...fino alla fine dei miei giorni.

di Bloody Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Uno ***
Capitolo 2: *** Parte Due ***



Capitolo 1
*** Parte Uno ***


Questa storia partecipa alla Stucky Bingo Challenge del mese di Agosto/Settembre del 2019; Il prompt che ho sviluppato mi è stato dato dalla mitica Fuuma EFP. Ti ringrazio perché mi hai fatto scrivere una storia su qualcosa che mai avrei pensato di andare a sfiorare ma, come ho già detto in passato, la Stucky mi pare la ship delle prime volte per me XD

Altra menzione importante anzi importantissima va a Roby R che mi ha betato il capitolo e che mi ha dato un primo parere quindi grazie <3

Spero che sia di vostro gradimento perchè io mi sono divertita a scriverla ma soprattutto a cercare idee sul bellissimo mondo delle sirene e dei tritoni!

Lasciatemi un commentino per farmi sapere se vi è piaciuta o se vi ha fatto andare al bagno, ditemi cosa ne pensate e che altro dirvi se non buona lettura?

ciao ciao!

 

| Mermaid!AU | Stucky | Pirati | Parole: 8023 |

 

Parte 1 | Parole: 3693 |

 

“Steven! Vieni via da lì!” 

Il bimbo si spostò da quella scogliera rientrando verso casa con passo svelto e divertito, sua madre lo osservava apprensiva e meravigliosa in quel suo lungo abito azzurro con le mani conserte sotto il seno, cercando di sembrare minacciosa.

“Quante altre volte dovrò chiederti di stare lontano da quella scogliera? Steve sai che ho una paura folle di vederti scivolare giù… ti prego…”

Aveva dieci anni e mai avrebbe voluto ferire la madre ma spesso e volentieri la curiosità lo portava su quella scogliera, a guardare quell’immensa distesa di acqua che si estendeva verso quella palla infuocata che scaldava i loro corpi e i loro campi.

Abbassò il capo annuendo alla madre seguendola verso casa, si fermò comunque a voltarsi per osservare quella roccia fredda e solitaria da cui avrebbe dovuto stare lontano trovandola, però, estremamente interessante, come se ci fosse qualcosa che lo richiamava lì come una nenia.

Sua madre lo prese tra le sue braccia e lo accarezzò delicatamente, gli spostò quelle bionde ciocche corte e passò anche un dito su quei bellissimi occhioni dal colore del cielo.

“Mamma oggi posso andare a giocare con Natasha e Sam? Posso?”

La donna annuì mostrando su quel volto alcune delle prime rughe, forse dovute alla stanchezza del dover crescere un figlio da sola o forse dovute alla preoccupazione di avere un marito disperso in quel mare che le aveva tolto tutto ciò che amava.

“Certo che puoi tesoro, ma mi raccomando, l’oceano nasconde segreti che devono restare tali quindi stategli lontani.”

 

………………………………….

 

La farfalla era di un colore che mai aveva visto nella sua corta vita, sembrava blu ma pareva quasi essere fatta di pura elettricità ogni qualvolta che sbatteva le ali per muoversi da fiore in fiore, Steve la seguì spostandosi assieme a lei, meravigliato. 

Si nutriva di quel polline e poi ripartiva verso altro cibo mentre il bimbo la seguiva silenzioso e rispettoso con occhi di chi pare non aver mai visto nulla di così bello nella sua vita.

Sbatteva le ali muovendosi armoniosa e silenziosa, gli volò intorno per poi iniziare a salire verso il cielo blu e verso quell’oceano che sua madre temeva.

Iniziò a correre ridendo felice fino ad accorgersi di essere sul ciglio di quella scogliera da cui doveva stare lontano, osservò quella farfalla svolazzare incurante che sotto di sé ci fosse solo l’oscurità dell’acqua....

“STEVEEEEEE!!!”

Si voltò notando troppo tardi che la roccia sotto di sé aveva iniziato a cedere, lasciandosi andare con piccoli sassi assieme a lui, cercò un appiglio con le mani ma l’unica cosa che riuscì a fare fu guardare il volto di sua madre rigato dalle lacrime e pensare a quanto fosse stato sciocco a seguire quella farfalla bellissima.

Il senso del vuoto che lo accolse mentre cadeva gli aveva tolto il fiato, lo aveva zittito impedendogli di urlare per farsi sentire, il suo corpo si mosse per inerzia fino al momento dell’impatto.

L’acqua era gelida e dura, mai avrebbe pensato che quella sostanza che sembrava non avere nè peso nè colore potesse essere così dolorosa contro di sé, attorno a sé.

Avvertì quella sostanza risucchiarlo, ghermirlo centimetro dopo centimetro insinuandosi dentro di lui, attorno al suo corpo e nei suoi polmoni.

Non gli erano rimasti molti ricordi di quell’oceano che pareva volerlo morto, tutto nella sua testa sembrava confuso come se avesse preso un colpo alla testa ma era certo di ciò che aveva visto, quella lunga coda da pesce assieme a quei due occhi azzurri che lo fissavano curiosi. Ricordava perfettamente quelle mani che, fredde ma non troppo, si posarono sul suo volto mentre la bocca di quella creatura si posava sulla sua per dargli ossigeno.

Ricordi confusi e vaghi seguirono quel momento prezioso, quel corpo ricoperto di squame era forte e scattante contro il suo che, quasi immobile, pareva quasi morto.

Riaprì gli occhi ed iniziò a tossire avvertendo quel liquido che prepotente cercava di uscire dai suoi polmoni, tossì vomitando acqua e girandosi sul fianco guardando con i propri occhi quel paesaggio che gli ricordava una spiaggia, le sue orecchie avvertirono il richiamo dei gabbiani ed infine il suo palmo si chiuse su quella sabbia avvertendola calda e asciutta.

La tempia gli pulsava e quando portò due dita a toccarla ci trovò del sangue che, lento, andava a colare sulla palpebra e sulla guancia. 

Spostò lo sguardo curioso verso quella distesa che, per poco o tanto tempo non sapeva dirlo, lo aveva afferrato e aveva cercato di trascinarlo giù come aveva fatto con suo padre anni addietro.

Una testa sbucava dall’acqua, quelli erano gli stessi occhi che aveva intravisto nell'acqua sotto alla scogliera, quella creatura era veramente lì a filo dell’acqua, ad osservarlo...

Tossì nuovamente fissando quella creatura curioso, sembrava avere la sua età e forse era anche più piccolo, lo guardava con il capo chino come confuso da ciò che si era ritrovato a trascinare fuori dal suo regno.

“Mi hai… salvato… Grazie. Da dove vieni?”

