiti si sporse oltre il divano. I suoi
presentimenti furono confermati appieno.
Sotto i suoi occhi apparvero tre ragazzi seduti per
terra a gambe incrociate, disposti in modo da tenere in mezzo a loro un foglio ingiallito
di pergamena, su cui le tre teste erano chine.
Non che fosse particolarmente difficile immaginare
chi fosse insieme a Tristan, visto che girava costantemente con Hugo e Lily.
“Dicevamo… Volete provare ad attaccare in questo
punto?!” chiese sua sorella inclinando appena il capo verso la spalla.
“Sì, è il più fragile di quelli raggiungibili! Senza
contare che è nei Sotterranei…” sul viso magro di Tristan si aprì un ghigno
così clamoroso che James sorrise senza accorgersene.
“Sì, ma c’è l’ufficio della Blackthorn troppo
vicino!” protestò Hugo indicando un punto della pergamena con enfasi.
“Questo è punto a sfavore… Uhm… E questo qui?”
chiese Lily puntando l’indice in un angolo del foglio.
“Ma qui non fa abbastanza danni!” il tono di Tristan
aveva assunto una sfumatura lamentosa.
James cercò di sbirciare attraverso le teste dei
ragazzi per capire di che cosa stessero parlando, quindi si sporse un po’ di
più verso il vuoto e strizzò gli occhi per mettere a fuoco meglio.
Dopo qualche istante di incertezza davanti ai suoi
occhi apparve chiaramente la rete idraulica di Hogwarts, in particolare quella
dei Sotterranei.
“Ah volete far esplodere le tubature quindi?!”
chiese ad alta voce pregustandosi già le reazioni dei piccoli malfattori.
Lily urlò saltando sul posto per lo spavento, Hugo
si lanciò a pesce sulla mappa producendo un sinistro rumore di carta strappata,
Tristan sobbalzò appena ma, non appena alzò gli occhi su James, un sorriso
furbo si dipinse sul suo viso.
“Ma sei scemo?! Mi hai quasi fatto venire un
infarto!” strillò Lily premendosi una mano sul petto come per far riposizionare
il cuore al suo posto.
“Si vede che non sei fatta per una vita da
Malandrina… Ti manca il sangue freddo!” disse James alzandosi in piedi con un
unico movimento fluido. Aggirò il divano e si chinò verso Hugo, non riuscendo
così a notare le sopracciglia della sorella scattare verso l’alto in
un’espressione di incredulità e scetticismo. La ragazza si chiese che cosa
avrebbe detto se l’avesse vista all’opera un’ora prima nella Foresta Proibita.
“Ehi Hugo, puoi anche smettere di fare la cova alla
mappa.” disse Potter sorridendo un po’ sghembo al cugino.
Il ragazzo chiamato in causa sembrò rendersi conto
solo in quel momento della posizione estremamente scomoda in cui giaceva pur di
nascondere la pergamena. Così, facendo leva sui palmi, si sollevò da terra e
rivelò il foglio giallastro, che presentava uno strappo al centro per metà
della sua lunghezza.
Gli occhi azzurri di Tristan si allargarono a
dismisura alla vista di quello sfregio, ma non fece nemmeno in tempo ad aprire
la bocca, che la bacchetta di James era già scivolata fuori dalla divisa e il
giovane con un rapido movimento aveva riparato la mappa.
“Sempre il solito esibizionista. Lo potevamo fare
anche noi.” borbottò Lily incrociando le braccia con aria contrariata.
“Bene fanciulli…” disse James con un sospiro mentre
si sedeva per terra “Che cosa pensavate di fare?”
“Uhm…” Tristan socchiuse gli occhi con fare
meditabondo e, dopo alcuni secondi di riflessione sulla situazione, si risolse
a parlare con una scrollata di spalle. “Avevamo in programma di allagare i
Sotterranei.”
“Tris!” sbottò Lily rifilandogli un pugno sulla
spalla.
“Ahia! Ma che ti prende? Non capisci che ci può
aiutare?!” ribatté Tristan massaggiandosi il punto offeso.
“Già, sentiamo che cosa propone… Infondo non eravamo
sicuri che quello fosse il punto giusto da attaccare.” concordò Hugo osservando
la rete idrica sovrappensiero.
James nascose il sorriso esilarato che premeva per
spuntare sul suo viso posandosi una mano sul mento e coprendo le labbra con un
indice. Adorava vedere come quelle giovani menti si adoperassero per portare
confusione e ilarità nella scuola.
“Allora parla Jamie.” disse laconica Lily lasciando trapelare la sua
evidente riluttanza a lasciarsi aiutare dal fratello.
James lasciò vagare lo sguardo per alcuni secondi sul
foglio ingiallito, cercava un punto particolare, nascosto a tutti coloro che
non ne avessero mai sentito parlare prima… Quando finalmente lo trovò, puntò
l’indice su di esso senza dire nulla. Alzò gli occhi dalla mappa e incrociò
immediatamente quelli azzurri di Tristan che lo osservavano pieni di
ammirazione e di furbizia.
Ovviamente aveva già capito… Decisamente aveva
feeling con quel ragazzino.
***
Angelique posò una mano sulla porta e la accostò
allo stipite il più lentamente possibile, senza chiuderla del tutto. Come si
aspettava sul comodino di Al c’era una candela accesa che la aiutò nella
traversata della stanza. Dal letto di Goyle, con tutte le cortine tirate, si
levava un basso e regolare russare.
Albus insinuava da quattro anni che quella luce gli
servisse solo per quando si alzava di notte, per andare in bagno, senza
inciampare nel baule di Scorpius. Angie aveva sempre dubitato di questa
affermazione perché non aveva mai conosciuto qualcuno che dormisse pesantemente
quanto Al, di conseguenza non vedeva molto possibile l’opzione che il giovane
si alzasse di notte solo per andare in bagno. Quindi aveva sempre creduto che
il suo migliore amico avesse ancora un po’paura del buio.
Si avvicinò con cautela al letto del suo migliore
amico e si inginocchiò davanti al baule. Albus era infagottato nelle lenzuola e
dormiva di pancia, emettendo ogni tanto qualche sommesso sbuffo. Angie sollevò
il pesante coperchio e ripose il Mantello dell’Invisibilità sotto la pila di
maglioni da cui lo aveva estratto quel pomeriggio.
Lo aveva “preso in prestito” solo per precauzione.
Nel caso in cui le cose si fossero messe male, avrebbe potuto nascondersi sotto
di esso e magari ospitare anche Dominique, se non avesse causato troppi danni!
Chiuse il coperchio di legno massiccio con quanta
più delicatezza possibile ma inevitabilmente la serratura che tornava al
proprio posto produsse un piccolo scatto.
A quel lieve rumore un mugolio infastidito si
propagò per tutta la stanza da letto e fece ghiacciare il sangue nelle vene di
Angelique. Girò la testa verso la fonte del suono ma al contrario di quello che
si aspettava non c’era nessuno ad osservarla con sguardo sgomento o
terrorizzato.
C’era solo un volto pallido, illuminato dal fascio di
luce proveniente dalla candela.
I crini biondi chiarissimi sparsi disordinatamente
sul volto e sul cuscino, le labbra rosee leggermente dischiuse, i tratti del
volto completamente distesi e pacifici nella tranquillità dei sogni. Il brivido
ghiacciato che aveva sentito lungo la schiena lasciò il posto a una sensazione
di calore famigliare che si irradiava dallo stomaco. Scorpius dormiva come un
bambino.
Sembrava completamente inoffensivo. Come se sotto
quelle ciglia bionde non si celassero occhi gelidi, come se quella linea delle
labbra, ora rilassata, non si potesse piegare in una smorfia di disgusto puro,
come se fosse ancora quel ragazzino di undici anni che l’aveva seguita senza
chiedere nulla nella Foresta Proibita in una notte di luna piena.
Come
se il tempo non fosse mai passato…
Senza soffermarsi a pensare su quanto fosse
pericoloso in quel preciso istante, Angie si avvicinò al baldacchino posando i
piedi sui tappeti e cercando di non produrre alcun rumore.
Si inginocchiò accanto al letto e rimase a osservare
come quel viso risultasse rilassato e pacifico, abbandonato contro il cuscino e
al sonno.
I capelli erano arruffati tanto che Angie ebbe
l’impulso di sistemargli una ciocca caduta sulla
fronte. Quando fece per allungare le dita verso il viso di Scorpius, una forza
invisibile le trattenne la mano, sospendendola a mezz’aria.
Se fosse stato sveglio le avrebbe allontanato la
mano con un sguardo furente ed espressione indignata. Lei non aveva più alcun
diritto di aggiustargli le ciocche ribelli.
Lasciò che la mano le ricadesse lungo il fianco,
pesante e stanca come se avesse vissuto mille anni.
Uscì
dalla stanza con la stessa leggerezza di un fantasma, lasciandosi
definitivamente alle spalle quel primo disastroso giorno di scuola.
Note dell’autrice:
Buona sera cari lettori e lettrici,
ecco il capitolo! Siete contenti di tanta puntualità?!
Volevo avvisarvi che anche nei
capitoli precedenti sono stati aggiunti i banner, fatti personalmente dall’autrice
che è quasi impazzita per capire come usare GIMP! Spero che non facciano troppo
schifo!
Non ho molto da dire su questo
capitolo se non che è semplicemente un punto di passaggio, che prelude al 5° e
che serve per chiarire qualcosina, ma non tutto.
Ringraziamenti speciali alle
meravigliose: Roxy_HP, FleurDa, Dra,
Sono_un_unicorno e chuxie, che
hanno trovato un po’ di tempo per lasciare una recensione allo scorso capitolo.
Grazie mille anche a tutti coloro che
semplicemente leggono o scelgono di seguire questa storia.
Grazie Bambolina, semplicemente perché sei tu.
Tanti baci a tutti.
Bluelectra
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Capitolo 5 *** Cap.5 Il Vaso di Pandora ***
Cap.5 Il Vaso di Pandora
Cap.5 Il Vaso di
Pandora
Perché
provare dei sentimenti se dobbiamo reprimerli?
Perché desiderare qualcosa se non potremo mai averla?
Dal
film Tristano & Isotta.
Era sempre stata una mattiniera.
Forse perché aveva un sonno leggerissimo e il minimo
rumore la destava nel cuore della notte, forse perché l’ingannevole mondo dei
sogni era una rete troppo fitta di ricordi ed emozioni laceranti da cui voleva
fuggire, forse perché guardare il giorno iniziare le procurava un gioia
profonda e intima, Angelique non lo sapeva, ma lei alle sei e mezza precise,
tutti i giorni, sgusciava fuori dal suo caldo letto nei Sotterranei, per andare
a prendere Antares e fare una passeggiata insieme.
Così accadeva da tre anni a quella parte, anche in
quella strana mattinata di Settembre.
Angie alzò gli occhi verso l’alto e istintivamente
strinse gli occhi. Il cielo era di un grigio opalescente, i tenui raggi
dell’aurora non riuscivano a scalfire in nessun modo quella patina rarefatta e
opprimente che pervadeva l’atmosfera. La luce attorno al bosco del Parco di
Hogwarts era quasi insopportabile per il suo grigiore accecante.
Antares emise un lungo verso acuto sopra la sua
testa e la giovane, nonostante il fastidio causatole da quella luce, levò
nuovamente lo sguardo in alto.
La fenice si stava esibendo in uno spettacolare volo
acrobatico sopra il suo capo, con una serie di virate strette, recuperi di
quota rapidissimi e cerchi, che dimostravano tutta l’eleganza del volatile.
Angie sorrise all’animale, ricordando quando in un
pomeriggio di febbraio altrettanto cupo l’aveva vista emergere da un cumulo di
cenere nella capanna di Hagrid. Anche quella volta c’era stato Scorpius.
Antares, quasi calamitata dai suoi pensieri, scese
in picchiata verso di lei. Angelique non si scompose, si limitò infatti ad
alzare l’avambraccio destro nella sua direzione. Infatti a un metro di distanza
dal suo capo, quando sembrava inevitabile che la fenice si sarebbe schiantata
contro di lei, quella spalancò le ali, interrompendo bruscamente la picchiata e
atterrando con grazia sul suo braccio.
“Brava ragazza.” sussurrò Angelique chiudendo gli
occhi e lasciando che la fenice le strusciasse il morbidissimo manto della
testa contro la guancia.
Le piume scarlatte, piene di riflessi del colore
dell’oro, avevano l’inconfondibile odore degli aghi di pino e della fresca
ombra del bosco.
Antares, il cuore dello Scorpione, e un bracciale di
rose e spine, ecco tutto ciò che le restava di un ombra del passato sottile e
chiara come un’alba nascente.
Dopo che Scorpius le aveva fatto recapitare tutti i
regali che gli aveva fatto nei tre anni passati, le era parso corretto fare
altrettanto. Tuttavia nel momento di togliersi il braccialetto di argento
brunito dal polso sinistro, non c’era riuscita. Perché quel sottile capolavoro
di filigrana, intrecciata con l’ausilio della magia dei folletti non le era
stato regalato da un giovane uomo arrogante e crudele. Le era stato donato con
timidezza e spontaneità da un ragazzino dagli occhi grigi pieni di affetto e di
calore, una parte di Scorpius che sembrava ormai sparita.
Era riuscita a sopravvivere a quella prima settimana
insopportabile, arrivando al tanto agognato venerdì mattina. Scorpius aveva
dato prova in quei giorni di quanto il suo disprezzo e la sua ira potessero
essere distruttivi… e infantili.
Nel migliore dei casi la ignorava, come se la sua corporeità fosse stata un
dettaglio irrilevante ai suoi occhi, oppure dava sfoggio di un’immaturità
veramente genuina.
Angie aveva perso il conto di quante volte, mentre
camminava in un corridoio gremito di gente al cambio dell’ora, il laccio della
sua tracolla si era tagliato di netto, facendo rovinare a terra tutto il
contenuto e costringendola a chinarsi tra i piedi della folla per raccoglierlo.
O di quante battute, grondanti di una cattiveria che non gli avrebbe mai
attribuito, le venissero rivolte durante le lezioni. O di tutti i bocconi
sfuggiti dalle sue posate che erano finiti sulla sua divisa all’ora dei pasti.
Il suo limite di sopportazione, normalmente così
basso da sfiorare l’inesistenza, si stava rafforzando in modo stoico. Le
sembrava in realtà di essere tornata ai tempi in cui Jessy la vessava in ogni
modo possibile, senza però la minima volontà di rispondere.
Elena, che non aveva intenzione di dimostrarsi così
tollerante, aveva pensato di prendersi una piccola rivincita anche da parte di
Angie. E così alla prima lezione di pozioni, con un’impeccabile Fattura
Gambemolli aveva fatto perdere l’equilibrio a Scorpius, il quale si era
rovesciato il calderone addosso mentre cadeva. Fortunatamente il liquido
contenuto aveva appena iniziato a scaldarsi, quindi Malfoy non si era
trasfigurato in un novello Bruschetta.
Tuttavia, tra le risate dei compagni per quella
figuraccia, Angie non aveva sentito un minimo di ilarità né di soddisfazione.
Anzi vederlo umiliato davanti a tutti, le aveva solo
procurato dolore e dispiacere. Perché lei credeva che dietro quelle iridi piene
di rancore e minacciose come un mare inverale in tempesta, oltre
quell’atteggiamento sfrontato e irrispettoso, nascosto tra le parole di
disprezzo ci fosse ancora Scorpius, quello vero.
Un ragazzo pieno di premure, di affetto, galante
come un principe di un’epoca ormai dimenticata, che le voleva ancora bene. E
lei lo avrebbe atteso.
Perché dopo che quella sciagurata di Pandora aveva
scoperchiato un vaso contente le peggiori disgrazie che l’umanità avrebbe mai
potuto subire, sul fondo era rimasta una sola cosa. Un barlume tremulo e
sparuto di speranza, che da quel momento aveva costituito la vera forza delle
persone, che andava alimentato soprattutto nelle peggiori situazioni, che
poteva donare una piccola luce nelle tenebre. Una stella per uscire dalla notte
più buia
La sua speranza quindi, dopo aver scatenato il lato
peggiore di Scorpius, era proprio quella di vederlo tornare il ragazzo di un
tempo.
Antares emise un acuto verso di allarme e in un
secondo si smaterializzò dal suo braccio, lasciando galleggiare in aria solo
una piuma rossa come il sangue orlata di oro.
Angie si guardò confusa attorno, domandandosi che
cosa avesse spaventato la fenice tanto da indurla a nascondersi.
“La tua fenice è un tantino suscettibile.”
La ragazza si voltò di scatto. Gli occhi le si
dilatarono per la sorpresa e il cuore iniziò a battere furiosamente nel petto.
Derek la osservava appoggiato con la spalla ad un
tronco, a qualche metro da lei, e gli occhi neri le sorridevano in quella
mattina uggiosa come se fosse stata l’unico raggio di sole in grado di
scaldarlo.
“No, ha solo un istinto di conservazione molto
spiccato.” disse con voce atona, che chiaramente tradiva il guazzabuglio
interiore.
Al
contrario di me, aggiunse la voce della sua coscienza che
quasi sempre assumeva il timbro di Elena. Ecco adesso iniziavano anche le voci!
Forse non era così insensata la velata accusa di schizofrenia da parte dei suoi
amici.
Si guardarono per qualche istante senza dire nulla.
Angie sentiva i piedi inchiodati al terreno e nella sua testa cercava di dare
una spiegazione a quell’apparizione così strana.
“Che ci fai qui?” chiese infine interrompendo il
contatto visivo e dandosi un’occhiata attorno in cerca di Antares.
Quando aveva iniziato a tremarle la mano sinistra?!
“Ti ho trovata sulla Mappa di James… Non sei più
venuta al chiostro.” la sua risposta assunse un tono misto di dispiacere e
dolcezza.
Angie non ribatté, incapace di emettere suoni a
causa del groppo alla gola che sembrava ostruirle anche il solo respiro. Avrebbe
potuto grugnire, ma non era sicura che Derek comprendesse la lingua dei Troll.
Verissimo, non era più andata nel loro luogo
d’incontro dopo martedì sera, dopo che lui non le aveva concesso nemmeno dieci
minuti di tempo nel cuore della notte, lontano dagli occhi di tutti, dopo che
Scorpius aveva troncato ogni ponte di possibile pace, restituendole i regali.
Eppure lo aveva incontrato spesso, per i corridoi,
in biblioteca, nel cortile, evitando accuratamente di guardarlo, ma riuscendo a
percepire i suoi sguardi, che la inseguivano e spiavano ogni suo movimento.
Sentì i passi del ragazzo avvicinarsi e calpestare
il manto di sterpaglie ai limiti del bosco per colmare la distanza tra di loro.
I suoi occhi restarono ostentatamente voltati verso gli alberi della foresta.
Ma dove cavolo si era ficcata quella maledetta palla di pelo?!
“Angelique.”
Le sue parole e il suo odore la invasero
immediatamente, con una dolcezza e un’insistenza che le resero impossibile non
guardarlo. Quando finalmente i suoi occhi si volsero, fu come se quel nodo alla
gola si fosse sciolto e trasformato in una catena di schegge attorno al cuore,
che aveva un profumo freddo e pungente. L’odore dell’inverno, così sbagliato in
quell’atmosfera ancora tiepida di fine estate, eppure così inebriante.
Si era aspettata un sguardo leggermente irreverente
e un vago sorriso sulle sue labbra, ma ciò che lesse su quel viso, cesellato
come una statua greca, la spiazzò completamente.
I suoi occhi la scrutavano con intensità bruciante,
tanto neri da non riuscire a distinguere la pupilla, pieni di desiderio e di
preghiere che non poteva pronunciare, le sue labbra erano leggermente dischiuse
e da esse uscì un flebile respiro.
“Non ti allontanare, ti prego.” le sussurrò. Una
mano si posò sulla sua guancia e con lentezza estrema, come se stesse
avvicinando un animale selvatico, permettendone la fuga se l’avesse desiderata,
avvicinò le sue labbra alle sue.
Vi depositò un bacio leggerissimo, sfiorando appena
l’epidermide sottile e sensibile della bocca. Angie avrebbe ceduto
immediatamente a quel contatto, se non che Antares scelse proprio quell’istante
per ricomparire.
Planò sulla sua spalla e con una velocità sorprendete
beccò violentemente l’orecchio di Derek.
Il ragazzo urlò più di sorpresa che di dolore e si
allontanò immediatamente da lei con un balzo.
Angelique recuperò un minimo di lucidità e, senza
sapere che cosa dire, gli rivolse un ultimo sguardo di scuse e si voltò,
allontanandosi velocemente da quella presenza magnetica.
Poco distante dalla capanna di Hagrid incominciò a
realizzare che cosa fosse accaduto qualche istante prima, e un guizzo di
speranza si fece sentire chiaramente nel suo animo. Derek l’aveva cercata ad un
orario impossibile e l’aveva pregata di non allontanarsi da lui… In più
l’avrebbe anche baciata se non fosse stato per Antares.
Alzò lo sguardo leggermente piccata verso la sua
fenice, la quale osservava il panorama davanti a sé con aria di regale
altezzosità e non curanza.
“Cattivo piumino da cipria!” borbottò depositandola
sul trespolo vicino all’orto di zucche.
Anche se la vita di Angelique era scombussolata al
limite del sopportabile c’erano alcune cose che non cambiavano mai.
Una di queste per esempio era Al.
Occhi verdi e limpidi, sorrisi gentili, gesti
teneramente impacciati nei momenti sentimentali, ironia spiazzante e la tipica
ingenuità di qualcuno che non ha minimamente idea di essere attraente. Ecco il
mix irresistibile che rendeva Albs Severus Potter, del tutto inconsapevolmente,
uno degli soggetti più gettonati dei Sognisvegli Brevettati, speciali pozioni
che facevano vivere un’ora d’amore virtuale ma completamente realistica con un
ragazzo prescelto, gentilmente fornite da I Tiri Vispi Weasley.
Avevano finito le lezioni della prima settimana e
lei ed Albus stavano camminando a braccetto in un corridoio deserto del
castello. E la bionda cercava di estorcere informazioni al ragazzo accanto a
lei.
“Avanti a me puoi dirlo!”
“No!” sbottò Al sulle cui guance si stendeva un
adorabile color fragola matura.
“Insomma Al! Ne parla tutta la scuola, inizio a
pensare al peggio!” insistette Angie mentre provava con tutte le sue forze a
non scoppiare a ridergli in faccia. “Ti ha definitivamente deflorato, mio
povero Albus?”
“Angelique!!!” urlò indignato, voltandosi verso di
lei.
Quando le due paia di occhi identici si
incontrarono, Angie non ce la fece più e proruppe in una risata gioiosa e
incontenibile.
“Oh sono davvero felice che questa cosa ti faccia
così ridere! Davvero continua pure, tanto non ho dei sentimenti che possano
essere feriti, figuriamoci!”
Angie a questo punto si dovette fermare e piegare su
sé stessa per riprendere fiato, mentre l’amico continuava a borbottare.
“Ti prego Al, raccontami com’è andata!” riuscì a
mettere insieme prima di essere travolta da un altro attacco di risate.
“Tu non rideresti così se ti fossi ritrovata la
McNeil nel tuo letto nel cuore della
notte!” sbottò il giovane incrociando le braccia al petto. La risata si spense
immediatamente ed Angie si rimise in posizione eretta.
“Allora è successo davvero?!” chiese con voce
strozzata per poi ricominciare a ridere freneticamente.
Quando quella mattina era tornata al castello, dopo
il surreale incontro con Derek, lo aveva trovato immerso in uno stato di
subbuglio che l’aveva immediatamente allarmata. Ma dopo ave sentito un paio di
informazioni, più o meno campate per aria, aveva dedotto che per una volta
l’oggetto del pettegolezzo fosse proprio il suo migliore amico.
Così aveva raccolto informazioni a colazione e dalle
più fantasiose versioni ne erano emersi alcuni punti comuni, ovvero che Jocelyn
McNeil del sesto anno a Corvonero e Albus Potter avessero avuto un incontro
ravvicinato nel cuore dei Sotterranei.
“Anche Scorp non riusciva più a smettere di ridere.”
sbottò con un certo fastidio il giovane Potter e la risata di Angie si
affievolì nel sentire quelle parole.
“Me lo immagino perfettamente.” mormorò con un
sorriso sulle labbra.
E la verità era che riusciva a figurarsi davvero
Scorpius che si rotolava tra le lenzuola mentre un imbarazzatissimo Albus
cercava di far uscire dalla proprio letto una ragazza mezza nuda, con
scrupolosa educazione, come se fosse stato lui a invitarla a violentarlo alle
due del mattino.
Angie si avvicinò al cornicione di una delle
finestre del corridoio e vi saltò sopra con facilità. Poi guardò Albus che la
osservava leggermente ansioso.
“Al, non è che tutte le volte che pronunci il nome
di Scorpius mi devi guardare come una bomba ad orologeria.”
“Scusami… è solo che questa situazione è veramente
difficile.” mormorò il giovane Potter sedendosi accanto a lei e lasciando
penzolare le gambe sopra il pavimento.
Angie annuì tra sé e sé, sovrappensiero. Poi si
schiarì la voce e chiese cercando di mantenere un tono casuale:
“Hai risolto con lui?”
Dopo la prima, disastrosa, lezione di
Trasfigurazione si erano allontanati notevolmente, anche grazie al colpo di
genio di Malfoy di ritornare amico di Goyle.
“Sì, abbiamo parlato.” il tono era sufficientemente
deciso per lasciare intendere alla ragazza che non c’erano stati malintesi o
questioni in sospeso. Una fitta di angoscia si fece sentire dentro di lei al pensiero
che Scorpius avesse parlato davvero
con Albus.
“E che ti ha detto?” chiese senza poter impedire
alla sua voce di risultare leggermente più acuta del solito.
Angie lo osservava con i nervi tesi fino allo
spasmo, mentre il ragazzo guardava davanti a sé il muro di pietra. Dopo un
silenzio di alcuni istanti, il moro si voltò verso di lei e la fissò così
intensamente negli occhi, che Angie ebbe paura che le leggesse nell’anima la
sua colpevolezza.
“Che hai baciato un altro.” disse infine con
tranquillità.
Angie deglutì a vuoto, sentendo il nervosismo di
prima trasformarsi in vero e proprio panico.
“Mi disprezzi anche tu?” gli chiese con tono
improvvisamente duro e sarcastico.
Albus scosse la testa senza smettere di guardarla
negli occhi.
“Scorpius non mi ha voluto dirmi il nome. Ha detto
solo di chiedere a te.”
Angie distolse lo sguardo dall’amico incapace di
reggerlo ancora.
Un’altra puntura di scorpione. Un’altra raffinata
stoccata all’ orgoglio umiliato di Angie: farle ammettere davanti al suo
migliore amico di aver tradito Scorpius con una delle poche persone che Albus
non poteva soffrire. Anche in quel frangente Scorpius si rivelava garbato e
impeccabile, lasciando a lei l’onta di ammettere il suo tradimento.
“Me lo stai chiedendo Al?”
Angie si stupì
di quanto la sua voce risultasse calma e controllata, mentre dentro di sé
sentiva l’inferno. Se avesse pronunciato quel nome lo avrebbe perso, ne era
certa.
“Sì.”
Merda.
Decisamente infondo al Vaso di Pandore non c’era la
Speranza, c’era solo un enorme cumolo di Merda, la nuova divinità che sembrava
dominare gli eventi della sua vita, pensò Angelique.
Angie inspirò profondamente arpionando la pietra
fredda con le mani, aggrappandosi a quella roccia che sosteneva un intero
castello da un millennio.
Si voltò verso di lui nuovamente pronta al disastro
che sarebbe seguito alle sue parole, quando comparvero all’inizio del corridoio
due figure che la distrassero.
Un ragazzo alto e moro che rideva insieme ad una
ragazza piccola ed esile come un fuscello, con una inconfondibile capigliatura
lilla…
“Elena..?!” mormorò aggrottando notevolmente la
fronte.
Albus accanto a lei strabuzzo gli occhi e urlò
quasi:
“ELENA?”
L’interpellata a parecchi metri di distanza da loro
sobbalzò, poi riconoscendoli li salutò agitando per aria un braccio e
rischiando quasi di accecare il ragazzo accanto a lei…
“Jessy?”
“JAMES???” adesso aveva proprio urlato senza
ritegno.
“Ciao Al.” la voce calda di James si fece sentire
nel silenzio attonito del corridoio e indusse Albus a voltarsi.
Angie vide le spalle del suo migliore amico
rilassarsi visibilmente per aver finalmente chiarito quel malinteso di nomi,
che lo aveva indotto a pensare prima ad una relazione saffica e poi a suo
fratello. Sicuramente Angie avrebbe preferito la prima.
“Oh, ciao.” disse infine scendendo dal cornicione e
porgendo ad Angelique una mano, per aiutarla a fare altrettanto. La ragazza
scese con un balzo, incurante di quel piccolo aiuto, aveva tutt’altro per la
testa.
“Che ci fai con lui?!”
il tono accusatorio era così poco velato che e sopracciglia di James scattarono
in alto.
“Siamo andati a lezione di chitarra.” spiegò Elena
senza scomporsi.
“Guarda che non mordo mica, Gigì.” disse James
osservandola col solito sorriso sardonico.
“Questo è da vedersi!” sbottò la bionda in risposta.
Al posto che adombrarsi il sorriso di James si allargò ancora di più, prendendo
delle notevoli sfumature maliziose che non sfuggirono ad Angelique.
Sulle sue guance normalmente pallide si diffuse un colorito
rosato per l’imbarazzante gioco di parole a cui aveva dato inizio.
“Intendevo… Cioè, volevo dire che non… Insomma…”
blaterò per un paio di secondi prima di essere interrotta.
“Magari vorresti provare per esserne sicura?” le
chiese James, socchiudendo appena gli occhi e utilizzando il tono pacato e
interessato che avrebbe avuto un medico nel consigliare un farmaco ad un
paziente dalla mente instabile.
Angie boccheggiò un paio di volte incapace di
rispondere, le sembrava si star annegando in un bicchier d’acqua.
No, non acqua. Affogava nel fondo del Vaso di
Pandora.
“NO!!!” strepitò poi con le guance in fiamme.
“Ah! Quindi non ti piacciono quelli che mordono?” le
domandò ancora Jessy inclinando appena il capo come ad appuntarsi mentalmente
quel dettaglio.
Le narici di Angelique si dilatarono di un paio di
millimetri e le mani si serrarono a pugno. Quel ragazzo riusciva a farla
arrabbiare come nessuno al mondo.
“Ok James, spettacolo finito! Avanti Angie,
andiamo.” intervenne Elena, sulle cui labbra aleggiava un sorriso divertito,
prima di prendere l’amica per un braccio e trascinarla via.
Prima di allontanarsi Angelique gli lanciò un’occhiata
tanto omicida da sopra la spalla, che se fosse stata realmente dotata di potere
lo avrebbe fatto cadere stecchito al suolo.
“Ci sarete stasera?” chiese in seguito a suo
fratello senza distogliere gli occhi dalla chioma bionda ormai lontana.
“Forse.” mormorò Albus allontanandosi anche lui verso
i sotterranei.
***
La musica aveva un volume perfetto, era abbastanza
alta perché si potesse ballare, ma non era necessario urlare nelle orecchie
degl’altri, gesticolando come scimmie, per farsi capire.
James alzò il pollice in direzione di Lysader, il
quale gli sorrise prima di tornare a concentrarsi sulla scelta dei brani e
sulla ragazza che stava arrampica sullo sgabello accanto a lui.
Avevano lavorato tutta la settimana a quella festa.
Quel pomeriggio avevano apportato le ultime modifiche al bagno dei Prefetti.
Lui e Rose si erano occupati di ingrandire la vasca
fino a farle raggiungere le dimensioni di una piscina. Locarn aveva trovato
degli incantesimi per creare degli addobbi perfetti. Lucy e Lily erano andate
nelle cucine a corrompere Goldy, la capo-cuoca di Hogwarts. Philip,
spalleggiato da Hugo e Tristan, aveva preso contatto con Le Menadi per la
rifornitura di bevande e Fred aveva cercato dei volontari per gestire sia i
viveri sia gli invitati.
I volontari erano una delle scelte fondamentali per
la buona riuscita di quelle feste, uno dei cardini perché filasse tutto liscio.
Dovevano essere cortesi e discretamente efficienti, ma anche risoluti a non
permettere l’accesso agli imbucati. Solitamente James si incaricava di questa
operazione da solo, ma quel giorno era stato occupato ad aiutare Rosie con la
trasfigurazione della vasca, se la cavava abbastanza bene in quel genere di
cose.
Adesso che tutto era sistemato aveva voglia di un secondo
di riposo da quel caos.
Il moro attraversò l’ampia stanza passando accanto a
Fred che stava istruendo un ristretto gruppo di persone sui loro incarichi. Due
per le bevande, due per il cibo e due all’entrata. I ruoli erano a rotazione
per consentire a tutti di partecipare un minimo a quella festa. Riconobbe tra i
volontari Alexis Qualcosa, la quale gli sorrise arrossendo leggermente. James
accennò a mezzo sorriso nella sua direzione, prima di dirigersi verso un punto
isolato dove si trovava una porta di radica di noce che dava su uno sgabuzzino,
adibito a spogliatoio.
Aprì appena la porta, ma un urlo simile a quello di
un rapace gli ferì i timpani, inducendolo a mollare la presa sulla maniglia con
un sussulto.
“Sei sempre il solito cafone, Jimmy!” ruggì la voce
di Dominique dall’interno.
“Ah, ma sei tu Dom!” rispose James mettendosi una
mano sul petto evidentemente rincuorato e introducendosi all’interno del
camerino senza tante cerimonie.
“Quale parte del tuo cervello non recepisce che
vorrei cambiarmi da sola?!” chiese la bionda guardandolo ostile attraverso il
grande specchio.
“La corteccia cerebrale di sicuro. Forse una parte
dell’ipotalamo sarebbe anche disponibile ad arrendersi, ma gli altri centri
nervosi superiori oppongono strenua resistenza…” ribatté lui stravaccandosi
sulla panchetta che occupava metà dello scarso spazio disponibile per la
deambulazione.
Dominique gli concesse finalmente un sorriso, per
poi rimirarsi con aria soddisfatta.
“Sei bellissima.” le disse James con sincerità
osservando il profilo esile e slanciato nello specchio.
Il sorriso di Dominique si allargò mentre sistemava
una piega invisibile della gonna.
La Weasley indossava un abito bianco molto aderente
sul busto, sui fianchi e sulla parte alta dei glutei, che si apriva in una
gonna morbida e ondeggiante. Le spalline erano sottilissime e si incrociavano
dietro la schiena, lasciando scoperta una buona porzione di pelle pallida.
Sembrava quasi un abito da ballo, anche per lo spacco laterale che consentiva
di intravedere appena una gamba quando si muoveva. Il tutto era coronato da un
paio di trampoli vertiginosi neri, che aumentavano la statura normale che Madre
Natura le aveva donato, al contrario della sorella Victoire, alta quasi come
Ted. Dettaglio fisico di cui la ragazza si lamentava sempre, ma che James
trovava in armonia col suo fisico esile e sottile.
“Scommetto dieci galeoni che scivolerai sul bordo della
piscina non appena ti ci avvicinerai!” le disse inarcando un sopracciglio e
osservando sovrappensiero i tacchi.
Dominique si voltò ruotando su sé stessa e lasciando
che la gonna scura si aprisse a ventaglio. Poi lo osservò con le mani posate
sui fianchi e lo sguardo truce. James istintivamente si strinse nelle spalle,
in un gesto automatico di difesa, e alzò i palmi in aria come segno di resa
pacifica. Gli ricordava terribilmente sua madre o sua nonna con quella postura.
E lui temeva le donne Weasley.
“Scherzavo! Sei stupenda, bellissima, divina,
assolutamente favolosa! E non accadrà nulla del genere!!!” pigolò nel tentativo
di calmare la sua ira.
“Scommetto che ti piacerebbe che fosse qualcun altro
a scivolare sul bordo della piscina, per poter fare un vero salvataggio
cavalleresco.” commentò poco dopo con tono casuale la ragazza. Si era voltata
nuovamente verso lo specchio e armeggiava con una matita nera attorno agli
occhi, evidenziandone così l’azzurro.
“Sicuramente si salverebbe da sola, tirando fuori un
salvagente dalla tasca con tutta calma e sicurezza…” borbottò James in risposta
storcendo leggermente la bocca. Dom rise di cuore immaginandosi la scena e poi
aggiunse:
“Sì, lo farebbe di sicuro! E una volta risalita ti
guarderebbe e direbbe: Potter!”
pronunciò l’ultima parola esattamente come avrebbe fatto Gigì e il giovane si
concesse una risata insieme alla cugina.
James si osservò un’altra volta nello specchio dello
spogliatoio.
Oltre il legno della porta, che lo celava dal resto
della stanza, sentiva il rumore inconfondibile della festa già iniziata. Era
stato l’ultimo a cambiarsi per assicurarsi che tutto fosse al proprio posto con
l’arrivo dei primi invitati, tra cui lei non c’era ancora.
Le sue mani, stranamente impacciate, slacciarono il
secondo bottone della camicia azzurra e alzarono il colletto. Dopo un breve
sguardo dubbioso alla propria immagine lo riabbassò nella posizione originaria.
Erano circa dieci minuti che continuava a giocherellare con le due componenti
indeciso sul da farsi.
Il sospetto di essere davvero nervoso per una
sciocca festa lo faceva sentire ancora più nervoso… Ma lui non poteva essere
nervoso!
E fu con gesto stizzito dalla consapevolezza mal
celata a sé stesso di essere nervoso che aprì la porta e si immerse nella festa.
Salutò alcune persone e scambiò i convenevoli, prima
di notare Dominique che camminava verso di lui con sicurezza sulle sue trappole
per caviglie fragili. In men che non si dica gli mise tra le mani un
bicchierino colmo di un liquido trasparente in cui galleggiavano delle scaglie
dorate.
“Alla goccia!” esclamò facendogli l’occhiolino,
aveva le gote leggermente arrosate e gli occhi scintillavano nella luce soffusa
della stanza. James obbedì e sentì il liquido fresco scivolargli nella faringe
e bruciare piacevolmente. Era fortissimo e incredibilmente buono.
“Dio benedica la Vodka!” urlò in un impeto di
ilarità Dominique alzando le braccia in aria e si dileguò tra la folla di
persone. James ridacchiò da solo pensando a quante benedizioni avesse già lanciato
al cielo la sua cugina preferita, nonostante fosse solo l’inizio della serata.
Nella stanza c’erano circa un centinaio di persone,
vestite tutte in modo parecchio estivo, il che nelle ragazze si traduceva in
succinto, se non propriamente scoperto come nel caso di sua sorella Lily, che
indossava un paio di pantaloncini di jeans decisamente inopportuni. Sarebbe
andato volentieri a farle una ramanzina ma in quel momento aveva un pensiero
più urgente.
Voleva trovare Gigì tra la folla, voleva vedere quei
riccioli dorati, voleva offrirle qualcosa da bere e voleva parlare con lei. Ma
della proprietaria della chioma leonina nessuna traccia…
James si avvicinò al bancone e si fece passare un
mohjito dal ragazzo di Corvonero del quarto anno, che Fred aveva reclutato tra
i volontari e che in quel momento serviva da bere.
Uno dei vantaggi di farsi in quattro per quelle
serate era che si poteva andare a sbaffo quanto si voleva.
James si guardò attorno ancora una volta e vide
Fanny seduta sul bordo della piscina insieme ad altre ragazze, i cui piedi
erano immersi nell’acqua. In effetti non era stata una grande idea invitarla
alla festa, ma il problema della loro “non-relazione” era il vago senso di
colpa che provava inconsciamente nei suoi confronti. E anche nei confronti di
quelle che Gigì aveva definito…uhm… Ah sì! Giovani affette da incontinenza
lussuriosa.
Un sorriso gli si dipinse sulle labbra mentre la sua
voce indignata gli risuonava nella testa, nonostante la musica di Lysander.
Chissà dov’era finita?
Magari all’ingresso Alexis Qualcosa gli avrebbe
detto se l’aveva vista o se non era mai arrivata, così James si diresse verso
l’antro dove avevano posizionato il banchetto per i due responsabili
all’accoglienza.
Rose aveva insistito per separare gli ambienti con
una tenda, in modo che l’effetto sorpresa entrando nella stanza fosse maggiore.
Era incredibile come Rose, che aveva ereditato dai genitori il ruolo di
Prefetto, si fosse lanciata nell’organizzazione di una festa clandestina. In
effetti aveva notato come negli anni la piccola e timida Rosie si fosse
distaccata dall’esempio materno, per ritagliarsi un atteggiamento molto più
tollerante nei confronti delle regole.
“Ti ho detto che lei non c’è!” una voce sull’orlo
dell’isteria si fece sentire oltre la tenda color porpora a cui James si era
accostato. Il ragazzo si fermò prima di aprire, per ascoltare il battibecco e
sorseggiare ancora un po’ del suo drink, giusto per capire se ci fosse bisogno
del suo intervento nel caso di una vera e propria lite…
Va bene, era solo un gran pettegolo!
“E io ti ho detto che ci ha invitati mio fratello e
che l’ha organizzata la mia famiglia questa festa!” tuonò una voce che non
esitò a riconoscere come quella di suo fratello. Dal tono sembrava aver perso
ormai ogni barlume di pazienza, il che accadeva veramente di rado. James si
passò un indice sul labbro superiore.
“Infatti tu puoi passare, ma lei no!” ribatté la
voce acuta infervorandosi almeno quanto suo fratello.
“Eccellente, non potevamo sperare in una soluzione più
brillante! Tu vai e io ritorno in dormitorio, con somma soddisfazione di tutta
l’allegra combriccola, compreso Sidney Carton!” esclamò una voce
incomprensibilmente gioiosa e sollevata, in contrasto netto con le altre due e
che James riconobbe immediatamente come quella di Angelique. Perché diamine
aveva tirato fuori Sidney Carton?! Sicuramente Alexis non aveva la minima idea
a che cosa stesse facendo riferimento.
James si decise finalmente a scostare la tenda ed
entrare nel piccolo spazio dove si stava svolgendo la diatriba.
“C’è qualche problema Alexis?!” chiese inarcando un
sopracciglio e rivolgendosi subito alla ragazza senza salutare i due
Serpeverde.
“Oh no…” sentì il sussurro disperato di Angelique
nonostante la distanza.
“Beh no… Cioè… Lui può entrare, ma lei no.” disse la
Grifondoro indicando prima suo fratello e poi la bionda, che cercava di
svignarsela verso l’uscita ma che era boccata dalla presa ferrea esercitata da
Al sul suo polso.
“Ah sì e per quale ragione?!” chiese James facendosi
più vicino e notando le gote della ragazza arrossarsi evidentemente. Gigì emise
un piccolo sbuffo contrariato.
“Perché non c’è sulla lista!” trillò in tono di
ovvietà Alexis.
“Questo è improbabile visto che li ho aggiunti
entrambi personalmente.” ribatté con tono secco James, prendendo dalle mani
della ragazza la lista e facendo scorrere gli occhi lungo la sfilza di nomi. In
fondo tra gli ultimi c’era una grossa macchia d’inchiostro, come se qualcuno
avesse cancellato un nome con cura, senza alcuna possibilità di leggerlo.
“Qualcuno ha modificato la lista?!”.
“Io no!” si difese immediatamente Alexis, ma quando
gli occhi ambrati di James si alzarono dalla pergamena e la guardarono senza
alcuna traccia di comprensione o di accondiscendenza, la giovane proseguì con
voce tremolante: “Beh… Forse Fanny l’ha guardata e ha consigliato a Jennifer…”
ma si interruppe deglutendo rumorosamente.
“Sì?” incalzò James facendo un sorriso incoraggiante
che non contagiò gli occhi.
“Forse… Non ne sono sicura però… Beh le ha detto che
ormai non valeva la pena di invitarla perché Malfoy l’aveva lasciata e quindi
non importava a nessuno che ci fosse…” la vocina di Alexis sembrava pigolare
davanti allo sguardo furente del giovane Potter.
Con la coda dell’occhio James vide Angelique
immobilizzarsi per ascoltare.
“Capisco… E avete pensato bene di escludere altri
invitati alla festa, per caso?” chiese con tono glaciale e di una calma
dissonante con la furia nello sguardo.
Se c’era una cosa che lo faceva davvero imbestialire
erano i sotterfugi bassi e vili con cui le persone cercavano di manipolarlo.
“No, no, no! Ma non sono stata io!” Alexis lo
guardava con i grandi occhi marroni spalancati.
James respirò profondamente e si calmò all’istante,
in fondo Alexis non aveva fatto nulla, si era solo attenuta al compito
indicatole da Fred. E con Fanny avrebbe fatto i conti dopo.
“Va bene. Non fa niente. Adesso lascia entrare mio
fratello e Angelique, per favore.” le disse finalmente riconsegnandole la pergamena
e volgendo il suo sguardo sui due, ancora intenti in un’immobile lotta, uno per
fuggire l’altro per entrare.
Lo fissarono entrambi, Al evidentemente soddisfatto
e sollevato, Angelique imbronciata come una bambina a cui fosse stato fatto uno
scherzo tremendo.
Gigì indossava un abito blu scuro senza maniche, con
uno scollo a barchetta, che le lasciava scoperte le clavicole, e una sottile
cintura beige stretta in vita. La gonna svasata si apriva morbida fino al
ginocchio e ai piedi calzava un paio di ballerine chiare, il tutto le conferiva
uno stile vagamente vintage. Aveva i capelli raccolti in una morbida crocchia
sulla nuca, in modo che il collo lungo e candido spuntasse dalla stoffa scura
dell’abito come uno stelo di un giglio.
Sulle palpebre aveva steso un velo di ombretto
grigio scuro e le ciglia erano state scurite con abbondante mascara, non c’era
né rossetto né lucidalabbra sulle labbra carnose e rosate. Era estremamente
semplice nel complesso, con un vestito più lungo e con meno trucco di tutte le
altre presenti.
“Avanti entrate, non vorrei fossilizzarmi qui tutta
la sera!” brontolò James scostando la tenda e facendo cenno col capo in
direzione della sala.
“Ciao anche a te
James! Oh
sì stiamo benissimo grazie! Non dovevi disturbarti a chiederlo!” disse con tono
straripante di sarcasmo Albus mentre passava oltre la corte porpora.
James si voltò con un mezzo sorriso verso la bionda
la quale fissava truce alternativamente lui e la tenda appena arricciata nella
sua mano.
“Lo sto facendo solo per lui! Non ti azzardare a
buttarmi nella vasca, non osare avvelenarmi con qualche pozione strana, non
farmi mangiare Pasticche Vomitose camuffate, non rovesciarmi addosso sostanze
tossiche, non…”
“Hai finito?!” la interruppe lui con un sopracciglio
nero inarcato e l’aria spazientita “Al contrario di te ho un certo interesse a
partecipare alla festa.”
Angelique serrò la mascella e lo fissò torva
socchiudendo le palpebre. La sua fronte era aggrottata e il labbro inferiore
sporgeva leggermente, in un modo che la faceva assumere un’espressione
infantile.
Poi con un movimento un po’ brusco si decise a
oltrepassare la soglia della festa.
Non riuscì a scorgere il sorriso vittorioso che si
dipinse sul viso di James, mentre la seguiva e lasciava ricadere mollemente il
tessuto color porpora.
***
Angelique colta da sincero stupore si bloccò dopo un
paio di passi all’interno di quel fu il Bagno dei Prefetti, completamente
trasfigurato per l’occasione. Se a inizio settimana si era permessa di fare una
battuta sul luogo e sugli invitati di quella festa, in quel momento sarebbe
stata pronta a rimangiarsi tutto, almeno riguardo al primo argomento. La stanza
assomigliava a tutto tranne che al luogo che si supponeva fosse, cioè un bagno.
Dal soffitto culminante in arcate gotiche pendevano
numerose decorazioni, quali alcune bocce contenenti pesciolini dai colori
cangianti, finte alghe rosse e azzurre, catenelle di cristallo formate da
grosse gocce che rilucevano nella semi oscurità della sala, e drappeggi
argentei e azzurri ricoprivano la sommità delle pareti di pietra. Dalla parte
superiore dei muri uscivano grandi ceppi di coralli colorati.
Una delicata luce azzurrina pervadeva l’ambiente e
dopo un paio di sguardi Angie capì che proveniva dall’immensa piscina, che
occupava gran parte della sala e che emanava una forte luminosità tutt’attorno.
Le sembrava di essere in mezzo ad un fondale marino!
Di Albus ovviamente si erano perse le tracce appena
era entrato!
Una mano si posò delicatamente sulla sua schiena
all’altezza della vita e la sospinse in mezzo alla folla guidandola verso i
tavoli del buffet. Angie non si ribellò a tocco gentile di James che aveva come
apparente unica mira il non farla perdere nella fiumana di persone che
chiacchieravano, ballavano e bevevano spensierati.
La sua intolleranza alle feste era aumentata
notevolmente dopo la scenata all’ingresso.
Quando la dama di corte di Celia l’aveva squadrata
con un’occhiata a metà tra l’incredulo e il derisorio, nel vederla comparire al
fianco di Al, si era sentita fuori posto.
Se lei avesse avuto la sua divisa con i colori di
Serpeverde e la bacchetta sotto la manica destra, avrebbe saputo come
rispondere e rimetterla al suo posto senza esitazione, quella era la sua
armatura. Ma smesse le armi e indossato un abito per presentarsi ad una festa,
si era sentita vulnerabile perché in quel campo non era nessuno di speciale.
Non era di certo la Regina di Cuori.
La sferzata finale al suo entusiasmo tuttavia
l’aveva conferita il fatto che l’avessero cancellata dalla “lista” perché
Scorpius l’aveva lasciata. Come se tutta la sua persona fosse stata annullata e
riassunta da un'unica parola: SCARICATA.
Come se l’apice più degno della sue esistenza in quel
castello fosse stato l’essere stata la fidanzata del rampollo del casato Malfoy
per tre anni. E ora che non lo era più, agli occhi della vacua e benpensante
società adolescenziale di Hogwarts risultava defraudata della corona e del
titolo di Principessa tra le Serpi, per essere retrocessa a Emarginata Decaduta
del Lato Oscuro della Forza.
Eppure ciò che l’aveva fatta implorare che Albus si
arrendesse davanti all’isteria della Damigella senza macchia e senza paura, era
stata la consapevolezza che se fosse entrata avrebbe potuto vedere ciò che
quella settimana aveva ignorato con tenace determinazione.
L’altra coppietta storica del castello, il cui
perfetto sodalizio amoroso perdurava nell’adorazione e nell’invidia più nera
della corte della Regina stessa. Derek e Celia.
Il pensiero di vederli strusciarsi uno sull’altro a
ritmo di musica, baciarsi avidamente sotto la spinta del Firewisky e ostentare
alla luce azzurrognola di quella maledetta piscina la loro relazione ufficiale,
le aveva fatto salire una nausea insistente che le attanagliava lo stomaco.
Finalmente giunsero vicini al tavolo ricolmo di
viveri e la mano di Jessy si tolse immediatamente dalla sua schiena, subito
dopo il ragazzo si voltò verso un vassoio di tramezzini per prenderne uno.
“Questo è il Carnevale della Carne.” sbottò Angie con
tono indignato, mentre una ragazza del suo stesso anno sfilava accanto a loro a
braccetto con un’altra apparentemente più piccola. Entrambe ridevano
sguaiatamente, con delle gonnelline che Angie avrebbe utilizzato come cinture e
canottiere aderenti e scollate. Evidentemente l’acool aveva già iniziato
l’azione di vasodilatazione su quelle due.
James rise divertito e le porse un bicchiere ricolmo
di liquido ambrato, mentre sul suo viso si allargava uno dei rari e incantevoli
sorrisi privi di boriosità o malizia. Un semplice sorriso che indusse la
ragazza ad accettare quell’offerta nonostante all’ingresso avesse espresso
tutta la sua malfidenza.
Angie portò il bicchiere alle labbra, mentre si
guardava attorno con una certa apprensione alla ricerca sia del suo migliore
amico.
La prima sorsata del liquido le scivolò
apparentemente innocua dal palato alla gola, ma non appena la ragazza deglutì
un bruciore fortissimo si irradiò al passaggio dell’alcool.
Angie strabuzzò gli occhi e iniziò a tossire, mentre
Potter le prelevava dalle mani il bicchiere ridendo di gusto e le dava alcuni
colpetti tra le scapole.
“Prima volta?” le domando quando finalmente si fu
ripresa.
“No, ma ogni volta mi fa più schifo della
precedente!” borbottò la giovane con una smorfia. Lei detestava il Firewisky!
“Acquaviola?! Mojito?!” chiese gentilmente James col
busto rivolto per tre quarti al bancone degli alcoolici affollatissimo.
“Burrobirra, grazie” rispose boccheggiando l’altra.
Il giovane sorrise appena e fece un cenno del capo,
poi le diede le spalle e si introdusse nella ressa, che parve aprirsi come il
Mar Rosso al suo passaggio.
Angie sbuffò leggermente urtata dal modo in cui
tutte le ragazzine lo osservavano passare. Tuttavia, poi, osservò le spalle
ampie avvolte da quel tessuto azzurro e leggero, le maniche rabboccate fino al
gomito per mostrare gli avambracci ancora abbronzati dal sole estivo e poi,
inarrestabile, per una frazione di secondo il suo sguardo si posò un po’ più in
basso.
Pensò che se Elena fosse stata lì con lei e avesse
avuto la medesima panoramica di quelle gambe lunghe avvolte in jeans semplici e
terminanti in quel modo, gli sarebbe
decisamente saltata addosso in un turbine di capelli lilla.
Stava ancora ridacchiando quando James tornò da lei
e le porse una bottiglia di Burrobirra ghiacciata.
“Perché ridi?” le chiese mentre portava alle labbra
un sorso di mojhito.
Angie scosse la testa con fare distratto, mentre
cercava tra la folla qualcuno dei suoi cugini adottivi o un volto amico.
Inaspettatamente dall’altra parte della sala vide, appoggiato ad una colonna e
con spalmata sul petto una cosa che somigliava ad Emma, Berty.
La cosa sembrava avvolgere il corpo
snello di Barrach come una piovra transgenica dai mille tentacoli e la faccia
era incollata a quella del ragazzo con una tenacia pari a quella di una ventosa
dei sopracitati arti.
“Oh Gesù. Sembra che gli stia mangiando la faccia.”
si lasciò sfuggire e la sua testa scattò indietro in un moto di disgusto.
Le effusioni tanto ostentate in pubblico non le
piacevano in genere, ma vedere un amico annichilito a preda di un cefalopode
mutante era oltre la sua sopportazione.
“Stai diventando acida come una vecchia zitella.
Secondo me c’è una buona dose di invidia.” constatò James osservando assorto la
coppia polipo avvinghiarsi ancora più stretta.
“Nah… qui si parla di decenza, Jessy. In tre anni io
non ho mai fatto nulla del genere davanti a tutti con Scorpius…” ma il tono
ironico e scanzonato di inizio frase si spense su quel nome, per lasciare
spazio ad un silenzio pesante come una cappa di piombo. Angie distolse lo
sguardo da lui e sorseggiò la Burrobirra, mentre cercava con tutta la propria
forza di tenere chiuso il suo personale Vaso di Pandora.
James la osservava col capo leggermente inclinato
verso la spalla destra e un’espressione imperscrutabile.
“Non l’hai mai fatto, perché non hai mai provato
nulla per genere.” disse infine con tono di chi fa una mera constatazione.
Angie si voltò di scatto verso Potter e cercò di imprimere
nell’occhiata che gli rivolse tutta la rabbia e l’amarezza che quelle parole
aveva suscitato in lei. Come si permetteva di dare un giudizio del genere, lui
perfetto estraneo e veggente dell’ultima ora?! Come poteva anche solo
sospettare quello che lei era in grado di provare per qualcuno?!
“Tu non sai nulla di me.” disse con freddezza,
alzando inconsapevolmente il mento. E girò i tacchi senza remore.
***
James non fece nemmeno in tempo ad aprire la bocca
per ribattere, che la ragazza era sparita nel fragore della musica orchestrata
da Lysander e nei corpi danzanti attorno a lui.
Si passò una mano sul viso sospirando per la
frustrazione. Aveva rovinato tutto, un’altra volta.
Appena lei riusciva a aprirsi un minimo con lui,
immancabilmente faceva o diceva la peggior cosa che potesse essere fatta o
detta in quell’istante, col risultato di farla rintanare nel suo guscio.
“Ciao Jamie.” quel saluto soffuso e caldo raggiunse
le sue orecchie nonostante le note alte degli amplificatori.
James si voltò ancora leggermente scocciato per
quello che era appena accaduto.
Fanny gli rivolse un sorriso luminoso, respirando un
po’ più profondamente del dovuto e lasciando che il seno candido e prospero
affiorasse leggermente dalla scollatura a cuore del suo tubino aderente avorio.
Le gambe lunghe e affusolate si ergevano, come richiesto dall’occasione, su un
paio di tacchi a spillo azzurri, conferendole un’altezza notevole.
James incrociò le braccia al petto e la guardò
inarcando un sopracciglio. Si aspettava quanto meno delle spiegazioni
plausibili se non delle scuse per la scena all’ingresso.
Fanny gli sorrise ancora di più avvicinandosi e
poggiando una mano sul suo avambraccio con fare casuale.
“Hai voglia di ballare?” gli chiese guardandolo
attraverso le lunghe ciglia scure, con una ritrosia in parte studiata e in
parte genuina.
James si mosse in modo straordinariamente veloce e
le agguatò il polso che fino a poco prima poggiava sul suo braccio. La tirò a
se con forza, facendola premere contro il suo torace, e le immobilizzò
agilmente il braccio contro la schiena.
I grandi occhi azzurri di Fanny si allargarono per
la sorpresa e il piacere di quel gesto, ma quando James parlò si dovette
ricredere sulle intenzioni del ragazzo.
“Che non si ripeta più quello che è successo prima,
so che cosa hai fatto. Non ti è concesso contestare chi frequento, chi vedo,
chi invito alle feste, o chi porto nella mia stanza. Noi non stiamo insieme,
chiaro?” mormorò con tono calmo ma perentorio. Il loro visi erano a pochi
centimetri di distanza così poté facilmente distinguere l’espressione
addolorata che Fanny tentò di nascondere.
“Io provo solo a far funzionare le cose.” ribatté
lei.
James allentò la presa sul suo polso, di modo che se
avesse voluto si sarebbe potuta allontanare quando voleva, eppure Fanny restò
immobile tra le sue braccia, schiacciata contro il suo petto con gli occhi
azzurri fissi sulle sue labbra.
“Le cose funzionano così come stanno. Ti ho spiegato
l’anno scorso che io sono così, se non ti piace o non ti va bene, ci salutiamo
Fanny.” ribatté con voce meno dura di prima
Gli occhi di Fanny si alzarono di scatto per
fissarsi nei suoi e James vide una malinconia che non avrebbe mai pensato di
scorgervi.
“Non ci sarà mai spazio per nessun’altra, vero?”
mormorò mentre una lacrima amara e caparbia sfuggiva dal suo occhio sinistro,
rotolando sulla guancia. “Potrei essere abbastanza per te, James. Potrei farti
felice…”
E detto ciò si allontanò rapidamente da lui,
camminando con passo leggermente malfermo.
James la osservò mentre spariva inghiottita
dall’allegria di quella festa.
Era venuto il momento di andare a chiedere a Philip
una delle sue “sigarette speciali” e cercare Dom per condividerla con lei.
Sì, Fanny sarebbe potuta essere abbastanza, avrebbe
potuto essere felice e farla felice, sarebbe potuto essere tutto normale, se
nel suo cuore, come aveva sagacemente notato la ragazza, ci fosse stato un
minimo di spazio anche per qualcun'altra.
Ma semplicemente non c’era.
***
I motivi precisi per cui odiava quel genere di feste
potevano essere riassunti sostanzialmente in tre punti. Angie se li elencò
mentalmente per ingannare il tempo.
Numero Uno: si ritrovava sempre in situazioni poco
gradevoli, come la volta in cui Scorpius aveva scoperto di lei e Derek, o
quando al quarto anno una tizia le aveva vomitato sulle scarpe, o la volta in
cui Jessy le aveva rifilato un Torrone Sanguinolento e lei indossava un
maglione bianco, o quando alla festa di addio che aveva organizzato Roxanne si
era ritrovata in mezzo ad uno dei soliti litigi tra quest’ultima e il suo
ragazzo Christopher. Più altri che in quel momento le sfuggivano, ma che
sicuramente Elena aveva appuntato nei suoi diari.
Numero Due: Era oltremodo spiacevole vedere gente in
preda ad ogni più basso istinto cedere ai bisogni della carne in modo così
pubblico. Come la ragazza distante da lei appena due metri, che poco prima, con
una studiata posizione di strusciamento a rimo di musica sul ragazzo prescelto,
era riuscita a infilare le dita nella cintura dei jeans… sulla porzione
anteriore.
Numero Tre: Si ritrovava sempre, immancabilmente,
incontrovertibilmente sola.
Come in quel momento.
Non che lo fosse fisicamente. Accanto a lei Rose,
Lily, Lucy e Albus ballavano, ridevano e scherzavano persi nell’euforia della
festa. Eppure lei era sola.
Osservava il mondo muoversi al ritmo della musica di
sottofondo, le luci colorate giocare con i riflessi delle bocce d’acqua, i
sorrisi sui volti dei suoi amici e sentiva tutto come profondamente estraneo a
lei.
Non riusciva nemmeno a ballare con quella musica,
perché l’unico con cui non si fosse mai sentita un ippopotamo in una
cristalleria mentre ballava era anche la persona che al momento la vedeva come
fumo negli occhi, se e quando la vedeva.
“Non ti diverti, Principessa?”
Angie si voltò di scatto stupita per quella voce insolitamente
vicina e vide un paio di occhi castani sorriderle.
“Non tanto, Scamandro.” ammise senza inflessione
particolare della voce e dando una generosa sorsata alla sua Burrobirra, che
con quel gesto finì.
Angie guardò la bottiglia in controluce e storse la
bocca contrariata.
“Per forza, continui a bere quella robaccia invece
di questa!” disse con enfasi Locarn Scamandro e agitò il suo bicchiere con
residui di un liquido verde menta, facendo tintinnare il ghiaccio all’interno.
I gemelli Scamandro, al sesto anno come Dominique e
James Potter, avevano un’aria di baldanza e goliardia sempre costante. Dalla
madre, Luna Lovegood, aveva ereditato la passione per le stramberie di ogni
genere e fatta, nonché per alcune teorie di complottismo che puntualmente si
rivelavano bufale tremende!
“Avanti ti faccio un cocktail io! Che qui altrimenti
mi arrivi sobria a fine serata!” disse Locarn scuotendo indignato la criniera
biondo scuro e provando a smuovere Angie dalla sua posizione prendendola per un
polso.
“è inutile! Non mi piacciono né il Firewisky né
l’Acquaviola.” ammise Angie stringendo le spalle con aria di scuse.
“E io scommetto che ti farò bere una cosa che ti
piacerà tantissimo!!!” esclamò Locarn iniziando a trainarla con decisione verso
il bancone degli alcoolici in quel momento deserto. L’entusiasmo del Corvonero
era tale che, nonostante il suo malumore dilagante, Angie rise.
Angelique incrociò gli occhi di Albus e gli fece un
cenno del capo mezzo disperato indicando Locarn, Potter le sorrise e le rispose
annuendo con vigore.
Fu veramente difficile passare attraverso le persone
schiacciate l’une contro le altre, che a stento riuscivano a compiere i
movimenti per ballare. Con gli altri si erano tenuti infatti sul limite della
pista per avere più spazio e non restare inscatolati come sardine, tra ascelle
puzzolenti di adolescenti scatenati e tacchi a spillo, che entravano
puntualmente nel collo del piede.
Quando finalmente giunsero al bancone Locarn si
introdusse agilmente nello spazio riservato e, con un paio di sorrisi e di
moine alle ragazze che in quel momento erano di turno agli alcoolici, si fece
consegnare gli strumenti del potere. Un coltello da frutta, uno shaker e tre
bottiglie.
Angie si sedette su uno sgabello davanti al ragazzo
e si puntellò col gomito destro al bancone appoggiando il mento sul palmo, lo
osservò attentamente mentre armeggiava concentratissimo e si accingeva a prepararle
da bere.
Aveva conosciuto Locarn e Lysander al terzo anno,
una gelida mattina di novembre mentre correva verso la lezione di Incantesimi
in tremendo ritardo. Più che altro li aveva investiti svoltando un angolo e
finendo stesa a terra in un mare di fogli di pergamena, piume per scrivere e
libri.
Ma ciò che aveva reso davvero indimenticabile il
loro primo incontro erano state le prime parole che Locarn le aveva rivolto:
“Ehi,
mi vorresti sposare?”
Quando Angie lo aveva guardato con gli occhi fuori
dalle orbita e aveva cessato di farfugliare le sue scuse frettolose, Lysander,
accanto al fratello, l’aveva osservata serissimo scuotendo leggermente la
testa.
“Intendo
dire Principessa, se non fossi la fidanzata di Malfoy e io fossi l’ultimo uomo
disponibile sulla faccia della terra mi vorresti sposare?”
aveva continuato con naturalezza Locarn ammiccando nella sua direzione con un
sorriso e chinandosi a raccoglierle gli oggetti sparsi per terra.
Angelique, del tutto frastornata dal quel discorso
apparentemente privo di logica, aveva risposto un debole:
“Suppongo
di sì, ma tu esattamente…chi sei?”
“Ma
così non vale!”
“Paga
pegno fratello!” aveva esultato letteralmente Locarn
saltando in piedi e alzando le braccia in alto.
Così poco dopo aveva scoperto che Locarn aveva
scommesso con il fratello che la prima ragazza che avrebbe incontrato avrebbe
accettato di sposarlo, ovviamente non erano state poste le condizioni di tale
richiesta, quindi Locarn aveva vinto. Tutto ciò le era stato spiegato mentre i
due biondi strampalati la scortavano alla lezione di Vitious ed entravano in
classe con lei, esprimendo col loro Direttore di Casa un profondo rammarico per
aver fatto ritardare la ragazza. Se l’erano svignata nel silenzio attonito che
era seguito alle loro giustificazioni.
Angie ricordava ancora perfettamente l’espressione
sconvolta sul volto di Albus e Scorpius.
“A che pensi?” il viso di Locarn e un bicchiere
ricolmo comparvero nel suo campo visivo.
“Al nostro primo incontro, Svitato.”
“La mia offerta è sempre valida Principessa!”
rispose Locarn sorridendole sfacciatamente e avvicinandole il bicchiere.
“Avanti assaggia!”
Angie osservò il drink e involontariamente il suo
sopracciglio destro scattò verso l’alto quando il vago odore pungente dell’alcool
raggiunse le sue narici.
“Di’ la verità Scamandro, mi vuoi far sbronzare a
tal punto da accettare le tue proposte assurde!”
“Magari bastasse un Angel Face* per farti cedere Principessa… Ma come vedi il ghiaccio
non viene sciolto da un po’ di alcool, anzi ne attutisce l’effetto.” disse
Locarn scavalcando il bancone e sedendosi accanto a lei.
“Oh-oh ci lanciamo in ardite composizioni poetiche
questa sera?!” ribatté lei giocherellando con la cannuccia.
Locarn non ribatté ma si limitò a guardarla con
entrambe le sopracciglia sollevate, come per intimarle di bere.
Angie con aria dubbiosa stampata in volto avvicinò
alle labbra la cannuccia e aspirò un po’ liquido con circospezione,
aspettandosi il sapore forte e nauseante dell’alcool. Tuttavia la sua bocca
venne invasa da un delizio gusto di frutta, in cui riuscì a distinguere l’aroma
di albicocca e quello di mela che concorrevano a rendere ancor più vellutata la
miscela fresca. Solo alla fine quando deglutì, sentì il retrogusto alcoolico
che per una volta non le diede fastidio.
“Mmm… Svitato ti sposo quando vuoi!” esclamò
portando alle labbra nuovamente il bicchiere. Sentì la risata di Locarn
mescolarsi in modo soffuso alla musica attorno a lei, mentre l’ Angel Face
scendeva lungo la sua gola, fresco e irresistibile.
Angelique quella sera capì finalmente perché spesso
i ragazzi alle feste bevessero alcoolici come dromedari prima della traversata
del deserto.
Si era lasciata andare a quel sapore rinfrescante e
per nulla stucchevole del drink, tanto da chiederne un altro a Locarn. Poi
quando inspiegabilmente il liquido nel suo bicchiere si era estinto, Svitato si
era galantemente proposto di rinnovare il sodalizio tra la Dursley e l’Angel
Face.
Per la prima volta in vita sua Angie comprese che
cosa significasse essere brilli. I colori della sala erano ancor più
sfavillanti di quando era entrata, ogni battuta di Locarn era tanto esilarante
da farla ridere fino ad avere le lacrime agli occhi, persino le altre ragazze
che aveva tanto biasimato appena arrivata non le sembravano poi così indecenti.
Sentiva la testa e gli arti estremamente leggeri, come se lo spazio attorno a
lei fosse scomparso e lei vi galleggiasse, finalmente spensierata.
Non c’erano più Vasi di Pandora, non c’era più occhi
neri a cui pensare, c’erano solo bella musica e un amico simpatico con cui
scherzare.
“Ehi Scamandro, c’è una tipa che ti guarda come se
fossi uno Zuccotto di Zucca appena sfornato.” disse Angie inclinando appena il
capo verso il biondo e coprendosi la bocca col bicchiere ormai vuoto. Locarn
girò il capo, apparentemente per guardare il fratello alla console della
musica, e scrutò di sfuggita la ragazza.
“Direi che più che altro mi guarda come se avessi
indosso solo la carta di uno Zuccotto di Zucca per coprirmi!”
Angelique proruppe nell’ennesima risata
incontenibile. Poi con un movimento un po’ scoordinato scese dallo sgabello che
aveva occupato fino a quel momento, inciampò nei suoi stessi piedi e, se Locarn
non l’avesse sostenuta per un braccio, sarebbe anche finita a terra. Angie
ridacchiò ancora mentre si rimetteva in piedi.
“Principessa, vuoi che ti accompagni da Albus?” le
chiese Locarn guardandola divertito.
“No, Zuccotto! Faccio da sola. Tu offri da bere a
quella ragazza, è bella!” ribatté lei.
Angie si avvicinò al ragazzo e depositò sulla
guancia del giovane un bacio amichevole.
“Grazie Svitato, mi ha fatto ricredere sulle feste!”
“Dovere, Dursley.” le disse sorridendo Scamandro.
Angelique si voltò e si incamminò verso il limite
della folla che ballava attorno alla piscina.
Scrutò vagamente perplessa tutte quelle persone. Le sembrava che i loro
movimenti fossero alternativamente troppo veloci o troppo lenti, aveva quasi
l’impressione che tutti si muovessero allo stesso ritmo, con coordinazione
innaturale.
La giovane scosse leggermente la testa e si convinse
che in un modo o nell’altro avrebbe ritrovato Albus, o al massimo si sarebbe
fatta un bagnetto nella piscina in cui in quel momento alcuni ragazzi stavano facendo
la lotta gli uni sulle spalle degli altri.
Senza sapere esattamente che via aveva percorso
all’andata si gettò tra le braccia della marmaglia.
Mentre provava a non venire sommersa dalle gomitate
e dai movimenti poco aggraziati di quelli attorno a lei, un pensiero si fece
strada nella sua testa.
Non aveva visto tra gli invitati Derek e Celia. In
realtà quando Locarn l’aveva sequestrata aveva anche smesso di pensare
insistentemente a quando sarebbero comparsi davanti ai suoi occhi, avvinghiati
come Emma e Berty. Magari Lucy si era impuntata a tal punto da escludere la
Danes dalla festa, sapeva che non correva buon sangue tra le due… Ma in tal
caso Derek sarebbe rimasto con la sua ragazza o avrebbe seguito Jessy?
Le sue elucubrazioni vennero spente da una poderosa
gomitata che le arrivò dritta nell’ultima costola. Le fece così male che Angie
si piegò su sé stessa per un istante, rendendosi conto improvvisamente che era
finita dalla parte opposta della sala, rispetto a quella dove voleva andare.
Emise un gemito di frustrazione e, spintonando
piuttosto energicamente, si fece largo fino a che non vide davanti a sé una
delle alte pareti di pietra della sala.
Magari avrebbe potuto percorre tutto il perimetro di
quell’immensa stanza fino a ritrovare il punto esatto dov’erano Albus e gli
altri… Ma come poteva riuscirci se la testa era così leggera e si rifiutava di
collaborare?! Come poteva comportarsi da persona normale quando sentiva il suo
corpo fluttuare?
Stava per voltarsi verso la prima persona che le
fosse capitata a tiro per implorarla di aiutarla a tornare da Locarn, quando
sentì una mano cingerle gentilmente il polso sinistro e un corpo avvicinarsi a
lei da dietro.
Prima che le labbra si movessero vicinissime al suo
orecchio e lei potesse riconoscere la voce di chi l’aveva avvicinata, sentì il
suo profumo.
Le sembrò quasi che quell’odore famigliare le
passasse attraverso la pelle e raggiungesse direttamente i polmoni tanto era
distinto e forte. L’odore che l’aveva perseguitata per tutto il giorno dopo che
l’aveva sentito sul limite della Foresta Proibita, la menta fredda che le
causava palpitazioni, le spezie che scioglievano le giunture delle ginocchia
rendendole deboli, il calore della sua pelle che riscaldava il profumo con una
nota unica e inebriante.
“Vieni con me.” le sussurrò dolcemente nel mezzo del
frastuono della festa.
Come le succedeva ogni volta che lui compariva,
lasciò che il cervello si assopisse, lasciò che quella mano gentile
intrecciasse le dita con le sue, lasciò che quel corpo che sognava di notte e
la tormentava di giorno guidasse il suo lontano da tutto.
***
Albus smise di ballare insieme a Rose e si avvicinò
alla sedia dove aveva lasciato la sua Acquaviola ghiacciata.
Era stato molto contento che Locarn avesse preso
quasi di peso Angelique per portarla chissà dove. Sapeva che tra quei due c’era
sempre stato un rapporto di amicizia un po’ strano, Angie che passava la metà
del tempo a insultarlo e l’altra a dirgli che voleva sposarlo. Scorpius era
sempre stato geloso marcio di Scamandro, tanto che un paio di volte aveva pure
litigato con Angelique.
Trangugiò una sorsata del liquido freddo, e
immediatamente il senso di calura opprimente si alleviò all’istante. Si voltò
verso la cugina e si avviò nuovamente verso di lei, dissetato e pronto a
ricominciare a ballare, quando i suoi occhi verdi incrociarono la figura di
Locarn Scamandro che ballava, in modo abbastanza esplicito sulle sue
intenzioni, con una ragazza dai lunghi ricci… neri.
Al strabuzzò leggermente gli occhi e si avvicinò al
ragazzo.
“Ehm… Locarn? Scusami.” disse ad alta voce quando fu
abbastanza vicino. Si sentiva in enorme imbarazzo a interrompere due persone in
un atteggiamento così intimo, ma c’era qualcosa che non gli quadrava.
“Ehi Albus, posso fare qualcosa per te?” chiese
amabilmente il giovane sollevando lo sguardo verso Potter ma senza staccare le
mani dai fianchi della mora.
“Io… Ehm… Sai dov’è Angelique?”
A quelle parole Locarn smise di ballare e guardò
l’altro con la fronte corrugata.
“Mi ha detto che sarebbe tornata da te.” rispose con
voce tesa e rivolse uno sguardo allarmato alla piscina, dove però c’erano solo
coppiette in amore e un gruppetto di ragazzi che si credevano foche monache.
“Si sarà fermata a parlare con qualcuno…” propose
Albus, mentre iniziava a percepire un vago senso d’angoscia.
Locarn si passò una mano su volto e poi ammise:
“Era… Ehm… Un po’ brilla quando se n’è andata.”
Albus sentì l’ansia latente concretizzarsi appieno.
Angelique alle prese con la prima sbronza, persa in una stanza piena di ragazzi
con gli ormoni a mille… Dalle sue labbra uscì una parolaccia così grossa che la
ragazza mora che stava ballando prima con Locarn lo guardò stupita.
“E tu l’hai lasciata andare via così?!” chiese
incredulo.
“Ha detto che ce la faceva da sola!”
Tipico di quella testona, fare tutto da sola come se
non ci fosse nessuno al mondo a cui chiedere aiuto.
Il giovane Potter fece per voltarsi e partire in
quarta alla ricerca dell’amica quando Locarn lo prese per un braccio.
“Ti do una mano!”
“Lascia stare, hai fatto abbastanza per stasera!”
sbottò l’altro sottraendosi dalla presa con uno strattone.
Cercò in vano per più di mezzora nel Bagno dei
Prefetti, chiese a quelli che conosceva se avevano visto Angie, mentre
l’agitazione attanagliava sempre più forte il suo stomaco.
Quando finalmente una ragazza gli disse che l’aveva
vista dirigersi da sola verso l’uscita, Al uscì correndo e pregando dentro di
sé che non le fosse successo niente.
***
Derek e l’alcool avevano dei fondamentali tratti in
comune: concedevano ebrezza, annebbiavano la ragione, facevano dimenticare e le
causavano disinibizione. E lei in quel momento aveva dosi eccessive di
entrambi.
Non aveva idea di come fossero riusciti a uscire dal
Bagno dei Prefetti senza essere visti, perché Derek non aveva mai lasciato la
sua mano.
Aveva qualche flash sconnesso di quando aveva
attraversato l’ingresso, ma le sembrava di averlo fatto da sola, il che non era
possibile visto che ora lo stava baciando, schiacciata dal suo corpo caldo
contro la parete gelida di una delle nicchie del corridoio.
“Come…” tentò di dire, ma le parole che aveva
accuratamente selezionato nella sua testa restarono incastrate lì. Forse perché
il ragazzo aveva abbandonato le sue labbra per dedicarsi al collo.
“Come?” la incalzò Derek mentre si soffermava sulla
gola.
Angie si schiarì leggermente la voce e riprovò a
ordinare i pensieri.
“Come abbiamo fatto ad attraversare la Sala senza
essere visti?” la sua voce uscì con un sussurro roco e lievissimo, ma tanto
bastava per farsi capire.
Derek scese fino al profilo della clavicola, strofinandovi
appena la punta del naso.
“Incanto di Disillusione.” mormorò.
Angelique nonostante la leggerezza e l’abbassamento
dell’inibizione, sentì una fitta di delusione farsi spazio dentro di lei.
Ovviamente non l’aveva presa per mano davanti a un centinaio di persone,
l’aveva condotta fuori e solo lì si era rivelato.
“Avrei voluto tirare il collo a Scamandro.” le
sussurrò con possessività mordendo lentamente il lobo dell’orecchio prima di
baciarlo.
“Perché?” sussurrò a stento la ragazza, scossa da un
brivido, mentre una mano di lui si insinuava tra i lunghi capelli biondi.
“Perché continuava a farti bere e perché non ti
lasciava più andare.” ammise scostandosi appena da lei per poterla guardare in
viso.
Angie lo fissò vagamente confusa da quelle affermazioni.
Sul volto di Derek regnava un espressione di gelosia
quasi furiosa, che lei considerò ingiustificata e ingiusta visto che il bell’imbusto
non aveva nemmeno avuto il fegato di farsi vedere con lei mano nella mano. Così
indietreggiò appena col capo, per quanto la parete di pietra dietro di lei
glielo consentisse, e distolse lo sguardo da quello del ragazzo.
Un’espressione dura calò sui suoi lineamenti fino a
poco prima distesi e fece per scostarlo da sé, appoggiando le mani sul suo
petto, ma quello rimase immobile.
Derek spalancò appena di più gli occhi e, capendo la
contraddittorietà delle sue parole rispetto al suo atteggiamento, le prese il
viso tra le mani ponendo i palmi sulla linea della mascella. Quando Angie fece
per ribellarsi a quel contatto la costrinse ad alzare gli occhi per guardarlo.
In quelle pozze scure Angelique vide un tale dolore
e un tale calore da farle smettere di lottare per andarsene.
“Io ti vedo camminare per i corridoi, mangiare con
le tue amiche, studiare in biblioteca, e…” la voce di Derek uscì forzata, come
se stesse trattenendo a stento la voglia di urlare. Si interruppe con un sospiro
aspro e pieno di frustrazione, poi riprese con voce ancor più roca: “E io
vorrei avvicinarmi a te, vorrei baciarti la fronte quando la corrughi mentre
studi qualcosa di difficile, vorrei venirti a cercare ai cambi dell’ora per
accompagnarti in classe, vorrei passeggiare con te nel parco… Ma non posso!!!”
La rabbia e la sofferenza concentrati in quella voce
e in quegli occhi la colpirono come uno schianto al cuore.
Realizzò con stupore che lui era torturato
esattamente come lei. Aveva un peso sul petto così forte da renderle difficile
respirare.
“E poi c’è Potter che cammina a braccetto con te o
Scamandro che ti fa ridere, e io devo trattenermi dal prenderli a pugni appena
li vedo, perché vorrei essere al loro posto e… Maledizione, non posso!”
Il petto di Derek si alzava e abbassava veloce.
Poteva sentire il battito del suo cuore contro i propri palmi martellare
insistente e rapido come per uscire dalla gabbia toracica.
C’era Derek davanti a lei, che non poteva offrirle
nulla se non quelle ore rubate ma che le stava chiedendo silenziosamente di non allontanarsi,
di restare con lui in quella bufera di dolore e perdizione.
Non ci fu bisogno di far finta di essere incerti,
Angie aveva già deciso guardandolo negli occhi.
Colmò l’esigua distanza che avevano mantenuto per
parlare e premette le proprie labbra su quelle del ragazzo, il quale rispose
immediatamente al bacio.
Le lingue si intrecciarono in una danza dolce e
sensuale, che esprimeva tutto il bisogno di entrambi di restare uniti in quel
contatto. Le pose una mano sulla nuca e la trasse ancor più vicino a sé,
cingendole la vita con un braccio.
L’effetto degli Angel Face stava svanendo, Angie
poteva sentire la sua testa snebbiarsi dalla confusione che vi aveva regnato
prima, ma se anche fosse stata completamente sobria, l’assuefazione che le sue
labbra morbide e il suo odore le causavano sarebbe bastata per farle perdere
ogni barlume di fermezza.
Non c’era nemmeno tempo per riprendere fiato, perché
ogni bacio pareva necessario per dimenticare che fuori da quella nicchia non
erano altro che estranei, che quello che evidentemente sentivano l’uno per l’altra
doveva restare nelle ombre della notte e dei segreti.
Angie passò le braccia attorno al suo collo e si
sollevò sulle punte per facilitare il bacio, anche se non sarebbe stato
necessario visto che non era molto più alto di lei. Inclinò appena il capo per
avere un migliore accesso a quella bocca che segnava il suo declino ogni vola.
C’era, come l’ultima volta che lo aveva visto, uno
sfondo di tristezza in quelle carezze e in quei baci che non poteva essere
cancellato e che rendeva tutto ancor più indelebile nella mente della ragazza.
Assaporò ogni centimetro a cui riuscì ad accedere
come se fosse stato un piatto estremamente prelibato di cui le era concessa una
razione troppo scarsa.
Morse appena il labbro inferiore di Derek, cibandosi
di quella carne deliziosa e morbida, gli baciò la mascella guastando quella
pelle ambrata come il bronzo, sentendolo sospirare quando la lingua scerse a
delineare il percorso della giugulare sul collo.
Tornò lentamente sulle labbra del ragazzo e le fece
combaciare con le sue.
Mentre il bacio si faceva più frenetico e acceso,
Derek strinse tra le dita i capelli di Angie così forte da sfiorare il dolore,
come se si stesse imponendo con tutta la propria volontà di non toccarla oltre,
di non scendere lungo i fianchi e raggiungere mete più sensibili.
Le sue mani, il desiderio così esplicito in ogni
movimento, il calore e la solidità del suo corpo erano come continue stilettate
dalla dolcezza infinita. Un lento morire della ragione di fronte al cuore.
“Ma che.. Oh!”
Una voce maschile si udì distintamente nel silenzio
tombale di quel corridoio semi buio.
Angie voltò di scatto la testa verso la fonte del
suono famigliare e fu certa che il suo cuore si fosse fermato, per poi
sprofondare in un luogo ignoto da cui non era più possibile udirne i battiti.
Perché di tutte le sfighe possibili quella era
veramente improponibile, perché di tutte le persone che avrebbero potuto
vederla in tale atteggiamento con Derek e che lei avrebbe potuto facilmente Oblivare quella era l’unica a cui non lo
avrebbe mai fatto.
Perché davanti a lei c’era Albus, illuminato dalla
fredda luce della sua bacchetta, con gli occhi dilatati per lo stupore e un
‘espressione allibita stampata in faccia.
Che grottesco dejavu! Una delle persone a cui teneva
di più al mondo che la scopriva avvinghiata al ragazzo che detestava.
Derek ebbe il buon senso di lasciarla andare subito
e Angie sentì il panico diffondersi nelle membra così distintamente, che le braccia
iniziarono a dolerle e le mani a tremare incontenibilmente.
Il giovane Potter si riprese quasi subito. Prima li
osservò con un espressione gelida e poi senza una parola fece marcia indietro.
Mentre il suono dei suoi passi decisi e rabbiosi,
che si allontanavano in modo definitivo, riempiva i timpani di Angelique, le
ginocchia le cedettero.
Si accasciò contro il muro privata di ogni forza.
Il suono della voce di Derek le sembrava irrilevante
in confronto a quello dei piedi di Albus che la abbandonavano, il suo viso
vicino per accertarsi che stesse bene invisibile davanti a quell’espressione
gelida che il suo migliore amico non le aveva mai rivolto prima.
Aveva aperto un altro Vaso di Pandora e non aveva
più un briciolo di speranza per combattere i suoi demoni.
*Angel Face: cocktail a base di tre liquori, di cui
uno all’albicocca e uno alla mela.
Nota dell’autrice:
So che mi volete uccidere.
Ed essendone pienamente consapevole mi
accingo a spiegare un paio di punti fondamentali: 1 Non ho aggiornato perché ho
avuto un esame la settimana scorsa. 2 Non ho aggiornato perché come avete
potuto vedere è un capitolo molto più lungo del normale e ci ho messo un po’ a
scrivere. 3 Tutti i nodi vengono al pettine, soprattutto quando si è un po’
brilli, quindi era normale che prima o poi Albus lo venisse a sapere… Magari
sarebbe stato preferibile in un altro modo, ma Angie è una sfigata ontologica,
quindi è andata così.
Spero che vi sia piaciuto e che mi
facciate avere presto le vostre opinioni, giudizi e magari anche insulti nel
caso delle più accorate!
RINGRAZIAMENTI SPECIALI per le meravigliose fanciulle che hanno recensito lo
scorso capitolo: FleurDa, mia
meravigliosa ragazza spero di aver ripagato l’attesa, cescapadfoot che hai trovato un po’ di tempo per recensire, a
proposito sì tornerà anche la Sala della Memoria molto presto, chuxie mi sento onoratissima dalle tue
minacce, Roxy_HP le tue recensioni sono sempre graditissime, corte o lunghe che
siano! Ele 12 e Shanna_LouTommo grazie infinite per esservi unite a questo gruppo
di matte, adorabili e indispensabili per la sottoscritta, che seguono la
storia! E grazie Bambolina.
Grazie infinite anche a tutti gli altri
lettori silenziosi.
Tanti baci.
Bluelectra
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Capitolo 6 *** Cap.6 Famiglia ***
Cap.5 Famiglia
Cap.6 Famiglia
Tutte
le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice invece è disgraziata a
modo suo.
Lev
N. Tolstoj
“Hai combinato proprio un bel casino…”
“LO SO!”
Angie nascose la testa tra le braccia incrociate sul
tavolo di legno grezzo.
La sera precedente era stata, per esprimersi
eufemisticamente, disastrosa.
Derek l’aveva riaccompagnata al suo dormitorio in
uno stato di shock, ma quando aveva varcato la soglia della Sala Comune e poi
della sua stanza aveva sentito letteralmente il mondo crollarle addosso.
Aveva vegliato tutta la notte, incapace di prendere
sonno, pensando al suo migliore amico. Il ragazzo che le aveva teso una mano quando
era sola, che l’aveva resa parte di una famiglia meravigliosa che era stata il
suo sostegno nei primi anni ad Hogwarts. L’unico che guardandola negli occhi
avrebbe saputo capire ogni singola emozione. E lei temeva con tutta sé stessa
di averlo perso irreparabilmente.
Appena Martha si era svegliata, Angie aveva tirato
giù dal letto anche Elena, con enormi sforzi, e senza che le compagne di
dormitorio avessero fatto in tempo a lavarsi la faccia o anche solo a
protestare, la ragazza aveva iniziato a
parlare.
Camminando avanti e indietro come una bestia in
gabbia aveva raccontato tutto, sotto lo sguardo sempre più allibito di entrambe
le amiche, senza giustificazioni né attenuanti, perché era convinta che non ci
fosse più spazio per le bugie o per le cose non dette.
Già che c’era aveva anche accennato alla questione
delle sigarette.
Martha aveva deglutito a vuoto un paio di volte e
poi in silenzio, coi i capelli ramati così spettinati da sembrare un balla di
fieno, si era diretta di bagno, dove aveva aperto il rubinetto della vasca e si
era messa a fissare l’acqua fluire per alcuni minuti.
Elena, la cui faccia recava ancora l’impronta della
federa del cuscino, l’aveva guardata senza ombre nei grandi occhi verde bosco e
le aveva sorriso in modo rassicurante. Però, mentre nel dormitorio del quinto
anno il rumore dell’acqua che
raggiungeva il bordo della vasca regnava sovrano, la Zabini l’aveva fissata
dritta negli occhi e aveva parlato con serietà:
“Stai
attenta Angelique, a giocare col fuoco ci si brucia. E alcune cicatrici non
vengono più via.”
Poi si era alzata ed era andata a ripescare Martha,
ancora intenta a osservare l’acqua.
La situazione era degenerata poco dopo.
Martha uscendo dal bagno era caduta a terra e il suo
corpo aveva iniziato ad essere percorso da spasmi e movimenti convulsi. Angie
aveva capito immediatamente che si trattava di una delle crisi di epilessia che
colpivano l’amica e che aveva imparato a affrontare nel corso degli anni. Aveva
urlato ad Elena di andare a cercare la Blackthorn, mentre lei eseguiva le prime
manovre di pronto soccorso, che si era fatta insegnare da sua madre per poter
aiutare Martha.
Aveva cercato in ogni modo di non lasciare che il
panico e la preoccupazione le offuscassero la mente, ma, mentre tentava di
allontanare ogni oggetto pericoloso e di immobilizzarle la testa, le era parso
che dalle labbra dell’amica provenissero lievi sussurri, un sentore che aveva
già avuto altre volte ma che aveva ignorato.
La Direttrice di Serpeverde era giunta correndo e in
men che non si dica era riuscita a sedare la giovane con incantesimi di
Medimagia.
Martha era stata portata in infermeria ed Elena si
era proposta di andare ad avvisare i ragazzi. Così ad Angelique non era rimasto
altro che andare dall’unica persona che fosse sempre stata in grado di aiutarla
con i suoi dubbi sentimentali…
“Ce lo vuoi un biscottino da inzupparci dentro nel
tè?”
Rubeus Hagrid, la cui cucina era stata presa in
considerazione da Stalin per eliminare i prigionieri politici nei Gulag.
“No Hagrid, ti ringrazio. Ho lo stomaco chiuso.”
mormorò la giovane rimettendosi seduta composta.
“Avanti bambina, lo sai che le cose si
sistemeranno!” le disse Hagrid prendendole una mano e racchiudendola nelle
proprie grandi come padelle. “Devi andare a chiarirci la questione, con Al
intendo.”
“Lo so Hagrid… Ma se lui si rifiutasse di
ascoltare?”
Avvertiva un fastidioso pizzicore agli occhi tutte
le volte che pensava al mondo in cui Albus l’aveva guardata, all’entrata della
nicchia.
“Mi sembra ovvio, no? Tu lo Impastoi e poi continui a parlare finché lui non capisce!”
Angie guardò negli occhi il Guardiacaccia e dopo
alcuni istanti gli sorrise divertita. In effetti un approccio un po’ più
pragmatico di quelli che lei utilizzava di solito poteva rivelarsi una
soluzione
“Come sta Elena?
Quella nana della Zabini aveva la capacità di
ispirare affetto anche a un orso polare appena uscito dal letargo, figurarsi in
un altro fanatico delle bestie pericolose e particolarmente brutte.
“Benone, è andata un po’ in fissa con quella cosa
degli Ippogrifi, ma ora sembra tornata la venerazione per gli Snasi.” ci fu un
istante di silenzio dopo la risposta della bionda e poi Hagrid si schiarì la
voce.
“Tra poco è l’anniversario, vero?” la voce
dell’uomo, sempre forte e poderosa, uscì incerta e cauta. L’allegria di qualche
attimo prima scemò completamente dallo spirito di Angie.
“Sì, il 2 ottobre.” rispose un po’ meccanicamente.
La sua mente la riportò inesorabilmente al periodo
buio e pieno di dolore che due anni prima aveva colpito la sua amica.
Il 2 ottobre sarebbe stato il secondo anniversario
della morte della madre di Elena, Lady Ophelia Zabini. Aveva impressi nella
memoria quei giorni così chiaramente che le sembrava di riviverli in
continuazione quando qualcosa minava la serenità di Nana. Ricordava una
ragazzina, appena più grande di una bimba, piangere silenziosamente il giorno
del funerale della sua mamma, mentre i capelli neri, che non avrebbe più
portato così, ondeggiavano nel freddo vento autunnale.
Ricordava come la notizia si fosse diffusa nella
scuola, alimentata dai pettegolezzi; di come le persone nei corridoi
mormorassero al passaggio di Elena parole come “la figlia della pazza”, “suicida”,
“ritrovata in un lago di sangue”; come Elena si fosse spenta per settimane.
Ricordava di quanta angoscia aveva provato nel sentirsi del tutto impotente e
troppo piccola davanti ad un dolore
così grande, così lacerante. Ricordava che Martha aveva avuto una crisi dopo
l’altra per la tensione accumulata.
Eppure Nana si era rialzata, aveva trasformato
quelle voci di corridoio che la additavano come anormale nel suo cavallo di
battaglia. Aveva iniziato ad appassionarsi di cose inusuali e normalmente poco
considerate. Era tornata dai suoi amici, che avevano fatto di tutto per
sostituirsi a quella famiglia massacrata.
La prima volta che si era tinta i capelli aveva
scelto il bianco, dicendo che era il colore preferito di sua madre, dei fiori
di cui riempiva la casa quando lei era bambina.
Angie scosse la testa frastornata da tutti quei
pensieri di prima mattina.
“Bene… Allora vado a Impastoiare il mio migliore amico.” annunciò la giovane posando i
palmi sul tavolo e alzandosi in piedi. Diede una rapida occhiata all’orologio a
cucù da cui usciva un drago in miniatura ad ogni ora, un regalo suo e di Albus.
Erano già le nove e mezza! L’orario di visite dell’infermeria sarebbe
cominciato da lì a un quarto d’ora, doveva darsi una mossa.
Rivolse un sorriso di commiato ad Hagrid e fece un
cenno della mano, prima di posarla sul pomello della porta della capanna.
“Angelique.” la richiamò la voce profonda.
La ragazza si irrigidì immediatamente. Quando
qualcuno la chiamava col suo nome completo di solito era preludio di una
ramanzina o di una cosa molto seria.
Si voltò appena incrociando gli occhi neri di Hagrid
che la osservavano vagamente preoccupati.
“Sì?”
“Ti meriti di meglio di questa cosa così… impiastricciata!”
“Ok.” disse atona.
Spalancò la porta e quasi caracollò giù dalle scale.
Mentre percorreva la strada per il castello si rese conto di quale aggettivo
assurdo avesse utilizzato Hagrid per descrivere la sua situazione.
Impiastricciata.
Ci stava che magari
avesse sbagliato aggettivo, intendendo un’altra cosa, non sarebbe stata la
prima volta, eppure quella parola era calzante. Come la maggior parte delle
osservazioni che Hagrid le faceva.
Ovvero la sua relazione con Derek era imbrattata di
una qualche sostanza untuosa, che l’aveva letteralmente invischiata. Le aveva
incollato i piedi in un punto morto, da cui riusciva solo a fare del male alle
persone a cui voleva più bene, da cui non c’era soluzione.
E lei davvero si meritava qualcosa di meglio? Che
cosa esisteva di meglio al mondo di baciare Derek come le era successo la sera
prima? Che cosa poteva essere paragonabile alla dolcezza con cui lui l’aveva
aiutata a rialzarsi e l’aveva accompagnata nei Sotterranei? Che cosa c’era di
più bello del suo sorriso o dei suoi occhi che le bruciavano sulla pelle quando
li incrociava?
Magari
il fatto di non dover vivere tutte queste sensazioni idilliache nel cuore della
notte, come una sgualdrina qualunque. La sua Martha interiore
aveva parlato, inflessibile e lapidaria come sempre.
La voce di Elena nella sua coscienza nella maggior
parte dei casi assumeva il ruolo di spiritello sardonico, che la punzecchiava
sui punti salienti. Quella di Martha invece aveva il ruolo di sottolinearle le
sue contraddizioni e sezionare in modo chirurgico le convinzioni dietro cui si
nascondeva.
Angie si fermò di botto nella Sala d’Ingresso. La
sua condizione mentale stava diventando preoccupante. Personalità multiple,
voci nella testa, sbronze che le facevano perdere la cognizione
spazio-temporale...
Avrebbe dovuto andare da un buon psicanalista
Babbano per farsi rimettere in sesto, magari le avrebbe anche suggerito come
procedere nel puro Caos della sua esistenza.
Svoltò l’angolo che precedeva l’infermeria e vide
che la porta imponente era accostata, ciò significava che era già in ritardo.
Affrettò il passo e quando fu a un metro di distanza, mentre allungava la mano
verso il pomello, lo spiraglio esiguo, da cui si intravedeva appena l’ambiente
interno, si spalancò del tutto.
Comparve, incorniciato su uno sfondo di letti
candidi e pareti azzurrine, Scorpius, il cui volto era sereno e disteso, finché
non alzò gli occhi verso di lei.
Vide la sua postura irrigidirsi come se avesse
ricevuto una secchiata d’acqua gelida, i lineamenti sottili del viso ovale
indurirsi tanto da renderlo irriconoscibile.
“Ciao.”
Angie stentò a riconoscere la propria voce
insolitamente gentile, che era uscita dalle sue labbra in poco più che un
sussurro. Per un solo brevissimo istante, tanto infinitesimale da farle
sospettare che non ci fosse mai stato, vide gli occhi grigio-azzurri di
Scorpius addolcirsi. Poi le iridi assunsero la consueta espressione sferzante e
la osservarono con disprezzo.
Malfoy la superò senza nemmeno sfiorarla per sbaglio
e lasciando la porta aperta dietro di sé. Angelique respirò a fondo, per
impedirsi di urlare a pieni polmoni per la frustrazione.
La bionda si chiese se non fosse il caso di
rincorrerlo e provare nuovamente a parlargli, ma l’immagine di Martha con il
volto cereo e le labbra livide prese il sopravvento.
Angie sganciò gli alamari argentati del mantello e se
lo appese al braccio mentre scivolava all’interno dell’infermeria. Il primo
dettaglio che le balzò all’occhio fu una macchia viola nei colori tenui e
rilassanti dell’infermeria deserta, ad eccezione di un solo posto.
Ai piedi di uno dei letti centrali, Elena se ne
stava appollaiata su uno sgabello e sorrideva alternativamente a Martha,
distesa sotto le coperte e col capo appoggiato ai cuscini, e a Berty accanto a
lei.
Da che Angie riusciva a ricordare il posto di Berty
nelle situazioni più delicate era sempre stato al fianco di Elena. Bertram,
silenzioso e costante, pronto a sostenere anche il suo più piccolo vacillare, era
un altro angelo custode di quella ragazza dall’aspetto tanto fragile.
Senza accorgersene Angelique si fermò nel mezzo del
corridoio ad osservare i suoi amici, come se fosse stata davanti a uno dei
quadri animati che costellavano le pareti di Hogwarts.
Guardandoli così, leggermente distaccata ed
estranea, si rese conto che nel corso di quei due anni, ma forse anche prima,
loro avevano costruito un nido attorno a Elena, una barriera che impedisse alla
cattiveria del mondo di far affievolire quella scintilla di vitalità
insostituibile.
Angie che la mandava sempre via quando Martha aveva
una crisi e che le riordinava i vestiti buttati in ogni dove nella stanza;
Albus che menzionava poco o niente la sua famiglia; Berty che vigilava su lei e
allontanava discretamente tutto ciò che avrebbe potuto farle ricordare; Martha che la riprendeva
quando posava i gomiti sul tavolo e le ricordava tutti i compiti; e persino
Scorpius, con cui non era mai andata particolarmente d’accordo, che aveva
seppellito ogni dissapore. Tutti loro quotidianamente si prodigavano a
mantenere un patto silenzioso stipulato tanto tempo prima.
Un patto che sanciva una famiglia di amici. A cui
lei stava dando tanti e tali colpi da farla crollare, per puro egoismo…
“Angie, mi senti?!” la voce di Martha la richiamò
alla realtà.
La ragazza si avvicinò all’amica e la osservò mentre
si sedeva su una sedia accanto al letto.
Come sempre dopo uno di quegli attacchi, Martha
appariva sfibrata: le gote erano pallide e tirate, gli occhi arrosati e gonfi,
le labbra leggermente secche. Eppure anche così, con la camicia verdina
dell’infermeria e l’aria provata, Angie vedeva la grazia naturale dei suoi
movimenti, la perfezione dei lineamenti delicati come quelli di una bambola di
porcellana, la bellezza che non riusciva a essere scalfita nemmeno da una
malattia tanto ignobile, l’eleganza che lei non avrebbe mai potuto raggiungere.
“Ti prendo dell’acqua” mormorò la bionda guardando
intensamente gli occhi marroni dell’amica.
Mi
dispiace tanto, scusami.
“Sto bene così, grazie.” rispose l’altra prendendo
una delle mani di Angie e stringendola nella propria con energia.
Non
è colpa tua, lo sai.
Avevano imparato un gran bene a comunicare con
sottointesi, sempre per cercare di evitare alla piccola Nana gli argomenti più
spinosi.
Angie abbozzò un pallido sorriso e si voltò verso i
due ragazzi a cui aveva dato le spalle fino a quel momento.
“Ciao belli di notte.” disse ghignando
vagamente. Elena ridacchiò passandosi
una mano tra i capelli.
“È un piacere
anche per me, Angelique!” concordò Berty chinando appena il capo.
Angie fece per voltarsi ancora verso Martha ma poi
cambiò idea e fissò Berty dritto negli occhi con espressione impassibile, prima
di iniziare a sciorinare velocemente con tono quasi annoiato:
“Ah Berty, prima che capiti un’altra situazione estremamente imbarazzante anche con te,
l’anno scorso ho tradito Scorpius ed è per questo che in questo periodo mi
chiuderebbe in una camera a gas. Inoltre ho ufficialmente assunto il ruolo di
put…”
“Angelique!” esclamò Martha dandole un colpetto sul
dorso della mano.
“Ok! Diciamo allora… Concubina di un ragazzo a cui
non avrei mai dovuto nemmeno chiedere una piuma in prestito! E Albus mi ha
beccata in pieno ieri notte. Ah, inoltre fumo come un turco quando non c’è
nessuno a guardarmi! Mi sembra un discreto riassunto.” Concluse Angie guardando
Elena la quale annuì arricciando le labbra in un espressione convinta.
Berty spalancò la bocca stupito e Angie non poté far
a meno di pensare a quando assumeva quella stessa espressione da pesce lesso e
portava ancora le lenti da ipermetrope, con risultato finale esilarante.
“Avanti Berty, la mamma e il papà devono fare
discorsi da grandi!” esclamò Elena scendendo dallo sgabello con qualche
difficoltà vista l’altezza. Ogni tanto Angie pensava che in realtà Elena
lasciasse a tutti loro l’illusione di prendersi cura di lei, quando invece era
proprio Nana a tenere unite le loro esistenze.
Quando la ragazza prese il polso di Berty questo la
osservò con espressione ancora allibita negli occhi e si lasciò condurre fuori
con un flebile:
“S-sì…”
“Elena devi fare ancora il compito di Incantesimi!”
esclamò Martha tirandosi a sedere
immediatamente.
Proprio
come una mamma.
“Certo, certo!”
“Avanti Martha lasciala in pace, è sabato!” disse
Angie sorridendo.
Proprio
come un papà.
“Ascolta tuo marito, Prefetto O’Quinn!”
“Se-se vuoi ti a-aiuto io.”
Le ultime parole di Berty si affievolirono insieme
al rumore dei cardini leggermente cigolanti della porta dell’infermeria che si
accostava.
Martha si riaccasciò contro i guanciali alle sue
spalle e un sorriso pieno di calore e affetto le increspò le labbra.
“Secondo te quanti anni ci vorranno ancora prima che
Berty smetta di balbettare in presenza di Elena?” chiese osservando ancora la
porta socchiusa.
“Tanti quanti ce ne vorranno perché tu smetta di
trasformarti in una dama vittoriana appena Albus entra in una stanza.” rispose
tranquillamente Angie osservando divertita l’altra.
Martha arrossì visibilmente e poi rivolgendo tutta
la sua attenzione ad un pelucchio sulla coperta, borbottò qualche parola
incomprensibile.
Angie restò
in silenzio, assaporando quel breve attimo di tranquillità prima che l’altra si
decidesse a parlare di ciò che restava in sospeso tra di loro.
Tuttavia Martha se ne uscì con una cosa veramente
inaspettata.
“Io ti capisco.”
Angie cercò lo sguardo dell’altra e trovò un paio di
occhi caldi, color cioccolato, orlati di folte ciglia naturalmente piegate all’insù,
che la fissarono accesi all’improvviso da una qualche emozione indefinibile.
“Se a me fosse concesso di stare con… con la persona
che amo, anche se fosse in segreto e in un modo tanto disdicevole per la morale
comune, lo farei.” la voce di Martha era limpida e decisa, ma Angie ebbe la
sensazione che fosse sul punto di spezzarsi. “Se io avessi la tua stessa possibilità,
manderei alle ortiche tutto ciò che mi hanno insegnato ad essere in due secondi
e mi lascerei trascinare dovunque lui volesse.”
Angelique sapeva che cosa volessero dire quelle
parole pronunciate da Martha, riservata in modo maniacale sui suoi sentimenti,
a cui era stata impartita fin dalla più tenera età un’educazione basata su ciò
che si addicesse o meno ad una signorina di alto rango. Sapeva che una
confessione così intima e così contradditoria verso tutto ciò che lei era e che
rappresentava le era costata non poco.
“E Owen?” chiese Angie con tono appena udibile.
Era il ragazzo che Martha stava frequentando da
maggio, una relazione straordinariamente lunga vista la media con cui la rossa
liquidava i suoi numerosissimi corteggiatori dopo appena un paio di uscite.
“Non lo so, Angie… Ci sto provando davvero, ma… Dio,
perché dev’essere così difficile stare con un altro?!” Martha si passò entrambe le mani sul viso e una sostò
sulla sua bocca, mentre i suoi occhi castani si perdevano verso il panorama
della finestra davanti a lei..
“A quanto pare stiamo tutti con la persona
sbagliata. Ma secondo te a Serpeverde ci danno un brevetto per avere solo
relazioni disastrose?!”
“No credo che quello spetti ad ogni persona al di sotto
dei trent’anni, con rarissime eccezioni, a prescindere che appartenga o meno
alla casa dei Maghi Oscuri…”
Ci fu un attimo di silenzio, Angie alzò lo sguardo
verso l’amica e Martha si voltò incrociando i suoi occhi verdi. Entrambe
scoppiarono a ridere così forte che la vista di Angie si offuscò per le
lacrime.
Poi il rumore di passi che si avvicinavano e di due
voci maschili le indussero al silenzio.
Angie sedeva dando le spalle all’ingresso, ma non ci
fu alcun bisogno di voltarsi per capire chi stesse arrivando. Vide Martha
raddrizzarsi improvvisamente, sollevandosi dai cuscini in una posa un po’
rigida ma perfettamente composta. La osservò stringersi entrambe le mani in
grembo con tanta forza da farsi sbiancare le nocche, non prima però che una di
esse fosse riuscita a costringere una ciocca ribelle nuovamente nello chignon.
Sul suo viso calò un’espressione gentile ma del tutto imperscrutabile.
“Come ti senti Martha?” Ed ecco, come per incanto,
la voce di Albus Severus Potter.
Angie si alzò in piedi e si voltò verso il nuovo
arrivato, scoprendo che non era solo. Accanto a lui, ai piedi del letto di
Martha, stava Owen, con un sorriso caloroso e un mazzo di calle bianche tra le
braccia.
“Molto meglio Albus, ti ringrazio. Ciao Owen.”
Martha rispose con un tono indubbiamente controllato.
Angie si fece da parte e lasciò che Owen prendesse
il suo posto accanto alla ragazza.
“Mi sono preoccupato moltissimo!” esclamò quello
depositandole in grembo il fascio di fiori candidi e baciandole una guancia.
“Non ce n’era bisogno, Owen. Comunque sono
bellissimi, grazie.” disse Martha sorridendo al giovane Tassorosso.
Angie, sentendosi decisamente di troppo si voltò
definitivamente verso Albus e lo trovò intento a osservarla.
I capelli neri erano, come sempre, spettinati in un
modo a stento concepibile, i tratti del volto erano imperscurabili e gli occhi
verdi erano così duri e limpidi che Angelique fece fatica a sostenere quello
sguardo. Il giovane le fece un cenno del capo indicando l’uscita, senza
rabbonire la propria espressione.
“Ci vediamo a pranzo Martha.” disse Albus e Angie salutò l’amica con un
gesto della mano. Fece un respiro profondo e senza esitazione seguì l’altro,
pronta allo scontro ormai inevitabile.
***
Dire che era arrabbiato non era esatto. Per la
precisione era furibondamente deluso e irritantemente sorpreso. Ecco sì, messa
così sembrava abbastanza esplicativa sui suoi sentimenti.
Per questo si sedette sulla balaustra della Torre di
Astronomia e fissò senza espressione la sua migliore amica, perché se avesse
concesso libero sfogo alle sue emozioni avrebbe urlato peggio di nonna Molly
quando scopriva che puntualmente qualcuno aveva mangiato la crema per farcire
la torta. Quel qualcuno erano sempre James e Fred, ma poco importava in quel
momento.
Incrociò le braccia sul petto e osservò impassibile
Angelique.
Lei aprì un paio di volte la bocca senza emettere
alcun suono. Poi fissò il pavimento sconfortata e si decise finalmente a
parlare:
“So che sei arrabbiato…”
“No, non sono arrabbiato Angelique.” la ragazza alzò
nuovamente lo sguardo su di lui con espressione speranzosa. “Sono deluso.”
Speranza stroncata con due parole. Eppure non si
sentì minimamente in colpa per l’espressione colpevole e ferita che apparve sul
viso che aveva di fronte. Voleva spiattellarle davanti la verità, anche a costo
di farle più male del necessario.
“Sto aspettando.” disse quindi inarcando leggermente
il sopracciglio destro.
“Che cosa?” chiese lei sbattendo un paio di volte le
palpebre.
“Delle spiegazioni, delle motivazioni valide per
averti trovata spalmata su Schatten. Delle ragioni comprensibili, per cui tu
possa aver buttato nel cesso tutto quello che hai avuto con Scorpius per uno…
Uno… Come quello!” sbottò perdendo immediatamente la freddezza con cui si era
prefisso di condurre la comunicazione con lei.
Angie raddrizzò immediatamente le spalle e sui
lineamenti calò la tipica durezza di quando veniva colpita in pieno
nell’orgoglio. Al sapeva riconoscere quelle espressioni, dietro cui lei cercava
di nascondere le proprie emozioni come se ce le avesse avute stampate in
fronte.
“E se non ne avessi?” la voce della ragazza era
bassa, ma limpida e fredda come uno scroscio di acqua risorgiva.
“Saresti una povera idiota.” disse rimettendosi in piedi e avvicinandosi a lei.
Attaccarla per impedirle di aggirare gli ostacoli.
“Sei veramente uno stronzo.”
“E tu un’illusa! Che cosa credi di ottenere da una
relazione clandestina con Derek Schatten? Pensi anche solo in una parte
infinitesimale della tua testolina che lui ti ricambi sinceramente? Che questa
cosa a cui hai dato inizio ti possa portare a qualcosa di buono? Che lui
lascerà mai la Danes per te?!” fu veramente duro per Albus imprimere tutto quel
sarcasmo nelle proprie parole e fu ancora più duro vedere la reazione di
Angelique. Eppure voleva farle aprire gli occhi a tutti i costi, proprio perché
era lei, Angie la sua migliore amica, la sua sorella putativa. Voleva
proteggerla dal disastro che era sicuro sarebbe scaturito da un’eventuale
frequentazione tra lei e Schatten… Cristo lo odiava ancora di più se possibile!
Angelique allargò gli occhi verdi e dischiuse la
bocca, colpita dalla violenza di quelle parole. Albus dovette reprimere con tutta
la propria forza di volontà l’istinto di abbracciarla e farle sprofondare il
viso nel suo petto. Sembrava sul punto di spezzarsi.
“No Albus.” disse semplicemente dopo qualche istante
passato a fissarsi negli occhi.
“No che cosa?!” ruggì l’altro.
“Essendo che non sono una povera idiota come tu
suggerivi poco fa, la mia risposta è no. Non credo che ci possa essere un lieto
fine a questa relazione, non credo che Derek riuscirà mai a lasciare Celia per
stare con me, non credo che avrò mai la possibilità di prenderlo per mano in
Sala Grande.” Angie fece una piccola pausa, per poi riprendere a parlare sempre
fissandolo dritto in faccia, senza nascondergli tutto il dolore che quelle
ammissioni le procuravano.
“Però ci spero, Al. Se ti fosse possibile comprendere
quello che provo per lui, una gioia così intensa che mi attanaglia lo stomaco
tutte le volte che mi sorride, mi sfiora, mi bacia, non mi chiederesti queste
cose, perché non hanno alcun senso. Non importa nulla di quello che accadrà
domani, tra un mese o un anno! Non mi importa finché so che posso averlo anche
solo per un’ora in uno sgabuzzino impolverato che puzza di chiuso.”
Albus perse ogni barlume di calma e avanzò veloce
verso di lei. La prese per le spalle e la scosse senza delicatezza. Non riusciva
a credere che lei avesse potuto pronunciare quelle parole.
“Ma che cosa stai dicendo? Ti senti?! Stai parlando
di Schatten! Di uno che non si farebbe scrupoli nemmeno per vedere sua madre al
migliore offerente! Un opportunista, un viscido calcolatore!”
“Ti sbagli Al. Sei accecato dai pregiudizi.” disse
Angie con calma nonostante il ragazzo la tenesse ancora stretta per le braccia
e molto vicina a sé.
Albus la scrutò per qualche istante e poi mollò la
presa allontanandosi da lei.
“Se ti sei potuta innamorare di lui, io non so più chi tu sia. Non ti riconosco più.” mormorò
osservandola e sentendo intimamente che le sue parole erano vere.
Quel viso contornato dai riccioli dorati gli era
estraneo, non aveva memoria di quella ragazza che ora lo fissava sconvolta.
Senza aggiungere altro la superò e si lasciò alle
spalle quella che un tempo era stata la sua migliore amica.
***
Lucy Catherine Weasley.
Non poteva di certo firmarsi in quel modo
ridicolmente pomposo. Sembrava ovvio che suo padre le avesse dato un nome tanto
formale e impettito, essendo lui fondamentalmente pomposo, formale e impettito.
Lucy osservò la lettera che le era pervenuta quella
mattina a colazione.
La scrittura di Benjamin Richardson era elegante,
priva di fronzoli, ma ordinata e pulita per essere di un uomo la cui fama era
quella di malvivente e contrabbandiere.
Tra quelle righe veniva esplicitata formalmente la
richiesta di incontrarsi, in un luogo
non compromettente e con tutte le precauzioni del caso, con Lara e Leda,
altrimenti le forniture per le Menadi sarebbero cessate immediatamente.
Un ricatto bello e buono insomma!
L’idea di incontrare nuovamente quell’uomo le causò
un lungo brivido per la schiena. Doveva ammettere tuttavia che era rischioso
oltre ogni misura svelarsi per la prima volta di fronte a qualcuno che non
fosse della famiglia…
Famiglia.
Per Lucy aveva sempre avuto un significato
controverso.
Con la famiglia che le era stata data in dotazione,
quando era stata espulsa dall’utero materno senza troppi complimenti, aveva
contrasti pressoché insanabili. Il semplice fatto che lei fosse venuta dopo
Molly le aveva reso la vita impossibile. Per tutta la sua infanzia si era
sentita chiedere da sua madre perché non fosse come Molly. Perché non riusciva
a stare seduta composta come Molly? Perché non smetteva di strappare vestiti e
sporcarsi di fango? Perché non poteva stare seduta a leggere con Molly?
Così era cresciuta nella ferma convinzione di non
essere mai all’altezza della situazione,
per lo meno non come sua sorella.
Poi ad Hogwarts c’era stato il tracollo definitivo.
Non era mai stata particolarmente brillante a scuola, appunto al contrario di
Molly, e il fatto che Roxanne la trascinasse fuori per operazioni improbabili
alle ore più disparate, non aveva certo aumentato la sua media. Questo aveva
creato una frattura coi suoi genitori, infuriati per lo scarso rendimento
scolastico.
Col tempo aveva imparato ad accettare che non
sarebbe mai stata come Molly, Prefetto prima, Caposcuola poi, prima del suo
anno, assunta quasi subito per un internato al Ministero, l’orgoglio di suo
padre e di sua madre.
Per anni tutto quello l’aveva ferita tanto da farle
versare lacrime bollenti di rabbia e delusione. Perché lei era una delusione,
per quella famigliola borghese e impostata in canoni tanto banali, per suo
padre che la guardava con malcelato disappunto, per sua madre che sperava
sempre di svegliarsi la mattina e trovare un clone della primogenita nel letto
della seconda.
Poi c’è la sua
famiglia, quella che la accettava e l’amava proprio perché lei non era Molly, ma Lucy. Victoire,
Roxanne, James, Fred, Albus, Rose, Dominique, Angie, Louis, ma sopra tutti
proprio Molly e Lily.
Sua sorella che le aveva sempre asciugato le lacrime
dalle guance e le aveva detto che lei andava benissimo così com’era. La più
grande che cercava in ogni modo di sottrarsi alle idealizzazioni dei loro
genitori, che l’aveva aiutata con i compiti e con le interrogazioni, che le
aveva sempre ribadito di cercare sé stessa e non l’immagine di qualcun altro.
E Lily. Quando era arrivata ad Hogwarts era cambiato
tutto. Lucy, abituata ad essere la figlia sbagliata, conscia fin nel midollo di
non essere per nulla speciale, era diventata l’idolo indiscusso della cugina
più piccola. Lily, che la osservava e la ascoltava con gli occhi nocciola
sgranati e l’espressione entusiasta, le aveva dato più fiducia in sé stessa che
chiunque nella sua vita.
La cugina che le arrivava appena al gomito l’aveva
aiutata a camminare sulle sue gambe e trovare sé stessa. La sua coreggente
delle Menadi…
Lucy voleva davvero con tutta sé stessa rivederlo,
eppure non avrebbe mai permesso a Lara di accompagnarla mettendola in pericolo.
Non le restava altra soluzione che andare
all’appuntamento da sola, nonostante le sembrasse di fare un torto vero e proprio
a Lily, non parlandole di quella lettera, che era stata indirizzata a entrambe.
Eppure perché aveva già scritto una risposta con
ora, data e luogo per incontrarlo, a cui mancava solo la firma, dieci secondi
dopo aver ricevuto la lettera di Benji Alluncemonco?! Beh perché era
tremendamente attratta da quel pezzo d’uomo e l’avrebbe volentieri sbattuto
contro un albero della Foresta Proibita per…
“Ma cher,
non mi stai ascoltando neanche di striscio, vero?”
Lucy si morse il labbro inferiore e rivolse uno
sguardo di scuse a Dominique, la quale la osservò con un sorriso indulgente e
le fece l’occhiolino.
“Ah les affaires de cœur…” sospirò teatralmente la
bionda rimettendo in ordine i nuovi prodotti che aveva portato nel dormitorio
della cugina per farglieli visionare.
“Nient’affatto! Stavo pensando alle ordinazioni di
questa settimana, ci sono tantis…”
“Oh piantala di dire scemenze! Ti si legge in faccia
che stai pensando ad un ragazzo!” la interruppe Dom sorridendole con fare
malizioso e posandole nel palmo della mano un lucidalabbra rosato.
“Lucidalabbra volume-XXL, per labbra sottili come le tue, fa miracoli!” trillò
alzandosi dal letto della cugina e rimirandosi allo specchio, per sistemare la
gonna appena storta.
“Oh… Ehm… Io…” balbettò l’altra.
Dominique sbuffò infastidita e si voltò a
fronteggiare la cugina.
“Piantala di fare quella faccia! L’ho già
sperimentato su me stessa, anche se ovviamente non ne ho alcun bisogno!
Funziona a dovere.”
Lucy sorrise e ringraziò la più piccola, che si
stava incamminando verso la porta.
“C’è il Sabato della Memoria stasera, vero?” chiese
Dominique con espressione leggermente pensierosa.
“Sì, te l’ho ricordato a inizio settimana…”
“Oh beh, me lo sono dimenticato! Peccato, darò buca
a quel… Ehm…va beh non importa, tanto non vado all’appuntamento!” disse con
fare leggero scrollando le spalle, anche se la fronte liscia si era parecchio
corrugata cercando di ricordare il nome del povero infelice.
“Vuoi che ti presti il gufo?” chiese Lucy.
I tratti perfetti del viso di Dominique si
incresparono appena e la giovane chiese sbattendo le palpebre:
“Perché dovrei volere il tuo gufo?”
“Beh per avvisare il tuo coso che non ci sarai stasera!”
Dom proruppe in una risata argentina e crollò
indietro il capo.
“Oh Lucie,
a volte sei così divertente! A proposito cherì,
dovresti metterti un po’ di mascara… Hai dei bellissimi occhi, che sembri
intenzionata in tutti i modi a nascondere dietro quell’orrendo ciuffo da
maschiaccio!”
E le lanciò in grembo un tubetto nero prima di
sparire in un turbinio di capelli platinati e gambe mozzafiato.
Lucy, dopo qualche istante di meditazione sui due
cosmetici che Dominique le aveva propinato, si decise a estrarre da sotto il
cuscino la lettera che aveva già steso per Benjamin Richardson.
Intinse la piuma nella boccetta d’inchiostro blu
notte e vergò la propria firma infondo alla pagina.
Leda.
Non Lucy
Catherine Weasley.
Lei era Leda. La spigolosa, dura, forte Leda, che si
faceva avanti per proteggere Lily.
***
Albus fissava il velluto verde che copriva il suo
baldacchino con straordinaria intensità.
Berty scriveva una lettera, contenente sicuramente
cose oltremodo sdolcinate per la Bolton, oppure finalmente una dichiarazione a
quella scervellata della Zabini.
Octavius mangiava dei pasticcini, sgraffignati
sicuramente a qualche primino innocente a cui la mamma mandava i rifornimenti
nel week-end, e ogni tanto emetteva dei sinistri rumori, che ricordavano lo
sturarsi di un lavandino ingorgato, ma che in realtà erano muggiti di
gradimento.
E lui pensava.
Pensava a lei.
Ciò che lo soprese di più fu proprio rendersi conto
che non pensava a lei nel solito modo. Se per tutta l’estate e nei primi giorni
a scuola era stato animato da una rabbia cieca e distruttiva, quel sabato pomeriggio
non riusciva ad odiarla.
Scorpius provava in tutti i modi ad sentirsi furioso
e costantemente incollerito, ma ogni volta che rivolgeva un pensiero negativo a
quello che era diventato il suo capro espiatorio, nella sua mente si affacciava
il viso di Angelique. Per la precisione gli appariva con chiarezza snervante il
suo viso durante la lezione di Pozioni, quella in cui si era rovesciato il
calderone addosso; i tratti lineari distorti da un’espressione addolorata e
mortificata, gli occhi verdi colmi di un dispiacere che lui non le perdonava.
Insomma perché diamine era dispiaciuta?! L’aveva
tartassata con le peggiori frecciatine che gli venissero in mente, l’aveva
vessata con dispetti per umiliarla davanti alla scuola intera, l’aveva persino
ignorata e lei aveva avuto il coraggio di dispiacersi perché Elena gli aveva
fatto una Fattura Gambemolli.
Una cosa che per Scorpius aveva dell’inconcepibile!
In ultima analisi quindi era infastidito da sé
stesso per non riuscire ad odiare a dovere la sua ex-ragazza e perché
quest’ultima non sembrava intenzionata a partecipare alla sua piccola
rappresaglia.
Scorpius gettò un’occhiata a Potter. Lo stoccafisso
continuava ad osservare il suo maledetto baldacchino.
“Questo pomeriggio è noioso in modo inammissibile.”
sbuffò infastidito alzandosi dal proprio giaciglio e sperando che Albus
ricevesse qualche stimolo neuronale.
Nulla.
“Albus! Alzati da quel letto e vieni a fare una
passeggiata!” sbottò tirando i piedi dell’amico, poggiati placidamente sul
copriletto, e buttandogli le gambe fuori dal letto.
“Ok.” belò l’altro senza lamentarsi né del tono né
del trattamento riservato ai suoi arti inferiori.
Scorpius aggrottò la fronte perplesso. Era strano
che Albus si comportasse in modo così remissivo e pacifico… Quello di solito
era Berty!
Uscirono dal dormitorio salutati da un gorgheggio di
Goyle e uno svolazzo della piuma di Barrach.
“Che ti prende Albus?” domandò senza troppi
preamboli una volta che ebbero raggiunto il Parco.
Al emise un breve sospiro e rivolse gli occhi verdi
verso gli alberi che iniziavano a tingersi delle tinte calde dell’autunno.
L’estate era ormai finita e quelle fronde gialle e rossastre lo annunciavano.
Che fosse cessato qualcos’altro insieme a quella stagione?
“Angelique.” borbottò calciando un mucchietto di
foglie secche.
“Oh.”
In quel monosillabo di celavano un mondo di parole
inesprimibili. Probabilmente anche Al aveva scoperto di Schatten e, a giudicare
dalla sua espressione funerea, la cosa non gli andava a genio.
Non era stato semplice fare pace con lui. Scorpius
sapeva che agli occhi dei suoi amici il suo riavvicinamento a Octavius era
parso solo come un ennesima vendetta nei confronti di Angie. Così quando aveva
trovato il coraggio di chiarirsi con l’amico, gli aveva spiegato che in realtà
aveva ricucito i rapporti con Goyle molto tempo prima, perché il ragazzo
sembrava sinceramente cambiato.
Beh… Più o meno. Aveva sempre il solito aspetto da
gorilla e i suoi modi non potevano essere definiti galanti, però non sembrava
più animato dai pregiudizi sullo Stato di Sangue che Nott gli aveva inculcato
anni prima.
“Io non la capisco!” sbuffò frustrato il giovane
Potter fermandosi sotto una quercia e appoggiandovisi. “Scusa! Ne vengo a
parlare a te quando…” Albus si interruppe da solo e lanciò uno sguardo
frustrato verso il Lago Nero. “Scusami…”
“Ma perché lui? Perché lui?” sbottò nuovamente con
energia, alzando le mani vicino a viso e poi lasciandole ricadere lungo i
fianchi.
“Non chiederlo a me…” mormorò Scorpius sollevando
entrambe le sopracciglia.
“Già… Scusami!”
“Piantala di scusarti Albus!”
“Ok, scusa.”
“Potter…”
“Ok.”
La conversazione languiva parecchio, ma solo perché
sembrava che Albus si stesse trattenendo visibilmente dall’esprimere i suoi
pensieri. Scorpius d’altro canto non sentiva un bisogno spasmodico di parlare,
eppure c’era un pensiero che lo pungolava che continuava ad affiorargli sulle
labbra.
“Non credo che certe cose si possano capire, se non
le si ha provate in prima persona. Come d’altra parte, alcune… cose non si possono scegliere. Non
scegliamo di chi innamorarci.”
Scorpius sgranò gli occhi, Albus lo guardò stupito,
parve che perfino il vento che soffiava leggero sul Parco avesse trattenuto il
respiro.
Alla fine le parole avevano varcato la soglia delle
sue labbra senza che lui se ne accorgesse. Ma era stato davvero lui a
pronunciarle? Soprattutto pensando ad Angelique?
No per la miseria! Lui la detestava! Era incazzato
nero con lei, per averlo ferito, imbrogliato, tradito!
Albus ebbe il tatto di non commentare, ma Scorpius
poté notare come il suo sguardo si facesse lentamente più lontano, fino a perdersi
nei propri pensieri più intimi.
“Tu però non dirle che ho detto queste cose!” si
sentì in dovere di aggiungere con una punta di minaccia nella voce.
Gli occhi verdi di Albus si posarono su di lui con
una strana luce di indulgenza.
“Non preoccuparti Scorpius. Non dirò a nessuno,
nemmeno a te, che l’hai perdonata!”
Il giovane Malfoy stette impalato qualche secondo,
mentre Albus se la filava verso la capanna di Hagrid con improvvisa baldanza.
“Che cos’hai detto?” urlò inferocito partendo alla
carica verso l’amico, che aveva iniziato a ridere sfacciatamente.
***
Uno dei motivi per cui Angelique adorava la sua Sala
Comune era l’atmosfera tranquilla che pervadeva quasi sempre l’ambiente. C’era
un comune accordo nella Casa di Serpeverde per cui chi avesse deciso di fare
baldoria o sentisse la necessità di creare caos, avrebbe dovuto abbandonare la
Sala Comune e cercare un posto più consono.
Tuttavia era sempre un fatto piuttosto spiacevole
cercare rifugio in quella bella stanza, illuminata dalle torce e dai riflessi
del Lago Nero, e trovarla impestata di ragazzini del primo anno che facevano
più chiasso dell’intera Casa dei Grifondoro!
“Martha togli dieci punti a testa a quei
mostriciattoli!”
“Tesoro non posso togliere cinquanta punti a
Serpeverde, ricordi che è la nostra Casa?”
“Allora togli dieci punti a Grifondoro!”
“E perché scusa?”
“Perché mi fa sempre sentire meglio, Nana!”
Angie e Martha occupavano il divano più comodo della
stanza, una con “Il racconto di due
città” stretto tra le dita come se fosse una pallina antistress, l’altra
con un piattino di fine porcellana poggiato sulle gambe e la tazza sospesa
nella mano destra, a cui ogni tanto dava un sorso silenzioso.
Elena sedeva per terra ai piedi del divano e stava finendo
il tema di Incantesimi appoggiandosi al tavolino.
“Elena hai sbagliato…” la corresse dolcemente Martha
guardando il foglio scarabocchiato in più punti.
“Dove?”
“Non posso dirtelo, devi capirlo da sola!”
Elena sbuffò così vigorosamente che i lembi della
sua pergamena si alzarono.
Angie provò nuovamente ad aprire il suo libro e
riprendere da dove lo aveva interrotto, ovvero a due capitoli dalla fine, ma il
vociare dei ragazzini del primo anno le sembrava così forte da non riuscire a
seguire nemmeno il filo dei propri pensieri.
“Adesso basta!!!” urlò scattando in piedi e facendo
quasi rovesciare il tè di Martha.
Si voltò con l’espressione più terribile che riuscì
a imprimersi sulla faccia e avanzò con passo deciso verso il gruppetto di
ragazzi.
Erano cinque, due ragazze e tre ragazzi che stavano
giocando a Gobbiglie.
Angelique inspirò a fondo e si preparò a fare una
scenata tanto memorabile per quei ragazzi, che difficilmente avrebbero più
rimesso piede nella Sala Comune fino al giorno del suo diploma, quando accadde
una cosa che la bloccò in mezzo alla stanza.
Una delle due ragazzine lanciò per aria le proprie
carte e con un urlo belluino si gettò sugli altri schiacciandoli in una sorta
di buffo abbraccio-caduta-di-gruppo. Gli altri quattro iniziarono a protestare
a gran voce e a ridere contemporaneamente, in un ammasso confuso di arti e
teste.
Quante volte le era capitato di partecipare ad una
scena simile?! Con Elena che si lanciava su di loro facendoli ruzzolare a terra
e causando contusioni nei luoghi più impensabili. Quante volte aveva riso
ritrovandosi sotto la schiena di Albus o sopra la gamba di Martha? Quante volte
Scorpius le aveva teso la mano per farla rialzare?
La
sua famiglia di amici che non c’era più.
Vide Martha superarla e dirigersi verso i ragazzi
del primo anno. I cinque cessarono anche di respirare mentre il Prefetto
O’Quinn con tono gelido e perentorio ordinava loro di andare nelle loro camere
a fare quel baccano, perché la Sala Comune era un luogo di ritrovo e studio,
non un parco giochi.
I cinque si rialzarono ridacchiando cercando di non
farsi vedere e poi marciarono in sincronia verso i dormitori.
“Angelique.”
Le capitava così di rado di sentire il proprio nome
pronunciato alla francese, come faceva sua madre, che si voltò di scatto verso
la voce che l’aveva chiamata.
Dominique, con uno splendido abitino argenteo senza
maniche e le gambe inguantate in un paio di collant neri, la osservava con
espressione incuriosita. Teneva sotto il braccio un golfino nero e dato che
indossava un paio di tacchi notevoli la sovrastava di qualche centimetro.
“Ciao Dom.” disse la giovane sentendosi
improvvisamente la Genoveffa della situazione.
“Nous devons aller, Albus si ha seguito Rosie dopo
cena…” (Dobbiamo andare)
“Eh?” sbottò interrompendola. Dominique aveva la strana
abitudine con lei di mescolare francese e inglese, cosa che la stabilizzava un
po’.
“È sabato Angie. Quel
sabato.” aggiunse l’altra visto che un paio di ragazze passavano accanto a
loro.
“Oh certo... Vado subito a cambiarmi!” disse Angie e
corse verso il suo dormitorio.
Se ne era completamente dimenticata! In effetti non
era così incomprensibile il fatto che se lo fosse lasciata sfuggire in quella
settimana infernale.
I Sabato della Memoria. Angie aveva letteralmente
adorato le serate passate nella stanza circolare dedicata ai Membri dell’Ordine
della Fenice periti nella lotta contro Voldemort. Ricordava quanto si fosse
sentita bene, accolta e al sicuro, mentre Roxanne preparava la merenda per
tutti sulla grande coperta scozzese, quando Victoire raccontava qualcosa di
esilarante, oppure quando Rose le passava una fetta di torta al cioccolato con
un sorriso steso sulle labbra.
Ma quando Roxanne e Victoire se n’erano andate, per
Angelique quei sabato sera avevano perso la nota di magia. Le piaceva
moltissimo starsene con i cugini acquisiti e con suo fratello a scherzare e
rimpinzarsi di dolci, eppure sentiva un vago senso di disagio, come se non
fosse esattamente tutto al proprio posto. Come se lei non fosse al proprio
posto.
Tuttavia riusciva a scacciare facilmente quei
pensieri negativi immergendosi nella conversazione con i ritratti della stanza.
Il compito di preparare lo spuntino per tutta la
ciurma era passato a Rose, la quale in quel momento stava facendo spuntare le
più svariate prelibatezze dalla pochette rosso fuoco ereditata da Roxanne.
Angie stava parlando in quel momento con Remus Lupin
del programma di Incantesimi del quinto anno. Era sempre una compagnia
piacevole e gentile, anche da una tela aveva la capacità di infondere sicurezza
e cordialità negli interlocutori. Poteva solo immaginare che grande uomo fosse
stato.
“Quindi concordo con te, non è un argomento
difficile ma può presentare… Ramoso che c’è?” si interruppe Remus guardandosi
alle spalle e in men che non si dica James Potter sbucò nel ritratto
dell’amico.
“Oh niente Lunastorta! Volevo solo salutare questa
bella biondina!” disse allegramente James facendo un occhiolino a Angie.
“Buona sera James.” salutò con un sorriso Angelique.
“Caspita… Somigli davvero alla mia Lily quando aveva
la tua età, Angelique!” disse James osservandola con un sguardo strano,
sembrava un misto di dolcezza e malinconia.
“Smettila di fare il sentimentale, per la miseria!”
brontolò una voce femminile qualche ritratto più in là.
“Insomma Marlene! Guardala e dimmi se mi sbaglio!”
esclamò il signor Potter indicando con entrambe le mani la giovane.
Una donna dalla chioma riccioluta e bionda la
osservò con gli occhi leggermente socchiusi e dopo qualche istante disse:
“Sì, si somigliano.”
“Visto, io ho sempre ragione!” esultò James sparendo
dal quadro di Remus Lupin e andando chissà dove.
“Angie…”
Il tono della voce era così basso che la ragazza si
chiese se effettivamente qualcuno l’avesse chiamata. Quando si voltò trovò
davanti a sé Albus.
Teneva entrambe le mani affondate nelle tasche dei
calzoni, aveva indosso una maglietta bianca quasi deforme e la guardava in un
modo un po’strano.
Angelique fu così sorpresa di trovarselo davanti
dopo le parole che le aveva rivolto nella Torre Nord che non riuscì a dire
nulla. Si limitò quindi a guardarlo a sua volta con un peso enorme che le
premeva sul petto.
“Mi dispiace per quello che ti ho detto oggi…”
“Non fa nulla.” replicò rapidissima la ragazza. Sul
viso di Albus si aprì un lieve sorriso, Angie immaginò che stesse pensando che
quando lei era nervosa interrompeva le persone senza nemmeno accorgersene.
“Sì ecco, mi dispiace… Ma comunque non cambio idea.”
disse il ragazzo guardandola fissa negli occhi ma prima che lei rispondesse
riprese: “Non approvo per nulla la tua relazione, detesto la persona con cui ce
l’hai e mi indispone abbastanza che tu mi abbia mentito. Ma… Va bene.”
Angie sgranò gli occhi e chiese con tono perplesso:
“Va bene?”
“Sì Angie, va bene. A volte certe cose non si
scelgono… Capitano e basta.”
Angie sbatté più volte le palpebre e si chiese se
avesse sentito bene. Albus le stava dicendo che non la giudicava per quello che
aveva fatto, il suo migliore amico le stava dicendo che era dalla sua parte,
anche se non approvava, che sarebbe restato al suo fianco nonostante la
diversità di opinione.
“Solo una cosa… Non ci sei andata a letto, vero Angelique?” il tono era diventato
improvvisamente minaccioso e Albus le puntò contro un indice.
Angie non resistette più e si fiondò addosso al suo
migliore amico. Lo strinse per la vita e scosse energicamente la testa, mentre
il suo naso affondava nel tessuto morbido e leggermente liso della maglietta.
Sentì il corpo di Al rilassarsi e ricambiare il suo
abbraccio con affetto.
Si staccarono dopo poco ed Angie prese una delle
mani di Al tra le proprie e se la mise sul cuore.
“Sono sempre io! Lo sai vero?”
“Sì, sei sempre il solito impiastro Pesciolino.”
mormorò Albus prima di abbracciarla nuovamente.
Un senso di euforia e di leggerezza si impossessò di
lei al pensiero che forse per la sua famiglia c’era ancora la speranza di
tornare unita.
Perché la differenza fondamentale tra una famiglia
imposta dal caso e una scelta per propria volontà, era che qualunque cosa fosse
successa, qualunque cambiamento avrebbe dovuto affrontare, una famiglia di
amici avrebbe trovato il modo di restare insieme.
Una famiglia di amici non lasciava indietro nessuno,
era fondata su ciò che si era, non su ciò che si sarebbe dovuti essere. E
quella era la loro più grande forza.
Note dell’autrice:
Chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo
ormai mi conviene annunciare che gli aggiornamenti saranno ogni due settimane,
per evitare un coccolone a ognuna di voi quando il lunedì non vedete
l’aggiornamento!
Allora spero di aver reso abbastanza bene
il filo conduttore del capitolo, cioè la famiglia, anche se questo argomento
tornerà anche più avanti.
Dunque ho lanciato qualche mollica di
pane per voi lettori, vorrei vedere se qualcuno di voi riuscirà a collegarle
tra di loro.
RINGRAZIAMENTI SPECIALI per le
meravigliose, fantastiche, fantasmagoriche ragazze che hanno recensito: Cinthia 988, Ayumi Edogawa, FleurDa, Ele12,
Roxy_HP, chuxie, Kassia (sei un pollo, ti ho scoperta!), Sono_un_unicorno, carpethisdiem. Le
vostre parole mi riempiono di orgoglio, non so come ringraziarvi per la
costanza e l’entusiasmo!
E a te Bambolina, grazie perché non ti
piacciono i cocomeri, perché credi nel MAS, perché fai i biscotti buonissimi,
perché ti fanno ridere le scene tristi e per tanto tanto tanto altro.
Ringrazio anche tutti i lettori che hanno
aggiunto alle preferite/ seguite/ ricordate questa FF.
Tanti baci a tutti quanti!
Bluelectra.
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Capitolo 7 *** Cap.7 Nessuno ***
Cap. 7 Nessuno
Cap.18 Nessuno
Il
destino spesso lo si incontra sulla strada presa per evitarlo.
Il mio nome è nessuno.
C’era una frase, sorsa dagli angoli più remoti del
suo cervello, che continuava a ripetersi, mentre il dolore cresceva, tanto
lacerante da farle venir voglia di perdere i sensi.
Solo che non ricordava le parole esatte, le sembrava
che iniziasse così: “Chi ti mette nella merda non sempre lo fa per farti del
male.”
Angelique se la ripeteva perché in realtà le
sembrava una grandissima cazzata al momento, o forse per avere una qualsiasi
cosa a cui pensare restando lucida.
Probabilmente perché aveva il naso rotto e il sangue
le colava dovunque, sul viso, sulle mani e in gola. Probabilmente perché nel
momento esatto in cui aveva pensato che la sua Merda, divinità sovrana del suo
destino, si stesse diradando e invece l’aveva sommersa ancora. Oppure perché
soffriva in un modo così avulso da tutto ciò che c’era di ragionevole al mondo,
che le sembrava impossibile che quel dolore non fosse stato premeditato con diabolica
tenacia.
Eppure quella mattina non era iniziata poi tanto
male…
Angie
inforcò la sua vecchia scopa e spinse con entrambi i piedi, sentendo il suolo
freddo e umido allontanarsi rapidamente da sé.
L’aria
frizzante del primo mattino le colpi il viso facendole pizzicare appena le gote
e il naso. Angie socchiuse gli occhi per un attimo beandosi di quella
sensazione, per poi spalancarli e guardarsi attorno.
Gli
spalti erano affollatissimi considerato l’orario disumano che Albus Potter,
nuovo capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, aveva stabilito per le
selezioni dei membri mancanti alla squadra. Le sette e mezzo di sabato mattina,
forse per scoraggiare chi non fosse stato realmente intenzionato a entrare
nella squadra o forse perché non aveva ben chiaro il concetto di week-end,
Angelique questo non lo sapeva, tuttavia si erano presentati numerosi candidati
e spettatori. O meglio spettatrici.
I
posti liberi erano solamente due: il portiere e un battitore. Al aveva
annunciato che subito dopo la selezione, la nuova squadra avrebbe fatto un
allenamento preliminare per vedere come avrebbero interagito i nuovi
componenti.
Al,
che stava fermo a un paio di metri da lei, sbraitò delle direttive ai candidati
portieri con aria di feroce autorità.
Angie
assottigliò lo sguardo per mettere a fuoco le gradinate e senza eccessivo
sforzo individuò un paio di teste che le interessavano, una rossa e una viola.
Martha ed Elena sedevano l’una accanto all’altra, unite dal un filo rosa
shocking degli auricolari del lettore mp3 di Martha. Angie ridacchiò pensando
che in quell’istante la povera Nana si stava sorbendo la discografia completa
di Lana del Rey.
Mentre
la giovane osservava assorta le amiche qualcuno le frecciò accanto a velocità
tanto sostenuta che per poco non venne disarcionata dalla scopa. Appena riuscì
a recuperare l’equilibrio, sollevò lo sguardo pronta a ruggire insulti a
chiunque avesse agito in modo così sconsiderato, tuttavia i suoi occhi
incontrarono la figura di Scorpius che volava appiattito sulla scopa, con la
divisa verde svolazzante.
Era
entrato col ruolo di Cacciatore l’anno precedente ed aveva dimostrato di
sapersela cavare bene, nonostante la star indiscussa del gruppo fosse
Dominique. E come sarebbe potuto essere altrimenti?!
Nella
settimana appena trascorsa il giovane Malfoy aveva ridotto sensibilmente le sue
frecciatine e gli scherzi infantili, tuttavia aveva dato inizio ad una
strategia molto più raffinata.
Era
capitato più volte che il ragazzo si mostrasse per i corridoi o in Sala Grande
accompagnato da esponenti del genere femminile. Solo che ogni sacrosanta volta
erano una diversa dall’altra. A quanto pareva Scorpius aveva deciso di
contendere il trono di imbecille a James Potter.
Nonostante
il vasto numero di pretendenti le selezioni furono brevi, Angelique assistette
Albus nella scelta, dando il proprio parere sui giocatori e approvando la
decisione finale. Potter si schiarì la voce e annunciò con voce limpida nel
silenzio generale:
“Bene,
sono felice di dare il benvenuto ai nuovi componenti della squadra: nel ruolo
di battitore abbiamo Rendly Smith.” Angie vide uno scricciolo esultare senza
pudore davanti agli altri candidanti. Difficile immaginare che in un corpo così
piccolo ci fosse l’energia eccezionale che aveva dimostrato sul campo, eppure
anche Al era entrato al primo anno ed era poco più alto del nuovo battitore
“E
in quello di portiere Janus McMillan!” Un bell’applauso si levò dalle gradinate
e dai presenti sul campo, Janus chinò il capo modestamente per ringraziare.
In
men che non si dica erano rimontati in sella alle scope e Albus aveva dato
inizio al primo allenamento ufficiale.
Le
energie di Albus furono impiegate nella maggior parte del tempo per tenere
sotto controllo l’iperattivismo di Rendly, il quale aveva addosso una tale
sovraeccitazione per aver passato la selezione da non riuscire a concentrarsi
sul gioco, così sganciava in continuazione bolidi a vanvera.
Angelique
schivò nei primi dieci minuti un numero straordinario di bolidi tirati a caso
nel campo, e anche gli altri membri della squadra, col risultato che
l’allenamento era iniziato in modo parecchio caotico.
Al
liberò il boccino dopo il riscaldamento e poi continuò a spiegare al nuovo
arrivato come fare per prendere meglio la mira, e non uccidere i propri compagni
di squadra.
Angie
volò in solitaria per circa venti minuti, senza alcun risultato, quando gli
occhi le caddero sugli spalti nuovamente. Sedevano, in simbiosi armonica come
sempre, tre figure che Angie non avrebbe mai pensato di vedere quella mattina.
James
in mezzo ai due pareva parecchio divertito dagli esiti dell’allenamento, Fred
alla sua sinistra ridacchiava con lui, mentre sulle sue ginocchia stava una
ragazza, e infine Derek a destra, che la stava guardando dritta negli occhi in
quell’istante.
Angelique
si sentì completamente spiazzata e inadatta. La divisa da Quidditch su di lei
non aveva lo stesso effetto strabiliante che aveva su Dom, essendo che le sue
gambe al confronto sembravano due prosciutti ben stagionati e pronti al taglio,
e che la casacca le pendeva addosso come un tendone da circo. Maledizione a
quegli occhi neri che la facevano sempre sentire vulnerabile!
Si
ordinò di staccare lo sguardo da quello di Derek, malgrado il suo stomaco fosse
già chiuso da una morsa ferrea di agitazione, e lo puntò invece su James
avvicinandosi rapidamente.
“Oh
ma guarda! C’è anche la piccola Vipera che è venuta a salutarci.” esclamò gaio
James rivolgendole il solito sorriso sghembo e un po’ beffardo.
Angie
incrociò le braccia sul petto, tenendosi in equilibrio sulla scopa e lo squadrò
freddamente, cercando in ogni modo di ignorare il fatto che a quattro
centimetri dal braccio di Potter ci fosse quello di Derek. Quel braccio che la
sera precedente le aveva cinto la vita e che lei aveva accarezzato… NO!
“Jessy.
Vattene.”
“Loquace
e sempre disponibile al confronto, vero Gigì?” rispose James sorridendole
ancora di più.
“Potter
non sto scherzando. Rovinare il primo allenamento di tuo fratello da Capitano è
troppo persino per te.” ribatté lei.
Gli
occhi ambrati del ragazzo persero la luce giocosa e il suo viso si fece
impercettibilmente più serio.
“Non
mi pare di essere quello che sul campo tira i boldi come se stesse cercando di
rompere una pignatta!”
Angie
si accigliò un secondo. Possibile che non capisse?
“Jessy,
te lo spiego con calma perché forse non ci arrivi.” La giovane fece una pausa
per deglutire e le parve di sentire il proprio nome in lontananza ma non ci
fece caso. “Tuo fratello. al contrario di te, è una persona sensibile. Quindi
il vederti qui, con quella faccia da schiaffi che ti porti appresso…”
“Guarda
che questa è l’unica faccia che ho!” la interruppe lui.
“Dicevo,
che la tua presenza molesta innervosirebbe ancora di più Albus e ti posso
garantire che non ne ha bisogno! Quindi…”
Ma
non riuscì a concludere il proprio discorso perché la voce di Albus urlò il suo
nome con tanta energia che la ragazza si voltò stupita.
Ebbe
appena il tempo di registrare una fugace visione di Albus dall’altra parte del
campo, con accanto Rendly e Scorpius, che teneva in mano una mazza da
battitore, prima di vedere un bolide dirigersi verso la sua faccia.
Fu
velocissimo e contemporaneamente lo vide al rallentatore, Angie capì di non
poterlo schivare, ma nel brevissimo lasso di tempo concessole prima
dell’impatto spostò appena il capo all’indietro e agguantò la scopa con una
mano.
Sentì
qualcuno urlare, forse Jessy, forse Al, forse Derek, non avrebbe saputo dirlo
perché il dolore che scaturì al centro del suo viso, dopo il sinistro rumore di
ossa che si spezzavano, fu totalizzante.
I
pensieri persero di consistenza e le sembrò che tutto il suo corpo si
concentrasse solo nel percepire quel dolore immane, così sordo e pulsante da
farle desiderare di non sentire più nulla.
Era riuscita ad atterrare sull’erba quasi per
miracolo, visto che gli occhi erano offuscati dalle lacrime di dolore che
scendevano senza ritegno dai suoi occhi.
Aveva trovato a tentoni l’uscita dallo stadio e ora
cercava di capire come diavolo si facesse a tornare al castello, perché quella
sofferenza le stava offuscando il cervello. Il sangue non smetteva di
zampillare dal naso, sentiva dei rigagnoli insopportabili farsi strada sulla
pelle del collo, nella faringe e poi in esofago.
“Angelique fermati!” qualcuno urlò e poi le prese un
braccio costringendola a voltarsi. Non riuscì a opporre resistenza perché le
sembrava che ogni sua energia fosse impegnata nel tentativo di non svenire.
Nella visione acquosa che i suoi occhi le
concedevano in quell’istante comparve il viso di Jessy. Doveva essere messa
proprio male perché vide quegli strani occhi, che dall’ambra sconfinavano nel
nocciola, colmarsi di preoccupazione.
“Dod toccarbi!” urlò inspiegabilmente irata con lui.
E strattonò il proprio braccio indietro, ma il brusco movimento le causò una
fitta atroce al naso.
Angie si piegò su sé stessa con un gemito di dolore
gutturale e si sentì ancora più arrabbiata, ma non solo con il giovane Potter
che l’aveva fatta distrarre, ma anche con Albus che aveva permesso a Scorpius
di prendere in mano la mazza, con Scorpius che le aveva deliberatamente tirato
un bolide in faccia, con Martha che cantava sotto la doccia Lana del Rey, con
Tristan perché aveva i capelli neri della loro mamma e lei no, con Berty che
non si era ancora deciso a dire ad Elena che era pazzo di lei, con Hagrid
perché non sapeva cucinare, con Antares che le aveva beccato un dito mercoledì
mattina. Con tutto il modo! Era furiosa con tutto il mondo perché
quell’ennesima ferita non se la meritava.
Sentì le mani di James posarsi sulle sue spalle e
accompagnarla verso terra.
Angie si sedette e vide il suo volto sfuocato davanti
a lei; pensò stranamente, in tutto quell’ammasso di dolore e confusione, che se
non avesse avuto stampato in faccia costantemente il ghigno saccente e
strafottente, sarebbe stato bello, bello davvero. Ma era pur sempre di Jessy
che si parlava, quindi allontanò velocemente il pensiero. Mentre le lacrime
scorrevano incessantemente, miste di dolore e rabbia, sentì il giovane parlarle
con voce calda e rassicurante.
“Non ti agitare, voglio solo aiutarti.”
Poi lo vide estrarre la bacchetta e lo sentì
borbottare sottovoce un incantesimo.
Angie chiuse gli occhi e venne pervasa da uno strato
torpore, che le rilassò le membra. Improvvisamente il dolore al naso si
affievolì notevolmente e il sangue cessò di fluire senza posa, concedendole un
attimo di tregua.
Sentì un lieve contatto sulla bocca con qualcosa di
umido e istintivamente aprì gli occhi.
James era intento a pulirle il sangue dal viso con
un fazzoletto bagnato. Le tamponava la pelle con delicatezza estrema, facendo scorrere
il tessuto dal mento sulla gola, e poi sulle labbra, applicando un pressione
lieve per levare lo sporco. Sembrava fermamente intenzionato a non guardarla
negli occhi.
Le ripulì un’ultima volta il labbro superiore e poi
fece evanescere il tutto, compresa la
bottiglietta d’acqua che Angie non aveva ancora notato. Era inspiegabilmente
guardingo… Forse, pensò Angelique, era a causa della sua reazione di poco fa.
“Ho bloccato l’emorragia, adesso ti porto da Madama
Chips.” le sussurrò sempre con calma, osservandola finalmente con un’occhiata
fugace.
“Faccio da sola.” disse immediatamente lei con la
voce ancora alterata dai danni al setto nasale. Con un ultimo residuo di
vitalità si alzò in piedi, pronta a marciare verso l’infermeria e il mondo
intorno a lei prese a danzare in cerchio.
Perse l’equilibrio, ma al posto che ritrovarsi
ancora col sedere nell’erba, si sentì sostenere da un paio di braccia
all’altezza della vita.
“Una delle cose mille che non sopporto di te è che
vuoi fare sempre tutto da sola.” le disse James mentre la rimetteva in
posizione eretta.
Tuttavia non le diede nemmeno il tempo di ribattere
che le passò un braccio sotto le ascelle e l’altro sotto le ginocchia,
prendendola in braccio. Angie emise un grido di sorpresa e si aggrappò alla
spalla di James in cerca di equilibrio.
“Jessy, bettibi giù subido!” protestò mentre il
giovane procedeva verso il castello
“Non capisco un accidenti, quindi tanto vale che non
parli… Piantala di muoverti Gigì!”
James rafforzò la presa sul suo corpo e Angie si
concesse ancora un paio di borbotti indistinti.
In realtà era molto più comodo viaggiare così, le
leve lunghe e atletiche di James, coprivano quasi il doppio della distanza
delle sue; la testa le pulsava di meno e il naso faceva meno male.
Jessy era stato davvero gentile a soccorrerla. La
stava aiutando cavallerescamente e lei non faceva altro che borbottare, doveva
come minimo ringraziarlo…
“Per le mutande di Merlino! Ma quanto pesi Gigì, una
tonnellata?”
Come non detto.
“Dod te l’ho chiesto io di predderbi in braccio!”
“Continuo a non afferrare.”
“Perché sei un idiota!”
“Ah ecco, mi sembrava strano che non mi stessi
insultando! Comunque, giusto per fartelo notare, non si risponde male a
qualcuno che è venuto ad aiutarti mentre ti dissanguavi nel Parco e stavi
andando al Lago Nero invece che in Infermeria.” disse con solito tono
scanzonato, mentre i cancelli del castello si profilavano davanti a loro.
Angie decise di non rispondere, primo perché Jessy
sapeva essere sfiancante e lei si sentiva corto di energie, e secondo perché in
fondo, molto molto profondamente, sapeva di essere in torto.
“Caspita, non succede tutti i giorni di riuscire a
zittirti.” mormorò James con tono soddisfatto.
Lei avrebbe voluto con tutte le proprie forze dare
una rispostaccia o rifilargli un pugno sulla spalla muscolosa a cui era
aggrappata in quell’istante, ma il torpore dell’incantesimo iniziava a farsi più
inteso e quindi decise di rimandare a dopo le male parole.
Appoggiò un guancia al maglione verde di Jessy e
avvertì vicino alla tempia il contatto con la clavicola sporgente, Angie
ricordava che quand’era più piccolo era quasi pelle e ossa, nessuna meraviglia
quindi che avesse mantenuto un fisico nervino.
Sentì il corpo di James irrigidirsi notevolmente e
il cuore prendere a pulsare veloce, il suo orecchio posava esattamente su di
esso. Forse era perché la salita che conduceva al castello aveva iniziato a farsi
più ripida e il giovane non riusciva più a trasportarla.
“Se sei stadco, io codtiduo da sola.”
“Tu non vai da nessuna parte da sola.” sussurrò
l’altro mentre la languida sonnolenza vinceva le sue palpebre e le faceva
chiudere gli occhi. Il dolore era quasi sparito e il sollievo era tale da farla
finalmente rilassare.
Angie si sentiva parecchio ridicola, aveva passato
anni a insultarsi vicendevolmente con James e in quel momento si stava facendo
trasportare in braccio da lui con la remissività di un gattino! In realtà da
brava Serpeverde aveva facilmente fatto pace con il proprio orgoglio pensando a
quanto aveva sofferto prima dell’intervento di James.
“Jessy?” mormorò un po’ incerta.
“Gigì?”
“Grazie.”
Non ci fu risposta da parte del ragazzo, ma un
piccolo sorriso vittorioso di fece spazio sulle sue labbra.
***
“Farà male signorina Dursley. Molto male.” annunciò Madama
Chips con espressione grave mentre sfoderava la bacchetta.
“Non basta un Epismenda?”
chiese James incrociando le braccia sul petto.
“No Signor Potter, bisogna ricostruire le ossa.”
“Ma porca pu…”
“Angie, stringi la mia mano!” esclamò Albus
interrompendo l’imprecazione dell’amica.
Non gli sembrava il caso di urtare ancor di più la
guaritrice, la quale non appena aveva visto la figura di Angelique sulla soglia
si era lascia sfuggire un gemito di disperazione.
In effetti il numero di volte in cui era entrata in
condizioni pietose in quel luogo erano ormai diventate incalcolabili.
“Dod voglio!” pigolò la bionda guardandolo con gli
occhi verdi sgranati.
“Se vedessi in che condizioni è il tuo naso, ti
assicuro che imploreresti perché te lo rimettessero a posto!” le disse
osservando accigliato la massa informe che svettava dove un tempo c’era stato
un grazioso nasino leggermente all’insù.
Angie annuì e gli afferrò la mano con forza
straordinaria. James ai piedi del letto osservava silenziosamente la scena.
Madama Chips putò la bacchetta davanti al viso di
Angelique e iniziò a pronunciare una lenta cantilena. Il rumore delle ossa che
venivano rinsaldate tra di loro fu terribile da udire e Albus poté solo
immaginare quanto dolore stesse sentendo Angie. La ragazza provò a tenere gli
occhi aperti nei primi secondi in cui l’incantesimo sortiva il suo effetto,
tuttavia dopo poco li chiuse strizzandoli intensamente e emettendo gemiti di
dolore ad ogni osso che tornava al proprio posto. Alcune lacrime colarono sulle
sue guance, lente e trasparenti percorsero il suo viso fino a scivolare oltre
il bordo della mandibola e cadere sulla divisa.
La mano di Albus era tanto stretta in quella di lei,
che le dita gli formicolavano.
Dalla bacchetta della guaritrice usciva una luce
azzurrina, che colpiva direttamente il naso e che lentamente stava ricostruendo
anche la pelle lesa. Dopo circa un minuto la donna finì e Angie aprì gli occhi
sbattendo più volte le palpebre e rivelando gli occhi lucidi.
La prima cosa che fece la giovane fu di tastarsi il
naso con entrambe le mani e subito dopo agguantò uno specchio dal comodino per
controllare che fosse tutto come alle origini.
“Non la voglio vedere almeno per un mese, ci siamo
capite?” sbottò Madama Chips minacciando Angelique con un indice secco e
rugoso.
“Non è stata colpa mia!”
“Non è mai colpa sua, eppure non ho mai conosciuto
nessuno che finisse regolarmente qui dentro quanto lei! Anzi a pensarci bene forse
solo vostro padre,” e indicò entrambi di Potter, “ha superato questa calamita
per disgrazie.” Detto ciò si avviò verso il suo studio in fondo al corridoio di
letti e separé scuotendo energicamente la testa.
“Le stai simpatica.” disse James rivolgendosi Angie.
“E lei a me. Se fosse andata in pensione anni fa,
ora somiglierei a Quasimodo, per tutte le volte in cui mi ha sistemata.”
ribatté l’altra stringendosi nelle spalle, mentre teneva sollevato lo specchio
davanti a sé e osservava il proprio naso da tutte le angolazioni.
Albus corrugò la fronte e osservò perplesso i due,
che continuavano a comunicare pacificamente. Vederli a pochi metri di distanza,
senza che si scannassero, era un avvenimento tanto raro che di solito precedeva
eventi straordinari come la neve in Luglio a Londra.
“è permesso?”
Martha comparve alle spalle di Angie, sul suo viso
campeggiava una preoccupazione estrema.
“Ehi.” salutò Angie voltandosi di tre quarti ma
restando seduta sul letto.
“Oh Gesù, meno male! Pensavo che non sarebbe più
tornato quello di una volta!” esclamò la rossa mettendosi una mano sul cuore
con aria evidentemente sollevata.
“Incredibile che cosa possa fare la magia, vero
O’Quinn?!” disse suo fratello sorridendo.
Martha lo guardò con vago fastidio, sollevò entrambe
le sopracciglia e poi rivolse nuovamente la sua attenzione all’amica.
“Ti ho portato un cambio pulito.” disse spostandole
un riccio dorato dietro l’orecchio e depositando sulle lenzuola un involucro.
C’era sempre in Martha un’attenzione maniacale nel
restare controllata, in ogni postura e in ogni espressione, la quale veniva
tradita costantemente dal suo affetto per le amiche, che la spingeva a
manifestare con gesti improvvisi le sue vere emozioni.
“Grazie.” Angie le rivolse uno di quei sorrisi
piccoli e pieni di calore, che le spuntavano sulle labbra solo quando si
ricordava di non essere in una crociata solitaria contro il mondo.
“Beh noi andiamo.” disse Albus guardando
insistentemente negli occhi suo fratello.
“Da quando parli con plurale maiestatis?” domandò
James inclinando appena il capo.
“Jamie…” sospirò lui. Non era certo impossibile
immaginare per quale ragione Angie perdesse subito la pazienza con lui.
“Ah ma forse intendevi noi due?! Oh beh, in questo
caso cambia tutto.” ribatté quello con fare leggero. “Au revoir Angelique.
O’Quinn.”
Angie inarcò un sopracciglio nel sentire quel saluto
in francese, ma rispose con tono abbastanza gentile:
“Ciao Jessy.”
Martha come saluto scosse la chioma rossa indietro,
spargendo riflessi ramati e rosso intenso, e continuò a ignorare James.
Non aveva mai compreso per quale ragione suo
fratello e la ragazza si tollerassero così poco. Non era lo stesso modo di
interagire che avevano James e Angie, i quali continuavano a punzecchiarsi e rivolgersi
frasi pungenti. Sembrava più che altro che non riuscissero a condividere la stessa
aria, si allontanavano come due cariche dello stesso segno, impossibilitate ad
avere contatti pacifici.
Albus fece per avviarsi verso l’uscita, quando si
ricordò che doveva ancora una spiegazione all’amica:
“Ah Angie, dimenticavo una cosa.” Quando un paio di
occhi verdi lo fissarono continuò, scostandosi dalla fronte un ciuffo di
capelli neri che non voleva saperne di restare a posto: “Volevo dirti che
Scorpius non ti ha tirato il bolide apposta. Stava cercando di aiutarmi con
Rendly, poi uno dei bolidi che quel maledetto ragazzino ha sparato in aria ci
stava venendo addosso. Scorpius ha preso la mazza di Rendly e l’ha colpito
senza sapere dove sarebbe andato… Quindi credimi, non era sua intenzione farti
del male.”
“Buono a sapersi! C’è Elena che lo sta cercando per
tutto il castello con un arnese che somiglia ad ascia bipenne, forse
bisognerebbe avvisarla che i suoi servigi da boia non sono richiesti oggi... Ne
sarà molto delusa!” sospirò Martha sorridendo.
Angie annuì leggermente sovrappensiero e lo salutò
con un gesto della mano.
Albus si diresse verso il grande portone e scivolò
all’esterno dell’infermeria seguendo suo fratello che lo stava aspettando.
Alla fine del corridoio comparvero la professoressa
Blackthorn e il professor Dawlish, stavano parlando fitto tra loro, ma Al
riuscì comunque a sentire il loro discorso.
“John, secondo me in quel negozio vendono fumo!”
esclamò la professoressa con la solita espressione severa.
“Ma Beatrix è impossibile! Ho comprato moltissimi
articoli validi per la difesa della casa e degli ambienti chiusi!” protestò
l’ex-auror scuotendo il capo.
“Beh non so che dire… Io non ci tornerò più, questo
è sicuro! Pensa un po’ che ho comprato un allarme per il mio ufficio, era un
gufo collegato al meccanismo d’apertura della porta, e la prima sera in cui
l’ho messo nell’ufficio ha preso vita!!!”
“Che cosa?” chiese allibito il professore mentre li
superavano.
“La prima sera sono entrata nel mio ufficio dopo
cena, per vedere se funzionasse ed ho trovato un gufo vivo che svolazzava per tutta la stanza emettendo fischi
insopportabili…”
Albus smise di ascoltare scrollando le spalle. Che
razza di cialtroni potevano vendere simile merce?
***
“E lei dice: -Come
sarebbe a dire un pom…-”
Pomeriggio.
“E io: Ma porca put…”
Putrella. Sì decisamente porca putrella.
“Non mi sembra tanto
difficile capire che vorrei che ti occupassi del mio ca…”
Cavolfiore. Ricco di vitamine e calcio.
Qualche risata mozzicata
e una vivida protesta femminile attorno a lui gli fecero intendere che la
narrazione di Philip si era conclusa. James a volte si chiedeva come potesse un
essere umano infilare un numero così esorbitante di parolacce in un racconto
tanto breve.
A volte i racconti
dell’amico diventavano così indecenti che James, per non stringere le falangi
attorno al collo di Jordan, doveva sostituire mentalmente le imprecazioni o le
volgarità con parole casuali.
“Ehi Jamie non ti ha
fatto fottutamente ridere?” berciò Philip mettendogli un braccio attorno alle
spalle e ghignando apertamente.
“Ho un senso dell’umorismo
un tantino diverso…” disse James sorridendo all’amico.
Vide lo sguardo di Philip
concentrarsi su qualcosa dietro di lui e seguirlo man mano si avvicinava. Ruotò
la testa mentre la ragazza, perché doveva trattarsi sicuramente di una ragazza,
passava alle loro spalle e la seguì anche dopo che lo ebbe superato.
James allungò appena il
collo e scorse i capelli castani e lunghi di Fanny.
“Porca troia James, non
sai quanto cazzo ti invidio… Potessi scoparmela io!” disse con tono
romanticamente trasognato.
“Forse Phil dovresti
prendere in considerazione l’idea di smetterla di parlare come uno scaricatore
di porto. Sai con le ragazze non funziona esattamente come nel paleolitico, in
cui quello che caccia l’antilope più grassa o ha la clava più grossa vince sugli
altri! Fanny ha un certo gusto,” disse James indicando sé stesso, “ e di certo
il pensiero di passare un quarto d’ora a sentirti imprecare in continuazione
non la esalta.” concluse con un sorriso sornione e Derek, Fred ed Alice poco dopo risero allegramente
davanti all’espressione cupa che calò sul viso di Jordan.
“Come sarebbe a dire un
quarto d’ora?!” esclamò indignato Philip ma questo non causò altro che risate
più forti.
“Oh Godric, Philip
finalmente qualcuno che ti espone la realtà dei fatti!” disse Alice
sventolandosi una mano davanti al viso per calmare il rossore dovuto alle
risate.
“Begli amici… davvero!”
borbottò Philip tuffando la faccia imbronciata nel calice.
“Ma Phil, noi ti vogliamo
bene anche così: rude e con la clava in mano.” disse Derek e le risate crebbero
ancora, questa volta anche James si unì.
Mentre i suoi amici
continuavano a ridere spensierati James gettò una rapida occhiata al tavolo dei
Serpeverde.
Quella frigida della
O’Quinn sedeva accanto a suo fratello col portamento di una regina ad un
ricevimento ufficiale, Elena invece gli dava le spalle in quell’istante, ma
dalla posizione ricurva e dallo sguardo mortificato del Prefetto di Serpeverde,
si poteva immaginare che fosse intenta a mangiare qualsiasi cosa le capitasse a
tiro. Di Gigì nessuna traccia.
Probabilmente avrebbe
dovuto mandare un biglietto di ringraziamento a Malfoy, perché grazie a
quell’idiota colossale quella mattina aveva avuto l’occasione perfetta per
avvicinarsi ad Angelique senza suscitare le solite reazioni bellicose o
istrioniche.
Avrebbe dovuto solo
continuare a svelarle lentamente quanto fosse errato il suo giudizio. Gigì che
non era mai riuscita a vedere altro che un ragazzino impertinente e pestifero
avrebbe guardato lui finalmente, e non l’immagine che aveva costruito per
etichettarlo.
Mentre assaporava
l’ultimo pezzo di torta alla melassa, James pensò a quale libro avrebbe
acquistato quel pomeriggio ad Hogsmeade in occasione della prima gita.
***
Non aveva alcuna voglia di mangiare. Lo stomaco le
si era chiuso in una morsa di acciaio da quando era uscita dall’infermeria.
Angie aveva lasciato andare i suoi amici a pranzo e
si era rifugiata davanti al caminetto della Sala Comune, sul divano verde
smeraldo che occupavano di solito, avvolgendosi in una coperta morbida e
invitante. Senza nessuno a osservarla si era pure fumata una sigaretta, che era
stata spenta dopo tre tiri.
Non riusciva a muovere un muscolo, troppo
frastornata da ciò che era accaduto poche ore prima. L’immobilità, che seguiva
sempre i suoi stati di confusione, la costringeva su quel morbido giaciglio
come se fosse stata un isola in mare aperto, isolata e silenziosa.
Ripensava, al fatto che forse per la prima volta in
quell’inizio anno disastroso Scorpius non aveva agito con l’esclusiva intenzione
di ledere la sua sanità psico-fisica; e che a raccoglierla in un stato pietoso era
stato James e non Derek.
Chissà quale tributo le avrebbe fatto pagare, perché
di questo era certa la giovane: ad ogni buona azione di Jessy ne conseguivano
una dozzina contrarie…
“Chi ti tira
fuori dalla merda non sempre lo fa per il tuo bene.” Ecco come continuava
quella frase a cui aveva tanto pensato!
“Ehi stai meglio?” una voce la richiamò al presente
e la fece voltare.
Janus McMillan la stava guardando in piedi alla sua
destra, mentre sul viso svettava un sorriso bonario.
“Sì meglio, grazie.” rispose con un lieve sorriso e
poi tornò a fissare il camino scoppiettante.
Nei Sotterranei faceva così freddo che i camini
prendevano congedo solo da giugno ad agosto.
“Oh bene! Non è stato il massimo come primo
allenamento, se devo essere sincero.” continuò il giovane.
“Ho visto di peggio.” mormorò laconica lei, tuttavia
il ricordo della prima volta in cui aveva inseguito un boccino le fece
arricciare le labbra in una smorfia per trattenere le risate.
“Ti senti male?” chiese immediatamente Janus
avvicinandosi.
“No, no.” scosse la testa lei “Solo pensavo alla
volta in cui il tuo amico Nott mi ha rotto una costola e io mi sono rotta da
sola il braccio...”
“Non è più mio amico da molto tempo!” il tono di Janus
si fece accorato e Angie si voltò a osservarlo.
Aveva gli occhi castani infiammati da un’espressione
indignata e il volto era decisamente più teso di quando avevano iniziato a
parlare.
“Immagino sia per questo che non sei ancora finito
ad Azkaban… Beh ci hai guadagnato parecchio McMillan.” ribatté lei sorridendo
“Janus.” la corresse lui rilassando visibilmente la
sua postura e la sua espressione.
“Janus.” accordò Angie chinando appena il capo.
Dopo un silenzio di qualche istante McMillan si
sedette su una poltrona vicina a lei e riprese a parlare con tono divertito:
“E così tu ti sfasci sempre qualcosa ad ogni inizio
stagione?”
Angie scoppiò a ridere, sinceramente divertita. Non
aveva mai avuto grandi contatti con chiunque fosse all’infuori della sua
cerchia di amici o parenti acquisiti, men che meno con un ragazzo che tempo
addietro aveva appoggiato le idee discriminatorie sullo Stato di Sangue, quindi
non si sarebbe mai aspettata tanto umorismo.
“In realtà mi sfascio in continuazione qualcosa.” rispose lei interrompendo le risate.
“Ora che mi ci fai pensare la scorsa stagione Lily
Potter e Lucy Weasley accettavano scommesse su quante fratture avresti
riportato a fine partita!” disse Janus osservando sovrappensiero le fiamme del
camino.
Angie ricominciò a ridere più forte, immaginandosi
le Menadi intente a fare cassetta a discapito delle sue ossa. Janus si unì a
lei con una risata sommessa e musicale.
La giovane sentì il rumore del passaggio di pietra
che si apriva e mentre il suo corpo era ancora scosso dalle risate comparve in
Sala Comune Scorpius Malfoy.
L’allegria evaporò in un nanosecondo per essere
sostituita da un silenzio pesante e imbarazzato.
Scorpius la guardava fissa, ma con un tale distacco
da farle pensare che in realtà non la vedesse neppure. Gli occhi grigi con le
pagliuzze azzurre, gli occhi dei Black,
i suoi nobili antenati, la osservavano senza apparenti emozioni.
“Mi dispiace molto per il bolide. Spero che Albus ti
abbia detto che non ho in alcun modo mirato a te.” Scorpius le parlò con voce
cortese, tremendamente cortese. E lei, che lo conosceva dai tempi remoti in cui
era stata più alta di lui, sapeva perfettamente che quello era il tono
riservato agli estranei.
“Sì me lo ha detto.” di limitò a rispondere, e pregò
che il suo tono fosse freddo e tagliente come avrebbe desiderato, ma alle sue
orecchie suonò più che altro come il gracchiare stonato di una radio mal
sincronizzata. Il suo corpo era decisamente mal sintonizzato col suo cervello!
“Bene. Sono contento di aver chiarito. Buona
giornata.” detto ciò il ragazzo si defilò nel suo dormitorio.
Buona giornata.
Buona
giornata.
BUONA GIORNATA??? L’aveva scambiata per la
segretaria di suo padre? Per una delle governanti di Malfoy Manor? Che diamine
significava buona giornata a lei, che
era stata la sua fidanzata per tre anni, con cui aveva condiviso giorni interi,
che aveva baciato e stretto tra le proprie braccia…
Buona giornata!
“Beh poteva anche sprecarsi un po’ di più! Insomma
ti ha rotto il naso…” borbottò Janus.
Angie si voltò sorpresa, si era completamente
dimenticata di lui!
“Già.” mormorò in tono piatto, scevra da qualsiasi
allegria che l’avesse anche solo sfiorata prima. Avrebbe desiderato che il
giovane se ne andasse seduta stante, lasciandola da sola nel suo bozzo di
coperte a rimpiangere i tempi in cui nessuno le si rivolgeva come un’impiegata,
ma il suo interlocutore non sembrava dello stesso avviso.
“Ci vieni ad Hogsmeade?” chiese Janus sorridendole.
Aveva un modo di sorridere contagioso, quasi quanto
quello di Svitato, la sua personale medicina antidepressiva.
“Quando scusa?” chiese corrugando la fronte.
“Oggi pomeriggio!”
Angelique sbatté un paio di volte le palpebre. Si
era dimenticata totalmente anche di quello!
“Ehm…” farfugliò senza sapere esattamente che cosa
rispondere.
“Beh io sarò lì con alcuni amici, ci tengono a
festeggiare il mio ingresso in squadra. Se ti va di passare ti offro una
Burrobirra.” le disse con estrema semplicità, alzandosi subito dopo dalla
propria poltrona.
“Ok.”
“Ok, nel senso di: verrò con piacere. Oppure ok nel
senso di: scordatelo povero idiota, ho di meglio da fare?” si informò Janus
sempre senza perdere il sorriso.
Angie si soffermò ad osservare i capelli castani e ondulati
che ricadevano con odine ai lati del volto. Le stava simpatico quel ragazzo,
era facile scherzare e ridere con lui. Tuttavia non voleva dare segnali
sbagliati…
“Un po’ tutti e due, Janus.” rispose dopo qualche
secondo di meditazione, sorridendo in modo enigmatico.
Janus rise di cuore e dopo averle fatto un cenno del
capo si allontanò dalla Sala Comune.
***
“Ci stava provando!”
“Ma figurati, Dom. Mi conosce appena!”
“Angie sei cieca come una fottuta talpa.”
“Ehi Lily, modera il linguaggio!”
“Zitta, o chiamo Malfoy e gli do in mano una mazza!”
“Non fa ridere!”
“Oh sì Alchimista, fa ridere eccome se il naso è il
tuo!”
“In effetti…”
“Non ti ci mettere anche tu Dom!”
“Sei troppo permalosa secondo me…”
“Lily nella prossima Pozione Polisucco ti aggiungo
essenza di Equiseto.”
“E che sarebbe?”
“Lo scoprirai presto…”
“Adesso basta!” sbottò Lucy voltandosi per fulminare
le tre ragazze che stavano battibeccando alle sue spalle, le quali si fermarono
immediatamente.
“Scusa Leda.” trillò Lily sorridendole smagliante.
“Tesoro non corrugare così la fronte, ti vengono le
rughe!” mormorò il Generale, sollevando appena l’orlo del cappuccio scuro e
osservandola preoccupata.
Lucy incrociò lo sguardo di Angelique,
contemporaneamente stupito e rassegnato come il suo per l’intervento di Dom, e
l’altra le rispose alzando le spalle.
“Non che non mi faccia piacere stare con voi,
ragazze, però forse non è il luogo più adatto per fermarsi. Questa non è
esattamente la mia zona preferita del villaggio.” disse Angie voltando il capo
a osservare il vicolo angusto e sporco in cui si erano infilate.
Lucy annuì secca e poi fece un cenno a Lara di
avvicinarsi a lei. Non appena la cugina le fu accanto, con un gesto automatico
le posò una mano sulla spalla e se la trasse vicina al fianco. Con l’altra mano
si infilò una sigaretta in bocca e l’accese, aspirando nervosamente.
Non le andava a genio che dovessero girare per la
zona malavitosa di Hogsmeade senza nessuna copertura, tuttavia ad Angelique
servivano alcuni ingredienti fondamentali per la Pozione Polisucco e c’era un
unico posto in tutta la zona che vendesse quello di cui necessitava
l’Alchimista.
Si trattava di un piccolo smercio di ingredienti
estremamente difficili da reperire, tutti rigorosamente di contrabbando e
quindi che gravitavano attorno alla rete di Benji Allucemonco.
Se solo ripensava alla lettera che aveva spedito la
settimana precedente le fremevano le ginocchia per l’ansia. Lui non aveva
risposto, ma l’incontro era stabilito per quella sera.
Avevano abbandonato da un bel pezzo High Street e
avevano calato sulle loro teste i cappucci dei mantelli per garantirsi un
minimo di anonimato, anche se era quanto mai inutile girare imbacuccati come
fosse Dicembre, quando non riuscivano neppure a fare due metri senza iniziare a
discutere.
“Angie, hai la lista?” chiese Lucy fermandosi
davanti ad una finestra del tutto anonima, con una grata arrugginita davanti.
“Sì, ma voglio vedere gli ingredienti. L’ultima
pelle di Girilacco che mi hai portato risaliva almeno alla Prima Guerra
Magica.” ribatté la bionda mettendosi al suo fianco.
“Non è che gli chiederesti se ha anche dell’olio di
Jojoba?” intervenne Dominique alzando un indice in aria.
“Dom questo non è un centro benessere!” ruggì
l’Alchimista
“Lo credo bene! Chi mai vorrebbe venire qui per
rilassarsi o per farsi fare la ceretta?!”
Per quanta immaginazione Lucy cercasse di
sacrificare in quell’istante, lei i criminali di Hogsmeade, a farsi la ceretta,
proprio non ce li vedeva.
Picchiettò tre volte contro il terzo incrocio a
sinistra partendo dal basso della grata osservando le proprie nocche colorarsi
appena di un colore rossiccio, dovuto alla ruggine.
Le sue accompagnatrici si zittirono all’istante, con
la coda dell’occhio vide Angie chiudere la mano destra in un pugno, segno che
stava cercando la propria bacchetta.
Si udì qualche suono indistinto all’interno
dell’edificio e dopo poco la tapparella svanì, lasciando che la figura di un
uomo dall’aspetto untuoso si affacciasse alla finestra. Era tanto magro che le
guance gli pendevano sul viso come se fossero state liquefatte, la pelle aveva
un colore grigiastro e i radi capelli grigi erano appiatti sul cranio. Attorno
al collo teneva stretto un foulard sudicio da cui spuntava il collo rugoso e
raggrinzito.
“Chi siete? Che diamine volete? Sparite o chiamo il
Ministero!” berciò con aggressività quello mettendo in mostra una chiostra di
denti mezzi marci e un alitosi da spavento.
“Sta zitto Aaron! Piantala di fare tutta questa
scena. Come se potessi anche solo pensare di rivolgerti al Ministero con la
merce che tieni sotto quel bancone lurido.” rispose Lucy con tono disgustato.
“Ah sei tu…” il tono dell’uomo virò verso una
litania strisciante e fastidiosa “Sono tornate le piccole principesse del
castello dorato. Che cosa vi serve bamboline? Polvere di fata? Peli di
unicorno? O forse un filtro d’amore?”
Nessuna di loro aveva mai fatto l’errore madornale
di farsi vedere dall’uomo, che Dom sosteneva fosse un maniaco, ma quello
comunque aveva capito che erano tutte ragazze ancora in età scolastica e ogni
volta non perdeva occasione di schernirle.
“Ci piacerebbe avere la tua testa su un piatto
d’argento, ma per oggi ci accontenteremo di questo, Aaron.” disse con freddezza
spaventosa Angelique e fece scivolare attraverso la grata un foglio di
pergamena.
L’uomo lesse la lista e in breve sparì dalla loro
vista, alla ricerca degli oggetti richiesti.
Lucy sentiva l’agitazione serpeggiarle in petto al
pensiero che qualcuno avesse potuto seguirle fin lì e poi denunciarle alla
Preside… O peggio a suo padre! Quindi istintivamente avvicinò a sé Lily.
“Ecco qui.” disse Aaron tornando e depositando
alcuni sacchetti e un paio di vasetti sul poggiolo che separava la grata dalla
cornice della finestra.
“Quell’Erba Fondente fa pietà.” decretò con una
certa noia Angelique, come se quella scena fosse ormai di routine.
Aaron emise un grugnito minaccioso “Come osi piccola
insolente?! Questa è la mia merce! Sparite immediatamente!” sbraitò l’uomo, ma
non accennò nemmeno a riprendersi gli ingredienti.
“Avanti Aaron, dacci l’Erba Fondete fresca, non
quella della scorsa luna piena!” esclamò Lily con allegria e l’uomo al suono di
quel tono spensierato sgranò appena gli occhi. Subito dopo agguantò il
sacchetto con l’Erba Fondente borbottando cose incomprensibili e se ne andò
nuovamente.
“Fanno venticinque galeoni.” comunicò con tono
minaccioso una volta depositata sul banco dell’Erba Fondente evidentemente
tagliata di recente.
“Secondo me, Aaron, ne fanno dieci.” commentò Lily e
anche senza vederla in faccia Lucy sapeva che sul suo viso c’era un’espressione
dannatamente preoccupata.
“Che cosa?! Impossibile! Al massimo posso arrivare a
venti!” urlò quello battendo un pugno contro il legno del bancone.
“Ottimo, allora vada per quindici?!” chiese Lily
iniziando a estrarre le monete da un sacchetto di velluto rosso ignorando completamente
l’uomo.
“NO! No. No. E no! Tutte le volte la stessa storia!
Non faccio più affari con voi sciocche ragazzine! Adesso chiamo i vostri
professori e racconto di tutte le cose che avete comprato…”
“Attento Aaron, certe minacce non andrebbero fatte se
poi non si ha il potere di mantenerle.” la voce melodiosa di Dominique lo
interruppe con una nota di fastidio evidente. “Tu non chiamerai nessuno e non
dirai proprio niente, perché non hai nulla contro di noi, se non una lista di
ingredienti. Mentre noi possiamo mandare quando vogliamo un gufo al Ministero
con il tuo indirizzo e un paio di suggerimenti su che genere di attività
svolgi.”
Lucy tendeva a dimenticare che Dominique fosse una
Serpeverde, perché nella maggior parte delle occasioni non lasciava trapelare
la sua natura in modo così manifesto. Eppure bastavano poche parole sbagliate
per scatenare il veleno di Dom.
“Quindici galeoni!” trillò vittoriosa Lily
depositando sul poggiolo due pile ordinate di monete dorate.
***
Angie si era ricordata finalmente tutta la citazione
passando davanti ad un negozio di travestimenti che stava allestendo le prime
vetrine per Halloween.
Aveva visto in vetrina di un negozio di
travestimenti un cappello e una pistola da cowboy americano, e come un fulmine
a ciel sereno si era ricordata da dove il suo cervello avesse ripescato quelle
frasi. Ovvero da uno dei film preferiti di suo nonno Etienne, una pellicola
ambientata nel Far West, piena di uomini taciturni e burberi che masticavano
tabacco tenendo calato sulla testa un cappello di paglia intrecciata.
Dominique le aveva messo la pulce nell’orecchio
riguardo Janus, così dopo aver lasciato Lucy e Lily da sole, si era lasciata
convincere da Dominique a raggiungere i Tre Manici di Scopa per la semplice
curiosità di scoprire se c’erano mai stati doppi fini nelle intenzioni di McMillan.
Così le due bionde arrivarono davanti alla porta di
radica che segnava la soglia del pub, da cui proveniva un fragore notevole e un
odorino invitante che fece borbottare il suo stomaco a digiuno.
Dominique la precedette e con una lieve pressione
aprì l’uscio, tenendo la mano sul pomo per evitare che la porta le sbattesse
addosso mentre entrava.
Angelique fece un passo verso la porta, ma riuscendo
finalmente a osservarne l’interno si sbloccò spalancando la bocca. Era come se
tutte le componenti del suo microcosmo si fossero concentrate in quel pub per
collassare su di lei.
Ad un tavolo ampio e circolare stavano seduti James
e tutti i suoi amici.
In un angolino Scorpius Malfoy e una bella ragazza
mora parlottavano tra di loro sorridendosi.
Albus, Martha, Elena, Berty e una evidentemente
riluttante Emma chiacchieravano con alcune Burrobirre sul tavolino.
Al bacone davanti a Madama Rosmerta c’era una
piccola folla in cui Angie distinse chiaramente Janus e inaspettatamente anche
Locarn e Lisander, che stavano intrattenendo la platea facendo i giocolieri con
alcune mele. Poi Svitato fece cadere un pomo sulla testa del fratello e tutto
il resto della frutta cadde inesorabilmente a terra nelle risate generali.
E poi Derek che sedeva ad un piccolo tavolo, con il
braccio attorno alle spalle esili di Celia, avvolte in un maglioncino bianco.
Vide la Danes voltarsi verso di lui e sorridergli prima di baciarlo con una
famigliarità e una naturalezza che le diedero un colpo peggiore di quello
ricevuto sul campo da Quidditch.
Li vide separarsi dal contatto e sorridersi prima
che lei ricominciasse a parlare gesticolando in modo pacato con le mani.
E lei chi era?
Entrando in quel pub dove sarebbe dovuta andare?
Da Jessy e ringraziarlo decentemente per quello che
aveva fatto per lei?
Da Scorpius per spaccargli un boccale su quel cranio
bacato?
Dai suoi amici e fare finta che il mondo oltre loro
non esistesse?
Da Janus e Svitato per godere finalmente di un po’
di distensione e di umorismo?
O esattamente dove il suo cuore sanguinante la stava
implorando di andare, per costringere finalmente Derek a scegliere tra lei e
una relazione ipocrita, e mettere fine al dolore di entrambi dato dall’impasse
in cui erano caduti?
“Chi ti mette nella merda non sempre lo fa per farti
del male. Chi ti tira fuori dalla merda non sempre lo fa per il tuo bene. Ma
soprattutto quando sei nella merda fino al collo, stai zitto.”
Ecco come si concludeva la citazione.
E lei non apparteneva a nessuno di quei gruppi in
quel preciso istante.
Angelique riuscì con enorme sforzo a distogliere i
propri occhi dall’immagine di Derek e Celia, che le stava causando uno spasmo
doloroso allo stomaco.
Dominique la stava osservando impaziente con ancora
il braccio teso a bloccare la porta, aveva i lunghi capelli chiari raccolti in
una coda altissima che le evidenziava i tratti perfetti del viso.
“Mi mancano alcuni ingredienti, devo tornare dallo
speziale.” la voce uscì dalle sue labbra con un tono frettoloso e incerto, ma
Dominique non captò la bugia, o per lo meno finse di non aver capito.
Le labbra grazie al velo di lucidalabbra
scintillarono nella luce soffusa che proveniva dall’interno del bar e si
sollevarono in sorriso, Dom chinò appena il capo in un gesto di comprensione.
Poi la sua mano lunga e magra abbandonò la presa sul pomo e la porta si chiuse
con un tonfo.
Non voleva entrare nel pub e scegliere quale strada
percorrere. Voleva solo tornare nella sua camera nel silenzio di quell’autunno
appena iniziato, perché osservando le persone che costellavano il suo universo
lei in realtà si era sentita meno di nessuno. Come se quella soglia le avesse
palesato quanto lontana si fosse spinta da ciò che aveva conosciuto e a cui
aveva voluto bene.
Era effettivamente nella merda fino al collo anche
senza bolidi che le rompevano il naso, migliore amico che la scopriva
avvinghiata a un tizio già fidanzato, ex-ragazzo che dimostrava tre anni in
totale.
Perché era lontana da ciò che era sempre stata e
nessuno poteva riportarla indietro, eccetto lei stessa.
In ultima analisi la miglior opzione per il momento
restava quella consigliata dal film western di suo nonno: stare zitta e
aspettare che la tempesta si fosse chetata.
Angelique diede le spalle ai Tre Manici di Scopa e
si diresse verso il castello, mentre un lieve vento le scompigliava alcune
ciocche.
***
Lucy si osservò nervosamente nello specchio. Le sue
cavicole sporgevano decisamente troppo dallo scollo rotondo del maglione nero.
Dire che non si fosse mai piaciuta era un eufemismo
notevole. Per essere più precisi lei odiava l’immagine che quella lamina
argentata le rimandava ogni giorno.
Non sopportava il proprio naso, ingombrante e così
poco femminile, che suo padre le aveva lasciato in dote insieme a quei capelli
pel di carota.
Guardando le sue gambe aveva sempre pensato a due
stecchini sul punto di spezzarsi da un momento all’altro, troppo lunghe e
troppo magre per poter essere sensuali come quelle di Dominique.
E poi il suo corpo in generale, esile e spigoloso in
ogni porzione, coperto da un incarnato latteo.
Sarebbe anche potuta essere una di quelle bellezze
bohemien, donne fragili e malaticce, con il carattere docile e pronto a sopportare le disgrazie della vita, a cui il protagonista intellettuale regala il
proprio cuore con trasporto e abbandono totale, se non fosse stato per il suo
carattere forte e autoritario, di cui andava immensamente fiera.
Eppure in quell’istante davanti allo specchio del
suo dormitorio nella Torre di Grifondoro, provò il desiderio che non le era mai
appartenuto davvero, ovvero di essere qualcun’altra, dotata di un fisico
sinuoso, con delle curve che facessero presagire che sotto la divisa c’era una
ragazza e non un palo; qualcuna con un viso grazioso e armonioso.
Lucy agguantò il porta sigarette con il motivo di
stelle smaltate e ne estrasse una. Infilò il filtro in bocca e l’accese con uno
scatto dell’accendino.
“Dove vai tutta in ghingheri?”
Lucy si voltò sorpresa e quasi si lasciò sfuggire
dalle dita la sigaretta appena accesa.
Rose stava sostando sull’uscio della porta del suo
dormitorio, con le braccia conserte e una spalla appoggiata allo stipite. Il
suo capo fulvo e riccioluto la osservava leggermente inclinato.
“Mi vedo con uno.” rispose vaga Lucy tornando a osservarsi
nello specchio. Giusto per fare qualcosa prese il tubetto di mascara che Dom le
aveva dato la settimana precedente.
“Uno… nel senso un ragazzo?” chiese con tono
incredulo Rose.
“Guarda che posso piacere anche io a qualcuno.”
rispose Lucy piccata iniziando a passare sulle ciglia lo spazzolino carico di
pigmento nero.
“Ma certo che ci sono ragazzi interessati a te!
Intendevo dire che non sapevo ci fosse qualcuno che piacesse a te!” disse Rose
calma sedendosi sul suo letto.
Lucy si morse un labbro inferiore e maledisse la
sagacia della cugina.
“Stai davvero bene così. Dovresti truccarti più
spesso.” sussurrò Rose osservandola con un sorriso affettuoso sulle labbra.
Lucy si osservò seriamente dubbiosa nello specchio e
poi vide Rose avvicinarsi a lei.
Le mani della cugina si posarono sulle sue spalle e
il viso della ragazza spuntò dietro la sua spalla.
“Sei bella Lucy Weasley, non lasciare che il tuo
cervello bacato ti convinca del contrario.”
Faceva freddo.
Porca miseria, era decisamente freddo per essere
solo fine settembre! Lucy strinse maggiormente gli alamari metallici del suo
mantello per avvicinare i lembi di tessuto al collo, lasciato scoperto dal
taglio corto di capelli.
Lucy sentiva il disagio e l’ansia serpeggiarle nel
petto, perché quel maledetto di Benji Allucemonco era in ritardo. E lei si
stava gelando per colpa di quell’assurdo maglioncino che aveva indossato per
sembrare una femmina e non una cosa.
Le sembrava strano che avesse ritardato o che
addirittura non si presentasse vista l’insistenza e i ricatti con cui Benjamin
aveva ottenuto quell’incontro nel cuore della notte.
Lucy levò lo sguardo verso il cielo estremamente
terso e scuro come inchiostro. Piccoli frammenti luminosi brillavano sopra il
suo capo, irridendola per la sua attesa, stelle lontane che testimoniavano alla
tensione che quell’uomo le stava procurando.
Sentì un ritmico scricchiolare di passi sulle
sterpaglie del bosco e col cuore che le martellava nel petto per l’emozione si
voltò.
Benjamin Richardson la stava osservando con un enigmatico
sorriso appena accennato sulle labbra sensuali.
Note dell’autrice:
Sono infinitamente dolente. Sono mortificata. Vorrei
prostrarmi ai vostri piedi col capo cosparso di cenere e implorarvi di
perdonarmi!
Chiedo umilmente scusa a tutte voi per l’assenza di
aggiornamenti di un mese intero, ma ho passato un dicembre da incubo e non ho
avuto veramente tempo per aggiornare. Spero che questo regalo di Natale possa
farvi piacere.
Temo che per il momento i banner verranno lasciati
perdere, mi dispiace davvero ma non ho più tempo con la sessione invernale che
si avvicina.
Ho pubblicato per un senso di dovere nei vostri
confronti anche se non ero completamente convinta del capitolo, spero che non
sia riuscito un obbrobrio!
RINGRAZIAMENTI SPECIALI PER: carpethisdiem, _angiu_, chuxie, Roxy_HP, cescapadfoot e FleurDa. Siete meravigliose, non ho
altre parole.
La citazione all'interno del capitolo è tratta dal film western "Il mio nome è nessuno" di Sergio Leone.
Colgo quindi l’occasione per augurare a tutti i miei
lettori BUON NATALE! Mi raccomando
ingozzatevi come tacchini che è fondamentale per una felicità duratura sotto le
feste!
Bluelectra
(mortificata!)
|
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Capitolo 8 *** Cap.8 Le leggi di Newton ***
Cap.8 Le leggi di Newton
Cap.9 Le leggi di
Newton
“Dati due corpi,
l’attrazione esercitata dal primo corpo sul secondo è proporzionale a quella esercitata dal
secondo sul primo...”
L’immagine che gli occhi di Lucy Weasley
trasmettevano in quell’istante al suo cervello era ancor meglio di quanto
ricordasse. E dire che vi aveva fantasticato parecchio sopra, aveva immaginato
come sarebbe stato trovarsi ancora davanti a quegli occhi dorati e penetranti,
eppure non era abbastanza preparata. Benjamin Richardson era un figo spaziale,
punto.
“Buona sera.”
La voce baritonale le risuonò nelle orecchie
causandole un brivido che le percorse tutta la schiena.
Lucy sentì le proprie labbra dischiudersi
spontaneamente quando l’uomo davanti a lei sorrise. La fila di denti perfetti e
bianchi si affacciò sul volto con disinvoltura, come se fosse stato
perfettamente cosciente del fatto che con quel banale sorriso era in grado di
ridurre le ginocchia a gelatina.
“Quindi ho il piacere di conoscere Leda?” Benji
continuò a parlare con tono cortese e quell’eleganza dal sapore anacronistico.
Lucy incapace di distogliere gli occhi dal volto
dell’uomo provò a parlare, ma la sua gola era occlusa da un nodo, sorto
improvvisamente e che la faceva sentire una sciocca ragazzina in preda agli
ormoni. E lei era non era lì per bearsi della visione di tanta sensualità, lei
doveva proteggere Lily, le Menadi e l’organizzazione che avevano tanto
faticosamente creato.
Lucy si schiarì la voce e assunse il cipiglio più
freddo che il suo subbuglio interiore le concedeva.
“Sì sono io. Lei deve essere Benjamin.” la sua voce
era come sempre leggermente graffiante, dalle tonalità più basse rispetto a
quelle delle sue coetanee tanto graziose che aveva invidiato prima
dell’intervento di Rose.
Benji Allucemonco fece un paio di passi in avanti e
le tese una mano col palmo rivolto in alto.
“Al suo servizio.” disse continuando a sorridere e
chinandosi appena in avanti.
Lucy osservò quella strana postura e comprese, con
notevole stupore, che l’uomo si stava proponendo di farle un baciamano. Era
dunque quello il suo abituale atteggiamento? Sfoderare quel fottuto sorriso
sensuale e far cadere ai propri piedi ogni donna con un paio di moine da
damerino?!
Un misto di rabbia e indignazione si impossessò di
lei, realizzando che Benjamin la considerava alla stregua di una qualsiasi
donna incontrata per caso e con cui provarci solo per autocompiacimento, non una
pari con cui discutere di affari.
La mano destra di Lucy si mosse prima che il suo
pensiero avesse elaborato del tutto le proprie intenzioni, e fece scivolare il
proprio palmo a contatto con quello dell’uomo, tuttavia al posto di depositare
placidamente la mano su quella di lui, con uno scatto del polso portò entrambi
i palmi in verticale. Una stretta di mano tra pari, ecco che cosa aveva appena
imposto la rossa.
Strinse le dita attorno al dorso di Benjamin e cercò
di ignorare la morsa al ventre che il calore di quella pelle le causò.
Benjamin sgranò gli occhi sorpreso da quel gesto e una
strana espressione calò sul suo viso. Sembrava essersi irrigidito notevolmente
e aver perso parte della gentilezza con cui si era presentato.
“Non sapevo che le nuove generazioni fossero state
educate tanto male da non riconoscere un gesto di cavalleria.” mormorò sempre
con tono affabile stringendo appena la presa sulla mano di Lucy, eppure da
quella voce profonda si irradiò una minaccia tangibile a non mancare oltre di
rispetto.
“E io non sapevo che le vecchie generazioni
utilizzassero deliberatamente il ricatto, per avere ciò che non sono abbastanza
abili da ottenere con altri mezzi.” Lucy rispose con prontezza e un sorriso
falsamente gentile le increspò le labbra.
La formalità di quell’uomo la irritava in modo
incomprensibile, le faceva venir voglia di provocarlo fino a vedere il punto di
rottura di quell’apparente gentilezza e calma. Provava il desiderio di farlo
arrabbiare tanto da fargli perdere le staffe… Forse perché le ricordava suo
padre!
La mascella marcata di Benji si serrò di scatto e un
guizzo dei muscoli fece capolino attraverso la pelle brunita. L’uomo lasciò
finalmente la presa sulla sua mano e la ragazza sentì l’aria fredda di quella
sera colpirle il palmo come uno schiaffo, avvertì una fastidiosa sensazione di
privazione che allontanò in fretta.
“Eppure questi ricatti
non le hanno impedito di violare le condizioni proposte per questo
incontro…”
“Imposte, Signor Richardson.” lo corresse Lucy
interrompendo il suo discorso.
“Se fossero state imposte, in questo istante saremmo
in tre a discutere di affari, con la gentile presenza anche della Signorina
Lara.” ribatté Benjamin con tono definitivamente privato di ogni
accondiscendenza.
“Lei, Signor Richardson, non incontrerà mai Lara.
Anche se dovesse negarci tutte le forniture di alcoolici e tabacco, anche se
dovesse bloccare ogni nostra attività, non vedrà mai il viso di Lara.” Lucy
riconobbe a stento la propria voce, alterata dalla furia provocata dal pensiero
di Lily esposta al pericolo.
Sul viso di Benji Allucemonco si aprì un sorriso che
non aveva nulla di cortese o galante, era il sorriso sardonico che avrebbe
potuto avere un gatto al momento della cattura di un topolino; esprimeva in
tutto e per tutto che si era aspettato quell’esatta reazione da parte della
ragazza.
“Tutto ciò è estremamente nobile da parte sua Leda,
se non fosse per piccolo dettaglio. Ora posso denunciare quando voglio le
vostre piccole attività ai Professori, e senza nemmeno espormi in maniera
eccessiva! Basterebbero un paio di lettere, spedite alle giuste persone, e le
Menadi cadrebbero a suon di sculaccioni da parte degli adulti.”
Gli occhi da gatto selvatico di lui la scrutavano
con evidente divertimento e dalla sua stessa voce traspariva la derisione,
perché Benjamin Richardson era intimamente convinto di avere a che fare con
delle bambine che giocavano a fare le grandi.
Al posto di indignarsi come il suo orgoglio le
gridava, Lucy lasciò che il sorriso che le premeva sulle labbra spuntasse
definitivamente e proruppe in una fragorosa risata.
La ragazzina stava ridendo.
Rideva di gusto e rideva deliberatamente di lui, col
capo fiammeggiante leggermente riverso indietro.
E mentre lasciava fluire quell’allegria attraverso
il suo corpo Benjamin notò che il sorriso ammorbidiva quei tratti spigolosi e
strani del volto. Poi le risate si interruppero e lei tornò a fissarlo con gli
occhi nocciola colmi di sincero divertimento.
“Lei pensa davvero che potrebbero anche solo
prendere in considerazioni le sue accuse?!” gli chiese con tono gaio e
spensierato. “Lei crede seriamente
che qualcuno in questo castello crederebbe alla sua parola contro la mia?
Evidentemente non ha idea di chi sono io, di chi è la mia famiglia… Pensi alla
situazione: Lei accusa me di aver messo in piedi un traffico illegale di alcool
e droghe leggere. Io scoppio a piangere come se mi fosse appena morto il gatto,
dico che nell’anno scorso il Signor Richardson mi ha attratta in un locale,
sporco e scuro, nell’ultima gita ad Hogsmeade e che ha fatto delle cose… Cose
di cui mi vergogno e di cui non riesco a parlare. E che dopo mi ha ricattata
dicendo che avrebbe detto a chiunque che cosa era successo, se io non avessi
iniziato a vedere la sua merce all’interno della scuola… Pensi, Signor
Richardson, alla velocità con cui la sbatterebbero ad Azkaban senza farle più vedere la luce del sole!”
A quelle parole così subdole e così malevole
Benjamin fu invaso da una rabbia inaudita. Come osava accusarlo di quelle cose
tremende?! Come si permetteva di paragonarlo a un pervertito?! L’uomo reagì
d’istinto e avanzò verso di lei con uno scatto.
Vide un lampo di paura attraversare gli occhi grandi
e scuri della ragazzina, e lei arretrò con altrettanta velocità, ma la sua
ritirata fu bloccata dal tronco di un faggio secolare. Le spalle magre urtarono
contro il legno ruvido.
Benji sbatté entrambi i palmi ai lati del volto di
Leda contro la corteccia e si ritrovò col viso davanti a quello di lei, con
pochi centimetri a separarli. Era alta come lui e gli occhi nocciola lo
fissarono spavaldi e fieri, scevri dall’ombra di timore che prima i aveva
scorto.
“Come osi, ragazzina impertinente?! Come ti permetti
di minacciarmi con falsità così deplorevoli?! Dovrei darteli io quegli
sculaccioni per rimetterti al tuo posto.” sibilò con quanta più freddezza poté,
ma quel viso dai tratti strani e duri lo metteva a disagio, perché sembrava
impermeabile alla sua presenza e alla sua autorità.
“Abbiamo abbandonato le formalità Signor
Richardson?” mormorò lei con la voce roca, senza smettere di fissarlo.
Era assurda quella giovane donna, da sola in un
luogo pericoloso, con il capo della criminalità di Hogsmeade a pochi centimetri
dal viso e si comportava come se fossero stati in una sala da tè, a discutere
sulla nuova mostra Espressionista a Londra.
Lo mandava fuori dai gangheri con
quell’atteggiamento ostile e sarcastico. Perché da quando era diventato Benji
Allucemonco nessuno gli si era mai rivolto in quel modo.
“Le abbiamo abbandonate quando hai iniziato a
giocare sporco, ragazzina.” mormorò mentre i suoi occhi scivolavano verso le
labbra, così vicine che poteva sentire sulla propria pelle il respiro
irregolare.
Erano abbastanza sottili ma verso il centro avevano
un leggero rigonfiamento, come se fosse stato un invito a prendere tra i propri
denti e morderle appena per saggiarne la consistenza.
“Io difendo ciò a cui tengo e con qualsiasi mezzo.”
le labbra si mossero decise assumendo una linea dura, ma subito dopo vennero
ammorbidite da un sorrisetto sarcastico prima che continuasse a parlare
“Inoltre non mi sembra di aver ricattato per prima.”
Benjamin rialzò lo sguardo verso gli occhi di Leda e
vi scorse una luce vittoriosa.
“Non molli mai ragazzina, vero?” chiese e si stupì
che la propria voce si fosse fatta tanto morbida, persino divertita.
“No.” fu la risposta laconica che gli venne data,
mentre il mento di Leda si sollevava di poco in una posa fiera.
Benjamin osservò attentamente quel volto. Non era
bella, per niente a dirla tutta. Non aveva nulla della bellezza esotica a cui
lui era avvezzo, nulla dei tratti angelici dei virgulti inglesi, nulla della
grazia delle donne del suo ambiente di provenienza. Non era attraente in
termini classici, eppure l’uomo non riusciva a spiegarsi perché sentisse il
desiderio impellente di cancellare quel sorrisetto con le proprie labbra,
perché il bisogno di toccare quella pelle bianchissima fosse tanto forte da
costringerlo ad affondare le unghie nel legno per trattenersi. Perché il viso
di quella ragazzina lo calamitava e gli si rendeva più bello di qualsiasi altro
volto visto fino a quel momento.
“Sai come chiamano i Babbani questa situazione?” le
chiese inclinando appena il capo.
Leda scosse la testa e deglutì, evidenziando così i
muscoli e i tendini del collo esile.
“Impasse. Come quando Achille si ritira dalla guerra
di Troia e i Greci iniziano a perdere, ma Agamennone è troppo orgoglioso per
chiedere scusa. O come quando Clark Kent si innamora di Lois Lane, ma non può comportarsi
spontaneamente con lei perché teme che possa riconoscerlo come Superman.”
Vide gli occhi della ragazzina farsi ancor più
grandi e un lieve rossore affacciarsi sulle guance magre. Benjamin si chinò
verso di lei e accostò le proprie labbra al suo orecchio.
“So che eravate voi due quella notte. Sei una
pessima bugiarda, Leda.” sussurrò e gli parve di vedere un tremito percorrere
quel corpo sottile.
Al pensiero di averla veramente spaventata, Benji si
allontanò di un paio di passi lasciandole spazio.
Leda non smise di fissarlo nemmeno per un istante,
guardinga e all’erta come un animale selvatico in trappola, ma con una mano si
sistemò il mantello nero vicino al collo e rabbrividì visibilmente. La
ragazzina era uscita vestita troppo leggera, tipico.
Benjamin sganciò gli alari del proprio mantello blu
e con uno svolazzo se lo tose. Senza chiedere autorizzazioni alla diretta
interessata, si avvicinò e posò il tessuto pregiato sulle spalle della giovane,
ma i suoi palmi restarono posati sulla giuntura tra braccio e torace.
Leda lo guardò completamente spiazzata e dischiuse
le labbra stupita.
“Te l’ho detto, ragazzina, che non sai riconoscere
un gesto di cavalleria.” sussurrò cercando di non fissare quella labbra invitanti.
“Smettila di chiamarmi ragazzina, ho un nome.”
ribatté lei, mantenendo il tono di voce basso, come se un suono appena più
forte avesse potuto spezzare la tregua appena instauratasi.
“E quale sarebbe?”
“Leda.” rispose senza indugiare.
Benjamin sorrise prima e poi lasciò che una risata
leggera gli sfuggisse dalle labbra.
“Sei in gamba. Ma finché non mi dirai il tuo vero
nome per me resterai solo una ragazzina.” ribatté e finalmente allontanò le
mani dalle spalle ossute di quell’esserino irriverente.
L’uomo fece un lieve inchino alla giovane e si voltò
prendendo la strada che lo avrebbe riportato al villaggio, sotto lo sguardo
ammaliato di Lucy Weasley.
***
“Devo andare…” mugolò Angelique cercando di staccare
le proprie labbra da quelle del ragazzo davanti a lei.
“Resta, per favore.” sussurrò Derek vicino al suo
orecchio destro. Il respiro di lui si infranse contro la pelle del collo di
Angie e le provocò ulteriori brividi, come se quelli causati dalle sue mani,
dalle sue labbra, dal suo profumo e da tutto ciò che lo riguardava non fossero
stati abbastanza.
“Si sta facendo
tardi.” disse debolmente lei, cercando in fondo al proprio cervello una buona
ragione per cui sarebbe dovuta andarsene da quell’oasi di pace.
Le sue mani
erano affondate nei capelli di Derek, in quelle ciocche bionde e castane sempre
scomposte, che lei stava contribuendo a rendere ancor più disordinate. I suoi
occhi, quando li apriva nelle brevi pause tra un bacio e l’altro. si
immergevano in quelle pozze nere che sembravano senza fondo, completamente
prive di limiti. Le sue labbra e la sua bocca erano braccate e assaporate
millimetro per millimetro da quelle di lui.
Era uno dei loro
soliti incontri notturni, fatti di racconti sussurrati, di baci silenziosi ma
sempre più accesi e di una nota malinconica, che pervadeva gli ultimi minuti
prima della separazione.
“Si
corre verso l’amore come gli scolari fuggono dai libri. Ma abbandonare amore è
triste come tornare a scuola.”
Mentre le labbra
di Derek scivolavano sinuose dalla sua mandibola al suo collo, Angie si trovò a
riflettere, tra un sospiro e l’altro, che Shakespeare doveva sicuramente aver
intrattenuto una o più relazioni segrete per poter conoscere tanto bene il
momento dell’incontro e del distacco quando non si ha tempo per vivere insieme
alla luce del sole.
“Ripetimi ancora
una volta perché domani mattina non dovrei pestare a sangue Malfoy… Sai che
tutti i miei amici mi darebbero una mano, senza nemmeno bisogno di una
spiegazione?!” le chiese Derek dandole un bacio sulla punta del naso e
scostandosi appena per poterla osservare meglio.
Vederlo così,
illuminato appena dalle luci notturne delle stelle e della luna calante, con un
angolo solo della bocca sollevato in un sorriso un po’ malandrino e
un’espressione giocosa negli occhi scuri, ebbe un duplice effetto contrastante
su di lei.
Prima venne
colpita da tanta bellezza come se fosse stato un schiaffo in pieno viso ed ebbe
l’impulso di gettargli le braccia al collo per continuare a baciarlo e
stringerlo a sé tutta la notte. Perché lei sapeva che quelle espressioni, quei
discorsi fatti nell’ombra scura della notte e quella tenerezza che lui le
dimostrava, erano solo per lei e lo rendevano suo.
Poi giunsero la
consapevolezza, che Derek non sarebbe mai stato suo all’infuori di quel
ritaglio misero di tempo, e il ricordo di ciò che aveva visto ai Tre Manici di
Scopa e che le aveva fatto passare due ore buone distesa inerme sul letto. E
con esse arrivò anche il bisogno di allontanare da sé quella fonte di
perdizione per difendersi.
Ad
ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Angelique posò
le proprie mani sulle spalle di Derek e lo scostò con fermezza, il ragazzo la
guardò stupito e gli occhi scuri si spalancarono.
“Perché non hai
alcun diritto di prendere le mie difese, quando non puoi nemmeno parlare con me
davanti a tutti.”
Lo aveva detto
davvero con quel tono distaccato come se si trattasse delle previsioni del
tempo?
Le ciglia scure
che orlavano gli occhi di Derek sfarfalleggiarono un paio di volte,
evidentemente per la perplessità del proprietario, ma in seguito si fermarono
quando questi comprese le parole di Angie.
Derek si
allontanò ulteriormente da lei e incrociò le braccia sul petto, mentre un
espressione arrabbiata calava sul suo volto.
“Beh allora
immagino che chiederai a James. Sembra che lui abbia il diritto di difenderti
quando e come vuole.” commentò lui con voce carica di sarcasmo.
“E questo che
diamine centra?!” ribatté Angie con voce furente, scendendo con un balzo dalla
pila di scatoloni di Solventi di Nonna Acetonella, dov’era rimasta seduta nell’ultima
ora. “Io avevo il naso disintegrato e stavo per svenire dal dolore! Ho
accettato un aiuto perché non ce la facevo da sola, e come credi che mi sia
sentita quando al posto di Derek Schatten mi ha rincorsa James Potter?!”
Derek sgranò gli
occhi e dischiuse appena le labbra, poi un’espressione dispiaciuta sostituì
quella offesa di poco prima e abbandonò le braccia lungo i fianchi.
“Io… Scusami.” mormorò
cercando il suo sguardo ma la ragazza osservava ostentatamente un punto
indefinito del muro oltre la spalla di lui.
Derek tese un
braccio verso di lei, Angie tuttavia si scostò bruscamente prima che la
toccasse.
“Angie, scusami.”
continuò quello con voce sinceramente addolorata e la ragazza sentì uno
fastidioso bruciore agli occhi, un pizzicore insistente che le faceva sentire
il bisogno di sbattere le palpebre frequentemente.
“Ti prego vieni
qui. Mi dispiace.” provò nuovamente Derek e tese un’altra volta il braccio
aprendo il palmo nella sua direzione.
Angelique
abbassò per istante lo sguardo e incontrò gli occhi di Derek che la osservavano
enormi e scuri, colmi di una sofferenza radicata che le veniva mostrata solo
raramente, ma che aveva il potere di sciogliere ogni resistenza autoimposta.
Le sue gambe si
mossero veloci a colmare la distanza tra di loro, le braccia di Derek si
spalancarono e l’avvolsero con forza, mentre i loro corpi aderivano in un
abbraccio tanto stretto da essere doloroso e il naso di Angelique sprofondava
nel colletto della camicia candida di lui.
In una frazione
di secondo la rabbia e l’istinto di difendersi da quel dolore, sempre presente
e pronto a farsi vivo, tramutarono in calore e profumo di menta speziata.
***
C’era un’atmosfera
strana al quartier generale delle Menadi quella domenica, constatò Rose
passandosi la piuma sul labbro superiore e soffermandosi ad osservare le
quattro ragazze.
Lily era
pimpante ed energica come al solito; continuava a infarcire di pettegolezzi e
di notizie fresche sulle coppie del castello i lunghi silenzi delle altre.
Dominique
riposava su una vecchia sedia a dondolo con dei dischetti di cotone, imbevuti
di Tonico Miracoloso alle Rose, posati sugli occhi e mugugnava ogni tanto
qualche risatina leggera o qualche frase di assenso. Era arrivata con aria
leggermente più sciupata del solito e aveva decretato di essere completamente
distrutta, a causa di una serata particolarmente avventurosa a quanto pareva. Così
si era premurata di riportare il suo viso all’abituale splendore, nonostante
quel giorno ci fossero montagne di cose da fare.
Lucy pareva
particolarmente distratta e suscettibile. Bastava un rumore appena più forte
del normale per farla voltare di scatto con aria allarmata, inoltre si
scrocchiava di frequente le nocche delle dita mentre riordinava i fascicoli con
gli ordini degli scorsi mesi.
Angelique invece
semplicemente non era lì con loro. O meglio il suo corpo c’era eccome, e si
muoveva con sicurezza dietro al suo grande tavolo da lavoro, tra fialette dai
colori vivaci, erbe catalogate con minuziosa precisione e un paio di calderoni,
dove sobbollivano lente chissà quali pozioni illegali. Ma il suo spirito e la
sua mente erano lontani, persi in una galassia di pensieri completamente
sconnessi da quella stanzetta all’ultimo piano dell’Ala Ovest.
Rose la osservò
meglio. Aveva i capelli biondi raccolti in uno chignon scomposto e mezzo
sfatto; il suo viso dall’incarnato chiaro, pareva ancor più pallido, in forte
contrasto con le ombre scure sotto gli occhi. L’abito blu con maniche a tre
quarti e taglio morbido le metteva in risalto il fisico atletico e la vita
sottile, ma le spalle, normalmente ritte e fiere in un portamento invidiabile,
quella mattina erano ricurve sotto il peso di una qualche preoccupazione.
Lucy estrasse
una sigaretta dal suo cofanetto dorato e se la accese spalancando l’unica
finestrella della stanza, ma comunque l’odore di fumo si sparse velocemente nel
piccolo ambiente.
Il naso sottile
di Dominique si levò in aria come quello di un segugio e la ragazza storse la
bocca infastidita.
“Sai Leda, ho
letto un articolo su Vogue in cui dicevano che le donne che fumano attraggono
meno gli uomini. Pare che sia una cosa psicologica, gli uomini si sentono
intimoriti da donne che stanno sempre con un filtro in bocca a fare le dure.”
cinguettò Dominique, mentre con la mano destra cercava a tentoni il suo
bicchiere di acqua in cui galleggiavano alcune fette di cetrioli.
Rose nascose il
proprio sorriso divertito chinando il capo verso i suoi fogli, stava
controllando che nei registri non ci fossero tracce che potessero ricondurre
alle Menadi.
“Se le sigarette
funzionassero così bene anche con le femmine avrei risolto ogni mio problema!”
ribatté Lucy con la sua voce graffiante e soffiò volutamente uno sbuffo di fumo
in direzione di Dominique.
Il Generale
tossicchiò e borbottò qualche cosa in francese che Rose non riuscì
assolutamente a cogliere.
“Ah ma la sapete
l’ultima?!” esclamò Lily mettendosi a sedere su un banco traballante e mezzo
marcio che stava accatastato in un angolo insieme ad altre cianfrusaglie.
Lucy scosse la
testa con un lieve sorriso ad inclinarle le labbra sottili. Dominique sollevò
uno dei suoi dischetti di cotone e sbirciò incuriosita Lily con un occhio solo.
Angelique non diede segni di vita apprezzabili.
“Dicono che
Celia Danes, quell’insopportabile arrogante, sporca opportunista, vanitosa,
vuota, quella vacca senza principi, pensa he l’altro giorno l’ho vista che…”
“Ma belle, stai perdendo il filo del
discorso.” intervenne Dominique sorridendo.
“Ah già! Aspetta
che non mi ricordo… Che cosa stavo dicendo?” domandò Lily grattandosi la
sommità della chioma rossa.
“Qualcosa su
Celia Danes che noi non sappiamo, Lara.” mormorò Lucy con gli occhi nocciola rivolti
verso il cielo che si intravedeva dalla finestrella.
“Ma certo!
Allora stavo dicendo che ieri sera ho sentito Sasha Miller raccontare a Jasmine
Folk, perché a lei lo aveva detto Marianne Granth che lo aveva saputo da sua
sorella, a cui lo aveva detto qualcuna amica di una tizia, che fa parte della
Corte della Danes…” Rose si guardò attorno e notò di non essere l’unica ed
essersi persa nel racconto. Il Generale aveva tolto entrambi i dischetti di
cotone e osservava Lily con la fronte leggermente aggrottata e un angolo del
labbro superiore sollevato. Leda aveva le sopracciglia così corrugate che quasi
si toccavano e le labbra arricciate nel tentativo di comprendere le dinamiche
che avevano portato la coreggente a conoscere il segreto che si preparava a
svelare loro.
Persino
Angelique ascoltava la più piccola del gruppo, rivolgendo per la prima volta in
tutta la mattinata la sua attenzione a qualcuno che non fossero boccette di
vetro o piante velenose.
“Non avete
capito nulla, vero?!” chiese Lily osservandole una ad una, quando tutte
scossero la testa, questa riprese più energicamente di prima: “Va beh, non fa
nulla! La cosa importante è che in giro si dice che Celia Danes si stia per
fidanzare con Derek Schatten.”
“Ehm Lara… Credo
che tu ti sia persa qualche passaggio in questi anni…”tentò Rose cercando di
non ridere, ma Lily la interruppe.
“No! Non avete
capito!!! Fidanzati nell’altro senso! Quei due vogliono sposarsi!” esclamò Lily
gesticolando con le mani e utilizzando un tono accorato.
Rose scosse la
testa incredula, ma come diavolo si potevano creare certe voci? Non le sembrava
decisamente probabile che due ragazzi di sedici e diciassette anni
rispettivamente decidessero di impegnarsi per tutta la vita con una tale promessa…
Nel silenzio che
era seguito alle parole di Lily si udì il rumore inconfondibile di un vetro che
andava in mille pezzi.
Rose si girò
verso la fonte del suono e vide Angelique in piedi, dietro al tavolo da lavoro
con una mano sospesa in aria ferma nel gesto di trattenere qualcosa che
evidentemente era sfuggito alla sua presa, tradito dall’infallibilità della
forza gravitazionale.
Ciò che stupì
sinceramente Rose tuttavia, fu la disperazione che lesse sul volto della
ragazza a pochi metri da lei. Gli occhi verdi erano spalancati e fissavano
attoniti in basso, dove evidentemente era caduta la fiala, le labbra carnose
erano dischiuse per lasciare uscire i respiri irregolari della giovane.
Una risata
musicale come il suono di mille campanelle d’argento invase tutto il piccolo
quartier generale, Dom aveva rovesciato il capo all’indietro e rideva di tutto
cuore per ciò che Lily aveva appena rivelato.
“Ma è tutta una
buffonata, petite Lara!” esclamò
Dominique con leggerezza riposizionando il cotone sulle proprie palpebre. Si
fecero immediatamente sentire le proteste vivaci di Lily che tentava di
difendere l’attendibilità delle sue fonti.
Le parole di Dom
fecero sollevare finalmente il capo di Angelique dal pavimento e Rose ne
intercettò lo sguardo. Nei primi istanti in cui i loro occhi restarono
incatenati, la Weasley riuscì a vedere tutta la vulnerabilità della ragazza in
quel momento.
Tuttavia quello
scorcio di debolezza durò pochissimo. Angelique sbatté un paio di volte le
palpebre e interruppe il contatto visivo, chinandosi subito dopo a raccogliere
il disastro da lei causato.
Rose si alzò
mentre Lily, Lucy e Dom ancora discutevano sulla panzana appena sganciata dalla
prima.
Aggirò
l’ostacolo del grande tavolo da lavoro e si chinò accanto ad Angie che stava
raccattando i pezzi di vetro sparsi sul pavimento. Una sostanza liquida blu
elettrico aveva sporcato la pietra scura del pavimento.
“Angie stai
bene?” chiese Rose in un sussurro preoccupato.
La bionda si
voltò e con espressione stupita rispose prontamente:
“Ma certo
Rosie!”
“Prima sembrava
che stessi per metterti a piangere.” disse la Weasley studiando attentamente il
volto della ragazza davanti a lei. Eppure i lineamenti erano distesi e nulla
lasciava presagire che poco prima avesse dimostrato tanto dolore.
“Beh ho appena
rotto una dose di Pozione Energizzante Extra! Sono almeno cinque galeoni in
meno sulla mia paga!” ribatté l’altra fissando truce la pozione andata
sprecata.
“Sei sicura che
vada tutto bene?” domandò ancora lei incapace di convincersi che si fosse
trattato semplicemente di una fiala rotta.
Gli occhi verdi
di Angie non vacillarono un secondo mentre la proprietaria annuiva convinta e
le rivolgeva un sorriso.
Rose si alzò e
estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans.
“Evanesco!”
mormorò e rivolse la punta verso il pavimento. In un lampo tutti i detriti e la
pozione sparirono.
“Grazie Rose. A
volte mi dimentico di essere una strega…” mormorò Angelique rialzandosi e
scrollando le spalle.
Rose tornò alla
scrivania minuscola che occupava di solito e riprese il proprio lavoro da
controllore, ma con la coda dell’occhio ogni tanto sbirciava Angie.
Era sempre stata
dotata di una sorta di sesto senso, una dote che aveva ereditato da sua madre.
Esso consisteva in una sensazione indescrivibile e primitiva che si faceva
largo in lei quando qualcosa non andava per il verso giusto. E in quel momento
il suo personale allarme le stava urlando a pieni polmoni che l’amica non stava
bene come dichiarava.
Rose si passò
nuovamente la piuma sul labbro superiore e si convinse che doveva esserci per
forza qualcosa che non andava, ma finché Angelique non avesse deciso di
parlarne lei non avrebbe insistito oltre.
***
“Angelique, hai
intenzione di dare vita a una crociata contro i bovini?”
La domanda di
Elena colse di sorpresa la ragazza e le fece sollevare lo sguardo. Quando vide
che due palline da tennis color verde bosco la fissavano incuriosita, come se
fosse stata una di quelle bestiole pericolose che tanto piacevano alla
proprietaria degli occhi enormi, Angie depose le posate sul tavolo.
“Perché se fosse
così, riuscirei a capire l’ assurda ragione che ti spinge a massacrare questo
arrosto indifeso!” proseguì Nana fissando il suo piatto.
Angelique la
imitò e si rese conto che l’ironia di Elena era del tutto giustificata.
Giacevano abbandonati sulla superficie metallica i resti miserevoli di un fu
arrosto di vitello, pezzetti di ogni dimensione e fattezze osservavano
agonizzanti la bionda, massacrati dal coltello implacabile che ora giaceva con
aria insospettabile sul legno. Palese opera di una giovane donna in preda alla
frustrazione e alla rabbia.
“Mi dà fastidio!
Dio, mi dà così fastidio che mi vien voglia di picchiarlo!” ruggì Angelique
sbattendo energicamente il calice contro la tavola e facendo schizzare
dell’acqua sul dorso della sua mano.
“Preferivi
l’atteggiamento attivamente ostile? Quando non riuscivi a portarti la tracolla
addosso per più di un quarto d’ora?” si informò Martha inarcando un
sopracciglio ramato.
“Beh no! Ma è
così… così…. Infantile, per Salazar!!!” ribatté l’altra osservando in cagnesco
un punto della tavolata ben preciso, assottigliò lo sguardo con fare ancor più
minaccioso e poi proseguì: “Che poi vorrei sapere perché gli si appiccicano
così? Che cosa ci trovano di tanto speciale? Voglio dire: non lo conoscono
nemmeno!”
“Beh è ha una
bellezza un po’ particolare… un po’ alla Tim Burton, hai presente quello dei
cartoni Babbani?! Inoltre c’è l’elemento animale
in via d’estinzione.” commentò Elena osservando anche lei lo stesso punto
di Angelique.
“Ragazze non
fissate la gente, non è educato.” mormorò Martha prendendo una porzione di
insalata e depositandola nel suo piatto.
“Che significa animale in via d’estinzione?” chiese
perplessa Angie ignorando del tutto le parole del Prefetto O’Quinn.
“Sai quella cosa
dei panda e delle tigri siberiane?!” iniziò Elena ma la fronte sempre più
aggrottata di Angie le fece capire che no, non capiva il paragone. “Oh
Angelique, bisogna sempre spiegarti tutto! Allora, quando c’è un animale in via
d’estinzione tutti i Babbani si fiondano per essere i primi a salvare quella
specie, come se fino a cinque minuti prima non se ne fossero fregati altamente
se venivano trucidati. Ecco Scorpius Hyperion Malfoy è un animale in via
d’estinzione: è l’ultimo Malfoy disponibile sulla piazza, è l’ultimo discendete
Purosangue dei Black e questa cosa del Lato Oscuro ha sempre il suo fascino, è
uno degli ultimi ricchi sfondati a non essere ancora diventato gay, è uno degli
ultimi esemplari di biondo platinato naturale… Insomma il tuo ex è un animale estremamente raro!” concluse Nana osservando accigliata Scorpius che sedeva
insieme a Octavius Goyle e un paio di ragazze di Corvonero che si comportavano come
gatte in calore.
“Sarà… Secondo
me comunque quelle si voglio approfittare di lui!” borbottò Angie quando una
delle due posò la propria mano sull’avambraccio di Scorpius con fare casuale.
“Secondo me è
esattamente l’opposto.” ribatté Nana appoggiando il mento sul palmo della mano.
In quel momento
Scorpius si voltò nella loro direzione e le colse entrambe intente a osservalo.
Angie distolse immediatamente lo sguardo imbarazzata, mente un rossore diffuso
di faceva largo sulle sue guance. Elena invece continuò a fissare imperterrita il
ragazzo come se nulla fosse e dopo alcuni secondi gli fece un salutino con la
mano minuta.
Scorpius per
tutta risposta si voltò dall’altra parte e cinse le spalle della ragazza che
prima lo aveva sfiorato, avvicinandola a sé.
“Elena c’è il
budino dalla vaniglia.” l’avvisò Martha, consapevole fino al midollo che
l’unica cosa in grado di riuscire a far desistere Elena dalla sua operazione di
spionaggio poco mimetico fosse il cibo.
“Oh,
meraviglioso!” esultò infatti la mora guardando con occhi colmi d’affetto la
ciotola appena comparsa davanti a lei e servendosi un’abbondate porzione.
Angie involontariamente
rivolse un’occhiata assassina al tavolo di Grifondoro, individuando
immediatamente la figura di Derek e poi tornò a fissare il suo arrosto
maciullato.
Quella mattina
Lily aveva messo a dura prova il suo autocontrollo; quando aveva sentito la
giovane Potter pronunciare quella parola, sposarsi,
si era sentita franare la terra sotto i piedi.
Nonostante
l’ipotesi sembrasse assurda pure a lei, l’idea che Derek potesse chiedere a
Celia di diventare sue moglie era stata peggio di una coltellata in pieno petto,
perché aveva cancellato in una frazione di secondo le minuscole e segrete
speranze che Angelique nutriva. Inoltre avrebbe giustificato il perché Derek
non le avesse mai dimostrato di voler andare oltre, perché non le avesse mai
chiesto di più, ma si fosse sempre
accontentato di baci e carezze più o meno innocue.
Angie si coprì
il volto con le mani e tirò leggermente le palpebre massaggiandole.
Sembrava che lei
e Derek non riuscissero a fare a meno di ferirsi, anche da lontani le loro
scelte avevano l’effetto di fare del male all’altro quasi in ogni occasione.
Stava diventando
un gioco al massacro in cui nessuno dei due avrebbe vinto. Si stava procurando
quelle bruciature indelebili che Elena aveva pronosticato e non riusciva a
trovare la forza per rinunciare al suo fuoco.
***
“Un corpo mantiene il proprio stato di quiete
o di moto rettilineo uniforme, finché una forza non agisce su di esso,
modificandolo.”
Se c’era una
cosa a cui Martha O’Quinn teneva particolarmente, essa era indubbiamente la
quiete.
Non intesa come
silenzio o assenza di eventi imprevisti, perché avendo come amiche e compagne
di dormitorio Elena ed Angelique la sua vita non sarebbe mai potuta essere
normale o pacata. La sua quiete consisteva in un concetto diverso.
Quando due anni
prima Elena era stata convocata nell’ufficio della preside e le era stato
comunicato che sua madre si era tolta la vita, a causa di una depressione che
perdurava da anni aggravata da squilibri mentali, le esistenze di tutti loro
erano mutate in modo irreversibile.
Era stato come
se i giorni vissuti fino a quel momento e la gioia a loro annessa fossero stati
cancellati da un’ondata improvvisa di disperazione, resi irraggiungibili dalla
forza con cui quella tragedia li aveva allontanati da loro.
Ci erano voluti
mesi per riportare la normalità, per ricominciare a sentirsi felici davvero per
qualcosa, per costruire una nuova vita.
E ce l’avevano
fatta, tutti loro erano cresciuti, come solo il dolore sa far diventare
improvvisamente grandi, con strappi e cicatrici ma erano sopravvissuti.
La quiete che
Martha tentava con ogni sua forza di preservare era la quotidianità, il fatto
che Angelique le svegliasse entrambe la mattina, che Elena portasse animali
schifosi nella loro stanza per giocarci, che lei si preoccupasse di entrambe
come se fosse stata una madre adottiva, che Angie si rompesse qualche osso
random a Quidditch, che Nana domenica sera non avesse finito i compiti per
lunedì…
Ciò che più la
spaventava in definitiva erano le forze esterne, quelle indipendenti dal loro
controllo e straordinariamente potenti, che avrebbero potuto cambiare
radicalmente i loro equilibri dinamici, le loro precarie certezze.
Quella sera
Martha si sentiva stranamente inquieta, c’era qualcosa dentro di lei che si
agitava e chiedeva di essere ascoltato, come se la volesse avvisare. Quasi che
il suo problemino, il suo daimon come
lo chiamava sua madre, cercasse di comunicare con lei quando era cosciente e
non durante uno dei soliti attacchi.
La giovane
scosse la chioma ramata per allontanare quegli assurdi pensieri e osservò le
due amiche spaparanzate sul letto di Angie.
Angelique stava
leggendo a pancia in giù un libro, i lunghi ricci biondi tutti spostati su una
spalla; Elena invece era impegnata con il blocco da disegno e un carboncino, teneva
le proprie gambe stese su quelle dell’altra e i capelli viola intrappolati in
un ciuffo sulla sommità del capo, il che la faceva somigliare ad un ananas
mutageno. Aveva il dito medio della destra tutto imbrattato di grafite per le
sfumature appena fatte sul foglio.
Elena si grattò
una guancia mentre osservava meditabonda la sua opera e lasciò una riga scura
sulla pelle.
Angie girò
rabbiosamente una pagina e borbottò qualcosa in francese che suonava come un
insulto alla madre del protagonista.
Il suo gatto,
Nasty, sonnecchiava nella cesta accanto al suo comodino. Era indubbiamente
l’esemplare più brutto di certosino che si fosse visto sulla faccia della
terra, somigliava a un maiale con le gambe troppo corte e storte, pareva che si
fosse schiantato di faccia contro un muro più di una volta ed era quasi più
largo che lungo.
E lei ne era
perfettamente consapevole, solo che non avrebbe mai dato la soddisfazione ad
Elena di confessare che il suo gatto era un obbrobrio, nonostante avesse
accettato il nome che aveva scelto la Zabini. Era un gatto nasty* a tutti gli
effetti, anche perché era un piccolo demonio di perfidia e astuzia.
Martha sorrise e
si lasciò convincere dalla pace di quella stanza che l’equilibrio non sarebbe
stato intaccato, quindi ricominciò a correggere
il tema di Erbologia di Elena.
***
James inclinò il
bicchiere facendo estrema attenzione a non sfiorare le bolle pululente della
sua Mimbulus mimbletonia. L’acqua cristallina scese in un rigagnolo sottile che
andò a irrorare il terreno scuro in cui la pianta era invasata.
“Ciao Nemesi.”
mormorò il ragazzo.
Depose il
bicchiere sul comodino e osservò minuziosamente il bocciolo che si ergeva verso
il soffitto, era prossimo ormai alla fioritura. Il meraviglioso fiore che ne
sarebbe nato portava i colori di Grifondoro e James ne aspettava la comparsa,
come ogni anno da quando l’aveva ricevuta per scherzo da Angelique. Ricordava
perfettamente l’odore vomitevole della Puzzalinfa e di come lui e i suoi amici
si fossero ritrovati sommersi da quella sostanza schifosa…
“Parli con le
piante, Jamie?”
Il viso ancora
leggermente arrossato di Fanny fece capolino oltre le coltri del suo letto a
baldacchino. James non si voltò subito ma osservò ancora leggermente accigliato
la piantina.
“Mia madre canta
tutti i giorni alle sue rose.” ribatté lui stringendosi nelle spalle e osservò
fuori dalla finestra il panorama che solo dal settimo piano si poteva godere.
La superficie del Lago Nero era increspata da un vento prepotente e gelido che
presto avrebbe fatto abbassare le temperature, le cime degli alberi della
Foresta Proibita oscillavano sotto la forza del medesimo. Il cielo ormai scuro
era terso e si intravedevano le prime stelle notturne.
Udì il frusciare
delle lenzuola e con la coda dell’occhio vide il corpo snello di Fanny
avvicinarsi al suo, coperto dalla stessa maglietta che lei gli aveva tolto
quasi strappandogliela di dosso. La giovane si mise alle sue spalle e con
delicatezza gli accarezzò le braccia facendo correre i palmi dalle spalle fino
ai polsi.
James chiuse gli
occhi e lasciò che quelle mani esplorassero il suo torace liberamente,
sentendosi piacevolmente leggero al pensiero di non dover affrontare gli occhi
azzurri di Fanny, così grandi e innocenti che lo facevano sentire spesso in
colpa, perché lui dietro quelle palpebre fantasticava e implorava quasi ogni
volta di trovarvi delle iridi verdi.
Perché ora che
aveva stretto a sé il corpo di Angelique, in quel tratto troppo breve e per
troppo poco tempo, non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di lei al
posto di Fanny, di quello che le avrebbe fatto se si fosse lasciata andare con
lui, se avesse capito che cosa lui provava nel sentire il profumo della sua
pelle.
James aveva
imparato che l’unico modo per poter sopravvivere al peso di quei pensieri che
rischiavano di torturarlo mattina e sera, era diventare leggero. Lasciare a
terra ogni preoccupazione per potersi librare, spinto dalle sue stesse forze
oltre tutto quello.
“L’accelerazione di un corpo è direttamente
proporzionale alla forza agente su di esso, è invece inversamente proporzionale
alla sua massa.”
James sapeva
essere leggero per andare avanti e non arrendersi, perché forse un giorno al
posto delle ciocche lisce e castane di Fanny che gli solleticavano una scapola
ci sarebbero state dei lunghi ricci colore del grano maturo.
Note
dell’autrice:
BUON ANNO A
TUTTI! Sono riuscita ad aggiornare in tempo, anche se sono consapevole che il
capitolo non sia tanto lungo come vi ho abituate negli ultimi tempi.
Allora che dire,
non succede moltissimo, ma si prepara il terreno per i prossimi capitoli in cui
ci saranno dei cambiamenti. Mi sembrava giusto chiarire ulteriormente che cosa
fosse successo alla mamma di Elena, perché nel 5 non mi sembrava di essere
stata molto chiara. Le leggi fisiche che sono contenute all’interno non sono
precisissime, anche perché le ho un po’ rimaneggiate per i miei scopi. ;)
Spero che vi
piaccia il nuovo elemento, (come se non ce ne fossero abbastanza in giro, mi
direte voi e avete pure ragione!), Benjamin che è rimasto “coinvolto” dalla
scontrosa e finta-dura Lucy.
Nemesi è la
piantina che compare alla fine del 6 capitolo nella storia precedente, quella
che riescono a far germogliare grazie al concime di Mooncalf.
*Nasty, per chi
non lo sapesse, significa brutto, sgradevole, cattivo. Finalmente compare l’animale
che aveva spinto Angie ad fuggire dal suo dormitorio la sera in cui ha
incontrato Derek.
RINGRAZAMENTI
SPECIALI PER le fantastiche persone che hanno
recensito lo scorso capitolo, non so davvero più come ringraziarvi per l’appoggio
e per le belle parole: Ayumi Edogawa,
ho temuto per un po’ che non seguissi più questa storia, ma come sempre non mi
hai delusa, _angiu_ in questo cap
niente sigarette, ma non potevo eliminare anche Derek, non arrabbiarti troppo
;), Roxy_HP come vedi a Lucy non è
successo nulla di brutto, anzi ha fatto conoscenze interessanti, Cinthia988 non prendertela troppo col
povero Scorpius ;), chuxie sono
davvero curiosa di sapere la tua opinione su questo capitolo, carpethisdiem_ ecco la tua dose di
droga settimanale carissima.
Grazie Bambolina, per il piccolo Natale
anticipato. J
Grazie mille a
te Marghe, sì non fare quella
faccia, perché se ci sei tu mi piacciono un sacco anche il cibo vegano e l’immunologia.
Inoltre grazie a tutti i miei lettori silenti che seguono imperterriti questa storia. Grazie di tutto cuore, davvero.
Tanti baci a tutti voi
Bluelectra
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Capitolo 9 *** Cap.9 Di Legami e Parole ***
Cap.9 Di legami e parole
A
mio nonno.
Il mio legame invisibile, le mie parole mai dette, la mia origine.
E
anche a te Bambolina, perché la biochimica non fa più paura!
Cap.9 Di Legami e parole
Se
mai il tuo mondo iniziasse a crollare
Quand’anche
il tuo mondo iniziasse a crollare
Sarà
lì che troverai me
One Republic.
All Fall Down
elle numerose passioni che lo animavano e che James
aveva la tendenza a nascondere al mondo intero, la poesia sicuramente aveva
ruolo principe e in quanto tale era, se possibile, ancor più occultata agli
occhi indiscreti di tutti, amici e parenti compresi.
Se il giovane, guardandosi indietro, avesse dovuto
definire un momento preciso in cui era sorto in lui l’amore per la letteratura,
sinceramente non avrebbe saputo datarlo. Ricordava solo che era iniziato tutto
con il momento della storia della buonanotte, che era quello aspettava con più
ansia. I racconti con le principesse Babbane da difendere e salvare dai draghi
lo lasciavano col fiato sospeso fino all’ultimo, le fiabe del Mondo Magico lo
facevano ridere o gli davano insegnamenti profondi, i racconti del terrore lo
intimorivano ma instillavano in lui la necessità di giungere alla fine. Quando
poi aveva imparato a leggere da solo, la strada si era già delineata da sé.
Per quanto riguardava la poesia invece, l’origine
era stata molto meno romantica e nobile.
Un giorno il quasi quattordicenne James aveva capito
che le rime e gli enjambemant ammaliavano tanto le ragazzine sue coetanee da
spingerle a lasciarsi andare con più trasporto ai baci e alle prime palpatine.
Così, per puro interesse nella conquista e nella scoperta dell’altro sesso,
aveva iniziato a leggere e imparare a memoria qualche poesia, da poter
sfoderare nei momenti cruciali e decretare la resa definitiva delle sue giovani
accompagnatrici.
Il primo di tutti era stato legittimamente
Shakespeare, e James doveva ammettere che aveva sempre un effetto strabiliante
su tutte le ragazze! Tuttavia in breve si era accorto che i versi, letti giusto
per fare colpo e spianarsi la strada verso le coppe dei reggiseni, non gli
bastavano più. Ad ogni pagina sfogliata seguiva la sete incessante di altre
melodiose parole, altre righe sofferte e cariche di passioni devastanti, altre
emozioni auliche e ineffabili.
E aveva conosciuto i Romantici inglesi. Aveva
viaggiato su nuvole candide, osservato lande uggiose e piene di mistero,
immerso le mani in fonti gelide e purificatrici, goduto della bellezza in fiore
di giovani donne, e sofferto per gli istinti di auto-distruzione che si
agitavano nel petto di quegli uomini, lottato per la libertà… Eppure dopo un
primo moto di stupore e meraviglia per quel genere di poesia, aveva parecchio
ridimensionato la sua iniziale valutazione verso tutti, tranne Keats.
John Keats lo aveva colpito e affondato senza
speranza di ritorno.
Forse in modo ingiustificato, perché erano passibili
di critica anche le sue opere, ma James ogni volta che leggeva ciò che quel
poeta aveva scritto per la donna amata si stupiva come la prima volta che si
era imbattuto nei suoi versi.
Il viaggio era continuato per il giovane Potter e
aveva cercato altre fonti e ispirazioni, pur tuttavia senza grandi
sconvolgimenti. Aveva apprezzato e ammirato moltissimo alcuni, aveva giudicato
e scartato altri che non si confacevano alla sua indole, non riuscendo a
eguagliare il colpo all’anima che gli veniva concesso dal suo poeta. Finché non era giunto ad un altro punto cardine dei suoi
maestri, un uomo dall’intelligenza sopraffina, dalla cultura immane e dal
destino avverso. Aveva finalmente trovato Ezra Pound.
Così quel 2 ottobre James procedeva verso un luogo
silenzioso per leggere in santa pace durante le due ore buche che seguivano alla
lezione di Pozioni Avanzate appena affrontata.
Teneva nella mano sinistra il libro con la copertina
ormai ridotta a brandelli, mentre la tracolla gli pendeva dal lato opposto.
Finalmente giunse in prossimità alla porta dell’aula in disuso dove di solito
si rifugiava e con un sospiro soddisfatto fece per togliersi la borsa dalle
spalle, quando si bloccò a metà del gesto con la cinghia sospesa sopra il capo.
In fondo al corridoio
stava rannicchiata per terra, contro un armatura, una figura a lui ben nota.
Sembrava minuscola e indifesa mentre cercava di scomparire addossandosi alla
parete. Eppure nonostante la distanza James non avrebbe mai potuto sbagliare,
quei capelli per lui erano inconfondibili…
***
Qualche
ora prima
Albus odiava sinceramente il mattino. Il pensiero di
doversi alzare dalle sue calde coperte e rinunciare a ore di sonno era una vera
e propria violenza per lui.
Eppure in quel nefasto evento quotidiano
rappresentato dal risveglio, c’erano alcune cose che riuscivano a lenire un
minimo la sua tortura. Per esempio la colazione con i suoi amici.
“Nana passami quel maledetto toast o ti aggredisco,
non sto scherzando!”
“Mmm… E se invece per sbaglio me lo dovessi mangiare
io?! Insomma guardalo: è così croccante e il formaggio è così filante…”
Un ringhio animalesco annunciò l’esaurimento della
pazienza di Angelique.
“Tu! Maledetto pozzo senza fondo, ti sei appena
mangiata due brioches e una fetta di torta! Martha fa’ qualcosa!” berciò la
bionda occhieggiando furibonda il toast che Elena teneva lontano dalla sua
portata.
“Vuoi che chieda a Owen se a Tassorosso hanno un
altro toast?” domandò Martha con la massima tranquillità.
“Io voglio quello!!!”
protestò energicamente Angie.
Albus avrebbe scommesso una somma considerevole sul
fatto che se quel panino non fosse stato consegnato in tempo alla sua legittima
proprietaria, probabilmente le orecchie della suddetta avrebbero iniziato a
emettere fumo!
“Beh se ci formalizziamo su questi punti, non se ne
esce più…” mormorò Martha ritornando a leggere la sua Gazzetta del Profeta.
“Nana consegnami ora quel toast e nessuno si farà
del male.” disse un ultima volta Angelique deponendo il coltello che prima
aveva usato per minacciare l’amica.
Una delle prime cose che Albus aveva imparato
essendo amico di Angie era che se la sua giornata non iniziava con almeno un
toast, la ragazza avrebbe rovinato anche quella di tutti gli altri.
Elena inarcò un sopracciglio mentre un angolo della
sua bocca si sollevava divertito per l’espressione serissima della bionda
davanti a lei. Poi porse lentamente in mezzo a sé ed ad Angie l’oggetto della
contesa.
Angelique assottigliò lo sguardo e con fare
sospettoso avvicinò la mano a quella di Nana che teneva il panino, ma l’altra
con insospettabile velocità ritrasse il toast verso di sé all’ultimo e sotto lo
sguardo terrificato di Angie gli diede un morso che quasi lo dimezzò.
Poi con un sorriso beato depose nel piatto
dell’amica il rimasuglio di toast e si strofinò le mani soddisfatta.
Albus finalmente smise di trattenere le risate e
scoppiò a ridere rischiando di strozzarsi col succo appena ingerito.
Angelique spalancò la bocca inspirando rumorosamente
e Al si sarebbe aspettato una serie di improperi tanto volgari da dover andare
a coprire le orecchie illibate dei più piccoli, quando l’arrivo della posta
mattutina la distrasse.
Nel folto stormo di gufi, barbagianni e civette che
invasero il soffitto della sala in quel momento, Albus vide Caliel, il gufo di
Angie, dirigersi verso di loro. Planò con grazia davanti a lei, porgendole una
busta rosa shocking piena di glitter argento che colarono copiosi anche sul
tavolo.
Albus le rivolse uno sguardo interrogativo
estremamente divertito e la ragazza con un sorriso affettuoso sulle labbra
rispose:
“Mia sorella.”
Anche Berty ricevette una lettera dalla sua civetta,
ma esattamente come Angelique si affrettò a infilarla nella propria borsa senza
leggerla, poi, come se si fossero messi d’accordo, ricominciarono a parlare di
banalità tra di loro.
Albus spiò sottecchi Elena e la vide intenta a
osservare i maestosi uccelli in volo con uno sguardo pieno di malinconia, tanto
radicata e profonda che sembrava pervaderle gli occhi verdi screziati di
marrone fino a renderli più scuri.
Il giovane Potter voltandosi appena vide che anche
Martha osservava angustiata l’amica, torcendosi le mani nervosamente, come
tutte le volte che non riusciva ad avere sotto controllo la situazione.
Un improvviso senso di impotenza si impossessò di
lui, al pensiero che in quel momento la loro Nana, scoppiettante come un fuoco
d’artificio, con la battuta perfetta sempre pronta, dotata di un ottimismo
disarmante, era persa nei luoghi più oscuri e dolorosi della sua memoria.
Erano circa due anni che non riceveva più lettere
all’ora dei pasti, ma solo sporadiche e telegrafiche comunicazioni col padre
nelle feste comandate o nei compleanni, o peggio negli anniversari…
Albus posò con delicatezza la propria mano sul
quella della ragazza, la quale abbassò istantaneamente gli occhi su di lui,
senza riuscire a nascondere abbastanza velocemente il velo di lacrime che li
offuscava e che li fece sembrare ancor più grandi e indifesi.
“Questo gufo diventa più grasso di anno in anno,
secondo me esploderà tra poco!” Angelique lo disse così ad alta voce che un
paio di ragazzine del primo anno la guardarono perplesse, ma quelle parole
sortirono l’effetto desiderato.
Elena emise una risata tenue, che era solo l’ombra
della sua solita sguaiata, ma si allontanò dai pensieri cupi che ogni tanto la
inghiottivano e ricominciò a parlare con gli amici.
Albus si soffermò a pensare su quanti stratagemmi
avessero affinato in quegli anni di vita comune per evitare accuratamente certi
argomenti o per sviare l’attenzione di Elena su qualcosa che era meglio non
affrontare. Per concederle un po’ di pace all’ombra di quell’amicizia che
l’aveva salvata quando il mondo era crollato ai suoi piedi.
“Elena.”
E poi c’erano gli imprevisti. Come Sibyl Zabini.
“Il mio nome è Eléna.” fu la laconica e cupa
risposta che Elena rivolse alla cugina appena apparsa davanti a loro.
Sul gruppo calò un silenzio di tomba, mentre Albus
alzava lo sguardo per osservare Sibyl.
Sembrava che tutta la famigerata bellezza della
nonna che le due Zabini avevano in comune si fosse riversata in Sibyl. Aveva la
pelle di un ambrato intenso come se fosse stata una Venere di bronzo, il che
per i tratti e le fattezze fisiche sarebbe potuto tranquillamente essere, su
cui spiccavano intensi occhi neri dal taglio a mandorla, accentuati da una
linea di eyeliner magistralmente applicato. La bocca carnosa e sensuale era
colorata di un rosa perfettamente abbinato alla carnagione e guardandola in
quell’istante non si sarebbe mai pensato che potesse stillare tanto veleno.
“Come preferisci, cara.” rispose con tono mellifluo
Sibyl e mosse in aria la mano come a dire che simili dettagli non la
riguardavano minimamente. “Volevo solo dirti che lo zio mi ha scritto.”
A quella parola, su cui le labbra di quella infida
serpe si erano soffermate con voluta calma, Elena alzò lo sguardo dal proprio
piatto e nei suoi occhi passò un lampo di dolore così vivido che Al si
meravigliò che non fosse scoppiata a piangere.
“Come dici?” chiese con filo di voce così sottile
che fu a stento udibile nel fracasso della Sala Grande.
“Ho detto, che tuo padre mi ha scritto e infondo
alla lettera mi pregava di trovare dei buoni argomenti per convincerti a
cambiare colore di capelli. Magari qualcosa di un po’ meno folle.”
Albus strinse con tutta la forza che aveva in corpo
il coltello nella sua destra, per non lasciarselo sfuggire accidentalmente alla
base del collo di Sibyl.
“E poi sai, dicono che il viola sia il colore dei
morti.”
Albus era talmente incredulo davanti a quello
sfoggio di cattiveria gratuita che restò immobile per qualche secondo. Martha
trattenne il respiro rumorosamente, mentre Angie sfoderava la bacchetta e la
puntava senza mezze misure su Sibyl, ma qualcuno fu più rapido.
“Un week-end di punizione Zabini e dieci punti in
meno a Serpeverde! Dopo le lezioni vai a parlare con Mastro Gazza, gioirà
immensamente nel sapere che qualcuno pulirà i vasi da notte dell’Infermeria al
posto suo.”
Cinque paia di occhi si voltarono allibite verso chi
aveva parlato. Bertram Barrach era un tipo piuttosto silenzioso e pacifico, ma
quando dava il suo contributo per la causa faceva la differenza. In più se
faceva valere i suoi privilegi di Prefetto era decisamente risolutivo.
Sibyl gli rivolse uno sguardo di puro disprezzo e
voltò le spalle così rapidamente che una frustata di capelli corvini finì in
faccia a Berty, che si era alzato da tavola per fronteggiare la giovane.
“Grazie Berty.” mormorò con voce totalmente incolore
Elena, mentre osservava la sua perfida e bella cugina uscire dalla Sala Grande.
“P-prego.” rispose quello sedendosi nuovamente sulla
panca, con un sguardo leggermente stralunato.
“Angelique non costringermi a Impastoiarti!” sibilò Martha trattenendo per il polso Angie che era
già scattata in piedi pronta all’inseguimento.
“Le renderò la vita un Inferno.” promise la bionda
ricadendo pesantemente sulla panca a seguito di un energico strattone da parte
della O’Quinn.
“Ma lo è già, non capisci?!” la voce di Elena suonò
terribilmente triste e sconfortata “Vive senza amici, senza affetti veri. Per
Salazar, è così sola che cerca l’approvazione persino di mio padre! Che per
inciso si è ricordato di me alla fine della lettera che ha scritto a lei. E
gliel’ha scritta proprio oggi…” Quelle ultime parole furono intrise di una tale
amarezza e delusione, che Albus non riuscì ad osservare oltre quel viso piccolo
e scarno pervaso dal dolore e distolse lo sguardo.
Martha provò a mettere un braccio attorno alle
spalle dell’amica, ma questa con un movimento rapido sgusciò dalla sua presa e
si alzò in piedi. Rivolse a tutti loro una pallida imitazione di un sorriso e
disse con tono leggero:
“Credo che sia giunto il momento di cambiare colore
di capelli!”
E con la velocità di un folletto si dileguò dal
tavolo dei verde e argento. Ci fu un attimo di silenzio attonito per quella
comica colazione che era degenerata così bruscamente, poi Angelique con un
scatto felino si alzò in piedi e disse con ferocia:
“Io vado a procurarmi un mandato di sola andata per
Azkaban.”
Martha impiegò qualche secondo a registrare quelle
parole con sguardo vagamente perplesso, ma quando ne capì il senso si affretto
a rincorre l’amica.
“Angelique fermati! Angelique, sono un Prefetto, ti ordino di fermati!”
Albus riuscì a sentire l’urlo della ragazza anche se
il Prefetto O’Quinn era quasi al grande portone di quercia. Al si massaggiò la
fronte con una mano e sospirò.
“Ma come si può infierire su di lei?! Dio mio, è
Elena! Cederebbe un arto a un drago se sapesse che è affamato!” il sussurro
sconvolto indusse Albus ad alzare gli occhi su Berty.
Il ragazzo aveva un’espressione tanto affranta e
sconvolta che Al si sentì in dovere di dargli una pacchetta sulla spalla in un
gesto dalla goffaggine rara.
Berty si alzò in silenzio e uscì dalla Sala Grande
con passo incerto.
Albus sbatté rumorosamente la sua tazza contro il
piattino, facendo ondeggiare pericolosamente il caffelatte al suo interno.
La mattina era uno schifo totale, caso chiuso.
***
Le parole del professor Vitious ronzavano nelle orecchie di
Angelique senza un apparente senso logico. L’Incantesimo di Distruzione, che
l’uomo aveva iniziato a spiegare da poco, le aveva dato uno spunto sufficiente
per convogliare tutta la sua concertazione su come impiegare un Bombarda ben assestato contro Sibyl
Zabini.
Perché a seguito di quella colazione disastrosa Elena era sparita.
La giovane Serpeverde non si era presentata né alla prima lezione
né a quella seguente, inutile specificare quanto questo avesse allarmato
Angelique e Martha che continuavano a spiare l’orologio in attesa della fine
dell’ora, per poter partire alla ricerca dell’amica.
Angie fece un profondo respiro e cercò di placare l’ansia
serpeggiante che sentiva da quando Elena si era allontanata da loro qualche ora
prima.
Conosceva Elena e sapeva che preferiva restare sola quando qualcosa
la turbava, ma Angie non poteva far a meno di pensare in continuazione che, se
ci fosse stato un giorno in cui non avrebbe lasciato l’amica a sé stessa,
questo era proprio l’anniversario della morte della madre.
La bionda continuava a chiedersi quale animo ottenebrato potesse
spingere qualcuno a fare deliberatamente del male a Nana, una creatura che
sembrava essere venuta al mondo senza il concetto di egoismo o di cattiveria.
In ogni caso lei, Angelique, l’avrebbe fatta pagare a
quell’imbecille di Sibyl e aveva già un paio di idee allettanti che le
derivavano direttamente dall’allenamento assiduo che aveva mantenuto con Jessy
negli ultimi anni.
“Angelique se continui così non avrai più piume entro fine
giornata.” Mormorò Martha togliendole dalla presa la terza piuma disintegrata
della mattinata.
“È che continuo a pensare alla faccia di Sibyl e questo è
risultato…” sussurrò Angie si rimando abbozzando un sorriso.
“Secondo te starà bene?” chiese angustiata Martha fissando il
proprio volume di Incantesimi con la fronte aggrottata.
Angelique sospirò appena e si strinse nelle spalle. In tutta
sincerità non avrebbe potuto rispondere, perché quando si parlava di Lady
Ophelia Zabini, Elena sapeva diventare imprevedibile.
“Non lo so.” bisbigliò con tutta sincerità e poi si sporse
leggermente ad osservare Berty.
Barrach stringeva convulsamente la piuma tra le dita, anche lui in
preda a spasmi omicidi nei confronti del manto dei volatili, e osservava
davanti a sé con una tale decisione che forse Vitious si sarebbe potuto allarmare
per tanta sollecitudine nel cercare di apprendere l’Incantesimo di distruzione.
“Secondo te dovremmo regalarle un cucciolo di qualche animale
disgustoso?” mormorò Martha sovrappensiero.
“Non pensarci nemmeno! Abbiamo una libreria da preservare!” rispose
l’altra strabuzzando leggermente gli occhi.
Sul volto di Martha lampeggiò per qualche istante un sorriso
sinceramente divertito, ma dopo poco la preoccupazione si fece nuovamente largo
in lei e spense quel barlume di allegria.
Angie prese a togliere lentamente i barbigli dalla sua piuma mentre
cercava di immaginare dove fosse finita l’amica dispersa.
***
James tolse la tracolla dalle proprie spalle e l’appoggiò accanto
allo stipite della porta.
Con passi lenti ma ben udibili si avvicinò alla figura minuta che
restava addossata all’armatura argentea senza dare segno di essersi accorta di
lui.
Quando fu abbastanza vicino il giovane si rese conto che la ragazza
fissava con occhi vitrei la finestra davanti a sé. Non un singolo sprazzo
dell’abituale vitalità riusciva a
trapelare da quegli occhi tanto grandi da risultare quasi spropositati sul viso
esile.
James si avvicinò ancora, fino a mettersi davanti a lei e si chinò
per poterla osservare in viso.
“Elena?!” la chiamò senza sapere esattamente che cosa fare.
Il capo color lilla si volse finalmente su di lui e gli occhi verde
scuro lo osservarono inizialmente perplessi, ma rapidamente lo stupore si
dissipò per lasciare spazio ancora all’espressione vacua.
“Elena stai bene?” chiese James a bassa voce senza riuscire a
nascondere la sua preoccupazione.
Elena rimase immobile per qualche istante mentre un’espressione di
sofferenza si dipingeva sui suoi tratti, poi dal nulla i grandi occhi si
riempirono di lacrime e la ragazza scosse energicamente la testa, prima di
scoppiare a piangere.
James venne colto di sorpresa da quello strano comportamento, ma
agendo istintivamente si sedette accanto a lei e le passò un braccio sulle
spalle ossute traendola al proprio fianco. Il corpo esile era scosso da
singhiozzi tanto forti che la facevano sussultare, il respiro era corto e
intervallato da alcuni gemiti soffocati dalle mani con cui la giovane si era
coperta il viso.
Lo sfogo durò qualche minuto, in cui un imbarazzato James Potter
accarezzò la spalla della ragazza cercando di darle un minimo di conforto, e
poi lentamente le lacrime si esaurirono, il respiro si fece più regolare e
finalmente la mani smisero di coprire il volto.
Elena tiro su dal naso energicamente, mentre il dorso della mano
destra asciugava le gote bagnate. Osservandola James non poté far a meno di
pensare che nonostante fosse una quindicenne le sue movenze e i suoi
atteggiamenti ricalcavano spesso quelli di una bambina, piccola e indifesa.
“Scusa James.” Mormorò la ragazza con voce roca e impastata dal pianto.
“Che succede Ele?” chiese allontanando il braccio dalla giovane.
Elena inizialmente chinò la testa e prese a fissare l’orlo della
gonna stringendosi nelle spalle, non intenzionata a parlare. Poi animata da
un’improvvisa scintilla sollevò il capo e lo osservò con un’espressione
indecifrabile.
“Mia mamma era una maniaco-depressiva e si è suicidata due anni fa,
James.” Disse lapidaria continuando ad osservarlo negli occhi.
Per James quelle parole furono uno schiaffo in pieno viso. Le sue
labbra si dischiusero leggermente e gli occhi si spalancarono in un moto di
puro stupore. Aveva già sentito le voci di corridoio che aleggiavano sopra
quell’evento, ma mai Elena aveva accennato alla madre con lui; quindi quella
confessione così brutale e schietta lo stravolse.
“E mio padre mi considera un animale da circo! Inoltre non posso
nemmeno concedermi una giornata di meritata depressione perché altrimenti tutti iniziano a dare di matto!”
continuò la Zabini con inaspettata energia.
“Perché se non ho più voglia di fare il pagliaccio nel giorno in
cui mi ricordo che mia madre era una scoppiata persa e ha pensato che un
coltello ci stesse proprio bene tra le sue vene, allora tutti quanti iniziano a
preoccuparsi e parlare di cose insensate!”
Disorientato. Ecco sì, James si sarebbe definito così se gli
avessero chiesto come si sentiva in quel momento. Il passaggio rapido da apatia
a pianto e poi ancora alla rabbia gli avevano leggermente fatto perdere
l’orientamento sulla discussione, ma non gli parve una buona idea interrompere
lo sfogo liberatorio di Elena, la quale si era raddrizzata contro la parte e
teneva lo sguardo fieramente alto.
“E poi mi dico: avrò bene il diritto di restarmene col muso almeno
per un giorno visto che la mia famiglia non esiste più e ciò che ne rimane fa
schifo!!!” strepitò la ragazza battendo un palmo contro il pavimento di
granito.
Ci fu una pausa in quel monologo strambo, ma invece di riprendere
con le proteste la ragazza si afflosciò contro il muro e perse tutta la carica
con cui aveva parlato prima.
“Non le ho nemmeno detto addio, James. Non me ne ha lasciato il
tempo…” sussurrò così debolmente che James a stento riuscì a sentirla.
Il cuore del giovane Potter si strinse in una morsa di dolore per
quello che Elena gli aveva appena rivelato.
Lei, la più esuberante e eccentrica ragazza che avesse mai
conosciuto, gli stava mostrando che cosa c’era davvero oltre la facciata
utilizzata contro il mondo, ma anche con gli amici per non farli preoccupare.
Elena che aveva grandi occhi tristi e che si concedeva l’abbandono alla
debolezza con una sincerità disarmante.
E lui si sentiva totalmente incapace di esprimere le solite e
banali frasi di circostanza che chiunque avrebbe detto.
Ma c’era qualcuno che ne aveva scritte altre perfette…
James si alzò di scatto sotto lo sguardo stupito di Elena e andò a
recuperare il proprio libro abbandonato accanto alla cartella. Altrettanto
velocemente riprese posto al fianco della giovane e iniziò a sfogliare
febbrilmente il suo consunto volume.
Sentiva lo sguardo di Elena su di sé e sperò che non si
spazientisse prima che fosse riuscito a trovare il punto preciso che gli
interessava. Finalmente una delle molte pagine segnate con un orecchia
sull’angolo inferiore gli restituì la poesia che cercava.
Si schiarì la voce e lesse lentamente:
“Quello che veramente ami rimane, il resto è
scorie.
Quello che veramente ami non ti sarà strappato.
Quello che veramente ami è la tua vera
eredità.”
Chiuse con delicatezza il libro e si voltò ad
osservare Elena che lo fissava, evidentemente colpita dalle parole appena
lette.
“Questo è per dirti Ele, che nonostante tua
madre non sia più viva non ti verrà portata via, non del tutto. Io sono sicuro
che nonostante la malattia, ci fosse una parte di lei che continuava ad amarti,
e quella è l’eredità che devi raccogliere, che non devi permettere che ti
strappino! Ci sono alcune cose che superano la barriera delle leggi fisiche e
della realtà, che possono andare oltre limiti a stento immaginabili… Tua madre
è ancora in questo mondo, perché vive in te e nelle persone che l’hanno amata.
Non se ne andrà mai.”
Elena si morse il labbro inferiore e annuì
convinta, le guance avevano ripreso un po’ di colore e gli occhi verdi
scintillavano ora non più di lacrime ma di energia. Inaspettatamente gettò le
braccia al collo di James e lo abbracciò stretto, in una posa scomodissima
viste le rispettive posizioni, ma nessuno dei due se ne curò.
“Grazie James.” Sussurrò mentre anche lui
ricambiava l’abbraccio.
“Di chi era la poesia?” chiese Elena dopo che
furono tornati entrambi con le spalle appoggiate al muro.
“Ezra Pound.” Mormorò James tendendo all’altra
il libro consunto.
La ragazza lo prese e osservò pensierosa la
copertina restando in silenzio per alcuni istanti.
“Sai James, a volte mi chiedo che cosa tu abbia
combinato per rendere così cieca Angelique.” Gli disse con fare tranquillo
prima di mettersi a leggere le prime poesie.
Un fiotto di calore inusuale per lui salì al
suo viso e James spinto dall’aria di sincerità di quella mattinata replicò:
“Sono sempre arrivato troppo tardi.”
“Non è ancora troppo tardi Potter.”
***
Riuscire ad allarmare Hagrid non era cosa da
poco.
Angelique ci riusciva puntualmente tutte le
volte che saliva su una scopa durante una partita di Quidditch, eppure vedere
il mezzo gigante in preda all’ansia, con atteggiamenti insicuri e nevrotici
come quelli di una dama vittoriana in preda ad una crisi isterica, era un
fenomeno incredibilmente raro.
“Secondo te Angie, devo andare dalla signora
Preside e chiederci di contattare la squadra Auror- Sparizioni improvvise?
Aspetta forse è meglio se ci chiediamo a Harry! Lui fa il capo degli Auror,
sicuramente un aiutino ce lo manda…. Oppure dobbiamo mandare una lettera al
Ministero della Magia…”
Inoltre Hagrid sapeva essere incredibilmente
tragico.
“Hagrid pausa! Io direi che per il momento non
mandiamo lettere e non allarmiamo nessuno!” esclamò Angelique interrompendo la
scalata alle cariche più eminenti del Mondo Magico da contattare.
Forse ripensandoci non era stata una grande
idea andare a chiedere aiuto a Rubeus Hagrid.
“Volevamo chiederti solo se avresti potuto
controllare attorno al Lago Nero!” aggiunse la ragazza guardando speranzosa il
Guardiacaccia.
“Hum… niente Ministero?” domandò quello
accarezzandosi la barba.
“Non è il caso.”
“Niente Harry? Sai a lui ci farebbe piacere
aiutare!”
“Niente zio Harry.”
“Ma neppure la Preside? Gran donna quella,
coraggiosa, intelligente…”
“No Hagrid. Solo noi!” disse risoluta Ansie
pregando che l’uomo acconsentisse ad aiutarli.
“Va bene. Però ci do un’occhiata anche al
parco!” esclamò brandendo un pugno per aria e dirigendosi alla volta del Lago
Nero, per cercare la migliore alunna che si fosse mai presentata alle sue
lezioni di Cura delle Creature Magiche.
“Grazie mille!” urlò Angelique mentre riprendeva
la strada per il castello.
Avevano saltato il pranzo per andare a cercare
Elena, dividendosi alcune zone, ma dalla prima ricerca non era risultato nulla
di positivo, sembrava che Nana si fosse volatilizzata.
Così lei aveva deciso di chiedere una mano ad
Hagrid, il quale si era dimostrato fin troppo zelante.
Sempre correndo si avvicinò al portone
d’ingresso dove aveva appuntamento con gli altri, vide in lontananza il capo
ramato di Martha scuotersi con vigore mentre parlava con Arbus e Berty accanto
a lei massaggiarsi le palpebre con aria preoccupata.
“Novità?” chiese ansimando e rimettendosi a
posto la divisa.
“No, ma ho chiesto al Frate Grasso e un altro
paio di fantasmi di cercare una ragazza coi capelli viola. Dovrebbero tornare
tra poco, è passata quasi mezz’ora.
“E-e se avesse già cambiato colore di capelli?”
chiese Berty.
“No, nel dormitorio era tutto in ordine. Di
solito quando passa Elena sembra che ci sia stata una strage.” Mormorò Martha
sedendosi con aria esausta sugli scalini che conducevano alla Sala d’Ingresso.
“Lo volete un tè?” chiese all’improvviso Albus.
Betty e Martha lo osservarono senza capire,
Angelique invece spalancò le braccia e poi le fece ricadere pesantemente contro
i fianchi con espressione incredula.
“Beh non guardarmi così … Mia nonna fa sempre
il tè quando qualcuno è sconvolto!” si giustificò Al alzando le spalle.
“Se ci butti dentro mezza bottiglia di wisky
per me va bene.” Disse aspramente Martha passandoci una mano in mezzo ai ricci
e spostandosi tutti da un lato solo.
Angelique, nonostante la situazione poco rosea,
ridacchiò divertita mentre un Arbus perplesso affermava di non essere certo di
aver capito bene.
C’era una minuscola parte di Martha, che
derivava genuinamente dalle sue origini irlandesi e che spuntava fuori tanto
raramente quanto un’eclisse solare, che riusciva a indurre la giovane a dire
delle cose da vero scaricatore di porto. La manifestazione coincideva si solito
con stati emozionali piuttosto turbati.
“Io però un sandwich me lo farei…” mormorò
Ansie passandoci una mano sullo stomaco, a digiuno da quella mattina quando le
era toccato in sorte un mezzo toast.
“A volte mi domando chi sia peggio tra te ed
Elena. L’unica cosa che riesce davvero a scalfirvi è il cibo!” esclamò Martha.
“È un’insinuazione un po’ forte Prefetto
O’Quinn.” Disse Angie senza scomporsi e si sedette sui gradini accanto all’
amica.
“Scusa. Sono un po’ nervosa.” Borbottò Martha
dando un calcio poderoso ad un sassolino.
Angelique fece per replicare ma in
quell’istante una nuvola argentata dalle dimensioni corporee abbondanti sorvolò
le loro teste e si mise davanti a loro.
“L’ho trovata! Ala est, terzo piano!” esclamò
il Frate Grasso con aria estremamente orgogliosa di sé.
“Grazie infinite.” Disse Martha alzandosi in
piedi e chinando appena il capo in direzione del fantasma.
Il Frate gongolò visibilmente e sorridendo a
Martha se ne sparì nella parete.
“Sei pazzesca O’Quinn, riesci a far innamorare
di te anche i fantasmi.” Esclamò Angelique iniziando a prendere la via delle
scale con rinnovata energia.
“Angelique quelle scale portano all’ala Ovest
oggi.” Disse Albus prendendola per un gomito e trascinandola verso la strada
giusta.
Mentre si dirigevano come una mandria di bufali
verso il punto indicato loro dal Frate Grasso, il cervello di Angie era giunto
per una serie di associazioni a suo nonno.
L’uomo che l’aveva introdotta alla musica, che
lei aveva amato fino alla venerazione, e che aveva lasciato il mondo davanti ai
suoi occhi di bambina, decretando la fine della sua infanzia.
Per quasi un anno non aveva più voluto suonare
il pianoforte, legandolo indissolubilmente a nonno Etienne e non riuscendo a
trovare il coraggio per far vibrare ancora quelle corde. Poi un giorno aveva
sentito qualcuno, non ricordava minimamente se fosse stata sua madre o sua
nonna o uno sconosciuto, dire che la musica era in grado di arrivare a Dio.
E la bambina dai capelli biondi si era
domandata se, dato che poteva arrivare fino a Dio, magari sarebbe potuta
arrivare anche a qualcun altro che gli stava vicino. Così aveva trovato una
buona ragione per vincere le sue paure e le sue resistenza, perché c’era un
modo per restare ancora vicina al suo nonno. C’era un modo, arcano e
misterioso, per continuare a sentirlo accanto a sé quanto le sue dita
scorrevano tra trasti d’avorio e d’ebano.
Quando Elena aveva perso la madre, Angie si era
chiesta se fosse esistito tra Nana e Ophelia, un qualcosa di analogo al
pianoforte tra lei e suo nonno, in modo da ricordarle ciò che c’era stato un
tempo.
Poi però aveva riflettuto che se anche suo
nonno non le avesse insegnato a suonare, tanti piccoli gesti e ricordi di
sarebbero andati a intrecciare come fili indissolubili, creando un legame oltre
la vita empirica, oltre la quotidianità, persino oltre le contraddizioni della
relatività.
Un filo che avrebbe tenuto insieme due universi
distanti e che sarebbe esistito finché l’altro avesse respirato, ma
probabilmente anche dopo.
Perché Angelique era fermamente convinta che
esistessero legami nascosti nelle pieghe del cuore che sarebbero sopravvissuti
a tutto, invisibili e silenti, imperituri come montagne alte e tese verso
l’infinito universo. Legami che non si sarebbero mai potuti descrivere ma che
esistevano, semplicemente.
Finalmente arrivarono al corridoio designato,
tuttavia non riuscirono a vedere subito dove si trovasse Elena. Mentre il
pensiero di aver fatto un altro buco nell’acqua faceva sprofondare l’entusiasmo
di Angelique, si udì in tutto il corridoio il suono famigliare della risata di
Elena. Una serie di versi esagerati che davano la sensazione di star a sentire
un ululato.
Berty fu il primo a scattare verso la fonte del
rumore e Angie lo vide fermarsi a metà del corridoio e fissare qualcosa con
occhi spalancati all’inverosimile, con quella buffa espressione che assumeva
anche da bambino e che lo faceva somigliare a una soglia.
“E-e-elena…” il sussurro che uscì dalle labbra
di Berty fu tanto lieve e ricco di stupore che Angelique si stupì di essere
riuscita a percepirlo.
Ed ecco la scena che si presentò ai suoi occhi
quando finalmente riuscì ad avere una panoramica chiara: Elena, senza nemmeno
il segno di una lacrima o di una vaga tristezza sul viso, ma anzi con le gota
accese e le labbra inclinate in un sorriso spensierato, seduta accanto a Jessy
che teneva un enorme pacchetto di patatine a metà strada tra lui e Nana.
“Ah-ah, vedo che siete riusciti a scovarmi! Beh
James mi sa che la pacchia è finita…” disse Elena guardando complice Jessy e
sorridendo allegramente.
“Ti abbiamo cercata per ore!” sbottò
immediatamente Martha mettendosi entrambe le mani sui fianchi e fissando Elena
con aria offesa.
Angelique capì che la reazione esagerata di
Martha era dettata dal sollievo di averla trovata e dalla preoccupazione che
l’aveva attanagliata prima, tuttavia non comprendeva il perché di quel tono.
Sinceramente lei non si sentiva offesa o tradita dal fatto che Elena avesse
trovato in James un buon confidente o un sostegno in quella giornata tanto
difficile, però restava comunque sorpresa dalla singolare coppia che ora li
osservava dal pavimento mentre sgranocchiavano patatine fritte.
“È tutto a posto Nana?” chiese quasi
simultaneamente Albus scostandosi dalla fronte il solito ciuffo nero che
ricadeva imperterrito nonostante i tentativi del proprietario di metterlo a
posto.
“Immaginavo… Sto bene, davvero. Ho anche
pranzato!” esclamò Elena scuotendo il pacchetto di patatine e producendo un
rumore che per Angelique in quel momento aveva del paradisiaco, infatti si
lasciò sfuggire un mugugno di desiderio.
“Vuoi?” propose Elena tendendo alla bionda il
pacco extra-large, ma quando la mano di Angie si tese speranzosa verso la fonte
di cibo, Martha le diede uno schiaffetto sul dorso, inducendola a ritirare
l’arto offeso.
“Ma io non ho ancora mangiato!” protestò
vivacemente Angie, quando però gli occhi color cioccolato di Martha si posarono
su di lei con l’intensità di due carboni ardenti, trovò una scelta saggia
desistere nei suoi tentativi di pranzare.
“Hai intenzione di venire a lezione o pensi di
passare il resto della giornata a ingozzarti?” chiese Martha con tono
tangibilmente aggressivo, il che cozzava parecchio sia con l’abituale
atteggiamento della rossa sia con la situazione generale, che per Angie non
richiedeva tanta foga.
“Tu che fai?” chiese Elena a James invece di
rispondere all’amica.
“Temo che dovrò lasciarti in balia di questo
Prefetto infuriato. Ho una doppia ora di Astronomia questo pomeriggio.” Replicò
James facendo leva con le braccia sul pavimento e alzandosi in piedi.
Angie spiò sottecchi Berty, che stranamente non
aveva ancora proferito verbo. Il ragazzo teneva i pugni serrati lungo il fianco e osservava apparentemente impassibile i movimenti di Jessy,
ma la vena sulla sua tempia era particolarmente vasodilatata e la mascella
serrata.
James raccolse la propria cartella da terra e
se la mise a tracolla con tranquillità, come se due paia di occhi marroni non
lo stesso letteralmente perforando nel tentativo di abbatterlo.
Fece per mettere via un libro con la copertina
che restava su con lo sputo, ma quando aprì la cerniera della borsa il libro
scivolò dalla sua presa e cadde ai piedi di Angie.
La bionda si chinò immediatamente e lo raccolse
prima che James potesse fare altrettanto, incuriosita dal fatto che un tipo
come Jessy si desse alla lettura, probabilmente si trattava di un giornalino
tipo Play-Boy o peggio romanzi scadenti con scene di sesso selvaggio.
Eppure nel mentre in cui si risollevava sulle
proprie gambe Angelique lesse le scritte sbiadite e corrugò la fronte,
sinceramente perplessa.
Nel frattempo Martha aveva iniziato una mezza
ramanzina a Nana, nel tentativo di farla sentire un po’ in colpa per la
mattinata infernale che aveva fatto passare a tutti loro, con scarsi risultati.
“I Canti
Pisani, Jessy?” chiese guardandolo dritto negli occhi e dovendo sollevare
il capo, perché quello la sovrastava decisamente. Negli occhi ambrati passò un
lampo di stupore e le sue sopracciglia scure si aggrottarono visibilmente.
“Che? Devo aver preso il libro di qualcun
altro…” esclamò il giovane tendendo la mano per riprendersi il tomo che
Angelique teneva ancora sotto esame.
Il suo sopracciglio impertinente si sollevò con
scetticismo ma comunque allungò l’oggetto verso Jessy. Con la coda dell’occhio
vide Martha avvicinarsi a loro e Albus iniziare a camminare verso l’estremità
del corridoio da cui erano venuti.
Mentre continuavano a osservarsi le dita di
James scivolarono sulla carta lisa e mentre afferrava il libro incontrarono
quelle di lei. Quando la loro pelle venne in contatto, Angie si stupì di quanto
fossero calde quelle di James e tanto grandi da contenere le sue senza
difficoltà.
Angelique istintivamente ritrasse la mano e
distolse lo sguardo da quello del ragazzo, per posarlo su Martha e cercare di
limitare il suo malumore dilagante.
Ma ciò che vide le gelò il sangue nelle vene.
“No, no, no!” urlò lanciandosi verso l’amica.
Gli occhi di Martha erano riversi indietro e
dalle palpebre, che si muovevano con velocità frenetica, si riusciva a
intravedere la sclera bianca. Il corpo aveva preso a tremare e Angie aveva già
realizzato che era l’inizio di un attacco.
Le gambe della ragazza cedettero presto e
Angelique riuscì ad impedire per un soffio che sbattesse violentemente a terra,
abbracciando quel corpo esile e slanciato che iniziava a essere percorso dai
primi spasmi.
“La Blackthorn!!! Andate a chiamare la
Blackthorn!!!” gridò cercando di non far cadere Martha.
Mentre sentiva la disperazione diffondersi
prepotentemente in lei al pensiero che fossero troppo lontani dall’Infermeria e
che nessuno sarebbe venuto in loro soccorso, James si fece avanti e prese
Martha da sotto le ascelle, con delicatezza la depose sul pavimento di granito.
I ricci rossi sparsi sulla pietra grigia
presero ad accompagnare i movimenti bruschi del capo e di tutto il corpo. Angie
si inginocchio dietro la testa di Martha e se la poggiò in grembo cercando di
limitare quelle convulsioni del capo.
Sentì i passi degli amici avvicinarsi
rapidamente e alzò lo sguardo individuando quello di Albus per primo.
“Albus serve la Blackthorn! Ora!” urlò ancora.
Al si arrestò immediatamente e per una frazione
di secondo sul suo viso si rese visibile la lotta interiore, tra il restare e
l’obbedire a lei. Poi ricominciò a correre in direzione opposta, sparendo oltre
l’angolo.
Elena e Berty invece avanzarono fino a loro.
Gli occhi di Elena, erano spalancati e fissavano in preda al panico il corpo di
Martha percorso dai movimenti incontrollati. Berty accanto a lei non era da
meno, con le labbra schiuse e gli occhi incollati all’amica.
“Bertram! Portala via, maledizione!” ruggì
Angie e inspiegabilmente sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Berty si riscosse velocemente e, quasi trascinandola
di peso, si allontanò insieme a Elena.
Angelique abbassò gli occhi sull’amica, la
pelle era diventata tanto pallida da sembrare cadaverica e le labbra dischiuse
erano ormai livide. Posò le sue mani ai lati del volto di Martha e sentì la
cute gelida sotto i propri polpastrelli.
Le contrazioni muscolari erano sempre più forti
e frequenti, tanto che non vi era più un attimo di pausa tra una convulsione e
l’altra. Era l’attacco più forte a cui avesse assistito e questo le fece
sprofondare ancora di più il cuore.
“Resta con me, Martha. Resta con me, porca
miseria o ti uccido quello schifoso gatto!” mormorò disperata, mentre le
lacrime iniziavano a fluire incontrollate e sentiva i singhiozzi premerle in
gola.
