In Freyja’s plans

di Jesy_Styles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Scars ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


𝙋𝙧𝙤𝙡𝙤𝙜𝙤 

 

Si erano detti addio in lacrime, stringendosi le mani e guardandosi negli occhi.

 

Si erano detti addio troppo presto e allo stesso tempo quell'addio non era mai stato davvero tale. 

 

Per mesi, al tramonto, entrambi rivolgevano lo sguardo al mare che li separava, gli occhi umidi e la mente che vagava in balia dei ricordi. 

 

Se solo i loro occhi lo avessero permesso si sarebbero visti, si guardavano da lontano senza saperlo. 

 

Si amavano, quei due, e Freyja lo sapeva. Loro avevano deciso di separarsi, ma lei aveva altri piani.

 

 

Nota autrice

Ciao a tutti, questa è la mia prima fanfiction con più capitoli e sono un po’ in ansia. La scrivo mentre la pubblico, quindi gli aggiornamenti saranno molto irregolari. Il prologo è corto, ma ho già pronto il primo capitolo e quello sarà più lungo ;). Ditemi cosa ne pensate, mi piacerebbe sapere se vale la pena andare avanti o no, grazie e alla prossima.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 1 – 𝙂𝙤𝙙 𝙎𝙖𝙫𝙚 𝙏𝙝𝙚 𝙋𝙧𝙞𝙣𝙘𝙚

 

 

DunBroch, Scozia

 

Il ventunesimo giorno del terzo mese dell'anno il regno di DunBroch era in fermento. Le campane della chiesa suonavano a festa, le case erano decorate con fiori e festoni, su tutte le finestre bruciava un lume, i proprietari delle locande e delle taverne pregustavano gli affari d'oro che i festeggiamenti avrebbero portato loro. La popolazione si dirigeva in massa verso il castello, gli adulti chiacchieravano animatamente e i bambini esprimevano la loro felicità, nonostante avessero poco chiaro il motivo per cui bisognava essere contenti, rincorrendosi e schiamazzando. 

 

Per il regno era un giorno di festa perché la regina Merida, salita al trono a ventiquattro anni dopo l'abdicazione del padre, avvenuta solo un anno prima, stava dando alla luce suo figlio ed erede. 

 

Il cortile del castello, dove la sovrana aveva comandato che il popolo venisse radunato, era ormai pieno di sudditi ansiosi di conoscere l'erede al trono ma, dentro le mura, la situazione era molto meno felice. La camera da letto della regina era in subbuglio; le finestre spalancate perché c'era bisogno d'aria, due levatrici correvano avanti e indietro bagnando stracci in una tinozza d'acqua fredda per passarli sul viso della partoriente, il medico di corte si occupava invece di indurre le contrazioni. Il parto si stava rivelando più lungo e complicato di quanto il dottore aveva predetto.

 

Un po' in disparte c'erano anche il re e la regina, venuti a sostenere la figlia. Elinor, non appena aveva udito la parola "complicanza", aveva tirato fuori un rosario e aveva iniziato a pregare con voce bassa e malferma mentre il marito la circondava con un braccio, cercando di rassicurarla nonostante il suo sguardo umido e fisso su Merida lo tradisse. 

 

La neo-regina si trovava carponi sul suo letto, stringendo convulsamente il cuscino tra le mani pallide. La vestina bianca che indossava quella mattina, quando aveva rotto le acque, era macchiata di sangue come le lenzuola. I suoi capelli rossi erano raccolti in uno chignon improvvisato, qualche ciuffo le ricadeva sul viso gocciolante di sudore e contratto in una smorfia di dolore. Le urla disperate, alternate a imprecazioni e preghiere che quel supplizio finisse, rimbombavano per tutta la stanza.

 

"Basta!" Gridò Merida appoggiando la testa al cuscino per qualche secondo, "Vieni fuori, mostro!" Strillò ancora, con lo sguardo rivolto alla sua pancia, ansimando.

 

"Non parlate signora, ve ne prego, risparmiate le forze" azzardò timidamente una levatrice, che fu fortunata perché Merida fu colta da un'altra contrazione prima che potesse urlarle contro. 

 

Fu mentre la regina ansimava, riprendendosi dall'urlo che aveva cacciato, che il dottore annunciò di vedere la testa. Una levatrice afferrò una piccola coperta e affiancò il medico, pronta a prendere il neonato, mentre Merida spingeva con tutta se stessa.

 

Nell'esatto momento in cui il bambino venne al mondo la porta si spalancò rivelando la figura trafelata di Hamish, uno dei fratelli di Merida che ormai erano diventati giovani uomini. "Il cortile  si è riempito. Il bambino è nato? Che cosa faccio annunciare?"

