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Lookin'
out for love in Siberia Gotta look out for love anywhere you are Ain't nobody gonna take your love away... Lookin' out for love in Siberia Checking out to see what our chances are Ain't nobody gonna take our love away...
(“Love in Siberia” – Laban)
Tony Stark
non era più lo stesso in quei giorni, parlava a monosillabi e si faceva vedere
il meno possibile all’Avengers Tower. Trovava sempre qualche scusa, un impegno,
una riunione, per rinchiudersi nei suoi uffici alla Stark Foundation e non
vedere altri che Happy e qualche collega.
Tutto era
iniziato tre giorni prima, durante uno degli incontri degli Avengers per fare
il punto sulla situazione: Strange, Visione e Wanda stavano collaborando con
gli scienziati dello S.H.I.E.L.D. per trovare le persone svanite e sembrava che
fossero riusciti a raggiungere una dimensione tra le dimensioni, una sorta di distorsione
spazio-temporale in cui, con molta probabilità, erano imprigionati tutti coloro
che si erano dissolti dopo lo schiocco di
dita di Thanos.
Una buona
notizia, insomma, eppure qualcosa era andato storto. Bucky aveva detto qualcosa
a proposito del fatto che non c’era niente di sicuro e che, comunque, non
sarebbe stato facile riuscire a tirare fuori quelle persone da una simile
situazione.
Tony si era
infuriato.
“Sei un disfattista! Stiamo
collaborando con lo S.H.I.E.L.D. proprio perché loro possiedono tecnologie e
risorse illimitate e tu vieni a dirci che è tutto inutile” lo aveva attaccato
con veemenza. “O forse non t’importa niente, non sono amici tuoi, non sono i
tuoi cari e quindi che restino pure dove sono, non è così? Alla fine non sei
tanto diverso da quella macchina di morte che eri!”
Bucky era diventato livido a quelle
parole e si era trattenuto a stento dal colpire l’uomo.
“Hai perso la ragione, Tony? E’ così
che intendi comportarti? Bel modo di restare uniti contro il nemico” aveva
reagito Steve in difesa del compagno, evitando così che si facesse giustizia da
solo e con i fatti.
“Beh, adesso non siamo in battaglia,
no? Perciò io non sono costretto a restare solidale con quell’assassino!” aveva
reagito Stark, senza mezzi termini. Poi, voltando le spalle a tutti, era uscito
dalla sala riunioni…
Da quel
giorno, Tony non aveva più preso parte alle riunioni degli Avengers e aveva
cercato di evitare il più possibile il quartier generale. Spariva la mattina
presto e non rientrava che a tarda notte, chiudendosi nella sua stanza.
E Peter
soffriva tremendamente per tutto questo, ma Tony era talmente preso dalla
propria rabbia e dal proprio dolore da non riuscire ad accorgersi del male che
stava facendo al ragazzino. Non lo vedeva nemmeno, non era più lui ad
accompagnarlo a scuola la mattina e ad andare a riprenderlo (adesso Peter
veniva accompagnato dal solo Happy), non c’erano più chiacchierate, pizza e
patatine davanti alla TV, niente più cinema, niente di niente.
Peter non
sarebbe riuscito a sopportare quella situazione ancora a lungo, si sentiva
solo, aveva bisogno del signor Stark e si chiedeva se, per caso, l’uomo non
fosse in collera anche con lui. Altrimenti, perché evitarlo in quel modo?
Così, una
sera, il ragazzo decise di affrontarlo e chiarirsi con lui a qualsiasi costo e
lo attese per lunghe e angoscianti ore davanti alla porta della sua stanza,
mentre attorno si faceva sempre più buio, senza mangiare, senza riposarsi,
pensando solo a quello che avrebbe detto il signor Stark.
Quando Tony
tornò era mezzanotte passata. Si diresse verso la sua camera, come sempre, ma
questa volta trovò qualcosa di diverso, una piccola ombra in mezzo alle altre
ombre: Peter, seduto per terra, appoggiato con la schiena alla porta e con le
braccia allacciate attorno alle ginocchia. Si era quasi addormentato, ma
bastarono i passi dell’uomo a ridestarlo.
“E tu cosa
ci fai qui? E’ molto tardi, dovresti essere a letto, domattina hai scuola”
disse Stark, in un tono tra il sorpreso e l’irritato.
Peter si
sfregò gli occhi, svegliandosi del tutto, e si alzò in piedi.
“E’ vero ma,
visto che non riesco a trovare un altro momento per parlare con lei, ho dovuto
per forza aspettarla qui” replicò.
“E di che
cosa vorresti parlarmi a quest’ora? E’ tanto importante?”
“Sì, dato
che non avrò modo di vederla domattina, né durante il giorno, né mai” esclamò
Peter, e adesso nel suo tono si avvertiva un dispiacere a stento contenuto.
