Per Davide

di Irene Leg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Partenza ***
Capitolo 2: *** Vicini ***
Capitolo 3: *** Aereo ***
Capitolo 4: *** Fine. ***



Capitolo 1
*** Partenza ***


E ma così appena atterrato a Malpensa ancora portava tutti i segni di quelle che erano state settimane particolari. Era sceso dalla scaletta in carbonio con le targhette catarifrangenti al centro degli scalini e si era incamminato verso il nastro trasportatore dei bagagli. Aveva aspettato in piedi nell’anticamera dell’aeroporto; la tramontana della sera si infiltrava per le larghe finestre lasciate socchiuse in alto, e accanto a lui aspettava una famiglia di sudamericani con in spalle e affianco talmente tanti bagagli che sembrava impossibile a Davide, semplicemente impossibile che ne stessero aspettando altri – eppure il gruppetto era silenzioso e con i visi puntati in avanti, attento, come se gli oggetti potessero scappargli se si fossero distratti un secondo. E ma Davide rimane come paralizzato per tutta l’attesa, la mente che girovaga per le settimane di palme e caldo e la villa dove è stato filmato dieci ore al giorno, (gran parte del materiale eliminato perché semplicemente noioso) e non sa cosa pensare. Quella che gli sembra la madre sta tipo pettinando una bambina che tiene in braccio, e i capelli che ha sono a malapena un’ombra sul cranio, e per quanto piccola e inerme ha anche lei uno zaino ancora più piccolo sulle spalle, che non può trasportare più di un astuccio scolastico, riflette Davide, e la madre la pettina con calma ma gettando di continuo occhiate nervose al nastro trasportatore. Un uomo sta parlando rumorosamente al telefono di questioni di lavoro; dice che ha dovuto rifare tutta la spedizione perché avevano sbagliato indirizzo – cioè renditi conto, questi non sanno neanche dove stanno loro – loro eh, non altri – loro – e la sua voce è un mescolio di lamentele acute e ringhi nervosi, e il tutto è terribilmente spiacevole da ascoltare controvoglia. E così poi finalmente c’è un breve tonfo che è il rumore delle liste di plastica spessa che hanno sputato il primo bagaglio e hanno picchiato, cadendo, contro il nastro di resina poliestere, e stanno già iniziando a gonfiarsi per poter sputare il secondo, e mentalmente Davide tira un sospiro di sollievo. Quando aveva deciso di partecipare a Naked Truths aveva dovuto combattere brevemente con il suo monologo interiore, che contestava – Davide ne riconosce la precisione e correttezza argomentativa di fondo – che non era quel genere di persona, e ma che dopotutto che genere di persona era quella che partecipava a programmi così. Però adesso aveva un agente, seppure ne era cliente part-time, e l’agente aveva detto che si era poco meno che messo in ginocchio a praticare atti indicibili (e riferiti con una punta non esattamente velata di omofobia) per trovargli quell’occasione, e che se Davide non aveva intenzione di accettarla ci sarebbero state Ripercussioni Molto Serie Per Davvero. Il suo agente era un uomo largo e ben piazzato, con un viso dall’aspetto canino, nella sua strettezza, ed era la prima volta che Davide lo sentiva riferirsi a se stesso in un contesto di attività omosessuale – seppure descritta come disgustosa – e si era trovato a domandarsi se non stesse cercando di dirgli qualcosa, il subconscio dell’uomo, sotto sotto. E ma così aveva fatto la valigia e c’era andato, non poteva fare altro, e alla fine pagavano davvero bene. La cosa che lo meravigliava di più erano i dati dell’ascolto della puntata media. No, anzi, la cosa che lo meravigliava di più era vedere come questi dati non si modificassero nemmeno durante le generose pause pubblicità. No, anzi ancora, la cosa che veramente lo meravigliava, di tutta la situazione, era tipo che le clip tratte dal programma finivano in rete, e avevano anche lì numeri pantagruelici di visualizzazioni, e c’era un genuino e profondo senso comunitario di commozione, rabbia, frustrazione, gioia e paura, attorno ai video stessi – ecco, quella era la cosa che lo meravigliava di più in assoluto – vale a dire che nessuno o quasi sembrava seguire il programma per riderne, come aveva sempre creduto fino a quel momento. La cosa aveva stupito il vecchio Davide, che come ogni prototipico ingegnere iperspecializzato rigiratosi a youtuber di roba tecnologica (anche se ora erano più vlog sulla sua vita personale, a essere del tutto interamente sinceri, Vostro Onore), faceva semplicemente fatica a concepire quanto fosse profonda la tana del bianconiglio. E ma così la realizzazione l’aveva frastornato – che poi era avvenuta appena prima di quel momento, vedendo per la prima volta le puntate uscite come spettatore, invece che protagonista. La domanda che più frequentemente gli chiedevano, nei commenti delle puntate, era se avesse veramente fatto quello che sembrava avesse fatto con la conduttrice di programmi di cucina di prima mattina, Federica P., e la risposta era sì, anche se non nel programma. La verità era che sì, si erano veramente appartati per consumare in assoluta riservatezza – lui fidanzato, lei sposata – e ma la produzione era venuta in qualche modo a saperlo comunque, e così erano stati praticamente ricattati e costretti a mettere su la messinscena. Davide si era lasciato convincere facilmente, progettando una sorta di doppio bluff – cioè che se tradiva apertamente, pubblicamente sulla televisione nazionale, sarebbe stato semplicissimo far credere a tutti quelli che conosceva che si trattava solo di una finta televisiva. E Federica era ugualmente d’accordo. Così ora in piedi sul pavimento di linoleum verde acqua dell’aeroporto di Malpensa, sotto le luci fluorescenti dei led al tramonto, Davide pensa alla sensazione aliena di stringere il seno rifatto di Federica P.; come il silicone abbia un modo di piegarsi differente dalla carne, che non saprebbe descrivere bene. Federica P. aveva larghe labbra rosse che tendevano a curvare leggermente verso il basso, e non sorrideva mai, nemmeno nei momenti di intimità maggiore, e Davide le aveva chiesto più di una volta se era per evitare le rughe, non avendo creduto ai vari no, fintanto che la settima sera la donna aveva ceduto e le era venuto un vero e proprio attacco di panico silenzioso, e gonfiava e sgonfiava i polmoni aritmicamente, e aveva lo sguardo piantato per terra, e poi tra singhiozzi e lunghe pause in cui semplicemente riprendeva a guardare a terra, come dovesse aspettare di aver caricato un file per poter ricominciare a parlare, aveva confessato a Davide di aver dovuto fare cose orribili, semplicemente orribili, per essere lì dove era, con la televisione e i cinepanettoni e tutto il resto, e Davide aveva pensato che era la seconda volta che veniva a sapere di una storia simile a distanza di pochi giorni, e la situazione l’avrebbe fatto anche ridere, se non fosse che Federica P. aveva continuato a parlare, e ora stava dicendo che non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a suo marito, e se lui forse sospettava qualcosa o lo sapeva, comunque facevano entrambi finta di niente – e lui si era sempre mostrato più che comprensivo e gentile e generoso, e vederlo sempre così aperto e disposto, in contrasto a come lei gli nascondeva le cose, la metteva a disagio, sì, a disagio era un eufemismo – e si sentiva uno schifo per quello che stava facendo, e sentendosi uno schifo non voleva smettere, perché il tempo fa dimenticare, gli aveva ripetuto cinque o sei volte, a Davide – il tempo fa dimenticare e allora sembra che vada tutto bene, ma non va tutto bene, non va bene per niente – e così continuava e continuava, per rinnovare continuamente come si sentiva, e ora lo stava dicendo anche a lui, a Davide, dopo che si erano appartati e Davide le aveva baciato i capelli su un largo telo da spiaggia blu, con dentro ricami di un blu leggermente più scuro a sei centimetri dai bordi, all’ombra inutile nella notte di due palme curve, leggermente prima di dove alloggiava la crew per le riprese, e lontano dalla vista di tutti. O almeno così aveva creduto. Federica P. baciava male, si era trovato a pensare. Aveva un modo quasi animalesco di accoppiarsi, un animale da guardia che scandaglia e protegge il territorio appena conquistato.
 
