Dal Passato al Presente

di EleonorChamber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Senza catene ***
Capitolo 2: *** Prima della tempesta ***



Capitolo 1
*** Senza catene ***


Capitolo 1 - Senza catene



Era da parecchio che marciavamo. L’aria sapeva di mattino presto. Non era troppo fredda, però era umida e non era piacevole, con quella foschia sottile che avvolgeva i dintorni. Stavamo ancora attraversando la pineta che copriva le montagne, con i raggi deboli del sole che ci illuminavano a stento, trapelando tra i rami fitti degli alberi.

La frontiera ormai era lontana. A parte il cocchiere, sul carro c’eravamo io e altre tre persone, tutti prigionieri delle guardie Imperiali.

La notte era trascorsa lentamente sul carro scomodo e dondolante immerso nel freddo pungente, per cui quando avevo riaperto gli occhi ero stata accolta da una forte nausea. Loro erano stati arrestati con l’accusa di essere dei ribelli, proprio mentre stavo attraversando il confine: mi ero trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, e perciò gli Imperiali avevano pensato che fossi con loro.

Le mie mani avevano assunto una preoccupante rigidità, con un colorito più pallido del solito e sfumature violacee varie alle dita; le portai alla bocca e cominciai a riscaldarle col fiato come meglio potevo per fargli riacquisire un po’ di sensibilità. Sentivo anche un grande bisogno di alzarmi e distendere le gambe.

Solo fino a non molte ore prima ero ancora a Cyrodiil, mentre adesso mi trovavo con le mani legate, seduta su un vecchio carro scricchiolante diretto verso una città a me del tutto sconosciuta in un luogo del tutto sconosciuto, dove gli Imperiali mi avrebbero sicuramente processata. Avevo avuto l’intenzione di venire a Skyrim in cerca di un po’ di fortuna: ero nata e cresciuta a Cyrodiil, la Provincia Imperiale e il cuore cosmopolita dell’Impero, dove le antiche generazioni Nibeane della mia famiglia, da parte di mia madre, erano sempre vissute lì. Fin da bambina avevo sognato di diventare un’avventuriera, grazie alle storie e alle leggende che mio padre, un veterano di origini Nord, mi aveva sempre raccontato e alla passione che mi aveva trasmesso. Per questo mi ero separata dalla mia casa per andare in cerca di nuovi orizzonti da visitare ed esplorare; volevo conoscere nuove persone, scoprire nuovi luoghi e nuove culture, ma la guerra mi aveva ingannata. Era difficile avere un periodo di pace a Tamriel.

L’imboscata era avvenuta al tramonto, lungo la strada principale a pochi passi oltre la frontiera, mentre mi stavo dirigendo verso nord in cerca di un luogo sicuro in cui accamparmi per la notte. Gli Imperiali mi avevano tolto tutto, non che avessi avuto molto, ero partita da casa circa una settimana prima e avevo fatto una sosta di un paio di giorni presso la nevosa città di Bruma, per cui avevo preferito viaggiare “leggera” almeno finché non avessi trovato una sistemazione più solida a Skyrim.

Ma i miei vestiti, il mio cavallo, e quel poco di monete che mi ero portata dietro erano spariti, sostituiti da una veste sudicia e puzzolente con delle fasce per i piedi. Skyrim era una regione nordica, e quegli stracci non sarebbero serviti a proteggermi dal freddo. Per la notte ci avevano consegnato delle coperte consunte più simili ai medesimi stracci che indossavo, ma nonostante l’umido assiderante e la posizione scomoda ero incredibilmente riuscita a dormire per qualche ora – anche se spesso era più una dormiveglia.

Ero in silenzio a rimirare il paesaggio che mi circondava; ormai stavo cominciando un po’ a stufarmi di vedere la stessa natura che si ripeteva, percepire la stessa monotonia, lo stesso silenzio teso che ci avvolgeva, con la stessa selvaggina che s’incontrava di tanto in tanto, lo stesso profumo della linfa di pino tra gli alberi... ma sapevo anche che sarebbero state probabilmente le ultime cose belle che i miei occhi avrebbero visto.

Uno dei prigionieri, quello che mi era seduto di fronte, un Nord dai lunghi boccoli sporchi e disordinati, di un biondo brillante che gli ricadevano sulle spalle e rinvolto in un’uniforme in cotta di maglia e pelliccia con un mantello blu sistemato attorno al collo, alzò la testa verso di me, mi guardò per qualche attimo, mi sorrise e mi parlò.

<< Ehi, mi sembra che tu abbia l’aria smarrita. Non sei di queste parti, vero? >> Il suo tono era giovane, ma la barba incolta, lo sporco sul viso che ne metteva in risalto i lineamenti duri e le poche cicatrici che lo ricoprivano, lo facevano sembrare più vecchio di parecchi anni.

Anche se ero profondamente assorta nei miei pensieri, rapita dalla bellezza lussureggiante di quel luogo talmente umido e inospitale quasi quanto le paludi di Blackwood, fui richiamata dal suono pacato della sua voce, così distolsi lo sguardo dagli alberi per puntarlo su quello azzurro del Nord. << Qualcuno qui ha detto “Che Talos vi benedica” a uno di quei maledetti elfi, per caso? >>

L’uomo mi guardò ancora ed esalò una breve risata.

<< Stavi giungendo dal confine, quindi sei appena giunta a Skyrim, vero? >> aggiunse, senza abbandonare un leggero sorriso.

<< Infatti. E devo dire che non è stata proprio un’accoglienza piacevole come mi sarei aspettata... >>

Lui approvò con la testa, poi abbassò leggermente il capo e sospirò. << Mi spiace che ti sia ritrovata in questa situazione. Anche noi siamo finiti dritti in quell’imboscata Imperiale, proprio come lui >>, indicò con un cenno il prigioniero che gli sedeva accanto, un uomo dai capelli castani, mingherlino e dall’aspetto malnutrito, vestito di stracci come me. S’intravedevano dalla coperta che si stringeva indosso come meglio poteva per pararsi dall’aria fredda, e non stava tirando neanche un filo di vento.

L’ultimo prigioniero che era insieme a noi, il Nord che mi stava seduto alla destra, sfoggiava invece una corporatura decisamente più corpulenta e robusta che a confronto mi sentivo una bambina, con un volto dai lineamenti decisi e maturi, irrigiditi dal freddo e incorniciati da una criniera di capelli crespi di un colore a cavallo tra il castano chiaro e il biondo cenere e ornati da qualche treccia, gli occhi vitrei ridotti a fessure dall’evidente irritazione che trapelava. Indossava una nobile veste con un ampio mantello in pelliccia d’orso. Non sapevo dire all’incirca che età avesse, ma a vederlo sembrava andare poco oltre la quarantina. Oltre ad essere legato alle mani era stato pure imbavagliato, anche se in quel momento non ne capii il motivo. Era completamente impassibile, lo sguardo carico d’odio e rabbia.

Non potei fare a meno di osservarlo con più curiosità: appena lui se ne rese conto e ricambiò le mie attenzioni e i nostri sguardi s’incrociarono, mi sentii come se la mia anima fosse stata perforata da una lama affilata, come un pezzo di ghiaccio trafitto dal caldo ardente del metallo. Fu facilissimo rimanere affascinata da lui, e mi chiesi cosa mai volessero significare quegli occhi così taglienti verso di me.

<< Dannati Manto della Tempesta >>, mormorò con disprezzo il prigioniero vestito di stracci in risposta al soldato, rompendo la breve e surreale magia che si era instaurata tra me e quel Nord imponente. << A Skyrim andava tutto tranquillo prima del vostro arrivo. Nell’Impero regnavano pace e tranquillità! Se non ti stavano alle costole avrei potuto rubare quel cavallo ed essere già a metà strada per Hammerfell >>, poi si girò verso di me, << Ehi, tu. Noi… non dovremmo essere qui, l’Impero vuole questi Manto della Tempesta! >>

“E tu che volevi rubare il mio cavallo?”, misi una smorfia irritata. << Manto della Tempesta? >>, chiesi confusa.

<< Ormai siamo tutti fratelli e sorelle in catene… >>, mormorò con un ringhio amaro il soldato Nord seduto davanti a me, puntando lo sguardo avanti, verso la strada che stavamo percorrendo.

Io aggrottai risentita la fronte e lo guardai. << Io sono un’Imperiale proveniente da Cyrodiil, non sono la sorella di nessuno qui. Soprattutto dopo che mi hanno arrestata per causa vostra >>, replicai. Non ero molto a conoscenza degli eventi che si stavano susseguendo a Skyrim in quel periodo, sapevo solo che c’era una nuova guerra in corso, ma non sapevo nello specifico chi o cosa trattasse. Il viaggio mi aveva tenuta lontana dalle notizie che giungevano dal resto dell’Impero; perfino quando ero a Bruma non ci avevo prestato attenzione, occupata com’ero a pianificare la marcia da seguire per raggiungere il villaggio più vicino una volta superata la frontiera.

<< Silenzio là dietro! >>, si udì esclamare improvvisamente.

Il silenzio aleggiò per alcuni attimi. Poi, senza badare a ciò che la guardia Imperiale che guidava il carro aveva ordinato, il prigioniero vestito di stracci parlò di nuovo. << E lui che problema ha, eh? >> disse, rivolgendo l’attenzione sul Nord imbavagliato.

Anch’io ero curiosa di sapere chi fosse e cosa ci facesse. L’imponente uomo si girò a fissarmi per un attimo, poi rivolse uno sguardo acuto al prigioniero che aveva osato rivolgersi a lui in quel modo così sfacciato.

<< Vedi di tenere a freno la lingua >>, lo rimbeccò il soldato Nord. << Stai parlando di Ulfric Manto della Tempesta, il legittimo Re dei Re di Skyrim! >> mormorò, scandendo lentamente e in tono quasi minaccioso.

L’uomo rimase a bocca aperta a quella rivelazione e fu costretto ad abbassare lo sguardo. << Ulfric? Lo Jarl di Windhelm? Allora… sei tu il capo della ribellione! Ma se ti hanno catturato… Oh Dei, dove ci stanno portando?... >>

Cominciai a sentirmi più inquieta. Già il fatto di essere stata arrestata insieme a un gruppo di ribelli credendo di essere in combutta con loro non mi avrebbe permesso di scampare alla prigione molto facilmente, neanche spiegando che in realtà ero innocente e che si era trattato di un malinteso; non ne avevo le prove e la mia famiglia era lontana miglia e miglia. E se anche Ulfric, il capo della ribellione, era stato catturato, la sentenza per noi difficilmente si sarebbe limitata a una semplice prigionia a vita; l’accusa di alto tradimento nei confronti dell’Impero e dell’Imperatore contemplava ben altra sorte.

<< Non so dove stiamo andando >>, replicò il soldato Nord, riprendendo a guardare avanti, << ma Sovngarde ci attende. >>

Le mura di pietra della fortezza in cui eravamo diretti erano ormai in vista tra gli alberi bianchi. Stavamo percorrendo una lunga discesa e temevo che il carro si sarebbe ribaltato da quanto era ripida.

<< No, non può essere vero, non può… >>, tremò l’uomo vestito di stracci. Potei vederlo portarsi le mani alla bocca e iniziare quasi a mangiucchiarsi le unghie da quanto i denti gli battevano.

Seguirono alcuni istanti di un silenzio insopportabilmente opprimente e rimbombante; tutti noi ci voltammo a guardare avanti e le parole furono sostituite dalla tensione. Udivo solo il rumore degli zoccoli dei cavalli pestare sulle dure pietre della strada, gli urti delle ruote contro i sassi che facevano dondolare tutto il carretto, facendomi più volte rischiare di balzare giù dal sedile, i piagnucolii sommessi e disperati del brigante vestito di stracci seguiti dai rimbecchi sarcastici del soldato Nord, i rimproveri silenziosi di Ulfric. Stordire o spingere di sotto la guardia che guidava il carro per poi fuggire sarebbe stata solo questione di pochi e veloci attimi, ma non sarebbe stato facile farlo con quella nutrita scorta di legionari ad accompagnarci. E io non avevo alcuna voglia di aggravare oltre la mia situazione.

<< Ehi, ladro di cavalli, chiudi un po’ la bocca e calmati. Dicci, da quale villaggio provieni? >>, disse il biondo con aria quasi divertita. Sembrava piuttosto in vena di parlare, come se la situazione e la sorte che ci attendeva non lo preoccupassero affatto; se non avesse avuto le mani legate, sicuramente avrebbe anche messo un braccio attorno alle spalle dell’uomo che gli stava accanto.

L’altro si strofinò il viso con un lembo della coperta logora e tirò su col naso, prima di rivolgere lo sguardo avvilito verso di lui.

<< Perché me lo chiedi? >>

<< Gli ultimi pensieri di un Nord dovrebbero essere rivolti alla sua casa e ai suoi cari >>

<< Rorikstead. Io… io vengo da Rorikstead >> rispose, in maniera lenta e flebile, dopo qualche attimo di esitazione.

Distolsi lo sguardo e lo puntai malinconica verso la pineta. La mia casa, una modesta fattoria abbracciata dalle colline verdi e accarezzata dai venti miti del Nibenay, con la mia famiglia, mia madre, mio padre, i miei fratelli e le mie sorelle, probabilmente non li avrei mai più rivisti. Non avrei più rivisto i caldi volti di nessuno di loro, almeno finché non mi avrebbero, forse, un giorno raggiunta a Sovngarde; ero un’Imperiale, ma la mia fede e il mio cuore si rivolgevano anche a quel leggendario e meraviglioso luogo ultraterreno di cui tanto avevo sentito parlare nelle storie che mi aveva sempre raccontato mio padre.

Eravamo giunti alla città fortificata. Le ante del portone di legno si spalancarono per il nostro ingresso. << Generale Tullius, signore! Il boia sta aspettando! >>, annunciò una guardia dalla sua postazione di vedetta.