Sentì un movimento accanto a sé e si rese conto
che James le era rimasto vicino fino a quel momento. Vide il ragazzo armeggiare
con la divisa ed estrarne la bacchetta.
“Expecto Patronum.” Disse con sicurezza e dalla
punta della bacchetta uscì prima un filamento argenteo che poco dopo prese la
forma di un grande lupo del Nord.
“Trova la professoressa Blackthorn. Martha
O’Quinn sta male, Ala Est, terzo piano.” Scandì James con urgenza.
L’animale chinò il capo e si gettò in una corsa
rapidissima lungo il corridoio.
“Angie.”
Disse James, ma lei non rispose.
Non poteva smettere di osservare Martha. Non
poteva lasciarla, doveva farla restare con lei, doveva farle sentire che non
era sola.
“Angelique!” la chiamò più bruscamente lui
scrollandole una spalla. “Dimmi che devo fare!”
Angie incapace di guardarlo negli occhi, scosse
la testa e lasciò che altre lacrime calde le rigassero il volto.
“Non possiamo fare nulla!” sussurrò in fine con
voce rotta dal pianto.
Le labbra di Martha iniziarono a tremare, poi
una convulsione più violenta delle altre fece inarcare bruscamente la schiena
della ragazza e tutto il corpo arrestò i movimenti incontrollati.
Contemporaneamente un braccio si alzò, una mano
magra e affusolata si diresse indietro, verso il viso di Angelique, e con
delicatezza insensata si posò sulla sua guancia sinistra, fredda come ghiaccio.
Poi una voce rauca e gutturale uscì dalle
labbra di Martha.
“Sta
calando la notte.
La figlia dell’Inverno e il figlio dell’Estate sfideranno le tenebre.
Il giorno del sacrificio giungerà senza messaggeri.
Gli angeli sanguineranno, ritorneranno i cavalieri dell’Oscuro, le stelle
arderanno sulla terra.
Sta calando la notte.”
Martha serrò le labbra e si accasciò inerme
contro il pavimento, apparentemente privata di ogni forza vitale.
Angie cercò gli occhi si James, pregando di
aver avuto un’allucinazione, ma quando incontrò quelle iridi che dal colore del
miele mutavano nel nocciola e vi lesse il suo stesso sgomento, comprese…
Avevano appena assistito ad una profezia.
***
Erano giorni che Lucy pensava a come rivelare a
Lily che aveva incontrato di nascosto Benji Allucemonco.
Tuttavia non riusciva proprio a trovare il modo
adatto per confessare alla coreggente delle Menadi che aveva tradito il loro
patto di eguaglianza e aveva preso una decisione senza consultarla. In più il
pensiero di Benjamin la perseguitava letteralmente ad ogni ora del giorno,
immaginava un ipotetico incontro, rimuginava sulle risposte più impertinenti e
ironiche che la sua mente riusciva a partorire e che avrebbe rifilato a
quell’uomo insopportabile, oppure in casi estremi immaginava anche quali
fatture avrebbero cancellato il suo maledetto sorriso sensuale.
Poi quando la soglia della sua coscienza si
abbassava, nel dormiveglia o nell’ora di Storia della Magia o quando Dom
parlava di cosmetici, i suoi pensieri mutavano. Non pensava più a come farlo
arrabbiare. Immaginava la sensazione di baciare le labbra carnose dell’uomo, di
avvertire le sue mani su di sé, sui propri fianchi e sulla propria pelle nuda,
di avvertire il calore del suo corpo sopra il suo… E poi bruscamente si
riscuoteva, provando a ignorare le fitte al ventre che la coglievano in quei
momenti di fantasticherie, e si dava della sciocca, perché era perfettamente
consapevole che mai e poi mai un uomo del calibro di Benjamin avrebbe anche
solo guardato una ragazza come lei.
Un brutto anatroccolo troppo alto e troppo
magro per poter suscitare un minimo desiderio in un uomo tanto... Tanto!
Lucy distolse lo sguardo dal caminetto
scoppiettante della Torre di Grifondoro con un moto di fastidio per i suoi
stessi pensieri. Fece vagare lo sguardo su tutta la Sala Comune con una certa
pigrizia.
James stava seduto ad un tavolino col solito
gruppo di suoi amici e tra uno scroscio di risate e l’altro pareva che stessero
facendo i compiti.
Celia Danes stava spiegando qualcosa di
incredibilmente eccitante ad alcune ragazze, ovviamente per farlo era
necessario passarsi ripetutamente la mano tra i capelli castani, ravvivandoli e
facendoli sembrare ancor più setosi e lucenti.
La detestava. La sua presenza per Lucy
equivaleva a scartavetrarsi le palle e poi disinfettarsi col limone.
E poi eccola lì, la luce dei suoi giorni grigi,
l’allegria incontaminata e la vitalità fatta persona.
Lily stava a gambe incrociate su un tappeto
poco distante da lei, ai suoi lati come fedeli e inseparabili cavalieri c’erano
Tristan e Hugo. Sembrava che ci fosse una discussione piuttosto animata, anche
se nella confusione di quella stanza era impossibile capire di che stessero
parlando. A Lucy parve di leggere sulle labbra di Tristan la parola “acqua”,
vide il capo vermiglio di Hugo scuotersi con evidente rassegnazione, Lily
scattò in avanti dando un scappellotto sulla nuca del cugino e poi lo minacciò
con un indice piccolo e dall’unghia rosicchiata.
Lucy posò il viso sul dorso della mano e
sorrise osservandoli. La piccoletta aveva un carattere formidabile, non c’era
che dire.
Lily, quasi richiamata dai suoi pensieri,
sollevò lo sguardo su di lei. Le sorrise di rimando e le fece l’occhiolino con
aria cospiratrice.
Tristan le diede una spallata per attirare la
sua attenzione e quindi ritornarono a confabulare tra di loro.
Osservando quel ragazzino non si sarebbe mai
desunto che condividesse lo stesso patrimonio genetico di Angelique. Aveva i
capelli scuri come il carbone e gli occhi azzurri, tratti più decisi e
nettamente diversi da quelli della sorella, era estroverso e rumoroso, la
scuola per lui era solo un effetto collaterale del trovarsi a Hogwarts… L’unico
particolare che sembravano avere in comune era il modo di sorridere, tanto
genuino e puro che illuminava tutto il volto.
“Lucy! Permesso… Per favore devo passare! Ehi
Lucy!!!” una voce gridò sopra le altre cercando di attirare la sua attenzione.
Rose, con i capelli rossi e ondulati
sparpagliati attorno al capo in modo disordinatissimo, si stava avvicinando a
lei. Le guance erano pervase da un vago rossore, segno che aveva appena corso,
e nella mano destra stringeva una lettera.
Lucy si mise a sedere composta e attese che la
cugina si sedesse sul bracciolo.
“Lucy, è arrivata al quartier generale! Ho
accompagnato Dom a controllare gli ordini della settimana e c’era un
barbagianni con questa e una scatolina di cartone.” Bisbigliò Rose
consegnandole la busta.
Lucy aggrottò la fronte perplessa. Nessuno
mandava gli ordini direttamente a lei o a Lily, tutto passava tramite una
statua incantata al quinto piano, in cui si infilavano gli ordini e questi
venivano mandati direttamente al quartier generale tramite un Incantesimo di
Dislocazione.
La carta era di un bel color panna e sugli
angoli superiori portava alcune decorazioni color seppia. L’intestazione era
indubbiamente per lei.
A Leda.
Con un vago presentimento aprì la busta e
iniziò a leggere, arsa dalla curiosità.
“Cara Leda,
Immagino di averLa
stupita con questa missiva. Spero tuttavia che non le dispiaccia se mi sono
rivolto a Lei direttamente.
Credo di essermi posto in modo eccessivamente rigido per quanto riguarda
l’identità di Lara. Quindi per dare un segno di pace e far ricominciare l’attività
che è di nostro comune interesse mantenere in vita, Le ho mandato il pacco in
allegato. È dotato di un Incantesimo Estensibile e contiene la fornitura che
avete richiesto l’ultima volta.
Non desidero pagamenti monetari per questa volta, ma solo un unico pegno… Il
Suo nome, Leda.
Benjamin.”
Lucy dovette reprime uno sbuffo irato per tutta
quella formalità nauseante.
Eppure in quelle righe le sembrava di leggere
di più delle semplici parole. Era come se lo avesse di nuovo a pochi centimetri
da viso e fosse stata in balia dei suoi occhi da gatto, gialli e intensi come
fiaccole nella notte.
Riusciva a percepire in quella calligrafia
elaborata color seppia un fremito della mano dettato da qualcosa di più della
semplice cortesia o interesse per i propri affari.
E la speranza che esistesse ora una sorta di
legame tra lei e quell’uomo inafferrabile come fumo era inebriante.
“Allora?! È grave? Devo iniziare a bruciare i
registri?” chiese Rose assumendo un’espressione seria e determinata.
Lucy scosse la testa e piegò in due il foglio
di carta, la consistenza spessa e il colore leggermente giallo ne denotavano la
pregiata fattura.
“Va tutto bene, Rosie. Abbiamo ricevuto un
omaggio da parte di Benjamin Allucemonco.” Disse col miglior tono indifferente
che le riuscì dopo aver letto quelle poche righe.
Gli occhi di Rose, grandi e di un azzurro
intenso, si ridussero a due fessure e un’espressione sospettosa si fece strada
sul suo viso.
“Quell’uomo si sta rovinando a furia di
regalarvi bocce di alcool.” Mormorò la ragazza incrociando le braccia sotto il
seno.
“Non so che dirti.” Ribatté Lucy scrollando le
spalle.
“Un uomo del genere non butterebbe via
centinaia di galeoni solo per omaggio!
Avanti Lucy sputa il rospo.” Disse Rose alzandosi dal bracciolo e incombendo su
di lei, con la tipica postura da donna Weasley minacciosa.
“Rose, non so di che cosa tu stia parlando.”
“Oh sì che lo sai. Che cosa ti ha chiesto in
cambio Lucy?” domandò la cugina più piccola con le mani serrate sui fianchi
saldamente.
“Niente!” si difese Lucy con tono più acceso di
quello che avrebbe voluto usare, ma quell’interrogatorio stava provando i suoi
nervi.
“Ti ha chiesto informazioni sulla famiglia?”
incalzò ancora Rose sempre con aria determinata.
“No.” Rispose con tono annoiato l’altra.
“Voleva dei veleni illegali?”
Un sopracciglio di Lucy scattò in alto e la
ragazza non rispose nemmeno.
“Ti ha… Ti ha fatto delle avance sessuali?”
Magari. Urlò a squarciagola quella
parte di Lucy che la notte sognava del bel criminale, tuttavia la ragazza
mantenne il proprio controllo e scosse la testa con calma.
“No, Rose. Niente del genere. Ora se hai finito
l’interrogatorio, vorrei andare a fumarmi una sigaretta, visto che in questa
maledetta stanza è consentito far girare le cagne ma non si può fumare.” Lucy
alzò volutamente il volume della propria voce per essere sicura che Celia
Danes, che stava passando loro accanto in quel momento, recepisse ogni sillaba,
visto che l’insulto era chiaramente rivolto a lei.
La ragazza in questione si fermò all’istante e
con lei tutta la schiera di dame che le stavano al seguito. Qualche ragazza
della sua corte fissava Lucy sconcertata e qualche altra bisbigliava con la
compagna accanto. Celia si voltò con lentezza verso di loro e un sorriso
amabile, ma gelido come l’inverno, si aprì su quel volto delizioso.
Lucy a malincuore doveva ammettere che fosse
una bellezza rara, con i grandi occhi da cerbiatta e la pelle rosea, un corpo
perfetto e perfettamente curato in ogni sua propaggine.
La Weasley si infilò una sigaretta in bocca e
con uno sguardo particolarmente strafottente rivolto a Celia uscì dalla Sala
Comune, col suo passo elastico e un po’ aggressivo.
Rose si ritrovò improvvisamente come unico
oggetto di analisi dell’intera corte della Regina di Cuori.
“Soffre di sindrome premestruale cronica.”
Disse stringendosi nelle spalle e accennando a un sorriso.
“Se al mondo non esistessero persone come tua
cugina, Rose, non si potrebbero apprezzare appieno le splendide creature come
te.” Cinguettò Celia allargando il sorriso e osservandola come una madre
amorevole.
Nella mente di Rose balenò istantaneamente
l’immagine di Angie che si cacciava due dita in bocca e mimava un conato di
vomito.
“Già. Beh, ciao.” Riuscì a rispondere senza
scoppiare a ridere
“Ciao Rose.” Salutò Celia e riprese la sua
marcia trionfale verso i dormitori.
Rose non fece in tempo a dileguarsi dal campo
minato che era la Sala Comune dei Grifondoro che una piccola figura le si
accostò.
“Che voleva quella piattola?” domandò
bruscamente Lily lanciando un’occhiata di fuoco nella direzione della Danes.
“Niente Lils, voleva come sempre attrarre
qualcuno di noi nella sua rete.” Rispose Rose.
La più piccola dei Potter se ne andò
borbottando e lanciando improperi contro la Regina.
Rose si sedette sulla poltrona che aveva occupato
prima la cugina.
Se il suo sesto senso non l’aveva ingannata,
aveva appena assistito allo spettacolo di Lucy Catherine Weasley che mentiva
spudoratamente.
E lei sarebbe andata in fondo a quella storia.
***
La parte più difficile era riemergere. Martha
lo sapeva da quando a undici anni aveva avuto il primo attacco.
Più intenso e violento era, più lungo e
faticoso sarebbe stato il risveglio dei sensi.
Di solito si ritrovava in una fase di
semi-coscienza che aveva molto in comune col dormiveglia, era in grado di
pensare ad alcune cose, ma queste le sfuggivano troppo velocemente per poter
essere realizzate appieno. Rivedeva flash dei suoi ricordi infantili, il
sorriso spensierato di Elena, le lentiggini sul naso di Angie, una chioma scura
e scarmigliata illuminata dal sole, sentiva il profumo di sua nonna, udiva la
voce di suo padre, ma tutto era vago e leggero.
Poi doveva iniziare a lottare contro
l’intorpidimento delle membra e della mente, doveva ricominciare a connettere i
pensieri e a ristabilire i contatti sensoriali, perché ormai era ora di tornare
al mondo.
“Non l’ho mai vista così pallida… Aveva le
labbra blu quando l’hanno portata qui.” La voce di Elena la raggiunse quasi
come un suono vago.
“Sta dormendo da troppe ore, forse bisogna
chiamare Madama Chips e farle dare un’occhiata.” Berty sussurrò piano ma ormai
le orecchie di Martha stavano finalmente ritornando a funzionare.
“I Guaritori se ne sono andati un’ora fa e
hanno detto che è tutto a posto. Sta solo riposando.” Delle dita tiepide le
sfiorarono la fronte per rimetterle a posto una ciocca.
Albus.
Bastò quel pensiero per farla riemergere
finalmente dalla sua prolungata apnea.
Il primo tentativo di aprire gli occhi fu
pessimo, dopo uno sfarfalleggiare ripetuto le sue palpebre si serrarono ancora.
Poi ci provò con più decisione e finalmente riuscì a schiuderle.
“Che dite, se vado a prendere un po’ di
cheese-cake per quando si sveglia, Madama Chips mi sgrida?” domandò Elena
guardando fisso Berty come per riceverne l’approvazione.
“Secondo me non è una grande idea Nana.”
Rispose Albus sorridendo.
“Ma guarda quel brodino! È così depressivo che
dovrebbero vietarlo ai malati, ti toglie ogni voglia di vivere.” Protestò la
ragazza indicando la ciotola sul comodino accanto al letto e così facendo si
accorse che Martha era sveglia.
“Mi piace l’idea della cheese-cake!” provò a
dire ma dalla sua gola uscì un sussurro roco e mezzo incomprensibile, così
mentre Elena si fiondava praticamente a pesce sul suo letto si schiarì la voce.
“Credevamo che ci fossi rimasta secca! Stavo
già per chiedere a Berty se nel caso fossi morta mi avrebbe passato il tema di Storia della Magia!”
esclamò Elena abbracciandola.
Martha rise e si guardò attorno in cerca
dell’altra figura che di solito si precipitava al suo capezzale.
Angelique sedeva in disparte, con il mento
appoggiato sulle nocche della mano chiusa a pugno, e la stava osservando con
uno sguardo strano.
Martha non ebbe modo di capire che cosa ci
fosse che non andava perché Berty, Albus e inaspettatamente anche Scorpius si
fecero avanti e iniziarono a parlare con lei.
“L’hai rischiata grossa Prefetto O’Quinn! Hanno
dovuto chiamare dei Medimaghi dal San Mungo perché la Blackthorn da sola non
riusciva a rimetterti in sesto.” Esclamò Berty sorridendole con calore, ma infondo
agli occhi castani Martha lesse la preoccupazione ancora accesa.
“Oh sì, dovevi vedere come ti spupazzavano! A
un certo punto ti hanno pure tolto la divisa davanti a tutti…” disse Elena.
Martha spalancò gli occhi esterrefatta e sentì
una vampata di calore salirle dal collo fino alle guance. Non era possibile!
Non davanti a tutti, non davanti ad Albus!
“Oddio, dovresti vedere la tua faccia ora!”
berciò Nana e poi seguì una risata ululato.
“Non preoccuparti, non è affatto vero.” La
rincuorò immediatamente Scorpius rivolgendole un sorriso gentile.
Il peso dell’imbarazzo mortale provato fino a
quel momento le scivolò velocemente di dosso e si concesse una risata anche
lei, trascinata da quella irrefrenabile di Nana.
Non aveva ancora sentito la voce di Angie che
continuava a starsene seduta da sola e a fissarla, in preda a pensieri gravi
che le oscuravano il viso.
Quando le risate di Elena si furono esaurite
Martha si schiarì la voce e si rivolse all’amica sorridendo:
“Angie va tutto bene?”
La bionda rimase immobile ancora per qualche
istante senza smettere di osservarla. Poi si alzò con un movimento rapido e le
si avvicinò.
Gli occhi verdi erano stranamente duri, come
pietre taglienti che la sezionavano e analizzavano in modo freddo, distaccato.
“Avevi intenzione di dirci prima o poi che sei
una veggente?”
Nel silenzio attonito e carico di tensione che
seguì alle parole Angelique, Martha, per un istante, desiderò di non essere
riemersa dalle profondità del suo inconscio.
Era venuto il momento di dire la verità.
Note
dell’Autrice:
Ecco qui il capitolo! Avrei tanto voluto
pubblicarlo ieri sera, ma ho avuto qualche complicazione logistica. Comunque,
spero che vi sia piaciuto.
Allora questa bomba che vi ho sganciato la sto
preparando esattamente dal cap. 18 della storia precedente, quello in cui
Martha ha il primo attacco che sembra di epilessia… So che per questa
interruzione prima delle spiegazioni, che arriveranno col prossimo capitolo,
desiderereste la mia testa su un piatto d’argento, ma purtroppo c’era già
troppe cose.
Comunque la strada di briciole di pane
prevedeva questa prima fermata, (spero che ora riusciate a cogliere alcuni
dettagli che avevo inserito nei capitoli precedenti), ma non si ferma di certo.
Prevedo una trama da mal di testa!
I gusti poetici di James sono, ehm, palesemente
i miei! Escludendo che non potevo infilarci anche tutti i poeti italiani che
amo e che sono, a mio immodestissimo avviso, insuperabili.
Vorrei porre i miei ringraziamenti più sentiti alle seguenti splendide persone: FleurDa, Roxy_HP, chuxie, dreamcatcher05,
cassidri e Ayumi Edogawa. Che hanno commentato lo scorso capitolo, siete
semplicemente meravigliose.
Vorrei ringraziare inoltre te, Marghe, perché
semplicemente esisti e sei fatta tutta a modo tuo, uno splendido modo tutto
tuo.
Tantissimi baci a tutti quanti.
Bluelectra.
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Capitolo 10 *** Cap.10 I Baci Rubati ***
Cap.10
A Juls,
per le parole
bellissime e i pensieri che ci siamo scambiate.
Anche tu sei uno dei miei frammenti.
A.
Cap.10 I Baci Rubati
Un bacio legittimo non vale mai un
bacio rubato.
Guy de Maupassant
e c’era una cosa che non sopportava era il rumore.
Quell’assordante marasma di suoni confusi e cozzanti
tra di loro le feriva i timpani come coltellate poderose dritte alla sua
sensibilità musicale.
Lei che amava Beethoven e
la magnificenza delle sinfonie, delle sonate e dei concerti, la musica che le
vibrava fin dentro l’anima, era costretta ad ascoltare la sua famiglia urlare come oche spennate vive.
Sembrava un ritrovo
annuale di ex Grifondoro o peggio la loro Sala Comune il venerdì sera.
Intollerabile.
Elena continuava a
passarsi le mani tra i capelli, facendo somigliare il suo caschetto lilla ad
una balla di fieno passata sotto gli artigli di un bambino daltonico. Albus
agitava le mani a destra e a manca come un venditore ambulante che cerchi
disperatamente di fare cassetta a fine giornata. Scorpius continuava a infilare
domande dalla precisione chirurgica senza scoraggiarsi minimamente delle
mancate risposte da parte dell’interessata. Berty cercava di far ragionare
Elena e poi ogni tanto si rivolgeva a uno dei presenti chiedendo di abbassare i
toni.
Ma ciò stava seriamente
facendo perdere la misura ad Angelique del suo autocontrollo stoico, era che
tutti quanti stavano urlando.
E Martha non rispondeva a
nessuno.
Si limitava a stringere
convulsamente il lenzuolo tra le dita affusolate e bianche, col capo chino e i
riccioli rossi a coprirle il volto come un velo, sommersa e sconfitta da tutto
quel rumore ricco di accuse, recriminazioni, domande...
“Adesso basta!” urlò a
sua volta Angie sbattendo un palmo sul comodino accanto al letto di Martha e
causando un baccano in grado di superare quello degli amici.
Il piccolo gruppo di
Serpeverde si zittì immediatamente, col risultato di lasciare sospesa la stanza
in un terribile silenzio.
Martha sollevò il volto
finalmente e iniziò a osservare di sfuggita i presenti come se un’occhiata troppo
approfondita fosse fuori dalla sua sopportazione.
“Che cosa significa che
sei una veggente?” chiese Albus per primo osservando la O’Quinn con ansia.
“Cioè mi avresti potuto
dire in anticipo tutte le volte che c’era il budino a cena e non lo hai fatto?”
sbottò Elena quasi strappandosi la frangetta dalla cute.
Angie si voltò lentamente
verso Elena e assottigliò gli occhi cercando di capire se fosse seria. A
giudicare dal diametro della pupilla e dall’espressione sconvolta, sì era
deplorevolmente seria.
“Io…” fu l’unica cosa che
uscì dalle labbra rosee della sua amica e poi quella deglutì interrompendosi.
“Quindi sei una di quelle
sporadiche o hai delle visione puntuali?” chiese Scorpius incrociandosi le
braccia al petto.
“Ma insomma per quattro
anni tu mi avresti potuto dire le domande dei compiti in classe e non lo hai
fatto?! Sai che faccio schifo in Pozioni! E in Storia della Magia! E in
Astronomia! E…”
“Elena, non credo che
siano cose importanti ora...” intervenne Berty.
Stavano per ricominciare,
Angie lo capiva dalla crescente tensione che si stava accumulando nelle loro
parole e lei non li sopportava più!
Martha si voltò verso di
lei e i loro sguardi si incrociarono.
I grandi occhi color
cioccolato, caldi e sorridenti di solito, la stavano osservando in preda
all’agitazione, in una muta preghiera di soccorso. Ed ecco nascere una delle
solite conversazioni silenti che tra di loro riuscivano perfettamente, grazie
alla loro abitudine di capire e non parlare, di sentire e non esprimere.
“Tutti fuori.” Disse
allora semplicemente, senza che la sua voce suonasse dura o sgarbata, ma come
una mera constatazione.
“Eh?!” fu la risposta
generale.
“State agitando Martha e
lei ha bisogno di riposare.” Disse Angie con tranquillità e osservò i suoi
amici, senza soffermarsi su Scorpius ovviamente, altrimenti la sua apparente
calma sarebbe andata in frantumi.
“Ma col cavolo che me ne
vado! Io voglio sapere cos’è questa storia!!!” sbraitò Elena guardandola
furiosa.
“Elena tu sei quella che
in questo momento è la più inadatta a comunicare con calma.” Ribatté Angelique
incrociando le braccia sotto il seno.
“Ma chi ti credi di
essere Angie?! Non hai alcun diritto di dire a noi che cosa fare e parlarci con
quel tono! Pensi di essere tanto meglio di tutti, vero?! Beh notizia lampo, non
lo sei! Combini tanti e tali macelli, che dovresti solo imparare ad essere un
po’ più umile!” le urlò in faccia Elena puntandole un dito contro.
Angelique incassò
malamente il colpo, ma non si scompose. Quelle parole, pronunciate in un impeto
di rabbia e di confusione, bruciavano come sale sul un taglio aperto. Perché la
ragazza, essendo onesta con sé stessa, sapeva che erano vere, anche se per
quella volta non era stata la sua presunzione o la sua mania di controllo a
farla parlare, ma la semplice volontà di aiutare Martha. E così si limitò a
osservare Elena senza aggiungere altro. Se avesse parlato avrebbe causato ancor
più danni e non ne aveva alcuna intenzione.
“Vorrei che usciste, per
favore.” Mormorò all’improvviso Martha spezzando il silenzio seguito alle
parole di Elena.
Fu un poco di un
sussurro, ma la gentilezza e il tono sommesso con cui venne pronunciato,
bastarono a smuovere i presenti.
Scorpius fu il primo a
incamminarsi verso l’uscita, lanciando un’occhiata penetrante ad Angelique.
Albus tentennò qualche secondo ma poi anche lui si arrese e si dileguò.
Elena invece stava
piantata con le mani sul bordo della brandina di Martha e la fissava con un
misto di emozioni. Sorpresa, ostinazione e delusione.
“Perché?” chiese con tono
deciso piantando i suoi grandi verdi feriti in quelli dell’altra.
Martha sospirò
pesantemente e poi si decise a parlare con tono esasperato:
“Perché non riesci ad ascoltarmi…
mai!”
Elena fece un passo
indietro come se quella rivelazione l’avesse destabilizzata. Gli occhi verde
scuro screziati di marrone fissarono prima Martha e poi Angelique, confusi e
spiazzati, come se avesse perso il proprio orientamento.
Poi una mano si chiuse
con gentilezza sul polso di Elena.
“Vieni con me, Ele.” La
voce pacata di Berty ebbe il potere di risvegliare la ragazza che si lasciò
condurre da quel tocco delicato e sparì dalla loro vista.
Quando udì i cardini
cigolare e la porta chiudersi lasciandole finalmente da sole, Angie crollò
sulla seggiola accanto al letto e si coprì il volto con le mani.
“Grazie.” Mormorò Martha.
Angie annuì piano e si
massaggiò le palpebre coi polpastrelli. Nella testa le vorticavano le parole
accusatorie di Elena e quelle rauche e mistiche di Martha, immagini confuse
degli occhi ambrati di Jessy che la fissavano sgomenti, la strana visione delle
labbra di Derek che le sorridevano, le espressioni scontrose di Scorpius… Era
un moto perpetuo e instabile di sensazioni, che la confondevano. Le girava a
tal punto la testa che le veniva da vomitare.
Magari le girava anche
perché aveva ingerito un mezzo panino a colazione e poi più nulla, prima per
l’ansia di cercare Elena e poi per il terrore dopo la profezia.
“Non so da dove
iniziare…” disse Martha e Angie si sforzò di aprire gli occhi per fissare
l’amica.
“A questo punto direi che
forse è meglio incominciare dall’inizio.” Sussurrò la bionda appoggiando i
gomiti sulle ginocchia e posando il mento sulle mani incrociate.
Martha annuì lentamente e
prese un profondo respiro.
“Non lo hanno capito
subito, i Medimaghi intendo. Però già dal primo attacco erano convinti che non
fosse epilessia, c’erano delle tracce strane, imputabili alla magia…”
“Tracce?” interruppe
Angie aggrottando la fronte.
Martha sorrise e le rivolse
un’occhiata affettuosa, Angie sorrise di rimando iniziando a togliere le
pellicine dal labbro inferiore. Era più forte di lei, interrompeva le persone
quando era nervosa senza nemmeno farci caso.
“Ci sto arrivando Angie.
All’inizio pensavano che fosse una qualche malattia, che scaturiva dal mio
essere strega. Nessuno aveva una cura o una soluzione perché non capivano che
cosa fosse. Poi un giorno un attacco più forte degli altri ha sbloccato la
situazione.” La rossa si interruppe e volse lo sguardo verso le ampie finestre.
Il sole al tramonto
illuminava di striature rosate e arancioni il cielo sopra il parco e i
riverberi di colori caldi facevano somigliare la chioma di Martha a una colata
di fuoco. Il rosso era esaltato ancor di più dal pallore spettrale della pelle.
“Eravamo al secondo anno,
era una lezione di Incantesimi. Tu sedevi accanto a Scorpius e stavi prendendo
appunti, lui ti guardava sottecchi e giocherellava con un tuo riccio. Poi tu ti
sei voltata e gli hai sorriso. E a quel punto è diventato tutto nero, la pelle
ha iniziato a bruciare come se i muscoli stessero prendendo fuoco… Quando
pensavo che sarei impazzita per il dolore ho visto… Te e lui, adulti e
cresciuti, completamente diversi da allora. È durato pochissimo e poi è tornato
il buio.”
“Quando mi sono svegliata
l’ho raccontato alla Blackthorn. Lei ha chiamato subito alcuni Medimaghi, i
suoi ex colleghi e hanno parlato per ore, dei sintomi degli attacchi e di
quella visione. Erano molto dubbiosi ma alla fine hanno concordato che si tratta
di una forma particolare di Veggenza. Di solito le veggenti o non ricordano
quello che vedono o hanno una chiara percezione dei loro poteri… Io sono in un
limbo, non sono né una né l’altra. Ed è estremamente pericoloso.”
Martha respirò a fondo e
stropicciò un po’ il lenzuolo candido come le sue dita.
“Sono dei flussi
improvvisi di magia. Scaturiscono da una qualsiasi cosa che vedo, che sento,
che mangio e mi bruciano dentro fino alle ossa. Oggi sono stata fortunata… Le
visioni che ho in quei momenti sono talmente intense che prosciugano le mie
energie fino ad un punto di non ritorno. Arrivare in fondo ad una equivale a
giocare a dadi con la morte. Per questo la Blackthor cerca di bloccarle prima
che si realizzino appieno e per questo che anche io sto imparando a controllare
i flussi minori, più leggeri.”
“Come ci riesci?”
Martha fece un mezzo
sorriso prima di rispondere.
“Occlumanzia. Mi difendo
da me stessa sostanzialmente, per evitare che le visioni mi ammazzino.”
“Perché non l’hai mai
detto a nessuno? Come hai fatto a reggere questo peso da sola?” mormorò l’altra
fissandosi i piedi.
“Non volevo aggiungere
altre preoccupazioni. Non volevo che doveste angosciarvi anche per questo.”
Angie si coprì il volto
con entrambe le mani e scosse la testa.
Non era possibile.
Non voleva crederci.
La ragazza dai ricci
ramati ingarbugliati che le aveva parlato per prima al tavolo di Serpeverde, la
giovane donna dall’animo generoso e gentile, dall’intelligenza umile, dalla
grazia innata, la sua amica viveva ogni giorno con la consapevolezza che la sua
vita era appesa ad un filo.
La testa ricominciò a
girare prepotentemente e un conato le chiuse lo stomaco in una morsa. Angelique
si appoggiò allo schienale e provò a respirare a fondo, senza grandi risultati.
Aprì gli occhi ma non vide nulla, sbatté ripetutamente le palpebre ma il nero
davanti a lei sembrava indissolubile. Sarebbe svenuta di sicuro.
Il respiro si fece più
accelerato e gli occhi si richiusero spontaneamente.
Sentì un fruscio di
tessuto, dei suoni attutiti e poi un paio di mani fresche e delicate sul suo
viso.
Le pettinarono indietro i
capelli, fermandoli dietro le spalle, poi le accarezzarono la fronte e una
guancia.
“Bevi Angie.” Il sussurro
lieve raggiunse la zona remota del suo cervello che ancora riusciva a recepire
messaggi dall’esterno.
Le sue labbra vennero a
contatto con qualcosa di freddo e duro, il bordo di un bicchiere probabilmente.
Angie bevve lentamente, lasciando che l’acqua fresca le irrorasse la gola
bollente e riarsa.
Dopo qualche istante si
sentì meglio e provò a riaprire gli occhi. Questa volta vide Martha china su di
lei, le labbra perfette inclinate in un sorriso lieve, gli occhi dolci e
profondi che la scrutavano e quei ricci rossi spostati sulla spalla destra, che
rilucevano nei colori del crepuscolo.
Rossi come l’animo della
sua amica e il suo colore preferito, tanto rossi da sembrare violenti su quella
pelle candida.
Rossi come il sangue che
la teneva in vita e che rischiava di ucciderla, il sangue delle veggenti.
Angelique allungò le
braccia e le cinse i fianchi, avvolgendola in un abbraccio stretto e pieno di
bisogno. Martha rispose passando un braccio sulle spalle e accarezzandole il
capo.
Era strano per loro,
entrambe poco inclini ai contatti fisici non necessari, entrambe dedite
all’apparire agli estranei controllate fino a sembrare fredde. Non erano Elena,
non riuscivano quasi mai a esprimersi liberamente, per questo molto spesso si
capivano senza una parola. Eppure per Angelique quei secondi passati col naso
infossato nel camice verdastro di Martha furono il conforto migliore del mondo.
Lei c’era, era viva, il
suo cuore pulsava e non l’avrebbe lasciata andare.
Si separarono dopo poco e
Angelique non poté far a meno di lasciare che la sua curiosità avesse la
meglio.
“Prima hai parlato.”
Mormorò fissando il volto dell’amica.
Martha aggrottò la fronte
e la guardò perplessa.
“Come dici?” chiese
imbronciando leggermente le labbra.
“Alla fine dell’attacco
tu hai parlato. Hai detto delle cose strane… Che cosa hai visto Martha?” chiese
Angie alzandosi in piedi e sedendosi accanto all’altra sul bordo del letto.
Il corpo di Martha si
tese come una corda di violino, ma la ragazza sembrò parlare con tono normale.
“Ho avuto immagini
confuse. Appena cercavo di focalizzarle cambiavano…”
Angie riprese a giocare
con il labbro inferiore. Era convinta che Martha non le stesse dicendo tutto,
ma forse, si disse la ragazza, aveva visto cose di cui avrebbe preferito non
parlare con lei.
C’era però l’ombra di
quella profezia che le pesava sul cuore e che la tormentava ancora.
Senza un apparente
motivo, Martha prese a canticchiare un motivo che Angie conosceva a memoria… Lo
aveva sentito per anni, come tutte le altre canzoni di quell’artista che
cantava di amori fuori dagli schemi, travagliati, tragici, di vite al limite e
di trasgressività celata dietro un bel viso. Erano canzoni così distanti da
tutto ciò che Martha rappresentava che quasi non si comprendeva come potessero
piacerle.
Lana del Rey riusciva a
invadere la loro relazione anche in un frangente tanto delicato, pazzesco!
Però, si trovò ad
ammettere Angie mentre un sorriso le spuntava sul viso, aveva sempre il suo
fascino non c’era che dire. Dopo pochi secondi anche lei si unì a quel ritmo,
canticchiando a mezza voce.
“Will you still love me,
when I’m no longer young and beautiful?” intonò Martha con la voce limpida.
“Will you still love me,
when I’ve got nothing but my aching soul?” domandò di rimando la bionda citando
il testo e sorridendo per quel buffo scambio di battute.
Martha smise di cantare e
la osservò attentamente.
“Nessun dubbio al
riguardo.” Le rispose sorridendo apertamente per la prima volta in quella
giornata di confessioni e preoccupazioni.
“Non vedo come possa
realizzarsi la possibilità che tu non sia più così indisponentemente bella come
ora. Quindi non si pone il problema.” Sbottò Angie scendendo con un balzo dal
letto dell’amica e osservandola con un sorriso sornione.
Era finito il momento
degli animi aperti, erano tornate loro. La mamma e il papà di quella strana famiglia,
composte, rigide perfino, con il cuore volto a relazioni sbagliate, ma unite.
“Quanto mi hanno dato
stavolta?” chiese Martha facendo dondolare le gambe sottili fuori dal letto.
“Madama Chips ha detto
che fino a domenica non ti puoi muovere.”
“Ma siamo a martedì!!!
Non posso perdere una settimana di scuola! E gli appunti?!” esclamò Martha
sbarrando gli occhi terrorizzata.
“Non mi sembrava molto
disponibile a negoziare. Per gli appunti non preoccuparti, te li passo io.”
Rispose Angie scrollando le spalle.
“Ehm…” Martha deglutì
rumorosamente e si morse il labbro inferiore.
Angie sbuffò e agitò una
mano in aria.
“Tranquilla, quelli di
Trasfigurazione li chiedo a Rose!”
“Grazie mille, mi stai
salvando la vita!”
“Sì, hai ragione.
Ricordatene la prossima volta che Elena porta in camera qualcosa di letale e
occupatene tu per prima.” Ribatté Angelique inarcando un sopracciglio, memore
dell’aggressione da parte dei kappa nel loro bagno.
“Aspetta un attimo! Sabato
c’è la prima partita di campionato?!” esclamò Martha sgranando un’altra volta
gli occhi e guardandola dispiaciuta.
“Sì. Temo che non potrai
vedere il tuo bello arrossato dalla fatica della partita, con i bicipiti tesi e
il respiro affannoso.”
“Ma Owen non gioca a
Quidditch!”
“Io non parlavo di Owen
infatti.” Ghignò compiaciuta Angie prima di voltarsi e andarsene.
Beccata.
Martha la osservò camminare
con sguardo truce rivolto alle sue spalle, anche se dopo poco altri pensieri
adombrarono la sua espressione.
Aveva mentito ancora.
Ricordava perfettamente
ciò che aveva visto in quel corridoio dell’Ala Est. Come avrebbe potuto
dimenticare le immagini che le si erano impresse nella memoria come marchi a
fuoco?!
Ricordava anche che la
visione era iniziata quando Angie e Potter si erano sfiorati la mano
guardandosi negli occhi.
Un brivido di freddo le
percorse le braccia e la schiena, costringendola a rimettersi sotto le coperte
della sua brandina.
Aveva mentito ad Angie,
sì, ma solo per proteggerla da ciò che quelle visioni portavano con sé.
Dolore,
sangue, oscurità…
Martha si passò una mano
sulla fronte e si impose di respirare con calma. Tra poco sarebbero entrati di
sicuro anche tutti gli altri e lei avrebbe dovuto spiegare quei tre anni di
silenzio e bugie sulla sua condizione.
E per quanto strano
potesse sembrare, Angie a volte era la più comprensiva del gruppo, quindi le
sarebbe toccato reggere le recriminazioni e le domande di tutti gli altri.
Martha chiuse gli occhi
ed esercitò le abilità che stava sviluppando nell’Occlumanzia, escludendo i
pensieri che la tormentavano e che la consumavo al pari della sua veggenza.
***
La vide uscire dall’infermeria con la divisa
stropicciata e i capelli biondi disordinati a coronarle il capo come una
piccola criniera.
Si appoggiò alla porta per qualche secondo, chiudendo
gli occhi e mordendosi il labbro inferiore con tanta forza che avrebbe potuto
tranquillamente sanguinare. Quel povero labbro ne subiva di tutti i colori, dai
morsi all’escoriazione forzata delle dita della sua padrona.
Quel labbro carnoso… A lui faceva venire voglia di
morderlo, accarezzarlo, baciarlo, leccarlo…
Come al solito l’infestante gruppo di rampicanti
Serpeverde si avvicinarono immediatamente ad Angelique, la quale liberò il
passaggio senza parlare con nessuno, ma anzi allontanandosi a grandi passi. Non
si voltò nemmeno quando suo fratello la chiamò.
Il viso delicato aveva un’espressione assente, gli
occhi verdi dal taglio leggermente a mandorla erano sbarrati e vitrei.
“Gigì?” la chiamò quando gli passò davanti senza
nemmeno notarlo.
Angelique sobbalzò e si voltò nella sua direzione
evidentemente sorpresa di trovarlo vicino.
“Ciao Jessy.” Mormorò osservandolo con ancora alcune
tracce dell’espressione precedente.
“Ti ha detto qualcosa di quello che abbiamo… sentito?”
le chiese abbassando abbastanza la voce perché Malfoy, che ancora non si
decideva ad entrare in quella maledetta infermeria, non potesse sentire.
Gigì scosse il capo facendo danzare alcuni boccoli
lunghi.
“Dice di aver avuto una visione confusa.”
“Le credi?” domandò ancora James incrociando le
braccia e respirando profondamente. Così facendo una ventata di profumo gli
invase i polmoni in un misto inebriante di lavanda e fiori dalla fragranza
fresca, leggera ma allo stesso tempo indelebile.
Il suo profumo era impresso nella memoria sensoriale
come un dato fondamentale, gli causava risvegli bruschi nel cuore della notte
con la carne in fiamme per il desiderio e l’impossibilità di averla, gli
invadeva la mente rendendogli difficile ragionare.
Era come l’odore promettente della primavera, che
germogliava sotto la pelle e torturava ogni fibra con la sua promessa di fiori,
sole e bellezza. Come lei.
Angelique inarcò un sopracciglio e gli rispose con
tono velatamente sarcastico:
“No Jessy, so capire quando qualcuno mi rifila una
panzana. Ma se lei non ha voluto dirmelo significa che è qualcosa che non mi
riguarda.”
James si lasciò sfuggire un sorriso a mezza bocca per
quella risposta e annuì comprensivo. Di certo le visioni profetiche della
O’Quinn non lo interessavano tanto da indagare oltre, però la sua famiglia
aveva uno strano rapporto con le profezie e quel genere di magie che vi si
legavano, quindi una piccola parte di lui ancora fremeva per sapere la verità.
“Devo andare Jessy.” Annunciò la ragazza davanti a
lui.
“Probabilmente troverete la pluffa un po’ mal ridotta.
Fred ha fatto un paio di parate diciamo… violente, questo pomeriggio.” La
avvisò con il tono più cortese che riuscì a tirare fuori.
Angelique aggrottò la fronte e strinse le labbra.
“Come fai…”
“A sapere che andate ad allenarvi ogni sera da una
settimana a questa parte?! Bah Gigì, diciamo che una certa mappa mi ha aiutato nelle mie intuizioni.” Mormorò socchiudendo gli
occhi e avvicinandosi a lei.
Gigì gli sorrise con quella sua peculiare espressione
fredda e indolente.
“Se trovo qualcuno dei tuoi amichetti a spiarci sulle
tribune, gli farò rimpiangere il giorno in cui ha scoperto di essere stato
ammesso in questa scuola.” Gli sibilò mantenendo il contatto visivo.
Poi si voltò e se ne andò, senza salutarlo ma non se
ne stupì. Non salutava mai. Nemmeno i suoi amici, era ontologicamente
indisposta verso i saluti!
James la osservò andarsene con passo da generale e,
mentre si focalizzava sui ricci dorati che le coprivano le spalle, gli venne in
mente, come spesso accadeva quando lei era nelle vicinanze, Keats.
In particolare i versi dedicati alla sua Bright Star che parlavano del desiderio
di rimanere saldi nell’amore e nei desideri verso la propria amata, ma non in
un’eterna staticità e solitudine come accadeva invece alle stelle. L’obiettivo
celeste che guidava verso l’amore terreno.
Per lui Angelique era entrambe le cose. Un fulgido
astro, che illuminava e orientava il suo cammino, ma che gli restava estraneo e
distante galassie intere, immobile nei suoi giudizi e nelle sue convinzioni. E
una ragazza reale, che aveva fatto germogliare quel sentimento, dapprima
ignorato, che poi si era preso il suo cuore. Lei era una sfida e un duello
costante, un’entità all’apparenza gelida e irraggiungibile, ma che bruciava dentro
di un fuoco incandescente.
E lui lo percepiva quel calore, sotto la sua pelle, in
mezzo al petto, nella mente.
Lei era la sua guerra, la sua pace, le sue vittorie e
le sue sconfitte. Il suo infantilismo e la sua maturità. Semplicemente il suo
tormento.
***
Aveva bisogno di vederlo.
Sentiva l’impulso incontrollabile di gettarsi a
capofitto nelle sue braccia e obnubilare ogni senso col suo odore, quel
miscuglio che le creava una vera e propria dipendenza.
Non le importava nulla che fosse poco prima di cena e
che quindi metà scolaresca sarebbe stata in quel luogo pronta a osservare ogni
indiscrezione. O che doveva presentarsi entro un quarto d’ora al campo da
Quidditch. O che avrebbe dovuto stare lontana da lui nelle ore diurne.
Varcò la soglia della biblioteca con passo di marcia e
si diresse ai tavoli di studio. Per un qualche caso fortuito c’erano pochissime
persone ancora chine sui libri e lui era tra quelli.
Ovviamente.
Doveva mantenere una media impeccabile per non
incorrere nella disapprovazione del padre, quindi passava la gran parte dei
suoi pomeriggi a studiare.
Individuò immediatamente il capo biondo pieno di
riflessi bronzei e castani che danzavano nella luce delle torce, le sembrò così
irreale vederlo finalmente che le sfuggì un lieve sospiro.
Derek alzò immediatamente lo sguardo e, non appena
l’ebbe riconosciuta a qualche metro di distanza, sbarrò gli occhi neri in preda
allo stupore.
Poi con un movimento discreto si guardò attorno
attentamente, per vedere qualcuno li stesse osservando.
Per quel gesto ad Angelique venne voglia di urlare, di
pestare i piedi, di pestare lui… Dopo quello che aveva sentito da Martha le
sembrava così sciocco doversi ancora nascondere, dover stare attenti persino a
incrociare i propri sguardi in pubblico. Era così privo di senso che non
riusciva proprio a comprenderlo.
Derek si alzò con un gesto misurato e facendole un
cenno del capo le indicò il corridoio che stava alle sue spalle. Angie aspettò
qualche secondo vedendolo sparire oltre lo scaffale alto e imponente e poi si
fiondò alla sua ricerca.
Lo seguì attraverso i corridoi deserti, pieni solo di
libri dimenticati, osservò le spalle dritte e le mani nascoste nelle tasche dei
calzoni, in quella posa tanto caratteristica di lui.
Raggiunsero un reparto estremamente isolato e
finalmente Derek si voltò verso di lei appoggiandosi con la schiena alla
libreria dietro di lui.
Quello sguardo che la osservava leggermente sorpreso,
ma sereno e felice di averla davanti, fu come uno scroscio di acqua fresca
sulle sue ferite recenti. Il sorriso che si aprì su quelle labbra cesellate
come quelle di un profilo greco fu il balsamo che la fece tornare a respirare.
Avrebbe voluto spiegargli perché lo avesse raggiunto
in un luogo tanto scomodo e senza preavviso, ma l’unica cosa a cui riusciva a
pensare da minuti, incessantemente, era baciarlo e affogare sulla sua bocca senza
speranza di riemergere.
Così semplicemente lo fece.
Posò le proprie labbra su quelle di Derek con tutta
l’urgenza che sentiva serpeggiare nel petto; non appena sentì che si
dischiudevano per lei accarezzò il labbro inferiore con la lingua, prima di
inserirla in quella dolce cavità che aveva il sapore dell’oblio. Derek rispose
immediatamente al suo invito e la trasse a sé con un braccio.
La forza con cui aderì maggiormente al suo petto le
strappò un gemito soffocato di soddisfazione.
Una mano di Angie si intrecciò spontaneamente ai
capelli mossi del ragazzo e l’altra dalla spalla scese lungo il fianco in una
lenta carezza.
Sentiva la necessità impellente di avvertire la pelle
di Derek, di sentire il calore confortante del suo corpo, mentre le loro lingue
si intrecciavano e si scioglievano, intervallate dai morsi appena accennati
sulle labbra.
Finalmente trovò il bordo del maglione e insinuò la
mano sotto di esso e sotto la camicia, le sue dita fredde toccarono la pelle
del fianco del giovane. Era calda e liscia, terribilmente invitante a andare in
esplorazione di tutto il torace.
Quel pensiero la infiammò a tal punto che strinse i
capelli di Derek nell’altra mano e riprese a baciarlo con maggiore foga.
Il ragazzo sembrava faticare a stare al suo passo,
probabilmente non riuscendo a capire che cosa le fosse preso così
all’improvviso, ma Angie non se ne curò. Aveva bisogno di sentirlo fin dentro
alle ossa per lasciarsi alle spalle le ombre di quella giornata.
Aveva bisogno di lasciarsi andare almeno quanto prima
davanti alla sua amica si era trattenuta, per non riversarle addosso anche le
sue preoccupazioni e le sue paure.
Con Derek invece era libera, sciolta dai vincoli e dalle
imposizioni, disarmata e cedevole ai suoi baci.
Istintivamente spinse in avanti il bacino e si
strofinò contro il cavallo dei pantaloni di Derek, avvertendo immediatamente
l’eccitazione nonostante gli abiti. Il ragazzo emise un verso basso e roco, posandole
poi una mano sulla nuca per approfondire ancora il bacio.
Tutti quei baci e quell’odore di menta speziata, che
le stava annebbiando il cervello, le facevano sentire le gambe deboli a tal
punto che si sarebbe lasciata scivolare sul pavimento gelido della biblioteca.
Derek parve comprenderlo, perché ribaltò le posizioni e lei si ritrovò con la
schiena adesa alla libreria.
Una gamba di lui si insinuò tra le sue e l’attrito che
ne derivò le fece emettere un secondo gemito. Sentì il ventre stringersi in una
morsa di desiderio e reclamare ancora quel contatto. Le labbra quasi le
bruciavano per la forza dei loro baci, dei denti e delle lingue che
continuavano a lottare per il predominio sull’altro.
Lei voleva di più.
La sua mano guizzò dal fianco lungo gli addominali,
sfiorando e lambendo ogni centimetro disponibile, fino a raggiungere la cintura
dei calzoni. Fece scivolare le dita lungo il tessuto ormai teso e sollevato
rispetto al resto, ma la magia di quegli istanti si spezzò.
Derek interruppe il bacio, con la mano agguantò la sua,
bloccandola, e la portò dietro la propria schiena.
Angie aprì gli occhi sbattendo ripetutamente le
palpebre e si trovò davanti due pozze profonde che la guardavano ancora
annebbiate dal desiderio. Derek aveva appoggiato la fronte alla sua e respirava
velocemente.
“Che ti succede Angie?” le domandò dopo aver
deglutito, ma la voce rimase comunque più bassa del normale e questo le fece
sentire il bisogno di baciarlo ancora, ripetere quel delizioso attrito tra di
loro e perdersi.
Si sporse in avanti cercando le sue labbra, ma il
ragazzo si tirò indietro, liberandole il polso e abbandonando il contatto tra
di loro.
Angelique si sentì improvvisamente svuotata e sciocca
per aver osato un po’ di più. Come spesso le accadeva al posto che mortificarsi
e sentirsi debole, preferì attaccare.
“Cos’è ti trattieni perché devi vedere Celia?” chiese
sprezzante.
Ferirlo
per sentirsi meno esposta, meno dipendente da lui.
Derek serrò la mascella appena e la osservò incupito.
“Che cosa c’è Angelique?” le domandò ancora lui.
“Rispondimi: ti servo solo per sfogare le tue
paturnie, eh? Perché tanto per tutto il resto c’è lei! Ti servo per liberarti
dei pruriti serali?! Ma che dico? Non accade nemmeno quello, perché io ti servo
solo per farti compatire da qualcuno!” il volume della sua voce iniziava a
crescere e entro poco si sarebbe messa ad urlare. Lo sapeva e non le importava,
perché sentiva che l’argine della sopportazione si era rotto. Derek davanti a
lei aveva incrociato le braccia sul petto e la osservava furibondo per
quell’attacco ingiustificato. “Sei talmente vigliacco che non riesci a
prenderti nemmeno quello che vorresti! Pensi che non sappia…”
Il fiume di accuse e male parole venne interrotto
bruscamente. Derek scattò verso di lei e le agguantò entrambi i polsi
portandoglieli sopra la testa con una sola mano, sbattendoli contro la libreria.
Un verso stupito uscì dalle sue labbra dischiudendole.
Senza avere nemmeno il tempo di respirare vennero
sigillate da quelle di Derek.
La bocca di lui calò sulla sua con forza e decisione,
cercando spazio per approfondire il bacio, ma Angelique in un moto protesta,
cercò di divincolarsi e allontanare il viso.
Il corpo del ragazzo si spinse contro il suo
nuovamente, schiacciandola senza troppi complimenti contro il legno alle sue
spalle, per impedirle di scappare.
Nonostante fosse arrabbiata, furiosa con lui in quell’istante, sentiva le labbra di Derek
spingersi contro le sue e morderle per concedergli un bacio, il suo corpo
contro il suo per riscaldarla dal gelo delle ombre di quella giornata, la sua
mano stringerle il fianco con possesso… E si chiese perché volesse ferire lui,
perché stesse ancora lottando per non baciarlo quando non vedeva l’ora di
ricominciare.
Smise di divincolarsi e schiuse le labbra accogliendo
la lingua calda di Derek, che guizzò dentro di lei accarezzando la sua e
prendendosi prepotentemente il bacio che gli spettava.
Angelique rispose inclinando il capo per avere un
migliore accesso a quelle labbra e aderendo al corpo del giovane di più. Il
cuore ricominciò a battere così forte che il rumore le si riverberò nelle
orecchie, rendendo confuso tutto ciò che non era Derek, le sue labbra, le sue
mani, la sua menta fredda e speziata.
Fu un bacio pieno di desiderio e poco gentile, da cui
Derek si staccò per primo, ancora col fiato corto e l’ingombro dell’eccitazione
tra i loro due corpi.
Quando anche Angelique aprì gli occhi vide che la
stava osservando intensamente col volto a un soffio dal suo. Erano ancora
spalmati uno sull’altra e le sue braccia restavano inchiodate sopra la sua
testa.
“Non credere che non mi costi una certa fatica
resisterti. Ma non voglio ferirti, per nessuna ragione al mondo.” Le sussurrò
accarezzandole una guancia col dorso delle dita. “Se andassimo oltre, te ne
pentiresti. Ti conosco abbastanza bene da sapere che se facessimo l’amore,
nella nostra condizione, tu odieresti
te stessa per esserti lasciata andare.”
Il cuore pulsò ancor più veloce nel petto di Angie a
quelle rivelazioni. Lui la voleva davvero, non solo come una decorazione
notturna della sua vita. La desiderava e questo le fece riacquistare fiducia.
“Se io non avessi alcuna intenzione di pentirmi?” gli
soffiò sulle labbra, osservando gli occhi neri sgranarsi appena dopo aver
avvicinato il suo bacino a quello di lui.
“Tu non sei quel genere di persona che riesce a
ignorare i propri princìpi, Angelique.” rispose lui e poi le liberò i polsi,
consentendo alle sue mani di riprendere la propria circolazione.
Le depositò un bacio delicato sulla fronte e poi si
allontanò da lei. L’entusiasmo scemò velocemente e Angelique si ritrovò
nuovamente lontana da lui, col pensiero di essersi esposta troppo, un’altra
volta.
“Adesso mi puoi dire, per favore, che cosa ti è
successo oggi?” chiese sistemandole una ciocca dietro l’orecchio.
Avrebbe potuto dirgli la verità e liberarsi di quel
peso opprimente, solo che qualcosa la bloccò. Sentiva intimamente che non era
giusto condividere con lui quella cosa. Non voleva farlo.
“Martha è stata molto male… Ma adesso è tutto a
posto.” Borbottò Angie stringendosi nelle spalle e spostando il suo sguardo
verso il muro alle spalle di Derek.
Ci fu un silenzio di qualche istante e poi il giovane
parlò ancora.
“Devo andare a cena.”
Con
Celia. Ovviamente.
Di tutti i sottointesi che lasciavano sospesi in
continuazione tra di loro, si sarebbero potuti scrivere intere enciclopedie.
“Certo.” Mormorò la ragazza e raddrizzò le spalle
sforzandosi di sorridere con non curanza.
Derek si avvicinò nuovamente e le baciò una guancia.
“Ci vediamo dopo.” Le sussurrò e lei annuì appena.
Poi di lui, in quell’antro polveroso, non rimase altro
che una vaga scia del suo odore.
Se n’era andato. E a lei non restava altri che
rimettersi in piedi da sola dalle batoste di quella giornata.
Angie si passò una mano sul viso, esausta. E giusto
per concludere quella giornata massacrante e infinita doveva ancora andare ad
allenarsi.
Si fece forza e si incamminò fuori dalla biblioteca,
pensando a quanto assurda fosse la sua situazione.
Il ragazzo di cui era innamorata non voleva
coinvolgerla troppo per evitare che si ferisse, lei che era sostanzialmente
l’amante. Con la fidanzata ufficiale invece si dilettava in chissà quanti e
quali mondi, come se fosse stata una valvola di sfogo.
Per assurdo avevano ruoli invertiti.
***
A Dominique piaceva stupire, in qualsiasi campo.
Quando erano bambini nessuno in famiglia si sarebbe
aspettato da lei, bella e delicata come un ninnolo di cristallo, che diventasse
una giocatrice dello sport magico più violento in assoluto.
Per questo all’età di nove anni aveva chiesto a suo
padre di allenarla a Quidditch per farla diventare la miglior Cacciatrice che
la sua futura Casa avesse mai visto.
Certo a quell’epoca non poteva sapere che sarebbe
stata smistata a Serpeverde e che effettivamente sarebbe diventata la miglior Cacciatrice
della squadra. Però ci aveva messo anima e corpo per affinare la mira e vincere
la sua miopia innata scendendo a patti con le lenti a contatto.
Adorava il Quidditch, il vento che le fischiava nelle
orecchie, le scosse di adrenalina quando evitava per un soffio i bolidi e
l’estasi di un tiro perfettamente assestato dentro gli anelli.
Era semplicemente divino.
Come lei d’altra parte!
Dominique uscì dalla doccia degli spogliatoi
avvolgendosi con l’asciugamano bianco e soffice. Era stato un allenamento
sfiancante e suo cugino Al sembrava sentire la tensione per la gara imminente
più di tutti gli altri.
Certo il fatto che ora riuscissero a gestire
l’iperattivismo di Seth era sicuramente rincuorante, ma la squadra non era
ancora ai massimi livelli di coesione e affiatamento. Forse anche perché la
rottura tra Malfoy e Angelique si era trascinata anche sul campo e quei due
gestivano la situazione come gatti selvatici.
Dominique frizionò i lunghi capelli fino a togliere i residui
di acqua, con un colpo di bacchetta poi li asciugò del tutto. Passò
l’asciugamano sul resto del corpo e indossò un intimo pulito. Uscì dal bagno
convinta di essere rimasta come sempre l’ultima negli spogliatoi, quando i suoi
occhi azzurri si imbatterono in un esemplare di Dursley rannicchiato sulla
panca con occhi fissi nel vuoto. E Tristan non aveva ancora imparato a forzare
le serrature per spiare le ragazze cambiarsi, anche se considerato il suo
sodalizio con James non ci sarebbe voluto molto prima che acquisisse anche
quella nozione.
“Angelique.” La chiamò schiarendosi la voce e l’altra
si voltò subito verso di lei.
La osservò per un paio di secondi e poi storse la
bocca infastidita.
“Copriti per favore! È stata un giornata abbastanza
difficile anche senza doversi confrontare per forza col tuo fisico! Questa
immagine mi perseguiterà ad ogni specchio che incontrerò.” Sbottò l’altra
appoggiando nuovamente la testa alle ginocchia.
Beh, come darle torto? Il suo corpo era un tempio di
cure e armonia e il rosa antico del completino le donava particolarmente! Era
comprensibile che Angie si sentisse scoraggiata.
Anche se nel suo fisico atletico ma dalle linee
morbide, Dominique non trovava nulla che non andasse. Mmm… forse solo il seno,
un po’ piccolo, ma non tutte potevano avere la sua terza!
Dom raggiunse la sua sacca e ne estrasse un paio di
collant velati e un vestitino panna, con lo scollo rotondo e delle balze di un
tessuto leggero che si spostavano ad ogni suo movimento. Indossò il tutto e si
mise ai piedi un paio di ballerine.
Si sedette accanto ad Angie e iniziò a intrecciarsi i
capelli in una treccia spostata sul lato.
“Come sta Martha?” domandò dopo qualche istante di
silenzio.
“Meglio.” Fu l’unica e laconica risposta.
Non si raggiungevano la posizione e la fama di
Dominique senza essere a conoscenza di tutto, o quasi, quello che accadeva nel
castello. E non a caso lei era il Generale delle Menadi, disponeva di un
esercito di uccellini che le riferivano tutto e che lei teneva adeguatamente in
considerazione.
Angelique crollò il capo all’indietro e all’improvviso
scoppiò a ridere senza la minima allegria.
“Che giornata di merda! Non ho preso nemmeno il
Boccino!” esclamò l’altra tra una risata e l’altra.
La Weasley si rese conto che la sua collega pozionista
aveva davvero bisogno di una mano.
Normalmente se ne sarebbe fregata.
Insomma non poteva mica fare da crocerossina a tutto
il castello, lei era una Serpeverde, prima i suoi interessi, poi la sua
manicure, poi i suoi appuntamenti e dopo se avanzava tempo il resto del mondo!
Però Angelique le piaceva… Era così autentica nella sua ostinata scontrosità!
Inoltre era parte della famiglia e delle Menadi.
Dominique sospirò e si alzò in piedi.
“Avanti, ti porto a divertiti.” Esclamò tendendo una
mano verso Angie la quale la osservò stupita e aggrottò la fronte.
“Di martedì sera? Probabilmente anche Svitato è nel suo
Dormitorio!” ribatté la Dursley scuotendo il capo.
Dominique sorrise maliziosamente e tese ancor di più
la mano. L’avrebbe stupita.
“Scommettiamo Alchimista?”
***
Con evidenza dei fatti, era rimasta nell’ignoranza alcune
cose fondamentali negli anni in cui era stata con Scorpius.
Come per esempio il fatto che esistesse una stanza nel
castello che veniva utilizzata come sala di ritrovo per un ristretto gruppo di
studenti, tra cui si elencavano alcuni dei suoi cugini, gli Scamandro, alcuni
sconosciuti tra cui una tizia con dei seni di proporzioni bibliche, e anche
alcuni della sua casa, come Janus McMillan. O come il dettaglio che in questa
saletta arredata con divanetti comodi e un po’ sgangherati, dall’aspetto
accogliente, ci fosse una fornitura di alcool discreta e di cibo, di cui
Angelique aveva immediatamente approfittato, avendo ingerito un solo toast in
tutta quella giornata delirante.
Non che Scorpius l’avesse rinchiusa in una torre
d’avorio o che l’avesse impedita nei suoi interessi. Solo che il semplice fatto
di stare insieme le aveva precluso alcune… compagnie.
E in quell’istante comprendeva, per quanto il suo
giudizio offuscato le consentisse, tutta la potenzialità delle compagnie alternative
alle sue. Nonché di quell’intruglio portentoso che stringeva tra le mani.
Angel face… Sarebbe stato il caso di chiamarlo Devil
face o Sbornia face, perché inevitabilmente era a quello che l’aveva portata,
in modo molto più marcato della prima volta.
“Principessa anche se
continui a fissarlo così non si moltiplica, fidati di me.” la voce di Svitato
raggiunse il suo orecchio destro e la ragazza si voltò rapidamente, causando
l’ondeggiamento dell’intera stanza. Locarn si era appena seduto accanto a lei e
la fissava con uno sguardo divertito, o così almeno le sembrava.
“Allora riempiamo questo
bicchiere, Svitato!” esclamò sorridendo estasiata all’idea.
“Non credo sia una buona
idea. Alla festa Al mi ha quasi decapitato per averti indotta su questa strada
di perdizione! Tra l’altro sembri messa molto peggio di quella volta…”
“Non parlarmi di Albus!
Mi stanno tutti antipatici!” sbottò Angie biascicando evidentemente le vocali e
curvando le labbra verso il basso. “Io voglio solo sbronzarmi fino a non
ricordarmi più come mi chiamo!”
Svitato scoppiò a ridere
e le prese il bicchiere dalle dita, la cui presa era particolarmente flaccida.
Si spostò verso il tavolino su cui c’erano le bottiglie e iniziò ad armeggiare
per prepararle il drink.
Angelique provò ad
osservarsi attorno, ma stranamente la sua testa continuava a ciondolare da una
parte e dall’altra… Non le dava retta, sembrava fatta di gelatina. O magari lo
era davvero! Per quello che si sentiva tutta leggera e incapace di muovere i
muscoli come si deve… Forse tutta lei era diventata di gelatina!
Quello strano pensiero la
divertì a tal punto che la ragazza scoppiò a ridere senza ritegno.
“Principessa sei sicura
di volere continuare a bere?!” le domandò Locarn ricomparendo accanto a lei.
Angie afferrò il
bicchiere ricolmo di liquido arancione continuando a sghignazzare da sola e
iniziò a trangugiare. Era fantastico, fresco, dolce e aspro come piaceva a lei.
Probabilmente l’avrebbe
bevuto tutto in un solo sorso se Svitato non fosse intervenuto togliendole
dalle labbra il bicchiere.
“Ehi vacci piano! Non
voglio dover spiegare a Madama Chips che nella scuola esiste un traffico
illegale di alcoolici!” borbottò portando lontano dalla sua presa il
beveraggio.
Angelique sbatté un paio
di volte le palpebre e poi ricominciò a ridere così forte che si dovette
piegare su sé stessa. Non che avesse detto qualcosa di particolarmente
divertente, ma il pensiero che Svitato venisse a parlare a lei di traffici
illegali era… esilarante.
Locarn la fissò dapprima
spiazzato e poi lentamente iniziò a ridere anche lui, finché Angie non si
ritrovò aggrappata al suo braccio cercando di respirare tra uno scroscio di
risate e l’altro.
“Angelique?!” una voce
già nota alle sue orecchie indusse la bionda a interrompere le risate e a
osservare chi le stava parlando. Osservare forse era un termine un po’ ardito,
però mise più o meno a fuoco un ragazzo in piedi davanti al loro divanetto
giallo. O era arancione? Mmm… Forse era color vomito, ma non le importava, a
lei stava simpatico quel divano!
Era un ragazzo carino dai
capelli castani ondulati, con occhi scuri, grandi e calorosi.
Occhi scuri… Le faceva
venire in mente qualcosa, ma era nebuloso e confuso nel suo cervello
annebbiato. Bah!
“Tu sei Janus.” Disse
lentamente socchiudendo gli occhi e fissando il giovane con serietà improvvisa.
“Ehm… Sì.” Ribatté
incerto l’altro e si sedette su una sedia accanto a loro.
“Mica era una domanda.” Sbottò
l’altra e, approfittando della distrazione di Locarn, agguantò il bicchiere e
inghiottì a garganella il resto dell’Angel face. Subito dopo pensò che sarebbe
stato saggio appoggiare il bicchiere al tavolino, ma le misure la tradirono col
risultato finale di un rumore secco, dato dal vetro che sbatteva sulla
superficie di legno.
“Principessa… Un po’ di
contegno!” esclamò Locarn tradendosi con un sorriso divertito
“Fanculo il contegno
Svitato! Fanculo anche la Principessa di Ghiaccio!”
“Ma non è lei?!” domandò
Janus a Scamandro con forte perplessità.
“Certo che sono io! E tu
sei Janus… Bel tiro quello di prima.” biascicò la bionda ondeggiando
pericolosamente col capo.
“Grazie, sei ubriaca come
una spugna Angelique?” ribattè Janus chinandosi verso di lei e stringendo le
labbra per non ridere.
“Oh non sai nemmeno
quanto!” rispose Angie ridacchiando e poi si lasciò trascinare dall’ennesimo
scoppio di ilarità. Aveva un gran voglia di ridere!
“Lei è il tipico soggetto
dalla sbornia allegra.” Disse Locarn cingendole le spalle con un braccio.
Se si fosse trattato di
qualcun altro probabilmente si sarebbe tolta quell’arto dalle spalle e
l’avrebbe torto contro la schiena del proprietario, ma nonostante le battute
sulla loro futura vita matrimoniale, Angie, anche da ubriaca persa, sapeva che
non c’erano doppi fini nei suoi gesti affettuosi.
Quindi si abbandonò
contro il fianco di Svitato e appoggiò la testa nell’incavo della sua
clavicola.
Le voci dei due ragazzi
accanto a lei iniziarono a farsi sempre più confuse finché non riuscì più a
distinguerne il significato, i colori caldi e accoglienti della stanzetta
turbinarono nei suoi occhi come un vortice, tanto da indurla a chiuderli per
qualche minuto.
***
Lucy mosse in circolare
il bicchiere facendo tintinnare il ghiaccio al suo interno e mescolandolo
meglio al Firewhiskiy.
Poi con un gesto lento lo
portò alle labbra e fece inondare la propria bocca del liquido ghiacciato. Poco
dopo la sua faringe venne invasa dal tipico bruciore piacevole dell’alcool,
appena stemperato dalla temperatura bassa.
“Ragazzina, te l’hanno
mai detto che è sconsigliabile per le signorine bere alcoolici in un locale di
soli uomini?”
Eccola.
Quella maledetta voce che
la faceva vibrare come la corda di uno strumento perfettamente accordato sul suo timbro.
Lucy sorrise al bicchiere
e senza guardare il suo interlocutore rispose:
“E a lei hanno mai
accennato al fatto che un criminale non dovrebbe dare lezioni di morale?”
Poi con studiata pigrizia
si voltò a osservare l’uomo che si era appoggiato al bancone alla sua sinistra.
E immediatamente i suoi occhi vennero captati da un paio dall’incredibile
colore giallo paglierino, venato di alcune sfumature verdi. Gli occhi da gatto
selvatico la osservavano come un topino caduto nella trappola.
Lucy si domandò se
effettivamente non si fosse cacciata in un guaio più serio di quello che
credeva, essendo uscita di nascosto dal castello e avendo raggiunto da sola il
locale dietro cui si nascondevano i traffici di Benji Allucemonco, con la
speranza di trovarvi il proprietario.
Stando ai fatti lei era
una ragazza appena maggiorenne che sedeva da sola in una bettola piena di facce
poco raccomandabili che fissavano ogni suo movimento. Eppure se qualche istante
prima aveva sentito qualche scarica di adrenalina al pensiero di quello che le
sarebbe potuto accadere lì, in quel momento si sentiva al sicuro.
Il che era semplicemente
assurdo visto che stava chiacchierando con l’uomo più pericoloso dell’intera
città.
Benjamin sorrise in quel
modo letale per una qualsiasi forma di pensiero coerente e poi emise una risata
leggera.
“Oh per carità, la morale
è così sopravvalutata! Io parlavo di tutt’altro… E basta coi formalismi, per
favore, sembrano insulti detti da te.” e quella voce flautata dalle tonalità
basse lasciò in sospeso la frase ambigua senza spiegarsi oltre.
Lucy, senza sapere
esattamente che cosa ribattere e per non starsene a fissare Benji Allucemonco
come una bambina affamata davanti al suo dolce preferito, finì il proprio
Firewhiskiy in un solo sorso.
Benjamin si avvicinò notevolmente
e chinò il capo verso di lei.
“Gradirei parlare in un
luogo più silenzioso, se per te va bene. Al piano di sopra c’è il mio ufficio.”
Le parole vennero pronunciate a un soffio dal suo orecchio e il respiro
dell’uomo si infranse in una nuvola calda sulla pelle del suo collo, causandole
tanti e tali brividi che dovette reprimere un sospiro.
Lucy recuperò il proprio
portasigarette e lo aprì con uno scatto.
“Ti seguo.” Disse
infilandosi una sigaretta in bocca.
Prima ancora che potesse
cercare la propria bacchetta, una fiammella balenò davanti ai suoi occhi e la
grande mano brunita di Benjamin le avvicinò al viso un accendino d’acciaio.
Gli occhi di Lucy si
alzarono mentre accendeva la sigaretta, incontrando prima il pomo d’adamo e poi
la bocca dell’uomo, carnosa e sensuale, piegata in quel sorriso pigro da fiera
in agguato. La risalita continuò fino a quegli occhi di topazio che la
scrutavano come a volerla perforare.
La prima boccata le
invase i polmoni e le consentì di riprendere abbastanza controllo di sé per
distogliere lo sguardo.
Benji richiuse con uno
scatto l’accendino e lo fece sparire in tasca. L’uomo le fece un cenno con la
mano verso una piccola scala di legno, situata nell’angolo meno illuminato del
locale, e chinò leggermente il busto per invitarla a precederlo.
Lucy si avviò verso il
punto indicatole, calandosi ancor di più il cappuccio sopra la fronte, per
evitare che qualcuno di quegli occhi curiosi la riuscisse a individuare e la
denunciasse alla preside. O peggio a suo padre!
Dio, se lo immaginava
perfettamente con quelle guance scarne chiazzate di rosso e gli occhi
fiammeggianti, che proclamava quanto vasta fosse la sua indignazione per quello
che lei aveva fatto.
Fu con l’immagine di
Percival furente che la giovane Weasley raggiunse il piano superiore. Si
trattava di un corridoio di circa quattro metri, con pavimento e pareti di
legno chiaro, color miele, a cui erano appesi svariati quadri di artisti
babbani.
C’erano sette porte che
si aprivano sul corridoio e Benjamin la sorpassò in un fruscio di vesti,
aprendo con un tocco della propria bacchetta quella che stava di fronte alle
scale.
L’uomo aprì l’uscio e si
fece da parte per consentirle di passare.
Mentre i suoi piedi
irresponsabili si fiondavano quasi dentro la stanza, una serie di voci si
levarono nella sua testa urlandole di scappare finché era in tempo.
Erano le Menadi, che le
stavano consigliando, sbracciandosi e strillando, di fuggire, perché oltre
quella soglia c’era qualcosa di pericoloso, un punto da cui non sarebbe più
potuta tornare indietro.
Quando sentì il rumore
attutito della porta che si accostava allo stipite un fremito si fece sentire
in tutti gli arti.
“Il mantello.” Mormorò Benjamin
dietro di lei.
Lucy lasciò scivolare il
cappuccio sulle spalle e quando sganciò gli alamari, si accorse che le sue dita
tremavano.
Le mani di Benji si
posarono sulla piega tra collo e spalle e con lentezza esasperante le tolsero
il mantello.
Lucy si diede un’occhiata
attorno, osservando l’ufficio del capo della criminalità organizzata di
Hogsmeade, e rimase stupita. Era straordinariamente… elegante e curato.
Nessun arto mozzato
invasato con formalina, nessuna tinta fosca per rendere misterioso l’ambiente,
nessun cadavere in mezzo alla stanza, a ben vedere non c’era nemmeno un
granello di polvere!
Si trattava di uno studio
normale, con una scrivania di radica di noce dall’aspetto massiccio, uno
scrittoio dalla fattura delicata ed elaborata, due poltroncine, un tappetto
enorme davanti dalla scrivania e poi centinaia di libri.
Le pareti erano
costituite da file e file di volumi rilegati in pelle, o con copertine
colorate, perfettamente impilati nelle librerie fino al soffitto.
Lucy si voltò verso
l’uomo che sentiva ancora alle proprie spalle.
Lui la stava osservando
senza più l’ombra di un sorriso, l’espressione era assorta ed estremamente
concentrata.
La giovane ne osservò i
tratti forti, la mascella marcata e la pelle bruna. La sensualità che
quell’uomo emanava come un ferro incandescente aveva qualcosa di pericoloso,
Lucy poteva sentirlo chiaramente senza riuscire tuttavia a definirlo. Era un
monito a non lasciarsi andare con lui e contemporaneamente un continuo invito a
farlo.
La ragazza deglutì,
cercando di ignorare il muscolo al centro del suo petto che sbatteva contro la
gabbia toracica per fuggirne e gettarsi ai piedi di quel corpo statuario.
“Lucy.” Mormorò pregando
che le sue parole non risultassero rauche e cacofoniche come lei le percepiva.
Benjamin corrugò la
fronte e la osservò per un paio di secondi, poi dovette comprendere che cosa
fosse quella parola perché la fronte tornò liscia e un sorriso gli increspò le
labbra.
Non il sorriso da
seduttore che gli aveva visto sfoderare ma solo un sorriso sincero, che le aprì
una voragine nel petto. Era bellissimo.
“E poi?” chiese l’uomo
facendo un passo in avanti verso di lei.
“Fidati, il resto non lo vuoi
sapere.” Riuscì a pronunciare Lucy nonostante la bocca arida.
“Quindi non me lo dirai,
Lucy?” mormorò lui avanzando ancora.
La ragazza con gli occhi
completamente in balia di quelli di lui, scosse appena la testa.
“Peccato, perché mi
costringi a cambiare i termini della mia proposta. Se non posso avere il tuo
nome completo, desidero un’altra ricompensa per la mia gentilezza…” l’uomo fece
un altro passo in avanti e i loro volti si trovarono a un palmo l’uno
dall’altro.
Leda scattò sull’attenti
a quelle parole e si preparò a dar battaglia, ma abbandonò ben presto la scure
e la mazza chiodata al suolo, non appena sentì la voce calda e profonda di lui
proseguire nelle sue richieste:
“Un bacio.”
Col respiro successivo le
narici di Lucy vennero invase dal profumo dell’uomo. Era un dopobarba agli
agrumi, fresco e delizioso. Tentatore come lui.
Dura, guerriera,
caparbia, forte… In quel momento Lucy si chiese dove fossero finite tutte
quelle sue qualità imputabili a Leda, perché riusciva a sentirsi solo come un
pezzo di burro esposto al calore bruciante di una fiamma.
Totalmente,
irrimediabilmente, caoticamente… Sciolta.
Sciolte le giunture degli
arti, sciolta la tensione accumulata fino a quel momento, sciolta la sua
volontà di mostrare che non subiva il suo fascino, sciolto il desiderio celato
a sé stessa per lui.
C’è la possibilità che fu
per questo suo stato di liquidità interiore ed emotiva, che lasciò che Benjamin
le passasse le dita nel ciuffo, liberandole la fronte, e le posasse entrambe le
mani sulle guance avvolgendole il volto. Fu probabilmente per questo che quando
vide il suo viso avvicinarsi ancor di più, alzò il mento e chiuse gli occhi per
offrirsi a quel bacio. Fu certamente per questo che quando la baciò le parve di
sentire un esplosone nel petto, nel punto in cui prima c’era stato un cuore
funzionante e ora non restava altro che brandelli sparsi qua e là.
Le loro labbra si
toccarono con delicatezza quasi pudica e Lucy non seppe quantificare per quanto
tempo rimasero immobili ad assaporare quel contatto. Poi con gentilezza, quasi
a chiederle il permesso, l’uomo dischiuse le proprie labbra.
Era come stare sul bordo
di una scogliera prima di un tuffo, doveva trovare il coraggio di ignorare la
ragione che le imponeva di staccarsi e seguire l’istinto che si stava gettando
nelle braccia dell’uomo. E decise di lanciarsi.
Gli cinse la vita e si
lasciò baciare.
Fu un bacio dolce,
delicato, che mai Lucy si sarebbe aspettata di ricevere da un uomo del genere, il
quale riusciva a sorprenderla nelle sue innumerevoli sfaccettature sempre
diverse, sempre galanti, sempre irresistibili.
Mentre passava una mano
in quella capigliatura setosa e scura, avvertì il palmo di Banjamin scendere
verso il suo collo, poi lungo il braccio e infine si posò sul suo fianco,
contenendolo tutto nella propria stretta gentile.
Quando le loro bocche si
separarono, il primo pensiero di Lucy fu di recuperare sufficiente ossigeno per
immergersi all’infinito in quel mare oltre la sua scogliera. Poi Benjamin parlò
e rovinò tutto.
“Mi riferivo proprio a
questo prima, Lucy. L’effetto dell’alcool sulle donne è così… lascivo. Si
lascerebbero fare qualunque cosa in preda a un po’ di zucchero fermentato.”
Lucy spalancò gli occhi e
si allontanò come se si fosse ustionata.
Benji la stava fissando
con il solito sorriso seducente e vagamente impudente, per dimostrarle che ciò
che le aveva mandato in corto circuito il cervello, non lo aveva minimamente
sfiorato. Che lei non lo aveva minimamente toccato, nemmeno scalfito
superficialmente… E come sarebbe potuto essere altrimenti?!
Leda risorse dalle ceneri
dell’incendio che l’aveva fatta avvampare poco prima, impugnò tutta
l’artiglieria pesante a disposizione e la puntò verso quel bastardo dai denti
bianchi e… le fossette, Godric benedetto, aveva pure le fossette!
Senza riuscire a
controllarsi alzò il braccio e… SCIAF!
Lo schiaffo che raggiunse
quelle maledettissime fossette fu tanto fulmineo e potente che la testa di
Benjamin ruotò sotto la spinta della mano di Lucy.
La ragazza sentì i
polpastrelli e il palmo bruciare, ma non era nulla a confronto di quello che
provava in quell’istante.
“Non si faccia più vedere
alle consegne della merce, o chiuderò ogni contatto con lei… E se per baciare
una donna si deve nascondere dietro un bicchiere di Firewhisky, lei mi fa
pietà.” Sputò fuori dai denti con tutto il disprezzo da cui si sentiva invasa.
Benjamin si voltò verso
di lei allibito, ma la ragazza non gli diede modo di ribattere, perché con uno
scatto uscì dall’ufficio. Iniziò a correre, accelerando disperatamente fino a
sentire dolore ai muscoli.
Si fermò solo quando si
ritrovò all’ingresso di Mielandia e si accorse di star piangendo.
Lacrime bollenti le
rigavano le guance. Le parole pronunciate dopo quel bacio perfetto erano state
una stilettata in pieno cuore, perché ancora una volta Lucy non era stata
abbastanza.
Lucy si era mostrata e
aveva ricevuto un rifiuto, come sempre accadeva. Leda invece aveva rimesso a
posto quel pallone gonfiato ed era uscita da quell’ufficio a testa alta.
La ragazza si asciugò le
guance col dorso della mano, sfregando energicamente la pelle, e fece un
profondo respiro, cercando di calmare i singhiozzi. Si introdusse nel negozio,
forzando una finestra sul retro che non aveva allarmi, e raggiunse facilmente
la cantina, entrando nel passaggio segreto.
Nonostante continuasse a
ripetersi che ciò che era accaduto prima non l’aveva ferita, perché lei era
Leda, il pensiero ricorrente di trovare Rose dominava ogni suo movimento.
Fu così che minuti dopo
quando entrò nella propria Sala Comune e vi trovò la cugina intenta a leggere,
le corse incontro e inginocchiandosi accanto a lei, pianse tutte le lacrime di
delusione che quella serata le aveva lasciato.
***
Per quale balorda ragione
Dominique avesse portato anche Gigì alla Buca, James non riusciva a
spiegarselo. Oltre all’essere in squadra insieme non sembravano avere tanti
contatti da condividere una cosa del genere, quindi il ragazzo proprio non
capiva.
Ma ciò che più lo
lasciava perplesso era il motivo per cui Gigì si fosse ridotta in quello stato.
L’aveva osservata scolare
un bicchiere dopo l’altro e si era dovuto trattenere a forza dall’andare là per
scaraventare il bicchiere contro il muro e riportarla nei suoi dormitori.
Continuava a ridere con
Locarn e quell’altro Serpeverde, appoggiandosi in un modo così tranquillo a
Scamadro, sorridendo inopportunamente a Mcmillan, che sicuramente avrebbe
travisato.
Non sapeva la ragione
esatta ma da quando aveva notato che era alticcia aveva voglia di frantumare
qualcosa o prenderlo a calci.
“Jimmy rischi di
incendiarli con lo sguardo.” Disse tranquilla Dominique girando una pagina
della sua rivista e sorseggiando dal suo bicchiere.
James rispose con un
grugnito.
Angelique rise un’altra
volta e poi posò il capo sulla spalla di Scamandro, chiudendo gli occhi con
beatitudine. Dopo qualche minuto Locarn la spostò con delicatezza sul divano
facendole appoggiare il capo sul bracciolo e disse qualche parola a Mcmillan,
prima di alzarsi e dirigersi in bagno.
Il Serpeverde si sporse e
sistemò una ciocca di capelli che copriva la faccia di Gigì, sistemandogliela
dietro le spalle insieme al resto dei ricci.
Quella fu la goccia che
fece traboccare il vaso.
James scattò in piedi
rovesciando quasi il tavolino davanti a lui e attraversò la stanza marciando.
“Adesso basta.” Ringhiò
rivolto verso Janus.
Quello alzò lo sguardo
confuso su di lui e gli chiese:
“Come dici, scusa?”
“Ho detto: basta. La
porto nei suoi dormitori.” Scandì lentamente e incrociò le braccia sul petto.
“Ok… Ce la posso
accompagnare io, visto che siamo della stessa Casa.” Ribatté Janus alzandosi
dalla sua sedia, ma un mano di James scattò in avanti e gli si piantò sulla
spalla, riabbassandolo all’istante.
“No Mcmillan. Tu resti
qui, così avvisi Locarn.” Disse e inclinò il capo, sollevando entrambe le
sopracciglia.
Janus corrugò la fronte e
fece per ribattere, ma con un movimento aggraziato e fluido Dominique comparve
al fianco di James.
“Oh tranquillo Janus, è
tutto a posto! Mentre James accompagna Angelique, mi terresti compagnia?!” cinguettò
la ragazza sedendosi accanto a lui e spostandosi la lunga treccia dietro le
spalle. Poi con un gesto casuale posò una mano sull’avambraccio del ragazzo.
Il povero Mcmillan venne
investito dalla bellezza di Dom come se si fosse trattato di un tir. Sbarrò gli
occhi e annuì.
James abbassò lo sguardo
verso il divanetto e vide Angelique.
Aveva un maglioncino
azzurro, semplice, con lo scollo a V che delineava le linee del busto senza
segarle eccessivamente. I colori freddi risaltavano l’oro dei suoi capelli.
Mentre il ragazzo si
chinava e, con l’unica collaborazione di qualche mugugno da parte della
giovane, la prendeva in braccio si chiese come avrebbe fatto ad aprire quello
stupidissimo varco nelle mura dei Sotterranei.
“Amortentia.” Disse
Dominique quando lui si alzò stringendo al petto Gigì.
James la ringraziò e le
fece un cenno con la mano, poi si diresse fuori dalla stanza.
All’improvviso tutta la
rabbia che aveva provato nella Buca scemò, lasciandolo con la vaga sensazione
di essersi appena comportato da scemo.
Angelique emise un verso
assonnato e strofinò il proprio naso contro la pelle del suo collo.
Un tremito gli percorse
la schiena e lo spinse a stringere più forte la ragazza.
Averla così vicina era
deleterio per il giudizio, l’odore dei suoi capelli gli stava creando seri
problemi di concentrazione sulla camminata.
“Ehi Jessy, anche tu
qui!” biascicò all’improvviso quella alzando il capo dalla sua spalla.
“Così pare Gigì.” Rispose
lui sorridendole.
“Parlavo
con Svitato
prima…” Gigì si guardò attorno con le
sopracciglia corrugate “Ma non c’è più!”
James si morse il labbro
inferiore per trattenere le risate. Era così buffa che l’avrebbe coperta di
baci… Ma dubitava che lei avrebbe apprezzato.
“Adesso stiamo andando ad
un’altra festa Gigì. È un pigiama-party!” annunciò James.
“Bello. Però a me fanno
schifo i pigiama-party.” Ribattè l’altra e le sue sopracciglia quasi si
sfiorarono. Poi arricciò le labbra e guardandolo fisso negli occhi scosse la
testa.
James non riuscì a
frenarsi e questa volta rise di cuore, seguito poco dopo anche da Angelique. La
giovane gli appoggiò la fronte sulla guancia e direzionò i respiri sulla sua
pelle del collo.
James sospirò e si chiese
dove avrebbe trovato la forza per portarla fino ai sotterranei senza fermarsi
in una qualche nicchia a… No!
“Ehi Jessy… Ho una
domanda serissima!”
“Sono tutto orecchi
Gigì!” ribatté il ragazzo sorridendo.
“Secondo te se vuoi
abbastanza bene a qualcuno lo puoi salvare?” la voce di Angelique perse ogni
sfumatura di ilarità e James si voltò, trovandosi a pochi centimetri da lei.
Gli occhi verdi lo stavano fissando con una tale tristezza che si fermò.
“Che significa
Angelique?” le chiese con dolcezza.
“Io voglio bene a Martha,
non voglio che… che…” ma non riuscì a finire la frase, gli occhi le divennero
lucidi e sussurrò con fatica: “Lei non può morire… vero?”
Ecco dunque ciò che
l’aveva tanto sconvolta. Un peso enorme sul cuore che ora gli stava mostrando
con tanto candore e semplicità che James sentì una fitta a livello dello
sterno.
Erano ormai in prossimità
della Sala Comune di Serpeverde, ma James non riuscì ad avanzare.
Aveva gli occhi fissi in
quelli di lei, che lo guardavano aspettando una risposta in grado di vincere le
ombre che erano state gettate sul suo cuore.
“No, Gigì. Andrà tutto
bene.” Sussurrò con un nodo alla gola e la vide annuire fermamente a quelle sue
parole, come per convincersene.
Non sapeva che cosa
avrebbe dato in quell’istante per poterla baciare. Probabilmente se lo avesse
fatto, lei nemmeno se ne sarebbe ricordata il giorno dopo. Avrebbe avuto ciò
che anelava disperatamente da anni con facilità, erano proprio lì a due
centimetri dalle sue, quelle labbra a cuore rosee e carnose come la polpa di
una pesca matura.
Avrebbe potuto farlo,
tradendo la fiducia che lei aveva appena riposto in lui, confidandogli quelle
sue paure.
Avvicinò il proprio capo
a quello di lei e le depositò un bacio sulla fronte, con delicatezza. Assaporò
il sapore della sua pelle contro le proprie labbra senza fretta.
Non erano i baci rubati
nel cuore della notte che desiderava, erano i baci veri, dati di fretta, con
passione, con famigliarità, in ogni modo possibile, quelli che lui avrebbe
aspettato.
Note
dell’Autrice:
Nel caso ve lo steste
chiedendo, non sono morta! Non so davvero come scusarmi per questo ritardo
mostruoso nella pubblicazione, ma purtroppo ho dovuto dare due esami colossali
che mi hanno portato via tantissimo tempo.
Spero di riuscire a
riprendere gli aggiornamenti regolari, ma non garantisco!
Bene veniamo al capitolo.
Spero che sia tutto chiaro, ma nel caso in cui aveste dubbi chiedetemi pure!
La poesia a cui fa
riferimento James mentre guarda Angelique fuori dall’infermeria è Bright Star
di Keats, non l’ho messa come citazione perché lunga, ma vi consiglio
ampiamente di leggerla, perché è splendida!
I pensieri e i discorsi
di Angie sono volutamente sconclusionati a causa di tutto l’alcool che ha in
corpo, quindi niente paura se vi siete persi nei meandri della sua mente.
Voglio RINGRAZIARE in particolar modo le
seguenti splendide fanciulle che hanno recensito: Ayumi Edogawa, cescapadfoot, Cinthia988, dreamcatcher05, Roxy_HP,
cassidri, Chuxie, carpethisdiem e FleurDa. Voi mi riempite d’orgoglio,
siete meravigliose!
Grazie anche a te Marghe
perché alla fine hai delle amiche molto cretine e io sono tra loro.
Grazie Bambolina, perché
il tempo insieme a te, che sia dipingere una bici e uno specchio, o girovagare
per bancarelle, è prezioso.
Grazie a tutti gli altri
lettori silenti, vorrei tanto sentire la vostra voce prima o poi, ma mi basta
sapere che continuiate a essere qui. Questo è il regalo più grande.
Tanti baci a tutti
quanti.
Bluelectra.
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Capitolo 11 *** Cap.11 Guardami ***
Cap.11 Guardami
Cap.11 Guardami.
Bisogna essere capaci di affondare lo sguardo nel profondo di quell'abisso smisurato che è il nostro cuore.
Guardarci dentro per accorgerci che
quel mondo rovesciato, di cui spesso ci lamentiamo, è fatto
anche dalle nostre piccole mostruosità.
Mina
uando la mattina seguente Angelique riuscì ad aprire
gli occhi si chiese se per caso non fosse ancora ubriaca.
E la ragione principale per cui si pose questa
domanda, era il fatto che sulla testa della sua compagna di dormitorio, che la
stava osservando col naso a un centimetro dal suo, svettava un vaporoso
caschetto… verde.
“Buongiorno raggio di sole!” trillò Nana
sorridendole.
Angie sbatté le palpebre più di una volta cercando di
capire se si trattasse di un’allucinazione. Elena dal canto suo continuò a
sorriderle smagliante.
Nessuna illusione ottica, Nana aveva cambiato colore
di capelli. Un’altra volta.
La bionda scosse appena la testa e si mise a sedere
contro i guanciali del suo baldacchino, ma il movimento improvviso le causò un
violento spasmo allo stomaco, seguito da un conato.
Si guardò attorno in preda al panico ma, prima che
potesse scendere dal letto e correre in bagno, una bacinella gialla le venne
posizionata provvidenzialmente in grembo. Sollevata dall’apparizione del contenitore
Angie smise di trattenere i conati e si chinò su di esso.
Mentre rimetteva anche la prima comunione, Elena le
fermò i capelli dietro la nuca e le pose una mano minuta sulla fronte.
“Ehi, come dice Hagrid: meglio fuori che dentro!”
esclamò quando Angelique esaurì il contenuto alcoolico, e non, del suo stomaco.
Angie si voltò verso di lei e nonostante il mal di
testa lancinante, i dolori allo stomaco e il pessimo sapore in bocca, non poté
far a meno di ridere, coinvolgendo anche la Zabini. Quando le risate si
esaurirono l’altra abbassò lo sguardo e tacque per alcuni istanti.
“Mi dispiace per quello che ho detto ieri. Non pensavo
nemmeno un centesimo di quelle cose.” Mormorò Elena togliendole dalle gambe la
bacinella porgendole un fazzoletto.
“Però avevi ragione, Nana.” Ribatté Angelique
appoggiando la testa contro la testiera del letto.
Elena sollevò gli enormi occhi verde scuro su di lei
e la osservò stupita.
“Lo so che sono dispotica, che ho la tendenza a
prevaricare le opinioni altrui, che vorrei poter controllare qualsiasi cosa… Non
deve essere molto facile essere mia amica.”
Nana fece uno scatto in avanti e l’abbracciò
gettandosi su di lei. Le passò le braccia ossute attorno al collo e la strinse
a sé.
“Vai benissimo così! Dispotica, stronzetta e con la
bacchetta sempre sotto la manica destra! Io non vorrei mai che fossi qualcosa
di diverso da ciò che sei.” Sussurrò al suo orecchio.
Angie le accarezzò la schiena e sorrise.
In fondo erano riuscite a sopravvivere
all’anniversario temuto e paventato per un altro anno, una in infermeria con le
funzioni vitali quasi azzerate, l’altra con una sbornia colossale e l’ultima
con un nuovo colore di capelli. Non era andata così male!
“Ti dona questo nuovo colore.” disse Angie quando si
separarono, prendendo tra le dita una ciocca verde.
“Grazie! Mi ha aiutata Berty ieri sera, quando tu
sei sparita. Ho dovuto fare una doppia dose di colore perché il lilla non
veniva via!” rispose sorridendo Elena.
Già lei era sparita… Ma dove esattamente? E con chi?
Aveva un confuso vociare nella testa di immagini
sconnesse tra di loro, Dominique con vestitino panna bellissimo, Svitato che
rideva e poi Jessy che le parlava di qualcosa. Eppure aveva la sensazione di
aver dimenticato qualcosa di importante… Davvero importante…
Angie inspirò bruscamente e si portò entrambe le
mani sulla bocca. Poi imprecò a gran voce, sotto lo sguardo stupito di Elena.
Si era appena ricordata di che cosa aveva
dimenticato per tutta la serata…
Derek, in un chiostro ad aspettarla.
E lei non era mai arrivata.
***
Scorpius aveva una particolare affinità con Martha.
Per questo condividevano da quattro anni il banco a
Pozioni.
Entrambi erano stati educati nel retaggio di una
società reazionaria e legata a valori imprescindibili come il contegno,
l’educazione, il rispetto delle formalità, la profonda convinzione di essere
diversi, anche migliori in una certa qual misura. Lui dai suoi genitori e lei
dalla nonna paterna, che le aveva infuso quel peculiare atteggiamento da
nobildonna.
La rigidità che pervadeva quel genere di ambiente si
era riverberata nella loro crescita come una conseguenza inevitabile. Erano i
figli dell’antica nobiltà, ormai decaduta e scomparsa con l’avvento di un mondo
diverso, a cui non importava delle loro radici lontane. E a Scorpius andava
benissimo così, visto quanto sentiva stretto e alieno il mondo che era
appartenuto ai suoi antenati.
Il caso di Martha era ancor più particolare del suo,
in quanto si era trovata divisa sin dall’infanzia tra il mondo magico e il
mondo babbano, tra due origini contrastanti e in opposizione tra di loro.
I suoi genitori, a causa del lavoro che entrambi
svolgevano al Ministero della Magia, l’avevano affidata per gran parte del
tempo alla Duchessa O’Quinn, una donna dalla straordinaria personalità e forza d’animo,
ma che aveva lasciato l’impronta indelebile dei suoi valori sulla nipote.
La ragazza era quindi un misto di antica nobiltà
babbana e progressione magica, un ossimoro vivente che riusciva a conciliare i
propri mondi con straordinaria abilità.
“Direi che ormai sei pronto per parlarle civilmente,
Scorp.” Annunciò Martha inarcando entrambe le sopracciglia.
“No.”
“Non fare i capricci Malfoy! Avete montagne di cose
in sospeso, che stai tenacemente ignorando, tra l’altro facendo finta di essere
il ragazzo cattivo dei film di quarta segata… Devo proprio dirtelo, quella
trovata di cambiare ragazza ogni tre ore era ridicola!”
Scorpius aggrottò la fronte e la osservò incupito.
“Sì, Scorpius, era abbastanza evidente il tuo
intento. Adesso però dovresti sorpassare questa fase di infantilismo ostile e
provare a ricucire i rapporti con Angelique.”
“Io non ho alcuna intenzione di…”
“Malfoy abbiamo detto basta capricci!” minacciò
Martha puntandogli contro un indice ammonitore. “Si vede lontano un miglio che
vi mancate.”
Scorpius spalancò gli occhi stupito e osservò la
rossa seduta sulla brandina dell’infermeria.
Lei lo guardava con una lieve inclinazione delle
labbra, a testimoniare il fatto che si stava trattenendo dal sorridere
sfacciatamente per aver colpito nel segno.
Perché era innegabile quanto gli mancasse Angelique.
Gli mancava tutto ciò che era appartenuto alla loro
età di transizione, a quegli anni che li avevano accompagnati fin lì, a quel
punto di rottura. Sentiva la mancanza viscerale delle sue risposte sagaci e
pungenti, della sua ironia, delle lotte per i toast tra lei ed Elena, delle ore
passate in tranquillità nella Sala Comune, delle passeggiate con Antares al
limite della Foresta Proibita, del suo sorriso che era in grado di illuminare
una stanza da solo.
Con grande stupore, aveva realizzato alla fine di
quei mesi di lontananza che non gli mancava la sua fidanzata, ma la sua amica.
Quella Angelique che lo aveva trascinato a cercare escrementi di Mooncalf al
primo anno, che lo aveva convinto a evadere dal castello e andare alla
Stamberga Strillante al secondo, che lo aveva seguito in una folle corsa sui
Thestral di Hagrid al terzo…
Eppure nonostante questi sentimenti, una parte di
lui si sentiva ancora tanto ferita nell’orgoglio, per quello che era successo,
che faticava a guardarla in viso e non essere pervaso dalla rabbia.
Per questo era andato da Martha quella mattina.
Perché quella ragazza riusciva a guardare aldilà
delle maschere di ognuno, delle difese erette per nascondersi e delle
autoconvinzioni, e a servire la realtà, di cui ciascuno aveva bisogno, sul un
piatto d’argento. Era in grado di scavare nell’anima di chi aveva di fronte e
carpirne i desideri profondi, i sentimenti, le paure e le angosce, forse anche
grazie al suo dono, forse solo per indole naturale. Scorpius non avrebbe saputo
dirlo, ma una volta conosciuta Martha O’Quinn affidarsi alle sue mani diventava
quasi spontaneo.
“E se proprio
devo dirtelo, manchi parecchio anche a noi. So che Elena non lo ammetterebbe
mai, ma credo che in un qualche modo avverta la tua mancanza all’ora dei pasti…
Non ha più nessuno con cui duellare per le patate arrosto!”
Scorpius si passò una mano nei capelli mentre
ridacchiava.
“Non sto scherzando. Devi chiarire con lei.” Il tono
gaio di prima scemò velocemente dalla voce della rossa inducendolo a guardarla
dritta negli occhi.
“Non capisco, perché dovrei?!” ribatté deciso a non
arrendersi in quel tenzone dialettico.
“Per andare avanti Scorpius. Per ricominciare.”
Mormorò Martha sorridendogli con un po’ di malinconia nei grandi occhi castani.
Scorpius sospirò pesantemente e incrociò le braccia
sul petto.
Ecco il nocciolo del problema. Il punto focale che
lo aveva bloccato in quel vicolo cieco.
Andare avanti e ricominciare.
In quei due verbi si celava il cambiamento, di ciò che lui aveva conosciuto fino a quell’istante,
delle persone a cui aveva voluto bene. L’evoluzione costante che non riusciva
ad accettare, perché era cresciuto nei resti di quel mondo in cui ciò che
restava al proprio posto era giusto, ciò che cambiava e si rinnovava era sbagliato.
E lui davvero non sapeva dire a sé stesso se fosse
disposto ad andare oltre.
***
Il primo passo era stato ricostruire un minimo la
serata.
O meglio il primo era stato quello di recuperare la
pozione Una Notte da Leoni che lei
produceva per le Menadi e che teneva in fondo al baule, per evitare di vomitare
ad ogni movimento più impegnativo della respirazione.
Quando le ondate di malessere e mal di testa si
erano affievolite, era riuscita a rimettersi abbastanza in sesto per andare
alla ricerca di Dominique.
L’aveva trovata al tavolo di Serpeverde, sempre
radiosa e fresca come una rosa appena sbocciata, e l’aveva interrogata.
Era quindi venuta a conoscenza di fatti che non
riusciva proprio a ricordare, come quello di essere stata particolarmente
allegra e simpatica con Svitato e Janus Mcmillan, come quello di aver cercato
di fare il giocoliere con delle arance sotto la guida di Locarn ma di aver
fallito miseramente, e come quello che era stato James Sirius Potter a
riaccompagnarla nei suoi dormitori, cosa a cui Nana non aveva minimamente
accennato per dirne una!
Il secondo sarebbe dovuto essere quello di chiedere
a Potter che cosa fosse accaduto nel tragitto.
Il terzo vedere Derek e scusarsi.
Quindi ora si trovata nella terribile situazione di
dover andare a cercare sia Jessy, sia Derek, per parlare con entrambi
separatamente. Impresa a dir poco ardua, considerato che uno non viaggiava mai
senza l’altro e che se avesse parlato col primo in presenza del secondo, senza
prima essersi scusata per non essersi presentata al loro appuntamento, avrebbe,
con ogni probabilità, causato un macello.
“Riesco a sentire il rumore del tuo cervello che
lavora, Pesciolino.” Mormorò Al accanto a lei.
Angie si agitò sulla sedia come un’anguilla. Sia
perché l’aveva colta in fallo, sia perché quel soprannome, che a suo tempo le
aveva affibbiato nonno Etienne, le faceva mancare sempre un battito.
Ma perché diamine si ritrovava sempre in quelle
situazioni… merdose?!
“Sono recidiva Albus. Continuo a fare gli stessi
errori.” bisbigliò iniziando a pizzicare il labbro inferiore con indice e
pollice.
Al le allontanò la mano dal viso con la propria e la
osservò in silenzio.
“Ieri sera ho alzato il gomito.” Ammise la bionda
distogliendo lo sguardo da quello del migliore amico. Aveva gli occhi troppo
verdi, troppo perforanti per essere affrontati senza problemi di colpevolezza. Sembravano
la punta aguzza di due smeraldi, o di un ghiaccio millenario celato sotto
distese infinite di erba rigogliosa che affondava senza esclusione di colpi
nell’animo.
Chissà se anche i suoi erano così maledettamente… verdi?!
“Mmm…” mugugnò Al stringendo le labbra e aggrottando
la fronte.
“E non mi ricordo che cosa ho fatto per gran parte
del tempo.” Ammise la giovane scarabocchiando un angolo della propria pergamena
su cui stava prendendo gli appunti di Astronomia.
“Oh beh, tra il passare un’ora con Schatten e non
averne alcun ricordo, io so già che cosa sceglierei!” bisbigliò il suo migliore
amico sorridendo.
Angie gli diede una leggera gomitata e suo malgrado
sorrise anche lei.
“Ma io non ero con lui.” Mormorò riprendendo a
pizzicarsi le pellicine del labbro inferiore.
“E con chi eri?” domandò Al con aria interessata.
Angie deglutì e farfugliò qualcosa di
incomprensibile fissando il banco.
“Sto ancora lavorando sulle mie abilità da
criptoniano Angelique, ma il super-udito proprio mi manca.” bisbigliò lui
cercando il suo sguardo ma la ragazza continuava a fissare imperterrita lo
spigolo del banco.
Angelique respirò lentamente prima di sussurrare la
verità.
“Ero con Svitato…. E con tuo fratello.”
Silenzio.
Mai spigolo di un banco fu analizzato più
minuziosamente, come in quegli istanti dalla bionda fanciulla che sedeva
accanto al silente rampollo di casa Potter.
Ancora un terribile e prolungato silenzio da parte
del suo amico.
Angie prese coraggio e lo spiò girandosi appena
verso di lui.
Due occhi verdi, chiari e impenetrabili, la
inchiodarono all’istante e lei quasi ci rimase secca.
Albus la stava letteralmente scandagliando. Senza
che alcuna emozione apparente tradisse i suoi pensieri o le sue considerazioni
sul caso. E non parlava!
“Ah.” spiccicò infine dopo un silenzio di piombo
voltandosi verso la lavagna dove la Professoressa Sinistra aveva disegnato
l’orbita dei satelliti di Giove.
Angie si agitò ancor di più sulla sedia, istigata
dalla sua trota interiore che aveva ripreso a dimenarsi in cerca di un po’ di
respiro. In ogni posizione in cui il suo fondoschiena si posizionava le
sembrava di avere un cuscino di spine…
Non tanto perché il suo migliore amico aveva
improvvisamente perso la facoltà di parlare. Piuttosto perché non aveva idea di
che cosa avesse combinato con Potter!
Sicuramente Svitato non avrebbe mai e poi mai fatto
qualcosa di equivoco con lei, ne era certissima in ogni sua fibra... Jessy, però,
era tutto un altro paio di maniche.
Lui con quello sguardo irriverente e sfrontato, che
bruciava in modo così poco consono alle relazioni innocue, che spesso e
volentieri lasciava intendere dai suoi sottointesi un genere di esperienza
acquisita nel corso degli anni che in quel momento era meglio ignorare per la
sua sanità mentale, che avrebbe sicuramente
saputo far cedere una ragazza senza troppo impegno, che aveva un sorriso
invitante e sfacciato quanto le sue espressioni…
E lei che aveva sperimentato quanto l’alcool la
rendesse disinibita, che era in cerca di un conforto sincero per la giornata
tremenda appena passata e che non lo aveva ricevuto da Derek, ma soprattutto
che non ricordava assolutamente nulla…
Che cavolo aveva combinato con Potter???
Angie si passò una mano sul viso e, mentre aveva gli
occhi chiusi, all’improvviso il trillo della campanella, che decretava la fine
di quella barbosissima ora, invase l’aula con un timbro squillante e
penetrante. La ragazza fu presa tanto alla sprovvista che sobbalzò sul suo
trono di spine ed emise un gridolino stupito.
Mezza classe di Corvonero e Serpeverde si voltò
verso di lei ridacchiando, e lei li ignorò tutti sistematicamente. Raccattò i
propri fogli velocemente, (rovesciando l’inchiostro di Albus accidentalmente
sul proprietario), si scusò con l’amico e ficcò tutto dentro la borsa senza
curarsi troppo del loro destino.
Fu la prima a fiondarsi fuori dall’aula e iniziò a
correre, sbatacchiando la consunta tracolla di pelle nera contro il fianco
destro. Doveva trovare Jessy durante quel cambio dell’ora e siccome, nonostante
le costasse veramente molto ammetterlo, aveva imparato a conoscerlo,
esclusivamente per prevedere ed evitare le sue mosse, era a conoscenza anche
delle sue abitudini.
Sapeva dunque dove si recava ai cambi dell’ora per
respirare un po’ di aria fresca.
Il luogo era lo stesso da anni, quello stesso in cui
lo aveva raggiunto in un lontano marzo per restituirgli un libro, che poi aveva
dovuto tenere con sé nella sua piccola e sovraffollata libreria perché lui
negava ostinatamente che gli appartenesse.
Dopo alcuni minuti passati a scavalcare i più
piccoli e spintonare i più grandi, finalmente giunse in quel chiostro con al
centro una fontana.
E fu mentre tentava di scavalcare una delle ampie
fenestrature di pietra e mattoni, che lo sentì sorgere e seppe che si sarebbe
fatta male.
Infatti il suo piede sinistro inciampò nel bordo di
granito e la fece finire bocconi.
Il suo elefante
latente, come lo chiamava Scorpius, si era appena manifestato in tutta la
sua ingombrante presenza; quel lato di lei che si faceva vivo quando era
agitata e che la rendeva di una goffaggine mostruosa. Come in quell’istante.
Sentì alcuni ridere a pochi passi da lei e col volto
in fiamme tentò di rialzarsi dopo la clamorosa caduta sul praticello del
chiostro. Tuttavia un paio di piedi entrarono subito nella sua visuale e
Angelique seppe sin da quell’istante di aver avuto proprio un’idea malsana.
“Gigì… Abbiamo ancora gli strascichi di ieri sera?
Inizio a pensare che tu sia una mezza-calzetta in fatto di notti brave.”
Beh in fondo lo aveva trovato, no? Era quello
l’obiettivo…
“Ciao Jessy.” bofonchiò mentre si issava sui palmi,
ma prima che riuscisse rimettersi in posizione eretta da sola, una mano si
strinse sul suo gomito e l’alzò di peso.
Quando sollevò gli occhi sul suo viso, trovò uno
sguardo ammiccante e sorridente ad osservarla, con l’ombra del divertimento
sempre presente.
“Dunque, immagino che tu sia qui per me o ti diverti
a misurare il perimetro del castello con le ginocchia?” le chiese sorridendo
apertamente.
Angie spostò il peso da un piede all’altro
distogliendo immediatamente lo sguardo e fissando un punto apparentemente
innocuo alle sue spalle.
Apparentemente.
Infatti come aveva previsto quella mattina a pochi
metri da loro c’era tutta la folta schiera di compari di Jessy e immediatamente
un paio di occhi neri si posarono su di lei.
Angelique deglutì e pensò febbrilmente a come
risolvere quell’inghippo.
L’unica risposta soddisfacente che le venne in mente
fu quella della rapidità. Ovvero essere abbastanza veloce nel chiedere a James
quello che le interessava prima che Derek potesse sentire.
“Jessy che cosa abbiamo fatto ieri sera?” disse
rapidamente tornando a guardare James dritto negli occhi.
L’ambra attorno alla pupilla sembrò sfavillare di
una luce estremamente interessata.
“Non ti ricordi nulla…” mormorò osservandola con un
mezzo sorriso. E ovviamente non era una domanda.
“Jessy, per favore, rispondimi!” esclamò spiando con
ansia oltre la sua stazza non poco ingombrante. Derek e gli altri amici si
stavano alzando dalla panchina e gli opali appartenenti al giovane non
l’avevano ancora lasciata.
“Beh, tanto per cominciare tu hai ingurgitato una
quantità di alcool, pari alla fornitura annuale di un’enoteca…”
“Questo lo so!” lo interruppe iniziando a torcersi
le mani. Si stava avvicinando sempre di più…
“E dopo sei collassata come un cotechino bollito sul
divano della Buca. Io poi, nella mia infinita gentilezza, ti ho riaccompagnata
in dormitorio. Tra l’altro credo di essermi erniato un disco!” concluse James
scrollando le spalle.
“E non abbiamo fatto nulla, vero? Mentre mi
accompagnavi intendo?” snocciolò rapidissima notando le sagome ormai a pochi
passi da loro.
“No, Gigì.” rispose James con un sorriso indulgente.
Un peso enorme, un macigno vero e proprio scivolò
all’altezza delle caviglie di Angelique, consentendole finalmente di riprendere
a respirare come una persona normale. Tuttavia durò pochissimo, perché non a
caso James Potter era la sua Piaga d’Egitto.
Sapeva sempre quale fosse la cosa più sbagliata nel
momento peggiore e la sfoderava con un sicurezza che aveva del diabolico, o
dell’esasperante.
Infatti ricominciò a parlare.
“Però se vuoi posso inventarmi dei dettagli piccanti
da somministrare al tuo malvagio ex, per fargli rodere il fegato! Per esempio
che ti ho portata a vedere le rive del Lago Nero al chiaro di luna.”
Ed ecco comparire, leggermente in disparte rispetto
a loro ma da una posizione in cui si poteva udire tutto, Derek.
“Jessy…”
“Che poi tu mi hai implorato di baciarti in quel
meraviglioso luogo!”
“Jessy!”
“Io ho gentilmente acconsentito ai tuoi desideri,
posando le mie labbra sulle tue, che si sono concesse a me con facilità e
desiderio. Erano morbide e calde…”
“Potter!”
“E abbiamo passato ore intere a sigillare i nostri
respiri con baci sempre più passionali, per non parlare della notte focosa che
abbiamo trascorso nella…”
Angelique, in preda al panico, si gettò
letteralmente su Jessy tappandogli la bocca con una mano. Lo slancio con cui si mosse la fece quasi
caracollare sul giovane, il quale la trattenne per i fianchi, evitandole la
caduta.
Si ritrovò quindi a pochissimi centimetri da lui,
col naso quasi schiacciato contro il suo. I suoi occhi parvero fondersi con i
toni caldi di quelli di lui, come miele bollente che le scorreva addosso.
Sentì sotto il proprio palmo le labbra del ragazzo
tendersi in un sorriso divertito, senza avere la minima idea di che catastrofe avesse
appena causato.
Angie si voltò appena verso Derek.
Ciò che vi lesse, per la frazione di secondo in cui
i suoi occhi restarono incatenati a quelli scuri di lui, fu abbastanza per
farle sprofondare il cuore in un abisso.
Rabbia,
delusione, smarrimento e incredulità. La traduzione di un
unico evento, il tradimento.
Poi lui si voltò e si allontanò a grandi falcate,
senza degnarla nemmeno di un millesimo in più di attenzione.
Angie mollò la presa su Potter e si staccò da lui,
quasi spintonandolo.
James dal canto suo sbarrò gli occhi, sorpreso per
quella reazione e per lo sguardo di Angelique, che sembrava inspiegabilmente
ferito e preoccupato.
Angie si sentì sprofondare inesorabilmente, perché
non avrebbe mai potuto inseguire Derek e cercare di spiegare quello sciocco
malinteso. Loro, infatti, alla luce di quel maledetto sole autunnale non erano
null’altro che estranei. Anche se Potter aveva appena danneggiato qualcosa di
invisibile a tutto il resto del mondo, per la ragazza fu come non avere più
terreno sotto i piedi.
“Sei veramente un idiota.” mormorò quasi con tono
incolore. Distolse lo sguardo da quello di Jessy, voltandosi per mettere più
metri possibili tra lei e quel raro esemplare di decerebrato vivente.
“Gigì! Ehi, Gigì! Ma che modi sono?!” urlò
sinceramente spaesato il giovane Potter, quando non ricevette nemmeno la più
piccola risposta abbandonò le braccia lungo i fianchi.
Questa volta davvero non aveva idea di che cosa
avesse sbagliato!
Angie aggiustò le protezioni degli avambracci con un
movimento secco.
Prese la casacca verde smeraldo, sul cui retro era
ricamato con un filo argentato il suo cognome e un 5, il suo numero, e la
indossò lasciandola aperta sul davanti.
Si volse verso lo specchio e iniziò a intrecciare i
capelli partendo dall’alto.
Lo aveva atteso per tre sere consecutive.
Aveva sperato, minuto dopo minuto, nel lento
sgocciolare del tempo disponibile, di udire i passi perfettamente cadenzati, di
alzare lo sguardo e incontrare il suo viso. Avrebbe sopportato la rabbia, la
delusione, sarebbe stata disposta a spiegargli ogni cosa e chiedergli scusa per
essersi dimenticata del loro appuntamento.
Ma lui non si era mai presentato.
Non le aveva nemmeno lasciato il beneficio del
dubbio, l’aveva privata di una qualsiasi possibilità di ragionare e di chiarire
con lui.
Si tolse dal polso l’elastico verde e chiuse la
parte finale della treccia.
Se in quel momento si sentisse più ferita, o più
furiosa, o semplicemente più abbattuta, Angelique decise fermamente di
ignorarlo. Quel sabato non c’era spazio per Derek Schatten nella sua testa.
Doveva scendere in campo e mantenere i nervi saldi.
Doveva restare calma e fredda, calcolare i movimenti
altrui, cercare il suo unico obbiettivo, un piccolo globo dorato quasi
invisibile, e consegnare la vittoria alla sua Casa, alla sua squadra, al suo
migliore amico.
Degli occhi neri che la guardavano stupiti e
traditi, delle labbra cesellate e piegate in una linea dura, dei capelli oro
zecchino che le invadevano la mente appena abbassava le proprie difese, non
voleva ricordare nulla.
Con un gesto deciso aprì la porta del bagno
femminile e entrò nello spogliatoio, dando un’occhiata alla squadra al
completo.
Il Capitano sembrava una bestia in gabbia, Richard
Miller sedeva composto e serio vicino ad una finestrella scambiando qualche
parola con Janus Mcmillan, Scorpius stava controllando la coda del suo manico
di scopa nuovo di zecca.
Angie pensò alla Winterwind e un piccolo sorriso
fece capolino sulle sue labbra. Ormai aveva quasi raggiunto la quota
esorbitante di soldi necessaria per poter comprare il modello base. Alla
prossima partita avrebbe inforcato quel perfetto esemplare di scopa da corsa!
Poi, mentre i suoi occhi passavano la figura di
Dominique intenta a passarsi del burro di cacao sulle labbra con una tale
concentrazione che sembrava ne dipendesse della sua vita, lo vide…
Il più piccolo della squadra sedeva con le ginocchia
rannicchiate contro il petto e si guardava attorno angustiato. Aveva gli occhi
sgranati e i capelli scuri tutti arruffati sulla testa.
Per un istante Angie pensò alla sorellina minore, Estelle,
che quando era spaventata assumeva lo stesso sguardo perso. Vide davanti a sé i
suoi occhi azzurri, tanto limpidi da riuscire a vederle l’anima attraverso di
essi.
I suoi piedi si mossero spontaneamente e la
portarono accanto a Rendly, che sussultò quando lei si sedette.
“Sei nervoso Rendly?” mormorò la bionda osservando
sottecchi il ragazzino.
Quello inizialmente scosse la testa fermamente,
imbronciandosi appena, ma quando vide che Angie gli sorrideva annuì in modo
impercettibile.
“Beh per quanto ne so, tiri dei gran bolidi.” una
mano di Angie corse immediatamente al setto nasale e se lo tastò, memore del
colpo ricevuto qualche settimana prima.
Rendly ridacchiò nervosamente e si decise finalmente
a riportare le ginocchia in posizione corretta, evidentemente sollevato.
“Sai, la prima volta che ho giocato a Quidditch mi
sono rotta un braccio e una costola.” disse ancora lei ricordandosi delle sue
prime selezioni. In realtà dubitava che quell’informazione potesse aiutare il
ragazzo a sentirsi meno nervoso, anzi probabilmente lo avrebbe agitato ancor di
più, ma le era venuto tanto spontaneo raccontargli di quell’episodio che non
era riuscita a fermarsi.
“Ma allora è vero che tu ti fai continuamente
male?!” le chiese Rendly divertito.
“Eh già, ma non è finita qui… Pensa, una volta
durante una partita ho vomitato davanti a tutta la scuola. Due volte.”
Rendly sgranò gli occhi scuri osservandola
stupefatto, poi proruppe in una sonora risata che ebbe il potere di far
sorridere anche lei.
Furono in interrotti da Albus che richiamò la loro
attenzione pochi istanti dopo e si mise al centro dello spogliatoio.
“Ci siamo ragazzi. Abbiamo lavorato duramente in
queste settimane e io sono davvero orgoglioso di come tutti abbiano dato il
massimo. Stiamo ancora imparando a restare coesi e giocare uniti, ma ci sono
cose più importanti delle tattiche o dei punti segnati sul tabellone! Io ci
osservo e vedo un gruppo affiatato, nonostante le diversità di ognuno. Io ci
osservo e vedo una vera squadra! Per questo oggi vi dico solo: andiamo là fuori
e giochiamo, facciamo vedere a tutti che cosa siamo in grado di fare!” la voce
di Albus era stata calma e vibrante, piacevolmente rassicurante ma anche in
grado di motivare. Quando si esaurì tutta la squadra si lanciò in esclamazioni di
approvazione e in battiti di mani.
Angelique incrociò il suo sguardo e gli sorrise
piena d’orgoglio. Quello era il suo migliore amico, il suo Capitano, il suo Al!
Uscirono dallo spogliatoio in silenzio e Angelique
ne approfittò per raggiungere il cugino in testa alla fila.
“Com’è andata? Sembravo un fesso?” le chiese
angustiato, scostandosi un ciuffo di capelli neri dalla fronte.
“Sei stato un vero Capitano, Potter.” rispose lei e
cercò la sua mano vicino al fianco, per poter intrecciare le proprie dita con
le sue.
Albus respirò a fondo e fece un sorriso
stiracchiato.
Raggiunsero il centro del campo mentre i Tassorosso
entravano dalla parte opposta.
Attorno a loro il frastuono era assordante, voci,
fischi, mani che battevano ritmicamente, striscioni colorati, la maggior parte
dei quali gialli e neri…
Angelique inforcò la sua vecchia scopa e chiuse gli
occhi, respirando lentamente.
Tutto il caos proveniente dagli spalti si ridusse a
poco più di un brusio, mentre la ragazza si concentrava sul battito del proprio
cuore che le rimbombava nelle orecchie.
Strinse le mani attorno al manico di legno liscio e
un po’ consunto, sentendo ogni fibra del proprio corpo tendersi per rispondere
al segnale d’inizio e farla scattare verso il cielo che in quel momento la stava
reclamando.
Sentì Albus al proprio fianco prepararsi a fare
altrettanto.
Fu mentre il professor Baston fischiava per dare il
via alla partita che Angelique aprì gli occhi finalmente e si librò nell’aria
fredda di ottobre.
Volare era parte della sua vita.
Volare era quasi meglio di creare Pozioni complesse
e potenzialmente letali partendo da ingredienti innocui e banali, rendendo
magico ciò che prima era solo inerme.
Volare era vertigine, meraviglia, adrenalina,
velocità, muscoli che bruciavano e si tendevano.
Volare era anche vincere.
Angelique si appiattì ancor di più sul manico
tendendo il braccio fino allo spasmo.
La cronaca della partita le rimbombava nella testa
senza che riuscisse a capire davvero, riconosceva solo i cognomi dei suoi
compagni sporadicamente o le esclamazioni colorite di Jordan.
Tutto in lei era volto alla cattura del boccino
d’oro che svolazzava frenetico cambiando repentinamente direzione e la
costringeva da minuti a virate e mosse brusche.
Era tallonata dalla Cercatrice di Tassorosso che si
stava dimostrando molto abile.
Angie udì distintamente il cognome di Scorpius e
girò bruscamente a sinistra per inseguire il boccino, ritrovandosi nel bel
mezzo del campo, in mezzo ai Cacciatori e i Battitori.
Un bolide le frecciò tanto vicino che sentì il
movimento d’aria su tutto il lato sinistro del viso e poco dopo udì un grido di
dolore alle sue spalle.
La sua avversaria era appena stata colpita con un tiro
perfettamente assestato, ma non si lasciò deconcentrare, perché era così
vicina…
La sua mano si tese ancor di più mentre spostava il
peso in avanti…
Ed ecco le sue dita sfiorare il metallo gelido per
poi racchiuderlo nel palmo. L’aveva preso!
Non fece nemmeno in tempo ad esultare o gioire che
si accorse di star andando a sbattere contro qualcuno. Con una brusca sterzata
cercò di arrestare la velocità della scopa, ma l’inerzia fu tanta da fare
scontrare la sua spalla contro quella del malcapitato e quasi disarcionarlo. La
pluffa cadde verso il suolo mentre il ragazzo tentava di restare in equilibrio.
Solo in un secondo momento si rese conto che il
giocatore aveva la divisa di Serpeverde, che stava per tirare la pluffa negli
anelli e che aveva dei capelli lisci, di un biondo tanto chiaro da sembrare
finto…
“Ma ti sei bevuta il cervello?!” urlò Scorpius
guardandola inferocito.
Angie dischiuse le labbra e lo osservò stupita.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che le aveva rivolto la parola? Un
mese?
“Stavo tirando, maledizione! Come ti salta in testa
di…”
Angelique smise di ascoltare.
Philip Jordan stava urlando nel microfono incantato
che Serpeverde aveva appena vinto, Scorpius la stava guardando ancora furente
evidentemente senza collegare il boccino nella sua destra con lo scontro appena
avvenuto, qualcuno aveva iniziato a cantare…
Angelique smise di ascoltare, perché un punto nero
rapidissimo si stava avvicinando a Scorpius. Un bolide mirava alle sue spalle e
lo avrebbe certamente preso di sorpresa, facendogli del male.
Non ci fu alcun bisogno di pensare.
Angelique si gettò in avanti, quasi abbracciando
Scorpius per allontanarlo dalla direzione del bolide. Le sue mani cinsero le
braccia del giovane e lo spinsero di lato, inducendolo a ruotare.
Con quel movimento prese il suo posto, dando le
spalle alla palla in avvicinamento.
Ebbe appena il tempo di guardare gli occhi grigi di
Scorpius spalancarsi e osservarla, dilatati dalla sorpresa e per la prima volta
dopo tanto tempo privi di astio, prima che tutto diventasse buio e silenzioso.
***
La prima cosa che gli era piaciuta di Angelique erano
stati i capelli, dorati come spighe di grano mature, arricciati in boccoli
sinuosi e soffici. Questo prima di notare l’espressione cocciuta e fiera di una
ragazzina seduta da sola, così abituata all’esserlo, evidentemente, da non aver
tentato alcun approccio di socializzazione con lui e Octavius. Così giovane e
così autonoma da sapersi bastare anche per affrontare un nuovo viaggio verso
qualcosa di sconosciuto.
Eppure, nonostante fosse alta per la sua età, con un
corpo su cui iniziavano a prendere vita i primi segni di sviluppo, quando se
n’era tornata nel suo cantuccio delusa dopo aver scoperto che non c’erano più
Api Frizzole nel carrello, ciò a cui Scorpius aveva pensato era che in realtà
fosse un cucciolo. Un cucciolo di leone che se ne stava rintanato per non
subire rifiuti o non doversi esporre. Così lui aveva tentato di avvicinarla in
modo ridicolo e goffo, ma tanto era bastato perché gli occhi verdi si posassero
su di lui, diffidenti e penetranti, lo specchio dei suoi sentimenti.
Poi aveva riso, quando lui aveva fatto una
caricatura della voce di suo nonno per scusarsi. E quella risata, spontanea e
travolgente come una cascata di acqua fresca, gli entrata nel cuore. Da quel
giorno, e negli anni che erano seguiti, aveva sempre fatto di tutto per far scaturire
quel suono dalle sue labbra, perché lo faceva sentire leggero e appagato,
perché vederla con gli occhi socchiusi e le gote arrossate per il divertimento
era una gioia anche per lui.
E adesso lei era lì.
Distesa nel letto con i capelli sciolti, attorno al
volto e sulle spalle, e con gli occhi chiusi. Ferma.
Madama Chips all’inizio aveva urlato che non ne poteva
più di vederla in Infermeria, ma quando aveva visto la preoccupazione di tutti
e il suo stato di incoscienza era intervenuta immediatamente.
Trauma cranico, aveva diagnosticato rapidamente e
poi si era messa all’opera.
Scorpius aveva visto Martha scendere dalla propria
branda e guardare la scena piena d’angoscia e timore, per poi dirigersi verso
Elena e abbracciarla.
C’era stata quasi un’invasione dell’Infermeria,
persino alcuni parenti di Al si erano aggregati al folto gruppo che comprendeva
la squadra e alcuni Serpeverde. Eppure nessuno osava fiatare mentre la donna
armeggiava con incantesimi sulla testa di Angie.
Solo in un secondo momento, quando gli incantesimi
erano stati eseguiti e non c’era più pericolo, l’infermiera li aveva cacciati
con tono perentorio.
Ma lui non si era mosso di un millimetro. Aveva
detto chiaramente alla donna che, se lo voleva fuori di lì, lo avrebbe dovuto
schiantare, perché non se ne sarebbe andato finché lei non avesse riaperto gli
occhi.
Dopo qualche minuto di minacce, punti tolti a
Serpeverde e borbottii indistinti, la donna aveva ceduto.
Così lui si era seduto accanto ad Angelique e
attendeva, osservandola e ripensando al passato.
Mentre percorreva i tratti delicati e regolari,
centimetro per centimetro, Scorpius giunse ad una banale constatazione: era
cambiata.
La ragazzina che aveva incontrato sul treno per
Hogwarts non c’era più. Si era trasformata insieme a lui, era cresciuta al suo
fianco, era diventata qualcosa di diverso e lui non era stato in grado di
recepirlo a tempo debito, perdendola per strada.
Forse era stato per quello che lei si era innamorata
di Schatten, o forse sarebbe accaduto in ogni caso, ma lui aveva commesso
l’errore più grave di tutti, l’aveva data per scontata. Aveva chiuso gli occhi
davanti al suo allontanamento, per celarsi dietro la convinzione che tutto
sarebbe sempre stato uguale, che tutto sarebbe andato bene.
E invece non era andato bene un cazzo di niente.
Scorpius, seduto su quella sedia scomodissima con
una mano intrecciata a quella di Angelique, fredda e piccola, si assunse per la
prima volta dopo mesi le colpe che gli spettavano. E avrebbe rimediato…
“Mmm…” un mugolio di dolore si levò dalle labbra di
Angelique, mentre il suo viso si distorceva in un’espressione sofferente.
“Merda.” bofonchiò la giovane cercando di aprire gli
occhi e riuscendo a schiuderli appena.
Scorpius scattò in piedi e agguantò la pozione che
Madama Chips gli aveva intimato di farle bere appena sveglia, per lenire il
dolore lancinante della frattura in via di guarigione. Con delicatezza le mise
una mano sulla nuca e le sollevò la testa verso il bicchiere ricolmo.
Dopo la prima sorsata Angelique tentò di allontanarsi
ma lui le tenne il capo fermo mentre inclinava il bicchiere per farle consumare
quella schifosa poltiglia.
“Devi bere tutto, Angie.” le sussurrò.
La giovane stranamente obbedì e poi si lasciò
ricadere contro i guanciali. Giusto il tempo perché l’intruglio facesse il suo
effetto e…
“Scorpius?”
Angelique aveva spalancato gli occhi e lo fissava
stupefatta. Poi si tirò lentamente a sedere e fece una smorfia di dolore,
evidentemente per la testa.
“Avevi una frattura cranica sull’osso occipitale.”
le annunciò lui tornando alla sua sedia.
“Perché… Insomma… Tu…Che cosa… Bah.” mormorò lei e
quell’ultima parola le uscì come un sospiro di resa per la confusione che
evidentemente regnava nel suo cervello.
“Perché l’hai fatto Angelique?” le domandò abbassando
lo sguardo verso le sue scarpe.
“Io… Di che cosa stiamo parlando?” Era strano udire
un tono tanto timido e insicuro da lei.
Un moto di fastidio investì Scorpius all’idea che
lei avesse pensato immediatamente a Schatten, ma era ampiamente giustificata dal
suo comportamento degli ultimi mesi.
“Perché mi hai scansato prendendoti un bolide dritto
in testa?” domandò ancora Scorp alzando lo sguardo e incrociando finalmente gli
occhi di Angelique.
“Ma che domanda stupida fai?! Perché…” ma si
interruppe e iniziò a giocherellare il braccialetto che portava al polso.
Scorpius osservò l’oggetto e una fitta dolorosa gli
attraversò il cuore. Era il braccialetto che lui le aveva donato a Natale di
quattro anni prima…
“Perché ti voglio bene.” rispose Angie in poco più di
un sussurro continuando ad evitare i suoi occhi.
“No scusa, fammi capire. Ti ho vessata in ogni modo
possibile per settimane, mi sono comportato da idiota in ogni occasione, ti ho
detto cose deplorevoli, ti ho sminuita davanti a tutta la classe, ti ho ignorata,
ti…”
“Sì sì me le ricordo queste cose, c’ero anch’io!”
“Non ho risposto a nessuna delle tue trentasette
lettere…”
“Le hai contate?”
“E tu, prima mi salvi da un bolide e poi mi dici che
mi vuoi bene?!” sbottò Scorpius allargando le braccia.
Era costernato, allibito, confuso, spiazzato... E
forse anche un po’ felice, ma non riuscì a comprenderlo in quel momento.
“Beh che dovevo fare?! Lasciare che ti facesse
male?” rispose Angelique osservandolo truce.
“Dio sì! Dovevi proprio lasciare che mi sfracellasse
il cranio! Perché me lo sarei meritato!” esclamò esasperato lui.
Angie aprì la bocca per ribattere, poi la chiuse.
Guardò di fronte a sé, poi tornò ad osservarlo e aprì la bocca un’altra volta,
per poi richiuderla. Infine aggrottò semplicemente la fronte e lo guardò
spaesata.
“Ti ho trattata in un modo inconcepibile. Non so
nemmeno da dove partire per scusarmi… E non riesco proprio a capire perché tu
non abbia mai reagito! Non hai mai risposto ad una singola provocazione, non mi
hai mai restituito quello che mi sarei meritato. Mi sono inventato qualsiasi
cosa per vendicarmi e tu… Mi hai salvato da un bolide perché mi vuoi bene.”
“Sì. E se lo vuoi sapere non ho mai reagito per una
semplice ragione… Io sapevo che saresti tornato prima o poi.” ribatté lei con
l’ombra di un sorriso sulle labbra.
Fu il turno di Scorpius di sentirsi confuso, ma non
fece in tempo ad chiedere spiegazioni che gli vennero fornite, con un tono
tranquillo e quasi… sollevato.
“Sapevo che Scorpius, quello vero, non quel
deficiente platinato che aveva preso in affitto il suo corpo, sarebbe tornato
col tempo. Sapevo di averti ferito in un modo che ancora non riesco a
perdonarmi. Ero sicura che fossi sepolto sotto le macerie del tuo orgoglio, che
ci fosse ancora una minuscola parte di te che mi voleva bene. E sai perché?”
Scorpius si limitò a scuotere la testa e continuare
a fissarla, mentre si liberava dei suoi pesi.
“Perché avresti potuto farmi molto più male di così.
Avresti potuto dire a tutto il castello di me e Derek, avresti potuto umiliarmi
davvero nel profondo e ferirmi, ma hai scelto di non farlo. Persino con Al…
All’inizio pensavo che non gli avessi detto nulla per obbligarmi ad
affrontarlo, poi ho capito che era il tuo modo per darmi una scappatoia. E
allora mi sono convinta che c’era speranza, che sarebbe valsa la pena
aspettarti.”
Scorpius si passò le mani sul volto allibito. Di
tutto si sarebbe aspettato, insulti, pianti, sberle (a volte diventava
violenta), accuse, ma mai una confessione a cuore aperto. Mai.
“Per questo l’hai tenuto?” le domandò indicando con
lo sguardo la mano sinistra della ragazza dove il braccialetto di rose e spine
faceva bella mostra di sé.
Angie si osservò il polso per un istante e poi tornò
a guardarlo negli occhi, mentre nei suoi riluceva un bagliore di divertimento.
“No, questo l’ho tenuto perché mi piaceva!” gli
disse ghignando appena.
Scorpius rise, inducendo anche lei a fare
altrettanto, e si rigenerò in quel suono famigliare, di cui aveva avuto una
nostalgia viscerale.
“Sei bella quando ridi.” mormorò Scorpius non
riuscendo a fermarsi. In effetti non era molto opportuno dire delle cose del
genere visto che si erano lasciati, e pure male, però quelle parole gli erano
salite alle labbra con spontaneità. E tali lui le aveva pronunciate.
Angelique abbassò lo sguardo leggermente imbarazzata
e prese a osservare il lenzuolo.
Chissà se sarebbero riusciti a ricomporre un minimo
quello che erano stati un tempo? Se avrebbero avuto il coraggio e la forza di
ricostruire un rapporto di amicizia, scevro dal coinvolgimento sentimentale? Se
lei avrebbe voluto ancora essere sua amica?
Più di quelle domande, ce n’era una che gli premeva
in gola per uscire.
“Vorrei sapere una cosa Angie… sei felice con lui?”
mormorò cercando i suoi occhi che ancora fissavano il tessuto delle lenzuola.
La ragazza si strinse nelle spalle e annuì
lievemente.
“Guardami, Angelique. Guardami negli occhi e dimmi
che lui ti fa felice.” disse inducendola ad obbedirgli.
E quando incrociò le iridi verdi di lei, ricevette
tutte le risposte che non sarebbero mai uscite dalle sue labbra. Vide il
tormento allo stato più puro, vide il dolore del logoramento impresso nel
colore chiaro dei prati in fiore, vide la malinconia di una relazione negata e
segreta, vide la scintilla di tempesta e fuoco che li aveva sempre
contraddistinti affievolita fino all’inesistenza.
E seppe che non era stata per nulla felice in quei
mesi, che non aveva scelto la via più semplice cedendo a Schatten, ma che
seguendo il proprio cuore si era fatta male, in profondità, fino a sanguinare.
Scorpius si alzò e, senza pensare alle complicazioni
del caso, l’avvolse nelle proprie braccia. Strinse contro il petto il suo
corpo, posandole il mento sul capo e cullandola appena. La rigidità iniziale
per la sorpresa si sciolse presto e la ragazza gli passò le braccia attorno
alla vita, sprofondando col naso nella sua divisa.
“Mi dispiace così tanto…” sussurrò Angie con la voce
spezzata e prossima al pianto.
Scorpius non rispose, limitandosi ad accarezzarle il
capo
Rimasero, in quella posizione per un tempo
indefinito, una sospensione dello scorrere incessante dei secondi che consentì
loro di riprendersi; quasi di ricominciare da quel punto in cui si erano
interrotti, prima di allontanarsi, di perdersi, di tradire l’affetto.
Fu in quel semplice abbraccio, privo di malizia, che
Scorpius e Angelique si riavvicinarono,
più di quanto avrebbero mai potuto fare con ore di parole volte a chiarire i
loro punti in sospeso, come li aveva chiamati Martha.
Quando sciolse finalmente l’abbraccio vide che Angie
tenne gli occhi chiusi per qualche istante, prima di riaprirli e mostrarli
leggermente lucidi.
Era strano averla così vicina e non provare il
desiderio di baciarla, di stringerle i fianchi o di sfiorarne la pelle fresca…
Erano davvero cambiati.
“Sarai sempre la
mia tazza preferita Scorpius Hyperion Malfoy.”* sussurrò Angie con un
sorriso mesto sulle labbra.
“Non credo di aver mai capito bene che cosa
significasse quella cosa.” rispose lui sdrammatizzando.
“Andremo a chiederlo ad Hagrid, lui è l’unico che
può spiegartelo efficacemente!”
Era surreale tornare a scherzare, tornare a
sorridersi e osservarsi con occhi complici. Ed era straordinariamente bello.
Scorpius si chinò su di lei, baciandole una guancia
e sentendola tendersi immediatamente per quel gesto inaspettato.
Si allontanò e le sorrise, prima di voltarsi per
andarsene. Tuttavia restava ancora una cosa, che avrebbe voluto dirle, perché
probabilmente non ci sarebbe stata un’altra occasione simile. Così prese fiato
e si decise a esprime quel pare non richiesto, sentendo di doverlo fare per
lei.
“Meriti di essere felice. Meriti molto di più di
questo, Angie.” disse restando voltato, eppure riuscì a sentire il respiro di
Angie trattenersi e venir liberato lentamente, in un sospiro sofferto e
consapevole.
Sì, anche lei lo sapeva.
Scorpius marciò fuori dall’Infermeria, con la vaga
sensazione di stordimento conseguente alla liberazione di un grosso peso.
In un qualche modo si sarebbero ritrovati, da
qualche parte c’erano ancora gli undicenni spensierati e complici che si erano
conosciuti sull’Espresso per Hogwarts.
Bastava aspettare.
***
Se le avessero detto che un bolide avrebbe sistemato
buona parte dei suoi problemi con Scorpius, avrebbe dato mazza e palla in mano
a Rendly il primo giorno che era stato smistato a Serpeverde.
Perché ovviamente
era stato quel microscopico ammasso di guai a tirare il bolide che l’aveva
quasi fatta secca. Per lo meno il ragazzo aveva ammesso subito la sua
colpevolezza e si era scusato profusamente.
Fatto stava che un’altra volta lei si ritrovava in
Infermeria con qualcosa di rotto e la strana sensazione che non sarebbe stata
nemmeno l’ultima.
Angie rimescolò la minestra con aria depressa. Sapeva
di cartongesso!
La cosa peggiore della degenza in quel posto era
senza dubbio il cibo. Per lei poi che era cresciuta con la cucina francese di
sua madre sempre in tavola, era un vero supplizio alimentarsi col cibo che
Madama Chips riteneva adatto alla guarigione.
Fortunatamente l’Infermiera, logorata dalla sua
assida frequenza in quei locali, le aveva annunciato che sarebbe potuta uscire
l’indomani, insieme a Martha.
Angelique depose la ciotola sul comodino e si
avvolse nelle coperte, mettendosi sul fianco.
Martha stava riposando a qualche letto di distanza e
non voleva disturbarla, nonostante fosse ormai ora di cena.
La giornata, nonostante l’inizio drammatico, non era
stata poi così male.
Erano passati in parecchi a salutarla, tra cui la
sua squadra al completo, i suoi amici, i suoi cugini adottivi, le Menadi in
separata sede e Jessy, con il quale era riuscita perfino a scambiarsi un paio
di battute pungenti sullo stato di integrità della sua testa.
O meglio James si era definito sorpreso che non si
fosse spaccato il bolide al posto del suo osso occipitale durante lo scontro e
lei aveva risposto per le rime. Tuttavia in quell’abituale scambio di sarcasmo
e ironia, non si erano puntati le bacchette alla gola come accadeva
normalmente, ma avevano quasi riso alla fine. Quasi, cioè Jessy aveva fatto il
suo solito ghigno e lei aveva assunto un’espressione sardonica.
Eppure era da quando aveva parlato con Scorpius che
le sue ultime parole la assillavano.
Era felice?
Il primo istinto, pensando a Derek, sarebbe stato
quello di affermare. Se però si soffermava a riflettere su ciò che lui aveva
portato davvero nella sua vita, la risposta era molto meno ovvia e immediata.
L’incomunicabilità durante il giorno, la fugacità
degli incontri notturni, il dolore del non appartenersi, il continuo ferirsi
tra di loro, come se giocassero a chi affondava il coltello più a fondo nell’altro,
tutto quel tempo passato con l’ansia che qualcuno capisse o li scoprisse,
l’ambiguità del loro rapporto, tutta quella montagna di emozioni la stava
logorando.
E di questo Angelique se ne rendeva conto, per il
malessere costante e profondo che la perseguitava da quando Derek non si era
più fatto vivo e non le aveva dato la possibilità di spiegarsi.
La sofferenza, a volte, la sommergeva a tal punto che
doveva alienarsi da sé, per non affogarci in mezzo, per non avvizzire davanti a
quell’amore che non aveva destino, che non aveva mai avuto futuro, che
finalmente si mostrava ai suoi occhi come il fallimento che Al aveva predetto.
Quella sera sembrava che la marea di emozioni
contrastanti continuasse a frangersi sugli scogli della sua sopportazione, il
ritmico altalenarsi di ricordi, di frasi, di pensieri la stava facendo
crollare.
“Angelique?”
La ragazza avrebbe urlato per la sorpresa se non
fosse che la voce, riconosciuta all’istante, l’aveva gelata sul posto e le
aveva già accelerato il battito cardiaco. Non l’aveva nemmeno sentito arrivare.
Derek.
Oh per Salazard!
Angie si voltò lentamente rimanendo sdraiata sul
fianco e lo vide.
Era in piedi a un metro da lei, illuminato dalla
fioca luce dell’Infermeria, con il petto che si alzava e abbassava rapidamente
e la camicia della divisa leggermente fuori posto. Aveva corso per
raggiungerla, probabilmente in un ritaglio di tempo tra i suoi amici e la sua
fidanzata.
Ancora una volta lei costituiva l’alternativa, mai il
pensiero principale.
Buffo, visto che lui invadeva la sua mente e il suo
cuore tanto prepotentemente che doveva creare lo spazio per il resto a forza.
“Ciao Derek.” sussurrò tirandosi su, contro il cuscino.
Il ragazzo si sedette un po’ rigido sulla sedia
accanto al suo letto e la osservò in modo strano. Ad Angie sembrò che fosse
indeciso se andarsene seduta stante dall’Infermeria correndo come un pazzo o
abbracciarla. Però restò immobile ad osservarla e basta.
E l’ondata di dolore la invase ancora rendendosi
conto che sarebbero sempre stati a quel punto morto, avrebbero continuato solo
a distruggere quel poco di felicità che condividevano, che avrebbero solo
perpetrato una relazione distruttiva mentre il mondo andava avanti, cambiando e
maturando.
“Mi sono spaventato oggi… Però ho saputo che stavi
bene… Non sono riuscito a passare prima, scusami.” disse Derek rompendo
finalmente quel silenzio opprimente. La sua voce normalmente serena e distesa
quando si rivolgeva a lei, lasciava trasparire tutto il nervosismo e la
tensione che stava provando.
Angie annuì distrattamente e poi intravide il
ragazzo voltarsi allarmato verso il letto in cui riposava Martha, non sapendo
se quello che aveva appena detto fosse stato udito da orecchie indiscrete.
Un altro colpo contro le sue mura di resistenza,
un’altra breccia nella sua difesa disperata.
“Non preoccuparti è Martha.” mormorò e poi prese
fiato per ricominciare: “James stava
scherzando, non avrei mai fatto quelle cose. Mi sono dimenticata del nostro
appuntamento e ti chiedo scusa.”
Angie si stupì di come potesse risultare controllata
e stabile la sua voce, mentre dentro stava franando ogni fragile castello di
carta che aveva cercato di alimentare in quel mese.
La spalle di Derek si rilassarono immediatamente e un
sorriso si fece largo sul suo viso, quel viso che lei adorava in ogni dettaglio, che
avrebbe passato giorni e notti a baciare, toccare, guardare.
Giorni
e notti che non le sarebbero mai spettati.
**Niente
passeggiate per loro, niente carezze davanti a tutti. Solo attimi rubati che
fuggivano troppo in fretta.
Il giovane Schatten si alzò e fece per avvicinarsi,
ma una mano di Angie si levò in aria e lo bloccò a metà del movimento. Lui
osservò stupito quell’arto teso tra di loro per tenerlo a distanza.
“Avevo bisogno di sostegno Derek, avevo bisogno che
tu ti fermassi dieci minuti con me. Avevo bisogno di te e tu sei andato da
Celia!” proseguì sperando che nella sua voce non ci fosse traccia della
voragine mostruosa che si stava aprendo in lei ad affrontare quel discorso.
“Non potevo restare, lo sai... Io c’ero al chiostro,
ma tu no. Tu sei andata a cercare conforto altrove!” ribattè Derek evidentemente
ferito tornando a sedersi.
Angie sentì gli occhi pizzicarle, dietro le palpebre
calate per riprendere il controllo. Non voleva piangere. Si sentiva strappare
dentro, lacerata dalla realtà dei fatti.
E le mura cedettero.
Lei cedette. Si arrese.
Non c’è era alcuna speranza sul fondo del Vaso di
Pandora. Non c’era alcuna illusione per il futuro.
“Non ce la faccio, Derek.” mormorò scuotendo la
testa e affondando i denti nel labbro inferiore.
“Che… che significa?” chiese esitante Derek
sporgendosi verso di lei.
Faticava persino a respirare. Era come avere i
polmoni costretti da un peso enorme, per cui era un'impresa inspirare ed
espirare.
“Non ce la faccio. Questa non sono io, Derek. Io...
non mi basta più tutto questo.” La voce di Angelique si spezzò sulle ultime
parole, incrinandole a causa del pianto che le premeva sugli occhi e in gola.
“Non posso lasciare Celia. Non posso e tu lo sai.”
replicò lui.
“Non te lo sto chiedendo infatti. Ti sto lasciando
andare, Derek.”
Possibile che fosse riuscita a dirlo davvero?
Derek si alzò e le prese il volto tra le mani
avvicinandola a sé, ma la ragazza continuò a tenere lo sguardo basso.
“Guardami.
Dimmi tutto questo guardandomi negli
occhi.” mormorò con una forza che le causò un'altra
fitta al centro del petto. Lì dove si supponeva che ci fosse il
cuore, quel muscolo maledetto che apparteneva in ogni sua fibra a
Derek.
Così lo guardò come le aveva chiesto e vide il suo
stesso dolore riflesso negli occhi neri, si immerse in quelle pozze di
malinconia e tormento tanto radicati e lontani da non trovarne un' origine.
“Basta. Basta farci male Derek. Sono così stanca…”
riuscì a sussurrare con quello che restava della sua scarsa fermezza.
Sentì le mani di lui abbandonare il suo volto
lentamente, come se non riuscisse a capacitarsi di quello che stava accadendo.
Come se non volesse lasciarla andare… Se solo fosse stato così.
“Angelique…”
Il suo nome sulle sue labbra… Fu come ricevere un
pugno dritto nello stomaco, fu doloroso in un modo tanto tangibile da diventare
fisico.
Derek avvicinò lentamente il volto al suo, con
cautela e delicatezza le depositò un bacio a fior di labbra, tanto leggero da chiedersi
se fosse stato reale. Poi posò una guancia vicino alla sua e inspirò a fondo
tra i suoi capelli, mentre i polmoni di Angie vennero invasi dal profumo di
Derek un' ultima volta, prima che la menta si trasformasse in ghiaccio dentro di
lei, cristallizzando ogni emozione.
Lo vide staccarsi e guardarla con dolore, prima di darle
le spalle.
Torna
da me.
Oltrepassò il suo letto dirigendosi verso il
corridoio centrale.
Voltati.
Guardami. Torna da me. Dimmi che non rinuncerai così a me.
I suoi passi risuonarono nel silenzio più assoluto
dell’Infermeria come se fossero state martellate per fissare chiodi nel suo sterno.
Voltati.
Ti prego.
Spalancò il portone di legno massiccio e si fermò
per una frazione di secondo più del dovuto sulla soglia, lasciando che una minuscola speranza si ergesse in lei...
Torna
da me. Torna da me.
E uscì.
Angelique scivolò nelle lenzuola gelide sdraiandosi.
Si sentì così vuota e arida che non riuscì nemmeno a
piangere. Non c’era più nulla dentro di lei, a parte quell’enorme voragine che
si dilatava ad ogni secondo e le inghiottiva il petto.
Aveva fatto ciò che era giusto. Aveva preso la
decisione migliore per lei. Aveva finalmente abbandonato quella nave alla
deriva.
Allora perché il suo dolore invece di affievolirsi
si stava prendendo tutto? Perché faticava a pensare tanto era vivo e reale?
Perché l’odore di Derek sembrava intensificarsi ad ogni respiro?
Sentì il materasso piegarsi dolcemente e un corpo
aderire alla sua schiena, mentre un braccio si posava all’altezza della sua
vita sopra le coperte.
Il profumo delicato di Martha la raggiunse e le
concesse finalmente di respirare a fondo. Con quel respiro però anche l’ultima
resistenza andò in frantumi e Angie seppe che poteva finalmente piangere. Non c’era
più alcun bisogno di fare finta di non essere a pezzi.
"Sei stata coraggiosa. Sono molto orgogliosa di te." mormorò Martha.
Le lacrime irruppero silenziose fuori dai suoi
occhi, scivolando dagli zigomi al naso, per depositarsi sulla stoffa del cuscino.
La mano di Martha le accarezzava i capelli, con ritmo lento e delicato, passando
le dita tra i ricci e concedendole un barlume di sollievo.
Lasciò che ogni singola lacrima varcasse le sue
palpebre, finché non prosciugò tutta l’ energia e si addormentò, con la
certezza che Martha avrebbe vegliato su di lei almeno per quella notte.
***
James scartò l’ennesima Cioccorana, buttando la
carta nel cestino e facendo canestro.
Philip stava cantando una canzone oscena sotto la
doccia, o meglio sarebbe anche stata decente ma con la voce che si ritrovava
Jordan sarebbe stato meglio che tacesse, in definitiva.
Addentò con voracità quel dolce mentre i suoi occhi
tornavano a concentrarsi sul volume di Trasfigurazione Avanzata.
Leggendo di quegli incantesimi alcune volte si
chiedeva come avrebbe fatto Gigì, così negata nella materia in questione, a
superare i GUFO che la attendevano.
Alle volte gli era balenato il pensiero che avesse
un blocco nei confronti del concetto stesso di trasfigurazione.
Gigì… Chissà che faceva in Infermeria?!
Prima che il pensiero prendesse del tutto forma, le
sue mani avevano già acchiappato la Mappa del Malandrino e stavano cercando la
stanza giusta.
Eppure quando la trovò inizialmente osservò perplesso
i nomi che comparvero sulla pergamena consunta, poi si fermò a riflettere e gli
parve che persino il mondo si fermasse con lui.
Non era possibile.
No.
Non era possibile e basta. C’era un errore, un
errore cosmico imputabile a qualche difetto del meccanismo celeste dei pianeti.
Un difetto di quella consunta pergamena…
Mentre il manuale di Trasfigurazione cadeva al suolo
con un tonfo, qualcosa dentro di lui si incrinò mentre una certezza si faceva largo nella sua mente.
La
Mappa non mente mai.
* Il riferimento è tratto dal Cap.19 Di Il Destino
non è una Catena ma un Volo.
**La frase in corsivo nei pensieri di Angie è ispirata
a un monologo di “Tristano e Isotta”.
Note dell’Autrice:
Miei cari sono qui.
Devo ammettere che è stato davvero difficile
scrivere l’ultima parte di questo capitolo. Volevo che trasparisse il perché della
scelta di Angelique e la sofferenza che questa le aveva procurato, senza
sembrare melensa. Spero di esserci riuscita.
Non ho molto altro da dire se non questo: non
esultate, siamo appena entrate nel vivo della storia.
Bene, ringraziamenti speciali alle seguenti e straordinarie persone: cescapadfoot, Pan_di_Stelle, Roxy_HP, dreamcatcher05, FleurDa e chuxie. GRAZIE davvero per le vostre bellissime parole!
Grazie anche a tutti i miei lettori che semplicemente seguono questa storia.
Tantissimi baci a tutti.
Bluelectra
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Capitolo 12 *** Cap.12 Il gioco degli scacchi ***
Cap.12 Il gioco degli scacchi
Cap.12
Il gioco degli scacchi
Nella
vita, a differenza che negli scacchi, il gioco continua anche dopo lo
scaccomatto.
Isaac
Asimov
Il barlume morente di estate, che aveva concesso
ancora qualche pomeriggio assolato e l’illusione di un autunno mite, venne
spazzato via in una mattina di ottobre.
I venti dell’Ovest, forieri di tempeste dell’Oceano,
spogliarono i grandi platani del Parco di tutte le loro chiome variopinte. Le
raffiche gelide e imperiose strapparono quasi tutte le foglie dai colori
bruniti, trascinandole in danze eleganti, fatte di turbinii e giravolte
graziose. Il cielo già gravido di pioggia, visibile nel colore scuro e
minaccioso delle nuvole, si tinse per tutto l’arco di quella mattina di macchie
ocra, giallo, rosso e mogano; i colori del fogliame che non appena veniva abbandonato
dai respiri affannosi del vento cadeva inesorabilmente al suolo.
Poi era giunta l’acqua.
Scrosci torrenziali di pioggia si erano riversati
sulla terra, che saturata dopo qualche giorno aveva cominciato a rigettare in
forma di enormi pozzanghere.
Pozzanghere in cui una minuta Serpeverde dalle
chiome smeraldine si era lanciata come se non ci fosse un domani, causando un
principio di ischemia cardiaca ad un’altra Serpeverde, con la spilla da
Prefetto appuntata sul petto.
E pioveva senza tregua da giorni e giorni, tanto da
averne perso il conto.
Angelique aspirò dal filtro che teneva sospeso tra
indice e medio, inghiottendo insieme all’aria gelida, portata dai venti
dell’Ovest, un fiotto di fumo acre che le raschiò appena la trachea.
Era fradicia da capo a piedi e quell’umidità le si
stava ghiacciando addosso, penetrandole nelle ossa. I suoi capelli erano tanto
bagnati da appiccicarsi sulla nuca e sul capo, il mantello nero invernale
pesava il doppio di quando era uscita quella mattina per andare a passeggiare
con Antares, i suoi piedi sguazzavano in una piccola riserva idrica… Eppure non
accennava a muoversi dalla sua postazione a ridosso delle grandi mura del
castello.
Contemplava silenziosa lo spettacolo davanti a sé,
riparata a stento da una tettoia, godendo della pace che il rumore ritmico e
incessante della pioggia produceva e fumandosi una sigaretta appena rollata con
gli ultimi residui di tabacco che le restavano. Un fatto che in sé costituiva
una piccola tragedia considerato che la gita ad Hogsmeade era prevista per il
week-end successivo.
Le sarebbe toccato dichiararsi colpevole con le
Menadi e comprare le sigarette da quelle strozzine di Lara e Leda!
Il pensiero delle sue colleghe e datrici di lavoro
le strappò uno dei rari sorrisi che riuscivano ad emergere dalla maschera
impassibile, che si calava a forza ogni mattina alzandosi dal letto.
Angie fece un altro lungo e intenso tiro
socchiudendo gli occhi per ricacciare indietro i pensieri appena affiorati e si
lasciò cullare dal battere insistente dell’acqua sul terreno fangoso.
I giorni successivi alla sua rottura con Derek erano
stati una tortura. Appena emersa dall’Infermeria con Martha si era recata a far
colazione e la prima cosa che i suoi occhi traditori avevano cercato nella sala
era stata la sua figura. Il dolore di vederlo seduto al tavolo dei Coraggiosi
di Cuore, il capo come una colata di oro zecchino sugli stendardi vermigli alle
sue spalle, le mani magre e abbronzate che si muovevano gesticolando, era stato
tale da velarle gli occhi di lacrime e da faglieli abbassare prima di rendersi
ridicola davanti a tutta la scuola.
Martha l’aveva presa per mano con dolce fermezza e
l’aveva condotta al riparo, in quella tavolata che aveva ospitato le menti più
oscure e malvagie degli ultimi secoli, ma che aveva sempre difeso i suoi figli
nella consapevolezza che il loro talento sarebbe stato un valore al di là del
bene e del male.
Serpeverde l’aveva accolta e protetta, con le unghie
e con i denti, lecitamente e non come le era connaturato, quasi doveroso.
E questo era stato ciò che le aveva fatto superare
quei giorni in cui anche solo scorgerlo da lontano in un corridoio faceva
urlare ogni suo nervo e fibra, accumulando tanta tensione da farle dolere le
braccia e le spalle, in cui anche solo mangiare era diventato uno sforzo di
volontà, in cui non tornare in quel maledetto chiostro un’imposizione.
La peggiore delle forzature però, che doveva operare
su di sé, era il non pensare.
A lui, a sé nelle mani di lui, ai brividi che sapeva
causarle, a quel desiderio mai del tutto soddisfatto di sentirlo vicino. Così
aveva tentato in ogni modo di distrarsi.
Si era gettata nello studio, negli allenamenti di
Quidditch e nelle sperimentazioni per le Menadi, presentandosi sempre di più al
Quartier Generale, con la scusa di controllare le pozioni e i decotti, ma con
il bisogno segreto di assorbire quell’energia che sprigionavano quando erano
tutte riunite. Si era scoperta a gradire la compagnia delle ragazze Weasley e
di Lily come una ventata di vitalità; si era accorta che loro non domandavano
mai per quale ragione avesse raddoppiato la sua presenza nella piccola soffitta
dell’Ala Ovest; aveva compreso che in quell’anno di contrabbandi, gesta
illecite e operazioni compiute in collaborazione con la criminalità organizzata
di Hogsmeade si era consolidato qualcosa che andava oltre la semplice
cooperazione.
E quel qualcosa, unito ai suoi amici, la teneva a
galla, impedendole di affogare nel suo oceano di ricordi e rimorsi. Non solo
questo ma le stava facendo recuperare l’entusiasmo, la gioia di godersi la
compagnia di persone che tenevano davvero a lei, anche se a volte lo
dimostravano in modo un po’ strano. Come Dominique che la considerava una cavia
per i suoi intrugli, sostenendo che fosse un grandissimo onore, oppure come
Rose che le raccomandava sempre di non farsi arrestare quando andava a comprare
gli ingredienti al mercato nero di Hogsmeade, o come Nana che le lanciava
palline di carta durante le lezioni per distrarla. O Al che la accompagnava
ogni tanto nelle passeggiate con Antares, pur avendo un serissimo problema nei
confronti delle sveglie.
Voleva recuperare sé stessa, voleva a tutti i costi
cancellare quel dolore che la notte la teneva inchiodata al letto a pensare e
ogni tanto a piangere.
Strano ma vero in quelle due settimane Jessy non si
era fatto vivo nemmeno una volta.
Era abitudine consolidata trovarselo di fronte
all’improvviso mentre correva tra una lezione e l’altra, oppure sentire la sua
voce calda intonata sulle note dell’ironia alle sue spalle. Non aveva idea del
perché, ma Jessy sembrava essersi volatilizzato dalla sua vita, persino
all’ultimo Sabato della Memoria non l’aveva guardata negli occhi nemmeno una
volta.
La ragazza scrollò mentalmente le spalle. Era sicura
che James Potter sarebbe tornato quello di sempre in poco tempo, ricominciando
a rompere le scatole come al solito.
Angelique gettò a terra il mozzicone e si incamminò
verso il grande portone della Sala d’Ingresso, sentendo il mantello sollevarsi
per le raffiche di vento, mentre la piccola brace del tabacco incandescente si
spegneva sotto l’impeto delle gocce fitte e penetranti.
***
Rose era una stratega.
Era inoltre dotata di un intuito straordinario, di
acume intellettuale, di grandissima forza di volontà e di carisma innato.
Molto spesso le venivano riconosciute queste sue
qualità anche non in ambito strettamente accademico; ne era un esempio il fatto
che in famiglia nessuno dubitasse della sua leadership silenziosa sui cugini
più piccoli e non.
Eppure se si sarebbe dovuta riassumere tutta la
complessa personalità di Rose Weasley in una singola parola, questa sarebbe
stata sicuramente: stratega.
Ciò che nessuno avrebbe potuto intuire era che
questa sua particolare dote era stata coltivata nell’esempio paterno, e non
materno. Nonostante Ronald fosse estremamente impulsivo e sanguigno nelle sue
reazioni, quando lo si poneva davanti ad una scacchiera, nei suoi occhi azzurri
calava la quiete ferrea, dettata dal calcolo freddo e preciso di ogni variabile
applicabile ad una mossa.
Aveva appreso lentamente e con pazienza l’abilità di
riuscire a prevedere non solo le conseguenze delle proprie mosse, ma anche le
probabili reazioni dei suoi avversari, immaginando quindi anche come procedere
in risposta.
Raramente aveva trovato avversari in grado di
stimolarla quanto suo padre, ad eccezione di Albus e Angelique, che ogni tanto
riuscivano a metterla in difficoltà, senza mai tuttavia costringere il suo re
alla caduta definitiva.
“Devi sempre vedere tre mosse più in là, Rosie.” le
rammentava costantemente suo padre quando si sfidavano agli scacchi magici.
E in quel momento, al quartier generale delle
Menadi, Rose aveva dipanata davanti agli occhi una piccola scacchiera. Quattro
ragazze, un re, una regina, un alfiere e una torre, ecco a che cosa le avrebbe
paragonate se le fosse stato chiesto.
L’Alchimista era stata quasi legata su una vecchia
sedia di vimini, che avevano recuperato chissà dove, e subiva, come accadeva
sempre più di frequente, uno dei test di sperimentazione delle nuove maschere
per il viso del Generale delle Menadi, mentre Leda e Lara si sporgevano sul suo
viso impiastrato da una sostanza di un arancione molto vivido, con espressioni
sogghignanti.
“La papaya è ricchissima di antiossidanti, il limone
invece ha un effetto purificante. Questa maschera è straordinaria, vedrete i
risultati sono eccezionali…” la voce melodiosa e cristallina di Dominique aveva
un tono estremamente professionale, che ben si accompagnava al suo kimono corto
di seta azzurra decorato con minuscoli fiori di ciliegio.
Quando Rose aveva fatto notare alla cugina che fosse un peccato utilizzare un
capo del genere per proteggere i vestiti durante la preparazione dei suoi
composti, il Generale aveva dichiarato che era il minimo indossare qualcosa di decoroso durante la sua fase di creazione,
altrimenti lo spirito della Bellezza l’avrebbe abbandonata nel momento di
massima ispirazione!
“Ils sont tous
des conneries!” (sono tutte cazzate!) borbottò scontrosa
Angelique prima di ricevere una sostanziosa spalmata di maschera proprio sulla
bocca.
“Se tutte le nostre clienti avessero il tuo metro di
giudizio, a questo punto ti sogneresti la Winterwind invece di coccolarla la
sera davanti al camino, quando pensi che nessuno ti veda, cherì!” ribatté per nulla turbata la Weasley, gettando con un gesto
teatrale una lunghissima ciocca bionda oltre le spalle.
Gli occhi verdi di Angie scintillarono per qualche
secondo di una luce strana, un misto di eccitazione e di offesa, evidentemente
per il pensiero della sua nuova scopa da corsa e per le parole di Dominique
sugli atteggiamenti amorosi nei suoi confronti.
Lucy alzò in quell’istante gli occhi su di lei e
abbozzò un sorriso un po’ storto, che le faceva assumere l’aria da malandrina
che avrebbe causato una dipartita prematura di zio Percy, se solo l’avesse mai
vista.
Rose ricambiò e immediatamente i suoi pensieri
andarono a quella volta in cui si era costretta a ingaggiare una partita anche
con Lucy...
Lucy
davanti a lei masticava con lentezza esasperante una foglia di lattuga.
Gli
occhi castani erano nascosti dietro il ciuffo rosso e le spalle ossute erano
leggermente ingobbite, prive dell’abituale spavalderia che contraddistingueva
la posa della Weasley. Era stata più taciturna del solito in quella giornata e
aveva evitato di trovarsi da sola con lei, per non dover fornire spiegazioni
delle lacrime della sera precedente. Per non doverle confessare che cosa fosse
accaduto per farla piangere tra le sue braccia senza tregua.
Lily,
come da consuetudine, era un piccolo petardo ciarliero, in grado di colmare i
silenzi delle cugine più grandi.
Quando
giocava a scacchi una delle mosse preferite di Rose, era lo scaccomatto col
pedone. La soddisfaceva immensamente costringere la pedina più importante della
scacchiera alla resa con quella più piccola e banale, la prima ad andare in
contro al sacrificio. Ma per poterlo fare bisognava allontanare la regina dal
re…
“Lily…
ma quello non è Tristan?!” chiese la giovane Weasley socchiudendo gli occhi e
indirizzando il proprio sguardo celeste sulla tavolata di Corvonero.
Effettivamente
sedeva proprio nelle schiere dei più intelligenti della scuola il giovane
Girard Dursley, i cui ricci neri cadevano alla perfezione sulla nuca
lasciandone scoperta una piccola porzione. Al suo fianco c’era una ragazza
carina sulle cui labbra sembrava essersi incollato il sorriso più soddisfatto
del mondo.
Lily
interruppe immediatamente le sue chiacchiere e girò meccanicamente la testa
verso il punto indicatole da Rose. Quando i suoi occhi incontrarono la figura
del compare di malefatte e amico, in compagnia di un altro essere umano di
sesso femminile, si allargarono a dismisura per assottigliarsi poi in due
fessure gelide e imperiose.
Con
movenze misurate e perfettamente controllate, così lontane dal suo naturale
atteggiamento dirompente, si alzò e camminò compostamente fino al tavolo dei
Corvonero.
Rose
sorrise con estrema soddisfazione nel vedere la mano di Lily avvicinarsi
all’orecchio di Tristan e tirare energicamente il padiglione auricolare del
ragazzo, fino a farlo alzare tra lamenti di dolore e costringerlo a camminarle
appresso durante la sua uscita trionfale dalla Sala Grande.
Lucy
per la prima volta in tutta la cena alzò gli occhi allarmata e aprì la bocca
per inventare una qualche scusa dell’ultimo secondo per evitare di parlare con
lei, ma Rose alzò una mano in aria.
“Non
serve che tu dica bugie, Lucy Catherine Weasley. Ti ho impastoiato le gambe mentre masticavi quella stupida
foglia di insalata da mezzora.” Rose acciuffò la zuppiera accanto a lei e la
porse alla cugina più grande. “Zuppa di pomodoro, cara?”
Lucy
strinse tanto le labbra da renderle una linea invisibile e la osservò con occhi
infuocati e battaglieri.
Eccola finalmente tornata, si disse Rose preparandosi allo scontro.
“Da
quando utilizzi questi trucchetti da Serpeverde?” le chiese beffarda
osservandola attraverso il ciuffo.
Rose
sorrise ancor di più e avvicinò alla cugina un paniere ricolmo di pane tostato
fragrante e dorato.
“Tanto
sai perfettamente che non risponderò a nessuna delle tue domande.” disse Lucy
osservando arcigna il cestino di vimini abbandonato accanto alla zuppiera.
L’altra
per tutta risposta le versò un abbondante porzione di succo di zucca nel
calice.
“E
piantala di cercare di darmi da mangiare!!!” sbottò la più grande agitandosi
sulla panca.
Rose
la guardò con indulgenza e poi incrociò le mani sotto il mento.
“Sarò
molto concisa, Lucy. O mi dici che cosa è successo ieri sera liberamente, e in
questo caso avrai tutta la mia gratitudine, nonché la mia comprensione…” e si
interruppe da sola sollevando entrambe le sopracciglia.
“Oppure?”
chiese in tono di sfida Lucy .
“Oppure
ti costringerò a dirmelo, e non ti piacerà.” rispose Rose guardando dritta
negli occhi la cugina.
Sì,
aveva imparato dai Serpeverde con cui era cresciuta a mostrare la mano di ferro
inguantata di velluto.
Lucy provò ad accavallare le gambe,
ma queste erano ancora immobilizzate sotto il tavolo, col solo risultato di un
mezzo movimento mancato. Lanciò un’occhiata scontrosa all’altra Weasley e si
scrocchiò le nocche delle dita, in preda al nervosismo.
“Vorrei aiutarti Lucy e non
obbligarti a farti aiutare.” disse Rose allungando una mano verso quella della
cugina e posandovela sopra. “Per favore fidati di me.”
Lucy abbassò lo sguardo sulle loro
dita sovrapposte ed emise inspirò lentamente.
“Credo di essermi presa una cotta
mostruosa per li peggior criminale della nazione!”
Ecco
come era esordita quella lunga e sofferta confessione da parte di Lucy.
Rose
aveva ascoltato tutto, senza mai interromperla o commentare. Aveva registrato
le informazioni fondamentali di cui l’altra l’aveva resa partecipe e aveva
iniziato a pensare.
Si
era presa alcuni minuti per ragionare con la freddezza necessaria e poi aveva
dato la propria opinione.
“Ci vuole una strategia.”
Questo
era stato il suo unico commento finale, che aveva sorpreso Lucy a tal punto da
farle spalancare la bocca fino al limite della lussazione della mandibola.
Quel
piano d’azione, che Rose stava accuratamente costruendo, era volto non solo
alla protezione di tutte le Menadi e di sé stessa, dato che Lucy aveva svelato
il proprio volto ad un potenziale spifferatore, ma anche ad un punto più
complesso… Rendere pan per focaccia a quel miserabile di Benjamin Richardson.
Lui
aveva ferito la sua Lucy, la ragazza che nascondeva dietro un ciuffo aggressivo
e un atteggiamento duro tutta la propria incapacità di sentirsi abbastanza. E Rose non si sarebbe
fermata finché giustizia non sarebbe stata operata sotto l’egida delle Menadi.
“Angelique…”
Dominique si schiarì la voce e chiamò con un accenno di allarme la compagna di
Casa.
Aveva
appena iniziato a levare la maschera miracolosa con un panno umido e
evidentemente c’era qualcosa che non andava.
Angie
si limitò a fissarla con le narici dilatate e gli occhi spalancati, già
consapevole di quello che era successo.
“Non
è che per caso, giusto per sapere… Non ti devi agitare, è tutto a posto… Sei
allergica a qualcosa?” chiese il Generale sbattendo i grandi occhi turchesi con
tranquillità.
“CHE
COSA???”
Mentre
gli schiamazzi iniziarono a invadere tutta la stanzetta, Rose vide Lucy
recuperare dalla tasca interna della tunica della divisa il suo portasigarette
dorato. Le stelle incise sulla parte superiore brillarono dei riflessi caldi
delle torce prima che la serratura scattasse e si aprisse il cofanetto. Ne
recuperò una sigaretta bianca e se la accese senza indugi, inspirando con
evidente soddisfazione.
Il re.
Lily
rideva senza ritegno e si era accovacciata su una pila di scatoloni in modo da
godersi più comodamente lo spettacolo di un cugina con strane chiazze rosse su
tutta la faccia e l’altra che tentava di giustificarsi. La Potter recuperò una
coperta dalla sedia vicina e se la drappeggiò sulle spalle come se fosse stato
un mantello, per difendersi dagli spifferi freddi che attraversavano tutta la
soffitta.
La Regina.
Angelique
smise di parlare e chiuse gli occhi. Fece un paio di respiri molto lenti e
profondi, che ebbero il potere di farla calmare immediatamente. Aprì gli occhi
verdi e, con metà faccia arancione e metà rossa, tese una mano in movimento
secco verso Dom la quale posò con delicatezza il panno umido. Controllata e
metodica si ripulì dall’impasto e controllò i danni alla propria pelle, come se
non appartenesse nemmeno a lei.
La torre.
Dominique
si lanciò in una sequela di giustificazioni per quell’apparente intoppo nella
messa in commercio della sua fantastica maschera, che se non si fosse trattato
dell’Alchimista, avrebbero convinto la vittima della sua innocenza. Con un
movimento aggraziato si sistemò il kimono, quasi che fosse una divisa da
portare con orgoglio, e spostò i capelli su una sola spalla lasciandoli
ricadere sul petto.
L’alfiere.
E
poi c’era lei, Rose Weasley che era parte delle Menadi e contemporaneamente ne
era estranea, che vegliava su di loro cercando di non farle finire nel
Riformatorio St. Flavus per giovani maghi criminali senza speranza di
redenzione.
Il pedone.
L’unica
che sapeva condurre le altre pedine secondo schemi precisi ed elaborati, che
costituiva la prima difesa della loro scacchiera, la barriera inevitabile
contro cui scontrarsi per raggiungere le Menadi. E lei agiva grazie alla
consapevolezza di avere l’arma più potente di tutte: la sua mente.
La
mente di una stratega.
***
Albus a volte si domandava chi fosse in realtà
Angelique Joy Girard Dursley. Il quesito nasceva da un punto profondo e remoto
della sua mente, indotto dalle molteplici personalità e sfumature di carattere
che la sua migliore amica dimostrava di possedere.
Sapeva essere gentile e delicata come una figura
angelica dei romanzi delle epoche ormai perdute, per poi sfoderare un minuto
dopo una freddezza e una velenosità che rasentavano la spietatezza. Poteva
dimostrarsi fragile e insicura come l’undicenne solitaria che lui aveva
conosciuto, trasformando repentinamente i suoi punti deboli in corazze di cui
armarsi per non lasciare che nemmeno uno spiraglio di sé uscisse allo scoperto.
Era in grado di donare affetto alle persone di cui si fidava con una spontaneità
sconvolgete, tanto quanto risultava ermetica e ostile nei confronti delle
persone con cui desiderava esserlo.
Fondamentalmente però Albus poteva ricondurre la sua
ambiguità di atteggiamenti a due fondamentali archetipi, Angelique, quella
vera, e la Principessa di Ghiaccio, quella stronza.
In quel momento lui aveva davanti la seconda, senza
ombra di dubbio.
La giovane sedeva su una delle morbide poltroncine
di pelle nera fuori dallo studio della Blackthorn, teneva le gambe accavallate
facendo dondolare appena quella sospesa e con la bacchetta stava creando delle
volute di fumo azzurro e verde. Strisce sottili ed evanescenti si arricciavano
e contorcevano mescolandosi con l’aria circostante, per poi formare le figure
di farfalle e libellule, che si innalzavano verso il soffitto scomparendo
lentamente nell’aria attorno, senza lasciare traccia del loro passaggio.
Probabilmente una formula di sua invenzione… Era sempre stata un portento in
Incantesimi.
Il viso delicato, su cui spiccavano delle labbra
carnose a forma di cuore, sembrava indicibilmente annoiato e tradiva appena i
segni della stanchezza, tramite il pallore e le ombre scure sotto gli occhi. I
marchi di chi la notte pensava e non dormiva.
“Spiegami un po’… Com’è possibile che io abbia le
ginocchia liquefatte e tu sembri completamente indifferente?” sbottò Albus
fissandola.
Le complicate volute di fumo si interruppero e la
testa bionda si voltò verso di lui.
“Perché io sono
completamente indifferente, Al.” Ribatté lei inarcando un sopracciglio.
Potter fece un gesto stizzito e riprese a camminare
avanti a indietro per l’esiguo spazio dell’androne.
E la maggior parte delle volte in cui le si calava
nel ruolo della rigida Principessa di Ghiaccio, a lui veniva voglia di
strozzarla.
Attendevano entrambi di essere chiamati per i
colloqui di orientamento in previsione dei GUFO, ma alla Principessa di
Ghiaccio sembrava non interessare minimamente del giudizio che avrebbe ricevuto
di lì a poco.
“Albus, vieni qui.”
La voce di Angelique mutò completamente nel giro di
pochi istanti. Gentile e bassa, lo attirò come una calamita facendolo
avvicinare.
Al si accucciò accanto a lei, tenendosi in
equilibrio sulle punte dei piedi e aggrappandosi al bracciolo della poltrona.
Un paio di iridi verde chiaro si posarono su di lui come una carezza, una mano
corse ai capelli sulla sua fronte pettinandoglieli all’indietro, con
scarsissimi risultati.
“È solo un colloquio preliminare, Albus. I tuoi voti
sono eccellenti e ti stai preparando da anni. Non ho alcun dubbio che prima o
poi ti proporranno un internato prima ancora dei MAGO!”
Si guardarono fissi ancora qualche istante e il
giovane Potter scorse una tale convinzione sul viso di Angie che non dubitò
nemmeno per un istante delle sue parole.
Ed ecco davanti a lui Angelique. La creatura che
sapeva guardarlo dritto nell’anima e mai giudicare le sue ambizioni e le sue
aspirazioni, anzi sostenendole come se le fossero appartenute.
Lei, che gli stava rivolgendo un sorriso luminoso
come una fiaccola nelle tenebre, conosceva il suo peccato di superbia maggiore,
il suo desiderio nutrito nell’ombra per paura del giudizio, la sua passione per
i meccanismi che la regolavano… La politica.
Mai nella sua infanzia avrebbe sospettato che
avrebbe potuto radicarsi in lui una passione tanto forte, eppure il contatto
con Scorpius, rampollo di una famiglia in cui l’interesse per le trame
politiche scorreva nelle vene come il sangue, lo aveva avvicinato sempre di più
al mondo dietro le notizie stampate dalla Gazzetta del Profeta.
Così, insieme a Malfoy, aveva imparato a leggere tra
i non detti degli esponenti di una o l’altra fazione, a prevedere, per gioco e
per interesse, le scelte dei ministri o dei Capi Dipartimento del Ministero, a
connettere avvenimenti apparentemente distanti tra di loro ma intimamente
legati.
E Albus aveva sentito nascere, di pari passo a
quell’interesse politico, l’ambizione, comprendendo finalmente dopo tanto tempo
perché il Cappello Parlante lo avesse assegnato a Serpeverde.
Non era qualcosa di tangibile o spudorato, ma era il
motore che lo spingeva a eccellere, il suo scrigno custodito gelosamente che un
giorno lo avrebbe portato in alto.
La porta dello studio di spalancò e ne uscì Scorpius
che gettò un occhiata in tralice alla loro posizione fin troppo intima.
Angelique si ritrasse istintivamente verso lo
schienale e un vago rossore le tinse le guance.
C’era ancora una tale tensione tra di loro,
nonostante avessero ricominciato a parlarsi, che i pasti ormai assumevano le strane
connotazioni di ricevimenti formali; a tal punto che le battute pungenti di
Elena rivolte a Scorpius, come anche la nuova presenza di Octavius Goyle al
loro tavolo, passavano in secondo piano rispetto all’elettricità che pervadeva
l’ambiente.
Quando Scorpius per la prima volta in quell’anno
scolastico era avanzato senza tentennare verso di loro a cena, seguito a ruota
da Octavius, e si era seduto per condividere il pesto, Elena aveva manifestato
non proprio velatamente il suo disappunto.
“Pensavo che ci
fossimo finalmente liberati di lui! E invece, non solo abbiamo recuperato
questa palla al piede, ma ci troviamo a dover dare da mangiare anche al
Gorilla!” aveva urlato la
Zabini, causando quasi un soffocamento a Berty, con un pezzo di pollo andatogli
di traverso, il quale alternava risate e colpi di tosse per riprendere la
giusta respirazione.
Sì beh, non era stato per nulla un grande inizio di
serata. E in realtà la situazione non era molto mutata nel corso dei vari
giorni, Elena sembrava restia ad abituarsi ai nuovi compari.
Albus si alzò immediatamente e le porse la mano per
fare altrettanto.
Angie la afferrò immediatamente e si trasse in
piedi, rassettando la gonna.
“Non farti la pipì addosso per l’agitazione mentre
sono dalla Blackthorn!” gli sussurrò mutando il proprio sorriso in
un’espressione sardonica.
Avanzò verso la porta che Scorpius teneva spalancata
e gli rivolse un piccolo sorriso, che quello ricambiò accompagnandolo con un
gesto misurato del capo.
Così distanti e incerti, quanto prima erano stati
complici e affiatati. Albus ancora non riusciva a concepirli come due entità
separate, per lui restavano ancora Angie e Scorp, i suoi amici fidanzati che lo
trascinavano nelle migliori follie di sempre.
Angelique gli rivolse un’ultima fugace occhiata da
sopra la spalla destra e ad Albus parve, per un attimo infinitesimale, che in
essi balenasse un lampo di incertezza.
***
“Signorina Dursley si accomodi.”
La voce autoritaria, ma cordiale, di Beatrix
Blackthorn ebbe l’impatto di una frustata sulle sue ginocchia, piegandole
all’istante e lasciandola cadere sulla poltroncina davanti alla grande
scrivania dello studio delle Direttrice di Serpeverde.
La donna era come sempre un monumento di bellezza e
contegno. Aveva lunghissimi capelli mogano, abitualmente intrecciati in
pettinature strette, che le evidenziavano i tratti affilati del viso, un fisico
flessuoso e sottile, e un paio di occhi che terrorizzavano i suoi studenti.
Blu intenso, di una profondità tale da far pensare
che fosse in grado di scavare negli occhi altrui, attorniati da un cipiglio
serio e austero che era in grado di far morire ogni scintilla di intemperanza
in tutti i suoi alunni…
“Stamattina ho dovuto infliggere a suo fratello una
settimana di punizione.” Le comunicò con un tono neutro, eppure sembrava che
qualcosa negli occhi blu tradisse un certo divertimento.
Come sempre Tristan rappresentava un’eccezione alle
normali norme di rispetto e creanza. Quel pidocchio esasperava qualunque
professore.
“Non sono sicura di voler sapere il perché.” Mormorò
Angelique con tono allarmato.
“Ha quasi avvelenato Hugo Weasley con una variante
disastrosa della Pozione Restringente.” Rispose impassibile la Blackthorn e
agitò la propria bacchetta in aria con un movimento elegante. Subito un
servizio da tè candido, fatto di porcellana fine con un delicato motivo di
foglie e tralci, si levò in aria e servì ad Angelique e alla professoressa due
tazze fumanti e dall’aroma squisito.
La giovane sorpresa da quell’inaspettata accoglienza
e dalle rivelazione sul fratello, si strinse appena nelle spalle e si limitò a
fissare alcune carte ammucchiate sulla superficie di legno della cattedra
davanti a lei.
Se gli occhi non la ingannavano erano i risultati di
tutti i suoi esami finali e la Blackthorn li stava spulciando con le labbra
leggermente arricciate in una posa pensierosa.
“Ha già qualche idea su che cosa fare in futuro?”
chiese la professoressa alzando gli occhi blu dai fogli e fissandoli nei suoi.
Angie si mosse leggermente a disagio sulla
poltroncina e evitò di fissare lo sguardo in quello dell’insegnante. C’era
eccome un’idea che le frullava in testa, da anni ormai, che si sentiva calzare
addosso come un abito su misura, connaturato quasi alla sua indole… Eppure non
voleva parlarne con qualcuno che avrebbe potuto stroncare le sue aspirazioni,
guardando con fredda analisi ai suoi voti o le sue attitudini.
“Io… è solo un’idea, in realtà…”
“Angelique, non è un giudizio questo, non sto
decretando che cosa tu possa fare o meno. È un colloquio di orientamento, serve
a capire come raggiungere i propri obiettivi.”
La giovane volse lo sguardo immediatamente sul volto
della donna davanti a lei, sorpresa dal tono tranquillo e comprensivo, ma ancor
di più della confidenza con cui le aveva parlato.
“Medimagia.” Disse solo con tono deciso.
Beatrix Blackthorn prese un profondo respiro e annuì
un paio di volte osservando il fuoco del suo studio, che scoppiettava allegro
con la strana colorazione delle fiamme dei sotterranei, verdi come il colore
della Casa che vi aveva preso dimora.
“Entrare alla scuola di Medimagia è difficile, le
selezioni sono dure e i numeri disponibili esigui. Le lezioni sono intense e
lunghe, gli esami portano via qualsiasi barlume di vita sociale, i tirocini a
dir poco massacranti. E dopo la laurea la strada non è in discesa, per nulla!”
“Il lavoro vero comporta delle responsabilità
enormi, ci vuole un sangue freddo che non è concesso a tutti e, nonostante i
tempi moderni, le donne vengono ancora parzialmente osteggiate nella loro
carriera. Non è ciò che consiglierei a cuor leggero a una delle mie
studentesse. Essere medico è per tutta la vita, bisogna fare un giuramento
solenne, con sangue e incantesimi antichi. Ma tu sai già tutto questo, dico
bene?!”
Angie annuì lentamente. Era a conoscenza di tutto
quello che la professoressa davanti a lei aveva appena elencato e non la
spaventava. Aveva visto sua madre destreggiarsi per anni tra l’essere medico e
l’essere donna, tra l’essere una professionista e l’essere una moglie e una
madre. L’aveva ammirata e aveva deciso dopo lunghe riflessioni di seguire un
destino analogo, informandosi attentamente.
Angie si schiarì la voce e raddrizzò le spalle,
cercando di non far vedere quanto l’agitasse chiedere una cosa del genere.
“Lei crede che potrei farcela?” chiese col tono più
neutro che riuscì a utilizzare.
La Blackthorn la fissò per qualche istante,
intrecciando le mani davanti al volto. Angelique si sentì scavare dentro da
quelle iridi blu, come se la stessero sondando davvero. Poi un accenno di
sorriso comparve sulle labbra dell’insegnante.
“Oh sì, Angelique. Hai una predisposizione alla mia
materia innata, vedo ottime valutazioni anche in Incantesimi e Erbologia. Sei
metodica e disciplinata, se si toglie dalla tua orbita la Zabini.”
Dovette mordersi il labbro inferiore per non
sorridere apertamente a quel riferimento a Nana. Era vero, il folletto dai
capelli colorati tirava fuori il peggio di lei.
“Ma ci sono due problemi.”
Angelique ebbe un tuffo al cuore a quelle parole e
sentì la bocca dello stomaco chiudersi per l’agitazione.
“Trasfigurazione è il primo.” continuò la Blackthorn
prendendo in mano i fogli e osservandoli attentamente: “I tuoi voti sono troppo
bassi. Non so se sai che il Professor Cavendish non accetta alunni al di sotto
dell’Oltre Ogni Previsione per il corso di Trasfigurazione Avanzata. E non si
discute che sia fondamentale ottenere un MAGO in questa materia per avere una
speranza di essere selezionata al concorso. Devi migliorare, Dursley.”
Sembrava quasi un comando e Angie non seppe perché
ma riuscì a farle provare un po’meno di angoscia all’idea di affrontare la sua
più grande chimera.
“Il secondo è di un altro ordine.” la Blackthorn si
interruppe e posò i fogli sulla cattedra fissando le fiamme vive del camino.
I capelli intrappolati in una treccia complicata
mandavano cupi bagliori rossastri, mentre la pozinista si passava un indice sul
labbro superiore con aria pensierosa.
“Nella vita ci sono scelte irrevocabili.” la voce
della docente suonò più lontana e sfumata rispetto a qualche istante prima,
come se fosse stata persa in ricordi ed emozioni ormai sbiaditi. “Spesso
bisogna prenderle in pochi istanti, attorniati dal caos, privati della lucidità
necessaria, bisogna scegliere e basta. I conti si fanno dopo, quando c’è tempo
per considerare i danni fatti. Altre volte però il tempo è sufficiente. Giorni,
settimane e mesi sono a disposizione per essere consumati pensando. Fatto sta
che una volta scelto, in questi casi, non si torna più indietro.”
“Io ho perso molto per tenere fede ai miei
giuramenti, Angelique. Ho pagato un prezzo ingiusto… troppo presto… Ma non mi
sono pentita, perché quando ho versato tre gocce del mio sangue e ho recitato
la formula antica del giuramento io sapevo che cosa mi avrebbe aspettato.”
Angie deglutì a vuoto e continuò a fissare la
Balckthorn immobile.
Sapeva che la sua Direttrice era stata un tempo una
Medimaga nel reparto Soccorso Auror, il più duro. Il più pericoloso.
“Il secondo problema è questo Dursley: quanto sei
disposta a sacrificare sulla tua strada?”
***
“Benji, tesoro dove vai?”
Il diretto interessato si voltò solo in parte verso
le coltri porpora del suntuoso letto che aveva appena condiviso con Tyra. La
guardò per un istante prima di rispondere.
Un corpo divino, tornito nei punti giusti, seni
prosperosi da accarezzare e assaggiare, fianchi morbidi in cui affondare le
dita mentre la prendeva. Un viso sensuale e bello come se fosse stato dipinto,
un incarnato olivastro e setoso, i lunghi capelli di un oro cupo striato di
rosso, che le cascavano sulla schiena in onde sinuose. Bellissima.
Adatta alla sua compagnia, visto che non richiedeva
null’altro che il pagamento per il suo servizio.
“Devo andare.” mormorò sporgendosi verso di lei e
facendole una carezza sulla guancia con due dita.
Tyra gli rispose con un sorriso tanto malizioso che
avrebbe sciolto le viscere di qualsiasi uomo e lo avrebbe indotto a strapparsi
di dosso i pantaloni appena indossati per ricominciare da capo.
Eppure in lei, Benji non riusciva a vedere null’altro
che un mezzo. Uno strumento per provare che era ancora sé stesso, che non gli
interessavano i legami contorti e controversi che una relazione imponeva, ma
fondamentalmente che l’insoddisfazione costante e martellante che provava da
giorni e giorni non era altro che desiderio.
E non riusciva ancora a capire se avesse vinto
quella partita ingaggiata con sé. O se fosse caduto nella sua stessa trappola,
tesa per far capitolare un adolescente.
L’uomo indossò la camicia candida e ne allacciò i
bottoni sui polsi con calma, osservando Tyra che si stiracchiava tra le
lenzuola, come una gatta intorpidita.
Gli strappò un sorriso per quei tentativi di indurlo
a restare nelle sue stanze profumate di gelsomini. Dopo anni passati in sua
compagnia, conosceva le tattiche seduttive della cortigiana come le proprie
tasche.
Uscì dall’edificio dopo pochi minuti, calandosi
accuratamente il cappuccio sulla testa e avviandosi per i vicoli tortuosi della
parte vecchia del villaggio.
Stava per arrivare alla Taverna delle Lucciole, la
copertura ufficiale dei suoi affari,
che un paio di figure minute attrassero la sua attenzione in uno svolazzo dei loro
mantelli scuri.
Benji le osservò solo per un istante; avevano i visi
freschi e vivaci, pieni di una giovinezza appena sbocciata. Erano due ragazze,
che probabilmente si erano avventurate nella zona della città poco
raccomandabile per avere una parvenza di avventura o per una sciocca scommessa,
e non dovevano essere nemmeno troppo furbe visto che non avevano indossato
nemmeno il cappuccio del mantello.
Fu mentre le due ragazze voltavano l’angolo per
tornare verso i negozi che Benjamin notò gli stemmi di Hogwarts ricamati sulla
parte anteriore dei loro mantelli neri.
Studentesse di Hogwarts…
Ad Hogsmeade di sabato pomeriggio…
Questo significava che anche la sua Ragazzina si
aggirava da quelle parti.
Senza nemmeno rendersene conto imboccò una serie di
scorciatoie che conducevano verso la parte rispettabile, quella dove la maggior
parte degli studenti si riversava durante le gite.
Non sapeva per quale motivo, ma il pensiero di
poterla vedere in mezzo ad una folla, con quell’espressione ostile e sfrontata,
aveva acceso una vera e propria eccitazione in tutto il suo corpo. Sentiva
l’energia irradiarsi nei muscoli insieme al sangue, come se il pensiero dei
capelli rossi e cortissimi potesse costituire una valida giustificazione a
quello sciocco comportamento.
La cercò in quel fiume di mantelli e cappotti
invernali, nei volti troppo ordinari dei suoi compagni di scuola, nelle movenze
di una o dell’altra. La cercò per un tempo che non riuscì a quantificare, senza
perdere la speranza, perché era certo fino nel midollo che lei dovesse esserci
da qualche parte.
Sbirciò nei locali più famosi, nelle botteghe
ricolme di giovani a fare acquisti per Halloween imminente, in ogni luogo che
incontrasse sulla sua via.
E poi finalmente la vide: i capelli fiammeggianti
sotto il grigiore di quel cielo cupo, una macchia di luce in tutta la tristezza
delle nuvole, la pelle nivea e la figura esilissima, quasi inconsistente.
Era l’ultima di un gruppo di cinque ragazze. Erano
capeggiate da una cosina poco più alta di un metro e una mela, con dei capelli
lisci dello stesso colore della Ragazzina, che camminava quasi saltellando.
La vide lontana e serena, persa nel suo mondo di
affetti e famigliarità, con un sorriso a distenderle i lineamenti. Un sorriso
allegro che faceva sembrare gli occhi ancor più scintillanti di quanto non
fossero.
La vide e ricordò in un istante la consistenza morbida
e irresistibile delle sue labbra.
La vide e qualcosa gli si incrinò dentro.
Qualcosa che fece scaturire un calore profondo, una
sorgente ignota di benessere che gli intorpidì il petto e le braccia.
E involontariamente fece qualche passo in direzione
della sua Ragazzina.
Una delle ragazze, con lussureggianti ricci biondi,
prese per spalle la cosina e la chetò a forza.
“Lily ho il mal di mare. Piantala di agitarti.” la
sentì dire con un tono freddo e annoiato, tradito chiaramente dalla luce
divertita dei suoi occhi chiari.
“Ma è una storia incredibile! Non siete curiose?!”
domandò sconcertata Lily osservandole una ad una.
“Ma petit,
se vuoi la mia opinione non c’è nulla di vero! Com’è possibile che esista un
sistema di gallerie segreto sotto questo villaggio e nessuno si sia mai
preoccupato di verificarlo.” commentò una, sicuramente la bellezza più
appariscente del gruppo, arrampicata su un paio di tacchi vertiginosi che
scosse la propria chioma bionda.
“Te l’ha raccontato Locarn, vero?!” sbottò la riccia
alzando gli occhi al cielo.
“NO!” quasi urlò la cosina.
“Avanti Lily…” la Ragazzina soffiò qual nome con la
sua voce graffiante e un po’ roca, riempiendolo di un affetto tangibile che lo
colpì.
Chi erano quelle? Sue amiche? Parenti?
“Forse… Dico forse, l’ho sentito dire da Lysander
Scamandro.” ammise Lily imbronciandosi.
“Ecco si spiegano molte cose.” Commentò ridendo una
che aveva i capelli ondulati di un rosso più intenso di quello della Ragazzina
e di Lily.
Gli passarono accanto parlando e schiamazzando
allegramente, ignare del suo sguardo e fu tentato di lasciarla andare senza
farsi riconoscere; ma quando l’ultima in fila sfiorò quasi il suo mantello col
proprio, agì d’istinto.
Una mano scattò in direzione del polso della ragazza
e con un movimento fluido le tappò la bocca, spingendola senza troppi
complimenti verso l’angolo di strada che dava su un minuscolo vicolo.
Quando la appoggiò contro il muro di pietra,
cercando di non perdere la presa su di lei nonostante si dimenasse per
allontanarlo, cercò i suoi occhi sgranati per la paura e la sorpresa con i
propri.
“Ciao Ragazzina.” se soffiò sul volto e
immediatamente lei smise di contorcersi.
I suoi grandi occhi scuri si dilatarono ancor di più
e lo fissarono stupiti.
Lasciò la presa sulla bocca e appoggiò la mano
accanto al suo viso. Inutile raccontarsi fesserie, per qualche strana ragione
gli era mancato quello strano connubio di tratti spigolosi ed elegante
diafanità.
“Ma sei scemo? Che ti passa per il cervello? Ho
avuto un infarto!” sbraitò dopo un secondo dandogli un pugno sul petto.
“Sei sempre così violenta Lucy… Mi piace.” le
mormorò sorridendo.
La vide smarrirsi per un attimo, battere le ciglia e
arrossire per il suo riferimento allo schiaffo che gli aveva rifilato.
Deliziosa con le guance bianche colorate di un rosa acceso…
“Evidentemente raccoglie quello che semina, Signor
Richardson.” ribatté fredda lei raddrizzando le spalle e schiacciandosi ancor
di più contro il muro per allontanarsi da lui.
Battagliera e impavida.
Lo sfidava in continuazione e a lui piaceva. Gli
faceva venir voglia di chiuderle le labbra a forza. Di incollarla al muro e
sentirla gemere, di insinuarsi nelle crepe della sua armatura da guerriera e
vederla spoglia di difese.
“Oh Ragazzina… Non hai idea di quello che dovrei cogliere allora.”
Un nuovo afflusso di sangue le imporporò la pelle ma
lei, ancora una volta, gli tenne testa.
“Mi sembrava di essere stata chiara nel suo ufficio.
Non voglio più rivederla, né sentirla, né leggerla, né…annusarla!” Glielo urlò
quasi in faccia, accesa da una rabbia che a lui faceva tutt’altro effetto che
intimorirlo.
Annusarlo?! Interessante…
“Ma io ho ancora il tuo mantello Lucy, quello che mi
hai lasciato. E tu hai il mio… Sempre che tu non voglia annusarlo ancora un po’.” mormorò avvicinandosi a lei e inspirando
a fondo.
La pelle del suo collo era così chiara e sottile che
poteva vedere la vena al di sotto pulsare rapida e potente sotto le spinte del
suo cuore.
Sembrò che la convinzione con cui lo stava
respingendo vacillasse per un secondo, mentre Benji la guardava negli occhi
scavando in quei pozzi oscuri e affascinanti, facendosi largo nella sua
limpidezza e nella sua ostinazione.
“Glielo farò recapitare quanto prima.” rispose con
voce quasi ferma. Quasi.
“E se me lo portassi tu?” domandò avvicinandosi
ancora un po’ e fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra per guardarla
negli occhi.
“Mi sta togliendo lo spazio vitale, Signor
Richardson.”
“Non è per quello che fai fatica a respirare,
fidati.”
Gli occhi nocciola rimasero fissi nei suoi
allargandosi e mostrandogli finalmente quanto anche lei desiderasse quel bacio
che si sarebbe preso entro pochi secondi. Voleva solo guardarla ancora un
attimo per imprimersi nella mente quello sguardo e quel viso…
“Allontanati da lei, schifoso bastardo!”
Un sibilo gelido e la punta di una bacchetta puntata
sotto la gola lo fecero allontanare immediatamente.
La ragazza bionda che aveva visto poco prima, lo
stava fissando col volto perfetto distorto dal disgusto e dal disprezzo. I suoi
occhi di un intenso azzurro lo fissavano promettendo una terribile vendetta.
Un piccolo angelo vendicatore.
“Ho detto allontanati.” lo minacciò affondando la
bacchetta nella sua pelle.
Benjamin sollevò entrambe le mani e fece un passo
indietro, ma la bionda non affievolì la presa sul suo collo.
“Vai da Rose, Lucy. Ci penso io a questo porc dégoûtant.” (porco disgustoso) sibilò
ancora fissandolo con rabbia.
“Dom…” la chiamò Lucy.
Ma la giovane che lo teneva sotto tiro non sembrò
accorgersi di nulla. Continuava a osservarlo piena di furia e disgusto e con un
movimento rapido gli tolse il cappuccio.
Benjamin sfoderò il proprio sorriso, certo
dell’effetto che avrebbe avuto sulla ragazza: rossore diffuso, occhi sgranati,
bocca dischiusa, tremolio della mano e salivazione azzerata.
E fu decisamente uno shock quando la bellezza algida
e eterea dinnanzi a lui non solo non reagì come pronosticato, ma anzi strinse
le labbra in una linea dura e sprofondò la punta della bacchetta nella sua gola
ancor di più.
“Sono indecisa se fari a pezzetti ora e darti una
fine pietosa, oppure giocare un po’ con te.” disse con voce incredibilmente
dolce, in cui la minaccia era quasi urlata.
Forse il suo fascino stava andando in declino,
insomma non c’era altra spiegazione plausibile perché quella non subisse una minima variazione fisiologica!
“Dominique.” Lucy chiamò ancora la bionda posandole
una mano bianchissima e affusolata sull’avambraccio destro che impugnava
l’arma.
Dominique rilassò appena la postura delle spalle
segnalando così alla Ragazzina che la stava ascoltando.
“Lo conosco, Dom.” proseguì con la sua voce un po’
roca.
La bionda esitò per una frazione di secondo prima di
abbassare la mano lungo il fianco.
“I miei ringraziamenti per…” ma le parole che aveva
appena pronunciato morirono in un lamento strozzato di dolore.
***
Lucy vide chiaramente la gamba destra di Dominique
caricarsi indietro per poi scattare in avanti con rapidità.
Gli aveva appena rifilato una ginocchiata dritta nel
cavallo dei pantaloni.
A Benji Allucemonco.
La sua vezzosa cugina, quella che restava costernata
se la manicure si rovinava, che non riusciva ad apparire meno che perfetta, che
occupava le proprie giornate scoprendo i venti usi dell’olio di jojoba, che
aveva un regime alimentare pari a quello di un canarino, proprio lei aveva
appena dato un calcio nelle palle al più importante criminale di Hogsmeade.
Le parole di Benjamin si tramutarono in un guaito di
dolore e l’uomo si piegò su sé stesso abbattuto dal colpo ricevuto.
“Questo è per aver osato pensare di poterti
approfittare di mia cugina.” Dom si voltò facendo svolazzare il suo trench
beige e i suoi meravigliosi capelli quasi argentei.
“Allez Lucie.”
le disse con una certa urgenza e la prese per un gomito cercando di portarla
fuori dal vicoletto.
Lucy avrebbe voluto con tutte le proprie forze
reprimere quel sorriso impertinente che si stava facendo strada sul suo viso,
ma quando incrociò gli occhi gialli di Benjamin che la fissavano stralunati dal
dolore non ci riuscì.
Sorrise divertita a quell’uomo inginocchiato sul
selciato, il grande Benji Allucemonco abbattuto dal ginocchio snello e
inguantato in un paio di collant neri di una ragazza di neanche cinquanta
chili.
Prima che Dominique la trascinasse letteralmente via
, Lucy vide lo sguardo di lui ridursi ad una fessura e diventare minaccioso.
Strano, l’effetto completamente annebbiante della sua presenza e del suo
fascino era sparito dietro la comicità grottesca di quella scena.
Vennero spinte nuovamente nella folla di studenti
che marciava tra una bottega e l’altra, Dom non mostrava alcuna intenzione di
mollarle il gomito, ma ciò nonostante si passò un paio di volte la mano libera
nei lunghi capelli. Il massimo segno di sconvolgimento per Dominique Weasley.
Anche lei si sentiva abbastanza scossa. Non averlo
visto per un bel po’ di tempo le aveva fatto credere che ormai non provasse
nulla ad esclusione del disprezzo per come l’aveva trattata. E invece Benjamin
Richardson era riuscito a metterla con le spalle al muro un’altra volta, a
farla cedere un’altra volta solo con la sua voce e la sua presenza e l’avrebbe
pure baciata un’altra volta, se non fosse stato per Dominique.
“Ma chère,
dobbiamo assolutamente andare a comprarti un push-up e un top color petrolio!”
esclamò Dominique con tono molto più preoccupato e affannato di quando la
credeva in pericolo.
“Non credo di capire…” mormorò mentre la cugina
quasi la buttava di peso dentro un negozietto di intimo tutto fiocchetti di
raso e pizzi lavorati.
“Certo che non capisci, il petrolio è passato di
moda da due anni! Dimmi tu dove diamine lo trovo un qualcosa di carino con quel
colore.” borbottò Dom avanzando sicura verso il bancone e dando un paio di
direttive alla commessa che scattò immediatamente sull’attenti.
Lucy si domandò quanti fondi illecitamente
guadagnati dalle Menadi finissero nelle casse dei negozi di quel villaggio e
preferì ignorare la risposta, che sicuramente avrebbe fatto venire un accidente
a quella taccagna di Lara.
“Dominique perché diamine mi vuoi comprare uno di
questi aggeggi infernali?!” sbottò avvicinandosi alla cugina che continuava a
indicare dei modelli precisi alla commessa, i quali a lei facevano venire i brividi
di orrore.
Il Generale placò il suo sproloquio con l’altra
invasata di nastri e fiocchi color pastello e la fissò sgomenta aggrottando la
fronte.
“Ma mi sembra ovvio Lucy! Così la prossima volta che
quel bonazzo ti sbatte contro un muro potrà guardare le tue tette oltre che i
tuoi splendidi occhioni!” esalò spalancando le braccia.
“E il color petrolio è necessario! Dona in modo particolare alla tua carnagione ed esalta
il colore dei tuoi capelli.” aggiunse con tono accademico e la commessa accanto
a lei annuì concorde.
Ah ecco, ora era decisamente tutto più chiaro.
***
L’interno dei Tre Manici di Scopa era uno strano
crocevia. Era un punto a metà strada tra il classico pub inglese e una locanda
di maghi, l’arredamento quindi rispecchiava questa commistione. C’erano tavoli
di legno massiccio scuro accompagnati da stravaganti sgabelli che restavano in
equilibrio con due sole gambe poste in diagonale, grazie ad un incantesimo. Le
pareti erano un’alternanza di specchi e rocce grezze a cui erano appese tele
raffiguranti animali magici, personaggi illustri o eventi importanti della
Storia Magica, ovviamente tutto in moto costante.
E poi c’erano le bevande: si potevano trovare
Acquaviola, Firewhisky, Burrobirra e accanto nella lista comparivano la
Coca-cola, delle innocue tisane a tutti i gusti immaginabili, succhi e anche
alcoolici.
Martha aveva pensato spesso che i Tre Manici di
Scopa le somigliasse. Un ibrido tra due realtà, un portale tra il mondo della
Magia e quello dei Babbani.
La ragazza abbassò lo sguardo dall’ampio candeliere,
che torreggiava nel soffitto dalle antiche travi e che donava la luce calda e
accogliente a tutto il bar, ai suoi commensali.
Mancava solo Angelique, dileguatasi quasi subito al
loro arrivo al villaggio. Nel frattempo era stata sostituita da Octavius che
era stato quasi trascinato al tavolo da Scorpius.
La situazione in quel ristretto gruppo di Serpeverde
si faceva sempre più tragicomica ogni giorno che passava. Angie e Scorpius
riappacificati ma ancora estremamente tesi e formali, Octavius che sembrava a
disagio in qualsiasi luogo ci fossero anche loro ma che comunque non si
schiodava dal fianco di Malfoy, Elena che si lamentava ad ogni occasione
possibile per il nuovo acquisto del gruppo, un Berty fuggitivo e sempre più
imboscato con Emma, la sua ragazza.
E Albus. Lui invece era sempre in grado di
distendere gli animi e alleviare le tensioni, con abili giochi di parole e
intrighi sottili. Un aspide che circondava i problemi per scioglierli tra le
sue spire, un ipnotico incantatore che faceva distogliere dai punti spinosi.
Era proprio davanti a lei in quell’istante.
Le stava rivolgendo il profilo destro e rideva ad
una battuta di Scorpius. Il naso dritto e regolare finiva nel lieve
avvallamento che precedeva il labbro superiore. Uno splendido esemplare di
labbro superiore per la precisione, come anche quello inferiore.
Aveva una bocca rosea, dai tratti quasi femminei,
carnosa in un modo assolutamente indecente, che le faceva contorcere il ventre
in spasmi quando si soffermava a guardarla. E quella bocca peccaminosa era resa
traslucida e umida da un velo di Burrobirra che gli aveva invaso il palato poco
prima, che aveva sostato sulla sua lingua ed era scivolata sinuosa nella sua
gola.
Albus si voltò verso di lei sorridendole e il
cervello di Martha si arrestò per un lungo attimo.
Aveva le gote rosse per il calore del locale, gli
occhi verdi scintillavano come smeraldi purissimi e nell’angolo sinistro della
bocca, che prima le era restato celato dalla sua posizione, c’era un baffo di
schiuma. Era l’invito più esplicito che avesse mai ricevuto a levargli
quell’imperfezione goffa con le proprie labbra, straziare quella carne tenera e
arrossata di baci per nutrirsi di quella consistenza.
Voleva baciarlo fino a non riuscire più a respirare,
voleva amarlo fino a sentire il cuore scoppiare, voleva toccarlo per sentire la
sua pelle calda e tenera sotto i proprio polpastrelli
Che cosa avrebbe scatenato ilo toccarlo solo una
volta? Il concedersi un minimo di sollievo al tormento quotidiano di vederselo
davanti e non poterlo raggiungere?
Senza nemmeno rendersene conto allungò la mano verso
il suo viso e con l’indice accarezzò la commessura delle labbra, portandosi via
la schiuma di Burrobirra.
Albus la guardò un po’ stupito e Martha imprecò
mentalmente.
Che diamine le era preso? Che cosa stava
combinando?! Lei era fidanzata con Owen e lui era Albus!
Già, ma proprio perché era Albus tutto quello stava
diventando incontrollabile.
“Avevi della schiuma…” mormorò con voce più roca del
solito, incapace di non fissarlo dritto negli occhi.
Albus deglutì e dischiuse le labbra per rispondere.
Sembrava che le gote fossero più rosse di prima…
“Goyle! Stai occupando tutta la panca con quel culo
pachidermico che ti ritrovi!” berciò Elena e Martha quasi sobbalzò,
risvegliandosi dalle sue elucubrazioni.
Si allontanò immediatamente da Albus ritornando
seduta composta.
La Zabini se ne stava ancora in piedi con un boccale
di Burrobirra fumante tra le mani e guardava malissimo, con gli occhi ridotti a
due fessure e le labbra strette, il povero Octavius. Questi si schiacciò contro
la parete alla sua destra liberando una buona porzione di panca, ma Elena
sbatté rumorosamente il suo boccale contro il tavolo e poi si sedette dalla
parte opposta rispetto a Goyle, proprio in mezzo tra Martha e Albus.
“Non mi abituerò mai alla sua stupidità.” sbottò la
giovane Zabini e prese subito dopo una sorsata lunghissima della sua bevanda
gettando indietro il capo, in modo davvero poco signorile.
Una volta conclusa l’operazione appoggiò di nuovo in
modo molto rumoroso il vetro del suo calice e emise un mezzo singhiozzo, che
era chiaramente un rutto trattenuto.
“Elena!” quel rimprovero le uscì dalle labbra in
modo tanto automatico che quasi non si accorse di aver parlato.
Il caschetto verde ondeggiò insieme al capo della
proprietaria mentre Elena si voltava verso di lei con un sorriso colpevole.
“Scusa, Prefetto O’Quinn è che questa compagnia mi
sta indigesta.”
Albus rise sotto i baffi e come se nulla fosse
riprese a discutere con la compagnia
indigesta.
Martha si passò una mano sulla fronte cercando di
arginare i propri pensieri inopportuni. Che cosa c’era nel suo normalissimo
infuso di arance e vaniglia, afrodisiaci? Eccitanti naturali? Droga dello
stupro? No, quella si sicuro no, altrimenti Potter si sarebbe ritrovato senza
pantaloni in tre secondi e invece era ancora deplorevolmente coperto. Basta!
La giovane sentì il tintinnare del campanello sopra
la porta d’ingresso e fu attirata spontaneamente ad alzare lo sguardo.
Angelique stava entrando in quel momento, i capelli
biondi umidi denotavano che avesse appena ricominciato a piovere, ma la giovane
non sembrava curarsene. Avanzò verso di loro con un sorriso felice stampato in
viso. Il primo vero sorriso da un bel po’ di tempo, si disse Martha,
rispondendo con un saluto della mano.
E non seppe davvero per quale assurda ragione, ma la
stessa spinta, che prima l’aveva avvertita dell’arrivo dell’amica, la indusse a
spostare i propri occhi verso un punto del bar dove prima aveva scorto James
Potter.
E lui stava fissando Angelique in modo bruciante, stringendo tra le dita
affusolate e grandi un bicchiere ricolmo di un liquido ambrato che non era
certamente succo di mela.
Qualcosa dentro di lei si mosse, qualcosa che Martha
non stentò a riconoscere come il suo daimon,
che le suggerì chiaramente che quel pomeriggio non sarebbe filato tutto liscio.
***
Era come avere dentro un incendio.
C’erano lingue di fuoco che gli lambivano la carne,
carbonizzandola e distruggendola col proprio tocco mortale. C’erano schegge
roventi che gli si conficcavano nel cuore e ad ogni respiro lo torturavano di
più. C’erano ferite brucianti in ogni dove che non voleva curare, che voleva
deliberatamente far infettare.
Perché voleva sentire tutto quel dolore e
attraversalo da cima a fondo.
Perché era tutta colpa sua.
La vide camminare, mentre si slacciava il mantello
bagnato e scuoteva indietro i lunghi ricci. Sorrise con una tale gioia che
anche i suoi occhi furono invasi.
Bella. Bella da
far male. Bella e odiata strega che mi hai spezzato.
L’ultima sorsata di Firewhisky raggiunse le sue
papille gustative ormai quasi anestetizzate in un baleno.
L’aveva guardata come il simulacro dei suoi sogni.
L’aveva adorata con la semplicità di un bambino. L’aveva attesa così a lungo
quasi da dimenticarsi la ragione per cui stava facendo tutto quello.
Si era mostrato lentamente per darle lo spazio
necessario per arretrare, aveva creduto ingenuamente che forse sarebbe giunta
la sua occasione per conquistare quella landa ghiacciata e palpitante di calore
che era il suo cuore.
Ma per lui non c’erano mai stati ne tempo né spazio.
Non con lei.
La vide salutare tutti i suoi amici con entusiasmo e
non si scompose nemmeno quando la O’Quinn lo osservò con insistenza. Al diavolo
anche quella frigida bacchettona!
Principessa di
Ghiaccio. Gelida creatura senza pietà. Che cosa mi hai fatto?
Avrebbe continuato per chissà quanti anni a nutrire
i suoi folli sogni, le sue edulcorate visioni, le sue immaginarie figure
future, se lei non avesse frantumato ogni cosa.
Lei aveva distrutto la cosa più preziosa del suo
cuore, lasciando solo terra bruciata e rovina attorno: aveva rubato e
calpestato l’immagine che aveva di lei.
Quel quadro magnifico e puro che aveva impiegato
anni a terminare, che aveva costruito tramite gli occhi di un dodicenne che le
aveva rubato il primo bacio per racchiudere quel segreto dentro di sé, che
aveva atterrato nella neve una ragazzina per poterle annusare i capelli.
Lavanda e camomilla.
Nemmeno quello era rimasto, aveva cambiato persino
il suo profumo.
Ma la sua carnefice non si fermò al tavolo dei
Serpeverde. Si voltò e andò in contro a Locarn, seduto al bancone col fratello
e un altro tizio, abbracciandolo di slancio mentre quello spalancava le braccia
per accoglierla.
Anche a lui
concedi le tue grazie nell’ombra della notte, Vipera velenosa?
“Jamie ma che ti prende?!” domandò Fred scuotendolo
per un braccio.
James prese il bicchiere del cugino dalle sue mani e
se lo scolò d’un fiato.
“Ehi! Ma insomma, nemmeno l’ultima lacrima mi hai
lasciato. Fila a prendermene un altro!” protestò Fred osservandolo incupito e
dandogli dei colpetti nel fianco per farlo alzare.
James sentì un ghigno prendere forma sul suo viso e
ricolse lo sguardo verso il bancone.
“Con grandissimo piacere.” esclamò prendendo il
bicchiere e alzandosi di slancio.
Per un secondo
la stanza vacillò nei suoi occhi, ma quasi subito James riprese il controllo e
si diresse verso il suo obiettivo, lasciandosi alle spalle le risate di Fred,
Alice e Philip.
Era in un locale stracolmo di ragazzi e l’unica cosa
che i suoi occhi riuscivano a vedere con spiazzante determinazione era una
bionda colata di ricci. Una piccola cascata di oro, accesa dai riflessi dei
candelabri e delle torce come se si trattasse di miele al sole.
Appoggiò il viso ad una mano annuendo a Scamandro e
lo continuò a osservare mentre l’altro parlava.
Dio… quanto era bella e quanto la odiava in
quell’istante.
Angelique sedeva su uno sgabello alto accanto a
Locarn e a un ragazzino del terzo anno di Tassorosso che James aveva già visto
in giro. Senza nemmeno aver bisogno di considerare troppo le alternative prese
per il colletto della camicia il ragazzo e lo fece alzare, rispondendo alle
proteste con un ringhio sordo.
Si accomodò scompostamente e sbatté rumorosamente il
bicchiere sul bancone.
Gigì si voltò a causa del rumore e lo fissò
inizialmente spaesata, poi sorrise. Sorrise in un modo stranamente caloroso,
quello che riservava ai suoi amici e che mai gli aveva rivolto.
Sorridi così
anche al mio migliore amico, Principessa di Ghiaccio?
“Ciao Jessy.”
“Angelique Joy
Girard Dursley…” James pronunciò il
tutto con tono basso e leggermente strascicato, poi fece schioccare la lingua
contro il palato.
Cercò con lo sguardo il volto maturo di Rosmerta e
le indicò il proprio bicchiere sorridendole affabile. Quella trotterellò verso
di lui e glielo riempì in un baleno, concedendogli anche un occhiolino
complice.
Beh visto che voleva distruggere definitivamente
quello che aveva amato fino a quell’istante tanto valeva essere sbronzo come si
deve. Giusto per non fermarsi a metà discorso e distruggere mezzo locale per la
rabbia.
James bevve un’abbondante sorsata prima di tornare a
guardare Angelique, che lo fissava incuriosita e un po’ perplessa, sempre con
la mano appoggiata alla guancia mentre puntellava il gomito contro il bancone.
Locarn alle spalle della ragazza gli fece un segno di incoraggiamento,
facendosi da parte.
Povero sciocco.
“Mi chiedevo, piccola Vipera, ma questa tua facciata
composta e fredda l’hai costruita apposta per il tuo Principe dagli occhi di
ferro? Così giusto per dargli l’illusione di avere a che fare con una brava
ragazza?” le domandò chinandosi verso di lei.
Gigì aggrottò la fronte e lo guardò seria, prima di
rispondergli.
“Non ho idea di che cosa tu stia parlando. E credo
anche che tu abbia bevuto un po’ troppo, Jessy!”
James scosse la testa.
“No Gigì, non ancora abbastanza.” e trangugiò
un’altra dose di Firewhisky.
Il liquido scese bruciando in modo atroce lungo
l’esofago, ma James sapeva perfettamente che non era colpa del liquore se
sentiva bruciare fin dentro le ossa dello sterno.
Lei continuava a osservarlo con la fronte corrugata
e gli occhi leggermente socchiusi, come per vedere più a fondo dentro di lui e
capire il problema.
C’è vuoto qui
dentro Vipera. Una distesa di cenere e fuoco che tu hai scatenato.
“Mi chiedo Gigì quando tu abbia iniziato a essere
così, perché francamente io non me ne ero mai reso conto. Tu… Con quest’aria
innocente da angelo l’hai data a bere persino a Malfoy! Povero diavolo solo ora
capisco che cosa gli sia toccato sopportare per tre anni.” si interruppe solo
per bere ancora il Firewhisky e mandare completamente alle ortiche ogni
controllo.
Si avvicinò ancor di più a lei e posò una mano sullo
schienale del suo sgabello. La voleva in trappola e voleva ferirla, tanto
quanto lui lo era stato da lei.
“Scommetto che l’hai tenuto a stecchetto come un
frate, per poi lasciarti fare quello che voleva da Derek. Mmm… Spero che sia
stato soddisfacente.” le sussurrò lentamente studiandole il volto.
Gli occhi verdi si dilatarono e la sua bocca si
dischiuse appena. Il petto si alzò e abbassò velocemente più volte, lasciando
che dalla camicetta bianca si intravedesse la curva dei seni.
Quella visione gli incendiò il sangue con una forza
inaudita.
James le prese il mento con una mano e la costrinse
a tenere lo sguardo fisso su di lui.
“Dimmi Gigì: ne vale la pena farsi scopare da uno a
cui non importa nulla di te? Sei così ipocrita da predicare come una vergine e
comportarti come una sgualdrina? Abbi almeno il coraggio di mostrarti come sei
veramente. ”
Sputò fuori quelle parole con asprezza e cattiveria,
col preciso intento di farle male e vederla soffrire. E mentre diceva ogni
singola sillaba avrebbe voluto rimangiarsi tutto, chiedere perdono per quello
che le stava facendo.
Invece di giudicare come un qualsiasi idiota,
avrebbe tanto voluto chiederle un’occasione per dimostrarle che né Maloy né
tanto meno il suo migliore amico l’avrebbero potuta rendere felice, mentre lui
sì. Avrebbe voluto essere abbastanza forte da passare sopra il proprio dolore e
chiederle invece perché proprio Derek, impegnato e vigliacco. Avrebbe davvero
voluto comportarsi bene.
Ma era James e quando c’era di mezzo Angelique non
riusciva mai a fare la cosa giusta.
Angelique strinse le labbra in una linea durissima e
le sue narici fremettero. Era furibonda, James ne era cosciente, ma non aveva
intenzione di placare quell’ira. Anzi voleva esserne investito.
Lei agguantò la propria caraffa di Burrobirra e con un
movimento fluido gliela portò vicino al capo.
“Questo è quello che sono.” gli disse gelida.
Un istante dopo gli rovesciò in testa l’ intero
boccale.
James chiuse gli occhi mentre il liquido tiepido gli
colava sul viso e lungo la schiena.
Sentì il rumore di alcune monete abbandonate sul
legno del bancone e poi una spinta energica lo riportò contro il proprio
schienale.
L’intero locale si era fatto improvvisamente
silenzioso e quando James riaprì gli occhi vide Angelique marciare verso
l’uscita proprio mentre Lucy e Dominique entravano con delle buste tra le mani.
Incrociò gli occhi azzurri della sua cugina
preferita, pieni di perplessità e stupore per la doccia di Burrobirra a cui
probabilmente aveva assistito.
Prese il bicchiere di Firewhisky e se lo scolò
definitivamente. A quel punto era di fondamentale importanza diventare
completamente sbronzo.
Perché aveva appena distrutto quel poco che c’era
tra lui e la ragazza che amava.
Note dell’autrice:
Sono consapevole che molte di voi vorranno
picchiarmi a sangue per quest’ultima scena e per aver pubblicato tanto tardi…
Ma vi prego non uccidetemi, ho ancora tanti anni da vivere e un nuovo paio di
scarpe da usare la prima volta!
Volevo che James smettesse di vedere in modo
idealizzato Angie, comprendendo che lei ha luci e ombre come tutti, forse per
iniziare ad amarla in modo più maturo.
Spero che le metafore per gli scacchi siano arrivate
a tutti, ho cercato di dare ad ogni POV un piccolo spunto velato o esplicito
per ricondurre alle tattiche e alle mosse della vita.
Colgo l’occasione per fare a tutti voi gli auguri di
Buona Pasqua anche se un po’ in ritardo.
Come sempre sono doverosissimi i ringraziamenti a
tutti coloro che hanno aggiunto questa storia alle seguite, ricordate o preferite.
Un GRAZIE ancora più grande a che ha recensito lo
scorso capitolo: Cinthia988, carpethisdiem,
Alexander_Supertramp, cassidri (mi manchi sappilo), cescapadfoot, dreamcatcher05, FleurDa, chuxie, Roxy_HP, Ele12.
Mi riempite di un orgoglio incredibile, vi sono
grata dal più profondo del cuore.
Mando tanti tanti tanti baci a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 13 *** Cap.13 Andare avanti ***
Cap.13 Andare avanti
A
te
Abuelito,
Per
l’affetto, il biliardo, le sere tiepide sul portico, i ricordi preziosi.
Con
la speranza che prima o poi ci rincontreremo,
Buen
viaje.
Brujita
Cap.13 Andare avanti.
Vi
sono perdite che comunicano all’anima una sublimità, nella quale essa si
astiene dal lamentarsi e cammina in silenzio come sotto ad alti neri cipressi.
F.
Nietzsche
La consapevolezza della perdita alle volte non è
immediata.
Arriva con la lentezza esasperante delle ore e dei
giorni, trascorsi nell’incapacità di comprendere appieno; in punta di piedi si
insinua nella fragilità della convinzione di essere abbastanza forti da poter
affrontare tutto. Silenziosa sgretola i baluardi di forza e determinazione.
Implacabile, come fumo che filtra da ogni fessura, annebbia la mente.
Poi giunge l’istante in cui questa consapevolezza si
manifesta in tutta la sua devastante forza e lascia un vuoto dentro.
Per ogni perdita un cratere a cui assegnare il nome
di una persona amata, come quelli sui pianeti e sui satelliti, memorie
onorifiche di qualche gesto glorioso per l’umanità. Solo che non sono lontani,
sono dentro il cuore, che si adatta e si modella su queste sofferenze,
imparando a convivere con la mancanza. Imparando a camminare tra i buchi e le
macerie, andando avanti.
La felicità fa tornare piccoli e innocenti, ma il
dolore plasma l’adulto e lo obbliga a affrontare la vita.
Alle volte si domandava come avesse potuto suo padre
subire tante e tali perdite e non perdere la capacità di legarsi alle persone.
Come era stato possibile per lui sopravvivere a tutto quel dolore concentrato e
dilatato negli anni senza perdere sé stesso?
La risposta si manifestava da sola durante le sue
riflessioni: il coraggio di amare.
Quell’arcana forza che legava a doppio filo le
persone, impedendo ai legami più profondi e sinceri di spezzarsi perfino di
fronte alla morte. Quell’incomprensibile evento che poteva modificare la vita
in un battito di ciglia, che reclamava ogni fibra e ogni granello
infinitesimale di anima.
L’amore.
E bisognava proprio avere un gran fegato per
arrendersi ad esso, bisognava essere davvero coraggiosi per esporre le parti
più delicate e fragili di sé a qualcun altro, per abbandonare le difese e
lasciarsi amare.
James parò l’attacco di Derek evocando un
Incantesimo Scudo senza proferire nemmeno una parola. Con un gesto rapidissimo
scagliò l’offensiva, che inconsciamente aveva preso la forma di uno
Schiantesimo.
Il ragazzo di fronte a lui lo schivò sgusciando di
lato, ma un’espressione sorpresa gli si dipinse sul viso.
“Avevo detto disarmare!
Prima ammonizione per James.” esclamò il professor Dawlish da un angolo della
stanza.
Il giovane Potter registrò appena l’informazione,
tanto era concentrato ad affrontare quel finto duello nell’aula di Difesa
contro le Arti Oscure… Che poi finto non era poi tanto.
Derek davanti a lui mosse le labbra per sussurrare
l’incantesimo ma James colse le prime lettere e formulò rapidamente il
contro-incantesimo, facendo così finire a vuoto l’attacco dell’amico. Poi con
un movimento del polso secco rivolse la bacchetta contro di lui e lo disarmò,
cogliendolo impreparato per tanta rapidità.
L’arma di legno scuro di Derek roteò nell’aria per
cadere con un tintinnio ripetuto fuori dalla pedana per le esercitazioni. Ci fu
un attimo di silenzio generale e poi molti dei presenti applaudirono. James e
Derek fecero contemporaneamente il rigido inchino che segnava la fine del
duello e scesero ognuno dal proprio lato.
John Dawlish assegnò qualche punto a Grifondoro,
complimentandosi con entrambi, e chiamò i prossimi che li avrebbero sostituiti
sulla pedana.
James si chinò e raccolse la bacchetta dell’amico
porgendogliela mentre si allontanavano dalla piccola folla assiepata attorno ai
duellanti. Derek gli sorrise e gli diede una pacca fraterna sulla spalla.
“Ho avuto un’allucinazione visiva o hai tentato di
schiantarmi, Jimmy?”
“Non chiamarmi così. E comunque sì, credo di aver
accidentalmente pensato ad uno Stupeficium.”
ammise James alzando le spalle.
Derek sgranò gli occhi sorpreso da quella tranquilla
rivelazione e si affrettò a chiedere.
“E perché cavolo l’hai fatto?”
James fece un respiro profondo.
Era davvero il caso di affrontare Derek in una
classe piena di gente e con i nervi a fior di pelle per quello che era accaduto
due giorni prima?
Nella sua testa passò l’immagine del volto di Gigì
ferito e incredulo per quello che le aveva detto, dei suoi occhi verdi che da
esposti e fragili erano mutati in gelidi e imperiosi, del sorriso che gli aveva
rivolto spentosi in pochi istanti.
Decisamente
sì.
“Forse perché non mi hai mai detto nulla di te e
Angelique.” disse modulando la voce perché solo l’altro riuscisse a sentire.
Derek si irrigidì immediatamente e si voltò verso di
lui. Gli occhi neri si spalancarono mentre Schatten lo fissava attonito.
“Io… è molto complicato James.” dopo attimi di
attesa interminabili finalmente Derek se ne uscì con un tono strozzato e
imbarazzato.
“Non stento a crederlo.” mormorò caustico lui
incrociando le braccia sul petto.
“Senti… Non so che dirti. è successo e basta!”
“Derek, sinceramente non mi importa con chi tradisci
Celia, non mi è mai interessato. Ma lei è mia cugina e non ti permetto di
trattarla come… le altre. Fa parte della mia famiglia.”
La scusa della cugina a lui sembrava fare acqua da
tutte le parti, era a dir poco ridicola, ma era la cosa meno compromettente a
cui avesse pensato.
Negli occhi neri di Derek passò un emozione strana,
indecifrabile, sembrava un miscuglio di gelosia e indignazione.
“Non l’ho mai trattata come le altre.” ribatté
deciso.
“Vuoi dire che non…?” lasciò la domanda in sospeso
sentendosi improvvisamente molto stupido.
“No, mai.”
James vacillò sul posto, facendo un mezzo passo
indietro.
“E abbiamo smesso di vederci.” continuò Derek
distogliendo lo sguardo dal suo per rivolgerlo alla pedana dove alcuni loro
compagni si stavano esercitando.
Aveva toppato in modo clamoroso le sue congetture.
Ed era andato dritto da Angelique ad accusarla e parlarle in modo vergognoso
perché l’idea di lei e Derek insieme lo aveva quasi fatto impazzire, perché era
stato divorato da una gelosia furiosa, perché non poteva accettare di averla
persa prima ancora di avere la possibilità di conquistarla.
Ed ora scopriva di averla allontanata da solo,
proprio nel momento in cui forse avrebbe avuto quell’occasione tanto agognata;
di aver distrutto quel germoglio di rapporto tra loro per cecità.
E l’amara consapevolezza di aver perso un’altra
volta qualcosa di lei lo invase come un’onda improvvisa, che lo travolse
lasciandogli a stento il fiato per respirare.
***
La
notte porta consiglio.
A lei ultimamente in realtà portava
tutt’altro, motivo per cui questo modo di dire le risultava insensato e
parecchio urticante.
Angie inclinò maggiormente il capo
indietro, consentendo così alle ultime gocce d’acqua fresca di raggiungere il
suo palato riarso. Deglutì quasi con dolore tanto era il bisogno che le aveva
costretto la gola in una morsa.
Posò il bicchiere sul ripiano di marmo
nero e poi si appoggiò con entrambe le mani ai lati del lavandino, tenendo le
braccia tese.
Alzò lentamente lo sguardo e si osservò
nel grande specchio ovale.
I capelli biondi erano racchiusi in un
raccolto improvvisato sopra il capo, disordinati e quasi informi. La pelle del
viso aveva un colorito cereo, poco salubre. Le ossa delle clavicole spuntavano
dallo scollo della camicia da notte appiccicosa di sudore.
Le palpebre più scure del normale
incorniciavano qualcosa che non le apparteneva più.
Un paio di occhi vuoti. Il verde
sembrava quasi slavato dall’insistenza di quelle torture notturne.
La
notte porta tormenti.
Le notti passate a non dormire stavano
diventando troppe per essere contante.
Cadeva in un sonno confuso, agitato
dalle visioni che la sua mente partoriva, roso dai desideri repressi e negati.
Si svegliava in continuazione, alle volte trovando la federa umida di lacrime
che non avrebbe più versato alla luce del giorno, alle volte con il cuscino
artigliato tra le sue dita come se avesse tentato di trattenere qualcosa che se
ne voleva andare.
La
notte porta in luoghi proibiti.
Varcava la soglia della coscienza
sperando di non sognare nulla e si ritrovava puntualmente immersa in un
abbraccio caldo, che sapeva di menta gelida e spezie orientali. Pregava di non
ricordare e veniva tradita dalla sua mente infida, dalle sue labbra cedevoli
che nell’oscurità dei sogni la portavano su quelle di Derek. Cercava di non
chiedersi come sarebbe potuta andare se solo qualcosa fosse andato per il verso
giusto e tutte le notti riceveva immagini di momenti semplici, di baci rubati
tra una lezione e l’altra, di passeggiate tra i negozi, di normalità, che le
causavano risvegli dolorosi e disperati.
La
notte porta all’alba di un nuovo giorno.
Quando arrivavano i primi timidi raggi
di sole, rifratti dalle acque del Lago Nero, che filtravano dall’oblò e
illuminavano il tappeto, Angie sapeva che bisognava alzarsi e andare da
Antares. Sapeva che doveva lavare via le inquietudini del buio e vestirsi di
speranza, che doveva riprendersi quello che la notte cercava di portarle via:
la forza di restare sé stessa.
In quel momento però non riusciva ad scorgere
le luci dell’alba oltre l’oscurità. Era in grado di vedere soltanto quegli
occhi vuoti e chiedersi che cosa le fosse successo, quanto in basso fosse
scesa.
Ed era accaduto anche la notte prima, e
quella prima ancora, da quando Jessy le aveva sputato addosso il suo disgusto e
la sua rabbia.
Mi chiedo Gigì quando tu abbia iniziato a essere
così, perché francamente io non me ne ero mai reso conto.
Nemmeno lei ad
essere sinceri. Si era lasciata trascinare da quello che sentiva, senza curarsi
di chi e che cosa avrebbe portato con sé sul fondo.
Angelique chiuse gli occhi cercando di
ricacciare indietro le lacrime e la nausea che le attanagliava lo stomaco.
Scommetto che l’hai tenuto a stecchetto come un
frate, per poi lasciarti fare quello che voleva da Derek.
Erano state lame impietose e affilate
che le si erano conficcate nella carne… Perché, escludendo la forma indelicata
e un po’ esagerata, quelle parole erano vere.
Vere fin nel midollo. Vere in un modo
che Jessy che non avrebbe nemmeno potuto immaginare. Così vere da averla ferita
nel profondo.
Ed era arrabbiata con James Potter, era
furibonda con lui per averle parlato in quel modo, per averla messa di fronte
ad un’immagine di sé stessa che odiava, o più semplicemente per averla delusa.
Anche lui.
Non che avesse chissà quali aspettative,
ma aveva sperato con una parte infinitesima di sé, che Jessy fosse diventato
maturo, fosse diverso da quello che lei aveva sempre pensato… Non sapeva
nemmeno dare una spiegazione a queste vane speranze.
Lui però le aveva confermato che nulla
era cambiato. Le aveva porto una mano quando era ferita e poi l’aveva rigettata
nel fango quando lo aveva lasciato avvicinare.
Spero che sia stato soddisfacente.
Nemmeno poi
tanto Jessy, avrebbe voluto rispondergli.
E invece le
parole, le rispostacce le erano rimaste chiuse in gola, fermate dalla presa di
coscienza di avere davanti il solito idiota di sempre. Non un ragazzo che
leggeva Ezra Pound, non un giovane uomo che si era preso cura di Elena, non una
figura amica… Solo un pezzo di idiota.
Angie schiuse
finalmente gli occhi. Imbevve un batuffolo di cotone col Tonico Miracoloso alle
Rose di Dominique e se lo passò sulla pelle sottile delle palpebre. Un sollievo
immediato la pervase rinfrescando gli occhi stanchi.
Prese un
profondo respiro e poi un altro ancora.
Avrebbe
affrontato Jessy a tempo debito. Per il momento l’unico pensiero accettabile
era quello di andare semplicemente avanti. Di continuare a svegliarsi prima di
Martha ed Elena, di passeggiare con la sua fenice, di studiare nuove pozioni
per le Menadi, di allenarsi con Al, di tentare di ricucire il rapporto con
Scorpius, di riservare alla notte il dolore che la mancanza di Derek le
causava.
L’unica
soluzione che aveva trovato era racimolare il coraggio giorno per giorno,
aspettando che le ferite guarissero per strada, mentre si continuava a
camminare.
***
“Dobbiamo dare una festa.”
Le Menadi in perfetta sincronia si
voltarono allibite verso chi aveva parlato.
Perché tutte si sarebbe aspettate di sentire qualcosa del
genere da Dominique o al massimo da Lily. Ma mai e poi mai avrebbero pensato
che a parlare fosse stata proprio il loro Consigliere: Rose.
“CHE
COSA?”
“NO!” urlò Angelique scuotendo il capo
energicamente.
“Ragazze
fidatevi, ho analizzato i registri della contabilità e ho notato che negli
ultimi mesi abbiamo avuto un calo notevole dei nuovi clienti. Ci sono sempre
gli acquirenti fedeli, ma ci vuole un po’ di pubblicità per la vostra piccola
impresa per ampliare il raggio d’azione.”
“La nostra
piccola impresa.” la corresse Lily ghignando apertamente. Rose sorrise e chinò
il capo in un gesto di assenso. Sì, c’era dentro anche lei fino al collo ormai.
“Per me non c’è problema.” dichiarò Lucy
prima di accendersi la milionesima sigaretta della giornata.
“No! Per favore! Succedono sempre delle
cose terribili quando vado a una festa!” piagnucolò Angelique continuando a muovere
i ricci dorati dappertutto.
“Quali cose terribili?” si informò
Dominique sollevando una fetta di cetriolo dalla propria palpebra sinistra per
poter osservare l’altra.
“Cose tremende! Fidati.” sbottò l’altra
bionda incrociando le braccia sul petto.
“Dobbiamo dare una festa per Halloween.”
dichiarò fermamente Rose.
Dominique tolse entrambe le fette di
cetriolo dagli occhi e scoppiò a ridere aggrappandosi alla sua sedia di vimini.
“Stai scherzando vero? Halloween è
sabato!” esclamò sconcertata il Generale.
“No affatto.”
“Mi rifiuto di prendere parte a questa
follia. Ci vorrebbe almeno un mese
per organizzare una festa degna di questo nome!” disse Dominique alzando in
aria il suo nasino sottile. Ci fu un istante carico di tensione, spezzato dopo
poco da un mezzo sospiro deluso di Rose.
“Beh, se non credi di esserne in grado…”
mormorò quella scrollando le spalle.
Dominique si voltò di scatto osservando
la cugina con gli occhi ridotti a due fessure.
“Che cos’hai detto?!” sibilò.
“Ti sta manipolando Dominique!” esclamò
disperata Angie afferrandole un braccio, ma la mano destra del Generale si alzò
in aria in un gesto perentorio
zittendola.
“Credi che non sarei capace di
organizzare la miglior festa che questa scuola abbia mai visto in meno di una
settimana, è così?!”
“Visto che non te la senti di aiutarci…
Immagino di sì.” rispose Rose con assoluta tranquillità, ma una strana luce
sembrava animarle gli occhi celesti, una fiammella di eccitazione e vitalità.
Dominique raddrizzò ancor di più le
proprie spalle, assumendo una posa impettita, e alzò appena il mento. I suoi
occhi azzurri si piantarono in quelli della cugina con un’espressione
indignata. Le due Weasley si fronteggiarono per qualche secondo, mentre
Angelique pregava ogni Santo e ogni Fondatore di mandargliela buona almeno quella
volta. Lucy e Lily dal canto loro si limitavano a osservare la scenetta con un
certo compiacimento e un blando interesse.
“Lily, quanto abbiamo guadagnato questo
mese?” disse finalmente Dom voltandosi verso la più piccola del gruppo.
Questa drizzò immediatamente il capo ed
esclamò con velocità sorprendente:
“Niente!”
“Lara non è possibile. Abbiamo venduto
quasi tutta la scorta di alcoolici, le pozioni energizzanti di Angie sono
andate a ruba e quelle schifezze che produce il Generale, non si sa per quale
ragione, piacciono alle ragazzine…” disse Lucy con la sua voce graffiante e
leggermente roca.
“Ehi!” esclamò offesa Dominique ma Lucy
se rivolse un mezzo sorriso di scuse.
“Certo! Ma abbiamo avuto tantissime
spese.” ribatté ostinatamente Lily.
“Se lo dice Lara io mi fido!” si
intromise Angelique annuendo.
“Lily, dimmi quanti soldi abbiamo messo
da parte questo mese.” la voce di Dominique aveva assunto una sfumatura di
decisione ferrea che lasciava presagire quanto implacabile sarebbe diventata il
Generale. E che indusse Lara a desistere.
“Quattrocento galeoni.” mormorò funera
abbassando lo sguardo sul pavimento.
“Oh no!” piagnucolò l’Alchimista
passandosi una mano tra i capelli.
“Eccellente. Organizzerò qualcosa di
incredibile… Se ne parlerà per anni…” lo sguardo di Dominique si fece lontano e
trasognato. Probabilmente stava già pensando a che stuzzichini proporre al
buffet.
“Non avrai intenzione di spenderli
tutti?!” sbraitò Lily andando a fronteggiare la cugina.
E mentre Lara e il Generale iniziavano a
litigare per il budget della festa, Rose si lasciò finalmente sfuggire un
ghigno compiaciuto per la propria opera di convincimento.
Sapeva perfettamente come avrebbe
reagito Dominique ad una provocazione aperta e non si era fatta scrupoli a
sfruttare la sua conoscenza. Forse aveva ragione Lucy e stava diventando un po’
troppo simile ai Serpeverde in quanto a manipolazione e sotterfugi. Pazienza!
Lei agiva nell’ottica di un progetto più grande, di un bene superiore.
Quella festa era sì un’ottima idea per
fare pubblicità alla loro organizzazione, ma costituiva un perfetto pretesto
per portare a termine la sua mossa successiva.
Avrebbero invitato alla festa anche un
certo malfattore di Hogsmeade, un uomo che si credeva irraggiungibile e
infallibile nel conquistare donne… E gli avrebbero dimostrato che si sbagliava.
***
Da un paio di anni si era sviluppata una sorta di
tradizione sotto Halloween. Essa consisteva in una scia di scherzi di porta più
o meno considerevole che culminava proprio nel giorno di passaggio tra Ottobre
e Novembre, quasi che qualcuno festeggiasse a modo proprio l’evento. Tutti
erano a conoscenza dell’identità degli autori, ma questi grazie ad un’omertà
diffusa e un’astuzia senza pari riuscivano a cavarsela quasi sempre.
Angelique normalmente faceva finta di nulla e
lasciava correre, ma non quando questi gesti di impareggiabile umorismo la
riguardavano in prima persona. Quell’anno sembrava tra l’alto che avessero
deciso di anticipare il gran finale col botto a tre giorni prima della normale
data. O se quello a cui aveva appena assistito era solo uno delle “normali”
trovate di suo fratello, Angelique non osava immaginare che cosa avrebbe
aspettato la scolaresca quel sabato.
In quell’istante stava marciando, con le calze e le
scarpe completamente zuppe e con la bacchetta in pugno verso un unico
obiettivo. Il Pidocchio.
“TRISTAN!” tuonò con tutto il fiato e la rabbia che
aveva nei polmoni.
Vide suo fratello in mezzo al corridoio voltarsi con
aria indifferente verso quel richiamo che tanto spesso si sentiva rivolgere con
tono furioso. Tuttavia quando metabolizzò il fatto che fosse proprio la sorella
maggiore a caricarlo come un bufalo, il suo viso dai tratti regolari ed
eleganti, che entro poco tempo avrebbero iniziato a far sospirare le ragazze,
si deformarono in una maschera di terrore.
“Corri Tris! Corri!” urlò Lily spintonando l’amico
pietrificato sul posto. Hugo nel frattempo si osservava attorno angustiato,
cercando una possibile scappatoia.
Una delle pochissime cose che lo sconsiderato e
irrispettoso Grifondoro Tristan Girard Dursley aveva imparato a temere nel
profondo erano le vendette della sorella, la quale era assolutamente priva di
codici d’onore o senso morale che la inibissero nei suoi confronti. Anzi la
conflittualità tipica del loro rapporto la portavano spesso a considerarlo una
specie di sacco per la box su cui sfogarsi.
Angie vide il fratello darle le spalle, offrendole
la miglior occasione per sferrare il suo attacco.
Con un movimento rapidissimo scagliò l’incantesimo
contro Tristan, il quale venne sollevato in aria all’istante, ritrovandosi
sospeso per i piedi al nulla. Mentre Angelique lo raggiungeva a passo di carica
alcuni studenti lo osservarono incuriositi e con un sorriso bonario sul viso.
Suo fratello era quel genere di ragazzo che per
quanti danni psicologici e materiali potesse arrecare, avrebbe sempre goduto
della benevolenza generale delle persone che lo conoscevano. Esattamente
l’opposto di lei.
Tristan la scrutava con ostilità, capovolto ma non
per questo meno agguerrito.
“Bene Pidocchio. Hai qualche dichiarazione da fare
prima che la giustizia scenda su di te?” chiese Angie sogghignando apertamente
e facendo oscillare la bacchetta tra le dita della mano destra.
“Non puoi! Non hai alcuna carica che ti permetta di
punirmi!” esclamò Tristan incrociando le braccia sul petto cercando di sembrare
tranquillo, ma dai suoi occhi azzurri traspariva una notevole ansia.
“Agisco sotto delega del Prefetto della Casa di
Serpeverde Martha Grace O’Quinn, la quale si trova nell’impossibilità di
adempiere ai propri doveri, Pidocchio. Ovvero fartene passare di cotte e di
crude per quello che avete combinato nei Sotterranei.” In realtà non aveva
alcuna idea di quale fosse il secondo nome di Martha, però le era sembrato che
quello suonasse bene e quindi lo aveva usato per rendere meglio l’autorevolezza
di quel sopruso.
“Ma i Prefetti non possono delegare ad altri i loro
diritti!”
“Vedi Tristàn,”
e lo pronunciò alla francese esattamente come quando la loro mamma era furiosa,
provocando nel fratello un immediato allarme “il bello di essere una Serpeverde
è che questo genere di principi morali, queste banali considerazioni di diritti
e doveri, non ci toccano. Noi prendiamo ciò che vogliamo, quando possiamo. E
non ci sentiamo in colpa nemmeno un po’ nel caso te lo stessi chiedendo.”
Il corridoio si era ormai svuotato del tutto e Angie
allargò il proprio ghigno pensando a che cosa si meritasse il suo fratellino
pestifero per aver quasi fatto affogare mezza scuola…
“…Quindi
come vi anticipavo la scorsa lezione da oggi inizierete a lavorare
singolarmente…”. Non appena la sagoma della Blackthorn ebbe superato il loro
banco per dirigersi verso la cattedra, Elena si voltò disperata verso Angelique
e sussurrò:
“Sono
una tizia coi capelli verdi morta.”
“Perché,
perdonami, il fatto che tu abbia i capelli verdi costituisce un fattore
aggravante nella questione?”
“Non
è il momento di essere puntigliosa! Piuttosto… Che razza di porcheria è
questa?”
“Pus
di Bubotubero.”
“Dio,
come fa schifo questa materia!”
Angie
affondò i denti nel labbro inferiore e fece un respiro profondo per non
scoppiare a ridere in mezzo alla classe di Pozioni.
“Ora
al lavoro!” la voce sicura della professoressa Blackthorn diede il via a un
discreto tintinnare di vetro e rumori sommessi.
Angelique
raccolse i capelli in uno chignon morbido e si guardò attorno per un istate
prima di mettersi all’opera.
Martha
e Scorpius sedevano vicini come sempre, così anche Albus e Rose; tuttavia
Bertram Barrach per qualche arcana magia era riuscito a staccarsi dalla sua
dolce metà Emma almeno per quella lezione e stava accanto ad Octavius Goyle.
Angie
chinò il capo verso il proprio bancone di lavoro e iniziò a sminuzzare con cura
gli ingredienti richiesti.
Che
poi riflettendoci un attimo Goyle non era così pessimo. Insomma si esprimeva
più a grugniti che altro, aveva la tendenza a prendersi l’ultima salciccia a
pranzo, le rubava sempre la fetta più grossa di torta al cioccolato, non capiva
la sua ironia, però poteva essere classificato come un soprammobile innocuo…
“Pss…
Angie!”
“Mmm?”
rispose la bionda senza staccare gli occhi dalla pipetta con cui stava
prelevando tre unità di pus di Bubotubero.
“Che
devo fare?!” mai sussurro suonò più disperato.
“Potresti
iniziare con l’aprire il libro, Nana!”
“Fatto.
Ora?!”
“Fai
finta di fare qualcosa… Senza amputarti un dito col coltello!” bisbigliò
Angelique osservando allarmata la lama d’argento tra le dita dell’amica.
Il
fatto che per quattro anni Angelique fosse stata la compagna di Elena durante
le lezioni di Pozioni aveva acuito ancor di più l’incapacità di quest’ultima di
riuscire a cavarsela davanti ad ingredienti e calderone. Il loro sodalizio era
stato costituito su due punti cardine imprescindibili: a- Che Elena non toccasse
niente sul banco di lavoro; b-Che Elena non toccasse assolutamente nulla in
generale.
Quando
la Blackthorn aveva annunciato che in vista degli esami G.U.F.O. avrebbero
iniziato a lavorare da soli alle pozioni, Angelique si era preoccupata davvero
per l’amica, visto che Elena aveva un rifiuto categorico della materia, e
temeva seriamente che non avrebbe passato l’esame di fine anno. E come poteva
negare aiuto a quella creaturina con i capelli verdi?!
Angie
mescolò due volte in senso orario e poi una in senso orario, prima di
aggiungere il succo solo di due bacche di belladonna e non tre come suggeriva
il testo. Quell’estate aveva sperimentato che se l’ultima veniva aggiunta una
decina di minuti dopo le altre due, il colore della Pozione Rimarginante virava
più facilmente dal blu al verde.
“Fai
stufare queste con tre unità di pus.”
bisbigliò passando all’amica delle foglie di magnolia già sminuzzate a
dovere.
Angelique
aveva scoperto, sin dal suo primo anno ad Hogwarts, che immergersi nei vapori
del calderone e creare da elementi disgiunti un composto omogeneo, in grado di
adempiere alle più svariate richieste, rimetteva a posto tutto. Quando poteva
avere il controllo degli ingredienti e delle tempistiche di cottura le sembrava
che anche tutta la sua vita potesse essere gestita molto meglio.
Così
in quella lezione, in cui passò metà del tempo a suggerire ad Elena che cosa
fare e l’altra ad aggiustare i disastrosi risultati ottenuti dall’amica, le
sembrò finalmente di raggiungere, se non una pace, quanto meno un equilibrio
interiore. Aveva una piccola isola dove lasciare lontani i pensieri che la stavano
ossessionando, i ricordi e la nostalgia di Derek, le parole rabbiose e
dolorosamente veritiere di Jessy, una sé stessa mezza dispersa e mezza
ritrovata…
“Zabini,
questa pozione è mediocre. Non certo al livello di quelle degli anni passati…
Avrei dovuto capire che Dursley faceva la maggior parte del lavoro!”
Angie,
richiamata dal proprio cognome, alzò lentamente gli occhi dalla sua pozione e
spiò la scena accanto a sé.
La
Blackthorn osservava severa la sua allieva, anche se nello sguardo si celava
una luce che ammorbidiva il cipiglio ferreo, una sorta di… indulgenza?! Elena
sorrideva smagliante, probabilmente per il fatto di non aver fuso il calderone,
e non si diede la pena di rispondere.
“Direi
che è un… Accettabile, a stento.” disse la professoressa, dopo qualche istante
di meditazione, e si annotò sulla pergamena la valutazione. La bionda nascose
un sorriso abbassando il capo e fece finta di pulire una macchia inesistente
sul suo piano di lavoro.
“Dovrei
darti una T per tutti i suggerimenti che hai passato a Zabini.” fu l’esordio
gelido e basso della Blackthorn, quando giunse davanti al suo calderone.
Angie
sollevò lo sguardo sulla professoressa con il cuore in gola, mentre un rivolo
di sudore , dovuto al calore dei fuochi e all’agitazione, le si congelò sulla
schiena. Tuttavia prima che potesse lanciarsi in una disperata difesa delle
buone intenzioni con cui era accorsa in aiuto di un’amica in difficoltà, gli
angoli della bocca della donna si sollevarono appena.
Gli
occhi della Direttrice di Serpeverde, di un blu intenso e penetrante,
scrutarono attentamente prima il viso di Angie e poi il calderone, sempre con
quell’espressione enigmatica. Angie era così tesa che sentendo i piedi umidi si
convinse di star facendo un bagno di sudore.
La
professoressa ne prese una modesta quantità col cucchiaio e la portò al viso,
annusandola con circospezione.
Ansia,
ansia a tonnellate…
“Ma
questa pozione sembra perfetta. Direi che è proprio… Ma che cosa succede?!”
sbottò la professoressa voltandosi verso i suoi alunni.
In
effetti qualcosa all’interno dell’aula non andava.
Tutti
avevano cominciato a parlare sempre più concitatamente e iniziavano a sedersi
sui piani di lavoro o mettersi in piedi sulle sedie, osservando stupiti il
suolo. Angie non capiva decisamente che cosa ci fosse di strano…
Abbassando
gli occhi, tuttavia, notò che il pavimento rifletteva la sua immagine vagamente
perplessa. Le ci volle qualche istante per realizzare che non si trattava di
un’illusione ottica ma di acqua.
Acqua
in quantità ingenti che stava allagando tutto. Acqua fredda e limpida come se
fosse scaturita da una fonte di montagna. Acqua che ormai le arrivava alle
caviglie.
La
gente aveva iniziato ad urlare in preda al panico e la Blackthorn cercava di
far evacuare come possibile la stanza, ma la porta, che Samuel Dixon, da bravo
e valoroso Grifondoro sempre in prima linea nelle situazioni critiche, stava
disperatamente cercando di aprire, sembrava bloccata.
In
quei momenti di puro panico, in cui le persone normali iniziavano a
schiamazzare e agitarsi, Angie vedeva il mondo rallentare la propria corsa e
congelarsi sotto i suoi occhi per poter essere analizzato. Le succedeva anche
col Quidditch ed era uno dei suoi maggiori punti di forza, la menta fredda e
l’estraniazione dalla realtà come reazione subconscia alle difficoltà. Poco
importava se appena passato il pericolo aveva dei crolli emotivi che manco Cho
Chang ai tempi d’oro della Preside Umbridge avrebbe raggiunto.
Pensò
che probabilmente non era nulla di grave, magari uno stupido scherzo, ma
essendo nei sotterranei l’acqua non aveva possibilità di scolo da nessuna
parte. Quindi dovevano uscire in fretta, prima di ricalcare le scene melense e
strappalacrime di Jack e Rose nelle cabine di terza classe del Titanic che
colava a picco. E lei non aveva alcune intenzione di farsi venire le labbra
cianotiche e i capelli crespi per tutta quell’acqua!
“Martha,
prendi Elena.” disse sbrigativa alla rossa che si era avvicinata a lei,
indicando con il mento l’amica che stava giocando a fare gli scivoloni in mezzo
all’aula, mentre tutti i compagni si assiepavano attorno alla porta.
Si
chiese come avessero potuto due Purosangue come Lord Alain e Lady Ophelia
Zabini, educati nella massima rigidità della casta eletta del mondo magico,
generare una creatura così inopportuna in ogni situazione come Elena.
Nel
frattempo aveva raggiunto il crocchio di gente che guardava angosciata la porta
ancora sigillata. Un Bombarda scagliato al fine di aprire la via di fuga
rimbalzò contro il legno antico e si andò a schiantare contro la parete
antistante, inducendo tutti ad abbassarsi. Era appena stato scagliato da
Samuele Dixon un Grifondoro del loro anno.
Angie
vide la Blackthorn impegnata a far rinvenire una giovane Tassorosso che aveva
perso i sensi e Rose poco distante che cercava di calmare un’altra che piangeva
a dirotto. Non avrebbe ricevuto nessun aiuto da quella parte.
Istintivamente
cercò una testa biondo platino in quel marasma di gente per rassicurarsi che
stesse bene e la trovò placidamente appoggiata alla parete di muratura
millenaria con accanto quella di Goyle, di Albus e di Berty. A quanto pareva i
maschi si godevano lo spettacolo attendendo il fallimento del Grifondoro e
evitando accuratamente di collaborare. Tipico.
Udì
distintamente una risata formato ululato e una parola in irlandese, che suonava
come un insulto o una parolaccia, difficile dirlo con quella lingua incomprensibile.
“Levati
dalle scatole Dixon!” urlò per sovrastare il caos attorno a loro e puntò la
bacchetta contro la porta, (e incidentalmente anche contro Dixon).
“Pensi
che non ci abbia già provato?! Se ti credi tanto brava fai pure!” sbottò il
Grifondoro con tono evidentemente molto irritato dall’entrata in scena di
Angie. Tuttavia, pur stringendo convulsamente la bacchetta tra le dita, si fece
da parte.
Angelique
non si diede la pena di rispondere. Il suo cervello iniziò a lavorare
febbrilmente.
Se
quel beota di Dixon, le cui abilità magiche potevano essere messe in
discussione quanto si voleva, ma non probabilmente fino ad affermare che non fosse
in grado di scagliare un Alhomora come si deve, non riusciva ad aprire né far
esplodere la porta significava che c’erano alcuni incantesimi di protezione su
di essa.
Un
lento sogghigno si aprì sul suo viso al ricordo di alcune parole, pronunciate
da una bella ragazza mulatta nello spogliatoio di Serpeverde, dopo la disfatta
nell’ultima partita di Quidditch al suo primo anno.
“Cara Angie, pensavi davvero che ti avessi insegnato
tutto? Come diamine occuperemmo il tempo nei prossimi due anni, eh?!”
E
Roxanne aveva mantenuto la parola. Le aveva trasmesso tutto ciò che era stata
in grado di apprendere nei suoi sette brillanti anni ad Hogwarts.
Mormorò
i contro-incantesimi tracciando lenti e metodici gesti davanti alla porta,
mentre dietro di sé riuscì a sentire i bisbigli concitati dei suoi compagni.
Finito
il lavoro, dai margini tra legno e stipite si propagò una flebile luce che
segnava la buona riuscita delle operazioni.
“Ma
come ha fatto?!” lo squittio di Poline Bennet la indusse a voltarsi con un
sorriso gelido e un ghigno pigro.
“Magia
Nera.” sussurrò guardandola fissa nei grandi occhi castani, che si allargarono
impauriti.
Avrebbe
giurato che la Corvonero stesse per mettersi a urlare e partire alla carica
contro di lei con forconi e torce recitando il rosario, ma Dixon prese in mano
la situazione con la prestanza di spirito tipica della sua Casa. Scostò più o
meno garbatamente Angie e si mise davanti alla porta, riprendendo da dove si
era interrotto qualche momento prima, per portare a termine il suo intervento
cavalleresco.
Angelique
si allontanò dal Grifondoro e vide Martha avvicinarsi. Era così arrabbiata che
le sue orecchie avevano il colorito delle fragole mature. Trascinava per il
colletto della divisa, come una mamma gatta che trasporti i cuccioli per la
collottola, una Elena estremamente di buon umore e fradicia da capo a piedi,
come se avesse sguazzato nell’acqua che ormai arrivava al ginocchio. Forse
effettivamente aveva pensato bene di fare un bagnetto mentre il delirio si
impossessava dei suoi compagni di scuola, così per spregio del pericolo o per mero
divertimento.
“Bombarda
Maxima!” esclamò Samuel con sicurezza e cipiglio estremamente orgoglioso di sé.
Ciò
che accadde dopo, Angie lo custodì nella propria mente con estrema cura per
anni, per tirarlo fuori nei momenti più bui della sua esistenza e ricordarsi
che a questo mondo c’è sempre qualcuno che sta peggio. Qualcuno che subisce
eventi tragicomici che verranno tramandati da generazione in generazione.
Qualcuno la cui memoria sarà per sempre legata a queste figuracce imperiture.
Non
appena la porta fu divelta dai cardini centenari, sul viso abbronzato e dalla
mascella marcata del Grifondoro si dipinsero una soddisfazione e una fierezza,
che avrebbero commosso il buon vecchio Godric, per essere riuscito finalmente a
salvare tutti gli alunni del quinto anno, più un’avvenente professoressa, che
quella mattina si erano ritrovati prigionieri delle segrete del castello.
Tuttavia
il baldo giovine fu letteralmente travolto all’istante da uno tsunami di
escrementi, che erano stati bloccati fino a quel momento dalla porta,
precedente eliminata nel glorioso atto eroico. Dixon fu trascinato dalla
valanga di liquami e l’impatto fu tale da fargli fare una capriola
all’indietro, come se fosse stato colpito da un calvallone in mare aperto.
In
lontananza si udì uno scoppio di risate,
fin troppo famigliari ad Angelique, che collegò immediatamente i responsabili
al fattaccio appena avvenuto. I piccoli demoni avevano bloccato la porta per
riuscire a dirigere quanti più escrementi possibili ad ammassarsi davanti
all’aula.
Il
silenzio che seguì fu tanto assordante che si sentì chiaramente il lento fluire
dell’acqua, mista ad altro, all’interno dell’aula.
“Questa
sì che è una figura di merda.” disse Elena, ancora arpionata per la collottola
da Martha, inclinando il capo e fissando il povero Samuel disteso per terra in
un mare di cacca.
Angelique
scoppiò a ridere così forte che dovette piegarsi su sé stessa e appoggiarsi ad
un banco per non cadere. Martha la seguì immediatamente dopo e in breve il
panico generale fu sostituito da un’euforia isterica, per essere appena
scampati ad un pericolo estremo come una valanga di residui biologici. La
Blackthorn con le guance chiazzate di rosso per la rabbia e la frustrazione,
tra urla e brandimenti di bacchetta magica molto minacciosi, fece finalmente
evacuare l’aula di Pozioni.
Per il povero Tristan non ci furono sconti di pena per
aver procurato uno dei ricordi più memorabili alla sorella, anzi venne
riversata su di lui anche la colpevolezza degli altri due compari.
Così si ritrovò appeso per le mutande alla Sala
d’Ingresso, come la miglior tradizione Weasley imponeva.
***
Circa un’ora, qualche centinaio di litri d’acqua e
sapone, un cambio di divisa a testa e infiniti crampi alla pancia per l’eccesso
di risate dopo, finalmente gli alunni del quinto anno si concessero il ristoro
del pranzo.
“Angelique non continuare a fissare quel povero
ragazzo!” mormorò Martha accanto alla bionda, tradita immediatamente dal
sorriso sardonico che si fece largo sul suo bel viso.
Angie, con la mano appoggiata alla guancia, fissava
assorta Samuel Dixon con un tale compiacimento che, non conoscendola, si
sarebbe anche potuto pensare che ne fosse attratta, e non che semplicemente si
stesse beando dei propri ricordi.
“Io ci provo! è che tutte le volte che lo guardo lo
vedo interamente ricoperto di…”
“Basta! Lo so di che cosa lo vedi
ricoperto, c’ero anche io là sotto!”
“A proposito, qual è il tuo secondo nome
O’Quinn?” chiese Angie voltandosi a guardare la rossa.
Martha aggrottò le sopracciglia e
ribatté con tono molto sospettoso:
“Perché ti interessa?”
“Beh sai, quando andrò a punire ancora i
marmocchi in tuo nome…”
“Che cos’hai fatto tu?!” esclamò indignata
Martha.
“Pasticcio di rognone?” si intromise
Elena facendo capolino con la sua testa verde oltre il consueto ammasso informe
di cibo.
“Tranquilla Martha! Era solo mio
fratello, mi sarei vendicata in ogni caso.”
“Sei stata tu ad incollarlo nella Sala
d’Ingresso quindi?!”
“Mi sembrava ovvio che fossi stata io. Chi altro avrebbe potuto?! Mi dici il tuo
secondo nome per favore?”
“NO! Chissà in quanti modi impropri
useresti questa informazione!” ribatté decisa Martha.
“Ma lo volete o no questo pasticcio?!
Perché altrimenti io ne prendo un’altra porzione.” continuò Elena scuotendo il
vassoio in cui era contenuta la pietanza.
“Ma Martha! Tu sai tutto di me! Non è
giusto che tu abbia dei segreti con me!” ed Angie si imbronciò contrariata.
“Ho detto di no! Non voglio dirtelo… Non
è nemmeno bello.”
“Quindi ce l’hai! Avanti,
dimmelodimmelodimmelodimmelo!!!”
“No!”
“Per favore!”
“Va beh, io mi prendo un’altra fetta…”
disse Elena facendo le spallucce e servendosi.
“No!”
“Ma Martha…”
“BASTA!” urlò Albus interrompendo quel
delirio prandiale e facendole zittire tutte in un colpo solo.
C’erano volte in cui tutte e tre insieme
diventavano ingestibili. Cocciute fino al limite dell’ostinazione, non riuscivano
a venirsi in contro nemmeno su un punto banale come quello di prima.
“Eugenia!” borbottò prendendo una
porzione di tacchino.
“Come?!” esclamarono insieme Angie e
Martha.
“Ho detto che il suo secondo nome è
Eugenia!” disse un po’ più chiaramente Albus e Angelique gli sorrise
vittoriosa.
Martha invece lo osservò con le labbra
leggermente dischiuse e un’espressione di puro stupore. Al sentì immediatamente
un fiotto di calore risalirgli dal collo alle guance, avvisandolo si essere
appena arrossito. Così si affrettò a distogliere lo sguardo dalle tre ragazze
per rivolgerlo al suo piatto.
Non che ci fosse nulla di cui
vergognarsi! Insomma lo aveva scoperto per caso quando aveva accompagnato Berty
nella saletta dove si incontravano i Prefetti e i Caposcuola per decidere i
turni. Aveva osservato la lista della sera precedente, mentre Berty avvisava
uno dei suoi colleghi di un qualche fatto avvenuto nella sua ronda, e lo aveva
scorto lì.
Marha Eugenia O’Quinn.
E aveva pensato immediatamente che un
nome tanto insolito e dal retrogusto nobiliare si adattasse perfettamente a
lei.
“Eugenia eh?!” sogghignò Scorpius
dandogli una gomitata nel costato.
“Sta zitto.” sbottò in risposa per poi
ficcarsi in bocca un enorme pezzo di tacchino.
Angelique era talmente gongolante e
rilassata in quell’istante che prese la taglia delle patate arrosto e la
direzionò verso Scorpius.
“Vuoi le patate Scorp?” chiese
allegramente, per poi accigliarsi riflettendo su quello che aveva appena fatto.
Il sorriso con cui gli si era rivolta si fermò sulle sue labbra e lentamente
scemò.
E per qualche istante il tempo si gelò.
Nana smise di masticare, Martha continuava a far oscillare lo sguardo tra Angie
e Scorpius come se si trattasse si un incontro tennistico, Berty prese a
osservare la pirofila con estrema concentrazione come se fosse la responsabile
della rottura appena creatasi.
A tutti era stato chiaro immediatamente
che Angie con quel gesto tanto spontaneo aveva appena rotto la strana tregua
che si era formata tra lei e Scorpius, quella stessa che consentiva loro di
restare allo stesso tavolo durate i pasti e non morire d’imbarazzo ad ogni
parola, che li aveva parzialmente riappacificati ma che li teneva a distanza,
che li faceva rivolgere con strani giri di parole e con toni sempre più
distaccati di quanto sarebbe venuto loro naturale.
Scorpius alzò lo sguardo e incrociò
finalmente quello di Angelique. Parve che nei loro occhi passassero fin troppe
emozioni solo per una domanda tanto banale. Diamine erano solo delle patate!!!
Ad Al sembrava che si stessero prendendo
un po’ troppo sul serio riguardo quella loro apparente pace. Ma quei due erano
così maledettamente tragici nel loro rapporto, sempre ad ingigantire i problemi
e ad affogare in un bicchiere d’acqua.
Albus a questo punto sapeva che cosa
sarebbe accaduto: Malfoy avrebbe accettato rigidamente l’offerta, chinando
appena il capo e levando il peso dalle mani della ragazza, fingendo che lei non
gli si fosse rivolta col soprannome con cui era solita chiamarlo. Avrebbe fatto
finta di nulla, per continuare a tergiversare nel limbo del distacco, che
pareva la soluzione più semplice.
E invece sorrise.
Scorpius sorrise inclinando di più un
angolo delle labbra rispetto all’altro e la osservò con un’espressione
completamente nuova, un qualcosa che sapeva di complicità e di serenità. Un sorriso
intimo e consolidato dal tempo, come il loro passato comune.
Angie restò per un attimo inebetita a
osservarlo e poi un piccolo sorriso comparve anche sul suo viso, lasciando
trasparire attraverso di sé altrettanta famigliarità.
Forse quel comunissimo contorno aveva un
significato più profondo per entrambi, un qualcosa di ignoto agli altri ma che
aveva risvegliato in loro le radici del loro rapporto.
“Sì, grazie Angie.” rispose e prese
dalle sue mani la pirofila sempre sorridendole.
Albus distolse lo sguardo dai due amici
e notò che anche tutti gli altri avevano ripreso le proprie attività
indisturbati, quasi che avessero finalmente ripreso a respirare dopo l’attimo
di panico di poco prima.
Elena in particolare si stava facendo
più rumorosa del solito, tiranneggiando su Octavius, probabilmente nel
tentativo di distrarre tutti quanti da Angie e Scorpius, lasciandolo loro il
tempo di comunicarsi ciò che dovevano senza interferenze.
C’erano state volte in cui li aveva
invidiati davvero, per come fossero riusciti a restare amici nonostante
stessero insieme, per come riuscivano a non trascinare i loro problemi quando
erano con altre persone, per come fossero equilibrati. Quando poi aveva
compreso che dietro le loro apparenze c’erano molte più imperfezioni e
incomprensioni di quanto non sospettasse, aveva dovuto rivedere il proprio
giudizio e aveva pensato seriamente che le cose tra di loro non si sarebbero
potute sistemare.
Perché c’erano punti oltre i quali non
si poteva più tornare indietro, c’erano cose che cambiavano troppo radicalmente
le persone per fare finta che non fosse così, ed Angelique e Scorpius ne
avevano passati alcuni. Contrariamente ai pronostici però erano andati oltre,
avevano continuato a camminare nelle loro vie ormai distinte ma non separate e
forse a questo punto si erano ritrovati.
***
Era consapevole
di possedere un numero ingente di difetti. Era disordinato, alle volte un
tantino troppo egocentrico, era rumoroso, diceva un mucchio di bugie, quando si
arrabbiava faticava a mantenere il raziocino, non sapeva perdere con eleganza,
come gli rimproverava sempre Dom, aveva persino rubato un paio di libri dalla
biblioteca qualche tempo addietro…
Eppure se glieli
avessero chiesti, tra questi non avrebbe mai aggiunto la vigliaccheria.
Mai fino a quel
momento.
Perché
dall’esterno, analizzando quel preciso frangente, non avrebbe potuto definirsi
altro che vigliacco.
La stava
guardando addossato alle grandi mura di Hogwarts riparato dal parapetto e dagli
ultimi residui di notte, senza trovare il coraggio necessario per andare dritto
da lei e parlarle davvero, forse per la prima volta in tutta la loro vita,
parlarle senza maschere o filtri che potessero deviarla.
Se ne restava
lì, ora studiando come le eleganti virate di Antares fossero sempre
perfettamente calibrate per sfiorare Gigì ma mai troppo vicino da farle male,
ora spiando il suo profilo che sbucava di tanto in tanto da sotto il cappuccio
nero del mantello.
Non aveva mai
compreso come potesse svegliarsi tutti i santi giorni così presto e portare al
pascolo quel pennuto rosso. Non era mai stato in grado di concepire la costanza
e la perseveranza che lei metteva nelle cose che amava, le teneva in vita
alimentandole quotidianamente e senza esagerare, senza passare mai la misura
del giusto. Il pianoforte, la fenice, gli studi, la passione…
Controllata e
metodica persino in quello.
Lui invece
viveva nutrendosi di arte e di caos, balzando repentinamente dall’entusiasmo
allo sconforto, dall’adorazione all’odio. Era scostante in quasi tutto non
fosse lei.
Infatti quando
aveva letto sulla Mappa del Malandrino quei due nomi troppo vicini in
Infermeria, si era lasciato consumare da un astio irragionevole, aveva dato
sfogo ai suoi istinti, cedendo all’ebrezza alcoolica, e le aveva addossato
colpe e azioni deplorevoli. Lo aveva fatto nella speranza di darsi pace, di
liberarsi di quel dolore pulsante e incessante che lo aveva quasi distrutto.
E lei, prima di
tutto quello, gli aveva sorriso come se fosse una vera gioia trovarselo
davanti…
No, non l’aveva
mai capita e forse proprio per questo la cercava in continuazione, la provocava
e ne studiava le reazioni, per riuscire a vedere finalmente che cosa di lei lo
avesse fatto innamorare.
Forse proprio
per questo aveva tanto faticato per trovare una via per raggiungerla, dietro le
sue alte mura di sarcasmo e gelo.
Vigliacco.
Antares scese in
picchiata all’improvviso con velocità sorprendente, dirigendosi
inspiegabilmente contro la sua padrona.
James si staccò
dal muro a cui era appoggiato e spalancò la bocca pronto ad urlare un
avvertimento, ma un movimento lo zittì sul posto.
Angelique alzò
il braccio destro con un movimento lento e pacato.
La fenice invece
di sfracellarsi contro la ragazza, aprì di colpo le ali, franando quasi
istantaneamente la discesa. Poi con un grazia incantevole si posò
sull’avambraccio della giovane ed emise un verso compiaciuto.
Una risata
attraversò lo spazio che li separava e si propagò dentro lui, come una lenta
risacca. Era vibrante, era una di quelle cose di lei che continuavano a
colpirlo come se fosse stata la prima volta, era un suono bellissimo.
Una mano bianca
e piccola sgusciò fuori dalla manica e fece scivolare sulle spalle il
cappuccio, scoprendo i capelli biondi e un po’ arruffati. Subito la fenice
strusciò la propria testa contro la guancia pallida di Gigì e quella rise
un’altra volta.
Da quando aveva
parlato con Derek cercava la sua figura tra la folla, sperando di incrociarne
lo sguardo, ma lei evitava con precisione disarmante anche solo di osservare di
sfuggita il tavolo dei Grifondoro. Si era convinto per giorni che fosse giusto
andare da lei e chiedere scusa. Se lo era ripetuto come un mantra a tal punto
che quella mattina si era alzato quasi inconsciamente per raggiungerla nel
freddo pungente.
Tuttavia restava
lì, immobile, aspettando un segno divino per avvicinarsi, attendendo qualcosa
che gli desse la garanzia che Gigì, accorgendosi di lui, non lo avrebbe
guardato esattamente come aveva sempre fatto.
Con gli occhi
verdi carichi di disappunto e gelo, con il freddo distacco con cui da
pochissimo aveva smesso di osservarlo.
E accadde così,
mentre lui pensava a che cosa avrebbe trovato nello sguardo di Gigì quando lo
avesse rincontrato, che lei guardò verso il castello e lo vide.
Anche da quella
distanza James riuscì a decifrare le emozioni contrastanti che le si dipinsero
sul viso: la sorpresa che la fece sobbalzare, la rabbia che le fece fremere le
narici, la confusione che le fece sbattere le palpebre più volte,
l’autocontrollo forzato che le fece stringere le labbra in una linea dura. E
poi la peggiore di tutte, quella che lui si aspettava e che arrivò implacabile,
l’indifferenza.
Angelique distolse
lo sguardo dal suo e gli diede le spalle mentre si dirigeva di gran carriera
verso la capanna di Hagrid.
L’avrebbe dovuta
inseguire, ma erano anni che lo faceva e non era mai servito.
Vigliacco.
Avrebbe dovuto
obbligarla ad ascoltarlo, ma lei avrebbe trovato il modo di travisare le sue
parole.
Avrebbe voluto
avere il coraggio di esporsi ancora una volta per lei, di lasciarsi ferire nel
tentativo di avvicinarla, di amarla…ma in quel momento riuscì solo ad
osservarla andare via.
Riuscì solo a
sentire fino in fondo la perdita di lei e non fare nient’altro, a restarsene
vigliaccamente immobile.
Avrebbe trovato
un’altra strada per raggiungerla. L’avrebbe trovata, ma non in quel momento.
Nota dell’autrice:
Sono viva. Sì,
non mi sopportate più perché ogni volta chiedo scusa per il ritardo e poi
pubblico dopo quasi un mese. Vorrei avere più tempo e più energie per scrivere,
ma garantisco che mi stanno prosciugando l’anima in università, quindi è già
tanto che sia riuscita a finire questo capitolo.
Venendo al
capitolo, temo di essere stata un po’ tragica nell’esordio, considerato che è
il POV di James, ma sentivo il bisogno di quelle parole, mi premevano da giorni
e giorni e quindi le ho messe per iscritto.
Nella scena della lezione di Pozioni la
frase scritta normalmente è tratta dal cap. 19 della storia
precedente, dove Roxanne Weasley era una sorta di mentore per
Angelique.
Se
devo essere
sincera mi è sembrato il capitolo più sconclusionato
postato fino ad ora; non
so perché, ma ho faticato davvero molto a portarlo a termine. La
scena in cui Angie porge a Scorpius una teglia l'approfondirò
nel prossimo capitolo, comunque è fa riferimento a una loro
ipotetica abitudine.
Spero che
comunque vi sia spiaciuto e se ci fossero punti poco chiari fatemi sapere.
RINGRAZIAMENTI
SPECIALI per quelle MERAVIGLIOSE persone che hanno commentato lo scorso
capitolo: dreamcatcher05, Cinthia988,
cescapadfoot, carpethisdiem, FleurDa, Lyanerys, chuxie e madama_padfoot. Ogni volta leggervi e
rispondervi è per me una gioia, un onore e una soddisfazione, spero sappiate di
avere un posticino nel mio cuore.
Grazie davvero
dal profondo anche a tutti gli altri lettori che hanno commentato solo una
volta o non lo hanno mai fatto, non importa, grazie per la pazienza e la
fiducia.
Basta
sdolcinatezze, sento un’iperglicemia fulminante che devo contrastare all’istante
prima di restarci secca.
Tantissimi baci
a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 14 *** Cap.14 It's midnight Cinderella [Prima Parte] ***
Cap.14 It's midnight Cinderella
A tutte voi che siete delle
Cenerentole in attesa dell’abito giusto.
Cap.14 It’s midnight Cinderella. [Prima
Parte]
La moglie di un ricco
mercante si ammalò e, quando sentì arrivare la fine, chiamò al capezzale la sua
unica figlioletta e le disse: “Sii sempre docile e buona, così il Buon Dio ti
aiuterà. Io ti guarderò dal cielo e ti sarò vicina.” Poi chiuse gli occhi e
morì.
La fanciulla andava ogni giorno alla tomba della madre, piangeva ed era sempre
docile e buona.
La neve arrivò e ricoprì la tomba della madre, e quando il sole l’ebbe sciolta
tutta il ricco mercante si risposò.
Dominique
cancellò con una linea perfettamente dritta l’ultima parola scritta.
Niente viola.
Assolutamente no! Il viola era decisamente sbagliato.
Non voleva in
alcun modo che la sua festa sembrasse
quella di un gruppo di dodicenni che si spaventano per succo di pomodoro o
gelatina a forma di cervello! Sarebbe stato un ballo dall’eleganza
impareggiabile, dai tocchi gotici e tenebrosi, tutti avrebbero lodato il suo
operato… Certo, senza sapere che fosse suo, di Dominique Weasley, ma pazienza,
si sarebbe accontentata di restare nell’anonimato. Solo per quella volta.
Doveva essere
tutto perfetto, anche il colore delle decorazioni.
Aveva appena
mandato gufi a destra e a manca per assicurarsi che gli addobbi arrivassero in
tempo. Aveva minuziosamente ricontrollato la lista degli invitati. Aveva
passato due pomeriggi a spiluccare ogni genere di antipasto, piatto fraddo,
tartina, dolcetto monoporzione, sovvertendo a tutti i pilastri della sua religione, la dieta che si era fatta
stilare da uno specialista babbano per preservare il suo corpo dagli effetti
drammatici dei radicali liberi, e che ovviamente le proibiva di assumere grassi
trasformati o carboidrati elaborati.
E ora stava
decidendo uno degli ultimi dettagli: il colore dei confetti da lasciare in due
grandi ciotole all’ingresso della sala.
I biglietti
fortunatamente erano stati inviati a inizio settimana, con conseguente delirio
di massa nella popolazione femminile. Ovviamente aveva selezionato lei gli
invitati, perché se fosse stato per Lara e Leda avrebbero fatto bisboccia solo
con i delinquenti di Hogsmeade e avrebbero completamente dimenticato di
estendere l’invito anche a gente più rispettabile.
Aveva delegato
alle sue colleghe alcuni dettagli tecnici, ma il grosso del lavoro lo aveva
tenuto per sé, perché nessuna avrebbe potuto eguagliarla in quel genere di
cose. Era una questione di disciplina e di vocazione per la bellezza.
Quindi lei
incarnava le qualità necessarie a rendere il tutto un successo. Era matematico.
Ma il tempo
scarseggiava, erano già a mercoledì e si stava arrovellando per trovare e
sistemare tutto nel minor tempo possibile.
Erano riuscite a
trovare il luogo perfetto per ospitare la festa, che, grazie alla loro
inventiva, da potenzialmente ospitale era mutato in incantevolmente accogliente.
Si trattava di una antica villa nella zona vecchia del villaggio, quella meno
frequentata dalla scolaresca comune, ma che loro, le Menadi conoscevano come i
loro palmi.
I lavori per
rimetterla in sesto non erano stati particolarmente difficili, visto che buona
parte delle ragnatele e delle suppellettili antiquate rendevano l’ambiente
abbastanza terrificante, (o almeno a lei vedere una lampada di broccato verde
scuro al centro del salone, come se ce ne si dovesse vantare, aveva quasi fatto
venire una sincope). Avevano comunque dovuto ripulire il salone centrale e
l’androne da cui vi si accedeva per dare l’idea di una casa infestata, ma non
lercia!
E anche per gli
spostamenti avevano trovato un’idea a dir poco geniale, di cui ancora
ringraziava Angelique.