 

Non appena finì di parlare il bambino emise il suo primo vagito, seguito presto da altri che si trasformarono in un pianto disperato. Le sue grida furono l'unico suono nella stanza per qualche istante, durante i quali tutti trattennero il fiato e Merida trovò la forza di girarsi e mettersi seduta, fino a quando la levatrice che teneva il fagotto in braccio si voltò verso il principe e disse con un sorriso raggiante: "Dite che DunBroch ha un nuovo erede maschio, è sano e forte!" I presenti proruppero in grida di gioia e di sollievo, Merida si mise a piangere e a ridere insieme chiedendo animatamente di vedere il figlio.

 

Venne accontentata dopo che il bambino fu lavato. Quando la levatrice glielo posò tra le braccia era stato avvolto in coperte ricamate con lo stemma della famiglia reale e aveva smesso di piangere. Merida lo scrutò commossa, era la sua copia al maschile; qualche ciuffo rosso fuoco, due guance pallide, piene e cosparse di lentiggini. 

 

Il dottore e le levatrici si inchinarono e uscirono, mentre i genitori e il fratello di Merida si riunirono accanto a lei. Anche i loro sguardi erano velati dalle lacrime. "Sei stata molto brava, Merida" si complimentò Elinor accarezzandole la schiena. Hamish le accarezzò velocemente la guancia per richiamare la sua attenzione e, quando i loro sguardi si incrociarono, le chiese con che nome doveva presentare al popolo l'erede. Merida guardò prima il figlio poi il fratello e, prima di rivelare il nome che aveva scelto, sorrise a quest'ultimo.

 

La popolazione di DunBroch iniziava ad essere irrequieta. Gli adulti chiacchieravano sottovoce su un possibile decesso, che fosse della regina o del neonato, e i bambini dovevano aver percepito il cambiamento d'aria perché avevano smesso di schiamazzare. 

 

L'attenzione fu richiamata da un suonatore di tromba, che si trovava su un balcone affacciato sul cortile, un uomo lo affiancò poco dopo e annunciò a gran voce: "La regina sta bene. Ha partorito un maschio, un nuovo erede, Finlay Fergus di DunBroch primo del suo nome!" 

 

La folla impazzì e un unico grido si levò da tutte le bocche: "Dio salvi il principe! Dio salvi la regina!"

 

 

Nota Autrice

Ciao, eccomi tornata con un nuovo capitolo. 

Vi prego non fatemi domande, si spiegherà tutto nei prossimi capitoli, scusatemi se è un po' confusionario. Probabilmente il capitolo 2 arriverà la settimana prossima, siccome Venerdì vado in vacanza studio e ci resto per due settimane preferisco pubblicare due capitoli vicini piuttosto che nessuno per un mese.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


𝘾𝙖𝙥𝙞𝙩𝙤𝙡𝙤 2 -   𝙄𝙜𝙣𝙞𝙨   𝙁𝙖𝙩𝙪𝙪𝙨

Merida aveva scelto il nome "Finlay" per suo figlio perché significava guerriero, quello che lei aveva sempre voluto essere e quello che pianificava per lui. 

Voleva che diventasse forte, capace di proteggere se stesso, la sua eventuale famiglia, e il suo popolo. Si era ripromessa che non gli avrebbe mai fatto montare la testa, che gli avrebbe sempre insegnato ad essere umano e a considerarsi tale, gli avrebbe insegnato la giustizia e l'onore, ma cosa più importante: lo avrebbe lasciato libero di fare le sue scelte, se non avessero danneggiato il suo destino da re, come lei non aveva potuto fare.

Avere un figlio non rientrava certo nei suoi progetti prima di scoprire di essere incinta. Non aveva mai voluto sposarsi ma ciò non precludeva il cercare piacere fisico, aveva quindi condiviso il letto con molti uomini e il bambino era stato un mero incidente di percorso. Nonostante avesse un'idea di chi fosse non aveva mai cercato il padre di suo figlio, non aveva bisogno di lui e non aveva il desiderio di rivederlo, avrebbe gestito da sola quell'inconveniente. 

In un primo momento, quando aveva scoperto la sua condizione, era stata arrabbiata. Vedeva tutto come una sfortuna nera, un ostacolo alla libertà che era riuscita con così tanta fatica ad ottenere; da principessa guerriera sarebbe passata a regina madre, pensava che si sarebbe scordata le sue solite cavalcate e le sue battute di caccia insieme al padre e ai fratelli, per questo i sentimenti che provava verso la creatura erano tutto tranne che positivi. 

Aveva iniziato a ricredersi poco a poco, lentamente come guarendo da una ferita, aveva iniziato a rifletterci a mente fredda solo quando, verso il quarto mese, si era toccata la pancia ormai sporgente e aveva sentito il primo movimento del bambino. 

Non era stato un calcio, nessun tipo di colpo era stato assestato alla sua pancia, si era solamente mosso, probabilmente aveva fatto una capovolta. Merida aveva come avuto l'impressione che nel suo stomaco sguazzasse un piccolo pesce. 

