I am you know. What? Yours.

di Xenos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 ***
Capitolo 2: *** 2.2 ***
Capitolo 3: *** 3.3 ***



Capitolo 1
*** 1.1 ***


Parte I
 
--- Fine agosto, Ely, Nevada
 
Sua madre non avrebbe potuto darle un nome più sbagliato, lo pensava ogni giorno. Seduta da sola nella veranda, ricordava le storie che le raccontava quando era bambina e non riusciva a prendere sonno.

“Sai, in sanscrito il tuo nome significa ‘stella’, ma non l’ho scelto per questo. Ho deciso di dartelo perché è lo stesso della dea più potente di tutto l’oriente. È venerata in molti luoghi e non c’è una potenza femminile che sia al suo livello, domina tutti i mondi, il cielo, la terra, la natura, le stelle… proprio tutto!”.

I suoi occhi di bambina vedevano quelli della madre illuminarsi e si sentiva fiera e orgogliosa di avere un nome così importante.

“Per i buddhisti è stata la prima femmina a diventare un Buddha, anzi, la madre di tutti i Buddha!” continuava, sempre col sorriso. “Ha deciso di reincarnarsi fino al raggiungimento del Nirvana, sempre sotto le sembianze di una donna fino a quando non sarebbe riuscita nel suo scopo. E indovina, ce l’ha fatta, anche se tutti le dicevano che il Nirvana era solo per gli uomini!” concludeva tutta soddisfatta.

Le storie che un tempo le colmavano il cuore di orgoglio orano le sembravano un peso e una colpa. Sua madre aveva scelto quel nome con cura, forse nella speranza che lei potesse essere forte come la Dea. Ma non lo era, proprio per niente. Si sentiva insulsa, era un peso per la famiglia e non aveva amici. La Dea dominava il cielo e la terra, lei a stento riusciva a dominare la sua vita.

Mentre sorseggiava la sua tazza di thè fumante, sentì un rabbioso urlo provenire dall’interno della casa.

“Ma ti vuoi muovere? Guarda che ci sono i piatti della cena da lavare! Sei una piccola ingrata, io e tuo fratello lavoriamo tutto il giorno e a te non viene neanche in mente di lavare due piatti ma te ne stai lì a bere the manco fossi la regina!”

Nell’udire quelle parole si alzò velocemente, fece roteare la maniglia della porta d’ingresso con un sonoro scatto ed entrò di corsa in cucina.

“S-scusami, hai ragione! Li lavo in un attimo e poi ramazzo per terra.” disse buttando il the ancora caldo nel lavandino.

“Oh, che brava! Dopo tutta la giornata a non fare niente passare una cazzo di scopa mi sembra il minimo” disse l’uomo, rosso in viso. Le sue urla erano niente in confronto a quello che avrebbe voluto fare ma decise comunque di sforzarsi e trattenersi. Tale sforzo gli richiese un gran quantitativo di energia e l’unico modo che conosceva per ricaricarsi era una birra gelata. Andando verso il frigo aggiunse, con tono solenne: “Sai, delusioni nella vita ne ho avute davvero tante… ma nessuna è paragonabile a te, Tara.”
 
 
                                                                                       
 --- Fine agosto, Sunnydail, California
 
Nella stessa calda notte d’estate, a 550 miglia di distanza dall’inferno quotidiano di Tara, le cose non stavano andando molto meglio.

“Attenta, dietro di te!” gridò Buffy.

Willow si girò di scatto, giusto il tempo di vedere un vampiro correrle incontro a tutta velocità, cacciare un urlo e cominciare a correre a sua volta. La cacciatrice, nel mentre, cercava come meglio poteva di farne fuori altri due ma sembravano belli allenati, sicuramente non dei novellini appena generati. Con un calcio ben assestato riuscì a spingerli l’uno contro l’altro facendoli sbattere nel muro di una cripta, avendo il tempo di corrergli incontro e, con tutta la potenza della spinta, impalettarli in un colpo solo.

“Buffy potresti aiutarmi, ho qualche problemino!” stava gridando Willow, mentre giocava ad un macabro nascondino tra le lapidi col vampiro.

“Dove credi di nasconderti, rossa!” disse il vampiro in collera con se stesso per non essere ancora riuscito a catturare una preda evidentemente così debole.

“Hey, sveglia! Sono dietro di te” disse Buffy con tono ironico.

“E tu chi diavolo dovresti essere?” rispose irritato il vampiro.

“Ma come, ho smesso di essere famosa pure tra di voi?” disse con aria realmente delusa, impalettandolo seduta stante.

“Non ci sono più i vampiri di un tempo” disse Buffy all’amica dopo essersi ripulita i pantaloni dalla cenere “cioè, insomma, non sapeva neanche riconoscere la Cacciatrice. Così non c’è proprio gusto! E come se non bastasse fra tre settimane cominciano le lezioni al college. Delusioni sia lavorative sia scolastiche.” disse.

“Sarà stato un novellino, Buffy! E questo la dice davvero lunga sulla mia arte del combattimento. E per quanto riguarda il college sarà una nuova avventura, vedrai sarà divertente. Ci sono un sacco di corsi interessanti, professori davvero qualificati, un’enorme biblioteca piena di libri.” Disse la rossa con gli occhi infuocati dalla gioia.

“E poi demoni, vampiri, morte, brutti voti. Il solito insomma!” aggiunse Buffy con aria affranta.


 
  --- Qualche giorno dopo
 
“Chi credi che penserà alla casa mentre sei via?” le urlo contro il padre, adirato a livelli che superavano di gran lunga la norma. “Tu sei uno stramaledetto demone e lo sai che solo noi possiamo tenere sotto controllo tutto il male che c’è in te. Tu da sola non puoi andare da nessuna parte, quanto devi essere stupida per non rendertene conto!”.

“M-ma i-i-io ho vinto una borsa di studio” disse Tara in un sussurro, senza il coraggio di guardare suo padre in faccia e puntando lo sguardo sulle sue scarpe.

A quelle parole non ci vide più. Si alzò di scatto dalla sedia, spintonando il tavolo con il peso di tutto il corpo. Il piatto cadde con un rumore sordo e si infranse contro le mattonelle del pavimento, schizzando polpettone da tutte le parti. Improvvisamente si fece calmo, freddo.

“Ascoltami bene” le disse con un profondo sguardo di disprezzo “da sola non riusciresti a combinare niente, non ne sei mai stata capace. La tua vita è qui, punto e basta. Il tuo compito è di dedicarti alla casa, a me e a tuo fratello. Cosa pensi di poter fare? Senza amici, senza la tua famiglia. Sei sola Tara, non sei in grado. Ora raccogli ‘sto casino da terra”.

In quel momento entrò Donnie con un grosso sorriso stampato sulla faccia. “Allora sorellina, cosa credevi di fare, andare al college? Solo perché qualche deficiente ha deciso di darti una borsa di studio? Roba da matti! E poi sentiamo, dove sarebbe questo college?”

“A Sunnydail. In C-California” rispose la strega bionda in un soffio.

“C-A-L-I-F-O-R-N-I-A! Ma ti rendi conto? Dovresti cambiare stato!” replicò Donnie scandendo il nome dello stato come se stesse parlando con una bambina di quattro anni.

“Ok, ci vuoi così tanto andare? Sei una maledetta testarda, come tua madre! Se non ci sbatti la faccia non ci arrivi. Benissimo, allora. Vai pure in California, trova un modo per arrivarci da sola, poi quando sarai lì ti renderai conto che senza la tua famiglia non sei niente. Nella migliore delle ipotesi farai una carneficina, nella peggiore chi lo sa. Vuoi scoprirlo? Allora vai pure ad ammazzare la gente!” disse il signor Maclay con un finto tono divertito.

