Cadillac in pillole

di EvrenAll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Things we carry ***
Capitolo 2: *** An open door ***
Capitolo 3: *** Faces in the street ***
Capitolo 4: *** Mirror ***
Capitolo 5: *** This road ***
Capitolo 6: *** Aftermath ***



Capitolo 1
*** Things we carry ***


Things we carry


Sangue bollente le era affluito alle guance per il puro sforzo fisico compiuto. 

Sedette a terra, abbandonandosi all'indietro fino a sbattere la schiena su un tronco d'albero. Il petto si muoveva agitato al ritmo del suo respiro. Aveva caldo.

Si passó una mano sul volto quando una goccia salata le scivoló sulle labbra. Scacciò le altre sentendo il suo sapore sulla lingua.

Non era certa se fosse sudore o pianto.

-Correre non ti allontanerà dal dolore- 

Ignoró Alion, sprovvista della forza necessaria per ribattere alle sue parole.

Sollevò lo sguardo quanto bastava per vederlo avvicinarsi e rimanere in piedi a qualche metro da lei. Poteva sentire che era preoccupato senza averne la conferma nei suoi occhi. Si umettó le labbra e schiarí la voce per scacciare la secchezza che sentiva in gola.

-Cos'hai fatto quando è morto tuo padre?- chiese a mezza voce.

L'elfo oscilló sui propri piedi prima di sedersi di fronte a lei. Sussurró una parola elfica che aveva sentito pronunciare solo poche altre volte, in poemi antichi e incantesimi ancora più vecchi. 

Distacco era la traduzione che più le sembrava appropriata, ma la parola in comune non era in grado di descrivere il suo pieno significato: separazione dell'anima da sé stessa, angoscia, perdita della capacità di percepire perfino il proprio essere. 

-Ho allontanato i pensieri per impedirmi di provare dolore. Ho viaggiato. La paura di affrontare il vuoto lasciato dalla morte non è un sentimento solo umano-

Fissó suo fratello. Alion abbassò lo sguardo e sospirò, stringendo le dita tra i corti ciuffi d'erba per sentire su di esse l'umidità della terra grumosa su cui erano seduti.

-Hai molto meno tempo di me a disposizione. Non è necessario che tu sprechi anni a negare l'esistenza di quel vuoto: lo porterai con te per tutta la tua vita-

Kelila soffocó il principio di un nuovo singhiozzo con un profondo respiro e raccolse le ginocchia al petto. 

Gleysa era morta tra le sue braccia. Non si era illusa neppure per un momento di riuscire a dimenticare cosa era successo; non le servivano le sue lezioni per saperlo. Ad occhi chiusi poteva ancora vedere il suo viso diventare immobile e il sangue rosso scivolare dal collo sulla pelle troppo chiara.

Sentí Alion rialzarsi.

-Ti accompagno al dormitorio-

Afferró la sua mano tesa e si rizzó lentamente, sostenuta da lui.

Alion la guardó con un misto di affetto e sufficienza. Sbuffó, quindi la precedette sulla via del ritorno, misurando i passi in modo che la sorella potesse stargli dietro.

-Non è davvero un vuoto, Kelila-

Sbirció gli occhi gialli della giovane, ancora socchiusi e rivolti a terra.

La mezzelfa rimase in silenzio. Sapeva che, ancora una volta, le parole di Alion corrispondevano al vero: più che ad un vuoto, ciò che sentiva al centro del petto era un blocco pesante e consistente di qualche pollice di lato, perfetto per bloccarle il passaggio d'aria tra la bocca e polmoni.

Dolore. Senso di colpa. Mancanza. Ricordo. Conforto. 

…Gleysa pesava.

Si massaggió il petto, senza comprendere appieno cosa significasse mentre un fragile e amaro sorriso le appariva per un secondo sulla bocca.

Lei esisteva. 

In qualche modo era ancora lì.

Quando si stropicció gli occhi scoprì di aver smesso di piangere.

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Capitolo 2
*** An open door ***


An open door


Soffocó l'ennesimo ringhio quando alzando lo sguardo scorse Kelila. La mezzelfa non stava facendo nulla di speciale: torturava con le dita un rametto di legno tenendo la testa bassa. I capelli le nascondevano il viso, scivolando appena in avanti, e così, liberi dal nastro che li raccoglieva, la facevano apparire più sensuale del solito.

Il ricordo di quei fili neri sparsi sul materasso della squallida stanza in cui avevano alloggiato pochi giorni prima lo fece irrigidire di nuovo. Serró la mascella e si alzò in piedi, chiudendo le mani a pugno prima che potessero avvolgere l'elsa della spada appoggiata al suo fianco. Mani. Dita.