Era rimasta interdetta, per un attimo, poi si era accarezzata esitante il ventre. Aveva cercato di convincersi che la sensazione di calore nel petto che aveva provato fosse suggestione, ma questa convinzione andò sempre di più scemando giorno per giorno, ogni volta che sentiva un calcetto o un movimento. Aveva riflettuto, era giunta alla conclusione che forse quel bambino non le avrebbe rovinato la vita. Non ci sarebbe stato bisogno di accudirlo personalmente, una volta partorito avrebbe potuto sparire alla mattina e tornare alla sera come faceva sempre perché a lui avrebbe pensato sua madre, che era tanto felice di questo arrivo, con le balie di corte. Forse, aveva pensato, in quel modo sarebbe anche riuscita a volergli bene, e così, inaspettatamente, fu. 

Pensava a tutto questo mentre allattava, guardando il neonato che fino a pochi giorni prima era dentro di lei. In una sola settimana era cresciuto molto, le sue piccole braccia e gambe presentavano dei tenerissimi rotoli di carne, il suo viso era diventato più pieno. 

Gli accarezzò una guancia, provocando da parte sua una minima reazione, quella di aprire per una manciata di secondi gli occhi come a voler vedere cosa fosse stato, per poi richiuderli subito dopo. Merida sorrise dolcemente, tolse il dito dalla guancia del figlio e alzò lo sguardo verso il camino che ardeva davanti a lei, scoppiettando. La sera era diventata uno dei suoi momenti preferiti della giornata, quando dopo cena si sedeva nella sua stanza, davanti al camino e di fianco alla finestra, ad allattare Finlay. 

Quando il bambino fu stanco di mangiare e si separò dal suo seno, Merida lo ricoprì e prese in braccio il figlio, tenendolo sollevato di modo da essere faccia a faccia con lui. Finlay si stiracchiò, allungò le piccole mani verso di lei sbadigliando e la regina rise, lasciandogli un bacio in fronte. Lo stava ancora vezzeggiando, in un modo che non era decisamente da lei, quando la porta della sua camera si aprì rivelando i suoi tre fratelli. Non si curò nemmeno di sgridarli e fece loro segno di avvicinarsi. In pochi secondi fu circondata da loro che facevano a gara per tenere in braccio suo figlio e la serata passò così, come tante altre a venire, tra sciocchezze, risate e storie da raccontare. 

Mentre cantava la ninna nanna a Finlay e lo metteva nella culla, Merida si rese conto di essere, finalmente, felice.

***

DunBroch, Scozia, quattro anni dopo 

A quattro anni Finlay si era già guadagnato una fama nel castello. Chiunque lo conoscesse gli voleva bene. 

Harry, Hubert e Hamish se lo contendevano in ogni momento mentre lui stravedeva per tutti e tre. Lo avevano nominato loro erede e la povera Maudie si era ritrovata a dover fare i conti anche con lui che, come gli zii alla sua età, le faceva agguati mentre passava nei corridoi con la colazione, faceva sparire i pasticcini un minuto prima che dovessero essere serviti ad un banchetto importante e metteva a soqquadro la cucina. 

La regina Elinor aspirava a farne un gentiluomo, cosa che non era riuscita a fare con nessuno dei suoi figli, e aveva iniziato subito con le sue lezioni di galateo e corteggiamento fingendo di non vedere  gli evidenti segni del suo disinteresse. Finlay non era il tipo da stare seduto a un tavolino, sollevare la tazzina con due dita e bere il te a piccoli sorsi, difatti resisteva solo pochi minuti prima di spolverare tutti i dolcetti che si trovava davanti. La regina prendeva allora a rimproverarlo animatamente, come con tutti i suoi figli, ma bastava che il bimbo la guardasse con i suoi occhioni verdi, che rendeva lucidi a comando, perché lei rinunciasse alla sua predica e lo liquidasse con un bacio su ogni guancia. 

Il nonno Fergus lo viziava, portandolo ad assistere agli allenamenti di Merida e dei gemelli, regalandogli soldatini e cavalieri giocattolo. Inoltre lo adorava perché  non si era ancora stancato di sentire la storia della sua gamba persa. 

Il rapporto con Merida, invece, era diverso. 

Quando a fine giornata  si liberava dai suoi impegni da regina e trovava del tempo da dedicare a lui, Merida andava a fare visita al piccolo. Finlay lasciava ciò che stava facendo e si preparava a saltarle in braccio non appena sentiva il cigolio della porta.

Merida, da quell'orario in poi, si trasformava nella sua "mama". Giocavano alla guerra con le armi finte o con le figure di legno finché Finlay non si stancava, allora Merida lo cambiava, lo metteva a letto e gli leggeva storie prese da antichi libri di leggende scozzesi. Quando era ispirata le inventava e Finlay preferiva questa opzione. Le storie di Merida parlavano di imprese eroiche, persone che si trasformavano in orsi, donne guerriere e, il particolare che più affascinava il bambino, di draghi e cavalieri che lei chiamava "vichinghi". Raccontava così bene, dettagliatamente, che Finlay pensava li avesse visti davvero.