“Allora, p-posso andare davvero?” azzardò Tara tirando su lo sguardo per la prima volta da quando era cominciata la conversazione.

“Sì, vai, levati. Durerai 5 minuti e tornerai implorando di riprenderti con noi. Sai che andrà così, vero?” continuò il padre con occhi di scherno.

Tara non rispose. Non riusciva mai a rispondere alle provocazioni del padre e del fratello.

Le poche volte in cui ci aveva provato si era ritrovata con l’impronta di cinque dita stampate sulla faccia, quando era fortunata. Quando lo era meno, soprattutto se rispondeva a suo fratello, finiva molto peggio.

Le venne in mente della volta in cui, a causa di un incantesimo di protezione che aveva fatto per proteggersi dal pugno di suo fratello, Donnie era rimbalzato contro il suo scudo ed era finito per terra, storcendosi malamente un polso.

“Sei una puttana!” le aveva gridato “tu e la tua maledetta magia non dovreste esistere su questa terra! Sei un mostro.”

 Sorrise di quel ricordo. Era una piccola vittoria. Non che volesse fargli male, il suo scopo era solo quello di difendersi ma per una delle poche volte in vita si era sentita “potente”.

“Cos’hai da sorridere?” la voce del fratello la riportò alla realtà.

“N-niente” rispose. Ma nel suo cuore sapeva e sentiva che quello era un nuovo inizio e che in quella casa non ci sarebbe tornata mai più. Si girò e prese le scale per salire in camera sua. Aveva molte cose da organizzare e pochissimo tempo per farlo.

Tara prese il telefono e compose un numero che conosceva a memoria.

“C-ciao Emma. Come stai?” disse con tono titubante.

“Ehi Tara, è da un sacco che non ci sentiamo! Io sto alla grande, sono in fermento per l’inizio del college, non vedo davvero l’ora di cominciare. Tu come te la passi?” rispose con tono allegro l’altra.

“B-bene, d-diciamo” ma la sua voce non era troppo convincente.

“Sicura?” replicò l’amica con tono preoccupato “Donnie ti ha fatto qualcosa?”.

“No, tranquilla. V-volevo chiederti un grosso favore, s-se puoi. Cioè se non ti disturbo troppo.” Disse la bionda temendo un rifiuto.

“Dimmi tutto!” rispose allegra Emma.

Tara le spiegò della borsa di studio per la UC Sunnydale, dello scontro avuto con la sua famiglia per poterci andare e del fatto che, come ogni volta, non erano disposti ad aiutarla in alcun modo.

“N-non so come arrivarci, capisci. Non ho una macchina e non saprei proprio come portare fin lì le mie cose. S-s-se non mi puoi aiutare io t-ti capisco, davvero.”

“Non dire scemenze, streghetta. Certo che ti porto! La macchina non è un gran che, quindi posso caricare al massimo 3 o 4 scatoloni nel portabagagli e altri 3 nei sedili posteriori. Ma tolto questo direi che non ci sono problemi! Sarà un bel viaggetto, vedrai!” rispose Emma contenta di poterla aiutare “Quando si parte?”.

“L-le lezioni cominciano fra circa tre settimane. I-io però pensavo di andare lì qualche giorno prima. Giusto il t-tempo per sistemare le mie cose e a-ambientarmi. Con la borsa di studio dovrei avere una stanza singola tutta per me. O-ora faccio qualche telefonata p-per assicurarmi di non essere in ritardo” alla sola idea di non essere più accettata le vennero le lacrime agli occhi.

“Ok, allora sistema tutto e appena sai qualcosa dimmi quando si parte!” le rispose con tono rassicurante Emma.

“V-va bene. Non so davvero come ringraziarti!”

“Non ce n’è alcun bisogno!” disse sorridendo la ragazza dall’altro capo del telefono.

Tara aveva conosciuto Emma alle superiori, durante il terzo anno, poco dopo la morte di sua madre. Avevano frequentato insieme alcuni corsi ed era l’unica persona che avesse mai considerato davvero sua amica. L’unica. Ma c’era qualcosa di più, un’ombra che aveva oscurato il cuore di Tara convincendola che il male dentro di lei stava crescendo ed era pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Aveva paura.

La ragazza era gentile e forte, sempre pronta a difenderla. Tara la prendeva come esempio e c’erano volte in cui sentiva che, se fossero rimaste insieme, tutto sarebbe andato per il meglio. La guardava nei suoi grandi occhi scuri e provava qualcosa di strano, un’emozione insolita capace di terrorizzarla.

“Lo vedo come la guardi” le disse il padre un giorno. Emma se n’era appena andata dopo aver trascorso un pomeriggio a studiare a casa Maclay. “è il male dentro di te che la guarda. Dovrebbe starti lontana o probabilmente finirà male, poveretta”.

Quelle parole l’avevano segnata nel profondo e da quel giorno qualcosa si era rotto. E se il male avesse preso la sua unica amica? Non poteva permetterlo, lo avrebbe evitato a qualsiasi costo anche se questo significava dover rinunciare a lei.

Allora aveva deciso di allontanarsi, piano piano, senza fare rumore, e c’era riuscita. C’era qualcosa di sbagliato in lei e non voleva che a pagarne le conseguenze fosse Emma. I rapporti si erano affievoliti ma sapevano ancora di poter contare l’una sull’altra. Ecco perché, per andare fino in California, Tara sperava nell’aiuto dell’amica che aveva amato e protetto da lei stessa, rinunciando a quella sicurezza che era capace di infonderle, l’unica sensazione positiva che avesse mai provato prima.

 
--- Due settimane dopo

I preparativi erano ultimati, le telefonate erano state fatte e la segreteria del dormitorio del college le aveva confermato che non c’erano problemi e poteva trasferirsi quando voleva. Tara aveva scelto con cura cosa inscatolare, aveva creato il suo piano di studi ed era pronta. Poi aveva telefonato nuovamente a Emma.

“Ciao Em. Ho sistemato tutto, sono davvero emozionatissima!” disse all’amica parlando insolitamente veloce.

“Eeehi, non hai neanche balbettato! Si sente che sei felice” disse Emma ridendo.

“S-s-sì, i-io, sono contenta!” disse, imbarazzata dal commento di Emma. Balbettare era sempre stato un problema, fin da quando il balbettamento si era presentato con la morte della madre. Odiava non riuscire a parlare come tutti gli altri, odiava farsi sopraffare dall’emozione e soprattutto odiava che le sue emozioni si palesassero così tanto agli altri quando avrebbe semplicemente voluto nasconderle.  

“Scusa, non volevo metterti a disagio! Era una cosa positiva, spero che tu possa sempre esser contenta come oggi” le disse Emma, abbozzando un mezzo sorriso che Tara riuscì a percepire anche attraverso la cornetta.

“N-no tranquilla, davvero, è tutto a posto!” le disse, per nulla arrabbiata con l’amica. “Allora domani partiamo? S-sono davvero tante miglia, sicura di sentirtela?”

“Certo, per te questo e altro” rispose Emma con entusiasmo.

“B-bene, g-grazie. Non so come avrei fatto senza di te!” rispose la strega, sinceramente grata per il regalo che l’amica le stava facendo.
 
--- Il giorno dopo

“Allora ci siamo” disse il signor Maclay senza alcuna emozione nella voce.