Steve lo stava guardando, poteva leggerglielo in volto che si stava sforzando di capire cosa stesse dicendo ed era meraviglioso per il giovane Steve poter vedere quel mezzo pesce così vicino, avrebbe solo voluto comunicare con lui, innocentemente perchè in fondo erano solo due bambini appartenenti a due mondi completamente differenti ma vicini.

La creatura aprì la bocca rivelando una serie di piccoli denti acuminati, cercò di imitare i suoni che aveva prodotto l’altro gorgogliando, incapibile.

Il volto di Steve si spalancò radioso di fronte a quel tentativo da parte della “bestia”, poteva davvero chiamarlo così dopo che lo aveva salvato da quella caduta che, sicuramente, gli sarebbe risultata letale?

Non poteva essere un mostro.

Steve si alzò da quella sabbia che gli si era appiccicata addosso e mosse qualche passo verso di lui, in acqua, in maniera cauta ma curiosa, allungò una mano e sorrise divertito e meravigliato da quella presenza.

Il tritone indietreggiò appena ringhiando in modo appena udibile, doveva essere il suo primo contatto con un umano, era insicuro ma allo stesso tempo curioso e Steve si fermò, rispettoso di quella paura, tornò ad allungare una mano verso di lui prima di parlargli con tono basso ma speranzoso.

“Come ti chiami? Io sono Steve, possiamo essere amici se vuoi…”

Il giovane osservò la creatura mentre guardava quella mano che lui gli stava tendendo per poi portarsi le mani di fronte al volto curioso di quell’usanza, si stava studiando le proprie mani che risultavano palmate e scure rispetto alle sue...

Steve lo vide spostare il capo da sinistra a destra assottigliando gli occhi, dolce e confuso prima di cercare di sorridere e aprire la bocca per sibilare una B poco udibile e poco chiara.

L’enorme coda si mosse uscendo dall’acqua e mostrandosi in tutto il suo splendore agli occhi del bambino che si bloccò con la labbra spalancate a formare una leggera O per lo stupore; l’intero corpo era squamato con colori che andavano dal grigio all’azzurro per finire sul nero e sul rosso sotto all’ombelico. Le sue mani erano nere, palmate e con artigli acuminati che, sul suo corpo mentre lo trasportava, non avevano lasciato alcun segno.

Era uno spettacolo, era bellissimo e quello doveva essere uno di quei segreti che sua madre tanto proclamava, uno di quelli che sarebbe dovuto restare un segreto invisibile, una leggenda da non conoscere.

Steve non potè fare a meno di sorridere, spontaneo e infantile di fronte a quella creatura che lo guardava con la sua stessa curiosità.

Fece un altro paio di passi trovandosi in acqua fino alla vita vicino a lui, allungò una mano toccando quella dell’altro che, d’istinto, si ritirò quasi timoroso ma che, dopo pochi secondi, si ritrovò a far combaciare i loro palmi, curiosi di capirci qualcosa in più, l’uno dell’altro.

“Ti chiamerò Bucky se a te va bene, almeno fino a quando non riuscirai a dirmi il tuo nome.”

La sensazione di averlo vicino era strana, il contatto con la loro pelle era fresco ma non gelido come le acque in cui viveva la creatura, non era viscido al tatto ma era ruvido e Steve si ritrovò, dopo tutte queste considerazioni, a sorridere nuovamente felice.

Bucky cercò di sorridere stirando le labbra e cercando di alzare quelle labbra in modo naturale fallendo miseramente in quello che doveva essere un sorriso, risultando più un mezzo ringhio… 

Steve annuì a quel tentativo, era un primo approccio e lo adorava già.

Bucky si avvicinò a lui, curioso, muovendo il naso come se lo stesse annusando prima di poggiare le labbra sulle sue in un tocco leggero ma sicuro.

Steve arrossì a quel contatto facendo ridacchiare il tritone che mosse la coda schizzandolo felice, come poteva essere così semplice capirsi nonostante quel mezzo pesce non parlasse la sua stessa lingua? 

Un fischio arrivò dal mare e subito Bucky si mosse scattando e voltandosi verso quella distesa, attento e quasi spaventato da quel semplice fischio.

Steve si ritrovò a stringere quella mano che si era intrecciata inconsciamente con la sua, lo sguardo del tritone si spostò sollevato a quel contatto mentre emetteva una specie di fischio con la gola. 

Si guardarono per alcuni secondi prima che un altro suono raggiunse le sue orecchie, Bucky si mosse poggiando la propria bocca sulla fronte del ragazzo, proprio sul punto in cui il sangue non aveva ancora smesso di gocciolare.

Si allontanò mostrando quel magnifico corpo prima di inabissarsi con un movimento abile e silenzioso in quell’abisso scuro in cui lui, poco prima, stava per morire.

Si portò istintivamente una mano al capo tastando quel punto in cui le labbra si erano posate per quella seconda volta, la ferita non pulsava più e il sangue aveva smesso di uscire. Le sue dita scesero ad accarezzarsi le labbra, scioccato ma piacevolmente colpito da quel comportamento.

Si accorse di avere freddo e di essere ancora in acqua, scosse il capo per riprendersi prima di tornare a riva scosso ma vivo.

Si fermò sulla spiaggia girandosi ad osservare per un’ultima volta quella distesa che, in quegli ultimi minuti, si era colorata di rosso, si era tinta di un tramonto mozzafiato che Steve non guardava perchè troppo preso da quell’oceano che nessuno poteva realmente vedere.

“Ti ritroverò Bucky, ti cercherò fino alla fine dei miei giorni.”

 

…………………………………………

 

I giorni passarono, seguiti dai mesi e dagli anni, si susseguirono lentamente assieme alle stagioni mentre Steve cresceva, si faceva forte e in gamba.

Non raccontò mai a nessuno di Bucky tranne che a Natasha ma solo perchè lei lo trovò una sera su quella stessa spiaggia, lo seguì fin lì per qualche giorno fino a quando lui non fu pronto per parlargliene.

“Nat chi avrebbe mai creduto ad un ragazzino di soli dieci anni, appena caduto da una scogliera che aveva visto un tritone uscire dall'oceano per salvargli la vita… mi avrebbero preso per matto.”

La ragazza gli aveva sorriso, stranita e incredula. Steve si era mosso estraendo dalla propria tasca dei fogli stropicciati, erano disegni, ogni singola parte del corpo di quella creatura era stata riportata su carta, ogni espressione e movimento che aveva compiuto durante quel breve, anzi brevissimo tempo che avevano passato insieme.

“Dimmi Nat come può un bambino fantasticare con questa precisione e ricordarsi questi dettagli anche a distanza di anni.”

La ragazza lo aveva guardato incredula mentre sfogliava quei fogli, uno dopo l’altro, quella era arte, preziosa arte che Steve nascondeva al mondo per una paura più che concreta.

