Legami

di Helly_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terra maledetta ***
Capitolo 2: *** Dal passato ***
Capitolo 3: *** Verità allo specchio ***
Capitolo 4: *** Rafael ***
Capitolo 5: *** Color salmone ***
Capitolo 6: *** Questione di figli ***
Capitolo 7: *** Finalmente riuniti ***
Capitolo 8: *** Un passo dopo l'altro ***
Capitolo 9: *** That's my girl! ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Terra maledetta ***


La prima cosa che l’uomo provò al suo risveglio fu il freddo.

Tentò di muovere le braccia ma il dolore che gli trapassò la spalla destra lo fece fermare immediatamente. 

Aprì gli occhi a fatica, le palpebre troppo appesantite dal dolore per i colpi subiti durante quel massacrante interrogatorio. 

Girò la testa lentamente verso sinistra notando, poi, una piccola finestra oscurata: nessuna luce deve entrare in quella prigione.

Cercò di respirare profondamente, doveva assolutamente schiarirsi le idee ma le sue costole doloranti lo fecero boccheggiare, sa benissimo di averne almeno un paio rotte. 

Un pò alla volta riuscì a mettere i pensieri uno dietro l’altro, la sua mente iniziò a schiarirsi e contemporaneamente anche l’intorpidimento del suo corpo si fece meno pesante.

Sentì ogni suo singolo muscolo e ogni singolo osso agonizzare per i numerosi colpi subiti.  

Oltre alle costole, la rotula del ginocchio destro era troppo dolorante per essere semplicemente distorta e senza dubbio almeno due dita delle mani erano rotte. 

La spalla destra, sicuramente lussata, considerata la strana angolazione assunta.

La testa gli doleva in modo inconcepibile e una strana sensazione di vomito gli salì su per la gola: sintomi di una commozione cerebrale, pensò tra sé e sé.

Smise di respirare nell’esatto secondo in cui sentì un leggero mugugno provenire dalla sua destra. Restò immobile per qualche secondo terrorizzato dall’idea del ritorno dei loro aguzzini, pronti a riprendere ciò che era infruttuosamente terminato il giorno precedente. 

Nessuna domanda, stesse risate sguaiate e medesime disdicevoli azioni, pensò con una nota di quel poco di umorismo che gli è rimasto. 

Quando però non sentì nessun altro suono o respiro, voltò la testa verso sinistra e fu a quel punto che lo vide seduto su una sedia a pochi metri da lui. 

Con il capo reclinato contro il petto, un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca e parte del petto completamente insanguinato, vide il suo compagno ancora privo di sensi. 

Non ricordava di averlo sentito accanto a sé durante le volte precedenti, quindi ipotizzò che fosse stato trasportato lì mentre era perso nel suo stato di incoscienza. 

Cercò di avvicinarsi a lui spingendo la sedia alla quale era legato con i piedi, ma il movimento generò un movimento della spalla danneggiata provocando una pesante e poco contenuta imprecazione. 

Provò a chiamarlo per alcuni minuti, sottovoce per il timore di essere sentito, fino a quando non vide la sua testa muoversi lentamente. 

Il suo compagno fece scivolare dalla bocca una buona dose di sangue, prima di provare a mettere in fila qualche parola. 

“Come stai? Cosa ti han fatto?”, sputò ancora sangue a terra e lentamente alzò finalmente la testa.

I suoi occhi impiegarono qualche secondo per metterlo a fuoco.

“Siamo entrambi in splendida forma, direi. Secondo te quanto ci metteranno ad ucciderci?”

Mcgee pesò le parole guardando le ferite del compagno: “Troppo tempo. Non capisco cosa vogliano da noi, fino ad ora mi hanno solo torturato in silenzio… A te han chiesto nulla? Come va la tua gamba?”

Solo in quel momento, Deeks abbassò lo sguardo e si rese conto per la prima volta che la sua coscia presentava un taglio piuttosto profondo, “Oh, bene penso. Penso di avere una commozione cerebrale che mi fa perdere conoscenza piuttosto spesso, una spalla lussata, un ginocchio che molto probabilmente ha la rotula andata e un paio di dita e costole rotte, ma nel complesso sono ancora vivo…tu?”

“I miei denti devono evidentemente avere qualche problema considerato che continuo a sputare sangue, ma penso che visto il troppo dolore ormai sarò anestetizzato…Costole e dita rotte e qualche taglio sparso. Quanto potremo resistere?”

L’ex detective sospirò leggermente, per quanto le costole rotte glielo permettevano, sollevando la testa verso il soffitto. 

E fu proprio in quel momento che con la coda dell’occhio li vide. 

Si girò lentamente maledicendosi per averlo fatto: dietro di lui due scheletri erano appoggiati contro la parete logora di sangue secco.

Poté affermare con estrema sicurezza che erano lì da parecchio tempo e per la condizione delle ossa fratturate in più punti, sicuramente non avevano ricevuto un trattamento distinto a quello che sarebbe toccato loro se nessuno fosse venuto in loro soccorso. 

“Beh, sicuramente finchè staremo qui avremo due silenziosi compagni di stanza”, fece cenno al compagno di voltare lo sguardo nella direzione opposta alla loro.

“Oh…”, esalò quasi senza voce: “Comunque penso che chiuderò gli occhi per riposare un pò.         Se hai bisogno fai un fischio.” 

Rimanere svegli in quelle condizioni fisiche e mentali rappresentava un’enorme fatica per entrambi, fu solo allora che Deeks decise di abbassare il capo e chiudendo gli occhi in cuor suo sperò di risvegliarsi da un orribile incubo.







Los Angeles, 3 Ottobre 2016

 

Il ragazzo sta cercando di lavorare su alcuni file contemporaneamente mentre la sua collega gli sta raccontando delle sue ultime serate in compagnia di qualche amica. Si impegna davvero per fare entrambe le cose, ma lei parla troppo velocemente per lui e finisce per perdersi ogni poche parole. Di tanto in tanto le annuisce con convinzione fingendo di seguire il suo discorso. 

È appena riuscito a seguire una parte del suo racconto quando il suo computer trilla indicando l’arrivo di una nuova mail da un contatto amico. La apre collegandola alla sua cuffia e dopo le prime parole lascia cadere a terra la tazza piena di caffè che stava sorseggiando. 

“Eric? Tutto bene?”, il ragazzo percepisce le parole di Nell da molto lontano, gli occhi ancora fissi sull’immagine davanti a lui. 

Si risveglia bruscamente dalla sua trance quando sente la mano della ragazza sulla sua spalla. Si alza di scatto e corre fuori dalle porte scorrevoli, lasciando la collega dietro di lui piuttosto confusa. 



“Signor Callen, la ricordavo più agile!”, la piccola donna urla dalla cima della parete dove è arrampicata. 

L’uomo biondo sbuffa sonoramente a qualche metro sotto di lei. Poi lei continua, “Non è che sta invecchiando? Devo iniziare a pensare di sostituirla forse?”

Sam ride apertamente mentre Kensi si asciuga la fronte dopo una sessione di combattimento con l’amico ex Navy Seal, “Andiamo Callen! Mancano pochi metri, forza!”. Lei lo incita stappandosi una bottiglia d’acqua. 

“La fai facile tu! Prova ad arrampicarti dietro Hetty poi ne riparliamo!”, il capo squadra continua a borbottare mentre avanza ancora di mezzo metro. 

Eric si blocca all’ingresso della palestra senza fiato. Guarda la scena che si palesa ai suoi occhi e sospira pesantemente in cerca di aria. Dopo essersi avvicinato al gruppetto ed essersi schiarito la voce, sente i suoi muscoli fremere ancora sconvolto da quello che ha appena visto. Cerca di riordinare i pensieri per trovare il modo di formulare una frase di senso compiuto.

“Hetty? Ho bisogno di parlarti…”

“Non ora Eric, Hetty sta battendo Callen…ANCORA!”, ridacchia la giovane donna avvicinandosi a lui.

“Mister Beale, ancora 2 minuti e il vostro capo squadra cederà. Possiamo attendere?”

Il ragazzo sospira ancora, “Hetty, ho davvero bisogno di parlarti ora! Non posso aspettare!”

I quattro si girano verso di lui allarmati. 

“Abbiamo un caso?”, Sam lo guarda con curiosità. 

Eric si ostina a tenere lo sguardo sulla piccola donna in cima alla parete, “Hetty, ora. Per favore.”

Il suo tono supplichevole deve convincerla che si tratti di qualcosa di grave, considerando che non ha mai visto quello sguardo di necessità e urgenza sul viso del suo analista. Pochi secondi dopo è accanto a lui e lo segue a breve distanza. I tre agenti osservano la scena ammutoliti, Callen scende il più agilmente possibile dalla parete e si muove per seguirli quando Hetty si gira e con un cenno del capo gli fa intendere che dovrà aspettare per delle spiegazioni. Una volta saliti in OPS, Eric chiude  immediatamente le porte assicurandosi che gli altri non possano comunque raggiungerli.

“Hetty, devi vedere questo video. Mi è arrivato pochi minuti prima che venissi a chiamarti.”

L’analista preme pochi tasti e sullo schermo principale appare un viso che conoscono molto bene. 



Alcuni minuti dopo, Eric si gira e vede Hetty nella stessa posizione che aveva preso all’inizio del video. Deve osservare bene la sua figura per vedere se respira ancora, la sua immobilità è spaventosa. 

Nel frattempo Nell, l’unica autorizzata a stare con loro in OPS, stringe, tremante, l’avambraccio del suo collega. Quando lui la osserva bene, nota gli occhi già normalmente grandi, ancora più spalancati. 

“Aspettate alcuni minuti per potervi ricomporvi, io torno tra poco. Dopo convocherete gli altri.”

“Vuoi mostrar loro il video?”, Nell sussulta spostando lo sguardo dallo schermo alla donna.

“Lo ritengo necessario.”

“Hetty, hai intenzione di contattare…?”

“Non ora, Signor Beale. Ne discuteremo dopo”, la donna lo interrompe immediatamente e li lascia nel silenzio spettrale della stanza. 



Callen è il primo ad alzare lo sguardo verso le scale. Vede il loro capo delle operazioni scendere silenziosamente i gradini e dirigersi verso la sua scrivania. La vede aprire un cassetto chiuso a chiave ed estrarre un busta di carta bianca. Da dove si trova non riesce a leggere quello che c’è scritto sopra.

“Hetty, possiamo fare qualcosa stamattina?”, decide di avvicinarsi, fingendo disinteresse per cercare di spiare quello che sta facendo la donna. 

“Certo, finite di compilare i vostri documenti. Immagino ne abbiate ancora parecchi.”, non alza nemmeno lo sguardo sul suo. 

Callen prova allora con l’approccio più diretto, “E cosa voleva Eric?”

“Nulla che la riguardi, Signor Callen. Torni ai suoi compiti ora. Vi prego di non disturbarmi per i prossimi 5 minuti.”, con queste parole termina la conversazione fissando i suoi occhi fino a quando lui non si gira e torna al suo posto.



Una volta sola, apre lentamente la busta e inizia a leggere la lettera che ha tra le mani. L’ordinata calligrafia che si presenta davanti ai suoi occhi la fa sorridere. A volte l’aspetto esteriore può davvero ingannare. Sospira accarezzando i fogli che la riportano indietro di qualche mese e alza lo sguardo verso l’ingresso del loro ufficio. Le sembra quasi di vederlo entrare: la sacca su una spalla, jeans strappati e la solita aria trasandata. 

 

“Hetty…scusami per l’ora, non volevo davvero disturbarti, ma prima di partire avevo bisogno di parlare con te…”

Lo osserva muoversi a disagio davanti la sua scrivania e poi lasciare cadere di colpo la sacca sul pavimento. “Forza mio caro, si sieda e mi dica tutto.”

Passano alcuni secondi di silenzio, dove lei crede davvero di doverlo fare parlare con la forza, quando lui, sfregandosi i palmi contro le cosce coperte dai jeans, prende la parola. 

“Come immagino tu già sappia, ho scoperto da poco di avere una figlia. Una splendida, meravigliosa bambina. L’ho vista poche volte ma me ne sono già innamorato… Io…sinceramente non so se sia possibile, ma adesso sento che la mia vita ha avuto un senso…”

Lo osserva strisciare un dito sulle venature del legno della sua scrivania, prima di girarsi e osservare da lontano il loro ufficio con le scrivanie vuote. 

“Ho avuto il piacere di conoscere quella bambina dal suo primo giorno di vita, sai Marty?”

Una volta che lo chiama con il suo nome, lui si gira di scatto e lei continua, “Ho osservato Kensi struggersi per nove mesi. Penso abbia amato e odiato la vostra bambina allo stesso tempo. Le ricordava di te ogni momento, ogni istante di ogni secondo. Ma il momento dopo averla stretta tra le braccia, mi ha guardato dicendomi che era figlia tua. E il suo sguardo, Marty, era fiero. Era fiera di aver messo al mondo la tua bambina…”

Hetty lo vede annuire fissandola, l’espressione nei suoi occhi lontana, come se stesse ricordando. “Io l’ho sempre amata, sempre…” e non ha bisogno di dire di chi sta parlando, Hetty lo sa, “l’ho amata così tanto che… Va bene Hetty, sono qui per una ragione.” Cerca di tornare in sè, lo osserva concentrarsi per trovare un filo logico ai suoi pensieri. La donna aspetta pazientemente che il suo giovane agente continui, con orgoglio può dire che pur non lavorando per lei sarà sempre un suo agente. 

“Non sappiamo mai cosa può succedere in questo lavoro…un’operazione che sembra facile in pochi secondi può trasformarsi in una tragedia. Proprio per questo motivo mi affido a te: se dovesse succedermi qualcosa, voglio che tutto quello che ho, tutto quello che possiedo, tutto quello che sono, passi a mia figlia.”

Il suo sguardo non vacilla minimamente, sempre fisso nel suo. La risolutezza nelle sue parole, la serietà nel suo volto. Hetty ha davanti un uomo che ha deciso di affrontare il suo destino. 

Con un breve cenno del capo, lo invita a continuare. Lui apre la sua sacca e tira fuori una perfetta busta bianca. Poche, brevi ed ordinate parole incise sopra, la lascia scivolare sulla scrivania verso di lei. 

“C’è una lettera per te. In quanto mia parente più prossima voglio che sia tu a gestire i mie averi. 

Ti ho scritto elencandoti tutto quello che ho e la mia volontà di lasciare tutto a Grace. Ma ho ancora un’ultima richiesta.” Lei annuisce toccando leggermente la busta.

“Conosciamo Kensi. Sappiamo come è fatta. Se mi dovesse accadere qualcosa, probabilmente mi riterrà solo un altro uomo che l’ha abbandonata, facendo vivere la stessa cosa che ha vissuto lei anche a sua figlia.” Prende un respiro profondo passandosi una mano tra i capelli. Resta in silenzio qualche minuto, i gomiti poggiati sulle ginocchia e il viso nascosto tra le mani. 

“Hetty, io ho bisogno che tu le ricordi che non è così. Io ho bisogno che le ricordi chi ero e ho bisogno che lo racconti anche a mia figlia.”

Questa volta il suo sguardo è incerto, lo vede grattare nervosamente il tessuto dei suoi jeans. 

“Pensavo tu lasciassi Los Angeles proprio a causa di Kensi…”, la donna lo guarda con un sopracciglio alzato. Lei sa che l’uomo non ci cascherà nemmeno per un secondo, ma si aspetta che sia comunque sincero con lei. E così è. “È quello che faccio. Ma lo faccio per Kensi, non a causa sua. Credo che lei sia sempre terrorizzata all’idea di aprirsi così totalmente con qualcuno, ma ha bisogno di essere lei la prima a capire se stessa… Non le porto rancore… Magari non è mai stato destino…per noi due…”

“La vostra cosa…”, lui sogghigna alle sue parole. 

“Sì, la nostra cosa… Dio, sembrano passati secoli!”, scuote la testa guardando il soffitto, “Magari davvero non era destino stessimo insieme, lo accetto. Ma devo lasciarla libera di vivere la sua vita…e io devo essere libero di vivere la mia… Questo fa di me una persona egoista?”

“Sei un brav’uomo, Marty Deeks.”

Lui annuisce pensieroso, “Hetty, non mi hai dato la tua parola! Ho bisogno di sapere che racconterai a mia figlia di me o che farai in modo che Kensi lo faccia. Ho bisogno che lei sappia che genere di padre sarei potuto essere…”

“Non provare nemmeno ad arrivare a quei pensieri! Gordon John Brandel era una persona che non merita né il tuo tempo né il tuo pensiero. Tu non sei lui, Marty Deeks.”

Lui la fissa immobile. Forse non si aspettava queste parole, poi lei continua, “Hai la mia parola, Marty. Farò tutto ciò che è in mio potere per esaudire i tuoi desideri.”

L’uomo si alza di colpo, un sorriso sul suo volto, “E sappiamo tutti quanti poteri hai, Hetty!”. Ride fissandola, poi gira attorno alla scrivania e la abbraccia. 

Hetty non ha mai amato particolarmente il contatto fisico, ma quest’uomo lo rende così semplice. Scavalca gli spazi personali e si fa strada nel cuore di chiunque con il suo sorriso e le sue parole continue. 

“Grazie Hetty, per tutto. Dall’inizio alla fine!”

“Buon viaggio, Signor Deeks. Abbia cura di lei.”

Lui si allontana, sacca in spalla e camminata lenta. Lo vede fermarsi un’ultima volta davanti alle loro quattro scrivanie, uno sguardo che le abbraccia tutte.

E il momento dopo è sparito. 

 

Hetty torna al presente nel momento in cui finisce di leggere la lettera. La poggia sulla scrivania fissandola ancora qualche secondo. Sperava veramente che questo momento non sarebbe mai arrivato. Alza lo sguardo e fissa i suoi agenti concentrati nei loro documenti. La scrivania ancora vuota accanto a Sam cattura il suo sguardo per qualche secondo di troppo. Quello che dovrà dire loro, probabilmente li ferirà. Spera solo che la sua giovane agente sia in grado di rimanere lucida. È preoccupata per lei, lo ammette. Questi sei mesi sono stati duri, lo ha potuto vedere in ogni azione e in ogni silenzio prolungato. Quell’uomo la aiutava ad essere più aperta, più libera. Non ha dubbi che a casa continui ad essere una madre fantastica, ma sul lavoro la sua mente è sempre troppo concentrata, sempre troppo seria, prende dei rischi che non dovrebbe prendere. Hetty fa un lungo respiro e prega che tutto vada per il meglio.

Prima di riunire la sua squadra, alza la cornetta e compone un numero che conosce da molti anni. 

“Gibbs? Sono Hetty. Dobbiamo parlare.”

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Capitolo 2
*** Dal passato ***


“Forza miei cari, il tempo è denaro”, dice Hetty mentre i tre agenti si avvicinano alla sala operativa. 
Kensi osserva la scena davanti a lei: Eric girato verso uno schermo digitando piuttosto lentamente alla tastiera mentre Nell si muove a disagio da un piede all’altro non guardando nessuno di loro in particolare. La giovane agente si avvicina a Sam che la osserva a sua volta. Callen è l’unico che fissa direttamente Hetty con un sopracciglio alzato, sta per aprire bocca quando la piccola donna lo precede e con un cenno della mano lo zittisce. 
“Avanti Hetty, è tutta la mattina che sei più strana del solito!”, lei lo guarda con disappunto, poi si gira verso Eric e con un movimento del capo lo invita a procedere. 
“Ora vedrete un video che io ho già visionato. È arrivato circa un’ora fa ad Eric. Vi prego di rimanere sempre professionali. Non abbiamo alcun bisogno di sceneggiate né di continue domande che ci impediscano di lavorare”, a queste parole lancia un’occhiata prima a Kensi poi a Callen, “Avanti Signor Beale.”
Nell si mordicchia l’interno guancia spingendo Eric verso un altro computer. “Dai forza…”, borbotta sottovoce. E queste sono le ultime parole che Kensi sente prima di perdere la concezione del tempo e dello spazio fissando il suo sguardo negli occhi blu apparsi sullo schermo della sala operativa. 

 
“Ciao Eric, amico. Se vedi questo video significa che sono partito per una missione e nessuno ha più mie notizie da almeno una settimana. Non te lo mando per chiedere aiuto, ci sarà sicuramente qualcuno sulle mie tracce, ma te lo mando perché sento sia giusto parlare a coloro che hanno rappresentato per me una famiglia migliore di quella che io abbia mai avuto veramente. Mentre ti parlo continuo a sperare tu non debba mai riceverlo, ma siamo qui…quindi forza amico mio”, l’uomo gira velocemente il capo dietro di sé ed annuisce ad un’ombra in fondo alla stanza, “Ho bisogno che tu faccia vedere questo video ad Hetty per prima. So che non c’è alcun bisogno che io te lo chieda, ma a questo punto preferisco mettere in chiaro ogni cosa… E poi diciamoci la verità, non ci sarebbe nemmeno bisogno che lei lo vedesse, no? La prima cosa che ho imparato lavorando con voi è che Hetty sa sempre tutto”, ridacchia nervosamente alle sue stesse parole. Kensi sente indistintamente vicino a sé Hetty che incrocia le braccia dietro la schiena. 
“Ok bene…Hetty… Dio, non vorrei balbettare…”, parla quasi a se stesso, “dicevo…ricordi la nostra ultima conversazione? Ovviamente la ricordi, non so perché io te lo stia chiedendo… Beh comunque, questo è il momento di mantenere quelle promesse, sai? Se mai avrò possibilità di ringraziarti…beh, non so esattamente quello che farò in realtà. Mi hai salvato la vita, Hetty. Quasi 8 anni fa, mi hai trovato e mi hai salvato. E per questo non riuscirò mai a sdebitarmi. Ma soprattutto non so come ringraziarti per fare quello che mi hai promesso. Grazie Hetty, infinitamente e sempre.”, il giovane uomo biondo sullo schermo prende un respiro profondo, grattandosi la nuca. In sala operativa regna un silenzio assordante, gli unici rumori percepibili sono i respiri ansimanti di Nell e il movimento del piede di Sam che striscia silenziosamente avanti e indietro di pochi centimetri. 
“Eric…per favore, fai vedere il video anche agli altri. Probabilmente Nell singhiozzerà, almeno per le prime tre o quattro volte che lo vedrà… Mia cara Velma, è stato un piacere lavorare con te, sei una forza della natura, lo sai vero?”, la donna in questione non può fare a meno di sospirare una breve risata acquosa sentendo queste parole per la seconda volta, “Sam si muoverà a disagio pur tenendo le braccia incrociate, so che lo farà! Grazie Sam, nonostante il tuo caratteraccio mi hai insegnato troppe cose per poterle elencare…”, Sam sorride al video alzando gli occhi al cielo, “Callen probabilmente non avrà ancora mosso un muscolo, troppo confuso da quello che ancora non sa. E sappiamo tutti che non sopporta di non avere il quadro generale della situazione. Tipico comportamento da ex agente CIA… Ebbene sì, Agente Speciale G. Callen, l’unico uomo senza nome che io abbia mai conosciuto, sono un osservatore migliore di quello che hai sempre creduto, ed è anche grazie a te se sono diventato un agente…”, l’agente in questione chiude brevemente gli occhi stringendo le labbra in una linea tesa, la cosa più vicina ad un sorriso che riesca a fare in questo momento. Marty Deeks si scompiglia nervosamente i capelli poi continua, “E infine Kensi. La mia grande, instancabile, incredibile ed assurdamente forte partner. L’elenco di aggettivi per descriverti è troppo lungo e io non ho tutto questo tempo… Non c’è nemmeno bisogno che ti ringrazi per essere stata quello che sei stata. Il modo in cui mi hai sempre guardato le spalle, mi faceva tornare a casa ogni sera più tranquillo. Insomma…chi si sarebbe mai voluto mettere contro Kensi Blye?!”, la sua domanda retorica fa nascere un piccolo sorriso sul viso di tutti. L’unica ancora impassibile è proprio la giovane donna, fissa lo schermo senza battere ciglio, senza muoversi. Eric si chiede se stia almeno respirando, ma dubita. “Grace, la mia bella Grace…prima o poi parlale di me, è l’ultima cosa che ti chiedo… Grazie Fern, sei stata così tanto per me. Fin dal primo momento, lo sai.” La serietà nel suo sguardo le provoca la prima reazione dall’inizio del video: un tremolio lungo tutta la spina dorsale. Fissa i suoi occhi così incredibilmente blu e così incredibilmente uguali a quelli di sua figlia e per un attimo si sente persa. Nel profondo, forse, ha sempre creduto che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe potuto far scoprire a Grace la vera identità di suo padre. L’uomo si volta ancora dando le spalle alla telecamera, “Va bene, ora devo davvero andare. Grazie a tutti ragazzi, per tutto quanto. E grazie a te, Eric, sai già tutto”, un sorriso storto, un’ultima occhiata alla telecamera e poi lo schermo diventa nero. 
 