Sussisteva
tuttavia un fatto scandalosamente grave: il suo magnifico abito, commissionato
su misura dalla quella santa donna della sua sarta a Londra con un’urgenza
massima, sarebbe arrivato solo sabato mattina e quindi non avrebbe potuto
apportargli alcuna modifica.
Non che servisse
una grande originalità, come invece era indispensabile
per il Ballo di Natale, visto che avevano optato per un ballo in maschera, solo
che ogni dettaglio le la riguardava doveva essere ineccepibile. Lei sarebbe
stata perfetta.
Divina, come
sempre era.
Naturale era
Dominique Weasley.
Dove era
rimasta?! Ah sì i confetti…
“Dominique c’è
tuo cugino qui fuori.”
La voce e la
figura ben nota di Renée, una delle sue compagne di dormitorio, si manifestarono
nella stanza e la costrinsero ad alzare lo sguardo dalla sua scrivania ingombra
di carte, appunti e macchie di inchiostro argento, il suo preferito, con cui
aveva preso le note sulla festa.
Dom strizzò gli
occhi per mettere a fuoco l’amica e poi le sorrise. La miopia stava diventando
un problema.
“Grazie Renée, lo
faresti entrare per favore?” domandò con gentilezza riordinando i fogli per
metterli via.
“Lo avrei già
fatto, se Sybil non lo avesse inchiodato al muro.” ribatté l’altra indicando la
porta socchiusa con un broncio contrariato.
Dominique con un
colpo di bacchetta rapidissimo fece sparire ogni traccia del suo passaggio su
quella scrivania e si alzò con un movimento deciso, ma sempre estremamente
posato, e fluttuò quasi fuori dalla stanza.
Quando spalancò
la porta i suoi occhi colsero la rara e impareggiabile visione di un cugino
farfallone in difficoltà.
James era stato
messo all’angolo letteralmente da Sybil Zabini, il cui corpo lo costringeva ad
addossarsi sempre di più al muro di pietra alle sue spalle.
Aveva i capelli
neri ancor più privi di senso del solito e si guardava attorno come un animale
braccato. Una mano di Sybil dall’incarnato quasi bronzeo si posò con fare
casuale e non curante sul suo avambraccio. James quasi saltò sul posto e Dom
avrebbe scommesso che se fosse stato dotato di un briciolo in meno di dignità
avrebbe persino emesso un urletto.
“Sybil, sei
pregata di lasciare le tue manacce lontano da mio cugino.” esclamò con voce nitida e incolore.
James alzò gli
occhi su di lei e immediatamente si rilassò sorridendole. Sybil d’altro canto
si voltò quasi con uno scatto e la osservò stringendo gli occhi, con
un’intensità assassina.
“Io e James
stavamo parlando, prima che tu ci interrompessi.” disse la Zabini piuttosto
seccata da suddetta interruzione.
“Oh certo. Come
hai parlato ieri sera con quel Corvonero del settimo anno?” le domandò
sorridendo, ma non c’era alcuna traccia di simpatia o allegria nei suoi occhi
celesti. Solo il devastante disprezzo che nutriva per lei.
“Che cosa
vorresti dire?” sibilò l’altra.
“Solo che forse
dovresti parlare con un po’ meno
gente.” rispose Dominique continuando a
sorridere e agguantando il braccio del cugino. “Sai, Sybil, si trasmettono un
sacco di malattie oralmente.”
La Zabini
spalancò la bocca oltraggiata, ma prima che potesse replicare Dominique aveva
letteralmente trascinato nella propria stanza James e aveva già sigillato la
porta.
“Mi cercavi
Jimmy?” chiese con assoluta tranquillità.
“Ci sei andata
pesante con lei.” commentò sorridendole grato per l’intervento provvidenziale.
“Quando hai a
che fare con una vacca non puoi trattarla da nobildonna. Io mi limito soltanto
a ricordarle che io regno sovrana in
questo posto,” e fece ruotare il polso con l’indice ritto in aria, a
significare tutta Serpeverde. “mentre lei pascola indisturbata solo per la mia
magnanimità, sventolando la sua vagina
ai quattro venti.”
James si sedette
sul suo letto e si concesse una risata a fior di labbra.
“Inoltre non
riesce a capire che deve smettere di indossare il verde. La fa sembrare una
salamandra!” aggiunse sollevando solo un
lato del labbro superiore, con un’asprezza ed un biasimo molto più intensi di
prima, come se quel fatto in sé giustificasse ogni dissapore tra di loro.
“Ma è il colore
della sua Casa…”
“Infatti né
l’uno ne l’altro sono per tutti. Sono appropriati solo per pochi soggetti.”
Dominique vide
il vago sorriso che aleggiava sulle labbra di James scemare con rapidità,
mentre il suo sguardo si faceva lontano e distaccato. La Weasley dovette
trattenere a stento un sospiro esasperato.
“So a cosa stai
pensando.” esclamò dunque andando a sedersi sulla sedia dietro la scrivania e
accavallando le gambe con eleganza. Da quella posizione aveva una visuale di
profilo del cugino.
“Non credo
proprio.” mormorò in risposta James grattandosi un callo del palmo sinistro, il
lato con cui tirava la Pluffa e su cui si erano formate alcune piccole
asperità, dovute al continuo utilizzo o del manico di scopa o della palla di
cuoio.
Dom inarcò
entrambe le sopracciglia e rispose prontamente incrociando le braccia sotto il
seno:
“Stai pensando
che invece ad Angelique il verde sta benissimo, perché fa sembrare i suoi occhi
più intensi, perché con la sua pelle contrasta benissimo o qualche altra
baggianata del genere… Non sei poi questo gran mistero Jimmy.”
Ci fu un attimo
di silenzio estremamente teso, poi finalmente James si voltò verso di lei
completamente. Ciò che la colpì subito
del suo aspetto che finalmente poteva analizzare con cura, erano gli occhi; in
essi, caldi e color ambra, orlati da folte ciglia nere, si leggevano un
tormento e un’energia che cozzavano tra di loro. Si agiavano in lui
fronteggiandosi e bruciando due forze contrarie, l’andare verso qualcosa e
l’allontanarsene definitivamente.
“Dominique, tu
devi aiutarmi.” disse solo alla fine.
***
La
nuova moglie aveva due figlie che portò con sé in casa. Esse erano belle e
bianche in viso, ma brutte e nere nel cuore. Per la bella fanciulla iniziarono
i tristi giorni.
Le presero i suoi bei vestiti, le diedero da indossare una vecchia palandrana
grigia e la condussero in cucina deridendola. Lì doveva faticare tutti giorni
servendo e riverendo le sorellastre perfide.
Scorpius non si
riteneva particolarmente impressionabile né facilmente entusiasmabile.
Eppure
quell’invito alla misteriosa festa di Halloween lo aveva lasciato parecchio
sorpreso: primo perché non aveva mai avuto contatti con le Menadi, secondo
perché non si sarebbe mai considerato di interesse per una cerchia di mezze
criminali, terzo perché in realtà gli aveva fatto piacere essere incluso in un
evento tanto riservato.
Un altro punto
che lo aveva stupito era stata l’accuratezza con cui le Menadi avevano condotto
i preparativi per la festa segreta. La lettera recante l’invito alla serata del
31 Ottobre si era sgretolata in cenere subito dopo che aveva finito di
leggerla, impedendo così una possibile fuga di notizie e cancellando una prova
contro le organizzatrici.
Inoltre, a parte
l’obbligo dell’abito formale e di una maschera, l’unica informazione essenziale
fornita era che si sarebbe dovuto recare nelle cucine alle ore 22.00 di quel
sabato con una certa discrezione, ed era stato specificato accuratamente dalle
mittenti.
Nient’altro.
Scorpius
dubitava fortemente che un ballo in maschera avrebbe potuto svolgersi tra i
fornelli e le pentole. Quindi ancora non riusciva a comprendere il senso di
quell’indicazione.
In ogni caso si
era già procurato una maschera da abbinare al suo abito da cerimonia grigio e
attendeva con una vaga curiosità quello che lo avrebbe atteso la notte di
Halloween.
***
Le
sorellastre la maltrattavano, la deridevano e le tiravano brutti scherzi,
versando piatti di ceci e di lenticchie nella cenere, sicché la bella fanciulla
doveva raccoglierli uno ad uno. La sera quando era stanca non poteva andare a
letto ma doveva coricarsi nella cenere accanto al focolare.
E siccome era sempre sporca e impolverata, la chiamavano Cenerentola.
C’era stato un
tempo in cui la forza della magia non era ancora stata incanalata e
stabilizzata dalle formule degli Incantesimi. C’era stato un tempo in cui la
componente caotica e incontrollabile era parte integrante della pratica magica.
C’era stato un tempo in cui la magia si sentiva fluire dentro le ossa e si
usava in modo inconsapevole, in un modo ineffabile e arcano, potentissimo.
Era l’epoca da
cui provenivano i poteri dei veggenti. Quando si credeva che ci fossero alcuni
giorni, decretati da un preciso allineamento di pianeti o dalle posizioni del
Sole, in cui il confine tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi si
assottigliava fino a scomparire. I giorni soglia.
Erano il momento
durante cui quell’antica magica narrata dai testi antichi si faceva viva ancora
e pervadeva il mondo.
Suo fratello era
nato proprio in uno di quei giorni. Il 31 Ottobre si celebrava anche la
comparsa nel mondo di uno spirito demoniaco come quello del sangue del suo
sangue e tra di loro, solo ed esclusivamente per quelle ventiquattro ore, si
stabiliva una tacita tregua.
Nessuno dei due
avrebbe istigato l’altro, o lo avrebbe punzecchiato pubblicamente, si sarebbero
comportati pacificamente, in modo stranamente fraterno.
Angelique non
avrebbe saputo dire quando avessero dato vita a quella tradizione, ma
sicuramente era diventato un fatto assodato da quando Tristan era stato ammesso
ad Hogwarts.
La loro
proverbiale conflittualità, dettata dall’essere intimamente diversi e allo
stesso tempo troppo simili nella determinazione e nella tenacia, scompariva,
per lasciare spazio ad un qualcosa di profondo e di inconfessabile. L’amicizia
tra due fratelli.
Il giorno della
tregua si apriva sempre con due brioches e un regalo.
Angelique
attendeva quindi Tristan fuori dalla gufiera, il luogo dove di solito si
ritrovavano per quell’occasione, con un sacchetto di carta bianca in cui erano
contenuta la loro colazione ancora calda e con una busta azzurra.
Quell’anno era
stato particolarmente arduo trovare qualcosa che potesse piacere a suo fratello
e che non fomentasse eccessivamente la sua indole burrascosa. Aveva girato a
lungo tra le vie di Hogsmeade, anche in quelle che non commerciavano merce
esattamente lecita, senza riuscire a decidersi e poi aveva avuto
un’illuminazione. Due biglietti per la finale del campionato professionistico
di Quidditch di quell’anno era stata la soluzione che l’aveva tolta
dall’impiccio. Le erano costati un occhio della testa, ma pensando alla
reazione di suo fratello per un regalo del genere non aveva avuto più dubbi.
Angie nascose il
naso nella pelliccia che foderava l’interno del suo mantello. Era una mattina
gelida e luminosa, in cui le dita rosate di Aurora creavano un gioco di colori
magnifico, facendo sfumare il cielo mattutino dal grigio perla al rosa pallido
e poi ancora ad un tenue giallo.
Normalmente si
sarebbe goduta ogni singolo istante della rarità rappresentata da una mattina
soleggiata in autunno, ma non quella volta perché la sua mente era occupata ad
elaborare il lutto.
Il lutto di
dover partecipare ad una festa!
Se solo si
soffermava a riflettere su come Rose avesse amabilmente manipolato ciascuna di
loro per organizzare quella stupidissima serata, le veniva voglia di dare delle
gran testate contro il muro. Ma che cosa poteva farci lei se Rose era tanto
intelligente da metterle tutte quante nel sacco e farci pure un fiocco sopra?!
Doveva solo arrendersi alla sua superiorità mentale e mettersi l’anima in pace.
Sentì un rumore
strano alla base delle scale che portavano alla gufiera e alzò la testa di
scatto. Una testa di ricci neri scarmigliati fece capolino nella sua visuale
mentre il proprietario ondeggiava pericolosamente, vittima di uno strato di
ghiaccio formatosi sul granito e della propria irruenza nel muoversi.
Tristan fece un
paio di movimenti strani, bruschi e poco coordinati, per riprendere il
baricentro, riportandosi subito dopo in posizione perfettamente eretta.
Angie sorrise
pensando che era sempre stato agile come un gatto selvatico, sin da piccolo
quando il primo gioco che aveva imparato era stato arrampicarsi sugli alberi.
Lei invece era dotata di una goffaggine elefatiaca che faceva comunella con una
trota salmonata dagli occhietti vitrei...
Tristan alzò il
capo verso la sommità della scala. Un lento e smagliante sorriso si espanse sul
viso del fratello, illuminando gli occhi azzurri di una particolare gioia.
Angie ricambiò
il sorriso e sollevò in aria il sacchetto con la colazione, il ragazzo iniziò a
salire la rampa di scale a due a due, correndo a perdifiato.
Somigliava in
modo straordinario alla loro mamma, Elenoire. Ne era una versione rivisitata al
maschile, ma l’impronta del lato della famiglia francese era lampante. A partire
dai ricci bruni che era un tratto comune a molti dei Girard, come nonno
Etienne; c’erano poi gli zigomi alti e affilati, l’incarnato roseo e privo di
efelidi, il fisico slanciato e asciutto… Insomma quasi tutti quello che lei non
era.
Per molto tempo era
stata invidiosa della somiglianza di Tristan ed Estelle con la madre,
chiedendosi perché mai a lei fosse toccato in sorte un aspetto tanto diverso.
Perché il biondo e non l’ebano tra i capelli, perché il pallore e non il rosa
tenue sulla pelle, perché gli occhi verdi e non neri come la sua mamma a cui
avrebbe tenuto tanto ad assomigliare, per potersi guardare allo specchio e vedere
delle tracce di lei su di sé?!
Solo con un po’
più di maturità aveva imparato a vedere tutto questo nel Pidocchio. E gli aveva
voluto ancor più bene di prima.
“Arpia, perché
fai quella faccia da fessa?!” disse Tristan sedendosi accanto sul gradino
gelido e scomodo.
Angie scrollò le
spalle e aprì il mantello avvolgendo le spalle del fratello con un proprio
braccio, in modo da coprirlo con la pelliccia del rivestimento interno.
Esattamente come aveva sospettato Tristan non aveva ancora smesso il vestiario
estivo, non riuscendo ad arrendersi alla fine della bella stagione e rischiando
l’ipotermia.
Tristan si voltò
appena verso di lei e le sorrise sghembo, con sincera gratitudine.
“Tanti auguri
Pidocchio.” Mormorò porgendogli la busta azzurra.
Vedere i suoi
occhi sgranarsi per lo stupore e sentirlo strozzarsi con la propria saliva
mentre comprendeva che cosa fossero i due biglietti che stringeva tra le dita,
sentire le sue braccia magre e nervine stringersi attorno a lei quasi fino a
farle male, condividere con lui due brioches e un po’ di caffè e latte ormai
freddo, furono la più grande soddisfazione di quella giornata.
O così almeno
aveva pensato la bionda immaginando le tragedie che sarebbero seguite alla
festa, a cui per quanto ne sapeva non avrebbe partecipato nessuno dei suoi
amici.
***
Un giorno il mercante, dovendosi recare ad una fiera,
chiese alle sorellastre che cosa desiderassero per dono. Esse risposero abiti costosi,
gemme preziose e perle.
“E tu Cenerentola che cosa desideri?” chiese alla figlia.
“Babbo, il primo rametto che vi urta il cappello sulla via del ritorno.”
rispose Cenerentola.
Benji
Allucemonco non poteva credere ai propri occhi.
Della sua banda,
di quei criminali duri e implacabili che lui aveva scelto personalmente e che
aveva addestrato, di quei soldati fedeli e disposti a tutto per proteggerlo
durante gli scontri col Ministero, di quegli uomini che con un solo sguardo
sapevano incutere timore, non era rimasto più nulla.
A loro posto
stava la fila più mal assortita e sconclusionata su cui avesse mai posato lo
sguardo.
Sembravano degli
orfanelli tirati a lucido per la visita del patrono, che nonostante le cure
premurose e i tentativi di rimetterli in sesto portavano ancora le tracce indelebili
della propria condizione.
Benjamin
rimpianse immediatamente di averli avvertiti che l’invito delle Menadi era
stato esteso anche a loro.
Il Guercio, il
più temerario dei suoi, aveva tentato di farsi la barba per l’occasione, con
terrificante risultato, (dovuto alla totale mancanza di esperienza o di quella
di una prospettiva sana sullo
specchio), di un paio di guance in cui spuntavano ciuffetti irsuti di barba qua
e là e vistosi tagli ancora sanguinanti.
Il Bruschetta
aveva cercato di sistemare la propria chioma, ma la brillantina al posto di
fissare i capelli all’indietro li aveva resi più mosci che mai, così che le
ciocche castane si appiccicavano alla testa del ragazzo facendolo somigliare ad
un pulcino bagnato.
Darren si
lisciava in modo compulsivo l’ abito nero da cerimonia di almeno due taglie più
grande, comperato chissà dove o più probabilmente rubato da chissà quale
armadio, di una raffinatezza e di una fattura tanto pregiata, che risultava
inguardabile su di lui.
Ma non erano i
soli: ognuno dei suoi uomini era riuscito a manifestare in modo
indiscutibilmente originale il proprio disagio interiore nei confronti di un
semplice ballo in maschera. Come il Larva che aveva selezionato una maglia a
righe gialle e rosse da indossare sotto l’abito verde, sostenendo con fermezza
che fosse un tocco di gran classe.
Un mezzo
singhiozzo irruppe dalle labbra carnose dell’uomo…
Erano uno
scempio per ogni parvenza di buongusto o di eleganza.
Mentre il viso
di Benjamin, così abituato ad assumere pose seducenti e ammiccanti, si
distorceva in una smorfia esterrefatta, tutti i suoi uomini, vedendolo entrare
nel salone delle riunioni alla Taverna delle Lucciole, si raddrizzarono per
mostrarsi nella loro forma migliore.
Circa una
dozzina di occhi si puntarono su di lui con tale aspettativa e tale orgoglio
per ciò che erano riusciti a mettere insieme, che all’uomo vennero meno le
forze necessarie per inveire contro di loro.
Benji si mise
una mano davanti al viso e si massaggiò lentamente le tempie, scavando a fondo
dentro di sé per ritrovare l’autocontrollo e la tempra d’acciaio che lo avevano
sempre contraddistinto.
“Ehi capo,
abbiamo fatto qualcosa che non va?” chiese il Guercio interrompendo la sua
meditazione zen.
Benji allontanò
la mano dal volto e si concesse di osservarli uno per uno, classificando i casi
a seconda della disperazione di ognuno. Dopo qualche istante passato a
rispolverare gli insegnamenti paterni riguardo alla vita in società e a riflettere
su quali improbabili implicazioni quella serata avrebbe portato con sé,
Richardson rispose con tono pacato:
“No Oswald, va
tutto bene. Posso solo permettermi un paio di suggerimenti?”
I suoi uomini
annuirono vigorosamente tutti in contemporanea, esattamente come avrebbe fatto
una scolaresca diligente.
E Benjamin,
nonostante quel pastrocchio di inadeguatezza, si rese conto che erano uomini
fedeli e che anche in quel frangente avevano operato cercando di renderlo
fiero. Il suo compito ora era quello di riuscire a renderli presentabili agli
occhi delle signore.
O a quelli di
una almeno.
***
Così egli adempì ai desideri delle due sorellastre e
sulla vai del ritorno, mentre cavalcava, un ramo di nocciolo urtò il cappello
del mercante facendoglielo cadere. Allora egli colse il rametto e una volta
giunto a casa consegnò alle figliastre ciò che avevano chiesto e a Cenerentola
il ramo di nocciolo.
La fanciulla lo piantò sulla tomba della madre e pianse tanto che le sue
lacrime lo annaffiarono. Così crebbe e divenne un bell’albero.
Lucy deglutì un
paio di volte e un lieve rossore si dipinse sulle sue gote, pallido riflesso
dell’improvviso aumento di temperatura corporea che il suo organismo aveva
subito.
“Beh, non dici
nulla?” sbottò Dominique agitano in aria la gruccia e il vestito insieme.
“State
scherzando, vero?” mormorò con voce ancora più roca del solito.
“Ti risulta che
io abbia mai scherzato su una cosa maledettamente seria come un abito per una
festa?!” ribatté Dom con tono gelido corrugando la fronte.
“Non posso…”
pigolò con voce strozzata Lucy.
“Ehi Lucie! L’hai mai sentita la storia di
Cenerentola?! Beh te la riassumo in tre parole: c’è una tizia che è sempre
sporca e vestita male, e che non si trucca mai tra l’altro. Una tizia a cui non piacciono gli scrub
purificanti né i rossetti. Chi lo sa magari fuma anche come una ciminiera!”
Lucy aggrottò le sopracciglia e fece per ribattere, sentendo quella descrizione
particolarmente vicina all’opinione che la cugina aveva di lei, ma l’altra
sollevò una mano affusolata in aria bloccando le sue proteste.
“Ed è sola come
un cane! Se ne sta tutto il giorno a togliere cenere a destra e a manca, perché
non ha niente di meglio da fare. Sai, non le piacciono le cose che dovrebbero
piacere alle femmine, quindi pulisce i camini e fuma come un turco… Poi a un
certo punto mette un vestito carino, si passa un po’ di mascara, va ad una
festa e il principe ereditario, bello, gentile, premuroso e con una giacca
sartoriale, cade ai suoi piedi come una pera cotta.” disse Dominique
gesticolando in modo molto posato ed elegante. “Sai che cosa ci insegna questa
storia Lucy?!”
L’interpellata
aprì la bocca per rispondere in modo poco appropriato ma Dom non gliene lasciò
il tempo, proseguendo nel suo monologo:
“Che il vestito
giusto è più importante di un organo vitale! Voglio dire anche se tu non avessi
un polmone con tutto il catrame che inali, il tuo bello sbaverebbe in ogni caso
vedendoti con questo addosso!” concluse la bionda estremamente soddisfatta di
sé.
“Rose, di’
qualcosa!” invocò sconcertata la maggiore delle cugine Weasley.
“Avanti provalo
Lucy!” la incoraggiò invece Rose, mentre Dominique le buttava tra le braccia
l’indumento in questione e la spingeva subito dopo verso il separé allestito
nel Quartier Generale delle Menadi.
Lucy appese il
lungo e suntuoso abito, osservandone i dettagli minuziosi e le linee perfette.
Le sue dita pallide ne accarezzarono il tessuto nero e lucente impreziosito
dalle cuciture dorate, ma si ritrassero velocemente come se si fossero
scottate.
Se un giorno si
fosse ritrovata ad avere qualche marmocchio per casa, (non che lo volesse, per carità, ma la vita era quanto mai
imprevedibile), non avrebbe mai consentito a Dominique di raccontar loro delle
favole.
Però la sua
deliziosa e impeccabile cugina aveva altre doti. Grazie alla sua impareggiabile
abilità aveva scelto un capo che rispecchiava pienamente i suoi gusti e la sua
indole.
Si trattava di
un vestito lungo fino ai piedi, dal taglio estremamente particolare, stretto
sui fianchi ma più morbido sul busto, della foggia che aveva spopolato negli
anni 20. La seta nera di cui era fatto presentava dei motivi geometrici d’oro
sulla parte superiore. Era sobrio, particolare, pieno di carattere.
Ciò per cui era
avvampata non appena Dominique le aveva mostrato il frutto del suo pomeriggio
di rimaneggiamenti e incantesimi era la totale
scollatura del retro.
E non stava
esagerando, l’abito le avrebbe lasciato in bella mostra la schiena dall’atlante
al bacino.
Lucy scosse la
testa, mentre un sospiro amaro le sfuggì dalle labbra sottili.
Che diamine di
senso aveva tutto quello? Perché organizzare una festa in pompa magna se poi
l’unico che avrebbe voluto incontrarvi probabilmente non si sarebbe mai
presentato? Perché subire le torture di Dominique per ore, tra maschere di
bellezza, pettinature scomode e belletto, se lo specchio le avrebbe rimandato
sempre quell’odiosa immagine di una ragazzina pelle e ossa, col naso
ingombrante e la pelle bianchiccia? Perché strizzarsi in quell’indumento tanto
provocatorio e sensuale, se non avrebbe ricevuto nemmeno la benché minima
occhiata di ammirazione o di attrazione? Perché continuare a dare corda a
quella folle di Rose se era intimamente convinta di avere le capacità
seduttorie di un tricheco?
Proprio nel
momento in cui stava per uscire e sbraitare al mondo intero di andarsene
all’Inferno, perché lei non ci sarebbe mai andata a quella stupida festa di
Halloween, ebbe un’illuminazione folgorante.
Perché lei non
era solo Lucy, ma era anche Leda e in quanto tale, lei era forte, coraggiosa,
sicura. Perché quel cretino di Benji Allucemonco, (che tormentava ogni suo
sogno da settimane, a cui lei sognava alternativamente di strappare i vestiti
di dosso o di Cruciarlo fino alla morte), aveva baciato, anche se per puro
diletto, proprio lei. Perché voleva dargli pane per i suoi denti, inducendolo a
pentirsi, a fustigarsi da solo per come l’aveva trattata. Perché per quella
notte poteva sentirsi bella e sicura come non sarebbe mai più capitato, grazie
alla maschera dorata che Dominique le aveva fornito.
Animata da una
nuova fiducia in sé stessa si spogliò della divisa di Grifondoro e indossò con
cautela lo splendido abito, attenta a non sgualcirlo o sporcarlo col trucco che
Dominique le aveva applicato.
La seta le
scivolò addosso con una naturalezza e una facilità che la fecero sentire
immediatamente a proprio agio. La parte superiore le si drappeggiava sul busto
con morbidezza, senza segnare nessuna delle sue non-curve, lasciando emergere
come bianchi steli le braccia magre e il collo. Sentiva la schiena esposta agli
spifferi della soffitta polverosa, piccoli soffi di vento che si frangevano
sulla pelle delicata causandole qualche brivido.
Con dita appena
tremanti per l’emozione sollevò l’orlo e superò il separé, mostrandosi alle
cugine.
Dominique
interruppe immediatamente il suo sproloquio sulle fantomatiche proprietà ringiovanenti
della bava della lumaca giapponese. Rose volse velocemente il capo verso di lei
e la osservò accigliata. Lily, giunta proprio mentre lei si cambiava, spalancò
occhi e bocca in una posa allibita.
Prima ancora che
la sua mente potesse iniziare a farsi prendere dal panico, pensando che fosse
stata proprio assurda l’idea di indossare una cosa del genere e sperare che
l’avrebbe fatta somigliare ad una donna, venne investita dalla voce trillante
dell’unica bionda presente.
“Mon Dieu! Es magnifique,
incroyable! Lucie
sei bellissima!” strillò Dom battendo gioiosamente le mani.
“Leda, porco
schifo, sei uno schianto…” mormorò sconvolta Lily.
Lucy sorrise
timidamente e si sentì una sciocca, ma qualcosa nel suo petto batteva
impaziente e festoso, per l’approvazione ricevuta. Cercò infine gli occhi
azzurri di Rose, che la osservavano scintillanti e pervasi di una luce
accattivante, la solita che le si accendeva quando tutto seguiva i suoi piani.
“Sei perfetta.”
disse sorridendole.
Dominique, già
inguantata nel suo abito di pizzo avorio pieno di inserti preziosi come
cristalli e ricami, la prese per le spalle e la trascinò davanti ad un grande
specchio.
Lucy sgranò gli
occhi e non riuscì a riconoscere quella tizia che la osservava di rimando.
Era una giovane
donna alta, elegante, con i capelli fiammeggianti acconciati in piccole onde
perfette. Il suo viso non era smunto ma diafano, le labbra sottili di solito
insignificanti erano evidenziate da un rosso carminio che richiamava le
tonalità dei capelli. Gli occhi… i suoi occhi erano scuri e luminosi come
pietre della notte, il nocciola esaltato dall’ombretto marrone alle estremità,
il taglio reso più felino dalla piccola linea sottile nera che si estendeva
oltre la palpebra. Lei tutta sembrava trasformata…
“Smettila di
fare quella faccia! Sei proprio tu, Lucy Catherine Weasley.” le sussurrò
Dominique sistemandole una ciocca dietro l’orecchio.
Aveva ragione.
Quella strana visione tirata fuori a forza da sé stessa, non era altri che lei.
E per la prima
volta in vita sua fu veramente orgogliosa di sé.
***
Passava per caso da quelle parti un giovane principe in
cerca moglie.
Decise di indire tre giorni di balli a cui invitare le
giovani del luogo, così mandò messi ad ogni porta del paese per annunciare che
ogni fanciulla in età da marito sarebbe stata gradita ospite.
Cenerentola udito questo annuncio pregò la matrigna di concederle di
partecipare al ballo. Ma la donna rifiutò ogni sua lacrima e ogni sua
preghiera, affermando che nessuno l’avrebbe mai voluta sporca e misera,
figurarsi un principe.
Gli invitati
avevano iniziato a fluire nelle cucine con un’identica espressione stampata in
viso, incerta e sospettosa, a tratti curiosa. Tutti si guardavano attorno con
aria diffidente, divisi tra la voglia di poter finalmente screditare
quell’organizzazione illegale che aveva allestito una festa tanto esclusiva
nelle cucine e quella di conoscere finalmente il volto delle contrabbandiere
più popolari di Hogwarts.
Poveri sciocchi,
pensò Angie sogghignando dietro alla propria maschera.
La festa sarebbe
stata condotta da fila invisibili che Lara e Leda avrebbero tirato stando ben
attente a non farsi mai scoprire da nessuno.
Nonostante
l’evidente distacco che cercavano di manifestare davanti a quell’invito, gli
animi degli studenti brulicavano di trepidazione e di eccitazione per quello
che quella notte avrebbe riservato loro. Avevano cercato di impreziosire le
proprie maschere, di trovare un abito abbastanza suntuoso per l’occasione. Molti
avevano applicato un Incantesimo
Irriconoscibile alla propria voce per poter fuggire la propria identità
almeno fino al mattino successivo.
Per quella notte
sarebbero stati qualcun altro, avrebbero goduto di quella magia atavica che
scorreva nella notte dei Morti Viventi, avrebbero danzato e avrebbero fatto ciò
che volevano.
Perché per quella
notte e solo per quella notte tutto sarebbe stato loro concesso.
Ad Angelique
quell’atmosfera di sottile tensione e di aspettative che pervadeva gli animi
ricordava moltissimo l’aria che aveva respirato a Malfoy Manor durante le
celebri feste di fine anno. Quelle ore passate a godere di compagnie raffinate
ed eleganti, a divertirsi ballando col suo ragazzo e cercando di insegnare
qualcosa ad Albus, quel conto alla rovescia per accogliere non solo un nuovo
anno ma anche il suo compleanno, tutti quei ricordi stavano trascinandola
sempre di più in una disposizione d’animo deplorevolmente positiva. Quasi
gioiosa. Le veniva persino voglia di sorridere.
Ebbe un brivido
lungo la schiena di orrore.
Non doveva
accadere, perché di solito quando iniziava a pensare che tutto andasse bene
capitava qualcos…
“Che ci fai tu qui?!” la voce che giunse dalle
sue spalle aveva un tono famigliare.
Angelique si
voltò lentamente e affrontò una maschera nera a mezzo viso che la scrutava
esattamente come si era aspettata. Preoccupata e stupita.
“Quello che ci
fai anche tu, mi sembra ovvio.” rispose tranquillamente, mentre i suoi occhi
affondavano in un paio color ardesia.
Una mano
affusolata guizzò verso il suo polso e la avvicinò a sé con garbo. Una ciocca
biondissima sfuggì dalla pettinatura accurata e perfetta, ed Angie la osservò
posarsi vicino allo zigomo destro.
“Angelique è
pericoloso…” il tono accorato venne interrotto prontamente dalla giovane:
“Meno di quello
che pensi, Scorp. Piuttosto come hai fatto a riconoscermi subito?”
Quel tentativo
di difenderla dell’ipotetico pericolo rappresentato dalle Menadi, cioè da sé
stessa, da Dom, da Lucy e da Lily, era divertente tanto quanto Svitato che le
spiegava che esisteva una rete di commerci illegali nella scuola.
Malfoy scosse appena
il capo e sorrise inclinando un solo lato della bocca.
“Ti sono sempre
piaciute le piume di pavone.” mormorò sfiorando la suddetta piuma che ornava la
sua maschera.
Quasi quanto a
lui erano sempre piaciute le patate arrosto che venivano servite ad Hogwarts,
questa fu la sua prima e assurda connessione a quella rivelazione. Quella
teglia profumata e ricolma di tuberi croccanti che lei, quando erano i Principi
di Serpeverde, gli passava sempre ad ogni pasto, come piccola cura nei suoi
confronti, che qualche giorno prima aveva sancito la loro pace definitiva.
“Immagino che a
questo punto sia perfettamente inutile chiederti di tornare nel nostro
dormitorio, vero?” le chiese mentre un lieve sorriso compariva sul suo viso.
“Assolutamente
Malfoy. Però può invitarmi per il primo valzer!”
“Oh beh, lo davo
già per scontato. Chi altri potrebbe arginare il tuo elefante latente al ritmo
di tre quarti?!” ribatté Scorpius risistemandosi la ciocca bionda nella
pettinatura con la sua consueta postura raffinata e distaccata.
Angie fece per
ribattere indignata, ma una figurina minuscola si fece largo nel crocchio di
gente che aveva iniziato a vociare rumorosamente nell’attesa di capire che cosa
sarebbe accaduto.
Era Goldy, l’elfa
domestica libera che stava a capo di tutte le cucine. Si erse in tutta la sua
minuscola statura e parlò con voce leggermente gracchiante.
Spiegò ai
presenti, con un sintassi sgrammaticata e ossequiosa, che dovevano riunirsi in
gruppi di quattro o cinque e prendersi per mano. Poi sarebbero stati
trasportati da un elfo alla destinazione prefissata.
Angelique
sorrise soddisfatta, mentre attorno a lei si levava un brusio perplesso di chi
non aveva conoscenze sui poteri degli elfi domestici.
Quando si erano
trovate ad affrontare il problema trasferimento-ospiti Angie aveva proposto
immediatamente Goldy, che conosceva dal suo primo anno, quando Roxanne, (e
chissà come la Weasley c’entrava sempre nei misfatti passati, presenti e
futuri), gliel’aveva presentata.
Aveva sempre
avuto una grande simpatia per l’elfa domestica dal caschetto a boccoli biondi e
il naso appuntito, e nel corso degli anni aveva trovato l’occasione di passare
a salutarla e di fermarsi a fare due chiacchiere. Anche perché aveva sempre fornito
a tutta la famiglia vagonate di cibo e
di bevande per organizzare i Sabato della Memoria, e quindi come si poteva non
adorarla?
Così quando
Angie e Lily si erano presentate da lei chiedendo per l’ennesima volta il suo
aiuto, la capo cuoca di Hogwarts non aveva esitato un attimo a mettere a loro
disposizione una buona fetta del suo personale per poter portare fuori dal
castello gli invitati alla festa delle Menadi. E ovviamente riportarli
all’interno una volta finiti i festeggiamenti.
Una piccola schiera
di elfi si fece avanti e, inchinandosi profondamente, si presentarono, tesero
poi le manine ossute verso i giovani maghi pronti a trasportarli nella villa di
Hogsmeade.
Angie ancora
sorridente per la buona riuscita del suo piano porse una mano a Scorpius e
l’altra all’elfo domestico con grandi occhi blu elettrico che li avrebbe
accompagnati.
La prospettiva
di poter ballare con Scorpius, cosa che da quando ne aveva memoria l’aveva
sempre gettata nell’euforia, migliorò notevolmente le sue prospettive, fino a
quel momento lugubri, sulla serata.
Un paio di altri
ragazzi si aggiunsero al loro gruppo e, prima che la vista iniziasse a
vorticare attorno a lei e lo stomaco subisse quella strana percezione di
sospensione per l’inizio del trasporto, ebbe la strana sensazione che uno dei
due l’avesse riconosciuta.
***
La
bella fanciulla, disperata per il rifiuto della matrigna di portarla al ballo,
andò presso la tomba della madre e versò il proprio dolore sulla pianta di
nocciolo che ivi cresceva.
E tra le lacrime pregò “Scrollati pianta, stammi a sentire! D’oro e d’argento
mi devi vestire.”
Il nocciolo ascoltò le sue preghiere e come per incanto dai suoi rami una
cascata di oro e d’argento ricoprì Cenerentola, facendola splendere come la più
fulgida delle stelle del cielo.
James, ancora
leggermente frastornato, alzò il capo verso il soffitto per poi farlo ruotare,
ammirando tutt’attorno.
Erano stati
trasportati in una grande villa, con un salone padronale immenso allestito in
modo mirabile per la festa. L’illuminazione era discreta senza essere tetra, le
ragnatele che orlavano le pareti e i grandi specchi della sala davano
l’impressione di essere stati catapultati in un sogno, ormai abbandonato ma
ancora sfavillante.
Le stoviglie
d’argento richiamavano lo sfarzo che quell’antica tenuta doveva aver visto nel
passato, così come il mobilio imponente e ricercato.
Le Menadi
avevano fatto un lavoro magnifico. James sapeva quanto fosse difficile
organizzare un evento del genere e la minuziosa cura dei dettagli mostrava che
si fossero affidate a mani davvero esperte.
Lungo le pareti
erano stati apparecchiati lunghi tavoli dalle tovaglie candide su cui
campeggiavano cibi elaborati e stuzzichini invitanti. Due camerieri anonimi
invece stavano dietro un bancone per i cocktail, che già vedeva gli ospiti
affaccendati per approfittare della generosità degli anfitrioni.
Accanto a lui
suo fratello tentò di sistemarsi il nodo della cravatta, col risultato di
disfarlo ancora di più. Possibile che li avesse partoriti la stessa madre?! Era
così impacciato certe volte.
James emise uno
sbuffo teatrale e poi prese di forza il fratello per le spalle, obbligandolo a
stare fermo. Poi con rapidità disfò l’obbrobrio che penzolava al collo di Albus
e compose invece un nodo semplice, perfettamente conforme ai crismi di una
cravatta decente.
“Grazie.”
mormorò Al vagamente in imbarazzo.
James fece un
gesto rapido della mano, come a dire che non era nulla, e poi si concentrò
sulla sala.
L’ambiente era
già affollato, infatti erano arrivati notevolmente in ritardo, anche se per una
volta non poteva ritenersi responsabile, visto che aveva passato almeno venti
minuti a risistemare suo fratello che sembrava uscito dalla centrifuga della
lavatrice babbana di nonno Arthur.
Al centro
dell’immenso salone, dove si trovava il cuore della festa, si era creato lo
spazio per ballare e alcune delle coppie più temerarie si erano lanciate in una
sequela di tentativi di valzer, al ritmo della piccola orchestra da camera che
suonava in un angolo della sala.
Gli invitati
parlavano amabilmente tra di loro, tutti quanti celati da maschere più o meno
vistose ed elaborate, sorseggiando da calici affusolati e ridendo garbatamente.
Le candele
rendevano scintillante ogni superficie che potesse rifletterne la luce, avvolgendo
tutto di un colore morbido e affascinante.
Davanti a lui
sfilavano ragazze agghindate in ogni modo possibile, alcune con gusto
impeccabile, altre con un po’ meno, alte, minute, formose, bionde, more,
castane, qualche testa rossa… Non una che gli ricordasse lei e le sue fattezze.
James si
accigliò qualche istante mentre Al gli porgeva un bicchiere recuperato dal
bancone degli alcoolici. Erano giorni che pensava a come sarebbe stato vederla
nella folla danzante, a come avrebbe potuto avvicinarla senza che lei lo
respingesse immediatamente, a lei semplicemente.
Pensarla era
come riempirsi i polmoni di spilli che ad ogni respiro bucavano inesorabili la
sua carne, fino a raggiungere il cuore.
Bruciava James,
bruciava dentro di quel calore insopportabile che Angelique emanava per lui,
tanto incandescente da essere luminoso. Bruciava per lei e si sentiva
consumare.
“Non sapevo che
ci fossero anche loro…” mormorò Al in tono a stento udibile.
“Chi?” si
informò James più per mera comunicazione fraterna che non per vero interesse.
“Angie e Scorp.”
rispose l’altro.
La sua testa,
immersa nella contemplazione del cocktail fino a un istante prima, si sollevò
di scatto.
Ed eccola lì, la
Principessa di Ghiaccio, la sua Gigì, che volteggiava nella sala, ridendo come
una bambina, tra le braccia di Malfoy.
Era avvolta in
un abito dorato con una scollatura rotonda, da cui affiorava solo la parte alta
del seno, per poi scendere in una cascata morbida attorno al corpo fino al
ginocchio. Era un classico abito impero dalle maniche lunghe, in cui si
alternavano ricami floreali e tralci sottili argentati, ma sulle braccia il
tessuto diventava semitrasparente lasciando comparire al disotto del pizzo la
sua pelle candida. La delicatezza di quegli ornamenti era tale da far sospettare
che fossero stati intessuti davvero da un orafo e non da una sarta.
Il viso di
Angelique, che proprio in quell’istante compì una giravolta, era celato da una
maschera dello stesso colore dell’abito abbellita da una splendida piuma di
pavone sul lato destro, i cui colori facevano risaltare quello dei suoi occhi.
E lei riluceva nel
riflesso di quel metallo prezioso, di quello delle candele dell’immenso
lampadario sopra la sua testa, di quello dei suoi capelli, oro nell’oro,
raccolti in alto a lasciare libera la linea sinuosa e lunghissima del collo,
del suo sorriso in grado di brillare più di un astro. Come un intero cielo di
stelle raccolto sulle sue labbra.
Splendida. Lontana. Tra le braccia di un altro.
I Principi erano
di nuovo riuniti?
Era quello dunque
il suo destino? Osservarla ritornare ai suoi presunti amori, guadarla da lontano
innamorarsi di un’idiota e poi dell’altro?
Il suo cuore
iniziò a pulsare più veloce e ad ogni colpo un dolore sordo si irradiava nel
suo petto. Un acuto spasmo che gli scorreva nelle vene e gli prendeva ogni
arto, ogni fibra.
“Stanno di nuovo
insieme?” chiese con un tentativo di tono incurante, mentre già un nodo gli
chiudeva la gola rendendogli difficile respirare.
Albus lo osservò
in tralice per un paio di secondi e poi inaspettatamente gli sorrise beffardo.
“No, Jamie.
Stanno solo ballando.” rispose senza curarsi minimamente di celare il tono
divertito.
E improvviso
come era giunto quel senso acuto di disperazione, altrettanto germogliarono il
sollievo e la calma.
Del fatto che
suo fratello se la ridesse a spese dei suoi sentimenti non gli importava più di
tanto. Infondo conosceva Al come le sue tasche e non a caso era stato smistato
nella Casa delle serpi; nascondeva sotto quell’aspetto innocente un aspide
astuto e implacabile, in grado di vincere con sotterfugi e parole perfette le
resistenze altrui, di affondare il coltello dove la ferita era ancora fresca.
Il valzer che
aveva suonato fino a quell’istante si spense dolcemente seguito da un breve
applauso della folla. I ballerini si inchinarono l’uno davanti all’altra e
James ebbe modo di farsi trafiggere ancora una volta dal sorriso estasiato che
Gigì rivolse a Malfoy.
Sentì scorrere
nelle vene il desiderio irrefrenabile di prenderla per mano e portarla lontana
da tutto il mondo per godere solo e soltanto lui della sua luce, del suo
calore. Percepì il sentimento prepotente della gelosia farsi strada in lui, al
pensiero che mille altri occhi in quella sala potevano guardare con altrettanto
desiderio quella figura elegante e altera. E le sue mani ebbero un tremito al
pensiero che lei potesse scegliere di ballare con qualcun altro, che potesse
volere qualcun altro al suo fianco…
E nell’arco di
un secondo prese la sua decisione.
James sfoderò la
bacchetta e se la puntò alla gola, mormorando la formula dell’incantesimo
desiderato. Con passo tranquillo ma sufficientemente rapido da non consentire
ad altri di precederlo si avvicinò ad Angelique e Malfoy.
Per una volta,
solo per quella volta, grazie ad una maschera poteva rivelare un parte di sé
che aveva sempre cercato di nasconderle, perché non potesse rifiutare anche
quella. Con una maschera di carta pesta poteva liberarsi di quella che aveva
portato per tutta la vita.
Vide entrambe le
teste bionde voltarsi verso di lui con aria stupita, come se la complicità che
li aveva legati durante il ballo fosse svanito con la sua comparsa.
James si voltò
leggermente di più verso Angelique. Si chinò lentamente prendendole una mano
nella propria e sfiorando impercettibilmente con le labbra il suo dorso.
“Concederesti ad
un ballerino mediocre e alquanto inesperto il piacere del prossimo ballo?”
chiese con una voce che stranamente somigliava alla sua ma non lo era
precisamente. Porse estrema attenzione a non incrociare direttamente i suoi
occhi, onde evitare che lo scoprisse all’istante.
Scorpius fece un
mezzo passo verso Gigì, in un atteggiamento protettivo, pronto a liquidare
qualsiasi ammiratore indesiderato.
Nonostante
tutto, gli errori commessi, il dolore inflitto reciprocamente, l’orgoglio ferito,
nonostante il passato che gravava sulle loro spalle, sembrava che Gigì fosse
ancora in grado di far gravitare attorno a sé l’esistenza di Malfoy.
E James un po’
lo capiva, quel deficiente di Malfoy, non era fisicamente possibile lasciarla
andare. Non era possibile fingere di non avere a cuore ogni suo movimento e
ogni suo pensiero. Non era possibile allontanarsi da quella luce dorata di cui
lui la percepiva avvolta.
Angelique
sollevò appena la mano verso Scorpius e con un’espressione serena scosse appena
la testa, segnalandogli tacitamente che era tutto a posto.
“Lo farei
volentieri, ma temo di essere a mia volta una ballerina mediocre!” rispose lei
con l’accenno di una risata nel tono.
James si
raddrizzò senza lasciar andare la sua mano e le sorrise sentendo quel tono così
rilassato e gentile, tanto inusuale in lei da aprirgli uno spiraglio di
speranza.
“Allora direi
che è perfetto. Nella nostra mediocrità saremo sublimi!” ribatté James
indicando con l’altra mano la pista da ballo.
Angelique si
concesse una risata leggera e cristallina, sinceramente divertita, rovesciando
appena il capo indietro.
Potter incredulo
per la facilità con cui lei gli aveva concesso un ballo, per il semplice fatto
di non essere lui, la osservò rapito.
Quando rideva era tanto bella da fargli male al
cuore.
“Ci vediamo
dopo.” sussurrò lei a Malfoy, toccandogli delicatamente la spalla.
Poi con un
sorriso gentile si volse verso di lui e lo seguì.
Mentre camminava
al fianco di Angelique, James ebbe la netta sensazione che gli occhi di ferro
di Malfoy si piantassero nella sua schiena con bruciante intensità.
Probabilmente lo aveva scoperto nonostante l’Incantesimo Irriconoscibile, ma
non gli importava.
La musica
ricominciò e James con un certo sollievo riconobbe la melodia un valzer lento.
A differenza di quel damerino Purosangue che ora li osservava al limite della
pista, non era mai stato molto dotato nella danza. Anzi non era proprio capace,
punto.
Si arrabattava
come meglio poteva tra un passo e l’altro, senza pestare i piedi alla sua
compagna e senza inciampare nei propri… Ecco forse in quello lui e Al si
somigliavano.
Presero
immediatamente le posizioni classiche e iniziarono a muoversi all’unisono, ma
James si rese conto di essere tanto emozionato che le mani avevano preso a
tremolare e le sue già scarse capacità di ballerino si erano azzerate in un
nano secondo.
Così che prima
ancora che cominciassero davvero a ballare James compì il movimento opposto a
quello che avrebbe dovuto fare e fece sbattere contro di sé Angelique. La sua
mano destra le cinse più forte la vita cercando di farle riprendere
l’equilibrio.
“Chiedo scusa,
temo di essere ancor peggio di quanto ricordassi.” si scusò allontanandola delicatamente da sé,
anche se ogni sua fibra urlava per stringerla di più e ancora, per tutta la
notte.
Gigì gli sorrise
e i suoi occhi verdissimi dietro la maschera mandarono i riflessi di mille
pietre preziose.
“Non importa, un
amico una volta mi ha insegnato che la cosa più importante è sentire la musica e non guardarsi mai i
piedi.” gli disse lei sempre con quel tono gentile, posando una mano sulla
spalla e l’altra nel suo palmo.
Aveva dita
sottili e piccole, così come il palmo che poteva essere contenuto del tutto dal
suo senza sforzo. La sua pelle era fresca e tanto liscia da far venire la
tentazione di saggiarla con le labbra.
James non riuscì
più a trattenersi e, sentendo il bisogno fisico di guardarla negli occhi,
sollevò lo sguardo. Quando le sue iridi furono avvinte e incatenate ad un paio
di un verde quasi irreale che spuntavano dalla maschera d’oro e d’argento,
trattenne il respiro aspettando di essere travolto dalla rabbia della sua dama.
Eppure Angelique
non reagì assolutamente come aveva presagito. Sbatté un paio di volte le lunghe
ciglia e per qualche istante assunse un’aria meditabonda, però poi scosse
leggermente la testa come a liberarsi di sospetti inopportuni e continuò a
fissarlo.
Non lo aveva
riconosciuto, e non sapeva proprio se esserne felice o disperato. Optò per la
prima.
Ripresero a
ballare lentamente, senza grandi pretese né passi eccessivamente complicati, ma
il cuore di James incominciò a battere in modo furioso quando comprese che sì,
stava ballando con Gigì a pochi centimetri dal viso. E no, lei non aveva ancora
tirato fuori la bacchetta per schiantarlo.
Il giovane, i
cui occhi continuavano a restare intrecciati a quelli di Angelique come se ne
dipendesse della sua sopravvivenza, aveva l’impressione che il mondo oltre di loro
si fosse sospeso. Riusciva a stento a sentire la musica echeggiare nella grande
sala, a percepire le altre persone che si muovevano, parlavano. Era
completamente surreale poter sentire la sua piccola mano nel palmo, poter
restare semplicemente sospesi in quegli istanti lontani dal resto del globo.
Era una piccola magia.
“Hai un’aria
famigliare” gli disse Angelique socchiudendo appena gli occhi.
“Credo che sia
normale. A parte quelli che sono entrati ora,” e indicò con un cenno del capo
il piccolo gruppo di persone arrivate per ultime alle porte del salone, che
sembravano molto più che adolescenti. “credo che ci siano solo studenti della
scuola a questa festa.”
“Quindi potremmo
conoscerci?” chiese Angelique con un sorriso vagamente malizioso.
“Senza dubbio.”
ribatté James sorridendo a propria volta e vide gli occhi della ragazza
soffermarsi sulle sue labbra.
“Tutto questo è
decisamente surreale.” borbottò lei distogliendo lo sguardo e facendo un
profondo respiro, mentre le sue gote si tingevano di un lieve rosso.
“Questa è una
notte di antiche leggi magiche e potenti incantesimi. Credo ci sia concesso di
ballare male e di avere incontri strani, non trovi?” ribatté James facendole
fare una giravolta in un impeto di fiducia in sé stesso. E stranamente non andò
male, anzi riuscirono pure a riprendere a ballare senza che le loro dita
restassero ingarbugliate o che si dessero una testata.
Angelique rise
divertita e scosse appena la testa, sempre sorridendo mormorò:
“Non conosco il tuo
nome.”
“Allora dammene
uno.”
Gigì ridacchio
ancora e prese a mordersi il labbro inferiore, nella sua posa tipica di
meditazione.
James l’avvicinò
impercettibilmente a sé e un senso di eccitazione febbrile si dipanò in tutto
il suo corpo. Era qualcosa di straordinario poterle parlare in quel modo
giocoso e formale, come due qualsiasi estranei semplicemente sospesi nel tempo
di un valzer.
“Vediamo… Un
cavaliere, vestito di nero, che parla in modo impeccabile, ma che si cela
dietro un Incantesimo Irriconoscibile e una maschera… Tu mi ricordi Cirano. Sai,
quello della tragedia, quello che parlava alla donna amata tramite un altro.”
“Spero che tu
non ti stia riferendo al mio naso.” ribatté James e all’ennesima risata della
ragazza, dovette reprimere l’istinto bruciante di stringerla a sé e baciarla in
mezzo a tutti, per sigillare quella bocca sorridente con la propria e sentire
finalmente la consistenza di quelle labbra carnose. Meglio non pensarci troppo
o non avrebbe più risposto delle sue azioni.
“Ovviamente no! Anche
perché non si vede nulla, puoi stare tranquillo. Ora tocca a te!”
“Come dici?”
“Vorrei sapere
che nome mi daresti tu invece.” disse Gigì abbassando per un istante gli occhi,
prima di guardarlo nuovamente da sotto le ciglia.
Il giovane
Potter la osservò ancora per un istante, scintillante e sorridente come solo l’aveva
immaginata nei propri sogni, e non ebbe dubbi.
“Io ti darei il
nome di una stella.” mormorò abbassando involontariamente il tono di voce.
Angelique
schiuse le labbra stupita e la mano che giaceva in quella di James ebbe un
lieve tremito.
“Siccome per te
sono Cirano, ogni poeta ha bisogno di una lira per cantare. Quindi ti darei il
nome di Vega, la stella più luminosa della Lira, perché senza dubbio questa
sera tu brilli più di ogni altra creatura.” James fece una piccola pausa per
riprendere fiato e concedersi di osservarla ancora e ancora, così vicina a lui,
così bella, in quell’istante immortale tra di loro.
“Tu hai gettato
l’incantesimo più potente che io conosca su di me e non mi lasci andare. Tu non
mi concedi nemmeno una notte senza il tormento dei tuoi occhi e del tuo viso. Tu
sei il mio astro, dall’altra parte del cielo che non posso raggiungere. Tu sei
il mio supplizio e la mia rinascita, ogni giorno.”
Gli occhi di
Gigì era piantati come coltelli implacabili nei suoi e, increduli, lo
analizzavano. Incapaci di trovare risposte ai propri dubbi affondavano dentro
di lui, si perdevano e riemergevano in continuazione.
“Chi sei?” gli
chiese in poco più di un sussurro.
La musica era ormai
al termine, poteva sentirlo nelle ultime battute e nel risolversi di quel
valzer, che decretava anche lo sciogliersi della sospensione in cui erano
restati.
“Qualcuno che
esiste solo per stanotte.” mormorò di rimando e si fermò un attimo prima che la
musica finisse del tutto.
Con lentezza,
gustandosi ogni singolo istante, si chinò su di lei, impietrita dallo stupore
crescente. Posò le proprie labbra sulla sua guancia destra, proprio dove finiva
la maschera d’oro e d’argento e iniziava la sua pelle tiepida e liscia.
James inspirò a
fondo e l’odore familiare delle sue notti insonni gli invase i polmoni.
Lavanda e fiori inebrianti, fiori che parlavano di
luce e di primavera.
Era stato il più
bel ballo della sua vita, ma l’incantesimo era finito.
Il giovane si
staccò con dolcezza e con un ultimo sorriso si voltò per essere inghiottito
dalla folla.
Note dell’autrice:
Credo di non
aver mai fatto passare un tempo così lungo tra un aggiornamento e l’altro,
quindi per l’ennesima volta mi trovo nella condizione di dovervi chiedere scusa
per la lunga attesa. Posso già promettervi che per la prossima settimana
arriverà puntualissimo il prossimo capitolo che è la continuazione di questo!
Che dire se non
che non mi sarei mai aspettata di arrivare fino a 99 recensioni in così poco
tempo, ricevendo sempre splendide parole e commenti entusiasti. Sono onorata di
scrivere per voi. Mi riempie di orgoglio sapere che qualcosa che scrivo riesce
a emozionarvi o a regalarvi un sorriso.
Spero che
possiate perdonare i miei capitoli sempre ritardatari, eppure vorrei
rassicurarvi su un punto fondamentale: non lascerò mai questa storia
incompiuta, è parte della mia vita e non potrei mai lasciarvi senza la
risoluzione di tutto ciò che sto seminando qua e là nei capitoli. Mi auguro
soltanto che abbiate la pazienza di aspettarmi e che ne valga la pena.
Vorrei
ringraziare dal più profondo tutte le meravigliose persone che hanno commentato
lo scorso capitolo: Cinthia988, cescapadfoot,
dreamcatcher05, FleurDa, lyanerys, The_Storm.
A madama_padfoot devo un doppio GRAZIE
enorme per le due splendide recensioni.
E grazie a voi
Bambolina, Paola, Giadina, Marghe ed Ele
perché siete davvero delle Amiche, come non se ne trovano spesso nella vita.
Mando tanti
tantissimi baci a tutti i miei lettori pazienti!
Bluelectra.
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Capitolo 15 *** Cap.15 It's midnight Cinderella [Seconda Parte] ***
Cap.15
Note dell’Autrice:
Ho deciso di
inserirle all’inizio perché vorrei che le ultime parole che leggeste sono
quelle alla fine del capitolo.
Avevo promesso
un capitolo puntuale e ci ho provato, ma comunque sono in ritardo di un giorno!
Portate pazienza, anche nella vita sono un disastro con le scadenze.
Devo ammettere
con tutti voi che scrivere questo capitolo mi ha messa a dura prova. Non sono
per nulla abituata a descrivere scene così intime tra i miei personaggi e spero
di non aver fatto un disastro narrativo.
Detto questo vorrei ringraziare con tutta me
stessa quelle splendide persone che hanno speso del tempo per commentare lo
scorso capitolo e a cui cercherò di rispondere quanto prima: Flo_94, cescapadfoot, dreamcatcher05,
emalwaysreal e chuxie.
GRAZIE infinite
anche a tutti coloro che stanno seguendo e leggendo in silenzio questa storia.
Mando mille baci
a tutti voi.
Bluelectra
Cap.15 It’s midnight Cinderella [Parte
Seconda]
Cenerentola
indossò l'abito e andò alla festa. Ma le sorelle e la matrigna non la
riconobbero e pensarono che fosse una principessa sconosciuta, tanto era bella
nell'abito così ricco. A Cenerentola non pensarono affatto, e credevano che se
ne stesse a casa nel sudiciume.
Il principe le venne incontro, innamoratosi all’istante della sua bellezza, la
prese per mano e danzò con lei. E non volle ballare con nessun'altra.
Non le lasciò mai la mano, e se un altro la invitava diceva: "E' la mia
ballerina."
“Per le
autoreggenti di Morgana, questa sì che è una festa di ricconi!” berciò Darren
dando una gomitata nel costato del Bruschetta, gracile e sottile come un
fuscello, che con un gemito quasi si accasciò per terra. “Oh scusa Jerry!”
borbottò impacciato. Non contento diede un’amichevole manata da manovale tra le
scapole del giovane, il quale emise un rantolo molto sinistro, come se stesse
per sputare un polmone o una vertebra.
“Darren forse è il caso che smetti di cercare
di fare a pezzi il Bruschetta. Non ho tempo di trovarmi un altro uomo.” disse
Benji con la solita inflessione autoritaria e distaccata.
“Scusa capo… Non
mi ricordo mai che è così… così fragile!” si giustificò Darren Demente
stingendosi nelle spalle.
Benjamin non si
prese la briga di rispondere e analizzò il grande salone in cui erano appena
entrati.
Le decorazioni
raffinate ed elaborate, le massicce strutture di mogano, l’aria di composta
allegria, le espressioni innocenti e al contempo maliziose sui visi delle
giovani che affollavano la sala, il fasto di quell’ambiente, la musica ben
udibile e non invadente… Erano tutte sensazioni che sembravano riportarlo
indietro nel tempo, ai giorni in cui anche nella sua grande casa padronale si
svolgevano serate del genere, in cui la sua famiglia lo indicava agli illustri
ospiti come il primogenito su cui sarebbero ricaduti tutti gli oneri e gli
onori della famiglia.
Benji si
riscosse prontamente dai propri pensieri, vedendo lo sguardo quasi famelico con
cui il Larva aveva appena puntato una giovane signorina dai capelli neri e una
scollatura decisamente provocante.
“Vi ricordo che
non vi è permesso in alcun modo toccare
queste fanciulle, miei prodi. Se trovo le mani di uno di voi in punti dove non
sarebbe consentito loro stare, ve ne farò pentire amaramente.” sibilò e con una
sola occhiata di fuoco zittì tutti i moti di protesta insorti dopo le sue
parole. “Inoltre vi sarei immensamente grato se decideste di approfittare del
bancone degli alcolici con discrezione. Sarebbe quanto mai spiacevole vedervi
rovinare una così bella festa, perché avete deciso di dare il vostro personale
contributo molesto alla serata in preda ai fumi dell’alcool.”
“Ma capo!!! Non
possiamo fare nulla di divertente!” protestò il Guercio spalancando le braccia.
“Ehi capo! Ma se
una di queste scolarette proprio ci tenesse ad avere le nostre mani in quei
posti che dicevi prima?!” si intromise il Larva, che evidentemente non aveva
intenzione di abbandonare la speranza di abbordaggio della mora.
“Anthony, te lo
spiego chiaramente perché mi pare che non ci arrivi: queste sono ragazze di
buona famiglia e per di più quasi tutte minorenni. La possibilità che vogliano
godere della vostra compagnia è estremamente remota. Inoltre se anche dovessero
avanzare certe… richieste, voi rifiutereste, perché siete dei gentiluomini.”
A quelle parole
tutti i suoi uomini corrugarono la fronte esterrefatti e si guardarono
preoccupati tra di loro. Un paio gettarono occhiate allarmate attorno, sperando
che nessuno avesse sentito quell’abominio uscire dalle labbra del capo.
“Eh va bene,
perché io sono un gentiluomo!” numerosi sospiri di sollievo e espressioni
nettamente più serene. “E voi, bestie che non siete altro, siete i miei uomini!
Quindi non vi permetto di comportarvi in un modo che sia meno che rispettoso
nei confronti di queste ragazze.”
Ci fu qualche
borbottio indistinto, un paio di grugniti di disapprovazione e numerose
occhiate malinconiche da parte dei suoi a quelle bellezze in fiore che
sfilavano davanti a loro.
“Ma noi le
rispetteremmo un sacco…” tentò come
ultima spiaggia Darren.
“No.” ribatté
Benji e quel monosillabo secco e autoritario pose fine ad ogni questione.
“E ora, vi
saluto. Ho alcuni affari da sbrigare.” annunciò voltando le spalle ai suoi
uomini, tuttavia poco dopo ebbe la spiacevole sensazione di essere stato
seguito.
Infatti
gettandosi un’occhiata alle spalle notò che con fare assolutamente tranquillo
il Guercio e il Bruschetta lo stavano tampinando, mentre tutti gli altri si
stavano disperdendo per il salone.
“Da solo! Devo
andare da solo!” ringhiò quasi guardando i suoi uomini. Quando sia gli occhi
acquosi di Jerry sia quello sano di Oswald lo fissarono senza capire che cosa
intendesse dire, Benji sollevò entrambe le mani al cielo e imprecò tra i denti.
Quella stupida
festa aveva bruciato tutti i neuroni, (pochi eh, ma un tempo almeno
funzionanti), dei suoi uomini e così a lui toccava andarsene in giro a cercare
la sua Ragazzina con due criminali alle calcagna.
Così come gli
era successo quel pomeriggio ad Hogsmeade Benji Allucemonco si ritrovò a
cercare nella calca di studenti dei capelli di fuoco tagliati corti a
evidenziare tratti spigolosi, un incarnato candido come la neve che rendeva
tutta la sua figura quasi inconsistente, gli arti flessuosi e magri colmi di
un’eleganza completamente inconsapevole…
“Diamine! Questo
è proprio ingiusto!” si lamentò alle sue spalle Oswald.
Benji si voltò
seccato per pregarli di risparmiargli almeno i loro commenti, visto che della
loro presenza non era ancora riuscito a liberarsi, tuttavia le parole
gli morirono in gola osservando le espressioni dei suoi uomini.
Entrambi avevano
gli occhi tanto sgranati da far supporre che da un momento all’altro sarebbero
usciti dalle orbita, la bocca del Bruschetta era dischiusa in modo comico e
Oswald si stava grattando il mento insolitamente sbarbato, evidentemente cercando di
ragionare su qualcosa.
“Non è giusto
che queste vadano in giro così e noi non possiamo nemmeno avvicinarci…”
continuò il Guercio indicando con un palmo calloso uno dei tavoli su cui era
disposto il buffet. Il Bruschetta deglutì con fatica enorme, come se la sua
gola fosse stata completamente arida.
Benjamin seguì
lo sguardo allucinato dei suoi uomini e individuò ciò che li aveva tanto
scombussolati.
Nella massa
indistinta di maschere e sorrisi si ergeva una figura sottile, molto più alta
della media, vestita di un lungo abito scuro che esaltava il colore diafano
della pelle. Aveva cortissimi capelli rossi arricciati in piccole onde, fermati
da una forcina solo su lato mentre l’altro scendeva lungo la guancia. La
maschera copriva solo gli occhi, rendendo possibile distinguere quasi tutti il
resto dei suoi tratti.
Il suo profilo
inconfondibile era addolcito dal sorriso allegro che le inclinava le labbra sottili,
rosse come il peccato.
Quelle labbra più carnose verso il centro e che
avevano la consistenza dei petali di rosa…Quelle labbra che lui aveva reso
proprie una volta.
Poi la Ragazzina
si mosse e il cuore di Benji Allucemonco perse un battito.
Comparve alla
sua vista una schiena libera da ogni tessuto o costrizione, un lungo campo di
pelle immacolata percorso dalla linea magnetica della spina dorsale. Un tratto
di sensualità così perfetta da riuscire a rendere quella nudità per nulla
volgare o fuori luogo, solo sconvolgente e conturbate.
I suoi occhi
percorsero, avidi di ogni dettaglio, ogni centimetro della sua pelle costellata
dalle efelide, osservò il modo in cui i muscoli magri e affusolati si
tendevano ai suoi movimenti, immaginò di avere sotto i propri palmi quella
porcellana fine e delicata… E tutto il sangue disponibile nel suo corpo
abbandonò il cervello.
Capiva
perfettamente perché a Jerry si fosse prosciugata la bocca, nemmeno la sua era
messa poi tanto bene.
La visione di
come sarebbe potuta essere Lucy sotto di lui, con i muscoli percorsi da spasmi
di piacere e la pelle arrossata dai baci, con i capelli di fuoco arruffati e
gli occhi scuri languidi, con quella bocca finalmente serrata dalla sua senza
più risposte sagaci, per poco non gli fece perdere il controllo.
Si voltò
fulmineo verso i due che ancora fissavano allibiti la scena e sbottò quasi
urlando:
“Chi vi ha dato
il permesso di guardare?! Come osate
guardare?!” e tirò un sonoro ceffone sulla nuca di Jerry.
“Ma capo…” tentò
flebilmente il Bruschetta e Benji lo incenerì con una sola occhiata.
“Abbassate gli
occhi, degenerati!” ordinò perentorio.
“Quale dei due
capo?” gli chiese il Guercio riferendosi al suo difetto visivo.
“Entrambi,
maledizione Oswald!” berciò rifilando pure a lui uno scappellotto coi fiocchi.
I suoi occhi
saettarono ancora alla visione idilliaca e tentatrice della schiena nuda di
Lucy e si diresse verso di lei quasi al passo di carica, lasciandosi dietro
senza remore quei due impiastri.
Mentre si faceva
largo tra le persone che invadevano la strada tra lui e la Ragazzina si udirono
dei sibili e seguiti subito dopo da botti fragorosi. Benjamin, addestrato dalla
vita da braccato, ebbe come primo istinto quello di sfoderare la propria
bacchetta e guardarsi attorno allarmato.
Tuttavia una
strana luce proveniente dal soffitto e tutte le esclamazioni incredule degli
invitati lo indussero a bloccare la sua marcia e ad alzare gli occhi.
Le Menadi
avevano fatto veramente le cose in grande: nell’ampio ed elaborato soffitto del
salone si stava svolgendo uno spettacolo pirotecnico meraviglioso.
Fuochi
d’artificio delle tonalità tipiche di Halloween scoppiavano sopra le loro
teste, in un tripudio di arancione, viola, argento, orchestrati dalla magia. Si
componevano le più svariate figure, da ragni a zucche ghignanti, da fantasmi a
pipistrelli, e non appena prendeva vita una forma subito le scintille luminose
si raggruppavano per formarne una nuova. Altre fontane dorate, argentante e
rosse emergevano dalle antiche travi del soffitto in scoppi rumorosi e sibilanti esplosioni, che
procuravano ai presenti sospiri emozionati e qualche gridolino di stupore.
Cadevano tra gli
invitati alcune briciole luminose, ma nessuno sembrava impaurito o preoccupato,
perché, come poté constatare Benji stesso, non scottavano. Avevano scelto dei
fuochi d’artificio a combustione fredda, i cui resti cadevano leggeri come
fiocchi di neve senza ferire nessuno.
L’uomo abbassò
lo sguardo, rinfoderando la bacchetta magica.
I mille riflessi
dei fuochi d’artificio si frangevano contro il viso di Lucy producendo un
balenio di luce che aveva dell’incantevole.
La Ragazzina
guardava estasiata lo spettacolo sopra la propria testa. Un sorriso di
incontenibile gioia e divertimento le aveva completamente trasfigurato il viso.
Rendeva ogni asperità più dolce, ogni irregolarità morbida, sembrava
stranamente… piccola. Quasi che per qualche istante avesse lasciato da parte
tutti i motivi che l’aveva spinta a diventare la giovane caustica che lui aveva
incontrato.
E fu travolto
l’incomprensibile pulsione di preservare quella scintilla di innocenza che le
pervadeva il viso.
Fu in
quell’istante, mentre la sua Ragazzina guardava incantata come una bambina i
giochi pirotecnici, che Benji comprese di essere veramente fottuto. Oltre ogni
immaginazione.
***
Cenerentola
danzò fino a sera, poi volle andare a casa. Il principe disse: "Vengo ad
accompagnarti," perché‚ voleva vedere da dove veniva la bella fanciulla,
ma ella gli scappò e balzò nella colombaia.
Il principe allora aspettò che
ritornasse il padre e gli disse che la fanciulla sconosciuta era saltata nella
colombaia. Questi pensò: Che sia Cenerentola? e si fece portare un'accetta e un
piccone per buttar giù la colombaia; ma dentro non c'era nessuno.
E quando rientrarono in casa,
Cenerentola giaceva sulla cenere nelle sue vesti sporche e un lumino a olio
ardeva a stento nel focolare.
Prima ancora di
vederli li sentì su di sé.
Infatti non si
meravigliò per nulla di trovarli fissi sulla propria persona.
Gli occhi di
Benjamin. Le iridi gialle come topazi, piene di picchiettature marroni,
straordinarie nella loro unicità, erano piantate ora nelle sue con un’intensità
che quasi le toglieva il fiato.
Aveva
un’espressione torva, piena di ombrosità che le rivolgeva apertamente. Come se
fosse stato… arrabbiato?!
E un piccolo
ghigno irriverente prese forma sul viso senza che potesse controllarlo.
Benji prese ad
avanzare verso di lei con passo svelto, lasciandole il tempo di registrare
quanto fosse bello nel suo vestito da cerimonia, che fasciava in modo
impeccabile le ampie spalle muscolose e il torace solido. Quanto la camicia
bianca perfettamente stirata ponesse in risalto la pelle bruna del viso libera
da ogni maschera. Lui non aveva alcuna intenzione di fingersi qualcun altro.
Perché avrebbe
dovuto? Con un aspetto del genere, dato da tratti virili e provocanti, atteggiamenti
tanto sicuri di sé da essere sfrontati e personalità carismatica, chi mai
avrebbe pensato di nascondersi?!
Se lo trovò
davanti quasi all’improvviso. Inutile specificare che quasi tutti i pensieri
coerenti e logici che aveva cercato di elaborare fino a quell’istante se la
diedero a gambe pateticamente alla velocità della luce.
“Buona sera
Leda.” la voce che scaturì dalle labbra era baritonale e vibrante come la
ricordava. E le faceva venire un vuoto d’aria nei polmoni, maledizione.
Che cos’è che le
aveva ripetuto continuamente Rose? Ah sì! Mostra indifferenza…
“Buona sera.”
riuscì a gracchiare e temette davvero di aver assunto un tono a linea erotica.
Avanti Leda, mostrati indifferente! Porco
Salazard!!!
“Ti stai
divertendo?” chiese col suo miglior tono affabile cercando di non lasciar
trasparire quanto il suo cuore stesse martellando nella cassa toracica.
Sopra i loro
capi stavano esplodendo gli ultimi fuochi d’artificio, mentre tutt’attorno
continuavano a piovere scaglie di luce.
Un luccichio
strano attraversò lo sguardo implacabile di Benjamin, che la studiava con la
consueta intenzione di scavarle nell’anima.
“Oh sì.
Magnifico… tutto quanto.”
Nonostante il
tono fosse estremamente cortese, Lucy percepì una sfumatura strana nella sua
voce, quasi di rabbia…
“Potrei parlarti
in privato?” le chiese avvicinandosi per farsi sentire oltre il baccano e
sfiorandole inavvertitamente il lobo dell’orecchio.
Forse
boccheggiò. Forse rantolò anche un pochino, solo per riuscire a riprendere
fiato e controllo, ripensando all’ultima volta che avevano parlato in privato.
“Tentalo in ogni modo possibile e rifiutatolo.
Rifiutalo categoricamente!” le parole di
Rose si perdevano nella sua testa, mentre Lucy cercava di capire perché non
riuscisse a comportarsi decentemente con lui dinnanzi.
“Non credo che
sia una buona idea.” riuscì a dire, ritraendosi appena, dopo un numero
incalcolabile di tentativi andati a vuoto per colpa del groppo che le chiudeva
la gola.
“Avanti
Ragazzina, ti rubo alla festa solo per dieci minuti.” e sfoderò la sua ultima
arma, quella più letale di tutte. Un semplice sorriso, privo della sicurezza e
della spavalda sensualità che solitamente campeggiavano sul suo viso. Un
sorriso che avrebbe sciolto i ghiacci millenari dei Poli, figurarsi le sue
ginocchia di gelatina.
“Devi resistere Lucy. Devi essere forte e non
lasciarti sedurre da lui.” ancora la voce
della cugina a tentare di riportarla al loro famoso piano.
Peccato che lei
non avesse mai avuto alcuna voglia o speranza di resistergli.
Scusami Rosie. Non sono mai stata brava ad obbedire.
Lucy
semplicemente annuì, sentendosi improvvisamente molto leggera ma con un
groviglio di emozioni contrastanti a chiuderle la bocca dello stomaco.
Una sua mano fu
presa repentinamente da quella di Benjamin e venne racchiusa dal suo calore
confortante. Prima che potesse protestare per quel gesto, lui iniziò a muoversi
con sicurezza tra la gente, precedendola e aprendole la strada.
Le loro mani
intrecciate in quella posa così intima, si stringevano a tratti, quando rischiavano
di perdersi tra gli invitati.
Passarono
davanti a un gruppo di uomini che bevevano con aria funerea ad uno dei tavoli e
Lucy sentì un quantitativo imbarazzante di occhi puntarsi su di loro allibiti.
Benji non vacillò nemmeno per un istante e continuò a condurla dolcemente fino
all’atrio d’ingresso, per poi imboccare il piccolo corridoio che si apriva a
lato dell’enorme scalinata di marmo.
L’unica cosa su
cui riusciva a soffermarsi era come mettere un piede davanti all’altro senza
inciampare nell’orlo dell’abito. A come la sua mano di adattasse in modo
perfetto a quella di Benji…
L’uomo spalancò
una porta a caso poi la richiuse velocemente evidentemente insoddisfatto di
quello che aveva trovato all’interno. Passò a quella seguente e finalmente si
fermò.
Aprì la porta,
la esaminò con aria circospetta e la bacchetta spianata, valutandola sicura
accese un paio di candele.
Benji lasciò la
sua mano e si mise accanto alla porta per farla passare.
Mentre varcava
la soglia sentì il respiro dell’uomo interrompersi per un attimo e poi
inspirare bruscamente. La porta si chiuse con uno scatto e Lucy ebbe la strana
sensazione di deja-vu. C’erano troppi dettagli identici alla volta precedente.
Sentì i passi di
Benji avvicinarsi a lei, dopo un attimo il respiro dell’uomo si franse sulla
sua nuca, causandole un lungo fremito per tutta la schiena.
“Come diamine ti
sei vestita Ragazzina?!” le sibilò vicino all’orecchio con un tono pieno di
gelida ira.
Lucy ebbe un
attimo di smarrimento in cui non riuscì a comprendere, poi improvvisamente si
ricordò un dettaglio di cui non si era curata fino a quell’istante.
Aveva la schiena
scoperta.
Completamente.
Beh infondo non
era proprio quello l’obiettivo?! Farlo ingelosire e farlo deragliare?! Peccato
che lei stesse colando a picco insieme a lui.
“Esattamente
come mi andava di vestirmi.” ribatté con tono ostinato, o almeno ci provò.
“Oh capisco…”
mormorò ancora lui apparentemente pacato. Poi con assoluta tranquillità
percorse la linea che univa la spalla al collo col proprio naso soffiando
delicatamente sulla pelle.
Lucy dovette
mordersi il labbro inferiore per non sospirare, ma comunque un respiro più
lungo del dovuto uscì dalle sue narici.
“Tu, Ragazzina,
con un abito del genere non saresti mai dovuta uscire.” le sussurrò sul collo
catturando tra i denti un piccolo lembo di pelle e mordendo delicatamente.
Un polpastrello
di Benjamin si posò sulla sua nuca e poi con lentezza esasperante le accarezzò
tutta la schiena fino all’orlo dell’abito. Quella volta reprimere il gemito fu
impossibile.
“Perché?” riuscì
a ribattere, con tono roco, nonostante avesse iniziato a baciarle con amabile
destrezza tutta la spalla destra.
“Perché sei una
tentazione a fare tutto ciò che un gentiluomo non dovrebbe mai fare ad una
fanciulla.” rispose Benjamin ponendole una mano sul ventre e traendola
definitivamente contro il proprio petto.
La bocca
dell’uomo prese possesso del suo collo, baciando e leccando ogni centimetro
disponibile, con voracità sensuale, mentre con una mano continuava a premerla
contro di sé e con l’altra le teneva reclinato il capo, per avere migliore
accesso alla sua pelle.
Lucy si voltò
verso di lui trovando immediatamente gli occhi gialli a fissarla pervasi dal
desiderio, liquidi e dorati, accessi dallo stesso bisogno che anche lei sentiva.
La mano di Benji
poggiava ora a palmo aperto contro la sua schiena ed emanava un calore quasi
ustionante.
Lucy tirò
un’estremità del nastro che sosteneva la maschera e sciolse il nodo. Mentre il
tessuto cadeva e rivelava il suo volto, continuò a guardarlo fisso negli occhi
pronta a scorgervi il più piccolo barlume di delusione o di ripensamento.
Pronta ad essere rifiutata un’altra volta e a scatenare l’Inferno contro quel portatore
di fossette illegalmente sensuali.
Eppure sul suo
volto non lesse altro che una crescente brama, un bruciante sentimento, intenso
come quello che le rendeva difficile respirare, che le chiudeva lo stomaco in
una morsa ferrea.
“Allora lasciati
tentare.” sussurrò Lucy avvicinandosi fino ad avere le sue labbra a pochi
centimetri.
Quando lo sentì
sospirare, confuso, preda dell’indecisione, un sorriso sardonico spuntò
irriverente sul suo viso e glielo rivolse senza censure.
Benjamin
l’afferrò per la nuca e la baciò emettendo una sorta di ringhio roco.
Non appena Lucy
percepì il contatto delle loro labbra e il tentativo di Benji di approfondire
il bacio, una sua mano si intrecciò ai capelli scurissimi dell’uomo e li
strinse nella propria presa con tutta la forza di cui era capace. Non contenta
morse con decisione il labbro inferiore.
“Aah! Ragazzina
che fai?” urlò lui allontanando il capo di scatto e toccandosi il labbro
temendo che perdesse sangue.
“Te la faccio
pagare per l’ultima volta… E per essere un bastardo, per inciso.”
Benji sgranò gli
occhi basito e poi scoppiò a ridere.
“Che creatura
assurda! Vedrò di farmi perdonare…” sussurrò chinandosi verso di lei.
Le labbra di
Benji si posarono sulle sue con decisione, senza premere tuttavia per
dischiuderle.
Erano calde e
morbide in un modo che faceva contorcere ogni organo di Lucy. Sentì una mano
dell’uomo percorrerle la spina dorsale con una lenta carezza, mentre l’altra si
insinuava tra i corti capelli rossi.
Lei allacciò le
braccia attorno al suo collo e si addossò maggiormente al suo petto ampio. Con
una calma che non credeva minimamente di possedere in quell’istante saggiò con
la punta della lingua il labbro inferiore di Benji per poi mordicchiarlo.
La risposta a
quella provocazione fu immediata. Con un gemito basso e roco, Benjamin iniziò a
baciarla in modo che aveva del famelico, insinuando la propria lingua fino a
toccare la sua, accarezzandole il palato e suggendo le sue labbra come se
fossero state frutta matura.
Sentì le mani
dell’uomo farsi nettamente più audaci sulla sua pelle nuda e sulla seta dell’abito,
arricciando l’orlo della gonna fino a scoprirle una gamba.
Benji le prese
il ginocchio sotto la piega e se lo portò al fianco, aumentando il contatto tra
i loro bacini e strappandole un ansito per quella nuova sensazione al ventre,
che le faceva sentire un caldo insopportabile e un bisogno incontrollabile di
strusciarsi ancora contro di lui. Aveva l’impressione di trovarsi su una pira
ardente e di non voler assolutamente scendere.
Alla fine quel
vestito aveva sortito l’effetto desiderato, anche fin troppo, considerato la
posa in cui si trovavano lei e il peggior criminale di Hogsmeade. Ed era quasi
inconcepibile accettare che un uomo del genere la potesse desiderare almeno
quanto lei desiderasse lui.
Mentre i baci
diventavano sempre più irruenti e pieni di foga, la mano di lui scivolò sotto
il tessuto delicato per percorrere la sua coscia fino al gluteo. Afferrò tutto
con un palmo e la schiacciò ancor di più contro di sé e contro la propria
eccitazione.
La testa di Lucy
scattò indietro, interrompendo il bacio e dal sorriso malizioso che le rivolse
Benji immaginò di avere un’espressione imbarazzata. Ma lui non le lasciò il
tempo di inventarsi una scusa o una battuta tagliente per smorzare la
situazione, che calò nuovamente sulle sue labbra.
Un bacio dopo
l’altro anche lei iniziò a sentire il bisogno di esplorare di più quel corpo
muscoloso e solido contro cui era sostanzialmente spalmata. Le sue mani
percorsero la stoffa pregiata della camicia candida e rilevarono i piccoli
avvallamenti e il turgore dei muscoli, le sue dita si insinuarono nel colletto
per entrare finalmente in contatto con la sua pelle, la sua bocca scese sul
collo di lui e tutti i suoi sensi furono invasi dal suo profumo di agrumi,
maturati al sole cocente di un’estate mediterranea.
Lo sentì
emettere un gemito rumoroso e irrigidirsi per un istante.
Poi Benji con
delicatezza allentò la presa sul suo corpo e fece scivolare la sua gamba fino a
toccare terra. Le diede un ultimo bacio a fior di labbra e posò la fronte
contro la sua, col fiato corto.
“Tu mi fai diventare
un animale.” le disse poi scuotendo la testa. “Tento in tutti i modi di
comportarmi da cavaliere e tu, Lucy Catherine Weasley, mi fai perdere il
controllo.”
Il cuore di Lucy
si fermò per un istante e poi riprese a battere furiosamente, martellando
contro la gabbia toracica. Si staccò da lui poggiando entrambi i palmi contro
il suo petto, mentre il respiro le si mozzava nei polmoni.
Indietreggiò, con passo vacillante, finché non
sentì dietro di sé il bordo di un tavolo. Ci si aggrappò con tutte le proprie
forze.
Lo guardò
atterrita con il cuore in fibrillazione per la tensione.
Aveva scoperto
il suo nome.
“Come hai
fatto?” gli domandò con tutto ciò che restava della sua voce.
Benji fece un
mezzo sorriso e una grande mano brunita aleggiò in aria con un gesto elegante,
come a dire che era una sciocchezza.
“Il tuo
mantello, Ragazzina.” le rispose con tono allegro. “Era ricamato vicino allo
stemma di Grifondoro… Anche se per quanto riguarda la Casa non avevo alcun
dubbio a quale appartenessi.”
Lucy cercò di
fare un profondo respiro e di calmare il panico che si stava prendendo ogni
brandello di razionalità rimastole dopo il contatto con Benji di poco prima.
Era stata una
sciocca. Ancora.
Una ragazzina
qualsiasi, esattamente come l’aveva sempre definita lui, che per un bacio aveva
compromesso la segretezza di tutta la loro organizzazione… Che aveva messo in
pericolo la sicurezza di Lily, di Dom, di Rose, di Angie…
Fu il pensiero
delle cugine a costringerla a riprendersi. Doveva proteggerle, soprattutto
Lily, doveva evitare in ogni modo che venisse coinvolta.
“E quindi? Che
cosa credi di fare con questa informazione?” domandò con tono beffardo alzando
lo sguardo su di lui.
“Ricattarti,
senza ombra di dubbio. Non sono forse un bastardo?!”
“Un gran
bastardo.” lo corresse lei con asprezza.
Benji chinò il
capo in un gesto di assenso molto cortese.
Per Godric
quanto lo detestava! Era un merdosissimo ipocrita, sempre a definirsi un
cavaliere e poi si comportava come il più infimo dei criminali. Lo avrebbe
preso a randellate in testa se avesse potuto, almeno una volta svenuto gli
avrebbe fatto un Oblivion come si deve… Meglio chiamare l’Alchimista per
quello, lei sapeva il fatto suo in quel genere di Incantesimi. E poi avrebbero
lasciato il corpo in una strada secondaria…
“Stai già
pensando a come stendermi per modificarmi la memoria, vero Ragazzina?”
Maledizione! Lo
odiava…
“Veramente pensavo
ai venti usi del sangue di drago.” ribatté Lucy caustica.
Benji la fissò
con tanto d’occhi e poi una fragorosa risata irruppe dalle sue labbra.
“Mi piaci,
Ragazzina. Non ti arrendi mai.” disse avvicinandosi a lei.
Una mano si tese
verso il suo viso intenzionata a scostarle il ciuffo che ricadeva sugli occhi,
ma lei gli schiaffeggiò il dorso stizzita.
“Non ti
azzardare a toccarmi.” disse con voce
piena di astio.
Benji non si
fece scoraggiare da quel gesto e si avvicinò ancora mettendo entrambe le mani
sulla scrivania a cui lei si era appoggiata, all’esterno delle sue. La
racchiuse in quello strano abbraccio senza contatto, in quella gabbia senza
pareti costituita solo da lui.
“Lucy…” sospirò
con tono stanco “Stavo scherzando. Non
voglio… Non ti obbligherei mai… Scusami.”
La ragazza
sbarrò gli occhi e sentì la fronte corrugarsi fino allo spasmo.
“Eh?” sbottò
poco elegantemente.
Ma che gli
prendeva a quel tizio? Prima era tutto spavaldo e fiero, un attimo dopo la
trascinava come un adolescente per i corridoi per andare a pomiciare, poi
fingeva di ricattarla e infine le chiedeva scusa. Soffriva di disturbi della
personalità multipla?!
Benji distolse
lo sguardo dal suo e fissò un punto del tappeto.
“Ti chiedo scusa
Lucy, perché so che cosa significhi portare un nome troppo grande per le
proprie spalle. Non era mia intenzione farti sentire a disagio.” le disse con
una tale dolcezza che un nodo le chiuse immediatamente la gola per l’emozione.
“Richardson non
è il tuo cognome, vero?!” domandò Lucy cercando di non perdersi a osservare i
tratti marcati dell’uomo, rischiarati dalle candele.
Benjamin rialzò
lo sguardo e sorrise in modo sornione.
“Sì invece Ragazzina,
è quello che mi sono scelto. L’altro non mi è mai appartenuto.”
Lucy si strinse
nelle spalle, sentendosi improvvisamente esposta e vulnerabile. Dietro quelle
iridi gialle e quel viso meraviglioso si celava un uomo che forse aveva molto
in comune con lei, che poteva comprenderla. Qualcuno che potesse scorgere tutto
quello che Leda camuffava con la sua durezza e la sua sfrontatezza. E quella
prospettiva era peggiore del ricatto, perché faceva mille volte più paura.
Quell’uomo, quel
criminale che le stava davanti, riusciva a disintegrare i suoi tentativi di
resistenza con una naturalezza spiazzante. La cercava, la faceva sentire
desiderata, poi rovinava tutto con due parole, poi ancora tornava a inseguirla…
Che diamine doveva pensare di uno così complicato? Così irresistibile da farle
venire voglia di sfruttare quella scrivania in tutt’altro modo…
Leda, concentrazione!
“Vieni a
prendere il tuo mantello domani sera. Voglio parlare con te.” sussurrò Benji
con tono suadente avvicinandosi ancora a lei.
“Come abbiamo
parlato ora?!” ribatté lei indicando la loro posizione. Lei racchiusa dalle
braccia tese di lui, con i capelli arruffati e le labbra di Benji colorate del
vermiglio del suo rossetto.
“Forse.” rispose
lui sorridendole.
Lucy voltò il
capò e si morse il labbro inferiore, poi scosse lentamente la testa.
“Per favore
Lucy.” le prese con entrambe le mani il
volto obbligandola a guardarlo negli occhi.
Vi trovò una
preghiera mista ad un desiderio bruciante. La volontà ferrea di non lasciarla
andare.
Mentre si
gettava ancora sulle labbra carnose e cesellate dell’uomo, come se fosse un
assenso e contemporaneamente un modo per sviare una risposta chiara, Lucy si
disse che cedere ancora una volta non avrebbe fatto del male a nessuno.
Esclusa lei
stessa.
***
La
sera dopo si ripeté la stessa scena. Cenerentola si presentò al ballo con un
abito ancora più ricco del primo, il principe la prese per mano e ballò solo
con lei. La fanciulla danzò fino a sera e poi chiese di poter andare a casa, il
principe tentò di seguirla ma lei riuscì a sfuggirgli ancora.
Scorpius sorseggiò
con calma lo champagne dal proprio calice.
La serata aveva
preso una piega a dir poco pessima.
Angelique appena
finito il ballo con quello strano individuo era scappata letteralmente dal
salone e lui non era riuscito a ritrovarla. Poi era stato arpionato da un paio
di ragazze che lo avevano riconosciuto, forse per i suoi capelli tanto vistosi
nel loro colore chiaro, e che avevano tentato in ogni modo di farsi invitare a
ballare. E così era stato costretto a farsi pestare i piedi da una delle due
che si era scusata per non essere proprio il massimo in quanto ballerina.
Almeno con Angie
erano abituati da anni a ballare insieme e si divertivano, con quella era stata
una scena penosa. E dolorosa per i suoi arti inferiori.
Per grazia di
Merlino, era riuscito a svincolarsi con scuse assurde e finalmente si godeva la
pace al bancone degli alcoolici.
Pace relativa
visto che continuavano ad approdare coppiette di ogni genere e lui ascoltava i
discorsi e i litigi di ognuno. Proprio
in quell’istante accanto a lui una ragazza stava petulando con un povero
disgraziato, che con evidenza dei fatti aveva la terribile sciagura di esserle
sentimentalmente legato, su quali assurde ragioni lo avessero spinto ad andare
a vedere l’allenamento di quidditch della sua casa invece che accompagnarla a fare
spese ad Hogsmeade.
Chissà quale
arcano mistero lo aveva indotto a comportarsi in quel modo insensato?
Scorpius stava
per voltarsi e spiegare dettagliatamente alla fanciulla le ragioni,
perfettamente comprensibili, che avevano animato il suo cavaliere, quando un
rumore metallico attirò la sua attenzione.
Era un suono
curioso che riusciva a farsi sentire nonostante il volume discreto della
piccola orchestra, e sembrava stranamente… sbagliato.
Il giovane
Malfoy si guardò attorno attentamente, come molti altri, cercando l’origine di
quell’insistente martellare e trovò presto la risposta alle proprie domande.
Una ragazza
vestita di verde smeraldo, con una vaporosa gonna di tulle, stava in piedi su
una sedia e brandiva con energia una padella e un mestolo di ferro, sbattendoli
l’uno contro l’altro.
Dove diamine
aveva recuperato una padella e un mestolo nel bel mezzo di un ballo in
maschera?!
“Venghino
signori! Venghino! State per assistere alla più memorabile attrazione della
serata!” urlò la giovane smettendo per un istante di produrre quel rumore
insistente, per poi riprendere con più energia di prima.
Una fiumana di
gente si diresse verso di lei, come richiamata dalla melodia della padella,
incuriosita dalla prospettiva di assistere ad una altro spettacolo come quello
dei fuochi.
Scorpius si
diede un’occhiata attorno per vedere se riusciva a individuare la chioma bionda
di Angelique o il suo abito, ma di lei non c’era alcuna traccia nel grande
salone. Così con un’alzata di spalle incurante raggiunse anche lui il crocchio
di gente assiepata attorno a quella tizia tanto stramba. Avvicinandosi sempre
di più si rese conto che si trattava di una ragazzina minuta e bassina, con una
cascata di capelli rossi che le si spargeva sulle spalle e sulle braccia. Il
viso era celato del tutto da una maschera lilla.
Grazie alla sua
altezza Scopius riuscì a scorgere oltre le numerose teste che lo speravano alla
scena e ciò che vide lo lasciò veramente di sasso.
Accanto alla
ragazza stavano seduti due energumeni che si guardavano l’uno l’altro con aria
di sfida, in mezzo a loro un tavolino per separarli. Alle loro spalle si
trovavano altri uomini dall’età indefinibile, tutti con identiche facce
minacciose e braccia conserte sul petto. Avevano un’aria così poco
raccomandabile, dall’abbigliamento alle espressioni arcigne, che Scorpius si
domandò per quale ragione fossero stati invitati.
“Signori e
signore. Maghi e streghe. Ho l’onore e il grandissimo piacere di comunicarvi
che stiamo per assistere ad uno scontro tra titani!” esordì la ragazzina in
verde “Solo per noi, questa sera, due campioni si sfideranno in una lotta senza
esclusione di colpi, provando la forza delle loro braccia!”
Mentre parlava
uno dei due seduti si era tolto la giacca e aveva iniziato ad arrotolarsi la
manica della camicia, scoprendo un avambraccio muscoloso. L’uomo davanti a lui
fece scrocchiare le nocche con un gesto secco ed espressione spavalda.
La rossa indicò
con la padella l’uomo più vicino a lei.
“Alla mia destra
abbiamo Darren l’Impavido, che con il peso di… Darren, tesoro, quanto pesi che
non me lo ricordo?”
Scorpius soffocò
la risata che gli premeva sulle labbra. Era una situazione a dir poco assurda,
con una rossa minuscola che chiamava tesoro
dei criminali della peggior fatta, richiamava gente con padelle recuperate
chissà dove e organizzava incontri istantanei di braccio di ferro.
“Ehm… Non lo so.
Io… Credo un po’!” borbottò Darren distogliendo lo sguardo dal suo sfidante e
rivolgendo un’espressione vagamente vacua alla presentatrice.
“Va beh, non fa
nulla caro! Dicevamo: Darren l’Impavido che possiede la forza di dieci uomini
sfiderà… lui!” e brandì il mestolo indicando il secondo uomo. “Oswald la Volpe!
L’uomo che un solo occhio tiene a bada un esercito di Auror!”
Un brusio di
ammirazione di alzò dalla folla attorno a lui e Scorpius si guardò attorno
sconcertato.
“Chiunque
desiderasse fare una piccola puntata può rivolgersi alla mia collega,
l’affascinante signorina con l’abito di pizzo! Avanti signori, non siate
tirchi! Scommettete sul vostro favorito.”
Una ragazza con
un elegantissimo abito chiaro si fece avanti, sorridendo e salutando col capo
da dieto la propria maschera turchese.
Tra le sue mani affusolate ed estremamente curate teneva una piccola
scatola di cartone e un taccuino le aleggiava accanto pronto a prendere nota di
chiunque desiderasse scommettere.
Malfoy osservò
entrambe le giovani attentamente, sicuro di avere a che fare con qualcuno a lui
noto.
“Tres bien monsiour, dieci galeoni su
Darren vero?” chiese quella vestita d’avorio ad alta voce rivolta ad un ragazzo
che le consegnò un mucchietto di monete d’oro.
Quelle parole in
francese, pronunciate con un accento tanto naturale da lasciar supporre una
padronanza totale della lingua, accesero una spia nel cervello del giovane
Malfoy.
Osservò le
movenze leggiadre e posate della giovane, la chioma chiarissima obbligata in
una complicata pettinatura, il sorriso mozzafiato e non ebbe più dubbi.
Si trattava di
Dominique Weasley.
E accanto a lei
l’affarino tutto pepe era una delle ragazze con cui la si vedeva spesso in
giro, una delle sue cugine. Dalla statura e dal carattere altri non poteva
essere che Lily Potter. Un tornado del genere non era facile da confondere.
Che si trattasse
delle organizzatrici della festa? Possibile che Lara e Leda fossero quelle due?
No, per quanto
spigliate ed esuberanti, non ce le vedeva proprio a gestire un traffico
illegale di qualsiasi cosa fosse illecito commerciare tutte da sole.
Nel frattempo i
preparativi per l’incontro di braccio di ferro erano quasi giunti al termine,
così come le scommesse clandestine su quell’evento improvvisato durante un
ricevimento formale.
Molte ragazze
vociavano concitate sulle possibilità del proprio campione, argomentando con
indiscutibile logica:
“Io preferisco i
ragazzi con gli occhi chiari, come Darren!”
“Guarda che aria
misteriosa che ha Oswald!”
“Oh cielo,
quello ha un abito orrendo…”
“Secondo me
vince lui perché ha le mani più belle!”
Ah, questa era impagabile!
Cosa avrebbe dato per farsi due risate con Angelique su quei commenti.
Scorpius si
guardò attorno con aria indolente, come da Manuale Malfoy, gettando occhiate
gelide alle ragazze accanto a lui, nel blando tentativo di zittirle. Purtroppo
il fervore suscitato dall’imminente lotta rendeva le giovani euforiche,
privandole di quel poco contegno di cui erano dotate, ragion per cui le sue
espressioni truci andavano sprecate.
“Attenzione!
Signori preparatevi…” tuonò energicamente la voce di Lily Potter che aveva
ripreso la sua postazione sopra la sedia dopo aver fatto una passeggiatina tra
gli invitati per convincerli a sborsare un po’ di galeoni. Un silenzio
innaturale calò sulla folla.
Persino
l’orchestra aveva smesso di suonare e si godeva lo spettacolo.
Darren e Oswald
piantarono simultaneamente i gomiti sul tavolo, osservandosi in cagnesco. Il
primo mosse le dita in aria preparandosi alla lotta.
“Al mio segnale!
Non imbrogliate, mi raccomando ragazzi.”
I due chiusero
le mani una nell’altra, i bicipiti già tesi per scattare al via, i tendini ben
visibili sul dorso, segno che stavano già provando a fiaccarsi l’un l’altro con
la semplice stretta iniziale…
Un sottile filo
di tensione teneva uniti gli spettatori, un velo di magia sceso su tutti loro
li attraeva come falene con le luci nella notte verso quel tavolino e i due
occupanti.
“VIA!” urlò
Lily.
I due uomini
iniziarono a spingere l’uno contro il palmo dell’altro, gli sguardi accessi
dall’eccitazione della lotta, le labbra serrate nello sforzo di vincere la resistenza dell’altro e tutt’attorno
un boato di urla, incitamenti più o meno sensati che echeggiava in tutto il
salone.
Beh, Scorpius
doveva ammettere che infondo l’insieme di quella scena era abbastanza
divertente.
Dopo i primi
minuti di parità statica sembrò che Darren riuscisse a guadagnare un certo
vantaggio, ma il suo viso aveva assunto una tonalità rossa preoccupante e la
sua fronte iniziava a imperlarsi di sudore.
Oswald resisteva
stoicamente alle offensive spietate dell’altro, i muscoli del braccio tesi e
gonfi nel tentativo di contrastarlo.
“Tu su chi hai
scommesso?”
Una voce, vagamente
nota ma non famigliare, lo indusse a voltarsi alla propria destra.
Accanto a lui
una giovane guardava fissa verso il tavolo del braccio di ferro con un
enigmatico sorriso a tenderle le labbra. Sembrava osservare qualcosa che
sfuggiva agli occhi di tutti i presenti, quasi che fosse a conoscenza di
qualche segreto che custodiva negli angoli di quella bocca rosea e lucida.
“Su nessuno. E
tu?” chiese Malfoy alzando appena la voce per sovrastare il fracasso delle
persone attorno a loro.
“Oh io non
scommetto mai.” rispose lei voltando il viso e sorridendogli cordialmente.
Scorpius quasi
boccheggiò quando due occhi di un azzurro sconvolgente si piantarono nei suoi. Avevano
di un’intensità straordinaria, come se quel colore fosse stato rubato dai cieli
più tersi per essere incastonato sul viso di quella ragazza.
Erano puri e
limpidi in un modo che faceva pensare che potessero leggere nell’anima.
“Come mai?”
riuscì a domandare quando un minimo di voce gli venne restituita dalla
Provvidenza.
La ragazza gli
restituì uno sguardo pieno di ironia e con un lieve sorriso gli rispose:
“Perché ci deve
essere qualcuno che non sia troppo concentrato a vedere quale bicipite
esploderà per primo per richiamare gli Elfi, quando arriverà il Ministero!”
Scorpius sentì
una risata scrosciare allegramente dalla propria gola e crollò appena il capo
indietro.
“E quindi tu ti
occupi della sicurezza di tutti noi?” le chiese divertito.
Altra occhiata
azzurrissima e parimente ironica.
“Molto più di
quello che tu possa pensare, Scorpius Malfoy.” gli disse inclinando il capo
verso una spalla e osservandolo attentamente attraverso l’elaborata maschera di
broccato bordeaux, lo stesso colore dell’abito.
Il giorno dopo
avrebbe tinto i capelli del castano più anonimo esistente! Possibile che fosse
cos’ distinguibile in quella folla sterminata?!
Scorpius,
vagamente irritato dall’essere rimasto indietro nella scoperta dell’identità
della sua interlocutrice, chiese con tono freddo e distaccato:
“E con chi ho il
piacere di parlarle se non è chiedere troppo?”
Un sorrisetto
sardonico anticipò la risposta che affiorò dalle labbra della ragazza.
“In effetti è
proprio chiedere troppo.”
Scorpius dischiuse
la bocca piccato dalla risposta insoddisfacente appena ricevuta e fece per
ribattere, ma un esplosione di grida e saltelli delle persone circostanti li
informò che lo scontro si era appena concluso.
Oswald la Volpe
torreggiava su Darren l’Impavido, alzando in aria entrambe le braccia e
scuotendo i pugni in posa vittoriosa. L’altro sfidante lo osservava torvo,
abbattuto dalla sconfitta.
Un movimento
accanto a lui attirò la sua attenzione e, voltatosi, scoprì che la ragazza se n’era
andata. La vide muoversi agilmente tra folla, i capelli di rosso cupo che
mandavano bagliori affascinanti grazie alla luce calda del candelabro.
La seguì con gli
occhi finché Lily Potter e la sua ingombrantissima gonna verde non le
caracollarono addosso urlando entusiaste sopra tutto il rumore attorno:
“Rosie Rose,
abbiamo fatto un mucchio di soldi!!!”
Rose.
Occhi azzurri, capelli
rossi, ironica, sagace… Una Weasley!
Rose Wealsey…
E ora come
diavolo lo spiegava ad Albus di essersi invaghito di un’altra sua cugina?!
***
La
terza e ultima sera Cenerentola si presentò al ballo, la gente non aveva più
parole per il suo aspetto meraviglioso e il principe le venne incontro.
La prese per mano e ballò solo con lei, e se qualcuno la invitava lui
rispondeva “E' la mia ballerina”.
Quando
fu sera Cenerentola se ne andò; il principe voleva accompagnarla ma ella gli
sfuggì. Tuttavia perse la sua scarpetta sinistra, poiché‚ il principe aveva
fatto spalmare tutta la scala di pece e la scarpa vi era rimasta appiccicata.
Egli la prese e, con essa, si recò il giorno seguente dal padre di Cenerentola
e disse: "Colei che potrà calzare questa scarpina d'oro sarà mia
sposa."
E iniziò a cercarla per tutto il reame, sperando di trovare prima o poi la
fanciulla che aveva conquistato il suo cuore..
Angie si posò
una mano sul petto cercando di riprendere fiato.
Il suo corpo era
allenato da anni e anni di fatiche ben peggiori di una scalinata di marmo,
allora per quale motivo non riusciva a respirare in modo decente? Perché
sentiva il cuore esploderle nel petto e i polmoni gravati da un peso
opprimente?
Con l’altra mano
libera cercò un appiglio qualsiasi e trovò una superficie gelida e liscia. Una
colonnina di marmo nel pianerottolo accanto alla scala fu il suo sostegno
momentaneo.
Sentiva il cuore
battere contro il costato, ancora e ancora, intenzionato a sfondare le ossa
dello sterno. Ed era in quello stato confusionario da quando lo sconosciuto le
aveva parlato.
Le parole che
aveva usato erano così intrise di dolore che lei le aveva sentite affondare
nella sua carne, aveva percepito la sua tortura così chiaramente da esserne
completamente spiazzata.
“Tu sei il mio supplizio e la mia rinascita, ogni
giorno.”
Chi? Chi era
quel ragazzo che le aveva mostrato con tanta sincerità dei sentimenti così
profondi e dolorosi?
Le sembrava di
avere la risposta sulla punta della lingua e di non riuscire comunque ad
afferrarla.
Aveva la
convinzione irrazionale di conoscerlo, di sapere chi ci fosse dietro la
maschera che aveva coperto quasi tutto, tranne gli occhi… Quegli occhi, che
l’avevano scutata come se davvero fosse l’astro di cui aveva parlato, che
l’avevano accarezzata con una dolcezza e una deferenza quasi religiosa…
Aveva bisogno di
una sigaretta, perché non ce ne capiva proprio più nulla.
Leda sicuramente
aveva il suo inseparabile portasigarette, doveva solo trovarla e…
“Angelique?”
Merda.
“Angelique sei
tu, vero?”
Merda, merda, merda!
La sua voce le mozzò il respiro in gola.
Lentamente, come
a sperare che fosse solo un’illusione, si voltò verso chi l’aveva chiamata.
I suoi occhi
furono riempiti dalla sua immagine come se non ci fosse stato null’altro in
quel pianerottolo, come se non avessero aspettato altro per settimane.
E un dolore
cocente, acuto e penetrante fino a spezzarla in due, quello delle sue notti
insonni, delle sue giornate grigie e anestetizzate si impossessò di tutto il
suo corpo.
“Derek…” la sua
voce uscì così flebile che si chiese se fosse riuscito a sentirla.
Dal modo in cui
i suoi occhi neri brillarono la risposta fu palese.
Erano separati
da meno di un metro, ma in quei centimetri sembravano essersi condensati anni
luce di incomprensioni, di sofferenza, di desideri impossibili, di tutto quello
che loro erano. Era un metro invalicabile, e forse era molto meglio così,
perché se fosse stato possibile toccarlo ancora, tutto il fragile equilibrio su
cui la sua vita danzava sarebbe crollato.
Dal salone
principale iniziarono a provenire i botti dei fuochi d’artificio che Dominique
aveva commissionato nel più completo anonimato a zio George.
Ad ogni
esplosione le sembrava di perdere un pezzo di sé stessa, mentre i suoi occhi
restavano fissi sul viso di Derek.
“Ti ho vista
corre via… Volevo solo sapere se stai bene.” disse Schatten con evidente
fatica, giocherellando col nastro della maschera, che giaceva nella sua mano
inutilizzata.
Una risata amara
irruppe dalle labbra di Angelique.
“Mi stai davvero
chiedendo se sto bene?! Derek, sono settimane che non riesco a dormire, non
riesco a mangiare, non riesco a vivere.
E tu mi chiedi se sto bene?”
“Mi dispiace
io…”
Quelle parole la
fecero letteralmente esplodere. Qualcosa di irrazionale e magmatico le dilagò
nell’animo e le fece provare una rabbia incontenibile.
“Non dire che ti
dispiace, cazzo! Non dire che ti dispiace perché ti ammazzo con queste mani!”
urlò furiosa avvicinandosi a lui fino ad avere il suo viso a pochi centimetri.
“Tu hai scelto
di non scegliere Derek! Sei stato un vigliacco, perché hai preferito continuare
a mentire a tutti, a Celia, a tuo padre, ai tuoi amici, a te stesso pur di non doverti prendere delle responsabilità! Tu
non hai lottato, maledizione!” e gli batté un pugno sul petto. “Perché non hai
lottato?”
Sentì le guance
bagnate e si chiese quando avesse iniziato a piangere. Dai suoi occhi continuavano
a piovere lacrime, quasi che stesse liberando tutte quelle che si era negata
per settimane, che le avevano ostruito il cuore impedendole di sentire davvero
qualcos’altro oltre al dolore. Ed era liberatorio. Lancinante sì, ma anche liberatorio.
Derek la afferrò
per le braccia e le sue mani affondarono nella carne con forza.
“Io non posso
sceglierti, Angelique! IO NON POSSO. Se fossi solo io, non esiterei un attimo. Ma
io devo pensare anche a qualcun altro…”
“Non ti credo.”
ribatté Angie scuotendo il capo. Per le mutande di Merlino perché non riusciva
a smettere di piangere?!
“Angelique! Mi
manchi… Dio, è insopportabile vederti da lontano e non poterti toccare! Non
riesco a far altro che pensarti, ogni cosa, ogni
singola cosa che faccio urla il tuo nome… Io sto impazzendo!” la voce di
Derek grondava disperazione. Urlava quel dolore profondo che lei aveva sempre
letto nei suoi occhi scuri.
Ma era troppo
tardi. Doveva essere troppo tardi, per salvare qualcosa di sé stessa, per avere
un minimo di speranza che tutta la sua persona non fosse così terribilmente
dipendente e legata a lui come le sembrava in quell’istante.
“Lasciami,
Derek. Per favore, lasciami andare.” mormorò con voce rotta voltando il capo e
sentendo le lacrime scivolare dalla mandibola al collo.
“Non posso.”
rispose lui e con un gesto abile le tolse la maschera. Le prese il mento tra le
dita e la costrinse a girare il viso, ma Angie chiuse gli occhi.
Non voleva guardarlo,
non voleva immergersi anche nella sua pena perché quella che provava lei era
abbastanza. E non voleva perché sapeva che avrebbe abbandonato ogni difesa
appena avesse visto i suoi occhi in quello stato.
“Non posso
Angelique, perché ti amo.”
Angie spalancò
gli occhi e scosse violentemente il capo come se volesse farsi uscire quelle
parole dalla testa. Non era giusto, non era per nulla giusto dover ascoltare
quando non ne si aveva alcuna intenzione.
“Non è vero. Non
è vero…” mormorò divincolandosi dalla stretta del ragazzo.
“Sì che è vero!”
le prese una mano e se la pose sul petto “Lo senti? Ha ricominciato a
funzionare decentemente quando mi hai guardato. Ogni parte di me ti riconosce,
ogni tua parte mi sente. Lo so. So che ami anche tu.”
“Vaffanculo
Derek!” singhiozzò colpendolo un’altra volta al petto “Non puoi farmi questo!
Non puoi!”
Le prese il
volto tra le mani e si avvicinò con gli occhi neri scintillanti. Baciò le sue
guance calde e rigate dalle lacrime, la sua fronte e gli angoli della sua
bocca, mentre nuovi singhiozzi più violenti continuavano a scuoterle il corpo.
Com’era
possibile che quella cosa fosse amore? Com’era concepibile che il sentimento
motore dell’universo fosse così devastante per loro? Perché diamine era consentito a un corpo soffrire
in quel modo?
“Ssh, non
piangere. Non piangere, amore mio.”
Poi le labbra di
Derek si posarono sulle sue. E lei tornò a respirare finalmente.
Smise di
piangere nel momento in cui il suo profumo unico le invase i sensi, la
costrizione opprimente al petto si sciolse quando la bocca di Derek si
dischiuse.
Si sentì libera
dopo settimane di prigiona, sentì ogni terminazione nervosa risvegliarsi
intorpidita dal lungo sonno, riconobbe il suo tocco su di sé istantaneamente.
Era Derek, sulle
mani, nella bocca, nel cuore, dovunque.
Le mani di lui
vagano senza tregua sul suo corpo, sfiorando il seno, cingendole la vita,
accarezzandole i capelli, come se non gli fosse stato possibile smettere.
Lo spazio all’infuori
di loro due parve dissolversi, non esisteva più nulla che proibisse loro di
baciarsi come se ne andasse della loro vita, non era compreso nel loro
minuscolo spazio qualcuno che impedisse loro di stare insieme.
Angie capì, con
una lucidità sorprendente per il momento, che sarebbe stato così solo per
quegli istati rubati al tempo. E lei li voleva, li voleva tutti quei granelli
di sabbia da riassaporare quando la distruzione avrebbe portato via ogni cosa,
quando non ci sarebbe stato nient’altro da ricordare se non vecchie ferite e
cicatrici doloranti.
Senza
interrompere il bacio nemmeno per un istante sospinse Derek verso una delle
porte del primo piano. C’erano delle stanze un po’ polverose, ma per lo meno
più appartate di un pianerottolo.
Le loro labbra
continuarono a cercarsi l’un l’altra mentre a tentoni riuscirono a trovare la
maniglia e girarla. Quando l’uscio si dischiuse quasi caddero per terra.
Con una lieve
risata si rimisero in piedi e Derek la inchiodò al legno della porta,
prontamente richiusa.
“Mi sei mancata
così tanto Angelique…” sussurrò scendendo a baciarle il collo.
Una mano si
chiuse sui suoi capelli e li strinse per farle esporre la gola ancor di più,
mentre l’altra aveva intrapreso una strada completamente diversa. Sotto al suo
abito stava risalendo dal ginocchio, lenta ed esasperante, verso il fianco,
fermandosi volutamente nell’interno coscia dove la pelle era più sottile e
sensibile.
Quando le dita
di Derek si posarono esattamente al centro delle sue gambe e si mossero verso
l’alto, Angie trattenne il respiro.
La mano del
ragazzo si insinuò oltre il bordo delle mutandine e scivolò senza indugi contro
la sua pelle umida. Lì iniziò a oscillare lentamente tra le pieghe della sua
carne. Angie si sentì gemere in modo incontrollato e tentò di smorzare il
suono, inutilmente.
La bocca di lui
tornò sulla sua a coprirne gli ansiti e ricominciando a baciarla.
Era come avere
un cumulo di braci nel ventre che continuavano ad avvampare, era una sensazione
travolgente, come essere nel bel mezzo di una mareggiata e volersi solo
abbandonare ai flutti.
Derek si spinse
dentro di lei con un dito, continuando quella lenta danza.
Angelique per la
sorpresa quasi lo morse. Dopo poco si abituò a quella nuova intrusione, andando
in contro col bacino alla mano che si muoveva tra le sue gambe. E fu ancora più
intenso di prima, piccole scariche di piacere si irradiavano dal punto più
sensibile del suo corpo nel petto, nelle braccia, nelle gambe.
Mentre il
desiderio saliva vorticosamente la ragazza gemette aggrappandosi al suo collo
per sostenersi, lui per tutta risposta le sorrise sulle labbra.
“Amore mio.”
sussurrò Derek baciandole gli occhi.
“Smettila di
dirlo.” ansimò con una certa fatica.
“Perché?”
“Perché domani
farà ancora più male.”
Le mani di Angie
corsero alle spalle del ragazzo e gli levarono la giacca con un leggero
strattone. Derek interruppe quel delizioso gioco di dita per spogliarsi del
tutto dell’indumento. Fu la volta della camicia che bottone dopo bottone si
aprì rivelando il petto magro e glabro del ragazzo.
Angie percorse
con dita tremanti la pelle ambrata e calda di lui, baciandolo alla base del
collo e sulle clavicole. Derek le alzò il viso circondandole la guancia con una
mano e ricominciò a baciarla, avvicinandosi passo dopo passo al letto al centro
della stanza.
In uno sprazzo di
razionalità comprese che cosa stava per accadere e si obbligò a non pensare a
tutte le cose sbagliate di quella situazione. Al fatto che lui fosse di
un’altra, al fatto che non era mai andata tanto oltre con nessuno, al fatto che
qualcosa dentro di lei si stesse ribellando… C’era qualcosa che non andava in
fondo ai suoi pensieri e lei si sforzava di ignorarlo.
Voleva solo
vivere qualcosa che sapeva non sarebbe più tornato. Voleva che quegli istanti
in cui le sembrava che il suo cuore fosse ritornato a battere, non finissero.
Voleva sentire ancora la sua pelle a contatto con quella di Derek e annullarsi
in questo.
E fu esaudita.
La lampo sulla
schiena scese fluida, causandole una vertigine a livello dello stomaco ad ogni
centimetro liberato. Il vestito, che le aveva prestato Martha direttamente dal
suo guardaroba, le scivolò addosso ritrovandosi dopo poco a terra, in un
morbido mucchietto d’oro e d’argento.
Le mani di Derek
ricominciarono a percorrere il suo corpo, toccando e stropicciando la carne che
incontravano nel loro percorso. Finalmente raggiunsero il letto e con delicatezza
lui la fece sdraiare, stendendosi al suo fianco.
Con lentezza e
cautela, per consentirle di opporsi, fecero scivolare le spalline del reggiseno
lungo le braccia.
Non pensare, non pensare… Continuava a ripetersi la ragazza e chiuse gli
occhi strizzando le palpebre.
Prima che se ne
potesse rendere conto le labbra di Derek furono sul suo seno, inizialmente
lasciarono solo una scia di baci nella parte alta, poi con audacia sempre
maggiore si spinsero verso la parte celata dalle coppe. Aiutandosi con una mano
abbassò quel lembo di tessuto scoprendo definitivamente la pelle sensibile,
mentre con l’altra aprì il gancetto dietro.
Contro la gamba
sinistra Angelique riusciva a sentire l’eccitazione crescente di Derek, che
premeva contro i calzoni e sembrava indurirsi sempre di più ad ogni bacio e ad
ogni carezza.
Le labbra e la
lingua del ragazzo scesero implacabili verso la punta dei suoi seni, succhiando,
mordendo e leccando famelici ogni parte disponibile.
Angie si spinse
contro il bacino di lui, cercando di alleviare il bisogno intollerabile di strusciarsi,
e percepì il calore della pelle nuda del suo petto e delle sue braccia.
Derek sollevò il
viso dal suo petto e si diresse verso le sue labbra, baciandola in modo un po’
rude e aggressivo, cosa che le fece sentire una fitta più intensa nel ventre.
Una sua mano,
calda e sicura, scese fino all’elastico della biancheria e iniziò ad abbassarla.
Fu in quell’istante
che Angelique non poté più ignorare ciò che realmente sentiva.
Che cosa stava
facendo?! Che cosa diamine le era saltato in testa quando lo aveva spinto
dentro quella stanza?! Credeva davvero che sarebbe riuscita a donarsi in modo
così totale a lui quando nel profondo sentiva che era sbagliato?
Lei non era in
grado di ignorare i propri principi per dare sollievo ai suoi desideri. Nemmeno
se quella sarebbe stata probabilmente l’unica occasione di avere Derek per sé
per l’ultima volta.
“No.”
Il monosillabo echeggiò
nel silenzio della camera con una fermezza tale da bloccare immediatamente
Derek. La sua mano si allontanò rapidamente dal suo bacino.
Il giovane si
scostò da lei quel tanto che bastava per osservarla in viso, sbatteva le ciglia
confuso cercando di capire che cosa avesse sbagliato.
“Non così,
Derek. Non quando domani non mi potrai nemmeno salutare in corridoio.” disse
ancora lei coprendosi il seno con un braccio e scuotendo il capo.
“Angelique…”
mormorò Schatten, il suo nome parve un sospiro di dolore.
Angie si mise a
sedere sistemando alla bell’e meglio di reggiseno. Si passò una mano sul viso,
sconvolta. Sentiva la testa girare in modo prepotente, come se avesse bevuto.
“Non posso farlo
a me stessa. Io… non riuscirei a guardarmi più allo specchio.” mormorò
affondando subito dopo i denti nel labbro.
Fece per alzarsi
ma Derek le cinse con entrambe le braccia la vita e se la fece ricadere in
grembo, con il fianco contro il suo petto. Il viso del ragazzo si intrufolò
nella piega del collo dove i capelli cadevano disordinati e inspirò a fondo.
“Non te ne
andare, per favore. Resta ancora un po’.” disse stringendola più forte contro
di sé.
Di nuovo quel
senso di oppressione in tutto lo sterno, di nuovo la sensazione di essere sul
punto di spezzarsi senza mai giungere al punto di rottura definitivo, di nuovo
la vogli di piangere fino a dimenticarsi di tutto.
Non voleva più
vivere così. Non voleva.
“Perché dovrei
restare Derek? Perché dovrei prolungare questa tortura?” chiese con più durezza
di quanta avrebbe desiderato esprimersi.
“Perché sei mia.
E io, nonostante tutto, ti appartengo.” mormorò lui ancora col volto nascosto
nei suoi capelli.
“Forse è così.
Ma quel tutto, Derek… quel tutto fa
la differenza!” esclamò lei sollevandogli il capo e guardandolo negli occhi.
Erano neri come
la notte più buia, come abissi senza fondo dove annegare.
“Se non sei
disposto a scegliermi, non staremo mai insieme. Non voglio più calpestare me
stessa. Non voglio perché so che per te lo farei e poi ne pagherei il prezzo da
sola.” Angie deglutì per cercare di sciogliere il groppo di emozioni incastrate
in gola. “Scegli me, Derek. Scegli me e anche se il mondo interno ci si
rivoltasse contro, io e te saremmo insieme.”
Derek la fissò
intensamente, in un misto di disperazione e speranza, una miscela micidiale per
il respiro.
Angelique iniziò
a sperare in una minuscola parte di sé che avrebbe reagito, che quella volta
avrebbe preso la decisione che il suo cuore gli urlava, che avrebbero
finalmente avuto la possibilità di stare insieme.
“Non posso
Angie. Mio padre non me lo perdonerebbe mai…”
E qualcosa
dentro di lei si incrinò. Una parte profonda che aveva ormai seppellito, una
parte che aveva il sapore della speranza e del futuro, si era appena
frantumata.
Lo osservò un ultimo
istante. Era bellissimo con i capelli disordinati e le labbra dischiuse, bello
e disperato come un principe davanti al proprio infausto destino.
“Allora non
abbiamo più nulla da dirci.” mormorò forzando la presa di Derek sulla sua vita
e liberandosi.
Si alzò in piedi
e con rapidità dettata dalla disperazione si rivestì. Infilò le scarpe ai piedi
mentre si dirigeva verso la porta e con qualche contorsione riuscì a richiudere
il vestito.
Aveva il bisogno
impellente di andarsene da quella stanza che sapeva di menta ghiacciata e
spezie. Doveva andarsene via da lui per salvare qualcosa di sé.
Si sentiva
sospesa su un baratro. Come se al minimo movimento o pensiero sbagliato sarebbe
potuta precipitare nel vuoto. Così tramortita da quello che era appena successo
da non poterlo realizzare appieno.
Vide la sua
maschera abbandonata sul pavimento del pianerottolo e la raccolse chinandosi.
Aveva l’interno ancora umido della sue lacrime e la piuma di pavone era
rovinata.
Scese le scale
con calma, mentre i rumori della festa nel salone principale di facevano più
forti e invadenti nelle sue orecchie. Il martellare concitato delle voci e
della musica le fece venire voglia di scappare lontano, in un luogo silenzioso
e desolato, dove pagare da sola il fio delle proprie colpe.
Si diresse verso
il porticato che dava sul grande parco nel retro e lì vide una sottile figura
vestita di nero, appoggiata ad una delle colonne, che si stagliava solitaria
contro il cielo notturno.
La raggiunse in
silenzio e le si mise accanto ad osservare le immense chiome degli alberi
scosse dal vento.
“Serata intensa
Alchimista?” le domandò Lucy con la sua voce roca, osservando i suoi capelli e
il trucco sfatto.
“Leda sgancia
una sigaretta, sto per avere una crisi nervosa.” disse Angie passandosi le dita sotto le palpebre per
ripulirle dal mascara colato.
Lucy fece
scattare il fermaglio del portasigarette dorato e le porse il contenuto.
E se ne stettero
insieme, silenti e immobili, a fumare una sigaretta accesa dalla bacchetta di
Lucy e a osservare la Notte dei Morti Viventi passare sotto i loro sguardi.
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Capitolo 16 *** Cap.16 Rubami l'anima ***
cap.16 Rubami l'anima
Cap.16 Rubami
l’anima.
“All I want is nothing
more
to hear you knocking at my door”
“Ultimi tre giri di campo!” urlò Albus in testa alla
fila.
“Cinque giri fa erano gli ultimi tre!!!” agonizzò
Dominique mentre si teneva elegantemente il fianco destro con aria moribonda.
“Non sono mai stato bravo in matematica!” ribatté
Potter soffiando energicamente nel proprio fischietto e producendo un suono
lungo e acuto.
Scorpius voltò di scatto la testa, assordato da quel
fischio insopportabile. Lo odiava quell’aggeggio di cui il suo amico si era
dotato all’inizio dell’anno per scandire ogni momento dei loro allenamenti.
Il Capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde
correva fresco come una rosa accanto ad Angelique, spalla a spalla, ogni tanto
si scambiavano qualche battuta e ridacchiavano, dando il ritmo a tutto il resto
della squadra con le loro falcate.
Angie aveva la fronte imperlata di sudore e l’aria
maledettamente soddisfatta per tutta quella fatica.
Alla sua ex-ragazza era sempre piaciuto un mondo
correre fino ad avere la milza spappolata, lei sosteneva che la liberasse da
tutte le preoccupazioni.
Scorpius stava provando a seguire quella teoria
strampalata, aumentando sempre di più la velocità del passo, sentendo il cuore
che pulsava e martellava frenetico nel costato. Eppure gli sembrava che non un
centimetro della sua testa fosse stato sgomberato dai pensieri insistenti e
penetranti che lo affollavano. Aveva la netta sensazione che le immagini, che
da giorni cercava di isolare in un punto remoto del cervello, gli si
ripresentassero più vivide appena abbassava le difese, come un pungolo
costante.
Vedeva nitidi lampi di ciocche rosse intense, non il
classico rosso pel di carota, ma una tonalità più cupa, come un manto di
rubini. Un sorriso posato e un po’ provocatore, labbra piene e traslucide nelle
luci tenui della sera… E gli occhi più azzurri del mondo.
E sapeva che non avrebbe mai dovuto pensarci. Non
Rose Weasley.
Tutta la scuola, ma non la cugina preferita di
Albus. Non l’intelligentissima, dotata, ironica, bella Rose Weasley… Bella?!
Eppure, maledizione, non ci riusciva proprio, non da
quando poi si era ritrovato a spiarla al suo tavolo rosso e oro. Aveva
osservato i modi semplici e posati con cui si rapportava col mondo, i sorrisi
generosi per tutti, ogni piccolo dettaglio di qualcosa che sentiva il bisogno
di conoscere.
I muscoli si tendevano e bruciavano per lo sforzo di
continuare a correre. Rivoli di sudore gli marcavano la pelle del torace sotto
la divisa, ma Scorpius non desiderava altro che continuare a correre e provare
a cavarsi dagli occhi la figura di Rose Weasley.
***
“'Cause if I could see your face once more
I could die as a happy man I'm sure”
L’allenamento era andato benissimo, finalmente i
suoi giocatori iniziavano ad interagire come una vera squadra! I passaggi di
pluffa erano sempre più immediati e spontanei, quasi che ciascun giocatore
sapesse dove individuare l’altro senza nemmeno il bisogno di guardare il campo,
gli errori molto meno grossolani e gli schemi, che lui progettava di notte dopo
i compiti, assumevano ora i connotati di strategie e non più di paciughi sulle
scope.
Di tutto questo, lui che era il capitano, si sentiva
infinitamente orgoglioso.
Il fatto poi che Angelique e Scorpius fossero
tornati a comportarsi civilmente non faceva altro che aumentare la scia
positiva di eventi.
Al uscì dalla doccia sotto cui si era crogiolato per
fin troppo tempo e avvolse i fianchi nel telo di spugna verde, scuotendo con
una mano i capelli fradici e già ingestibili appena lavati.
Dall’altra parte degli spogliatoi si udì lo sbattere
metallico della porta segno che probabilmente Scorpius lo stava aspettando
all’esterno per andare a cena tutti insieme.
Albus uscì dal bagno pensando che lo attendeva
ancora il compito di Antiche Rune da finire. Forse anche Martha lo aveva
lasciato indietro, si disse, così lo avrebbero potuto fare insieme.
“Albus muoviti, abbiamo fame!” urlò dall’esterno
Angelique con tono ilare.
Al pensò che nell’aura ombrosa e costantemente
afflitta che circondava la sua migliore amica, sentire un tono tanto entusiasta
fosse una rarità.
Non sapeva che cosa fosse accaduto esattamente in
quei giorni, ma Angelique sembrava ancor più chiusa e triste del solito, non
riusciva più nemmeno a fingere quel tanto di serenità che di solito si sforzava
di dimostrare.
Indossò i calzoni della divisa, infilando a casaccio
le scarpe da ginnastica ai piedi, poi si gettò sul capo l’asciugamano e iniziò
a frizionare i capelli. Mentre il tessuto sfregava sulla sua cute, attutendo
notevolmente i rumori, riuscì ad udire qualche risata e un paio di esclamazioni
dall’esterno dell’edificio.
Una corrente di aria gelida gli investì improvvisamente
il torace. Albus smise di asciugarsi i capelli e sollevò il capo, lasciandosi
l’asciugamano a penzoloni sulla testa.
Martha O’Quinn stava impalata sulla soglia dello
spogliatoio maschile, gli occhi spalancati come due boccini pronti a fuggire
dalle orbita, la bocca rosea dischiusa.
Albus restò immobile, paralizzato dalla sua
presenza, con la strana sensazione di calore che si stava facendo strada in
tutto il suo petto e il suo viso.
L’asciugamano gli scivolò dalla testa e gli cadde su
una spalla scompostamente, contro la pelle infreddolita dall’aria di novembre e
i muscoli bollenti per quel torpore indistinto.
La guardò rapito un istante, indossava una corta
gonna nera che lasciava intuire la linea delle gambe longilinee e perfettamente
modellate. Il calore si fece molto più violento su tutto il viso.
Si stavano guardando l’un l’altro senza riuscire a
sbloccare quella situazione maledettamente imbarazzante, e lui proprio non
riusciva a capire perché si sentisse così visto che semplicemente non indossava
la maglietta, ma non era nulla di scandaloso…
Martha sbatté le palpebre più volte e aprì la bocca
per parlare ma non le uscì alcun suono. Poi distolse lo sguardo dal suo e si
schiarì la voce.
“Ho bussato ma non rispondevi…” disse con tono
pacato e quasi indifferente, ma i suoi occhi fuggevoli stonavano notevolmente.
“Io… I capelli…” borbottò Al mostrando
l’asciugamano.
“Oh! Ehm… Beh, siamo qui fuori tutti insieme
comunque…” e se ne uscì rapidissima sbattendo la porta.
Albus se ne restò a guardare quella porta metallica
ancora per qualche istante, cercando di interpretare lo strano senso di
insoddisfazione che gli stava divorando il petto.
Che cosa diamine era appena successo?
***
“When you said your last goodbye
I died a little bit inside
I lay in tears in bed all night
alone without you by my side”
Le sue dita affondavano nei tasti bianchi con forza
eccessiva, i polpastrelli sottoposti a quella tortura di colpi continui
sull’avorio rigido bruciavano. I tendini che si diramavano sul dorso e
all’interno dell’avambraccio dolevano per la tensione a cui tutti i muscoli
erano chiamati.
Ogni tanto qualche falange si spostava sulle note in
diesis o in bemolle, spezzando il ritmico e martellante scalare sulla tastiera,
e quando le sue dita premevano sui tasti scuri di ebano il dolore si faceva più
forte.
E lei sapeva che avrebbe subito le conseguenze di
quel pessimo modo di suonare per almeno tre giorni, ci stava mettendo troppa
energia, troppa disperazione in quel pezzo. Eppure non riusciva a
ridimensionarsi, quella pena alle mani era una catarsi.
La sua insegnante ascoltava camminando alle sue
spalle, avanti e indietro per lo spazio della stanza, come un anima in pena che
non riuscisse a sopportare di stare seduta.
Angie, nonostante fosse concentrata a non lasciarsi
sfuggire nemmeno una nota della Patetica di Beethoven, riusciva a percepire
quanto tormentato e brusco suonasse il pezzo.
Beh a dirla tutta si sentiva di star suonando da
cani, ma Miss Rachel Tools non l’aveva ancora interrotta borbottando come era
solita fare in quelle occasioni, quindi la ragazza si limitò a finire le ultime
battute.
Quando finalmente le sue dita fecero vibrare
l’ultimo accordo in do minore e scivolarono esauste dalla tastiera alle gambe,
udì i passi della sua insegnante di pianoforte interrompersi.
“Tu lo sai di esserti appena procurata una tendinite
coi fiocchi?!” la voce di Miss Rachel la colpì per la durezza e
contemporaneamente la perplessità del tono.
Angelique Dursley sospirò pesantemente osservando il
coperchio della cassa armonica, nero e lucentissimo, sollevato soltanto da un
esile sostegno. Certo che lo sapeva, ma non le importava un fico secco della
tendinite in quel momento.
“Allora, Angelique, spiegami per quale motivo hai
massacrato il pianoforte in quel modo.” continuò la donna posizionandosi davanti a
lei.
Angie alzò lo sguardo e fu intercettata
immediatamente da un paio di occhi castani che la scrutavano incuriositi, ma
senza la minima traccia di ostilità.
La bionda si strinse nelle spalle giocherellando col
ciuffo finale della treccia, che lasciava liberi alcuni riccioli.
“Io… Sentivo il bisogno di suonare così.” mormorò
sulla difensiva.
“Mmm…” mugugnò la donna passandosi l’indice sul
labbro superiore. “Era troppo nervoso. Tutto il pezzo dava un senso di angoscia
e tensione crescente, il che va bene finché parliamo della Patetica, ma non
puoi assolutamente pensare di poter suonare così tutto ciò che ti capita a
tiro… Credo che dovremmo staccarci un po’ da Beethoven.”
Angie aggrottò la fronte contrariata e fece per
ribattere che non ne aveva alcuna intenzione, ma una risata divertita della sua
insegnate la bloccò.
“Angelique non puoi suonare solo Beethoven! Fammi
pensare…” Miss Rachel si mise ad armeggiare con alcuni cassetti della sua
scrivania e dopo qualche istante ne estrasse vittoriosa un volume abbastanza
sottile.
Le si avvicinò con un vago ghigno sul viso maturo,
solcato dalle prime rughe dell’età, e le posizionò lo spartito sul leggio.
Davanti ai suoi occhi comparve uno degli spartiti
più incasinati che Angie avesse mai visto. Era così fitto e complicato che a
stento riusciva a leggere le note. E un sospetto terribile si fece strada nella
sua consapevolezza.
Le mani affusolate ed elegantissime della sua
insegnate di pianoforte si posarono sulle sue spalle e la donna si chinò
accanto a lei.
“Angelique Dursley ti presento gli studi di Chopin.”*
Un piccolo gemito uscì dalle sue labbra quando le
sue paure furono confermate. Lei detestava Chopin, maledizione!
Mezzora e un pacco di depressione sotto braccio più
tardi, Angelique uscì dall’aula dell’Ala Sud dove si trovava l’Accademia Orfeo.
Si stropicciò gli occhi stanca e dolorante, incurante dell’ombretto grigio e
del mascara che aveva messo quella mattina.
Una sagoma si delineò nella sua retina nonostante la
visuale sbiadita e acquosa, mettendo a fuoco meglio dopo qualche istante la
bionda non riuscì a credere ai propri occhi.
L’aspettava davanti alla porta un ragazzo alto,
dalle spalle ampie e muscolose, con ridicoli capelli neri spettinati e
arruffati, le cui estremità tendevano ad arricciarsi appena.
Angelique spalancò la bocca e, più che parlare,
ruggì:
“TU!”
“Ciao Gigì.” disse lui abbozzando un sorriso con un
lato della bocca.
Jessy la osservava con un espressione insolitamente
timida e incerta, gli occhi castani affrontavano il suo sguardo
tranquillamente, senza sottrarsi alla rabbia che sapevano entrambi sarebbe
arrivata non appena Angie si fosse ripresa dallo shock.
Angelique strinse più forte tra le dita indolenzite gli
studi di Chopin e la carta premette sulla sua pelle fino a causarle una piccola
fitta acuta.
Le serviva, era necessario per riuscire a
riprendersi dalla valanga sotto cui la sua razionalità giaceva tramortita.
La cattiveria delle sue parole ai Tre Manici di
Scopa, lo sguardo spietato e dolorosamente accusatorio che le aveva rivolto, la
presa ferrea sul suo mento quando l’aveva costretta a guardarlo dritto in
faccia mentre le vomitava addosso il suo disprezzo, la sua incomprensibile
delicatezza nel curarla quando non riusciva a stare in piedi per il dolore…
Derek, quella notte di amore abortito, quell’innominabile gioia di sentirlo su
di sé, quell’inconfessabile pulsione a distruggersi pur di poter avere qualcosa
che le appartenesse di lui e poi la consapevolezza che sarebbe solo stata
l’ennesima cosa che Derek avrebbe preso a lei senza lasciarle nulla.
E quel vuoto che sentiva dentro da quando non lo
vedeva più, che si era riempito per pochi minuti mentre lo stringeva tra le
braccia, ma che ora era ancor più insopportabile. Quella mancanza costante di
qualcosa per cui respirare, per cui smettere di riempire la sua vita di altri
futili tentativi di felicità.
Quanto poteva perdere di sé una persona prima di
restarci secca? Quanto lontano da tutto ciò che era sempre stata poteva andare
prima di non trovare più la strada per tornare a casa?
Non riusciva a rispondersi ma vedere Jessy davanti a
lei fece ribollire una rabbia che cercava di reprimere da troppo tempo, che non
era esclusivamente legata al loro episodio al bar, ma a tutta la situazione in
generale.
La sentì come un’onda bollente riversarsi nelle vene
e irrorare ogni cellula, spezzando l’apatia e la forzata freddezza che si
imponeva ogni volta.
“Ehi Gigì, io volevo…”
“STUPEFICIUM!”
Bang! Il corpo di Jessy Potter prima sbatté contro
la prete di pietra a cui si era appoggiato, e poi si afflosciò come un burattino
a cui avesse reciso i fili.
Oh cavolo, lo aveva schiantato!
Angie guardò la propria mano destra un po’ stranita.
Stretta tra le nocche ormai pallide per la forza con cui la trattenevano, la
sua bacchetta fremeva per avere più rabbia e più distruzione da liberare. Il
canale del suo potere aveva preso il sopravvento sulle sue intenzioni, cosa che
succedeva raramente da quando il Professor Dawlish l’aveva avvertita che le
Corde di Cuore di Drago contenute nella sua bacchetta di ciliegio si sentivano
“intrappolate” dalla rigidità del legno.
Angie prese un respiro profondo e si avvicinò al
ragazzo tramortito per terra. Presa da uno spirto ignoto, si accucciò sui
talloni e osservò la sua vittima.
Aveva ancora la bocca dischiusa nel suo tentativo di
scuse o chissà che altro, le palpebre distese sopra gli occhi erano rilassate e
sul suo viso non c’era traccia delle solite espressioni da Jessy.
Le dita di Angelique si allungarono per scostare una
ciocca nera dal volto del ragazzo e riportarla indietro insieme al nido di
vespe che di trovava sul suo capo. Mentre la sua mano tornava indietro sfiorò
la pelle della guancia di James e vi indugiò per un istante di troppo.
Era calda e leggermente ispida per la barba che
stava crescendo. Angie ritrasse immediatamente la mano, turbata dal suo stesso
gesto.
La ragazza pensò che forse schiantarlo prima ancora
di sentirlo parlare non era stato un atto propriamente educato, considerato
come lui l’avesse soccorsa nel momento del bisogno. Però la ferita
sufficientemente recente da bruciare ancora le imponeva di esigere una piccola
vendetta.
Così la giovane si alzò con un movimento agile e
attraversò il corridoio col passo spedito che le era proprio, diretta verso lo
sformato di verdure che la attendeva a cena, incurante del destino di Jessy
Potter svenuto in un corridoio dell’Ala Sud.
***
“But If you loved me
Why did you leave me?”
“Fammi capire… Quale parte di Non cedere in alcun modo, non ti era chiara?” chiese Rose
allargando le braccia esterrefatta.
“Credo il concetto in sé! Insomma tu non hai idea di
come ti guardi quel bastardo… Sembra di avere tutti i muscoli di pasta frolla!!!”
ribatté Lucy stringendosi nelle spalle.
“Leda, io questo proprio non me lo sarei aspettata
da te.” mormorò Lily passandosi una mano nei capelli con aria esterrefatta.
Lucy si voltò verso di lei con aria colpevole e un
terribile senso di oppressione al petto. Dio, si sentiva così male per averle
mentito tutto quel tempo, aveva tradito la fiducia della persona più importante
della sua vita per un paio di baci! Che baci però…
“Lily mi dispiace così tanto… Volevo solo
proteggervi tutte! Non credevo che mi avrebbe trascinata in questo casino!”
disse e subito le iridi dolci e perplesse della cugina si piantarono nelle sue.
“Che cavolo dici Leda?! Io parlavo del fatto che ti
sei lasciata trattare da quello là come una bambola di pezza! Insomma tira
fuori un po’ della femmina tosta che conosco io!” esclamò Lily saltando in
piedi e avvicinandosi a Lucy, per poi sedersi sul bracciolo della sua poltrona.
Immediatamente un tenue sorriso si dipinse sul volto di Leda. “Non può andargli
sempre bene, solo perché è maledettamente figo!” continuò la più piccola
corrugando la fronte.
“A noi bellissimi la vita sorride sempre.” commentò
Dominique senza staccare gli occhi dalle unghie dei suoi piedi, su cui stava
stendendo uno smalto viola scurissimo, abbinato a quello delle mani.
“Sì, grazie per il tuo contributo Dom! Comunque…
Dimmi che per lo meno non sei andata a prendere quello stupido mantello che ci
ha inguaiate tutte!” disse Rose iniziando a camminare avanti e indietro per la
piccola soffitta del Quartier Generale delle Menadi.
Lucy affondò i denti nel labbro inferiore e sorrise
cautamente a Rose, sbattendo le ciglia con fare innocente.
“NON CI POSSO CREDERE! Sei andata pure da lui! Ma
insomma, a che cavolo serve che io passi le notti a pianificare le nostre
strategie se poi nessuno mi dà retta!” urlò quasi la rossa piantandosi le mani
sui fianchi e guardando le altre quattro con aria furiosa.
“Io veramente non avevo ricevuto alcuna direttiva. E
comunque sarei stata inutile…” mormorò in tono un po’ lugubre Angelique, intenta
a imbottigliare un intruglio in grado di migliorare la memoria in modo
straordinario per sole 24 ore.
“Tu no, ma loro due sì!” esclamò indicando Dominique
e Lily. “Vi avevo chiesto non lasciarla andare via dal salone.”
“Io ero impegnata. Stavo controllando che non
fossero finiti gli stuzzichini.” rispose Dom facendo le spallucce.
“Io stavo organizzando il braccio di ferro!” ribatté
Lily.
“Comunque l’ho fatto solo perché quel mantello mi
serviva…” mentì Lucy accendendosi una sigaretta e lanciando l’accendino
all’Alchimista che si era appena rollata la propria.
“Ma fammi il piacere Lucy, abbiamo i pinguini in
cortile e a te serve il mantello estivo?!”
Lucy alzò gli occhi al cielo esasperata. Niente da
fare, quando Rose Weasley si metteva in testa di avere ragione non riusciva a
smuoverla nemmeno un gigante.
Avrebbe voluto spiegarle esattamente quanto fosse
stato meraviglioso farsi ridare il mantello da Benji Allucemonco qualche sera
prima, ma qualcosa in lei urlava di non dirlo a nessuno, perché forse se avesse
parlato ad alta voce tutto quello sarebbe svanito.
“Quindi che si fa ora?” chiese Lily iniziando a
rosicchiare l’unghia del pollice. “Voglio dire, lui sa chi è Lucy, se è un
tantino sveglio non ci impiegherà molto a capire i nomi di tutte noi. E a quel
punto che farà? Ci denuncerà alla McGranitt? Chiamerà il Ministero? Ci chiederà
dei soldi?” e quell’ultima ipotesi sembrò terrorizzarla mille volte di più del
fatto di essere espulsa o di finire ad Azkaban.
“No, non succederà nulla di tutto questo.” disse
perentoria Lucy.
Le altre quattro si voltarono verso di lei per
ascoltarla.
“Benjamin Richardson non ci ricatterà in alcun modo.
E soprattutto non gli permetterò di scoprire i vostri nomi… Anche se sono
abbastanza sicura che non indagherà oltre.”
“Non mi fido, Lucy. Non mi fido proprio per nulla di
questo Allucemonco.” borbottò Rose guardandola dritta negli occhi.
“Capisco, ma forse dovreste avere fiducia in me per
una volta.”
“Io mi fido ciecamente di te, Leda! Ma non fido per
un cazzo dei tuoi ormoni.” rispose Lily mettendole una mano sulla spalla e
guardandola con aria comprensiva.
“Lily!” la riprese immediatamente Angelique, ma la
Potter si limitò a roteare gli occhi con fare teatrale.
“Oh adesso basta! BASTA!” urlò Dominique ergendosi
in tutto il suo magnifico aspetto taroccato dai tacchi neri vertiginosi.
“Secondo voi perché non siamo ancora state arrestate?! Ve lo spiego io: perché
Benji Allucemonco insieme all’alluce ha perso anche la testa, per la nostra
Lucy!” e indicò con un palmo aperto la ragazza, sulle cui gote si sparse un
rossore intenso. “E se è cotto almeno la metà di quanto lo è questa qui, non
dobbiamo decisamente preoccuparci della nostra sorte. Piuttosto dovremmo
pensare a ordinare via gufo una scorta abbondante di preservativi.”
“Dominique…” pigolò Lucy nascondendo il viso tra le
mani.
“Che c’è? Bisogna sempre fare sesso sicuro! Anche se
non rimani incinta magari ti viene un herpes, e, Benedetto Salazard, è
terribilmente antiestetico avere la personalità
ridotta a quel modo!”
Dominique concluse il suo intervento scostando
energicamente una ciocca chiarissima dietro le spalle e raddrizzando la propria
postura, il tutto avvolta da un silenzio tombale.
Poi inaspettatamente si udì una risatina. Angelique
aveva entrambe le mani sulla bocca per evitare di ridere in un frangente tanto
delicato della diplomazia delle Menadi, ma era più forte di lei, quella risata
le premeva in gola con l’urgenza di uno starnuto e proprio non ce la faceva.
Quando incontrò gli occhi celesti di Dominique la
lasciò fluire, e scoppiò a ridere fragorosamente. In breve anche tutte le altre
si ritrovarono a sghignazzare.
Persino Lucy che pensava a quanto un gufo potesse
viaggiare veloce, visto che avrebbe rivisto Benji la sera seguente. Quello però
alle Menadi non voleva dirlo.
***
“‘Cause you brought out the best of me
a part of me I'd never seen”
Quando si era risvegliato per il misericordioso
intervento dell’insegnate di violino della scuola, James aveva pensato che
fosse il minimo aspettarsi di venire schiantato non appena avesse aperto bocca.
Quindi doveva necessariamente passare alla tattica
che Dominique gli aveva consigliato.
Erano tutti riuniti nella Sala della Memoria per il
consueto sabato in famiglia e Angelique se ne stava da sola davanti alla grande
statua di marmo raffigurante la fenice.
Sfoderò la bacchetta e la impugnò pronto ad usarla.
“Angelique.” la chiamò e osservò la chioma di ricci
sparsi su tutta la schiena turbinare nell’aria mentre lei si voltava verso di
lui.
L’espressione con cui lo inquadrò immediatamente
avrebbe indotto qualsiasi persona sana di mente a desistere, ma James non si
scoraggiò.
Vide la ragazza chiudere la mano destra a pugno,
pronta a liberare la sua bacchetta, e agì.
“Expelliarmus.” pensò intensamente e dalla manica
dell’abito della Serpeverde schizzò via all’istante il legno affusolato e rossiccio.
James la prese al volo ricominciando a camminare
verso Angelique.
Sul suo viso regnava ora un espressione mista di
stupore e di oltraggio per essere stata disarmata con tanta facilità. Se solo
lei avesse saputo che lui era il miglior duellante del suo anno, forse si
sarebbe sentita meno indignata, ma pazienza dovevano parlare di tutt’altro.
Gli occhi verdi lo stavano trafiggendo con una
determinazione che lo fece vacillare per un istante. In essi si celava una tale
rabbia e ostilità che James si chiese seriamente se il “piano” avrebbe mai funzionato.
“Che vuoi Potter? Desideri delucidazioni riguardo
alle mie tariffe?” gli chiese incrociando le braccia sotto il seno.
Lei pensava che lui la considerasse una… Non
riusciva nemmeno a pronunciare quella parola associandola al suo viso delicato,
straziato dalla rabbia.
Prese un lungo respiro guardandola dritta negli
occhi. Era un fascio di nervi davanti a quella creatura così ostile e
battagliera.
“Io ti devo fare le mie scuse Angelique.”
“Mi ci pulisco il cu…” ribatté immediatamente lei
aggressiva ma James la interruppe.
“Lasciami parlare per favore! Mi dispiace davvero
per quello che ti ho detto quel giorno. Ero fuori di me e non so veramente che
cosa mi sia preso. Derek mi ha spiegato come stavano le cose tra di voi e mi
sono sentito un tale idiota! Ma prima, quando ho capito di te e lui e ho
frainteso tutto, mi è venuto in mente il modo in cui tratta tutte le altre con
cui tradisce Celia e mi sono arrabbiato, perché non te le meriti! Nessuna
ragazza se lo meriterebbe…”
“E quelle che ti porti a letto tu, invece? Quelle se
lo meritano di essere trattate come stracci e poi essere scartate con due
paroline di cortesia?!” si infiammò immediatamente lei avvicinandosi di più per
fronteggiarlo.
“Gigì, di chi stai parlando?” chiese mentre un
sorriso gli arricciava gli angoli della bocca.
La Dursley parve spiazzata un momento, poi tornò ad
osservarlo torva con la fronte corrugata.
“Beh… Di tutte quelle che… Oh diamine lo sai!”
“Posso garantirti che il mio atteggiamento in alcuni
frangenti si discosta abbastanza marcatamente da quello di Derek.” ribatté lui
determinato e Angelique alzò gli occhi per fissarli nei suoi.
James non seppe che cosa vi lesse ma vide la sua
espressione distendersi e farsi più perplessa, come se avesse davanti un’altra
persona…
Era un inizio.
“E per farti capire che le mie scuse sono sincere,
ti offro il mio aiuto. Con Derek, intendo!”
Il sopracciglio destro della ragazza scattò in alto
così rapidamente che James lo osservò stupito, poi vide su tutto il viso di lei
un’espressione sardonica e beffarda che lo demolì un tantino.
“E come intenderesti aiutarmi Jessy?!”
James si schiarì la voce e prese un respiro più
profondo del dovuto. Lo stava per fare, oh Godric, lo stava per fare davvero!
“Ho intenzione di spiegarti il mio piano domani, ad
Hogsmeade, se accetti di venire a prendere una Burrobirra con me, come segno di
pace tra noi.” disse con tono leggero e scanzonato, ma il cuore sembrava che
stesse per spezzare le costole tanto batteva furiosamente.
Questa volta furono entrambe le sopracciglia ad
inarcarsi, mentre Angelique lo osservava incredula.
Ci fu una fase di stasi tra loro, pervasa dal
silenzio; al ragazzo sembrò persino che i quadri attorno a loro stessero
vociando meno del solito.
Ti
prego, fa che non rida… pensò il giovane Potter.
E stranamente lei non rise, ma aggrottò la fronte e
strinse le labbra in posa meditabonda.
“E sentiamo, Jessy, per quale motivo non puoi
spiegarmi ora come intendi aiutarmi?” chiese sospettosa osservandolo da capo a
piedi.
Uno meraviglioso senso di leggerezza si impossessò
di lui e dovette reprimere la voglia di saltellare sul posto.
“Perché il vederci domani ai Tre Manici di Scopa fa
già parte del mio piano.” trillò vittorioso.
Angelique continuava a tenere le braccia serrate
sotto il seno e lo osservava con uno sguardo così analitico che James si stupì
di non essere stato ancora vivisezionato. La mano destra della ragazza accorse
al suo labbro inferiore e iniziò a pizzicare febbrilmente la pelle e il suo sguardo
si spostò verso il pavimento.
Fu con eccitazione quasi incontenibile che si rese
conto che lei ci stava pensando seriamente.
Poi Gigì abbandonò la tortura del suo labbro e
chiuse gli occhi per un lunghissimo secondo.
A James parve di scorgere sul suo viso i segni di un
dolore rinnegato, con le palpebre più scure rispetto all’incarnato niveo, le
espressioni artefatte che rivolgeva a tutto il mondo per mentire. Ma non a lui,
a lui riservava le pochissime emozioni autentiche che riusciva a provare, e
questa consapevolezza era fondamentale per lui. Non importava che fossero
rabbia e ostilità, da esse potevano nascere un’infinità di altre se solo lei
avesse accettato…
“Jessy, giuro sui Quattro Fondatori che se domani ne
combini una delle tue, non ti darò più pace fino al giorno del tuo diploma. Ti
farò rimpiangere ogni giorno, ogni ora, ogni singolo minuto di avermi
incontrata sulla tua strada.” disse per poi aprire gli occhi e piantarli nei
suoi. “Renderò la tua esistenza un Inferno.”
Sulle labbra di James stava già per aprirsi il più
grande sorriso che il suo viso avrebbe potuto sopportare prima dello stiramento
muscolare, quando vide che cosa lei aveva cercato di nascondergli quando teneva
gli occhi chiusi.
C’era tanto dolore in quel verde meraviglioso che James
si sentì male. C’era tutta la sofferenza di Angelique, tradita nei suoi sogni e
nelle sue speranze, che deponeva le armi davanti a lui per quel tempo
infinitesimale e gli lasciava scorgere che cosa provava. C’era la vera
Angelique davanti a lui.
Lei non gli mentiva mai, non ne aveva bisogno. Anche
il suo disprezzo era autentico.
Così si limitò ad annuire, mentre osservava la
vastità del suo dolore scivolarle via dallo sguardo mentre si preparava ad
indossare nuovamente la maschera.
Udì i passi di Lily prima ancora di vedere la sua
figura spuntare alla sua destra e prenderli entrambi sottobraccio.
“Che sono quei musi lunghi?! Avanti, vi ricordate
che cosa diceva sempre Roxanne?” disse la sua sorellina scuotendoli
leggermente.
“Che ai Sabato della Memoria non si litiga.” recitò
con tono annoiato Gigì anche se una piccola scintilla le aveva riscaldato il
viso a sentir nominare la sua mentore.
“Esatto! Andiamo a fare la merenda!” esultò Lily
trascinandoli quasi sulla coperta scozzese dove Lucy aveva imbandito un
notevole assortimento di cibo e bevande.
Quando si sedette non dall’altro capo del cerchio
rispetto ad Gigì, come succedeva spesso, ma a un paio di posti di distanza,
James quasi scoppiò a ridere.
Angelique Joy Girard Dursley aveva accettato di
prendere una Burrobirra con lui ad Hogsmeade.
***
“Take my body
all I want is
all I need is
to find somebody…”
Quando un paio di ore dopo Angelique tornò nel
Dormitorio di Serpeverde vide che da sotto la porta si estendeva un alone
luminoso. Osservò per un istante l’immagine di Antares che Elena aveva dipinto
al loro primo anno. Era ancora splendido e vivido grazie all’incantesimo che vi
avevano applicato in modo che nessuno potesse cancellare quell’opera.
Angie aprì la porta e sgusciò con un sospiro di
sollievo all’interno della stanza.
E la prima cosa che i suoi occhi incontrarono fu la
strana immagine di Martha ed Elena sedute sul suo letto, la prima intenta a
osservare il vuoto con la mano attorno ad una guancia e il gomito puntellato
sulla coscia, la seconda con un braccio attorno alle spalle del Prefetto
O’Quinn.
Entrambe con una strana espressione dipinta sul
viso. Quasi sconsolata…
“Che succede?” chiese Angie attraversando la stanza.
Martha sollevò i suoi grandi occhi color cioccolato
su di lei.
“Ho lasciato Owen.” disse la O’Quinn senza alcuna
particolare inflessione della voce.
“Oh… Ehm, mi dispiace?” domandò Angie perplessa
arricciando le labbra, non aveva idea se dovesse sentirsi dispiaciuta o
sollevata.
Martha fece un gesto con la mano che significava di
saltare i convenevoli.
“Come mai? Cioè, lo so come mai… Ma perché proprio
ora?” chiese la bionda sedendosi accanto a Martha.
“Ho visto Albus mezzo nudo.” rispose atona l’altra biascicando
un po’ le parole.
“Ah.”
“Eh già.” commentò Ele annuendo in modo comprensivo.
“Ed è una cosa irreversibile?” chiese Angelique ancora.
“Se sapessi le cose che ho pensato vedendolo così
non me lo chiederesti, fidati.” rispose Martha.
“Ah”
“Eh già” rincarò Nana dando qualche pacca delicata
sulla spalla della rossa.
“Credi… Credi che riuscirai a farti avanti con
Albus?”
“No, decisamente no.” sospirò Martha stancamente
perdendo il proprio sguardo nel vuoto davanti a sé.
“Ah.”
“Eh già.”
Seguì un lungo silenzio carico di riflessioni per
tutte e tre. Poi Angelique infastidita da quella prolungata pausa parlò,
osservando il baldacchino di Elena che in un punto recava ancora i segni della
riparazione di quando aveva fatto entrare il cucciolo di Snaso in camera.
“Credo di aver accettato di uscire con Potter un
paio di ore fa, ma non ne sono molto sicura.”
“Ommioddio!” urlò Elena iniziando a saltellare sul
suo letto in preda all’emozione. “Stai scherzando?”
“No, sono deplorevolmente seria. Non è un
appuntamento… Dovrei prendere dei cereali secondo voi?” ribatté Angie smorzando
subito l’entusiasmo di Elena.
“Perché dovresti prendere i cereali scusa?” chiese
Martha uscendo dal suo stato catalettico.
“Beh perché se ordino i cereali si capisce subito
che non è un appuntamento, se mai ci fossero dei dubbi!”
“Può essere un appuntamento anche se ordini un
lassativo in tazza grande Angelique.” borbottò Nana contrariata scuotendo il
caschetto verdissimo.
Angie e Marta si voltarono stupite verso di lei,
Elena strabuzzò leggermente gli occhi.
“Ce la vedete Madama Rosmerta a distribuire
lassativi babbani nel suo locale?!” chiese mentre le sue labbra si sollevavano
già in un sorriso.
“Proprio no!” esclamò Martha prima di cominciare a
ridere.
Nana e Angie si unirono immediatamente dopo e in
breve si ritrovarono a rotolarsi tra le lenzuola, scaldate dall’insostituibile
umorismo di Elena Zabini.
***
“You took my soul wiped it clean
Our love was made for movie screens”
Per la seconda volta in una settimana si ritrovava
davanti alla stessa porta con lo stesso sorriso idiota stampato in faccia e
soprattutto con la stessa, intollerabile, sensazione delle farfalle nello
stomaco.
Lucy si passò una mano sul viso cercando di far
sparire l’espressione ebete che vi albergava, ma quella rimase impressa nei
suoi occhi e nelle sue gote tese verso l’alto, che poteva vedere nel riflesso
del vetro sporco della finestrella accanto alla porta.
Era veramente spacciata se solo all’idea di entrare
in quello sciocco locale e andare a salutare quello stupido, inutile, arrogante
uomo che aveva il proprio studio al piano superiore la faceva sentire così… felice.
Merlino era proprio fregata!
E tra l’altro non riusciva a sentire nemmeno un
minimo di freddo, nonostante il vento pungente e ghiacciato che soffiava
ininterrottamente quel sabato notte, come se tutti i recettori sensoriali
fossero andati in corto circuito al pensiero di che cosa l’attendeva, se solo
avesse aperto quella porta…
Pelle
brunita e rovente, labbra modellate e morbide in totale contrasto con la linea
dura della mascella, un naso leggermente storto come se non fosse stato
aggiustato bene.
Braccia in grado di contenerla tutta anche due volte, muscoli solidi a cui
sostenersi quando il languore faceva cedere i propri, occhi da cui sentirsi
esplorata, studiata, trafitta…
Eppure non voleva decidersi ad abbassare la maniglia
che la invitava ipnotica, perché il tarlo maligno del dubbio non l’abbandonava.
Come era possibile che una cosa del genere stesse
accadendo a lei? Lucy Catherine Weasley, l’inesperta, indesiderabile,
invisibile, inetta… E poi con la I non gliene venivano più di aggettivi, ma
avrebbe potuto trovarne centinaia di altri per descrivere ciò che era sempre
stata.
Quale improbabile motivo spingeva Benjamin a
guardarla in quel modo e a baciarla in quel modo?
Che avessero ragione le Menadi e lui avesse
architettato tutto per ricattarle?
No, questo non era possibile. Non poteva credere che
lui fosse in grado di mentirle così quando le sue mani la sfioravano quasi con
reverenza. Non voleva crederci.
Aprì la porta sul retro della Taverna delle
Lucciole, locale malfamato e dal dubbio igiene nella parte vecchia di
Hogsmeade, e si introdusse all’interno tenendo il cappuccio del mantello ben
calato sul viso.
Una piacevole aria calda e aromatizzata di birra
artigianale le avvolse il viso e le mani intirizzite dal freddo autunnale. Si
ritrovò nel minuscolo antro che precedeva la rampa di scale di legno, piccola e
stretta e da cui si vedeva uno scorcio del locale.
La ragazza si sporse appena oltre per analizzare
meglio la sala, pur restando celata dall’ombra, e si addossò al piccolo arco
che separava i sue ambienti.
I suoi occhi si alzarono speranzosi in cerca della
figura ormai nota ma ciò che videro fu solo il folto gruppo dei suoi uomini,
che vociavano allegri e brindavano in compagnia di alcune donne eccessivamente
truccate e troppo poco vestite. Li aveva intravisti alla festa e poi qualche
sera prima, quindi aveva una vaga idea dei loro volti. Tuttavia in quelle testa
nessuna spiccava per la bellezza dei tratti o per il colore della pelle,
nessuna traccia di Benji, né delle sue fossette…
Stava già pensando di riguadagnare la porta, colta
da una delusione istantanea e fulminea, quando una mano si intrecciò alla sua
nell’ombra di quell’antro.
“Alla buonora, Ragazzina.” mormorò Benjamin in tono
così basso e vibrante che Lucy socchiuse gli occhi per un istante.
Poi voltò lentamente il viso indietro, con ancora
l’ingombro del cappuccio nella visuale, ma comunque i suoi occhi seppero dove
trovare quelli dorati e pieni di picchiettature marroni dell’uomo.
“Avevo da fare, Richardson.” rispose mantenendo un
tono serio e cercando di non pensare alla piccola gara che Hugo e Tristan
avevano ingaggiato, per chi riusciva a infilarsi in bocca più patatine al
formaggio senza soffocare.
Ma, ehi, gli impegni in famiglia erano sacri, anche
se dopo toccava correre come un antilope braccata tra un passaggio segreto e
l’altro, per le vie pullulanti di criminalità, nel cuore della notte per
incontrare quello che la criminalità la gestiva.
A Percy sarebbe venuto un infarto il giorno in cui
gli avesse parlato…
“è così divertente avermi lasciato ad aspettarti
tutto questo tempo?” le chiese l’uomo improvvisamente molto più vicino.
Lucy sbatté un paio di volte le palpebre e si rese
conto di essere stata intrappolata tra il muro e le braccia dell’uomo. A quella
distanza non solo riusciva a sentire persino l’odore di bucato della camicia
bianca che lui indossava, ma ogni dettaglio del suo viso le si imprimeva con
violenza nella retina, spaesandola.
Come quella minuscola cicatrice sopra il labbro che
non sarebbe mai stata visibile altrimenti, o quel sottilissimo e piccolo
orecchino al lobo destro, così piratesco, il pomo d’Adamo che faceva tendere i
tendini e la pelle…
“No.” mormorò con voce dolce che mai si sarebbe
aspettata di avere. “Mi dispiace che tu mi abbia aspettata.”
La ragazza vide una luce nuova accendersi negli
occhi di oro liquido di Benji. Tutto d’un tratto da indagatori e duri si erano
trasformati in due pozze languide e calde tanto da farle bruciare le mani per
il desiderio di prendergli il volto e baciarlo lì, in mezzo al suo locale
putrido e malfamato, a pochi metri dai suoi uomini.
E lui parve leggerle in viso quella pulsione
irresistibile a continuare da dove si erano interrotti poche sere prima, perché
con uno slancio rapido si allontanò da lei e, sempre tendendo le proprie dita
serrate sulle sue, iniziò a salire tanto velocemente le scale che le parve che
corresse.
Mentre arrancava dietro le sue lunghe falcate, Lucy
sentì una sensazione meravigliosa diffondersi in tutto il corpo, sentiva di
essere tanto leggera da poter galleggiare in aria senza sforzo, di avere perso
il controllo sulle proprie membra e al contempo non era mai stata così
consapevole di ogni parte infinitesimale di sé.
Si stava innamorando e quello era un guaio davvero
serio.
***
“Take my body
Take my body
All I want is
All I need is…”
Le mani della Ragazzina erano tanto magre che mentre
le stringeva riusciva a sentire il profilo delle ossa.
Benji si diresse verso l’ultima porta in fondo al
corridoio del piano superiore della Taverna delle Lucciole, impaziente di avere
tra le braccia quella creatura insolente.
A metà del corridoio però sentì Lucy trattenerlo e
si voltò per capire che cosa non andasse
“Che cosa c’è dentro queste porte?” gli chiese
indicando con un cenno del mento le sette camere che si aprivano sul
pianerottolo.
Aveva un atteggiamento diverso dal solito, educato,
a tratti ritroso persino…
“Camere da letto.” rispose avvicinandosi quel tanto
che bastava per avere le sue labbra a pochi centimetri dalle proprie.
Lucy gli rivolse un strano sguardo da sotto le
ciglia fulve, e Benji ebbe la netta sensazione che in essi si stesse agitando
una sorta di inquietudine silente. Intuì quindi che lei aveva inteso stanze di
piacere dove clienti e prostitute consumavano le loro ore di lussuria.
“Fossi in te Ragazzina non aprirei quella.” le disse
sorridendo e indicandole la porta alla loro sinistra. “Il Larva ha la tendenza
a spargere le proprie mutande per tutta la stanza e Oswald produce i calzini
più puzzolenti della Terra.”
Lucy alzò immediatamente gli occhi e incontrò i
suoi, pronti a analizzare ogni più piccola sfumatura che prendeva vita nelle
iridi scure. Un piccolo sorriso a metà tra la sollievo e l’imbarazzo si fece
largo sulle sue labbra sottili della giovane.
“E c’è anche la tua qui?” gli chiese abbassando per
un istante lo sguardo e stringendo impercettibilmente di più la presa sulla sua
mano.
Quelle parole gli si rimbombarono nel cervello per
qualche istante prima che lui riuscisse a metabolizzarle davvero. E quando
avvenne si ritrovò a sentire il proprio cuore aumentare i battiti.
“Ragazzina…” sospirò con un tono che sapeva
avvertimento.
“Non sono una ragazzina.” ribatté Lucy duramente,
facendosi ancor più vicina e sfiorando col suo respiro le labbra dell’uomo.
Come se non fosse stato sufficientemente difficile
controllarsi per non prenderla in braccio e farla sua nella prima stanza libera
per tutta la notte e il giorno dopo, finché non avessero avuto più forza anche
solo per scambiarsi un bacio. Quanto la desiderava in quell’istante, con gli
occhi pieni di fuoco e di le guance pallide per l’emozione… Era così sua.
Eppure si schiarì la voce e si impose di dire quello
che era giusto, non quello che desiderava.
“Forse no, ma io voglio fare le cose con calma. Non
abbiamo alcuna fretta.” rispose scostandole il ciuffo dal viso per sistemarlo
dietro all’orecchio, il tutto accarezzandole volutamente la guancia.
“Sono d’accordo, però la tua scrivania non è il
massimo della comodità.” ammiccò lei con un piccolo sorriso malizioso e nella
mente di Benji si ricreò con straordinaria fedeltà e ricchezza di dettagli la
schiena nuda di Lucy. Un potente afflusso di sangue gli abbandonò il cervello
per dirigersi molto più a Sud.
“Lucy, tu mi farai diventare matto.” disse con tono
duro, osservandola quasi arrabbiato, per poi voltarsi con uno scatto.
Se la trascinò dietro senza tante cerimonie fino
alla porta a destra di quella del suo ufficio ed estrasse la bacchetta dalla
tasca della giacca. Posò il legno contro il pomo dorato e immediatamente la
serratura scattò, dischiudendo l’uscio.
Benji si fece da parte lasciando passare prima la
Ragazzina e non appena lei fu entrata si richiuse la porta alle spalle.
Lei indossava ancora il mantello scuro con cui
l’aveva sorpresa a spiare la sala, che delineava le spalle esili ma dritte e
fiere nella postura classica un po’ spavalda. Vide la testolina rossa guardarsi
attorno incuriosita e restare affascinata dal quadro sopra il camino.
Benji si voltò a osservare il proprio Monet e
sorrise ripensando a quando lo aveva acquistato coi primi proventi delle sue
attività ad Hogsmeade ad un asta illegale di manufatti babbani.
“è meraviglioso…” mormorò Lucy persa nella contemplazione
dei colori vivaci e dei fiori appena sbocciati.
E Benji non resistette più. Con un paio di passi
colmò la distanza tra loro e prese il viso di Lucy tra le mani.
Spense il piccolo moto di stupore insorto sulle sue
labbra con un bacio. Le dischiuse quasi a forza, ma non ci fu alcun bisogno
perché trovo la bocca di Lucy già pronta ad accogliere la sua con
un’arrendevolezza che aveva del diabolico. Perché nonostante non si arrendesse
mai a lasciargli l’ultima parola appena lui la sfiorava sembrava che non
esistesse più alcun motivo per lottare. Cedeva a lui senza avere nemmeno
bisogno di convincerla a farlo, senza forzare nemmeno per idea le sue
convinzioni.
Lucy posò una mano sul suo collo in una carezza
urgente e lo attrasse più vicino, introducendo maggiormente la propria lingua a
sfioragli il palato e giocare con sua, lentamente ma con decisione, mentre con
l’altro braccio gli circondò la vita.
Sentì premere contro il petto il seno della ragazza,
morbide rotondità che si modellarono contro i muscoli già tesi del torace, per
indurre la poca ragione che ancora albergava in lui a scomparire
definitivamente.
Allontanò le proprie labbra da quelle della giovane
per un istante e con un movimento rapido si chinò a circondarle le ginocchia
con un braccio mentre con l’altro la prese sotto le ascelle. La sollevò senza
sforzo, era esile e sottile come un uccellino, e ricominciò a baciarla, mentre
si avvicinava alla poltrona sistemata accanto al letto.
Si abbandonò su di essa, facendo sedere sulle
proprie gambe la Ragazzina, ma quella interruppe il bacio per guardarlo storto.
“Piano,
Ragazzina. Non essere impaziente” Mormorò sul collo di
Lucy prima di dedicarsi ad assaggiare e baciare ogni centimetro disponibile.
Aveva la pelle più candida che avesse mai visto. Si arrossava in modo
adorabile sotto le sue labbra e gli faceva venire voglia di morderla e nutrirsi
di essa. Lucy sospirò rumorosamente quando una sua mano
risalì la coscia bianchissima e snella lasciata scoperta dalla gonna corta su
quegli arti chilometrici.
La sentì muoversi contro di lui in cerca di maggiore contatto e decise di
accontentare un minimo quella piccola gatta selvatica. Con l’altra mano libera
liberò il primo bottone della camicetta, udì il suo respiro fermarsi e
riprendere più bruscamente, mentre la sua mano continuava imperterrita e
lentissima.
Il secondo bottone scivolò fuori dall’asola più facilmente grazie alla
leggera tensione del tessuto creata dalla curva dei seni, che affiorarono dalla
scollatura appena formatasi. Il terzo e il quarto seguirono il destino dei
precedenti dopo pochi istanti, facendo comparire davanti agli occhi dell’uomo
la biancheria bianca.
Benji si spostò più avanti sulla poltrona e rigirò la Ragazzina su di lui,
facendole spostare le gambe contro i propri fianchi. Lucy si ritrovò a
cavalcioni su di lui e lo guardò vagamente spaesata, con le guance accese di un
rosa meraviglioso, gli occhi scuri resi languidi e lucidi dai baci e dalle
carezze, quella camicetta mezza aperta a lasciar trapelare tutta quella pelle morbida
e immacolata…
Le circondò la nuca con una mano e la trasse a sé, le loro labbra ebbero
appena il tempo di sfiorarsi prima che il bacio diventasse ancor più famelico e
passionale di prima. Le loro bocche si modellavano l’una sull’altra in cerca di
maggiore profondità, le lingue si intrecciavano e scioglievano esplorandosi
senza tregua, i denti ogni tanto trattenevano lembi di pelle per sfogare il
desiderio crescente.
Le mani della Ragazzina si fecero più coraggiose e raggiunsero la sua
camicia sbottonandone la parte superiore, con tocco leggero e incerto gli
accarezzò le spalle e i muscoli del torace.
Lucy oscillò sopra di lui, strappando un gemito ad entrambi per quel
movimento e Benji dovette frenare l’impulso di prenderla un’altra volta in
braccio e portarla lì, su quel letto morbido e intatto, che chiedeva solo di
essere disfatto dalle loro mani e dalle loro gambe intrecciate.
La mano destra di Benji si insinuò sotto il tessuto bianco e fece scivolare
dalla spalla sia la camicetta sia lo spallino del reggiseno, stava per
avventarsi su quel seno piccolo e promettente quando Lucy si allontanò
leggermente da lui.
“Benjamin.” lo chiamò con un tono così arrochito che l’uomo sentì uno
spasmo alle viscere.
“Lucy.” rispose inclinando il capo su una spalla e disegnandole sulla pelle
con l’indice la linea della clavicola e poi, più giù quella dei seni. La
ragazza inspirò bruscamente e socchiuse gli occhi per un istante, ma si riprese
quasi subito e tornò a fissarlo dritto negli occhi.
“Volevo… Cioè, credo che sia meglio…” Lucy si interruppe da sola,
deglutendo un paio di volte prima di ricominciare. “Io non capisco che cosa
aspettarmi da te.”
Benji si lasciò andare contro lo schienale della poltrona e si sostenne con
un gomito sul bracciolo, posando l’indice sulla guancia e il resto delle dita
sotto il mento. Vide gli occhi della Ragazzina rincorrere le sue mani e
soffermarsi su di esse, prima di distogliere bruscamente lo sguardo.
“Che cosa vorresti Ragazzina?” le chiese con tono calmo inclinando
leggermente il capo.
Lucy inspirò a fondo mordendosi il labbro inferiore e si strinse nelle
spalle.
“Vogli solo capire… come, ehm… interpretare la nostra situazione.” mormorò
lei abbassando lo sguardo, mentre un potente afflusso di sangue le colorava le
gote. “Non mi aspetto nulla, solo vorrei… sapere in anticipo se…”
Benji rimase in silenzio mentre Lucy, imbarazzata e nervosa si
attorcigliava le dita in grembo, seduta ancora su di lui, con le gambe magre
divaricate sulle sue e la camicetta tutta sbottonata. Eppure sembrava che l’unica
cosa in grado di farla sentire fuori posto fossero proprio quelle parole che non
riusciva a pronunciare chiaramente e che la stavano facendo rodere nel dubbio.
Benji si riportò vicino a lei e la osservò da sotto, prendendole il mento
tra le dita. Quando gli enormi occhi nocciola della ragazza si piantarono nei
suoi, Benji spostò le dita verso la guancia rosea e l’accarezzò.
“Ti dirò solo una cosa a tal riguardo Lucy Catherine Weasley: ciò che
diventa mio, resta mio. Non sono mai stato un bambino altruista.” mormorò
osservando la curva sottile delle labbra che si distesero in un piccolo
sorriso.
“Oh, non avevo dubbi…” rispose lei, poi si schiarì la voce e guardandolo
dritto negli occhi, parlò con tono molto più sicuro di prima. “Quindi ho il
diritto di avanzare le stesse richieste?”
Benji sorrise in modo malizioso e ad un centimetro dalle sue labbra mormorò:
“Chiedi e ti sarà dato, Ragazzina.”
***
“To find somebody
to find somebody…
Like you.”
Angie camminò spedita verso la porta del locale, a un metro di distanza si
fermò, girò i tacchi e tornò da dove era venuta.
Poi scosse la testa e si diresse nuovamente verso l’entrata de I Tre Manici
di Scopa, ma all’ultimo secondo tornò indietro.
Che cavolo stava
facendo?
Beh, stava andando a prendere una Burrobirra con James Sirius Potter.
Già… Doveva proprio essersi bevuta il cervello! Con
quale coraggio aveva accettato un invito così strano?! Insomma era ovvio che
James avrebbe architettato qualcosa di pessimo per farla imbarazzare davanti a
tutta la scuola, magari voleva vendicarsi perché lei lo aveva schiantato e lo
aveva abbandonato in un corridoio sperduto.
Eppure le era sembrato così sincero… così diverso,
quando le aveva proposto di aiutarla!
Ma, diamine, era pur sempre James…
Angelique si passò una mano sulla fronte e poi col
palmo della mano si diede un paio di colpetti, completamente incapace di
decidere che cosa fare.
Nel frattempo un numero considerevole di studenti le
passava accanto e la superava per prendere posto all’interno del pub, mentre
lei vagava come un’anima in pena, senza riuscire ad abbassare quella stupida
maniglia ed entrare, oppure andarsene del tutto.
Stava per prendere la via del castello, quando le
venne in mente lo strano sguardo che James le aveva lanciato mentre parlavano
delle oche che si portava a letto.
Erano stati occhi limpidi e privi di qualsiasi inganno quelli che si era
fissati nei suoi e l’avevano guardata. In fondo James non le mentiva mai,
magari ometteva dei particolari quando la sottoponeva ai suoi scherzi oppure
semplicemente dava un propria versione dei fatti, ma non riusciva a ricordare
nemmeno una volta che l’avesse ingannata.
Angelique mise in fila un passo dopo l’altro e
spalancò la porta. Una ventata di aria calda le investì il viso, ancora
seminascosto nella sciarpa verde e argento che aveva attorno al collo.
Non ci fu quasi bisogno di cercarlo nel locale
sovraffollato, Jessy sedeva al bancone facendo ridere di gusto Madama Rosmerta
e sua figlia, che lanciava certi sguardi da cerbiatta in amore a James che le
fecero venire voglia di scrollare per le spalle quella ragazza e dirle di
andarsi a cercare qualcuno con un po’ più di cervello.
Angie alzò gli occhi al cielo e sbuffò incredula, e
proprio in quell’istante James si voltò verso di lei, attratto dal rumore
metallico della campanella sopra lo stipite.
Gli occhi nocciola del ragazzo si sgranarono appena
di più del normale e la osservarono per qualche istante prima che si decidesse
ad alzare chiappe dallo sgabello e andarle in contro.
Angie fece un sorriso un po’ tirato e alzò una mano
in segno di saluto. James si fece largo tra gli altri avventori con la solita
aria sicura e rilassata che avrebbe mostrato anche davanti ad un Ungaro
Spinato.
“Ciao Gigì.” la sua voce era calda, in contrasto col
sorriso un po’ malandrino che gli aleggiava sulle labbra. Il ragazzo si chinò
verso di lei e le scoccò un bacio sulla guancia, lasciandola completamente
spiazzata. “Stai al gioco, Angelique.” le mormorò vicino all’orecchio prima di
ritrarsi.
Angie si guardò attorno imbarazzata e irritata,
sperando che nessuno avesse assistito a quello scambio di effusioni
indesiderata, ma ovviamente trattandosi di James metà delle teste femminili del
pub lo avevano seguito come se fosse stato l’astro delle loro esistenze e ora
fissava attonite lei.
La ragazza stinse le labbra e dilatò notevolmente le
narici, ma James continuò a sorriderle e le indicò un tavolino miracolosamente
libero in un angolo discretamente appartato del locale.
“Jessy… Prima o poi ti faccio fuori.” sibilò
passandogli accanto.
Lo sentì ridacchiare mentre lei superava altri
tavoli e altri studenti che fissavano alternativamente lei e James allibiti. Sì
beh, anche lei era un po’ allibita ma mica faceva quella faccia da triglia!
Angie si sganciò gli alamari del mantello e fece per toglierselo, ma un paio di mani si
posarono sulle sue spalle e le levarono con delicatezza il tessuto ingombrante.
La ragazza si voltò e osservò James che lo stava ripiegando accuratamente tra
le proprie dita, per poi posarlo sulla panchetta.
Angelique respirò a fondo e si sedette accanto al
proprio mantello, mentre James si levava la giacca scamosciata e si sedeva di
fronte a lei.
Si guardarono negli occhi per qualche istante,
studiandosi rispettivamente e Jessy continuava ad avere quell’espressione
tremendamente sorniona che la faceva innervosire ogni istante di più.
“Ora, Jessy, parla. E vedi di essere convincente,
altrimenti ti affatturo un’altra volta.” disse Angie incrociando le braccia sul
petto.
James posò gli avambracci sul bordo del tavolo e
annuì con fare accondiscendente.
“Certo Gigì. Allora vediamo da dove cominciare…
Diciamo che ho pensato ad un modo per farti capire che ero sinceramente
dispiaciuto per quello che è successo qui l’ultima volta. E mi è sembrato che
nessuno come me possa conoscere meglio Derek.”
Angie sciolse le braccia e si appoggiò anche lei al
tavolino che li separava.
“Quindi metto a tua disposizione la mia esperienza
pluriennale nell’analisi dello Schatten innamorato.”
“Uhm… Grazie tante Jessy, davvero. Però ancora mi
sfugge il motivo di tutto questo teatrino.” ribatté lei inarcando un sopracciglio.
“Vedi esistono pochissime cose in grado di far
perdere il controllo a Derek. Una è il calcio babbano e l’altra è la gelosia…”
“Che cosa vi porto ragazzi?” trillò la cameriera, la
povera figlia di Madama Rosmerta, che già rivolgeva tutti i suoi grandi occhi
azzurri a James.
“Per me un’altra Burrobirra, per favore Allegra.”
rispose Jessy sorridendole.
“Una vodka.” sbottò Angie, pensando che avrebbe
gradito dell’alcool per sopportare ancora i racconti infiniti di Jessy, ma
quando la ragazza la guardò vagamente stupita, riprese: “Scherzavo! Un cappuccino,
per piacere.”
James la osservò con un l’ombra di un sorriso mentre
la cameriera se ne andava ancheggiando leggermente tra un tavolo e l’altro.
“Sei infallibile, Jessy. Sotto una certa soglia di
QI ti cascano tutte ai piedi come pere mature… Qual è il tuo segreto? Feromoni
da maschio dominante nel dopobarba? Uso della Legilimanzia? Arti seduttorie
orientali?”
“Vuoi parlare di questo o preferisci che finisca la
mia spiegazione?” chiese James alzando entrambe le sopracciglia in uno sguardo
eloquente.
“La seconda, Jessy, senza ombra di dubbio… Sono
tutta orecchi.” ribattè Angie facendo svolazzare la mano in aria.
“Bene. Stavo dicendo che Derek, nonostante le apparenze,
è estremamente possessivo e geloso. la mia idea quindi è di scatenare in lui
tutta la gelosia possibile nei tuoi confronti, per indurlo a lasciar perdere
finalmente la Regina di Cuori, come la chiami tu, e decidere finalmente di
liberarsi dalle imposizioni del padre.” e su quell’ultima parola James storse
la bocca in una smorfia infastidita.
Angie pensò che nemmeno a Potter dovesse stare
particolarmente simpatico il vecchio Schatten.
“Bene. E come pensi di dare vita al tuo piano?” si
informò la ragazza osservandolo dritto negli occhi, che tendevano all’ambra
verso la pupilla.
James ebbe un attimo di incertezza visibile
chiaramente sul suo viso dai tratti tanto simili a quelli di Albus. Questo
passò velocemente e James si schiarì la voce:
“Io pensavo che avresti potuto far ingelosire Derek…
con me. Ovviamente per finta.”
Angelique sbatté le palpebre e rimase in silenzio
certa di aver capito male.
“Credo che nulla lo farebbe impazzire di più sapendo
che la ragazza di cui si è innamorato esce col suo migliore amico.” continuò il
ragazzo con tono tranquillo e pacato, ma nei suoi occhi si agitò una scintilla
vibrante di energia, come se lui sapesse perfettamente che cosa si provasse in
un frangente simile.
Angie a quel punto non riuscì veramente più a
resistere e scoppiò. A ridere.
“Gigì per favore, sto cercando di essere serio!”
borbottò Jessy avvicinandole il cappuccino che la cameriera aveva appena
portato.
La ragazza si morse il labbro inferiore e calmò l’ilarità
con grande sforzo.
“Jessy, ma secondo te saremmo anche solo lontanamente
credibili?! Insomma guardaci!!!” ribatté Angie indicando prima sé con la mano e
poi lui. “Non riusciamo a stare seduti allo stesso tavolo per mezz’ora
consecutiva senza scannarci! Quale persona sana di mente crederebbe che io e te
usciamo insieme?!”
“Gigì, credo che tu possa diventare un’attrice molto
brillante. Anche perché è tutto nel tuo interesse.” rispose Jessy facendo le
spallucce.
“Già… Tu in tutto questo che cosa ci guadagni?”
chiese lei con tono scontroso prendendo un sorso di cappuccino.
“Diciamo che in parte lo faccio per rimediare ai
miei errori e in parte perché ho il tuo stesso fine.” il tono si abbassò
notevolmente e Angelique si ritrovò a fissarlo dritto negli occhi.
L’ambra attorno aveva un colore intenso e magnetico
come il miele caldo e viscoso, ci si restava intrappolati dentro senza riuscire
a emergere ed ebbe la sensazione di deja-vu, senza riuscire tuttavia a
comprendere quando le fosse accaduto di restare impigliata agli occhi di Jessy.
“Vuoi far ingelosire una ragazza… con me?” sputò fuori le ultime due
parole con tono incredulo, come se non si capacitasse proprio di un fatto
simile.
“Si tratta di un mutuo soccorso Gigì. Ecco perché ti
ho chiesto di vederci qui.”
“Così che tutta la scuola potesse assistere al
nostro primo finto appuntamento…” mormorò lei guardandosi attorno e vedendo
quattro o cinque teste voltare bruscamente lo sguardo dalla parte opposta alla
loro.
“Sì. Che te ne pare Gigì? Accetti di far parte del
mio piano?” chiese James sorridendole amichevolmente.
Angie si ritrasse verso la panca e iniziò a
straziare la pelle del labbro inferiore con le dita della mano destra, mentre
rifletteva sulla situazione assurda che le si presentava davanti.
Lei che fingeva di uscire con Jessy per far
ingelosire Derek e una ragazza ignota… I presupposti erano molto diversi,
eppure le ricordava quando per coprire le proprie bugie al primo anno aveva
finto di essersi fidanzata con Scorpius e poi alla fine era successo davvero…
Eppure quel piano aveva un potenziale altissimo,
insomma chi altro avrebbe potuto conoscere tanto bene Derek come James?!
Sicuramente quindi sapeva il fatto suo, e al massimo se non avesse funzionato
avrebbero potuto smettere immediatamente la farsa…
Dio, nonostante ogni sua fibra si ribellasse, l’idea
di Jessy era veramente buona… Come cavolo aveva fatto un Grifondoro a pensarla
così bene?!
“Jessy, non so per quale sconsiderato motivo, ma sto
per accettare la tua proposta…” disse massaggiandosi le tempie e si affettò ad
aggiungere, prima che James si entusiasmasse troppo. “Sappi che la finzione sarà
tale. Niente palpatine, niente effusioni fisiche al di là di quelle
strettamente necessarie, niente frasi sdolcinate davanti a tutti, niente
regali, soprattutto niente regali.”
“Ok.” disse James sorridendole apertamente, mentre
gli occhi sembravano scintillare insieme all’espressione allegra.
“Dio, non ci posso credere… Ho appena accettato di
uscire con questo deficiente!” sbottò Angie guardando fuori dalla finestrella.
“Avanti Gigì, ora devi iniziare a comportarti in
modo carino. Insomma deve essere almeno possibile
il fatto che tu sia attratta da me!” ribatté James sporgendosi oltre il
tavolino che condividevano.
Angie fece lo stesso, avvicinandosi a lui fino ad
avere il suo viso molto vicino.
“E che cosa dovrei fare?” chiese sorridendo in modo
delizioso.
“Beh per esempio potresti darmi un bacio, ci sono
giusto quattro o cinque ragazzine che ci stanno guardando proprio adesso…”
mormorò lui continuando a fissarla con i suoi occhi magnetici.
“Oppure potrei darti un pugno sul naso.” propose
Angelique inclinando il capo.
“Oh Gigì, ma questo non è per nulla carino.”
“Io lo troverei adorabile!”
James scoppiò a ridere socchiudendo leggermente gli
occhi e crollando appena il capo indietro. Angie constatò che aveva un bel
sorriso, pieno di luce e di vita, in grado di far venire voglia di ridere. E
così si lasciò andare anche lei e rise insieme a James Potter.
Finirono di bere insieme, intervallando idee su come
comportarsi a insulti piuttosto coloriti, e poi uscirono insieme da locale.
James insistette in modo ostinato a pagare anche per lei e Angelique lo lasciò
fare esasperata dalla sua cocciutaggine.
Jessy le tenne aperta la porta mentre lei usciva
nell’aria gelida di novembre e quando uscirono nella strada principale alzarono
entrambi estasiati gli occhi al cielo.
Aveva appena iniziato a nevicare.
L’inverno era arrivato.
*Gli studi di Chopin sono dei brani molto molto
complicati che molti pianisti utilizzano per affinare la propria tecnica. Io li
trovo meravigliosi.
Note
dell’Autrice:
Miei cari, sono tornata. Le minacce questa volta
sono state più intense del solito e mi sono decisa a finire questo capitolo che
avevo in sospeso da davvero troppo.
La scena finale di Angie e James ai Tre Manici di
Scopa è stata una delle primissime immagini che ho visualizzato di questa
storia e quindi spero che vi piaccia e vi abbia incuriosite.
Per quanto riguarda Benji e Lucy ho cercato di farli
chiarire in un modo che fosse conforme al loro modo di stare insieme e di
relazionarsi, quindi con poche smancerie e molta fisicità.
Il discorso che fa Angelique sui cereali è tratto da
Il lato positivo
La canzone all’interno del testo è All I
Want di Kodaline, che mi strazia il cuore tutte le volte che la sento,
mi si aprono i rubinetti e mi vien voglia di piangere!
Allora a questo punto viene il momento dei
RINGRAZIAMENTI SPECIALI a: tony_tropcold,
cescapadfoot, Cinthia988, dreamcatcher05, chuxie e Kill_your_darling per aver lasciato una recensione alla fine dello
scorso capitolo. Vi ringrazio davvero dal cuore, sapere che c’è qualcuno che
segue e tifa per uno o per l’altro mi dà la forza di non perdermi per strada..
GRAZIE ancora.
Grazie anche a tutti gli altri lettori silenti.
Mando tanti tanti tanti baci a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 17 *** Cap.17 Confini ***
Cap.17 Confini
A Marta e Juls
che hanno riempito il mio luglio solitario di risate e amicizia, di ricordi
inestimabili da custodire nei cassetti segreti del cuore.
Cap.17 Confini
Il
confine protegge (o almeno così si spera o si crede) dall'inatteso e
dall'imprevedibile: dalle situazioni che ci spaventerebbero, ci
paralizzerebbero e ci renderebbero incapaci di agire. Più i confini sono
visibili e i segni di demarcazione sono chiari, più sono «ordinati» lo spazio e
il tempo all'interno dei quali ci muoviamo. I confini danno sicurezza.
Zygmunt Bauman
“Io vedo… OH CIELO! Vedo cose terribili, mio caro, caro, ragazzo!” esclamò con tono di
mistico stupore la professoressa Cooman.
“Ehi Angie, ci siamo!”
“Nana tu su che cosa punti?”
“Uhm… Questa volta io dico mutilazione!”
“Oh, le mutilazioni sono rare! Caspita sei
coraggiosa… Beh io vado su un classico decesso di parente…”
“Shh! Guarda, sta per parlare ancora!” mormorò la ragazza
allargando a dismisura gli occhioni verde bosco.
“Oh povero giovane… Temo che subirai una grave
perdita entro la fine del mese.” disse la professoressa ricoperta di scialli e
perline colorate, che tintinnavano a ogni suo movimento, intenta a osservare la
Mappa Natale del giorno di nascita della vittima di quel giorno.
“Mannaggia, non si capisce… Potrebbero essere
entrambe le cose!” commentò Elena angustiata sfregandosi il mento.
“Aspetta, adesso arriviamo alla parte bella!”
esclamò Angie sorridendo estasiata.
“Il mio Occhio Interiore vede chiaramente il lutto a
cui si avvicina la tua vita… Come mi dispiace!” sospirò la donna prendendo tra
le proprie mani scheletriche una del Tassorosso del loro anno e dando qualche
colpetto consolatorio sul dorso. Il giovane aveva stampata sul viso un’espressione
curiosa, sembrava indeciso se preoccuparsi davvero o ridere in faccia
all’insegnante.
Angie si strozzò con la propria saliva nello sforzo
di trattenere le risate e dovette chinarsi sotto il tavolino ricoperto di
velluto rosso per ridere liberamente, camuffando l’ilarità con qualche colpo di
tosse. Quando riuscì ad riemergere, vide che la Cooman aveva lasciato il Tassorosso
per analizzare il lavoro svolto da un gruppetto di Corvonero.
Elena nel frattempo si era calata nella propria
parte di veggente in erba e scrutava con occhi socchiusi la Carta Natale di
Angelique, scuotendo di tanto in tanto il capo con aria desolata, arruffando
ancor di più i capelli verde smeraldo. Quando incontrava presagi veramente
pesanti, sbarrava gli occhi e si lasciava sfuggire un sospiro molto teatrale; fu
talmente convincente da attirare la Professoressa Cooman verso il piccolo
tavolino traballante a cui lavoravano sempre in coppia.
“Mia cara Elena, che cosa vede il tuo Occhio?” chiese
con un sorriso dolcissimo la donna, la quale era seriamente convinta che Angie
e Nana fossero realmente dotate di una qualche forma di veggenza e non di un
becero umorismo.
“Oh Professoressa…” sospirò affranta Ele guardando
di sfuggita l’amica e scuotendo nuovamente il capo. “Se la mia Vista non è
stata offuscata dalle energie negative che sento vibrare qui attorno, temo di
aver scorto un destino veramente infausto per la mia cara amica.”
Elena allungo un braccio verso Angie e le strinse
una mano con delicatezza, mentre i suoi occhi enormi si velavano di lacrime. La
bionda affondò i denti nel labbro inferiore per trattenere l’ennesimo scoppio
di ilarità, col risultato di contrarre il volto in un’espressione che sarebbe
potuta passare tranquillamente per preoccupazione.
“Dimmi, Elena, che cosa ti è stato svelato dalle
fitte trame imperscrutabili del Fato?” mormorò con voce roca ed emozionata la
professoressa, guardando persa il soffitto e movendo una mano in aria come per
scostare una tenda.
Angelique si sarebbe sbattuta una mano sulla faccia
per quanto quella poverina ci credeva davvero, ma rimase seduta composta e con
espressione contrita ad attendere il parto di fantasia di Nana, la quale annuì
con aria grave.
“Angelique Girard Dursley, ti attendono tre gravi
momenti: un lutto terribile, un amore tragico e un grave tradimento! Il primo è
stato scritto dalla posizione di Plutone nel giorno della tua nascita, proprio
qui.” Disse indicando un punto della pergamena, “Il secondo fu stabilito
dall’orbita di Venere opposta a quella di Saturno, il tuo pianeta dominante.
Infine il terzo… Questo a causa della presenza di Giove, pianeta in caduta dei
Capricorno, nella Dodicesima Casa quella Demone Malvagio.”
Angelique, impressionata dalla creatività
dell’amica, piegò all’ingiù le labbra e annuì ammirata, mentre la Cooman si
posizionava alle spalle dell’alunna per osservare la carta.
Un dito magrissimo seguì una linea scura che si
vedeva anche in controluce e si soffermò al centro dov’era disegnato un
pianeta. Le labbra della professoressa si mossero bisbigliando qualcosa di
incomprensibile e poi abbassò lo sguardo su Elena, con occhi ipermetropi
scintillanti di entusiasmo.
“Oh Elena Zabini! Che dote rara ti ha concesso il
Destino… La tua interpretazione di questa Carta del Cielo è fedele a ciò che
gli astri hanno scritto per la tua amica! Le vedo anch’io queste tre grandi
prove…”
Certo,
come no! pensò Angie sollevando un sopracciglio con fare
scettico.
“Ma vorrei che ora vi concentraste più sulle
sfumature che queste tragedie prenderanno nel corso del tempo… Avete fatto un
buon lavoro! I vostri GUFO saranno un successo…” mormorò con fare trasognato la
donna e poi le guardò attentamente, “Voglio sperare che continuerete il corso
anche per i MAGO, sarebbe un terribile spreco non approfondire la conoscenza
della vostra Vista!”
“Non riusciremmo mai a rinunciare a queste sue
lezioni!” esclamò sinceramente partecipe Angie.
La Cooman annuì entusiasta e poi si diresse al
tavolo successivo per ascoltarne le previsioni catastrofiche, in un tintinnare
sommesso di perline colorate e visioni mistiche.
“Nana questa volta ti sei superata!” mormorò Angie.
“Grazie collega. Comunque guarda che non mi sono
inventata nulla, è tutto qui!” disse Elena mettendole sotto il naso il foglio e
spostando l’indice rosicchiato da un punto all’altro per indicarle le posizioni
degli astri. “Plutone, Venere e Giove. I tuoi pianeti della disfatta…” sussurrò
la giovane con tono profondo e suggestivo.
Angie strinse le labbra fino allo spasmo e dilatò le
narici nel tentativo di bloccare le proprie risate. Elena dal lato suo lasciò
che un gran sorriso si spandesse su tutto il suo viso, facendole poi un
occhiolino complice.
In quel momento si sparse in tutta l’aula i rumore
squillante della campanella che segnava la fine dell’ora di Divinazione. Le due
Serpeverde raccolsero le proprie cose con velocità straordinaria e si
fiondarono fuori dall’aula, per scoppiare a ridere subito dopo aver superato la
botola.
Angie a metà scala si accasciò su un gradino di
legno e si aggrappò alla ringhiera, mentre le risate scivolavano dai suoi
polmoni alle sue labbra con facilità e con energia violenta, facendole
sobbalzare il petto e le spalle. Le sembrava passata una vita dall’ultima volta
che aveva riso in quel modo così liberatorio e spensierato. Aveva quasi un potere
rigenerativo.
Le sue orecchie erano piene del suono dell’allegria
di Elena che somigliava tanto ad un ululato, sguaiato e irriverente, un balsamo
per tutte le preoccupazioni.
“Che avete combinato voi due?” una voce nota e incredula
fece voltare entrambe.
Eccola lì, appoggiata allo stipite dell’arco che
precedeva il pianerottolo della scala, la sua Piaga d’Egitto. Il ragazzo con
cui litigava dal secondo giorno in cui era stata ad Hogwarts, la sua vittima
prescelta per scherzi e incidenti assolutamente casuali, il suo nemico
pubblico… Ed ora il ragazzo con cui fingeva di uscire.
“Ciao Jessy.” salutò Angelique alzandosi e
raccogliendo la propria tracolla per mettersela in spalla, poi scese i gradini
lentamente avvicinandosi al giovane che la stava fissando.
“Oh James, dovresti imbucarti ad una delle nostre
festine private una volta! Te ne ricorderesti per un bel pezzo.” esclamò Elena
dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
“Ti ringrazio, ma cerco di tenermi il più possibile
lontano da questa stanza e dalla sua abitante… Non sono mai uscito da qui con
una notizia positiva sul mio conto!” esclamò James rivolgendo un’occhiata
ostile alla botola di legno, che si stava aprendo in quell’istante.
Ne uscirono annoiati e sbuffanti Scorpius e Berty, i
quali individuarono immediatamente James e le ragazze. Il primo guardò con
sufficienza Potter e gli rivolse un leggerissimo cenno del mento, mentre con
eleganza connaturata superava il gruppetto e iniziava a scendere dalla
torretta.
Berty invece osservò crucciato la mano di Elena che
ancora restava ferma sulla spalla di James in una posa cameratesca, per nulla
equivoca o fraintendibile. Poi con movimenti bruschi e un po’ rumorosi si
diresse verso di loro e si rivolse alla Zabini, prendendola per un gomito con
gentilezza sufficientemente ferma.
“Vi-vieni E-e-ele. Lasciamoli s-soli.” disse
evitando accuratamente di guardare qualcos’altro che non fosse Nana.
Elena annuì sorridendo e lo prese sottobraccio,
iniziando a trotterellare lungo le scale e trascinandosi dietro il povero
Berty, che per stare al suo passo da folletto rischiava di ruzzolare ad ogni
gradino.
Angelique li osservò per un istante esterrefatta e
scosse la testa. Chissà quando avrebbero capito di essere perfetti l’uno per
l’altra? Prima o dopo l’avvento della successiva era geologica?!
“Jessy, te l’ho già spiegato che non c’è alcun
bisogno che tu ti presenti ad ogni cambio dell’ora per scortarmi da un luogo
all’altro di questo castello, come se non fossi in grado di trovare la strada da
sola? Nel caso non te ne fossi accorto, ho vissuto per quattro lunghi anni
senza il tuo aiuto e sono stata benissimo.” disse seguendo l’esempio degli
amici e abbandonando la Torre Nord.
“Io direi che ti sei limitata a sopravvivere senza
di me, Gigì.” esclamò James superandola con un balzo e piantandosi davanti a
lei, sul gradino sotto al suo e inevitabilmente con il viso a distanza
ravvicinata.
“Oh, ma davvero?!” esclamò Angelique inclinando il
capo e ignorando apertamente le risatine che sentì alle proprie spalle,
appartenenti alle ragazze che non si facevano alcun problema a spiarli.
“Beh Gigì, diciamocelo… Una volta sperimentata la
mia compagnia non si riesce più a tornare indietro.” le rispose sorridendo in
modo un po’ sghembo.
“Hai ragione Jessy.” rispose lei mentre un paio di
sue compagne passavano loro accanto, fingendo spudoratamente di non stare
origliando. “Sei un tale trauma, che ci voglio anni di psicoterapia per tornare
normali.”
James Potter scoppiò a ridere prima di riprendere la
propria discesa insieme a lei, standole accanto. Angelique poteva sentire la
mano del ragazzo sfiorare impercettibilmente la sua durante i movimenti
involontari delle braccia.
Arrivati alla fine della scala si immersero nel
corridoio già affollato di studenti. Jessy fece abilmente scivolare un braccio
attorno alle sue spalle e la strinse al proprio fianco.
“Jessy che cavolo fai?” sibilò tra i denti Angelique
rivolgendogli un sorriso fin troppo largo. Stava imparando a recitare decentemente,
ma non le sembrava il caso di spingersi oltre… Non era sufficiente che si
facessero vedere insieme?!
“Ti impedisco di perderti in questo fiume
impetuoso!” ribatté lui guardandola con la solita espressione tanto sfrontata
quanto affascinante. E per rafforzare il concetto la fece aderire maggiormente
a sé.
Angie sentì un potente afflusso di sangue colorirle
le guance per quel contatto.
Riusciva
persino a farla arrossire! Stupido Potter.
Le persone che incrociavano nel loro percorso li
osservano alternativamente stupiti, curiosi, increduli, alcune ragazze le
rivolgevano occhiate malevole e si voltavano a dire qualcosa alla compagna
coprendosi la mano con la bocca.
Angie trasse un profondo respiro e cercò di
calmarsi. Detestava con tutta sé stessa gli sguardi altrui puntati sulla sua
schiena, le sibilanti cattiverie che riusciva a intuire nonostante non le
sentisse. Detestava sentirsi analizzata…
James si chinò verso di lei e accostò le proprie
labbra al suo orecchio.
“Sei un fenomeno Gigì, riesci persino ad arrossire a
comando!” le soffiò sulla pelle e anche se non lo stava guardando capì che
stava sorridendo. Un piccolo brivido si irradiò dal collo colpito dal respiro
del ragazzo. Lui era molto più bravo di lei a recitare la sua parte. “Ci stanno
guardando tutti.”
“Ho visto.” e ci mise tutto il risentimento di cui
era capace in quelle due parole.
“Non sentirti a disagio Gigì. Pensa che tutto questo
giova alla nostra causa!” disse James tornando alla propria posizione eretta e
osservandola dall’alto.
Caspita se era alto quello scimunito! Lei si
incastrava comodamente sotto la sua spalla e doveva indietreggiare appena col
capo per guardarlo in faccia.
“Beh, a me dà fastidio in ogni caso. Non sopporto
che la gente stia a guardarmi.” borbottò lanciando attorno a sé delle
occhiatacce, per scoraggiare eventuali spettatori.
“Qual è l’ultimo libro che hai letto?”
Angelique tornò a osservarlo aggrottando la fronte
senza capire che razza di domanda fosse.
“Intendi l’ultimo che ho finito o quello che sto
leggendo ora?” chiese lei arricciando le labbra.
“Entrambi.” rispose James scrollando le spalle con
l’ombra di un sorriso sulle labbra.
“Beh, ho letto Il
racconto di due città e l’ho trovato meraviglioso! Mi ha stritolato le
budella fino all’ultima pagina. Un capolavoro davvero! E ora sto leggendo un romanzo
giapponese…” abbassò lo sguardo per un istante e poi lo riportò su di lui
sorridendo. “Non ce ne capisco niente Jessy!” e poi rise da sola della propria
ottusità.
“Che vuol dire che non ce ne capisci niente?!”
chiese sinceramente divertito James.
“Beh, che ha un trama complicatissima!” Esclamò lei
iniziando a gesticolare vivacemente con le mani. “Quando ti sembra di esserti
orientato un minimo in quei nomi assurdi e quelle cose senza senso, succede
qualcosa per cui comunque alla fine non riesci nemmeno a capire che cosa sia
successo tra una riga e l’altra! Quel popolo è disturbato, te lo dico io.”
“Quindi preferisci i grandi classici Gigì?”
“Senza dubbio Jessy! Per lo meno riesco a leggerli
senza sentirmi una minorata mentale.”
“Chissà perché me lo aspettavo.” commentò lui
guardando davanti a sé.
“E questo che vorrebbe dire?!”
“Uhm… Che tu sei così. Ti piacciono le cose che puoi
comprendere analiticamente. Ti fidi di ciò che puoi controllare e ti chiudi a
riccio se qualcosa ti fa sentire in difetto.”
“Ed è un male secondo te?” chiese lei incrociando le
braccia sotto il seno sentendo già montare la rabbia dentro. Chissà come Jessy
si premurava sempre di darle opinioni non richieste sul suo conto, che finivano
puntualmente per farla imbufalire.
“No. Sei semplicemente così. C’è chi è stitico e chi
è Gigì, mica possiamo fargliene una colpa!”
Angelique lo osservò torva ancora un paio di secondi
prima di scoppiare a ridere contro la propria volontà. James la guardò un po’
spiazzato e dopo poco si unì a lei nelle risate.
E chi lo avrebbe mai detto che Jessy fosse in grado
di farla ridere.
***
Il pettegolezzo, che negli ultimi giorni si era
sparso di bocca in bocca per i corridoi di Hogwarts, secondo cui la Principessa
di Ghiaccio e il Cacciatore di Grifondoro James Potter fossero coinvolti
sentimentalmente divenne notizia conclamata all’ora di pranzo.
Il sospetto, dettato dalla comparsa della coppia a I
Tre Manici di Scopa nell’ultima uscita ad Hogsmeade e dalla frequenza con cui
li si aveva scorti camminare l’uno di fianco all’altra per i corridoi, si
tramutò in certezza quando la giovane Jennifer Parker, stimata Grifonforo e dama di Celia Danes, era corsa come una
pazza dalla sua cara amica Alexis Hamilton e aveva urlato che era successo, scrollando l’altra per le
spalle tanto da farle battere i denti.
Intendendo ovviamente, con una certa disperazione,
che a quanto pareva il primogenito di casa Potter, beniamino di tutte le sue
compagne di Casa e di molte altre, pareva essersi impegnato seriamente con
l’acidissima e glaciale Angelique Girard Dursley. E tutto ciò aveva già passato
il vaglio delle ipotesi per essere confermato realtà indubbia, visto che il
braccio del ragazzo era stato posato sulle spalle di lei per tutta
l’attraversata del corridoio dell’ultimo piano dell’Ala Nord, che si erano
scambiati sorrisi per tutto il tempo e che li si era visti particolarmente
intimi!
Una tragedia tale non si vedeva da quando il negozio
di Madama McClain si era allagato la notte prima dei saldi.
Squadre intere di giovani incredule si erano
sparpagliate per tutte le scale, corridoi, anfratti polverosi, aule deserte
notoriamente destinate agli amoreggiamenti, dovunque fosse possibile incontrare
i due piccioncini e vedere con i propri occhi quello scempio.
Perché non c’erano dubbi che se ci fosse una in
tutta la scuola che non meritasse tutto quel popò di roba rappresentato dal
corpo di James Sirius Potter, beh quella era proprio la Dursley, che la sua
occasione di fama l’aveva già avuta con l’erede della nobile casata dei Malfoy.
All’ora del pasto prandiale come si diceva
precedentemente era quindi esplosa la bomba della notizia.
James Potter aveva sopportato i brusii con serenità
invidiabile e con incrollabile buonumore, servendosi anzi una doppia porzione
di vitello arrosto con patate.
Tuttavia dell’altra interessata non c’erano tracce.
Angelique Dursley si era rifugiata nel grembo
accogliente della sua Casa, nelle profondità dei Sotterranei omertosi per
consumare il pasto in un tentativo di solitudine e tranquillità.
“Ripetimi ancora una volta perché, ti prego!”
“Perché io
ho bisogno del suo aiuto! Perché tuo
fratello aveva un conto in sospeso con me e sta facendo ammenda. Perché è l’ultima occasione che mi resta
per convincere Derek. E fondamentalmente perché
sono disperata!”
“Io ancora non capisco…”
“Non è una novità.” commentò a voce non troppo bassa
Martha guardando fisso Albus che continuava a marciare avanti e indietro
davanti al camino, ignorando tenacemente i sandwich portati da un elfo
misericordioso per farli pranzare tutti.
Elena mascherò la propria risata con un colpo di
tosse, Scorpius sogghignò apertamente invece guardandoli alternativamente e
Albus si limitò ad abbassare il capo imbronciato.
Martha O’Quinn strinse tra le proprie dita la pelle
del divano su cui era seduta per impedirsi di alzarsi e andare a prendere a
schiaffi Albus. Prenderlo a ceffoni su quelle guance rosee e delicate,
per poi scaraventarsi sulle sue labbra e baciarlo senza alcuna gentilezza…
La rossa si mosse nervosa sul divano e distolse lo
sguardo dalla figura del ragazzo, prendendo un profondo respiro.
Angelique accanto a lei le agguantò un panino ancora
avvolto nel fazzoletto candido e glielo porse. Martha scosse la testa
ringraziandola con un gesto della mano e pensò a quanto ottuso potesse essere
il ragazzo di cui era innegabilmente innamorata.
Dopo la rottura con Owen, completamente pacifica e
indolore almeno per lei, si era resa conto della frustrazione intollerabile in
cui verteva la sua non-situazione con Albus. Di quanta repressione dovesse
operare su di sé per non confessargli i propri sentimenti e vederlo scappare a
gambe levate, timoroso come una dama medievale che la sua virtù potesse essere
contaminata!
Infondo non lo aveva mai visto prendere alcuna
iniziativa con una sola ragazza, mai che avesse parlato in toni lusinghieri di
una o dell’altra compagna, mai che si fosse presunto dai suoi comportamenti che
avesse dei desideri non puramente spirituali. A volte le sembrava tragicamente
asessuato! O troppo coinvolto nei problemi sentimentali della sua famiglia per
rendersi conto che anche lui poteva concedersi di provarne alcuni.
Eppure lo sguardo che le aveva lanciato quando se lo era trovato davanti a
petto nudo era stato ben poco casto.
E quindi aveva deciso in un attimo di folle
entusiasmo di spingere il giovane Potter ad aprire gli occhi su qualcosa che si
ostinava non solo a non vedere, ma nemmeno a guardare. Lei, principalmente, e
tutto quello che avrebbe potuto significare.
Così, spinta dal pungolo di non essere più ignorata,
accavallò le gambe.
Tale gesto in casa sua, alla presenza della Duchessa
Eugenia, altri quattro nomi lunghissimi e complicatissimi, O’Quinn, era sempre
stato severamente proibito. Sua nonna le aveva fatto un tale lavaggio del cervello
su quanto fosse inopportuno per una signorina
atteggiarsi così, che lei normalmente non avrebbe mai utilizzato quella
postura.
Ma quella non era una situazione normale. Era un
caso disperato.
Constatò con immensa soddisfazione, gettandogli
un’occhiata fugace, che in quell’istante Albus stava proprio guardando.
Gli occhi di lui erano sbarrati e fissi sulla linea
delle sue gambe, in particolare su quel lembo di pelle che l’orlo della gonna
scopriva sulla coscia snella e che veniva inghiottito dall’imbottitura del
divano.
Martha guardò Angelique in viso, scorgendovi una
muta domanda di chiarimento, e si sporse volutamente verso di lei, lasciando
che sulla gamba accavallata il tessuto verde della divisa si arricciasse ancora
leggermente, rivelando un piccolo frammento aggiuntivo di incarnato pallido.
Udì distintamente il suono di Al che deglutiva a
fatica.
Con un sorriso soddisfatto deviò leggermente la
traiettoria e prese una tazzina di tè fumante che stava sul tavolino davanti
alla Dursley. Poi tornò seduta normalmente e guardò dritto negli occhi Albus.
Per il brevissimo istante in cui le loro iridi
restarono incatenate, prima che il giovane distogliesse bruscamente lo sguardo
dalle sue cosce, Martha scorse le sue labbra piene, dalla piega quasi femminile
tanto erano delicate, dischiuse in un sospiro silenzioso e i suoi occhi accesi
di uno stupore bruciante, incontrollabile, per ciò che aveva appena provato.
“Ehm…” Elena si schiarì la voce guardandosi attorno
vagamente imbarazzata per il silenzio che era improvvisamente calato su tutto
il gruppo. “Che si diceva?!”
“Albus stranamente non capisce il motivo per cui
Angelique abbia accettato di recitare insieme a Potter questa farsa, per far
ingelosire Schatten. Il che non mi pare inverosimile visto che Albus ha la
passionalità di un Vermicolo.” si intromise con tono leggermente strascicato
Scorpius che sedeva scompostamente su una poltrona.
“EHI! Guarda che solo perché io non mi porto a letto
la prima che capita non vuol dire che io non sia… ehm…” ma la protesta di Albus
si estinse nell’imbarazzo.
“Passionale?!” suggerì Martha sorridendogli
amichevolmente e immaginando quanto invece quel bel corpicino avrebbe potuto
essere decisamente caldo.
“Sì, beh, quella cosa… Comunque non si stava
parlando di me!” esclamò il moro riprendendosi all’istante e puntando il
proprio sguardo in quello della migliore amica. “Angelique, stai attenta.”
“Sì, sì, lo so…”
“NO! Non lo sai.” la interruppe Al per ricominciare
a camminare avanti e indietro davanti alle fiamme smeraldine che scoppiettavano
nel focolare. Si infilò una mano nei capelli, scompigliandoli ancor di più e
poi riprese a parlare: “Tutta questa storia… Schatten, James, la Danes … Io ho
dei pessimi presentimenti!”
“Tu hai sempre pessimi presentimenti quando ci sono
di mezzo io!”
“Beh, dimmi se ho torto! Tu sei una calamita per i
guai! Senti… Io ti chiedo solo di andarci coi piedi di piombo. Sia con James
sia con Schatten.”
“Tranquilli, tanto una delusione d’amore le capiterà
di sicuro. Anche bella pesante!” trillò Elena prendendosi una manciata di
marshmallow e avvicinandosi al camino per arrostirceli sopra.
“Grazie tante Nana!” esclamò sarcastica Angie
allargando le braccia.
“Oh figurati cara! Era scritto nella tua Carta Natale.”
rispose l’altra scrollando le spalle.
“Che cosa intendi dire?” chiese Berty incuriosito.
Angelique sbuffò sonoramente e alzò gli occhi verso
le vetrate attraverso cui si vedeva il Lago Nero.
“Nulla, solo che oggi abbiamo scoperto che Angelique
avrà il cuore spezzato, che morirà qualcuno a lei molto caro eee… Che subirà un
grave tradimento!” concluse Elena dando un grosso morso al dolce appiccicoso e
filante, per poi spalancare immediatamente la bocca e agitarvi la mano davanti,
il tutto emettendo alcuni suoni inarticolati. Si era scottata la lingua, tipico
della sua ingordigia.
Martha sentì la tazzina scivolarle dalle dita e
cadere a terra, rovesciando sul tappeto il poco tè rimastovi all’interno.
L’ultima visione chiara che i suoi occhi le concessero fu quella della
porcellana bianca che rotolava sulla superficie scura del tappeto.
Una corrente gelida le risalì le braccia partendo
dalle falangi e spandendosi per il dorso e i polsi.
Lo stomaco le si chiuse in uno spasmo violento,
causandole un conato tanto forte da farla chinare su sé stessa. Sentì il cuore
aumentare i battiti in modo frenetico, tanto che le riuscì difficile respirare
a fondo. I polmoni si svuotavano troppo presto dell’aria necessaria e ne
incameravano troppo poca.
Udì la voce lontana di Angelique che la chiamava
spaventata, ma le orecchie erano frastornate dal rombo del sangue e
tutt’attorno il mondo era ovattato. Avrebbe tanto voluto rispondere ma non ci
riusciva.
Le sue membra iniziarono a dolere in modo acuto e
intollerabile, come se si stessero spaccando dall’interno, come se ogni singola
fibra si stesse lacerando millimetro per millimetro.
Martha sapeva riconoscere una visione quando le
faceva visita. Ogni volta era terribile.
Percepiva il panico del suo corpo spandersi ancora
prima del dolore effettivo della Magia Primitiva che la invadeva.
Cercò un appigliò mentre ogni barlume di energia
vitale scemava dal suo corpo, allungò le mani verso il tavolino per impedirsi
di cadere a terra e qualcosa la trattenne dallo scivolare nel baratro. Le sue
ginocchia urtarono il pavimento ma non il resto del corpo.
Un paio di mani si serrarono sulle sue braccia sostenendola
e le sue incontrarono un tessuto leggermente ruvido al contatto, caldo e
confortante. Subito dopo un braccio si spostò dietro la sua testa per non
fargliela ciondolare nel vuoto.
“Martha, resta qui. Martha, non lasciarti andare!” La
sua voce era perentoria. Era un suono
fermo, solido, affidabile, non c’era paura in quelle sillabe.
E lei voleva restare, voleva aggrapparsi alla voce
reale e non andarsene.
Era sulla soglia dell’abbandono totale della
coscienza, nel petto iniziava già a percepire quella scossa elettrica che
corrispondeva alle convulsioni e alla visioni violente. Era così vicina a quel
precipizio che la reclamava e l’attirava come i canto di una sirena.
Cercò di applicare i principi dell’Occlumanzia,
svuotando i pensieri e chiudendosi a tutto, ma ormai era troppo tardi.
Udì delle voci lontanissime, sembravano urlare
qualcosa, sembravano preoccupate… Passi che si allontanavano, una mano che le
si posava sulla fronte per un istante e poi si ritraeva.
“Marta, mi senti?! Martha!” la sua voce invece
riusciva a valicare l’isolamento del dolore. Ripeteva il suo nome come una
cantilena, come se fosse stato l’incantesimo per riportarla indietro.
Riusciva ancora a sentire le sue dita affondate nelle
braccia per trattenerla, riusciva a sentire il suo corpo vicino al proprio,
riusciva a sentire il suo odore nella poca aria che poteva respirare… Non voleva andarsene.
Successe tutto molto velocemente.
Nell’arco di un secondo dal suo petto smise di irradiarsi
la tensione devastante che le causava quella pena atroce e nei suoi occhi si
riverberarono delle immagini rapidissime, piccole fotografie che come il
battito d’ali di un colibrì venivano sostituite dalla successiva…
Lunghi
capelli chiari imbrattati di terra e di un sinistro color ruggine, un lago
ghiacciato la cui superficie veniva spaccata da un lampo dorato, labbra ancora
sorridenti intrappolate nell’immobilità della morte, una fanciulla vestita di
bianco sulla cui veste sbocciavano fiori di sangue che si allargavano a
dismisura, una schiera di uomini vestiti in lunghe tuniche scure fluttuanti che
uscivano da un rogo di fiamme…
“Martha.”
Non perse conoscenza, non sentì il proprio corpo
tendersi negli spasmi fino al punto di rottura, non percepì ogni cellula arsa
dall’energia ustionante della magia. Venne semplicemente liberata dai propri
vincoli dolorosi e tornò al presente.
Aprì gli occhi di scatto mentre un respiro brusco e
sofferto le riempiva finalmente i polmoni fino in fondo. E si ritrovò con un paio
di occhi verdissimi, che le guardavano con disperata intensità.
Albus le stava sostenendo la testa con un braccio
sulla nuca e con l’altro ancora la teneva saldamente per il braccio. Non
sembrava decisamente intenzionato a lasciarla andare.
“Sei restata qui.” sussurrò lui incredulo. E il suo
viso si sciolse in un espressione di sollievo e panico insieme, come se
finalmente si fosse concesso di provare paura.
Martha sbatté più volte le palpebre mettendo a fuoco
tutto il viso di Albus, così vicino al suo da poterlo sfiorare col respiro.
Le sue dita ancora intrecciate al maglione di Al si
districarono e, dotate di vita propria, si posarono leggere sulla sua guancia,
i polpastrelli incontrarono la sua pelle liscia e tiepida. Gli occhi di Albus,
incollati ai suoi per tutto quel tempo, si spalancarono.
Come avrebbe voluto posare le proprie labbra sulle
sue…
“Martha!” l’urlo di Angie li riportò entrambi alla
realtà.
Albus la lasciò andare delicatamente, facendole
appoggiare la schiena contro la parte inferiore del divano e si allontanò,
sostituito immediatamente da Angelique che si buttò tra le sue braccia come una
disperata.
Martha si guardò attorno e constatò che erano
rimasti solo loro tre, gli altri probabilmente erano stati spediti a chiedere
aiuto.
“Com’è possibile?! Come hai fatto a controllarlo?”
le chiese nascondendo il viso tra i suoi capelli e stringendola a sé.
“Non lo so.” rispose semplicemente accarezzandole il
capo riccioluto.
Eppure in cuor suo la risposta era tanto semplice,
quanto davanti ai suoi occhi era visibile.
Aveva l’aspetto disordinato e lo sguardo limpido, affilato
come frecce di smeraldi. Era proprio di fronte a lei e la stava guardando
stralunato.
Albus.
***
“E ora come sta?”
“Come una mozzarella lasciata sotto il sole di
Agosto per troppe ore.”
“Ahahah Gigì che paragoni!”
“Te lo assicuro! Se ne sta lì pallida, a vegetare
nel letto, fissa il baldacchino con aria sconsolata! E non la capisco, diamine.
Insomma non ha perso conoscenza per la prima volta, non ha rischiato la vita durante
la visione… E ora si è rintanata sotto le coperte come un animale in letargo.”
sbuffò la ragazza buttandosi dietro le spalle la folta treccia bionda.
Un’altra risata si fece sentire per tutte le scale.
“E adesso mi tocca anche portarle la cena perché non
vuole uscire dal letto!”
“Non mi pare che il vassoio sia nelle tue braccia.”
“Perché tu non mi consenti di portarlo da sola!”
“Che razza di Grifondoro sarei se ti lasciassi
trasportare questo quintale di cibo spazzatura?!”
“Come ti permetti Jessy? Le praline al cioccolato
ricoperte di confettura sono tutta salute…”
“Ah certo… E i pop-corn al caramello? Le patatine
fritte con maionese? La torta alla melassa?”
“Credi che sia anche solo vagamente un tuo problema
il modo in cui scelgo di alimentare la mia
amica?!”
“No certo che no. Tuttavia ti inviterei a riflettere
sul fatto che non hai infilato in questa attentissima selezione di grassi
idrogenati e carboidrati elaborati nemmeno un’insalata o un frutto.”
“Tu stai troppo con Dominique.”
“Vero.”
“E sei una palla al piede.”
“Grazie Gigì. Non finisco mai di stupirmi quanto tu
possa essere cortese e distaccata con gli estranei e mancare, invece, di una
qualsiasi forma di educazione nei miei confronti.”
“Fatti due domande Jessy.”
“Oh vorresti dire che è colpa mia?!”
“È sempre colpa tua, Potter.”
James si voltò a osservarla e la vide trattenere a
stento un sorriso mordendosi le labbra.
E non poté far a meno di sorridere a propria volta.
L’aveva incrociata in Sala Grande ed era riuscito a
convincerla ad accompagnarla verso i Sotterranei per portare un vassoio
destinato alla O’Quinn, in modo che tutta la scuola li osservasse uscire
insieme dal grande portone.
Certo gli scocciava, e non poco, trasportare la cena
per quella frigida e altezzosa Serpeverde che a quanto pareva aveva assunto le
sembianze di un latticino squagliato, ma ogni minuto passato con Gigì senza
essere schiantato o maledetto era prezioso.
Era un piccolo frammento di tempo che gli consentiva
di farla aprire di più, di farla ridere, di sollevarla da quelle ombre che le
scurivano gli occhi.
Era tempo e a lui ne serviva tanto, più di quello
che gli era concesso.
“Beh, siamo arrivati.” disse Angelique tendendo le
braccia verso di lui, pronta ad assumersi il carico del vassoio stracolmo.
James le passò la scorta di cibo spazzatura e quando
sentì il peso sgravare i suoi muscoli si concesse di sfiorare le dita della
ragazza per istante. Vide il suo sguardo di giada guizzare nel suo e avvertì
una piccolissima contrazione dei muscoli delle mani sottili e minute che ora
sorreggevano il vassoio argentato.
Interruppe il contatto a malincuore e le rivolse il
collaudato sorriso noncurante, con cui nascose l’emozione dell’aver sentito la
sua pelle a contatto con la propria.
“Credo che domenica dovresti venire alla partita.”
Disse infilandosi le mani in tasca.
“Io vado sempre a tutte le partite del campionato
Jessy.” ribatté Gigì aggrottando la fronte.
“Intendevo dire che dovresti venire per me. Sai per
questa faccenda del fingere di uscire insieme…”
“Vorresti che mi presentassi con uno degli adorabili
striscioni che le tue compagne di Casa preparano durante l’estate, aspettando
solo di vederti salire su una scopa?” il suo tono grondava un sarcasmo così
gelido che James frenò l’istinto di andarsene senza nemmeno risponderle per
l’esasperazione.
“Non credo che ci sia bisogno di arrivare a tanto,
Angelique. Basterebbe solo che ti sedessi nella tribuna di Grifondoro con Lily
e Lucy.” rispose con tono seccato.
Gigì parve accorgersi del cambiamento della voce e
si imbronciò appena, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi. James
abituato a codificare i suoi strani messaggi gestuali, intuì che era
dispiaciuta per avergli parlato così e che ovviamente
non gli avrebbe chiesto scusa.
“Non lo so, Jessy… Il povero Salazard si
rivolterebbe nella tomba sapendo che ho guardato una partita di Quidditch sulla
tribuna del suo acerrimo nemico.” gli disse accennando un sorriso e
osservandolo da sotto le ciglia bionde.
James si chinò verso di lei, avvicinando il proprio
volto al suo.
“Mi piaci così sacrilega Dursley.” mormorò
osservando i suoi occhi leggermente a mandorla sbarrarsi. Le sorrise e rubò una
manciata di praline dalla ciotola, infilandosene subito un paio in bocca.
Poi si voltò e iniziò a camminare per il corridoio
in penombra certo che gli occhi di Angelique lo stessero seguendo. Fu infatti
solo dopo qualche secondo di pausa che la sentì imprecare e borbottare
qualcosa, probabilmente rivolta al muro che la inghiottì nella Sala Comune
delle Serpi.
James attraversò i corridoi quasi fischiettando e
lanciandosi in bocca di tanto in tanto le famose palline colorate che Gigì
aveva definito “tutta salute”.
Stava andando tutto a meraviglia! Sinceramente non
avrebbe mai scommesso uno zellino che un piano di Dominique potesse funzionare,
ma d’altra parte era una ragazza molto dotata, bastava solo che decidesse che
valeva la pena di usare il cervello invece della lima.
Superò la propria Sala Comune affollatissima come
sempre dopo cena, dove da un lato Celia Danes stava tenendo una lectio
magistralis riguardante i suoi prossimi acquisti per la collezione
primavera-estate di un qualche stilista, e dall’altro la sua famiglia stava
giocando a Gobbiglie tanto ferocemente che sarebbero arrivati in breve alle
mani.
James rise tra sé e decise che li avrebbe raggiunti
dopo aver finito di ripassare per il compito in classe di Pozioni che avrebbe
avuto la mattina seguente.
Salì le scale a balzi spalancando la porta della
propria stanza e fermandosi subito dopo allibito sulla soglia.
“Fanny?”
***
“Dove sei stata?”
La porta della loro stanza si spalancò prima ancora
che Angie bussasse e ne sbucò fuori la faccia minuta di Elena, su cui stava
stampata un espressione scura e torva.
“Secondo te Nana?” rispose Angelique alzando appena
il vassoio e inclinando il capo.
“Beh ci hai messo troppo.”
“Questo perché Potter mi ha impedito di portarmi da
sola il vassoio, che avrei fatto levitare accanto a me al posto che portarlo a
braccia come quel ritardato.”
“Oh che carino! Ti ha portato lui tutto questo ben
di Dio?!”
“Già.”
“E tu gli hai guardato il culo mentre se ne andava,
vero?”
“Nana!”
“Oh avanti! Vorresti farmi credere che non ti è
scappato l’occhio su quel perfetto fondoschiena?!” esclamò Elena assumendo
immediatamente la faccia da furbetta che ricordava ad Angie quanto la ragazza,
che non aveva mai dato nemmeno il suo primo bacio, la sapesse lunga su tali
argomenti e fosse nettamente più sveglia di lei.
Angelique alzò gli occhi al cielo e dribblò l’amica
che occupava il riquadro della porta, riuscendo a entrare in camere e a non
confessare che purtroppo sì, le era sfuggita un’occhiata e non troppo veloce al
lato posteriore della sua Piaga d’Egitto.
“Ah, quindi ti è pure piaciuto?!” incalzò Elena
subito al suo fianco.
No niente, con Nana non riusciva mai a farla franca!
Angelique le rivolse un’occhiata molto eloquente e
poi con un cenno del capo le indicò Martha che se ne stava immobile nel proprio
letto. Elena si strinse nelle spalle e scosse la testa, per comunicarle che non
era cambiato nulla.
“Martha… ti ho portato da mangiare.” mormorò posando
in un angolo del letto la scorta di cibo.
Martha emise una sorta di rantolo. Il suo corpo
sdraiato sul fianco sinistro rimase perfettamente fermo, tradito solo in un
secondo momento da un profondo sospiro che abbandonò il suo torace.
Elena si mise le mani su fianchi e scosse indignata
la testa.
“Adesso basta.” sussurrò riducendo i suoi enormi
occhi a due fessure, impresa titanica viste le dimensioni dei bulbi oculari. E
detto ciò fece due passi indietro con sguardo determinato rivolto verso il
corpo inerme del Prefetto O’Quinn.
Poi prese lo slancio e spiccò il volò verso il letto
dell’amica. Si buttò con tutto il suo esiguo peso addosso a Martha, causando un
pericoloso sobbalzo del vassoio in bilico nell’angolo del baldacchino.
La rossa emise un gridolino di sorpresa e di dolore
per il gomito ossuto di Elena che le era finito nel costato.
Angie fece le spallucce e seguì Elena buttandosi a
propria volta, cercando però di centrare il lembo di materasso libero, con
scarsi risultati.
“Lasciatemi stare, per favore!” piagnucolò Martha
nascondendo la testa sotto il cuscino.
“Martha Eugenia O’Quinn, piantala.” disse Angie
cercando di sollevare la piccola tana sotto cui si stava nascondendo l’altra,
ma le mani affusolate ed eleganti sapevano anche dimostrarsi incredibilmente
tenaci e non mollarono la presa sulla federa, anzi schiacciandola ancor di più
contro il suo capo.
“Si può sapere che cosa c’è che non va?!” strepitò
Elena mettendosi in ginocchio e punzecchiando il fianco dell’altra. “Non ti
hanno mandata nemmeno in infermeria stavolta!”
I riccioli ingarbugliati e ramati si spostarono a
destra e a sinistra, segno che la ragazza stava scuotendo il capo.
“Martha, te lo dirò una volta sola. Se non ti decidi
a uscire da lì sotto e a parlare, chiamo Potter.”
“Quale?” biascicò Martha con voce attutita dai
molteplici strati di tessuto.
“Tutti e due.” mormorò Angelique.
La testa rossa di Martha uscì immediatamente da
sotto il cuscino e i dolci occhi color cioccolato la fissarono incredibilmente
ostili.
“Sei proprio senza cuore, Principessa di Ghiaccio.”
“Sì hai ragione, credo
che sia
perché il mio stomaco è talmente grande che ha
occupato anche lo spazio del cuore e lo ha mandato in atrofia. Pralina al
cioccolato?” propose Angie agguantando la ciotola e mettendola sotto il naso
dell’altra.
Martha ne prese una senza troppo entusiasmo e la
mangiò, subito dopo un lieve sorriso si fece strada sulle sue labbra e la
ragazza annuì convinta, come se il sapore fosse molto meglio di quello che si
aspettava.
Dopo cinque minuti erano tutte e tre sedute con la
schiena contro la testiera del baldacchino di Martha, intente a tirarsi addosso
pop-corn e ridacchiare.
“Oh e quindi vorresti dirci che
James-culetto-perfetto non ci ha ancora provato?” si informò Nana ficcandosi in
bocca un enorme quantitativo di caramelle gommose.
“Te l’ho già spiegato Elena! Lui fa solo finta di
provarci.”
“Mmm…” mugugnò Martha intenta a deglutire l’ultimo
boccone di torta. “Angie direi che questa situazione è quanto mai pericolosa.”
“Oddio! Non ti ci mettere anche tu, per favore!”
sbottò la bionda.
“Dico solo che, se la cosa vi prende troppo la mano,
il limite tra realtà e finzione non sarà più tanto chiaro. Secondo te perché
gli attori si innamorano facilmente dell’altro protagonista del film?”
“Perché l’ufficio stampa gli ordina di fare un paio
di moine davanti alle telecamere?”
“No! Perché la recitazione dà la possibilità di
provare emozioni che ci si negherebbe se non si avesse una maschera dietro cui
nascondersi! La recitazione è liberazione dei desideri e delle possibilità che
normalmente sottostanno al controllo conscio… Per questo è pericolosa. È una
tentazione.”
Una strana calma calò tra le ragazze di Serpeverde,
inducendole tutte a riflettere sulle parole appena pronunciate da Martha.
Angie sapeva che l’amica aveva ragione e in queste
questioni normalmente era meglio ascoltare l’unica saggia del gruppo. Tuttavia
restava il fatto imprescindibile che sia lei sia Potter stavano creando tutto
quella baraonda per arrivare al cuore di qualcun altro. Nel suo caso il ragazzo
che l’amava non aveva il coraggio di lasciare la fidanzata, figlia di uno dei
più importanti uomini politici del mondo magico, William Danes presidente del
Wizengamot.
“Martha, abbiamo risolto tutti i tuoi problemi!”
esclamò Nana convintissima dandosi una manata sulla fronte. “Basta iscriverti a
un corso di recitazione con Albus!”
Martha arricciò le labbra in una smorfia poco
entusiasta e poi scosse la testa.
Angelique avrebbe tanto voluto chiederle per quale
ragione avesse vegetato nel letto per tutto il pomeriggio, ma sapeva
perfettamente che un qualsiasi approccio diretto con Martha sarebbe naufragato
nell’ostinato silenzio della rossa. Così si limitò a prendere un’altra manciata
di pop-corn, sopravvissuti alla piccola battaglia di poco prima, e aspettare
che Martha si aprisse.
“Oggi è successa una cosa incredibile….” mormorò
dopo qualche minuto la O’Quinn col capo leggermente chino. “Sono riuscita a
controllare la visione e il dolore. Riesco a ricordarmi tutto quello che è
successo! E ho capito…”
Martha si interruppe alzando lo sguardo lucido verso
il soffitto e stringendo le labbra. Angie le agguantò una mano e racchiuse tra
le proprie, stringendola dolcemente.
“Ho capito che è stato merito di Albus. Sentivo la
sua voce, la sentivo così in profondità che mi ha guidata. Ho ritrovato la
strada ascoltandolo.”
“Che cosa c’è di male in tutto questo?” chiese Elena
aggrottando la fronte.
“Che non glielo posso dire!!! Non posso dirgli
quello che provo per lui, né tanto meno che è l’unica persona sulla terra in
grado di aiutarmi a controllare questa
cosa.” e gesticolò in modo concitato attorno a sé, per indicare la sua
capacità di preveggenza. “Perché lo conosco e so benissimo che si sentirebbe in
dovere di salvarmi o di starmi accanto solo per…”
“Per pietà?!” chiese incredula Angie.
“Sì. Lui è fatto così. Se esiste anche solo una
possibilità che possa aiutare qualcuno, ci mette tutto sé stesso. Non potrei
sopportare che Albus si considerasse la mia medicina, senza ricambiarmi
davvero. Non voglio. Preferisco che resti tutto così com’è.”
“Uno schifo totale quindi.” commentò Nana
acidamente.
“Già.” poi una sorta di risatina incredula le uscì
dalle labbra e si coprì il viso con le mani. “Non ci posso credere! Sono stata
una tale idiota… Ho accavallato le gambe per stuzzicarlo, pensando che fosse
una mossa geniale e adesso mi sento così stupida!”
Angie trattenne rumorosamente il respiro e si mise
una mano davanti alle labbra, guardando sconvolta Martha.
“Oh Salazard, se hai accavallato le gambe per lui
deve essere vero amore!” esclamò mettendole una mano sulla spalla. Elena già se
la rideva quando anche Martha si decise a scostare le mani dalla faccia e
osservare la finta espressione incredula dell’amica.
“Mi stai sfottendo Dursley?” chiese Martha
sorridendo divertita nonostante tutto.
“Certo che ti sfotto O’Quinn, parli coma la
protagonista di una soap-opera sudamericana!”
Finalmente anche la rossa si concesse di sciogliere
la tensione e la tristezza in una breve risata.
Angie portò la mano al labbro inferiore e cominciò a
giocherellare con le pellicine, mentre la sua mente rifletteva sulle parole
dette precedentemente dall’amica.
Le loro vite sembravano continuamente delineate da
confini sottili ma incredibilmente potenti. Le loro esistenze intrecciate tanto
indissolubilmente per anni si tenevano in equilibrio grazie alla consapevolezza
di quei confini che non dovevano essere varcati.
Martha non prendeva nemmeno in considerazione l’idea
di dichiararsi con Albus perché l’avrebbe potuta rifiutare, oppure ne sarebbe
derivata una relazione completamente sbilanciata.
Lei stessa giocava col fuoco insieme a Jessy
sperando di suscitare una qualche reazione in Derek, contemporaneamente aveva
un strano rapporto di confidenza e di soggezione nei confronti di Scorpius, per
cui non sapeva mai che cosa dire e che cosa tacere.
Bertram Barrach si limitava ad amare da lontano
Elena per non turbare la rinnovata stabilità del gruppo.
Erano coinvolti in una rete le cui strade si
ridisegnavano ad ogni decisione presa, ad ogni passo verso quelle linee
invalicabili che solo per un movimento o una frase sconvolgevano il presente.
E bastava veramente un nonnulla per confondere e
superare i confini di sicurezza.
***
“Fanny che cosa ci fai qui?” chiese James
chiudendosi alle spalle la porta della propria stanza.
“Ciao Jamie.” mormorò la ragazza alzandosi in piedi
e andandogli incontro.
Aveva un tono incerto, che cozzava vistosamente con
il sorriso forzato che tentava di mantenere sulle proprie labbra.
James la osservò meglio e vide che i grandi occhi
celesti della ragazza erano vagamente arrossati anche se non c’era traccia di
pianto. I lunghi capelli castani, che solitamente portava orgogliosamente
sciolti per farli splendere dei riflessi caldi delle torce, erano attorcigliati
in uno chignon disordinato sulla nuca. E il suo viso… I suoi bei lineamenti
sembravano induriti, la pelle di pesca dal colore rosato risultava
incredibilmente pallida e smorta. La divisa di Grifondoro, che fino a poco
tempo prima le segnava perfettamente le curve di un fisico armonioso e invidiabile,
le stava più comoda del normale.
Fanny stava male.
“Fanny che succede?” chiese con tono addolcito.
“Niente, sono venuta a salutarti… Era tanto che non
ci vedevamo.” mormorò la giovane avvicinandosi a lui tanto da sfiorargli con
l’indice sottile lo stemma della Casa ricamato sul petto.
Il tono usato era volutamente basso e vibrante, e
l’occhiata inequivocabile che gli rivolse da sotto le ciglia scure gli fece
comprendere esattamente per quale ragione lei fosse lì.
Aveva ragione Fanny, era dalla sera prima del ballo
di Halloween che non si vedevano. E
l’ultima volta che erano stati insieme James si era sentito talmente un verme
che quasi non era riuscito a guardarla in faccia. Perché per tutto il tempo che
aveva stretto a sé il corpo di Fanny, che gli si era concesso con tanto
abbandono e fiducia, aveva immaginato, aveva sperato, aveva implorato persino
che fosse quello di un’altra.
Per quanto avesse sempre messo in chiaro che la loro
relazione non era basata su sentimenti amorosi ma su una condivisione di
tutt’altro tipo, in fondo voleva bene a Fanny, teneva a lei come a un’amica.
Era brillante, bella, simpatica, piena di ottimismo e lui si sentiva in colpa
per averla legata a quella situazione in cui lei non avrebbe mai potuto riporre
le proprie speranze, perché non c’era alcun futuro per loro. Solo un presente
precario e carico di opportunismo.
Le prese delicatamente entrambe le mani,
allontanandole da proprio petto, e la fissò negli occhi.
“Fanny, credo che sia meglio smettere di vederci a
questo modo.”
Gli occhi azzurri di Fanny, sbarrati dallo stupore e
dalla paura, gli diedero una visione tanto chiara di quello che stava accadendo
dentro di lei. Lei si stava spezzando in due per colpa sua.
“James…” mormorò con la voce sull’orlo del pianto.
“Io non vado bene per te, Fanny. Stai riponendo
delle speranze e della fiducia in qualcuno che non può ricambiarle… E che non
vuole ricambiarle.”
I grandi occhi che si specchiavano nei suoi si
colmarono di lacrime e il labbro inferire si arricciò nel tentativo di non
piangere.
“Allora è vero? Stai uscendo con quella stronza?”
chiese con voce rotta.
Il giovane Potter aprì la bocca per protestare, ma
la richiuse immediatamente. Beh… Aveva ragione su tutto il campo, Gigì era una
stronza e non gli sembrava il caso di difenderla in quel frangente.
“Non si tratta di questo. Vorrei che tu avessi la
possibilità di trovare qualcuno che ti voglia bene e che possa avere cura di
te…”
Fanny strattonò bruscamente entrambe le braccia
liberandosi dalla sua presa e gli rivolse un’occhiata tremenda, mentre due
grosse lacrime scivolarono oltre le palpebre, cadendo sugli zigomi.
“Sei ridico James. Non hai nemmeno il coraggio di
trattarmi come mi hai sempre considerata, da puttana! Ti difendi dietro le tue
belle parole e credi di passare per quello buono!” urlò furiosa. “Invece sei
come tutti gli altri! Uno schifo approfittatore! Sei un bastardo.”
“Non ho mai pensato di te questo. E, per quanto tu
possa rifiutarti di crederci, sono sincero. Pensi che non sarebbe mille volte
più semplice continuare ad ingannarti?!”
“Sai che ti dico, James?! Hai quello che ti meriti.”
Il ragazzo le rivolse un’occhiata confusa e lei si
asciugò le guance con un gesto stizzito.
“Lei ti spezzerà il cuore. Ti butterà via non appena
avrà raggiunto il suo scopo, quale che sia. E tu te lo meriti!” Fanny lo scostò
bruscamente e spalancò la porta. Poi si voltò verso di lui con nuove lacrime a
riempirle gli occhi. “Forse a quel punto capirai.”
E con un singhiozzo sparì per le scale, correndo
come una furia.
James si passò una mano sul viso e sospirò,
insoddisfatto e frustrato per com’era degenerata la discussione tra lui e
Fanny. Avrebbe tanto voluto che capisse quanto erano sincere le sue parole,
nonostante l’apparenza, in cui lui risultava come un classico menefreghista e
insensibile ragazzino, interessato solo a soddisfare le sue pulsioni, nelle sue
intenzione non c’era mai stata quella di usare Fanny, né tanto meno di ferirla.
Tuttavia aveva commesso entrambi gli errori,
facendola sentire una poco di buono, dando poco valore alla sua persona. Tutto
questo gli pesava sul cuore come un macigno.
Soprattutto
però sentiva gravare il terribile presentimento che forse la ragazza avesse
ragione su di lui e su Angelique.
***
Rose si passò pensierosa la piuma sul labbro
superiore.
Meglio annotare quella spesa nel registro della
contabilità interna o su quello delle spese esterne? ù
Si trattava di un alambicco estremamente costoso che
Dominique aveva decretato essere indispensabile per le sue creazioni, visto che
non poteva assolutamente accontentarsi di usare gli oli essenziali in commercio
perché, evidentemente, non si era mai certe di quanto fossero puri.
A tal proposito la bellissima e bionda Weasley stava
facendo sobbollire del rosmarino nel marchingegno di recente acquisto, per
utilizzano nella nuova linea per i capelli, comprensiva di shampoo e maschera
purificati la cute.
Dom aveva il visino minuto e perfettamente truccato
arricciato in una smorfia di concentrazione, sulla fronte liscia erano
disegnate un paio di rughe d’espressione dovute alla sua dedizione alla causa.
Angelique dal canto su stava seduta accanto a Lily,
analizzando un manuale scovato nel Reparto proibito dalla minore dei Potter,
non era dato sapere in quale modo indubbiamente illecito, per capire se fosse
in grado di riprodurre la pozione a cui si era interessata Leda. Un intruglio
complicatissimo per i tempi di preparazione molto rigidi che se ben eseguito
consentiva annullare gli effetti della Polisucco all’istante. Rose aveva un
vago sospetto sulle motivazioni che avessero spinto Lucy a richiedere ad
Angelique proprio quella pozione, ma se lo tenne per sé conscia che la
situazione era già abbastanza tesa.
Infatti quel pomeriggio al Quartier Generale delle
Menadi Angie aveva subito un vero e proprio interrogatorio di famiglia sulla
sua presunta relazione con James. Lei era stata granitica nella sua intenzione
a non rivelare nulla, limitandosi a liquidarle tutte con un “Non sono affari
vostri.”.
Eppure Lara e Leda, che non brillavano per la loro
empatia o delicatezza emotiva, non si erano arrese all’evenienza di non sapere
nulla, insistendo con domande e frecciatine… Finché la Dursley non era
letteralmente esplosa e aveva minacciato di abbandonare il ruolo di Alchimista
se non avessero smesso all’istante.
Così i quel momento regnava la calma piatta che
segue alla tempesta, in cui nessuna osava rompere il silenzio carico di
tensione che intercorreva tra loro.
In tutto questo però c’era una nota fortemente
stonata che Rose non poté far a meno di osservare sogghignando.
Il sorriso di Lucy.
La giovane, anche mentre cercava di estorcere
informazioni ad Angelique, aveva continuamente il viso illuminato da un sorriso
enigmatico, che poco si pronunciava nelle labbra sottili, ma che traspariva dai
suoi occhi.
Le sue iridi scure e profonde sembravano celare un
segreto di bellezza e di gioia incontenibili, che straripava dagli orli di
quelle ciglia fulve per gettarsi ai piedi degli interlocutori e manifestarsi in
tutta la propria intensità.
Era bella Lucy,
illuminata dai propri sentimenti che forse nemmeno lei capiva appieno e che
colmavano ogni crepa della sua anima. E le dispiaceva parecchio ammetterlo con
sé stessa, ma era tutto merito di quel farabutto di Benji Allucemonco, (che poi farabutto non era poi nemmeno
troppo…).
Rose chinò il capo verso il librone, pieno di cifre
e di annotazioni sue e delle altre componenti delle Menadi.
Chissà se a lei sarebbe mai capitato di provare
simili emozioni? Avrebbe mai trovato qualcuno disposto ad accoglierla e
apprezzarla proprio com’era?
Rose scrollò le spalle e si ravvivò dietro
l’orecchio una ciocca rossa sfuggita al raccolto fatto con una matita. Ad
essere sincera non le importava.
E non era per un meccanismo di difesa contorto per
cui tentava di respingere ciò che forse non avrebbe mai avuto o che l’avrebbe
potuta ferire. No, a lei non interessava per il semplice motivo che la sua
esistenza era sufficientemente complicata già così.
Seguiva un numero esorbitante di corsi riuscendo a
mantenere alta la media, doveva sostenere le incombenze di essere un Prefetto,
aveva numerosi amici a cui dedicare le proprie attenzione e, ovviamente, era il
Consigliere.
Quindi doveva occuparsi tutti i giorni che le sue
amate cugine non finissero arrestate e rinchiuse nel Riformatorio St. Flavus
per Giovani Maghi Criminali Senza Speranza di Redenzione, controllando che i
registri fossero intonsi, che non ci fossero tracce, che non avvenissero
incidenti diplomatici, che non si uccidessero con le creme di Dominique…
Insomma si trattava di un vero e proprio impiego a tempo pieno e a lei dava
immensa soddisfazione sapere che le sue cugine potevano contare su di lei.
A Rose piaceva la sua vita esattamente così com’era,
che bisogno c’era di cercare e di agognare un amore adolescenziale che avrebbe
portato solo scompiglio e sofferenza nella sua esistenza?! Ci avrebbe pensato
magari finita la specialistica al Ministero o al San Mungo, quando avrebbe
potuto permettersi di pianificare una relazione matura e stabile, quando
avrebbe avuto tempo per innamorarsi.
Quindi no, Rose Weasley non aveva alcuna intenzione
di innamorarsi.
Alcune cose però, per fortuna, sfuggono sempre al
controllo umano.
Note
dell’autrice:
Un aggiornamento di mercoledì può sembrare strano,
ma avendo concluso il capitolo mi sembrava un peccato non postarlo.
Dunque non ho molti commenti né chiarimenti da fare
se non quello che spero sia stato chiaro il tema portante del capitolo, ovvero
i confini interpersonali tra i nostri adolescenti, di come si rimodellano e
mutano ma comunque continuano a sussistere.
Spero che vi sia piaciuto e aspetto vostre eventuali
recensioni, commenti, dubbi da chiarire e quant’altro.
Un GRAZIE GIGANTESCO alle persone che hanno
recensito lo scorso capitolo: Cinthia988,
tony_tropcold, cescapadfoot, dreamcatcher05, chuxie, lyanerys e sa_sped_02 nuova recluta del gruppo dei
recensori. ;)
Colco l’occasione per ringraziare anche tutti gli
altri lettori, spero sempre di sentire prima o poi la vostra voce e sapere che
cosa ne pensiate.
Tanti baci a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 18 *** Cap.18 C'è di più oltre questo blu ***
Cap.18
Cap.18 C’è di più oltre questo blu.
Il
cielo è basso, le nuvole a mezz'aria,
un fiocco di neve vagabondo
fra scavalcare una tettoia o una viottola
non sa decidersi.
Un vento meschino tutto il giorno si lagna
di come qualcuno l'ha trattato;
la natura, come noi, si lascia talvolta sorprendere
senza il suo diadema.
(E. Dickinson)
Rose
era fortemente perplessa.
Di tutte le cose assurde
a cui nella sua giovane vita aveva assistito grazie alla sua frequentazione con
le Menadi, di tutti gli stratagemmi amorosi di cui aveva sentito parlare quello
che era appena uscito dalle splendide labbra di sua cugina, dipinte in onore
della partita imminente di rosso, ecco, quello non se lo aspettava davvero.
Perché se solo si
soffermava a pensare alle altre possibilità che avrebbero potuto prendere in considerazione
i suoi sciagurati parenti e che avrebbero funzionato, proprio non si spiegava
perché avessero intrapreso una missione così suicida.
“Ovviamente tu di tutto
questo non sai nulla! Anche perché teoricamente nemmeno io ne so nulla…”
Dominique si accigliò un istante socchiudendo li occhi celesti, riflettendo
sulla contraddizione intrinseca della situazione.
“Dom…”
“E se ci pensi è proprio
assurdo perché sono stata io a suggerire a James di…”
“Dominique!” la richiamò
Rose alzando appena il tono di voce e ottenendo immediatamente la sua
attenzione.
“Dimmi, Rosie Rose.”
rispose l’altra chiamandola come faceva spesso Lily e sorridendole in un modo
che avrebbe steso facilmente un esercito intero di cuori palpitanti. Poi
sorseggiò elegantemente il bicchiere di succo di zucca che si era servita alla
tavola di Grifondoro, ignorando le numerose occhiate che i ragazzi della Casa
dei Coraggiosi di Cuore le rivolgevano.
Rose si passò una mano
sulla fronte sospirando per lo spinoso argomento che si apprestava a sottoporre
alla cugina.
“Sai che andrà storto
qualcosa, vero?” disse con cautela guardandola dritta negli occhi.
“Come dici?” esclamò
indignata Dom.
“Dominique! Quante delle
tue ricette hanno funzionato fin da subito?”
“Non capisco che cosa
c’entri!” disse quella voltando altezzosamente il viso verso l’altro capo della
Sala Grande.
“Che voto hai preso ai
GUFO di Pozioni?” incalzò ancora Rose e per qualche secondo nelle sue orecchie
rimbombò solo il suono delle stoviglie del pranzo.
“Ho preso Accettabile, perché
ho imbrogliato copiando tutto da James.” borbottò controvoglia Dominique dopo
parecchio.
“Quante volte ha
funzionato un tuo tentativo di accoppiare quella poverina di Renèe o un’altra
tua amica?”
Si udì un mugugno
indistinto provenire dalle labbra serrate di Dominique.
“Non ho capito cara,
potresti ripetere?”
“Nessuna! Va bene?!
Nemmeno una volta.”
“Certo che non è mai
accaduto! E sai perché?! Perché tu non hai la benché minima idea di che cosa
significhi agire con metodo e con pazienza, non sapresti seguire una strategia
nemmeno se te la tatuassero sul braccio! Quando giochi a Quidditch segui solo
il tuo istinto e ogni tanto ti ricordi c he esisteva un piano di gioco, così lo
attui a modo tuo, con qualche variante.”
“Non mi sembra che nessuno
si sia mai lamentato finora di come io gioco a Quidditch!”
“Perché tu sei tu! E riesci a compensare una qualsiasi mancanza
col tuo intuito e il tuo talento. E non parlo solo del Quidditch.”
Dominique assunse
un’espressione pensosa e il suo labbro inferiore sporse notevolmente, mentre la
bionda rifletteva sulle parole della cugina.
“Dici che non ci saranno
sviluppi molto positivi?” chiese dopo qualche secondo di meditazione con tono
appena udibile.
Rose si morse la lingua
per non sbraitare il proprio parere in faccia alla ragazza. Sviluppi non molto
positivi le sembravano un eufemismo non da poco per quello che si prospettava
all’orizzonte.
“No Dom, tendenzialmente
non positivi.” disse scuotendo lentamente il capo.
“Uffa! Beh spero almeno che
Jimmy oggi vinca, ho scommesso un mucchio di galeoni su di lui!”
Rose suo malgrado si
ritrovò a sorridere per l’incapacità cronica di Dominique Weasley di
preoccuparsi seriamente per qualcuno che non fosse lei stessa.
***
“Avanti Angie ammetti che
da qui si vede molto meglio!”
“Non credo proprio Lily.
Anche perché la nostra tribuna è esattamente dall’altro lato del campo e si
vede allo stesso modo, se non meglio visto che da noi non ci sono tutti questi
energumeni che oscurano la visuale!”
Il giovane dalla oscurante
massa muscolare si voltò verso la ragazza guardandola offeso, ma non ricevette
nemmeno una vaghissimo cenno di attenzione da parte di Angelique, che era già
intenta a osservare il campo da gioco su cui non si erano ancora schierate le
squadre.
Infine Potter l’aveva
convinta a seguire la partita dalla tribuna di Grifondoro, fortunatamente in
compagnia di Lily, Dominique, Rose e Lucy, anche se di quest’ultima si erano
perse le tracce nella prima mattinata.
Una raffica di vento
gelido investì il viso di Angie e lei affondò il viso nella propria sciarpa,
provocatoriamente verde e argento in un mare di stendardi vermigli e
decorazioni dorate.
Il cielo sopra i loro
capi era di un grigio opalescente, le nuvole spesse e impenetrabili rimandavano
una strana luce, cupa e contemporaneamente accecante, che feriva
inesorabilmente gli occhi. Sembrava che da un momento all’altro il cielo
volesse rovesciare su di loro una bufera di neve, come quelle che nelle ultime
due settimane avevano imbiancato tutto il castello e il parco.
Dominique accanto a lei,
avvolta in un elegante cappotto nero che le cadeva perfettamente sulle spalle
esili, sollevò appena il capo e sorrise in direzione del prato sottostante.
Angie allungò il collo a
propria volta e vide entrare in quell’istante le due squadre.
Un boato di urla e
applausi accolse i giocatori accompagnato, come se non fosse abbastanza, da un
tripudio di trombette e altri arnesi per creare più confusione possibile. I timpani
di Angie vennero aggrediti da quel rumore assordante senza pietà.
Due file di colori
contrastanti si muovevano spedite verso il centro del campo imbiancato dove il
professor Baston attendeva. Ovviamente in testa a quella rossa e oro dominava
la scena James Sirius Potter, e la giovane ebbe il netto sospetto che la
maggior parte di quelle urla isteriche fosse indirizzata proprio a lui.
Angie si allungò ancora
un pochino per osservarlo meglio, mentre si fermava nel grande prato coperto di
neve fresca e guardava fisso la squadra di Corvonero che si stava schierando in
quell’istante.
La divisa da Capitano gli
delineava il torace e le gambe, facendo risaltare il fisico atletico e
l’altezza notevole. Gli occhi verdi di Angelique si fissarono in modo
inevitabile sulla sua figura e sulle sue spalle, ampie e ben ritte, irraggiate
dalla luce opalescente di quel pomeriggio, in cui il rosso della divisa
sembrava fin troppo intenso nel mare candido attorno a lui.
Il solito sopracciglio
impertinente prese ad inarcarsi vistosamente per i suoi stessi pensieri e Angie
aggrottò la fronte contrariata, rimettendosi seduta composta.
“Che mi sono persa? È già
iniziata?”
Lo schianto prodotto dal
corpo di Lucy Weasley che impattava contro il proprio sedile fece tremare tutta
la panca. Angie se la ritrovò alla propria sinistra e la guardò senza riuscire
a reprimere un sorriso furbesco.
Il viso dai tratti
taglienti e duri pareva ammorbidito da un espressione nuova. Le sue gote erano colorite
da un delicato rosa che c’entrava solo parzialmente con lo sforzo fisico appena
compiuto, che le faceva alzare e abbassare il petto rapidamente.
Gli occhi scuri di Leda
incrociarono i suoi e subito la Weasley aggrottò la fronte.
“Che hai da fissarmi in
quel modo?” il tono uscì meno burbero di quello che normalmente avrebbe usato
Lucy.
“Oh nulla… Mi chiedevo
solo se avessi gustato appieno il tuo
pranzo.” commentò Angelique ritornando a guardare il campo, non prima di aver
scorto un’ondata di rossore invadere le guance scarne dell’altra.
Un lungo e penetrante
fischio si udì sopra le urla festanti dei tifosi e immediatamente i giocatori
si librarono nell’aria in sella alle loro scope.
Le divise svolazzanti nel
vento crearono per una frazione di secondo, quell’attimo sospeso in cui la pluffa
non era ancora tra le mani di nessuno, un disegno splendido di turbini
scarlatti e blu, volute eleganti di colori vivaci contro lo sfondo bianco
tutt’attorno.
In quegli istanti in cui il
silenzio pervase per pochissimo lo spazio, Angelique non riuscì a impedirsi di
cercare James e il suo numero 7 stampato sulla schiena. E qualcosa dentro di
lei, in un punto imprecisato tra lo sterno e lo stomaco, si mosse quando si
accorse che lui l’aveva già trovata e la stava guardando.
***
Lucy non era mai stata
un’appassionata di Quidditch come la maggioranza della sua famiglia. In realtà
come ogni singolo componente della sua famiglia. Persino sua sorella Molly, che
non aveva mai dimostrato alcuna attitudine alle attività sportive, conosceva
ogni singolo punteggio del campionato, forse più per la convivenza con Victoire
e Roxanne che non per un reale interesse.
Ciononostante non aveva
mai perso una partita da quando era stata smistata in Grifondoro.
Quella volta avrebbe
disertato più che volentieri, visto che cosa si era lasciata alle spalle per
vedere come se la cavavano i suoi cugini tra bolidi, mazze, boccini, gomitate e
picchiate vertiginose.
Se socchiudeva gli occhi
le sembrava ancora di sentire le mani di Benji percorrerle il corpo con quel
tocco caldo e gentile, in cui si tratteneva a stento il bisogno di liberarla da
ogni vestito che si frapponesse tra loro. Se si concentrava appena poteva
percepire le labbra esigenti e morbide ricorrere le sue per non lasciarsi
sfuggire nemmeno un respiro…
Ed era una vera tortura
starsene a fissare tizi che urlavano e si sbracciavano per infilare una palla
di cuoio negli anelli mentre ogni fibra del suo corpo scalpitava per riprendere
la strada per Hogsmeade e ritornare da Benjamin Richardson, che le aveva
mandato completamente in pappa il cervello.
Mentre la sua giovane
mente si perdeva nelle elucubrazioni connesse al suo malavitoso preferito,
sentì Angelique irrigidirsi al suo fianco.
Lucy la osservò con la
coda dell’occhio e, apparentemente, nulla sembrava diverso nel viso pallido
fino al candore della ragazza, gli occhi dardeggiavano da un giocatore
all’altro seguendo lo scambio di palla con attenzione, la fronte era distesa e
la bocca aveva la consueta forma a cuore senza forzature nella piega. Eppure la
linea della mascella era contratta e le narici di tanto in tanto fremevano per
un respiro più faticoso degli altri, come se si stesse trattenendo.
E poi un suono conosciuto
e intollerabile raggiunse le sue orecchie. L’inconfondibile rumore causato dal
transito della Corte di Celia Danes, un misto di risatine trattenute, pigolii
che volevano essere commenti piccanti sui giocatori che in quel momento si
stavano sgolando sul campo da gioco e gesticolavano come Troll di Montagna, e
occhiate penetranti in direzione delle persone che evidentemente destavano i
loro sospetti o le loro curiosità morbose.
Lucy girò appena il capo
e la vide arrivare.
Camminava in testa al
piccolo crocchio di ragazze, vicine ma non abbastanza per affiancarla, con i
lunghissimi capelli castani acconciati in boccoli perfetti e spostanti su una
sola spalla; lo sguardo da cerbiatta, languido e luminoso in modo stupefacente,
che si posava con grazia sugli spettatori seduti sulle gradinate e li salutava
con un cenno misurato ed elegante. Una regina che concedeva graziosamente il
suo saluto ad esseri così incommensurabilmente al di sotto di lei.
Celia Danes stava
attraversando le tribune, con più di venti minuti di ritardo sull’inizio della
partita, appositamente calcolati per essere sicura che la sua entrata non
passasse in secondo piano o peggio fosse confusa con quella di tutti gli altri.
Lucy sentì il consueto
prurito alle mani farsi strada sui suoi palmi mentre osservava con quanta
studiata perfezione la Danes incedesse verso il suo posto, tenuto da parte
probabilmente dallo zerbino Schatten.
Una mantella di lana
scarlatta copriva le sue spalle e sul lato sinistro del petto spiccava
un piccolo grifone dorato, La sua pelle aveva uno splendido colorito roseo e
salubre anche se il sole non si vedeva da quasi un mese in quelle lande fredde
e nevose.
Comprese un secondo
troppo tardi perché Angelique si fosse tesa come una corda di violino, ovvero
quando il delizioso visino della Regina di Cuori si posò sul loro gruppo
sgangherato.
Dominique alzò a tal punto
il mento che Lucy sospettò si fosse erniata un paio di dischi vertebrali per
compiere una tale operazione.
Era un interessante
esperimento antropologico osservare come le due ragazze che dominavano la scena
dei pettegolezzi e della vita sociale di Hogwarts in modo diametralmente
opposto si rapportassero l’una con l’altra. E cioè come due tigri pronte ad
azzannarsi alla giugulare se una sola avesse invaso il territorio dell’altra,
come Dominique aveva in effetti fatto sedendosi nelle tribune di Grifondoro.
La tacita spartizione
della scuola era che ognuna restasse confinata alla propria area di potere,
quindi la propria Casa, altrimenti si sarebbe scatenata una guerra civile senza
esclusione di colpi di spazzola e sbavature di rossetti.
Lucy trasse una sigaretta
dal proprio cofanetto dorato e se la accese socchiudendo gli occhi, pronta a
godersi lo spettacolo.
“Ma che splendida
visione! Tutte le Weasley riunite in una sola volta… A questo punto però sorge
spontanea una domanda, tifate tutte per la stessa squadra o i vostri interessi
sono diversi?” la voce flautata di Celia, con una palese nota melliflua attirò
ogni sguardo su di loro nel giro di parecchi metri. Il suo sguardo si spostò su
Dom ed Angelique. “Infondo siete talmente tanti, una famiglia numerosa, piena
di passioni diverse… Tanto che avete iniziato ad accoppiarvi tra cugini!” Questa
volta i suoi occhi scuri si concentrarono su Angelique e la trapassarono
letteralmente. “O forse più semplicemente qualcuno ha la passione per i grandi
nomi da abbinare al proprio… così anonimo, senza preoccuparsi del fatto che sia
suo parente.”
“La cosa non dovrebbe
stupirti Danes, le cagne di razza non vengono montate dai padri?” Lucy sentì la
propria voce vibrare col solito tono graffiante prima ancora di aver formulato
appieno l’insulto nella sua testa. Angelique che già aveva spalancato la bocca
per ribattere si voltò verso di lei e la osservò stupita.
Dominique tossicchiò,
nascondendo abilmente una risata, nel silenzio generale che era calato subito
dopo il suo intervento.
“Sai Weasley, ogni tanto
dovresti fare attenzione a quello che esce dalla tua bocca… Si potrebbe pensare
che tu voglia offendere.” disse Celia sfoggiando un sorriso di una dolcezza
spiazzante, dietro cui si celava il veleno della minaccia.
“Sai Danes, se non ti
fossi fusa il cervello con le inalazioni di smalto, riusciresti a capire le mie
parole senza fraintendimenti!” ribatté Lucy aspirando dalla propria sigaretta e
lasciando fluire il fumo dalle narici.
“Forse un giorno, cara
Lucy, vorrai rimangiarti ogni singola parola e non sarà possibile. Fai
attenzione…”
“Certo Celia, e un giorno
io diventerò un unicorno che caga zucchero filato!” la interruppe Lily, poi
scattò in piedi e sbraitò con tutto il fiato che aveva nei polmoni: “E PRENDI
QUELLA MALEDETTA PLUFFA JAMES!!!”
Dominique si alzò a sua
volta e iniziò a inveire anche lei contro James, completamente dimentica della
presenza di Celia.
Non così Lucy che la
seguì per tutta la sua ritirata regale, senza che i suoi occhi si perdessero un
solo movimento. Angie accanto a lei finalmente rilassò la postura delle spalle
e le rivolse un cenno del capo per ringraziarla dell’intervento.
“Non approvo questo
genere di comportamento!” urlò Rose per sovrastare i toni soavi di Dom e di
Lily.
“E io non approvo
l’esistenza di quella cagna, ma non possiamo sempre avere quello che vogliamo!”
rispose Lucy facendo le spallucce.
“Lucy Catherine Weasley!
Non abbiamo bisogno di nemici nella nostra situazione, soprattutto non Celia
Danes!” ribatte l’altra con sguardo deciso ad animarle gli occhi azzurri.
“Temo che tu sia in
ritardo di almeno due anni Rosie.” mormorò sovrappensiero Lucy mentre la cugina
veniva travolta da un abbraccio strangolatore di Lily per il punto appena
segnato dai Grifondoro.
***
La prima volta che Albus
l’aveva trascinata in quella Sala Comune Angelique aveva pensato di essere
stata trascinata letteralmente nella tana del leone. Eppure fino a quel momento
non aveva esattamente compreso quanto quella prima sensazione fosse stata
azzeccata in tutto e per tutto.
Ovviamente Grifondoro
aveva vinto grazie ad una sfilza mirabolante ed acrobatica di punti messi a
segno dal Capitano Potter e dall’intervento del loro Cercatore, il già famoso
alle orecchie dei più Samuel Dixon, che con quella vittoria sembrava aver
riscattato parzialmente la sua persona dall’onta del disonore portato dallo
tsunami di cacca.
Ovviamente i Grifondoro
dovevano festeggiare. E ovviamente
lei era stata trascinata sotto minaccia da Lily e Lucy a fare baldoria nella
Sala Comune dei Coraggiosi di Cuore, che facevano tanta confusione da rendere
difficile persino parlare, che continuavano a spintonarsi per prendere più
cibo, che facevano cozzare le bottiglie nei brindisi senza sosta, che
arraffavano senza pietà dai vassoi, che le avevano pestato i piedi già un paio
di volte…
Ora non che a Serpeverde
non festeggiassero, però non sembrava che avessero vinto il campionato
mondiale, come invece accadeva in quella stanza. Caotica, confusionaria,
caldissima, tanto che il maglioncino le dava fastidio, in cui si vedevano
volare oggetti di tutte le fatte e dimensioni, persino una poltrona ad un certo
punto. Ad Angie pareva di star per impazzire e sorprendentemente si era ritrovata da sola!
Aveva perso le cugine ad
un certo punto tra le Burrobirre e i tramezzini al formaggio e Potter era
ancora accerchiato dai compagni di Casa, che gli mettevano tra le mani
bicchieri o che gli rifilavano poderose manate sulle spalle.
Che poi perché si
aspettava un intervento di Potter? Infondo lei avrebbe dovuto solo assistere
alla partita e tornarsene nei suoi Sotterranei freddi, silenziosi, austeri… Dio
come le manca la pace della sua Sala Comune!
Era tutta colpa sua, che
si era lasciata convincere da Lara e Leda ed ora ne pagava il prezzo bevendo
Burrobirra di quarta segata e mangiando focaccine poco farcite. Risparmiavano
pure sui condimenti!
Angelique sbuffò
sonoramente e si voltò con l’intenzione di prendere qualcosa di più decente dal
tavolino su cui erano ammassate le bottiglie della festa ma la sua mano rimase
sospesa a mezz’aria.
“Ciao.” un sussurro
appena accennato, un suono tanto lieve da non essere udibile in quella
confusione mortale, ma che le vibrò dentro.
La sua mano ricadde lungo
il fianco e i suoi occhi vennero inchiodati dai due neri che la stavano
fissando.
“Ciao Derek.” mormorò a
sua volta incapace di sottrarsi a quella perquisizione che lui stava operando
sul suo volto. I suoi occhi passavano dall’osservarle i capelli raccolti nella
treccia spessa, gli occhi, le labbra, le guance, qualunque dettaglio come se si
fosse dimenticato i suoi lineamenti dopo tutto quel tempo.
Non seppe dire quanto
tempo passarono a osservarsi, forse pochissimo forse molto più del lecito, poi
Derek distolse all’improvviso lo sguardo e si voltò verso il tavolino.
Angelique sbatté più
volte le palpebre e si morse il labbro inferiore cercando di trattenere la
voglia di urlare, di abbracciarlo, di scappare, di fare una qualsiasi cosa che
non fosse starsene impalata davanti a lui e sentire il cuore esplodere per i
battiti violenti.
“Vuoi da bere Angelique?”
le chiese mentre stappava una bottiglia marrone e più affusolata delle altre,
concedendole finalmente di distogliere lo sguardo.
Quando Derek allungò il
braccio quel tanto che bastava per raggiungerla Angelique concentrò la sua
attenzione sul vetro leggermente appannato per l’Incantesimo Refrigerante e
pose estrema cura a non sfiorarlo. Ma nonostante la Serpe fosse lei, sembrava
che Derek fosse molto più abile a intrappolarla con pochi e innocui gesti.
Non appena la bottiglia
fu nella sua presa la mano di Derek scivolò sulla sua e si diresse a cingerle
il polso con delicatezza, accarezzandole l’interno dell’articolazione col
pollice, proprio dove la pelle era tanto sottile da lasciare intravedere tutto
il reticolo delle vene.
Angelique alzò lo sguardo
su di lui spaesata e se lo ritrovò improvvisamente più vicino. Gli occhi neri
di Derek bruciavano nei suoi con una luce di disperazione inconfondibile,
ardevano consumati dalla stessa cosa che stava impedendo a lei di respirare e
ragionare, quello che li teneva legati…
Nonostante tutto.
Nonostante tutto erano
ancora lì a osservarsi come se non esistesse null’altro sulla terra, nonostante
tutto sentivano ancora il desiderio dell’altro scorrere insieme al sangue e
acciecare ogni raziocinio, nonostante tutto quello che era successo Angie
avrebbe desiderato baciarlo al centro di quella stanza e mandare in malora qualsiasi
cosa…
“Angelique…” sussurrò
Derek con voce rotta, ma Angie non seppe che cosa volesse esattamente dirle
perché vennero interrotti da una voce nota a entrambi.
“Gigì, ecco dove ti eri
cacciata!” il tono allegro di Jessy non vacillò nemmeno per un istante mentre
il giovane si posizionava al suo fianco.
La mano di Derek si
ritrasse fulminea dal suo polso e la ragazza fece un mezzo passo indietro,
sentendo contro la propria spalla il braccio di James. Il viso di Derek fu
attraversato da un lampo di comprensione e immediatamente i suoi lineamenti si
indurirono.
Forse poteva finalmente
immaginare come si era sentita tutte le volte che aveva scorto lui e Celia da
lontano, come si era sentita solo un paio di ore prima mentre i suoi occhi
registravano ogni gesto, ogni bacio dato tra di loro sulle gradinate di
Grifondoro. Non che questo le fosse di alcuna consolazione, ma forse poteva
smuovere qualcosa in Derek.
“Ehi Derek, ci sei anche
tu! Allora ti sei goduto la partita?” chiese Jessy carico del suo incrollabile
buonumore.
E quasi un sorriso sfuggì
dalle labbra di Angie, pensando in quale terribile pasticcio stavano affondando
lei e Potter, mentre lui continuava a tenere alto il morale della situazione.
“Sì, bravissimi… come
sempre!” rispose il giovane Schatten con un tono forzato, come se si fosse
costretto a rispondere.
“Ah ma io sono sicuro che
Gigì ha dei commenti tecnici da sottoporci. Tipo: che ne pensi del nostro
portiere Dursley?” chiese James voltandosi ad osservarla.
Angelique distolse lo
sguardo da quello stravolto di Derek per puntarlo in quello di Jessy, le cui
gote erano leggermente arrossate e gli occhi scintillavano con uno sguardo
stranamente più duro del tono amichevole che stava usando.
“Penso che Fred sia il
tuo unico giocatore decente Potter. Quindi vedi di tenertelo stretto!” ribatté
lei incrociando le braccia sotto il seno.
“Oh grazie, sai sempre
come far sentire una persona importante Gigì.”
“Potter tu hai bisogno
solo di essere ridimensionato, altrimenti il tuo ego ti farà esplodere prima o
poi.”
“Beh allora vieni,
andiamo a ridimensionarmi l’ego.” disse James e la trasse a sé afferrandola per
un gomito. “Ciao Derek.” continuò senza nemmeno voltarsi.
Angie non riuscì nemmeno
a ribattere che si trovò immersa tra le persone, stretta dalla mano di Jessy
che la guidava in mezzo a tutti e ancora incapace di credere che lui avesse posto
fine alla sua conversazione con Derek tanto bruscamente.
Non lo aveva salutato…
Quando la folla si diradò
Angie si ritrovò davanti al ritratto della Signora Grassa che si spalancò
subito prima che James ci si schiantasse contro nella sua corsa.
“Jessy…” lo chiamò cercando di divincolare il
gomito mentre uscivano da quell’angusto passaggio.
Tuttavia lui non allentò
la presa e procedette lungo il corridoio come se non l’avesse nemmeno sentita. Angelique
frastornata si limitò a caracollare dietro il ragazzo e mantenere
miracolosamente l’equilibrio.
La lunghezza dei passi di
James era tale per cui Angelique quasi correva per stare al suo passo senza
trovarsi un gomito disarticolato.
“Potter! Lasciami
immediatamente.” sbottò Angie puntando i piedi per terra.
Potter la osservò da
sopra la spalla, con gli occhi nocciola pervasi da un’espressione dura, e
lasciò la presa all’improvviso.
Angie cadde a terra con
un ridicolo urletto e si ritrovò ad osservare infuriata il ragazzo che incombeva
sopra di lei. James però non le lasciò il tempo di recriminare e si accucciò
sui talloni in modo da osservala alla sua stessa altezza, piantandole in viso sempre
quello strano sguardo.
“Sei arrabbiata Gigì?”
chiese con tono basso e che Angie trovò inspiegabilmente piacevole “Non puoi
nemmeno immaginare quanto lo sia io ora… Quindi alzati e vieni con me. Ho
bisogno di sfogarmi.”
Angelique aggrottò la
fronte contrariata e fece per rispondere malamente, ma le mani di Jessy si
chiusero sui suoi polsi e la tirarono in piedi, vicina tanto da sfiorarlo.
I suoi polsi restarono
chiusi tra le mani di lui, che non facevano male ma non lasciavano spazio per
la ritirata.
“Jessy ma che cavolo ti
prende? Non mi hai nemmeno lasciato salutare Derek…”
“Per poi vederti con
quello sguardo da moribonda quando lui fosse tornato tra le cosce della Danes?
Allora scusami tanto se ti ho risparmiato di essere messa da parte per una
volta!” sbottò James abbassando il volto sul suo e fissandola con durezza.
Angie sentì i propri
occhi sbarrarsi per la risposta appena ricevuta e per il comportamento di
Potter. Sembrava davvero arrabbiato… E con lei tra l’altro! Proprio non
riusciva a capire che cosa avesse fatto oltre le solite punzecchiature per
farlo arrabbiare.
“E adesso vieni, per
favore.” aggiunse James distanziandosi da lei e abbandonando i suoi polsi
finalmente.
L’aria fredda che
penetrava dagli infiniti spifferi dei corridoi colpì la pelle che fino a poco
prima era stata scaldata dalle mani di Potter e facendole sentire come se quel
freddo le fosse penetrato fin nelle ossa delle braccia.
Angelique incrociò le
braccia e seguì rabbuiata Potter che incedeva senza voltarsi nel corridoio.
Dopo qualche svolta
brusca e corridoio buio, vide James arrestarsi bruscamente e avvicinarsi ad un
quadro.
Angie lo raggiunse e
riconobbe la natura morta in cui una pera si stava ancora contorcendo.
***
Lucy trangugiò con una
smorfia la pozione dal sapore a dir poco rivoltante. Mentre il liquido viscoso
le invadeva l’esofago un colpo di tosse le scosse il petto per il terribile
sapore che ora dominava nella sua bocca.
Sentì immediatamente i
suoi lineamenti tornare alle fattezze che Madre Natura le aveva inclementemente
assegnato con numerosi scricchiolii e fitte dolorose, così come in tutto il
resto del corpo, che dalla stazza di un marinaio in pensione ritornava alla
consueta magrezza.
L’Alchimista si era
rivelata infallibile come sempre, riuscendo persino nella composizione di
quello schifo tremendo che però annullava istantaneamente gli effetti della
Polisucco. Considerate le sue sempre più numerose uscite clandestine dal
castello e sempre ad orari più improbabili, come in quel caso, il minimo di
precauzione che doveva prendersi era quello di non essere sorpresa a girovagare
per le vie di Hogsmeade sotto le spoglie di Lucy Weasley, ma sotto quelle di un
qualsiasi ubriacone con la pancia prominente.
“Mi chiedo da parecchio
tempo dove riusciate a trovare tanti capelli per avere ogni volta un aspetto
diverso.”
Lucy alzò lo sguardo
verso l’uscita posteriore della Taverna delle Lucciole, da dove proveniva la
voce baritonale famigliare che l’aveva appena interpellata.
“Aaron, quello della
strada vicina al canale. Lara riesce sempre a farsi fare degli sconti
speciali.” Rispose Lucy sorridendo al pensiero di come quella gnoma di sua
cugina riuscisse a mettere nel sacco chiunque quando si parlava di galeoni da
risparmiare.
“La vedo dura, quello non
toglierebbe uno zellino nemmeno a sua madre.” Ribatte Benji sollevando entrambe
le sopracciglia scure.
“Oh beh, se conduci tutti
i tuoi affari come hai fatto con me, non mi stupisco che Aaron non voglia farti
sconti!” rispose Lucy facendosi avanti e lasciando che un sorriso sardonico
sbucasse da sotto il cappuccio scuro del mantello.
“Stranamente quando non
ci sei tu nei paraggi riesco a mantenere un minimo di professionalità,
Ragazzina. Quindi non preoccuparti, non ho mai trattato Aaron come tratto te.”
Disse lui abbassando volutamente il tono la voce fino a farla diventare roca.
Lucy sentì un piacevole
formicolio percorrerle la spina dorsale per il suo tono, quasi che fosse una
premessa a quello che sarebbe seguito se solo si fosse avvicinata a lui di un
altro paio di passi.
Benjamin restava
appoggiato con una spalla allo stipite della porta e si “limitava” ad osservarla
con uno sguardo la cui finalità ultima sembrava quella di sbrindellare ogni
singolo indumento che portava in quell’istante.
Indossava una camicia blu
notte arrotolata sui gomiti, così che gli avambracci dal colorito brunito risaltassero
nudi vicino ai pantaloni beige, nelle cui tasche teneva affondate le mani.
Lucy avrebbe tanto voluto
non sembrare così disperatamente fremente all’idea di tuffarsi tra quelle
braccia marmoree e emettere fusa come una gatta, avrebbe desiderato riuscire a
contenere il bisogno di stringerlo a sé e baciarlo fino a non avere più aria
nei polmoni, ma quando incrociò lo sguardo dorato e liquido di Benji che si
fissò nel suo con la consueta spiazzante intensità, si disse che la dignità e
il contegno non erano cose di cui tener conto tra innamorati.
Con un due falcate
rapidissime si slanciò verso di lui, afferrandolo per il colletto della camicia.
Le mani di Benjamin sgusciarono fuori dalle tasche rapide e si posarono sulla
sua schiena, per sostenerla mentre riprendeva l’equilibrio o per stringerla
ancor di più contro di sé, Lucy non avrebbe saputo dirlo.
Trovò le sue labbra
quando gli occhi si erano già chiusi, e nell’oscurità la percezione delle loro
bocche che si incontravano e si schiudevano quasi all’unisono si acuì ancor di
più.
Sentì i palmi dell’uomo
risalire il suo mantello, mentre una si soffermava a stringere convulsamente la
stoffa, l’altra proseguì fino al cappuccio e lo abbassò, affondando poi le dita
tra i suoi capelli corti.