Davide è seduto nella penultima fila sul pullman che dall’aeroporto porta in Centrale a Milano; l’ultima fila prima di quella unita con i cinque posti attaccati, dove al liceo finivano sempre i ragazzi più popolari. È notte fonda e all’interno quasi tutte le luci sul bordo esterno dello scompartimento per i bagagli sono rotte, e ogni volta che qualcuno accende un cellulare gli occhi si strabuzzano come quelli delle falene. Sembra quasi un’avventura, il viaggio nel mezzo della notte, e Davide lo pensa anche se non vorrebbe. Vorrebbe ci fosse più gravitas in tutta la situazione, con la cosa che sta tornando a casa e per di più la sua compagna si chiama Federica anche lei, combinazione, e vorrebbe sentirsi peggio, ma la verità è che non si sente male per niente, tipo. Tipo sente solo un vuoto che richiama costantemente la sua attenzione, e se non riesce a pensare ad altro,
di fatto non sta nemmeno pensando realmente a quello. Sta pensando brevemente che Federica P. manifestava a voce un entusiasmo comandato e fuori misura, che Davide pur non avendo grossi problemi di autostima riconosce non poteva essere lui a causare. Il che più che galvanizzarlo o incoraggiarlo lo portava a chiedersi quanta parte sottostante ci fosse di reale e quanto stava completamente fingendo, e se fingeva quasi o tutto, come sembrava, perché si ostinava allora a rimanere lì, senza particolari pressioni fisiche o psicologiche per restarci. E così il tutto era più che una distrazione un vero test, biologicamente parlando: mantenere un’erezione mentre la tua mente corre fra mille scenari paranoici differenti sul perché la persona di fronte a te sta manifestando entusiasmo per quello che state facendo, ma lo sta facendo in un modo così palesemente plastico che non può che stare cercando di mandarti un messaggio – e allora perché non riesci a coglierlo, sei diventato improvvisamente stupido? – senonché non c’è nessun messaggio che dato il contesto dovrebbe cercare di mandarti, e quindi il ciclo si ripete, e così via. Davide si domanda brevemente perché l’abbiano rifatto, la sera successiva, dopo la prima volta in cui lui aveva combattuto con se stesso per riuscire a funzionare, biologicamente parlando, e Federica aveva dimostrato chiaramente di stare partecipando solo pro forma. Eppure l’avevano rifatto la sera dopo, e la successiva, e le ultime due fino alla fine del programma, entrambi come consapevoli che smettendo avrebbero dovuto ammettere a se stessi qualcosa di peggiore del rituale in sé.
 
Davide apre la porta di casa, il quarto piano di una casa in zona Isola; le basi dell’edificio sono spesse e squadrate, come un’armatura per il resto della struttura. E ma nonostante faccia di tutto per non causare rumore, Federica si sveglia un secondo dopo. Davide la vede arrivare dal lato opposto del corridoio. Cammina decisa, il viso è disteso ma serio. Federica lo guarda in silenzio, aspettando che sia lui a iniziare a parlare. L’argomento è scontato per entrambi. La televisione era stata piuttosto esaustiva. Ma Davide rimane in silenzio.
“Allora?” chiede Federica.
Davide scorre mentalmente il monologo che ha preparato. Si sarebbe messo a ridere, e avrebbe detto: ma quello? Davvero ci hai creduto? E poi avrebbe riso di nuovo. Ah ecco, avrebbe detto Federica, lo sapevo che era tutto finto, e sarebbe finita lì. Tutti i pensieri che aveva avuto fino a quel momento si sarebbero dissipati, sciolti dalla consapevolezza che Davide non avrebbe mai potuto farle quello che sembrava avesse fatto. E forse l’avrebbe trovato anche attraente: il mondo convinto di un tradimento, e lui invece segretamente, profondamente innamorato – avrebbe immaginato Davide disgustato da quello che la televisione lo costringeva a fare, perché così perso di lei. Sarebbe stato il loro segreto, da soli contro il mondo. Sarebbero andati a letto assieme, e Federica gli avrebbe passato una mano sul petto, come faceva spesso, e gli avrebbe detto e che ne diresti invece di fare sul serio, adesso. Davide prende tempo, per rispondere, e si ripete mentalmente la scena. Se la ripete un centinaio di volte, e alla fine dice: “mi dispiace.”
Federica aspetta qualche secondo. Sente che Davide sta per aggiungere altro: qualcosa che spieghi, qualcosa che giustifichi. Ma Davide è fermo e immobile, si è solo tolto la giacca e l’ha poggiata sui ganci al muro vicino all’ingresso.
“Hai idea di cosa significhi questo per me? Perché l’hai fatto?” chiede Federica, e la sua voce non è nemmeno alterata; si sta confrontando con qualcosa di talmente enorme e incomprensibile che non riesce a prendere una posizione a riguardo.
“Non lo so” risponde Davide, ed è vero. Federica non sa come reagire.
“Ora vorrei andare a letto, però. È tardi e sono molto stanco” dice Davide, e anche questo è vero. Federica è bombardata da tante piccole scintille di pensieri. E ma per quanto l’immagine di Federica P. sotto accusa da tutti per quello che aveva fatto, e il tentativo di difendersi agitando le braccia e parlando forte (e sopra gli altri ospiti in studio) le avesse lasciato un senso amaro di noia disgustata, quando l’aveva seguita in diretta, ora la rivede, e nella sua mente non c’è più nulla di quello che rendeva la situazione patetica e televisiva e trash, e c’è solo il confronto fra una persona e le conseguenze delle sue azioni. Davide è a letto, dorme sereno. Non è andato in bagno – non si è quasi spogliato.
 