“Non mi accompagna più a scuola, non passa più le serate con me, non scambiamo
una parola da giorni… Mi manca, signor Stark!”
Con una
pesantezza insopportabile, la consapevolezza di aver ancora una volta ferito
quel ragazzo tanto sensibile calò sulle spalle di Stark.
Era mai
possibile che non imparasse mai? Aveva evitato l’Avengers Tower per non essere
costretto a incontrare Steve e il suo amico killer e non gli era passato
nemmeno per l’anticamera del cervello il pensiero che, così facendo, avrebbe
trascurato in modo imperdonabile anche Peter, che lo avrebbe fatto soffrire.
Tanto per
cambiare, aveva pensato solo a se stesso.
“Signor
Stark, è arrabbiato con me? Cioè, lo so che il problema è sempre il suo
rapporto con Barnes ma… ma ce l’ha anche con me, pensa che possa essere dalla
sua parte? Lo sa che non è così, io gliel’ho detto fin dalla prima volta in cui
ne abbiamo parlato, le avevo spiegato che il condizionamento mentale è una cosa
terribile e che mi fa paura ma anche che capisco benissimo che cosa prova lei e
che…”
Tony, per
interrompere quel profluvio di parole, non trovò di meglio che stringere forte
a sé il ragazzino.
“Non ce l’ho
affatto con te, il problema è che non ho nemmeno pensato a come tu avresti
potuto vivere queste mie continue assenze” ammise, abbracciandolo forte e
sentendosi meglio già solo con quel corpo delicato e tiepido stretto al suo. “Come
al solito ho pensato solo a me stesso… a quanto non riesca a sopportare la
presenza di Barnes. L’ho tollerato finché combattevamo Thanos, ma adesso siamo
in un periodo di attesa e… e io non riesco nemmeno a guardarlo senza
innervosirmi. Comunque non è colpa tua e non è stato giusto che la facessi
scontare a te. Mi dispiace, Peter.”
Il ragazzo
si aggrappò a lui, già sollevato.
“Va bene,
non fa niente, signor Stark, io voglio solo che lei stia bene e che… non sia
arrabbiato con me” disse.
Sto sempre meglio quando sono con te, pensò Tony senza osare dirlo ad
alta voce, perché non me ne rendo conto
se non quando è sempre troppo tardi e ti ho già fatto del male?
Quell’abbraccio
si trasformò con naturalezza in un bacio, dapprima leggero e poi sempre più
profondo, lungo e intenso. A Stark sembrava che ogni preoccupazione e
nervosismo si dissolvessero nel contatto con Peter, nell’immergersi nel suo
tepore e nel suo sapore, nell’averlo tra le braccia. Peter aveva il potere di
rasserenarlo in qualsiasi situazione e soltanto con la sua presenza. Sempre
tenendolo stretto, lo condusse nella sua camera, sopra il suo letto, allacciato
a lui, coprendolo di baci. Ogni pensiero negativo svaniva mentre Tony abbracciava
e baciava il ragazzo più profondamente e il suo cuore si riempiva di un calore
tutto speciale mentre Peter, affamato di qualunque gesto affettuoso dopo quei
giorni di solitudine, gli si aggrappava e rispondeva in maniera goffa ma
tenerissima a ogni suo bacio.
Quella
notte non lo avrebbe lasciato solo, pensava Tony, perdendosi nella dolcezza del
contatto sempre più intimo con Peter, un contatto che riempiva entrambi di
tenerezza, calore, felicità infinite: un universo che nasceva e si ricreava ad
ogni loro abbraccio, facendo fondere insieme le loro anime proprio come i loro
corpi, senza più alcuna separazione.
Alla
fine rimasero abbracciati, stretti, senza parlare, quasi increduli per il miracolo
che si era ripetuto ancora una volta tra loro. Stark si sentiva più sereno e
pacificato e, in quel momento, si domandava come avesse potuto irritarsi tanto
con Barnes e, ancora peggio, cosa avesse fatto a Peter, abbandonandolo per
giorni senza una spiegazione e lasciandolo a tormentarsi con dubbi e interrogativi.
Che razza di persona era? Non riusciva proprio a non fare del male a chi amava?
Se Peter, prima o poi, si fosse stancato di lui e lo avesse mandato all’Inferno
se lo sarebbe meritato... ma non pensava che potesse succedere. Il tenero peso
del ragazzino stretto al suo corpo, forse già addormentato, gli ricordava una
volta di più quanto fosse fortunato e quanto dovesse dedicare ogni millesimo di
secondo della sua esistenza a renderlo felice piuttosto che ferirlo… Immerso in
questi pensieri, Tony cadde in un dolce oblio, un torpore che lo accompagnò
fino al mattino successivo, senza sogni e senza rancori.
Peter,
invece, non era addormentato. Era rimasto stretto al suo signor Stark mentre un’idea si faceva strada nella sua mente,
un’idea assurda, forse addirittura stupida, ma che in quel momento gli pareva
geniale.