Poteva solo immaginare cosa volesse dire stringerla come aveva visto fare. Sovrastarla, affondare nella sua carne soda e calda, stringere i suoi capelli tra le dita fino a farla lamentare, costringendola ad esporre la pelle candida del collo… 

Lui.

La voce dell'elfo e la sua indifferenza sarebbero state presto la goccia che avrebbe superato il limite della sua pazienza. 

Vort, cieca e irrazionale, premeva sulla sua razionalità con insistenza: poteva sentire il riflesso del suo sforzo su tutto il suo essere teso. Nonostante la catena fosse cigolante, gli anni che aveva passato in sua compagnia gli permettevano di soffocare quell'istinto. Non sarebbe stato saggio uccidere l'elfo. Non aveva senso uccidere per una donna. 

Kelila non era sua.

Deglutí, iniziando a camminare senza meta.

Sì, poteva solo immaginare cosa significasse stringerla, ma conosceva il tocco delle sue dita sulla propria pelle, la consistenza delle sue labbra sul viso e sulla propria bocca, anche se il contatto era durato meno di un istante. 

Schiantó il pugno sul tronco dell'albero più vicino, mugugnando tra i denti.

La gelosia gli corrodeva le viscere, la rabbia gli impediva di respirare appieno.

Kelila.

Non avrebbe mai dovuto affezionarsi a lei in quel modo.

Non avrebbe mai dovuto vederla, nuda in quella radura e smettere di considerarla una collega.

Non avrebbe mai dovuto aprire quella porta.

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Capitolo 3
*** Faces in the street ***


Faces in the street

 

Prese posto davanti a lui e rimase ad osservarlo in silenzio. Teneva la testa china e sfogliava il volume sottile lentamente, assorbito appieno dal contenuto delle pagine ingiallite dal tempo.

I capelli troppo cresciuti non riuscivano a nascondere la punta aguzza delle orecchie nè il taglio allungato degli occhi: caratteristiche troppo poco accentuate per appartenere ad un sangue puro, troppo peculiari per un comune umano.

La ragazza fece scorrere le dita sul proprio viso, seguendo il profilo della mascella fino ad incontrare la morbida cartilagine e sfiorare i sottili anelli dorati che la decoravano. 

Aveva fantasticato molte volte chiedendosi se esistesse davvero qualcuno simile a lei, immaginandosi impegnata in infiniti dialoghi sulle loro famiglie e sulla loro vita. 

Sentiva anche lui il canto del bosco e la curiosità disperata verso i suoi antenati? 

Aveva conosciuto sua madre? Suo padre? L’avevano cresciuto? Erano stati capaci di amarsi e di amarlo?

Anche a lui si serrava lo stomaco quando pensava al tempo che lo aspettava? Così poco rispetto agli elfi, infinito rispetto agli uomini. Aveva anche lui paura?

Aprì la bocca, ma le parole le rimasero sospese nella gola, intrappolate tra le corde vocali, e dalle sue labbra uscì solo l’ennesimo respiro.

Gli occhi intensi color smeraldo si staccarono dal libro. Li vide viaggiare sul suo viso, quindi agganciarsi ai suoi, illuminati da un sottile velo di curiosità. Solo allora egli parlò.

-Posso aiutarti?-

Kelila si chiese quale avrebbe potuto essere il sapore delle sue labbra. 

Un passo. Un bacio. Una fuga.

Al diavolo Darius, al diavolo Fatum e l’Autorità! La sua mente continuava ad urlare che in tutta Westward, solo lui avrebbe potuto capirla.

Tra tutte le persone incontrate nella sua vita, le facce intraviste nel suo peregrinare, lui: il primo mezzelfo sulla sua strada. 

-Siamo soli?- 

Il sussurro della ragazza gli fece aggrottare le sopracciglia. Lo sconosciuto si guardò distrattamente attorno, quindi tornò a fissarla, sporgendosi appena sul tavolo per avvicinarsi a lei come a doverle rivelare un essenziale segreto.

-Non mi importa-

Proruppe in una breve risata vedendo la ragazza smarrirsi alle sue parole ed abbassare le spalle e lo sguardo in un moto di delusione.  

-Non siamo la metà di nessuno- aggiunse, soddisfacendosi dell’aver attirato di nuovo quelle perle dorate su di sè.

Attese qualche istante prima di riprendere il libro tra le mani e ricominciare a leggere da dove si era interrotto.