<< Bene, vediamo di concludere. >>

Il carro avanzò lentamente all’interno delle mura, marciando ancora lungo la strada che si insinuava fra le abitazioni. La gente del posto era tutta riunita ai margini, sporgendosi dalle terrazze dei portici o rimanendo in piedi sulla soglia delle loro case, a guardare incuriosita ma anche piena d’angoscia. Poco più avanti al nostro c’erano altri due carri colmi di prigionieri, pronti per essere sbattuti nelle segrete della fortezza o mandati al ceppo. Erano uno più terrorizzato dell’altro, ma non si lasciavano prendere dal panico e affrontavano coraggiosamente la situazione: nella gran parte erano Manto della Tempesta, osservando le loro uniformi in cotta di maglia argentea con i lunghi mantelli blu. Non ero assolutamente certa di riuscire a scamparla, ma nel frattempo osservavo con ansia ed interesse ciò che mi circondava. Skyrim era un posto molto diverso da Cyrodiil, sia come clima sia come architettura. Perfino Bruma non era quasi così pungente a confronto, ed eravamo soltanto nelle regioni meridionali della provincia.

Muovevo la testa prestando attenzione alla situazione e all’ambiente. Ancora una volta, tentare di fuggire non sarebbe servito a nulla, vedendo come il posto era gremito di legionari armati a sorvegliare la città, le mura e gli ingressi – non c’era da meravigliarsi, sapendo che lo Jarl Ulfric era lì. “Fino a poco tempo fa le mura e le torri Imperiali mi facevano sentire al sicuro”, considerai tra me e me.

<< Shor, Mara, Dibella, Kynareth, Akatosh. Divini, aiutatemi! >>, udii frignare dal prigioniero vestito di stracci, appena scorgemmo i legionari disposti in fila con le lunghe lance e gli archi in pugno, pronti ad ogni evenienza.

<< Guarda il governatore militare, il Generale Tullius. E a quanto pare i Thalmor sono con lui… >>, commentò rabbiosamente il biondo, indicando con lo sguardo un punto abbastanza lontano verso le abitazioni che stavamo superando, e che attirò la mia attenzione. << Maledetti elfi! Scommetto che c’entrano qualcosa. >>

Vidi il Generale Imperiale in piedi, appena sceso da cavallo, scortato da una minuscola truppa e in compagnia di un terzetto composto da alti uomini e donne con la pelle lucida e dorata, gli occhi chiari ed eleganti marcatamente a mandorla, i lineamenti nobili benché lievemente spigolosi, nasi dritti e sporgenti con una punta piuttosto affusolata. L’autorità elfica con la quale il Generale era intrattenuto sedeva aggraziata su uno stallone bianco, avvolta in una lunga uniforme nera ornata da rifiniture e fibbie in oro e gemme preziose, a marcare la sua altissima posizione nella gerarchia Aldmeri presente a Skyrim. Il che non mi sorprese, sapevo molto bene che gli Altmer esercitavano un potere piuttosto particolare ed influente sull’Impero, perfino più dell’Imperatore stesso.

Il carro lì superò e presto furono lontani dal mio campo visivo.

<< Questa è Helgen >>, disse all’improvviso il soldato Nord, interrompendo i miei pensieri. << Un tempo qui c’era una ragazza che mi era molto cara. Chissà se Vilod fa ancora quell’idromele con dentro le bacche di ginepro… >>, sfoggiò un tono vagamente mesto, immerso nei ricordi, mentre un sorriso gli attraversava il viso solcato dalla fitta peluria chiara.

<< Una storia finita male? >>, ne dedussi. Lui alzò brevemente le spalle e mantenne lo sguardo altrove.

Notai un bambino seduto sotto il portico della sua casa.

<< Chi sono, papà? Dove stanno andando? >>

<< Devi rientrare, piccolo >> disse suo padre lì accanto a lui, afferrandolo per mano per farlo alzare.

<< Perché? Voglio guardare i soldati >>

<< Entra in casa. Subito >>

<< Sì, papà… >>, rispose deluso il bambino, poi lo vidi sparire oltre la soglia.

<< Facciamo scendere i prigionieri dai carri. Forza! >>

<< P-perché ci fermiamo?... >>, pigolò il prigioniero vestito di stracci.

Fine della corsa. Il carro si fermò davanti ad una parete alta proprio sotto le mura, in uno spazio grande, con le case comuni e la locanda che rimanevano poco più indietro, mentre in fondo, oltre l’ampio arco di fianco a noi, che non era altro che un ponticello che collegava una parte all’altra del camminamento della cinta muraria del forte Imperiale, c’era la torre con il patibolo ad attenderci.

<< Secondo te? Fine del percorso… >>, rispose il soldato Nord. << Andiamo, non è cortese far attendere gli Dei. >>

Le guardie ci ordinarono di scendere, facendoci poi disporre in file ordinate di fronte ai carri. << No, aspettate! Non sono un ribelle! Questo è un errore! >>, gridò disperato il prigioniero vestito di stracci.

<< Affronta la morte con coraggio, brigante >>, lo rimbeccò ancora il soldato Nord.

<< Devi dirglielo, non eravamo con te! >>

Fu in quel momento che il panico m’invase, stringendomi nella sua morsa, facendo prepotentemente scemare la calma apparente che avevo mantenuto fino ad allora. Non ci avrebbero mai ascoltati.

Senza farmi vedere incrociai le dita e le nascosi sotto un lembo della veste sgualcita e iniziai a pregare, sussurrando nella maniera più flebile che riuscivo: << Azura… Kynareth… Akatosh… Stendarr… Kynareth… Meridia… Akatosh… Talos… aiutateci! >>, la mia voce era appena udibile per un orecchio attento. Pregavo. Invocavo a bassa voce. Desideravo ardentemente che in qualche modo le Divinità potessero ascoltarmi, che udissero la mia preghiera…

<< Stendarr, Dio della Misericordia e della Giustizia, non dovrei nemmeno essere qui; Kynareth, Dea del Cielo e dell’Aria… Akatosh, Dio del Tempo… Mara, Dea dell’Amore e della Compassione… Arkay, Dio protettore dell’Umanità. Il mio tempo non è ancora arrivato, io non ho mai smesso di credere. Ti prego, aiutami! >>

Una Imperiale in uniforme da ufficiale avanzò verso di noi, scortata da altri due legionari. << Avanzate verso il ceppo quando diciamo il vostro nome. Uno alla volta. >>

Un soldato accanto a lei, chiaramente di basso rango a giudicare dall’uniforme semplice e l’aria giovane quasi da recluta, srotolò un lungo foglio di pergamena e iniziò a leggere i nomi dei prigionieri, spuntando poi con un carboncino quelli che man a mano venivano eliminati e i prigionieri mandati al patibolo.

<< Oh, l’Impero adora le sue stramaledette liste >>, borbottò ancora ironico il biondo.

“Io non ci sono su quella lista. Forse… c’è una speranza”. Le fila di prigionieri diminuivano ogni attimo che passava, quando poi giunse il turno dei presenti del nostro carro: << Ulfric Manto della Tempesta, Jarl di Windhelm! >>

Ulfric, girato di schiena davanti a me, iniziò ad allontanarsi, avanzando a testa alta, fiero e dignitoso, verso la torre e fermandosi di fronte al ceppo, dove c’era il boia in attesa con l’ascia lucidata e affilata stretta nella mano. Lo Jarl sembrò non riserbare alcun timore nei propri occhi... quegli occhi limpidi e azzurri così tanto espressivi. Chinai lentamente il capo, e in silenzio sperai di ritrovare la sua anima a Sovngarde.

<< È stato un onore, Jarl Ulfric! >>, gridò pieno d’orgoglio il soldato Manto della Tempesta che mi stava accanto – e che lo era stato anche per tutto il viaggio.

<< Ralof di Riverwood! >>, e anche lui ci lasciò e il suo nome venne spuntato dalla lista. << Lokir di Rorikstead! >>, fu rivolto adesso al brigante.

<< No, non sono un ribelle! Non potete farmi questo! >> In preda al panico, e senza neanche tenere in considerazione la scorta di soldati da cui eravamo circondati, si precipitò lungo la strada che avevamo appena percorso, verso l’agognata uscita da quell’incubo. << Non voglio morire! >>, pianse.

<< Alt. ARCIERI! >>, ordinò la donna.

I legionari posizionarono i loro archi lunghi e scoccarono ognuno una freccia che si andò a conficcare come un aculeo d’istrice nella schiena del povero Lokir, che franò a terra con un urlo straziato mentre il sangue cominciava a sgorgare dalla sua schiena, ritrovandosi con la faccia rivolta verso il gelido piastrellamento della strada.

Ero rimasta sola.

<< Qualcun altro vuole discutere? >>, ringhiò l’ufficiale con tono alterato e chiaramente infastidito, girandosi di nuovo verso di noi con le mani poggiate sulla vita corazzata.

Nome dopo nome, tutte le persone prigioniere poco a poco si ritrovarono di fronte al patibolo o spedite nelle segrete, attendendo con impazienza, coraggio e terrore la loro fine.

<< Bene, vediamo di chiudere questa storia una volta per tutte >>, concluse infine l’ufficiale, poggiando una mano sul pomo della sua spada rinfoderata mentre si apprestava a muovere i primi passi per avviarsi alla torre.

<< Aspettate capitano >>, esclamò subito il legionario lì accanto a lei e bloccandola con il passo a mezz’aria, la pergamena ancora srotolata in mano e indicando poi me con lo guardo. Il mio cuore accelerò il ritmo del proprio battito: si era accorto che non ero nell’elenco. << Ehi, tu. Vieni avanti. … Chi sei? Come ti chiami? >>

Dissi il mio nome. Dissi che venivo dal Distretto della Città Imperiale, sperando che avessero avuto pietà per me e riconosciuto che non avevo nulla a che vedere con la guerra, che ero solo poco più che una ragazzina lontana da casa e vittima di un terribile equivoco.

E non appena feci sentire la mia voce, subito avvertii lo sguardo di Ulfric voltarsi verso di me. Conosceva i nomi di tutti quelli che erano stati chiamati in precedenza: sudditi, amici e soldati che avevano combattuto al suo fianco per la libertà della loro patria, ma il mio gli era completamente nuovo.

Le mie mani tremavano, il mio viso era pallido come la morte che mi attendeva, il cuore mi martellava nel petto, ma tenni la testa alta. Ulfric aveva dimostrato il suo coraggio senza opporre resistenza, né ai Thalmor né agli Imperiali, ma non avrei voluto buttare via i preziosi ultimi momenti che mi restavano senza rigettare tutto il mio rammarico a persone che non avevano a cuore il loro popolo. Ma decisi di trattenermi.

<< Hai scelto un pessimo momento per venire a Skyrim. Non lo sapevi della guerra in corso? Come mai sei così lontana dalla tua casa? >> nonostante il tono alto con cui parlò, negli occhi del giovane non vi era alcuna traccia di ostilità.

<< Pensavo che Skyrim potesse essere una buona meta per costruirmi un futuro. Forse non sarò stata una bravissima cittadina dell’Impero, giacché questa fortuna che speravo di trovare non mi ha accolto, ma non credo nemmeno di aver fatto qualcosa di talmente grave da meritarmi perfino… questo. >>

Seguirono lunghi attimi di tensione, e di riflessione. L’uomo ripercorse i nomi che aveva appena letto sulla pergamena più e più volte e con espressione sempre più perplessa, poi guardò verso l’ufficiale.

<< Capitano, cosa ne facciamo? Non è sulla lista >>, considerò preoccupato.

<< Lascia perdere la lista, lei va al ceppo >>, ma gli rispose lei con chiaro disinteresse.

<< Ma, signora, come possiamo… >>

<< Non m’importa se non è sull’elenco. Ho detto che finisce sul ceppo, come gli altri >>

<< Ho capito. Sarà fatto secondo i vostri ordini… Mi dispiace, e per di più non avrai nemmeno occasione di morire nella tua terra natia. Faremo in modo che i tuoi resti saranno riportati ai tuoi cari, a Cyrodiil. Ora segui il capitano, prigioniera. E niente scherzi >>, disse infine il soldato guardandomi con tristezza, forse perché aveva perfettamente capito la mia situazione e non poteva far più altro per scagionarmi.

La donna si mosse e io lentamente la seguii con occhi bassi, verso la piccola massa di prigionieri che attendeva davanti al ceppo. Muovevo con difficoltà i piedi uno avanti all’altro da tanto le gambe mi tremavano, un groppo duro in gola tremendamente doloroso da districare e incapace di realizzare che l’Impero mi aveva condannata senza tante indagini.

Quando tutti furono sistemati, il Generale Tullius si avvicinò ad Ulfric, gli si fermò davanti e lo scrutò da cima a fondo, nonostante fosse più basso del Nord di almeno una ventina di centimetri, per poi pronunciare con ira e disprezzo, senza lasciarsi intimidire dalla sua stazza disarmante: << Ulfric Manto della Tempesta. Qualcuno qui a Helgen ti chiama “eroe”. Ma un eroe non usa un potere come quello della Voce per uccidere il suo Re e usurparne il trono. >>

Il Nord cercò di ribattere, borbottando sottovoce, ma non poté aprire la bocca a causa della benda che gliela fermava, ma potei chiaramente udire che tentava di sputare veleno contro l’ingiustizia che stava per ricevere.

Se solo gli sguardi fossero stati in grado di uccidere... Il modo con cui lo Jarl di Windhelm fulminò l’anziano uomo fu terrificante, scaricandogli addosso tutto il suo indicibile odio.

<< Tu hai scatenato questa guerra, hai gettato Skyrim nel caos e ora l’Impero ti sconfiggerà per riportare la pace… >>, continuò Tullius senza badargli. Ma prima che il Generale potesse aggiungere altre crude parole, nell’aria risuonò uno strano rumore.