“S-sì. Emma arriverà a minuti” rispose Tara, guardando il vialetto di casa sua nella speranza di sentire il rumore della macchina dell’amica e di vederla comparire in lontananza.

“Emma…Emma…” disse il padre con tono pensieroso.

Nel sentir pronunciare il nome di Emma da suo padre una stana fitta le colpì lo stomaco, ricordandosi del suo demone e del pericolo che stava correndo. Ma c’era qualcosa di più, provava fastidio nel sentire quelle poche lettere uscire dalla bocca dell’uomo con tono accusatorio, riportandole alla mente l’antica vergogna che provava un tempo e che lentamente era riuscita a far scivolare via.

“E-eccola” disse Tara dopo aver sobbalzato al suono del clacson, riportata bruscamente alla realtà dall’intricata trama dei suoi pensieri.

“Bene allora ci vedremo di nuovo dopo che avrai fatto una strage” disse il padre con tono quasi disgustato “pensa che tuo fratello ha preferito lavorare piuttosto che salutarti, tanto è sicuro che fra poco tornerai”.

Tara non disse niente, guardò suo padre sperando che diventasse presto solo un brutto ricordo. Uscì sulla veranda dove erano impilati i suoi quattro scatoloni e si diresse a salutare Emma che, nel frattempo, stava uscendo dalla macchina per aiutarla a caricare i bagagli. Anche il signor Maclay seguì la figlia e uscì in veranda.

“Salve signore” gridò Emma con un sorriso, senza ricevere nessuna risposta. “Ciao Tara. Sei pronta?” disse all’amica aprendo il portabagagli della vecchia Ford malandata.

“Sì, prontissima” rispose Tara con tono sicuro, prendendo il primo scatolone.

Quando tutti e quattro gli scatoloni furono sistemati nel portabagagli, Tara diede un’ultima occhiata alla casa e a suo padre che non si era mosso da quando era uscito. Salirono in macchina e quando Tara si voltò per l’ultima volta, incerta se salutare o meno suo padre con la mano, vide che in veranda non c’era più nessuno.

“Sempre affabile eh? Tuo padre intendo” disse Emma abbozzando un sorriso “Allora, pronta per questa nuova avventura?”

Tara non rispose ma, lentamente, nacque sul suo viso un sorriso dapprima laterale, che poi si aprì a scoprire i denti bianchi e drittissimi. I suoi profondi occhi blu si illuminarono insieme al resto del suo volto.

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Capitolo 2
*** 2.2 ***


Parte II

Il college era molto più caotico di quanto Tara si immaginasse e il campus era immensamente più grande rispetto a ogni sua aspettativa. Quella confusione, in un certo modo, le piaceva perché le consentiva il più delle volte di passare completamente inosservata.

La stanza era spaziosa e cosa più importante, singola. Non doveva condividerla con nessuno, poteva esercitarsi nei suoi incantesimi senza doversi nascondere. Appena arrivata, quando tutto era ancora spoglio e le sue quattro scatole poggiate in terra, aveva deciso di sistemare tutto per bene. Non aveva intenzione di tornare a casa neanche per le vacanze o per l’estate, quindi quella grossa stanza sarebbe stata la sua nuova abitazione per i tre o cinque anni futuri.

Con i risparmi messi da parte che aveva saggiamente deciso di portarsi dietro decise di fare qualche modifica. Avrebbe aggiunto un’ulteriore libreria oltre a quella presente, le serviva una poltrona, qualche altro mobile, un tappeto, delle tende e l’attrezzatura magica che suo padre aveva deciso tempo addietro di buttarle via.

Il modo migliore per ottenere tutte queste cose, o almeno quasi tutte, era cercare un mercatino dell’usato; un posto dove potesse trovare oggetti adeguati al suo gusto senza spendere una fortuna. Inoltre, mancavano ancora quattro giorni prima dell’inizio delle lezioni e oltre a sistemare la camera non aveva nulla da fare e non conosceva nessuno.

Sunnydail era un territorio inesplorato e le sembrava una stana cittadina. Riusciva a percepire qualcosa ma non in maniera chiara, semplicemente sentiva che qualcosa lì non era al posto giusto. Ma non tutto era negativo, riusciva a sentire anche una forte energia positiva alla quale non sapeva attribuire una fonte.

Girovagando senza meta trovò un mercatino collocato in una stradina secondaria poco illuminata.

“B-buonasera” disse la strega con un filo di voce, tanto che il proprietario dietro al bancone si accorse della sua presenza solo per via della campanella sulla porta che tintinnava.

“Incantevole serata, non sei d’accordo con me?” disse l’uomo con un sorriso affabile.

“C-c-certo” gli rispose Tara, sperando che la conversazione a quel punto fosse finita. Fare conversazione non era sicuramente il suo forte. Ma cosa lo era? Pensò tristemente.

Poi la sua attenzione venne completamente assorbita da un quadro, una raffigurazione probabilmente antica e indiana di una festa rituale per la dea che portava il suo nome. Era grosso, una tela imponente che giocava sui colori del rosso e dell’arancione.

“Ti piace?” le disse l’uomo sorridendo al quadro “è davvero antichissimo ma posso dartelo per un prezzo stracciato. L’arte indiana non va molto di questi tempi”.

“Sì, è bellissimo. Quanto costa?” gli rispose la ragazza entusiasta con un grosso sorriso.

“Possiamo fare 40 dollari. Non è molto considerando che è un originale indiamo di 5 secoli fa!” disse il venditore e poi continuò “Rappresenta Tara, la madre di tutti i Buddha. La sua forza sta nella compassione, è l’anima più gentile che il mondo abbia mai visto.”

Improvvisamente le parole del negoziante modificarono la visione del nome che aveva portato per tutta la vita. Comprò il quadro, una libreria e il resto dei mobili che le servivano. Insieme al negoziante decisero che le sarebbe stato consegnato tutto il giorno seguente al campus.

Quella notte Tara fece un sogno strano. Vide una figura indistinta, dai contorni sfocati. “La tua forza è nel tuo sguardo che rispecchia esattamente la tua anima, non aver paura di alzarlo. Sei magnifica Tara, la gentilezza è il tuo dono”.
 
---

Le settimane erano trascorse, le lezioni erano cominciate e Tara non era riuscita a stringere amicizia con nessuno. Seguiva le lezioni con impegno, le era sempre piaciuto studiare. Inoltre sperava, ottenendo buoni voti, di vincere una borsa di studio anche per l’anno successivo. Se così non fosse stato avrebbe cercato un lavoro e continuato a studiare, non era davvero intenzionata a darla vinta a suo padre e a suo fratello, o peggio, di tornare in quella casa in Nevada.

Nello spostarsi di aula tra una lezione e un’altra, in un caldo mattino come tanti altri, un foglio in una bacheca appesa al muro in corridoio attirò la sua attenzione.
 
“SEI UNA STREGA O TI PIACEREBBE DIVENTARLO? IL GRUPPO WICCA È QUELLO CHE FA PER TE”
“Incontro conoscitivo Venerdì 16 alle ore 15.00, Sala Relax del Secondo Piano Palazzina Kresge”

Una coven di streghe! Nonostante la titubanza, più per le persone nuove che per la stregoneria, decise che si sarebbe presentata all’incontro conoscitivo. Tara non sentiva il suo demone muoversi quindi significata che tutto andava per il meglio, anche se lei studiava gli incantesimi ogni sera, nella penombra della sua stanza singola. Non poteva mancare a quell’incontro, avrebbe potuto conoscere persone dotate in maniera naturale come lei e probabilmente stringere amicizia con qualcuno che potesse capirla veramente.
 