La mattina dopo la discussione ricomincia. È uno strano miscuglio di toni, con Federica che insiste a cercare di capire cosa possa aver mai convinto Davide a farle una cosa del genere, e Davide che sinceramente non sa cosa dire che non sia terribilmente offensivo – à la sinceramente non mi interessava più niente di te e l’idea di tradirti in diretta televisiva non mi ha turbato per un singolo secondo – e Federica parla sempre con i palmi delle mani rivolti verso l’alto, e mentre parla Davide pensa a come la ragazza citi spessissimo il suo paesino del cazzo nelle Marche, come quando non è fisicamente lì ricordi sempre a tutti come le manca, e come parli sempre di sua madre (mia madre ha detto questo e mia madre pensa questo), e in quel momento, in cui dovrebbe provare empatia e pietà e negare e costruire una realtà migliore di quella che esiste, non ce la fa – e allora continua a ripetere la stessa cosa – cioè che l’ha fatto perché l’ha fatto, e non ci sono altri motivi – e Federica gli ricorda che sarebbero dovuti tornare a vivere assieme nelle Marche, che avevano già visto la casa, e che questo non può essere vero e non può stare succedendo veramente; che è tutto così improvviso e assurdo. Davide risponde che è semplicemente così, che la ragazza però può restare tutto il tempo che le serve. Federica ha il viso rosso e piange. Sono ancora sdraiati a letto; sono le sei e un quarto di domenica mattina.  “È per qualcosa che ho fatto?” chiede Federica. “Non sei tu, sono io” risponde Davide, e il peso della frase fatta cala su entrambi, schiacciandoli contro i cuscini e lo schienale del letto. Federica lo guarda. Davide si è tirato su e la fissa con aria seria. Federica si sporge in avanti e cerca di baciarlo, ma Davide si scosta, e la ragazza rimane paralizzata stringendo il lenzuolo azzurro fra le mani e rendendosi conto che ha appena cercato di baciarlo e quanto è triste e patetico tutto questo. Davide si alza e va in cucina. Infila una tazza di latte nel microonde. Si siede al tavolo di simil-legno. Quando estrae il latte dal microonde gli appare. La ragazza si è vestita e ha in mano una piccola valigia. “Torno a prendere il resto domani” dice fra i singhiozzi. “Hai le chiavi” risponde Davide, e abbozza un sorriso, che sopprime subito dopo.

[fine Capitolo 1]
 

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Capitolo 2
*** Vicini ***


Davide è appoggiato alla ringhiera interna del palazzo. Fuma piano, guardando pigramente il cortile interno. Sono le otto meno un quarto di domenica mattina. L’appartamento alla destra del loro è stato sfitto un paio di settimane, e il nuovo coinquilino si deve essere trasferito mentre Davide era via. C’è già il sole, fuori, ma le luci della casa sono ancora accese. Davide pensa che dovrebbe andare a presentarsi. Non ha alcuna voglia di parlare con i vicini, ma parte integrante del suo lavoro è urlare o quasi a una telecamera, svariate ore al giorno, e il minimo che può fare è avvisare del rumore, e capire quali siano le ore migliori per streammare. Davide pensa che la casa nelle Marche che avevano visto era una villetta monofamiliare – villetta un termine eccessivamente nobile per il piccolo edificio – dove avrebbe potuto fare tutto il rumore che voleva, e bestemmia fra sé e sé. Si avvicina alla porta e dà un colpetto al campanello. Nessuna risposta. Aspetta qualche secondo. Ancora niente. Se ne torna indietro, si appoggia alla ringhiera e riprende a fumare. Mentre espira la prima boccata la porta si apre di scatto.
“Ti sei messo in posa per impressionarmi?” chiede una voce giovane. Davide realizza di essere piegato in avanti sulla ringhiera, la nuvola di fumo ancora visibile di fronte al suo viso.
“Guarda che il protagonista da romanzo esistenziale con sigaretta e dolore sopito è passato di moda” lo provoca la voce.
“A parte che è uno svapo, ma-“ comincia l’uomo, e subito dopo si ferma, realizzando che non deve giustificarsi.
“Pensavo fossi uscita e avessi lasciato le luci accese in casa. Ti presenti sempre così?” domanda Davide, finalmente girandosi a guardare chi gli sta parlando. La vicina di casa è una donna poco più giovane dei trenta, in infradito shorts e maglietta da basket del colore dei palloni. È bionda e ha lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo. Ha gli zigomi pronunciati e le gote arrossate; sembra sudata.
“Comunque non mi sono presentato, Davide.”
“Lo so” sorride la ragazza. “Ti ho visto in tv.”
“Ah. Be’ inutile dire che tutto quello che hai visto era finto.”
“Cioè?”
“Le… le cose che sono successe.”
“Sembra lunga da raccontare, vuoi un caffè?” chiede la ragazza, indicando dentro casa sua con un sorriso. Davide esita per un secondo. “Puoi fumare anche dentro” dice la vicina, mettendosi a ridere.
“Immagino di non avere una buona scusa per rifiutarmi.”
“Esatto. Comunque mi chiamo Asia.”
“Davide. Ma forse l’ho già detto.”
 