Il
signor Stark non lo aveva trascurato volontariamente, era nervoso perché
soffriva. E soffriva per ciò che era accaduto nel dicembre del 1991, quando il
Soldato d’Inverno aveva assassinato i suoi genitori a sangue freddo.
Questo
ricordo non gli dava tregua, lo straziava e metteva anche a rischio l’unione
fra gli Avengers.
Ma
c’era una possibilità di cambiare le cose, esisteva il modo di farlo, se solo
qualcuno fosse stato abbastanza coraggioso, generoso… e anche sconsiderato,
ammettiamolo!
Il
Dottor Strange aveva ancora quel frammento della Gemma del Tempo, no? E se lui
lo avesse convinto a portarlo a quel giorno di dicembre di tanti anni prima…
magari sarebbe riuscito a fermare il Soldato d’Inverno. Non voleva ucciderlo,
no di certo, solo distrarlo, fare in modo che i genitori di Stark si mettessero
in salvo.
Beh,
insomma, voleva cambiare il passato… sapeva che, in genere, queste cose non
finivano mai bene (aveva visto un casino di film sull’argomento…) ma, questa
volta, sarebbe stato diverso, lo sentiva.
Avrebbe
salvato i genitori del signor Stark, così lui non sarebbe stato più infelice e
arrabbiato. E Barnes non avrebbe dovuto convivere con quel rimorso e non ci
sarebbero stati più attriti tra gli Avengers.
Sì,
sarebbe andata così. Il giorno dopo ne avrebbe parlato con il Dottor Strange.
Felice
al pensiero di poter fare una bellissima sorpresa al signor Stark, Peter si
strinse di più all’uomo e si addormentò soddisfatto.
La
mattina dopo Stark era talmente desideroso di farsi perdonare da Peter che lo
accompagnò a scuola, con una fermata in pasticceria per una colazione speciale.
Quando, in auto, lo strinse a sé e lo baciò a lungo per salutarlo, fu felice di
vederlo sereno e tranquillo, come se avesse dimenticato i giorni tristi in cui
lo aveva lasciato solo.
Ovviamente
non poteva sapere che cosa Peter avesse in mente e perché fosse tanto contento…
Gli
scompigliò affettuosamente i capelli.
“Allora
buona giornata di scuola, ragazzo” gli disse. “Io oggi dovrò tenere un discorso
all’Università, al Greenwich Village di Manhattan, per cercare qualche nuovo
stagista per la Stark Foundation, ma questo pomeriggio potremo stare insieme.”
“D’accordo,
signor Stark” rispose Peter con un luminoso sorriso, “e buona giornata anche a
lei!”
Salutò
Tony con la mano finché la macchina non ripartì, poi però, invece di entrare
nell’edificio scolastico, prese in disparte il suo amico Ned per affidargli un
incarico molto importante.
“Senti,
Ned, devo fare una missione per il signor Stark e tu mi dovresti coprire con i
professori.”
Ned
apparve subito emozionatissimo.
“Ma
certo, Peter, cosa devo fare? Sono felice di poter far parte anch’io di una
missione importante… magari poi potrò lavorare anch’io per il signor Stark?”
“Beh,
può darsi, perché no?” sorrise Peter. Chissà cosa sarebbe potuto succedere con
uno Stark più sereno, che avesse avuto i suoi genitori accanto… magari anche
Ned sarebbe potuto diventare un Avenger! “Devi solo dire ai professori delle
prime ore di stamani che ho avuto un imprevisto e che entrerò a scuola in
ritardo. Cercherò di tornare per le undici o anche prima.”
“Tranquillo,
Peter, ci penso io… che figata partecipare a una missione per il signor Stark!”
Ned
entrò a scuola entusiasta del suo ruolo, mentre Peter partiva di corsa dalla
parte opposta. Si infilò in un vicolo, prese il dispositivo dal pulsante blu
che conteneva la sua tuta dalla tasca dello zaino, lo premette e fece
materializzare il costume attorno al suo corpo; nascose il suo zaino in un
posto sicuro e in pochi minuti, saltando tra gli edifici e volando grazie ai
fili delle sue ragnatele, fece ritorno all’Avengers Tower. Quel giorno sapeva
che il Dottor Strange sarebbe stato lì per lavorare insieme a Bruce Banner nel
suo laboratorio. Peter incontrò lo stregone nel corridoio e, con voce
affannata, gli parlò subito del suo piano.
Strange
lo ascoltò attentamente, mentre l’espressione sul suo viso si faceva sempre più
cupa. Rifletté a lungo e poi si rivolse a Peter.
“Ragazzo,
non sai quanto sia pericoloso modificare il passato? Potresti creare problemi
enormi nel presente” disse.
“Lo
so, ma io… voglio solo aiutare il signor Stark… e tutti gli Avengers, certo!”
ripeté Peter, con entusiasmo.
