NFWMB

di The_Divine_Fool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorni scemi ***
Capitolo 2: *** Giorni in missione ***
Capitolo 3: *** Giorni di riposo pt. 1 ***
Capitolo 4: *** Interludio: NFWMB (no one fucks with my baby) ***
Capitolo 5: *** Giorni di riposo pt. 2 ***
Capitolo 6: *** Giorni di scuola pt.1 ***
Capitolo 7: *** Giorni di scuola pt. 2 ***
Capitolo 8: *** Interludio: mani assassine pt.1 ***
Capitolo 9: *** Interludio: mani assassine pt.2 ***
Capitolo 10: *** Vacanze pt.1 ***
Capitolo 11: *** Vacanze pt.2 ***
Capitolo 12: *** Interludio: Akatsuki ***
Capitolo 13: *** Vacanze pt.3 ***
Capitolo 14: *** Interludio: il re ***
Capitolo 15: *** Interludio: il re II ***
Capitolo 16: *** Vacanze pt.4 ***
Capitolo 17: *** Tarda Notte pt.1 ***
Capitolo 18: *** Interludio: il crepuscolo ***



Capitolo 1
*** Giorni scemi ***


Nota
Questa è una traduzione dall'inglese di una storia pubblicata su Archive Of Our Own. Se la lettura vi piace, lasciate un commento per supportare!

NOTA AGGIUNTIVA 21/10/2023 Ho deciso di ripubblicare la storia dopo una revisione accurata e un adattamento, a mio avviso, più convincente. I capitoli verranno caricati con cadenza regolare.
Ourtroppo, dopo due anni dall'ultimo capitolo postato, la storia è incompleta. Tuttavia, vale la pena di essere letta per i via dei personaggi ben caratterizzati e l'ambientazione originale.

Link della storia originale:  https://archiveofourown.org/works/16946859/chapters/39822840
Instagram dell'autore e artista: https://www.instagram.com/thedivinefool/
Pagina EFP del traduttore: https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=1105467

Ogni disegno illustrativo della storia è realizzato da thedivinefool

 

 

 

 

dumb days from radio fool on 8tracks Radio.

 


Era un giorno freddo al Villaggio della Foglia. A eccezione della stagione delle piogge, in autunno, il tempo nella capitale del Fuoco era notoriamente mite, abbastanza perché i turisti la soprannominassero “Konoha: la città dell'eterna primavera”. Non esattamente un elogio.

A causa del clima temperato, la maggior parte degli edifici era costruiti in legno, calcestruzzo miscelato, mattoni e rocce della cava fuori città e, ad eccezione degli uffici governativi, pochi erano isolati, non c'era aria condizionata e nemmeno un briciolo di compassione per le condizioni poco umane nella quale la gente era costretta a vivere.

Affittare un appartamento climatizzato in città e tirare un respiro di sollievo costava come comprare un condominio e tre prostitute nella periferia del Paese del Fuoco; questo spiegava almeno in parte perché, alla fine di ogni mese, i residenti degli appartamenti negli edifici alti tra la Sessantaquattresima e la Centosedicesima Strada accendessero ritagli di giornali e li gettassero incendiati dalle finestre, mormorando le loro lamentele nella notte. Dicevano cose del tipo “come facciamo ad arrivare a fine mese?”

L'Hokage Public Laison aveva definito questi episodi “sfoghi eccessivamente teatrali”.

Comunque, la primavera era incostante e i giorni miti si alternavano ad altri più freschi, grigi dall'alba al tramonto, che sferzavano sulla città frustate di pioggia forte.

Durante il giorno, la Centosedicesima Strada era un susseguirsi di fast food, bar e negozi decisamente troppo costosi dove i turisti si fermavano attratti dalle stranezze esposte. La mattina, gli studenti dell'Accademia percorrevano a piedi o in bicicletta quell'anello prima delle lezioni e approfittavano dei fruttivendoli appena fuori dal cancello del campus. Taxi gialli e verdi sfrecciavano per l'anello regolarmente tra bar e ostelli, ma il traffico si disperdeva solo nel tardo pomeriggio, lasciando gli studenti liberi di camminare per la Centosedicesima fino agli alloggi dell'Accademia.

Al tramonto, la Centosedicesima Strada diventava impraticabile per i veicoli, perché i mercanti vi si riunivano per svendere la mercanzia: c’era di tutto, dalle produzioni locali di borse ricamate e collane ricavate da noccioli di pesca, fino ad articoli più esotici; rosse lucertole artigianali provenienti dal vicino Villaggio della Sabbia, maschere di legno con denti di squalo benedetti e dipinti per tenere lontano gli dèi stranieri, sigilli scolpiti a mano in giada e alabastro, denti di cane maledetti, ventilatori con bordi seghettati di metallo, scarpe ornamentali per bambini mai nati… ogni genere di oggetto passava di mano in mano in una singola notte nell'anello.

Il mercato notturno non era certo legale e ogni tanto il capo dell'ufficio dell'Hokage Public Security mandava un'unità speciale di shinobi mascherati a interrompere l'evento; ribaltavano i tavoli, sequestravano e distruggevano le merci e qualche volta arrestavano qualcuno e, per un po' di tempo, nell'anello regnava la quiete. Fino a quando, una notte, tutto d’un tratto non sarebbe ricominciato e, una volta sorto il sole, tutti avrebbero capito che il mercato era tornato grazie all'aroma di carbone e olio vegetale che mescolato alla nebbia del primo mattino, testimonianza dello street food consumato nei vicoli, gettato negli scarichi e finito nelle fauci della popolazione di gatti randagi in città.

L'ora era già tarda e il tramonto allungava le sue fauci dorate sulle strade scure, facendo a fette le ombre del giorno prima del calare della notte.

Dietro all'angolo dell'Accademia, uno stand di frutta vendeva castagne da sbucciare, oliate e arrostite tutte insieme all'interno di grandi urne. La fragranza era così allettante che Saburo si fermò per comprarne un sacchetto, infilandosi la macchina fotografica sotto all'ascella mentre cercava i soldi nella tasca. La venditrice non sembrò molto contenta, forse per via della richiesta misera, ma pesò comunque dieci once di castagne, non una di più, e gliele allungò all'interno di una borsa di carta unta.

La commerciante non lo aveva inseguito per la strada o cose del genere, quindi Saburo non aveva rimorsi.

D’improvviso, gli venne in mente il suo dannato incarico al giornale e l’editore rompicoglioni che continuava a snobbare ogni sua idea, una dopo l'altra.

Saburo era convinto che le rivolte che si svolgevano ogni fine del mese a Konoha valessero almeno una comparsa sul giornalino della scuola, o un editoriale, ma no, Haruhi-san lo aveva frenato subito. Le rivolte non sono altro che pura teatralità, gli aveva detto.

Va beh, l'idea non le era piaciuta. Forse le sarebbe andata bene una colonna dedicata al mercato notturno, le sue arti e intrattenimenti e… ma no, diavolo, no, Saburo! Di quello abbiamo già scritto.

Il suo ultimo pezzo era stato uno speciale sulla giornata tipo dei randagi a Konoha che aveva ottenuto un certo interesse da parte dello staff. La pubblicazione non era andata in porto solo per via del fatto che Haruhi-san aveva pensato che Izumo lo avrebbe scritto meglio di lui.

Con tutte le sue idee smorzate o abbattute, Saburo era stato l'unico che dopo l’ultimo meeting era rimasto senza un articolo da scrivere.

Aveva deciso di saltare l'allenamento fisico del pomeriggio per vagare per l'anello e non se ne era pentito, anche se il suo portafogli ora era molto più leggero e gli unici scatti in due ore erano a un uomo senza braccia che scolpiva con gli alluci in cambio di qualche spicciolo e un grasso gatto soriano arancione che mangiava uno spiedino di capra. Saburo era sicuro di poterle accostare in qualche modo.

Stava ancora ammirando l’anello l'affollato al tramonto alla ricerca di qualcosa di interessante quando due figure vagamente familiari, sul camminamento rialzato fuori da un tabacchino, catturarono la sua attenzione. Saburo si strozzò con la pelle secca delle castagne e si batté il petto per staccarla; ma era proprio attaccata bene e dovette tossire forte, piegarsi sulle ginocchia stringendosi la borsa sul petto. Sembrava davvero uno sfigato, in pratica. Persino sua madre non voleva mai uscire con lui per non intaccare la sua reputazione.

Saburo guardò tra le lacrime i suoi compagni più grandi d'Accademia in lontananza.

Non erano esattamente compagni, visto che sia Hatake che il ragazzo Uchiha si erano diplomati ed erano diventati genin da anni, ormai.

E non era tutto: Hatake si era unito agli ANBU ed era diventato capitano, il che significava che faceva parte di un’élite di Konoha. Per qualsiasi tredicenne Kakashi rappresentava un dio da venerare. Quelli che non desideravano essere come lui, se lo volevano scopare; la maschera di Hatake era quasi più famosa della faccia che nascondeva.

Su Obito Uchiha, Saburo sapeva quello che sapevano tutto. Niente stuzzicava la curiosità degli shinobi più report confidenziali sulle missioni e brutte ferite e l'incidente che aveva messo Obito fuori servizio comprendeva entrambe le cose. Le voci si erano sparse velocemente in tutti i ranghi shinobi e non c'era voluto molto prima che ogni classe all’Accademia si fosse fatta un'idea di ciò che era successo.

Secondo gli eventi ricostruiti da Saburo, la dinamica doveva essere più o meno questa: Minato Namikaze e il suo team erano in una missione nei pressi del Ponte Kannabi quando avevano incontrato la resistenza ninja Iwa. Obito era rimasto coinvolto nel crollo di una caverna, si era strappato un occhio e l'aveva impiantato ad Hatake con l'aiuto della loro compagna Rin Nohara. Ma è proprio lì che diventava tutto assurdo. Con il suo nuovo occhio Sharingan, Kakashi aveva fatto saltare in aria la roccia usando una spada fatta di fulmini e aveva liberato così il suo compagno di squadra dalle macerie, salvandolo da morte certa per schiacciamento e, probabilmente, ingravidando qualcuno nelle vicinanze.

Era così che era andata. Ma Obito era andato in coma, e ci era rimasto per tre anni.

Possono succedere un sacco di cose, in tre anni.

L’Uchiha si era svegliato il sedicesimo giorno di autunno. Ogni articolo di giornale aveva parlato del miracolato eroe da un occhio solo senza riportare nessuna dichiarazione diretta e ovviamente senza il suo consenso.

Dopo il quinto giorno dal risveglio, secondo un’infermiera, fonte attendibile, Obito si era dimesso dall'ospedale.  Saburo non aveva idea di quando esattamente fosse stato messo al corrente della notizia di cos'era successo al Kyuubi, al suo maestro e alla sua compagna Rin, ma il giovane shinobi aveva firmato per tornare in attività solo dieci giorni dopo il suo risveglio, ancora pericolosamente malnutrito e con la visione limitata per via dell'occhio mancante.

Saburo sapeva che non esisteva un modo per far tornare le cose com'erano. Poteva solo immaginare quanto fosse stato difficile per Obito rimettere insieme il quadro della sua vita usando frammenti irriconoscibili. Se fosse successo a lui, Saburo probabilmente si sarebbe aggrappato alle cose conosciute e familiari: l'allenamento, le missioni... così da trovare un terreno solido in mezzo a tutto il caos.