Una specie di lamento, ruggito o grido lontano. Tutti i presenti alzarono la testa verso il cielo parzialmente nuvoloso; era un suono che non mi era familiare a nessun animale, creatura o entità che avevo conosciuto prima di allora.

<< Cos’è stato? >> chiese qualcuno, da qualche parte accanto a noi. Dalla voce riconobbi che era il legionario Imperiale che fino a poco prima aveva scorso la lista dei prigionieri.

<< Non è assolutamente nulla che valga la nostra attenzione. Avanti, procediamo >>

<< Sì, Generale Tullius. Amministrate loro gli ultimi riti >> rispose il capitano, facendo poi spazio a una sacerdotessa rinvolta in una lunga tunica color corda e il cappuccio calato che le nascondeva parte del volto.

Si posizionò di fronte a noi, alzò le braccia e iniziò a recitare una preghiera; << Raccomandiamo le vostre anime ad Aetherius, che la benedizione degli Otto Divini vi accompagnino, perché voi siete il sale della terra di Nirn, il nostro amato… >>

<< Per l’amor di Talos! Fa’ silenzio e facciamola finita! >>

Un Manto della Tempesta la interruppe bruscamente e incominciò ad avanzare verso il ceppo. Era tipicamente biondo come la gran parte dei Nord ma, soprattutto, era giovane… fin troppo giovane. Doveva avere non più di ventitré anni. Il cuore mi martellava nelle orecchie.

<< Come desideri >>, replicò lei facendosi da parte.

Il soldato urtò volutamente con la spalla l’anziano governatore militare quando gli passò accanto; giurandolo a stento, credetti di aver visto il ragazzo attenersi a una risata derisoria.

<< Coraggio, non ho tutta la mattina >>, ringhiò spazientito. Aveva fretta di arrivare a Sovngarde?

L’ufficiale, la donna Imperiale, lo fece inginocchiare a forza, poi lo stese col piede sul piano del ceppo.

<< I miei antenati mi sorridono benevoli, Imperiali: potete forse dire lo stesso? >>, mi meravigliai nell’udire quanto la sua voce fu incredibilmente calma, priva di ogni preoccupazione, paura o esitazione.

Quindi il boia sollevò la lunga ascia al cielo e con un unico e violento colpo, accompagnato da un gesto di affaticamento dovuto alla pesantezza dell’arma, decapitò il povero Nord. La sua testa rotolò giù, andando a finire in un secchio subito ai piedi del patibolo mentre il sangue iniziava a sgorgare a fiotti dal suo collo aperto. Era davvero quella la mia fine?

<< Spavaldo nella morte come in vita >>, commentò mormorando Ralof, ma nel breve silenzio che calò sulla piazza si udì chiaramente. Mi stava proprio accanto: evidentemente notò la mia espressione sconvolta, perché si girò verso di me, mi diede una leggera e amichevole spallata e mi fece l’occhiolino.

Subito dalla folla dei prigionieri si levarono urla di protesta, contrastate dagli abitanti di Helgen fedeli all’Impero.

<< Bastardi Imperiali! >>

<< Giustizia! >>

<< Morte ai Manto della Tempesta! >>

<< Fate silenzio! >> ordinò l’ufficiale, e quasi all’istante piombò un profondo silenzio uggioso. << Avanti, il prossimo. Portatemi la ragazza Imperiale!... >>

Di nuovo l’aria si riempì dello stesso identico strano suono di poco prima, che risuonò molto più vicino, potente e terribile; perfino gli uccelli avevano smesso di cantare, seguito dai nuovi bisbigli allarmati dei presenti appena ebbe finito di echeggiare tra le montagne. “Quale razza di forza della natura può generare un suono simile?”, mi chiesi.

<< Di nuovo, lo avete sentito? >>

<< Il prossimo prigioniero, ho detto! >>, ringhiò la donna.

Il solito giovane legionario Imperiale mi guardò e mi indicò di andare, intimandomi anche senza fare scherzi. << Sul ceppo, prigioniera. >>

Era giunto il momento, e ormai non potevo più fare niente.

Dopo qualche istante di esitazione, contando ed assaporando i miei ultimi attimi, come mossi il primo passo temetti che le gambe non mi avrebbero retto. Mi mancavano le forze, gli occhi bruciavano e la vista mi si era appannata, dalla rabbia, dall’angoscia e dalla disperazione... poi in qualche modo mi accorsi che gli occhi vitrei di Ulfric erano ancora una volta puntati su di me, e probabilmente non mi perse di vista per tutta la scena che seguì.

Avanzai lentamente all’ombra della torre. Il cadavere del condannato precedente fu fatto scivolare al fianco del ceppo, inciampai sulla sua gamba, poi la donna mi costrinse ad inginocchiarmi come già aveva fatto con quello sfortunato ragazzo, puntando il suo sporco stivale sulla mia schiena per spingermi in avanti. Con un tonfo sbattei la testa sulla pietra bagnata dal sangue fresco, e la vista mi si annebbiò ulteriormente.

Era il momento: tutto sarebbe finito lì, nell’istante in cui l’ascia avrebbe reciso la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa. Tutto stava finendo prima ancora che cominciasse. Avevo sentito dire molto spesso che sul punto di morte la vita ti scorreva davanti agli occhi. Non sapevo se crederci, ma in quel momento non sentii e non vidi assolutamente nulla. Avevo compiuto vent’anni che da poche settimane ed ero sempre vissuta alla fattoria dei miei genitori. Il mio desiderio era stato esplorare il continente, quando invece mi attendeva l’eterno riposo ad Aetherius senza che la mia vita avesse potuto davvero cominciare.

Il boia si preparò a sollevare una seconda volta la sua lugubre ascia d’ebano, guardandomi attraverso le fessure strappate del suo cappuccio tetro identico alla morte, la morte in persona. Ma…

~

Come un miracolo mandato dal Cielo, successe qualcosa di puramente inaspettato che mi salvò da quella stramaledetta situazione. Da dietro la sua figura nera vidi comparire un’altra sagoma oscura, in volo e che ruggiva.

<< Sentinelle! Cosa vedete? >>, esclamò il capitano.

<< È tra le nuvole!... >>, la risposta impaurita giunse dopo alcuni attimi confusi.

Il boia, incapace di sollevare la sua spaventosa arma, fu catturato nella visione di ciò che si aggrappò con un boato sul bordo della sommità della torre, reggendosi con gli artigli uncinati delle lunghe braccia palmate alle pietre.

<< Per l’Oblivion! Che razza di diavoleria è mai questa?! >>, udii esclamare il Generale Tullius, incredulo ed impressionato, da qualche parte alle mie spalle.

<< Per gli Dei! Un drago! >>, gridò terrorizzato qualcuno. << Ma come…? >>

La creatura rimase a fissarci per un istante: era enorme, ricoperta di scaglie e spuntoni neri come il carbone, la testa era sormontata da due magnifiche corna ricurve, lunghe e acuminate, i suoi grandi artigli affilati avrebbero fatto intimidire perfino la bestia più feroce di tutta Tamriel, e dalle narici il suo respiro caldo generava nubi a contatto con l’aria fredda.

Ringhiò qualcosa, come in una sorta di lingua; inspirò, e dalle sue fauci fuoriuscì un’immensa onda d’urto che risuonò come un assordante tuono e il cielo si fece improvvisamente scuro. Le nuvole cominciarono a girare vorticosamente e una tempesta di meteoriti iniziò a propagarsi sulla città come una pioggia infuocata. Tutti i presenti arretrarono bruscamente quando l’onda eterea li investì, sguainando poi ognuno gli archi o le spade.

<< Non rimanete lì a guardare! Uccidiamo quella cosa! >> gridò Tullius, benché con un chiaro velo d’insicurezza.

Quell’incredibile e misteriosa forza investì anche me nella sua traiettoria, facendomi stordire e girare la testa, quando poi ritrovai appena la forza per sollevare di poco il busto.

Il drago lanciò un secondo potente ruggito, si staccò dalla torre spiegando gli ampi arti anteriori che erano le sue ali e si perse nella coltre di fumo che aveva oscurato il sole. La tempesta di meteoriti che la creatura aveva scatenato si era già dissolta.

Pochi istanti bastarono, e la città era ridotta in macerie e roghi sparsi. Gli Imperiali si occuparono ad inseguire e mirare al drago, così che io, non appena la confusione cominciò a diradarsi e le immagini tornarono ad essere un po’ più nitide, potei trovare l’opportunità di alzarmi e fuggire.

<< Forza, alzati e andiamo! Gli Dei non ci concederanno una seconda possibilità! >>, mi spronò una voce familiare.

Vidi il volto ancora leggermente confuso di Ralof accanto a me, Ulfric era oltre le sue spalle insieme ad altri pochi compagni d’armi e stava correndo a rifugiarsi nella torre sulla parte opposta della piazza. << Da questa parte! >>

Mi aiutò a mettermi in piedi sorreggendomi per le braccia, per un attimo barcollai, poi insieme ci affrettammo ad unirci agli altri senza pensarci due volte per toglierci da quell’inferno.

<< Per i Nove! >>, esclamò non appena fummo al sicuro nell’interno della torre. Vidi che si erano già liberati delle corde che gli fermavano i polsi e lo Jarl poteva di nuovo parlare. << Quello… era davvero un drago! Che le leggende siano vere? >>

<< Le leggende non bruciano i villaggi e le città >>, considerò Ulfric massaggiandosi i polsi segnati dalle corde, poi notò che io invece mi trovavo ancora impedita. << Ralof, aiutami a vedere se c’è un pugnale o qualcos’altro qui da qualche parte per liberare questa ragazza. >>

Ma dopo alcuni attimi di ricerca, Ralof scosse sconfitto la testa. << Spiacente, non riesco a trovare niente che ci possa essere utile, qui >> mormorò, ma subito mi rassicurò con un sorriso bonario. << Beh, non preoccuparti. Resta con noi e troveremo una soluzione a tutto >>

<< Dobbiamo muoverci, ora! >>, s’affrettò Ulfric.

<< Su per la torre, avanti >>, spronò Ralof, cominciando poi a correre su per le scale. << Da questa parte! Avanti! >>

Ci dirigemmo tutti insieme verso la sommità della torre, anche se non era facile salire a corsa con le mani legate senza rischiare di inciampare o di cadere. Ma giunti a poco più di metà scala, una parte della parete esplose improvvisamente, i massi schizzarono violentemente a terra andando a schiacciare due dei nostri compagni, e io mi ritrovai di fronte al grosso muso sbuffante del dragone, talmente grande che neanche un intero carretto sarebbe riuscito a contenerlo.

A causa dei polsi fermati che non mi consentirono di mantenere l’equilibrio né di aggrapparmi a qualcosa, impacciata com’ero rischiai di precipitare nel vuoto che si apriva oltre il ciglio della scalinata, ma per fortuna mi accucciai in tempo per riacquisire stabilità.

La bestia mi guardò con infinita crudeltà e un’aura di supremazia quasi divina. I suoi spaventosi occhi rossi brillavano come rubini e le sue squame erano dure e lucenti da sembrare lamine di scudi, come un’impenetrabile armatura, e dalla sua bocca digrignante, così come dalle narici, fuoriuscivano nastri di fumo denso mischiato alle scintille ardenti. Era un animale infernale, tuttavia maestoso, fiero ed elegante. Non so se fu solamente una mia impressione, ma vidi il drago scoprire ancor più i denti quasi in una sorta di ghigno.

<< Hin sil fen nahkip bahloki, Dovahkiin! Zu’u lost daal! >>, ringhiò. Parlava?

Poi inspirò e mi lanciò contro un getto di fuoco, << YOL TOOR SHUL! >>, che riuscii a schivare appena in tempo e a ripararmi dietro un pilastro, poi richiuse le fauci e riprese il volo. La torre tremò al suo spostamento e temetti che a momenti avrebbe ceduto.

<< Tutto bene, mio Jarl? >>, disse Ralof aiutando Ulfric a rialzarsi.

Ci eravamo ritrovati in mezzo ad un mucchio di macerie e ceneri ancora infuocate, sull’orlo della scalinata, con il rischio costante di precipitare sul fondo della torre.

<< Sto bene, ma ora non perdiamo altro tempo. Forza! Prima che il drago rada al suolo la torre! >>

Non persi un secondo di più e mi affrettai a raggiungere i due Nord che erano corsi ad affacciarsi al buco nella parete aperto dal drago, evitando e scavalcando i massi che ingombravano il passaggio.

<< Vedi la locanda dall’altra parte? >>, mi sussurrò lo Jarl. << Quella è la nostra via d’uscita. Tu e Ralof andate avanti. Una volta che avrete attraversato le abitazioni adiacenti sarete proprio di fronte all’edificio principale. Rifugiatevi lì dentro e fuggite dai sotterranei, più sicuri dalla minaccia del drago. Tutto chiaro? Avanti, svelti. >>

Osservando meglio il panorama disastrato che si apriva sotto i nostri occhi, lì per lì credetti di non aver capito bene.

<< Come facciamo? >>, dissi.

<< Saltate >>, rispose Ulfric.

Io lo guardai accigliata. “Questo è matto…”

<< Non c’è più tempo per esitare, andate e continuate a correre! >> ripeté in ordine, notando la mia perplessità e spingendomi leggermente in avanti per spronarmi. << Ci ritroveremo più tardi. Che Talos vi protegga. >>

Ralof mi agguantò saldamente per un braccio e mi trascinò insieme a lui giù dalla torre, atterrando sulla paglia che rimaneva del tetto della locanda, dopodiché cercammo di aprirci un varco nel caos che ancora divampava tra le macerie fumanti e quelle ancora in fiamme delle botteghe e delle abitazioni, fra i corpi bruciati che giacevano sui pavimenti e sulle strade.