--- Venerdì 16, Incontro Wicca

Quando arrivò nel punto d’incontro, la sala relax era molto più vuota di quanto si aspettasse. C’erano solo 5 o 6 ragazze sedute svogliatamente sulle poltroncine poste in semicerchio. Dovevano essere più grandi di lei, sicuramente non erano matricole, si vedeva dall’atteggiamento.

Tara arrivò con passo incerto e con un cenno di una mano le salutò tutte in una volta.

“Ciao” disse una ragazza dai capelli ramati “Sei qui per l’incontro Wicca? Potresti dirmi il tuo nome? Così lo segno nelle presenze”.

“Io sono Tara Maclay, p-piacere” rispose un po’ intimorita dalla situazione nuova ma curiosa di continuare quell’incontro.

“Benissimo Tara, allora puoi sederti in una poltrona libera. Aspetteremo ancora 5 o 10 minuti e poi cominceremo ufficialmente l’incontro”.

Tara fece come le era stato detto e si mise buona e silenziosa sulla prima poltrona libera che aveva individuato, vicino a una ragazza nera. Passarono 10 minuti e non si presentò nessun’altro.

L’incontro ebbe ufficialmente inizio e Tara era l’unica a non conoscere nessuno, ma le “streghe” non si presentarono e portarono avanti la riunione come se lei fosse sempre stata lì oppure come se non ci fosse affatto. Parlarono di tutto tranne che di magia. Decisero come portare avanti la raccolta fondi per il gruppo, parlarono di libri sulla femminilità che avevano letto durante l’estate e si confrontarono sulle meditazioni che avevano eseguito. Nessun incantesimo, niente di niente.

La riunione dopo un’ora finì e si salutarono. Tara ne rimase delusa ma decise comunque di continuare a frequentare il gruppo, era sempre meglio che studiare tutto il giorno o stare in camera sua.


--- Hush- L’urlo che uccide

Willow stava superando il periodo più duro della sua vita. Non c’era stata apocalisse peggiore, eppure ne aveva passate tante. Oz di punto in bianco se n’era andato, senza lasciare spazio a nessuna replica. L’aveva mollata. Tradita e mollata per poi scomparire.

Non sapeva dove fosse e se stesse bene, non poteva contattarlo in nessun modo e probabilmente non lo avrebbe visto mai più. Gli scriveva lettere quasi ogni giorno ma rimanevano nel cassetto della sua scrivania nella stanza condivisa con Buffy. Si sentiva delusa, abbandonata, ma una parte di lei sapeva che forse non era un caso che se ne fosse andato proprio in quel momento.

 Percepiva, in maniera sbiadita e incompleta, che qualcosa in lei stava finalmente trovando la luce, una luce nuova e luminosa, calda e inaspettata. Non avrebbe saputo dire di cosa si trattava ma credeva fermamente che ogni evento avesse una ragione, anche quello che apparentemente era inspiegabile.

“Ehi Will, come stai?” chiese Buffy entrando nella loro stanza.

Willow era nel letto, nonostante fossero le quattro del pomeriggio e dovesse essere a lezione.

“Mmmh, insomma. Meglio, però oggi ho saltato lezione. Non me la sentivo proprio di sentir parlare di posti esotici e di culture lontane. Credo che cambierò corso” rispose la rossa.

“Buona idea, potresti venire con me a seguire poesia moderna. È piuttosto divertente. Ogni tanto qualche studente se ne esce con delle rime rap e le presenta davanti a tutta la classe. Incredibile lo spreco di ragazzi carini ma senza cervello che c’è in quel corso” disse sorridendo la cacciatrice.

“Non so se ho tanta voglia di vedere ragazzi carini e stupidi. E poi sai, era un corso in più, pensandoci bene non sono costretta a sostituirlo. Pensavo di impiegare quell’ora a ricopiare gli appunti oppure di partecipare a delle riunioni Wicca” disse Willow.

“Riunioni Wicca?” chiese la cacciatrice sorpresa.

“Ma si Buffy, la Wicca, hai presente? Le streghe! C’è un gruppo al campus, c’era un volantino appiccicato ad ogni angolo di muro qualche settimana fa.”

“Aaah, quella Wicca!” disse Buffy che non era tanto sicura di aver capito.

“Si mi sento pronta per iniziare qualcosa di nuovo. Voglio pensare solo a me adesso, studiare sodo e migliorare negli incantesimi” disse Willow sorridendo come non capitava da un po’, mossa da una nuova energia, vogliosa di conoscenza come quando aveva messo piede nel campus per la prima volta.

“Bene, ne sono felice” rispose Buffy sorridendo a sua volta “ti farà bene vedrai”.


----


Le riunioni Wicca occupavano esattamente le ore in cui Willow doveva frequentare il corso di antropologia, motivo per cui, originariamente, aveva rinunciato a partecipare. La sua poca voglia di sentir parlare di culture remote, però, aveva cambiato le carte. Ora era libera e poteva usare quel ritaglio di tempo per dedicarsi alla magia con la coven di streghe del campus.

Il suo primo incontro con le “streghe” non andò esattamente come aveva immaginato. Una massa di ciarlatane, ecco qual era stato il suo primo pensiero, ma aveva stretto i denti sperando che, in futuro, avrebbero fatto qualcosa di concreto.

Alla terza riunione Willow non ne poté più e sbottò, non aveva più voglia di essere la silenziosa “levati-da-qui-fammi-sedere-Willow” come al liceo.

“Questi argomenti sono tutti molto interessanti ma non potremmo occuparci di qualcosa di più… pratico?” disse interrompendo Amanda mentre parlava del giornaletto di diffusione del messaggio Wicca.

“Ad esempio?” disse la ragazza.

“Beh, incantesimi, trasmutazioni. Cose di questo tipo”.

Tutte le ragazze la guardarono allibite, tutte tranne una. Tara aveva tirato su lo sguardo dalla macchia sul pavimento che stava fissando da mezz’ora, soggetto che trovava enormemente più interessante rispetto alla conversazione. Non aveva mai visto quella ragazza, forse perché aveva saltato le ultime due riunioni per preparare un importante esame di fine trimestre.

Non l’aveva mai vista e inizialmente non l’aveva neanche notata, pur essendo seduta quasi di fronte a lei, fino a quando Willow non decise di parlare. Tara era certa di aver già sentito la sua voce, anche se non ricordava dove. Era una voce particolare, con un timbro strano, non poteva dimenticarla. Il cuore, senza una ragione apparente, le saltò in gola. Poteva sentire il suo battito accelerato, talmente forte che temeva che si potesse udire anche al di fuori del suo corpo.

La strega bionda avrebbe voluto dire che si trovava completamente d’accordo con la rossa ma le parole le morirono in gola, soffocate dal tamburo che aveva al posto del cuore.

Le uscì fuori qualche parola scomposta, sconnessa e balbettante. Abbastanza da farla sprofondare dalla vergogna e da convincerla a chiudere lì quel misero intervento che voleva fare. La rossa la guardò. Tara si sentì mancare e fece un sorriso.
 
---

Willow era delusa, delusissima. Unica nota positiva della giornata, per quanto insolita, era quella ragazza bionda che aveva cercato di prendere parola in sua difesa ma che non era riuscita nell’intento.

“Non sono delle streghe, Buffy, al massimo una banda di isteriche fissate col potere del sangue mestruale” disse Willow alla cacciatrice con lo sguardo triste.

“Oh, wow! E cosa fate, dei lavoretti artistici con i Tampax usati?” disse sorridendo la bionda.