Se Saburo fosse riuscito a ottenere un'esclusiva da quei due, avrebbe ottenuto uno speciale. Diavolo, avrebbe ottenuto la sua dannata colonna, e qualcun altro sarebbe rimasto impalato ai meeting senza una storia. L'esclusiva sul prodigioso ANBU dai capelli argentati sembrava promettente, ma la storia strappalacrime di riabilitazione che gli stava a fianco? Quei due insieme, inondati dall'eterna luce del neon di un'insegna, tre anni e passa dalla fine dei loro giorni spensierati… Cazzo.

Saburo iniziò a camminare, preoccupato che i suoi eroi indaffarati svanissero nel nulla (erano noti per farlo spesso), e il suo grandioso scatto giornalistico andasse in fumo, in un tornado di foglie o qualcosa del genere.

Saburo saltò via una roccia ed evitò gli schizzi causati da una donna che stava svuotando un grande wok in mezzo alla strada. Si aggrappò a un appendiabiti con i capi più alla moda del momento e, solo allora, notò un dettaglio che lo fece vacillare e finire con un piede in una pozza di sigarette. Aspettò che il cuore gli tornasse al posto giusto.

Hatake era senza maschera. Da quello che si diceva in giro, nessuno aveva mai visto Kakashi senza la maschera. E sicuramente nessuno lo aveva mai documentato sulla sacra pellicola.

«Ragazzi,» balbettò Saburo senza fiato a causa della breve ma difficoltosa camminata. Si arrampicò sul muretto, ma non si unì a loro sotto la tettoia. «Posso farvi uno scatto super veloce? È per l'Hidden Leaf Press

Kakashi lo ignorò.

Saburo si aggrappò alla fotocamera per cercare supporto morale.

Poi, lo shinobi dai capelli scuri scoppiò a ridere; aveva un sorriso ampio e i denti scoperti, ma la sua risata suonò senza gioia. Dietro le lenti arancioni, un occhio appariva un po' troppo scuro.

«Um, ehi, idiota…»

Saburo si girò, perché non era un appellativo insolito per lui.

Hatake gli rivolse uno sguardo disinteressato. «Sto rollando.»

A quell'apatia glaciale, lo sgomento di Saburo divenne accettazione del fato. Deglutì.

Un neo sbucava dalla guancia destra di Hatake e un altro proprio sotto l'angolo sinistro della bocca. Teneva delicatamente tra le mani una cartina di riso con i bordi ancora aperti, bianca come le sue dita. Solitamente il copri-fronte del Ninja Copiatore nascondeva lo Sharingan, ma non oggi che entrambi i leggendari shinobi erano palesemente fuori servizio.

Saburo aguzzò lo sguardo e pensò di aver scorto un bagliore rosso all'ombra dei capelli di Hatake, o forse era stato solo il riflesso della scritta “Open” che brillava dietro di loro.

 

 

 



 

«Quindi, uh,» Saburo deglutì di nuovo e decise di rischiare il tutto per tutto. «Scattiamo dopo che avete fatto?»

«Quando avremo fatto, la fumeremo,» rispose Obito senza mezzi termini.

«Io speravo solo di, uh, poter avere uno scatto di voi due ragazzi. Con la tua, uh, maschera abbassata, Hatake-senpai.»

«Hatake-senpai,» lo scimmiottò l'Uchiha.

Gli occhi di Kakashi si sollevarono e strinsero Saburo in una presa terrificante. Saburo cercò di non far ballare troppo lo sguardo tra l'occhio sfregiato e quello grigio.

«Ti ho visto in giro per l'Accademia, mi pare. Come ti chiami?»

Saburo rispose.

«Hm,» mormorò Hatake. «Che tipo di shinobi sei, Saburo?»

«Emm…» si impanicò, «uno, uh, uno decente?»

Obito rise e gli fece una domanda chiarificatrice. «No. Sei un genin, un chunin o che?»

«Oh, no, non mi sono diplomato.» Saburo alzò la macchina fotografica dal petto. «Sto con il giornale.»

«Già. Lo avevamo capito.» Kakashi fece una breve risata, guardò il suo compagno con un mezzo sorriso di approvazione.

Obito prese quel segno come il permesso per continuare. «Non mi piacete, voi gente del giornale,» disse. «Non mi piacciono le vostre stupide domande.»

«Non farò domande stupide,» promise Saburo.

L'Uchiha lo scrutò per un momento, piegando la testa. «Non sei molto bravo a fare le tue cose da giornalista, Sakiko.»

«Saburo,» lo corresse. «Lo so, amico. Voglio solo la foto.»

«Giuusto,» Obito si piegò, annuendo comprensivo, ma la sua voce era tagliente. «Una foto della stupida faccia di Bakashi, per i suoi ammiratori.»

«Um…»

«Sai cos'altro dovresti fotografare?» disse, avvicinandosi di più. «Le mie cicatrici.»

«Obito,» disse Kakashi senza intonazione.

«Cosa? È quello che vogliono, no? Avanti ragazzino, ti lascerò avvicinare un sacco. Puoi far stare il suo bel neo e le mie orrende cicatrici in un’unica foto.»

Le mani di Saburo tremarono.

«Basta. Obito, lo stai traumatizzando.»

«Sta zitto,» gli rispose. Grazie al cielo però tolse lo sguardo da Saburo per posarlo sul suo vecchio rivale. «Sono io quello che è stato traumatizzato. Fin dal giorno nel quale mi sono risvegliato, questi figli di puttana mi hanno rincorso per il mercato saltando fuori dai cespugli. Non posso nemmeno andare a guardare la tomba di Rin per un dannato minuto prima che cinque di loro mi si attacchino al…»

«No,» lo interruppe Saburo, abbassando e scuotendo la testa al terreno umido. Sentiva tre occhi su di lui. «Mi dispiace, hai ragione. Fare notizie non dovrebbe mai funzionare così. La questione non dovrebbe essere divulgare storie e ricercare ciò che la gente vuole sentire; io dovrei essere una lente. Un bravo giornalista è solo una lente, capisci? Non voglio divulgare una notizia sulle tue cicatrici, ma con il tuo consenso mi piacerebbe diffondere consapevolezza. Inizierei con una foto.» Saburo alzò di nuovo la camera, imbarazzato.

Dopo un momento di silenzio, Kakashi inspirò. Scosse la testa e la bocca gli si spezzò da parte a parte in un sorriso simile a quello di uno squalo. «Scusa, ragazzino, non faremo la foto, non oggi. Bel tentativo comunque.»

«Puoi fare una foto ai miei guanti,» propose Obito. «Fai una foto ai miei guanti fighissimi!»

Un pugno volò davanti alla faccia di Saburo, che lo schivò all'indietro così velocemente da doversi attaccare a qualcosa di solido alle sue spalle per non cadere a terra con la grazia di un fiore. Invece, scese un gradino all'indietro e si morse il labbro inferiore, lacrimando dagli occhi.

«È ossessionato dai suoi guanti,» sussurrò Kakashi, iniziando ad arrotolare lentamente la carta fra le sue mani.

Obito continuò a sganciare pugni all'aria, saltellando sugli alluci. «Guarda qua. Da sballo, eh?»

Saburo dovette impegnarsi per riuscire a determinare che design e forma avessero, perché i pugni dello shinobi continuavano a muoversi. Le nocche brillavano vagamente di arancione.

«Sono per bloccare il chakra?» osò chiedere. «Dove li hai presi?»

Lo spostamento d'aria gli fece muovere i capelli sulla fronte mentre Obito continuava ad affrontare il suo avversario immaginario proprio davanti a lui. Non rispose a nessuna delle domande educate e Saburo iniziò a sentirsi a disagio. Guardò Kakashi in cerca di aiuto.

«Non lo sa dove li ho presi,» sospirò il Ninja Copiatore. «Non sono molto facili da trovare. Io, uh…» Hatake sembrò raccogliersi per un attimo; nascose la sua incertezza portando la cartina arrotolata alle labbra e passandoci la lingua. «Pensavo che il suo taijutsu avesse bisogno di una sistemata.»

Ogni cosa che Kakashi faceva, la faceva sempre lentamente e senza sforzo. Saburo non riusciva a capire perché qui stesse esitando così tanto.

«Il sistema di bloccaggio di chakra li rende pesanti,» disse Obito. «Me nel giro di un mese li leverò e le mie mani spareranno fiamme e sarò fortissimo. E poi mi faranno Hokage. Da sballo, no?»

«Uh, huh,» Saburo balbettò ancora e si odiò per averlo fatto. Alzò le mani in posa difensiva mentre Obito faceva sfrecciare i suoi pugni nell'aria a solo pochi centimetri dalla sua faccia. «Sono davvero fighi.»

Il Jōnin appoggiato al muro sospirò ancora. «Digli che sono da sballo.»

«Em…» Saburo fissò la scia dei pugni dell'Uchiha. «Sono da sballo.»

«Lo so,» confermò Obito, fermando finalmente le mani e appoggiandosi al muro. Mise un gomito sulla spalla dell'altro shinobi e lo indicò con un dito. «Se vuoi essere uno shinobi decente, piccolo, questo è il tizio che devi imitare: Kakashi Hatake. Quando il dovere chiama, è subito lì pronto con una spada di fulmini, amico. Il dovere chiama e Kakashi è lì con uno dei suoi perversi completi di pelle. Il dovere deve fare una pisciata? E lui è lì con la bocca aperta per…»

«Ugh, taci un po’, okay? Nessuna delle cose che ha detto è vera.» Si lamentò Kakashi, colpendo l'Uchiha con il gomito. Il divertimento però lo tradì con una piccola piega della bocca. Si girò verso Saburo e lo guardò dritto negli occhi. «Senti, Seguro, se vuoi diplomarti all'Accademia ed entrare nel rank, ricordati di questo, piuttosto: arriverà il giorno nel quale dovrai scegliere se credere a quello che sai o quello che ti è stato detto. Assicurati di poter convivere con la tua scelta, perché una volta fatta non si torna più indietro. A volte, non puoi riavere indietro le cose che decidi di sacrificare.»

Saburo chinò la testa e annuì a quell'avvertimento, anche se quel “a volte” echeggiava ancora nell'aria, solenne e significante.

Il suono di un grugnito di Obito lo polverizzò. «Questo tizio mi ha salvato da una roccia gigante,» si vantò Obito, cingendo il Ninja Copiatore intorno al collo con il braccio. «In pratica, è innamorato di me.»

Saburo sentì gli angoli della bocca scattare. Alzò la testa per guardare, ma l'Hatake non fece niente per negare quella constatazione. Guardò Obito bloccargli il collo e appoggiargli il naso alla guancia e, come ricompensa per quel gesto affettuoso, lo spinse delicatamente via con il gomito.

«Falla finita, Obito, dai, i tuoi occhiali.»

Saburo si morse il labbro inferiore. «Uchiha-senpai, com'è che indossi sempre quegli occhiali?»

Kakashi rispose con una cadenza lenta, come se stesse ancora valutando se finire la frase o meno. «Se Obito si togliesse gli occhiali, cadresti dentro al suo occhio nero e moriresti all'istante.»

La risata di Obito echeggiò di nuovo nella sera, ben diversa da quella senza gioia di poco prima.

«Sto scherzando,» continuò Kakashi, apatico. «È che si vergogna dell’attaccatura troppo alta dei capelli.»

«Ehi! Ma cos…» urlò Obito. «Non dirglielo!»

Le dita di Saburo prudevano dalla voglia di fare una foto. Le sue orecchie bramavano quel click. Si preparò un’altra domanda tattica.