 
La sala operativa rimane buia e silenziosa. Si guardano di sottecchi tra di loro, ancora confusi e sconvolti da quello che hanno appena visto. 
“Cosa diavolo sta succedendo, Hetty?”,  Sam è il primo a prendere parola. La completa immobilità di Kensi al suo fianco lo preoccupa oltre ogni misura. Solo quando Callen si avvicina a lei e le poggia una mano sulla spalla, lei sembra risvegliarsi: spalanca gli occhi e un singhiozzo la scuote dal profondo. 
“Prima di convocarvi qui, ho chiamato Gibbs. Gli ho spiegato dell’arrivo di questo video e gli ho chiesto chiarimenti. Avrei piacere parlaste anche voi con lui”, accenna un movimento nei confronti di Nell che velocemente fa partire una video chiamata. 
“Henrietta, ciao!”, gli occhi di ghiaccio dell’agente di Washington compaiono all’improvviso sullo stesso schermo dove fino a poco prima spiccavano quelli blu di Deeks, “Ragazzi, mi piacerebbe dire che è un piacere rivedervi, ma forse non è il momento più adatto.” 
“Prego Gibbs, ripeti pure quello che mi hai già detto poco fa.”
“Dunque, pochi giorni fa siamo venuti a conoscenza di una nostra operazione che temo precipitata nel peggiore dei modi.”
Nell si sposta nervosamente un ciuffo di capelli dietro un orecchio cercando di mantenere il tremolio delle sue mani al minimo. 
“Sì Gibbs, dopo la visione del video abbiamo supposto una cosa del genere infatti”, Callen prende la parola spostandosi al centro della stanza direttamente al fianco di Hetty. 
“Da qualche tempo stavamo seguendo un gruppo di trafficanti messicani quando il Direttore Vance ha ritenuto necessario mandare due miei agenti direttamente in loco. Erano lì ad indagare sotto copertura da circa un mese quando abbiamo perso le loro tracce.”
“Da quanto?”
Gibbs tiene lo sguardo fermo in quello di Callen, “Una settimana. Ci siamo attivati immediatamente per cercare di trovare un nuovo contatto con loro, ma nulla ha avuto successo. Era questione di ore prima che richiedessi il vostro aiuto perché immagino anche voi abbiate le vostre rogne da risolvere, ma non avendo fatto progressi, ho deciso di andarci giù pesante.”
“Una settimana?!”, esclama Kensi con voce roca. È la prima volta che parla e sillabare due semplici parole le è sembrato incredibilmente difficile. Il suo pensiero è sicuramente quello condiviso dal resto della squadra: una settimana senza notizie in territorio nemico equivale ad una probabile condanna a morte. 
“Sì”, annuisce severamente l’uomo brizzolato, “come vi stavo dicendo, ho cercato di sfruttare anche alcuni collegamenti che ho in quel territorio, ma non mi hanno portato alcuna notizia, quindi non mi resta che andare là.”
“Quando partiamo?”, interviene Sam facendo un passo avanti.
“Se mi date la vostra disponibilità, direi immediatamente.”
“Assoluta disponibilità, Gibbs!”, Callen annuisce. 
“Kens, riesci ad organizzarti con Grace? O ci penso io?”, Nell fa un passo verso di lei, sorridendole incoraggiante.
“Grace? Sì…sì certo, la lascio a mia madre tutto il tempo necessario. Non ci saranno problemi”, il suo sguardo è ancora lontano, perso nel profondo dei suoi pensieri. 
“Bene, allora noi siamo già pronti per andare all’aeroporto. A questo punto direi che verremo da voi, metteremo in chiaro la situazione e da Los Angeles andremo direttamente in Messico. Fra circa 6 ore saremo da voi.”
“Gibbs, mandaci i file sull’operazione, così possiamo almeno darci un’occhiata mentre aspettiamo.”
“Sì Callen, consideralo già fatto”, con queste parole la teleconferenza si conclude e lo schermo rimane nero. 
La squadra si allontana silenziosamente dalla stanza, con l’unica eccezione di Callen, che blocca Hetty con uno sguardo. 
“Non lo so, Signor Callen, spero per il meglio.”, lo anticipa leggendo la sua espressione.
Al contrario, Kensi si allontana accompagnata da Nell. È in quel momento che realizza che dovrà chiamare sua madre per dirle di tenere Grace fino a data da destinarsi, e ancor peggio che dovrà dire a sua figlia che sta per partire. Prende un respiro profondo rassegnandosi all’inevitabile. 
 


 
Le due donne si allontanano a passo sostenuto verso l’auto della mora. Nell si è offerta di accompagnare Kensi a casa a preparare il suo borsone per viaggiare e una piccola valigia con l’indispensabile per Grace. Nessuna delle due è di molte parole, si beano della loro amicizia in silenzio. Nonostante la natura piuttosto schiva di Kensi, in questo momento è contenta di avere Nell al suo fianco, non la forza a parlare né ad essere di compagnia. Semplicemente evitare di restare sole potrebbe aiutarle ad affrontare meglio la situazione. 
Una volta a casa di Kensi, lei si dirige rapidamente verso la sua camera da letto per prendere il suo borsone da viaggio, mentre Nell prepara una piccola valigia con tutto quello che potrebbe servire a Grace. 
“Hei Nell, non preoccuparti, se manca qualcosa poi mia madre può venire qui…”, urla Kensi quando non sente più alcun rumore provenire dalla stanza di fronte alla sua. Quando continua a sentire un silenzio pesante, si avvicina alla stanza e nota l’amica che fissa il tramonto dipinto sulla parete accanto al letto della bambina, “Nell, ci sei?”
La piccola rossa allunga una mano e sfiora la pittura all’altezza dell’oceano che si fonde con il cielo, “Sai Kens”, parla con una voce distante, come persa nei suoi pensieri, “ho sempre pensato che alla fine ci sarebbe stato un lieto fine…per voi tre, intendo…”. 
La donna irrigidisce istintivamente i muscoli e stringe gli occhi in due fessure. Nell conosce la sua amica e pur non vedendola perché ancora di spalle, ha percepito il modo in cui si è ritirata.“Non fraintendermi, io ti rispetto e rispetto la tua decisione. Non voglio tu pensi io ti stia criticando.”
“Mi chiedo solo quando la smetterete tutti di avercela con me”, Kensi sospira pesantemente.
“Cosa?!”, la piccola donna strabuzza gli occhi quasi strozzandosi, “Nessuno ce l’ha con te!”
“Oh andiamo Nell! Sono mesi che ogni volta che entro nella stanza e voi state parlando di Deeks, smettete tutti di parlare e Sam in particolare smette di guardarmi in faccia! Non sono stupida!”
La sua reazione rabbiosa lascia Nell a soppesare le sue prossime parole. Dopo alcuni istanti di silenzio, “Sam ti adora, lo sai. Però…non si capacita ancora di come sono andate le cose… Sai cosa significa per lui la famiglia…e ha sperato fino all’ultimo che tutto si sarebbe sistemato… Tutti lo abbiamo davvero sperato. Non eri l’unica ad essere legata a lui! Io ho perso un amico, Kensi, non essere egoista!”, il tono della giovane donna si alza ad ogni parola. L’ultima frase è quasi gridata, la rabbia trattenuta a fatica mentre stringe i pugni contro i fianchi. È raro assistere ad uno sfogo del genere da Nell. Dopo pochi secondi il suo sguardo si ammorbidisce e la presa dei suoi pugni si rilassa, “Avanti Kensi, capisci anche tu che Deeks è andato via per lasciarti libera di decidere della tua vita. E capisci anche tu che noi abbiamo subito l’allontanamento definitivo di un collega e di un amico. Non è stato facile per nessuno! Ma non abbiamo mai voluto incolparti.”
Lei annuisce con poca convinzione, il suo borsone poggiato sopra un piede.
“Kensi…perchè ti senti in colpa?”
Lei alza il capo violentemente, “Non mi sento in colpa!”, ma uno sguardo ben calibrato dell’amica le fa capire che non le crede nemmeno per un istante, “Ok, beh…mi chiedo se ho fatto veramente la cosa giusta a non rincorrerlo… Grace merita di sapere di suo padre, perché credo che lui sarebbe stato un ottimo padre…”, vede Nell soppesare le sue parole, poi spostarsi lentamente nella sua direzione e, in un gesto piuttosto strano tra di loro, prenderle a coppa le guance e fissarla negli occhi, “E per te, hai fatto la cosa giusta?”
“Era il mio migliore amico, Nell. Non vedo che altro ci sia da aggiungere…”, borbotta mettendo una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
L’amica sta per aggiungere qualcosa quando la suoneria del cellulare di Kensi interrompe la loro conversazione, “Sì Sam, ok perfetto. Io e Nell passiamo da mia madre e torniamo alla base, a dopo.”
 

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Capitolo 3
*** Verità allo specchio ***


“Ok, quindi abbiamo questo gruppo di trafficanti di droga su cui hanno indagato a Washington che non si sa come è riuscito a tornare in Messico”, inizia Callen picchiettando le dita contro la sua scrivania. 
“Sì, il capo è Victor Vicente, un esponente già ricercato da anni per terrorismo ma non è mai stato preso…Eric che altro sappiamo?”
“Non molto altro Sam, Abby ci ha passato tutto quello che avevano loro a riguardo…”
“Sì ma per quanto riguarda la missione in Messico?”
“Non abbiamo nulla, non ci hanno mandato niente. Penso ci diranno tutto appena arrivano”, Nell parla osservando la reazione di Kensi. Sa perfettamente che il fatto che ancora non gli abbiano comunicato nulla è presagio di qualcosa di brutto. Se non riuscissero a trovare Deeks o se, ancora peggio, lo trovassero morto non è sicura di come potrebbe reagire la sua amica. Kensi tiene molto a lui, nonostante non abbia fatto nulla per trattenerlo qui. Semplicemente la paura di legarsi a qualcuno la soffocava a tal punto da farle credere di stare meglio da sola. Ma lei era diventata una persona completamente diversa da quando Deeks si era unito a loro. Nell non ne ha la certezza ma potrebbe scommetterci il suo lavoro che Hetty ha tenuto d’occhio il detective per molti anni prima di aggiungerlo alla squadra. E non l’ha scelto solo per le sue abilità, ma anche per il carattere, complementare a Kensi. L’unica persona che è riuscita ad abbattere giorno dopo giorno, con la sua costanza e il suo umorismo, i muri della donna. 
L’analista si deve trattenere dal singhiozzare nervosamente: adora Deeks e non può nemmeno pensare di perderlo. Sembra un clichè, ma per lei il mondo è un posto migliore sapendo che lui esiste, anche se lavora dall’altra parte del Paese. 
La ragazza si sposta verso il piccolo divano nell’angolo della stanza, ha bisogno di rimanere da sola per un pò, raccogliere le idee per poter essere calma per affrontare quello che verrà 
Nelle ore successive, l’unica cosa che si sente è il ticchettio della penna di Sam contro un blocco per appunti, per il resto si respira un’aria pensante e nervosa. Nell nota due cose che la fanno rizzare più dritta sullo sgabello: Callen che continua a mandare occhiate confuse tra Sam e Kensi e quest’ultima che fissa incessantemente la foto di Vincent.


 
Le ore si trascinano lentamente fino a quando il silenzio dell’ufficio viene spezzato da una serie di passi affrettati. I cinque colleghi si girano per vedere Gibbs seguito a breve distanza da Tony DiNozzo, Abby e una donna dallo sguardo serio. Callen si avvicina immediatamente al piccolo gruppetto abbracciando con trasporto Gibbs. 
“Che piacere vedervi ragazzi!”, Tony stringe con vigore le loro mani, “Vi presento Ziva David, il nostro agente di collegamento con il Mossad.”
La donna mantiene una posa composta e piuttosto fredda mentre li saluta, ma il suo sguardo è gentile. Kensi non può fare a meno di pensare alle differenze con il loro ex agente di collegamento, probabilmente non avrebbe ancora smesso di parlare. Si riscuote dai suoi pensieri quando sente Tony e Ziva discutere dei canali radio. 
“Stai zitto, Tony! Non ne posso più!”, abbaia la donna mandandogli uno sguardo di fuoco.
“Non fateci caso!”, interviene Gibbs alzando gli occhi al cielo, “Tony non la lascia mai in pace. DiNozzo!”, gli tira uno scappellotto che lo fa zittire immediatamente. Kensi vede Ziva sollevare di nascosto gli angoli della bocca, “Ti sta bene Tony, dacci tregua!”
“Forza ragazzi, non abbiamo tempo da perdere! Abby Shuto, che piacere!”, Hetty compare alle loro spalle sorridendo gentilmente alla donna vestita in maniera eccentrica ancora appoggiata al braccio del suo capo. “Eric, Nell, vi prego di fare accomodare la nostra ospite in sala operativa con voi”
“Bene, se voi siete pronti, noi partiremmo immediatamente. Dobbiamo sbarcare a Guadalajara, dopo di che ci sposteremo a Tepic, dove vivevano McGee e Deeks.”
“Andiamo Gibbs, ma devi spiegarci tutto.”

Essere agenti federali ha i suoi vantaggi, soprattutto quando non hai bisogno di seguire file immense e aspettare tempi infiniti prima di poter prendere un aereo. 
Kensi si mantiene sempre qualche passo indietro rispetto agli altri. La sofferenza di non vedere lì Deeks e la conseguente consapevolezza della realtà dei fatti la lasciano intontita. 
Con la coda dell’occhio vede Tony camminare a qualche metro da lei. Gli sorride cercando da nascondere i suoi sentimenti, ma evidentemente non le riesce piuttosto bene perché subito dopo l’uomo le poggia una mano sulla spalla, “Mi dispiace, Kensi… Non so con esattezza cosa sia successo tra voi, ma so per certo che la possibilità di perdere un partner può essere difficile da affrontare…”. Lei finge un altro sorriso alzando il mento, “Quindi con chi era partito Deeks?”
“McGee…”
“Tony…secondo te….?”
“Non lo so Kensi, lo spero davvero…”, l’uomo la interrompe prima che lei possa completare la domanda. La segue all’interno dell’aereo e si siede accanto a Ziva davanti ad uno stretto tavolino. Kensi, invece, si accomoda vicino a Callen poggiando la fronte contro il finestrino. 
Non appena sono in volo, Gibbs apre il fascicolo relativo all’operazione in Messico e spiega loro per filo e per segno quello che è successo. La giovane agente ascolta tutto in silenzio; la sua mente lavora ad una velocità inquietante seguendo due strade parallele: ragiona sulla missione e ricorda il suo partner. 
“L’ultima volta che li abbiamo sentiti, ci avevano comunicato che erano riusciti ad avvicinarsi ai nostri obiettivi, ma non avevano alcun dubbio che le loro coperture non fossero bruciate. Il giorno successivo hanno saltato le chiamate di controllo… Solitamente non lascio trascorrere così tanto tempo prima di mettermi all’erta, ma essendo un’operazione piuttosto delicata, ho pensato che forse avevano trovato un modo per avvicinarsi al gruppo e non potessero mettersi in contatto con noi… Evidentemente ho sbagliato…”, Gibbs si gratta nervosamente la nuca. Tony lo guarda con gli occhi spalancati, non è un comportamento tipico del suo capo ammettere un errore. Questo vuol significare, senza dubbio, che è preoccupato. L’agente scambia un’occhiata veloce con la sua partner indicandole l’altra giovane donna. Sta fissando il fascicolo, ma i suoi occhi sono velati come se non fosse veramente lì con loro. 
“Forza Gibbs, vediamo come poter risolvere questa situazione!”, Sam gli da una pacca sulla spalla cercando di fargli coraggio. 
“Qualche idea?”, l’agente senior alza il capo velocemente sentendo la domanda. 
“Prendo caffè per tutti, poi vi dico quello che penso.”
I ragazzi si alzano quasi contemporaneamente per sgranchirsi le gambe mentre Kensi si allontana lentamente fingendo di stiracchiarsi. Ha bisogno di rimanere un pò da sola con i suoi pensieri. C’è questo pessimo presentimento che non la abbandona dal momento in cui ha aperto il fascicolo di Vicente. L’uomo le ricorda qualcuno ma non riesce a capire chi.
Si chiude in bagno e per la prima volta da tanto tempo concede alla sua mente di andare alla deriva. Piange silenziosamente seduta sul piccolo water dell’aereo stringendosi le braccia intorno al corpo. Non riesce a capire cosa ci sia in lei che non va, ma da quando Deeks è andato via, tutto è andato a rotoli. 
Ha fatto coppia con Nell, adora Nell ma ancora non riesce ad abituarsi ad avere un altro partner; inoltre, Eric senza Nell è praticamente privato di un arto, quindi in missione hanno avuto tutti serie difficoltà. 
Lei, poi, si è rinchiusa sempre di più in se stessa: a lavoro si comporta come sempre, con i suoi colleghi anche, ma le uscite dopo il lavoro sono diminuite drasticamente, ma soprattutto non ha conosciuto più nessuno, non ha avuto alcun interesse a conoscere un altro uomo. E come ciliegina sulla torta, Grace non ha mai smesso di chiederle dove sia finito Marty e perché non ci sia più. Nonostante Kensi abbia tentato ogni volta di spiegarle la situazione, la bambina non si è mai arresa: si sente legata al padre in una maniera che la donna non credeva possibile. E vedere questo legame la fa riflettere: che diritto aveva di allontanare un padre da sua figlia? Perché, a conti fatti, se lei avesse insistito di più lui sarebbe rimasto. Lei lo sa, tutti lo sanno. Deeks aspettava solo che lei gli mostrasse un piccolo spiraglio nella sua corazza e lui avrebbe fatto quello che ha sempre fatto al meglio: aiutarla, coprirla, proteggerla…amarla. 
Si rende conto di dove si trova e in un attimo capisce che non aiuterà nessuno comportandosi in questo modo. Ha bisogno di essere lucida. Quindi si lava velocemente la faccia e si riannoda i capelli in una treccia che poggia su una spalla. 
Se vuole avere una sola possibilità di riavere il suo partner, e questa volta per davvero, deve essere concentrata sulla missione. Tutto il resto può attendere. 
Si guarda allo specchio prima di uscire ed è in quel momento che il respiro le si blocca in gola. Ora ricorda perché il viso di Vicente le è così familiare. 
 
 
 
“E’ un casino! Ho capito, ho capito!”, il resto della squadra si gira velocemente in direzione della donna. Tutti la osservano stupiti, ma Callen no. Capisce che finalmente Kensi ha collegato i punti. L’aveva notata pensierosa, come se qualcosa non la convincesse, evidentemente ora ha fatto chiarezza.
“Hei Kens, tutto bene?”, Sam la guarda accigliato. 
Gibbs le sorride leggermente senza guardarla in viso, “Kensi, sono lieto che tu sia più lucida ora. Dunque…”
“NO! Dovete ascoltarmi!”, la ragazza si passa le mani sul collo rischiando un crollo nervoso, “Io lo conosco… Non è stato un caso… Lui voleva che Deeks lo seguisse in Messico!”
“Kensi, cosa stai dicendo?”, la donna ignora Tony e velocemente sfoglia il fascicolo del caso fino a tirare fuori la foto di Victor Vicente e sbatterla sotto il naso dei suoi colleghi californiani. 
“Chi vi ricorda?”, entrambi osservano la foto con le sopracciglia inarcate. Sam si gratta la fronte ancora molto confuso, mentre Callen sta cercando di seguire la logica dell’amica, “Non riesco a capire…è un viso già conosciuto però…”
“Lo so! Come ho fatto a non capirlo prima, Dio Mio!”, sbatte la mano aperta sul tavolo, poi continua, “Vi viene in mente nessun se vi dico Cesar Perez?”
I due uomini si guardano per qualche secondo, scavando nelle loro menti, è Callen il primo a ricordare, “Sì, il trafficante di droga di qualche anno fa… Deeks lavorava ancora con noi, giusto? Ma cosa c’entra?”
“Perez aveva un fratello. E lo ricordo perché prima che gli sparassi disse che suo fratello non ci avrebbe dato pace. A conti fatti e vedendo la somiglianza sputata, questo fratello è Victor Vicente!”
“Cazzo…”, si lascia sfuggire Sam, “Può avere senso. Contatto Eric”, si allontana per chiamare il loro tecnico.
“Io non sto capendo e stiamo parlando di due dei miei agenti, spiegatemi”, Gibbs li guarda seccato aspettando che qualcuno li metta al corrente di quello che sta succedendo.
“Anni fa seguimmo un’operazione relativa al traffico di droga, si parlava di grossi quantitativi. Siamo riusciti ad arrivare all’apice dell’organizzazione, capeggiata appunto da Cesar Perez”, inizia a spiegare Callen, cercando di chiarirsi le idee, “Durante la retata finale, Kensi e Deeks hanno eliminato Perez e arrestato la moglie. In casa c’era anche il figlio, ma purtroppo già morto; dagli elementi raccolti, ad ucciderlo fu la madre.”
Gli altri annuiscono ascoltando le parole del collega, poi Ziva prende la parola, “Ma cosa vi fa pensare che attirarli in Messico fosse architettato?”
“Ancora non lo so, ma è la logica. Nel fascicolo ho letto che le comunicazioni relative al ritorno in Messico sono state plateali. Se fossero veramente trafficanti internazionali non avrebbero comunicato via telefono, ben sapendo che le linee erano tutte sotto controllo, no?”
“C’è una logica effettivamente…”, conviene Tony. 
“Se Vicente fosse realmente il fratello di Perez, mi viene spontaneo pensare che finire nei vostri radar fosse architettato fin dall’inizio. Volevano Deeks e quale modo migliore se non seguirlo e fare in modo che si occupasse lui dell’indagine?”
Gibbs fissa la donna con il suo classico sguardo indecifrabile. Il ragionamento ha un senso, purtroppo. 
“Quindi, mi stai dicendo che mandarli in missione ad indagare è stato esattamente quello che volevano?”
“Io dico che sono stati schifosamente fortunati che sia andato là proprio Deeks!”, sputa fuori Callen con rabbia.
“Dannazione!”, Sam sbraita tornando verso di loro, “Eric ha fatto qualche ricerca e ha detto che non ci sono documenti che attestino la parentela, né alcun altro tipo di prova…tranne una foto del matrimonio di Perez: i due uomini sono insieme e la somiglianza è estrema. Quindi mi sbilancio e sostengo la teoria di Kensi.”
“Questo cambia tutto…”
“No Tony, questo non cambia nulla. La missione è sempre quella di salvare i nostri uomini.”