Udì lo strisciare della sedia che veniva spostata ed un mormorio confuso a metà tra un grazie ed uno sbuffo. Sorrise tra sè e si limitò a salutare la donna con un lieve cenno del capo.

Kelila si morse il labbro scorgendo il suo gesto di congedo e si allontanò contrariata dallo studioso.

Sapeva benissimo di non essere la metà di nessuno. Quelle poche parole non erano una novità alle sue orecchie. 

O sì?

 

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Capitolo 4
*** Mirror ***


Mirror

 

Selene appiattí una ciocca di capelli con la spazzola e la raccolse insieme agli altri a formare una coda alta sulla nuca.

-Come sto?-

L'immagine riflessa dal vecchio specchio d'argento rifletteva un altra lei proprio dietro la sua schiena. Sbuffò, scuotendo il capo: Chandra aveva appena finito di vestirsi scegliendo dall'armadio la copia degli abiti che lei aveva indossato qualche minuto prima.

-Il maestro ha detto di renderci riconoscibili per questa riunione-

-Ma così non è divertente-

Chandra le appoggiò il mento sulla spalla, fissandola con gli occhi che brillavano nel preventivare la confusione e le incomprensioni di cui entrambe avrebbero riso a fine serata.

-Reidran non si lamenterà. Tutti ci conoscono- la tentò di nuovo, arricciando le labbra in una smorfia soddisfatta nel vedere le buone intenzioni della sorella cedere ad ogni parola.

-Saprà che l'idea è stata tua- Selene afferrò l'estremità del nastro e lo tiró con cautela, sciogliendo il nodo che le teneva legati i capelli.

-E ti rimprovererá per non avermi fermato- aggiunse Chandra, muovendo qualche passo indietro ed appoggiando la mano sulla maniglia della porta.

-Andiamo?-
 

- - -

Appoggiata al muro in fondo alla stanza, Selene passò nuovamente in rassegna i volti di coloro che Reidran aveva raccolto come suoi protetti. Tra quelli già noti, erano ben due a spiccare come novità. Già qualche mese prima Victor le aveva accennato che il loro maestro aveva qualche asso nella manica, e da qualche settimana era apparso irritato dalla presenza sempre più esplicita di colui che aveva soprannominato "cocco" di Reidran. Merehiv Dunvar si era presentato al gruppo con eleganza quella sera, dimostrando al contempo le sue radici nobili ed il trascorso in caserma, di cui aveva accennato in una breve presentazione.

-Cosa ne pensi?-

Si voltò, distogliendo lo sguardo dai suoi capelli scuri e dirigendosi verso gli occhi chiari di Chandra.

-È carino-

La sorella storse appena la bocca e le si avvicinó di un passo.

-Solo perché non ci hai parlato- sbuffó, afferrandole un braccio per stringersi di più a lei.

-Non avremmo dovuto presentarci con il nostro vero nome-, continuó Chandra,-E, in ogni caso, è troppo magro-

Sebbene trovasse quell'osservazione estremamente inesatta, Selene sorvoló sull'ultimo commento ed alzò un sopracciglio.

-Che intendi?-

L'altra gemella fissò gli occhi nei suoi e mosse appena le labbra nel sussurro successivo.

-Mi ha chiamata una volta e l'ha fatto correttamente- 

Le labbra di Selene si strinsero in una linea sottile. Cercò con lo sguardo il giovane uomo all'interno della sala per vederlo congedarsi distrattamente da Victor. Capelli neri, alto, nobile e senza dubbio sveglio, ma, tralasciando il caso in cui Merehiv avesse avuto solo fortuna, ciò che implicavano le parole della sorella era che avessero trovato per la prima volta nella vita qualcuno in grado di distinguerle.

-Non significa nulla-

E ciò non era assolutamente ammissibile.

-Ti dico che c'è qualcosa che non torna, già il suo semplice modo di guardarci è…-

-È il modo in cui ogni uomo ci guarda, sorella- sibiló Selene, interrompendola.

-È una coincidenza- tagliò corto -E il fatto che tu sia qui a palarmene ora, non farà altro che confermare le sue idee-

Chandra alzò gli occhi al cielo. -Sono stata cauta-

Spostò un ciuffo di capelli dal viso e tiró le maniche della propria maglia fino a coprire quasi tutto il dorso della mano, sfiorando il manico del coltello che teneva infilato tra la stoffa e la pelle dell'avambraccio.

-Sei preoccupata-

-Si. Ho un cattivo presentimento-

-Chandra?- 

Si girarono entrambe con un movimento sincrono che fece ghignare l’uomo al loro fianco. Merehiv spostò lo sguardo da una all’altra gemella senza smettere di sorridere, quindi lo fissò sulla ragazza alla sua destra per qualche secondo di troppo.