Da cittadina silenziosa e pacifica, Helgen si era in poco tempo trasformata in un putiferio, un concentrato di urla, grida, frecce che saettavano ovunque, con un’aria che odorava di fumo, cenere, legno bruciato… e a tratti di carne cotta. Vidi i soldati Imperiali morire uno dopo l’altro nel fuoco e nelle fauci della creatura.

<< Che stai facendo? Spostati dalla strada! >>

<< Haming, vieni qui! >> Notai il bambino che all’inizio sedeva sulla soglia della propria casa, ora distrutta, cercare di mettersi in salvo insieme a un gruppo di guardie Imperiali. << Stai andando alla grande, piccolo… >>

<< Per gli Dei… State tutti indietro! >>, gridò qualcuno che era insieme a loro.

<< Haming, devi venire qui! Ora!... Dammi la mano, ti tiro fuori da qui… >>

<< Nivahriin joorre!... >>, ruggì il drago in volo sopra di noi, e quasi subito dopo una nuova vampata ardente investì i bastioni della fortezza, propagandosi anche lungo la parete sottostante dove il gruppetto cercava di ripararsi.

Presto li persi di vista, e con profonda amarezza supposi che il destino del bambino si sarebbe infine rivelato identico a quello di tutti gli altri abitanti e i legionari di Helgen. Il Generale Tullius, al contrario, sembrava sparito.

Le frecce che i soldati scagliavano contro la bestia parevano ramoscelli d’albero a confronto, frantumandosi contro la sua spessa corazza di scaglie. Cosa avrebbero dovuto fare per uccidere quel mostro?

<< Ralof! Maledetto traditore, vattene! >>, esclamò un legionario, lo stesso che mi era più familiare e che aveva mostrato compassione per la mia condanna.

Il Nord lo fulminò con lo sguardo: evidentemente dovevano conoscersi da anni, perché il tono e le occhiate che i due si scambiarono erano tipiche di chi un tempo era stato in buoni rapporti. << Stiamo scappando, Hadvar. Stavolta non ci fermerai… >>, ribatté.

<< Bene. Spero che quel drago vi spedisca tutti a Sovngarde! >>

A quel punto ci superò correndo e si diresse verso l’ingresso principale dell’edificio, sparendo all’interno insieme ad alcuni civili superstiti e qualche altro soldato.

<< Tzè!... Avanti, andiamo >>, sbuffò il biondo, girandosi verso di me per guardarmi.

Io e Ralof entrammo finalmente nella fortezza tramite un accesso secondario. La sala che si apriva oltre l’atrio si presentò deserta, piuttosto spaziosa e circolare, con un pregiato tappeto posizionato a losanga nel mezzo. L’aria era pesa e sapeva di chiuso. Ma l’ambiente era anche pressoché vuoto, con poche panche sistemate lungo le pareti ornate da dei vecchi stendardi Imperiali, che benché fossero polverosi davano un minimo di colorito su quei mattoni mezzi ammuffiti, un tavolo con sedia, ridicolmente piccolo rispetto allo spazio della sala e alcune celle.

Dopo aver ripreso fiato, Ralof si chinò sul corpo senza vita di un compagno Manto della Tempesta massacrato di fronte alle prigioni, sussurrando poi dopo alcuni attimi di silenziosa preghiera: << Ci rivedremo a Sovngarde, fratello. A quanto pare siamo gli unici che ce l’hanno fatta… >>

Eravamo al sicuro all’interno delle mura, ma ancora si udivano i terribili ruggiti ovattati della bestia giungere da fuori, quasi fosse stato lì dentro insieme a noi, seguiti dalle grida della gente che tentava invano di sfuggire alla sua furia.

<< Dobbiamo muoverci, gli altri ci raggiungeranno appena possibile. Vieni, fammi vedere se riesco a liberarti… >> Raccolse un pugnale dal cadavere del soldato e lo usò per tagliarmi le corde. << … Ecco fatto! Puoi anche prendere l’equipaggiamento di Gunjar, tanto non credo gli servirà ancora. >>

Mi vide esitante. Non mi piaceva depredare i morti, per nessuna ragione. << Avanti, prendi pure senza vergogna. Non c’è niente di male nel prendere in prestito un’arma >>, sorrise.

In effetti non potevo nemmeno permettermi di aggirarmi per la fortezza senza possibilità di difesa: mia madre era sempre stata una maga abile, per cui mi aveva insegnato alcuni incantesimi elementari per potermi difendere in assenza di armi. Ma non sempre le pochissime capacità arcane di cui disponevo si rivelavano sufficienti, abbastanza potenti o adatte a qualunque situazione, inoltre ero addirittura meno di una principiante nel campo della magia. Me la cavavo decisamente meglio nell’uso delle armi a una mano e ancor più con gli archi, un’arte che mi era stata voluta insegnare da mio padre. Quindi mi avvicinai al corpo, mi piegai lentamente e raccolsi l’ascia che era ancora custodita nel suo fodero.

<< Come te la cavi con quella? >>, mi chiese Ralof, fermo in piedi con le mani poggiate sui fianchi.

<< Posso cavarmela >>, annuii in maniera pratica.

<< Prova a menare un paio di fendenti. >>

Io lo guardai per un attimo, poi mi girai verso il centro spoglio della sala e mi misi in posizione di guardia. L’ascia era piccola, semplice e di ferro, piuttosto leggera rispetto ad altre armi che avevo impugnato, ma molto sbilanciata per i miei gusti. Colpii l’aria di fronte a me con dei fendenti impacciati e ben poco aggraziati, quando sentii un mugolio abbastanza soddisfatto da parte del Nord giungere a pochi passi dalle mie spalle.

<< Direi che può andare. Forse avrai bisogno di un po’ di allenamento, ma di certo saprai cavartela per uscire da qui. Ora vieni, vedo se riesco a trovare una via d’uscita… No, questa è bloccata... Vediamo con quel cancello… >>

Ci avviammo verso la parte opposta della sala. Uscire dalla fortezza non fu molto semplice: le stanze, i sotterranei, le lugubri sale di tortura e la caverna adiacente brulicavano di Imperiali che cercavano di ripararsi dal caos di fuoco e morte là fuori, oltre alle bestie feroci che vi dimoravano quali orsi ed enormi ragni velenosi.

Durante la lotta inciampai in uno scalino e mi graffiai una gamba a un paletto appuntito, ma anche se la ferita non era preoccupante decisi di ricorrere alla magia di Cura, nonostante avrebbe significato consumare energie in quel momento così preziose, per poter riuscire a camminare in maniera più rapida e non rischiare che prendesse infezioni. Trovammo anche alcuni Manto della Tempesta scampati alle grinfie della creatura, ma non vedemmo Ulfric insieme a loro; molti di loro, stremati dalla prigionia e dalla fuga, ci diedero man forte e caddero negli scontri contro le guardie Imperiali. Quando poi tornò la calma, i sopravvissuti, quei pochi che potei contare sulle dita di una mano, si separarono da noi e si apprestarono ad occuparsi dei feriti e dei possibili superstiti che erano rimasti indietro.

Così, alla fine di tutto, rimanemmo di nuovo solo io e Ralof. Uscimmo dalla caverna naturale che si estendeva a pochi metri di distanza da Helgen.

Si vedeva la coltre di fumo salire da dietro la foresta di pini parzialmente coperta di neve, quando all’improvviso risuonò un ruggito sinistro proveniente da quella medesima direzione. << Aspetta!... >>, bisbigliò Ralof, nascondendosi prontamente sotto le fronde degli alberi.

Io lo imitai quando udii anche il rumore di uno sbattere d’ali: il drago aveva terminato il suo massacro e si stava allontanando verso l’orizzonte nordorientale. Avrebbero potuto sentirlo a miglia e miglia di distanza; ben presto, tutta la provincia si sarebbe resa conto della sua presenza.

 

Appena quell’ombra fu scomparsa tra le vette e i ruggiti divennero un cupo eco lontano, Ralof tirò un soffio di sollievo.

<< Per fortuna se n’è andato. Per Shor, quella creatura era davvero un drago! Come nelle leggende e nelle favole. Il precursore della Fine dei Tempi… >>, esclamò incredulo, uscendo dal suo rifugio tra le frasche. << Mai avrei pensato di vederne uno nella mia vita, i draghi si erano estinti molto tempo fa. >> “Evidentemente non è davvero così”, pensai. << Non sapremo mai se qualcun altro si è salvato oppure no, a parte Ulfric >>

<< Credi che Ulfric se la sia cavata? >>, gli chiesi, dubbiosa.

<< Certo. Non basta un drago per fermare Ulfric Manto della Tempesta! >>, disse lui tutto orgoglioso. << Intanto, quel che è certo, è che presto qui pullulerà di Imperiali. Per cui non ci conviene restare, sarà meglio andarsene… >>

Fece per incamminarsi, ma si bloccò e mi guardò: << Anzi, perché non vieni con me? Mia sorella Gerdur gestisce la segheria a Riverwood, è un piccolo villaggio qua vicino, da qui ci arriveremo benissimo anche a piedi. Tu sei nuova a Skyrim, sono certo che saprà come aiutarti >>, sorrise.

Mi limitai ad annuire, quindi l’uomo iniziò a camminare attraverso la vegetazione della collina in discesa e io subito lo seguii, benché fossi un po’ incerta su ciò che sarebbe accaduto dopo e se accettare o meno il suo consiglio. Dopotutto eravamo scampati alla morte insieme, inoltre ero completamente un’estranea in quel luogo, una guida mi sarebbe stata sicuramente utile.

<< Senti, Ralof, mi spieghi perché stavate per essere giustiziati? >>, chiesi pochi passi dopo.

Lui si girò e mi guardò torvo. << Davvero non lo sai? Era Ulfric Manto della Tempesta in persona. Vedo che la gente di Cyrodiil ha altre cose a cui pensare… >>

<< Non ho prestato molta attenzione ai recenti eventi. Certo, ho sentito parlare dello Jarl Ulfric e so di questa guerra, ma non conosco le precise cause. C’entra l’abolizione del Culto di Talos? E questi ribelli? >>

<< È molto semplice. Ulfric è il nostro comandante, il capo dei Manto della Tempesta. Creò i Manto della Tempesta diversi anni fa. I Nord sono stanchi di versare il loro sangue per le guerre dell’Impero e pagare la sua dissolutezza con le nostre tasse.

Ulfric è il nostro legittimo Re dei Re, e ci sta guidando alla lotta per liberare Skyrim dalla supremazia Imperiale una volta per tutte. Noi Manto della Tempesta siamo i ribelli che si sono uniti ad Ulfric Manto della Tempesta in questa lotta. >>

A quel punto tra di noi calò il silenzio. Il paesaggio che ci circondava era per lo più taciturno, lontano da qualunque fonte artificiale o insediamento, ma era pieno dei suoni della natura, dal flebile soffio del vento ai canti occasionali degli uccelli.

Anche se stavamo camminando il mio corpo si stava sempre più raffreddando, calmandosi dopo la corsa, la lotta e l’ardore assorbito dai roghi di Helgen, per cui la mia pelle cominciava a irrigidirsi. Mi strinsi nella veste sgualcita che ancora indossavo, strusciandomi le braccia per cercare calore. Ralof se ne accorse, così si sganciò il lungo mantello blu dalle spalle e me lo poggiò indosso; era di un tessuto ruvido e pungente, ma piacevolmente caldo.

<< Sai, >> mormorò, << credo proprio che dovresti venire con me anche a Windhelm e unirti ad Ulfric nella lotta per liberare Skyrim >>

<< Dici? >> risposi, guardandolo incuriosita.

<< Certo. Qui oggi hai visto il vero volto dell’Impero. Come potresti restare ancora dalla sua parte? >>

Mi sentii impreparata a una domanda e una proposta simile, ma bastarono pochi attimi di riflessione per riordinare le mie considerazioni e formulare una nuova idea. << Ecco… in realtà fino adesso la mia fedeltà si è sempre limitata all’obbedienza e il rispetto per l’Impero. Ma ora sento anche di provare disgusto per la crudeltà e l’ingiustizia che ha dimostrato. Fino a poco tempo fa credevo di essere al sicuro fra gli Imperiali, di essere parte di loro come lo è parte della mia natura, ma l’Impero mi ha anche condannata ingiustamente e… insomma, solo perché ho attraversato una frontiera, perché pensare di far parte di un gruppo di ribelli? E poi, ciò che l’Impero e i Thalmor vi hanno fatto… è terribile >>

<< Ecco perché dovresti unirti alla nostra causa >>

<< Non mi sono mai interessata alla politica. Pensi davvero che dovrei unirmi a Ulfric? Io, un’Imperiale? >>

<< Certamente! >>, affermò Ralof con un gran sorriso. << Non importa essere un Nord per combattere per la libertà di Skyrim. E sono certo che cambierai presto idea riguardo alla tua idea sulla politica. Fidati. La guerra la sentirai anche tu molto presto, se deciderai di restare qui. Ma se non facciamo qualcosa, la vita diventerà molto dura con i Thalmor al potere >>

<< E con il drago cosa facciamo? >>

<< Se c’è qualcuno che è a conoscenza della venuta del drago, quello è Ulfric >>

<< Tu credi davvero che Ulfric sappia da dove è venuto? >>, chiesi.

<< Be’, non proprio. Forse no. Era da più di un’Era che non si vedevano draghi a Skyrim. Ma da qualunque luogo sia giunto quel drago, e qualunque cosa voglia, Ulfric lo scoprirà. Puoi contarci. Inoltre, tu ora hai le tue questioni da risolvere con l’Impero… e il drago. >>

Guardai verso il sentiero che stavamo percorrendo e abbassai ancora indecisa la testa.

<< Ci devo pensare >>

<< Capisco, non devi decidere subito. Ma io so che dopo che avrai riflettuto su quello che hai visto oggi, capirai che Skyrim merita di essere liberata. Come diciamo noi, combatti bene o muori con onore. >>

Mi strofinai il naso e mi rinvolsi meglio nel mantello.