“Va
bene, però dobbiamo riflettere meglio su questo piano che hai elaborato.
Potrebbero esserci delle conseguenze molto gravi, lo capisci? Adesso sarà
meglio che torni a scuola e ti impegni nello studio, poi ne riparleremo
insieme, sei d’accordo?” propose il Dottor Strange.
Peter
rimase un po’ deluso, ma poi pensò che lo stregone avesse ragione, una cosa
così importante richiedeva un’attenta pianificazione e molto impegno. Ringraziò
e salutò Strange e riprese velocemente il suo volo tra i palazzi, diretto verso
la scuola, convinto che lo stregone avrebbe organizzato un piano ancora più
efficace per tornare indietro nel tempo e salvare i genitori del signor Stark.
Raggiunto il vicolo, Peter fece smaterializzare la tuta, ripose il dispositivo
nella tasca, rimise in spalla lo zaino e corse verso la scuola.
Tutto
sommato aveva perso soltanto le prime due ore di lezione, nessun professore gli
fece delle storie e la giornata scolastica trascorse come al solito, sebbene i
pensieri del ragazzo fossero da tutt’altra parte.
Quel
pomeriggio, però, quando rientrò alla base degli Avengers, le cose iniziarono a
precipitare.
Si
trovò davanti un signor Stark scuro in volto come lo aveva visto solo un’altra
volta in vita sua, cioè sul tetto dell’edificio quando lo aveva rimproverato
duramente per aver messo in pericolo se stesso e altre persone per giocare a fare l’eroe.
“Adesso
ce ne andiamo in camera tua, tu fai la tua valigia e te ne torni da tua zia”
gli ordinò l’uomo, con voce colma di una rabbia a stento trattenuta, “e prima
di andartene farai bene a rendermi il dispositivo di nanoparticelle. Da questo
momento non fai più parte degli Avengers.”
Peter
rimase annichilito, si sentì il mondo crollargli addosso ed era talmente
stordito da questa reazione inaspettata da non riuscire nemmeno a muoversi o a
parlare. Si lasciò condurre in camera da Stark che, molto poco gentilmente, lo
prese per un braccio e lo strattonò fin là.
Quando
furono nella stanza, Stark chiuse la porta e tese la mano verso il ragazzo. I
suoi occhi erano gelidi.
“Comincia
con il restituirmi la tuta” gli disse.
“Ma…
signor Stark, cosa… cosa ho fatto di male? Perché mi manda via? Io… non
capisco…” riuscì a balbettare Peter, stringendo al petto lo zaino come se fosse
un tesoro e iniziando ad avere gli occhi gonfi di lacrime.
“Ti
ho detto di restituirmi la tuta, di fare la valigia e andartene da qui. Non sei
più un Avenger. Cosa c’è in questa frase che non ti è chiaro?” ripeté Tony,
senza cedere di un millimetro.
“Ma
almeno mi dica il perché! Io non capisco cosa ho fatto…” esclamò Peter, che
adesso piangeva davvero.
“Niente,
per fortuna non hai fatto niente, ma
solo perché Strange è stato tanto saggio da avvertirmi subito, stamani. Che
cosa ti era saltato in mente? Volevi usare il frammento della Gemma del Tempo
per tornare al 1991… dì un po’, sei impazzito o cosa?”
“Io…
il Dottor Strange gliel’ha detto? Volevo che fosse una sorpresa per lei, volevo
salvare i suoi genitori e…”
“Salvare
i miei genitori, ma che idea geniale. Cosa avresti fatto? Avresti affrontato il
Soldato d’Inverno? Ti saresti fatto ammazzare? Qual era il tuo piano,
esattamente? Oppure pensavi che, arrivato lì, tutto si sarebbe risolto come per
incanto? Sei davvero così sciocco, Peter?” le domande di Stark, adesso, si
facevano incalzanti e Peter si sentiva soffocare.
“Io…
non lo so, avrei voluto distrarlo per dare il tempo ai suoi genitori di
scappare” mormorò, tra le lacrime. Com’era possibile che il signor Stark si
arrabbiasse tanto per quello che lui voleva fare? Credeva che sarebbe stato
felice! “I suoi genitori… io so quanto soffre e…”
“E
non ti è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che, se fosse successo
qualcosa a te, sarebbe stato mille
volte peggio? E che, comunque, cambiando il corso della storia, avresti causato
conseguenze imprevedibili nel presente? Hai pensato che, forse, avrei potuto
diventare una persona del tutto diversa, che magari non sarei mai diventato
Iron Man? Ma, cosa ancora più importante, hai
riflettuto anche solo per un secondo all’enorme idiozia che avresti voluto
fare?”