-La nostra squadra è convocata tra due giorni nello studio del maestro al tramonto. Sembra inizieremo presto a lavorare insieme- 

Attese qualche istante, quindi, non ricevendo risposta, si inchinò leggermente.

-Vi auguro una buona notte-

Diede loro le spalle, uscendo dalla sala.

-Che ti avevo detto?- 

Selene rimase in silenzio. Il modo in cui le aveva guardate presupponeva che Merehiv non stesse tirando ad indovinare, ma che avesse davvero colto una differenza che loro stesse erano incapaci di individuare e che si fosse divertito a mettere quel tarlo nella loro testa.

-Andrò io alla riunione- mormorò.

-Sarà divertente-

 

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Capitolo 5
*** This road ***


This road

 

Alion non disse nulla, limitandosi ad osservare le spesse mura della capitale e le casupole dai tetti di legno e i campi di grano che la circondavano.

-Soli pochi giorni-

Le parole in druidico lo riscossero. Volse lo sguardo alla mezzelfa, arricciando le labbra in una smorfia contrariata.

Il lupo al suo fianco strusció il muso sul petto di lei, godendosi un'ultima carezza. Ringhió appena, come se fosse già infastidito dall'assenza della compagna. 

-Non rendere le cose più difficili- aggiunse Kelila, incupendosi. Odiava l'idea di tornare in città: ci sarebbe stata troppa gente, troppo caos, avrebbe potuto incontrare Aiden e Lein,...

C'erano troppo ricordi ad Anas Athel.

Mojo le leccó il viso, strappandole un amaro sorriso. 

-Sto bene

La spinse appena con il muso facendole quasi perdere l'equilibrio per dire che sapeva perfettamente che stava dicendo una bugia.

-Stai davvero bene?- 

Alion l’affiancò, passando dalla lingua dei druidi a quella della sua specie. 

Kelila evitò lo sguardo dell’elfo continuando a grattare il compagno dietro alle orecchie.

-Abbastanza da portare avanti la mia decisione- sussurrò. Mojo si strusciò sulla sua mano, quindi fece marcia indietro e, passando accanto ad Alion, s’immerse nella boscaglia sparendo dalla loro vista in pochi secondi.

-Gleysa non avrebbe voluto che tu sacrificassi la tua vita nel perseguire un’intenzione che non ti appartiene- 

La vide sospirare mentre alzava lo sguardo rivolgendolo prima a lui, poi alla città visibile in lontananza.

-Non è così Alion: questa è la strada che ho deciso di prendere-

-Il Consiglio non ti tratterà più allo stesso modo-

-Lo so- 

La sofferenza nei suoi occhi era grande quanto la sua determinazione. Kelila aveva avuto lo stesso sguardo quando gli aveva comunicato la sua decisione una settimana prima: tornare tra gli umani, entrare in Accademia e nel minor tempo possibile diventare uno dei Portavoce, coloro che facevano da legante tra l’Autorità e il Bosco, la comunità di Elfi, quella di Uomini e il Circolo. 

“Non permetterò che accada ad altri ciò che è successo a Gleysa”, aveva soffiato, sorda ad ogni suo tentativo di dissuasione.

-Ne sei sicura?-

-Smettila di chiederlo- mormorò la mezzelfa voltandosi verso di lui.

-Sei testarda come tuo padre- Alion sospirò, accarezzandole il capo con delicatezza prima di posarle un leggero bacio sulla fronte.

Gli si spezzò il respiro quando, con uno scatto, la ragazza avvolse le braccia attorno al suo corpo in un abbraccio scomposto e scomodo che non si aspettava.

Ci mise qualche attimo a realizzare l’accaduto, ma lentamente la circondò a sua volta stringendo le dita sulla maglia di lei e nascondendo, nonostante tutto, un sorriso.

-Mi mancherai anche tu- sussurrò, permettendole di ritirarsi.

La vide annuire e trarre un profondo respiro mentre guardava gli alberi della foresta come se non li avrebbe più rivisti. Si focalizzò su di lui, provando a far apparire un sorriso sulla bocca storta dalla tristezza.

-Addio Alion-

Si diede un respiro di tempo per pregustare la reazione a ciò che stava per dire. Poteva già immaginare il modo in cui gli occhi di Kelila avrebbero brillato e la smorfia disfatta si sarebbe tramutata in sincera gioia quando avrebbe avuto la conferma che il sangue che li distingueva non aveva più importanza per lui.