"Màthair, un giorno ucciderò anche io un drago e ti porterò la coda!" Esclamò alla fine della storia di quella sera, balzando in piedi e alzando un pugno. La sua immaginazione di bambino vedeva una coda squamosa penzolare dalla sua mano e una folla di scozzesi che acclamava il suo nome. 

Merida rise teneramente, facendolo sedere con delicatezza.
"Finlay...- lo rimbeccò, "Non ti ricordi chi è sempre l'eroe delle mie storie? Lui è un vichingo, ma è buono come il suo drago, qual'è il suo nome?" Chiese guardandolo seria, aspettandosi una risposta precisa da lui.

Il bambino sbuffò, gonfiando le piccole guance e facendo svolazzare un ciuffo rosso fuoco, troppo lungo, che gli cadeva davanti al viso. "Hvitserk" rispose, "Ed è un eroe valoroso e forte come i nostri anche se è un vichingo, lo hai inventato perché devo ricordarmi che gli stereopo...stereoto... insomma che non sono tutti uguali." Concluse guardando la madre negli occhi, aspettandosi un segno di approvazione o disapprovazione che fosse.

Merida ridacchiò quando Finlay si incartò sulla parola "stereotipi", ma annuì perché in fin dei conti aveva formulato bene la spiegazione. 

"Bravissimo." Si congratulò, facendolo stendere e rimboccandogli le coperte. "Ora vedi di fare il bravo e dormire, o domani non ti godrai la tua festa." Gli raccomandò, dolce ma decisa, per poi baciargli la fronte scostando i capelli rossi che il giorno seguente avrebbe tagliato.

Finlay annuì, "Oidhche mhath, mama" buonanotte, mamma.

***

Il giorno seguente la famiglia reale si recò nel bosco, nella radura in cui anni e anni prima il re aveva sconfitto l'orso Mor'du, in occasione del quinto compleanno del principe ereditario. Oltre a loro era presente un manipolo di guardie come scorta, strategicamente nascoste tra gli alberi circostanti. 

Pranzarono sull'erba e mangiarono la torta di compleanno preparata da Maudie. I gemelli e Merida si sfidarono uno a uno, usando armi finte, mentre Finlay li guardava rapito, battendo le mani e incitando il primo che passava in vantaggio. Durante la pausa che sfruttavano per bere e riposarsi, Merida si scambiò uno sguardo di intesa con i fratelli e subito i ragazzi presero da parte il nipote, distraendolo con sessioni di solletico e lotta corpo a corpo perse di proposito, finché la regina non tornò nascondendo qualcosa dietro la schiena. L'atmosfera si fece silenziosa, Finlay scese dalle spalle di Hubert mettendosi in piedi, imitato dagli zii e dai nonni. 

"Finlay, ormai sei diventato un ometto, dunque ti meriti un regalo speciale per questo compleanno." Disse Merida in tono solenne, guardando negli occhi il figlio. Finlay sostenne il suo sguardo, rimase serio ma dentro fremeva dalla voglia di sapere a cosa sua madre si riferisse.

Merida si inginocchiò e mostrò ciò che nascondeva dietro la schiena: un arco, piccolo a misura di bambino ma identico al suo, quello che Finlay la pregava ardentemente di poter provare. 

Il piccolo principe non riuscì a trattenere l'entusiasmo. Saltò al collo di sua madre facendola sbilanciare, ringraziandola ripetutamente e riempiendola di baci sotto gli sguardi inteneriti dei gemelli, Ellinor e Fergus.

Trascorsero il resto del pomeriggio a insegnare a Finlay a tirare con l'arco, perfino Ellinor lasciò da parte le sue prediche sul non rotolarsi per terra, non urlare o non correre. 

Si trovavano sulla strada di ritorno verso il castello quando Finlay sfrecciò lontano dal gruppo. Ellinor e Merida lo chiamarono in coro, la prima preoccupata la seconda anche arrabbiata ma, prima che qualcuno potesse fare qualsiasi cosa, Harris prese in mano la situazione. "Lo recupero io." Disse, e saltò giù da cavallo correndo nella direzione in cui era sparito il nipote.

Il giovane principe seguì il rumore dei passi di bambino di Finlay fino a quando non lo raggiunse. "Finlay! Non correre!" Gli urlò, rallentando il passo quando notò che lui stava camminando lentamente, cauto come se non volesse spaventare un uccellino.

"Ma zio Harris, c'è un fuoco fatuo!" Bisbigliò, senza girarsi, indicando un punto davanti a lui.