In
effetti Peter doveva ammettere che no, non ci aveva riflettuto, aveva pensato
solo che avrebbe voluto fare una cosa bella per il signor Stark, ma senza
soffermarsi sulle conseguenze…
“Mi
hai deluso enormemente, Peter. Posso capire che le tue intenzioni fossero buone,
ma avresti dovuto parlarne con me, prima… e per fortuna hai parlato con
Strange, ma forse solo perché era lui ad avere il frammento. Non voglio nemmeno
pensare a cosa sarebbe potuto accadere se non avessi dovuto chiedere a lui”
Tony si prese la testa tra le mani, come per contenere un dolore improvviso. “Mi
hai anche ingannato, hai finto di andare a scuola e poi sei scappato per venire
a parlare con Strange. Mi hai mentito. Davvero, sono molto deluso da te, Peter,
ho capito che non posso fidarmi e per questo voglio che tu torni da tua zia,
forse lei saprà gestirti meglio di quanto non abbia fatto io.”
Mi hai deluso… mi
hai ingannato… non posso fidarmi…
Le
parole di Tony calarono come coltellate sul cuore di Peter, spezzandolo in
mille frammenti. Aveva sbagliato tutto, aveva rischiato di commettere una
colossale stupidaggine e, cosa peggiore di tutte, aveva deluso il signor Stark. La sua paura più grande era diventata
realtà. Il signor Stark non si sarebbe più fidato di lui, non lo avrebbe più
voluto al suo fianco, ed era solo e soltanto colpa sua. Chissà cosa aveva
creduto di fare, chissà chi si era creduto di essere? Aveva pensato davvero di
aver avuto l’idea più brillante del secolo? Stupido ragazzino presuntuoso!
Forse che, da quando avevano saputo della Gemma del Tempo, anche altri non
avevano desiderato di tornare indietro per risolvere questioni rimaste in
sospeso? Magari il Capitano aveva pensato di strappare il suo compagno
all’Hydra prima che lo distruggesse, magari Barnes aveva immaginato di tornare
indietro per eliminare quei bastardi e impedire tanto male… e forse anche lo
stesso signor Stark aveva fantasticato di usare quella Gemma per salvare i
propri genitori, ma nessuno di loro aveva tentato
di farlo. E perché no? Perché sapevano che era sbagliato, che avrebbero creato
un caos peggiore di quello che era realmente avvenuto. E invece lui si era
creduto unico e speciale, il solo in grado di fare qualcosa che non era venuta
in mente a nessun altro. Si era creduto un eroe
quando non era che un ragazzino incapace e sciocco.
Il
signor Stark aveva perfettamente ragione e tutto ciò che gli aveva detto era
giusto.
Soffocando
un singhiozzo, Peter si asciugò le lacrime con la manica della felpa, poi prese
dalla tasca dello zaino il dispositivo che conteneva la sua tuta e lo consegnò
a Stark senza una parola.
Il
suo volto era pallidissimo e gli occhi arrossati e gonfi.
Si
voltò e andò verso l’armadio per prendere la valigia.
“Ha
ragione, signor Stark” mormorò con un filo di voce, mentre metteva la valigia sul
letto e iniziava a cercare felpe, camicie e biancheria da metterci dentro.
“Sono stato un idiota e un presuntuoso. Mi dispiace, mi dispiace davvero
tantissimo, ma so che non merito che lei mi perdoni. Non merito di essere un
Avenger, non merito niente. Avrei potuto causare danni inimmaginabili… ma la
cosa peggiore di tutte è stata… deludere lei, signor Stark…”
Stava
facendo uno sforzo immane per non scoppiare a piangere di nuovo.
Tony
gli si avvicinò e lo prese per un polso, fermandolo nel suo ossessivo ripiegare
felpe e magliette.
“No”
disse. “Non voglio che tu te ne vada. Hai sbagliato, è vero, ma anch’io ho
reagito in modo esagerato e ti ho detto delle cose orribili. Non le pensavo,
non le penso, io…”
“Invece
le pensa e fa benissimo a pensarle, perché me lo merito. Sono un fallimento
totale, l’ho sempre saputo, chissà chi mi illudevo di essere. E adesso ho
tradito la sua fiducia, dell’unica persona che abbia creduto in me, che mi
abbia dato una possibilità. Ho sprecato anche quella. Ho deluso lei, signor Stark, e non potrò mai…”
“Basta,
Peter!” lo interruppe Tony, afferrandolo e stringendoselo al petto. “Possibile
che tu non capisca? Io mi sono spaventato quando Strange mi ha parlato… che
dico, sono rimasto terrorizzato all’idea
che potessi fare qualcosa di sciocco che ti avrebbe messo in pericolo! Ho avuto
paura di perderti, Peter, ed è solo per questo che mi sono arrabbiato tanto,
perché ho avuto paura di perderti. Ti
ho detto quelle cose cattive per ferirti come tu avevi ferito me, spaventandomi
a morte. Che razza di persona sono! Se tu sei uno sciocco e un presuntuoso io
che accidenti sono, me lo sai dire?”