 
“Bene ragazzi, il viaggio è ancora lungo, ci conviene decidere come comportarci una volta atterrati e poi riposare un pò.”
Kensi annuisce alle parole del suo capo. C’è ancora qualcosa che non le torna, un piccolo presentimento di qualcosa che non riesce ad afferrare. Le è sembrato troppo scontato fino a qui, perché prendersela solo con Deeks?
“Dunque”, inizia Gibbs, “…appena arrivati lasceremo i nostri bagagli nella casa sicura che può fornirci un nostro informatore. Ovviamente non dovremo dare nell’occhio per non farlo finire nei guai, ma sono sicuro che sappiate perfettamente come comportarvi”, gli agenti annuiscono poi continua, “Ho intenzione di andare in giro a fare domande riguardo Vicente…”
“Sperando che qualcuno dei suoi uomini sia in giro e gli vada a dire che ci sono degli americani che lo cercano!”
“Esatto, Sam.”
“Logico. Ma che altro possiamo supporre? Come li stanno trattando? Li avranno già uccisi?”, Ziva guarda pensierosa Gibbs. La sua schiettezza lascia perplessa Kensi che non riesce nemmeno ad avvicinarsi all’idea di perdere Deeks.
“Non lo sappiamo, ma se ha fatto tutta quella fatica per prenderlo, dubito se ne sbarazzi immediatamente…”
“Questo fa arrivare alla logica conclusione che li stiano torturando…”, Sam si irrigidisce a quelle parole. Sa cos’è la tortura e l’ultima cosa che vuole è che Deeks debba affrontarla di nuovo.
“Purtroppo McGee non gli serve a molto…è solo un danno collaterale…”
“Ziva, andiamo!”, Tony si passa le mani tra i capelli. È strano vederlo così serio. La donna gli stringe un avambraccio e fissa gli occhi nei suoi. Kensi nota quello sguardo e capisce che stanno comunicando in un linguaggio che conoscono solo loro. Respira profondamente per allontanare il senso di nausea che le sale in gola. Continua a mancarle il suo partner: lui saprebbe cosa dire e cosa fare in questo momento. Kensi Blye è solamente un involucro vuoto senza di lui, pensa amaramente di se stessa. 
Ma diavolo, fosse l’ultima cosa che farà nella vita, lei lo riporterà indietro.
 

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Capitolo 4
*** Rafael ***


Caldo asfissiante e strade polverose. 
Queste sono le prime cose che Kensi percepisce non appena scende dalla macchina. Si chiede come sia possibile respirare con queste temperature, si sente soffocare. Fa dei respiri profondi. Dentro e fuori, dentro e fuori, si concentra. Quando le macchie bianche nella sua vista periferica iniziano a sbiadirsi, chiude per un secondo gli occhi e quando li riapre trova Callen accanto a lei.
“Forza Kens, resta concentrata.”
Annuisce senza dire una parola, si mette in spalla lo zaino e li segue all’interno dell’edificio. 

Kensi sta sistemando i suoi bagagli e quelli di Tony mentre Callen e Gibbs, dopo aver collegato le apparecchiature, si stano confrontando con la sala operativa. La donna capisce immediatamente che c’è qualcosa che non va quando non sente più alcun rumore provenire dalla stanza accanto. 
Si avvicina velocemente a loro e nota come lo sguardo di Nell, dallo schermo, si posi su di lei osservandola spaventata. 
“Che succede?”, Tony si avvicina al suo capo. 
“Kensi, puoi venire un secondo qui?”, la voce di Sam è delicata. La donna fa un altro passo avanti per vedere cosa stanno mostrando loro Eric, Nell ed Abby. Stringe forte i pugni lungo i suoi fianchi quando vede che sul ripiano del tavolo della sala operativa sono sparse una ventina di sue foto. Foto anche di alcuni anni fa. Foto che hanno tutte un soggetto comune: lei. Lei che corre in spiaggia, lei che passeggia con Grace, lei che è al bar con G e Sam, lei e Grace in spiaggia, lei che sale in macchina. Lei ovunque. 
“Prima sono andata a casa a farmi una doccia e ho trovato questo pacchetto sul mio zerbino…”, racconta Nell, “Non ci sono impronte, le telecamere nella mia strada non sono riuscite a riprendere il volto di chi ha lasciato il pacco…”
“Cosa vuol dire?”, Tony guarda alternativamente lo schermo e i suoi colleghi. 
“Vuol dire che ci conoscono, sanno dove abitiamo…”
“Ma soprattutto vuol dire…che il loro obiettivo è Kensi.”
“No Gibbs. Vicente non vuole uccidermi, vuole farmi soffrire. Ha preso Deeks per colpire me”, con queste parole la donna si allontana da loro per chiudersi in una stanza. 
“Eric, chiama Hetty! Subito!”, sobbalzano tutti all’ordine di Callen. Eric guarda Nell con gli occhi spalancati. 
“Nelle foto c’è anche Grace! Chiama Hetty e dille di mettere sotto protezione Grace e la madre di Kensi. Fallo subito!”
“Come fatto Callen!”, Nell è la prima a riprendersi e digitare il numero di Hetty. La comunicazione si interrompe lasciandoli tutti nel silenzio afoso del loro appartamento.
Gibbs e Callen continuano ad osservare le foto, Sam batte un pugno sul tavolo mentre Tony cerca aprire la porta, “Hei Kens, fammi entrare dai!”
“Mi cambio ed esco Tony, ho bisogno di qualche minuto!”, la voce della giovane donna arriva attutita da dietro la porta chiusa. Si siede sul letto fissando i suoi piedi. 
Le sue stesse parole le rimbombano nelle orecchie. ‘Ha preso Deeks per colpire me’. Non sa come sia possibile ma nonostante il sudore che le imperla la fronte, il suo corpo è scosso da brividi. La sua mente ripercorre milioni di strade diverse, immagini di sua figlia che ride felice, immagini di Deeks che le fa perdere la pazienza, immagini di loro tutti insieme. Si lascia cadere all’indietro fissando il soffitto. Se chiude gli occhi, vede solo un colore: il colore che la sveglia ogni mattina, il blu dei loro occhi. 

“Sì mamma…sì certo, non c’è nessun problema.”
“No tesoro, mi dispiace tanto, davvero. Ma avevo completamente scordato questo impegno! Facciamo domani sera, ok tesoro?”
“Certo, domani, va bene. Ok, ciao”, lancia sulla scrivania il telefono con poca grazia. Stava per tornare a casa a prepararsi per uscire a cena con sua madre per festeggiare il suo compleanno, quando l’ha chiamata per disdire. 
“Hei Kens, tutto bene?”, i tre colleghi la osservano con le sopracciglia inarcate.
“Bene, meraviglioso. A domani ragazzi, notte”, raccoglie la sua borsa e si allontana velocemente. Non è tanto per il compleanno in sè, quanto più con il passare la sera con qualcuno, sua madre in particolare. Lavora per la maggior parte delle sue giornate solo con uomini e avere la delicata e premurosa attenzione di festeggiare il compleanno le faceva piacere. Sospira nervosamente mentre apre la portiera della macchina.
“Kens… Hei Kensi aspetta!”, vede il suo partner trotterellare nella sua direzione. 
“Deeks sto bene, va tutto bene”
“Sì ok, a parte la tua pessima capacità di mentirmi…ma sorvoliamo”, storce il naso nella sua direzione, “Stavo pensando che…potremmo andare a mangiarci qualcosa più tardi… Insomma, per non passare da sola la sera del tuo compleanno…”. 
Lo guarda sorridendogli gentilmente, “Sì, mi farebbe piacere…”
“Bene! Passo da te fra due ore”, saltella all’indietro rientrando nell’edificio, “E vestiti bene per favore!”, le urla da lontano. 
“Ti lamenti di come mi vesto di solito?!”, urla lei di rimando, sorridendo. 
“Sai che non lo farei mai! Soprattutto quando metti quei jeans che…”
“Deeks!”, alza gli occhi al cielo sentendo la sua risata da lontano. 
Quando gli apre la porta, circa due ore più tardi, resta piacevolmente sorpresa dal suo abbigliamento. La camicia nera gli dona quel tocco di eleganza che non è abituata a vedere in lui. 
“Wow Fern! Mi hai preso in parola! Stai…benissimo!”, si ritrova ad arrossire come una liceale ma dissimula il suo nervosismo prendendo la sua borsa dal tavolino all’entrata. 
Durante il tragitto in macchina parlano e scherzano come ogni giorno, ma lei non può fare a meno di notare l’ombra di agitazione che si scuote in ogni sua parola.
Parcheggiano davanti ad un ristorante a pochi passi dall’oceano. “Perchè sorridi?”
“Non sono stupita del posto, tutto qui… Sempre vicino alla spiaggia, eh?”, gli chiede ridacchiando. Lui le sorride silenziosamente circondandole le spalle con un braccio, “Andiamo partner, ti devo sfamare.”
Hanno appena varcato la soglia del ristorante quando lui la gira verso di sé fissandola intensamente, “Ti prego Kensi, non uccidermi, ok?”, cerca di fare un sorriso ma rimane teso, non le da il tempo di chiedere il perché della sua frase quando lui continua, “Quindi… Happy Birthday to youuu”, le canticchia nell’orecchio, il suo respiro pericolosamente vicino alla sua pelle. Un secondo dopo la gira verso la terrazza del ristorante.
Quello che vede la lascia paralizzata: seduti attorno ad un lungo tavolo vede tutti i suoi amici e sua madre. Si avvicina velocemente a loro con le guance in fiamme e le gambe piacevolmente tremanti. 
Dopo un giro di abbracci ed auguri infinito, stringe sua madre che le sorride incoraggiante. “Era questo l’impegno di cui ti eri dimenticata?, ride, ora più leggera.
“Scusa tesoro, ma non potevo assolutamente smontare il piano di Marty… E’ stato cosi gentile…”. 
“Cosa?!”, sussulta presa alla sprovvista, “Ha organizzato tutto lui?”. Un sorriso sapiente di sua madre la spinge a raggiungere il suo partner intrattenuto da Nell in una strana conversazione. 
“Ma cosa…? Sul serio Deeks?”, si avvicina a lui sorridendo. 
“Scusa Fern, mi sembrava un bel modo di festeggiare…”, la sua espressione pacifica e soddisfatta la fa arrossire, di nuovo. 
“Grazie Marty!”, gli getta le braccia al collo allungandosi contro di lui, “E’ stata una bellissima sorpresa!”

Un colpo alla porta la riporta alla realtà di botto. 
“Kensi, tutto ok?”
“Sì Callen, eccomi!”, si trascina in piedi lentamente. Apre la porta scuotendo la testa, la nebbia nella sua mente deve diradarsi il prima possibile per lasciarla lucida per pensare a come risolvere la situazione. 

“Va bene, ragazzi. È arrivato il momento di iniziare”, la voce di Ziva ridesta tutti i presenti dal leggero riposo agitato in cui erano caduti. 
“Dividiamoci in squadre: Kensi e Ziva con me. Rimaniamo divisi ma teniamoci sempre d’occhio”, dice Gibbs nascondendo la pistola sotto il lungo abito che indossa. 
“Voi state davanti, noi vi rimaniamo a una ventina di metri e non vi perdiamo di vista”, conclude Callen guardando di soppiatto la strada da un angolo della finestra. 
 
Kensi segue silenziosamente Gibbs lungo le strade polverose e affollate di Amara. Si muovono con circospezione fermandosi di tanto in tanto per dare il tempo al loro capo di chiedere informazioni. Il copione è sempre lo stesso: ‘Conoscete Victor Vicente?’, e l’uomo di turno che lo guarda strizzando gli occhi e dando velocemente le spalle al trio. 
Gibbs ha appena fatto la solita domanda per la quinta volta, quando Ziva si avvicina a Kensi facendole un cenno con il capo. La donna impiega pochi secondi a realizzare cosa le sta indicando la collega: un’ombra si sta allontanando velocemente da loro  strisciando contro i muri e continuando a spiarli con la coda dell’occhio. 
Kensi sorride tra sé e sé, il loro piano evidentemente sta funzionando.
“Gibbs, di là. Si è infilato nel vicolo!”, il gruppetto si incammina seguendo le orme del loro fuggitivo. Riescono a raggiungerlo nell’esatto momento in cui lui apre una piccola porta, vi sta entrando quando Ziva lo richiama, “Hei, scusi! Ho bisogno di aiuto!”
Lui tentenna e questo momento di incertezza gli costa la salvezza. Gibbs lo afferra per il colletto e lo strattona indietro. Nel frattempo Callen, Sam e Tony li hanno raggiunti e si uniscono a loro. Ziva scopre il capo del fuggitivo quando Tony sussulta, “Ma è un ragazzino!”
“Cosa volete da me?”, sputa lui tra i denti. Li guarda uno ad uno in cagnesco stringendo i pugni lungo i fianchi. 
“Un’informazione. Che tu ci darai”, G è lapidario. 
“Americani! Non parlerò con voi!”, il ragazzo sputa ai piedi di Callen e lo guarda con disgusto. Da quel momento non apre più bocca. 
Sam lo prende sotto braccio e molto poco delicatamente viene trascinato al loro alloggio. Una volta dentro, lo legano ad una sedia e lo lasciano in un angolo. 
Sam lo guarda di sottecchi, “Cosa facciamo con lui? Non parlerà mai con noi! Avremmo fatto meglio a seguirlo!”
“Diamogli tempo, forse la fame e la disperazione gli faranno aprir bocca…”
“Ma è solo un bambino…”, Tony sgrana gli occhi alle parole di Gibbs, non riesce proprio a farsene una ragione. 
“No, è un soggetto che potenzialmente conosce la posizione dei nostri uomini!”
“Va bene, ok, beh…potrei parlarci io…da sola…”, Kensi si gratta il collo guardando il ragazzo. Non distoglie lo sguardo dalla sua figura, i capelli neri, gli occhi che saettano da una parte all’altra, la figura dinoccolata. È un ragazzino, può riuscire a far parlare un ragazzino. 
Si avvicina a lui prendendo una sedia. Dopo essere rimasti soli, si siede e per un paio di secondi guarda fuori dalla finestra. Non sa come iniziare, non sa nemmeno cosa chiedergli. Prima le era sembrata una buona idea provare a parlargli, sentiva che era la cosa ideale, ma ora non aveva minimamente idea di cosa dire. 
“Ciao, io mi chiamo Kensi. Non sono qui per farti del male, vorrei solo…che tu parlassi con me…”, dice passandosi una mano tra i capelli. Lui la fissa studiando ogni suo più piccolo movimento, “Beh…potresti iniziare dicendomi il tuo nome e quanti anni hai…”
“Cosa vuoi da me, Kensi?”, sputa fuori il suo nome con arroganza. 
“Ho bisogno di un’informazione…per aiutare due amici in pericolo…vorrei tu mi aiutassi…”
Lui ride gettando la testa indietro, “Perchè dovrei aiutarti?!”, continua a ridere prendendosi gioco delle parole della donna.
Kensi si alza lentamente facendolo tacere. Sente i suoi occhi puntati sulla schiena mentre tiene d’occhio ogni suoi più piccolo movimento. Torna al suo posto dopo pochi istanti e una volta seduta, con mani tremanti, poggia sulle sue ginocchia una foto. 
“Lei si chiama Grace, ha quattro anni e mezzo ed è una bambina buona, intelligente e generosa”, la sua voce vacilla ma il suo sguardo non lascia mai il viso del ragazzo, “E’ in pericolo ed io sono qui per fare tutto ciò che posso per proteggerla…”
Dopo alcuni attimi di silenzio, il ragazzo fa un respiro profondo, “Mi chiamo Rafael…ho 12 anni.”
“Ciao Rafael, è un piacere conoscerti…”, Kensi gli stringe delicatamente un ginocchio. 
“Questa bambina, è tua figlia, vero?”, lei annuisce mentre lui non stacca gli occhi dalla foto: Grace che ride tra le braccia della madre mentre lei le fa il solletico. Poi il ragazzo continua, “E come potrei aiutarti io?”
“Ho visto che sei scappato quando hai sentito il nome di Victor Vicente, perchè?”
Lui la osserva soppesando le parole, “Di solito quando qualcuno arriva cercando Victor, non è mai un buon segno.”
“E come mai?”
“Beh, lui è un uomo pauroso. In questa parte di città nessuno vorrebbe avere problemi con lui. Se arriva in città, sicuramente è per risolvere qualche conto in sospeso…e raramente si rivede il suo avversario in giro il giorno dopo… Perché lo cerchi? Perché tua figlia è in pericolo?”
“Gli feci un torto parecchi anni fa…e adesso lui si sta vendicando.”
“Oh”, il ragazzo fissa Kensi negli occhi, “ha preso tua figlia? Stai andando a salvare lei?”
“No, cioè ha minacciato la vita di mia figlia, ma Victor ha due persone a cui tengo molto e che non meritano nulla di ciò che potrebbe accadergli…”
Lui annuisce guardando il pavimento, improvvisamente tutta la voglia di parlare sembra scomparsa. 
“Rafael?”, Kensi lo richiama ma lui rimane in silenzio, “Rafael, ho bisogno di sapere dove posso trovare Victor… So che puoi aiutarmi!”, gli stringe con dolcezza un ginocchio per attirare la sua attenzione.
“Non posso Kensi. Mi ucciderebbe, non posso.”
“No, ti prometto che ti proteggerò io. Ti giuro che non ti farà nulla!”, la sua è una preghiera disperata. Il ragazzo la guarda ridendo, “Pensi davvero di potermi proteggere da lui? Nessuno si può tenere al sicuro da lui! Per il solo fatto che qualcuno mi ha visto in vostra compagnia, io sono già morto.”
“Ti prego Rafael, è davvero importante per me…”
“Dov’è il padre della bambina?”, il ragazzo la interrompe osservandola con curiosità. Kensi trattiene il respiro per un secondo e lega i loro sguardi. Non vacilla, non tentenna, deve rimanere concentrata. “Rafael, è importante. Dove posso trovare Victor?”
“Ma certo! Lui ha il padre! È così, giusto?”
“Rafael! Guardami!”, la donna gli prende il viso tra le mani e lo tiene fermo verso di sè. 
“Non so dove puoi trovarlo, sul serio! L’unica cosa che so è che vive fuori città, arriva sempre a bordo di fuoristrada. Una volta li ho sentiti parlare tra di loro dell’oceano… Non so altro, davvero!”
Kensi si alza di colpo lasciando cadere la sedia dietro di sé dalla foga che ha impiegato nel gesto, si lancia verso la stanza dei suoi colleghi, “Fuori città! Non vive qui! Dobbiamo cercare un caseggiato in periferia! Sono sull’oceano! Quindi qualcosa di abbandonato abbastanza lontano da costringerlo a venire in città poche volte!”, li investe di notizie mentre li trova seduti a terra circondati da fascicoli. 
“L’hai fatto parlare! Brava Kensi!”, Gibbs le da una pacca su una spalla sorridendole di sbieco. 
“Non avevo dubbi sulla tua bravura, Kens…”, Callen le lancia una sguardo riconoscente. 
La donna si sente poi richiamare, “Kensi! Me l’hai promesso!”
Gli altri osservano la scena con curiosità, poi Rafael continua, “Mi devi proteggere…”
Lei si avvicina velocemente inginocchiandosi davanti al ragazzo, gli prende nuovamente il viso tra le mani e lo guarda intensamente, “Te lo prometto. Te lo prometto Rafael, non ti succederà nulla…”

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Capitolo 5
*** Color salmone ***


“Callen, Kensi: voi con me. Tony, voi tre invece rimanete qui e sorvegliate Rafael.”
“No capo, non lasciarmi con loro due…”, supplica Tony guardando di sottecchi Sam, “Sai che sono troppo seri per me, non mi sento a mio agio…”
“Tony, chiudi la bocca!”, Ziva lo colpisce duramente al braccio.
“Hai visto?! Capo, hai visto? Mi picchia!”
“E fa bene!”, uno sguardo del suo caposquadra lo fa tacere immediatamente. Una volta che gli volta le spalle, Tony continua a borbottare sottovoce parole incomprensibili. Sam lo fissa con un crescente sorrisetto sulle labbra, “Hei bimbo grande, non divertiti troppo con lui, ti prego”, lo ammonisce il suo partner ridendo. 
“Gibbs, noi dove stiamo andando?”
“Prendete le vostre cose e seguitemi. Andiamo a controllare l’appartamento dove vivevano i nostri agenti. Magari troviamo qualcosa di utile per restringere la zona dove potrebbero nascondersi i nostri obiettivi.”
“Sempre che non sia già passato Vicente…”
“Tentar non nuoce, Kensi, non credi?”, lei annuisce rimettendo lo zaino in spalla. 