"Non importa, non devi scappare punto e bas-" si interruppe quando il bambino si fece da parte e, nella direzione in cui puntava il suo dito, Harris vide una fiammella blu galleggiare a qualche centimetro dal terreno. Chiunque in Scozia sapeva che i fuochi fatui non erano leggenda, ma era anche risaputo che vederne uno era un evento raro e che aveva un significato ben preciso: i fuochi fatui indicavano la strada verso il proprio destino.

Iniziò a muoversi con la stessa cautela del nipote e il fuoco fatuo li guidò verso uno spiazzo senza alberi, dove l'erba era secca, come se fosse bruciata. Lì Harris e Finlay si trovarono di fronte l'impensabile: un drago. Una bestia alta più di un paio di metri, dalla pelle nera e squamosa, con una coda lunga come un serpente, gli occhi grandi e la bocca enorme. Finlay cacciò un urlo e si rifugiò in braccio a suo zio, che nonostante avesse paura riuscì ad attivare l'istinto protettivo verso di lui, stringendolo forte come se fosse potuto servire a proteggerlo. 

L'animale piegò la testa di lato, il suo muso assunse quella che poteva sembrare un'espressione curiosa, come se li stesse studiando. Harris mosse un piccolo passo all'indietro, mossa stupida che non lo portò alla morte solo grazie alla sua buona stella, indeciso se scappare fosse una buona idea o meno, pensando a quale opzione tra il restare immobile e il correre via fosse meno rischiosa, quando una voce gridò quello che doveva essere il nome del drago: "Sdentato!"

La bestia diede le spalle agli umani e in pochi istanti era sparito tra gli alberi. Harris e Finlay rimasero immobili per qualche secondo, finché i passi pesanti del drago non furono solo tonfi lontani. Allora, Harris recuperò l'uso delle gambe e corse via, più veloce che poteva, stringendo un Finlay terrorizzato al petto. 

Raggiunse la sua famiglia, ora circondata dall'intera scorta a spade e lance sguainate. Si fermò di colpo e gli girò la testa, riuscì a malapena a dire che entrambi stavano bene. Aveva corso letteralmente più forte che poteva ma nel panico e nella premura di scappare non ci aveva fatto caso. Quando le guardie si fecero da parte e Merida gli corse incontro, quasi strappandogli dalle braccia il corpicino scosso dai singhiozzi di Finlay, Harris si rese conto di non sapere quanto tempo fossero stati via. Hubert e Hamish lo sostennero quando gli cedettero le gambe e cadde in ginocchio ansimando, si lasciò accarezzare e baciare da Ellinor, aspettò di calmarsi e si rimise in piedi salendo poi a cavallo. Non parlò, non accennò al drago o al fuoco fatuo, sapeva che doveva parlarne prima di tutto con Merida ma rigorosamente in privato. 

Fergus stroncò sul nascere l'interrogatorio di Ellinor, Hubert e Harris controllarono a vista il gemello per tutto il tempo. Merida cavalcò per l'intero tragitto rimasto al fianco del fratello, tenendo nel frattempo Finlay stretto al seno con un braccio. Non disse nulla, ma il fatto che Harris evitasse il suo sguardo le dava un brutto presentimento; quella sera lo avrebbe preso da parte e gli avrebbe parlato.
 

Angolo autrice
Ciao ragazzi, so cosa state pensando e sono dispiaciuta anch'io di non essere riuscita ad andare avanti prima. Il fatto è che il periodo della fine dell'estate e l'inizio della scuola è stato un disastro: La vacanza studio, i compiti da finire, l'inizio dell'anno con tutti gli impegni che comporta e un piccolo blocco dello scrittore hanno fatto sì che io riuscissi a pubblicare il secondo capitolo solo ora. 
Inconvenienti a parte, mettetemi al corrente del benché minimo errore di grammatica o di altra natura, siete liberi di lasciare tutte le critiche che volete ma vi prego di essere educati. Ringrazio in anticipo chi legge, segue la storia e lascia recensioni. 
Alla prossima!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Scars ***


Berk

Sdentato atterrò planando e, non appena toccò terra, Hiccup balzò giù dal suo dorso, una nuvoletta di polvere si alzò quando i suoi piedi si scontrarono col suolo. 

Hic ringraziò il drago con una pacca sul collo e allungò le mani verso il bambino, suo figlio, che ancora si trovava seduto sulla sella. "Forza Balder, saluta il nostro amico e scendi. Mamma, nonna e fratellino ci stanno aspettando." Disse, sorridendo dolcemente, e prese il piccolo in braccio. 

"Ci vediamo domani!" Esclamò il bambino accarezzando il muso del drago che rispose strofinando calorosamente la testa contro la sua pancia. 

Balder rise e Hiccup si sciolse, come sempre quando sentiva la risata di suo figlio, il suo suono preferito. Non riuscì a trattenersi dal baciargli la testa, aspettò che il drago volasse via, poco importava dove perché sapeva che il giorno dopo lo avrebbe ritrovato davanti alla sua casa, si sistemò Balder sul fianco e aprì la porta.