“Spiritosa!” rispose Willow ridendo ma poi tornando seria aggiunse “Speravo ci fosse qualcosa di vero, cioè delle vere streghe, forse una però c’è…” disse più fra sé e sé che a Buffy.
 
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Dopo la riunione la strega bionda corse velocemente in camera, ancora profondamente a disagio, sentendosi stupida e intontita. Aveva fatto una pessima figura e lo sapeva. Ripensò alla voce di quell’interessante ragazza rossa, l’unica in quella congrega dalla quale sentiva scorrere del vero potere, simile al suo ma forse più grande.

All’improvviso, come per un’illuminazione, le venne in mente quello stano sogno che aveva fatto. “La tua forza è nel tuo sguardo che rispecchia esattamente la tua anima, non aver paura di alzarlo. Sei magnifica Tara, la gentilezza è il tuo dono”.

Era la voce della ragazza rossa, non aveva dubbi. Ecco dove l’aveva sentita. Ma la faccenda continuava a non avere alcun senso. Come aveva fatto a sognare una voce mai sentita, identica a quella che aveva udito in giornata? Cosa volevano dire quelle parole?
 
Forse, però, si sbagliava. Poteva essere simile, tutto qui. Magari non valeva la pena stare a pensarci più di tanto. Quella ragazza però, che a quanto aveva capito doveva chiamarsi Willow, non se ne andava dai suoi pensieri. Decise che il giorno dopo le avrebbe parlato, anche a costo di passare per un’inopportuna e stramba ragazza balbuziente dalle scarsissime doti sociali.
 
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Nessuno poteva immaginare che, il giorno dopo, si sarebbero svegliati tutti senza voce. Senza poter emettere nessun suono. Sulle prime Tara pensò che fosse colpa sua, della sua parte demoniaca. Aveva deciso di parlare a Willow e il risultato era stato il mutismo di tutto il campus.

Poi, però, aveva scoperto che il fenomeno non si estendeva alla sola zona universitaria. Non poteva essere così potente, insomma ammutolire quante? 40mila persone tutte in una volta? Non le sembrava credibile, doveva esserci sotto qualcos’altro. Qualcosa legato al male che sentiva sempre presente a Sunnydail, nonostante l’apparente tranquillità della cittadina californiana.

Le lezioni, per via del piccolo problema, erano state cancellate. Tara aveva tutto il pomeriggio libero e quel silenzio le metteva addosso una strana agitazione. Sapeva che, se avesse trovato la rossa, forse avrebbero potuto risolvere insieme il problema con la magia.

Decise, con tutto il coraggio che aveva, di andarla a cercare nei posti in cui pensava fosse più probabile trovarla. Voleva provare a spiegarle che aveva dei libri di incantesimi che probabilmente potevano contenere qualcosa di utile. Da sola non ci sarebbe riuscita ma Willow probabilmente sì. Provò a cercarla in caffetteria, a mensa, in biblioteca e nelle varie sale relax. Di lei non c’era traccia e ne fu stranamente delusa.

Tornò in camera e si mise a fare delle ricerche. Studiò tutto il materiale che aveva fino a sera tarda. Poi, senza rendersene conto, si addormentò nel letto ingombro di libri e appunti.

Mentre Tara e la maggior parte dei ragazzi del campus dormivano, dei gentiluomini dal viso pallido alleggiavano per i corridoi, seguiti da creature demoniache in camicia di forza. I loro sorrisi argentei illuminavano debolmente i corridoi dei dormitori. Scelsero con cura una stanza ed entrarono. Presero un ragazzo e lo tennero fermo mentre con un piccolo bisturi gli strappavano il cuore ancora pulsante dal petto. Il ragazzo provò a urlare ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Nessuno sarebbe arrivato ad aiutarlo, nessuno poteva sentirlo. Morì. Nel silenzio assoluto.


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Il mattino seguente Tara si svegliò e provò a parlare. Non riuscì ad emettere nessuna sillaba, la città era ancora muta. La strega bionda decise che avrebbe ritentato, doveva assolutamente trovare Willow ma di lei sembrava non esserci traccia. Girovagando per il campus apprese della morte del ragazzo che aveva gettato tutti nella paranoia più totale.

Uno studente era morto e il suo cuore era stato estratto dal petto. C’era qualcosa di davvero strano, nessun serial killer agiva in questo modo; strappare cuori faceva sicuramente parte di un rituale, o almeno di qualcosa di simile. La strega decise di agire seguendo la logica: se Willow non si trovava da nessuna parte avrebbe atteso la sera e si sarebbe presentata in camera sua, dov’era immensamente più probabile che fosse. Trovarla non sarebbe stato difficile, quante persone in quel campus potevano chiamarsi come un albero?


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Willow, dal canto suo, stava cercando di venirne a capo con gli scoobies. Buffy aveva fatto un sogno, probabilmente profetico, in cui una bambina cantava una canzoncina dal ritornello infantile che aveva a che fare con gentiluomini, 7 oggetti e, naturalmente, l’impossibilità di parlare.

Grazie a questi indizi e ad un’esperienza tutt’altro che piacevole della vecchia fiamma del signor Giles sapevano cosa dovevano affrontare: gli inquietanti protagonisti di una macabra favola, arrivati in città per strappare sette cuori dal petto delle persone. L’unico modo per sconfiggerli era urlare ma nessuno di loro aveva idea di come riavere indietro la propria voce.

La situazione ara a un punto di stallo.


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La sera era finalmente arrivata e Tara stava consultando il registro dei dormitori per trovare la ragazza rossa.

“Willow Rosenberg” ecco come ti chiami, pensò “stanza numero 214, Stevenson”.

Prese un paio di libri e di quaderni, quelli sui quali si erano concentrati i suoi studi del giorno precedente. Aveva paura, ma decise di uscire ugualmente per raggiungere la ragazza. La palazzina, in fondo, non era poi tanto distante dalla sua e probabilmente non sarebbe successo niente nel tragitto, bastava solo camminare veloce e non farsi inghiottire dalla paura.

Quando ormai era giunta a metà strada li vide. Un piccolo corteo di figure inquietanti, due esseri alti in giacca e cravatta che fluttuavano a 10 centimetri da terra, preceduti da altri due esseri scimmieschi, in camicia di forza, che si muovevano chini in maniera scomposta.

Tara mollò a terra i libri e cominciò a correre, spaventata a morte. In vita sua non aveva mai visto niente del genere. Le venne in mente che un giorno, forse, poteva trasformarsi anche lei in qualcosa di simile. Scacciò via quel pensiero. Non aveva tempo per preoccupazioni di questo tipo. Doveva solo correre il più velocemente possibile, nascondersi da qualche parte e sperare che quegli esseri smettessero di darle la caccia.

Entrò nella palazzina Stevenson e cominciò a bussare a tutte le porte, nella speranza che qualcuno la facesse entrare per nascondersi. Visto lo spiacevole episodio della notte precedente, però, nessuno aveva il coraggio di aprire.

Tara continuò la sua folle corsa per i corridoi inseguita da quegli esseri. Salì al piano di sopra e riprese a bussare a tutte le porte. Qualcuno, finalmente, aprì, ma si trovò di fronte all’unica cosa che non avrebbe mai voluto vedere. Una di quelle figure dal sorriso maligno si trovava dietro la porta, con un cuore appena estratto in mano. La strega bionda pensò seriamente di essere spacciata.