Entrano con discrezione nell’appartamento di una palazzina poco fatiscente in una piccola strada di Tepic. Quello che si palesa ai loro occhi è la confusione più totale, sedie rovesciate, cuscini spiumacciati, bicchieri e piatti rotti a terra. Si fanno strada attentamente tra il disordine cercando con gli occhi qualsiasi cosa gli uomini di Vicente non abbiano già trovato. 
Kensi si avvia lungo il piccolo corridoio dando un’occhiata dentro le stanze. Le porte spalancate e i letti completamente distrutti. I vestiti sono riversati fuori dai cassetti aperti, sparsi sul pavimento. Basta uno sguardo veloce e capisce immediatamente che è il proprietario della stanza nella quale sta entrando. 
“Hei G. Do un’occhiata alla stanza di Deeks… È completamente distrutta!”, non ascolta nemmeno il grugnito che riceve in risposta perché la sua attenzione viene immediatamente catturata da un lembo di tessuto color salmone semi nascosto sotto un cuscino sul pavimento. 
 
“Dio Deeks, quel colore ti sta malissimo!”
“Hei”, gli occhi azzurri dell’uomo si restringono mentre la fissa con un sorrisetto storto, “mi preferisci senza, non è vero? Guarda, puoi ammetterlo. Non ho problemi con questo. Posso soddisfare i tuoi desideri, miele…”, le dice avvicinandosi e iniziando a tirare la felpa sopra la sua testa. 
Lei intravede un lembo di pelle abbronzata non appena la felpa si solleva e deve quasi legarsi le mani per impedir loro di andare a toccarlo. 
“Oh sta’ zitto!”, gli tira un pugno sulla coscia incrociando le gambe sotto di sè. La sua risata la raggiunge, forte e inarrestabile, “Cos’hai da ridere?”, abbaia nella sua direzione nell’esatto momento in cui il suo cane poggia il muso sul suo ginocchio. 
“Ah mia cara Fern, sei deliziosa”
“Vattene Deeks o ti farò del male”, la sua minaccia si perde nell’aria quando qualcosa le piomba sul viso, “Ma cosa diavolo…?”, lo sente ancora ridere correndo tra le onde, la sua tavola sotto il braccio.
Prende tra le mani ciò che ha in testa e nota che è la felpa che stava indossando pochi secondi prima. 
“Hei Fern!”, lui la richiama più tardi seduto sulla sua tavola mentre galleggia tra le onde tranquille del tramonto, “Puoi anche tenerla se vuoi, fingerò di non sapere che me l’hai rubata!” 
Questa volta ride lei, una risata più simile ad uno sbuffo, “La dovrei prima lavare per togliere le pulci!”, urla indietro. Sente ancora la sua risata, arriva come musica alle sue orecchie. 
Quando è sicura che lui sia troppo impegnato a cavalcare le onde, si copre le spalle con la sua felpa e il suo profumo la invade: bagnoschiuma al sandalo e profumo di mare.


 
Crede di poter ancora sentire il suo profumo impregnato nel tessuto che ora stringe tra le mani. Sa che è impossibile, è passato troppo tempo e da chissà quanto questa felpa giace sul pavimento, ma sapere che era la sua felpa le fa ricordare esattamente il suo odore. L’odore che la sua pelle aveva ogni giorno. Le sembra impossibile che sia passato tutto questo tempo. 
Si ritrova a rovistare ancora tra i pochi oggetti appartenuti al suo ex partner, mentre gli altri due uomini si stanno concentrando sugli oggetti di McGee. 
“Hei Kens! Vieni qui, forse abbiamo trovato qualcosa!”, la richiamano velocemente alla realtà. Mette nello zaino la felpa sporca che stringe in mano e si avvicina velocemente agli altri due. Li trova inginocchiati dietro il comodino accanto al letto di McGee mentre leggono il diario che l’agente ha scritto giorno per giorno per documentare la loro operazione. 
“Sembra impossibile che non l’abbiano trovato, McGee era riuscito ad incollarlo sotto il comodino!”, Callen continua a lanciare qualche occhiata al retro del mobile, ancora incredulo per la fortuna che hanno avuto. 
“Guardate qui. Tra gli appunto di Tim vengono citate più volte delle località sul mare, delle strutture, sembra… Dice che Deeks ha sentito più volte gli uomini di Vicente mentre ne parlavano.”
“Caseggiati vicino al mare…potrebbe corrispondere con quanto detto da Rafael…”, ragiona Kensi a voce alta. 
“Eric?”, Callen ha composto velocemente il numero della loro sala operativa, “Ho bisogno che tu mi dica tutto quello che c’è da sapere sulla costa più vicina alla nostra posizione. Capannoni abbandonati, problemi che son stati denunciati. Qualsiasi cosa, capito?”
“Sono già all’opera. Ti richiamo appena ho tutto.”
“Va bene, torniamo dagli altri allora”
“Kens? Hai visto qualcosa?”
“No, io… Stavo solo pensando che non dovremmo lasciare qui tutte le loro cose…”
“Ora non abbiamo tempo di portare via tutto, lo faremo quando avremo concluso il caso. Forza, andiamo”, Gibbs la spinge fuori dall’appartamento. 

Una volta tornati al loro appartamento, Callen si dirige direttamente a farsi una doccia mentre Gibbs va a riposare. Tony e Sam sono usciti a sgranchirsi le gambe per guardarsi un pò attorno in città. 
Kensi si siede sul letto che deve dividere con Ziva e stende le lunghe gambe sul materasso. La fatica del viaggio e lo stress la stanno colpendo tutti in una volta. Ha chiuso gli occhi da pochi secondi quando il materasso accanto a lei si inclina sotto il peso della presenza silenziosa di Ziva. 
“Agente Blye…”, mormora con voce tranquilla, “ho sentito tanto parlare di te.”
Lei apre gli occhi non muovendo un muscolo, la osserva mentre l’altra donna guarda fuori dalla finestra, poi continua, “Sai, a parte Deeks, io sono l’ultima arrivata. Non conosco bene le vostre dinamiche, ma se Gibbs si fida ciecamente di voi, lo farò anche io.”
“Diciamo che conosciamo Gibbs da molti anni, Callen ha lavorato con lui tantissimo… Quindi sì, anche noi ci fidiamo ciecamente di lui”
“Tony mi dice sempre che sono poco…come si dice? Qualcosa con ‘patica’, me lo ripete sempre…”, lei ragiona silenziosamente. 
“Cosa vuoi dire? Perché te lo dice?”
“Crede che io sia troppo dura con le persone, non sono capace di dire quello che vorrebbero sentirsi dire…”
“Ah sì, empatica!”
“Esatto! Empatica! Che razza di parola! Ma comunque…me lo dice sempre e magari ha anche ragione. Ma sai, non parlo ancora bene e poi comunque spesso non c’è bisogno di parlare tanto…”, sembra quasi che ragioni tra sé e sé e per un attimo Kensi si sorprende ad essere contenta di avere un’altra donna con cui condividere la situazione. Certo, è evidente che Ziva non sia una donna come tutte le altre, molto più seria di quello che sia addirittura Kensi, ma insomma, chi è lei per giudicare? Si ritrova a ridacchiare da sola. 
“Kensi?”, l’altra donna la scuote dai suoi pensieri spingendole contro una spalla, “Và a fare una doccia. Ti sentirai meglio dopo, dai.”
Lei si alza lentamente, i muscoli già intorpiditi dal riposo che stava avendo. Mentre si avvicina al bagno con il cambio di vestiti, sente Ziva richiamarla, “Penso che andrà tutto bene, sai?”
“Lo stai dicendo solo perché Tony ti dice che sei poco empatica?”, le domanda con un sopracciglio alzato.
“No, lo dico perché conosco Tim e Deeks. E non penso che potrebbero…abbandonare quello in cui credono. Ci stanno aspettando, lo so.” 
Lei annuisce e scompare dentro al bagno. Sì, forse una doccia è quello di cui ha bisogno. 
 

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Capitolo 6
*** Questione di figli ***


“Marty Deeks. Eccoti qui.”
Le parole giungono alle sue orecchie da lontano, l’uomo apre lentamente gli occhi cercando di muovere il collo. Il dolore che si dirama da ogni parte del suo corpo lo farebbe volentieri urlare. La parte della sua mente che ancora riesce a ragionare, si rende conto che l’uomo nascosto nell’ombra lo ha chiamato per nome. 
Sputa per terra un grumo di sangue e tenta di parlare, la sua voce è roca e bassa ma sa benissimo che l’altro lo ha sentito. “Dov’è il mio amico?”
“Sai, è bello vedere che continui a preoccuparti così tanto dei tuoi partner…”
“Dove è?”
“Su, forza, non essere prepotente, qui le domande le faccio io, non ricordi?”, l’uomo si avvicina lentamente, una lama nella sua mano destra. 
“Però fino ad ora non mi hai fatto delle domande. Inizio a chiedermi cosa tu voglia da me”, borbotta nel modo più convincente che conosce. Le pulsazioni continue alla testa gli fanno perdere la concentrazione più spesso di quello che vorrebbe. 
“Hai ragione, non ti ho fatto molte domande. Ma questo perché so già tutto di te.”
Il biondo legato alla sedia sussulta in una breve risata, “Dove è il mio amico?”
“Amico? Mi vuoi ancora mentire?”, l’inglese dell’uomo è molto buono, ma l’accento messicano non passa sicuramente inosservato, “Timothy McGee. Lui è un tuo collega, mio caro agente speciale Marty Deeks dell’NCIS.”
“Sai amico, mi sto iniziando davvero a chiedermi cosa vuoi da me”, cerca di distrarlo dal fatto che l’ha identificato alla perfezione, “Sei qui a parlare e parlare e parlare, ma non mi dici nulla di utile. Il tuo tempo sta per scadere, lo sai? Ci stanno cercando, sanno che siamo con te…”, l’agente biondo geme per il colpo appena ricevuto alla mandibola, “Non hai molte speranze… Sei praticamente in trappola, dopo tutti questi giorni i nostri colleghi sapranno dove siamo!”, all’improvviso si ritrova a terra grazie ad un calcio ben assestato contro il suo petto.
“Stai zitto! Zitto!”, urla il messicano battendo i piedi a terra accanto a lui. Deeks, ancora legato alla sedia, boccheggia in cerca di aria. La caduta ha svuotato i suoi polmoni e il dolore alle costole lo fa scivolare velocemente verso l’incoscienza. 
 
“Hei Fern, dai non essere arrabbiata con me!”, le corre dietro vedendo i suoi lunghi capelli svolazzare nella brezza del mattino. 
“Deeks, mi hai svegliato alle 5.30 del mattino! Sei fortunato che non ti abbia sparato!”
“Oh andiamo! Questo è uno dei momenti più belli della giornata…”, la sua occhiata mortale lo fa tentennare, “E poi ti ho comprato caffè e ciambelle!”
“Ok bene, potresti essere quasi perdonato allora. Dammi le mie ciambelle!”
Lui ride forte stendendo un telo sulla sabbia, poi richiama Monty già con le zampe in acqua e gli lancia una pallina lontano da loro. 
“Vieni qua, orsetto di zucchero…”, batte ripetutamente la mano sul posto vuoto accanto a lui guardandola sorridendo. 
Lei si lascia sprofondare nella sabbia sorseggiando il caffè preso dalle sue mani. 
“Sembri uno squalo affamato…”, ridacchia fissandola mentre spazzola due ciambelle, poi sospira piantando le mani nella sabbia e stendendo le gambe davanti a sè, la testa piegata leggermente all’indietro respirando la brezza marina. La nota fissarlo per un momento gustandosi le ultime gocce di caffè e poi tornare a fissare l’oceano. Poi lei si sposta più vicino a lui appoggiando la schiena sul suo braccio e la testa sulla sua spalla. Inspira soddisfatta con gli occhi socchiusi poi mugugna sonnacchiosa, “Sì, uno dei momenti più belli della giornata…”. 
Si stupisce realizzando che tempo fa non avrebbe mai immaginato di avere questa vicinanza con  Kensi. Il fatto che lei si fidi a sufficienza di lui, tanto da lasciarsi andare fino a questo punto gli fa salire uno strano calore nella pancia. Sospira con un mezzo sorriso sulle labbra e quando riapre gli occhi vede due figure sedute sulla spiaggia a un centinaio di metri da loro e una più piccola che corre sulla riva. Dopo alcuni istanti, l’uomo si alza e raggiunge il bambino mentre la donna si stende sul telo mostrando il pancione, la vede ridere mentre l’uomo rincorre il bambino. Pochi istanti dopo il piccolo inciampa finendo steso in acqua. Il suo pianto raggiunge le loro orecchie e Deeks vede la madre raggiungere velocemente i due per prendere in braccio il bambino e consolarlo.
“Hai mai pensato ad una famiglia? Voglio dire, con il nostro lavoro, sai…”
Lei sposta la testa seguendo la linea del suo sguardo, “Non penso di essere adatta ad una famiglia…”, si muove a disagio contro il suo braccio, “Non mi ci vedo proprio a fare la moglie…la mamma. Non con questo lavoro… Te?” 
“Io sì, assolutamente sì!”, sorride guardando davanti a sè, “Ho sempre amato l’idea di una famiglia mia, l’idea di dimostrare a me stesso che posso essere un buon padre…”
“Non devi dimostrare nulla, Deeks. Tu non sei tuo padre, lo sai?”
Lui annuisce distrattamente, continuando a ragionare ad alta voce, “Credo anche che ad un certo punto sarà bello tornare a casa dal lavoro e trovare qualcuno che ti aspetta, qualcuno che ti ama. Che renda il pericolo di ogni giornata di lavoro accettabile…”. Il suo sguardo si era spostato al mare, il lento e ritmato sciabordio delle onde: il posto più rilassante dell’intero universo. La sua testa che si posa ancora contro la sua spalla, può sentire il suo sguardo e il suo respiro contro il collo. 
Sospira ancora poi lascia che un sorrisetto gli scorra sulla labbra, “Comunque te l’ho detto Kensalina, se il tuo orologio biologico dovesse svegliarsi all’improvviso, io posso aiutarti… Voglio dire, anatomicamente parlando, ho delle parti del mio corpo che puoi sfruttare per soddisfare il tuo bisogno!”
“Stà zitto, Deeks!”, sbuffa lei alzando gli occhi al cielo, “Hai rovinato il momento!”
“Momento? Quale momento? C’era un momento? Ammetti che avevamo un nostro momento?”, urla alle sue spalle mentre la vede avvicinarsi all’acqua. l’acqua che le lambisce le caviglie e lei che guarda l’orizzonte. 
“Se potessi avere infiniti di questi momenti…”, sussurra a sé stesso fissando la figura della donna con i capelli mossi dal vento.

L’agente biondo apre lentamente gli occhi cercando di ascoltare qualsiasi movimento attorno a lui.
Brividi di freddo scuotono il suo corpo, ma continua a sudare e a sentirsi bollente. Ragionando circa la sua situazione, probabilmente ha una febbre sviluppata da una qualche ferita ormai infetta. La necessità di bere e l’intorpidimento ai muscoli lo lasciano sempre più debole. Si domanda se veramente li stiano venendo a cercare, perché non sa quanto tempo avrà ancora prima di lasciarsi andare. Sa riconoscere i segnali della disidratazione, la poca acqua che gli hanno dato in quei giorni non può bastare per lui, considerato anche il caldo che si è abbattuto sulla zona. 
 
“Marty…eccoti di nuovo qui con me!”, una voce rauca proviene dal fondo della stanza. 
L’uomo sospira poggiando il mento contro il suo petto. Lo sfinimento e la privazione di cure mediche gli fanno desiderare di scivolare ancora nell’incoscienza. Ma Vicente non è della sua stessa idea evidentemente. 
“Allora, prima stavamo chiacchierando un pò, ricordi?”
“Sì, come due amabili amici…”
“Possiamo dire così, sì…”, l’ombra si siede lentamente davanti all’uomo legato e ferito, “Adesso ti racconto una storia, ti va?”, riceve uno sguardo assonnato e dolorante, “No no, sono sicuro che appena sentirai questa storia ti sveglierai per bene, amico mio!”
Il messicano raccoglie le idee grattandosi il mento, “Dunque…il nome Cesar Perez, ti dice nulla?”
“Pensavo dovessi raccontarmi una storia, non farmi domande”, borbotta Deeks. 
“Sai, Marty, mi piacevi di più quando eri un Detective…”.
Questa frase conquista la sua attenzione, alza il capo di scatto e lo fissa dritto negli occhi, “Mi ricordo di Cesar Perez, un piccolo narcotrafficante di Los Angeles”.
“Bene, vedo che la tua memoria è tornata a tempo di record… Ricordi come è andata quella vicenda?”, lui annuisce, gli occhi diventate due fessure, “Molto bene, e ti ricordi di Andrès?”
L’agente continua ad osservarlo in silenzio cercando di mettere a fuoco il nome appena pronunciato. I suoi sforzi finiscono quando il messicano gli mette sotto il naso una fotografia: Cesar Perez che porta sulle spalle un bambino sorridente.
“Sì…mi ricordo di Andrès.”
“Ottimo, grande memoria Detective!”, lo sbeffeggia l’altro, “Ora, visto che siamo diventati grandi amici, mi sembra il momento di raccontarci i nostri segreti, che ne dici?”
Il sorriso che percorre le sue labbra è malvagio e gli fa scorrere un brivido lungo la spina dorsale, Deeks si aspetta da un momento all’altro una qualche punizione fisica. I suoi muscoli restano tesi e i suoi sensi preparati. 
“Bene, inizio io…”, gli mostra un’altra foto, due ragazzi mori e incredibilmente simili che si abbracciano davanti alla macchina fotografica, “Forza Detective, so che puoi arrivarci.”
Deeks guarda alternativamente la foto e l’uomo davanti a lui, “Era tuo fratello, vero? È per questo che sono qui? Vuoi vendicarti su di me?”
Le domande escono tutte in una volta, un solo respiro. Vicente si batte una mano sulla coscia, “Bingo! Grande, amico mio! Purtroppo non è tutto giusto…ma di questo parleremo in seguito.”
Deeks continua, “Questo fa di te lo zio di Andrès.”
“Hai sbagliato di nuovo, Marty. Ma apprezzo il tuo sforzo”, a queste parole l’agente lo osserva con curiosità. 
“Forza Marty, che ne dici di parlarmi un pò di Kensi?”, lui rimane impassibile, stringe la mascella e deglutisce, ma non muove alcun muscolo. 
“Cosa c’entra Kensi?”
Vicente sembra non averlo ascoltato, “E’ una donna davvero molto bella…coraggiosa e forte… Capisco perché te ne sei innamorato, sai?”
Deeks stringe gli occhi in due fessure e lo fissa in silenzio. 
“Ricordo che quel giorno siete stati voi due i primi a fare irruzione a casa di mio fratello…e di mio figlio…”
“Tuo…figlio?!”, l’agente spalanca gli occhi.
“Andrès era mio figlio, che sorpresa eh?! Ebbene sì, lo avevo mandato io a vivere con Cesar perché conduceva traffici meno pericolosi dei miei”, soppesa le parole e continua, “Ma quel deficiente è riuscito solo a creare danni, entrando nel radar dell’NCIS!”, trattiene la rabbia a stento, “Purtroppo non è tutta colpa sua, vero? Da come sono andate le cose, la tua bella partner ha sparato a mio figlio… E non è una cosa che posso perdonare… Ma sono sicuro che tu possa capirmi…”
Deeks lo osserva con un crescente panico negli occhi. Il suo corpo ancora pervaso di brividi si scuote anche per la consapevolezza della brutta situazione che si sta andando a creare.
Vicente prende un’altra foto dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, la rigira lentamente tra le mani mentre parla, “Sono sicuro tu possa capirmi perché…credo tu possa immaginare come ci si sente quando si perde un figlio, no?”
Appena i suoi occhi si posano sul piccolo pezzo di carta plastificata il suo cuore affonda nel petto. Tutti i dolori patiti fino a quel momento, sono nulla in confronto a quello che prova ora. Perde la concentrazione fissando la foto, smette perfino di respirare. 
“Sai, quando ho scoperto che ti eri trasferito a Washington sono rimasto confuso. Devi essere veramente un uomo stupido per lasciare questo…”, picchietta un dito sulla foto, “Una donna del genere non si incontra tutti i giorni. E poi, questa bambina qui, davvero bella, sai? Mi ha ricordato così tanto il mio Andrès…”
“Victor…cosa vuoi? Cosa hai fatto?”
“Forza forza Marty, hai troppa fretta. La storia è lunga.”
“Victor andiamo, McGee non c’entra nulla. Lascialo andare, hai già me, ok?”
“Marty, non capisci che non sei nella situazione ideale per contrattare, vero?”, sbuffa sonoramente come se stesse parlando con un bambino piccolo. 
“Ascolta Victor , non abbiamo ucciso noi Andrès…”
“Non mi prendere per il culo, agente! Non ti pulirai la coscienza mentendomi!”
“No, devi credermi… Era già morto quando noi siamo entrati, non lo abbiamo ucciso noi…”.
Una risata sprezzante gli esplode sul viso, “Sei un tale figlio di puttana… Voi, maledetti federali!”, gli sputa l’ultima parola contro. 
“Ascoltami. Non so cosa hai fatto alla mia famiglia, quindi…”, viene interrotto immediatamente con l’uomo che ride fragorosamente, “Famiglia? Tu vieni a dire a me cos’è una famiglia? Tu che sei andato dall’altra parte del Paese? Divertente.”
“Ascoltami Victor. Ormai non perdo nulla a dirti la verità, per quanto ne so potresti già averle uccise…”, il sorriso maligno che vede comparire sulle sue labbra gli provoca la pelle d’oca. Non vuole soffermarsi a pensare al significato delle sue parole e della sua espressione. Se fossero veramente morte, non potrebbe mai perdonarselo, “…quindi, perché continuare a mentirti? Devi credermi, io sono stato il primo a trovarlo dopo aver fatto irruzione. Tuo fratello era al piano di sopra, quando siamo scesi ho visto Andrès disteso nel cortile sul retro. Ho cercato in ogni modo di rianimarlo…ma non ho potuto fare nulla. Aveva dei segni attorno al collo e sulle braccia… So cosa significano quei lividi… È stato a quel punto che abbiamo visto Marilena mentre tentava di scappare. Durante la fuga si stava sbarazzando di una cintura.… Io non ho potuto fare nulla…e nemmeno Kensi…era già morto, Victor…”
Un’ombra di dolore passa negli occhi del messicano, ma poi l’agente vede un’altra ombra. Ci mette qualche secondo a capire che è un dubbio insinuato nella sua mente. Gli basta quel piccolo sguardo per capire che qualcosa di quello che ha detto ha fatto breccia nei suoi ricordi, “Cosa vuol dire che sai il significato di quei lividi?”
Sperava in questa domanda, può significare solo che ha dato un peso a quello che gli ha detto, “Mio padre mi picchiava. So riconoscere quel tipo di lividi sulle braccia e sul collo. So cosa vuol dire quando tuo padre si slaccia la cintura facendola passare dai passanti e ti fissa. O correvi più veloce che potevi o aspettavi che finisse di picchiarti. E dovevi cercare di nascondere tutti i lividi per una settimana, quando magicamente ne comparivano dei nuovi”, si rende conto di aver parlato tutto d’un fiato. Prova a prendere un respiro profondo ma le sue costole protestano dolorosamente. Vicente annuisce pensieroso, è in silenzio da qualche minuto quando Deeks fa un errore, il suo solito errore: scavalca la linea. Una parte remota del suo cervello è ancora impegnata a ricordare l’espressione di gloria di Victor quando ipotizzava l’omicidio di Kensi e Grace. Non riesce a smettere di pensare a cosa potrebbe aver fatto loro. Si rende anche conto che Kensi, oltre ad essere un agente federale, è anche sempre in compagnia di altri agenti federali, ma può bastare un singolo secondo per essere fregati. Proprio come succede a lui ora. 
“Per favore Victor, ho bisogno di sapere cosa hai fatto…”, non si rende nemmeno conto da dove arriva, ma la sua mascella già indolenzita viene colpita duramente, “Ora mi chiedi per favore?! Quella cagna ammazza mio figlio e tu pretendi altro da me?! Vi siete già presi tutto! TUTTO!”, lo colpisce ripetutamente al busto. Ogni urlo corrisponde ad un pugno. Deeks cerca di ripararsi ma le braccia legate dietro alla sedia glielo impediscono. Si chiede quanto a lungo il suo corpo possa ancora sopportare questo trattamento quando i suoi occhi si posano sull’ultima foto mostrata e ormai dimenticata nella polvere. Un ultimo pugno e lui è scivolato nel suo posto felice.