“Steve non puoi pretendere sul serio che io ci creda…”

Steve la guardò con sguardo deciso e sicuro, aveva come unica prova una piccola cicatrice sulla testa oltre ai suoi ricordi e si ritrovò ad afferrare una mano della ragazza e portarla sul capo fino a farle toccare quella parte.

“Quando sono tornato al villaggio aveva il volto ricoperto di sangue, avevo la maglia ricoperta di rosso ed era mio, avevo piccoli graffi qua e là ma nessuna ferita che avrebbe spiegato tutto quel sangue… sei stata la prima a vedermi quel giorno.”

Nat aveva spalancato gli occhi ricordando quel giorno con meticolosità… 

 

Stava giocando al limitare del villaggio, amava starsene lì perché non c’era mai nessuno e da lì vedeva tutta la costa con le spiagge, amava quel posto.

Stavano tutti cercando Steve, il suo amico, l’unico con cui si sentiva sé stessa e sua madre le aveva detto che si era perso e che era per quello che lo stavano cercando… 

Natasha aveva capito che stava mentendo, l’aveva capito dal volto disperato che Sarah, la madre del suo amico Steve, aveva in viso, quella era disperazione non paura.

Era partita alla sua ricerca, aveva camminato fino a quando lo aveva visto,  traballante su quelle gambe magre, aveva visto il sangue che lo ricopriva assieme ai brividi che colpivano quel piccolo corpo ad intermittenza.

“Steve…”

Si era lanciata verso di lui ad abbracciarlo ed aveva urlato richiamando qualcuno, chiunque per aiutare quel ragazzino dai capelli color del grano.

“Non è nulla Nat… Sto bene.”

La bambina aveva trattenuto le lacrime perchè mai sua madre le avrebbe permesso di piangere ma aiutò quel bimbo senza fare domande.

 

“Lui mi ha guarito. Penso che la febbre che ho avuto sia stata una specie di reazione a qualsiasi cosa mi abbia fatto ma… Natasha mi ha trascinato fuori dalle onde e ti assicuro che poteva essermi letale.”

La guardò curioso, non sapeva che cosa aspettarsi da lei ma ci credeva, erano cresciuti assieme, sapevano l’uno i segreti dell’altra e mai avrebbe dubitato di lei.

La ragazza spalancò la bocca per parlare ma la richiuse annuendo e sospirando prima di guardarlo negli occhi e parlare con tono sicuro e tosto.

"È per questo che vuoi partire quindi? Quando avrai finito di sistemare la nave di tuo padre?"

Steve annuì con, negli occhi, una scintilla che non ammetteva alcuna obiezione, quel ragazzo era nato per muovere le masse con le parole, non conosceva la cattiveria ma solo la giustizia.

“Ci crederò solo se mi porterai con te, ti conosco Steve, potranno chiamarti pirata quanto vorranno  ma tu combatterai per ciò che considererai giustizia. Hai bisogno di una sveglia come me nella tua ciurma.”

Lei si alzò e Steve la seguì con lo sguardo, si ritrovò a fissare la mano che lei gli tendeva orgogliosa di aiutarlo in quell’impresa.

“Se non lo troveremo mai o se invece lo troveremo sarà indifferente fino a quando saremo insieme a guardarci le spalle a vicenda.”

Il biondo era consapevole del perché quella ragazza se ne volesse andare da quel posto, sapeva della madre che, violenta, la pestava per qualsiasi errore lei commettesse, l’aveva venduta più volte a pirati che passavano in quell’isola come un semplice pezzo di carne e forse, nella testa di Steve, erano queste le ingiustizie che lui voleva combattere. 

“Natasha se vogliamo partire dobbiamo iniziare a sistemare la nave, te la senti di aiutarmi?”

Erano ragazzini, quindici o forse sedici anni, volevano evadere da quel posto e lasciarsi tutto alle spalle, alla ricerca di quel futuro che poteva solo che essere migliore di quel loro passato.

 

……………………………….

 

“Steve! Steve! Tua madre non sta bene!”

Il giovane aveva mollato tutto, aveva guardato i suoi due migliori amici, Sam e Clint, e aveva semplicemente iniziato a correre senza fermarsi fino a casa sua.

Aveva il fiatone quando arrivò alla porta dove il medico uscendo gli batté una mano sulla spalla scuotendo il capo invitandolo a salutarla prima che essa passasse a miglior vita.

Entrò in casa con gli occhi carichi di lacrime, il pensiero di perderla e di rimanere solo faceva male come poche altre cose in quella sua vita fatta di lotte.

“Madre…”

La donna era distesa sul letto, stava tossendo sangue e tremava, sofferente. Gli sorrise sicura prima di invitarlo vicino a sé, di chiamarlo con un filo di voce a sedersi per l’ultima volta sul suo letto come faceva quando era solo un bambino.

“Sei cresciuto Steve… ho avuto paura di non riuscirci senza tuo padre ma invece eccoti qui, forte e splendente come lui…”

Il colpo di tosse la obbligò a smettere di parlare per piegarsi di lato e soffrire in silenzio mentre Steve le accarezzò la schiena amorevole senza sapere cosa fare.

“N-non sforzarti madre.”

Lei negò accarezzando il volto del figlio mentre calde lacrime lasciavano gli occhi di entrambi, calde gocce che cadevano a terra come frutta matura.

“Figlio mio, so che vuoi partire e so che comunque ti avrei perso tra quelle onde perchè, anche tu come tuo padre, non siete in grado di resistere al richiamo di esse. Vai e trova la tua strada…”

Steve si ritrovò a piegare il capo poggiandolo sulle loro mani unite, perderla era qualcosa che non aveva nemmeno considerato, aveva sempre pensato di partire per solcare l'oceano ma aveva anche sempre avuto la percezione di poter tornare a casa per riabbracciarla.

"Mamma… non lasciarmi."

La donna tossì ancora portando la mano libera alla bocca per coprire quella spiacevole vista al suo Steve…

“...per favore.”

Aprì la bocca guardando quegli occhi che erano così simili ai suoi, la gente del villaggio continuava a dirgli che i suoi avevano una leggera sfumatura di verde, una sfumatura che lui non aveva mai visto ma che ora, su quel letto di morte, riscontrava in quelli della madre.

“Sei forte Steve… lascia che sia il tuo cuore buono a guidarti, sempre. Qualsiasi cosa succeda non smettere di essere te stesso. Vattene ora...”

Le sorrise mentre si staccava da quella presa debole, la vide sistemarsi alla meglio su quel capezzale prima di sussurrargli le ultime parole, le ultime che avrebbe speso verso di lui, il suo amato ed unico figlio.

“Vai figlio mio, corri su quella spiaggia che tanto adori e restaci fino al suono delle campane.”