Decisi di cambiare discorso. << Dov’è Riverwood? È molto lontana da qui? >>

<< No, è lungo la strada. Non ci vuole molto se ci sbrighiamo. Sta per tramontare, cerchiamo di arrivare prima che faccia buio. Di notte si aggirano creature sinistre anche per le strade >>

<< Lupi? >>

<< Peggio. C’è anche di peggio dei lupi, qui a Skyrim >>, mormorò cupo Ralof buttando occhiate attorno.

Il sole era quasi all’orizzonte, palesandosi di un colore più aranciato mentre si apprestava a calare. Avevamo raggiunto la strada principale e notai che ci stavamo anche avvicinando ad un fiume, udendo l’impeto di una cascata.

Skyrim era un ambiente decisamente più suggestivo rispetto a Cyrodiil; con i suoi panorami mirabili, la tipica tundra e le distese innevate, i fiumi cristallini con i grandi laghi simili a specchi. Era un luogo in cui le alture più vertiginose regnavano sovrane, ed era irto di colline perfino sulle poche pianure presenti: era difficile trovare delle zone pianeggianti a Skyrim, ma le maggiori di esse dominavano quasi prevalentemente sul feudo centrale in cui mi trovavo in quel momento.

Io e il mio compagno di viaggio stavamo seguendo la strada che si allungava a fianco ai margini del Fiume Bianco, come i Nord da sempre lo chiamavano. Oltrepassate le sue possenti cascate, scorsi una maestosa struttura di pietra che si stagliava sulle pendici della montagna nevosa, abbarbicata sulle sponde opposte del corso d’acqua, mentre davanti a noi s’intravedevano i tetti distanti di Riverwood. Ralof mi disse che quelle rovine appartenevano ad un antichissimo tumulo Nord e mi confidò che non riusciva a comprendere come facesse sua sorella a vivere all’ombra di un simile luogo.

Alla fine del viaggio, quando la notte stava lentamente scendendo, io e Ralof giungemmo finalmente all’insediamento, dopo aver abbattuto un minuscolo branco di lupi che ci aveva teso un agguato lungo la via con l’intenzione di ridurci nel loro pasto.

Ralof sorrise sospirando, come sull’orlo di piangere dalla felicità, e insieme varcammo il confine sotto il pontile di veglia del villaggio.

Avevo reclamato la mia libertà e potevo finalmente vivere Skyrim come meglio credevo.


 

> Dizionario delle frasi draconiche:

Hin sil fen nahkip bahloki: La tua anima alimenterà la mia fame

Zu’u lost daal: Sono tornato

Nivahriin joorre: Mortali codardi


 

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Capitolo 2
*** Prima della tempesta ***


Capitolo 2 - Prima della tempesta

 

Giungemmo a Riverwood quando le stelle cominciarono ad accendersi nel cielo, ancora tinto di varie tonalità di rosso e di arancio sempre più fredde. C’erano poche guardie di pattuglia e la vita nel villaggio sembrava poco movimentata, soprattutto silenziosa.

Stava imbrunendo, per cui gli abitanti si apprestavano a terminare le proprie attività per rincasare o dirigersi alla taverna; era un pittoresco paesino rurale Nord, antico chissà quanti secoli, che si sviluppava sulla strada principale sul margine del fiume e si estendeva con poche altre capanne verso la rigogliosa pineta che sembrava quasi inghiottirlo, al ridosso della montagna. Il posto sapeva di vecchio, e di sicuro i locali dovevano essere gente poco incline ad allontanarsi dalla propria casa, vivendo di legname, orto e bestiame.

Ralof mi spiegò che Riverwood, all’apparenza piccola e insignificante, era un’importante fonte economica all’interno del feudo, poiché la legna che veniva lavorata nella sua segheria serviva per rifornire Whiterun, la capitale.

<< La nostra famiglia si stabilì qui alcune generazioni fa >>, mi raccontava. << All’inizio i miei antenati erano boscaioli. Mia sorella e suo marito Hod adesso gestiscono la segheria. Poi abbiamo Alvor e sua moglie Sigrid, che si guadagnano il pane affilando asce e riparando la segheria… Mh, sembra che nessuno abbia visto il drago; probabilmente non è ancora passato di qui >> osservò poi, notando la monotonia degli abitanti. << Vieni, andiamo a vedere se Gerdur è ancora alla segheria. >>

Girammo sul pontile che si allungava sulla sinistra subito oltre la postazione di guardia e ci fermammo su un isolotto puntellato da qualche albero, dove la segheria si affacciava sulle correnti cristalline. I tronchi tagliati ma ancora da lavorare erano stati ammassati da una parte, c’erano anche un piccolo tavolo da lavoro e un ceppo per tagliare la legna.

Una donna alta dalla pelle abbronzata e sporca si girò verso di noi: << Gerdur! >>, esclamò Ralof allargando le braccia e andandole in contro.

<< Fratello! Mara è misericordiosa, come sono felice di vederti! Eravamo così in pensiero... Abbiamo saputo che Ulfric è stato catturato. Stai bene? >>, disse lei dandogli uno stretto abbraccio, e senza curarsi che le sue mani guantate e il suo grembiule da lavoro fossero ricoperti di terra e segatura. Anche se, a ripensarci bene, non potevo dire che in quel momento pure noi versavamo in uno stato più decoroso di lei.

Aveva la chioma di un biondo paglia identico a quello del fratello, con le ciocche davanti raccolte in una treccia poggiata su dei lunghissimi boccoli lasciati sciolti.

<< Adesso sì, puoi stare tranquilla >>, la rassicurò Ralof.

<< Sei ferito? Da dove arrivi? Che è successo...? Chi c’è con te? >>, esclamò freddamente Gerdur, appena si rese conto che ero lì.

<< Un’amica. Presto una compagna. Le devo la vita! >>, sorrise riconoscente Ralof, girandosi per guardarmi. Io gli sorrisi di rimando, poi lo vidi riportare gli occhi sulla sorella. << Gli Imperiali ci hanno deportati a Helgen, ma grazie agli Dei siamo riusciti a scampare alla forca appena in tempo. Mi ha aiutato a fuggire, e senza di lei sarei sicuramente morto >>

<< Qui siete al sicuro ora >>, mormorò Gerdur. << Ve la siete fatta a piedi da Helgen? Per Talos, con quello che avete passato sarete esausti e affamati! >>

<< Sorella, c’è un posto tranquillo in cui possiamo parlare? Non c’è modo di sapere quando gli Imperiali sapranno di quanto è accaduto a Helgen... >>, la interruppe Ralof abbassando la voce, nella speranza di non attirare l’attenzione della poca gente che ancora attraversava le vie del villaggio o delle guardie. Entrambi avevamo i vestiti ricoperti di cenere, polvere e sangue, mezzi stappati e i miei erano anche bruciacchiati su più punti.

<< Certo. Seguitemi, vi porto a casa mia. >>

Si guardò un attimo attorno e con più discrezione possibile ci facemmo condurre dall’altra parte del villaggio, senza proferire parola, se non da Gerdur per darci delle brevi indicazioni lungo il tragitto, per evitare di attirare l’attenzione e sperando che le persone in giro avrebbero scelto di ignorarci; la notte stava scendendo, per cui anche le ombre del tramonto avrebbero aiutato a mascherare le nostre pessime condizioni.

La notizia della cattura dello Jarl di Windhelm doveva aver già fatto il giro di tutta Skyrim, e probabilmente con più velocità si stava spargendo la notizia della venuta del drago, se qualcun altro era sopravvissuto alla carneficina o se quel mostro era stato avvistato altrove: se gli abitanti di Riverwood si fossero resi conto da dove provenivamo, saremmo stati sicuramente costellati di domande alle quali non avevamo voglia di rispondere, non in quel momento, e l’armonia pacifica del villaggio sarebbe caduta nel panico.

La casa di Gerdur si trovava a pochi passi dal confine orientale dell’insediamento, che da lì conduceva in salita verso la montagna.

Era una capanna di medie dimensioni fatta di pietre e paglia, con un cortile recintato che ospitava un minuscolo orto, qualche pollo a razzolare e una vacca, la più ispida e pelosa che avessi mai visto prima di allora, tanto che all’inizio non capii se stessi guardando un piccolo mammut parecchio bizzarro.

Gerdur ci invitò ad entrare, poi si assicurò che nessuno ci stesse guardando o seguendo e ci raggiunse, chiudendo a chiave la porta. Mi ritrovai in un ambiente fin troppo rustico rispetto a com’ero abituata ma decisamente ben riscaldato, con uno scoppiettante camino la cui vista fu un sollievo per le mie membra infreddolite e sul quale una pentola stava lentamente cuocendo, emanando un invitante profumo di zuppa di carne speziata.

Mi tolsi il mantello dalle spalle e lo restituii a Ralof, mentre Gerdur si sfilava i guanti da lavoro per infilarseli nella tasca del grembiule e avanzava verso la credenza per prendere un paio di ciotole, cucchiai e due boccali e disporli in due posti uno di fronte all’altro sul tavolo. << Accomodatevi pure, oramai la zuppa dovrebbe esser pronta >>, disse andando a chinarsi sulla pentola per controllare la brodaglia.

Io e Ralof eravamo esausti e avevamo entrambi lo stomaco che gorgogliava, per cui non ce lo facemmo dire due volte. Gerdur tornò pochi istanti dopo con la pentola fumante in mano, versò due o tre ramaiolate nelle nostre ciotole e finì di apparecchiarci la tavola con del pane, qualche fetta di formaggio e una bottiglia di vino.

Il mio primo assaggio della cucina casalinga locale, semplice ma accogliente. Per un po’ Gerdur lasciò che mangiassimo, senza alcuna fretta facendoci prendere il nostro tempo, lasciando che il nostro corpo si rifocillasse e che le nostre menti si rilassassero, riavendosi dalla disavventura appena trascorsa.

<< Allora, fratello, dimmi. Che è successo? Cos’è questa storia di Helgen? >>, cominciò poi a chiedere, una volta che la zuppa fu sparita dalle ciotole ed eravamo passati a mangiucchiare un po’ di pane e formaggio.

Il Nord rimase in silenzio per un attimo, per poi sussurrare lentamente e con tono vagamente pensieroso: << Non ricordo l’ultima volta che ho dormito. Da dove cominciare…? Dunque, le notizie che hai sentito su Ulfric erano vere. Gli Imperiali ci hanno teso un agguato verso il confine meridionale, al Passo dal Pale, era come se sapessero esattamente dove e come trovarci. È stato proprio ieri, dovevamo dirigerci con Ulfric verso Riften. Questa mattina ci siamo fermati a Helgen, dove pensavo che tutto fosse perduto... eravamo in fila davanti al boia che era pronto a decapitarci. Non hanno nemmeno osato dare ad Ulfric un giusto processo: tradimento per aver combattuto per la sua gente! >>, sbottò rabbioso, ma poi sospirò. << Tutta Skyrim avrebbe visto la verità. Forse ora non crederai alle mie parole, sorella, ma poi, dal nulla… l’attacco di un drago! >>

Udii chiaramente la donna trattenere il respiro da sopra lo scoppiettio del fuoco. La vidi guardare Ralof come a uno che doveva aver evidentemente esagerato con l’idromele. Buttò gli occhi verso di me e le feci un breve cenno di conferma.

<< Un drago? Ma intendi proprio… in carne ed ossa? >>, esalò infine, ancora chiaramente scettica.

<< Quasi non riesco a crederci neppure io. Ed ero lì! Quel drago è apparso nel cielo e ha distrutto tutto quanto. C’è stato il panico. Ma per quanto possa sembrare strano, saremmo tutti morti se non fosse stato per il suo arrivo. Beh, a dirla tutta, non mi sarei mai aspettato di farmi accudire dal boia in persona... >>, aggiunse Ralof ridendo. << Grazie alla confusione, siamo riusciti a fuggire. Ma… Gerdur, siamo davvero i primi ad essere giunti a Riverwood? >>

<< Per quanto ne so, nessun altro è arrivato dalla strada meridionale, oggi >>

<< Non so se ci sono altri superstiti. Io stesso non ce l’avrei fatta senza di lei – per un attimo guardarono entrambi nella mia direzione –, sarei morto tra le fiamme o nelle fauci di quel mostro. Forse possiamo riposarci qui per un po’, ma presto dovrò fare ritorno a Windhelm e avvisare tutti su quanto è accaduto. Anche se non vorrei mettere in pericolo la tua famiglia, Gerdur... >>

<< Ma non dire assurdità! Tu e la tua amica siete i benvenuti. >>

A quel punto la Nord si rivolse a me.

<< Gli amici di Ralof sono i miei amici. Ti farò avere una copia di riserva della chiave della mia casa, in caso tu ne dovessi avere bisogno. Se ti serve altro devi solo farmelo sapere... >>, nonostante le sue parole fuoriuscissero gentili dalle sue labbra, notai ancora un velo piuttosto diffidente nel suo tono, poi vidi che mi guardava meglio. << Non sembri molto in forma. Scommetto che anche tu non devi essertela passata bene mentre eri prigioniera >>

<< In realtà sono appena arrivata. C’è stato un equivoco proprio sul confine con… >>, bloccai la frase lì, buttando un’occhiata imbarazzata a Ralof.

Gerdur sembrò capire e assunse un’espressione più dispiaciuta, ma non sembrò ancora rilassarsi. Doveva essere chiaramente una persona a cui non piaceva fidarsi dei primi stranieri che incontrava.

<< Oh, mi dispiace molto, credimi. Quei cani maledetti!, condannare perfino un’innocente senza sentir ragioni, non hanno un briciolo di umanità. Ma per adesso non pensiamoci più, fermati pure tutto il tempo che vuoi; qui potrai risistemarti, se hai bisogno di monete posso dartene. Ma abbiamo anche una guerra da combattere, hai dei cari a cui tornare? >>

<< Ho la mia famiglia a Cyrodiil. Ma no, non ho intenzione di andarmene, se è quello che pensi. Sono venuta via per uno scopo e intendo perseguirlo >>

<< Mh, mi fa piacere sentirti ancora così determinata, molti non la penserebbero allo stesso modo, non dopo tutto quello che hai passato. Molti se ne stanno andando per via della guerra. Spero che tu comprenda la nostra causa >>, commentò Gerdur.