Lucy approfondì il bacio
e sfiorò la lingua dell’uomo con la propria, ritraendosi non appena anche lui
tentò di rispondere al bacio. Quando udì il lamento di insoddisfazione uscire
flebile e quasi indistinto dalla gola di Benji, lei tornò a concedergli il
contatto che poco prima aveva negato. Sfiorò il suo palato e intrecciò la
lingua con la sua, assaporò ogni respiro e gustò ogni sfumatura di quel bacio.
In breve diventò una
lotta per il predominio sulla bocca dell’altro, e dalle labbra il conflitto
dilagò anche alle mani che cercavano appigli nella foga dei gesti, che
stringevano la carne ostacolati dagli inutili tessuti, prese possesso delle
gambe che si strusciavano e si incrociavano per farli stringere di più uno
contro l’altra.
Le labbra di Benjamin
lasciarono le sue e si avventarono sul suo collo infreddolito dal gelo di fine
Novembre, baciando e mordendo a intervalli la pelle sottile e sensibile,
strappandole ansiti che di dignitoso e contenuto avevano ben poco.
“Benjamin?” domandò in un
sussurro mentre la lingua dell’uomo lambiva il profilo della sua clavicola.
“Ragazzina, dobbiamo
lavorare su questa cosa che tu vuoi sempre parlare quando invece dovresti
limitarti a baciarmi.” Disse lui alzando il capo e osservandola con malizia.
Lucy deglutì, nella
speranza di inghiottire anche il piccolo moto di panico che si stava irradiando
in lei al pensiero di quello che voleva chiedere. Aprì la bocca e poi la
richiuse. Piccolo un corno, quello era un gigantesco attacco di tachicardia.
“Benjamin posso restare?”
L’uomo la osservò per un
istante senza comprendere, poi quando finalmente capì che cosa lei intendesse
si allontanò quanto bastava per poterla osservare in viso.
“Non credo che sarebbe
saggio, Lucy.” Mormorò dopo qualche istante con tono incolore e freddo, mentre
i suoi occhi si puntavano sul muro oltre la sua spalla.
L’indifferenza di quelle
parole fu uno schiaffo in pieno viso per la ragazza che ritrasse le mani dal suo
petto e abbassò il volto.
Pensò che l’amara verità,
che lei tentava così strenuamente di ignorare o di plasmare a seconda degli
eventi, le si ripresentava ciclicamente in tutta la sua straordinaria forza. La
prova incontrovertibile che infondo lui non la voleva davvero. E per questo non
voleva nemmeno che lei restasse.
In un moto di ira Lucy
volle allontanarsi dall’abbraccio in cui la teneva ancora stretta,
puntellandosi contro il suo petto con le braccia e facendo leva. Riuscì a
liberarsi in un primo momento cogliendolo di sorpresa, ma non appena gli voltò
le spalle decisa a tornarsene al castello sentì che le braccia di Benjamin si
richiudevano sul suo corpo con rapidità.
Tentò di divincolarsi,
cercando di forzare le braccia ad aprirsi, ma per tutta risposta Benji la
strinse ancor di più contro il proprio torace. Lucy sentì i bicipiti tendersi
contro le sue spalle, la curva del muscolo che si modellava contro le sue ossa,
i fasci delle braccia premere contro il suo seno e trasmettervi un calore
intollerabile. E lo detestò ancor di più, perché dopo averla rifiutata non le
lasciava nemmeno la possibilità di una ritirata, e soprattutto perché il suo
profumo le invadeva ogni angolo del cervello e non le rendeva così
intollerabile la permanenza entro quei confini forzati, questo però era un
altro discorso…
“Smettila di muoverti
Lucy, per favore.” Le disse vicino ad un orecchio.
“Lasciami. Adesso.”
Replicò lei perentoria senza smettere di contorcersi e spingere.
“No.”
Aveva quasi voglia di
piangere, per l’impotenza di ogni sua azione contro la forza di Benji. Ma Leda
non era decisamente abituata a deporre le armi senza averle provate tutte.
Lucy chinò la testa e
morse con decisione l’avambraccio nudo dell’uomo. Ma al contrario di quello che
si era aspettata Benjamin scoppiò a ridere.
“Mi hai morso,
Ragazzina?” le chiese con voce suadente e incredibilmente bassa.
“Sì!”
“Adesso basta.” Disse Banjamin
e con movimento deciso, la sollevò quel tanto che bastava per togliere
l’appoggio sotto i piedi e portò entrambi contro il muro esterno della Taverna
delle Lucciole. Le sue scapole schiacciate dal petto dell’uomo, la sua nuca
sfiorata dai suoi respiri e le sue braccia intrappolate.
“Richardson, se non…”
“Sta zitta, Ragazzina.
Ora parlo io.” disse stringendola ancor di più e sfiorandole il lobo con le
labbra. “Quando dico che non sarebbe saggio che tu ti fermassi qui, questa
notte, è perché sono sicuro che non riuscirei ad esimermi dal commettere azioni
irreparabili. E ciò che vorrei farti, soprattutto quando ti dimeni contro di me
in questo modo, è decisamente
qualcosa di irreparabile.”
Lucy si immobilizzò. Le
sue spalle smisero di restare contratte e tutto il suo corpo si rilassò di
colpo. I suoi occhi si spalancarono ad osservare i disegni immaginari del
cemento del muro a pochi centimetri dal suo viso.
“Io pensavo…” mormorò
imbarazzata.
“Che non ti volessi?! Ancora
con questa storia. Dio Santo Lucy, mi farai diventare matto…” sbottò e la
lasciò andare.
Lucy si voltò
rapidamente, consapevole di aver forse esagerato e magari di avergli fatto
cambiare idea, quando invece lui prima…
Il flusso di pensieri
articolati e paranoici si interruppe bruscamente quando Benji si avventò sulle
sue labbra schiacciandola contro il muro senza troppi complimenti. Registrò
appena l’impatto che in una qualsiasi altra occasione sarebbe stato doloroso,
tanto quella bocca, che si muoveva sulla sua con decisione, aveva assorbito
ogni capacità ricettiva.
Ciò che scaturì da quella
mezza aggressione contro il muro fu un bacio famelico, un alternarsi quasi
confuso di denti e lingue alla ricerca di un appagamento impossibile da
ottenere con quel semplice contatto; Lucy ebbe l’impressione che Benji si
stesse nutrendo letteralmente di lei.
E quel pensiero la spinse
a gettarsi ancor di più tra le sue braccia e le sue labbra, se mai fosse stato
possibile.
Le mani di lui si
insinuarono sotto il maglione e quando i polpastrelli infreddoliti le
accarezzarono i fianchi e la base della schiena, Lucy sentì i brividi di
piacere irraggiarsi nelle gambe e nelle braccia.
Si sentiva sospesa sull’orlo
di un precipizio, come la prima volta che Benji l’aveva baciata, con la stessa
identica percezione di stare per compiere un salto nel buio. Forse perché la
sua esperienza con i ragazzi rasentava l’inesistenza e avere a che fare con un
uomo, con Benjamin, con i suoi occhi color dell’oro che bruciavano su di lei,
non era esattamente una passeggiata. Forse perché non aveva mai sperimentato
prima un tale sentimento e questo la terrorizzava.
Eppure il suo corpo non
si muoveva goffamente entro i confini di quello di lui, non si sentiva
sbagliata, né poco femminile, ma a giudicare dal bacino di Benji che premeva
contro il suo doveva essere anche parecchio desiderabile per lui.
La mano dell’uomo risalì
il fianco e lambì un seno, stringendo lievemente e causandole un gemito.
“Ragazzina…” Benjamin si
era finalmente staccato dalle sue labbra e aveva pronunciato quel soprannome
con un tono che fece liquefare ogni terminazione nervosa. Sembrava pronunciato
con pari dolore e desiderio, come se non sapesse più che fare.
Lucy sbattè gli occhi un
paio di volte e lo vide. Aveva i capelli bruni arruffati dalle sue mani che
ancora vi restavano affondate, le labbra umide e arrosate e gli occhi di uno
sfavillante giallo topazio che affondavano nel suo semplice nocciola, scavando
e cercando senza posa, come sempre.
E in quegli occhi vide
incertezza e timore che finalmente si concedeva di far affiorare, ma vi lesse
anche qualcosa che la spinse nuovamente a parlare. Sembrava molto più giovane e
più indifeso di come lo avesse mai visto e fu questo a convincerla che anche
lui tentava di difendersi da quello che provava, in modo contorto e
incomprensibile, assolutamente maschile.
“Benjamin, fammi restare
per favore.”
“Lucy…”
“Fammi restare.” La terza
volta non chiese e non fu educata, decise che si sarebbe presa quello che
entrambi desideravano perché Benjamin pensava ancora che lei fosse una
fanciulla da salvaguardare da lui, dalla sua presenza.
Come poteva non vedere
quanto lei fosse adatta a camminare al suo fianco? Come riusciva a ancora a
cercare di tenerla a distanza quanto lei vi aveva rinunciato dalla prima volta
in cui lo aveva visto e aveva usato il nome falso più assurdo che esistesse?
Quando sentì la mano dell’uomo
scivolare nella sua e stringerla, sorrise, conscia di aver vinto.
“Ti stai congelando,
vieni dentro.” Mormorò lui conducendola verso la piccola porta sul retro che
era rimasta aperta per tutto quel tempo.
***
“Oh Benedetto Salazard…
ma tu che cavolo hai al posto dello stomaco?”
“IO?! Gigì hai idea di
che cosa tu abbia ingurgitato nell’ultima mezz’ora?”
“Beh, ma io almeno non ho
fatto il tris di tutto quello che mi
portavano gli elfi!”
“Te l’avevo detto che mi
dovevo sfogare!”
“Ah già… Quindi ti è
passata la fase da prima donna in cui mi devi trascinare come una borsa della
spesa?!”
James portò il dito
indice sporco di cioccolata alle labbra e leccò il rimasuglio, sospirando
subito dopo estremamente soddisfatto.
Angelique dal canto suo
lo osservava con un sopracciglio inarcato e le mani incrociate davanti al
volto, puntellandosi coi gomiti sul tavolo delle cucine di Hogwarts.
“Non lo so Gigì… In fondo
sei stata abbastanza collaborativa questa volta. Non c’è stato un gran gusto!”
Le labbra di Angelique si
strinsero pericolosamente e le sue narici subirono un’evidente dilatazione,
segni inconfondibili della sua arrabbiatura, che James riconosceva al primo
manifestarsi.
E mentre stava per
correre ai ripari dietro una delle postazioni della cucina o erigendo una
barricata con la panca su cui era seduto, accadde l’impensabile.
Angelique abbandonò d’un
tratto quella mezza espressione collerica e sorrise. Gli occhi verdi sembrarono
catturare le luci della stanza e rifletterle con limpidezza spiazzante, le
labbra a cuore si sollevavano verso gli zigomi lasciando intravedere appena la
linea bianca dei denti.
E gli occhi di James si
persero letteralmente in quel gesto apparentemente innocuo, restando immobile
sulla curva dolce e sensuale che prendeva vita da quella bocca sorridente che
si rivolgeva proprio a lui.
Angelique si avvicinò
facendo leva sui gomiti e lasciò scivolare le mani verso il tavolo.
Solo quando sentì i
polmoni bruciare chiedendo aria, James si accorse di aver trattenuto il
respiro, mentre ascoltava ipnotizzato il suono del suo cuore che accelerava i
propri battiti ad ogni centimetro che le si avvicinava. Inspirò a fondo e quel
miscuglio di fiori entrò dentro di lui insieme all’aria, necessario come essa e
impresso nei suoi ricordi come qualcosa di imprescindibile.
Inebriante. Dolce.
Fresco. L’odore di quella Primavera che lei era per lui.
Angelique a pochi
centimetri dalle sue labbra, che ancora sorrideva, che aveva i capelli colore
del grano raccolti in una folta treccia adagiata sulla spalla.
Angelique, il cui seno si
sollevava e abbassava ad ogni respiro e affiorava appena dalla scollatura della
camicia.
Angelique e quegli occhi
verdi che ora avevano assunto una luce molto più maliziosa, quasi giocosa…
“Io, Potter, non sono
collaborativa. Mai.” Disse lei, il sorriso si allargò ancora di più.
E poi ancora lo stupì. O forse
no, perché la conosceva da anni e quindi sapeva che si sarebbe vendicata per
come l’aveva tratta prima.
Quando la mano di Gigì
carica di tutto il contenuto della ciotola del porridge calò sulla sua guancia
sinistra e sui suoi capelli, James chiuse gli occhi, strappato brutalmente ai
suoi pensieri e a quella tensione crescente che aveva sentito mentre lei gli si
avvicinava.
Nel buio della sua mente
riuscì a recuperare un minimo di lucidità, ad affogare nel silenzio il
desiderio che lo aveva scosso.
Sentiva pezzetti di avena
cadere dal capo sulla maglietta e sui calzoni, mentre una parte del latte
colava in lenti e viscosi rigagnoli per il collo fino al petto.
Quando riaprì gli occhi
trovò come prima cosa quelli di Angelique, vigili e guardinghi, in attesa della
sua reazione, mentre sulle sue labbra aleggiava ancora un sorrisetto sardonico.
La ragazza aveva già scavalcato
la panca con una gamba e teneva il busto di tre quarti, pronta alla fuga.
James si mosse con
lentezza, prese un fazzoletto e si ripulì la faccia e il collo, osservando lo
stato pietoso in cui la maglietta e i jeans erano ridotti.
Attorno a loro si era
creata una bolla silenziosa, in cui anche i rumori degli elfi che spignattavano
a poca distanza sembrano attutiti fino a scomparire, in cui i loro respiri
scandivano i secondi di calma piatta.
A ogni movimento che
compiva sentiva il peso dello sguardo di Angie, che analizzava ogni minuscolo
gesto in attesa di un segnale abbastanza chiaro per iniziare una vera e propria
lotta.
Quando anche il secondo
fazzoletto finì appallottolato sul tavolo, James riportò lo sguardo su di lei.
“Beh?! Sei soddisfatta
immagino, hai ottenuto la tua piccola vendetta. Hai dimostrato ancora una volta
quanto inflessibile sia il tuo giudizio. Come sempre hai soddisfatto il tuo
infantile egocentrismo per cui ogni frammento del cosmo deve girare attorno ai
tuoi desideri e alle tue offese. Sei contenta Angelique?” James riconobbe a
stento la propria voce alterata e altrettanto Angelique.
La ragazza sbarrò gli
occhi e lo osservò stupita, il sorriso svanito del tutto e le labbra appena
dischiuse per lo stupore di quella risposta così acre.
James lasciò intercorrere
ancora qualche secondo perché la sua recita raggiungesse l’effetto desiderato,
e poi si mosse più velocemente possibile.
Prese una fetta di torta
alla crema e senza esitazione mirò al viso di Angelique, con la precisione
tipica dei Cacciatori centrò in pieno il naso e la bocca.
Angelique resasi conto
dell’inganno cercò di schivarla, ma la distanza tra loro era troppo poca per
consentirglielo. Così il dolce si spalmò con un suono comico su tutta la sua
faccia, imbrattandole la camicia e i capelli.
E poi fu la degenerazione
più totale.
Nel giro di pochissimo iniziò
a piovere cibo da entrambi i lati del tavolo senza tregua.
Angelique afferrava con
rabbia le prime cose che le capitavano a tiro e le lanciava contro di lui senza
realmente mirare, troppo presa dalla foga della vendetta, dall’oltraggio di
essersi fatta fregare proprio lei, la piccola Vipera.
James rispondeva alle
offensive e ovviamente tentava di evitare più colpi possibili, col risultato
che molta roba finiva alle sue spalle, contro i mobili delle dispense,
spappolata sul pavimento o addosso a qualche innocente elfo che passava di lì
per sbaglio. E mentre lei furibonda continuava a bombardarlo, non riuscì più a
trattenere le risate.
Proruppe in una fragorosa
risata, causando un fiume di insulti da parte di Gigì, in parte francesi e
piuttosto coloriti.
James stanco di ricevere
i più svariati ingredienti tra orecchie, naso e occhi, si alzò e aggirò il
tavolo. Angelique si alzò a sua volta e se la diede a gambe, non prima però di
aver preso una manciata di biscotti e averla usata come granata mentre correva
verso un bancone lì vicino.
Mentre un paio di biscotti
gli colpivano il sopracciglio, James accelerò la propria andatura e in breve
raggiunse Angelique. Non ci mise molto poi ad acciuffarla per la vita e
bloccarla.
Lei inaspettatamente
scoppiò a ridere e tentò di liberarsi.
Tuttavia mentre gli
sembrava di avere la vittoria in pugno, mise un piede su una qualche sostanza
non meglio identificata, finita sul pavimento sicuramente per quella guerra
culinaria. Perse l’appoggio scivolando in avanti e lasciando la presa su di
lei.
Caddero a terra in un
incrocio confuso di gambe e detriti di cibo, emettendo simultaneamente lamenti
di dolore.
“Ahia! Jessy spostati mi
schiacci!”
“Ci sto provando ma ho un
braccio sotto la tua schiena!”
“Se solo tu… Ahahahah…”
“E adesso che ti prende?”
“Hai i capelli pieni di
glassa azzurra! Ahahaha…”
“Se vedessi come sei
ridotta tu non rideresti.”
Eppure sotto di lui
Angelique non smetteva di ridere. Sentiva tutto il suo torace contro il proprio
sobbalzare per quell’allegria contagiosa, aveva le orecchie piene di quel
suono, nuovo e al contempo conosciuto, qualcosa che non era mai stato per lui
fino a quel momento.
Quando rideva così
intensamente, gettava la testa indietro scoprendo la linea lunga ed elegante
del collo, i suoi occhi si strizzavano in un’espressione buffa e fanciullesca,
aveva la pelle, i vestiti e i capelli sporchissimi e non ne aveva la minima
idea. Era bella in un modo del tutto inconsapevole, che gli faceva esplodere il
cuore nel petto.
Gigì smise di ridere e
senza accorgersi di che cosa avesse suscitato in lui gli liberò il braccio
inarcandosi contro di lui, eppure James non si mosse dalla propria posizione.
“Gigì verresti al ballo
di Natale con me?”
CHE COSA?! E questa da
dove cavolo spuntava?! Ci aveva pensato un migliaio di volte, aveva
fantasticato sulle possibili implicazioni di una serata del genere insieme, ma
si era convinto che ci volesse una buona argomentazione per convincere Gigì ad
accompagnarlo… Perché se n’era uscito con una cosa così… così…
“Mi sembrava scontato
Jessy.”
Così geniale.
“Puoi ripetere Gigì?”
chiese allibito
“Hai battuto la testa
prima?! È ovvio che andremo al ballo insieme, in questo modo Derek e tutta la
scuola ci vedranno insieme, come quella tua idea di Hogsmeade. Potrebbe essere
la mossa decisiva per convincerlo a lasciare Celia. Non lo pensavi anche tu?”
No, per niente.
“Certo! Solo che mi sarei
aspettato delle proteste o delle minacce per lo meno.” Ribatté James posando i
palmi sul pavimento e facendo leva sulle braccia per sollevarsi.
“Oh finalmente, mi hai
quasi incrinato una costola col tuo dolce peso!” mormorò lei mettendosi seduta
e massaggiandosi il costato destro
Il ragazzo le porse una
mano e l’aiutò a sollevarsi. I loro palmi si sfiorarono, concedendo alle loro
pelli di toccarsi.
James si costrinse a
ignorare quel pungolo doloroso e acre che sentiva, quella consapevolezza nitida
che gli sussurrava con voce carezzevole e subdola che tutto, ogni singola cosa,
che Angelique faceva con lui erano in realtà per un altro. Un altro che non
avrebbe mai meritato nemmeno un frammento di lei.
A lui restava la promessa
di un paio di passi di danza insieme e poi più nulla.
***
Faticava a respirare.
In realtà non si
concentrava abbastanza per incamerare una quantità decente di aria che potesse
reggere il ritmo folle che aveva assunto il suo cuore.
E le girava un po’ la
testa.
Sentì la mano di Benji
raggiungere l’orlo della maglietta nera che indossava e sollevarla, così alzò
le braccia per aiutarlo. Lucy pensò che forse sarebbe stato il caso di
indossare un intimo un po’ più provocante e che facesse sembrare la sua prima
vagamente più prospera.
Tuttavia dallo sguardo
che le restituì l’uomo si rese conto che a lui non importava veramente un fico
secco del push-up, con ogni probabilità perché entro un tempo molto breve il
suo reggiseno avrebbe raggiunto la maglia sul pavimento.
Lucy portò le mani al colletto
della camicia di lui e iniziò ad aprirla, inciampando ogni tanto con le dita
tra l’asola e il bottone, agitata e imbarazzata al pensiero di non aver mai
spogliato prima un uomo.
Benjamin rimase immobile,
senza sorridere per le sue dita tremolanti che non obbedivano al cervello,
senza sfiorarla in alcun modo se non con gli occhi, che frugavano sul suo volto
e cercavano il suo sguardo. Lucy riusciva a sentirli nonostante non li vedesse.
Quando finalmente il
torace si rivelò dai lembi di tessuto blu, Lucy credette che le ginocchia di
gelatina che si ritrovava l’avrebbero tradita e avrebbero ceduto. La pelle aveva
i colori bruni del viso e delle mani, i muscoli si delineavano in avvallamenti
e turgori definiti come il chiaroscuro di un disegno. Il petto era ombreggiato
da una peluria scura, che si diradava sull’addome fino quasi a scomparire e che
ripartiva dall’ombelico per tracciare una retta fino alla cintura dei
pantaloni.
Lucy insinuò i palmi
sotto il tessuto e gli sfiorò le spalle, facendo scivolare oltre la camicia e
sfilandogli subito dopo gli avambracci dalla arrotolatura all’altezza del
gomito.
Benjamin finalmente si
mosse e l’attrasse a sé, posandole una mano al centro della schiena. Il
contatto pelle a pelle col suo torace caldo e solido, fece aumentare ancor di
più i battiti di quel muscolo farlocco che si ritrovava al centro del petto.
“Ti sta esplodendo il
cuore, Lucy.” Mormorò lui accarezzandole una guancia e scostandole il ciuffo
dal viso, per fermaglielo dietro l’orecchio.
Lucy non aveva idea di
che cosa dovesse rispondere e così si limitò ad avvicinare il volto al suo.
Benji annullò la distanza e posò le labbra sulle sue.
La baciò con lentezza
esasperante, forse sperando che lei riuscisse a rallentare un minimo la corsa
del proprio cuore e ottenendo l’esatto opposto. Le loro bocche si modellavano
ad ogni movimento, adattandosi al ricorrersi delle lingue, che si incrociavano,
giocavano tra di loro, una si ritirava per consentire all’altra di raggiungerla
e viceversa. Si mischiavano saliva e desiderio crescente senza controllo.
Lucy avvertì la cerniera
della gonna allentarsi, fino a che cadde dai suoi fianchi verso il pavimento, e
si strinse ancor di più a Benji, passandogli le braccia attorno al collo.
Era tanto concentrata su
quel bacio che non si era resa conto di essersi spostata insieme a lui verso il
letto. Così quando lui la sospinse dolcemente e il retro delle sue ginocchia urtò
il materasso, Lucy spalancò gli occhi e interruppe il bacio.
“Lucy…” la chiamò lui con
il terribile tono sensuale e liquefacente, quello che le faceva sentire le
giunture di pasta frolla.
“Sta zitto Richardson,
faccio già abbastanza fatica a trattenermi senza che tu parli in questo modo!”
sbottò lei riservandogli un’occhiata torva.
Lui le rispose sorridendo
in quel modo semplice, quello che più faceva risaltare le fossette sulle guance
e che lei trovava davvero irresistibile.
Benjamin le prese il
volto tra le mani e lentamente il sorriso scomparve lasciando spazio a un’espressione
seria e preoccupata.
“Lucy, ascoltami. Non
dobbiamo per forza…”
“Benjamin soffri di
eiaculazione precoce per caso?” lo interruppe lei con tono insolitamente
gentile.
L’uomo allargò a
dismisura gli occhi e restò in silenzio per qualche istante, prima di scoppiare
a ridere fragorosamente.
“Dio Ragazzina! A volte
te ne esci con certe cose!” esclamò Benjamin ricominciando a ridere subito
dopo. “Posso assicurarti di no.” Le rispose infine, avvicinando in modo
apparentemente casuale il bacino a quello di lei.
“Bene. Allora perché sei
così preoccupato?” chiese cercando di non pensare a quel contatto che le stava
facendo contorcere ogni viscere.
“Perché fare l’amore
cambia le persone, Lucy. E poi non si torna più indietro.” Mormorò Benji
facendole una carezza sul fianco.
Lucy abbassò lo sguardo
per evitare che quegli occhi gialli da felino selvatico le leggessero dentro
ogni emozione. Avrebbe voluto ribattere in modo adeguato, magari con il
consueto sarcasmo, ma sentiva che sarebbe stato inutile. Benjamin aveva capito
tutto senza che lei raccontasse, senza che ci fosse bisogno di spiegazioni
imbarazzanti. Aveva osservato le sue mani tremare incerte, aveva sentito il suo
cuore sull’orlo delle fibrillazioni, aveva guardato quell’eccitazione mista a
timore e aveva compreso che sarebbe stato il primo.
Pensò che forse una
ragazza qualsiasi della sua età avrebbe scelto un ragazzo, uno con cui
condividere i problemi scolastici, con cui parlare di quotidianità, lo avrebbe
frequentato, magari lui avrebbe ufficializzato la loro relazione e quando si
fosse sentita abbastanza sicura avrebbe fatto il passo decisivo con lui. Una
ragazza normale non si sarebbe ritrovate in intimo e collant davanti ad un uomo
la cui frequentazione era sconsigliata persino dal Ministero della Magia.
E il pensiero che qualcun
altro la potesse toccare e guardare come stava facendo Benjamin le fece venire
la nausea. Non era pensabile semplicemente che potesse esserci un altro al suo
posto.
Anche se non aveva idea
di che cosa fossero, anche se lui aveva solo accennato una volta all’esclusività
della loro relazione, anche se lei non aveva idea di come si dovesse comportare
in un frangente del genere, milioni di altri anche se le esplosero nel cervello e lei li zittì.
Non erano rilevanti.
Non erano in alcun modo
importanti quando non si era mai sentita così libera e così vinta come allora.
Non avevano alcun peso
quando ogni fibra di lei era spinta ad affidarsi a lui e sapeva che sarebbe
stata al sicuro, per quell’incomprensibile senso di protezione che plrovava in
sua presenza.
Era tutto ciò che
desiderava e che la faceva sentire sé stessa fino in fondo.
Era Benjamin e lei ne era
innamorata, poteva finalmente ammetterlo con sé stessa senza sentirsi un’idiota.
Lucy alzò nuovamente gli
occhi per immergersi in quelli di lui che la osservavano tesi e pronti alla sua
risposta. Che lei come sempre diede a modo proprio.
Lo baciò per prima,
affondando in quella bocca le paure, i desideri, la passione, trasmettendogli
tutta l’incertezza e la convinzione che la stavano facendo impazzire. Fece vagare
le mani sul corpo senza sapere esattamente dove fermarsi, finché non incontrò
il bottone dei calzoni.
Lo sentì trattenere il
respiro prima che le sue dita, molto più ferme di prima, slacciassero la
chiusura e abbassassero la zip. Lo sentì fremere contro di lei quando lei
stessa accompagnò il tessuto verso il basso e gli sfiorò le gambe.
Si ritrovò senza calze e
sdraiata sul letto in un baleno, mentre Benji la copriva col suo corpo.
Le pareva di sentire le
sue mani dovunque, di percepire le sue labbra e la sua lingua in ogni punto
sensibile. E non riusciva più a capire dove finisse il proprio corpo e dove
iniziasse quello di lui, quale movimento le desse piacere e quale lo desse a
lui, tanto era il desiderio di fondersi.
Quando sentì il gancio
del reggiseno aprirsi quasi le mancò il respiro, cosa che poi avvenne davvero
quando lui scese a lambire i seni con la proprie labbra.
Di tanto in tanto lui
tornava sulla sua bocca, la baciava mordendo le labbra e succhiandole subito
dopo, affondava il viso nel suo collo inspirandola, la osservava con gli occhi
gialli offuscati dal desiderio, liquidi come se fossero stati oro bollente.
“Sei bella, Lucy. Sei la
cosa più bella che abbia visto.” Le sussurrò prima di baciarla ancora, stringendola
fino quasi a procurarle dolore.
E Lucy sorrise sulle sue
labbra, perché ci credeva e si sentiva tale.
Iniziò a gemere quando la
mano dell’uomo scostò il tessuto delle mutande e l’accarezzò senza esitazioni.
Le dita di lui scivolavano sulla pelle già umida, si soffermarono diaboliche e
lentissime nel punto più sensibile e infine si insinuarono dentro di lei.
Fu in quel momento che il
corpo prese il sopravvento sulla mente.
Venne travolta da quello che
provava, come se fosse stata una cascata di luce ad acciecarle il cervello e
cancellare il corso preciso del tempo. Incastonò nella memoria attimi preziosi
che riuscì a trattenere nelle maglie dei pensieri sconnessi.
Gli occhi di Benji che la
osservarono pieni di stupore e dolcezza.
Le sue mani che la
sfioravano con delicatezza e che poi stringevano la pelle come per aggrapparsi
a lei e non perdersi nel mare di piacere.
L’eccitazione e l’imbarazzo
di accarezzarlo, la soddisfazione di sentirlo gemere.
Il dolore quando lui si
fece strada dentro di lei.
Il senso di libertà
immensa dentro il petto quando lo baciava e si sentiva sua.
Il profumo di agrumi in ogni
angolo di quel letto.
E infine il piacere
sconvolgente che la colse quando il dolore si fece da parte, quel sentirsi
esplodere in mille frammenti e poi ricomporsi in una forma nuova.
Si addormentò esausta,
con la schiena contro il suo petto e il suo calore a cullarla.
Forse stava sognando o
forse accadde davvero, ma le parve di sentire le labbra di Benjamin tendersi in
un sorriso mentre si posavano leggere sulla sua spalla.
***
Scorpius camminava
spedito lungo il corridoio, cercando di non perdere di vista la chioma rosso
intenso.
Alla lezione di
Trasfigurazione dell’ora precedente aveva rubato un foglio di appunti al pico
perfettamente ordinato di Rose Weasley, con un Accio dalla precisione chirurgica, mentre questa era impegnata a
parlare con Angelique. Dire che si sentiva un imbecille era un eufemismo.
Aveva passato almeno un
quarto d’ora a chiedersi che cavolo gli fosse saltato in testa, poi un’altra
buona mezz’ora a pensare che in realtà fosse proprio l’occasione che stava
aspettando e poi altri venti minuti a pensare a come restituirlo senza sembrare
un maniaco.
Così si era deciso a
rincorrerla nel secondo cambio dell’ora per riconsegnarle quel foglio, in cui
gli appunti erano presi in modo molto schematico e conciso.
I capelli ondulati di
Rose svolazzarono leggermente mentre la ragazza si voltava per salutare in lontananza
qualcuno. Scorpius riuscì a osservare il profilo aggraziato di quel viso
cosparso di piccole lentiggini e si soffermò sul naso a cui non aveva mai
dedicato particolare attenzione.
Era di una linea austera
e semplice, un naso greco che dalla fronte scendeva lineare verso le labbra,
senza inclinazioni particolari o imperfezioni.
Merlino, si perdeva
persino a guardarle il naso! Doveva essere messo davvero male…
“Weasley! Ehi Wealsey!”
esclamò abbastanza forte perché la ragazza lo sentisse.
Infatti la giovane si
voltò verso di lui e aggrottò appena la fronte, sorpresa del fatto che lui la
stesse avvicinando.
“Ciao Malfoy.” disse lei
con tono gentile, in cui si riconosceva una nota di stupore.
Scorpius evitò di guardarla
dritta negli occhi, spaventato all’idea che quel colore incredibile lo facesse
rincitrullire ancor di più, così chinò il capo verso la propria tracolla e vi
rovistò qualche secondo. Ne estrasse quindi, con una certa aria vittoriosa, il
foglio di pergamena incriminato e lo porse alla ragazza.
Rose lo osservò
incuriosita e quando si rese conto che si trattava della propria calligrafia, fece
scattare in alto entrambe le sopracciglia.
Scorpius si schiarì la
voce e incrociò le mani dietro la schiena.
“Non sono riuscito a
dartelo prima perché avevo lezione di Incantesimi e sarei arrivato in ritardo.
Lo hai perso a Trasfigurazione.”
“Ma davvero?” chiese lei
sollevando gli occhi celesti e puntandoli nei suoi, con una tale ironia che
Scorpius rimase di sasso.
Il sopracciglio che
ancora restava inarcato e la luce di intelligenza che brillava in quelle iridi,
convinsero Scorpius che lei lo avesse già nel sacco. Aveva appena fatto la
figura dell’idiota e lei non ci era cascata nemmeno per un secondo. Perfetto!
Doveva darsela a gambe
immediatamente.
“Sì. Scusami ma ora devo
andare, ho Pozioni.” Disse lui con il collaudatissimo tono freddo e distaccato.
“Anche io devo andare a
lezione dalla Blackthorn.” Ribatté lei rivolgendogli un sorriso gentile, in cui
lui non faticò a riconoscere il reale intento di prendersi un po’ gioco di lui.
Era fastidiosamente
sveglia quella ragazza. E intollerabilmente intelligente… Gli piaceva da matti!
“Beh allora posso
accompagnarti?” chiese sorridendo appena, ammettendo con sé stesso di aver
perso quella piccola sfida, ma sperando in cuor suo di poter forse ancora
approfittare della situazione.
Rose sorrise divertita e
aprì la bocca per rispondere, ma una voce nuova interruppe il loro colloquio.
“Malfoy evapora. La Famiglia non ti ha ancora assolto dalle
tue colpe e non vorrei ritrovarmi appeso alla Sala d’Ingresso fossi in te.” Berciò
Lily Potter dandogli una spallata e spostandolo.
“Prego?” esclamò lui
osservando allibito lo scricciolo.
“Lily vuol dirti che ha
una gran voglia di farti pagare tutto quello che hai fatto subire ad Angelique
nei mesi scorsi. Oh, ma tu forse pensavi di poterla passare liscia?!” ruggì una
seconda voce dandogli una seconda spallata dall’altra parte e Lucy Weasley
comparve.
Scorpius boccheggiò
sconcertato, osservando le due cugine mettersi spalla a spalla con Rose e guardarlo
con aria di sfida.
“Che cosa volevi dalla
nostra Rosie Rose, eh?” incalzò Lily assottigliando lo sguardo con un’espressione
che evidentemente lei riteneva minacciosa.
“Io veramente…” tentò di
rispondere ma Lucy lo interruppe con la sua voce roca.
“Sii convincente Malfoy,
le pareti di Hogwarts non vedono l’ora di avere le tue mutande come decorazione
natalizia.”
“Ragazze! Mi ha solo
ridato degli appunti che avevo dimenticato a lezione!” intervenne Rose con un
tono autoritario che lo stupì.
Lily Potter alzò gli
occhi a cielo e sospirò teatralmente.
“E io che pensavo che
fosse finalmente giunta l’ora in cui gli avrei potuto spezzare tutte le
ossicina…”
“Lily non hai il compito
di Erbologia quest’ora? E tu Lucy, hai un’ora buca, potresti studiare per
recuperare quel voto di Pozioni.” disse Rose sempre con lo stesso tono
genitoriale, che gli sembrava calzare perfettamente sulla sua figura.
Entrambe le cugine
sbuffarono e si fecero un paio di cenni tra di loro, apparentemente
insignificanti ma che per loro ne aveva uno ben preciso, perché smisero all’istante
di minacciarlo e si limitarono a trafiggerlo con lo sguardo.
“Grazie per gli appunti.”
Disse Rose e lo osservò con quel particolare sguardo ironico, in cui l’azzurro
si riverberava in modo unico.
“Figurati.” Mormorò lui e
le sorrise di rimando, in modo molto contenuto e cordiale, sperando di farle
capire che non era poi così scemo e che sapeva che lei aveva capito al volo
quanto insulso fosse stato il suo tentativo di abbordaggio.
Rose si voltò facendo
oscillare i lunghi capelli rossi.
Lily Potter invece si
fece avanti e da venti centimetri buoni sotto di lui mise indice e medio
davanti ai propri occhi e poi li puntò con uno scatto sul suo viso.
“Ti tengo d’occhio Malfoy.
Ti tengo d’occhio!” e poi in un mulino di capelli color carota se ne andò a
passo di carica.
Lucy dal canto suo si
strinse nelle spalle e gli fece un blando cenno col mento.
Così Scorpius Malfoy si
ritrovò fermo e solo in mezzo al corridoio del terzo piano, pensando a quanto
comica fosse diventata la sua vita.
Perché si trovava
costretto a chiedere consigli alla sua ex-ragazza su come aggirare i due
mastini da guardia, che non gli avrebbero mai consentito di avvicinare Rose, e
allo stesso tempo tenere tutto nascosto ad Albus.
Il periodo natalizio si
prospettava vagamente intenso.
Note dell’Autrice:
Miei cari lettori, quelli
che sono rimasti ancora dopo questo mio silenzio prolungo di due mesi, ecco
proprio voi che non vi siete arresi e mi avete aspettata, grazie mille.
Non so se abbia più molto
senso scusarsi per una così lunga assenza, però posso garantire che partorire
questo ultimo capitolo è stato molto difficile e mi è costato una certa fatica,
anche perché è capitato in un periodo non proprio roseo.
Spero che la scena di
Benji e Lucy non sia risultata un obbrobrio, anche perché sinceramente era la
prima volta che mi spingevo a descrivere un momento tanto delicato.
So che probabilmente
avete avuto l’impressione che la narrazione si sia un attimo arenata, ma mi serviva
delineare bene lo sfondo per quello che accadrà tra poco, e quello spero che vi
possa sorprendere.
Debbo un GRAZIE ENORME e SPECIALISSIMO
a tutte quelle sante e magnifiche persone che hanno commentato l’ultimo
capitolo: engildi, sa_sped_02,
cescapadfoot, dreamcatcher05, chuxie, Cinthia988, FleurDa (scusamiiii ti
rispondo prestissimo promesso!).
Chiedo ancora scusa per
questa lunga sospensione e spero che non accada più.
Mille mille baci a tutti
voi che siete ancora qui.
Bluelectra.
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Capitolo 19 *** Cap.19 Tempo di Avvento ***
Cap.19 tempo di avvento
Cap.20 Tempo di Avvento.
Avvento
significa “arrivo”, significa attesa.
Il
tempo dell’Avvento è il tempo della preparazione.
Si
ara il terreno del cuore per prepararlo a qualcosa.
Per
renderlo fertile a ricevere un mistero, per rendere ospitale l’animo per
qualcosa a cui non si potrebbe credere, se non in quei giorni in cui il mondo
si ricorda di amare.
L’Avvento
sono i giorni in cui si respira possibilità e speranza.
L’Avvento
è ciò che ci prepara ai miracoli.
C’era qualcosa di unico nel mondo che si prepara al
Natale.
La fervete attesa era palpabile in ogni decorazione
posta sulle insegne dei negozi o agli angoli delle strade. C’era entusiasmo in
ogni regalo impacchettato e in ogni cioccolata calda servita per scaldare da
quel dicembre polare.
La bellezza pura e incontrastata delle strade
imbiancate e dei giardini candidi per lo strato sempre più spesso di neve.
L’aria resa dolce dalle caldarroste che venivano servite in piccoli coni. La
pelle delle guance che pungeva per il freddo delle nevicate quasi quotidiane.
Benjamin osservava le strade di Hogsmeade dipanarsi
sotto i suoi occhi come una rete di cristallo in cui svettavano i festoni
colorati e luccicanti. Il braccio dell’uomo lo sosteneva contro la finestra,
posto sopra la testa così che lui ci potesse appoggiare la fronte mentre
guardava il suo piccolo mondo scorrere sotto di lui.
Amava il periodo di Natale, gli ricordava la sua
infanzia dorata, gli ricordava sua madre seduta accanto al fuoco che leggeva
fino a notte inoltrata, gli ricordava i pupazzi di neve un po’ informi e
sgraziati che costruiva con le sue sorelle…
Sentì dei colpi tonanti contro la porta del proprio
ufficio e sospirò pesantemente.
Possibile che Oswald dopo tutto quel tempo non
avesse ancora capito che la radica di noce non era cemento armato e che
bastavano dei colpetti contro il legno, non delle martellate coi pugni?!
“Avanti.” Disse rimanendo ad osservare il panorama
dalla propria finestra.
Oltre il piccolo paese, oltre quelle stradine e
quelle persone, svettava l’imponente castello di Hogwarts. E tra quelle mura
c’era lei. La sua insolente Ragazzina…
Udì il suono della porta che si apriva lentamente e
quello di alcuni piedi che si posavano sul parquet.
“Ehm… Capo?” la voce del Guercio lo costrinse a
staccare gli occhi dalle guglie gotiche del castello.
Quando Benji si voltò, la sua fronte si corrugò
tanto che gli parve di sentire le sopracciglia sfiorarsi.
Tutti i suoi uomini si erano assiepati nel suo
ufficio e lo osservavano incerti spostando il peso da un piede all’altro, chi
torcendosi le mani, chi dandosi una grattata sul capo, chi tossicchiando.
Gli tornò alla mente la sera di Halloween in cui li
aveva paragonati ad un orda di orfanelli troppo cresciuti e un vago sorriso gli
spuntò sulle labbra osservandoli uno ad uno.
“Ciao Capo.” Esclamò il Larva alzando una mano e
facendola ondeggiare appena.
“Ciao Anthony. A che cosa debbo questa visita
collettiva?” domandò Benjamin sedendosi alla propria scrivania e facendo un
gesto della mano come a invitarli ad avanzare.
I suoi uomini guardarono il Guercio e quando questo
annuì leggermente, tutti quanti si spostarono di un paio di passi verso di lui.
Però solo il Bruschetta e Oswald si sedettero sulle
due poltroncine davanti a lui e si limitarono ad osservarlo, con gli occhi, o
l’occhio nel caso del secondo, vagamente sgranati e un po’ imbarazzati.
Benjamin fece scattare entrambe le sopracciglia
verso l’alto e attesa che i suoi uomini parlassero. Ma quando dopo circa un
minuto di silenzio interrotto solo dal ticchettio dell’orologio a parete e da
qualche colpetto di tosse, nessuno ancora si era deciso a parlare l’uomo
sbottò:
“Buon Dio, si può sapere che vi prende?”
“Oh sì, scusa Capo! Toccava a me parlare, stavo
cercando le parole…” si giustificò il Guercio e poi si grattò il mento irsuto
riflettendo.
“Oswald…” lo chiamò spazientito Benji.
“Beh… Ecco, ci chiedevamo Capo… Sempre che a te non
dispiaccia e che lei non si spaventi…”
A quel lei
gli occhi dorati dell’uomo si strinsero fino a diventare due fessure. Che
diamine stava succedendo?
“Avanti facciamola breve! Ci faresti conoscere la
tua fidanzata Capo?” si intromise Jerry il Bruschetta guardandolo con gli
occhietti acquosi azzurri pervasi da un’ insolita vitalità.
Benji serrò la mascella con uno scatto e i suoi
occhi saettarono in quelli di Jerry, inchiodandoli sul posto.
“La mia fidanzata?
E come diavolo vi salta in testa che io abbia una fidanzata?”
Jerry distolse lo sguardo e così anche molti altri
dei suoi uomini che ricominciarono a tossicchiare o a grattarsi porzioni
molteplici del cranio.
“Beh Capo… lo abbiamo capito! Sei molto più
divertente ultimamente e non ci hai più mandato a prendere appuntamento con
Tyra… E poi non ti ricordi mai di insonorizzare la porta!” rispose Oswald
stringendosi nelle spalle come se fosse stato tutto ovvio.
Benjamin chiuse gli occhi e fece un respiro molto
profondo. Avrebbe tanto voluto impugnare la bacchetta e schiantarli tutti,
sentiva le piccole scariche di energia magica irradiarsi dai polpastrelli
fomentata dalla rabbia.
Quella rabbia che gli stava facendo battere
furiosamente il cuore al pensiero dei suoi uomini intenti ad ascoltarlo mentre
lui e Lucy…
“Fuori. O faccio una strage.” mormorò con quanta più
calma gli riuscisse,puntando i propri occhi in quelli di Oswald, il quale si
ritrasse sulla sedia come se si fosse trattato di un guscio.
Tutti quanti iniziarono a filarsela velocemente dal suo
ufficio, spintonandosi leggermente nella foga della fuga. Jerry quasi corse
verso la porta e Oswald si limitò a fare un gesto della mano prima di lasciarlo
da solo a sbollire.
Poi proprio mentre sentiva che il sentimento omicida
per i suoi uomini si stava affievolendo, vide la testa di Anthony far capolino
dallo spiraglio della porta.
“Di’ la verità Capo… è quella spilungona della festa
vero?” gli chiese con un sorriso sghembo.
Benji prese il fermacarte di marmo che aveva alla
propria destra e lo lanciò con forza contro il viso del Larva ma questi
all’ultimo chiuse la porta. Il rumore secco che produsse quell’impatto lo
avvisò che aveva appena rotto la propria porta.
Nonostante la rabbia che gli fece fischiare le
orecchie, udì distintamente il ridacchiare del Larva lungo il corridoio.
***
“Assolutamente no!” il sibilo di Martha fu così
netto e deciso che Angie quasi sobbalzò.
“Ma Martha è per una buona causa!” protestò la
ragazza al minimo volume concesso tra gli ampi scaffali della biblioteca.
“Non mi interessa, pensate ad un altro modo!”
borbottò la O’Quinn sollevandosi i ricci ramati dalla nuca e incastrandoli in
una croccia con la matita. “Io non lo farò.” concluse trincerandosi dietro il
volume di Artimanzia.
“Martha Eugenia vuoi seriamente abbandonare nel
momento del bisogno un amico, un povero innamorato, che farebbe di tutto per
conquistare uno sguardo della sua bella; un ragazzo dall’animo gentile che si è
sempre schierato dalla tua parte, che ti ha aiutata nei momenti peggiori; una
persona che ti vuole bene…”
“Guarda che stiamo parlando di Scorpius non di
Berty!” la interruppe Martha rivolgendo un’occhiata divertita al biondo seduto
accanto ad Angie.
“Oh grazie tante O’Quinn! La prossima volta che
Bullforks, o Darjeen, o Perkins ti braccano in un corridoio per esibirti come
trofeo a Natale davanti a tutta la scuola, scordati il mio intervento!” ribatté
bisbigliando concitatamente Malfoy.
Angelique inarcò entrambe le sopracciglia e osservò
ammirata Martha. Anche per quell’anno sembrava che la O’Quinn avesse fatto
incetta di ammiratori, a cui come da copione sfuggiva con la solita aria di
distaccata cortesia sotto l’ala protettiva e minacciosa di Malfoy.
Angie osservò il profilo lineare ed elegante
dell’amica, l’incarnato di porcellana esaltato dai capelli ramati, la bocca
leggermente imbronciata per l’espressione con cui stava fissando l’altro
interlocutore, le lunghe ciglia piegate all’insù per rendere ancor più dolce lo
sguardo color cioccolato…
Un lieve sospiro le uscì dalle sue labbra nella
piena consapevolezza che lei, con il suo elefante latente e la sua trota
salmonata interiori, non avrebbe mai raggiunto nemmeno per sbaglio la grazia e
la bellezza eterea che si esprimevano nei più semplici gesti in Martha.
Poteva al massimo aspirare a non cadere dalle scale
o non rimettere anche la Prima Comunione davanti all’intera scuola…
“Non capisco perché non possa andarci tu…” protestò
Martha voltando il capo verso di lei.
“Semplice, io sono occupata col fratello!”
Sul viso di entrambi i Serpeverde davanti a lei si
dipinse una mezza smorfia di orrore che le fece alzare gli occhi al cielo. Quei
due sarebbero potuti benissimo passare per fratelli tanto le loro reazioni
erano uniformate in tutto per tutto.
“Angelique sei sicura che non ti ritroverai in
infermeria col piede ingessato il giorno dopo?” chiese dolcemente Martha
posandole la mano sull’avambraccio e guardandola con afflizione.
La stava sfottendo alla grande.
“Martha, perché invece di preoccuparti del mio tarso,
non provi a riflettere trenta secondi sui vantaggi che questa situazione
potrebbe offrirti?” incalzò la bionda.
“Angelique…” mormorò sospirando, poi riprese con
veemenza “Io non chiederò MAI ad Albus di venire al Ballo con me. MAI!”
“Merlino, sei testarda come un mulo!” sbottò
Angelique chiudendo con rabbia il proprio libro di Incantesimi. Le ragazze si
osservarono con ostilità per qualche secondo, come se si stesse svolgendo una
vera e propria lotta silente tra loro.
“Martha per favore, per favore sei la mia unica
possibilità.” mormorò Scorpius spezzando la stasi e inducendo gli occhi di
Martha a incontrare i suoi, così grigi e lucenti da creare sconvolgimenti seri
nel raziocinio.
Angie vide il viso di lei distendersi lentamente
mentre leggeva il sincero bisogno dell’amico, mentre lasciava che la sua
apparente corazza si sfaldasse con il semplice utilizzo di un tono gentile e un
“per favore”. Martha si morse il labbro inferiore per impedirsi di dire
immediatamente sì, Angelique lo sapeva.
Era così prevedibile nei suoi tentativi di essere
ermetica.
La Dursley sapeva che Martha ci stava pensando
seriamente e che le ultime battute sarebbero spettate all’eloquenza di
Scorpius, con la quale, come aveva detto un tempo la Preside McGranitt
,“avrebbe convinto un drago a comprare fiammiferi”.
Così con un movimento discreto si alzò dalla propria
sedia e lasciò gli amici, convinta che avessero bisogno di confrontarsi e
chiarirsi su punti che non la riguardavano. Anche se probabilmente Martha non
avrebbe ceduto immediatamente, Angie era sicura che li avrebbe aiutati.
Con passo lento e silenzioso di avviò verso la
sezione di Trasfigurazione, riflettendo su quanto imprevedibilmente gli eventi
si erano evoluti.
Solo qualche mese prima se le fossero venuti a dire
che avrebbe aiutato Scorpius a conquistare Rose, coinvolgendo anche Martha e
Albus nella speranza di far aprire gli occhi al secondo, il tutto continuando a
frequentare James Potter e non trovandolo poi tanto male, ecco quel qualcuno
che le fosse venuto a raccontare queste cose improponibili sarebbe finito
schiantato in infermeria.
Angie fece scorrere velocemente gli occhi sui tomi
alla ricerca di uno che trattasse specificamente la trasfigurazione degli
occhi, uno degli argomenti su cui Cavendish aveva parecchio insistito e che
sarebbe stato uno dei papabili per gli esami GUFO.
Inutile specificare che da quando avevano iniziato
ad affrontare le basi della trasfigurazione umana, sia fisica che psicologica,
i suoi voti di pratica erano calati ancor più miseramente sfiorando a stento la
sufficienza. Il che costituiva un serio problema visto il discorso chiaro e
tondo che la Balckthorn le aveva fatto riguardo al suo rifiuto verso la
Trasfigurazione.
Stava diventando difficile reggere il ritmo
martellante dei compiti in classe, dei laboratori aggiuntivi di pozioni a cui
si sentiva in dovere di partecipare per la sua formazione. Il tutto veniva
aggravato dalla pressione che i professori ponevano sulle loro spalle
ricordando sistematicamente che “avevano i GUFO quell’anno”. Come se loro
l’avessero potuto dimenticare anche solo per un giorno.
Dopo qualche minuto di ricerca riuscì a scovare il
volume che le interessava e si sedette per terra, con la schiena appoggiata al
termosifone, iniziando a sfogliare le pagine. Sicuramente Scorpius stava
concludendo la sua arringa e non era il caso di tornare indietro, interrompendo
l’effetto magico della sua parlantina.
Il calore che si irradiava alle sue spalle e che finalmente
le consentiva di riscaldarsi la punta delle dita infreddolita dall’immobilità
dello studio, fece calare a poco a poco un tiepido languore sui suoi occhi, che
sempre più stanchi restavano aperti a fatica sulle righe fitte e sottili del
volume.
Gli allenamenti di quidditch, il pianoforte, lo
studio, la scuola, le Menadi, Potter, Elena che aveva tentato di tenere in vita
delle specie di girini sotto al letto a loro insaputa , Martha che aveva avuto una
crisi la settimana precedente, i regali di Natale che non aveva ancora
comprato, le lettera di sua madre a cui non aveva ancora risposto, Potter a cui
aveva lanciato un gavettone in pieno inverno e che non aveva preso la polmonite
per miracolo…
Il peso di tutti gli impegni e degli avvenimenti che
la gravavano costantemente senza quasi che lei si rendesse conto di quanto la
fiaccavano, giorno per giorno, vennero deposti per qualche istante, mentre gli
occhi si chiudevano invogliati dal termosifone caldo.
Sentì il libro scivolarle dalle mani e depositarsi a
terra, mentre la sonnolenza vinceva sulla necessità di studiare…
Quando riaprì gli occhi era sulla spiaggia di Mont
Saint Michel, una località meravigliosa in cui suo nonno la portava spesso
nelle estati bretoni della sua infanzia.
La meravigliosa fortezza a metà tra il mare e la
terra svettava nella luce dorata del pomeriggio in contrasto col cielo di un
turchese intenso. Angelique respirò l’aria tutt’attorno e il salmastro le
penetrò nei polmoni con vigore e prepotenza.
Il mare si muoveva lento e costante ma lei non
riusciva sentire il suono della risacca. Aveva una voglia matta di ascoltare
quella cantilena, così corse in contro alle onde e immerse i piedi nell’acqua
cristallina.
Non era fredda, ma le lambiva la pelle con
gentilezza e le fece venire una voglia incontenibile di ridere. Lasciò che
quella risata un po’ insensata le scoppiasse in gola e si liberasse dalle sue
labbra, mentre le braccia si spalancavano ad accogliere il vento del mare.
“Che fai Pesciolino?”
Angelique non ebbe bisogno di voltarsi, per sapere
che era la voce di nonno Etienne.
E non c’era nulla di strano nel fatto che a pochi
passi ci fosse proprio lui.
Non era forse il loro
posto quella meravigliosa spiaggia? Quindi ci doveva essere. Per forza.
“Guardo il mare!” esclamò e si voltò sorridendogli
con tutta la gioia che quei flutti silenziosi le suscitavano.
Ed era proprio il suo nonno. Quell’immagine che nei
suoi ricordi si era fatta sempre più sfumata col passare degli anni, quella
voce che aveva dimenticata. La barba grigia e ordinata, i capelli ancora folti
ma ormai privi del nero corvino tipico della famiglia, gli occhi scuri che la
osservavano con una scintilla di divertimento. Le sembrava persino di riuscire
a sentire il suo odore.
Anche lui sorrideva.
“Angie.”
Suo nonno non l’aveva mai chiamata così. Solo col
nome intero o Pesciolino.
Fu quella
nota completamente stonata che ruppe l’equilibrio e Angelique capì di star
sognando.
Non seppe come quella consapevolezza si fece limpida
e incontrastabile, ma nel frangente di un attimo comprese che il suo nonno non
era altro che uno spettro dei suoi ricordi.
“No…”
“Angie.” una carezza leggera sulla guancia.
I suoi occhi si aprirono con un movimento pigro
strappati dal sogno, le palpebre restie ad allontanarsi da Mont Saint Michel.
Un viso noto fin nei minimi dettagli la stava
osservando con uno sguardo strano, dolce e malinconico, ricco di rimpianti.
La sua testa era ancora avvolta nel torpore del
riposo, le sembrava di avere il cervello ovattato, ma non era una sensazione
fastidiosa.
“Stavo facendo un bel sogno.” mormorò richiudendo
gli occhi e accoccolandosi meglio contro il termosifone.
“E che cosa stavi sognando?” chiese dolcemente
l’altro raccogliendo tra le dita un suo ricciolo e arrotolandoselo sull’indice.
Angelique stava per rispondere, descrivendo tutto
quanto con la bocca ancora impastata, ma i suoi occhi si riaprirono in un
baleno quando riuscì a connettere con chi stava discutendo amabilmente dei suoi
sogni.
“Derek, che cosa ci fai qui?” esclamò improvvisamente
vigile.
Seguì un lungo silenzio colmo di imbarazzo in cui il
giovane abbandonò la sua ciocca e si distanziò da lei.
“Ti ho vista venire da questa parte prima. Volevo
parlarti.” disse Derek.
Negli occhi scuri ogni traccia della delicatezza con
cui l’aveva svegliata era svanita, al suo posto si era formata un’espressione
molto più dura, quasi rabbiosa.
“Mi hai guardata tutto questo tempo?” chiese Angie
con tono incerto.
“No.” ribatté abbastanza seccamente lui.
Ovvio, che idea assurda pensare che lui potesse
perdere del tempo per lei.
Angie ingoiò il boccone amaro e si alzò
appoggiandosi alla parete. Il ragazzo la imitò restando a distanza di
sicurezza.
“Bene. Quindi?” chiese Angelique cercando di
dissimulare la delusione.
Derek parve perdersi qualche secondo nella freddezza
del suo tono.
“In che senso quindi?”
Angelique sospirò pesantemente e poi si chinò a
raccogliere il libro che le era scivolato mentre si addormentava.
“Di quale argomento gradiresti parlare con me? Deve
essere qualcosa di importante visto che ti sei degnato di rivolgermi la parola
quando il sole è ancora alto.” e gettò un’occhiata fintamente sorpresa alla
finestra accanto a lei. “Ma forse con l’ora legale ti senti autorizzato, perché
in effetti sarebbero le sette di sera se fosse ancora settembre… Comunque un
orario un po’ precoce per i tuoi soliti standard.”
Derek la osservò spiazzato e poi abbassò lo sguardo.
“Volevo chiederti una cosa.” disse lui dopo qualche
secondo di pausa.
Una
cosa.
Voleva
chiederle una cosa…
Che fosse…?
Il suo cuore accelerò il proprio corso, i battiti le
rimbombavano nel torace e il sangue si fece più liquido e caldo nelle vene.
Annuì debolmente mentre percepiva il consueto
indolenzimento delle spalle, dovuto alla tensione che il suo corpo irradiava
per quell’attesa.
Derek prese fiato e finalmente la guardò ancora
negli occhi.
Occhi neri, così scuri che la pupilla non era
distinguibile, le sue personali pozze di disperazione in cui affondare senza
ritorno…
“Tu e James state… Insomma, sì… Vi frequentate?”
Gli occhi di un cretino.
Perché?! Perché doveva avere a che fare
continuamente con stupidi omuncoli senza cervello? Perché si era innamorata di
un pusillanime che in più non era nemmeno in grado di fare un ragionamento
lineare?! Perché era attratta da quel incommensurabile cretino?!
“Secondo te?”
chiese col tono di gelido disprezzo che in anni di allenamento aveva affinato.
“L’ho sentito
dire in giro… Poi c’è stata quella volta dopo la partita.” Angelique la
ricordava perfettamente, aveva avuto pezzetti di crostata letteralmente dovunque
per un paio d’ore. “Volevo che me lo dicessi tu.”
Di bene in meglio. Aveva anche delle pretese.
“Di quello che vuoi
tu, non me ne potrebbe importare meno di così.”
Angie girò i tacchi col libro stretto al petto e un’insopportabile
fastidio agli occhi, un leggero bruciore che le faceva pizzicare anche il naso.
Che per inteso non era assolutamente voglia di piangere.
Una mano di Derek si chiuse attorno al suo braccio e
la tirò indietro, facendola voltare verso di lui.
“Angelique, maledizione rispondimi!” quasi le gridò
in faccia. Il suo viso, dall’incarnato ambrato, sulla cui fronte ricadevano le
sue ciocche bionde e bronzee, la sua bocca, tutto sembrava stravolto da una
rabbia incontenibile.
La giovane provò l’istinto irrefrenabile di ferirlo,
fargli sentire quel dolore acre e inconfondibile dell’aver perso qualcuno senza
aver mai potuto dire “è mio”. E senza rendersene conto si avvicinò di un passo,
mentre ancora le dita di Derek si imprimevano nella sua carne con forza
eccessiva.
“Che c’è Derek, Celia ti ha mandato ad indagare per
avere il pettegolezzo più succulento della settimana? O per caso hai nostalgia
del tuo passatempo serale?”
Gli occhi di Derek le rivolsero uno sguardo
stralunato, stupito dal suo tono e dalle sue parole.
“Passatempo… Angie non puoi pensarlo…” sussurrò lui
e lasciò la presa sul suo braccio immediatamente.
“Ho da fare. Se non hai intenzione di spappolarmi
anche l’altro braccio, me ne vado.”
“Per favore aspetta…”
“No.” ribatté secca lei e lo guardò freddamente.
“Non ti aspetto più Derek.”
Iniziò a camminare più veloce possibile, per
raggiungere la sala studio prima che la potesse intercettare ancora.
Era furiosa. E delusa. E amareggiata. E delusa. E
desiderosa di uccidere qualcuno. E profondamente delusa, più di tutto il resto
del marasma che le si stava agitando dentro.
Uscì dalla biblioteca come una furia, travolse anche
un ragazzo del secondo anno che tentò una flebile protesta ma si zittì
immediatamente dopo un suo sguardo.
Solo quando aveva già imboccato la strada verso i
Sotterranei si rese conto di aver trafugato il libro di Trasfigurazione.
Madama Pince le avrebbe fatto lo scalpo.
Le serviva Albus, immediatamente. E poi anche una
sigaretta.
Ripensandoci prima le serviva una sigaretta e poi le
serviva Albus.
***
Albus, più che vedere, sentì Angelique entrare come una furia nella sua stanza.
Infatti a seguito del fracasso della porta sbattuta
contro il muro, seguirono una serie di imprecazioni in francese, un calpestio
piuttosto pesante, il rumore di Berty che si schiacciava contro l’armadio per
lasciarle il passo ed infine i suoi soavi toni.
“Potter dove diamine sei?” berciò con voce poco
amichevole.
Albus strisciò pigramente sul proprio letto,
riuscendo in questo modo a spuntare solo con la testa fuori dal baldacchino.
“Sono qui Angelique.” rispose osservandola mentre
con uno scatto della testa si voltava verso di lui.
Aveva gli occhi spalancati che mandavano saette e le
narici particolarmente dilatate, il viso normalmente pallido era diffusamente
colorato di un rosa acceso. Albus aggrottò spontaneamente la fronte.
“James?” chiese con un sospiro aspettandosi la
consueta invettiva ma Angelique scosse con vigore la testa, mentre le sue
labbra si stingevano in una linea dura.
Lo sguardo di Angie mutò in poco, la rabbia che le
aveva invaso gli occhi all’inizio venne sostituita prontamente da
un’espressione di fragilità. Capì che stava stringendo le labbra per non farle
tremare, e che quel luccichio negli occhi altro non erano che lacrime
trattenute.
“Berty…” iniziò Albus con l’intenzione di chiedere
al compagno di Casa di lasciarli un momento da soli, ma venne interrotto dal
Prefetto Barrach.
“Sì sì, avevo già capito! Sto cercando di svegliare
Octavius!” rispose Berty mentre con uno sforzo notevole scuoteva il braccio
enorme e massiccio di Octavius Goyle.
Questi tuttavia non accennava a destarsi dal suo
pisolino pomeridiano, così Bertram estrasse la bacchetta dalla divisa e con uno
ampio gesto eseguì un ottimo “Wingardium Leviosa.”
Octavius si levò in aria sempre russando e
grugnendo. Berty marciò attraverso la stanza col solito passo slanciato e
l’andatura un po’ dinoccolata uscendo velocemente, ma all’improvviso si udì il
un rumore sordo e piuttosto sinistro.
Goyle smise di russare e emise un debole lamento.
Berty guardò inorridito la fronte di Octavius che
era appena entrata in collisione con l’architrave della porta, già rossa e
gonfia. Tutti trattennero il fiato aspettandosi che l’incidentato si svegliasse
urlando e maledicendo tutti, ma quando ricominciò a russare Berty rilassò
immediatamente la sua postura e con un alzata di spalle incurante uscì
definitivamente dalla stanza.
Albus sentì una debole risata uscire dalle labbra di
Angie mentre andava a chiudere la porta.
“Che cos’è successo?” chiese dunque aspettandosi,
con una certa dose di inquietudine, lacrime e singhiozzi che non sapeva
minimamente come gestire.
Quando invece scoppiò letteralmente in una sequela
di insulti rabbiosi ed epiteti davvero poco eleganti rivolti a una non meglio
identificata figura maschile, marciando avanti e indietro per il dormitorio
come una belva in gabbia, Albus sentì la preoccupazione scemare.
Anzi finché manifestava così vivacemente le sue
emozioni Al sapeva che stava bene.
Dopo circa un minuto ebbe modo di capire che
l’oggetto dei suoi sfoghi rabbiosi era Schatten e gli fu tutto molto più
chiaro. Albus si limitava ad annuire e confermare le domande retoriche della
ragazza, enfatizzando ogni tanto le sue opinioni e seguendola con lo sguardo
mentre creava una buca nel pavimento a forza di andare avanti e indietro.
Nel frattempo rifletteva per conto proprio su un
fatto che gli si stava palesando proprio in quegli attimi, ovvero che Angelique
stava molto meglio. Non che fosse particolarmente attraente o chissà che altro,
anche perché per lui non era una ragazza, era solo Angie, una sorta di ibrido
senza sessualità, una sorella che non spifferava nulla a Ginevra riguardo alle
sue malefatte.
Dopo tutto quel tempo in cui l’aveva osservata
spegnersi per gli effetti che la frequentazione con Schatten aveva portato
nella sua vita, riusciva ora a riconoscere in lei l’energia vitale che l’aveva
sempre contraddistinta, come se avesse ritrovato le forze di vivere appieno.
Gli occhi in particolare erano nuovamente pieni di
calore e di vivacità, come la prima volta che lui li aveva incrociati,
specchiandosi nei gemelli dei propri…
“Che cosa ne pensi Al?” chiese Angelique
schiantandosi sul suo letto con una faccia imbronciata.
Puzzava di sigaretta perfino a quella distanza.
Chissà quante ne aveva fumate prima di piombargli in stanza con la delicatezza
di un tornado.
“Oh… Non saprei davvero.” rispose lui con un tono
estremamente convincente, visto che in effetti non aveva idea di quale fosse
l’argomento di discussione. Tuttavia Angelique era ancora nella fase di sfogo
in cui nulla le importava realmente a
parte il flusso ininterrotto di tutti i suoi pensieri.
La ragazza si sdraiò, si rimise a sedere, sbuffò un
paio di volte e poi ci raccolse tutti i ricci in una crocchia sulla sommità
della testa. Sbuffò un’altra volta e lo guardò negli occhi con uno sguardo
determinato.
“Beh, andiamo a mangiare?”
Albus rise di tutto cuore e annuì. Finché Angie
aveva voglia di mangiare il mondo girava ancora per il verso giusto.
***
Da parecchie sere a quella parte le tavolate delle
quattro Case di Hogwarts subivano un attacco molto morigerato da parte delle
commensali di genere femminile.
Tutte le ragazze guardavano afflitte gli arrosti
succulenti, gli sformati ricchi di formaggi e condimenti, le patate arrosto, i
dolci, e tutto ciò che in quei giorni rappresentava il nemico pubblico numero
uno nelle diete depuranti e dimagranti dell’ultima ora.
Con ovvie eccezioni, rappresentate per lo più
dall’unica persona di Elena Zabini. La giovane infatti non sembrava minimamente
risentire dell’ansia da preparazione per il Ballo di Natale, dichiarava anzi la
ferrea intenzione di non indossare alcun tipo di abito che limitasse le sue
movenze o costringesse il suo corpo in tessuti tanto preziosi quanto scomodi.
In conseguenza a questi propositi si fece carico
dell’onore di svuotare il più possibile la tavola imbandita che a fine pasto
risultava ancora ben fornita.
Martha O’Quinn osservava costernata e sempre più
incredula l’amica ingozzarsi come un tacchino, mentre quella ridacchiava
dicendo che per il suo costume non era necessario alcun tipo di trattamento per
la riduzione del peso, anzi che le avrebbero fatto comodo un paio di chili in
più.
Per la sera del Ballo di Natale, tra le ragazze
della scuola di instaurava una gara ufficiosa su chi avesse mostrato il costume
più originale e più bello, scatenando ovviamente un’ondata ulteriore di isteria
per la ricerca ossessiva di un tema non banale.
I giorni disponibili prima di quella data si
andavano esaurendo e Martha iniziava a domandarsi, nei rari momenti in cui
Scorpius non l’assillava con la sua stupida richiesta, quale diamine fosse il
costume per la festa di Natale che Elena aveva scelto senza farle sapere nulla.
Era infatti una loro piccola tradizione che Martha si occupasse di esaudire le
loro richieste con bacchetta e macchina da cucire realizzando gli abiti per il
Ballo.
Quello per Angelique era stato ideato da tutte e tre
un pomeriggio in cui si erano concesse una pausa dalle ore massacranti di
studio, dovute all’isteria che aveva preso quasi tutti i professori quando
avevano compreso che il primo trimestre si era ormai concluso.
Avevano trovato il soggetto quasi per caso, quando
Elena aveva chiamato Angelique “Principessa di Ghiaccio” con la solita
intonazione scherzosa. Poi si erano guardate negli occhi e avevano compreso che
fosse proprio quello che stavano cercando.
Elena aveva buttato giù uno schizzo in pochissimo,
Martha aveva iniziato immediatamente a rimaneggiarlo per pensare a che taglio
dare all’abito ad Angie era stato concesso solo di approvare, tanto
l’entusiasmo aveva preso le altre due.
In tutto questo Elena non aveva minimamente avanzato
richieste su un possibile aiuto, né aveva concesso un qualsiasi indizio che
riguardasse il suo costume.
Martha aveva pessimi presentimenti, e il suo daimon non c’entrava nulla!
Così erano svaniti anche gli ultimi giorni che li
separavano dalle vacanze natalizie, passati in una confusione notevole, tra
ultimi compiti in classe, capacità di concentrazione azzerate dai pensieri dei
pacchetti da fare, ricerca febbrile dei prodotti di bellezza delle Menadi per
risultare in forma splendente la sera del Ballo (e conseguente euforia di Lara
che vedeva lievitare il contenuto delle casse).
Martha quasi non comprese come si ritrovò la sera
dell’ultimo test, un compito scritto di Incantesimi che aveva messo in
difficoltà tutta la classe, in camera dei ragazzi a festeggiare tutti insieme,
come non capitava ormai da secoli.
“A Capodanno vi voglio tutti a Malfoy Manor!”
esclamò Scorpius alzando la propria bottiglia di birra babbana, con un'espressione particolarmente felice sul suo viso.
“Uuuh che onore Piccolo Lord! Allora non ci resta
che addobbarci come alberi natalizi…” ribatté Elena buttandosi con un salto sul
letto di Berty e sprofondando nelle coltri verdi smeraldo.
“Come tutti gli anni!” sbuffò Angelique rubando la
bottiglia dalle mani di Scorpius e dando una sorsata, per poi fare una smorfia
schifata dal sapore dell’alcool, che non apprezzava per nulla.
“Secondo me quest’anno Sybil cercherà di stuprarti
in un angolo del Manor.” disse Albus scartandosi uno Zuccotto di Zucca e dandogli un morso che lo dimezzò in
un attimo.
“Oppure lo farà con te. Sappiamo tutti che lei
preferisce i Potter.” ribatté Scorpius sogghignando apertamente.
Albus allargò a dismisura gli occhi verdi e osservò
allibito l’amico, con le guance ancora gonfie del dolce.
Angelique scoppiò a ridere così forte che si piegò
su sé stessa rotolandosi sul letto di Albus, seguita dopo poco da tutti gli
altri, persino da Octavius che emise la sua risata gutturale, simile allo
sgretolarsi di una parete rocciosa.
Albus fintamente indignato attraversò a grandi
falcate la stanza e si buttò letteralmente su Angelique, scatenando le sue
proteste. Subì poco dopo lo stesso trattamento da Elena, che con la grazia di
un ippopotamo gli saltò sulle spalle e gli fece prendere una testata contro il
baldacchino.
Il tutto si tramutò in una tremenda ammucchiata a
cui si unì anche Berty cercando di salvare l’amico, caduto vittima delle due
ragazze.
Martha osservava ridendo e si sedette sull’unico
letto rimasto disponibile.
La sua tranquillità durò pochissimo. Infatti
Scorpius la raggiunse immediatamente e si inginocchiò su una gamba ai suoi
piedi, con uno sguardo particolarmente malizioso negli occhi.
“Malfoy che cosa stai architettando?” chiese con un
tentativo di sguardo severo; che fallì miseramente proprio a causa dello
sguardo del Serpeverde.
Il grigio pieno di frammenti azzurri sottili come
spilli era limpido in modo spiazzante, la spensieratezza e la giocosità che
quegli occhi emanavano erano contagiose. Sembrava tornato un bambino in
procinto ci combinare una marachella che lo avrebbe divertito un mondo.
“Oh niente…” disse con fare vago guardandosi le
unghie della mano destra. “Sai oggi è successa una cosa curiosa… Dopo gli
allenamenti di Quidditch ho incontrato Sybil Zabini.”
Le spalle di Martha si raddrizzarono all’istante nel
sentire nominare l’altra Serpeverde, mentre un cuscino le passava a pochi
centimetri dalla testa, lanciato dagli animaletti che aveva per amici. Distolse
lo sguardo puntandolo sul letto di Potter che sembrava essersi trasformato in
un ring durante un incontro di wresling. Berty aveva appena abbandonato il
campo massaggiandosi vigorosamente il costato.
“Spero che l’incontro sia stato proficuo.” disse
gelida la O’Quinn. Né lei né Angelique avevano mai perdonato a Sybil la
crudeltà dimostrata con Elena.
“Oh sì…” mormorò Scorpius. “Mi ha chiesto se Albus
fosse già impegnato per il Ballo di Natale.”
La testa di Martha si abbassò con lentezza a
osservare il giovane inginocchiato davanti a lei.
“E con ciò?”
“Beh, mi sono sentito in dovere di rivelarle che era ancora libero. Sai, sembrava così
interessata! Mi sarei sentito un verme a negare al mio amico l’opportunità di
conoscere una così bella ragazza.”
“Quella è solo un involucro decente, che nasconde un
animo marcio. Non ha nulla da dire al mondo a parte le solite quattro moine da
gatta morta.” sbottò lei senza riuscire a trattenersi.
Scorpius la osservò da sotto le ciglia con ancora
quella luce maliziosa ad animargli gli occhi.
“Sarà anche così Martha, ma finora è l’unica che
abbia avuto il coraggio di interessarsi a quel merluzzo bollito di Albus.
Guardalo, sembra che percepisca il suo corpo ancora come quando aveva dieci
anni.” disse Scorpius indicando con cenno del capo Albus a cavalcioni su
Angelique, intento a prenderla a cuscinate mentre Elena restava appesa al suo
collo, strangolandolo, il tutto condito da risate convulse.
Martha osservò con quale naturalezza il ragazzo
giocasse con la sua migliore amica, come se il suo corpo non fosse in alcun
modo una fonte di tentazione, completamente inconsapevole della sensualità che
le sue labbra erano in grado di esprimere solo sorridendo. I suoi occhi si
persero nelle linee della mandibola che gradualmente sfumavano in quelle del collo
e delle spalle, nella tensione delle mani che stringevano il cuscino e che involontariamente
ne evidenziava i tendini, nel volto dalla bellezza tanto innocente quanto
tentatrice per lei.
Non si accorse che Scorpius si era allontanato da
lei, finché non lo vide prendere di peso Elena e per poi scaricarla con poca
grazia sul letto di Berty e accanto a quest’ultimo.
La mancanza di Elena sulle spalle, distrasse Albus
dalle sue torture, permettendo così ad Angelique di ribaltare le posizioni e
metterlo nel sacco.
Ma Malfoy era intenzionato a porre fine alle
dispute, così mentre Angie stava per calare l’arma, un cuscino ormai
irreparabilmente deformato, Scorpius la trasse indietro prendendola sotto le
ascelle, liberando Albus e scatenando un fiume di proteste da parte della
bionda.
“Adesso basta bambini! Vi metto tutti in castigo
finché non arriva Pip con il cibo!” esclamò Scorpius zittendo Angie, la quale
lo osservò con sguardo truce prima di ricominciare a ridere. “Angelique tu stai
qui. Zabini tu faresti meno danni con una camicia di forza, ma temo che la
vedresti come un’imposizione. Quindi per lo meno tieniti lontana dalla tua
amichetta bionda, insieme riuscite a dare il peggio di voi.”
“E tu Albus sei confinato vicino a Martha. Niente
proteste, o vi lascio senza cena!” esclamò minacciando tutti con un indice
pallido e affusolato.
“E sentiamo come faresti a lasciarci senza cena?”
protestò Elena incrociando le braccia sul seno quasi piatto.
“Semplicemente dicendo all’elfo domestico che ho
corrotto poco fa che i suoi servigi non sono più richiesti. E avevo chiesto per
cena una cosa che gradisci molto, Zabini.”
“Ovvero?” chiese Elena assottigliando gli occhi fino
a renderli due fessure minuscole.
“Pizza. A chili.” scandì lentamente l’altro.
Gli occhioni di Elena si dilatarono in maniera
innaturale e la giovane si ammutolì immediatamente.
Martha avrebbe riso per la scena surreale a cui
stava assistendo se non fosse stato per il fatto che Albus si stava sedendo
proprio in quegli istanti accanto a lei.
Non riuscì a non guardarlo, scarmigliato e con le
gote rosse per le risate. Non riuscì a non restare incatenata ai suoi occhi
verdi che scintillavano di allegria e di vitalità, non riuscì a non far scivolare
lo sguardo sulla sua bocca, dal taglio delicato e carnoso, che le ispirava
pensieri indecenti. E una folata di calore le risalì dal collo fino alle
guance.
Quando distolse lo sguardo a forza, irrigidendo
ovviamente la propria postura, notò con la coda dell’occhio Scorpius che
sogghignava accanto ad Angelique, entrambi con espressione diabolica stampata
in faccia.
Maledetto Malfoy… L’aveva incastrata senza che lei
nemmeno se ne accorgesse.
Albus e Sybil Zabini…
Albus che veniva insidiato da quella presuntuosa,
insopportabile, bellissima stronza. Albus che avrebbe ballato con Sybil, che
l’avrebbe stretta tra le braccia. Sybil che avrebbe fatto di tutto per
irretirlo e per rubargli un bacio, o peggio la promessa di rivedersi.
Non poteva permettere che succedesse.
L’avrebbe fatta pagare a Malfoy il prima possibile
per avere messo in testa quel pensiero assillante.
Nel frattempo gli altri Serpeverde avevano
ricominciato a parlare amabilmente tra di loro, persino Octavius che ogni tanto
emetteva i suoi grugniti d’assenso e sulla cui fronte spiccava un notevole
livido rossastro.
Martha chiuse gli occhi e prese fiato, cercando di
allentare il nodo che le si era formato in gola.
“Albus…” chiamò con voce abbastanza bassa da
attirare solo la sua attenzione
Lui si volse all’istante, come se avesse atteso la
sua voce anche mentre guardava gli altri.
Che pensiero sciocco! Lui non l’attendeva, non come
lei aveva atteso lui per tutti quegli anni. E forse era venuto il momento di
andargli incontro.
“Dovrei chiederti un favore…” mormorò abbassando gli
occhi, incapace di reggere quel verde così limpido e chiaro da far pensare che
arrivasse fino all’anima.
“Dimmi tutto Martha.” la voce di Albus aveva un tono
calmo e rassicurante.
E ora?! Come cavolo si chiedeva al ragazzo di cui si
era innamorate perse di avere una sorta di appuntamento senza farlo sembrare
tale?!
Beh, un Grifondoro avrebbe sicuramente optato per
una proposta amichevole, un Corvonero per un ragionamento tanto arzigogolato da
far perdere qualsiasi orientamento nel discorso, un Tassorosso avrebbe
candidamente ammesso il proprio interesse…
Un Serpeverde…
“Vedi da un paio di giorni mi sembra che Owen stia
tentando di avvicinarmi. Forse è solo una mia impressione, ma se invece avessi
ragione credo che tenterebbe di riallacciare i rapporti, invitandomi al ballo.”
Avrebbe mentito e calcolato la mossa meno
compromettente.
“Oh… E tu non vuoi?” chiese Albus con tono vagamente
incerto.
Martha si decise finalmente ad alzare lo sguardo e
incrociare quello di Potter.
“No.” mormorò decisa e poi riprese dopo una piccola
pausa: “Per questo vorrei chiederti… Insomma so che tu e Rose ci andate insieme
tutti gli anni, però… Ecco se ti andasse di darmi una mano, solo come
apparenza, così se Owen me lo chiedesse potrei dirgli che sono già impegnata…”
Martha chiuse gli occhi e deglutì, sentendo le
guance avvampare.
Maledizione. Non stava andando come previsto.
Non riusciva a chiederglielo, senza sembrare
patetica.
Al diavolo!
“Albus vorresti accompa…”
“Sì.” rispose l’altro interrompendola, il tono era
basso, così vibrante da farle spalancare gli occhi.
Si ritrovò ancora immersa in quelli di lui,
assorbita dal suo colore, annullata in quello spazio esiguo che li divideva e
che mai come in quel momento avrebbe voluto colmare. Le sue labbra…
Aveva davvero detto sì?!
“Ti aiuterò ovviamente. Non potrei mai lasciarti in
una situazione così difficile! Poi a Rose non importa nulla del ballo…”
bofonchiò subito dopo.
E tutta la vaga speranza, tutta la tensione provata
in quegli istanti le scivolarono dal petto verso le caviglie, lasciandola con
una sensazione di vuoto inspiegabile.
Perché mai sentiva quella specie di… di… delusione?!
Infondo lo aveva salvato dalle grinfie ninfomani di Sybil Zabini, le aveva
promesso che l’avrebbe accompagnata, l’aveva persino rassicurata.
E mentre Scorpius, con tempismo inspiegabilmente
perfetto invitava l’elfo domestico Pip ad entrare con una quantità
impressionante di pizza nel loro dormitorio, Martha sentì di avere la risposta
alle proprie domande.
Perché per invitarlo lei aveva mentito. Perché lui
accettando aveva chiarito che era per aiutarla.
Perché lui non ricambiava e questo vanificava tutto
il resto.
Mentre si sedeva vicino ad Angelique sul morbido
tappeto al centro della stanza, Martha incrociò gli occhi plumbei di Scorpius,
il quale le fece un occhiolino rapidissimo con aria sorniona, a cui avrebbe
volentieri replicato con un pugno in faccia.
Quel maledetto Malfoy l’aveva messa in guaio enorme…
L’aveva spinta ad avvicinarsi all’unico a cui sarebbe
dovuta stare lontana, l’aveva spinta a concedersi una possibilità.
***
“Mi sto ancora domandando perché io abbia
acconsentito ad avere la tua molesta persona attorno per tutto il pomeriggio.
Quasi quasi ti schianto subito per evitarmi la seccatura di portarti in giro.”
“Perché la mia impareggiabile classe e il mio
indiscutibile gusto ti saranno utili per trovare il regalo a tua madre?!”
“No. Ti concedo un’altra possibilità perché siamo
vicini a Natale e mi sento magnanima.”
“Perché non avresti mai trovato questo passaggio
senza di me?!”
“Tze! Con chi pensi di avere a che fare Potter?!
Conosco questo passaggio dal secondo anno, quando Roxanne mi ha portata a
Mielandia la prima volta!”
“Ti manca molto?” la voce di James diventò
improvvisamente molto più dolce e bassa. Confidenziale.
Il tunnel buio le consentiva di non guardare
direttamente il proprio interlocutore, nascondendo anche il sorriso nostalgico
che prese vita sulle sue labbra.
Angelique inspirò a lungo, mentre i ricordi dei suoi
primi ad Hogwarts le invadevano la mente. Quasi ognuno di essi la riconduce
alla sua mentore, alla ragazza che si era presa cura di lei come se fosse stata
sua sorella, a quell’unica persona a cui si era affidata ciecamente e che le
aveva trasmesso una quantità indescrivibile di conoscenza. Roxanne… I suoi
ricordi erano permeati dalla sua presenza.
Roxanne, dispotica, affettuosa, intrattabile,
generosa, caotica, indomita, forte, affidabile.
“L’anno scorso è stato peggio.” mormorò infine.
Quando Jessy non replicò Angie gli fu davvero grata.
Sbucarono nella cantina di Mielandia pochi minuti
dopo, silenziosi e coordinati, avvolgendosi immediatamente sotto il Mantello
dell’Invisibilità e riuscendo a sgusciare senza essere visti fuori dal negozio
di dolci.
Quando di ritrovarono nella via principale, si
resero conto che Angelique non era l’unica a dover fare gli acquisti
dell’ultimo minuto. La strada innevata infatti era invasa di persone, tanto che
furono urtati più di una volta a causa dell’invisibilità.
Si spostarono verso un vicolo laterale molto meno
frequentato.
“E ora che cavolo facciamo Jessy?!” sussurrò Angie
iniziando a strappare le pellicine dal suo labbro inferiore.
“Come sarebbe a dire? Andiamo a cercare il regalo
per tua mamma no?!”
Angelique chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
Cretini. Uno più dell’altro.
“Non ti ha attraversato il cervello nemmeno per un
istante l’idea che in mezzo a tutte queste persone ci potrebbero essere i
professori?” sbottò.
“Non ti ha attraversato il cervello nemmeno per un
istante l’idea che io so usare questa meglio di te?!” ribatté lui facendole il
verso e facendo oscillare davanti al suo viso la propria bacchetta.
Il sopracciglio impertinente scattò immediatamente
verso l’attaccatura dei capelli, donandole un’espressione incredibilmente
strafottente.
“Allora stupiscimi.” mormorò con aria di sfida e
James le sorrise in modo altrettanto indisponente.
Il ragazzo si concentrò qualche secondo sul suo
viso, osservandola attentamente.
“Qualche preferenza Gigì?” chiese serio.
Angelique inizialmente scosse la testa, poi un
pensiero le balenò in testa e non riuscì a reprimerlo.
“Beh… I capelli… Li vorrei neri.” disse con tono
vagamente strascicato e indolente.
James per tutta risposta sorrise apertamente e le
puntò la bacchetta davanti al volto. Da essa uscirono dei lunghi filamenti
argentei che le avvolsero il viso come nebbia.
Dopo qualche secondo James si allontanò di mezzo
passo per osservarla meglio e sorrise con aria soddisfatta.
“Puoi uscire Gigì, non ti riconoscerà nessuno.” le
disse scostando un lembo del mantello per consentirle di sbucare nella via
innevata.
La Dursley cercò immediatamente la finestra della
casa più vicina, per verificare che Jessy non le avesse combinato qualche
obbrobrio in faccia.
“Oh…” mormorò osservandosi allibita.
Con suo immenso stupore, nel riflesso
semitrasparente del vetro, apparve una ragazza dai capelli più corti dei suoi,
con ricci più piccoli e incredibilmente scuri. La pelle aveva un colorito roseo
diverso dal suo, la bocca era decisamente
più sottile, solo il naso rimaneva invariato. E infine gli occhi. I suoi occhi
erano scuri e intensi, di una tonalità calda ma al contempo severa. Gli occhi
dei Girard che nessuno dei figli di
Elenoire aveva ereditato. Gli occhi di nonno Etienne.
Jessy Potter l’aveva trasfigurata in quanto di più
simile esistesse a sua madre. E aveva fatto un lavoro eccellente.
Quando riapparve al suo fianco, completamente
diverso dal giovane che lei conosceva, più basso, con capelli di un biondo
sabbioso e gli occhi anonimamente marroni, Angelique gli rivolse un sorriso di
ringraziamento che sperò riuscisse a dirgli tutto ciò che dalle sue labbra non
sarebbe mai uscito.
E quel tizio che nulla aveva in comune con Jessy le
sorrise sghembo, con lo stesso identico sorriso un po’ spavaldo che sempre
accompagnava la faccia della sua Piaga d’Egitto.
Quell’inverno sembrava essere il più nevoso da molti
anni a quella parte, tanto che mentre si avviarono nella via principale alcuni
fiocchi minuscoli e lievi iniziarono a scendere lenti dal cielo grigio.
“Che cosa stiamo cercando Gigì?” chiese Jessy.
“Uhm… Qualcosa che la stupisca, qualcosa che possa
portare con sé tutti i giorni, che quindi sia di uso quotidiano, deve essere
originale… Però non troppo strampalato, mia madre non è come Svitato!” aggiunse
subito dopo corrugando la fronte. “Deve essere qualcosa di bello!”
Vagarono costantemente insoddisfatti per numerosi
negozi, scartando gioiellerie, librerie, negozi di abbigliamento e molto altro
ancora.
Quando la neve incominciò ad aumentare di quantità e
di velocità di caduta, il viso di Angelique si sollevò spontaneamente verso il
cielo e con un sorriso estatico si lasciò bagnare il viso dai numerosi fiocchi
che a contatto con la sua pelle si scioglievano.
In quel freddo pungente e acre, nella lentezza che
l’inverno portava con sé cospargendo ogni cosa della propria patina ghiacciata,
nel silenzio e nella confortante solitudine che gli alberi spogli emanavano,
nella ghirlande appese ai portoni, nelle luci tiepide che sia accendevano
presto per la notte incipiente, nell’austerità di quella stagione Angelique si
sentiva bene.
L’inverno le dava speranza, le suggeriva che quel
manto bianco e gelido era una coperta che avrebbe fatto rifiorire tutto al
momento giusto, che i rami nudi e esposti in realtà si stava preparando
all’esplosione della primavera futura. C’era più vita nell’inverno che in
qualsiasi altro momento dell’anno, solo che era silenziosa e nascosta.
“Adoro la neve.” sussurrò in tono appena udibile.
“Lo so.”
Angelique abbassò nuovamente il capo e non si stupì
quando trovò James intento ad osservarla.
Si osservarono per qualche istante immobili,
cristallizzati in quel momento, mentre i piccoli fiocchi si incastravano nei
loro capelli, tra le ciglia degli occhi, nelle loro sciarpe fatte a maglia da
Molly Weasley, sui loro cappotti scuri.
James fece un mezzo passo verso di lei e Angelique
percepì uno strano vuoto all’altezza dello sterno. Una sospensione del respiro
che le fece sentire il cuore battere contro il costato.
Una mano del ragazzo si allungò verso di lei e
scostò una ciocca che era sfuggita da sotto il berretto di lana e la mise
dietro il suo orecchio, sfiorando il lobo con dita calde, nonostante la
temperatura polare.
“Ho visto una cosa interessante. Vuoi venire con me?”
chiese lui allontanandosi. Il suo tono non tradiva alcuna emozione.
“Sì.” disse Angelique sentendo la propria voce
stranamente più acuta.
Ricominciarono a camminare vicini sul bordo della
strada, Angie si strofinò vigorosamente le mani sperando che la circolazione si
riattivasse un po’ e si maledisse mentalmente per aver lasciato i guanti nel
dormitorio.
Quando le riabbassò una delle sue venne presa
repentinamente da quella di Jessy.
Lei lo guardò stupita e fece per ritrarla, ma la
presa di lui si fece più salda e le trattenne la mano.
“Sta’ buona Gigì! Hai le mani ibernate. Se ti
vengono i geloni come farai a suonare domani?” disse lui.
“Come fai a sapere che devo suonare domani?” esclamò
guardandolo ancora più allibita.
“Perché anche io frequento l’Accademia Orfeo, Gigì,
e so che l’ultimo giorno di scuola ci sono le prove di metà anno per quelli che
fanno i corsi individuali.” spiegò lui con tono paziente.
La mano del ragazzo racchiudeva tutta la sua e le
concedeva finalmente di ricominciare a sentire i polpastrelli. Era bello.
“Grazie.” mormorò Angie tornando a guardare la
strada. Il cielo era ormai imbrunito e le luci decorative dei negozi
scintillavano nell’aria tersa.
James non le rispose ma si limitò a stringerle un
po’ di più la mano.
Quando si ritrovarono davanti alla vetrina più
caotica e colorata che il villaggio di Hogsmeade ospitasse, Angelique non
riuscì ad esimersi dal manifestare la propria opinione:
“Jessy… Debbo forse ribadire che mia madre non è
Svitato?!”
James alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente.
“Tu dammi fiducia per una volta!” esclamò
spazientito.
Angelique lo osservò ancora un po’ truce, poi si
strinse nelle spalle e si avventurò per prima all’interno del negozio, che si
rivelò essere in realtà un negozio di pelletteria lavorata con incantesimi
speciali.
Angie salutò cortesemente l’uomo seduto dietro al
bancone e subito dopo i suoi occhi si levarono verso gli scaffali alti fino al
soffitto e su cui era una varietà impressionante di articoli.
Angie osservò avidamente tutti i modelli di guanti
esposti secondo le gradazioni di ogni colore immaginabile, verdi, gialli,
arancioni, marroni, indaco, blu, viola, rosa, bianchi, neri, ne avrebbe
comprati a centinaia! Alcuni semplicissimi, altri con fori sul dorso e un
aspetto più sportivo, altri che con un incantesimo apposito avevano il cuoio
impregnato di una fragranza particolare, altri ancora che con un Incantesimo di
Esilio non appena si cercava di toglierli si trasferivano nella tasca del
cappotto. Alcuni con l’interno di morbida pelliccia, altri sottili come se
fosse stata carta. Erano meravigliosi.
Ma sua madre non li portava quasi mai, quindi si
sarebbe dovuta arrendere a scegliere qualcos’altro, nonostante quei guanti le
avessero rubato il cuore.
Scartò a prescindere le cinture che avevano un
meccanismo autoregolante che le sembravano un regalo un po’ anonimo.
Avanzò in solitaria lungo il negozio alla ricerca di
qualcosa che la colpisse, osservando incantata come gli artigiani avessero fuso
mirabilmente insieme la tecnica babbana con la magia.
Passò in rassegna alcuni modelli di borse, osservò
portafogli e porta carte, ma nulla riuscì a convincerla.
Poi proprio quando stava per convincersi che nemmeno
in quello splendido negozio avrebbe trovato il regalo per sua mamma, lo vide.
Era un piccolo orologio tondo, il diametro del
quadrante era di circa due centimetri, che stava in una vetrinetta tra due
molto più grandi e vistosi.
Il cinturino continuava a cambiare colore ogni due
secondi, come tutti gli altri orologi di quella sezione che a quanto spiegava
il cartellino potevano assumere qualsiasi sfumatura di un solo colore,
abbinandosi automaticamente all’indumento indossato. Il suo orologio, perché ormai lo considerava tale, era nei toni del
viola, dal lilla più tenue all’indaco più acceso.
Era perfetto.
“Trovato qualcosa?” la voce di James alle sua spalle
quasi la fece sobbalzare.
Lei indicò con precisione la propria scelta e lui si
sporse con la testa oltre la sua spalla, appoggiandosi appena alla sua scapola per
osservare con attenzione l’orologio nella vetrina.
Angelique inspirò il suo profumo trovandoselo così
vicino e comprese, nuovamente con quel senso di vuoto nel petto, che in realtà
già lo conosceva.
Era l’odore più semplice del mondo, quello del
sapone di Marsiglia, mischiato all’odore naturale della sua pelle, che lo
rendeva più caldo e avvolgente. Nessun aroma artificiale, nessun complicato
abbinamento di essenze che si impregnavano nei vestiti, nessuna menta, né
spezie arzigogolate. Solo sapone e James.
Lei
conosceva il suo odore.
Questo pensiero la turbò così profondamente che la indusse
a scostarsi da lui, con la scusa di chiamare il proprietario.
Quando l’ uomo piuttosto basso e mingherlino, con
dei buffi occhiali tondi e rossi, le mostrò l’articolo, Angelique se lo rigirò
tra le dita e accostandolo al cappotto blu vide che immediatamente assumeva una
sfumatura lilla.
“Lo prendo.” disse sicura e lo riconsegnò all’uomo
perché ne facesse un pacchetto.
“Desidera fare un’incisione nel retro
dell’orologio?” domandò il proprietario sorridendole.
Angelique annuì e scrisse sulla pergamena che le
venne porta, una frase dell’autore latino che sua madre preferiva in assoluto,
Orazio.
Le sue dita si mossero sicure e la scritta nera
brillò sulla carta giallastra che poi allungò verso l’uomo con gli occhiali
rossi.
“Dona praesentis cape laetus horae.”*
***
James la osservò uscire dal negozio del signor
Galloway quasi saltellando tanto era entusiasta del proprio acquisto.
Nel frattempo il giovane sistemò più accuratamente
il pacchetto nella tasca del capotto per evitare che si notasse, non aveva
alcuna intenzione di farsi scoprire anzitempo.
Il cielo era ormai una distesa buia da cui
scendevano ancora incessanti i fiocchi di neve, che aveva imbiancato nuovamente
tutta la strada.
Dovevano tornare velocemente al castello, prima che
Mielandia chiudesse, altrimenti sarebbero dovuti andare fino alla Stamberga
Strillante. Ma James aveva sentito dire che un certo malavitoso di Hogsmeade si
aggirava spesso da quelle parti e non gli sembrava il caso di rovinare quel
pomeriggio concludendolo con una gita suicida in pasto ai criminali.
“Allora hai pronto il vestito per domani sera?”
chiese affiancando la falsa Angelique, con quei ricci scuri tanto strani su di lei.
“Oh sì!” disse sorridendo sorniona.
“E che cos’è?”
“Me stessa Jessy.” rispose lei con tono criptico e
lui capì che non gli avrebbe fornito nessun altro indizio.
Riuscirono a entrare nel negozio per un soffio,
nascosti sotto il mantello, e sgattaiolarono nella cantina con passo felpato.
Quando si ritrovarono finalmente nel tunnel buio e
umido che li avrebbe fatti spuntare dal passaggio della Strega Orba, James
estrasse il pacchetto di Api Frizzole e ne offrì una alla ragazza accanto a
lui.
Angelique se infilò immediatamente un paio in bocca,
mugolando entusiasta.
In pochi minuti il pacchetto si svuotò del proprio
contenuto e loro rimasero in silenzio ad ascoltare il rumore ritmico dei loro
passi contro il pavimento irregolare di terriccio e pietre che li stava
riportando a casa.
“Vuoi venire domani?” disse improvvisamente Gigì
rompendo il quieto silenzio che era sceso tra di loro.
James capì immediatamente che si stava riferendo
agli esami di metà anno di pianoforte che erano aperti solo a un numero ristretto
di amici e parenti per ogni alunno.
Avrebbe voluto prendere a testate la parete di
pietre per sentirsi meno idiota.
Aveva stabilito lui stesso l’ultimo allenamento
prima delle vacanze di Natale e non poteva annullarlo il giorno prima, non sarebbe
stato corretto nei confronti dei compagi di squadra, non sarebbe stato un
comportamento responsabile… Ma Gigì gli aveva appena chiesto di andare a
sentirla suonare!
“Verrei davvero molto volentieri, Gigì. Ma ho
l’allenamento di quidditch domani.” disse sinceramente dispiaciuto. Gli sarebbe
davvero piaciuto sentila suonare.
La vide annuire nella penombra e poi fare un gesto
vago con la mano.
“Nessun problema, si tratta solo di una formalità!
Preferirei mille volte fare una partita invece che starmene lì seduta a
sorridere come se avessi una paresi facciale.” gli rispose con tono sereno.
Non ci furono altre parole tra di loro durante il
ritorno al castello. Si limitarono a camminare l’uno di fianco all’altra, con
le bacchette a illuminare la via e il cervello perso nei propri pensieri.
Eppure a James non parve per nulla che in quell’assenza di parole ci fosse un
retrogusto di imbarazzo o di disagio.
Semplicemente per una volta non avevano voglia di
istigarsi né di insolentirsi. Per la prima volta erano in pace l’uno con
l’altra.
***
E infine era accaduto.
La sera del Ballo era arrivata e una terribile
sciagura si era abbattuta sul dormitorio del quinto anno di Serpeverde.
Martha osservò esterrefatta Elena fare una giravolta
su sé stessa e rimirarsi nello specchio con aria estremamente soddisfatta.
Angelique era ancora sotto la doccia, quindi almeno
i suoi occhi erano salvi dallo scempio che stava violentando i suoi.
“Oh Merlino…” sussurrò flebilmente e si dovette
sedere per riprendere il controllo di sé.
Elena, dopo anni che millantava di farlo, aveva
finalmente attuato il desiderio manifestato sin dal primo anno ad Hogwarts.**
Si era travestita da Snaso.
Con una tuta integrale di pelo nero e un cappuccio
sul capo che ritraeva il muso dell’animale.
In quel momento la porta del bagno si aprì e
Angelique rimase impalata sulla soglia a guardare con occhi sbarrati Elena,
persa nella contemplazione del suo vestito villoso e informe, che la faceva
tanto somigliare ad un orso gigante.
“Nana, che diamine…” incominciò a dire la ragazza,
poi si interruppe da sola, illuminata dalla risposta che il suo cervello le
aveva suggerito. “Lo snaso!” esclamò sorridendo.
“Lo snaso…” mormorò affranta Martha.
“Lo snaso.” confermò Elena, piantandosi le mani sui
fianchi e voltandosi verso di loro con un sorriso a trentadue denti.
Angelique si affrettò a raggiungerla ancora in
accappatoio e le passò una mano attorno alle spalle con fare protettivo.
“Avanti Martha, non vedi che la nostra bambina è
contenta?” le disse appoggiando il capo, avvolto nell’asciugamano per far
sgocciolare i capelli, al suo.
Ancora
una volta un papà.
“Ma è un ballo! Non una parata di Carnevale!” pigolò
lei incapace di accettare l’evidenza dei fatti.
Ancora
una volta una mamma.
“Lo so, lo so. Però guarda com’è contenta! Lasciala
fare per una volta. Vedrai che per i prossimi mesi non tenterà più di
introdurre animali pericolosi nel dormitorio, vero Nana?”
“Promesso!” trillò Elena sistemandosi il cappuccio
sul capo in modo che il muso bislungo dello snaso calasse meglio sul suo viso.
“Ma io…”
“Solo per questa volta Martha.”
“Scusate devo andare in bagno.” mormorò alzandosi
rapidamente.
Quando si chiuse la porta alle spalle e fece alcuni
respiri profondi per non tornare nell’altra stanza a sbraitare, sentì la voce di
Angelique attutita dal legno.
“Anche tu però, Nana! Potevi almeno prepararla per
gradi a questa cosa!”
“Ma se le avessi dato degli indizi lei avrebbe
capito subito! Ha quel suo sesto senso per cui riesce a beccarmi sempre!”
Silenzio. Fruscio di lenzuola, Angelique che si
alzava dal letto per iniziare a prepararsi.
“Dici che è stata male lì dentro, non sento nessun
rumore!”
“Ma no Nana! Lo sai che quando è arrabbiata con te
va in bagno a sfogarsi e poi ritorna col suo ineccepibile portamento.”
Elena Zabini si sarebbe vestita da Snaso al Ballo di
Natale senza un accompagnatore ufficiale e sembrava la persona più contenta del
mondo.
Lei aveva finalmente l’occasione di passare del
tempo con Albus senza terzi incomodi e non riusciva a smettere di pensare che avesse
sbagliato qualcosa con lui.
Martha posò la testa contro la porta e chiuse gli
occhi.
In realtà non era qualcosa che riguardasse
esattamente Albus, era una sensazione a fior di pelle, come un formicolio
indistinto nella cute che la teneva in allerta, che le suggeriva che stava per
accadere qualcosa. E lei non riusciva a liberarsi dalla sensazione che qualcosa
non andasse.
Ricacciò tutto in un angolo della sua mente e prese
un profondo respiro, prima di uscire e marciare verso il proprio armadio.
Ne estrasse con un gesto fluido una fodera scura e
la portò verso il baldacchino di Angelique.
“Posso?” chiese la bionda guardandola piena di
trepidazione.
Martha annuì e le dita sottili di Angie raggiunsero
immediatamente la cerniera abbassandola.
“Oh…”
***
Oh…
Fu la muta esclamazione che invase il cervello di
James quando Angelique comparve dal passaggio nel muro che conduceva alla Sala
Comune della sua Casa.
Sembrava irreale.
Il suo corpo era avvolto dalla stoffa bianca che
modellava le curve del busto e scivolava sinuosa e morbida sulle gambe. Il
corpetto fasciava dal seno fino ai fianchi, evidenziandole la vita sottile,
invece la punta delle spalle era libera con una scollatura a barchetta. Le sue
braccia erano coperte fin oltre il polso visto le maniche finivano sul dorso
della mano con una punta ricamata. Ma ciò che rendeva davvero stupefacente
l’abito era che il tessuto pareva cristallizzato, minuscoli frammenti di
polvere di ghiaccio sembravano essere stati usati per intessere i ricami, gli
orli e ogni piega, agli occhi di James sembrava che Angelique fosse vestita di
neve.
I capelli erano una morbida cascata liscia con
l’arricciatura sulla parte finale, in quel momento li portava tutti spostati
sulla spalla sinistra. Erano l'unico ornamento che si era concessa, quel manto d'oro che riluceva sul candore dell'abito.
Il suo volto era reso ancor più diafano dal trucco.
Gli occhi erano stati truccati con maestria in un alternanza di colori
chiarissimi e le ciglia erano il tocco più originale. Erano completamente
bianche ma sulla punta di alcune sembrava che si fossero incastrati dei
minuscoli fiocchi di neve.
Infine sulle labbra un velo inconsistente di
rossetto rosa chiaro.
Era a pochi passi da lui e lo stava osservando
nervosa, timorosa che il suo aspetto non fosse abbastanza attraente.
Era bellissima e a lui tremavano le mani.
La Principessa di Ghiaccio era diventata la Regina
delle Nevi.
*Cogli felice i
doni di questo momento.
**Cap. 10 di "Il Destino non è Una Catena ma Un Volo"
Note dell'autrice:
L'autrice ci tiene a specificare prima di ogni altra cosa che ama i suoi lettori.
Non
sto scherzando, sono davvero infinitamente grata e provo un profondo
affetto per tutti coloro che continuano a seguire questa stroria, che
pazientano per i miei infiniti ritardi e non si scoraggiano, quando
alle volte mi scoraggio persino io nel sapere che non avrò un
briciolo di tempo di per scrivere.
E nonostante tutto, voi siete qui.
Quindi tu che leggi, grazie, con tutto il mio cuoricino ti dico grazie.
Bene ora che avete tutti la glicemia a 400, passo ai ringraziamenti speciali per le mie fedelissime: Cinthia988, dreamcatcher05, chuxie, cescapadfoot, GaiaPaola94, FleurDa e lynerys.
Del
capitolo sinceramente terrei a specificare che Angelique nonostante
abbia risposto male a Derek è ancora profondamente innamorata di
lui. Ma al contempo ha capito che James non è per nulla male e
lo sente chiaramente anche se cerca di negarlo. Inoltre mi sento in dovere di aggiungere che la Regina delle Nevi NON è Elsa di Fronzen, e che il vestito di Angelique NON è quello di quella tizia. Chiedo scusa per la veemenza, ma odio quel cartone.
Se siete dei fan della Old Generation e in particolare vi piace la coppia Lily-Severus, vi vorrei invitare a leggere la long "Memorie di lei"
che trovate sulla pagine di chuxie, una mia amica che possiede, a mio
modesto avviso, una straordinaria dote nel descrivere l'animo ricco di
luci e ombre, che riesce a cogliere l'imperfetta umanità nello
splendore della giovinezza caduca.
Ecco dopo il consiglio letterario vi lascio e spero vivamente di poter scrivere quanto prima il prossimo capitolo.
Vi mando un grande abbraccio e tanti tanti baci.
Bluelectra
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Capitolo 20 *** Cap.20 True love waits ***
Cap.20 True love waits
Questo è uno dei punti
che mi sono sempre stati chiari fin dall’inizio, ma proprio inizio inizio
quando sdraiata nel mio letto mi è fluita davanti agli occhi questa storia,
come se fosse stata un film.
E forse proprio per
quanto è chiaro e delineato nella mia mente mi riesce difficile descriverlo
come vorrei. Credo di soffrire di ansia da prestazione da grandi momenti.
La narrazione si svolge
seguendo “True Love Waits”, canzone dei Radiohead che amo visceralmente e che
rispecchia molto quello che io vedo nell’amore vero, quello che sa aspettare
anche quando tutto il resto crolla.
Il capitolo è lungo.
Anche per i miei standard infiniti, quindi armatevi di pazienza.
Un GRAZIE IMMENSO,
pieno di tutta la mia gratitudine e il mio affetto a coloro che hanno recensito
lo scorso capitolo: emalwaysreal,
dreamcatcher05, leo99, Cinthia988, tony_tropcold, cescapadfoot, Bianchina07
e chuxie.
Come sempre è un onore
scrivere per voi. Buon Natale e Buon Anno.
Bluelectra.
Questo capitolo è per Paola.
Perché chi ha amato ha davvero
vissuto.
La serratura della porta di casa
rimarrà sempre difettosa per te.
Cap.20 TRUE LOVE
WAITS
I’ll drown my beliefs
To
have your babies
Angelique si ravvivò una ciocca dietro l’orecchio,
ma quella dispettosa le scivolò ancora sul viso. Era una cosa insolita avere i
capelli così lisci, se ne andavano dove volevano.
“Che hai da fissarmi in quel modo?” sbottò in modo
più burbero di quello che avrebbe desiderato, distogliendo lo sguardo in
imbarazzo.
Jessy si riscosse sbattendo un paio di volte le
palpebre e smettendo all’istante di fissarla insistentemente.
L’aveva detto a Elena di non esagerare con tutti
quegli ombretti!
Maledizione. Ora sembrava un pagliaccio e doveva
farsi vedere da tutta la scuola conciata in quel modo…
“Stai benissimo Gigì.” Mormorò Potter con voce
leggermente incrinata.
Angie alzò gli occhi sorpresa per il tono e
immediatamente trovò quelli di lui sul proprio viso.
La guardava con intensità, le iridi rilucevano più
del solito, con quella peculiare sfumatura più chiara verso la pupilla.
Un vaghissimo sorriso era
comparso sulle labbra ben modellate.
La guardava come non le succedeva da molto tempo di
essere osservata… Come una cosa preziosa, come una cosa bella.
“Grazie.” bofonchiò lei a disagio avvicinandosi.
Non c’era bisogno di restituire il complimento.
Il vestito elegante che indossava cadeva
perfettamente sul suo fisico atletico e asciutto, e dal modo naturale con cui
si muoveva doveva esserne perfettamente conscio. La giacca nera era abbottonata
solo sul primo bottone e lasciava immaginare perfettamente le spalle ampie
sotto di essa. La camicia era candida e stirata in modo impeccabile, aperta sul
collo, libero da qualsiasi costrizione come cravatte e papillon, di cui si
vedeva tutta la linea e il pomo d’Adamo quando deglutiva.
Era
bello.
Per la prima volta si concedeva di vederlo per come
risultava davvero, senza espressioni sfrontate o ghigni maliziosi a nascondere
i suoi reali lineamenti. Erano un insieme armonioso di tratti forti, la
mascella ben delineata, senza risultare troppo geometrica, un naso dritto e
austero, gli zigomi evidenti e che facevano risaltare la magrezza del viso, la
bocca disegnata in modo perfetto, con il labbro superiore leggermente più
carnoso di quello inferiore.
Capiva finalmente che cosa ci vedessero le altre
ragazze in lui…
E
da quando in qua lei lo trovava bello?!
Un pungolo fastidio si fece sentire dentro di lei,
all’idea che si fosse appena posta sullo stesso piano di quelle sciocche
ragazzine che non sapevano guardare oltre un viso attraente.
O
forse lei stava proprio guardando oltre il viso attraente trovandovi qualcosa
di ancor più bello?
Angelique rivolse un’occhiata truce a James, come se
fosse sua la responsabilità di quei pensieri che le affollavano la mente.
“Andiamo Angelique?” le chiese sorridendo come se
non avesse notato i suoi sguardi poco amichevoli.
E le porse il braccio.
Angie vide la propria mano scivolare veloce sul
tessuto morbido dell’abito per posarsi con una leggera stretta sull’avambraccio
di James, come se il suo corpo agisse in modo opposto ai suggerimenti del
cervello. Sentì sotto le dita la forma dei suoi muscoli e una minuscola parte
di lei si compiacque di quel contatto.
James le rivolse un sorriso tanto sereno e luminoso
da farle trattenere il fiato e poi iniziò a camminare lungo il corridoio di
pietra scura, con lei al suo fianco, come se non ci fosse nulla di più
naturale.
***
I’ll
dress like your niece
And
wash your swollen feet
“Porco Salazard!” berciò Lily pestando un piede per
terra e facendo dondolare la vaporosa gonna a balze che aveva indossato per il
ballo.
Dominique, splendente in modo quasi irreale, tese
con un gesto grazioso e composto la mano affusolata verso la cugina più
piccola, in cui ricaddero alcune monete d’oro accompagnate da un grugnito
contrariato da parte di Lara.
Lily rivolse uno sguardo così funesto e iracondo al
fratello maggiore, il quale proprio in quell’istante invitava a ballare la sua
dama bianca, che se solo i loro occhi si fossero incontrati, James avrebbe
lasciato di corsa lo Stato per chiedere asilo politico in Brasile.
La più piccola di casa Potter provava un dolore
viscerale indescrivibile al pensiero di separarsi dai galeoni guadagnati con
tanta fatica tra l’illegalità e l’immoralità. Se inoltre si aggiungeva il fatto
di aver perso una scommessa con la cugina Serpeverde, l’umore della Reggente
delle Menadi non poteva che essere inavvicinabile.
“Lily dovresti aver imparato che quando Dominique
scommette su qualcosa, lo fa esclusivamente se è sicura di vincere.” Commentò
con un sorriso impossibile da reprimere Rose.
Dominique a sua volta lasciò che un languido sorriso
si facesse strada sul suo viso e un paio di ragazzi che passavano di lì per caso
quasi si inciamparono nei loro stessi piedi, tanto erano assorti nella
contemplazione di quelle labbra.
La bionda Weasley aveva indossato un abito argentato
che le aderiva alle curve del corpo in modo sensuale, il tessuto era una
composizione di minuscole scaglie la cui fattura era tale che sembravano in
grado di assumere i connotati di una seconda pelle. Sulle ginocchia la gonna si
apriva in un disegno più ampio e lo strascico finiva in una coda da pesce. Il
tutto ovviamente reso impeccabile da un paio di tacchi neri tanto alti che
sarebbero potuti passare per strumenti circensi.
I capelli, di quel biondo nordico dalle
sfumature quasi argentee che dichiarava la sua discendenza di Veela, erano
stati acconciati in una cascata di onde morbide in cui restavano impigliate
conchiglie chiare, stelle marine e perle. Era quanto di più simile potesse
esistere alle sirene dei racconti mitologici, il cui fascino oscuro era legato
a doppio filo con l’incantesimo della loro voce. L’incantesimo di Dominique invece
sembrava celarsi in quegli istanti tutto negli occhi turchesi che ammaliavano
al pari del celeberrimo canto.
“Spiegatemi per quale ragione forniamo ettolitri di
Firewhisky a settimana a questi insulsi studenti, se poi nessuno si prende la
briga di correggere il punch!” esclamò contrariata Lucy comparendo con un
bicchiere in mano colmo di un liquido rosso ciliegia, evidentemente non
alcoolico.
Rose le rivolse un’occhiata infuocata per il
riferimento così esplicito alle Menadi in pubblico. Lucy scrollò le spalle in
un gesto che ricordava vagamente delle scuse.
“Vorrei farti presente che anche tu rientri
nell’ampio gruppo di insulsi studenti.” Disse Rose addolcendo la propria
espressione.
“Marginalmente.” Commentò Lucy con la sua
inflessione rauca e graffiante, mentre il suo sguardo, celato in parte dal
ciuffo rosso, seguiva con interesse James e Angelique assottigliandosi e
donando al suo viso un’espressione ancor più sfrontata del solito. “Quindi Lara
ha perso la scommessa! Mio cugino si è fatto infinocchiare dalla Dursley. O
forse sarebbe il caso di dire il contrario…”
Rose si astenne dal replicare. Era evidente che Lucy
non aveva uno spirito particolarmente festaiolo, tanto che non aveva nemmeno
accettato di indossare l’abito che Dominique le aveva procurato, rischiando un
serio incidente diplomatico, che ovviamente aveva sciolto lei. Si era
presentata al Ballo di Natale, momento più atteso dalle giovani per sfoggiare
gli abiti più suntuosi che avessero, con dei jeans neri, una camicia bianca e
una giacca scura, tanto semplice quanto poco femminile.
Gli occhi si spostavano irrequieti da una parte
all’altra della Sala Grande, la posa delle spalle era tesa, tutto il corpo di
Lucy si muoveva con scatti nervosi, movimenti che mal celavano il desiderio
spasmodico di fuggire da quelle mura.
Non doveva essere semplice per lei, rifletté Rose,
restare confinata nel castello nella consapevolezza che il giorno successivo
sarebbe ritornata a casa senza poter salutare Benji.
Locarn Scamandro passò in quell’istante accanto a
loro e come se lo avesse investito in pieno un tir si voltò a osservare
Dominique con gli occhi sbarrati. Con un gesto repentino si inginocchiò ai suoi
piedi e prese delicatamente una mano tra le proprie.
“Signora, siete la visione più celestiale che questa
sala conceda agli occhi.” Disse il ragazzo rivolgendo a Dom un sorriso
sfavillante che gli illuminò tutto il viso. Persino in un’occasione formale
come quella riusciva ad emanare un lume di allegra follia contagiosa per tutti.
Quasi tutti.
“Comincio a capire perché Angie lo chiami Svitato.”
Borbottò Lucy tirando fuori una sigaretta dal cofanetto a scatto che teneva in
tasca.
Subito al fianco di Locarn, comparve Lysander,
elegante come il fratello gemello in un abito da cerimonia verde.
“Concedete un ballo a questo umile mortale, dea dei
mari?” chiese con il medesimo tono pomposamente comico Locarn, osservando in
adorazione la Weasley.
La melodiosa risata di Dominique si fece sentire in
perfetto accordo con gli archi che stavano attaccando in quell’istante. Lei
annuì senza smettere di ridere e Scamandro si alzò, trascinandola con sé sulla
pista da ballo.
Rose sapeva che se un qualsiasi altro ragazzo avesse
fatto una richiesta del genere, sempre che avesse trovato il coraggio
necessario per andare dritto da Dominique, sarebbe stato liquidato in un
battito di ciglia. Il fatto che tutte loro fossero cresciute insieme ai due
Scamandro rendeva il loro rapporto quasi di parentela, ovvero garantiva a
Dominique di poter escludere un qualsiasi coinvolgimento sentimentale.
Lysander che aveva osservato con espressione neutra
la scena come se fosse abituato a cose ben più strambe, si voltò verso Lily e
con un inchino buffissimo, pieno di svolazzi eleganti delle dita e gesti fin
troppo ampi, si esibì in una parodia del fratello.
“Mefitica peste gradiresti la prospettiva di
rovinare la danza a tutti i babbuini ballerini?” chiese con voce tonante,
appositamente modificata per rendere meglio la recita.
“Egregio idiota, secondo te ho la faccia di una che
sa ballare il valzer?!” rispose a tono Lily esibendosi in una riverenza
altrettanto esagerata.
“Giammai! Per questo ho chiesto il tuo aiuto.”
Ribatté Lysander rivolgendole un sorriso diabolico.
Il riconoscimento di uno suo pari demoniaco catturò
all’istante la giovane Potter, che si allontanò quasi appesa al braccio di
Lysander vista la differenza di altezza.
Quando presero a ballare Rose provò l’istinto di coprirsi
gli occhi con le mani. Erano uno scempio per qualsiasi tentativo di
coordinazione.
Improvvisavano passi di danza spintonando le altre
coppie, balzavano come forsennati mentre giravano in tondo su sé stessi,
pestavano gli orli degli abiti delle ragazze, scoppiavano a ridere in
continuazione, creando scompiglio e inducendo i più a lasciare lo spazio alla
loro caotica idea di festa.
“Mi vado a fumare una sigaretta perché qui la
questione degenera.” Esclamò Lucy che era restata al suo fianco fino a
quell’istante.
Rose annuì distrattamente mentre teneva sconcertata
entrambe le mani sulle guance. Se sua cugina Molly, unico elemento responsabile
nella generazione precedente di cugini, avesse visto come si erano ridotti i
membri del clan Potter-Weasley senza la sua supervisione le sarebbe venuto un
colpo.
O forse no, visto che aveva sopportato per sette
anni tutti i santi giorni Victoire e Roxanne.
“Posso fare qualcosa che riesca a toglierti
quell’espressione costernata?” domandò una voce nota alla sua destra.
“Abbattili.” Mormorò voltandosi con ancora entrambe
le mani sulle gote.
Scorpius Malfoy le sorrise in modo estremamente
partecipe delle sue sciagure.
“Una delle mie amiche più care vaga per questa sala,
piena di professori, ex alunni e personaggi di spicco del mondo magico, vestita
da Snaso. E il suo costume è veramente molto peloso. Non oso immaginare come si
presenterà a casa mia a Capodanno!” ribatté lui indicando con un cenno del
mento la minuscola Elena Zabini che proprio in quell’istante stava depredando
il buffet.
Rose alzò il proprio calice di succo di zucca.
“Hai vinto Malfoy.” Annunciò con voce grave.
Il ragazzo chinò il capo in un gesto di
ringraziamento silenzioso.
Fu solo in quel momento che Rose si trovò a
riflettere di come si fosse presentato da lei provvidenzialmente quando si era
ritrovata da sola. E comprese all’istante che Dominique ci stava prendendo
gusto a orchestrare incontri tra adolescenti per accoppiarli.
Infatti non appena riuscì a intercettare lo sguardo
turchese della cugina, intenta a ballare in modo angelico insieme a quello
scoppiato di Scamandro, sollevò entrambe le sopracciglia in una muta richiesta
di spiegazioni.
Dominique la guardò con aria meravigliata, tanto
naturale da apparire sincera, e poi le sorrise incoraggiante ammiccando al
ragazzo accanto a lei. Rose non ci cascò nemmeno per un millesimo.
Era alquanto plausibile che Scorpius Malfoy avesse
chiesto a Dom di accettare l’invito di Locarn, messo a disposizione
dell’operazione con ogni probabilità da Angelique, e avesse pure convinto
Lysander a fare lo stesso con Lily. L’allontanamento di Lucy era stata solo una
diretta conseguenza dell’assenza di Lara nel suo campo gravitazionale.
Che razza di famiglia! Metà dei parenti a cui si
impegnava tutto l’anno a salvare le chiappe dai riformatori magici la
ripagavano incastrandola in un incontro programmato con un biondino arrogante e
manipolatore.
Ma di che si stupiva?! Erano Serpeverde, la loro
natura imponeva il bisogno di controllare e circuire le altre persone nel
tentativo di conoscerle.
“Come hai fatto con Albus?” domandò senza tanti
convenevoli osservando Malfoy dritto negli occhi.
Quello parve esitare, come se la domanda non fosse
stata abbastanza chiara o come se gli si fosse proprio spento il cervello. Rose
inclinò la testa verso la spalla e gli rivolse uno sguardo in cui sperava che
non trapelasse troppo il desiderio di strozzarlo.
Scorpius si irrigidì visibilmente e i suoi occhi
grigi si distolsero dal suo sguardo indagatore.
“Che cosa c’entra Al?”
Rose alzò gli occhi al cielo. Le sembrava di essere
tornata ai tempi in cui Lara e Leda sparivano per giornate intere, col preciso
intento di infrangere almeno una decina di leggi del Ministero, per poi
affermare di essere state sempre presenti, ma che lei non se ne fosse accorta.
“Per favore, non sopporto che la mia intelligenza
venga insultata in modo così spudorato! Ti ho chiesto come hai fatto a
convincere Albus a lasciarmi da sola, visto che è chiaro che con le altre mie
due parenti l’operazione non deve essere stata troppo difficile.”
Malfoy corrugò la fronte e la osservò con
un’espressione rannuvolata. La totale padronanza di sé con cui le si era
presentato era sfumata insieme alla capacità di mostrarsi distaccato.
“Ma come fai?!” borbottò capitolando dopo qualche
attimo di silenzio.
“Evidentemente sono più intelligente di quello che
credi. Ora spiegami come è stato possibile che il mio unico cugino assennato e
affidabile mi abbia scaricato per una sua compagna di Casa per cui non ha mai
mostrato un grande interesse.” ribatté lei incrociando le braccia sotto il
seno.
“Forse non l’ha mai dimostrato davanti a te, ma
questo non esclude che gli possa piacere.” disse Scorpius osservandola con un
sopracciglio inarcato. “Comunque lui non ne sa nulla. Ho chiesto una mano a
Martha.”
Rose lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e
osservò sbigottita il giovane davanti a lei. La superava in altezza di parecchi
centimetri e il portamento altero contribuiva a farlo sembrare ancor più alto.
“Oh Gesù! Malfoy hai per caso mobilitato anche il
Ministro della Magia per venirmi a parlare stasera?!” esclamò sconcertata.
“No, è un po’ di tempo che non vedo Shacklebolt.”
rispose lui alzando le spalle. “Beh visto che ho fatto la figura del cretino
un’altra volta, che ne diresti di farmi sentire un po’ meno minorato venendo a
bere qualcosa con me?”
“Non vedo perché dovrei farti questo favore visto
come ti sei comportato.”
“Che ho fatto di così grave? A parte farmi scoprire,
s’intende.”
Rose strinse leggermente le palpebre osservando il
suo interlocutore.
“Aspetta un attimo, tu ritieni che il problema della
situazione sia che ti sei fatto scoprire e non che hai coinvolto quasi dieci
persone nei tuoi giochetti, solo per riuscire a chiedermi di bere qualcosa con
te?” sbottò puntando le mani sui fianchi in un’inconsapevole imitazione di
nonna Weasley.
Scorpius si accigliò per qualche istante, poi
inaspettatamente sorrise sornione, in un modo che gli illuminò i tratti
affilati del viso e rese molto più limpidi gli occhi grigi.
“Weasley mi pare che la tua tanto decantata
intelligenza abbia fatto cilecca stavolta. Sai perfettamente qual è il
problema.” mormorò avvicinandosi di un passo a lei.
“Sarebbe Malfoy?”
“Che siamo ancora a discutere in mezzo alla sala,
quando potremmo farlo seduti comodamente ad un tavolo. Senza bisogno che tu ti
faccia venire le vesciche ai piedi, perché ti sei rinchiusa i piedi in quelle
trappole per topi.”
Rose sussultò. Come aveva fatto a rendersi conto che
non riusciva quasi più a stare in piedi per colpa di quelle odiose scarpe che
Dominique l’aveva obbligata ad indossare?
“Prometto di non imbrogliare nessuno nel tragitto da
qui al buffet!” esclamò Scorpius mettendosi una mano sul cuore e sorridendole.
E senza sapere bene per quale ragione un sorriso
esasperato spuntò anche sulle sue labbra.
“Lo faccio solo per i miei piedi Malfoy.”
“Non chiedo di meglio Weasley.”
***
Just, don’t leave
Don’t leave
Martha era entrata nella Sala Grande addobbata in
modo superbo al fianco di Albus e si era persa qualche secondo nella
contemplazione di quello splendore.
Come ogni anno i professori e gli elfi domestici
avevano reso in modo magnifico l’atmosfera natalizia, con grandi festoni di
agrifoglio, bacche rosse, pini tanto alti da sfiorare il soffitto ai cui rami
restavano appese delle delicate bolle dorate, statue di ghiaccio accanto ai
tavoli del buffet, il tutto avvolto da una magnifica patina gelata.
Non che facesse freddo nella sala, ma ogni fregio,
ogni colonna, ogni pietra sembrava essere stata esposta alle temperature
glaciali che si percepivano fuori dal castello. Tutto era cosparso da un lieve
strato di ghiaccio.
“Prendiamo qualcosa da bere?” le domandò Albus
sforzandosi di tenere un tono amichevole, ma in cui si percepiva chiaramente
una nota di tensione.
Martha annuì brevemente e lo seguì, lisciandosi
distrattamente la gonna.
L’abito, che si era preparata da sola e che doveva
farla rassomigliare ad una fata, era composto da una predominanza di lilla, con
qualche venatura di rosa e di verde. Il tessuto era un leggero chiffon che
danzava nell’aria ad ogni suo movimento, sottile e impalpabile, decisamente più
spesso sul busto, dove finiva con una scollatura rotonda che consentiva alle
sue clavicole di spuntare dal tessuto e venire subito dopo nascoste dalla
collana che indossava.
Si trattava di un ricamo gentile di fiori e foglie
in metallo ramato tra cui risaltavano pietre dure dello stesso colore
dell’abito. Era stata proprio quella collana a ispirarle tutto l’abito,
trovandola per caso tra le cose che la Duchessa Eugenia sua nonna non indossava
più da tempo.
E infine sulle sue scapole, applicate con un
incantesimo che consentisse loro di muoversi ogni tanto, stavano un paio di
ali, più appuntite verso l’alto, per completare il costume da fata che aveva
preparato con tanta cura.
Tuttavia non era molto convinta di aver ottenuto un
buon risultato, vista la faccia che aveva fatto Albus quando si erano
incontrati nella Sala Comune.
Aveva spalancato gli occhi, aveva dischiuso le
labbra, poi aveva aggrottato la fronte, l’aveva guardata da capo a piedi e poi
aveva iniziato a fissare con dedizione ammirevole un punto sopra la sua spalla
destra, non incrociando nemmeno per sbaglio i suoi occhi.
E Martha si riteneva sinceramente confusa a riguardo
di che cosa pensasse lui.
Insomma aveva avuto qualche ragazzo, che era durato
un tempo variabile tra una settimana e il record massimo raggiunto da Owen,
cioè quattro mesi. Pensava dunque di aver imparato più o meno a decifrare i
segnali confusi e criptici che i maschi mandavano alle ragazze, sicuri
ovviamente che loro recepissero. Eppure con Albus Severus Potter non riusciva
mai a capire una mazza.
Mentre la ragazza si arrovellava su questi pensieri,
si erano iniziati a spostare verso un tavolino su cui erano disposte le
bevande. Quando Albus si fermò, lei non se ne rese conto e andò a sbattere
contro la sua schiena.
Se fosse stata minimamente più presente avrebbe
ripreso l’equilibrio immediatamente, ma viste le elucubrazioni che continuavano
ad occupare il suo cervello, Martha barcollò di un paio di passi indietro,
vendendo subito bloccata da un paio di braccia estranee.
“Che cosa avrei dato un anno fa per farti perdere il
controllo, tanto da finirmi spalmata addosso in questo modo.” Un sussurro le si
franse dietro l’orecchio in un soffio caldo.
Un sorriso a metà tra l’esasperazione e il sincero
divertimento le spuntò sulle labbra, mentre veniva rimessa in piedi dalle
stesse braccia che l’avevano afferrata poco prima.
“Perkins sei una persecuzione.” Esclamò con cipiglio
severo voltandosi verso il ragazzo.
John Perkins, Grifondoro del settimo anno, la
osservava con la consueta aria scanzonata stampata in faccia.
“O’Quinn, ti ho mai detto che ti trovo incantevole
vestita di lilla?” rincarò invece il giovane continuando a fissarla con uno
sguardo che era a dir poco malizioso.
Martha inclinò il capo verso la spalla e lo ricambiò
inarcando un sopracciglio.
Lei e John si erano frequentati per un brevissimo
periodo l’anno precedente, scambiandosi baci e qualche effusione non
eccessivamente scabrosa, ma come ogni relazione di Martha il tutto si era
concluso per l’incapacità della ragazza di dare una possibilità a chiunque non
fosse Albus di accendere in lei delle emozioni anche solo pallidamente vivide.
Tuttavia John, più per gioco che non per reale
interesse, periodicamente tornava a cercarla domandandole se avesse cambiato
idea o se semplicemente avrebbe gradito della compagnia nei freddi pomeriggi
invernali.
Inutile specificare quali fossero le risposte della
rossa.
“Perkins… È mai successo che ti dessero del
molestatore?” domandò con voce dolce.
Gli occhi nocciola del ragazzo risero insieme alle
sue labbra, accendendosi di una luce particolarmente allegra. Era uno dei rari
individui che non riusciva a essere mai scalfito dalla sua fredda cortesia, e
che riusciva sempre a strappare pure a lei un sorriso.
“Martha…?” la voce di Albus ruppe quella stasi
creatasi tra lei e John.
La ragazza si rese conto solo in quell’istante che
le mani di Perkins erano ancora attorno alle sue braccia come a sostenerla, o a
trattenerla, a seconda dei punti di vista. Con delicatezza si allontanò da lui
e rivolse un’occhiata sottecchi al suo accompagnatore.
Sembrava particolarmente rigido e nervoso, con gli
occhi verdi intenti a scrutare l’altro come se avesse potuto perforarlo. Martha
avrebbe voluto dargli un poderoso scossone per fargli capire com’era la
situazione realmente, ma dubitava che anche shakerato Albus Potter avrebbe
compreso.
“John, ti ringrazio del salvataggio e ti auguro una
buona serata.” Disse la ragazza con tono gentile ma sufficientemente
distaccato.
“È stato un piacere averti ancora una volta tra le
mani O’Quinn. Ribadisco che quel vestito è delizioso.” Ribatté John e le fece
un occhiolino, prima di defilarsi tra gli altri studenti che iniziavano ad
affollarsi nella sala.
“Che salvataggio? Ha allungato le mani? Perché
parlava del tuo vestito? Ti senti bene? Vuoi che me la veda io con quel
cretino?”
Martha strabuzzò gli occhi e osservò Albus.
Era stato sicuramente il discorso più lungo che
avesse fatto da quando si erano incontrati quella sera, tuttavia le sembrava
che avesse assunto la sfumatura di un interrogatorio.
“Tutto bene Al.” Si limitò ad affermare con voce
sicura e fece per superarlo, ma una mano di lui guizzò immediatamente verso la
sua.
Le dita di Albus si strinsero sul suo polso sottile
in un stretta che per la fretta del gesto si era rivelata fin troppo salda, ma
dalle sue labbra non sarebbe mai uscito alcun lamento anche se le avesse fatto
realmente male.
Il contatto tra le loro pelli risvegliò all’istante
le emozioni che cercava di controllare in continuazione, l’amalgama indistinta
del piacere e della frustrazione di averlo tanto vicino; era l’irradiarsi di
piacere e sottile dolore per la consapevolezza che lui non provava nulla.
Martha sollevò lentamente gli occhi certa che,
quando avesse incontrato quelli di lui, il verde chiaro le si sarebbe conficcato
a tal punto nell’amina da leggerle dentro. Così lasciò che i suoi occhi limpidi
e freddi le frugassero nello sguardo. Eppure sembrava che in essi si celasse la
luce di un’incertezza appena sorta. Un dubbio o un pensiero tanto insolito da
far vacillare la consueta serenità.
Lo vide umettarsi le labbra e lo stomaco le si
chiuse in un spasmo di doloroso desiderio.
Potter non aveva alcuna idea di che cosa un gesto
così innocuo suscitasse se a farlo era un portatore inconsapevole di labbra
magnifiche.
Quelle
sue labbra…
“Martha vorresti…”
“Allora belli vi state divertendo?” l’urlo di Elena
e la manata sulla schiena di Albus con cui accompagnò la sua entrata in scena,
indussero il ragazzo a lasciare immediatamente la presa su di lei.
Martha chiuse gli occhi.
Il respirò le si spezzò nei polmoni mentre provava
con tutte le sue forze a non perdere il controllo e trucidare in modo
lentissimo e doloroso l’amica.
Quanti anni ad Azkaban davano per omicidio efferato
e premeditato? Troppi, in ogni caso, per la sua giovane vita che era destinata
con ogni probabilità a spegnarsi prima di quelle di tutti gli altri a causa
delle visioni, come le avevano preventivato gentilmente i medimaghi quando
aveva dodici anni.
Quando la rabbia per quell’intervento così
intempestivo si fu abbastanza diradata, Martha aprì gli occhi e rivolse un
occhiata tanto truce all’amica che una persona normale si sarebbe dileguata con
una certa premura. Tuttavia Nana non percepì minimamente l’ostilità nel
Prefetto O’Quinn e continuò a comportarsi come se nulla fosse.
E come sarebbe potuto essere diversamente per una
che andava in giro con la massima disinvoltura infagottata dentro un costume
peloso da Snaso, suscitando sguardi di ilarità e curiosità in chiunque la
intravedesse?!
La visione di quel benedetto costume la infastidì a
tal punto che distolse lo sguardo da Nana e incontrò immediatamente quello di
Albus, che chinò il capo per nascondere il sorriso che gli era affiorato sul
viso, riconoscendo in lei i segni dell’intolleranza per il cattivo gusto della
Zabini.
“Oh!” il sospiro di sorpresa di Elena la richiamò.
Martha seguì la direzione dello sguardo dell’altra e
intravide sopra le teste degli studenti, grazie alla sua altezza e ai tacchi,
che proprio in quell’istante Angelique, stava entrando nella sala, accompagnata
da James e da un sostanzioso brusio che si riusciva a sentire nonostante la
musica.
La prima cosa che la colpì nonostante l’avesse
aiutata a prepararsi, fu il contrasto tra la lunga chioma liscia, dal colore
dorato come grano maturo, e l’abito candido, che rendeva ancor più marcato il
pallore della pelle. Ad ogni movimento il tessuto catturava i riverberi delle
luci proiettando i riflessi gelidi e luminosi della neve al sole.
Quel pensiero le strappò un mezzo sorriso.
La sua amica sembrava davvero in quell’istante una
delicata scultura di neve troppo vicina ad un Sole rovente.
***
Your
tiny hands,
Your
crazy kitten smile
James sentì le dita di Angelique stringere il suo
avambraccio con più forza.
Voltò il capo per osservare il suo profilo dai
tratti sottili e delicati. Una mano era già corsa al labbro inferiore,
incurante del rossetto chiaro, e stava ricercando pellicine da strappare,
provando in quel modo masochistico a gestire l’agitazione del momento.
James le allontanò la mano dal viso con la propria
cingendole le dita e stringendole gentilmente mentre lei opponeva una debole
resistenza. La prima volta che le aveva strette tra le proprie erano
completamente congelate e gli erano sembrate ancora più sottili e fragili di
quanto in realtà non fossero.
Subito gli occhi della ragazza lo fissarono torvi
per averle impedito di procedere nel massacro delle proprie labbra.
Si fermarono sulla soglia della Sala Grande, mentre
altre coppie che entravano in quell’istante sfilando ai loro lati li
osservavano incuriositi. Lasciò andare le dita di Gigì quasi senza
accorgersene, mentre si perdeva nel verde chiaro del suo sguardo.
Fulgida
stella, come tu lo sei
fermo foss’io, non in solingo
splendore alto sospeso nella notte…
Il trucco elaborato, le ciglia incrostate di fiocchi
di neve, le guance candide, la curva dei seni sotto il tessuto scintillante
come milioni di astri in un cielo immacolato. Gli occhi… Di un colore tanto
freddo da gelare chiunque col minimo accenno di ostilità, eppure lui li vedeva
accendersi come tizzoni ardenti quando qualcosa prendeva davvero Angelique.
Erano il calore bianco che ardeva dentro di lei, come il fuoco delle stelle che
più era violento tanto diventava chiaro.
Fredde masse di materia all’apparenza, l’essenza
stessa del fuoco più incandescente in verità.
Come lei.
James la osservò come se fosse stata la prima volta
che i suoi occhi incrociavano sulla propria via il suo viso. Non era così
straordinariamente bella, non era sensuale in modo indubbio, non aveva curve o
fisico mozzafiato. Decisamente no.
Allora perché ogni volta che quello sguardo dal
taglio a mandorla si posava nel suo il respiro restava incastrato tra i
polmoni? Perché quando riusciva a sfiorare un lembo insignificante di pelle i
suoi muscoli si tendevano nello sforzo estremo di non stringerla a sé fino a
lasciarla senza fiato? Perché quando lei gli era accanto quel fuoco cocente e
intollerabile divampava nell’animo ogni volta con più forza?
James avrebbe tanto desiderato ignorare la risposta,
ma purtroppo era incisa nella sua carne, come un destino ineluttabile.
“Entriamo Jessy?” la voce di Gigì lo riportò al
presente. Lo guardava vagamente accigliata, come se non sapesse come
interpretare quello sguardo che le stava rivolgendo. Troppo intenso per essere
equivocabile, ma proprio per la chiarezza del significato così impossibile da
accettare.
La
cecità fatta persona.
James si limitò ad annuire e attraversò con passo
sicuro il portone della Sala.
Bastarono un paio di occhiate nella loro direzione e
immediatamente gli altri ragazzi fecero loro spazio, aprendosi in una
bisbigliante fila di sguardi incuriositi e maliziosi.
Vide Angelique drizzare le spalle nella postura
altera e algida che tanto la contraddistingueva, il mento fieramente alzato a
sfidare chiunque a rivolgere anche il più pallido accenno di critica. Lo
sguardo fermo rivolto davanti a sé come se il mondo intero non avesse alcuna
consistenza.
“Gigì, sembra che ti sia mangiata un paio di manici
di scopa.” mormorò chinando il capo nella sua direzione.
Un sorriso sfuggì al controllo dell’espressione da
Principessa di Ghiaccio e affiorò sulle labbra di Angelique.
“Posso sempre sputarli e usarli per picchiare qualcuno
che non mi piace.” ribatté lei rivolgendogli un’occhiata sottecchi attraverso
quelle ciglia innevate.
“Mi sento preso in causa Gigì.”
“E fai bene Jessy, tu c’entri sempre, in un modo o
nell’altro.”
“In che modo avrei leso la tua persona questa
volta?”
“Tu non vuoi che inizi l’elenco, fidati.”
“Hai ragione, è una così piacevole serata Gigì, non
rovinarmela.”
Angelique spalancò la bocca per rispondergli a tono,
ma con un gesto rapido la prese per la vita e la strinse a sé. Lei sbarrò gli
occhi e posò entrambe le mani sul suo petto, non seppe comprendere se per
allontanarlo o per tenersi in equilibrio.
“Siamo sulla pista Gigì, dobbiamo ballare se vuoi
che Derek ci veda.” mormorò abbassando il capo per sussurrarle all’orecchio
quelle parole che gli costavano quanto il proprio sangue.
“Oh… ehm… Certo!” esclamò lei posando un palmo nel
suo e l’altro sulla sua spalla.
La musica che avvolgeva tutta l’immensa sala era un
valzer lento, molto meno frenetico e difficile di quello che c’era la notte di
Halloween, di questo fu davvero grato James, che aveva solo una vaga idea di
che cosa significasse ballare un valzer adeguatamente.
Quando mossero i primi passi un’ombra passò nello
sguardo di Angelique e la fronte liscia si corrugò per la durata di un istante.
James trattenne il fiato certo che lei avesse compreso che era stato lui ad
invitarla a ballare quella notte e sempre lui le avesse parlato col cuore in
mano.
Poi quel dubbio, quell’infinitesimale incertezza
passò e lei distolse lo sguardo turbata.
Era così vicina che riusciva a sentire il suo
respiro sulla pelle della gola e questo lo continuava a distrarre…
“Conduci come una foca azzoppata Potter.” borbottò
Gigì rivolgendogli un’occhiata tremenda all’ennesimo passo sbagliato.
“Insegnami.” mormorò lui sorridendole.
Quella risposta alla provocazione parve sorprenderla,
perché lo osservò in silenzio cercando di capire se fosse serio. Quando lui le
restituì uno sguardo fermo e al contempo divertito, Angelique corresse la
postura della sua mano spostandola verso le scapole e facendogli portare il
braccio più in alto. Poi si avvicinò impercettibilmente e fissò gli occhi nei
suoi. E ricominciarono a ballare.
Gli diede alcune semplici direttive che servirono a
fargli capire dove sbagliava. Quando perdeva il ritmo lei lo incalzava senza
forzare il suo passo, in breve tutto quel volteggiare tra loro e attorno alla spazio
riservato al ballo lo assorbì a tal punto che dimenticò quale fosse il
presupposto di quella serata.
Ovvero che lei risultasse così irresistibilmente
attratta da lui, che Derek, in preda alla gelosia, si decidesse finalmente a
strisciare ai suoi piedi per chiederle perdono.
“Sei bravo.” gli disse lei sorridendogli soddisfatta
quando la musica finì.
“Mi sento stremato.” esclamò lui con tono
melodrammatico suscitando le risate della ragazza.
Si guardò attorno febbrilmente in cerca del bancone
delle bevande.
Poi i suoi occhi intercettarono la coppia d’oro
della scuola, la favola vivente dei due splendidi rampolli di famiglie
importanti del Mondo Magico che sembravano destinati a restare uniti per
sempre.
Derek e Celia, la quale era ovviamente scortata dalla Corte al completo, che
alle sue spalle parlottava in modo molto moderato per non disturbare la sovrana.
Gli occhi neri di Derek erano fissi su di lui e
Angelique con una tale rabbia e intensità che sembrava trattenersi a stento da
andare a prenderlo a pugni. La Regina di Cuori invece parlava sorridendo in
modo graziosamente divertito ad un mago nettamente più grande, probabilmente un
ex alunno con qualche carica al Ministero, apparentemente ignara dei sentimenti
che animavano il suo fidanzato.
Celia Danes sembrava aver sfoggiato l’abito più
suntuoso che il suo armadio potesse ospitare. Si trattava di una veste color
cremisi, che alla luce delle decorazioni natalizie assumeva cupe sfumature
bordeaux, costituita da un corpetto di seta aderente che le lasciava libere le
spalle esili e le braccia, ricamato con fili neri quanto la notte, e da un’ampia
gonna che si apriva in una nuvola di arricciamenti di organza.
I suoi occhi erano evidenziati da un trucco molto
scuro e le labbra erano dello stesso colore dell’abito, quando sorrideva si
riuscivano a intravedere dei canini leggermente allungati.
Non che somigliasse a una vera vampira, ma
sicuramente il risultato era di una stupefacente sensualità e bellezza.
Senza dire nulla prese Angelique per mano e la
condusse fuori dalla pista, diretto senza esitazioni verso Derek e Celia, che
sostavano provvidenzialmente nella zona del buffet.
Gigì parve non comprendere la sua mossa finché non
se li ritrovò davanti, l’uno che la fissava con uno sguardo improvvisamente
molto più contenuto e freddo, e l’altra con pari curiosità e disprezzo,
dissimulati in un sorriso stucchevole.
“James, per Godric, siete incantevoli insieme.”
esclamò la Danes sorridendogli ed evitando accuratamente che l’ilarità
raggiungesse gli occhi.
“Grazie Celia.” rispose lui sorridendo con
altrettanta falsità.
Angelique al suo fianco sembrava pietrificata, in
particolare i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli di Derek. L’espressione
che aveva preso tutto il viso era vuota e assente come se fosse migrata verso
luoghi inaccessibili a chiunque non fosse lei o Schatten.
La mano che stava stringendo nella propria allentò
la presa e si fece fredda in modo innaturale, quasi che il suo cuore avesse
deciso che battere per sé stessi non valesse lo sforzo, quando poteva esplodere
per qualcun altro.
Qualcuno
che non era lui.
“Angelique, giusto?” le si rivolse Celia con un tono
dolce e cortese, fingendo di non sapere perfettamente chi lei fosse. Gigì con
un paio di battiti di ciglia si riprese dall’alienazione rivolgendo la propria
attenzione all’altra. “Ti vedremo anche quest’anno alla festa di Capodanno al
Manor?”
Seguì alla domanda un sorriso indulgente e un po’
compassionevole, come a ricordarle che dal momento in cui aveva smesso di
essere la fidanzata di Malfoy nessuno avrebbe avuto più alcuna ragione per
rivolgerle la parola, ma lei, che era una Regina magnanima, dall’alto del suo
status privilegiato la stava degnando di attenzione. Cosa di cui evidentemente
doveva esserle grata, pur trattandosi palesemente di una domanda retorica,
perché era scontato che alla celeberrima festa di Capodanno di Angelique Girard
Dursley non ci sarebbe stata nemmeno l’ombra.
“C’è da chiedersi se io vedrò voi. L’anno scorso tuo
padre vi ha cercato per un’ora senza capire dove foste finiti. Immagino che
abbiate perso il senso dell’orientamento nel parco… Può succedere, è talmente
grande!” rispose Angelique sorridendole con tale sincerità e calore che
chiunque non l’avesse conosciuta avrebbe scambiato il tutto per cortesia.
James dovette chinare il capo verso le proprie
scarpe tramutando la risata che già gli premeva sulle labbra in colpi di tosse
piuttosto vigorosi.
“Come potevamo perderci lo spettacolo dei fuochi in
quella meravigliosa campagna innevata?!” ribatté Celia senza che il suo sorriso
smielato venisse intaccato in alcun modo.
“Ma l’anno scorso non ha nevicato nel Wiltshire.” e
il sorriso di Angelique questa volta si allargò sinceramente su tutto il viso.
La Principessa di Ghiaccio si stava divertendo un mondo.
James quasi si strozzò cercando di non scoppiare a
ridere in faccia all’affascinante vampira, che nonostante la replica di
Angelique non si scompose minimamente, ma anzi enfatizzò lo sguardo compassionevole.
“Tesoro, forse è il caso che prendiamo qualcosa da
bere. Questa tosse inizia a preoccuparmi.” Gigì gli posò una mano
sull’avambraccio e gli sorrise con una complicità deliziosa.
Il cuore di James si strinse mentre i suoi occhi
incontravano quelli di Angelique, allegri e maliziosi. Il ragazzo ebbe per
qualche istante la speranza e l’illusione che quelle labbra e quelle iridi
rilucessero per lui e lui soltanto; quando però vide con la coda dell’occhio il
suo amico stringere i pugni lungo i fianchi e serrare la mascella in preda al
furore, ogni dubbio si sciolse.
Le restituì un sorriso triste, incapace di
dissimulare lo strazio che suscitavano dentro di lui le sue attenzioni, rivolte
solo per scatenare la gelosia di Derek.
Una mano si allungò spontaneamente verso il viso di
lei e le lasciò una leggera carezza col dorso delle dita. Gigì socchiuse gli
occhi e inclinò appena la testa verso le sue dita per seguirne il gesto.
“Buona serata.” disse rivolto a Celia e Derek prima
di prendere per mano Gigì e condurla lontano da quel codardo, che non era
ancora riuscito ad ammettere che quanto di buono e sincero esistesse nella sua
vita era legato per lo più ad Angelique.
Lei rivolse un’ultima occhiata fugace a Derek, uno
sguardo in cui si condensarono per pochissimi istanti un dolore e una
malinconia inconfondibili, quelli di un amore non corrisposto.
“Ora ce la diamo a gambe prima che Celia ti sgozzi
per come hai guardato il suo fidanzato.” mormorò James accelerando il passo e
conducendola nel dedalo di persone che si assiepavano attorno alla zona delle
bevande.
Inaspettatamente Angelique rise, anche se un’ombra
di tristezza restò impressa sul suo viso.
“Dovrebbe essere abituata al fatto che altre ragazze
guardino Derek.”
“Oh certo, ma il modo in cui lo fai tu non lascia
spazio a fraintendimenti… Inoltre sono settimane che si vocifera nel dormitorio
di Grifondoro che ci sia aria di crisi tra quei due.”
“Ah davvero?” per quanto avesse tentato di risultare
distaccata i suoi occhi, improvvisamente molto più vigili, la tradirono
“Così dicono. Io sono del parere che anche se Celia
dovesse scoprire tutti gli altarini di Derek, di cui ovviamente sospetta senza
avere prove, non lo lascerebbe mai.” rifletté lui, poi si interruppe un momento
per formulare con cautela i propri pensieri. “Alle volte mi sembra che Celia
sia ossessionata dall’averlo a qualunque costo. Oserei dire che a modo suo lo
ami.”
Angelique chinò il capo osservandosi distrattamente
la gonna, mentre le sue dita piccole e sottili iniziarono a stropicciare il
tessuto cristallino.
“C’è qualcosa di tragico in lui, qualcosa di
disperato e splendente che accieca. Ti fa perdere te stessa e non riesci ad
avere rimorsi… Non è qualcosa di molto sano.” mormorò Gigì guardando davanti a
sé.
“Hai mai pensato che anche per Celia potrebbe essere
lo stesso?” chiese James osservandola.
La bionda si morse il labbro inferiore e una ciocca
liscia le scivolò sul viso nascondendolo parzialmente.
Angelique non gli rispose e lui seppe che le sue
parole avevano colpito dritto al centro dei suoi tormenti, facendola riflettere
sul fatto che forse lei e la Regina di Cuori erano in situazioni tanto diverse
quanto speculari.
***
I’m not living
I’m just killing time
Scorpius si sentiva euforico come dopo una partita
di Quidditch vittoriosa, leggero come quando aveva bevuto la prima sorsata di
Firewhisky di nascosto per sentirsi “grande” e teso come una corda di violino.
E si sentiva anche parecchio scemo perché capiva che
tutto quel miscuglio confuso di emozioni che si traduceva in una curiosa
sensazione alla bocca dello stomaco era dovuto a Rose Weasley.
In quel momento le aveva appena raccontato della
volta in cui Angelique lo aveva convinto a cavalcare un Thestral e poco dopo si
era ritrovato lasciato a tutta velocità sulla groppa di qualcosa di invisibile,
per poi perdere l’equilibrio e cadere rovinosamente in un cespuglio di rovi.
Rose scoppiò a ridere coprendosi la bocca con una mano,
avvolta in un guanto azzurro, della stessa tonalità chiara e tenue dell’abito.
Lo stomaco di Scorpius si chiuse in una morsa dolce
e terribile allo stesso tempo, preda di quel riso che portava con sé una
spensieratezza che gli sembrava di non aver mai conosciuto se non sulle labbra
di lei.
Eppure l’azzurro dell’abito non era nulla in
confronto a quello degli occhi, quel colore che lo aveva affondato senza
speranza di ritorno la prima volta che lo aveva visto. Sembravano frammenti di
cielo incastonati in ciglia rosse, che erano in grado di sondarlo senza alcun
problema, specchi di quell’intelligenza acuta e spiazzante che lo affascinava
al pari del suo aspetto.
Era splendida Rose Weasley, semplice e diretta, così
pulita e sincera da essere quasi inavvicinabile per lui, avvezzo a ottenere
qualunque cosa per vie traverse o intrighi. Ancora non capiva come mai si fosse
seduta con lui e lo ascoltasse, ridendo e divertendosi davvero.
“A inizio anno non riuscivo a capacitarmi di come
potessi comportarti in quel modo orribile con Angie. Davvero non riuscivo a
capire come fosse possibile che tu la odiassi a tal punto… Poi ho capito.”
disse Rose prendendo subito dopo una sorsata di Burrobirra.
Scorpius inarcò un sopracciglio invitandola a
proseguire.
“Ho capito che stavi cercando in ogni modo di farla
reagire, che volevi una dimostrazione di avere ancora importanza per lei
esasperandola ogni giorno e nascondendoti dietro quell’idiozia degli scherzi e
delle rispostacce. Ti ho trovato particolarmente infantile Malfoy.” e gli
sorrise osservandolo con quell’ironia distintiva dei suoi sguardi azzurri.
“Anche ora mi trovi infantile Weasley?” chiese
sporgendosi un po’ di più sul tavolino.
Rose lo guardò inclinando il capo verso la spalla.
“Ti trovo indiscutibilmente infantile Malfoy.”
“Allora perché sei seduta qui?”
“Perché mi fanno male i piedi, mi sembrava abbastanza
chiaro.”
“Io non credo che sia solo per questo.”
“Ah davvero? Adesso sono curiosa, spiegami!” e detto
ciò si avvicinò leggermente anche lei.
“Secondo me ti fa piacere poter parlare con qualcuno
che non devi costantemente controllare nel timore che faccia crollare le
fondamenta di questa scuola, o che venga espulso per la propria condotta. Sei
così presa dal tuo ruolo di genitore di tutti che non riesci a concederti di
essere una figlia anche tu e di avere tutto il diritto di divertirti.”
Gli occhi di Rose erano fissi sul suo viso con
un’espressione dura e molto più fredda di quando discorrevano di sciocchezze.
“Chi ti dice che io non mi diverta?” chiese lei
sollevando entrambe le sopracciglia.
“Quand’è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa
senza pensare in alcun modo alle conseguenze?” ribatté Scorpius.
“Io calcolo sempre le conseguenze.”
“Appunto! Vedi che non riesci nemmeno a concepire un
pensiero così anarchico?! Sembra che tu non stia vivendo la tua vita, ma che
aiuti gli altri a gestire la propria.”
“Perché, perdonami, il fare ciò che si desidera ogni
volta che si vuole, a prescindere da chi si coinvolge o da che cosa comporta è
essere vivi?!” la frecciatina era chiaramente per lui, ma Scorpius non si
scompose.
“No, però il sapersi dare una libertà fuori dai
confini di sicurezza della propria esistenza lo è.”
“Anche il sapersi dare dei limiti e il sapersi
mettere da parte quando non si può essere protagonisti indiscussi della scena.”
Gli sembrava per la prima volta di avere finalmente
delle reazioni non perfettamente calibrate e pensate. La stava facendo
arrabbiare ma non intendeva perdere il punto.
“Perché ti scaldi tanto Rose se questi discorsi non
ti riguardano?” domandò sorridendole sardonico.
“Perché mi infastidisce parecchio che un borioso ossigenato,
farcito delle proprie convinzioni come un tacchino di Natale, si permetta di giudicare
qualcuno che non conosce.” rispose lei alzandosi in piedi. “E non conoscerà
mai.”
Detto questo si allontanò a grandi passi, un po’
zoppicante a causa delle scarpe col tacco, ma comunque fiera nella sua rabbia.
Il sorriso sul volto di Scorpius non si spense ma
anzi si accentuò al pensiero di aver appena mosso la prima pedina di una
partita che si prospettava immensamente lunga.
***
Just don’t leave
Don’t leave
Non aveva mai riflettuto su quanto fosse facile
parlare con lei.
Non solo, con Martha era stato quasi semplice
ballare, persino per lui che sarebbe inciampato anche scendendo dalla scopa.
Quasi, perché aveva pestato l’orlo del suo abito
almeno un paio di volte, ma poteva dire non essere stato così pessimo come
avrebbe pensato all’inizio. Tutto era diventato nettamente più gestibile quando
il quartetto d’archi era stato sostituito da un gruppo che suonava canzoni
babbane.
“Oh cielo, che caldo!” esclamò ridendo Martha mentre
uscivano dalla pista da ballo per prendere da bere.
Albus osservò il viso di lei pervaso da un delicato
rossore e da un sorriso raggiante che aveva in quell’istante. Poi i suoi occhi
scesero sulla linea sottile del collo e inesorabilmente ancora più giù dove la
pelle del petto aveva assunto un colorito rosato.
Pelle che si muoveva ad ogni respiro ed emergeva da
quel delicato tessuto lilla, che non lasciava intravedere nulla a parte le due
sottili clavicole.
Sì faceva caldo. Parecchio.
“Hai sete?” chiese Martha voltandosi verso di lui e
facendo oscillare qualche ricciolo color del rame.
Albus si limitò ad annuire, chiedendosi se fosse una
conseguenza delle danze sfrenate se in quel momento sentiva la gola riarsa.
Quando l’aveva vista comparire nella Sala Comune per
poco non gli era cascata la mascella a terra. Il suo corpo, che normalmente non
risaltava sotto i maglioni e le tuniche della divisa scolastica, era come
sbocciato in quella cascata di colori pastello.
Il tessuto si stringeva sul seno rotondo e la vita,
dando vita a un disegno dalle curve armoniche e femminili, sui fianchi stretti
e da cui quasi si intravedeva la spina iliaca, per poi crollare in una morbida
gonna che celava gambe affusolate e sottili… A cui lui doveva accuratamente evitare
di pensare per evitare che quel caldo impressionante aumentasse ancora.
Albus spiò sottecchi la ragazza. Non riusciva a
comprendere quando avesse iniziato a maturare diventando così bella, perché era
innegabile che lo fosse. L’ammissione con sé stesso di quel dato di fatto lo
aveva turbato a tal punto che non era riuscito a guardarla mentre si avviavano
nella Sala Grande.
Eppure nel momento in cui Perkins l’aveva stretta a
sé per non farla cadere, qualcosa di vivo e viscerale si era mosso dentro di lui.
Qualcosa che ruggiva in modo feroce alla visione delle mani di quell’idiota
sulle sue braccia, che si accendeva e infiammava in un modo a stento
controllabile.
E con suo stupore l’unico modo in cui quella
bestiola interiore si acquietava era avere Martha vicina, in modo da
assicurarsi che se fosse inciampata un’altra volta sarebbero state le sue mani a prenderla.
Non c’erano stati più silenzi imbarazzanti, né c’erano
stati discorsi forzati. Forse non era nemmeno stata una sorpresa quella
naturalezza nello stare insieme da soli, addirittura ballare con lei e farle
fare una giravolta prendendola per mano.
In quel momento stava bevendo avidamente dal
bicchiere, la gola esposta e tesa per far scendere l’acqua in una posa che gli
faceva fremere le mani per il desiderio di toccare quell’incarnato roseo e
liscio come velluto.
Albus distolse lo sguardo e si massaggiò le palpebre
con due dita, dandosi dello stupido per i pensieri inopportuni che da tutta la
sera gli passavano per la testa.
“Oh! Che bella canzone…” mormorò Martha posando il
bicchiere e rivolgendo l’attenzione verso il palco.
Lo sguardo era talmente trasognato e perso nella
contemplazione di quella melodia dolce che lei non si accorse subito della mano
che Albus le tese spontaneamente.
Quando però gli occhi color cioccolato, incorniciati
dalle folte ciglia scure, si posarono prima sul suo palmo rivolto verso l’alto,
poi nei suoi occhi, Al riuscì a leggervi uno stupore e una felicità così grandi
da fargli stringere il cuore in una morsa.
Martha fece scivolare la propria mano nella sua e si
avvicinarono alle altre coppie che ciondolavano in passi lenti e a ritmo della
musica.
Il suo capo era coronato dai ricci ribelli, che
tentavano in ogni modo di sfuggire dal complicato raccolto in cui lei li aveva
costretti, e Al, mentre lei gli si metteva di fronte, provò l’istinto di
infilarci le mani per liberarli dalle forcine e farli ricadere sulle spalle.
Poi fece appena in tempo a sfiorare con la sinistra
la schiena della ragazza e muovere i primi passi, che i suoi occhi furono
calamitati verso una scena alquanto curiosa.
Sua cugina Rose sedeva allo stesso tavolo di
Scorpius e sembrava parecchio infervorata nella discussione. Questi due fatti
erano assolutamente insoliti, motivo per cui Al non riuscì a non guardare.
Dopo un paio di scambi tra di loro, vide Rose stringere
le labbra in una linea dura e furiosa, per poi scattare in piedi e allontanarsi
con passo generalesco zoppicante verso l’uscita della Sala.
“Albus?” lo chiamò sommessamente Martha.
Lui abbassò lo sguardo e vide che gli occhi della
giovane non erano particolarmente turbati, ma che richiedevano educatamente la
sua attenzione.
“Va tutto bene?” gli chiese osservandolo con l’ombra
di un sorriso sulle labbra.
“Non credo. Ho appena visto mia cugina uscire di
corsa. Forse dovrei raggiungerla…” bofonchiò lui gettando uno sguardo fugace al
grande portone in cui proprio in quell’istante stava scomparendo la figura di
Rose.
L’espressione di Martha si incrinò, come un mosaico
frantumato in milioni di minuscole tessere che all’improvviso non avevano più
un luogo né un senso.
Nell’arco di un secondo però una maschera neutra
calò sul volto della giovane e lei si discostò da lui con una certa fermezza,
abbandonando la sua mano.
“Certo. Va’ pure da lei.” gli disse con voce gentile
indicando con un cenno l’uscita della sala.
“Sei sicura? Mi dispiace non…”
“Albus non sentirti in dovere di giustificarti!” lo
interruppe Martha risoluta. “Anzi grazie mille della bella serata, ho davvero
apprezzato il tuo aiuto. Ora va’ da Rose.”
Albus la osservò ancora un momento e vide che gli
occhi scuri erano fermi, così come la sua espressione.
“Vado solo a vedere come sta. Ritorno appena
possibile.”
“Non preoccuparti, credo che me ne tornerò in
dormitorio.” ribatté lei scrollando le spalle.
“Ok… Beh allora… Ciao.” bofonchiò cercando di
ignorare il pungolo fastidioso che improvvisamente sentiva all’idea di
lasciarla sola.
“Ciao Albus.” mormorò lei e una nota malinconica gli
si riverberò nelle orecchie mentre inseguiva sua cugina fuori dalla Sala
Grande.
***
And
true love waits
In
haunted attics
James Potter riusciva a farla arrabbiare tanto
quanto era in grado di far scendere la pace nel suo animo.
Ne aveva avuto una prova quando l’aveva aiutata
mentre aveva il naso rotto, anche se aveva preferito ignorarlo. Lo aveva capito
meglio il pomeriggio in cui avevano acquistato il regalo per sua madre
Elenoire. Ed era stata in grado di accettarlo soltanto quella sera, quando il
dolore fisico e indissolubile di avere di fronte Derek le aveva stravolto la
mente, e Jessy era rimasto accanto a lei.
James era al suo fianco in continuazione da quando
avevano stipulato la tregua. Le arrabbiature, le discussioni continue, le
coltellate di sarcasmo e l’acidità continuavano a condire le loro giornate, ma
erano spuntati germogli di risate sincere, di semplicità, di fiducia, di leggerezza
che la facevano stare bene.
Persino in quel momento.
Angelique si sentiva svuotata ed esausta per quella
serata in cui il loro gioco si era spinto allo scacco finale, senza alcun
risultato. In cui aveva rivolto un ultimo saluto alla bruciatura sul cuore che
Nana col suo infallibile istinto aveva presagito.
Quelle
cicatrici di fuoco che non sarebbero più andate via,
con cui doveva solo imparare a convivere.
Tuttavia in quella consapevolezza di sottofondo che
il peggio sarebbe arrivato quando fosse stata da sola, Angie sentiva scendere
nel suo cuore una calma rarefatta, un elemento che le consentiva di non andare
in frantumi sul pavimento della Sala Grande.
C’era il silenzio di una distesa innevata dentro di
lei, nonostante la musica a tutto volume, le gonne delle ragazze che roteavano
nel ballo, i sorrisi dovunque, lo scintillio dell’intera sala.
Ed andava bene così. Era la calma prima della
tempesta, che doveva e voleva affrontare da sola.
“Io vado Jessy.” mormorò Angie posando il calice vuoto
sul tavolo.
In quelle parole restavano incastrate la rinuncia e
la resa, che non avrebbe mai potuto esprimere se non lasciando il campo di
battaglia ancora con la propria corazza intonsa.
Gli occhi ambrati del ragazzo trovarono
immediatamente i suoi e la osservarono intensamente.
“Ti accompagno.” rispose lui semplicemente.
“Non vuoi restare per quella ragazza?” gli chiese
inarcando significativamente le sopracciglia.
Non aveva certo dimenticato che il loro piano era
volto anche a suscitare la gelosia di una misteriosa ragazza a cui Jessy era
interessato; le avrebbe fatto piacere che ci fosse almeno un risvolto positivo
in quella situazione tragicomica.
“No.” ribatté deciso e fece un respiro profondo,
come per dominare qualche emozione violenta.
Angie lo guardò attentamente e notò l’espressione
forzatamente tranquilla, la luce strana degli occhi nocciola, le labbra tese…
Anche lui stava soffrendo.
Il giovane le tese il braccio destro e lei vi si
appoggiò con molta meno allegria di quando lo aveva fatto all’inizio di quella
serata.
Uscirono insieme da quella sala, che Angie pensava
avesse visto inconsapevolmente una disfatta travestita da uscita trionfale
sotto gli sguardi indagatori degli altri studenti.
II loro passi risuonarono ritmici per i corridoi
deserti del castello. Ogni tanto il silenzio attorno veniva rotto da una risata
lontana o dal rumore di due giovani che correvano nella nicchia più vicina per
scambiarsi un bacio e stringersi in quella notte gelida.
Passarono lungo una sfilza di grandi vetrate che
concedevano una visuale sull’intero villaggi di Hogsmeade, dove un gioco di
luci natalizie e candida neve rendeva lo scenario incantevole. Angelique
rallentò il passo fino a fermarsi e, abbandonando il braccio di James, si
appoggiò con entrambe le mani alla finestra, per catturare con le dita
quell’incantesimo di sospensione in cui il villaggio sembrava caduto. Era tutto
così calmo e pacifico…
Percepì lo sguardo di Jessy su di sé e si voltò
osservandolo prima da sopra la spalla e poi girandosi del tutto.
“Mi dispiace tanto James.” mormorò tristemente e gli
prese una mano tra le proprie stringendola.
Non avrebbe potuto essere più sincera di così,
perché se per tutta la durata di quella recita inutile aveva pensato a sé e sé
soltanto, in quel momento l’immagine dei suoi sguardi mal celatamente
malinconici le invadeva la mente più di tutto il resto.
Un respiro profondo irruppe dalle narici di James.
E poi le sue braccia si chiusero attorno a lei,
circondandole la vita e stringendola così forte a sé da farla sollevare in
punta di piedi. Angelique provò la sensazione unica di essere protetta da quel
corpo come se fosse stato in grado di contenerla completamente.
Le sue braccia corsero spontanee al collo del
giovane e lì rimasero, mentre il viso trovava la collocazione naturale nella
piccola fossetta sopra la clavicola. Il respiro di James le solleticò la nuca,
mentre ogni barriera si sgretolava nella forza di quell’abbraccio.
Percepì i respiri irregolari del ragazzo contro il
proprio petto, la sua presa farsi più salda su di lei, quasi che davvero anche
lui avesse bisogno di aggrapparsi a qualcosa.
Sentì un’unica solitaria lacrima, in cui restavano
condensate il significato e la pena di altre cento, solcare l’orlo delle ciglia
per cadere sulla guancia. Dolore e conforto si mescolarono in un moto confuso,
in cui l’unica cosa che sembrava avere realmente senso era quel calore emanato
dalle braccia di James.
Una mano di Jessy le accarezzò una guancia
spingendole il capo leggermente all’indietro e facendole sollevare lo sguardo.
Era così vicino che il loro respiro si confondeva.
Era così vicino che l’ambra attorno alla pupilla dei
suoi occhi sembrava liquefatta e calda come miele bollente. La guardava in un
modo che avrebbe fatto cedere le ginocchia a chiunque.
Era così vicino che posare le labbra sulle sue
sarebbe davvero stata questione di millimetri.
Ma una nuvola argentata dall’inizio del corridoio di
mosse con rapidità innaturale verso di loro e balzò ai loro piedi, facendoli
separare immediatamente.
Una volpe dalla coda folta si volse verso di lei e
prima ancora che potesse chiedersi di chi fosse quel Patronus una voce scaturì
nel silenzio notturno.
“Ti aspetto al chiostro. Non è ancora troppo tardi.
Vieni al chiostro, Angelique. Ti prego.”
La voce di Derek tra il febbrile e il disperato si
spense insieme al dissolvimento della volpe argentata. Seguì un silenzio così
teso che Angie non riuscì a guardare negli occhi Potter.
Dentro di lei qualcosa era emerso dall’imbottitura
in cui credeva di essere avvolta per farsi sentire forte e prepotente come le
prime volte che lo aveva percepito.
Era il richiamo di Derek, la sua capacità di
ribaltare le prospettive della sua esistenza in un battito di ciglia. Il bisogno
che sfiorava la dipendenza.
Solo che per la prima volta in vita sua c’era una
parte cosciente che non aveva intenzione di rispondere. C’era un frammento di
lei che le stava chiedendo di negare quella concessione a lui e prendersi di
nuovo la propria vita, escluderlo finalmente e concludere ciò che era iniziato
nella Sala Grande quando l’aveva abbandonata.
Ma la speranza, ultima fiammella tremula, di averlo
finalmente convinto a scegliere lei, era troppo difficile da soffocare.
“Hai già deciso vero?” sussurrò James osservando
immobile come lei il punto in cui la volpe era svanita.
Angelique voltò il capo e guardandolo in volto si
rese conto della verità.
***
Si era persa.
Le sarebbe quasi venuto da ridere se non avesse
provato il desiderio cocente di annichilirsi in un letto per il resto dell’anno
scolastico e mummificarsi in esso.
Si era persa nel castello e non aveva idea di come
tornare indietro.
Martha appoggiò la schiena alla parete del corridoio
e si lasciò scivolare a terra, sentendo il tessuto leggero delle ali
impigliarsi alla pietra e strapparsi.
Raccolse le gambe al petto e si mise in ascolto dei
rumori della festa lontani.
Il gruppo suonava ancora pieno di entusiasmo e
chissà quanti studenti erano rimasti nella sala a ballare e festeggiare l’arrivo
del Natale.
A lei come dono era stata portata una ferita
bruciante da disinfettare e curare prima che chi l’aveva inferta se ne rendesse
conto.
E faceva ancor più male di quando Albus non la
considerava nemmeno un’appartenete al genere femminile, perché aveva letto
finalmente sul suo viso qualcosa di nuovo, un sentimento appena accennato che
poteva divampare come un incendio estivo se solo…
Se solo lui non se ne fosse andato.
Se solo lui non avesse sentito il bisogno di curare
il cuore di tutti, Angie, Scorpius, Rose, Elena, tranne il proprio.
Se solo lui avesse voluto guardarla davvero e capire
che cosa provava.
Se solo lei no fosse stata tanto sciocca da sperare.
Martha chinò il capo posando la fronte sulle
ginocchia e strinse le gambe con tutta la forza disperata che in quel momento
le scorreva nel corpo.
Aveva una gran voglia di spaccare qualcosa.
Un rumore di passi le fece sollevare la testa e la
indusse a osservare la figura alta che si stava avvicinando a lei.
“O’Quinn una signora non dovrebbe sedersi in quel
modo. Non te l’ha insegnato la nonna?!” la voce sarcastica e sferzante la
scalfì appena, tanto era intenta ad osservare il proprio interlocutore.
Il viso sembrava cereo, nonostante il colorito salubre
che dorava l’incarnato, gli occhi erano cupi come se stessero attraversando da
soli un Inferno intollerabile, le labbra immobili nel dolore che si dipingeva nei
contorni sensuali del viso. Così simile a un altro tanto adorato…
“Ha scelto l’idiota vero?” chiese Martha inarcando
un sopracciglio schifata.
La risate tetra e roca che scaturì dalle labbra del
ragazzo fu la conferma più lampante che si potesse sperare di ottenere.
“Trova da bere, Potter. E fa che sia forte.”
***
Il cuore si stava lanciando contro le coste del
torace come non le succedeva da mesi ormai. Le sue gambe si muovevano
frenetiche, intralciate dalla gonna che teneva raccolta tra le mani. I passi
macinavano pietre su pietre, contando i centimetri che la separavano da lui.
Svoltò l’angolo e lo vide.
Aveva i capelli di mille sfumature d’oro e di bronzo
in una pozza di luce lunare, il viso dalla pelle ambrata angosciato e le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni.
Subito i suoi occhi neri corsero verso di lei e
tutto attorno a lui si illuminò. Il sorriso con cui l’accolse mentre si
avvicinava con passo forzatamente lento, per impedirsi di corrergli incontro,
le chiuse lo stomaco in una morsa ferrea.
“Non è ancora troppo tardi.” disse Derek mentre quel
sorriso si imprimeva nella memoria di Angelique come qualcosa di parimente
doloroso e splendido.
“Dipende per che cosa Derek.” rispose Angelique
provando a non far tremare la voce.
La fermezza dell’espressione di Derek vacillò per un
secondo.
“Per dirti tutto quello che devo dirti. Poi potrai
tornare da James se vorrai.”
Una fitta dolorosa si propagò nel petto della
ragazza al pensiero di come aveva abbandonato James per correre da lui.
“Mi sono innamorato di te quando ho compreso che potevo
essere me stesso e questo ti sarebbe bastato. Mi hai sconvolto e travolto. Non
sono stato mai abbastanza per nessuno, né per mio padre, né per Celia, né per
James… Ho passato la mia vita a costruire immagini di me che fossero
soddisfacenti per tutti gli altri e che mi facevano sentire vuoto, inutile,
falso.”
“Poi sei arrivata tu. E non ti importava nulla di
chi avrei dovuto essere! Non ho saputo resistere alla tentazione di lasciare
andare ogni maschera… Mi hai fatto innamorare come non sarebbe mai dovuto
accadere.”
“Già. Però non era abbastanza.” mormorò lei mentre
il nodo in gola si faceva tanto doloroso da renderle difficile respirare.
“Sì che lo era, Angelique! Ma avevo paura.” esclamò
Derek avvicinandosi e prendendole una mano. “Non per me. Sono abituato alle
punizioni di mio padre, è tutta la vita che le ricevo!” uno sbuffo simile ad
una risata gli uscì dalle labbra. “Io avevo paura per Charlotte, mia sorella. Sapevo
che mio padre l’avrebbe punita al posto mio e non potevo permetterlo.”
Angie trattenne il fiato, mentre la tensione del
corpo si sfogava nel consueto indolenzimento delle braccia e delle spalle.
“Lei è così dolce Angie. E mio padre è totalmente
privo di scrupoli… Non potevo metterla in una posizione del genere.” disse lui
e gli occhi si adombrarono a quel pensiero.
“E ora invece?” chiese senza sapere se voleva
davvero conoscere il resto.
“Ora sono stanco di vivere nella paura e nella
rinuncia. Se tu mi vuoi ancora, se c’è ancora un frammento di te che prova
qualcosa, io sono qui Angelique. Sono qui per te.” mormorò posandosi la sua
mano sul petto, nel punto in cui il battito del cuore era più forte e frenetico.
“Ho fatto la mia scelta, come mi hai chiesto tu.”
“Derek…” il sussurro fu talmente flebile e strozzato
che risultò incomprensibile, ma lui la interruppe.
“Ho lasciato Celia, Angie. Ho scritto a mio padre
mandandolo al diavolo. E mi sento così stordito da tutta questa libertà!” disse
ridendo. Gli occhi neri erano privi della luce di dolore e malinconia che
sempre li animava da quando lo aveva conosciuto. Le sorrideva con tutta la
speranza e la gioia che in quel momento invadeva il suo animo finalmente
libero.
Angelique invece aveva un paura terrificante. Aveva
paura che quel sorriso e quegli occhi il giorno dopo sarebbero scomparsi per
lasciare posto al pentimento. Temeva che quella scelta, a cui lo aveva indotto
con un gioco scorretto, sarebbe pesata un giorno sul suo cuore tanto da indurlo
a non tollerarla più. E se poteva sopravvivere alla sua mancanza, non avrebbe
mai potuto affrontare il suo odio.
Aveva sbagliato tutto, cieca nell’egoismo dei suoi
desideri, non aveva compreso chi fosse in gioco. Così scosse la testa e sentì
gli occhi bagnarsi di lacrime.
“Non possiamo, Derek. Tua sorella…”
Entrambe le mani di Derek si chiusero sulle sue
guance e le sollevarono il volto verso il suo.
“Troveremo il modo di aiutarla!” esclamò con forza. “Mio
padre ci maledirà e non troverò mai un lavoro nel Mondo Magico perché il padre
di Celia me lo impedirà. Probabilmente sarò uno squattrinato e non ti potrò comprare
nemmeno un anello di vetro, ma sarò tuo. Se mi scegli ora, Angelique, avremo
contro il mondo intero, ma saremo insieme.”
Quando Derek pronunciò quelle parole Angie
finalmente fissò il proprio sguardo nel suo.
Gli occhi neri erano pieni di speranza e di vita
come non li aveva mai visti. Forse era veramente giunto il tempo di avere fede
e di lasciar andare le ancore dolorose che la tenevano al sicuro.
Poteva davvero ricominciare insieme a lui? Poteva
riuscire a superare il ricordo dei mesi trascorsi nella sua assenza? Sarebbero
stati davvero in grado di sostenersi l’un l’altra quando il mondo fosse
crollato sulle loro spalle? E come avrebbero fatto a salvare Charlotte, la
sorella a cui lui voleva tanto bene?
Quei dubbi montarono dentro di lei con la forza di
una mareggiata e la lasciarono confusa e disorientata, come unico capo saldo le
restavano le mani di Derek e le sue parole.
In quel viso, tanto sognato, tanto agognato, in
quegli occhi neri che scintillavano solo per lei, in quelle labbra che le
avevano confessato la propria debolezza, deponendola ai suoi piedi come un
tributo, in Derek che la guardava con amore, Angelique trovò la risposta alle
proprie paure.
“Sì.”
Angie seppe che il sorriso disarmate ed euforico, che
si aprì sul viso di Derek prima che la baciasse, sarebbe stato uno dei ricordi
che avrebbe portato con sé per tutta la vita.
***
And
true love lives
On
lollipops and crisps.
“Wow O’Quinn! Vacci piano che non voglio doverti
trasportare svenuta per il castello!” esclamò James togliendo dalle mani della
giovane la bottiglia di Acquaviola che gli aveva procurato Fred.
“Sono irlandese Potter, questa roba è tè slavato per
me.” ribatté la giovane con asprezza.
James sogghignò e trasse dalla giacca la bacchetta.
Con un rapido incantesimo mentale trasfigurò la bottiglia affusolata in una molto
più panciuta e contenente un liquido ambrato.
“Oh sì, whisky!” Disse la O’Quinn con un sorriso
diabolico.
“Prima le signore!” e le allungò la bottiglia.
Il Prefetto di Serpeverde prese una generosa sorsata
senza fare nemmeno una piega, come se fosse stato davvero il tè pomeridiano.
James bevve a sua volta e accolse con piacere il bruciore alla gola dell’alcool
che si faceva strada nel suo corpo.
Non avrebbe mai creduto di potersi trovare nello
sgabuzzino delle scope della Sala d’Ingresso a bere in compagnia della O’Quinn,
e cercare una ragione per non uccidere il proprio migliore amico, o la ragazza
che amava, o Dominique per le idee assurde che aveva sul mondo, o sé stesso.
La compagnia della O’Quinn andava benissimo, parlava
un gran poco, beveva come un uomo e non lo guardava più come il diretto
responsabile della fame nel mondo.
Si passarono la bottiglia l’uno l’altra, seduti
scompostamente in quell’antro polveroso e mal illuminato, finché il contenuto
non venne dimezzato.
“Toglimi una curiosità O’Quinn. Mio fratello non si
è ancora accorto del fatto che ti amputeresti un braccio pur di avere un bacio
da lui?” chiese sinceramente interessato.
“Sai perché non ti sopporto Potter?” chiese lei
senza scomporsi minimamente, ma anzi osservandolo con l’ombra di un sorriso.
“Perché sono un giovane frivolo, che impiega il
proprio tempo a balzare da un letto all’altro senza alcuna remora? O perché somiglio
troppo al mio amato fratellino e visto che con lui non te la puoi prendere ti
sfoghi su di me?”
Se fosse stato completamente lucido e non avesse
appena visto Angelique correre da Derek, James probabilmente non si sarebbe mai
rivolto così a lei, ma in quel momento la forma non aveva alcun valore per lui.
Martha ancora lo osservò col vago sorriso sulle
labbra e scosse l’indice in aria, facendo oscillare anche la bottiglia che
teneva con le altre dita, da cui bevve subito dopo.
“Perché tu Potter sei l’emblema di tutti i miei
fallimenti. Sono anni che tu provi in ogni modo a conquistare Angelique, sono
anni che ti fai avanti e vieni respinto senza nemmeno che lei se ne renda
conto. Eppure tu non vacilli.”
Si udì in quell’istante provenire dalla Sala Grande
un suono ritmico e limpido. Una chitarra che coi suoi accordi giunse fino a
loro.
“Tu sei così coraggioso davanti ai tuoi sentimenti
da riconoscerli come tali. E vorrei prendere a schiaffi Angelique, quasi quanto
vorrei farlo con tuo fratello.”
Una voce maschile iniziò a cantare accompagnata solo
da quell’unico strumento e James riconobbe all’istante una famosa canzone
babbana, True Love Waits. Che ironia perversa
aveva il destino…
“Vedo come la guardi, Potter. Prima o poi lo capirà
anche lei… ” la voce della ragazza si spezzò sulle ultime sillabe, ingoiata
dalla musica.
Ascoltarono quella canzone meravigliosa e terribile,
che parlava per loro più di quanto ore e ore di discorsi avrebbero potuto fare.
L’amore
vero aspetta in soffitte infestate dai fantasmi.
James chiuse gli occhi e ogni centimetro della sua
mente venne invaso dai ricordi di Gigì, dal primo sguardo arrabbiato e ostile,
all’ultimo così doloroso e amaro. Schegge di anni interi passati ad inseguirla
si piantarono nella sua memoria come se li stesse rivivendo proprio in quell’istante.
Ogni immagine era una stilettata al centro esatto del petto.
L’amore
vero sopravvive di leccalecca e patatine.
Aprì gli occhi mentre il cantante intonava il
ritornello e scorse sul volto di Martha O’Quinn una scia trasparente che dall’occhio
destro si delineava sulla guancia, il percorso di una lacrima che non era stata
asciugata né raccolta, ma abbandonata a sé.
Sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre, sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
o se no, venir meno nella morte.
Le parole di Keats accompagnarono nella sua mente le
ultime immagini di Angelique, prima che le soffocasse in un cassetto remoto per
riuscire a respirare ancora dopo quella notte.
Martha O’Quinn lo guardò immobile, con i grandi
occhi scuri svuotati e l’espressione esausta. James portò in alto la bottiglia
in un brindisi simbolico.
“All’amore vero O’Quinn, che, a quanto pare, sa
aspettare.”
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Capitolo 21 *** Cap.21 Colpevoli e assolti ***
Cap.21 Colpevoli e assolti
Cap.21 Colpevoli e assolti.
“È
tutta colpa della Luna.
Quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.”
W.
Shakespeare
Svegliarsi e inspirare come prima cosa l’odore di
Benji era un’esperienza al di sopra delle sue capacità di sopportazione.
Motivo per cui quando socchiuse gli occhi e vide
l’uomo disteso accanto a lei, il volto abbandonato contro i cuscini e i capelli
arruffati, emise un sospiro a metà tra l’incredulità e la frustrazione, per
tutta la bellezza che le si mostrava in modo così semplice di prima mattina.
La pelle olivastra, che contrastava contro la sua
bianca nell’abbraccio confuso del sonno, emanava un calore tale che durante la
notte si era scoperti di tutte le coltri, tranne che di un lenzuolo. Benji
anche da addormentato rimarcava la sua possessività trattenendola contro di sé
con un braccio attorno alla vita e intrecciando le gambe alle sue.
Un sorriso affiorò sulle sue labbra al pensiero
della notte precedente, di come l’avesse sorpreso presentandosi alla sua porta
nel cuore della notte senza alcun preavviso, dell’espressione confusa sui suoi
tratti mascolini e forti, del bacio irruente e brusco, eccessivamente
emozionato, con cui l’aveva inchiodata subito dopo alla sopracitata porta,
delle sue mani che avevano strappato i bottoni della camicia per spogliarla più
in fretta e di tutto quello che era seguito…
Il respiro successivo fu così brusco e rumoroso che
Benjamin spalancò gli occhi e le puntò addosso due fanali di un colore giallo
paglierino, troppo vigili e vispi per appartenere a qualcuno che si fosse
appena svegliato.
“Da quanto sei sveglio?” sussurrò Lucy guardandolo
mezza divertita e mezza indispettita.
“Abbastanza da sentirti sospirare per me. Due
volte.” mormorò lui traendola più vicina a sé e facendo aderire i loro petti.
Un fiotto di rossore si propagò sulle guance scarne
di Lucy per le sensazioni scatenate del contatto con i riccioli scuri dell’uomo
contro il seno.
“Adoro quando succede questo…” disse ancora Benji
sfiorandola sulla gota con un indice.
L’impertinente Leda però, che si lasciava vincere
solo dai suoi gesti e mai dalle sue parole, insorse contro l’infingardo
portatore di fossette. Una sua gamba scivolò sinuosa in mezzo a quelle di lui e
si mosse piano contro il turgore che vi trovò.
“Oh, anche io…” sussurrò lei spiazzandolo.
Fece scendere una mano dal torace verso l’addome,
disegnando sulla pelle bruna delicati disegni che si spingevano sempre più in
basso, con casualità e lentezza, gustandosi ogni centimetro di epidermide
bruciante sotto il palmo, ogni respiro più approfondito, ogni sfumatura che
passava negli occhi di lui.
Non si erano mai svegliati insieme come quella
mattina; anche negli incontri a notte inoltrata se si assopiva erroneamente
Benji la ridestava, con garbo e delicatezza, per farla ritornare al castello
sempre mezza frastornata e trasognata, per non suscitare eccesivi sospetti
nelle sue velenose compagne di dormitorio.
Eppure quella volta si erano concessi il rischio e
il piacere indescrivibile di dormire l’uno accanto all’altra, perché sapevano
di averne bisogno prima della separazione forzata dettata dalle vacanze di
Natale.
Non aveva mai provato la gioia intima e
inconfessabile di allungare una mano tra le coperte e trovarvi proprio lui, che
immediatamente l’avvinghiava a sé, ricercando le esigue curve del suo corpo e
adattandovisi perfettamente anche nel sogno.
Non aveva mai potuto comprendere quanto ristoratore
e soddisfacente fosse il sonno insieme, fino a che non aveva visto come prima
cosa Benji e ogni angolo della stanza aveva perso la propria luce, perché
questa si era condensata negli occhi felini di lui. Gli occhi di oro fuso, ricchi
di schegge marroni, le avevano scavato dentro anche in quegli istanti,
ricercando qualcosa che lei non riusciva a comprendere forse, qualcosa che
tutte le volte sembrava sfuggire anche a lui.
La sua mano scese ancora e con molta più sicurezza
delle prime volte accarezzò, strinse, indugiò dove la pelle era più liscia e
tesa dal desiderio, si mosse assecondando le oscillazioni delle sue anche. Le
dita ricercarono i punti più sensibili, suscitando respiri profondi e
affannosi, facendogli chiudere le mani in spasmi sui suoi fianchi.
E vederlo inclinare il capo verso di lei con alla
ricerca spontanea delle sue labbra, spiarlo mentre un piacere che era proprio
lei a procurargli gli annebbiava lo sguardo, rendendolo torbido e insondabile,
sentirlo su di sé era incredibilmente bello.
Era un distillato di bellezza, che lei doveva rubare
a piene mani, di cui doveva riempirsi il cuore prima di affrontare ore, giorni,
due settimane di lotta contro la sé stessa del passato.
Prima di tornare in una casa che non era la sua casa.
Aveva bisogno di lui e voleva prendersi tutto.
Benjamin tentò di sottrarsi dalle sue mani per
ricominciare a condurre il gioco, come forse gli sembrava doveroso, ma i palmi
di Lucy lo lasciarono solo per posarsi entrambi sul suo petto e inchiodarlo al
materasso.
Si mise a cavalcioni sopra di lui con una mossa
rapida e si concesse di imprimersi a fuoco nelle retine quello che vide: gli
occhi accesi, le labbra dischiuse e lo stupore impresso in ogni suo tratto
marcato, per l’iniziativa e l’audacia dei suoi gesti.
“Ragazzina, il tuo treno…” sussurrò roco Benji
mentre il viso della ragazza si abbassava sul suo petto.
Lucy disegnò con le labbra i contorni e i rilievi
della sua pelle, mordicchiando la lieve infossatura dello sterno tra i due
pettorali, baciando il costato e gustando ogni singolo frammento del fremito
che averlo in proprio potere le scatenava.
“C’è ancora tempo, Richardson.” Gli soffiò
sull’ombelico, per sentirlo inspirare bruscamente quando i suoi seni lo
sfiorarono proprio dove tutto il suo sangue sembrava essersi fermato.
“Ma c’è già il sole…” mugolò lui con scarsa
convinzione.
Le mani di Lucy risalirono l’interno coscia
dell’uomo e si avvicinarono al centro, mentre le labbra si spostavano nello
stesso punto, lente ed estenuanti.
“Non è vero, è solo la luna.” Mormorò un attimo
prima di accoglierlo tra le proprie labbra.
E poi delle tuonate poderose si abbatterono sulla
porta della stanza, così forti da far tremare il legno e da far credere che
qualcuno volesse abbatterla.
Il rumore violento e improvviso spaventò a tal punto
Lucy, del tutto immersa nella propria opera di seduzione, che la ragazza urlò e
scattò a sedere immediatamente, dimenticandosi di essere sul bordo del letto.
Fu così che ruzzolò per terra, con le gambe
aggrovigliate nel lenzuolo e prese una testata contro il pavimento, solo
parzialmente attutita dal tappeto.
Benji si esibì in una sequela di bestemmie così
colorite e fantasiose, che avrebbero impressionato anche Satana in persona, e
Lucy scoppiò a ridere per l’assurdità della situazione. Le chiese con tono
ansioso se stesse bene, ma non ottenne altra risposta se non il suono della sua
risata.
“Che c’è dannazione?” urlò Benjamin con tono feroce,
mentre si districava a sua volta dalle coperte sparse sul letto e scendeva per
aiutare Lucy a rimettersi in piedi, la quale però sembrava più occupata a
rotolarsi dalle risate che non a riprendere una postura normale.
“Capo vi abbiamo preparato la colazione!” esclamò
una voce profonda che istintivamente Lucy riconduceva alla figura del Guercio.
Lucy a questo punto iniziò quasi a ululare per l’ilarità.
Le mani di Benji si fermarono sul suo corpo con un
fremito e gli occhi si chiusero. Il suo petto si gonfiò in un respiro molto
profondo e subito dopo ne scaturì una litania di parolacce irripetibili. Poi
con uno strattone rabbioso liberò le sue gambe dal lenzuolo, scattò in piedi e
afferrò la vestaglia e la bacchetta sulla poltrona.
Quando si fiondò fuori dalla stanza urlando come un
pazzo e lanciando Schiantesimi dovunque, Lucy pensò tra le lacrime per le
eccessive risate che quegli istanti sarebbero stati il ricordo luminoso che
avrebbe portato con sé nel tragitto verso Londra.
Un rumore di stoviglie che franavano a terra attirò
la sua attenzione.
“Ma capo! C’era anche il panettone italiano…”
“AAAAARGH!”
Pensò che Benji e quello che aveva portato nella sua
vita erano ciò che rendeva straordinario un risveglio prenatalizio normalmente
malinconico.
Pensò a tutte le volte che sentiva i suoi occhi su
di sé, prima ancora di vederli, e sapeva che la stava osservando come se
volesse metterle a nudo l’anima, a quando riusciva a sorprenderlo e le emozioni
di Benji si manifestavano in reazioni brusche ed imprevedibili. Quasi non si
accorse che le risate le si erano spente in gola, sostituite da respiri calmi e
profondi.
Si mise a sedere, appoggiando la schiena al comodino
e coprendosi col lenzuolo bianco.
Si sentiva felice come non le era mai successo in
vita sua. Il pensiero dell’uomo che ancora sbraitava come un pescivendolo nel
corridoio le apriva una voragine nel petto che sembrava volersi inghiottire
qualsiasi altro sentimento.
Che cosa accadeva?
Che cos’era quel groviglio in gola che le ostruiva
il respiro e che allo stesso tempo la faceva sentire leggera?
Benjamin rientrò sbattendo la porta, con uno sguardo
furibondo e i capelli neri sparati in ogni direzione, il tutto condito da un
generoso sbaffo di marmellata di fragole sulla guancia che gli dava un’aria
belligerante comica.
Eppure quando i loro occhi si incrociarono qualcosa
mutò in lui, la postura delle spalle si rilassò immediatamente, le iridi si
addolcirono e la bocca si distese in un sorriso semplice, famigliare e
avvolgente come una coperta calda. E Lucy notò le fossette un po’ irriverenti,
proprio sotto lo sbaffo di marmellata, un tratto quasi fanciullesco che
addolciva la mascella forte.
Quelle fossette le diedero la risposta che le spezzò
il respiro nei polmoni.
“Come ti senti Lucy?” le chiese Benji avvicinandosi.
Uno
schifo perché sono innamorata di te.
Due parole. Bastavano due parole per liberarsi di
quella costrizione che le rendeva il cuore una morsa di spine.
Avanti
Leda, diglielo!
“Lucy?” la chiamò lui accucciandosi e prendendole una
guancia contro la propria mano chiusa a coppa.
Ti
amo.
Ti
amo col pomolo del comodino conficcato nella schiena, ti amo con la testa che
pulsa per il bernoccolo, ti amo nuda davanti a te, ti amo col cuore che sta
scoppiando, ti amo come non dovrei, mai e poi mai, perché non va bene amare
qualcuno così se si vuole sperare di salvarsi.
Due
parole, solo due parole…
“Sto bene.” rispose con voce rauca distogliendo lo
sguardo.
Benji la prese in braccio e la depositò dolcemente
sul letto, mentre le lasciava un bacio lieve sulle labbra.
Ti
amo e non te lo dirò.
L’aspettava un Natale di merda.
***
Svegliarsi dopo sole due ore di sonno era una
violenza fisica da annoverarsi tra i peggiori crimini contro l’umanità.
Eppure svegliarsi grazie ai baci di chi aveva
condiviso quelle esigue ore di sonno abbracciati sotto una coperta, per non
morire assiderati in un’aula in disuso, era meraviglioso.
Ma varcare la soglia della coscienza significava
anche ricordarsi perché avesse dormito così poco e così male, e farsi
sommergere ancora dalla valanga di complicazioni e problemi che col presente le
sarebbero franati addosso.
Il ballo, James, Derek, il compromesso con sé
stessa, la notte che diventava giorno al suono dei loro chiarimenti e delle
spiegazioni doverose, Charlotte la sorella indifesa che Derek voleva
disperatamente salvare, Celia e le controffensive a stento immaginabili che
avrebbe attuato, mandare Caliel a casa per avvertire che non sarebbe tornata,
ricevere minacce di morte da TUTTI i parenti che non l’avrebbero rivista fino a
giungo, compresa Roxanne, chiedere il permesso alla Blackthorn per raggiungere
Villa Malfoy a Capodanno….
Un verso inarticolato, ma chiaramente disperato,
irruppe dalle labbra di Angelique, mentre la ragazza cercava rifugio nelle
braccia che poteva finalmente stringere senza sensi di colpa.
Il calore che per quel brevissimo sonno l’aveva
accompagnata le intorpidì le braccia e tutto lo sterno, lasciandole ancora la
vaghissima speranza di riaddormentarsi e affrontare dopo mille anni tutti quei
problemi.
“Angie, sveglia.” Le sussurrò la voce di Derek in un
mormorio lento e dolce.
Il secondo suono inarticolato si fece sentire,
questa volta molto simile ad un grugnito.
“No!” protestò la bionda nascondendo il viso tra il
collo e la spalla di Derek, lì dove il suo profumo freddo sembrava annidarsi
con maggiore insistenza.
Inspirò a fondo e una lieve morsa si propagò allo
stomaco e al ventre, nonostante lo stato comatoso.
“Angelique dobbiamo alzarci.” Ribadì più fermamente
lui.
La Dursley sospirò affranta. Non c’era proprio modo
di nascondersi dal mondo ancora per un po’!
Così si mise a sedere e stirò le braccia indolenzite
da quel giaciglio improvvisato. Sbirciò da sopra la spalla il giovane che
ancora restava sdraiato sul fianco e che la stava osservando a sua volta,
mentre tra le dita teneva intrappolata una ciocca di capelli lisci per la
lozione che Martha vi aveva steso. Aveva l’aspetto assonnato, le ombre scure
sotto gli occhi sembravano rendere ancora più ombrose le iridi nere, ma il
sorriso, il suo sorriso… Il modo in
cui le sorrideva per averla trovata accanto a sé appena sveglio, era qualcosa
che le faceva tremare le vene dei polsi per l’emozione.
Con un movimento fulmineo si voltò e agguantò la
cravatta di Derek. L’espressione beatamente rilassata che fino a poco prima
aveva pervaso i suoi lineamenti, si spense per lasciare spazio ad una perplessa.
Angelique strattonò con energia la seta grigia e si portò il volto del giovane
a pochi centimetri dal proprio. Lo stupore fu così improvviso e inspiegabile
che il Grifondoro si lasciò sbatacchiare come un burattino, limitandosi a
osservarla allibito.
“Se mi stai mentendo, ti ammazzo. Poi ti eviro. E
poi ti ammazzo ancora.” Gli sibilò gelida, occhi negli occhi, dando un ennesimo
scossone alla cravatta e al collo del giovane, per poi lasciarlo
all’improvviso.
Subito dopo le parole minacciose un sorriso radioso
si aprì sulle labbra di Derek e lui la osservò intenerito.
“Com’è che i Serpeverde misurano l’affetto in base
alla gravità delle minacce di morte pronunciate?!” chiese posando una mano
sulla nuca di Angelique.
“Noi
misuriamo tutto in termini di minacce e ricatti.” Sussurrò lei afferrandolo
nuovamente per la cravatta. “Imparalo presto Schatten e forse riuscirai a
sopravvivere.” E se lo portò sulle labbra.
Fu un bacio sorridente, in cui entrambi si
deliziarono di quel gioco delle parti che sembrava appartenere ad altri, per
loro due troppo abituati alla gravità e alle tragedie per potersi intrattenere
con simili facezie.
Fu forse troppo breve, perché sapevano che il mondo
attendeva sulla soglia di quella stanza che li aveva rubati alla realtà per
qualche ora, per concedere loro di parlare a cuore aperto.
Mentre si rialzavano e Derek faceva evanescere la
coperta, Angie ebbe per un istate un tremito al pensiero di che cosa realmente
avrebbero affrontato nei giorni e nei mesi successivi.
Le voci di corridoio, le occhiatacce mal celate, i
bisbigli a cui far fronte ogni singolo giorno, la condanna di un famiglia che
non lo avrebbe seguito nella ricerca della propria felicità, un padre che
probabilmente avrebbe anche fatto di peggio…
Derek la osservò in silenzio, leggendole in volto
probabilmente il turbamento e le si avvicinò di nuovo. Posò entrambe le mani ai
lati del suo volto e la fissò.
“Non aver paura.” Le mormorò avvicinando il volto e
strofinando il naso contro il suo.
Se
mi scegli ora, Angelique, avremo contro il mondo intero, ma saremo insieme…
E qualcosa negli occhi neri che la guardavano con
fiducia e speranza le diede la forza come la sera precedente di affrontare
quella sensazione di abisso che sentiva attorno a sé.
***
Svegliarsi con la testa pesante un quintale e un
dolore penetrante come un chiodo dentro di essa non era esattamente il massimo.
Martha biascicò un’imprecazione in irlandese
tirandosi a sedere contro la parete gelida dello sgabuzzino, rischiarato appena
dal una finestrella minuscola.
Anche lo stomaco non era messo benissimo, a
giudicare dallo spasmo in cui si chiuse per quel movimento. Si portò una mano
alle tempie dove sembrava che il dolore fosse particolarmente insistente e se
le massaggiò cautamente per evitare di peggiorare la situazione, già drammatica
di per sé.
Un grugnito proveniente da un fagotto di coperte non
lontano da lei la indusse a rivolgere lo sguardo sul suo “compagno di
avventura”. Sembrava che quel metro e novanta di muscoli e capelli disordinati
dormisse ancora alla grossa.
Chissà perché sei ore prima era parso a entrambi
un’eccellente idea fermarsi a dormire in quel posto che puzzava di chiuso ed
era pericolosamente vicino alla Sala Grande. Ah già era il whisky che parlava
in quel momento!
Il semplice vederlo, anche se ancora incosciente e
quindi non troppo pericoloso, le fece venire l’inspiegabile desiderio di prenderlo
a pedate per le verità che le aveva estorto nel momento di debolezza e sotto la
spinta di una dose generosa di ottimo liquore. Così lo fece.
Allungò il piede oltre il materasso, che lui aveva
trasfigurato cavallerescamente nel delirio dell’ubriachezza, e, nonostante ogni
sforzo fisico le costasse una fitta più forte alla testa, con una spinta decisa
lo colpì agli stinchi.
Un uggiolio di dolore uscì dalle sue labbra e subito
dopo un paio di occhi gonfi di sonno la guardarono confusi.
“Datti una mossa Potter! Dobbiamo andarcene… Sempre
che non sia già troppo tardi.” Abbaiò all’indirizzo del giovane e cercò un
appiglio per alzarsi, dato che lo stomaco e la testa poco collaborativi la
rendevano particolarmente mal ferma.
James Potter strinse gli occhi a due fessure e le
rivolse un epiteto poco lusinghiero.
Martha come risposta gli tirò via tutte le coperte
in un colpo solo.
“O’Quinn… L’essere così acida di prima mattina è
dovuto alla tua perenne astinenza o è una cosa naturale?” domandò lui sedendosi
e osservandola con un misto di odio e ammirazione.
Lei gli rivolse un’occhiata gelida e col cipiglio
più severo che quel viso le ispirava gli si rivolse:
“Mi aspetto il massimo riserbo da te, Potter. Una
sola parola sbagliata e le conseguenze non ti piaceranno per nulla, credimi.”
James si strofinò gli occhi indolente e poi,
alzandosi con molta più prestanza di lei, le sorrise in modo furbesco, che le
ricordava moltissimo quello di Elena.
“Ah, allora è tutta naturale questa ostilità!”
esclamò passandosi una mano tra i capelli impossibili.
Martha rivolse un’occhiata esasperata al soffitto e
poi si avvicinò alla porta dello sgabuzzino, accostandovi l’orecchio, per
sentire se c’era gente lì attorno. Non le venne restituito alcunché di
sospetto, nemmeno il solito rumore di stoviglie che proveniva dalla Sala Grande
durante la colazione, quindi doveva essere relativamente presto.
“Non avrei mai scommesso che un corpicino fragile
come il tuo potesse contenere un barile di whisky!” commentò poi lui
riservandole uno sguardo di sentito rispetto.
Il Prefetto di Serpeverde fermò la mano che si era
posata sulla maniglia e osservò Potter da sopra la spalla. Quel ragazzo la infastidiva.
Sempre, a prescindere da che cosa dicesse o facesse.
Soprattutto se la testa aveva deciso di esplodere
ininterrottamente.
Tuttavia anche nelle ore che avevano preceduto
l’infausto avvento della testa dolorante, stando a contatto con lui, si era fatta
strada in lei una curiosa sensazione. Un’energia positiva che riusciva a
percepire nonostante la natura avversione per quel broccolo...
Martha si riscosse, anche grazie al crampo allo
stomaco che la colpì, e con un gesto misurato aprì la porta. Sbirciò fuori con
circospezione e vedendo la via libera l’aprì del tutto.
“Senti Potter, facciamo che prima esco io e dopo
cinque minuti esci tu?” chiese uscendo nel piccolo atrio.
“Non possiamo fare un Incantesimo di Disillusione e
ce ne andiamo entrambi?” ribatté lui seguendola e prendendo la bacchetta dalla
tasca della giacca.
“Sono al quinto anno Potter, non abbiamo ancora fatto
gli Incantesimi di Disillusione! In più, anche se lo sapessi fare, non ho con
me la bacchetta!” ribatté Martha piccata. Effettivamente andarsene in giro per
il castello fino ai sotterranei con un vestito da sera non era il miglior modo
per passare inosservata…
“Oh capisco. Beh, in ogni caso anche se uscissimo a
distanza, tutti quelli che sono a far colazione ora noterebbero una certa rossa
fuggire verso i sotterranei vestita esattamente come era ieri sera… Direi che
la tua reputazione ormai è andata!” e le sorrise calorosamente, come a darle il
benvenuto nella cerchia speciale di persone di malaffare.
Martha si massaggiò lentamente le tempie per
alleviare le fitte costanti che da lì si propagavano, incrementate dalla
presenza di Potter.
“E tu che sei tanto bravo a trasfigurare le cose non
potresti invece darmi una mano, facendo diventare questa cosa…” e prese tra le
mani la leggera gonna di colori pastello. “Una divisa scolastica?”
“Non credo proprio.” Rispose baldanzoso Potter.
“Eccellente. Perfetto. Così quando avrai bisogno del
mio aiuto saprò esattamente come ripagarti!” esclamò Martha rivolgendogli tutto
il proprio disprezzo in una sola occhiata.
“E quando mai io avrò bisogno del tuo aiuto?” chiese
lui avviandosi verso le Scale.
A quel punto un sorriso si fece largo sulle labbra
della O’Quinn e anche lei mosse alcuni passi per raggiungerlo.
“Per esempio quando Angelique capirà che Schatten è
quanto di più sbagliato esista per lei e lo lascerà.” Disse con tono casuale
godendosi l’effetto assicurato delle sue parole.
Potter infatti si bloccò di colpo e le piantò in
viso due occhi allucinati, a metà tra lo stravolto e l’incredulo.
“Stai usando i tuoi poteri di veggente?” le chiese
assottigliando lo sguardo.
Il cuore di Martha aumentò i propri battiti per la
sorpresa e le sue mani si contrassero in pugni stretti, conficcando le unghie
nei palmi.
“E tu come diavolo…”
“C’ero anch’io O’Quinn, quella volta in corridoio.”
Mormorò il ragazzo improvvisamente serio, abbassando lo sguardo verso le
proprie scarpe.
Passarono alcuni istanti in silenzio, in cui la
tensione sembrò alleviarsi un minimo.
“Comunque no, Potter, niente chiaroveggenza. Sto solo
usando i miei poteri di amica.” Rispose lei con tono leggermente imbarazzato.
Lui alzò immediatamente gli occhi e la osservò con
uno sguardo talmente indifeso che Martha ebbe il dubbio di aver infierito sulle
sue ferite aperte. Poi ovviamente ci ripensò e si convinse che era stato
inevitabile per ottenere la sua collaborazione.
James alzò la bacchetta su di lei e Martha fece un
mezzo passo indietro allarmata, ma dal sorriso soddisfatto che spuntò sulle
labbra di Potter per quel suo gesto, comprese che l’avrebbe aiutata.
Qualche secondo dopo infatti del suo vestito etereo
lilla non c’era più traccia, al suo posto indossava una divisa scolastica
grigio scuro, in cui campeggiavano sui bordi i colori di…
“Grifondoro, Potter? Grifondoro? Davvero?!” strepitò
guardandolo in cagnesco.
“Oh scusa è la forza dell’abitudine!” rispose lui
stringendosi nelle spalle.
Martha strinse le labbra e sentì la testa dolerle
ancor di più per la frustrazione di non poterlo prendere nuovamente a pedate.
Voltò lo sguardo pronta a tornarsene di gran carriera a Serpeverde, quando i
suoi occhi incrociarono qualcosa che la congelò sul posto.
Una ragazza con abiti babbani, evidentemente già
pronta per tornare a casa con l’Espresso, li stava fissando in cima alla scala
con gli occhi fuori dalle orbita. Quando anche James la vide, quella arrossì
furiosamente e se la diede a gambe dentro la Sala Grande.
“Oh no! Quella è Alexis Qualcosa… Siamo rovinati.”
Mugugnò disperato mettendosi una mano tra i capelli.
“E questo che cosa vorrebbe dire?” domandò allarmata.
“Che entro dieci secondi l’intera scuola saprà che
io e te siamo stati insieme stanotte.”
Martha si portò una mano alla fronte e massaggiò
delicatamente.
Cazzo
che mal di testa!
***
Non c’era proprio nulla da fare, per quanto ci
provasse, per quanto strenuamente tentasse di vedere i lati positivi di quella
situazione, per lui svegliarsi restava una tragedia.
Svegliarsi agli impietosi orari di Hogwarts per la
precisione.
In fondo Albus era convinto che se solo in
Inghilterra avessero adottato un po’ più di elasticità d’orari, un vaghissimo
sentore di mediterraneità, la sua vita sarebbe stata sicuramente mille volte
migliore. Almeno nell’arco di quella catastrofica fase identificabile come la
mattina.
Nemmeno la prospettiva di un ritorno a casa, quindi
del calore famigliare e dei succulenti banchetti natalizi, poteva lenire la
pena della sveglia mattutina.
Se in più si aggiungeva un paio d’ore passate a
cercare di convincere la sua adorata cugina Rose, testarda come un mulo, a
dirgli che cosa era accaduto senza successo, il tutto veniva condito da toni di
disperazione pesanti.
E questo era il motivo per cui lui, Albus Severus
Potter, passava almeno un’ora dal risveglio in religioso silenzio, per evitare
di aggredire verbalmente e non chiunque. Per quello in fondo c’era sempre la
Principessa di Ghiaccio.
Un momento…
“Dov’è Angie?” grugnì rivolto a Malfoy.
Scorpius aggrottò la fronte e osservò accigliato il
proprio orologio.
“Caspita! Solo quaranta minuti… Stai diventando
grande Albus.” si complimentò col consueto ghigno insolente il biondo.
Albus si limitò a osservarlo con gli occhi ridotti a
due fessure, sia per darsi una parvenza di minacciosità sia perché infondo era
ancora troppo presto per aprirli del tutto.
Scorpius inarcò un sopracciglio platinato e lo
guardò con sufficienza.
“Non ne ho idea. Martha tu sai dov’è?” chiese
voltandosi verso la ragazza.
Martha sobbalzò vistosamente e con la bocca stretta
in una posa di rigidità eccessiva domandò a propria volta:
“Chi?”
“Ma come chi?! Angelique! Non l’hai incrociata in
dormitorio ieri?” chiese Scorpius.
Martha raddrizzò istantaneamente le spalle e con
delicatezza posò la tazzina di tè sul piattino.
“No.”
Elena seduta di fronte a lei sogghignò con evidente
divertimento.
“Eh già, non s’è visto nessuno!” commentò tutta
allegra Nana.
Martha le diede un calcio sotto al tavolo, per nulla
dissimulato né da una parte né dall’altra, visto il gemito di dolore che si udì
chiaramente.
Albus seguì quella serie apparentemente
sconclusionata di espressioni sentendo, nonostante la confusione interiore in
cui ancora versava, che le ragazze avevano qualcosa di strano… Quindi
automaticamente iniziò a preoccuparsi.
“Mi state dicendo che non vi siete domandate che
fine abbia fatto ieri sera?” esclamò sconcertato rivolto più a Martha che non a
Nana, perché era ovvio quale delle due fosse più responsabile.
La rossa si voltò con uno scatto verso di lui e lo
fulminò con un’occhiata insolitamente gelida.
“Perché scusa tu ieri sera ti sei preoccupato di
capire che fine avesse fatto?”
“Beh… Io stavo… Avevo un altro… Cioè sono andato
da…”
“Sì sì, sei andato da Rose. Credo che tutti noi
sappiamo quanto ti stia a cuore la salute di tua cugina!” sbottò Martha
prendendo una generosa sorsata di tè e voltando ostentatamente lo sguardo
dall’altra parte della Sala.
Albus boccheggiò un paio di secondi colpito
dall’aggressività della ragazza.
“Perché te la prendi tanto con me?” esclamò
sinceramente stupito.
Martha si voltò ancora verso di lui ma questa volta
con lentezza estrema. I suoi occhi color cioccolato erano infuocati di rabbia e
le sue labbra, normalmente così delicate e rilassate, strette in una linea
dura.
“Perché sei un merluzzo bollito Potter.” esclamò
Nana sorridendogli da sopra la vasca di porridge che era la sua ciotola.
Albus si strofinò frustrato gli occhi. Quelle
maledette femmine! Quando si mettevano in testa di farla pagare a lui per
crimini ancora ignoti lo mandavano davvero fuori dai gangheri!
“Ah, comunque Angelique è sana e salva. Sembrerebbe
anche piuttosto felice…” commentò Elena.
“Come…” iniziò il ragazzo ma venne interrotto
precocemente.
“È appena entrata!” un sibilo al vetriolo da parte
di Martha.
Lui si voltò verso la rossa, ma, prima che potesse
protestare o farle notare che non era decisamente il caso di trattarlo in quel
modo, qualcosa lo bloccò. Notò nell’espressione così rigida e contenuta una
nota profondamente stonata, una vaga sensazione che gli suggeriva
insistentemente che la ragazza non stesse bene, che quella rabbia e ostilità
non erano altro che maschere, calate sul viso per non lasciare trapelare
qualcosa di molto più grosso.
Qualcosa si mosse in lui, simile all’istinto di
protezione, ma molto più vivido… Il bisogno di stringerla a sé per sanare quel
dolore sottile che riusciva a leggerle in viso attraverso i suoi tentativi di
apparire indistruttibile.
Martha…
“Buongiorno!” trillò Angie schiantandosi contro la
panca accanto a lei.
Aveva un’espressione particolarmente radiosa,
nonostante le vistose occhiaie scure, e i capelli lisci racchiusi in una coda
alta, che faceva risaltare il taglio a mandorla degli occhi.
“Perché non hai il mantello? Tra poco dobbiamo
partire.” disse Albus sentendo la fronte corrugarsi.
“Io non parto.” esclamò Angelique afferrando un
toast dal vassoio e dandogli un grosso morso.
Albus spalancò la bocca e qualcosa nello scorrere
dei suoi pensieri si inceppò.
“Che cosa significa che NON PARTI?” quasi urlò Albus.
Angelique si allungò verso Scorpius e gli prese il
polso sinistro voltando verso di sé il quadrante dell’orologio.
“Ah ecco perché, non è ancora passata un’ora…”
mormorò la ragazza sorridendo. Scorpius annuì solennemente.
Albus si prese la testa tra le mani prossimo
all’implosione.
“Oh avanti Al non fare così!” disse Angie
elargendogli una carezza sui capelli privi di alcun senso come sempre. “Ho
deciso di fermarmi al castello per le vacanze. Non temete ho chiesto il
permesso alla Blackthorn di raggiungere Malfoy Manor la sera di capodanno.”
“Si può sapere perché non vuoi stare con la tua
famiglia a Natale? Sai quanto ci rimarrà male Estelle?” sbottò Albus continuando a non capire.
Il sorriso di Angie si incrinò visibilmente al nome
della sorellina, ma la ragazza si strinse nelle spalle e rispose:
“Lo so che Estelle sarà delusa, solo che non ho
potuto fare altrimenti… Derek ha lasciato Celia ieri sera. Noi beh… Stiamo
insieme ora. Abbiamo colto l’occasione per passare un po’ di tempo da soli.”
Un silenzio innaturale scese nel piccolo gruppo di
Serpeverde e Angelique si guardò attorno cercando un segno di vita da parte di
qualcuno dei suoi amici.
“Oh… Congratulazioni!” se ne uscì dopo qualche
secondo Goyle con un’espressione in viso che doveva essere incoraggiante,
secondo lui, ma che risultò un po’ sinistra.
“Grazie Octavius!” esclamò Angelique stupita.
“Ah.” sputò Elena guardando incupita l’interno della
sua tazza.
Albus invece evitò di proferire verbo perché se solo
avesse aperto bocca Angelique probabilmente lo avrebbe schiantato.
Non ci poteva credere, non ci voleva credere! Quello smidollato, manipolatore, bugiardo, quell’escremento
di troll e la sua amica, Angie… Che catastrofe!
Non era possibile che per una volta un piano di
Angelique fosse andato a segno! Ma poi perché proprio quello? Perché Schatten?
“Non avete nulla da dire?” chiese dopo un altro
minuto di silenzio imbarazzante la Dursley.
Oh,
non hai nemmeno idea di quante cose che vorrei dire… pensò
Albus mordendosi la lingua per evitare di dirlo davvero.
“Che cosa vorresti che ti dicessimo Angie?” mormorò
Martha con un tono esausto.
“Che ne so?! Che siete contenti?! Che non lo
sopportate?! Qualunque cosa, purché non restiate in questo maledetto silenzio!”
sbottò Angie guardandoli uno ad uno.
Albus sospirò pesantemente e si preparò a spiegare
con tutta la delicatezza di cui disponeva in quel frangete il perché nessuno di
loro, ad esclusione di Octavius, non era particolarmente entusiasta di quelle
notizie.
“Angelique… Come potremmo dirti che siamo contenti
di sapere che stai col ragazzo che ti ha fatta stare male per mesi, che non ha
mai avuto il coraggio di prendere una posizione per non perderti, che è stato
disposto a tenerti nell’ombra umiliandoti?! Come potremmo invece impedirti di
essere felice voltandoti le spalle? Hai fatto una scelta e noi tutti speriamo
che sia quella giusta.” piccola pausa per riprendere fiato e poi nuovamente
alla carica:
“Noi siamo tuoi amici, non devi avere la nostra
approvazione, d’altra parte non è che te ne importi molto dell’approvazione di
chicchessia. Io spero solo che non ti faccia più soffrire, ma mi astengo dal
giudicare.”
Bertram Barrach era un soggetto schivo e poco
appariscente in quel gruppo di scoppiati, ma era certo che quando parlava i
suoi interventi non passavano di certo in sordina.
Berty faceva la differenza!
Gli occhi verdi di Angelique non avevano lasciato
per un solo istante quelli del Prefetto. Erano specchi in cui si riflettevano
le sue emozioni, prima tra tutte la delusione per l’impatto con la realtà.
Angie annuì compostamente e si versò del caffè
fumante nella tazza evitando di guardare lui. Martha accanto a lei le cinse le
spalle con un braccio.
“Se sei convinta che questo sia il tuo bene, allora
noi siamo con te.” disse con dolcezza la rossa.
Angie abbozzò un sorriso e annuì ancora.
“Sapete, ho sentito una cosa assurda mentre venivo
qui!” disse Angelique dopo qualche istante.
“E cioè?” chiese Scorpius.
“C’erano un paio di ragazze Corvonero che stavano
raccontando una storia su James e te, Martha!” esclamò la bionda dando uno
sguardo all’amica.
Albus vide una mano di Martha tremare
impercettibilmente e poi venir nascosta sotto il tavolo.
“Dicevano che qualcuno ha visto Martha uscire da un
aula vuota insieme a Potter e scambiarsi un bacio mozzafiato! Vi immaginate una
storia più…” ma la sua voce si spense mentre i suoi occhi osservavano il viso
di Martha sbiancare.
“Martha…?”
Forse in quel momento scattò il termine dell’ora
necessaria al risveglio. O più semplicemente gli elementi accumulatisi nel
corso della colazione furono sufficienti a far capire persino ad un merluzzo
bollito come lui che cosa era successo.
Lo sconcerto e lo stupore di tutti e sei si
manifestò in un silenzio assordante, in cui Albus sentiva ancora più forti e
martellanti i colpi del cuore contro il costato.
Martha e James…
Il nervosismo di lei, la battuta di Elena, il
tremore della sua mano, l’incapacità di sostenere lo sguardo di Angie, i suoi
occhi rabbiosi e tristi allo stesso tempo.
“Eri tu la ragazza…” il sussurro di Angelique era
rivolto più a se stessa che non a Martha.
La bionda scattò in piedi e in un lampo iniziò a
marciare verso il tavolo di Grifondoro.
“Angelique torna qui!” esclamò Martha alzandosi a
sua volta, ma quando vide che l’amica aveva ormai raggiunto James e gli
intimava di alzarsi e seguirla, si ributtò a sedere prendendosi la testa tra le
mani. E mettendo i gomiti sul tavolo. Doveva proprio essere distrutta.
Albus dal canto suo sentiva solo un enorme vuoto,
una sorta di vorace buco che gli stava rubando il fiato, che gli opprimeva le
ossa e lo rendeva debole.
Il pensiero di suo fratello avvinghiato a Martha,
delle mani di lui che solcavano i confini proibiti del suo corpo, che la
baciava e che magari anche…
“Non sapevo che fosse il tuo tipo…” commentò
Scorpius con un garbo e tanta spensieratezza che Albus l’avrebbe voluto
prendere a testate.
“Devo risponderti?!” il tono secco di Martha lo
riscosse.
“Quindi hai passato la notte con mio fratello?”
chiese e a stento riconobbe la propria voce, dura e rabbiosa.
Martha smise all’istante di sostenere la testa e
riacquistò il portamento regale e fiero che sempre la contraddistingueva.
“Se anche così fosse, ti riguarderebbe in qualche
modo?” proferì lei guardandolo fisso con tale intensità che un fiotto di calore
salì al volto del giovane.
“Certo che mi riguarda!” esclamò lui senza nemmeno
pensarci.
“E per quale motivo?”
“Perché è mio fratello e tu… Beh tu…”
“Io che cosa?”
“Sei mia amica!”
Non si erano nemmeno accorti di aver quasi urlato e
di essersi sporti uno verso l’altra. Così Al si ritrovò a fissare il viso di
Martha, così simile a quello di una bambola di porcellana, cereo e fragile,
vicino, vicinissimo.
E nell’inconsapevole sentimento che lo stava
investendo in quell’istante, in quella rabbia smodata e nella tortura che gli
straziava le viscere al pensiero di Martha e James , provò l’istinto
irrefrenabile di annullare quella distanza esigua. Provò il desiderio bruciante
di prenderle il viso tra la mani e baciarla fino a perdere il respiro.
Giusto perché era una sua amica, ovvio.
“Ah, certo.” sussurrò Martha. I suoi occhi grandi
color cioccolato si riempirono in un istante di lacrime trasparenti e continuò
a fissarlo mentre con un gesto elegante si alzava da tavola.
“Scusatemi.” disse per poi andarsene con passo
spedito e altero verso l’uscita della Sala Grande.
Albus sbatté infuriato la tazza del caffè sul
tavolo.
Il peggior risveglio che si ricordasse a memoria
d’uomo.
***
L’avrebbe seguita dovunque . Avrebbe ascoltato quei
passi da generale vibrargli nella cassa toracica per giorni e giorni. Avrebbe
continuato a ricercare la scia quasi inconsistente del suo profumo tra la folla.
Si sarebbe fatto carico della rabbia che in quel momento le scorreva nelle
vene, aiutandola a sfogarla su di lui, con
lui. Avrebbe giocato con quelle ciocche lisce, sperimentando quale
consistenza serica i fili dorati gli avrebbero lasciato tra le dita.
Avrebbe fatto questo e mille altri minuscoli altari
a lei, se solo- quante volte standole accanto aveva dovuto pronunciare quelle
parole, se solo- ogni brandello del
suo cuore non fosse appartenuto ad un indegno. Tra le cui braccia, tra l’altro,
l’aveva gettata lui stesso.
Ma in quella mano piccola, dalle dita sottili e le
unghie curate, che si stringeva con insolita forza attorno al suo gomito
percepiva un qualcosa di sbagliato… Forse perché non c’era alcun senso nel fatto
che lui grande e grosso si facesse trascinare da lei? Forse perché il fatto che
lei si stesse premurando di trascinarlo come un sacco di patate lontano dalla
Sala Grande aveva qualcosa di insolito? Forse perché non si sarebbe mai
aspettato di sentire ancora le sue mani su di sé? Come la sera precedente
quando lo aveva abbracciato con abbandono e disperazione…
“Che cosa diamine avevi in testa?” ruggì Gigì
voltandosi finalmente a guardarlo negli occhi furibonda.
James aggrottò la fronte sinceramente stupito.
“Io non credo…” tentò di dire ma Angelique lo aggredì un’altra
volta.
“TU! Tu eri seriamente convinto di poter trattare la
mia amica come se fosse una delle tue sciacquette? Tu pensavi che ti avrei
lasciato USARE Martha? Sei… Sei… Incredibilmente scemo!!!” gli urlò in faccia
brandendogli contro l’indice.
Lei era arrabbiata con lui.
LEI era arrabbiata CON LUI? Doveva essere uno
scherzo di pessimo gusto.
Suo malgrado una risata tetra gli irruppe dalle labbra
e la lasciò sfogare tutta, destabilizzandola tanto da farle abbassare il dito minaccioso.
“Se stai davvero pensando queste cose, sei
ridicola.” disse infine cercando di smorzare la rabbia che sentiva montare
dentro.
“Ah io sarei ridicola? Dio sei impossibile! Ho
pensato per tutto questo tempo che fossi diverso, che fossi molto migliore di
come ti sforzassi di far credere a tutti. E tu che fai? Cerchi di portarti a
letto Martha?! La mia amica! Che cosa…”
A quel punto però, dopo averla sentita proferire
quelle parole, così scontate e giudicanti, così automatiche per la Principessa
di Ghiaccio, gli argini della sopportazione si ruppero dentro di lui.
Avanzò all’improvviso, interrompendola nel suo
sproloquio, e la costrinse ad arretrare fino al muro alle sue spalle. La bloccò
lì, sbattendo un pugno contro la parete e sentendo la pelle lacerarsi, un
bruciore intenso che gli prese tutto il lato della mano.
Angelique sgranò gli occhi e si ammutolì.
“Come ti permetti Dursley? Come ti permetti di
parlare a me in questo modo, quando avrai passato la notte avvinghiata a uno
che solo ieri dichiarava il proprio amore ad un’altra? Come ti permetti di
giudicare una tua amica senza nemmeno darle il tempo di parlare? Sei così
fredda, così arida… Sei così egoista che non ti rendi nemmeno conto di tutto il
male che fai!”
“Sei così cieca e sorda a chiunque non sia il tuo
ego ipertrofico, che non capisci quanto anche tutti gli alti che ti stanno
attorno stiano soffrendo. Cresci una buona volta, Angelique. E impara a non
giudicare come se avessi tu sola il dono della conoscenza.”
Gigì aprì la bocca per ribattere ma James alzò una
mano.
“Risparmia il fiato. Non mi interessa.” disse con
tutta la freddezza che riuscì a imprimere nella voce.
Gli occhi verdi si ingrandirono ancora di più,
mentre le palpebre sbattevano con frequenza. Era semplicemente incredula che al
mondo potesse esistere qualcuno in grado di rimetterla al suo posto. Beh lui
era talmente saturo che per una volta aveva ritenuto opportuno esprimere il
proprio parere.
“Ma…”
“Ho detto che non mi interessa!” sibilò avvicinando
il volto al suo, ma quando la leggera fragranza di fiori gli solleticò il naso,
si allontanò con uno scatto da lei.
Non aveva alcuna intenzione di addolcire
quell’istante. Non voleva che nessuna delle cose che amava di lei inquinasse il
momento di rabbia sublime che si stava ritagliando in quella storia dove
Angelique si era presa la propria vittoria senza guardare in faccia nessuno.
Non voleva più ridursi ad una tale prostrazione.
Vide il labbro inferiore di lei tremare leggermente
prima che i denti vi affondassero dentro. Poi chinò il capo, distogliendo lo
sguardo, e la coda di capelli biondi scivolò oltre la spalla.
James prese dalla tasca interna della giacca il
pacchetto rettangolare che serbava per lei da giorni e lo depose con un gesto
secco sul davanzale della finestra alle sue spalle.
“Buon Natale.” scandì prima di voltarsi e lasciarla
da sola.
Lei non rispose e i suoi occhi scovarono il
pacchetto spalancandosi.
Mentre i suoi passi si susseguivano rapidi e
cadenzati nel corridoio pieno di quadri, la rabbia se ne andò e venne sostituita
da un senso di leggerezza molto cupo.
Un allegria di naufragi, se avesse dovuto definirla.
Una sorta di sollievo in una catastrofe umana, una scintilla di luce nelle ore
che lo avevano distrutto dalla sera prima.
Non aveva più né la forza né alcuna voglia di farsi
distruggere da lei… Anche se era la tortura più desiderata della sua esistenza.
Con quella scenata Angelique aveva distrutto in lui
l’ultimo baluardo di speranza e fermezza. Gigì… che prima gli aveva distorto
l’immagine di lei che aveva custodito per anni dentro di sé, che gli si era
opposta, che poi gli si era svelata, che aveva condiviso con lui giorni di
quotidianità e che alla fine aveva affondato la lama nel fianco scoperto.
Ma lui l’aveva sempre saputo. Aveva capito fin dalla
prima volta che le loro lingue biforcute si era scontrate che lei avrebbe fatto
di tutto per schiacciarlo.
“La
maggior parte dei serpenti preferisce stritolare le sue vittime, non
avvelenarle!”
Persino da poco più che bambina sapeva come ferire
meglio.
E lei, la sua personale vipera, aveva avvolto le
spire attorno al suo cuore e aveva stretto tanto da non lasciargli altra scelta
ora che liberarsi di lei.
Doveva lasciarla andare, per l’elementare fatto che
lei non era sua.
James prese un profondo respiro mentre usciva nel
cortile innevato.
Lasciarla andare… Ma come? Come cavarsi dagli occhi
le sue spalle scoperte dal vestito candido come quello di una sposa? Come si
facevano a cancellare gli anni passati a cercarla tra gli altri studenti nel
corridoio al cambio dell’ora? Come si poteva strappare dall’anima i momenti
incantevoli che avevano accompagnato l’amaro calice della sua indifferenza?
Sentì una mano fredda e minuta scivolare nella sua e
un capo posarsi contro il suo braccio.
Riconobbe la presenza di Dominique senza nemmeno
chinare il capo per osservarla. Lei e quel suo maledetto piano, lei e
quell’istinto infallibile da donna Weasley che l’aveva condotta da lui senza
nemmeno bisogno che lui le dicesse nulla.
La sua più grande amica…
“Mi dispiace Jimmy.” mormorò lei dandogli un bacio
sulla spalla.
“Come si fa Dom?” sussurrò cercando di scacciare il
fastidioso pizzicare agli occhi.
“Si ricomincia un giorno alla volta.”
Strinse più forte la sua mano nella propria e si
lasciò confortare dalla sua presenza ancora per un poco.
In data 24 dicembre 2022 James Sirius Potter
dichiarava a sé stesso e al mondo intero di aver appena lasciato andare
Angelique Joy Girard Dursley. E quindi di essersi appena strappato il cuore dal
petto per chiuderlo in un sgabuzzino in attesa di tempi migliori.
Buon
Natale a tutti quanti!
***
“Angie!” la voce di Martha le giunse come se si
trovasse sott’acqua.
Angelique strinse ancor di più nella destra gli
eleganti guanti color caffelatte che James le aveva regalato. La pelle
morbidissima si modellò nel palmo docile e uno dei bottoncini della fila che
ornava il dorso le si conficcò nella pelle.
Vide i boccoli ramati entrare nel suo campo visivo
in modo curioso, come se l’immagine tutt’attorno fosse inconsistente. Quasi non
si accorse di essere scivolata a sedere nel corridoio.
“Angelique…” la chiamò ancora l’amica e sentì che le
prendeva le spalle tra le mani.
Era tutto ovattato. Sensazioni fisiche, odori,
suoni, emozioni… Soprattutto emozioni.
Le aveva regalato dei guanti perché non si rovinasse
le mani al freddo… Perché potesse continuare a suonare senza problemi. Aveva
scelto un regalo per lei nella bottega del signor Galloway e non aveva nemmeno
fatto in tempo a ringraziarlo.
Davvero Jessy la vedeva in quel modo? Davvero lo
aveva esacerbato al punto da indurlo a cambiare il suo animo luminoso in quella
pozza a tinte fosche in cui era affondata poco prima?
“Angie, non è successo nulla tra me e James! Ieri
sera Al mi ha mollato in mezzo alla Sala Grande e ho incrociato Potter per
caso. Beh… Mi ha offerto da bere e stavo così male che persino bere con lui mi
è parsa una buona idea! E poi abbiamo dormito in quello stanzino polveroso e
gelido… Angie non ha fatto nulla! Abbiamo solo parlato un po’ e dormito nella
stessa stanza…” Martha parlava a velocità raddoppiata e gesticolava, in preda
all’agitazione, accucciata davanti a lei.
Angie chiuse gli occhi e si portò le mani al viso.
Aveva ragione James… Aveva ragione su tutto. Non
aveva nemmeno pensato alla sua amica, non aveva preso in considerazione l’idea
che si fosse sentita tanto sola e smarrita da cercare sostegno in James, che
era così bravo ad aiutare alleggerendo la situazione. Quanto avevano sofferto
anche i suoi amici senza che lei riuscisse a mettere da parte la propria
sofferenza per sostenerli come loro aveva sempre fatto?
Egoista. Fredda. Arida…
Gli aveva rivolto delle parole tremendamente
sciocche, presuntuose e sgarbate, perché il pensiero che l’avesse usata per
arrivare a Martha le aveva completamente annebbiato il cervello. Perché il pensiero di Martha e lui le aveva
oscurato il pensiero.
“Ho combinato un casino Martha…” borbottò scoprendo
il viso e guardando con dispiacere l’amica.
Gli occhi color cioccolato della O’Quinn si
spalancarono a tal punto che Angie ebbe la sensazione di potervisi specchiare.
“Oh…” mormorò l’altra mettendosi una mano davanti
alle labbra.
Fu quasi un sollievo che Martha avesse capito senza
bisogno di spiegazioni. Anche perché nello stato in cui si ritrovava parlare
era difficile come sollevare macigni. L’amica le fece una carezza sui capelli
leggera come una piuma.
Il senso di colpa e il dispiacere per la sua cecità
le bruciavano nel petto come una manciata di spilli conficcati nello stomaco.
Era solo colpa sua.
Desiderava con tutta sé stessa chiedere scusa a
James per tutto, per ogni stupida accusa, per essere stata lei a tradire la sua
fiducia e non il contrario…
“Devo trovarlo!” esclamò rialzandosi
prontamente.
Forse non aveva ancora preso la carrozza, forse era
ancora in tempo…
“Non farlo Angie.” disse Martha trattenendola
gentilmente per il braccio.
Angelique la osservò stranita.
“Lascialo stare per un po’. Credo… Credo che abbia
bisogno di stare da solo.” continuò l’altra con un sguardo indecifrabile e la
lasciò andare.
Fredda, arida, egoista…
Non voleva essere così. Andare a cercare James, per
obbligarlo a sentire le sue scuse, per giustificarsi rientrava esattamente nel
comportamento di qualcuno che non si fosse curato di nessun altro a parte sé.
Di qualcuno che avesse tentato come primissima cosa di alleviare i propri sensi
di colpa scaricando sugli altri.
Non aveva idea di che cosa Jessy potesse aver
rivelato a Martha per indurla a parlare in quel modo, però avrebbe accettato la
necessità di James di restare lontano e di odiarla per un po’.
“Va bene.” sussurrò e si voltò per tornare in Sala
Grande, con guanti ancora stretti nella
mano.
La rossa l’affiancò e le camminò accanto fino a che
non arrivarono vicine alla Sala Grande.
Nel breve tragitto, che all’andata aveva percorso
come una furia, non parlarono per nulla, distratte ognuna dai propri pensieri;
anche se Angie si sentiva pungere dalla curiosità di sapere che cosa sapesse
Martha su James.
“Allora ci vedremo a Capodanno?” chiese l’altra oltrepassando
l’immensa porta che dava sulla sala dei pasti comuni.
“Sì, arriverò con la Metropolvere dall’ufficio
della…”
“DURSLEY!”
Un urlo belluino, di una voce resa irriconoscibile
dalla rabbia, fece voltare entrambe le ragazze verso la rampa di scale, che
proprio in quell’istante si era stabilizzata verso l’atrio della Sala
d’Ingresso.
Angelique avrebbe alzato gli occhi al cielo e
imprecato come uno scaricatore se non fosse stata impegnata ad osservare
inorridita quella cosa che le
marciava contro come una Banshee impazzita.
Aveva i capelli in disordine, un maglione nero largo
che le scendeva su una spalla, il mascara completamente sbavato sotto gli occhi
e l’espressione più apertamente minacciosa che in sette anni le si fosse mai
vista in volto.
“Oh cielo…” mormorò Martha.
Quella cosa
era Celia Danes, in tutto il suo piangente e struggente splendore.
E dietro di lei, a parecchi metri di distanza, una testa
bionda come l’oro zecchino inseguiva inorridita la scena, mentre le gambe
sottostanti a quella splendida testa correvano a perdifiato per raggiungerle.
Angie vide che Celia impugnava nella destra una
bacchetta scura e affusolata, così per ogni evenienza slacciò la propria che
restava sempre nella manica e si preparò.
L’altra ragazza tuttavia non levò l’arma contro di
lei, si limitò ad arrivarle a pochi centimetri dal viso e scrutarla con odio
attraverso lo sguardo da cerbiatta.
Comprese che la bacchetta era stata utilizzata
contro Schatten, da qui si spiegava la lontananza tra i due ormai ex. Già
perché quello che correva scarmigliato e che forse zoppicava anche un po’ era
il suo ragazzo.
“E quindi se tu la sua puttana, eh?” sputò fuori l’altra
osservandola disgustata.
Angelique inclinò il capo verso la spalla e la
scrutò con freddezza.
“Per certi versi si potrebbe dire esattamente l’opposto…”
le rispose tranquilla, riferendosi alla ferma intenzione che Derek aveva sempre
manifestato di non superare determinati limiti con lei.
La fronte rosea di Celia si corrugò in preda alla
confusione, ma durò pochi secondi.
“Tu non hai idea di che cosa IO possa fare.”
strepitò Celia, completamente incurante di Martha che la osservava con tanto d’occhi.
“Non lo avrai mai!”
“Curioso, pensavo fosse già successo. Ma forse
possiamo aspettare che Derek ci dia il suo parere.” ribatté Angie indicando col
mento il ragazzo che ormai le stava raggiungendo.
“Non mi interessa che cosa lui dica! Io e lui siamo
destinati da quando eravamo bambini! Mio padre…”
“Non mi importa un fico secco del tuo grasso e
spocchioso padre!” la interruppe Angelique perdendo la calma. “Se l’unico modo
che hai per ottenere qualcosa è andare a piagnucolare da lui, sei ancora più
patetica di quanto non credessi.”
“Oh no, non è l’unico.” mormorò scuotendo appena la
testa la mora. “Posso anche scrivere una lunga lettera a Kurt Schatten per
raccontargli di che genere di compagnie si sia scelto suo figlio. Voglio
proprio vedere come farà a sopravvivere Derek quando suo padre gli taglierà i
viveri.”
“Come puoi volere una cosa del genere per qualcuno
che ami?” chiese sconvolta Angie.
“Perché lui è MIO!” urlò l’altra.
Derek giunse in quel momento e afferrò per un gomito
Celia, strattonandola verso di sé.
“Smettila Celia. Ne abbiamo parlato…”
“No tu hai parlato! A me non hai dato alternative…
Anzi mi hai tradita con questa insignificante sgualdrina!”
“Non ti permettere di dire queste cose di lei.” le
sibilò lui scuotendola per il braccio. “Io e te abbiamo chiuso Celia. Te l’ho
già detto ieri sera, non ti ricordi?”
“Ma io pensavo che avessi bisogno di… Che ne so… Di distrarti per una notte! Tu non puoi
lasciarmi Derek. Altrimenti scriverò a tuo padre!”
“Ti risparmio la fatica. L’ho già fatto.”
disse Derek e la lasciò andare.
Angelique assistette sconcertata a quello scambio di
battute. E pensare che nell’immaginario comune erano le Serpi ad avere un’indole
subdola e manipolatrice… Come poteva Celia dire quelle cose? Anche obnubilata
dal dolore come poteva augurare tanto dolore a qualcuno a cui aveva voluto
bene, che aveva perfino amato?
“Dio ma questi Grifondoro non riescono proprio a
smettere di urlare?!” sentì bisbigliare Martha e con la coda dell’occhio la
vide massaggiarsi lentamente le tempie. Evidentemente i suoi sintomi
post-sbornia non erano ancora cessati del tutto.
Nel frattempo Celia non aveva smesso di guardare con
occhi di fuoco Derek.
“Ti concedo tre giorni, Maximilian. Dopo di che
stroncherò questa tua sciocca avventura come avrei dovuto fare fin dall’inizio.”
disse con un tono gelido. Angie pensò che l’uso del primo nome del ragazzo
fosse un chiaro riferimento al padre di lui, l’unico che lo chiamava così.
“Non cambierò idea.”
“Lo vedremo.” sibilò lei e con un’ultima occhiata
tremenda a lei se ne andò.
Angie cercò gli occhi neri del ragazzo che stavano
invece osservando il soffitto. La tensione in tutto il corpo ancora ben
visibile.
“Beh direi che è andata bene!” esclamò ad un certo
punto con tanto sarcasmo che Angie non riuscì a reprimere il sorriso che le
premeva sulle labbra. Lui rispose con un sorriso vagamente ansioso ma sincero.
Il ragazzo spalancò le braccia e lei vi si tuffò.
Molto meglio.
“Quando avete finito di limonare ditemi dove posso
trovare un’aspirina.” grugnì Martha con la mano bianca e affusolata appoggiata
sulla fronte.
E Angie racchiusa nell’abbraccio caldo di menta e
spezie lasciò che una risata sfogasse il nervosismo lasciatole dall’incontro
con Celia.
Avrebbe trovato il modo di chiedere scusa a James,
prima o poi.
Avrebbe avuto il coraggio di affrontare la rabbia e
la delusione della sua famiglia per averli abbandonati a Natale.
Avrebbe scovato da qualche parte dentro di sé la
forza di aiutare Derek a opporsi a suo padre.
In quel momento però si godette solo l’istante di pace
immensa che lo stare tra le braccia di chi si ama concede durante la tempesta.
Note
dell’autrice:
Miei carissimi lettori, ho finalmente trovato la
forza di portare a termine questo capitolo, ovviamente in tempi che sono
assimilabili ad ere geologiche.
Non credo che ci sia molto da aggiungere se non che
scrivere di questi giovani così innamorati, così dispersivi e così confusi fa
più male a me che a voi, fidatevi.
Vorrei ringraziarvi come sempre per la pazienza e la
costanza che avete nei confronti di questa storia e della sua autrice.
Significate davvero tanto.
Un GRAZIE
IMMENSO e UNICO a chi lo scorso tragico capitolo ha recensito: cassidri, leo99, emalwaysreal,
cescapadfoot, dreamcatcher05, Cinthia988, ChihiroUchiha, tony_tropcold, chuxie,
PaolaBaggins, StrangerGirl, carpethisdiem_ e FleurDa.
A tutti colori che sono arrivati fin qui un grande
abbraccio.
Tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 22 *** Cap.22 With or without you ***
Cap.22
Mi sembra opportuno fare un piccolo riassunto visto che è quasi passato
un anno.
James scopre casualmente che Angelique e Derek hanno una tresca, infuriato
la prende a male parole ai Tre Manici di Scopa. Per cercare di riparare al
casino gliene propone uno ancora peggiore su consiglio di Dominique: lasciar
immaginare a tutti che stiano uscendo insieme, così da far ingelosire Derek.
Scorpius si è preso una cotta mostruosa per Rose, la quale non sembra
intenzionata ad approfondire la conoscenza, ma il biondo non demorde.
Lucy e Benji continuano a vedersi di nascosto alla Taverna delle
Lucciole.
Al Ballo di Natale Angelique e James attirano, come previsto, l’attenzione
di Derek e Celia (la sua perfida fidanzata), ma non sembrano esserci sviluppi
finché Angie (che era molto vicina a baciare James) non riceve un suo patronus.
Martha e Albus riescono incredibilmente a concordare di andare insieme
al Ballo, ma lui la pianta in asso per seguire sua cugina Rose che ha appena
litigato con Scorpius.
Derek si dichiara ad Angelique e decidono di riprovarci, questa volta
con premesse vagamente più promettenti.
Martha si consola con del whisky gentilmente offerto da James, ma si
addormentano e la mattina dopo vengono visti uscire da uno sgabuzzino da una
ragazza, in breve tutta la scuola mormora di loro e quando anche Angie viene a
saperlo, va su tutte le furie.
Angelique attacca James, che incredulo e ancora ferito per l’esito del
suo “geniale” piano, la rivolta come un calzino. Angie si fa un piccolo esame
di coscienza.
Celia in preda alla gelosia minaccia Angie e Derek, dicendo che non rinuncerà
a lui così facilmente.
Martha chiede disperatamente un’aspirina per curare i postumi della sua
sbornia.
Cap. 22 With or
without you.
Vedi
la pietra incastonata nei tuoi occhi
Vedi
la spina conficcata nel tuo fianco
Io
ti aspetto
L’incanto dell’inverno aveva ben poco fascino su di
Dominique. La neve bagnava e rovinava le sue calzature, impeccabilmente pulite
dai diligenti elfi di Hogwarts. Il freddo artico che spesso si abbatteva sul
castello le screpolava le mani. Il grigiore tipico del clima inglese incupiva
anche la sua carnagione.
Le temperature
la obbligavano a utilizzare il vestiario più pesante della divisa scolastica,
freddolosa com’era, nascondendo agli occhi del mondo l’armonica perfezione del
suo corpo.
Inoltre durante l’inverno c’erano le Vacanza di
Natale, la sua personalissima nemesi, a cui nemmeno Celia Danes poteva paragonarsi.
Grassi saturi che colavano da arrosti, pasticci,
tacchini ripieni, carboidrati che la minacciavano dalle teglie di patate e
sformati al forno, burro dovunque… E nonna Molly che con una sola occhiata da
falco riusciva a controllare che tutti avessero il piatto pieno e non
avanzassero nulla.
Doveva applicarsi in sedute giornaliere multiple di
attività di cardio fitness per tenere a bada quell’invasione di calorie che la
attaccava da tutti i fronti. Una vera crociata!
Detto ciò di solito le feste potevano anche rivelarsi
piacevoli, se la famiglia si esibiva in quella sequela meravigliosa di teatrini
ormai collaudati nel corso degli anni.
Nonno Arthur che teneva banco per ore su diavolerie
tecnologiche babbane e veniva placato soltanto dalle fette di crostata che la
nonna gli spingeva in bocca con malagrazia.
Zio Harry che veniva quasi ammazzato da un battaglione
di maghi oscuri la mattina di Natale e quindi arrivava con un vago ritardo al
pranzo natalizio, sotto gli improperi e le occhiate spaventate di zia Ginevra.
Zio George che faceva esplodere qualcosa, mostrano ai
nipoti una nuova invenzione che richiedeva ancora qualche modifica.
Roxanne e Cristopher, quel povero martire che da anni
ormai si faceva carico dell’onere di essere il suo compagno, che litigavano
nello sgabuzzino delle scope così violentemente che li sentiva anche in
Cornovaglia.
Suo padre Bill che interrogava Albus sulla sua
situazione sentimentale causandogli un principio di implosione.
Lily e Lucy che animavano i pigri pomeriggi conseguenti
alle mangiate epiche con giochi improbabili, alle volte suicidi, più spesso
omicidi.
Tristan che faceva scivolare dei bacarozzi o altri
animaletti nel pasto di Angelique.
Angelique che puniva Tristan secondo le metodiche
approvate dalla Santa Inquisizione.
Victoire e Teddy che si muovevano in simbiosi come se
fossero stati due poli magnetici opposti, che si adoravano teneramente e che
nessuno ancora capiva perché diamine non si decidessero a sposarsi… No in
effetti quella non era la sua parte preferita.
Tuttavia questi e molti altri aspetti della vita alla
Tana quella sera appassirono in un tremendo grigiore per la visibile assenza di
due persone che inconsapevolmente spesso animavano quei giorni.
Angelique, dispersa tra i meandri di Hogwarts, in una
situazione sentimentale abbastanza confusa, stando ai pettegolezzi del castello,
che si erano sparsi come un’epidemia virale. Pareva infatti che la Principessa
di Ghiaccio avesse soppiantato Celia Danes nel cuore del giovane Derek Schatten
e che al momento si stessero godendo una luna di miele in solitaria.
E James, che, pur dando una manifestazione della sua
corporeità a tavola, mancava totalmente di una qualsiasi attività cerebrale, o
anche solo di una blanda coscienza di sé. I suoi occhi ambrati, che tanto
scioglievano le ragazze a scuola, sembravano svuotati di ogni scintilla di
calore. Il suo stomaco dalla capienza quasi leggendaria aveva accolto un pasto
tanto misero che aveva fatto arricciare le labbra di nonna Molly, in un moto di
disapprovazione che mai era stato rivolto proprio a quel nipote.
James e Angelique.
E pensare che per una volta pensava di averci visto
giusto! Un flebile sospiro le sfuggì dalle labbra.
La Vigilia di Natale era trascorsa quindi in
un’atmosfera decisamente smorzata e fu quasi con sollievo che Dominique si alzò
da tavola contemporaneamente a James. Il ragazzo le rivolse un’occhiata a metà
tra l’affettuoso e il disperato che la fece sorridere.
Era più forte di lei, non riusciva a lasciarlo solo ad
affrontare il suo dolore. Se le fosse stato concesso lo avrebbe accompagnato
anche all’Inferno.
Così mentre passavano sotto il piccolo arco che
divideva la cucina dal salotto in cui riluceva il caminetto acceso, Dominique
allungò la mano e strinse tra le proprie dita quelle del cugino.
Presto i suoi occhi furono attirati da un movimento
alla sua sinistra, nella zona dei divani. Victoire e Ted si erano appena
scambiati un bacio a fior di labbra mentre lui stendeva con attenzione una
coperta sulle gambe di entrambi. La testa di Vic si posò con naturalezza sulla
spalla del ragazzo, lasciando che i lunghi capelli ondulati si spargessero
sulle loro schiene senza distinzione. Erano un manto soffice e splendente, di
un biondo rossastro, che baluginava nella penombra della stanza risaltato dal
colore caldo delle fiamme del camino.
Un colore tanto diverso dal suo quanto lo erano le
loro personalità, Victoire con un animo scoppiettante e focoso, lei con quella
punta finale di freddezza e calcolo che il biondo argenteo della sua chioma rappresentava
perfettamente.
Dom seguì il cugino lungo le scale e si fermò con lui
davanti alla stanza che il ragazzo condivideva col fratello Albus, altra
presenza poco socievole in quel periodo.
“Vuoi fare una partita a Gobbiglie? Oppure vuoi una delle sigarette speciali di Jordan? Me la sono fatta lasciare per ogni
evenienza…”
“Dominique non importa.” la interruppe lui con un tono
di voce tanto smorzato e opaco che Dom si sentì stringere il cuore.
“Preferisci qualcosa di più violento magari? Andiamo a
spaccare della legna? Oppure possiamo andare a fare a botte con qualche
ubriacone nel paesino che c’è dietro la collina!”
James rise debolmente e le scompigliò i capelli.
“Tu che fai a botte con gli ubriaconi non sei proprio
credibile Dom!”
Dominique inarcò un sopracciglio e lo osservò
indispettita.
“Tu non hai idea di quanto la punta di un tacco sia
dolorosa se conficcata nel punto giusto, caro cugino.”
James rise un po’ più forte e fece per ribattere, ma
il rumore di passi frettolosi provenienti dalle scale li distrasse entrambi. In
un paio di secondi apparve la chioma rosso inteso e gli occhi azzurri di Rose,
che ansante li stava squadrando in modo truce.
“Voi due! Maledetti mi stavate sfuggendo…” rantolò
mettendosi una mano sul fianco e recuperando fiato.
“Ciao Rose ti vuoi unire anche tu alla condivisione
delle sigarette di Philip?” chiese James sorridendo alla nuova arrivata.
“No, io ho in mente qualcosa di infinitamente più
doloroso e lungo per entrambi!” esclamò quella raddrizzandosi.
Un brivido colse Dominique e le percorse tutta la
colonna vertebrale.
“Non vorrai…”
“Oh sì, Dominique.”
“Non sto capendo…” mormorò James.
“Fuggi Jimmy.” sussurrò Dom lanciandogli il più
raggelato degli sguardi.
James, che nei lunghi anni di sudditanza nei confronti
delle cugine più grandi aveva imparato a fidarsi esclusivamente della serpe
Dominique, allarmato mosse un passo verso le scale, ma Rose più rapida gli
tagliò la via di fuga e gli si stagliò contro con le mani sui fianchi.
Aveva il volto scuro e l’espressione decisa di quando
si accingeva a distruggere le armate nemiche sulla scacchiera. Seguì un
silenzio vagamente prolungato e statico, rotto dalle parole che scaturirono
dalle labbra della Weasley.
“Dobbiamo parlare.”
E James comprese finalmente il suggerimento di
Dominique.
***
Con
te o senza di te
Con
te o senza di te
I corridoi silenziosi, le aule vuote e le sale comuni
quasi deserte erano un privilegio che Angelique non aveva mai sperimentato
prima.
Condividere lo spettacolo del Parco di Hogwarts
ammantato in un candore immoto con Derek, cercare la sua mano accanto al
proprio fianco e trovarla, osservarne il profilo per tutto il tempo necessario
ad assorbirne ogni dettaglio senza doversi preoccupare che diventasse
indiscreto, perdersi tra le sue labbra e le sue mani senza alcuna ragione
valida per riemergere, erano per Angelique un miracolo.
Quel misterioso evento che restava sospeso a metà tra
un incantesimo e un sogno, una bolla in cui venir racchiusi per la durata di
quelle vacanze natalizie, o meglio ancora una soffice coperta sotto cui
nascondersi insieme per lasciare il mondo fuori.
Angie mosse un altro passo e questa volta affondò fino
al ginocchio nella neve.
Inevitabilmente una risata le sfuggì dalle labbra,
subito dopo sentì un fischio acuto proveniente dal cielo, come se fosse una
risposta alla sua ilarità. Alzò lo sguardo giusto in tempo per distinguere una
sagoma rossa che le si avvicinava in picchiata.
“Attenta!” urlò allarmato Derek e la spinse a terra
prendendola per la vita.
Angelique impattò con lo spesso strato di neve,
sentendo il gelo umido sul viso e sotto le maniche dove alcuni fiocchi erano
riusciti a infilarsi nella caduta.
“Ma che cavolo succede?” esclamò la ragazza cercando
di districarsi dal groviglio di mantelli e arti in cui lei e Derek erano
incastrati. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto Angie riuscì a sollevarsi
sulle ginocchia e osservò allibita l’altro.
“La tua fenice ti stava attaccando!” disse lui
sedendosi nella neve. Schatten la osservava torvo da sotto le ciglia scure,
offeso dal fatto che lei non gli fosse grata per averle salvato la pelle.
Angelique proruppe in una risata incontenibile
gettando il capo all’indietro. Derek dal canto suo si scurì in viso e si
imbronciò tanto che lei rise ancor più forte.
Intenerita gli gettò le braccia al collo e, senza
smettere di ridere, si appoggiò a lui. Questa volta fu lei a causare la caduta
di entrambi e ancora la neve invase la loro pelle esposta e i loro vestiti.
Nello slancio d’affetto gli riempì le guance di baci, piccoli e rapidi che
lasciarono il ragazzo ancor più stranito.
“Il mio prode cavaliere!” disse ridendo e baciandogli
il naso. “Antares stava solo giocando. L’ho addestrata a fermarsi a un metro di
distanza.”
“Oh… Ho appena fatto la figura dello stupido, vero?”
“Abbastanza.” rispose con un ultima risata prima di
rialzarsi e aiutarlo a fare altrettanto.
Immediatamente la fenice con una virata in cielo si
portò sopra le loro teste, dopo un paio di secondi si posò con grazia sulla
spalla destra della padrona, dallo stesso lato in cui la sua mano sfiorava
quella di Derek. Poi con molto meno garbo le zampettò fino all’avambraccio,
frapponendosi tra loro due.
Angelique non avrebbe saputo descriverlo con
precisione, ma aveva la sensazione che Antares si comportasse in modo ancor più
altezzoso quella mattina. A partire dal fatto che mentre passeggiavano nel
parco si era tenuta parecchio a distanza e che sembrava lanciare occhiatacce al
suo ragazzo.
Poteva una fenice lanciare occhiatacce?
Contando che si trattava della sua fenice di sicuro aveva sviluppato quella capacità.
Allungò la sinistra verso l’animale e fece per
accarezzarlo lungo il collo come sempre, ma all’ultimo sentì un dolore pungente
provenire dall’indice. Angelique trasalì e abbassò la mano.
Notò con stupore una linea scarlatta sulla pelle
bianca, da cui si staccò una goccia di sangue che cadde a terra, impregnando la
neve di un rosa intenso.
“Mi hai morsa! Maledetto piumino da cipria! è così che
ripaghi il mio amore?” strepitò puntando l’indice insanguinato contro il
pennuto, che per tutta risposta non la degnò nemmeno di uno sguardo ma continuò
a osservare fisso davanti a sé, verso l’orto di Hagrid dove si trovava il suo
trespolo con tettoia annessa.
“La riporto indietro. Aspettami pure qui.” disse Angie
voltandosi verso Derek che osservava crucciato il suo dito.
“Ti ha attaccata! Dovremmo disinfettarlo, potrebbe
avere delle malattie…” disse lui prendendole la mano offesa.
A quel commento qualcosa dentro Angelique si mosse. Un
sorta di allarme silenzioso, accesosi all’improvviso. La sua fenice non aveva
alcuna malattia né tanto meno aveva agito per farle del male, era un’idea
semplicemente ridicola!
“Va tutto bene.” rispose ritraendo la sinistra e
avviandosi verso l’orto delle zucche.
Mentre i suoi piedi affondavano inesorabilmente nello
stato spesso di neve, Angie cercò di ignorare il fastidio profondo che le
osservazioni di Derek le avevano suscitato.
Si trattava solo di incomprensione… In fondo lui non
aveva mai avuto a che fare con una fenice, non sapeva nemmeno se avesse un
animale domestico a dirla tutta, quindi come poteva conoscere i suoi
comportamenti. Non gli aveva mai chiesto in effetti se amasse gli animali e
qualcosa da come lui si comportava le suggeriva che non avesse una particolare
predilezione per loro.
E questo aumentò il fastidio interiore.
Come poteva essere che non apprezzasse l’amore
incondizionato e sconfinato che un animale, (ad esclusione di Nasty, il gatto
orrendo di Martha che era una creatura satanica), poteva concedere al proprio
padrone per il semplice fatto che fosse la persona che si prendeva cura di lui?
Come poteva non riconoscere il valore di un legame costruito negli anni sulla
fiducia reciproca e sulla pazienza richiesta dall’addestramento?
Non poteva essere.
Eppure l’averla scansata quando Antares stava giocando
e aveva fatto quel commento...
Jessy
non avrebbe mai detto una cosa del genere.
Per poco non fece cadere Antares dal proprio braccio
mentre la deponeva sul trespolo.
Che cavolo c’entrava Potter in quel momento? Come
diamine le veniva in mente di pensare una cosa del genere? Che poi magari
Potter era più imbranato di Derek con gli animali, magari non li sopportava ,
magari…
Nello sproloquio della sua testa, prese vita
l’immagine, un ricordo con ogni probabilità, di James più piccolo, non ancora
così alto e prestante, che giocava sotto la pioggia estiva con il cane di zio
Percy. Un James in preda alle risate, coperto da capo a piedi di fango,
probabilmente anche puzzolente come il cane bagnato a cui aveva elargito
coccole e carezze, mentre correvano nel giardino della Tana, incuranti di
sporcarsi o di cadere in una pozzanghera…
E quella visione ammutolì le sue proteste e le sue
scuse.
Quella visione la turbò ancor di più.
Angelique incrociò gli occhi piccoli e scuri di
Antares, comodamente appoggiata al trespolo di pino che Hagrid aveva costruito.
Ed ebbe la nettissima sensazione che gli occhi della sua fenice le stessero
comunicando che era una cretina.
E lei, come sempre, pensò che l’animale ci vedesse
molto più in là di lei.
***
Un
gioco di prestigio e uno scherzo del destino
Su
un letto di chiodi lei mi fa aspettare
E
aspetto senza te.
“E quindi parrebbe che il mio migliore amico e la
ragazza di cui ero innamorato ora stiano insieme. Tutto è bene quel che finisce
bene…” concluse con una mezza risata amara James, con gli occhi rivolti al
panorama oltre la collina.
“Sei, James.” non riuscì ad esimersi Rose.
“Come scusa?” chiese di rimando lui voltandosi a
osservarla e aggrottando la fronte.
“Hai detto ero innamorato. Tu sei innamorato di lei.”
Il giovane Potter si strinse nelle spalle e ribatté:
“Fa qualche differenza?”
“Oh sì, fa tutta la differenza di questo mondo.”
commentò al posto suo Dominique con un’insolita piega triste delle labbra.
James si avvicinò al letto dove Dom stava seduta con
le gambe accavallate e le depositò un bacio sulla fronte.
Rose si alzò in piedi e il suo cervello, che già da
parecchi minuti archiviava informazioni, le rielaborava e le riorganizzava nei
soliti schemi mentali, si preparò a dar battaglia.
Camminò qualche istante avanti e indietro per cercare
di trovare un modo adatto per iniziare, qualcosa che potesse aiutarla a
introdurre il discorso e a mettere a proprio agio James…
“Siete due maledetti imbecilli.” esalò guardandoli
sconcertata.
Sì, era decisamente l’incipit migliore che le potesse
venire in mente.
“Mi dispiace di non averlo capito prima, Jamie.
Insomma in questi anni tutti avevamo afferrato che avessi un debole per lei… Da
quando la conosci non è passato un giorno senza che la ossessionassi in ogni
modo possibile! Ma che ne fossi innamorato…” Rose scosse incredula la testa.
“Resta il fatto che sei un tale imbranato che non solo
in cinque anni non hai azzeccato un approccio che fosse uno, ma quando hai
quasi rovinato irreparabilmente la tua relazione con Angie, a chi sei andato a
chiedere aiuto? A Dominique! A Dominique, per le mutande di Merlino! Dimmi che
cosa avevi in testa in quel momento?”
James con gli occhi sgranati spalancò la bocca e
osservò allibito la cugina.
“Io…”
“Ah lascia perdere! Lo sapevo che dovevo tampinare
anche voi due! Avete sempre avuto questa mania di fare le cose tra di voi,
tenendole nascoste al resto del mondo. Io capisco che siate uniti… Ma devi spiegarmi
come hai potuto pensare che un piano di Dominique fosse sensato! E tu…”
l’indice di Rose si puntò contro la cugina in modo impietoso. La bionda si
ritrasse appena sul letto, in un gesto inconsapevole di protezione, qualcosa di
veramente insolito per lei.
“Io ti avevo detto di non giocare con le vite altrui!
Non ne sei capace, dannazione! Adesso guarda in che situazione siamo.” Rose si
piantò entrambe le mani sui fianchi e sbuffò infastidita.
“Non c’è alcuna situazione e non c’è alcun noi, Rose.
Lei ha scelto Derek. Lei ama Derek.” le ultime parole di James uscirono
leggermente soffocate e, quando Rose si voltò verso il cugino, vide che il
ragazzo fissava vacuo il tappeto.
“Dimmi James Angelique ha per caso pronunciato un Voto
Infrangibile giurando di non lasciare mai Derek?” chiese Rose.
“Non che io sappia.” rispose indolente il ragazzo.
“Uhm… E ha accettato una sua eventuale promessa di
matrimonio siglando un contratto magico vincolante?” incalzò ancora
avvicinandosi.
“No…”
“Bene, allora non capisco per quale ragione tu ti stia
arrendendo.”
Rose posò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo e
attese che quello la guardasse in viso.
Quando un paio di occhi ambrati e foschi si rivolsero
a lei, la giovane ebbe la risposta che stava cercando prima ancora che lui
parlasse.
“Perché, Rose, quello che provavo per lei è stato
seppellito. Quando ho capito che lei non aveva mai iniziato a vedermi davvero,
a capire chi io fossi, ma era sempre rimasta ferma nei suoi pregiudizi, è
crollato tutto. E ora non c’è più nulla per cui valga la pena lottare. Io… L’ho
lasciata andare.”
Detto questo il ragazzo si alzò dal letto e con passo
svelto si diresse verso la porta, uscendo rapidamente.
“James!” lo richiamò Rose scattando in avanti per
inseguirlo, ma la mano bianca e affusolata di Dominique la trattenne per il
gomito.
“Non farlo Rosie.”
“Ma Dom! Lui si è arreso! Non può farlo. Non può
lasciare che quel… quel… coso di Schatten stia con Angie!” esclamò Rose
allargando le braccia esasperata.
Non riusciva a comprendere tutta quell’arrendevolezza
nei due cugini che maggiormente sapevano perseguire ciò che desideravano. Rose
non capiva come fosse possibile che un amore così intenso da attraversare gli
anni dell’adolescenza e mutare, non cambiando mai, potesse estinguersi in un
giorno.
“James si è perso. Ci ha messo tutto sé stesso nel
tentativo di conquistarla. Ha fatto delle scelte, ha scommesso su sé stesso e
su lei. E ha perso.” la voce cristallina di Dom la colpì per l’assoluta
mancanza di pietismo o dolore. Era come al solito dolce e musicale. Come se
stesse raccontando un’antica ballata a una bambina, che di cavalieri e dame non
ne sapeva nulla.
E probabilmente era così, si trovò a riflettere Rose.
Non poteva capire il comportamento di James perché non aveva mai affrontato un
dolore del genere, non aveva mai visto la persona amata e desiderata oltre ogni
buonsenso scivolare dalle sue dita come sabbia.
“Dobbiamo lasciare che James attraversi tutto questo.
Dobbiamo consentirgli di recuperare ciò che è stato distrutto. Credo che abbia
il diritto di scegliere i tempi del proprio dolore come meglio crede, non è forse quello che dici
sempre tu?! Il tempo, Rosie Rose, consente a chiunque di uscirne… In un modo o
nell’altro.” osservò Dominique facendole una carezza sul viso.
Rose si trovò a guardare stupita e spaesata la cugina
più grande.
Mai in tutta la sua intera vita aveva sentito
Dominique parlare con quel tono e mai aveva visto un espressione del genere sul
suo viso. Non erano semplicemente parole dettate dall’empatia nei confronti di
un cugino adorato, non erano pronunciate per sentito dire o per convenzione.
Erano vissute e vere, se ne riconosceva l’autenticità dal tono e dagli occhi
turchesi di Dom, precipitati all’improvviso in un turbine di ombre.
“Tu?” chiese incredula la rossa.
La mano che ancora l’altra aveva posata sulla sua
guancia si spostò verso i capelli e ravvivò un boccolo scarlatto dietro
all’orecchio destro.
“Mi lusinghi Rose. Se nemmeno tu lo hai mai capito,
significa che sono un’attrice ancor più talentuosa di quello che pensassi.
Dovrei fare un pensierino a questo genere di carriera, nel caso le Menadi
dovessero perdere la loro clientela.” e un sorriso genuino e scintillante
sbocciò sul volto della ragazza che subito dopo le fece un occhiolino.
Dominique attraversò la stanza intenzionata ad
andarsene, ma prima che uscisse definitivamente Rose non riuscì più a
trattenere la curiosità
“Chi è, Dom?”
La bionda voltò il capo facendo ondeggiare la
lunghissima chioma bionda sulla schiena.
Chi diamine avrebbe rinunciato a una ragazza del
genere? Chi avrebbe mai detto di no a Dominique Weasley, con sangue di Veela,
di guerriere e di matriarche nelle vene?
“Ma non è ovvio, Rosie? L’unico che non potrò mai
avere.” disse con lo stesso sorriso incredibilmente luminoso e solare di poco
prima.
Le gambe di Rose finalmente cedettero per la tensione
accumulata fino a quel momento e la fecero crollare sul letto di Albus.
La situazione era peggiore di qualunque previsione
fatta fino a quel momento.
Per la prima volta in vita sua Rose Weasley non aveva
idea di che mossa fare.
***
Attraversiamo
il temporale e arriviamo sulla riva
Tu
dai tutto, però io voglio di più
E
ti sto aspettando
Correre
e ridere senza una vera ragione.
Cercare
la sua mano nell’oscurità del tunnel. Trovarla pronta ad accogliere la sua.
Inciampare
e ridere ancora più forte.
Sentirsi
innamorati e inebriati, senza dover nascondere nulla.
Commentare
gli addobbi natalizi più appariscenti e votare i migliori.
Percepire
la leggerezza in ogni giuntura e in ogni terminazione nervosa, la stessa leggerezza
che inondava anche il cuore.
Angelique si sedette sulla panchina all’esterno del
pub in cui era entrato Derek e posò la mano destra sul petto all’altezza del
cuore. Nonostante lo spesso strato di velluto blu e la pelliccia della fodera
interna sentì il cuore pulsare con forza contro il costato, in quel ritmo
incalzante e febbrile che aveva dalla mattina.
Le sembrava che fossero passati giorni da quando si
era svegliata abbracciata a Derek e non solo qualche ora. Il tempo si era
dilatato in modo imprevedibile quasi a consentire loro di recuperare il tempo
perso nei mesi precedenti.
I dubbi che la passeggiata con Antares aveva fatto
sorgere si erano dissipati rapidamente al ritorno al castello. Derek si era
comportato in modo impeccabile per tutto il tempo, avevano parlato moltissimo,
come nei loro primi incontri al chiostro, quando raccontarsi all’altro senza maschere
li aveva fatti innamorare. Avevano mangiato allo stesso tavolo, leggermente in
disparte rispetto ai pochi studenti che come loro erano rimasti a scuola per
Natale e che li avevano osservati con sguardo allucinato.
Angie aveva ignorato deliberatamente la lettera di
risposta da casa che Caliel le aveva portato.
Erano a tal punto inebriati dalla scia positiva di
eventi che avevano deciso di concedersi il rischio di passeggiare per le strade
di Hogsmeade senza Incantesimo di Disillusione e senza Pozione Polisucco.
Passeggiare come due ragazzi qualsiasi, che non avessero le ombre cupe e
preoccupati di un genitore come Kurt Schatten sulle spalle.
E così avevano fatto, mano nella mano, attorniati
dalle luci sfavillanti e colorate, con le guance sferzate dal vento gelido
invernale, coi piedi inumiditi dalla neve che copriva il selciato, aspettando
l’imbrunire. Si erano immersi nelle vie strette e tortuose del villaggio,
ignorati dalla maggior parte dei passanti, troppo preoccupati dai regali e
acquisti dell’ultimo minuto.
Quando lei aveva indossato i guanti di cuoio che James
le aveva regalato, un’espressione strana era passata sul viso di Derek, che
però non aveva detto nulla. Le aveva dato la vaga impressione però di essere
infastidito.
La mano di Angie era ancora posata sul cuore, in
ascolto delle pulsazioni che esprimevano tutta la sua incredulità e la sua
incontenibile gioia per quello che le veniva regalato in quel Natale tato
nevoso e freddo.
Udì lo scampanellare di una porta e voltandosi vide
Derek uscire dal pub con due bicchieri di carta in mano e un sorriso enorme
stampato sul volto.
Erano bastate quelle poche ore a liberarlo dalla
malinconia che sempre lei aveva letto nei suoi occhi scuri e profondi, in quel
momento le sembrava solo un ragazzo di sedici anni spensierato e felice. Una
cosa talmente bella da ferire gli occhi.
“Scusa se ti ho fatta aspettare al freddo!” esclamò
Derek porgendole uno dei due bicchieri.
Angie si alzò e annusò con aria diffidente il liquido
bruno fumante. Riconobbe subito i chiodi di garofano e lo zenzero, uniti ad una
nota decisamente più dolce, forse vaniglia.
“Non fare quella faccia Dursley! Questa è una delizia
del mondo magico, che sono certo tu non abbia mai assaggiato!” esclamò Derek
prendendo una generosa sorsata e sospirando poco dopo con aria soddisfatta.
Angie avvicinò il bordo di carta alle labbra e
assaggiò, incoraggiata dal tono entusiasta di Schatten. Il liquido caldo le
invase la bocca e l’esofago, riscaldandola piacevolmente all’istante, il sapore
non era sgradevole, molto speziato e natalizio, ma era decisamente troppo
zuccherato e stucchevole per i suoi gusti, motivo per cui alla fine della prima
sorsata Angie era abbastanza sicura che non le piacesse molto quella bevanda.
“Che cos’è?” chiese alzando lo sguardo e incrociando
quello di Derek.
“Si chiama Brummell*, è tedesco. Si fa con moltissimi
ingredienti, è un misto tra un decotto e una pozione. Mia madre lo preparava
durante le feste, è una delle poche cose che ricordo di lei.” la voce di Derek
rimase limpida ed entusiasta nonostante il riferimento alla madre.
“Allora ti piace?” chiese lui sorridendole e
circondandole le spalle con un braccio. Ripresero a camminare nella via
lentamente per non rovesciare il Brummell nei loro bicchieri.
Angelique annuì vivacemente e sorrise, incapace di
ammettere che non le era piaciuto particolarmente. Non voleva contaminare un
ricordo così prezioso per lui, una delle poche cose che lo legava alla madre.
“Ti manca molto?” chiese Angie in un sussurro.
Derek bevve un altro po’ prima di rispondere e poi
scrollò le spalle.
“Non più di tanto. Credo che mi manchi più che altro
l’idea di lei. Sono stato fortunato in realtà. Dehlia è meravigliosa e mi ha
sempre trattato come se fossi suo figlio.”
“Dehlia è la mamma di Charlotte vero?”
“Sì, è una donna dolcissima. E profondamente delicata.
Le piaceresti molto.” Derek le accarezzò una guancia col dorso della mano e la
sua espressione si velò di una sottile ansia, serpeggiante tra i suoi occhi
scuri e le labbra forzatamente tese verso l’alto.
Angie abbozzò un sorriso e abbassò gli occhi sulla
strada, dove la neve si ammucchiava ai bordi in cumuli candidi strati di fango.
Il sottointeso di quel momento di intimità era che
probabilmente non l’avrebbe incontrata ancora per molto tempo, considerato che
Kurt Schatten sembrava avere poter decisionale totale in quella famiglia. E non
sembrava il tipo di uomo disposto ad arrendersi quando si trattava dei suoi
interessi.
Una morsa di angoscia le strinse il cuore al pensiero
del contrasto che sarebbe esploso entro pochi giorni tra Derek e il padre,
delle privazioni a cui probabilmente il ragazzo sarebbe stato sottoposto, della
lontananza dalla sorella che adorava e che studiava a Beauxbatons, del fatto
che probabilmente lei non sarebbe mai stata accettata del tutto dalla sua
famiglia.
Eppure lui doveva essere consapevole di tutto questo.
Altrimenti non l’avrebbe mai scelta…
“Guarda qui! Che ne dici di un regalo di Natale?” la
voce di Derek la riportò al presente.
Alzando lo sguardo i suoi occhi incrociarono una
vetrina scintillante, in cui campeggiavano anelli di ogni foggia e dimensione,
collane e ciondoli, bracciali dalle fatture tanto squisite da essere
riconoscibili all’istante come opera di folletti, diamanti, rubini, zaffiri e
smeraldi, oro rosso montato su ametiste e quarzo rosa… Angelique venne
abbagliata letteralmente dallo splendore di quei gioielli e la sua bocca si
dischiuse in preda allo stupore.
“Assolutamente no!” quasi urlò rendendosi conto delle
intenzioni del ragazzo.
“Guarda che ti conviene approfittarne fin tanto che
mio padre non ha ancora bloccato il mio accesso al conto di famiglia alla
Gringott!” replicò lui serafico inarcando un sopracciglio dorato.
“Non voglio nulla di così costoso! Mi verrebbero le palpitazioni
tutte le volte! Inoltre non posso assolutamente permetterti di spendere una
cifra del genere, bisogna pensare a…” le
dita di Derek si posarono sulle sue labbra e Angie smise all’istante di
gesticolare in modo animato.
“Va bene, va bene. Non voglio che un regalo ti faccia
stare così male! Però voglio fare un gioco…” il ragazzo la voltò verso la
vetrina e rimase dietro di lei, posando il capo sulla sua spalla. “Vediamo se
riesco a indovinare il tuo preferito.”
“C’è troppa roba, non riuscirei mai a scegliere!”
“Hai ragione… Allora restringiamo agli anelli?”
“Ve bene. Comunque secondo me topperai in pieno,
Schatten.” disse lei ridendo.
Ciononostante il suo sguardo tornò sulla vetrina
traboccante di gioielli e la percorse in lungo e in largo cercando qualcosa che
la colpisse. Le braccia di Derek le circondarono la vita e le mani si
intrecciarono sul suo grembo, in una posa tanto naturale quanto intima.
L’odore della sua pelle colpì come una sferzata di
vento gelido, causandole la morsa allo stomaco che ormai associava inequivocabilmente
all’effetto che Derek aveva su di lei. Immaginò di poter esplorare la pelle
ambrata del ragazzo come non si era mai concessa, saggiarne il sapore e il
calore, lasciarsi andare del tutto. Chiuse gli occhi per un istante travolta
dal pensiero di lui che faceva altrettanto, delle sue mani che risalivano gambe
e fianchi in carezze estenuanti e provocatorie, delle sue labbra dischiuse sul
suo seno come la notte di Halloween, delle dita audaci e curiose del suo corpo…
“Hai scelto?”
I suoi occhi si spalancarono nell’esatto istante in
cui Derek le pronunciò quelle parole a un soffio dal collo.
Tentando di non far notare quanto quel banale
abbraccio e la sua vicinanza l’avessero destabilizzata, scorse febbrilmente la
vetrina cercando l’anello che l’avrebbe tirata fuori dall’impaccio.
La maggior parte erano opera ineccepibile dei
folletti, talmente belli e preziosi che Angie si chiese come fosse possibile
indossarli senza avere l’ansia costante di perderli o rovinarli. Il metallo,
principalmente oro e platino, era elaborato in maniera tanto precisa da creare
meravigliosi disegni di tralci, fiori, foglie, nuvole persino, volute di fumo,
stelle, tutti perfettamente realistici. In essi restavano incastonate pietre
colorate o diamanti dalla luce fredda e accecante quasi.
Stava per ammettere di non gradirne nemmeno uno,
quando lo notò.
Era quasi al centro del ripiano inferiore, leggermente
spostato verso sinistra. Era un anello bellissimo, delicato e dalla filigrana
argentata finissima, che si apriva in un intricato fiocco di neve più piccolo
di un centimetro, illuminato da tanti minuscoli diamanti. Quella nota di
semplicità la conquistò.
“Sì ho scelto.”
Derek si prese un paio di secondi, assottigliò lo
sguardo scuro e scrutò attentamente tutte quelle preziosissime opere di
artigianato magico.
“Io dico… Quello!” e il suo dito indice le mostrò un
anello in verità molto bello ma che non avrebbe mai indossato, sempre per il
problema di avere un mezzo infarto ogni volta che avesse voluto portarlo.
Era uno smeraldo di dimensioni notevoli col taglio
omonimo e adornato di due diamanti laterali a forma di triangolo, il
tutto incastonato in una montatura di oro bianco.
Angelique si girò appena, sfiorando col naso la
guancia liscia del ragazzo e chiese sorridendo:
“Perché quello?”
“Ho sbagliato vero?!” sbuffò l’altro storcendo la
bocca in una smorfia infastidita.
Angelique scoppiò a ridere e annuì. Derek inspirò
profondamente tra i suoi capelli e la strinse più forte.
“Mi piaceva il colore, mi ricorda qualcosa in cui
adoro perdermi.” Le sussurrò staccandosi leggermente per poterla guardare negli
occhi.
Parlava dei suoi occhi…
Nella mente della ragazza passò l’immagine nitidissima
di Nana che si cacciava due dita in bocca e faceva il gesto di vomitare
inorridita. Angelique sorrise imbarazzata e si morse il labbro inferiore.
“Allora qual era quello giusto?”
Angie indicò il proprio preferito e Derek annuì con un
sorriso meditabondo sulle labbra.
“Me lo sarei dovuto aspettare… Sei pur sempre la
Principessa di Ghiaccio!” disse con tono giocoso e la prese per mano,
conducendola nuovamente nella folla in preda alla frenesia degli ultimi regali.
***
Con
o senza di te
Non
riesco vivere
James non aveva mai pensato in vita sua che la Tana
potesse diventare una trappola
Evidentemente però il suo istinto negli anni doveva
aver lavorato meglio della sua ragione, perché sin da quando aveva otto anni
aveva cercato un posto che fosse solo suo, un posto dove gli adulti non
potessero raggiungerlo e che conoscevano solo Dominique e…
“Sapevo che ti avrei trovato qui.”
Albus.
James si voltò ad osservare il fratello, la cui testa
si affacciava sul minuscolo terrazzino.
“Deve essere una bella sensazione avere delle certezze
nella vita.” rispose sarcastico prendendosi una sorsata di Burrobirra e
osservando il cielo stellato.
Il suo posto, (che tra l’altro aveva trovato proprio
dopo il famigerato episodio della casetta sull’albero e di Mr. Poppy su cui era
calato un omertoso silenzio sotto sue esplicite minacce), era uno spazio
pianeggiante tra i numerosi comignoli e le varie tettoie appuntite delle
finestre. Vi si accedeva grazie ad una scaletta pioli che lui stesso aveva
impiantato nella struttura del muro, la quale si trovava accanto ad una
finestra del piano inferiore.
Albus sospirò teatralmente e si sedette accanto a lui.
Ovviamente suo fratello non aveva pensato che potesse
essere una buona idea portare una coperta, né lui tanto meno si era preoccupato
di coprirsi più del maglione di lana che indossava in quel momento.
“La nonna è preoccupata.” disse Al.
“E perché mai?”
“Perché ti sei alzato da tavola prima del dolce. Ti
sta cercando per tutta la casa e, credo, anche per i campi con una fetta di
torta in un piatto. Era deliziosa.” rispose l’altro con espressione beata al
ricordo del dolce fatto con maestria dalla matriarca di casa.
James emise una sorta di sbuffo che voleva essere una
mezza risata e scosse la testa.
Albus si voltò ad osservarlo con lo sguardo
assottigliato e l’espressione vagamente assorta.
“Questo verso lo fa sempre Angelique.” gli disse con
un mezzo sorriso.
James buttò fuori il fiato tutto d’un colpo e si
sfregò i palmi delle mani sulle gambe.
Detestava quella sensazione serpeggiante di pietà che
gli veniva riservata. Non voleva essere compatito, né compreso, né tanto meno
analizzato e smontato come un orologio per capire quale meccanismo si fosse
inceppato.
“C’è una ragione precisa per cui stasera avete tutti
intenzione di farmi da infermiera?” chiese con tono quanto più caustico
possibile.