Steve annuì, consapevole del peso di quelle poche parole, avrebbe ubbidito a malincuore a quella richiesta silenziosa di non restare lì, in quella stanza con lei e vederla morire. Avrebbe fatto come gli aveva chiesto, avrebbe corso per lei e avrebbe atteso anche per giorni se quello era il suo ultimo desiderio.

Uscì dalla casa e guardò il medico posandogli delicatamente una mano sulla spalla e sorridergli cercando inutilmente di trattenere quelle lacrime che presuntuose cercavano di sfuggirgli dalle ciglia già umide.

Natasha lo raggiunse con le braccia conserte, cercò di sfiorargli la schiena ma lui semplicemente si voltò, scansando quel leggero tocco ed iniziando a correre…

Corse fino a quando non avvertì i polmoni bruciargli per lo sforzo, fino a quando le gambe tremarono e cedettero su quella spiaggia in cui era come rinato con occhi differenti.

Le sue ginocchia si scontrarono con quella sabbia morbida e i suoi occhi lasciarono cadere tutte quelle lacrime che si erano tenuti per sé, goccia dopo goccia caddero a bagnare quel terreno mentre il suono del mare copriva i suoi singhiozzi.

Si trascinò fino all’acqua, si rialzò e camminò fino a quando l’acqua non gli ricoprì l’intero corpo, era gentile rispetto a quella volta in cui lo aveva ghermito e trascinato in basso, sembrava quasi sfiorare il suo corpo in una sottile carezza materna, quasi che quello fosse lo spirito di sua madre che, in un ultimo e dolce tentativo, lo cullava come quando era solo un infante.

Pianse anche mentre l’aria iniziava a scarseggiare nei suoi polmoni allenati, doveva solo superare la cosa, doveva solo pensare alla sua missione e a quella promessa...

“...ti cercherò fino alla fine dei miei giorni.”

 

……………………………………

 

Camminò su quella spiaggia, al tramonto come era solito fare, mise le mani in tasca e si godette quella pace che, da sempre, sembrava circondarlo solo in quel posto magico.

Si sedette grattandosi il capo con imbarazzo, ridacchiò alzando quello sguardo verso il promontorio da dove era caduto, osservò quella riva che li aveva visti così vicini e così lontani, si ritrovò a parlare senza nemmeno accorgersene, non parlò verso quella creatura ma quella volta si ritrovò a parlare a quel luogo.

“Domani mattina all’alba partiremo, siamo riusciti a sistemare quel relitto di nave e l’abbiamo resa la nostra nuova casa…”

Afferrò un pò di quella sabbia scura tra le mani e la osservò mentre, granello dopo granello, cadeva al suolo riunendosi a quell’immensità nera.

“Mi mancherai spiaggia, questo posto mi mancherà ma sono quasi certo che non ti dimenticherò mai perchè sono nato e rinato qui, con occhi diversi.”

Lì, sulla battigia c’era una conchiglia solitaria, era bianca e affusolata, Steve se la portò alla bocca prima di soffiarci dentro quella stessa promessa che fece al mare per quel giovane tritone, la ripetè un altro paio di volte prima di portarsela al cuore e chiudere gli occhi riposando lì per quell’ultima volta sulla terra ferma.

Era una promessa che, ormai, troppe volte aveva detto al mare ed ora, a distanza di anni, era giunto il momento di partire, di lasciare quell’arcipelago sicuro per affrontare quell’oceano pericoloso.

Se fosse morto in quell’impresa almeno poteva dire di averci provato, aveva tentato, oltre a tutto il resto, di ritrovare quella creatura dagli occhi di ghiaccio.

 

“Ammainate le vele! Si parte.”

Clint, Natasha e Sam lo guardarono orgogliosi di lui, il resto dell’equipaggio gioì festoso ed eccitato per quell’esclamazione.

Erano pirati ma con le migliori intenzioni, avrebbero rubato distruggendo fortezze e navi ricche per portare un pò di giustizia in quel mondo fatto di balordi e di giullari.

Aveva scelto ogni singolo membro dell’equipaggio, li aveva scelti in base al loro modo di pensare, puro e razionale esattamente come il suo ed era certo che non poteva chiedere di meglio!

C’erano tre donne su quella nave ma nessuna sarebbe mai stata vista come un oggetto da usare, c’erano anche due ragazzi che non avevano nemmeno la forza per spostare un baule ma non per questo venivano sfruttati come mozzi… 

Steve si toccò distrattamente il pettorale sinistro, là dove teneva il ritratto che aveva fatto del tritone, l’aveva perfezionato negli anni immaginandolo cresciuto: un ideale, un sogno, un mito, una promessa.

“Sto arrivando.”

Lo sussurrò avvertendo quel lieve rumore di carta vicino al suo petto, non sapeva dire con precisione quanto tempo ci avrebbe impiegato per trovare anche solo qualcuno a cui chiedere ma se lo sentiva sotto pelle che quella era la giusta via da percorrere.

 

[To Be Continued…]

 

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Capitolo 2
*** Parte Due ***



Parte due | Parole: 4330 

 

“Ehi Capitano! Ad ore undici c’è un’isola! Sventola la bandiera dell’hydra!”

Steve annuì, erano ormai un paio di anni che avevano preso il largo e “casa” ormai era lontana, le battaglie si erano susseguite sanguinose e distruttive, avevano perso uomini e vinto guerre a bordo di quel loro fidato vascello.

L’Hydra era una delle poche flotte che affrontavano mal volentieri, erano barbari, stupratori, assassini, vili pirati senza un vero scopo se non quello di accumulare potere e ricchezze ai danni di altri.

Afferrò il telescopio che gli stava passando Natasha e guardò quella bandiera sventolare, guardò le mura e il porto scoperto e non protetto.

Doveva essere una delle loro nuove conquiste.

“Ci servono scorte?”

Chiese a Sam che era appena emerso da sotto coperta, si erano guardati e il giovane di colore aveva parlato leccandosi le labbra.

“Sì, avremo bisogno di un pò di scorte, oserei dire anche di una buona manutenzione alla nave, alcune parti si sono pericolosamente incrinate durante l’ultima tempesta… che Dio ce la mandi buona se vogliamo tornare a navigare in queste condizioni. Riparazioni da poche ore al massimo.”

Steve si portò una mano ai capelli e sospirò annuendo più a se stesso che ad altri, non era uno sciocco e men che meno un folle pronto a perdere la vita per qualcosa di così poco conto.

“Bandiera bianca. Si naviga verso il porto.”

Il loro jolly roger venne calato per issare una bandiera bianca, un segno di resa e di sottomissione, non cercavano rogne ma solo materiale e cibo. Superarono la barriera invisibile dei primi cannoni, si addentrarono lentamente in quel porto che pareva assai ricco e attraccarono ad uno dei moli senza alcun problema.