«Non c'è una politica sull'utilizzo delle droghe negli ANBU?»

Kakashi tirò su con il naso. «Dove pensi che abbia preso l'abitudine?»

La sua risposta secca raggiunse le orecchie di Saburo proprio nello stesso momento nel quale Obito balzò dal muro e scattò verso di lui, colpendolo con la mano allo sterno. Gli avrebbe sicuramente provocato un livido.

«Avevi detto niente domande.»

Tecnicamente, Saburo aveva detto niente domande stupide.

«Comunque, non sono più un ANBU,» disse Kakashi, come se la discussione non stesse nemmeno avvenendo. Rovistò nella tasca in cerca di un accendino e appoggiò la fiamma all'estremità del rotolo di carta, forse per sigillarla, poi se lo infilò nell'angolo della bocca.

«Non lo sei?» Saburo provò a guardarlo, ma la sua visuale del Ninja Copiatore venne oscurata quando Obito sollevò le braccia e si appoggiò le mani dietro al collo. Incerto di come dover decifrare quel linguaggio non verbale, Saburo sollevò cautamente lo sguardo fino ad avere contatto visivo con l'occhio dell'Uchiha ed ebbe l'impressione che stesse per essere pestato o travolto da tempesta.

«Non mi lasciavano andare in missione, all'inizio,» disse lentamente Obito. «Mi allenavo e mi allenavo. Ho persino passato il loro esame di merda …»

Il fumo si alzò da dietro Obito donando alla sua silhouette una tonalità di rosa e Saburo lo guardò girarsi un po' e accettare qualcosa da Kakashi.

«Mi sono allenato,» disse ancora Obito, mentre si portava alla bocca lo spinello di carta di riso con sguardo vacuo. Il fumo lasciò la sua voce flebile e asciutta. «Ma pensano io non sia più in grado di lavorare bene in un team, o cose del genere. Ora ho un supervisore ANBU e un sacco di regole di merda da rispettare.»

«Compagno di squadra,» lo corresse Kakashi con voce neutrale. «E condizioni speciali.»

«Non posso nemmeno fare missioni di grado C da solo,» continuò Obito, a volume più alto. «Sai cosa si prova? Ma certo, non lo sai. Immagina che la zia che ti sta più antipatica ti chieda aiuto, non so, tipo per fare il bucato per sei ore di fila…»

«Questa non è una corretta rappresentazione di una missione di grado C,» lo rimproverò gentilmente Kakashi.

«Va bene,» Obito fece un sospiro esageratamente profondo e scosse le spalle. «Facciamo che ha bisogno di aiuto ad appendere il bucato, e una puttana vuole ucciderla.»

«Ha bisogno di aiuto con il bucato e un piccolo clan di confine vuole il suo sangue per un rituale sacrificale,» suggerì Kakashi.

«Nah, aspetta…» Obito sorrise, soffiando fumo mentre gli passava lo spinello. «È il giorno del bucato e ha un brutto presentimento per via del corvo che la fissa dall'altra parte della strada.»

Entrambi batterono i piedi per terra e risero. Saburo si aspettava una battuta finale, ma comprese troppo tardi di non averla colta.

«Yo-o!» Intonò Kakashi, asciugandosi delicatamente l'occhio sfregiato. «Fa ridere perché è successo davvero.»

«L'arte eremitica usata da un uccello, era una cosa inaspettata. Sapevo che sono intelligenti, ma quello era su un altro livello…»

«No, spazzare via un intero isolato solo per sbarazzarcene è stato su un altro livello.»

«Era una scheggia,» Obito lo interruppe con un sibilo, girandosi per fare un gesto a Saburo come se volesse fargli capire qualcosa. «Intendo, gli uccelli possono essere davvero veloci.»

Kakashi iniziò a parlare, tossì, e poi scosse la testa bassa.

«E poi ti viene da pensare,» continuò Obito. «Se quella cosa era in grado di assorbire il chakra dall'ambiente circostante, allora era anche in grado di percepirlo, no?»

Saburo, sconcertato e un po' arrugginito sulla teoria riguardante l'arte eremitica, annuì.

«Che cosa?» protestò Kakashi, furibondo. «No bello, quell'uccello non era in modalità eremitica, aveva solo mangiato un sacco di chakra al porto. Credimi, non ci vuole poi tanto a batterti a nascondino. Catturare una bestia selvatica richiede moderazione e un passo delicato.»

«Io sono,» Obito lottò per pronunciare la parola, «delicato!»

«Come il mokuton

Saburo non credeva che il Ninja Copiatore potesse essere così sfacciato.

«Sentite, vi spiace se vi faccio una foto insieme?»

Kakashi si scrollò languido e soffiò fumo di lato. «Se vuoi un fulmine su per il culo.»

«Non capisco dove stia lo scoop, comunque,» bofonchiò Obito appoggiandosi al muro. «È solo una maschera e sotto c'è solo una faccia. Io sono stato schiacciato sotto a una roccia e quando mi sono svegliato tutti quelli che amavo erano morti e a volte mi sento un pazzo solo a pensarlo ma, andiamo, insomma! Succede. Siamo shinobi.»

Saburo chinò la testa e una strana quiete scese su di loro. Intorno, il mercato notturno scintillava mentre il sole calava. Non appena l'odore di ebano lasciò le loro narici e bocche venne sostituito dagli aromi del cibo.

Saburo fece cadere lo sguardo a terra e li guardò solo con la coda dell’occhio.

 Kakashi dondolò la scarpa e calciò pigramente la ghiaia, svicolò poi sempre più vicino a Obito fino a quando la punta del piede non arrivò a raggiungere il tallone del suo compagno. Quando Saburo guardò in alto, sembrò che le loro teste si separassero, poi Obito si portò l'ultimo centimetro di carta ardente alle labbra.

«È vero che hai risvegliato il Mangekyo Sharingan

Il ragazzo Uchiha sembrò voler rispondere, ma Kakashi lo interruppe con una velocità sorprendente. «Questa è una domanda stupida. Prova con qualcos'altro.»

Saburo pensò che quella era stata l'unica domanda intelligente che aveva fatto quella sera, in realtà.

«Quindi, la vostra strategia è quella di incastrarmi con domande stupide, così che voi possiate darmi stupide risposte.»

«Già,» lo sfidò Obito, «che te ne pare come strategia?»

«Una merda,» ammise Saburo. «Ma che genere di domande stupide vi hanno fatto in passato, ragazzi?»

«Oh, un po' di tutto,» rispose Kakashi, vago.

«Obito-kun,» scimmiottò Obito. «Se mi metto qui sono dentro o fuori dal tuo campo visivo? Hai le cicatrici anche là sotto? Cosa ne pensi di Kakashi-kun? Cosa si prova a essere di nuovo in un team? Cosa si prova a perdere tre anni di vita? Come fai anche solo ad alzarti la mattina?»

«Maa, Obito, a proposito,» Kakashi interruppe la sceneggiata senza curarsene troppo. «Dove ti sei procurato quei morsi sulle caviglie?»

Lo shinobi sfigurato avvampò improvvisamente, arrossato intorno alle orecchie e sotto agli occhiali. Questa volta non era per via del neon.

«Pervertito!» sbraitò.

«Sfigato,» lo punzecchiò Kakashi, schivandolo facilmente quando Obito gli si scagliò addosso, e poi ancora, e un'altra volta. Alla fine, il Ninja Copiatore si tirò su la maschera, offrì a Saburo un saluto con due dita, uno sguardo gentile negli occhi, poi se la svignò.

«Bakashi!» urlò Obito seguendolo e lasciando dietro sé una scia di fumo.

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Capitolo 2
*** Giorni in missione ***


 

 

 

mission days from radio fool on 8tracks Radio.

 

 

Fra tutti i luoghi nei quali Saburo avrebbe potuto incontrare Kakashi e Obito una seconda volta, fu sui mezzi pubblici. Nessun ninja con un minimo di autostima avrebbe mai sentito il bisogno di usare l’autobus a Konoha, ma era così conveniente che usarlo era diventata un'abitudine tanto per i civili quanto per gli shinobi.

I mezzi acquisivano attrattiva soprattutto se staccavi da dieci o dodici ore di lavoro senza sosta e la strada per tornare agli alloggi era piena di ubriaconi, acqua puzzolente che ti arrivava fino alle caviglie e vapore che usciva dai tombini.

La linea verde faceva sosta all'Accademia, alla biblioteca e al cancello occidentale, non troppo distante dagli alloggi degli studenti. Su quella linea, in qualsiasi altro momento della giornata, sarebbe stato difficile notare due ragazzi in borghese, ma alle 23:00 dell’ultimo giorno lavorativo della settimana, su quel bus deserto spiccavano solo i vistosi capelli di Kakashi e gli occhiali arancioni di Obito.

Saburo veniva da una giornata di lavoro bella tosta e non sarebbe riuscito a trascinarsi a piedi fino a casa. Aveva completato l’articolo a un minuto della fine del tempo disponibile e non era nemmeno sicuro di aver scritto cose di senso compiuto nell'ultima ora. Era certo che il giorno dopo il capo redattore gli sarebbe stato con il fiato sul collo per fargli sistemare gli errori di battitura. Non che ai lettori importasse molto di qualche refuso nella colonna dedicata al giardinaggio, ma Haruhi-san non avrebbe accettato un lavoro approssimativo, soprattutto considerando che Saburo era stato affidato a quella sezione perché ritenuta quella dove avrebbe potuto creare meno danni.

A parer di Saburo, l'articolo dedicato alla rete sanitaria di Konoha (più specificamente, al sistema di drenaggio che portava l'acqua dalla parte alta del villaggio fin giù al Green Lake e ai condomini) maritava di essere revisionato maggiormente rispetto a quello riguardante la fioritura dei cespugli nel parco.

«Ehi,» disse Saburo cercando di apparire calmo e rilassato. Fallì, strofinandosi nervosamente le mani sui pantaloni. «Vi va se vi faccio una foto per il giornale?»

Kakashi era seduto con una gamba piegata sul sedile. Si spostò lentamente, la schiena contro il finestrino e i suoi occhi scivolarono da Saburo al libro che aveva fra le mani. Aveva un’espressione rilassata, ma lo Sharingan attivo e gli conferiva un aspetto davvero incazzato. Gli occhi si spostarono ancora di lato, e poi di nuovo sulle pagine.

Saburo seguì il suo sguardo. «Oh, sta dormendo.»

La testa di Obito ciondolava appoggiata al vetro, gli occhiali alzati sulla fronte. Saburo notò un brutto graffio sulla guancia, sovrapposto alle vecchie cicatrici.

C'era un grosso zaino per terra tra i loro sedili, ricoperto da argilla rossa. Aveva sporcato anche il pavimento.

«Questa è la prima e l'ultima volta,» disse lento Hatake, «che lo vedrai addormentato.»

Saburo annuì, anche se probabilmente non sarebbe stato necessario.  


 

 

«Siete di ritorno da una missione?» chiese, prestando attenzione a moderare il tono della voce mentre si accomodava sul bordo più lontano del sedile lungo nel corridoio. C'erano solo altri tre o quattro passeggeri sul bus, tutti civili determinati a ignorarsi l'un l'altro.

I freni stridettero e il traffico intermittente li sballottò, ma Saburo ipotizzò di aver sentito una risposta affermativa.

«Una lunga? Sembrate a pezzi, ragazzi.»