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Capitolo 7
*** Finalmente riuniti ***


“G, abbiamo trovato un casolare abbandonato sulla costa….”
“Aspetta Nell… Ecco sei in viva voce, dimmi tutto.”
“Dicevo che in base alle informazioni che ci avete dato, abbiamo ristretto l’area e sembrano esserci una serie di casolari abbandonati sulla costa più vicina a Tepic…”
“Ragazzi, purtroppo la costa è lunga e non abbiamo alcuna certezza...non siamo certi di quale sia il posto giusto. Mi dispiace, ma non abbiamo molto su cui lavorare…”, continua Eric.
“Eric, controlla se qualcosa può corrispondere alle lettere S.B.”,  Kensi interviene guadagnandosi delle occhiate confuse dai suoi colleghi, “Ho visto quelle iniziali incise nel legno all’interno del cassetto del comodino di Deeks, magari non significa nulla, non so…”, si giustifica. 
“Appena avete novità contattateci!”, Sam chiude la telefonata grattandosi la nuca. 
Il caldo sta lentamente consumando la loro pazienza, fare una doccia al giorno non basta più. Il sudore e la polvere rendono la respirazione così dolorosa che provano sollievo solo sotto il getto dell’acqua. 
Kensi si lega i capelli in una crocchia alta, così strano rispetto alla sua solita pettinatura. Ziva segue il suo esempio con un sospiro soddisfatto. 
“Non pensavo soffrissi il caldo, Zizi!”, la provoca Tony con gli occhi socchiusi nella penombra della stanza. 
“Non chiamarmi così, Tony!”
“Perchè? So che ti piacciono i miei soprannomi!”
“Li odio. Stà zitto.” I due continuano così a battibeccare tra gli sguardi dei presenti. 
“Sì Sam, sono sempre così. In continuazione”, borbotta Gibbs in risposta allo sguardo dell’altro agente.
“Lui è realmente snervante. Io lo avrei già ucciso probabilmente.”
“Sam, tu l’avresti sicuramente già ucciso”, ride Callen prendendo in giro il suo partner. 
“E’ fastidioso, G.”
“Lo so, bimbo grande. Non ti preoccupare, per te ci sono io.”
“Parli come mia moglie. Mi devo preoccupare? Sai G, dovresti davvero trovarti una donna…essere più socievole… Insomma, smettere di essere un lupo solitario.”
“Io sto bene così. Non capisco cosa vuoi da me!”
“Guarda che le spaventi le donne con quel tuo modo di fare arcigno, non so davvero come spiegartelo!”
Il biondo lo guarda socchiudendo gli occhi in due fessure, “Perchè dovrei volere una donna, quando ci sei già tu a farmi da moglie?”
Gibbs alterna lo sguardo tra i due uomini, quando Kensi sospira sconfitta finendo di pulire il suo fucile da cecchino, “Anche loro sono sempre così. Sembrano davvero una coppia sposata… A volte mi sento l’unica normale, lì dentro.”
“Disse quella che soffre di dipendenza da cioccolato…”, ribatte Sam.
“E che ha tramandato anche alla figlia…”, interviene Callen supportando il partner. 
La donna sbuffa alzando gli occhi al cielo, “Non meritate nemmeno una risposta, non la meritate davvero.”
Vengono interrotti dal telefono di Callen che squilla sul tavolo. Mentre Callen e Gibbs si alzano e gli altri si zittiscono, Tony continua a lanciare occhiate divertite alla sua partner. 
“Kensi! Ci hai beccato! S.B., San Blas, a circa 50 km da voi. In base a quello che Abby è riuscita a vedere dai satelliti, si tratta di una cittadina sul mare composta da costruzioni abbandonate. Potrebbe essere il nostro posto! Non ne abbiamo la certezza però…”
“Ok, quanto dista da qui?”
“Una cinquantina di minuti!”
“Eric, mandaci la pianta dei caseggiati, dobbiamo vedere come muoverci!”
“E’ già sui vostri telefoni”, si sente la voce di Nell da lontano.
Gibbs annuisce a quelle parole, come se loro potessero vederlo, e chiude la telefonata velocemente, “Ragazzi, preparatevi.”
“Partendo ora, arriveremo poco dopo il tramonto. Possiamo sfruttare il buio a nostro vantaggio”, ragiona Kensi preparando le sue armi. Si avvicina a Sam che sta osservando le mappe inviate da Nell.
“Purtroppo vedendo da qui non possiamo sapere esattamente la situazione sul luogo. Soprattutto perché non sappiamo in quale stabile li tengono…”
“Se poi sono veramente lì…”, continua Kensi. 
“Sì esatto. Secondo me l’ideale è dividerci e ispezionare i vari caseggiati partendo da questo più alto, così man mano che li puliamo tu puoi posizionarti sulla torre e fare da backup come cecchino”, la donna scuote la testa alle parole del collega, così Gibbs interviene, “No Kensi, non ci pensare nemmeno: tu non entri. È proprio quello che vuole Vicente. Vediamo come procedono le cose e poi vediamo come comportarci. Tanto mettendoti là fai sempre in tempo a raggiungerci, ma soprattutto puoi coprirci le spalle da là in alto.”
A lei non resta che annuire e caricarsi in spalla il fucile, “Kensi, stai tranquilla…”, la mano di Sam si stringe delicatamente sulla sua spalla. Il suo sguardo è preoccupato. E una parte del suo cervello capisce che i suoi amici sono preoccupati di come potrebbe reagire lei in quella situazione. 
“Tutto a posto, sto bene. Davvero”, gli sorride come meglio riesce, ma deve convincerlo perché con un cenno del capo si gira preparandosi ad uscire. 


 
 
“Tim? Tim, mi senti?”, parlare gli costa una fatica immane, la sua gola urla di dolore ogni volta che inspira aria ed emettere parole è semplicemente troppo doloroso, ma il suo compagno è disteso in un angolo privo di sensi da troppo tempo. 
Dopo essersi risvegliato si è trovato ancora tristemente legato alla solita sedia, non riesce nemmeno più a tenere il conto delle ferite che gli sono state inflitte, la maggior parte del suo corpo è pericolosamente sofferente mentre altri punti ormai sono anestetizzati da tutto quel dolore. 
Quando sposta lo sguardo, vede in un angolo un corpo abbandonato contro la parete, riconosce il volto tumefatto del suo amico e un conato di vomito gli sale fino in gola. Si sente in colpa per la sua situazione, per tutto quello che ha patito, tutti i supplizi e le torture sono state provocate solo a causa sua. 
“McGee? Svegliati dai!”, lo richiama con più voce.
Dopo alcuni istanti lo vede aprire lentamente gli occhi, un’espressione di dolore che gli solca la fronte, “Deeks? Come va?”
“Amico, mi dispiace…”, lo interrompe lui, “Sei qui a causa mia… Mi dispiace tanto!”
“Cosa stai dicendo? Perché a causa tua?”
“Loro…lui lo conosco. Victor Vicente è il fratello di un uomo su cui indagammo anni fa, Cesar Perez, piccolo narcotrafficante che operava a Los Angeles, io e la mia ex partner lo uccidemmo a casa sua…”, sussurra l’agente biondo, “Prima di arrestare la moglie, abbiamo trovato il corpo senza vita di un bambino… credevamo fosse il figlio di Perez, ma ho scoperto da Vicente che in realtà era suo figlio.”
“Ah…”, un borbottio di dolore e McGee si sposta leggermente, le mani legate dietro la schiena gli impediscono di trovare una posizione più comoda, “Quindi si vuole vendicare per il fratello?”
“Mmm, non esattamente…”, lentamente scuote la testa cercando di riordinare le idee, “Lui crede che la mia partner abbia ucciso suo figlio, quindi mi ha dato la caccia per catturarmi e vendicarsi su mia figlia. In questo momento posso ben credere che le abbia già uccise, o chissà…”, il suo tono completamente angosciato non lascia molto all’immaginazione sul suo stato d’animo attuale, “Mi dispiace così tanto, McGee”
“No ok, Deeks va tutto bene, ok? Gibbs arriverà, lo sappiamo entrambi…”, cerca di consolarlo nonostante le loro condizioni non siano decisamente le migliori, restano in silenzio qualche secondo poi continua, “Pensi davvero che l’abbia uccisa?”
Deeks sospira pentendosene immediatamente, aspira dolorosamente aria tra i denti per il dolore alle costole, “Non lo so…non so cosa pensare, non so più nulla… Se le avesse uccise…non so cosa farei, io…non lo so, Tim”, singhiozza senza lacrime, un breve singulto di dolore, “Ho provato a spiegargli che suo figlio era già morto quando siamo arrivati noi, per un attimo ho anche pensato mi avesse creduto…ma non lo so…non lo so…”, continua a ripetere queste tre parole come un mantra fino a quando non nota che dalla piccola finestra in fondo alla stanza non entra più alcuna luce, “Secondo te da quanto siamo qui?”
McGee soppesa le parole e si lecca le labbra, un riflesso incondizionato della sete che lo pervade, “Tiro a indovinare: 2 settimane?”
“Anche secondo me, ma io non so quanto resisterò ancora. Devo avere la febbre da almeno qualche giorno…”
“Riposiamo un pò, forza. È il tuo turno, ti sveglio se cambia qualcosa”, sussurra il suo collega, prima che lui sprofondi di nuovo nelle tenebre. 


 
“Amici miei! Vi devo dare la brutta notizia che tra poco sarete morti”, Vicente spalanca la porta accompagnato da un altro uomo. 
I due trascinano la sedia alla quale Deeks è legato in un angolo, la sua testa ciondola sul petto. Cerca di seguire i movimenti degli altri uomini con la coda dell’occhio perché muovere qualsiasi muscolo risulta essere troppo difficile. Nota come si siano spostati in un punto cieco rispetto alla finestra. Dopo averlo slegato, lo mettono in piedi. Il movimento improvviso gli fa perdere conoscenza per qualche secondo, il dolore è insopportabile. Quando riesce a mettere a fuoco di nuovo quello che lo circonda, vede i due uomini prendere McGee e legarlo a un secondo palo accanto al suo.
È solamente quando sentono degli spari in lontananza che entrambi si risvegliano completamente.
“Te l’avevo detto! Gibbs non molla mai!”, sorride fiero McGee. Le sue ferite sono spaventosamente insanguinate ma la speranza della salvezza lo fa emozionare. 
“I vostri amici sono arrivati, purtroppo…”, Victor scuote la testa poco convinto, “Non avevo ancora finito di divertirmi…”
“Capo, ne ho contati cinque.”
Deeks continua a restare in silenzio. Il dolore e l’adrenalina agiscono contemporaneamente nel suo corpo. La pistola che preme contro la sua tempia lo mantiene stranamente reattivo. 
“Victor Vicente!”, la voce di Gibbs risuona da dietro la porta sbarrata, “questo è l’NCIS. Sappiamo che sei lì dentro con i nostri uomini. Forza, apri la porta e arrenditi!”
La risata rauca di Vicente fa rabbrividire Deeks, il movimento lo scuote e questo gli fa ancora annebbiare il cervello per il dolore che si propaga da ogni punto del suo corpo. 
Passano pochi istanti dove nessuno si muove quando all’improvviso la porta in fondo alla stanza esplode. In mezzo alla polvere e al fumo si vedono apparire due figure.
“Agente G. Callen! Questo è più di quanto avessi previsto! Ma avrei dovuto immaginare sareste arrivati anche voi, no?”
Callen fissa il suo ex collega che perde i sensi sempre più spesso, “Ascolta Victor, ci dispiace per tuo fratello. Ma era un trafficante di droga, noi abbiamo dovuto fare il nostro lavoro…”, l’agente tenta di fare qualche passo nella loro direzione quando le pistole puntate alle nuche dei due agenti sequestrati vengono premute più a fondo.
“Non è per il fratello, vero Victor?”, mugugna McGee. 
“Cosa…? Glielo hai detto?!”, Victor colpisce Deeks al fianco.
“Il mio…partner… Dovevi immaginare glielo avrei detto…”, sussurra Deeks sputando sangue. 
“Aaah sì, il tuo incredibile rapporto con i tuoi partner…”, poi si rivolge all’uomo accanto a lui, “Va bene Carlos, libera quello,”, indica con il capo McGee, “Voi state fermi lì, chiaro?”
Ed è proprio nel momento in cui Carlos trascina McGee privo di forza verso il centro della stanza, che Deeks si concede una risata. 
Vicente lo osserva come se fosse matto, ma questo non gli consente di notare il singolo puntino rosso che si staglia sull’inguine del suo uomo. Il secondo dopo, questo è a terra rantolando di dolore. Nel casino delle urla dell’uomo a terra e dello sbigottimento dell’altro messicano, dalle spalle di Gibbs e Callen emergono Ziva e DiNozzo che trascinano velocemente McGee al di là della porta. 
Victor guarda ancora Carlos, le sue urla riempiono tutta la stanza. Uno sparo e l’uomo è morto: il sangue si dirada dalla sua testa a raggiera sul pavimento. Riporta la sua attenzione agli uomini sulla soglia, che ora sono diventati tre, quando la presenza di Sam si staglia alle loro spalle. 
“Quindi anche lei è qui, vero? Questo è decisamente più di quello che speravo!”, Deeks lo sente fremere dietro di sé, può immaginare la luce nei suoi occhi, “Voglio parlarle. Fatela venire qui.”
“Questa non è un’opzione, Victor”, la voce di Gibbs è pacata ma ferma.
“Forse non hai capito agente, io pretendo di parlare con lei. O lo ucciderò”, la pistola si conficca nella sua pelle.
“E noi uccideremo te, non ci sono altre possibilità”, Sam parla per la prima volta fissando Deeks, può dire con certezza che sta facendo il conto delle sue ferite calcolando le sue possibilità e le sue condizioni. 
“Non mi importa, posso morire. Ma prima devo guardarla negli occhi”, a queste parole i tre uomini si guardano e lentamente si ritirano nel buio del corridoio. 

Sono passati pochi minuti quando dall’ombra si vede emergere una figura. 
“Agente Speciale Kensi Blye! Ho vissuto gli ultimi anni aspettando solo questo momento!”, Vicente quasi saltella alle spalle di Deeks, che ora è più sveglio di quanto lo sia stato negli ultimi giorni. I suoi occhi si posano sul viso della donna davanti a lui che, invece, percorre la sua figura soffermandosi su ogni ferita. Poi il suo viso, lentamente, si rialza spostandosi verso il messicano, “Victor Vicente”, la sua voce esce rilassata e quasi cantilenante, così diversa dall’espressione del suo viso. 
“Sei ancora più bella che in foto… Dimmi, come sta la tua bella bambina? Spero tutto bene”, lo dice freddamente, con un sorriso appuntito sulle labbra. 
Gli occhi di Kensi si restringono in due fessure, la mano che si stringe compulsiva attorno alla sua arma, “Mi volevi parlare, Victor. Cosa vuoi da me?”
“Agente Blye, immagino tu non sia mai stata la migliore a contrattare, vero?”
Lei ancora lo fissa, qualche secondo di silenzio, “No, la comunicazione non è mai stata il mio forte. Quindi ripeto, cosa vuoi?”
“Ti piacciono le donne prepotenti eh, Marty?”, lo colpisce alle costole, volutamente. Lui emette un gemito strozzato chiudendo gli occhi dal dolore, “Fottiti, Victor.”
Lui ride prima di colpirlo ancora alle costole provocando un suo urlo e una temporanea perdita dei sensi. 
“Va bene Victor”, riprova Kensi, “Parla con me…”
“Suo figlio, Kensi… non di Perez…”, le parole escono più come un gemito, appena sussurrate. Ma bastano per far scattare una luce negli occhi della giovane agente. 
“Andrès? Andrès era tuo figlio, Victor?”
“Bingo! Ora capisci? Tu mi hai portato via quello che più amavo al mondo! E io ho dovuto fare la stessa cosa con te!”
La donna viene percorsa da un leggero brivido alla realizzazione di quello che intende l’uomo, “Io non ho ucciso Andrès…e nemmeno Deeks. Era già morto quando siamo arrivati noi!”
“Cazzate!”, la sua arma ora puntata contro la donna. Immediatamente da dietro le sue spalle compaiono i tre uomini con le loro pistole puntate alla nuca di Vicente.
“E’ la verità, Victor”, la sua voce ora più gentile, “E’ stata Marilena, la moglie di tuo fratello. Abbiamo trovato delle ferite compatibili con la cintura che aveva Marilena mentre scappava…”.
“Smettila! Stà zitta!”, le sue urla scuotono il corpo di Deeks. La sua agitazione gli fa capire che Vicente è ormai sul punto di sparare quindi fa l’unica cosa che gli viene in mente: creare un diversivo. 
“Hei Vicente, fottiti!”, riunisce tutte le forze che ha e gli dà una testata sul naso. Il momento di stordimento del messicano gli fa guadagnare una pallottola in fronte. Deeks non è più in grado di riconoscere chi abbia sparato, non è nemmeno in grado di mantenersi in piedi da solo. Quindi, quando il sostegno di Vicente gli viene a mancare, si accascia sulle sue gambe privo di forze. 
Sente dei passi che si avvicinano ma il dolce richiamo dell’incoscienza è più allettante, scivola sul suo stesso fianco poggiando la nuca a terra. 
La prossima cosa che sente sono due braccia che lo stringono gentilmente e un corpo che singhiozza contro il suo. Lei lo stringe contro il suo petto; con il viso immerso nei lunghi capelli castani, il profumo di Kensi gli giunge alle narici in un attimo. Le sue parole sono confuse ma riesce comunque a distinguere qualche mormorio. 
“Mi dispiace, mi dispiace così tanto, Deeks! Ti ho preso, ti tengo, va tutto bene…va tutto bene…”, continua a ripeterlo e lui crede lo stia facendo più per se stessa. 
“Kensi, è tutto ok. Lascialo andare, lo portiamo noi!”
“Ti tengo, Deeks…non ti lascio andare, mi dispiace tanto…”
“Kensi”, lei si sente richiamare, il suono le giunge da molto lontano, ma è quando si sente strattonare per una spalla che perde la ragione. 
“Lasciami! Non mi toccare!”, si gira ferocemente verso la figura di Sam che aveva ancora la mano posata su di lei. I suoi occhi non lo mettono a fuoco, lei semplicemente lo fronteggia stringendo ancora al petto l’uomo ormai privo di sensi. 
“Kensi”, tra i due si frappone Callen, la fissa intensamente prendendole il viso tra le mani, “Kensi, va tutto bene. Forza, lasciami aiutare Deeks, va bene?”
Le sue mani e i suoi occhi la ricollegano alla realtà, mette a fuoco il suo viso e lentamente allenta la presa dalla schiena dell’uomo.
“Perfetto, brava. Lascia che lo portiamo su, così possiamo portarlo in ospedale. Eric sta facendo arrivare un elicottero… Aiuta Ziva con McGee, qui ci pensiamo noi!”
Il suo sguardo si posa un’ultima volta sulla figura accasciata ora tra le braccia di Callen e, dopo un respiro profondo, riacquista un pò di lucidità.
Prima di seguire Ziva fuori dalla stanza, si gira ancora verso i suoi colleghi, “Sam…”
“Va tutto bene, Kens. Ci pensiamo noi, vai…”, l’uomo le fa un cenno di assenso stringendole la mano che lei aveva allungato nella sua direzione.
 

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Capitolo 8
*** Un passo dopo l'altro ***


“Signor Deeks, è un piacere vederla sveglio”, Hetty osserva il giovane agente strizzare gli occhi per ripararsi dalla luce eccessiva. 
“Hetty?”, prova a parlare con voce rauca. La donna, quindi, gli allunga un bicchiere pieno d’acqua con una cannuccia. Dopo qualche sorso, l’uomo riprova a parlare, “Dove siamo? Non ricordo molto bene… Da quanto sono qui?”
Hetty si riaccomoda sulla sedia accanto al letto di ospedale e gli sorride gentilmente, “Sei rimasto incosciente per una settimana…”
“Una settimana?! McGee come sta?”, i suoi occhi si riaprono all’improvviso ricordando la presenza del suo compagno.  
Solo in quel momento nota la presenza di Gibbs in piedi accanto ad Hetty, “E’ ancora qui ricoverato ma lentamente si sta riprendendo… Aveva ferite meno gravi delle tue, anche se alcune parecchio dolorose…”, lui annuisce ora più sereno. 
“Tutti voi come state?”
“Non ti sembra un pò assurdo chiedere come stiamo noi?”, il sopracciglio destro di Gibbs raggiunge  quasi l’attaccatura dei suoi capelli e Deeks ride per l’assurdità della situazione, poi il suo capo continua, “Tony, Ziva e Abby sono già dovuti tornare ad Washington; io ho aspettato vi risvegliaste entrambi… Ma penso di dover rientrare anche io a breve.”
“Certo Gibbs, non ti preoccupare. Il tuo agente è in buone mani qui…”, le parole di Hetty gli giungono alle orecchie mentre cerca di resistere al richiamo del sonno. 
“Gibbs…appena mi faranno uscire, tornerò subito…”
“Non avere fretta. Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno!”
Lui annuisce mentre i suoi occhi si chiudono inesorabilmente. “Torna a riposare, Marty. Ci vediamo più tardi”, con un’ultima stretta gentile alla sua mano, Hetty lo lascia scivolare nuovamente nel buio. 
 