L’appartamento è strano – l’unico modo in cui Davide riesca a descriverlo. L’ingresso è tappezzato di poster di Marina Abramovich a Bologna, primi piani delle diverse arie sbigottite dei passanti che si strisciano addosso al suo corpo nudo per poter passare. C’è un comodino di legno su cui sono poggiate le chiavi. Davide passa per un corridoio stretto, e sbirciando le stanze a destra riesce a intravedere solo un basso poggiato a uno stand a treppiede in una camera. La cucina e la sala sono una stanza unica. I mobili sono una vecchia linea Scavolini. La sala ha due divani blu che si guardano fra loro. Al posto dove normalmente sarebbe presente la televisione c’è invece un mobile di legno squadrato, come una delle casette degli orologi a cucù dei cartoni animati. Una ventina di rotoli di carta, chiusi con elastici, sono poggiati alla parete sinistra.
“Siediti pure. Mi stavi dicendo del programma?”
“Sai fa strano incontrare persone che l’hanno visto. Dal vivo, intendo.”
“Lo so bene. Anche io quando incontro qualche fan non so mai che dirgli.”
“Ah, che cosa fai?” domanda Davide. La ragazza sorride e indica i rotoli contro il muro.
“Performance art.”
“Di lavoro, intendo?”
“Tu non fai lo youtuber, scusa?”
“Vedo che ti sei preparata.”
“E non ti ha insegnato a non fare mai quella domanda?”
“Point taken” risponde Davide, mettendosi a ridere. Asia ha acceso la caffettiera e messo su il caffè. Davide è sul divano destro. La ragazza si va a sedere al centro fra i due divani, dove Davide nota per la prima volta un tappetino di gomma blu scuro. Incrocia le gambe, poggia le mani sulle ginocchia e inspira profondamente, chiudendo gli occhi. Davida non sa cosa aspettarsi, mentre fissa la donna iniziare a mormorare parole in una lingua che non riconosce. Teme quasi che inizierà a galleggiare nell’aria da un momento all’altro. Da dove è seduto vede la maglietta larga di Asia afflosciarsi in avanti, e sbircia per un secondo, prima di riprendersi da solo. Asia continua a sussurrare, e il caffè sembra non prepararsi mai, senonché si interrompe a un certo punto, per chiedere a Davide cosa avesse iniziato a dire sul programma, e appena il ragazzo fa per rispondere ha già ripreso il suo bisbiglio.
“Sì… be’… avrai visto la situazione con, be’…”
“Federica?”
“Ecco. Abbiamo dovuto fingere, per la televisione, sai.”
“Sì?”
“Il bacio che hai visto nella sei era ovviamente vero, ma per il resto è stato tutto inventato.”
“Non l’avrei mai detto, sembravate avere un sacco di chimica.”
“Ma figurati, poi è sposata, ci mancherebbe altro.”
“Tu invece niente?”
Davide esita per un attimo. Asia sussurra. La caffettiera soffia piano, nella distanza.
“Scusa, era una domanda spinosa?”
“No, no… è che… è che non capisco cosa stai facendo esattamente. Preghi? Mediti? Qualcosa del genere?”
“Quindi per te non c’erano problemi?”
“Se andava bene a Federica andava bene anche a me.”
La caffettiera soffia ora più forte, e Davide se ne accorge. Si alza per spegnere i fornelli, e quando arriva alle manopole Asia l’ha raggiunto. Uno affianco all’altro si rende conto di quanto sia alta la donna: si guardano negli occhi senza dover praticamente inclinare la testa. Asia ha iridi nocciola e incisivi e canini sporgenti. Porta una linea sottile di eyeliner e ha dipinto le unghie delle mani di verde acqua. Il caffè che ha preparato viene da una busta senza scritto praticamente niente sopra. Asia sostiene che si tratti di una miscela equosolidale proveniente dal Ghana, e che tutti i profitti vanno ad aiutare le famiglie degli agricoltori.
“Me lo porta la mia amica Mel un paio di volte l’anno, quando torna da Boston” dice Asia. Davide annuisce e beve muovendo leggermente le labbra, per dare l’impressione di stare degustando. Trova che il liquido abbia un sapore pessimo.
“Ora che ci penso non mi hai detto perché avevi suonato” dice a un certo punto Asia mentre sono seduti al tavolo a bere. Davide comincia a spiegare il suo problema con i vicini.
“Ah non credo sarà un problema, anche io sono spesso rumorosa.”
“Temo che i due negativi non si cancellino a vicenda” risponde Davide mettendosi a ridere, ma sperando che la risposta venga presa sul serio.
“Be’ io faccio rumore principalmente di notte” dice Asia scoppiando a ridere a sua volta. Davide è preso in contropiede e non sa bene cosa rispondere.
“A proposito, questa sera organizziamo qualcosa qua con un paio di miei amici, vuoi unirti?”
“Io… immagino di non avere niente in contrario.”
“Sei sempre così riconoscente?”
“Scusa, non me l’aspettavo.”
Asia gli sorride.
“E quindi come ci si sente a stare in tv?” gli chiede poco dopo.
 
Davide trascorre buona parte della giornata a piegare vestiti dall’armadio di Federica e sistemarli in una valigia rettangolare di stoffa verde scuro. La donna aveva l’abitudine di ricacciare gli abiti disordinatamente nell’armadio, in sostituzione della pila sulla sedia che spesso si forma. Davide non è capace di piegare le camice; il metodo gli è stato piegato mille volte ma comunque gli escono tutte diverse: alcune con le maniche a penzoloni, altre troppo strette nella parte superiore, un paio piegate perfettamente seguite da una fila di ammassi. Una ha il colletto coperto da una manica, non si capacita nemmeno lui di come ci sia riuscito. Davide lavora lentamente, prendendosi pause più lunghe dei periodi in cui effettivamente fa qualcosa. Ordina un panino d’asporto. Si sdraia sul divano e scorre a cervello spento la home di Instagram. Una ragazza gli ha scritto che guarda sempre i suoi video e lo trova carino. Davide inizia a digitare una risposta, poi ne apre il profilo e si rende conto che non può avere più di quindici anni, e si ferma. Nell’ingresso dell’appartamento sono ammonticchiati cinque o sei pacchi Amazon, la freccia ascendente sotto il logo ripetuta uguale in tutti, come a suggerire subliminalmente l’andamento delle azioni del gruppo. Apre quello più in alto, che contiene un rasoio che si può connettere a internet, e da lì a un’applicazione del telefono, e così si possono programmare le routine di rasatura. Davide ricorda di aver accettato di sponsorizzarli perché pagavano molto bene – il prodotto è inutile, se ne rende conto – e hanno un bisogno disperato che qualcuno affermi pubblicamente il contrario. Davide prova a immaginare il copione del video brevemente, come cercherà di mascherare la superfluità della cosa. Ci prova seriamente, grattandosi il mento per migliorare la lucidità del pensiero, ma riesce a concepire solo slogan pubblicitari televisivi come “rasature irregolari? Mai più!”, e immagini di ragazze sorridenti e coi denti bianchissimi, anche se il prodotto è per uomini e i denti non c’entrano nulla. La sera arriva senza che nemmeno se ne accorga.
 