“Steve io cerco informazioni utili, Clint rimarrà di guardia e Sam andrà a cercare altre informazioni. Ho già assegnato i compiti agli uomini quindi fatti un giro ma non creare disastri, chiaro?”

Steve si ritrovò ad annuire, di fronte a quella donna le sue capacità di organizzazione sembravano sempre venire meno eppure riuscivano ad essere un team efficiente e collaborativo.

Steve scese dal ponte con passo cauto ma fiero, non si erano ancora  scontrati direttamente con quei corsari e il loro nome non era così conosciuto da essere abbastanza minaccioso per quei boriosi e potenti pirati. Forse una sola volta all’inizio della loro navigazione avevano affondato una nave ma nulla di eclatante da muovere la vera Hydra.

Steve vagò per il mercato, osservò le merci e sorrise ad alcuni di quei bambini che vagavano correndo di qua e di là ridendo gioiosi; Steve si ritrovò a guardarsi attorno con attenzione, le genti erano povere, ridotte sul lastrico nonostante la quantità di navi e di strutture che ricoprivano  anche solo quel pezzo di porto.

Natasha gli giunse vicino prendendolo sotto braccio e sussurrandogli nell’orecchio con gli occhi che scattavano in tutte le direzioni per cercare qualche pericolo imminente.

“Quest’isola è una base per il bracconaggio, per le aste di creature rare e sono quasi certa che ci sia un covo dell’Hydra, forse non il principale ma una grossa base.”

Steve si ritrova ad annuire a quelle informazioni, odiava quella pratica illegale, c’erano persone che amavano collezionare bestie di ogni genere spesso portandole ad atroci sofferenze e, in alcuni casi, anche alla morte.

“La gente è povera, Nat.”

La donna si guardò attorno, studiò quel posto notando le prostitute che li guardavano quasi disperate, quasi che chiedessero quei soldi con una necessità che raramente aveva visto negli occhi di persone, si vendevano per poter vivere e non ne erano per nulla felici.

“Dobbiamo salvarli, non posso lasciarli qui così, guarda i bambini…”

Natasha si voltò scuotendo la lunga chioma rossa ritrovandosi a guardare quei bambini che, se a primo impatto potevano parere normalissimi bambini ma che, ad uno sguardo più accurato, si potevano notare quanto quei vestiti risultavano grandi e quanto quei volti parevano scavati dalla fame.

"Aspettiamo Sam e analizziamo le sue informazioni, ok Steve?"

Il capitano annuì comprando un po' di mele con dei fiorini e allungandole successivamente a quei bambini con un sorriso dolce dipinto in volto.

"Prendetele e mangiatele, non è molto lo so…"

I bambini si ritrovarono a mangiarle tutte, con avidità nonostante l'iniziale titubanza, incapaci di credere in quella gentilezza gratuita.

Steve si perse in quei bambini e sorrise accarezzando loro il capo prima di vederli correre via.

 

Tornarono alla nave e, sul ponte ad attenderli, c’era Sam con le braccia conserte e il volto imbronciato.

“Ehi Capitano terranno un’asta in cui, oltre ai soliti pezzi come squali o coccodrilli, avranno anche due rarità dell’oceano, dicono pezzi unici o comunque rari.”

Steve guardò attorno a sè e sospirò, doveva pensare a cosa fare e a come muoversi per liberare quella povera gente dalla maledizione dell’Hydra.

“Pezzi unici?”

Natasha parlò curiosa e richiamando così anche il biondo all’attenzione obbligandolo a guardare in volto Sam, improvvisamente curioso di cosa nascondessero quei corsari.

“Hanno parlato di un delfino albino, una femmina gravida e… se ho capito bene parlavano di un tritone.”

Gli occhi di Steve si spalancarono, increduli a quelle parole e a quella creatura rara, non gli servì guardarsi intorno perché Natasha aveva già dato ordine di prepararsi a combattere e a liberare quella gente.

“Se non fosse lui puoi sempre avere informazioni, Steve.”

Il capitano annuì a quella frase, Nat aveva ragione, aveva sempre ragione e non poteva abbandonare tutto ora che, finalmente, aveva una pista da seguire.

 

……………………….

 

Si erano infiltrati in quella casa d’aste, si erano appoggiati a quel muro in fondo alla stanza cercando di rimanere il più possibile anonimi, indossavano larghe mantelle che permetteva loro di nascondere anche il volto in caso di necessità.

Quella stanza era grande, gremita di persone che erano lì per acquistare, ricchi proprietari che volevano solo aggiudicarsi quelle rarità per arricchire il proprio ego.

Al centro di quei quattro muri c’erano due grandi vasche, una nascosta da un telo scuro e l’altra che mostrava, all’interno di essa, un delfino bianco che nuotava in circolo, nervoso e infastidito da quella situazione stressante...

“Il pezzo forte dell’asta di oggi è un pezzo da collezione, una creatura più pericolosa di un qualsiasi squalo e più feroce del kraken stesso. Signori e Signore se qualcuno riuscisse a plagiarlo e ad addestrarlo avrebbe tra le mani una delle armi più potenti del mare… lustratevi gli occhi su questo esemplare in piena forma di tritone.”

Il telo della seconda vasca venne tolto, scivolò a terra con un rumore delicato facendo placare immediatamente il vociare concitato delle persone attorno a loro.

“Può procreare se vi interessa signori, è una razza che non ha un sesso specifico ma ha sia organi maschili che femminili, è straordinario non pensate? La base d’asta per codesta creatura è di quindici barili pieni di fiorini…”

Steve si perse ad osservare la creatura, aveva spesse catene che gli ancoravano le braccia e la coda al fondo di quella vasca, aveva un collare ed una corda che lo obbligavano a tenere la testa piegata in avanti per via del peso di essa ed infine era bendato.

I colori di quella creatura erano uguali ai suoi, il grigio e il blu, il nero e l’azzurro, le braccia che parevano immerse nel petrolio più scuro ed infine quelle poche squame sotto all’ombelico che risultavano rosse… 

Il respiro di Steve si accorciò mentre Natasha lo guardava rovistare nella propria giubba alla ricerca di quel disegno che aveva fatto per non dimenticarselo mai, lo mostrò alla donna che, incredula, si ritrovò ad annuire al biondo.

“Stiamo parlando dell’Hydra giusto?”

Sam e Nat annuirono, la donna iniziò ad indicargli un uomo, colui che stava parlando e vendendo quella bellissima creatura.

“Quello è Alexander Pierce, uno dei peggiori e al suo fianco c’è Rumlow, il suo scagnozzo più fidato, eliminiamo loro e ci sarà tutto più facile.”