Il suo battito che martellava nelle tempie era l’unico suono che riusciva a sentire, aveva il fiatone e il terrore era il solo motore che muoveva il suo corpo. Aveva alle costole tre esseri fluttuanti e due in camicia di forza, non sapeva più cosa fare. Probabilmente sarebbe morta, pensò, e il suo cuore che stava pulsando all’impazzata sarebbe diventato un ingrediente per un rituale.

Continuò a correre per il corridoio e, all’improvviso, cadde colpendo una persona spuntata all’improvviso da una stanza, la 214. Tara aveva preso in pieno Willow.

“Ottimo, l’ho trovata” pensò la bionda “Non era proprio così che volevo presentarmi…”

Nella caduta la rossa si era storta una caviglia, travolta inaspettatamente dalla strega bionda in fuga. Per la prima volta anche Willow vide quegli esseri fiabeschi e ne rimase colpita. Erano molto più spaventosi di quanto avesse potuto immaginare, anche se era abituata a mostri repellenti e demoni disgustosi. Poi si girò per guardare chi l’aveva fatta ruzzolare in terra, era la ragazza della coven, quella che aveva cercato di sostenerla.

Insieme si alzarono e ripresero la folle corsa. La caviglia di Willow le faceva veramente male, ma la paura vinceva sul dolore. Sorretta dalla bionda, che si sentiva in colpa per averla cacciata in quella situazione, scesero le scale.

Le due ragazze raggiunsero la lavanderia della palazzina ormai stremate dalla corsa, dalla stanchezza e dalla paura. Chiusero la porta a chiave ma erano ben consce che non avrebbe retto a lungo. Presto sarebbe stata sfondata da quei mastini demoniaci che gli uomini in abito si portavano dietro.

Cercarono di barricarsi dentro spostando verso la porta un distributore automatico di bevande che non aveva nessuna intenzione di collaborare e di muoversi. Era troppo pesante per le due. Willow decise di provare ad usare la magia ma nonostante tutta la sua concentrazione il distributore non accennava a spostarsi di un solo millimetro.
Dalla sua posizione, seduta per terra, Willow aspettava la fine. Sarebbero morte e non avrebbe avuto modo di difendere né se stessa né la bionda che le sedeva a fianco.

Tara, intanto, sentiva il potere che si sprigionava dalla rossa. Era solo potenziale ma forte. Percepiva l’aura di quella ragazza e ne era sinceramente colpita. C’era qualcosa in lei di veramente speciale. Guidata dall’istinto prese la mano di Willow nella sua. Le loro dita si intrecciarono come se lo avessero fatto altri milioni di volte. Si guardarono negli occhi e per la prima volta la strega rossa vide che erano blu, intensi come mai ne aveva visti altri. Quel contatto era elettrico, potentissimo. Il respiro di Willow si sballò, un’intensa sensazione di calore e benessere circondò il suo intero corpo. Per un secondo si dimenticò di essere in una lavanderia, con una perfetta sconosciuta, senza la possibilità di parlare e inseguita da esseri che per lavoro strappavano cuori da persone vive. Tutto questo sparì mentre guardava quelle due mani intrecciate.

Un colpo sonoro alla porta la riportò alla realtà. Le due di scatto e in contemporanea si girarono verso il distributore che andrò a schiantarsi contro la porta della lavanderia, mettendole al sicuro. Quello che era appena successo aveva dell’incredibile, anche se Willow da anni che viveva esperienze al limite dell’impossibile. Nulla, però, era mai stato intenso come quell’attimo.

Le due streghe si guardarono, guardarono le loro mani e non capirono cosa stesse succedendo.

Da fuori, pochi attimi dopo, arrivò il suono di cinque piccole esplosioni e videro dal vetro della porta l’ombra dei gentiluomini cadere a terra mentre una sostanza verdognola si schiantava contro il vetro macchiandola.

Era tutto finito, Buffy aveva trovato il modo, ancora una volta, di aggiustare la situazione.

È finita” disse Willow sorridendo “sono esplosi. E posso parlare!”.

Tara, timidamente, ritrasse la sua mano dalla stretta della rossa.

“Come usciamo di qua?” disse la bionda “I-io non credo che riusciremo a spostarlo di nuovo” aggiunse guardando il distributore.

“Possiamo sempre aprire una finestra, però mi devi aiutare, non penso di farcela da sola con questa caviglia. Fortuna che siamo al primo piano!” disse Willow.

Tara si sentì immediatamente in colpa.

“Si certo, t-ti aiuto io. Mi dispiace per la caviglia, non ti ho proprio vista.” disse la bionda a voce basa.

“Non preoccuparti, un po’ di ghiaccio e passa tutto. Non è niente di grave.” le rispose Willow notando il dispiacere nella sua voce.

Le due streghe uscirono dalla finestra e la manovra si rivelò più facile di quanto pensassero. La notte era diventata serena e per strada non si vedeva nessuno. Fecero il giro della palazzina e si ritrovarono all’entrata.

“Sicura che sia finita?” disse Tara guardandosi intorno ancora spaventata.

“Sì, riabbiamo le nostre voci e quegli esseri sono esplosi. Ora è tutto a posto.”

“Ok, a-allora io ti accompagno in stanza e poi vado”

“Va bene. È distante la tua camera?”

“No. Sto nella palazzina qui a fianco”.

Le due salirono in silenzio fino al secondo piano e si fermarono davanti alla 214. Willow avrebbe voluto chiederle delle cose ma non era il momento più adeguato. Erano stanche, ancora scosse. Era meglio rimandare la conversazione.

“Cosa ne pensi se domani ci vedessimo per un caffè?” disse improvvisamente la rossa, interrompendo il silenzio imbarazzato che si era creato.

“C-certo, perfetto, offro io per farmi perdonare per averti quasi rotto una caviglia…” disse Tara guardando in basso, senza il coraggio di fissare i suoi occhi in quelli della rossa.

Willow rise, Tara alzò un attimo lo sguardo e fissò per un attimo la rossa. Sorrise.

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Il giorno dopo le due ragazze si incontrarono.

“Eri venuta a cercarmi?” chiese Willow.

“Si, pensavo che potessi fare un incantesimo per ridare la voce alla città. Ti ho vista alla riunione Wicca, tu eri diversa da loro.”

“Da quanto te ne interessi?” chiese ancora la rossa.

“Da sempre. M-mia madre se ne occupava, era potente, come te”.

“No, io non sono potente, davvero. Faccio un sacco di casini, le mie pozioni sono brodaglia e gli incantesimi non mi vengono quasi mai” rispose Willow.

“Tu sei forte” le disse Tara, sinceramente convinta di quello che stava dicendo e guardando la rossa negli occhi.

Si sorrisero e, inspiegabilmente, si sentirono entrambe felici.
 
 

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Capitolo 3
*** 3.3 ***


Parte III

“Signorina Rosenberg? … Signorina Rosenberg!” tuonò l’insegnate di informatica senza ricevere alcuna risposta.

Willow, seduta compostamente sulla sua sedia, stava guardando un punto indistinto al di là del professore.

“Se la lezione non le interessa può sempre uscire. Signorina Rosenberg, si sente bene?” disse l’uomo a un tratto preoccupato per l’inespressività della sua migliore studentessa che continuava a fissare lo stesso punto dietro le sue spalle.

“Come?” disse lei all’improvviso, riportata alla realtà da uno strattone del ragazzo che le sedeva vicino.

“Mi stavo chiedendo se stesse bene, c’è qualcosa di più interessante della lezione da guardare dietro di me?” disse il professore brusco.

“No, mi scusi. È solo che…” ma Willow non finì la frase.