Si accorse che qualcosa non andava non appena mise un piede sull'uscio. Il calore del fuoco, l'odore della legna bruciata che lo accoglievano ogni sera erano gli stessi, a prima vista tutto era in ordine, ma c'era qualcosa fuori posto. Sua madre non era in sala, non stava cucinando, Astrid non era venuta a salutarli come faceva sempre, se n'era accorto anche Balder a giudicare dal modo in cui si muoveva tra le sue braccia per guardarsi intorno. Hiccup chiuse la porta con un piede, mise a terra suo figlio, lo prese per mano e fece qualche passo verso il centro della stanza. Chiamò Valka e Astrid a voce alta, d'istinto strinse più forte la mano di Balder tirandolo verso di sé, si accorse a malapena del suo "ahi, papà!"

"Hiccup."

La voce di sua madre bastò a far rilassare i suoi muscoli e a fargli allentare la presa sulla mano del figlio. Non fece subito caso al suo tono di voce serio e solenne, la prima cosa a cui pensò quando la vide uscire dalla porta della sua camera fu ringraziare gli dei per il fatto che fosse lì a parlare con lui. 

"Madre." Rispose, accennando un sorriso, mentre Balder li guardava con aria interrogativa senza però osare chiedere nulla. Valka si piegò leggermente in avanti, scompigliando i capelli del nipotino e gli istruì, nel tono più rassicurante che le riusciva, di andare a giocare in camera sua e lasciare lei e suo padre a parlare di cose da grandi. Balder si divincolò dalla presa del padre e annuì, scomparendo dietro la porta vicino a quella della stanza dei genitori. 

Quando lei e Hiccup furono soli Valka sospirò, si raddrizzò e guardò il figlio con un'espressione grave in volto. Hiccup sostenne il suo sguardo mentre il fastidioso sentimento di inquietudine che aveva provato poco prima ricominciava a crescere in lui. La donna si avvicinò, gli accarezzò una guancia e, guardandolo negli occhi, parlò.

"Astrid ha perso il figlio."

No. Hiccup barcollò, gli mancò il fiato, dovette afferrare una sedia e lasciarvicisi cadere sopra. Tra tutti gli scenari agghiaccianti che aveva immaginato pochi minuti prima questo era l'unico che non gli aveva attraversato la mente e forse quello a cui era meno pronto. Si prese la testa tra le mani, ancora non sapeva come reagire, e qualche lacrima iniziò a sfuggirgli. Valka gli poggiò una mano sulla spalla, si sedette anche lei e lo tirò a sé abbracciandolo. Entrambi sapevano che era meglio che lui si sfogasse con sua madre e andasse da Astrid solo dopo aver acquisito un po' di autocontrollo. Hiccup pianse in silenzio abbracciando sua madre, come se fosse tornato bambino a sua volta, mentre tutte le ipotesi, tutti i progetti riguardanti il secondo figlio che aveva fatto con Astrid e Balder gli tornavano alla mente facendogli solo più male. 
Quando riuscì a calmarsi un minimo si divincolò dalla presa di Valka e, guardandola negli occhi, le chiese come stesse la moglie.

Valka scosse la testa, "fisicamente, adesso, bene." Rispose, guardando la porta della camera in cui dormivano suo figlio e Astrid. "Va da lei." 

Hiccup annuì, asciugandosi le lacrime e dirigendosi, esitante, verso la porta per poi aprirla delicatamente. "Astrid?" 

Sua moglie era sul letto, rannicchiata su se stessa, in posizione fetale, rinvoltata in più strati di pesanti coperte. Non dormiva, Hiccup lo aveva capito dai leggeri singhiozzi che sentiva provenire da sotto le pellicce, ma non sembrava nemmeno averlo sentito. Hiccup si fece coraggio e si sedette sul bordo del letto, sfiorando il braccio di Astrid. Lei sobbalzò, tirò fuori la testa dall'involucro di coperte che si era creata e i suoi occhi, rossi, gonfi e bagnati, incontrarono quelli del marito. 

"Lo sai?" La sua voce era roca, bassa, come se usarla costasse ad Astrid molta fatica. La ragazza si raddrizzò, reggendosi sui gomiti, senza distogliere lo sguardo, e continuò: "Era una bambina. L'avremmo chiamata Áslaug, sarebbe stata bellissima, invece qualcosa è andato storto, me... me l'hanno tirata fuori morta!" Aveva alzato la voce, stridula e tremolante, sfociò in un pianto disperato non appena ebbe finito di parlare.