Steve guardò i suoi due compagni d’avventura, annuì e parlò con tono risoluto e sicuro.

“Devo salvarlo è lui Nat, ne sono certo…”

Sam gli appoggiò una mano sulla spalla, non sapeva nulla di quella storia eppure sostenne il suo Capitano dirigendosi all’esterno per dare l’ordine agli altri di uccidere quelle guardie affinché la battaglia fosse un poco meno cruenta.

Steve si mosse, camminò muovendosi nell’ombra fino a raggiungere le spalle di uno dei pirati nemici, gli coprì la bocca con la mano e, con un abile gesto, gli spezzò l’osso del collo passando al successivo fino a giungere a quelli che restavano, immobili vicino a quel palco improvvisato. 

Si ritrovò a cercare con lo sguardo Natasha che, complice e silenziosa, aveva ripulito l’altro lato della stanza portandoli a dover finire l’opera solo con quella decina di uomini che avevano di fronte.

Non appena Steve marciò verso il primo uomo, esso si voltò intimandogli di fermarsi prima di venir colpito da un potente pugno del biondo, creando così il caos in quella casa d’aste.

I compratori iniziarono ad urlare e a scappare terrorizzati mentre, attorno a quelle due enormi teche in vetro, la lotta continuava a suon di fendenti e di calci e pugni.

Steve si ritrovò, dopo aver ucciso un altro scagnozzo dell’Hydra, di fronte a Rumlow e la battaglia iniziò furiosa, quell’uomo evitava i suoi pugni e si difendeva egregiamente, era veloce e preparato. 

Steve si ritrovò ansante dopo aver incassato un destro sul volto, si leccò le labbra prima di tornare all’attacco deciso più che mai a mettere la parola fine a quel combattimento; Riuscì ad affondare un coltello nel braccio dell’uomo per poi ferirlo ad una gamba e rotolare alle sue spalle ed atterrarlo con forza prima di afferrare con le sue mani la testa di quell’uomo e sbatterla sul pavimento con forza decretando la sua vittoria.

Natasha nel frattempo aveva impedito a Pierce di fuggire e lo aveva bloccato ed immobilizzato, l’aveva legato ad una sedia per aspettare un ordine del biondo.

“Puoi prenderlo se vuoi ma sappi che non riuscirai mai a domarlo!”

Steve si bloccò di fronte a quella vasca, ignorò quell’affermazione e spostò lo sguardo su quel corpo  squamoso ma armonioso e si ritrovò a sorridere.

Non doveva domarlo, non ne aveva bisogno, doveva solo riuscire a ricordargli chi era e sarebbe andato tutto bene, ne era certo, ne era sicuro perchè se lo sentiva dentro.

Si mosse avvicinandosi alla creatura che, per via di tutto quel casino si era agitata, lo vide muoversi cercando di strappare quelle catene che stridettero e che si tesero anche sotto quell’acqua cristallina, cigolando come pronte a spezzarsi per via di quella forza sovrumana.

“Ehi, ti ricordi di me?”

Il tritone cercò di muovere la coda, le sue branchie si aprirono ma non diede nessun segno di calma, sembrava solo essere nel pieno del panico.

“Quando ci siamo incontrati la prima volta, tu mi salvasti e io ingenuamente ti chiesi da dove venivi…”

Mosse ancora un paio di passi ritrovandosi così a pochi centimetri da quel vetro spesso, vide la creatura bloccarsi, Steve lo osservò mentre spostava il capo da destra a sinistra, come curioso di quella situazione. Continuò a parlare allora, fiducioso.

“Ti chiesi come ti chiamavi ma l’unica cosa che mi dicesti era una B sospirata e affaticata…”

Il semi animale iniziò ad aprire e a chiudere le mani palmate cercando di muoversi, di percepire qualcosa oltre a quelle catene che, dolorose, stavano segnando le sue squame scure. Steve lo poteva vedere, lo percepiva quasi sotto pelle quel desiderio di essere libero e non poteva biasimarlo.

“Ti dissi che ti avrei chiamato Bucky e quello stesso giorno giurai all’oceano che prima o poi ti avrei ritrovato.”

La creatura vibrò rilasciando un suono simile ad un gorgoglio, tirò le catene in maniera quasi disperata cercando di arrivare a toccare quel vetro, scosse il capo muovendo quei lunghi fili scuri che si muovevano in acqua come dotati di vita propria.

Steve si ricordava quella creatura con i capelli corti ma ora era cresciuto, era diventato grande, adulto e quella chioma dava quel tocco selvatico a quel suo primo e impossibile amore.

“S….Steve?”

Il petto del biondo si riempì di gioia, quella voce e quel nome, sussurrato a bruciapelo da quelle labbra che gli avevano rubato il suo primo bacio, erano meravigliosi; mai avrebbe immaginato di sentire il proprio nome e trovarlo immediatamente perfetto, giusto detto da lui.

Toccò nuovamente la teca, sfiorandola e poggiandoci la fronte mentre sussurrava verso Bucky.

“Ti ricordi di me…”

Era felice, aveva quasi le lacrime tanta era la gioia che il suo cuore stava provando, si leccò le labbra sorridendo prima di parlare gentile e dolce.

“Ora ti porto nel tuo amato oceano, nella tua casa…”

Si staccò da lì andando a cercare, sul cadavere di Rumlow, le chiavi di quelle malefiche catene. Frugò fino a trovarne un grosso mazzo, prese la rincorsa e, agilmente, scavalcò quella  parete di vetro con un salto agile.

L’acqua lo avvolse, calda mentre la sua vista era leggermente appannata, vide una sorta di “scarico” e subito ne cercò con gli occhi la leva che, giustamente, si ritrovava all’esterno della vasca.

Decise che a quello ci avrebbe pensato dopo, dopo averlo liberato, solo dopo che quelle catene non ci fossero più state sull’immensa coda scura del suo Bucky.

Nuotò fino alla coda, ne accarezzò gentilmente la parte finale, come una leggera dimostrazione di presenza, un fremito e un suono ovattato delle catene che si aprivano ed improvvisamente l’ossigeno venne a mancare nei polmoni di Steve. 

Tornò in superficie, incanalando più ossigeno che poteva nei polmoni prima di tornare giù e liberare il collo accarezzando distrattamente quei capelli scuri con gentilezza prima di passare ai polsi segnati, non se lo ricordava così potenzialmente letale ma aveva fiducia in lui e mai lo avrebbe lasciato lì, in mani sconosciute.

Liberò anche la seconda mano e, immediatamente, quelle mani palmate andarono a rimuovere quella spessa benda che gli ostruiva la visuale, si specchiarono l’uno negli occhi dell’altro, vicini ma non abbastanza.