“Io volevo un sorso di Burrobirra a dirla tutta.”
replicò Albus scrollando serafico le spalle.
James rise davvero offrendogli la bottiglia.
“Fa un freddo della miseria qui su Jamie!” esclamò il
fratello rabbrividendo.
“Torna in casa allora.” mormorò James continuando ad
osservare il cielo sopra le loro teste.
Era una notte scura e fredda, la luna non era ancora
sorta, lasciando alle stelle il compito di illuminare i campi sottostanti,
lande immense di terra dura su cui la neve baluginava rifrangendo la luce.
“Io… Volevo chiederti una cosa.” disse Albus rompendo
il silenzio creatosi tra loro.
“Spara Al.” esclamò tentando un sorriso.
“Tu… Tu le hai mai detto davvero quello che provi per
lei?”
James sospirò e bevve un sorso dalla bottiglia.
Ripensò alla notte del ballo che le misteriose Menadi
avevano organizzato, ripensò a quando l’aveva vista nella folla, brillante
d’oro e d’argento, con quella piuma di pavone così vezzosa che si confondeva
tra i riccioli biondi. Ripensò alla sua inaspettata gentilezza e allo stupore
con cui aveva accolto le sue parole.
“Sì.”
“Oh… Quando?” ribatté sorpreso Albus.
“A quella festa assurda di Halloween.”
Seguì un lungo silenzio in cui a James parve di
sentire gli ingranaggi del cervello del fratello lavorare febbrilmente.
“Capisco… Beh allora non posso biasimarla.”
“Dio Santo, Albus, tu non la biasimeresti nemmeno se
sgozzasse un unicorno davanti ai tuoi occhi!” sbottò James esasperato.
Non che si aspettasse che suo fratello fosse dalla sua
parte, ma per lo meno un minimo di comprensione o di tatto sarebbero stati
graditi.
Si guardarono fissi negli occhi per qualche secondo,
ma il viso di Albus non tradiva alcuna rabbia o offesa.
“Ti sbagli James. Ti sbagli su molte cose a dirla
tutta.” disse con calma intollerabile l’altro.
“Oh, fammi il favore! Non credo che tu sia la persona
più indicata per darmi consigli su che cosa fare!”
“Che cosa intendi dire?”
“Che sei un imbecille di prima categoria, non sei
nemmeno in grado di vedere oltre il tuo naso! Non sai riconoscere un sentimento
autentico nemmeno quando ti viene spiattellato in faccia.” James cercò di
controllare la voce, anche se sentiva il bisogno bruciante di urlare in faccia
al fratello per sfogarsi.
Albus distolse lo sguardo dal suo e si umettò le
labbra prima di ricominciare a parlare:
“Immagino che tu abbia ragione. Comunque volevo solo
dire che tu non l’hai mai posta davanti a una scelta effettiva e lei è
profondamente convinta di amare Schatten.”
“Tu non hai visto il modo il cui il suo viso si è
illuminato quando ha capito che Derek aveva finalmente deciso… Non puoi
capire.” mormorò James mentre il suo stomaco si accartocciava su sé stesso al
ricordo di quel momento.
“No, probabilmente sono così privo di ogni tipo di
sensibilità che non potrò mai capire!” sbottò sarcastico Al “Però ti posso dire
che cosa ho letto sul suo viso quando ha pensato che Martha e tu… Beh che voi…
Insomma quando c’è stato quel malinteso. Era furiosa. Se avesse potuto ti
avrebbe strappato i capelli dalla testa.”
“Oh sì, ho ben presente.”
“Allora sai anche che cosa significa per lei una rabbia
del genere! Se ti fossi fermato a pensare un secondo di più a come ha reagito,
avresti capito che non era solo la preoccupazione per Martha… C’era
qualcos’altro.”
“Probabile.” mormorò James scrollando le spalle.
“James! Maledizione smettila!” urlò Al tirandogli un
pugno sulla spalla.
“Di fare che cosa?” urlò a sua volta il ragazzo
massaggiandosi allibito la spalla colpita.
“Di non ascoltare! Guarda in faccia la verità James.
Lei ha scelto un altro sì, ma tu non le hai mai davvero mostrato tutto te
stesso! Tu lei hai fatto vedere quello che volevi che vedesse, hai cercato di
farla innamorare senza essere completamente sincero. E non è colpa tua, Merlino
non potrei mai dire una cosa del genere!” Albus frastornato si passò una mano
tra i capelli scuri facendoli rizzare sulla testa come aculei. “Però forse
l’unica speranza che abbiamo di essere davvero ricambiati quando amiamo
qualcuno è essere noi stessi con ogni forza, perché se l’altro non riesce a
vederci completamente allora non amerà mai noi... Amerà solo l’immagine che gli
abbiamo dato.”
Lo sguardo del fratello non era più piantato nel suo
ma si era spostato verso il vuoto, così che sembrasse parlare più a sé stesso
che non a lui.
“Non seppellirti Jamie. Non arrenderti, non ancora.”
gli disse con voce bassa e vibrante, stringendogli la spalla con una mano.
James non rispose. Cercava dentro di sé le tracce di
quello che Al gli aveva appena detto.
Gli sembrava di non aver risparmiato nulla di sé
stesso nel tentativo di conquistarla, di aver dato fondo ad ogni speranza, ogni
energia, ogni briciola di amore per lei… Eppure…
Eppure forse Albus aveva ragione, cercando di
raggiungerla con sotterfugi e mezze verità si era nascosto, aveva fatto in modo
che lei non vedesse realmente ciò che lui provava, pur cercando di essere sé
stesso.
Restava il fatto che pur avendo sbagliato, lui ci
aveva provato, Dio solo sapeva quanto ci avesse provato! Mentre Angelique no,
la Principessa di Ghiaccio aveva aperto un lievissimo spiraglio nelle sue
impenetrabili barriere ghiacciate per poi sbarrarlo non appena le avesse fatto
comodo.
Un lungo silenzio calò tra di loro, finché il fratello
non si batté le mani sulle cosce e sospirò.
“Torno dentro, mi si sono gelate le chiappe.” annunciò
Al spostandosi carponi verso la scaletta. “Dovresti anche tu James, prima di
ammalarti.”
Un sorriso mezzo ironico e mezzo amaro spuntò sulle
sue labbra come dotato di vita propria.
“Oh, ma io sono temprato da ben altro freddo,
fratellino.”
***
Derek uscì quasi saltellando dalla gioielleria di
Hogsmeade, con un sorriso di pura contentezza stampato sulle labbra ben
disegnate.
Era riuscito a distrarre Angelique grazie ad
un’immensa libreria il tempo sufficiente per sgattaiolare nuovamente nel negozio
ed acquistare l’anello. Aveva mentito dichiarando che sarebbe andato al pub a
chiedere informazioni sulla partita di calcio che si stava svolgendo in
quell’istante, sapendo perfettamente che lei non avrebbe mai accennato
minimamente a seguirlo.
Angie detestava il calcio, tanto che non aveva nemmeno
idea che nessuna squadra avrebbe mai giocato un incontro ufficiale la Viglia di
Natale.
Si rigirò tra le dita il pacchettino immaginando le
dita sottili della ragazza ornate dal fiocco di neve. Giunse davanti alla
libreria e individuò immediatamente la figura che stava cercando in piedi
davanti a un alto scaffale, attorniata ma molti altri clienti.
La testa bionda era china su un libro spesso come un
piccolo pilastro, i capelli insolitamente lisci erano stati sciolti dalla coda
alta in cui li aveva intrappolati per tutto il giorno e le ricadevano scomposti
sulla schiena. Mentre leggeva era tanto concentrata che il labbro inferiore
sporse in un broncio inconsapevole e la sua fronte si corrugò appena.
Era adorabile e gli creava un vuoto nel petto
inebriante, reso ancora più irresistibile dalla sensazione di libertà che aveva
nelle ossa dalla sera precedente. Angelique lo aveva liberato, gli aveva forzato
le catene dell’apparenza e dell’obbedienza paterna fino a spingerlo a prendere
una posizione propria per la prima volta in vita sua.
Sapeva quanto dolore le avesse inflitto e sperava con
tutto sé stesso di poter riparare, di poterla far sentire al sicuro, di non
lasciarla vacillare nell’incertezza di quello che provava per lei.
Il desiderio di farla felice era pari alla spinta
vitale di averla accanto e non lasciarla andare più.
Angie alzò di scatto la testa e guardò nella sua
direzione, immediatamente la fronte si distese e un sorriso di gioia le si aprì
sul viso, mentre con una mano gli mostrava estasiata la sua preda.
Derek le sorrise di rimando e infilò la scatolina in
tasca, nascondendola tra le pieghe del mantello.
Avrebbero dovuto affrontare un vero e proprio Inferno
se conosceva un minimo suo padre e Celia, ma sarebbero stati insieme.
Un miracolo sorto tra il gelo delle intemperie e le
spine della vita.
Lei, il suo personalissimo miracolo, caldo e dorato
come un raggio di sole.
***
E tu sveli troppo di te.
Tu
ti sveli troppo.
Lucy diede un ultima scorsa alla pagina del registro
contabile che si era portata a casa come compito delle vacanze di Natale.
Seduta a gambe incrociate sul proprio letto stava
controllando che i conti di cui normalmente si occupavano lei, Lily e Rosie
fossero coerenti con le entrate e le uscite registrate. In vista della chiusura
dell’anno si doveva tirare le somme su quanto le Menadi erano riuscite a
guadagnare e, con sua somma soddisfazione, poteva tranquillamente dire che gli
affari andavano a gonfie vele.
Dopo la cena alla Tana suo padre aveva insistito non
poco affinché tornassero nella loro casa nella periferia di Londra, Lucy
riluttante aveva seguito i genitori salutando malinconicamente i cugini che non
avrebbe rivisto prima della cena del 31 dicembre.
Il giorno dopo le sarebbe toccato un pranzo in piena
regola con i parenti dalla parte di sua madre. C’era un motivo se Percival Weasley
aveva scelto come compagna di vita Audrey Bérénice Deville, ovvero che avevano
principi e obiettivi comuni, i quali si reggevano sul fatto che entrambi i suoi
genitori erano “squisitamente borghesi”.
Così anche la famiglia di sua madre, con cui ovviamente Percival andava d’amore e
d’accordo, in un susseguirsi di manifestazioni di ipocrisia e formalità che
Lucy trovava rivoltanti.
A tal proposito aspirò con più energia dal filtro
della sigaretta e gettò il fumo fuori dalle narici impestando un altro po’ la
stanza di fumo biancastro che, nonostante la finestra aperta, aleggiava
tutt’attorno.
“Lucy? Lucy sei lì dentro?” chiese la voce squillante
di sua madre, che evidentemente aveva provato ad aprire la porta sigillata dal Colloportus.
Sua madre, maledizione, non bussava mai prima di
entrare.
“Sì mamma.” rispose aspirando nuovamente dal filtro e
sogghignando.
“Lucy perché hai sigillato la porta? Perché non mi
apri?” il torrente di parole venne accompagnato da un continuo bussare contro
il legno della porta.
Lucy si sdraiò comodamente contro i cuscini del letto
e rispose con tono strascicato:
“Non posso aprirti.”
“Lucy stai fumando un’altra volta in camera? Perché
non puoi aprirmi?”
“Perché sono nuda mamma!” rispose con tranquillità
estrema la ragazza osservandosi compiaciuta i pantaloni di flanella grigia e il
pesante maglione nero che indossava sopra il pigiama.
Il battere incessante della signora Weasley contro la
porta si placò all’istante e seguì un silenzio di tomba.
“E che cosa stai facendo?” la voce di Audrey parve un
pigolio strozzato.
“Secondo te che cosa posso fare da sola, chiusa in
camera mia e nuda mamma?” domandò di
rimando con lo stesso tono volutamente morbido e strascicato. Lucy spense la
sigaretta nel barattolo di inchiostro che si portava sempre appresso anche a
scuola.
“Oh Signore!” esclamò sua madre e poi scappò via correndo.
Lucy scoppiò a ridere e si soffocò da sola contro il
cuscino, per evitare che il suo teatrino venisse scoperto prematuramente.
Effettivamente sarebbe stato meglio condire quell’ultima rivelazione con un
gemito o qualche sospiro per lo meno.
E pensando a gemiti quanto mai sinceri e
incontrollabili poteva venirle in mente una sola persona.
Evocato dai suoi stessi pensieri Benji si presentò nei
suoi occhi chiusi nel suo splendore bruno, il suo sorriso impertinente e le
fossette sulle guance, le sue battute sfacciate, la sua insospettabile
delicatezza e gentilezza… E poi nei suoi occhi esplose il ricordo dell’ultima
sera passata insieme oscurando ogni altro pensiero razionale.
Lo amava.
Porca miseria, poteva rigirare la frittata quanto le
pareva, ma la realtà restava una sola.
Lo amava. E non aveva idea se fosse ricambiata.
Non che fosse cieca, sapeva che Benji non si stava
approfittando di lei, ma fin dove si spingeva il suo interesse? Aveva il terrore, da quando quella mattina aveva ammesso
con sé stessa i propri sentimenti, che se avesse detto sinceramente all’uomo
come stavano le cose lui sarebbe fuggito a gambe levate.
Aveva paura che se avesse ammesso ad alta voce di
essersi innamorata, lui l’avrebbe guardata come nient’altro che una Ragazzina,
crollata ai suoi piedi grazie a quello stupido-sexy-sorriso, ennesima tacca sul
tabellone delle conquiste.
No ecco, forse questo no, lo conosceva abbastanza da
sapere che non si sarebbe comportato così, ma con ogni probabilità se non fosse
stato innamorato avrebbe trovato un espediente sufficientemente delicato ma
efficace per allontanarla.
E Lucy Catherine Weasley non aveva alcuna intenzione
di venire allontanata.
Udì un verso acuto e temette che sua madre fosse
venuta ad esorcizzarla con tanto di rosario e prete, ma quando si mise a sedere
notò un animale posato sul cornicione della finestra e per poco non cacciò un
urlo.
L’animale era un allocco bianco che la osservava con
la consueta aria blasé dei grandi rapaci. Sembrava quasi offeso dal compito di
dover trasportare il pacchetto che era legato alla sua zamba.
Pacchetto?!
Lucy balzò in piedi e si diresse verso l’animale,
slacciando rapidamente il nastro scarlatto che assicurava il cubo alla zampa
dell’allocco.
Il volatile le rivolse l’ennesima occhiata di superiorità
e poi spiccò il volo oltre la sua finestra.
La ragazza fece una linguaccia indispettita alla
sagoma del rapace e poi con dita tremanti scartò il pacchetto dorato. Fu
talmente maldestra nell’atto che strappò anche un lembo del bigliettino che era
stato posato sopra a quell’inaspettato regalo.
“Come il fuoco
dei tuoi capelli, come il fuoco del tuo animo, come il fuoco che sei per me,
affinché ti riscaldi in mia assenza.
Non
esagerare con il suo utilizzo, mia impertinente Ragazzina.
Buon
Natale.
Benjamin”
Lucy finalmente aprì il cofanetto che teneva ancora
nel palmo e sotto i suoi occhi comparve un accendino di acciaio ornato da
alcune filigrane dorate. Era lungo e affusolato, dotato della rotella laterale
zigrinata.
La ragazza lo prese tra le dita e fece scattare
l’apertura, poi lo accese e rimase a osservare la fiammella affascinata. Lo
richiuse e se lo rigirò tra le dita notando qualcosa che le mozzò il respiro.
Una L in corsivo maiuscolo era stata incisa sul retro
dell’oggetto, in un tratto tanto sottile da essere invisibile ad una prima
occhiata.
L.
Né Lucy, né Leda. Una sola L che comprendesse
entrambe, che la contenesse tutta.
I suoi occhi si riempirono di lacrime e la ragazza
tirò su col naso in maniera poco signorile.
“Maledetto bastardo, questa me la paghi!” mormorò con
tono strozzato dall’emozione, rivolta al cielo.
Poi un sorriso si fece strada sul suo viso magro,
mentre la stretta delle sue dita intiepidiva il metallo dell’accendino.
Non vedeva già l’ora di poter tornare tra le braccia di
quel meraviglioso farabutto.
***
Le
mie mani sono legate
Il
mio corpo è contuso, lei mi ha con sé
Niente
da vincere e
Niente
da perdere
Angelique sospirò soddisfatta muovendo le dita dei
piedi davanti al camino acceso, che emanava un piacevolissimo calore.
La lunga giornata passata coi piedi a inzupparsi nella
neve e con le mani a screpolarsi al freddo, le aveva gettato addosso una
notevole stanchezza.
Così aveva deciso insieme a Derek di sfruttare una
vecchia aula in disuso dotata di camino per rifugiarsi e riscaldarsi per bene,
dopo aver fatto un’incursione al banchetto ed aver raccimolato delle scorte per
rifocillarsi. Andare nelle rispettive Sale Comuni avrebbe significato
sopportare quelle occhiate quasi morbose e incredule che rivolgevano loro gli
altri studenti, cosa che nessuno dei due aveva intenzione di fare.
Ci sarebbe state intere settimane a disposizione per
sentirsi a disagio in ogni angolo del castello, mentre la tregua rappresentata
dalle vacanze di Natale sembrava fin troppo breve.
Angie si rannicchiò contro il fianco di Derek, il
quale sollevò un braccio e le lasciò appoggiare il capo sulla sua spalla.
“Hai ancora freddo?” le chiese accarezzandole la
schiena.
“Un po’.” ammise toccandogli la base del collo con la
punta del naso infreddolita.
“Vediamo se riesco a scaldarti.” sussurrò lui
sollevandole il viso e baciandola.
Lento e dolce, seguì i limiti della sua bocca,
esplorandola come se non si fossero mai baciati prima.
La sospinse delicatamente all’indietro sul divano che
aveva trasformato da un paio di banchi arrugginiti, inducendola a sdraiarsi e
coprendola col proprio corpo.
Angie dischiuse le ginocchia per consentire a entrambi
di stare più comodi nell’esiguo spazio e cercò con le proprie mani l’orlo del
maglione del ragazzo. Le sue dita incontrarono la pelle dei fianchi di lui e
percorsero tutta la schiena, curiose di imparare ogni fascio di muscoli e ogni centimetro
di epidermide liscia.
Derek sostenendosi con gomito fece scorrere la mano
libera dal suo collo lungo il seno e poi ancora verso il ventre, dove slacciò
alcuni bottoni della camicetta per poterla accarezzare.
Il loro modo di baciarsi mutò insieme alla lenta
esplorazione che ognuno faceva dell’altro, insieme ai respiri che acceleravano
e si mescolavano, alle mani che si cercavano e ai loro occhi che diventavano
sempre più annebbiati dal desiderio.
Sembrava di essere parte di una combustione lenta e
inesorabilmente crescente.
Angie quasi non si accorse di avere entrambi i lembi
della camicia scostati, ma sentì chiaramente quando Derek intrufolò le dita
sotto la coppa del reggiseno e raggiunse un areola. Quando le dita di lui
indugiarono sul capezzolo, un ansito le sfuggì dalle labbra e venne catturato
da quelle del ragazzo che la baciò profondamente.
Lei si inarcò contro di lui e inavvertitamente
sbilanciò entrambi oltre il bordo del divano.
Caddero insieme per l’ennesima volta in quella
giornata. Nel tentativo di tenersi in equilibrio Angie conficcò un gomito nel
costato del ragazzo, il quale fece uno strano verso a metà tra la sorpresa e il
dolore. La sua caduta venne attutita dal corpo di Derek sotto di lei.
“Oddio scusami! Stai bene?” chiese con ansia Angie
cercando di rimettersi in piedi, ma Derek la prese per i fianchi saldamente e
la riportò su di sé.
“I tuoi gomiti sono insospettabilmente ossuti Angie,
ma sto benissimo.” mormorò rimettendo a posto una ciocca liscia dietro
l’orecchio.
E poi scoppiarono a ridere l’uno sulle labbra
dell’altra e lasciarono che il tappeto diventasse il loro nuovo giaciglio.
Derek ribaltò nuovamente le posizioni avvicinandosi al
tepore del fuoco.
Angelique afferrò la maglia e il maglione del ragazzo
sollevandoli e aiutandolo dopo a sfilarseli. Apparve davanti ai suoi occhi il
suo petto magro e dal colorito ambrato che aveva tutta quanta la sua pelle,
aveva muscoli longilinei che delineavano tutto il suo torace in linee delicate ed
eleganti.
Fece scorrere le dita lentamente su di lui, sorridendo
compiaciuta quando il ragazzo chiuse gli occhi e si perse nel suo tocco.
Derek si chinò sul suo viso e la baciò ancora, mentre
la sua mano destra risaliva il fianco in una lenta carezza diretta verso la
schiena, dove indugiò sul bordo del reggiseno. Angelique in risposta inarcò la
schiena e gli offrì migliore accesso alla chiusura, che si aprì pochi istanti
dopo.
I loro bacini si iniziarono a muovere cercando maggior
contatto, provando ad alleviare il bisogno che entrambi sentivano serpeggiare e
che si intensificava sempre di più.
Angie perse completamente l’orientamento a un certo
punto tra le sue labbra e le sue braccia che la cingevano, chiuse gli occhi e
si lasciò trasportare da quello che nel suo corpo si stava risvegliando.
Era una sensazione meravigliosa non dover controllare,
non dover razionalizzare ogni comportamento o movimento, non dover rinunciare a
vagare con deliberata sfacciataggine sul suo corpo.
“Angie?” la voce di Derek era roca e il suo corpo si
era notevolmente irrigidito.
“Schatten.” sussurrò lei di rimando prendendo tra le
labbra il lobo del suo orecchio.
Derek sospirò e le fece una carezza sul viso in modo
da indurla a guardarlo.
“Angelique… Forse dovremmo fermarci.” le mormorò
schiarendosi la voce.
I suoi occhi neri brillavano di una luce di
eccitazione irresistibile, come due immensi laghi oscuri in cui immergersi
senza fare ritorno.
“Non ho alcuna intenzione di fermarmi.” dichiarò
guardandolo fisso negli occhi e facendo scorrere la mano sull’addome e poi
ancor più giù.
Il ragazzo sgranò gli occhi e inspirò bruscamente.
Dopo qualche secondo parve rinsavire e le prese delicatamente la mano,
spostandola e intrecciandola con la sua.
“Intendo dire che c’è tempo. Non voglio che tu ti
senta… Forzata…” mormorò guardandola sottecchi.
Angie liberò la propria mano dalla sua stretta e con
entrambe gli circondò il viso, con lo sguardo fisso nel suo.
Sentì nel petto una sensazione indescrivibile, come se
cercasse di espandersi oltre i propri limiti fisici e al contempo fosse
compresso da una forza immensa, il respiro che fluiva nei polmoni a fatica.
Osservò minuziosamente i particolari del volto tanto desiderato,
tanto atteso, tanto detestato persino quando pensava che non avrebbe mai più
potuto baciarlo e accarezzarlo. Osservò come le ciglia scure ombreggiavano le
palpebre, come i riflessi del fuoco disegnavano sui suoi tratti una serie di
chiaroscuri sensuali e dolci, come ogni dettaglio andasse ad intensificare
ancor di più quella strana sensazione al petto.
Era suo.
Suo e di nessun’altra.
Suo quel cuore che batteva furioso nella vena alla
base del collo, suo quel ciuffo d’oro zecchino che ricadeva scomposto sulla
fronte. Solo suo.
“Ne esiste nulla al mondo che io desideri di più di
te.”
Per un istante non realizzò se lo avesse detto davvero
o se lo avesse solo pensato, ma quando un sorriso emozionato e quasi commosso
si aprì sulle labbra del ragazzo comprese.
Lo sguardo di Derek si fuse col suo intrecciandosi
saldamente, come le loro membra. I suoi occhi la guardarono increduli, pieni di
adorazione e accesi da una fame ancora ignota a entrambi. Uno sguardo che la
fece sentire nuda, fragile, al sicuro e piena di vita tutto insieme.
E quegli occhi neri le si impressero nelle retine in
modo indelebile, marchiarono i suoi ricordi con qualcosa di tanto forte da non
poter essere dimenticato in alcun modo.
Sarebbe stata quella l’immagine che avrebbe custodito
dentro di sé per il resto dei suoi giorni.
*Il Brummell è inventato di sana pianta, mi faceva
sorridere il suono di questa parola!
Note
dell’Autrice (resuscitata):
Dopo mesi di silenzio non so come possiate reagire ad
un aggiornamento, spero solo che non restiate delusi da questo capitolo.
Ricominciare a scrivere ha significato in realtà
superare barriere e blocchi personali che non sapevo sinceramente se sarei
riuscita a sconfiggere.
E quindi come ogni volta mi trovo a dover ringraziare
chi ha consentito a questa mia spinta vitale, a questa me stessa che spesso
paragono a una pianta, diversa e sempre la stessa, di poter fiorire quando
pensavo che sarei avvizzita.
Il mio primo grazie immenso va a Marta, Giada, Irene,
Marghe ed Ele. Sapete già tutto questo, ma non per questo rinuncio a dirvi che
siete la mia casa, la mia famiglia.
Il secondo va a Giulia, per la pala buttata via e per
la corsa sulla strada della vita, per i silenzi e per le chiacchiere.
Il terzo a Nicolò. Di sicuro non leggerà manco morto
tutto questo, ma lui c’è in questa storia, anche se non lo sa; c’è in tante
cose che faccio ed è parte di me.
L’ultimo grazie è a voi. Voi che ci siete ancora, che
avete aspettato e che spero di non dover più lasciare di punto in bianco. Io a
voi dico come sempre grazie per il sostegno, per la gentilezza, per gli
apprezzamenti. Grazie per aver letto.
GRAZIE in particolare a chi ha commentato il
precedente capitolo: chuxie, Cinthia988,
leo99, tony_tropcold, dreamcatcher05, ChihiroUchiha, cassidri e FleurDa.
Sappiate che vi abbraccio da questa emozionata
postazione di scrittura come se foste davanti a me.
A presto.
Buon Natale a tutti voi. Spero che stiate bene.
Mille baci.
Bluelectra
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Capitolo 23 *** Cap.23 Il prezzo dei miracoli ***
Cap.23
Cap.23 Il prezzo dei
miracoli.
I
miracoli sono sogni che diventano luce
Alan Drew
Non appena i suoi occhi
si aprirono, feriti da un fascio di luce che dalla finestra le si riversava sul
viso, un senso di disagio sottile e prepotente si impossessò di tutto il suo
corpo, come se fosse stato presente anche durante il sonno ma solo col
risveglio fosse stato identificato chiaramente.
Angie si voltò sul
fianco per osservare il ragazzo steso accanto a lei.
Nella luce del mattino
i capelli biondi assumevano sfumature bronzee, castane e dell’oro più puro,
scomposti e arruffati tanto da far venir voglia di infilarci le mani per aumentare
il disordine.
La vista del suo volto
rilassato e abbandonato contro il cuscino improvvisato con il mantello
arrotolato non era riuscita a sciogliere quella sensazione, che dalla bocca
dello stomaco si irradiava nei polmoni, risaliva fino alla gola e lì la
opprimeva, causandole uno spiacevole aumento del battito cardiaco.
Non avrebbe dovuto
sentirsi così.
Si sarebbe dovuta
svegliare vagamente intorpidita, con le farfalle nello stomaco e la sensazione
di leggerezza tipica di quando si è innamorati. Avrebbe dovuto svegliarsi col
sorriso sulle labbra.
Era
tutto sbagliato.
Angie si alzò a sedere,
facendo scivolare la coperta sulla maglia che aveva indosso, e sentì uno
spiacevole flusso caldo tra le gambe. Scostò appena la lana calda per notare
con sgomento che le sue cosce erano macchiate di rosso. Imbarazzo e
imprecazioni si intrecciarono silenziosamente nella sua mente, mentre si alzava
piano per non svegliare Derek e si dirigeva alla ricerca di qualcosa che la
potesse aiutare in quella situazione.
Mentre frugava nei
pantaloni ed estraeva vittoriosa un pacchetto di fazzoletti e la propria
bacchetta, avvertì la necessità di fuggire e di rifugiarsi da sola da qualche
parte. Sgusciò rapida nella porticina che conduceva in un ripostiglio delle
scope e lì sussurrò l’incantesimo per illuminare lo sgabuzzino.
Vide che la stanza era
dotata di un lavandino di pietra grigia, ricavato da un unico blocco e dalla
forma semicircolare. Sperò con tutta sé stessa che le tubature non fossero
state danneggiate o chiuse e girò il rubinetto. Si udì un rumore gorgogliante
tanto forte che persino il metallo della tubatura tremolò, poi un getto
poderoso di acqua si riversò nel bacino di granito. Angie fece scorrere per
qualche secondo l’acqua prima di occuparsi del pasticcio che aveva tra le
proprie gambe.
Era
tutto sbagliato.
Sua cugina Camille, più
grande di tre anni, le aveva raccontato la propria esperienza in merito. Le
aveva confessato che, sì, aveva fatto male ma non poi così tanto, che poi era
diventato decisamente più piacevole, che aveva provato qualcosa di indescrivibile
proprio alla fine, che poi aveva riso insieme al suo fidanzato. Era stato
emozionane ed intenso.
Ora, non che Angie si
fosse aspettata che i racconti della cugina e l’aneddotica classica della
perdita della verginità di una ragazza fossero la regola; la sua mente
scientifica e razionale l’aveva portata a informarsi molto tempo prima su tutte
le variabili possibili in quel frangente, aveva quindi compreso che alcune cose
potessero accumunare molte ragazze, ma il linea generale ognuna era diversa.
Non che si fosse aspettata dunque chissà quale esperienza erotica di
stravolgimento dei sensi, ma per lo meno si era aspetta di sentire qualcosa.
Le sue mani bianche si
erano fermate sotto il getto gelido di acqua limpida e lì restavano a
ghiacciarsi, mentre il dolore dell’intorpidimento si diffondeva alle falangi,
alle nocche e a tutti i palmi. Eppure le dava sollievo, la prima sensazione
vera dopo ore.
Non
aveva sentito nulla.
Non dolore, non
piacere, non emozioni, non tenerezza, non trasporto.
La vertigine che aveva
provato poco prima che Derek si facesse spazio dentro di lei, era scemata quasi
subito, venendo sostituita da una sensazione di vuoto e di estraneità che mai
aveva sperimentato.
E poi aveva smesso di
essere lì.
Aveva abbandonato il proprio
corpo e aveva lasciato che qualunque cosa stesse succedendo finisse.
E ancora una volta,
mentre si raccoglieva le gambe al petto sedendosi sulla pietra nuda del
pavimento, nella sua testa si riusciva a formare l’unico pensiero che fosse
tutto quanto sbagliato.
Che cosa era andato
storto?
Perché tutto ciò che
aveva desiderato per mesi, la cui negazione era stata una sofferenza prolungata
e logorante, tutto ciò che avrebbe dovuto farla sentire piena di vita l’aveva
ridotta in quello stato?
“Angie?” Derek la
chiamò e bussò alla porta.
Angelique avrebbe
volentieri evitato di rispondere, continuando per il resto delle Vacanze di
Natale a restarsene in posizione fetale.
“Angelique ti senti
bene?” la voce del ragazzo parve sinceramente preoccupata.
No.
“Sì, tutto bene. Ora
esco… Dammi solo un attimo.” rispose con voce ferma.
Si rimise in piedi e
con un colpo di bacchetta fece evanescere tutti i fazzoletti sporchi.
Incredibile che nello
stato in cui si trovava riuscisse ad eseguire un incantesimo di Trasfigurazione in
modo impeccabile! La vita era proprio bizzarra.
Aprì lentamente la
porta e i suoi occhi incontrarono il viso di Derek, poco più alto del suo. Era
ancora gonfio di sonno, ma su tutti i suoi lineamenti cesellati e regolari come
quelli di una statua greca era impressa una vera angoscia.
Le prese immediatamente
il viso tra le mani e la baciò con delicatezza sulle labbra.
“Angelique va tutto
bene?” chiese ancora scrutandola attentamente.
“Sì certo.” ribatté
sfoderando un sorriso molto convincente. “Ho solo bisogno di una doccia, credo
che tornerò nella mia Sala Comune.”
Angie prese fermamente
le mani del ragazzo e se le scostò dal viso, aggirandolo subito dopo per
ricominciare a vestirsi. Gesti precisi ed estremamente rapidi la resero pronta
in pochissimo.
“Angie…” la chiamò
ancora lui posando una mano sulla sua spalla.
Quella mano le sembrava
pesante come il piombo, fredda
La ragazza abbottonò i
jeans e si voltò sempre sorridendo.
“Che c’è Derek?”
“Sei sicura di stare
bene?” le domandò abbassando appena lo sguardo e osservandola attraverso le
ciglia scure. Un gesto che faceva spesso quando era incerto o in imbarazzo.
“Ma certo!” esclamò e
gli diede un bacio sulle labbra. “Ci vediamo dopo.”
Quasi non udì la
risposta smorzata del ragazzo mentre si sbatteva la porta alle spalle e
iniziava a correre verso i Sotterranei.
Aveva sempre trovato
grande conforto dalla corsa, le consentiva di lasciar correre i pensieri a
briglia sciolte, costringeva il suo corpo a varcare i limiti della fatica per liberarlo
da essi, le faceva percepire il battito del cuore in ogni sua terminazione,
nelle dita dei piedi e nelle orecchie, la faceva sentire reale.
Fu quasi con disappunto
quindi che si ritrovò ansimante e sudata nella stanza che da più di quattro
anni condivideva con Martha ed Elena. Doveva ancora sfogare l’energia repressa
che ora il suo corpo stava liberando, l’energia che non si era accesa in lei la
notte precedente e che l’aveva lasciata bloccata in un limbo privo di emozioni.
La scrivania di Nana
era un'esposizione di caos in precario equilibrio su sé stesso. I ripiani di
Martha erano ordinati e puliti, i suoi appunti minuziosamente suddivisi. E lei
era sola.
Si buttò sotto la
doccia gelata sperando di riprendersi, ma nei freddi torrenti di acqua che si
facevano largo sulla nudità della sua pelle non trovò alcun conforto.
Era
tutto sbagliato.
***
A Scorpius piaceva
moltissimo tornare a casa per Natale.
Tutto il Manor si
trasformava sotto le decorazioni e il fervente entusiasmo per le feste, gli
Elfi schizzavano da un ala all’altra dell’antico castello preparando camere per
gli ospiti, spolverando e eseguendo le direttive di sua mamma. Dalla cucina si
prigionavano fragranze invitanti e mille altri piccoli elementi gli
scaldavano il cuore al solo pensiero delle vacanze in famiglia.
Sua madre compariva in
uno svolazzo di vesti da strega dirigendo le operazioni per tutte le cene
ufficiali e per la grande festa di fine anno sempre con il suo sorriso
leggiadro sulle labbra. Suo padre gli sottoponeva gli ultimi aggiornamenti
sulla politica del Ministero e ne discutevano insieme, spesso scontrandosi per
le opinioni divergenti, argomentando e infervorandosi persino. Sua nonna ogni
tanto dopo cena gli raccontava le vecchie storie di famiglia, la sua voce
morbida nella luce soffusa del salottino, che occupava lei sola, creava
misteriosi incantesimi di parole e ricordi che si mescolavano nelle fiamme del
camino.
I pasti a casa Malfoy
venivano rigorosamente consumati tutti insieme. Era qualcosa di imprescindibile
nella quotidianità della famiglia, che consentiva di lasciare fuori da quella
stanza i problemi e le complicazioni del lavoro, per riunirsi e alleggerire il
carico degli altri quando possibile, solo con la condivisione.
Scorpius stava in quel
momento masticando con soddisfazione la sfoglia croccante di un dolce alla
crema, intento solo a godersi il brusio sommesso della casa in preparazione al
grande pranzo di Natale che avrebbero ospitato.
Draco si sporse appena
dal proprio posto a capotavola e depositò accanto al suo braccio sinistro La
Gazzetta del Profeta, guardandolo con un sopracciglio chiaro inarcato e le
labbra leggermente arricciate.
Scorpius guardò perplesso
il padre, ma immediatamente la sua fronte si distese leggendo il titolo che
occupava quasi tutta la prima pagina.
“SHACKLEBOLT
ANNUNCIA IL RITIRO.”
Entrambe le
sopracciglia del ragazzo scattarono in alto, proseguendo nella lettura
dell’articolo shock di quella mattina.
“Il
Ministro della Magia ha annunciato nel suo discorso alla nazione per il Santo Natale
che alla fine di questo mandato, (il quinto consecutivo, un record mai
eguagliato da nessun altro Ministro nella storia del nostro Paese), si ritirerà
a vita privata. Manca poco più di un anno a questa scadenza e pare che nelle
alte sfere ci si stia già mobilitando per trovare dei candidati in grado di
eguagliare l’operato incredibile con cui il nostro Ministro ha riportato pace e
prosperità in Gran Bretagna.
Alcune
indiscrezioni tra i corridoi del Ministero sembrerebbero propendere per una
nomina di Harry James Potter, Capo Auror ed
Eroe del Mondo Magico, colui che liberò il mondo dall’ombra di malvagità
e terrore gettata da Lord Voldermort negli anni ’90. Chi meglio di lui potrebbe
incarnare i principi di cui il Ministero si è fatto bandiera negli ultimi anni?
Altre
ancora vorrebbero che fosse il Dirigente della Sezione Esecutiva del
Dipartimento di Regolamentazione della Legge Magica…”
Scorpius interruppe la
lettura e guardò dritto negli occhi suo padre.
Avevano una tonalità
diversa dalla sua, molto più azzurra anche se non particolarmente intensa, come
quelli di nonno Lucius, mentre lui portava impressi sul viso gli occhi grigi e
tempestosi dei Black, il suo retaggio più antico e a cui più sentiva di
appartenere, nonostante il suo cognome.
“Il padre di Al sarà
furioso. Farà lo scalpo a Finnigan appena se lo troverà davanti.” commentò
Scorpius appoggiando la schiena contro la sedia e intrecciando le dita davanti
al petto.
Seamus Finnigan non
solo era il direttore della Gazzetta ma anche l’autore dell’articolo.
Draco fece un
sorrisetto molto soddisfatto e lo osservò con sguardo indagatore.
“Che ne dici?” chiese
con tono neutro inclinando il capo verso la spalla.
Scorpius sospirò e fece
scorrere gli occhi grigi ancora una volta lungo tutta la prima pagina del
quotidiano.
“Credo che Shacklebolt
sia stanco di avere il peso del Ministero sulle spalle. Sta invecchiando, è
tutta la vita che combatte sia in prima linea sia da dietro la sua scrivania di
radica. Quindi è estremamente probabile che questo sia il suo ultimo mandato.
Però…” la sua fronte si aggrottò visibilmente, tanto da far quasi sfiorare le
sopracciglia. “Ho conosciuto Potter… Non credo che reggerebbe o vorrebbe mai
per sé un ruolo di potere così enorme. Non mi sembra un’ipotesi molto
probabile, anche se, per ovvie ragioni, il suo nome fa ancora un certo effetto
quando compare nella prima pagina del Profeta e Finnigan starà gongolando per
le vendite.”
“Mmmh.” commentò Draco
senza lasciar trapelare nulla dalla propria espressione.
“Chiunque deciderà di
candidarsi o che verrà candidato l’anno prossimo dovrà sicuramente cercare
l’appoggio di Potter e di tutta la cerchia del vecchio Ordine della Fenice.
Sono eroi, sono parte dell’organico esecutivo del Ministero, hanno un’immagine
che attira la folla come miele per le mosche. Sarebbe un suicidio mediatico
scegliere di contrapporsi a loro… Potter, Weasley, la Granger...” Scorpius si
bloccò nel mezzo del discorso e rivolse uno sguardo stupito al padre, cogliendo
improvvisamente il perché di quella discussione. “Padre!”
“Scorpius?” replicò
l’uomo sorridendogli con fare tranquillo.
“Stai pensando
seriamente di candidarti?” esclamò boccheggiante.
“Oh figliolo… No. Non
sono decisamente nella posizione di poter intraprendere una campagna
elettorale. Non ancora.” aggiunse guardandolo con un leggero sogghigno. “Ma ho
tutte le intenzioni di capire come trarre il massimo vantaggio dalla mia
posizione… E dalla tua ovviamente.”
Scorpius rimase
immobile limitandosi a osservare le lunghe dita del padre disegnare qualche
sfarfallio nell’aria, con aria distratta.
“Il fatto che tu ed
Angelique vi siate lasciati ovviamente gioca a mio sfavore… Per fortuna hai
smesso di comportarti come un imbecille e non hai rovinato la vostra amicizia.”
e Draco gli rivolse un’occhiataccia.
A questo punto la
maschera di impassibilità di Scorpius dovette incrinarsi perché suo padre
scoppiò a ridere con sincero trasporto.
“Davvero pensavi che non
sarei venuto a sapere una cosa del genere?! Mi sottovaluti.”
“In realtà stavo
riflettendo sul fatto che non avrei mai sospettato che io ed Angie potessimo
tornarti utili.” ammise Scorpius stringendosi nelle spalle.
Gli occhi azzurri di
Draco scintillarono ironici mentre l’uomo si concedeva un lungo silenzio per
riflettere.
“Una ragazza brillante,
ambiziosa, di origini babbane, imparentata con la famiglia Potter, estremamente
vicina a tutti i Weasley, per giunta molto graziosa. Ti viene in mente qualcosa
di meglio per dare un’immagine positiva alla nostra famiglia? Sarebbe stata
perfetta per mettere a tacere chiunque avesse insinuato che siamo ancora legati
ai vecchi ideali del Mondo Magico.” Malfoy si lasciò sfuggire un leggero
sospiro. “Peccato… Un vero peccato. Mi sarebbe tornata molto utile con quei
begli occhioni verdi!”
“Padre, non parlare
così di lei.” commentò infastidito Scorpius.
“Ma Scorpius, non sto
dicendo che voglio manipolare i tuoi amici!” il ragazzo si voltò verso il padre
e inarcò entrambe le sopracciglia con espressione incredula. “Non in modo
negativo almeno.” ammise Draco sorridendo.
“Oh certo! E sentiamo,
come ti proporresti di manipolarci tutti quanti in modo non negativo?” gli
chiese polemico.
L’uomo arricciò le
labbra sottili e scrutò con interesse il centro tavola composto da agrifoglio e
bacche di biancospino.
“Sinceramente credevo
che la festa di fine anno sarebbe stato un ottimo inizio. In ogni caso i tuoi
amici sarebbero venuti qui, perché non estendere l’invito anche alle loro
famiglie? Sarebbe semplicemente un atto di educazione con cui capire da che
parte soffia il vento.” propose con semplicità. “Se poi le cose dovessero
partire col piede giusto… Si vedrà.”
“La famiglia di Al non
verrà mai, fanno sempre una cena tutti insieme a casa dei Weasley.”
“Non vedo perché non
possano…”
“Cucina Molly Weasley.”
aggiunse Scorpius.
“Ah. Capisco.”
Draco si passò un
indice sul labbro superiore e aprì la bocca per proporre un’alternativa. Ma in
quell’istante la porta della sala da pranzo si spalancò ed entrò Astoria,
accompagnata dal frusciare della seta verde del suo abito da strega.
“Oh proprio voi due
cercavo! Ho bisogno che controlliate la lista degli invitati per il 31 e che mi
confermiate che ci sono tutti. Se dovesse mancare qualcuno…” le dita affusolate
e candide della strega si agitarono in aria per un secondo, “Manderemo una
lettera per chiedere conferma della loro presenza e quando ci diranno di non
essere stati invitati, ci mostreremo costernati dall’inefficienza del servizio
postale.”
“Certo tesoro.” Draco allungò
la mano e prese la pergamena.
Astoria sorrise in modo
luminoso al marito e si chinò sul suo viso lasciandogli un lungo bacio sulla
guancia, in cui si racchiusero una straordinaria dolcezza e al contempo il
chiaro desiderio di poterlo baciare in modo molto più indiscreto.
Scorpius non distolse
lo sguardo dalla scena ma cercò di imprimersi nella memoria quel ricordo così
carico di famigliarità per lui. I suoi genitori avevano rappresentato un’eccezione
ai tempi del dopoguerra. La famiglia Malfoy era quasi stata ostracizzata dal
Mondo Magico, i suoi componenti venivano visti come reietti da coloro che avevano lottato
contro Lord Voldemort, e come traditori da coloro che avevano sostenuto fino
alla fine la follia di Riddle.
Suo padre era stato
costretto da nonna Narcissa a tornare ad Hogwarts per completare la sua
istruzione, ma su sue dichiarazioni era stato un vero proprio incubo.
Finché una ragazzina
tutta capelli castani e occhi da cerbiatta non lo aveva tirato fuori dal
proprio guscio, prima con delicatezza e poi con crescente decisione, lo aveva
letteralmente curato dalle ferite che stava lasciando infettare.
Una ragazzina che lo
aveva scelto, prima ancora che lui si rendesse conto di averla scelta a propria
volta. E non avevano fatto altro per i successivi venti anni che continuare a
scegliersi.
“Astoria dovremmo
mandare una piccola specifica agli amici di Scorpius, chiarendo che tutta la
famiglia è stata invitata.” commentò Draco scorrendo con gli occhi sulla lista.
“Già fatto. Stai
invecchiando Malfoy, un tempo non ti saresti mai dimenticato una cosa del
genere.”
“O forse,” disse lui
intrappolando una mano della moglie nelle proprie e baciandola con reverenza,
“tu col passare degli anni diventi sempre più straordinaria.”
Astoria lo squadrò un
attimo e poi sorrise con aria sarcastica.
“Non ho intenzione di
modificare un’altra volta quel benedetto menù, Draco. Oggi a pranzo mangerai la
trippa ed esprimerai anche i tuoi complimenti alla cuoca.” detto ciò si
allontanò quasi fluttuando sul pavimento, tanto i suoi passi erano aggraziati.
Gli occhi di Draco
seguirono la figura sottile e flessuosa di Astoria fino a che scomparve e poi,
per un paio di istanti ancora, rimasero fissi sulla porta con vago sorriso ad
aleggiare sulle sue labbra.
“Quanto detesto la
trippa, Scorpius.” mormorò l’uomo.
“Ma mangerai tutto il
tuo piatto, immagino.” disse il ragazzo sorridendo.
“Ovviamente.”
Suo padre si alzò da
tavola e depositò vicino al suo polso la pergamena con la lista degli invitati.
Scorpius scorse
rapidamente tutti i nomi, cercando con una punta di speranza quello di Ronald
Weasley senza trovarlo. Sarebbe stato bello poter vedere Rose e magari farsi
perdonare per il Ballo di Natale, anche se dubitava che una persona tanto
intelligente fosse ancora offesa. Non molto almeno!
Si annotò i nomi di cui
non ricordava nulla per poi poter chiedere informazioni a suo padre, quando i
suoi occhi si bloccarono su un nome e lì rimasero chiedendosi che cosa sarebbe
accaduto in meno di una settimana a casa sua.
William
Abram Danes e famiglia.
Celia Danes e Angelique
sarebbero state in un'unica stanza ad un ricevimento ufficiale.
Aveva sicuramente un
paio di cose di cui scrivere ad Al.
***
Le dita di Angie
tremolarono mentre richiudeva la lettera che sua madre le aveva scritto, un
paio di grosse lacrime strabordarono dagli occhi ricolmi e le caddero sul viso.
Elenoire Girard Dursley
era veramente arrabbiata e non si era in alcun modo trattenuta dall’esprimere
alla sua primogenita tutto il suo biasimo.
Angelique si asciugò
rabbiosamente le guance, cercando di placare l’argine che sembrava essersi rotto
dentro di lei, ma nuove lacrime seguirono la strada già segnata dalle
precedenti trovando facile accesso dalle palpebre.
“Non avrei mai creduto che potessi comportarti così.”
“Tua sorella ha pianto per tutto il giorno e non ha nemmeno voluto
cenare. Le avevi fatto delle promesse, Angelique. E non le hai mantenute.”
“Essere una famiglia significa sapersi prendere cura gli uni degli altri
e tu mi fai venire il dubbio di non essere stata capace di insegnartelo.”
“Mi hai delusa.”
Nelle orecchie della
ragazza risuonavano le frasi scritte dalla grafia sottile e ordinata di sua
madre come se gliele avesse urlate in faccia. Anzi no, Elenoire non avrebbe mai
urlato in quel caso, si sarebbe limitata a riversare la propria furia con una
calma e un controllo glaciali.
Angie aveva deciso di
leggere il testo, che già dal giorno precedente presagiva sarebbe stato
catastrofico, forse per sentire finalmente qualcosa, forse per avere
l’illusione della vicinanza di sua madre, pur sapendola arrabbiata e
sfiduciata, forse per consentirsi di piangere liberamente per quel sentimento
di estraneità che aveva sentito sin da quando si era svegliata.
Ed evidentemente la
lettura aveva sortito gli effetti sperati, perché Angelique singhiozzava senza
alcun freno seduta sullo sgabello del pianoforte.
Nella sua mente si
accavallavano i peggiori pensieri che potesse fare, immaginava Estelle con i
suoi grandi occhi azzurri pieni di delusione e di dolore, vedeva l’espressione
di fredda collera di sua madre, sapeva che suo padre avrebbe cercato
inutilmente di difenderla pur essendo anche lui estremamente amareggiato dal
suo comportamento. Se suo nonno Etienne fosse stato vivo le avrebbe fatto una
tirata d’orecchie epica, non avrebbe mai tollerato che abbandonasse tutti dopo
mesi che non aspettavano altro di rivederla. Nemmeno suo nonno avrebbe potuto
capire…
I singhiozzi che le
scuotevano tutto il torace si fecero così forti che Angie si premette una mano
contro la bocca, cercando inutilmente di calmarsi.
“Angelique…”
Non aveva pensato di
chiudere la porta.
Non l’aveva nemmeno
sentita aprirsi.
Alzò lo sguardo
annebbiato e davanti a lei comparve la figura di Derek, con le braccia
abbandonate lungo i fianchi e l’espressione sconvolta, o così almeno le
sembrava nella nebbia delle lacrime. Angie si voltò di scatto verso il
pianoforte dell’aula dell’Accademia Orfeo.
“Oh porca troia!” bofonchiò
la ragazza asciugandosi le guance e il naso coi palmi delle mani.
“Angie.” la chiamò
ancora lui inginocchiandosi al suo fianco e tendendo una mano verso di lei.
“Non guardarmi!” sbottò
coprendosi il viso con le mani.
“Che cosa diamine stai
dicendo?!” chiese allibito Derek prendendole i polsi e abbassandoli per poterla
guardare in viso.
“Oh per favore, sono
orrenda! Guardami…” mormorò la ragazza con tono schifato, voltandosi appena
verso di lui.
“Allora posso guardarti
o no?” il volto di Derek esprimeva nella preoccupazione e nell’angoscia anche
un leggerissimo divertimento.
“AH! Non lo so va bene!
Non lo so…” urlò la Dursley scattando in piedi e poi scoppiò nuovamente a
piangere.
Derek la prese per le
spalle fermamente e se la attirò contro il petto, facendole posare la testa
contro la sua spalla, mentre posava protettivo una mano sulla sua nuca. Angie
al contatto col calore del suo corpo si sciolse definitivamente e si abbandonò
tra le sue braccia, senza smettere un secondo di piangere.
“Vieni qui! Sono due
ore che ti cerco dovunque, sono anche andato nelle cucine.”
“Mi dispiace… Non
riesco a smettere.”
“Allora continua finché non ce ne saranno
più.”
Il ragazzo si mosse
rapidamente e prese il suo posto sullo sgabello, facendola sedere poi sulle sue
ginocchia. E così Angie fece, lasciandosi cullare da lui.
Lentamente, come se
avessero trovato in fine un modo adeguato per essere sfogate, le lacrime
smisero di fluire e il suo respiro si fece più regolare.
La forza con cui Derek
l’aveva stretta a sé si allentò gradualmente, come se anche lui avesse capito
che Angie stava rimettendo insieme i propri pezzi, tra un respiro e l’altro, e
lui non dovesse più mantenerla integra. Solo quando fu sicuro che il suo
respiro era tornato normale e che il pianto si fosse estinto, (e ci vollero
parecchi minuti), si decise a parlare.
“Vuoi dirmi che cosa
succede Angelique? Ti prego…”
Angie senza muoversi
dalla sua posizione nell’incavo tra il collo e la spalla di Derek, rispose
biascicando appena le parole a causa della bocca disidratata.
“Mia madre mi ha
scritto. L’ho delusa e ferita… Mi sono sentita un verme. Non mi aveva mai detto
delle cose del genere.”
Derek rimase in silenzio
qualche secondo, posando il mento sopra il suo capo e continuando a stringerla
contro il proprio torace.
“E pensi che non ti
perdonerà mai più?” chiese il ragazzo lentamente scostandola appena da sé per
poterla osservare in viso.
“Beh no… Certo che mi
perdonerà.” rispose Angie aggrottando la fronte e poi aggiunse: “Prima o poi.”
“Allora vuoi dirmi
perché piangevi in quel modo?”
“Derek…”
“Lo so che non stai
bene. L’ho sentito anche stamattina! Ma se tu non mi vuoi parlare, come
possiamo affrontarlo insieme? Come posso aiutarti se non mi lasci avvicinare?”
Derek la riaccolse nel
proprio abbraccio e Angie si lasciò cullare ancora qualche istante al ritmo
lento e costante del suo cuore.
Come poteva esprimere
tutto il macello che aveva sentito dentro di sé, l’estraniazione, il sentirsi
vuota e arida. Come poteva renderlo partecipe del disastro che era stata la
sera precedente? Angie sentì la paura stringerle lo stomaco in una morsa tanto
simile a quella che provava avendo vicino Derek, ma sostanzialmente differente.
Non c’era alcuna sfumatura di piacere in quel dolore alle viscere, era solo la
paura paralizzante di esporsi ancora, di restare fragile nelle sue mani, più di
quanto non fosse già.
Tuttavia forse non
c’era altro modo per allontanare finalmente quel peso…
“Non ero pronta Derek.”
mormorò chiudendo gli occhi e cercando rifugio nel suo maglione.
Il corpo di lui si
irrigidì dopo qualche istante da quella rivelazione, come se il ragazzo non
avesse capito subito di che cosa lei stesse parlando.
Derek la scostò
delicatamente da sé e la guardò.
“Oh Angie.” le prese il
volto tra le mani e la guardò con talmente tanto dolore impresso negli occhi
neri che nuove lacrime invasero le palpebre della ragazza. “Amore mio, che cosa
ti ho fatto?”
L’abbracciò stretta
accarezzandole i capelli tornati ricci dopo la doccia e mormorando
rassicurazioni confuse e sommesse.
Il suo tono sembrava
quasi soffocato, come se la sua sofferenza strabordasse non solo dalle sue
iridi scure ma in ogni respiro, rendendogli difficile parlare. Angie chiuse gli
occhi esausta e affranta per quella situazione.
Se solo fosse stata una
ragazza normale, tutto quello non
sarebbe successo. Se solo avesse prestato ascolto al suo istinto, invece che
silenziarlo con la perentorietà della ragione, non si sarebbe mai spinta così
oltre i suoi limiti.
“Mi dispiace tanto… Non avrei mai dovuto.”
disse ancora Derek e dal suo tono Angie comprese che anche lui era sull’orlo
delle lacrime.
Angie si scostò dal suo
torace e scosse il capo energicamente.
Non andava affatto
bene. Continuavano a incolparsi, quando come aveva detto Derek all’inizio
dovevano affrontarlo insieme. Non potevano rimanere isolati in loro stessi.
Tutto quello che
avevano passato aveva insegnato loro che dovevano restare uniti.
“Non avremmo dovuto. Eravamo insieme, lo
abbiamo fatto insieme… Solo che… Non
lo so. Mi sono sentita così poco me stessa, così estraniata.” disse Angie
asciugandosi l’ultima lacrima che le era scivolata sulla guancia ricordando
quella sensazione. “Non riuscivo nemmeno a dirtelo…”
“Mi dispiace Angie, mi
dispiace… Che cosa posso fare?” disse il ragazzo con lo stesso tono che le
faceva stringere il cuore e intrecciò le proprie dita con le sue.
“Resta con me.”
sussurrò Angelique chiudendo gli occhi e lasciando che Derek colmasse il vuoto
che si era divorato pezzi di lei la sera precedente.
***
La Taverna delle
Lucciole sembrava pulita persino ai critici occhi di Benji Allucemonco.
Non avrebbe mai pensato
che i suoi uomini fossero in grado di aiutare l’oste e le ragazze che
intrattenevano i propri “scambi commerciali” all’interno del locale. Vedere il
Bruschetta con piumino per polverare le mensole e il Guercio che lavava i vetri
delle finestre prima di applicarvi i fiocchi di neve di carta intagliati da Caitlin
(una graziosissima scozzese che lavorava nel campo di cui si accennava sopra)
lo aveva scosso quasi quanto la sera di Halloween li aveva visti tutti in
ghingheri.
Per questo si era ritirato
nel suo studio fino a sera, quando era stato formalmente invitato a scendere
per prendere parte alla cena di Natale che il personale al completo della
Taverna delle Lucciole aveva organizzato. La sorpresa quindi di vedere la
stanza illuminata del tutto, senza loschi angoli bui, con le finestrelle
sgombre dagli strati di polvere accumulata, adornata da addobbi natalizi rossi,
verdi e dorati che assumevano le più svariate forme grazie a un incantesimo
trasfigurante, era stata a dir poco enorme.
Un bell’abete alto
quasi quanto lui scintillava di mille minuscole candeline che restavano sospese
sopra i rami e si accendevano alternativamente di fiammelle dorate, argentee e
verdi.
“Buon Natale Capo!”
esordì il Guercio rivolgendogli uno sguardo naturalmente sbilenco e gioioso.
“Buon Natale a tutti
voi.” esclamò a voce alta Benji sollevando il calice colmo di liquido rosato di
cui era stato immediatamente munito dal Larva.
Tutti i presenti
imitarono il suo gesto e ripeterono le stesse parole prima di sedersi alla
lunga tavolata che occupava tutta la lunghezza della sala principale.
Ovviamente gli avevano
lasciato il posto a capotavola. Mentre prendeva posto scorse un movimento
fluido e vagamente affrettato alla sua destra e voltando la testa per seguirlo,
scorse chiaramente Tyra, una delle cortigiane più belle e richieste di
Hogsmeade, sedersi compostamente di fianco a lui.
Il Larva che
evidentemente aveva cercato di rivendicare il medesimo diritto stava in piedi a
mezzo metro dalla donna, vagamente interdetto per la rapidità con cui lei lo
aveva fregato. L’uomo scrollò leggermente le spalle e si sedette sulla sedia
accanto.
Gli occhi dorati di
Benji si fissarono sulla donna per un lungo istante.
La chioma biondo scuro,
dotata di riflessi rossi artificiali, (e ormai Benji si riteneva un esperto nel
riconoscere i veri capelli rossi quando li vedeva), era stata acconciata in una
pettinatura alta ricca di boccoli che metteva in risalto lo splendido collo
sottile e le spalle.
La veste da strega rosa
cipria che la donna indossava si apriva in una scollatura abbastanza bassa da
far cadere gli occhi sui seni prosperosi e alti.
Tyra sentendosi
osservata si voltò con studiata lentezza verso di lui e gli rivolse un sorriso
malizioso.
Benjiamin inarcò un
sopracciglio con aria scettica ma non si prese la briga di replicare.
Mentre il Bruschetta
gli serviva la prima portata nel piatto con numerosi schizzi di sugo qua e là e
un paio di imprecazioni colorite come condimento, l’uomo si soffermò per un
istante a pensare che ricordava ancora perfettamente le forme e la morbidezza
di ogni curva della donna seduta alla sua destra.
Lui e Tyra avevano
intrattenuto per anni il genere di relazione che Benji aveva considerato
perfetta finche la sua Ragazzina non aveva sfondato la porta della sua
esistenza con un calcio. Ovvero godevano del corpo dell’altro con trasporto e
passione, non del tutto giustificati dalle somme che venivano versate nelle
tasche della cortigiana, ma non avevano alcuna complicazione emotiva. Loro si
piacevano. O forse era meglio dire che si erano piaciuti, un tempo.
“Grazie Jerry.” disse l’uomo sorridendo sinceramente al
giovane che rispose al suo sorriso mettendo in risalto la pelle ustionata del
viso.
“Dovere Capo.” rispose
passando a servire Tyra.
Il cuore di Benji
palpitò per l’emozione che in quegli anni fosse finalmente riuscito a
trasmettere alla sua banda di animali da cortile un minimo di galateo, quando
si udì un sonoro rutto dal centro della tavola.
I suoi occhi gialli si
socchiusero sulla figura di Darren il Demente che si stava dando un ultimo
colpo col pugno chiuso al centro petto. L’altro sentendosi addosso quello
sguardo minaccioso si voltò verso Benjamin e un vago rossore gli imporporò le
guance.
“Scusa Capo, è che
questa roba frizzante mi mette in subbuglio le budella!” si difese l’uomo
alzando i palmi in aria.
Quella
roba frizzante era Champagne Krug, una meravigliosa bottiglia
di Brut Rosè. Scelta ovviamente dal lui.
Benji Allucemonco
resistette all’impulso di sbattersi una mano in faccia come gli veniva naturale
tutte le volte che i suoi uomini interpretavano liberamente i dettami che lui
tentava in tutti i modi di inculcare in loro.
“Ehi Darren, meglio
fuori che dentro!” esclamò Caitlin col suo forte accento scozzese, suscitando
numerosi cenni di assenso per la sua saggezza popolare.
Nonostante le numerose
manifestazioni di digestione e le battute sconce, fu una delle migliori cene
natalizie a cui gli fosse mai capitato di partecipare. L’atmosfera era di
confusionaria e calda famigliarità, addolcita dalla musica suonata a turno al
pianoforte mezzo scordato che la Taverna delle Lucciole offriva e rischiarata
dalle centinaia di minuscole candeline che fluttuavano per il soffitto,
rendendo tutto incantevole.
Sarebbe piaciuto
moltissimo anche a Lucy.
Fu quindi con una
sensazione di pace che si alzò da tavola al termine della cena, per consentire
ai suoi uomini di festeggiare come meglio desideravano, senza l’inibizione
della sua presenza, che per quanto ben voluta da tutti era pur sempre
autorevole. Aveva già capito dalla premura con cui Darren manteneva sempre
pieno il calice di Caitlin e dai tentativi di sguardi seducenti che l’occhio
sano di Osvald le lanciava che probabilmente i due uomini si sarebbero contesi
la dolce compagnia della ragazza. Ovviamente senza che nessuno dei due notasse
che lei sbatteva languidamente le ciglia e si passava una mano nei folti
capelli biondi sciolti sulle spalle tutte le volte che il Bruschetta, con quel
suo sguardo perso, le passava accanto. Per altro non se ne era accorto nemmeno
Jerry, a conferma del suo perenne stato di alienazione dalla realtà.
Sperava che non si
spaccassero i calici buoni in testa come l’anno precedente!
Camminò lentamente verso
le strette scale che conducevano al suo ufficio, con una nuova sensazione che
cedeva il passo alla precedente di tranquillità. Procedette convinto lungo la
scalinata e si avviò nel corridoio del piano superiore cercando di capire che
cosa gli prendesse.
Era una nota stridente
nel suo benessere, come un filo tirato nella perfetta tessitura di una sciarpa
di seta. La mancanza di qualcosa che faceva bruciare in modo sottile e
insistente lo stomaco, la privazione di qualcosa di essenziale… Di qualcuno di
essenziale.
Maledetta Ragazzina.
La pensava giorno e
notte, faticando a concentrarsi su qualunque cosa che non fossero ricordi di
lei, desiderio di lei, pensieri su di lei; le mandava regali di Natale; la
cullava durante la notte contro il proprio petto per assicurarsi che quel corpo
fragile e spigoloso non gli scivolasse tra le dita come il fumo di un sogno
troppo breve.
Sì, aveva una nostalgia
lancinante di Lucy.
“Per la giarrettiera di
Morgana! Una volta mi avresti per lo meno aspettata davanti alle scale. Non mi
è mai successo di rincorre un uomo, io!” la voce squillante e famigliare di
Tyra lo colpì alle spalle e lo fece quasi sobbalzare.
Benji si voltò sorpreso
e si ritrovò davanti la donna col petto lievemente ansante. Il seno si alzava e
abbassava al ritmo del suo respiro, affiorando appena dalla scollatura
dell’abito. Aveva occhi scurissimi che ora lo scrutavano in un misto di
avversione e desiderio.
“Dovrai farti
perdonare…” sussurrò avvicinandosi a lui fino ad avere i loro volti a pochi
centimetri.
Le mani curate e dalla
carnagione bronzea si posarono delicate sul suo petto e accarezzarono la giacca
scura.
Un lieve sentore di
iris si intrufolò nel respiro di Benji, dando vita nella sua mente a immagini
in cui quel profumo era stato il sottofondo di molto altro.
“Non ti è mai piaciuto
il Natale, lo so. Ma forse posso aiutarti a dimenticare.” gli sussurrò lei
sempre con voce suadente e si puntellò contro di lui, che automaticamente la
sorresse per i fianchi con entrambe le mani.
La bocca di Tyra si
posò vellutata sul suo collo e lì indugiò in carezze e baci, assaggiandolo con
deliberata lentezza e maestria invidiabile.
Sarebbe bastato così
poco.
Così poco per
dimostrare che la Ragazzina era solo una tra le tante, che non aveva nulla di
speciale, che lui poteva ancora fregiarsi di essere del tutto padrone di sé,
che non era cambiato nulla.
Rafforzò la presa sul
corpo di Tyra, schiacciandola contro il proprio petto e affondando il viso nei
capelli setosi della donna. Avrebbe potuto prenderla anche in corridoio, lei
non avrebbe fiatato, anzi lo avrebbe trovato stuzzicante. Avrebbe potuto
servirsi di quel corpo a proprio piacimento e finalmente ristabilire l’ordine
delle sue priorità in testa.
Le sue mani risalirono
il tessuto chiaro del vestito della donna, percorrendo i muscoli lombari della
schiena. Era semplice. Era facile. Era solo fisicità.
Poi ricordò con
precisione millimetrica, come se l’avesse avuta davanti ai propri occhi in quel
momento, l’espressione in cui il viso di Lucy si era spezzato quando lui dopo
averla baciata la prima volta si era preso gioco di lei.
Un’espressione
innocente di smarrimento, una ferita inferta così a fondo da aver incrinato
qualcosa in lei, una delusione così amara da aver fatto sentire un verme anche
lui, che pensava di essere immune da quel genere di malattia chiamata rimorso.
Un dolore che si era riverberato in lui molto prima dello schiaffo con cui lei
lo aveva ripagato.
“No.” disse molto
lentamente.
Tyra si immobilizzò
immediatamente e si scostò da lui guardandolo con occhi enormi.
“Benjamin?” chiese
sbattendo perplessa le palpebre.
Benji le prese le mani
tra le proprie e se le scostò dal petto, trattenendole però in una presa
gentile.
“Ti ringrazio Tyra, per
la tua gentilezza. Ma, no. Non voglio.” le disse con un sorriso incredulo per
quello che si stava facendo spazio nel suo animo.
“Merlino… Hai una donna
Benjamin Richardson?” esclamò sorridendo sbalordita anche lei.
Benji sobbalzò appena a
quelle parole e si strinse nelle spalle. Che doveva dire?
Sì?!
No, ho una Ragazzina
appena maggiorenne che con la sua faccia tosta tiene in pugno mezza criminalità
di Hogmeade!
L’uomo si passò una
mano sulla nuca e rispose:
“Beh… Io non so se si
possa proprio definire così. Insomma…”
“Oh Signore Benedetto!”
disse Tyra portandosi entrambe le mani alla bocca. “Sei pure cotto come una
pera Allucemonco! Mi ci gioco la mia toeletta d’epoca!”
E certo che se la
giocava, tanto gliel’aveva regalata lui!
Benji le rivolse
un’occhiata truce senza sapere che cosa diamine rispondere un’altra volta.
Sarebbe stato ridicolo e disonesto dire di no. Quasi quanto sarebbe stato
assurdo dire di sì.
Tyra proruppe in una
risata fragorosa, con un’espressione di sincera felicità sul viso.
“Oh beh, caro il mio
Benji, voglio assolutamente conoscerla.” disse la donna dandogli un colpetto
sul petto per poi voltarsi in un turbino di rosa cipria. “Buon Natale!” lo
salutò prima di imboccare le cale e scoppiare nuovamente a ridere.
Benjamin si massaggiò
con cautela le tempie, prima di realizzare appieno che cosa Tyra avesse detto.
“Assolutamente no!
Scordatelo Tyra!” urlò rivoltò alle scale.
E come risposta ebbe
un’altra risata scrosciante.
***
A sette anni Angelique
aveva imparato a medicarsi le sbucciature da sola.
Non solo, da quando
aveva sperimentato su di sé l’utilizzo del disinfettante e dei cerotti aveva
iniziato a curare anche le ferite di suo fratello Tristan che, dato il
carattere iperattivo e spericolato, erano parecchie.
Non sapeva esattamente
come fosse iniziata, forse era stata la diretta conseguenza dell’essere la
sorella maggiore, che dovendosi prendersi cura del Pidocchio prima doveva
imparare a farlo su sé stessa, forse era stata semplicemente la sua indole a
spingerla a rifiutare così precocemente l’aiuto di sua madre quando era ferita.
Forse voleva solo impedire che le sue contusioni la facessero sentire debole ed
esposta.
Da quando per la prima
volta aveva lavato via da sola il proprio sangue col batuffolo di cotone
impregnato di acqua ossigenata qualcosa si era consolidato in lei. Un istinto,
che prima era solo un sentore sopito nel suo spirito, si era fatto vivido e
prepotente.
Aveva realizzato di
potersi curare da sola. Si era convinta di non aver bisogno di nessuno per
guarire.
Da bambina nella sua
cittadina nel Sussex era stata un’emarginata, guardata con sospetto perché
diversa, allontanata in modo sottile e sempre garbato, aveva presto imparato la
solitudine. Aveva immerso le mani in quella materia oscura e subdola prima di
riuscire a capire davvero a che cosa stava andando in contro, se ne era
corazzata, rifiutando prima di essere rifiutata.
L’aver trovato
finalmente qualcuno disposto a vedere nelle sue “stranezze” null’altro che
bellezza e originalità, qualcuno che sapesse scostare le spesse cortine di
diffidenza e ostilità, qualcuno che fosse disposto ad aspettare perché lei si
mostrasse come era davvero, era stata una svolta fondamentale nella sua
esistenza. I suoi amici le avevano insegnato a vedere i mille colori di cui lei
era piena, che restavano celati sotto ombre dense di timori e ritrosie.
Accettare che anche
Derek potesse vedere tutto questo non era stato facile.
Accettare che la
tenesse stretta mentre lei si medicava da sola quella ferita così recente e
imprevista era stato quasi un’imposizione volontaria, perché sapeva di dover
concedere a entrambi la possibilità di soffrire insieme.
Così erano restati
stretti l’uno all’altra festeggiando quel Natale in modo anomalo, cullati dal
silenzio delle lacrime di Angelique che lente sgorgavano dai suoi occhi
depositandosi sulla spalla.
E aveva funzionato.
Aveva accettato pian
piano il contatto col suo corpo, che appena sveglia le aveva causato un senso
di repulsione; i suoi muscoli si erano rilassati lentamente sotto il suo tocco
gentile e preoccupato, le sue giunture avevano smesso di scricchiolare per la
tensione, il suo cuore aveva ricominciato a battere in modo regolare e profondo
senza quei ritmi folli che le facevano mancare l’aria nei polmoni.
La voce sommessa di
Derek l’aveva fatta scivolare in un sonno leggero e pieno di ombre dense che le
venivano a punzecchiare i tagli più profondi ed esposti, i tentacoli di tenebra
dei suoi incubi che allungavano gli arti per ghermirla e trascinarla sul fondo
dell’abisso in cui stava disperatamente cercando di rimanere a galla.
Eppure Angelique era
diventata brava ed efficiente nel medicarsi.
Gli anni di esperienza
le avevano fornito i mezzi per poter valutare con occhio clinico e decidere
come procedere nel cauterizzare l’anima sanguinante.
Non era stata colpa
sua, non era stata colpa di Derek.
Era successo e basta.
Mentre succedeva
avrebbe dovuto rendersi conto che c’era qualcosa di sbagliato, che era troppo
presto, però non era stato così e ciò che ne era derivato era la realtà. Quella
bisognava affrontare, non la dimensione di quello che sarebbe potuto essere.
E la realtà era
semplicemente che poteva affrontare tutto questo come sempre chiudendosi in sé
oppure aprendosi e offrendo la sua sofferenza alla persona che la implorava di
farlo.
Fare errori era ciò che
succedeva a chi provava a vivere davvero, cadere quando si perde la corrente
durante il volo insegnava a sfruttare meglio le proprie ali. Ora doveva solo
restare seduta a terra per qualche istante aspettando di avere abbastanza forze
per rialzarsi e provarci di nuovo.
Il fatto che fosse
proprio chi le aveva causato un senso di disagio così profondo e di estraneità
a sé stessa ad osservarla ed ad assisterla mentre si curava da sola non era
altro che una diretta conseguenza della scelta fatta.
Se lo avesse escluso in
quel frangente, lo avrebbe lasciato fuori per sempre.
E lei non lo voleva.
Angelique si girò sul
fianco scostando appena la coperta, insonnolita e piena di quella confusione
tipica del sonno disturbato, ma con la chiara percezione che Derek non era più
al suo fianco. Aprì appena le palpebre per osservarsi attorno.
Con una certa fatica
ricordò che si trovava nella sua camera, dove Derek l’aveva quasi portata di
peso. Erano restati insieme nel suo letto, a parlare, a sonnecchiare e a rifugiarsi
dentro l’altro, come se fosse stata una piccola tana.
La stanza era buia,
appena rischiarata dalle fiamme verdi del camino che davano luce solo per un
breve raggio, lasciando tutto il resto celato nell’oscurità. Non aveva idea di
che ore fossero, il sonno le aveva tolto qualsiasi senso dell’orientamento,
senza contare che in quella stagione il sole calava molto presto.
Contrariata
dall’assenza del suo ragazzo, si rigirò un’altra volta affondando il naso nella
coperta e chiudendo gli occhi, lasciandosi andare al torpore che sentiva.
Riemerse dal sonno
gradualmente, rendendosi conto a sprazzi che c’erano mani che le accarezzavano
lente la schiena e labbra che baciavano leggere il suo viso. Derek cercava
sempre di svegliarla con dolcezza, inconsapevole che le facesse solo venir
voglia di sprofondare ancor di più tra i cuscini.
Angelique emise un
mugolio indistinto combattendo contro la coscienza del risveglio.
“Svegliati, Angie.”
“Se mi sveglio che cosa
mi dai in cambio?” biascicò la ragazza.
“Una sorpresa.” le
sussurrò nell’orecchio, creandole l’incresparsi della pelle dove il suo respiro
caldo l’aveva toccata.
Angie aprì
immediatamente un occhio e osservò sospettosa il viso che torreggiava sul suo.
Gli occhi scuri esprimevano una gioia tenuta a freno a stento e le labbra ben
modellate erano contratte nello sforzo di non sorridere.
“Lo sai che odio le
sorprese.” borbottò riservandogli uno sguardo truce.
“Certo, ma questa ti
piacerà.”
La visione di Derek con
un cestino di vimini grande quanto lui al braccio era semplicemente esilarante.
Il fatto che il
suddetto cestino facesse un rumore infernale ad ogni passo, dato da un
tintinnare metallico e dal cozzare sordo di quello che vi era contenuto,
incrementava l’ilarità che Angie si sentiva crescere dentro.
Camminando con la mano
intrecciata saldamente alla sua, ancora vagamente intontita dalle ore passate a
vegetare nel letto, Angelique si sentiva decisamente meglio rispetto a quella
mattina.
Mentre attraversavano
il castello qualcosa nella mente della ragazza guizzò, suggerendole che avrebbe
dovuto sapere dove stavano andando, che quei corridoi avrebbero dovuto esserle
famigliari come i suoi palmi, ma non concretizzò quella sensazione finché non
si trovò davanti ad un arazzo stano, raffigurante Barnaba il Babbeo bastonato
dai Troll.
Derek lasciò la presa
sulla sua mano e si avviò verso il lato opposto del corridoio, camminando
velocemente per tre volte avanti e indietro davanti ad una porta anonima,
simile a molte altre.
La visione della porta
le creò una strana fitta di nostalgia, per un’altra porta, marchiata con
lettere di fuoco, che celava i ritratti di vecchi amici e guerrieri. Le
sembrava passata un’eternità dall’ultima
volta che l’aveva visitata…
“Chiudi gli occhi.”
Angelique obbedì prima
ancora di rendersene conto. E fu consapevole solo delle proprie mani che venivano
prese in quelle di Derek mentre lui la conduceva lentamente.
Sentì immediatamente il
cambiamento nell’aria quando un venticello tiepido le accarezzò le guance,
lasciandole una meravigliosa sensazione sulla pelle. Angie prese un profondo
respiro e i suoi polmoni si riempirono di un profumo dolce e delicato, il
profumo che ha l’aria quando la terra ricomincia a germogliare e fiorire. Aria
di Primavera.
Derek la lasciò andare
delicatamente e le disse subito:
“Ancora un attimo per
favore.”
La sua voce era frizzante
e gioiosa, piena di promesse.
I sensi di Angie acuiti
dalla cecità momentanea le fecero udire il frusciare della stoffa, un tintinnio
metallico e un piccolo sospiro soddisfatto di Derek. Il pavimento sotto le sue
scarpe era morbido, così che quando spostava il peso da un piede all’altro
quasi le sembrava di affondarvi appena.
L’aria attorno a lei
faceva danzare i suoi ricci annodati e spettinati sulla schiena, alzandoli in
una giravolta leggera prima di abbandonarli.
Sentì i passi di Derek
che si avvicinava e la sua mano che nuovamente ritornava nella sua, tiepida e
liscia, delicata come il profumo dell’aria attorno a lei.
“Ora puoi aprire gli
occhi.” le sussurrò con una vibrazione percepibile nella voce.
Era emozionato.
Fu il tono con cui
pronunciò quelle parole, come spesso succedeva con Derek, più che la reale
curiosità a indurla a spalancare gli occhi.
E quasi le venne voglia
di piangere.
Le sue labbra si
dischiusero per la meraviglia e lo stupore.
C’era dell’erba
verdissima sotto i suoi piedi che ricopriva ogni centimetro di terreno su cui i
suoi occhi potevano posarsi fino a perdersi. E alberi.
C’erano centinaia di
ciliegi giapponesi in fiore, con i rami carichi di grappoli rosati, le fronde
rigogliose e in piena esplosione erano scosse dal dolce vento che aveva
percepito appena era entrata. Minuscoli petali chiari venivano sollevati dalle
correnti e turbinavano eleganti nell’aria prima di ricadere nell’erba costellandola
di rosa pallido.
Loro si trovavano proprio
sotto uno di quei ciliegi, le sue iridi si persero nel cielo che filtrava
attraverso la chioma dell’albero, di un cobalto sconvolgente contro le foglie
scure e i fiori.
“Buon Natale,
Angelique.”
Volse allibita lo
sguardo sul ragazzo al suo fianco. Era consapevole che i suoi occhi fossero
lucidi di lacrime ma non le importava nulla. Voleva guardare Derek incorniciato
dai fiori di ciliegio e con i capelli dorati contro il cielo. Voleva interiorizzare
quella bellezza. Voleva non dimenticare mai più.
Accanto a loro stava
stesa una coperta grigia, apparecchiata per un pic-nic, con l’enorme cestino
abbandonato in un angolo e svuotato di tutte le cibarie.
“Perché?” sussurrò
Angelique con voce incrinata.
Le labbra di Derek si
aprirono in un sorriso dolcissimo che gli fece brillare anche gli occhi neri
come gaietto. Sempre tenendola per mano si chinò a terra puntando un ginocchio
contro il terreno.
La osservò per qualche
momento dal basso con un’espressione simile alla venerazione.
“Perché ti amo. Perché
voglio vederti felice.” le disse infine con una tale semplicità che il cuore di
Angie, già colmo di meraviglia per tutto quello che aveva ricreato per lei,
ebbe uno spasmo strano. Come un’extrasistole che fa collassare il costato su sé
stesso per un brevissimo istante, prima di espandersi ancor di più.
Angie lo tirò piano
verso di sé chiedendogli silenziosamente di alzarsi, come lui fece
immediatamente. I piedi di Angie calpestarono l’erba soffice che li divideva e
il suo petto aderì a quello del ragazzo.
Alzò lentissima lo
sguardo fino a trovare quello di lui. Derek era immobile e tanto vicino che il
suo profumo sovrastava quello delicato dei fiori di ciliegio. I loro occhi si
trovarono e si allacciarono.
Angelique posò le
proprie labbra sulle sue, piano e con fermezza, premendo appena di più quando
incontrò la morbidezza della sua carne. Era più che un bacio, era un sigillo.
Un sigillo sul cuore
che portava il nome dell’altro, come una vera nunziale, forgiata nell’oro
grazie al dolore del fuoco.
E così rimasero per un
tempo indefinibile, mentre festeggiavano Natale in mezzo ai ciliegi in fiore,
con i petali sottili che si impigliavano tra i loro capelli e restavano ad
osservare silenziosi lo sbocciare di un amore.
***
I successivi due giorni
passarono senza problemi a incrinare la loro felicità.
Trovarono persino la
forza di studiare qualche pagina insieme, prima di gettare all’aria ogni buon
proposito e sostituirlo con baci e risate.
Derek sentiva che la
tensione di Angie quando si avvicinavano si scioglieva lentamente,
tranquillizzata dal suo tocco volto sempre a rassicurarla che sarebbe stato a lei
decidere se chiedere di più.
Averla vista in quello
stato a Natale era stata una delle cose più dolorose della sua vita, ben di più
delle punizioni che suo padre dispensava tutte le volte che lo riteneva
necessario. Non tanto il ricordo del suo viso rigato di lacrime e contratto dal
dolore, ma l’espressione vuota dei suoi occhi verdi, il senso di gelo che aveva
percepito sotto il manto di tranquillità che lei aveva indossato a forza.
Era completamente
diversa da Celia, che chiedeva senza esitazioni tutto ciò che voleva e alle
volte se lo prendeva anche senza chiedere. Per lui era quindi strano e
complicato cercare di vedere oltre la cortina di negazione e di dissimulazione,
dietro cui Angie nascondeva la sua volontà.
Eppure gli sembrava che
ce la stessero facendo, che stessero costruendo qualcosa, nelle lunghe
chiacchierate e nelle ore di silenzio intenti a leggere.
L’unica ombra che Derek
sentiva sul cuore era il fatto che suo padre non si fosse ancora fatto vivo.
Kurt Schatten era a dir
poco volitivo ed intransigente, e per Derek era presso ché inspiegabile che l’uomo
non avesse ancora scritto, detto o fatto nulla per riportarlo sotto la sua
autorità di padre.
Fin da quando si era
alzato aveva percepito una strana inquietudine, un velo sottile che era sceso
nel suo modo di vedere e di percepire le cose a cui non sapeva come far fronte.
Aveva seguito Angie
fino alla capanna di Hagrid vagamente distratto da quella sensazione viscida e
inafferrabile. Lì si erano momentaneamente separati, perché quella strana
bestiaccia continuava a sbattere le ali e emettere versi acuti contro di lui,
così Angelique l’aveva presa e portata altrove, per la loro consueta
passeggiata mattutina.
Osservò affascinato il
manto rosso fuoco della fenice contrastare contro il candore del parco, vide il
braccio di Angelique alzarsi e tendersi verso Antares, richiamandola a sé.
I suoi occhi si persero
nelle eleganti giravolte che l’animale fece prima di atterrare con delicatezza
sulla sua padrona.
***
“E così saresti
un’intenditrice di ostriche, eh?” la punzecchiò Derek inarcando scettico un
sopracciglio.
“Non ho detto questo!
Perché devi sempre travisare? Mi sembra di avere a che fare con Jessy quando
fai così.” Angelique si imbronciò immediatamente incrociando le braccia sul
petto, ma presto un braccio di Derek le cinse le spalle e la riportò vicino al
suo fianco.
“Oh dai, stavo
scherzando! Comunque raccontami di Saint Melo…”
“Si dice Saint Malo!”
lo corresse Angie con tono quasi offeso per quella mancanza. “In ogni caso è molto
bella, è una città sul mare, tutta fortificata. Ha anche una splendida
cattedrale… Gotica ovviamente. Lì quasi tutto è gotico!” aggiunse con tono
estasiato.
“Ti piace il gotico,
vero?”
“Certo!”
“E i tuoi parenti
abitano lì?”
“No, loro sono a Saint
Lunaire, molto più piccolo, molto più paese.
Tutti conoscono tutti, la maggior parte vive del turismo della costa e se vai
dalla fornaia prima che abbia preso il secondo cicchetto della mattinata ti
dirà sempre “Oh zucchero! Ma come ti sei fatta carina!”. Una volta lo ha detto
ad una ragazza che… Beh, mi dispiace dirlo, ma non era proprio carina per nulla.
Poverina è scappata fuori dal negozio piangendo.”
Derek scoppiò a ridere
e si dovettero fermare nella loro risalita, per consentirgli di riprendere
fiato.
“Oddio che scena
meravigliosa.”
“Non ridere, razza di
insensibile!” lo rimbeccò Angie.
“Ma se stai ridendo
anche tu!”
“Non è affatto vero!”
E detto ciò ovviamente
una risata incontenibile le irruppe dalle labbra unendosi a quella di Derek.
I loro piedi
affondavano nel soffice strato di neve che ricopriva il sentiero che portava al
castello, lasciavano impronte più profonde dove si fermavano per cercare di
fermare quell’ ilarità che non era solo dovuto alla fornaia di Saint Lunaire,
ma era anche l’esplosione di quello che fermentava e fremeva dentro di loro.
Nel cortile davanti al
grande portone di ingresso Derek le prese il viso con entrambe le mani,
circondando le guance coi suoi palmi morbidi. Erano vicini all’albero tutto
contorto e ricurvo che in un angolo da decenni assisteva a scene simili,
tutt’attorno a loro gli eleganti archi a sesto acuto lasciavano filtrare la
luce bianca riflessa dalla neve.
Il viso dai toni dorati
di Derek era illuminato da quella luce particolarmente accesa, i suoi capelli
di oro e bronzo sembravano più chiari, mentre le iridi erano scure tanto da non
distinguervi la pupilla. Quelle sfumature contrastanti e tanto nitide le davano
la sensazione strana e vagamente irreale di trovarsi in un sogno, dove tutto
era più luminoso e più sfumato allo stesso tempo.
Derek la guardò per un
lungo istante, sulle sue labbra aleggiava un sorriso che non era direttamente
rivolto a lei, era troppo piccolo e contenuto. Era un sorriso intimo, per i
suoi stessi pensieri probabilmente, ma era più emozionante dei suoi soliti
sorrisi smaglianti e aperti. Era felice.
Angelique gli andò in
contro e lo baciò circondando il suo collo con le proprie braccia. Il suo mento
sfiorò la sciarpa di lana morbidissima che lui indossava e che era impregnata
del suo odore di menta e spezie.
Dischiusero le labbra
insieme, affondando e annullandosi nella bocca dell’altro, le lingue a
rincorrersi, a intrecciarsi, a respingersi, mentre i denti giocavano con la
carne tenera mordendo, trattenendo e assaporando. Angie sentì i brividi
allungarsi dalla schiena fino al ventre e lì accendersi di un calore bruciante.
Le sue mani si
immersero nei capelli mossi di Derek afferrando le ciocche e sentendole
scorrere morbide tra le dita.
Derek la strinse più
forte a sé, baciandola senza alcun freno.
Era fuoco contro il
ghiaccio dell’inverno, era…
“Maximilian.”
Una voce profonda e
gelida più dell’aria dicembrina attorno a loro li raggiunse con la forza di uno
schiaffo in pieno viso.
Derek interruppe il
bacio all’istante e si congelò sul posto.
Angie aprì gli occhi e
vide nei suoi il panico. La paura allo stato puro.
Le mani di Derek
abbandonarono la sua schiena come se fossero state private della vita, poi il
ragazzo, sempre con impresso negli occhi quello sguardo allucinato, si voltò
con lentezza, come se ogni centimetro gli costasse uno sforzo disumano.
Non si sarebbe mai
immaginata che Kurt Schatten potesse somigliare così poco al figlio. Si era
sempre figurata una sua versione segnata dal tempo e dalle rughe.
Invece era alto e dal
torace imponente, solido e muscoloso nonostante l’età matura. I suoi capelli
erano bruni e lisci, pettinati indietro, i tratti del suo volto non avevano
nulla della sensuale morbidezza di quelli di Derek, erano spigolosi, marcati,
austeri come tutto il suo contegno. La sua pelle era vagamente olivastra, priva
della doratura solare del figlio.
Vestiva in un completo
nero da mago estremamente raffinato con ricami argentati a profilare i risvolti
e le bordature. Quando scese i gradini della scalinata di fronte a loro il
mantello fluttuò nell’aria gelida gonfiandosi come la vela di una nave.
L’unica cosa che sembrava
aver trasmesso al figlio erano gli occhi neri, ma in quel momento Angie non vi
scorse nessuna delle sfumature di dolcezza che sempre associava a Derek, solo
una furia e un disgusto che le causarono un brivido di freddo.
Sua madre o suo padre
non l’avevano mai guardata in quel modo, nemmeno quando erano veramente
arrabbiati o delusi. Mai.
Derek doveva aver
ereditato parecchio dalla madre o da qualche nonno, perché tra i due Schatten
Angie vedeva molto poco in comune.
“Che cosa ci fai tu
qui?” chiese Derek, che nel frattempo pareva essersi ripreso abbastanza da
usare un tono ostile.
La sua mano cercò
quella di Angie al suo fianco e la strinse forte.
Gli occhi di Kurt
Schatten saettarono verso le loro dita intrecciate e si assottigliarono
minacciosi.
L’uomo scese gli ultimi
gradini sempre con passi calmi e cadenzati, ma Angie avrebbe scommesso la sua
Winterwind che se avesse potuto avrebbe fatto a pezzi qualcosa a mani nude.
“Sono venuto a
prenderti.” rispose Kurt serrando subito dopo la mandibola in un gesto secco.
Aveva una pronuncia leggermente più dura del normale, unico segno della sua
discendenza teutonica.
Ti
concedo tre giorni, Maximilian.
Le parole intrise di
cattiveria di Celia le rimbombarono in testa come il suono prolungato e
assordante delle campane di una chiesa.
Era scaduta la loro
tregua, avevano esaurito il tempo di pace concesso dalla Regina di Cuori.
“Che cosa ti fa pensare
che ti seguirò?” rispose Derek alzando il mento in atteggiamento di sfida.
Lo sguardo di Kurt si
spostò dal figlio ad Angelique, fissandola per la prima volta. Angie si sentì
trafiggere dalla forza del suo disgusto e dalla rabbia, erano occhi di un uomo
che sarebbe stato disposto a tutto pur di ottenere ciò che voleva.
“E questa sarebbe la
ragazza per cui hai creato questo scandalo?” domandò l’uomo arricciando le
labbra con fare schifato.
Certo, mezza infangata
e fradicia di neve, con qualche ago di pino tra i capelli di cui Antares le
aveva gentilmente fatto dono, non era proprio in splendida forma, ma di certo
non meritava un simile trattamento.
Angie sostenne lo
sguardo con indignazione crescente e aprì la bocca per dire esattamente a Kurt
Schatten che cosa ne pensasse di lui. Ma Derek fu più rapido.
“Sì, e lo rifarei altre
mille volte.” disse con fermezza.
“Vorrà dire che mille
altre volte dovrò farti capire a chi devi la tua obbedienza e la tua vita.”
ribatté Kurt e con un gesto inaspettato estrasse la propria bacchetta.
Angelique contravvenne
a tutte le regole del duello che Roxanne le aveva inculcato, non fece scivolare
la propria dalla manica al palmo come avrebbe fatto in qualsiasi altra
situazione, ma si slanciò verso Derek convinta che Kurt lo avrebbe attaccato.
Invece l’uomo con un
sorriso sardonico, come se si fosse aspettato esattamente quello da lei, le
rivolse contro la bacchetta.
Con un movimento fluido
del polso le scagliò contro un incantesimo non verbale e Angie sentì
immediatamente tutto il corpo farsi pesantissimo. Tanto pesante da non riuscire
più a muovere un singolo muscolo, da restare inchiodata al terreno con quella
buffa posizione plastica proiettata verso Derek. L’aveva pietrificata.
Vide gli occhi neri di
Derek riempirsi di orrore mentre la osservava e mentre suo padre con un altro
elegante movimento lo disarmava, prendendogli la bacchetta al volo.
Kurt afferrò saldamente
il figlio per un braccio, quando questi si ribellò cercando di divincolarsi,
l’uomo lo colpì in viso tanto forte che uno schizzo di sangue macchiò la neve
del cortile.
Angie cercò di
liberarsi dall’incantesimo, lottando con la forza della disperazione, cercando
in ogni modo di spezzare la magia di Kurt Schatten, ma era un vincolo
implacabile, una morsa che non concedeva il minimo respiro. Era completamente
impotente.
“NO!” l’urlo disperato
di Derek rimbombò nel cerchio chiuso delle arcate e delle colonnine sottili,
nel deserto.
Le labbra sottili del
padre si alzarono solo da un lato in una piega amara come il fiele, con un
ennesimo incantesimo privò il ragazzo della voce.
Derek venne trascinato
dal padre verso i cancelli di Hogwarts, mentre continuava a lottare per non
seguirlo e veniva sistematicamente colpito quando la sua resistenza sembrava
mettere in difficoltà il padre. Kurt Schatten era più alto, molto più forte,
armato di bacchetta e di ferocia.
Perché gli stava
facendo una cosa del genere? Come poteva trattare suo figlio in quel modo, la
carne della sua carne?
Angie chiuse gli occhi,
l’unica parte ancora mobile di tutto il suo inutile corpo pietrificato, cercò
dentro di sé la traccia della magia che la teneva avvinta e, come Rox le aveva
insegnato, provò a sentirla. La sua
mentore le aveva spiegato che alle volte se non si può spezzare l’incantesimo
si può provare ad allentarlo, scovando la falla nel sistema, una minuscola
distrazione nel momento in cui veniva lanciato poteva creare un anello debole.
Angie respirò a fondo e
sentì dentro di sé quella magia prepotente, lanciata con tanta rabbia e tanta
foga da essere insolvibile, ma nelle maglie dell’incantesimo le apparve chiaro
e nitido il segno dell’imprecisione.
Lo trattenne dentro di
sé e lo modellò finché non riuscì a forzarlo.
“Fottiti Kurt Schatten.” pensò la ragazza riuscendo ad allungare le
dita verso il lembo del laccino che le teneva la bacchetta assicurata
all’avambraccio.
Appena il legno di
ciliegio le scivolò sinuoso nel palmo la ragazza concentrò tutte le proprie
forze nel cercare di formulare il contro incantesimo non verbale, visto che la
sua mandibola restava serrata.
Al terzo tentativo
stava per perdere la speranza, convinta che avrebbe solo potuto osservare la
violenza fisica e mentale che si stava consumando davanti ai suoi occhi, quando
le sue membra si sciolsero all’improvviso, facendola cadere per terra.
Angie si rialzò
immediatamente con un balzo e iniziò a correre, implorando i propri muscoli di
aumentare la velocità
Kurt Schatten era ormai
a pochissimi metri dagli enormi cancelli in fondo alla discesa che solo pochi
minuti prima lei e Derek avevano percorso ridendo, parlando della Bretagna e
baciandosi.
Gli occhi le si
inumidirono di lacrime ma Angie le ricacciò indietro, sentendo calare dentro di
lei la calma rarefatta dei momenti di panico.
Doveva fermarlo prima
che lo portasse oltre i cancelli, perché a quel punto si sarebbero
smaterializzati.
Le sue gambe
affondavano e scivolano tra la poltiglia di terra e neve sciolta, ma la sua
bacchetta era tesa e ferma pronta a prendersi la propria vendetta non appena
Kurt Schatten fosse stato a tiro.
Sentiva la magia
scorrerle nelle braccia come quando perdeva il controllo e non aveva alcuna
intenzione di placarla, anzi aveva una gran voglia di riversarla su quel
bastardo.
Derek col viso
tumefatto e macchiato di sangue tentò un’ultima volta di liberarsi dalla presa
del padre che aveva già spalancato i cancelli con un colpo di bacchetta e che
li stava attraversando.
Il cuore di Angie si
fermò quando vide Kurt trascinarlo con un ultimo strattone fuori dai confini
protetti della scuola. Riprese a battere con un ritmo folle e raddoppiato,
mentre le sue gambe si contraevano nello sforzo estremo di accelerare.
Non sarebbe mai
arrivata in tempo.
Consapevole che non
avrebbe funzionato urlò con tutta la forza che aveva nei polmoni:
“Stupeficium!”
Un lampo rosso schizzò
verso l’uomo che riuscì a deviarlo solo all’ultimo istante con uno scudo
protettivo. Lo sguardo crudele e freddo si posò su di lei per un istante, prima
di chinarsi sul figlio e sibilargli qualcosa in volto che lo fece
immobilizzare.
Derek smise all’istante
di lottare e lasciò che il padre lo afferrasse per entrambe le spalle.
Mancavano ormai pochi
metri ad Angie per raggiungerli, si preparò a scagliare un altro attacco che
questa volta sarebbe andato a segno, quando Derek si voltò verso di lei.
I suoi occhi neri erano
pozze di disperazione e di angoscia, spaventati e abbandonati da qualunque
speranza.
Derek scosse lentamente
la testa chiedendole di smettere di lottare, chiedendole di lasciarlo andare.
La mano di Angie di
mosse assecondando la magia incandescente che le frizzava nelle vene del
braccio destro. Un bagliore di un bianco accecante partì dalla sua bacchetta e
si diresse verso Kurt Schatten. Doveva fermarlo.
Doveva fermarlo.
Le loro due figure
vennero inghiottite dal risucchio della materia tipico della materializzazione
e l’incantesimo si schiantò contro un albero a qualche metro, incenerendo parte
del tronco.
Angelique incapace di
fermarsi raggiunse i cancelli di ferro di Hogwarts.
Le sue mani si chiusero
sulle sbarre gelide e le scosse disperata, mentre un urlo lacerante le usciva
dalla parte più profonda del petto, quella dove stava sanguinando anche lei.
Se n’era andato.
Note dell’Autrice:
Miei cari ecco il nuovo capitolo, come sempre spero
che vi possa piacere.
Non ho da aggiungere nulla perché credo che sia un
capitolo molto denso e pieno di tanti segnali dei sentimenti dei vari
protagonisti.
Il mio ringraziamento come sempre va a chi legge, ma
soprattutto a chi spende il proprio tempo per farmi sapere che cosa pensa
riguardo alla storia, in questo caso alle mie fedelissime Cinthia988 e dreamcatcher05.
Grazie di cuore ragazze.
Mando tanti baci a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 24 *** Cap.24 L'inganno ***
Cap. 24 L'inganno
Cap.24 L’inganno.
Niente
è più facile che ingannare sé stessi.
L’uomo crede vero tutto ciò che desidera.
Demostene
“Non abbiamo alcuna
autorità per fare quello che chiedi Dursley.” disse Neville Paciock scuotendo
la testa.
“Ma professore!
Quell’uomo è un mostro, lo ha massacrato di botte per riuscire a trascinarlo
via di qui con la forza. Lo ha costretto!” esclamò esterrefatta Angelique.
“Quell’uomo è suo padre.
Ha la sua tutela legale fino alla maggiore età di Derek. Può decidere di
ritirarlo dalla scuola se lo ritiene giusto.” la interruppe il professore.
Angelique scattò in piedi
sbattendo entrambi i palmi contro la cattedra dell’ufficio del Direttore di
Grifondoro.
“Questo luogo dovrebbe
proteggerci! Questa scuola non dovrebbe permettere che accadano cose simili
sotto il naso di tutti.” esplose Angie in preda alla disperazione. “Lei non ha
visto… Non può capire.”
Le sopracciglia di
Paciock scattarono verso l’alto e la osservò per un lungo istante prima di
rispondere.
“Comprendo la tua rabbia
Angelique, credimi. So che cosa significhi vedere persone a noi care soffrire
orribilmente, venire torturate persino, senza che si possa alzare un solo dito
per aiutarle.” e il tono accorato con cui parlò le fece ricordare che il
professore che le stava davanti aveva affrontato una guerra sanguinosa e
tremenda. Una guerra che aveva segnato una generazione intera. “Purtroppo però
ho le mani legate. Se avessi visto personalmente il signor Schatten agire come
mi hai raccontato, potrei denunciarlo al Wizengamot.”
“Ma l’ho visto io! E
inoltre ha attaccato anche me.”
“Tu Angelique non sei un
testimone attendibile per una corte giudiziaria che debba togliere dalla tutela
di un padre il figlio. Sei minorenne e sei la sua fidanzata. Senza tralasciare
che la corte di cui parliamo è presieduta dal padre della ex fidanzata di
Derek.” rispose Paciock con sincero dispiacere impresso nel suo viso tondo.
“Quindi Hogwarts permette
che i suoi studenti vegano attaccati, percossi e rapiti all’interno delle sue
mura?” chiese fredda Angelique puntando i propri occhi in quelli nocciola e
calmi del professore. Quando non ebbe alcuna risposta da parte sua aggiunse con
amarezza: “Non dovrei stupirmi, infondo è già successo un numero imbarazzante
di volte.”
“Signorina Dursley la
pregherei di moderare i toni.” l’ammonì Paciock nettamente più freddo di quanto
non fosse stato fino a quel momento.
Angie si staccò dalla
cattedra e raddrizzò le spalle.
“La ringrazio per il suo
tempo. Non la disturberò più.” replicò con tono piatto.
Fece un cenno di saluto
con la testa e uscì rapidamente dallo studio senza attendere la risposta del
professore. Camminò stordita e svuotata nel corridoio, sentendo le caviglie
venir lambite dalle sottili correnti gelide e le sembrò che si insinuassero
anche sotto la sua pelle. Automaticamente prese la via della discesa verso la
sua Casa, tagliando per le Scale Mobili.
Non aveva alcun senso in
quel caso fare appello all’autorità della Preside. Paciock era stato chiaro. La
speranza che almeno il Direttore della Casa di Derek potesse fornirle un supporto
si era volatilizzata tra le sue mani.
Angie si accasciò sulle
scale di pietra, che proprio in quel momento decisero di cambiare rotta, e le
venne una gran voglia di piangere.
Non aveva idea di che
cosa fosse successo a Derek, non poteva raggiungerlo dove Kurt Schatten lo
stava tenendo in ostaggio, non aveva nessuno dei suoi amici con cui sfogarsi,
aveva persino dimenticato le sigarette in dormitorio!
Angie respirò a fondo
una, due, tre volte. Espanse la cassa toracica fino alla soglia del dolore e
poi lasciò fuoriuscire l’aria lentamente, calmando il panico che voleva a tutti
i costi esploderle in petto.
Gli occhi tornarono
asciutti e le sue mani smisero di tremare in modo incontrollato.
Le servivano carta e
inchiostro.
***
Scorpius richiuse la
lettera, che Caliel il gufo di Angelique gli aveva consegnato, con
un’espressione perplessa.
Gli sembrava vagamente
delirante nel complesso, anche se non c’era nemmeno un errore di ortografia.
Leggendola aveva avuto la sensazione di trovarsi davanti Angelique che
gesticolava animatamente e si strappava le pellicine dal labbro inferiore,
farneticando su rapimenti e torture.
Non avrebbe mai dubitato
della sua parola, solo che conoscendola tanto bene sapeva perfettamente che
aveva la tendenza a diventare tragica. Non come Nana, ma comunque parecchio.
Dalla data riportata
sulla lettera erano già passati un paio di giorni da quando Angie gli aveva
scritto; probabilmente il povero gufo, che ora riposava nella gabbia messagli a
disposizione, aveva percorso in lungo e in largo l’Inghilterra per recare
missive. Sperava che Angie avesse avuto la decenza di mandare un altro gufo in
Irlanda da Martha per evitare di stremare il suo animale domestico.
Il giovane Malfoy si
passò una mano sul mento e rifletté un istante sulla situazione che si stava
delineando nella sua mente.
Aveva sentito cose
parecchio diverse da suo padre, voci di corridoio che Draco raccoglieva
silenziosamente e che riferiva alla moglie, inconsapevole che suo figlio usasse
le Orecchie Oblunghe da quando aveva dodici anni. Voci che parlavano di
riconciliazione e chiarimenti, non certo di pestaggi e coercizione.
Mancavano altri due
giorni a quando Angie li avrebbe potuti raggiungere. Doveva scoprire quanto
possibile su quella storia controversa e cercare di aiutare la sua amica,
quindi doveva assolutamente fare un nuovo ordine prioritario a I Tiri Vispi
Weasley.
***
Angelique non riusciva a
mangiare quasi niente, non riusciva a studiare, beveva solo quando sentiva la
bocca riarsa. In compenso scriveva.
Aveva scritto almeno una
ventina di lettere, fumando come una ciminiera.
Cinque per i suoi amici,
le cui risposte erano state rapidissime e piene di angoscia per lei, o di
pacato stupore nel caso di Al, una per i suoi genitori e quindici o più
indirizzate a Derek. Queste si erano ridotte sempre di più in lunghezza fino a
un paio di righe di minacce di morte se non avesse risposto immediatamente.
Non aveva ancora ricevuto
nulla da lui.
Non un solo segnale di
vita in quattro giorni di ansia e incubi su che cosa gli fosse potuto
succedere.
Le sue mani erano
macchiate di inchiostro tanto che temeva non sarebbero più venute pulite per un
bel po’. Il suo viso aveva un aspetto tale per cui Dominique avrebbe urlato se
solo l’avesse vista conciata così e sarebbe corsa a prendere le sue schifezze
alla papaya per curarla.
Non aveva più aperto
libro, incapace di pensare agli incantesimi da memorizzare o alle pozioni da
perfezionare. Sarebbe stato un macello il ritorno a scuola.
L’unico sollievo in quei
giorni era stata la compagnia costante e rassicurante di Hagrid, a cui aveva
risparmiato i dettagli, ma sulla cui spalla aveva pianto con tanto di
singhiozzi.
Non avrebbe mai pensato
di trasformarsi in un essere tanto lacrimevole, ma nei momenti di massima
frustrazione il pianto era l’unica valvola di sfogo, oltre al distruggere cose
a caso lanciando Bombarda a destra e
a manca, che era decisamente più pericoloso.
E Hagrid come sempre era
stato in grado di rassicurarla, dicendo che avrebbero trovato il modo di
sistemare tutto; che finché ci si voleva bene c’era speranza.
Speranza.
Di questo si nutriva in
realtà, attendendo il momento in cui le fosse stato concesso di sapere.
Se la realtà fosse stata
truce la metà delle ipotesi che prendevano vita nella testa di Angelique già
sarebbe stato un incubo.
Quando chiudeva gli occhi
e cercava di riposare, perché dormire sembrava fuori questione, rivedeva il
manrovescio con cui Kurt Schatten aveva colpito il figlio, rivedeva le poche
gocce di sangue fuoriuscite dal suo labbro spaccato cadere sul selciato
innevato. Rivedeva sé stessa, immobilizzata dalla sua stessa stupidità,
impotente ad assistere.
Accolse quindi l’avvento
del 31 dicembre con sollievo, grata di poter finalmente vedere i suoi amici.
L’ufficio della
Blackthorn era come sempre minimale, con tutte le boccette di pozioni e
distillati perfettamente ordinati. Angelique dandosi un’occhiata intorno con la
consueta ammirazione per la precisione della professoressa si chiese se la
donna che le stava davanti aveva già scoperto la Pozione Polisucco fasulla che
se ne stava a decantare in uno dei suoi preziosi contenitori.
Gli occhi blu profondo
della Blackthorn si posarono su di lei non appena ebbe finito di sistemare la
Metropolvere, che l’avrebbe condotta tramite il camino nel salone principale
del Manor.
“Dursley sei consapevole
che quella di stasera è un’eccezione più unica che rara?” le chiese con
l’usuale timbro chiaro e severo nella voce.
Angie annuì e si passò la
piccola valigia, preparata la sera prima, da una mano all’altra.
“La ringrazio davvero per
avermi dato il permesso di raggiungere i Malfoy.” la voce le tremò appena ma
tanto bastò per tradire la sua posa sicura, nonché gli effetti Tonico
Miracoloso alle rose di Dominique, che le aveva cancellato le occhiaie. Gli
occhi della Blackthorn si piantarono sul suo viso e dopo una rapida
ricognizione parvero comprendere molto più di quello che Angie si augurava che
trasparisse.
Lo sguardo si assottigliò
leggermente ma la donna non aggiunse altro.
Un fuoco verde dalle
lunghissime lingue divampò all’istante nell’ampio caminetto, vi comparve anche
il volto affilato e leggermente stempiato di Draco Malfoy. Il collegamento tra
i due camini era stato concluso con successo evidentemente.
“Buona sera Beatrix, la
mia ospite è pronta?” chiese l’uomo con tono uniforme e cortese.
“Buona sera a te, Draco.
Angelique?” il busto flessuoso della donna si torse verso di lei osservandola.
Angie rimase stupita dai
toni confidenziali con cui comunicavano i due, ma scrollò le spalle e annuì
decisa. Non vedeva l’ora di abbracciare Al e lasciarsi invadere dalla sua calma
razionale, voleva passeggiare con Scorpius e ascoltare i suoi racconti sulle
novità del mondo magico. Aveva un bisogno spasmodico dei suoi amici.
Fece per entrare nello
spazio dietro l’ampia architrave di granito, ma un contatto inaspettato la fece
bloccare. La professoressa di pozioni le aveva posato una mano sulla spalla,
con la presa salda delle dita attorno alla sua articolazione, come un saluto.
Angelique la guardò stranita e quella le restituì uno sguardo di zaffiro
fermissimo, per poi lasciarla andare come se nulla fosse.
Entrò nel fuoco, non
prima però di aver visto la donna osservarla con un vaga sfumatura di
preoccupazione.
***
Gli si schiantò quasi
addosso non appena uscì dal caminetto, sporca di fuliggine, coi capelli tanto
arruffati da sembrare una balla di fieno. Scorpius sostenne l’abbraccio
impetuoso e vagamente destabilizzante di Angelique, accogliendola tra le
proprie braccia. Profumava del suo shampoo e della sua pelle, in un miscuglio
di fiori che solo lei aveva.
“Oddio che bello
rivederti!” esclamò la ragazza stringendolo ancor di più e affossando il viso
nel suo maglione.
Scorpius si limitò a
ricambiare la forza della stretta, percependo che la tensione nelle spalle
della ragazza andava diminuendo di istante in istante. Dall’altro capo della
stanza Albus osserva la scena con un libro di diritto rilegato in pelle nera
stretto tra le dita. Troppo stretto.
Quando Angelique si
staccò da lui ebbe modo di verificare coi propri occhi il risultato di quattro
giorni passati da sola, in balia delle sua mani impietose.
Il labbro inferiore era
screpolato dalle pellicine e spaccato in più punti, dove il sangue ormai
coagulato lasciava delle ombre più scure sulla pelle martoriata. Anche il
superiore sembrava aver subito assalti simili.
Le sue dita, di solito
curate per evitare che spiacevoli inconvenienti le impedissero di suonare,
erano rosicchiate fino alla carne. Gli occhi erano cerchiati dalla vaga
sfumatura scura che testimoniavano tutta l’inquietudine di quei giorni. Era,
nel complesso, uno straccio.
“Angelique…” sussurrò, ma
quando gli occhi verdi un po’ a mandorla trovarono i suoi con sguardo
colpevole, un paio di mani lo scostarono con risolutezza dalla ragazza.
Astoria Malfoy prese per
le spalle Angie, l’abbracciò, la scostò da sé e poi la scrollò lievemente con
grazia, tutto nell’arco di un unico movimento fluido ed elegante.
“Dimmi tesoro, lo hai
finalmente perdonato?” le chiese con gli occhi scuri che brillavano di
felicità.
“Eh?” chiese di rimando
Angie non afferrando la situazione.
A Scorpius, purtroppo,
era fin troppo chiara.
“Vi ho visti abbracciarvi!
Pensavo che magari lo avessi perdonato per qualunque cosa ti avesse fatto
l’anno scorso e che ora…” la voce di sua madre venne interrotta da quella di
Angie in evidente imbarazzo.
“Astoria, non so come
dirglielo… Mi dispiace davvero, ma io e suo figlio non siamo altro che amici. E
non è mai stata colpa sua, sono stata io a spingerlo ad allontanarsi.”
Angelique chiamava per nome i suoi genitori ma non era mai riuscita a valicare
la barriera della formalità, per cui usava ancora il “lei”.
“Oh…” il tono di Astoria
denotava la perdita di entusiasmo con cui si era fiondata addosso alla ragazza.
“Beh immagino che allora non ci sia proprio più niente da fare, vero?”
Scorpius non poteva
vedere l’espressione della madre nella sua interezza, visto che riusciva solo
ad osservarla di profilo, ma avrebbe scommesso dieci galeoni che era la
classica espressione da cucciolo ferito con cui riusciva a far fare a suo padre
qualunque cosa. Compreso mangiare la trippa.
“Io… Eh… Mi dispiace
tanto.” pigolò la ragazza sgranando gli occhi verdi in un’espressione
sinceramente addolorata.
“Astoria, lascia andare
quella povera ragazza.” la voce leggermente strascicata di Draco dominò la
stanza.
“Ma Draco…” protestò sua
madre voltandosi appena e riservandogli un’occhiataccia per aver interrotto la
sua opera di convincimento.
“I ragazzi hanno preso la
loro decisione, cara. Credo che abbiano fatto la scelta migliore per loro
stessi e sono anche riusciti a restare amici.” Draco avanzò camminando ben
eretto e rivolgendo un cenno di saluto ad Angie, accompagnandolo con un sorriso
sincero.
“Sono giovani e, in
quanto tali, stupidi! Senza offesa tesoro…” aggiunse con un’occhiata rapida ad
Angie. “Sono obnubilati dagli ormoni, non sanno quello che fanno.” continuò con
tono estremamente ragionevole la donna, come se stesse spiegando una questione
particolarmente spinosa a un bambino di tre anni. In tutta la diatriba non
aveva ancora spostato le mani dalle spalle di Angie.
Draco le rivolse un mezzo
sorriso con un occhiata obliqua, in cui si racchiudevano anni di comunicazioni
condensati in una semplice posa silenziosa. Astoria sospirò pesantemente e
rivolse uno sguardo di rimpianto estremamente teatrale alla ragazza davanti a
lei.
“Questa casa sarà sempre
aperta per te.” si chinò su di lei e le diede un bacio con schiocco sulla
guancia.
“Madre…” la richiamò
anche lui esasperato dall’esagerazione con cui la donna sembrava prendere la
situazione. Draco prese per mano la moglie e la condusse con garbo verso il
salone che stava subendo le ultime modifiche in vista della festa.
“Ti avrei regalato i
rubini di nonna Black, sarebbero stati perfetti su di te!” aggiunse Astoria
voltandosi verso di lei mentre i suoi passi la conducevano fuori dalla stanza.
“Madre!” esclamò Scorpius,
ma proprio mentre la donna usciva la vide sogghignare.
Nessuna meraviglia che
anche sua madre a Hogwarts fosse stata una Serpeverde. Se lo desiderava sapeva
essere decisamente più astuta e subdola di tutta la famiglia Malfoy messa
insieme.
“Non gli hai detto come
sono andate le cose?” la voce di Angie era poco più di un sussurro.
Scorpius si strinse nelle
spalle e scosse lievemente il capo.
“Non erano questioni che
li riguardassero. Hanno saputo l’essenziale.”
“Immagino sia per questo
che ha ancora una così alta considerazione di me.” ribatté Angelique serrando
le labbra di una piega amara, ma quel gesto le causò un lieve sussulto per
l’apertura di una delle minuscole ferite che si era autoinferta.
“Ce l’avrebbe anche se ti
dovesse aiutare a sotterrare un cadavere, Angie. Ti vuole bene, davvero.” disse
lui semplicemente.
Angie non rispose perché
in quell’istante i suoi occhi avevano trovato dall’altro capo della stanza i
propri gemelli.
I due si andarono in
contro in simultanea. Nel momento in cui si abbracciarono Scorpius poté notare
le mani di Al cingerle la vita con forza, il viso di Angie distendersi
finalmente, non più contratto nello sforzo di nascondere il dolore, che ora
trapelava da ogni tratto delicato, le loro braccia adattarsi perfettamente l’une
alle altre. Il corpo di Albus si chiuse su quello di lei cercando di trarla più
vicino possibile a sé e contemporaneamente Angelique si abbandonò del tutto
contro di lui. Le ginocchia le cedettero e Al la sostenne, sollevandola di
qualche centimetro da terra.
Nessuno al mondo avrebbe
potuto comprendere Angelique come Albus. E questo dato di fatto si manifestava
anche da come lui sapeva, per istinto o per ragione non avrebbe saputo
definirlo, lui sapeva sempre comportarsi con lei. Sembrava che qualcosa nella
remota linea di genoma che condividevano li unisse con trame invisibili.
La blanda gelosia che
aveva provato i primi tempi per quel legame così estraneo alla sua natura era
presto stato sostituito da una consapevolezza molto più rassicurante.
Albus era per Angie cioè
che la terra è per gli alberi, il punto dove ancorarsi e dove trarre energie
per vivere, la casa del cuore senza cui non si può sopravvivere. Era
imprescindibile e basta.
***
Astoria Malfoy aveva un
senso dell’ospitalità tanto profondo che poteva sfiorare quello delle
castellane di epoche remote con schiere di servi per ogni mansione da svolgere,
cosa che in effetti possedeva.
Aveva passato circa
un’ora a raccontare a Scorpius e Albus che cosa fosse successo, dopo di che tre
elfe domestiche erano entrate nello studio in una sequenza ininterrotta di
inchini profondi, affermando che “la signorina Angelique” doveva assolutamente
seguirle perché si prendessero cura di lei.
Quando Angelique aveva
gentilmente declinato l’offerta, le creature si erano scambiate delle occhiate
di vero e proprio panico, una delle tre era corsa con un strillo acuto verso lo
stipite della porta e aveva dato una testata poderosa, cadendo poi lunga
distesa per terra. Le altre due erano state sul punto di imitarla da un momento
all’altro.
Angie era corsa
immediatamente a vedere l’entità dei danni e l’elfa, che per fortuna aveva solo
un grosso bernoccolo rosso sulla fronte, le aveva chiesto con occhi gonfi di
lacrime se non voleva i loro servigi perché non erano abbastanza brave. Nel
frattempo la più grande delle elfe domestiche, quella che sembrava dirigere il
terzetto, si era schiacciata le dita della mano sinistra in uno dei cassetti
del mobile di radica, emettendo singulti di dolore.
La ragazza, pur di far
cessare quella confusione ed evitare che ci fossero ulteriori danni fisici,
aveva ceduto. Sospettava che dietro l’insistenza delle elfe ci fosse lo zampino
di Astoria. In ogni caso era stata condotta lontano dai suoi amici e portata
nella stanza degli ospiti che di solito le riservavano quando era in visita a
Malfoy Manor.
Lì l’attendeva una vasca
fumante e un bagno pieno di vapori profumati alla violetta.
La seconda battaglia di
quella guerra si era svolta sul campo del vestiario e delle abluzioni
personali.
Quando un elfo domestico
diceva di volersi prendersi cura di un essere umano, intendeva che l’essere
umano sarebbe dovuto rimanere immobile con un vegetale e farsi fare ogni
singola operazione, tra cui farsi spogliare, lavare, massaggiare, asciugare,
rivestire e tutto ciò che ci stava nel mezzo.
Angelique ovviamente
aveva protestato vivacemente, infastidita oltre ogni modo da quell’invasione
della sua privacy e dall’idea di farsi servire e riverire rimanendo inerme come
una bambola di pezza, ma vedendo gli occhi delle creature diventare
pericolosamente lucidi, aveva deciso di scendere a patti con quell’esperienza
surreale.
Si sarebbe svestita e
pulita da sola, ma le elfe avrebbero potuto lavarle i capelli e pettinarglieli
per la festa. Con occhiate torve avevano accettato la tregua, premurandosi però
poi di aggiungere anche un trattamento speciale alle sue labbra e alle sue
occhiaie grazie a unguenti che l’avevano rimessa a nuovo, nonché la
ricostruzione delle sue dita, non più bluastre di inchiostro né rosicchiate. Tutte
cose di cui era silenziosamente grata.
Ora Angie si ritrovava
con i ricci intrappolati in un’elaborata acconciatura che glieli teneva
sollevati sul capo, in un misto di forcine, trecce e ciocche arrotolate su sé
stesse.
Angelique aveva appena
indossato la veste da strega beige acquistata per l’occasione (con il
rimasuglio dello stipendio delle Menadi rimastole dopo l’acquisto della Winter
Wind), decorata un delicato ricamo di foglie dorate sulle maniche a tre quarti,
quando bussarono alla porta della sua stanza.
“Avanti!”
esclamò cercando tra una contorsione e l’altra di chiudere gli ultimi bottoni
sulla schiena rimasti slacciati.
Entrò Albus già
pronto nel suo completo nero come la pece che creava uno splendido contrasto
tra la pelle chiara e i capelli mori; al colletto era allacciata una cravatta
perfettamente annodata, sicuramente non opera sua.
Angie si voltò
verso di lui giusto in tempo per scorgere un sopracciglio inarcato sparire
dalla sua faccia.
“Mi dai una mano
o aspetti che mi lussi la spalla?” chiese contrariata.
Albus scrollò le
spalle e si avvicinò.
“Sei carina
pettinata così.” disse Potter infilando rapidamente i bottoncini nelle asole.
“Non dire balle.
Lo so che stai pensando che sono ridicola. Ho fatto un patto con quelle
creature demoniache, ti prendono per pietà e poi ti fanno ciò che vogliono!”
Albus alle sue
spalle emise un risolino tra le labbra, quella pallida imitazione di risata che
faceva quando era assorto nei propri pensieri ma non voleva darlo a vedere.
Lo aveva
percepito sin da quando avevano sciolto l’abbraccio con cui l’aveva accolta,
era come una sottile corrente sottopelle che non voleva saperne di andare via.
Che sapesse
qualcosa di Derek? Che fosse talmente brutto che non trovata le parole?
No. Albus le
avrebbe detto la verità, sempre, a prescindere da quanto dura fosse stata…
“Angelique…” la
chiamò con un’evidente nota di preoccupazione.
Angie si voltò
lentamente col sangue raggelato nelle vene. Chiuse gli occhi, deglutì e inspirò
a fondo prima di parlare col cuore martellante nelle vene del collo.
“Sono pronta.
Di’ quello che sai.” mormorò con fare stoico fissando dritto negli occhi il suo
migliore amico.
“Il tuo vestito
è macchiato.”
“Cosa?”
“Il tuo vestito
è macchiato.” ribadì il ragazzo indicandole con una mano il retro della sua
gonna.
Angie si voltò
di scatto, inarcandosi e cercando di vedere l’entità del danno, ma non
riuscendoci si piazzò davanti alla specchiera e inspirò bruscamente.
Una macchia blu
scuro faceva bella mostra di sé nel mezzo della lunghezza della gonna, della
forma esatta della sua mano destra. Un macchia d’inchiostro che probabilmente
aveva fatto involontariamente in quei giorni maneggiando il vestito dopo aver
scritto le infinite lettere a cui non c’era stata alcuna risposta.
Si trattava
dell’inchiostro incantato apposta per non subire alcuna alterazione né per le
intemperie né per altri solventi, quindi l’idea di farla sparire con un incantesimo
a poco dall’inizio della festa era ridicola. E lei era senza vestiti.
Inaspettatamente
le venne da ridere e lasciò che la risata le prorompesse dalle labbra. Al
comparve nella visuale dallo specchio con un sopracciglio corvino inarcato e
uno sguardo sospettoso.
“Hai una crisi
isterica?” le chiese con fredda lucidità.
Angie scosse la
testa e si morse il labbro inferiore cercando di smettere di ridere.
“Pensavo solo
che l’unico indumento adatto alla situazione che io abbia è il mio mantello… Mi
sono immaginata in biancheria intima e mantello blu a volteggiare tra gli
ospiti dei Malfoy con disinvoltura degna di Nana.”
Questa volta
rise anche lui, immaginando la scena.
Così quando
Scorpius entrò bussando alla porta spalancata li trovò che sghignazzavano
ancora.
Spiegata la
situazione e le dirette conseguenze al giovane Malfoy, questi si passò l’indice
sul labbro superiore meditabondo.
“I vestiti di
mia madre non ti entrerebbero mai, lei è magra e minuta.” Angelique gli lanciò
un’occhiata truce per il paragone con Astoria. Grazie tanto che non le
sarebbero andati bene, la padrona di casa era la metà di lei. “Che c’è? Ho solo
detto la verità.” si difese il ragazzo alzando i palmi.
“Amico stai
peggiorando la tua situazione.” bisbigliò Albus.
“Comunque, forse
ho una soluzione.” aggiunse Scorpius illuminandosi in un sorriso malandrino.
Angelique non aveva mai
visto nulla di smile. Non esistevano negozi che vendessero normalmente merce
del genere, il loro valore era evidente anche per chi ne capiva poco come lei.
L’armadio che le era
appena stato messo a disposizione era un sogno, Dominique probabilmente avrebbe
dato un rene per poter indossare uno degli abiti che stavano appesi alle grucce
di seta imbottite.
Erano vesti da strega
eleganti e raffinatissime, dalle più sobrie alle più suntuose, impreziosite da
ricami finissimi e pietre preziose sugli orli e sui corpetti. Erano tutti fatti
a mano e su misura ovviamente. Guardandole Angie avrebbe detto che la foggia
non era moderna, anzi aveva un retrogusto quasi vintage anche per il Mondo
Magico, ancora abbastanza tradizionale.
“Di chi sono?” chiese la
ragazza in sussurro emozionato sfiorando con la punta delle dita una gonna di
broccato oro.
“Di mia nonna.” rispose
Scorpius.
Angelique istintivamente
retrasse la mano e fece un passo indietro.
Narcissa Malfoy era il
fantasma silenzioso della dimora. Compariva ormai talmente di rado agli
estranei e nelle occasioni pubbliche che sembrava intenzionata a far
dimenticare al mondo la sua esistenza. Viveva nelle sue stanze in un’ala più
appartata del castello, avvolta da un velo di malinconia e dai suoi abiti neri,
come lutto perenne per la morte del marito.
I ritratti sparsi per i
vari saloni la ritraevano nel fiore degli anni come una delle più belle donne
che Angie avesse mai visto. Bionda, dalla pelle eburnea, lo sguardo grigio
ferro altero come quello di un’imperatrice, il fisico longilineo e la bellezza
assoluta che ne faceva il fiore più bello dell’intera collezione di quadri,
Narcissa doveva essere stata una sole radioso tra banali satelliti.
Doveva aver dominato la
vita di società come la naturalezza di chi era stato cresciuto per occupare uno
specifico posto nel mondo.
Angelique l’aveva
incontrata solo una volta prima di allora, quando a tredici anni Scorpius aveva
tanto insistito per presentargliela. Era estate e Angie indossava dei
pantaloncini di jeans con gli orli sfilacciati e una maglietta con un panda che
le aveva regalato Nana. Non aveva mai dimenticato lo sguardo con cui l’aveva
trafitta la donna mentre le porgeva la mano.
L’aveva denudata,
analizzata, valutata e scartata in meno di due secondi.
L’idea quindi di
indossare qualcosa di tanto prezioso e rischiare di rovinarlo, incorrendo nelle
ire di Lady Narcissa, le faceva prendere in considerazione seriamente l’ipotesi
di andare nel salone principale vestita del solo mantello.
“No. Assolutamente no.”
disse Angelique scuotendo il capo, impalcato tanto saldamente che non un riccio
uscì dalla pettinatura.
“Non credo tu abbia molta
scelta.” ribatté Scorpius stringendosi noncurante nelle spalle.
“No. Non posso! Oddio
Scorp guardali… Li farei a pezzi solo scendendo dalle scale. Tua nonna non mi
darebbe mai il permesso.”
“Ciò che mia nonna non
vede, mia nonna non sa! E stasera i suoi occhi non saranno nella sala del
ricevimento, come tutto il resto della sua persona.” ribatté lui facendo
scorrere con decisione un paio di abiti sulla sbarra di legno a cui erano
appesi.
Ne osservò alcuni, li
fece passare avanti e indietro un paio di volte e poi, con una rapidità che ad
Angie risultò incomprensibile davanti a tanta scelta, estrasse dall’armadio un
vestito verde inteso.
La gonna fluttuò per un
istante in aria catturando tra le pieghe della seta ombre scure. Il corpetto
aveva un motivo li libellule dorate che delicate salivano dalle braccia e dai
fianchi diradandosi, come se fossero riuscite a prendere il volo dalle spalle e
dal seno. La scollatura rotonda era ornata da un finissimo merletto di pizzo
crema, così come le maniche lunghe.
“Sei completamente
impazzito.” pigolò la ragazza immaginandosi già il suo elefante latente che le
faceva fare un’entrata in scena memorabile inciampando davanti a tutti gli
ospiti e strappando la gonna.
“Avanti Dursley è solo un
vestito! Mia nonna non lo indossa più da talmente tanti anni che nemmeno se lo
ricorderà.”
Angelique dubitava
seriamente di un’ipotesi simile, ma alla fine cedette, sia per necessità sia
per la banale considerazione che non le sarebbe più capitato di indossare un
abito del genere.
Scoprì ben presto il
costo del suo peccato di vanità.
“Si chiude?”
“Non ancora!”
“Maledizione…”
“Lascia fare a me Al.”
“Scorp forse dovresti
stringere un po’ qui…”
“Oddio… Sverrò.”
“Aspetta forse ora… No
niente. Non si chiude.”
Il corsetto annesso al
vestito. Ecco che cosa teneva impegnati i tre adolescenti nel vano tentativo di
congiungere i lembi di stoffa sulla schiena di Angie.
“Io mi sento morire così.
Scorpius non ce ne sono di più larghi?” chiese la ragazza col fiato corto per
la costrizione a cui tutto il suo busto era sottoposto.
“No, tutti della stessa
misura.”
“E ora che facciamo?”
chiese tranquillamente Albus sistemandosi la cravatta nello specchio.
“Forse dovreste lasciar
fare a chi ne sa di più di voi.” disse una voce musicale e profonda.
Ecco, ora svenire sarebbe
stato un ottimo escamotage per evitare le conseguenze della stupidità del
rampollo di casa Malfoy.
Nacissa era apparsa sulla
porta della stanza con un piccolo elfo appresso dagli enormi occhi neri.
Probabilmente tutto il baccano che avevano prodotto nel tentativo di farla
entrare nella veste verde aveva indotto gli elfi a chiamare la legittima
proprietaria.
“Nonna, ti chiedo scusa
se non ti ho chiesto il permesso. Non volevo disturbarti, so che non ami partecipare
a questa festa. Ad Angelique serviva un vestito e ho pensato che sarebbe stata
bene con uno dei tuoi, ti dispiace che le abbia dato questo?” il tono dolce e
dimesso con cui Scorpius parlò stridette con tutto ciò che Angie conosceva di
lui.
Era un manipolatore nato
e ovviamente sapeva quali tasti toccare con la nonna che lo adorava.
Sul volto severo di
Narcissa, segnato dalle sottili rughe che le percorrevano la pelle come una
ragnatela, spuntò un sorriso lievissimo di divertimento. Anche lei sapeva di
che pasta fosse fatto suo nipote.
“Voi due fuori, sono cose
da donne queste.” ordinò con uno sfarfallio delle dita rivolgendosi ad Al e
Scorpius.
Quando la donna avanzò
con un portamento tanto fiero e ritto che avrebbe fatto invidia a Martha,
Angelique provò l’impulso di fare una riverenza e inchinarsi. I due ragazzi si
smaterializzarono dalla stanza alla velocità della luce, abbandonandola al suo
destino. Angie sentiva le guance scottare per l’imbarazzo di essere stati
scoperti a frugare nelle sue cose e con gli occhi bassi parlò:
“Le chiedo scusa. Non
volevo usare i suoi abiti, solo che il mio è inutilizzabile e la festa inizia
tra poco…”
“Voltati.” la interruppe
senza tante cerimonie l’altra, utilizzando sempre lo stesso tono asciutto, ma
non freddo né sgarbato.
Angie fece come ordinato
e si ritrovò faccia a faccia con la specchiera.
Narcissa Malfoy era poco più
alta di lei e con gli anni sembrava essersi assottigliata come un foglio di
pergamena. I capelli erano ancora molto folti e bianchissimi, pettinati
abilmente con la treccia che le ricava sul petto. Gli occhi grigi erano ancora
intensi come nella sua giovinezza, estremamente espressivi e orlati da forte
ciglia ormai candide.
Sembrava che la bellezza
tanto decanta dai racconti di famiglia e dalle dicerie non avesse voluto
abbandonare la donna, lo scorrere del tempo aveva levigato la sua persona, come
le rocce di un fiume che si schiarivano e consumavano sotto l’impeto dell’acqua
ma che non potevano essere mutate del tutto.
Le sopracciglia chiare si
corrugarono appena mentre con dita agilissime scioglieva i lacci del corpetto,
ammorbidendo quella trappola e consentendole finalmente di respirare. Il
sollievo fu comunque fugace, perché subito dopo con un colpo di bacchetta lo
fece richiudere molto più stretto di prima.
Angelique tossì e inspirò
a fatica un paio di volte.
Non ne valeva la pena,
nemmeno per quell’abito, non ne valeva decisamente la pena. Non avrebbe potuto
mangiare quasi nulla, una vera scocciatura.
“Ti dona questo colore.
Almeno quello sconsiderato ha buon gusto.” commentò Narcissa mentre il lieve
sorriso che associava al pensiero del nipote le ricompariva sulle labbra.
“Grazie.” rispose Angie
guardandosi allo specchio.
In effetti il risultato
era soddisfacente, il seno che era stato impietosamente strizzato da
quell’arnese le affiorava in modo sensuale ma non volgare dalla scollatura e la
vita era stata decisamente assottigliata. Tuttavia rimaneva il problema
dell’orlo dell’abito che era ancora di qualche centimetro troppo lungo.
Narcissa parve seguire lo stesso filo di pensieri perché immediatamente le
osservò i piedi
“Elias, prendi delle
scarpe blu di raso.” disse osservandola con la testa leggermente inclinata.
“Semplici.” aggiunse in un secondo momento.
Il piccolo elfo di cui
Angie si era momentaneamente dimenticata sgambettò per la stanza andando verso
un armadio a parete che si rivelò essere una scarpiera enorme.
Angelique si guardò
attorno per un attimo e notò che lungo le pareti c’erano molte ante che prima
non aveva nemmeno rilevato, probabilmente piene di altri vestiti e accessori.
Era la cabina armadi di una principessa non di una strega.
Infatti Narcissa non
doveva essere stata qualcosa di molto diverso da una nobile negli anni in cui i
Purosangue tenevano in pugno la politica e l’economia del Mondo Magico. Era
stata una Black, poi una Malfoy e infine una condannata alla gogna pubblica.
Forse riusciva a capire perché non avesse più voglia dello scintillio delle
feste; il suo mondo era tramontato, gli ideali che lo avevano fondato, giusti o
sbagliati che fossero, erano stati spazzati via. Di ciò che lei aveva amato e
che aveva costituito la sua vita per anni non restava più nulla, a parte la sua
famiglia che aveva scelto un’altra strada, che si era aperta al mondo e alle
novità, mentre lei si era chiusa nel suo castello.
L’elfo tornò con un paio
di scarpe blu notte con il tacco, come ordinato dalla padrona, e gliele fece
indossare. All’inizio le sembrarono grandi ma in una frazione di secondo si
adattarono ai suoi piedi avvolgendoli come guanti.
Angie alzò sorpresa gli
occhi verso la donna e questa con tono ironico sussurrò:
“Magia!”
Grazie ai centimetri
aggiuntivi l’orlo dell’abito cadeva ora in modo perfetto. Angelique alzò
soddisfatta lo sguardo verso la sua benefattrice e trovò quelli grigi di lei
fissi sulla sua persona.
“Me urit amor.” mormorò
Narcissa.
Angelique colse la citazione,
grazie ai corsi aggiuntivi che Hogwarts aveva imposto alle nuove leve, ma le
rivolse uno sguardo perplesso, non capendo a che cosa si riferisse.
“Quando un amore del
genere ti tocca, vieni marchiato. Prendi fuoco e ti lasci consumare, lasci che
la tua anima venga spogliata e resa fragile. E tu, bambina, bruci.” le spiegò
senza alcuna inflessione particolare della voce. “Oh sì, bruci e ti consumi per
lui.”
Gli occhi di Angelique si
spalancarono di sorpresa e avrebbe pure inspirato rumorosamente se il corpetto
le avesse lasciato la possibilità di farlo.
“Lo sfarzo, la ricchezza,
il potere, il buon nome della famiglia, la libertà, l’onore… Niente vale un
attimo di quello.”
La sua voce si era fatta
lontana come se avesse iniziato a vivere in un’altra dimensione, in cui
probabilmente la sua pelle era fresca e liscia come i petali di rosa e i suoi
capelli erano ancora fili d’oro.
La donna le voltò le
spalle e si avviò verso l’uscita incedendo col suo passo altero.
Angie impiegò qualche
attimo per riprendersi dalle parole della donna ma quando ormai aveva varcato
la porta si sentì in dovere di ringraziarla.
“Grazie.”
Lei voltò la testa sopra
la spalla e chinò appena il capo con un sorriso a fior di labbra. Poi scomparve
nei corridoi bui di Malfoy Manor.
***
Albus aveva stipulato un
patto coi suoi genitori all’età di dodici anni.
Esso prevedeva che ad
anni alterni Al potesse partecipare alla festa di fine anno a casa Malfoy, così
che l’anno successivo sarebbe rimasto con la famiglia alla Tana o a Villa Potter.
Quell’anno aveva rotto le promesse fatte e si era recato da Scorpius subito
dopo che gli erano arrivate in successione le lettere di Angelique e del suo
amico.
E a giudicare dallo stato
in cui era la ragazza appena uscita dal camino con la Metropolvere, nonché
dalla storia che aveva raccontato, era stata la decisione migliore, anche aveva
lasciato la nonna imbronciata.
Albus si era fatto
un’idea precisa di quello che sarebbe successo quella sera e in generale nel
futuro della sua migliore amica, proprio per questo sperava di tutto cuore di
sbagliarsi.
Stavano scendendo le
scale insieme, lui ed Angelique, fianco a fianco. La mano di lei che si era
appoggiata al suo avambraccio era ghiacciata per la tensione e gli occhi erano
corsi immediatamente agli invitati che stavano iniziando ad affollare il piano
terra.
“Angelique ti converrebbe
guardare gli scalini se non vuoi che Narcissa ti insegua fino alle porte
dell’Inferno.” le suggerì dandole un buffetto sulla guancia pallida.
Angie emise uno sbuffo
divertito e si concentrò sul dislivello tra uno scalino e l’altro.
Di comune accordo lui e
Scorpius avevano omesso che tra gli invitati ci fossero sia i Danes sia gli
Schatten.
Durante quei quattro
giorni, Angie non era stata l’unica a mandare lettere a fiotti. Anche lui e
Scorpius avevano comunicato con gli altri ragazzi di Serpeverde per capire come
gestire la situazione. Avevano stabilito tutti insieme, compresa la polemica Nana,
che la cosa migliore fosse tenerla lontana da loro, per scongiurare inutili
sofferenze a lei e una scenata pubblica ai Malfoy. Ciononostante Angelique da
parte sua sperava che il ragazzo o la sua famiglia si presentassero al Manor e
li cercava tra le persone.
L’immensa sala
rettangolare ospitava al suo centro la pista da ballo della stessa forma, tutto
attorno c’erano tavoli sparsi e pietanze di ogni genere. Eleganti camerieri in
livrea volteggiavano tra la folla con un vassoio sospeso sopra le mani offrendo
vino e analcolici.
In men che non si dica si
ritrovarono immersi nella folla di maghi e streghe che erano accorsi per l’annuale
evento al castello nel Wiltshire, Angelique si strinse di più al suo fianco e
si lasciò condurre verso il punto in cui aveva scorto Martha, Berty e Octavius,
che insospettabilmente stava comunicando con una qualche sorta di
partecipazione con la O’Quinn.
Martha era di profilo in
quell’istante, con i riccioli ramati legati in un morbido chignon sulla nuca.
Indossava un paio di perle barocche pendenti come unico accessorio sulla veste
di velluto blu scuro, ma sembravano stregate tanta era la luce che davano alla
sua pelle rosea. E lui, in quell’attimo sospeso prima che lei si rendesse conto
che la stava osservando, guardò con cura i minuscoli dettagli di lei che lo
colpivano ogni volta in modo sorprendente. La curva dolcissima delle sue labbra
quando sorrideva, la misura con cui annuiva per non danneggiare la pettinatura,
gli occhi color del cioccolato che si illuminavano nella risata causatale da
Berty.
Sentì le viscere
torcersi, prendere fuoco e reclamare il diritto di scioglierle i capelli sulla
schiena, incastrando le dita alla base della nuca, dove la pelle era più
sensibile, e farle scorrere delicatamente tra i riccioli disordinati, liberandoli
dalle forcine.
Sbatté un paio di volte
gli occhi e respirò a fondo, ma non fu abbastanza rapido a dissimulare quello
che aveva provato perché accanto a lui Angelique già sogghignava.
Berty li intravide per
primo e alzò una mano nella loro direzione, così anche Martha si voltò facendo
ondeggiare i pendenti. Il suo viso passò velocemente su di lui con freddezza
per poi posarsi su Angelique e sorriderle entusiasta.
Quello che prima si era
animato alla sua vista ora si accartocciò su sé stesso.
Non gli aveva ancora
perdonato la pagliacciata che aveva fatto dopo il Ballo di Natale, glielo
leggeva in faccia come se fosse stato scritto a caratteri cubitali sulla sua
fronte.
“Angelique… Non avrei mai
pensato di vederti un giorno con un corsetto!” disse Martha andando in contro
all’amica e poi aprì le braccia.
Angelique si lasciò
abbracciare chiudendo gli occhi e posando il mento sulla spalla dell’altra.
“Sei strepitosa.” le
disse più piano Martha accarezzandole le schiena.
“Oh, senti chi parla!”
esclamò Angie scostandosi un po’ per osservarla in viso.
Albus si limitò a
salutare Berty e Octavius con un sorriso e un cenno del capo. Loro evitavano
volentieri i convenevoli.
Scorpius era al posto
d’onore insieme ai suoi genitori all’ingresso della villa, per accogliere gli
ospiti e li avrebbe raggiunti solo quando il gravoso compito fosse terminato.
Quindi mancava solo una all’appello.
“Elena?” chiese a Berty
dandosi un’occhiata attorno.
“Con suo padre. Avresti
dovuto vedere che faccia aveva quando è arrivata.” e il ragazzo scosse la testa
castana ridacchiando.
Se era la stessa con cui
stava camminando al seguito di Lord Zabini in quell’istante era notevole. A una
decina di metri da loro Nana camminava al fianco del padre con un la fronte
corrugata e la bocca piegata all’ingiù in una manifestazione di malcontento che
sarebbe potuta essere più chiara solo con le braccia conserte.
La ragione era
sicuramente il vestiario che era stata obbligata a indossare. Una sobria e
seriosa veste nera, dotata di un fiocco in vita, che non minimante l’indole
della giovane Zabini. Tuttavia i suoi capelli avevano una nuova tinta, uno
sgargiante blu elettrico che attirava quasi ogni sguardo quando passava.
Albus guardò con la coda
dell’occhio verso le ragazze che parlavano fitto fitto tra di loro. Martha
teneva tra le proprie mani quelle di Angelique e le mormorava qualcosa con
dolcezza, l’altra aveva il capo chino e annuiva di tanto in tanto. Non sapeva
quale fosse l’argomento preciso, ma sicuramente c’entrava con Derek data
l’espressione della ragazza.
All’entrata del salone
fecero il loro ingresso i tre Malfoy, ultimi a chiudere la lunga fila di
invitati. Gli occhi di Scorpius vagarono rapidissimi nelle più di quattrocento
persone per trovarlo nel luogo di ritrovo che avevano stabilito con gli altri,
l’alcova a lato del camino.
Vi lesse la conferma che
i presentimenti che entrambi avevano covato fino a quell’istante erano la
realtà.
***
Scorpius tornò dalla
missione politica per recuperare Elena vittorioso e grazie al diversivo della
nuova arrivata, abbracciata e confortata dalle amiche per l’infelicità
causatale dalle festività natalizie, riuscì a comunicare con Albus.
Si accostò con
tranquillità e parlò in un sussurro.
“Sono arrivati. Entrambi.”
Albus accanto a lui annuì
e negli occhi verdi passò un sentimento indefinibile tra la rabbia e il
dispiacere, velocemente sgombrato quando notò che le ragazze si stavano
avvicinando.
“Pensavo… Dato che il ricevimento
andrà per le lunghe, come la vedete una gita in giardino?” propose Martha.
“Va bene, io però ho
fame. Prima voglio fare uno spuntino.” disse Nana con tono estremamente serio,
come se si fosse trattato di programmare il lancio di uno shuttle.
Scorpius sapeva
esattamente che uno spuntino di Elena consisteva nella razione media di un
elefante africano.
E sapeva anche che Martha
non aveva proposto casualmente di uscire dal salone i cui confini non erano mai
sembrati a Scorpius tanto ristretti.
Quindi attese con una
certa impazienza che Elena si rimpinzasse di stuzzichini e pietanze varie,
sotto lo sguardo invidioso di Angie che poteva al massimo aspirare a bere il
brindisi di mezzanotte. Pur dovendo essere una tortura, l’abito verde le stava
d’incanto, tanto che non avrebbe saputo dire se attirava più sguardi lei, la
chioma improponibile di Elena o l’eleganza impeccabile di Martha.
Proprio quest’ultima si
avvicinò a lui con un sorriso suadente in viso, quando Elena ebbe terminato di
rifocillarsi, lo prese a braccetto, prestando estrema attenzione a non guardare
nemmeno per sbaglio Albus, e lo condusse verso l’uscita.
“Per quanto ancora hai
intenzione di ignorarlo O’Quinn?” le sussurrò all’orecchio certo di avere gli
occhi di Al piantati nella schiena.
Martha gli sorrise ancor
di più e lo guardò da sotto le ciglia con un’espressione furbesca.
“Oh solo fino a quando
non capirà perché gli desse tanto fastidio l’idea che fossi stata a letto con
suo fratello.” rispose lei.
“Potrebbero volerci mesi
Martha.”
“Non temere. Io so
aspettare.”
***
Se all’inizio l’idea di
allontanarsi dal salone principale di Malfoy Manor non l’aveva entusiasmata per
paura di perdere l’arrivo eventuale di Derek, in realtà poi si era rivelata
un’eccellente distrazione.
Il corsetto dell’abito
era diventato un dolore uniforme e costantemente presente, quindi ci si era
quasi abituata.
Avevano preso a camminare
nel parco sul percorso segnato dalle pietre scure che erano state spazzate
diligentemente dagli elfi per permettere agli ospiti di passeggiare senza
infradiciarsi nella neve. Angelique aveva preso al proprio fianco un Albus
vagamente imbronciato per il trattamento riservatogli da Martha, ma che
comunque si ostinava a negare a sé stesso la natura di quel dispiacere.
Il freddo pungente le
congelava la punta del naso e gli zigomi, mentre le labbra restavano infossate
e protette dalla pelliccia bianca all’interno del mantello.
Nana aveva tirato una
palla di neve in testa a Berty scompigliandogli i capelli e dando il via a una
battaglia tra di loro, che aveva coinvolto incidentalmente anche Octavius.
Angie cercava di godersi
lo spettacolo della campagna inglese congelata in quella perfezione invernale,
il parco illuminato da fiaccole disposte ad arte in grado di dare una luce
morbida e vivida alle statue di ghiaccio che lo affollavano. Tuttavia in fondo
al cuore sentiva un peso sempre più ingombrante sgomitare tra i sentimenti
positivi, pronto a fagocitarli per consegnarla all’angoscia.
Non avrebbe saputo
definirlo in altro modo che un presagio, nulla di concreto o di distinguibile,
solo un’ombra densa e maligna che si proiettava su tutto quello che le
succedeva attorno. E le sembrava che il sorriso di Al, le parolacce di Nana
urlate a squarciagola mentre rincorreva Berty, gli abbracci di Martha, le
parole di Scorpius, ogni frammento non fosse altro che una visione distorta di
ciò che accadeva davvero, quasi che lei lo stesse osservando da dietro un
vetro, incapace di toccarli davvero, isolata nella sua preoccupazione.
Aveva perso la cognizione
del tempo, ma dal freddo insistente che sentiva fin dentro le ossa avrebbe
detto che fosse passato parecchio da quando avevano deciso di allontanarsi.
“Ti senti bene?” la voce
di Scorpius penetrò i suoi pensieri.
Si era appena seduto
accanto a lei sulla panchina di marmo, le prese una mano tra le proprie e la
osservò in modo estremamente diretto, pronto a leggerle in viso la verità.
“Non lo so… Ho delle
brutte sensazioni Scorp. C’è qualcosa che non va, vorrei tornare dentro ti
dispiace?” disse cercando i suoi occhi grigi, fermi e solidi come lastre di
ardesia.
“Vuoi parlarmene?” le
chiese con gentilezza.
Lei scrollò le spalle e
fece un cenno di diniego con la testa. Non aveva senso parlare di qualcosa che
percepiva senza riuscire a identificarlo.
Scorpius rimase in
silenzio per qualche istante, riscaldando attraverso gli strati dei loro guanti
la sua mano, poi emise un respiro più lungo del normale e fissò gli amici
davanti a sé.
“Qualche volta penso che
per noi sarebbe stato estremamente semplice.” subito dopo aver parlato un
sorriso prese vita sulle sue labbra sottili. “Avremmo finito la scuola insieme,
tu ti saresti iscritta a Medimagia, io avrei fatto domanda per qualche
internato al Ministero insieme ad Al, avremmo vissuto insieme in qualche appartamentino
minuscolo a Londra, avremmo invitato i nostri amici a cena. Poi ti avrei
chiesto di sposarmi e, se tu avessi accettato, avremmo celebrato il rito in
questo parco, proprio là dove c’è il laghetto e i salici piangenti…” il suo
braccio si tese verso il punto in cui il ghiaccio scintillava sopra la
superficie d’acqua del piccolo bacino. “Ti avrei amata come mio padre ama mia
madre, onorandoti e rispettandoti ogni giorno della mia vita. Magari avremmo
avuto un figlio, due, cinque, oppure avremmo comprato un pony o delle papere da
mettere nel lago.”
Il cuore di Angie aveva
preso a martellare nel costato con un ritmo folle.
“Avremmo vissuto insieme
fino alla fine e poi avremmo attraversato il confine della morte per
ricongiungerci.” concluse osservando con uno sguardo indecifrabile il laghetto.
“Scorpius…” cominciò lei
con la bocca impastata per l’agitazione. Ma lui alzò una mano per fermarla per
poi riposarla sulla sua.
“Sarebbe stato semplice
Angie. Sarebbe stata la cosa più prevedibilmente romantica che si potesse
pensare, un’intera vita insieme. Ma non sarebbe mai stato giusto per noi. Avremmo
vissuto ignorando che cosa significa amarsi in modo viscerale e totale. Avremmo
passato la nostra esistenza nella fascia protetta della sicurezza di ciò che
eravamo l’uno per l’altra. Credo che infondo non saremmo stati mai realmente
felici, ma solo moderatamente contenti.” si interruppe per riflettere un attimo
e poi finalmente si voltò a guardarla negli occhi.
“E dunque quando penso che
sarebbe stata una vita semplice, se solo lo avessimo voluto, mi rispondo che
esistono persone per cui le cose semplici non sono quelle più giuste o quelle
più coraggiose. Quindi va bene così.”
Scopius le passò un
braccio sulle spalle e l’attirò in un abbraccio delicato, ma solido e
confortante.
“Sarei stata un pessima
Lady Malfoy.” sussurrò Angie sentendo il naso pizzicare per una strana
commozione.
“Lo so.” rispose lui
lasciandola andare mentre gli altri ritornavano verso di loro.
Nana aveva i capelli blu
elettrico completamente fradici e batteva vistosamente i denti, Berty dal canto
suo aveva il mantello completamente zuppo e le labbra vagamente cianotiche.
“Guarda come sei
conciata! Torniamo dentro che ti becchi una polmonite.” esclamò Angie cercando
di alzarsi con i suoi soliti movimenti pratici e spontanei, ma il corsetto le
impediva anche le più banali operazioni. Quindi accettò la mano che Albus le
porgeva e si alzò in piedi.
Vide gli occhi verde
bosco di Nana cercare quelli di Scorpius per poi sentirla esclamare:
“Non se ne parla nemmeno!
Io devo farla pagare ancora a questo vile marrano!” e minacciò con un pugno per
aria il giovane Barrach.
“Non mi pare di essermi
recentemente convertito al cristianesimo dall’ebraismo, mia cara nana.” la voce
di Berty si soffermò in particolar modo sull’ultima parola, per farle intendere
che non era il suo soprannome ma un aggettivo.
Gli occhi di Elena
lampeggiarono di rabbia e poi si assottigliarono a due fessure minacciose.
“Tu… Infido Prefetto dei
miei stivali!” urlò belluina e poi si chinò a terra per raccogliere un’enorme
manciata di neve.
“Dai Elena! Non vedi che
è congelato?” la rimbottò Martha dandole un colpetto al polso perfettamente
assestato per farle cadere la palla di neve già formata.
“Già, sono gelata anche
io.” esclamò Angie strofinando le mani l’una contro l’altra. “Torniamo?”
“Io vorrei allungare ancora
un secondo verso il gazebo. Sono fioriti i Colchi d’Inverno, Scorpius?” chiese
Martha facendo riferimento ad una pianta del Mondo Magico che fioriva attorno a
Natale con splendide corolle indaco e gambi di ghiaccio.
“Non saprei possiamo
controllare se vuoi.” propose l’altro stingendosi nelle spalle.
“Non credo che sia molto
educato da parte nostra passare l’intera festa in giardino invece che nel
salone! I tuoi genitori si staranno chiedendo dove tu sia finito.” insistette
Angie subodorando qualcosa di strano nel comportamento di tutti.
“Secondo me a stento si
sono accorti che non ci fosse più.” commentò Al sfregando le spalle di Angie
per scaldarla.
“Che ore sono?” chiese
ostinata la ragazza.
“Non ho nessun orologio.”
si scusò Berty alzando le mani.
“Tu no, ma Scorpius ha un
orologio da taschino nella panciotto. Quindi Malfoy mi diresti che ore sono per
favore?”
Scopius si slacciò con
calma gli alamari inferiori del suo mantello e infilò una mano nel panciotto ma
quando estrasse il cipollotto dorato, Angie fu più rapida di lui e lo prese tra
le dita facendolo scattare.
“Che cosa?! Sono le
undici? Oh cielo… I tuoi genitori penseranno che siamo degli incivili.”
borbottò prendendo precipitosamente la via del ritorno.
Mentre camminava
arrancando, affaticata dal busto rigidissimo e dalle scarpe col tacco, le
sembrò che i suoi amici fossero particolarmente lenti e che il parco fosse
esageratamente grande.
Nelle feste di Capodanno
a cui aveva partecipato negli anni passati la serata era stata una giostra ininterrotta
di presentazioni e saluti formali, chiacchiere più o meno interessanti con un
numero sterminato di persone. Il fatto che se la fossero svignata poco dopo
l’inizio e avessero passato la maggior parte del tempo in giardino,
costringendo Astoria o Draco a giustificare l’assenza del figlio, la faceva
sentire profondamente a disagio.
Arrivò per prima al
grande portone d’ingresso, spalancandolo con decisione, e lasciò all’elfo che
le si materializzò davanti agli occhi mantello e guanti.
Le sue elucubrazioni
catastrofiche tuttavia vennero presto smentite dalla realtà dei fatti, in cui
nessuno sembrava aver sentito più di tanto la loro mancanza. I ragazzi presero
posto ancora una volta attorno al grande camino, confortati dal calore
scoppiettante delle sue fiamme.
I genitori di Scorpius
passarono loro accanto quasi per sbaglio e li salutarono tutti con il consueto
sorriso cordiale, chiedendo se si stessero godendo la festa, quasi che non si
fossero minimamente accorti della loro fuga; eppure Angie sapeva che nulla
sfuggiva agli occhi da falco di Astoria.
Mentre finalmente i suoi
piedi riprendevano sensibilità nelle scarpette di raso blu, la piccola
orchestra attaccò con il ritmo su cui Angelique aveva imparato a ballare. I
suoi occhi trovarono a metà strada quelli di Scorp che la osservavano con pari
complicità. Era un valzer.
“Balliamo?” gli chiese
avvicinandosi.
La fronte di Scorpius si
corrugò vistosamente, mentre il suo sguardo si assottigliava verso un punto
indefinito della sala.
“Uhm… Scusami ma credo
che ci sia un mio cugino che mi vuole salutare, vieni con me?” Rispose lui
indicando con un cenno del capo il punto osservato prima.
“Tu non hai cugini a
parte Teddy Lupin e Stephanie, la figlia di Daphne. E io non vedo nessuno dei
due.” ribatté lei incrociando ostinata le braccia sul petto.
“In effetti è un cugino
di mia madre, vive in Polonia, è un tipo abbastanza stravagante. Ti piacerebbe.”
“E non lo possiamo
salutare dopo il valzer?” insistette la ragazza, consapevole in un modo
completamente inconscio che in quello scambio di battute c’era un errore, come
una distorsione sonora in una registrazione. Un dettaglio fuori posto.
“Credo che se ne stia per
andare…” disse Scorpius.
“Benissimo, allora mi
cercherò qualcun altro.” esclamò esasperata Angelique e fece per andarsene ma
una mano di Scorpius si chiuse sul suo gomito.
“No!” quasi urlò lui
fermandola.
Mentre si voltava per
rispondergli per le rime, lesse sul suo viso una preoccupazione e una tensione
impossibili da tenere a freno.
“Si può sapere che cosa
ti prende maledizione?! Anzi, che cosa prende a tutti voi?” chiese voltandosi a
guardare tutti che assistevano pietrificati alla scena tra di loro.
Nessuno fiatò, alcuni non
ebbero nemmeno il coraggio di guardarla in viso e una consapevolezza che
avrebbe preferito ignorare si fece largo dentro di lei.
Le stavano nascondendo
qualcosa.
Ruotò su sé stessa e
guardò dritto negli occhi Al. Dritto nell’anima come lui faceva con lei, come
nessun altro avrebbe potuto comprendere.
“Albus che cosa sta
succedendo?” chiese con la voce incrinata dal respiro tremulo.
Gli occhi di Albus
abbandonarono i suoi e si fissarono inespressivi su Scorpius, una maschera di
impassibilità che qualunque politico gli avrebbe invidiato. Non seppe che cosa
si comunicarono, ma quando Al tornò a guardarla qualcosa era mutato sul suo
viso.
C’era un dolore sottile
che trapelava dalla piega della bocca, c’era rabbia mal celata che animava gli
occhi. Poi le sue labbra si mossero e lei comprese quelle parole come se il
tempo si fosse dilatato.
“Derek è qui.”
Il volto di Angelique
perse qualsiasi espressione, la pelle naturalmente chiara parve assumere
sfumature spettrali, il respiro le si spezzò nei polmoni mentre cercava di
riprendersi. Il corpetto era troppo stretto per simili notizie, ora capiva
perché svenissero di continuo in epoca vittoriana. Per un istante le parve di
essere stata svuotata di qualunque energia.
Poi qualcosa in lei si
risvegliò. Il carattere battagliero emerse dalla desolazione degli ultimi
avvenimenti e guardò con uno sguardo veramente terribile Scorpius.
“Dov’è?” il tono era di
una furia sommessa e gelida.
“Angelique non andare.
C’è suo padre.” la pregò Malfoy.
“Tanto meglio. Dov’è? Gli
ha fatto del male?” la sua mano destra corse spontaneamente al polso ma non vi
trovò alcun laccio né alcuna bacchetta. Subito dopo affondò nel tessuto della
gonna di seta rimanendo piacevolmente soddisfatta di trovarvi il legno di
ciliegio della sua arma.
Scorpius l’afferrò per le
spalle ma lei se le levò di dosso con uno sguardo furente.
“Angelique per favore,
rimani qui. Non ti lascerà nemmeno avvicinare, non quando Celia è in questa
stessa stanza e devono preservare le apparenze. Sarebbe capace di avvelenarti
pur di non farti attraversare la sala.”
Sentì il suo sguardo
stringersi a una fessura per quel nuovo dettaglio che avevano celato fino a
quell’istante. Era un tradimento dietro l’altro ai suoi occhi, come se avessero
orchestrato tutto abilmente per manipolarla fin da quando aveva messo piede in
casa.
La sua rabbia si
estendeva a tutti i presenti che avevano taciuto e favorito quell’inganno che
le bruciava come sale sulla ferita aperta che lei aveva mostrato loro senza
alcun tentativo di protezione. Comprese che non avrebbe ottenuto nulla
brandendo la bacchetta contro uno degli ospiti più importanti dei Malfoy, forse
però poteva sfruttarlo a proprio vantaggio. Ripose la bacchetta.
Si avvicinò a Scorpius
tanto da arrivargli praticamente sotto il naso e parlò con voce bassa e fredda.
“Voglio vederlo con i
miei occhi.”
Non c’era alcuna
inflessione di richiesta o di cortesia.
Scorpius spalancò la
bocca per protestare ma poi parve ripensarci. Le offrì il braccio con una
riluttanza che parlava chiaramente per lui.
“Angie…” la voce di Albus
era fioca e poco convinta di quello che stava facendo ma lui la chiamò lo
stesso, chiedendole di tornare indietro.
“No.” disse laconica
senza nemmeno voltarsi.
Forse per una volta in
vita sua avrebbe dovuto ascoltare e accettare i consigli altrui.
Si sarebbe risparmiata lo
spettacolo che ancora le si riverberava nelle palpebre appena chiudeva gli
occhi.
La famiglia Schatten
impeccabile, tutti ineccepibili nei loro abiti da cerimonia, che sedeva insieme
ai Danes allo stesso tavolo, posto abilmente da qualcuno dei padroni di casa nel
punto diametralmente opposto della sala rispetto a quello dove avrebbero dovuto
sedersi loro. In modo che con l’inizio delle danze la possibilità di vedersi
reciprocamente si sarebbe azzerata.
Aveva potuto osservare
sia Charlotte, l’amata sorella di Derek, una ragazza della stessa età più o
meno di Tristan con morbide onde castane sciolte sul vestito giallo pastello,
sia Dehlia la sua matrigna.
Ciò che più le aveva
stretto il cuore a un chicco di riso era stato vedere Derek in perfetta salute,
col solito colorito ambrato, nessun livido né nessuna traccia delle torture che
avevano infestato la sua mente nei giorni passati a testimoniare della violenza
del padre. Il volto liscio e dai lineamenti sensuali accennava appena un
sorriso se proprio la situazione lo richiedeva, ma per il resto rimaneva
completamente inespressivo.
Angie era rimasta
pietrificata ad osservare, mentre il suo cuore sprofondava sempre di più, alla
vista di Celia che lo guardava dall’altro capo della tavola con aria vagamente
imbronciata e di lui che sembrava del tutto assente.
Era tornata più
frastornata di prima, chiedendosi quale fosse il senso di tutta quella scena,
incapace di vederne la ragione.
Ora davanti alle fiamme
del camino osservava le lingue di fuoco innalzarsi verso l’alto riflettendo e
torcendosi le mani in grembo.
“Ti stai distruggendo le
mani. Che cosa dirà la tua insegnante?”
Angelique restò immobile,
con lo sguardo fisso verso le braci incandescenti.
“Sono
arrabbiata anche con te.” rispose vedendo con la coda dell’occhio la chioma
rame avvicinarsi.
“Beh,
sappi che io avrei fatto molto di peggio rispetto a questo per impedire che
vedessi quello schifo.” il tono sprezzante di Martha le causò un lieve sorriso,
che si spense subito dopo.
“Non
ci capisco più nulla Martha.” sussurrò Angie chiudendo le mani a pugno per
smettere di stropicciarle come stracci. “Mi sembra di avere la testa in una
centrifuga. Devo assolutamente parlargli… Ho bisogno del tuo aiuto.”
Si
voltò e cercò speranzosa gli occhi marroni della ragazza accanto a lei.
L’espressione
che aveva in quell’istante le ricordò quando al primo le aveva annunciato che
sarebbe andata nella Foresta Proibita a cercare escrementi di Mooncalf, le
labbra contratte dalla disapprovazione e gli occhi foschi per la
preoccupazione. Proprio per questo le sue parole furono ancor di più una
sorpresa.
“Stanno
per fare il brindisi di mezzanotte, possiamo provarci quando inizieranno i
fuochi d’artificio.”
I
tratti da bambola di porcellana erano induriti dalla determinazione fino ad
alterare la sua fisionomia in un modo definitivo, sembrava molto più adulta dei
suoi quindici anni mentre le lunghe dita affusolate si chiudevano sulla
bacchetta di tiglio argentato, per poi nasconderla tra le pieghe della gonna
con un gesto naturale.
Martha
le fece un cenno con la testa per indicarle di ritornare verso il gruppo di
amici che già stringevano tra le mani i calici ricolmi di vino frizzante.
Angelique
sentiva crescere dentro di sé una tensione sottile e penetrante, come un fischio
ininterrotto, della stessa natura di quello che aveva provato nel parco.
Un
cameriere le depositò tra le mani un bicchiere allungato prima ancora che lei
potesse protestare che non le piaceva per nulla.
Nel
vociare degli ospiti, nelle risate eccitate per l’avvento del nuovo anno, nel
luccichio dei grandi lampadari di cristallo sopra le loro teste, nelle sostegno
che i suoi amici, manipolatori e calcolatori per questo ancor più amabili, le
davano Angie non riusciva a concentrarsi davvero su niente.
Era
come esserci e non esserci davvero, come se riuscisse a percepire il proprio
corpo distaccato e distante dalla mente, che ritornava ossessiva al pensiero di
Derek.
Derek
sotto i ciliegi in fiore a Natale, Derek che camminava al suo fianco, Derek che
la baciava e le sorrideva con una felicità nuova, Derek seduto a tavola col
padre, il sangue di Derek sulla neve del cortile, Derek che dentro i Tre Manici
di Scopa avvolgeva le spalle di Celia in un abbraccio protettivo, Derek che
giungeva al loro chiosco di soppiatto nel silenzio notturno, Derek che
l’abbandonava in infermeria, Derek che le raccontava di sua madre e di Dehlia,
Derek che faceva l’amore con lei…
“Dieci.”
Anche
nel Mondo Magico c’era la buffa usanza di fare il conto alla rovescia. E questo
le ricordò i suoi genitori, della lettera che aveva mandato loro per scusarsi;
chissà come stavano festeggiando?!
Il
loro pensiero la riportò al presente con la forza d’urto di una marea.
Angelique
si guardò attorno e vide che i suoi amici erano accanto a lei quasi a formare
un cerchio protettivo.
“Nove.”
Capiva
perché avessero agito alle sue spalle, non era molto dissimile dal modo in cui
si comportavano loro quando volevano proteggere Nana. Era il modo di volersi
bene dei Serpeverde, un po’ contorto e pieno di contraddizioni viventi, ma
sostanzialmente animato da buone intenzioni.
Le
sue dita affondarono nelle tasche nascoste della gonna per trovare subito la
bacchetta.
La via per l’inferno è lastricata di
buone intenzioni.
“Otto”
Osservò
attentamente i movimenti di Martha per capire quando sarebbe stato il momento
per iniziare ad avvicinarsi.
Accanto
a lei Albus si mosse un poco e lei vide le sue spalle drizzarsi immediatamente.
“Sette.”
Lo
avrebbe aggirato volentieri per osservare a sua volta, se Martha non avesse
scelto proprio quel momento per iniziare a camminare in modo disinvolto ma
abbastanza rapido in direzione di Derek.
“Sei”
Angie
arretrò, lasciando i suoi amici ad osservare la grande vetrata che dava sul
giardino e da cui avrebbero avuto una visione privilegiata dei giochi
pirotecnici.
“Cinque”
Sentì
la tensione aumentare a dismisura mentre seguiva Martha tra gli altri invitati,
cercando di tagliare in mezzo a coloro che fino a poco prima stavano ballando
al centro della sala.
Non
era un’operazione semplice riuscire a farsi strada tra persone che non avevano
alcuna intenzione di cedere il proprio posto convinte che glielo si volesse
rubare.
“Quattro.”
Una
signora con una vistosa pelliccia azzurrina si spostò di lato con riluttanza,
lanciandole uno sguardo un po’ infastidito quando i suoi piedi rimasero
inchiodati al pavimento.
“Tre.”
Martha
avanzò per qualche metro ancora prima di capire che lei non stava più al suo
passo.
Tornò
indietro e quando le fu davanti seguì il suo sguardo.
“Due”
Erano
a più di venti metri da lei.
Li
vedeva come si osserva il cielo quando ci si immerge in acqua e si sta sul
fondale a osservare le distorsioni delle onde. Li vedeva e non poteva credere
di ciò che i suoi occhi le mostravano.
Celia
stava abbracciata a Derek posando la testa sulla sua spalla. Derek aveva un
braccio attorno alla vita sottilissima di lei.
Erano
così vicini che il naso di Celia sfiorava la mandibola del ragazzo quando
respirava.
“Uno”
Le
sue gambe non rispondevano più, né le sue braccia, niente di lei lo faceva.
Il
viso di Celia si sollevò baldanzoso e con un sorriso estasiato prese
delicatamente il bavero della giacca di Derek.
“Buon
Anno!”
Non
lo sentì, nelle orecchie aveva il fischio acuto del presentimento e del panico
ora completamente reale. Non lo sentì affatto nel boato di urla e risate, ma lo
lesse sulle labbra a cuore di Celia prima che si posassero su quelle di Derek
in un bacio appassionato.
Buon Compleanno Angelique. Si disse in un ultimo barlume di sarcasmo.
E
poi non ci fu più nulla né da sentire né da vedere né da respirare.
Ci
fu il buio.
***
Avrebbe
pregato mesi prima perché Angelique fuggisse a quel modo da una sala che
ospitava anche Schatten. Ora tremava per ciò che Martha gli aveva raccontato.
Le
sue gambe si muovevano al massimo della velocità concessa dal vestiario. Si
erano sparpagliati per il castello, alla sua ricerca, ma solo lui sapeva dove fosse.
Uscì dal grande portone d’entrata e non si stupì di vederla lì, inginocchiata
nella neve.
La
pettinatura elaborata era stata sciolta da mani rabbiose, lasciando incompleta
l’opera con ancora trecce attaccate tra loro e forcine sparse qua e là nella
neve. I suoi capelli dorati erano sparpagliati tra il verde della seta della
schiena.
Albus
notò che i respiri erano troppo rapidi, troppo violenti per consentirle di
respirare davvero.
Riprese
a correre e le arrivò alle spalle, chiamandola per nome, ma Angie non rispose.
Emise solo delle specie di singulti bruschi e interrotti.
“Toglimelo!
Toglimelo di dosso o lo strappo!” non le aveva mai sentito una voce simile,
macchiata dall’isteria.
La
sua mano destra corse alla schiena cercando il nastro che chiudeva il vestito
senza trovarlo e arrancando ancora più freneticamente per liberarsi.
Albus
si inginocchiò e aprì la veste per rivelare l’incrocio di lacci bianchi
sottostante.
“Ti
prego, non respiro.” la voce di Angelique era ora debolissima e frammista di
lacrime che le erano cadute sulle guance, mezze ghiacciate per il gelo.
Le
sue mani corsero al fiocco alla base della schiena e lo sciolsero, consentendo
alla sua cassa toracica di espandersi finalmente e al corsetto di allentarsi.
Angelique emise un rantolo e si afflosciò su sé stessa, cadendo di lato e
rivelando ad Albus lo scempio che aveva operato sulla sua mano sinistra.
Un
bicchiere, Dio solo sapeva perché se lo fosse portato fin nel parco, giaceva
per terra rotto e con rivoletti rossi sulla superfice trasparente. La sua mano
era ricoperta di sangue e stretta a pugno.
Albus
la prese con delicatezza e la obbligò ad aprirla.
I
respiri di Angie avevano lo stesso rumore crepitante di quando si calpestano le
foglie d’autunno. Minuscole fratture dentro di lei.
C’erano
molteplici tagli da cui sgorgava ancora il sangue, ma ciò che lo spaventò fu il
frammento di vetro conficcato nel monte di venere, lo spazio sottostante al
pollice, più tutti gli altri minuscoli pezzi che si erano incastonati nella sua
pelle.
Lo
tolse con la massima delicatezza e durante l’estrazione Angie socchiuse appena
gli occhi, ma non ebbe altra manifestazione di dolore. Tamponò la ferita con la
neve per fermare il sangue e poi le fasciò la mano con la propria cravatta.
Angelique
restava immobile nella neve, gli occhi vitrei e completamente persi, ormai
incapaci anche di piangere. Si stava dissanguando in un modo impercettibile
alla vista, ma talmente evidente che lo percepiva solo standole accanto.
E
tentò come meglio poteva di arrestare l’emorragia dentro di lei.
Albus
le mise un braccio sotto il collo e uno dietro le ginocchia, la attirò a sé con
un certo sforzo perché era un peso morto, come se fosse svenuta. Riuscì a
sollevarla quel tanto che bastava per stringerla al proprio petto e tenerla
lontana dalla neve, riscaldandola come poteva solo col suo corpo.
Non
seppe nemmeno quanto rimasero così prima che Nana e Berty li trovassero.
Ciò
che percepì per tutto il tempo che le sue braccia sostennero il peso del corpo
di Angelique fu che qualcosa si era rotto in modo irreparabile. Qualcosa dentro
di lei era morto.
Note
dell’autrice:
Mi
preparo al linciaggio pubblico o eventualmente all’esultanza dei più. Inutile
dirvi quanto da questo momento in poi per me sia stato difficile scrivere e
immedesimarmi in ciò che succede.
Comunque
vorrei ringraziare in modo speciale: Cinthia988
e Leo99. per le splendide
recensioni lasciate.
Vi
mando tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 25 *** Cap.25 Silenzi ***
cap.25
Cap.25
Silenzi
Senti
quella pelle ruvida,
un gran freddo dentro l’anima,
fa fatica anche una lacrima a scendere giù.
Ci sono silenzi che colmano il tempo, romperli
significa incrinare una bellezza istantanea, troppo fragile.
Ci sono silenzi che opprimono in modo soffocante. Si
potrebbe preferire anche lo stridere di un gessetto sulla lavagna piuttosto che
continuare a tacere.
Ci sono silenzi pieni di una rabbia così bruciante che
basta il minimo urto a causarne l’esplosione.
E poi ci sono silenzi invalicabili.
Sono della stessa materia di cui è fatta l’assenza,
sono una coperta di vuoto attorno a chi li erige. Non li puoi toccare, non li
puoi sentire. Servono a lasciare fuori il mondo, per non venirne sfiorati
nemmeno per sbaglio.
Angelique non voleva sentire.
Appariva lampante agli occhi di Martha come anche nel
più piccolo gesto, dal rispondere alle domande di Incantesimi, al cercare il
boccino durante gli allenamenti di Quidditch, Angelique cercasse di essere il
meno presente possibile.
Quando Albus aveva varcato la soglia di Malfoy Manor,
riportando indietro Angie tra le proprie braccia tese per lo sforzo di reggerne
il peso, Martha aveva visto il vuoto dentro la sua amica. Lo aveva percepito a
un livello così profondo che con ogni probabilità i suoi poteri erano entrati
in gioco involontariamente.
Semisvenuta, fradicia di neve, con le labbra scurite
dal freddo, la mano sinistra che penzolava nel vuoto fasciata alla bell’e
meglio e incrostata di sangue, Angelique era comparsa nel salone come un
fantasma pallido e inconsistente. Non aveva reagito in alcun modo quando erano
accorsi tutti sbraitando verso di lei, compresi i signori Malfoy sinceramente
angustiati per la sua scomparsa. I suoi occhi socchiusi erano rimasti vitrei e
asciutti, la bocca sigillata, le membra immote.
Lady Astoria aveva organizzato in men che non si dica
tutti, spedendoli chi in cucina, chi nel suo piccolo studio dove teneva i
medicamenti, chi a far luce nella stanza di Angie anticipandoli.
Scorpius aveva dato il cambio ad Albus, che ormai
tremava nel tentativo di trattenere l’amica vicina a sé, e l’aveva portata su
per le scale e poi nella camera a lei assegnata, dove aleggiava un tepore
confortante.
Solo nel momento in cui Astoria aveva tentato di
svoltare la benda improvvisata con la cravatta di Al per curare lo squarcio nel
palmo e le altre ferite, Angelique aveva dato il primo segno di vita. Le sue
dita si erano chiuse con tutta la forza e la tenacia di cui era capace su se
stesse, il sangue aveva ripreso a scorrere tanto da gocciolare sul copriletto
su cui l’avevano adagiata.
La madre di Scopius aveva provato di blandirla con
parole dolci e rassicuranti, ma Angelique era già scivolata in un luogo
inaccessibile a chiunque. Non sentiva nessuno, non voleva nessuno, sembrava che
l’unica cosa in grado di toccarla fosse il dolore causatole dalla sua ferita.
Dopo minuti di in cui avevano provato in ogni modo a
farla cedere, pure forzando la sua presa, l’unica soluzione era stata quella di
addormentarla con un incantesimo. Le sue palpebre erano calate e finalmente le
sue dita si erano sciolte, rivelando un taglio che quasi arrivava all’osso,
sporco e frastagliato.
Nana aveva trattenuto il respiro e i suoi grandi occhi
verde scuro si erano riempiti di una tristezza insondabile. Il sangue non era
mai stato un problema per la giovane Zabini fino a che sua madre non si era
suicidata, lasciandosi morire dissanguata in una vasca. A Martha invece la
vista del fluido rosso rubino aveva dato come di consueto un capogiro
prepotente, testimone della sua repulsione per il sangue, eppure non si era
allontanata di un millimetro. Aveva accettato la mano di Scorpius che l’aveva
sostenuta mentre il respiro le si calmava e il cuore smetteva di schizzare
contro le costole.
Astoria aveva ripulito e disinfettato metodicamente,
richiudendo i lembi del palmo di Angie con essenza di Dittamo. L’unico residuo
era stata una striscia sottile e rosata sulla sua pelle chiara.
Draco aveva donato ad Angelique un sonno senza incubi
e senza sogni, per concederle almeno per quella notte l’illusione del riposo.
Poi se ne erano andati entrambi, lasciandoli soli a vegliare su di lei.
Nel silenzio della prima notte di un anno nuovo,
ironicamente il compleanno di Angelique, le si erano disposti attorno, di modo
che se si fosse svegliata li avrebbe trovati. Martha e Elena si erano distese
accanto a lei sul letto, gli altri tre si erano disposti su altrettante
poltrone e avevano atteso nel lieve chiarore del fuoco che il sonno il
visitasse.
Nessuno aveva avuto voglia di parlare, nessuno aveva
rotto la calma rarefatta in cui tutto sembrava congelato, così avevano
ascoltato i respiri altrui e si erano lasciati assorbire dai propri pensieri.
Martha ricordava di aver ceduto alla stanchezza in un momento imprecisato della
notte, troppo tardi per riposare davvero, troppo presto per godere dello
spettacolo dell’alba.
Quando si erano svegliati il giorno dopo Angelique non
c’era.
L’avevano ritrovata dopo qualche minuto di panico,
seduta nelle cucine del Manor con una tazza di tè fumante e una sigaretta
accesa tra le mani. Apparentemente nulla di lei tradiva le reali emozioni, se
non quello che Martha aveva intravisto la sera precedente e che ormai aveva
gettato radici in lei.
L’assenza.
Il vuoto.
Il silenzio.
Angelique era stata inghiottita da se stessa.
Il ritorno a scuola non aveva cambiato le cose, anzi
forse i vari diversivi tra cui il recupero in extremis dei compiti, la musica e
lo sport le avevano dato ulteriori spazio di evasione.
Martha era rimasta ancor più stupita quando Tristan,
il fratello scalmanato e testa calda, l’aveva cercata subito dopo la fine delle
vacanze e lei lo aveva liquidato con freddezza…
Escono
in gruppo compatto dalla Sala Grande, cercano di parlare del più e del meno
come nei giorni precedenti ma Angelique non partecipa. Elena la prende a
braccetto per camminare nel breve tragitto tra il tavolo della cena e la Sala
Comune, ma proprio mentre varcano il portone alto quattro metri i suoi occhi si
sgranano e automaticamente la sua mano ondeggia in aria in un saluto stupito.
Martha
si volta nella stessa direzione e i suoi occhi incontrano una chioma scurissima
di ricci corti. Gli stessi boccoli che ricadono sulla schiena della sua amica
ma tanto oscuri quanto quelli di Angelique sono luminosi.
Tristan
si fa avanti, magrolino e agile, con il viso pallido alterato dalla tensione
che avvicinare sua sorella in mezzo a tutti quei Serpeverde alteri e più grandi
gli causa, o così almeno Martha interpreta la piega dura delle labbra e
l’espressione guardinga. Cammina verso di loro guardando fisso un punto
indeterminato alle loro spalle.
“Ciao
Arpia. Potevi almeno avvisare prima di dare buca a tutti quanti.” L’apostrofa
immediatamente quando Angie lo guarda.
“Ciao
Tristan. C’è una ragione in particolare per cui mi stai importunando?” nemmeno
gli attacchi diretti di suo fratello che normalmente la mandano in
autocombustione hanno il potere di scalfirla. Il tono rimane indolente.
I
lineamenti dolci e ancora un po’ fanciulleschi del ragazzo si induriscono ancor
di più e con un profondo respiro, come a prendere coraggio, apre la bocca. Poi
la richiude e solo dopo un paio di secondi si decide.
“Devo
parlarti.” Dice tra i denti, come se gli costasse davvero ammettere di avere
bisogno del suo aiuto. Ma lei non se ne accorge.
“Beh
sbrigati, devo andare a finire il tema di Trasfigurazione, non ho molto tempo.”
Sui
suoi zigomi si spande un leggero rossore, Martha non saprebbe se di rabbia, di
frustrazione o di disagio, però quando il suo sguardo si distoglie bruscamente
dagli occhi di Angie capisce che è tutto insieme. Quel ragazzino non sta bene,
si trova a riflettere mentre ne osserva i pugni serrati lungo i fianchi.
“Riguarda
la mamma.” Sputa con altrettanta riluttanza.
Il
gelo di Angelique sembra incrinarsi a sentir nominare Elenoire. Dopo l’ultima
lettera di rimproveri piena di delusione Angie ha inviato una lettera di scuse
a cui non c’è stata alcuna risposta.
“Quindi?”
esclama lei con un velo di impazienza.
Tristan
li guarda tutti male da sotto le sue folte ciglia nere, con occhi azzurri
penetranti e rabbiosi.
“Noi
andiamo allora…” dice Martha tentando di oltrepassarli, ma la mano di Angie
artiglia il suo polso e la costringe al suo fianco con una forza inaspettata.
“No.
Parla Pidocchio.”
Martha
la osserva allibita, nonostante il suo soprannome Angelique non è mai stata
ingiustamente cattiva con nessuno, non ha mai infierito gratuitamente qualcuno
su che si mostrasse indifeso. E le sembra così evidente che lei voglia ferire
suo fratello in quel momento che non riconosce la sua amica.
“Va
bene!” esclama esasperato Tristan e torna a guardarla ora evidentemente
arrabbiato. “La mamma non sta bene Angelique. Ha qualcosa di strano, è stata a
casa molto più del solito durante le vacanze…”
“Magari
ha chiesto dei permessi.”
“Estelle,
che, nel caso te ne fossi dimenticata, è la sorella a cui avevi promesso che
saresti tornata, mi ha detto che ha visto la mamma piangere abbracciata a
papà.”
“Potrebbe
essere morto uno dei suoi pazienti. Succede ai chirurghi.”
Il
tono di Tristan cresce in esasperazione all’ennesimo ribattere della sorella.
“È
dimagrita tantissimo, ha delle occhiaie da spavento e quando ha scoperto che
non c’eri a Natale è sembrata quasi disperata.”
“Sono
tutte cose irrilevanti. Ha avuto un periodo stressante, saranno successe cose
brutte in ospedale e avrà chiesto di restare un po’ di più con la sua famiglia.
Hai finito?”
“No.”
Le
getta addosso una busta bianca su cui è vergato il suo nome, che riesce a
prendere al volo nonostante la sorpresa.
“Sei
una stronza.”
Un
angolo della bocca di Angie si solleva appena, sembra quasi soddisfatta
nell’osservare suo fratello allontanarsi correndo.
Martha, seduta sul suo letto, stava cercando di
eseguire i suoi esercizi di Occlumanzia e decise di escludere dai suoi pensieri
proprio quel ricordo e quello della notte di Capodanno.
Il rumore scrosciante della doccia in bagno si estinse
e dopo poco Angelique emerse dalla porta in una nube di vapore. I capelli
bagnati le ricadevano sulle spalle e sulla schiena, scuriti e resi lisci
dall’acqua, gocciolando sul pavimento di granito.
La ragazza si mosse coi piedi scalzi verso il
caminetto acceso, il corpo avvolto solo dal telo di spugna, poi si sedette
davanti alle fiamme verdi, non abbastanza vicina per asciugarsi, visti gli
spifferi gelidi che popolavano i Sotterranei come piccoli fantasmi. E lì rimase
per parecchi minuti finché la pelle nuda delle sue spalle e delle sue braccia
non si velò di una pelle d’oca evidente anche a lei che le era lontana.
Martha si domandò se in quei momenti Angelique
desiderasse solo congelarsi restando immobile o se desiderasse che qualcuno le
porgesse una coperta. Quando però un brivido serpeggiò lungo la schiena
facendola tremare, la rossa sentì i suoi piedi posarsi a terra e muoversi
spontaneamente verso lei.
Si sedette alle sue spalle e in un gesto che per loro
era abitudine consolidata da anni, estrasse la bacchetta e rivolse un getto di
aria calda contro le ciocche fradice e fredde. Il tepore sollevò i suoi muscoli
dalla contrattura per il freddo e quasi subito le spalle assunsero una posa
meno tesa.
“Grazie.” Sussurrò Angelique sfiorandole una mano con
la sua, per poi fuggire via subito dopo.
“È un piacere. Mi rilassa, lo sai.” Rispose lei
sollevando alcune ciocche per poterle asciugare meglio.
Mentre i capelli riprendevano la propria forma e si
schiarivano nel biondo grano, Martha osservò di traverso il suo viso immobile.
I tratti erano tanto fermi da sembrare incisi nella pietra, i suoi occhi erano
fissi sul fuoco, ma dentro di essi non c’era alcuna attenzione al presente,
erano completamente proiettati indietro. Martha sapeva che non avrebbe dovuto
chiedere, ma non riusciva a risparmiare anche i più piccoli tentativi di
comunicazione.
“A che pensi?” sussurrò piano, con tutta la calma e la
dolcezza necessaria a farle capire che avrebbe potuto non rispondere.
Angelique si voltò lentamente verso di lei e la guardò
con gli occhi cerchiati da occhiaie, vuoti in un modo sconsolante. Deserti
asciutti di pensieri vischiosi e oscuri, che le avvinghiavano l’anima di una
tenebra tenace.
“Ai ciliegi.” Rispose lei per poi tornare ad osservare
le fiamme lambire la cappa del camino.
Martha afferrò la coperta verde che penzolava dal
letto mezzo disfatto di Elena e la drappeggiò sulle spalle di Angie.
Pensò, mentre anche i suoi occhi venivano attirati dal
fuoco, che alle volte un’amica non può far altro che sedersi accanto all’altra
e attendere insieme che racimoli la forza necessaria a rimettersi in piedi.
***
Quel
dolore che non sai cos’è,
solo lui non ti abbandonerà, mai.
Il conforto maggiore e più intimo che James avesse
nella propria vita era la poesia. Chiudere la porta della propria stanza e
aprire un libro significava salvarsi dal buio, avere la certezza che qualunque
cosa fosse successa non sarebbe mai stato solo, che avrebbe potuto vivere
milioni di vite oltre la propria.
Le parole erano la sua linfa, le rime le sue ali.
Per questo ogni eventuale tentativo di interrompere i
suoi voli solitari, ogni ingerenza nella costruzione delicata di mondi di carta
semplicemente non veniva ammessa.
La fine delle vacanze era stata forse peggiore di
quello che aveva immaginato. Il mormorio incessante sui fatti di Natale, la
verità su quello che era successo davvero riportatagli da Dominique, le
occhiate in tralice che sentiva come punteruoli sulla nuca gli avevano dato
abbastanza materiale per convenire con se stesso che avesse bisogno di starsene
un po’ per i fatti suoi.
La rabbia e il rancore che provava per Derek avevano
assunto la forma di un mutismo ostinato e ininterrotto nei suoi confronti. Non
avendo nulla da riferirgli se non insulti aveva deciso che fosse più signorile
lasciarlo a macerare nella sua solitudine, che puzzava di disperazione lontano
un miglio. Dal parte sua Derek non aveva ancora tentato di chiarire, coscio
delle proprie responsabilità.
Il povero Fred Weasley suo amico, cugino e compagno di
squadra aveva più volte tentato di migliorare il suo umore trascinandolo alla
Buca, la stanzetta dove nel corso degli anni avevano creato, con alcuni amici
di altre Case, una sorta di circolo, comprensivo di bisca clandestina e
alcolici forniti dalle Menadi, con scarsi risultati.
In verità gli sembrava che nessuno tra i suoi amici e
i suoi famigliari sapesse esattamente come comportarsi né che cosa pensare
riguardo al poligono tra lui, Angie, Derek e Celia, quasi più di tiro che
geometrico, in cui il cecchino Danes li aveva centrati tutti con mira perfetta,
dritti nel cuore. Ma James, l’amabile caciarone di famiglia, il farfallone come
diceva spesso Dominique, non aveva sentito fino a quel momento alcuna voglia di
tirarli fuori dall’impaccio.
Li abbandonava alle proprie congetture e che
pensassero quello che meglio credevano.
Lui aveva abbastanza da fare a gestire i propri
sentimenti, proprio come in quel momento.
Era un Sabato della Memoria, il ritrovo famigliare di
tutti i cugini che si teneva da anni nella sala circolare dedicata ai membri
dell’Ordine della Fenice caduti nelle guerre contro Voldemort. Il testimone di
responsabili dell’organizzazione di quelle serate era stato passato a Lucy e
Fred, i più grandi, che tentavano di tenere alto l’onore del ruolo di
capofamiglia.
Le coperte morbide erano state stese sul pavimento e
Fred stava disponendo le torte nel preciso ordine impartitogli da Lucy e da
Dominique, che per sua natura adorava dirigere e organizzare gli altri in
funzione di una festa, a prescindere che si fosse trattato di uno spuntino di
mezzanotte o di un evento per cento persone. Lily e Tristan stavano rincorrendo
Hugo, travolgendo chiunque si fosse posto sul loro cammino. Ma James seguiva i
movimenti di qualcun altro.
L’aveva sentita entrare nell’esatto momento in cui
aveva superato la porta con la sigla “Memento” incisa a fuoco. Aveva
riconosciuto i suoi passi insieme a quelli di suo fratello per la stupida, infantile
abitudine sviluppata da quando aveva dodici anni dell’aspettarla in un
corridoio deserto, in un angolo cieco, in un cortile innevato con la scusa di
uno scherzo e con la speranza di toccare la sua vita solo per pochi istanti.
Ora gli sembrava ridicolo. E patetico.
Per questo aveva voltato le spalle a Gigì, che
procedeva al fianco di Al, e si era spostato dalla parte opposta della sala a
intrattenere discussioni vivaci e assolutamente noncuranti con chiunque fosse
stato disponibile. In quella stanza i dipinti erano parecchi quindi il diversivo
era stato efficace.
Eppure non riusciva a impedirsi di seguire i suoi
movimenti con la coda dell’occhio, percepire le brevi conversazioni a cui
partecipava, a un certo punto si era pure reso conto di sperare che lei si avvicinasse solo per poterla respingere con
quanta più acidità possibile.
Ovviamente lei si era tenuta stretta al fianco di
Albus come se fosse stata una cozza sullo scoglio.
L’unica volta in vita sua in cui era stato veramente
arrabbiato con lei, la cosa si era sciolta in un mar di birra sprecata e un
patto che aveva causato più danni di una bomba all’idrogeno.
Quello che però aveva preso vita dentro di lui da
quando si erano confrontati dopo il Ballo di Natale era un sentimento diverso.
Era viscerale e incontrollabile.
Non riusciva a capire come gestire quella voglia di
urlarle addosso, il desiderio di ignorarla fino a dimenticare il suo nome, l’impulso
violento di baciarla e forzarle le labbra martoriate, piene di ferite, morderle
fino a sentire il sapore del suo sangue sulla lingua.
Generalmente quando si sorprendeva a formulare questo
genere di immagini si malediceva da solo, provando in ogni modo a seguire il
proposito formulato a Natale.
Lasciarla andare.
Lasciarla andare, per liberarsi anche di quella rabbia
che lo rendeva così lontano da tutto il resto e che alterava il suo sguardo sul
mondo.
Fu così che quando la mano delicata di Dominique si
posò sulla sua spalla e lei gli disse che era tutto pronto, fece un profondo respiro
e si avviò con calma verso il posto che gli avevano lasciato, fermamente
intenzionato a continuare a non guardarla.
E funzionò. Insospettabilmente funzionò per circa
mezzora, in cui la sua ostinazione venne avvantaggiata dal fatto che gli unici
due interventi che Angelique fece erano brevissime risposte alle domande di
Rose per lei.
James era quasi riuscito a smettere di avere le
antenne sempre drizzate nella sua direzione quando Al rovinò tutto.
“Angelique!” esclamò suo fratello con tono allarmato.
La testa del ragazzo scattò come una molla nel punto
in cui sapeva perfettamente che lei era seduta. Infatti la trovò con le gambe
raccolte da un lato a causa della gonna e una mano vicina al ginocchio sospesa
in aria. La guardava con un’espressione perplessa, come se non riuscisse a spiegarsi
che cosa ci facesse quella cosa strana con cinque dita attaccata al suo polso.
Poi un rivoletto scarlatto disegnò una scia di sangue
dal polso all’avambraccio, un contrasto mirabile contro la sua pelle bianca. Si
era tagliata con il coltello portato per le torte.
Albus le prese la mano e le tamponò la ferita sul
palmo con un fazzoletto, borbottando che non poteva maneggiare i coltelli in
quel modo e altre cose simili.
Mentre tutti gli altri riprendevano a parlare
rincuorati che non fosse nulla di grave, James invece osservò l’espressione
incupita di Al e quella stralunata di Gigì, che docilmente lasciava il proprio
arto alla scarsa esperienza di Albus in fatto di ferite. Lei, che quando aveva
avuto il viso spappolato da un Bolide quasi non lo aveva lasciato avvicinare…
La conferma che quel taglio, in un punto che non aveva
alcuna logica che venisse ferito mentre si serviva una fetta di torta, avesse
qualcosa di sbagliato gli venne data da Gigì stessa.
La ragazza smise di guardarsi la mano e alzò piano il
viso verso il suo, percependo il suo fissarla insistentemente.
Lo osservò dapprima senza alcuna espressività, poi tra
i suoi lineamenti dilagò un’espressione di colpa così chiara e forte,
un’ammissione così lampante, che anche James si sentì a disagio. Gli occhi
verdi si abbassarono verso il piatto che stava davanti a lei proprio nel
momento in cui Albus le restituiva la sua mano.
La porcellana bianca era intonsa, senza nemmeno una
briciola sopra.
***
Uno dei compiti di un bravo Capofamiglia era
assicurarsi che ogni Sabato della Memoria si concludesse senza punizioni o
vittime di Gazza.
Lucy, che prendeva assai più seriamente questo punto
che non la sua intera carriera scolastica, si applicava con grande dedizione
alla causa. Per questo organizzava i turni per entrare ed uscire dal loro punto
di ritrovo con la precisione riservata solo alle questioni che riguardavano le
Menadi.
Nessuno dei suoi cugini si sarebbe trovato nei guai
fidandosi di loro due, Fred e Lucy, così come lei non aveva mai temuto nulla
quando Roxanne e Victoire si occupavano di quelle serate di famigliarità
condivisa.
Fece particolare attenzione quella volta a tenere ben
distanziati James e Angelique.
Nei primissimi giorni in cui il brusio sul quello
strano incrocio di vite era stato incessante, Lucy ne aveva sentite di tutti i
colori; c’era chi raccontava di aver visto Angelique Girard Dursley e Derek
Schatten comportarsi come una coppietta, mangiando allo stesso tavolo,
tenendosi per mano e scambiandosi sguardi dolci; c’era chi non ci credeva
perché non era possibile lasciare uno come James Potter per incasinarsi la vita
con la Regina di Cuori e il suo zerbino biondo; c’era chi sosteneva che la
Dursley avesse fatto il doppio gioco e che poi fosse stata scoperta; c’era chi,
con evidente soddisfazione e una scintilla di speranza finalmente riaccesa,
raccontava che James si fosse reso conto che la Principessa di Ghiaccio non
faceva per lui e l’avesse lasciata, così lei si fosse consolata con Schatten…
Tirando le somme e confrontandosi anche con la sorella
di uno dei diretti interessati, Lucy aveva deciso che c’era un’unica persona in
tutta la scuola in grado di poterle dare la versione dei fatti più attendibile.
Così lei e Lily avevano attirato il Generale nel
quartier generale con una scusa banalissima su uno dei suoi balsami per i
capelli e lì le avevano chiesto che cosa fosse realmente accaduto.
Dominique aveva fatto una blanda resistenza, ma poco
dopo le si era sciolta la lingua e aveva spiattellato tutto quello che sapeva,
visto che comunque erano parte della famiglia e si fidava abbastanza di loro, (c’era sempre da tener presente che si parlava
di una Serpeverde).
Probabilmente Dom sentiva il bisogno di condividere
con qualcuno di cui avesse un minimo di fiducia le sue preoccupazioni e le conseguenze
del suo geniale piano, quindi Lucy
aveva cercato di ascoltare tutto senza formulare giudizi a priori.
Ed effettivamente nemmeno dopo aver sentito tutto, era
riuscita a puntare il dito sul colpevole. O meglio il colpevole c’era eccome
per lei ed era quella creatura demoniaca della Danes.
Tuttavia non riusciva a incolpare Angie, sapendo per propria esperienza che
cosa si fosse in grado di fare per chi si amava. Perché ormai, con non pochi
sbuffi interiori di disappunto, ammetteva a sé stessa la verità inconfutabile
di amare Benjamin.
Lily invece aveva preso una posizione molto più netta
e insospettabilmente a favore di suo fratello James. Era così arrabbiata per
come Angelique lo aveva trattato e per come lo aveva visto durante le vacanze,
che aveva proposto di licenziarla dal suo ruolo di Alchimista e rinunciare alle
sue abilità.
Lucy, Dominique e Rose avevano dovuto calmarla e farla
ragionare sulle implicazioni, non solo pratiche delle Menadi ma anche
affettive, che una scelta del genere avrebbe portato con sé.
Mentre rimuginava sulle tensioni crescenti nella sua
famiglia e su come cercare di quietare gli animi, Lucy aveva tolto gli
incantesimi di protezione dalla zona attorno alla stanza dell’Ordine della
Fenice e aveva riportato le cose prese in prestito dalle cucine a Goldy. Fred
si era occupato di scortare i tre Serpeverde nel loro dormitorio, quindi lei
camminava in solitaria stando bene attenta ai rumori attorno per non farsi
beccare dal custode e dalla sua maledetta gatta, che sembrava non voler morire
mai.
Immersa nei propri pensieri si accorse in ritardo del
figura ammantata da capo a piedi che sostava alla fine del corridoio, con le
spalle contro la parete e uno dei piedi contro di essa, pronto a darsi la
spinta per sbarrarle la strada.
Un brivido le camminò per la schiena spandendosi agli
arti. I suoi sensi allertati dal pericolo si fecero più acuti, così mentre
faceva scivolare la mano tra le pieghe della divisa per prendere la bacchetta
cercò di osservare lo sconosciuto.
Era quasi sicuramente un uomo, o nel caso più
improbabile una valchiria, alto, molto ben piazzato… non avrebbe avuto alcuna
possibilità contro di lui in uno scontro fisico. Non che si sentisse di averne
molte in più in un duello, ma per lo meno in Difesa contro le Arti Oscure di
solito una sufficienza riusciva a prendersela.
A pochi metri di distanza rallentò il passo e pensò
intensamente alla formula dell’incantesimo di disarmo.
Il fascio di luce chiara uscì dalla sua bacchetta ma
prima di colpire il bersaglio si franse contro uno scudo protettivo. Lo
sconosciuto si mosse e le si parò di fronte.
Il cappuccio del mantello e la semioscurità del
corridoio non le consentivano di intravedere altro che le labbra e una porzione
di mandibola, che per quel poco che si intuiva sembrava ben marcata.
Lucy mandò un secondo “Expelliarmus” contro di lui,
quando anche questo venne respinto, perse la pazienza e pensò con chiarezza e
intensità allo “Stupeficium”.
La saetta rossa colse di sorpresa il suo avversario
che dovette buttarsi di lato per evitare di essere schiantato. Un sorriso
sardonico si aprì sul suo viso, mostrando anche dei denti bianchissimi.
“Se non mi aggredisci ogni volta che ci vediamo non
sei contenta vero?” la voce baritonale di Benji fu una sorpresa tale che quasi
le cadde la bacchetta dalle mani.
Lucy riprese velocemente la stretta sulla sua arma e l’alzò
contro di lui senza esitazione.
“Che cosa stavo bevendo la prima volta che mi hai
invitata alla Taverna delle Lucciole?” chiese la ragazza con tono fermo.
Il sorriso da felino in agguato di Benji si fece ancor
più ampio e le si avvicinò nonostante la minaccia della bacchetta puntata
contro.
“Firewhisky con ghiaccio. E io ti ho acceso la
sigaretta con il mio accendino, mia malfidente Ragazzina.” le rispose con un
tono tanto profondo che Lucy provò la consueta sensazione di gelatina nelle
gambe.
Gli corse in contro, gettandogli le braccia al collo e
venendo accolta prontamente dalle sue.
Le sue mani si andarono a intrecciare coi capelli
serici della nuca, mentre quelle di Benji si posarono sulla sua schiena,
stringendola al proprio petto. Le loro labbra si incontrarono senza nemmeno
doversi cercare, riconobbero le curve su cui si modellavano perfettamente e
affondarono le une nelle altre. Si baciarono senza prendersi nemmeno la briga
di riprendere fiato, ciechi e sordi a qualunque cosa all’infuori di loro,
inebriati.
Da quando erano finite le vacanze avevano avuto solo
un paio di occasioni per rivedersi, entrambi affossati dagli impegni e dalle
questioni inderogabili che li riguardavano, ed erano stati talmente brevi che
li avevano lasciati con ancor più nostalgia di prima, con più desiderio di
prima.
“Dio Lucy… Stavo impazzendo. Ho rischiato di uccidere
almeno un paio dei miei uomini questa settimana. Per non parlare di tutti
quelli che ho schiantato.” le sussurrò staccandosi da lei e prendendo a
baciarle la mandibola.
“Uhm… Perché tanta suscettibilità Allucemonco?” chiese
lei con voce altrettanto bassa, lasciando vagare le sue mani sotto il mantello.
“Perché non faccio altro che pensare a tutto quello
che vorrei farti e tu non ci sei mai.” si lamentò mordendola piano alla base
del collo.
“E che cosa vorresti fare, sentiamo?” chiese con tono suadente.
“Non ho alcuna intenzione di dirtelo, Ragazzina. Non
voglio rovinarti la sorpresa.” Rispose Benji guardandola coi suoi occhi dorati
come a volerla spogliare lì, in mezzo al corridoio. Per una volta in vita sua
non avrebbe avuto nulla da obbiettare.
“Credo che sia un po’ difficile assecondare i tuoi
piani Richardson. La stanza delle Necessità il sabato sera è inaccessibile, forse
ha persino i turni di prenotazione!”
“Vedi, il vantaggio di essere un criminale è che puoi
agire senza alcun tipo di morale.” ribatté lui sciogliendo l’abbraccio e
prendendole una mano.
Il confronto tra il colore della loro pelle era quasi
buffo. Il candore del latte si intrecciava al bruno biscottato dal sole. I
contrasti che trovavano l’incastro giusto per stare insieme.
“E quindi?”
“Quindi, io ora ti rapisco.”
***
Dirti
sì, sempre sì
e riuscire a farti volare,
dove vuoi, dove sai,
senza più quel peso sul cuore.
Benji era un uomo di parola, non era il caso di dire
un uomo d’onore, visto la sua professione, ma sicuramente se faceva delle
promesse si adoperava in ogni modo per mantenerle.
E quella sera aveva lasciato che i pensieri di intere
settimane, formulati nel buio e nell’assenza di lei, prendessero forma nella
realtà. L’aveva condotta nei angoli più reconditi della sua fantasia, portata
dove il piacere perdeva i propri confini tra il tatto, il gusto, la vista, dove
di due corpi non si riusciva più a distinguere il proprio.
Quei giardini interiori perduti nel tempo, in cui le
mani si intrecciavano con forza quando il limite di sopportazione di tutta
quell’intensità si avvicinava, così come le loro gambe e le braccia e i piedi,
che tra le gocce di sudore e di piacere rinascevano, piante e rami
verdeggianti, attorcigliati l’uno attorno all’altro. Inscindibili.
Lucy non solo non si era tirata indietro, ma gli aveva
dato filo da torcere, come sempre; portava i segni del suo desiderio impressi
sulla pelle e molto più a fondo, dritto nella carne.
Aveva incise nella mente mille immagini; lei che si
perdeva attirandolo con sé, lei che lo guardava con occhi scuri, dolci,
rischiarati solo dall’unica candela che gli concedeva per osservarla, lei che
ignara di quale potere esercitasse su di lui lo portava alla deriva, lei
attorno a lui e dentro di lui, così a fondo da diventare la più bella delle
ferite, il suo ricamo sul cuore.
La Ragazzina si era addormentata sfinita e Benji
poteva prendersi tutto il tempo che voleva per osservarla.
Il suo corpo, sottile e bianco, rispondeva alle sue
carezze anche nel sonno . Dove le sue mani
passavano leggere per non svegliarla, una lieve pelle d’oca o un brivido a fior
di pelle le increspavano l’incarnato.
Benji infilò un braccio sotto la testa per studiare
meglio quel volto rilassato contro il cuscino.
I capelli rossi erano cresciuti di un paio di
centimetri rispetto al taglio cortissimo con cui l’aveva conosciuta e ora le si
erano arruffati tanto che ogni ciocca prendeva posizioni improbabili. Le
labbra, arrosate e gonfie per il trattamento riservato loro quella notte, si
imbronciarono di colpo e la sua fronte si corrugò in un’espressione
contrariata.
I piedi sotto le coperte diedero un paio di calci e il
suo busto ondeggiò per il movimento brusco.
Benji allungò una mano verso di lei e le accarezzò
piano il fianco, per poi percorrere la linea delle vertebre. La sua espressione
si rilassò un poco e Lucy allungò una mano verso di lui, cercandolo tra le
lenzuola bianche e stropicciate.
Lucy,
la splendente.
Le si avvicinò senza urtarla e se la tirò vicino, in
modo che le loro gambe si incastrassero con delicatezza e i loro petti fossero
a contatto, per scaldarsi e sentirsi respirare.
Lucy si mosse e la sua testa si posò con naturalezza
tra la spalla e il petto di Benji, emise un sospiro soddisfatto e finalmente la
sua fronte tornò liscia.
Qualcosa dentro di lui a quel gesto si aprì, come una
porta spalancata all’improvviso in una stanza buia quando fuori c’è il sole.
Qualcosa che gli si muoveva dentro ogni volta che la Ragazzina era vicina, che
faceva qualcosa per lei, che percorreva la strada su cui l’avrebbe incontrata.
Era la luce che prendeva possesso della materia dando
una forma a ciò che ne era illuminato, era ciò che lo faceva sentire piccolo,
un bambino, come non gli era mai successo in vita sua, che gli faceva venir
voglia di stringere la Ragazzina così forte fino a renderla parte di sé per non
doverla lasciare andare più, era qualcosa di nuovo e noto allo stesso tempo.
Come tornare a casa ma in un luogo mai visitato prima.
Catherine,
la pura.
Lucy si muoveva in continuazione, irrequieta anche nel
sonno, dandogli modo di studiare da infinite angolazioni le sue braccia, le sue
spalle, il suo seno e i suoi lineamenti. Lui pazientemente la ricopriva con le
coperte per non farle prendere freddo.
Rimase ad osservarla fino a che la candela non si
consumò, lasciandogli come ultima immagine tremolante quella della schiena
bianca che cercava il calore del suo petto.
***
Ti
darei gli occhi miei
per vedere ciò che non vedi.
L’allegria, la magia,
per strapparti ancora sorrisi.
Scorpius sapeva come sfruttare a proprio vantaggio
anche le situazioni peggiori e proprio questa sua dote si rivelava
sistematicamente una risorsa per i suoi amici.
In quel preciso caso però il giovane Malfoy ne aveva
fatto un uso del tutto personale.
Ora, non che si fosse mai augurato che Angelique si
riducesse a quello stato per poter parlare ancora con Rose Weasley, ma visto
che era capitato non vedeva perché dovesse sprecare un’occasione del genere.
Era accaduto un pomeriggio di metà gennaio, quando
stanchi morti stavano tornando in dormitorio dal campo di Quidditch dove
avevano appena concluso un allenamento poco proficuo. Da quando avevano ripreso
il regime di preparazione sembrava che la squadra non fosse più coesa come
all’inizio della stagione. Pareva strano, visto che non c’erano state
sostituzioni né infortuni gravi, eppure qualcosa mancava, qualcosa che rendeva
il gioco macchinoso. A febbraio avrebbero dovuto affrontare i Corvonero e se le
cose procedevano in quella direzione, Scorpius dubitava seriamente delle loro
possibilità di vittoria.
Distratto dalle proprie riflessioni non si era accorto
immediatamente della presenza di Rose nella Sala Comune di Serpeverde, ma aveva
quasi tirato dritto verso l’ala maschile dei sotterranei. Solo l’esclamazione sorpresa
di Albus lo aveva indotto a guardare verso un paio di poltrone in penombra dove
sedevano Rose e Dominique, intente a giocare una partita a scacchi e bere del
succo di zucca.
Gli occhi di Rose li avevano passati in rassegna
riconoscendoli e salutandoli, persino lui, prima di soffermarsi su Angie. Poi
un sorriso affettuoso aveva preso possesso delle sue labbra e la ragazza era andata
in contro all’altra.
Mentre Rose si scusava con tutti e annunciava che
doveva chiedere delle spiegazioni ad Angelique sull’ultima lezione di Pozioni,
trascinandola via verso la stanza di quest’ultima, Scorpius aveva incrociato lo
sguardo di Al, preoccupato e sempre più cupo.
Per quanto cercasse di aver ragione sullo stato di
impassibilità di Angie, per quanto affetto, per quanta cura, per quanta
attenzione le rivolgesse sembrava che nulla riuscisse a raggiungerla.
Era molto peggio di quando Nana aveva perso sua mamma,
perché in quel caso Elena non voleva parlare con nessuno, ma il suo dolore e il
suo malessere erano così prepotenti da essere tangibili anche per loro. Nana
era dentro sé stessa, viveva la sua tragedia e cercava di combatterla a suo
modo. Per quello che vedeva Scopius invece Angie aveva deciso di
anestetizzarsi.
Procedeva nelle sue giornate facendo quello che aveva
sempre fatto, prendendosi cura di Antares, allenandosi, suonando, studiando,
mangiando, ma non c’era entusiasmo, non c’era passione né amore nelle sue
azioni. Erano solo schemi da eseguire per non destare il sospetto degli altri.
Scorpius aveva atteso in Sala Comune che Rose finisse
la sua seduta di psicoterapia con Angie, davanti a quella scacchiera
abbandonata che già parlava di una vittoria da parte della Weasley.
Quando l’aveva vista sbucare dal corridoio, si era
alzato per farsi vedere da lei che lo aveva immediatamente inchiodato sul posto
col suo sguardo diretto e spiazzante. Lo sforzo cosciente che aveva compiuto su
se stesso per non restare imbambolato come un’idiota a guardarla era stato
notevole.
“Posso parlarti Rose?” le aveva chiesto semplicemente
dopo essersi schiarito la gola.
La Weasley evidentemente sorpresa dalla mancanza più
assoluta di sotterfugi e macchinazioni, aveva sgranato gli occhi e aveva
annuito, sedendosi poi davanti a lui.
“Che cosa ne pensi?” le aveva chiesto ancora dopo
qualche istante, versandole un po’ di succo di zucca, che la ragazza sembrava
gradire più di ogni altra bevanda.
Le sopracciglia rosse si erano aggrottate mentre
prendeva tra le mani il calice dorato. Dopo aver sorseggiato con calma si era
lasciata sfuggire un sospiro.
“Non so esattamente come siano andate le cose, ma vedo
i risultati finali di questo gran macello. Credo che Angie al momento sia…
Uhm…” le sue labbra si erano arricciate leggermente mentre cercava il vocabolo
più adatto. “Bloccata.”
Scorpius aveva annuito e, mentre i suoi pensieri si
ricorrevano, aveva comandato al pedone bianco, precedentemente al soldo di
Dominique, di muoversi in F4 per bloccare l’avanzata in diagonale dell’alfiere
di Rose.
La ragazza aveva osservato dapprima un po’ incredula,
poi si si era stretta nelle spalle e aveva comandato alla torre nera di
procedere nello sterminio di uno dei suoi cavalli.
Scorp aveva sollevato lo sguardo su di lei sorridendo
e poi si era appoggiato allo schienale della poltrona, picchiettando con
l’indice sul metallo del proprio bicchiere.
“Sono d’accordo. All’inizio pensavo che fosse solo
questione di tempo prima che scoppiasse come una bolla… E sinceramente lo avrei
preferito. Invece non sta reagendo. Sembra completamente vuota, come un guscio
senza niente dentro.” Aveva detto e una piega amara aveva preso vita sulle sue
labbra.
Il pensiero che proprio Angie avesse reagito in un
modo tanto inaspettato era qualcosa che non gli andava giù. Il vedere come si
stava lasciando consumare e l’incapacità di chiunque di tirarla via da quel
sentiero buio, gli infondevano un’amarezza che si tingeva di frustrazione e
dolore.
“Nemmeno Al sa che cosa fare. Alfiere in A5.” Aveva
aggiunto guardando Rose dritta in viso.
“Beh… Sicuramente è una questione di tempo, Malfoy. Se
conosco un minimo Angie non credo che questo stato di impasse durerà in eterno.
Ha bisogno di una spinta abbastanza forte per prendere atto di quello che le è
successo. Il problema fondamentale è: che cosa sarà in grado di smuoverla
tanto? E una volta indotta a uscire dalla sua bolla, come l’hai chiamata tu, che cosa farà? Pedone in A5.”
Gli aveva eliminato pure l’alfiere.
“Secondo me qualunque cosa è preferibile all’essere
una zucchina bollita, com’è ora.” Aveva esclamato lui.
Gli occhi di Rose si erano stretti appena prima di domandargli:
“Ne sei sicuro Scorpius? Sei sinceramente convinto che
qualunque cosa sia migliore?”
Gli si era irradiato un piacevole morso allo stomaco
nel sentirla pronunciare il suo nome.
“Cavallo in E7. Beh, con i dovuti limiti di buonsenso!
Comunque credo che non possiamo fare molto altro se non aspettare. E restare a
guardare.”
Ma Rose non lo stava più guardando. I suoi occhi si
erano fissati increduli sulla scacchiera. La percorrevano febbrilmente e
ritornavano sempre a quel cavallo che non aveva considerato con la dovuta
cautela.
“Ah sì… Scacco matto al Re.” Aveva detto con tono
leggermente strascicato Scorpius.
Rose lo aveva guardato, come se lo vedesse per la
prima volta davvero, e una vena sottile di rabbia si era fatta strada in
quell’azzurro intenso e puro. La sconfitta le stava bruciando come una ferita
cosparsa di sale.
“Ti ringrazio per esserti fermata a parlare con me.
Ora, ti chiedo scusa, ma devo andare a ripassare per il compito di Erbologia di
domani. Buona serata Rose.” Le aveva detto alzandosi e inclinando il capo nella
sua direzione.
Rose aveva bofonchiato un saluto a mezza bocca, ancora
troppo sotto shock per rispondere educatamente, poi era tornata a fissare la
scacchiera.
Scorpius se ne era andato con passo volutamente lento,
sogghignando senza ritegno quando non era più stato sotto il suo sguardo
indagatore.
***
Nasconderti
le nuvole
e quell’inverno che ti fa male.
Curarti le ferite e poi,
qualche dente in più per mangiare.
Dire che stava sondando le profondità della frustrazione
era una visione rosea della situazione.
La sua migliore amica era lontana anni luce dal resto
del mondo, congelata nella determinazione di non provare più emozioni.
Suo fratello era in una fase di depressione rabbiosa
che a quanto gli raccontava Fred sfociava spesso nell’istinto a fare a pezzi
qualunque cosa potesse reggere l’urto, grazie al cielo per lo più oggetti che
non persone.
Martha non gli parlava da quasi un mese, se non per le
strette necessità come il sale a tavola o il pudding a colazione.
Aveva la sensazione che il suo mondo si stesse
sgretolando lentamente tra le sue mani inabili a tenere tutto insieme.
Prese un sasso levigato e scuro tra le mani e lo
lanciò con tutta la sua forza da battitore sull’acqua ghiacciata del Lago
Oscuro. Rimbalzò contro la superficie e scivolò lontano.
Aveva avvisato che sarebbe andato da Hagrid, ma
all’ultimo aveva deciso di deviare verso il piccolo molo di legno attorno a cui
nella bella stagione stavano attraccate le barche che trasportavano gli
studenti del primo anno verso il loro destino, verso lo Smistamento.
Fortunatamente quel pomeriggio il vento gelido non
soffiava prepotente ma si limitava a scuotere le cime dei pini con una lieve
brezza, che gli pungeva il naso e le guance arrossandoli. Albus guardò le
proprie gambe a penzoloni sopra il ghiaccio che ricopriva tutta l’acqua.
Ricordava quando l’inverno precedente Angelique li
aveva convinti tutti a trasfigurare le scarpe in pattini per poter pattinare
sulla superficie liscia del Lago Oscuro. Berty era caduto talmente tante volte
che alla fine aveva incrinato lo strato di acqua congelata, cadendoci dentro.
Ne avevano riso per settimane.
Sentì dei passi sul pontile alle sue spalle e si voltò
per osservare chi si stava avvicinando.
Sentì la propria mandibola abbassarsi sempre di più
mentre Emma Bolton camminava verso di lui.
Questa poi… Che cosa ci faceva lì la ragazza di Berty?
“Ciao Al.” Gli disse fermandosi a un paio di metri di
distanza. “Stavo facendo una camminata e ti ho visto. Posso sedermi?”
“Oh, ciao Emma! Certo, certo.” Ribatté lui facendosi
un po’ più in là.
Tra tutti gli amici di Berty Albus era probabilmente
l’unico con cui Emma si sentisse a suo agio e con cui avesse un minimo di
dialogo. Tuttavia non era mai successo prima che lo avesse avvicinato per
parlare da soli.
Nessuno dei sue accennava a parlare, così Al osservò
sottecchi la giovane accanto a sé; i suoi tratti dolci sembravano vagamente
congestionati e gli occhi castani lucidi. Probabilmente il freddo le faceva
lacrimare gli occhi, succedeva in quella stagione…
Emma emise un singhiozzo strozzato e una lacrima le
scivolò sulla guancia.
Oppure anche no.
“Ehm… Va tutto bene?” chiese il giovane Potter
cercando un fazzoletto nella giacca per poi porgerglielo.
Emma annuì mentre sprofondava il viso nella carta e si
soffiava il naso.
“Potrebbe andare meglio…” sussurrò stropicciando il fazzoletto
tra le dita guantate, poi aggiunse brutalmente: “Berty mi ha lasciata.”
“Oh! Porca vacca… Cioè voglio dire, mi dispiace da
morire! È successo qualcosa?” chiese Al sinceramente scosso.
Berty non aveva parlato con nessuno di loro delle
proprie intenzioni e Al non avrebbe mai detto che volesse chiudere la loro
storia. Che periodaccio…
“Sarebbe il caso di dire quello che non è successo…
Non era innamorato di me. Quindi "per il mio bene" mi ha
scaricata, perché altrimenti dopo sarebbe stato peggio.” E detto ciò si mise a
piangere silenziosamente soffocando i singhiozzi contro il fazzoletto.
Albus aveva una gran voglia di sprofondare nel lago
gelato, come quando quella pazza di Jocelyn McNair si era fatta trovare mezza
nuda nel suo letto. Un episodio meno increscioso del compito di consolare una
ragazza appena lasciata.
“Mi dispiace davvero Emma... So che forse non vuoi
sentirtelo dire, però ognuno merita di trovare qualcuno che ricambi i suoi
sentimenti. A maggior ragione tu, che sei una ragazza fantastica!”
“Lo pensi davvero?” gli chiese Emma sgranando gli
occhi.
“Certo.” Ribatté lui offrendole un nuovo fazzoletto
viste le condizioni di quello che stringeva tra le mani.
“Ho sempre pensato che tutti gli amici di Berty mi
detestassero…” mormorò la ragazza asciugandosi gli occhi umidi.
“Oh no! No davvero, siamo solo… Come dire… Molto
riservati. E molto chiusi. E un po’ indisponenti, forse. In ogni caso posso
garantirti che nessuno ti odia.” Aggiunse facendole un sorriso incoraggiante
per cercare di tirarsi fuori da quel pantano. Emma annuì comprensiva.
“Scusami Albus, non volevo venire a piangerti addosso.
Ho pensato, gli faccio un saluto e poi invece…” la ragazza si interruppe e nuove
lacrime ingorgarono le sue ciglia, poco dopo le scivolarono dagli zigomi alla
sciarpa di Tassorosso avvolta attorno al collo. E ricominciò a piangere
sprofondando il viso nel fazzoletto.
Albus si guardò attorno in preda al panico ma il molo
rimaneva desertico ad esclusione di loro due. Così incapace di pensare a
un’altra soluzione, non senza una dose sostanziale di imbarazzo, passò un
braccio sulle spalle della ragazza e le diede dei colpetti sul braccio, in una
sorta di abbraccio non troppo partecipe.
Grazie al cielo quell’ultimo sfogo durò poco e subito
dopo la ragazza disse che si stava facendo tardi e che sarebbe tornata
indietro. Effettivamente notò Albus che il sole stava tramontando e
tutt’attorno iniziava a imbrunire.
Lungo il tragitto riuscì a distrarre abbastanza Emma
da indurla persino a ridere un paio di volte, così che quando arrivarono nella
Sala d’Ingresso lei sembrava decisamente sollevata.
Al stava già iniziando a sguazzare nell’ansia al
pensiero di che cosa avrebbe dovuto dire per salutarla senza sembrare che
volesse liberarsi di lei, come in effetti era; ma Emma fu più intuitiva di lui
e si fermò davanti alle Scale guardandolo con occhi castani pervasi da una luce
affettuosa.
“Grazie Albus. Sei stato molto gentile.” Gli disse
muovendo un passo verso di lui.
La vide avvicinarsi e non capì proprio che cosa stesse
facendo finché non percepì il tocco caldo delle sue labbra sulle proprie. Durò
quanto il battito d’ali di una farfalla, con la stessa delicatezza, eppure gli
occhi del ragazzo rimasero sbarrati fissi su quelli chiusi di lei.
Emma si staccò quasi immediatamente e gli sorrise
senza alcun imbarazzo, con naturalezza, poi si voltò salutandolo con una mano.
Albus rimase immobile finché la ragazza non sparì
sulla rampa. Poi iniziò a correre più forte che poteva.
***
Nei
giardini che nessuno sa
si respira l’inutilità,
c’è rispetto grande pulizia
è quasi follia.
Dominique stava segnando con l’inchiostro argento
sulla propria agenda gli incontri della settimana. Sicuramente lunedì avrebbe
dovuto incontrarsi con l’Alchimista, voleva mettere a punto la nuova linea
primaverile e aveva bisogno di alcuni consigli sui principi attivi.
Martedì… Martedì nulla.
Mercoledì doveva studiare con Renèe perché non aveva
idea di che cosa avesse parlato Cavendish nell’ultimo mese di lezione.
Un momento! Forse martedì aveva detto a qualcuno che
si potevano vedere… Ma chi era? Il Corvonero biondo? Sperava di no, perché era
già successo di dargli buca, farlo una seconda volta sarebbe stato scortese.
La penna d’oca candida tracciò un punto di domanda
sulle righe dedicate al martedì sera, poteva sempre chiedere a Reneé o a Leda
se l’avevano sentita parlare di qualche appuntamento.
Dominique prese la tazza di porcellana dal tavolino
accanto a dove si era seduta in Sala Comune e bevve il tè verde ai fiori che
Goldy le faceva sempre trovare pronto ogni pomeriggio. Lei e quell’elfa si
amavano, c’era poco da dire al riguardo.
Un fracasso allucinante proveniente dalla zona di
ingresso fece voltare il capo alla giovane Serpeverde e vide suo cugino Albus
rialzarsi prontamente da terra, dove giacevano i resti di un vassoio d’argento,
una caraffa d’acqua e dei bicchieri.
Dire che sembrava sconvolto non era abbastanza
esaustivo. Ogni ciocca aveva preso direzioni opposte, gli occhi erano
spalancati con le pupille dilatate, le sue guance normalmente rosee erano
pallidissime e si muoveva in modo ancor più scoordinato del solito.
“Albus?” lo chiamò sporgendo il capo dallo schienale.
Le iridi verdi si piantarono sul suo viso e per una
frazione di secondo Dominique pensò che non l’avesse riconosciuta. Difficile,
visto che l’aveva visto nascere ed era stata proprio lei a fargli cadere il
primo incisivo dandogli erroneamente una gomitata nelle gengive.
Albus si avvicinò correndo e inciampò un’altra volta
nei suoi stessi piedi, ma riuscì a tenersi in piedi e quasi le crollò accanto
sul divano.
“Dom… Dom è successa una cosa terribile.” Disse il
ragazzo passandosi una mano sul viso.
Dominique inspirò bruscamente con un brutto
presentimento.
“Hai perso i gemelli che ti ha regalato tuo padre?”
chiese socchiudendo gli occhi pronta a ricevere l’impatto per una tale
disgrazia. Erano dei gemelli d’oro meravigliosi, con incise le iniziali del
ragazzo in filigrana e degli inserti di onice finissimi, le poche volte in cui
glieli aveva visti indosso li aveva sempre ammirati.
“Cos… NO!” esclamò il ragazzo guardandola stupito.
“Oh Grazie a Salazard! Quindi non può essere accaduto
nulla di più terribile.” Concluse la bionda sorridendo serena al cugino.
“Dom… Mi ha baciato una ragazza!” pigolò Al
guardandosi allarmato attorno.
“Ah. Rettifico immediatamente.” Disse lei sbattendo
ripetutamente le palpebre.
Non riusciva proprio a vedercelo suo cugino in
atteggiamento intimo con una fanciulla, era sempre stato la cosa più asessuata
che avesse mai conosciuto.
“E chi è?” domandò punta dalla curiosità di chi si
fosse sobbarcata il gravoso compito di far capire ad Albus che era un maschio,
non un broccolo.
“La ex-ragazza di uno dei miei migliori amici!” mormorò
Al stropicciandosi la faccia.
“Uhm... Certo che tu quando ti incasini lo fai in modo
professionale.” Commentò la ragazza serafica.
“Dominique che cosa devo fare?” chiese lui guardandola
angosciato.
Lei si accigliò per un istante riflettendo sul fatto
che forse quella era proprio una delle situazioni in cui Rose le avrebbe detto
di non mettere becco. Però Al stava chiedendo il suo aiuto, quindi perché
rifiutarsi di dare il proprio parere?
“Niente.”
“Eh?”
“Non fare niente, Al. Lascia che gli eventi si
evolvano!” suggerì Dom facendo uno svolazzo con la mano.
“Come posso non fare nulla? Ho baciato la ragazza di
un mio amico!” quasi urlò prendendola per le spalle e scuotendola.
“Stai travisando i fatti, caro. Innanzitutto è l’ex-ragazza,
il che è parecchio diverso. Inoltre è stata lei a baciarti e su questo nessuno
ha dubbi.” Disse con voce bassa Dom cercando di calmarlo. Posò una mano sulla
sua guancia, ora rossa come una ciliegia matura. Era del tutto paralizzato e
paonazzo, come se stesse avendo un principio di implosione, in effetti molto
probabile dopo aver scoperto che si potevano anche baciare le ragazze e non solo restare a idolatrarle da dieci metri
di distanza.
Dominique notò solo in quel momento che gli occhi di
Al non la stavano guardando nemmeno per sbaglio; non che si aspettasse che
Albus riconoscesse la sua indubbia bellezza e se ne sentisse assoggettato, ma
almeno prestarle attenzione mentre parlava…
Dominique si voltò cercando di capire se ci fosse
qualcosa di più interessante di lei alle sue spalle ed ebbe la conferma di ciò
che pensava da sempre, ovvero che i maschi fossero stupidi.
Ma stupidi in un modo che non sarebbe stato esplicabile
altrimenti se non nella sintesi perfetta di quella parola. Stupidi.
Allo sbocco del corridoio del dormitorio femminile di
Serpeverde si ergeva Martha O’Quinn, in una posa ieratica data dalle braccia
rigide lungo i fianchi, le mani chiuse a pugno e lo sguardo altero. Aveva sempre avuto un portamento strepitoso
quella ragazza e poca perspicacia, visto che si era fatta battere sul tempo da
una tizia qualunque nell’impresa del secolo: risvegliare gli istinti sessuali di
Albus. Avrebbe dovuto saltargli addosso fin dal principio…
“Martha.” La chiamò Albus con voce un po’ rauca.
“Abbiamo sentito baccano dalla nostra stanza. Sono
contenta di vedere che stai bene.” disse lei con un tono talmente tagliente che
Dom si stupì di non vedere cadere all’istante un sashimi di Albus Potter sul
divano. Poi voltò le spalle alla Sala Comune facendo ruotare i riccioli
disordinati color rame e sparì rapidamente.
“Martha!” urlò il ragazzo scattando in piedi e la
rincorse. Ma il suono di una porta sbattuta con foga lo fece fermare proprio
nello stesso punto dove la O’Quinn era apparsa prima.
Albus rimase qualche istante a osservare il corridoio
deserto e poi espose in un’imprecazione così volgare che Dom dovette mordersi
le labbra per non ridere, tanto era assurda detta da lui.
“Scusa Dom! Devo andare… Devo andare da Berty!”
esclamò e camminò a passo di carica verso l’uscita della Sala Comune. Poi parve
ripensarci e tornò indietro e imboccò la strada per le stanze dei maschi
(stupidi).
Dominique si versò dell’altro tè verde e tornò a
guardare la propria agenda, abbandonata vicina alle sue gambe. Doveva
assolutamente ricordarsi di fare rifornimento di olio di argan marocchino per
contrastare le rughe che i suoi parenti tentavano in ogni modo di farle
spuntare prematuramente.
***
Stelle
che ora tacciono
ma daranno un senso a quel cielo.
Gli uomini non brillano
se non sono stelle anche loro.
Se le avessero chiesto quando aveva dieci anni come si
immaginava che sarebbe stato innamorarsi, Martha non avrebbe mai pensato di
rispondere che sarebbe stato come voler uccidere un drago a mani nude.
E invece tutte le volte che incrociava la figura, i
capelli, gli occhi, le maledette labbra di Albus le veniva voglia di fare una
strage.
Quel deficiente non solo non aveva capito quanto i sentimenti
che lei nutriva per lui fossero profondi e veri, non solo non era in grado di
ammettere di essere attratto da lei, non solo aveva rovinato l’unica serata che
avessero condiviso da soli, ma aveva anche baciato un’altra.
Aveva.
Baciato.
Un’altra.
Emma Bolton per la precisione.
Le rare volte che prendeva in considerazione l’idea di
parlargli o chiarire le bastava ripetersi quelle poche parole per tornare a
essere una potenziale sterminatrice di animali feroci e pericolosi.
Il ché era tendenzialmente un problema perché se, come
in quel momento, era impegnata in attività che richiedevano calma interiore e
precisione, non spaccare ogni strumenti di cristallo sul bancone di lavoro era
un’impresa epica.
Martha fece un profondo respiro e stirò le dita contro
il ripiano di legno grezzo su cui lavorava, prima di impugnare la bacchetta e agitarla
sopra ai fumi per creare un turbine all’interno della pozione, come da
istruzioni. Accanto a lei Scorpius le diede un’occhiata sardonica, di chi aveva
capito tutto quello che stava succedendo. E probabilmente era anche così,
perché se dalla sua faccia trasparivano un quarto delle emozioni che provava
avrebbe dovuto prendere seriamente in considerazione il burqa.
“Mancano dieci minuti al termine della prova.” Scandì
la professoressa Blackthorn passando nel corridoio centrale e sbirciando i loro
lavori di tanto in tanto.
“Porca di quella…” l’imprecazione di Nana si affievolì
in un borbottio indistinto.
Martha guardò nella sua direzione e vide che dal
calderone di Elena si alzava una fitta nebbiolina azzurra, penultimo passaggio
della preparazione del filtro d’amore assai leggero che era stato assegnato
loro come compito in classe.
Da quello di Angelique, accanto a Nana, non si levava
alcun fumo, segno che la ragazza aveva già finito, persino in anticipo, la
preparazione di una delle pozioni più difficili di quell’anno, che la Blackthorn
aveva elencato tra gli argomenti più gettonati degli esami GUFO.
Martha osservò il contenuto del proprio calderone;
ormai volgeva verso il colore opalescente tipico di quel particolare filtro
d’amore che prendeva il nome di Gocce di Luna.
Il manuale di Pozioni raccontava che la particolarità
del filtro fosse che una volta somministrato lasciava la sensazione di un sogno
leggero e confuso, oppure come spesso accade al mondo onirico, gli eventi
venivano inghiottiti da una cortina scura di oblio. Per questo non era molto
utilizzato, alle volte anche solo il sospetto dato dalle lievi memorie poteva
essere troppo rischioso per chi decideva di usufruire dei filtri d’amore.
Martha fece girare un’ultima volta in senso orario la
pozione e quando questa assunse il colore adeguato ne pescò velocemente un
mestolo, per poi riporlo nella boccetta oblunga di vetro che sarebbe stata
valutata dall’insegnante.
Beatrix Blackthorn era quanto di più imparziale si
potesse desiderare da un essere umano, mai nessuno aveva potuto lamentare
favoritismi o preferenze da parte sua, ma non era questo a renderla un’ottima
insegnante. Quando le sue mani ferme e precise indicavano ingredienti, gesticolavano
appassionate a quella delicata scienza, quando i suoi occhi cercavano quelli
dei suoi alunni, era difficile non restare affascinati da qualunque cosa stesse
raccontando. Era chiaro che amasse trasmettere il proprio sapere per renderli
partecipi di quel miracolo di creazione che una pozione rappresentava.
“Tempo scaduto. Preparate le fiale e mettete giù le
bacchette.” Esclamò la donna dal fondo dell’aula e da lì iniziò a esaminare i
loro tentativi di Gocce di Luna, passando davanti ad ogni bancone di lavoro.
Martha per cercare di scacciare l’agitazione si guardò
attorno cercando di capire come fosse andata alle sue due amiche.
Elena aveva i capelli blu elettrico estremamente
disordinati e il suo sguardo era fisso con angoscia sulla pozione evidentemente
incompleta. Anche i riccioli di Angie sembravano aver subito l’umidità increspandosi
un po’ nei contorni del viso, ma per il resto sembrava perfettamente composta e
tranquilla.
La Blackthorn avanzò per classe mietendo vittime,
volarono T e D come se fossero stati coriandoli e un angosciante silenzio
segnalò che gli studenti si stavano leccando le ferite. Quando arrivò
contrariata davanti alla Zabini e alla Dursley la sua fronte si dipanò appena,
aspettandosi evidentemente un risultato migliore per lo meno da Angie.
Sollevò la fiala di Elena e la osservò attentamente,
la stappò e annusò la pozione. Poi introdusse un mignolo bagnandolo appena e se
lo portò alle labbra assaggiandolo.
“Peccato Zabini, eri sulla buona strada per una volta.
Ma a questa pozione servivano ancora dieci minuti per essere pronta. Purtroppo
non è sufficiente.” Disse la professoressa e parve sinceramente dispiaciuta
nell’assegnare alla ragazza uno Scadente, che comunque era il voto più vicino
alla sufficienza.
Elena prese dalle mani della donna il foglio con una S
vergata in rosso e si strinse nelle spalle. Poi osservò quasi compiaciuta il
proprio calderone, come se non si fosse minimamente aspettata un risultato del
genere.
La professoressa prese tra le mani il Gocce di Luna di
Angelique e immediatamente la sua fronte si corrugò. Martha si sporse
leggermente e le sembrò di vedere un liquido violaceo, ma subito il contenitore
di vetro sparì nelle dita della pozionista che ripeté le stesse operazioni che
aveva eseguito prima per valutare il lavoro di Elena.
Non avrebbe saputo dire se si trattasse di un
impressione ma le parve che il silenzio della classe fosse ancora più teso di
prima, come se tutti aspettassero il verdetto finale.
La Blackthor sempre in perfetto silenzio, ma con le
labbra contratte e un’espressione dura, si annotò la propria valutazione e poi
consegnò seccamente il foglietto ad Angelique.
Le dita di Angie si allungarono verso la carta
giallastra e la tennero sospesa per un momento, un tempo brevissimo ma
sufficiente a Martha per leggere in controluce la lettera che era stata scritta
indelebilmente su di essa.
La Blackthorn voltò le spalle e proseguì nella fila di
studenti, diretta verso Rose Weasley.
Angelique lentamente, come assaporandosi ogni istante,
accartocciò un pezzo per volta la pergamena nella sua mano destra, producendo
un rumore assordante nel silenzio generale. I suoi occhi erano rimasti immobili
sopra al calderone oltraggiati.
La professoressa le rivolse a stento uno sguardo
mentre assegnava il voto più alto alla Weasley.
Martha si sedette sullo sgabello dietro di lei,
frastornata.
Aveva toppato completamente l’esecuzione della
pozione.
Angelique aveva preso T in Pozioni.
E
poi silenzi.
Silenzi.
Note
dell’Autrice:
Eccomi nuovamente, spero che abbiate capito che il
titolo del capitolo si basa sia sulla canzone di Renato Zero “Nei giardini che
nessuno sa” e sia sul fatto che non c’è, credo per la prima volta in tutta la
storia, nessun POV di Angie nel capitolo.
Ho voluto che non parlasse almeno per questo capitolo
perché mi piaceva l’idea che venisse riportata la visione che i suoi amici
hanno di quello che sta succedendo.
Vorrei ringraziare in particolar modo chi lo scorso
capitolo ha recensito: Cinthia988, leo99
e ana_fremione. Siete state dei
tesori!
Un grazie anche a chi legge in silenzio e comunque mi
fa sentire che non mi avete abbandonata.
Tanti baci a tutti.
Bluelectra.
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Capitolo 26 *** Cap.26 Broken Crown ***
cap 25
Cap.26 Broken Crown
So crawl on my belly
‘till the sun goes down
I’ll never wear your broken crown
I can take the road
and I can fuck it all away
But in this twilight,
our choices seal our fate.
Broken
Crown
Mumford & Sons
Gennaio si era estinto in giornate freddissime ed estremamente terse, in cui il
sole invernale irrompeva prepotente dalle finestre e creava un riverbero
intenso tra la neve e il cielo.
Angelique osservava i riquadri luminosi infastidita dalla
forza di quel sole inaspettato, ferite bianche che le si imprimevano nelle
retine, troppo chiare per essere cancellate dal battito delle palpebre, troppo
tentatrici per non essere osservate.
Semplicemente era più facile guardare il sole filtrare
dai vetri trasparenti che non decidere volontariamente di distogliere lo
sguardo.
Le sue mani erano intrecciate in grembo e abbandonate
contro la stoffa della divisa, i suoi occhi restavano persi in quel fascio di
luce che dispettoso cadeva dalla finestra sul suo libro aperto.
Le pagine giallastre, la polvere impalpabile che
turbinava in aria, la neve soffice che si stava riducendo a uno strato compatto
e ghiacciato, gli alberi spogli e scuri, ancora addormentati nel freddo
inverno, due ragazzini del primo anno che correvano in cortile, gli appunti di
Erbologia intonsi sul tavolo, in attesa che lei decidesse che fosse finito
l’ozio per riprendere a studiare. Era tutto sotto il suo sguardo e l’unica cosa
che sentiva era il fastidio per tutto quel sole immotivato e indesiderato.
Attorno a lei regnava la pace della biblioteca all’ora
di pranzo, solo pochissimi studenti avevano rinunciato ai succulenti banchetti
della Sala Grande, per lo più i disperati per un compito imminente nel
pomeriggio, che tentavano ripassi dell’ultima ora.
C’era silenzio. Quel particolare silenzio, fatto di
solitudine e carta arida sfogliata pigramente, le consentiva di arginare per
qualche ora i ricordi che troppo facilmente riprendevano vita e la pugnalavano,
che le squarciavano la carne centimetro per centimetro e la lasciavano
sanguinante, senza fiato. Ricordi di baci, carezze, promesse sussurrate con
tenerezza e libertà, di speranza e di desiderio, ricordi felici che rendevano
insopportabile guardarsi attorno e constatare la desolazione.
Il giorno prima le era capitato per sbaglio di alzare
lo sguardo dalla propria tavola e i suoi occhi traditori l’avevano
immediatamente condotta nell’unico punto della Sala Grande che avrebbe dovuto
ignorare, ma infondo sapeva sempre dove trovarlo.
La corona aurea dei suoi capelli, su cui si creavano tutti
i riflessi tra il bronzo e il biondo quando veniva illuminata dai raggi del
sole, era stata come un pugno dritto allo stomaco. Aveva deciso subito dopo che
il pranzo non fosse un punto così rilevante della giornata, non finché quei
cieli sereni dominavano la campagna inglese contro la sua opinione.
Forse il bel tempo la turbava a tal punto perché
sentiva che era solo un messaggero di ciò che sarebbe giunto poi, era
l’assaggio lieve e promettente del disgelo, del ritorno dell’erba verde e
soffice, del calore sul viso durante gli allenamenti, dell’aria frizzante e
dolce. E lei non voleva in alcun modo che arrivasse. Non voleva alzare lo
sguardo e vedere gli alberi fioriti, non voleva sedersi sotto le frasche
osservando i giochi di luce tra le foglie sovrapposte. Non voleva che il tempo
andasse avanti.
Angelique girò il palmo sinistro verso di sé e lo
osservò. Sulla pelle tanto sottile e chiara da essere quasi trasparente c’erano
una ferita netta, non del tutto guarita, che aveva tagliato una porzione della
linea della vita, e una cicatrice sottile e frastagliata che percorreva come un
ruscello tortuoso lo spazio leggermente rialzato sotto il pollice, il monte di
Venere. Entrambe destinate a scomparire.
Forse.
Era un pensiero insano e morboso da parte sua, se ne
rendeva conto, ma trovava confortanti quelle ferite sulla mano, come aveva
trovato confortante, in un modo inconfessabile a chiunque, il dolore che aveva
provato procurandosele. Le aveva dato l’illusione di essere ancora reale.
Fece un respiro profondo e prese in mano la penna,
riprendendo a copiare il paragrafo che le interessava dal libro riguardante la Drosera spatolata le cui foglie, ironia
della sorte, servivano ad attirare la luce solare.
***
Sul viso di Benji Allucemonco di tanto in tanto
spuntava spontaneo un sorriso incredulo.
Era una cosa che i suoi uomini guardavano sempre con
sospetto, immaginando che fosse una sorta di spasmo facciale, sorto nel
tentativo di trattenere la rabbia, o il preludio di una smorfia diabolica. Era
quello con cui lo aveva colto la sera prima Tyra mentre mangiavano insieme;
l’aveva invitata proprio perché era stanco di avere come unico argomento di
conversazione le tette e come unica musica di sottofondo i rutti incontrollabili
di Darren.
E lei in risposta alla sua gentilezza si era presa
gioco di lui per mezz’ora buona, sogghignando senza pietà e lanciandogli
frecciatine.
Meglio i rutti a quel punto.
Fatto stava che quel sorriso, un po’ impudente, gli
arricciava gli angoli della bocca e una volta comparso non ne voleva sapere di
andare via. Era il sorriso che Lucy creava su di lui.
Quello stesso che si era impossessato delle sue labbra,
un attimo prima che la Ragazzina facesse altrettanto per baciarlo all’entrata sul retro
della Taverna delle Lucciole. E che anche mentre la baciava, trattenendola per
i fianchi, non smetteva di esistere.
Tutte le volte che si ritrovavano gli sembrava che lei
gli restituisse parti di lui di cui fino a quel momento non aveva percepito la
mancanza, ma che diventavano immediatamente fondamentali. Era uno scoprirsi
ininterrotto mentre, per trovarla nuda nella sua essenza, tentava di spogliarla
delle sue armi tenaci, che cadevano al suolo solo quando lei decideva i termini
della resa.
Lucy si staccò da lui e gli sfiorò il naso col proprio
in una tenera carezza.
“Ciao.” Sussurrò con la consueta voce graffiante.
“Ragazzina…” sospirò baciandole la fronte bianca e
trattenendola ancora per un istante tra le proprie braccia. Lei chinò il capo appoggiandolo
alla sua spalla e una ciocca dei suoi capelli di fuoco gli solleticò le narici.
Mani magre e impazienti cercarono la sua schiena,
premendolo contro di sé e accendendo la tenerezza provata prima di desiderio,
senza che l’uno o l’altro prevalessero, semplicemente si fusero insieme dando
vita a qualcosa di nuovo.
Alzò il volto di Lucy verso il proprio immergendosi
nei suoi occhi scuri e liquidi, mentre stava per chiederle se voleva seguirlo
al piano superiore sentì un cigolio sospetto dietro di sé.
Teoricamente ogni malvivente che abbia intenzione di
sopravvivere più di due giorni nel mondo spietato della criminalità sceglie
meticolosamente chi debba coprirgli le spalle, sapendo che affidare ai propri
uomini la parte più scoperta è un atto di fiducia completa.
In quel momento Benji si domandava che cosa avesse
avuto in testa quando componeva la banda della Taverna delle Lucciole. Ma più
di ogni altra cosa: che cosa aveva fatto per meritarsi tanta ingratitudine e
idiozia incoercibile da parte dei suoi?
“Andatevene via.” sibilò quasi, tanto la sua mandibola
era contratta per la rabbia, e una sua mano coprì immediatamente la nuca di
Lucy, traendola vicina al suo petto.
Lei oppose resistenza e cercò di scostarsi per
guardare oltre le sue malcoperte spalle.
“E tu vorresti essere un gentiluomo? Parola mia
Allucemonco, sei peggio degli scaricatori di porto babbani!” la voce chiara di
Tyra gli schiaffeggiò i timpani.
Non era possibile… Non potevano essere stati così
infintamente stupidi.
La Ragazzina nell’udire il tono confidenziale
dell’altra donna si allontanò con fermezza e i suoi occhi si spalancarono
attoniti non appena lo aggirò per vedere.
“Oh che bel colore di capelli.”
“E che gambe lunghe…”
I sussurri femminili sciamavano come piccole vespe
curiose, anche se in fondo Benji non era poi tanto sicuro che fossero solo
femminili.
Benjamin Richardson chiuse gli occhi e respirò molto
lentamente prima di voltarsi ad osservare che cosa avessero combinato quegli
impiastri dei suoi uomini in compagnia di Tyra.
Lucy ancora immobile al suo fianco osservava senza
capire che cosa avesse davanti.
E come biasimarla quando una folla comprensiva di
tutti i frequentatori della Taverna si spintonava per poterli osservare dalla
porticina sul retro, nello spazio che la figura di Tyra, appoggiata allo
stipite, lasciava libero. La donna li osservava con un compiacimento degno di
un sensale.
Benji si voltò verso Lucy e la prese per mano.
“Sono mortificato Ragazzina.” disse sinceramente
dispiaciuto e si portò la mano della giovane alle labbra, baciandone il dorso.
“Ehi Capo, abbiamo stappato una di quelle cose
frizzanti per festeggiare!” urlò il Larva agitando per aria una delle sue bottiglie di champagne e battezzando
un paio di persone.
Benjamin si massaggiò la fronte con la mano libera
reprimendo l’istinto di affatturare qualunque cosa si muovesse nel raggio di
chilometri. Lucy accanto a lui inaspettatamente scoppiò a ridere con
quell’espressione fanciullesca che gli toglieva il fiato.
Forse non era ancora tutto perduto.
“Anthony! Ma porca Morgana lo sai che mi fa ruttare
come un maiale quella roba!” esclamò contrariato Darren rifilando uno schiaffo
sulla nuca del Larva.
Come non detto.
Le sue imprecazioni mormorate come una litania vennero
accompagnati dalla risata sincera di Lucy mentre entravano nella Taverna delle
Lucciole. A quanto pareva doveva proprio presentare Lucy ai suoi uomini e alla
sua ex-amante, nonché alle prostitute di Hogsmeade.
Probabilmente al posto dello champagne avrebbe dovuto
aprire una botte di Firewhisky.
***
James sapeva che Fred ci metteva tutta la sua buona
volontà per stargli accanto. Sapeva anche che Philip proprio non riusciva ad
esimersi dal parlare come un trafficante dei bassi fondi; e che Alice avrebbe
sempre e comunque trattato ognuno di loro con una gentilezza disarmante.
Il conforto trovato nell’amicizia che loro gli
offrivano spesso però sfumava e lo lasciava solo, a sfidare a duello e combattere
i residui di quello che aveva provato per Gigì.
Sapeva inoltre che Derek era un vigliacco dei
sentimenti e delle emozioni.
In quelle settimane lo aveva osservato con curiosità
quasi clinica, per capire esattamente in che modo avrebbe potuto continuare a
vivere in pace con sé stesso dopo quello che aveva fatto. Come avrebbe potuto
guardare dritta negli occhi Celia Danes e dirle che l’amava, quando solo un
mese prima aveva fatto lo stesso con Angelique. Come avevano potuto le sue mani
toccare il corpo di Gigì e poi scorrere sicure e senza rimorsi tra i capelli
scuri della Regina di Cuori.
Dentro di lui qualcosa tarlava ogni tentativo di non immischiarsi
con quella faccenda: il pensiero di quanto oltre si fossero spinti insieme
Derek e Angelique, che cosa lui si fosse preso deliberatamente prima di tornare
sui propri passi.
Eppure la volontà di lasciarli tutti al destino che
avevano scelto sopravviveva ancora integra. Voleva non curarsi più di quanto
dolore, quanta meschinità, quante bugie scandissero la vita di quelli a cui
aveva voluto bene. Fondamentalmente riconosceva di avere un gran bisogno di
essere egoista e basta, dopo anni passati ad essere un amico fidato e sempre
leale, anche quando i comportamenti di Derek erano contrari, se non proprio ai
suoi principi, per lo meno alle sue convinzioni.
Una scarica di parolacce uscì dalla bocca di Philip
segnalandogli che evidentemente qualche bella ragazza era entrata alla Buca.
James girò appena il capo e vide che Clementine Stuart, con il suo seno di
proporzioni leggendarie, entrava insieme alla sua amica di Tassorosso Jennifer
Parker.
Quel pomeriggio nell’intervallo tra la lezione di
Artimanzia e Incantesimi Philip era riuscito a convincerla a raggiungerlo alla
Buca, estendendo l’invito anche alla sua amica Jennifer.
Clementine era una bellezza bruna ed estremamente
formosa, dotata di una leggerezza di spirito e un’innocenza che James trovava
confortanti in mezzo alla malvagità del mondo. Non era molto perspicace e non
aveva uno spirito molto sagace, ma l’animo puro di Clem era un tocca sana per
la mente. Lui adorava quella ragazza, per ragioni completamente opposte a
quelle che spingevano Philip a cercarla in ogni corridoio nella speranza di
abbordarla.
Jordan saltò in piedi con un’agilità sorprendente e
andò ad accogliere le due ragazze, abbracciando con grande trasporto
Clementine, la quale parve vagamente sorpresa dal fatto che Philip la stingesse
così forte a sé, come se fossero passati anni dall’ultima volta che l’aveva
vista.
Erano mesi che le girava attorno, cercando di sondare
il terreno, e non era la prima volta che la invitava alla Buca, ma fino a quel
momento non era successo nulla tra i due.
James scosse la testa, divertito e incredulo per le
tecniche seduttive di Philip, e si lasciò riempire le orecchie del suono del
vinile di Ella Fitzgerald che Dominique aveva appena messo nel giradischi. La
voce morbida e talmente musicale da sembrare un incantesimo lo cullava
lasciandolo piacevolmente sospeso su tutto quello che accadeva attorno.
Poteva quasi sentire la carezza delle mani affusolate
e perfettamente curate di Dominique sul suo viso, trasmesse da quella musica
che lei aveva scelto.
When a woman loves a man.
Quasi lo faceva ridere il modo sardonico in cui Dom si
premurava di fargli ricevere le proprie frecciatine, in realtà rivolte a
entrambi; perché una delle cose che adorava di lei era proprio la mancanza di
pietismi per chiunque, compresa sé stessa.
Sentì alle proprie spalle la voce argentina di
Clementine, chiara come un trillo di campanelle, ridere scandalizzata per
qualcosa che aveva detto Philip.
Il suo amico e le due ragazze si sedettero con lui al
piccolo bancone della Buca dietro cui in quell’istante Locarn, il barman
ufficioso del gruppo, stava preparando un paio di cocktail azzurrini.
Clementine indossava un tubino rosa fosforescente, a
suo dire uno dei colori che preferiva in assoluto.
“Ciao James!” esclamò la Stuart con tanto entusiasmo
che inevitabilmente fece comparire un sorriso sulle labbra del ragazzo, e lo
baciò su entrambe le guance con fare mondano.
“Ciao Clem.” rispose lui.
Jennifer Parker si avvicinò a lui con aria incerta,
come a non avere idea se lui si ricordasse di lei.
“Jennifer! Che piacere…” esclamò e si chinò a baciarla
sulle guance, come aveva fatto Clementine con lui, le quali si colorarono di un
grazioso rosa.
“C-ciao” balbettò lei sorridendogli.
L’espressione che in quel momento illuminava i tratti
della ragazza era vagamente ebete, ma James rifletté sul fatto che forse non
era molto galante farlo presente a Jennifer.
Aveva un viso semplice, pulito come una ventata di
aria fresca, il suo corpo, avvolto da un normalissimo abito marrone, era privo
di tutta la sensualità e la procacità di cui la natura aveva fatto dono a Clem,
ragione per cui passava un po’ più in sordina rispetto all’amica. Tuttavia
aveva dei grandi e dolci occhi scuri, che lo guardavano sottecchi ogni tanto,
pensando di passare inosservata.
James si chiese se non fosse una casualità che Philip
avesse invitato proprio quell’amica
di Clementine per una serata alla Buca. Una ragazza la cui passione per James
era al di sotto solo di quella per lo scambio di pettegolezzi con Alexis
Qualcosa… Dopo tutti quegli anni non aveva ancora memorizzato il suo cognome.
Smith? Brown? E chi diamine se lo ricordava?!
La risposta che si diede era che ovviamente non era un
caso. Philip lo aveva fatto apposta.
Quindi tanto valeva usufruire di quella situazione.
“Allora Jennifer che lezioni segui quest’anno?” le
chiese puntellandosi al bancone con un gomito e creando una lieve separazione
tra sé e Clementine, intenta a parlare col suo amico.
Jennifer sorrise a quella domanda inaspettata e
immediatamente attaccò a raccontare per filo e per segno di circa le ultime
duecento lezioni a cui aveva partecipato. James si limitò ad annuire e
abbozzare sorrisi di tanto in tanto, giusto per non far capire che il suo
encefalogramma era completamente piatto.
Sarebbe stato tanto semplice quanto era chiaro negli
occhi di Jennifer che non vedeva l’ora che succedesse. Avrebbero parlato ancora
un po’, o più che altro avrebbe parlato lei, lui le avrebbe fatto un
complimento qualsiasi, sfiorandola casualmente sul polso o sul ginocchio.
Lei lo avrebbe guardato con un’espressione esitante,
domandandogli come interpretare quel contatto, lui in tutta risposta avrebbe
ripetuto il gesto a qualche minuto di distanza, con un qualunque pretesto,
soffermandosi di più sulla pelle sensibile dietro i polsi, dove le vene battevano
il ritmo del cuore.
Le avrebbe chiesto se voleva che la riaccompagnasse in
dormitorio e quando fosse stato il momento giusto l’avrebbe baciata.
Avrebbe potuto affondare nelle labbra che ora gli
sorridevano, avrebbe potuto per qualche istante lasciare che tutto galleggiasse
in quel momento sospeso che solo un bacio poteva creare. Si sarebbe potuto
concedere di tornare leggero, dopo tanto tempo.
Alexis gli stava raccontando di quando con Clementine
avevano provato a fare il bagno nel Lago Nero a fine settembre ma era talmente
freddo che aveva perso la sensibilità ai piedi appena li aveva immersi. Rise e
il suo viso, pulito e solare, gli trasmise un’allegria tanto spontanea che
anche lui ridacchiò. Doveva essere parecchio nervosa se non si era ancora
fermata un attimo a respirare o a bere qualcosa.
“Hai una bella risata.” le disse con tono basso e
confidenziale. Le sorrise e toccò con casualità il suo avambraccio, dove l’orlo
della manica lasciava scoperto il polso. Fu un tocco amichevole e noncurante,
ma quasi poté sentire la scossa di stupore attraversare le braccia della
ragazza e farle irrigidire le spalle.
Ella Fitzgerald smise di cantare all’improvviso, con
qualche protesta da parte dei frequentatori della sala, ma venne prontamente
sostituita. Questa volta la musica era completamente diversa, una chitarra
iniziò a vibrare i propri accordi ben ritmati, ma dal retrogusto quasi
malinconico. Era un album dei Rolling Stone che lui conosceva bene.
“Grazie.” mormorò Jennifer sorridendogli di rimando.
La voce di Mick Jagger fece il suo ingresso in grande
stile, causandogli sin dalla prima parola uno strano spasmo nel torace, proprio
al centro del petto, come se le ossa avessero cercato di collassare su loro
stesse.
Angie, oh Angie, when will those dark clouds disappear?
“E tu che mi dici? Gli allenamenti della squadra come
vanno?” gli chiese lei e subito dopo si accomodò meglio sullo sgabello alto da
bar su cui sedeva, avvicinando leggermente le loro ginocchia.
Cercando di controllare la risacca di emozioni che
quella canzone gli creava, impiegò qualche istante più del dovuto a rispondere,
attirando lo sguardo un po’ perplesso di Jennifer.
“Oh bene! Sono tutti molto bravi.” disse e poi prese
una sorsata abbondante del suo drink, per tenere la bocca occupata a non dire
sciocchezze.
You can’t say we’re satisfied
But Angie, oh Angie, you can’t say we never tried.
Doveva solo concentrarsi ed evitare di ascoltare
quella voce che gli rimbombava in ogni angolo del cervello. Doveva solo…
Jennifer Parker lo osservava in quell’istante come
aspettandosi una sua risposta.
“Come scusa?” si ritrovò a chiederle con un sorriso,
sperava, abbastanza affabile da farle dimenticare che non le aveva dato retta.
“Va tutto bene James?” il tono della ragazza era
venato di sincero interesse.
Angie, I still love you, remember all those nights we
cried?
Maledetta Dom.
“Sì, credo che questa musica mi stia facendo venire
mal di testa…” rispose lui massaggiandosi la radice del naso.
Si voltò lievemente, gettando uno sguardo truce oltre
la propria spalla verso i divanetti, e incrociò subito un paio di occhi azzurri
che lo osservavano indecifrabili. Poi sulle labbra accentuate dal lucidalabbra
si formulò un’unica parola: Farfallone.
“Vuoi andare a fare un giro? In effetti l’aria qui è
un po’ soffocante.” propose Jennifer con naturalezza.
James distolse lo sguardo dalla cugina e si ritrovò a
guardare gli occhi scuri e luminosi della ragazza, che con semplicità gli stava
offrendo la possibilità di fuggire per qualche minuto alle sue ombre. Forse
anche lei se ne rendeva conto, a un livello inconscio, nel magma indistinto e
potente che è l’istinto femminile, eppure non si tirava indietro. Sembrava
tutto così a portata di mano che a James ricordò la facilità con cui era
iniziata con Fanny, la contrapposizione all’impossibilità di avere vicina Angelique.
Dominique alzò il volume del giradischi.
You can’t say we’re satisfied
But Angie, I still love you, baby
everywhere I look I see your eyes
E poi eccola, non c’era più Jennifer Parker davanti a
lui, ma Gigì.
Angelique, col viso trasfigurato dai suoi incantesimi,
i capelli scuri e le medesime espressioni, dritta in piedi davanti a lui. Nei
suoi capelli e nei suoi vestiti si incastravano manciate di fiocchi di neve
dando l’impressione di volerla decorare, innamorati della sua bellezza fredda
volevano conquistare ogni centimetro di pelle. Lei, le luci di Natale, la neve
dovunque, il profumo di chiodi di garofano e di zenzero per le strade. Le
labbra di Gigì si schiudevano e lo invitavano, lo chiamavano inesorabili.
Il ricordo di quel pomeriggio insieme, richiamato
dalla musica, svanì come fumo nell’aria, lasciandolo di nuovo al presente.
“Ti ringrazio Jennifer, ma credo che andrò a dormire.”
James si sentì dire quelle parole e un lampo di
dispiacere passò negli occhi della ragazza. Ebbe l’istinto di farle una carezza
sui capelli, ma non gli sembrò il caso.
Quando poco dopo si alzò sotto lo sguardo pieno di
disapprovazione di Philip, a cui probabilmente aveva rovinato i piani della
serata, si diresse spontaneamente verso il punto della sala in cui Dominique
leggeva senza apparente entusiasmo un libro sulle erbe officinali.
Indossava un camicia candida e una gonna rosa pastello
a piegoline. La sua pelle era così diafana da sembrare una tonalità appena più
scura della camicetta, mentre i capelli acconciati in una treccia francese
erano una cascata spendente di riflessi argentei.
Quando i suoi occhi lo puntarono fu palese che non lo
avesse perso di vista un secondo. Non che lo avesse mai pensato, visto come
aveva gestito il fronte della colonna sonora della serata.
“Ti sei divertita mia adorata cugina?” le chiese
polemico andando dietro di lei per spiare il testo del libro e posando una mano
sulla sua spalla.
Il capo di Dominique si chinò verso il suo dorso e la
guancia tiepida gli rubò una carezza che lui non aveva voluto concederle.
“No, Jimmy. Ogni tanto però abbiamo bisogno che
qualcuno ci faccia aprire gli occhi, non credi?” sussurrò lei e lo guardò con
una delle sue rarissime occhiate malinconiche, che ebbe il potere di spezzare
ogni iniziativa di rappresaglia.
“Perdonami.” mormorò chinandosi e posando un bacio
lieve sulla sua fronte. “Solo che, maledizione Dominique, avevo proprio una
gran voglia di limonare.”
La risata di Dom inondò la sala come una cascata di campanelle,
sprizzante allegria.
“Oh James, credo che tu sia la persona che preferisco
in assoluto dopo la mia sarta.”
***
L’importante era continuare a respirare.
Non dimenticarsi tra un tremito e l’altro delle gambe,
tra i battiti furiosi del cuore contro il costato, che la cassa toracica doveva
espandersi e comprimersi, che i polmoni dovevano prendere aria. Insomma
ricordarsi di non svenire per così dire.
Lucy ingollò una generosa sorsata di Firewhisky e si
guardò attorno in attesa.
La situazione comica che le si era presentata davanti
appena arrivata alla Taverna delle Lucciole si era presto evoluta in una
decisamente più critica. Si erano seduti tutti insieme nella sala principale
con una bottiglia di coraggio liquido al centro del tavolo e poi non era
accaduto più nulla.
Gli uomini di Benji e le donne che li accompagnavano
la osservavano, chi con plateale interesse, chi con un po’ più di riserbo, ma
in sostanza non facevano altro che radiografarla.
E Lucy mal sopportava l’essere messa sotto esame.
Benjamin Richardson dal canto suo rimaneva
pietrificato al suo fianco, senza la più pallida parvenza di reattività, rigido
e controllato come non lo aveva mai visto. Con lei aveva ingaggiato sin
dall’inizio un duello di provocazioni e rispostacce che le avevano rivelato la
personalità carismatica e audace di quell’uomo che amava.
Proprio nel momento del bisogno, quando avrebbe dovuto
aiutarla a fronteggiare il giudizio di quella che in fondo era la sua famiglia,
faceva il merluzzo. Somigliava vagamente a suo cugino Albus ora che ci
rifletteva.
Se solo avesse avuto le Menadi alle sue spalle a
incoraggiarla…
Lucy sorrise della propria ingenuità. Loro c’erano,
sempre.
Erano nascoste nel nucleo ben protetto e sicuro dentro
di lei, ad ogni suo vacillare si ergevano per sostenerla, per spronarla con
amorevolezza e per prenderla a calci nel sedere quando non si decideva ad
andare avanti. Le bastava concentrarsi un poco per sentire l’energia di
ciascuna di loro, la loro personalità trasposta in quello che le avrebbero
detto in una situazione tanto assurda.
“Avanti Leda,
non fare la cacasotto! Fa’ vedere a tutti che c’è un motivo se siamo le uniche
col monopolio sul contrabbando ad Hogwarts.” la voce decisa e dal tono
pepato di Lily.
“Non vedi che ti
sorridono Lucy? Sono entusiasti di conoscerti. E se anche così non fosse
sarebbero degli sciocchi.” la calma rassicurante di Rose, come una tisana
calda in pieno inverno.
“Tesoro smettila
di tenere la bocca come se fosse una prugna secca, sorridi e fa vedere che bel
rossetto che ti ho costretto a mettere!” la leggiadria di Dom accompagnata
da un occhiolino.
“Basta che tu mi
faccia un cenno Leda e li schiantiamo tutti. Poi ce la diamo a gambe senza
destare sospetti.” La bellicosità di Angie imbrigliata sotto l’aspetto
controllato.
Quando arrivò la prima domanda Lucy era ormai sicura e
decisa a non nascondersi più sotto il tavolo.
“Allora…” iniziò con tono vago l’uomo barbuto con un
occhio tragicamente strabico, Osvald. “Quanti anni hai?”
Benji si fece andare di traverso il Firewhisky e
iniziò a tossire. Lucy lo guardò per un secondo vagamente infastidita, con le
labbra arricciate, prima di rispondere senza tanti problemi all’uomo.
“Diciassette. Ad Aprile diciotto.” rispose guardando
il Guercio, che le sorrise benevolo.
Nessuno commentò o le lanciò occhiate indiscrete, di
questo Lucy fu immensamente grata.
“Quindi vai ancora ad Hogwarts?” domandò una ragazza
dai begli occhi chiari e un forte accento scozzese, che doveva essere di poco
più grande di lei.
La fronte di Lucy si aggrottò mentre realizzava che
Benji non avesse detto loro nulla riguardo a lei.
“Sì, sono all’ultimo anno.” rispose senza perdere il
coraggio infusole dalle Menadi.
Non aveva alcun senso vergognarsi della propria età o
del fatto che frequentasse ancora la scuola, erano cose che Benji sapeva
perfettamente e che non avevano mai rappresentato un problema tra loro. O così
almeno sperava.
“E qual è il tuo vero nome?”
Questa volta a parlare era stata un donna dai capelli
biondo scuro, che definire affascinante era un eufemismo in confronto a quello
che Lucy vedeva. Aveva la sicurezza noncurante di chi sapeva che sorridendo in
un certo modo avrebbe mandato in autocombustione qualunque uomo.
Accanto a lei Benjamin si immobilizzò e guardò in modo
truce la donna.
“Il suo nome è Leda. Ve l’ho già detto.” ringhiò con
un tono così minaccioso che un paio di suoi uomini si ritrassero.
Lucy lo fissò finché anche lui non si voltò verso di
lei. Non avrebbe dovuto permettersi di rispondere al posto suo, anche se non
voleva che scoprissero la sua identità. Il volto di Benji era contrariato e
scuro, segni inconfutabili che detestava quella situazione. Gli restituì
un’occhiata fredda e altera, alzando il mento con aria di sfida.
Poi guardò dritta negli occhi scuri la donna che prima
le aveva posto la domanda.
“Lucy. E il tuo?” chiese con lieve spasmo allo stomaco
per il dubbio di aver fatto una sciocchezza. Tuttavia la sua preoccupazione si
sciolse non appena vide uno splendido sorriso sbocciare sulle labbra carnose e
sensuali della donna, un sorriso vero e pieno di gioia.
“Mi chiamo Tyra. È così bello conoscerti, eravamo
tutte curiose come scimmie!” esclamò e poi rise di sé stessa. “Loro sono le mie
ragazze.”
La sua mano destra indicò le altre ragazze presenti,
che le fecero dei cenni di saluto entusiastici. Erano tutte particolarmente
avvenenti, con vestiti particolarmente scollati e un trucco particolarmente
elaborato.
“Lavorano per te?” chiese Lucy aggrottando la fronte
perplessa.
Tyra dondolò leggermente la testa mentre le rispondeva
sorridente: “Non esattamente. Ognuna lavora per conto proprio, ma io
supervisiono gli appuntamenti settimanali e intervengo se dovessero esserci
problemi con i clienti.”
Lucy stava per chiedere ulteriori chiarimenti, quando
vide che parecchie di loro le sorridevano con una complicità femminile che
parlava molto più chiaramente delle parole di Tyra. Le sue sopracciglia
scattarono in alto in un lampo di comprensione e Tyra chinò il capo in un cenno
di assenso.
“Oh!” esclamò Lucy, mentre il rossore le saliva alle
guance per la propria inesperienza. Subito dopo però sorrise a Tyra per il suo
insospettabile garbo nel farle capire la situazione senza trattarla come una
bambina.
Cosa che evidentemente riusciva impossibile ad
Allucemonco.
“Adesso basta! Ne ho abbastanza di questa
pagliacciata.” sbottò alzandosi in piedi e prendendola per un polso,
obbligandola a fare altrettanto.
“Guarda che l’unico che fa pagliacciate qui sei tu.”
rispose Tyra guardandolo irritata.
Benji mugugnò una parolaccia indistinta e poi marciò
fuori dalla stanza trascinandola senza alcuna grazia. Lucy colta di sorpresa da
quel comportamento, ebbe appena il tempo di voltarsi e salutare globalmente il
gruppo eterogeneo e tanto buffo della Taverna delle Lucciole, prima che Benji
si avviasse sulle scale anguste.
***
“Si può sapere che cosa diavolo ti passa per quella
testa bacata?” gli urlò in faccia Lucy una volta entrati nella sua stanza.
Benjamin nemmeno rispose e andò a versarsi un
bicchiere di scotch dal tavolinetto degli alcoolici. La sua camera era
rischiarata dalle candele e dal caminetto accesso, che donavano una luce
rossiccia al legno dei mobili e ai tendaggi chiari.
Fece appena in tempo a trangugiarne il contenuto
quando Lucy lo raggiunse con un paio di falcate e lo voltò verso di sé.
“Sto parlando con te, razza di troglodita!” disse e lo
spintonò con forza.
Il ciuffo rosso le cadeva scomposto sul viso e i suoi
occhi erano macchie scure di rabbia. Sembrava ardere insieme alla luce calda
della stanza. Era bellissima e lui ancor più turbato da come si era comportato
poco prima.
“Perché diamine gli hai detto il tuo nome?” le chiese
cercando di imprimere in ogni singola parola la propria disapprovazione per un
comportamento così avventato.
“Perché ho deciso di dar loro fiducia, così come l’ho
data a te mesi fa. Ricordi?”
Benji si versò dell’altro scotch e lo bevve tutto d’un
fiato. Lucy però non aveva alcuna intenzione di lasciar cadere la discussione.
“Come ti sei permesso di trattarmi in quel modo?! Per
di più davanti a tutti!” urlò e lo spintonò ancora premendogli le mani sul
petto.
“Che cosa avrei dovuto fare, Lucy?” urlò anche lui e
scagliò il bicchiere contro la parete mandandolo in frantumi, preso da un
sentimento incontenibile. “Avrei dovuto lasciarti a parlare con delle puttane e
dei criminali tutta la serata? Avrei dovuto lasciare che ti chiedessero che
cosa ne pensa la tua famiglia del fatto che stai con un avanzo di galera? Che
cosa avrei dovuto fare dannazione?”
Lucy strinse le labbra e lo guardò ancora più dura.
“Innanzi sono stata trattata con molta più gentilezza
e comprensione da delle prostitute e dai tuoi uomini, che non da te. Inoltre
non mi sembra di aver mai mostrato disgusto o biasimo per te quando passiamo
del tempo insieme. Tranne le volte in cui ti comporti da imbecille, come prima.
Non vedo perché dovrebbe essere un problema parlare con loro, visto che tu sei
il loro capo e state insieme tutti i giorni!”
“Perché è diverso!” urlò ancora lui esasperato.
“No! Non è affatto diverso, sei tu che sei stupido!”
urlò Lucy di rimando e gli sembrò che si trattenesse a stento dal colpirlo
fisicamente. Lo avrebbe decisamente preferito alla prospettiva di parlare dei
suoi sentimenti.
“Smettila di insultarmi, porca miseria!”
“Allora dimmi che cosa ti è preso!”
Benji si rese conto che, se non avesse detto la
verità, Lucy non lo avrebbe perdonato, non avrebbe tollerato oltre la compagnia
di un uomo che non era in grado di controllarsi quel tanto che bastava per
comportarsi in modo decorso. Quindi non gli restava che essere sincero…
“Ho paura, va bene?” urlò con tutta la forza che aveva
nei polmoni. “Ho una paura fottuta che tu ti renda conto di star buttando via tempo
con me! Che cosa se ne potrebbe fare una ragazza in gamba come te di un uomo
che non può presentare in famiglia, di cui non può parlare alle amiche, uno che
vive nell’ombra e affonda le mani tutti i giorni nella feccia? Ho paura che tu
mi veda davvero per quello che sono.”
“E per questo preferiresti mostrarmi una facciata
falsa? Vorresti tenermi nascosta al tuo mondo per evitare che ne rimanga contaminata
o scandalizzata? Preferisci ingannarmi, invece che lasciarmi la possibilità di
decidere se ti voglio per come sei!” la voce di Lucy era bassa e vibrante, lo
graffiava dentro come artigli avvelenati. Non l’aveva mai vista così
arrabbiata, nemmeno quando aveva giocato coi suoi sentimenti, cercando di
nascondere i propri.
“Tu non sai che cosa sarei disposto a fare per non
perderti.” mormorò cupamente Benjamin, preso dal disgusto per se stesso. “Forse
proprio per questo dovresti andartene, prima che sia troppo tardi.”
“Scordatelo, codardo che non sei altro! Io da qui non
mi muovo finché non ti metti in quella maledetta zucca che non puoi
proteggermi.” esclamò lei e gli si avvicinò costringendolo a guardarla in viso.
La furia con cui lo aveva aggredito si era trasformata
in un fuoco diverso, meno distruttivo ma non meno tenace. Lo guardava con
un’intensità tale che dovette abbassare gli occhi per non baciarla, cosa che
lei non avrebbe gradito in quel momento.
“Non mi puoi proteggere dalla verità. Non voglio che
tu lo faccia mai più! Sono perfettamente in grado di capire da sola che cosa
voglio nella mia vita e che cosa no. Le ragazze al piano di sotto mi stanno
parecchio simpatiche, i tuoi uomini sono gentili e tu, tu sei un maledetto
imbecille che deve imparare a fidarsi di me. So scegliere da sola e ne ho tutto
il diritto!”
Le mani della sua Ragazzina gli avvolsero le guance,
fredde e magre, costringendolo ad alzare il viso che aveva abbassato in quella
sfuriata. Frugava sui suoi lineamenti febbrilmente, cercando la conferma che
lui avesse capito, che lui avesse accettato.
Aveva ragione Lucy, ovviamente, che gli stava dando
una lezione di vita molto più significativa di tutte quelle che lui avrebbe
potuto offrire a lei, con i suoi dieci anni in più di esperienza e di vita.
Doveva darle la possibilità di vedere tutto, di vedere davvero e lasciare che
stabilisse lei se voleva restare oppure no.
“Ma io mi fido di te Lucy. Non mi fido in alcun modo
di me stesso.” le mormorò scoccandole un sorriso sghembo. Vide la scintilla di
desiderio, cresciuto in quello scontro verbale, accenderle gli occhi in modo
inconfondibile.
“Beh dovrai imparare a farlo. Questo maschilismo da
due soldi può avere funzionato in passato, ma con me non ha speranza di
sopravvivere. Non mi proteggere se io non te lo chiedo.” gli disse con
fermezza. Poi i suoi occhi scuri si abbassarono sulle sue labbra senza curarsi
di celare in alcun modo quello che le passava per la testa. Dunque perché doveva
farlo lui?!
“Quindi non ti devo proteggere nemmeno dal
malintenzionato che sta per spogliarti?” le sussurrò passandole il braccio
attorno alla vita sottile.
“Te l’ho forse chiesto Richardson?” chiese Lucy con
aria tanto sfrontata che l’unica risposta degna che trovò fu il bacio con cui
la zittì.
Mentre la convinceva a lasciargli accesso alla sua
bocca, che giocosamente gli opponeva resistenza mordendogli il labbro
inferiore, gli sembrò che la rabbia accumulata nel litigio trovasse un canale
di sfogo.
Passò le mani sotto alle sue natiche e la invitò ad
allacciargli le gambe attorno ai fianchi. Lucy colta leggermente di sorpresa da
quel gesto si distrasse, così che lui poté approfondire il bacio, travolgendola
e lasciandola senza fiato.
Si spostò per la stanza con lei stretta a sé, fino a
trovare una parete a cui addossarla. Le sue labbra scesero fameliche per il
lungo collo bianco, mentre la mano che non la sosteneva sbottonava febbrile la
camicia azzurra, alla ricerca dei suoi seni piccoli e alti. Quando li trovò
avvicinò il viso ad essi, e, prima di baciarla, inspirò l’odore della sua pelle
come se non l’avesse mai sentita.
Lucy gemette e mosse i fianchi contro ai suoi, poi
cercò di divincolarsi per partecipare, ma lui alzò il volto dal suo petto e la guardò
con un pizzico di perfidia.
“Oh no, Ragazzina. Non penserai che questo pessimo
individuo ti lasci fare ciò che vuoi… Ti avevo avvertita.” le sussurrò
malizioso e vide gli occhi di lei allargarsi per l’eccitazione.
Quando la baciò ancora lei era morbida e malleabile,
gli lasciò la libertà di assaggiare e baciare tutto ciò che desiderava, gli
lasciò condurre con una docilità che non aveva mai mostrato.
Fecero l’amore così, contro la parete, coi vestiti
calati e scostati lo stretto necessario, con un’urgenza mai conosciuta prima.
Entrare dentro di lei fu un sollievo per la sua anima,
sentirla così profondamente attorno a sé, aggrappata e fluttuante contro di
lui, sembrava l’unica cosa in grado di mantenerlo integro e sano di mente. Le
sue labbra mormorarono le scuse affrante per la mancanza di rispetto avuta poco
prima, le sue dita intonarono preghiere contro la sua pelle, implorando la
carne bianca e rovente di perdonarlo, i suoi occhi la seguirono in ogni
mutamento del viso, fino agli spasmi del piacere che si chiusero ritmicamente
attorno a lui.
Lei lo strinse ancora più forte proprio al culmine e lo
portò via con sé, come sempre, come solo lei sapeva fare.
Forse fu per l’intensità di aver fatto l’amore in quel
modo, forse fu per le parole di Lucy che l’avevano colpito più a fondo di
quanto si aspettasse, forse fu perché non si può contenere la luce in un
armatura crepata e Lucy gli splendeva dentro. Non lo seppe mai, però quando
entrambi stavano riprendendo fiato stremati, lui abbandonato contro la curva
dolce tra il suo collo e la sua spalla e lei appoggiata al muro, le parole gli
uscirono dalle labbra senza controllo.
“Ti amo.”
Sentì contro il proprio orecchio il cuore di Lucy
aumentare i battiti fino a che temette che le sarebbe scoppiato. Alzò il viso sconvolto
dalle proprie parole e incontrò quello di lei.
Ogni colore era defluito dalle sue guance, gli occhi
nocciola lo osservavano allucinati e la sua bocca era spalancata. Sembrava
un’espressione a metà tra l’inorridito e lo shock. Lo allontanò da sé con
energia e poi prima che lui se ne rendesse conto, aveva già rindossato i
pantaloni ed era fuggita via dalla sua stanza.
Benji l’avrebbe anche rincorsa se non fosse stato per
quello che aveva letto sul suo viso, qualcosa che non aveva mai visto rivolto a
lui. E per i pantaloni calati attorno alle caviglie, ma quelli sarebbero stati
un dettaglio trascurabile in quel frangente.
Le aveva detto che l’amava… E lei era scappata.
***
Mentre Rose osservava e ascoltava Lucy, si sentiva
decisamente soddisfatta.
Avrebbe voluto prendere per un’orecchia Dominique e
dirle: “Così si orchestra un piano geniale.”, a riprova del fatto che quando
lei, Rose Weasley, decideva di intervenire lo faceva con criterio.
Solo che in quel momento le premeva di più far capire
a Lucy che non doveva chiedere asilo politico in Venezuela, ma che doveva
semplicemente tornare ad Hogsmeade.
Lucy si aggirava per il Quartier Generale come una
belva in gabbia. Alla sua chiamata di emergenza avevano risposto tutte quante,
anche Angelique, sempre più pallida e sfumata. A Rose sembrava che stesse
dimagrendo in modo poco salubre, come se il suo viso si stesse prosciugando e
la sua pelle si facesse più arida e fragile, simile a una pergamena.
“Non posso vederlo mai più.” esalò Lucy.
La sua postura non aveva nulla della solita fierezza, le
spalle erano afflosciate sotto il peso di una disperazione e di una resa che si
riflettevano negli occhi, fissi nel vuoto.
“Leda che cazzo stai dicendo?” berciò Lily scattando
in piedi.
“Lily!” esclamò Rose guardandola male, ma l’altra era
già impegnata a scuotere i gomiti di Lucy, perché alle spalle non ci arrivava.
“Non iniziare a dare di matto anche tu! In questa
famiglia non è rimasto nessuno che riesca a ragionare?” esclamò Lily guardandosi
attorno e fissando il proprio sguardo su Dominique, che durante quella crisi
stava ottimizzando i tempi facendosi un pediluvio. La fronte cosparsa di
lentiggini di Lily si corrugò visibilmente mentre si chiedeva, come anche Rose
d’altra parte, da dove fosse spuntata quella bacinella che fino a un attimo
prima non c’era.
“Che c’è? Non lo sapete che i piedi risentono di tutto
lo stress del corpo?! Vi sembra che questa sia una situazione rilassante?” si
difese Dom stringendo le spalle nel maglioncino di cachemire grigio perla.
“Non sapevo che fossi esperta di riflessologia
plantare.” disse Angie inarcando stupita entrambe le sopracciglia.
Dominique le sorrise in quel modo che di solito faceva
inciampare i ragazzi nei loro stessi piedi e non disse nient’altro.
Ovviamente non aveva idea di che cosa stesse dicendo
l’altra e anche Angie se ne accorse, tanto che alzò gli occhi al cielo e
represse un sorriso.
“Piedi a parte,” intervenne Rose, prima che la
discussione degenerasse come al solito. “non credo che sia una decisione molto
razione quella di non vedere più Benjamin.”
“Non capisci Rose? Non ho altra scelta.” ribatté Lucy
divincolandosi dalle mani di Lily.
Poi crollò con un tonfo sulla sgangherata poltroncina
di vimini su cui Dominique di solito relegava le vittime dei suoi test.
“Direi, invece, che hai molte scelte davanti a te. Nessuna
di queste prevede la richiesta del passaporto.” aggiunse rapidamente quando
Lucy aprì la bocca per obiettare. “Senti Lucy… Posso solo immaginare quanto
debba farti paura l’idea di essere arrivata a questo punto della tua relazione
con Benji. L’amore fa paura, perché ci rivela le nostre debolezze, ma è anche
meraviglioso proprio perché ci dà la spinta per superare i nostri limiti. Non
credi?”
Lucy scosse la testa in preda al panico.
“No. No. No. No.” mormorò come una litania.
“Lucie, ma belle,
sei così terrorizzata all’idea di dirgli che anche tu lo ami? O hai scoperto
che gli manca davvero l’alluce? Immagino che ci voglia lo stomaco forte per
poter andare a letto con un invalido…” intervenne Dominique osservando
crucciata la Weasley.