E ma quando gli aprono la porta, e Davide si è anche quasi messo in tiro, cioè ha semplicemente spiegazzato una delle sue camicie escherianamente ripiegate, e la casa è invasa da una colonna sonora di indie strumentale e uomini intenti a spiegare a donne annoiate perché Loro pt.1 sia un film decisamente migliore di Loro pt.2, non trova traccia di Asia. Per salutarla deve spalancare la porta della camera dove aveva visto il basso. Ora che ci entra la vede subito. È appoggiata di schiena contro il letto, seduta sul pavimento. Ci sono altre tre ragazze attorno a lei e stanno disponendo e rimischiando tarocchi a terra. Il soffitto è coperto di fogli di carta incollati che disegnano un pattern psichedelico; c’è una libreria piena di manuali colorati organizzati per criteri bizzarri, ognuno diverso di scaffale in scaffale, come lunghezza del titolo, causa di morte dell’autore, numero di divorzi dell’autore (vivente), se un cane muore o meno nella storia (quando gli vengono spiegati i criteri, Davide nota subito che la sezione dove andrebbero i libri con i cani morti è praticamente vuota). “Asia,” la chiama a voce alta per sovrastare la musica. La stanza puzza d’erba in modo esplicitamente non nascosto. Asia ricambia il saluto, invitandolo a prendersi da bere. Davide scavalca persone fino alla cucina, dove trova una sorta di turno di guardia attorno al frigo. Prende una birra da una delle casse ammonticchiate attorno all’elettrodomestico e torna indietro. Il liquido è caldo e sgradevole. Quando rientra la ragazza sta parlando con fare concitato; si sono aggiunti due uomini in piedi distanti. Davide si accosta a loro.
“Perché è quello il problema, no, il regionalismo. Tutto è sempre così, come si dice – è sempre tutto da sagra del paesino, no?” Asia gesticola parecchio, torcendo la mano sinistra in un modo che Davide non trova molto femminile.
“Tu prendi… persino la costituzione, no? Cioè cosa dice? Articolo uno: l’Italia è una repubblica fondata sul… Chi lo sa? Sarà forse un alto ideale? Sulla giustizia? Sull’eguaglianza? Sulla ricerca del senso della vita? No, lo sapete. Lo sapete tutti. È fondata sulla cosa più misera e provinciale che ci sia, il lavoro. Sturare i bagni è un lavoro. Rigirare le email è un lavoro. Fotocopiare carte d’identità è un lavoro. Fare così (Asia rotea il braccio destro, come nei cartoni animati si caricano i pugni per colpire più forte) per dirigere il traffico è un lavoro. La verità è che questo. Tutto è questo. Tutto questo è la base, no? Tutto è costruito su questo costante fare le cosette in piccolo, fare le sagre di paese a cui vai e sbadigli e mangi le tagliatelle fatte in casa, a mano, mica come all’estero, dove magari ci sono molti più ristoranti stellati, però ehi che ne sappiamo noi. Siamo fondati sul lavoro. E dove si lavora di più, con più garanzia che si lavori tutti, che nei paesini di provincia dove i lavori son sempre quelli e li fanno i figli dei figli dei figli. Questo è. Siamo fondati sul lavoro. Siamo… siamo fondati sul provincialismo. Provincialismo come piovra. Provincialismo come filmografia.” Davide ascolta senza muoversi. È appoggiato al muro con una mano. Pensa brevemente che sia strano che nessuno l’abbia riconosciuto. Poi scaccia il pensiero e torna a concentrarsi su Asia. Sente qualcosa attirarlo verso di lei, una forza magnetica e concreta. Non sembra stare improvvisando ma non sembra nemmeno stare recitando. Una via di mezzo.  
“Il provincialismo di avere ancora Totò come eroe nazionale quando al di fuori dei confini c’era Charlie Chaplin – uno monologa sull’ideologia e la giustizia e-e come organizzare la democrazia e – e l’altro si mangia gli spaghetti. I cazzo di spaghetti.”
Davide pensa che Asia sia un centro di gravità per le persone nella stanza, un buco enorme in cui tirare sentimenti e che se solo si riempisse lascerebbe scappare via, ma non si può riempire, non riesce a riempirlo. Asia sembra più rilassata, più convinta.
“E quando hai finito di vedere i classici cosa guardi poi? La televisione. E in televisione vedi provincialismo e solo provincialismo. Nemmeno merda, provincialismo. Le lezioni musicali di Berio durano dieci puntate, e Linea Verde dieci anni. Gente che fa la marchetta dei loro libri del cazzo al telegiornale. Servizi sugli alpini al bar. Servizi sulla gente in spiaggia che ha caldo. Ad Agosto.” Davide ascolta e sente soltanto una voce che parla di lui, esclusivamente di lui; del suo lavoro e dei suoi video – e ma per quanto ne parli male, malissimo, continua a parlarne dolce e innamorata. “E le mostre sono provinciali: il nostro risorgimento, il nostro rinascimento. Sempre e solo gloria passata. E le persone convinte che sapere il dialetto sia cultura. E poi le storie di Benni per glorificare la nostra realtà fatta di bar scadenti e gente che non ha mai letto un libro in vita sua. Lo sport.” La voce sta dicendo che è nata per lui. Che c’è sempre stata per lui, solo che non se ne è mai accorto. E ma che ora c’è; che ora lo guiderà, lo porterà a capire. “Fantozzi che sfotte il cinema alto; perché alla fine è… di questo si tratta, no? Chi fa il cinema alto e chi lo sfotte, senza aggiungere però nulla di suo. E tutti ad applaudire lo sfottò, convinti che fosse quello il punto. Che la trasmissione stia dicendo di essere mediocri e fare schifo al cazzo. Questo siamo. Siamo provinciali – siamo provincia. E per questo preghiamo. Non perché sia giusto. Non perché sia vero. Ma perché è assoluto. La preghiera è assoluta. È anti-provinciale.”
Davide ascolta in silenzio. La ragazza fa una pausa per bere un sorso di birra.
“Non ti facevo cattolica” le dice.
“Non lo sono, infatti” risponde Asia. Non dice altro, e Davide percepisce che sta aspettando una sua domanda successiva, per poter poi specificare cosa costituisca quell’altro. Ma non ha alcuna intenzione di darle la soddisfazione, e cambia argomento:
“Sai, è una cosa che ho sentito spesso anche io col mio lavoro. Non sai quanti commenti continuano ad arrivarmi che non facciamo altro che copiare gli americani – che voglio essere come lo youtuber x o y – e che gli dovrei dire? Dovrei voler essere come gli italiani? Ma che davvero?”
La fine della frase segna la rottura di un sigillo, di un divieto sociale silenzioso, e improvvisamente Davide si trova bombardato da domande sulla sua vita; come sia stato andare a Temptation Island, come sia la sua routine di tutti i giorni, come ci si senta a stare in televisione. Le ragazze si avvicinano, e i due uomini a cui si era accostato mentre ascoltava Asia fanno lentamente due passi indietro. Davide risponde a tutti meglio che gli riesca. Una ragazza bassa con tatuato sull’avambraccio una frase in elfico del Signore degli Anelli gli chiede un selfie, Davide le si avvicina e sorride con l’entusiasmo più sincero che riesca a simulare. Però mentre parla si trova in difficoltà. Non riesce a formulare pienamente, a chiarire i concetti. Una ragazza gli chiede qualcosa di collegato a un vecchio vlog che aveva fatto, in cui raccontava di come avesse installato una telecamera nascosta nella sua bicicletta per vedere che fine faceva una volta rubata. La domanda è specifica, e Davide che si è sempre vantato di avere una memoria enciclopedica per questa roba, non si ricorda. Sta pensando a quello che ha detto Asia. A come Totò gli fosse sempre piaciuto, fino a quel momento, e ma come ora non sia più così sicuro. Forse è vero che quella scena non è divertente, è misera. Davide pensa. Asia è tornata a sedere sul pavimento, ha incrociato le gambe e sta nuovamente parlando da sola a bassa voce, in quello che ora Davide capisce sia una preghiera. Davide si sente toccare sulla spalla e non se ne accorge fino al quarto o quinto tocco. Un ragazzo è entrato dal corridoio e gli sta mostrando un telefono su cui vede riflesso il suo viso in un video di qualche settimana prima. Sorride a malapena. Appena riesce a liberarsi si va a sedere affianco ad Asia.
“Quando parli di provincialismo, no, a cosa ti riferisci di preciso?” La donna risponde come alla mattina, interrompendo brevemente la preghiera per esprimersi, e riprendendo il mormorio subito dopo.
“L’attitudine al piccolo. Alle partite iva. Al rivendicare l’orto con la scusa che è preferibile alla metropoli, quando la metropoli non è mai stata un’opzione in primo luogo.”
“E secondo te questi siamo noi? È quello che ci rappresenta, dici?”
“Non è che sia una mia opinione. Devi solo guardarti attorno. Vedi discorsi basati sui principi o discorsi basati sugli orti? Gli Stati Uniti discutono se la sanità sia un diritto o un privilegio, e noi parliamo di come muovere di uno zero virgola gli scaglioni fiscali.”
“Be’ non è meglio, scusa?”
“È strutturale contro pratica. È essenziale contro temporaneo. Non c’è nessuna profonda affermazione sulla vita che venga fatta.”
“Che è come si dicono le più grandi cazzate. Cercando di dire qualcosa di profondo sulla vita, voglio dire.”
Asia apre gli occhi, e il suo sguardo è di pietà e disprezzo. Violento, più che compassionevole.
“È anche l’unico modo per dire qualcosa. Non ricordiamo i riformisti ma i rivoluzionari.”
Davide realizza di essere ancora in ginocchio, non essendosi seduto pienamente. È scomodo, ma non vuole muoversi. Sta concentrando tutte le sue energie sul trovare una buona risposta, ma non gli viene in mente nulla. Il suo viso si fa scuro, e la sua espressione vuota.
“Ero fidanzato anche io” dice all’improvviso. Asia non reagisce.
“Ero fidanzato quando c’è stata tutta la storia con… hai presente. Pensi che il provincialismo centri?”
Asia non reagisce.
“Forse credevo di essere meno provinciale facendo così? No, non ha senso. Però… Sento che sto iniziando a capire. Non sentivo niente di… di grande.” Le persone stanno iniziando a guardarlo. Parla concitato, e a un volume più alto di quello che realizza. “E- e così ho come percepito che era una relazione… provinciale? Ha senso? Una cosa piccola. Poco importante. E ho pensato – no, non l’ho pensato – però l’ho fatto – ho fatto sì che facessi qualcosa di grande. Di terribile, forse, ma di grande. Io… ti capisco.” Asia indica con la testa a una sua amica, e in pochi secondi sono usciti tutti. La stanza è vuota, salvo loro due. Asia si avvicina a Davide e gli poggia una mano sul petto. “Hai fatto il primo passo” gli dice, mentre si stacca dalla sue labbra.
 