Già solo il fatto che l'Uchiha stesse dormendo in un luogo pubblico ne era la dimostrazione. Pochi shinobi potevano permettersi di essere sorpresi in quello stato. Ma dal rossore della loro pelle, il rapido alzarsi e abbassarsi del petto dell'Uchiha, e dallo sporco sul pavimento, era chiaro che i ninja fossero di rientro da una spedizione fuori dalle mura e, almeno all'apparenza, da una lunga camminata.

Obito non sembrava solo a pezzi, era esausto. Era la stanchezza a tenergli chiusi gli occhi.

«Non svegliarlo,» lo avvisò Kakashi con un pacato mormorio. Girò pigramente una pagina.

Saburo sapeva che non sarebbe sceso vivo da quel bus se non avesse seguito quel consiglio.

«Pensi… pensi che sia pronto per tornare in missione? Intendo, non è passato molto da quando…»

«Chi se ne frega.» Kakashi voltò un'altra pagina e per un momento la sua espressione ricordò a Saburo quella di sua madre, severa e infastidita. «Se è quello che vuole lui.»

«Certamente,» concordò Saburo, con troppa convinzione. «Chi l'ha detto che riposo e riabilitazione devono andare a braccetto, dopo tutto?»

Kakashi abbassò lentamente il libro. «Seguro, giusto? Mi ricordo di te.»

Saburo aprì la bocca, ma la voce gli si smorzò e gli scese giù fino agli alluci.

«Ho letto uno dei tuoi pezzi sull'Hidden Leaf il mese scorso,» continuò il Jōnin con un tono strano, come se stesse per ricattarlo. «Quel pezzo sull'insonnia.»

«Oh?» Dio, Saburo stava iniziando a sudare. «Oh, sì. L'editore mi ha massacrato per quel pezzo, troppe linee irregolari.»

«Mi è piaciuto il modo nel quale hai paragonato la mente umana a un vascello e la memoria all'acqua.»

«G-grazie.»

«Ho sempre immaginato che i ricordi sarebbero blu,» continuò, «beh, se avessero un colore.»

«Uh...huh,» Saburo concordò esitante. Come al solito, la conversazione con il Ninja Copiatore stava uscendo dai binari.

«Mi piace anche la foto che hai messo, con la marea che ricopre la riva e quel lungo molo. Ma lascia che ti chieda una cosa: è attraverso l'esperienza che la mentre entra in contatto con la realtà, oppure avviene attraverso la coscienza? Potresti definire la realtà in modo oggettivo restando sulla sponda, o per farlo devi per forza salpare con il vascello?»

«Io, uh… cerca di non farti prendere troppo dalla, uh, metafora.» Saburo deglutì con difficoltà, sentendo improvvisamente il mal d'auto mentre la sua mente provava a trovare una risposta alla domanda. «Ci dovrei pensare su, credo.»

«Sì, dovresti.»

Saburo chiuse la bocca. Forse, quello era il modo del Ninja Copiatore per dirgli di smetterla di scrivere certe cose e dedicarsi alla colonna di giardinaggio.

Il bus si fermò. Alcuni passeggeri scesero. La biblioteca non era aperta a quell'ora della notte, ma era nel centro della città e vicina a un'area residenziale.

«Ho una storia per te,» disse Kakashi all'improvviso. «Per il tuo prossimo pezzo. Due anni fa, ero in solitaria perché i miei erano in congedo per malattia. Un giorno, il Mission Control mi affida cinque di primo pelo per una missione all'Inferno: una merda che chiamavano 'valutazione ecologica'.»

«Primo pelo?»

Kakashi si strofinò una mano sulla faccia. «Sì dai, shinobi freschi d'esame, di primo pelo, puledri, nuove reclute. Il comandante voleva che gli facessi fare pratica, far sporcare un po' le lame con qualche missione di grado S per aiutarli a entrare negli ANBU. Ma una valutazione ecologica? Psh… cazzo, amico, sapevo che quello sarebbe stata una merda fin dall'inizio.»

«Perché?»

Un sopracciglio grigio si sollevò velocemente e il Jōnin appoggiò il libro con delicatezza, come se fosse un sermone sull'eterna salvezza o, meglio, come se fosse una cucciolata di candidi cagnolini. Poi, lentamente disse: «Le missioni di grado S fingono di essere questioni estere innocue e scientifiche solo quando vogliono passare inosservate.»

«Capisco,» disse Saburo, chiedendosi se tirare fuori il quaderno degli appunti e la penna fosse un po' troppo sfacciato. «Quando dici “estero” intendi posti come la Nebbia?»

Lo sguardo del Ninja Copiatore non era cattivo, ma molto intenso. Saburo fu improvvisamente grato che tenesse sempre il suo spaventoso occhio rosso coperto e anche quel “bel neo”. Tutto insieme, sarebbe stato troppo.

«Un luogo molto, molto lontano, ragazzino.»

Ogni missione che riguardava gli ANBU era un mix di segretezza e depistaggi. Saburo lo aveva imparato quando sua madre era diventata un'ANBU. Si zittì.

«Era un lavoro segretissimo,» spiegò Kakashi. «Volevano che una dozzina di noi partisse e aggirasse il confine per entrare nel territorio nemico. Penso che il Mission Control ci avesse scelti perché tutti noi addestravamo cani.»

«Territorio nemico,» ripeté Saburo. «Nemico della Foglia?»

«Possiamo dire così. A quel tempo almeno, forse.» Era stata una risposta criptica. «Un nemico degli interessi dell'Hokage. Quelli che ci avevano ingaggiato avevano bisogno di qualcuno che sorvegliasse il perimetro durante la notte, ed erano disposti a pagare bene. Il fatto che stessimo interferendo nel conflitto di un paese straniero era... latte avanzato. Ecco: facciamo che era quello il nome del paese che stavano sorvegliando.»

Saburo sentì le sopracciglia avvicinarsi, come se si fosse perso qualcosa. Obito aveva ragione: era davvero un pessimo giornalista.

«Latte Avanzato,» ripeté Kakashi, dopo qualche secondo. Aveva gli occhi socchiusi. «È uno pseudonimo, ovviamente.»

«Oh.» Latte... Avanzato? Più Saburo scopriva riguardo le missioni segrete ANBU, più era confuso.

«La base, i bunker e le torri erano presidiate da guardie. Erano nervose, tutte quante. Molto armate e nervose, erano più o meno della nostra età, credo. Tredici, quattordici anni. Il furgone ci portò sul posto. Ogni ninja era assegnato a uno specifico tratto di territorio. Non avevamo niente se non le provviste strettamente indispensabili: coperte per la pioggia, razioni C, qualche razzo di segnalazione. Quando scoppiò la guerra tra le guardie e le forze locali, noi ci trovammo proprio nel mezzo. Trappole esplosive, vipere del bambù e un sacco di insetti che non gradivano la nostra presenza da quelle parti.» Kakashi fece una pausa. «Pensavo di conoscere già l'oscurità, prima di allora. Mi ricordo che la prima notte, quando il furgone che ci portò lì se ne andò, si portò via con sé tutta la luce del mondo. Niente luna, niente stelle, niente orizzonte. Lo Sharingan è una lente che non serve a nulla senza qualcosa da riflettere. Non riuscivo a vedere i miei cani a cinque metri di distanza, era tutto indistinto. Cosa ci faccio qui? Sono impazzito? Arriverò a domani mattina? Morirò qui? Questi pensieri mi riempivano la testa, sai, in quei momenti pensi a certe cose. Hai un sacco di tempo là fuori per pensare. Invece di perlustrare, stavo seduto, in ascolto. Noi pensiamo di sapere cosa sia il buio, ma non è così. La maggior parte delle persone non lo sa. Io pensavo fosse solo la mancanza di luce, ma lì scoprii fosse un’entità. Occupava lo spazio intorno a me, mi schiacciava, mi toccava. L'oscurità mi stava permettendo di attraversarla.»

Saburo alzò gli occhi per guardare fuori dal finestrino e vide tutto nero. Aveva sempre pensato che la periferia di Konoha fosse molto buia. Dopo un secondo, però, poté individuare la linea dell'orizzonte, una luce lontana e delle silhouette. Un lampione illuminò la strada e poi, quando svoltarono l'angolo verso il centro della città, comparve una serie di cartelloni pubblicitari.

Kakashi continuò come se stesse annunciando il traffico alla radio. «In quelle notti, ho dialogato con me stesso. Era così facile cadere nel panico, là fuori. L'oscurità infinita, gli attacchi dei nemici, i giaguari, i cobra, pipistrelli così grandi da sembrare uomini che si spostavano tra gli alberi. C'erano così tanti modi per morire. Tutto ciò iniziò a pesare sulla mia squadra. Percepivo che erano spaventati. Non sapevano se ce l'avrebbero fatta un'altra notte. A volte nemmeno io ne ero certo. E poi ho iniziato a perderli. Ma c’era qualcosa che non tornava.» Continuò a parlare pulendosi l'interno di una narice e gettando via il contenuto. «Un assassino normale non può far fuori un ANBU, anche se si tratta di uno di primo pelo. Non può succedere e basta, okay? Ma non riuscivamo proprio a capire come si coordinassero per attaccarci. Non c'erano trasmissioni radio, mai nemmeno un razzo, provammo a cambiare i turni delle nostre ronde, anche i percorsi, ma non funzionò nulla. Venivamo scelti e inghiottiti dall'oscurità, uno dopo l'altro. I nostri sensori percepivano i chakra solo quando ormai era troppo tardi.»

Il bus si fermò. Le porte si aprirono e nessuno scese. Saburo ebbe l'impressione che Obito si fosse scosso un po' dal sonno, ma gli occhi erano ancora chiusi.

«Dicono che gli dèi proteggono i bambini e gli scemi,» disse il Ninja Copiatore. «Io ero un capitano e quel titolo significava ogni cosa per me, quindi ero scemo, sì. E avevo quindici anni, quindi ero anche un bambino. Ma una notte mentre ero di guardia, seduto ad ascoltare, ho parlato con me stesso e ho sentito... ho sentito che la notte mi stava rispondendo.»

Prima che Saburo potesse formulare una domanda, Kakashi continuò. «Ogni notte si sentiva un suono nell'aria; sembrava una porta lugubre che si apriva cigolando. Solo che andava avanti in eterno, amico, fino a quando non ti dimenticavi persino che era lì. Quindici minuti di cree-e-eak su tutte le tonalità. Pensavo fossero gli insetti all'inizio, invece era il richiamo di una civetta. Un tipo di rapace della zona che usava i suoni per localizzare le prede nell'oscurità. I guerriglieri locali avevano addestrato quegli uccelli con specifici comandi intorno alla base. Ogni messaggio su due note era ripetuto in continuazione: la prima nota identificava una delle torri della base, e la seconda era la direzione dalla quale sarebbe provenuto l'attacco. Dopo ogni attacco, il codice cambiava e la civetta iniziava un nuovo richiamo. Contava le vittime. Quattro giù. Sette giù. Due giù.»

«Cos'hai fatto?» chiese Saburo, a fiato corto.

Kakashi si prese il suo tempo sollevando il libro, piegando un orecchio della pagina e richiudendolo. «Maa. Non ho capito come funzionasse quel codice fino a due settimane dal mio rientro.»

«Ma quindi…» Saburo provò a riorganizzare i pensieri. Se non lo aveva capito quando era là, che senso aveva decifrare quel codice in seguito? Ma più importante... «Come te la sei cavata?»