Bucky lo afferrò e lo portò in superficie e Steve si ritrovò a respirare a pieni polmoni sorridendo prima di incupidirsi udendo le parole di Natasha dal di fuori della vasca.

“Steve! Stanno arrivando! Esci da lì! Capitano!”

Steve guardò l’amica e poi il tritone, guardò nella direzione di quella specie di scarico e parlò mentre si issava per uscire da quella vasca.

“Aprirò quella specie di botola, Bucky devi andare e tornare ad  essere libero, ti ho ritrovato e ti sto restituendo il favore di salvarti quindi và.”

Bucky allungò una mano verso di lui, aveva gli occhi di chi non voleva andarsene, quasi spaventato, ma, non appena Steve si spostò avvicinandosi a quella leva e la mosse, l’acqua iniziò a calare all’interno della vasca e la creatura si ritrovò ad annuire nuotando abile verso quella via d’uscita sotto gli occhi attenti del biondo che lo osservava dall’esterno, tramite quel vetro chiaro.

Steve si ritrovò a respirare, non si era nemmeno accorto di aver trattenuto il fiato, l’aveva appena ritrovato e l’aveva già perso come in un crudele scherzo del destino.

“Natasha dobbiamo andare alla nave, dobbiamo andarcene....”

Era confuso perché era certo di aver visto in quelle iridi un sentimento simile al suo, una vicinanza che entrambi avevano desiderato fin dal loro ultimo incontro, un’intimità che solo loro due avrebbero potuto capire.

Natasha si ritrovò ad annuire, afferrò una delle daghe che portava con sé recidendo la trachea di Alexander Pierce, precisa e senza alcuna emozione… si ripulì le mani e poi iniziò a correre afferrando il braccio di Steve e portandolo con sé, incapace di farlo riprendere da quell’incontro fugace.

“Ci sono tre navi in arrivo, armate fino ai denti… potrebbero essere velieri da combattimento.”

Sam gli era corso vicino, stavano lottando tutti quanti per farsi largo in quel casino per raggiungere la loro nave, la loro unica ancora di salvezza.

“Ammainare le vele! Assetto da combattimento!”

Steve si ritrovò sul ponte ad osservare quelle navi che, seppur lontane, viaggiavano più veloci di loro, avrebbero dovuto combattere volenti o nolenti per sopravvivere.

I primi colpi di cannone li sfiorarono, caddero in acqua muovendo di un poco quel veliero che ancora portava bandiera bianca sull’albero maestro.

“Sam la bandiera! Facciamogli vedere contro chi e contro cosa si sono messi!”

Dovevano batterli di furbizia se volevano sopravvivere, ma lì non c’erano promontori o rocce che potevano aiutarli, non c’era nulla che li poteva riparare da quelle tre navi che avanzavano, senza alcuna pietà verso di loro.

“Virare a babordo.”

Natasha lo guardò scioccata, incredula prima di avvicinarsi a lui e chiedere conferma di quell’ordine insensato che li avrebbe portati  a schierarsi quasi di fronte al nemico.

“Non riusciremo mai a sfuggirgli, sono in velocità e noi abbiamo solo una nave da muovere, siamo più manovrabili di loro ed è l’unico modo per allontanarli dal porto ed evitare che muoia della gente innocente.”

Il suo sguardo era determinato, giusto nel suo ragionamento e puro come l’uomo che era sempre stato, un capitano che oltre a sé stesso e alla propria ciurma, pensava sempre a quelle povere anime che non avevano nulla a che fare con quei combattimenti.

“Signorsì signor Capitano. Uomini! Preparatevi al combattimento! Vivi o morti!”

La prima palla di cannone colpì il ponte con un rumore sordo portandosi via alcuni pezzi di legno con sé, Sam stava dando ordini agli uomini ai cannoni mentre Natasha stava cercando di dare una mano a distribuire più armi possibile.

Steve si mosse, avrebbe guidato lui stesso la sua nave verso quella battaglia, era lui il capitano e nessun’altro.

Evitò una scarica di palle da cannone riportandosi in linea verticale rispetto alla nave nemica e si mosse, quasi affiancando quel nemico ed urlando:

“FUOCO!!”

Il rombo dei cannoni fu forte, sordo e potente ma il risultato fu distruttivo e letale. 

La scarica finì sull'albero maestro e su quello di trinchetto che crollarono, decretando la fine di quella prima nave nemica, Steve sorrise portando la nave ad allontanarsi perchè, nonostante essa non potesse muoversi, poteva ancora sparare. Doveva andare verso il mare aperto, verso l’orizzonte e finire la lotta con quelle due navi che parevano non voler demordere.

“Ricaricate e al mio via sparate ancora tutti assieme! Puntate alla stiva e alle vele! Possiamo farcela!”

Le due navi si stavano dividendo, volevano accerchiarli e chiuderli in una morsa fatta di ferro e acqua, non avrebbero avuto scampo.

Alcune palle di cannone nemiche arrivarono e distrussero alcune assi sul ponte, un paio giunsero nella stiva senza causare troppi danni però ed infine una giunse vicino alla sua posizione, strappò parte del parapetto facendo finire quella sfera nera nella sua cabina.

“Un ricordo della battaglia.”

Ci scherzò su quando vide Natasha guardarlo con apprensione e preoccupazione per via di quella tattica nemica che li stava chiudendo in una morsa mortale.

“Steve! Che facciamo?”

Steve cercò con lo sguardo una via d’uscita, un modo per liberarsi da quei nemici che da lì a poco avrebbero iniziato a girargli attorno come squali affamati.

Successe tutto in fretta, le urla giunsero da una delle due navi nemiche mentre di fianco all’altra nave un’enorme balena si innalzò in cielo prima di ricadere, mortale, nel centro della nave spezzandola in due.

Il canto della balena si innalzò sopra al suono della battaglia mentre l’altra nave andava a picco, sprofondando come trascinata in basso da qualcosa oppure ancora come se qualcosa l’avesse spaccata da sotto permettendo al mare di intromettersi in quella barca e farla sua.

“Steve?”

Erano salvi, avevano vinto? 

“Ripiegate le vele.”

Gli uomini eseguirono quell’ordine in silenzio, rimanendo in ascolto di quel canto che non si interrompeva mentre la balena continuava a cantare nuotando vicina alla superficie, maestosa ed immensa.

Steve, quando la nave fu immobile, lasciò il timone, percorse il ponte correndo fino alla polena e si appoggiò al parapetto per guardare quella creatura che li aveva salvati, sorrise di fronte a tutta quella bellezza che era celata nel profondo di quel cuore nascosto che era l’oceano.

“Capitano! C’è qualcosa che nuota sotto la nave!”