Alion accennò un sorriso e corresse il saluto della giovane. 

-A presto, sorella-
 

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Capitolo 6
*** Aftermath ***


Aftermath


Battè un pugno sul legno della scrivania facendo tremare l’inchiostro contenuto nella boccetta al suo fianco e la luce della candela che illuminava la sua patetica opera.

La pergamena sembrava essere stata scritta da un bambino, le lettere sbavate e scomposte lo fissavano inclementi e la consapevolezza di essere stato lui a tracciarle lo faceva impazzire.

Umiliante.

Non era solo colpa delle parole che il maestro aveva pronunciato davanti ai suoi compagni, era la sua stessa condizione a farlo sentire come l’essere più incapace ed inutile di tutta Westward.

Sospeso a tempo indeterminato.

Inutile. Pericoloso.

Fissò con astio la propria mano sinistra desiderando potersela strappare dal braccio e mosse la destra, provando nuovamente a stringere il pugno senza urlare mentre la pelle bianca ed inspessita, nascosta dalle fasciature troppo strette, si tendeva oltre le sue attuali possibilità.

Si fermò quando sentì il sapore del ferro sulla lingua e rilassò le dita di cui era appena riuscito a far sfiorare le punte.

Si alzò in piedi, muovendo ancora lentamente la destra e pulì con il dorso della sinistra il labbro morso a sangue.

-Grendel-

La spada che apparve nella sua mano sembrava pesare più del dovuto. La mosse lentamente, tentando abituare il suo corpo a quella massa, resa scomoda e scoordinata solo perché portata dal lato opposto rispetto al solito. La sollevò, allineandola agli occhi, e si trattenne dal gettarla a terra quando percepí il proprio braccio tremare per l'insolito sforzo. Storse la bocca e si limitò a fissare i colori del suo viso riflessi sulla lama.

Sospirò facendola scomparire in uno scuro sbuffo di acciaio.

Lo specchio d'argento davanti a lui era molto più inclemente: la lunga convalescenza che aveva passato e la tensione accumulata in quelle settimane in gabbia l'avevano asciugato, affilando i tratti del viso già squadrato. Gli occhi stanchi erano iniettati di rosso. Coprí la sua immagine scorgendo dietro all'azzurro glaciale dell'iride l’apparire di un accenno di follia.

Impazzire? 

Ci era tremendamente vicino.

Spostò all’indietro i ciuffi neri ricaduti sulla fronte si umettò il labbro, sovrappensiero, prima di iniziare a massaggiare il palmo della mano destra ripercorrendo i gesti insegnatigli dal medico che lo aveva avuto in cura. 

Non era mai stato l'accademico che Reidran aveva desiderato allevare. Aveva amato la Caserma di Anas Athel e le ore trascorse a sudare sotto il sole cocente dell’arena più del fresco delle biblioteche, ma combattere non era bastato a soddisfarlo fino a quando non aveva visto la lama di Grendel risplendere della magia sgorgata dalle sue mani ed assorbita dall’acciaio.

Sebbene Darius avesse sempre criticato i suoi modi, ritenendoli semplici trucchetti rispetto alla potenza dell’arma che lui sapeva padroneggiare, Merehiv era sempre riuscito a dimostrargli che là dove la sua abilità con la spada veniva meno, la magia era l’unica cosa che lo rendeva suo pari.

Cosa avrebbe fatto ora?

L’incantesimo di fuoco che aveva creduto di poter padroneggiare era fuggito dal suo controllo. L’esplosione l’aveva avvolto con bollenti lingue di fuoco e lo aveva privato dell’uso del braccio destro. 

Aveva perso Grendel. Aveva perso la gestualità che gli permetteva di scagliare e dirigere in modo preciso i suoi sortilegi.

Otto mesi, un anno: era questo il tempo minimo che avevano stimato perchè riuscisse ad ottenere nuovamente un buon controllo dell’arto. Le cicatrici sarebbero rimaste per sempre.

Otto mesi, un anno e forse Reidran l’avrebbe riammesso nella squadra.

Merehiv storse la bocca in una smorfia di rabbia. 

Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederlo indebolito da quel castigo imposto dall’alto e dal proprio corpo. 

Non sarebbe impazzito: avrebbe dimostrato che otto mesi erano più che abbastanza per padroneggiare il braccio sinistro allo stesso modo di quello che aveva utilizzato per tutta la vita.

Ne avrebbe impiegati solo sei, interrompendo prima del dovuto quel congedo forzato.

-Grendel- 

Rafforzò la presa sull’elsa della spada ed uscì.

 

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