“Giusto Leda! Non te lo abbiamo mai chiesto, ma Benji
le ha proprio tutte le dita dei piedi?” chiese Lily con un sorriso criminale
stampato in viso.
Lucy spalancò la bocca, boccheggiò come un pesce per
un paio di secondi e poi nascose il viso tra le mani continuando a scuoterlo. E
iniziò a piangere con tanto di singulti.
“Non è che sei in pre-mestruo Leda?” chiese Angie andandole
vicino e facendole delle carezze gentili sui corti capelli rossi.
“In effetti sì…” singhiozzò Lucy alzando il volto
rosso e ludico di lacrime. Angie le porse l’intera scatola di kleenex e la
guardò con aria comprensiva.
“Allora è tutto a posto!” esclamò rallegrata Dominique
e agitò la bacchetta sopra alla bacinella, da cui si udì un sommesso gorgogliare.
Si rilassò contro la sua seggiola e si godette l’idromassaggio ai piedi con
un’espressione di pura beatitudine stampata in faccia.
“Quindi correggimi se sbaglio Lucy: sei stata
presentata agli amici di Benjamin, sei stata trascinata via dalla sala come un
sacco di patate. Hai litigato col tuo fidanzato, avete fatto sesso, lui ti ha
detto che ti ama e tu sei scappata in preda al panico. La somma dei motivi che
ti hanno indotta a una tale boiata sono in ordine: il ciclo imminente, la
scarsissima capacità razionale post-coito, la sorpresa, la paura di dire anche
tu la stessa cosa e i piedi stressati.” riassunse Rose per poi voltarsi verso
Dominique. “Confermi Generale che possano essere una delle concause?”
Dom corrugò per un istante la fronte, poi le sue
labbra si arricciarono meditabonde.
“Assolutamente! Dei piedi maltrattati possono fare
terribili scherzi.” asserì con serietà massima.
Una risatina nervosa, mista alle lacrime, scaturì
dalle labbra di Lucy.
Rose sorrise a quel suono. Bene, almeno iniziava a
calmarsi il minimo necessario a godersi l’ironia.
Quindi Rose riattaccò con la propria arringa:
“Ora, ammetterai anche tu che l’ipotesi di non vederlo
mai più per evitare di dirgli che ne sei innamorata è un tantino irrazionale. E
non sforzarti di protestare, si vede lontano un miglio che sei innamorata
persa.”
“Certo che sono innamorata! Come potrei non esserlo?
Ma non posso dirglielo!” esclamò Lucy scattando in piedi.
“Perché no?” urlò quasi Lily esasperata.
“Perché… Perché…” balbettò Lucy senza riuscire a
concludere.
“Perché gli metteresti tra le mani la parte più
fragile di te. Perché dovresti concedergli di vedere dove le ferite sono ancora
fresche e dolorose. Perché non è così semplice lasciarsi amare.”
Tutte quante si voltarono sorprese verso Angelique.
Rose non si sarebbe aspettata un suo intervento, soprattutto in un simile
argomento. La voce tenue e sul punto di incrinarsi da un momento all’altro faceva
intuire che cosa stesse pensando la ragazza, che tuttavia si sforzava di
guardare negli occhi Lucy e sorriderle.
Le creava una strana tenerezza e una fiducia nelle sua
forza d’animo il pensiero che, nonostante la recente esperienza a dir poco disastrosa,
Angelique non avesse esitato a raggiungerle, per ascoltare e aiutare un’amica
in difficoltà.
Rose colse un movimento alla sua destra e vide Lily
incrociare le braccia sul petto, mentre un’espressione di rabbia prendeva vita
sul suo viso e schioccava la lingua.
“Beh Angelique, non è che siano tutti come te e
Schatten! Esistono persone che sono in grado di non ridursi a dei vegetali solo
per una scopata.”
Le parole di Lily, pronunciate con la precisa
intenzione di ferirla, furono tanto inaspettate per Angie che la ragazza
all’inizio non rispose nemmeno. Si limitò a guardare con gli occhi sbarrati la
cugina e a respirare dalle narici leggermente dilatate.
Rose dal canto suo era gelata al suo posto, riuscì
solo a scambiarsi un paio di occhiate atterrite con Dominique e Lucy.
“Come hai detto, scusa?” proferì lentissima Angie
afferrando un bracciolo della sua sedia con tanta forza da far sbiancare le
falangi.
Lily si fece avanti e all’improvviso i suoi tredici
anni si dissolsero, lasciando spazio a una consapevolezza di sé molto più
evoluta, una spietatezza più elaborata della solita mancanza di riguardi per i
sentimenti altrui.
“Ho detto che ci sono persone che riescono a mantenere
un po’ di dignità dopo averla data via senza tanti problemi, mentre a te non
riesce molto bene. Pensi che l’essere la martire pugnalata al cuore faccia pena
a qualcuno? Sei sempre la solita stronza, che non guarda in faccia nessuno.”
Il viso di Angie si modellò in un’espressione quasi
assente, tanto era immobile, ma a Rose sembrava di scorgervi chiaramente dietro
la furia che divampava.
“Lara…” la richiamò sconvolta Lucy ma l’altra non
diede segno di averla sentita.
Per Lily non era ancora abbastanza. Si erano rotti i
fragili argini di contegno che le avevano imposto loro settimane addietro,
implorandola di non scontrarsi in modo diretto con Angie.
“Visto che Schatten ti aveva scaricata dopo essersi
preso quello che gli interessava, ti sei sentita autorizzata a trattare Tristan
come un rifiuto? Ti sei sentita a posto con la tua coscienza dopo aver fatto
soffrire a quel modo mio fratello? Ma che lo domando a fare! Tu sarai sempre la
Principessa di Ghiaccio, vero? Non c’è spazio dentro di te per l’amicizia, per
la generosità, per l’amore. Mi fai schifo.” terminò Lily piegando all’ingiù le
labbra disgustata.
Rose ascoltò quella sfuriata con la bocca spalancata
per l’orrore e la sorpresa. Non poteva averle detto davvero quelle cose. Non
poteva essere successo…
Le labbra di Angie si arricciarono agli angoli e solo
dopo un attimo Rose si rese conto che era un sorriso, perché quella smorfia di
freddezza nulla aveva a che vedere coi sorrisi aperti e franchi che ricordava.
“Se è quello che pensi...” disse con voce indifferente
Angelique, alzandosi in piedi e sovrastando Lily.
Rose vide uscire dalla manica del cardigan di Angie la
punta della bacchetta e temette seriamente che avrebbe attaccato l’altra. Stava
già per scattare in difesa della più piccola quando il braccio di Angie si tese
in una direzione completamente diversa.
La destra si levò perpendicolare al mobile su cui
avevano applicato un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, quello che
conteneva tutte le pozioni per la vendita e quelle per il loro uso personale.
Allora Rose capì ed ebbe ancora più paura di prima.
“Deprimo.” scandì con lentezza Angelique mentre
un’espressione di soddisfazione le prendeva tutto il viso, facendo brillare gli
occhi di una luce cupa e pericolosa.
Il vetro delle ante scricchiolò per un istante, in
accordo con quello di tutte le boccette ordinatamente impilate e catalogate.
Poi si udì subito dopo il rumore delle molteplici crepature, che rompevano
tramite la pressione dell’incantesimo la rete della struttura, finché non
crollò tutto al suolo con un rumore assordante di vetri infranti.
I fluidi di mille colori diversi si sparsero al suolo,
mesi di lavoro e di fatiche distrutti con un solo gesto.
Mentre le altre accorrevano verso l’ex-deposito delle
pozioni urlando, Angie marciò in un tetro trionfo attraverso il Quartier
Generale e se ne andò.
Angelique aveva appena lasciato le Menadi al loro
destino, visto che senza Polisucco e altre pozioni necessarie non avrebbero
potuto continuare le attività ad Hogsmeade sotto copertura. E di ciò Angie era
perfettamente concia mentre decideva di distruggere le sue amate creazioni, al
solo scopo di lasciarsi alle spalle il deserto.
Ora che ci pensava non si sentiva poi tanto
soddisfatta.
***
Angelique aveva smesso di tenere il conto dei giorni.
Non sapeva esattamente quando fosse successo,
probabilmente da quando era tornata nei confini sicuri della quotidianità di
Hogwarts. Aveva lasciato che le ore e i giorni le scivolassero sulle spalle
come pioggia, aveva lasciato che la sua vita andasse avanti senza volerne
prendere parte. Era stato uno dei molti trucchetti anestetici che avevano dato
buoni risultati finché Lily non aveva scoppiato la sua bolla, fragile e
silenziosa.
E si era resa conto improvvisamente che era passato
più di un mese.
Mentre Angelique cercava di farsi largo insieme a
Elena e Martha nel corridoio ingorgato di persone durante il cambio dell’ora,
pensò che ce l’aveva ancor di più a morte con Lily Luna Potter.
Non solo per quello che le aveva detto, non solo perché
le aveva tolto il porto sicuro rappresentato dalle Menadi, ma anche perché a
causa sua si ritrovava incastrata nella carneficina del cambio dell’ora, che
normalmente non le sarebbe toccata.
Quando la sera prima era tornata in dormitorio aveva
trovato le sue amiche già addormentate, così si era limitata a infilarsi a
letto anche lei, senza poter sfogare appieno la sua indignazione. Nel silenzio
della notte, interrotto solo da qualche grugnito di Elena per i suoi sogni, era
rimasta a fissare il drappeggio verde del baldacchino, incapace di
addormentarsi.
Una cosa che Lily aveva detto in preda alla rabbia le
continuava a galleggiare nella testa. Non che fosse una stronza o che non
avesse un cuore, a quello ci era relativamente abituata, nemmeno il riferimento
a Tristan, che sapeva perfettamente aver trattato in modo ignobile.
No, Angelique
si era rigirata per ore pensando a quello che le aveva detto di James.
James che stava male.
James a cui non aveva più chiesto scusa per le sue
accuse prima di Natale.
James… Era passato più di un mese da quando le aveva
parlato per l’ultima volta.
Così la mattina dopo, emergendo da una delle sue
numerose notti insonni, nulla le era parso più importante che andare a cercare
James. Quando lo aveva annunciato alle compagne di Casa, si era sentita
chiedere con la massima serietà da Martha se avesse iniziato a drogarsi. Non
aveva nemmeno tentato di dissuaderla.
Sentendosi in dovere di accertare che non stesse
andando a incontrare uno spacciatore, Martha ed Nana avevano concordato che
fosse necessario accompagnarla in quella ambasciata.
Angelique sapeva dove James passava di solito le pause
tra una lezione e l’altra nella bella stagione, si trattava di uno dei cortili
interni dotati di panchine, alberi e rampicanti in grado di renderli un luogo perfetto
per i ritrovi. Non era certa tuttavia se anche durante l’inverno lui e i suoi
amici lo sfruttassero, così aveva deciso di andargli in contro verso l’aula di
Trasfigurazione, l’ultima lezione della mattina.
I
suoi amici…
Il solo pensiero di rivedere Derek le faceva venire
crampi così forti all’addome che quasi si trasformavano in conati di vomito.
Un ragazzo del secondo anno che le arrivava a metà
braccio le calpestò erroneamente un piede. Dopo la sua esclamazione rabbiosa di
dolore quello alzò il viso verso di lei, forse per chiederle scusa, ma non
appena i loro occhi si incrociarono il ragazzino spalancò i propri. I suoi
tratti si deformarono in una maschera di terrore e subito iniziò a spintonare
gli astanti per scappare, sgusciando via come un furetto.
Registrò con un angolo della propria mente che
indossava la divisa di Grifondoro.
“Potevi almeno chiedere scusa, cafone!” esclamò la
ragazza disturbata da quella reazione spropositata. Chissà quali voci
circolavano su di lei in quel covo di squinternati…
“Angie…” la richiamò Martha sfiorandole il braccio per
attirare la sua attenzione.
La O’Quinn con un cenno del mento le indicò un gruppo
di persone poco distante da loro, che sostavano a qualche metro dalla classe di
Cavendish in cui stavano già affluendo gli studenti per prendere posto.
Non ci volle un grande sforzo per riconoscerlo.
L’altezza superiore alla media e la zazzera di capelli neri lo distinguevano
dal resto dei ragazzi, anche se le dava le spalle in quel momento. Faceva parte
di un gruppo di alcuni ragazzi, tra cui anche Philip Jordan e Alice Paciock, e
se ne stava appoggiato con la spalla destra al muro. Per una qualche forma di
misericordia divina non c’era Derek tra loro.
Angie si avvicinò di slancio, ma la sua energia si
consumò a un paio di metri di distanza facendola fermare in preda al panico.
Che diamine stava facendo? Che cosa gli avrebbe dovuto
dire? Le ragioni assolutamente inoppugnabili e le motivazioni ferree che
l’avevano tenuta sveglia tutta la notte le parvero irrilevanti, mentre il
ricordo di come si erano salutati prima delle vacanze di Natale le faceva
venire voglia di sotterrarsi.
Philip la intravide e le sue sopracciglia scattarono
così vicine all’attaccatura dei capelli, che Angie pensò che le conveniva
trovare un pusher di quelli ben forniti quanto prima, per annullare la sua
esistenza nell’oblio delle droghe.
Martha la raggiunse e una sua mano affusolata si posò
sul suo gomito, dandole la certezza che qualunque cosa fosse successa loro
sarebbero state lì.
James ovviamente si voltò perplesso all’espressione di
Philip.
Le dita di Martha la strinsero più forte per una
frazione di secondo, come se cercasse contemporaneamente di trattenerla e di
infonderle l’energia necessaria per affrontare Jessy.
Il viso di James rimase impassibile mentre si voltava
verso di lei, come se la sua vista non significasse nulla per lui, come se
fosse un’estranea qualsiasi.
Angie affondò i denti nel labbro inferiore e gli andò
in contro. Il sole, quello stupido sole che la stava perseguitando dalla fine
di gennaio, si riversava nel corridoio a secchiate di luce troppo limpida. Un
fascio gli colpiva la mandibola di traverso, tagliando il lineamento in un modo
che ne risultasse più marcato, poi proseguiva verso il collo e il petto.
Quel sole le faceva male al cervello. Non lo lasciava
lavorare a dovere, interrompeva ogni tentativo di pensiero lineare e le
scaraventava la sua luminosità dritta negli occhi, accecandola. Era colpa del
sole se non sapeva perché si trovasse in un luogo affollatissimo a cercare di parlare
con Potter, chiaramente.
Vide che il gruppo degli amici di James le lasciava
delle occhiatacce e si allontanava controvoglia. Distolse lo sguardo da loro
per riportarlo su Jessy, che attendeva silenzioso e immobile come una statua.
Bene… Come si iniziava una conversazione del genere?
Come si affrontava un nodo così mastodontico che li
aveva allontanati fino a non rivolgersi più la parola?
“Ciao. Come stai?” disse con voce monocorde
decidendosi a guardarlo dritto negli occhi.
Che
inizio di merda…
Jessy socchiuse le palpebre di qualche millimetro,
domandandosi probabilmente se fosse seria.
“Senti… Lo so che non hai voglia di parlare con me…”
ricominciò lei iniziando a giocherellare col braccialetto che portava al polso
sinistro.
“Sei perspicace.” la interruppe lui con un tono che
trasudava sarcasmo.
Con la coda dell’occhio vide che molti altri studenti
sembravano tesi verso la loro conversazione, aspettando il prossimo succulento
pettegolezzo da spiattellare a tavola a pranzo. Un’altra buona ragione per non
partecipare a quel pasto.
Angelique sentì le guance imporporarsi per la
frustrazione e l’imbarazzo.
“Non lo sono nemmeno la metà di quello che gli altri
pensano. Altrimenti avrei capito prima tante cose.” mormorò Angie sorridendo
con amarezza e tristezza suo malgrado.
Il viso di Jessy parve ammorbidirsi leggermente, ma
nemmeno l’ombra delle sue espressioni, un po’ sfacciate, maliziose e spiritose,
gli velò lo sguardo. Rimaneva distante e freddo, mentre lei tante volte aveva
visto lo specchio delle sue emozioni in quelle iridi.
Lily le aveva detto che lo aveva fatto soffrire… Bene,
queste erano le conseguenze che lei stessa aveva scatenato.
“Probabilmente non ti importa, però sono mortificata.”
disse facendosi forza dopo un profondo respiro. “Ti ho detto delle cose
orribili, ti accusato di cose inesistenti e ti ho attribuito colpe che non
avevano alcun senso. Sono stata ingiusta e ti ho attaccato in un momento in
cui… Beh… Non stavi molto bene.”
Si interruppe cercando una qualsiasi reazione in lui,
ma non ci fu. Così riprese cercando di ignorare il groppo in gola che le si era
formato e che si ingigantiva ad ogni parola.
“So che la ragazza che volevi avvicinare non era
Martha, so anche che le hai fatto compagnia quando ne aveva bisogno, anche se
morirebbe prima di confessare una cosa del genere. Ti sono molto grata per
questo. Io… Non sai quanto mi sia sentita stupida per aver travisato tutto.”
Angie cercò di controllare la propria voce che si incrinava pericolosamente,
mentre pregava che Jessy le desse una qualunque risposta, fosse anche stata una
fattura lei ne sarebbe stata sollevata.
“Quindi scusami e grazie per quello che hai fatto.
Sono davvero dispiaciuta.”
Attese un paio di secondi guardandolo col cuore che
pompava la sua angoscia e la tensione in tutto il corpo, lasciandole le spalle
indolenzite, ma niente in lui tradì un vaghissimo interesse per le sue parole o
per le sue scuse. Angie abbassò il viso e chiuse gli occhi, provando un senso
di perdita divorante.
Nella trionfale marcia verso il suo Inferno aveva
ignorato talmente i sentimenti altrui che ora persino Jessy, sempre disponibile
a confrontarsi con lei, seppure nel loro modo aspro e bellicoso, il ragazzo che
era riuscito a sorprenderla con la sua gentilezza inaspettata e il suo spirito,
persino Jessy non aveva più alcun interesse a starla a sentire.
“Per favore James, di’ qualcosa.” sussurrò riaprendo gli
occhi e guardandolo senza cercare di dissimulare in alcun modo che cosa
provasse.
Finalmente i suoi lineamenti, così rigidamente
trattenuti, si sciolsero in un’espressione di dolore, vivo e pungente come
quello che Angie sentiva dentro di sé. I suoi occhi, nocciola e ambra fusi in
armonia, la guardarono, per un solo istante, così fugace da sospettare che non
ci fosse mai stato, con uno struggimento che le fece tremare le mani. Poi James
voltò il viso dall’altra parte e prese a guardare la parete in modo vacuo.
“Scuse accettate Dursley. Spero che la tua coscienza
sia più leggera ora.” le rispose con voce completamente indifferente.
Senza degnarla di un'altra occhiata le voltò le spalle
e si unì nuovamente ai suoi amici che lo attendevano poco più in là.
Angie avrebbe voluto piangere, se solo si fosse
ricordata come si faceva.
Mentre Nana le stringeva una mano nella sua per
portarla via, Angelique formulò un pensiero quanto mai lucido e distaccato.
Poteva ricominciare a dimenticarsi dei giorni che
passavano.
***
Fingere di non starsi sgretolando mentre non sapeva
che cosa restasse dentro di lui, fingere un sorriso quando avrebbe solo voluto
radere al suolo l’intero mobilio di Hogwarts, fingere di ignorarla, fingere di
non essere angosciato dall’aspetto di quel viso, fingere di non volerla
abbracciare, fingere di non avere più a cuore i suoi sentimenti.
Fingere, fingere, fingere, continuare a fingere per
non tornare indietro.
Lui non poteva più tornare indietro, lo aveva deciso
quando si era reso conto che quell’amore lo aveva trascinato sul fondo.
Eppure c’era una cosa che non avrebbe mai potuto
fingere di non aver visto.
Aveva visto una Principessa chinare il capo e deporre
senza alterigia la propria corona spezzata, segno della rinuncia a quello che
era stata, segno della sconfitta di ciò che quell’oggetto rappresentava.
Del suo distacco.
Della sua superbia.
Della sua presunzione.
James rimase impassibile mentre Derek Schatten passava
loro accanto, reggendo i propri appunti, e i suoi occhi, per pochissimo, si chiudevano
nella disperazione vedendo la schiena di Angelique che si stava allontanando.
Il ragazzo si cancellò dal volto rapidamente quell’espressione ed entrò in
classe.
James avrebbe voluto essere altrettanto abile nello
sradicarsi dalla mente l’espressione che Angelique gli aveva rivolto,
nell’esatto momento in cui gli stava mostrando che non voleva più nessuna delle
pose asettiche di cui si era fregiata fino ad allora; in cui si era
involontariamente inchinata davanti alle proprie colpe senza fuggire e lui si
era reso conto che sarebbe potuto scappare al Polo Nord, ma sarebbe sempre
stato braccato dai suoi sentimenti.
Quel momento però era stato solo un frammento in una
storia troppo lunga e troppo consumata per poter avere il potere di riportare
in vita qualcosa di morto.
L’aveva promesso a sé stesso, l’aveva dichiarato a
Rose e Dom, se l’era ripetuto fino a che le parole non avevano perso senso.
L’aveva lasciata andare.
Nulla di ciò che la riguardava aveva più peso.
Nemmeno la sua resa.
Nemmeno la sua corona spezzata.
Nemmeno il fatto che l’amasse, disperatamente.
***
Era fuggita dal dormitorio.
Era fuggita prima ancora che le ragazze spegnessero le
luci; si era precipitata fuori dalla stanza senza dare alcuna spiegazione,
incurante di tutto ciò che non fosse quell’istinto.
Doveva camminare, doveva andarsene, doveva smettere di
pensare a quello che mordeva rabbiosamente la sua mente senza tregua.
Aveva acceso una sigaretta e aveva iniziato a vagare.
E mentre la brace consumava il tabacco e la carta, si
era resa conto che una volta uscita dalla sua maledetta bolla niente era più
stato come prima.
E se avesse dovuto definire con precisione il prima,
avrebbe semplicemente pensato al vuoto. Un vuoto in cui non c’era il conforto
reale dei suoi amici, in cui non c’era la gioia dei piccoli momenti condivisi,
in cui non doveva ridere per forza, ma in cui non c’era nemmeno quel baratro.
Era stato come l’antitesi di una favola ben nota: il
giorno del suo sedicesimo compleanno si era addormentata, vivendo in un sogno
rarefatto che poteva somigliare alla realtà ma che non lo era davvero. Quando
aveva riaperto gli occhi però si era ritrovata in un incubo, non in un castello
dormiente.
La verità era che tutto ciò che aveva donato con innocenza,
con fiducia totale, con abbandono era stato buttato via. Era stato preso, usato
e lasciato indietro. Lei era stata usata. Lei si era lasciata usare da chi
aveva promesso di avere cura di lei, da chi aveva promesso di amarla nel buio
dei giorni a venire. Questo non poteva perdonarselo.
Quando aveva rinunciato a vedere Derek di nascosto a
ottobre aveva pensato che quel dolore la potesse consumare fino
all’esasperazione. Aveva pensato che ci fosse nulla di più logorante e sfibrante
del non poter provare apertamente i propri sentimenti, del dover osservare da
lontano una persona amata sapendo di essere ricambiata ma senza poterlo essere
davvero.
Aveva miseramente
sbagliato.
Aveva scoperto in quelle poche ore di coscienza, quelle
trascorse dal suo indesiderato risveglio, che molto peggio di non avere
speranza era aver avuto speranza, averla assaporata e adorata per poi vederla
bruciare sotto i suoi occhi.
Che fosse meglio aver amato e perduto che non aver mai
amato, per lei era una grandissima stronzata, pace alla buon’anima di Tennyson!
Avrebbe solo desiderato poter cancellare ogni traccia
di Derek dalla sua vita, dimenticare quei ricordi dei giorni di Natale tanto
splendidi quanto penosi. Eppure ogni minimo passo, ogni dettaglio era
un’esplosione nella sua mente di immagini, di sensazioni, di emozioni che le
davano l’impressione di dissanguarsi senza fine.
Perché era successo? Perché le aveva fatto una cosa
simile? Perché non si era protetta in alcun modo da quello che le era poi
franato addosso? Perché porca miseria?
E non aveva alcuna risposta.
Semplicemente non c’era, perché la scelta non era
stata sua.
Aveva camminato senza alcuna meta, rischiando
deliberatamente di incorrere in Gazza, incapace di pensare a dove avrebbe
potuto andare. Si sentiva estranea a qualunque aspetto della sua vita, compreso
Hogwarts, il primo luogo in cui si fosse sentita accolta.
Angie si guardò attorno spaesata, eppure tra quelle
mura aveva una vaga reminiscenza, come una sensazione a lungo dimenticata, ma
mai scomparsa del tutto.
Non poteva essere…
Una costrizione al petto le fece aumentare i battiti
del cuore, che le rimbombavano nelle orecchie mentre i suoi passi si
affrettavano a percorrere il corridoio, presagendo ciò che lei voleva ignorare.
Quando voltò l’angolo quasi stava correndo.
E avrebbe riso, se solo si fosse ricordata come si
faceva.
La sua mente, svuotata di ogni intenzione, l’aveva
condotta nel chiostro che era stato teatro del suo innamoramento. Il loro chiostro.
“Ma vaffanculo!” esclamò esterrefatta.
Sapeva di aver sempre avuto un tempismo terribile, non
era mai stata una brava comica… Ma così era veramente troppo, anche per lei.
“Angelique…”
No, pensò mentre il cuore le sprofondava all’altezza
delle caviglie, evidentemente per lei nulla era mai troppo.
Note
dell’autrice:
Questo capitolo è il preludio di quello che sancirà
una rottura definitiva all’interno della storia, quindi credo che sia
abbastanza preparatorio di ciò che accadrà poi. Dunque, da dove partire? Credo
che la parte più difficile da scrivere sia stata il litigio al Quartier
Generale, soprattutto perché dividere gli amici mi inquieta molto di più che
non dividere due amanti. Inoltre perché come ho scritto per Angie le Menadi
hanno rappresentato un aiuto insperato durante la prima rottura con Derek,
dimostrandole che erano diventate molto di più che semplici “colleghe”.
Spero in ogni caso che il capitolo sia stato di vostro
gradimento e che se ci fossero dubbi, domande o commenti non esitiate a
rivolgermeli, perché sono sempre felice di confrontarmi con voi.
Un grazie speciale come di consueto a chi ha
commentato lo scorso capitolo, quindi: ana_fremione,
Cinthia988, carpethisdiem_ e chuxie.
Grazie anche a tutti coloro che hanno letto.
Tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 27 *** Cap.27 Tre ***
Cap.27 Tre
Cap.27 Tre
Quando
i guai arrivano, sono sempre tre a tre.
15 febbraio ore 17:00.
L’ultima volta che
aveva ricevuto una convocazione da parte della Blackthorn aveva discusso con
lei del suo desiderio di diventare medico.
Probabilmente ora
avrebbe dovuto convincerla a non espellerla.
Eppure se le avessero
annunciato che doveva fare i bagagli e tornare a casa entro sera, non avrebbe
mai rinunciato a prendersi la tiepida soddisfazione che le stava procurando
quel grattacapo.
Angelique camminò con
passo sicuro nella penombra dei sotterranei, la consapevolezza acquisita al
prezzo disumano in quei tre giornia
consapevolezza acquisita quisita la rendeva tranquilla sera, non avrebbe mai
rinunciato a prendersi quella meravigliosa rivi la rendeva tranquilla,
si sentiva ferma come l’acqua scura e fredda di uno stagno. Arrivata davanti
all’ufficio della sua Direttrice di Casa la giovane bussò e attese che le
venisse dato il permesso di entrare.
Sentì attraverso il
legno massiccio della porta il rumore delle sedie che strisciavano contro il
pavimento e poi la Blackthorn che scandiva:
“Avanti.”
Angie abbassò la
maniglia e spinse con delicatezza.
Probabilmente la
situazione era veramente grave. Probabilmente l’avrebbero espulsa davvero, le
avrebbero spezzato la bacchetta e l’avrebbero definitivamente cancellata da
quel mondo, pensò amaramente, per lei in quel momento conservava ben poco di magico.
Pensava a questo,
mentre nella sua mente si riproduceva una serie di scenari disastrosi, perché
in piedi davanti alla cattedra della Blackthorn stavano i suoi genitori.
Elenoire e Dudley la
osservavano con uno sguardo strano, indecifrabile, ma la nota di nervosismo era
palpabile anche da lontano. Stranamente non sembravano arrabbiati.
“Mamma? Papà?” la voce
di Angie era talmente roca da sembrare gracchiante.
“Ciao tesoro.” Disse
sua madre.
Angelique volse lo
sguardo su di lei e le tornò alla mente l’incontro con suo fratello Tristan
dopo Natale. Il volto di Elenoire era visibilmente più magro di quanto
ricordasse, i grandi occhi neri sembravano spiccare in modo quasi innaturale
sul viso emaciato. Le mani e i polsi che spuntavano dalla giacca di tweed
marrone avevano il profilo delle ossa visibile.
La mamma non sta bene…
D’un tratto i suoi
problemi e tutto ciò che le era collassato addosso si dissolsero.
Udì dei passi alle sue
spalle e dopo qualche istante Tristan apparve nella cornice della porta. Suo
fratello non la degnò di uno sguardo, guardò in un silenzio spaesato
alternativamente i signori Dursley e la Blackthorn. Se avevano mandato a
chiamare anche lui, non poteva trattarsi della questione che Angie aveva
immaginato fino ad allora.
Beatrix Blackthorn si
alzò e disse: “Vi lascio soli.”
Passò oltre la propria
cattedra e si avvicinò ad Angelique. La mano dell’insegnante si posò sulla sua
spalla, con la stessa stretta breve e confortante che le aveva dato prima di
entrare nel camino con la Metropovere per arrivare a Malfoy Manor.
Il cuore della ragazza
batteva incontrollato, vittima dello stesso presentimento che le stava serrando
la gola.
“Che cosa sta
succedendo?” mormorò Angie quando la porta dell’ufficio si chiuse alle sue
spalle.
Sua madre prima di
risponderle si avvicinò e li cinse entrambi in un abbraccio.
Il suo naso trovò la
naturale collocazione nella curva del collo materno, dove i ricci scuri
aleggiavano come una nuvola. Lì respirò l’odore che più le era famigliare al
mondo, quello di casa sua, e per un istante qualcosa dentro di lei si sentì al
sicuro. Quell’istante venne subito soffocato dalla consapevolezza che non poteva
sentirsi al sicuro quando tutto dentro di lei urlava allarmato.
“Mi siete mancati
tanto.” Esclamò Elenoire senza accennare a lasciarli andare.
Tuttavia Angie si
svincolò con delicatezza dall’abbraccio e guardò fissa sua madre.
“Maman, ce qui se passe?” ripeté la domanda utilizzando
involontariamente la lingua che creava un legame indissolubile tra lei,
Elenoire e Tristan.
La mano della madre si
posò in una carezza leggera sulla sua guancia, ma il tocco fu gelido, come il
brivido che si impossessò di tutto il corpo di Angelique quando sua mamma la
guardò dritta negli occhi senza nasconderle la paura, la tristezza e il
dispiacere che in essi dilagava.
***
13 febbraio ore 22:00
“Angelique?”
Come poteva il suo
destino essere così infame? La risposta che si diede era che poteva esserlo dal
momento stesso in cui lei aveva operato affinché lo fosse il più possibile.
Scegliendo di credere a Derek, scegliendo di ferire le persone a cui voleva
bene, scegliendo sempre la strada che metteva al primo posto il suo stupido
orgoglio.
Non avrebbe dovuto
stupirla, dunque, il fatto che si fosse ritrovata inconsciamente nel chiostro
dei suoi incontri notturni quando aveva deciso di camminare senza meta, e che
oltretutto lì ci fosse anche Derek, appoggiato coi gomiti al cornicione della
finestra.
Il suo corpo non ebbe
nemmeno bisogno di interpellare il cervello, girò i tacchi nell’attimo che le
ci volle per riconoscerlo e se ne andò. Stava per iniziare a correre, convinta
che dovesse allontanarsi il prima possibile, quando Derek in uno scatto la
raggiunse e l’agguantò per un braccio.
“Angelique aspetta, per
favore.” Disse cercando di trattenerla mentre lei strattonava l’arto
imprigionato nella sua presa.
Non aveva mai
desiderato di più in vita sua sottrarsi alla realtà e scappare, mai più di così
il suo istinto si era ribellato a livello profondo per risparmiarsi ulteriore
dolore. Non voleva guardarlo, non voleva starlo a sentire, non voleva che la
toccasse, perché la sua presenza le era insopportabile.
E lottò con una forza disperata
per liberarsi, ma qualcosa di altrettanto irrazionale e potente sembrava
animare anche Derek, che cercava di tenerla vicina.
“Lasciami. Lasciami!”
urlò con tanta angoscia che quasi risultò stridula.
“Aspetta, ti prego.”
Rispose lui e in un ultimo tentativo l’abbracciò.
L’abbracciò da dietro,
cingendole la vita con le sue braccia, di cui ricordava perfettamente la
solidità, e la premette contro il suo petto senza la forza che aveva usato fino
a quel momento.
Sarebbe stato il
momento perfetto per approfittare della sua distrazione e scappare, sarebbe
stato il momento ideale per agire in un qualunque modo per liberarsi di lui. E
invece nella dolcezza del modo in cui l’abbracciò, nella voce incrinata e
supplicante che gli aveva sentito usare, Angelique smise di lottare.
Le braccia le si
afflosciarono lungo i fianchi, i muscoli che fino a un secondo prima avevano
provato in ogni modo a resistergli si sciolsero tanto da renderle le gambe
molli. L’essersi arresa a quell’abbraccio, che ai suoi occhi sembrava ignobile,
le faceva provare un tale disprezzo per la così poca dignità con cui si
comportava che perdeva ogni volontà di reagire, come se la paralisi si
autoalimentasse.
Il suo profumo,
immutato nello stravolgimento che tutto nella sua vita aveva subito, il suo
profumo l’aveva già attorniata e le penetrava nelle narici in fiotti dolorosi e
amari, che avevano il sapore del riconoscimento basilare e profondo, qualcosa
che non avrebbe mai potuto dimenticare. La menta speziata si faceva largo nei
suoi polmoni accartocciandoli e riducendole sempre più la capacità di
inspirare.
Poteva sentire il
soffio carezzevole del suo respiro sul collo, il calore delle sue braccia che
non volevano farla andare via, tutto ciò che in lui era teso fino alla rottura
nella speranza che lei non fuggisse.
Come poteva permettersi
di abbracciarla in quel modo dopo quello che le aveva fatto? Come riusciva lei
d’altra parte a sopportare ancora che lui la toccasse?
Chiuse gli occhi mentre
la verità le si spiattellava in faccia così limpida e semplice che qualunque
tentativo di negarla sarebbe stato ridicolo.
Il lacerante sollievo
di poterlo sentire ancora, la colpevole sensazione di benessere nel constatare
che lui voleva averla vicina, le davano l’attimo di tregua insperata atteso per
settimane. La conferma che ciò che era successo a Natale non fosse stato
un’illusione, ma qualcosa di talmente reale e intenso da trascinarli nel
baratro.
Lei voleva ancora
essere cercata, presa, abbracciata, desiderata da Derek dopo essere stata
trattata alla stregua di uno spazzolino usa e getta.
“Perché?” riuscì a
mormorare dopo un silenzio che parve infinito, concentrando in quell’unica
parola ciò che la stava riducendo a brandelli dentro.
E lui sapeva
perfettamente che cosa gli stesse chiedendo.
Lo capì dal mezzo
singhiozzo che gli sentì soffocare, dal suo stringerla più forte contro di sé
prima di liberarla, dal silenzio ostinato con cui le rispose per lunghi e
interminabili secondi.
Non aveva nemmeno il
coraggio di dire la verità.
E allora qualcosa, un
ultimo barlume di vitalità forse o la scintilla di orgoglio sopravvissuta,
qualcosa di indefinito decretò che fosse veramente troppo.
Troppe bugie, troppe
promesse mancate, troppi frantumi da rimettere insieme, troppo male, troppa
sopportazione, troppo volersi forzare a non sentire. Troppo.
Si voltò e, con tutta
la forza che riuscì a imprimere nella sua mano destra, lo schiaffeggiò.
Il suo palmo impattò
contro la guancia fredda e liscia del ragazzo, facendogli girare la testa e
lasciandogli impressa una vistosa impronta rossa.
Gli occhi di Derek si
allargarono per la sorpresa e, per la prima volta da quando si erano incrociati
in quel corridoio, Angie ebbe modo di guardarli di nuovo. Si chiese come avesse
potuto non vedervi prima il nero abisso che la sua persona rappresentava, il
vuoto attorno a cui orbitava tutto quel volto dalle proporzioni quasi
statuarie.
“Non avrei mai voluto
farlo, te lo giuro.” Le disse con semplicità.
Quando lo colpì la
seconda volta quasi lui parve aspettarselo e non si difese in alcun modo,
lasciò che la pelle venisse offesa ancora dalla sua mano.
“Non osare mai più
toccarmi. Non provare mai più a parlarmi. Non pronunciare il mio nome.
Dimenticati qualunque cosa mi riguardi. Altrimenti la prossima volta ti
spedisco al San Mungo.” La sua voce risultò piatta e tanto ferma da non
sembrare nemmeno sua.
“Angelique ti prego
ascoltami…”
La ragazza liberò la
bacchetta dalla manica e gliela puntò sotto il mento, tenendosi a distanza.
“Preferisci
un’emorragia interna o un femore da ricomporre come un puzzle?”
Derek la osservò con
una tenerezza che le fece premere ancora di più la punta della bacchetta nella
carne morbida della gola. La mano di lui scostò con delicatezza la punta per
mettersela, con un gesto inatteso, sul lato sinistro del petto, dove il suo
cuore batteva.
“Ci sono giorni in cui
implorerei qualcuno perché lo facesse davvero.” Le confessò con un sorriso
triste. Non aveva il diritto di essere infelice! Non poteva permettersi di
avere quella faccia… Poi continuò e Angelique pensò che lo avrebbe colpito
ancora: “Mi ha obbligato. Mi ha obbligato a fare ciò che ho fatto.”
Se aveva pensato che la
sua codardia non potesse spingersi oltre, era stata smentita un’altra volta.
La sua mano ricadde e
le sembrò di vederlo davvero per la prima volta in vita sua.
“Non hai nemmeno il
coraggio di dirmi la verità.” Mormorò sconcertata e si voltò, ormai decisa a
lasciarlo solo in quel corridoio buio e freddo.
Fece un paio di passi,
convinta che lui non avrebbe più provato a inseguirla.
“Sai che cos’è un Voto
Infrangibile, Angelique?”
Certo che lo sapeva, ma
non aveva alcuna intenzione di rispondergli. Ciononostante i suoi piedi si
fermarono perché quella domanda non aveva alcun senso nella loro
“conversazione”.
Rimase voltata facendogli
capire però che lo stava ascoltando.
“Non potresti obbligare
nessuno a pronunciarlo, perché la magia non funziona se l’individuo non è
completamente intenzionato a stringere il patto. Puoi però mettere una persona
nelle condizioni di considerare il Voto come l’unica soluzione.” continuò il
ragazzo.
“Ho fatto un Voto
Infrangibile con mio padre.”
Angelique sentì un
brivido camminarle lungo la colonna vertebrale. Avrebbe potuto mentire, avrebbe
potuto inventare quella storia per giustificare le sue azioni, ma qualcosa nel
suo modo di parlare le fece pensare che fosse il caso di restare ancora per
qualche istante.
“Non puoi dimostrarlo.
Quindi perché dovrei crederti?” chiese Angie rimanendo immobile.
“Ti direi che mi
lascerei uccidere dall’incantesimo, ma non credo che mi crederesti nemmeno a
quel punto. Vero Angie?” le rispose lui con un tono che quasi sfiorava
l’ilarità.
“No infatti.” sperò che
la sua voce non fosse fioca come suonava alle sue orecchie.
Derek emise una risata
bassa, amara e triste, il cui suono la turbò a tal punto che si voltò per
osservarlo in viso.
I suoi lineamenti
sembravano sgretolati sotto il peso di una sofferenza indicibile, i suoi occhi
neri, liquidi nell’ombra della notte, la guardavano con una nostalgia tale da
far vacillare la sua convinzione che fosse l’ennesima bugia.
“Ho fatto ciò che
dovevo fare. Ho scambiato la mia libertà con quella di Charlotte.
Non che questo mi renda più sopportabile vedere che mi odi. Mentre io...”
La bocca di Angie si
fece arida, mentre il cuore galoppava a un ritmo esasperato nel petto.
“Che cosa significa la
tua libertà per quella di tua sorella?” chiese con un filo di voce, certa che
se avesse parlato ancora si sarebbe frantumata.
Derek la guardò dritta
negli occhi e le sorrise lentamente, in modo malinconico e distante.
“Quando è venuto a
prendermi qui mi ha detto di non oppormi o ne avrebbe subito le conseguenze
Charlotte.” iniziò lui e la ragazza rivide con chiarezza l’espressione
disperata e vuota che aveva sul viso un attimo prima che si smaterializzassero
davanti ai cancelli di Hogwarts. “A casa mi ha spiegato esattamente che cosa le
avrebbe fatto se io non avessi accettato di sistemare le cose con Celia.
L’avrebbe ritirata da Beauxbatons immediatamente e appena compiuti i quindici
anni l’avrebbe obbligata a sposare un uomo scelto da lui. Nel frattempo sarebbe
stata sotto la sua tutela.” l’ultima
parola venne calcata con tanta asprezza che sembrò uscirgli per miracolo dai
denti.
Derek si avvicinò a lei
e con cautela, ma senza esitare, le posò le mani sugli avambracci.
“Ho dovuto farlo Angie.
Ho dovuto obbligarlo a mantenere la parola, ho fatto in modo che almeno uno dei
due potesse vivere liberamente. Finché io sono vincolato a Celia lei è libera.
Potrà studiare, potrà amare chi vuole, potrà viaggiare e stare lontana da casa,
non dovrà più vivere nel terrore di quell’uomo. Lui non la potrà sfiorare
nemmeno con un dito, altrimenti morirà.”
“A patto che tu non
lasci Celia.” mormorò Angelique.
“Sì.”
Era un incubo.
Un incubo di vite
assoggettate alla cattiveria di un uomo senza scrupoli, di un padre che giocava
con l’esistenza dei propri figli come se fossero stati solo pedine dei suoi
scambi politici, di violenza e dolore perpetrati senza che nessuno riuscisse a
proteggere Derek e sua sorella.
Come potevano accadere
simili cose senza che nessuno se ne rendesse conto? Come era possibile che
Derek fosse stato obbligato a prendere una decisione così tremenda a soli
sedici anni?
Angelique sentì le mani
tremare così forte che si conficcò le unghie nei palmi.
Si rese conto che
probabilmente se al posto di Derek ci fosse stato un qualsiasi altro ragazzo,
non cresciuto nell’ombra dei metodi coercitivi e disumani di Kurt Schatten, le
cose sarebbero potute andare diversamente. Avrebbero potuto denunciare al
tribunale del Wizengamot il padre per maltrattamento, avrebbero potuto liberare
tutta la famiglia, ci sarebbero state altre soluzioni da prendere in
considerazione prima del sacrificio personale.
Tuttavia trattandosi
proprio di lui, del modo in cui era stato educato e cresciuto, della vita che
lo aveva formato per il ragazzo di cui si era innamorata, non ci sarebbe mai
stato altro epilogo.
Capì in un lampo di
lucidità che tra di loro le cose non sarebbero mai potute essere diverse; che
nulla di quell’amore, finito quando stava ancora venendo al mondo, avrebbe potuto
comunque vivere all’infuori dei tre giorni strappati al Natale.
Non avevano mai avuto
futuro.
“Non ti ho detto
tutto.” ammise Derek e poi inspirò a fondo, come preparandosi a qualcosa di
difficile.
Angie avrebbe quasi
riso. Che cosa poteva esserci ancora?!
“Mio padre ha aggiunto
una specifica nel Voto. Dovrò sposare Celia appena finita la scuola.”
Le sembrava giusto,
quando Kurt Schatten prendeva una decisione tanto grave non lasciava molto
spazio alle eventualità della vita. Derek aveva promesso che sarebbe restato
con Celia? Ebbene perché non rendere ufficiale al mondo intero il legame di due
giovani innamorati!
“Glielo chiederai in
modo estremamente plateale e romantico vero?” chiese Angie mentre uno strano
sorriso le premeva sulle labbra per spuntare in un frangente così inopportuno.
“Domani.” rispose
laconico Derek.
Se glielo avesse detto
qualche giorno prima, Angelique non avrebbe compreso quanto ben architettata
fosse stata la trappola del padre di Derek. Se solo glielo avesse detto prima
che ricominciasse a tenere il conto dei giorni…
“A San Valentino.”
commentò lei e poi non riuscì più a trattenersi.
Proruppe in una risata
incontenibile.
Il riso le saliva dallo
sterno, per incanalarsi nella trachea in modo prepotente e senza lasciarle la
possibilità di reprimerlo. Era il suono della rottura definitiva dei suoi ponti
di ancoraggio, era il suono dell’isteria che prevaricava su tutto il resto, era
il suono di una perdita di controllo così intensa da non lasciare spazio
nemmeno a una lacrima.
Probabilmente Derek se
ne rese conto, oppure non riuscì a trovare null’altro da fare in un momento tanto
surreale, quali che fossero le sue motivazioni, l’abbracciò. Le sue braccia la
circondarono e le fece appoggiare il viso al suo petto, mentre una sua mano le
accarezzava i capelli lentamente.
Rise finché non sentì
la gola grattare e gli addominali contrarsi. Rise finché non ne poté più. Angelique
percepì il lento estinguersi della sua risata e, nel silenzio che seguì, ebbe
una strana sensazione.
Non poteva essere
davvero la sua vita. Non poteva.
Eppure lo era, lo
confermavano i segni rossi sui palmi auto procuratisi poco prima, i deboli
sussulti del torace di Derek che tentava di reprimere le lacrime, le mani del
ragazzo tra i propri capelli e la consistenza leggermente ruvida del maglione
su cui lei si stava appoggiando.
Angie rimase chiusa in
quell’abbraccio, cercando di imprimersi nella mente un’ultima volta ogni nota
del profumo della sua pelle, ogni confine tra muscoli e ossa che dava forma al
suo corpo, il suono del suo cuore contro il timpano.
Solo attimi rubati che fuggono troppo in fretta.
Alzò il viso e raccolse
con la punta delle dita le lacrime che avevano solcato le sue guance con linee
traslucide. Derek chiuse gli occhi al suo tocco e dischiuse le labbra,
sospirando per quel contatto. Le sue guance erano calde, mentre il freddo del
castello e lo shock della sua confessione le avevano reso le mani gelide.
Angie circondò il suo
viso coi palmi e lasciò che l’immagine di lui abbandonato a lei le bruciasse
negli occhi.
Un’ultima volta, prima della fine.
Posò le labbra sulle
sue teneramente, come se fosse stata una rassicurazione per tutto quello che
sarebbe accaduto in futuro. Sentì la morbidezza e il calore del bacio
irradiarsi in tutto il viso, poi nelle spalle e nel collo, e in fine giù dove
il respiro nasceva e si spezzava, dove il cuore aumentava i propri battiti.
Dischiuse le labbra e
guidò dolcemente Derek in un languido ballo lento, fatto di sospiri e baci.
Fu naturale per le loro
mani ritrovare strade già segnate tante altre volte prima, cercarsi tra gli
strati dei vestiti, imprigionarsi da sole nella consistenza dei capelli,
seguire le curve e gli avvallamenti dei loro corpi. Riscoprirsi, ritrovarsi,
riallacciarsi nella fame che avevano dell’altro.
Mentre il bacio perdeva
la tenerezza con cui era cominciato per diventare di natura molto più accesa,
Angie si ricordò che voltato l’angolo del chiostro c’era una stanza in disuso.
C’erano stati insieme qualche mese prima.
Si staccò da lui e lo
prese per mano, conducendolo senza spiegazioni, che in ogni caso lui non le
chiese.
Quando entrarono
insieme Angie chiuse con un incantesimo la porta e si gettò nuovamente sulle
sue labbra. I vestiti scivolarono dai loro corpi come se si fossero liquefatti,
ammucchiandosi sul pavimento di pietra e rendendolo appena più confortevole. Le
loro mani si impadronirono del corpo dell’altro guidati dal ricordo e da quella
sensazione che Angie aveva tanto deprecato poco prima, l’appartenenza.
Si toccarono, si esplorarono,
si assaggiarono e si persero l’uno dentro l’altra quasi senza accorgersi di che
cosa stavano facendo, come se fossero stati sotto l’effetto di una droga.
Quella volta fu
completamente diversa dalla prima ed unica condivisa insieme. Angie sentiva
qualunque parte del proprio corpo con una consapevolezza mai avuta prima, come
se le terminazioni sensoriali avessero incrementato il proprio lavoro dieci
volte per farle percepire tutto amplificato.
Angelique restò in sé
stessa per ogni tocco, ogni bacio, ogni frammento di quell’atto consumato con
lentezza e disperazione contro il granito. Restò affondata nella propria carne
per sentire quanto più intensamente ogni affondo di lui dentro di lei, per
riuscire a percepire ogni istante la tristezza che marchiò l’ultimo confine
della loro storia.
Quando Derek, con gli
occhi lucidi e un’espressione incredula stampata in viso, posò esausto la
fronte contro la sua spalla, Angie sentì una sua lacrima scivolarle sulla pelle
nuda del braccio. Istintivamente lo abbracciò.
Lo tenne stretto contro
di sé, cullata dal tamburellare ritmico del cuore del ragazzo contro il suo,
finché non le fu chiaro che il loro tempo era finito.
Così con lentezza e
calma lo scostò da sé e prese a rivestirsi. Assorbita meticolosamente dall’operazione
di infilarsi le calze e tutto il resto, fece finta di non sentire i suoi occhi
bruciarle sulla schiena. Cercò di compiere nel modo più sbrigativo e indolore
quell’operazione, ma le sue mani erano pigre e stanche, le sue membra
rispondevano mal volentieri ai comandi.
Proprio mentre stava
per infilarsi il maglione, la mano di Derek si chiuse attorno al suo polso.
“Angelique…” la chiamò
con un tono così intimo e vibrante che Angie intuì che cosa significasse per
davvero il suo nome sulle labbra di lui.
La stava chiamando per
farla tornare a sé. Stava cercando di irretire i suoi pensieri e convincerla a
restare ancora un altro po’, per trasformare quei minuti in ore, e poi in
giorni, settimane.
Derek avrebbe voluto
indietro le loro notti di ombre e segreti, quegli spaccati di tormento e
delizia pagati al prezzo di qualunque istinto di conservazione e di amor
proprio. Derek sarebbe stato disposto a condividere l’ignominioso compromesso
di averla a metà, pur di non perderla del tutto.
Non aveva ancora
compreso che non restava più nulla da perdere né da salvare.
Angelique staccò le sue
dita dal proprio polso e si alzò in piedi abbandonando il maglione sul
pavimento. Lo guardò dall’alto, ancora nudo, con un’espressione spezzata a
incrinare i tratti del viso che, come tutto di quella sera, le rimase impressa
nella mente.
“È stata l’ultima volta. Non ci rivedremo più.” gli
disse fermamente e poi sciolse l’incantesimo che teneva chiusa la porta.
Uscì dalla stanza
sentendo le ginocchia poco salde, come per una scarica di adrenalina eccessiva,
e mentre camminava intenzionata ad allontanarsi il più possibile la percezione
di fluttuare non cessò. Credette di avere un’allucinazione quando, ritrovatasi
nel maledetto chiostro, una sagoma alta e scura venne delineata dai raggi
freddi della luna. Non fece in tempo ad allarmarsi che l’altro si voltò.
I loro occhi si
incontrarono nello stesso momento in ci si riconobbero l’un l’altra.
Sembrava ancora più
alto e grande nello spazio deserto che lo attorniava, pallido nella luce
argentea che donava ai contorni di ciò che vedeva una sfumatura di irrealtà.
James.
Angie vide di sfuggita
una logora pergamena giallastra sparire nelle tasche dei suoi jeans.
Per la prima volta in
vita sua sentì l’istinto di proteggerlo, di nascondergli che cosa fosse
successo pochi minuti prima in una squallida aula in disuso, avrebbe voluto che
almeno lui fosse lasciato fuori da tutto quel fango in cui lei aveva immerso le
mani fino a smarrirsi.
Qualcosa però nei suoi
occhi le chiarì che sapeva.
Sapeva perfettamente.
La sua bocca arrossata, i suoi capelli sfuggiti dalla treccia, la camicetta
leggera nel freddo del corridoio, probabilmente anche la sua espressione dovevano
sembrargli un’ulteriore dichiarazione di colpevolezza.
La Mappa non mente mai, pensò la ragazza e comprese che James era venuto a
cercarli perché sospettava che accadesse esattamente ciò che era successo.
Avanzò verso di lui,
senza provare vergogna o imbarazzo, ma solo un inspiegabile dispiacere nel
constatare che anche in quell’occasione aveva coinvolto involontariamente
Potter.
Gli occhi nocciola
lampeggiavano sul viso pallido e la guardavano impietosi, scandagliando i
dettagli del suo aspetto, cercando le conferme che gli servivano,
socchiudendosi quando le trovava davvero. Si avvicinò rapidissimo, tanto agile
che lei registrò appena il movimento prima di trovarsi col volto a venti
centimetri dal suo.
Per un attimo pensò che
l’avrebbe colpita, con uno schiaffo magari, dritto in faccia. Forse lo avrebbe
anche accolto con sollievo, sarebbe stata una giusta punizione per il suo
comportamento; tuttavia James non fece nulla del genere.
Mentre la guardava in
quel modo che non riusciva a interpretare, Jessy allungò le dita e con la
delicatezza che avrebbe riservato alla porcellana le disegnò il contorno di uno
zigomo.
“Non saresti dovuto
venire Jessy. Non ne vale la pena.” gli disse scuotendo lentamente la testa.
Sentì il rumore di una
porta sbattuta alle sue spalle, subito dopo dei passi concitati rimbombare nel
corridoio. Angie chiuse per qualche secondo gli occhi.
“Invece ne vale eccome
la pena.” le rispose James con voce risoluta e la sorpassò.
Andò in contro
all’altro come una furia. La stazza notevolmente superiore incombeva
su Derek minacciosa, anche se Schatten non sembrava spaventato quanto più
sorpreso. Avevano passato anni a darsele scherzosamente di santa ragione,
Derek conosceva alla perfezione la forza dell’amico e non pensava che gli avrebbe
fatto del male davvero.
James gli si avventò
contro in un baleno, lo sollevò contro il muro del chiostro e lì lo tenne
inchiodato guardandolo con una ferocia che Angie non aveva mai visto. Derek non
ebbe nemmeno il tempo di reagire, solo quando si trovò costretto dalle braccia
di James si dibatté per liberarsi.
“Esiste qualcosa nella
tua vita che non sia una schifosa bugia, Schatten?” urlò Jessy premendolo
ancora più forte contro la pietra.
Gli occhi neri di Derek
fissarono quelli ambrati di James, sorpresi dal comportamento di Potter, e un
istante dopo si volsero lentamente verso di lei.
Suo nonno Etienne tanti
anni prima le aveva raccontato della Caduta degli angeli.
Si diceva che quando
gli angeli ribelli, quelli che avevano osato impugnare le armi per conquistare
il Regno dei Cieli, caddero dal Paradiso, rivolsero ad esso un ultimo sguardo e
videro con lacerante disperazione la perfezione e la bellezza che si lasciavano
alle spalle. E nei loro occhi di dannati rimase per sempre la scintilla di quel
Paradiso perduto, la traccia dell’essere stati gli eletti di Dio per poi venire
gettati nell’abisso dell’Inferno. Una consapevolezza che avrebbe reso ancora
più insopportabile il vivere dopo in un modo di orrori.
Doveva essere stato
qualcosa di simile a quello che dilagò negli occhi neri di Derek, con i dovuti
limiti di divina soprannaturalità, pensò Angie.
Lei.
Le stava dicendo che
lei era l’unica cosa che non fosse una bugia nella sua vita. E che l’aveva
perduta.
“Non provarci nemmeno!
Non osare, dopo quello che hai fatto!” esclamò a quel punto James sbattendolo contro
il muro e premendo il braccio sotto la sua gola, quasi soffocandolo.
Le ci volle poco per
decidere come affrontare ciò che stava accadendo davanti a lei.
Doveva portare via
James, non sapeva spiegarsi il perché di quella convinzione, ma le sembrava
l’unica cosa giusta da fare. Si mosse coi i piedi pensanti e stanchi, ma non
per questo si fermò. Arrivò alle spalle del giovane, tese per lo sforzo, e gli
posò una mano sul braccio che teneva Derek per la gola.
“Andiamo via, James.”
sussurrò risalendo con la mano verso il polso e cercando di togliere la presa
del suo pugno dai vestiti di Derek.
Qualcosa dentro Jessy
parve sciogliersi, mentre le dita liberavano il maglione del ragazzo.
Quando lasciò la presa
su di lui, Derek si abbassò di parecchi centimetri e li guardò confuso. Angelique
prese delicatamente per mano James e cominciò a camminare trainandolo appena,
una cosa quasi comica vista la differenza d’altezza tra loro.
Di quello che accadde
dopo Angie conservò un ricordo abbastanza sfumato.
Ricordò la sensazione di
irrealtà che l’aveva invasa sin da quando Derek le aveva rivelato che cosa lo
attendesse, la mano calda e grande di James nella sua, la lieve resistenza
passiva che esercitava il suo peso mentre si dirigevano verso la Torre di
Grifondoro. Ricordò che quasi furono colti in flagrante da Gazza e che
riuscirono a nascondersi appena in tempo dietro un arazzo.
E poi ricordò lo
sguardo che Jessy le rivolse davanti al quadro della Signora Grassa.
Era trafitto e
sconfitto da qualcosa di immenso, a tal punto che non glielo nascose, ma
semplicemente le consentì di vedere dritto nel suo animo.
“Perché lo hai fatto?”
La sua voce era bassa e
leggera, come se stesse sussurrando per non svegliarla.
Lei però era già desta.
Si era svegliata dentro a un incubo, che le si chiudeva attorno con i suoi rami
di tenebra come una capanna soffocante.
“Perché è tutto
finito.”
***
14 Febbraio ore 8:30
Rose
sbocconcellava controvoglia il croissant alla marmellata che avrebbe dovuto
essere la sua colazione, mentre cercava di intuire come fossero gli animi nel
tavolo di Serpeverde quella mattina di febbraio.
La
sera precedente era successo qualcosa di completamente inaspettato.
Era
circa mezzanotte quando aveva appena smesso di studiare in Sala Comune, dove si
tratteneva spesso per non disturbare le sue compagne di dormitorio. James era
comparso davanti ai suoi con la velocità di un razzo, come se si fosse fiondato
dentro il passaggio del ritratto di corsa.
Dall’espressione
che aveva in volto Rose aveva immaginato che centrasse Angelique.
Tuttavia
non si sarebbe mai aspettata che il ragazzo si sedesse accanto a lei e che
iniziasse a piangere silenziosamente al suo fianco. Il giovane teneva i gomiti
appoggiati sulle ginocchia divaricate e con le spalle curve lasciava che le
lacrime cadessero sul pavimento.
Rose,
col cuore ridotto a una nocciolina per quello che vedeva, non aveva potuto far
altro che abbracciarlo, rispettando il silenzio. James però l’aveva sorpresa,
asciugandosi gli occhi e iniziando a parlare poco dopo.
Le
aveva raccontato di come avesse trovato sulla propria scrivania la Mappa del
Malandrino, consultata da qualcuno che sapeva come farla rivelare, ma che
evidentemente nella fretta non si era ricordato di annullare l’incantesimo.
Aveva chiesto a Philip se fosse stato lui, ma questi aveva negato.
L’unica
altra persona che avrebbe potuto esserne a conoscenza mancava dal dormitorio in
quel momento. Era stato naturale per lui pensare al peggio e ovviamente ci
aveva azzeccato.
Aveva
cercato sulla Mappa quando sapeva perfettamente che avrebbe solo dovuto
chiuderla e andare a dormire; aveva cercato e aveva trovato i loro nomi. Li
aveva osservati per qualche istante muoversi insieme e poi fermarsi in una
stanza.
Non
aveva nemmeno dovuto rifletterci più di tanto, era partito alla loro ricerca
roso da una rabbia e una gelosia che poi erano esplose addosso a Derek. Le
aveva confessato che per un istante, breve ma molto significativo, aveva
sentito che voleva vederlo soffocare, che voleva vederlo implorare per la sua
miserabile vita. Poi era intervenuta Angelique.
Rose
aveva ascoltato senza fiatare, limitandosi ad accarezzare la chioma color pece
del cugino e abbracciarlo, sorpresa da una tale apertura con lei, quando sapeva
che simili rivelazioni sarebbero state normalmente solo per le orecchie di
Dominique. In ogni caso James non aveva chiesto consigli o pareri al riguardo
di ciò che le aveva raccontato e ovviamente non aveva avuto bisogno di chiedere
il suo riserbo.
Quella
notte Rose aveva dormito male, angustiata da quello che provava James e da che
cosa avesse spinto Angelique a gettarsi nuovamente tra le braccia di Derek
Schatten.
Aveva
come l’impressione che le mancasse un dettaglio, un elemento fondamentale,
qualcosa che le procurava un costante ronzio in testa mentre cercava di
riflettere e non farsi prendere dallo sconforto.
Rose
non voleva arrendersi al pensiero di aver conosciuto così poco Angelique in
tutti quegli anni da non riuscire a trovare una ragione a questo suo continuo
auto-sabotarsi.
Gli
occhi azzurri di Rose scandagliarono la situazione a distanza.
Sedevano
tutti insieme come di consueto per fare colazione, parlavano tra loro. Elena
Zabini scherzava con Bertram Barrach, emettendo di tanto in tanto quella risata
peculiare che somigliava ad un ululato. Angelique invece rimaneva immobile la
suo posto con le mani abbandonate in grembo, gli occhi fissi in un punto
indefinito della Sala Grande senza che potessero realmente vedere, il viso
senza espressione.
Fu
questione di pochi secondi e accaddero molte piccole insieme.
Martha
O’Quinn raggiunse il tavolo di Serpeverde con passo militare, la sua
espressione era di una rabbia tanto fredda e contenuta che a stento i suoi
lineamenti la tradivano. Prese posto accanto ad Angelique e le mise in mano con
un movimento secco una boccetta di liquido rosso rubino.
Si
guardarono per un istante e poi Angelique abbassò il viso verso la pozione che
l’altra le aveva consegnato. La guardò per qualche secondo prima di versarsi in
bocca il contenuto e deglutire.
Martha
prese un sorso di tè e poi depose la tazza parlando ad Angelique per la prima
volta. Rose socchiuse gli occhi cercando di capire che cosa le stesse dicendo
leggendo il labiale, ma riuscì a distinguere solo un “incosciente”.
Pozione
rossa, amica arrabbiata, incoscienza, Derek…
“Oh…”
sussurrò Rose in un lampo di comprensione per la situazione assai sgradevole in
cui doveva essersi trovata Angelique quella mattina.
Sin
da quando aveva messo piede in Sala Grande Rose aveva udito il tipico
cinguettio del giorno di San Valentino, sussurri estasiati emessi a frequenze
così alte che anche i delfini potevano capirli. Il cinguettio sembrava
intensificarsi man mano che ci sia avvicinava all’inizio delle lezioni.
Bigliettini
romantici, cioccolatini, fiocchi e nastrini, caramelle variopinte, cuori
dovunque. Sembrava che dovunque guardasse ci fossero manifestazioni di dolcezza
quasi esasperate.
Rose
sentì la panca sussultare e un lampo di capelli fulvi comparve nel suo campo
visivo.
“Buon
giorno Lucy.” disse osservando la figura della cugina accasciata contro il
tavolo.
“Caffè.”
fu la laconica risposta dell’altra.
Rose
sorrise e versò una dose abbondante di caffè nella sua tazza, aggiunse lo
zucchero e mise nella mano della cugina il tutto. Dopo tre o quattro sorsate
l’altra parve riprendersi quanto bastava per ritornare in posizione eretta.
“Non
vorrei che mi considerassi invadente Lucy, ma quando hai intenzione di tornare
da Benji?” le chiese Rose con studiata indifferenza.
Lucy
roteò gli occhi e guardò con straordinario interesse il soffitto incantato. Da
quando un paio di giorni prima la Weasley aveva abbandonato il suo fidanzato
appena dichiaratosi innamorato, Rose non perdeva occasione per chiederle quando
avrebbe riparato ai suoi errori, convinta che un pressing costante fosse la
miglior soluzione contro l’ostinazione di Lucy.
La
cugina venne salvata dal suono della campanella che avvisava tutti della fine
della pacchia mattutina.
“Oh
guarda! Sembra proprio che io debba andare in classe!” esclamò entusiasta Lucy
per poi tracannare quello che restava nella sua tazza.
“Oh
guarda! Andiamo nella stessa ala del castello, perché tu hai Incantesimi e io
Trasfigurazione!” ribatté Rose alzandosi e sorridendole amabilmente, mentre il
sorrisetto vittorioso dell’altra si spegneva.
In
realtà i piani di Rose, che prevedevano almeno altre due o tre domande su
Allucemonco, vennero bruscamente interrotti all’uscita dalla Sala Grande, dove
si era formato un tappo impressionante di gente che rallentava l’uscita.
Grazie
alle minacce ringhiate da Lucy e alla sua bacchetta in bella mostra le due
ragazze riuscirono ad aprirsi un varco, dirette verso le Scale, ma quando
salirono i primi gradini si resero conto che nella Sala d’Ingresso stava
succedendo qualcosa.
Rose
si voltò incuriosita e, grazie alla visuale sopraelevata, notò che in punto,
che sarebbe dovuto essere riservato ma che ormai non lo era più, stavano Celia
Danes e Derek Schatten, attorniati da gruppetti di persone in continua crescita.
Ciò
che le fece sgranare gli occhi e che le causò un brusco abbassamento della
mandibola verso il pavimento, fu che il giovane aveva il ginocchio destro sul
pavimento e teneva la mano di Celia tra le proprie. Sembrava proprio una
proposta, ma il solo pensiero che due ragazzi di sedici e diciassette anni
potessero sposarsi le pareva così ridicolo che…
Schatten
si mise una mano in tasca e estrasse una scatolina, la cui apertura venne fatta
scattare causando un coro di brusche inspirazioni, dopo di ché un silenzio
tombale cadde su tutta la folla.
“Celia,
mi vuoi sposare?”
La
domanda risuonò chiara alle orecchie di Rose, il tono leggermente tremulo ma in
accordo con l’emozione del momento si rifletteva perfettamente col sorriso
timido di Derek. Per la prima volta in vita sua Rose vide Celia Danes piangere.
Un
paio di lacrime le rigarono le guance, creando un gioco traslucido sulle sue
guance dall’incarnato quasi miele, che le diede un tocco di realtà e di umanità
quasi sempre rinnegato in lei. Sembravano usciti da un quadro tanto erano
affascinanti insieme, cristallizzati in quell’attimo che precedeva la risposta.
La
Danes annuì energicamente ed esclamò: “Sì!” mettendosi a ridere e piangere
insieme subito dopo.
Un
boato di esclamazioni ed esultanza accompagnò gli ultimi momenti della proposta
di matrimonio che sarebbe passata agli annali della scuola.
Derek
le mise l’anello alla mano sinistra e poi si alzò per baciarla. Le circondò con
dolcezza il viso e premette le labbra sulle sue con fermezza per un secondo, in
un bacio che voleva essere discreto.
Strano,
si disse Rose nello shock totale del momento, dopo aver spiattellato davanti a
tutta Hogwarts che cosa faranno del resto delle loro vite che non si diano un
bacio appassionato.
Fu
una scena tanto romantica e sentimentale che Lucy accanto a lei assunse un’aria
ripugnata. Sembrava che avesse inghiottito qualcosa di rivoltate e che stesse
per rimetterlo da un momento all’altro.
“Devo
trovare Allucemonco.” le sentì annunciare con fermezza. Le sue labbra sottili si
arricciarono disgustate alla vista di Derek che sollevava Celia per la vita e
piroettava con lei su sé stesso, esultante.
Rose
le sorrise e le diede una pacca sulla spalla, rincuorata che fosse giunta a
patti con il suo cuore. Tuttavia qualcuno stava venendo loro in contro e le
indusse a voltarsi entrambe verso l’inizio delle scale.
Angelique
camminava con passo molto più placido del suo solito da generale, i capelli
erano stati raccolti uno chignon alto così che il taglio degli occhi sembrava
ancor più a mandorla.
E
fu proprio quando Rose incrociò quello sguardo che provò ancora la sensazione
di aver mancato un punto fondamentale della questione. Gli occhi della Dursley
erano lontani e vuoti come non li aveva mai visti, il colore sembrava essersi
dilavato fino a diventare quasi grigio. Erano occhi freddi e duri come pietre.
Quasi non la riconobbe mentre avanzava da sola verso di loro.
Le
sembrava tutt’altra persona, come se fosse rimasto solo un guscio di uovo vuoto
e sottile al posto della ragazza a cui voleva bene.
“Ciao
Lucy, ciao Rose.” le salutò con un sorriso educato e quasi senza attendere la
loro replica continuò a salire le scale senza fermarsi, come se si fossero
incontrate in un giorno qualunque, tra una lezione e l’altra. Come se due
giorni prima non avesse sfasciato mezzo Quartier Generale sotto la provocazione
di Lily, come se non avesse appena visto il ragazzo di cui era probabilmente
ancora innamorata chiedere la mano di un’altra, come se semplicemente avesse
smesso di essere lì.
Rose
si voltò per fermarla, per abbracciarla, per fare una qualunque cosa che il suo
istinto le suggeriva, ma una mano di Lucy la trattenne posandosi sulla sua
spalla. La cugina più grande scosse il capo.
Sapevano
entrambe che Angie, per quanto fosse ridotta a brandelli interiormente o
sconvolta, non avrebbe mai ceduto davanti a loro, le avrebbe solo gentilmente
allontanate per rifugiarsi in quella rocca interiore che sembrava essere
diventata ormai la sua casa. Angie non avrebbe mai consentito loro di arrivare
al punto in cui si era nascosta dal mondo.
Doveva
essere lei stessa ad andare loro in contro. Dovevano attendere che la loro
amica, il loro Alchimista, si decidesse ad affrontare davvero quello che le era
successo.
Forse
quel giorno si sarebbero ritrovate.
***
15 Febbraio ore 14:00
Normalmente
un allenamento di sabato sarebbe stato il miglior momento di tutto il weekend
per James. Ma non quel sabato.
Era
da due giorni che non aveva voglia di fare nulla.
Avrebbe
tanto desiderato di saper navigare da solo per prendere una barca a vela e
andare al largo, lasciarsi cullare dal rollio provocato dalle onde contro lo
scafo e abbandonare tutto.
Per
consolarsi di tali evidenti mancanze si era fatto dei bagni infiniti nella
vasca del bagno dei Prefetti, grazie ad una soffiata di Rose sulla parola
d’ordine. Solo quella mattina aveva passato due ore buone immerso lì dentro,
senza pensare a nulla che non fosse la sensazione di dolce calore che lo
avvolgeva.
Avrebbe
preferito di gran lunga ritornare in quel luogo perfetto per contenere la sua
apatia, invece che marciare attraverso il castello con alle calcagna la squadra
intera e tutto il corteo di spettatori che come da tradizione volevano
assistere agli allenamenti.
Come
se non fosse stato abbastanza durante la notte era scoppiato un mezzo
nubifragio. Una pioggia incessante e fitta si era riversata sulla terra,
cambiando radicalmente le prospettive di chi pensava di godersi delle lunghe passeggiate
sotto il sole invernale. In realtà la violenza della pioggia di era attenuata
verso l’ora di pranzo, così che la sua squadra aveva insistito per fare
l’allenamento nonostante il mal tempo.
Attraversò
la Sala d’Ingresso come se avesse avuto il diavolo alle calcagna, paragone non
troppo lontano dalla realtà, visto che alle sue spalle tra gli spettatori la
maggior parte era costituita dalla Corte di Celia, che da quando lui era
tornato “libero” si sarebbe appostata dietro ogni angolo pur di trovarlo
impreparato. Ma lui era cresciuto con Dominique e le altre cugine Weasley e,
soprattutto dopo l’episodio di Mr. Poppy e la casetta sull’albero, non era
facile coglierlo di sorpresa.
Con
le dovute eccezioni.
Era
impossibile cercare di aver ragione sul proprio cuore, si ritrovò a pensare
James. Per quanto cercasse di imporsi la calma e il respiro regolare, c’erano
almeno un paio di secondi quando vedeva Angelique da lontano in cui i battiti
del cuore si facevano veloci e prepotenti al limite della sopportazione.
In
quel momento lei stava entrando nel cortile davanti all’entrata della scuola.
Grondava acqua da tutte le parti: i capelli erano una massa fradicia, il volto
lucido osservava il suolo su cui camminava, la tuta da ginnastica nera era infangata
e le aderiva addosso, appesantita. La sua mano destra stringeva un lettore mp3,
di un rosa fosforescente profondamente disturbante, da cui pendevano delle
cuffiette. Doveva essere stata a correre sotto il diluvio accompagnandosi a
quell’aggeggio. Apparteneva quasi sicuramente alla O’Quinn e, poteva
scommetterci, conteneva un mucchio di canzoni strazia-budella su amori finiti
male e storie tragiche. Proprio quello che ci voleva!
Il
vociare di tutti i Grifondoro la raggiunse e lei si fermò alzando lentamente il
viso, come se distogliesse l’attenzione da qualcosa di particolarmente
allettante. Aveva sulla guancia una striatura di terra e gli occhi spenti, che
si allargarono nel riconoscerlo.
Si
osservarono da lontano per qualche secondo. Poi lei individuò lo stuolo di
gente alle sue spalle e si guardò attorno allarmata.
Cercava
una via di fuga che non trovò, con evidenza dei fatti, perché ricominciò a
camminare facendo finta di essere da sola, come se non vedesse nessuno.
James,
che non aveva smesso di avanzare, le andò in contro con la propria scopa
stretta tra le dita. Fece cenno a Fred accanto a lui di continuare verso il
campo, quello annuì e deviò leggermente rispetto a loro, seguito a ruota da
tutti gli altri.
Angelique
lo guardò con gratitudine traboccante, ma non parlò. Abbassò il viso iniziando
a giocherellare con i fili rosa delle cuffiette.
“Guarda
che quegli affari si rovinano con l’acqua.” le disse James con un mezzo
sorriso.
“Incantesimo
idrorepellente.” rispose prontamente lei scrollando le spalle.
James
attese un istante prima di convincersi che doveva chiederle ciò che da un
giorno intero gli martellava nella testa.
“Lo
sapevi?”
Gli
occhi verdi saettarono nei suoi, ma quasi subito la ragazza distolse lo sguardo
e fece un cenno impercettibile del capo. Se aveva serbato una cosa somigliante
alla speranza a quella rivelazione andò in pezzi. Il fatto che Angelique non
gli avesse mentito non rappresentava nulla di significativo per lui. Loro non
si erano mai mentiti. Non ne avevano bisogno.
Stava
per chiederle allora di spiegargli dettagliatamente che cosa funzionasse male
nel suo cervello per indurla ad andare a letto con Derek essendo stata lasciata
in modo ignobile e sapendo che intenzioni aveva, quando fu preceduto da uno
strillo acuto.
“Dursley!”
Era
la voce inconfondibile della Regina di Cuori quella che fece vibrare anche i
vetri per la forza di quell’unica parola.
Angelique
alzò gli occhi al cielo e sospirò con una teatralità che suo malgrado fece
sorridere James.
“Non
ce la posso fare.” esalò la ragazza e osservò esausta Celia scendere i gradini
che conducevano allo spiazzo in cui si erano fermati loro.
La
Danes camminava sotto un largo ombrello trasparente creato dalla sua stessa
bacchetta, dato che non indossava nessun cappotto o mantello, James immaginò
che non avesse avuto intenzione di uscire con quel tempaccio. Almeno non prima
di aver visto Angelique.
Un
trionfo maligno e sprezzante si formò sul volto delizioso da cerbiatta di Celia,
nel vedere come la sua rivale fosse conciata per il loro confronto finale. Un
po’ come se suo padre fosse entrato nella Foresta Proibita per incontrare
Voldemort in mutande…
“Quindi
Dursley sei tornata strisciando da James dopo che Derek si è preso quello che
voleva?” le chiese quando fu abbastanza vicina perché solo loro tre potessero
sentire.
James
vide che molti del gruppo degli spettatori si erano fermati al limite del
cortile per poterli osservare.
Il
viso di Angie si fece ancora più impassibile e privo di espressioni. Non
guardava nemmeno Celia, ma un punto indeterminato alle sue spalle.
“Te
l’avevo detto che lui è mio. Sarà per sempre
mio.” incalzò nuovamente l’altra sperando di ottenere una risposta alle
provocazioni, ma tutto fu inutile, perché Angelique, dopo aver fatto un cenno
del capo a lui, si allontanò aggirandola.
“O
credevi davvero che bastasse farti deflorare, per impietosito al punto da farlo
restare con te?” Usò volutamente un tono delicato e gentile, dissonante con le
parole.
Angelique
si voltò e, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, James vide una
scintilla battagliera nello sguardo sprezzante che rivolse all’altra.
“Ops!”
cinguettò Celia e si portò le dita della mano sinistra alle labbra come se si
fosse lasciata scappare un segreto.
Sull’anulare
sinistro scintillò l’anello di fidanzamento nuovo di zecca, un fiocco di neve
elaborato e composto da tanti diamanti di dimensioni diverse che catturavano la
scarsissima luce del giorno riflettendola in pagliuzze dorate, azzurre e
rosate.
E
il barlume che poco prima era appena abbozzato in Angelique divampò con una
tale rapidità che James a stento se ne accorse.
Mentre
tornava indietro con passi misurati, si ruotò leggermente, in modo da dare le
spalle a quelli che li stavano osservando. In un millisecondo le dita di Gigì
erano strette intorno alla bacchetta e con un movimento fulmineo del polso la
indirizzò verso Celia senza alzare il braccio.
“Stupeficium.”
sussurrò con un tono quasi estatico e socchiuse gli occhi.
L’incantesimo
prese in pieno petto l’altra, che venne sbalzata a tre metri buoni da dove
prima si trovava, dopo un volo spettacolare. Celia Danes svenne e rimase immersa
nel fango dalle pozzanghere e sotto la pioggia per qualche istante, prima che le
sue amiche accorressero strillando.
Quando
James si guardò attorno Angelique era già svanita.
***
15 Febbraio ore 21:00
Albus
si chiedeva da molte ore dove fosse finita la sua migliore amica.
L’aveva
lasciata prima di pranzo quando lei aveva annunciato che sarebbe andata a
correre al campo da Quidditch e poi era svanita. Grazie ad una ragazza del
terzo anno aveva scoperto che nel primo pomeriggio aveva schiantato Celia Danes
nel cortile della scuola, in realtà come lui anche il resto della Sala Comune,
perché l’informatrice lo aveva annunciato con grande entusiasmo ad alta voce.
La
popolarità di Angie tra i suoi compagni di Casa si era impennata ai massimi
storici. Aveva sentito Dominique affermare che avrebbe fatto stampare delle
magliette commemorative di quel giorno.
Lui
l’aveva cercata in biblioteca, nella gufiera, nelle aule dell’Accademia Orfeo e
persino nelle cucine, senza riuscire a trovarla.
Aveva
sperato di rivederla a cena, ma di lei non c’era stata alcuna traccia.
Inutile
specificare con quanta crescente inquietudine l’avesse attesa in Sala Comune; sentimento
che veniva sfogato misurando lo spazio davanti al camino in cui erano soliti
riunirsi. Avanti e indietro, avanti e indietro, mentre nella sua testa
prendevano vita i più tragici scenari.
Angelique
obbligata a pulire i vasi da notte insieme a Gazza per la sua intemperanza.
Oppure espulsa dalla scuola; caduta dalle gradinate del campo da Quidditch e
sfracellata al suolo; rapita da quei criminali di Hogsmeade di cui si sentiva
tanto parlare; presa in ostaggio dalle Menadi… Per non parlare anche di tutti
quelli apocalittici, come il fatto che fosse fuggita dal castello con Schatten
o che fosse vittima delle torture vendicative della Danes.
“Albus
potresti fermarti per favore? Mi sta venendo la nausea a furia di guardarti.”
Gli chiese Elena con un’espressione che conteneva ampliamente tutto quanto il
suo malessere fisico in quel momento.
“Scusa,
non ci riesco. Devo muovermi, altrimenti impazzisco.” Si giustificò il giovane
percorrendo per l’ennesima volta i tre metri di passeggiata davanti al fuoco.
“Prova
a tagliargli il tendine d’Achille, secondo me poi resta a terra per un po’.” La
voce di Martha era poco più di un sussurro, ma Al la sentì perfettamente
nitida.
Si
fermò per la prima volta in mezzora e osservò il Prefetto O’Quinn.
I
ricci color del rame erano stati sollevati sul capo con un raccolto un po’
spettinato, che creava un piacevole contrasto col viso di porcellana, tanto
fine e delicato quanto la sua voce sapeva essere spietata.
Leggeva
un romanzo di Jane Austen; gli occhi scuri scorrevano veloci sulle righe, segno
che, nonostante si fosse presa la briga di consigliare Nana, non aveva
interrotto la sua lettura.
La
luce del fuoco rossastra esaltava i riflessi della sua chioma e le
ombreggiature delle ciglia lunghe sugli zigomi. La sua mano destra, come spesso
succedeva quando era pensierosa, si arrotolava attorno all’indice un ricciolo
della nuca.
Ai
poveri occhi di Albus sembrava che Caravaggio si fosse fermato qualche minuto
nella Sala Comune di Serpeverde, e che, ammaliato da quel contrasto di luci
morbide e ombre sinuose, avesse dipinto l’immagine di Martha intenta a
ignorarlo col suo libro. Lei era la grazia che si incarnava nella pelle candida
e nei riccioli fiammeggianti, nel suo animo gentile e nella sua mente tagliente.
E lui si sentiva, esattamente come Scorpius lo definiva da parecchio, un
merluzzo bollito.
Sapeva
che non avrebbe dovuto guardarla in quel modo, eppure quando lei sollevò con
calma lo sguardo non trovò altra cosa sensata da fare se non immergersi nel
colore caldo che sembrava scintillare alla luce del fuoco.
Contrariamente
a quanto si sarebbe aspettato Martha non gli rivolse un’occhiata sprezzante od
ostile. I suoi occhi riflettevano la medesima preoccupazione che Albus sentiva
crescere dentro di sé.
Senza
nemmeno aprire bocca, gli stava comunicando che le sue angosce non erano
immotivate o balzane, ma che anche lei si poneva gli stessi interrogativi senza
risposta, anche lei attendeva da un momento all’altro che il varco nel muro si
aprisse per rivelare la criniera leonina di Angie. Martha lo stava rassicurando
a modo suo.
“Se
vuoi fare un lavoro più pulito ti conviene tranciare di netto. Affila bene la
tua lama, Nana.” Suggerì con fare esperto Scorpius che nel frattempo stava
giocando a scacchi con Berty, stracciandolo.
La
voce leggermente strascicata di Malfoy ebbe il potere di rompere il silenzioso
scambio tra loro.
Martha
fu la prima a distogliere lo sguardo per tornare sulle pagine del romanzo.
Albus avrebbe voluto imprecare, quindi per gestire quella dose ulteriore di
frustrazione ricominciò a camminare avanti e indietro.
Octavius,
intento a mangiare dei biscotti glassati da una grande confezione di latta,
gliene porse uno con uno sguardo ricolmo di pietà, mentre gli passava accanto
nella sua sfilata ossessiva. Albus rifiutò con un gesto della mano e un cenno
del capo senza nemmeno fermarsi.
Martha
chiuse il libro e lo posò sul divano, poi si alzò e si avvicinò al tavolino per
versarsi un bicchiere d’acqua. Albus si accorse si essersi mosso verso di lei
quando le loro spalle quasi si sfiorarono.
Riusciva
a sentire, quando erano così vicini, la corrente passare tra di loro, come se
fossero costantemente legati da un filo elettrico e più si allontanavano più la
tensione cresceva; ma una volta calamitati l’uno verso l’altra quasi non
riuscivano a parlarsi.
Prese
anche lui un bicchiere, giusto per non rendere troppo spudorato il suo
tentativo di avvicinarla, ma non bevve, troppo preso dai propri pensieri.
“Pensi
che stia bene?” le chiese in un sussurro, timoroso di ricevere una
rispostaccia.
Martha
sorseggiò ancora dal proprio bicchiere e reclinò un po’ il capo, estendendo il
collo. Albus sentì le dita formicolare per il desiderio di toccarla, nel
confuso e potente desiderio di sentire la consistenza vellutata che doveva
avere la sua pelle. Poi posò il bicchiere sul vassoio e si voltò verso di lui.
Il
suo viso aveva una strana espressione, come se fosse indecisa se sorridergli o
picchiarlo.
“Se
c’è una cosa che continua a stupirmi di te è la totale dedizione con cui cerchi
di proteggere il cuore delle persone a cui vuoi bene, senza curarti se ti stai
ferendo tu stesso.”
Albus
spalancò la bocca. Da prima di Natale non gli aveva più parlato senza
sottintendere minacce di lesioni fisiche o mentali. Anche se dal tono che aveva
usato non era poi tanto sicuro che fosse un complimento, quindi tentò di
difendersi.
“È
che Angie ha bisogno di noi…” bofonchiò spostando il peso da un piede
all’altro.
“Ma
non c’è solo Angie. C’è Rose, Scorpius, Berty, Elena… Se manifestasse un
qualche accenno di emotività ci sarebbe pure Octavius.” Ribatté Martha.
“Ci
sei anche tu!” esclamò Albus cercando di contenere il tono.
Qualcosa
nello sguardo di Martha prese vita e lei gli si avvicinò. Nonostante fosse
alta, Albus la superava di quasi tutta la testa, così che, facendosi tanto
vicina, lei dovette alzare un po’ il mento per guardarlo negli occhi. Sembrava
che stesse aspettando un bacio...
“Ah
sì?” gli chiese in un soffio.
Il
respiro di Martha gli solleticò il mento e Albus fece l’errore grossolano di
guardare prima le labbra di lei, della forma di un bocciolo in piena fioritura,
e poi i suoi occhi, limpidi e perfettamente padroni della situazione, mentre
lui aveva le palpitazioni.
“Sì.”
Le rispose senza tentennare.
Una
mano di Albus decise di soddisfare l’istinto bruciante di toccarla senza
soffermarsi a interpellare il cervello, così salì spontanea al viso di Martha e
le accarezzò una guancia, per poi scendere alla mandibola e sfiorare appena il
collo. La sua pelle era velluto tiepido e lui voleva…
“Angelique!”
l’urlo di Nana li fece allontanare immediatamente ed entrambi si voltarono
verso l’entrata della Sala Comune.
Angie
comparve nella luce soffusa della stanza, attirando parecchi sguardi curiosi
per le vicende di quel pomeriggio, ma l’espressione che aveva in viso scoraggiò
chiunque dall’andarsi a congratulare.
Se
fino a quella mattina avrebbe detto che la sua amica era assente dal proprio
corpo e vagava in alcune dimensioni parallele, in quel momento invece sembrava
dilaniata da qualcosa che nemmeno le lasciava spazio per pensare.
I
suoi occhi vagarono sulla sala senza soffermarsi su niente, come se non
riconoscesse davvero quel luogo. Poi lui fece un passo avanti e lei concentrò
la propria attenzione su di lui.
“Al…”
lo chiamò con una voce rauca e gracchiante come se non l’avesse usata per un
po’.
Le
andò in contro e lei gli si buttò tra le braccia, aggrappandosi alle sue spalle
come se stesse per affogare. I suoi respiri erano irregolari e quasi ansimanti,
ma non piangeva. Le accarezzò il capo e la tenne stretta forte contro di sé,
perché sapeva che in quei momenti la forza delle sue braccia era ciò che
l’aiutava a non crollare.
“Angie
che succede?” chiese piano cercando di spostarsi verso la loro nicchia, ma lei
rimaneva inchiodata sul posto. Lei scosse il capo più volte e si nascose
nell’incavo del suo collo.
Albus
capì che doveva portarla via e così la prese in braccio, andando verso il
divanetto, prontamente sgomberato. Mentre si sedeva, tenendo Angie sulle sue
ginocchia, gli altri cinque Serpeverde si avvicinarono, ciascuno con
un’espressione preoccupata stampata in volto.
“La
mia mamma…” la sentì sussurrare a un certo punto ma non riuscì a distinguere il
resto del mormorio confuso, visto che lei teneva ostinatamente il viso immerso
nel suo maglione.
“Angie
per favore, dimmi che cosa succede!” le disse ancora sentendo una tremenda
sensazione di presagio spandersi nel petto.
Non
seppe quantificare quanto tempo passò prima che Angie ricominciasse a respirare
normalmente e parlasse con un filo di voce. Seppe che il costato della ragazza
premeva contro il suo, che i suoi capelli emanavano il famigliare odore di
lavanda e che tutto sembrava come sempre, anche se già sapeva che nulla lo
sarebbe stato.
“Mia
mamma… ha il cancro.” Sussurrò Angie.
Mentre
il terreno sotto i piedi di Al sembrava sgretolarsi e un dolore mai provato in
vita sua lo stordiva fino a rendergli difficile respirare, alzò lo sguardo in
cerca di quello di Martha. Doveva trovare un appiglio, una qualunque cosa che
gli confermasse che stava succedendo davvero.
Quando
lo trovò vide mutare i suoi lineamenti come se fossero stati trasfigurati, gli
occhi le si gonfiarono di lacrime e una mano coprì le labbra per non scoppiare
a piangere.
Ad
Albus sembrò che in quell’istante tutti loro avessero smesso di respirare.
***
15 febbraio ore 23:00
La
notte era calata sul castello come un mantello pesante e oscuro.
Era
una notte di luna nuova, si trovò a constatare Dominique, mentre i suoi passi
si perdevano nel corridoio deserto e freddo. La poca luminosità data dalle
stelle giocava a suo favore, consentendole di muoversi meglio negli ampi
spicchi di ombra per non farsi scoprire dopo il coprifuoco.
“Ho
ricevuto il tuo patronus.” Una voce famigliare emerse dallo spazio vicino ad un
armatura argentea.
“Era
abbastanza urgente.” Confermò Dom sottovoce.
“Non
sarei venuta altrimenti. Di che si tratta?”
Dominique
sospirò pesantemente, prese dalla tasca interna del mantello una pergamena e la
porse all’altra, che rapida la illuminò con la sua bacchetta.
“È
di un’ora fa.”
“La
fonte?”
“C’era
il sigillo della Taverna delle Lucciole.” Mormorò Dom osservando distrattamente
fuori dalla finestra la Foresta Proibita.
“Uhm…
Comunque sono solo sospetti, nulla di concreto. Dovremo essere ancora più
caute.”
“Ovviamente.
Ma non è l’unica cosa per cui ti ho chiamata.” Aggiunse Dom entrando nel raggio
di luce che l’altra aveva creato e potendone scorgere finalmente gli occhi
azzurri.
“Dobbiamo
aiutarli Rosie Rose. Dobbiamo fare qualcosa… Non posso credere che sia finita.
Ti prego!” Continuò Dominique cercando di contenere l’emozione che le rompeva
le parole tra le labbra.
Rose
rimase in silenzio per parecchio, come se stesse rimuginando tra sé, e poi le
sue labbra si illuminarono in un sorriso.
“Forse
so che cosa fare...”
Note dell’autrice:
Temo
di dovermi scusare. Ho tirato una mazzata dietro l’altra in questo capitolo.
Credo che sia il più triste scritto fin ora e comunque ce n’è
voluto per superare anche gli altri.
Partendo
dal titolo spero che abbiate colto la struttura della narrazione, si svolge in
tre giorni diversi partendo dalla notte del chiostro, ci sono tre POV nel
passato e tre nel presente.
I
tre guai sono la rottura con le Menadi, la confessione di Derek e la malattia
della mamma.
Credo
che finalmente sia stato chiarito almeno parzialmente il comportamento di
Derek, che a mio avviso rimane il personaggio più tragico di questa storia. Colgo inoltre l'occasione per segnalarvi la nascita della pagina facebook in cui posto ogni tanto aggiornamenti, spoiler, citazioni e altre cosine. Questo è il link: https://www.facebook.com/Bluelectra-Efp-408883752831874/?notif_t=page_user_activity¬if_id=1494817662595293
Vorrei
ringraziare come sempre chi legge silenziosamente, soprattutto anche chi spende
il proprio tempo per recensire e farmi sapere che cosa ne pensa. Quindi GRAZIE
DAVVERO per l’incrollabile pazienza a: Cinthia988,
leo99, ana_fremione, cescapadfoot e carpethisdiem_.
Credo
però che il grazie più sincero e pieno di riconoscenza debba andare a chi tutti
i giorni costella la mia esistenza di ottime ragioni per essere felice, a chi
anche se non lo sa c’è in moltissime righe di questa storia: Marta, Paola,
Giada, Marghe e Ricca. Chi ha amici come voi può salvarsi da questo evento
estremamente traumatico che chiamano vita.
Tanti
baci a tutti voi.
Bluelectra.
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Capitolo 28 *** Cap.28 Le giuste parole ***
Cap.28 Le giuste parole
Cap. 28 Le giuste parole.
Tu,
tu che sei diverso
Almeno
tu nell’universo
Un
punto sei, che non ruota mai intorno a me
Un
sole che splende per me soltanto
Come
un diamante in mezzo al cuore
Mia Martini.
Il perché la visione
della dichiarazione d’amore pubblica tra Celia e Derek l’avesse spinta a
catapultarsi ad Hogsmeade, non appena era scattato il coprifuoco, era abbastanza
semplice.
Aveva visto condensato
tutto ciò che non voleva e che disprezzava.
Aveva avuto invece una
limpida visione di tutto quello che Benji le aveva dato nei pochi mesi insieme
e non voleva rinunciarvi. Si era comportata da codarda, ora doveva rimediare.
Quindi varcò la soglia
della Taverna delle Lucciole con il cuore che le schizzava impazzito contro le
costole, in preda al panico per ciò che avrebbe detto a Benjamin.
Il Guercio la vide con
l’unico occhio buono e il suo viso si illuminò come se fosse stato nuovamente
Natale. Lucy gli sorrise e gli andò in contro al tavolino dove sedeva con altre
persone.
“Dov’è?” chiese con la
voce che tremolava per l’agitazione.
L’uomo alzò l’indice
verso il soffitto e le fece una cosa che probabilmente sarebbe stata un
occhiolino sul viso di un uomo normale.
“Grazie!” esclamò e
attraversò di corsa la sala dal soffitto basso e condensato di fumo.
Salì le scale balzando da
un gradino all’altro, sollevata finalmente che i battiti impazziti potessero
essere sfogati col movimento del suo corpo. Attraversò quasi volando il
corridoio su cui si affacciavano le stanze degli uomini di Benji e spalancò la
porta in fondo.
Quando fece irruzione nel
suo ufficio lo trovò sommerso da plichi di scartoffie che si innalzavano come
pilastri dalla sua scrivania. Teneva nella destra una sigaretta accesa e sulle
sue guance stava crescendo la barba scura, che conferiva al suo viso un’aria
vagamente stropicciata. Per Lucy quella piccola falla nel suo di solito
impeccabile aspetto lo rendeva stupendo.
L’uomo alzò il volto con
espressione interdetta, infastidito dall’interruzione delle sue attività, ma
non appena riconobbe Lucy i suoi tratti si congelano per la sorpresa.
Lucy si chiese come
avrebbe iniziato, da dove esattamente per potergli spiegare che non era
scappata da lui ma da sé stessa quella sera, come gli avrebbe detto che lo
amava profondamente e senza riserve… Doveva trovare le parole adatte, mentre il
cuore continuava la sua corsa frenetica che le chiudeva la gola per l’emozione.
“Ma tu fumi?”
Perché? Perché doveva rovinare
sempre i momenti cruciali col suo romanticismo da carrarmato?!
Benji si rilassò contro
lo schienale della poltrona e la osservò neutro.
“Solo quando sono di
pessimo umore.” Rispose inarcando un sopracciglio.
Beh… Era legittimo essere
un po’ freddo dopo quello che era successo.
“E non ti sei fatto la
barba.” Aggiunse Lucy osservandolo pensierosa.
“Fammi capire Lucy,
arrivi qui, dopo essere sparita per tre giorni, e le uniche cose che hai da
chiedermi sono se fumo e se mi sono rasato?” sbottò Benji guardandola storto.
“Tecnicamente non ti ho
chiesto se ti fossi rasato. Ho solo constato che non lo avessi fatto.” Replicò
Lucy chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovisi.
Si sarebbe aspettata una
risposta per le rime da parte dell’altro, invece la sua espressione si incupì e
lui rimase appoggiato mollemente alla poltrona.
“Che cosa vuoi Lucy?” le
chiese dopo qualche istante passato ad osservarla.
Quella domanda la
sorprese, ma ancor di più lo fece il tono usato. Era arreso e triste, come gli
occhi che la fissavano contornati da occhiaie profonde. Non lo aveva mai visto
così e si preoccupò.
Si avvicinò cercando di
aggirare la grande scrivania con le braccia già tese verso di lui, ma Benji si
mosse fulmineo, alzandosi in piedi e distanziandola.
“Che cosa vuoi fare?” le
chiese scontroso.
“Pensavo di abbracciarti,
ma non ne sono più tanto sicura…” rispose Lucy lasciando che le braccia
ricadessero lungo i fianchi. Possibile che lo avesse ferito a tal punto che non
volesse nemmeno più essere toccato da lei?
Benji scosse la testa e
la sua bocca si strinse in una smorfia di amarezza.
“Che senso avrebbe Lucy,
se poi tanto te ne andassi via dopo poco? Perché darmi un palliativo e poi
strapparmi anche quello?”
La Weasley aggrottò la
fronte e osservò perplessa l’orologio appoggiato ad uno dei mobili all’ingresso.
“Non avremo tutta la
notte da passare insieme, però almeno un paio d’ore…” provò a spiegare, ma
venne interrotta dall’uomo che di nuovo energicamente scosse il capo e disse:
“No. Meglio che tu te ne
vada ora. Io… temo che non resisterei a... Va’ Lucy, è meglio così.” Benjamin le
parlò in tono a dir poco funereo e la guardò con un rimpianto vivido, come se
non avesse desiderato altro che poterla sfiorare.
“Si può sapere di che
cosa stai parlando? Non ci capisco più nulla!” esclamò Lucy sorpassando
definitivamente il mobile ingombrante e avanzando verso di lui.
L’uomo si schiacciò
contro le scansie di libri che tappezzavano tutte le pareti della stanza, quasi
che fosse lui in quel momento a desiderare di fuggire da lei.
“Capisco perfettamente la
tua decisione, non ho alcuna intenzione di convincerti a tornare indietro. Solo
ti pregherei di non chiedermi più di quanto possa sopportare…” le disse
guardandola dritta negli occhi.
“La mia decisione?”
chiese perplessa la ragazza, la cui fronte si corrugava sempre di più.
“Beh, Lucy, non sono
stato certo io a scappare da quella maledetta camera guardandoti come se fossi
stata un mostro!”
Benji parve riprendere
parte della naturale indole sanguigna.
“Non ti ho mai guardato
come se fossi un mostro!”
“Non importa. Ho recepito
il messaggio, Lucy. Non preoccuparti, la mia vita andrà avanti anche senza di
te.” Disse infine Benji con un tono intriso di orgoglio ferito.
Lucy quasi si sentì
mancare a quelle parole.
Senza di lei…
SENZA DI LEI?
“Allucemonco, ma dove
cavolo ti ho pescato?” gli chiese mordendosi subito dopo le labbra per non
ridere davanti a una situazione così tragicomica.
Benji parve tanto
spiazzato dalle sue parole, che Lucy decise di approfittare del momento di
debolezza per avanzare nella sua carica contro la testa dura del suo fidanzato,
che evidentemente era convinto di essere stato lasciato.
“Ti chiedo scusa.” Disse
con calma attendendo che gli occhi paglierini di Benji trovassero i suoi. “Ti
chiedo scusa perché sono fuggita quando invece sarei dovuta restare anche se
avevo paura. Ti chiedo scusa perché non ho saputo proteggerti quando eri fragile.
Mi sono sentita colpevole. Colpevole davanti alla tua capacità di dirmi
semplicemente quello che senti, mentre sono mesi che provo a venire a patti con
la stessa cosa.”
Le sembrava che le parole
fluissero come un torrente, senza possibilità di fermarsi o di pensare oltre.
Aveva già pensato abbastanza.
“Mi sono sentita quasi
indegna di tutto quello. Capisci perché sono andata via? Non riuscivo a
sopportare che tu, proprio tu, che mi fai tremare le ginocchia quando mi
guardi, che hai quelle maledette fossette sulle guance, che imprechi peggio del
Larva, ricambiassi quello che provo per te. Mi è sembrato di avere tra le mani
la tua anima e sono stata terrorizzata da una responsabilità simile. Non posso
prometterti che non me ne andrò più, però proverò con tutta la volontà a
fronteggiare le mie paure prima di gettare la spugna. Magari ci saranno altre
occasioni in cui avrai bisogno tu di andartene! E dobbiamo accettarlo, dobbiamo
accettare che ci possiamo ferire se ci esponiamo. Io ho deciso che per me vale
la pena.”
Lucy prese un profondo
respiro e si chiese perché mai stesse per dirglielo, eppure sapeva di doverlo fare.
“Un paio di anni fa ero
innamorata di un ragazzo. Ma proprio cotta come una pera, tanto che quando entrava
in una stanza non riuscivo più a parlare, che se per sbaglio mi salutava in un
corridoio andavo in autocombustione. Insomma è stata la mia prima esperienza
sentimentale ed è stata un disastro. Ne sono rimasta così mortificata e ferita
che anche con te, che non hai nulla a che fare con quella faccenda, non riesco
a comportarmi come vorrei, non riesco a dire ciò che vorrei…”
Benji la guardava
allibito, ma, nonostante la sorpresa, Lucy poté scorgere la scintilla della
gelosia per quel fantasma del suo passato accendersi negli occhi gialli da
felino.
“Io non so se riuscirò
mai a dirtelo, Benjamin. Non so se quelle parole riusciranno finalmente a
formarsi sulla mia bocca oltre che nel mio cuore, nelle mie mani, nei miei
occhi, nel mio sangue. Non so se per te sia abbastanza, ma ciò che posso darti
è solo me stessa, come sono giorno per giorno. Tutta me stessa.”
Rose si sarebbe commossa
sapendo che aveva finalmente iniziato a mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Quando finì di parlare Lucy respirò a fondo e si sentì leggera, come se le
avessero sostituito il corpo con dei palloncini di elio.
Benji la guardava a bocca
aperta, con un’espressione incredula stampata in viso. Impiegò qualche secondo
a riprendersi, ma quando finalmente la sua mandibola ritornò a posto si mosse
rapidissimo.
Si ritrovò stretta in un
abbraccio così forte che quasi divenne doloroso, mentre lui la sollevava contro
di sé riuscì a sostenersi contro le sue spalle. Le braccia muscolose dell’uomo
la circondavano e la tenevano tanto vicina che riusciva a sentire il suo cuore
battere contro il proprio seno. Sentì il naso di Benji prendere un respiro
profondo a contatto con la pelle del suo collo.
Sentì ancor più
chiaramente che in quel contatto silenzioso lui riusciva a recuperare la
consapevolezza che non se ne sarebbe andata, che davvero non c’era alcun
bisogno di considerare l’opzione di una vita senza di lei.
“E così ti sei invaghita
delle mie fossette, eh?” sussurrò Benji al suo orecchio allentando finalmente
la morsa del suo abbraccio.
Qualche tempo prima se
lui l’avesse scoperta su una debolezza così palese sarebbe arrossita e avrebbe
cercato di nascondersi dietro parole caustiche. In quel momento invece non
trovò risposta migliore che scoppiare a ridere tra le sue braccia.
***
Era iniziata come una
giornata strana, la sera precedente si era messo a letto distrutto e si era
svegliato con un senso di spossatezza forse maggiore. Aveva tentato invano di
scacciare i pensieri che lo rincorrevano durante le lezioni, mentre camminava,
quando si fermava a guardare i cumuli di neve nel parco ormai disciolti dalla pioggia,
con risultati deludenti ovviamente.
Non riusciva a trovare le
parole per descrivere che cosa i giorni precedenti avessero lasciato dentro di
lui. Forse per questo si sentiva così pesante e stanco, perché non era in grado
di metabolizzare tutto quanto: Gigì, Derek, Celia, lui stesso… Gli vorticavano
nella testa frammenti di ricordi, dolorosi tanto da bruciare come una fiamma
viva, che lo lasciavano col solo desiderio di posticipare ad un altro giorno la
resa dei conti.
James biascicò la parola
d’ordine e il ritratto della Signora Grassa lo lasciò passare, rivolgendogli
un’occhiata vagamente risentita per la scarsa galanteria dimostratale.
Un vago sollievo lo colse
quando il calduccio della Sala Comune e il suo profumo lo accolsero. Respirò a
fondo e si lasciò andare contro una delle soffici poltrone davanti al camino,
mentre la sua tracolla cadeva con un tonfo sul tappeto.
Ebbe appena il tempo di
rilassare le spalle contratte che sentì un rumore simile ad una mandria di
bufali in movimento attraversare la sala. Quando voltò il capo scocciato notò
un lampo di capelli rossi e una figura dalla statura minuta, sua sorella,
seguita a ruota da Hugo, che marciavano verso il dormitorio maschile.
Si concesse di chiudere
nuovamente gli occhi e quasi sorrise al pensiero di quello scoppiettante trio
di scapestrati. Gli ricordavano il periodo in cui anche lui si aggirava come
uno spiritello per il castello, escogitando qualunque malefatta a discapito
degli ignari passanti o di un unico obiettivo sempre ben chiaro…
Gli occhi verdi vuoti come se fossero stati biglie di
vetro, la camicetta bianca troppo leggera nel freddo di febbraio, il volto
pallido come se non avesse più sangue in corpo, la tuta infangata, la rabbia
pulita e precisa con cui aveva attaccato Celia, la soddisfazione cupa del suo
viso…
James imprecò e cercò di
allontanare quei ricordi, ma prima ancora di riuscirci un rumore attirò la sua
attenzione. Erano tonfi rapidi e sordi, un tamburellare ritmico contro una
superficie di legno.
“Tris, adesso basta!”
l’urlo di Lily lo raggiunse e lo colpì come uno schiaffo per il tono. Se non lo
avesse sentito con le sue orecchie non lo avrebbe mai creduto possibile, perché
sembrava che sua sorella stesse implorando.
“Tristan!” chiamò anche
Hugo.
James scattò in piedi
come una molla e si incamminò rapido verso le scale. Salì i gradini sentendo i
suoni sempre più nitidi: i colpi a raffica vennero sostituiti da alcuni più
forti ma più radi, le urla di Lily diventarono più fievoli. Quando finalmente
raggiunse il corridoio osservò con sguardo quasi allucinato quello che stava
succedendo.
Lily prese la rincorsa
nello stretto spazio del corridoio e con una spallata si buttò contro la porta
del terzo anno, i cardini non diedero segno del più piccolo cedimento e Lily
cadde esclamando per il dolore dell’impatto.
Seduta per terra la vide
dare un calcio rabbioso contro il legno e urlare:
“Deficiente che non sei
altro! Apri questa porta!” per poi chinare il capo sconfitta.
I capelli rossi le
coprirono il volto nascondendola e le sue spalle vennero scosse da tremiti
profondi. Hugo accanto a lei era paralizzato.
James raggiunse la
sorella e si inginocchiò al suo fianco. Lei trasalì sentendo qualcuno vicino,
ma quando lo riconobbe chinò ancora il capo utilizzando la folta chioma come
una cortina, per nascondere il proprio pianto. Le prese con delicatezza la
ciocca di capelli e la fermò dietro l’orecchio, scoprendo il viso cosparso di
lentiggini e gli occhi colmi di lacrime. Lily non si ribellò al suo tocco ma
quando lui per sbaglio, ritirando la mano, le sforò la spalla sobbalzò ed emise
un mugolio di dolore. Doveva avere un ematoma enorme sotto la divisa. Come
aveva potuto pensare che con la sua stazza tascabile sarebbe riuscita a tirare
giù la porta?!
“Che succede Lils?” le
chiese sottovoce, come quando da piccola si faceva male cadendo e si rintanava
in qualche angolino della Tana, per non farsi vedere da nessuno a piangere. Era
quasi sempre lui a scovarla e convincerla a lasciargli mettere un cerotto sulle
sue ferite.
Lily si strinse nelle
spalle e rimase in silenzio per qualche istante. Poi guardandolo di traverso,
in modo un po’ scontroso borbottò:
“Tristan è rimasto in
camera tutto ieri e adesso si è pure chiuso dentro. Non vuole aprirmi!” urlò le
ultime parole e diede un altro calcio alla porta osservandola con uno sguardo
di fuoco.
James aggrottò le
sopracciglia perplesso, non ricordava una sola volta in cui Tristan avesse escluso
gli amici dalla sua vita o si fosse isolato. Dalla sera dello Smistamento erano
sempre stati insieme, avevano affrontato tutto uniti come un unico corpo.
Doveva essere successo qualcosa di serio.
“Vuoi che provi a
parlargli?” le chiese aspettandosi l’occhiataccia che arrivò in un lampo.
Gli occhi scuri lo
fissarono estremamente contrariati, era evidente che stesse lottando contro la
parte di lei che avrebbe voluto sbraitare di farsi gli affari suoi. Eppure era
a tal punto preoccupata che capì che forse l’ascendente che James aveva su
Tristan poteva essere d’aiuto, quindi sospirò e annuì.
“Va bene, Jamie. Non è
che posso prendere quella pomata che usi dopo il Quidditch? Mi sa che mi sono
sfasciata la spalla.” disse la ragazza mettendosi in piedi aiutata da Hugo.
James le sorrise e annuì,
indicandole con un cenno del capo la propria stanza. Quando entrambi furono
spariti dal corridoio James si alzò e bussò alla porta.
“Tristan, sono James. Non
ho intenzione di sfondare la porta come Lily, voglio solo sapere se va tutto
bene. Mi apri per favore?” disse cercando di mantenere un tono delicato pur
dovendosi far sentire attraverso la porta.
Il recluso stette in
silenzio per un tempo così lungo che James temette seriamente di aver fallito.
Poi dall’interno della stanza di udì un rumore fragoroso, come di un qualcosa
di estremamente pesante strusciato sul pavimento, e in fine lo scatto della
serratura.
James prese un profondo
respiro e si preparò ad entrare. Scostò la porta sentendo che qualcosa dietro
di essa ne impediva la totale apertura e notò che la stanza intera era sommersa
dal buio. I tramonti invernali lasciavano il castello nell’ombra già dal
pomeriggio e Tristan non sembrava aver sentito la necessità di accendere le
torce.
I suoi occhi frugarono
nella stanza senza vederlo all’inizio, poi contro il contorno relativamente più
chiaro della finestra vide una sagoma scura muoversi. Chiuse la porta e notò
che il ragazzo si era barricato sfruttando la mole di una cassettiera parecchio
voluminosa.
“Tris, posso sedermi
vicino a te?” chiese con cautela e gli sembrò che l’altro scrollasse le spalle
come risposta.
Mentre i suoi occhi si
abituavano sempre di più alla scarsa luce notò che Tristan era raggomitolato su
sé stesso e guardava ostinatamente fuori dalla finestra. Con i capelli scuri e
la divisa della scuola sembrava nient’altro che una macchia d’ombra della
stanza silenziosa, come se avesse cercato di farsi assorbire dalla muratura a
cui stava appoggiato.
James si sedette al suo
fianco e rimase a guardare dalla finestra insieme al ragazzo per parecchi
minuti. Da quel punto della Torre Ovest si poteva vedere il campo da Quidditch,
coi suoi triplici anelli agli estremi che rilucevano ai primi raggi della luna,
che stava sorgendo proprio in quegli istanti.
“È stata tua sorella?”
chiese dopo parecchio, consapevole che Gigì certe volte esagerasse con suo
fratello.
Gli occhi azzurri di
Tristan si infiammarono immediatamente di rabbia, cambiò posizione dando le
spalle alla finestra e si morse il labbro inferiore prima di dire a denti
stretti:
“Stupida oca! Io
gliel’avevo detto…”
James vide una lacrima
rotolargli sulla guancia, ma Tristan se la sciugò con un gesto stizzito.
“Che cosa è successo?”
Tristan invece di
rispondergli continuò a levare le lacrime dalle sue guance con quelle movenze
rabbiose, incapace di fermarle ma anche di lasciarle cadere, come se non
volesse dare la soddisfazione ai suoi occhi di sfogarsi. James gli posò un
braccio sulle spalle magre e minute, cercando di consolarlo. Quel contatto
parve risolvere almeno in parte il conflitto del ragazzo che iniziò a piangere
in silenzio, lasciandosi andare contro di lui e tirando su dal naso di tanto in
tanto.
Era magrolino e minuto
per la sua età, ma James ricordava che anche lui aveva iniziato a crescere
seriamente verso i quattordici anni, quando in un’estate era diventato alto
come zio Ron.
La voce impastata dalle
lacrime di Tristan lo colse di sorpresa quando gli raccontò come un fiume in
piena che cosa fosse accaduto. Man mano che le sue parole si incrinavano
raggiungendo il punto focale della storia, James sentiva le mani tremare e
diventare fredde per lo shock. La parte dell’ufficio della Blackthorn fu
talmente difficile da spiegare per il ragazzo, che quasi furono più i
singhiozzi delle parole. James rimase immobile, cingendo e sostenendo per le
spalle l’altro.
La mamma dei Dursley… La
brillante e solare Elenoire, che sapeva tenere testa a tutta la famiglia senza
mai far mancare amore e calore a nessuno. Non voleva nemmeno immaginare
l’esistenza delle persone del suo stesso sangue senza di lei. Non poteva
accadere.
“Tristan, mi dispiace
tanto.” mormorò affranto, sentendosi insignificante come un insetto davanti a
quello che quel ragazzo di tredici anni stava affrontando.
Tristan si asciugò gli
occhi nella manica e annuì debolmente.
“Non affrontare tutto
questo da solo, Tris. Lascia che Lily e Hugo siano con te.” gli disse vedendo
che un paio di ombre si allungavano dal corridoio verso la pozza di luce
lasciata dalla porta socchiusa.
Il ragazzo sollevò lo
sguardo da terra e incrociò il viso dell’amica che faceva capolino dentro la
stanza, seguito immediatamente da quello tono di Hugo. Lily aveva uno sguardo
timido e insicuro che James ricordava di averle visto poche volte, le sue mani
dalle unghie rosicchiate stringevano convulsamente la porta, aggrappandovisi.
Hugo osservava invece molto più deciso l’altro, come sfidandolo ad allontanarsi
dal suo fianco ora che aveva trovato un modo di entrare.
“Possiamo entrare, per
favore?” gli domandò Lily e poi un pallido sorriso le spuntò sulle labbra “Non
credo di farcela a prendere a spallate ancora la porta.”
Tristan si asciugò di
nascosto il volto ancora una volta prima di guardare gli altri due e annuire,
Lily e Hugo sgusciarono dentro la stanza senza farselo ripetere.
James si alzò e fece per
uscire dalla stanza, ma si sentì trattenere per una manica. Quando si voltò,
Tristan gli si fiondò contro inaspettatamente e lo abbracciò alla vita con una
forza impensabile per quelle braccia magre. James si chinò su di lui e ricambiò
la stretta con affetto, arruffandogli i ricci scuri.
***
“E grazie a questo
incantesimo sarete in grado di…” la voce di Vitious si perse nella sua testa,
sostituita da un susseguirsi confuso di suoni.
Non aveva voglia di
ascoltare, non aveva voglia di prendere appunti, non aveva voglia di fingere
che le importasse qualcosa della lezione in corso.
Angie posò svogliatamente
la piuma sul banco e guardò la lavagna su cui erano disegnati gli schemi
riguardanti una perfetta esecuzione dell’incantesimo spostante, il Mobilicorpus.
Lei lo sapeva eseguire da
quando Roxanne una volta le aveva imposto di sollevare Fred impastoiato per
poterlo torturare meglio, facendogli intendere che lo avrebbe scaraventato
nella letamaia di Hagrid, se non avesse ceduto a non si ricordava più quale
ricatto. Essendo la prima volta che lo eseguiva Angie aveva perso la presa sul
cugino e questi era finito davvero nel cumulo di letame di ippogrifo.
“Dursley, puoi continuare
tu per favore?” chiese la voce di Vitious facendole perdere qualche battito del
cuore.
Con una lieve ansia Angie
si guardò attorno e constatò che la classe intera aveva aperto il libro di
Incantesimi e lei no. Martha accanto a lei la guardò esasperata.
“Mi sono distratta,
professore. Le chiedo scusa.” disse abbassando lo sguardo.
“Dursley è la terza volta
che ti richiamo durante la lezione. Visto che hai di meglio a cui pensare credo
che sia il caso che lasci l’aula.” disse il professore senza alcun accenno di
rabbia, ma con un tono che non ammetteva repliche.
Angelique sentì l’umiliazione
pungerla come una scheggia conficcata nel polpastrello, mentre raccoglieva
rapidamente le sue cose e usciva dalla stanza sotto gli occhi di tutti. Non era
mai stata cacciata da una lezione. Mai.
Vitious le rivolse uno
sguardo dispiaciuto e Angie si sentì ancor peggio.
L’idea di aver deluso uno
dei professori che preferiva, le bruciò dentro molto più della consapevolezza
di essere appena stata espulsa dall’aula. Trattenne il fiato finché non fu nel
corridoio e poi, poco lontano dalla classe, si lasciò andare contro un muro.
Chiuse gli occhi e si
chiese perché, perché stesse buttando via anche le poche cose di cui le era
sempre importato, che avevano riempito le sue giornate, costruito la sua
identità fino a quel punto. L’orgoglio ferito dalla scenata in classe fu
silenziato poco dopo dal senso di oppressione che le dilagava dentro appena
rimaneva da sola. Le schiacciava i polmoni e il cuore, le faceva bruciare lo
stomaco tanto che non riusciva a mangiare quasi nulla, le rendeva
insopportabile il contatto con chiunque.
Sua madre, Rose, James,
Lily, Derek, Estelle, Lucy, Scorpius, Martha, Al, Berty, Dominique, Tristan,
Elena… Si sentiva divorata dal senso di colpa verso tutti, perché non era più
in grado di essere chi avevano conosciuto fino a quel momento e perché aveva
ferito alcuni di loro.
Le sembrava, a volte, che
i suoi amici si aspettassero qualcosa da lei che non arrivava più, qualcosa che
non esisteva più.
Mentre l’oppressione
diventava sempre più acuta Angie ebbe un’illuminazione. C’era una persona, una
sola persona che l’avrebbe accolta in qualunque momento, che da lei non aveva
né pretese né aspettative, nonostante fossero due mesi che non si vedevano.
Doveva trovarlo.
Mettersi alla sua ricerca
fu piuttosto laborioso, non si poteva mai sapere se lui e suo fratello avessero
deciso che quel giorno valesse la pena seguire le lezioni o fosse il caso di
saltarle per attività più piacevoli e brillanti.
Le ci vollero un paio di
cambi dell’ora per riuscire a intercettarlo, mentre con la sua borsa di tela
con mille spille attaccate camminava verso i Sotterranei, per seguire Pozioni.
Angelique accelerò il
passo e sorpassò un paio di persone urtandole accidentalmente e scusandosi
subito dopo.
Quando si trovò
vicinissima ai capelli biondi che ricadevano sulla nuca in onde disordinate,
sentì subito che il respiro tornava a gonfiarle i polmoni, che la sua gola non
era più presa dalla morsa della colpa. Lo prese a braccetto e lo guardò
sorridendo entusiasta, proprio mentre lui si voltava sorpreso. Quando l’ebbe
riconosciuta lo stupore aumentò ancora di più ma gli accese gli occhi castani
di una luce gioiosa, che in un secondo si estese anche alle labbra,
immediatamente modellate in un sorriso di benvenuto.
“Sapevo che prima o poi
saresti venuta a rapirmi, Principessa.”
“Allora sei pronto a
scappare Svitato?” chiese Angie pregustando la giornata liberatoria che le si
apriva improvvisamente davanti.
“Sono tutto tuo.”
***
Martha avrebbe tanto
desiderato fermare le lancette del suo orologio, che segnavano l’inesorabile scorrere
del tempo, fermare il movimento caotico e indaffarato dei suoi compagni di Casa
dentro e fuori dalla Sala Comune, fermare la rotazione della Terra e la sua
rivoluzione, fermare il battito del suo cuore colmo di angoscia.
Fermare tutto, solo per
un attimo, per riuscire finalmente a riprendere fiato.
Aveva paura che il
proprio corpo la tradisse da un momento all’altro, scatenando un attacco di
magia incontrollata che l’avrebbe resa, nel caso che non le fosse stato fatale,
ancor più debole e incapace di essere d’aiuto a chi aveva bisogno di lei..
Non era mai stata una
persona duttile e adattabile di fronte ai cambiamenti, qualcosa dentro di lei
si ribellava e ruggiva disperato appena percepiva l’incrinarsi dell’equilibrio
su cui il loro intreccio di vite si basava. Quegli ultimi giorni erano stati
uno tsunami emotivo di tali dimensioni da indurla a sentirsi prima allarmata,
in un secondo momento arrabbiata, poi frustrata e infine persa.
Arrendersi alla
consapevolezza di essere completamente impotente davanti a ciò che la sua amica
stava vivendo l’aveva sconfitta. E così si sentiva, sconfitta.
Mentre crescevano
insieme, mentre consolidavano i propri ruoli para-genitoriali per far fronte
alla perdita di Nana, Martha si era resa conto che quando la marea della vita
rischiava di farla affogare, per la sua incapacità a reagire subito, Angie
sapeva calmarla.
Angelique aveva il dono
di saper curare, a volte con manovre anche brutali cacciando la lama affilata
della sua lingua dove la ferita era infetta, a volte costringendo in un angolo
e forzando il paziente, altre volte portando dolciumi e cioccolata ad un’amica sofferente
a letto per il proprio amore non corrisposto. Angie era il loro collante,
l’elemento che grazie a cui si erano connessi tutti, e nemmeno lo sapeva.
Questo suo potere
speciale si stava sfaldando mentre la ragazza si perdeva sempre di più dentro
sé stessa. Per questo Martha non aveva resistito al bisogno di fare quello che
stava facendo.
Andargli in contro.
Quando lo vide sbucare
nel corridoio ombroso che conduceva alle camere maschili di Serpeverde, si
raddrizzò spontaneamente e assunse quella posa che sua nonna le aveva insegnato
appena era stata ben salda sulle sue gambe di bambina. La testa si erse e il
collo si estese, come se dalla colonna vertebrale fino alla punta della testa
fosse passato un filo, che l’ancorava al cielo.
Calma, posata e
controllata. Non aveva assolutamente voglia di uccidere draghi a mani nude,
nossignore.
Albus si fermò interdetto
quando si rese conto che Martha lo stava aspettando davanti alla porta del suo
dormitorio. E quando lei gli restituì semplicemente uno sguardo fermo e
diretto, lui si umettò le labbra prima di schiuderle.
Stupide labbra,
ringhiò nella propria mente.
“Hai un minuto?” gli
chiese cercando di non usare lo stesso tono suscitato dalle sue movenze
inconsapevoli.
Albus si riscosse
immediatamente e quasi corse verso di lei.
“Certo!” esclamò subito
dopo cercando la bacchetta nella tasca interna della divisa.
Quando la posò sulla
maniglia, essa si illuminò e Albus la poté abbassare, aprendo la porta. Si fece
da parte e le cedette il passo mentre la stanzetta con i quattro letti si
illuminava.
“Scusa, non ho messo in
ordine stamattina. Ehm… Vuoi sederti?” le chiese indicandole con una mano la
parte della stanza in cui c’erano il suo letto e la sua scrivania, un po’
ingombra di libri.
“Sì, grazie. Sono un po’
stanca.” ammise Martha sedendosi sulla sponda e tirando verso l’esterno le
palpebre, per alleviarne la pesantezza. Ci fu un attimo di silenzio in cui Albus
rimase a ciondoloni davanti a lei, poi cominciò a parlare piano, delicatamente.
“Quando sei stanca
sorridi proprio in quel modo, con le labbra chiuse e un po’ tese. Ti si forma
una piccola ruga sulla guancia.” mormorò Al e la mano con cui si era sfiorato
la guancia per indicarle il punto preciso ricadde lentamente. Il suo sguardo
rimase fermo a osservarla come se fosse stata la nipotina di cui prendersi cura.
Come riuscisse a colpirla
sempre dritta al centro del petto, dove il suo povero cuore tentava disperatamente
di fare il proprio dovere, come potesse uscirsene con certe cose e poi
guardarla con dolcezza, lei proprio non lo sapeva.
“Immagino tu abbia notato
che Angie non è tornata in classe stamattina.” disse Martha come se nulla
fosse. Albus annuì e si appoggiò con la spalla alla colonnina del baldacchino. “Il
pomeriggio per fortuna era libero, quindi non ha saltato troppe lezioni. In
ogni caso io non ho idea di dove sia finita.”
“Vorresti che andassi a
cercarla?”
“No. Immagino che non
voglia essere trovata. Ho solo bisogno di… Pensavo che… Non lo so! Mi sento
così stupida.” sbottò coprendosi il volto con le mani incapace di celare oltre
la sua angoscia.
Albus si mosse con
rapidità, come poco prima nel corridoio, e si sedette immediatamente accanto a
lei. Le sue mani le cinsero con gentilezza i polsi e il calore della sua pelle
le si riverberò nelle braccia con una ventata di caldo e torpore. Era sempre
così quando la sfiorava accidentalmente, si sentiva travolgere.
“Non lo sei mai stata e
mai lo sarai. Se qualcosa non va, vorrei che tu me lo dicessi.” le disse sempre
con quel tono pacato e paziente.
“Il mondo intero non va
Albus! Sta andando tutto storto, tutto! Quello schifoso verme di Schatten,
Angie, sua mamma… Mi sembra che si stia ripetendo quello che è successo due
anni fa e Dio non voglia che debba finire allo stesso modo per Angie! Non
mangia quasi più a tavola, continua prendere voti pessimi, si fa buttare fuori
dalla classe, non sta più suonando! L’ultima volta che l’ho vista giocare a
Quidditch mi sembrava che non si ricordasse nemmeno come si vola. Sta soffrendo
tanto che non riesce a incanalarlo da nessuna parte! E non posso fare nulla,
non posso… Non posso… Mi sento soffocare…” il respiro le si frammentò nei
polmoni e non riuscì più a parlare.
La sua mano si liberò da
quella di Al e corse alla gola, angosciata da quella sensazione tremenda. Le
dita di Al però rincorsero le sue e le sciolsero con delicatezza, sfiorandole
inavvertitamente il collo. Ancora avvertì la sensazione inconfondibile della
loro pelle a contatto e si sentì ancora più confusa, più persa e più sconfitta.
Non capiva se fosse suggestione ma le sembrava che Albus fosse troppo vicino,
che le sue mani cercassero troppo le sue, che ci fosse troppo contatto dopo
mesi passati a ignorarlo. Troppo per lei.
“Tu pensi sempre di poter
far andare le cose come vorresti. Pensi che se lanci una delle tue occhiatacce anche
al destino, questo si piegherà alla tua volontà. E mentre provi in ogni modo a
vincere forze più grandi di te, non riesci più a respirare. Adesso dimenticati
di tutto e respira.”
Le dita di Albus si
intrecciarono ai suoi capelli e li sospinsero indietro, pettinandoli con una
delicatezza che aveva della reverenza. Martha alzò lo sguardo verso il suo e
trovò gli occhi verdi di Al che la guardavano accesi, in modo molto meno
innocente di prima, come se… Come se non desiderasse altro che… Che…
Dimenticò il Ballo di
Natale, il fatto che fosse l’unico in grado di salvarla da sé stessa durante
una visione, la sua stupida cecità, il fatto che fosse un merluzzo bollito, che
erano amici. Dimenticò semplicemente tutto, come le aveva ordinato Albus, e
respirò.
Lasciò che in quel
respiro e nei suoi occhi emergesse il desiderio, l’amore, il modo in cui la sua
anima sembrava vibrare ogni volta che lui era vicino, tutto ciò che provava per
lui; glieli lanciò contro come se fossero stati coriandoli, aspettandosi in
cuor suo di venire gentilmente allontanata. Quando però Albus li vide e,
probabilmente, la vide davvero per la
prima volta, non si allontanò di un millimetro.
Sentì le sue dita calde e
ferme cingerle la nuca, avvolgerla come se fosse stata un uccellino tremante. I
loro occhi non accennavano a perdere il contatto, incatenati insieme, e si
avvicinavano, lenti, inesorabili, si avvicinarono sempre di più fino a cadere
gli uni negli altri.
Dimentica tutto e respira.
Le labbra di Albus,
quelle labbra che la facevano diventare pazza, avevano la morbidezza e il
calore che aveva sempre sospettato. Avvolsero le sue con un’energia che
contrastava con la leggerezza delle dita sul suo viso.
Dischiuse le labbra
invitandolo a fare altrettanto, si sostenne alle sue spalle, mentre i loro
corpi aderivano voluttuosi, e finalmente respirò davvero.
Respirò la stessa aria di
Albus, prendendo il suo respiro e trasformandolo nel proprio. La sua lingua
scivolò lentamente verso la bocca del ragazzo e assaggiò per la prima volta il
sapore che aveva desiderato sin da quando si era resa conto di esserne
attratta. Era dolce e dissetante, irresistibile.
Albus ricambiò il bacio
all’inizio con esitazione, accompagnando i primi movimenti a una lieve
incertezza, ma dopo poco si sciolse insieme a lei in quell’abbraccio di labbra,
prendendola per la vita. Martha strinse tra le dita di una mano le ciocche
scure e disordinate, soddisfacendo finalmente un altro dei desideri a lungo
silenziati e repressi. Morbidi e lisci scivolavano dispettosi dalla sua presa,
indomabili fino all’ultimo.
Le mani di Albus cercarono
la curva dei fianchi della ragazza, prendendone possesso con una forza che
suggeriva quanto desiderio provasse in quell’istante. Cosa che quantificò da
sola, nel momento in cui lui la spostò con una mossa agile sulle proprie gambe;
sentì contro la coscia il gonfiore inequivocabile attraverso i vestiti e una
fitta di piacere le morse il ventre.
Non aveva mai sentito
nulla del genere coi ragazzi che aveva baciato fino a quel momento. Se prima
l’aveva ritenuta un’attività piacevole e rilassante, in quel momento aveva
l’impressione di essere un combustibile lanciato a tutta velocità su di un
falò. Ogni lembo di pelle che Albus non poteva raggiungere per l’ingiusta
copertura degli abiti reclamava il diritto di essere svelato e concesso, ogni
bacio veniva condito da morsi leggeri e provocatori sulle labbra di lui, per
sentirlo tendersi e desiderarla ancora di più.
Senza smettere di
baciarlo, di respirarlo e di assaporarlo nemmeno per un istante si spostò a
cavalcioni su di lui. Lo sentì inspirare bruscamente quando i loro bacini
vennero a contatto e spinse la lingua nella sua bocca con un movimento allusivo,
premendo i fianchi contro i suoi. Gli diede tempo di riprendere fiato per un
solo istante e Albus la osservò con gli occhi verdi sgranati e lucidi, eccitati
in un modo che aveva del fanciullesco, come se non stesse capendo esattamente
che cosa gli succedeva.
Le mani di Al erano
roventi quando seguendo l’orlo sollevato della sua gonna le accarezzarono le
gambe, da esse risalirono verso la sua pancia, scavandosi un accesso attraverso
la divisa e toccando finalmente la sua pelle.
I suoi occhi si chiusero
estatici per quel contatto e si mosse ancora contro di lui, strappando a
entrambi un ansito.
A un certo punto,
sentendo la lenta esplorazione che Albus operava sul suo ventre e ricordando
l’incertezza con cui aveva risposto al suo bacio, si chiese se effettivamente
non si trattasse del suo primo bacio. Questo pensiero la fece sentire ancora
più inebriata dal potere che il suo corpo sembrava avere su quello del ragazzo e
gli diede un ultimo lungo bacio appassionato, tirando leggermente i suoi
capelli indietro per avere maggior accesso alla sua bocca.
Quando si staccò da lui
sigillò le labbra di Al con un lieve bacio a fior di labbra.
“Adesso chiediti perché
ti dava tanto fastidio l’idea che fossi stata a letto con tuo fratello.” gli
sussurrò guardandolo dritto negli occhi e vedendo che la osservava sconcertato.
Scese dal letto cercando
di non far vedere quanto le sue gambe fossero poco stabili e si rassettò la
gonna, abbassandola. Poi uscì dalla stanza e, dopo che si fu chiusa alle spalle
la porta, si appoggiò ad essa, sentendo per la prima volta dopo tanto tempo la
voglia di ridere.
***
A Rose capitava ogni tanto
di ripensare ad un avvenimento recente che l’aveva lasciata perplessa. E non
era né la dichiarazione pubblica di matrimonio tra Schatten e Danes, né la
distruzione del mobile di archivio pozioni al Quartier Generale, né le lacrime
di suo cugino James a bruciarle sul cuore.
No, ciò che ciclicamente
tornava a farle visita quando rimuginava era il ricordo della sconfitta subita
a scacchi magici, l’unica che qualcuno all’infuori di Ron le avesse mai
inferto. Ed era stato proprio Scorpius Malfoy ad annullare il primato che
orgogliosamente manteneva con amici, cugini e altri sfidanti.
Stava giusto ripensandoci
per l’ennesima volta mentre entrava nella sala studio della biblioteca, quando
lo vide.
Il giovane sedeva ad un
tavolo ampio e rotondo, a cui lo aveva intravisto altre volte studiare coi suoi
compagni di Serpeverde, in quel momento tutti assenti ad esclusione di Bertram
Barrach. Mentre Rose prendeva posto ad uno dei banchi e rovistava nella borsa
in cerca degli appunti, sbirciò verso la loro direzione.
Scorpius le rivolgeva il
profilo del viso, leggermente chino su un libro dalle pagine ingiallite. Aveva
tratti affilati e severi, perfettamente abbinati all’incarnato pallido e agli
occhi grigi, indagatori e guardinghi, screziati da schegge azzurre. Ricordava
come quegli occhi sapessero illuminarsi se il loro proprietario si
entusiasmava, accompagnando le proprie espressioni con sorrisi sornioni,
vagamente insolenti.
Rose cacciò una lunga
ciocca rossa dietro l’orecchio, obbligando il proprio sguardo a fissarsi sul
banco dove gli appunti e i libri di Astronomia l’attendevano.
Aprì il manuale e tentò
di studiare accuratamente le stelle delle costellazioni invernali, ma spesso i
suoi pensieri venivano interrotti da tattiche retroattive che avrebbe potuto
attuare durante il breve scontro con Malfoy, impedendole di studiare con
profitto.
Provò a cambiare posizione
sulla sedia, che le sembrava insolitamente scomoda quel pomeriggio. Accomodò
meglio le gambe e riprese la lettura dalla costellazione del Toro, quando il
suo sguardo si alzò spontaneamente e si chiese che cosa stesse studiando lui
con tanta concentrazione.
Il ragazzo aveva la fronte
leggermente corrugata, leggeva il libro e poi appuntava sulla pergamena,
accanto agli appunti Rose scorse un vocabolario rosso di Antiche Rune. Si
ricordava dai commenti di suo cugino e di Angie che fosse bravo a scuola, anzi
più che bravo, era dotato di talento genuino in molte discipline che ad altri
richiedevano ore di esercizio.
Però è antipatico e spocchioso. Commentò con tono acido una parte di sé stessa, che
però venne prontamente tacitata dai ricordi delle sue battute autoironiche.
Rose riabbassò lo sguardo
verso i propri fogli ancora praticamente intatti e si chiese perché mai una
persona, la cui vita orbitava in sfere tanto marginali alla sua, dovesse
disturbarla da una delle attività che amava come lo studio.
Eppure sembrava che quel
pomeriggio Scorpius Malfoy sbucasse in ogni angolo del suo cervello per
ricordarle che aveva fallito.
Dopo un tempo indefinito,
passato ostentatamente a non alzare mai lo sguardo e rileggendo in media cinque
o sei volte gli stessi paragrafi, udì il rumore delle sedie che venivano
spostate contro il pavimento. Quando istintivamente alzò lo sguardo, notò che
Scorpius la stava osservando.
Restituì uno sguardo
fermo e abbozzò un sorriso cortese, mentre una sua mano si levava in un cenno
di saluto. Scorpius le sorrise lievemente e, inaspettatamente, si avvicinò.
Rose provò l’inspiegabile
istinto di fuggire, frenato istantaneamente dalla sua mente razionale e lucida,
che le impose di riservare al ragazzo l’educazione che avrebbe rivolto a una
qualunque delle sue conoscenze. Peccato che nessuna delle sue conoscenze
l’avesse stracciata a scacchi…
“Ciao Rose.” Bisbigliò il
ragazzo fermandosi a pochi passi dal suo banco.
“Ciao.” Replicò nello
stesso tono lei per non disturbare gli altri studenti.
“Studi per il compito di
Astronomia?” le domandò sporgendosi leggermente verso i suoi appunti.
Rose annuì e osservò
distrattamente la linea della mascella del ragazzo, i cui occhi scorsero
rapidamente le linee delle sue costellazioni per poi tornare a fissarsi nei
suoi.
“Noi l’abbiamo fatto
ieri. Non avrai alcun problema, fidati.” Mormorò e poi le sorrise.
E Rose vide come con un
sorriso sincero tutti quei tratti austeri, dal naso alle labbra sottili, si
addolcissero e assumessero una luce diversa, che scaturiva dagli occhi grigi.
Occhi grigi e azzurri come un mare invernale.
Non trovando nulla da
ribattere la ragazza si limitò ad abbozzare un sorriso e annuire.
Scopius le rivolse un
ultimo saluto e poi si allontanò verso l’uscita.
Lo osservò mentre camminava
verso Betry Barrach dritto come un fuso e con un passo sicuro, non affrettato
né strascicato come quello di molti altri adolescenti. E quando imboccò la
porta in compagnia dell’amico, sussurrandogli qualcosa a cui l’altro annuì,
Rose non riuscì più a contenersi.
Scattò in piedi e quasi
correndo rincorse il ragazzo.
Quando anche lei sbucò
nel corridoio, vide che era quasi arrivato alla fine e stava per prendere la
via delle Scale.
“Malfoy!” lo chiamò ad
alta voce. Lo vide voltarsi con uno sguardo tagliante, che evidentemente
riservava agli estranei, ma vide anche il modo in cui immediatamente si
ammorbidì nel riconoscerla.
Affrettò il passo e
quando gli fu a pochi passi di distanza si piantò le mani sui fianchi.
“Voglio la rivincita.”
Disse con un tono perentorio che stupì anche lei.
Scorpius assottigliò gli
occhi per un momento e poi le sorrise in quel modo tutto suo, con un angolo
solo della bocca arricciato e un sopracciglio sollevato. Da schiaffi in faccia,
per intenderci.
“Non vedo perché dovrei
accettare. Avendoti battuta sono ufficialmente il miglior giocatore della
scuola.” Le rispose e Rose ebbe voglia di strozzarlo.
“Dici questo perché hai
paura di perdere.” Ribatté lei, stringendo le labbra in una linea tanto dura
che avrebbe fatto concorrenza alle migliori espressioni di biasimo della
McGranitt.
Scorpius la studiò ancora
per un istante e poi scrollò le spalle.
“Che importanza ha?
Comunque mi ritirerei da vincitore.”
“Hai mai sentito parlare
del metodo scientifico Malfoy? In breve dice che un’ipotesi per essere
comprovata a tesi debba essere dimostrabile con esperimenti, e che questi a
loro volta debbano essere ripetibili più di una volta. Altrimenti non vale
nulla.” Disse Rose e gli restituì un sorriso parimenti insolente.
Una scintilla di
divertimento si accese negli occhi del ragazzo e lui tese lentamente la mano
tra di loro.
“Sfida accettata.” Le
disse.
Rose strinse la sua con
la presa salda e sicura che la contraddistingueva.
“Temo che la tua rimarrà
solo un’ipotesi, Malfoy.”
“Non ne sarei così sicura
fossi in te, Weasley.”
Dopo di ché il giovane le
diede le spalle e si avventurò sulle Scale accompagnato dalla figura silenziosa
del Prefetto di Serpeverde.
***
Svitato era come l’aria
fresca che le scuoteva i capelli in quel momento nel buio della notte.
Probabilmente avrebbe
dovuto dire fredda, ma sembrava che le sue percezioni sensoriali fossero molto
alterate in quel momento. Anche quelle del dolore e di questo gli era
infinitamente grata.
Locarn non le aveva
chiesto nulla di ciò che fosse successo dall’ultima volta in cui avevano
passato del tempo insieme, nonostante avesse sicuramente sentito dicerie
riguardo a quello che era successo. Non aveva pensato ad altro se non a farla
divertire il più possibile. E anche di questo gli era infinitamente grata.
Avevano saltato le
lezioni per fare qualunque cosa passasse per la mente iperattiva e fantasiosa
di Locarn, come andare a Mielandia, cercare gli unicorni nella Foresta
Proibita, giocare a far rimbalzare i sassi sulla superficie del Lago Oscuro,
scalare una delle torrette del campo da Quidditch senza nessuna corda ad
assicurarli, sgraffignare dalle scorte di Lysander un’intera bottiglia di
Firewhisky, scolarsi la bottiglia mentre cantavano su una torre mezza
diroccata…
Svitato le aveva dato il
passaporto per qualche momento di oblio e Angie finalmente si sentiva lontana
da tutti i problemi, come se fosse stata un’altra solo per quelle poche.
Qualcuno il cui amore non
fosse stato ricambiato con il vuoto più assordante.
Qualcuno che fosse
riuscito a tenersi vicini gli amici, invece di allontanarli.
Qualcuno la cui mamma non
fosse a un soffio dalla morte.
Qualcuno di leggero e di
luminoso.
Qualcuno il cui cuore non
fosse macchiato da quel male oscuro e soffocante che lei sentiva estendersi in
tutta l’anima, quel demone che sibilava e scuoteva le catene della sua prigiona
e che taceva solo quando lei feriva o mortificava qualcun’altro.
Quando Locarn le passò la
bottiglia, Angie prese una sorsata, deglutendo velocemente. Tuttavia non riuscì
a impedire alla propria faccia di contorcersi per il sapore disgustoso. Svitato
proruppe in una risata scrociante e lei si limitò a sorridere, alzando lo
sguardo verso il cielo e guardando le stelle.
Non era certo ridotta
come la sera in cui Dominique l’aveva portata alla Buca, però aveva raggiunto
un certo grado di ebrezza, che le consentiva di sentire poco freddo nonostante
il fatto che fosse febbraio e che stessero coi piedi a penzoloni fuori dalla
finestra.
Angelique estrasse dalla
tasca dei pantaloni il necessario per rollarsi una sigaretta e mentre
completava l’opera leccando la cartina per chiudere il tabacco all’interno,
percepì lo sguardo dell’amico su di sé.
Voltandosi vide che
Locarn la osservava con la testa inclinata verso una spalla.
“Dimmi, Principessa,
quanto è stato orgasmico schiantare la Danes nel fango?” le chiese sorridendo.
Angie si accese la
sigaretta, inspirò ed espirò lentamente il fumo prima di rispondergli.
“Tantissimo Svitato.
Tantissimo.” Esalò sentendo suo malgrado la voglia di sorridere per la seconda
ondata di risate che travolse l’amico.
“Non credo che sia più il
caso che tu mi chiami così Locarn.” Riprese dopo che lui ebbe smesso di ridere.
“Perché?”
“Perché non sono più la
Principessa di nulla. Non sono più nessuno.” Ammise chiudendo gli occhi e
assaporando il sapore acre e letale del fumo nella bocca.
Una mano di Locarn
raggiunse la sua e la strinse tra le proprie.
“Le principesse si
inginocchiano solo per alzarsi come regine, Angelique.” Le disse con una
dolcezza che la toccò a tal punto che lo abbracciò di slancio.
Gettò la sigaretta perché
non la ostacolasse mentre si stringeva a lui, che la ricambiò cingendola con
tenerezza. Angie chiuse gli occhi e appoggiò il viso nell’incavo della spalla
del ragazzo, respirando l’odore dei suoi abiti freschi e morbidi.
“Ti prometto che passerà,
arriverà un giorno in cui sarà passato tutto questo. Serve solo tempo.” Le
mormorò ad un orecchio.
Stavano per sciogliere
l’abbraccio, quando il rumore della porta che si spalancava e sbatteva contro
il muro li fece urlare per lo spavento.
“Oh pardon! Mi è sfuggita dalla presa la maniglia.” Esclamò una voce
che provocò un tuffo al cuore di Angie.
Dominique in tutto il suo
splendore di balze avorio si fece avanti dal vano della porta e venne illuminata
dalle luci siderali. Li osservava da sotto il cappuccio della sua cappa beige
con una tranquillità che avrebbe riservato alla più normale delle situazioni,
come trovarli a chiacchierare in cortile o a studiare in biblioteca.
Più probabilmente per il modo
totalmente misterioso in cui i pensieri di Dom si articolavano, il vederli
abbracciati, sul cornicione della finestra di una torre quasi diroccata, con
una bottiglia di Firewhisky dimezzata, era normalissimo.
“Lo hai trovato?” chiese
una voce profonda oltre la porta.
Forse poteva seriamente
prendere in considerazione l’idea di mettere in scena la morte di Silente. In
fondo si trattava solo di una caduta di sei o sette metri da quella torre, non
era certo alta come quella di Astronomia. Forse aveva ancora qualche speranza
di sfuggire…
“Sì, li ho trovati,
Jimmy.” Rispose Dominique voltandosi leggermente indietro dove James stava
salendo le scale.
Nessuna speranza. Mai.
Perché la gente la veniva
a cercare in continuazione? Perché non poteva restarsene nell’ombra e nel buio
per il resto dei suoi giorni?
Quando James comparve
nello spazio circolare della torretta li osservò dapprima interdetto, ma si
riprese abbastanza rapidamente e si rivolse a Locarn con uno sguardo severo.
“Lok, non sei venuto alla
riunione della Buca. Ti eri proposto tu come segretario per il prossimo
trimestre!” esclamò incrociando le braccia sul petto.
Una parte di Angie si
fece piccola piccola di fronte a quella rivelazione. Per una volta non era lei
che stavano cercando, erano venuti per Locarn.
Svitato si diede una
sonora pacca sulla fronte.
“Me ne ero completamente
dimenticato! Che ore sono? Faccio ancora in tempo?” chiese scendendo un po’
barcollante dal davanzale.
Angie tentò di fare
altrettanto, nascondendo dietro la schiena la bottiglia di Firewhisky, ma
inciampò e finì addosso a Locarn. Ruzzolarono entrambi a terra, scoppiando a
ridere insieme, mentre anche la bottiglia così gelosamente custodita rotolava
con loro, senza rompersi per fortuna.
“No Locarn, non sei più
in tempo. Se ne sono andati tutti, è l’una di notte!” Rispose secco James.
Locarn e Angie si
rimisero in piedi goffamente cercando di non ridere.
“Sono mortificato, miei
cari. Prometto che non succederà mai più, da ora in poi prenderò molto più
seriamente il mio ruolo ufficiale e non mancherò di…”
“Sì sì, mon trésor, ma magari continuiamo questo
discorso domani, quando sarai sobrio.” Lo interruppe Dominique prendendolo a
braccetto e aiutandolo a scendere le scale.
Angie fece per seguirli
ma quando arrivò vicino alla porta, un braccio di Jessy le chiuse il passaggio
appoggiandosi con la mano allo stipite del telaio di legno. La ragazza alzò lo
sguardo verso di lui, incontrandone le iridi ambrate, e non riuscì a reggere
il peso che le trasmetteva, quello della consapevolezza.
James sapeva chi lei
fosse davvero. L’aveva vista nel momento in cui aveva toccato il fondo.
In un istante l’intera
giornata di spensieratezza si dissolse e lei si sentì ritornare nei propri
panni indesiderati.
“Hai bevuto?” le chiese
chinandosi verso di lei.
“Un pochino.” Ammise
dando uno sguardo alla bottiglia nella sua destra.
“Ti sei divertita?”
incalzò nuovamente lui.
“Sì…” mormorò.
Sentì che lui si
distanziava rapidamente e tornava a osservarla dall’alto del suo quasi metro e
novanta.
“Non impari proprio mai
Gigì.” Esalò lui esasperato scuotendo la testa. “Tu passi le giornate in
compagnia di Locarn a distrarti e a fare gli idioti insieme, mentre tuo
fratello, che ha tre anni in meno di te, sta affrontando con molta più maturità
tutto quello che sta succedendo!”
Angelique alzò spaesata
lo sguardo incurante dell’espressione tremenda che lui le rivolse. La ferita
era ancora troppo recente perché un minimo accenno non la facesse sobbalzare.
James sapeva anche
quello…
“Non immaginavo che te lo
avesse detto…” mormorò ma lui la interruppe ancora.
“Per forza, non vi
parlate più! E non credo che sia colpa di Tristan, se lo conosco un po’. Non
posso dire lo stesso di te.”
Angie si strinse nelle
spalle e sorrise amaramente al ragazzo.
“Vuoi sapere perché?
Perché l’ho trattato male, malissimo, quando lui cercava di avvertirmi che
nostra madre stava male, perché ho fatto in modo che quei cinque minuti fossero
i più dolorosi e sconfortanti possibili per lui. Perché sono venuta meno ad
ogni responsabilità nei suoi confronti. Perché ho provato sollievo nel vederlo ferito. Perché mi merito di restare da sola in
fondo a questo baratro, James. Eccoti la tua schifosa verità.” Quasi non si era
resa conto di aver iniziato a urlare, né di essere avanzata verso James fino ad
andargli a un palmo dal naso.
Jessy si mosse in un
lampo e le afferrò le spalle con entrambe le mani. La scrollò con una tale
energia che Angie vide il soffitto della torretta ondeggiare nel suo cranio.
Quando smise la tenne ferma e vicina tanto che le sue parole si fransero sul
viso nel fiato tiepido della sua bocca.
“Sei così brava a
crogiolarti in tutto questo Angelique. Sei diventata una maestra nel
nasconderti al vero dolore. Ma ti perseguiterà sempre, ti marcirà dentro finché
non ti deciderai a guardarlo in faccia per quello che è. Abbiamo tutti luci e
ombre. Non sei l’unica ad aver scoperto di possedere lati che spaventano, ma tu
stai cedendo solo per non vivere quello che senti davvero.” le parlò con un
tono tanto intenso che le sue parole le penetrarono le ossa, al pari delle mani
affondate nella sua carne. Gli occhi implacabili tenevano avvinti i suoi. “Non
ti stai guardando dentro Angelique. Stai solo cercando in tutti i modi di
scappare. Ora la corsa è finita. Smettila di scappare!”
La corsa finì davvero
quando lei cercò di liberarsi e le mani di James la tennero inchiodata lì.
Le inchiodarono la carne
davanti alla verità che lui le aveva consegnato, che lei non voleva guardare,
come aveva detto James, perché era abominevole. Non voleva, non ancora.
Eppure una volta svelato,
anche il più intricato dei giochi di prestigio, l’inganno per eccellenza, perde
qualunque connotato di magia, perde lo scopo di distrazione dello sguardo degli
spettatori, che ora conoscono il meccanismo.
Angelique non poteva più
fare da spettatrice alla propria vita, l’incantesimo si era dissolto, il trucco
era stato smascherato.
E quello che l’aveva
spinta la notte di Capodanno nel parco di Malfoy Manor, che le aveva troncato
il respiro fino quasi a farla svenire, che le sembrava le avesse prosciugato
l’anima, le scoppiò nel petto.
Si chinò su sé stessa
colta da uno squarcio così reale che ne percepì il dolore fisico, ma le mani di
James la sostennero, con dolcezza pari alla forza con cui l’avevano costretta
prima.
Quando dalle sue labbra
uscì un singhiozzo rotto, le braccia di Jessy furono attorno a lei. L’abbracciò
circondando il suo corpo come se l’avesse potuta nascondere dentro di sé,
chiudendo con dolcezza il palmo sul suo capo e l’avambraccio sulla vita.
Nonostante tutte le
cattiverie, nonostante quello che aveva detto e fatto, James ancora non si
arrendeva con lei. James la stava abbracciando mentre guardava in faccia la
verità.
James era ancora lì.
E quel pensiero in mezzo
al dolore immane fece saltare anche l’ultimo meccanismo di controllo dietro cui
si era nascosta.
Sentì le lacrime
finalmente inondarle gli occhi e strabordare dalle palpebre, colare sulle
guance e sul mento, riempire il maglione di James e inzupparlo. Scorsero sulla
sua pelle calde e salate, ruscelli liberatori e implacabili, che concedevano
finalmente alla sofferenza, chiusa e ripudiata in un angolo della sua anima, di
trovare una strada per andarsene.
Pianse per tutte le volte
in cui non si era concessa di farlo, pianse per quando aveva rivisto la prima
volta Derek a scuola, per quello che era stato costretto a fare, per l’ultimo
amplesso macchiato dalla disperazione e dall’autodistruzione. Pianse per
l’anello che avrebbe dovuto indossare lei e che invece era stato consegnato
come promessa di amore eterno ad un’altra. Pianse per i brutti voti a scuola e
per la delusione che aveva procurato a tutti. Pianse per gli errori commessi
con Tristan, con Lily, con le Menadi, pianse per il dolore che aveva letto
negli occhi James e per come lo aveva sempre trattato. Pianse per sua madre,
pianse per la possibilità che potesse lasciarli.
I singhiozzi quasi la
soffocarono, ma Jessy era ancora lì e lei sopravvisse a tutte quelle
lacrime.
Era giunto finalmente il
momento di affrontare la vita che non aveva scelto, ma che le era capitata.
***
Durante le serate passate
con Benjamin c’erano dei rari momenti, visto che passavano la maggior parte del
tempo svestiti o a insolentirsi, in cui entrambi erano immersi in attività che
escludevano l’altro, ma si sentivano vicini. Erano forse quelli che Lucy amava
di più.
Proprio come in
quell’istante. Benji stava consultando un certo documento del Ministero della
Magia borbottando di tanto in tanto frasi tra sé, e lei stava rileggendo il
tema di Pozioni che avrebbe dovuto consegnare il giorno successivo. Era seduta
a gambe incrociate sul tappeto e Benji dietro di lei restava seduto su di una
poltrona, accarezzandole di tanto in tanto il collo o i capelli.
Le erano tanto cari
perché rappresentavano delle scintille di quotidianità nelle ore scandite dal
dolore della separazione imminente, dalla lacerante comprensione che il tempo a
disposizione era già passato e gli ultimi dieci minuti avrebbero dovuto, per
legge divina, trasformarsi in ore, mentre invece scivolavano via come sabbia
fine. E i giorni in cui potevano vedersi in sicurezza, senza destare sospetti,
erano sempre troppo pochi, il bisogno di vederlo e stare insieme più
impellente, l’impossibilità di gridare a chiunque quanto fosse incredibile ciò
che le sbocciava dentro più pesante.
Eppure anche a loro erano
concessi dei piccoli spaccati di riposo dalla frenetica rincorsa del tempo
perduto, quei fragili cartigli che li ritraevano come sarebbe potuta essere,
forse, un giorno la vita insieme. Ed erano immensi per Lucy, erano un tesoro da
custodire gelosamente.
La sua penna si intinse
nel calamaio e poco dopo vergò le ultime parole della frase in sospeso,
concludendo finalmente il lungo ed estenuante tema sugli antidoti che la Blackthorn
aveva assegnato loro. Si lasciò andare indietro e la sua schiena venne
sostenuta dalle gambe di Benji, a cui si appoggiò guardando ipnotizzata il
fuoco.
Aveva scovato alcune cose
interessanti suo malgrado, visto che Rose l’aveva obbligata a fare una ricerca seria tra i tomi ammuffiti della
Biblioteca. Le avrebbe volute condividere con l’Alchimista, se solo questa non
fosse stata così stronza da distruggere la loro scorta di pozioni per poi non
farsi più vedere.
La sua fronte si aggrottò
al ricordo del pomeriggio in cui Angie aveva fatto esplodere ogni boccetta
contenuta nel vecchio mobile. Le sembrava di avere ancora davanti agli occhi
l’espressione sconcertante che era lampeggiata sul viso dai tratti fini come un
angelo rinascimentale, quando la sua bacchetta si era levata: parlava di
un’oscurità che non aveva mai compreso appartenerle, qualcosa che era sfuggito
completamente al suo controllo.
Sentì qualcosa sulla
fronte e quando reclinò il capo indietro, per osservare l’uomo alle sue spalle,
si rese conto che le aveva posato l’indice nello spazio tra le sopracciglia.
“Sei turbata Ragazzina?”
le chiese sorridendole.
Lucy arricciò le labbra e
soppesò quanto potesse importare a Benji di quelle storie tra adolescenti, poi
si rispose che anche lei era un’adolescente e che quella era la sua vita. Tornò
a guardare il fuoco mentre cercava di dare ordine ai propri pensieri.
“Una mia amica sta
passando un brutto periodo e ha fatto una cosa… abbastanza spiacevole, per cui
abbiamo avuto qualche problema.” Vagamente criptica, ma poteva andare come
inizio. “Non è questo però che mi turba, come dici tu. Ho visto qualcosa in lei
che non avevo mai notato prima, una parte nascosta e buia, e mi ha un po’
preoccupata. Inoltre si è messa contro una persona disgustosa, una ragazza
marcia dentro e cattiva, che l’ha molto ferita. Ora non parla più con nessuno,
è chiusa come un riccio… Vorrei saperle dire tante cose che penso, ma non sono
tanto brava con le parole.”
“Questo non è vero. Sai
essere molto concreta e incisiva, quando ti decidi a rendere partecipe il mondo
di quello che ti passa per la testa.” obbiettò Benjamin sporgendosi verso di
lei sopra la sua testa con un’occhiata ironica.
“Sì, beh… Comunque non è
nulla di grave.” sminuì lei, anche se pensava tutt’altro.
Lucy era sempre stata più
che attenta a menzionare le cugine senza mai lasciar intendere che ruolo
avessero nella struttura delle Menadi, preoccupata di lasciarle nella sicurezza
dell’anonimato. A maggior ragione non aveva intenzione di sbandierare a Benji
che fosse già la seconda volta che usciva dal castello senza Polisucco,
convinta che le avrebbe fatto una scenata. O peggio le avrebbe chiesto di non
vedersi fino a che non ne avesse avuta dell’altra. Rabbrividì a quell’ipotesi.
Benji si alzò e si
sedette anche lui sul tappeto, circondandola con le proprie gambe e braccia.
Posò il mento sulla sua spalla e le scostò il corto ciuffo rosso che cadeva
sulla guancia.
“Mi dispiace molto. Si
vede che sei preoccupata per lei. Vorrei poterti aiutare in qualche modo, ma non
credo di poter fare molto altro se non ascoltarti.”
“Va bene così.” replicò
lei lasciandosi andare contro di lui e consentendogli di passare le braccia
attorno alla sua vita.
Rimasero in silenzio per
parecchio, finché Benji non si schiarì la voce e la chiamò con tono incerto.
“Lucy?”
“Allucemonco.”
“Vorrei chiederti una
cosa.”
Il corpo di Lucy si
irrigidì come se le avessero tirato una secchiata d’acqua gelata.
“Rilassati Lucy, non è
nulla di preoccupante. Volevo solo chiederti che cosa è successo con quel
ragazzo di cui mi hai parlato l’altra sera. A patto ovviamente che tu te la
senta.” La voce baritonale dell’uomo tentennò leggermente. Ancora una volta la
Weasley si rese conto che, dietro quella scorza ostentatamente sicura di sé, si
nascondevano tante piccole fragilità che lo rendevano umano e suo, aldilà di
ogni foggia sensuale o irresistibile.
Rimase in silenzio per
molto, osservando i ricami del tappeto e mordendosi il labbro inferiore, poi
parlò quasi senza accorgersene.
“So di non essere bella.
Non sprecarti in obiezioni non richieste, so di non esserlo! Proprio per questo
mi sono sentita per tanto tempo come se non avessi il diritto ad ambire alle
stesse cose che rappresentavano i traguardi delle ragazze carine. Avevo una
compagna di dormitorio, a dire la verità ce l’ho ancora purtroppo, però
all’epoca eravamo in rapporti pacifici. Ci limitavamo ad ignorarci, non che
avessimo molto da dirci per altro. E avevo una cotta impressionante dal primo
anno per un ragazzo della mia Casa, si chiamava Scott e sapeva perfettamente di
piacere, a tutte più o meno.”
“Tentavo di rendermi il
più invisibile possibile quando lui era nei paraggi. Pensavo di essere sempre
stata brava a nascondere i miei sentimenti, convinta che in ogni caso non
sarebbero mai potuti essere ricambiati. Ripensandoci ora, mi rendo conto che un
neon sulla fronte con scritto tutto quanto sarebbe stato meno vistoso dei miei
tentativi di ignorarlo. Comunque, Celia capì tutto quanto al volo, o forse lo
aveva sempre sospettato, non saprei.”
“Mi ricordo perfettamente
che una sera eravamo sole in dormitorio, probabilmente aveva costretto le altre
ragazze a starsene in Sala Comune!”
Si interruppe consapevole
che la voce normalmente graffiante stava sfiorando il rauco in quel momento.
“Che cosa ti ha fatto?”
chiese a voce bassissima Benjamin. La rabbiosa impotenza che trapelava dalle
sue parole era balsamo per i propri ricordi umilianti.
“Fu semplicemente
deliziosa. All’inizio fu un po’ insistente perché continuavo a negare, ma
quando finalmente ammisi che forse, ma solo forse, Scott un pochino mi piaceva,
si sciolse. Mi trattò con un calore e una gentilezza che mi lasciarono
allibita, tanto che mi chiesi se le mie cugine più grandi, che l’avevano sempre
detestata, non si fossero sbagliate.”
Roxanne Weasley che sbagliava. Ridicolo..
“Fatto sta che passò
tutta la sera a chiacchierare con me, seduta sul mio letto, a rassicurarmi che
avrebbe fatto di tutto per perorare la mia causa, che dovevo per forza mettermi
con Scott, che saremmo stati perfetti insieme. Mi fece milioni di domande per
conoscermi. Mi sembrò straordinario che una ragazza come lei, una piccola
regina del proprio mondo dorato, volesse far amicizia con me, insignificante e
anonima.”
“Per quasi un mese
continuò così. Sembrava che fossi diventata la sua migliore amica, la sua
confidente. Mi raccontava di tutto, dai problemi che aveva con il suo ragazzo
alle nuove scarpe che voleva prendersi. Era bellissimo, mi sentivo come se lei
fosse stata un sole che voleva splendere solo per me. Poi un pomeriggio uscii
da lezione prima, perché non mi sentivo bene, e andai in dormitorio. Mi misi a
letto e tirai le cortine. Per questo quando un’ora dopo lei entrò, non mi
vide.”
Un sorriso sardonico
prese vita sulle sue labbra, mentre il ricordo fluiva nella sua mente nitido
come un filmato.
“E non mi vide nemmeno
Scott, cosa che non doveva stupirmi, visto che non lo aveva mai fatto in vita
sua! Mi sporsi per vedere che cosa stesse succedendo e li vidi avvinghiati,
intenti a togliersi i vestiti della divisa mentre si baciavano con davvero
tanto entusiasmo.”
“Fu lei ad accorgersi di
me. Liquidò Scott in men che non si dica e poi si tolse la maschera. Mentre si
rivestiva, mi spiegò con freddezza che Scott non aveva nemmeno idea di chi io
fossi, prima che lei gli parlasse di me. Che invece loro erano amici da tanto e
che quello che avevo visto era solo capitato.
Mi guardò dritta negli occhi e mi disse che se avessi mai fatto parola con
qualcuno di ciò che era successo, mi avrebbe umiliata davanti a tutta la scuola
per i miei ridicoli sentimenti. Come avevo potuto pensare che un ragazzo come
Scott o che una come lei potessero davvero interessarsi a me? Io che ero
sgraziata e brutta e senza alcun talento… Ma si sbagliava.”
Benji era immobile dietro
di lei e quando si voltò di tre quarti per guardarlo negli occhi vide riflesso
nel giallo paglierino un dolore sincero per ciò che lei aveva subito. Il
sorriso malandrino si ingigantì.
“Io sono bravissima a
fare gli Incantesimi di Adesione Permanente. E la mattina dopo tutta la scuola
vide quella ragazza incollata ai muri della Sala d’Ingresso, mentre urlava come
una gallina ordinando a tutti di farla scendere. Una scena memorabile.”
Benji la strinse a sé con
tanta forza che le sue costole si indolenzirono, ma lei non si lamentò.
“La ragazza che ti ha
tratta in questo modo è la stessa che ha fatto del male alla tua amica?” le
chiese sottovoce.
“Sì.”
“Mi dispiace, Ragazzina.
Se solo avessi saputo che genere di esperienza avevi avuto in passato mai mi
sarei sognato di baciarti e poi sminuire. Mai.”
“Io invece sono contenta
che tu lo abbia fatto.” rispose Lucy con tono leggero.
“E perché?” le chiese
stupito.
“Oh, per svariate
ragioni, prima tra tutte che altrimenti non avrei mai visto Dominique darti un
calcio nelle palle.” e detto ciò scoppiò a ridere mentre il viso di Allucemonco
si incupiva.
“È stato molto doloroso.
La tua amica aveva i tacchi!” si lamentò.
“Lo so! Non dimenticherò
mai la tua faccia quando…”
Ma non riuscì a finire di
parlare perché le labbra di Benjamin calarono sulle sue e le chiusero con un
bacio, che presto si mescolò ad altre risate mentre rotolavano insieme sul
tappeto morbido.
Si chiese se non
esistesse davvero una sorta di contrappasso affettivo nella vita. Se non fosse
stato un caso che le fossero state tolte tante cose prematuramente, per poi
donarle un’opportunità così meravigliosa di riscattarsi, da lasciarla spesso
incerta se fosse sogno o realtà. Se non fosse un caso che dopo tutto fosse
arrivato Benji.
***
Il fatto che avesse
ancora una volta ceduto al richiamo che Angelique esercitava su di lui, non lo
fece nemmeno arrabbiare più di tanto.
Non poteva esimersi.
Quando la sera precedente
l’aveva messa alle strette perché per lo meno si riappacificasse con Tristan e
aveva raccolto le sue lacrime, non si era di certo aspettato di mettere alle
strette anche sé stesso. Questo perché mentre stringeva il corpo scosso dai
tremiti e dal pianto di Gigì, aveva dovuto smettere lui stesso di mentire.
Aveva avuto ragione Rose
sin dal principio.
Non l’aveva lasciata
andare, come si era ripetuto in continuazione per settimane intere. Anzi forse
era andato addirittura a riprenderla in fondo al pozzo dove lei si stava lasciando
annegare.
James imboccò le ultime
rampe di scale che lo avrebbero condotto alla sua lauta colazione. Fu proprio
mentre il suo sguardo si sollevò verso la Sala d’Ingresso che vide Tristan e
Angelique, uno di fronte all’altra per quello che sembrava un duello più che
una conversazione
Tristan spintonò con poca
delicatezza la sorella, che però non si lasciò scoraggiare e lo agguantò per un
gomito, rigirandolo verso di sé. Gigì disse qualcosa chinando il capo verso di
lui, ma il ragazzo al posto che cedere cercò nuovamente di allontanarsi.
Sua sorella Lily e Hugo
osservavano crucciati tutta la scena da un punto in disparte, pronti a farsi
avanti.
Allora Angelique si mosse
rapida e lo strinse tra le proprie braccia. James lo vide lottare ancora
qualche istante, prima che i tentativi di respingerla si trasformassero in
bisogno di aggrapparsi per restare più vicino. Angie socchiuse gli occhi e lo
accolse, mentre le mani di Tristan le stringevano spasmodicamente la divisa di
Serpeverde.
Tristan affondò
nell’abbraccio di sua sorella, lasciando che lei dondolasse leggermente per
calmare i singulti che scuotevano il suo petto.
Angelique spalancò gli
occhi verdi e incrociò il suo sguardo in cima alla scalinata.
Mentre le sue mani
piccole e candide accarezzavano il capo riccioluto di Tristan, lesse sulle sue
labbra una rassicurazione per il fratello che da quella distanza non riuscì ad
udire, ma che inaspettatamente sentì essere rivolta anche a lui.
“Andrà tutto bene.”
Note dell’Autrice:
Onestamente non pensavo
che questo capitolo si sarebbe svolto così, eppure mentre lo scrivevo non
trovavo altra soluzione se non lasciare che la storia prendesse il proprio
respiro indipendentemente dai piani iniziali. Come al solito insomma, il
preciso motivo per cui siamo al capitolo 28 e sono ancora a metà trama.
In ogni caso non ho molto
da aggiungere come spiegazione alla struttura del capitolo o a quello che
avviene, se non che nessun altro a parte James poteva operare la magia di
risvegliare Angie.
E i risvegli sono
dolorosi.
Ci terrei a ringraziare
innanzi tutto Aduial la gentilissima
lettrice che ha segnalato la storia per inserirla tra le scelte del sito e che
ha recensito la storia in un modo a dir poco meraviglioso.
In secondo luogo ovviamente
anche tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, vale a dire: Cinthia 988, leo99, carpethisdiem_, Idiot e alice_dequattro. Sono
molto fortunata ad avervi come lettrici, davvero molto fortunata.
I miei più sinceri
ringraziamenti anche a tutti coloro che silenziosamente ma costantemente
leggono e seguono l’evolversi di questa storia.
Vi abbraccio.
Bluelectra
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Capitolo 29 *** Cap.29 Scegliere ***
Cap.29 Scegliere
Cap. 29 Scegliere
Non
importa per cosa sia nata una persona, ma ciò che sceglie di essere.
J.K. Rowling
I risvegli possono essere molto dolorosi.
Fu quello che le venne da
pensare non appena i suoi occhi misero a fuoco il soffitto dell’Infermeria.
Era successo un’altra
volta. Era quasi comico.
Quasi.
“È in un mare di guai
signorina.” I toni soavi di Madama Chips e il suo indice ossuto puntato contro
di lei furono la prima conferma della sua intuizione del dormiveglia.
La seconda lo furono le
facce da funerale dei ragazzi ancora infangati e vestiti con le casacche verde smeraldo.
La terza fu lo sguardo di
Albus che intercettò subito dopo.
Ricostruì gli ultimi
ricordi sfumati che possedeva di quella mattinata: stavano giocando contro Corvonero
per il campionato di Quidditch, erano in vantaggio, aveva rincorso il Cercatore
avversario che aveva individuato il boccino prima di lei, la Winterwind era
sfrecciata a velocità inaudita per strappare un’altra vittoria e poi, quando
aveva ormai raggiunto l’altro Cercatore, tutto era diventato nero.
Un istante dopo le
braccia e le gambe non avevano più risposto ai suoi comandi e lei era scivolata
nel vuoto, mentre anche l’udito si affievoliva.
“Sono svenuta?” chiese
guardando l’infermiera.
“Non so come lei abbia
potuto giocare per un’ora intera nello stato in cui si trovava! Il suo stomaco
era vuoto, ha i valori ematici completamente stravolti per il digiuno! Era
persino disidratata… Adesso prenda questo, ma tra dieci minuti tornerò.” Sbottò
la donna mettendole in mano un tonico dal sapore quasi gradevole, che le diede
una piacevole scossa di calore a tutte le membra.
Quando l’infermiera si
dileguò nel corridoio centrale, Angie vide che, a parte Albus, nessuno dei suoi
compagni la guardava negli occhi. Avevano perso e probabilmente a causa di
quella sconfitta non avrebbero vinto la Coppa del Quidditch.
“Ragazzi devo parlare con
Angelique, potreste lasciarci?” chiese Al con voce pacata.
I giocatori della squadra
di Serpeverde finalmente alzarono gli occhi dal pavimento e le rivolsero uno
sguardo dispiaciuto unanime, compresa Dominique che, come raramente accadeva,
non aveva stampato sulle labbra il suo sorriso accattivante.
“Guarisci presto, Angie.”
Mormorò Rendly con un tale dispiacere che Angie si guardò allarmata,
immaginando che le avessero amputato un arto o fosse sul punto di morire. Ma
apparentemente tutte le sue estremità erano al punto giusto e non le sembrava
che la caduta dalla scopa avesse prodotto danni irreparabili…
Qualcuno doveva aver
attutito la sua caduta.
Albus prese una delle
seggiole rigide ed estremamente scomode messe a disposizione per le visite agli
ammalati e, solo quando tutti i componenti della squadra furono usciti, le si
rivolse.
“Quando sei caduta
nessuno di noi se n’è accorto in tempo. Dominique aveva appena segnato e tu eri
distante… Grazie al cielo Martha ha riflessi migliori di tutti noi e ti ha
vista. Non ti sei fatta nulla durante la caduta. Non preoccuparti,” l’anticipò
alzando una mano “la tua scopa è integra e scintillante nel dormitorio, non ha
subito danni.” Il tono con cui le fece questo breve riassunto era stanco e
abbattuto, contrastante con quello usato prima davanti alla squadra.
“Mi dispiace tanto che
abbiamo perso. Non so che cosa mi sia successo…” disse Angie mortificata, ma
Albus la interruppe guardandola dritta negli occhi con un’occhiata
fiammeggiante.
“Non sai che cosa ti sia
successo? Dici davvero Angelique? Sono settimane che mangi a stento e mi vieni
a dire che non ti saresti mai immaginata che la mancanza di cibo ti avrebbe
fatta star male?” l’abbattimento che le aveva mostrato prima sembrava essersi
dissolto nel nulla. Albus era furioso e non ne faceva mistero.
Angie sentì gli occhi
pizzicarle per il dispiacere e chinò il capo.
“Mi dispiace Al! Mi
dispiace davvero ma non ti arrabbiare, per favore.” Mormorò con un tono che
alle sue orecchie risultò lamentoso e patetico.
Le spalle di Albus si
afflosciarono come un palloncino bucato e lui sospirò pesantemente.
“Hai idea di quanto mi
sia sentito in colpa per averti concesso di giocare sapendo perfettamente che
non ne avresti avuto le forze? Sono con te tutti i giorni Angie, sono al tuo
fianco da mattina a sera e non sai quanto sia lacerante per me vedere che a
cena assaggi appena la zuppa o mordi un paio di carote.” le disse con tono
molto più morbido ma per nulla vacillante. “Oggi ho messo in pericolo te e ho
deluso la mia squadra. Perdonami per quello che sto per fare, ma credo che sia
la soluzione più saggia per tutti.”
Angelique alzò di scatto
il viso e invasa dal panico guardò il suo migliore amico.
Non lo avrebbe mai fatto.
Non avrebbe osato.
“Sei sospesa dal tuo
ruolo di Cercatore, Angelique.”
Quelle parole le
rimbombarono nelle orecchie come se fossero stati i rintocchi di una campana.
“Lo faccio perché non sei
in grado di capire da sola quando è troppo. Hai bisogno di tempo per te stessa
e per recuperare le forze in pace. Mi sono consultato con il resto della
squadra e hanno acconsentito a cercare un sostituto, per il momento.”
Angelique si rese conto
che i suoi occhi non riuscivano a smettere di fissare il letto davanti al suo,
senza nemmeno battere le palpebre.
Era fuori dalla squadra.
Il suo migliore amico le stava togliendo la divisa che Sophia Osborne le aveva
consegnato quando aveva undici anni. Il suo migliore amico le stava togliendo
l’ultimo frammento che la legava al suo passato.
“Angie?” la voce di Albus
la raggiunse come le dita tese verso la sua guancia per farle una carezza.
La mano di Angelique si
mosse fulminea e diede un violento schiaffo al dorso di quella di lui, per
allontanarla dal proprio viso.
“Non toccarmi.” Sibilò
gelida.
Albus inspirò bruscamente
e ritrasse la mano. Attese qualche istante, aspettando probabilmente lo scoppio
di ira che aveva preventivato da parte di lei e che non arrivò, perché Angie si
scoprì incapace di parlargli o anche solo di guardarlo.
Era stata tradita
dall’unico che non avrebbe mai pensato potesse tradirla.
Così quando lui si alzò
per lasciare l’Infermeria, Angie si voltò ostinatamente verso il lato opposto. I
battenti della porta si chiusero e proprio quando Madama Chips stava tornando
verso di lei a passo di carica, Angelique si lasciò andare contro i cuscini
scivolando nel tepore delle lenzuola.
Non era più il Cercatore
di Serpeverde.
Non avrebbe più giocato a
Quidditch.
Non avrebbe più corso
spalla a spalla con Albus durante gli allenamenti.
“Angelique? Posso
chiamarti così?” la voce dell’infermiera era completamente diversa da come le
si era rivolta poco prima.
Angie annuì e si voltò
per incrociarne la figura segnata dal tempo e dalle preoccupazioni, che anni di
servizio in una scuola di adolescenti le avevano procurato, ma ancora ritta e
fiera come un fuso.
“Angelique perché ti stai
facendo questo? Ho assistito tante persone nel corso degli anni, ho imparato a
riconoscere le malattie che germogliano dal corpo e quelle che lo fanno dalla
mente. Non ho mai rifiutato le cure a nessuno, nemmeno ai Mangiamorte dopo la
Battaglia in cui avevano ammazzato i miei ragazzi… Ma le cure che posso
fornirti non sono nulla per il male che ti porti dentro, ragazza mia. Posso
obbligarti a bere litri di tonici, e non preoccuparti che so come fare, posso
rimetterti in piedi, posso darti la forza fisica, ma so che non cambierebbe
nulla. Devi volerlo tu Angelique, altrimenti qualunque cosa io possa fare non
servirà mai a nulla.” Le disse con gentilezza e depose un bicchiere lungo e
affusolato sul suo comodino, contente la stessa pozione che le aveva
somministrato prima. “Non ti obbligherò a berlo, ma sarò felice se deciderai di
farlo.”
Le sorrise in modo quasi
impercettibile e poi ritornò nel suo ufficio in fondo all’Infermeria.
Angie, con la testa
sostenuta dai cuscini, si voltò verso il comodino e osservò i riflessi perlacei
che si irradiavano dal liquido colpito dal sole.
Devi volerlo.
Ma i suoi occhi erano
pesanti e le braccia stanche, e probabilmente, si disse, non lo voleva
abbastanza. Quindi la sua mano non si allungò per bere il tonico ma rimase
immota sul copriletto, mentre Angie si concedeva di chiudere gli occhi e
scivolare nell’oblio.
***
Entrando in infermeria si
sarebbe aspettato di vedere il consueto crocchio di Serpeverde attorno al letto
di Gigì, fu quindi con piacevole sorpresa che venne smentito.
Angelique era sdraiata
nel suo giaciglio, immersa nelle lenzuola candide, da cui spuntava in
quell’istante solo la sua chioma bionda, tanto lunga da uscire quasi dal bordo
del letto. Gli dava le spalle e James poté osservare come i raggi del debole
sole di febbraio giocassero coi riflessi dorati dei suoi ricci.
Vide che dormiva, ma il
suo sonno era disturbato da sogni che non gradiva, perché la fronte si aggrottò
vistosamente e una smorfia le alterò i lineamenti. Si mosse irrequieta, cambiò
posizione, ritrovandosi supina, e una ciocca le si posizionò sotto il naso,
infastidendola al respiro successivo.
James si guardò attorno e,
constatata la momentanea calma dell’Infermeria, si fece ancora più vicino alla
ragazza.
Gigì continuava ad avere
quell’espressione tormenta e, inutilmente, nel sonno cercava di scostare i
capelli che le solleticavano le narici con deboli movimenti del capo. Una sua
mano riposava accanto al viso semichiusa, illuminata dal raggio di sole.
Si chinò su di lei e con
delicatezza allungò la mano, prese tra le dita il riccio biondo e lo depose
insieme agli altri sparsi sul cuscino. Finalmente la ragazza smise di muoversi,
ma James non poté frenare invece le sue dita che tornarono al volto pallido di
Angelique.
Desiderava cancellare
dalla sua fronte la preoccupazione e vedere un sonno sereno calare sui lineamenti.
Accarezzò con la tutta la delicatezza di cui era capace una guancia tiepida di
sonno, delineando la delicata curva dello zigomo e poi quella della mandibola.
Gigì mosse il capo inseguendo la sua mano, compiaciuta da quella carezza lieve.
Era così semplice starle
vicino quando dormiva e non sentiva il bisogno di difendersi costantemente.
Risalì verso la fronte e
appianò le rughe di tensione su di essa, sentendo che ad ogni nuovo tocco la
necessità di toccarla ancora era più forte e urgente. Quasi involontariamente
scese sul naso dalla punta leggermente all’insù e sfiorò le sue labbra, che si
dischiusero.
James si chinò finché non
sentì sulle proprie labbra il respiro di Angelique.
Si ricordò di quando
aveva allontanato la tentazione di baciarla mentre era ubriaca, si ricordò
dell’unica volta in cui le sue labbra di ragazzino avevano toccato quelle di
lei, in modo casto e fanciullesco, rubandole il suo primo bacio. Si disse che
rubare ancora alle labbra e ai sogni di lei un bacio non avrebbe cambiato
nulla, ma forse avrebbe lenito il bruciante desiderio che costantemente lo
assaliva quando era così vicina.
Chiuse gli occhi e
depositò sulle labbra rosate e carnose un bacio breve, tanto delicato da non
svegliarla. Ciò che lo turbò tuttavia, fu il fatto che appena si distanziò vide
che il viso di lei si era completamente disteso e aveva un’aria pacifica.
La sua bocca formicolava
per l’intensità di quel contatto.
Posò sul comodino il
fiore che aveva colto illecitamente dalle serre del professor Paciock e poi si
dileguò dalla stanza, convinto che il colloquio con la ragazza potesse
attendere che si fosse ripresa.
***
Quando i suoi occhi si
aprirono la prima cosa che pensò fu bianco.
La bianca luce del sole
alto in cielo contro i muri, il bianco della pozione lattescente che la
osservava minacciosa, il bianco marmo del ripiano del comodino e una camelia
bianca posata su di esso.
Una camelia bianca a febbraio…
Angelique incuriosita si
mise a sedere contro i guanciali e prese tra le mani il fiore appena sbocciato.
Dubitava fortemente che
lo avesse lasciato qualcuno dei suoi amici, visto che non appena si erano
presentati chiassosi e ridanciani come al solito li aveva pregati di lasciarla
da sola.
Il sonno era stato
piacevole e ristoratore, una cosa completamente insolita per i suoi standard
costellati da continui incubi e risvegli di soprassalto nel cuore della notte. Portava
impressa nella mente una sensazione strana, un contatto rassicurante che aveva
sciolto il suo incubo…
Chi poteva averle
lasciato il suo fiore preferito sul comodino mentre riposava?
Lo rigirò tra l’indice e
il pollice facendolo ruotare sullo stelo mentre ripensava alle parole di Madama
Chips.
Sarebbe stato stupido e
vigliacco da parte sua negare che il pretesto di non vedere Derek e Celia nella
Sala Grande, a tubare come colombi, le avesse fornito un alibi perfetto per
evitare i pasti. O per smangiucchiare quantitativi irrisori in fretta e furia,
pur di mantenere sempre vivo e pungente il vuoto allo stomaco. Aveva nutrito
quella sensazione per negare le emozioni che le dilagavano dentro, aveva
pensato che il dolore fisico e l’autoimposizione di una simile costrizione le
potessero ridare il controllo perduto su tutto ciò che la riguardava.
Devi volerlo.
I risvegli possono essere
molto dolorosi, soprattutto se il bilancio degli affetti è spropositatamente
negativo.
Aveva perso il ragazzo di
cui si era innamorata, aveva litigato con le Menadi, aveva allontanato Albus e
stava disperatamente cercando di riconquistare la fiducia di Tristan.
Da dove attingere una
forza che non possedeva? Come poteva riprendere in mano la propria esistenza se
le braccia e le gambe rimanevano indolenzite per il minimo sforzo fisico?
Dei passi contro il pavimento
tirato a lucido dalla maniacalità di Madama Chips attirarono l’attenzione della
ragazza. Angie ne ascoltò il ritmo e percepì un’andatura agile, passi lunghi ma
non troppo rumorosi, segno che il proprietario aveva una statura alta, in grado
di coprire la distanza tra un piede l’altro senza fatica. Chiuse gli occhi e se
avesse dovuto assegnare un volto a chi si stava avvicinando…
“Gigì dormi seduta ora?”
…Gli avrebbe dato il
volto di Jessy.
Aprì gli occhi e vide che
il ragazzo davanti a lei la osservava incuriosito.
“Stavo cercando di
riconoscere il tuo passo. Io e Al facciamo spesso questo gioco…” ma la sua voce
si spense mentre ricordava ciò che era accaduto col suo migliore amico.
James prese posto accanto
a lei e si sedette senza smettere di guardarla.
“Hai dormito bene?” le
chiese con lievissimo sorriso sulle labbra.
“Sì, ne avevo bisogno.”
Angie si abbandonò ancora contro i cuscini e prima di continuare prese un
profondo respiro. “Sono fuori dalla squadra.”
Un sopracciglio nero si
inarcò vistosamente e James si limitò a guardarla in attesa di ulteriori
informazioni.
“Sono svenuta durante la
partita perché erano tre giorni che non mangiavo quasi nulla. In generale è un
po’ di tempo che non mangio quasi nulla. Albus si è spaventato e sappiamo entrambi
che quando è spaventato si arrabbia, così mi ha cacciata dalla squadra. Per prendermi del tempo per me stessa.”
Scimmiottò le ultime parole con un’imitazione di Albus e poi concluse osservando
il soffitto “Non so che farmene dello stupido tempo libero.”
“Perché non hai bevuto il
tonico?”
Angie voltò il capo e
incrociò gli occhi nocciola di James, che le rivolsero uno sguardo
condiscendente.
Era rilassante avere a
che fare con lui, non doveva recitare né mentire, poteva semplicemente
lasciarsi essere come con tutti gli altri aveva timore di fare.
“Perché dovrei volerlo e
in questo momento non voglio.” Gli rispose semplicemente recuperando la camelia
dal copriletto e portandosela al naso. “E tu perché sei venuto qui?”
James posò i gomiti sulle
ginocchia e prima di risponderle la osservò.
“Non credo che tu ti
meriti di saperlo.”
“Che cosa vorresti
dire?!”
“Esattamente quello che
ho detto. Che, siccome vuoi continuare a restare in questo letto e rifiuti di
prendere le medicine, non meriti di sapere perché sono qui.” Le rispose
osservando in modo insistente il bicchiere solitario sul comodino.
Angie prese il tonico con
aria di sfida e lo bevve tutto fino all’ultima goccia.
“Adesso me lo merito?”
“Un po’ di più, ma
comunque non ti meriti di sapere tutto, quindi ti dirò solo il minimo
indispensabile.”
“Inizio a rimpiangere i
mesi in cui non ci siamo parlati Jessy.”
“Anche io Gigì. Comunque,
ti ricordi che oggi pomeriggio ci sarebbe l’uscita ad Hogsmeade? Beh mi è stato
comunicato dalle alte sfere della famiglia che devi essere presente alla Testa
di Porco alle tre e mezza, costi quel costi.”
Per lei le alte sfere
significavano solo una cosa…
“Roxanne? Stai
scherzando?” esclamò balzando a sedere e sentendosi invasa da una gioia che non
credeva di poter provare fino a poco prima. L’idea di poterla rivedere, di
poterla abbracciare, di poter sentire ancora le sue opinioni dispotiche le
sembrarono un dono troppo meraviglioso per crederci davvero.
James rimase muto e
impassibile, limitandosi a osservarla.
“Ma come?! Dovrebbe
essere a Dublino per l’internato all’Accademia Auror… Dimmi che è lei!” mormorò
la ragazza guardandolo speranzosa, ma non ricevette alcuna risposta.
“Avanti James! Non fare
l’antipatico!” si lamentò.
Jessy continuò a tacere
limitandosi a puntarle addosso i suoi occhi e osservare le sue movenze.
“E va bene! Anche se non
mi dirai nulla devo trovare il modo di farmi dimettere…Madama Chips!” urlò con
tutto il fiato che aveva nei polmoni gettando le coperte di lato e mettendo le
gambe oltre il bordo del letto.
La povera donna accorse
spaventata e guardò allarmata James e Angie.
“Ingurgiterò qualunque
cosa mi darà da qui all’eternità, lo prometto, farò qualunque cosa mi dica di
fare. Ma la prego, la supplico, la imploro! Mi lasci andare ad Hogsmeade oggi
pomeriggio. C’è una persona a cui voglio molto bene che non vedo da tanto
tempo, e ho davvero bisogno di vederla!” snocciolò con decisione Angie,
pregando tutte le divinità che Madama Chips acconsentisse alle sue richieste.
La donna incrociò le
braccia sul petto e la osservò con aria scettica per qualche secondo, poi fece
un mezzo sorriso e si rivolse a Jessy:
“Signor Potter lei fa da
garante per le promesse di questa ragazza?”
“Se non posso fare
altrimenti.” Commentò il ragazzo sospirando.
“No, non puoi!”
intervenne Angie guardandolo storto.
“Molto bene, allora la
voglio vedere qui tutti i giorni per una settimana, venga prima delle lezioni.
Se sarò soddisfatta delle sue condizioni, potremo ridurre i controlli. La
lascio andare come incoraggiamento Signorina Dursley, non perché se lo sia
guadagnato.” Precisò la donna sollevando entrambe le sopracciglia.
Angelique le rivolse un sorriso
a trentadue denti e batté le mani entusiasta. L’infermiera alzò le mani al
cielo e sbuffò esasperata, ma quando si voltò per andarsene un sorriso le si
disegnò sulle labbra.
Angie incrociò lo sguardo
di James e si soffermò ad osservarne l’aspetto, cosa che fino a quel momento
non aveva notato.
Indossava un maglione di
lana bordeaux su cui risaltava il colorito della carnagione, e sembrava come
sempre in forma, ma i suoi occhi, nonostante cercasse di celarlo dietro l’abile
maschera dell’indifferenza, erano tristi.
“Come stai Jessy?” gli
chiese continuando a guardarlo dritto negli occhi.
Lui inspirò lentamente
rimanendo in silenzio per qualche secondo e poi si protese verso di lei, ma la
sua mano sinistra si chiuse attorno alla camelia bianca. Le loro mani erano
vicine tra le lenzuola bianche e stropicciate.
“Credo di non essere mai
stato peggio in vita mia, Gigì.” Le confessò con leggerezza stringendosi nelle
spalle e ritraendosi sulla sedia.
“Mi dispiace, davvero.”
Disse con sincerità.
“Vestiti Gigì, che
potremmo finire schiantati entrambi per dieci minuti di ritardo.” Replicò Jessy
dopo qualche secondo e si alzò per lasciarla sola a cambiarsi.
***
Dominique si considerava
una ragazza dalla mentalità aperta, se non si toccavano i sacri dogmi della
moda a cui era fedele. Eppure nonostante la propria buona volontà non
comprendeva proprio le motivazioni che avevano spinto sua sorella e Roxanne a
convocare la famiglia alla Testa di Porco.
Era decisamente migliorato
dal quando il vecchio Aberforth la gestiva, ma in ogni caso per la giovane
rimaneva un luogo in cui il suo vestiario era senza dubbio sprecato.
Come quel magnifico
cappotto color cammello con collo di pelliccia e manicotto abbinato. Era stato
uno degli ultimi acquisti fatti con lo stipendio delle Menadi durante i saldi
invernali, quando ancora le passavano una rendita in grado di sostenere le sue
esigenze. A causa della crisi nel mercato delle pozioni, iniziata perché
effettivamente ad una domanda ingente non potevano rispondere altro se non
“stiamo rifornendo le scorte, al momento non abbiamo nulla”, le Menadi avevano
operato parecchi tagli sui propri fondi.
I suoi prodotti di
bellezza e l’alcool illegale coprivano la maggior parte delle spese, ma con un
terzo in meno delle entrate era difficile gestire l’economia della loro
organizzazione illegale.
Dominique rifletté con
sguardo perso nelle travi del pub che doveva imperativamente trovare il modo di far tornare Angelique all’ovile.
In collaborazione con Rose, che altrimenti l’avrebbe data in pasto alle bestie
feroci di Hagrid se avesse ancora osato agire a sua insaputa.
“Mancano solo Jamie e
Angelique.” Disse Roxanne guardando fuori dalla finestra e aggrottando
vistosamente la fronte.
“Che c’è?” mormorò Dom
dando un colpetto col piede alla cugina, ma questa fecce appena in tempo a
spalancare la bocca per risponderle, che si udì lo scampanellio della porta.
Entrarono in
quell’istante proprio Angie e James, intenti a parlare tra di loro sommessamente,
lei protesa indietro per concludere la propria frase e lui leggermente chino
per ascoltarla meglio.
Roxanne balzò in piedi e
esclamò con la sua voce briosa:
“Scudiero dove diamine ti
eri cacciata?!”
Angie si voltò
immediatamente e un sorriso si aprì sul viso, cancellando le ombre di stanchezza.
Si mosse con una velocità che le dovette costare non poco, visti gli eventi
della mattinata, e si fiondò tra le braccia spalancate di Rox. L’altra
l’accolse senza vacillare, la strinse a se a lungo e la nascose da sguardi
indiscreti, quando separandosi Angie chinò il viso per asciugarsi gli occhi.
Victoire e Teddy,
invitato anche lui alla riunione di famiglia, si alzarono e salutarono con
calore la Dursley, chiedendole se stesse bene dopo la caduta durante la partita.
La giovane rispose evasiva e sorrise a entrambi, ma non era lo stesso tipo di
sorriso che aveva rivolto a Roxanne sola.
Quando si accomodarono
anche loro al tavolo a cui erano tutti seduti, un imbarazzante silenzio calò
sul gruppo. Dominique da parte sua si sentiva di poter osservare la situazione
da molteplici angolature, tuttavia nessuna di esse le sembrava più rosea delle
altre. Lucy e Lily sentivano ancora bruciare la questione del deposito delle
pozioni, Rose aveva un’aria molto concentrata segno che stava riflettendo per
dieci, Albus era immusonito in un angolo, Tristan sembrava seduto su un cuscino
di spine, Hugo li osservava tutti non capendo perché ci fosse tanta tensione,
James aveva quello sguardo a metà tra lo stralunato e il moribondo che solo il
contatto con Angie riusciva a donargli e Angie non aveva occhi che per Rox.
L’unico che sembrava non notare il sisma di anime era Fred, che sorrideva
entusiasta per il passaggio in prima posizione della squadra di Grifondoro
nella classifica.
Probabilmente l’emozione
gli avrebbe aumentato la sudorazione e Dom provò una fortissima compassione per
i compagni di stanza di suo cugino, che avrebbero dovuto sentire l’odore delle
sue scarpe a fine giornata.
“È da tantissimo che non
ci vediamo tutti insieme!” esclamò Dominique dopo qualche minuto passato nella
stasi, cercando di rompere il ghiaccio.
“Manca Molly.” Replicò
Lucy.
“E Louis.” Proseguì Lily
con tono scontroso.
“Ah giusto…” si
giustificò Dominique sfoderando il sorriso d’ordinanza per simili situazioni,
ma suo cugino Albus si sporse verso di lei e con le sopracciglia tanto
aggrottate da toccarsi le chiese:
“Dom mi stai dicendo che
non hai notato l’assenza di tuo fratello?”
“Oh beh, non è che posso
badare a tutti i dettagli!” replicò lei stringendosi nelle spalle e
guadagnandosi numerose occhiate perplesse, nonché il sorriso di James.
“Quindi c’è qualcosa che
vorresti dirci Rox o passavi di qui di ritorno dall’Irlanda?” chiese James dopo
che ebbero ordinato.
La giovane si voltò
perplessa verso di lui e chiese inclinando il capo verso la spalla:
“Io?”
Seguì qualche secondo di
silenzio in cui tutti si chiesero se stesse scherzando, ma vedendo la sua
espressione genuinamente confusa nessuno ebbe più dubbi.
“Sì, beh… Le lettere erano
firmate col tuo nome, era facile pensare che le avessi scritte tu.” Esclamò
Albus con un tono un tantino polemico.
“Oh certo! In realtà non
sono io a dovervi dire qualcosa…” esclamò Roxanne improvvisamente illuminata e
si voltò verso i più grandi della famiglia.
“Siamo noi.” Disse Ted
non riuscendo a reprimere il sorriso che gli illuminava il viso. I due
fidanzati si scambiarono uno sguardo di intesa e si sorrisero guardandosi
dritti negli occhi.
“Io e Ted abbiamo deciso
di sposarci.” Disse Victoire senza smettere di osservare con amore il ragazzo.
Partì immediatamente un
coro estasiato di Oooh da parte di
quasi tutti e ci fu una gran confusione tra chi si alzava per congratularsi coi
futuri sposi, chi cercava di aiutare la cameriera a posare le tazze sul tavolo
e chi attendeva di capire come muoversi per non fare danni negli spazi angusti
della Testa di Porco.
Il respiro di Dominique
si era fermato invece, in quel valzer di sorrisi e risate lei sentiva il suo
cuore immobile come se fosse stato di pietra. Sua sorella si stava per sposare.
Ted si stava per sposare. Loro due si stavano per sposare.
Erano talmente giovani,
nessuno dei due aveva avuto altre relazioni, Ted voleva diventare insegnante e
aveva ancora un percorso lungo davanti a sé, Vic aveva appena trovato un posto
fisso al Ministero… Possibile che avessero davvero deciso di passare la vita
insieme?
Quando però i suoi occhi
incrociarono quelli di James attraverso il tavolo, il consueto senso di pace e
tranquillità scese nel suo animo. Si alzò e andò in contro alla sorella che le
tendeva le braccia.
“Ragazzi sono felicissima
per voi!” confessò Dominique abbracciandoli entrambi. E lo era sinceramente.
“È splendido!” disse Rose
guardandoli commossa.
“Quando pensavate di
sposarvi?” chiese subito dopo Dom ritornando a sedere e prendendo tra le dita
gelide la tazza di tè.
“A giugno.” Rispose
prontamente Victoire.
Il sorriso morì sulle
labbra di Dominique e il suo sguardo si assottigliò.
“State scherzando.”
Dedusse osservando i sorrisi ebeti e inconsapevoli dei due piccioncini. Quelli
si scambiarono un’occhiata confusa e poi Teddy scosse la testa.
“No, siamo serissimi.”
Disse lui.
“Allora siete scemi.”
Sospirò Dom sentendo che i suoi peggiori presagi prendevano vita.
“Non capisco… Che cosa
c’è che non va?” chiese sua sorella.
Certo che non capiva! Lei
e il suo spirito naif non avevano mai organizzato una festa di matrimonio e non
aveva la benché minima idea da dove iniziare! Non sapeva quanta dedizione alla
causa ci volesse per seguire ogni dettaglio… Sua sorella e le sue idee malsane,
come quella di sposarsi a caso!
“Mi stai prendendo in
giro? Mancano meno di quattro mesi! Come pensate di organizzare tutto? Il
vestito? La location? Il menù? Le partecipazioni? E i fiori? E la truccatrice?
E i vestiti per le damigelle? E che colore sceglierete come tema per il
matrimonio?” Victoire le rispose solo con un’espressione sconcertata e la bocca
spalancata dallo stupore. “Vedi che non hai pensato a nulla! Lo sapevo, lo
sapevo…” esalò la giovane mettendosi una mano tra i capelli, ovviamente senza
spettinarsi
“Dom calmati, vedrai che
ce la faremo!” la rincuorò Vic accarezzandole il dorso della mano come se fosse
stato il matrimonio di Dominique e non il proprio.
“Non c’è un minuto da
perdere! Devo assolutamente prendere una cartella in cui infilare tutti i fogli
dei preparativi. Ti faccio da damigella d’onore.” Decretò riprendendosi
all’istante e iniziando a fare una lista mentale delle cose prioritarie da
chiarire.
“Ma io veramente avevo
chiesto a Roxanne…” si lamentò debolmente l’altra sbattendo le palpebre.
“Che c’entra? Lei ti fa
da testimone per la cerimonia, nessun altro può farti da damigella d’onore se
non io.”
“Ok.”
“Dove vi sposerete?”
chiese estraendo dalla borsa rigida di pelle un blocco appunti e la sua penna
d’oca bianca.
“Abbiamo chiesto a Harry
e Ginevra se ci avessero potuto prestare il giardino di Villa Potter e hanno
accettato.” Disse Ted con uno sguardo vagamente intimorito.
“Oh perfetto, è
bellissimo. Meglio così, dovrò minacciare di morte meno gente.” Concluse la
ragazza posando la penna sul tavolo e prendendo un sorso di tè. Si sentiva
piena di energie e doveva assolutamente iniziare a delineare le cose
fondamentali.
“Dom, non farti sfuggire
di mano questa cosa.” Disse Rose e solo un angolo del suo cervello registrò
quelle parole, perché aveva appena avuto una visione meravigliosa.
Sua sorella vestita di un
abito color champagne che avanzava su un tappeto di petali di rosa verso Ted,
all’ora del tramonto, sullo sfondo del parco immenso di Villa Potter.
“Dobbiamo assolutamente
creare un arco di fiori…” mormorò guardando nel vuoto.
“Troppo tardi.” Mormorò
James e la lieve risata di Angelique accompagnò le sue elucubrazioni.
Sarebbe stato un
matrimonio grandioso.
E come sarebbe potuto
essere altrimenti se l’avesse organizzato lei?!
***
Svignarsela dalla sua
famiglia era stato relativamente semplice.
In mezzo al casino per la
notizia del matrimonio di Ted e Victoire nessuno aveva badato alle sue scuse
per assentarsi. La parte più complessa era stata invece attraversare il
villaggio senza farsi riconoscere dai suoi compagni di scuola in libera uscita.
Si era calata il cappuccio fino al naso e aveva coperto lo stemma di Grifondoro
tirandosi un lembo di mantello sulla spalla.
Mentre prendeva la via
della città vecchia aveva avuto l’impressione che qualcuno la stesse seguendo,
ma in quelle vie era una sensazione costante e, la maggior parte delle volte,
infondata. L’agitazione per la scarsità di precauzioni con cui ultimamente
faceva visita al suo fidanzato aveva reso Lucy paranoica.
Quali che fossero state
le preoccupazioni di quella giornata, compreso il vedere Angelique precipitare
dalla scopa come un sacco di patate, si erano dissipate quando aveva rivisto il
suo uomo. In quel momento lui sonnecchiava sereno tra le lenzuola che i loro
corpi avevano sfatto poco prima, la pelle bruna come quella di uno zingaro
emanava il consueto calore e il suo respiro regolare era l’unico rumore della
stanza.
Lucy avvicinò le gambe al
petto e posò il mento sulle ginocchia, assumendo la posizione ideale di fronte
a lui per osservarlo, finché ogni minimo dettaglio del viso dai tratti forti e
sensuali non le si fosse impresso nelle retine in modo incancellabile.
Si era addormentato
sfinito, dopo averle raccontato che la sera prima erano sfuggiti per un soffio
ad una ronda di Auror in pattuglia ad Hogsmeade; lo scontro gli era costato una
notte intera di sonno arretrato.
I suoi occhi seguirono la
linea del collo, delle spalle tornite e del petto muscoloso. L’incarnato
uniforme veniva interrotto di tanto in tanto dalle linee chiare delle cicatrici
che gli anni di peripezie gli avevano lasciato in ricordo. Ce n’era una sul
costato che ogni volta ridisegnava affascinata con la punta dell’indice, aveva
il contorno frastagliato ed era lunga come tutta la sua mano. Benjamin le aveva
raccontato che se l’era procurata quando nella foresta pluviale un’acromantula
lo aveva attaccato ed era sopravvissuto per miracolo.
“Quando mi guardi così,
mi fai venire voglia di rapirti e portarti lontano.” La voce profonda di Benji
la colse di sorpresa e, alzando lo sguardo, trovò i suoi occhi da felino appena
dischiusi che la osservavano.
“Non credo che ce la
passeremmo molto bene. Avremmo alle calcagna il Primo Magistrato del
Wizengamot, le squadre di Auror di mezzo paese, mia nonna e mia cugina Lily che
vorrebbero evirarti. Onestamente credo che sia questo il rischio maggiore.”
Ironizzò immaginando la scena di suo padre, suo zio e sua nonna che
organizzavano le ricerche, e Lily che li rincorreva in capo al mondo per
riprendersi la sua coreggente.
“Lily… È Lara, vero?”
chiese lui accarezzandole un polpaccio nudo.
Il cuore di Lucy fece un
balzo, rendendosi conto che nella pace di quei momenti aveva smesso di
calibrare le parole e si era lasciata sfuggire il nome della cugina. Benji da
eccellente predatore qual era non si sarebbe mai lasciato sfuggire un dettaglio
tanto importante.
“È rilevante?” replicò
Lucy con noncuranza, mascherando la propria agitazione.
“Sì, lo è. È la persona
che hai difeso con le unghie e con i denti da me, qualcuno che merita il tuo
affetto. Certo che è importante.” Rispose lui serio mettendosi a sedere contro
la testiera del letto.
“Se lo sai già, non
capisco perché tu me lo chieda comunque!” esclamò infastidita guardandolo male.
Eppure, nonostante il tono, Benjamin le sorrise ammaliante e subito le fossette
fecero al loro comparsa sulle guance sbarbate dell’uomo.
“L’ho capito la volta in
cui ti ho seguita ad Hogsmeade. Era la più piccola del vostro gruppo ma
sembrava trascinarvi tutte. Inoltre la notte in cui ci siamo conosciuti vi ho
spiate quando siete uscite dal Platano Picchiatore.” Le confessò e non
manifestò nemmeno l’ombra del più vago pentimento o imbarazzo, anzi continuò a
sorridere con aria malandrina.
“Rose me lo aveva detto
che eri un maniaco… Avrei dovuto darle ascolto.” Sbottò Lucy scostandosi dalla
fronte il ciuffo di capelli che le ricadeva sugli occhi.
“Come si chiamano?
Prometto di non dirlo a nessuno, nemmeno sotto tortura.”
Lucy rimase in silenzio a
lungo, riflettendo su che cosa fosse meglio fare. Probabilmente avrebbe dovuto
continuare ad essere evasiva e non coinvolgere ulteriormente le altre per la
propria stupidità, tuttavia era chiara e forte dentro di lei la necessità di
condividere con Benji la parte di vita che più amava e che in fondo l’aveva
condotta da lui. Si accese una sigaretta prima di prendere coraggio e parlare.
“Lily, la più piccola, è
l’altra fondatrice delle Menadi, quella che alla festa di Halloween ha
organizzato il braccio di ferro. Poi ci sono Rose, l’unica con un po’ di sale
in zucca, e Dominique, quella che ti ha dato un…”
“Sì sì, smettila di
ricordarmelo Ragazzina!” la interruppe lui adombrandosi e Lucy scoppiò a
ridere.
“E Angelique.” Concluse
con un breve sospiro.
Benji non le chiese altre
informazioni, era abbastanza sveglio da aver ricollegato i racconti di qualche
giorno prima con quell’ultimo nome.
“La mia famiglia
d’origine è argentina.” Le disse all’improvviso lasciandola a bocca aperta.
Ciò che le aveva raccontato
di sé apparteneva alla vita che era iniziata quando aveva scelto di chiamarsi
Benjamin Richardson, di quello che fosse stato prima lei non sapeva nulla.
“Mio padre era
ambasciatore e mia madre l’unica discendente di un’antica famiglia argentina.
Ci siamo trasferiti in Inghilterra per seguire mio padre quando avevo otto
anni. Sono l’unico maschio di cinque figli, ero il loro erede, quello su cui
sarebbero cadute le responsabilità di trasmettere il nome e il prestigio di
appartenere al mio sangue. Benjamìn in spagnolo, come in inglese, significa il
prediletto, il figlio più atteso. Per loro è stato uno shock scoprire che non
avrei frequentato le scuole elitarie che stavano selezionando da anni, ma che
avevo il dono della magia.”
“Credo che mio padre si
sia sentito derubato da parte del mondo magico, per questo appena uno di noi
faceva riferimento alla magia diventava intrattabile. Ha sempre pensato che il
mio desiderio di distaccarmi dal loro mondo fosse nato per pura ribellione
adolescenziale. Ma la verità è un’altra.”
“Sono cresciuto in un
mondo di sfarzi, di cristalli, di feste eleganti, di giochi politici e di
sotterfugi. Hanno cercato di imbrigliarmi sin da quando ho iniziato a
camminare, volevano che prendessi il posto che mi spettava nel loro mondo. Ma
io, Ragazzina, sono questo. Sono nato per solcare i mari con le navi di pirati
alla ricerca dei tesori sui fondali dell’Oceano. Quando lotto con gli Auror del
Ministero sento il sangue nelle vene cantare. Io appartengo a questo mondo, non
al loro. Sono un farabutto, non un gentiluomo come cerco di apparire.” Le
rivolse un sorriso ammiccante che, nonostante ogni suo sforzo per rimanere
concentrata sul racconto, la fece arrossire. Poi si protese verso di lei e le
prese la sigaretta dalle dita, dando un tiro e lasciando fuoriuscire il fumo
dalle narici.
“Quando ho spiegato a mio
padre che volevo restare nel mondo magico, ho ricevuto come regalo di addio
questo.” Si sfiorò il setto nasale leggermente storto, segno di una frattura
non adeguatamente aggiustata. “L’avevo provocato e, per la prima volta in vita
sua, alzò le mani su di me. Mi diede un pugno così forte che mi stese!” Rise al
ricordo, come se avesse avuto davanti agli occhi una scena profondamente
comica. A Lucy invece sembrava solo di una tristezza immensa che un padre
potesse aggredire il figlio in quel modo.
“A diciassette anni sono
fuggito di casa e non ho più fatto ritorno ad Hogwarts, non mi interessavano le
lezioni di Incantesimi o tanto meno prendere i MAGO. Non sarebbe stato altro
che incastrarmi in un altro tipo di vita preconfezionata, solo che l’avrei
fatto con la magia, l’unica parte della mia vita che mi fosse sempre
appartenuta totalmente.”
“Ho cercato di
accontentarmi dell’esistenza che altri avevano delineato per me, ho provato a
imitare le mie sorelle che si fidanzavano con uomini adatti, che si sposavano e
davano al mondo la facciata perfetta di cui mio padre aveva bisogno. Non ci
sono riuscito… Non sono mai stato molto bravo ad obbedire.” Concluse Benji
spegnendo la sigaretta nel posacenere.
“Come si chiamano le tue
sorelle?” chiese Lucy in un sussurro sperando di non indurlo a chiudersi.
“Selina, Alma, Vera e
Isabel. Isabel è l’unica bionda come mia madre, è la più piccola di tutti, la
mia sorellina.” Le confessò con una dolcezza che la commosse.
“Quanto tempo non vedi
nessuno di loro?”
“Più di dieci anni.”
“Non vorresti
riabbracciarle?” domandò e subito dopo si diede della stupida perché non poteva
nemmeno immaginare quanto mancassero a Benji.
“Ogni giorno. So che sono
tornate in Argentina.” Rispose lui e poi rivolse lo sguardo alla finestra da
cui si vedevano le numerose luci del villaggio brillare ora che la sera era
calata. Sospirò con nostalgia e si voltò verso di lei sorridendole: “Vorrei che
vedessi quella terra, la ameresti moltissimo.”
Lucy si limitò a
sorridere, perché il solo pensiero di poter viaggiare insieme e tornare nella
sua terra natia le chiudeva la gola per l’emozione, figurarsi il parlarne
concretamente. Eppure c’era ancora un’ultima cosa che le solleticava la
curiosità e che non aveva mai avuto il coraggio di chiedergli, forse era giunto
il momento adatto vista la scia di confessioni reciproche di quegli ultimi
tempi.
“In che casa sei stato
smistato?” domandò all’improvviso, lasciandolo basito per il dirottamento del
discorso.
“Tassorosso.”
Lucy proruppe in una
risata allegra e che la alleggerì immediatamente di tutta la serietà che aveva
permeato gli ultimi minuti.
“E ora che cos’hai da
ridere?” chiese offeso Benji.
“Niente, pensavo solo che
sei il Tassorsso meno Tassorosso che abbia mai conosciuto.” Confessò Lucy prima
di essere letteralmente travolta da lui.
Si ritrovò schiacciata
contro il materasso, prigioniera delle braccia dell’uomo e trafitta dal suo
sguardo d’oro.
“Perché? Non sono forse
un gran lavoratore?” mormorò con tono suadente agguantandole le mani e
bloccandogliele sopra il capo.
“Sì.” Riuscì a rispondere
lei nonostante il fatto che le labbra di Benjamin avessero iniziato la propria discesa
dal collo verso il suo seno.
“E non sono forse fedele
ai miei principi?”
L’altra sua mano percorse
la linea delle gambe, che si dischiusero spontaneamente al suo passaggio.
Quando l’accarezzò il suo corpo si piegò come un arco, ma lui non mollò la
presa sui suoi polsi.
Le dita di Benji la
penetrarono con lentezza esasperante e lei riuscì solò ad ansimare un “Sì” in
risposta ai suoi quesiti.
Era un imbroglione degno
dei Serpeverde, altro che Tassorosso! Quelle sue mani grandi e abili che
danzavano nel suo corpo le facevano completamente perdere la ragione.
“Per non parlare di
quanto sia determinato quando voglio qualcosa.” Disse sollevando il viso e
guardandola dritta negli occhi mentre entrava dentro di lei.
“Oh sì.”
***
Il sabato pomeriggio di Angelique
era decisamente migliorato rispetto al modo tragico con cui era iniziato.
Roxanne l’aveva
accompagnata da Hagrid per prendere Antares e andare insieme a passeggiare nel
parco, perché a causa della partita di Quidditch non aveva potuto farlo la mattina.
La fenice si era esibita
in una serie di giravolte e numeri acrobatici attorno a Rox, al solo scopo di
manifestare la propria gioia nel rivedere una così vecchia conoscente.
Osservando il modo disinvolto con cui la Weasley si lasciava avvicinare da Antares
e con cui l’accarezzava, Angie aveva ricordato la situazione diametralmente
opposta che si era creata con Derek. Si era chiesta se un animale tanto potente
e straordinario, in grado di riconoscere una persona dopo quasi tre anni,
avesse avuto realmente la percezione di che persona aveva davanti; se davvero
Antares avesse compreso istintivamente molto meglio di lei l’animo di Derek.
Roxanne quasi non aveva
avuto bisogno di chiederle che cosa fosse successo in quei mesi, Angie si era
scoperta bisognosa di raccontarle
tutto, ma proprio tutto, quello che aveva fatto e che aveva provato. La ragazza
più grande aveva ascoltato in silenzio, mentre i loro piedi pestavano il
terreno fangoso, irrigato dallo sciogliersi progressivo della neve invernale.
Conclusa la propria
confessione, si era ritrovata stretta dal suo abbraccio per la seconda volta in
quel giorno, subito dopo si era sentita rivolgere una sequela di improperi
rivolti alla sua persona per non averle mai scritto durante quelle settimane
infernali. I rimproveri affettuosi, proferiti con i soliti toni dittatoriali,
le avevano scaldato il cuore e le aveva reso ancor più palese ciò su cui
rimuginava da quella mattina.
Era stato come se le si
fossero spezzate talmente tante ossa, da non sapere nemmeno da dove cominciare
a ripararle, quindi era rimasta immobile ad aspettare che guarissero da sole.
Invece tutti attorno a lei avevano cercato di farle capire che doveva smettere
di ignorare le proprie ferite deiscenti, che avrebbe semplicemente dovuto chiedere aiuto quando non ce la faceva più.
Lo aveva compreso mentre
le parole di Roxanne che alternavano dispiacere, amore e cazziate, le
scendevano lente fino al cuore e lì si depositavano per aiutarlo a guarire.
Separarsi da Rox avendola
appena ritrovata fu doloroso e Angelique le disse prima di salutarsi che da
quando si era diplomata il castello non era più lo stesso, i Sabato della
Memoria non erano più gli stessi, persino le Cucine non le sembravano più le
stesse. Al ché Roxanne le aveva accarezzato una guancia e le aveva rivolto un
sorriso dolce, molto inusuale per la sua personalità così pungente.
“Forse, Scudiero, sei tu
che stai diventando diversa. E non è un male, è semplicemente ciò che deve
succedere.”
Con queste parole l’aveva
lasciata ai cancelli di Hogwarts e si era smaterializzata.
Qualche minuto dopo Angie
aveva raggiunto la Sala Comune aveva trovato una convocazione da parte della
Blackthorn ad attenderla.
Fu con un respiro molto
più profondo degli altri che chiuse la pergamena e si alzò per andare in contro
al confronto che aspettava da tempo.
“Madama Chips ti ha già
dimessa?” furono le prime parole con cui l’accolse Beatrix Blackthorn
sollevando il suo sguardo blu su di lei. Le si stava rivolgendo in tono
informale, dando immediatamente connotati specifici a quella convocazione.
“Sì, sono riuscita a
convincerla che mi impegnerò per seguire le sue terapie.” Rispose Angelique
mentre un’ansia martellante le invadeva il cervello.
Si trovava davanti alla
sua insegnante preferita, alla donna che rappresentava per lei un’ideale di
determinazione, dedizione, abilità e intelligenza, alla direttrice di
Serpeverde, a qualcuno che sapeva di aver deluso profondamente con un
comportamento non solo irresponsabile ma anche oltraggioso. E stranamente si
sentiva pronta a pagare le conseguenze, senza voler fuggire da ciò che aveva
fatto.
“Onestamente Dursley non
so proprio da dove iniziare.” Disse la Blackthorn appoggiandosi indietro sullo
schienale della poltrona. “Beh, forse direi che sono lieta di vederti ancora viva
e non destinata a una vita da paralitica. Hai idea di che rischio hai corso?”
La prima risposta che le
sarebbe venuta da dare era che il Quidditch era uno sport sanguinario, ma ebbe
il buon senso di tacere e annuire con gravità.
“Bene. Sono stata perfettamente
concorde con Potter nel prendere provvedimenti affinché tu non possa ledere a
te stessa, almeno non sulla scopa.” Proseguì imperterrita e Angie affrontò col
cuore in gola lo sguardo implacabile della donna. “Mi hai fatta pentire di
averti concesso la possibilità di raggiungere Malfoy Manor a Capodanno,
Dursley. Le tue ultime valutazioni in compiti scritti o orali sono disastrose.
Il tuo comportamento in classe è disastroso. Il tuo comportamento fuori dalla classe è disastroso.” La
donna chinò leggermente il capo facendole intendere che l’accaduto con Celia
non era passato inosservato.
“Quando ti ho chiesto che
cosa intendessi fare dopo i MAGO e tu hai risposto Medimagia, ti ho presa sul
serio. Ho creduto alle tue intenzioni, ma tu mi stai dimostrando che forse, per
la prima volta in vita mia, ho sbagliato a valutare uno studente.”
“Non ha sbagliato. Io
voglio diventare Medimago.” Disse Angie con tono quasi roco per l’emozione.
La Blackthorn serrò la
mascella e la analizzò per qualche istante.
“Sono immensamente
dispiaciuta per ciò che è accaduto a tua madre. E sono altrettanto dispiaciuta
per ciò che è successo a te. So bene che non sono affari miei e che il corpo
docenti non dovrebbe fare gossip sui ragazzi. Tuttavia ho sempre seguito da
vicino le vite dei miei alunni, perché credo che essere un’insegnante
significhi molto di più che impartire lezioni in classe. Nel tuo caso, Dursley,
vedo tanta potenzialità buttata via in nome di qualcuno o qualcosa che
onestamente non lo merita.”
Angie strabuzzò gli occhi
allibita. La Blackthorn le stava davvero parlando di Derek?!
“Non è di mia competenza
conoscere i dettagli della storia, tuttavia il professor Paciock mi ha riferito
con quanta tenacia tu ti sia battuta per avere giustizia, e ho osservato con i
miei occhi come tu abbia sofferto. Ma questo non giustifica in alcun modo il
tuo comportamento, fino ad oggi ho atteso che ti fossi ripresa abbastanza dalla
notizia di tua madre. Non pensare nemmeno per un istante che mi sia dimenticata
di ciò che hai fatto.”
Angie quasi si sentì
sollevata quando la pozionista tornò a sgridarla al posto che compiangerla per
il suo amore adolescenziale finito in frantumi.
“Per quanto riguarda
l’aggressione alla Signorina Danes hai qualcosa da dire a tua discolpa?” le
chiese con tono tanto fermo e severo che Angie si sarebbe aspettata da un
momento all’altro che tirasse fuori una spada per giudicarla.
“Chi le ha riferito che
ho aggredito la Danes?” chiese con calma Angie.
“Lei stessa e alcune sue
amiche hanno denunciato l’accaduto al professor Paciock, che poi ha riferito a
me.”
“Uhm… E dove si trovavano
queste amiche rispetto alla signorina, che dice di essere stata colpita?”
La Blackthorn socchiuse
leggermente gli occhi e un lievissimo accenno di sorriso le inclinò le labbra.
“A parecchi metri di
distanza e, nel caso me lo stesse per chiedere, non l’hanno vista aggredire
direttamente la sua compagna.”
“Questo perché sono stata
costretta a difendermi quando ho capito che Celia Danes mi avrebbe attaccata,
se non fossi stata più svelta di lei.”
“Con uno Stupeficium?”
“Non ho riflettuto. È
stato un riflesso involontario, dettato solo dall’istinto di sopravvivenza.
Quindi si tratta della mia parola contro la sua e, voglio sperare, che entrambe
abbiano lo stesso valore.” Argomentò Angie ripensando a tutte le volte che
aveva visto in azione quel paraculo di Scorpius.
La Blackthorn sollevò
entrambe le sopracciglia e la osservò attentamente per alcuni lunghi istanti.
“Appena finirai la
terapia, farai un mese di punizione in Infermeria come assistente della Chips dopo
le lezioni.” Angelique spalancò la bocca indignata ma la donna la bloccò con
una mano sollevata in aria. “Così come la tua compagna Celia Danes, che, con il
benestare del professor Paciock, dovrà aiutarlo nelle serre. Questo è quanto.”
Dopo un attimo di
riflessione Angelique si rese conto che la punizione sarebbe pesata molto di
più sulle spalle della Danes. Per quanto la riguardava passare delle ore in
Infermeria, non come paziente una volta tanto, significava un’opportunità per
imparare; mentre se solo pensava alla perfetta manicure di Celia deturpata
dalla terra e dalle radici coriacee un sorriso beato si apriva sul suo viso.
“Per quanto riguarda il
tuo scarso e deludente rendimento scolastico, esigo che ti metta a studiare
come non hai mai fatto in vita tua. Voglio vedere i voti impennarsi nei
prossimi due mesi, altrimenti non riuscirai mai a recuperare in tempo la media
per i GUFO. E se per caso mi venisse riferito da qualche altro professore che
sei stata buttata fuori dall’aula, per qualunque motivo, ti escluderò a priori
dalla lista del tirocinio formativo al San Mungo.”
Di fronte all’espressione
vuota e totalmente perplessa che Angie le rivolse, la Blackthorn la guardò
malissimo e riprese a parlare con più partecipazione.
“Maledizione Dursley! Ne
ho parlato a lezione l’ultima volta, dove eri con la testa? Aspetta, non
dirmelo, non voglio saperlo. Ti avviso che un mio ex-collega del San Mungo ha
reso disponibili quattro posti per fare un internato di due settimane l’anno prossimo.
È un progetto per gli studenti del sesto e del settimo anno. Inutile
specificarti che è un’occasione unica e irripetibile, e che sarebbe veramente
stupido da parte tua buttarla via.”
Angelique annuì
meccanicamente assorta nella possibilità di riuscire a ottenere uno dei posti
in palio. La professoressa incrociò le mani davanti al viso e la osservò
meditabonda per qualche momento.
“Tu, Dursley, mi ricordi
molto me stessa alla tua età. Avevo una predilezione per pozioni, ero molto selettiva
nelle amicizie ed ero animata dalla tua stessa ambizione. A distanza di anni
riconosco di essere stata cieca e sorda a tutto ciò che non fossero i miei
sentimenti e i miei obiettivi, ignorando spesso ciò che il mondo attorno a me
cercava di comunicarmi. Passai anni interi concentrata solo sulla mia strada,
solo su ciò che ritenevo importante, sradicando tutte le cose che non
consideravo utili. Divenni Medimago. Riuscii a ottenere ciò che desideravo e
pensai che nulla potesse essere più importante che perseguire la mia
vocazione.” Le raccontò senza smettere di guardarla in viso.
“Quando entrai nella
squadra di primo soccorso Lord Voldemort prese il Ministero della Magia e cercò
di impedire a tutti i Medimaghi di fornire cure e aiuto ai Nati Babbani, pena
l’esecuzione senza alcun processo. Fu in quel momento che mi resi conto che
tutto ciò che avevo fatto, lo studio, i turni, i sacrifici, non mi erano mai
appartenuti. Le mie abilità appartenevano a chi aveva bisogno di me. Avevamo
giurato col nostro sangue di adempiere ai nostri doveri e lo facemmo, alcuni
furono presi e giustiziati, altri torturati per giorni, ma sono fiera di dire
che mai nessuno della mia squadra tradì il segreto. Venivamo spesso contattati
dai gruppi della resistenza, conobbi alcuni membri dell’Ordine della Fenice,
una volta persino curai la spalla di Shakalebolt. Era guerra aperta, era un
susseguirsi incessante di orrori e violenze innominabili, a cui noi cercavamo
di mettere delle pezze mentre il mondo crollava. Poi qualcosa cambiò.”
Il viso della donna era
tratteggiato dalla luce morbida della stanza e sembrava assorbito nel racconto
del proprio passato, animato da ombre così dense che Angie se ne sentì
assoggettata.
“Ritornò Harry Potter e
ci fu la battaglia che ha quasi raso al suolo queste mura. Quando ci
avvertirono di che cosa stava accadendo credetti di morire. Mia sorella
frequentava l’ultimo anno e sapevo che avrebbe lottato accanto ai suoi amici.”
La Blackthorn chiuse gli
occhi per un secondo e quando li riaprì la voragine di orrore e dolore era
ancora chiaramente visibile in essi.
“Ti auguro con tutto il
mio cuore, Angelique, di non vedere mai ciò che i miei occhi videro quella
notte. I corpi dei giovani straziati dalle fauci dei lupi mannari, le anime
portate via dai Dissennatori alle persone ancora viventi, i figli morenti tra
le braccia dei genitori… Credevo che fosse l’Inferno, ma solo dopo mi resi conto
che cosa lo fosse davvero.”
“Stavo cercando di
bloccare un’emorragia della femorale di un ragazzo, c’era sangue dovunque, lui
stava perdendo conoscenza, sapevo di poterlo salvare e lo feci. Lo feci
nonostante a pochi passi da me mia sorella stesse difendendo i feriti dai
Mangiamorte, nonostante il mio cuore mi implorasse di andare a salvare prima
lei. Ma io avevo scelto, avevo giurato, di salvare chiunque avesse avuto
bisogno e quel ragazzo sarebbe morto senza di me.”
“Sua sorella…?” sussurrò
Angelique con la voce incrinata, in cuor suo già consapevole dell’epilogo di
quella storia. Era lo stesso di quella di Fred, di Remus e di Tonks, di Severus
Piton e di cinquanta studenti.
“Mia sorella morì durante
la Battaglia di Hogwarts per consentire a me e tutti gli altri Medimaghi di
prestare soccorso ai suoi amici feriti. Sono molto orgogliosa di ciò che fece
per tutti noi.” Concluse la Blackthorn fieramente con gli occhi scintillanti di
lacrime che non avrebbe versato.
“Ti ho raccontato questo
Dursley perché tu sia consapevole di che cosa sceglierai, di che cosa dovrai
fare e vedere. Ma soprattutto perché esistono tantissime cose molto più
importanti nella vita che il successo professionale, quindi non fare i miei
stessi errori. Non rimanere cieca davanti alle cose veramente importanti della
vita. Rendi onore a chi ti ha consentito di conoscere in un mondo migliore, vivendo
appieno e facendo del tuo meglio. Ora fila a studiare che martedì ti interrogo
su tutto il programma.” Concluse la Blackthorn e ogni traccia delle emozioni
che le avevano animato il volto nei minuti precedenti venne cancellata dal
solito sguardo severo e misurato.
Angie si alzò dalla sedia
e prima di uscire si voltò verso la sua insegnante e con tutta la riconoscenza
di cui era capace disse:
“Grazie. Non
dimenticherò.”
Mentre camminava verso la
sua stanza Angie pensò alla scritta impressa a fuoco sulla porta della stanza
dell’Ordine della Fenice: Memento.
Dovevano ricordare come
perenne monito che loro erano figli di un mondo che altri avevano
coraggiosamente costruito e per cui avevano dato tutto, anche la vita. Loro
avevano il dovere morale di non lasciare più scivolare in una tale oscurità le
proprie vite. Lei non doveva dimenticare nulla.
***
Rose entrò di soppiatto e
riuscì ad osservare Dominique nell’istante prima che lei si accorgesse di non
essere più sola.
Era seduta sulla sedia di
vimini del Quartier Generale delle Menadi. Le gambe rannicchiate verso il petto
erano avvolte da pantaloni color kaki, aveva indosso un maglione panna con le
trecce opera di nonna Molly e il suo sguardo turchese era fisso sul vetro della
finestra.
Gli ultimi raggi del sole
al tramonto le investivano il viso illuminando i lineamenti ereditati dalle
Veela sue antenate.
Il chiarore che emanava
sempre Dom, dalla sfumatura chiarissima dei suoi capelli ai colori dei suoi
vestiti, era spesso abbagliante; sembrava il frutto di un preciso
studio non solo per esaltare la sua bellezza, ma anche per risultare il più intoccabile
possibile.
Si aveva la sensazione
guardandola da lontano che un essere simile non potesse essere raggiunto da
comuni mani mortali, che il tocco di dita tremanti di emozioni avrebbe potuto
far scomparire all’istante quella visione. Aveva fatto in modo che tutti
avessero una fotografia perfetta di lei ma che nessuno potesse vederla davvero.
Era lontana Dominique, nel
suo cuore, così gelosamente nascosto dietro gli strati dei tessuti chiari, e
nei suoi occhi, specchi del suo animo camaleontico.
Si voltò sentendo il
rumore dei passi di Rose e quando la riconobbe nessun sorriso, tanto usuale sul
suo volto, fece capolino. Continuò a guardare fuori dalla finestrella come se
non fosse stata interrotta.
Rose si sedette sulla
pila di scatoloni accanto a lei e attese qualche istante prima di parlare.
“Vuoi che ti lasci sola
Dom?” chiese a voce bassa.
La risposta di Dominique su
rapidissima e inattesa. Le prese fulminea una mano con la propria e la strinse
con energia, voltandosi a guardarla negli occhi.
“Sono sempre sola Rose,
ti spiacerebbe restare con me stasera?” le chiese con un sorriso in cui si
mescolavano la dolcezza e la tristezza che per la prima volta mostrava alla
cugina più piccola.
Rose annuì e restituì con
fermezza la stretta sulle dita gelide di Dominique.
“Sono felice che si
sposino. Dico davvero, Rose. Non credo che esistano due persone al mondo destinate
a stare insieme più di loro.”
“Ma…?” si azzardò a
mormorare Rose.
“Ma questo non mi
impedirà di continuare ad amarlo come ho sempre fatto. Non ricordo un solo
giorno della mia vita, sin da quando avevo tre anni, in cui non abbia amato Ted
Lupin. È stato in ogni cosa che fatto, in ogni maschera creata per non far
capire a nessuno che cosa provassi, in ogni ragazzo in cui ho cercato di
affogare l’amore impossibile che provo per lui. C’è sempre stato e continuerà
ad esserci.” Disse Dominique con un tono fermo e risoluto.
“Fino a Natale non avevo
minimamente capito… Non credo di aver mai conosciuto qualcuno di più stoico e
coraggioso di te, Dominique.” Disse Rose scuotendo il capo lentamente.
“Oh ti sbagli, Rosie
Rose. Non credo proprio di meritarmi né la tua comprensione né tanto meno i
tuoi complimenti. Ho fatto una cosa terribile e non ho mai provato alcun
rimorso.”
Rose le rivolse uno
sguardo interrogativo e Dominique le sorrise solo con un angolo della bocca,
assumendo un’espressione ironica.
“Non ho mai creduto negli
amori idealistici e puri, in cui la massima aspirazione è uno sguardo rivolto
per sbaglio dall’altro capo della stanza. Io desidero la carne e il sangue, io
desidero Ted con una forza che mi annebbia la mente. E me lo sono presa.”
Rose spalancò gli occhi e
per poco non cadde dalla pila di scatoloni.
“Alla fine dell’anno
scorso ho acquistato da Aaron un filtro d’amore. Mi aveva garantito che avrebbe
cancellato ogni ricordo da quando veniva ingerito fino alle sei ore successive
e che lo avrebbe reso innamorato oltre ogni ragionevole limite di me. Una sera
Vic mi disse che sarebbe uscita con Roxanne, così mi sono presentata a sorpresa
a casa di Ted. Mi sono inventata che ero andata a un concerto lì vicino e mi ha
invitata a entrare. Il filtro d’amore ha funzionato alla perfezione.”
“È stata la mia prima
volta e posso garantirti, Rose, che ne è valsa assolutamente la pena. Prima di
andarmene gli ho modificato la memoria e ho cancellato ogni traccia. Lui non ha
alcuna idea di essere andato a letto con la sorella della sua futura moglie.”
Dominique sorrise in modo
lento e agrodolce.
“Come posso provare
rimorso per l’unica volta in cui ho potuto amare Ted, anche se di lui non ho
avuto altro che un involucro vuoto e drogato dal filtro d’amore?! Né lui né
Victoire lo sapranno mai, nessuno ne è al corrente a parte te e James. Capisci
perché non sono proprio un esempio di virtù?”
Rose si sentiva talmente
scossa da ciò che le aveva raccontato che non fu in grado di risponderle per
parecchio tempo, finché Dom non le chiese con gentilezza:
“Credi che io sia un
mostro, Rosie Rose?”
Rose sussultò a quelle
parole e si riscosse immediatamente.
“Assolutamente no Dom!
Penso che tu sia molto più umana di quanto voglia apparire… E nella tua umanità
vedo una persona straordinaria.” Disse posando l’altra mano sulla sua,
racchiudendola così in una presa gentile ma affettuosa.
“Hai visto che oggi James
e Angie sono arrivati insieme?” chiese Dominique dopo qualche istante
sorridendole in un modo complice.
“Sembrava persino che non
stessero nemmeno litigando.” Commentò Rose ridacchiando.
“Ce la faranno. L’ho
visto da come si guardavano.”
“Ma tu sei miope
Dominique.”
“Dettagli!”
Le due ragazze si
scambiarono uno sguardo e poi risero insieme, finché non udirono un lieve
bussare alla porta che le ammutolì immediatamente.
Dominique si alzò con un
balzo agilissimo, sguainando la bacchetta in un lampo. Rose si avvicinò ai
faldoni delle ricevute pronta a farli evanescere al minimo segnale della
cugina. Tuttavia quando Dom aprì con circospezione l’uscio non trovò nessuno
fuori dal Quartier Generale. Spalancò del tutto la porta e guardò in corridoio
sentendo solo dei passi allontanarsi rapidamente.
Rose la raggiunse e notò
che il suo sguardo si era posato per terra, lo seguì e qualcosa dentro di lei
si mosse pieno di speranza.
Una cassetta di legno
piena di boccette era stata deposta davanti a loro.
Dominique si chinò e
delicatamente prese una di esse. La stappò e l’annusò con attenzione, poi si
voltò verso di lei con un sorriso raggiante.
“Pozione Polisucco.”
Annunciò.
Rose le sorrise di
rimando e quando l’altra si alzò l’abbracciò esultante.
Forse aveva ragione
Dominique per una volta. Forse ce l’avrebbero fatta.
Note dell’Autrice:
Ben ritrovati a tutti. Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che non siate rimasti troppo sotto shock per
le rivelazioni di Dominique. So che qualcuno aveva già dei sospetti, ma mi
piacerebbe sapere se avevate intuito l’oggetto dell’amore proibito di Dom.
Attendo come sempre
vostre domande o commenti riguardo al capitolo.
Un GRAZIE speciale e
sempre pieno di gratitudine a chi ha commentato lo scorso capitolo: Cinthia988, thetwinsareback, Rarity94,
cescapadfoot, alice_dequattro e PaolaBaggins.
Ci tengo anche a
segnalarvi la pagina Facebook in cui posto anticipazioni e pezzi della storia.
Mi trovate sotto Bluelectra Efp.
Vi abbraccio e ringrazio
tutti per aver letto.
Bluelectra.
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Capitolo 30 *** Cap.30 Sbagliando si impara ***
Cap.30
A Riccardo il valoroso, come dice
anche il suo nome.
Perché mi ha dato l’opportunità di chiedere scusa.
Perché questo non è solo un capitolo che si chiude, ma è anche una nuova storia
che comincia. E comincia con una cena tra persone che si amano.
It was, it is and it always will be awesome.
Cap.30 Sbagliando si
impara.
Gli
errori sono per la vita ciò che le ombre sono per la luce.
Ernst
Jünger
A seguito dei recenti
sviluppi della sua vita, Albus aveva finalmente avuto occasione di comprendere
perché si fosse meritato la nomea di merluzzo bollito.
Il fatto che avesse
baciato Martha e che lei poi lo avesse rivoltato come un guanto erano solo
conseguenze della sua presa di coscienza.
Aveva passato settimane,
mesi interi e chissà quanto altro tempo a tormentarsi sul perché Martha fosse
in grado di sconvolgerlo fino a fargli perdere la parola, sull’impossibilità di
approfondire i propri sentimenti perché inappropriati, quando lei a un certo
punto aveva risolto il problema scatenandogli una tempesta dentro.
Se ripercorreva
brevemente il suo primo vero bacio, ricordando il calore del corpo di Martha,
la consistenza delle sue labbra, la libertà di toccare ciò che più desiderava
di lei, gli si accendeva una brama in corpo incontrollabile. Si scopriva
eccitato nei momenti più inopportuni, come quando il giorno prima durante la
lezione di Storia della Magia aveva visto Martha sollevarsi i capelli in una
crocchia disordinata con uno spillone, scoprendosi la linea del collo flessuosa
e delicata. Era stato travolto dalla visione della sua pelle candida sotto le
proprie labbra, dalla sensazione di avere ancora tra le dita quei capelli
disordinati e fiammeggianti, dalla necessità di scoprire le sue gambe mentre la
baciava ancora e ancora, fino a dimenticarsi di qualunque cosa non fosse lei,
e… Aveva dovuto accavallare velocemente le gambe e respirare a fondo, prima di
scatenare episodi imbarazzanti con tutta la classe.
Sapeva che parte del suo
turbamento derivava dal fatto che non avessero ancora parlato di che cosa fosse
successo. Iniziava a pensare che fosse una precisa strategia di Martha O’Quinn
quella di lasciarlo sulle spine fino a che non perdeva completamente la
padronanza di sé.
E quando lo faceva lei
era pronta a cogliere la sua resa.
Albus, però, aveva deciso
che quella volta non avrebbe fatto il merluzzo bollito, non le avrebbe
consentito di lasciarlo a boccheggiare dopo le sue risposte acide o i suoi baci
roventi. No ecco, meglio non pensare a quelli.
La lezione di Artimanzia
finì in quell’istante e Al si decise ad agire. Era l’unica lezione che
frequentavano da soli, mentre gli altri erano a Divinazione, quindi anche
l’unico momento in cui avrebbe potuto parlarle senza destare sospetti negli
altri.
La giovane uscì dall’aula
con i libri sotto braccio e l’aria assorta, Albus con un paio di falcate rapide
le si avvicinò e la prese per il gomito.
“Ma che…” esclamò lei
voltandosi stupita, ma si ammutolì quando lo riconobbe.
“Vieni con me.” Le disse
a bassa voce dirigendola verso un corridoio meno affollato e da lì dentro un
ripostiglio minuscolo dove entrarono a fatica entrambi.
“Non sei riuscito a
trovare nessun posto migliore? Sembra la Sala Comune dei Tassorosso…” gli disse
lei quando ebbe chiuso la porta.
“Che ne sai tu della Sala
Comune dei Tassorosso?” chiese Albus punto dal sospetto.
“Il mio ex-ragazzo è un
Tassorosso, Albus.” Rispose lei guardandolo come se fosse esattamente quello
che si sentiva di essere in quell’istante. Un merluzzo bollito.
“Sì, beh… Comunque volevo
parlarti.”
“Lo avevo intuito dalla
scelta dello sgabuzzino.” Commentò lei guardandosi leggermente schifata
attorno.
“Martha perché continui a
trattarmi in questo modo?” chiese dopo un profondo respiro per cercare di
risultare calmo.
“Quale modo Albus?”
domandò lei osservandolo con condiscendenza.
Lo mandava in bestia
quando cercava di farlo passare per pazzo.
“Sembra che tu soffra di
bipolarismo! Passi dal rispondermi come… come se fossi James, all’essere ancora la ragazza che conosco da cinque anni,
al…” si interruppe incapace di continuare per un nodo alla gola dovuto
all’emozione.
“Al?” incalzò Martha,
sfidandolo a concludere la frase.
“Al baciarmi come hai
fatto l’altra sera. Sono confuso Martha.” Esalò esausto.
“Posso solo immaginare
quanto tu lo sia.” Mormorò lei stringendosi nelle spalle e arricciando
lievemente le labbra.
“Vedi come fai?!
Maledizione ma che ti ho fatto?” espose Albus allargando le braccia esasperato
e picchiando accidentalmente una mano contro la porta, visto lo spazio
inesistente dello sgabuzzino.
Martha a quelle parole
gli rivolse un’occhiata fiammeggiante di rabbia, una rabbia covata per
settimane che si era manifestata nelle sue rispostacce, tanto intensa da
trasfigurarla in un braciere vivente. La ragazza sbatté violentemente i libri a
terra e gli puntò un indice contro il petto.
“Tu mi hai ignorata, mi
hai torturata ogni singolo giorno, per anni, con la tua amichevole
indifferenza, mi hai lasciata da parte per correre appresso a chiunque avesse
avuto bisogno di te, tu mi hai scartata Albus. Ecco che cosa mi hai fatto!”
Albus spalancò la bocca e
fissò allibito la rossa. Non si era mai reso conto di averle procurato un
simile dolore… Poi si ricordò di quando in partenza per le vacanze di Natale,
prima di litigare a causa della sua stupidità, aveva scorto sul viso di Martha
l’incrinatura delle sue pose perfette e del suo controllo, quando aveva
sospettato che stesse soffrendo, ma non aveva fatto nulla. Stava mentendo a sé
stesso.
“Mi dispiace. Sono un
pessimo amico.” Mormorò chinando il capo.
“No, sei un amico
meraviglioso. Il problema, Al, è che io non voglio più essere tua amica.”
Albus sollevò di scatto
la testa, trafitto da un dolore indicibile a quella rivelazione. Come poteva
addirittura non volere essere più sua amica dopo quello che era accaduto? Come
poteva prendere in considerazione l’idea di non vedersi più, di non ridere più,
di non scherzare più? Gli mancò il respiro e credette di cadere stramazzato al
suolo, finché lei non gli restituì uno sguardo completamente nuovo.
I suoi occhi color
cioccolato erano colmi di un’emozione divampante e non meno intensa della
rabbia di prima, ma diversa. Era luminosa, piena di qualcosa che sembrava
riflettere la sua bellezza raddoppiandola.
“Io voglio baciarti
ancora, sempre, tutti i giorni. Voglio mangiare con te, voglio passare ore a
parlare con te, voglio passeggiare per le vie di Hogsmeade con te, voglio
imparare a conoscere ogni piega e ogni curva del tuo corpo. Voglio conoscere la
tua gioia, la tua rabbia, i tuoi dubbi, le tue paure, i tuoi sogni. Io voglio
te. E non mi posso più accontentare delle briciole della nostra amicizia. Non
voglio accontentarmi di altri ragazzi sperando che riescano a far sbiadire la
tua immagine. Io voglio tutto di te. Ma devi volermi anche tu, devi convincermi che mi vuoi, che non
correrai più da nessun’altra quando io avrò bisogno di te, che sarai con me.”
Albus, incredulo, non
riuscì a far nient’altro che osservare affascinato il modo in cui Martha
respirava con leggero affanno e lo guardava. Lo voleva davvero.
“Hai pensato alla mia
domanda?” gli chiese sempre con l’espressione determinata che lo stava
lentamente squarciando, millimetro per millimetro.
Riuscì a connettere un
minimo il proprio cervello e capì che si riferiva a quanto gli aveva chiesto
dopo il bacio; perché si fosse tanto arrabbiato all’idea che Martha e James
fossero stati assieme.
“Sì.”
“E quindi Albus Severus?”
chiese con voce vibrante lei avvicinandosi in quell’esiguo spazio.
Era bellissima.
Bellissima nella sua semplicità, negli occhi che lo cercavano scavandogli
dentro, nella tensione che emanava come un cavo elettrico.
“Non tollero l’idea che
qualcun altro ti tocchi, ti baci o ci provi con te. Mi viene voglia di pestarli
a sangue.”
“Questa non è una
risposta. Perché provi questo Al?”
Albus chiuse gli occhi e
respirò a fondo. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma non avrebbe mai pensato
che lo avrebbe detto ad alta voce, proprio a lei. Non era sua intenzione
arrivare fin lì.
Quando li riaprì si
impresse nella memoria l’espressione di Martha nell’attimo prima che la
distruggesse. Si disse che il suo viso pulito e velato dalla speranza, che non
poteva corrispondere, lo avrebbero tormentato per sempre.
“Perché ti voglio anch’io.
Ma non possiamo.” Disse in un soffio lasciando che le parole gli uscissero
dalle labbra insieme al respiro e al cuore, che giacque esamine a terra. Se
l’era strappato lui stesso lasciandosi un buco.
“Dio mio…” mormorò Martha
schiacciandosi contro la parete alle sue spalle e portandosi una mano al petto,
lì dove anche lei stava sanguinando.
“Hai visto che cosa è
successo ad Angie e Scorpius. Per noi sarebbe ancora più tragica, manderemmo a
rotoli tutto, spaccheremmo nuovamente il gruppo in due, ci faremmo del male.”
Cercò di spiegarle ma sentiva che la sua voce si incrinava al ritmo esasperato
dei battiti del suo cuore.
“E così invece stiamo
bene, vero?” Martha parlò con un tono grondante biasimo.
“No.” Ammise stancamente
lui.
“Sei un codardo Albus
Potter. Hai passato mesi ad infamare Schatten perché non ha avuto il coraggio
di scegliere Angie e ora…”
“E ora sto risparmiando a
entrambi di spezzarci il cuore! Possibile che tu non capisca? Non siamo solo
noi due!” esclamò rabbioso prendendola per le spalle.
“E invece sì! Ma tu sei
un fottuto codardo!” gli urlò contro afferrando tra le mani il colletto della sua
camicia.
Martha si fiondò sulle
labbra dandogli un bacio violento e duro, in cui riversò tutta la propria
rabbia, l’impotenza e la frustrazione per ciò che stava accadendo.
Albus non ebbe nemmeno il
tempo di abbracciarla e ricambiare il bacio che la ragazza si staccò da lui e
lo guardò con un disprezzo che mai le aveva visto dipinto in viso. Arretrò fino
a toccare la parete con la schiena, sentendo improvvisamente il proprio corpo
pesantissimo e dolorante.
“Mi stai uccidendo
Martha.” Mormorò guardandola. Martha scosse il capo, facendo ondeggiare i suoi
ricci ramati sulle spalle.
“No, lo stai facendo da
solo. E mi stai portando con te.”
***
Angelique guardò la porta
di legno grezzo che dava accesso al Quartier Generale delle Menadi. Era un
giovedì pomeriggio e la ragazza sapeva che era il giorno della contabilità,
motivo per cui le avrebbe trovate lì tutte e quattro.
Si torse le mani un paio
di volte in preda all’agitazione, non sapendo onestamente come avrebbe fatto a
riparare ai propri errori. Quando aveva lasciato loro la cassetta piena di
pozioni aveva pensato che quel gesto avrebbe sbloccato un minimo la situazione,
ma così non era stato. Aveva compreso solo in un secondo momento, mettendo da
parte la delusione, che non aveva fatto altro che muovere un piccolo passo
verso le sue cugine adottive, ora le restava da fare il balzo finale.
Prese un profondo
respiro, raddrizzò le spalle e guardò determinata la porta che si stagliava
davanti a lei, ricordando che aveva già una volta chiesto scusa a degli amici
ed era stata perdonata…
Appena uscita dall’Infermeria con Jessy, che in quanto
garante delle sue promesse da Serpeverde l’accompagna quotidianamente da Madama
Chips, si blocca a fissare una delle grandi vetrate che riversavano i propri
fasci dorati sul corridoio.
Il parco di Hogwarts è stato battuto da una pioggia
torrenziale per tre giorni, così che gli ultimi residui delle nevicate di
quell’inverno si sono sciolti completamente. Osservandolo da quell’altezza in
realtà non è uno spettacolo particolarmente affascinante, somiglia più che
altro a una palude in via di bonifica.
Ciò che però attrae il suo sguardo è la mancanza
definitiva della neve, il riprendersi pigro della natura nei germogli che le
piante iniziano a gettare, che si tradurranno nel giro di un mese in chiome
verdeggianti. Della vita che risorge dal fango.
L’inverno è finito. E anche lei lo deve lasciar andare
via, perché la primavera inizia a bussare.
“Se ti sta venendo voglia di andare a correre con quel
fango chiamo il reparto psichiatrico del San Mungo.” Commenta James
avvicinandosi a lei e puntellando le mani contro il ripiano di pietra della
finestra.
Angie si lascia sfuggire una risata e scuote la testa,
osservando la superficie del Lago Oscuro incresparsi per le raffiche di vento,
che scuotono anche gli alberi.
“No, niente corsa per un po’, Madama Chips me lo ha
vietato. Pensavo solo che è finito l’inverno e io non me ne ero ancora accorta.
Sono stata… assente.” Ammette Angie voltandosi a guardarlo negli occhi.
James abbassa lo sguardo su di lei e le sue labbra si
tendono in un piccolo sorriso. I suoi occhi dai colori tanto particolari recano
ancora qualche ombra di tristezza, ma ora finalmente quando sorride anche tutto
il suo viso si illumina. Sta guarendo anche lui forse.
Camminano insieme fino alla Sala Grande e, quando si
separano per raggiungere tavoli diversi, Angie sa che cosa deve fare.
Avanza verso il punto dove sono seduti i suoi amici,
intenti a far colazione come ogni giorno, Martha con la sua tazza tè, Scorpius
con il pudding, Elena con talmente tanto cibo che quasi non le si vede la
faccia dietro quella montagna. Quando li raggiunge si ferma in piedi e attende
che gli occhi di Albus si posino su di lei.
“Posso sedermi con voi?” chiede con semplicità senza
interrompere il contatto visivo con Al.
Elena alza la faccia dal suo piatto e la fissa, con le
guance talmente piene che sembra abbia delle palline da tennis in bocca. Martha
posa la tazza sul piattino e le rivolge uno sguardo speranzoso. Berty le
sorride e anche Scorpius non nasconde la propria soddisfazione, solo Octavius
non comprende perché chieda il permesso di sedersi al tavolo a cui si siede
tutti i giorni.
Gli altri invece hanno capito che cosa intende. Sanno
che vuole tornare da loro, non più come un soprammobile appoggiato alla panca,
ma come Angelique, la vera Angelique, chiunque sia diventata in quei mesi.
Ma lei vede solo Albus, i suoi capelli scuri e
arruffati, le sue iridi verdi, le sue labbra dischiuse per la sorpresa. Lei
vede solo il suo migliore amico e spera che anche lui la veda.
Albus si sposta di lato verso l’esterno e le fa spazio
tra sé e Berty.
“C’è il caffè ancora caldo.” Dice e lei gli sorride.
Hanno appena fatto pace.
Allora perché le riusciva
tanto difficile bussare alla porta del Quartier Generale e parlare onestamente
alle Menadi? Angie si portò una mano alle labbra e pizzicò frenteicamente quello inferiore, strappando le pellicine per sfogare l'ansia e dandosi al contempo la
più immediata e semplice delle risposte.
Perché era insicura dei
suoi affetti, una ferita ancora fresca aveva riaperto le debolezze
dell’infanzia. Perché per crogiolarsi nell’autodistruzione aveva quasi spezzato
i legami di amicizia costruiti in anni. Perché aveva sbagliato molto e doveva
imparare a chiedere scusa.
Sbagliando si impara.
Angie alzò la mano e
diede un paio di colpi con le nocche contro il legno, sentendo lo stomaco
contrarsi in un crampo per l’agitazione. Non udì nessun rumore e temette che le
ragazze se ne fossero già andate, quando la porta si spalancò di colpo e lei si
ritrovò una bacchetta puntata contro.
Dominique la guardò senza
alcuna sorpresa e non abbassò l’arma.
“A quale ingrediente
delle mie maschere sei allergica?” chiese rapidamente.
Il sopracciglio
impertinente di Angelique si sollevò subito e con un mezzo sorriso le rispose:
“Beh, tra le tante
schifezze con cui mi hai impiastrato la faccia, credo che la peggiore sia stata
la papaya.”
Immediatamente il volto
di Dom si animò con un sorriso estasiato e abbassò il braccio.
“Ben tornata Alchimista.”
Le disse facendosi da parte per farla entrare.
Varcò la soglia e
immediatamente individuò le figure di Lily e Rose. Entrambe si erano alzate
dalla scrivania su cui stavano analizzando i registri, ma mentre Rose si
avvicinò a lei per stringerla in un abbraccio, Lara rimase a osservarla con
un’espressione poco amichevole.
“Ti stavamo aspettando
Angie.” Le sussurrò Rose prima di lasciarla andare.
La bionda le rivolse un
sorriso grato e si preparò ad affrontare Lily, immobile come una statua con le
braccia incrociate sul petto. Sembrava una costante della sua vita trovarsi ad
affrontare i membri della famiglia Potter dovendo fare ammenda!
“Ciao Lily.” Disse
abbozzando un sorriso ma l’altra non accennò minimamente a ricambiare.
“Che cosa sei venuta a
fare?” le chiese duramente ritornando a sedersi davanti alla scrivania.
Angie deglutì il nodo di
agitazione che il vedere Lily così scontrosa le causava.
“Sono venuta per
chiederti, anzi per chiedervi, scusa. Non ci sono giustificazioni per il mio
comportamento.”
Nonostante le sue parole
i lineamenti di Lily rimasero impassibili, così Angie prese coraggio e
continuò:
“Mi dispiace Lily, mi
dispiace davvero di avervi lasciate senza protezione per le uscite ad
Hogsmeade, mi dispiace che vi siate ritrovate nei guai a causa mia, mi dispiace
di avervi abbandonate. Mi dispiace talmente tanto che mi sembrano quasi vuote
queste parole. Però è così, mi dispiace.”
Lily si morse il labbro
inferiore e le rivolse un’espressione particolarmente fosca, mentre la sua
fronte si corrugava.
“Sai quanti galeoni
abbiamo perso in queste settimane?! Mi sei costata un occhio della testa
Alchimista.” Borbottò chiudendo rumorosamente il libro contabile. Il cuore di
Angie fece un balzo sentendo che Lily aveva usato il suo nome in codice.
“Me ne rendo conto, per
questo vi ho portato le pozioni l’altra sera. Ne ho parecchie altre già
pronte.” Disse muovendo un passo in direzione di Lara.
“Uhm… E quanto vuoi per
le altre?” chiese Lily osservandola con sospetto.
“Nulla.”
Gli occhi nocciola della
ragazza si animarono dello scintillio che Angie conosceva tanto bene, anche se
qualche istante dopo l’altra cercò di nasconderlo distogliendo lo sguardo. Era
quello che prendeva vita solamente quando Lily poteva ottenere qualcosa senza
pagare nulla.
Lily guardò fuori dalla
finestra fingendo di soppesare la sua proposta, ma era chiaro che avesse già
accettato. Angelique si avvicinò ulteriormente e le tese la mano, nel duplice
significato di stipulare il patto e fare pace. Lily guardò la sua mano e poi
alzò gli occhi nei suoi, mostrandole uno sguardo colmo parimenti di sollievo e
di gravità.
“Non farlo mai più,
Angelique.” le disse con un tono che non ricalcava per nulla la solita spavalderia.
Era una richiesta sussurrata dal profondo. Angie comprese che non si riferiva
solo allo scempio del deposito delle pozioni, ma anche a tutto quello che aveva
fatto prima, a come aveva stravolto la visione che tutti i suoi amici avevano
di lei, alla sua assenza, come l’aveva definita la mattina precedente.
Angelique annuì e Lily le
strinse con energia la mano.
“Ma dov’è Lucy?” chiese
guardandosi attorno.
Dopo un’iniziale momento
di silenzio Dominique prese la parola:
“A fare cose molto più
divertenti che contare i soldi di Lily!”
“Ah!” esclamò Angie senza
riuscire a reprimere a sua volta un sorriso.
“Mi è venuta un’idea.”
Disse Lara guardandole entrambe con la sua espressione criminale.
“Oh no! No, no, no, no!”
esclamò Rose avanzando verso loro tre e puntando minacciosa l’indice cercando
di intimorirle.
Tuttavia quando si
girarono in simultanea e la guardarono con un identico mezzo sorriso, Rose
comprese che per l’ennesima volta non avrebbe potuto far altro che seguirle.
***
Lucy svoltò rapida a
sinistra, passando radente all’edificio di pietra apparentemente fatiscente,
che lei sapeva essere protetto da una variante dell’incantesimo di
dissimulazione. Si trattava in realtà di una costruzione antica, perfettamente
restaurata, in cui Benji Allucemonco aveva istituito una bisca clandestina, con
tavoli da gioco di splendido legno massiccio e croupier vestiti
impeccabilmente.
Sogghignò pensando a
quanto ramificata fosse la presenza di Benjamin in quel villaggio senza che le
autorità locali se ne rendessero davvero conto. Controllò l’orologio e imprecò
mentalmente per il proprio ritardo.
Aveva provato ad
applicare alcuni tra i troppi cosmetici che Dominique le rifilava contro la sua
volontà, facendo un pasticcio colossale tra ombretti e blush, col risultato di
sembrare truccata peggio delle ragazze di Tyara, che per quanto eccedessero
sapevano come maneggiare quegli aggeggi! Così dopo minuti interminabili di
frustrazione si era definitivamente lavata la faccia con acqua e sapone ed era
uscita dal Castello.
Camminava sicura, celata
dalla Pozione Polisucco, con l’aspetto di una donna sulla quarantina, dal seno
molto più prospero del suo, motivo per cui stava così stretta nel suo maglione
che non poteva respirare adeguatamente. Eppure quando accelerò il passo nei pressi
dalla bisca le parve di sentire uno scalpiccio alle proprie spalle. La nuca le
formicolò nella ben nota sensazione di pericolo, qualcuno la stava seguendo, di
nuovo.
Si lasciò scivolare nel
vano di un portone per perlustrare la via ma non vide nessuna figura sospetta,
solo un uomo ammantato che proveniva dalla parte opposta alla sua.
Attese qualche secondo e
poi riprese la propria strada, con passo tranquillo e misurato, mentre nel suo
petto il cuore palpitava in preda all’adrenalina.
Scostò appena il mantello
per raggiungere la tasca anteriore e recuperò la bacchetta, che tenne nascosta
tra le pieghe del panno scuro. Aveva ormai imboccato il vicolo in fondo al
quale si trovava l’ingresso posteriore della Taverna delle Lucciole, non poteva
quindi tornare indietro, ammesso che qualcuno la stesse davvero seguendo.
Intravide Benji
appoggiato al muro con la spalla e il suo cuore per poco non si fermò. Se solo
lei non fosse arrivata in ritardo lui non sarebbe uscito per andarle in contro
e non si sarebbe esposto al rischio. Sperava vivamente che l’uomo la
riconoscesse dal proprio mantello nonostante la Polisucco.
Vide il capo di Benjamin
sollevarsi dal selciato per posarsi su di lei, quando vide la sua espressione
allarmata aggrottò lievemente le sopracciglia, ma non appena gli mostrò la
bacchetta il viso dell’uomo di distese e sulle sue labbra sbocciò un sorriso
sensuale.
“Ah Ramona! Eccoti qui
cara, ti stavamo aspettando tutti.”
Ramona? Ma che cosa gli
dava il Guercio a colazione, pane e telenovelas?
Lucy si avvicinò con
passo tanto rapido da sfiorare la corsa e tese l’orecchio, sentendo
inequivocabilmente il rumore di alcuni passi sulle pietre che lastricavano la
viuzza. Andò in contro a Benji e si lanciò quasi tra le braccia spalancate
dell’uomo.
“Mi hanno seguita.”
Sussurrò al suo orecchio sentendo immediatamente le sue spalle tendersi.
Prima ancora che potesse
pensare a come tirarsi fuori dall’impaccio, Benji con una sorta di volteggio
attorno a lei se la portò alle spalle e poi rapidissimo scagliò un incantesimo
non verbale con la bacchetta che lei non gli aveva nemmeno visto estrarre.
Non appena il bagliore
scaturì dalla bacchetta e illuminò tutto il vicolo apparentemente deserto si
udì una voce urlare:
“Protego maxima!”
Immediatamente un potente
scudo difensivo di erse in prossimità di una catasta di legno e l’incantesimo
si franse contro di esso. Benji stava già per ripartire all’attacco quando
successe l’imprevedibile.
Proprio accanto a dove si
era formato l’incantesimo di protezione si materializzarono dal nulla Rose,
Lily e Angelique, la cui bacchetta era ancora puntata contro Benjamin. Vide le
mani piccole e agili di Lily armeggiare con un mantello dal colore argenteo e
nasconderlo sotto la propria felpa. Avevano rubato ad Albus o a James il Mantello
dell’Invisibilità!
Lucy spalancò la bocca in
preda alla confusione più totale, la richiuse, pensò a qualcosa da dire, la
riaprì e subito dopo serrò la mandibola, incapace di parlare.
Lily sventolò la mano in
aria con fare innocente salutandoli, Rose le rivolse uno sguardo mortificato e
Angie non accennò minimamente ad abbassare la propria arma, con gli occhi verdi
immobili sulla figura di Benji.
Prima che avesse modo di
riprendere le proprie facoltà cognitive, vide Benji allargare lentamente le
braccia mentre il suo volto veniva sollevato dalla pressione di qualcosa di
invisibile sulla sua gola.
Quando ormai il panico si
stava diffondendo in lei con un brivido gelido, una figura iniziò a delinearsi
lentamente, come se emergesse dall’aria, grazie all’annullamento
dell’Incantesimo di Disillusione. Dominique gli stava puntando la bacchetta
nella carne morbida sotto alla mandibola e sogghignava senza ritegno
guardandolo da sotto in su.
“Ciao bel fusto.”
La voce argentina di
Dominique si sparse per tutto il vicolo seguita poco dopo dalla sua risata.
Lucy sentì l’improvviso allentarsi della tensione accumulata e le gambe le
tremarono. Arretrò verso la parete della taverna e si premette la mano sotto la
gola, dove aveva la sensazione che il cuore cercasse di sfondare le barriere
anatomiche del petto.
Dom fece l’occhiolino a
Benji e gli rivolse un sorriso accattivante prima di allontanarsi, deponendo la
bacchetta.
“Siete completamente
uscite di senno?” urlò Lucy riprendendosi all’istante e avanzando come una
furia verso le cugine.
“Oh tesoro ma che tette
favolose! E pensare che hai pure una certa età…” esclamò Dominique guardando il
suo petto con aria contemplativa.
“Perché a me toccano solo
uomini grassi e pelosi?! Voglio provare anch’io l’ebrezza di avere le tette
così grosse!” si lamentò Lily andandole in contro e posando i propri palmi sul
cardine della disquisizione.
“Ma che stai facendo?!”
esclamò Lucy scostandosi e coprendosi col mantello.
“Beh volevo capire che
consistenza avessero!” replicò Lily alzando le mani in alto come a discolparsi,
poi si voltò indietro e con un sorriso alle altre chiese: “Anche le vostre sono
così morbide?”
“Boh… Non ho molti
termini di paragone, se vuoi posso sentire quelle di Lucy e poi ti dico.”
Propose l’Alchimista stringendosi nelle spalle, per poi avanzar verso di lei.
“Ragazze non pensate che
dovremmo…?” Rose con un cenno del capo indicò Benji che le stava osservando
allibito alla fine del vicolo.
“Nah, agli uomini piace
guardare queste cose!” disse Dominique lanciando un bacio con la mano a
Benjamin, che la guardò, se possibile, ancora più attonito prima di scoppiare a
ridere.
“Che cosa ci fate qui
ragazze?” sbottò Lucy mettendosi le mani tra i capelli per l’assurdità della
situazione.
I volti delle quattro
giovani si catalizzarono su di lei e poi Lily le si rivolse con un sorriso
furbesco.
“Ma non è ovvio? Siamo
venute a conoscere il tuo fidanzato.”
***
Per quanto fosse stato
curioso sull’identità delle amiche e cugine di Lucy mai si sarebbe aspettato di
trovarsele schierate davanti come un plotone d’esecuzione. Sì, perché così
sedute davanti a lui e Lucy non erano meno minacciose di un’intera squadra di
Auror veterani.
Tra l’altro non doveva
nemmeno sforzarsi troppo per fare conversazione perché le quattro ragazze parlavano
tra loro da almeno mezz’ora buona, senza alcuna pausa, saltando di palo in
frasca, motivo per cui lui aveva completamente perso il senso
dell’orientamento.
“Ma che cosa ti passava
per il cervello? Dieci galeoni per far stampare le liste degli ordini?!” esclamò
Lily battendo una mano sulla tavola e facendolo sobbalzare.
“Tres bien! Vorrà dire che la prossima volta non ti aiuterò a
promuovere la nostra attività, io me ne tiro fuori. Taccagna!” Replicò
Dominique alzando in aria il nasino sottile con fare offeso.
“Non mi sembra il caso di
farne una questione di stato… Non eravamo qui per conoscere Benjamin?” suggerì
Rose voltandosi verso di lui con un sorriso incoraggiante.
“Mi dispiace così tanto…”
bisbigliò mortificata Lucy, tornata nuovamente alle sue sembianze. Tuttavia
Benji le sorrise e agguantò la sua mano sotto al tavolo, stringendola nella
propria.
Quando guardò ancora
davanti a sé vide che i visi delle giovani erano tutti focalizzati su di lui e
lo scandagliavano con minuziosità. Sentiva in particolare gli occhi azzurri di
Dominique pungerlo con un’attenzione superiore a quella delle altre, tuttavia
si soffermò un attimo di più sul viso di quella che si era presentata come
Angelique.
Aveva un viso dai tratti
fini, che in quel momento però apparivano stranamente affilati e tirati, come
anche il collo sottile e le clavicole sporgenti dalla scollatura rotonda del
maglione blu. Era la ragazza di cui gli aveva parlato Lucy la settimana
precedente, su di lei erano ancora impresse le tracce di quello che aveva passato.
“Tu sei quella delle
Polisucco vero?” le chiese sorridendole sperando di rompere il momento di
tensione.
Gli occhi di un verde
tanto chiaro da essere spiazzante si fermarono nei suoi e le labbra della
giovane si inclinarono in un sorriso misterioso, prima che annuisse
pacatamente. Non riluceva di una bellezza incontrastata come Dominique, che
indossava la propria appariscenza con la stessa naturalezza e grazia con cui
portava il suo cappotto dal collo di pelliccia. Eppure era affascinante il modo
in cui controllava le proprie movenze e le espressioni, mentre dai suoi occhi
trasparivano in modo lampante le vere emozioni che l’animavano.
“E tu invece sei quello
senza l’alluce?” replicò lei inarcando un sopracciglio.
“Angie!” esclamò Lucy,
mentre sia lui che le altre ragazze ridevano per la sfacciataggine della
bionda.
“Che c’è Leda?! Tu non ce
lo vuoi dire! Almeno chiedo direttamente alla fonte ufficiale.” Si giustificò
Angelique sorridendogli e facendogli capire che non era necessario rispondere.
“Oh, c’è una cosa di cui
dovremmo parlare visto che siamo tutti qui.” Disse Rose cercando con lo sguardo
l’approvazione di Dominique, la quale fece un cenno del capo come assenso.
Rose d’altro canto
sembrava, come gli aveva già detto Lucy, l’unica in grado di gestire la
confusione dilagante e la tendenza al delirio delle sue cugine. Posata e
riflessiva, gli dava tuttavia la sensazione che il luccichio di ironia in fondo
a quegli occhi azzurrissimi fosse come la brace ardente sotto lo strato di
cenere. Totalmente all’opposto di Lily, che quanto a paragoni non avrebbe
potuto essere sintetizzata meglio se non con un fuoco divampante, la cui legna
scoppietta nel focolare.
“Dobbiamo preoccuparci?!”
chiese ironicamente Lily, ma vedendo l’espressione seria della cugina smise
all’istante di sorridere e si incupì. “Cazzo dobbiamo preoccuparci.”
Benji smise all’istante
di studiare le ragazze per concentrare la propria attenzione su Rose,
preoccupato dal notevole cambiamento di toni della conversazione. Anche le
altre ragazze smisero all’istante di parlare e commentare, lasciando che un
religioso silenzio calasse sulla sala vuota della Taverna delle Lucciole.
La fronte spruzzata di
lentiggini di Rose si corrugò lievemente mentre iniziava a raccontare:
“Beh, forse sì… Abbiamo
ricevuto una segnalazione da uno dei tuoi uomini, Benjamin, da Oswald se non
sbaglio. Un paio di settimane fa sembrerebbe che qualcuno abbia davvero seguito
Lucy quasi fino a qui. C’erano un paio dei tuoi uomini in pattuglia, tra cui
Oswald, che l’hanno notato ma non hanno fatto in tempo a identificarlo perché
si è allontanato verso la zona di High Street. Mi hanno scritto immediatamente,
ma hanno capito solo che era di statura media e di corporatura esile,
ovviamente portava un mantello nero del tutto anonimo.”
“Uhm… Sì, sicuramente
dovremmo stare più attenti, ma non credo che corriate alcun pericolo…” iniziò
Benji ma si interruppe sentendo Lucy accanto a lui irrigidirsi notevolmente.
Si voltò verso di lei e
vide gli occhi color nocciola sbarrati, fissi sulla cugina più piccola che la
guardava con il capo inclinato verso la spalla e una palese espressione di
disapprovazione. Non gli aveva detto qualcosa di evidentemente rilevante.
“Ragazzina?” la chiamò
sentendo una stretta di ansia diffondersi dentro di lui.
Lei si voltò lentamente
verso di lui e si morse il labbro inferiore, con la colpevolezza stampata su
ogni linea del viso.
“Non avevo bevuto la
Polisucco. È stato quando sono venuta da te per parlare di quello che era
successo quando tu… Ehm… Te lo ricordi, no?” gli confessò agitandosi sulla
sedia come un’anguilla.
“Come sarebbe a dire che
non avevi bevuto la Polisucco?! Perché mai hai fatto una cosa così stupida?”
esclamò incredulo.
“Beh, non c’era più
Polisucco e io dovevo venire da te!
Non ho potuto fare altrimenti, sono arrivata qui con il mio aspetto e basta.”
“È stata colpa mia.” Si
intromise Angelique, guardando prima Lucy e poi lui con uno sguardo
estremamente fermo e consapevole. “Ho distrutto le nostre scorte.”
“E perché mai anche tu
hai fatto una cosa così stupida?” le chiese alzando inconsapevolmente la voce.
Si sarebbe aspettato da
parte della ragazza un abbassarsi dello sguardo o per lo meno un’aria
dispiaciuta, quella invece si limitò a guardarlo dritto negli occhi senza
muovere un singolo muscolo del viso. Dischiuse le labbra per rispondergli ma
una voce l’anticipò.
“Queste non sono cose che
ti riguardano, Benjamin. Sono fatti delle Menadi.” Il tono di Dominique non era
affatto freddo, tuttavia comprese all’istante di essersi appena scontrato con
una delle difese invalicabili dell’organizzazione delle Menadi. Non parlavano
con nessuno di ciò che accadeva tra loro, erano e sarebbero sempre state
inaccessibili a meno di non volersi aprire loro stesse. Lui d’altra parte era
poco più che un estraneo, comprendeva le loro ragioni.
“Va bene.” Concordò
chinando lievemente il capo in direzione di Dominique, ma non gliela diede
vinta così facilmente. “Tuttavia mi perdonerete se ritengo che lasciare uscire
Lucy per le vie di Hogsmeade senza copertura sia stato un gravissimo errore, di
cui forse dovremo rendere conto.”
“Benji…” mormorò Lucy
posando una mano sul suo avambraccio, ma lui la interruppe, cercando di
mantenere un tono pacato per non lasciare intendere quanto fosse arrabbiato e
preoccupato.
“Lucy non capisci quante
persone hai messo in pericolo solo per correre da me? Prova a pensarci. Sono
tante, davvero tante. Qui non parliamo del perdere la Coppa delle Case o
dell’essere mandati da Madama Chips a pulire i vasi da notte! La punizione per
chi viene sorpreso nel nostro genere di attività è la galera. Azkaban, Lucy. E
tu sei maggiorenne! Non avresti sconti, nemmeno come figlia del primo
magistrato del Winzengamot! Come pensi che mi senta all’idea che tu possa
rischiare di essere spedita là?”
“Sappiamo a che cosa
andiamo in contro. Lo sappiamo sin dall’inizio, per questo abbiamo avvisato
anche te. Perché dobbiamo essere pronti, nel caso in cui le cose vadano male.”
Disse con calma Lily intrecciando le dita tra loro sopra il tavolo.
“No che non lo sapete,
ragazze. Non siete mai state in una prigione. Non avere idea che cosa sia
realmente.” Disse scuotendo il capo. Ebbe il presentimento che la loro
incoscienza sarebbe costata cara a qualcuno prima o poi.
“Invece sì. Veniamo da
una famiglia di Auror e dipendenti del Ministero della Giustizia, sappiamo
com’è una galera. E non abbiamo alcuna intenzione di finirci, né di farci
finire te. Insomma direi a questo punto che la nostra Lucy ti sia abbastanza
affezionata, non vorremmo mai privarla della tua compagnia!” gli disse
Dominique facendogli un occhiolino.
“Il punto è, Benjamin,
che ormai il danno è fatto. Se anche qualcuno avesse riconosciuto Lucy, non
potremmo farci nulla. Invece possiamo organizzarci da questo momento in poi per
ridurre i rischi sensibilmente e cercare di mettere al sicuro tutti.” Disse
Rose estraendo dalla borsa un’agenda verde infarcita di fogli fino a scoppiare.
Benji sospirò
pesantemente e intercettò lo sguardo di Dominique.
“Avete mai pensato di
fermarvi prima che sia troppo tardi?” le chiese.
“Tu lo hai mai fatto?”
domandò di rimando lei sorridendogli solo con gli angoli della bocca.
“Touché.” Ammise l’uomo
sorridendo e chinando il capo in un gesto di assenso.
Sentì la mano di Lucy
cercare la sua e la strinse con forza. Si voltò verso di lei e la vide
osservarlo con preoccupazione, temendo che fosse arrabbiato per quello che
aveva combinato. Beh, certo felice non lo era, ma per lo meno le amiche della
Ragazzina sembravano avere abbastanza sale in zucca per tamponare i danni. Si
chinò verso di lei e le diede un bacio sulla fronte, sentendo sotto le proprie
labbra la pelle rilassarsi dall’espressione tesa di poco prima.
L’avrebbe tenuta al
sicuro. Ora e sempre.
***
“Ma sai che è proprio
manzo?”
“Ehm… sì Dom…”
“Hai visto che occhi,
Lara? Ho capito perché Lucy si è quasi fatta arrestare per lui.”
“Io onestamente ho visto
il suo gran bel culo. Sembrava anche avere un considerevole lato A…”
“Intendi il pacco, Lils?”
“Sì Angie! Leda, allora?
Vogliamo sapere, vuota il sacco!”
“O svuota il pacco se
preferisci…”
“Dominique!”
Le proteste indignate di
Lucy vennero soffocate dalle risate scroscianti delle altre. Anche Rose si
concesse di ridere nascondendo il viso nella pelliccia del mantello per
ripararsi dalle raffiche di vento.
Erano appena sbucate nel
Parco di Hogwarts e procedevano ormai sicure nei confini della scuola. Erano
riuscite a tornare in tempo per lo scadere del coprifuoco e nessuno si sarebbe
allarmato vedendole passeggiare in giardino all’ora del tramonto.
Rose si era adoperata per
far comprendere la necessità di avere delle regole semplici ma imprescindibili
per tutelare tutte le persone coinvolte. Avevano stabilito orari, rotazioni
frequenti delle persone in pattuglia, segnali concordati di allarme nel caso ci
fossero stati reali pericoli.
Avevano parlato e
pianificato per quasi due ore e aveva notato con piacere che Benji era un uomo
acuto e brillante, la cui mente stava al passo con i suoi pensieri, anzi spesso
li anticipava. Si sentiva decisamente più leggera rispetto a quando erano
partite dal castello, non solo perché gli spostamenti tra Hogwarts e Hogsmeade
di merci e persone sarebbero stati più sicuri da quel momento, ma anche perché
aveva potuto finalmente vedere coi propri occhi Benjamin.
Nei mesi precedenti era
stata parecchio preoccupata per Lucy, coinvolta così rapidamente in una
relazione dai confini delicati. La sua cugina ed amica dalla corazza di
cristallo si era innamorata di un uomo di nove anni più grande, all’apparenza
calcolatore e senza scrupoli, coinvolto nei traffici di merci di contrabbando,
dal fascino conturbante. Uomo che aveva cercato di ricattarla pur di
avvicinarla. Ecco non era iniziata esattamente sotto i migliori auspici!
Eppure vedendoli
interagire quel pomeriggio, in una situazione tutt’altro che rilassante, i suoi
dubbi erano lentamente spariti. Sembravano non concordare nemmeno sul colore
del bicchiere davanti a loro, il loro rapporto era una schermaglia costante, fatta
di piccole frecciatine; ma il modo di provocarsi non aveva nulla della tensione
o del disagio che Rose aveva percepito in altre coppie. Non avrebbe saputo
definirlo meglio, ma aveva avuto l’impressione che il loro modo di contrastarsi
fosse più che altro un gioco, e dalle occhiate che aveva inavvertitamente
intercettato poteva anche immaginare come culminasse il più delle volte.
Tuttavia anche se di due pareri differenti cercavano sempre una strada a metà,
un sentiero che potesse congiungere la loro divergenza. Lucy e Benji, i cui
caratteri impulsivi e passionali non brillavano per diplomazia, stavano
diventando abili nell’arte imperfetta del compromesso. Stavano crescendo
insieme e Rose ne era lieta.
“Adesso parliamo di cose
serie, Angie.” Iniziò Lucy con tono estremamente grave.
Il viso pallido di
Angelique si sollevò dal terreno, a cui stava prestando attenzione per non
cadere in una pozzanghera. Il sorriso dovuto alle chiacchiere con le altre le
morì sulle labbra lentamente per essere sostituito da un’espressione seria. La
ragazza si fermò e guardò Leda, che le si avvicinò notevolmente
fronteggiandola.
“Quando hai intenzione di
tornare a fare da cavia a Dominique? Sai, non per lamentarmi eh, ma non credo
di poter sopportare un’altra delle sue sedute di bellezza!” replicò la
rossa e immediatamente sul viso di Angie si formò un ghigno sardonico.
Ripresero a camminare ormai in prossimità del cortile d’ingresso, con il
braccio esile e affusolato di Lucy sulle spalle della Dursley.
“Piccola ingrata! Senza
di me tu non conosceresti nemmeno il significato di push-up! Senza di me non avresti
nemmeno…” ma le recriminazioni di Dominique si interruppero bruscamente, a
causa della gomitata rifilatale da Lily.
Rose si guardò attorno e,
seguendo lo sguardo di Lily, vide, seduta sulla muratura dei piccoli ed
eleganti archi che formavano il chiostro d’ingresso, la coppia d’oro di
Hogwarts.
Celia Danes parve
intercettarle con la stessa rapidità di un sonar, i suoi magnifici occhi da
cerbiatta sezionarono il loro gruppo come se avesse potuto far loro una
radiografia. Rose si era domandata spesso come ad una bellezza tanto morbida e
dolce potesse corrispondere un’anima crudele, fredda ed opportunista. Derek
accanto a lei spiccava come un raggio di sole durante una mattinata nuvolosa, i
capelli dalle sfumature eccezionali tra l’oro, il bronzo e il castano che
sfavillavano accanto al capo scuro della fidanzata. Eppure anche a qualche
metro di distanza si potevano riconoscere sul suo viso i segni di un tormento
che non gli dava tregua. Il suo aspetto attraente era congelato dal lento
consumarsi di una disperazione estremamente reale e corporea, che aveva il nome
di Angelique.
Rose si voltò
immediatamente verso l’amica e vide l’espressione spensierata sgretolarsi
davanti a chi aveva trasformato la sua esistenza in modo irreversibile.
Gli occhi verdi di Angie
si spalancarono e divennero lucidi di lacrime, che la ragazza trattenne
orgogliosamente. Il suo volto incrinato dal dolore si chinò per un istante, non
volendo guardare oltre. Ricominciò a camminare con lo sguardo fermo davanti a
sé, ignorando i due seduti alla sua sinistra, accompagnata da Lucy che non
lasciò mai la presa protettiva sulle sue spalle.
Attraversarono
rapidamente il cortile tutte insieme, compatte e coordinate come un piccolo
battaglione, persino Dominique non si lasciò tentare dalla prospettiva di uno
scontro aperto con la sua rivale.
Quando raggiunsero la
Sala d’Ingresso Angelique si nascose al loro sguardo, appoggiando il braccio
destro alla parete di granito e posandovi sopra la fronte. Le sue spalle
vennero scosse da singhiozzi violenti e vicino alle sue scarpe caddero piccole
gocce trasparenti.
La sua mano sinistra si
alzò e si abbatté con il palmo aperto contro la parete, una, due, tre, quattro,
cinque volte, in preda alla rabbia. Erano lacrime di impotenza davanti al
proprio dolore, lacrime di frustrazione date dalla consapevolezza che Derek
aveva ancora il potere di toglierle il poco di serenità conquistata. O forse
più semplicemente erano lacrime che avevano solo bisogno di uscire per aiutare
Angie a liberarsi man mano dei suoi fardelli.
Lucy si avvicinò alla
ragazza e le porse un fazzoletto da sotto il braccio teso per nascondersi.
Angie respirò lentamente un paio di volte prima di accettare il fazzoletto e
voltarsi, asciugandosi gli occhi e le guance. Il suo viso era congestionato dal
pianto ma lei sembrava aver ripreso il controllo.
“Grazie.” Mormorò rivolta
a Lucy con un abbozzo di sorriso.
“Non c’è di che. Ti
aspettiamo domani al Quartier Generale, va bene?”
Angelique sorrise davvero
a quel punto e annuì fermamente.
Fu con il cuore gonfio di
dispiacere che Rose la lasciò andare verso il tavolo di Serpeverde. Avrebbe
voluto tenerle compagnia, anche se sapeva che i suoi amici avrebbero fatto
altrettanto.
“Avanti Rosie Rose, non
fare quel faccino triste. Le cose andranno meglio… Prima o poi.” Tentò di
consolarla Dominique, che aveva deciso di invadere il territorio di Celia Danes
per quella cena, mangiando insieme a loro.
Rose annuì e si versò un
bicchiere di succo di zucca, mentre sopra il suo capo entravano nella Sala
Grande i gufi per la posta serale.
Fu con notevole sorpresa
che si ritrovò nel piatto, ancora fortunatamente vuoto, una lettera, lasciatale
da un elegante barbagianni candido. Rose seguì perplessa il rapace per poi
sbarrare gli occhi quando lo vide fermarsi al fianco di Scorpius Malfoy e
prendere dalle sue dita un pezzo di carne.
Scartò febbrilmente la
busta, rompendo la carta in più punti per la fretta, e ne estrasse un foglio
color panna, profilato di blu su cui una calligrafia obliqua e sottile aveva
scritto solo:
Domenica mattina ore 10.30 alla panchina sotto il
salice piangente.
S.
Rose risollevò
immediatamente lo sguardo, ignorando le continue domande delle sue cugine e i
loro tentativi di rubarle la lettera. I suoi occhi ritrovarono con facilità la
figura di Malfoy, che a sua volta la stava guardando, sorridendole con quel
fare sicuro di sé che tanto le faceva venir voglia di dargli una lezione.
Sollevò lentamente il proprio calice dorato e bevve, dandogli il tacito assenso
per la loro sfida.
Avrebbe avuto la sua
rivincita su Malfoy. E questa volta non si sarebbe lasciata distrarre.
***
Angie non si sarebbe mai
aspettata di riuscire a raccogliere le lacrime di Martha, quando non sapeva
nemmeno come fare a frenare le proprie nella maggior parte delle occasioni.