Hiccup, davanti a quella scena, mise da parte tutte le tensioni che c'erano state tra lui e Astrid e la abbracciò, lasciando che si aggrappasse disperatamente a lui e che gli bagnasse il collo con le lacrime. Mentre stringeva lei, mentre le accarezzava i capelli e la lasciava sfogare, pianse anche lui. Lo fece in silenzio, di modo da essere forte per lei, ma lo fece. Nonostante quella non fosse la donna, più in generale la vita, che avrebbe scelto se avesse potuto aveva sempre cercato di fare buon viso a cattivo gioco; aveva sposato Astrid, avevano avuto Balder che aveva funzionato come una sorta di collante per il loro rapporto sull'orlo del disastro, amava quel bambino più di sé stesso. Avevano cercato di costruirsi una famiglia numerosa con il secondo figlio ed ecco che tutto era andato in fumo. 

***

L'aria in casa, nell'arco dei giorni che seguirono il giorno dell'aborto, per Hiccup non era respirabile. 

Balder lo aveva scoperto e Hic si era pentito di averglielo detto nell'esatto momento in cui lo aveva fatto. Il bambino aveva perso la sua vivacità; i primi giorni li aveva passati in casa, rifiutando gli inviti degli amichetti a giocare fuori. Stava sempre intorno a sua madre, se non poteva trovarsi a stretto contatto con lei si aggirava comunque intorno alla stanza dei genitori. Astrid, però, lo calcolava poco; quando lui le parlava nel tentativo di distrarla lei non lo ascoltava visibilmente. 

"Scusa che hai detto, Balder?" Era puntualmente la sua reazione ogni volta che il figlio finiva di parlare. Parlava con un filo di voce, un tono neutro ma con quella velata punta di fastidio che Balder percepiva e che lo faceva desistere. 

Presto Balder si era arreso e aveva iniziato a passare le giornate giocando... da solo. Hiccup lo osservava di nascosto e vedeva che qualcosa era cambiato anche in lui, giocava non per il piacere di farlo ma per avere qualcosa da fare che non fosse essere ignorato da sua madre. 
Valka aveva provato più volte ad aiutare Astrid, anche banalmente a farsi dire cosa potesse fare per lei, ma era stata allontanata. La donna era quindi passata ad occuparsi di Balder, lo portava con sé ovunque andasse per distrarlo e tenerlo lontano dall'ambiente di casa. 

Hiccup decise che era durato troppo allo scattare della prima settimana. Voleva far parlare Astrid, voleva avere con lei il primo vero confronto, voleva anche farla reagire. Aspettò che sua madre e suo figlio uscissero e, impegnandosi a fondo per mantenere i nervi saldi, entrò in camera sua e di Astrid. 

Lei aveva ancora un aspetto trasandato; non curava i suoi capelli, li portava raccolti in una treccia disordinata, era più pallida del solito e sul suo viso alleggiava ancora l'espressione cupa, accentuata dagli occhi sempre umidi e persi nel vuoto, che aveva messo su e mai perso a seguito dell'aborto. La situazione sembrava essere migliorata, però, perché Astrid aveva ricominciato ad alzarsi e a mangiare qualche boccone in più dello stretto necessario che lui e Valka dovevano costringerla a ingerire. 

Hiccup la trovò seduta su una sedia vicino alla finestra, in posizione rannicchiata e avvolta in una coperta di pelliccia,osservavando la vista di Berk dall'alto oltre il vetro. Non c'erano candele accese, l'unica luce era quella fredda del mattino che illuminava il suo profilo.

Hiccup attirò la sua attenzione chiamandola per nome. La ragazza voltò lentamente la testa nella sua direzione, facendo un cenno che Hic interpretò come un saluto. 

Si sedette sul letto, poco distante da lei. Rimase un momento in silenzio, soppesando le parole, e parlò: "Astrid, non possiamo ignorarci per sempre." Disse, calmo ma deciso.

"Farlo per... quanti anni ha Balder? Cinque anni, non ti è pesato? Ora ti sei illuminato?" Il disprezzo e l'ironia nella sua voce gli fecero male.

"Astrid, non è di questo che voglio parlare og-" tentò, sforzandosi di restare calmo, di non cedere. Non doveva finire come le altre volte, come tutti i loro dialoghi lasciati a metà, dovevano confrontarsi seriamente. 

Astrid lo interruppe e riprese la parola. 

"E di cosa? Eh?" "Vuoi farmi la paternale su come sto reagendo all'aborto, alla morte di mia figlia ancora prima che nascesse?"  Parlava velocemente, a voce alta, tremolante. Hiccup pensava che avrebbe iniziato a gridargli contro a momenti. 

"Tu invece stai reagendo più che bene, a quanto vedo. Forse non ti importa poi così tanto, non sarebbe una novità..." Oh no. Che stesse o non stesse male non doveva azzardarsi a metterla su questo piano. Non poteva dire che non gli importava solo perché stava cercando di reagire rimanendo forte. Non poteva dirlo se non era nella sua mente, se non lo vedeva trattenere le lacrime ad ogni ora del giorno, qualsiasi cosa stesse facendo, pensando a quella bambina che avrebbe tanto voluto conoscere.

Inspirò a fondo, strinse i pugni, e parlò: "Astrid..."