 

 
Quando riapre gli occhi per la seconda volta, vede Sam seduto dove ricordava ci fosse Hetty, “Hei ragazzone…passami da bere, per favore”, gracchia cercando di muoversi leggermente per cambiare posizione. 
“Hei Deeks! Sei sveglio!”, dice porgendogli immediatamente l’acqua, “Come ti senti?”
Lui sospira soppesando le parole, “Mmm, sono stato meglio… Che giorno è oggi?”
“Sei rimasto incosciente una settimana, ma Hetty ci ha detto che ti eri svegliato ieri”, in quello stesso momento la porta si apre silenziosamente e sulla soglia appare la faccia sbattuta di Callen. Non appena lo vede sveglio, gli sorride avvicinandosi a loro. 
“Hei, un attimo…vi vedo più fuori forma del solito, è successo qualcosa in particolare?”
“Sì perché tu sei un fotomodello in questo momento…”, sbuffa Sam guardandolo male. Lui ridacchia toccandosi le costole.
“Ci hai lasciato una marea di documenti da compilare… Sam non ne è stato contento Deeks, ti avverto.”
“Sam non è mai stato contento di compilare documenti!”
“Su questo non posso darti torto. Ma sai com’è, questi bambini grandi non sono capaci di stare fermi per troppo tempo…”
“Ah non ti invidio proprio G!”
“Hei scusate!”, li interrompe Sam, “Io sono ancora qui! Poi parla l’uomo che è capace di dire trenta parole in due secondi!”, guarda Deeks di sottecchi. 
“Queste sono abilità uniche, o le possiedi o non le possiedi!”, mugugna chiudendo gli occhi, “Ora ditemi, come ero messo?”
I due uomini si scambiano uno sguardo nervoso, che Deeks nota nonostante la vista ancora offuscata dagli antidolorifici, poi Callen prende la parola appoggiandosi alla sbarra in fondo al suo letto, “Dunque, ginocchio sinistro lussato; spalla destra lussata; tre dita della mano destra rotte; tre costole rotte e altre due incrinate; un bel trauma cranico e numerosi tagli e lividi…”
“Hai avuto la febbre piuttosto alta i primi giorni qui, ora però sembra essersi abbassata…. Per il resto direi che è tutto”, Sam gli porge altra acqua, “Eri fortemente disidratato, quindi ora sei sotto flebo di liquidi e ovviamente antibiotici e antidolorifici.”
“Wow”, Deeks si osserva il petto nudo avvolto in bende, “E McGee come sta?”
“Abbastanza bene, è ancora sotto flebo ma si sta riprendendo. Credo voglia venire a trovarti…”, lui annuisce poggiando la testa contro il cuscino, “Gibbs?”, trascina le sue parole. Il dolore alla testa gli fa chiudere gli occhi contro la luce e le costole non lo fanno respirare bene.
“E’ ripartito per Washington stanotte, dopo esserti venuto a trovare…voi invece non potete ancora essere trasferiti…”
Annuisce ancora, probabilmente l’unica cosa che riesce a fare, quando vede Sam che si allunga sul letto verso una delle sue flebo, “Cosa stai facendo?”
“Quello che fanno gli amici, ti sollevano dal dolore…”
“Dormi Deeks, ne hai bisogno.”
 

 

 
La terza volta che si sveglia, sente un leggero peso all’altezza del suo braccio sinistro. Muove lentamente la testa e vede l’inconfondibile massa di capelli castani sparsi disordinati sul lenzuolo accanto a lui. 
Sta scivolando ancora nel mondo dei sogni, quando la sua voce lo riporta alla realtà. 
“Sei sveglio… Hei…”
“Hei a te…”, risponde lentamente fissandola.
“Io…sarei voluta essere qui prima, ma ti sei sempre svegliato nei momenti in cui non c’ero…”, lui le sorride spostando la sua schiena nel tentativo di stare più comodo. Nell’esatto momento in cui uno sbuffo di dolore lascia le sue labbra, lei gli stringe gentilmente l’avambraccio, la preoccupazione dipinta nei suoi occhi non corrispondenti. 
“Mi dispiace tanto Deeks…”, il suo sguardo confuso non fa che alimentare il nervosismo nei suoi lineamenti. La conosce ancora sufficientemente bene da sapere che l’espressione dei suoi occhi nasconde paura. 
"Tutto quello che è accaduto, che ti è accaduto…”, emette un sospiro pesante, “Pensavo fossi morto, sai? Ti sei accasciato come un sacco vuoto e io pensavo fossi morto…”
“E invece sono più vivo che mai, avevi dei dubbi?”, lui cerca di distendere un pò la situazione, ma i suoi occhi acquosi non glielo permettono, “Kensi… Kensi, vieni qui. Forza”, distende il braccio sano nella sua direzione aspettando che lei si incastri accanto a lui. 
“Mi dispiace così tanto…così, così tanto…”, lei singhiozza nel suo collo, attenta a non pesare sul suo busto ferito. Sente le sue lacrime bagnargli la pelle nuda.
“Non è colpa tua, Kensi, ero con te quando abbiamo ucciso Perez. Lo abbiamo fatto insieme. Non è stata colpa tua…”
Lei scuote la testa ancora singhiozzando, “Mi dispiace così tanto per tutto, Deeks…”, le parole sono confuse e attutite dalla sua pelle e dai capelli che ricadono come una coperta sul suo viso. 
“Va tutto bene Kensi, mi avete ripreso. Sto bene, sono qui… Va tutto bene…”, non è sicuro se lo sta ripetendo a lei o a se stesso.
Lei scuote la testa ancora singhiozzando, “No…tu non capisci… Dovresti odiarmi… Io…io mi sono comportata malissimo con te…”, inspira rumorosamente prima di prendere alcuni respiri più profondi con lo scopo di calmarsi, “Pensavo di averti perso, sai? E l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che…non avevo mai dato una possibilità alla nostra cosa…”, le sue parole sono appena sussurrate contro la pelle del suo collo, sensazione che gli manda dei brividi lungo la spina dorsale. Il suo tono è talmente basso che lui deve concentrarsi per capire esattamente quello che lei gli ha confessato.
Passano alcuni secondi in silenzio, durante i quali la sente irrigidirsi contro di lui, “Ne parleremo Kens, va bene? Solo…dammi tempo, ma ne parleremo…”. 
Si è appena allontanata da lui soffiandosi il naso e fissando i suoi occhi incredibilmente azzurri, quando la porta si apre rivelando una piccola testa di capelli biondi, “Mammina, Zio G dice che è il suo turno e noi dobbiamo…Oh!”, la bambina si interrompe non appena lo vede sveglio. Le sue guance assumono una tonalità di rosso acceso e si blocca attaccata alla porta, le manine ancora strette attorno alla maniglia.
“Tesoro, Marty è sveglio, hai visto? Forza, vieni qui a salutarlo…”, la madre le tende la mano invitandola ad avvicinarsi ma la bambina scuote energicamente la testa non muovendosi di un centimetro. 
“Ciao Grace… Devi portare la mamma a casa, vero? Così viene qui lo Zio G?”
Lei annuisce in silenzio ad entrambe le domande dell’uomo davanti a lei. 
“Facciamo così, mentre la mamma va a parlare con lo Zio G, tu potresti farmi compagnia… Ho questa gelatina di frutta che la mamma adora ma che ho nascosto solo per te, ti piace come idea?”, lei annuisce ancora in silenzio, poi prende il posto di Kensi sulla sedia tenendosi stretta ai braccioli. Appena la porta si chiude lasciandoli soli, Deeks le sorride invitandola a salire sul letto. 
“Non posso…”
“Certo che puoi, così mangi la gelatina! Dai vieni qui…”
“No, ti faccio male… La mamma mi ha detto che non potevo avvicinarmi perché stavi tanto male…”
“E quando te lo ha detto?”, le chiede lui curioso. 
“Le altre volte che siamo state qui…”
“Ci siete state molto?”, lei annuisce finalmente sorridendo, “Tutti tutti i giorni, Marty!”
“Bene principessa, ora vieni qui con me, se mi fai male te lo dico, ok?”
I suoi occhi azzurri si illuminano mentre si arrampica sul letto sistemandosi accanto a lui. 
Deeks la osserva mangiare la gelatina di frutta e non può fare a meno di ridacchiare della sua voracità. Si sta gustando questi momenti unici quando sente che l’antidolorifico fa effetto e lo trascina via di nuovo. 
 

 

 
La quarta volta che si sveglia sente un leggero peso che comprime le coperte ai suoi piedi. Non appena riesce a mettere a fuoco quello che lo circonda, vede una piccola testa di capelli biondi immersa in quello che sembra un album da disegno. Il suo cuore perde un battito e si ferma a fissare la piccola figura stesa a pancia in giù ai piedi del suo letto con un sorriso ebete sul viso. 
Si tira lentamente più in su sui cuscini quando il viso di sua figlia lo guarda sorridendo. 
“Sei sveglio! Ti ho svegliato io?”, lui scuote la testa con gli occhi che imparano tutto quello che possono sulla bambina davanti a lui. 
Lei striscia lentamente lungo il letto sistemandosi tra il suo busto e il suo braccio sano. 
“Come mai sei qui, piccola?”
“Ho chiesto alla mamma se poteva lasciarmi qui, lei è andata a lavorare. Oggi ci sono solo io con te! Se ti va bene…”, le ultime parole sussurrate con gli occhi grandi che lo fissano.
“Certo Principessa, non vedevo l’ora!”, le sorride carezzandole i capelli.
La bambina fissa per qualche istante le sue bende attenta a non toccarlo, poi sposta lo sguardo su di lui, “Marty, posso chiederti una cosa?”
“Tutto quello che vuoi!”
Lei si attorciglia una cioccia di capelli attorno al ditino paffuto mordendosi un labbro, “Però deve rimanere un segreto! Io non ho segreti con la mamma, ma questo sì…”
“Va bene, Grace.”
Lei annuisce guardando ovunque tranne che il suo viso, poi fa un respiro profondo, “Sei il mio papà, vero?”
La domanda lo lascia di stucco, dopo qualche attimo di silenzio si ricorda di battere le palpebre. Una parte della sua mente registra il suono impazzito emesso dal monitor che controlla il battito del suo cuore, ma lui non se ne rende conto perché è troppo impegnato a fissare la bambina davanti a sè. Le sue guance stanno acquistando una bella tonalità di rosso probabilmente a causa del suo silenzio prolungato. 
“Come mai pensi questo?”
Lei si raddrizza in un lampo, un sorrisetto timido che si affaccia sulle sue labbra e si siede a gambe incrociate sempre accanto a lui, “Perchè la mamma ha una foto di voi due a casa, non la sposta mai e perché in questi giorni è stata davvero triste! Non voleva mai andare via, i miei zii dicevano sempre di andare via ma la nonna Hetty era l’unica che ci faceva andare a casa per davvero…”
Deeks non può impedirsi di ridere al pensiero di Hetty che viene chiamata nonna, come vorrebbe vedere quella scena! Ma la sua attenzione viene riportata alla bambina quando lei continua, con uno sguardo incerto negli occhi azzurri, “Poi la mamma mi ha sempre raccontato che il mio papà era come Superman che combatteva contro i cattivi e per questo non poteva stare con me e quando sono venuta qui mi hanno detto che dovevi dormire tanto perché una persona cattiva ti aveva portato via…”, la sua voce inizia a vacillare quando lo vede sempre silenzioso. 
Lui le accarezza i capelli, mettendo una cioccia boccolosa dietro un orecchio, “Sei davvero intelligente, Principessa…”, la sua voce è bassa, non è sicuro di sentire le sue stesse parole perché il rombo del suo cuore sovrasta tutto il resto.
Lei gli dedica un sorriso ampio, gli occhi pieni di lacrime sembrano ancora più grandi e azzurri del solito, “Sei il mio papà davvero davvero?”
“Sì Grace, davvero davvero…”, la prossima cosa che sa è che la bambina, la sua bambina, è stesa contro di lui, il suo visetto immerso nel suo collo. Sente le sue lacrime bagnargli la pelle e ricorda la stessa scena successa con Kensi qualche ora prima. 
“Mi dispiace se hai tanto male…”
“No, adesso sto meglio, sto molto meglio…”
“Guarda cosa ti ho portato!”, uno sguardo vivace e la bambina striscia sul fondo del letto dove apre lo zainetto appoggiato contro la sponda. Quando si gira, il suo enorme sorriso quasi oscura quello che tiene tra le mani, “Io e mamma abbiamo pensato che con Simba poi stavi meglio!”
Lui le sorride incoraggiante, il suo braccio che si sposta per farle spazio accanto a lui, “Forza torna qui, ho proprio bisogno di Simba, sai?”
Non se lo fa ripetere due volte e si va ad arricciare contro il suo fianco, incastrata tra il suo corpo e il suo braccio, la testa poggiata al suo bicipite e Simba tra le braccia.
Dopo un tempo infinito, Deeks nota il suo respiro farsi più leggero, ma prima che possa addormentarsi deve farle un'ultima domanda, “Ma hey, perché deve essere un segreto?”
Lei borbotta con voce assonnata, “Voglio che siamo solo noi a saperlo…per un pò…solo noi due, papà…”
Papà…Papà…Papà… 
Queste parole rimbombano nella sua mente mentre si lascia trasportare nel sonno cullato dal dolce profumo di sua figlia, ora scivolata più in basso sul suo busto. La sposta dalle costole doloranti ma  lo fa lentamente per non svegliarla, il suo braccio la stringe a sè, un bacio veloce tra i suoi capelli ed è addormentato anche lui.
 
 

 

 

 
 
La donna decide di richiudersi la porta alle spalle il più silenziosamente possibile. Si appoggia contro la vetrata lì accanto e i suoi occhi rimangono calamitati all’interno della stanza d’ospedale. Dopo pochi istanti, prende il telefono e scatta una foto ai due occupanti. È una di quelle immagini che prima o poi Kensi vorrà avere, nonostante quello che continua a ripeterle. Come se non sapesse, poi, che custodisce ancora gelosamente tutte le foto che lei ha fatto nel corso di questi anni dentro una cassetta, pensa sogghignando. Conosce bene la sua amica d’altronde. 
In un attimo la sua mente viene riportata indietro nel tempo, nello stesso ospedale…
 
“Nell! Vieni avanti, forza!”, la donna mora le sorride dal centro del letto. Fa pochi passi e si accomoda vicino a lei, sono circondate da fiori e palloncini rosa. La osserva attentamente, i capelli raccolti disordinatamente sulla nuca e profonde occhiaie nere, ma la luce nei suoi occhi le trasmette una pace e una felicità impagabili. 
Sorride al fagotto che ha tra le braccia quando Kensi glielo porge, “Forza, Grace vuole conoscere la sua zia preferita!”
“Pensavo la zia preferita fosse Hetty…”
Kensi ride, “No, assolutamente. Lei è la nonna, ma ancora non lo sa… Lasciamo sia Grace a svelarglielo…”
Nell non può fare a meno di ridere, la contentezza che si dirama da ogni fibra di Kensi. 
Prende la bambina addormentata tra le braccia e, come ogni volta che culla un bambino, rimane estasiata, “Secondo te è possibile essere così belli?”
“Non lo so, ma lei è perfetta… Per me è assolutamente perfetta”, sospira la donna soddisfatta, “E non hai visto la parte migliore…”, sussurra chiudendo gli occhi con la testa contro il cuscino, “All’inizio non pensavo di poterlo sopportare, ma credo di averci già fatto l’abitudine… Sono così innamorata, Nell…”
Lei si sta chiedendo cosa sia questa parte migliore, quando un gorgoglio di gioia attira il suo sguardo nel fagotto che stringe ancora tra le braccia. Non appena i suoi occhi si incontrano con quelli appena aperti, lei trattiene involontariamente il respiro, “Oh…sono esattamente…”
“Già, sono esattamente i suoi…”, Kensi completa la sua frase mentre lei fissa ancora la bambina, “Esattamente i suoi, Nell…”
 
Si riscuote di colpo dal suo ricordo, quando sente una voce che la chiama, “Nell, ci sei?”
“Sì Eric, scusami…stavo solo pensando…”
“Tu l’hai sempre saputo, vero?”, il suo sguardo confuso lo invita a continuare, “Che era figlia di Deeks, tu lo sapevi, no?”
Annuisce non riuscendo a distogliere lo sguardo dalle due figure addormentate, “Me lo disse quando l’accompagnai a fare la seconda ecografia… Non voleva rivelarlo a nessuno, diceva che era una cosa solo sua… Pensa che ad Hetty lo ha rivelato quando è nata! Ovviamente Hetty lo sapeva anche prima…”
“Sì ma questo perché Hetty sa sempre tutto!”
Ridacchiano consapevoli di questa enorme verità, poi lei continua, “Voleva che fosse un suo segreto. Ma ci scommetto qualsiasi cosa che a un certo punto anche Callen e Sam lo avessero capito…”
“Beh, la somiglianza con Deeks è praticamente imbarazzante. Non ci possono essere dubbi sul fatto che sia sua figlia! Anche senza avere la conferma, dopo un pò chiunque l’avrebbe capito…”
Nell annuisce in silenzio. Ha sempre sperato che le cose si sistemassero, per Kensi e soprattutto per Grace. L’immagine che ha davanti agli occhi ora supera di gran lunga qualsiasi cosa immaginasse.
I due vengono interrotti dall’arrivo di Callen con due caffè in mano, “Eric, Hetty ti cerca in ufficio! Qui ci sto io, puoi andare… Anche tu Nell, se vuoi!”, lei scuote la testa prendendo un caffè dalle mani del collega. 
Dopo qualche istante vanno a sedersi in sala d’aspetto in silenzio, la stanchezza di quelle giornate si fa sentire. Ma nessuno si sente di lasciare da soli i loro amici, quindi si danno il cambio il più possibile per tenere compagnia ad entrambi gli agenti ricoverati. 
“Hei Callen, secondo te cosa succederà ora?”
Lui sorseggia lentamente il suo caffè, si prende qualche momento di silenzio, “Non lo so. Mi piacerebbe che Deeks restasse qui, ma chissà…”
“Non lo ammettereste mai, ma funzioniamo meglio con lui, è sempre stato così…”, lei nasconde un sorriso dietro il suo caffè. 
“Beh, credo che a questo punto sia superfluo ammetterlo, è proprio un dato di fatto”, sospira poggiando la testa contro il muro dietro di sè, “Tu hai parlato con Kensi ultimamente?”
Lei scuote la nuca, “Ultimamente no, ma da quando si era trasferito a Washington, lei era cambiata. La sua testardaggine la rende quasi impossibile, ma credo avesse capito quello che realmente era successo, sai? Anche se non lo ammetterebbe mai…”

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Capitolo 9
*** That's my girl! ***


5 settimane dopo 
 
“Bene ragazzi, bicchierino prima di andare a casa?”, Callen si appoggia alla sua scrivania mostrando fieramente la bottiglia di Whisky della riserva di Hetty. Nell si allontana e pochi istanti dopo torna con cinque bicchieri impilati tra le sue mani.
“Bravo G, a volte hai ottime idee. Vado a chiamare Eric.”
Sono al secondo giro per festeggiare il caso appena chiuso quando il telefono di Eric vibra sulla scrivania di Kensi. Risponde velocemente allontanandosi di pochi passi da loro. 
“Nell, ti prego dimmi che ha una fiamma…”
“Sarebbe ora! Ma dubito!”, borbotta Sam incoraggiando il suo partner. Kensi ridacchia per le guance improvvisamente rosse della sua amica. 
“Kens, leggi le labbra dai!”, Callen gli si avvicina con aria cospiratrice. 
“Hei no! Non è giusto! Si chiama privacy!”
“Sì sì, avvocato dei nostri stivali!”
“Paladina dei segreti!”, Sam completa la frase del suo partner spronando poi la loro collega. 
Kensi osserva Eric sentendo lo sguardo di disapprovazione di Nell sulle sue spalle, “Mmm, no G. Brutte notizie. Ha salutato un amico…”
Un borbottio e una mano sbattuta sul tavolo vicino a lei la fanno sorridere. “Ottimo G, è facile scommettere contro di te! Vai avanti Kens!”
Lei stringe gli occhi concentrandosi sulla scena davanti a lei, poi riporta le parole che riesce a leggere, “Sì, ottimo, grande! Solito posto, perfetto! Sì, alle cinque domani mattina va bene! Grande, son contento!”
Callen sbuffa alzando gli occhi al cielo, “Non c’è proprio speranza”, si versa un altro bicchierino sedendosi alla sua scrivania. 
“Hei Kens, non è bello leggere le labbra ai propri amici”, Eric le passa davanti recuperando il suo bicchiere. 
“No aspetta! Non è stata colpa mia!”, si difende la donna arrossendo, “Mi hanno istigato loro due!”
“Hei G, non abbiamo mai insegnato agli agenti più giovani di non fare atti di insubordinazione?”
“No, pare di no. Dovremo fare meglio con i prossimi…”
Nell ride seduta sulla scrivania vuota, la gambe a penzoloni.
“Bene, si sta facendo tardi. A lunedì ragazzi!”, Eric li saluta e si avvia velocemente verso l’uscita. 
“Ragazzi, e se lo pedinassimo?”
“Cosa? Sam! Perché dovremmo farlo?”
“Oh andiamo G, scopriamo cosa nasconde…”
“Non nasconde nulla”, Kensi scuote la testa con convinzione, “Avrà le sue cose da fare!”
“Io ci sto!”, la voce allegra di Nell li fa voltare tutti velocemente.
“Nell? Sul serio?”, Kensi la guarda sospettosa. 
“Non c’è nulla di male, male che vada ci facciamo un giro…”
“Ma alle cinque di mattina…”, geme l’altra donna.
“Porta anche Grace! Sai che queste cose la esaltano!”, Sam le sorrise in maniera accattivante. 
Lei raccoglie le sue cose e si allontana da loro, “Vi odio!”
“Non è vero… Non è vero, tu ci ami!”, ride Callen alle sue spalle. 
 