<< Naturalmente >>, risposi.

Si limitò a guardarmi, accennando un sorriso smorzato (che mi sembrò più incerto che altro), poi si alzò dalla sedia e tornò a rivolgersi ad entrambi.

<< Purtroppo qui per dormire staremo un po’ stretti, per cui vi suggerisco di cambiarvi e prendere alloggio alla locanda. Penserò io a parlare con Delphine >>

<< Grazie, sorella. Sapevo che potevamo contare su di te >>, esclamò riconoscente Ralof.

<< Delphine? >>, chiesi io, guardandolo.

Lui mi guardò e sorrise divertito. << La locandiera. È una Bretone col muso da triglia, impossibile non riconoscerla. È famosa per essere una personcina piuttosto sgradevole… >>

<< Adesso però devo tornare un attimo alla segheria a finire di sistemare alcune cose, ma a momenti dovrebbero rientrare anche Hod e Frodnar >>, disse Gerdur. Poi si girò un attimo verso il fratello, che stava ancora seduto al posto davanti al mio al tavolo. << Ma, Ralof? Credi che si sia salvato qualcun altro da Helgen? Ulfric...? >>

<< Non temere, sono certo che ce l’ha fatta. Dopotutto, è Ulfric Manto della Tempesta >>

<< Ho capito. Vai a riposarti, adesso. In quanto a te, ragazza, sarò lieta di aiutarti come vorrai, per qualunque cosa si tratti. >>

Sentii le guance scaldarsi. Tutte quelle attenzioni stavano cominciando a farmi sentire un po’ in imbarazzo. << Grazie, ma credo che andrò a riposarmi anch’io... >>

<< Ma certo. Ci sono degli indumenti nel guardaroba >> continuò, indicandomi un armadio poco distante, << In realtà sono un po’ vecchiotti, ma per il momento basteranno. Fa’ pure come se fossi a casa tua >>

<< Ehm, per ora credo che possa bastare. Grazie ancora >>, le mormorai riconoscente, e con un sorriso.

<< Come ho detto, sono felice di aiutare come posso. >>

Se non fosse stato per quello spiacevole spettacolo da parte dell’Impero, probabilmente avrei trovato una buona ospitalità a Skyrim. Non capivo però come mai Gerdur nutrisse ancora quella diffidenza nei miei confronti, ma dovevo anche riconoscere che in fondo la capivo: la straniera che la donna aveva davanti era un’Imperiale, rappresentavo qualcosa e qualcuno che in quel momento per i Nord era da considerarsi un nemico, nonostante non avessi niente a che vedere né con l’esercito né con la politica. Forse era anche a causa dell’influenza dei Thalmor a rendere l’Impero più rigido del solito. Eppure, quando ancora vivevo a Cyrodiil, le guardie e gli ufficiali Imperiali erano sempre stati gentili e disposti… mi facevano sentire al sicuro. Beh, fino a poco tempo prima.

Un secco bussare alla porta mi fece bruscamente tornare all’interno della casa. Vidi Gerdur affrettarsi ad andare ad aprire e immediatamente sbucò un bambino dai capelli lunghi e biondi, l’aria vivace e una mantella pesante avvolta sulle spalle. Era accompagnato da un grosso cane dal muso sorridente che a vederlo doveva essere parecchio vecchio.

<< Zio Ralof! >>, esclamò non appena vide il Nord e si precipitò ad abbraccialo. << Sei venuto a trovarci! >>

<< Ehi, giovanotto! >>, lo salutò Ralof scompigliandogli i capelli. << Ma guardati, oramai sei quasi un uomo adulto. Non passerà molto tempo prima che ti unirai a noi >>

<< Sì! Non vedo l’ora di unirmi ai Manto della Tempesta e combattere contro l’Impero! >>, rispose entusiasta il bambino – del resto, come tutti quelli della sua età.

<< Come un vero Nord >>, affermò Ralof tutto orgoglioso.

<< Posso vedere la tua ascia, zio? Quanti Imperiali hai ucciso? >>

<< A tavola a mangiare, Frodnar. Tuo zio ha da fare con la nostra ospite >>, ma lo richiamò Gerdur, da qualche parte alle sue spalle.

<< Uffa, mamma! Ma io voglio parlare con lo zio Ralof...! >>, sbuffò lui, andando a sedersi sulla sedia accanto al Nord.

<< Lo sai come bisogna comportarsi quando ci sono ospiti, Frodnar >>, lo rimproverò Gerdur.

<< Non preoccuparti. Tu torna pure alla segheria, a lui ci penso io >>, soggiunse Ralof.

<< Ne sei sicuro? Hai sempre avuto difficoltà anche ad allacciarti le scarpe da solo… >>

<< Dopo oggi sono perfettamente in grado di sopravvivere a qualunque cosa, puoi contarci >>, ridacchiò lui.

<< Va bene, allora. Sarò di ritorno tra poco. >>

Mentre Ralof si apprestava ad occuparsi di suo nipote, io mi diressi verso il guardaroba che mi aveva indicato Gerdur e ne tirai fuori dei vestiti di ricambio: finalmente abbandonai gli stracci da prigioniera e li sostituii con una camicia, delle brache e degli stivaletti decisamente più caldi.

Ad essere sincera in quel momento sentivo anche il bisogno di farmi un bagno per togliermi di dosso tutto lo sporco che avevo accumulato in quei giorni, ma ero troppo stanca per averne anche solo la forza, e inoltre non mi andava di disturbare o abusare troppo dell’ospitalità della famiglia di Gerdur, così tornai da Ralof a riferirgli che mi avviavo alla taverna. Presi una mantella di lana dal guardaroba, me la avvolsi sulla testa e sulle spalle e uscii di casa.

L’aria della notte era ovviamente gelida, ma almeno ero più coperta. Mancava poco all’autunno, era la fine della stagione estiva, ma molte delle terre meridionali di Skyrim al ridosso delle Montagne di Jerall rimanevano comunque fredde e umide.

La locanda del villaggio, Il Gigante Addormentato, si trovava in fondo alla strada principale, proprio vicino alla postazione di guardia settentrionale che conduceva fuori dall’insediamento. All’interno mi sembrò di essere in un forno da quanto caldo c’era, anche per lo sbalzo di temperatura, e vidi alcuni dei locali riuniti a bere e a conversare davanti al falò che occupava gran parte del centro della sala.

<< Sono la locandiera, e il mio lavoro è tenere d’occhio gli stranieri >>, si presentò una donna quando mi avvicinai al bancone.

Dai lineamenti riconobbi che era una Bretone. Sembrava andare verso la mezza età, aveva i capelli raccolti in una coda e indossava un vecchio abito azzurro con un corsetto marrone. Doveva essere quella Delphine di cui avevo sentito parlare a Ralof e Gerdur. << Che cosa posso fare per te? >>

<< Gerdur mi ha detto che avrebbe parlato con te riguardo a una stanza in affitto >>

<< Ah sì, sei tu… Che sciocca, avrei dovuto immaginarlo. Bene, seguimi. Da questa parte. >> Mi portò in una stanzetta sulla sinistra del bancone, talmente piccola che comprendeva il minimo indispensabile per un alloggio, ovvero un letto, un baule, un piccolo guardaroba, un tavolino e una sedia. << Ecco qua. Se hai bisogno di altro fammelo sapere. Al pagamento ci ha già pensato Gerdur. Fa’ come se fossi a casa tua >>, disse infine, per poi dileguarsi chiudendo anche la porta.

Avevo notato che il suo era un tono di voce particolarmente duro oltre che visivamente altezzoso, quasi si sforzasse ad essere gentile con i suoi clienti. Ma poco importava.

Ero totalmente esausta, e ormai a quell’ora non avrei potuto fare altro; così mi sdraiai sul letto a pancia sopra e chiusi gli occhi, senza pensare nemmeno di svestirmi o togliermi gli stivali e mettermi sotto a quelle morbide ed invitanti coperte di pelliccia. L’unico timore che ebbi fu il non riuscire a prendere sonno, malgrado la stanchezza, non dopo tutto quello che era successo e con la testa piena di preoccupazioni e pensieri, uno più confuso dell’altro, soprattutto al riguardo di quel drago.

Chissà dov’era in quel momento e cosa stava facendo. E se avesse deciso di attaccare il villaggio proprio quella notte? No, il drago era molto lontano da lì, ne ero sicura – e volevo esserlo.

Qualcuno bussò alla porta.

<< Avanti >>, risposi.

La porta si aprì a spiraglio e vidi fare capolino la chioma bionda di Ralof. << Scusa, stavi dormendo? >>

<< No, entra pure… >>, gli sorrisi.

<< Lo so che non è il momento migliore e che probabilmente vorresti essere lasciata in pace, ma volevo chiederti una cosa >>, chiuse piano la porta e venne a sedersi sulla sedia accanto al letto, massaggiandosi nervosamente il collo. Io ancora da stesa mi tirai su sui gomiti per guardarlo meglio.

<< Spara >>

<< Voglio partire il prima possibile per Windhelm. Perciò volevo sapere se ti andrebbe di accompagnarmi. >>

Lo guardai in silenzio per un attimo, e con un certa circospezione. << Perché dovrei venire con te? >>, mormorai.

<< Ricordi la proposta che ti ho fatto oggi? >>

<< Sì, non ho ancora deciso… >>

<< Non fa niente, capisco benissimo. Non è una decisione da prendere alla leggera. Lo capirò, quando e se sarai pronta. In tal caso, metterò una buona parola per te se riesco a tornare prima a Windhelm. … Lo sai? Vedo una bellissima stoffa combattiva in te, non saprei spiegartene il motivo, ma mi ispiri una grande forza di volontà e fiducia >>

<< Oh! >>, ridacchiai. << In realtà non sono mai stata coraggiosa, però ho un grande istinto di sopravvivenza, quello sì. Probabilmente è tutto ciò che mi serve per tirare avanti >>

<< Sarà anche come dici tu, ma io oggi ho visto molto di più a Helgen. >>

Non risposi, anche perché non sapevo esattamente cosa dirgli e mi sentivo un po’ a disagio. Così mi ristesi e lasciai calare il familiare e confortevole silenzio. Ognuno di noi era perso nei propri pensieri.

<< Come siete finiti ad essere prigionieri degli Imperiali? >>, chiesi dopo poco.

Udii Ralof sospirare amareggiato; mi girai a guardarlo e lui deviò leggermente lo sguardo.

<< Eravamo in missione con Ulfric, ma le guardie Imperiali ci hanno teso un’imboscata perfettamente organizzata. Ci stavano aspettando, in qualche modo. Eravamo d’inferiorità numerica rispetto a loro di almeno cinque uomini, Ulfric ci ha ordinato di smettere di combattere, immagino non volesse che perissimo tutti per niente. Pensavo ci avessero portati a sud di Cyrodiil, che ci avrebbero fatti sfilare davanti all’Imperatore... ma poi ci siamo fermati a Helgen, e il resto lo conosci >>, mi guardò con un mezzo sorriso.

<< Il Generale Tullius ha accusato Ulfric di aver ucciso il Re dei Re e averne usurpato il trono. La guerra è scoppiata per questo? >> domandai, ricordandomi l’attimo davanti al patibolo.

<< L’Impero dice che è stato assassinato, ma in realtà è stato un leale duello nel rispetto della tradizione Nord >>, affermò Ralof. << Ulfric lo ha affrontato accusandolo di aver tradito Skyrim e lo ha battuto singolarmente. Se Torygg non ne è uscito vincitore, allora significa che non meritava di essere lui il Re dei Re. E finché l’Assemblea non ne sceglierà uno nuovo, il trono di Skyrim rimarrà vuoto. E questo non avverrà fino a che ci sarà la guerra… non preoccuparti però, per noi è Ulfric il legittimo Re dei Re. Lui scaccerà l’Impero, e Skyrim avrà finalmente la pace >>

<< Perché allora l’Impero non ha riconosciuto che è stato un duello leale? >>

<< Perché l’Impero non si è mai curato né di noi né delle nostre tradizioni, intento com’è a gettare via il proprio onore >>, sputò Ralof. << A Skyrim non piace sentirsi dire quello che deve fare. E cercare di farci dimenticare il Culto di Talos… è come se ci avessero ordinato di mozzarci tutti le orecchie! >>

Mi limitai a fargli un cenno con la testa di aver capito e posai lo sguardo sul soffitto, fino a quando non sentii aggiungere un preoccupato << Mi sembri triste. Va tutto bene? >>, dopo qualche altro minuto di silenzio, evidentemente notando che ero un po’ persa. Si allungò verso il mio viso, fissandomi attentamente negli occhi nonostante lì per lì non lo ricambiai.

<< No, stavo solo pensando che avrei voluto aver incontrato persone come te anche da dove vengo >>, risposi.

<< Intendi belli da morire e affascinanti luogotenenti Manto della Tempesta? >>, scherzò facendo il finto vanitoso.

Io rialzai gli occhi e risi, picchiettandogli anche la mano sul braccio.

<< Sai, credo che potresti anche essere l’unica Imperiale favorevole alla libertà di Skyrim, sei un caso più unico che raro. Se solo molti fossero come te... >>

<< Non ci trovo nulla di strano nell’essere altruisti. Non per vantarmi, ma anch’io ho sempre pensato che molti dovrebbero essere come me: perché molte persone a Tamriel sono egoiste, pensano solo alla propria immagine e al proprio potere >>

<< E anche l’Impero, purtroppo, è così >>, annuì Ralof.