Asia dice che il provincialismo è una deformazione culturale, che si rafforza negli anni formativi e si sedimenta, come il calcare. E una volta sedimentato si rende parte dell’ambiente, indistinguibile dal resto – e allora anche opere grandi appaiono in sordina, o di passaggio – appaiono cioè come sono, sì bello eh, però basta così. Smettere di pensarci appena è finita. Non lasciarsi consumare. Essere impermeabili non al consumo ma al farsi consumare. Davide la bacia a lungo nei pomeriggi di pioggia milanese. Accarezza le cosce abbronzate e cesellate di cellulite. Sente i suoi denti sporgenti mordergli le braccia mentre la avvolge da dietro e nasconde la testa fra i suoi capelli, e ne accarezza i piedi e ne palpa il seno. Sono passate tre settimane. Asia si siede sul pavimento e prega. Davide è seduto di fianco a lei. Cerca di imitarne le parole e i gesti. Quando Asia finisce dice: la preghiera è un atto di comunione. Non con il divino, quello non è importante, ma con il lato essenziale di noi stessi. Con la gravità che spinge la marea. Con i movimenti lenti e calcolati, essenziali. È una cerimonia, in contestazione attiva delle cerimonie. Perché non è rituale; non è spettacolo.
Davide annuisce e si ripete fra sé e sé alcune delle frasi. Asia dice: quando preghi, cerca di visualizzare lo spazio che è dentro di te. Cerca di trovarlo infinito. Questo non è facile. Richiederà tempo. Più si distende lo spazio dentro di te e più la realtà esterna ti sembrerà misera; più le chiacchiere da bar ti saranno insopportabili. E di conseguenza più crescerà la voglia di correggere la realtà, di aggiungere profondità. Ma non puoi. Non controlli la realtà. Nemmeno nelle parti che credi di poter modificare.
Davide annuisce e si ripete fra sé e sé alcune delle frasi. Asia dice: nella preghiera sei irrimediabilmente solo. Questa è una verità inevitabile, anche in momenti di comunione nella preghiera siamo soli. Sarai costretto a fare sì che la condizione della realtà sia solo conseguenza di quello che sei. Gli aiuti degli altri sono un’illusione temporanea. “Quindi la risposta al provincialismo è l’autarchia?” domanda Davide. Asia gli bacia spesso il collo, afferrandogli la testa con le mani e bloccandolo in un gesto che Davide trova molto poco femminile, e che lo costringe a fissare il vuoto davanti a sé finché la ragazza non è soddisfatta. È passato un mese e mezzo e Davide inizia a sentirsi emasculato dai comportamenti della donna. Asia gli blocca i polsi contro il letto usando il peso del suo corpo e sale su di lui. Mentre si divincola spinge spesso contro la sua forma naturale, facendogli male. Davide protesta, ma Asia non lo ascolta. Asia dice: parte di quello che rende possibile il rifuggire il provincialismo è individuare un’entità superiore a cui affidarsi. Un impeto da seguire fino alle conseguenze più estreme. Ma non è una soluzione definitiva, perché inevitabilmente si iniziano a infiltrare i dubbi sulla causa che stai seguendo. Deve diventare dedizione senza causa. Dedizione alla causa dell’essere devoti alla causa. Asia entra nella stanza dove Davide registra i video mentre sta lavorando e lo interrompe spesso, per pregare. Non è soddisfatta dai risultati ottenuti: Davide ora prega con lei praticamente sempre, e ripete le frasi che gli ha insegnato, ma a parte questo sembra essere rimasto uguale a se stesso. La preghiera non ha orari fissi e Davide non capisce come faccia ad azzeccare sempre un momento in cui sta facendo dell’altro. Un giorno protesta. Asia lo guarda con aria di sufficienza. Asia dice: non puoi pregare perché devi fare… quello? E indica lo schermo verde alle spalle del ragazzo e la telecamera davanti a lui. Davide stringe i pugni. Poggia il copione. “Immagino di avere cinque minuti,” dice.