“Non accaparri scuse Rosenberg. E cerchi di seguire” concluse l’uomo.

“Certo” disse la rossa, impensierita da tutto quel teatrino che aveva inconsapevolmente creato.

Per quanto si sforzasse di seguire le lezioni e portare avanti la sua vita in maniera normale, qualcosa dentro di lei era completamente cambiato. La sua mente non faceva che tornare a quella notte nella lavanderia, a quelle mani che si toccavano per la prima volta.

Ogni volta che il suo pensiero si soffermava su quella scena il suo cuore saltava un battito. Sentiva dei piccoli brividi scendere dalle spalle fino alla schiena e nuove sensazioni si impadronivano del suo corpo. Riusciva a percepire l’odore dei capelli della bionda, un misto di vaniglia e caramello. Rivedeva nella sua mente quegli occhi blu, grandi e profondi come l’oceano e desiderava immergervisi dentro, completamente, per non uscirne mai più. Willow non voleva ammetterlo ma desiderava toccarla ancora.

Erano stati pochi attimi e la sua mente razionale non si capacitava di come avessero potuto avere un impatto così devastante nella sua vita. In fondo non era successo niente. Aveva toccato moltissime mani, non voleva dire nulla. Ogni volta che pensava a Tara, però, un sussulto si impadroniva del suo corpo e della sua anima, Willow vibrava.

Non tutto ciò che le veniva alla mente, però, era positivo. A volte si susseguivano flash di immagini confuse, intrise di odio e collera. Vedeva un piccolo borgo perso tra le colline, uno spazio angusto e scuro dove l’odore di urina si mischiava a quello della disperazione, percepiva delle forti fitte di dolore nella schiena e sulla pancia.

Il tutto durava pochi attimi, intensi e dolorosi, e si concludeva sempre in una sola maniera: vedeva il sorriso di Tara e quegli occhi blu che la chiamavano per avvicinarsi. Allora spariva la collera, l’odio, il dolore.

Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con Buffy, e non era intenzionata a farlo. Era un suo piccolo segreto. E poi c’era altro che impensieriva la cacciatrice. Non era sicuramente il caso di disturbarla.
 
 
---


Dopo quel caffè, all’indomani dell’incontro con i gentiluomini, Tara non aveva più visto né sentito Willow. Ogni tanto la scorgeva nei corridoi del campus ma non aveva il coraggio di avvicinarsi a lei, pur volendolo con tutta se stessa.

Quello che aveva provato, ciò che Willow le aveva fatto sentire, forse riguardava solo lei. Probabilmente aveva frainteso il modo di fare della rossa. Era stata gentile, certo, sembrava felice della nuova conoscenza e anche un po’ inebetita dalla sua presenza, come affascinata, in un certo modo. Eppure, nel corso di tutta la settimana, non l’aveva più contattata.

“Lo vedo come la guardi. È il male dentro di te che la guarda”

Mai avrebbe potuto immaginare che la causa di quell’assenza, che voleva essere una totale e assordante presenza, era il tentativo di sventare un’apocalisse. L’ennesima che Willow si trovava ad affrontare, di nuovo nel cuore di Sunnydail, nel suo vecchio liceo, come nei bei tempi che furono.

Tara, tutto questo, non poteva neanche immaginarlo mentre il suo cuore si faceva piccolo piccolo, solo e intristito da quella battuta d’arresto che lei aveva immaginato essere l’inizio di qualcosa di bello.

“Lo vedo come la guardi. È il male dentro di te che la guarda”.
 
--- 1587, Triora, Italia


“Stanno arrivando per noi!” disse Isotta con un filo di voce “Sono convinti che sia colpa nostra. Ho sentito delle voci in paese, probabilmente domani non avremo scampo”.

“Lo so, lo so. Su questo non possiamo farci niente.” le rispose Flora.

“Quindi sei disposta ad arrenderti?” replicò Isotta con aria allarmata.

“No, certo che no. Io non mi arrenderò mai, non se vogliono prendere te” disse Flora abbozzando un sorriso. “Possono avere me se vogliono, ma tu sarai al sicuro. Ho un piano. Loro non saranno qui prima di domani sera, nel mentre ci organizzeremo”

“Come possono prendere te? Cosa significa? Cosa intendi?” chiese Isotta al culmine della preoccupazione.

“Lo vedrai più tardi, a notte fonda. Non ti prenderanno, lo promet…”

Mentre Flora stava finendo la frase la robusta porta di legno venne scardinata con un potente calcio, cadendo rumorosamente sul lieve strato di terriccio che ricopriva il pavimento della cucina.

Quattro uomini, muniti di crocifisso e rosario, entrarono nella piccola stanza scarsamente illuminata da un paio di candele, altri due rimasero fuori ad attendere. Le galline nell’aia sul retro cominciarono ad agitarsi, i cani presero ad abbaiare in maniera furiosa e i vicini, incuriositi da tutto quel rumore, avevano acceso le lampade ad olio godendosi lo spettacolo dalle finestre.

“Isotta Stella e Flora Liano siete accusate di pratica di magia nera, cannibalismo, assassinio di neonati e stregoneria. Sarete giudicate in nome di Iddio Onnipotente, davanti a Dio e al popolo” disse nervosamente uno dei quattro, sudando copiosamente e con la voce tremante.

Non ci fu tempo di pensare o replicare. I due uomini rimasti fuori, muscolosi e totalmente coperti da vesti, entrarono della stanza portando con sé delle grosse assi.

Sbatterono le due donne per terra, senza traccia di gentilezza o magnanimità e, nonostante i tentativi di ribellione delle due, le legarono strettamente alle assi. Le spesse corde cominciavano a lacerare la carne nei punti in cui erano più strette e la pelle più morbida. Le streghe, sollevate da terra, vennero portate fuori dalla loro abitazione.
I vicini gioirono e qualche curioso uscì di casa per gustarsi al meglio la scena. In poco tempo si formò una piccola folla.

“Rossa del demonio avrai quello che ti meriti!” gridavano gli uomini in coro carichi di odio, ma Flora non li sentì, non sentiva o capiva niente, andava tutto troppo veloce.

Le portarono fino all’ultimo piccolo complesso di case del paese. Aprirono un grande lucchetto che sbarrava l’entrata di una catapecchia fatiscente. Le spinsero a forza dentro, facendole cadere ancora legale alle assi. Isotta batté pesantemente la testa su un sasso acuminato, un fiotto di sangue cominciò a sgorgarle dalla tempia destra macchiandole il vestito. Svenne mentre il sangue creava una piccola pozza impregnandole i capelli.  Flora gridò il suo nome ma non ottenne risposta.

La porta si chiuse e l’oscurità le inghiottì.
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“P-pronto?” disse Tara rispondendo al telefono della sua stanza.

“Ciao!” disse una voce entusiasta dall’altro capo del telefono “Scusa se non mi sono più fatta sentire ma ho avuto molti problemi, avrei voluto però…”. Quella frase le scappò e per un’istante pensò di aver fatto un passo falso.

“Willow?” chiese Tara, pur avendo riconosciuto la voce che faceva parte dei suoi sogni ancora prima di conoscerla.

“Sì sono Willow, che maleducata non mi sono neanche presentata. Ho chiesto il numero in segreteria e ho chiamato” concluse, sentendosi la regina dell’ovvio.
“N-no, tranquilla. È b-b-bello sentirti” rispose Tara. Aveva balbettato troppo, l’emozione l’aveva tradita ancora una volta. Si sentì avvampare, divenne rossa e ringraziò la Dea di non poter essere vista. Willow trovò quella frase e quel modo di balbettare dolcissimo.