Peter
adesso era davvero in confusione. Sentirsi stretto tra le braccia dell’uomo che
amava, sentirsi dire quelle cose proprio quando era convinto di aver rovinato
tutto, di aver perso tutto… non riuscì più a trattenersi e scoppiò in un pianto
disperato.
“Lei
è… è la cosa più bella che mi sia mai capitata” mormorò tra un singhiozzo e
l’altro, “e io non mi perdonerò mai per averla delusa!”
“Tu
non mi hai deluso, ragazzino, sono io che dovrei aver deluso te perché… perché
ho trovato la cosa che avrebbe potuto farti più male e te l’ho detta. Sono io
che non merito il tuo perdono…” ammise Stark, abbracciando Peter e nello stesso
tempo pensando che non aveva alcun diritto di stringerlo a sé, che lo aveva
ferito nel modo più atroce e che non avrebbe potuto fare niente per rimediare.
“Ho dato di matto per la paura di perderti, ma non è un alibi, io avrei dovuto
comportarmi diversamente, per la miseria, io dovrei essere l’adulto!”
Lo
strinse più forte, come se con il suo abbraccio potesse curare le ferite che
gli aveva inferto.
Lentamente,
Peter alzò la testa verso di lui e lo guardò con quegli occhi scuri e pieni di
lacrime.
“Non
è arrabbiato con me? Davvero non mi odia, signor Stark? Davvero non vuole che
me ne vada?”
“Non
voglio che tu stia lontano da me nemmeno per un secondo, non voglio più
perderti di vista, non voglio più temere che… che tu scompaia…” ammise l’uomo
in un sussurro.
“Non
succederà. Non farò più sciocchezze, non…” Non
la deluderò più, avrebbe voluto dire, ma un singhiozzo gli spezzò la voce…
e poi non ci furono più parole, perché Tony gli aveva chiuso la bocca con la
sua e in quel bacio che sapeva di lacrime, rimorso e tenerezza tutto fu
perdonato e dimenticato.
Il
bacio parve durare un’infinità di attimi meravigliosi, ma sia Tony sia Peter
avevano bisogno di sentire ancora e ancora che c’erano l’uno per l’altro, che
quel dissidio era stato chiarito e che il loro legame cresceva anche attraverso
questi scontri.
Stark,
poi, continuava a sentirsi in colpa per come aveva trattato Peter che voleva
solo fare qualcosa per lui, una cosa sbagliata, certo, ma dettata dall’amore… e
dalla sconsideratezza della sua giovane età.
Doveva
fare qualcosa di concreto per dimostrargli che teneva a lui, che non era deluso
e che era anzi pentito di averlo fatto piangere. Staccandosi a fatica dalle sue
labbra morbide e dolci, gli prese il viso tra le mani, quel visetto ancora
bagnato di lacrime, glielo accarezzò e lo baciò sulla fronte.
“Ora
rimetti a posto le tue cose e non pensare nemmeno per scherzo ad allontanarti
da qui” gli disse in tono leggero, per sdrammatizzare e esorcizzare l’atmosfera
che si era venuta a creare.
Peter
era ancora turbato e spaurito e così Tony gli prese una mano e gli ci pose
sopra il dispositivo di nanoparticelle, chiudendogli poi la mano tra le sue.
“Questo
è tuo e nessuno te lo porterà via” lo rassicurò con dolcezza. “Anzi, devo
trovare il modo di fartelo portare addosso, magari come se fosse un orologio o
la fibbia di una cintura, che ne dici?”
Peter
continuava a fissarlo, trasognato e ancora incredulo. Non riusciva a credere
che Stark lo avesse perdonato, per lui era stato molto più facile credere alle
sue parole cattive e ora temeva che fosse tutto un sogno o un’illusione.
“Rimetti
a posto le tue felpe e le magliette, riponi la valigia e poi vieni con me” gli
ripeté Tony. “Voglio fare una cosa e voglio che tu sia con me mentre la
faccio.”
Questo
stuzzicò la curiosità del ragazzino, che si riscosse e si affrettò a sistemare le
sue cose nei cassetti e a riporre la valigia nell’armadio per poi seguire
Stark, che si avviò verso il suo laboratorio.
Entrati
nella stanza, Tony si diresse verso uno dei PC che si accese al suo comando
vocale. Peter lo riconobbe: era lo stesso in cui, mesi prima, aveva visto per
la prima volta il filmato che Zemo aveva inviato al signor Stark, quello in cui
il Soldato d’Inverno uccideva i suoi genitori.
“Avrei
dovuto farlo già quando quel bastardo me l’ha fatto avere” disse l’uomo, “ma
credo che questa sera sia il momento in cui non posso più rimandare. Distruggi
il filmato!”
“Ma…
signor Stark… ne è sicuro?”