«L'ultima notte sono stato chiamato per aiutare le guardie fuori dalle mura. Ero con il mio cane. Gli chiesi di seguirmi, e lui non lo fece. Gli chiesi cosa avesse, e lui non si mosse. Gli diedi un calcio nel culo, ma lui rimase fermo. Non volevo attirare l'attenzione, ma per un momento ho attivato il mio chidori, solo per dare un'occhiata. Per terra c'era una spaccatura profonda otto metri, proprio di fronte a noi, dove prima non c'era nulla. Sul fondo sono riuscito a contare quattro cadaveri e un corpo immobile. Era viva, riuscivo a sentire il suo chakra. Sono andato da lei. Uno giù… il richiamo era tra gli alberi, ma non aveva nessun senso allora per me. Ho acceso un razzo e fermato l'emorragia, ma c'era qualcosa che non andava e quando si alzò il sole vidi che il sangue le aveva gonfiato così tanto l’addome da farla sembrare incinta. Nella luce trovai tutti i miei compagni e i cani sepolti nella polvere. Solo io e Akino lasciammo quel luogo. Poi, quelli che ci avevano ingaggiati lasciarono perdere e la missione finì.»

«Quindi...» Saburo aspettò qualcos'altro, ma non arrivò. «Che ne è stato di “Latte Avanzato”?»

Kakashi si scosse. «Non lo so. La storia finisce qui.»

«Ma come? Ma... e la cosa delle trappole e della spaccatura nel terreno? Come facevano a farla?»

«Tunnel sotto terra.» Le lunghe ciglia di Obito si scossero e russò leggermente. «Cosa vuoi, una morale?» Kakashi finse di pensare, poi sembrò illuminarsi. Picchiò il pugno nel palmo aperto della mano. «Le valutazioni ecologiche sono una merda.»

Obito russò di nuovo.

«Non so,» continuò il Ninja copiatore, e poi si fermò per sbadigliare. «A volte non penso a quella missione per interi mesi. Poi sento quel suono tipo una porta che cigola e mi sembra di essere ancora circondato dal buio. Forse sono ancora sepolto laggiù?»

«Meglio là ai tropici che al polo nord o in una foresta puzzolente,» mormorò Obito rimanendo appoggiato al finestrino. «Con le missioni di grado B non si fanno bei combattimenti, ti geli solo le chiappe e sei costretto a cagare in un buco per terra. Io voglio il mio letto.»

Il mormorare svanì quando Obito russò di nuovo e sembrò rilassarsi.

Kakashi gli sorrise, poi tornò inespressivo per guardare Saburo. «Scusa il mio amico, è agguerrito anche quando dorme.»

Se l'Uchiha stava fingendo di parlare nel sonno, Saburo aveva davvero sottovalutato la capacità di autocontrollo di quella testa calda.

Per un momento guardò Kakashi che osservava il suo compagno e si sentì un po' sollevato da quella terribile storia.

«Il fatto è che,» rifletté Kakashi. «Da shinobi, ti scontri con l'oscurità ovunque tu vada. La affronti ancora e ancora, e ogni singola volta ti porta al limite, fino a farti porre delle domande, a farti arrivare davvero vicino a perderti. Ma noi torniamo sempre e comunque a casa, perché ogni tanto qualcuno riesce a uscire da quel buio con noi. E poi, quando ci ripensi, odiando tutto quello che è successo e come sono andate le cose, puoi guardare la persona al tuo fianco e dire... sì cazzo. E quello è tutto ciò del quale hai bisogno.»

«Err…» Saburo batté le ciglia.

«Lo volevo uccidere,» continuò Kakashi senza guardarlo direttamente. «Seriamente, ero così incazzato in quel periodo... Lo ascoltavo respirare lì sdraiato in quel letto. Osava farmi pensare che non ce l'avrebbe fatta… Stupido. Fottuto. Idiota. Appena dodicenne; non potevo permettergli di morire così.» Saburo comprese che ora stava parlando dell'incidente al ponte Kannabi.

«Non poteva crepare per una roccia del cazzo. Non per me. Non eravamo nemmeno… non era…»

Questa volta Kakashi si fermò, troppo a lungo, respirando silenziosamente. Poi tornò neutrale. «Sembrava sbagliato lascialo lì con tutta quella roccia di merda che si sgretolava intorno a noi. Sapevo che usare il chidori ci avrebbe salvati o uccisi entrambi, ma avevo deciso che non me ne fotteva più un cazzo di essere un bravo shinobi se non ce l'avessimo fatta entrambi. Non mi piace far vedere alle persone che ho un punto debole grande come quella fottuta roccia, quando si tratta di lui.»

«Uhh,» Saburo provò a cercare le parole giuste per concordare. Non aveva mai sentito una ragione così agonistica per la quale salvare la vita a qualcuno.

«Là fuori, parlando con l'oscurità, non mi sono mai perso. Continuavo a pensare: a casa Obito è ancora in coma, e nessuno pensa che ne verrà mai fuori, nessuno pensa che guarirà. Come posso pretendere che lui combatta e vinca, se io non riesco a farcela contro Latte Avanzato? Capisci quello che voglio dire? Forse lo Sharingan non funzionava in quell'occasione, ma era comunque lì, a proteggere il mio punto debole, capisci? E c'è qualcosa di unico e molto potente in tutto questo: la sofferenza. Amico, hai afferrato?»

«Sì io, lo ho... afferrato. Intendo, ho capito.»

Hatake si appoggiò al finestrino. Aveva le gambe rilassate, ma era feroce come un predatore che caccia la sua preda.

«Pensi che sia pronto?» chiese di nuovo Saburo. «Per tornare là fuori?»

Kakashi si scosse. «Quei puledri erano pronti per Latte Avanzato? Non so, ragazzo. Non so se nessuno è mai davvero pronto. Comunque, qualche giorno in giro non può fargli altro che bene. Non abbiamo nemmeno fatto un vero e proprio combattimento, solo due giri attraverso la Foresta dei Brividi.»

«Voi due ragazzi siete andati e tornati nella Foresta dei Brividi in qualche giorno? Ma è…» era impossibile, a meno che non avessero mantenuto un passo da suicidio. «È da pazzi.»

Non poté fare a meno di dare un'altra occhiata al compagno addormentato. Respirava come se avesse corso su per una collina per tre giorni di fila.

Kakashi lo guardò con uno sguardo assassino. «Non rallento per lui.»

Beh, chiaramente, pensò Saburo, ma non disse nulla. L'atteggiamento dell'Hatake era sgradevole e agrodolce e sembrava inappropriato per la reputazione di uomo dal sangue freddo in grado di sventrarti con uno sguardo. Ma Saburo comprese che forse stava solo iniziando a vedere sotto a tutte quelle maschere che indossava per nascondersi.

«Comunque,» iniziò il Ninja Copiatore, girandosi per mettere i piedi a terra e infilare il libro in una tasca dello zaino. Era uno di quelli forniti dal Mission Control; generalmente erano riempiti con attrezzatura di base di sopravvivenza, kit di pronto soccorso e armamenti. Era sempre meglio averne uno a testa, ma era anche uno spreco di energie, quindi i team d'élite spesso spartivano il peso di un'unica borsa. «Mi sembra stia bene.»

Saburo tornò a concentrarsi sulla conversazione. Kakashi alzò la borsa sul sedile, senza prestare attenzione al suo interlocutore.

«Ha davvero un bell'aspetto,» disse di nuovo.

«Finalmente si è tolto quei guanti,» osservò Saburo.

«Huh? Oh.» Alzò gli occhi al cielo. «Già. Solo dopo essere quasi collassato sulla via del ritorno, quanto è scemo. Volevo gettarli giù per la fottuta cava. Non ha senso indossare quei cosi nel mezzo di un combattimento, ti levano le forze. Ma gli Uchiha, sai? Marmocchi presuntuosi. Inscenerebbe la sua morte e farebbe il mondo a pezzi pur di dimostrare qualcosa a qualcuno.»

Se l’Uchiha in questione stava facendo finta di dormire, stava davvero facendo un buon lavoro. Kakashi si tirò in piedi e alzò il collo della giacca.

Erano quasi arrivati al cancello occidentale. Era tardi per gli studenti, ma presto per la vita notturna di Konoha, e le luci intorno al perimetro del Green Lake Park brillavano luminose attraverso il finestrino.

In un movimento fluido Kakashi si curvò per svegliare il suo compagno. Saburo si era fatto un'idea su di loro fin dalla prima intervista informale, ma venne colto comunque alla sprovvista quando il Jōnin si chinò sulla spalla sinistra di Obito e, con l'occhio scoperto ancora fisso su Saburo che li stava guardando, chiuse le labbra sul punto più esterno della bocca dell'altro.

Era un modo molto delicato per svegliare qualcuno, e Obito non sembrò affatto dispiaciuto. Saburo abbassò velocemente lo sguardo e iniziò un attento studio del pavimento fra i suoi piedi. Sentì dei suoni di risposta di Obito, seguiti da un debole mormorio.

«Kakashi...»

Saburo sentì una lacrima sgorgargli dall'occhio; non aveva mai sentito un K suonare così dolcemente.

«Il tuo Sharingan è attivo...» lo accusò Obito, basso e rauco per il pisolino.

«Qualcuno deve pur guardarci le spalle.»

«Tsk,» disse l'Uchiha. «Sei paranoico.»

«C'è qui quel ragazzo del giornale,» lo informò Kakashi. «Ha fatto delle domande.»

«Chi?» Obito alzò lo sguardo, strofinandosi le nocche contro l'occhio. L'altro era coperto da una benda rosso sangue. «Oh, ehi, Sakiko.»

Saburo lo corresse.

«Oh,» mormorò Obito, girandosi di nuovo verso il suo compagno. «Quello che sembra una ragazzina.»

Hatake fece una risata che si interruppe subito. Si gettò di nuovo nel suo sedile e si guardò intorno. «Scusa il mio amico, è un coglione ignorante.»

Obito grugnì, congiunse le mani dietro il collo e si alzò rigido. Poi vacillò e iniziò una serie di stiramenti a scatti.

Solo per curiosità, Saburo cercò di scorgere il suo terribile occhio nero, ma lo shinobi aveva ancora le palpebre pesanti per il sonno o a causa dello scarso chakra rimastogli.

Dopo aver appreso della tremenda politica di Kakashi del “mai-rallentare”, Saburo poteva comprendere perché quel povero ragazzo si fosse appisolato sui mezzi pubblici.

Sembrava che Obito, da dopo il suo risveglio, non si fosse curato molto di fare acquisti. Indossava ancora i vestiti di tre anni prima. Forse semplicemente non sapeva scegliere la taglia giusta. Saburo avrebbe scommesso sulla seconda.

La conseguenza era il palesarsi occasionale di pelle scoperta, il che gli rimandò alla mente la precedente constatazione di Kakashi “ha proprio un bell'aspetto” conferendole un significato del tutto nuovo.

Nonostante fosse letteralmente tornato dal regno dei morti e considerasse le missioni di grado B al pari di noiosi eventi sociali, il termine malnutrito sembra non adattarsi affatto a Obito. Le cicatrici si estendevano in basso sul suo fianco destro, ma al di sotto di quelle appariva chiaro quanto si fosse allenato duramente.

O forse, pensò Saburo, c'era qualcosa sotto alla storia della sua riabilitazione, qualcosa nascosto agli occhi.

Saburo si sentì osservato e spostò il suo sguardo per incontrare quello di Kakashi. La pupilla dello Sharingan stava ancora girando, pigra come un giocattolo scarico. Doveva essere stanco anche lui, ma quella ruota aveva continuato a girare nell'ombra per tutta la durata della loro conversazione. Un brivido percorse la schiena di Saburo: quel livello di allerta estrema gli era parsa nonchalance anche quando il Jōnin gli aveva raccontato la storia.