Appena seduta in macchina, sblocca il suo telefono per leggere il messaggio appena arrivato. 
“Ci troviamo tutti da te mezz’ora prima. Poi rintracciamo Eric e lo seguiamo! Che bello lavorare sul campo ;) N.”
Geme ancora al pensiero di doversi svegliare così presto. Una cosa che sicuramente farà saltare di gioia sua figlia, considerando che è così maledettamente abituata ad alzarsi presto. 


 
“Nell sei riuscita a rintracciarlo?”, Sam è impaziente alle spalle della piccola donna dai capelli rossi. 
Lei lavora velocemente al suo tablet, seduta sul cofano della sua auto. 
“Zio G!”, un tornado di capelli biondi si lancia di peso contro l’agente in piedi accanto agli altri due. 
“Grace! Ti ho detto di non urlare!”, la sgrida sua madre trascinandosi verso gli altri. Uno sguardo che fa capire immediatamente cosa pensa poi prende un sorso di caffè prima di sbadigliare. 
“Scusa mammina… Zio Sam! E Zia Nell! Ma che bello!”, saltella e batte le mani tra le braccia di Callen. 
“Dio, perché è così piena di energie?! Ma come fa?!”, borbotta ancora Kensi con la testa che le pende da un lato. 
Sam ride carezzando i capelli della bambina, “Non ha decisamente preso da te…”
“No, decisamente no!”
“Zio, io ho fame! Facciamo colazione?”
“Sì certo, pulcino. Appena saliamo in macchina ti faccio fare colazione, va bene?”, lei annuisce battendogli le mani sulle spalle. 
“Trovato!”, Nell li interrompe, “Spiaggia di Malibu!”
“Surf, ovvio, così scontato…”, Sam annuisce fissando il tablet, “Avremmo dovuto pensarci prima…”
“Sì, sarebbe stata una buona idea, così avrei evitato di svegliarmi alle quattro e mezza della mattina per andare al mare!”, grugnisce Kensi.
“Sì mamma! Andiamo a fare colazione al mare!”
“Oh dio mio…”, l’espressione rassegnata negli occhi della donna fa ridere tutti quanti, “Va bene tesoro… Pare proprio che stamattina andremo a fare colazione al mare, ragazzi!”

 
Scendono dalle auto parcheggiate a pochi metri dalla spiaggia, Grace sulle spalle di Sam che ride con i capelli che si muovono nel vento. 
“Zio Sam, ma non hai freddo alla testa? Sei liscio, io avrei freddo!”, ragiona la bambina toccandogli la nuca. 
“Questa è ufficialmente la mia bambina preferita!”, ride a squarciagola Callen battendo una mano sulla spalla di Kensi, “Sono il suo più grande fan!”
“Stà zitto, G!”, il suo partner gli lancia un’occhiata mortale continuando a camminare. 

 
Il tempo necessario per stendere due teli sulla sabbia e subito Nell si sbraccia, “Eccolo!! L’ho visto! ERIC!!”
“Non pensavo ci fosse tanta gente a quest’ora…”, nota Callen guardandosi attorno.
“Sono tutti matti. Chi glielo fa fare di venire venire in mare alle cinque della mattina, dai! Assurdo…”, Sam scuote la testa lasciando andare Grace. 
Notano Eric riemergere da un’onda e avvicinarsi ad un uomo seduto galleggiando sulla sua tavola. 
“Non ci credo!”, Sam strabuzza gli occhi ridendo, “Deeks!”
Da lontano vedono i due uomini girarsi e dopo qualche secondo muoversi lentamente verso riva. 
“Scusate ma…cosa ci fate voi qui?”, Eric li guarda a bocca aperta. Nell è la prima a cedere dopo essere arrossita fino alla punta dei capelli, “Callen e Sam ci hanno obbligate a seguirti!”
“Non è affatto vero! Tu eri d’accordo con noi!”
“Che cosa?!”, Eric è sbalordito e leggermente incredulo, “Mi avete pedinato? Sul serio?!”
“Loro credevano avessi una donna…”, sbuffa Kensi seduta a gambe incrociate sul telo. 
“Sì ma tu mi hai letto la telefonata!”, la accusa l’uomo. 
“Sì ok”, ammette la donna, “Ma loro non si sono voluti arrendere…”, scrolla le spalle con noncuranza lasciando che il suo sguardo vaghi dietro di lui. 
“Marty!”, l’urlo improvviso della bambina li fa sobbalzare tutti. Lei parte come un fulmine raggiungendo l’uomo che si sta avvicinando a loro. Si tuffa tra le sue braccia legandogli le braccia al collo. 
“Ciao principessa, come stai?”, il suo bisbiglio è seguito da un lamento di dolore, mentre la sposta velocemente sull’altro fianco. 
“Bene papino…”, dice sottovoce con il viso nel suo collo, “Mammaaa hai visto chi c’è?!”, si gira indicando Kensi mentre lui si avvicina lentamente al gruppo di uomini. 
“Cosa ci fai tu qua? Potevi dirci che saresti venuto!”, Callen gli batte una mano sulla spalla sorridendogli. 
“Gibbs mi ha dato qualche giorno di ferie, ancora non posso lavorare sul campo. Tre settimane evidentemente sono poche…”, sbuffa indicando la sua mano: un tutore gonfio d’acqua che incastra le sue due dita rotte, “Poi così ne approfitto per venire alla festa di Hetty…non sarei mai potuto mancare!”
“Torni a Los Angeles e chiami solo Eric! Mi ritengo ufficialmente offesa!”
“Scusa Velma, ti giuro che ti avrei scritto!”, lui ride della sua espressione imbronciata, “Ciao Kensalina, quanto è stato difficile svegliarti così presto?”, i suoi occhi azzurri la fissano con ironia. Lei si stupisce del tono leggero che usa, le sembra incredibile che nonostante tutto Deeks riesca ancora a parlarle così semplicemente. Non hanno più affrontato il discorso sulla loro cosa, dopo quella conversazione in ospedale al suo risveglio hanno passato altro tempo insieme ma non si sono mai avventurati così in profondità. Lui voleva del tempo e lei glielo aveva concesso. Ora come ora si rende conto che probabilmente si era fatta prendere da tutta quella situazione e non saprebbe più cosa dirgli. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, lui è tornato direttamente a Washington e non si sono più sentiti, quindi si ritrova ad essere piuttosto stupita della sua apparizione. E una strana agitazione la lascia leggermente inebetita. 
Si riconnette alla realtà annuendo e prendendo un altro sorso di caffè, ormai diventato freddo, “Te come stai?”
“Tutto sommato bene, ma ancora non riesco a surfare… Sai…mano, costole, cose così… Quindi galleggio…”, fa saltellare Grace sul suo braccio sano imitando il movimento delle onde. La sua risata cristallina è balsamo per le orecchie di Kensi. “Anzi Gracy, vieni in acqua con me, ti va?”
La testa bionda saetta verso sua madre, una richiesta silenziosa alla quale sa già che non potrà dire di no. Annuisce con un piccolo sorriso che le sfiora le labbra. 
 

“A cosa pensi?”, Nell sprofonda nella sabbia accanto a lei. 
Kensi sobbalza presa alla sprovvista. Una gamba rannicchiata sotto di sè, l’altra piegata con il mento sul ginocchio. Guarda brevemente l’amica poi riporta lo sguardo al mare davanti a sè, i raggi delicati del sole che sta sorgendo le fanno tenere gli occhi leggermente socchiusi. 
Fissa le due figure che si muovono in acqua, sua figlia seduta sulla tavola da surf e Deeks che la fa dondolare tra un’onda e l’altra. La risata della bambina si sente fino a riva e Kensi può percepire distintamente il suo cuore battere un pò più velocemente ogni volta. 
Una mano che le tocca il braccio la riporta alla realtà, “Non penso a nulla, credo… Li guardo e basta…”
“Sono belli, vero?”, Nell contempla le due figure che si muovono in acqua. Kensi annuisce con un semplice cenno della testa. Grace si tuffa e riemerge pochi attimi dopo ridendo, poi si arrampica su una spalla di Deeks e lega le sue braccia al suo collo rannicchiandosi contro di lui. Dopo averle posato un bacio sulla nuca, Deeks la rimette sulla tavola e si immerge per poi spuntare dall’altro lato. Lei che ride rotolandosi sulla tavola. 
“E’ strano vederli così… Cioè, in realtà è strano vederli insieme…”
“Kens, perché non parli con Deeks? Per provare a trovare una…”
“No”, la interrompe bruscamente scuotendo il capo. 
“Ma perché? Voglio dire, è evidente che lui ti manchi…”
“No, Nell, lo sai”, incrocia le braccia contro il petto chiudendo gli occhi, “Ha detto che avrei dovuto lasciarlo libero… Libero di andare avanti. Ed è quello che farò… L’ultima volta che ne abbiamo parlato, mi ha chiesto del tempo, da quella volta è sparito, basta così.”
“Secondo me sbagli. Quell’uomo ti ha sempre amato tantissimo, ma tu non vuoi vedere più lontano del tuo naso!”, con queste parole l’analista si allontana dall’amica andando incontro a Eric che sta uscendo dall’acqua. 
“Non fare quella faccia Kens!”, la voce di Sam le giunge da dietro le spalle. 
“Che faccia scusa?”, il suo tono è altezzoso, ancora turbata dalle parole dell’amica. 
“Ti conosco, posso percepire l’espressione che hai in questo momento. Ed è sbagliata. Nell ha ragione.”
“Dai Sam, dalle tregua!”, borbotta Callen steso sul telo accanto a loro. 
“Le ho dato tregua fino ad ora, ma Nell ha ragione comunque!”, il tono ostinato di Sam la fa sbuffare. 
“Sì sì ok, ho capito: Nell ha ragione, io ho sbagliato. Tutto chiaro.”
“Nessuno sta dicendo che hai sbagliato!”, il suo sguardo incredulo lo fa balbettare, “Sì ok, no, secondo me hai sbagliato, ma non ti giudico. Hai cresciuto una bambina stupenda nonostante la fatica dell’affrontare il lavoro di ogni giorno, ti ammiro Kens! E sei parte della mia famiglia, quindi qualsiasi decisione tu prenda, io ti supporterò! Ma questo non mi impedisce di credere che Deeks sarebbe un grande, grande padre! E che farebbe qualsiasi cosa per te…”.
Lei annuisce arrossendo leggermente per le parole del suo amico, “Va bene, ma di cosa dovrei parlargli? Lui è stato chiaro…”
“Dai Kens, stiamo parlando di Deeks! L’uomo che riesce a dire tipo un migliaio di parole al minuto ma che ha sempre avuto problemi a comunicare con te! E poi, ora che sa di Grace pensi davvero di poterlo tenere lontano sul serio?”, Callen le indica con un gesto della mano le due figure che stanno giocando a riva, ma ancora in acqua, “E soprattutto, puoi tenere Grace lontana da lui? So che hai notato il rapporto che hanno avuto fin da subito!”
“Sì, io…ci penserò”, conclude la donna prima di appoggiare il mento sul suo ginocchio. 
“Mammina!”, Kensi si gira in tempo per vedere sua figlia correre nella loro direzione, “Dovevi venire anche tu! È stato…come è stato?”, si gira confusa verso Deeks che le cammina tranquillamente di fianco, il braccio sano che regge la tavola. Lui scandisce silenziosamente alcune lettere facendole poi l’occhiolino. “Ah sì! Pazzesco!”
Un minuto prima è in piedi davanti a lei e il momento dopo è saltata sulla pancia di Callen ancora steso con gli occhi chiusi, “Zio G! Non dormire!”
Lui sputacchia strabuzzando gli occhi, la guarda con sfida e inizia a punzecchiarle i fianchi, “Io non dormo mai, piccola peste! Vieni qui che vediamo chi soffre il solletico!”, si alza per rincorrerla ma prima si gira verso Kensi, “E’ tua figlia, dopo facciamo i conti!”, sussurra alzando poi gli occhi al cielo. 
“Vai Zio G! Sei lo zio preferito! Questo comporta doveri importanti!”, urla Sam alla figura del suo partner che ormai sta rincorrendo la bambina. Kensi sogghigna e si lascia cadere sulla schiena, la testa e le spalle comodamente appoggiate contro la gamba di Sam. 
“Deeks, se osi provare a bagnarmi, la pagherai cara!”, l’uomo lo guarda con espressione seria fino a quando l’uomo non pianta la tavola nella sabbia e si siede nel telo accanto a loro.
“Tranquillo Sam, immagino che ci sia voluto un sacco di tempo per quella messa in piega lì, non oserei mai rovinarla”, sghignazza l’agente biondo strizzandosi i capelli con un altro telo.
“E siamo a due in una mattina! Prenditi le tue responsabilità Shaggy, alla terza non rispondo delle mie azioni!”
Lui si guarda intorno spaesato, il suo sguardo confuso porta Kensi a confessare, “Stamattina Grace ha fatto un’osservazione sulla testa di Sam… Gli ha chiesto se avesse freddo, visto la mancanza di capelli…”, Kensi non riesce ad impedirsi di ridere dell’espressione infuriata del suo collega. 
“Quindi Deeks, figlia tua, responsabilità tua!”
Lui sorride, un’espressione fiera negli occhi azzurri, “Questa è la mia ragazza!”
 
 


 
“Allora ragazzi, Hetty ha veramente dato una festa per il suo compleanno?”, Eric si guarda attorno spaesato. 
“Beh, diciamo più festicciola… Ma sì, sembra incredibile anche a me”, ridacchia Nell sorseggiando un calice. 
“Più che altro, chi siamo stasera? Dubito abbia invitato tanta gente…”, Callen osserva la terrazza direttamente sul mare preparata per la serata e occupata da circa una decina di persone. 
“Abbiamo degli ospiti di eccezione…”, la piccola analista indica la porta d’ingresso che in quel momento viene attraversata da Gibbs e il resto del suo team. 
“Ma guarda un pò!”, dice Callen mentre si avvicinano velocemente al gruppetto, “Che sorpresa, Gibbs!”
“McGee! Come stai?”
“Hei Sam! Benone, mi son ripreso bene”, gli sorride stringendogli la mano, “Kensi, mi hanno detto di ringraziarti… Bel colpo, cecchino!”
“Non devi ringraziarmi! È stato un piacere!”, ricambia il suo abbraccio baciandogli una guancia. E appena si allontana dall’uomo, lo nota: abito e cravatta neri e camicia bianca, i capelli leggermente più ordinati del solito e un’espressione pacifica sul volto. Si deve trattenere dall’andargli incontro e abbracciarlo, contrae i muscoli per impedirsi di muoversi. 
Deeks si avvicina immediatamente a Hetty, ancora prima di salutare gli altri, la abbraccia con trasporto e Kensi non può impedirsi di leggere le sue labbra. “Hetty, lo sai, ti devo tutto, non lo dimenticherò…”
Distoglie lo sguardo non appena vede con la coda dell’occhio Callen intercettarla e finge noncuranza prendendo un sorso del suo vino. 

La cena passa piacevolmente, condita da racconti incredibili su Hetty e sulle avventure di Gibbs e Callen. 
“Signori miei”, Hetty si alza in piedi catturando l’attenzione dei presenti, “Vi ho invitati qui stasera perché sono fermamente convinta che tutti noi abbiamo bisogno di festeggiare…”, solleva il calice che ha tra le mani indicandoli uno ad uno, “…passare del tempo insieme, ricordarci che al di là di tutti gli orrori che vediamo ogni giorno c’è del bello”, un piccolo sorriso nella direzione di Grace concentrata con la sua fetta di torta. Gibbs brinda innalzando il proprio calice verso Hetty, gesto successivamente imitato anche dagli altri. 
“Vi ho invitati qui anche per un altro motivo…”, il silenzio generale che accompagna le sue parole la invita a continuare, “Ho insistito molto, è stato veramente difficile convincere Gibbs ma…Signor Deeks, le comunico che lei è un nuovo agente della mia squadra”.
L’unico rumore che si sente è il tintinnio della forchetta della bambina che continua indisturbata a mangiare, gli altri sono tutti pietrificati. Il primo a muoversi è lo stesso Deeks che sussulta alzandosi in piedi. 
“Cosa? No Hetty, perché?”, si avvicina alla donna dando le spalle a tutti i presenti. 
“E’ stata una decisione totalmente mia. Ho bisogno di riaverla in squadra. Il trasferimento verrà  formalmente autorizzato a giorni, ma il Direttore Vance lo ha già approvato.”
“Hetty…”, la sua espressione rimane sconvolta.
“Hetty, cosa sta succedendo?”, Callen si affianca all’agente biondo già in piedi. 
“La mia squadra ha bisogno di un altro elemento e io ho voluto indietro l’agente che ho formato e di cui mi fido ciecamente. Spero vivamente siate tutti d’accordo perché in ogni caso questa situazione non cambierà”, prende un altro sorso del suo the nero e si risiede sorridendo enigmaticamente agli altri. 
Callen nota con la coda dell’occhio il sorrisetto che si scambiano Hetty e Nell e finalmente collega tutti i puntini. È un piano di Hetty, ha organizzato tutto lei, ovviamente.  
“Beh, mi sembra doveroso farti le mie congratulazioni per riaverti in squadra, Deeks!”, gli da una pacca sulla spalla alzando il calice verso di lui. Gesto poi imitato anche dagli altri. 
Kensi lo osserva sorridere a disagio, il suo sguardo che saetta da una parte all’altra della tavolata, posandosi troppo spesso nella sua direzione con espressione affranta. Lo conosce e sa perfettamente cosa sta pensando: teme lei si senta costretta ad affrontare qualsiasi cosa ci sia in ballo tra loro. Quindi Kensi sorride gentilmente nella sua direzione, un sorriso calmo che rilassa immediatamente i suoi muscoli. 
“Quindi…”, la voce di Kensi fa sobbalzare Deeks che si era allontanato da poco dai suoi ormai ex colleghi. Lo aveva visto ringraziare Gibbs e salutare calorosamente tutti gli altri, un abbraccio speciale con McGee. “Sembra proprio che dovremo ricominciare a lavorare insieme…”, la donna si muove a disagio da un piede all’altro. 
“Sì, così pare… Come sempre Hetty si muove alle nostre spalle come una vera ninja”, si scompiglia i capelli fissandola. I suoi occhi azzurri si fissano nei suoi e lei non riesce a sostenere il suo sguardo, “Sei contento di tornare a Los Angeles?”
Dopo un momento di silenzio, lui si guarda intorno e le risponde, “Los Angeles è casa. Sono cresciuto qui, sono diventato poliziotto qui, ho conosciuto voi qui”, ho conosciuto te qui, non lo dice ma lei lo percepisce con una chiarezza imbarazzante. Lo sguardo che le rivolge la fa tremare, “Los Angeles è sempre stata casa. Sono stato bene a Washington, ma non riesco ad immaginarmi in un altro luogo… Quindi suppongo che sì, sono contento di tornare a casa!”
Lui le sorride, ha appena mosso un passo nella sua direzione quando Eric li interrompe dandogli una pacca sulla spalla, “Finalmente torni qua! Dovrò darti lezioni di surf ormai!”
Kensi retrocede di un passo mettendo un pò di distanza tra loro e dall’occhiata che le rivolge Deeks sa che se ne è accorto, quindi gli lancia un breve sorriso abbassando lo sguardo. 
“Sarà un piacere avere la scrivania vicino a me occupata! Mi iniziavo a sentire solo!”, Sam incrocia le braccia fissandolo, “Ho proprio bisogno di qualcuno da maltrattare!”
Deeks ride alzando il viso verso il cielo, “Anche tu mi sei mancato, Sam!”
“Forza Kens, ti porto a ballare! Un vestito come questo bisogna farlo muovere!”, Sam afferra la ragazza per un braccio trascinandola al centro della terrazza e iniziando a farla volteggiare sui tacchi alti. Tra un giro e l’altro può sentire lo sguardo di Deeks su di lei, non la perde mai di vista e  questa consapevolezza la fa arrossire involontariamente. 
Un pò per volta si alzano anche tutti gli altri per ballare sulla musica lenta scelta da Hetty che li osserva chiacchierando con Gibbs. 
Kensi si ritrova tra le braccia di Callen quando con la coda dell’occhio vede Deeks ondeggiare con Grace, le sue braccia legate attorno al suo collo, come se lo facesse da sempre. Lui la stringe a sé danzando intorno, le sue mani contro la sua piccola schiena e la sua dolce risata ogni volta che suo padre la piega all’indietro. Fissa la scena trasportata nei passi da Callen che a sua volta la guarda con un leggero sorrisetto.  
“Papà!”, la risata di sua figlia le fa gelare il sangue nelle vene. Papà? Kensi si rende conto di aver smesso di respirare, la mano serrata attorno alla spalla di Callen ha le nocche bianche. Si allontana da lui e in pochi passi è accanto a loro, prende sua figlia e la manda dagli altri, poi trascina Deeks in un angolo della terrazza e lo fissa furiosa. Non riesce a parlare, non riesce nemmeno a muoversi, ma quando lui fa un movimento nella sua direzione, lei esplode. 
“Papà? Papà?! Sul serio, Deeks?! Glielo hai detto tu, vero? Come hai osato?! Chi ti credi di essere?!”, lo spintona contro la staccionata. Una parte della sua mente si rende conto di averlo colpito nelle costole ancora contuse quando vede il suo viso sbiancare e stringere le labbra. Ma è troppo furiosa per preoccuparsi. Continua a colpirlo, vede le sue labbra muoversi, ma non registra cosa le sta dicendo, fino a quando lui afferra i suoi polsi e blocca ogni suo movimento. Solo in quel momento si zittisce e mette a fuoco il suo viso. 
“Io non le ho detto nulla! In ospedale mi ha chiesto lei se fossi suo padre, Kensi. Mi ha raccontato della foto in salotto, del fatto che foste sempre fuori dalla mia stanza… Non ho potuto mentirle, ok? Kensi, lei è mia figlia, non puoi privarla di questo…”.
Lei continua a fissarlo, gli occhi stretti in due fessure, “Kensi, devi credermi… Non avrei mai fatto una cosa del genere, non senza di te…”, lo sguardo nei suoi occhi azzurri è sincero e lei in un attimo si rende conto di aver perso completamente la ragione. Il fatto che lui potesse aver rivelato una cosa così importante senza averla considerata, l’ha mandata fuori di testa. Annuisce nella sua direzione abbassando gli occhi, “Va bene, ora lascerò andare i tuoi polsi, ma devi promettermi che non mi colpirai perché non penso di riuscire a non vomitare questa volta. Siamo d’accordo?”, Kensi realizza subito con quanta forza l’ha colpito semplicemente dal suo tono di voce: un’inflessione di dolore che prima era riuscito a mascherare ora traspare lucidamente anche dal suo sguardo.
“Oddio Deeks…mi dispiace!”, non appena le sue mani sono libere, lei si avvicina e gli sfiora il punto dove presume ci siano le sue costole, “Scusami…”
“Tutto a posto. Solo…non rifarlo, ok?”, i suoi occhi sono gentili e sinceri e lei si sente riscaldare dentro, una sensazione che non provava da troppo tempo. Annuisce senza pensare,”Kensi, è tutto ok. Io sto bene e Grace sta bene, è stata lei a voler sapere di me…”, le mani di Deeks si poggiano sulle sue spalle nude. La sua presa è calda e Kensi si rende conto di aver dimenticato quanto fosse bello il suo tocco sulla pelle. 
“Va bene, penso sia giusto che lei sappia… Sei suo padre, d’altronde…”, Kensi fa vagare il suo sguardo ovunque tranne che verso i suoi occhi. Non è sicura di riuscire a sopportare quell’azzurro. 
“Ok, vieni qui, forza”, Deeks allunga le braccia attorno alla sua figura e la stringe a sé. Lei non può impedirsi di lasciarsi andare contro di lui, si perde nella confortante sicurezza del suo calore e della sua stretta. Appoggia la testa contro la sua spalla chiudendo gli occhi, sente il suo respiro tra i capelli e non riesce a non sospirare. Restano in quella posizione per qualche minuto, immobili e silenziosi, gli altri sullo sfondo e il rumore delle onde che si infrangono contro la riva alle spalle di Deeks. La ragazza è la prima a rompere il silenzio, “Secondo te, troveremo un modo?”
“Immagino di sì, se vogliamo sì…”, annuisce tra i suoi capelli sciolti. 
“No Deeks, voglio dire…Ce la faremo?”
Questa volta la risposta la fa attendere un pò ma la sua presa non si allenta mai. 
“Devi dirmelo tu, Kensi. Dipende tutto da te, io sono sempre stato qui…”
La gravità del suo tono le fa chiudere ancora gli occhi, sente il cuore esploderle nel petto.