<< Se mai decidessi di unirmi a voi, come faccio per arruolarmi? >>

<< La capitale di Ulfric è Windhelm, a nord-est da qui. Devi parlare con Galmar Pugno Roccioso, il suo braccio destro, si occupa lui delle nuove reclute. Lo sai? Sono davvero felice che hai scelto di venire con me. So che l’idea della guerra ti spaventa, lo capirò se dovessi rifiutare, però sono anche sicuro che potremmo essere degli ottimi compagni d’armi, io e te. >>

Io e Ralof continuammo a parlare per almeno un’altra ora o più. Ci lasciammo alle spalle gli argomenti di guerra e ne approfittammo per conoscerci, poi lui mi raccontò com’era l’abitudinaria vita della gente del villaggio, mi illustrò le pochissime botteghe che c’erano, la locanda, la segheria e la forgia. Riverwood era un insediamento piccolo ma, allo stesso tempo, più grande e più organizzato rispetto a molti degli altri presenti nella provincia, protetto dalle catene montuose che lo circondavano dalle intemperie più violente, piuttosto isolato dal resto del feudo per via del grande fiume e della foresta che lo abbracciavano. Ma rimaneva pur sempre esposto ai pericoli del cielo, come appunto la minaccia di un drago. A parte questo, era un luogo grazioso e piacevole in cui poter trovare ristoro.

L’indomani trovai dei vestiti e delle scarpe dall’aspetto decisamente più presentabile sistemati con cura ai piedi del letto, e quando li indossai scoprii che erano sorprendentemente caldi e comodi.

Quando aprii la porta della mia stanza notai che nella taverna in quel momento non c’era nessuno: c’erano soltanto l’oste appostato dietro al bancone e la locandiera intenta a spazzare. E a giudicare dalla luce che filtrava dalle piccole finestre capii che il sole era molto alto, forse quasi ora di pranzo.

<< Buongiorno, dormito bene? >>, mi salutò Orgnar.

Delphine mi offrì una fetta di torta alle mele e del latte per colazione. Probabilmente dovevano essere inclusi nel conto che le aveva pagato Gerdur. << Sentito? Dicono che un drago ha attaccato Helgen. Hm! A me sembrano tutte sciocchezze >>, sentivo brontolare nel frattempo la Bretone, e ogni tanto rimbeccare anche suo marito per qualcosa.

Una volta che ebbi finito di mangiare e dopo aver ringraziato mi diressi verso la casa di Gerdur. Raggiunsi il cortile dell’abitazione, dove le mucche e le capre pascolavano e le galline razzolavano. Vidi Gerdur occupata a zappare la terra nell’orto al di là del recinto:

<< Buongiorno Gerdur >>, la salutai.

<< Salve. Hai trascorso una buona notte? >>, disse, alzando la testa ma senza interrompere il proprio lavoro.

<< Sì, grazie. Dov’è Ralof? >>

<< Da Alvor, alla forgia. Si è svegliato presto, stamani. Ha detto che vuole partire il prima possibile per Windhelm. >>

<< Oh, va bene… >>, abbassai lo sguardo. Presto avremmo preso ognuno la propria strada e mi chiesi quando e se lo avrei rivisto, se non fossi andata con lui.

<< Tu hai già pensato a cosa fare? >>

<< Non lo so ancora, devo continuare a pensare. Ma credo che per il momento mi fermerò qui, se a te non crea disturbo >>

<< Affatto >>, sorrise la Nord continuando a rastrellare il terreno.

<< Be’, intanto potrei anche dare una mano qui e guadagnarmi il necessario per poter partire… >>

<< Oh, a tal proposito: c’è una cosa che ho bisogno tu faccia per me. Noi, ne abbiamo bisogno. Saresti disposta a farlo? >>

<< Di cosa hai bisogno? >>, la guardai. Il tono con cui lo aveva detto mi aveva già fatto capire che si trattava di qualcosa di molto grave e importante allo stesso tempo.

<< Il nostro Jarl, Balgruuf, deve sapere che c’è un drago a piede libero nel feudo e Riverwood è priva di difese. Puoi dirigerti a Whiterun a portagli questo messaggio e chiedergli di inviare tutti i soldati che può? Se farai questo per me, ti sarò debitrice >>

<< Dove si trova Whiterun? >>

<< Non è molto lontana da qui. Di solito andavamo al mercato del posto circa una volta al mese, finché la guerra e il resto hanno reso pericolose le strade. Attraversa il fiume e poi dirigiti a settentrione, non ti puoi sbagliare. La vedrai, subito dopo le cascate. È la capitale di questo feudo, il più grande e migliore dei nove feudi di Skyrim, a parer mio... ma non devi credermi sulla parola >>, ridacchiò, << Quando deciderai di partire, ti mostrerò la via. Non temere, ci vuole poco per arrivarci, anche a piedi: è proprio dietro quella collina laggiù, oltre la foresta >>

<< Vedrò cosa posso fare quando sarò dallo Jarl. Puoi stare tranquilla, Gerdur. >>

Lei mi guardò e mi sorrise di nuovo. Per la prima volta da quando mi aveva incontrata, i suoi occhi e il suo sorriso erano sinceri.

Mi appoggiai con gli avambracci sullo steccato della recinzione e assunsi una posizione più rilassata. << Che tipo è lo Jarl? Sei sicura che mi ascolterà? >>, dissi.

<< Lo Jarl Balgruuf? >>, Gerdur smise di lavorare e si appoggiò sul manico della zappa. << Beh, non voglio mancargli di rispetto, dato che da molti anni governa sul feudo. Balgruuf il Grande. È un brav’uomo, ma ora sembra aver perso completamente il senno! Alcuni qui in paese lo ritengono un po’ troppo ossessionato dai complotti, ma del resto viviamo in un’epoca pericolosa. Finora è riuscito a rimanere estraneo alla guerra, ma non credo che possa riuscirci in eterno: prima o poi, dovrà scegliere da che parte stare, e temo che farà la scelta sbagliata… >>

<< Credi che sceglierà di schierarsi con l’Impero? >> le chiesi, mentre lei si sistemava meglio la stola intorno al collo e riprendeva a zappare.

<< Beh, non sembra che ami particolarmente né Ulfric né Elisif, lo Jarl di Solitude. Ma del resto, come biasimarlo? Balgruuf è un cittadino Nord, ma col tempo si è particolarmente attaccato all’Impero. Temo che alla fine si dimostrerà leale verso l’Imperatore, io però voglio anche continuare a pensare che difficilmente arriverebbe a scegliere Elisif piuttosto che Ulfric sul trono di Skyrim. Insomma, che non è un traditore. >>

Elisif la Bella. Anche se ero a Skyrim da poco avevo già sentito il suo nome, quando la notizia delle sue nozze con il Re dei Re Torygg aveva fatto il giro di Tamriel alcune settimane prima. Era una donna giovanissima, e poco tempo dopo il giorno del suo matrimonio si era già ritrovata vedova. Mai lo Jarl di Windhelm avrebbe permesso a Elisif di salire al trono di Skyrim come Regina delle Regine; non che lei non ne avesse avuto il diritto o colpa verso il suo popolo, ma i Nord ritenevano Re Torygg un traditore che non meritava la corona perché si era venduto all’Impero. Dopo la morte del Re, molti a Skyrim vedevano la povera Elisif ridotta come un burattino nelle mani del Regno degli Aldmeri e dell’Impero stesso.

<< Mh… >>, ormai stavo cominciando ad avere un quadro un po’ più completo della faccenda, anche se ascoltare pure il parere di qualcuno fra i Nord che era favorevole all’autorità Imperiale mi avrebbe aiutata un po’ di più a tirare le somme.

Neanche l’idea di dover perdere fiducia nell’Impero mi piaceva. Non ero sicura di voler appoggiare una delle due fazioni in guerra, Skyrim non era ancora la mia casa, e quindi non mi sentivo nemmeno in dovere di dover schierarmi e rimanere semplicemente neutrale. Ma per quel poco che ne sapevo all’epoca, provavo molta più compassione per i Nord, e la mia lealtà all’Impero era inevitabilmente sempre meno.

<< Per il resto, come stai Gerdur? >>, dissi infine, cambiando argomento.

Lei si interruppe di nuovo e tirò un sospiro stanco. << Spero solo che la guerra non arrivi a Riverwood. Ci sono abbastanza problemi al mondo senza che se ne creino altri. E adesso con questa storia del drago… Guarda, non voglio neanche pensarci >>, la vidi rimettersi a lavorare con più foga per distrarsi dalla situazione in cui Skyrim stava versando.

La guardai ancora per qualche attimo, fino a quando non presi una decisione. << Mi avvio verso Whiterun. Ralof, se può, deve aspettarmi >>

<< Sicura di non volerti riposare ancora? >>

<< Quel drago è più importante al momento >>

<< Hai ragione. Entra pure in casa e prendi ciò di cui hai bisogno per il viaggio. Dovrebbe esserci una bisaccia in giro da qualche parte. Tieni, questa è la copia della chiave. Ti aspetterò qui. >>

Mi soffermai ad osservare meglio l’interno rurale ma confortevole dell’abitazione. Le pareti erano di pietra e legno solido e portavano una forte sensazione di sicurezza, mentre il calore del falò e la luce delle candele mi facevano sentire come a casa.

Chiusi gli occhi e cercai di scacciare i ricordi della mia famiglia che avevo lasciato a Cyrodiil, accompagnandoci insieme anche un sospiro nostalgico; sapevo che in quel momento avevo ormai poche possibilità per tornare indietro. Mi avvicinai al fuoco del camino per cercare di recuperare un po’ di calore, quindi mi misi a frugare in cerca della bisaccia, racimolai dalla tavola qualche provvista e qualche moneta d’oro – nei limiti del buonsenso, naturalmente – e raggiunsi la donna in cortile.

<< Vieni, ti faccio vedere che strada devi prendere. >>

Attraversammo l’insediamento fino al cancello settentrionale accanto alla locanda, dalla parte opposta della strada rispetto a quella da dove ero entrata la prima volta con Ralof. << Questo è il ponte che porta fuori dal villaggio, limitati a seguire la strada. Raggiungi la Distilleria Honningbrew, svolta a sinistra e la strada ti condurrà alle porte della città. Quando arrivi a Whiterun, continua a salire. Una volta sulla cima della collina sarai a Dragonsreach, il palazzo dello Jarl. >>

Prima di partire, però, mi volle allungare ancora qualche moneta che teneva in tasca e il suo pugnale di ferro. Difficilmente bestie e briganti si appostavano lungo le strade principali quasi costantemente pattugliate, soprattutto di giorno, ma la sicurezza era sempre la benvenuta in luoghi come Skyrim: non lo sapevi mai quando un orso, una tigre o un lupo decideva di cacciare proprio mentre eri tu di passaggio.

<< Che Talos ti protegga >>, disse infine.

La salutai, assicurandole che avrei fatto presto ritorno e mi incamminai lungo la strada, accompagnata dal fragore delle cascate del fiume e dal canto degli uccelli, pensando nel frattempo se qualcun altro avesse avvistato il drago e già avvertito lo Jarl.

Era passata almeno mezz’ora quando giunsi a un incrocio una volta superata la collina ripida, accanto al quale trovai un palo con dei cartelli che indicavano le vie per raggiungere alcuni dei diversi insediamenti principali di Skyrim; quello su cui c’era scritto WHITERUN puntava proprio la strada che si allungava alla mia sinistra, proprio come mi aveva detto Gerdur.

Già da quando ero ancora immersa nella foresta in cima alla collina scorgevo fra gli alberi la città in lontananza con il castello stagliarsi, maestoso e fiero, sul monte in mezzo alla pianura. In quella prima volta che toccò le mie pupille, capii che Whiterun avrebbe conquistato un posto speciale nel mio cuore e mai me la sarei dimenticata.

Si ergeva proprio nel cuore della provincia, quasi ai piedi della Gola del Mondo, estendendosi per intero su un promontorio roccioso, in cima al quale era abbarbicato il palazzo del signore feudale. Era composta da tre grandi quartieri: il Distretto delle Pianure, che era il più vasto, con il mercato, la taverna, le varie botteghe e le case più semplici o più povere; il Distretto del Vento, l’area residenziale più modesta in cui si ubicavano anche la nobile Sala di Jorrvaskr, casa dei Compagni con la sua Forgia Celeste, antica quanto le montagne e le pianure stesse che la circondavano, il Tempio di Kynareth con il sacro Verdorato e la Sala dei Morti. Infine, il Distretto delle Nuvole era quello più in alto, riserbato alle segrete e a Dragonsreach, il palazzo che sovrastava gli altri due quartieri. Era visibile anche a diverse miglia di distanza nella tundra, quasi a voler arrivare a toccare il cielo.

Whiterun era una città movimentata, ma manteneva comunque una certa tranquillità: a prima vista appariva più come un grande villaggio composto da casupole di legno in puro antico stile Nordico, ma una volta che si giungeva alle piazze principali l’atmosfera non era poi lontanamente simile quella dei rioni commerciali della Città Imperiale. Mi trovai dinanzi ai cancelli della capitale, protetta da alte e solide mura di pietra, ma prima che potessi anche solo avvicinarmi ai battenti mi si posero davanti due guardie, avvolte in delle corazze in cotta di maglia con lunghi mantelli gialli. Sui loro scudi era inciso il muso di un cavallo, lo stemma della città.

<< Alt! La città al momento è chiusa a causa di avvistamenti di draghi nel feudo, sono ammessi solo coloro che hanno impegni ufficiali. >>

Come immaginavo, la notizia del drago era giunta prima di me. Appena mi dichiarai portavoce di quanto era successo a Helgen le guardie si affrettarono a farmi passare, per portare immediatamente il messaggio al sovrano.