Il Ninja Copiatore scivolò sul sedile fino a quando Obito non si trovò tra le sue ginocchia e poi avvicinò il suo compagno tirandolo verso sé per i fianchi.

«Stanco?» chiese, ribaltando la testa all'indietro.

Saburo ripensò alle voci che descrivevano la linea della mandibola di Kakashi affilata come vetro tagliente, e constatò quando fosse appropriato.

Obito annuì, sfregandosi ancora l'occhio.

«Fame?» insistette Kakashi.

«Un po'.»

«Andiamo da Wood Row. Prendiamo da mangiare e lo portiamo alla tana. Che ne dici?»

«Non mi va di camminare così tanto, ho le gambe molli.»

«Peccato. E comunque è colpa tua: hai esagerato nella foresta. Gambe molli significa fame. Devi rimetterti in sesto.»

«Che ne diresti,» Obito portò una mano agli occhiali e li fece scivolare sul naso prima di continuare. «Se io tornassi alla tana e tu portassi il cibo?»

Kakashi aggrottò la fronte. «No, Obito, non è così che andrà.»

«Huh? Perché no?»

«Perché se lo facessi, ti troverei addormentato al mio ritorno, lo so.»

«Nah, devo levare le mie cose dallo zaino e lavarmi via lo sporco… pensaci, amico, sarei tutto caldo e coccoloso al tuo ritorno.»

«Entreresti dalla porta e ti metteresti a faccia in giù sul divano. Ecco come andrebbe.»

Saburo trattenne una risata.

Kakashi piegò un gomito e avvolse la mano intorno al retro del ginocchio del suo compagno. «Vieni con me e ci fermiamo all'Ainu grill. E da quella signora che ci vende gli zampini dolci.»

«Zietta Zampini Dolci,» sospirò Obito. Si infilò una mano sotto alla maglietta e la appoggiò allo stomaco. «Ci starebbero un sacco adesso.»

«Zampini Dolci?» domandò Saburo.

«Sono cose pastose con lo zucchero di canna fuori e la carne di maiale dentro,» spiegò Kakashi. «Una schifezza.»

«Deliziosi. Ne mangerei dodici.» Obito ondeggiò un po' alla prospettiva. «Mi sta venendo una fame...»

«Non me li vende se non ci sei anche tu,» mormorò Kakashi.

«Beh, perché li tiene da parte per me.» Obito si mise sulla difensiva. «Zietta Zampini Dolci pensa che io sia carino. Forse è miope.»

L'Hatake mormorò di nuovo. «Io ci vedo bene.»

«Oy» il suo compagno divenne improvvisamente serio. «Puoi farla finita con quella cosa? Mi sento come se il mio stesso occhio mi stesse fissando. È troppo strano.»

Il Ninja Copiatore alzò gli occhi al cielo e li fece tornare scuri, quello sfregiato era un po' più buio dell'altro. «Quello è il tuo occhio. Nel caso te ne fossi dimenticato.»

«E come potrei? È comunque più bellino di quel fottuto uovo strapazzato che avevi al suo posto.»

Un leggero rossore tinse la pallida pelle del Jōnin, come se quello fosse un argomento delicato per lui. «Obito...»

«Cosa?» sbraitò l'Uchiha, la sua stanchezza era tutt'altro che celata. «Se potessi tornare indietro farei di nuovo la stessa cosa.»

Solo immaginare il genere di contesto nel quale qualcuno si sarebbe dovuto cavare un occhio causò un altro brivido per la schiena di Saburo. Ma tutti gli shinobi erano dei pazzi suicidi?

Mentre si avvicinavano all'ultima fermata della linea verde, Kakashi si alzò e infilò un braccio sotto alla tracolla dello zaino, issandosela sulla schiena e facendosi strada per il corridoio. Obito lo seguì tenendo le mani in tasca. Saburo raccolse le sue cose e si alzò mentre i passeggeri rimasti si avvicinavano alle porte di fronte a loro.

Obito fece un balzo per raggiungere il suo compagno e aggiustare una delle tasche sul lato della borsa.

«Il tuo porno sbuca dallo zaino, K,» disse allegramente.

«Non è porno, è arte.»

«O-okay, eccolo che ricomincia.» Non senza allarmare Saburo, Obito lo raggiunse e gli appoggiò una mano tra le scapole e il collo per avvicinarlo a sé. «Ecco a te Kakashi, ragazzino, l'eroe della foglia! Conosce cento modi per rendere la missionaria più interessante. Probabilmente là dentro ci sono migliaia di sexy jutsu proibiti.»

Una bella quantità di argilla rossastra uscì da una piega della giacca di Obito e si riversò sulla macchina fotografica di Saburo che si morse il labbro inferiore e pregò per essere rilasciato. La mano appoggiata alla sua spalla era diventata insopportabilmente calda.

«A essere onesti, non so cosa mi aspettassi a girare con un pervertito,» continuò l''Uchiha, senza curarsi di abbassare la voce. «Ma non è così male, in realtà. Controlla sempre che io stia bene, mi chiede cosa mi piace, cosa mi fa stare meglio, è quasi fastidioso.»

Saburo era molto agitato nell'abbraccio di Obito e non riusciva a sentire quasi nulla oltre allo strofinare della giacca sul suo orecchio e l'inconfondibile odore di ascella.

«A volte, vorrei solo dirgli, amico, prendimi come preferisci e facciamola finita.»

Entrambi sbatterono contro allo zaino di fronte a loro e Saburo riuscì a scivolare sotto al braccio di Obito ed evitarlo indietreggiando.

Hatake si girò lentamente, solo a qualche centimetro dai gradini. Il conducente del bus urlò qualcosa, ma i ragazzi non gli prestarono attenzione.

«Ehi,» il Ninja Copiatore fece un passo avanti e si rivolse al suo compagno con un tono sostenuto. «Sei serio?»

L'Uchiha si infilò le mani nelle tasche, ondeggiò appoggiando il peso prima su una gamba e poi sull'altra, ma non smise di guardarlo negli occhi. «S-sì.»

Nel momento più sconcertante della carriera giornalistica di Saburo Kakashi si girò di nuovo con un ghigno che gli illuminava il volto e urlò letteralmente prima di gettarsi giù per gli scalini in un unico balzo. Saburo poté sentirlo ancora festeggiare mentre Obito attraversava le porte e scompariva nel buio, seguendolo.

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Capitolo 3
*** Giorni di riposo pt. 1 ***


Con le dita sull'ultimo piolo, Saburo guardò giù e trattenne l'istinto di vomitare.

La torre radio era robusta, ma il vento sui tetti di Konoha sembrava riuscire a farla oscillare.

Se non avesse guardato attraverso le sbarre incrociate, giù tra le colline fuori dalle mura della città, forse non si sarebbe sentito così male. Ma Saburo avrebbe preferito patire la cucina di sua madre per il resto della vita piuttosto che dover ammettere di soffrire di vertigini.

A renderlo un pessimo ninja non era la mancanza di talento, ma... tutto il resto.

Raggiungere il blocco di cemento chiamato Konohagakure Communications Center, al centro della città, era stato semplice. Il tetto del KCC non era altissimo, più o meno come la torre dell'Hokage. La brezza riusciva però a farlo oscillare come una foglia nel vento.

L'Hokage Public Laison definiva la torre Halcyon un progetto realizzato per i cittadini della Foglia, un monumento alla pace e alla collaborazione tra i villaggi shinobi. L’aggiunta più recente alla struttura era una torre che si alzava quaranta metri sopra al KCC e raddoppiava il raggio di comunicazione rispetto ai modelli più vecchi. Di notte, sembrava raggiungere le stelle, una silhouette nera con dozzine di occhi rossi intermittenti. Nei giorni di nebbia, sarebbe scomparsa completamente se non fosse stato per l'alone rosso tra le nuvole. Quel bagliore che incombeva sul centro di comunicazione come un cattivo auspicio era una delle cose che Saburo preferiva fotografare. Uno spettacolo che lo faceva letteralmente cadere sulle ginocchia in adorazione.

Risalire la torre era stata un'agonia.

Non aveva piovuto la notte, ma a quell'ora del mattino tutto era ancora coperto da uno strato di rugiada. I palmi delle mani gli scivolavano, insensibili a causa del freddo, e a ogni passo Saburo controllava di avere ancora la macchina fotografica: ogni sforzo sarebbe stato vano se avesse raggiunto la cima della torre all'alba con solo i suoi occhi miopi come testimone di quel traguardo. Non che volesse un riconoscimento. Saburo non pubblicava mai nessuna foto che scattava, gli piaceva conservarle per se stesso. Lo faceva per avere la prova tangibile della sua esistenza sparpagliata tutta intorno a lui; magari, un giorno, qualcuno avrebbe unito tutti quei frammenti e lo avrebbe capito.

L'egocentrismo faceva parte dell'essere uno Shinobi? Era parte del pacchetto?

In ogni caso, il suo ego lo aveva portato fino in cima alla torre radio Halcyon e abbandonato prontamente proprio sull'ultima piccola e scivolosa barra di metallo.

Saburo avvolse le braccia intorno alla traversa più vicina e incastrò le gambe a quella sottostante, proprio come faceva per attaccarsi saldamente alla gamba di suo padre quando era bambino.

Dunque non c'era più dubbio: sarebbe morto lì.

Lassù, era in compagnia solo degli edifici più alti della città: l'imponente torre dell'Hokage, alcuni condomini giù per Gentleman's Alley, poche costruzioni commerciali, e un'altra torre radio o due in lontananza. Le sottili nubi che galleggiavano sotto di lui rendevano la strada e i negozi sbiaditi e bluastri. E piccoli. Molto più piccoli di quanto non sarebbero dovuti…

«Rimarrai lì a penzolare tutto il giorno o cosa?»

Saburo rimase immobile, ma il cuore gli balzò nel petto. Non aveva preso in considerazione il fatto che potesse esserci qualcun altro sulla piattaforma.

Lo sconosciuto era nell'ombra, in cima alla scala, ma i suoi occhiali lo tradivano, rendendolo subito riconoscibile. Quelli, e la mano tesa verso Saburo, brillante di arancione sulle nocche.

Non fu il coraggio a sbloccare le gambe di Saburo dalla loro salda presa. Semplicemente, aveva dovuto reprimete la paura dell'altezza al nascerne di una peggiore: sembrare stupido di fronte a Obito Uchiha.

Il guanto si avvolse intorno al suo braccio e, dopo aver urtato la fotocamera, lo tirò su come se fosse un fiorellino.

Con i piedi piantati sul solido cemento, Saburo sentì le gambe molli e pensò di essere rimasto aggrappato a quella scala, pietrificato, per un'ora intera.

«Grazie.»

«Mio dovere.»

Saburo sorrise e annuì.

Obito aveva parlato con tono serio. Aveva gli occhiali sulla fronte e il suo occhio buono, fra tutte quelle cicatrici che gli coprivano il lato destro della faccia, sembrava urlare guardami, sono sopravvissuto!

La parte più alta dell'Halcyon era un pentagono con una scala a tunnel al centro che si alzava per gli ultimi sei metri della torre e uno stormo di luci rosse che Saburo aveva sempre visto solo attraverso le nubi. Probabilmente, su quella piattaforma ci sarebbero state comodamente dodici persone, ma Saburo pensò che sarebbe stato meglio non sperimentarlo. Tutto ciò che impediva di essere spazzati via come insetti in una folata di vento era una ringhiera di sottile metallo.