“Mammina, tutto bene? Ti ho fatto arrabbiare io?”, si riscuote immediatamente staccandosi da Deeks, l’unico legame che mantiene è la mano sul suo petto. Quando abbassa lo sguardo vede Grace che li guarda con gli occhi spalancati. Tutto quell’azzurro la lascia per un secondo inebetita, sa perfettamente che non si abituerà mai. Non fa in tempo a riprendersi che Deeks si piega e prende la figlia in braccio, “No principessa, non è successo nulla”, poi Kensi le sorride baciandole la testa. Ora più tranquilla, Grace si divincola dalle braccia del padre correndo in mezzo agli altri. Kensi fissa nuovamente i suoi occhi in quelli dell’uomo, una domanda silenziosa che lui come sempre capisce. Nonostante tutto sembra che non sia passato nemmeno un secondo da quando lavoravano ancora insieme. 
“Dipende tutto da te, Kens…”
E lei finalmente smette di pensare. Da cinque anni non fa altro che pensare e questo non l’ha fatta andare molto lontano, quindi chiude la porta del suo cervello e lascia che il battito del suo cuore sovrasti ogni altro rumore, “Voglio solo te, Marty”, poi fa scivolare anche l’altra mano sul suo petto e si allunga contro di lui. Quando finalmente unisce le loro labbra capisce che questo è definitivamente il suo posto nel mondo. La morbidezza delle sue labbra, il conforto e il calore delle sue braccia. Questo posto e nessun altro. Lo bacia come avrebbe voluto fare per tutti questi anni. Accarezza le labbra con le sue. Pensa potrebbe volentieri passare il resto della sua esistenza così, baciando Deeks. Perde se stessa nelle sue labbra, una mano tra i suoi capelli e una sul petto. Lo sente muoversi verso di lei, una mano aggrovigliata nei suoi capelli e l’altra poggiata sulla sua schiena. Si stringe di più al suo petto, come se potesse fondersi con lui. 

Si sente completamente avvolta da lui, le sue labbra, i suoi occhi, il suo sorriso. E Dio, il suo profumo.






Eccoci qui con l'ultimo capitolo di 'Legami'! Spero davvero sia piaciuto, ho cercato di rappresentare al meglio i personaggi e le loro caratteristiche!
Ringrazio tutti coloro che mi hanno letta fino ad ora, in particolare la dolcissima Silvi93Bg. Senza il suo aiuto e la continua fiducia riposta nelle mie storie probabilmente mi sarei fermata molti capitoli fa!
A presto, spero! Helly.

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Un anno dopo
 
Un lampo illumina a giorno la camera da letto e pochi secondi dopo un tuono la fa balzare sul letto con gli occhi spalancati. Kensi si costringe a stendersi nuovamente sotto la coperta cercando di calmare il proprio respiro. Quando il silenzio si riappropria della casa, lascia riposare il capo contro il cuscino fissando il soffitto appena illuminato da un altro lampo. Ha sempre odiato i temporali, i tuoni in particolare. Scariche di elettricità che le rimbombano lungo tutto il corpo, ogni maledetta volta. La parte peggiore è l’attesa, però. Il momento che passa tra il lampo e il tuono, quando sai che arriverà ma non sai quanto sarà forte, quindi aspetti con trepidazione il boato che ti farà saltare sul posto. 
Si gira su un fianco dando le spalle alla finestra, illudendosi che magari non vedendo la pioggia che infuria fuori, riuscirà a riprendere sonno. Sbuffa sonoramente cercando di trovare la concentrazione per lasciarsi scivolare nuovamente nel torpore fissando le lancette dell’orologio sul suo comodino.
Riprende coscienza lentamente quando sente un corpo caldo strisciare dietro la sua schiena sotto la coperta. La sua prima reazione naturale è quella di congelare i muscoli e allungare la mano per arrivare alla pistola nel cassetto accanto a lei, ma poi con un minimo di lucidità riesce a percepire il profumo della pelle dell’uomo e si rilassa. 
“Sei a casa”, un sussurro lento, gli occhi socchiusi e un sorriso sulle labbra. 
“Sono a casa, sì”, sorride contro il suo collo. 
Kensi si gira completamente, la finestra ora è davanti a lei, ma la tempesta è ormai dimenticata, la sua attenzione è tutta sull’uomo steso a pochi centimetri dal suo corpo, “Come stai?”
Lui la fissa intensamente mentre lei percorre il suo viso con una dolce carezza. La sua mano si ferma sul livido nero attorno al suo occhio destro. 
“Sono a casa, sto bene Kensalina.”
“Mi sei mancato tanto, Marty.”
“Anche voi… Tu soprattutto…”, poggia le labbra sulle sue in un bacio lento, “Quattro mesi sono stati troppi, non sono più abituato… Grace?”
“E’ a casa di Sam e Michelle a dormire”, Kensi sospira al pensiero di sua figlia iper eccitata per il ritorno del padre dopo quattro mesi di lontananza, ma alle tre del mattino non riuscirebbe decisamente a contenerla, “Sai…è una settimana che Hetty ci tiene pronti nel caso ci fosse stato bisogno…”
Lui annuisce dedicandole un sorriso. Il silenzio cala sulla camera da letto mentre i loro sguardi rimangono legati. Kensi si perde nel blu tempestoso dei suoi occhi, gli unici rumori sono i loro respiri accompagnati dalle gocce di pioggia contro la finestra. Nota le occhiaie e piccole rughe d’espressione che circondano i suoi occhi stanchi e lei non riesce a smettere di pensare a cosa possa aver passato durante questi mesi. Lo vede ancora perso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, con le sopracciglia leggermente inarcate e lo sguardo vitreo. Allunga una mano dietro il suo collo e lentamente passa le dita tra le ciocche di capelli biondi, ancora così morbidi come li ricordava. Sono passati pochi minuti quando sente i suoi muscoli iniziare a rilassarsi sotto il suo tocco, sbatte le palpebre e la fissa tornato finalmente alla realtà. 
“Sei tornato, vero? Non devi più andare?”, la donna si mordicchia un labbro. La sua mano che ora riposa sul lato del suo collo. 
“Abbiamo chiuso tutto il caso stanotte. Sono tornato, Kens.”
“Bene, sono contenta”, sorride fissandolo intensamente, “Mi è mancato il mio partner, stare con Sam non è la stessa cosa…”
“Lo spero bene, principessa…”, un suo sopracciglio che si alza mentre la fissa con ironia. 
“Idiota”, solleva gli occhi al cielo ma non riesce a trattenere un sorriso, “Vuoi parlarne?”
La mano che la stava accarezzando lungo la spina dorsale si blocca mentre lui chiude gli occhi. Passano alcuni secondi in silenzio. Lei sa perfettamente quanto sia difficile uscire da un personaggio dopo una copertura profonda, sa perfettamente quanto la personalità che ha dovuto indossare per quattro mesi lo abbia scavato dentro. 
Dopo un sospiro lento i suoi occhi blu, che nel buio della stanza illuminata solo dai lampi sono ancora più tempestosi del solito, si poggiano su di lei, “E’ stato brutto. Lungo e brutto. E difficile… Ho visto delle cose che non riuscirò mai a dimenticare, bambini e donne in condizioni talmente disperate che…”, scuote la testa stancamente, “So che era il mio lavoro…e l’ho fatto! Ma…non lo so, è stato veramente brutto…”
Kensi lascia scorrere la sua mano sul suo collo, accarezzandogli i capelli alla base della nuca con un movimento lento e rilassante, “Ora sei a casa però…”, quando lui annuisce con gli occhi socchiusi, lei continua, “E Callen?”
“Ha preso qualche colpo in più di me”, si lascia scappare una mezza risata amara, “Ma sta bene anche lui… Finalmente abbiamo finito…”, le ultime parole sono impastate, gli occhi adesso sempre più pesanti. 
Lei si gira sull’altro fianco incastrandosi contro di lui, bacia i palmi delle sue mani e le stringe contro il petto, “Ora sei a casa. Riposati Marty, sei tornato…”
“Come sempre, Kensalina. Come sempre”, le lascia un bacio tra i capelli e il momento dopo il suo respiro si è fatto uniforme. 
Un altro lampo illumina la camera da letto ma Kensi ormai non se ne accorge: ora ha tutto quello di cui ha bisogno. 

 
Della notte di tempesta è rimasta solo l’ammasso di nuvole nere che si stagliano all’orizzonte, in lontananza stormi di gabbiani volano impazziti nel vento, lo stesso vento che attraversa la porta aperta ed entra in salotto portando odore di oceano. Kensi si stringe nella coperta rannicchiando i piedi sotto di sé nel piccolo divanetto sul balcone. Non sa con esattezza quando sia successo ma un giorno, molti anni prima, si è svegliata e si è resa conto che il profumo del mare la rilassa. Socchiude gli occhi e inspira a pieni polmoni facendo un leggero mugugno di contentezza. In lontananza riesce a vedere i surfisti che sfidano il mare ancora agitato dalla notte appena trascorsa, schegge impazzite che scivolano sulle onde come pennelli su una tela. 
Ogni momento di pace che trascorre su quel balcone le ricorda la vista magnifica di cui riesce a godere semplicemente attraversando la porta a vetri. Non può certo dire di vivere ad un passo dall’oceano, ma poterlo vedere anche solo in lontananza la mette di buon umore. 
Le notti durante le quali si ritrova ad essere troppo agitata o pensierosa per riuscire a prendere sonno, le trascorre in balcone a leggere un libro o più semplicemente a fissare l’orizzonte. Durante quelle notti, quando la città è addormentata e il rumore delle auto è pressoché nullo, riesce persino a sentire il suono delle onde che si infrangono sulla spiaggia. E nel corso di quegli ultimi quattro mesi, ha passato lì veramente molto tempo, ascoltando l’unico rumore che riuscisse a rilassarla.
Guarda brevemente l’orologio quando sente dei passi dietro di sè, per nulla stupita del suo arrivo, “Sei già in piedi? Sono solo le sei!”
Lui sbuffa divertito sedendosi accanto a lei, “Penso sia la prima volta che ti stupisci se mi alzo alle sei!”
“Dovresti dormire ancora, Marty…”, passa alcune dita sopra il livido sul suo viso.
“Il letto era troppo freddo… Sono venuto a cercare la mia donna incredibilmente mattiniera”, si abbassa verso di lei collegando le loro labbra, “Torna a letto, dai…”, mugugna poi contro la pelle del suo collo. 
“Sta tornando il sereno… Hai visto, i gabbiani tornano a terra… Una volta qualcuno mi disse che se si comportano così, bisogna aspettarsi delle onde gigantesche…”, dice lei dandogli le spalle e riportando la sua attenzione all’oceano. Stringe la coperta un pò più stretta sulle sue spalle: non si abituerà mai al freddo delle mattine invernali a Los Angeles dopo una notte di pioggia. 
“Sicuramente te l’avrà detto un uomo affascinante, incredibilmente intelligente e soprattutto modesto”, le poggia un braccio sulle spalle lasciandole un bacio tra i capelli. 
“Modesto è proprio l’aggettivo con cui lo descriverei”, ride lei alzando gli occhi al cielo. 
“Sono a casa da poche ore e hai già sbuffato e alzato gli occhi un paio di volte… Sto battendo ogni mio record!”, la provoca. 
Dopo alcuni momenti di silenzio, lei è la prima a parlare, “Oggi è il tuo compleanno…”
“Ed ecco perché sei un agente federale, sicuramente per le tue doti da investigatrice…”
“Sta zitto, Deeks!”, sbuffa con un sorriso.
“E siamo a tre, proprio lì!”, ride indicando con un dito il suo viso.
“Volevo prepararti la colazione…”
“No, ti prego! Un caffè andrà benissimo!”, Deeks finge di rabbrividire al pensiero della sua cucina.
“Guarda che sono diventata una brava cuoca!”, si difende Kensi guardandolo male.
“Sì sì, qualunque cosa tu dica… Mi accontento di un buon caffè, principessa…”

 
“Per te niente caffè? Prendine un pò del mio…”
Lei nega scuotendo il capo e sedendosi accanto a lui sul divano. Entrambi i loro sguardi rivolti verso il cielo ormai azzurro. 
Deeks rimane silenzioso per molto tempo, una cosa alla quale lei non è proprio abituata. Ma l’espressione persa nei suoi lineamenti le fa capire quanto ancora sia immerso nell’operazione appena conclusa. Incastra i piedi sotto la sua coscia mentre stringe tra le mani una tazza di the caldo, abitudine che le ha trasmesso Hetty. 
“Sposami, Kensi.”
“Cosa?!”, sussulta lei perdendo per un secondo la presa sulla tazza.
“Sposami”, Deeks si gira e la fissa. Il suo sguardo è tornato limpido e Dio, come le era mancato. 
“Ma cosa stai dicendo?”, cerca di fare una risata ma ne esce uno strano verso nervoso. Si sposta a disagio contro il divano poggiando la tazza sul tavolino. 
“Sto dicendo che voglio sposarti. Ho avuto quattro mesi per pensarci e non riesco ad immaginarmi una vita senza te come mia moglie”, socchiude gli occhi pensieroso ma quando li riapre il suo azzurro la invade di nuovo. Il suo sguardo è sereno e speranzoso e lei non riesce a trattenersi dal sorridergli. Si avvicina a lui piegando le gambe sotto di sé, è ormai ad un passo dal suo viso, “Dimmi perché Marty…”, strofina delicatamente i loro nasi l’uno contro l’altro. 
“Perchè…ti amo da tanto, tantissimo tempo, probabilmente ti amo da sempre… Siamo stati separati per così tanti anni, sono stato torturato due volte, mi hanno sparato, me ne sono andato, sono tornato e sono ripartito per quattro mesi. Ogni giorno affrontiamo cose tremende, cose che non dimenticheremo mai… Ma qui”, indica prima se stesso e poi lei, “proprio qui, c’è tutto quello che voglio. Una famiglia…”, sorride piegando la testa verso la stanza di Grace, “Ho più di quello che avrei mai immaginato di poter avere, quindi…quindi voglio sposarti. Poter dire ‘per sempre’. Per sempre con te, per sempre.”
Una lacrima solitaria si fa strada lungo la guancia della donna seduta contro di lui, “Hey, Kensi Blye non piange…”
“No, Kensi Blye non piange”, annuisce lei ridendo tra le lacrime.
“Kensi…”
“Vieni qui, idiota”, si allunga verso di lui legandogli le braccia intorno al collo e baciandolo. 
“Devo immaginare sia un sì?”, bofonchia Deeks contro le sue labbra. Quando percepisce la sua voce mugugnare ridendo, scuote la testa divertito, “Le tue doti comunicative sono ancora un pò scarse, Kensalina…”
“Oh stà zitto!”, ride lei, “E comunque non vedo nessun anello al mio dito!”
Deeks si stacca immediatamente da lei, abbassa lo sguardo sulle sua mani e borbotta a disagio, “Lo so, io…non ho avuto tempo… Avrei davvero voluto aspettare per averlo, ma non ce l’ho fatta…”
“Hei, non mi importa dell’anello!”, il suo sguardo ancora imbarazzato la convince a continuare, “Puoi sempre andare a comprarmi una ciambella per colazione!”
“Ecco la mia dipendente da zuccheri! Ora ti riconosco!”, la stringe contro di sé baciandola profondamente, poi la fa scivolare tra la sponda del divano e il suo corpo in modo da poter guardare l’oceano appoggiandosi a lei.
Deeks immerge il viso nei suoi capelli scompigliati e lei lo sente inspirare profondamente stringendola un pò più forte a sè, “Dio, quanto mi sei mancata…”
Rabbrividisce sentendo il suo respiro che si infrange contro la pelle. Non si abituerà mai alla sensazione di lui contro il suo corpo, ancora la fa emozionare ogni volta.
“Se avessi saputo che saresti tornato proprio oggi, ti avrei preso un regalo, oppure organizzato qualcosa… Sai per festeggiare il tuo compleanno…”, lei balbetta insicura. Una strana agitazione percorre i suoi muscoli facendole battere un pò più velocemente il cuore. 
Deeks nega con il viso ancora immerso nei suoi capelli, “Non voglio nulla. Solo una giornata a casa con te…”
Kensi sbatte le palpebre alcune volte fissando il cielo, fa alcuni respiri profondi e poi continua come se lui non avesse parlato, la sua voce ancora incerta, “Però sai, forse ho un regalo che potrebbe piacerti…”
“Oh sicuramente hai qualcosa che potrebbe piacermi”, il suo tono è sensuale mentre le bacia il collo lascivamente. 
Ancora un volta lei rimane in silenzio alcuni secondi, cercando di concentrarsi e non farsi distrarre dalle sue labbra che lasciano una scia di baci umidi sulla sua pelle. 
Quando Deeks si rende conto che lei non ha ancora mosso un muscolo, si ferma e alza il capo per fissarla da dietro la sua spalla, “Kens? Tutto bene?”
Lei annuisce velocemente e afferra le sue mani intrecciate sotto il suo seno. Rimane ancora così, immobile. Stringe disperatamente le sue mani mentre lo sente iniziare ad agitarsi dietro di lei e chiamarla ancora un paio di volte. 
“Ok…”, lo dice più a se stessa che a lui, come per farsi coraggio da sola. Poi fa scivolare con un movimento lento e ancora incerto le sue mani lungo il suo ventre leggermente rotondo. Prende un altro respiro profondo, allunga il collo indietro e lascia riposare la testa contro la sua spalla con gli occhi ben chiusi, “Buon compleanno, papà…”
Kensi sente chiaramente il momento in cui lui smette di respirare, le mani ancora immobili sotto le sue. Le viene quasi da ridere, ha immaginato questo momento per circa tre mesi e non è assolutamente così che sarebbe dovuto andare. Ma insomma, sono loro due, quando mai qualcosa va secondo i piani?! Sospira rassegnata quando sente le sue mani muoversi sul suo ventre. 
“Dici sul serio?”, la sua voce esce bassa e roca, quasi un sussurro. 
Kensi prende un altro respiro e si gira verso di lui. Le mani di Deeks scivolano via mentre lei si massaggia delicatamente la piccola rotondità nascosta dalla maglia e annuisce nella sua direzione. 
“Ma come…? Cosa…?”, Deeks si passa le mani tra i capelli già normalmente scompigliati. Il suo sguardo saetta da una parte all’altra del balcone fissandosi poi nei suoi occhi nocciola. 
“Quarto mese, circa quindicesima settimana…”
“Ma sei sicura?”, la sua espressione stralunata la fa scoppiare a ridere. 
“Sì, sono decisamente sicura, Deeks!”
Lui salta in piedi in un secondo, percorre a grandi passi il balcone avanti e indietro passandosi continuamente le mani nei capelli. Kensi ride notando come, con ogni momento che passa, stia assumendo un aspetto sempre più da pazzo. 
“Ne siamo felici, vero?”, le chiede bloccandosi lontano da lei. 
“Beh, io…direi di sì…”, sorride timidamente Kensi. Un certo numero di farfalle svolazzano nel suo stomaco. Se fino a qualche giorno prima avrebbe dato colpa alle nausee mattutine, ora che quella fase è passata, si ritrova piacevolmente sorpresa del continuo effetto che gli fa il suo sguardo azzurro. 
“Certo che siamo felici!”, si gira completamente verso di lei con le braccia spalancate, “Me lo stavo per perdere di nuovo! Se l’operazione fosse durata più a lungo me lo sarei perso! Ma stai scherzando?! Non posso…non posso perderlo!”, continua a farfugliare fra sé e sé frasi sconnesse battendo le mani contro la balaustra. 
“Deeks…”, lei lo richiama ridendo, “Marty!”
All’improvviso la mette a fuoco, si avvicina a lei come una furia e si inginocchia ai suoi piedi: i loro sguardi alla stessa altezza, “Sei incinta! Kens!”, le prende il viso tra le mani stampandole un bacio sulle labbra, “Penso potrei anche avere un infarto in questo momento!”, ride fissandola, “Oddio, vieni qui!”, la trascina tra le sue braccia sedendosi per terra. 
Kensi si ritrova a cavalcioni sulle sue gambe, si stringe ai suoi fianchi perdendosi nella sensazione delle sue labbra. Geme sommessamente quando le sue mani la tirano contro il suo corpo. Tira i suoi capelli tra le dita e un attimo dopo riesce a sfilarlo dalla T-shirt con cui ha dormito che giace poi dimenticata in un angolo del terrazzo. Piagnucola di desiderio nel momento in cui si sente sollevare, le gambe ancora legate attorno ai suoi fianchi e lui che la porta in camera da letto. Quando, poi, la posa sul letto, Kensi finalmente apre gli occhi per guardarlo e ride della sua espressione stralunata: ha le guance rosse e gli occhi lucidi, e non gli è mai sembrato più bello.




 



Inaspettatamente ecco l'epilogo! 
Grazie ancora a tutti quelli che mi hanno seguito! Spero davvero la storia vi sia piaciuta!
Helly. 

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