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Capitolo 3
*** Aereo ***


Dopo il sesso Davide va a lavarsi. Rimane immobile sotto l’acqua tiepida e stringe i pugni sentendosi le unghie contro il palmo della mano. Ha pensato per tutto il tempo a come vuole picchiare la donna. È una sensazione che non ha mai provato prima. Asia si impone su di lui, senza nemmeno chiederlo: decide improvvisamente di prendere il controllo, e Davide non può farci niente. Sta parlando e Asia dice stai zitto e comincia a parlare lei. Sempre più le sue lezioni sono basate su una critica sistematica dell’uomo. Asia dice: tu hai sviluppato una carriera sulla commercializzazione della tua immagine, ma è una celebrità minima, provinciale. Vuoi sentirti visto e piaciuto e la tecnologia è una pallida scusa per soddisfare il tuo ego. Ma non è nell’ego che si rifugge il provincialismo. L’ego è lo strumento per diventare artefici della realtà, non è il fine. Tu sei solo fine. Un fine misero.
Davide sente un impulso profondo e primordiale di colpirla. Pensa che ci vorrebbe così poco. Basterebbe stendere il braccio in avanti, torcere i fianchi e colpirla. Asia è seduta a gambe incrociate e sta pregando quando Davide entra in casa. È di nuovo entrata a casa sua, senza averlo avvisato. Asia dice: sei in ritardo; tipico. La tua ricerca verso parti più alte è part-time. È quando ti viene comodo, se quel giorno non hai di meglio da fare. In una parola: è provinciale. Tu sei provinciale.
Davide è in piedi affianco alla donna. Asia ha una t-shirt nera e pantaloni grigi da yoga. Ha i capelli sciolti e che le penzolano sospesi in avanti. “Asia” la chiama Davide. La donna spalanca gli occhi. Davide si è seduto affianco a lei. “Sì?” chiede la donna, ma non riesce a finire la domanda che Davide la schiaffeggia. La mano impatta con uno schiocco goffo, come l’avesse colpita con un palloncino pieno d’acqua. Asia si alza. Non dice niente. Cammina fino alla porta e si ferma. Guarda Davide negli occhi. La sua mano ha lasciato un segno rosso che sta iniziando a diventare più evidente. “Devi ancora imparare molto” dice Asia, ed esce. Davide va a sedersi sul divano della propria sala. Lo fissa la targa con il pulsante argentato che YouTube invia a tutti i canali che superano i centomila iscritti. È in casa da molto, solo recentemente ha deciso di appenderla.
Davide respira aritmicamente e fissa il vuoto davanti a sé. “E ora?” si chiede. Immagina la sua faccia in copertina di servizi televisivi. Celebrità che picchia la compagna, l’ennesimo caso. Ma Asia rientra in quel momento. Davida la guarda girandosi di scatto, con occhi arrossati e timorosi da animale ferito. “Forza, cosa fai fermo sul divano, è il momento di pregare” dice la donna. Il viso è ancora rosso, e la guancia sinistra si è un po’ gonfiata. Davide la guarda con aria sbigottita. “Avevo dimenticato il tappetino a casa” dice la donna. Si avvicina a lui e spiega il tappetino. Comincia a pregare. Davide si va a sedere affianco a lei e la imita, come ha fatto nei mesi precedenti. Asia dice: la violenza è un primo passo verso la risoluzione. Non è la risoluzione, ma ci si avvicina. La violenza è l’espressione di chi è giunto al confronto con un’intollerabilità. Con qualcosa di sufficientemente impellente da rifuggire la soluzione verbale. Questa necessità ha l’urgenza che deve avere la fuga del provincialismo. Buono. La soluzione verbale non è quasi mai la soluzione.
Davide è tentato dal far notare l’ironia dell’affermazione, ma preferisce non parlare, lasciare che faccia tutto Asia.
 
Nelle settimane successive la soddisfazione di Asia sembra svanire. Si siedono e la preghiera riprende il tema caldo della mediocrità di Davide. Asia dice: mentre crei può apparirti di stare concludendo qualcosa. Che aggiungere un video all’elenco dei video che esistono sia fare qualcosa. Ma in verità non si può fare qualcosa. Non parlo di te. Almeno non nello specifico. Quello che noi chiamiamo il progresso è la somma delle circostanze in cui veniamo a trovarci. Che ci avvolge e ci sommerge, come il liquido amniotico. L’uomo provinciale non sente il vicolo che il liquido esercita su di lui, e di conseguenza è libero, e quando crea crede di avere creato lui – proprio lui – e di essere artefice del suo destino. Ma non è così. Non è né più né meno che il prodotto delle sue circostanze. Preghiamo anche per questo. Per liberarci nella consapevolezza.
“E le tue performance?” domanda Davide. “Quelle sono un prodotto delle circostanze o meno?” È stanco e arrabbiato. Asia si avvicina. Accarezza il viso di Davide. Ha il respiro pesante. Sente come soffiargli contro, e poi il bacio. La lingua di Asia preme contro la sua. Passa una mano fra i suoi capelli, stringendogli la nuca e premendolo a forza contro di lei. Davide cerca di allontanarsi ma Asia lo tiene incollato mentre scava nella sua bocca. Quando è soddisfatta lo lascia andare e dice: non è l’atto della creazione a essere impossibile in sé. Lo è il creare. Quello che ci distingue sono le motivazioni. Le modalità. La prospettiva. Preghiamo anche per questo.
Davide si asciuga le labbra. “Tu sei fuori dal mondo” le soffia contro. Asia si alza con calma. Raccoglie il tappetino e lo piega in quattro. “Mi aspettavo di meglio” dice, ed esce.
 
Davide è appoggiato alla ringhiera interna della casa a fumare piano. È una bella giornata, con tante piccole nuvole che non bloccano la luce ma occupano porzioni disorganizzate di cielo. Da un paio di settimane un uomo va a trovare Asia. Davide non lo vede praticamente mai, ma lo sente spesso. Le poche volte che l’ha incrociato sul ballatoio gli ha ricordato terribilmente suo padre. L’uomo deve avere una decina di anni più di lui, e ha folti baffi dalla punta grigio scura. Durante il sesso la chiama continuamente per nome, e Davide pensa fra sé e sé che se lui se la ritrovava di continuo in casa, con questo tizio deve evidentemente sparire di continuo. È divertito. Ha ripreso a lavorare più spesso, vuole accumulare materiale perché si assenterà quattro giorni per una grande convention di tecnologia in Germania. Scorre pigramente le previsioni meteo e vede una barriera compatta di pioggia per tutta la durata, ritorno incluso. Per qualche motivo la cosa lo infastidisce, anche se il tutto è al chiuso e ci passerà le giornate intere, e se non sarà lì sarà probabilmente in birreria, di nuovo al chiuso.
 