«Um…» Obito si spostò, a disagio. «Ne devo fare altri cinquanta, quindi se…» Indicò dietro di lui al centro della piattaforma.

Saburo, pallido per le vertigini, annuì velocemente. «S-sì! Certo, vuoi. Io…» alzò la sua macchina fotografica. «Io sono qui per…»

«Uno scatto,» lo interruppe Obito. Non sorrideva, ma sembrava in qualche modo divertito. «Sì, lo avevo immaginato.» Fece un balzo e abbandonò la piattaforma.

Saburo rilassò le spalle, sollevato. Sorrise. Obito non era la stessa persona quando non era con Kakashi, ma, a dire il vero, non era nemmeno diverso.

Saburo non riusciva a spiegarselo, ma dopo il primo momento di terrore e del pensiero istintivo del perché è capitato proprio a me? si era sentito sollevato per aver trovato l'Uchiha in cima all'Halcyon Tower.

A dire il vero, non lo aveva trovato proprio in cima, ma ancora in procinto di salire per la torre radio.

Obito si avvicinò alla colonna centrale, scivolò dentro alla gabbia e salì qualche piolo. Si aggrappò a una barra orizzontale che componeva lo scheletro della torre e rimase appeso lì per qualche secondo, poi incrociò le caviglie e iniziò una serie di scenografici pull-up. Sembrava un poliziotto troppo esibizionista per allenarsi nei classici campi di addestramento.

Gli effetti personali di Obito erano al centro della piattaforma: un borsone, un paio di scarpe, la solita giacca e un familiare sacchetto di carta unta.

Saburo si chiese se lo staff del centro di comunicazione fosse al corrente del fatto che gli shinobi si allenassero proprio sul loro progetto più costoso dopo della metropolitana. Però, a essere onesti, la torre sembrava una giungla costruita apposta per la ginnastica.

Saburo si spostò curioso sul lato più a est della piattaforma. Mise alla prova la ringhiera sia con i gomiti che con le ginocchia, e la sentì bella solida. Le diede un colpo con il piede e si fece male all'alluce. La ringhiera non si mosse.

Nel giro di un minuto, il sole sarebbe sorto maestoso dietro al Quarto Hokage e, quando sarebbe giunto precisamente a dodici gradi sotto all'orizzonte, l'alba avrebbe toccato l'intera città: dagli uffici ai quartieri. I raggi avrebbero scaldato gli affamati e gli esclusi, avrebbero dato riconoscimento a chi non ne aveva, lui avrebbe documentato tutto e quella fatica per salire lassù sarebbe valsa a qualcosa.

«Che c’è, hai visto la Madonna?»

Saburo si spostò indietro, la ringhiera tremò e qualcosa colpì la piattaforma con uno sbam! Venne assalito dall'odore di sudore e dal suo sapore caldo.

«Non lasciarti ingannare dalle apparenze,» lo mise in guardia Obito, appoggiandosi sui gomiti e socchiudendo gli occhi verso la corona di luce del sole che stava iniziando a sbucare dalle montagne in lontananza. Stropicciò una busta di carta con le mani. «Questo mondo è ridotto male, molto male.»

Obito gli offrì una castagna e Saburo la prese senza tremare troppo. Poi, Obito annuì guardando il Quarto Hokage. «E lui ce lo ha lasciato conciato così.»

Gli occhi di Saburo pizzicavano per il sudore che riempiva l'aria. I bicipiti di Obito avevano una fisionomia strana, aliena. A ogni scatto del polso si innescava una sinfonia di contrazioni sulla superficie del braccio. Saburo sperava si rimettesse addosso i vestiti, ma dopo un'occhiata cambiò idea: la sua maglia era fradicia ai loro piedi.

All'improvviso, Obito ritrasse un braccio e lo catapultò in avanti tracciando un arco preciso. Saburo sentì il flebile whumbf dell'aria che si spostava e percepì solo il tremolio di un piccolo oggetto che lasciava la sua mano.

«Quello stronzo,» sibilò il Jōnin sfigurato.

Dopo aver provato a seguire la traiettoria di qualcosa che volava così velocemente, Saburo si arrese. Aveva già iniziato a pelare la sua castagna quando un lontano clang attirò la sua attenzione verso un serbatoio idrico che si ergeva a tre isolati dalla KCC. L'ombra nera della castagna di Obito rimbalzò sul barile in cima alla torre e cadde nella strada sottostante.

«Sto solo scherzando,» disse l'Uchiha, ritraendo il braccio per far oscillare di nuovo la spalla. «Minato era uno shinobi leale e ha fatto ciò che poteva per il villaggio, fino alla fine. E fino a quando ci saranno shinobi leali che getteranno via le loro vite per il villaggio andrà tutto bene, no?»

Saburo si scostò un po', nel caso a Obito venisse l'idea di sollevarlo e lanciare anche lui verso il serbatoio.

«È… difficile dirlo,» rispose.

«Neh, lascia stare,» ribatté Obito, feroce, ma in un modo che non fece sentire Saburo attaccato personalmente. «È solo che non ci credo più a queste cose, ormai.» Rilassò la spalla, torse il fianco e lanciò. «La cosa peggiore del tornare dal regno dei morti,» disse Obito, socchiudendo gli occhi mentre valutava se il proiettile avrebbe raggiunto l'obbiettivo, «è che devi forzarti ed essere grato di ogni cosa che ti capita.»

Questa volta la castagna colpì il coperchio del serbatoio e rimbalzò alta nel cielo. Il vento, probabilmente, la trascinò con sé, perché non cadde mai a terra.

«Grande!» si complimentò Saburo, sporgendosi per guardare le nubi autunnali.

«La cosa fica è che, se lo colpisci nel modo giusto, la puoi far rimbalzare indietro fin qui.» Obito alzò di nuovo il braccio, poi lo lasciò cadere lungo il fianco. «Però non sono tanto bravo a farlo.»

Saburo non fu contrariato dalla sua rinuncia, perché il pensiero di essere colpito da una castagna che viaggiava alla velocità della luce non gli era suonato fico come Obito lo aveva voluto far sembrare.

«Scommetto che riesco a colpire la torre dell'Hokage da qui…»

«No!» disse Saburo, nel panico. «Non farlo, per favore.»

Obito lo guardò con le sue sopracciglia scure alzate e abbassò il braccio per la seconda volta. «Diavolo, stai tremando. Non è che hai qualche precedente penale?»

«No, è che non voglio casini con quei tizi.»

Il Jōnin diede le spalle alla ringhiera così da poter guardare Saburo con l'occhio buono ed esaminarlo, cercando forse di capire se stava dicendo cazzate. Poi si sistemò gli occhiali sulla fronte. «Beh, non posso darti torto, ragazzino.» L'espressione di Obito si illuminò. «Una volta, io e Bakashi eravamo quassù a cazzeggiare, mentre aspettavamo di fare rapporto alla Torre e... lui è davvero bravo a lanciare le castagne, amico. Non ci potresti credere: riesce a colpire gli uccelli in cielo. Te lo giuro.»

Fece una pausa, ridacchiando fra sé e sé. La castagna rimbalzava nella sua mano e Saburo provò a immaginarsi lui e il Ninja Copiatore sull'Halcyon a cazzeggio fra le traverse a fare quello stupido gioco senza le magliette. Persino l'immagine di quella scena aveva un cattivo odore.

«Mi aveva detto che sarebbe riuscito a colpire la Torre da qui,» continuò Obito. «È stato tempo fa, prima che succedessero tutte quelle cose, pensavo che mi nascondesse qualcosa; una parte di me non si fidava per un cazzo di lui. Comunque: ne lancia una, e io stavo proprio qui dove sei tu e pensavo: sì, sì, come no, ecco che arriva Kakashi il cecchino! E, non ti prendo per il culo, la sua castagna non solo raggiunge la Torre, ma mette fuori gioco il tizio che sta alla finestra.»

«Cosa? No…» Saburo reagì prima di potersi trattenere. «Chi era?»

«Che ne so.» Obito sbuffò, sorridendo. «Siamo corsi giù da qui con sette guardie alle calcagna, non siamo nemmeno andati a fare rapporto quel giorno.»

Obito ricominciò a fare pratica con i lanci e Saburo rifletté sulla storia mentre. Perché ai tempi non si fidava di Hatake? Cosa nascondeva il suo compagno di squadra? Quale domanda era la meno invadente?

«Quando è successo?»

«Um, non ne sono sicuro. È stato dopo che mi sono svegliato, ma prima di altre cose.» Obito aveva uno sguardo estremamente concentrato e si diede un pugno sul lato della testa. «Amico, la mia memoria fa cagare!»

Saburo si affrettò a rimediare: non aveva intenzione di fargli ripensare al periodo immediatamente successivo alla sua convalescenza. Non voleva che l'Uchiha sconfinasse dalla normalità stabilita dopo l'incidente.

«È stato dopo il mio risveglio,» ripeté Obito. Si mise le mani sui fianchi e si chinò leggermente oltre la ringhiera per sputare. «Quando ero in coma ero sempre solo. C'erano dei tizi nella mia stanza, ogni giorno, e voci nelle mie orecchie, alcune gentili. C’erano tutte tranne le due o tre più ovvie. Ero da solo, con intorno tutte persone insignificanti che parlavano e io ero sempre più lontano. Non potevo nemmeno pisciare senza sentire tutte quelle voci senza senso intorno a me. Ma le loro parole erano l'unica cosa che avevo e così ascoltavo. E sono andato avanti così tre anni.»

Per qualche ragione, quelle parole fecero stringere la fotocamera a Saburo. Guardò l'orizzonte. Perché l’alba non si sbrigava? Era salito per cercare la luce, ma al suo posto si era trovato davanti il terribile occhio nero dell’Uchiha.

«Mi dispiace,» si lasciò sfuggire.

Obito batté le ciglia. Poi sbraitò. «Si cosa ti dispiace? Non voglio più i vostri mi dispiace. Non ho mai voluto che vi dispiaceste. Voglio solo che tutti stiano meglio!»

Strinse la mano sulla ringhiera. Per un momento il ninja sfigurato sembrò volerla strappare. «Sai dove siamo?» chiese. «Sai cos'è questo posto?»

«La, uh,» iniziò Saburo, tremante. «La torre radio Halcyon…»

«Sbagliato,» disse Obito. «È una grande, gigantesca pila di merda.»

«Err...»

«Non sei ancora un genin quindi immagino tu non sappia riconoscere un ripetitore quando lo vedi,» continuò, nonostante la confusione di Saburo. «Ma lascia che ti dia un indizio: questa schifezza è stata costruita cinque mesi fa, per alimentarla serve l’energia di un intero quartiere. Sai cosa c'è sotto l'edificio?»

Saburo scosse la testa.

«Ma certo che no,» urlò Obito. «Quello che c'è sotto questo edificio è merda segretissima che i cittadini normali non possono conoscere.»

«Capisco.»