In città la gente non faceva altro che vociferare sul ritorno dei draghi: alcuni erano preoccupati, altri scettici, ma a meno che non ci fosse stato un vero e proprio attacco, ognuno continuava a mandare avanti le proprie attività. Mi sarei aspettata di vedere anche chi faceva armi e bagagli per andarsene anziché aspettare che uno di quei mostri avesse raso al suolo la città – ma d’altronde a che sarebbe servito.

In cima alla lunga scalinata che conduceva al Distretto delle Nuvole ebbi modo di rimirare tutta la bellezza del paesaggio, con il palazzo talmente grande che tutto, io che stavo lì davanti alla soglia e pure i monti vicini, sembrava piccolo. E pure all’interno Dragonsreach era tanto maestoso quanto difficile da riscaldare, con ben pochi camini e focolai per salvaguardare le antiche strutture in legno, ma mai mi era capitato di vedere un edificio più bello. Forse la Torre di Oro Bianco nella Città Imperiale.

Salita un’altra rampa di scale venni avvicinata da una Dunmer a lama sguainata: << Cosa significa questa interruzione? Lo Jarl Balgruuf non riceve nessuno >>

<< Mi manda Gerdur, di Riverwood. Il villaggio è in pericolo >>

<< In qualità di Huscarlo, devo occuparmi dei pericoli che minacciano il mio sovrano e la sua gente. Hai la mia attenzione, ora dimmi ciò che hai da dire >>

<< Mi spiace, ma mi è stato detto di consegnare il messaggio allo Jarl >>

La vidi assumere una smorfia irritata. << Qualunque cosa tu debba dire allo Jarl, puoi riferirla a me >>, ribatté. << Sto iniziando a pensare che… >>

<< Ma io… >>

<< Va tutto bene, Irileth. Voglio sentire cos’ha da dire >>, una voce giunse da dietro le sue spalle.

Lei non rispose nulla; semplicemente ripose la spada e mi lasciò passare, rimanendo però sempre vigile contro di me. Mi avvicinai al trono dove lo Jarl sedeva, e sopra il quale notai un autentico teschio di drago con le fauci spalancate (una concreta prova per gli scettici che in passato i draghi erano realmente esistiti), ma le guardie appostate al suo fianco mi intimarono di mantenere una certa distanza. La sala pareva immensa, aperta, i soffitti erano così alti che quasi non riuscivo a vederne la fine, con file di matronei e i raggi dorati del sole che trapelavano dalle vetrate. In mezzo alla sala vi era un grosso focolare affiancato su entrambi i lati da lunghi tavoli addobbati da candelabri d’argento e svariate pietanze, e ai quali alcuni membri della Corte erano intenti a fare salotto o a banchettare.

<< Allora, cos’è questa storia che Riverwood è in pericolo? >>, incalzò lo Jarl.

<< Signore, Gerdur chiede dei soldati per proteggere il villaggio dai draghi >>

<< Gerdur? Possiede la segheria, se non sbaglio. Un pilastro della comunità. Non è incline a follie e sciocchezze… Mi sono giunte voci che un drago abbia distrutto Helgen. Abbiamo visto una coltre di fumo giungere da quelle parti, siamo sicuri che non si è trattata di qualche incursione dei Manto della Tempesta andata male? >>

<< È vero. Ero laggiù quando il drago ha attaccato. >>

Il brusio di sottofondo proveniente dai presenti si ammutolì quasi all’istante.

<< Dunque, eri a Helgen? >>, rimbombò nel silenzio la voce dello Jarl. << E dimmi, hai visto con i tuoi occhi questo drago? >>, domandò incuriosito, a metà tra lo scettico e l’accigliato.

<< Sì, ha bruciato completamente la città, e l’ultima volta che l’ho visto sembrava voler sorvolare queste terre >>

<< Per Ysmir, Irileth aveva ragione!... Cosa dici ora, Proventus? Dobbiamo continuare a fare affidamento sulla solidità delle nostre mura? Contro un drago? >>, si rivolse poi al suo Sovrintendente, lì in piedi a fianco a lui.

La Dunmer intervenne: << Mio signore, dobbiamo inviare subito delle truppe a Riverwood. È in grave pericolo, se quel drago si aggira tra le montagne… >>

<< Non so se potrebbe essere una buona idea >>, la interruppe il consigliere, << Lo Jarl di Falkreath potrebbe vederla come una provocazione e pensare che siamo dalla parte di Ulfric, e che ci stiamo preparando per attaccarlo >>

<< Quindi dovremmo lasciare che questo drago faccia fare a Riverwood la stessa fine di Helgen, secondo il tuo parere?... >>, sputò la donna incrociando contrariata le braccia sul petto corazzato.

<< Basta così! >>, li rimbeccò lo Jarl. << Io non me ne starò fermo mentre un drago brucia il mio feudo e massacra la mia gente! Irileth, invia immediatamente un distaccamento a Riverwood >>

<< Sì, mio Jarl >>

<< Chiedo scusa, ora dovrei tornare alle mie faccende… >>, il Sovrintendente fece un inchino per poi dileguarsi verso i piani superiori.

<< Sarebbe meglio… >>, borbottò Balgruuf con tono ironico.

Eravamo rimasti solo io e lui, oltre alle guardie, ai domestici che spazzavano e riordinavano la sala e ai pochi altri nobili ancora seduti ai tavoli. Così, l’attenzione del Nord tornò di nuovo su di me.

<< Ben fatto, fanciulla. Non dev’essere stato facile per te venire a cercarmi, adesso neppure i cieli sono sicuri. Hai reso un servigio a Whiterun, e non me ne dimenticherò. Come segno della mia gratitudine, voglio farti un dono; invierò una lettera ad Adrianne Avenicci, è la figlia del mio Sovrintendente. Chiedile di forgiarti qualunque arma tu desideri >>

<< Ne sono onorata, signore >>, risposi in imbarazzo.

<< Potresti fare anche un’altra cosa per me? >>, continuò lo Jarl. << Magari adatta a una persona dotata dei tuoi talenti… particolari >>

<< Se posso farlo, come desiderate >>

<< Molto bene, allora. Avanti, andiamo da Farengar, il mio Mago di Corte. So che stava indagando su una questione collegata a questi draghi e alle… voci sui draghi. Non saprei dirti il perché, ma è sempre stato ossessionato da queste storie, possiede diverse conoscenze in materia. Credo che una mano in più gli tornerà utile. E poi anche tu hai già avuto una certa esperienza a riguardo. In quanti a Helgen sono sopravvissuti? >>

<< Beh, io e un’altra persona... poi non saprei chi altri. Lo Jarl Ulfric e il Generale Tullius, immagino >>

<< Ulfric? >>

<< Sì, lo stavano giustiziando >>

<< Mh, avrei dovuto immaginare che Ulfric era coinvolto in tutto questo… Ma adesso non pensiamoci. Forza, andiamo da Farengar. >>

Seguii lo Jarl in una delle salette adiacenti alla Sala del Trono, dove cogliemmo il Mago di Corte immerso in alcuni libri seduto al suo tavolo. Quando alzò la testa, nascosta in gran parte da un cappuccio blu, mi scrutò dall’alto in basso con aria chiaramente infastidita.

<< Umpf. Per caso sei venuta a Dragonsreach per discutere delle ostilità in corso, come tutti gli altri “grandi guerrieri”? O forse sei una nuova domestica? >>

<< Lo Jarl ha detto che potresti avere bisogno di aiuto per un progetto a cui stai lavorando >>

<< Uhm? Cosa? Quale progetto?... Oh, probabilmente deve riferirsi alle mie ricerche sui draghi. E tu pensi davvero di potermi aiutare? Non credo proprio >>

<< Farengar, >> soggiunse Balgruuf, << credo proprio di aver trovato la persona giusta che possa aiutarti con il tuo progetto sui draghi >>

<< Oh, non credevo pensaste alle mie ricerche, Jarl. Ma cosa vi fa credere che sia la persona giusta? >>

<< Sono sopravvissuta all’attacco a Helgen >>, mi affrettai a rispondere. << Ho visto il drago. >>

Vidi Farengar impallidire da sotto il cappuccio, non so se per l’emozione o perché si trovava davanti alla prima persona che conosceva ad essere scampata alle grinfie di un drago. O entrambe le cose.

<< Oh, be’… questo potrebbe cambiare molte cose. Sì, caschi proprio a fagiolo. Potrebbe farmi giusto comodo qualcuno che prenda una cosa per conto mio >>

<< Forniscile tutti i dettagli >>, gli ordinò lo Jarl, fermo in piedi davanti alla scrivania con le braccia incrociate sul petto ornato dai ciondoli d’oro.

<< In realtà si tratta di addentrarsi in una pericolosa rovina, in cerca di una certa tavoletta di pietra che potrebbe anche non essere là >>

<< Cos’ha a che fare questa tavoletta con i draghi? >>

L’espressione del mago si illuminò di un finto stupore, poggiando anche le mani chiuse a pugno sui fianchi: << Ah, non abbiamo qui un rude mercenario, ma un pensatore… Una studiosa, magari? >>, ribatté con un tono chiaramente derisorio.

<< Farengar >>, lo rimproverò lo Jarl.

<< Va bene. Vedi, quando le storie sui draghi hanno iniziato a circolare, molti le hanno liquidate come fantasie, dicerie. Credevano fosse impossibile. Sai come si riconosce uno stolto? Considera impossibile tutto ciò che non rientra nella sua esperienza diretta di vita. Io però ho iniziato a cercare informazioni sui draghi: dov’erano andati, moltissimo tempo fa? E da dove provenivano? >>

<< Dove mi devo dirigere? >>

<< Come ti dicevo, ho sentito parlare di quest’antica tavoletta che potrebbe trovarsi al Tumulo delle Cascate Tristi. Si tratta di una “Pietra del Drago” che dovrebbe riportare una mappa dei siti di sepoltura dei draghi. Va’ al Tumulo delle Cascate Tristi, trova questa tavoletta, che sicuramente sarà sepolta nella cripta principale, e portamela. Semplice, no? >>

Il Tumulo delle Cascate Tristi. Era l’imponente rovina sulla montagna che affiancava Riverwood. << L’ho visto quel tumulo. Non sapevo che potessero esserci tombe così grandi, pare quasi una città. Cosa è, precisamente? >>

<< Oh, è solo una vecchia tomba realizzata dagli antichi Nord, forse risalente alla stessa Guerra dei Draghi >>

<< Guerra dei Draghi? >>, chiesi. Quelle storie stavano cominciando a incuriosirmi. << Di cosa si tratta? >>

Il basso grugnito che fuoriuscì dal mago mi fece capire che stava cominciando a seccarsi di tutte quelle domande.

<< Non mi sorprende che tu non ne abbia mai sentito parlare, anch’io credevo fosse solo un mito. Ora non più, però. La Guerra dei Draghi è stata un evento storico, anche se sappiamo pochissimo di quello che accadde. Ai tempi dell’Era Leggendaria, più di tre Ere fa, i draghi erano adorati come divinità a Skyrim. Molte delle monumentali rovine che punteggiano queste terre erano, in effetti, templi ad essi dedicati, oltre che ad altri svariati animali-totem. Molti dei dettagli di questa storia sono andati perduti, ma un giorno i Nord si sono ribellati, e dopo una lunga e terribile guerra hanno sconfitto i draghi, i loro signori >>

<< I draghi si estinsero durante la guerra? >>, continuai a chiedere.

<< Oh, no. Molti sono morti ovviamente, ma molti altri sono rimasti in vita nelle epoche seguenti. Questo stesso palazzo, per esempio, è stato edificato dagli antenati dello Jarl Balgruuf per tenervi prigioniero un drago. Da qui, il nome Dragonsreach >>

<< Ecco perché quel teschio nella Sala del Trono… >>, sussurrai tra me e me. Probabilmente era dello stesso drago che vi era stato imprigionato.

<< Comunque sia. Sono sicuro che i locali del villaggio vicino sapranno spiegarti come arrivare al tumulo >>, aggiunse poi Farengar.

<< Qualsiasi informazione utile per combattere i draghi ci serve in fretta, Farengar >>, concluse il sovrano.

<< Naturalmente, Jarl Balgruuf. A quanto pare mi avete trovato un’assistente niente male. Sono certo che vi sarà una preziosa risorsa >>

<< Se avrai successo – mi guardò lo Jarl – avrai una ricompensa ad aspettarti. Whiterun ti sarà debitrice. >>

Detto questo, Balgruuf si allontanò per riprendere ad occuparsi del governo cittadino. Farengar invece tornò a sedersi alla sua scrivania per immergersi nuovamente nelle sue letture.

<< Lo so che è una tomba piena di cose morte, ma… c’è qualcosa in particolare che dovrei sapere andando laggiù? >>, dissi al mago.

Lui tirò su la testa e mi fulminò con lo sguardo. << Sono un Mago di Corte, non uno storico. Va’ a chiederlo a chi se ne intende. Ora non perdere altro tempo e vai a recuperare questa pietra. >>

“Chi è questo qui per permettersi di darmi ordini, e per di più in questo modo così acido?” << Hai detto che non potrebbe nemmeno trovarsi là. Almeno potresti dirmi come fai a credere che questa tavoletta sia proprio là? >>

<< Bisogna pur sempre conservare qualche segreto professionale, no? Ho le mie fonti. Fonti affidabili. E poi cosa dovrebbe volerne saperne un mercenario di queste cose? >>

<< Io non ti ho mai detto che sono un mercenario. E tu che sei un Mago di Corte che non dovresti avere altri compiti piuttosto che studiare i draghi? >>

<< Guarda, te lo dirò con parole semplici, così capirai. Io assisto lo Jarl nelle questioni legate alla magia. Se il feudo deve fronteggiare minacce o misteri di natura magica, vengo chiamato in causa per spiegare cosa accade e suggerire come agire. Quindi sì, anche i draghi, in questo caso. Spero che questa risposta ti basti. E adesso non voglio più vederti a meno che non mi riporti quella tavoletta. Buona giornata. >>

 

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