“Più
che sicuro. Zemo me lo inviò proprio perché voleva che io coltivassi il mio
rancore contro Barnes, voleva che distruggessi gli Avengers dall’interno… e io
ho fatto proprio il suo gioco. Ho continuato a provare ostilità e odio nei
confronti di Barnes e in questi giorni è venuto fuori, ma questa sera… questa
sera ho capito che il filmato stava corrodendo anche un’altra cosa, ancora più
preziosa: il mio legame con te” confessò l’uomo, mentre osservava compiaciuto
il file che veniva cancellato. “Adesso questo filmato non farà più del male a
nessuno.”
“Sì,
ma… anche senza il filmato lei conosce la verità” disse Peter, titubante.
“Questa consapevolezza continuerà a farle del male ed era per questo che io
avevo pensato di… io volevo che lei non avesse più questo dolore a tormentarla…
Ho sbagliato, lo so, però…”
Tony
si voltò verso di lui e, ancora una volta, gli prese il viso tra le mani.
“Sì,
hai sbagliato, ma forse non hai ancora capito perché” replicò, fissandolo negli
occhi come a trapassarlo. “Ti rendi conto che, se Strange non mi avesse
avvertito, noi due avremmo potuto non vederci mai più?”
Peter
sussultò.
“Come?
Ma no, io sarei stato attento…”
“Certo,
pensavi che saresti sfuggito a un killer esperto come il Soldato d’Inverno,
vero? Ma non è soltanto questo. Anche se ci fossi riuscito, non pensi che
avresti potuto cambiare le cose in modo tale che noi… noi avremmo potuto non
incontrarci mai?”
Il
ragazzo sgranò gli occhi, terrorizzato. No, no, a questo non aveva pensato… non
rivedere mai più il signor Stark… ma come?
“Come
sarebbe cambiata la mia vita se non avessi perso la mia famiglia? Questo non
posso saperlo. Ma forse, e dico forse, non ci sarebbe stato nessun Iron Man.
Forse non avrei nemmeno pensato di far parte degli Avengers. E chissà… forse
non avrei mai conosciuto un ragazzino che giocava a fare il supereroe di
quartiere con una ridicola tutina” Stark si avvicinò ancora di più a Peter,
come per scongiurare quell’ipotesi così terribile. I loro visi, adesso, quasi
si sfioravano. “Quella mattina ti avevo accompagnato a scuola e quello stesso
pomeriggio avrei potuto trovarmi a mille miglia di distanza senza sapere
nemmeno della tua esistenza. Capisci ora che cosa mi ha sconvolto tanto?”
Non incontrarsi
mai, non conoscersi, vivere un’intera vita senza il signor Stark…
L’ipotesi
sembrò agghiacciante anche per Peter, che circondò con le braccia la vita
dell’uomo, come per paura che qualcosa glielo portasse via.
“Non
ci avevo pensato, non avevo pensato a questo! Io… signor Stark, è orribile,
io…” ansimò, in preda al panico.
Stark
lo abbracciò stretto, affondandogli una mano nei capelli e accarezzandogli la
schiena.
“Lo
so, lo so, Peter, ma era per farti capire fino a che punto abbiamo rischiato”
gli disse. “Non voglio incolparti e non voglio che tu ti rimetta a piangere,
voglio solo che tu capisca che… che la mia vita sarebbe stata sicuramente
peggiore se non ti avessi avuto qui con me. Non ti voglio perdere, né ora né
mai. Ho visto quel filmato per la prima volta in Siberia e là è cominciato
tutto, la separazione da Rogers, l’odio verso Barnes, la divisione interna
degli Avengers… e io ho lasciato che quell’odio mettesse radici e mi
contaminasse. Ma ora ci sei tu e tutto può essere diverso. Non voglio che cambi
niente, voglio solo averti con me.”
Tony
si era esposto già fin troppo, ma avrebbe avuto ancora tante cose da dire a
quel ragazzino così dolce e generoso: la
tua presenza mi illumina la vita e mi riscalda il cuore, soltanto con te posso
pensare che la Siberia non è più solo un brutto ricordo, perché è anche grazie
a quelle vicende che ci siamo incontrati e legati sempre di più. Il tuo sorriso
e la tua allegria farebbero sciogliere anche i ghiacci siberiani… e anche
quello che Zemo aveva creato nel mio cuore. Accanto a te posso essere migliore,
posso perfino perdonare Barnes. Tu sei la mia stella fortunata, la mia brezza
di primavera…
Lo
baciò di nuovo, una, cento, mille volte. Ogni volta che baciava Peter, tutto il
dolore scompariva e rimaneva solo una tenerezza che faceva bene al cuore, che
leniva tutte le ferite, anche quelle più vecchie e profonde. Baciare il
ragazzino che si stringeva al suo petto lo rendeva più forte, più coraggioso,
capace perfino di fare quel passo che in quei giorni gli era sembrato
impossibile.
Quando
si staccò da quell’abbraccio dolcissimo, Tony Stark prese il cellulare e fece
due chiamate.