Eppure per quanto soffrisse per conto suo, vedere la sua amica rannicchiata sul
letto, annichilita da un dolore tanto cocente da farle inzuppare la federa del
cuscino con le proprie lacrime, vedere Martha col cuore spezzato da Albus le
aveva infuso una forza nuova. Se ne era presa cura così come Martha aveva fatto
con lei per settimane, silenziosamente e con pazienza.
In quel momento erano
tutte e tre su un solo letto, accampate tra cuscini e coperte. Angie teneva in
grembo il capo riccioluto di Martha, accarezzandole i capelli con delicatezza,
ed Elena le teneva una mano tra le proprie, asciugandole il viso con uno dei
suoi fazzoletti ricamati. Solo la O’Quinn poteva possedere dei fazzoletti di
stoffa ricamati e sfoggiarli con tanta disinvoltura.
Il volto di Martha pallido
come neve appena caduta era abbandonato contro un cuscino, che Angie aveva
prontamente sostituito a quello fradicio e che tratteneva tra le proprie gambe
incrociate. Dai suoi occhi scivolavano di tanto in tanto piccole lacrime che si
andavano a posare senza fretta contro il tessuto verde della federa, uno
stillicidio calmo e inesorabile dell’amore di Martha al di fuori di lei, nel
tentativo di alleviare il suo dolore.
Avevano lasciato i
ragazzi a cenare da soli non appena si erano rese conto che qualcosa fosse
successo tra Albus e Martha, vista l’assenza di quest’ultima e lo sguardo
vitreo del primo. La versione dei fatti era stata biascicata dalla ragazza tra
i singhiozzi, che aveva raccontato loro di averlo baciato e di essere stata rifiutata
per il bene comune del gruppo.
“Vuole fare il cazzo di
martire quel deficiente! Ma perché? Perché mi sono dovuta innamorare di lui?”
aveva esclamato in un accesso di rabbia che era scemata subito dopo per
lasciarla privata di ogni energia.
Angie non aveva mai visto
la sua amica piangere in quel modo, mai, nemmeno quando a undici anni avevano
pronunciato la sua condanna ad una malattia incontrollabile e pericolosa.
La situazione era a dir
poco spinosa. Tutto dentro di lei le urlava che le scelte di Albus erano
sbagliate, che avrebbe dovuto seguire i suoi sentimenti e smetterla di
sottomettersi alla sua ragione, che non aveva senso sacrificarsi in nome della
serenità altrui. Era una cosa così da Albus che faticava a crederci che lo
avesse fatto davvero.
Le sue dita si immersero
nella chioma ramata della sua amica e districò con dolcezza un ricciolo, poi i
suoi occhi incrociarono quelli grandi ed espressivi di Nana. L’altra aveva i
lineamenti induriti da una determinazione feroce e le fece intendere che aveva
in mente qualcosa. Angie la guardò allarmata e scosse piano la testa, ma Elena
invece di desistere le rivolse il suo sorriso furbesco. E Angie iniziò a temere
davvero per l’incolumità di tutti.
Il loro contatto visivo
venne interrotto da qualcuno che bussò con fare deciso contro la porta della
loro stanza. Elena scese dal letto e raggiunse la porta, scostandola quel poco
che bastava per parlottare a bassa voce con la persona all’esterno. Angie da
parte sua non riusciva a vedere nulla, nemmeno sporgendosi quel tanto che il
cuscino e la testa di Martha le consentivano.
Elena rientrò poco dopo e
le rivolse un’espressione enigmatica.
“Dovresti uscire un
attimo Angie.” Le disse semplicemente, riprendendo il suo posto.
Angie pur essendo ancora
perplessa da chi ci fosse fuori ad attenderla si districò dalla sua posizione e
depositò un bacio sulla guancia umida di lacrime di Martha. Camminò a piedi
scalzi sui tappeti e posò una mano sulla maniglia aprendo di più lo spiraglio
lasciato da Nana.
Il corpo alto di James le
si parò di fronte proprio mentre usciva in corridoio, sovrastandola per un
breve attimo prima che arretrasse per farle spazio. Notò in quell’istante che i
capelli neri erano leggermente più lunghi di come li portava di solito, tanto
che le punte tendevano ad arricciarsi sul fondo, dando l’impressione di essere
ancora più indomabili. La scarsa luce delle torce rendeva i lineamenti di James
ancor più decisi, ombreggiando il volto ovale in disegno di chiaroscuri.
“Ciao.” Disse guardandolo
stupita.
“Ciao Gigì.”
Il ragazzo si appoggiò al
muro alle sue spalle e incrociò le braccia sul petto, dalla lana blu scura del
maglione emerse la linea dei muscoli delle spalle ampie. Angie dirottò il
proprio sguardo sul suo viso e aggrottò la fronte.
“Che ci fai qui?” domandò
chiudendosi la porta alle spalle.
“Volevo parlarti.”
Rispose semplicemente lui.
“Come facevi a sapere che
era la nostra stanza?”
“Beh non è stato molto
difficile, ti pare?” replicò Jessy indicandole con un cenno del mento la porta,
su cui si estendeva a colori vivaci e ancora perfettamente conservati il
dipinto di Antares.
“Giusto. Ehm… Guarda
Jessy, ti inviterei anche a entrare, ma sei arrivato in un momento un tantino
delicato. Ti spiace se parliamo qui?” chiese strofinando un piede congelato
contro il polpaccio.
Gli occhi di James si
abbassarono e subito dopo le chiese con un sopracciglio inarcato:
“Per quale ragione giri a
piedi nudi con questo freddo?”
“Mi
danno fastidio le pantofole… Beh, quindi che mi volevi dire?” replicò lei sulla
difensiva.
Il
ragazzo le sorrise scuotendo lieve la testa con espressione mezza incredula.
Poi la guardò dritta negli occhi e l’allegria sfumò dai suoi.
“Stamattina
Dawlish ci ha detto che domani terrà la lezione sui Patronus al quinto anno.”
Angie
rimase in silenzio attendendo che proseguisse ma quando James le rivolse
un’occhiata perplessa gli chiese:
“E
quindi?”
“E
quindi questo non ti dice proprio nulla?”
Le
sopracciglia scure del ragazzo scattarono in alto. Angie si diede un’occhiata
intorno cercando ispirazione per una risposta fantasiosa, ma non trovandone gli
si rivolse ancora con vaga ironia:
“Dovrebbe?”
“Angelique
è la lezione che Dawlish fa tutti gli anni, quella in cui i ragazzi del quinto
vengono seguiti da quelli del sesto per riuscire a formulare correttamente
l’incantesimo.”
Stava
per rispondere che proprio non capiva dove volesse arrivare, quando comprese su
che cosa la stesse mettendo in guardia. Quinto e sesto anno in una stessa aula.
Lei e Derek in una stessa aula.
“Oh
porca merda!” esclamò portandosi una mano alla fronte in un gesto di
disperazione.
“Potresti
darti malata.” Le suggerì lui.
Angie
scosse vigorosamente la testa.
“Non
se ne parla nemmeno! Non posso saltare una delle lezioni più importanti
dell’anno. Ho fatto già abbastanza danni questo semestre, ci manca solo di
saltare le lezioni perché sono…”
“Innamorata
di uno stronzo che ti ha mentito e trattata in modo ignobile?”
“Veramente
stavo per dire psicolabile, ma se la metti così forse è anche peggio.” Gli
rispose non riuscendo a trattenere un sorriso per l’assurdità di quel
siparietto.
Gli
occhi di James si socchiusero per un istante e la guardò attentamente come
aspettandosi da un momento all’altro che si sciogliesse in lacrime.
“Guarda
che ho detto psicolabile, non psicopatica.”
James
ebbe uno spasmo agli angoli della bocca da cui Angie intuì che stesse provando
a non ridere in tutti i modi, ma quando i suoi occhi si fissarono sulle sue
labbra osservandone la linea generosa, lo vide arrendersi. Ridacchiò chinando
il capo per qualche secondo e quando lo rialzò Angie trovò le sue iridi scure
che la osservavano con uno scintillio ironico.
“Quindi
che farai Gigì?”
Lei
sospirò profondamente e sfregò un’altra volta la pianta del piede ormai
congelato contro i pantaloni, mentre rifletteva sulle possibili azioni da
intraprendere.
“Immagino
che mi alzerò, andrò da Madama Chips in tua compagnia, berrò del caffè a
colazione, ma non mangerò nulla perché la vista di Derek ha il magico potere di
farmi venire i conati di vomito. Andrò a lezione e ascolterò Dawlish parlare.
Poi agguanterò te o Dominique e vi userò come scudo umano per le successive due
ore.”
“Dom?
Come scudo?”
“Già,
hai ragione… Allora posso usare te? Sei anche decisamente più grosso di lei.”
Gli propose più per scherzo che per altro.
Lo
era eccome. Alto, spalle ampie, schiena muscolosa, doveva avere anche
degli addominali non male sotto la divisa… Non
era il momento di pensare a certe cose!
“Che
cosa mi stai chiedendo esattamente Angelique?” le chiese discostandosi dalla
parete e avvicinandosi. Angie si trovò costretta ad alzare il mento per poterlo
guardare in viso. Sentì anche a quella distanza una zaffata del suo odore, il
profumo semplice del sapone riscaldato dalla sua pelle. Buono, James sapeva di
buono.
“Beh…
Ti sto proponendo un accordo vantaggioso per entrambi. Io evito di vomitare il
mio caffè davanti a tutti e tu non dovrai sopportare una delle svenevoli
ragazzine del tuo fan club, che ti si struscerebbe addosso per tutta la lezione.”
“Non
ho un fan club.”
“Potrebbe
esistere senza che tu ne sia a conoscenza.”
“Stai
divagando.”
“Sto
cercando di convincerti.”
“Puoi
fare di meglio.” Le disse inarcando un sopracciglio e sorridendole con
perfidia.
Angie
prese a stuzzicare il proprio labbro inferiore con indice e pollice della mano
destra, cercando lembi di pelle da poter strappare, nella sua consueta tecnica
di riflessione. Ma appena trovata un’interessante pellicina la mano di James si
chiuse sul suo polso e le allontanò le dita dalle labbra.
Lo
guardò negli occhi e comprese che cosa volesse. Sbuffò e alzò il viso verso il
suo.
“Domani
mattina potresti aiutarmi Jessy, insegnandomi tu il Patronus, per favore?”
Onestà.
Voleva che lei fosse onesta con lui, senza nascondersi dietro i propri sotterfugi.
“Va
bene.” Le disse sorridendole e dileguandosi subito dopo verso l’uscita del
dormitorio.
***
James
respirò profondamente e lanciò un’ultima occhiata a Dominique prima di entrare
in classe. Lei gli rispose sollevando entrambi i pollici in alto e
sorridendogli smagliante, in un gesto di incoraggiamento.
Quando
la sera precedente era andato a chiedere udienza alle sue cugine per un
consiglio, non avrebbe mai immaginato che qualcosa in cui Dominique aveva preso
parte potesse funzionare. Ciò nonostante era andato comunque ad avvisare
Angelique ed era riuscito insospettabilmente a portarla dove voleva, come Rose
gli aveva consigliato di fare. Ovvero lasciando che fosse lei stessa a chiedere
il suo aiuto.
Se
gli avessero chiesto per quale motivo stesse ancora cercando un modo per starle
vicino, avrebbe risposto solo che non poteva fare altrimenti.
Non
era riuscito a dimenticarla, nonostante il fatto che si fosse reso conto che il
suo amore per lei lo aveva distrutto nel profondo, dove non avrebbe mai
immaginato che lei potesse arrivare. Aveva compreso tuttavia che se da
quell’esperienza erano usciti tutti malconci e cambiati in modo radicale, così
era accaduto anche ai suoi sentimenti.
Sembrava che ciò che lo legava ad Angelique fosse in grado di mutare
continuamente senza spezzarsi, come se fosse stato un filo indissolubile. Era
passato dall’idealizzarla secondo le immagini che di lei aveva costruito per sé,
al volersi trasfigurare in qualcun altro pur di piacerle. Forse, come gli aveva
suggerito Albus sulla terrazza della Tana a Natale, era giunto il momento di
essere semplicemente sé stesso e lasciare che lei aprisse finalmente gli occhi.
Niente più piani, niente più menzogne, niente più rigiri. E se lei comunque non
lo avesse ricambiato a quel punto sarebbe stato perché davvero non voleva lui.
Vide
che tutto il quinto era stato riunito in un’aula appositamente più grande per
accogliere anche quelli del suo anno. Fu abbastanza facile vederla anche in
mezzo alla moltitudine. I capelli biondi erano stati imbrigliati in
un’elaborata treccia che le cadeva sulla schiena, quel giorno indossava la
divisa grigia con le rifiniture verdi e argento, senza la tunica lunga. Dallo
sguardo fugace che si scambiarono sembrava che Gigì si stesse preparando a una
vera e propria battaglia.
Dawlish
iniziò a spiegare dettagliatamente la teoria dell’Incanto Patronus, parlò della
sua difficoltà e del fatto che si sarebbe ritenuto già più che soddisfatto, se
entro fine mattinata qualcuno fosse riuscito ad evocare il Patronus non
corporeo. L’ex-auror parlò per circa venti minuti, lasciando sulla lavagna
accanto alla cattedra gli appunti per i movimenti del polso e la pronuncia
delle parole.
“Bene,
allora formate le coppie e siate rapidi per favore!” esclamò Dawlish battendo
le mani.
Un
brusio sommesso avvolse la stanza e i due gruppi fino a quel momento separati
si fusero insieme.
James
si voltò alla sua sinistra e quando vide che Derek stava per avanzare verso
l’unico punto della stanza che avrebbe dovuto evitare, gli andò in contro. Non
credeva che potesse essere tanto stupido e sfrontato, ma evidentemente non si
smetteva mai di ricredersi sul conto di Shatten. Gli occhi neri del ragazzo si
spalancarono per la sorpresa quando si rese conto che lo stava avvicinando e si
fermò subito.
“Non
avevo alcuna intenzione di rivolgerti la parola, ma mi vedo costretto a farlo.
Stalle lontano.” Gli disse a bassa voce chinandosi appena perché solo lui
potesse udire.
“Forse
potresti semplicemente lasciare che sia lei a decidere.” Gli rispose stizzito
Derek lanciando uno sguardo ad Angelique che dava loro le spalle appositamente in quel momento.
James
si raddrizzò e lasciò che un sorriso vittorioso prendesse vita sulle sue
labbra.
“Lei
ha già deciso. E non ti vuole nemmeno vedere.”
Detto
questo si voltò e marciò quasi gongolando verso Angelique, attraversò la stanza
dribblando un paio di ragazze e finalmente la raggiunse. Gli altri Serpeverde
avevano quasi tutti trovato un amico o un conoscente con cui esercitarsi,
compresa la O’Quinn che quel giorno sembrava più glaciale del solito accanto a
Janus Mcmillan. Suo fratello Albus era stato agguantato da Dominique dopo pochi
convenevoli.
James
posò una mano sulla sua spalla e quando il viso di lei si voltò di tre quarti
per incontrare il suo, le sorrise. Elena Zabini sorrise in modo così plateale
per quel gesto innocuo che se solo fosse stato un po’ meno sé stesso James si
sarebbe imbarazzato.
“Cominciamo?”
Angelique
annuì convinta e vide che fece del proprio meglio per non voltarsi, procedendo
spedita verso un punto della stanza meno affollato. Si misero uno di fronte
all’altra e Angie gli rivolse uno sguardo imbarazzato.
“Jessy
non è che mi ripeteresti un po’ quello che ha detto Dawlish?”
“Non
hai ascoltato?!” le chiese sorpreso.
La
vide giocherellare con la bacchetta e poi alzare gli occhi al cielo sbuffando.
“Sì,
certo che ho ascoltato! Ma non mi ricordo un accidente…” ammise la ragazza.
Era
stata talmente nervosa durante la spiegazione che non era riuscita a
memorizzare nulla.
Il
giovane le si mise accanto e le mostrò il movimento da fare, lentamente,
facendoglielo ripetere passo per passo, finché anche lei non lo eseguì con naturalezza.
“Tieni
più alto il gomito quando inarchi il polso.” Le prese il braccio e corresse la
sua postura.
“Così?”
“Sì,
brava. E ricordati di alzare la bacchetta dopo la formula.”
“Ok.”
“Avanti
proviamo.” La invitò mettendosi alle sue spalle.
Attorno
a loro molti altri ragazzi avevano già iniziato a provare l’incantesimo, ma
fino a quel momento si erano visti in tutta la sala solo pochi deboli filamenti
argentati levarsi verso il soffitto. Il tutto si riduceva a un continuo
ripetersi della formula, intervallato da sbuffi e colorite imprecazioni
sborbottate a mezza voce.
Angelique
si rilassò, abbassando le spalle e respirando con calma, poi rimase ferma per
qualche secondo, probabilmente concentrandosi.
“Expecto
Patronum.” Scandì con precisione eseguendo il movimento che le aveva mostrato
con fluidità.
Dalla
sua bacchetta non uscì nulla, ma James non si stupì affatto, lui stesso aveva
impiegato parecchio prima di riuscire a produrre un Patronus corporeo.
Angelique ripeté una seconda, una terza e una quarta volta la formula, senza
che nemmeno il più piccolo segno dello scudo protettivo si facesse vedere.
Quando arrivarono alla decima James decise di intervenire.
“Gigì
che ricordo felice hai scelto?” le chiese inducendola ad abbassare la
bacchetta.
“Pensavo
a quando ho ricevuto la lettera per Hogwarts.”
“No.
Decisamente no.” Borbottò James scuotendo la testa e quando lei aggrottò la
fronte pronta a rispondergli, l’anticipò: “Non è quel genere di felicità che
devi ricordare. È quella intima, quella felicità in grado di scaldarti l’anima
nei momenti peggiori, quella piena di potere da cui lasciarti invadere. È la
gioia primitiva che si prova nell’essere amati e protetti.”
“Beh,
non ho un granché di ricordi del genere ultimamente.” Replicò lei storcendo la
bocca in una smorfia.
“E
quando eri bambina? Non c’era nessuno che ti facesse sentire così?”
“Sì,
però poi…”
“Lascia
stare quello che è accaduto poi! A te serve solo un istante, un frammento
luminoso a cui aggrapparti per lasciare che quel ricordo ti scorra dentro e dia
forza alla tua magia. Lo riesci a trovare?”
Angie
lo guardò e i suoi occhi divennero lontani, proiettati nel passato che lui non
poteva vedere, ma che le arricciò appena gli angoli della bocca in un piccolo
sorriso intimo.
“Sì.”
Gli rispose.
“Bene,
chiudi gli occhi. Visualizza ogni cosa. Sei lì Angelique, sei proprio in quel
punto della tua vita e nulla ha più importanza. Senti che ti invade? Ora libera
la sua energia.”
Quasi
non si era accorto di aver posato le mani sulle spalle di lei mentre le sue
palpebre calvano nel ricordo che aveva scelto, quando però lei si riprese e si
accinse a ripetere l’incantesimo si fece da parte.
Il
volto di Gigì era rilassato mentre con calma ripeteva per l’ennesima volta:
“Expecto
Patronum”
La
mano bianca che stringeva la bacchetta compì il movimento alzandosi proprio
sulle ultime lettere e dalla punta del legno di ciliegio si sprigionò un debole
scudo protettivo argento.
“Sì!”
esclamò James entusiasta.
Angie
si sforzò di mantenerlo vivo per qualche secondo, ma esso si affievolì e si
spense dopo poco nonostante i suoi sforzi. La giovane abbassò il braccio e si
voltò lentamente verso di lui.
Gli
occhi verdi erano lucidi di un’emozione incontenibile che sembrava illuminarle
i tratti, togliendo la patina di ombrosità che da mesi sembrava essere calata su
di lei e restituendole l’aspetto con cui lui frequentemente la evocava nei
propri ricordi.
“Grazie.”
Bisbigliò con voce flebile.
“Non
c’è di che. Ma era solo un inizio, abbiamo ancora da lavorare per…” ma si
interruppe quando la vide scuotere la testa.
Un
riccio le sfuggì dalla treccia e le cadde a lato del viso, incorniciandole lo
zigomo.
“Non
per quello, James. Per avermi fatto ricordare una cosa che pensavo di aver
dimenticato.” Gli rivelò prima di riprendere la posizione per continuare ad
esercitarsi.
E
James non riuscì a identificarla subito, quella strana sensazione di
leggerezza, perché anche per lui era passato un po’ dall’ultima volta che
l’aveva sentita, ma quando il viso di Angie concentrata e intenta a seguire i
suoi consigli non gli causò più uno spasmo di dolore ma il consueto senso di
calore, capì. Capì che non era altro che speranza.
Per
lei.
Per
sé.
E
forse, ma solo forse, un giorno per loro.
Note dell’autrice:
Ho
confessato alle mie coinquiline di aver scritto questo capitolo in preda alla
confusione. La confusione che deriva dalle cose che cambiano, dalle strade che
si separano, dalla vita stessa che va avanti e scorre. La confusione che mi
coglie da sempre quando percepisco che devo scegliere come proseguire, che devo
decidere.
Spero
che effettivamente questo capitolo non sia troppo confuso e che non vi deluda,
avendolo aspettato a lungo pur essendo estate.
I
miei ringraziamenti vanno a tutti coloro che continuano a scegliere di seguire
e leggere questa storia, anche sulla pagina Facebook, che continuo a segnalarvi
imperterrita e senza vergognaà Ricordatevi di mettere mi piace a Blelectra Efp!
Per
il resto il mio più sincero GRAZIE a chi lo scorso capitolo ha recensito,
quindi a: la mia fedelissima Cinthia988,
Flo_94, cassidri, leo99 e alice_dequattro.
Vediamo
se con questo capitolo riusciamo a superare la soglia delle 200 recensioni! 😉
Vi
mando tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 31 *** Cap.31 Fronti di guerra ***
Cap.31
A
Marghe, ben tornata a casa tesoro.
Cap.31 Fronti di guerra
“Se conosci il nemico e te stesso, la
tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il tuo nemico, le tue
probabilità di vincere e perdere sono uguali.
Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia”
L’Arte della Guerra, Sun Tzu.
Angie non aveva mai nemmeno preso in considerazione
l’idea che James Sirius Potter potesse essere un bravo insegnante. Aveva già
avuto modo di modificare la propria opinione su di lui, precedentemente costruita
sulla base pluriennale di dispetti, punzecchiature e figuracce; tuttavia non
era mai stata realmente propensa a capire quanto invece James fosse cresciuto.
Mancavano pochi minuti alla fine della lezione e lei
ormai padroneggiava lo scudo protettivo, riuscendo a mantenerlo intatto per
parecchi minuti, il tutto grazie alla pazienza di Potter.
“Potresti anche riuscire a evocare il Patronus, se
continui così.” Le disse lui con un sorriso soddisfatto.
Angie annuì distrattamente e ricominciò a pensare alla
strana idea che le aveva iniziato a frullare per la testa durante quelle due
ore. Eseguì l’incantesimo per l’ultima volta chiedendosi quale sarebbe stato
effettivamente il suo Patronus corporeo… Un tempo Jessy le aveva detto che le
sarebbe toccato un coniglietto peloso o qualcosa di analogo. Sorrise a quel
pensiero, ma mentre osservava la punta della propria bacchetta creare una cappa
argentea sopra di lei, la sua vista sfumò pericolosamente. Si rese conto di
essere esausta, sentì la spossatezza renderle pesanti le braccia e le gambe
nella sensazione tristemente nota che anticipava lo svenimento.
Angelique abbassò immediatamente la bacchetta e si
chinò, posando le mani sulle ginocchia e cercando di fare respiri lenti. Sentì
subito accanto a sé la presenza di Potter, il quale la coprì dagli sguardi
degli altri studenti. Brividi rampicanti e gelidi le si insinuarono nel collo,
causandole una spiacevole sensazione che era contemporaneamente di caldo e di
freddo.
Si ricordò che quella mattina non aveva mangiato,
preventivando un voltastomaco alla vista di Shatten.
“Gigì?! Stai bene?” le chiese con tono ansioso.
Non gli rispose perché la sua vista era andata man
mano oscurandosi, ma agitò una mano per aria per fargli segno di non
preoccuparsi. Quel movimento tuttavia la fece sbilanciare e per poco non cadde
per terra. Jessy imprecò tra i denti e le agguantò un gomito, trascinandola
vicino a uno dei banchi accatasti in un angolo dell’aula e facendola appoggiare.
“Necten Mutatis.” Potter pronunciò l’incantesimo con
tono sbrigativo e subito dopo lei udì lo scrosciare dell’acqua vicino a lei.
Sbatté le palpebre nel tentativo di snebbiare la vista, ma non funzionò.
“Che succede?” la voce minacciosa di Martha la
raggiunse. “Angie? Angie che cosa ti ha fatto?!”
“Non le ho fatto nulla O’Quinn! Ha un calo di
pressione.” Il tono di James era sferzante quanto quello della sua amica e lei
sentì che le metteva in mano qualcosa di freddo e metallico. “Gigì, avanti
bevi!”
La campanella suonò in quel momento, tutti gli studenti
esclamarono esultanti per la pausa, si udì il rumore della folla che cercava di
uscire dalla stanza, gli schiamazzi, i rimproveri di Dawlish che chiedeva
ordine… Tutto le espose nelle orecchie come se fosse stato una bomba e Angie
sentì scivolare via ogni forza dal corpo.
La cosa che aveva in mano cadde per terra e un paio di
mani la afferrarono al volo per le spalle. Le orecchie le ronzarono frenetiche,
unite al movimento di tutti quelli attorno.
“Merda! O’Quinn, va’ a chiamare Dawlish.” La voce di Potter
era vicina al suo orecchio e subito dopo lei sentì la sua fronte posarsi su
qualcosa di morbido. Respirò per cercare di calmarsi e sentì l’odore di Jessy.
Si era spalmata su di lui… Perfetto!
“Gigì? Gigì mi senti?” le chiese cercando di scostarle
il viso dal suo petto, ma lei, incapace di muovere il minimo muscolo, rimase accasciata
contro di lui. Tanto il casino lo aveva già fatto.
“Sì. Sono solo un po’ stanca…” biascicò.
Inaspettatamente James rise e quel suono quasi
gorgogliante, che gli faceva vibrare il petto, le si riverberò nelle orecchie coprendo
il frastuono tutt’attorno.
“Sai cosa Gigì?! Sei un’inguaribile ottimista in
fondo.”
Anche Angie trovò la forza di sorridere nonostante la
situazione assurda. In quel momento arrivarono altre persone che iniziarono a
vociarle attorno e riconobbe le voci dei suoi amici. Per fortuna non si era
fermato nessuno ad osservarla stramazzare al suolo.
“Potter riesci a farla stendere?” chiese Dawlish con
sollecitudine.
Oh
no. No, no, no!
Non ebbe nemmeno il tempo di protestare che si sentì
afferrare sotto le ascelle e sotto le ginocchia, per poi essere sollevata come
una bambola di pezza. Jessy fece alcuni passi e la depositò su qualcosa di
rigido, ma non freddo e ruvido come il granito del pavimento.
“Dite che è la volta buona che mi lascia in eredità i
suoi libri sugli animali?” disse Nana e Angie emise un qualcosa di più simile a
un gorgheggio che non a una risata. Provò ad aprire gli occhi, ma tutto era
un’immensa distesa di buio attorno a lei, quindi li chiuse mettendosi l’anima
in pace.
“Avanti ragazzi la lezione è finita, andate ad
avvisare Cavendish che Dursley arriverà con un po’ di ritardo.” Disse Dawlish e
immediatamente Martha insorse indignata:
“Professore non possiamo lasciarla da sola, per giunta
svenuta sulla pedana!”
Ah ecco dove l’avevano messa, sulla pedana di legno
adibita ai duelli!
“Io ho un’ora buca, Professore.” La voce calda e
profonda di James le sembrò che nascondesse un sorriso beffardo rivolto a
Martha. Quei due sembrano due bambini dell’asilo.
“Perfetto, allora ci pensi tu ad accompagnarla. Voi,
quindi, potete andare.” Alle parole del professore seguirono una serie di versi
di malcontento e il rumore dei passi dei suoi amici che si allontanavano. “Vado
a prenderle della cioccolata.”
Passarono alcuni minuti in cui Angie si concentrò solo
sul proprio respiro, immersa nell’oscurità delle palpebre chiuse, calmando i
battiti accelerati del cuore e cercando di recuperare la padronanza del proprio
corpo. Quando si sentì abbastanza tranquilla, provò a riaprire gli occhi e vide
torreggiare su di sé la faccia di Jessy, decisamente incupita. Le sue
sopracciglia nere erano aggrottate e la bocca si era stretta in una linea
severa, che ne rimandava tutto il malcontento.
“È colpa mia. Ci saremmo dovuti fermare prima. Mi
dispiace.” Le disse osservandola con un’espressione crucciata. Angie si schiarì
la voce e sentì la bocca impastata, ma parlò lo stesso:
“Non ho mangiato stamattina ed ero talmente presa
dall’idea di evocare il mio Patronus che non mi sono resa conto di aver
esaurito le energie. Non è colpa tua. C’è dell’acqua?”
James annuì e si allontanò. Tornò accanto a lei con un
calice di metallo nella mano destra e con la sinistra puntò la bacchetta. Senza
proferire verbo fece riversare un getto di acqua all’interno, riempiendolo
tutto.
Angie si puntellò sui gomiti e con calma, senza
movimenti bruschi, si mise a sedere. James si accomodò di fronte a lei,
lasciando le gambe a penzoloni fuori dalla pedana, e le porse il calce,
osservandola mentre se lo scolava tutto. Angelique si rigirò tra le mani
l’oggetto e il suo sopracciglio impertinente scattò in alto, seguendo la sua
intuizione.
“L’hai trasfigurato tu?”
“Sì Gigì, lezioni del secondo anno, ce la posso fare
anche io.” nelle sue parole si udì distintamente il tentativo di difendersi,
nonostante Angie non avesse in alcun modo usato un tono derisorio. Questo gesto
le ricordò la scena del libro di poesie di Pound, quando ad ottobre avevano
ritrovato Nana in sua compagnia in un corridoio deserto, con un sacchetto
gigante di patatine tra di loro. Si nascondeva.
La ragazza fece per ribattere e finalmente dirgli ciò
a cui aveva pensato durante la lezione di Dawlish, ma quest’ultimo fece il suo
ingresso sbandierando una stecca di cioccolata e obbligando Angie a mangiarne
almeno metà davanti ai suoi occhi prima di andarsene. E mentre il sapore
confortante del cioccolato le si sprigionava in bocca, pensò che non solo
Potter era cambiato, ma che con ogni probabilità era diventato un ragazzo molto
più profondo e intelligente di quanto non volesse far vedere agli altri.
***
“Ma stai bene? Sei sicura?”
“Sì, Al.”
Una lettera di protesta. Sì, poteva funzionare.
“Davvero non vuoi passare da Madama Chips?”
“No, Al.”
Una lettera di protesta indirizzata a Harry e Ginevra
Potter, in cui domandava per quale ragione non avessero usato il preservativo
sedici anni prima, causando in questo modo la rovinosa discesa della sua vita
nel tormento.
“Guarda che quel coltello non è la gola di Albus.” Le
bisbigliò ad un orecchio Elena inclinando il capo, su cui spiccava la nuova
colorazione di Magishampoo azzurro.
Martha si osservò la mano e vide che le sue dita erano
serrate attorno al manico con una forza straordinaria. Mollò la presa
all’istante come se si fosse scottata e la posata cadde sul tavolo. Il clangore
metallico si sentì nitidamente nonostante il gran ciarlare all’ora di pranzo,
così che gli occhi dei suoi amici e di quel cretino di Albus si volsero su di
lei.
La ragazza prese la caraffa con studiata lentezza e si
versò un’abbondante dose di acqua, ignorando gli sguardi indagatori. Bevve come
se nulla fosse, chiudendo le orecchie ai discorsi altrui per qualche attimo.
Era caduta nuovamente in preda alla rabbia accecante
che aveva provato dopo il Ballo di Natale. Non riusciva nemmeno a incrociare la
figura di Albus senza essere travolta da quei sentimenti ambivalenti che la
legavano a lui. Rabbia e desiderio. Tormento e sofferenza, acuti come la
puntura di uno spillo costantemente conficcato nel cuore.
Odio e amore.
Vi cedeva costantemente, senza possibilità di
resistere a quello che i suoi occhi le rimandavano: un giovane dall’animo
pulito e buono, intelligente, ironico, affettuoso, attento ai più deboli,
riflessivo, pieno di premure… Che non voleva stare con lei.
Si era chiesta a lungo che cosa poter fare al
riguardo, ma l’unica risposta che era stata in grado di darsi era stata un
desolante nulla. Nulla, se non incominciare semplicemente ad arrendersi
all’evidenza, come davanti a un piccolo lutto. Solo che trovava particolarmente
ostico uscire dalla fase della rabbia.
“Sapete che cosa mi hanno raccontato Lysander e Locarn
all’ultima lezione di chitarra?” disse Nana attirando l’attenzione degli amici
“Ci risiamo! Nana lo sai che non fanno altro che
rifilare panzane a chiunque!” si intromise Angelique guardando la ragazza con
espressione scettica.
“Questa non è una panzana!” Nana scosse vigorosamente
i corti capelli azzurri
“Ah no? Avanti, racconta.” La sfidò Angie incrociando
le braccia sul petto.
“Ok! Allora, esiste da secoli una setta segreta…”
“Oh, per l’amor del Cielo!” sbottò Angelique guardando
incredula l’amica.
“Zitta tu, sto parlando io! Stavo dicendo prima di
venire interrotta, che esiste una setta o confraternita, non so esattamente che
cosa sia, che chiama i Cavalieri di Santa Brigida.”
Un brivido gelido percorse inspiegabilmente la spina
dorsale di Martha, che si fece immediatamente più attenta alle parole di Elena.
Aveva la curiosa sensazione che non fosse un nome completamente nuovo.
“Pare che sia nata in Irlanda e che si sia presentata
negli ultimi… uhm… più o meno due secoli nella storia della Gran Bretagna. I
Cavalieri di Santa Brigida erano personaggi molto potenti, la loro reale esistenza
sfiorava il mito, si dice che appartenessero alle famiglie più antiche e che non
poche volte abbiano deciso le sorti della nazione. Per esempio, mi ha
raccontato Locarn che pare che abbiano partecipato alla Guerra di Indipendenza
Irlandese a inizio del secolo scorso.”
“Martha, tu hai mai sentito qualcuno dei tuoi parenti
parlarne?” chiese Scorpius voltandosi verso di lei.
“Non direi, i miei unici parenti irlandesi ancora in
vita sono tutti estremamente babbani.
Era mio nonno il mago.”
“Comunque,” riprese imperterrita Nana “questi
Cavalieri attorno all’anno 1880 erano riusciti a infiltrarsi a tal punto tra le
sfere di potere del Ministero della Magia inglese da scatenare una vera e
propria persecuzione a loro carico. Morirono quasi tutti, trucidati senza pietà.”
“Come i templari.” Mormorò Berty.
Nana si illuminò: “Esatto! Ma qualcuno riuscì a
sfuggire e rifondarono la setta. Dal momento in cui rischiarono l’estinzione a
causa del Ministero scomparvero dalle fonti ufficiali, iniziarono a muoversi
nell’ombra. Alcuni fanatici si sono finti appartenenti all’ordine nel corso
degli anni, ma sono sempre stati smascherati. I Cavalieri di Santa Brigida sono
lentamente sfumati nel mito. Fino a qualche settimana fa.”
Gli occhi grandi e verde scuro di Elena li passarono
in rassegna silenziosamente, aumentando la suspense generale. Era un’ottima
narratrice.
“Quando ricompaiono sulla scena seguono sempre uno
stesso schema, che inizia con delle sparizioni. Alcuni vengono ritrovati,
uccisi in modo orribile, altri svaniscono senza lasciare traccia. Ma sui corpi,
o su quello che ne rimane, vengono sempre trovate incise delle rune. Avete
letto sulla Gazzetta del Profeta di quella ragazza scomparsa a inizio febbraio?
Due giorni fa hanno ritrovato il suo corpo.”
Nana con un gesto teatrale posò sulla tavola
l’edizione della mattina della Gazzetta del Profeta del giorno precedente. In
prima pagina a caratteri cubitali veniva annunciato il ritrovamento del
cadavere di Allison Walker, ventisettenne scomparsa il primo di febbraio e
ritrovata in un bosco della campagna scozzese.
Un brivido scosse le braccia di Martha al pensiero che
quella giovane fosse sparita proprio il giorno del suo compleanno. Un presagio, fu la prima cosa a cui
pensò, ma allontanò rapidamente quello sciocco pensiero.
“Nell’articolo dicono che hanno fatto scempio del suo
corpo, ma il papà di Loc lavora alla Gazzetta e dice che quelli sul corpo di
Allison non sono segni qualsiasi, quelle sono rune.”
“Potrebbe essere opera di un pazzo. Potrebbero essere
semplici sfregi.” Obiettò Angie.
“Oppure potremmo essere davanti alla ricomparsa dei
Cavalieri di Santa Brigida!” esclamò Nana con gli occhi accesi dall’emozione
che solo un intrigo internazionale di portata biblica poteva darle.
“Povera ragazza…” bisbigliò Albus, guardando
tristemente l’articolo della Gazzetta.
“Grazie per il racconto dell’orrore Nana. Qualcuno
vuole il budino?” propose Scorpius con la sua solita urbanità inossidabile
anche di fronte a Cavalieri dell’Apocalisse e omicidi cruenti.
Martha come anche tutti gli altri scosse indignata la
testa, troppo inorridita dal destino di quella povera ragazza. Il suo sguardo
venne attirato da una figura a qualche metro da loro che proprio in
quell’istante si alzò da tavola. Era Sibyl Zabini che gettandosi occhiate sprezzanti
attorno incedeva regalmente verso l’uscita della Sala Grande.
Sulla scia dei pensieri cupi le tornò alla mente la
visione che aveva avuto qualche mese prima: un’immagine ormai quasi sbiadita
nella sua mente, quella di una schiera di uomini che uscivano da un rogo di
fiamme ardenti e indomabili.
Martha si frizionò le braccia in preda alla pelle
d’oca. Chiuse gli occhi per un istante e si concentrò sugli esercizi di
Occlumanzia che le avevano insegnato, grazie a cui riuscì ad escludere i
pensieri negativi e liberarsi di quella sensazione.
Fu quando decise di riaprili però che si rese conto di
essere osservata.
Si voltò alla propria destra e individuò le iridi di
giada di Albus colme di preoccupazione, ma subito dopo il ragazzo distolse lo
sguardo posandolo sul proprio piatto.
Una lettera di protesta. Sì... Oppure una faretra
piena di frecce e un arco.
***
“Prova a spostarlo di lato.”
“No Lucy, non si aprono le ante se lo mettiamo lì!”
“Ho capito, ma non c’è più spazio!”
“Angie non svenire un’altra volta, per favore.”
“Ho mangiato come un bue a pranzo, non c’è pericolo
Rose.”
“Ma è proprio necessario che sia tu a spostare quel
mobile?”
“Sì, perché voglio metterlo dove dico io, non dove
vuole piantarlo Leda!”
“Guarda che cercavo di fare spazio per le altre
mensole, ma qui è tutto così stretto… Ahia, merda!”
“Och! Hai battuto il mignolino?”
“Sì Lara! Se solo Dominique non avesse occupato metà
Quartier Generale con le sue cianfrusaglie avremmo un sacco di spazio in più
per le nuove merci.”
Dominique rimase impassibile sulla sua poltroncina ad
osservare le cugine sbuffare tra la polvere e faticare per spostare i mobili
della soffitta, cercando di ricavarne più spazio possibile. Non erano certo
lavori che le competessero, per quelli c’erano gli Elfi Domestici. Non capiva
perché non avessero ancora accettato la sua proposta di corrompere una di
quelle creature straordinariamente zelanti per pulire il loro Quartier
Generale. Era certa che se le avessero dato modo di parlare con Goldy avrebbe
arrangiato la cosa in un batter d’occhio. Le sue cugine alle volte erano così
ossessionate dalla segretezza da rendere tutto macchinoso.
“Non hai intenzione di cogliere il mio suggerimento e
cominciare a riordinare la tua parte, vero?” le chiese Lucy tergendosi con la
manica della felpa la fronte imperlata di sudore.
Dominique le sorrise con dolcezza e si alzò in piedi.
“No.”
Andò alla finestrella che illuminava la stanza e
osservando assorta l’esterno. Strano… Sarebbe dovuto arrivare già da un pezzo.
“Dominique,” la chiamò Rose con gentilezza “nessuno
pretende che ti si rovini la manicure…” Dom si girò di scatto e inspirò
rumorosamente, portandosi le mani al petto con aria costernata. Niente avrebbe
scheggiato il suo smalto, niente!
L’altra Weasley arricciò le labbra prima di proseguire
con lo stesso tono: “Stavo dicendo che nessuno vorrebbe mai che si verificasse
un’eventualità simile, tuttavia potresti per favore darci una mano ad
ottimizzare il poco spazio che abbiamo, magari semplicemente radunando i tuoi
scatoloni?”
Dominique osservò per un istante la catasta di cartone
accanto al tavolino di marmo dove elaborava i suoi prodotti. Poi guardò Lily,
Angie e Lucy intente a spostare con notevole fatica la pesantissima credenza di
noce. Infine i suoi occhi tornarono sul viso di Rose.
“No.”
Rose allargò le braccia esterrefatta, ma Dominique la
lasciò perdere, troppo concentrata a scrutare il cielo nuvoloso oltre la
piccola finestra. Nei minuti successivi le sue amate colleghe fecero di tutto
per suscitare in lei i sensi di colpa per la sua scarsa collaborazione, ignare
che l’unica cosa in grado di farla sentire davvero
colpevole fossero i pasti di nonna Molly.
Vista la miopia dilagante che la perseguitava sin da
quando era bambina, individuare un puntino minuscolo nel vasto orizzonte era
un’impresa quasi titanica, eppure l’entusiasmo per ciò che quella macchia scura
portava con sé fece il miracolo. Dom emise un urletto di gioia vedendo
avvicinarsi a gran velocità verso la soffitta dell’Ala Ovest due poiane,
impegnate nel trasporto di un pacco di dimensioni considerevoli.
“Ma che succede?” mormorò Angie osservandola
perplessa.
“Ho una sorpresa per voi!” annunciò estasiata
Dominique voltandosi brevemente verso di loro.
Spalancò la finestrella e, quando i rapaci arrivarono,
bloccò il pacco contro la muratura prima di sganciare le sicure sulle zampe
degli animali. Quando provò a portarlo dentro si rese conto che era veramente
pesantissimo… Forse aveva esagerato con gli ordini, ma d’altra parte dopo il cinquantesimo
articolo c’era lo sconto del 20%!
Trovò la soluzione nel lasciarlo semplicemente cadere
dal ripiano e una volta a terra lo rigirò per trovare l’apertura dello
scatolone. Le altre attirate dalle sue operazioni si erano avvicinate,
mettendosi attorno a lei a semicerchio. Quando vide il contenuto si mise una
mano sul cuore, emozionata.
“Oddio… sono bellissime.” Mormorò quasi commossa dalla
perfezione della sua opera.
“Ma cosa… Non ci posso credere!” esclamò Lucy mentre
il suo viso si accedeva in un sorriso entusiasta.
“Dom non lo hai fatto davvero. Ti prego dimmi che non
lo hai fatto davvero.” Rose ovviamente era in preda al panico, pensando a tutte
le ripercussioni che il suo gesto avrebbe avuto.
“Sei un genio, Dominique. Sei un fottuto genio.”
Commentò invece Angie.
Dom notò che Lily era l’unica del gruppo a non aver
ancora afferrato la questione e quindi prese una maglietta dalla pila ordinata
e la distese, per poi rigirarla e mostrarle il retro. Dopo un paio di secondi
l’espressione di Lily si illuminò di comprensione.
“Oh!” esclamò infatti Lily scoppiando a ridere subito
dopo.
Quando Dominique Weasley aveva un’idea geniale non
poteva non realizzarla, quindi aveva mantenuto fede alle proprie promesse di
febbraio.
Aveva fatto stampare le magliette commemorative del
giorno in cui Angelique aveva schiantato Celia Danes.
Erano bianche, di cotone egiziano, con impresso sul
davanti un semplice Stupeficium! e
sul retro la data 15-02-22 in
caratteri cubitali neri.
“Siccome sono divina, a dir poco straordinaria, a voi
tre ne regalerò una, ignorando le vostre insinuazioni di poco fa.” Disse
distribuendo a Lily, Rose e Lucy le magliette, poi si rivolse ad Angelique:
“Per te invece ho una cosa speciale.”
La bionda si fece avanti incuriosita e si chinò davanti
allo scatolone. Dom frugò qualche secondo nella pila di tessuto prima di
trovare l’unica maglia di colore diverso. Era uguale alle altre solo di un blu
intenso con le scritte glitterate argento, che luccicavano a metri di distanza,
estremamente poco sobria e perfetta per il suo scopo.
La estrasse vittoriosa e la porse alla sua legittima
proprietaria.
“Questa è la tua maglietta dei superpoteri Angie.”
“La mia maglietta dei superpoteri?!”
Dominique annuì gravemente: “La devi mettere quando
farai qualcosa di estremamente difficile e ti servirà l’energia delle Menadi
per affrontarla. È speciale.”
“Lo vedo.”
Gli occhi a mandorla di Angelique, fissi sulla scritta
davanti, erano quasi ipnotizzati dalla luce sgargiante dei brillantini, ma
quando li posò su di lei erano limpidi e consapevoli.
“Grazie. Davvero.” Mormorò sorridendole grata.
“Oh grazie a te, senza il tuo contributo non avrei mai
potuto stamparle e venderle a un galeone l’una!” Le strizzò l’occhio.
Angelique ridacchiò mentre Lily
urlava: “Un galeone l’una?!”
***
Le mani di Madama Chips erano ossute e affusolate, la
pelle dei polpastrelli invece era morbida e cedevole, fatto che conferiva a
quelle dita una consistenza particolare, riscontrabile solo nelle donne di una
certa età. Tuttavia erano forti, precise, senza alcun tremore a disturbarne
l’operato. Proprio come in quel momento in cui stavano affondando nel suo collo
e sotto la sua mandibola per palpare i linfonodi.
Era sabato mattina ed era scaduta la settimana di
vigilanza stretta a cui Madama Chips l’aveva sottoposta, così come le ronde di
James al suo fianco.
“Mi hanno riferito che sei svenuta ieri.” Disse
l’infermiera scrutandola dall’alto, sfruttando il fatto che fosse seduta sul
lettino.
“Ho avuto solo un calo di pressione.” Si giustificò
Angelique guardando di sbieco James.
“Uhm… Qui sembra tutto a posto. Direi quindi che da
lunedì puoi cominciare la tua punizione, signorina.”
“Va bene. A che ora devo essere qui?”
“Quando finisci le lezioni per due ore. Da lunedì a
sabato.”
“Ma sabato prossimo c’è il Quidditch!”
“Avresti dovuto pensarci mentre schiantavi la tua
compagna.” Le rimbeccò Madama Chips, tuttavia nei suoi occhi si accese uno
scintillio ironico. “Per una volta Dursley starai dalla parte di chi deve porre
rimedio ai danni del Quidditch.”
Angelique sospirò e si alzò dal lettino con un balzo.
Aveva una fame da leoni.
“A lunedì allora.”
La donna la salutò con un gesto sbrigativo mentre si
dirigeva con la sua cassetta dei medicinali verso il letto di un paziente.
Angie raggiunse Jessy e insieme varcarono la soglia dell’Infermeria.
“Sei libero dai tuoi obblighi Jessy.” Gli comunicò
chiudendosi la porta alle spalle.
“Peccato, mi deliziavo i tuoi colloqui con lei.”
Angie emise uno sbuffo dal naso accompagnandolo ad un
sorriso. Camminarono in silenzio, come spesso accadeva nel ritorno
dall’Infermeria, ma al contrario delle volte precedenti Angie non si godeva il
rumore ritmico dei loro passi e la rilassante quiete che li accompagnava.
Rifletteva se fosse il caso o meno di chiedergli l’aiuto di cui necessitava, se
ci fosse stato qualcuno di più indicato o di meno… Meno Jessy a cui rivolgersi!
“Jessy, sei bravo in Trasfigurazione?” gli chiese
all’improvviso, per poi rendersi conto di aver parlato davvero e di non averlo
solo pensato.
James si fermò e la guardò stupito, poi sbatté un paio
di volte le palpebre.
“Me la cavo.” Rispose scrollando le spalle.
Una tipica movenza da Potter ritroso, esattamente come
il fratello minore, pensò la giovane.
“Beh, io sono un caso disperato. Mi serve qualcuno che
se la cavi molto bene e che abbia già fatto i GUFO. Ho bisogno di imparare la
Trasfigurazione umana del quinto anno perfettamente, per recuperare i voti di
questo semestre.” Iniziò lei giocherellando con il braccialetto d’argento che
portava al polso sinistro.
“Tu non sei un caso disperato.”
“Oh, grazie! Sei molto gentile ma…”
“Sei un caso impossibile!” aggiunse lui sogghignando
apertamente.
“Sì beh, lo so! Non starei mica qui a chiederti di
aiutarmi se non fosse così!” ribatté piccata.
James a quelle parole incrociò le braccia sul petto e
la osservò inclinando il capo verso la spalla.
“Quindi Gigì stai chiedendo aiuto a me, per la seconda volta in una sola settimana. Ha
dell’incredibile devi ammetterlo! Perché lo stai facendo?”
Angie si morse il labbro inferiore e sospirò,
incredula che si fosse messa nell’ennesima situazione assurda con Potter. Altro
che Alchimista, la dovevano chiamare Masochista!
“Ecco vediamo… perché, tutto sommato, direi che ti
conosco, per prima cosa. Poi perché sei inspiegabilmente paziente e bravo a
spiegare. Terzo perché seguendo il corso di Trasfigurazione avanzata devi aver
preso almeno O agli esami dell’anno scorso e questo significa che sei bravo,
nonostante la tua modestia. E poi…”
Perché
mi fido di te.
“E poi?” incalzò lui.
“E poi perché sono misantropa e non ho altre
conoscenze al sesto anno. O meglio, non ho altre conoscenze con cui possa avere
a che fare senza rischiare il reflusso gastrico!”
James rise alla sua battuta, ma non si lasciò
abbindolare facilmente.
“Va bene. Ora dimmi: perché ti dovrei aiutare?” le
chiese mentre una luce vagamente maliziosa prendeva vita nei suoi occhi.
Angie quasi spalancò la bocca per lo stupore, perché
quella invece era una tipica espressione da Jessy, il ritorno di qualcosa di
lui che non vedeva da molto tempo. Il ritorno della sua Piaga d’Egitto. Le
venne voglia di ridere, ma si mantenne seria, era in corso una trattativa.
“Sono brava in Pozioni. Sono molto brava in Pozioni.”
“Buon per te.”
“Non hai capito una cippa, Jessy. Puoi chiedermi
qualunque cosa tu voglia e io te la procurerò. Pozione Polisucco, Felix
Felicis, veleni, Filtri d’Amore… Qualunque cosa tu voglia, io posso farla.”
Disse alzando il mento in una posa di sfida.
Ora, doveva ammettere di aver calcato un pochino la
mano per convincere Jessy. Non che fosse diventata in una notte la
reincarnazione della Blackthorn, ma si riteneva in grado di soddisfare le
richieste di un adolescente.
Notò che l’espressione di Potter si era leggermente
rabbuiata.
“Ti sbagli, ciò che voglio non me lo può dare una
pozione.” Le disse infatti distogliendo lo sguardo.
“Oh… Beh, allora temo di non avere alcun valido motivo
per convincerti.” Mormorò la ragazza stringendosi nelle spalle e ricominciando
a camminare.
Quello era un problema… Aveva assoluto bisogno di
qualcuno che le desse una mano col programma di Trasfigurazione. Forse avrebbe
potuto chiedere a Lucy. Le sue labbra si arricciarono spontaneamente al ricordo
della scenata colossale che Percy e Audrie avevano fatto alla figlia il giorno
in cui aveva ricevuto i suoi GUFO due anni prima.
Ricorrere a Rose le sembrava inopportuno, era già così
impegnata a impedire loro di finire al riformatorio Saint Flavus che portarle
via altro tempo sarebbe stato ingiusto, considerato che anche lei aveva i GUFO:
Magari Locarn? Sì, certo. Così all’esame avrebbe
trasformato sé stessa o l’esaminatore in ibridi inguardabili tra il regno dei
Nargilli e quello delle Chimere.
“Quando hai le lezioni di piano?” le chiese James
spezzando le sue riflessioni.
“Martedì e giovedì.”
“Bene, allora faremo lezione lunedì e venerdì. Cominciamo
già domani per vedere a che livello improponibile sei. Nel caso dovessi avere
gli allenamenti ti avviserò in tempo per spostare la data e…”
“Aspetta un secondo! Significa che mi insegnerai la
Trasfigurazione umana?!” esclamò incredula Angie.
“Sicuramente ci proverò, che poi tu riesca davvero ad
apprenderla è un altro paio di maniche.”
Si sarebbe dovuta sentire per lo meno offesa, sapeva
che sarebbe dovuta andare così. Eppure non ci riuscì. Tutto ciò che sbucò dalle
sue labbra fu il sorriso incontenibile che rivolse a James.
Aveva ancora una speranza di prendere dei buoni voti e
con questi di iniziare a costruire il suo cammino verso la scuola di Medimagia.
***
Scorpius aveva sperato con tutto sé stesso che la
domenica mattina da lui scelta per la sfida a scacchi con Rose fosse clemente.
Non aveva osato pensare al bel tempo addirittura, ma solo che non diluviasse. E
invece aveva ricevuto una bella sorpresa quando si era alzato quella mattina.
Alzò il viso al cielo azzurro e lasciò che l’aria
pungente gli scompigliasse i capelli chiari, che si spostarono in ciocche
disordinate sui suoi occhi. Era una giornata bellissima, come solo i giorni che
precedono la primavera possono essere, quando ci sono ancora strascichi
dell’inverno a rendere l’aria tersa e le nubi cessano di riversarsi in
temporali, quel tanto che basta per notare che tutto stava riprendendo a
vivere. Gli alberi secolari del parco avevano i rami impunturati di gemme e
foglioline tenere, pronte a ricoprirli rigogliosamente non appena avesse fatto
più caldo. Il Lago Nero brillava dei suoi cupi riflessi nella luce del mattino,
come ammonendo i presenti coi suoi flutti vagamente minacciosi.
La vide arrivare da lontano e ne ammirò la figura per
lunghi istanti indisturbato, perché Rose sembrava troppo occupata a scostarsi
dal viso le ciocche di capelli rossi, agitate dal vento irrequieto, per vedere
che la stava già aspettando. Indossava un mantello invernale blu, con
rifiniture di velluto, su cui la sua chioma e il viso dalla carnagione chiara
risaltavano in modo incantevole. Scorpius sapeva che appena sarebbe stata più
vicina gli occhi azzurri, di cui era perdutamente vittima da mesi, avrebbero
completato l’abbinamento raffinato scelto dalla ragazza.
Azzurri come i cieli della Cornovaglia, come il mare
che baciava la loro Nazione, come i lock scozzesi. Occhi profondi e ammalianti,
che riflettevano tutto l’acume e l’intelligenza della proprietaria, e che
finalmente lo guardavano. Salzard, gli facevano venire voglia solo di perdersi
e non ritrovarsi più in essi.
Era arrivata.
“Ciao Malfoy.” Salutò lei educatamente con un cenno
della mano guantata.
“Ciao Weasley.” Ricambiò il giovane indicandole il
posto davanti a sé sulla panchina dove aveva posizionato un cuscino.
La ragazza prese la sua stessa posizione a cavalcioni
della lastra di marmo, drappeggiandosi attorno al corpo il pesante tessuto blu
per ripararsi dal freddo.
“Come stai?” le chiese mentre disponeva i propri
scacchi. Lei alzò il viso dalla scacchiera e accennò un sorriso.
“Tutto bene, grazie. Tu?”
“Bene.” Rispose conciso rivolgendole un ampio sorriso.
“Immagino che tu sia arrivata armata fino ai denti.”
Il sorriso di cortesia di Rose si tramutò in uno
decisamente più sardonico e la giovane incrociò il suo sguardo.
“Sei pronto?”
“Ovviamente.” Rispose in tono sicuro, anche se
quell’occhiata lo aveva scombussolato fino al midollo.
Fu la prima volta che la vide all’opera e fu uno
spettacolo indimenticabile. Rose aveva una mente straordinariamente plastica e
reattiva, qualunque tentativo di confondere le carte in tavola o di sbaragliare
le sue difese veniva fermato prima che potesse causare reali danni. Lei era
indiscutibilmente non solo uno ma almeno due o tre passi davanti a Scorpius, la
struttura della sua tecnica era molto più solida del modo audace e spavaldo che
Malfoy stava usando, consapevole della propria imminente sconfitta.
L’espressione concentrata con cui cercava di portare a
termine la propria rivincita le faceva sporgere inconsapevolmente le labbra e
corrugare le sopracciglia rosse. Ogni briciolo della sua attenzione era stato versato
sulla scacchiera, tanto che durante l’ora abbondante che passarono sulla
panchina a giocare lei gli parlò solo per ringraziarlo quando le porse il tè
caldo che aveva portato per entrambi.
La pelle candida si era arrossata sugli zigomi e sulla
punta del naso a causa dell’aria frizzante, mentre i suoi capelli scintillavano
delle mille tonalità tra il color cannella, il rubino e il rame, in
quell’inatteso sole di fine inverno. Pensò che poche cose al mondo fossero
belle quanto Rose che vinceva e non si curava di nient’altro.
“Scacco matto.” Mormorò lentamente la ragazza
sollevando il capo vittoriosa.
L’indice di Scorpius si posò sul capo coronato del suo
re ormai defunto e lo fece cadere teatralmente sulla scacchiera di marmo senza
staccarle gli occhi di dosso. Nemmeno Rose sembrava avere intenzione di
abbandonare il contatto visivo, inebriata dalla vittoria e dall’aver
riconquistato il suo orgoglio.
“Sei ancora convinto di essere il migliore?” gli
domandò con aria di sfida.
Scorpius fece levitare dietro di sé la scacchiera,
lasciando vuoto lo spazio tra sé e la ragazza.
A
volte per vincere una guerra bisogna lasciare al nemico l’ebbrezza di vincere
una battaglia.
“Effettivamente sì, credo ancora di essere il
migliore.”
Le sopracciglia della giovane scattarono verso l’alto
sorprese e divertite, sbeffeggiandolo con un’espressione sarcastica. Scorpius
sentì le sue labbra sollevarsi in un sorriso al pensiero di quanto fosse troppo
Grifondoro per subodorare la trappola di un calcolatore mefitico come lui.
“Perché io ho vinto esattamente ciò che volevo: del
tempo con te.” Le rivelò avvicinandosi lentamente.
La giovane raddrizzò immediatamente la schiena ma non
arretrò davanti all’attacco di Scorpius, nemmeno quando le loro ginocchia si
sfiorarono, nemmeno quando una ciocca dei capelli chiarissimi del ragazzo le
solleticò una guancia.
A
volte per vincere una guerra serve conoscere la precisa arte del diversivo.
I loro volti erano separati dalla distanza di un
respiro. Gli occhi azzurri si spalancarono e rimasero vincolati a quelli grigi
e ombrosi di lui, che le riversavano addosso finalmente il proprio desiderio,
come una pioggia di frecce scagliata per fare breccia in un muro impenetrabile
di scudi.
Ma ogni difesa ha una falla. Basta sapere dove
colpire.
“Mentre tu massacravi i miei alfieri, io stavo
lottando da tutt’altra parte. Lottavo con la voglia di baciarti, proprio come
sto per fare ora.”
Scorpius sollevò piano una mano lasciando a Rose tutto
il tempo di scostarsi se lo avesse desiderato, ma lei rimase immobile, nemmeno
il suo petto sembrava più alzarsi e abbassarsi per respirare. Le accarezzò una
guancia sentendo la pelle infreddolita e liscia sotto i polpastrelli, poi la
posò sulla sua nuca, mentre i capelli della ragazza turbinarono attorno a loro
sollevati dal vento.
Eburnea e fiammeggiante allo stesso tempo, lo
attendeva sulla soglia di quel gesto che entrambi anelavano come l’aria dopo
un’apnea, con un’urgenza che schiacciava il respiro e faceva contorcere le
viscere.
Tuttavia prima che potesse dare il tocco finale alla
sua carica di cavalleria, prima che potesse prepararsi, prima che potesse
finalmente toccare a quelle labbra tanto desiderate, se le ritrovò addosso.
Rose lo baciò per prima, cogliendolo tanto di sorpresa
da farlo irrigidire per un secondo, prima di accoglierla tra le proprie
braccia. E se non fosse stato tanto assorbito dalla meravigliosa sensazione di
baciarla, se non fosse stato impegnato a dischiuderle le labbra, si sarebbe
sentito divertito dalla capacità che solo lei sembrava possedere di coglierlo
impreparato.
Tutto ciò che non erano lei e il suo sapore svanì
attorno a Scorpius.
Annegò nella sua bocca e la strinse a sé lasciando che
dalle sue labbra e dalle sue mani scaturissero tutte le promesse che a voce non
avrebbe mai pronunciato, che esse la rendessero parte di ciò che gli si scatenava
dentro ogni volta che la vedeva. Perché nel suo essere trasparente e affilata
come i suoi occhi lei sapeva giungere a parti di lui che non aveva nemmeno
pensato esistessero, perché la sua gentilezza lo disarmava più di qualunque
risposta ironica, perché era semplice e cervellotica allo stesso tempo, perché
non gliene faceva mai passare mezza.
La ragazza affondò le mani tra i suoi capelli e lo
trasse ancor più vicino, premendosi contro il suo petto. Rispose al suo bacio con
altrettanta passione, come se avesse finalmente lasciato correre liberamente
qualcosa che per troppo tempo era stato trattenuto.
La baciò dimenticando di respirare qualcosa che non
fosse il suo odore, la sua pelle, i suoi capelli, la baciò riversando nei
piccoli morsi provocatori che le lasciò sul labbro inferiore il desiderio a
stento imbrigliato, la baciò finché i suoi polmoni non gli comunicarono che
dovevano riossigenarsi e magari ossigenare anche quello che restava del suo
cervello. E fu quasi doloroso smettere di baciarla.
Rimase ad occhi chiusi, posando la fronte contro
quella di Rose e cercando di calmare i battiti del suo cuore. Anche lei aveva
il fiato corto, anche lei non riuscì a lasciarlo andare subito, con le mani
intrappolate tra i loro vestiti e i loro desideri appena svelati.
Quando dischiuse gli occhi tuttavia, vide che i suoi
erano già aperti e lo fissavano stralunati.
Fece per raddrizzarsi, ma non appena si mosse Rose
parve riprendersi in un baleno dallo stordimento e balzò in piedi. Lo guardò
sempre con quello guardo allibito, sorpreso da ciò che aveva fatto, da ciò che
avevano condiviso; l’immensità dell’azzurro incastonato tra le ciglia fulve gli
sembrò riflettere la valanga di pensieri che la stavano travolgendo.
Lei fece un passo indietro e si portò una mano al
petto, chiudendosi il mantello e probabilmente serrando a chiave le proprie
emozioni in un luogo in cui avrebbe potuto dimenticarle.
“Vuoi scappare Weasley?”
Qualcosa sul suo viso balenò per un istante, la
fierezza sgretolata di chi non è abituato a dare le spalle al nemico, ma per la
prima volta in vita propria sente di non avere altra scelta che la ritirata.
Rapida e leggera come le raffiche di vento che
scuotevano gli alberi Rose si voltò e si allontanò, fuggendo da quella panchina
e da lui, senza voltarsi nemmeno una volta.
“Non potrai fuggirmi in eterno, Rose.” sussurrò alle
sue spalle, come se potesse sentirlo anche a quella distanza.
Forse, si disse, dal modo in cui si era messa a
correre per cercare di mettere un ettaro di Parco tra sé e lui, se ne era già
resa conto anche lei.
In fondo era una delle persone più intelligenti che
avesse mai conosciuto.
***
La stupiva sinceramente che il Patronus di Jessy fosse
un lupo, avrebbe dovuto essere un avvoltoio, data la precisione metodica con
cui orbitava sulla circonferenza che aveva lei per centro.
“Hai finito?” gli domandò irritata.
“No. Sto pensando, quando ho bisogno di riflettere io
cammino.”
“E lo devi proprio fare attorno a me?!”
“Sì, considerato che tu sei l’oggetto delle mie riflessioni.”
Angie sciolse le braccia dalla posa conserta in cui le
aveva tenute, da quando James aveva interrotto la loro lezione per iniziare a
fare il condor. Erano ripartiti daccapo col programma dei GUFO e dopo
l’ennesimo tentativo, ovviamente, fallimentare di trasfigurare il colore del
pelo di un topolino, James aveva iniziato a camminare. O meglio a pensare, come
diceva lui.
“Senti, mentre cerchi di convincere i tuoi neuroni a
collaborare io continuo a ...” ma James si fermò all’improvviso e guardò la parte
davanti a sé, inducendola al silenzio.
“C’è qualcosa che ti blocca Gigì. È come se dentro di
te non capissi appieno che cosa stai facendo.” Mormorò voltandosi verso di lei
e osservandola come se stesse vedendo oltre il suo corpo, oltre la sua apparenza,
fino alla sua essenza. Poi il suo viso si illuminò, incendiato in un secondo da
un sorriso vittorioso. “Ma certo! Tu non sai trasfigurare le cose perché non lo
concepisci.”
Angie sentì la propria fronte aggrottarsi e la
mascella serrarsi, mentre la rabbia sostituiva qualunque altro pensiero logico
e coerente. Non lo concepiva? Non lo
concepiva?!
“No, no! Aspetta, non intendevo offenderti! Quello che
volevo dire è che il principio della trasfigurazione, come dice il nome stesso,
è il cambiamento. Per poter avere potere sulla materia di un oggetto, per
poterla dominare fino a cambiarne non solo la forma ma anche l’essenza, per
trasfigurare bisogna volere cambiare
le cose. Bisogna prefigurare dentro di sé il modo in cui interrompere l’unità
che costituiva prima il topo, o quella panca, o le tue sopracciglia,
frammentarla fino a disperderla e poi darle una nuova forma. È questo che tu
non riesci a fare. Tu non accetti il cambiamento.”
Uno schiaffo probabilmente sarebbe stato meno
traumatizzante che farsi fare il profilo psicologico da Jessy.
“Mmm… E come si può risolvere?” chiese quando
finalmente smise di boccheggiare stupita dall’analisi di Potter.
“Ah non ne ho idea! Suppongo che sia una cosa che vada
affrontata per gradi.” James scrollò le spalle e lei si sentì cogliere dallo
sconforto.
“Non sono brava a fare le cose a piccoli passi, nel
caso non te ne fossi accorto.”
“Anche questo rientra nel concetto di prima. Tu
preferisci traumatizzarti in una volta sola piuttosto che vedere le cose evolvere
pian piano.”
Le parole di James scesero dentro di lei lente,
depositandosi in profondità per farle comprendere che non stava solo cercando
di imparare la Trasfigurazione. Stava cercando di crescere, di andare avanti
con la propria vita, stava cercando di superare ciò che a Natale le aveva
macchiato l’anima come una cicatrice scura e coriacea. Ma lo stava facendo
realmente nel modo giusto? Stava davvero accogliendo i cambiamenti della
propria esistenza senza cercare di opporvisi?
Angie, stordita dalle proprie considerazioni, lasciò
James accanto alla cattedra dell’aula che avevano occupato per esercitarsi e si
diresse alla finestra. Sotto di lei un piccolo chiostro veniva delineato dalla
luce scintillante di quella mattina fredda e luminosa, rievocando
inevitabilmente un altro chiostro, un piccolo cortile in una zona quasi
dimenticata del castello.
Chiuse gli occhi per trattenere dentro di sé il dolore
sordo che le sbocciò nel petto, al ricordo di che cosa avesse condiviso con
Derek in quei mesi passati ad incontrarsi nell’ombra della sera. Desiderio,
colpa, amore, appartenenza, solitudine, tenerezza, complicità, oscurità.
Si morse le labbra quando la memoria del sapore della
sua pelle le esplose violento sulla lingua, quando rivide lo sguardo colmo di
desiderio, di protezione, di adorazione che le aveva rivolto prima di renderla
sua.
Un brivido viscido e spiacevole le fece tremare le
membra costringendola ad aggrapparsi alla cornice della finestra, conficcando
le unghie nel legno, nella speranza di arginare i ricordi che le vorticavano
nella mente.
La seconda e ultima volta che avevano fatto l’amore,
la mancanza dei suoi abbracci e della sua presenza ogni giorno, i risvegli
bagnati da lacrime versate in sogno, la convinzione serpeggiante di non essere
stata abbastanza per poter cambiare
il loro fato, la rabbia, la delusione, il baratro in cui era caduta e da cui
stava disperatamente cercando di allontanarsi.
Sua madre, magra e debole, consumata dalla malattia.
L’aveva lasciata da parte in quello che sarebbe potuto essere l’ultimo Natale
assieme per spassarsela con Shatten. La sua sorellina, Estelle i cui occhi
splendidi erano luccicanti di lacrime per le sue promesse mai mantenute.
“Angelique…”
Una mano di James si posò sulla sua spalla. Era grande
e solida, emanava un calore rassicurante in contrasto ai flutti di tenebra che
le erano appena dilagati dentro.
Come si poteva accogliere il cambiamento quando questo
lacerava la carne e l’anima? Come si poteva volerlo al punto da poterlo poi
padroneggiare?
Ricacciò indietro le lacrime e diede le spalle alla
finestra, affrontando Jessy.
Trovò come prima cosa i suoi occhi, delle stesse
tonalità di Ginevra, quella sfumatura bellissima che rendeva caldo tutto il suo
volto, altrimenti definito da tratti decisi e forti. La osservava in un modo
che la fece sentire contemporaneamente colta in flagrante e compresa. Era
fermo, teso come una corda di violino e con un’espressione di tormento a
scurirgli il viso.
Jessy sapeva a che cosa stesse pensando come se lei se
lo fosse stampato sulla fronte. Lo sapeva perché lui la conosceva, l’aveva vista quando lei stessa non era
stata in grado di affrontare il proprio riflesso, ma soprattutto perché continuava a vederla.
Si rese conto che desiderava dimostrargli che
nonostante cadesse ancora davanti ai propri demoni stava imparando ad
affrontarli. Voleva che lui le credesse.
Angelique sollevò la bacchetta e lasciò che il ricordo
ripescato dalla memoria qualche mattina prima la invadesse, come le aveva
insegnato Jessy.
Nonno
Etienne al pianoforte, sua mamma che cantava una canzone cullando tra le
braccia Estelle nata da pochi mesi, Tristan in braccio a papà che batteva il
tempo con le mani. La nonna che incespicava in un gioco lasciato sul pavimento
e quasi rovesciava il caffè. Le sue imprecazioni da carrettiere che si
mescolavano alla musica del nonno. E lei a fianco della persona che le aveva
insegnato ad amare la musica, che l’aveva sempre fatta sentire protetta. Il
sorriso del nonno scintillante come le luci dell’albero alle sue spalle, la sua
barba soffice. Il ricordo di un Natale in Bretagna.
Una
famiglia a cui tornare. Un amore che non lasciava ombre ma solo luce.
“Expecto Patronum.” Scandì lentamente e le sue braccia
furono scosse dalla forza dell’incantesimo.
Martha,
Albus, Elena, Scorpius e Berty attorno a un tavolo durante un pomeriggio di
studio, concentrati e silenziosi, vicini gli uni agli altri anche senza
proferire una parola. I loro vestiti fradici dopo una lotta a palle di neve, i
sorrisi divertiti e i capelli pieni di piccoli fiocchi. Gli abbracci di Albus,
la risata di Nana, le occhiatacce di Scorpius, le parole gentili di Berty, le
carezze delicate di Martha sui suoi capelli quando glieli asciugava.
Una
famiglia a cui tornare. Un amore che non lasciava ombre ma solo luce.
Dalla sua bacchetta si formò un nugolo d’argento
diverso dalle altre volte, più denso e meno sfumato, ma non ancora
distinguibile.
I
Sabato della Memoria, le crepes suzette di Roxanne, le parolacce di Lily, la
fragilità corazzata da guerra di Lucy, la saggezza di Rose, le magliette di
Dominique. James.
Una
famiglia a cui tornare. Un amore che non lasciava ombre ma solo luce.
La nube si plasmò nella forza dei suoi pensieri e si
staccò dalla sua bacchetta.
Un falco slanciato e aggraziato si sollevò in volo
sopra le loro teste e si esibì in qualche giravolta elegante.
Il suo Patronus era un falco, grazie al cielo non un
coniglietto peloso. Jessy non gliel’avrebbe mai fatto dimenticare altrimenti.
“Gigì!”
La voce di James era gioia e sorpresa allo stato più
puro, così come il suo viso quando lei abbassò gli occhi su di lui. Gli sorrise
mentre dentro di lei si formulava la risposta alle sue stesse domande.
Per accettare il cambiamento doveva viverlo. Per
volerlo e per padroneggiarlo doveva immergersi in esso, nella delicata bellezza
che il dolore della rottura degli equilibri portava con sé e che lei,
nonostante tutto, riusciva a riconoscere. Per respingere l’oscurità doveva
evocare il suo Patronus quotidiano, doveva ricordare a sé stessa quale fosse l’amore
da cercare e smettere di rimpiangere quello che l’aveva estraniata da sé
stessa, portata a chiudersi in una bolla di fragilità e di illusioni, lontano
dai suoi sogni.
Per accettare il cambiamento doveva accoglierlo
proteggendo sé stessa, non opponendosi né lasciandosi travolgere. Doveva
imparare a proteggersi.
“Pian piano.” Mormorò citando Jessy e il suo falco si
dissolse nell’aria, lasciando dietro di sé una scia luminosa.
***
Rose si portò una mano alla guancia e la sentì
scottare come se avesse avuto la febbre.
Che
diavolo aveva fatto?
Un gemito di disperazione
le sfuggì dalle labbra socchiuse mentre riviveva la scena che pochi minuti prima
l’aveva vista saltare addosso a Malfoy come un’indemoniata.
Qualcosa nelle sue
espressioni limpidamente lussuriose, nei suoi occhi duri come ardesia, nel suo
odore, qualcosa in lui aveva fatto
saltare ogni controllo. Gli ormoni, sì dovevano essere stati gli ormoni
dell’adolescenza a farle combinare quel macello.
I suoi ormoni si erano
messi a far casino urlandole solo di baciarlo e mordergli le labbra fini, di
cancellare con il tocco della propria lingua il ghigno saccente con cui le si
era rivolto, di afferrare senza pietà i capelli biondi e stringerli tra le
proprie dita, di premere i seni contro di lui mascherando il desiderio di
avvicinarsi molto di più di così. E lei li aveva ascoltati. Merlino se lo aveva
fatto!
Baciarlo era stato
incredibile. Violento quasi, liberatorio, dolce come la sua lingua nella
propria bocca.
Mai in vita sua si era
lasciata andare a tal punto ai propri istinti.
Un altro gemito si unì al
precedente e anche l’altra mano racchiuse la guancia nel palmo, dandole le
sembianze angosciose di un celebre quadro del mondo babbano.
E ora come avrebbe potuto
guardarlo ancora negli occhi senza morire di imbarazzo? Come avrebbe potuto
rifilargli le proprie battute sapendo quanto fosse bravo a tacitare le sue
labbra con le proprie?
Rose si era ferma nella
Sala d’Ingresso incapace di fare qualunque cosa, cercando di riflettere quando
il suo cervello aveva appena dichiarato sciopero e continuava a riproporle solo
l’odore di Malfoy, la consistenza delle sue labbra, il tocco delle sue mani attraverso
la stoffa dei vestiti.
“Rose?” qualcuno la toccò
chiamandola e la ragazza urlò per lo spavento facendo un salto.
Lily la osservò stupita,
la mano ancora protesa in aria verso di lei. Alle sue spalle Lucy e Dominique
la guardarono con espressioni analoghe.
“Rosie Rose che succede?”
le chiese preoccupata la Potter guardandola con tenerezza protettiva.
Rose si passò una mano
sul viso, cancellando in un baleno la propria espressione per sostituirla con
una neutra.
“Nulla, mi hai
spaventata. Stavo riflettendo e non vi ho sentite avvicinarvi.”
Sorrise alle cugine
sperando che non indagassero oltre, ma immediatamente si sentì perforare dallo
sguardo turchese di Dominique. Maledizione, era tanto miope quanto acuta le minime
variazioni d’animo altrui.
“Strano, ti abbiamo
chiamata anche dalle scale, ma cher.”
Disse infatti inarcando un sopracciglio.
Rose la guardò dritta
negli occhi e scrollò le spalle, come aveva visto fare innumerevoli volte a
James. Ma questo gesto sembrò firmare la sua condanna, perché l’altra la
osservò ancora più attentamente e Rose fu consapevole delle proprie guance
rosse, dei capelli in disordine e del mantello ancora indosso.
“Dov’eri?” le chiese con
un tono dolce come la melassa e pericoloso quanto una balestra a due centimetri
dalla gola.
“Nel Parco.” Ammise senza
problemi.
“Con chi?”
“Perché sarei dovuta
essere con qualcuno?”
La testa di Dominique si
inclinò verso destra, i suoi capelli lunghissimi le scivolarono come seta sulla
spalla e i suoi occhi si accesero di una luce maliziosa. Tuttavia non replicò e
Rose, ingenuamente, sperò di essere stata convincente.
“Stavamo pensando a dove
mettere il banchetto delle maglie oggi pomeriggio, hai qualche idea Rose?”
chiese Lucy ignara dello scambio appena avvenuto tra le cugine.
Rose si dimenticò in un
secondo di Malfoy e rivolse il suo miglior cipiglio di biasimo alle altre tre.
“Non ci posso credere!
Siete davvero intenzionate a vendere pubblicamente
quelle maglie?! È praticamente una dichiarazione di guerra.”
“Allora vale come sempre
la prima regola in battaglia.” Disse Lily facendo le spallucce.
“Sarebbe a dire?” chiese
Rose presagendo una risposta platealmente sconsiderata.
“Colpire prima, più forte
e senza pietà.”
Rose si mise una mano
sulla fronte affranta riflettendo su come fare a convincere quelle mentecatte
delle sue amiche che l’ultima persona da sfidare apertamente era Celia Danes.
Si avviò verso le scale con
le cugine alle calcagna, non si accorse quindi del fatto che Scorpius fosse
tornato al castello proprio in quel momento. Né tanto meno notò espressione
diabolica di Dominique quando questa vide come il giovane Malfoy guardava le
spalle di sua cugina.
Tempi duri attendevano la
povera Rose Weasley.
***
La riuscita dell’Incato
Patronus aveva esaltato a tal punto Gigì che questa aveva insistito per
studiare anche durante il pomeriggio, concedendogli a stento una piccola pausa
pranzo per trangugiare un paio di tramezzini.
Quando erano usciti verso
le cinque dall’aula aveva trovato un gran trambusto. Angie dopo uno sguardo
veloce gli aveva spiegato che si trattava della fila per acquistare le maglie
ideate da sua cugina Dominique e quando aveva visto gli oggetti in questione non
era riuscito a trattenere una risata. Dom gli aveva riservato il solito saluto
caloroso da dietro il piccolo banchetto a cui prendeva nota dei pagamenti e
distribuiva le magliette bianche.
Si erano dileguati
rapidamente e lui aveva dato per scontato accompagnarla fino alla sua Sala
Comune, nella speranza di prolungare fino all’attimo più estremo il contatto
con lei. Non era più come una volta quando si scontravano quotidianamente e a
lui sembrava di uscirne a pezzi, meno integro ogni volta che aveva a che fare
con lei.
No, qualcosa era
cambiato.
Lei sicuramente, ma anche
lui, e cambiando si erano scoperti molto più vicini di quanto non fossero mai
stati. Da vicino le ferite di ciascuno erano ben visibili, riconoscibili e
nitide come un’incisione, e non avevano mai finto che non ci fossero. Anzi le
avevano esposte sin dall’inizio, ponendole senza troppe cerimonie sul piatto
della bilancia.
“Grazie.” Gli disse interrompendo
i suoi pensieri. Teneva il capo leggermente chino verso le sue scarpe, come a
evitare un contatto troppo diretto.
“Figurati.”
“Vorrei potermi
sdebitare.” Insistette per l’ennesima volta Gigì alzando il capo e piantandogli
in viso un paio di occhi decisi.
“Non ce n’è bisogno.”
“E invece sì. Mi farebbe
stare meglio pensare che non stai buttando il via il tuo tempo ma che posso
ricambiare in qualche modo.”
“Sei testarda come un
mulo.” Sbuffò accelerando il passo tra i corridoi ombrosi dei sotterranei.
“Sì e sono anche
ostinata. Avanti, come posso aiutarti?” gli chiese con un sorriso furbo sulle
labbra carnose.
Continua
a sorridermi. Mi rimetti a posto ogni pezzo di cuore che mi hai strappato in
tutti questi anni.
“Mi aiuteresti smettendo
di essere così insistente.” Replicò invece lui con un identico sorriso.
“Non mi arrenderò! Ci
deve pur essere un modo per aiutarti.”
Oh
sì. Ma non credo lo approveresti.
James rifletté qualche
istante, ricacciando indietro le immagini completamente inopportune. Non poteva
certo lasciarsi sfuggire una simile occasione. Doveva per forza inventare qualcosa...
“Ho avuto qualche
difficoltà con la formulazione degli antidoti l’ultima lezione. Avresti un’ora
libera tra le tue punizioni e i tuoi adepti per rispiegarmeli?”
“I miei adepti?!” il tono
di Angelique era tra il divertito e il sorpreso.
“Sì, la tua setta di
amici che si aggirano attorno a te come se fossero i guardiani del fuoco
sacro.”
“Hai parlato con Elena di
recente?”
“Ieri, a lezione di
chitarra.”
“Ah eccoci! Si spiegano
le tue scelte lessicali. Comunque va bene, ti spiegherò gli antidoti.” E alzò
il mento in una posa vittoriosa, lasciandogli osservare il suo profilo.
Come avrebbe mai potuto
spiegare che cosa suscitava il lui la vista di quel naso vagamente alla
francese, la forma esatta delle sue labbra o la curva elegante del collo?
Provava un desiderio
impellente di toccarla, di sentire la sua pelle e i contorni del suo corpo a
contatto col proprio, in un modo così violento che spesso lo lasciava confuso,
col cuore palpitante. Non era ancora pronto a lasciare che quella giornata
passata insieme si chiudesse. Quindi mentì, di nuovo.
“A proposito di Elena,
posso seguirti nella Sala Comune? Dovrei chiederle un paio di cose sugli
accordi fatti l’ultima volta.” Domandò con tutta la leggerezza che non provava
assolutamente.
Si erano ormai introdotti
nel labirintico intreccio di corridoi che portavano alla Sala Comune di
Serpeverde e il viso di Gigì sembrò rabbuiarsi notevolmente.
“Sì, non credo che ci
siano problemi.” Rispose la ragazza, ma la sua voce era molto più strascicata e
indolente di poco prima.
“Che c’è?”
“Nulla, odio la
domenica.” Borbottò Gigì scrollando le spalle.
“E perché mai?” chiese
James con una punta di divertimento.
“Mi mette tristezza, è
lenta e malinconica. Non riesco a stare ferma e contemporaneamente non riesco a
concludere nulla. Mi snerva! Per lo meno prima potevo volare…” alle sue parole
seguì un broncio di malcontento che le arricciò la bocca carnosa.
James sorrise per
quell’espressione e si rese conto che erano arrivati davanti all’ingresso della
Sala Comune.
“Sei un essere inquieto,
Gigì. Come un torrente di montagna, tanto limpido quanto pieno di vortici e di
correnti contrastanti.” Le disse senza riflettere e ottenne come unica risposta
una lunga occhiata penetrante, prima che Angelique si voltasse verso la parte
per sussurrare la parola d’ordine.
In preda all’agitazione
per essersi lasciato sfuggire un commento così personale, il ragazzo quasi andò
a sbattere contro Gigì, che si era fermata sotto l’arco di ingresso e lo stava
guardando in volto.
“Da quanto tempo leggi le
poesie babbane?” gli chiese a bruciapelo senza alcun nesso logico con la loro
conversazione precedente.
La sorpresa di
un’osservazione così diretta, la tensione provocata dalla vicinanza così
stretta con lei, l’implacabile ispezione che Gigì operava sul suo viso gli
annebbiarono la mente. Avrebbe dovuto mentire ancora, negare, confondere, come
gli urlava il suo istinto.
Non avrebbe dovuto
consegnarle quella parte di sé tanto privata da non averla mai condivisa
nemmeno coi suoi famigliari. Eppure…
Eppure Angelique lo aveva
capito senza che lui dicesse nulla quel dettaglio. Eppure Albus gli aveva detto
tutto l’opposto: “Però forse l’unica
speranza che abbiamo di essere davvero ricambiati è essere noi stessi con ogni
forza, perché se l’altro non riesce a vederci completamente non amerà mai noi…
Amerà solo l’immagine che gli abbiamo dato.”
Come sapeva essere saggio
suo fratello quando non erano questioni che lo riguardassero in prima persona.
“Da quando avevo tredici
anni.” le parole salirono dalla sua gola con fluidità come se non attendessero
altro che venire liberate.
“E chi ti piace di più?”
gli chiese riprendendo a camminare lungo la Sala Comune silenziosa.
“Keats, Pound, Whitman,
Tennyson, Dickinson, Baudelaire, Neruda … Non credo che ti basterebbe tutta la
sera per il mio elenco. Hai mai letto qualcuno di loro?”
“Qualcosa qua e là, ma
non leggo molta poesia. Preferisco la prosa.” Gli rispose stringendosi nelle
spalle come scusandosi.
“I tuoi grandi classici.”
Le disse ricordando una conversazione avuta con lei mentre l’accompagnava da
una lezione all’altra. Lei sorrise di sbieco e imboccarono il corridoio del
dormitorio femminile.
“Oh sì, più è alto un
libro più lo trovo confortante… Ma cosa succede? Martha?”
Angelique scattò in
avanti verso la O’Quinn, che sostava fuori dalla loro stanza con le braccia
mollemente abbandonate lungo i fianchi. Quando la rossa si voltò verso l’amica
i suoi occhi erano vitrei e indicò con lentezza l’interno della stanza.
“Lo ha fatto di nuovo.”
Disse con tono sconsolato e Angelique voltandosi verso la direzione indicatale
spalancò la bocca. Una risata genuina e vagamente ululante uscì dalla stanza e
James decise di affacciarsi.
Si aprì davanti a lui uno
scenario pressoché apocalittico. I tre letti delle Serpeverde avevano le
coperte rivoltate, da uno pendeva tristemente il baldacchino, c’erano fogli
sparsi per tutta la stanza insieme a una vasta gamma di oggetti e vestiti.
Piume solitarie svolazzavano ancora in aria. In mezzo alla stanza Elena era
seduta a gambe incrociate e rideva sguaiatamente, mentre il suo viso si
ritraeva e le sue mani afferravano il vuoto.
“Dai, smettila di
leccarmi!” esclamò con scarsa convinzione e si ribaltò indietro sul tappeto, continuando
a ridere mentre scostava il capo a destra e a sinistra.
“Non ci posso crede… Ma
come ha fatto? Lei nemmeno li vede!” esalò Angelique mettendosi le mani tra i capelli e
scompigliandosi i ricci.
“Non lo voglio sapere.”
Mormorò Martha chiudendo gli occhi affranta e appoggiandosi allo stipite.
Angelique sospirò e si
voltò verso di lui, intuendo che non stesse capendo nulla di ciò che aveva
davanti.
“Nana ha portato un
cucciolo di Thestral in camera.”
James si morse le labbra
con forza, provando con tutte le proprie forze a non ridere, ma quando vide che
anche Gigì chinava il capo per nascondere l’espressione ilare, non si trattenne
più. Proruppe in una sonora risata, col sottofondo
del rumore degli zoccoli invisibili sul granito e le esclamazioni di Elena ad
accompagnarlo.
A lui, invece, la
domenica piaceva da morire.
Note
dell’autrice:
Ho tardato un po’ nella
pubblicazione di questo capitolo perché ho avuto parecchi impegni nell’ultimo
mese, quindi mi scuso se l’attesa è stata più lunga del solito.
Se seguite la pagina
sapete che ormai questa storia ha compiuto tre anni… Tre anni! Mi sento
veramente grata ed emozionata nel constatare che siete ancora così numerosi e
pazienti per i miei tempi biblici di scrittura. Quindi come sempre grazie a tutti
voi.
Un GRAZIE speciale a chi lo scorso capitolo ha commentato facendo
raggiungere a questa storia le 200 recensioni: Cinthia988, PaolaBaggins, vale_misty, cassidri, alice_dequattro e StrangerGirl.
Vi abbraccio e vi mando
tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 32 *** Cap.32 Istinti negati ***
Cap. 32 istinti negati
Cap.32
Istinti negati
Compito
dell’istinto è quello di precederci sempre di mezzo passo.
Helena
Anahva
Vedere
Elena china sui libri di propria spontanea volontà era un evento
tanto raro da sfiorare l’avvistamento della cometa di Halley.
Vederla
a tavola col viso sepolto tra le pagine e non nel suo piatto lo era
ancor di più.
I
capelli corti, tinti di recente di un azzurro sgargiante, erano stati
raccolti sulla sommità del capo, così da creare un ciuffo a
fontanella. I suoi occhi scorrevano rapidi sulla pagina, il dito
indice rosicchiato seguiva le righe, e nemmeno le provocazioni di
Scorpius quella sera riuscivano a distoglierla dalla sua lettura.
Aveva
preso la questione dei Cavalieri di Santa Brigida tanto seriamente da
aver iniziato a fare ricerche su di loro. Tanto da aver iniziato a
frequentare la biblioteca senza alcuna coercizione.
Martha
ne osservava divertita il profilo, mentre si domandava dove potesse
essere l’altra sua amica, quella che passava ormai quasi più tempo
con James Potter che non con i propri compagni di Casa, quella che
stava ricominciando a sorridere.
E
proprio a tal riguardo un pensiero la colpì. Angelique sorrideva sì,
ma non rideva. Non ricordava di averla più sentita ridere da… Beh,
onestamente aveva dimenticato l’ultima volta in cui aveva sentito
quel suo modo travolgente di ridere, il suono cristallino della sua
felicità.
“Senti
un po’ qua!” richiamò la sua attenzione Elena e si schiarì la
voce prima di iniziare a leggere. “Riguardo ai fatti che
coinvolsero la sommossa nel Ministero della Magia dell’anno 1882 le
notizie sono scarse e spesso contradditorie. Alcuni autori
dell’epoca, sfidando la censura imposta dal Ministero stesso,
riportarono che il giorno Primo di Agosto venne combattuta una
battaglia al Ministero in cui vennero uccisi molti. Coloro che
tentarono di prendere potere vennero identificati come appartenenti
alle famiglie Purosangue di Scozia, Irlanda e Inghilterra. Quasi
tutte le cronache sopravvissute all’insabbiamento delle prove
sostengono che fossero un gruppo di giovani col solo scopo di
conquistare potere, ma Arthemisius Copper (la cui attendibilità
storica è assai discussa) riporta che si trattasse di una setta
segreta e assai pericolosa, i cui componenti avevano poteri
impressionanti… È esattamente quello che stavo cercando! Devo
assolutamente trovare gli scritti di questo tizio. Lui sicuramente
sapeva qualcosa!”
“Temo
che incontrerai grosse difficoltà ad ottenerli.” si intromise
Scorpius allungando il collo per sbirciare il tomo di Elena. I tratti
affilati del suo volto si concentrarono in una smorfia aristocratica
con tanto di inarcamento del sopracciglio.
“Perché
mai?” sbottò Nana guardandolo torva.
Scorpius
prese una forchettata di patate arrosto e le masticò lentamente. Più
che un consueto tentativo di snervare Nana, sport preferito in
assoluto da Malfoy, a Martha sembrò che con quel silenzio il ragazzo
scegliesse le parole adatte.
“Arthemisius
Copper è un personaggio ambiguo. Alcuni lo definiscono un genio,
altri un folle, e il confine tra le due cose nel suo caso è davvero
labile. I pochi scritti autografi che ci sono giunti sono segretati
al Ministero, tanto è stata discussa la sua opera.” disse infatti
con tono pacato.
“Si
può sapere che cosa ha combinato questo tizio o hai intenzione di
tirarla ancora per le lunghe?”
Elena
Zabini era una ragazza incredibile, generosa, solare, dalla forza
d’animo inesauribile, ma totalmente priva di una qualunque forma di
pazienza.
“Esperimenti
umani. Ha sperimentato su esseri umani, cercando di isolare il potere
magico dalla persona che lo ospitava. Venne allontanato dalla
comunità magica e finì i suoi giorni in disgrazia, isolato nella
campagna gallese. O almeno così si dice.”
“Come
fai a sapere queste cose?” chiese stupita Martha.
“Le
famiglie Purosangue amano i pettegolezzi quasi quanto amano i
ricevimenti, così la storia si è tramandata di salotto in salotto
per tutti questi anni. Comunque, Elena, spero tu ti renda conto che
non troverai di certo dei libri di Copper nella sezione narrativa
della biblioteca di Hogwarts.” Scorpius si strinse nelle spalle e
rivolse ad Elena un sorriso insolente.
“In
effetti non sto cercando proprio in quella sezione, Malfoy.”
ribatté lei con un sorriso che denunciava da solo l’infrazione di
almeno una decina di regole della scuola.
“Elena!”
la rimproverò Martha con scarsa convinzione.
“Cerco
in quella di cucina, ovviamente.”
Risero
tutti mentre Elena chiudeva il suo libro e si versava più o meno
l’intera zuppiera nel piatto.
***
Aveva
un disperato bisogno di concentrazione.
Non
meditazione sui riccioli che sbucavano dalla treccia alla francese in
cui erano stati intrappolati.
Non
ammirazione di come le dita si muovessero rapide sul ripiano di
lavoro, scegliendo e misurando con cura gli ingredienti.
Concentrazione
sulle sue parole e sulle sue espressioni.
“Riesci
a seguirmi?” gli chiese Angelique voltandosi con un’espressione
molto seria.
“Sì.”
“Bene.
Quindi visto che abbiamo imparato a identificare i singoli elementi
che compongono il veleno complesso, dobbiamo capire come selezionare
il miglior Catalizzatore Magico.”
James
annuì e si morse le labbra, nascondendo il sorriso che gli era sorto
per l’utilizzo inconsapevole di quel plurale. Come se quella
piccola Vipera avesse mai avuto problemi nel capire la formulazione
di un antidoto. Era stata onesta quando gli aveva parlato delle sue
capacità di pozionista.
“Se
prendessimo per esempio un veleno che contiene la digitale purpurea,
quale catalizzatore sceglieresti per incrementare il potere di tutti
gli altri antidoti?” gli chiese mescolando con delicatezza il
contenuto del calderone, prima di spegnere del tutto la fiamma su cui
stava bollendo.
“La
digitale è cardiotossica, giusto? Quindi sicuramente non un
eccitante, come il tè o la caffè.” Replicò lui accomodandosi
finalmente sul proprio sgabello, in attesa che l’antidoto che
avevano preparato insieme decantasse il tempo necessario.
Angelique
inclinò la testa verso la spalla e annuì lievemente alle sue
parole, mentre aveva già ricominciato a riordinare il piano di
lavoro ingombro di ingredienti e strumenti per pesare, tagliuzzare,
sbriciolare e distillare.
“Questo
è esatto in linea generale. Tuttavia bisogna considerare anche la
proporzione degli altri elementi del veleno. Se anche ci fossero
delle tossine cardioattive come nel caso della digitale, ma gli altri
ingredienti avessero un’azione paralizzante o necrotizzante sui
tessuti periferici, non potremmo in alcun modo permetterci che il
cuore riduca la sua funzionalità.” Spiegò lei alzando un indice
in aria prima di allungarsi verso un barattolo di vetro e sfiorandolo
con il dorso della mano.
Quel
contatto fugace suscitò in lui l’istinto di trattenere il polso
sottile tra le proprie dita, per sentire ancora la consistenza della
sua pelle bianca.
“Ma
in questo modo non si rischia di mandare il cuore in fibrillazione?”
domandò James schiarendosi la voce e cercando di rimanere
concentrato sulla sua spiegazione. Angelique si voltò verso di lui
con un sorriso stampato sulle labbra, come aspettandosi la sua
obiezione. Il suo viso si animava di una passione sincera quando
parlava di pozioni.
“Sì,
ma un cuore in fibrillazione si può gestire con un incantesimo,
mentre una paralisi respiratoria o l’infarto del cuore stesso non
sono così semplici da risolvere.”
“Quindi
che cosa si dovrebbe usare in questo caso come catalizzatore magico?”
chiese quasi indispettito da tutte le sue repliche pronte.
“Una
sostanza vasodilatatrice per contrastare la necrosi, oppure un
chelante naturale delle tossine paralizzanti se ci fosse. Ovviamente
facendo attenzione che la digitale purpurea, o un suo analogo, non
siano il veleno principale, altrimenti sarebbe un disastro
vasodilatare. Dipende dal contesto generale, come quasi tutto ciò
che riguarda questa disciplina.”
James
sentì la propria bocca spalancarsi per lo stupore, ma la richiuse
subito, rivolgendole uno sguardo sospettoso.
“E
tu dove hai imparato tutte queste cose?”
“Dalla
Blackthorne, da mia madre e dalla biblioteca.” A quelle parole un
sorrisetto le increspò le labbra.
“Quale
parte della biblioteca Gigì?” incalzò alzandosi e avvicinandosi a
lei. Si ritrovarono spalla contro spalla e Angelique lo guardò da
sotto in su, mentre l’accenno di sorriso diventava un vero e
proprio ghigno.
“Quella
più divertente, mi sembra ovvio.”
James
rise di quell’espressione e dell’immagine di Angelique che
consultava libri dal Reparto Proibito con la stessa nonchalance con
cui Dom sfogliava le riviste di moda.
“Quale
specializzazione ha tua mamma?” le chiese incuriosito.
“È
una cardiologa. Ultimamente il fatto che lei curi il cuore delle
persone mi sembra abbastanza ironico.”
Era
la terza volta che si vedevano in meno di una settimana e ciò che
stupiva profondamente James era la spontaneità con cui affrontavano
qualunque argomento, dal Reparto Proibito alla mamma di Gigì. Quel
venerdì subito dopo aver ripassato insieme parte del programma di
Trasfigurazione, con qualche lieve miglioramento, Angelique aveva
insistito per aiutarlo con gli antidoti.
“Come
sta?” domandò continuando a guardarla negli occhi. Lei fece
altrettanto, ma si concesse un respiro profondo prima di parlare con
una precisione che sfiorava il distacco:
“Ha
subito un’operazione abbastanza dura. Le hanno rimosso una parte di
seno e dalle analisi che hanno fatto il tumore sembra più aggressivo
di quello che pensavano. Stanno valutando quando incominciare il
ciclo di chemioterapia.”
“Mi
dispiace.”
Angelique
fece un sorriso mesto e si strinse nelle spalle, come a scrollarsi di
dosso la tristezza che le aveva invaso gli occhi.
Quel
gesto, che le apparteneva come una delle sue dita o una gamba, così
connaturato al suo cercare di negarsi il dolore legittimo, lo colpì.
Il pensiero di quello che realmente stesse provando, senza
mostrarglielo, lo indusse ad agire senza riflettere oltre.
Una
delle sue mani coprì quella di Gigì, che stava cercando di chiudere
il barattolo delle lingue di camaleonte. Lei sussultò a quel
contatto e lo guardò stupita. Sotto i propri polpastrelli sentì la
tensione dei tendini sciogliersi e la mano di Angelique si abbandonò
nella sua, in cerca di quel conforto che non avrebbe chiesto
altrimenti.
“Non
devi sorridere per forza. Puoi essere triste. Puoi essere arrabbiata,
ne hai tutto il diritto.” Le mormorò e vide che le guance di
Angelique si erano arrossate. Gli rispose in poco più che un
sussurro:
“Lo
sono, tutti i giorni. Ma quando sono qui lascio fuori tutto ciò che
non riguarda le pozioni. Qui sono in pace.” E a quelle parole le
ombre negli occhi verdi si dissiparono davvero.
James
le lasciò andare delicatamente la mano e le rivolse un sorriso
ironico.
“E
tolleri la mia presenza nel tuo tempio zen?”
“Dobbiamo
scendere tutti a compromessi per ottenere ciò che vogliamo.”
La
leggerezza con cui aveva pronunciato quelle parole cozzò con il
significato reale che avevano per entrambi. Compromessi con sé
stessi, contro i principi a cui si erano costretti ad obbedire prima
di precipitare nel baratro, prima di iniziare a risalire, insieme.
“E
tu che cosa vuoi Dursley?”.
Angelique
distolse lo sguardo con un’espressione turbata. Non gli rispose e
prese un respiro più profondo del normale, così lui, puntellandosi
con una mano contro il ripiano, si chinò verso di lei.
“Che
cosa vuoi, Angelique?” le domandò ancora con voce più bassa e
insinuante.
Le
ci volle un attimo per ritornare padrona delle proprie espressioni,
ma in quell’attimo James scorse l’incertezza nei suoi tratti e il
battito rapidissimo di ciglia, con cui distolse lo sguardo dalle sue
labbra.
“Dipende,
in questo momento vorrei solo lo sformato di verdure.” Rispose lei
con voce incolore. E con una mossa casuale si spostò un po’ più
in là per recuperare una provetta di vetro.
Le
sue mani erano ferme mentre versava il contenuto in essa, senza che
nemmeno una goccia cadesse sul tavolo. Gli diede le spalle e finì di
sistemare le ultime cose, concedendogli di osservare la linea
elegante delle sue caviglie, che svasava dolcemente verso i polpacci
stretti nei collant scuri.
Quelli
erano gli istanti in cui desiderava con una forza cocente di vederla
perdere il controllo, di poter toccare e baciare ciò che più gli
aggradava, fino a vederla smarrire ogni lucidità, fino a sentire
quella bocca morbida spalancarsi in gemiti per lui. Ciò che di lei
lo attraeva, in un modo quasi ossessivo doveva ammetterlo, era la sua
vera natura, quella ferina, nascosta sotto la patina del controllo,
del finto distacco. Quando in realtà era la persona meno
indifferente che avesse mai incontrato. Il suo essere luminosa in
modo nascosto a chiunque non avesse avuto la volontà di vedere
oltre. E lui non vedeva l’ora di liberare la bestiolina selvatica
che abitava la sua anima…
“Jessy?”
“Sì?”
“Buona
fortuna per domani.”
“Grazie
Gigì.”
“Vedi
di vincere, io e Dominique abbiamo scommesso su Grifondoro.”
Selvatica,
come una rosa irta di spine.
***
“Ho
voglia di fumare.”
“Resisti
all’impulso. Ti fa male, ti costa un sacco di soldi e non ti dà
alcuna reale soddisfazione.”
“Questo
lo dici tu, che di soddisfazioni non ne sai una cippa.”
“Allora
va’ a cercare delle sigarette e abbandona questo letto comodo,
questa coperta calda e questo splendido libro di… uhm… chi è
questo qui?”
“Victor
Hugo?! Un babbano qualunque Albus, un tizio completamente
insignificante.”
Albus
rigirò il capo per guardare in viso Angelique e scorse il suo
sorriso sotto i baffi. Le rifilò un pizzicotto sul fianco e il
sorriso aumentò.
Un
venerdì sera qualunque, passato stravaccati sul letto, lui con la
testa posata sulle sue gambe, lei appallottolata in una coperta,
aveva il sapore della calma tanto agognata. I rari momenti in cui
restavano da soli avevano finalmente l’opportunità di
decomprimere. Loro due da soli erano un sistema che funzionava
secondo schemi semplici e perfettamente rodati, un sistema chiuso e
armonioso.
Albus
tornò alla sua rivista di Quidditch e sfogliò il catalogo delle
nuove scope della Coppa del Mondo, sperando che come sempre lo
cogliesse quel misto di meraviglia e contrizione che solo i manici di
scopa perfetti riuscivano a suscitargli. Tuttavia si rese conto ben
presto che nemmeno quello funzionava, come non aveva funzionato il
cibo, le lezioni o qualunque altra cosa avesse fatto in quei giorni.
Giorni
lenti e trascinati, giorni di vuoto, giorni che mancavano di qualcosa
di vitale.
O
di qualcuno.
Sospirò
cercando di scacciare il ricordo dello sguardo appannato dal
desiderio che gli aveva rivolto prima che la baciasse. Il sapore dei
suoi baci aveva reso quello di qualunque altra pietanza
insignificante.
Sospirò
ancora più forte quando invece gli espose negli occhi l’immagine
di lei che si portava una mano al petto in quello stupido sgabuzzino,
ritirandosi dalla sua presenza, come se avesse avuto un coltello
piantato nel cuore. Il cuore che lui non poteva accogliere perché
doveva proteggerla, perché doveva proteggere anche gli altri; ma
forse più banalmente, si disse, perché doveva proteggersi da
ciò che Martha significava per lui.
“Albus,
se sospiri un’altra volta ti crucio.” gli disse con dolcezza
Angelique dandogli un buffetto sul capo.
Si
voltò ancora ad osservare la sua migliore amica. La Cercatrice
talentuosa esonerata dal suo ruolo; la ragazza che aveva combattuto
con ogni molecola di anima e corpo per un amore che era diventato
cenere tra le sue dita; la figlia maggiore di una madre ammalata che
già sentiva le responsabilità calarle sulle spalle, come una cappa
di piombo.
Angelique,
che aveva trovato un modo per rimettersi sulle proprie gambe,
chiedendo scusa e imparando dai propri errori. Angelique che stava
cambiando e crescendo come non aveva mai fatto prima.
Con
quale coraggio le avrebbe potuto dire che aveva bruciato sull’altare
di uno scopo tanto nobile, e si rendeva perfettamente conto
altrettanto stupido, la possibilità reale di essere felice? Che
quella felicità, così a portata di mano che bastava semplicemente
accoglierla per averla, non poteva appartenergli?
Si
rese conto troppo tardi di aver sospirato ancora.
Angelique
si divincolò dal suo peso e si mise a gambe incrociate sul letto.
“Bene,
l’hai voluto tu. Ora ti crucio… metaforicamente parlando,
purtroppo.” disse serenamente mentre anche lui si sedeva per
fronteggiarla. “Sei un imbecille.” e dallo sguardo che gli
rivolse comprese che Angie sapeva già tutto.
E
un po’ si sentì sollevato. E un po’ si sentì schifosamente
colpevole.
“Non
posso fare altrimenti, Angie.” mormorò chinando il capo.
“No
Albus. Questo è quello che ti racconti per dormire la notte, quando
il rimpianto e il desiderio, che poi nel tuo caso poi sono la stessa
cosa, ti bruciano le budella. Sei un imbecille, perché sei riuscito
dove sembrava impossibile fallire: lei ti ama, tu la ami e non vuoi
stare con lei.”
Albus
boccheggiò allucinato.
“Mi
ama?”
E
a quel punto Angelique divenne violenta. Lo colpì sulla testa con la
mano aperta, usando tutte le sue forze per produrre quel suono ottuso
che sanciva la sua punizione.
“Ma
che cazzo hai nel cervello?! Secondo te Martha, la nostra Martha, ti
avrebbe baciato solo per togliersi lo sfizio di renderti un po’
meno disperatamente virtuoso? La Martha che conosci ti avrebbe
detto quelle cose solo per un desiderio passeggero? No ti prego, non
rispondere!” lo bloccò con una mano per aria quando lui aprì la
bocca. “Non so che cosa tu abbia pensato finora Al, ma lei ti ama.
Forse ti ha sempre amato. Ha avuto persino il coraggio di fare un
passo verso di te, quando non te lo meritavi, perché non può farne
a meno.”
Martha
lo amava.
Marta
lo amava! Quella consapevolezza era come elettricità nelle vene e
ghiaccio lungo la schiena… Tormento ed energia allo stesso tempo.
“Non
si può smettere di amare qualcuno, ma lo si può scegliere e si può
combattere per lui, oppure ci si può arrendere prima ancora che
tutto inizi.” Continuò Angie sbattendo gli occhi per disperdere il
velo di lacrime che li aveva resi lucidi.
Albus
avrebbe tanto voluto farle l’appunto che se lui era un imbecille,
lei forse era ancora peggio. Lei era una cieca imbecille
perché aveva davanti lo stesso tipo di amore e lo continuava a
ignorare. Avrebbe tanto voluto, ma non ci teneva a essere picchiato
ancora.
“Tu
pensi che una possibile rottura con lei rovinerebbe la nostra
amicizia, ma non ti rendi conto che è già successo e che forse è
peggio così. Camminiamo tutti sulle uova, in attesa che uno dei due
esploda. State lacerando voi stessi e noi, in silenzio, colmi di
tutta quella rabbia repressa che TU non ti decidi a sfogare in un
modo più divertente!”
“Angie!”
“Zitto
merluzzo! Sto cercando di farti partorire un’idea sana almeno una
volta in vita tua!” strepitò prendendolo per le spalle e
scuotendolo. “Ascoltami Al. Porca miseria, ascoltami o ti faccio
secco.”
E
il tono della sua amica si abbassò in una nota di preghiera, così
come le mani che si chiusero attorno alle sue stringendole
affettuosamente. Una preghiera intrecciata alle labbra e alle dita,
che gli toccò il cuore più di tutte le parole usate fino a quel
momento.
“La
vita è ingiusta, è crudele, è ignobile tante volte. Ma se c’è
anche solo una possibilità concreta di essere felici, di ridurre
tutto quello schifo al minimo indispensabile, abbiamo il dovere di
coglierla. Dobbiamo rendere la nostra vita un po’ meno ingiusta,
crudele e ignobile, per tutte le altre persone che non possono farlo.
Dobbiamo nutrire la speranza, altrimenti non c’è più alcun
senso…Tu devi darti una possibilità, anche se hai paura, anche se
andrà tutto male. Datti una possibilità di essere felice,
altrimenti non avrai mai vissuto davvero! Bisogna combattere, Albus,
bisogna combattere soprattutto quando non sembra esserci alcuna
speranza di vittoria.”
“Stiamo
ancora parlando di me?” sussurrò rapito dell’emozione che
sembrava divampare negli occhi e nel viso di Angelique.
“Sì.
E anche no. Comunque, per quello che puoi capire imbecille come sei,
la risposta è sì.”
“Sei
un Pesciolino molto sentimentale.” le disse sorridendo.
“Sono
un Pesciolino che sta male. E la sofferenza ci cambia, a volte non
sempre in peggio.” mormorò lei accarezzandogli una guancia e
abbracciandolo subito dopo. “Martha ti odierà, ti tratterà
malissimo, cercherà in tutti i modi di difendersi. Non arrenderti
Al. Non ancora.”
Nell’abbraccio
protettivo della sua amica, Albus comprese che doveva combattere non
per qualcun altro o per chissà quale onorevole scopo, ma solo per le
proprie possibilità. Scegliere Martha per scegliere sé stesso prima
di tutti gli altri, una volta tanto. Perché il distacco da lei gli
stava portando via la voglia di vivere, mentre la sola prospettiva di
riconquistarla gli dava la forza di un gigante.
Martha.
Era
un imbecille.
“Angie?”
“Che
vuoi merluzzo?”
“E
ora che faccio?”
“Ora
sono cazzi tuoi.”
***
“Secondo
te è possibile Rose?”
La
voce di suo cugino James la riscosse, quasi sobbalzò sentendosi
rivolgere quella domanda.
“Come
scusa?” chiese cercando di dissimulare il fatto che si fosse
distratta, ma sia Jamie sia Dom, ovviamente, se ne accorsero.
“Ti
senti bene Rose?” chiese infatti James chinandosi a osservarla.
Rose
notò solo in quell’istante che il viso del cugino era pervaso da
un’aria a metà fra l’incredulo e l’euforico.
“Ho
un po’ di mal di testa.” Mentì, ma non del tutto considerato
l’affollamento di pensieri che le congestionava la mente. “Che
cosa mi hai chiesto scusami?”
“Ti
ho chiesto se ti sembra possibile che Angie sia attratta fisicamente
da me.”
“Tutto
è possibile.” Esalò e nei suoi occhi si riprodussero le immagini
a luci rosse, quelle stesse che da ormai cinque giorni le affollavano
la testa e che avevano come protagonista indiscusso Scorpius Malfoy.
Le labbra di Scopious
Tutto
era possibile. Talmente possibile che lei aveva limonato pesantemente
il Serpeverde; che si distraeva in continuazione ripensandoci e
pensando ad altri scenari analoghi; che faticava a fare qualunque
cosa non fosse seppellire il viso nel cuscino per la vergogna.
All’ultima lezione di Storia della Magia non aveva nemmeno preso
appunti. Si stava ammalando!
“Potresti
essere un po’ meno criptica per favore?” chiese James
imbronciandosi.
“Beh…
Io credo che tra di voi ci sia sempre stata una sorta di… tensione.
È abbastanza facile che la tensione possa sfociare in attrazione,
soprattutto se continuate a vedervi così assiduamente. In ogni caso,
non credo che far leva sul questo punto sia la mossa migliore in
questa situazione. Angelique ha il cuore tutto ammaccato, è fragile,
piena di insicurezze e paure. Ha bisogno di qualcuno che le
restituisca fiducia nei sentimenti, in sé stessa, nel mondo.
Coinvolgerla in una relazione che sia improntata solo sulla fisicità
rischia di allontanarla ancora di più da te.”
“Non
sono d’accordo.” Intervenne Dominique scuotendo la testa.
“Secondo me tentare di coinvolgerla emotivamente, prima che
istintivamente, la spaventerebbe. Si ritroverebbe a rivivere
situazioni che sta cercando di lasciarsi alle spalle. Invece
risvegliare in lei la leggerezza, il piacere dello stare insieme
senza drammi le potrebbe dare ciò che non ha ancora avuto da un
ragazzo. Serenità, complicità, divertimento, scoperta reciproca,
una relazione pulita. Senza contare che le voci di corridoio dicono
che James ci sappia fare parecchio con le ragazze!” E Dom le
rivolse un occhiolino complice.
“Dominique!”
pigolò James in imbarazzo.
“Ma
Jimmy, tesoro, guarda che la soddisfazione sessuale è fondamentale
in una coppia! Scommetto il mio smalto di Dior che Schatten non è un
amante soddisfacente.” Esclamò la giovane alzando per aria il suo
naso sottile con una smorfia.
“Effettivamente
non hai tutti i torti…” mormorò Rose, mentre la sua mente
sull’onda delle parole della cugina si chiedeva se anche Scorpius
fosse bravo in tutto il resto come lo era a baciare.
Il
calore del suo corpo snello. Il sapore di tè nella sua bocca quando
lei l’aveva invasa senza alcuna delicatezza. Le sue mani sul viso,
tra i capelli, sulla schiena… Tenevano le stufe troppo alte per i
suoi gusti in quella camera, aveva un tale caldo!
“Ok.
Quindi?” chiese James a entrambe.
Rose
si voltò incerta verso Dominique, la quale sollevò le sopracciglia,
e insieme risposero:
“Boh!”
“Ah!
Non è possibile!” esclamò il ragazzo mettendosi le mani tra i
capelli.
“Mettiamola
così: cerca di capire quello che prova, ma non pressarla. Rimani
ancora sulle tue.” Suggerì Rose.
Dominique
si alzò con una mossa elegante e posò la propria mano affusolata
sulla spalla di James.
“Continua
a farti le seghe da solo James, ecco che cosa ti sta dicendo Rose.”
“Dominique!”
urlarono entrambi scandalizzati.
***
Lucy
iniziò a sospettare che qualcosa in sua cugina Rose fosse cambiato
il giorno in cui commise il primo errore in oltre un anno e mezzo di
vigilanza su di loro. Ne ebbe le conferme qualche tempo dopo, ma sul
momento giustificò l’accaduto pensando che chiunque potesse
sbagliare.
“Rose
stiamo preparando le cose per domani, hai per caso visto la pochette
di Roxanne?” domandò entrando nella camera della cugina. Non
ricordava più dove avesse lasciato la borsetta che utilizzavano per
stipare le scorte per i Sabato della Memoria, ma sicuramente Rose
avrebbe saputo risolvere l’arcano.
“Uhm…
Penso che Lily me l’abbia lasciata l’ultima volta, per
controllare che l’Incantesimo Estensibile fosse ancora
funzionante.” Disse Rose mordendosi il labbro inferiore con aria
meditabonda. Poi sua cugina si mise a cercare nel grande baule ai
piedi del letto a baldacchino.
Lucy
rimase a osservarla stranita per qualche istante e mentre Rose
borbottava da sola rovistando, poi provò a suggerire timidamente:
“Rosie,
forse potresti provare ad appellarla?”
“Oh!
Sì, certo!” esclamò Rose arrossendo ma agguantando rapidamente la
propria bacchetta.
“Accio
pochette!” scandì imperiosa e immediatamente una borsetta rosso
fuoco schizzò fuori dall’armadio finendo tra le mani di Rose.
Lucy
la osservò socchiudendo gli occhi.
“Che
ti prende Rose?”
“Nulla!”
si difese immediatamente l’altra voltandole le spalle. Poi si
accucciò davanti al baule per rimettere in ordine i propri oggetti.
Sembrava…
Isterica.
Lucy
si sedette accanto alla cugina e le posò una mano sulla spalla.
“Rose…
Sei per caso preoccupata per qualcosa? Hai preso un brutto voto?”
domandò cercando di essere comprensiva. Conosceva sua cugina e
sapeva che c’erano due cose in grado di turbare la sua placidità
da monaco buddista. Una era la scuola.
“NO!”
esclamò offesa Rose, come se fosse stato un insulto.
L’altra
erano le Menadi. Inspirò a fondo, cercando di sciogliere la
preoccupazione, prima di chiedere:
“Hai
ricevuto notizie preoccupanti dalla Taverna delle Lucciole?”
Rose
le sorrise dolcemente e posò il Libro di Rune Antiche per terra.
“No,
stai tranquilla! Non ho ricevuto ness…” e non finì mai la frase,
perché la voce le morì in gola.
Gli
occhi azzurri della giovane si spalancarono inorriditi e ogni colore
defluì dal suo viso, sostituito da un pallore spettrale.
“Oddio…”
mormorò terrorizzata. Non aveva mai visto Rose in quelle condizioni.
Mai, nemmeno quando aveva preso “Scadente” in Divinazione.
“Rose
ti prego dimmi che succede!” esclamò afferrandola per le spalle.
Rose
inspirò ed espirò rapidamente un paio di volte prima di riuscire a
parlare di nuovo:
“Ho
lasciato una lettera in Sala Comune.” Sussurrò flebilmente.
Non
comprese subito perché l’aver lasciato una lettera in Sala Comune
fosse tanto grave, ma quando si ricordò dell’associazione che
aveva quasi fatto venire un mancamento a Rose, credette di essere sul
punto di svenire anche lei.
“No…No!”
esplose scattando in piedi e precipitandosi alla porta, ma la trovò
bloccata.
La
scosse violentemente ma quella rimase immobile.
“Lucy
aspetta!” la chiamò Rose avvicinandosi con la bacchetta in mano.
“Non puoi precipitarti come una furia in Sala Comune. Se davvero ho
lasciato lì la lettera, dobbiamo cercare di non destare sospetti!”
Lucy
respirò a fondo, cercando di calmare il panico crescente. Si impose
di rimanere lucida e di riflettere insieme a Rose su come agire.
“Ok.
Ok. Va bene… Che cosa facciamo?” mormorò posando la fronte
contro la porta.
“Vado
io. Scendo in Sala Comune e controllo dove ero seduta prima. L’ho
lascia in un libro… Se c’è ancora.”
“E
se non ci fosse?”
“Ci
penseremo.”
Lucy
si allontanò per consentire a Rose di uscire e poi crollò a terra.
I suoi occhi fissarono il legno scuro senza vederlo realmente, nelle
sue orecchie il cuore martellava ovattando tutto ciò che la
circondava.
Non
riuscì a quantificare il tempo in cui attese Rose davanti alla porta
del Dormitorio del quinto anno di Grifondoro, perché in quei momenti
riuscì a pensare solo alle ipotesi più catastrofiche che fosse in
grado di immaginare.
Le
sue amiche espulse da Hogwarts, Benji arrestato, suo padre che veniva
a sapere del traffico illegale, Lily rinchiusa nel Riformatorio St.
Flavus per giovani maghi criminali senza speranza di redenzione, suo
padre che veniva a sapere della sua relazione con un uomo di otto
anni più grande.
Rose
non avrebbe più ritrovato la lettera. Qualcuno dei loro compagni
l’aveva trovata e letta. Erano sicuramente già state denunciate
alla preside.
Si
era ormai arresa all’inevitabile, si stava solo preparando alle
conseguenze che si sarebbero abbattute su di loro. Stava cercando di
raccogliere le forze necessarie per alzarsi e andare a distruggere
tutto al Quartier Generale, quando Rose spalancò la porta.
Il
suo viso era ancora visibilmente teso, ma stava sorridendo, e nella
mano destra teneva un libro.
“Era
sul divano, dove mi ero seduta prima a leggere! Scusa se ci ho messo
tanto, ma la Danes mi ha bloccata per non so quanto. Blaterava in
continuazione su quanto le piacerebbe che ci conoscessimo meglio.”
Le disse Rose chiudendosi la porta alle spalle.
Lucy
sentì la tensione allentarsi in modo così repentino che dovette
sdraiarsi sul tappeto e sospirò di sollievo. Si posò l’avambraccio
sugli occhi mentre sentiva le sue mani tremare.
“La
lettera è qui dentro. C’era scritto solo il conto dell’ultima
partita di alcoolici e il ritrovo per la settimana prossima.”
“Annulla
tutto. Di’ a Benji che potrebbe esserci stata una fuga di notizie.
E già che ti siedi alla scrivania, passami la bottiglia che c’è
nel cassettino in alto a sinistra.” Mormorò Lucy con voce più
roca del solito
“Che
ci fa del Firewhisky nella MIA scrivania?” chiese allibita Rose
estraendo una boccetta tascabile ancora intonsa.
“La
tengo lì per le emergenze. Ne ho messa una anche in camera di Lily e
un paio in quella di Dom.” si giustificò la ragazza tirandosi su
quanto bastava per ingurgitare una generosa sorsata di Firewhisky.
“Molto meglio.” Sospirò tornando sul tappeto.
“Mi
dispiace Lucy. Mi dispiace immensamente.” Mormorò Rose con gli
occhi bassi.
“Non
preoccuparti Rose, abbiamo risolto. Solo ti prego, se devi darmi
altre notizie del genere prima fammi bere. E poi fammi fumare.” Le
rispose tirando fuori il porta sigarette.
Quantificò
l’immenso senso di colpa di Rose quando accese la sigaretta dentro
la sua stanza, perché non espresse la benché minima protesta.
Tutti
potevano sbagliare, anche Rose Weasley.
Sarebbe
morta giovane se continuavano di questo passo.
***
“Madama
Chips sono davvero necessari tutti questi letti?” chiese Angelique
avvolgendo l’ennesima benda in quella mattinata.
“Sì.
Te l’avevo detto Dursley che avresti vissuto dall’altra parte
della barricata oggi. Metti un flacone di disinfettante e uno di
dittamo per ciascun letto, voglio che sia tutto pronto per quando
finirà la partita.” Rispose la donna consegnandole una scatola,
che tintinnò per il vetro delle boccette quando la ricevette tra le
braccia.
Angie
represse il sospiro che le salì alle labbra al pensiero della
partita ormai finita e iniziò a distribuire i flaconi. La squadra di
Jessy stava sfidando in quel momento quella dei Tassorosso.
Lo
aveva visto a colazione, vestito con la divisa scarlatta della sua
Casa, attorniato da amici e compagni già in fibrillazione per la
partita. Quando si era alzato Nana le aveva gentilmente fatto notare
che i calzoni rendevano pienamente giustizia alle sue natiche, di cui
la Zabini era una grande fan.
Dopo
il commento da parte dell’amica, Angelique non era aveva potuto
impedire ai suoi occhi di inseguire la figura di Potter che stava
uscendo dalla Sala Grande. Aveva scorto la schiena ampia fasciata dal
tessuto rosso, fasci muscolari che declinavano armoniosi verso i
fianchi del ragazzo. Si era persa per qualche secondo in un ricordo
dell’estate precedente, di quando avevano fatto il bagno tutti
insieme nel laghetto vicino alla Tana e lei aveva notato che il corpo
di James non era tanto nevrile come pensava, proprio no. Ricordava il
profilo dei suoi dorsali, che guizzavano nei movimenti del nuoto, le
sue spalle che avevano incominciato a definirsi molto di più e le
sue braccia…
Un
boato di urla proveniente proprio dal campo da Quidditch le fece
alzare il capo inconsapevolmente verso le vetrate. Si chiese chi
avesse vinto e una lieve ansia le pervase il corpo.
Avrebbe
dovuto sperare che i Grifondoro perdessero, perché questo avrebbe
avvantaggiato Serpeverde, che dopo la sua rovinosa caduta dalla scopa
aveva perso il primo posto in classifica. Eppure non riusciva a
volerlo davvero. Sperava che in fondo quella faccia da schiaffi di
Potter avesse conquistato un’altra vittoria, perché era bravo a
giocare, perché si impegnava con una tenacia lodevole, perché le
sarebbe dispiaciuto vederlo deluso…
Ma
che diamine stava blaterando?! No. No, Jessy doveva perdere così
alla partita successiva, che sarebbe stata Grifondoro contro
Serpeverde, avrebbero avuto più punti di scarto.
Allora
perché aveva scommesso sulla squadra di Potter? Ovviamente perché
lo aveva fatto anche Dominique, che non scommetteva mai se non era
sicura di vincere. Solo per quello.
Il
suo rimuginare venne interrotto dal rumore della porta che si apriva,
lasciando entrare anche i cori dei tifosi baldanzosi, che
inneggiavano alla vittoria dei figli di Godric Grifondoro. I volti
degli studenti dipinti di rosso e oro fecero da sfondo all’entrata
di numerosi giocatori.
Un
ragazzo, con una gamba sollevata da terra e le braccia attorno ad
altri due, comparve nella sua visuale. Era Fred Wesley, che giocava
nel ruolo di portiere e che era stato momentaneamente azzoppato.
Due
compagni di squadra gli facevano da stampelle, sostenendolo mentre si
avvicinava. Jessy era uno di loro, solo che il viso pulito, che
ricordava di aver scorto a colazione, era imbrattato di sangue. A
quella vista quasi le cadde la scatola con i flaconi.
Il
loro sguardo si incontrò attraverso il corridoio formato dai letti.
Nel
bianco pulito e semplice dell’Infermeria Potter era un tripudio di
rosso. Dovette leggere sul suo viso la preoccupazione perché le
sorrise e scrollò le spalle, comunicandole che stava bene.
Madama
Chips urlò il suo nome come se fosse stata un’aquila in volo.
“Arrivo
subito!” Esclamò lei allacciando in vita il grembiule bianco che
le era stato fornito poco prima. Si lavò rapidamente le mani nella
bacinella e poi corse verso l’Infermiera.
Nel
frattempo era giunta anche la squadra di Tassorosso, con uno dei
componenti mezzo svenuto e altri due parecchio malconci, tutti
accumunati da un umore nero.
“Partita
tosta.” Commentò dandosi uno sguardo attorno.
“Niente
di grave. Dursley, occupati di Weasley, aiutalo a stendersi e
immobilizzagli la gamba, solo la gamba! Non fargli l’Incantesimo
della Pastoia total-body.” Le ordinò la Chips con una delle sue
occhiate da rapace.
Sorrise
angelicamente alla donna, che in quella prima settimana aveva
imparato quale fosse il suo approccio ai pazienti recalcitranti.
“Se
li impastoiassimo tutti sarebbe molto più semplice.”
“Vero,
ma non sarebbe etico.” Commentò con un sorrisetto l’altra prima
di lasciarla, per andare a visitare il giovane giocatore di
Tassorosso, ormai collassato.
Angie
sfoderò la bacchetta e si diresse verso il piccolo gruppo di persone
che si erano già affollate attorno a Fred sfruttando l’apertura
dell’Infermeria e il caos che seguiva sempre una partita. La
giovane agguantò la spalla di un ragazzo del secondo anno di
Grifondoro e lo rigirò verso di sé. Lui sgranò gli occhi traendo
indietro la testa, spaventato dal vedersi incombere sopra il capo una
minacciosa aiuto-infermiera, e Angie gli disse senza tante cerimonie:
“Tu
non potresti nemmeno stare qui, quindi se vuoi restare renditi utile.
Fa’ il bravo e ti faccio avere l’autografo da Potter.”
“L’autografo
del Capitano?” esclamò lui in brodo di giuggiole. Angelique alzò
gli occhi al cielo. Com’erano prevedibili quei Grifondoro. E
rumorosi.
“Esatto.
Ora raccogli tutta questa marmaglia di tuoi simili e buttali fuori
dall’infermeria. Tranne i giocatori e quella ragazza coi capelli
castani, la vedi?”
Quando
il piccolo Grifondoro riconobbe Alice Paciock annuì lei proseguì:
“Loro possono restare, tutti gli altri sei autorizzato a
schiantarli pur di farli uscire.”
“Ma…
Ma io non so usare lo Stuperificium.” Balbettò il ragazzo in
ansia.
“Allora
usa i calci, quelli funzionano anche senza bacchetta!” suggerì
dandogli una spintarella verso gli altri alunni.
Angie
prese un profondo respiro e si fece largo attraverso la folla,
intimando a tutti di andarsene e non venendo minimamente ascoltata,
ovviamente.
“Ciao
Fred. Complimenti avete vinto!” si congratulò quando finalmente
riuscì ad arrivare al letto a cui era appoggiato suo cugino. Il viso
dalla pelle mulatta come quella della sorella Roxanne era pallido e
contratto. Le mani artigliavano con forza le coperte, cercando di
controllare il tremito per il dolore che provava in quel momento.
“Ciao
Angie! Grazie…” disse a denti stretti. Angie si chinò verso il
basso per vedere se ci fossero sanguinamenti dalla gamba destra del
ragazzo, ma la divisa era sporca solo dell’ordinario fango da
Quidditch.
“Che
hai combinato?”
“Ha
parato un tiro impossibile, si è capovolto in aria e ha picchiato lo
stinco contro l’anello.” Riassunse James guardandola dall’alto.
Angie annuì e poi guardò Fred negli occhi.
“Ok,
adesso cerca di non contrarre i muscoli. Ti devo immobilizzare la
gamba.” Disse con tono più calmo possibile, dimostrando una
sicurezza di sé che non possedeva appieno in quell’istante, ma che
aveva imparato essere fondamentale perché i pazienti si fidassero.
Fred le fece un cenno del capo.
Angie
puntò la bacchetta contro la gamba del ragazzo pronta a pronunciare
l’incantesimo ma una voce maschile la interruppe.
“Perché
non lo fa Madama Chips?”
Samuel
Dixon la guardava con un’espressione dubbiosa e ricca di sfiducia.
Si dovette mordere la lingua un paio di secondi prima di rispondere,
ricordandosi che in quell’Infermeria era solo un’aiutante per
punizione, non per una reale qualifica. Non sarebbe quindi stato
opportuno ricordare a Dixon che lei per lo meno non aveva mai surfato
in un mare di cacca davanti all’intera scuola.
“Perché
sono in grado di farlo e perché gli stati di incoscienza hanno la
precedenza. Come puoi notare Madama Chips è impegnata altrove.”
Rispose neutra.
“E
perché tu sei qui? Perché non eri a vedere la partita?” le
domandò ancora il ragazzo socchiudendo gli occhi come un detective
in piena corsa sulle sue deduzioni geniali.
Angelique
alzò lo sguardo e lo freddò con un’occhiata, sperò, abbastanza
minacciosa da scoraggiare ulteriori domande.
“Ehi
coso!” sbraitò richiamando il suo piccolo aiutante, che proprio in
quell’istante stava diplomaticamente convincendo un folto gruppo ad
attendere fuori dall’Infermeria. Il ragazzo si voltò con
un’espressione di panico. “Non mi sembra che tu stia facendo un
buon lavoro. Falli sparire. TUTTI!”
Il
ragazzo annuì e con più convinzione iniziò a far uscire gli
studenti, compreso quel microcefalo di Dixon.
“Ok
Fred, non preoccuparti non ti farà male.” Disse sorridendogli.
Prese
un respiro profondo. Si estraniò dalle voci tutte attorno e con
decisione pronunciò l’incantesimo per bloccare la gamba di Fred,
evitando che ulteriori movimenti potessero danneggiare i tessuti
attorno alla frattura, se ce ne fosse stata una, come era molto
probabile.
Subito
dopo eseguì anche un Incantesimo Antidolorifico e vide
immediatamente che tutto il corpo di Fred si rilassava, sollevato dal
dolore. Le rivolse un sorriso grato che lei ricambiò.
“Bene,
ora puoi stenderti.” Gli disse indicando i guanciali e, mentre i
suoi amici lo aiutavano nell’operazione, resa ardua dalla rigidità
della gamba, lui le parlò con voce giocosa:
“Ti
stendi anche tu con me?”
Angie
sentì le proprie labbra tendersi nel sorriso spontaneo che quel
buffone le strappava ogni volta, ma vide una mano fulminea alzarsi e
abbattersi contro la nuca di Fred, con un sonoro ceffone. James
trafisse con uno sguardo truce il cugino e lo rimbeccò spingendolo
sui cuscini come un sacco di patate:
“Lasciala
in pace che sta lavorando!”
Fred
si limitò a sogghignare senza nemmeno lamentarsi per il colpo
ricevuto e mise le mani dietro la nuca. Forse, si trovò a pensare
Angie, sarebbe stato meglio lasciarlo dolorante.
Con
un colpo di bacchetta aprì il tessuto della divisa sullo stinco per
visualizzare lo stato della gamba che le apparve immediatamente
gonfia e col principio di un ematoma nerastro. Con delicatezza posò
le dita della mano destra sul punto infortunato e provò a palpare
l’osso sottostante, sentendo immediatamente una punta sporgere
sotto la pelle. Fred lanciò un urlo sobbalzando sul materasso.
“Scusa
Fred. Madama Chips!” chiamò urlando per sovrastare le voci
attorno.
“Che
c’è Dursley?”
“Credo
che la gamba sia rotta!”
“Ma
grazie tante! E mi faresti la grazia di dirmi com’è questa
frattura o devo mandarti un gufo?”
“Frattura
della tibia, probabilmente scomposta, c’è un frammento di osso che
si sente alla palpazione!” borbottò girandosi per guardare il
letto di fronte, dove la donna stava armeggiando con alcuni flaconi
dal colore poco invitante.
“Ottimo.
Allora dà una pozione al Signor Weasley per non fargli sentire
dolore, tra poco gli sistemerò la gamba. Merlino, quanto odio il
Quidditch!”
Angie
eseguì gli ordini e prese dall’armadietto delle pozioni quella che
aveva l’effetto analgesico più forte. La portò a Fred, il quale
bevve senza lamentarsi per il cattivo sapore, che sembrava accumunare
tutte le pozioni curative.
“Potrebbe
darti un po’ di sonnolenza.” Lo avvertì prima di vedere la sua
testa ciondolare e ricadere sui guanciali pesantemente. Angie si
strinse nelle spalle e si guardò attorno, ricambiata da numerose
occhiate perplesse.
“Bene,
chi altro ha bisogno?”
Guarì
il livido violaceo attorno all’occhio del Cacciatore e la
distorsione del polso del Battitore di Tassorosso, mentre tra i
Grifondoro rilevò solo qualche sbucciatura. Il suo piccolo aiutante
compì il proprio dovere liberando gran parte dell’Infermeria e
finalmente la calma scese nella stanza.
“Lo
hai steso Dursley?” domandò la Chips guardando con cipiglio severo
il corpo russante di Fred e poi lei.
“Non
l’ho impastoiato! Gli ho dato la pozione a base di valeriana e
antidolorifici.” Si difese alzando le mani “Non era previsto che
si addormentasse… Però in questo modo lui non soffrirà e lei
potrà riposizionare l’osso. Doppio vantaggio!”
“Uhm…”
mugugnò l’altra, anche se Angie sembrava che fosse divertita. In
poche mosse riposizionò l’osso e lo risaldò, suscitando tutta
l’ammirazione di Angie per l’unione di abilità manuale e magica.
Una
volta constatato che nessun altro avesse bisogno del suo aiuto, la
ragazza si slacciò il grembiule e, mentre chinava il capo per
toglierselo, vide Potter che tentava di svignarsela dall’Infermeria
ancora tutto macchiato dal suo stesso sangue.
“Jessy,
dove pensi di andare?” lo richiamò, facendo sì che anche gli
occhi della Chips lo individuassero. Le bastò una frazione di
secondo per socchiudere le palpebre con disapprovazione.
“Potter,
siediti. Là.” Ordinò secca la donna indicando uno dei lettini
ancora immacolati. Jessy ebbe il buon senso di non obiettare e si
limitò sedersi con le spalle ricurve dove gli era stato detto.
“Dursley, mentre sveglio il Signor Weasley, prova a ripulire quella
faccia lurida.”
“Era
proprio necessario?” borbottò Jessy quando lo raggiunse.
Gli
occhi foschi e le macchie di sangue sul mento e sulle labbra gli
conferivano l’aspetto simile a un lupo a fine caccia.
Angie
pensò, non per la prima volta, che dentro di lui ci fosse molto di
più di quello che lasciava intravedere al mondo. Jessy era, a modo
suo, un illusionista.
“Sì
Potter. Sei in Infermeria, quindi devi obbedire alla legge del Grande
Capo.” Spiegò Angie imbevendo una garza con acqua tiepida e
disinfettante.
“Posso
fare da solo. Sono abituato.” L’anticipò lui tendendo il palmo
sinistro sporco di terra.
“Stai
scherzando? Hai le mani più luride della tua faccia, per usare le
espressioni della Chips. Ora sta fermo.”
Posò
la mano sinistra con decisione sulla sua mandibola inclinandola in
modo da poter ripulire la guancia. La sua pelle era calda e sotto i
polpastrelli sentì la lieve puntura della barba in crescita. Levò
lo strato di sporco e di sangue secco, passando con cura dalle guance
al mento, fino a raggiungere il naso e la bocca, dove trovò il
taglio causa di tutto quel pandemonio.
Era
una lacerazione profonda, che se non disinfettata adeguatamente
avrebbe potuto lasciare una cicatrice sul labbro inferiore. Buttò
via l’ennesima garza sporca e ne prese una immacolata. James
fissava la parete opposta, respirando appena, teso come una corda di
violino.
“Ti
sto facendo male?” si informò tamponando delicatamente la
spaccatura sul labbro inferiore che aveva ripreso a sanguinare.
“No.”
Sussurrò lui e abbassò lo sguardo su di lei.
Angie
sentì il suo respiro solleticarle l’orecchio destro e si rese
conto di essersi avvicinata per medicarlo, tanto da trovarselo a
pochi centimetri. Tanto da essere entrata nello spazio incorniciato
dalle sue gambe a penzoloni sul materasso, assumendo una posa intima.
Respirò per allontanare il pensiero della vicinanza del corpo di
Jessy, ma così facendo una zaffata del suo odore la raggiunse
inaspettatamente.
Il
solito profumo di sapone si era mescolato a quello lievemente acre
del sudore, creando un miscuglio che mosse qualcosa dentro di lei,
come un crampo alle viscere. Quel qualcosa risvegliava in lei il
desiderio di affondare il naso nei suoi capelli scuri e i denti in
quella pelle bollente.
Sbarrò
gli occhi per il pensiero appena formulato e le cadde la garza dalla
mano, posandosi sulla gamba di Jessy. La recuperò sforzandosi di non
toccarlo ulteriormente, ma le scivolò ancora, così che con un colpo
stizzito la lasciò andare a terra.
Gli
occhi ambrati di James seguivano i suoi movimenti come se la stesse
studiando, e tra quelli e il confine violato del rispettivo spazio
vitale, Angie sentì un fiotto di calore salirle dal collo verso le
guance.
“Come
hai fatto a tagliarti così a fondo?” gli chiese finendo finalmente
di ripulirlo e allontanandosi quanto bastava per ricominciare a
respirare.
“Ho
preso una gomitata da Rochester mentre segnavo il quindicesimo punto.
Aveva una cerniera da qualche parte perché ha fatto un male porco.
Quel demente ha pensato di fermarmi così, invece che provare a
prendere la Pluffa.”
“Immagino
che poi i tuoi battitori gli abbiano restituito il favore con quell’
occhio nero.”
Il
ragazzo sogghignò quel tanto che la ferita gli permetteva senza che
riprendesse l’emorragia.
Angie
recuperò l’Essenza di Dittamo e ne versò alcune gocce nel palmo.
“Ahm…
Dovrei… Ti dispiace?” chiese con notevole imbarazzo.
Qualcosa
di indecifrabile passò negli occhi di James che prese un profondo
respiro prima di chiuderli. Frustrazione forse? Comprensibile, visto
che non vedeva l’ora di festeggiare e invece lei lo aveva relegato
sul lettino per sperimentare le sue doti da Allegro Chirurgo.
Le
labbra di Jessy si dischiusero e lui sporse leggermente il mento per
favorirle l’operazione.
Tamponò
l’indice contro il taglio, sentendo il contatto caldo con le sue
labbra e il respiro che da esse usciva. Sotto il tocco delle sue dita
la pelle si rimarginò quasi istantaneamente e lei si attardò un
secondo di troppo nel saggiarne la consistenza.
Lui
aprì gli occhi e Angelique si trovò trafitta dalle iridi ambrate.
Un
lupo, a caccia.
Provò
a dire qualcosa, ma il suo cervello era completamente fuori uso.
“Dov’è
il mio autografo?”
Sobbalzarono
entrambi a quell’intrusione inaspettata. Angie si premette una mano
sul petto, dove il suo cuore batteva all’impazzata, e guardò
malissimo il Grifondoro.
“Ti
sembra il modo di avvicinarti alla gente? Mi hai fatto prendere un
infarto!” si lamentò rivolgendogli un’espressione truce ed
evitando accuratamente di guardare negli occhi Jessy.
“Il
mio autografo.” ribadì il piccolo Grifondoro porgendole un pezzo
di pergamena e una piuma autoscrivente.
Lei
li prese tra le mani e si voltò verso Potter.
“Ehm…
Senti Jessy, non è che ti andrebbe di fare un autografo a questo
coso?! Mi è stato molto utile prima, mi dispiacerebbe deluderlo.”
Non
era affatto vero, ma aveva imparato che coi Grifondoro spesso i
sentimenti funzionavano molto meglio delle minacce. James la guardò
inizialmente perplesso, poi i suoi occhi si spostarono sul ragazzino
che in imbarazzo spostava il peso da un piede all’altro.
“Immagino
che, al contrario di come pensa questo esemplare umano di
indelicatezza, tu non sia Coso. Come ti chiami?” chiese con un
sorriso che gli tese le labbra appena rigenerate e diede conferma ad
Angie di aver medicato bene la sua ferita. Certo, perché continuava
a fissargli quella bocca generosa ed espressiva solo per accertarsi
che non sanguinasse più.
“Edward.
Sono nella tua stessa Casa.” aggiunse il ragazzo con un’espressione
improvvisamente timida, tanto quanto prima era stato sfacciato con
lei.
“Lo
so.” rispose James. “Hai partecipato alle selezioni per il ruolo
di Cercatore a settembre. Perdonami, non mi ricordavo il tuo nome.”
“Oh.”
esclamò Edward stupito dal fatto che uno studente più grande come
James si ricordasse di lui. “Nessun problema.”
Angie
depositò il foglio sul lettino insieme alla piuma e lasciò i due a
chiacchierare, richiamata da uno dei gesti sbrigativi con cui Madama
Chips richiedeva la sua presenza.
E
mentre se ne andava si rese conto che un senso di costrizione, di cui
non si era accorta fino a quel momento, si scioglieva dentro di lei,
facendola respirare in modo più libero.
Quando
raggiunse l’Infermiera si rese conto che sia Fred, ormai rinvenuto
e con la gamba sana, sia Alice la stavano guardando sottecchi,
vagamente angustiati.
***
La
Sala Comune deserta, semplicemente idilliaca.
Un
sospiro di pura beatitudine fuoriuscì dalle labbra di Martha.
La
maggior parte degli studenti era andata a vedere la partita di
Quidditch, lasciando la scuola silenziosa e quieta come non l’aveva
vista quasi mai.
Angelique
era a scontare la sua punizione in Infermeria. Elena aveva rinunciato
persino alla partita pur di continuare le sue ricerche, affermando di
essere ormai sulla strada giusta. Così anche lei si era ritrovata
silenziosa e quieta in quel sabato mattina, ormai prossimo alla fine.
Assaporava
il sapore dolce del tè sul palato, sprofondando ancor di più nella
poltrona. L’aroma dei chiodi di garofano, della cannella e di altre
spezie la rilassò abbastanza da concederle di iniziare gli esercizi
di Occlumanzia.
Sapeva
di averne bisogno, sapeva di dover preparare la sua mente e il suo
corpo alla visione che da giorni le mandava i segnali del suo arrivo
imminente. Per quanto implacabile, se non altro la sua chiaroveggenza
era beneducata, avvisava sempre prima di una visita.
Fissò
le fiamme verdi nel camino e immaginò che tutto dentro di lei fosse
una tela bianca, una stoffa immacolata e perfettamente stirata. Come
le avevano insegnato, prese tutti i ricordi che erano come tanti
chiodi dolorosi nella carne e li tolse, uno a uno, per sostituirli
con la pulita e asettica presenza del bianco.
Di
solito lasciava per ultimo il più doloroso e difficile da estirpare.
Quello su cui le sue lacrime avevano creato la ruggine che ora le
pervadeva anche il sangue, quello che nonostante tutto riusciva a
strapparle insieme ai singhiozzi di dolore anche quelli di gioia,
l’unico chiodo che la tenesse ancorata alla vita quando le visioni
gliela volevano strappare.
Albus.
Quel
giorno chiuderlo fuori le sembrò più difficile del solito. Appena
pensava di averlo isolato ecco che un ricordo nuovo, prepotente le
sfuggiva dalle maglie dell’Occlumanzia. Era quasi come averlo
davanti e non poter ignorare il modo meraviglioso in cui i suoi occhi
la cercavano, trovandola sempre.
Era
quasi come avere davanti le sue belle labbra che umettava se nervoso,
il suo sorriso dolce e le sue gote leggermente arrossate.
“Martha
sei qui?”
Ah
no. Lo aveva proprio davanti.
“No,
sono in Zimbabwe.”
“Intendevo
dire se…”
“Lo
so che cosa intendevi dire.”
Albus
Severus Potter, i cui capelli neri sembravano sottoposti a campi
elettrostatici profondamente confusi, la osservava con quella nota di
sofferenza e meraviglia che rivolgeva solo a lei. Come se l’essere
preso a pesci in faccia fosse ciò che aspettava da tutto il giorno,
pur soffrendo per il bruciore di quegli schiaffi morali.
Martha
si morse le labbra per non proferire le scuse che si erano formulate
spontanee al pensiero di averlo ferito, un’altra volta, l’ennesima.
E pensò, ammirando il volto del ragazzo di cui era innamorata, che
certe persone non potessero fare a meno di ferirsi, di colpirsi tanto
brutalmente da sanguinare, nonostante l’amore che provavano. Certe
persone non riuscivano a rispettare la pace, perché conoscevano solo
la guerra del non detto, inutile e sterile.
Avrebbe
scommesso che Albus iniziasse a camminare avanti e indietro, come un
animale in gabbia, prima di dirle qualunque cosa lo avesse tenuto
lontano dal campo da Quidditch. Invece avanzò lentamente e si
sedette sul divano accanto alla sua poltrona, più vicino di quanto
non si sarebbe aspettata. Gli occhi verdi di Al la percorsero dalla
fronte alle dita dei piedi, bevendosi avidi ogni dettaglio della sua
tenuta per i giorni pigri, con calzettoni di lana e maglione scuro
sovrabbondante in cui rimanere infagottata.
“Pensavo
di rimanere da sola…” sentì il dovere di giustificarsi, chinando
lo sguardo e coprendo con la coperta la fantasia a righe multicolor
delle sue calze.
“Sei
bellissima.”
Il
tono della sua voce era basso e definitivo come se non esistessero
obbiezioni da porre. Martha sollevò il capo e trovò lo sguardo di
Albus fisso su di lei, con un’espressione che non avrebbe saputo
definire in altro modo se non innamorata.
E
le fece più male di tutti i rifiuti ricevuti in quei quattro anni.
Le fece così male, che pensò di alzarsi e andarsene immediatamente
per evitare di sapere in quale altro modo Albus avrebbe sciupato quel
sentimento.
Che
gli prendeva quel sabato? Si era drogato? Lo avevano drogato?
“Che
cosa vuoi?” mormorò distogliendo lo sguardo per fissarlo sul
camino.
“Voglio
chiederti scusa.”
Dio…
La guardava in quel modo e poi le chiedeva scusa per non essere
abbastanza innamorato di lei da mettersi in gioco, da volerla
davvero?! Ma che cos’era, un serial killer?
Martha
si alzò dalla poltrona e parlò sperando che la sua voce non si
spezzasse nel mezzo della frase.
“Albus,
mi hai già detto tutto quello che c’era da dire…” iniziò
cercando di chiudere rapidamente la conversazione, ma anche Al si
alzò e la interruppe.
“No,
invece. Non ti ho detto, per esempio, che adoro vedere il modo in
arricci il naso quando sei contrariata. Non ti ho detto che la sera
del Ballo di Natale eri talmente bella che non riuscivo a guardarti
senza provare il desiderio di baciarti in mezzo a tutti. Non ti ho
detto che quando finalmente ti ho baciata è stato come rinascere,
come se avessi dato alla mia vita qualcosa di completamente nuovo e
ignoto. Non ti ho detto che ti trovo irresistibile quando sei
arrabbiata. Non ti ho detto, per esempio, che ti amo.” concluse
allungando una mano per prendere la sua.
Martha
invece si allontanò di scatto, negandogli quel contatto.
“Non
puoi.” esalò scuotendo il capo.
“Sì,
che posso.” rispose fermamente Albus avvicinandosi con decisione e
costringendola ad arretrare fino al muro.
“No
che non puoi, stronzo! Non puoi dirmi queste cose, pensando che per
me sia facile ascoltarle. Non puoi dirmi che mi ami quando hai deciso
che non vuoi stare con me. Vaffanculo Albus!” sbottò posando
entrambe le mani sulle spalle e cercando di allontanarlo, ma il
ragazzo non si mosse di un millimetro, anzi le chiuse ogni via di
fuga appoggiandosi al muro e circondandola con le braccia. Erano così
vicini che il suo naso durante i movimenti sfiorava il maglione del
ragazzo.
Lacrime
di frustrazione e di dolore inondarono gli occhi di Martha, che non
smise comunque di cercare di tenere lontano Al, spingendolo via.
“Ti
rendi conto che ti ho appena detto che ti amo e tu mi hai mandato
affanculo?” le chiese inclinando il capo verso la spalla.
“Lasciami
andare!” gli intimò sferrandogli un pugno sulla spalla, esasperata
dal fatto di essere nettamente inferiore fisicamente.
Albus
invece con una mossa rapida le prese i polsi e glieli portò sopra al
capo, fermandoli contro le pietre ruvide del muro. Quando Martha
reagì, dimenandosi e cercando di rifilargli un calcio in luoghi
sensibili, lui infilò un ginocchio tra le sue e le bloccò la gamba
destra.
“No.”
sussurrò lui con un leggero fiatone per lo sforzo di tenerla ferma.
“No, Martha, non ti lascio andare. Ti voglio chiedere scusa per non
aver capito prima, per essere stato troppo merluzzo per mettere
insieme i mille pezzi che avevo davanti agli occhi. Per non aver
avuto il coraggio di ammettere la verità e di essermi nascosto
dietro una bugia, facendo del male a entrambi. Scusami per averci
messo tanto tempo, forse troppo.”
Martha
si rese conto di essere così ferma da aver smesso di respirare.
Mentre Al le parlava, i suoi occhi si erano colmati a tal punto di
lacrime da iniziare a farle scorrere, in lunghe e lente scie sulle
sue guance. Stava piangendo e sapeva il perché.
“Ho
bisogno di sperare che non sia troppo tardi… Lo è Martha?”
proseguì lui.
“Non
lo so.” sussurrò guardando i suoi occhi chiari e determinati.
Non
sapeva davvero se fosse ormai troppo tardi. Non sapeva se avrebbe
avuto la forza di concedergli una seconda occasione nonostante le sue
parole, perché i suoi gesti le avevano sempre dimostrato che non la
voleva. Non sapeva se poteva permettersi di credergli.
Era
mostruosamente ingiusto, perché aveva atteso per anni che quelle
maledette parole uscissero dalle labbra di Albus, perché aveva
atteso lui per anni. E ora aveva paura che fosse morta ogni
speranza.
“Mi
basta.” sussurrò lui chinando il capo a sfiorarle la guancia col
naso. “Troverò il modo di farmi perdonare e di conquistare la tua
fiducia. Lascia che mi faccia perdonare, Martha.”
Il
cuore di Martha accelerò il proprio ritmo, tanto che la ragazza
sentì l’eccitazione diramarsi in ogni terminazione del suo corpo.
Erano così vicini da essere premuti l’uno sull’altro, in uno
strano abbraccio. Martha notò che la presa con cui l’aveva
bloccata all’inizio era diventata solo una carezza. E lei non
voleva più fuggire.
Le
loro mani si intrecciarono spontaneamente sopra la testa della
ragazza. Il naso di Al le percorse con delicatezza la linea della
mandibola e quella dell'orecchio, respirando dietro di esso. Martha sentì
la pelle sensibile incresparsi in un brivido.
“Voglio
farti tutto quello che non ho mai potuto fare.” Sussurrò lui
procedendo nelle sue lente carezze.
In
uno sprazzo di lucidità si disse che avrebbe dovuto rendergliela
molto più difficile di così, che dopo quello che le aveva fatto non
potesse passarla liscia. Tuttavia avrebbero avuto giorni per
litigare, mentre quel momento di pace era così prezioso che non
aveva le energie necessarie per buttarlo via. Non poteva nemmeno
pensare di sprecare le sue mani gentili e premurose.
La
bocca del ragazzo si dischiuse sulla pelle del suo collo in un bacio
caldo e lento, che le causò un fremito. Per riflesso spontaneo tentò
di serrare le ginocchia, ma incontrò l’ostacolo della gamba di Al.
Lui sollevò incerto lo sguardo per osservarla. Con delicatezza
premette la propria coscia in mezzo alle sue gambe. Martha emise un
sospiro di piacere, inarcandosi contro di lui, per quella pressione
che alleviava il bisogno molto più bruciante al ventre.
Cercò
le sue labbra con gli occhi già socchiusi, annebbiata da ciò che
provava, quando le trovò si abbandonò.
Sentì
le braccia diventare leggere e le gambe perdere la presa ferma sul
pavimento. Le labbra di Al accolsero le sue e le mani del ragazzo le
sfiorarono prima il viso, poi la nuca, poi ancora i capelli e
vagarono su di lei come se non sapessero decidere che cosa esplorare
prima. Sorrise mentre lo baciava per quell’impazienza.
Desiderando sentire la sua pelle sulle proprie mani, infilò la
destra sotto il suo maglione. Accarezzò la pelle dei fianchi e della
schiena, traendolo più vicino a sé.
Aveva
voglia di spogliarlo anche se erano in Sala Comune.
Quando
si rese conto che quello che stava provando non era più solo
desiderio, ma era fuoco e bruciava nella sua carne come fiamma viva,
allora Martha capì perché aveva ceduto così facilmente ad Albus.
Perché
aveva bisogno di lui.
Non
aveva finito gli esercizi di Occlumanzia.
Per
quanto fosse preparata da anni al dolore che una visione portava con
sé, Martha non sarebbe mai riuscita ad abituarvisi. Quando la Magia
Primordiale percorreva le strade dei suoi nervi e delle sue vene le
sembrava che i tessuti si spaccassero al suo passaggio, sanguinando e
lacerandosi sotto la forza distruttiva del potere non vincolabile.
E
mentre quella magia crudele tentava in ogni modo di rendere la sua
mente una landa buia e silenziosa, invece la voce di Albus che la
chiamava angosciata, le sue mani che la sorreggevano, il suo odore
che le donava l’aria per rimanere viva, tutto quello la teneva lì.
Le dava un punto a cui sorreggersi per non perdersi nell’oscurità
che la lambiva, per non morire prosciugata.
I
suoi occhi si rovesciarono e la sua schiena si piegò nello spasmo di
dolore definitivo, il segnale dell'arrivo della visione.
Come
le era già accaduto un’altra sola volta, riuscì a incanalare la
visione restando cosciente dalla prima all’ultima immagine che la
sua mente riuscì a registrare. Fu breve, ma non per questo le diede
sollievo.
Spalancò
gli occhi inspirando violentemente e ritrovò quelli di Al che la
fissavano terrorizzati.
Albus
la abbracciò stretta e Martha si concesse di nascondersi in quelle
braccia dall’orrore della sua visione per un momento, prima di
separarsi da lui.
Disse
un’unica cosa, con tutta l’angoscia che le stringeva il cuore.
“Elena.”
***
Nana
uscì sogghignando dalla biblioteca, e una volta messo nella tracolla
il libro fece un saltino.
Non
vedeva l’ora di raccontare alle ragazze le ultime cose scoperte, la
storia di quell’Arthemious Copper era incredibile! Se solo pensava
a quanta fortuna aveva avuto nel trovare il libro nel reparto delle
Cronache Antiche.
La
ragazza di scostò un ciuffo dalla fronte svoltando verso il
corridoio che conduceva alle Scale.
Doveva
parlarne con Berty, che era l'unico in grado di aiutarla a
concretizzare le proprie idee, che al momento le frullavano in testa
come colibrì sotto anfetamine.
Sentì
dei passi alle proprie spalle e si voltò incuriosita. Quasi
le cadde la mandibola quando riconobbe la figura che avanzava verso di
lei, proveniente dalla stessa parte della biblioteca.
“E
tu che...” incominciò ma si interruppe quando si vide puntare
contro una bacchetta
“Stupeficium.”
Il
fiotto di luce scarlatto fu l'ultima cosa che le riempì il campo
visivo prima di perdere i sensi e sbattere contro lo spigolo del
muro.
La
figura ammantata, che aveva appena aggredito Elena, in poche rapide falcate si avvicinò al suo corpo inerme e si chinò su di
lei.
“Oblivion.”
Un lungo filamento lattescente si levò dalla fronte della ragazza per finire inghiottito dalla bacchetta. Quando l'agressore
ritenne di aver eliminato abbastanza ricordi dalla mente della
giovane, interruppe l'incantesimo. Poi allungò la mano verso la borsa e strappò dal suo interno il libro
dall'aria consunta. Si alzò e, incurante, lasciò la
giovane svenuta nel corridoio, mentre una pozza di sangue si
allargava sul pavimento, bagnando i capelli turchini di una cupa
sfumatura rossa.
Note
dell'Autrice:
Per
molti versi è stato un capitolo liberatorio, per altri è stato
difficile perché è capitato nel bel mezzo di una serie di esami e
sono andata parecchio a rilento. Tuttavia sono riuscita a concluderlo
e spero che vi piaccia.
Non
credo che molti di voi abbiano avuto modo di capitare sulla mia
pagina in questi due mesi, ma ho pubblicato una One Shot sulla storia
della mamma di Elena, una delle figure a cui sono più legata in
questa storia, anche se non ne ho parlato praticamente mai. Se vi
andasse di leggerla e farmi sapere che cosa ne pensate, come sempre
ne sarei più che felice. Si chiama Fiori Bianchi.
Vi
ricordo anche l'esistenza della pagina Facebook di Bluelectra Efp
qualora vogliate ricevere piccoli spoiler o aggiornamenti sui
capitoli.
I
miei più sinceri RINGRAZIAMENTI a Chintia988 (ma che te lo
dico a fare che sei sempre la prima e la più suuuuper carina!
GRAZIE), Rarity 94 (mi manchi già), Paola Baggins (anche
tu mi manchi), vale_misty e carpethisdiem_ per aver
recensito lo scorso capitolo.
Colgo
inoltre l'occasione per augurarvi Buon Natale e Felice Anno Nuovo,
perché di sicuro non riuscirò mai a pubblicare il 33 prima della
fine dell'anno.
Grazie
a tutti per essere arrivati fin qui.
Vi
abbraccio forte.
Vostra
Bluelectra.
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Capitolo 33 *** Cap.33 Rifiorire ***
Cap.33
Cap. 33 Rifiorire.
Voglio fare con te ciò che la
primavera fa coi ciliegi.
Pablo Neruda
La primavera in
Inghilterra era pigra. La stagione della rinascita faticava a uscire dallo
stato letargico in cui l’inverno faceva cadere tutta la natura, come un adolescente
assonnato, riluttante ad alzarsi per affrontare l’ennesima giornata di lezioni.
Per questo quando le
gemme si decidevano ad aprirsi, rivelando tenere foglioline, e i primi fiori
facevano capolino sui rami gli studenti di Hogwarts si riversavano nel Parco
con entusiasmo per godere finalmente dell’arrivo della bella stagione, anche se
il clima non era dei più temperati.
Non tutti sapevano che
vicino alla capanna del Guardiacaccia, in punto del Parco abbastanza remoto, si
ergevano un paio di mimose, le quali fiorivano in un tripudio di rami dorati
dal profumo tanto intenso che bastava avvicinarvisi per venire avvolti
dall’aria dolce.
James, parte del folto
gruppo di ignari studenti fino a quella mattina, osservò meravigliato i grandi
alberi. Erano i primi fiori a sbocciare dopo quell’inverno dalle temperature
polari e dall’abbondante neve, i boccioli eroici che nonostante il sole ancora
timido imponevano la loro presenza.
Le foglie verdi, lobate
in modo minuzioso come un merletto, si accostavano in uno splendido contrasto
con i grappoli gialli rigogliosi.
Un paio di mani bianche
si alzarono verso l’albero, con delicatezza recisero qualche rametto. Dopo un
istante la ragazza si voltò verso di lui e da sotto il cappuccio del mantello
sbucarono i lunghi ricci biondi, lasciati sciolti sul petto.
Angelique alzò lo
sguardo: i begli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie, il colorito pallido come
avorio, il rametto di mimose dorate stretto in un nastro tra le sue dita.
Quando l’ennesima
folata di vento gli portò nei polmoni l’aria profumata, James ebbe
un’illuminazione. Riuscì a identificare l’odore, oltre alla lavanda dei suoi
capelli, che da mesi attribuiva a lei e che non aveva mai riconosciuto.
Angelique sapeva davvero di Primavera, dei primissimi
fiori a inondare di colore i giardini. Aveva il profumo delle
mimose e i loro colori. Oro e verde.
“Li ho presi per
Elena…” gli disse, ma pronunciando il nome dell’amica la voce le si incrinò, così abbassò il capo verso il terreno.
James sentì il cuore stringersi
in una morsa di dolore e si chiese in preda al panico se fosse autorizzato a
toccarla. Ricordava le due volte in cui l’aveva abbracciata, entrambe
situazioni disperate, in cui accoglierla contro il proprio petto gli era
sembrato naturale come respirare. Ma lei la pensava allo stesso modo o non gli
avrebbe consentito di avvicinarsi?
Da sotto il cappuccio
scuro si intravedevano i suoi denti affondati nel labbro
inferiore con una forza che avrebbe potuto ferirlo da un momento all’altro.
Tutto in lui urlava di correre da lei, sostenerla, cullarla, mormorare parole
che la calmassero, eppure sapeva quanto delicato fosse l’equilibrio tra loro.
Quanto poco bastasse a farla allontanare come un animale selvatico.
Un sussulto sconquassò le spalle della ragazza, solo dopo un istante James capì che era un
singhiozzo soffocato.
Smise di considerare i
pro e i contro e si avvicinò a lei. Prese tra le braccia Gigì, in uno slancio
di iniziativa che gli causò una tachicardia spaventosa, le cinse con una mano il capo
appoggiandoselo alla curva sotto la clavicola, un luogo che sembrava essere
stato disegnato per ospitarla alla perfezione. Le mani di lei si aggrapparono
alla sua schiena con forza.
Angelique tentò di
trattenere le lacrime, ma dopo paio di singulti, si lasciò andare. Pianse tra
le sue braccia, seppellendo il volto contro il suo petto, mentre anche lui
sentiva le lacrime premere per esondare. Non era una ragazza minuta o
dall’aspetto esile, ma lì nel suo abbraccio gli sembrò delicata come cristallo,
tanto preziosa quanto fragile.
Quella mattina si erano
incrociati in Sala Grande, forse non in modo del tutto casuale doveva ammettere
James, che l’aveva intercettata grazie alla Mappa del Malandrino. Lei gli aveva
proposto in modo sbrigativo e abbastanza brusco se gli andasse di camminare nel
Parco. Aveva parlato con il tono dietro cui, James ormai lo sapeva, nascondeva
la sua insicurezza, il bisogno di non essere lasciata sola. Aveva accettato senza quasi farle fine la frase.
Per quanto la
situazione fosse disperata e non ci fosse assolutamente nulla di cui gioire,
James non poté far a meno di bearsi di quell’abbraccio, così urgente e
rigenerante. Stringerla a sé gli dava la sensazione di poter fermare il mondo e
racchiuderlo nelle sue mani per offrirlo a lei. Le accarezzò dolcemente la
testa, mormorò qualche parola confortante ma la sua voce venne coperta da
un verso acuto.
Gigì staccò il viso
bagnato di lacrime dal suo petto e i suoi occhi lucidi si indirizzarono
immediatamente al cielo. Un pallido sorriso le inarcò le labbra, così anche
James alzò lo sguardo.
Antares stava volando
in cerchio sopra le loro teste. Le grandi ali vermiglie erano spiegate, immobili nel delicato equilibrio di correnti d'aria. Quella macchia rosso fuoco si stagliava
maestosa nel cielo grigio.
Si rese conto che erano
ancora abbracciati quando Angie si allontanò da lui e tese l’avambraccio destro
in aria, fischiando per richiamarla.
L’uccello scese in
picchiata verso la padrona e si arrestò vicinissima a lei spalancando le ali,
tanto che una raffica di vento fece socchiudere gli occhi a James. Con una
grazia sovrannaturale si posò sul braccio di Angie, per poi piegare dolcemente
la testa verso la guancia della ragazza, lasciandole una carezza.
“Bravissima, piumino da
cipria.” Mormorò Gigì grattandole delicatamente le piume sotto al becco.
Antares emise un gorgoglio soddisfatto scrollando la testa con eleganza. In
seguito lo fissò con i propri occhi neri, piccoli e inaspettatamente saggi.
James incantato tese
una mano, desideroso di poter toccare quella creatura bellissima, ma la fenice
si spostò con uno scatto verso la spalla di Angie, guardandolo in modo tanto
ostile che sembrò dirgli “Sta’ nel tuo, bello.”
Angelique emise quel
suono buffo, a metà tra una risata e uno sbuffo, che caratterizzava il suo divertimento
celato. Prese la mano di James, le sue dita sottili
ma decise si intersecarono agli spazi lasciati dalle sue ben più grandi.
Come quando l’aveva abbracciata, provò la sensazione che fossero in grado di
combaciare in modo perfetto.
Il tocco freddo di Gigì
gli mozzò il respiro nei polmoni.
“Antares è un po’
diffidente, ma non preoccuparti, non ti farebbe mai del male.”
“Non ho paura.” Rispose
in un sussurro, mentre lei conduceva le loro mani verso il capo della fenice,
ancora abbarbicata sulla sua spalla.
“Lo so.” Angelique
guardò con affetto infinito Antares e quella piegò il lungo collo per annusare
sospettosa la mano di James.
L’animale con
delicatezza posò il muso contro il suo palmo lasciandosi accarezzare.
James sorrise estasiato per quel contatto; era tiepida nonostante l’aria di
inizio primavera che intirizziva le dita e soffice. Toccandola avvertì
un’ondata di positività farsi strada in lui, come se i pensieri gravosi degli
ultimi giorni si fossero sollevati di colpo dalla sua mente.
Ispirò stupito e
proprio quando stava per ritirare la mano, Antares spiccò un piccolo balzo atterrando sul suo braccio. James, impacciato, provò ad accarezzarla come aveva visto fare ad Angelique. L’animale
lo lasciò fare per qualche istante, prima di prendere lo slancio e spiccare il
volo.
“Non capisco… Ho
sbagliato qualcosa?” chiese deluso vedendola allontanarsi.
Gigì scosse il capo chiandosi a raccogliere il rametto di mimose che era caduto quando l’aveva abbracciata.
“No, affatto. Anzi,
sono proprio stupita dal fatto che Antares ti sia venuta tanto vicino! Le
fenici sono animali molto misteriosi, la maggior parte dei loro comportamenti
può sfuggire alla nostra comprensione. Tutto ciò che sono stati in grado di
studiare riguarda i rari casi di fenici addomesticate. Non puoi nemmeno
immaginare quanto sia stato complicato cercare informazioni per far schiudere
il suo uovo. Pensavo che non ci sarei mai riuscita, ero disperata.”
“E poi?”
Angelique gli sorrise
in modo così radioso che a James mancò il respiro.
“E poi feci un sogno. Sognai
di correre nella foresta, sognai una fenice che precipitava al suolo ed
esplodeva in un grande incendio. Le fiamme non mi bruciavano, anzi mi
coccolavano e mi sussurravano delle cose. Quando iniziai a capire il
significato delle parole provai un dolore indescrivibile, come se la mia carne
stesse bruciando e i miei nervi strappandosi millimetro per millimetro. Non so
come, ma ho avuto un’intuizione e ho lanciato l’uovo di Antares nel camino di
Hagrid. Il resto poi lo sai, c’eri anche tu.”
“Kiwi.”
Risero entrambi al
ricordo di come la neonata fenice avesse imbrattato di escrementi il maglione
di Angelique.
“Sono convinta che non
fosse il mio sogno, ma quello di Martha. Credo che i suoi poteri fossero ancora
in una fase di latenza e non ne avesse alcuna percezione, che quella volta lei
abbia trasferito su di me la sua visione, senza rendersene conto. Ecco perché è
stato così doloroso, come quando succede a lei… Comunque sia, veder emergere
quel pulcino spelacchiato dalle ceneri è stata uno dei doni più belli che abbia
mai ricevuto.”
Lei si rigirò il
rametto di mimose tra le dita pensierosa.
“So che ti sembra
stupido, ma Antares mi aiuta a ritrovare equilibrio, a ritrovare me stessa. Le
fenici sono in grado di percepire i nostri stati d’animo e di trasmettere
sensazioni positive. Sì esatto, come quello che ti è successo prima, ho visto
che faccia hai fatto! È qualcosa a metà fra la serenità e il coraggio… Forse è
semplicemente speranza.”
“Speranza?!”
“Non è forse quello di
cui abbiamo più bisogno, Jessy?”
***
“Ieri sera ti sei persa
una scena fantastica: Emma, la ex di Berty, è entrata in Sala Grande a
braccetto con uno del settimo anno di Grifondoro e guardava così
insistentemente Bertram, che è inciampata in una panca e per poco non si è
spiaccicata per terra.” Raccontò Angie mettendo a le mimose raccolte quella
mattina nella brocca d’acqua sul comodino. “Solo che senza di te non è sembrato
nemmeno così divertente, solo un po’ patetico.”
Angelique scostò con
delicatezza una ciocca azzurra dalla fronte di Elena, rimettendola insieme alla
raggera di capelli colorati sparsi sul cuscino.
Nana giaceva sul letto
dell’infermeria immobile, il corpo minuto quasi fagocitato
dalle coperte, le braccia magre stese lungo i fianchi in una posa composta che,
se solo avesse avuto un minimo di energie, non avrebbe mai mantenuto.
“So che mi senti,
piccola infame. So che stai ascoltando tutto e stai sghignazzando.” Mormorò
dolcemente prendendo tra le proprie mani quella dell’amica.
E ci credeva, lo
sentiva sotto la pelle, non lo ripeteva semplicemente a quel corpo che si
muoveva appena nel respiro artificiale, indotto dagli incantesimi della Blackthorn.
“Mi ha detto la Chips
che verrà anche tuo papà oggi pomeriggio. Sai, forse ti conviene svegliarti
domani Nana, non vorrei mai che poi ti toccasse parlargli davvero.” Ironizzò
con un mezzo sorriso, anche se pensava tutt’altro.
Ricordava quando il
viso di Alain Zabini si era posato sul corpo inerme della figlia. Non avrebbe
mai più potuto dubitare del suo amore. Ogni tratto del bel viso dell’uomo si
era sgretolato in una maschera di dolore, mentre le sue mani si artigliavano i
capelli e l’uomo esplodeva in un pianto disumano, come se gli avessero appena
strappato il cuore dal petto.
Qualunque barlume di
freddezza che ricordava di aver scorto in lui negli anni passati si era
volatilizzato. L’indifferenza, con cui credeva che trattasse Elena, si era
sciolta sotto il fiume di lacrime con cui si era chinato su di lei e aveva
mormorato mille scuse, baciandole teneramente una mano.
Scuse per non essere
riuscito a dimostrarle quanto bene le volesse, scuse per non averle scritto
quasi mai perché non riusciva a perdonarsi di aver lasciato morire la moglie,
scuse per aver tentato di proteggersi dal dolore chiudendo il mondo fuori e
chiudendosi anche a lei, scuse per averla rimproverata e aver cercato di
cambiarla. Scuse che avevano commosso anche Angie, involontaria testimone di
quelle confessioni mentre riordinava gli armadietti duranti un turno in
Infermeria.
E pensando a quello venne
investita da altri ricordi.
È ancora in turno sabato quando portano il corpo
quasi senza vita di Elena.
Ciò che la fa urlare dall’orrore, che la
perseguiterà nei suoi incubi per giorni, è il sangue.
Il sangue della sua amica macchia la tunica della Blackthorn, inonda le braccia
di Berty, tinge le dita di Martha, bagna i suoi capelli azzurri rendendoli di
un cupo viola. Il sangue di Elena è ovunque.
“Presto! Poppy ho rallentato l’emorragia, ma c’è
qualcosa che non va!” urla la Blackthorn priva di tutto il suo contegno, coi
capelli mogano scarmigliati.
Angie sente il suo corpo congelarsi, mentre in un
angolo della mente registra che Albus sta stringendo tra le braccia Martha e
Berty ha le guance rigate di lacrime.
Un corpo non può perdere tanto sangue e rimanere
vivo.
“Dursley!” la chiama la Chips ma i suoi occhi non
riescono a staccarsi dalla macchia rossa che i capelli di Elena hanno impresso
sul guanciale.
C’è troppo sangue.
“Angelique.” La voce della Blackthorn è più bassa ma
non meno urgente, e qualcosa in quel tono le consente di sbloccarsi. I suoi
occhi trovano quelli blu della sua insegnante, della donna coraggiosa che le ha
mostrato le proprie cicatrici per consentirle di curare le sue.
“Dursley, decidi se farti da parte o se aiutarci.
Non puoi stare lì in mezzo.” Scandisce mentre le sue mani sono già immerse
nella bacinella piena di disinfettante.
“Nella vita ci sono scelte
irrevocabili. Spesso bisogna prenderle in pochi istanti, attorniati dal caos,
privati della lucidità necessaria, bisogna scegliere e basta. I conti si fanno
dopo, quando c’è tempo per considerare i danni fatti.”
Le parole della stessa Blackthorn le tornano in mente e la spingono
a muoversi. Verso Elena.
I minuti successivi sono un delirio di ordini e contrordini da
parte delle due donne, di bende per ripulire la ferita, di incantesimi, di
boccette passate, di pozioni, di mani che si muovono sul corpo di Elena come se
fosse una bambola rotta, di imprecazioni perché i parametri vitali non si
riprendono.
Sono minuti in cui la mente di Angie si svuota di qualunque
pensiero che non sia obbedire. Smette di pensare e si muove con efficienza,
silenziosa.
Non vuole pensare, non vuole ricordare il sorriso di Elena, i suoi
disegni appesi dovunque in camera loro, la sua risata, le sue battute sboccate.
Non può, altrimenti si accuccerebbe in un angolo a piangere e ora non se lo può
permettere.
“Dobbiamo farle bere la Pozione Rimpolpasangue, ma non riusciamo a svegliarla.
La pressione è bassa, ha perso troppo sangue, siamo a rischio di danni
cerebrali…” Esclama la Blackthorn passandosi una mano sulla fronte.
“Possiamo provare con un Innerva congiunto, forse una doppia azione
potrebbe funzionare.” Propone Madama Chips senza troppa convinzione.
La Blackthorn annuisce dubbiosa, infatti nonostante il doppio
incantesimo Elena non si riprende.
E mentre le viene passata l’ennesima garza macchiata del sangue che
sta abbandonando la sua amica, il sangue di cui ha disperatamente bisogno, il
cervello di Angelique si riaccende.
Non possono fare trasfusioni di sangue, non hanno gli strumenti
adatti e anche se trovassero un donatore non avrebbero comunque tempo… Che
possono fare? Come farebbe sua mamma che non ha una bacchetta per risolvere i
problemi? Come si può far ingerire una pozione a qualcuno che non riesce a
deglutire?
“Una sonda…” mormora con voce strozzata.
“Come?” le chiede la Chips sbattendo le palpebre.
“Serve una sonda per farle arrivare la pozione direttamente allo
stomaco!” dice con più sicurezza ma davanti allo sguardo perplesso dell’anziana
donna ricomincia: “Un tubo di silicone da infilare fino al suo esofago!”
Ed è Berty a capire prima di tutti le sue intenzioni e le sue
parole, forse perché come lei è cresciuto coi babbani, o forse perché tra loro
è quello che si sta dissanguando insieme a Nana. Berty sfodera la bacchetta e
trasfigura immediatamente una benda in una sonda di silicone, cosa che lei non
avrebbe mai saputo concretizzare.
“Va bene o è troppo grande?” domanda il ragazzo guardandola con una
determinazione che le schiaccia il respiro nei polmoni. Si fida di lei, di una
sua idea.
“Non ne ho idea! Dobbiamo farla passare dalla narice…”
“Dalla narice?” domanda la Blackthorn.
“Negli ospedali babbani si fa così… Ma non so come…”
“È un’ottima idea. Avanti Poppy, riduci il diametro di quell’affare
e smussa la parte anteriore.” Ordina la pozionista e solleva il capo di Elena
per posizionarla correttamente, estendendo il collo per facilitare il passaggio
della sonda.
Provano un paio di volte senza trovare il passaggio corretto,
finché il tubicino rapidamente attraversa la gola della ragazza.
E nel momento in cui ce la fanno, in cui riescono a far fluire fino
allo stomaco di Nana la pozione Rimpolpasangue e la sua pressione si rialza, in
cui il cuore si stabilizza; nel momento in cui Angie si concede per un istante di
provare sollievo, si rendono conto che Elena non riesce a respirare da sola.
La Blackthorn ha appena sciolto l’incantesimo che aveva applicato
su di lei quando l’avevano trovata nel corridoio, ma Nana non reagisce.
Non respira.
Elena non respira.
La Blackthorn dopo qualche secondo di valutazione decide di
eseguire nuovamente la ventilazione artificiale. La donna si concentra e
percorre con la bacchetta l’aria sopra al corpo di Elena, mormorando a mezza
voce una lenta cantilena. Una luce azzurrognola si diffonde dalla punta della
sua bacchetta e cala sulla ragazza, come una polverina scintillante.
Il petto di Nana finalmente si solleva in una lunga inspirazione e
poi si abbassa lentamente.
Sente Berty sospirare di sollievo e poi scoppiare in singulti,
sente la voce di Albus rincuorare Martha. Sente i suoi amici, ma non può
raggiungerli perché sa che Elena non è fuori pericolo, lo sa da come le due
donne si guardano, lo sa dall’angoscia dilagante negli occhi blu della
Blackthorn.
L’incubo infatti prende forma quando proprio lei sentenzia con voce
rotta dalle lacrime:
“È in coma.”
Angelique sente quelle parole, ma non vuole crederci. Non può
crederci. Ed è per questo che continua a raccogliere le bende sporche e
gettarle, che riordina le pozioni che sono state usate, che non riesce a
fermarsi. Non può fermarsi.
Sono invece le mani di Beatrix Blackthorn a fermarla. La prendono
per le braccia e la costringono a guardarla, in quegli occhi che incutono
timore in tutti gli studenti e che invece sono specchio di mille emozioni
velate dalla riservatezza del blu.
“Angelique, fermati.”
“Non posso, devo…”
“Basta, fermati.” Le sussurra con dolcezza.
A quel punto le sue ginocchia si piegano e si ritrova per terra,
stremata e tremante, mentre si cinge con le sue stesse braccia e si concede di
piangere. Piange e vorrebbe urlare che non può essere successo davvero,
vorrebbe urlare che non è giusto, ma riesce solo a emettere gemiti
inarticolati. Saranno altre braccia a raccoglierla dopo, le braccia di chi sa
sempre come mantenerla integra quando tutto dentro di lei si disintegra. Le
braccia di Al.
Nelle ore successive alcuni
Medimaghi avevano esaminato il suo corpo e sentenziato che aveva subito uno
Schiantesimo molto potente, da cui derivava la ferita alla testa, e un Oblivion
scagliato quando aveva già perso conoscenza. Il coma era derivato dalla
debolezza indotta dall’emorragia e dalla violenza dell’incantesimo con cui i
suoi ricordi erano stati presi alla sua mente indifesa.
Li avevano informati che, non conscendo l’entità del danno, non si poteva dire
quanto la memoria di Elena fosse stata danneggiata. Forse, avevano detto, avrebbe
perso molti dei suoi ricordi.
Forse, aveva concluso
Angelique, avrebbero perso Elena in ogni caso. E se si fosse svegliata e non avesse conservato i ricordi che la rendevano Nana, quelli di sua madre che
custodiva gelosamente, quelli dei loro primi anni insieme, quelli della sua
infanzia? Il solo pensiero la atterriva.
Tuttavia i medici avevano spiegato
che il coma l’aveva salvata. Si trattava di una strategia disperata da parte
del corpo per autoconservarsi, per abbassare le proprie funzioni fino quasi ad
annullarle, per poter sopravvivere. Avevano quindi deciso di rafforzare lo
stato di coma naturale con ulteriori incantesimi appositi per sedare Elena,
dandole in questo modo la possibilità di riprendersi lentamente da ciò che le
era stato fatto.
Elena dormiva, congelata a metà
fra la vita e la morte, solo quando e se fosse stata pronta si sarebbe
risvegliata. Loro nel frattempo la stavano attendendo.
In ogni minuto lasciato
libero dalle lezioni era vegliata a turno dai giovani Serpeverde, anche da
Octavius Goyle, che continuava a portare sul comodino di Nana merendine rubate
ai ragazzi del primo anno, come ex voto. Merendine che si sbaffava
sistematicamente Scorpius.
Guardando l’amica in quelle
condizioni si chiedeva come fosse possibile che qualcuno l’avesse
deliberatamente attaccata e lasciata a dissanguarsi in un corridoio, come se la
sua vita non contasse nulla. Se non fosse stato per la visione di Martha, di
cui non aveva voluto parlare con nessuno, Nana probabilmente non sarebbe
sopravvissuta.
La scuola intera era stata
scossa profondamente dalla notizia che una studentessa fosse stata aggredita
senza apparenti ragioni. Molti genitori erano andati a colloquio dalla
McGranitt, alcuni avevano perfino minacciato di ritirare i figli.
Le indagini su chi fosse l’aggressore
non avevano dato alcun risultato significativo. L’esame delle bacchette
condotto su tutti gli studenti della scuola per la positività sia all’Oblivion
sia allo Stupeficium era stato un buco nell'acqua. Quasi che fosse stato un fantasma ad aggredirla.
Dopo sabato Martha era scesa
in uno stato di mutismo e assenteismo esasperanti, che nemmeno le attenzioni e
le premure di Albus riuscivano a spezzare. Sembrava che stesse continuamente
pensando ad altro.
Lei invece non riusciva a
darsi pace. Aveva scritto a sua madre raccontandole l’accaduto, chiedendole
consigli su come poter aiutare la coscienza di Elena a riemergere dall’oblio in
cui era caduta. Sua madre aveva risposto che non ci fosse molto da fare se non
parlarle e restarle vicini, tenere vivo il legame flebile che ancorava Elena a
loro.
Come aveva detto a Jessy
quella mattina, quando l’aveva accompagnata nel Parco, ciò che restava nelle
loro mani impotenti era solo la speranza. E le merendine di Octavius.
***
Se a undici anni gli avessero
detto che un giorno avrebbe pianto per Elena Zabini, che le avrebbe portato un
mazzo di fiori freschi, che si sarebbe persino premurato di leggerle un romanzo ad
alta voce, avrebbe riso tanto da stare male. Invece nelle ultime due settimane
aveva fatto tutte queste cose.
La conosceva da sempre vista
l’amicizia tra i loro genitori, in particolare tra le loro madri, già allora
era la più bassa e magra di tutti i bambini. Già allora battibeccavano come
cane e gatto.
Ricordava i dettagli dei loro
litigi, delle ripicche, di quanto lei lo contrastasse senza problemi, al
contrario degli altri che accondiscendevano alle sue richieste. Elena anche a
cinque anni non aveva peli sulla lingua e lui si ritrovava sempre con le spalle
al muro quando aveva a che fare con lei.
Una volta arrivati ad Hogwarts
e smistati nella stessa Casa, non era stato poi nemmeno così faticoso costruire
un territorio franco per convivere pacificamente. Avevano stipulato una tregua
più o meno bellicosa che passava attraverso frecciatine, battute, sarcasmo e
patate arrosto, l’unico elemento su cui andassero d’accordo.
In quei giorni l’assenza di
Nana lo aveva portato a comprendere che era davvero sua amica, non
semplicemente perché facendo parte dello stesso gruppo si erano dovuti adattare
per circostanza. Era sua amica e gli diceva in faccia ciò che nessun’altro
avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli. Era sua amica e stava lottando a
nemmeno sedici anni per sopravvivere. Era sua amica.
Scorpius si alzò dal tavolo
della biblioteca a cui stava fingendo di studiare, con un colpo di bacchetta
rispedì allo scaffale di provenienza il libro di Trasfigurazione che aveva
consultato.
Era una giornata infruttuosa,
doveva semplicemente arrendersi all’evidenza dei fatti e tornarsene in Sala
Comune a cercare qualcuno dei suoi amici con cui lamentarsi. Ovviamente in modo
molto signorile.
Stava per uscire
svogliatamente dall’aula studio quando un lampo rosso attraversò la sua vista
periferica.
Voltò la testa inseguendo
quel movimento e si ritrovò a fissare le ombre del corridoio formato da alti
scaffali di mogano, su cui erano ordinatamente impilati i volumi di Incantesimi.
Aggrottò le sopracciglia perplesso. Misurando i passi per non fare rumore, percorse l’aula
studio fino a imboccare l’entrata ad arco di quella sezione.
Muovendosi di soppiatto, e
sentendosi anche abbastanza stupido, superò il primo incrocio deserto, poi al
secondo sbirciò con circospezione verso sinistra.
Rose Weasley era appoggiata
con un certo abbandono al mobile di legno, la testa riversa indietro contro una
colonnina, mentre i suoi occhi azzurri fissavano il soffitto, spalancati. La
osservò meglio: respirava molto velocemente, come se avesse corso per
arrivare fin lì.
“Che fai ti nascondi
Weasley?” le chiese uscendo allo scoperto.
La ragazza trasalì con un
mezzo urlo, soffocato quasi subito dalla propria mano contro la bocca. Scorpius
le sorrise mentre lei riprendeva abbastanza contegno per rispondergli sferzante.
“Non direi proprio, invece tu
non hai ancora perso il vizio di seguirmi a quanto pare.”
Si avvicinò e posò la spalla
contro lo stesso mobile su cui anche lei si era sostenuta. “Visto che scappi in
continuazione a me tocca l’ingrato compito di ritrovarti. In ogni caso con il
colore di capelli che ti ritrovi non è proprio semplice passare inosservata. Ti
si vede come un semaforo di notte.”
“Che hai contro i miei
capelli?!” si infiammò immediatamente Rose.
“Nulla, li trovo bellissimi a
dirla tutta.” Commentò Scorpius con un sorriso.
Gli occhi azzurri della
giovane si spalancarono per il complimento inatteso e dalle sue labbra sfuggì
un lieve: “Oh…”
Rose abbassò il viso verso il
pavimento, in evidente imbarazzo. Solo dopo qualche secondo, con un profondo
respiro, lo rialzò.
“Ho saputo di Elena Zabini,
mi dispiace tanto. È una ragazza meravigliosa, non so come abbiano potuto farle
una cosa così crudele. Come stai?”
Le sue parole, che sulle
labbra di qualunque altra persona sarebbe sembrate solo mere formalità,
giunsero dritte dentro Scorpius, con la forza della semplicità di cui Rose riusciva a permeare qualunque cosa la riguardasse. Lei,
così pulita e diretta, gli concedeva il respiro libero che da giorni
stava agognando. E si concesse di essere altrettanto diretto.
“Sono molto preoccupato e
sotto pressione. E quando sono stressato mangio. Sto ingrassando per colpa di
tutte le merendine che Goyle mi fa trovare sul comodino di Elena.” Borbottò
ricordando quanti zuccotti di zucca si fosse fatto fuori il pomeriggio stesso.
La risata di Rose gli inondò
le orecchie, si ritrovò a fissare il suo volto raggiante come un ebete. Le sue labbra ben
disegnate e dolci erano dischiuse per lasciargli intravedere la fila perfetta
di denti candidi, le sue guance spruzzate di lentiggini erano leggermente
arrosate, ancor più irresistibili. Il desiderio di baciarla
all’istante, cogliendo sulle sue labbra quella risata per farla propria, si
fece intenso al punto che dovette conficcarsi le unghie nei palmi per
riprendere il controllo.
“Vorrà dire che suggerirò ad
Albus di farti correre di più agli allenamenti.” replicò Rose sempre sorridendo.
“Se continuiamo a restare
senza Cercatore, potremmo tranquillamente convertire la squadra in un club di
maratoneti.”
Rose si morse le labbra, ma
non riuscì comunque a contenere del tutto la nuova risata.
“Angie verrebbe a farvi lo
scalpo con un cucchiaino se lo sapesse.”
Anche Scorpius si ritrovò a sorridere
per l’immagine assolutamente realistica di Angelique che li minacciava di morti
orribili armata di solo cucchiaio.
Quando si ritrovarono a
fissarsi in silenzio, estinto il barlume di allegria che li aveva coinvolti,
l’imbarazzo dilagò. Restavano sospesi tra loro il bacio nel Parco e le parole
con cui Scorpius l’aveva accompagnato, la consapevolezza di non essere più
semplici conoscenti.
Nonostante la sua indole gli
urlasse a pieni polmoni di non esporsi e continuare ad agire tramite i
sotterfugi che gli erano congeniali, quegli immensi occhi azzurri piantati
dritti nei suoi gli suggerirono tutto l’opposto.
“Senti Weasley, che fai la
prossima uscita ad Hogsmeade?” si stupì che la sua voce fosse risultata tanto
limpida, quando per l’agitazione la lingua subito dopo gli si era impastata al
punto da incollarsi al palato.
Negli occhi di Rose si
allargarono a dismisura illuminati e la sua bocca si spalancò, ma dopo
pochissimo riprese immediatamente il suo contegno e gli rivolse un’occhiata
dispiaciuta, che gli risucchiò il respiro dal petto.
“Io… Sono impegnata.” Mormorò
fuggendo il suo sguardo.
Scorpius sentì il rifiuto
bruciargli come se fosse stato acido lungo la gola e nel cuore.
“Immagino che anche se non lo
fossi stata, avresti mentito in ogni caso.”
Nonostante fosse sua
intenzione essere più educato possibile, la voce tradì una freddezza che non
sfuggì alla Weasley, la quale lo guardò in modo molto più fermo di prima.
“Non ho tempo per…”
“Per cosa, Rose? Per
divertirti? Per ridere come facevi poco fa? Per vivere?” sbottò esasperato
dall’atteggiamento di lei.
Sembrava che volesse a tutti
i costi imporsi una disciplina che non le apparteneva davvero. Sembrava ancora
una volta che stesse cercando di fuggire.
“Per uscire con te.”
Per innamorarmi di te.
Furono le parole che lei non
pronunciò, ma che si riverberarono tra loro comunque, a far desistere Scorpius.
Per quanto fosse attratto da lei, per quanto desiderasse la sua compagnia, per
quanto volesse risolvere l’enigma che lei costituiva, non aveva alcuna
intenzione di farsi del male a quel modo.
Ne aveva già avuta una di
ragazza incapace di ricambiare i suoi sentimenti, aveva già affrontato una
volta il dubbio di non essere abbastanza per qualcuno. Non aveva alcuna voglia
di ripetere l’esperienza.
“Ho capito. Non ti
importunerò più.” Disse con voce calma e bassa, sperando che non tremasse
quanto le sue mani.
Voltò le spalle alla ragazza
ma quella lo rincorse subito afferrandolo per un braccio.
“Scorpius! Scusami, non
volevo essere brusca, ma davvero non è un buon periodo…Mi dispiace.”
La mano della ragazza lasciò
il suo avambraccio, sul suo viso comparve un'espressione di turbamento che quel contatto aveva
suscitato. Lo rifiutava e poi lo rincorreva. Lo guardava come se non
desiderasse altro che baciarlo ancora, ma non voleva uscire con lui. Lo
esasperava.
Si mosse rapido per non darle
tempo di ritrarsi, con un braccio le avvolse la vita e la premette contro il
proprio petto, tenendola tanto vicina da poter contare le screziature degli occhi.
Qualcosa a metà fra un ansito
e un verso di sorpresa irruppe dalle labbra di Rose e i suoi occhi azzurri lo
guardarono, limpidi, ardenti, innocenti, colmi del suo stesso
desiderio. Sentì il respiro fresco di lei accarezzargli le labbra e ricordò
come fossero accoglienti.
Le accarezzò la guancia col
pollice, posando poi il palmo aperto sul suo collo, dove percepì il battito
furioso del cuore contro la pelle diafana. Rose si concedeva di liberare le
proprie emozioni solo quando lui la intrappolava, come se avesse bisogno di una
scusa, di un attenuante per ricambiarlo.
Lo esasperava decisamente.
“Continui a scappare Weasley.
Continui a mentire.”
Studiò il viso di lei mentre
le si avvicinava, i tratti che mutavano da tesi in estasiati, il mento che si
sollevava per offrirsi a lui, le palpebre che calavano languide sugli occhi
cerulei. Bellissima, tra le sue braccia, in attesa del suo bacio.
E la lasciò andare.
Rose barcollò destabilizza
fino a trovare uno scaffale a cui si aggrapparsi. Lo guardò confusa,
probabilmente anche ferita, ma Scorpius le rivolse un sorriso insolente.
“Non sottrarrò più il tuo
tempo prezioso Weasley, visto che sei così oberata di impegni. Buona giornata.”
Questa volta si allontanò con
passo deciso e mentre raggiungeva l’aula studio udì chiaramente:
“Cazzo!”
Non sarebbero andati a
Hogsmeade insieme, ma comunque Scorpius uscì dalla biblioteca sogghignando.
***
Martha ripiegò la coperta sul
letto di Elena, appena portata pulita e profumata dalle lavanderie, e si guardò
attorno. L’ordine che regnava nella stanza era, a volte, più doloroso
dell’assenza stessa di Elena, uno dei mille segnali che le gravitano attorno
ricordandole che lei non c’era. Che forse non ci sarebbe più stata.
E Martha si lasciava
flagellare da questi pensieri, lasciava che qualunque ricordo le si conficcasse
così a fondo nella carne da perdercisi.
Evitava il contatto coi suoi
amici e il conforto che ne sarebbe derivato, evitava ormai anche gli esercizi
di Occlumanzia, in una consapevole punizione. Si sentiva come un involucro vuoto
a cui non fosse rimasto altro che lo strazio, il senso di colpa per ciò che non aveva fatto.
Non aveva dato ascolto prima
alle visioni che per mesi le avevano lanciato immagini e sensazioni
inquietanti, tentando invano di avvertirla, non aveva ancora trovato il modo di
controllare un potere che avrebbe potuto salvare Elena.
Non era riuscita a vedere in
tempo ciò ce le stavano facendo per aiutarla.
Non riusciva nemmeno a
spiegarlo agli altri. Dio solo sapeva quante volte avesse tentato di raccontare
ciò che la prosciugava da dentro, ma ogni volta la sua gola si era serrata in
una morsa e non era più riuscita a parlare.
Martha si sedette sul letto.
Allungandosi verso il comodino di Nana prese tra le dita la pergamena posata lì
sopra. Era uno dei carboncini bellissimi di Elena che ritraeva il Lago Nero
attorniato dagli alberi, ma era ancora solo un abbozzo. Le linee di definizione
delle sfumature si interrompevano chiaramente verso la metà del disegno, quando
lei stessa probabilmente aveva minacciato Elena di fare i compiti o le avrebbe
tolto il budino a cena.
“Adesso basta.”
La voce di Angelique la fece
voltare di scatto verso l’ingresso della stanza. La ragazza avanzò con passo
militare, seguita subito dopo da Albus, che con espressione mortificata chiuse
la porta della camera.
“Vedi, te l’avevo detto che
non dovevamo lasciarle tutto questo spazio per autocommiserarsi.” Sbottò
Angelique mettendosi una mano sul fianco e indicando lei con l’altra.
“Oh certo! Invece la tua idea
di metterle il Veritaserum nel tè era grandiosa.” Rispose a tono Albus.
Martha sbatté più volte le
palpebre chiedendosi se fosse un’allucinazione, ma Al e Angie rimasero al loro
posto davanti a lei.
“Ragazzi non capisco…”
“Strano, di solito è Albus
quello che non capisce nulla… Non è standoci insieme ti immerluzzi anche tu?”
“Ehi!”
“Mi immerluzzo?” domandò
perplessa Martha.
“Sì, diventi una merluzza. Comunque,
spero tu ti sia goduta questi giorni di solitario dolore, ora basta. Sputa il
rospo.”
Martha sentì la mandibola
calare sotto il peso dello stupore. Non vedeva da molto tempo Angelique così
vitale e dittatoriale. Tutta colpa di Potter…
“Quello che Angelique
vorrebbe dirti è che sappiamo che c’è qualcosa che non va.” Iniziò Al
umettandosi le labbra. “Tu non ne vuoi parlare, ma non puoi chiuderti in te
stessa proprio ora. Abbiamo bisogno più che mai di affrontare questa cosa
insieme. È da… Da quando abbiamo trovato Nana che non parli quasi più.”
Aggiunse in un soffio e arrossì al ricordo di che cosa avesse preceduto la
visione.
Martha si focalizzò su di lui
e vide la rigidità della sua postura, il modo in cui le mani erano serrate in
pugni, la tensione che emanava in modo tangibile. Tuttavia quando finalmente i
loro occhi si incontrarono, Albus le rivolse uno dei suoi sguardi comprensivi,
colmo di quella gentilezza che esprimeva nei gesti goffi, carico di speranza e
di tenerezza.
Nel modo in cui la guardò
trovò la forza per sciogliere il nodo enorme che le opprimeva il cuore.
Sputa il rospo.
Doveva loro la verità.
“Angie potresti andare a
chiamare anche Scorpius e Berty, per favore?” si sentì chiedere.
Continuò a osservare Albus e
gli sorrise, quando i suoi occhi verdi brillarono di felicità e di un pizzico
di malizia.
Angelique pestò un piede per
terra, comprendendo perfettamente che cosa fosse avvenuto in quello scambio
silenzioso di occhiate.
“Ma come?! Sono io il
capitano di questa spedizione, non posso essere declassata solo perché non ho
un pene!”
Albus divenne paonazzo ma non
interruppe il contatto visivo con lei.
“Angelique ci vediamo fra un
quarto d’ora.” Confermò il ragazzo con tono deciso.
“Solo?”
“ANGIE!” urlò voltandosi verso
di lei.
“Ok, me ne vado.”
La bionda alzò i palmi in
alto in segno di resa e batté in ritirata verso l’uscita, proprio mentre Albus
si sedeva accanto a lei.
“Merluzzi. Tutti e due.” La
sentirono borbottare prima di sbattere teatralmente la porta.
Quando calò il silenzio tra
loro si osservarono indecisi sul da farsi.
Come doveva iniziare? Da che
punto esattamente della loro situazione ingarbugliata dovevano cominciare a
chiarire? Poteva fregarsene delle conseguenze e stenderlo sul letto senza
troppe remore?
Albus socchiuse le labbra,
per parlare per primo, ma Martha istintivamente vi posò sopra le proprie dita
delicatamente.
“Aspetta.” Sussurrò chiamando
a raccolta quei pochi neuroni disponibili che le restavano essendo così vicina
ad Al. “Lasciami parlare. Ho bisogno di dirti alcune cose.”
Lui annuì e Martha lasciò a malincuore
la sua bocca. Quel tratto così dolce, quasi femmineo, del suo viso che le
faceva andare in pappa il cervello…
“In questi giorni non ti ho
evitato per quello che è successo prima della mia visione. Non sto bene per
altri motivi. Voglio che sia chiaro.”
Albus annuì nuovamente, come
un bambino diligente, attentissimo ad ogni sua parola o espressione.
“Quello che mi hai detto mi
ha… ehm… parecchio stupita. So che eri sincero e mi dispiace di averti risposto
in quel modo.” Un sorriso impertinente le inclinò le labbra al pensiero della
faccia di sua nonna, la Duchessa Eugenia, se avesse saputo quale risposta aveva
dato ad una dichiarazione d’amore.
“Però non mi fido. Non mi
fido di me stessa, perché basta che mi guardi esattamente come stai facendo ora
per dimenticarmi di qualunque cosa sensata… Smettila di guardarmi così!”
“Scusa.”
“E non mi fido nemmeno di te,
perché sei sempre andato via, Al. Tu te ne sei sempre andato via.” Mormorò
ricordando le mille schegge dolorose dei mesi passati pensando che lui non la
ricambiasse. Il viso di Albus si incupì.
“Ma voglio imparare a farlo,
lo voglio davvero. Quindi Albus dobbiamo fare le cose con calma, un passo alla
volta.”
Si alzò in piedi per darsi un
tono. E chiaramente per allontanarsi dal suo odore, che le stava facendo girare
la testa.
“Quali cose?” chiese
candidamente lui con occhi spalancati.
“Che ne so, le cose che fanno
tutti! Tipo uscire, parlare, conoscerci...”
“Ci conosciamo da quattro
anni.”
“Lo so, ma come amici, non
come… ehm…”
“Coppia?”
“Esatto.”
“Va bene.” Disse Albus
alzandosi a sua volta.
“Bene.” Decretò lei, cercando
di ignorare il modo in cui Albus aveva ricominciato a guardarla, mentre si avvicinava.
Chissà quanti di quei minuti
concessi ad Angie rimanevano ancora…
“Martha?”
“Mmm?”
“Posso baciarti? Con
moltissima calma, si intende.”
Beh, d’altronde dovevano pur
cominciare da qualche parte, no?
***
Quando Angelique bussò alla
porta della propria camera, cercò di ignorare la dolorosa fitta di nostalgia
che il dipinto di Antares lì sopra le suscitava ogni volta.
Le mani piccoline e agili di
Nana che sferzavano col pennello il legno scuro, il sorriso ancora
incontaminato dall’ombra della morte della madre che non avrebbero mai più
rivisto, la felicità semplice e immensa del giorno in cui era nato Arthur
Weasley…
Dall’interno della stanza
provennero alcuni rumori attutiti e dopo qualche secondo la voce di Martha li
invitò ad entrare.
Li trovarono entrambi in
piedi e sospettosamente lontani. La linea perfettamente dritta della schiena di
Martha, come se stesse portando una pila di libri sulla testa, e le guance
rosse di Albus furono una dichiarazione di colpevolezza così palese che Angie
alzò gli occhi al cielo. Li lasciava soli a parlare e quelli pomiciavano fino a
consumarsi le labbra!
Come biasimarli d’altra
parte, pomiciare era meraviglioso, faceva sentire leggeri come lanterne di
carta pronte a volare via, elettrici e allo stesso tempo intorpiditi.
Angie si scambiò un’occhiata
complice con Scorpius, il quale smise momentaneamente l’espressione cupa con
cui lo aveva trovato in Sala Comune per assumerne una molto più sardonica.
“Martha ci hai chiamati a
raccolta per spiegare finalmente ad Albus che la storia della cicogna è un
falso storico?” chiese infatti col solito tono strascicato buttandosi sul letto
di Angie.
Un cuscino colpì in pieno
viso Malfoy e questi venne apostrofato da Al con un epiteto poco lusinghiero.
“No, in verità vi devo
parlare della mia visione.” Disse lapidaria Martha.
Angie si accomodò accanto a
Scorpius sentendosi improvvisamente molto meno leggera. Bertram invece si mise
accanto all’oblò; quando era teso non riusciva a sedersi. Ad Angie sembrava di
vederlo costantemente in piedi in quei giorni.
Berty aveva il viso di un
incarnato tendente al grigio, su cui i riflessi verdi del lago lanciavano ombre
cupe, tormentate. I suoi occhi nocciola, normalmente molto dolci ed espressivi,
erano squarci scuri che rivelavano una disperazione così sottile e incessante
da non dargli mai tregua. Li volse su Martha con un gesto lento del capo, stanco.
“Direi che hai la nostra
attenzione, Prefetto O’Quinn.” Mormorò Scorpius mettendosi a sedere in modo
molto più composto.
“È stata colpa mia.” Esordì
la rossa con un’espressione contemporaneamente fiera e colpevole, come se si
presentasse stoicamente al cospetto di un giudice per il proprio crimine.
“Senza nulla togliere ai tuoi
possibili poteri divini, Martha, ma dubito che tu abbia il dono dell’ubiquità.”
commentò Scorp sollevando un sopracciglio scettico.
Angie a volte si domandava come
avesse fatto Scorpius a sviluppare quella capacità di linguaggio. Se lo
figurava a sei anni a chiedere alla madre Astoria in quale alloggiamento avesse
ubicato i suoi giocattoli per dilettarsi nel tempo libero.
“Non capite. È stata colpa
mia perché avrei potuto vederlo molto prima. Avrei potuto salvare Elena mesi
fa.”
I tratti da bambola si
contrassero, prima che riprendesse a parlare con voce ferma come il granito.
“La prima volta che ho avuto
una visione riguardante questa faccenda è stato a ottobre. Il giorno dell’anniversario
della morte della mamma di Nana. Ti ho mentito Angie, ho mentito a tutti voi.
Ricordavo e ricordo quello che vidi quel pomeriggio.”
Angelique ebbe un tuffo al
cuore tanto violento da socchiudere le labbra per riprendere fiato.
La profezia.
Aveva avuto ragione a pensare
che Martha sapesse cose che non voleva dirle.
“La seconda volta è stato in
Sala Comune, quando Elena parlava di Divinazione. La terza è stata due
settimane fa, mentre Nana veniva aggredita. Se solo avessi capito, se solo
avessi imparato a gestire i flussi invece che bloccarli, avrei visto molto
prima!” La sua voce aveva toni spietati, quelli di una condanna.
“E che cosa hai visto Martha?”
chiese Albus, facendo risultare quelle parole intrise di gentilezza e
dolcezza. Come solo lui riusciva a fare.
La O’Quinn chiuse gli occhi e
la sua voce si ammorbidì notevolmente quando, immobile al centro della stanza,
parlò.
“C’era sempre il fuoco, in
tutte e tre. Un fuoco orribile, divoratore e spietato che faceva di tutto per
prendermi. Dal fuoco emergevano figure scure, che gioivano di quella
devastazione. A ottobre ho visto un corridoio buio, pieno di celle con sbarre
incandescenti, e cadaveri. Cadaveri ammucchiati come spazzatura in un angolo.
La seconda volta…”
La voce le si spezzò, così
lei aprì gli occhi e li puntò su Angelique.
“La seconda volta, invece,
c’eri anche tu Angie in una di quelle celle. Ho visto il tuo sangue sgorgare
dalla pelle della tua schiena e tingere i tuoi capelli di rosso. Era un
avvertimento che saresti stata colpita alle spalle mentre eri indifesa.”
Angelique si rese conto di
star tremando quando sentì una mano di Scorpius afferrare la sua. La strinse
forte. Tutto in lei si era congelato in un freddo innaturale e inquietante,
penetrato nelle sue ossa insieme alle parole della sua amica.
“Due settimane fa ho capito
che Elena era in pericolo perché qualcuno mi ha parlato.” Martha esitò per
qualche istante guardandoli incerta. “Una donna è arrivata dopo quegli uomini,
splendeva di luce bianca e ha spento il fuoco. Mi ha detto di salvarla, di
salvare la sua bambina. Aveva gli stessi occhi di Nana.”
“Hai visto sua madre?” la
voce di Scorpius era flebile.
Martha annuì. Mai come in
quel momento ad Angie era sembrata fragile e potente della magia che le
scorreva nelle vene.
“Sua madre mi ha detto dove
andare. L’abbiamo trovata in quel corridoio solo perché sono stata guidata, ho
percepito la sua presenza anche mentre ero vigile.”
“Non avevo idea che potesse
succedere una cosa simile.” Sussurrò Albus.
“Ormai è un po’ di tempo che
studio le tecniche di divinazione, cercando un modo per controllare i miei
poteri. Leggendo quei libri ho incontrato più di una volta riferimenti all’evocazione
dei morti. Si sfruttano le tracce che essi lasciano sulla terra, sono come delle
orme della loro energia che vengono manipolate per richiamarne altre e altre
ancora, finché non si plasma in un’entità abbastanza solida per interagire con
essa. È Magia Nera, potente, imprevedibile, pericolosissima se l’evocatore non
è più che esperto. Ma sono sicura che non sia il caso della mamma di Elena. Non
l’ho richiamata io, è venuta lei da me e non so come sia possibile.”
Il silenzio scese su tutti,
troppo scioccati per dire qualunque cosa sensata.
“C’è qualcos’altro?”
Alla domanda gentile di Al, Martha
scosse il capo.
“Ci sono solo sprazzi,
frammenti incoerenti con tutto il resto. Sono tutti presagi, tutte le mie
visioni parlano di oscurità, ombre e terrore. Capite perché è colpa mia? Se
solo avessi lasciato che il flusso di magia si liberasse prima, ora Nana non
sarebbe in fin di vita.”
Angie capì che Martha non
voleva accettare alcun tipo di clemenza. Voleva anzi il riconoscimento dei suoi
peccati.
Invece loro le avrebbero
offerto l’assoluzione senza alcuna esitazione.
“Forse, ma probabilmente
saresti morta tu. Ho visto come ti ha ridotta la prima di queste visioni,
Martha. Non oso immaginare che cosa sarebbe successo se avessi lasciato
spalancate le porte della tua mente, lasciando la visione a farsi un giretto
tra i tuoi neuroni. Non sei stata tu a fare del male a Elena. Non è colpa tua.”
Angie riuscì a tirare fuori le parole, nonostante la voce arrochita dallo shock
che le graffiò la gola.
“E invece sì!” sbottò Martha
afferrandosi angosciata i capelli, i rossi viticci che rispecchiavano quanto
mai la sua anima confusa e splendente.
Berty si fece avanti prima
degli altri e con fermezza le districò le mani, prendendole nelle proprie.
“No. È colpa di chi ha
scaraventato Elena contro un muro, abbandonandola in quel corridoio. È
colpa di chi le ha rubato i suoi ricordi. Tu l’hai aiutata, Martha. Smettila di
farti carico di cose che non ti appartengono.”
L’assoluzione, per essere
completa e catartica, doveva provenire dalla persona giusta, rifletté Angie. Da
chi aveva parole semplici per esprimere grovigli emotivi, da chi li
proteggeva silenziosamente e con lealtà da sempre, da chi stava perdendo
l’altra parte della sua anima. Da Berty, l’angelo custode.
“Perché ho questa cosa, se non posso aiutare nessuno?
Perché serve solo a rendermi debole?” domandò Martha mentre i suoi occhi scuri
si riempivano di lacrime.
“Non sei debole Martha. Sei
una delle persone più forti che abbia mai conosciuto. Tu trasformi il tuo
dolore in bellezza e ne riempi il tuo mondo, il nostro mondo.”
Berty le lasciò andare
delicatamente le mani. Martha si asciugò gli occhi, da cui cadevano una dopo l’altra
lacrime liberatorie, come una pioggerella leggera sulle sue guance. Dopo
qualche istante di silenzio si Al si alzò e la affiancò.
“Ci deve essere un motivo se
ti sono state mandate queste visioni e sono sicuro che ci sia un motivo se
qualcuno ha attaccato Elena. Noi scopriremo il perché. Insieme.” Le disse
deciso prendendole una mano e baciandole il dorso. Martha gli sorrise
attraverso le lacrime.
Quel gesto fece sorridere
anche Angie, che si sentì investita da una strana gioia. Una sorta di sorriso
che spuntava anche in mezzo alle lacrime, come quello di Martha, derivante
dalla forza di ciò che c’era di bello e di vivo nel mondo, ciò che trovava la
forza di emergere anche quando c’erano tante, troppe ombre di disperazione
all’orizzonte.
Insieme.
La stessa bellezza di una
mimosa che rifioriva ad ogni primavera nonostante l’inverno crudele e la neve
gelida, di quei fiori che sentiva germogliare dentro di sé nonostante il
dolore.
Perché quando giungeva il
momento nessuno poteva fermare la pianta che doveva rifiorire. Nessuno poteva negarle
il diritto ai suoi fiori.
Passò qualche istante di
calma rarefatta, dopo di che Scorpius prese parola.
“Quindi ora state insieme voi
due?”
La risposta fu un altro
cuscino dritto sulla faccia ghignante di Malfoy.
***
Benji uscì dal suo ufficio
stiracchiandosi indolenzito.
Aveva passato tutto il
pomeriggio alla scrivania a controllare carte, ripercorrere gli spostamenti dei
suoi uomini e programmare nel dettaglio lo scambio del sabato successivo. Le Menadi
al completo si sarebbero coordinate coi suoi per consentire la massima
efficienza.
Dal piano sottostante
provenivano i rumori discreti dei primi avventori, quel cicaleccio confortante
che gli riempiva le orecchie e gli consentiva di perdersi nei propri pensieri.
Era teso sin da quando le
amiche di Lucy si erano presentate alla Taverna delle Lucciole e gli avevano
rivelato i loro timori. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che
Lucy fosse in pericolo, che fosse tutta colpa sua, per averla coinvolta in una
relazione che aveva fatto abbassare a entrambi la guardia.
Perché l’amore che provava
per lei lo spogliava dei sotterfugi con cui si era abilmente nascosto per tutta
la vita e che lo avevano protetto. E Lucy gli aveva concesso sé stessa con pari
intensità, senza risparmiare nulla, senza tirarsi indietro mai.
Si erano disarmati per
smettere di ferirsi, si erano abbandonati tra le braccia dell’altro pensando
che nessun posto fosse più sicuro e si erano distratti.
Benjamin si passò una mano
sugli occhi stanchi stropicciandoli leggermente e scese gli ultimi gradini
della scala, entrando nello spazio buio prima dell’arco che conduceva alla
Taverna.
Udì la risata squillante di
Tyra e anche quella di alcuni dei suoi uomini, alzò il viso pronto a sentire le
battute di pessimo gusto o gli argomenti scabrosi che costituivano i loro
dialoghi, e si arrestò nella penombra, col fiato sospeso.
Lucy, seduta al tavolo tra
Tyra e il Guercio, stava ridendo coprendosi la bocca con la propria mano. I
suoi corti capelli rossi erano come un papavero in mezzo a un campo di grano, ondeggiavano
leggeri nei movimenti della testa, si riflettevano come fuoco tra tutte le
altre teste anonime. Non poteva vederli da così lontano, ma era sicuro che i
suoi occhi scuri scintillassero nelle luci soffuse della taverna, profondi
quanto le ombre che la costituivano.
Come avrebbe mai potuto
difendersi da qualcuno che lo sbaragliava senza nemmeno rendersi conto della
forza con cui gli rubava il respiro? Come avrebbe potuto rifiutare tutto
quello?
Che Dio avesse pietà della
sua anima, se non era riuscito a non innamorarsi di lei con ogni brandello del
proprio cuore.
Lucy fu la prima a
intravederlo nell’ombra del suo rifugio. I suoi occhi si addolcirono per
salutarlo, prima che la sua espressione assumesse un’espressione irriverente e
si accomodasse meglio sulla sedia, sfidandolo a interrompere anche quella volta
la sua conversazione con Tyra.
Immaginò le proprie mani
sulle sue gambe bianche e lunghe, immaginò la propria bocca sulla pelle del suo
ventre, le unghie di lei che scavano solchi nelle sue spalle… Sorpassò l’arco
di muratura ed entrò nella Taverna, restituendole uno sguardo in cui cercò di
imprimere tutto il desiderio che in quel momento gli stava torcendo le viscere.
Lucy lesse chiaramente il suo viso e dischiuse le labbra arrossendo, mentre
anche lui si accomodava al tavolo proprio di fronte a lei.
“Oh sei già qui, che peccato!
Speravo di poter tenere Lucy per me ancora per un po’.” Tyra assunse uno dei
suoi bronci collaudati, di quelli che di solito convincevano gli uomini a
rimanere per il doppio del tempo in sua compagnia, pagando il quadruplo.
“Non ho mai conosciuto
nessuno che mi facesse sentire ben accolto come te, Tyra.” ribatté lui.
Si allungò verso Lucy e le
rubò il bicchiere di Firewhisky. Con quel gesto le sfiorò volutamente le dita,
riconoscendo il lampo che attraversò gli occhi scuri, il desiderio di
trattenerlo e di sentire ancora il suo tocco. Ciononostante lei non mosse
nemmeno un muscolo, anzi inarcò un sopracciglio contrariata per il furto del
suo whisky.
“Di che parlavate?” chiese
dopo aver bevuto un sorso dal bicchiere di cristallo.
Allungò le gambe in un gesto
casuale, rilassandosi contro lo schienale della sedia, e sentì vicino ai propri
piedi le caviglie di Lucy.
Le caviglie sottili che aveva sentito infinite volte incrociarsi
alla base della propria schiena, per trattenerlo, per consentirgli di affondare
ancor di più dentro di lei.
“Oh stavo raccontando a Lucy
un paio di cosette sul tuo conto…” Tyra si strinse nelle spalle con fare
innocente.
“Quindi posso fare
altrettanto?”
Tyra emise un verso
oltraggiato. Lui continuò a rivolgere la propria attenzione alla donna, ma nel
frattempo accarezzò col collo del piede il polpaccio di Lucy. Lei si raddrizzò
sulla sedia e lo guardò con gli occhi assottigliati, in una muta minaccia di
restituirgli la pariglia appena possibile.
“Non so proprio come faccia a
sopportarti questa povera ragazza.” esclamò Tyra alzando altezzosamente il
naso.
“Lucy ti vuoi fermare a cena?
Cucina Anthony, è bravissimo a fare le polpette.” mentre Oswald parlava il suo
occhio sano si era letteralmente illuminato di speranza. Uno spettacolo
teneramente raccapricciante.
La Ragazzina lo guardò. Nei
suoi occhi non c’era la minima richiesta o necessità di consiglio, anzi semmai
si scorgeva in essi la sfida aperta. Gli domandava silenziosamente se avrebbe
fatto un’altra scenata oppure se avrebbe declinato con garbo. Lucy lo aspettava
al varco sicura della sua reazione.
Ma se Benji da un lato
peccava di impulsività tipicamente latina, dall’altro era sempre stato molto
bravo a imparare dai propri errori.
Qualunque vincolo significava
per Lucy strenua opposizione e guerra senza quartiere. La Ragazzina andava
lasciata libera, per ritrovarla ancora più vicina a dove l’aveva lasciata.
“Ti fermerai Lucy?” Adorava
pronunciare il suo nome, quella manciata di lettere che racchiudevano in sé sia
suoni cupi che chiari, ombre e luci in armonia, come lei. Le sorrise al
pensiero di vederla a tavola con Darren che ruttava e il Bruschetta che
osservava affasciato i vetri dei bicchieri.
“Sì.”
Benjamin osservò il viso
raggiante della sua Ragazzina mentre tutti attorno esultavano entusiasti. Pensò
quanto fosse connaturato a lui amarla, la cosa più semplice del mondo
nonostante si scontrassero spesso, spessissimo. Pensò che pur di sentire dalle
sue labbra quell’unico monosillabo, ripetuto all’infinito, avrebbe fatto
qualunque cosa.
E seppe da come lei lo guardò
a sua volta, che anche se non glielo avrebbe mai detto, Lucy lo amava.
***
James pensò che Angelique
avrebbe fatto esplodere l’intera aula per la frustrazione.
I suoi occhi dal taglio a
mandorla guardavano con un tale odio la propria bacchetta che il giovane
temette di vederla andare a fuoco.
“Gigì…”
“Non dire nulla, Potter. Non
dire nulla di gentile o di confortante.” sibilò lei, poi prese lo slancio e
diede un calcio ad un banco, facendolo ribaltare a terra con un gran baccano.
Respirava affannosamente,
cercando di far rientrare nei ranghi quella rabbia che emanava come elettricità
nell’aria.
Erano fermi da tre lezioni
sulla trasfigurazione dei capelli e Gigì, che aveva fatto ottimi progressi
nella trasfigurazione classica, non riusciva a eseguire correttamente gli
incantesimi. Una volta sbagliava la lunghezza, un’altra il colore, un’altra
ancora non riusciva a farli tornare del suo consueto color grano. Come in quel
momento in cui aveva un caschetto di capelli rosso intenso.
“Beh, in realtà potresti
considerare un cambiamento permanente, Dursley. Stai bene rossa.” James si
chinò per raccogliere il banco e le lanciò un sorriso sghembo.
Le sue spalle si rilassarono
all’improvviso, come se fosse stata un palloncino bucato.
“Se rimanessi così, potrei
passare per la sorella stupida di Rose.” borbottò Gigì sedendosi su un altro
banco.
James afferrò la propria
bacchetta.
“Posso?”
Angelique sospirò e annuì con
aria malinconica. In un secondo i suoi lunghi ricci biondi tornarono a
coronarle il capo come la soffice criniera di un leone. I capelli, che anche a
quella distanza profumavano di lavanda, gli facevano venire un desiderio
spasmodico di passarvi le dita in mezzo, rendendo ancora più selvaggio il loro
aspetto.
“Forse dovrei semplicemente
rinunciare. Forse questo è un segno che non posso diventare Medimaga, che sto
solo gettando via energie e tempo e li sto facendo sprecare pure a te.”
Le sue parole furono lievi, come se fosse sfuggire dalle sue labbra insieme al respiro. Gli
occhi erano distanti e privi di espressività, ricordavano in modo preoccupante
l’aspetto che Angelique aveva avuto sul volto nel periodo orribile tra Gennaio
e San Valentino.
“Che cosa c’è che non va?
Perché ti risulta tanto difficile?”
Gigì voltò il viso verso di
lui. L’aveva vista truccata e vestita in modo da sembrare perfetta quanto un
dipinto, eterea persino. Ricordava mille altri momenti in cui la felicità l’aveva
resa radiosa, eppure mai come in quell’istante gli parve bella.
Bella con le spalle ricurve,
con il viso eburneo e teso dalla stanchezza, con le mani contratte,
con la camicia fuori dalla divisa, bella con le labbra martoriate.
Così bella che gli fece male,
del dolore antico e consolidato che era intrecciato alla presenza di lei.
“Sono stanca, James.”
Doveva essere già successo
che lo chiamasse col suo nome intero, doveva per forza nel corso di quei cinque
anni, quindi non capì perché quell’unica parola gli fosse affondata nella carne
fino a raggiungergli il cuore e farlo fermare.
James.
Non riusciva a ricordarsi di
un’altra volta in cui lo avesse pronunciato con tanta dolcezza.
Era davvero stanca, notò. Non
di quella stanchezza che con un paio di giorni di ozio avrebbe potuto
recuperare. Era quella che si insinuava sotto pelle e germogliava fino a
lasciare senza più nulla. Quella che rischiava di riportarla indietro, verso il
vuoto in cui Angelique aveva la tentazione di lasciarsi andare da quando lo
aveva sperimentato la prima volta.
Non glielo avrebbe permesso.
James balzò in piedi e la
prese per un polso, obbligandola a fare altrettanto.
“Vieni con me.”
***
“Guido io.”
“Manco morta. Guido io!”
“Solo tu puoi porre
condizioni in momenti in cui dovresti solo ringraziare.”
“Se solo avessi capito che
cosa volevi fare sarei passata dal dormitorio e avrei preso la mia Winterwind.
Così ora non dovremmo litigare su chi debba guidare.”
Gli occhi di James si
assottigliarono sospettosi.
“Com’è possibile che tu abbia
una Winterwind?”
Angelique si morse la lingua,
imprecando mentalmente. Litigare con Jessy le veniva talmente bene che si
dimenticava delle delicate architetture di bugie su cui si reggeva la
segretezza delle Menadi.
Fece le spallucce e lo guardò
dritto in viso, ricordando le parole di Roxanne.
Quando menti, guarda sempre negli occhi.
“Avevo dei soldi da parte.”
“Gigì, non prendermi per il
culo. Quello è un manico di scopa fatto su misura e in edizione limitata. Per
la Winterwind non bastano un po’ di soldi, servono un mucchio di galeoni.”
“Davvero? Pensavo bastasse
sorridere e sbattere le ciglia per ottenere tutto.”
“Quello funziona solo se sei
Dominique.”
“Sono dolente di non
rientrare in questo parametro. Ora, vuoi continuare a cincischiare o mi lasci
salire?!”
“No. Visto che stiamo
parzialmente infrangendo il divieto della Chips di farti volare, per lo meno
voglio fare in modo che tu sia al sicuro.” disse ostinato allontanando dalla
sua portata il suo manico di scopa.
“Ma sto benissimo! Per favore
Jessy, per favore lasciami guidare.”
Angie gli rivolse uno degli
sguardi lacrimevoli che aveva imparato da Estelle, quelli che solitamente la
facevano sentire un mostro per non averle dato i biscotti, come se le stesse
negando la sua unica ragione di vita.
Il campo da Quidditch attorno
a loro era illuminato dalla luce del sole calante, le alte torri decorate con
gli stendardi delle quattro case erano investite dai raggi aranciati del
tramonto.
Potter distolse lo sguardo da
lei e parve riflettere un attimo facendo scorrere le sue lunghe dita sul manico
della scopa. Aveva delle belle mani, grandi e affusolate, su cui le vene del
dorso di diramavano in percorsi articolati.
“Va bene, piccola vipera. Ti
avviso, al primo segno di stanchezza torniamo a terra.” la minacciò con
l’indice a pochi centimetri dal viso.
Angelique esultò saltellando
e pregustò la vertigine del volo. Le era mancato da morire volare. Il fatto che
Jessy avesse deciso di farle quella sorpresa le aveva fatto dimenticare tutta
la pesantezza di quella giornata.
Acchiappò la scopa dalla
presa di Potter e con una risata si mise a cavalcioni, aspettando che la
imitasse. Lui scosse la testa incredulo per poi mettersi dietro di lei.
Le mani di James afferrarono
i suoi fianchi. Le si fece vicino tanto da sentire i contorni del suo petto
contro la propria schiena, i rilievi dei muscoli sotto al maglione, il calore che emanava come una stufa a legna. La bocca dello stomaco le si chiuse sentendo quanto
le dita di lui riuscissero a circondarla senza sforzo, immaginando un attimo
dopo come potesse essere sentirle sulla propria pelle.
“Che c’è non ti ricordi più
come si fa?” le mormorò all’orecchio sbeffeggiandola. Il suo respiro era
una brezza tiepida contro l’aria pungente della sera; pur non vedendolo percepì
il suo sorriso strafottente dal tono della voce. Sorrise a sua volta.
Si diede una spinta molto più
energica del necessario, così che la scopa schizzò verso l’alto in linea perfettamente
verticale. Jessy imprecò e si aggrappò ancora di più a lei per non perdere
l’equilibrio. Lei scoppiò a ridere euforica.
Angelique attese di essere ad
un’altezza adeguata prima di volare davvero.
Il manico di scopa di Jessy
era di ottima fattura, rispondeva rapido e sicuro nonostante il carico doppio,
si manteneva stabile quando accelerava. Il corpo di Potter vicino al suo era
quasi un appiglio nell’ebrezza del volo. Non le era mai capitato di salire in
due su una scopa, eppure notò come si coordinassero alla perfezione, senza
scatti o disarmonie nei movimenti.
Girarono attorno alle
tribune, si lanciarono in picchiata sentendo il vento sferzare le guance,
zigzagarono tra gli anelli, mentre il sole calava definitivamente oltre la
linea dell’orizzonte lasciando dietro di sé la linea rossa del crepuscolo.
Angelique rise insieme a
James per l’esaltazione di sentire l’aria gonfiarle i capelli e scuoterli come
le chiome degli alberi della foresta. Chiuse gli occhi godendosi la sensazione
unica di leggerezza che solo volare sapeva donarle. Aprì le braccia a un certo
punto immaginandosi di potersi librare come Antares oltre quel campo, oltre le
nuvole, finalmente libera.
Non seppe quanto tempo
passarono sospesi in quella bolla di aria profumata di primavera e di luce
morbida, solo a un certo punto notò che dove prima predominavano l’arancione e il
rosa degli ultimi raggi era ormai diventato di un azzurro cupo, la tonalità che
precedeva l’arrivo della notte.
Inspirò lentamente, mentre faceva rallentare la scopa fino a farla planare dolcemente, fluttuando nella sera. La sua testa si reclinò spontaneamente indietro rilassata
e incontrò la spalla di James, urtandola.
“Oh scusami.” esclamò
raddrizzandosi subito, ma il palmo caldo di James le circondò la nuca. Come facesse ad avere sempre le mani calde era un mistero.
“No, rimani. Non preoccuparti.”
la sua voce era pastosa, melodica persino.
Angie, talmente in pace
col mondo, talmente felice per quel volo inaspettato, si lasciò
andare e posò la testa contro la sua spalla. La mano di Jessy la abbandonò delicatamente
e quasi ne provò dispiacere.
“Dovremmo ritornare Gigì.”
mormorò lui.
“Dovremmo, ma non vogliamo.”
“Ancora un minuto.”
Solo quando toccarono terra, smontando entrambi dala manico di scopa,
Angie poté voltarsi verso di lui. Vide che quel
giro serale gli aveva spettinato ancor di più di capelli, che le sue labbra
piene avevano una piega rilassata e le sue guance erano arrossate per il freddo.
Rimase immobile sotto lo
sguardo che lui le rivolse.
Lo stesso di quando in
infermeria lo aveva medicato, quello che le fece sentire un vago intorpidimento
lungo le gambe e caldo, caldo dovunque.
“Grazie, Jessy. Grazie di
tutto.” Si rese conto di avere la voce roca.
Jessy non le rispose.
Si chinò su di lei e le avvolse
una guancia con la mano sinistra, quella con cui tirava la pluffa e da essa resa
leggermente callosa. La colse di sorpresa depositando un bacio sull’altra guancia,
morbido e delicato come non si sarebbe mai aspettata.
Il contatto con le sue labbra
bollenti le fece balenare per la testa la voglia di voltarsi, di saggiarlo con le
proprie, dischiudere con la lingua e esplorare la sua bocca, senza alcuna
gentilezza. Ebbe voglia di trattenere tra i denti la carne tumida del suo
labbro inferiore, così irresistibile, così…
Si voltò di scatto e si
dileguò velocemente dal campo da Quidditch. Appena riuscì a ripararsi tra i
basamenti delle tribune si appoggiò al legno di una delle travi, vi si aggrappò
come una naufraga.
Il cuore le batteva come un
tamburo da guerra nel petto, sentiva il rombo del sangue nelle orecchie, le
gambe erano malferme e il suo stomaco era ridotto a una nocciolina. Si passò
sconvolta una mano sul viso, interpretando le emozioni.
Era attratta da Jessy.
Porca vacca, era attratta da
James Potter!
Doveva correre da Martha.
Arriva la Primavera e con essa il miracolo
della fioritura.
Fiori che caricano i rami, fiori a grappoli,
singoli e opulenti, piccoli e delicati, di tutti i colori immaginabili. Fiori
che incoronano le frasche lussureggianti dei parchi e dei boschi. Fiori che
colorano il mondo, fiori che potranno dare frutti e nutrire altri. I fiori che
sono il principio di tutto e che per gli stolti sono solo ornamento.
Il fiore è essenza.
E non importa quali tragedie possano colpire il
tuo albero, impara a curare le tue radici, impara a dare loro il giusto
nutrimento ed esse terranno salda la tua vita su questa terra. Non importa
quanto duro possa essere l’ inverno.
La vita vede oltre la morte delle cose.
La vita è più forte.
L’albero rifiorisce.
Note dell’autrice:
Sono molto legata a questo
capitolo, forse perché Rifiorire è il motto della mia esistenza e trarne un
capitolo intero non è stato semplice. O
forse perché l’ho scritto quando dovevo ripetermi questa parola come un mantra
tutti i giorni, per ricordarmi che, anche quando fa male, questa vita è mia e mia
soltanto.
Credo nella bellezza che
deriva dal dolore, credo nella forza di riscattare il proprio retaggio buio e
nefasto, credo nella speranza di poter fare la differenza.
Vorrei ringraziare come
sempre chi ha recensito lo scorso capitolo: Cinthia988, umaroth, leo99, vale_misty e Rarity 94. Grazie davvero, siete fantastiche.
I miei ringraziamenti sono
rivolti anche a tutti coloro che leggono silenziosamente la storia.
Vi abbraccio.
Bluelectra.
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Capitolo 34 *** Cap.34 Blood of my blood, bone of my bone ***
Cap.34
A
Marghe,
per La Gioia di quest’estate.
Cap. 34 Blood of my blood, Bone of my bone
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è amore,
tenace come gli inferi la passione.
Cantico dei Cantici
Dopo l’annuncio del ritiro dalle scene politiche da parte
del Primo Ministro Shacklebolt non erano state ancora presentate candidature
ufficiali. Negli articoli delle diverse testate giornalistiche del paese si
accennavano nomi, più o meno altisonanti, si iniziavano a ipotizzare le prime
mosse strategiche, o al massimo si delineavano possibili schieramenti, ma
nessuno fino a quel venerdì di inizio aprile aveva ancora fatto la prima mossa.
Quando gli occhi di Albus intercettarono il cognome
Schatten in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta nell’articolo accanto all’editoriale
si strozzò col porridge. Grazie a un paio di colpi di tosse riuscì a liberare
le vie aeree.
Prima di affrontare il contenuto dell’articolo prese
un sorso dalla propria tazza, ma subito dopo notò anche la fotografia dell’uomo
che stringeva la mano dell’inconfondibile William Danes, barbuto e affascinante,
lo Stregone Capo del Wizengamot.
“Danes appoggia
la candidatura ufficiale di Kurt Shatten.” Recitava il trafiletto sotto la
foto animata dei due uomini sorridenti. Gli andò di traverso pure il caffè.
“Albus stamattina fai più pena del solito.” La voce di
Scorpius era molto strascicata, per questo si poteva dedurre la compiacenza
delle sue constatazioni para-scientifiche sul risveglio del Potter domestico.
Al gli mise sotto il naso l’articolo mentre ancora
tossiva, aiutato dalle pacche tra le scapole offertegli generosamente da
Octavius, che quasi gli spezzarono la colonna vertebrale.
Un sopracciglio di Scorpius scattò in alto e Martha
seduta accanto a lui si sporse per leggere.
“Oh.” Lei alzò subito gli occhi per cercare i suoi.
“Per questo a Natale…?”
Non finì la frase, non ce ne fu bisogno. Eppure Al
apprezzò moltissimo la rapidità con cui la ragazza aveva ricollegato gli
eventi.
“Sicuramente. Quale modo migliore per consolidare
un’alleanza se non un matrimonio?! Cristo, sembra di essere tornati al
Medioevo, mi fanno venire da vomitare.” L’amarezza delle proprie parole gli
invase il palato come fiele.
La passione per la politica spesso lo poneva di fronte
al quesito se ciò che gravitava attorno a quel mondo avesse prima o poi
richiesto il prezzo della sua integrità. Se per cambiare effettivamente le cose
avrebbe dovuto scegliere sempre i mali minori e corrompere la sua anima per
asservirla a uno scopo più grande. E di fronte a Schatten e Danes che si
stringevano fraternamente la mano, banchettando sul cadavere della libertà di
Derek, non seppe darsi una risposta.
La mano di Martha si allungò attraverso il tavolo e
afferrò la sua, intrecciando le dita.
“Ci sono ancora un sacco di mesi prima delle elezioni,
sicuramente si faranno avanti candidati migliori. Vero?”
Il candore e la speranza delle sue parole spinsero Al
a sorriderle con tenerezza.
Scorpius per tutta risposta sollevò anche l’altro
sopracciglio, in un’espressione curiosa, tra il dubbioso e il divertito.
“Difficile trovare un uomo migliore di Schatten agli
occhi della comunità magica: ha riguadagnato il patrimonio di famiglia dopo che
suo padre lo aveva sperperato, ha una solida posizione nell’Ufficio del
Trasporto Magico, ha una moglie devota e una bella famiglia, è amico di
moltissimi uomini politici. È il garante perfetto delle ideologie e delle
aspirazioni dei conservatori. Senza contare che ora gode dell’appoggio di Danes
e ti posso garantire, Martha, che non è poco.” Spiegò il giovane mentre apriva
il giornale e scorreva rapidamente le informazioni contenute nell’articolo.
“Ma è un mostro! Picchiava suo figlio e lo
terrorizzava… Ha costretto Derek a fare cose orribili.” boccheggiò lei indignata.
“Certo, ma niente di tutto ciò è pubblico. Si è sempre
tutelato in modo perfetto perché la verità non venisse a galla. È scaltro.” Intervenne
Al.
Gli occhi grigi di Scorpius si alzarono dalla pagina e
incrociarono i suoi. In essi brillava una luce che lui conosceva benissimo, la
mente del giovane Malfoy si era appena immersa nelle macchinazioni politiche
che la mossa di Schatten implicava.
Che cosa avrebbe fatto Draco Malfoy a questo punto?
Come avrebbero pianificato le prossime mosse?
Martha lasciò la sua mano per passarsi i palmi sulle
braccia frizionando un paio di volte il tessuto del maglione. La sua fronte era
aggrottata in un’espressione preoccupata, che ricalcava le ombre sorte nei suoi
occhi color cioccolato durante quella conversazione.
“Non mi piace quell’uomo. Mi fa venire i brividi.”
Sussurrò infatti lei guardando male la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
Albus le versò un’altra tazza di tè ben zuccherata
sorridendo davanti alla sua espressione stupita per quel semplice gesto.
Martha aveva la capacità di prendersi cura di chiunque
con una generosità quasi spropositata, eppure appena qualcuno le dedicava una
piccola attenzione se ne stupiva genuinamente, come se non si aspettasse di
valere tanto.
Lei che valeva tutti i brandelli di cuore che si
trovava a raccattare ogni volta che gli sorrideva.
Aveva cercato di non far trapelare quanto le
rivelazioni fatte a inizio settimana da Martha lo avessero preoccupato e
sconvolto. Rimaneva la sua Martha, nulla in lei era cambiato ai suoi occhi, ma
sentiva anche dentro di sé l’urgenza di trovare una soluzione.
Una soluzione come aveva promesso a tutti per capire
che cosa fosse accaduto a Elena e un’altra, più intima, per comprendere come
poterla aiutare a dominare il suo potere di veggente.
Avrebbe tanto voluto parlarne con Angelique, chiedere
il suo aiuto per cercare qualche informazione, ma, conoscendola, quando aveva
scoperto che si trattava di chiaroveggenza e non di epilessia aveva scartabellato
tutti i volumi al riguardo della biblioteca.
Forse bisognava cercare nella sezione più divertente,
come amava definire lei il Reparto Proibito…
Non seppe come ma in quel preciso istante un
ingranaggio dentro di lui scattò finalmente, mettendo in moto tutti gli altri.
Il pungolo che aveva sentito sin da quando avevano
ritrovato Elena incosciente e sanguinante, che lo ossessionava senza
manifestarsi chiaramente ogni volta che ripensava a quella vicenda,
quell’ignoto fattore che sapeva di star dimenticando e che nonostante tutto non
riusciva a identificare gli si presentò. E fu tanto semplice e banale che
scoppiò a ridere per la propria stupidità.
Scorpius guardò l’orologio che portava al polso e
commentò:
“Ecco, infatti, è passata l’ora del risveglio.”
“La biblioteca!” esclamò sentendo le proprie labbra
aprirsi in un sorriso.
Tre paia di occhi confusi si posarono su di lui. Non
fu semplice parlare mentre la sua mente rielaborava febbrilmente le intuizioni
appena avute, eppure ci provò per spiegare ai tre che cosa si fossero persi
fino a quell’istante.
“Erano giorni che continuavo a pensarci e non riuscivo
a capire che cosa mi sfuggisse! Nana ha passato un sacco di ore in biblioteca
nei giorni prima dell’aggressione, vi ricordate che cosa ci ha raccontato
proprio qui, a tavola?”
“Arthemius Copper.” Rispose inaspettatamente Octavius.
Ci fu un attimo di silenzio in cui lo osservarono
allibiti per quell’intervento.
“Mi piacciono i racconti dell’orrore.” Borbottò il
ragazzo stringendosi nelle spalle.
“Bravo Octavius! Elena stava facendo ricerche sui
Cavalieri di Santa Brigida. Sappiamo che la mattina in cui l’hanno attaccata
era stata in biblioteca e il corridoio in cui l’abbiamo trovata è sullo stesso
piano.”
Albus riprese fiato mentre la fronte di Scorpius si
corrugava, sotto la spinta dei suoi pensieri.
“È da lì che dobbiamo partire, vedere quali libri ha
consultato e chi li ha consultati dopo di lei. Magari ne ha preso uno in
prestito…”
“Non c’era nulla nella sua cartella.” Martha scosse la
testa dubbiosa.
“Beh, comunque rimane la migliore opzione per
ricostruire i suoi ultimi spostamenti. Sento che dobbiamo andare lì.” Replicò
lui deciso.
“Guarda Al, che se lei diventa una merluzza, tu non
diventi automaticamente un veggente.” Scherzò Scorpius rivolgendogli uno dei
suoi ghigni sardonici.
“Oh taci!” lo rimbeccò Martha e gli assestò al polso
uno dei suoi colpetti secchi e decisi, facendogli cadere il biscotto nel caffè.
“Andremo in biblioteca Al.”
***
Molto tempo addietro tra le mani riluttanti di Lucy
Weasley era capitato un libro di Babbanologia, materia studiata con fervore da
sua sorella Molly, l’unica in grado di poter parlare per ore con nonno Arthur del
mondo non magico.
Tuttavia non lo aveva riposto subito nella libreria
come avrebbe fatto in qualunque altro caso, con la repulsione che sempre la
coglieva davanti ai libri alti più di due centimetri.
Attratta dalla copertina lo aveva aperto e si era
immersa nella lettura di “Storia delle popolazioni celtiche”, un brillante
testo in cui venivano esposte in modo scorrevole e preciso le informazioni pervenute
su uno dei ceppi linguistici e culturali più importanti d’Europa.
Si era innamorata perdutamente dell’animo celtico,
della percezione dell’energia della vita, dell’intensità della loro fede, della
tenacia nei secoli delle lingue gaeliche, di quell’identità impossibile da
sradicare dai popoli che ne custodivano la memoria in Gran Bretagna.
Le formule dei giuramenti vibravano fin nelle ossa di
chi li pronunciava. Lucy le percepiva vere e profonde in un modo che era
parallelo e fin troppo simile agli incantesimi di magia.
Quel venerdì sera, mentre le sue labbra trovavano
quelle di Benjamin senza nemmeno bisogno di cercarle e le sue mani affondavano
nei muscoli delle sue spalle, continuava a pensare alle stesse parole.
Sangue
del mio sangue, ossa delle mie ossa…
Serrò le labbra per non lasciarsele sfuggire, mentre
il suo corpo nudo sovrastava quello di Benji, arreso sotto di lei in una muta
meraviglia, che lo rendeva tanto bello da ferirle gli occhi.
Il torace ampio, gli avvallamenti del suo addome, le
braccia dalle curve armoniche, le linee della sua schiena, tutto in lui le era
noto come i palmi delle proprie mani, non per questo la gioia del poterlo
chiamare “suo” si era fatta meno intensa.
Si chinò su di lui e depositò un casto bacio sul lato
sinistro del petto, dove il suo cuore pulsava frenetico.
Ti
dono il mio corpo, così saremo una cosa sola…
A quel gesto gli occhi di lui si illuminarono come una
candela in una stanza buia, di quel tipo di luce intima e sensuale che più che
svelare protegge, il bagliore cupo delle sue iridi paglierine perfettamente
intonato al silenzio della notte.
E le sorrise. Semplicemente, un sorriso tutto per lei.
Il corpo di Lucy fu percorso da un tremito. Nonostante
fosse a cavalcioni sul bacino di Benji, le sue ginocchia si ridussero a
gelatina e il cuore si fermò per un istante prima di pulsare forte, quasi
dolorosamente, dentro la sua gabbia toracica.
Ti
dono il mio Spirito, finché l’Anima Nostra non sarà resa.
Lucy, stordita da quello che provava, sentì le sue
labbra schiudersi, nell’ormai inevitabile confessione. Benji colse qualcosa sul
suo viso perché si tirò su a sedere, fino a toccare con la propria pelle nuda
il suo seno e per un istante si vide riflessa nel suo sguardo.
Occhi scuri spalancati, membra tremanti e labbra
sull’orlo del precipizio.
Ma anziché parlare e lasciare che il suo cuore si
aprisse finalmente, per liberare tutte quelle parole incastrate a metà tra il
cervello e l’anima; anziché dirgli che lo amava, si mosse verso di lui, verso
il suo sesso teso che le premeva contro il ventre. Lo accolse, conducendolo dentro
di sé con la propria mano, osservando i tratti del suo viso sciogliersi al
compiersi di quell’incastro perfetto.
Un suono rauco scaturì dalla gola di Benjamin. L’uomo
seppellì il viso contro il suo collo e le sue mani le afferrarono i fianchi per
affondare dentro di lei ancor di più.
Sangue
del mio sangue, ossa delle mie ossa…
Sconvolta, si lasciò andare tra le braccia di Benji,
scegliendo di annegare ogni riflessione, perché i suoi pensieri erano come
spilli nel cuore.
Quelle erano le parole di un voto nunziale.
***
“In che senso sparito?” chiese lentamente Angelique
guardando i propri amici.
“Sparito, andato, scomparso, disperso, eliminato,
introvabile. In questo senso.” Scorpius si sedette elegantemente sulla poltrona
della Sala Comune di Serpeverde e accavallò le gambe.
“La Pince ha avuto un ictus suppongo.”
“Sì… Sembrava che le si fossero troncate di botto
tutte le sinapsi.” Commentò Martha accomodandosi sul divano.
“Poi ha iniziato a urlare.” Aggiunse Octavius
rabbrividendo visibilmente al ricordo.
Al continuò a camminare in silenzio davanti al camino,
con le mani intrecciate alla base della schiena e la fronte visibilmente
corrugata.
Quando era arrivata dall’Infermeria quella mattina,
dove era stata per un qualche minuto con Nana prima delle lezioni, Al le aveva
spiegato i propri sospetti. Anche lei aveva trovato una buona idea indagare
nell’ultimo luogo in cui l’amica era stata, ma non aveva potuto accompagnarli
perché quel pomeriggio oltre all’abituale “punizione” in infermeria aveva anche
lezione con James.
Tuttavia i suoi amici avevano avuto una spiacevole
sorpresa: il registro dei prestiti dei libri di marzo era sparito.
Lo avevano chiesto alla bibliotecaria con l’intenzione
di iniziare a capire quali fossero state le ricerche di Elena, ma quando la
donna si era girata per guardare nel proprio archivio aveva trovato solo un
buco dove prima era ospitato il faldone.
Questo ultimo sviluppo aveva trasformato i sospetti in
timori veri e propri.
“Pensate… Pensate che chi ha aggredito Nana abbia
preso anche il registro?” domandò Angie.
“Forse. Oppure qualcuno ha fatto uno scherzo alla
Pince e ci stiamo andando di mezzo noi.” Disse Scorpius stringendosi nelle
spalle.
I toni di Scorpius da qualche giorno a quella parte
erano decisamente freddi e indolenti, segno lampante che il ragazzo era
parecchio turbato.
“A questo punto è completamente inutile stare qui a
fantasticare, semplicemente quel maledetto registro non era al suo posto. Non mi
importa nemmeno più vedere punito chiunque abbia quasi ucciso la nostra Elena.
Vorrei solo che si svegliasse. Vorrei solo…” ma la voce di Berty si spense,
lasciando in sospeso quelle due parole, e tutti rimasero ammutoliti.
Vorrei
solo…
Angelique guardò Berty, che si reggeva con un
avambraccio all’architrave del camino. Lo strazio interiore si irradiava da lui
in modo tangibile, tanto che qualunque parola di conforto sembrava inadeguata e
banale.
Quelle parole che il ragazzo, tanto riservato e
introverso, non avrebbe mai pronunciato erano stampate sui tratti del suo viso,
scolpite nell’agonia di vedere sull’orlo della morte la persona amata.
Vorrei
solo guarire le ferite che ce la stanno portando via.
Vorrei
solo averla protetta.
La
mia
Elena.
Vorrei
solo avere l’occasione di dirle che l’amo, da sempre.
“Nana si sveglierà. È monitorata e curata dai migliori
medimaghi del paese, si è stabilizzata e ogni giorno che passa il suo corpo
recupera forze. Le siamo accanto tutti i giorni, lei sa che la stiamo
aspettando.” Disse Angie dopo quello che parve un silenzio infinito.
Lo pensava davvero, soprattutto quando si sedeva al
capezzale della giovane e le accarezzava i corti capelli azzurri. Sentiva che,
in qualche angolo della sua mente ferita e frammentata dall’Oblivion, Nana
rideva dei suoi resoconti della vita scolastica e le chiedeva di leggere ancora
le fiabe norvegesi che tanto le piacevano.
Berty annuì distrattamente, lasciandosi scivolare
addosso quelle parole che recavano fin troppa speranza per lui. Si scusò e li
avvisò che probabilmente non si sarebbe recato in Sala Grande per cena, e si
allontanò dalla stanza senza altre parole. Al, la crocerossina di tutti i suoi
amici, dopo qualche istante si dileguò per andare dall’amico.
Scorpius si alzò stiracchiandosi dalla poltrona su cui
era rimasto fino a quel momento.
“Io vado al campo da Quidditch. Ho bisogno di fare un
paio di tiri.” disse con il tono da nobile risorgimentale, annoiato dalla vita.
Octavius come telecomandato da una molla interiore si
alzò a sua volta e seguì l’amico fuori dalla Sala Comune.
Il fatto che il giovane avesse deciso di andare a
giocare a quidditch dopo che avevano appena scoperto del registro ad Angie non
parve affatto irriguardoso. Scorp rielaborava molto lentamente le proprie
emozioni e molte volte gli costava grande fatica scendere a patti con esse.
L’apparenza fredda e distaccata era una difesa indispensabile a quel nucleo
sensibile che raramente riusciva dimostrare. La sua uscita di scena così
distaccata era quindi un’ulteriore prova che ci fosse dell’altro oltre allo
stato di Elena a turbare il giovane Malfoy.
Finché non fosse stato lui a decidere di aprirsi non
gli avrebbe cavato una sillaba nemmeno sotto tortura.
Angelique si lasciò andare contro i cuscini del
divanetto accanto a Martha e con un gemito di soddisfazione si tolse le scarpe.
Per qualche istante le due ragazze si limitarono a guardarsi in silenzio,
godendosi quel frammento di pace tra loro.
“Allora com’è andata oggi?” le chiese Martha mentre un
sorriso prendeva forma sulle sue belle labbra. Angie dal canto suo ricordando
l’ora precedente sbuffò sonoramente.
“Come vuoi che sia andata?! Al solito. Più cerco di
non pensarci, più continuo a produrre fantasie che scandalizzerebbero persino
Nana.”
“Addirittura?”
Aveva immaginato in ordine: di pomiciare con Potter in
mezzo al corridoio, di pomiciare molto intensamente con Potter contro la porta
della loro aula degli esercizi, di togliere i vestiti a Potter, di venire messa
a sedere sui banchi mezzi sgangherati e distruggerli del tutto in modo molto
più dilettevole dei soliti Bombarda. E variazioni sui temi precedenti che
vedevano coinvolti il pavimento e la cattedra.
“No beh, forse Nana no. Non credo esista nulla al
mondo in grado di scandalizzarla.” Rettificò riflettendo meglio sulle proprie
fantasie.
“Lei approverebbe di sicuro questo strano sviluppo.” Il
sorriso sornione di Martha di tinse di una strana nota malinconica.
La mancanza dell’amica in qualunque gesto quotidiano
era lacerante. Mancavano le sue battute, i suoi occhi enormi ed espressivi, i
suoi disegni sparsi dovunque nella stanza, gli animali selvatici introdotti
illecitamente in dormitorio, l’allegria che riusciva a portare con sé dovunque
andasse. Elena mancava loro, ogni istante di ogni singolo giorno.
“Non c’è alcuno sviluppo. Non deve essercene nessuno.
Prima o poi mi passerà.” Esclamò Angelique incupendosi.
“Certo. Oppure prima o poi gli salterai addosso
davanti a trecento persone perché gli ormoni ti avranno fatto saltare per aria
il cervello.”
“Grazie Martha. No, davvero grazie, non so come farei
senza il tuo incredibile ottimismo.”
“Ti sto solo facendo riflettere su che cosa potrebbe
succedere se continuassi a ignorare i tuoi istinti. Fino a prova contraria io
sono un’autorità in questo campo.”
“Cos’è, un nuovo modo per dire che sei un’autorità in
fatto di frustrazione sessuale?!”
Angie non riuscì a schivare lo schiaffo che Martha le
elargì sul polpaccio mentre già entrambe stavano ridendo.
Quando la settimana prima era arrivata in camera con
lo sguardo spiritato e le mani che non ne volevano sapere di restare ferme. Martha
aveva impiegato parecchio a capire quale fosse il problema. Probabilmente
perché appena apriva bocca, non riusciva a terminare una frase senza
inframmezzarla di “Non è possibile.” “Come posso essere così stupida.” “Ma
perché?”. Oppure perché nemmeno con
tutte le sue capacità di Veggente, Martha avrebbe mai potuto immaginare che a
lei, Angelique Joy Girard Dursley, piacesse James Sirius Potter.
A lei piaceva Potter.
Aveva iniziato subito a esporre le innumerevoli
ragioni per cui avrebbe dovuto smettere di prendere ripetizioni da Potter, ma Martha
l’aveva bloccata con un gesto perentorio della mano.
“Non se ne parla neppure. Per la prima volta in vita
tua stai imparando qualcosa di Trasfigurazione, senza contare che tra poco più
di due mesi di sono i GUFO. Non hai alcuna speranza di passarli con i voti che
ti servono senza di lui.” Le aveva detto senza alcuna pietà.
Quindi Angelique si era piegata alle istruzioni di
Martha e nelle due lezioni che aveva ricevuto quella settimana aveva cercato in
ogni modo di non far trapelare la propria attrazione per lui. Era abbastanza
sicura di esserci riuscita, anche se James le aveva chiesto più di una volta se
avesse bisogno di un tè per rilassarsi.
Era profondamente imbarazzata con sé stessa per ciò
che la Piaga d’Egitto le suscitava.
Si distraeva a fissarne il profilo dritto, si scopriva
a tendersi come una corda di violino nell’attesa di un suo tocco fugace e a
provare un sollievo intollerabile quando poi la loro pelle si sfiorava davvero.
Si rendeva conto di cercare la sua figura alta nella folla di studenti ai cambi
d’ora.
Rideva alle sue battute.
A lei piaceva Potter.
Di conseguenza era molto grata per il fatto che
l’indomani non sarebbe stata in giro per Hogsmeade, col rischio di trovarselo
davanti avvinghiato a una delle tante ragazze che cadevano ai suoi piedi.
E quando la fastidiosa vocina dentro di lei, che aveva
il timbro di Martha, le faceva notare che anche lei era parte di quell’esercito
di pere cotte, cascate rovinosamente davanti a James, Angie si inalberava.
Non avrebbe mai ceduto.
James non avrebbe mai saputo.
Non sarebbe mai successo nulla.
Mai.
“Si vede lontano un miglio quando pensi a lui.”
Angelique si voltò inorridita verso Martha. Non voleva
sentirle dire una delle classiche cose sdolcinate che si attribuiscono delle
persone infatuate: gli occhi che si perdono nel vuoto, le espressioni da ebete,
i sorrisi improvvisi e tutti gli altri sintomi dell’attrazione incoercibile.
“Ti si dipinge in faccia la stessa espressione di
quando esplode una Mimbulus mimbletonia in una stanza senza finestre.” Le
rivelò Martha imitando la sua espressione ripugnata.
Ne fu profondamente sollevata.
***
“Quindi devo bere più acqua?”
“Oh sì, vedrai subito la differenza anche sulla pelle.
L’idratazione è il primo passo per ritrovare il proprio equilibrio. Se prendessi
anche della malva per fare un decotto sarebbe perfetto.”
“Che caz… Ehm… Che cos’è la marva?”
“No caro, si chiama malva, ha effetti emollienti.”
“Emoche?”
“E-m-o-l-l-i-e-n-t-i! Significa che rende morbido qualcosa.
Nel tuo caso è particolarmente indicata, se hai quel problemino.”
“Vi prego ditemi che sto immaginando tutto e Dominique
non sta davvero facendo lezioni di trucco al Guercio.” Lucy aveva dipinta i
viso un’espressione più che sconsolata.
“A meno che gli elfi abbiano drogato i nostri porridge
a colazione, la risposta è no, Leda. Non stai immaginando nulla, è tutto
reale.” Commentò Lily appoggiandosi con la spalla alla cornice di legno
consunto della porta.
“Credo che più che altro gli stia consigliando come
risolvere la stitichezza.” Disse Angie inclinando il capo mentre osservava da
lontano la scena.
Le altre emisero simultaneamente un verso disgustato.
Dominique, elevata dagli immancabili tacchi e vestita
con miniabito di jersey beige, intratteneva un sempre più perplesso Oswald, che
da parte sua non sapeva se continuare ad ascoltare la visione celestiale che
gli stava elargendo consigli preziosi sul suo tratto intestinale, oppure scappare
a gambe levate. Come fossero giunti a quel punto rimaneva un mistero
“Puah, preferivo immaginarmelo con uno dei rossetti
del Generale!” Esclamò Lily con un’espressione di puro ribrezzo stampata sul
viso lentigginoso.
“Noto con piacere che come sempre sono l’unico a
lavorare.”
Si voltarono tutti verso le scale cigolanti da cui
stava salendo gli ultimi gradini Benji con una delle casse di alcolici tra le
braccia.
“Oh avanti Benjamin, per una volta in cui muovi quel
tuo adorabile sedere non farlo pesare a tutti.” Sbuffò Lucy entrando nella
stanza in cui Dominique stava ancora tenendo in ostaggio il Guercio, seguita
dalle risate e dai passi delle sue amiche.
Allucemonco borbottò qualcosa di incomprensibile
mentre entrava per ultimo, ma subito dopo che ebbe posato la cassa per terra,
Lucy sgusciò al suo fianco. Rose li osservò con la coda dell’occhio e notò che le
dita di Lucy si allungarono per un istante a sfiorare quelle di Benji, il quale
le restituì un’occhiata lunga e intensa.
Come concordato la settimana precedente, si erano
ritrovati alla Stamberga Strillante sfruttando la gita ad Hogsmeade che avrebbe
concesso alle giovani l’alibi perfetto. Avrebbero consegnato il pagamento a
Benji, nascosto il malloppo per tornare a prenderlo col favore della notte, poi
avrebbero lasciato la Stamberga a coppie prendendo direzioni diverse.
Rose si sentiva particolarmente tesa, anche perché era
stata una sua idea organizzare lo scambio con quella modalità. Da quando
avevano messo piede ad Hogsmeade aveva una fastidiosa sensazione alla bocca
dello stomaco, che non centrava nulla col fatto di aver visto Scorpius Malfoy
entrare ai Tre Manici di Scopa in compagnia di una Serpeverde del quarto anno.
Dominique non aveva perso l’occasione di chiederle se avesse ingoiato un
moscerino, proprio nell’istante in cui lui si era accomodato accanto alla ragazza.
Impossibile comprendere come una persona tanto miope
potesse vedere tutte quelle cose.
“Bene, quindi che cosa ci avete portato questa volta?”
chiese Lara strofinando le mani minute, i suoi occhi nocciola erano animati
dallo sguardo cupido che solo i nuovi guadagni le sucitavano.
“Ci sono quaranta bottiglie di Firewhisky, otto di
Acquaviola e una piccola aggiunta che piacerà molto a Dominique. Mi ha detto
Lucy che la stavi aspettando da un po’.” E Benji sogghignò in direzione della
bionda. I grandi occhi turchesi di lei rimasero vacui per qualche istante, e
poi si illuminarono insieme al suo sorriso entusiasta.
“Ho sempre saputo che eri un ragazzo di solidi
principi morali. Di che colore me l’hai presa?” chiese avvicinandosi come se
stesse fluttuando sul pavimento lercio della Stamberga.
Benji assottigliò gli occhi dorati.
“Pensavo esistesse solo di un colore…” disse con
circospezione.
“Stai scherzando? Madama Mcclain aveva almeno tre
gradazioni di beige, spero che tu non mi abbia preso quell’orrore rosso che
c’era in vetrina.”
I presenti si scambiarono occhiate profondamente
perplesse. Dom sbatté un paio di volte le palpebre con quel fare impassibile,
che si solito significava che non stava pensando assolutamente a nulla.
“Dominique, che cosa centra Madama Mcclain con la
marjuana?” chiese Angelique dando voce ai pensieri di tutti.
“Ah… Quindi non mi hai preso la sciarpa di cashmere in
saldo?” la delusione nella voce di Dom era tanto intensa che Benji la guardò
mortificato.
“Ehm, no. Ti ho portato la droga.” Ribatté lui
passandosi imbarazzato una mano tra i capelli scuri.
“Oh! Beh, è comunque una cosa molto carina da parte
tua. Grazie caro.” E gli elargì uno dei suoi splendidi sorrisi da mille watt di
luminosità.
“Generale, solo tu al mondo potresti pensare che dei
contrabbandieri facciano shopping per te a Hogsmeade.” Lily aveva gli occhi
fuori dalle orbite per lo sconcerto.
Rose, che quando cercava di capire i percorsi tortuosi
della mente della cugina si ritrovava dispersa in lande di delirio, passò in
rassegna le espressioni dei presenti che oscillavano tra l’ilarità e la
parplessità, rispecchiando perfettamente anche la sua condizione.
“Bene, torniamo a noi. A quanto ammonta il conto?”
chiese a Benji recuperando dal mantello una piccola agenda su cui segnarsi le
varie spese durante le uscite ad Hogsmeade.
“Sono ottanta galeoni, come vi avevo anticipato.”
“Non credo proprio.” Lily si fece avanti con estrema
naturalezza.
“Oh cielo no, per favore.” Sussurrò Angelique
sconfortata.
“Come sarebbe a dire? Questo è il conto che dovete
pagare se volete gli alcolici.” Insistette lui mettendole sotto il naso un
foglio di pergamena con tutti i calcoli scritti.
Lily gettò un’occhiata fugace alle cifre e poi gli
rivolse uno sguardo sereno e risulto.
“Sono sicurissima che l’ultima volta le bottiglie di
Firewhisky ce le hai messe a quindici falci in meno.”
“Ma non è vero!” si difese Benji guardandola allibito.
Rose sospirò. Il povero diavolo non si era reso conto
fino a quel momento che la confidenza di Lily significava dover scendere a
infinite trattative anche per un solo zellino. E mentre i due continuavano a
discutere in una trattativa che vedeva Allucemonco sempre più confuso e
spaesato dall’atteggiamento di Lily, Rose percepì la tensione aumentare dentro
di lei.
Le sue braccia erano percorse da piccoli brividi
nonostante l’aria mite di aprile, ogni rumore di quella casa pericolante la
metteva sull’attenti.
Voleva andarsene.
Voleva andare a dare due schiaffi a quel cretino di
Scorpius Malfoy che era uscito con un’altra ragazza, una bella ragazza.
Voleva tornare in Sala Comune per piangersi un po’
addosso e mangiare cioccolata, al sicuro sulla sua poltrona preferita.
“Lara smettila di fare la tirchia. Pagali e
andiamocene, maledizione!” Sbottò con tono severo interrompendo la concitata
discussione tra i due.
Lily si zittì all’istante e la guardò con gli occhi
spalancati. Dopo un paio di secondi, afferrò prontamente da dentro il mantello
la sacca col denaro e la lanciò a Benji senza nemmeno guardarlo. L’uomo ancora
più confuso da quel cambio repentino di atteggiamento riuscì a malapena ad
afferrare il malloppo.
“Rosie Rose va tutto bene?” chiese la Potter con quel
tono pacato che in lei era segno di allarme.
Rose sentì gli sguardi dei presenti attraversare lo
spazio polveroso della stanza e posarsi su di lei. Intercettò quello verde e
affilato di Angie e parlò col filo di voce che le restava.
“Vorrei andarmene il prima possibile.”
Le Menadi recuperarono in un istante la serietà che
riservavano ai momenti più gravi. C’era tra loro quella speciale connessione
che capita di trovare poche volte nella vita, per cui se una sola di loro era
in difficoltà le altre riuscivano a comprendere e ad agire per il meglio senza
bisogno di spiegazioni. E Rose fu immensamente grata alle sue cugine che si
mossero come coordinate da fili invisibili disponendosi attorno a lei.
“Da ora in poi seguiamo il piano senza distrazioni.
Rose e Lily, voi andrete per prime e uscirete dal territorio della Stamberga in
direzione di High Street. Dom e Angie userete il passaggio che porta sotto al
Platano. Io andrò per ultima, con Benji, verso la parte vecchia del villaggio.
Andrà tutto bene, siamo preparate ad ogni evenienza. Ci ritroveremo stasera
nella Sala della Memoria a festeggiare.” La voce roca di Lucy riuscì ad
armonizzarle al punto che si distesero visibilmente.
Rose le sorrise commossa. Pensò che la sua evoluzione
dall’inizio dell’anno era stata incredibile, la metamorfosi, che la stava
portano ad una luce e una sicurezza sempre maggiori, aveva la spontaneità di un
qualsiasi fenomeno naturale, come lo sbocciare di un mandorlo a primavera, ma
non per questo risultava meno miracolosa.
Lily con un gesto completamente inusuale per lei la
prese per mano e la condusse verso l’uscita, prima di imboccare le scale però
si voltò verso Benji con un sorriso sardonico.
“Ciao Allucemonco. Vedi di non consumarmela troppo che
altrimenti stasera non riesce a stare sveglia.” E poi fece l’occhiolino al
Guercio.
Benji scoppiò a ridere mentre Lucy arrossiva fino alla
radice dei capelli.
Rose posò i propri piedi in fila l’uno all’altro, il
legno scricchiolò sotto di essi nel consueto cigolio. Arrivata a metà scala
ebbe l’istinto di voltarsi un’ultima volta e vide Benji e Lucy che le
osservavano.
La mano bruna dell’uomo era posata sulla spalla
sinistra della ragazza, un fiotto di luce entrava dalla finestra del
pianerottolo facendo brillare la polvere turbinante nell’aria, i capelli di
Lucy sembravano lingue di fuoco.
Qualcosa nel modo in cui i loro corpi rimanevano vicini
pur sfiorandosi appena, nei loro volti con le medesime espressioni serie ma
distese, le fece pensare per la prima volta che sua cugina avesse trovato un
degno compagno, nonostante la professione poco consona.
Benji era il giusto incastro di Lucy.
Alzò la mano e li salutò, prima di raggiungere Lily
già arrivata ai piedi della scalinata.
Quando uscirono dalla Stamberga Strillante uno
splendido sole primaverile investì il viso delle giovani. Rose socchiuse gli
occhi dandosi un’occhiata attorno, tuttavia la radura che segnava il confine
col bosco e il sentierino fangoso per Hogsmeade erano deserti.
Finalmente imboccando la strada del ritorno quella
fastidiosa sensazione che la perseguitava dalla mattina si dissolse. La ragione
le suggeriva che lasciandosi alle spalle l’incontro con i criminali di
Hogsmeade, dove era andato tutto bene, avesse finalmente trovato il modo di
distendersi.
Eppure una piccola parte di lei, che chiaramente
cercava di ignorare, le stava suggerendo con una certa soddisfazione che era
una balla. Faceva fatica a descrivere che cosa avesse provato vedendo Malfoy
entrare in un pub in compagnia di un’altra. Un miscuglio di emozioni violente
le si era aggrovigliato tra i polmoni, rendendole doloroso il respiro, per poi
sedimentarsi nella pancia, dove aveva continuato a pulsare in modo persistente
per tutto il tempo.
In quel momento aveva assaggiato una parte
infinitesima del dolore a cui Angelique era sottoposta ogni giorno, vedendo
Derek e Celia camminare mano nella mano per i corridoi del castello.
Era come se un organo vitale avesse preso fuoco dentro
di lei.
Gelosia.
Rabbia.
Delusione.
Immersa nei suoi pensieri, aveva camminato accanto a
una Lily stranamente silenziosa per il breve tragitto fino il recinto che
segnalava il divieto di accesso alla Stamberga.
Lo oltrepassarono e si immisero nel boschetto ben
curato che portava al villaggio.
Fu quando sollevò il viso verso le cime degli alberi,
per godersi il panorama, che comprese che la sua ragione in quegli anni si era
guadagnata a buon diritto il primato sul cuore.
Il suo istinto le aveva urlato fin dall’inizio che
qualcosa sarebbe andato storto.
Infatti proprio in quel momento un gruppo di figure
ammantate di scuro si stava facendo avanti nel folto della foresta, con le
bacchette spianate verso loro due.
***
Per non aver ancora compiuto sedici anni, Martha
pensava di avere una buona esperienza coi ragazzi.
Sin dal terzo anno aveva ricevuto molti inviti ad
uscire da parte di ragazzi più grandi, aveva accettato solo quelli dei più carini
e intelligenti, ne aveva baciati ancor meno e solo con un numero molto
ristretto aveva deciso che la frequentazione potesse proseguire.
Queste occasioni le avevano dato modo di sviluppare quelli
che lei chiamava gli “anticorpi da appuntamento”.
Gli anticorpi da appuntamento le consentivano di non
lasciare che le emozioni o il nervosismo prendessero il sopravvento durante la
giornata, facendole dire cose inappropriate o fare cose imbarazzanti. Erano
l’ingrediente fondamentale del suo famoso contegno, di quell’aria sempre a
proprio agio, che aveva capito da un pezzo piacere molto ai ragazzi.
Aveva dunque immaginato, nelle sue elucubrazioni
lunghe anni, che se mai fosse
riuscita a uscire da sola con Albus, avrebbe sfoderato la propria immunità
all’eccessiva sudorazione, alle mani tremanti e alle gaffe, stregandolo col
proprio fascino.
Se fosse stata minimamente più realista, avrebbe
dovuto prevedere che gli anticorpi avevano funzionato solo perché non era mai
stata innamorata di nessuno dei suoi corteggiatori. Il suo cuore era sempre
stato di quella testa di capelli neri spettinati che ora la stava conducendo
tra le corsie di Mielandia.
Di comune accordo avevano deciso di passare la
giornata da soli. Nessuna intromissione esterna, nessun ritrovo con gli amici,
che d’altra parte non avevano nemmeno accennato a tale prospettiva. Martha sospettava
che ci fosse lo zampino di Angie nell’omertà che era scesa sul gruppo riguardo
alla gita ad Hogsmeade.
Sin da quando aveva visto Albus attenderla in Sala
Comune, aveva sentito il cuore balzarle in gola con uno strappo violento. Le
aveva sorriso e l’aveva presa per mano, senza lasciarla mai in tutto il
tragitto fino al villaggio, nonostante le occhiate maliziose degli altri
studenti, ghiotti di nuovi pettegolezzi.
Mentre lei arrossiva, consapevole della propria vulnerabilità,
lui aveva mantenuto la sua aria serena.
“Non ti dà fastidio?” gli aveva chiesto dopo qualche
minuto indicando col mento un gruppo di Corvonero, che li aveva appena
sorpassati squadrandoli da capo a piedi.
“No. Quando nasci con un cognome ingombrante impari
presto a lasciarti scivolare addosso quel genere di sguardi. So che non è
facile all’inizio.” Le aveva risposto e poi le aveva sorriso con dolcezza,
decretando un ulteriore sobbalzo del suo povero cuore.
Nelle ore che erano seguite era riuscito a farle
scordare il resto del mondo e le angosce degli ultimi tempi. Le aveva
raccontato degli aneddoti sulla storia di Hogsmeade mentre passeggiavano tra le
vie più antiche. Le aveva passato un braccio attorno alle spalle e l’aveva
attirata più vicina mentre chiacchieravano, con spontaneità, come se l’avessero
fatto mille altre volte. Aveva selezionato alcuni posti dove mangiare e aveva
lasciato a lei la scelta finale.
E lei, che si era tanto ripromessa di sfoderare le sue
tecniche collaudate di riservatezza e aria sostenuta, invece si era sciolta
come gelato al sole. Rideva e si lasciava trasportare dall’entusiasmo
fanciullesco di Al, sentiva il calore diffondersi dentro di lei quando
intrecciavano le loro dita, quando il braccio di lui le cingeva la vita nel
mezzo della folla di studenti.
In quel momento, dentro il negozio di Mielandia, il
profumo dei dolci appena sfornati si combinava con quello di Albus, un odore
fresco e pulito, che le faceva venire una fame che col cibo aveva ben poco a
che vedere.
“Prendiamo anche i confetti al cioccolato!” esclamò il
ragazzo mettendo nel sacchetto già stracolmo altri dolci.
“Albus quando pensi di mangiare tutta questa roba?!”
gli chiese dando uno sguardo sconcertato ai suoi acquisti.
“Oggi. Con te.” Rispose lui serafico e si dileguò
verso la cassa.
Martha lo vide mettersi in coda dietro gli altri
studenti, e si fermò ad osservarlo in disparte. Le piaceva prendersi la libertà
di guardarlo con sfacciata insistenza, finché lui non si accorgeva di essere
oggetto dei suoi sguardi. A quel punto di solito lui abbassava il viso per un
attimo e sorrideva, per poi rialzarlo con un luccichio malandrino negli occhi
verdi. Altre volte, come quella, era distratto e non se ne rendeva conto.
Albus sorrise con cortesia al commesso e gli porse il
sacchetto. Il commesso strabuzzò gli occhi mentre pesava il contenuto, Al per
tutta risposta gli sorrise ancor di più scrollando le spalle. Anche Martha sorrise
divertita per lo scambio silenzioso tra i due.
Era in un negozio con Albus, a comprare schifezze
insieme, ad attendere che lui tornasse a prenderla per mano e condurla nella
prossima tappa del loro primo appuntamento.
Quasi non voleva crederci. Per la prima volta da
quando Elena era finita in coma, si sentiva euforica al punto da sfiorare
l’ebrezza.
Una volta usciti dal negozio si misero alla ricerca di
una panchina un po’ defilata dal traffico di studenti. Ne trovarono una vicina
alla parte vecchia del villaggio, scaldata dal timido sole di Aprile e perfetta
per la loro sosta. Si sedettero uno accanto all’altra iniziando subito a
pescare dal sacchetto delle meraviglie.
“Assaggia questo.” disse Al passandole un quadratino
glassato di bianco.
Martha addentò il dolce e subito si sparse nella sua
bocca un morbido caramello, aromatizzato con una leggera essenza di rosa.
“Com’è?”
“Uhm… Non male, ma preferisco cose più semplici.”
“Ci avrei scommesso.” Sogghignò lui.
“Allora perché me l’hai fatto assaggiare?” chiese
leggermente contrariata mentre con l’indice rovistava nella loro scorta di
glucosio.
“Per poter fare questo.”
Una mano di Al si posò sulla sua nuca e la trasse
verso di sé. Martha alzò gli occhi sorpresa, ma immediatamente Al chinò il capo
verso di lei.
Le labbra del ragazzo si posarono sulle sue per la
prima volta in quella giornata.
Il caldo e morbido tocco del suo bacio furono una
liberazione per Martha. Sentì sciogliersi la tensione accumulata per tutta la
gita, la soddisfazione di potersi finalmente perdere dentro il suo bacio le fece
frizzare ogni nervo. La mano di Al si insinuò nei suoi ricci, sciogliendo il
raccolto con cui aveva tentato di imbrigliare i propri capelli.
Inclinò il viso per dischiudere le labbra e sentì
sulla lingua il sapore del suo palato.
Croccante alle mandorle.
Si scostò leggermente per guardare interrogativa il
ragazzo.
“È ancora il tuo preferito no?” sussurrò Al con un
sorriso.
Aveva mangiato apposta il suo dolce preferito perché
potesse sentirlo nella sua bocca. Martha trovò quel pensiero dolce e sensuale,
sentì accendersi dentro di lei un calore che trovò il proprio sfogo nel
gettarsi nuovamente sulle labbra di Albus.
Baciò il suo sorriso e gustò il sapore delle mandorle
e quello di Albus, finché non capì più quale fosse quello che preferiva.
***
“E con questo abbiamo fatto.”
Lucy nascose anche l’ultima cassa nello sgabuzzino e
ne chiuse la porta. Angie si fece avanti per tracciare con ampi gesti della
bacchetta gli incantesimi di occultamento, in modo che nessuno avesse potuto
trovare la merce anche se avesse ispezionato la stanza centimetro per
centimetro. Avevano iniziato a usare questo metodo quando si erano rese conto
che a volte gruppi di giovani impavidi si introducevano nella Stamberga per
provare il proprio coraggio, spinti dalla fama sinistra che l’edificio
manteneva anche dopo cinquant’anni dalla sua costruzione.
Dominique osservò l’orlo del mantello di panno
leggero, con un sorriso beato pensò a quando avrebbe potuto smettere tutto il
guardaroba invernale per passare a quello estivo. Chiffon, lino, seta, tulle, cotone,
organza, tessuti delicati e chiari che le avrebbero accarezzato la pelle come
nubi raccolte attorno alle sue membra.
Angelique le passò accanto e le rivolse uno sorriso
interrogativo.
“Pensavo all’estate.” Le rispose scrollando le spalle.
I tratti dell’altra si illuminarono, probabilmente per
i ricordi legati alla Tana: le cene in giardino, i tuffi nello stagno vicino a
casa, i giochi folli organizzati da Lily, Lucy e occasionalmente Roxanne, la
quiete dei pomeriggi afosi… Quell’estate ci sarebbe stato anche il matrimonio
di Vic e Teddy, un trionfo di perfezione a cui lei avrebbe dato vita.
“Ragazze, è ora di andare.” la voce graffiante di Lucy
la riscosse dalle sue visioni di organza e bomboniere.
Dom alzò lo sguardo e colse l’espressione con cui
Benji osservava Lucy dare le ultime istruzioni ad Angelique sul punto di
ritrovo. Gli occhi dorati erano un turbine di preoccupazione e di ammirazione
per la sua donna, celavano un impeto così ben ammansito da non trasparire quasi
mai, ma che vibrava in lui come una melodia antica. Sangue latino, che
vorticava nelle sue vene, rendendolo scaltro e contemporaneamente troppo fragile
nei suoi sentimenti.
Benjamin si accorse di essere osservato e
immediatamente quell’espressione che lei aveva avuto il privilegio di spiare si
dissolse, lasciando posto ad una molto più fredda.
E fu proprio nel momento in cui lei sorrise a Benji
con fare complice, in cui Angelique la chiamò per scendere insieme verso il passaggio
segreto, in cui lo scambio si era concluso, che un boato scosse la Stamberga
Strillante fino alle sue fondamenta. Qualcosa che non provava da molto tempo, precisamente
da quando si era resa conto di amare Teddy, le si riversò nel sangue come acido.
Il panico.
Incrociò lo sguardo atterrito di Lucy e scattarono
verso le scale, ma Benji fu più rapido di loro. L’uomo si frappose fra le
ragazze e la porta, rimanendo al sicuro dietro l’intelaiatura, lanciò uno
sguardo verso il piano inferiore.
Un lampo di luce scarlatta sfiorò di pochi centimetri
il naso di Benji e si andò a schiantare contro la finestra, facendola esplodere
in mille frammenti. Si chinarono tutti verso il pavimento, il rumore del vetro che
andava in frantumi coprì solo in parte le loro grida di spavento.
Benjamin invece rimase impassibile al suo posto e con
un movimento fulmineo lanciò uno Schiantesimo verso il basso, mirando
attraverso la ringhiera. Si udì un tonfo, seguito un brusio lievissimo, che se
non avessero avuto tutti i sensi in allerta sarebbe stato impossibile da udire.
Erano il segno che l’incantesimo aveva trovato il proprio bersaglio.
Questo concesse all’uomo il vantaggio di potersi
sporgere appena, per osservare finalmente chi avesse fatto irruzione nella
Stamberga attaccandoli.
Quando ritirò la testa, aveva l’espressione più
tremenda che Dom gli avesse mai visto.
Era la fusione di rabbia, frustrazione e paura
distillate negli occhi da felino. Dominique intuì chi fossero i gentili signori
al piano terra prima ancora che l’uomo parlasse; non pensava esistessero molte
cose in grado di farlo uscire tanto dai gangheri.
“Auror.” Ruggì lui stingendo le labbra in una linea
feroce.
Le ragazze si rimisero in piedi e si mossero
silenziose in un angolo riparato della stanza, mentre il Guercio raggiunse
Benji dall’altro lato della cornice della porta.
“Questo è potenzialmente un problema.” Bisbigliò Dominique.
“Il passaggio è occultato in fondo alle scale.” Gli
occhi di Angelique si sbarrarono nella consapevolezza di essere in trappola.
Lei stava cercando di riportare alla mente tutte le
stanze che avevano ispezionato prima della festa di Halloween. Era sicura che
ci fosse un punto del piano superiore connesso alle cucine, ma non ricordava se
fosse la stanza accanto al bagno o quella di fronte.
“Come hanno fatto a entrare? C’erano gli incantesimi
di invalicabilità!” esclamò Lucy e nonostante provasse a stare calma, i suoi
occhi erano specchi scuri di terrore.
“Sono Auror, Lucy! I vostri incantesimi da GUFO sono poco
più che giochi di prestigio per loro.” Sibilò Benjamin lanciando un altro
Schiantesimo.
Questa volta si udì il rumore del legno che si
sbriciolava nell’impatto con l’incantesimo.
“Allucemonco sei circondato! Arrenditi e non ti verrà
fatto alcun male.” Esordì una voce di donna dal fondo delle scale.
“Ah! Come se fosse la prima volta.” Il tono beffardo
con cui rispose ben si accordava al ghigno sulle sue labbra.
L’uomo fece levitare un’ingombrante cassa di legno
massiccio attraverso la stanza e con un colpo secco del polso la mandò a
schiantarsi al piano inferiore. Qualcuno eresse uno scudo difensivo che
polverizzò il mobile, ma l’uomo sfruttò quel momento per iniziare a tempestare di
Schiantesimi e Maledizioni la pattuglia di Auror, il Guercio alla sua destra
gli diede man forte.
In pochi secondi precipitarono nel caos. Gli Auror
disponevano di forze nettamente superiori, così che per quanto fosse ristretta
la soglia della porta, continuavano a piovere lampi di incantesimi che stavano
distruggendo la stanza. Lo spazio libero per contrattaccare era troppo esiguo
perché le ragazze potessero aiutare efficacemente i due uomini.
Lucy in una mossa spontanea le aveva attirate entrambe
verso di sé, circondandole con le proprie braccia. Osservava impotente l’uomo
che amava lottare in uno scontro impari, contro qualcuno che se li avesse catturati
li avrebbe sbattuti tutti in galera.
In galera avevano quel dress-code orribile grigio topo,
informe, peggio ancora della divisa scolastica, davano da mangiare schifezze e
soprattutto non le avrebbero mai concesso di portarsi tutte le sue creme.
Dominique Weasley non sarebbe mai finita in prigione.
E nemmeno le sue cugine, anche a costo di corrompere Lucifero in persona.
Gli oggetti attorno a lei esplodevano in
continuazione, il corpo sottile di Lucy scattava ad ogni rumore più vicino.
Angie si era posizionata davanti a loro, nel tentativo di neutralizzare gli
incantesimi che sorpassavano le difese di Benji e Oswald.
Dovevano uscire da lì prima che crollasse l’intero
palazzo.
“C’è una stanza collegata alla cucina.” Disse a Lucy.
“Solo che non sono sicura di quale sia.”
Lucy sbatté un paio di volte le palpebre guardando la
scena davanti a sé. Oswald era stato ferito a un braccio, che sanguinava
attraverso la camicia, la cornice della porta dietro cui si stavano riparando
era completamente distrutta, Angelique riusciva a stento a difendersi dalla
pioggia di maledizioni, Benjamin sembrava stremato dallo sforzo.