“Senti, ti va di provare qualche incantesimo con me stasera? Cioè, se hai voglia”.

“Certo che mi va!” rispose immediatamente la bionda sorridendo “P-puoi venire qui quando vuoi, io sto in una singola. È la 111 e per te la mia porta è sempre aperta” si pentì immediatamente di quella frase che poteva risultare un po’… ambigua “Cioè, io…volevo dire, intendevo…”

La rossa rise forte. “Ci vediamo per le otto?”

“Perfetto, allora ti aspetto!” rispose Tara felice come non mai.

“Ancora una cosa: ti piacciono gli hot-dog?”

“Certo” rispose la bionda.

Willow riagganciò. Erano le sette e aveva un’ora per prepararsi e andare da Tara.

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“Ciao” disse Willow cercando di dissimulare l’emozione.

“Ciao” rispose l’altra raggiante aprendo la porta per farla entrare.

“Ho preso la cena. Non sapevo quali salse ti piacessero e allora ho preso un hot-dog solo con ketchup, uno con la senape, uno con la maionese e uno con ketchup e maionese. Poi ho pensato che avrei dovuto fare anche tutte le altre combinazioni, tipo maionese-senape e senape-ketchup o maionese-senape-ketchup e sono andata in confusione. Oddio… non ne ho preso neanche uno senza salse! Non è che non ti piace nessuna salsa? Posso tornare dove li ho presi e..” disse Willow davvero preoccupata.

“Willow mi piacciono le salse, tutte, davvero. Non ti preoccupare” le rispose Tara divertita da quel delirio. Nessuno era mai stato tanto premuroso con lei e gliene fu grata.

“E l’aranciata? La bevi?” le chiese Willow con apprensione e sospetto, finendo col ridere della sua paranoia.

“Sì, bevo anche quella” disse Tara ridendo a sua volta.

Le due si sedettero per terra e mangiarono sul grande tappeto che Tara aveva comprato al mercatino dell’usato. Fu felice di quell’acquisto.

“Mi piace la tua stanza” disse Willow coricandosi sul tappeto “è così rilassante. Sembra un mondo a parte”.

“Sono contenta che ti piaccia. Quando sono arrivata qui era vuota ma non potevo pensare di passare tutti questi anni in una stanza spoglia…”

“Perché tu non torni mai a casa?” chiese Willow senza pensarci troppo.

“No, mai” rispose la bionda con la voce improvvisamente triste.

Willow decise di lasciar perdere le domande e cambiare argomento.
 
--- 1587, Triora, Italia

Flora si era avvicinata a Isotta strisciando sul terreno, portandosi appresso l’asse di legno dalla quale non era ancora riuscita a slegarsi. Il tempo dentro quella catapecchia sembrava non esistere e Isotta continuava a non svegliarsi. Il suo respiro, però, era lento e regolare. La rossa sentiva l’odore ferroso del sangue mentre cercava di sciogliere i nodi che la tenevano prigioniera. In quell’agonia pianse lacrime amare, lacrime cariche di disprezzo. Non temeva per la sua vita ma doveva ad ogni costo difendere quella di Isotta.

Dopo un tempo che parve interminabile riuscì a slegarsi. Cercò tastoni la compagna, la slegò dal legno che le premeva pesantemente contro la schiena, e delicatamente poggiò la testa di lei sopra alle sue gambe. La ferita sanguinava copiosa ma almeno con le mani libere avrebbe potuto tamponarla con un lembo del suo vestito.

“Dove ci hanno condotto?” chiese debolmente Isotta.

“Non lo so tesoro, in una piccola baracca al limite del bosco. Tu sei caduta su di un sasso e sei svenuta. Ma ora va tutto bene” le disse dolcemente Flora scostandole dal viso una ciocca di capelli insanguinata.

L’oscurità era totale e le due non potevano vedersi. Rimasero abbracciate tutta la notte, fino a quando la luce dell’alba non si lasciò intravedere dai piccoli buchi fra le pietre che componevano quella squallida baracca.

Isotta era pallida, già allo stremo delle forze. Aveva perso molto sangue e la testa le girava vorticosamente ad ogni tentativo di mettersi in piedi.

Con l’alba arrivarono anche i loro aguzzini. Qualcuno bussò alla porta ma non aprì.

“Signore…” disse un uomo con tono nervoso “il vostro processo inizierà a breve. Verrà un prete della curia e un paio d’altri uomini. Confessate i vostri peccati o dovrete vedervela con Dio e poi con le fiamme”. Purtroppo non era una metafora e non intendeva l’inferno.

Le due donne vennero divise. Isotta, presa per prima e costretta ad entrare dentro una botte, venne condotta da tre uomini in un altro casolare, più ampio ma comunque inospitale. La fecero uscire e immediatamente la alzarono da terra, prendendola bruscamente per la vita e issandola su di uno sgabello attaccato al muro. Si trovava in quella che doveva essere un tempo una stalla. Alcune candele erano appoggiate per terra, insieme a una frusta, un paio di coltelli e altri arnesi acuminati e metallici a cui non avrebbe saputo dare un nome.

Le strapparono tutti i vestiti e la legarono mani e piedi a delle grosse catene attaccate al muro a cui dava le spalle. L’uomo che l’aveva presa in braccio tirò un violento calcio contro lo sgabello sul quale la strega era in piedi, facendola precipitare. Un forte dolore alle articolazioni delle braccia la fece urlare. Sospesa in quel modo riusciva a stento a toccare il terreno. Sapeva che, secondo l’Inquisizione, la terra era la fonte del loro potere ed entrare a contatto con essa significava tratte forza dal demonio.

Nuda, insanguinata, legata. Nessuno era intenzionato a portarla a processo, non ci sarebbe stato nessun tentativo di difendersi, per quanto Isotta fosse ben conscia che non ci sarebbe riuscita comunque. Avrebbero trovato il modo di farla cadere in errore e condannarla.

Arrivò il prete e, sguainando un crocifisso, cominciò a pronunciare una litania in latino.

L’uomo incappucciato che si era occupato di issarla sulle catene cominciò a sistemare i suoi attrezzi da lavoro. Isotta non poteva vederlo in volto e neanche una minima parte di corpo, in lui, era scoperta. Altra protezione contro le streghe, per evitare di essere ammaliate dal loro tocco demoniaco.

Tramite una torcia poggiata al fondo della parete opposta a quella in cui la strega era appesa, l’aguzzino accese una candela. Si avvicinò a lei con la candela in mano.

“Strega, creatura immonda figlia del demonio, confessi di aver praticato rituali di magia nera per portare la carestia nel paese?” disse l’uomo urlando.

Isotta non rispose.

“Immonda creatura, confermi di aver mangiato le carni di bambini innocenti per raggiungere i tuoi vili e demoniaci scopi?”

Di nuovo non ottenne risposta.

“Se è questo ciò che desideri…” disse piano, sottovoce, con odio profondo.

L’uomo avvicinò la fiamma della candela al seno della strega. La carne cominciò a bruciare. Isotta urlò di dolore, le lacrime agli occhi non le consentivano di vedere più niente. Pochi secondi e la candela venne tolta.

“Strega, creatura immonda figlia del demonio, confessi di aver praticato rituali di magia nera per portare la carestia nel paese?” ripeté l’uomo.

“No, non sono stata io” urlò Isotta.

La candela si avvicinò di nuovo alla sua carne, nello stesso punto bruciato in precedenza mentre una piccola folla prendeva posto nella stalla per guardare il macabro spettacolo.

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