La
prima, per ordinare due pizze che lui e Peter avrebbero mangiato quella sera,
davanti alla TV, guardando il primo episodio di una nuova serie TV che
prometteva brividi a non finire, The
haunting of Hill House.
La
seconda era diretta a Steve Rogers.
Dopo
quanto accaduto giorni prima, nemmeno lui e Bucky si erano fatti più vedere
all’Avengers Tower e, ovviamente, Stark si era guardato bene dal cercarli. Ma,
quella sera, tutto era diverso.
“Steve?
Sì, sono io. Senti, so che non sono cose di cui parlare al telefono, ma volevo
che tu sapessi che… beh, che mi sono comportato un po’ da stronzo l’altro
giorno con il tuo amico e… sì, va bene, parecchio
da stronzo. Non è un bel periodo, lo so. Siamo tutti preoccupati per le
persone scomparse, per Maria, per la famiglia di Clint. No, non sto cercando
scusanti… e va bene, sì, lo sto facendo. Sì, hai ragione tu, va bene. Però,
ecco… insomma, vorrei che domani tu e Barnes tornaste qui al quartier generale,
ho bisogno di parlare anche con voi di certe questioni e non ci saranno
discussioni. Sì, hai la mia parola. Certo, sì. E… Steve, ascolta… questa sera
ho distrutto il filmato che mi aveva inviato Zemo. Già, quello. Non esiste più.
Sì, era l’ora… ma l’ho capito solo stasera. Va bene. Ci vediamo domattina,
okay?”
Peter
aveva ascoltato tutto ciò che Tony aveva detto a bocca aperta, incredulo.
Sembrava un sogno, alla fine quello che lui avrebbe voluto era successo veramente,
anche se non aveva fatto ciò che si era riproposto. Il signor Stark sembrava
stare molto meglio e aveva fatto il primo passo per riappacificarsi con il
Capitano e Barnes! Tutto ciò che lui aveva desiderato si stava realizzando e…
non capiva come fosse potuto accadere, visto che non aveva cambiato il passato.
E meno male, perché avrebbe potuto perdere per sempre il signor Stark mentre
così…
Ma
com’era possibile?
Quando
Tony chiuse la comunicazione, il suo volto era rilassato e nei suoi occhi non
c’era più traccia di nervosismo, sembrava rasserenato e felice, proprio come
Peter aveva desiderato che fosse.
“Signor
Stark, io… volevo proprio questo, volevo che lei si sentisse meglio e che
facesse pace con il Capitano e con Barnes. Ma come è potuto accadere? Io non ho
fatto niente!” esclamò il ragazzo, pieno di stupore.
Stark
lo guardò per un lungo istante. Anche solo perdersi nel suo sguardo limpido e
innocente, ammirare la perfezione del suo volto gentile, delle sue labbra
appena dischiuse in un sorriso timido, lo faceva sentire appagato e completo
come mai gli era capitato in vita sua.
Non hai fatto
niente, ragazzino? Hai fatto tutto, direi. Il semplice fatto che tu sia qui con
me mi fa diventare una persona migliore… e per capirlo ho dovuto temere sul
serio di perderti per sempre.
Naturalmente
non disse niente di tutto ciò. Circondò con un braccio le spalle di Peter e lo
strinse a sé.
“Beh,
andiamo, le pizze arriveranno da un momento all’altro e… non vorrai perderti
l’inizio di quella nuova serie TV. Sai di che parla? Una famiglia vive in una
casa infestata e i figli… ah, sì, a proposito, i più grandi dovrebbero avere
due o tre anni meno di te… insomma, come dicevo…”
“Una
casa infestata?” ripeté Peter, mentre, allacciato al suo signor Stark, usciva
dal laboratorio per raggiungere il salone dove avrebbero guardato gli episodi.
“Sì,
perché? Non mi dirai che un supereroe come
te, l’amichevole Spiderman di quartiere,
ha paura dei fantasmi!” lo prese bonariamente in giro l’uomo.
Peter
sembrava piuttosto pensieroso, poi alzò la testa e rivolse a Stark uno sguardo
piuttosto inquieto.
“Ma…
ma… signor Stark, io non posso ragnatelare
i fantasmi!” replicò, turbato.
“No,
suppongo di no” commentò Tony, scoppiando a ridere di cuore e stringendo ancora
più forte a sé il suo adorabile, unico, specialissimo ragazzino.
Con
lui accanto tutto sembrava più facile.
Barnes
non era più un nemico.
I
ricordi tristi rimanevano, ma il dolore si attenuava.
Ogni
pensiero negativo, ogni sofferenza e malinconia venivano annullati dalla presenza
tenera e affettuosa di Peter.
La
luce che quel ragazzo irradiava poteva combattere e vincere ogni tipo di
tenebra, anche quelle più oscure e sepolte più a fondo nel cuore di Stark.
Peter
era la sua stella, la sua brezza di primavera.