Poi la scostò da sé lentamente e la prese per le
spalle.
Si guardarono negli occhi per un attimo e quando
quelli di Lucy si velarono di lacrime, Dominique scosse freneticamente la
testa.
“NO. No, scordatelo!”
“Ascoltami, Dom…”
“Ho detto di no! Tu non sai truccarti, non sai
vestirti decentemente, non sai farti la manicure. Non ti lascerò qui. No.” E
per la prima volta in vita propria sentì che avrebbe potuto incenerire il mondo
intero. Non avrebbe lasciato Lucy ad affrontare la prigione senza di lei, si
sarebbe ridotta in modo pietoso, con le unghie rotte e le labbra screpolate.
“Dominique ascoltami: Oswald reggerà ancora per poco e
poi gli Auror saranno qui. Io e Benji possiamo creare un diversivo per coprire
la vostra fuga.” E le mostrò una busta di Polvere Buiopesto Peruviana, che
portava con sé durante gli incontri di affari delle Menadi.
“Vieni con noi, ti prego.”
“Dominique!” Lucy affondò le dita nei muscoli delle
sue spalle. Il dolore fisico le restituì la lucidità necessaria ad affrontare
quello che stava davvero per succedere. “Non c’è più tempo.” Aveva
perfettamente ragione, non avevano più tempo.
“Vi ho promesso che nessuna di voi sarebbe finita nei
guai. Io posso affrontare le conseguenze di tutto questo solo se so che siete
al sicuro. Devi portare via Angelique e Oswald. Se non puoi farlo per te
stessa, fallo per Angie, per il suo futuro. Fallo per James.”
Sapeva che Lucy avrebbe usato qualunque arma pur di
convincerla, ma un colpo così basso non se lo sarebbe mai aspettato. Forse,
dopotutto, qualcosa era riuscita davvero ad insegnargliela.
Dominique le accarezzò uno zigomo spigoloso.
“Sei una vacca. Hai imparato dalla migliore.”
Le diede le spalle, inghiottendo il dolore e
stampandosi in faccia il sorriso che da anni copriva la superficie spezzata
della sua anima.
Lucy con uno scatto felino si portò dall’altro lato
della stanza accanto ad Oswald, evitando per un soffio il lampo scarlatto che
andò a neutralizzarsi contro il Protego di Angelique. Dominique invece si
acquattò accanto ad Angie, mettendole una mano sulla spalla per attirare la sua
attenzione.
“Lucy ha un piano. Dobbiamo uscire più in fretta
possibile quando lei e Benji ci daranno la copertura dagli incantesimi. Guercio
tu verrai con noi, inteso?” la sua voce risultò chiara e forte nonostante il
fracasso.
Gli occhi di Benji lampeggiarono allarmati verso la
sua ragazza. Nello sguardo duro e pieno di determinazione che lei gli restituì
trovò la spiegazione che cercava. Imprecò scagliando un incantesimo
violentissimo contro un Auror, che in quel momento era uscito allo scoperto per
coglierli finalmente di sorpresa. Lo prese in pieno petto e quello si accasciò
svenuto sui gradini.
“Ragazzina, non ci provare nemmeno!” sbraitò lui.
“Sta’ zitto, Allucemonco. È l’unico modo.” Ribatté la
rossa, scostando definitivamente Oswald e prendendo il suo posto nella difesa.
“Ma come…” Angelique con la fronte aggrottata tentò di
esprime la propria perplessità, ma Dom la interruppe.
Fallo
per James.
“Non preoccuparti, loro due ci raggiungeranno subito
dopo. Dobbiamo raggiungere la stanza accanto al bagno.”
Il Guercio osservò interrogativo e calmo il suo Capo. Benji,
con una faccia da funerale, annuì seccamente, approvando il piano di Lucy.
Entrambe le bionde si calarono il cappuccio del
mantello sopra la testa, imitate subito dopo dal Guercio.
Attesero con i nervi a fior di pelle il segnale di
Lucy che, dopo aver allontanato dalla scala l’ennesimo Auror che tentava di
salire, fece loro un cenno del capo. La giovane lanciò oltre la balaustra la
polvere scura e immediatamente si sparse una cortina nera e densissima fin
quasi al loro piano. La squadra doveva essere molto ben addestra, perché non si
udì il benché minimo verso di stupore.
Benjamin fu il primo a fiondarsi fuori dalla stanza,
scagliando incantesimi a raffica. Lucy lo seguì subito dopo e attivò
immediatamente lo scudo protettivo, che si rivelò essenziale, perché passato il
primo momento di panico gli Auror iniziarono a contrattaccare.
Avevano i secondi contati prima che l’effetto della
Polvere si esaurisse e gli Auror costringessero alla ritirata Lucy e Benji.
Dominique sospinse Angie verso l’uscita e agguantò per
il mantello il Guercio, facendogli capire che non gli avrebbe consentito di
rimanere accanto al suo capo. In quelli che dovettero essere pochi secondi
uscirono dalla stanza, passarono dietro i due che li stavano proteggendo e
raggiunsero illesi la loro meta. Eppure per Dominique fu un tempo lunghissimo, dilatato
in modo innaturale. Il terrore per Lucy le riempì il cuore e si focalizzò su James
per non tornare indietro ad ogni passo.
Doveva riportare Angie da lui, doveva proteggere
quella flebile scintilla che si stava accendendo tra loro, doveva mantenere la
concentrazione sui piccoli passi che li avrebbero condotti fuori dalla
trappola.
“Angelique, controlla se accanto all’armadio c’è uno
sportello nel muro.” Ordinò la Weasley chiudendosi la porta alle spalle e sigillandola
con un Colloportus senza farsi vedere dagli altri due.
Aiutò Oswald a sedersi, il quale emise un flebile
gemito strizzando gli occhi per il dolore. Dominique si chinò e gli scostò il
mantello con delicatezza. Vide che la macchia si era allargata moltissimo sulla
camicia sporcando di sangue anche parte del costato.
“Sì… è come un piccolo ascensore! Ma è troppo stretto
per Oswald o Benji, probabilmente lo usavano per il cibo.” Le disse Angie alle
sue spalle.
“Allora allarga il passaggio.”
“Oh certo, e poi trasfiguro quella sedia in un drago.”
“Sarebbe senza dubbio carino, ma poco pratico per una
fuga defilata. Tu concentrati e fa’ come ti ho detto.”
Dirigere le azioni altrui in un frangente simile
l’aiutava davvero. Le dava l’illusione di avere qualcosa sotto controllo,
mentre fuori dalla porta continuavano i rumori della battaglia. Il Guercio era
visibilmente pallido e respirava affannosamente, doveva evitare che si
dissanguasse prima che Angelique avesse finito con il carrello.
Tagliò il tessuto dell’altra manica con la bacchetta
ed eseguì una fasciatura con un “Ferula” attorno all’arto dell’uomo, che
inspirò violentemente.
“Fatto?” chiese
alzandosi.
“Più o meno… Probabilmente ho fatto evanescere anche
qualche muro portante.” Angelique abbozzò un sorriso che si ghiacciò sulle sue
labbra quando sentirono un urlo sovrastare il fracasso degli incantesimi.
Era la voce di Lucy. Angelique si slanciò verso l’uscita
ma Dominique le sbarrò la strada. La Dursley sgranò gli occhi stupita per
quella mossa e la osservò come se fosse impazzita.
“Dobbiamo andare ad aiutarli.” Disse Angie.
“No. Altrimenti sarà stato tutto inutile.” Rispose e
si voltò per lanciare un “Muffliato” contro la porta. Ci mancava solo che li
trovassero gli Auror perché stavano litigando.
“Dominique…” Angie sussurrò il suo nome con un tale
smarrimento che gli occhi le si inumidirono. Ma non aveva tempo per piangere.
Non aveva tempo per provare confusione e smarrimento, doveva solo scappare.
“No. Ascoltatemi bene, tutti e due: quello che
dobbiamo fare noi è uscire il prima possibile da questa topaia e dare il via
alle misure di sicurezza.” Disse guardando prima uno e poi l’altra, che le
restituì un’occhiata ribelle.
“Angelique, ragiona! L’unico modo che abbiamo per
aiutarli è dall’esterno. Abbiamo un protocollo per le emergenze e dobbiamo
applicarlo. Non fare sciocchezze.”
La bionda distolse lo sguardo e si morse il labbro
inferiore, combattuta tra il fare di testa propria e il darle ascolto.
“Non hanno mai avuto intenzione di seguirci.” Concluse
con un tono triste e rabbioso allo stesso tempo.
“No infatti, ma non avreste mai accettato senza
perdere un mucchio di tempo. Forse un giorno mi perdonerete, o forse no, non mi
importa. Ora entrate nel passaggio e…”
Non riuscì a concludere la frase perché la voce le venne
meno. Una vera e propria carica di passi fece tremare il pavimento, mentre
dall’altro capo del corridoio le urla disperate di Lucy si moltiplicarono unite
a quelle di Benjamin.
“Benji. No! Lascialo, lurido bastardo, NO!”
Se anche le fosse rimasto un briciolo di cuore per
vivere da quel giorno in poi, morì nell’istante in cui la sentì urlare in quel
modo. Un silenzio innaturale scese sulla casa mentre gli Auror portavano via
Lucy e Benji.
Sarebbero tornati entro pochi minuti per ispezionare
la Stamberga.
“Guercio, tu sai che cosa fare una volta uscito da
qui?” Gli chiese immaginando che pure gli uomini della Taverna delle Lucciole
avessero un piano in caso in cui il loro capo fosse stato catturato. Oswald con
espressione grave annuì.
Angie si avvicinò all’uomo per analizzare il bendaggio
che aveva fermato l’emorragia. Annuì assorta, approvando il suo lavoro, e poi
aiutò l’uomo a rimettersi in piedi.
“Vado io. Se ci sono altri Auror in giro, meglio che
me ne sbarazzi prima di farvi scendere.” Disse Oswald e Dom si rese conto che erano
le prime parole che gli sentivano dire da quando era scoppiato quel macello.
L’apertura nel muro era appena sufficiente per
consentirgli di infilarvisi, ma all’interno lo spazio era decisamente più
agevole. Oswald entrò e loro con un colpo di bacchetta avviarono il meccanismo
del carrello.
Angelique evitava di guardarla negli occhi e si
muoveva con fare meccanico, quasi che fingesse di essere sola. E il pensiero
che, dopo tutto quello che era successo, Angelique fosse arrabbiata con lei le
fece ribollire il sangue, proprio perché lei per prima si stava flagellando
interiormente.
“Non pensare nemmeno per un istante che per me sia
stato facile. Mentre li lasciavamo in quella stanza, io sapevo che li avrebbero
persi. Mentre ti salvavo il culo, io sapevo che stavamo condannando Lucy.
Quindi, per favore, evita di essere incazzata con me.” Sibilò afferrandola per
un braccio.
Gli occhi di Angie finalmente si fissarono nei suoi, con
una dolcezza spiazzante.
“Oh Dom… Non potrei mai essere arrabbiata con te. Hai
fatto ciò che doveva essere fatto, anche se era la cosa più difficile.” Angie
si interruppe alzando gli occhi verso il soffitto per ricacciare indietro le
lacrime. “Stavo solo pensando che Benji ci aveva avvertite e noi lo abbiamo
ignorato. Potevamo tirarci indietro quando le cose hanno iniziato a
complicarsi, ma siamo state delle sciocche presuntuose. Ora Lucy ne pagherà le
conseguenze.”
“Se abbiamo una sola speranza di limitare i danni
dobbiamo raggiungere Rose il prima possibile. Corri Angie. Corri come se avessi
il diavolo alle calcagna.”
***
Le avevano scoperte.
Rose saliva le scale continuando a ripetersi quelle
parole.
Gli Auror, le squadre addestrate da zio Harry e suo
padre, avevano arrestato Lucy e Benjamin. La famiglia intera sarebbe stata
coinvolta in quella faccenda.
Erano davanti a qualcosa di irreparabile.
Lei e Lily avevano incrociato nel bosco di Hogsmeade
gli Auror. Dopo un primo momento di sorpresa uno di loro era stato incaricato
di riaccompagnarle verso il villaggio, perché, avevano spiegato loro, quella
zona non era sicura. Rose non aveva quindi potuto inviare nessun Patronus alle
cugine per avvisarle del pericolo.
Una volta liberatesi dell’Auror tanto zelante erano
corse al castello, attendendo le altre vicino alla Sala d’Ingresso, il punto di
ritrovo stabilito all’inizio, col cuore in mano per l’agitazione.
Ma quando aveva visto arrivare solo Angie e Dominique,
stanche e stravolte, aveva capito che quella volta erano state scoperte.
Nessuna di loro aveva pianto, avevano ingoiato tutte
quante le lacrime che bruciavano negli occhi e si erano coordinate per salvare
Lucy e sé stesse. A lei era toccato il Quartier Generale.
Prima di dividersi erano passate dalla Sala d’Ingresso
e lì avevano trovato un folto gruppo di studenti in fermento. Dominique, con
una faccia di bronzo incredibile, aveva chiesto informazioni a un suo compagno
di corso: era appena passata una squadra di Auror con due prigionieri
incappucciati.
Ad ogni passo che macinava, pensava a che cosa fosse
accaduto a Lucy, alla reazione di sua madre se avesse saputo in che cosa era
stata coinvolta, alla possibile espulsione, ai GUFO, ai MAGO di Lucy. Sperava
di svegliarsi da un momento all’altro nel suo letto e scoprire che era tutto un
incubo, ma il terrore che la pervadeva era troppo reale per illudersi.
Si arrovellava pensando a quando avessero commesso il
passo falso che le aveva condotte lì. Pensava così intensamente a tutte le
scelte fatte fino a quel momento, che non si accorse di essere inseguita finché
qualcuno non le toccò la spalla.
Si voltò di scatto sfoderando la bacchetta e si trovò
davanti lo sguardo esterrefatto di Scorpius Malfoy. Il giovane alzò
immediatamente le mani in aria.
Ci mancava solo Scorpius Malfoy sul suo cammino.
“Weasley, ti sto rincorrendo da cinque minuti. Non mi
hai sentito?”
“No. Sparisci Malfoy, ho da fare.” Disse abbassando la
bacchetta e ricominciando a camminare.
Impossibile sperare che almeno una cosa in quella
giornata andasse per il verso giusto, ovviamente Scorpius non le diede retta e
la bloccò ancora.
“Rose va tutto bene?”
Gli occhi grigi del ragazzo erano seri e pieni di una
comprensione che Rose non desiderava. Voleva restare sola e portare a termine
il proprio compito, prese un profondo respiro per evitare di esplodere appena
avesse aperto bocca.
“No. È tutto un gran casino, ma tu comunque non puoi
fare nulla. Quindi dammi retta Malfoy, sparisci e non farti coinvolgere.”
“Vengo con te.”
A quel punto fu troppo. La calma con cui aveva cercato
di affrontare tutto crollò miseramente e si lasciò travolgere da quello che
provava, dal tumulto indistinto di emozioni che facevano a pugni tra loro. Il
senso di colpa, il sollievo di potersi sfogare su qualcuno, la frustrazione, la
rabbia, la sconveniente felicità di vederlo interessato a lei, la paura.
“NO! Possibile che tu non riesca a capire una semplice
parola? Vattene!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola e sentì le lacrime
salirle agli occhi, per poi scendere sulle guance.
Oh Merlino, come era liberatorio concedersi finalmente
di piangere un po’. Anche se lo stava facendo davanti al ragazzo che le piaceva
e che le aveva annebbiato il cervello per settimane, la probabile causa della
perdita della sua famosa intelligenza.
“Scordatelo. Sei nei guai, non ti lascio sola.” Disse
risoluto Malfoy scuotendo la testa.
Rose si mise le mani nei capelli esasperata. Perché?
Perché tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare era capitato sul suo
cammino qualcuno di tanto testardo e ostinato? Mentre piangeva e pensava a come
liberarsi di lui, Scorpius si avvicinò. Con un gesto cauto le prese una mano
nella propria. Aveva la pelle morbida e tiepida.
Alzò gli occhi verso di lui, confusa da quel contatto
delicato, datole in risposta alla rabbia con cui lo aveva attaccato.
“Non mi devi spiegare nulla, Rose. Basta che tu mi
dica come posso aiutarti.”
Malfoy che aveva fatto dei sotterfugi uno scopo di
vita, stava tentando in ogni modo di convincerla a dargli fiducia, nel momento
più difficile della sua vita. Quel ragazzo aveva un tempismo di merda.
“Rose, posso aiutarti. Fidati di me.”
Il tono basso, sincero, che scaturì dalle sue labbra
la fece cedere. Perché aveva bisogno di condividere con qualcuno la colpa che
le gravava sul cuore, aveva un bisogno disperato di non sentirsi sola di fronte
ai propri errori. Per una volta, una sola, doveva fidarsi di qualcuno.
“Giurami che non farai domande e non parlerai a
nessuno di quello che vedrai.” Mormorò Rose.
“Lo giuro.” Rispose immediatamente il ragazzo e,
quando lei riprese a camminare verso il Quartier Generale, lui non le lasciò la
mano.
***
Li avevano disarmati, avevano legato le loro mani,
coperto i loro volti con cappucci scuri, li avevano costretti a camminare al
buio lungo una strada accidentata e poi li avevano separati.
Benjamin era certo che avessero portato via la sua
Ragazzina, perché a un certo punto aveva smesso di sentire il suono dei suoi
respiri affaticati e quello dei suoi passi accanto a sé.
L’avevano ferita a una gamba durante lo scontro,
avevano osato mettere le loro sudice mani sul suo corpo e ora l’avevano portata
chissà dove. Che Dio li proteggesse, se avesse trovato il modo di recuperare la
sua bacchetta.
Maledizione! Se solo Lucy, per una fottuta volta, lo
avesse assecondato e li avesse lasciati a cavarsela, non le sarebbe successo
nulla. Non sapeva se era più arrabbiato con gli Auror o con lei. Probabilmente
con lei, perché aveva scelto di restare al suo fianco.
Quando lo avevano disarmato, aveva cercato di opporre
resistenza, più per abitudine che per reale convinzione di poter scappare. Un
Auror grande e grosso lo aveva atterrato con un pugno nello stomaco. Lui si era
arrabbiato ancor di più e aveva tentato di colpirlo da terra, con scarsi
risultati. In compenso aveva ottenuto un calcio nel costato e, quando lo
avevano rimesso in piedi, un manrovescio che gli aveva spaccato il labbro
inferiore.
Aveva sentito le urla di Lucy e visto il suo sguardo
terrorizzato, così aveva smesso di lottare, lasciando che lo legassero. Altro
motivo per essere arrabbiato con la sua donna.
A giudicare dal dolore che ogni respiro gli causava
doveva avere qualche costola fuori uso. Sulla bocca sentiva ancora il bruciore
della ferita che si mescolava a quello dell’ultimo bacio che si erano dati,
prima che gli Auror li raggiugessero. Le mani sul viso, le bocche fameliche,
una sull’altra per poco più di una frazione di secondo.
Forse era giunto il momento di pagare il prezzo di ciò
che si era preso dalla vita.
La propria libertà, tesori dagli abissi degli oceani, alcune
case, oggetti lussuosi, un mucchio di galeoni su un conto non rintracciabile,
Lucy.
La Ragazzina era stato il suo peccato più grande, ciò
che aveva rovesciato gli equilibri cosmici e decretato la sua rovina.
Non avrebbe dovuto trascinarla in quel mondo squallido
e violento, non avrebbe dovuto contaminare una cosa così bella, lo aveva sempre
saputo. Eppure, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, non avrebbe
cambiato assolutamente nulla.
I pochi mesi che gli erano stati concessi con lei
erano valsi gli anni di Azkaban che lo attendevano.
Sentì dei passi avvicinarsi e dopo qualche secondo gli
levarono il cappuccio. I suoi occhi furono feriti dalla luce della stanza, così
fu costretto a chiuderli infastidito.
Quando li riaprì una fila di figure in divisa marziale
era schierata davanti a lui. Al centro svettava sugli altri un uomo molto alto
e magro, con una veste da mago del Ministero. Aveva corti capelli rosso carota.
Benji fissò il proprio sguardo su di lui, sul suo
naso, sui tratti taglienti e gli occhi chiari dietro la montatura di corno. Sul
suo petto era ricamata in argento la W del Wizengamot.
“Lei è il Signor Richardson?” gli chiese l’uomo con
tono severo.
Benjamin annuì in silenzio.
“Io sono il Magistrato Weasley, sono il responsabile
delle indagini.”
Benji rimase immobile per un paio di secondi e poi
scoppiò a ridere in faccia a tutti gli Auror, che si guardarono completamente
spiazzati. Rise col capo rovesciato indietro finché non gli vennero le lacrime
agli occhi.
Pur nella disgrazia doveva ammettere che la sua vita
aveva sempre avuto un certo umorismo.
Era appena stato arrestato da suo suocero.
Note
dell’Autrice:
Ehm… Diciamo che sono passati alcuni mesi, quindi magari molte persone avranno perso la speranza
di vedermi aggiornare. E invece non dovete mai perdere la speranza! Soprattutto
con me, che sono lenta (lo ammetto), ma prima o poi raggiungo sempre i miei
obiettivi.
Finirò questa storia, voglio finirla, solo con i miei
tempi.
Detto ciò, spero che il capitolo sia stato di vostro
gradimento e che il prossimo non mi costi altrettanti mesi di gestazione.
Un grazie speciale a chi dieci mesi fa ha lasciato la
recensione al cap. 33, quindi: Cinthia988,
leo99, vale_misty, carpethisdiem_ e
Kill_your_darlings.
Vi mando un abbraccio e tanti baci.
Bluelectra.
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Capitolo 35 *** Cap.35 Show must go on ***
Cap. 35
Cap. 35 Show must go on
Inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on
Queen,
Show must go on.
Galleggiava
leggera in un mondo inconsistente, come un palloncino pieno di elio nel cielo,
sempre più lontana.
I
suoi sogni erano lunghi giorni interi, protratti in modo innaturale. Alcuni
erano meravigliosi, frammenti di ricordi felici, di fiori bianchi nelle stanze
della sua infanzia, che si mescolavano ad avventure tra draghi, ippogrifi e
creature mitologiche. Altri invece erano incubi tremendi, castelli immersi
nelle tenebre in cui vagava senza trovare mai la strada per andarsene, specchi
d’acqua che si tingevano di sangue e da cui emergeva il volto cereo di sua
madre, catene che si stringevano ai suoi polsi, che scavavano la sua carne e la
inchiodavano al suolo per il dolore.
Altre
volte invece c’era solo il buio nello spazio circoscritto della sua mente, e
regnava la pace.
Le
loro voci però c’erano spesso, sia che sognasse o che restasse immersa dentro
di sé.
Le
parlavano di tutto, pettegolezzi, appunti di lezione, dubbi, speranze. Le
parole con cui la circondavano erano come tanti fili che lei intrecciava per
ancorarsi alla vita, per ricordarsi che sarebbe dovuta tornare indietro.
Sentiva
che Berty piangeva spesso, aveva la sensazione di sentire le sue lacrime cadere
come macigni sulle coperte. Che cosa avrebbe dato per poterlo abbracciare e
arrestare il suo pianto disperato…
Ma
Elena non poteva muoversi.
Le
sue mani non rispondevano, le sue braccia erano state private della loro forza,
i suoi occhi non potevano aprirsi. Non aveva più percezione delle proprie
membra. La sua mente era in costante movimento, eppure il risultato di tutte
quelle forze in contrasto era l’immobilità più assoluta.
Non
sapeva come fosse accaduto, come si fosse ritrovata prigioniera del proprio
corpo. Non aveva memoria. Tentava di ricordare qualcosa, qualunque cosa del
passato, ma non sapeva dove cercare nello spazio infinito e oscuro dei suoi
ricordi. Così si arrendeva presto e si limitava a percepire il momento presente,
in bilico tra il buio e i sogni.
Sapeva
di non poter restare in quel limbo per sempre, presto o tardi avrebbe dovuto
decidere.
Decidere
se sostituire i sogni con l’oblio che vedeva avvicinarsi come una nebbia
autunnale, oppure tentare di riemergere con tutte le proprie forze. Il momento
si avvicinava sempre più, anche se lei non si sentiva pronta a scegliere la
propria strada.
***
Lo
scenario che si presentò ai suoi occhi, quando Rose aprì la porticina anonima
dell’Ala Ovest, non era affatto eccezionale. Era una stanza stipata di mobili, con
un ampio tavolo ingombro di boccette e ingredienti al centro, rischiarata
appena dalla luce proveniente dall’unica finestra presente.
Non
gli sembrava un luogo tanto minaccioso o inquietante da turbare la ragazza.
Scorpius
si morse la lingua per non iniziare a dar voce al fiume di domande che si
stavano affacciando nella sua mente. Aveva promesso. Nulla era più importante
che aiutarla e convincerla a fidarsi di lui.
La
vide respirare a fondo un paio di volte e poi dirigersi con sicurezza verso un
armadio con delle ante di vetro. Levò la bacchetta contro il mobile.
“Deprimo.”
La voce di Rose risuonò dura come pietra.
Il
rumore del vetro che si frantumava sorprese Scorpius, ma non appena un
miscuglio di fluidi iniziò a riversarsi sul pavimento Rose fece evanescere
tutto, compresi i resti di legno e vetro che si erano sparsi nella stanza.
In
pochi secondi rimase solo un mobile sgangherato completamente vuoto.
Il
giovane Malfoy si guardò attorno perplesso. C’erano molti scatoloni impilati in
vari punti, una poltroncina di vimini un po’ malconcia e un mobile di ferro con
i cassetti a scorrimento.
Rose
si voltò verso di lui. Era sconvolta, lo si leggeva nei suoi occhi, eppure era animata
da una determinazione feroce.
“Niente
domande, Malfoy.” Gli rammentò prima di aprire uno degli scatoloni e rivelargli
il contenuto.
Sei
bottiglie scintillanti di Firewhisky, appartenenti ad una delle migliori aziende
del paese.
“Fa’
evanescere una bottiglia alla volta, per favore. Lo stesso con tutte le altre.”
Rose gli indicò una pila di scatoloni come quello che aveva appena aperto.
Scorpius
annuì ed eseguì quanto lei gli aveva chiesto. Non la perse di vista un secondo,
troppo curioso e confuso dalla situazione per poter rinunciare alle domande su
cui si stava arrovellando.
Rose
estrasse un faldone di carte da un mobile di metallo con cassetti scorrevoli e
lo depositò sul tavolo. Scorpius sbirciò l’etichetta sul cassetto e lesse
l’anno 2020. Dopo un paio di viaggi, la ragazza aveva svuotato i cassetti del
mobile e grossi fascicoli strabordanti di fogli si erano accumulati sul ripiano
di lavoro.
Rose
li scrutò con attenzione, evidentemente indecisa sul da farsi. Senza smettere
di far evanescere le bottiglie Scorpius si decise a dare voce ai propri
pensieri.
“Rimpiccioliscili
e bruciali in Sala Comune.”
Sentì
il peso degli occhi di Rose addosso. Aveva capito che volesse bruciarli, ma
anche lei aveva già previsto che il fumo causato dalla combustione avrebbe
potuto attirare l’attenzione. Subito dopo la sentì sussurrare l’incantesimo per
ridurre i faldoni e infilarli nelle tasche della giacca. La ragazza si chinò
poi accanto a lui e lo aiutò nell’operazione di sgombero delle bottiglie.
“Non
riesco a capire se la tua intelligenza mi irriti o mi affascini.” Gli rivelò in
un soffio, evitando accuratamente di incontrare il suo sguardo
“Probabilmente
entrambe le cose Rose.”
***
Angelique
conosceva la propria parte. L’aveva costruita con meticolosità insieme a
Dominique, in quell’ora infinita, prima di giungere davanti all’ufficio della
McGranitt; tempo in cui aveva sospettato che la mente assolutamente imprevedibile
dell’altra stesse elaborando da molto più tempo quella soluzione.
Sapeva
che cosa avrebbe dovuto fare per tentare di salvare Lucy, anche se questo fosse
andato contro ogni desiderio della cugina. Ancora una volta nella sua vita le
tornavano alla mente le parole della Blackthorn.
I
conti si fanno dopo, quando c’è tempo per considerare i danni fatti.
E loro avevano appena causato una catastrofe.
“Mi raccomando Angie, faccia preoccupata ma non
colpevole.” Ribadì Dominique scrollando indietro i capelli biondi e spargendo
attorno a sé una vampata del suo nuovo profumo primaverile. Ricordava quando la
settimana prima Dom avvolta nel suo kimono delle creazioni aveva dato vita al
suo primo profumo, dopo molti tentativi e studi approfonditi sulle essenze che
aveva selezionato. Cosa più unica che rara, la fragranza era piaciuta a tutte.
Il dolore per quel ricordo la punse come uno
spillo sul polpastrello.
Doveva calmarsi. La tensione si stava
riverberando nel consueto indolenzimento alle spalle, mentre il suo stomaco era
contratto dai crampi, segnale inconfutabile che la paura stesse avendo la
meglio. Chiuse gli occhi appoggiando la fronte alla finestra, prese un profondo
respiro e lo lasciò uscire molto lentamente dalle narici. Doveva ridurre la
mente a una pagina bianca, come Martha cercava di insegnarle da qualche tempo,
doveva lasciar andare tutte le cose inutili e concentrarsi sul suo respiro, che
era reale e tangibile. Rimase ferma contro il vetro per tutto il tempo
necessario a recuperare il controllo.
Finalmente rilassò la postura delle spalle e
percepì il peso su di esse alleviarsi. Pronta ad affrontare il proprio dovere,
si voltò verso Dom. E urlò.
O meglio squittì un verso di sorpresa
tappandosi subito dopo la bocca.
James e Dominique la guardarono con identica
espressione perplessa. Jessy la
guardava.
“Che ci fa lui qui?” bisbigliò concitata
guardandosi attorno.
“Ho bisogno di lui e gli ho chiesto di venire.”
Rispose semplicemente l’altra scrollando le spalle. E Jessy, a cui sicuramente
non era stato raccontato nulla, non aveva esitato a rispondere alla chiamata.
La colse il pensiero che il naturale collocamento di quei due, la configurazione
che avrebbero assunto spontaneamente anche in una stanza buia, era l’uno al
fianco dell’altra.
Volse lo sguardo su Jessy confusa e si sentì
ancor peggio. Sotto la giacca di pelle indossava una camicia azzurra, la stessa
che aveva la sera della festa nel Bagno dei Prefetti, in quella che ormai le
sembrava una vita fa. Il tessuto leggero evidenziava la linea delle spalle e
scendeva sui fianchi, lambendoli con eleganza.
Immaginò come sarebbe stato far scivolare i
piccoli bottoni bianchi attraverso le asole e scoprire con deliberata lentezza
prima il suo petto e poi il suo addome, saggiare la consistenza della sua pelle
con carezze e baci, risalendo fino alle sue labbra piene. Labbra che
l’avrebbero accolta e poi fatta affogare nella propria cavità…
“Ciao Gigì.”
“Maledizione.” Fu l’unico modo in cui riuscì a
salutarlo bofonchiando.
“Ora, miei cari, ascoltatemi…” Dominique lì
chiamò a sé con un gesto della mano.
Mentre entrambi ascoltavano la ragazza
illustrare come si sarebbero comportati nelle prossime ore, Angie percepì con
chiarezza il corpo del giovane accanto al suo. Ne vedeva i movimenti
impercettibili con la coda dell’occhio, respirava l’aria improvvisamente satura
del suo odore, le sembrava perfino di avvertire il calore da lui emanato. Si
maledisse perché persino nella peggiore delle situazioni la sua presenza le
incasinava gli ormoni, ma soprattutto si maledisse perché era felice di averlo
lì, con lei, davanti all’ufficio della Preside, nel disperato tentativo di
portare in salvo Lucy.
***
Non era stato poi tanto difficile rispettare
gli accordi stabiliti con le ragazze.
Rose aveva ribadito loro un milione di volte
che non avrebbero dovuto parlare. Nemmeno una parola avrebbe dovuto lasciare le
loro labbra senza la presenza di un avvocato.
Appena le avevano tolto il cappuccio nero dalla
testa Lucy aveva scorto due Auror davanti a sé, l’energumeno che aveva
picchiato Benji e una donna dai bellissimi tratti indiani, induriti
dall’espressione severa.
“Come ti chiami ragazza?” le aveva chiesto
l’uomo, rivelando un tono molto più condiscendente di quello che si sarebbe
aspettata.
Gli occhi della giovane si erano piantati sulla
parete di fronte a lei e non aveva pronunciato nemmeno una sillaba. Il suo nome
sarebbe stato rivelato dal primo professore che fosse entrato per riconoscerla
e voleva proprio godersi le loro facce.
Quasi le dispiacque, quando Paciock, il Capo
della sua Casa, la guardò con un misto di sconvolgimento e incredulità
pronunciando il suo nome completo.
Lucy
Catherine Weasley.
Gli occhi scuri della donna erano quasi usciti
fuori dalle orbite sentendo il cognome di uno dei Magistrati del
Winzengamot.
Mentre le parole degli Auror, che cercavano di
convincerla a collaborare, le scivolavano addosso, nella mente di Lucy si
facevano largo spintonando e arrancando i mille frammenti della sua storia con
Benjamin.
Il primo incontro ai margini della Foresta
Proibita, la mattina prima della sua partenza per le vacanze di Natale, la
festa di Halloween, le presentazioni alla Taverna delle Lucciole, il modo in
cui la guardava l’attimo prima di farla sua, le sue fossette, l’espressione
pensierosa quando scriveva le lettere ai clienti…
Benji. Benji. Benji.
Tutto in lei urlava il suo nome, contorcendosi
in un dolore che non lasciava spazio alle lacrime, che le si era aggrappato al
cuore e lì restava conficcato.
Erano stati presi. Lui sarebbe stato sbattuto
in prigione per anni, lei forse in virtù della giovane età avrebbe ricevuto una
pena più blanda.
Le importava che la sua fedina penale venisse
macchiata irreparabilmente? Le importava che qualunque ipotesi di lavori futuri
sarebbe stata spazzata via dallo scandalo del processo? Le importava che avrebbe
dovuto confessare davanti agli sguardi allucinati dei suoi genitori di essere
la fidanzata di un criminale, più grande di quasi dieci anni?
No.
Non sentiva più nulla riguardo a tutto ciò.
Non riusciva più a sentire nulla dal momento in
cui la sua testa era stata infilata nel cappuccio nero che aveva chiuso
definitivamente il capitolo più bello della sua vita. Quello in cui era stata
libera di amare.
Se anche avesse potuto tornare indietro nel
tempo non avrebbe cambiato nulla di quei mesi, nemmeno alla luce di quello che
stava per succederle. Come avrebbe potuto provare rimpianti, se aveva trovato
più umanità, calore e onestà in mezzo a malavitosi e prostitute che nella sua
scintillante famiglia borghese? Come avrebbe potuto pentirsi di essere stata
felice fino all’incredulità?
Non avrebbe potuto, non più, non dopo aver
amato in tal modo qualcuno.
Sull’onda di tali pensieri, riuscì a mantenere
uno sguardo impassibile anche di fronte all’avanzata del magistrato Weasley
nella stanza. Le occhiaie scure spiccavano sul viso dell’uomo, pallido in modo
spettrale. Quando i loro occhi si incontrarono, Lucy sentì il consueto guizzo
di dolore farsi strada nel petto. Il dolore dato della consapevolezza di essere
la vergogna di chi l’aveva messa al mondo.
Le mani affusolate di Percy, identiche alle
sue, aprirono il fascicolo che aveva portato con sé.
“Signorina Weasley, sa perché si trova qui?” le
chiese con tono perfettamente formale.
“Immagino non si tratti dell’ultimo voto di
Trasfigurazione.” Lucy si morse immediatamente la lingua. Non avrebbe dovuto
parlare, ma provocare suo padre le riusciva spontaneo come respirare.
Gli occhi azzurri di Percy saettarono nei suoi
e la voragine dentro di lei si aprì di qualche metro ancora.
“Lei è qui perché è sospettata di associazione
per delinquere, di frode fiscale per contrabbando di sostanze alcoliche, di
detenzione di sostanze stupefacenti e illegali al fine di vendita. Come si
dichiara?”
Dalla voce di suo padre non trasparì la benché
minima emozione, solo il tono più gelido e duro che gli avesse mai sentito
usare. Anni di lavoro incessante e la dedizione più totale alla propria causa,
avevano reso Percival Weasley il Magistrato più inflessibile del Winzegamot. A
tal punto che nemmeno il pensiero di dover accusare pubblicamente la propria
figlia, per quanto scapestrata e ribelle, aveva fermato il suo senso del
dovere.
Suo padre non aveva amato niente e nessuno
nella propria vita più del pensiero di potersi definire integerrimo. La sua
legge era sopra ogni sentimento.
Come si dichiarava di fronte a tutto questo?
Sconfitta.
E sigillando le labbra in una linea
impassibile, ritornò a fissare il muro di fronte a sé.
***
Quando la Signora Grassa aprì il passaggio
verso la Sala Comune di Grinfondoro, Rose non si sorprese di trovarla deserta.
Tra la gita ad Hogsmeade e la bella giornata, gli studenti avevano abbandonato
in massa la scuola, per godersi il sole primaverile.
Si diresse ad uno dei due caminetti che
riscaldavano la Torre Ovest e si sedette di fronte al fuoco. Scorpius, si
accomodò al suo fianco incrociando le gambe.
Quando prese dalle tasche i registri
rimpiccioliti e li gettò nel fuoco senza pensarci, le sembrò che insieme alla
carta venissero carbonizzate anche le sue speranze. Non era riuscita a
proteggere le sue cugine. Non avrebbe visto Lucy diplomarsi e concludere la
carriera scolastica che le aveva richiesto tanti sforzi. Aveva mentito e
nascosto per anni azioni illecite, solo per assicurarsi che le persone a cui
voleva bene non subissero punizioni, quando forse venire espulse da Hogwarts sarebbe
stato il minore dei mali. Aveva fallito in tutto.
Era talmente prostrata dalle proprie
considerazioni che si era dimenticata della presenza di Malfoy, finché non lo
sentì muoversi per cingerle le spalle con un braccio. In men che non si dica si
ritrovò ad abbracciarlo, stupendosi di quanto fosse calmante respirare il suo
profumo, di quanto fosse solido il petto in cui poteva nascondere il viso.
“Non so che fare.” Si lasciò sfuggire in un
bisbiglio.
Scorpius la scostò leggermente da sé e le
sollevò il viso. I suoi occhi avevano le tonalità dell’ardesia, con
picchiettature azzurre a raggera; sapevano essere gelidi al pari dei venti
siberiani o roventi come in quell’istante. La guardò con l’intensità a cui normalmente
si sarebbe sottratta, col desiderio di spogliare, prima del suo corpo, la sua
anima per conoscere e assaporare la sua essenza.
Lui che le si era mostrato sin dall’inizio con
la disarmante sincerità delle proprie imperfezioni, che non le aveva mai negato
la disonestà dei propri intenti. Scorpius, il mosaico di buoni propositi
mascherati da sotterfugi, l’animo nobile celato dalla corazza di Serpeverde.
E davanti a quello sguardo spiazzante, Rose, la
stratega delle Menadi, la calcolatrice, vuotò il sacco come un bambino con le
proprie marachelle.
Gli raccontò in sussurri inframmezzati da
lacrime di come fosse iniziata l’attività delle Menadi, di chi fossero, di che
cosa facessero, di Lucy e di Benji, di Angie e la Polisucco, di Lily e la
taccagneria, tutto quanto. Fino a quando le toccò rivivere quel pomeriggio. E
gli descrisse ogni cosa, ogni passaggio, nella speranza che rivivendolo le si
mostrasse finalmente l’errore, che le aveva condannate tutte.
Malfoy l’ascoltò pazientemente, senza
interromperla mai.
“So che Dom e Angie si stanno occupando del
resto, ma non riesco a smettere di pensare a quello che abbiamo fatto. A chi ne
pagherà davvero le conseguenze. E non riesco a perdonarmi, Scorpius! Non riesco
a non pensare che sia tutta colpa mia, che non sono stata abbastanza attenta,
abbastanza intuitiva. Penso che l’uomo che ha cercato in ogni modo di
convincerci a fare un passo indietro, l’uomo che Lucy ama, sarà processato per
reati che sono anche miei.” La voce le si esaurì in gola e si trovò a guardare
imbarazzata un punto imprecisato del tappeto.
Scorpius deglutì un paio di volte e poi le
chiese cautamente:
“Rose… Pensi davvero che un caso di
contrabbando di alcolici meriti l’attenzione del Winzegamot?”
La Weasley davanti a quella domanda insolita si
accigliò per un istante.
Una squadra intera di Auror mandata a scovare
un criminale che, per quanto noto e ricercato, sicuramente non costituiva un
pericolo pubblico degno dell’impiego dei migliori combattenti del Ministero.
Sentì i propri occhi azzurri spalancarsi e
fissare attoniti quelli di Scorpius. Le sopracciglia del ragazzo erano
lievemente corrugate.
A Rose sembrò che il filo dei loro pensieri si
intrecciasse per la prima volta e fu travolta dalla linearità del ragionamento.
Un arresto eclatante. Uno dei Magistrati più in
vista del Winzegamot. Un processo pubblico seguito dalle principali testate
giornalistiche del paese. La messa in luce dell’efficienza del sistema
giudiziario del Ministero della Magia e quindi conseguentemente di…
“William Danes.” Rose sussurrò quel nome mentre
le si dipanava davanti agli occhi una parte della matassa che le aveva
annebbiato la mente. “Non sarà un semplice processo per contrabbando. Benjamin
verrà usato come capro espiatorio e Lucy finirà alla pubblica gogna. La nostra
famiglia verrà screditata, così che Danes possa brillare come esempio di
integrità morale. Sarà un macello.”
Qualcosa guizzò negli occhi di Scorpius alle
sue parole.
“Sai chi ha appoggiato Danes alle future elezioni
per il Ministro della Magia?” le chiese con un mezzo sorriso sornione sulle
labbra. Rose lo guardò interrogativa senza comprendere dove volesse andare a
parare. “Kurt Schatten. Questo arresto è quanto di meglio potessero sperare per
la loro campagna elettorale.”
Rose per la prima volta in vita propria, seduta
per terra nella Sala Comune di Grifondoro, sentì morire ogni speranza. Laddove
pensava che avessero lanciato una granata, avevano in realtà innescato una
bomba all’idrogeno. Ma la disperazione da cui per qualche istante si sentì
travolta, fu smorzata dalla voce di Malfoy.
“Ho bisogno che tu sia molto sincera.” Le disse
prendendole una mano tra le proprie.
Rose sentì lo stomaco farle una capriola
nonostante la situazione disperata. Annuì semplicemente, consapevole che se
avesse parlato la sua voce sarebbe stata stridula.
“Credi che concederanno a Benjamin un processo
equo?”
“No.”
Scorpius annuì e dopo qualche secondo riprese a
parlare
“Ti sentiresti colpevole se Benjamin venisse
assolto?”
Rose corrugò la fronte senza capire la logica
di quei pensieri, ma scosse il capo.
“Allora esegui un Muffliato e un Incantesimo di
Invalicabilità.”
***
Dominique si riteneva un’adolescente abbastanza
fuori dal comune, partendo dalla sua straordinaria bellezza e arrivando alle
sue molte qualità, tra cui senz’altro la fiducia nei propri mezzi. In
particolar modo quelli di persuasione.
Tuttavia, Minerva McGranitt la metteva in
difficoltà. Sicuramente c’entrava l’esperienza decennale in fatto di Weasley e
Potter, di adolescenti, nonché di Weasley e Potter adolescenti, per cui la
donna vivisezionava ogni loro parola e movimento con la precisione di un falco.
Ciò che la preside non sapeva però, era che Dominique
aveva affinato le proprie abilità recitatorie grazie ad un allenamento quotidiano
e massacrante, al fine di nascondere a chiunque i suoi sentimenti per Teddy
Lupin.
Inoltre, in quel momento agiva sotto la più
stretta necessità. Doveva tirare fuori Lucy da quella situazione. Poteva farlo.
E nemmeno la faccia rugosa e appuntita della McGranitt l’avrebbe fermata.
Nemmeno orde di dissennatori l’avrebbero fermata.
Suo nonno Arthur citava spesso un modo di dire
babbano che riguardava il salvare un animale e una verdura, tipo una capra e
un’insalata, o un cavallo e una carota. In quell’istante Dominique non
ricordava con esattezza i protagonisti della storia, ma lei avrebbe salvato animali
e vegetali, l’intera fattoria se possibile.
“Signorina Weasley, la sua insistenza per
essere ascoltata è assolutamente inopportuna.”
“Preside mi rendo conto che siate in una
situazione di emergenza. Credo tuttavia che ciò che possiamo riferirle abbia
una certa importanza.”
Gli occhi della McGranitt scintillarono dietro
le lenti degli occhiali
“E che cosa le fa pensare che ci sia una
situazione di emergenza?”
Dominique sorrise alla preside e accavallò le
gambe, pronta finalmente a dar battaglia.
“Suvvia Preside, secondo lei l’intera scuola
non è al corrente che qualcuno sia stato arrestato ad Hogsmeade e sia stato
portato proprio qui. Senza contare che si dice che fossero ben due persone
incappucciate, quindi nessuno voleva che trapelasse la loro identità. Se
dovessi azzardare un’ipotesi sull’identità del nuovo ospite del castello direi
che sicuramente ha una certa rilevanza per gli Auror e che essendo stato
portato qui, con ogni probabilità è stato catturato nella Foresta o, forse, a
Hogsmeade.”
Non una sillaba o il più piccolo movimento del
corpo flessuoso di Dominique sfuggiva all’analisi della McGranitt. E Dom seppe
che la vera sfida era appena iniziata.
“Non vedo come le sue illazioni possano anche
solo vagamente interessarmi. Non la riguarda chi o che cosa venga ospitato nel
Castello, considerato che non è lei la preside di questa scuola di babbuini
indisciplinati.” Rispose la donna seccamente.
“Non lo sarebbe, se non fossi convinta che sia
stato arrestato un famoso criminale di Hogsmeade e che questi abbia coinvolto
un membro della mia famiglia.”
Non riuscì a impedirsi di pronunciare le ultime
parole con tono protettivo: la sua famiglia, chiodi della sua croce e balsamo
rigenerante sulle sue ferite. La McGranitt non mosse il minimo muscolo.
Capra
e zucchine,
si ripeté mentalmente Dom, ricordando le urla disperate di Lucy nella Stamberga
Strillante. Sentì gli occhi inumidirsi di lacrime mentre fronteggiava la
McGranitt.
“Vorrei solo che mi dicesse se è stato
catturato un delinquente che si fa chiamare Benji Allucemonco.” Dom cambiò
totalmente registro, utilizzò un tono quasi tremante, privo della spavalderia
usata fino a quel momento. Non che avesse bisogno di fingere, era molto
preoccupata e poteva sfruttarlo a proprio vantaggio. “So che non è autorizzata
a rilasciare una simile informazione, ma l’edizione della Gazzetta del Profeta
della sera uscirà tra un paio di ore e se davvero il Ministero è riuscito a
catturare quell’uomo, sarà questa la notizia della prima pagina. Le chiedo solo
se può anticiparmi ciò che leggerò sui giornali di tutta la nazione tra poco.”
“Perché dovrei privilegiarla rispetto a tutti
gli altri studenti dandole questa informazione?”
“Perché io potrei fornire alcune informazioni
molto interessanti al Magistrato incaricato delle indagini.”
La McGranitt inarcò un sopracciglio bianco come
la neve e posò i gomiti sui braccioli della sua poltrona.
“È sicura di voler essere interrogata da un
membro del Wizengamot e di dover deporre come testimone in un processo?”
Qualcosa dentro di lei si mise in allerta. Dom
conosceva la preside, era una donna ligia e all’apparenza inflessibile, ma
avrebbe dato la propria vita per ciascuno dei suoi studenti. Le sembrò che la
loro conversazione fosse un continuo avvertimento, ma d’altra parte non
esistevano vie d’uscita.
“Sono sicura.”
La donna chinò il capo e si alzò dalla propria
sedia con un movimento lento, rivolgendole un’occhiata dispiaciuta. Dom si
voltò verso James, quando fu certa che fossero rimasti solo loro tre.
Jimmy aveva un’espressione calma e riflessiva,
quella che solitamente riservava alle situazioni più disperate, ma i suoi occhi
ambrati le stavano chiedendo a chiare lettere “In che razza di guaio ti sei cacciata?”
Poi lo vide lanciare un’occhiata rapida ad
Angelique, che lo stava osservando a sua volta. Si scambiarono un cenno
affermativo come per farsi coraggio a vicenda e Dominique pensò che erano la
palese dimostrazione che talvolta anche le ceneri possono tramutarsi nuovamente
in vita pulsante. Si domandò inoltre quanti altri mesi ci sarebbero voluti
prima che si decidessero a saltarsi addosso e sfogare gli anni di sarcasmo e
passione repressa. Non molti a giudicare dalle occhiate sottecchi che Angie rivolgeva
a suo cugino quando pensava di non essere osservata.
La sicurezza di Dominique Weasley vacillò
leggermente quando si trovò davanti lo zio Percy.
“Ciao zio, ma che occhiali adorabili,
quest’anno va tantissimo la montatura vintage!” trillò rivolgendogli il più
smagliante dei suoi sorrisi. Era dell’opinione che se proprio si doveva
percorrere la strada dell’inferno, tanto valeva imboccarla a passo di danza.
Percy le rivolse un’occhiata glaciale e le
parlò con tono distaccato.
“Signorina Weasley, la pregherei di utilizzare
un linguaggio consono ad un interrogatorio ufficiale. Il mio segretario
riporterà ogni sua parola nel verbale che alla fine dovrà firmare, per questo
la pregherei di non rivolgersi più con tanta colloquialità.”
“Oh” Dominique emise un grazioso verso di
sorpresa e corrugò la fronte in un’espressione perplessa, “Quindi da ora in poi
dovremo rivolgerci a lei con Magistrato Weasley? Anche ai ritrovi di Natale?
Anche gli zii e la nonna Molly?” chiese con innocenza guardando seria lo zio.
Il collo magro di Percy si imporporò nel sentir
nominare la madre. Dom lo aveva previsto, non esisteva nessun membro della
famiglia che non nutrisse un timore reverenziale nei confronti della matrona.
Chiunque entrava nella tana, fosse anche stato il Primo Ministro in persona,
avrebbe obbedito alle raccomandazioni e agli ordini di Molly Weasley, tra cui
finire tutto quello che si aveva nel piatto.
Colto alla sprovvista dal tono del tutto privo
di malizia della nipote e dalle sue parole, l’uomo annaspò qualche secondo in
cerca di una risposta che ristabilisse la sua autorità nella stanza. La preside
nel frattempo aveva ripreso posto dietro la sua scrivania. Dominique sentiva
gli occhi di tutti i presidi dei secoli passati posati su di lei, così come
quelli della McGranitt. Sapeva che nessuno in quella stanza, a parte Jimmy e
forse Angie, si aspettava un solo ragionamento lineare da parte sua, e questa
era la sua arma da sempre. Celare le proprie armi mostrando ciò che tutti
quanti si aspettavano di vedere: la bellezza disarmante dei suoi lineamenti
sempre sorridenti, l’ingenuità dei suoi grandi occhi turchesi.
“Direi che ci limiteremo al presente
interrogatorio e al processo che seguirà.” Disse con tono fermo il Magistrato
fissando gli occhi azzurri tornati implacabili sulla nipote. “Quindi se vuole
rispondere ad alcune delle nostre domande…”
“Oh, non credo proprio.” Disse sorridendo Dom.
“Ho detto espressamente alla preside che avrei fornito alcune informazioni se
lei avesse risposto alla mia domanda. Considerato che è intervenuto prima che
la preside rispondesse, i termini dell’accordo cambiano.”
Il segretario, un ragazzo moro e di
bell’aspetto, osservò smarrito il Magistrato Weasley con la penna sospesa a
mezzaria. Percy, abituato a trattare con i peggiori criminali del Mondo Magico,
non fece una piega. Congiunse le mani e aspettò che Dom esponesse le condizioni
per la sua testimonianza.
“Desidero conoscere le identità di chi avete
arrestato oggi e, nel caso in cui uno dei due fosse un uomo, guardarlo in
viso.”
“E le informazioni che sostiene di avere
Signorina Weasley, in che modo potrebbero contribuire a far chiarezza sulle
indagini?” chiese con scetticismo Percy.
“Potrebbero chiarire ampiamente i ruoli di chi
è stato coinvolto in questa faccenda. Perché io temo, Signor Magistrato, che
qualcuno sia stato ingiustamente accusato e arrestato. Il che renderebbe le sue
indagini parzialmente… come dire… mal direzionate.”
Il povero ragazzo, incaricato di stendere il
verbale, osservava Dominique con gli occhi quasi fuori dalle orbite, indeciso
che cosa riportare sulla pergamena praticamente intonsa. Il Magistrato Weasley
si schiarì la voce richiamando l’attenzione dell’altro che si riscosse
immediatamente, scarabocchiando qualcosa sul foglio con aria molto concentrata.
I maschi… Quanto erano stupidi.
“Accetto le sue condizioni. Tuttavia, anche io
ho due clausole da proporre per la sua collaborazione: primo che se durante
l’interrogatorio dovessi avere il sospetto che stia mentendo io possa ricorrere
alla somministrazione di Veritaserum, e secondo che gli altri due studenti
lascino immediatamente l’ufficio della Preside.”
Prima che Dominique potesse replicare, la
preside McGranitt intervenne alzandosi in piedi. Nonostante fosse magra come un
fuscello e non molto alta, troneggiò su Percy con una fierezza degna di una
regina.
“Mai. Non permetterò mai che in queste mura
vengano usati simili metodi sui miei studenti. Che non le passi nemmeno per
l’anticamera del cervello, Magistrato, di replicare le azioni di Dolores
Umbridge.” Sibilò il nome con un tale disprezzo che la sua bocca sottile si
contrasse.
Percy spalancò gli occhi stupito e tentò di
difendersi.
“Non era certo mia intenzione… Però deve capire
che dobbiamo essere assolutamente sicuri della veridicità delle parole della
Signorina Weasley.”
“Sono certa che troverete altri modi per fugare
ogni dubbio.” Rispose definitiva la McGranitt tornando a sedersi.
“Se vuole interrogarmi da sola, non c’è
problema. I miei cugini possono uscire, sono stati loro a insistere per
accompagnarmi in modo da confermare le mie parole.” Dominique sorrise con
leggerezza e scrollò elegantemente i capelli indietro, spandendo ciocche bionde
sulla schiena. Il segretario sollevò gli occhi dalla pergamena e la osservò
ammaliato.
“Se acconsentiranno, verranno interrogati dopo
di lei.” Rispose Percy indicando a James e Angie la porta dell’ufficio.
Dom rivolse un breve sguardo a Jimmy, più che
per comunicargli qualcosa, solo per potersi ritrovare nei suoi occhi, raccogliendo
le proprie forze. Gli sorrise nel modo che riservava a lui solo, mostrandogli
in quella frazione di secondo lo strazio per quello che stava per fare. E lui
le rispose con una sola occhiata, seria, piena di talmente tanto orgoglio per
lei, che Dom quasi gli saltò al collo.
Quando furono usciti si rivolse al Magistrato
Weasley.
“I nomi delle due persone che sono state
arrestate e scortate all’interno del castello.”
“Benjamin
Richardson e Lucy Catherine Weasley.” Rispose lui con tono completamente neutro, come
se sua figlia non si trovasse in una cella del castello, con le manette ai
polsi. Dominique, guardando Percy dritto negli occhi, comprese che
effettivamente per suo zio quella che era stata arrestata quella mattina non
era sua figlia, era solo una comune criminale.
“Voglio vedere l’uomo. Dopo dirò tutto quello
che so.”
Perdonami
Lucy, perdonami se non riesco a lasciarti andare, pensò mentre con un
cenno affermativo l’uomo si dirigeva verso il pensatoio della preside. In esso
riversò un ricordo che estrasse in quell’istate dalla propria tempia grazie
alla bacchetta.
Dominique vide comparire nel pensatoio il bel
volto di Benji tumefatto dalle percosse, con un labbro sanguinante su cui
campeggiava un sorriso beffardo, quel sorriso arrogante davanti a cui Leda
ancora arrossiva. Pensò che grazie al cielo né lui né Lucy avrebbero mai
collaborato con la polizia, facilitandole il compito.
Lasciò che i suoi occhi si riempissero di
lacrime e annuì con aria grave.
“Questo è l’uomo che ha minacciato mia cugina,
Lucy.”
***
Angelique
Passeggiava lentamente nel corridoio, con le spalle rilassate e l’espressione
tranquilla. Se non l’avesse conosciuta non avrebbe capito quanto in realtà
fosse tesa.
Lui d’altra parte rimaneva fermo contro una
delle finestre a braccia conserte. Aveva bisogno di assimilare le poche
informazioni che gli erano state fornite e capire come fare a non strozzare le
sue parenti appena avessero aperto bocca. Cominciando da quella con la massa di
ricci spettinati davanti a lui.
Dom gli aveva detto con tono asciutto che Lucy
era stata arrestata insieme a un criminale molto noto, indagato per traffici
illegali, e che se non fossero intervenuti probabilmente l’avrebbero
condannata. James non aveva avuto nemmeno bisogno di chiedere se le accuse
fossero fondate, gli occhi turchesi di sua cugina glielo avevano urlato a
chiare lettere.
“Quanto sai di quello che sta succedendo?”
chiese all’improvviso facendo voltare Angelique.
“Tutto.” Nella sua risposta non vi fu alcuna
esitazione, quasi che sperasse in una sua domanda.
James annuì e fissò lo sguardo lontano per
evitare di mettersi a urlare. Gigì però non sembrò volergli dare una mano.
Gli si avvicinò guardinga e lo osservò da sotto
le ciglia, in quel modo che gli faceva venir voglia di incollarla alla parete a
suon di limoni o di ribaltarla come un calzino per la sua incoscienza.
“Sei arrabbiato. Anzi no, sei preoccupato, ma
come tuo fratello quando ti preoccupi, ti arrabbi.”
James pensò che la parte istintiva di Gigì,
quel lato ferino che lui amava al pari del resto e che aveva fiutato fin
dall’inizio, la spingeva verso i pericoli con un’attrazione irresistibile. A
lei piaceva sentire l’adrenalina scorrerle nelle vene, le dava soddisfazione
mettere alla prova le sue forze. Ogni tanto però sottovalutava il pericolo.
Si mosse rapido, avvicinandosi a grandi passi e
costringendola ad arretrare fino all’altra sponda del corridoio. I suoi occhi a
mandorla si spalancarono quando si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra
e le sue gote arrossirono.
“Sono maledettamente preoccupato, Gigì. Una
delle persone che amo di più al mondo si è lasciata interrogare da un membro
del Winzengamot, nonché mio zio, e dovrà giurare il falso in tribunale. Mia
cugina è stata arrestata con l’accusa di aver contrabbandato alcol e droga,
probabilmente finirà in prigione. La mia famiglia uscirà da questa storia
divisa tra chi deciderà di stare dalla parte di Lucy e chi da quella della
legge. E tu… Tu sei immersa in questa faccenda fino al collo.” parlò
sussurrando perché se solo avesse alzato appena di più il tono della voce
sarebbe esploso. “Sto cercando di restare calmo e razionale. Non farmi
incazzare ancor di più.”
Lei alzò il mento in una posa ostinata e lo
guardò seria.
“Non voglio farti incazzare. Lo so che cosa
provi… io ero lì quando è successo. L’ho sentita urlare come se le stessero
strappando il cuore dal petto. Volevo tornare indietro, ma Dominique non mi ha
lasciata andare.” Fece una piccola pausa, abbassando per un istante gli occhi
incupiti da quel ricordo, poi tornò a fissarlo con determinazione: “So che non
posso impedirti di essere preoccupato, ma ricordati che Dom non scommette mai
se non è sicura di vincere e adesso ha appena scommesso su noi. La sua
famiglia.”
James prese un respiro più profondo per
calmarsi e si rese conto che Angelique aveva ragione. Le si allontanò di un
passo, controvoglia, perché la vicinanza con il suo profumo gli rimescolava il
sangue nelle vene.
“Chi c’era oltre voi tre?”
“C’eravamo tutte.” Rispose semplicemente lei
stringendosi nelle spalle.
James si passò una mano sul viso, frustrato per
la reticenza di Gigì e contemporaneamente per la portata che quelle parole
potevano avere. Tutte, per le mutande
di Merlino!
“Non mi dirai mai che cosa è successo per
davvero?” si rese conto di aver parlato con un tono più aspro di quanto avrebbe
voluto, ma Angelique non fece una piega. Un piccolo sorriso fece capolino sulle
sue labbra e lei scosse la testa.
“Non ne ho il diritto. Non posso decidere anche
per le altre. Posso rispondere solo per ciò che riguarda me.”
“Che cosa facevi? Ti sei messa nei guai? Ti
hanno mai aggredita?” rincarò lui, sperando di capire che cosa avesse combinato
in tutti quei mesi.
“Facevo le pozioni. Oggi è stata la prima volta
in cui sono stata in pericolo e non sono mai stata attaccata, a parte una volta
in cui il fidanzato di Lucy mi ha quasi schiantata, ma era un equivoco!”
“Il fidanzato di Lucy?” quasi urlò guardandola
sbigottito.
Adesso spuntavano fuori pure fidanzati
clandestini. James provava il desiderio di prendere a testate la parete di
granito.
“Già… Penso che tra poco capirai molte più
cose.” Rispose placida Gigì
“Sembri molto tranquilla per essere stata a un
soffio dall’arresto anche tu.” James inarcò un sopracciglio e la guardò
sarcastico.
“Funziono così, probabilmente stasera mi
ritroveranno in un angolo del dormitorio a piangere e dondolarmi su me stessa.”
“Hai ripassato gli argomenti che abbiamo fatto
ieri?” le chiese cambiando completamente argomento e vide un’espressione
colpevole dipingersi sul suo viso.
“No. Sai non ho avuto molto tempo, non sono
riuscita a ripassare tra una squadra di Auror e l’altra!”
“Male, sei nella fase di consolidamento delle
tue conoscenze, se non ti allenarti ti dimentichi subito le cose nuove. La
settimana prossima c’è la prova pratica di Trasfigurazione.”
“Lo so. Me lo ripeti incessantemente ogni volta
che ci vediamo.” Angelique sbuffò e lo guardò storto.
“Questo perché non voglio che il tempo che abbiamo
investito venga sprecato.”
“Stiamo davvero parlando di scuola in questo
preciso istante?” chiese lei allargando le braccia esasperata.
“No, stiamo parlando del tuo futuro, che
c’entra parecchio con quello che è successo oggi. Sono molto stupito che dopo
tutta la fatica che hai fatto per recuperare la media tu abbia potuto rischiare
tutto per… cosa? Soldi? Gusto del pericolo?” finalmente ciò che gli interessava
sapere venne fuori. Non riusciva proprio a comprendere come avesse potuto essere
così sciocca da mettersi in un pericolo tale.
Temeva seriamente che fosse tornata a
quell’atteggiamento autolesionista da cui era faticosamente uscita, ma i suoi
dubbi vennero prontamente sciolti da Gigì stessa.
La giovane scosse la testa e disse con
semplicità:
“Per le mie amiche.”
E in quel momento James impiegò tutta la
propria buona volontà per non baciarla davanti all’ufficio della Preside.
***
La prima conversazione avuta con suo suocero si
era conclusa dopo pochi secondi che il Magistrato aveva esposto i capi
d’accusa, con un semplice “desidero un avvocato” da parte sua.
Benji sentiva il dolore al viso e alle costole
aumentare di minuto in minuto, avrebbe tanto voluto trovarsi alla Taverna delle
Lucciole, nel suo elegante ufficio, per farsi curare le contusioni e le
fratture da Tyra. Ma aveva il forte sospetto che non avrebbe più rivisto la sua
base operativa.
I suoi uomini avevano ricevuto istruzioni molto
precise su che cosa fare nelle ore successive a un suo eventuale arresto.
Avrebbero dovuto sgomberare tutto e trasferire i documenti e le merci in una
casa nel Galles grazie ad una passaporta che Benji teneva sempre attiva.
Lì avrebbero trovato una somma onesta per ricominciare
senza di lui.
La Taverna delle Lucciole, ironicamente,
sarebbe rimasta a Tyra, a cui per altro era intestato l’immobile.
L’unica a cui non era riuscito a pensare era
Lucy, quella che più di tutti avrebbe desiderato tenere al sicuro. Ma la
Ragazzina non si faceva dire da nessuno che cosa fare, infatti aveva preferito
venire trascinata in quello schifo insieme a lui, piuttosto che fuggire a tempo
debito.
E questa era una delle ragioni per cui l’amava.
Nella stanza ombrosa in cui era stato messo
aveva perso la cognizione del tempo, non aveva idea se fosse pomeriggio o
notte. Non che fosse un discrimine così importante. Sarebbe rimasto chiuso per
molto tempo in una cella molto più angusta di quella in cui si trovava ora,
quindi tanto valeva farci l’abitudine.
Azkaban.
Lui, Benjamin, che da quando aveva sedici anni
aveva esplorato il mondo in ogni suo angolo, sarebbe stato rinchiuso da mura di
pietra, in compagnia solo di Auror o di altra feccia della società, come lui.
“Signor Richardson, debbo informarla che è
stato aggiunto un nuovo capo di accusa a suo carico. Si tratta di minaccia
aggravata.”
La voce di Percy Weasley aveva la calma e la
ritmicità dello scorrere dei ruscelli, stessa cadenza e impassibilità. Benji
rivolse un sorriso all’uomo che fissava ostentatamente il fascicolo che si
portava appresso in ogni spostamento. Con un elegante gesto delle mani, legate
dall’incantesimo di vincolo, gli fece segno di esporre la sua nuova colpa
capitale.
Il segretario del Magistrato, che nell’incontro
precedente lo aveva guardato con quel misto di curiosità e superiorità che gli
venivano ispirati dalla sua professione criminali, ora lo fissava con aperto
disgusto, come se avesse di fronte un cumulo di rifiuti maleodorante.
Benji pensò che effettivamente non era al
massimo del suo fascino e della sua igiene personale in quel momento, ma di
certo le ascelle dell’Auror che lo stava sorvegliando contribuivano per buona
parte all’odore generale della stanza.
“Dalle indagini è emerso che il coinvolgimento
della Signorina Weasley abbia natura ben diversa da quella fino a questo
momento ipotizzata.”
Il riferimento alla Ragazzina fece drizzare le
orecchie a Benji, che comunque mantenne la propria posa rilassata con le gambe
incrociate e le mani posate il grembo. Aveva usato il termine ipotizzata, quindi Lucy non aveva ancora
parlato. Testarda come un mulo.
“Una fonte alquanto attendibile ha dichiarato
che lei, Signor Benjamin Richarson, per mesi abbia minacciato e operato
pressioni psicologiche sulla Signorina Weasley, al fine di indurla a introdurre
nella scuola di Hogwarts bevande alcoliche. Secondo quanto riportato dalla
nostra fonte, durante un’uscita scolastica sarebbe arrivato al punto di
isolarla con la forza dal gruppo di studentesse con cui la Signorina Weasley
stava camminando, per avvisarla che avrebbe fatto del male alle sue amiche se
non avesse ceduto alle sue richieste. La Signorina Weasley avrebbe dunque
collaborato al fine di salvaguardare la propria e altrui salute, avendo timore
che la denuncia alle autorità avrebbe scatenato la sua vendetta. Se si sente
pronto a parlare, vorremmo la sua versione dei fatti.”
Sembrava che le sue orecchie avessero iniziato
a fischiare. E che le mani si fossero intorpidite all’improvviso. Si sentiva
avvolto da una momentanea paralisi, contrapposta alla velocità frenetica a cui
si stavano accavallando i suoi pensieri.
Si ricordò della conversazione avuta con Lucy
ai margini della Foresta Proibita. Di lui che grossolanamente tentava di
convincerla di poter spifferare tutto ai professori e di lei che gli figurava
il ribaltamento dei ruoli. Lei che immaginava di raccontare di aver subito
abusi fisici e psicologici e di non aver saputo reagire di fronte alla forza di
un uomo malvagio e senza scrupoli. Lei che gli diceva chiaramente che la sua
parola non valeva nulla contro quella di qualcuno che porta il cognome Weasley.
E quando sentì il cuore sprofondare all’altezza
delle sue caviglie legate e l’orrore per quello di cui lo stavano accusando si
abbatté su di lui; quando stava per negare tutto e difendersi, comprese chi
fosse la fonte a cui il Magistrato aveva fatto riferimento.
Nonostante le parole avvelenate che si erano
scambiati durante il loro primo incontro, sapeva con ogni fibra del proprio
essere che Lucy non lo avrebbe mai accusato di cose simili. No, non era stata
Lucy.
Conosceva qualcun altro in grado di scendere a
compromessi anche col diavolo in persona. L’unica che avrebbe potuto riferire
nello specifico di quell’episodio ad Hogsmeade, in cui lui aveva rimediato un
calcio in zone delicate, e che lo aveva fatto appositamente per consentirgli di
comprendere quale fosse il piano.
Comprese che quella testimonianza, che lo
dipingeva come il colpevole di azioni oscene, era lo scacco matto alle indagini
della Magistratura del Wizengamot e non poteva che accettare quel ruolo, per
scagionare Lucy.
Dominique aveva trovato il modo di tirare fuori
dal pasticcio la cugina, non poteva che ringraziarla per questo, anche se gli
fosse costato ogni briciolo di onore.
Mentre uno strano sollievo si fece spazio
dentro di lui, Benji sorrise beffardo al Magistrato Weasley che finalmente
aveva alzato lo sguardo su di lui. Lo guardava con una furia gelida che avrebbe
indotto chiunque a nascondersi sotto il tavolo.
Se solo quel rigido burocrate avesse saputo
quanto amava sua figlia, quanto la rispettava ed era orgoglioso di lei… Ma
proprio per questo doveva portare a termine ciò che Dominique aveva iniziato.
“Chiamate l’avvocato Cooper, voglio che vengano
stabiliti i termini per la mia confessione completa.”
***
Non ricordava nulla della strada percorsa per
arrivare al cortile davanti alla Sala d’Ingresso.
Qualcosa dentro di lei si era fermato.
Da quando suo padre era ritornato nella stanza
e con tono molto più gentile di quello che aveva usato all’inizio le aveva
detto che Dominique aveva offerto la propria testimonianza volontaria, parlando
di come per mesi lei, Lucy, fosse stata strana, sempre all’erta, preoccupata,
in ritardo a tutti gli eventi extra scolastici. Del sospetto insorto quando
l’aveva vista spinta in un angolo dalla prepotenza di quel farabutto a
Hogsmeade e di come avesse iniziato a sorvegliarla, riuscendo a leggere una
lettera in cui lui le indicava il carico di alcolici e le intimava di smaltirlo
tutto e di portagli i compensi. Di come una volta saputo che qualcuno era stato
arrestato, Dominique avesse temuto il peggio e non trovandola tra gli studenti
di ritorno da Hogsmeade avesse realizzato.
Da quando aveva compreso che cosa avessero
fatto le sue cugine, prendendo il suo amore, l’amore che per mesi era stato la
grazia della sua vita, e trasformandolo in una sordida storia di violenza e
prevaricazione. Da quando non aveva trovato alcuna risposta dentro di sé se non
il pianto disperato in cui era scoppiata, singhiozzando perché la verità che
avrebbe voluto gridare al mondo giaceva sepolta dentro di lei.
Da quando le lacrime si erano esaurite,
qualcosa dentro di lei si era fermato.
Quel qualcosa probabilmente era il suo cuore,
di cui aveva fatto dono all’uomo che ora veniva scortato da una moltitudine di
Auror attraverso il castello per essere portato ad Azkaban in attesa del processo.
Il suo cuore che esanime implorava solo che quel dolore penetrante come un osso
rotto, smettesse di pulsare insistentemente lasciandola senza fiato.
Non aveva rivolto nessuna parola alle Menadi quando
le aveva trovate ad attenderla, dopo che era stata rilasciata. Loro si erano
semplicemente compattate attorno a lei e l’avevano condotta silenziose nel
dedalo di corridoi fino a sbucare all’aperto.
Gli altri studenti erano troppo occupati con la
cena per assistere a quella processione che sarebbe finita fuori dai cancelli
di Hogwarts.
“Mi hanno lasciata andare dicendomi che è tutto
finito… Questi adulti, questi custodi della legge, non sanno nulla.” Il suo
sussurro si disperse nel vento della sera, mentre i suoi occhi nuovamente colmi
di lacrime si fissarono sui gradini della Sala d’Ingresso.
Benji, accerchiato dalle figure scure degli
Auror, comparve in cima alle scale. Avanzò con un portamento tanto fiero, che
Lucy sentì il cuore stringersi ancor di più. Il suo Benji, dall’animo nobile e
generoso, costretto a confessare viltà mai commesse, solo per lei.
“Devo salutarlo. Vi prego, non posso lasciare
che lo portino via senza salutarlo.” Altre lacrime le rigarono le guance e
guardò le cugine più piccole, sperando che capissero.
La prima a reagire fu Angelique, che si fece
avanti spedita verso il comandante della squadra di Auror, che
camminava in testa a tutti; la stessa donna dai tratti indiani che l’aveva
trattenuta per tutto il pomeriggio sperando in una sua collaborazione.
Gli altri Auror si immobilizzarono e puntarono
le bacchette contro il prigioniero. Benjamin alzò gli occhi al cielo con
un’espressione tremendamente annoiata, ma quasi subito i suoi occhi paglierini
rimbalzarono da Angelique, che parlava a mezza voce col comandante, a lei,
seminascosta dagli archi gotici del portico. Implorò a quella distanza potesse
leggerle in viso tutto quello che non era stata in grado di dirgli: che non
riusciva a immaginare una vita senza di lui, che se ne avesse avuto l’occasione
lo avrebbe seguito in capo al mondo, che tutto in lei implorava perché non
glielo portassero via, che lo amava.
Lo amava e non glielo aveva mai detto.
Poi successe qualcosa che gelò il sangue nelle
vene di Lucy.
Dalla Sala d’Ingresso uscirono un uomo molto
robusto, con una barba castana ben curata, vestito nella toga porpora riservata
al Capo del Wizengamot e Celia Danes.
Celia scese le scale col passo aggraziato che
la contraddistingueva, passò accanto agli Auror e a Benji col naso sottile
sollevato altezzosamente e sorpassò Angelique degnandola solo di un’occhiata
sprezzante.
Angelique mantenne il contatto visivo col
comandante e non si mosse, ma la sua postura divenne molto più rigida.
La Danes sembrava ancor più radiosa di quanto
Lucy ricordasse. Indossava un abitino blu notte con una fila di bottoni dorati,
che ondeggiava al ritmo dei suoi passi calmi. I suoi capelli scuri erano
sciolti sulla schiena in morbide onde. Gli occhi da cerbiatta, dolci e orlati
da ciglia folte, si fissarono nei suoi con un’espressione trionfante.
“Meriteresti di essere portata via in manette insieme
a quel pezzente, Weasley.” La voce flautata di Celia le fece venire i brividi,
ma ebbe comunque modo di riflettere che le informazioni sulle indagini erano
rimaste riservate. Celia, grazie al cielo, non sapeva quale fosse la versione
ufficiale.
“Non so quale menzogna abbiate raccontato, ma
io so che siete tutte quante coinvolte in questa storia. Speravo proprio che
oggi vi trovassero tutte e cinque con il malloppo in mano, per vedervi sbattere
fuori dalla scuola e farvi abbassare la cresta. Avete creduto per anni di
essere meglio di chiunque, meglio di me, solo perché i vostri genitori si sono
trovati dalla parte giusta al momento giusto. Beh, da oggi in poi il vostro
cognome non sarà più così speciale.” Le guardava una ad una, godendosi le loro
espressioni allibite.
“Come hai fatto?” chiese Lily sputando quasi
fuori dai denti le parole.
Celia rise, inclinando indietro il capo, in una
movenza vezzosa che le sembrava cucita addosso. Chissà quante prove allo
specchio aveva fatto per perfezionare quella risata.
“Beh, erano mesi che vi osservavo. Non siete
state così intelligenti come pensavate. Qualche commento qua e là, le vostre
assenze, il vostro comportamento. Una volta ti ho seguita fino ad Hogsmeade e ti ho vista entrare in quel posto lurido, pieno di gentaglia. E poi ho trovato una lettera in Sala Comune,
quella nel tuo libro Rose, e ho capito che eravate voi le Menadi. Ho scritto a
mio padre dicendogli che forse una studentessa era coinvolta col criminale che
non riuscivano ad acciuffare. Ho suggerito che il momento ideale sarebbe stata
la gita di oggi e a quanto pare ci ho azzeccato.”
Lucy non pensava di potersi sentire peggio in
quel momento, ma la consapevolezza che Benji fosse stato consegnato agli Auror
da Celia e da un loro stupido errore, era semplicemente un incubo. Il dolore al
centro del petto le si irradiò con una violenza incredibile e le impedì di
respirare.
“Celia,
come fai a essere così sveglia e pensare ancora che a piega coi bigodini sia
adatta alla struttura dei tuoi capelli? Era parecchio che volevo chiedertelo,
perché guarda che tendono a diventare crespi!” Come sempre succedeva in quei
momenti, Dominique intervenne completamente a sproposito e restituì a tutte
loro l’arma migliore per affrontare la Regina di Cuori, il sorriso. Dominique
guardava Celia con un’espressione sgomenta e Lucy pensò che fosse semplicemente
geniale.
Le guance di Celia si imporporarono e lei si
voltò indispettita verso Lucy.
“Te l’avevo detto che un giorno ti saresti
pentita di come ti sei rivolta a me.” Le sibilò con cattiveria puntandole
l’indice contro.
“L’unica cosa di cui mi pento è non averti
sbattuta giù dalla Torre di Astronomia al primo anno.” Le rispose guardandola
dall’alto del suo metro e ottanta, per quello che era: un insetto, che appestava
qualunque luogo dove si posasse.
“Ho visto come l’hai guardato. Sai che marcirà
in prigione per i prossimi quindici anni? Uscirà con quel bel viso sciupato,
pieno di rughe, segnato dalle sofferenze. Le sue spalle, quelle spalle ampie
che ti avranno fatta sentire così al sicuro, saranno curvate dal peso della
prigionia. Quando lo rivedrai sarà il fantasma di chi hai conosciuto. E sarà
tutta colpa tua.” Rincarò la dose Celia arrivandole sotto al naso, sperando
forse che reagisse come aveva fatto quella primavera nello stesso luogo
Angelique.
Forse non era un caso che si fossero incontrate
proprio lì, Celia ci teneva a prendersi la rivincita per l’umiliazione subita,
distruggendo la sua vita.
“Un giorno il dolore che hai provocato tornerà
da te, Celia. Un giorno la merda, che stai gettando addosso a chiunque per
sentirti migliore, ti arriverà fino a quel naso rifatto che ti ritrovi e tu
soffocherai. E noi, quel giorno, ci godremo la scena.” La pacata e diplomatica
Rose aveva gli occhi pieni di un fuoco, che se solo si fosse liberato avrebbe
arrostito come un pollo allo spiedo la Danes.
Celia aprì la bocca per ribattere, ma Angelique
arrivò rapida alle sue spalle e l’allontanò con una spallata poderosa, che
quasi fece cadere in terra l’altra. Lily sogghignò apertamente.
“Il comandante ti concede di parlargli, ma ci
saranno anche tutte le guardie attorno perché temono per la tua incolumità.”
Nonostante la sua voce fosse tranquilla, negli occhi di Angie si agitava il
ricordo di un dolore che Lucy finalmente riuscì a comprendere. Il dolore di
dire addio a chi si ama.
Fece per muoversi ma Dominique l’afferrò saldamente
per un polso, facendola voltare. La bionda teneva tra le mani un fazzoletto di
stoffa.
“Veni qui.” Le mormorò, inducendola ad
abbassare un poco il viso. Con delicatezza le passò la stoffa sulle guance e
sugli occhi, lasciandole delle scie umide al profumo di rose. Come avesse
potuto in quel momento trovare del Tonico Miracoloso alle Rose era un mistero,
ma faceva parte della magia di Dom. “Ecco fatto. Ora sei bellissima.” Concluse
sorridendole con dolcezza.
Fissò lo sguardo su Benji, mentre i suoi passi
si susseguivano veloci sul selciato, e le sembrò quasi di volare sotto gli
occhi angosciati di suo padre e quelli compassionevoli degli Auror.
Sapeva di dover recitare una parte. Sapeva che
per tutti i presenti lei era stata costretta
da Benji, che lei aveva subito una manipolazione psicologia, quando l’unica
cosa che aveva ricevuto era stato amore. Eppure, quando le guardie aprirono un
varco davanti al prigioniero, trovarselo davanti fu troppo.
Non voleva piangere ancora, ma gli occhi le si
inumidirono. Con uno scatto rapido lo afferrò per il bavero della camicia e lo
strattonò violentemente, piena di rabbia e di frustrazione. Gli Auror attorno a
loro li osservavano attenti, ma quegli occhi per Lucy non erano reali. Gli
unici che contavano erano quelli dorati di Benjiamin che la osservavano
pazientemente, come se si fossero aspettati di tutto da lei in quel frangente.
“Come
hai potuto?” sibilò, stringendo le labbra subito dopo per non singhiozzare.
Come
hai potuto prenderti tutte le colpe? Come hai potuto lasciare che tutto quello
che abbiamo avuto fosse sporcato? Come hai potuto lasciare che tutti pensassero
il peggio?
Benji inclinò il capo verso la spalla e le
sorrise, con quel sorriso semplice che le mostrava poche volte, quello che lo
faceva sembrare un bambino dalle fossette adorabile. Le sue fossette…
“Mi conosci, Lucy.” Le disse e si strinse nelle
spalle con non curanza.
Era il loro ultimo saluto. Doveva lasciarlo
andare, ma voleva dirgli addio a modo proprio.
“Vuelve a
mi, mi amor.” Scelse la lingua madre di Benjamin, sperando che nessuno
attorno avesse studiato spagnolo. Lo disse così piano che ebbe il dubbio che
persino lui non l’avesse sentita. Venne smentita quando i suoi occhi paglierini
si spalancarono sorpresi e l’uomo dischiuse le labbra.
Lucy lo lasciò andare rapidamente come se le
sue mani si fossero scottate e si voltò di scatto, quasi correndo verso le sue
Menadi. Era esausta, voleva solo chiudere gli occhi e non pensare più a nulla.
Voleva solo…
Aveva ormai raggiunto le sue amiche, quando
vide il viso di Angelique contorcersi in un’espressione buffa. All’inizio parve
perplessa, poi sorpresa e infine totalmente scioccata, tanto che la sua bocca
si spalancò. Lucy fece appena in tempo a voltarsi per sentire gli Auror gridare
come forsennati e vedere Benji venir letteralmente risucchiato nell’aria.
Dove un attimo prima stava fermo il suo uomo
non restava altro che il vuoto.
Lucy si guardò attorno incredula, e ritrovò le
medesime espressioni nelle altre Menadi, tranne che in Rose. La rossa non
riusciva a trattenere il sorriso che le arricciava gli angoli della bocca,
mentre i suoi occhi azzurri si fissavano sul cortile dove si era letteralmente
scatenato il panico.
Gli Auror corsero in ogni direzione, sbraitando
che non era possibile smaterializzarsi nei confini della scuola. William Danes
aveva stretto a sé la figlia che guardava inorridita il suo trionfo
trasformarsi in cenere.
“Cavallo e cavolo!” esclamò vittoriosa
Dominique, il cui turbamento si era dissolto nell’arco di un respiro. Lucy non
chiese che cosa volessero dire quelle parole, perché sentì le ginocchia cedere.
Si ritrovò seduta per terra, stremata dagli
avvenimenti, incapace di formulare il pensiero che continuava a fluttuare nella
sua testa. Rose si chinò verso di lei e le posò una mano sulla guancia
“Digli che se lo becco ancora a delinquere gli
taglio anche l’altro alluce. Ho fatto del mio meglio, ma rimarrà un ricercato.
Da ora in poi sarà molto dura, Lucy.”
Rose aveva liberato Benji.
Lucy l’attirò a sé e la strinse con tutta la
propria forza, scoppiando in un pianto liberatorio in cui concentrò tutta la
tensione della giornata.
Benjamin era libero!
E nel piccolo chiostro che per qualche minuto
aveva visto la distruzione di ogni sua speranza, Lucy si sentì rinascere. Alla
luce di quanto amore le sue cugine, amiche e colleghe le avevano dimostrato,
tentando il tutto e per tutto per lei, non poté far altro che ringraziare Dio,
Merlino, chiunque avesse assegnato alla sua vita persone tanto straordinarie.
***
Lei e Dominique stavano raggiungendo esauste il
dormitorio di Serpeverde.
Dopo la misteriosa fuga di Benjamin, l’isteria
si era impadronita dei dipendenti del Ministero della Magia, avevano perquisito
tutti i presenti per vedere se avessero scagliato qualche incantesimo che
avesse favorito la fuga, ma non avevano trovato nulla. Uno degli Auror disse
che aveva visto una figura piccola come un bambino materializzarsi
all’improvviso e prendere per mano Benji, per poi farlo svanire come fumo.
Altri dicevano che ci fossero un complice poteva avergli consegnato una
passaporta, ma questo risultava pressoché impossibile perché era sorvegliato a
vista. Tutte le congetture comunque non servirono a scoprire dove fosse finito
il ricercato.
Percy Weasley si era precipitato dalla figlia, l’aveva
stretta in un goffo abbraccio dicendole di non preoccuparsi, che lo avrebbero
trovato presto e che non le avrebbe più fatto del male.
Lei si era liberata da quell’abbraccio
immediatamente ed era tornata senza una parola dentro il castello.
Qualche minuto più tardi, nel dormitorio
deserto del terzo anno di Grifondoro, cioè la camera di Lily, Rose aveva
confessato che cosa fosse successo quel pomeriggio. Di Malfoy, del Quartier
Generale, della Sala Comune e poi della sua idea.
Attraverso il fuoco del camino dei Grifondoro,
Scorpius aveva contattato gli Elfi Domestici di Malfoy Manor. Aveva chiesto che
venisse mandato nelle cucine di Hogwarts e con la massima riservatezza uno
degli Elfi che lavoravano nelle case in periferia, possibilmente uno di quelli
più anziani, la cui magia fosse più potente. I servitori dei Malfoy in meno di
mezzora avevano portato a termine il proprio compito, comunicando che l’elfo
Dustin li stava aspettando dove richiesto.
Il piano a quel punto era stato semplice:
camuffare Dustin con abiti scuri, appostarsi su una delle torri, attendere che
portassero fuori dal castello Benji e chiedere all’Elfo di portare via il
prigioniero al primo attimo di esitazione, sfruttando il suo potere di
smaterializzarsi dovunque, solo schioccando le dita. Grazie al diversivo
involontario creato da Lucy, Dustin era riuscito ad approfittare del varco
creato dagli Auror e a farlo scappare.
Le altre l’avevano guardata senza parole,
finché Lily non si era riscossa e aveva esclamato:
“Per le sottane di Morgana! Certo che gli piaci
davvero tanto, se ha messo in piedi un casino tale solo per aiutarti…”
Rose era arrossita fino alla punta delle
orecchie.
Dopo qualche minuto, rincuorata che Benji fosse
sano e salvo in una delle proprietà dei Malfoy, Lucy era crollata sul letto di
Lily. Non aveva voluto infatti mettere piede nella stanza in cui anche Celia
Danes respirava la sua stessa aria. Lily le si era messa accanto come un
guardiano silenzioso, impegnata a metabolizzare gli eventi della giornata. Rose
si era dileguata senza troppe cerimonie e così anche le due Serpeverde avevano
deciso di andare a dormire.
“Ho bisogno di un Cosmopolitan.” Esordì
Dominique fermandosi all’improvviso.
“Beh, mi sa che da ora in poi con gli alcolici
abbiamo chiuso, Dom.”
“Mmm… Sai che esiste un luogo in cui
sicuramente ne hanno ancora un bel po’?” e le sorrise un po’ malandrina.
“Oh.” Esclamò Angie capendo le intenzioni
dell’altra e domandandosi subito dopo se ci fosse stato anche James alla Buca.
Si erano salutati dopo che Percy li aveva lasciati andare, Dom gli aveva
stretto le mani tra le proprie e gli aveva baciato le nocche ringraziandolo.
Angie si era limitata a salutarlo con una mano, come una bambina di quattro
anni.
Dominique cambiò direzione e la condusse verso
la Buca, il piccolo ritrovo che avevano costruito alcuni degli studenti più
grandi. Angie si guardò i vestiti e si pentì di non essere uscita quella
mattina con qualcosa di più carino. Poi si dette da sola dell’imbecille, perché
forse nell’ottica di quello che era successo, il suo abbigliamento non era così
importante.
Quando Dom aprì la porta della stanza
precedendola Angelique si stava ancora arrovellando su dubbi inutili. I suoi
occhi percorsero tutta la Buca, particolarmente affollata quel sabato sera,
nella speranza di incrociare una sola figura… Quando lo vide, appoggiato al
bancone, che parlava con Locarn Scamander, le venne immediatamente mal di
stomaco. Ne ammirò il profilo regolare, i capelli spettinati, l’espressione
tranquilla, (perché con lei non aveva mai quell’espressione?). Ad ogni
dettaglio che individuava si amplificava la morsa alle viscere.
L’ingresso di Dominique, come sempre, attirò
gli sguardi dei presenti, a maggior ragione per le voci che avevano iniziato a
circolare nel castello. Dom salutò un paio di persone che conosceva e poi si
sedette sullo sgabello accanto a James, posandogli una mano sulla spalla.
Jessy le rivolse un sorriso caloroso, prima di
accorgersi che c’era anche lei, a qualche metro di distanza, impacciata e
imbambolata.
Il sorriso si tramutò in un’espressione
diversa, più giocosa e più scanzonata, come le sue antiche espressioni, quelle
che appartenevano al tempo in cui lei aveva una pessima opinione di lui e lui
intratteneva relazioni poco impegnative con giovani bellissime, che di certo
non si mettevano i pantaloni impolverati per uscire con lui.
Dopo un cenno a Svitato, che la salutò appena,
troppo assorbito dalla preparazione del cocktail per Dom, Angie si sedette
accanto a James dall’altro lato. Le loro ginocchia si sfiorarono nello spazio
angusto davanti al bancone.
“Sei stato bravo oggi. Non pensavo sapessi
mentire così bene.” Fu la prima cosa che le venne in mente da dirgli e subito
dopo si sentì una cretina.
Jessy rise prima di sorseggiare dal bicchiere
il suo firewhisky con ghiaccio. Deglutì e poi alzò lo sguardo verso di lei.
“Saresti sorpresa nello scoprire tutti i miei
talenti, Gigì.”
La voce di Jessy era bassa, i suoi occhi
scintillavano nella luce calda della Buca, lucidi fino a sembrare ebbri. E lei
si trovò inchiodata sul suo sgabellino, a fissarlo dritto negli occhi, senza alcuna
intenzione di distogliere lo sguardo. Si trovò lì, davanti alla sua espressione
un po’ maliziosa, a dirsi chiaramente la verità.
Non aveva più voglia di resistere.
Aveva passato mesi interi a lottare contro un
dolore che l’aveva quasi annullata. Aveva passato settimane a lottare contro
l’attrazione che provava per James. In quel momento, alla Buca, dopo la
giornata assurda passata insieme, desiderò solo lasciarsi andare e non pensare
più a nulla.
Quindi gli sorrise a propria volta e gli chiese:
“Desideri forse mostrarmene qualcuno?”
James, che evidentemente non si aspettava
quella risposta, scoppiò a ridere e balzò giù dallo sgabello in un nano
secondo. Le porse la mano e le sorrise con aria di sfida.
Angelique accettò la mano e si lasciò condurre
nella zona dietro al tavolo da biliardo, dove alcuni studenti ballavano a ritmo
di una musica babbana molto allegra. In poco Angie scoprì che davvero James
aveva molti talenti, primo tra tutti quello di farla ridere.
Ballava bene, ma in modo esagerato, al solo
scopo di farla divertire e farle fare evoluzioni al limite dell’assurdo. La
faceva piroettare agilmente, le rivolgeva espressioni buffe e si muovevano
senza curarsi delle occhiate perplesse che gli altri lanciavano loro. Finché
dopo l’ennesimo caschè Angelique in preda alle risate non lo implorò di fare
pausa.
“Nessuna pausa, non te la meriti dopo lo
spavento di oggi.” Ribatté Jessy recuperando la sua mano e facendole fare un
altro passo.
Qualcuno a quel punto cambiò la musica e mise
una canzone molto più dolce, di un qualche cantautore inglese. Si guardarono
incerti per un istante poi James l’attirò a sé, passandole le mani sulla
schiena.
Angie sentì il cuore, già accelerato dai balli
precedenti, battere all’impazzata. Posò spontaneamente la guancia contro il suo
petto e si lasciò trasportare dai suoi movimenti lenti. I vestiti che indossava
erano impregnati del suo odore, che, come succedeva da qualche tempo, le
causava seri problemi a rimanere concentrata su quello che stava facendo.
Pensò che sarebbe stato giusto raccontargli
delle Menadi, visto che Rose per ovvi motivi aveva rotto il patto di
segretezza, forse anche lei avrebbe potuto…
“Sento il rumore degli ingranaggi che girano,
Gigì.” Le sussurrò James.
“Sto decidendo se raccontarti tutto o fare la
gnorri.” Rispose lei sorridendo.
“Raccontamelo domani. Ora basta questo.”
E trattenendo un sospiro, per la prima volta
Angelique si rese conto che quello non le bastava. Non le bastava affatto.
Note
dell’Autrice:
Ehm… Salve. Probabilmente nessuno si ricorderà
più a che punto eravamo arrivati, ma non importa.
Nel frattempo, mi sono laureata e abilitata
alla professione, quindi diciamo che ne ho passate di cotte e di crude! Spero
che il capitolo sia di vostro gradimento, è stato molto difficile scrivere la
trama e riuscire a incastrare tutti i passaggi perché spesso mi sembrava che ci
fossero dei buchi o degli errori. Spero che non sia così.
Ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di
leggere fino a questo punto e chi si è preso la briga di commentare lo scorso
capitolo: Cinthia988, thetwinsareback,
Idiot, vale_misty e cescapadfoot.
Grazie di cuore a tutti voi.
Un bacio
Bluelectra
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Capitolo 36 *** Cap.36 All my tears ***
Cap.36 All my tears
Cap. 36 All my tears
The wounds this world left on
my soul
Will all be healed and I'll be whole
…
It don't matter where I lay
All my tears be washed away
(Ane Brun - All
my tears)
Non ci poteva credere.
Nemmeno il pezzo di
pergamena che stringeva tra le dita, e che controllava ogni due minuti, poteva
convincerla del tutto della realtà delle cose.
Forse riusciva ancor meno
a credere di star attraversando i corridoi durante la pausa di metà mattina,
alla ricerca di Potter, non allo scopo di insultarlo o di scusarsi. Solo per
parlargli. E forse per gongolare un pochino.
Aveva preso Oltre Ogni
Previsione nell’ultima valutazione pratica di Trasfigurazione.
Cavendish le aveva
sorriso, entusiasta che dopo tanti anni si fosse giunti ad una svolta, ma lei
lo aveva guardato serissima chiedendo se fosse proprio sicuro di quel voto. Lui
aveva risposto perplesso che certo, era sicuro. A quel punto Angie gli aveva
chiesto se non gli facesse nulla scriverle su una pergamena il voto, perché voleva
delle prove. Il professore sempre più confuso dal comportamento così sospettoso
di Angelique aveva scritto quanto richiesto. Solo quando i suoi occhi avevano
incontrato il voto vergato dalla mano del professore di Trasfigurazione, si era
concessa di sorridere a propria volta.
E con la medesima
espressione un po’ ebete, si stava dirigendo verso il luogo dove sapeva che a
lui piaceva passare la ricreazione: il piccolo chiostro con gli alberi al
centro e le panchine di pietra.
Marciava col suo solito
passo militare, pensando alla faccia che avrebbe fatto Jessy, o che almeno
sperava facesse… Forse le avrebbe semplicemente fatto i complimenti per il voto
e niente più. Dopo tutto era solo un O, non era certamente il voto finale del
Gufo, non c’era bisogno di scaldarsi tanto.
Lo riconobbe subito. Era allenata
ad individuarlo nella massa confusa degli studenti, con un istinto infallibile.
Osservarlo quando non si sapeva visto, nelle sue espressioni spontanee, nei sorrisi
che gli modellavano la bocca, nelle sue movenze, le dava un piacere
inconfessabile. Lo cercava sempre appena vedeva un assiepamento di studenti del
sesto anno, in Sala Grande. Non poteva farci nulla, era cotta come una pera.
Jessy era, come di consueto,
attorniato dai suoi compagni di Casa, Philip, Alice e Fred. Per un brevissimo
istante Angie pensò che, dopo il litigio con Potter, Derek aveva preso gli
amici più sinceri che avesse avuto ad Hogwarts. Si impose di non lasciare corso
alla consueta tristezza che evocare il suo ricordo portava con sé.
“Jessy!” lo chiamò mentre
si avvicinava quasi correndo, senza smettere di sorridere un attimo.
James si voltò verso di
lei e inarcò un sopracciglio. Non si sarebbero dovuti vedere prima del giorno
successivo, per un’altra lezione di Trasfigurazione. I capelli neri, caotici e
indomabili, rilucevano sotto i raggi del sole di fine aprile come carboni
ardenti. Portava la cravatta con i colori di Grifondoro perfettamente annodata
al collo, al contrario della maggior parte degli studenti, tra i quali vigeva
la moda di portarla allentata, per dare un’aria di trasandatezza. In quel
piccolo particolare Angie vide l’impronta inconfondibile di Dominique, e pensò
che prima di allora non l’aveva mai notato.
“Che succede, Gigì?”
James le era venuto in contro e la scrutava perplesso.
Angie gli sventolò
davanti al viso la pergamena di Cavendish e quando il ragazzo la prese tra le
mani, esclamò:
“È il mio voto nella
prova pratica di Trasfigurazione!”
Nella frazione di secondo
che ci volle a Jessy per comprendere, Angie poté osservare i suoi lineamenti sbocciare
letteralmente in un sorriso estasiato.
“Bravissima, Gigì!” Venne
travolta prima dall’entusiasmo che prese i suoi occhi, illuminandoli in un modo
che la lasciò senza fiato, e poi dall’abbraccio in cui la coinvolse.
Ridendo a pieni polmoni,
la prese per la vita e la sollevò dal terreno con agilità. Angelique,
incredula, rise a propria volta. Gli cinse le spalle per tenersi in equilibrio,
ritrovandosi circondata dai muscoli del suo petto e delle sue braccia, che
riusciva a sentire distintamente contro di sé.
Quel gesto improvviso
durò pochissimo, perché Jessy la rimise a terra quasi subito, ma bastò a
scatenare in lei una serie di emozioni contrastanti. Il desiderio di allontanarsi
per nascondergli il rossore che sentiva diffondersi sulle guance, quello di
ritornare a spalmarsi addossi a lui, a tutti quei muscoli e quella pelle
profumata. L’eccitazione in ogni terminazione nervosa per il suo tocco, la
calma autoimposta per celare quanto le ginocchia fossero malferme. La gioia che
provava più aver potuto mostrargli quel miglioramento che non per il
miglioramento in sé. La preoccupazione perché forse stava attribuendo
un’importanza esagerata ai suoi gesti.
Il vortice delle sue
elucubrazioni venne cancellato in un secondo da Jessy, che le posò le mani
sulle spalle e disse con un sorriso che le ridusse lo stomaco a un groviglio:
“Sono orgoglioso di te.”
Angelique assimilò
lentamente quelle poche parole, lasciando che si posassero nella parte di sé
che da ragazzina aveva rinchiuso dietro l’apparente freddezza e distacco, la
vulnerabilità inconfessabile, nata dall’essersi sentita diversa per tutta
l’infanzia. Quella dell’Angelique che aveva temuto appena arrivata ad Hogwarts
di rimanere emarginata, di non essere abbastanza per quel nuovo mondo.
Lui era orgoglioso di un
suo traguardo.
Lui, con cui si erano
scannati per anni, a cui aveva detto vere e proprie crudeltà, che le aveva
rivolto parole impietose, il solo che avesse visto fino in fondo l’abisso in
cui si era sprofondata, l’unico che le avesse porto il giusto appiglio per
risollevarsi con le proprie gambe. Lui era orgoglioso di lei.
Angie si riscosse e smise
di fissarlo come se fosse stata l’ultima fetta di torta al cioccolato
disponibile. Cercò disperatamente di non pensare alle sue dita che si
modellavano sulle proprie spalle, dando vita nella sua mente a visioni deliziosamente
pornografiche.
“Beh, io ora dovrei
andare a Divinazione. Ero passata solo per dirtelo.” gli disse cercando di
sembrare noncurante all’idea di andarsene.
Jessy annuì sorridendole.
Le sue mani si sollevarono in un nano secondo, dandole la sensazione di essere
improvvisamente priva di qualcosa di importante.
E anche se cercò di concentrarsi
sulle carte astrali della Cooman, continuò a ripensare all’abbraccio di James,
al sorriso felice che l’aveva ammaliata, al tocco delle sue mani, grandi, dalle
dita lunghe e piene di forza.
Avere James come
protagonista dei propri pensieri era diventato una tale costante, che imprecò
come un carrettiere per tutta la giornata.
***
Lucy pensava di essere
esperta in materia di frustrazione. Tuttavia, la relazione segreta che per mesi
aveva intrattenuto con Benji le aveva concesso solo l’antipasto di quello che
provava in quel momento.
All’alba del suo
diciottesimo compleanno dormiva nella stanza delle ragazze del terzo anno, le
quali (non sapeva esattamente perché) l’avevano eletta a propria paladina e
idolo, ruoli che sentiva più scomodi di un maglione di lana grezza sulla pelle
nuda. Non aveva potuto portare il
proprio baule nella camera di Lily perché non c’era abbastanza spazio, quindi
ogni volta che aveva bisogno di vestiti puliti doveva mandare in esplorazione
le quattro piccole bestiole da cui era costantemente attorniata, per accertarsi
che la Danes non fosse nei paraggi. Da quel punto di vista erano veramente una
risorsa preziosa.
Lucy aveva deciso che avrebbe
impiegato ogni briciolo della propria volontà per non avere mai più nulla a che
fare con quell’essere spregevole. Da questo derivavano una serie di scomodità
immense, tra cui il non avere più una propria camera, il condividere il letto
con Lily e l’essersi auto-ostracizzata dalla Sala Comune.
Gli esami MAGO si
avvicinavano come nuvole scure all’orizzonte. Per quanto concerneva la sua
preparazione, poteva contare esclusivamente sulle sue scarse competenze
accademiche, visto che la povera Rose si stava preparando per i propri GUFO e
non aveva più tempo per obbligarla a studiare.
Sua madre e suo padre le
avevano scritto un paio di lettere a testa, in cui le manifestavano tutta la
loro vicinanza e la invitavano a sentirsi libera di sfogarsi con loro per tutto
quello che le era accaduto nei mesi precedenti. Come se avesse mai preso in
considerazione l’idea di rivolgersi a loro nel momento del bisogno!
In seguito allo scandalo
di proporzioni bibliche che l’aveva vista coinvolta, alcune informazioni erano
trapelate inevitabilmente, rendendo la scuola un vespaio di pettegolezzi. Lucy,
ogni minuto di ogni giorno, era oggetto di sguardi perforanti come chiodi. Ogni
suo passo era accompagnato da una sinfonia di bisbigli e risolini. Le sembrava
di poter leggere a chiare lettere sul viso degli altri studenti le domande che
li rodevano: “Come ha potuto una mediocre come la Weasley organizzare tutto il
commercio delle Menadi? E così è a quella che abbiamo allungato per tutti
questi mesi i nostri galeoni? Che sia veramente l’amante di quel criminale?”.
Una volta aveva dovuto trattenere con la forza Lily, pronta a prendere a calci
un gruppo di ragazze del settimo anno che avevano fatto battute davvero poco
simpatiche sul suo conto durante un cambio dell’ora.
Tutto ciò sarebbe anche
stato sopportabile, se solo avesse avuto notizie da parte di Benjamin.
Da quando aveva scorto la
sua figura dissolversi nel cortile di Hogwarts, grazie alle macchinazioni di
Rose e Malfoy, non aveva idea di che cosa fosse successo all’uomo che amava.
Presupponeva che fosse nascosto da qualche parte, aspettando il momento
migliore per lasciare la Gran Bretagna… Sempre che non lo avesse già fatto.
Tuttavia, non aveva ricevuto nemmeno una lettera sa parte sua.
Temeva che Benjamin la
ritenesse la responsabile della versione che Dominique aveva elaborato per
scagionarla, provava il terrore viscerale che lui se ne fosse andato per
sempre, senza salutarla un’ultima volta, senza includerla nel proprio futuro.
Pensava che, nonostante il dolore che questa scelta le avrebbe causato, fosse
la cosa migliore, perché era stata tutta colpa sua.
Lei aveva sfidato Celia
Danes, lei l’aveva provocata, lei si era presentata alla Taverna delle Lucciole
senza assumere la Polisucco e facendosi seguire, lei non aveva prestato
sufficiente attenzione alle conseguenze delle proprie azioni.
L’incertezza in cui
languiva da giorni, le mille paranoie che la tenevano sveglia di notte, la
mancanza di Benji, bruciante come una ferita appena inferta, la facevano vagare
tra i corridoi come una bestia braccata, esponendola ancor di più ai
pettegolezzi e alle congetture degli studenti della scuola.
Anche in quel momento, in
cui nonostante fosse al fianco di Lily, qualunque cosa le sembrava estranea.
“Giuro che se quel
demente di Dixon non si sveglia lo affatturo mentre è in volo.” Ringhiò la più
piccola di casa Potter.
Effettivamente, sembrava
che quel pomeriggio l’allenamento dei Grifondoro fosse contraddistinto dalla
dilagante incapacità di Dixon di prendere il Boccino nei tempi stabiliti.
Persino a lei, orgoliosa ignorante del quidditch, risultava chiaro che fosse il
giocatore più scarso del gruppo selezionato da suo cugino James.
Alla luce del fatto che
sabato ci sarebbe stata l’ultima partita di campionato, che vedeva in testa
proprio i Grifondoro, e che si sarebbero scontrati coi Serpeverde, comprendeva
il nervosismo di Lily.
Più per colmare il
silenzio attorno a sé, che non per reale interesse, Lucy domandò alla cugina:
“Pensi che ci sia anche
solo una vaga speranza di non fallire miseramente sabato?”
Lily le scoccò
un’occhiata allibita e Lucy alzò gli occhi al cielo. Dire che di solito non
gliene importava nulla dello sport era un eufemismo e Lara lo sapeva bene.
Tuttavia, non fece commenti al riguardo, mentre tornava a seguire il gioco in
campo le spiegò con precisione:
“Se la squadra di Albus
fosse rimasta con la formazione di inizio anno ci avrebbero fatto a pezzi.
Avevano un gioco pulito, estremamente rapido e si intendevano alla perfezione.
Dominique, mannaggia a lei, segna quanto James, quando è in forma e non le si è
rovinata la manicure il giorno prima. E Angie… Beh, lei sembra nata per scovare
il Boccino. Ma da quando Al ha esonerato Angelique, la squadra si è sfaldata.
Hanno provato a sostituirla con un ragazzo del quarto anno ma non c’è intesa,
sembra una pecorella smarrita in mezzo al campo.”
“E tu come fai a
saperlo?” le chiese già consapevole della risposta.
Infatti, Lily si voltò
verso di lei e le concesse un sorriso criminale che le scaldò il cuore.
“Perché ho usato il
mantello di mio padre per spiare i loro allenamenti.”
“E non pensi che tuo
fratello possa fare la stessa cosa?”
“Mio fratello fa sempre la stessa cosa, è pur sempre un
Serpeverde! Anche oggi se vuoi saperlo. Prima ho visto spuntare le sue scarpe
sulla gradinata dei Corvonero.”
Questa volta Lucy si
concesse una breve risata, anche se non sentì minimamente alleviarsi il peso
che le grava sul cuore. E Lily, quasi che avesse la facoltà di avvertire i suoi
pensieri, le si fece più vicina e posò il capo sulla sua spalla, mentre
mormorava a mezza voce insulti al Cercatore di Grifondoro.
***
Albus aveva la sensazione
di essersi perso qualcosa.
Il sabato precedente, per
la prima volta in circa dieci anni, era stato sospeso il Sabato della Memoria,
la riunione famigliare dei Weasley-Potter che si svolgeva nella sala dove erano
custoditi i quadri dei membri dell’Ordine della Fenice. La motivazione che Rose
aveva addotto lo aveva lasciato senza parole.
Lucy era stata arrestata
e poi rilasciata, quindi era un po’ stanca e non se la sentiva di organizzare
la riunione proprio quella sera.
Ah.
Ecco tutto quello che era
riuscito a dire, prima che Rose si dileguasse come polvere nel vento. Era
tornato molto perplesso da Martha, che stava leggendo un libro in Sala Comune.
Colto da uno strano presentimento, le aveva chiesto se avesse visto Angie ad
Hogsmeade, poiché lui non ricordava di averla mai incrociata in tutto il
pomeriggio. Martha dopo qualche istante di riflessione gli aveva confermato di non
averla più vista dopo la partenza dal castello.
Il giorno successivo i
suoi presentimenti avevano trovato conferma sulle rive del Lago Nero.
Lucy aveva chiamato a
raccolta tutta la famiglia allargata e aveva raccontato che cosa fosse successo
il giorno precedente. Era facile immaginare che si fosse scatenato un putiferio,
dovuto per lo più alle esclamazioni ammirate di Tristan e Hugo.
In quel vociare confuso,
i suoi occhi avevano incrociato all’istante quelli di Angelique. Lei gli aveva
rivolto uno sguardo vacuo, immobile, a tal punto che lui aveva compreso
all’istante che stava cercando di celare le proprie emozioni dietro un distacco
forzato.
Insospettito da lei,
aveva notato che anche Rose era stranamente silenziosa, sua sorella Lily
vociava guardandosi attorno con aria nervosa e Dominique… Dominique si stava
ispezionando le ciocche bionde in cerca di doppie punte.
“Sei turbato.”
La voce di Martha lo
riscosse e si accorse che si era seduta accanto a lui.
Era andato a trovarla dopo
l’allenamento di quidditch e l’aveva trovata intenta a scrivere le ultime righe
del tema di Antiche Rune. Si era disteso sul suo letto mentre l’attendeva,
rimanendo inevitabilmente invischiato nei propri pensieri.
“Sì.” Le sorrise accarezzando
un riccio ramato.
“E non è solo per la
partita di quidditch.”
“No.” Ammise con un breve
sospiro.
“Devo seriamente iniziare
a usare la mia schifo-veggenza o hai intenzione di sputare il rospo?” gli
chiese lei inarcando un sopracciglio. Albus rise divertito. Di tanto in tanto
la metà irlandese di Martha si presentava sottoforma di un linguaggio a dir
poco colorito.
“La tua non è affatto una
schifo-veggenza. Quella della Cooman lo è! Il tuo è un dono prezioso, che
imparerai a usare.” Si avvicinò a lei e le baciò con delicatezza, indugiando il
più possibile sulle labbra morbide.
Ogni volta che la baciava
qualcosa dentro di lui divampava in un lampo: le mani iniziavano a formicolare
per il desiderio di esplorare quella terra magnifica e ancora ignota che era il
suo corpo; la bocca bruciava nella sete che il suo sapore gli procurava; il
ventre si tendeva nel bisogno quasi doloroso di un contatto.
La sospinse con
delicatezza verso il materasso coprendola col proprio busto, ma quando toccò la
coperta Martha interruppe il bacio, posandogli una mano sul petto. I suoi occhi
color cioccolato si spalancarono con un’occhiata ironica.
“Non tentare di
distrarmi. Che cosa c’è che non va?”
Albus sbuffò e si lasciò
andare a propria volta al suo fianco, sostenendosi col gomito. Arricciò le
labbra pensando a quali fossero le parole migliori per descrivere il proprio
stato d’animo.
“Suppongo il fatto che io
sia un merluzzo bollito.” Convenne alla fine suscitando le sue risate.
Non capitava spesso di vederla
ridere in quel modo, non da quando Nana era in coma. Per cui quel suono
argentino gli vibrò dentro, quasi quanto il bacio che si erano scambiati poco
prima.
“Pensavo che ormai fossi
sceso a patti con la realtà!”
“Sì… In realtà riflettevo
su quello che mi hai detto quella volta nello sgabuzzino.” le disse quasi
sovrappensiero, mentre le sue dita si intrecciavano a un morbido riccio ramato.
A seconda della luce assumevano sfumature che andavano dal cannella al rosso
fiammeggiante; stava imparando ogni minima variazione con un interesse quasi
scientifico.
“Ti ho detto molte cose
quella volta e nessuna particolarmente lusinghiera…” nella voce di Martha non
c’era la benché minima vena di rammarico e gli venne spontaneo sorridere.
Già, ora poteva
permettersi di sorridere, ma allora era stato come piantarsi un coltello nella
pancia.
“Hai ragione, ed erano
tutte vere.” Martha rise ancora, prima che lui riprendesse a parlare con tono
più serio: “Pensavo a quando mi hai detto che ho passato gli ultimi anni a
correre da tutti quelli che avevano bisogno di me. Effettivamente, appena
percepisco che una delle persone a cui voglio bene possa aver bisogno di aiuto,
il mio primo impulso è di fiondarmi dritto da lei. Sto cercando di controllare
questa cosa, sto cercando di mettere le mie necessità prima di tutto il resto...
E ho capito che in realtà ero così concentrato a soccorre anche chi non me lo
chiedeva, che ho ignorato tutto il resto. I miei sentimenti, i tuoi sentimenti,
i pensieri degli altri.” Si interruppe ancora cercando di descrivere adeguatamente
quello su cui stava riflettendo da qualche giorno.
“Ero talmente convinto di
sapere quello che stavo guardando, che forse non ho mai visto davvero chi mi
stava davanti.”
La O’Quinn aggrottò le sopracciglia
perplessa.
“Di chi stai parlando,
Albus?”
“Di Angelique. Di te. Di
mio fratello. Delle mie cugine. È come quando fai le scale di casa senza accendere
la luce e arrivi all’ultimo gradino convinto di essere a terra. E invece ce n’è
ancora uno che ti fa precipitare per un breve istante, prima di riprendere
l’equilibrio. Ci sono momenti in cui mi sento così di fronte alle persone che
penso di conoscere come le mie stesse mani. Mi sono perso qualcosa di
essenziale in loro, qualcosa che ha determinato un cambiamento sostanziale e
che io non ho riconosciuto.”
“Che cosa è successo con
Angie?” anche lei a questo punto si era sollevata appoggiandosi al gomito. Lo
colpì l’acume con cui nel groviglio dei suoi pensieri Martha avesse visto con
chiarezza spiazzante l’origine di tutto. Angelique. La sua migliore amica. O
un’estranea?
“Hai sentito di mia
cugina, no?” Dall’espressione che gli diede come risposta, Al capì che chiunque
nella scuola ne avesse sentito parlare. “Sono convinto che fossero coinvolte tutte
le ragazze della mia famiglia, compresa Angie. E il fatto che non me ne abbia
mai parlato per mesi mi fa sentire come se stessi cadendo. E poi c’è stata la
cosa di Shatten, tutto quel casino. Mi sento come… Come se non sapessi più
nulla di lei, come se l’avessi persa.”
Solo esprimendo ad alta
voce con lei le proprie emozioni riuscì a identificare finalmente quel senso di
smarrimento che lo stava accompagnando insistentemente. Il sollievo di vedere
Angie finalmente più serena dopo i mesi di tormento era indescrivibile, ma
contemporaneamente l’aveva anche sentita allontanarsi sempre di più, spinta
verso nuovi impegni e nuovi legami… Primo tra tutti quello insospettabile con
suo fratello James.
“Forse è così. Forse quei
pezzi che vi siete lasciati alle spalle erano il peso di cui liberarsi per
andare avanti… sarebbe stato impossibile con tutto quello che è successo a
entrambi rimanere gli stessi ragazzini che si sono conosciuti sull’Espresso per
Hogwarts.”
Gli occhi di Martha si
erano fissati sul muro alle sue spalle mentre parlavano, persi nelle proprie
riflessioni. Con un battito di ciglia si riportarono nei suoi e lei gli sorrise
con dolcezza.
“Noi siamo amiche, ma tu…
Tu sei qualcosa di diverso per lei. Voi siete come un piccolo microcosmo, in
cui sapete gravitare solo voi due e gli altri assistono. All’inizio Scorpius
era molto geloso di te, lo sai? Aveva paura che il vostro legame fosse troppo,
come dire, intimo. Poi anche lui ha capito. Ha capito che senza di te le manca
la terra sotto i piedi, che senza di lei non hai aria nei polmoni. Voi vi siete
necessari, non importa quanti e quali cambiamenti affronterete, continuerete ad
esservi necessari.”
Albus rimase a bocca
aperta per qualche secondo, stordito dalle sue parole. Come aveva potuto per
tutti quegli anni non accorgersi di che ragazza incredibile avesse accanto? Come
era riuscito, per la Barba di Merlino, a negare ciò che provava per lei, visto
il modo in cui ora lo sconvolgeva solo guardandolo in un certo modo? Era stato
un merluzzo bollito, ovviamente.
In meno di un secondo le
fu di nuovo addosso. La riportò sotto di sé con un bacio irruente, forzando
leggermente le sue labbra ancora chiuse per la sorpresa. Martha rispose
prontamente al bacio e gli posò una mano sulla nuca per trascinarlo ancor più
vicino a sé. Desiderava andare completamente alla deriva insieme a lei, perché
in quell’oblio dei sensi ritrovava sé stesso molto più che dopo ore di
riflessione. Scese a baciarle la line della mandibola e poi del collo, mentre
una delle sue mani scivolava sotto la gonna, per accarezzare la pelle della sua
coscia, fresca e morbida sotto i suoi polpastrelli.
“E ora che ti prende?”
sussurrò Martha spiazzata.
Al indugiò con le dita
sul tessuto della biancheria della ragazza, procurandole un sospiro un molto più
profondo degli altri. Si godette per un secondo l’espressione di Martha,
abbandonata sotto di lui, bellissima e sua.
“Sei la ragazza più straordinaria
che conosca. Mi eccita moltissimo questa cosa.”
E passò i seguenti minuti
a dimostrarle quanto quelle parole fossero vere.
***
“Stavo pensando…”
“Non farlo. È una cosa
che ti riesce malissimo.”
“Farò finta che tu non
esista da ora in poi.”
“Difficile continueresti
a parlare da sola per il resto dei tuoi giorni, sono l’unica che riesce a
seguire i tuoi discorsi deliranti.”
Rose si pentì
immediatamente del sarcasmo con cui aveva appena infarcito la conversazione con
Dominique. La cugina socchiuse gli occhi, nella sua tipica espressione da miope.
Poi schioccò la lingua contro il palato e scosse la testa bionda.
“Vedo che con Malfoy le
cose non sono migliorate, altrimenti non saresti così di pessimo umore.” Le
disse semplicemente versandosi altro tè nella tazza di porcellana.
Rose emise
involontariamente un verso strozzato e si sentì avvampare in un secondo.
“Cos..?” non riuscì
nemmeno a formulare una protesta perché Dom la guardò con sufficienza,
sollevando entrambe le sopracciglia.
“Oh, per piacere! L’ho
capito sin dalla prima volta che ti abbiamo beccata dopo che eri stata a
pomiciare con lui nel parco della scuola.”
Rose immaginò di essere
diventata completamente paonazza, perché sentiva le guance andare a fuoco. Si
guardò attorno con aria circospetta ma nessuno nella Sala Grande faceva caso a
loro due. O meglio la metà dei ragazzi faceva caso solo a Dominique, quindi
nessuno avrebbe osservato le sue reazioni esagerate.
“Sei veramente pazzesca.
A momenti non l’avevo capito io, come diavolo hai fatto a capirlo tu?”
Dominique alzò appena le
spalle e bevve un sorso dalla tazza fumante, prima di risponderle con
semplicità.
“Perché io vi osservo
tutti, sempre. E i vostri corpi raccontano molto di più di quanto non
vorreste.”
“Messa così è vagamente
inquietante.”
“Mai detto di non
esserlo. Si può essere inquietanti e divine allo stesso tempo, pensa ad
Angelina Jolie.”
Rose convenne con le
parole della cugina e si limitò ad annuire, ancora fortemente perplessa dal
loro scambio, cosa più che normale quando si trovava a parlare con Dom.
In realtà le cose con
Scopius si erano smosse eccome, solo non secondo i suoi piani.
Sabato sera lo aveva
cercato apposta per ringraziarlo ulteriormente del suo aiuto. Lo aveva trovato
al Club degli Scacchi, dove aveva appena concluso una partita, vincendo
ovviamente. Lui le aveva proposto di fare una camminata prima del coprifuoco,
così avevano raggiunto in silenzio un cortile esterno. Appena Rose aveva aperto
la bocca, per iniziare il proprio discorso già ripassato mille volte nella
testa, si era ritrovata incollata a un muro. Scorpius Malfoy l’aveva baciata in
un modo che solo a ripensarci le faceva vorticare il sangue nelle vene. Aveva
preso possesso della sua bocca con sfacciata sicurezza. Le aveva accarezzato il
viso con dolcezza inattesa, le aveva afferrato i capelli con impeto durante un
bacio particolarmente famelico, l’aveva stretta tra le proprie braccia con una
forza perfettamente misurata, in grado di farle desiderare di sentire ancora di
più i suoi muscoli contro la propria pelle.
E poi se n’era andato.
Proprio così, se n’era
andato sul più bello, senza una parola o una spiegazione!
Le aveva dato un bacio
lieve sulle labbra arrossate dal mondo in cui erano state trattate, e poi se
l’era data a gambe verso i Sotterranei. Maledetto Malfoy, che l’aveva lasciata
sconvolta e notevolmente accaldata in uno stupido cortile.
“A che cos’è che stavi
pensando?” le chiese dopo qualche istante di silenzio.
Dominique rispose
prontamente come se l’intermezzo riguardante Malfoy non l’avesse minimamente
distolta dal proprio scopo.
“Al regalo di compleanno
di Lucy, mi sembra ovvio.”
Rose sentì un proprio
sopracciglio sollevarsi di sua spontanea volontà verso la fronte, spinto dalla
perplessità che le irrompeva da ogni capillare.
“Guarda Dom, sono sicura
che tu abbia le migliori intenzioni ma secondo me lei non ha molta voglia di
festeggiare.”
“Ma io non avevo alcuna
intenzione di festeggiare, non mi sono ancora ripresa dagli eventi della
settimana scorsa. Se continuo di questo passo mi verranno le rughe prima che io
possa avere l’età legale per andare da un chirurgo… Pensavo in realtà a
qualcosa che la potesse tirare su di morale.”
“L’unica cosa in grado di
rallegrarla in questo momento prevede una pena di cinquant’anni ad Azkaban.”
Dom spalancò gli occhi e
poi sussurrò con tono molto preoccupato.
“Non avevo idea che il
Wizengamot fosse così contrario al sesso orale.”
Rose, proprio malgrado,
rise di cuore e aggiunse divertita:
“Pensavo agli impulsi
omicidi di Lucy nei confronti della Danes. Ma forse il sesso orale sarebbe
un’opzione migliore, se solo Benji fosse ancora in circolazione.”
“Eccoci al punto. So bene
che il giovane Malfoy ha svolto con estrema cura il proprio incarico…” e Dom
inarcò vistosamente le sopracciglia, come se Rose avesse avuto alcun bisogno
che le ricordassero come Scorpius avesse orchestrato la fuga di Benjamin da
sotto il naso del Ministero. “Per questo immagino che nessuno a parte lui abbia
certe… conoscenze, per così dire. Ti chiederei dunque, piccola Rosie Rose, di
informarti presso l’unica fonte attendibile, se ci fosse la possibilità di
recapitare un messaggio.”
“Scordatelo.” Disse
semplicemente Rose prendendo un morso dal dolce che si era appena servita nel
piatto.
“Oh cara… Lo farai
eccome, perché la tua motivazione non è sbaciucchiarti quel platinato, ma
rendere un briciolo più serena la nostra Lucy.”
Rose si massaggiò la
fronte frustrata e evitò di rispondere a Dom, che tanto sapeva perfettamente
che di fronte a quella verità non si sarebbe mai tirata indietro.
***
Aprile era agli
sgoccioli, i pomeriggi sempre più lunghi sia per la luce crescente sia per il
carico di studi che si intensificava prima degli esami di fine anno. Le serate
si consumavano alla luce delle candele disposte sui tavoli delle Sale Comuni,
finendo gli ultimi temi dell’anno, ripassando i programmi, facendosi coraggio a
vicenda.
Anche la sua punizione in
infermeria era quasi al termine. I due mesi stabiliti dalla Balckthorn erano
trascorsi con una rapidità che l’aveva lasciata spaesata. Se non avesse dovuto
sostenere i GUFO a giugno, Angie avrebbe chiesto a Madama Chips di poter
continuare a darle una mano dopo le lezioni.
Tra i letti immacolati, i
pavimenti splendenti, gli improperi della donna, i flaconi di pozioni e i
lamenti di quelli che avevano mangiato le pasticche vomitose dei Tiri Vispi
Weasley, Angie aveva trovato conforto, pace a tratti. Lì, dove per anni era
arrivata con ossa rotte e contusioni di vario genere per essere rimessa in
piedi dalle cure dell’infermiera, aveva ritrovato l’equilibrio che solo
preparare pozioni le concedeva. Non solo, aveva capito come curare quello
squarcio che per mesi le aveva dato l’impressione di starsi dissanguando.
Prendersi cura di
qualcuno che aveva bisogno di lei, imparare nuove procedure per aiutare la
Chips, memorizzare la durata degli incantesimi curativi, abbinare gli effetti
delle diverse pozioni, fondamentalmente aiutare in modo tangibile, le aveva alleggerito
l’anima. Aveva dato senso a giornate in cui altrimenti si sarebbe lasciata
scivolare nel dolore dei rimorsi, le aveva ridato in mano la sua vita.
Non avrebbe potuto
desiderare una punizione migliore.
Angie scivolò
silenziosamente dentro lo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa
dell’Infermeria. Come di consueto, il bianco abbagliante dell’ambiente
circostante le fece socchiudere gli occhi. Quando si abituò al riverbero del
sole, individuò all’istante l’unico letto dell’Infermeria che era sempre
occupato. I capelli azzurri di Nana stavano iniziando a perdere la loro
tonalità vivace, visto che quando la lavavano la Chips si rifiutava
categoricamente di usare il Magishampoo. La sua pelle, normalmente rosea, era
diventata diafana al punto da lasciar intravedere le vene sulla linea della
mandibola e delle tempie. Le sue dita non recavano più nemmeno l’ombra delle
tempere, del carboncino o di qualunque altro mezzo da lei usato per dipingere.
Angelique non aveva alcun
bisogno di avvicinarsi al fondo della stanza, dove la sua amica giaceva
immobile, per constatare tutti questi cambiamenti, erano impressi nella sua
mente. Ogni giorno che aveva passato accanto a Elena, era stato scandito dalla
paura di notare un peggioramento e dalla speranza, sempre più fievole, che
migliorasse. L’attesa di uno dei due eventi era lacerante.
Chi sembrava ormai oltre
ogni ragionevole limite di sopportazione personale, era il giovane seduto
accanto al letto di Nana. Berty le stringeva una mano tra le proprie e con
l’altra sorreggeva un libro che le stava leggendo a mezza voce. Non lasciava la
presa sulle dita della ragazza nemmeno per girare pagina, arrangiandosi come
meglio poteva con l’unica mano libera.
Aveva visto questa scena
quasi ogni giorno, ma tutte le volte Angie sentiva il cuore accartocciarsi.
Berty aveva occhiaie violacee, la pelle del suo viso era tesa sulle ossa degli
zigomi, il suo fisico in quelle settimane si era quasi prosciugato nel dolore
che trapelava da ogni suo poro. Si stava consumando nell’attesa che Elena
aprisse finalmente gli occhi.
Angie si avvicinò ai due
amici e posò una mano sulla spalla di Berty per salutarlo senza interrompere la
sua lettura, lui le rivolse un lieve sorriso come risposta. Quel breve scambio
sanciva l’inizio di quasi ogni turno in infermeria di Angie.
La ragazza ascoltando
distrattamente il sottofondo della voce di Berty si mise all’opera. Allacciò in
vita il grembiule bianco e si mise a preparare le cassette del pronto soccorso
che avrebbe posizionato sotto ogni letto in vista della partita del giorno
seguente.
Bastò quella piccola
scintilla per far divampare nella mente di Angelique i pensieri connessi
all’ultima partita di quidditch che aveva giocato. Ripensò a quando si era svegliata
in quella stessa stanza intorpidita, sola e senza alcuna voglia di ricominciare
a vivere. Ricordava che se avesse potuto lasciarsi assorbire dalle lenzuola,
avrebbe dato qualunque cosa pur di sparire. Poi Jessy era entrato e le aveva
dato un motivo per alzarsi.
Alle volte si interrogava
quanta parte di sé fosse ancora affetta dal quella pulsione autodistruttiva in
grado di trascinarla sul fondo di sé stessa. Aveva iniziato a conoscere e
chiamare per nome i propri fantasmi, senza rinnegarli e senza lasciarsi
dominare, ammettendone semplicemente l’esistenza.
Il rumore della porta
dell’infermeria che si apriva destò immediatamente la sua attenzione.
Quasi che la scia dei
suoi pensieri lo avesse calamitato, il figlio maggiore dei Potter fece il suo
ingresso nell’Infermeria, accompagnato da Fred Weasley. Le bastò un secondo per
sentire il cuore iniziare a battere all’impazzata.
“Perché sei sempre
coperto di sangue?” fu la prima cosa che sbraitò correndo verso di lui e per
tutta risposta ottenne uno scrollamento di spalle.
James si tamponava una
ferita sul sopracciglio destro molto sanguinolenta, che gli aveva sporcato
l’occhio e la guancia. Fred accanto a lui non sembrava particolarmente
preoccupato, tanto che sghignazzava osservando il cugino.
“Si è distratto mentre
era in volo e ha preso uno degli anelli in testa.” Le raccontò trattenendo le
risate.
Anche Angie dovette
comprimere le labbra una contro l’altra per evitare di scoppiare a ridere
immaginando la scena. Ciononostante, scostò la mano di Jessy e il fazzoletto
zuppo di sangue in essa, per analizzare il taglio, che si rivelò discretamente
profondo ma non sporco.
“Ti fa male la testa?”
gli chiese cercando di rimanere concentrata sulle domande di rutine.
“No.”
“Ti viene da vomitare o
hai già vomitato?”
“No.”
“Hai avuto delle
vertigini mentre camminavi?”
“No.”
Angie illuminò la
bacchetta e la rivolse verso gli occhi del ragazzo, per osservare come le sue
pupille reagissero alla luce.
“AH!” esclamò infastidito
Jessy mettendo una mano davanti al viso.
“Sta fermo o vado a
chiamare la Chips che ti farà passare qui le prossime cinque ore.” Lo minacciò
puntandogli la punta luminosa della bacchetta in faccia.
“Sei ogni giorno più
dispotica da quando sei qui.” La rimbeccò lui con un’occhiata torva.
“Succede se tutti quelli
che cerchi di aiutare si comportano come polli senza testa.”
“Immagine interessante.”
Intervenne Fred e poi proseguì con un sorriso a trentadue denti. “Beh, ora che
sei arrivato a destinazione Jamie, io me la filo.” E in men che non si dica fu
fuori dalla porta.
“Vieni che ti
disinfetto.” Gli disse facendogli un cenno col capo verso uno sgabello libero.
Angie voltandosi vide che
Berty aveva smesso di leggere e li osservava incuriosito. Avrebbe voluto
sbraitare anche a lui di farsi gli affari suoi, ma forse sarebbe stato poco
gentile.
“Ciao Barrach.” Salutò
James con l’occhio destro chiuso per il sangue che aveva ripreso a scorrere.
“Potter.” Berty chinò il
capo con gentilezza e poi tornò al libro e alla sua Nana.
L’operazione di pulizia e
chiusura della ferita durò solo una manciata di minuti, nei quali entrambi i
giovani rimasero in silenzio. Poi Angie si decise a parlare.
“Domani è il grande
giorno…”
James le rivolse un
sorriso sbieco.
“Intendi dire se domani è
il giorno in cui faremo a pezzi la squadra che ha esonerato la Cercatrice più
brillante del campionato? Oh sì, immagino di sì.”
“Sai bene perché sono
stata esonerata.”
“Sì. Ma questo era due
mesi fa, e io scommetto che da allora non ne avete più parlato, vero?” le
chiese e lei per risposta iniziò a gettare via le garze sporche una per una.
“Siete incorreggibili, vi gettereste nel fuoco per l’altro e poi non riuscite
ad affrontare il minimo conflitto.”
“Che ne sai tu di come io
e Al gestiamo in nostri conflitti?!” esclamò Angie mettendosi le mani sui
fianchi e sentendo la rabbia montare.
“Conosco lui. E conosco
te. Non ci vuole un genio per collegare le due cose.”
“In ogni caso hanno
trovato un altro cercatore.” Disse lei tentando di chiudere il discorso.
“Morgan è un incapace,
sarebbe meglio prendere un tasso impagliato e legarlo alla scopa.” Ribatté
Jessy incrociando le braccia sul petto.
“E tu come fai a
saperlo?” gli chiese stringendo gli occhi sospettosa. Anche lei ne aveva
sentito parlare ma un conto erano i pettegolezzi della Sala Comune di
Serpeverde, un altro erano le dichiarazioni di un giocatore esperto come lui.
“Ho i miei informatori.”
“Sono ufficialmente
ancora in punizione.” Ci riprovò e iniziò a distribuire le cassette del pronto
soccorso. Jessy per qualche strana ragione non aveva alcuna intenzione di
mollare quel pomeriggio.
“Potresti chiedere il
permesso alla Blackthorn, in fondo da domenica saresti libera.”
“Beh, Jessy domenica non
è sabato!”
Brava, tu sì che sai come
rimetterlo al suo posto, eh? Si derise da sola con una
voce che somigliava molto a quella di Elena.
“Osservazione
ineccepibile, ma forse, nonostante ciò, potresti far notare ai tuoi carcerieri
che hai fatto abbastanza turbi extra per coprire un’assenza di un paio d’ore sabato.”
“Jessy, per le mutande di
Merlino! Perché sei così insistente? Non sarebbe tutto a vostro vantaggio se
non giocassi?” gli domandò esasperata voltandosi a guardarlo.
“Vedi… Provo questa
strana cosa… il desiderio di uno scontro leale. Ti è mai capitato?”
“No, affatto.” Rispose
senza esitazione.
“Lo immaginavo. Ma io
voglio vincere la coppa che sta nell’ufficio della Blackthorn sapendo che ce lo
siamo meritati davvero, non solo perché tu sei caduta dalla scopa e Albus è una
crocerossina impenitente.”
“Questo è un problema
tuo, non mio. Ho altro da fare ora.” Fece per dribblarlo ma lui la inseguì e le
si piazzò davanti nuovamente.
“Secondo me invece ti
stai lasciando frenare dalla paura.”
“Oh Signore, giuro che ti
strozzo se insisti ancora.” E per rendere la minaccia più reale brandì una
bottiglia di Ossofast contro di lui. Jessy rise e indietreggiò coi palmi
alzati.
“Ok. Tu però pensaci…”
“No.”
“A domani, Gigì.”
“Sì sì, ciao.” Bofonchiò
deponendo la cassetta ai piedi di un letto e non riuscendo a impedirsi di
osservarlo di sfuggita uscire.
Appena si rialzò trovò
gli occhi di Berty fissi su di lei, con un’espressione particolarmente ironica.
“Che c’è? Perché mi
guardi così?” chiese con più aggressività del dovuto.
Bertram le sorrise e si
strinse nelle spalle.
“Sei buffa quando sei con
lui.”
Angie sperò con tutta sé
stessa che Berty non si fosse accorto di quanto la presenza di Jessy la
turbasse.
“Mi fa arrabbiare! Sono
cinque anni che mi fa arrabbiare!” tentò di giustificarsi.
“Può darsi, ma ti ha
detto delle cose giuste prima. Se vuoi giocare domani, devi farti coraggio e
provare a ottenere ciò che vuoi.”
Berty voltò la testa e
tornò a fissare Elena. Con un gesto pieno di tenerezza, le scostò una ciocca
azzurra dalla fronte, sfiorandole con delicatezza la pelle.
“Sai Angelique, a volte
lasciamo che la paura di fallire si rubi tutti i nostri desideri, i nostri
sogni. Così passiamo mesi e anni a sperare che un giorno le cose cambino, senza
mai fare nulla per renderlo possibile. Solo quando è troppo tardi ci accorgiamo
che sarebbe bastato poco per provarci almeno… Ti prego, almeno tu, non farlo
diventare troppo tardi. Abbi coraggio.”
Tornò a fissarla dritta
negli occhi e poi sussurrò con decisione.
“Dovremmo dire più spesso
alle persone che amiamo, quanto le amiamo.”
Angie seppe di essere una
vigliacca della peggior specie.
***
Albus si sentiva come se
qualcuno gli avesse preso le viscere durante la notte e ci avesse fatto un bel
fiocco, con tanto di doppio nodo. Attorno a sé la squadra sembrava più o meno
nelle stesse condizioni.
Erano tutti consapevoli
che stavano per uscire a farsi massacrare sul campo dai Grifondoro, i loro
avversari storici. Hector Morgan, più di tutti, sembrava sentire la pressione
su di sé e se ne restava immobile sulla panca dello spogliatoio a fissare il
vuoto.
Non aveva mai giocato una
partita di campionato senza Angelique. La sua presenza aveva il significato dell’appoggio
incondizionato. Tuttavia, lei non c’era e lui per la prima volta si sentiva
davvero solo.
“Ragazzi voglio che mi
ascoltiate attentamente.” Disse ad alta voce richiamando gli sguardi dei suoi
giocatori. Dominique smise di limarsi le unghie e lo osservò con gli occhi
turchesi per una volta tanto non strizzati nel tentativo di metterlo a fuoco.
Aveva sicuramente messo le lenti a contatto.
“Sono molto orgoglioso di
tutto l’impegno che avete dimostrato quest’anno. Voglio che usciate là fuori e
pensiate a tutti gli allenamenti sotto l’acqua che avete dovuto sopportare.
Voglio che pensiate a tutte le flessioni, alle corse sfiancanti, agli
addominali che vi bruciavano il giorno successivo. Voglio che pensiate a tutto
ciò che avete dato e che vi prendiate quanto vi spetta.”
A metà del suo discorso
numerosi visi si erano animati, un misto di stupore e di felicità, che non
avrebbe mai pensato di poter scorgere nei suoi giocatori. Così rivolse loro un
sorriso di cuore e batté le mani l’una contro l’altra.
“Andiamo a farli secchi!”
Ma nessuno si mosse,
tutti continuarono ad osservarlo con quella strana espressione. Finché Dom non
gli fece un cenno col mento, indicandogli qualcosa dietro di lui.
Albus si girò e si trovò
a fissare l’esatta copia dei propri occhi.
“Angie…”
Angelique era ritta come
un fuso davanti a lui, la scopa dal manico di ebano stretta nella mano destra.
Portava i capelli raccolti in una treccia, come prima di ogni partita, chiusi
dal suo elastico portafortuna verde. Al dischiuse le labbra stupito. Non sapeva
ancora bene per dire che cosa, ma Angie lo anticipò.
“Prima che tu dica
qualunque cosa, ho chiesto alla Blackthorn e a Madama Chips il permesso di
essere qui, scambiando questo pomeriggio con altri due giorni di punizione.”
Angelique parlava rapidamente e con molta decisione, consapevole che se si
fosse concessa una pausa di troppo non avrebbe più parlato. Le sue sopracciglia
bionde erano profondamente corrugate, i suoi tratti tesi, tutto in lei urlava
lo sforzo che le costava essere lì, davanti a chi le aveva tolto una delle cose
che amava di più al mondo.
Albus sapeva perfettamente
che se solo le avesse dimostrato qualcosa di simile alla compassione o
all’indulgenza in un momento simile, lei lo avrebbe preso come un affronto.
Angie aveva bisogno di riconquistare a modo proprio il suo posto. Così Al
cancellò ogni espressione dal proprio viso e incrociò le braccia sul petto,
lasciando che lei continuasse a parlare.
“Ok.”
“Non voglio rubare il posto
a nessuno, so che mi avete esonerata di comune accordo e avete fatto bene.” Numerose
sopracciglia si sollevarono perplesse di fronte a tanta umiltà da parte di Angelique.
Solo a quel punto l’ombra
di un sorriso inclinò le labbra della sua amica e i suoi occhi si accesero di
una luce particolare, sardonica quasi.
“Però, se qualcuno
dovesse non sentirsela di giocare la sua prima partita contro la prima in
classifica nel giorno decisivo per la vittoria del campionato… Beh, io sono
disponibile a prendere il suo posto.”
Morgan si raddrizzò
immediatamente a quelle parole.
Gli sembrò quasi di
sentire attorno a sé un comune sospiro di sollievo. Guardò uno ad uno i membri
della squadra, Dom, Scorpius, Richard Miller, Rendly Smith, Janus Mcmillan, e
ognuno aveva stampata in viso la speranza di farcela insieme.
“Direi che siamo tutti
d’accordo.” Subito dopo un applauso entusiasta si levò nello spogliatoio e i
giocatori andarono a salutare a turno Angie, riaccogliendola tra le proprie
fila.
“Oh sì! Sì, sì, grazie Dursley!”
esclamò Morgan saltando in piedi con rinnovata energia.
Angie gli rivolse uno
sguardo critico e arricciò le labbra.
“Prego, cerca di non
vomitare sulla divisa mentre te la togli. Non hai un bell’aspetto.” gli disse
con serietà prima di voltarsi verso di lui. Albus finalmente spalancò le
braccia e accolse l’abbraccio impetuoso con cui si lanciò verso di lui.
“Bentornata, Pesciolino.”
Sussurrò al suo orecchio e lei si strinse ancor di più di lui.
Quando si separarono,
Angelique gli prese gli avambracci con le proprie mani e lo guardò fisso negli
occhi.
“Sono qui.”
“Lo so.”
“Sarò qui sempre.”
“E io sarò qui per te.”
Non ebbero bisogno di
altro e dopo che Angie ebbe indossato la sua vecchia divisa, Al spiegò la
strategia della partita. Partivano molto più indietro rispetto al punteggio dei
Grifondoro, tanto che avrebbero dovuto vincere con un vantaggio di almeno
sessanta punti oltre quelli forniti dal boccino.
“Angie tu cerca di
controllare il punteggio. Noi dovremo tentare di mantenere il vantaggio costante,
per darle l’occasione di acciuffare il boccino appena possibile. Non
risparmiate nulla, oggi ci giochiamo ogni carta. Chiaro per tutti?”
“Sì.” Il coro di voci si
udì forte e chiaro e subito dopo uscirono dallo spogliatoio già in formazione.
Al, la cui pancia era
definitivamente ridotta a un groviglio, camminò a testa alta verso il campo, da
cui si udivano le grida festose degli studenti e i cori. Al suo fianco il capo
di Angelique scintillava dorato nel sole di aprile, fiero come il suo sguardo
concentrato.
Non era solo. Nessuno di
loro lo era.
***
Avevano perso.
E avevano vinto.
I Grifondoro avevano perso
la partita durata quasi quattro ore, al termine della quale erano tutti
stremati.
Sapeva che i Serpeverde
avevano bisogno di un vantaggio di sessanta punti più i punti del boccino per
vincere il campionato e, nonostante fosse stata palese la loro superiorità sul
campo, avevano tentato in ogni modo di rendere loro la vita difficile. Quando
Gigì era partita all’inseguimento del boccino, lui era riuscito a segnare due
punti, rovesciando la situazione di vantaggio. Subito dopo Dominique aveva
segnato a sua volta, ma solo una volta prima che la mano di Angie si chiudesse
sul boccino. Così sia Grifondoro che Serpeverde si erano ritrovati con una
vittoria a metà e l’amaro in bocca.
Per questo lui stesso
aveva proposto al fratello di riunirsi per festeggiare a metà, in uno storico
incontro tra le due Case rivali per eccellenza. Era stata scelta la Buca come
territorio neutrale e lì si erano riversate quasi una cinquantina di persone.
Come di consueto dopo una
partita riceveva complimenti e pacche sulla spalla da compagni di Casa,
entusiasti per il risultato ottenuto. Lui, però, con la coda dell’occhio
cercava incessantemente Angelique in mezzo a tutti quei visi conosciuti.
Perché avesse commesso
l’errore madornale di metterle la pulce nell’orecchio riguardo al suo ruolo di
Cercatrice? Chi poteva dirlo… gli era venuto spontaneo! Sapeva solo di essere
così stupidamente innamorato di Angelique che vederla sul campo di quidditch
con lo sguardo fiero e combattivo come ai vecchi tempi, gli aveva fatto battere
il cuore mille volte di più che sollevare al cielo la Coppa del Quidditch.
Quello sì che era un
affare spinoso, si disse ingollando una generosa sorsata di Firewhisky.
In un attimo di tregua
tra un’ambasciata e l’altra, James individuò Gigì che parlava con Locarn Scamander
e Janus Mcmillan. Aveva l’aria stanca, ma soddisfatta, come se nonostante il
risultato fosse orgogliosa di aver tentato il tutto e per tutto. Le sue guance
erano lievemente arrossate e gli facevano venir voglia di prenderla per mano,
portarla lontano e scoprire quante sfumature di rosa poteva provocarle, dal
piacere all’indignazione.
“C’è stato un tempo in
cui avrei venduto l’anima al diavolo, perché tu mi guardassi in quel modo.”
James si voltò sorpreso e
trovò il volto divertito di Alice Paciock intento a studiarlo. Non provò
nemmeno a giustificarsi, consapevole di essere stato preso in castagna. Aveva
sempre avuto il sospetto che Alice conoscesse i suoi sentimenti per Angelique.
Così si limitò a bere altro Firewhisky, tacendo per non peggiorare la propria
situazione, tattica imparata da quella straordinaria creatura di Dominique.
“Mi sono chiesta a lungo
perché nemmeno una ragazza straordinaria come Fanny fosse in grado di farti
scordare la Dursley. Mi arrovellavo pensando al perché tu dovessi volere una
ragazza così insensibile, opportunista, dispotica, calcolatrice, dura, sempre
sulla difensiva…”
“Non dirlo a me.” Mormorò
James strabuzzando gli occhi e causando una risata dell’amica. “Se hai trovato
una risposta ti prego di condividerla, perché ne avrei davvero bisogno.”
“Oh sì, ce l’ho. Ma ti
lascerò scoprirlo da solo, Jamie.”
Alice sorrise e,
osservandola, James capì che era venuto il momento di affrontare quello che si
erano lasciati alle spalle dopo il tentativo fallimentare di stare insieme.
“Mi dispiace averti fatta
soffrire. All’epoca non avevo molta consapevolezza dei danni che si possono
causare agli altri… Spero che tu sia riuscita ad andare oltre. Davvero Alice,
spero che tu stia bene ora.”
Alice annuì riflettendo e
poi disse con sincerità: “Io sto bene, James. E tu come stai?”
I suoi occhi andarono spontaneamente
in cerca di Gigì, mentre il capo biondo si voltava verso di lui. Il loro
sguardo si trovò sopra le teste dei presenti e lei gli sorrise, prima di
rispondere ad una domanda di Janus Mcmillan.
“Penso di stare meglio.”
Le rispose con sincerità, osservando stupito Angelique abbandonare i suoi
interlocutori per farsi strada tra le persone accalcate attorno al bancone
delle bevande.
Alice sorrise sorniona e
si dileguò in un istante.
Angelique gli si parò
davanti e sollevò il proprio calice di sidro con un sorriso sbieco.
“Agli scontri leali.”
James sollevò il proprio
bicchiere e rispose al brindisi. Osservò affascinato la linea del collo distendersi
mentre la ragazza beveva, pensando a come potesse reagire la sua pelle candida ai
baci poco gentili che gli ispirava in quell’istante.
“Volevo ringraziarti.”
Iniziò Gigì, ma un gruppo di tifosi di Grifondoro, che stava cantando a
squarciagola, passò in massa troppo vicino a loro e la urtarono, spingendola
verso di lui.
James la prese al volo
per un gomito e con una mossa quasi da prestigiatore, la condusse in un angolo
della Buca più tranquillo. Rimasero praticamente da soli, isolati rispetto al
baccano generale che stava animano la sala, confermando quella teoria per cui
le grandi feste, in realtà, sono molto intime.
“Dicevo prima che quei
bufali dei tuoi compagni mi travolgessero, che volevo ringraziarti.” Iniziò lei
mettendosi un ricciolo dietro l’orecchio, ma quello sfuggi ancora e si posò sul
suo zigomo.
“Per che cosa Gigì?”
Angelique sbuffò e alzò
gli occhi al cielo, prima di scuotere la testa esasperata.
“Tu non me la rendi mai
facile, vero?”
“No, mai. Voglio farti
uscire dalla tua comfrot zone.” Ammise non riuscendo a non sorridere per le sue
espressioni.
“E va bene! Volevo
ringraziarti perché avevi ragione, stavo lasciando che la paura di fallire
ancora mi bloccasse dal fare ciò che realmente volevo.” Le parole precipitarono
fuori dalle sue labbra rapidissime e le guance della ragazza diventarono di una
tonalità più intensa di rosa.
Per James fu spontaneo
paragonare la conversazione che stavano avendo, con quelle di qualche mese
prima, in cui le sue scherzose provocazioni eccedevano sempre e causavano solo
la rabbia e il distacco di lei, in cui non nessuno dei due riusciva mai a dire
ciò che realmente intendeva, troppo offuscati dai pregiudizi e dall’orgoglio.
“Ripensandoci forse avrei
potuto aspettare il nuovo anno per farti i miei discorsi motivazionali.” Disse
dopo qualche secondo per alleggerire l’atmosfera. Angelique colse al volo il
suo tentativo e si aprì in un sorriso ironico.
“Ah, quindi lo scontro
leale non è più tanto importante, ora?!” esclamò punzecchiandolo sul fianco con
un indice.
Vederla sorridere gli
faceva mancare il fiato. Averla così vicina ancor di più. Sentire le sue dita
su di sé era forse troppo. Così bloccando la mano che cercava di fargli il
solletico, la trattenne nella propria e disse guardandola dritta negli occhi.
“No, hai ragione. È molto
più importante vederti felice.”
Le labbra di Angelique si
schiusero per la sorpresa e lei rimase immobile per qualche secondo, che a lui
parvero ore intere. Non sapeva perché glielo avesse detto, non ce n’era alcun
bisogno. Eppure, ogni fibra di lui voleva che lei sapesse.
“Che fai il 2 di maggio?”
La voce di lei lo
riscosse e James trovò una risposta evasiva, temporeggiando.
“Vado al ballo, come
tutti.” Per evitare il suo sguardo depose il bicchiere vuoto su un mobile lì
vicino.
Angelique osservò per un
istante le loro mani, ancora giunte e si morse il labbro inferiore con forza,
prima di chiedere a bassa voce
“Uhm… Ci vai con
qualcuno?”
“No.”
“Ci verresti con me?”
James trattenne il
respiro, sconvolto. Il suo petto si era accartocciato su sé stesso per
l’emozione. Le iridi verdi lo osservavano guardinghe da sotto le ciglia, in
allarme per aver fatto una mossa tanto esplicita. Gli sembrava di avere la gola
completamente serrata e di non saper più come connettere le parole alla lingua,
ma ci provò lo stesso.
“Sì, Angelique.” Mormorò
e osservò i suoi tratti mutare per quella risposta.
La fronte si distese e
gli occhi si sgranarono, James pensò che sarebbe annegato in quel mare verde.
Le labbra piene sembravano chiamarlo supplicanti di colmare la distanza.
Non gli importava nulla
del fatto che ci fossero altre venti persone a guardarli e si chinò su di lei.
Con una mano le scostò il
riccio dallo zigomo e lo intrappolò dietro l’orecchio, nel tragitto sfiorò con
i polpastrelli la pelle calda della sua guancia. Angelique socchiuse gli occhi
al suo tocco, e quando lui con la stessa mano scese a sfiorare la mandibola e
il mento per sollevarlo verso di sé, lei tornò a fissarlo. Seppe che anche lei
lo voleva, dall’espressione traboccante di desiderio che gli rivolse.
Le raccolse una guancia
nel palmo e le baciò l’altra, prima di distanziarsi e farle cenno di seguirlo. Ci
mancava solo che dopo tutti quegli anni, la baciasse davanti alla sala intera.
Lei annuì semplicemente,
accaldata ed eccitata quasi come lui.
Le loro mani non si
lasciarono per un istante mentre camminavano in mezzo agli altri studenti
intenti a festeggiare. Lui la conduceva e le accarezzava col pollice il dorso della
mano, lei gli sfiorava la schiena di tanto in tanto per comunicargli che era
lì.
Avevano ormai guadagnato
l’uscita della Buca, quella porta che apriva un mondo di promesse quando udì un
suono che ruppe l’incanto.
“Angelique!”
Si voltarono entrambi, probabilmente
con la colpevolezza scolpita in ogni lineamento, verso Albus. Tuttavia, il
fratello parve considerare poco le loro dita intrecciate. Si avvicinò a loro e
disse con fermezza:
“Angie, è arrivato un
biglietto da parte della Chips.”
James vide il viso di
Gigì perdere qualunque colore. La giovane guardò l’amico spaventata e chiese:
“Che cosa è successo?”
“Non lo sappiamo! Hanno
mandato il biglietto direttamente qui. Dice solo che dobbiamo andare subito in
Infermeria.”
James notò alle spalle
dei due Serpeverde gli altri del quinto anno. La O’Quinn con lo sguardo più
angosciato che le avesse mai visto in viso. Malfoy impassibile come sempre, che
con la precisione di un falco osservava le loro mani. E Goyle che era un
miracolo non si stesse levano le caccole dal naso in mezzo a tutti. Mancava lo
spilungone in effetti.
“Dov’è Barrach?” chiese
James guardando le teste degli studenti per individuare la sua.
“È rimasto in Sala
Comune. Non aveva voglia di festeggiare.” Rispose Albus.
Ormai più nessuno di loro
ne aveva, fu il commento implicito.
“Gli mando un Patronus.”
Angelique lasciò la sua mano e sfoderò la bacchetta ma Albus la interruppe.
“Ci ha già pensato
Scorp.”
“Allora non ci resta che
andare.” Mormorò Angie. Albus annuì e chiamò gli altri tre.
Vide sfilare davanti a sé
i Serpeverde tutti scuri in viso, pronti all’inevitabile e pieni di angoscia. Ma
la vera sorpresa fu quando Angelique gli riacciuffò la mano e la strinse forte
prima di uscire.
“Vieni anche tu.”
Non era una richiesta.
Era la sua volontà.
***
Che cosa le stesse
succedendo quella sera, proprio non lo sapeva.
Probabilmente era
posseduta. Non trovava altre spiegazioni per il suo comportamento.
Invitare Jessy al ballo
dell’anniversario della Battaglia di Hogwarts, sperare che la baciasse,
esultare per la sua iniziativa di uscire dalla Buca per limonare (finalmente!),
stringergli la mano per tutto il tragitto fino all’Infermeria.
Che cazzo stava
combinando?
Non lo sapeva. Sicuramente
non poteva saperlo in quel momento in cui il pensiero di Nana le martellava in
testa. Ripensava a quando era passata a salutarla subito dopo la partita di
quidditch per raccontarle che cosa fosse successo.
Aveva controllato il
polso, aveva rinnovato l’incantesimo per la respirazione artificiale, le aveva
controllato la temperatura… Andava tutto bene? Che cosa era successo?
Nello stato di panico in
cui si trovava, la mano di Jessy nella sua era straordinariamente calmante. Il
calore che emanava riscaldava le sue dita gelide per l’agitazione, la presa
salda nascondeva il suo tremito.
Come accadeva spesso nei momenti
più difficili della sua vita, il ricordo di nonno Etienne si faceva vivo. La
sua memoria richiamava i modi di dire dell’uomo, le sue frasi sagge, i suoi
gesti colmi di gentilezza. E mentre i loro passi accorciavano la distanza con
l’Infermeria, Angie non smise un attimo di pregare come il nonno le aveva
insegnato da bambina. Pregò con tutto il proprio cuore che non fosse successo
nulla di brutto, pregò con brandello di sé che Elena non fosse peggiorata,
pregò finché non ebbe più parole ma solo un incessante “Per favore” a
martellarle nella mente.
Incrociarono Berty poco
prima dell’Infermeria, il quale si unì al gruppo senza una parola, scavato in
viso da un’angoscia devastante.
Il cuore le batteva talmente
forte che sembrava sul punto di esplodere, prendere un respiro era quasi
impossibile tanto era doloroso. Quando aprirono la porta dell’Infermeria Angie
sentì che le sue ginocchia avrebbero ceduto da un momento all’altro.
Madama Chips stava in
piedi accanto al letto di Elena, al suo fianco c’era il padre della ragazza,
Alain Zabini, con il viso rigato di lacrime.
Per una frazione di
secondo pensò al peggio, pensò che l’avessero persa per sempre, che non
l’avrebbe più sentita ridere o vista disegnare in camera, che non avrebbe mai
più sentito le sue battute sconce. Pensò che non fosse pronta a dirle addio,
non lo sarebbe mai stata.
Poi vide il capo azzurro
di Elena voltarsi verso la loro direzione e i suoi grandi occhi verde scuro
posarsi su di loro.
“Ciao bellocci.” La voce
rauca, dopo il lungo disuso, venne accompagnata da un sorriso enorme.
Elena si era svegliata.
Angie conservò un ricordo
piuttosto confuso di quello che successe immediatamente dopo. Seppe che in un
baleno furono tutti attorno al letto di Elena, che quasi tutti si misero a
piangere, che dissero cose più o meno sensate, troppo emozionati per ragionare,
che avevano quasi paura a toccarla, timorosi che fosse solo un sogno averla di
nuovo tra loro.
Parlarono a voce fin
troppo alta in uno stato di ebbrezza dovuta alla felicità, si scambiarono
sguardi increduli. Si udirono numerose risate frammiste a singhiozzi e nell’euforia
del momento si abbracciarono tutti, persino Martha e James, evento più che
irripetibile.
Nessuno capiva più niente
ed era bellissimo così.
Poi successe qualcosa che
li ammutolì tutti.
Berty si avvicinò senza
esitazioni ad Elena e le prese il viso tra le mani, l’adorazione impressa in
ogni suo tratto così provato dalle ultime settimane. Elena sbarrò gli occhi e
posò le proprie mani sui polsi di Berty, come per aggrapparvisi.
“Io ti amo. Ti amo dal
giorno in cui mi hai insegnato a cantare per non balbettare. Ti amo, Elena.”
Subito dopo aver pronunciato quelle parole, chinò il viso verso quello della
ragazza e la baciò.
Il padre di Elena fece
una faccia tale per cui Angie temette che sarebbe stramazzato al suolo. Però
Lord Zabini restò ben saldo sulle sue gambe e si guardò attorno imbarazzato,
aspettando che finissero.
Non fu un bacio molto
lungo o teatrale, ma quando si separarono, Angie poté scorgere un sorriso pieno
di malizia allargarsi sul viso di Nana e la sentì esclamare:
“Oh Berty, finalmente ti
sei deciso, non ci speravo quasi più!”
Angelique si trovò a
ridere insieme a tutti gli altri e ad asciugarsi le lacrime, troppo felice per
fermare l’una o l’altra cosa. Berty le prese una mano e gliela baciò. I suoi
occhi non riuscivano a staccarsi da quelli della ragazza nemmeno per un
istante, rapiti e increduli della grazia ricevuta.
Fu solo quando il loro
baccano raggiunse un livello intollerabile per Madama Chips, che la donna
intimò a tutti di lasciar riposare Elena e di tornare il giorno successivo.
“Non ci penso nemmeno,
abbiamo perso fin troppo tempo.” Fu l’unica risposta che diede Berty e si prese
una sedia, dove avrebbe verosimilmente passato tutta la notte. Madama Chips
protestò, più per forma che per reale intenzione, ma alla fine lo lasciò
accanto a Nana.
Lord Zabini li salutò con
fare piuttosto compito, ma prima di andarsene posò un bacio sulla fronte della
figlia e accarezzò dolcemente i capelli azzurri, promettendole di tornare il
giorno successivo.
Quando uscirono
dall’Infermeria, a dir poco stravolti dagli eventi, Angie sentì il bisogno di
sedersi. Si appoggiò ad una colonna di marmo e si godette il freddo rigenerante
contro la colonna vertebrale. Non fece quasi in tempo a chiudere gli occhi che
Jessy le fu accanto. Vide con la coda dell’occhio che i suoi amici avevano
proseguito lungo il corridoio, lasciandola da sola con Jessy. Li adorò ancor di
più per la loro indole subdola e intrigante.
“Guarda che fingere uno
svenimento non convincerà la Chips a tenerti in infermeria insieme a Elena!” le
disse lui dandole un colpetto con la spalla.
Angie rise e voltò il
viso verso il suo. Osservare come i suoi lineamenti venissero marcati dalle
ombre notturne le procurava una familiare morsa allo stomaco di desiderio. Era
bellissimo con quel sorriso stanco e dolce sulle labbra piene.
“Troppe emozioni tutte
insieme, Jessy. Devo decomprimere.” Mormorò tornando a guardare dritto davanti
a sé. James le passò un braccio attorno alle spalle e la tirò contro il proprio
fianco.
E lì rimasero, insieme.
Note dell’Autrice.
Miei cari ben ritrovati! Non
sono molto sicura della riuscita di questo capitolo, soprattutto nella parte finale
ho cercato di rendere quel senso di smarrimento che spesso si prova di fronte a
eventi più grandi di noi. Spero di esserci riuscita.
Ho meditato a lungo su
come sarebbe stato il risveglio di Elena, ma, a parte i dettagli, ho avuto chiaro
fin dall’inizio la scena del suo primo bacio. Il titolo riprende una canzone che mi ha molto colpita per il mesaggio di speranza e di rinascita, che ben si accompagna a un periodo in cui i personaggi stanno guarendo le proprie ferite. Se vi capita ascoltatela, è molto bella. Per il resto mi viene sempre più
voglia di scrivere perché ci stiamo avviando verso la fine di questa fanfiction,
che sta assumendo la portata temporale di Beautiful. Perché io adoro fare le
cose semplici e lineari, senza perdermi per strada.
Ringrazio come sempre
tutti coloro che hanno dimostrato pazienza e costanza aspettando anche questo
aggiornamento. Non so davvero come ringraziare tutti coloro che hanno
commentato lo scorso capitolo, eravate tantissimi <3: engildi, Idiot,
Shedir_, thetwinsareback, truegattara, cescapadfoot, Rarity94, RTT, cassidri, Cinthia988
e carpethisdiem_.
Un abbraccio enorme a
tutti voi.
A presto (ci provo).
Bluelectra.
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Capitolo 37 *** Cap.37 Fix you ***
Cap.37 Fix you
Cap.37 Fix you
“Tesserò
i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco
le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò
le correnti gravitazionali
Lo
spazio e la luce per non farti invecchiare
Ti
salverò da ogni malinconia
Perché
sei un essere speciale
Ed
io avrò cura di te
Io
sì, che avrò cura di te”
Franco
Battiato, La Cura.
“Se mi costringono a
restare un altro giorno ferma in questo maledetto letto, do fuoco
all’infermeria.”
“Non ti agitare che ti
torna mal di testa.”
“Giusto, ripetimi invece
ciò che sai sulle Maledizioni Senza Perdono.”
“Oh cavolo Martha, avevi
proprio ragione! Ecco che arriva il mal di testa.”
“Nana, c’è poco da
scherzare, tra un mese ci sono i G.U.F.O. Dobbiamo farti recuperare tutto
quello…”
“Ah, che dolore!”
Elena si accasciò
teatralmente contro i cuscini del letto, con una mano sulla fronte. Rimase
immobile per parecchi secondi, sotto lo sguardo scettico delle due amiche, e
quando sbirciò con un occhio attraverso le dita della mano, Angie inarcò un
sopracciglio con cipiglio severo.
Elena sospirò,
arrendendosi al proprio fato. Si rimise a sedere e, grattandosi la testa,
disse:
“Ti sbattono in gattabuia,
se ne scagli una.”
“Sintetica, ma efficace, non
c’è che dire. Quali sono e che cosa provocano?” proseguì Angelique
imperterrita.
E mentre Nana riassumeva
le proprie conoscenze sul Crucio, che avrebbe tanto voluto usare sull’amica,
Martha si accigliò ad osservarla.
Dopo il risveglio dal
coma, Nana aveva spesso delle emicranie molto dolorose. Secondo i Medimaghi,
che erano venuti a visitarla, era una conseguenza abbastanza frequente del tipo
di trauma che aveva subito. Le avevano anticipato che avrebbe potuto avere
anche delle piccole amnesie, di fatti accaduti poco prima o di episodi passati,
ma che non si sarebbe dovuta preoccupare. Era stata molto fortunata ad essersi
svegliata praticamente illesa.
Raccontarle che cosa le
fosse successo era stata la parte peggiore, poiché Elena aveva ammesso di non
avere un ultimo ricordo preciso, ma una massa indistinta di flash dei giorni
precedenti all’aggressione. La cosa più strana di tutte era che non ricordava
assolutamente nulla dei Cavalieri di Santa Brigida e delle sue ricerche, come
se il coma si fosse portato via tutti i ricordi.
Martha aveva dovuto
descrivere come meglio poteva la visione che aveva avuto e l’intervento della
madre di Nana, o del suo fantasma se così si poteva definire. Non si era
stupita di vederle chinare il capo e piangere sommessamente.
Poteva solo immaginare
che cosa si fosse mosso nell’animo di Elena sapendo che la madre, che credeva
l’avesse abbandonata preferendo rinunciare alla propria vita, avesse trovato il
modo di salvarla, scavalcando i confini della morte. Era qualcosa che a stento
riusciva a comprendere lei che era stata il tramite di Ophelia Zabini e che
conosceva la potenza della Magia Primordiale.
Martha era altresì
convinta che quella catena di eventi avesse un significato più profondo e, con
ogni probabilità, più oscuro di quello che sembrava. Non sapeva come definire
la sensazione che la pervadeva quando ci pensava, ma era come un brivido sotto
la pelle, una lieve scossa di inquietudine nelle braccia e lungo la schiena. Evitava
di rimanere incastrata in quei pensieri, che portavano la sua mente lontana dal
presente, facendo esercizi extra di Occlumanzia.
Non sapeva se fosse per
la gratitudine di essere viva e in salute, per le rivelazioni su sua madre, per
l’affetto un po’ impacciato ma sincero con cui il padre si stava occupando di
lei, per Berty o forse per tutto l’insieme, ma nei grandi occhi di Nana l’ombra
di malinconia era quasi sfumata del tutto. Sembravano tornati quelli che Martha
ricordava di aver visto al primo anno.
“Brava, ti ricordi tutto. Quindi ora possiamo
passare alle tecniche di sopravvivenza in un attacco acquatico.”
Angie si era tolta le
scarpe e aveva posato i piedi sul letto di Nana. I suoi capelli erano raccolti
in un gonfio chignon sulla sommità del capo e brillavano come tanti fili d’oro nella
luce del pomeriggio. Teneva lo sguardo fisso sugli appunti e con le dita
sottili aveva preso a stuzzicarsi il labbro inferiore, strappando pellicine
probabilmente inesistenti.
“Oppure possiamo passare
ai ringraziamenti.” Nana parlò con voce leggera, ma il suo sguardo si era fatto
serio.
Angelique sollevò la
testa stupita e agitò in aria la mano destra.
“Non devi ringraziarmi,
serve anche a me ripassare e poi…”
“Non sto parlando di
Difesa Contro le Arti Oscure, ma di quello che avete fatto per me.” La
interruppe Elena. “Berty mi ha raccontato tutto, della tua visione Martha,
della sonda nel naso di Angie, delle giornate intere che avete passato su
quelle sedie di plastica a farvi venire il culo quadrato, solo per parlare con
me, per restare qui. Non so che cosa io abbia fatto per meritarvi, però…
grazie, davvero.”
Martha sentì la vista
offuscarsi e distolse lo sguardo, cercando in tutti i modi di
trattenersi dallo sciogliersi in un fiume di lacrime. Dopo qualche secondo di
silenzio, Angelique fissò uno sguardo scintillante di commozione e di felicità
su Elena, sorridendole sorniona.
“Lo hai fatto apposta,
vero?”
Elena ricambiò il sorriso
e si strinse nelle spalle, con aria colpevole.
“Forse solo un pochino.
Adoro vedere che vi sciogliete per me… Ah Angie, sembrerebbe che tu ti sia
sciolta anche per qualcun altro.” La voce di Elena era intrisa di un profondo
divertimento, come se non avesse visto l’ora da molto tempo di tirare fuori
quell’argomento. Angelique dal canto suo avvampò e si affrettò a rispondere con
un tono distaccato.
“Non direi proprio.”
“Ah sì? E come mai sabato
sera ti ha accompagnata fin qui?” la incalzò Nana sorridendo sempre di più,
mentre l’altra annaspava farfugliano parole indistinte per giustificarsi.
Martha, segretamente
divertita dalla confusione in cui gettava Angie anche solo sottintendere
Potter, decise di approfondire l’argomento tabù.
“Guarda che non c’è nulla
di male nel fatto che ti piaccia qualcuno… Anzi direi che è proprio arrivato il
momento di fare nuove esperienze.” Le disse con un lieve sorriso, nascondendo
la voglia di sogghignare come Elena.
Le ciglia di Angelique sfarfallarono
per qualche secondo e la ragazza chiese con un filo di voce:
“In che senso nuove
esperienze?”
“Oh Merlino, ma è sempre
stata così tonta o sono diventata intollerante io alle perdite di tempo?”
sbottò Elena.
“Ehi!” Angelique prese
una benda dal letto accanto e la tirò verso Elena, colpendola sul braccio.
“Angie, intendiamo uscire
con un ragazzo che non sia fidanzato, né tra l’altro con un padre psicopatico,
possibilmente che ti piaccia pure.” Chiarì Martha osservando attentamente
l’amica, che inaspettatamente inclinò le labbra carnose in un sorriso sotto i
baffi.
“Oh beh… Io non è che
abbia esattamente pensato a uscire con lui… Però ho invitato Jessy al ballo di
venerdì, vale come nuova esperienza?”
“Per la giarrettiera di
Morgana! Certo che vale, che cosa aspettavi a dircelo?” Se solo le fosse stato
permesso, Elena si sarebbe lanciata fuori dal letto per esultare. Da anni
faceva il tifo per James Potter, elogiando qualunque lato della sua persona, in
particolare quello posteriore.
Il sorrisetto di Angelique
tuttavia si spense quasi subito e la ragazza scosse il capo dubbiosa.
“Io… Non lo so. Ho agito
d’istinto, ma non sono molto convinta che sia stata una buona idea.”
“Penso che ormai tu abbia
accettato il fatto che ti piaccia Potter, quindi qual è il problema?” la
incalzò Martha.
“Pensa te, quante cose
che mi sono persa!” Elena sembrava sinceramente divertita, ma Angie si mise a
fissare la parete di fronte a lei e il suo sguardo si fece lontano.
Aveva sempre pensato che
Angie avesse dentro di sé un’energia particolare, una sorta di luce che non era
immediatamente percepibile, nascosta sotto i sotterfugi con cui lei tentava di
mascherare la propria natura. Secondo Martha, era l’essenza dell’amica, la
stessa per cui Potter l’amava in quel modo viscerale e ostinato. Da quando
Schatten aveva spezzato il suo cuore e le sue speranze, ogni tanto quella luce
se ne andava via. Capitava che nel bel mezzo di un sorriso o di un discorso, da
un momento all’altro Angie perdesse ogni espressione. I suoi occhi venivano catapultati
in un modo inaccessibile e doloroso, e in quei momenti Martha sapeva che lei
stava ricordando Derek.
“Ho paura.” Ammise Angie
con un filo di voce. “Ho paura che non vada bene, di sbagliare ogni cosa, di
farlo scappare a gambe levate, di rovinare quello che c’è ora. Ma più di tutto
ho paura che vada bene. Ho paura di provare ancora cose che mi sono costretta a
dimenticare, perché erano diventate intollerabili. Ho paura di accorgermi che
voglio di più da lui e non so se sono davvero pronta per… tutto. Non so come sia
uscire normalmente con un ragazzo, non so come ci si provi con un ragazzo! Non
so niente, le mie esperienze sono al limite del surreale e… Mi sento
inadeguata.”
“Beh… Tu sì che sai come
prendere le cose con leggerezza!” Le parole di Elena indussero Angelique a
voltarsi verso l’amica con ancora negli occhi l’ombra dei ricordi, ma dopo qualche
secondo si mise a ridere.
Ciò che le era stato
fatto, probabilmente se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita. Le parole
che aveva appena pronunciato ne erano la prova, tuttavia non poteva vivere
nella paura di provare ancora emozioni, altrimenti sarebbe finita sotto una
perenne campana di vetro. Senza che nessuno potesse più toccarla e senza poter
toccare a propria volta. Mentre Angie aveva un disperato bisogno di contatto e
di amore, sincero e pulito, come aria fresca nei polmoni dopo una lunga apnea.
“Lo so che cosa hai
passato a Natale e i mesi dopo, Angie. E posso solo immaginare quanto tu sia
terrorizzata all’idea di sentirti ancora come quando vegetavi davanti al camino
per ore, anche perché non eri un bello spettacolo, lasciatelo dire… Però
ricordati che James non è Derek e tu non sei più la stessa persona. Quello che
è successo ti ha cambiata. È tutto diverso questa volta, non lasciare che il
passato ti rubi il presente. Tu sei qui ed ora.” Le disse Martha prendendole
una mano e stringendola tra le proprie.
Angie annuì pensierosa e
le rivolse un timido sorriso. Elena le diede un buffetto sulla testa e le
disse:
“Ah, nel tuo immediato
presente limonalo durissimo.”
A quel punto Martha non
resistette più e scoppiò a ridere, mentre Angie agguantava un cuscino dalla
brandina accanto e lo tirava addosso a Nana.
***
Rose Weasley aveva
pensato nei primi anni della sua vita ad Hogwarts che lo smistamento di Dom
fosse stato un errore. Osservando la sua perenne aria trasognata, i suoi interessi
per la cosmesi, la botanica e altre discipline babbane, la sua propensione ad
applicarsi solo in ciò che stimolava la sua curiosità, Rose aveva pensato che
sarebbe stata una perfetta Corvonero.
Quanto era stata ingenua.
La verità era che
Dominique era dotata della personalità più subdola e manipolatrice del mondo,
in grado, con un’esclamazione in francese e un sorriso smagliante, di
convincerti a scendere nelle bolge infernali per fare un pic-nic in sua
compagnia e a portare pure il cestino.
Dominique era perfida,
una vera Serpeverde, che si approfittava delle debolezze altrui per ottenere
ciò che voleva. E l’opinione che aveva in quel momento della cugina non
c’entrava nulla col fatto di essere stata incastrata, proprio per niente!
Sicuramente non c’entrava col fatto che stesse aspettando Malfoy in biblioteca,
come una poiana con la sua preda.
Più che una poiana si
sentiva un piccione. Goffo e poco sveglio.
Lo vide entrare nella
sala studio col solito passo cadenzato ed elegante, teneva il libro di
Trasfigurazione stretto nella mano sinistra, mettendo in evidenza i tendini sulla
pelle nivea.
Ne incrociò lo sguardo
quasi all’istante e si chiese come poter resistere alla tentazione di prendere
a schiaffi quel faccino pallido, sui cui anche il più semplice sorriso assumeva
le sfumature di una beffa.
Rose si alzò dalla
propria sedia mentendo il contatto visivo e gli fece un cenno del capo verso
gli scaffali alle sue spalle.
Già una volta in quello
stesso luogo lei si era ritrovata tra le sue braccia, sperando con tutta sé
stessa che la baciasse, ma lui non l’aveva accontentata. Questa volta veniva da
due sconfitte brucianti e Rose non sopportava perdere.
“Ciao Weasley.”
“Malfoy.” Rispose
voltandosi verso il ragazzo una volta lontani dagli altri studenti.
Sarebbe stato sciocco da
parte sua negare l’effetto che le faceva averlo così vicino. Non le era mai
accaduto prima, ma Scorpius riusciva a farle perdere la ragionevolezza, la
calma, la saggezza, tutte doti che l’avevano resa il punto di riferimento delle
cugine. Con lui invece le sembrava solo di essere in balia degli ormoni
impazziti che le urlavano in ogni angolo del cervello di saltargli addosso.
“Non ti ho vista alla
festa di sabato.”
Poi lui parlava e le
rendeva tutto più semplice. Bastava poco per ricordarsi che era solo un
arrogante e presuntuoso, che pensava di poter avere tutto e subito.
“Questo perché io non
avevo alcuna intenzione di vedere te.” Gli rispose con tono asciutto
appoggiandosi al mobile alle sue spalle e incrociando le braccia sotto il seno.
Gli occhi grigi di
Scorpius scintillarono per quella provocazione gratuita, ma il luccichio
dell’offesa durò solo qualche istante. Il giovane inclinò un lato della bocca,
in un sorriso sbieco e socchiuse gli occhi.
“È interessante che tu
continui a negare quello che c’è fra di noi, nonostante come reagisci quando
poi io ti bacio” le disse con tono apparentemente leggero.
“Io non nego nulla. E non
sono io quella che è scappata l’ultima volta, o sbaglio?” questa volta fu il
turno di Rose di sorridergli con insolenza, mentre lo osservava inclinando il
capo verso la spalla.
Malfoy si mosse verso di
lei e Rose trattenne inconsciamente il fiato mentre le sue braccia la
intrappolavano contro la libreria, posandosi ai lati del suo corpo. La testa
bionda del giovane si chinò verso di lei e le sussurrò all’orecchio:
“Non sbagli, e sai perché
l’ho fatto?”
“Oh, Malfoy. Ogni tanto
mi fai tenerezza con le tue tattiche di conquista contorte. Pensi davvero che
basti baciarmi a sorpresa per farmi confessare il mio amore eterno, cadendo ai
tuoi piedi?” gli rispose tentando di nascondere dietro il sarcasmo i brividi
che sentiva camminarle lungo le gambe.
Il ragazzo si scostò per
poterla guardare in viso. Aveva un’espressione divertita, ma che celava una
certa una certa rabbia, ma non abbastanza da ingannare lei.
“Non me ne faccio nulla
di una ragazza che cada ai miei piedi. Io voglio te, io voglio questo.” E
indicò quella loro strana posizione, a metà tra la sfida e l’attrazione. “Ma tu
questo lo sai da tempo, Rose, io non mi sono mai nascosto dietro le bugie. Tu
invece che cosa vuoi da me?”
Rose abbassò per un
istante lo sguardo e cercò di non sorridere con troppa sfacciataggine.
“Beh, visto che me lo
chiedi con tanta gentilezza, vorrei che consegnassi un messaggio.”
“Che cosa?” il tono e il
volto di Malfoy erano semplicemente sbigottiti.
Rose tirò fuori dalla
divisa una busta bianca e la sospinse contro il petto del giovane.
“Vorrei che consegnassi
questo a un certo uomo argentino, che mi pare sia tuo ospite. E che mi portassi
una risposta, per favore.” Gli disse col tono più amabile di cui era capace.
Scorpius afferrò la
lettera e questa volta non celò minimamente la rabbia, che irruppe nei suoi
lineamenti trasfigurandolo.
“Davvero Rose, è tutto
qui?” Malfoy stava facendo un evidente sforzo per non urlare, ma a lei non
importava. La sua furia, le sue reazioni finalmente esagerate erano rigeneranti
per Rose. Se ne stava beando a dirla tutta.
“Sì, grazie. Sei molto
gentile” gli rispose e lo allontanò da sé, liberandosi dalla gabbia delle sue
braccia attorno al proprio corpo.
Gli voltò le spalle,
fermamente intenzionata a non voltarsi, ma dopo i primi passi un pensiero le
pungolò la mente. Se lui poteva permettersi di prendere senza permesso ciò che
desiderava, perché anche lei non poteva fare altrettanto?!
Si voltò di scatto e
tornò indietro, ritrovandolo nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato,
scuro in viso per la contrarietà. Malfoy aggrottò la fronte vedendola venire
verso di lui con tanta decisione, ma non si mosse di un millimetro.
“In realtà, ora che ci
penso, voglio anche un’altra cosa.” Gli disse prima di posare con decisione una
mano sulla nuca del ragazzo e attirarlo verso di sé.
Scorpius era più alto di
lei di parecchi centimentri, per questo per raggiungerlo dovette alzarsi sulle
punte e indurlo a chinarsi verso di sé. Posò la bocca sulla sua, imprimendo in
quel contatto quella massa confusa di emozioni che lui le faceva provare ogni
volta. Lo baciò come più ne aveva voglia, con poca delicatezza, con urgenza,
assaporando nella propria bocca il sapore della sua. E Scorpius rispose per le
rime, afferrandole i capelli, intrecciando le gambe con le sue fino a far
scontrare i loro bacini. Si ritrovò schiacciata tra il suo petto e la libreria,
nell’impeto di quell’abbraccio in cui nessuno dei due sembrava voler lasciare
spazio all’altro per fuggire. Nemmeno respirare aveva troppa rilevanza di
fronte alla necessità di stringersi ancora e sentirsi attraverso i tessuti
della divisa.
E nonostante il desiderio
lancinante che provava per lui in quell’istante, Rose si fece forza e
interruppe il loro divorarsi di baci. Gli diede un ultimo bacio sulla guancia e
poi gli sorrise con un pizzico di malizia. Lo allontanò posando con decisione
le mani sul suo petto e lo guardò dritto negli occhi.
“Buona giornata, Scorpius.”
Si stupì non poco di essere riuscita a produrre un tono di voce quasi nomale.
Col mento sollevato in una posa orgogliosa gli diede le spalle e se ne andò.
E quasi non riuscì a
credere alle proprie orecchie quando ormai alla fine del corridoio lo udì
sbellicarsi dalle risate.
***
“Mon petit chou, mi
passeresti la cartelletta che hai alla tua destra per favore?”
“Quale Dom?”
La testa bionda di
Dominique si sollevò e strizzando appena gli occhi gli indicò con un gesto
vago.
“Quella color lampone.”
James strabuzzò gli occhi
e osservò perplesso i molteplici raccoglitori che per lui ricadevano nella
medesima categoria di “rosa”.
“E di grazia, ma chère,
come potrei capire quello che desideri in questa massa indistinta di colori
identici.”
“Sei un tipo abbastanza
brillante, sono sicura che riuscirai a paragonare il colore di un lampone a
quelli che trovi proprio sotto il tuo naso.”
James prese una
cartelletta a casaccio e la portò alla cugina.
“Jimmy… Questo è rosa
cipria!” sibilò lei con un’occhiata torva.
James sbuffò sonoramente
e ritornò verso il letto della cugina, che fungeva momentaneamente da archivio.
Sollevò in aria uno per uno i raccoglitori mostrandoli all’altra finché non
riuscì ad identificare il fantomatico “color lampone”.
Mentre lo porgeva alla
Weasley lesse le parole “Viaggio di nozze” vergate con la grafia svolazzante e
sottile di Dominique. Sentì una fitta di dolore per lei, che non riuscì a
nascondere abbastanza in fretta quando lei alzò di sfuggita il capo per
ringraziarlo. Gli rivolse un sorriso dolcissimo, sfiorandogli la mano con la
propria in un muto gesto di rassicurazione.
Era andato da lei per
cercare di placare l’agitazione che lo pervadeva all’idea che si stesse
avvicinando il 2 di maggio, ma come spesso accadeva, si era ritrovato a dover
assistere al silenzioso massacro che ogni giorno si svolgeva nell’anima di Dom.
Aveva sempre saputo del
suo amore per Teddy, forse prima ancora che se ne rendesse conto lei. Aveva visto
come la consapevolezza della gravità dei propri sentimenti avesse lentamente e in
modo irreversibile trasformato Dominique. Lei, che da bambina era quanto di più
cristallino e trasparente esistesse, aveva trovato il modo di proteggere i
propri segreti dietro uno scudo completamente impenetrabile.
Lei era diventata
imperscrutabile, come la decisione di organizzare il matrimonio della sorella
con il ragazzo che entrambe amavano. E conoscendola non poteva certo essere
mero masochismo, no, Dom non era certo il tipo di persona che avrebbe buttato
via la propria vita a struggersi per un amore impossibile.
“Perché lo fai?” le
chiese di punto in bianco attirando la sua attenzione.
Dom comprese
immediatamente quale fosse l’argomento di discussione. Gli occhi turchesi della
ragazza si socchiusero e lei posò la penna d’oca con cui stava scrivendo gli
appunti.
“Perché li amo entrambi,
con tutto il mio cuore.”
“E dove trovi la forza di
sopportare questo amore?” incalzò lui.
“Da ciò che di bello c’è
nella mia vita, Jimmy. Dalle persone che mi vogliono bene e a cui posso volerne
a mia volta, senza sentirmi un mostro. Primo tra tutti tu.”
James respirò a fondo,
scosso dalla forza d’animo di Dominique, che agli occhi del resto del mondo
altro non era che una ragazza sempre di buon umore e un po’ frivola.
“Mi sembra che tu sia più
turbato di me per questo matrimonio, Jimmy.” Dom aveva posato i gomiti sui
braccioli della sedia e lo osservava con attenzione.
“Lo sono, infatti. Ma al
contrario di chiunque altro nella nostra famiglia, che pensa al futuro di
Victoire e Teddy, io penso al tuo. Mi chiedo, mentre ti destreggi tra
prenotazioni e piani, quanta desolazione sentirai il giorno del loro matrimonio.
Quando gli altri guardano loro due, io guardo te e so che il cuore ti sta
sanguinando nonostante tu continui a sorridere. E allora mi chiedo quando
arriverà il giorno in cui potrai essere amata e amare senza che senta che stai
morendo un poco alla volta.” James si morse le labbra pentendosi all’istante di
aver dato voce alle proprie angosce.
Gli occhi di Dom si
fecero lucidi per le lacrime trattenute e gli tese una mano che lui afferrò al
volo, stringendola nella propria.
“Ma io sono contenta che nessun
altro a parte te possa vedere tutto questo. Non potrei sopportare il peso
dell’angoscia e della preoccupazione degli altri. Non capirebbero, mentre tu
puoi accettare quello che sono.”
“Non è giusto! Tu meriti
di essere felice.” James si rese conto di quanto infantile fosse la propria
affermazione solo dopo che un sorriso ironico si aprì sul viso di Dom.
“Beh, merito anche le
nuove borse della collezione di Hermes, ma non per questo mi sciolgo in lacrime
se non posso averle.” Gli disse lei facendogli l’occhiolino e suscitando una
lieve risata. “Che ti prende Jimmy? Oggi sei molto pensieroso.”
James sospirò
profondamente e le rivolse uno sguardo angosciato.
“Non sono mai stato così
vicino a Gigì come in queste ultime settimane. Ma più lascio che lei veda chi
sono e più lei mi mostra chi è diventata, più ho paura che svanisca tutto come
fumo nell’aria.”
Dominique annuì,
comprendendo perfettamente le sue preoccupazioni, e gli diede una stretta più
forte alla mano prima di riprendere la propria penna d’oca. Si passò lentamente
la punta della piuma sul labbro superiore e parlò con tono sommesso:
“L’amore ci rende
vulnerabili, ma non per questo ci deve necessariamente ferire.”
E James di fronte a
quelle parole, tanto calzanti e veritiere, pensò che non ci fosse nulla da
aggiungere.
***
Il Ballo per la
commemorazione della Battaglia di Hogwarts era da un lato un evento molto
atteso dagli studenti e dall’altro molto temuto. La data segnava simbolicamente
l’inizio del periodo peggiore della vita scolastica: quello degli esami di fine
anno, che avrebbero impegnato tutti gli studenti in una lotta all’ultimo sangue
con la propria memoria. La sera del Ballo costituiva l’ultimo momento di svago,
prima dei giorni passati a studiare e ripassare implorando perché Merlino,
Morgana e i Quattro Fondatori la mandassero buona.
Se avesse dovuto
scegliere tra sostenere immediatamente i GUFO e prepararsi per quella serata,
Angelique non avrebbe avuto dubbi: si sarebbe presentata davanti alla
commissione in accappatoio piuttosto che fronteggiare quell’ansia divorante che
le faceva tremare le mani.
Osservava dubbiosa il
proprio armadio, scartando meccanicamente ogni possibile abito. Troppo lungo, troppo pesante, troppo chiaro, troppo
vestito.
“They say I'm too young to love you/ I don't know what
I need/ They think I don't understand/ The freedom land of the seventies.” La
voce di Martha udì dalla porta chiusa del bagno, tra il rumore dell’acqua della
doccia. Stava cantando Brooklyn Baby di Lana del Rey, doveva essere di ottimo
umore, al contrario di lei.
Angie si strinse
l’accappatoio sul petto e si sedette sul letto. Immaginò James nella sua camera
nella Torre Ovest intento a vestirsi, la camicia bianca che scivolava sopra le
sue braccia, i bottoni color madreperla che coprivano un pezzo alla volta il
suo addome. Un crampo, come un piccolo morso, si fece sentire nelle sue viscere
e le comunicò che come sempre la sua immaginazione le stava giocando pessimi
scherzi.
Quel pomeriggio lo aveva
visto per la consueta ora di ripetizione ed era stata tesa come una corda di
violino per tutto il tempo. Aveva cercato di concentrarsi al massimo sulla
Trasfigurazione, ma il suo turbamento si era tradotto in uno scarso rendimento
durante l’esecuzione degli incantesimi. Il fatto era che continuava a pensare
senza sosta a quello che era successo, o meglio quello che non era
successo, durante i festeggiamenti alla Buca per il campionato di Quidditch.
Ricordava con precisione
ogni dettaglio: il calore delle sue mani, il tocco delicato delle sue labbra
sulla guancia, il suo odore che le faceva venire i brividi e quella sensazione…
Quel sentirsi così leggera che avrebbe potuto prendere il volo al primo salto,
lo stomaco sottosopra, le membra irrequiete che trovavano pace solo nel
contatto con Jessy, il cuore che batteva nel suo petto frenetico.
Quando lo vedeva serio e
concentrato, quando osservava il suo polso piegarsi in un movimento lento e
preciso perché lei potesse capire appieno, quando la toccava per correggerla,
tutto ciò le riesplodeva nel cervello, lasciandola stordita nel desiderio
insoddisfatto per lui. Non sapeva se avesse mai provato nulla di simile. Con
Derek tutto quello che sentiva era macchiato dalle ombre della colpa che non
l’abbandonavano mai.
“Che fai ancora coi
capelli bagnati?!” la cover-band di Lana del Rey aveva finito di cantare in
bagno e Martha ne era finalmente emersa, guardando con aria di rimprovero
l’asciugamano in cui i suoi capelli erano ancora avvolti.
“Mi sembra di non aver
nulla di decente da mettermi…” pigolò lei con voce mogia, rimpiangendo di non
essere andata a fare shopping ad Hogsmeade in tempo.
Gli occhi di Martha si
addolcirono subito e la ragazza si avvicinò facendole segno di voltarsi. Angie,
come sempre, sciolse i capelli sulla schiena e lasciò che l’amica le asciugasse
i lunghi ricci.
“Vuoi pettinarli in
qualche modo?” chiese Martha mentre le sue dita si inoltravano con delicatezza
nella massa bionda per districare le ciocche umide.
Angie ripensò a quando
per il Bello del Ceppo aveva passato un’ora a lisciare i propri capelli e nello
specchio aveva ritrovato un’estranea.
“No… Lasciali così.”
Rispose spontaneamente.
Stasera sono solo io,
niente maschere. Con lui posso essere me stessa, sempre.
Dopo poco sentì il getto
di aria calda spegnersi e Martha la voltò verso di sé.
“Sarà una serata
complessa. Almeno il vestito, sceglilo semplice.” Le consigliò sorridendole
complice.
Guidata da quelle parole
rovistò nuovamente nell’armadio. Non ci vollero che pochi secondi per scegliere
l’abito con cui si presentò nella Sala d’Ingresso, dove aveva appuntamento con
James. Nero, dalla scollatura quadrata e senza maniche. Semplice, come la
camelia bianca che si era appuntata dietro l’orecchio. Semplice, in contrasto
con tutto quello che provava.
“Sei molto bella.” Si
complimentò Albus con un gran sorriso, che derivava probabilmente dal fatto di
avere a braccetto Martha. Lei d’altro canto era semplicemente mozzafiato. I
capelli ramati erano stati raccolti in alto sul capo, liberando il collo esile
e bianco. Aveva scelto un abito verde smeraldo che metteva in risalto i suoi
colori da irlandese, dalla chioma alla carnagione. Sorrideva in continuazione;
che fosse per dire qualcosa ad Al o salutare qualche conoscente, un sorriso
luminoso fioriva sul suo viso.
Angie li invidiò molto.
Invidiò la timida sicurezza con cui si stringevano le mani, le occhiate
sottecchi con cui comunicavano silenziosamente i loro desideri non troppo
celati, ma più di tutto invidiò quel sorriso che sembrava impossibile da
reprimere. Un vero sorriso di felicità.
Angie invece era un
fascio di nervi, sentiva lo stomaco far capriole al solo pensiero di incontrare
Jessy. Per di più poteva imputare solo sé stessa come una unica colpevole per
quella situazione, visto che in un impeto di follia pura aveva chiesto a James
di andare al ballo con lei.
Si congedò dai due amici
e iniziò a cercare il ragazzo nella folla, compito sempre piuttosto semplice vista
la stazza del soggetto. Incrociò Svitato e suo fratello Lysander ma non si
fermò troppo a chiacchierare. Voleva trovare la propria Piaga d’Egitto, tutto
il resto passava in secondo piano.
I suoi occhi si muovevano
per la sala puntando le teste più alte, zigzagava tra le persone assiepate, aveva
quasi mal di collo a furia di guardarsi attorno, ma di lui nessuna traccia. Sembrava
proprio che non fosse ancora arrivato.
Sentì il rumore dei
battenti della Sala Grande aprirsi e il vociare concitato dei ragazzi
aumentare. Per un breve istante si sentì delusa dal fatto che Jessy non si
fosse presentato puntuale, come se non avesse dato grande importanza a quella
serata. Tuttavia, mentre gli altri studenti si muovevano come un grande fiume
verso la festa, sentì il suo sguardo su di sé.
Fu una sensazione strana,
come se James stesso l’avesse sfiorata per chiamarla. Seppe che la stava
fissando prima ancora di voltarsi per vederlo appoggiato al muro, con le
braccia conserte, intento a guardarla. Angie si ricordò di quando lo aveva
medicato tempo addietro, dopo la partita di quidditch, lavando via il suo
sangue e guarendo la ferita sul labbro. Ricordò di aver pensato che fosse come
un lupo a caccia, proprio per l’intensità degli occhi ambrati, che anche in
quel momento la studiavano da cima a fondo.
Angie si compiacque di
come riuscì a camminare sui tacchi in quel breve tragitto verso di lui, senza
sembrare un T-rex ubriaco; mantenendo invece un minimo di femminilità, cosa non
semplice visto che sentiva le ginocchia molli come budino.
Si trovarono uno di
fronte all’altro e nonostante l’ampio spazio attorno a loro, ad Angie parve di
non avere più aria da respirare. Jessy, che indossava un completo blu scuro, la
osservava in un modo difficile da definire. Sembrava stesse studiando qualcosa
in lei che occupava tutte le sue energie. Lei non aveva idea di che cosa fare e
l’emozione rischiò di sopraffarla, tanto che probabilmente si sarebbe data alla
fuga entro pochissimo se James non avesse parlato.
“Fulgida stella.” Mormorò
dal nulla, stupendola per la stranezza del saluto.
“Come dici?” gli chiese
inarcando un sopracciglio. James sorrise e chinò lo sguardo prima di riportarlo
sul suo viso.
“Una delle poesie di
Keats che mi ha sempre fatto pensare a te si chiama Fulgida stella.”
Se si sentì lusingata per
il fatto che Jessy avesse pensato a lei leggendo simili poesie? Certo che sì, e
poco ci mancò che gongolasse spudoratamente. Le venne voglia di sentire i versi
di Keats pronunciati dalla sua voce.
“Recitamela, per favore.”
Non si stupì del fatto
che la sapesse a memoria, lo aveva dato quasi per scontato considerata la sua
passione per la poesia. Il tono caldo delle sue parole che recitavano Keats la
irretì come un vero e proprio incantesimo. Aveva una bella voce, dalle sfumature
profonde, che la facevano fremere per il desiderio di sentire quelle labbra
sulla propria pelle.
“… Sempre desto in un
dolce eccitamento a udire sempre, sempre, il suo respiro attenuato, e così
viver sempre, o se no, venir meno nella morte.”
Rimase colpita dal
significato delle parole della poesia a cui Jessy l’aveva associata. Dopo la
serata alla Buca era consapevole che James ricambiasse l’attrazione che sentiva
per lui, ma non aveva mai riflettuto sul fatto che forse anche lui provasse
qualcosa di più.
“Io chi sarei, quella
distaccata e fredda o quello che si strugge per un qualcosa che non potrà mai
ottenere?” gli chiese in tono leggero per nascondere il proprio turbamento.
Il ragazzo scosse la
testa e le sorrise misterioso.
“Nessuna delle due, non più.”
E dopo quelle parole la prese per mano, chiudendo nel palmo grande e caldo le
sue dita tremanti.
***
Lucy vegetava nel letto
di Lily osservando i drappeggi del baldacchino rosso. Gli appunti di
Trasfigurazione e Incantesimi erano sparpagliati attorno a lei, come grandi
fiori di carta ingiallita attorno al cadavere della sua voglia di studiare. Ragionò
sul fatto che per diventare cadavere la sua intraprendenza negli studi dovesse
essere stata viva a un certo punto, il che chiaramente non era mai avvenuto,
per questo il termine cadavere era improprio. Il suo aborto di voglia di studio
forse era più calzante.
Si chiese quanti studenti
avessero rinunciato alle gioie della festa offerta dalla scuola per rimanere a
deprimersi su questioni inutili nel letto della cugina più piccola, aspettando
di venir bocciati a tutti gli esami MAGO di giugno.
Lei e basta probabilmente.
Tre giorni prima aveva
compiuto diciotto anni. Non era stato il compleanno che aveva immaginato per
molti mesi. Non aveva potuto festeggiare alla Taverna delle Lucciole,
circondata da uomini ruttanti e donne allegre, bevendo firewhisky e mangiando i
manicaretti del Bruschetta. Non aveva potuto scegliere di passare la notte tra
le lenzuola insieme a Benji. Non aveva potuto dimenticare il trascorrere delle
ore languendo tra le braccia del suo uomo.
No, niente di tutto ciò.
Si era dovuta svegliare a
fatica come ogni mattina. Aveva cercato di sorridere con entusiasmo alla
colazione a letto che le sue piccole fangirl del terzo anno avevano preparato.
Era andata a lezione e aveva fatto un compito in classe di Incantesimi che
probabilmente avrebbe meritato una nuova classificazione nei voti scolastici,
qualcosa come un TD, abbreviazione per Troll Demente. Aveva pranzato con le Menadi,
sforzandosi per tutto il tempo di partecipare alle loro conversazioni, di
ridere delle loro battute sferzanti, senza perdersi nei propri pensieri. Le
aveva ringraziate per il bellissimo regalo, una giacca di pelle nera molto
rock. E poi in qualche modo era riuscita a trascinarsi fino a sera, per poter
crollare a letto e smettere di recitare.
Recitare il ruolo di
quella sé stessa che non si sentiva più, perché più in generale non sentiva
proprio più nulla.
La lettera che i suoi
genitori le avevano scritto giaceva intonsa insieme al loro regalo sulla
scrivania di Lily, ingombra di mille altre fogli di pergamena, libri, piume
mezze distrutte e ciarpame vario. Non le importava nulla di ciò che avevano da
dirle, così come non voleva il loro regalo. Ad essere sincera non voleva
proprio nulla dal momento che non poteva avere l’unica cosa che il suo cuore
realmente desiderava. Si sentiva semplicemente spenta.
“Pensavo di trovarti
affogata in un barile di Firewhisky. Sono contenta che non sia così, la puzza di
alcool impregna tutti i vestiti!”
La voce di Dominique le
colpì le orecchie come uno schiaffo. Lucy si voltò sorpresa verso la porta del
dormitorio del terzo anno e una visione di nauseante bellezza le si impresse
nelle retine. Dom avanzò verso di lei camminando su un paio di tacchi alti come
se fosse stata a piedi nudi, eterea nel suo vestito di chiffon azzurro
pastello.
“Non me lo posso
permettere, un barile di Firewhisky, nonostante ne avrei davvero bisogno ora.”
Dominique le sorrise
sorniona e solo in quel momento Lucy si rese conto che teneva entrambe le mani
dietro la schiena.
“Allora ho fatto bene a
portene un po’.” Le mostrò di avere una fiaschetta di metallo nella mano
sinistra e poi proseguì. “Perché credo che ti servirà per leggere questa.”
Nella sua mano destra comparve una busta di carta avorio con delle decorazioni
sugli angoli, la cui qualità era visibile anche a un metro di distanza. Una di
quelle cose inutili che sarebbero piaciute tanto a sua cugina.
E a Benji.
Lo stomaco le si serrò in
un crampo forte e improvviso, mentre le mani guantate di Dominique le porgevano
quei due oggetti e lei li riceveva con presa malferma.
Sulla carta porosa erano
vergate le parole “Per L” con una grafia obliqua e ordinata, che avrebbe
riconosciuto dovunque.
“Avrei voluto che
arrivasse per il tuo compleanno, ma serviva più tempo per rendere sicuro il
canale di comunicazione. Buon compleanno, Lucie.” Dom si era seduta sul
letto, facendosi spazio tra le sue cartacce, e la osservava con uno sguardo
pieno di tenerezza.
La gola di Lucy era
serrata dall’angoscia. E se aprendola avesse trovato le parole che confermavano
le sue peggiori paure? E se lì in quella busta Benji le avesse scritto che era
stata la peggior sciagura della sua vita averla incontrata, che non desiderava
mai più rivederla? Che cosa avrebbe fatto in quel caso?
“Rose gli ha scritto per
raccontargli che cosa è successo quel pomeriggio nell’ufficio della McGranitt,
anche se dubito che non lo avesse già capito. È un tipo sveglio il tuo
Benjamin. E gli ha detto che potevamo farti avere una sua lettera… Perché hai
tanta paura di aprirla?”
Due grosse lacrime le
scivolarono sulle guance prima che potesse fermarle e con voce rotta rispose:
“Perché ho paura di
averlo perso.”
“E quando mai la paura ti
ha fermata dal fare ciò che volevi?!”
Mai.
E non lo avrebbe fatto
nemmeno quella volta. Aveva bisogno di sapere se credere ancora in loro due, aveva
bisogno della verità.
Così le sue dita
armeggiarono con la carta, fino a far scivolare sul copriletto scarlatto le
pagine scritte ordinatamente in inchiostro nero.
“Cara Ragazzina,
Vorrei iniziare dicendoti
che sei la creatura più testarda che abbia mai conosciuto, la più generosa e la
più coraggiosa. Non oso immaginare quanta forza ti abbia richiesto affrontare
l’inferno in cui sei stata gettata all’improvviso, ma sono certo che lo stai
facendo a testa alta.
Non ti tedierò
descrivendoti la mia vita da recluso, ma sappi che sono trattato con tutti i
riguardi e le premure possibili, nonostante la solitudine sia una compagna
pungente… il che dovrebbe aiutarmi a sentire meno la mancanza della tua
insolenza! Tuttavia non è così.
Non passa giorno in cui
non ripercorra ogni centimetro del tuo viso nella mia memoria, sforzandomi di
riprodurre con precisione millimetrica anche le tue lentiggini. Non passa ora
in cui non cerchi di evocare la sensazione delle tue mani nelle mie, della tua
voce che mi graffia l’anima, dei tuoi occhi che si perdono nei miei, della
nostra pelle che si appartiene. Non passa istante in cui non senta la mancanza
lacerante della tua intelligenza colorata dal sarcasmo, del tuo odore, del modo
in cui guardi le cose che ti stupiscono, della tua risata, di ciò che sei. E in
questa lunga attesa che ci separa, intervallata solo dal dolce strazio di
ricordarti per sentirti vicina, mi preparo. È un lento accumulo di energie,
un’introspezione continua, una minuziosa conta delle mie forze, un inverno di
preparazione che mi scava l’anima, ma che mi è necessario.
E ora che hai ancora
tempo per riflettere, che sei ancora in tempo, forse, per scegliere
diversamente, devo chiederti di preparati a tua volta.
Sì, perché il giorno in
cui ci rivedremo, il giorno in cui potrò vedere se davvero sotto l’occhio
destro hai quella lentiggine che sempre dipingo nella mia mente, io quel giorno
ti chiederò di venire con me. E se vorrai essere al mio fianco, non ci
volteremo più. Ci lasceremo alle spalle questi attimi di miseria e dolore, ma
anche i legami che abbiamo qui.
Rifletti con attenzione e
scegli senza rimpianti.
Tu sei la donna che ho
atteso per tutta la vita, Lucy, a prescindere da quale sarà la tua scelta.
Tuo in ogni mio respiro.
Benjamin.”
Lucy finì la lettera
singhiozzando tanto forte da far tremare il letto. Non aveva minimamente
provato ad asciugare quelle lacrime così liberatorie, che le avevano inzuppato
il maglione. Si immerse in quella sensazione indicibile di amore e di dolore e
di gioia e di nostalgia, che sembravano scaturire da un punto al centro del
petto. Quel punto specifico del suo corpo che le doleva come se si fosse rotto
e qualcosa dentro di lei stesse provando ad allargare la ferita per uscirne,
perché solo da ciò che si apre o si crepa si può vedere la luce. E lasciò che
accadesse, lasciò che l’angoscia, la paura, i sogni infranti, le speranze
disattese se ne andassero da lei per sempre, attraverso quello squarcio che la
penna di Benji aveva inciso.
Quando terminò quel
pianto catartico, vide che Dominique le porgeva la fiaschetta stappata.
“Sarebbe stato il caso di
farsi un goccetto prima di diventare una fontana.”
Lucy rise asciugandosi
gli occhi e ingollò una generosa sorsata di firewhisky.
“Mi sembri la fata
turchina conciata così.” Le disse indicando col mento il suo vestito, per il
solo gusto di irridere un po’ tutta quella bellezza studiata nei minimi dettagli.
Dominique socchiuse gli
occhi e sollevò in aria il naso sottile, con fare indignato.
“Beh, avevamo già
stabilito che ci fossero delle somiglianze tra te e Cenerentola. Io sono quella
che deve fare miracoli coi tuoi stracci. Senza contare che hai la faccia
conciata come un’anguria: gonfia, rossa e umidiccia. Ah, non azzardarti a protestare!
Ora ci penso io a te.”
***
La prima volta che aveva
avuto il coraggio di prenderla per mano era dicembre, nevicava e le sue dita
erano congelate. Erano passati mesi, il tempo era diventato mite, ma le sue
mani continuavano ad essere fredde. Ne intuiva la ragione, la stessa per cui
lui si sentiva l’intero corpo percorso da un’energia unica, quasi elettrica.
I loro passi erano in
armonia, nonostante la differenza di altezza e la tensione vibrante tra loro. I
loro piedi di posavano sulla pietra antica del pavimento nello stesso istante e
poi la lasciavano in perfetta coordinazione, come se lo avessero fatto da
sempre.
Erano in silenzio da
qualche minuto, aspettando di entrare nella Sala Grande, ma non si sentivano a
disagio. In mezzo al rumore degli altri studenti, loro si concentravano solo sulle
loro mani unite, sugli avambracci che si toccavano, sulla sensazione di essere
vicini più di chiunque altro in quella sala.
C’era la musica dal vivo
come ogni festa ad Hogwarts, e James non riuscì a non pensare a quando, chiuso
in uno sgabuzzino puzzolente in compagnia della O’Quinn, aveva sentito quella
canzone bellissima e triste. Osservò con la coda dell’occhio il profilo di Gigì
al suo fianco e sorrise per l’assurdità del loro destino, percorso da linee che
continuavano a mostrare disegni simili, ma sempre diversi. Loro due a un ballo,
che indossavano diversi tipi di maschere, che raccontavano bugie agli altri ma
si facevano dono reciproco dell’onestà; loro due che appena si avvicinavano
davvero venivano separati. La sua mano si serrò istintivamente più forte
attorno a quella di Gigì, la quale lo guardò interrogativa.
“Hai fame?” le chiese
senza riflettere. In generale il cibo era un ottimo argomento di discussione
tra loro, a parte quando parlavano delle praline al cioccolato per cui lei aveva
un’insana passione.
Un sorriso si aprì sul
suo viso e lei confessò con un’aria semi colpevole:
“Ho un buco nello
stomaco! Non ho nemmeno fatto merenda oggi.”
Anche James sorrise e,
sfruttando la propria altezza e le spalle ampie, si fece strada in mezzo alla folla
fino al punto della Sala Grande dove avevano allestito il buffet, senza mai
lasciare la mano di Angelique.
E non seppe quando
successe, ma successe.
Mangiando si rilassarono,
iniziarono a parlare, a scherzare come ormai facevano da settimane e semplicemente
il tempo iniziò a fluire attorno a loro. Sedevano vicini, le loro ginocchia si
sfioravano con casualità ma non troppa, la musica alta era la scusa perfetta
per avvicinare i volti per parlare. E quando James si rese conto che stavano effettivamente
flirtando quasi scoppiò a ridere incredulo.
Le sue mani ormai
formicolavano dal desiderio di toccare la pelle delle braccia di lei, il suo
cervello stava compiendo sforzi eroici per non perdersi nella linea morbida
delle labbra di Gigì, il suo olfatto era inebriato dal profumo delle mimose e
della lavanda.
Stava per proporle di
andare a fare una passeggiata, quando il destino, per la prima volta in quella
loro improbabile storia, gli venne incontro. Riconobbe allibito le prime note
di una canzone babbana un po’ vecchia, ma perfetta.
Semplicemente perfetta.
Si alzò e porse la mano a
Gigì, che con un’occhiata ironica la prese, convinta forse che volesse fare
come alla Buca, con balli assurdi e mosse buffe per farla ridere; ma James non
aveva più voglia di scherzare.
Quando furono sulla
pista, l’attirò a sé con decisione, posando una mano sulla sua schiena. Gli occhi
verdi si spalancarono, mentre i loro corpi combaciarono prima di iniziare a
muoversi lentamente, a ritmo con la musica. E guardandola negli occhi le
sussurrò le prime parole della canzone:
“Quando provi a fare del
tuo meglio, ma non ci riesci. Quando ottieni ciò che vuoi, ma non ciò di cui
hai bisogno. Quando sei così stanco, ma non riesci a dormire. Non riesci ad
andare avanti.”
Il capo di Gigì era
leggermente inclinato indietro per poterlo guardare dritto negli occhi, così
che il suo collo e le sue spalle formassero un'unica linea aggraziata,
interrotta solo dai suoi respiri, che facevano affiorare l’ombra del seno dalla
scollatura. Lo guardava con una serietà e una profondità che per poco non gli
fecero mancare la voce; ma lui aveva una storia da raccontarle.
“E le lacrime iniziano a
scendere sul tuo viso. Quando perdi qualcosa che non puoi riavere.”
Entrambi avevano perso
parti di sé che non avrebbero mai più avuto indietro. Avevano però scoperto che
potevano costruirne di nuove per proprio conto o insieme. Avevano scoperto che
nella perdita si trovava una forza inattesa; che lasciando andare quello che li
aveva feriti erano potuti andare avanti, fino a trovarsi uno di fronte
all’altra, senza più maschere, senza più bugie.
“Quando ami qualcuno, ma
tutto viene buttato via. Potrebbe andare peggio?”
Angelique trattenne il
fiato e i suoi occhi si riempirono di lacrime. E James seppe che stava iniziando
a vedere davvero tutte quelle pagine che avevano scritto insieme e che lei non
aveva mai letto. Stava iniziando a mettere al proprio posto tantissimi
frammenti che le erano rimasti tra le mani inutilizzati, e improvvisamente
combaciavano tra loro. Stava capendo.
“Le luci ti riporteranno
a casa. Ed infiammeranno le tue ossa. E io proverò a guarirti.”
E lei, che aveva lo
spirito di una guerriera e le mani di una guaritrice, aveva sanato le sue di
ferite, con le stesse armi con cui lo aveva massacrato.
Avrebbe voluto continuare
a sussurrarle il resto della canzone, ma Gigì non glielo permise.
“Eri tu, vero? Eri tu
alla festa delle Menadi?” gli chiese con voce roca.
Loro due, un ballo, delle
maschere, le mezze verità. Sempre la stessa storia.
“Tu sei il mio astro,
dall’altra parte del cielo che non posso raggiungere. Tu sei il mio supplizio e
la mia rinascita, ogni giorno.” Le ripeté le stesse parole che aveva usato
quella notte lontana, sorridendo perché in realtà, come già le aveva detto, lei
non era più la fulgida stella.
Gigì deglutì a fatica,
schiacciata dalla consapevolezza. Erano abbracciati sulla pista da ballo, il
viso così vicino che potevano sentire sulle labbra il respiro dell’altro. James
si rese conto che erano immobili in mezzo a tutte le altre coppie che ballavano.
Nella sua testa rimbombarono le parole “Ora o mai più.”
Ma Gigì, ancora una volta,
gli rovinò i piani. Sciolse l’abbraccio e afferrò saldamente la sua mano.
Osservò per un istante le loro dita intrecciate, poi gli rivolse un’occhiata
risoluta.
“Andiamo via.”
***
Il cuore le batteva tanto
violentemente contro la gabbia toracica che sembrava un uccellino desideroso di
evadere. Le sue gambe si muovevano leggere, come se avesse potuto prendere il
volo da un momento all’altro, e l’unica cosa che l’ancorava ancora al terreno
era la mano di Jessy, chiusa attorno alla sua. Ridevano senza un particolare
motivo e correvano insieme verso le ombre protettive del parco. Sapeva che
stava per succedere e sentiva i brividi correrle per tutto il corpo.
Gli istanti che precedono
un primo bacio sono un soffio di magia. Ogni terminazione nervosa è all’erta,
ogni centimetro di pelle ipersensibile, il corpo intero si prepara come se si
stesse lasciando andare nel vuoto. Se quell’incontro di labbra, calore, lingue,
mani e corpi raggiunge la giusta armonia la magia si trasforma in incantesimo.
Tutto quello che segue è più naturale, più facile di quel primo passo. Allo
stesso modo se qualcosa nella formulazione dell’incantesimo va storto c’è il
rischio che tutto finisca come una bolla di sapone, una silenziosa esplosione
che non lascia alcuna traccia.
James voltò verso destra,
uscendo dal sentiero segnato, e immediatamente i tacchi delle sue scarpe si
piantarono nel terreno del prato.
“Putain.” Le
sfuggì a mezza voce e sentì Jessy ridere per quella volgarità gratuita.
In un secondo si sfilò le
scarpe e affondò i piedi nell’erba umida, emettendo un mugolio di piacere per il
sollievo datole da quel contatto fresco. Avrebbe voluto chinarsi per prenderle,
ma James la trascinò via e pensò che potevano fottersi pure le scarpe in quel
momento.
Il parco era talmente
affollato da altri con le loro stesse intenzioni, che si spinsero fino alle
rive del Lago Nero prima di trovare la pace che cercavano.
L’aria all’esterno del
castello era frizzante e si frangeva sulla pelle delle sue braccia, aumentando
i brividi che già sentiva. In lontananza si sentiva il brusio indistinto della
festa. Il castello, illuminato a giorno per l’occasione, rendeva visibile il
parco quasi fino a loro. Angie istintivamente si immerse nel lago fino alle
caviglie; ne contemplò la superficie scura e liscia, come un manto di seta nera.
Jessy la raggiunse dopo poco, in silenzio, e anche lui scalzo probabilmente,
mettendosi alle sue spalle.
Le dita di James
percorsero con delicatezza i palmi delle sue mani e la pelle del lato interno
dei polsi, lentissimo.
“Sai che nelle camere di
Serpeverde ci sono degli oblò?” ma perché? Perché non poteva rimanere in
silenzio e basta?! Stupido, stupido cervello che andava a ottocento all’ora
senza la sua autorizzazione.
“Ah sì?” Jessy parlò
contro la piega del suo collo e il sussurro della sua voce la fece tremare.
Le sue mani erano risalite
verso i gomiti e lì sostavano per disegnare piccoli cerchi.
“Già. In realtà spesso è
troppo buio per vedere qualcosa, a volte d’inverno non arriva nemmeno un raggio
di luce. Inoltre, gli oblò sono piccoli. Però ogni tanto si vede uno dei tentacoli
della piovra, oppure i pesci nuotare. Elena sostiene di aver visto anche le
sirene, ma non le credo. E… Jessy, ti prego, fammi stare zitta.”
Aveva raggiunto le spalle
e aveva iniziato a giocherellare con il bordo dell’abito. Più lui la irretiva
con quei movimenti calmi e ipnotici, più lei perdeva il controllo sul suo
cervello.
Sapeva essere tanto
delicato che Angie dimenticava quanta forza si celasse nel suo corpo. Ne ebbe
un assaggio quando affondò le dita nelle sue spalle e la fece voltare verso di
sé, quasi che fosse stata inconsistente.
Il viso di James era
rischiarato solo in parte dalle luci siderali sopra le loro teste, ma Angie
avrebbe riconosciuto anche al buio il luccichio dei suoi occhi ambrati.
E, per fortuna, non ci
furono più parole tra loro, in fondo ce n’erano state fin troppe in quei cinque
anni.
Angelique sfiorò una
ciocca dei suoi capelli neri, estendendo il movimento fino a farlo diventare
una carezza. James socchiuse gli occhi al suo tocco e si chinò verso di lei.
Il contatto tra le loro
labbra al principio fu delicato, quasi che entrambi avessero paura di andare in
mille pezzi se solo avessero osato di più. Increduli per quello che stava accadendo
rimasero immobili per parecchi secondi, finché uno dei due esasperato dall’attesa
non decise di approfondire il bacio.
Dopo aver passato
settimane a negare, nascondere e cercare di spegnere il desiderio che provava, Angelique
si lasciò andare e quelle labbra, che si muovevano sulle sue con decisione e
abilità, erano la porta verso la libertà. Le braccia di James la avvolsero fino
a che non aderì al suo corpo, una delle sue mani le risalì la schiena per
intrufolarsi tra i suoi ricci e stringerne le ciocche.
Era caldo, accogliente,
generoso. Tutto in lui le faceva venir voglia di averne ancora, senza sapere se
le sarebbe mai bastato.
Fu la prima a forzare le
sue labbra, chiedendo accesso a quella bocca che aveva infiammato i suoi sogni
e torturato i suoi pensieri di giorno. E quando si toccarono, scivolando l’uno
nell’altra, invadendo finalmente i confini dei reciproci corpi, il ventre di
Angie si contrasse in uno spasmo di piacere. Ansimò per quella sensazione e
James colse al volo l’occasione per aumentare il contatto tra loro, incastrando
una gamba tra le sue.
Le mani di Angie, animate
di vita propria, si aggrapparono ai suoi capelli indisciplinati, al bavero
della sua giacca, alle sue spalle larghe, per portarlo più vicino, per
inondarsi del calore che lui emanava anche attraverso i vestiti. Si sentiva
come magma fluido e incontrollato, pronta a rimodellarsi ad ogni movimento in una
danza senza fine.
In un lampo di razionalità
si ricordò che non era il loro primo bacio. Non aveva mai dimenticato quando,
poco più che bambini, lui aveva posato le sue labbra sulle sue in un confuso e
fallimentare tentativo di consolarla. Quante cose erano cambiate.
“Stai ridendo?” la voce
arrochita di Jessy le fece aprire gli occhi.
Lui era passato a baciare
la mandibola e il collo, con una dedizione che aveva dell’encomiabile. E che le
rendeva molto difficile ragionare.
“Stavo ripensando a
quando mi hai baciata al primo anno. Ti ho odiato tantissimo.” E rise ancora
perché in quell’istante non avrebbe potuto sentire sentimento più lontano.
James sorrise sulla sua
pelle, poi affondò con studiata lentezza di denti alla base del suo collo. Lei
chiuse gli occhi estasiata e dalle sue labbra uscì un suono di pura
soddisfazione.
In passato aveva pensato
che Jessy fosse l’unico in grado di dire sempre la cosa sbagliata al momento
sbagliato; ora sembrava che avesse trasformato questa dote in una molto più interessante,
ovvero quella di riuscire a fare la cosa giusta al momento giusto.
“Eri una ragazzina
intrattabile.”
“Tu eri un prepotente.”
“Non sapevo come avvicinarti.”
“Beh, mi sembra che tu abbia
capito.”
E le loro labbra si
ritrovarono subito dopo, chiedendo perdono per gli errori commessi, ringraziando
per quello che avevano in quell’istante e pregandosi l’un l’altra di non
smettere.
***
“Non ci posso credere…”
gli occhi azzurri di Rose guardavano stupefatti le due figure uscire dalla Sala
Grande correndo.
“Ci sono riusciti…
davvero?” chiese Lily alzando un solo lato della bocca, a metà tra lo schifato
e l’incredulo.
“Mah, per il momento
stanno semplicemente camminando.”
“Sì, Lucy, ma stanno
camminando mano nella mano!” esclamò Dominique indicando James e Angelique
ormai lontani.
“E stanno andando verso
il Parco.” Aggiunse sempre più stupita Rose.
“Oh, sono così felice che
potrei mangiare dei carboidrati.” Dominique si sentiva davvero elettrizzata,
tanto che le veniva voglia di saltellare per tutta la sala.
“Le fate turchine non si
nutrono solo di sogni e tè verde?” Lucy che faceva nuovamente del sarcasmo… musica
per le sue orecchie.
“No cara, ma le nostre
puzzette sanno di violetta.”
Lucy scoppiò a ridere
fragorosamente e un paio di ragazze vicine a loro si voltarono a guardarle.
Quando riconobbero la maggiore delle Weasley, i loro visi ben truccati
assunsero simultaneamente un’espressione precisa, un misto tra lo scandalo e il
timore.
Dominique si spostò di
qualche centimetro e piantò in viso alle due la peggior occhiata gelida che
fosse in grado di produrre. Come prevedibile, distolsero immediatamente lo
sguardo, allontanandosi poco dopo.
Lucy non si accorse di
nulla e Dom le rivolse un sorriso compiaciuto.
Il mondo stava davvero
raggiungendo nuovi equilibri. Lucy tornava a fare sarcasmo, Angie e Jimmy
andavano a limonare nel parco, Rose saltava addosso a Malfoy (già da parecchio
tempo, ma d’altra parte era la più intelligente di tutte loro), Lily non aveva
ancora fatto esplodere nessuna ala del castello insieme ai suoi due compari
Grifondoro e lei aveva finito tutte le prenotazioni per il matrimonio di Vic e Teddy.
Sorseggiò soddisfatta la
propria Burrobirra.
Non lo avrebbe ammesso
nemmeno sotto tortura, però non attuare piani in effetti portava a incredibili
successi.
Note dell’Autrice:
Non so nemmeno quanto
tempo sia passato dall’ultimo aggiornamento, però eccomi di nuovo qui. In questi
tempi tragici abbiamo tutti bisogno di sperare e l’unico modo che io conosco di
dare speranza è scrivere. Non ho molto da dire, solo spero che questo capitolo
renda un po’ più piacevole il vostro tempo in quarantena.
Vorrei ringraziare in
modo particolare coloro che hanno lasciato una recensione nello scorso
capitolo: cescapadfoot, truegattara, Idiot, Cinthia988, thetwinsareback,
carpethisdiem_ e Rarity94.
Grazie mille anche a
tutti coloro che continuano a leggere e seguire.
Vi mando un abbraccio.
Bluelectra.
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Capitolo 38 *** Cap.38 Notte prima degli esami ***
Cap.38 Notte prima degli esami
Cap. 38 Notte prima degli esami.
“Quella notte è
andata così, non ho baciato Claudia e non c'è stato il lieto fine. Eppure me la
ricorderò sempre perché era una notte speciale. Ma io la magia di quella notte,
come spesso succede nella vita, non l'ho più ritrovata.”
Luca
Molinari, Notte prima degli esami.
Angie aveva sempre
pensato che il proprio ruolo di sorella maggiore fosse più che altro un
servizio pubblico. Cioè che, attraverso l’addomesticazione di quella creatura
satanica di suo fratello, stesse risparmiando da incidenti potenzialmente
mortali molte persone, e quindi, in un qualche modo, stesse lavorando per la
salute della comunità magica e babbana.
Da qualche settimana
questo ruolo non ufficiale che si era attribuita era molto più semplice da
mantenere che non in passato. Tristan infatti era insolitamente tranquillo,
nessuno scherzo a danno di ignari compagni, nessuna manomissione all’impianto
idraulico della scuola, nessuna piccola vendetta contro di lei. I lineamenti
del giovane stavano iniziando a perdere la morbidezza dell’infanzia per
diventare decisamente più affilati, i suoi occhi azzurri avevano spesso un’aria
tempestosa dietro le folte ciglia nere. Le sembrava di riuscire a vedere il
ragazzo che sarebbe diventato e tutti i cuori che più o meno consapevolmente
avrebbe spezzato, preferendo come sempre Lily e Hugo al resto del mondo. Le
sembrava che in quei pochi mesi la crescita di Tristan fosse avvenuta con uno
scatto improvviso, che lo aveva lasciato strappato in più punti, fragilità che
nascondeva dietro ai silenzi tanto inusuali per lui. Ed Angelique era piuttosto
preoccupata.
A dimostrazione che ci
fosse qualcosa di anomalo nel suo comportamento, era appena stata avvertita da
Hugo che Tristan era finito nell’ufficio di Paciock. Da solo.
Angie salì gli ultimi
gradini della scala, sentendo alle proprie spalle Hugo col fiato corto, che
cercava di stare al suo passo. Svoltò a sinistra nel corridoio che ospitava
l’ufficio del Direttore di Grifondoro e il suo sguardo fu attirato
immediatamente dalla chioma fiammante di Lily, che riluceva come una torcia
nella luce del mezzogiorno. Si stava rosicchiando le unghie delle dita con una
dedizione degna di un castoro e, appena la sentì avvicinarsi, i suoi occhi
nocciola si volsero verso di lei, sgranati e lucidi.
Capitava di rado di
vederla così angustiata, nemmeno quando i fondi delle Menadi erano andati
perduti aveva impressa negli occhi tanta agitazione.
“Che cosa è successo Lily?”
le chiese senza tanti preamboli e Lily le rispose con tono altrettanto
sintetico.
“Tris ha scatenato una
rissa nelle serre.”
Il povero Hugo riuscì
finalmente a raggiungerle e col respiro ansante si aggiunse alla conversazione:
“Ha tirato un pugno ad un
Corvonero del nostro anno.”
“Perfetto. E perché lo
avrebbe fatto?” chiese col tono più calmo di cui fosse capace in quel momento e
si massaggiò la fronte, presagendo già l’emicrania che le sarebbe derivata da
quella situazione.
“Beh… Sai come sono le
chiacchiere da serra, a volte la gente dice un sacco di stupidaggini giusto per
dare aria alla bocca e gli altri possono sentire…” Hugo teneva gli occhi
incollati alle scarpe mentre parlava e un vago rossore si diffuse sulle sue
guance.
“I Corvonero stavano
parlando di ragazze, qualcuno ha iniziato a parlare di quelle più grandi ed è
venuto fuori il tuo nome. Così Michael Walker ha detto che lui ad una come te,
che si era fatta sbattere alla prima occasione buona da uno fidanzato, non
avrebbe nemmeno rivolto la parola. Ti ha definito “una puttana”. E l’ha detto
apposta ad alta voce, perché era accanto a noi e guardava Tris mentre lo diceva.”
Non era da Lily mitigare i fatti per renderli più facili da digerire, infatti
le aveva raccontato tutto come se fosse un semplice resoconto, guardandola
dritta negli occhi. Le guance di Hugo a quel punto andarono letteralmente a
fuoco per l’imbarazzo.
Angie fece un respiro
profondo cercando di calmare l’indignazione e la rabbia che le parole della
Potter le avevano scatenato dentro. Non solo per il giudizio espresso nei suoi
riguardi, che le bruciava e non poco, ma soprattutto per quello che doveva aver
provato Tristan nel sentire quelle cose su di lei. Era mortificata che si fosse
scontrato così presto con la cattiveria e la stupidità di cui solo alcuni
adolescenti sapevano macchiarsi. Quel tipo di cattiveria gratuita che
straripava nella Danes…
“Capisco.” Fu tutto
quello che riuscì a mormorare.
“Non abbiamo fatto in
tempo a fermarlo. Ho alzato gli occhi dal mio vaso e l’ho visto scattare come
una molla verso Walker e tirargli un pugno così forte da stenderlo a terra.
Ovviamente gli altri Corvonero gli sono saltati addosso ed erano in quattro
contro uno. Poi è scoppiato il caos.” Disse Hugo con tono sconsolato.
In quel momento si aprì
la porta dell’ufficio e comparve Tristan, alle sue spalle svettava l’insegnante
di Erbologia, con uno degli sguardi più duri che Angie gli avesse mai visto
stampato in viso. Ma gli occhi della ragazza sfiorarono appena il viso di
Paciock, per concentrarsi su quello del fratello. Strinse le labbra e sentì gli
occhi pizzicarle per la voglia di piangere.
Tristan aveva uno zigomo
gonfio con una cupa sfumatura violacea, un angolo della bocca spaccato con del
sangue rappreso, i capelli scarmigliati e gli occhi azzurri pieni di una rabbia
cocente. Poteva scommettere che anche il resto del suo corpo era ricoperto di
contusioni e dolore, causati dall’essere stato sopraffatto da quei quattro
imbecilli.
Era irriconoscibile.
Emanava una tale energia distruttiva che Angie si chiese dove fosse finito il
ragazzo sempre pronto a ridere, a progettare scherzi e avventure di dubbia
intelligenza, a divertirsi con gli amici.
Non li degnò nemmeno di
uno sguardo e scappò letteralmente dall’ufficio del Direttore di Grifondoro,
precipitandosi dall’altro lato del corridoio.
“Tristan!” urlò Lily, ma
il ragazzo non si voltò e continuò a correre.
“Ci penso io.” Disse
decisa Angie prima di scattare a sua volta a correre.
Provò a chiamarlo per
chiedergli di fermarsi, ma non le diede minimamente retta. Il Pidocchio era
veloce, magrolino com’era non ci avrebbe messo molto a seminarla, nonostante
Angie fosse ben allenata. Tuttavia, era anche un ingenuo.
Angelique dopo cinque
minuti di inseguimento perse la pazienza e sfoderò la bacchetta. Gli lanciò un
incantesimo delle Pastoie Total Body, che lo immobilizzò nel mezzo di un
corridoio del terzo piano con una gamba sollevata e una posa comica. Si
avvicinò con passo decisamente più calmo, fino ad averlo davanti a sé. Gli
occhi del ragazzo, l’unica parte ancora mobile, la osservavano torvi per quella
mossa così bassa.
“Oh, avanti Tristan, non
fare quella faccia! Mi stava iniziando a far male la milza, non avevo più
voglia di correre. È inutile che mi guardi così, non ti avrei lasciato andare.
Dobbiamo parlare.”
Angie, facendo leva sulle
braccia, si mise a sedere sul poggiolo della finestra davanti a lui, con le
gambe a penzoloni verso il corridoio. Il sole di maggio le irradiava la
schiena, rendendo quasi fastidioso il maglione di cotone della divisa.
Faceva ormai caldo,
l’estate era alle porte, così come gli esami di fine anno.
“Bene, iniziamo. Immagino
che Paciock ti abbia già spiegato che non puoi rispondere alla violenza verbale
con la violenza fisica, quindi tutta quella parte te la risparmio. Sono
l’ultima persona al mondo che possa farti ramanzine su come reagire con maturità
alle provocazioni.” Angie sollevò entrambe le sopracciglia ripensando a che
cosa aveva fatto lei alla Danes e vide una scintilla ironica passare negli
occhi di Tristan. “Io voglio parlare di te. Non ti ho mai visto finire da
Paciock senza Lily e Hugo, per non parlare del fatto che non c’era alcun
bisogno di prendere a pugni un compagno davanti ad un professore… Sarebbe
bastato aspettarlo in un qualunque corridoio al cambio di aula. So che essendo
un Grinfondoro non brilli particolarmente in strategia e preferisci usare la
clava invece del cervello, ma così mi sembra un tantino troppo persino per te.
Che cosa ti succede?”
Si guardarono fissi negli
occhi per qualche secondo e poi Angie ebbe un’illuminazione.
“Ah sì, scusa.” Estrasse
la bacchetta dalla manica e annullò parzialmente l’incantesimo, dandogli la
possibilità di rispondere.
“Potresti liberarmi le
gambe?” il tono acido con cui esordì Tristan le fece scattare un sopracciglio
verso l’attaccatura dei capelli. “Non ho intenzione di scappare. Voglio solo…
Sedermi lì.” Le disse indicando col mento il posto accanto a lei. Angie inclinò
il capo verso la spalla e dopo una breve valutazione del soggetto acconsentì a sciogliere
l’incantesimo.
Tristan quasi cadde per
terra dopo essere stato liberato, ma con una mossa agile si rimise in piedi e
la osservò sottecchi, prima di sedersi davvero accanto a lei. Nel sedersi fece
una smorfia di dolore e si massaggiò il lato destro del torace.
Le costole erano una
delle ossa che più facilmente di rompevano durante le colluttazioni, ne aveva
sistemate un buon numero in infermeria e sperava di non doverlo fare a suo
fratello.
“Togliti la camicia che
ti do un’occhiata.”
Tristan tentennò qualche
secondo, evidentemente combattuto tra la vergogna di spogliarsi davanti alla
sorella e il dolore delle botte. Poi i lividi ebbero la meglio sull’orgoglio,
così il giovane si tolse cravatta e camicia.
Sul torace aveva alcuni
ematomi piuttosto grossi, ma nessun osso rotto. Le braccia invece erano
costellazioni di segni rossi intensi e bluastri, che spiccavano sulla sua pelle
candida come papaveri nella neve. Come aveva potuto essere così stupido da scagliarsi
contro quattro ragazzi da solo?! Mentre sussurrava gli incantesimi per guarirlo
ed alleviare il dolore, sentiva il sangue ribollire per la rabbia di vederlo
conciato così.
“Lily ti ha detto tutto,
vero?” le chiese lui quando il dolore fu scemato abbastanza da fargli venir
voglia di parlare.
“Sì. Mi dispiace che tu
abbia dovuto sentire quelle cose. Il mondo non ha molta comprensione verso gli
errori delle donne. Per gli ignoranti o siamo Sante o siamo battone. Spero che
tu abbia idee differenti sulle ragazze, altrimenti dobbiamo parlare anche di
quello.” Lo osservò piuttosto severa mentre rimetteva la bacchetta nella
manica.
Tristan sgranò gli occhi
azzurri come se fossero stati due fanali e borbottò rivestendosi:
“Ovvio che non la penso
così! Quando l’ho sentito dire quelle cose, ho smesso di ragionare… L’unica
cosa che volevo era fargli tanto male quanto lui ne stava facendo a me. E sono
scattato.”
“Mmm… Tristan è un po’ di
tempo che scatti per qualunque cosa, te ne sei reso conto?”
Tristan deglutì e si
fissò le mani, screpolate sulle nocche, che aveva usato per colpire Walker poco
prima.
“Sì, ma non riesco a
fermare… queste cose che sento. È come se mi soffocassero. Vengono tutte
insieme, all’improvviso, e perdo il controllo.” Ammise dopo qualche istante,
cercando nel suo sguardo una spiegazione per quello che gli stava succedendo.
“Sei arrabbiato con me?
Per quello che ho fatto a Natale?” gli chiese a bassa voce, con lo stesso tono
che avrebbe usato cercando di calmare un gattino spaventato.
“No. Forse solo un po’
perché non mi hai ascoltato.” e le rivolse un’occhiataccia ricordandosi della
scena al ritorno delle vacanze di Natale. Poi riprese: “Sono arrabbiato con
tutti, tutto il tempo. Coi professori che pensano solo agli esami, con i miei
amici che pensano solo a ridere, con la mamma che fa finta di stare bene, con
tutti. È così stancante.” Le ultime parole gli sfuggirono quasi in un sussurro,
a testimoniare quanto tutte quei sentimenti gli pesassero sul cuore.
“Lo so.” Angelique annuì
e gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo più vicino.
“Non voglio essere così
Angie. Non voglio provare solo rabbia o tristezza pensando alla mamma… Io
voglio tornare ad essere felice, ma non so come si fa!” Gli occhi di Tristan si
riempirono di lacrime e il giovane iniziò a piangere singhiozzando.
“Shhh… Vieni qui.” Angie
lo avvolse del tutto e lasciò che le piangesse sul maglioncino, tirando su col
naso rumorosamente e respirando a scatti. “Hai solo tredici anni Tris, e questo
è molto più grande di noi. L’unica cosa che puoi fare è affidarti alle persone
che ti voglio bene. Più ti chiudi e ti isoli dentro te stesso, più sarà
difficile per loro capire come raggiungerti e aiutarti. Non puoi affrontare
quello che ci sta succedendo da solo. Guarda che casino ho combinato io
pensando di poter sopravvivere da sola.”
Tristan sollevò il capo
dalla spalla su cui si era rifugiato per guardarla con la fronte aggrottata.
“Sì, ma tu sei scema, che
c’entra! Io lo so che ho bisogno dei miei amici, solo che non so come liberarmi
di tutta questa incazzatura.”
Beh, grazie mille.
Angie decise che parte
dell’essere sorella maggiore consisteva anche nell’essere molto paziente e non
sbattere giù dalla finestra quell’ingrato Pidocchio, ma donargli un pizzico di
saggezza nonostante la sua insolenza.
“Non puoi liberartene. Ci
devi passare attraverso e viverla per imparare a controllarla. Una buona mossa
potrebbe essere provare a respirare profondamente prima di dire o fare
cazzate.”
“E lasciare che quelli
come Walker la passino liscia?!” ogni parola pronunciata da Tristan trasudava
indignazione. Ma Angelique gli sorrise sorniona e scosse il capo.
“Oh no, Tristan. Mai.
Devi solo imparare come applicare la giustizia secondo le tradizioni di
famiglia.”
“E cioè?”
“Non preoccuparti, lo
capirai presto.”
***
La parte migliore delle
sue giornate erano i minuti che precedevano un loro incontro. Mentre
l’attendeva assaporava sulla punta della lingua il sapore che avrebbe ritrovato
sulle sue labbra, immaginava dove posare le proprie mani, se tra i capelli,
sulle spalle, sui fianchi, sulle natiche. Ripercorreva i contorni del corpo che
stava iniziando a conoscere con maniacalità dei dettagli. Così che quando
Angelique si materializzava davanti a lui, era già eccitato come quello che
era, appunto un adolescente innamorato. Nei primi minuti quasi non parlavano,
si divoravano di baci, affamati di un desiderio che le pause prese tra una
sessione di studio e l’altra non facevano altro che acuire.
Gigì aveva i GUFO
quell’anno e lui gli esami per l’ammissione all’ultimo anno, che avrebbe poi
portato ai MAGO. A volte, poche, si trovavano nelle ore buche per darsi una
mano a ripassare, ma bastava uno sguardo di troppo per ritrovarsi incollati
alle labbra dell’altro e non fermarsi più. Riuscivano a rimanere concentrati
solo durante le lezioni di Trasfigurazione, perché James e Gigì esercitavano
uno sforzo estremo sul proprio autocontrollo, consapevoli di quanto crucciale
fosse il voto dei GUFO per l’ammissione al tirocinio al San Mungo dell’anno
successivo.
Quella volta non era
riuscito ad aspettare l’appuntamento concordato per dopo cena. Erano sempre
molto discreti nei loro incontri, non che si svolgessero di nascosto, ma
entrambi preferivano che quello che stava succedendo restasse una cosa loro.
Sentivano il bisogno di proteggersi dai pettegolezzi e dai giudizi altrui. Quel
giorno però aveva voglia di vederla. Troppa per attendere la sera.
La campanella dell’ultima
ora suonò nei sotterranei a tutto volume e dopo un paio di minuti uscirono
dall’aula di Pozioni gli studenti del quinto anno con i capelli stravolti dai
fumi dei calderoni, gli sguardi allucinati di chi era passato attraverso un
compito in classe particolarmente difficile e le spalle curve per la
stanchezza.
Lei uscì tra gli ultimi,
come di solito, accompagnata da Martha ed Elena, che era tornata a frequentare
di persona le lezioni. Aveva i capelli raccolti in una crocchia alta, perché
non le dessero fastidio mentre preparava le pozioni. Aveva l’aria stanca, ma
serena e soddisfatta, probabilmente il compito era andato bene.
Quando aveva il
privilegio di osservarla prima che lei si accorgesse della sua presenza,
sentiva quel muscolo bislacco al centro del petto tremare per l’emozione. Fremeva
vedendo i suoi sorrisi spensierati, le sue mani magre e sottili che
trattenevano i libri, i riflessi dei suoi capelli illuminati dal sole estivo, le
mille espressioni che colorivano il suo viso mentre parlava con le sue amiche.
Non avrebbe saputo spiegarlo, ma anche avendola amata per anni, in poche
settimane aveva appreso di lei molto di più solo per il fatto di esserle
finalmente vicino.
Aveva imparato che spesso
le azioni di Angelique parlavano con molta più sincerità delle sue parole,
criptiche o reticenti. La tenerezza con cui gli accarezzava i capelli mentre chicchieravano,
il modo in cui si abbandonava tra le sue braccia quando la baciava, come tutto
il suo corpo reagiva al piacere condiviso, e mille altri piccoli gesti con cui
gli urlava che voleva stare insieme a lui senza averlo mai detto chiaramente. Il
corpo di Gigì era molto più affidabile della sua lingua.
“Gigì!” la chiamò a mezza
voce sbucando fuori dal mantello solo con la testa.
Le tre Serpeverde si
voltarono all’unisono verso di lui, stupite. Vide chiaramente le guance della
Dursley colorirsi di un vivo rosa.
Elena e Martha si
scambiarono uno sguardo ricco di sottointesi e, con un cenno di saluto, si
allontanarono, mentre lei lo raggiungeva nel piccolo anfratto in cui l’aveva
attesa fino a quel momento.
“James?! Ma che ci fai
qui?” Notò non con un certo sollievo che Angelique, nonostante la sorpresa di
trovarlo lì, stava sorridendo.
In particolare, aveva
stampato sulle labbra quel sorriso piccolo, contenuto agli angoli della bocca,
che le spuntava in viso solo quando cercava di non far vedere quanto fosse
contenta… Lo stesso di quando mangiava le Api Frizzole.
E cedette alla
tentazione.
La prese per un polso, tirandola
a sé. I libri le caddero di mano e, prima che lei potesse lamentarsi, le
sigillò le labbra con le proprie. Racchiuse la sua nuca nel palmo, accarezzando
i riccioli che sbucavano dalla pelle accaldata. Angelique si alzò sulle punte
dei piedi e gli avvolse il viso con le proprie mani, prima di schiudere le
labbra e cercare la sua lingua.
Invase la sua bocca come
gli fosse sempre appartenuta, come aveva sognato per troppe, troppe notti,
prendendone possesso senza alcun timore di essere brusco. Le loro lingue si
accarezzarono, fameliche, rincorrendosi tra le infinitesimali esitazioni
dell’altro, perché qual bacio non finisse mai. Le sue mani cercarono i fianchi
della ragazza, risalirono la sua schiena e la avvicinò a sé, trattenendo la
voglia di stringere con tutta la propria forza il suo corpo, che reagiva sempre
raccogliendo le sfide e duplicando la posta in gioco. Infatti, lei lo spinse
contro il muro, inchiodandolo lì come una farfalla inerme sotto lo spillo.
Senza interrompere per un secondo il contatto tra le loro bocche, strusciò in
modo lento e deciso il proprio bacino contro il suo. La reazione del corpo di
James fu pressoché immediata. Sentì la propria erezione frapporsi tra loro con
una vivacità quasi comica, come a chiarire che sì lui era lì ed era prontissimo
per tutto il resto. Tra un bacio e l’altro sentì le labbra di Angelique modellarsi
in un sorriso beffardo per l’effetto che riusciva a scatenare in lui.
“Vediamo se tra qualche
minuto avrai ancora voglia di ridere.” Le sussurrò ad un orecchio, sentendola
tendersi contro di lui nell’attimo in cui si rese conto di che cosa stesse per
fare.
La avvolse insieme a sé
sotto il mantello e invertì le posizioni.
La sovrastava in altezza
di tutta la testa e forse anche più. Spesso ricorrere al proprio corpo era
l’unico modo che trovava per non lasciarle vedere quanto si sentisse esposto.
Angelique lo osservava da sotto le ciglia con una tale eccitazione che gli fu
piuttosto difficile mantenere la calma.
Si chinò sul suo collo,
baciando con delicatezza la sua pelle profumata. Con la mano sinistra le
afferrò il ginocchio e se lo portò sul fianco, così che l’orlo della gonna le
scivolò fino a scoprire la biancheria intima. Un fiotto di calore si riversò
nel suo ventre all’istante, aumentando la sua eccitazione.
“Jessy…” lo chiamò
cercando di divincolarsi dal suo abbraccio con scarsa convinzione.
Scostò il viso dal collo
per poterla guardare dritta negli occhi. Premette allora il proprio bacino
contro il suo, imitando il suo gesto di poco prima, e si mosse contro il cotone
chiaro delle sue mutandine. Gli occhi di Gigì si spalancarono, così come le sue
labbra, e trattenne il respiro. Gli occhi verdi guizzarono verso il corridoio,
osservando tutt’attorno attraverso il tessuto del Mantello dell’Invisibilità.
“Jessy, potrebbero
sentirci.” Gli sussurrò con voce roca.
“Allora dovrai essere
molto silenziosa.” E con la mano percorse l’interno coscia fino a raggiungere
il bordo della sua biancheria. Angelique chiuse gli occhi e posò la fronte
sulla sua spalla, mentre con le mani gli afferrava le braccia. L’accarezzò dapprima
attraverso il tessuto, fino a sentire che si inumidiva contro i suoi
polpastrelli e poi finalmente scostò l’ultima barriera che si frapponeva tra
loro. Lei, per trattenere i gemiti, affondò i denti nella sua spalla, ma quando
con piccoli tocchi le accarezzò il clitoride, un ansito le sfuggì e risuonò in
tutto lo spazio attorno a loro.
Con la destra andò a
coprirle la bocca, attutendo i rumori da lei prodotti, mentre con la sinistra
continuò la propria opera a cui dedicò ogni possibile attenzione. Dopo qualche
minuto, teneva tra le braccia la ragazza ancora scossa dai brividi.
“E comunque non mi hai
ancora detto che cosa ci fai qui.” Biascicò Gigì sollevando la testa dal suo
petto e guardandolo un po’ confusa.
James scoppiò a ridere e
le baciò la punta del naso.
“Mi hanno appena dato una
bella notizia e avevo voglia di vederti.” Confessò stringendosi nelle spalle.
“Ah sì? Che cosa è
successo?” una mano di Angelique risalì dalla sua guancia per intrufolarsi nei
capelli e accarezzarli.
“Hanno accettato la mia
domanda per un tirocinio alla Gringott quest’estate.” A quelle parole,
l’espressione di Gigì mutò del tutto. I suoi occhi si snebbiarono e diventarono
vigili. Raddrizzò le spalle allontanandosi dal suo petto per poterlo osservare
meglio in viso.
“E da quando vorresti
andare a lavorare alla Gringott, scusa?” chiese stupita.
“Beh, non in ufficio
chiaramente… Voglio seguire uno Spazzaincantesimi per qualche settimana e
capire se fa davvero per me. Ho sempre sognato di essere come zio Bill.”
Confessò lui sorridendo al ricordo delle foto dello zio da giovane.
“Ah ecco, questo mi
sembra decisamente più da te. Sai già dove ti manderanno?” chiese Gigì
sorridendogli.
“Potrebbe essere il Perù,
la Cambogia, la Germania, il Messico o l’Egitto, chi lo sa! Parto ad Agosto.”
“Quindi sarai alla Tana
solo a Luglio.”
Qualcosa nel suo modo di
sorridere non lo convinceva del tutto. Sembrava che non riuscisse a raggiungere
i suoi occhi per quanto si sforzasse di inclinare le labbra verso l’alto.
“Che c’è?” le domando
assottigliando lo sguardo
“Sono molto contenta per
te. Stavo solo pensando all’internato al San Mungo dell’anno prossimo, spero
davvero di farcela.” Angie si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo,
puntandolo verso i libri abbandonati per terra.
Mise l’indice sotto il
suo mento e glielo sollevò dolcemente, fino ad avere nuovamente contatto con i
suoi occhi.
“Ce la farai.” le disse
con sicurezza.
Angelique decise che
l’argomento era definitivamente chiuso e gli diede un bacio rapido, chiedendo
subito dopo:
“Non hai fame?”
“Oh non puoi nemmeno
immaginare quanta.” Ammise pensando a tutte le tipologie di fame che sentiva in
quel momento.
***
Normalmente gli esami di
fine anno mettevano tutti sotto pressione. Quell’anno invece sembrava che
l’isteria avesse preso possesso di quasi tutti gli studenti del quinto anno.
Scorpius, che dal canto
suo si sentiva solo un po’ più teso del solito, osservava esterrefatto i
compagni di scuola saltare pasti per avere un’ora in più per studiare, girare
per i corridoi parlando da soli, scoppiare a piangere senza motivo nel mezzo
dell’aula studio e comportarsi nei modi più assurdi sotto l’unica
giustificazione del “TRA DUE SETTIMANE INIZIANO I GUFO!”.
Era l’ultimo giorno di
lezioni del quinto anno e si respirava un’aria particolare. Scorpius non
avrebbe saputo esattamente come descriverlo, ma aveva la sensazione di essere
di fronte ad un finale, un cambiamento o un evento incontrollabile.
A seconda dei risultati
degli esami, l’anno successivo gli studenti sarebbero stati smistati in corsi
diversi, con la finalità di prepararli al meglio per la carriera che
desideravano intraprendere. Lui osservava i suoi amici, Angie e Al in
particolare, quelli con le idee più chiare sul proprio futuro e li invidiava.
Sì, perché lui, di che
cosa avrebbe voluto fare nel proprio futuro, non aveva la benché minima idea.
Negli anni precedenti si era limitato a vivere pensando che Hogwarts non
sarebbe mai finita, che ci sarebbe sempre stato un primo settembre al binario 9
¾, che ci sarebbe sempre stata una Sala Comune in cui chiacchierare con gli
amici, che ci sarebbe sempre stata la routine di lezioni, allenamenti e pasti
in Sala Grande. E invece si trovava di fronte alla realizzazione per la prima
volta in vita sua che tutta la quotidianità in cui si sentiva davvero a casa,
prima o poi sarebbe finita.
I GUFO erano dunque in
sintesi l’inizio della fine.
“Uno zellino per i tuoi
pensieri.”
La voce di Martha lo
riscosse. Si era imbambolato davanti ad uno scaffale della biblioteca.
“Guarda per questo genere
di pensieri direi meno di una falce.” Borbottò con tono cupo.
La O’Quinn si appoggiò
con una spalla al mobile di legno per osservarlo con un sopracciglio inarcato e
una vistosa espressione ironica in viso.
“Che c’è? La tua bella
Weasley ha preferito per l’ennesima volta un testo di Trasfigurazione a te?”
A quelle parole un sorriso
sornione prese vita sulle sue labbra e rispose reticente:
“Non direi proprio.”
Già, perché dopo quel
bacio improvviso in biblioteca, lui aveva chiesto a Rose di parlare e l’aveva
posta davanti ad una scelta. O frequentarsi come tutte le persone normali o
smettere del tutto di vedersi. Non ce la faceva più a rincorrerla, a non sapere
mai che cosa sarebbe passato per quel cervello brillante, che dall’oggi al
domani cambiava idea su di lui.
Era andato a
quell’appuntamento preparato all’evenienza più probabile e funesta, ovvero che
Rose gli dicesse che non aveva alcuna intenzione di uscire con lui, come per
altro aveva già detto in passato. E invece, dopo aver pronunciato con freddezza
quelle parole che gli riducevano lo stomaco ad una nocciolina, si era ritrovato
a fissare due occhi blu spalancati in un’espressione insolitamente timida.
“Scorpius, io non so come
si frequentino le persone normali… Non sono mai uscita con nessuno.” Aveva
sussurrato lei chinando la testa per l’imbarazzo.
L’aveva sorpreso ancora,
come sempre.
Aveva risposto in modo
immediato e assolutamente entusiasta, baciandola fino a perdere il fiato. Da
quel giorno avevano iniziato a uscire insieme e non poteva dirsi più felice di
così. Ma…
“Oh beh, ne sono proprio
felice. Qual è il problema dunque?”
“Mi sento senza un vero
progetto Martha. Vedo tutti voi che sapete perfettamente che cosa fare dopo
Hogwarts e l’unica cosa a cui riesco a pensare io è che non vorrei mai che
finisse.” Sperò che il tono non fosse petulante quanto i suoi pensieri.
“Tutti?! Forse vorrai
dire Angie e Al! Noi comuni mortali non sappiamo per nulla che cosa faremo tra
due anni. Beh, forse è abbastanza facile immaginare che Nana lavorerà con delle
creature pericolose e potenzialmente mortali, ma per il resto siamo tutti nella
stessa barca.” Martha alzò le spalle con noncuranza e si appoggiò allo scaffale
della libreria per poterlo guardare in volto.
“Oh… Io pensavo che
aveste tutti le idee molto più chiare delle mie.”
“Oh, io no di certo. E
poi se prenderai dei buoni voti ai GUFO, e non vedo perché non dovresti
riuscirci, potrai continuare a frequentare tutti i corsi che vorrai. Magari
scoprirai di voler fare ricerca nel mondo della Trasfigurazione frequentando il
corso avanzato di Cavendish! Hai ancora un sacco di tempo per trovare qualcosa
che ti appassioni davvero, che ti faccia capire di essere sulla strada giusta.”
“Ma quanta positività!
Pensi che sia dovuta ai numerosi orgasmi che Al ti procura?”
Non ebbe la prontezza di
schivare lo schiaffo sul coppino che lei gli rifilò.
“Non so quando sia
successo, ma sei diventato un vero impertinente Scorpius Hyperion Malfoy!”
Le sorrise chiedendole
silenziosamente scusa e lei roteò gli occhi al cielo. Scorpius rimase in
silenzio osservando i volumi impilati con ordine davanti a sé, poi riprese le
proprie confessioni:
“E poi non è solo una
questione di che cosa fare dopo… è come se percepissi il mondo attorno a me che
vortica impazzito verso un futuro di cui nessuno sa nulla, senza alcuna
attenzione per quello che succede ora. Non credi che sia molto più importante
sapere che cosa vuoi oggi, invece che continuare a domandarti come sarà la tua
vita tra cinque anni?!”
“Beh, per sapere che cosa
vuoi devi per forza guardarti dentro e a tante persone, compresi gli adulti,
questa cosa non piace per nulla. Per questo preferiscono vivere proiettati nel
futuro, è più facile. È lontano e pieno di possibilità mentre l’oggi a volte
sembra solo una trappola.” Martha a volte riusciva a elargire tanta saggezza
che lo lasciava spiazzato. Come poteva a sedici anni dirgli delle cose del
genere?!
“Per me è il contrario. A
me l’oggi piace, io sono a mio agio in questo mondo, vorrei che non finisse
mai. Come si fa a scegliere a quindici anni che cosa fare per il resto della
propria vita? Mi sembra assurdo.”
“Forse dovresti fare una
chiacchierata con Derek Schatten al riguardo, lui si che è un grande esperto di
scelte definitive decisamente precoci.”
Una smorfia di ripugnanza
prese vita sul suo viso senza che lui provasse minimamente a mitigarla.
“Piuttosto che parlare
con quel verme mi metto a studiare Antiche Rune con te.”
E in realtà fu quello che
fece per il resto del pomeriggio. Studiare accanto alla sua amica, senza
angosciarsi troppo per quello che sarebbe venuto dopo.
***
Dominique amava la bella
stagione. In generale considerava il clima inglese poco adatto a sé, autunni e
inverni troppo lunghi, troppa pioggia, freddo, il che si traduceva sempre in
vestiti troppo pesanti per i suoi gusti. Se doveva immaginarsi in un luogo
affine alla propria indole, pensava sempre al Sud della Francia, dove le estati
erano lente ad andarsene e le primavere precoci nei loro profumi e nel tepore. Tanto
più che l’estate era la sua stagione anche secondo l’armocromia!
Per il momento l’unica
cosa che trovava da rimproverare all’estate era il periodo degli esami di fine
anno. Pur non avendo una grande passione per lo studio, (per essere eufemistici),
era comunque costretta a ripassi e studi disperati, consapevole che poteva
capitare di non riuscire a copiare spudoratamente da Jimmy, anche se negli anni
passati erano sempre stati un’ottima squadra.
Dom, tuttavia, era
convinta che lo spirito necessitasse gratificazione, soprattutto in momenti
così frustranti come la preparazione degli esami. Per questo aveva organizzato
un pomeriggio di studio sulle rive del Lago Nero, al termine di quel folle anno
scolastico, in cui se n’erano viste di cotte e di crude.
Aveva invitato tutti i
propri cugini e i Serpeverde del quinto anno. La scelta degli inviti aveva
suscitato perplessità in un gruppo e nell’altro, ad eccezione di Angie e Albus
che così raramente vedevano vicini i loro due mondi. Ovviamente una delle
motivazioni che l’avevano spinta ad organizzare quel pic-nic di studio era
l’interesse accademico per le relazioni così intricate che scorrevano tra
quegli adolescenti innamorati. Dom voleva vederli insieme, tutti quanti, e
quella volta li avrebbe visti davvero perché aveva indossato le lenti a
contatto!
Aveva steso coperte
scozzesi a distanza di qualche metro l’una dall’altra, così che i vari gruppi
di studio non si sarebbero infastiditi a vicenda. Su ciascuna area di studio
aveva posizionato acqua, limonata fresca e biscotti. E ovviamente aveva
selezionato la zona del Lago dove l’ombra delle piante creava una piacevole
frescura. Come fosse riuscita a occupare un’area pari alle dimensioni di un
piccolo stato europeo nella parte di Parco più ambita dagli studenti disperati
e snervati dagli esami?! Semplice, lei era Dominique ed era divina, anche e soprattutto
quando si doveva organizzate qualcosa di assolutamente inutile ma estremamente
grazioso, come in un pic-nic a giugno.
“Dovresti farlo di lavoro.”
Jimmy, che portava tra le
braccia un cesto gigantesco, comparve sulla piazzola con sguardo ammirato per
la sua opera.
“Sarei maledettamente
brava, immaginati come potrebbe essere creare eventi per babbani e mascherare
la magia con gli effetti speciali!”
“Credo violi un paio di
leggi magiche questa cosa.” Esclamò lui inarcando vistosamente un sopracciglio.
“Goldy ti manda questo dalle cucine, da quanto pesa potrebbe esserci dentro un
mammuth a pezzi.”
“Che immagine disgustosa!
Goldy non mi farebbe mai una cosa del genere. Fammi vedere che cosa mi ha
preparato quella santa.”
Dentro il cesto si
celavano una quantità di spuntini dolci e salati da rendere giustizia alle
migliori tavole imbandite di Hogwarts. Dominique passò i successivi minuti a
dire a James che cosa mettere sui diversi plaid e quello obbedì senza
lamentele, consapevole che comunque il suo destino non sarebbe cambiato. Tra le
molte ragioni per cui amava Jimmy c’era anche la sua totale resa al potere
femminile della famiglia. In effetti lui ne era stato vittima anche in tenera
età, come dimenticarsi di Mr. Poppy…
“A che pensi?”
“All’episodio della
casetta sull’albero.” Confessò candidamente, osservando un lampo di panico
passare negli occhi di Jimmy. Lui, grande e grosso, con abilità magiche notevoli,
alla soglia della maggiore età che ancora se la faceva sotto al ricordo di che
cosa fosse successo quel pomeriggio di tanti anni prima. “Non preoccuparti
tesoro, prima o poi lo supererai.” Gli disse dandogli delle pacchette sulla
spalla per calmarlo.
La prima ad arrivare fu
insolitamente Leda, con al fianco l’inseparabile Lily. Da quando quelle due
avevano iniziato a condividere anche la stanza per dormire erano diventata
ancor più simbiotiche. Dom si chiedeva come avrebbe fatto l’anno successivo la piccola
Lara senza la sua coreggente, sarebbe stata come Angie senza Roxanne? Avrebbe
dovuto ricostruire la propria quotidianità senza la persona che costituiva il
fondamento delle sue sicurezze e del suo coraggio?
Pochi, osservandole,
avrebbero indovinato quanto si appoggiassero l’una all’altra, dato che in
apparenza entrambe risultavano spavalde, fiere, incrollabili. E invece si erano
affidate reciprocamente le proprie fragilità, perché fossero custodite e
protette dalla persona in cui avevano più fiducia, lasciando intravedere al
resto del mondo solo quello che volevano.
“Lucie, ma belle,
tu e Fred studierete con me e Jimmy oggi, va bene?” le disse pendendola a
braccetto e dirottandola verso la coperta dal lato opposto a quella dei ragazzi
del terzo anno.
Lucy grugnì qualcosa di
poco entusiasta.
Dominique non si stupì di
veder arrivare puntuali tutti gli invitati al pic-nic, quasi che non volessero
far brutta impressione. La rete formata dalle relazioni tra Grifondoro e
Serpeverde, tra parenti e amici, era un intricato mosaico pieno di sfumature e
spaccature che lei osservava con crescente interesse.
Il motivo per cui li
aveva invitati tutti quel pomeriggio non era solo condividere insieme un
pomeriggio di studio pre-esami. Dominique li voleva tutti insieme, in un
ambiente che non li mettesse sotto pressione, per creare finalmente la fusione
che aveva sempre sperato di vedere. Per orchestrare l’armonia che tutti si
meritavano alla fine di quell’anno che aveva stravolto le vite di ciascuno… a
parte Fred. Lui aveva come unica preoccupazione quella di deodorare le proprie
scarpe per non far svenire i suoi compagni di stanza.
“Dominique, ma è
bellissimo!” Martha O’Quinn, deliziata dal luogo, alzò il viso verso la luce
che filtrava dalle fronde degli alberi, strizzando gli occhi in un’espressione
buffa. Albus accanto a lei la osservava come uno a dieta da sei mesi che vede
un bignè al cioccolato.
Adorabili. Goffi e
adorabili, le piacevano un sacco quei due insieme.
Scorpius Malfoy, alle sue
spalle sostava, sul limitare della radura con i libri sottobraccio e lo sguardo
ostinatamente fisso sul Lago Nero. Resisteva stoicamente alla voglia di godersi
l’immagine di Rose a piedi scalzi sul plaid di tartan rosso, i cui capelli
erano infuocati dal sole estivo, concentrata a ignorarlo più che a leggere il
libro sulle sue ginocchia. Chissà chi aveva la testa più dura tra quei due?
“Oh guarda, c’è anche la
torta al cioccolato!” esclamò entusiasta Angelique mollando la tracolla
sull’erba e andando come prima cosa a tagliarsi una fetta di dolce. James a
distanza di qualche metro nascose un sorriso guardandosi le scarpe.
Dominique passò le ore
successive a far finta di ascoltare Jimmy ripetere il programma di
Trasfigurazione del sesto anno. Nel frattempo, si concesse l’analisi di ciascun
membro di quello strano gruppo come mai ne aveva avuto occasione prima.
Barrach e Zabini erano
stati la vera sorpresa della giornata. Non conoscendoli bene non si sarebbe mai
aspettata di provare tanta tenerezza e simpatia per quell’improbabile
accoppiata. Elena rispondeva all’interrogazione di Martha utilizzando le gambe
di Bertram come cuscino, lui d’altro canto non perdeva occasione per sfiorare i
suoi capelli con delicatezza o lanciarle un’occhiata di sbieco tra uno schema e
l’altro.
Di tanto in tanto uno dei
gruppi si interrompeva per qualche dubbio o per discutere sugli argomenti più
complessi. Quelli del gruppo vicino quando possibile partecipavano dando una
mano, così che nel corso del pomeriggio si videro migrazioni da una postazione
all’altra, a volte anche solo per rubare gli ultimi stuzzichini rimasti.
A fine giornata erano
tutti stanchi, ma Dom sentiva nell’aria la soddisfazione generale per quelle
ore passate all’aperto anziché tra gli scaffali polverosi della Biblioteca.
Solo Rose, Martha e Albus imperterriti continuavano a ripassare. Gli altri si
concedevano qualche minuto di pausa prima di rientrare al castello per cena.
Jimmy passeggiava avanti
e indietro sugli scogli davanti alle rive del Lago Nero, saltellando da una
roccia all’altra e rimanendo in equilibrio su un piede solo per gioco.
“Scommetto dieci falci
che cadi nel Lago.” Gli disse inducendolo ad alzare il viso verso di lei con un
sorriso di sfida. Per provocarla fece un balzo ancora più audace verso un masso
che si sporgeva verso le acque scure come la passerella di una nave.
A paio di metri da lei,
Angelique alzò lo sguardo dalla partita a tris che stava giocando con Elena e
lo guardò intensamente, pensando che tutti fossero assorti nel proprio ozio.
Fu questione di un
attimo.
Jimmy percepì i suoi
occhi su di sé, ricambiò l’occhiata a dir poco esplicita alzando la testa. Il
sole cambiò angolazione e illuminò il viso del ragazzo. Angie stupita inclinò
il capo sulla spalla.
“Ma i tuoi capelli hanno
una sfumatura rossiccia!” esclamò ad alta voce sorridendo, in un raro momento
di silenzio generale.
Tutti gli occhi dei
presenti si fissarono su di lei. Su di loro.
La faccia di Angie
assunse per qualche istante la medesima espressione di un carlino, una cosa
veramente esilarante. Jimmy nel panico, si mosse senza guardare dove metteva i
piedi.
E con un sonoro “splash”
cadde nel lago. Riemerse quasi subito, nel silenzio generale imbarazzato per
quella strana sequenza.
Poi Angelique scoppiò a
ridere.
Rise così forte che si
accasciò sulla coperta, tenendosi la pancia. Rise con tutta la sfacciataggine
di cui era capace, trascinando con sé anche gli altri.
Vide Martha mordersi le
labbra e osservare l’amica con gli occhi lucidi di emozione. Erano mesi che
nessuno sentiva Angelique ridere in quel modo. Sembrava un suono dimenticato,
sepolto sotto gli strati di dolore e perdita in cui erano rimaste intrappolate
così tante cose di lei. Invece sulle rive del Lago Scuro sbocciava finalmente
un altro ramo di rinascita di quella ragazza, capace di precipitare sul fondo
della propria anima e poi riemergerne molto più splendente, più fragile e più
umana.
“Ti stai divertendo vero?”
chiese Jimmy facendo leva con le braccia su una roccia e tirandosi fuori dal
Lago senza difficoltà.
Angelique rispose
sbellicandosi ancora di più. Fu così che, troppo indebolita dalla sua ilarità,
non riuscì a sfuggire. Jimmy corse verso di lei, grondante d’acqua, l’acchiappò
in un lampo, proprio mentre lei cercava di alzarsi. Se la caricò in spalle e in
men che non si dica si lanciò nel Lago Nero con lei.
A quel punto le risate
furono incontenibili per tutti. E fu un bene che ridessero, perché nessuno notò
che Angie e James ci misero parecchio a riemergere e che quando lo fecero i
loro volti erano praticamente incollati.
Angie e James rimasero
qualche minuto immersi nel Lago tentando di affogarsi a vicenda, mentre gli
occhi curiosi dei cugini e degli amici li seguivano.
Dominique sgranchì le
gambe e si lasciò andare sul prato per osservare il cielo attraverso le foglie
degli alberi.
L’estate era alle porte. Pochi
giorni dopo sarebbero iniziati i G.U.F.O. Lei avrebbe copiato senza alcun
ritegno. Il matrimonio di Vic e Teddy era già organizzato.
Tutto sarebbe andato
bene.
***
“Spiegatemi perché stiamo
rischiando di farci togliere un numero incalcolabile di punti proprio quando
siamo in testa alla Classifica delle Case?!”
“Perché è maledettamente
divertente!”
“Elena non urlare!”
“Mamma mia, come sei
noioso Scorpius…”
Indisciplinati. Tutti
quanti. L’unico che si salvava era Berty. Per il resto erano una manica di
babbuini indisciplinati come diceva la McGranitt!
Non si poteva nemmeno
organizzare una fuga illegale dai dormitori, che subito c’era chi si faceva
prendere dal panico, come Martha, o chi come Elena andava in contro al pericolo
a passo di danza.
Albus scambiò uno sguardo
con Angie la quale fece sbucare dalla manica la punta della bacchetta
all’istante:
“Le tolgo la voce?”
“No, finirebbe malissimo…
Ti ricordi quando Martha l’ha impastoiata a settembre durante Pozioni?! È
andata avanti mesi a lamentarsi.” Le rispose bisbigliando.
Un sorriso sbucò
all’angolo della sua bocca, seminascosta dal cappuccio del mantello. Angelique
fu la prima a sbucare nel corridoio e dopo qualche istante fece segno a tutti
quanti di avanzare.
Rapidi come topolini in
fuga, si infilarono uno ad uno nella porta che portava alla Torre di Astronomia,
Martha sempre borbottando sommessamente come una pentola di fagioli sul fuoco.
Al la prese per mano una
volta all’interno della Torre e le baciò il dorso, in un gesto di tenerezza che
di solito riservava alla loro intimità. Gli occhi marroni di Martha guizzarono
nei suoi, grandi, dolci come il cioccolato a cui tanto assomigliavano. Lesse
tra i suoi lineamenti, che avevano perso all’istante il turbamento per la
Classifica delle Case, il crescente desiderio che anche lui provava, viscerale
e profondo come un richiamo del sangue.
“Beh allora dove sono il
cibo e l’alcool?!”
Elena. Un folletto con
l’anima di uno schiacciasassi.
“Nana non sono convinto
che l’alcool ti faccia bene alle emicranie!” subito la faccia perplessa di
Berty fece capolino da dietro il telescopio con cui stava armeggiando.
“Sembrerebbe che nulla
faccia bene a queste maledette emicranie! Vivo perennemente sotto pozioni
antidolorifiche, sto diventando una drogata.” Gli si avvicinò sporgendo appena
il labbro inferiore in un moto di mestizia così palese, che persino un Troll
avrebbe capito la messa in scena. Ma non il povero Bertram. “Ti prego lasciami
bere almeno un’Acquaviola, piccola piccola.”
Quel povero ragazzo,
vittima inerme dei propri ormoni, guardò Elena con occhi confusi, combattuto
tra la ramanzina e la resa di fronte a quel broncio per lui adorabile.
“Bertram! Forza di
volontà, per le mutande di Merlino! O questa qui ti farà fesso per il resto dei
tuoi giorni.” Caustico come suo solito, Scorpius Malfoy intervenne prontamente
per scongiurare il cedimento delle difese del Prefetto Barrach.
Berty raddrizzò la
schiena e con sguardo risoluto, anche se sinceramente dispiaciuto si rivolse a
Elena:
“Mi dispiace, solo
Burrobirre per te stasera.”
Elena si sgonfiò come un
palloncino. Si prese una piccola vendetta passando casualmente accanto a Scorp
e rifilandogli un calcio negli stinchi.
“Oh scusa Scopius, è
tutto così buio qua su!”
“Nana malefica.”
“Babbeo imbalsamato.”
Angie bisbigliò un
incantesimo verso il soffitto, dalla sua bacchetta uscirono tante piccole fiammelle
che andarono a galleggiare sopra le loro teste e rischiarano la Torre di una
luce morbida e aranciata.
“Così nessuno si farà del
male. Vero, ragazzi?”
Entrambi masticarono tra
un mugugno e l’altro delle risposte poco convinte.
Quella strana gita di
mezzanotte era stata insospettabilmente orchestrata da niente di meno che
Bertram Barrach. Il giovane, eccellente studente di Astronomia, aveva
annunciato che quella notte si sarebbe verificato un evento più unico che raro,
e che non era proprio possibile perderselo a causa della posizione della loro
Sala Comune in fondo al Lago Nero. Così l’opzione più logica era stata quella
di evadere e prendere possesso della torre.
“Come mi piacerebbe avere
uno schermo da collegare al telescopio. Pazienza, ci accontenteremo di questo… Speculum
optices.” La bacchetta di Berty toccò l’ottone del telescopio e
immediatamente accanto ad esso si creò uno schermo olografico che rimandava
l’immagine della lente del telescopio.
Albus riconobbe con
qualche sforzo le stelle che componevano la costellazione del Saggitario,
perfettamente visibili in quel periodo dell’anno.
“Adesso ci vuoi
finalmente dire perché siamo qui?” chiese Angie andando a osservare lo schermo
da vicino.
Berty si raddrizzò e con
uno scintillio negli occhi iniziò a spiegare:
“Stasera nella Nebulosa
della Laguna, situata nella costellazione del Saggittario, come voi tutti
sapete bene…”
“Certo, chi mai potrebbe
dimenticarsene!” commentò irriverente Elena, guadagnandosi immediatamente un
acidissimo “Shhh!” da parte di Martha e Angie.
“Stavo dicendo che nella
Nebulosa Laguna questa sera passerà uno sciame di stelle comete. All’inizio
volevo solo mostrarvi lo sciame, poi mi sono chiesto… avranno mai visto com’è
una nebulosa vista dal telescopio Hubble?”
“Il che?” la faccia
perplessa di Scorpius rifletteva quelle analoghe di Nana, Octavius e Martha. Al
sorrise tra sé, pensando a quanto ancora fosse distante il Mondo Magico dalla
tecnologia babbana.
“Il telescopio Hubble è
un telescopio spaziale che i babbani hanno inventato per fare studi avanzati di
astrofisica, ma per ciò che interessa noi, è un telescopio in grado di
fotografare molto da vicino i fenomeni dell’universo, tra cui anche le
Nebulose.” Sul viso di Bertram si allargò un sorriso smagliante e con una lieve
rotazione del busto mormorò un incantesimo.
Lo schermo olografico
iniziò a tremolare e l’immagine subì una strana modifica, come se si
proiettasse in avanti ad una velocità folle, come nei film di fantascienza sui
viaggi interstellari che tanto piacevano a nonno Arthur. Si fermò dopo qualche
secondo per focalizzare una delle cose più incredibili che Albus avesse mai
visto.
Un “Ohhh.” Di meraviglia
collettivo accolse l’immagine reale della Nebulosa della Laguna.
Era una formazione
irregolare di polvere stellare, dai contorni quasi ovoidali, che disegnava
volute fantasiose e magnifiche sullo sfondo di migliaia di stelle. Le polveri e
i gas stellari in quella precisa nebulosa assumevano alla periferia le
colorazioni più vivaci tra il rosso e il rosa, con qualche spruzzata di azzurro
qua e là, mentre verso il cuore si rischiaravano fino al candore.
Albus sentì distintamente
una soggezione profonda davanti a quella meraviglia, gli sembrava che la
magnificenza dei colori e l’assoluta gratuità dello splendore della Nebulosa lo
spingessero verso una sottile inquietudine. Si sentiva minuscolo, privo di
significato, annichilito dallo spazio sterminato di quel gigante di luce.
“È la cosa più bella che
abbia mai visto.” La voce cavernosa di Octavius colse di sorpresa quasi tutti,
tranne Bertram che stava gongolando troppo per sorprendersi di alcunché.
Octavius guardava coi suoi occhi piccoli e scuri l’immagine della Nebulosa con
una meraviglia scintillante, come un bambino davanti alle sue prime luci di
Natale.
“Penso manchi ancora
qualche minuto al passaggio dello sciame.” Annunciò Berty mettendosi anche lui
di fronte allo schermo
Si sedettero tutti quanti
per terra, con le schiene appoggiate ai muri ricurvi della torre, ciascuno con
la propria Burrobirra in mano per solidarietà con la sobrietà forzata di Elena.
Le luci delle fiammelle
sul soffitto evocate da Angelique si affievolirono pian piano, fino a lasciare
come unica fonte luminosa lo schermo olografico, che gettava sui loro visi le
sfumature calde della Nebulosa. Chiacchieravano e ridevano nell’attesa, ma si
gustavano anche lunghi momenti di silenzio, consapevoli tutti quanti che quella
notte sulla Torre di Astronomia fosse un regalo prezioso.
Era la notte prima
dell’inizio dei GUFO.
Albus si sentiva percorso
da ondate di entusiasmo, di tensione e di nostalgia, come se già percepisse la
mancanza di quegli attimi che ai suoi occhi erano perfetti, che non sarebbero
più tornati, erano unici come i secondi che li scandivano, e per questo
inestimabili.
La sua spalla destra era
appoggiata a quella sinistra di Angelique. Un vento fresco scompigliava i
riccioli ramati di Martha e le accarezzava la pelle rosea. Ogni tanto Elena
interrompeva il silenzio con domande curiose sulle stelle. Le caviglie
incrociate di Scorpius rimandavano una tranquillità tradita dai suoi occhi
grigi, che tutto osservavano, due sfere di ardesia su cui il ragazzo incideva i
suoi ricordi. Le braccia di Berty avvolgevano con spontaneità il corpo esile di
Elena. Le esclamazioni stupite di Octavius accompagnavano le spiegazioni di
Bertram.
Non avrebbe saputo come
meglio descrivere la felicità, quella totalizzante, quella che mentre la vivi
ti rendi conto che è una grazia per cui vale la pena vivere. Quella che capita
poche volte.
“Eccole!” esclamò Angie
estasiata, indicando con l’indice lo schermo olografico.
Gli occhi di Al seguirono
il suo dito e dopo un istante anche lui vide sfrecciare una scia argentata,
veloce come un battito di ciglia, così rapida che gli venne il dubbio di non
averla vista. E dopo qualche secondo un’altra stella cadente, un’altra ancora e
ancora.
In pochi minuti il cielo
fu invaso da una pioggia di stelle cadenti, alcune talmente rapide da non
essere niente di più che linee sottili, altre più vicine di cui di poteva
distinguere il colore bruciante del corpo celeste che attraversava la Nebulosa.
Nessuno di loro sapeva
che cosa sarebbe successo l’indomani, quali domande sarebbero state loro poste
al primo scritto di Incantesimi, quante lezioni avrebbero frequentato insieme
l’anno successivo, quali strade avrebbero imboccato dopo la scuola.
Sapevano però che si
avevano a vicenda. Si appartenevano e questo rendeva sopportabile qualunque
incognita futura.
***
Il primo giorno di esami
ministeriali è solitamente un momento di grande fermento. I ragazzi sono molto
concentrati e molto disperati, i professori d’altra parte sono desiderosi che
facciano una buona impressione agli esaminatori. Così che la Sala Gande somiglia
ogni anno a un grande formicaio in quei giorni di giugno.
Tuttavia, in quel
particolare anno, successe un fatto che negli anni successivi divenne quasi
leggenda.
Si racconta che al
risveglio nella Sala Comune di Corvonero mancassero dai propri letti tutti i
giovani del terzo anno. Data l’aggressione subita da Elena Zabini qualche mese
prima, la preoccupazione salì vertiginosamente tra gli studenti. Venne
contattato immediatamente il Direttore della Casa, il vecchio Vitious, che
diede il via alle ricerche con grande zelo.
La ricerca ebbe in realtà
un esito molto rapido e fausto. In breve, i ragazzi vennero ritrovati sani e
salvi, perfettamente ancorati alle pareti millenarie della Sala d’Ingresso.
I giovani Corvonero
invocavano disperati aiuto a parecchi metri da terra. I professori si
adoperarono per cercare di risolvere la situazione prima dell’arrivo degli
esaminatori del Ministero, inutilmente, perché sembrava che si trattasse
proprio di un Incantesimo di Adesione Permanente fatto ad arte.
I quattro, appesi come
spaventapasseri, affermavano tra le lacrime di non sapere come fossero finiti
lì, ricordavano solo di essersi coricati la sera prima e poi al loro risveglio
di essersi ritrovati in quella posizione.
I più anziani ricordavano
gli anni in cui Roxanne Weasley era stata una studentessa di quella scuola, e
come nell’omertà generale i suoi nemici finissero a più riprese incollati per
le mutande alle pareti della Sala d’Ingresso, a monito di tutti quelli che
avessero osato sfidarla.
Ancora meno erano gli
studenti che rammentavano che dovunque La Weasley incedesse col suo passo da
generale, si poteva trovare accanto una ragazzina dai voluminosi ricci biondi e
lo sguardo affilato.
Angelique sembrava molto
rilassata e soddisfatta quella prima mattina di esami. Aveva un po’ di
occhiaie, imputabili forse allo studio e allo stress, ma in generale tutte le
sue movenze rimandavano una calma profonda, che sapeva tanto di vittoria.
James l’aveva vista
immediatamente varcando la Sala Grande, dove pochissimi studenti si stavano
godendo la colazione, poiché la stragrande maggioranza assisteva alle
operazioni di salvataggio nella stanza adiacente. Si avvicinò al tavolo di
Serpeverde dove Angie faceva colazione con Martha e Nana.
Lei sentendo i suoi passi
alzò il viso e lo guardò avvicinarsi.
Quando se la trovò
davanti inarcò vistosamente un sopracciglio.
“Gigì?” le chiese
perfettamente consapevole che nessuna domanda avesse bisogno di essere
formulata davanti a una firma così spudorata delle sue azioni.
Lei in risposta inclinò
il capo sulla spalla e gli rivolse un sorriso smagliante:
“Jessy?!”
Aveva anche usato l’Oblivion
su quei quattro sciagurati. Ne era certo.
Scosse sconsolato la
testa e sorrise anche lui.
“Falli secchi oggi.” Le
disse prima di voltarsi. Il sorriso di Angie si ridimensionò parecchio, per
diventare più contenuto e determinato.
Dirigendosi verso il
tavolo della propria Casa, James vide Lucy e Lily accasciate sui tavoli in
pieno delirio da sonno, mentre Rose con gli appunti in mano tentava di sospingere
caffè e toast verso di loro. Dom aveva dei cetrioli appoggiati sugli occhi e il
volto rivolto verso il soffitto.
Ovviamente per quanto
fosse talentuosa, Gigì non avrebbe mai agito da sola… E dopotutto quello non
era forse il marchio di famiglia, come diceva sempre Roxanne?
Si sedette accanto a
Dominique e aprì il libro di Difesa Contro le Arti Oscure. Lei gli fece una
carezza sul polso come saluto e non si mosse di un millimetro per non far
cadere le fette di cetriolo.
Mentre si versava il
caffè vide entrare Tristan e Hugo. Il primo guardò insistentemente verso il
tavolo di Serpeverde con una gratitudine che non gli aveva mai visto esprime
prima. Sua sorella sorrise e gli fece l’occhiolino.
Quando arrivarono i
ministeriali i giovani Corvonero erano stati rimossi dalle pareti, come tutti
quelli a cui era toccata la stessa sorte, lasciando cioè sui muri i propri
vestiti e la propria biancheria intima.
Per molti anni a venire
si raccontò di quella esaminatrice che, osservando basita il muro su cui
campeggiavano gli indumenti, chiese alla Preside di che cosa si trattasse. La
Mcgranitt con la faccia di bronzo più colossale della storia rispose che fosse
un’installazione di arte moderna.
E così ebbero inizio gli
esami di fine anno.
Note dell’Autrice:
Eccomi di ritorno dopo un
anno, come sempre non so nemmeno se qualcuno segua più questa storia, nel caso
fosse così qui c’è un nuovo capitolo per voi!
Vorrei fare qualche
precisazione sul fenomeno astronomico che ho descritto in questo capitolo: non
esiste alcuna veridicità scientifica nella pioggia di comete dentro una
Nebulosa! Le stelle cadente sono visibili in quanto corpi celesti che si
disgregano passando nell’atmosfera della Terra. Non ho idea di che densità o
composizione chimica ci sia nella Nebulosa della Laguna, mi sono solo
immaginata il passaggio di tanti meteoriti in un panorama così incredibile.
Spero mi perdoniate la “licenza fisica” che mi sono presa 😊.
Questo è volutamente un
capitolo più leggero di quelli precedenti, anche se ho cercato di ricordarmi le
sensazioni provate nelle mie notti prima degli esami, sia della maturità sia
universitari, i dubbi sul futuro, la sensazione di possibilità infinite che si
aprono davanti a te, le paure… Spero di essere riuscita a trasmettervele.
Un immenso grazie come
sempre a: cescapadfoot, RTT, _Lunablack, leo99, carpethisdiem_, Shedir_,
Cinthia988, cassidri e Manzcan, per aver commentato lo scorso capitolo
e avermi fatto sapere che cosa ne pensavano.
Grazie a chiunque abbia
letto anche questo capitolo.
Vi mando un abbraccio.
Bluelectra
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