L’aereo per Aachen ha mezz’ora di ritardo. Davide indossa una catenella con il pass per la stampa. Ha con sé una go pro e un treppiede portatile, e ogni tanto si ferma e registra quello che gli è appena successo. È entrato nel taxi della persona sbagliata, racconta appena arrivato in albergo, mimando l’espressione di sorpresa e perplessità dell’autista ai muri bianchi della stanza vuota. È ancora presto per andare a dormire, e comincia a sfogliare le home dei diversi social. Sta evitando di rispondere a una chiamata di Federica di precisamente quindici giorni prima. Non ha più parlato con la donna; di fatto non si sono più sentiti in alcun modo. Ma una sera tarda, il suo telefono aveva preso a squillare all’improvviso, per quattro squilli precisi, e vedendo il numero di Federica comparire Davide non si era sentito di rispondere. Si era ripromesso di richiamarla il giorno dopo, ma non l’aveva fatto. E nemmeno i successivi. Ora però era completamente solo, all’estero, con il prospetto di almeno altre tre o quattro ore senza niente da fare, e la mente aveva preso a rivivere i momenti di quei mesi di relazione con Asia, e si era reso conto di quanto poco avesse pensato a Federica in tutto quel tempo. Così che nel rigirarsi il cellulare fra le mani, provava più vergogna di sé che una vera mancanza per la donna. Si era chiesto se sarebbe servito a qualcosa richiamarla. Se non voleva semplicemente sentirsi meglio con se stesso – e ma nel caso il farlo costituiva un nuovo atto egoistico, e come tale non assolveva ai peccati precedenti ma anzi ne aggiungeva di nuovi – e così il richiamarla era anche peggio che continuare a ignorarla. Eppure era stata lei a chiamarlo, qualche giorno prima. Non le doveva almeno di rispondere? Davide prende svogliatamente in mano il telefono e apre il suo contatto. Federica ha cambiato fotografia ed è lei in un vestito di stoffa panna, tiene in mano un long island e guarda ridendo qualcuno o qualcosa fuori dall’inquadratura alla sua destra. Mostra gli incisivi, che sono dritti e puliti. Davide si sente sempre insicuro quando vede i denti della donna, e anche ora non riesce a scappare al pensiero che i suoi sono peggiori.
 
“Pronto”
“Non pensavo mi avresti richiamata.”
“Non ho scuse.”
“Come stai?”
“Vuoi davvero parlarne?”
“Non proprio. Sai, qua in agenzia mi hanno chiesto se volessi passare a fare un salto; ti vogliono parlare.”
“Mi avevi chiamato per questo? Ti servo per fare carriera?”
“Davide… non sto dicendo che dopo quello che mi hai fatto tu mi debba un favore, o due… o dieci. E non sto nemmeno dicendo che ci vorrebbe molto poco a farti un metoo personale...”
“Ho capito il messaggio. Non era così che immaginavo sarebbe andata la conversazione.”
“Quindi mi stai dicendo che sei veramente pentito? Davvero davvero?”
“Non sto dicendo nemmeno questo.”
“Come stai?”
“Sono in Germania, Aachen. C’è la-”
“Lo so. Ci sono anche io.”
“Chiedo scusa?”
“Mi ci hanno mandata, ci stiamo espandendo negli e-sport. Ieri sera ho passato tre ore bloccata in un locale con questo tizio che cercava di spiegarmi perché il midlaner degli SKT è molto migliore di quello dei TSM e io non ho ancora la più pallida idea di che cosa abbia detto o se siano pesticidi o psicofarmaci. Ma tu come fai?”
“Non ho mai seguito veram-”
“E alla fine mi ha fatto anche pagare la mia metà, renditi conto. Dì quello che vuoi delle Marche ma queste cose non succedono.”
“Ma chi era questo scusa?”
“Non lo so, un giocatore. Dobbiamo fargli la campagna immagine ma… non lo so, mi ci hanno trasferita da poco. Ma tu ci credi che questi sono delle specie di piccole celebrità?”
“Eri stupita così anche per me, all’inizio.”
“Mi sento vecchia, Davide. Mi sembra che il mondo abbia fatto un corso di aggiornamento senza avvisarmi, e ora mi trovo qua a cercare di decifrare simboli senza senso, o senza didascalia.”
“Come siamo melodrammatici.”
“Capita quando si viene sputtanati in televisione.”
“Ahia.”
“Davvero non hai ancora trovato almeno una scusa?”
“Be’… in realtà sì. Io… Mh. c’era qualcosa che non andava fra noi. Mi sembrava di essermi come paralizzato, non so se mi spiego.”
“Come se la relazione fosse stata un menù, o un vassoio, e noi avessimo già preso tutto quello che c’era da prendere?”
“Forse ti sembrerà stupido, o assurdo, ma da sempre faccio questa cosa: mi immagino come di dover presentare gli aspetti di me, della mia vita, a una specie di gigantesco giudice alieno: una figura statuaria di marmo, con barba e occhi rossi e una tonica piena di intarsi, e questa figura deve giudicare i diversi aspetti, vedere se sono degni di lui… degni dell’Altro… e la nostra relazione…”
“Non lo era. Era mondana, era normale. Non c’era niente…”
“Da dire su di essa. Noi ci eravamo cristallizzati su chi siamo, come persone. E quindi quando gliela presentavo era già…”
“Cosa del passato. Cosa finita.”
“Federica?”
“Sì?”
“Dove ti trovi in questo momento?”

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Capitolo 4
*** Fine. ***


“Immagina uno spazio aperto” dice Federica mentre Davide poggia la testa sulla sua spalla e passano alberi dopo alberi in un treno diretto verso un generico confine italiano. Sono entrati in Austria da poco. “Qualcosa di simile al classico spazio bianco e vuoto che si estende all’infinito nei film.”
“Ah-ha.”
“Puoi immaginarti la tua personalità come una partizione di questo spazio. Un quadrato diviso in quattro parti, però senza bordi esterni.”
“Senza perimetro?”
“Sì, così che sia sempre possibile da modificare.”
“La verità è che ho l’impressione di avere imparato qualcosa, ma non ho esattamente idea di che cosa.”
“Ti devo fornire l’elenco delle possibili morali? Non dare per scontato quello che hai, dai peso all’onestà, eccetera eccetera.”
“No, non è questo.”
“Lo immaginavo,” dice Federica abbozzando un sorriso. “Hai ragione: non è questo.”
“Che cosa sarebbe?”
“Non mi hai ancora chiesto che cosa ne pensi io.”
“Di che cosa?”
“Di quello che è successo. Della tua relazione. Di come sto io. Di come sono cambiata. Del perché sono ora felice a essere con te.”
“Vuoi che-“
“No, non è necessario. Tutto questo non esiste Davide. Non esiste al di fuori di te. Non esisto io. Non esiste Asia.”
“Come fai a sapere come si chia-”
“Non esiste la televisione. Non esistono i video. Devi solo dirmi quello che vuoi. Per te. Per Davide.”

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