Il capitano si voltò e si precipitò verso il parapetto di babordo, sporgendosi sul mare, guardò in basso e vide solo la coda di quella creatura, si ritrovò a sorridere prima di alzare lo sguardo verso la nave nemica che, lentamente, stava ancora colando a picco. Si precipitò dall’altra parte della nave e si sporse parlando.

“Niente paura, è un amico.”

Bucky sbucò dall’acqua aggrappandosi al parapetto incrociando le braccia su di esso, mosse la coda non schiodando lo sguardo da quello di Steve.

Era fantastico vedere come la luce del sole riflettesse quell’azzurro sulle scaglie nere della creatura, i suoi lunghi capelli restavano sulla schiena e quegli occhi riflettevano la felicità nelle sue iridi.

Un movimento alla sua destra fece diventare quello sguardo pacato e docile in uno furioso assieme ad un ringhio furioso con tanto di denti in mostra.

“Bucky no, siamo tutti amici qui… calmo.”

Sam si era avvicinato innocentemente, forse alla ricerca di qualche risposta o forse solo per pura curiosità ma Bucky aveva reagito come terrorizzato dall’intero genere umano.

“Sei al sicuro ora, mi hai salvato anzi ci hai salvati tutti. Grazie.”

Bucky spostò il capo verso sinistra e poi verso destra, l’aveva fatto anche quando erano solo dei ragazzini e Steve non riuscì a non sorridere felice e con occhi che appartenevano solo a lui, solo per lui.

Vide la creatura sospirare e leccarsi le labbra prima di parlare con tono canzonatorio e divertito.

“Non sei più il ragazzino che cade dalla scogliera… ora sei capitano ma resti tonto.”

Negli occhi una scintilla luminosa quasi che quella frase racchiudesse tutto ciò che c’era da dire su di loro, una frase detta a pezzi, non corretta ma che fece battere il cuore del biondo.

Annuì Steve ridacchiando mentre alcune lacrime cadevano dal suo volto, creando una lieve scia umida che terminava a terra con un piccolo sordo tonfo.

La fronte del tritone si scontrò con la sua obbligandolo ad aprire gli occhi e a parlare.

“Ti ho cercato perchè dal momento stesso in cui te ne sei andato, ho sentito la tua mancanza…”

Le mani di Steve si alzarono per spostare alcuni di quei fili neri dietro l’orecchio a punta del tritone, ne accarezzò la consistenza e sorrise restando così immobile per alcuni, infiniti minuti perchè quelle parole le aveva dette con il cuore e andava bene così.

 

……………………………

 

“Natasha lascio la nave nelle tue mani, torno domani mattina o al massimo domani pomeriggio.”

La donna lo guardò, incrociò le braccia sotto al petto e si avvicinò a lui sporgendosi verso l’oceano e trovandosi Bucky che li guardava curioso a pelo dell’acqua.

“Ti ricordi quello che aveva detto Pierce vero, Steve?”

Steve la guardò con cipiglio interrogativo mentre, lentamente, aveva iniziato a togliersi la casacca e la camicia bianca, negò con il capo di fronte a quella domanda posta a bruciapelo da Natasha.

“Aveva detto che potevano procreare quindi io non so di preciso cosa facciate nelle vostre fughe amorose ma… stai attento Capitano.”

Steve arrossì di colpo di fronte all’osservazione della propria navigatrice, sorrise imbarazzato e divertito prima di grattarsi il capo e fare spallucce, si issò sul parapetto aggrappandosi ad una delle funi ed annuì in direzione di quell’amica di una vita.

“Starò attento, Natasha, messaggio ricevuto.”

Si tuffò in acqua riemergendo subito e scuotere il capo per eliminare l’acqua in eccesso che gli stava impedendo di vederci, venendo subito abbracciato da Bucky che, geloso, stava guardando Natasha soffiandogli inferocito.

“Stai calmo, Buck, scherzava.”

Il tritone iniziò a nuotare portando con sé Steve, lo portò in una grotta nascosta dove l’acqua era azzurra e dove l’aria sembrava tiepida. 

Steve si sdraiò sulla sabbia bianca e sorrise mentre le mani fresche di Bucky si poggiavano delicate su di lui e sul suo petto.

Il volto del tritone si poggiò sui suoi addominali e Steve si perse a guardarlo prima di mettersi seduto e tirarlo a sé per reclamare quelle labbra armate di denti pericolosi ma di cui lui non aveva nessuna paura.

“Sei bellissimo, Bucky.”

Si divise da lui per parlare ma subito Bucky si mosse su di lui reclamando ancora quelle labbra con passione e con determinazione.

Bucky gemette muovendo la coda e le branchie, Steve ridacchiò a quella palese dimostrazione di eccitazione da parte di Bucky, era già passato un anno da quando lo aveva ritrovato.

Steve lo aveva salutato quando aveva visto la balena andarsene ma lui li aveva seguiti, aveva imparato a conoscere tutto l’equipaggio e a parlargli. Era diventato uno di loro nonostante tutto e tutti sapevano che tra loro due c’era qualcosa di più che delle dolci carezze e sguardi, era palese e loro non avevano mai fatto nulla per nasconderlo agli occhi della ciurma.

“Sei bellissimo e sei rimasto con me.”

Bucky non era di tante parole, nemmeno sulla nave, c’erano le volte che si sedeva sul parapetto e se ne stava lì a guardarli lavorare con freddezza, spesso si lisciava i capelli o apriva i molluschi che aveva recuperato dal fondale per loro. 

Bucky si strusciò su di lui, leccandogli un orecchio con dolcezza prima di lasciar scivolare una mano sul cavallo dei pantaloni di Steve e parlare, come se fosse la cosa più normale di quel mondo.

“Tu hai mantenuto una promessa che l’oceano mi ha riportato tramite una conchiglia, sei il primo umano che non mi ha mai guardato con disprezzo o con ingordigia, voglio rimanere con te fino alla fine dei nostri giorni.”

Steve lo guardò emozionato e, iniziando a piangere, lo abbracciò stringendoselo contro con tutto l’amore di cui era capace, quella conchiglia che aveva lasciato sulla spiaggia fatta di sabbia nera prima di partire aveva riportato il suo messaggio, aveva sussurrato in essa la sua promessa e nulla al mondo avrebbe scalfito quell’amore.

“Fino alla fine dei nostri giorni, insieme, Bucky, insieme.”

Il tritone si accoccolò meglio contro di lui spostando la coda attorno al corpo di Steve come a volerlo abbracciare ancor di più mentre respirava il suo profumo intenso e piacevole che sapeva di casa e di amore.

 

Fine.


Note: 

Grazie mille a chiunque abbia anche solo letto questa storia, davvero grazie infinite <3

Se siete amanti della Stucky e volete sentirvi capite/i cercate su FB il gruppo “Till the end of the line - Stucky”.

Ciaoooo

 

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