"Vuoi negarlo, Hiccup? Vuoi raccontare anche a me, adesso, la storiella del "va tutto bene"? Sparisci dalla mattina alla sera, torni e a malapena mi saluti, se mi abbracci lo fai solo per... perché Balder ci sta guardando, perché nessuno, oltre a tua madre, deve sapere che il quadretto della famiglia felice è tutta una farsa, vero?!" Ormai stava gridando. Hiccup la lasciò finire, comprese che non era per Áslaug che stava facendo quella scena, erano cose che tutti e due sapevano. Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirle, ora lei sembrava averlo trovato. 

Astrid tossì, gridare le aveva fatto male alla gola, e tornò a parlare. Non urlava più, ma il disprezzo nella sua voce era rimasto. 

"Non ci sei stato mentre aspettavo Balder, non ci sei stato quando è nato e non ci sei stato nemmeno quando è morta Áslaug! Il problema sono io? Non ti importa niente di me o dei tuoi figli perché questa vita non la volevi con me, vero Hic-"

La interruppe prima che potesse finire, lo fece perché non sarebbe riuscito a controllarsi se avesse detto altro. "Non farlo..." disse, la nota minacciosa nella sua voce stupì anche lui stesso, "Non nominarla, non azzardarti a tirare fuori quella storia" continuò alzandosi, e camminando verso di lei. Lui non poteva vedersi, ma capì che doveva controllarsi meglio quando Astrid acquisì un'espressione intimorita, stringendosi di più nella coperta e ritraendosi. 

Hiccup inspirò ed espirò, rilassandosi, e tornò a sedersi. Si mise una mano nei capelli, li tirò per sfogarsi, guardando e terra non ancora pronto a incrociare di nuovo lo sguardo di Astrid. Dispiaceva anche a lui non essere stato presente al parto di Balder, ma sapeva che non era stata colpa sua, il bambino era nato molto in anticipo e in ogni caso non avrebbe avuto modo di sapere quando sarebbe successo. Non lo aveva visto nascere ma nessuno doveva azzardarsi a dire che non gli importava di lui, Hiccup amava Balder più di sé stesso, che lo amasse perché era suo figlio, non suo e di Astrid era un altro discorso. Che Astrid non fosse la donna che amava e con cui avrebbe voluto quella vita era vero, non lo aveva mai negato, ma Balder non c'entrava, suo figlio era una delle poche cose che rendevano quel matrimonio forzato meno pesante da sopportare. 

"Così era qui che volevi arrivare..." disse, quando si fu calmato, alzando la testa. "È questo che pensi, ne prendo atto, ti do ragione perché non voglio essere ipocrita, sai che non ti amo e io so che tu non ami me, non più almeno, ma ciò non significa che mi piaccia vederti così. Io... io posso aiutarti, mia madre può farlo, i nostri amici possono farlo, ma tu devi lasciarcelo fare. Anche io sono triste, ma dobbiamo farci forza prima o poi, se continui così non starai mai meglio, nessuno di noi lo farà." Si interruppe per guardarla negli occhi, ma lei li abbassò senza dire una parola.

Hiccup sospirò ancora, e proseguì: "Pensa a Balder. Se la tua ragione per cui andare avanti non sono io... fa che sia lui. So che lo ami Astrid, si vede, e lui ama te. Torna ad essere sua madre, perché se Áslaug non c'è più lui c'è ancora e ha bisogno anche di te."

Lei alzò lo sguardo, Hiccup fece incontrare i loro occhi. Era teso, sperava che capisse, che avesse anche solo una minima reazione, ma Astrid non rispose. Il suo sguardo rimase vacuo, non parlò e si voltò verso la finestra, come se non lo avesse neanche sentito. La conversazione era finita. 

Hiccup si alzò, camminò fino alla porta, si voltò a guardarla un'ultima volta come se sperasse di vedere una reazione a scoppio ritardato ma, quando non vide nessun accenno di interazione, uscì da camera sua chiudendosi la porta alle spalle. 

La serratura aveva appena scattato quando Astrid si asciugò una lacrima che presto venne seguita da un'altra e un'altra ancora. 

(2321 parole)

Angolo autrice
Ciao ragazzi, lo so, non sono riuscita a far passare meno tempo tra il capitolo scorso e questo, ma la scuola mi sta veramente uccidendo. Ho passato un mese di ottobre fatto di compiti, verifiche, primi diciottesimi e poi, ovviamente, Halloween, però alla fine ce l'ho fatta e spero ne siate felici anche voi.
Finalmente è arrivato Hiccup, cosa ne pensate della sua entrata in scena? E di Astrid e Balder? Non temete se siete confusi, aspettate e vi si spiegherà tutto. 
Come al solito, ditemi se vi è piaciuto, segnalatemi tutto quello che non va, e grazie a tutti anche solo per leggermi! 
Alla prossima! 

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