«No invece, coglione. Aspetta che finisca di spiegartelo e poi capirai. I mezzi di comunicazione possono essere offensivi o difensivi. Durante la Seconda Guerra Ninja, le forze alleate lanciavano pacchetti che venivano chiamati ''bombe di stronzate'' nelle zone civili: erano delle scatole di carte con propaganda che esplodevano ed entravano dritte nella mente delle persone. Sul campo di battaglia, squadre speciali andavano sul posto dopo i combattimenti e mettevano buste provenienti dal territorio nemico addosso ai corpi dei caduti. Le lettere parlavano di famiglie spezzate e compagne che commettevano tradimenti… qualsiasi cosa potesse demoralizzare i combattenti. Adesso noi abbiamo questa enorme pila di merda in mezzo alla città e possiamo disseminare le stesse bombe di stronzate via radio. Puoi schivare una castagna, puoi schivarti una lettera, ma è più difficile farlo con un suono.»

Obito fece un passo indietro, poi balzò verso la ringhiera e mise un piede sulla sbarra centrale per lanciare la prossima castagna.

«La forza del villaggio sta in quanto è lunga la sua ombra,» disse.

Il proiettile colpì il centro del serbatoio e rimbalzò a quarantacinque gradi. Il suono di quell'impatto fu seguito da un profondo rimbombo, come se la castagna avesse colpito il serbatoio al di sopra del livello dell'acqua. Saburo pensò alle persone che vivevano nel complesso lì sotto, che stavano ancora dormendo nei loro letti. Tutto per loro era andato come al solito fino a quando un Uchiha non aveva deciso di esercitarsi nel tiro alla castagna.

«Oggi devo andare a un altro seminario.» Obito rise, prendendone un'altra dal sacchetto. «L'ultima volta è durato sei ore. Tre anni fa mi affidavo solo alle carte bomba, amico, ora devo imparare tutta questa roba tecnologica, manco dovessi andare ad assassinare qualcuno al Villaggio della Pioggia.»

Gong-g

«Tutto ciò che volevo,» continuò ansimando leggermente per via dei continui lanci. «Era vivere in un mondo nel quale io, Rin, K-dot e Minato-sensei potessimo crescere tutti insieme. E visto che così non è stato, vorrei almeno riuscire a creare un mondo dove avremmo potuto… ma, secondo alcuni, questo mi renderebbe uno strambo.»

Improvvisamente, Saburo avrebbe voluto dire di nuovo che gli dispiaceva: non per lui, ma per la torre radio, gli inquietanti retroscena dell'Hokage e i poveri, inconsapevoli cittadini di Konoha. Voleva dispiacersi persino per la morte del Quarto Hokage. Obito aveva detto chiaramente che non voleva che lo dicesse, ma Saburo pensò che fosse suo dovere farlo. In fin dei conti, invece che cercare di comprendere il motivo che spingeva dei dodicenni a morire in guerra, Konoha aveva preferito ergere un enorme pila di merda sul tetto, e additare in modo poco carino quell’Uchiha durante le lezioni.

«Non credo che questo ti renda uno strambo.»

«Ah no?»

Saburo si sentì improvvisamente più leggero e Obito... si era mosso? si mise con un piede sulla ringhiera e sporse un braccio…

«Quanto è importante questa per te questa?» chiese Obito.

Appena visibile davanti all'alba che avanzava e alle facce di pietra, la sagoma della fotocamera di Saburo scivolò dalle mani dello shinobi e si fermò bruscamente dondolando per la cinghia. Quando iniziò a girare pericolosamente su se stessa, Saburo sentì come se tutto il sangue gli fosse andato improvvisamente ai piedi. Quella sensazione non gli impedì di spostarsi in avanti e raggiungere la ringhiera.

Obito lo forzò a rimanere distante usando il braccio libero. Disperatamente, stupidamente, Saburo lottò contro il suo lato sfregiato, ma venne facilmente respinto. Obito non si era nemmeno girato verso di lui. Era come se la sua mano riuscisse ad anticipare i suoi movimenti. Saburo tentò le contromosse più pazze, i colpi meno ricercati. L'avambraccio di quel tizio sembrava fatto di acciaio. Alla fine, Obito lo afferrò per il polso con una presa tutt'altro che amichevole e usò il tacco per colpirgli la caviglia paralizzandogli l'intera gamba. Saburo non era nemmeno riuscito a toccare il suo avversario.

La voce di Obito era un raspare più profondo del vento che soffiava. «C'è qualcosa di sbagliato in questo mondo. E io riesco a vedere dove stiamo andando, è solo che non…»

Il vento si alzò e Saburo non riuscì a distinguere le parole nelle folate, non capì nemmeno se Obito fosse riuscito a finire la frase. Comunque, Saburo non lo stava ascoltando: in quel momento voleva solo la sua macchina fotografica. E non perché era la sua, per l'amor del cielo, ma perché in quei pochi secondi prima dell'alba, mentre lottava per avere una prova della sua esistenza nonostante una caviglia gonfia, Saburo aveva visto Obito per quello che era davvero: un ragazzo triste, dolce e oscuro.

Aveva persino pensato che sarebbe stato proprio quello, un giorno, a renderlo un buon Hokage

 

 



 

 

Improvvisamente, il sole sorse, il vento cessò e tutto si interruppe. Obito sollevò lo sguardo come la leggendaria tartaruga costretta a portare sulla schiena un mondo inutile.

«Ecco qui, ragazzo.» Lo lasciò andare e spinse la fotocamera contro lo stomaco di Saburo così forte da farlo espirare. «Scusa.»

«Non fa niente,» gli disse, allegro e sorridente. «Era… una giusta osservazione la tua.»

Con una sberla, Obito si levò gli occhiali e si sedette appoggiata alla ringhiera, la schiena rivolta ai vecchi Hokage. Si passò le mani sulla testa e tirò alcuni capelli corti e marroni che aveva alla base del collo.

«Perdo ancora i capelli, come un…» la brezza portò via i ciuffi, e il Jōnin rimase pensieroso, poi finì la frase in modo prevedibile. «Un figlio di puttana.»

Saburo si sentì sollevato, visto che era girato verso il suo lato sano, la fotocamera stretta fra le mani.

«Tre anni fa,» continuò Obito, burbero. «Prima di una missione andavo al mercato per comprare il sapone e lo shampoo per il viaggio. Adesso vado al negozio sbagliato, a volte, e poi ci trovo sei tipi diversi di sapone, e alcuni sono solo per la faccia, per i piedi o per i peli del culo… e immagino ci siano anche quelli apposta per le ragazze, e io non posso usarli, anche se lavanda e miele non è niente male.»

Saburo trattenne una risata.

«Tutta questa merda sta cambiando velocemente. Konoha non è più il buco nel quale sono cresciuto, amico, e non me ne sorprendo troppo. Non è che pensassi che sarebbe rimasto tutto uguale, però...»

Tirò dei capelli dietro all'orecchio e Saburo fece una smorfia. Non era sicuro che quella ciocca fosse pronta per staccarsi.

«Perché sono sempre le cose sbagliate a cambiare?» concluse Obito. L'aria umida portò via i capelli strappati e lui si appoggiò le mani alle ginocchia, poi allungò le gambe sul cemento.

Saburo pensò di potersi avvicinare ora. Si abbassò, mantenendo una distanza educata dalle cicatrici dello shinobi e si schiarì la gola. «È davvero cambiato tutto in peggio?»

«Non farlo.» Sbraitò l'Uchiha.

«Cosa?»

«Non farmi parlare di lui.»

«Sei tu che lo hai tirato in ballo.»

Obito grugnì, si mise una mano dietro al collo, poi prese i suoi vestiti e iniziò a mettersi i guanti.

I pallini sulle nocche brillavano leggermente. Soffocò l'inizio di un'amara risata. «Dopo che mi sono svegliato, persino Fugaku mi ha mandato qualcuno in camera a dirmi che potevo restare con il clan, nel distretto. Come se gliene fosse mai fregato qualcosa di me. Ch—no, ho schivato i biglietti e i fiori e tutte quelle belle facce false e sono tornato a starmene per conto mio. Alcuni tizi, credo fossero ANBU, mi hanno seguito per un po’, ma non facevano altro che stare appostati fra gli alberi a guardarmi mentre mi allenavo. Mi allenavo tutto il tempo. Non avevo nulla da fare se non allenarmi, in realtà. L'unico momento nel quale tutti mi lasciavano in pace era quando lanciavo i kunai.»

L'occhio di Obito era impassibile, ma la mattina illuminò le sue cicatrici e le fece quasi sembrare belle, nude nella luce del sole. «Bakashi non si era fatto vedere, in tutto quel tempo, e chiunque lo conosca almeno un po' sa che è normale per un tizio così fissato con le maschere e i jutsu di sostituzione. Ma ammetto che una parte di me si chiedeva se… era convinta che forse fosse morto anche lui e qualcuno si fosse dimenticato di dirmelo. Dopo un paio di settimane sono andato al Mission Control per farmi inserire di nuovo sul registro, ma mi hanno rifiutato. Gli ho chiesto di rimettermi almeno in stato attivo così da poter accumulare punti addestramento ed essere pagato, perché altrimenti non potevo permettermi nemmeno l'affitto, ma si sono rifiutati di fare anche quello. Così, ho spaccato qualcosa che aveva l'aspetto di essere molto costoso, gli ho detto di fare a botte, ma hanno rifiutato di nuovo.»

«Il permesso medico non lo avevi?» chiese Saburo.

«Tecnicamente lo avrei avuto, già. Ma io mi ero dimesso. E una volta che ho scritto il mio nome su quelle carte sono tornato a essere una riserva del villaggio, in stato inattivo. Ero a pezzi, solo, e troppo orgoglioso per tornare dagli Uchiha. Un tempo, in giorni come quelli, Minato-sensei mi teneva a casa sua.»

«Cos'hai fatto poi?»

Obito si stiracchiò la mano e iniziò a esercitare la flessibilità delle sue dita allargandole a stella e poi stringendole in pugni, stella e pugni, e poi ancora.

«Sono tornato ad allenarmi,» rispose, fissandosi le nocche. «E proprio quel giorno, dopo un paio di ore, o forse di più non ricordo, ho sentito qualcuno che mi guardava. Non era la stessa presenza degli scagnozzi ANBU, era qualcun altro e… amico, tutto quello che ricordo è di essermi fermato a bere dell'acqua, di essermi guardato intorno per un secondo, e aver trovato il Capitano a fissarmi negli occhi a una distanza davvero ridicola.»

Obito sembrò pensare fosse divertente, quindi Saburo rise.

«Penso si sia dimesso dagli ANBU per tenermi d'occhio,» continuò Obito, triste. Si fece cadere una mano in grembo e guardò i palmi dei guanti. «Perché dopo quel momento nessuno mi ha più seguito, e ho ricevuto una lettera che diceva che il mio status era tornato attivo. Mi consentirono persino di fare l’esame per diventare Jōnin. So solo che odiavo tutti, specialmente lui, e volevo stare da solo. Poi sono andato a stare da lui.»

«Perché?» chiese Saburo.

«Um…» disse. «Non so. Forse perché quando volevo che tutti sparissero e smettessero di infastidirmi, Kakashi era stato l'unico ad averlo fatto. E quando finalmente ero solo, fottuto e senza casa, mi sono sentito davvero a pezzi. Per un secondo ho sperato che lui fosse lì con me... ed è stato allora che l'ho visto nel campo di addestramento e gli ho detto che stavo piangendo perché mi ero strozzato bevendo l'acqua.»

Obito sciolse le braccia conserte e la sua mano più vicina afferrò il collo della maglia di Saburo. Lo guardò duro, solo con la benda rossa. «Se gli dici anche solo una di queste cose, ti pesto, ti scortico, ti taglio la pelle a fettine e la metto in una scatola. E se sarai ancora vivo a quel punto, lo spedisco a tua mamma con le indicazioni per trovare il tuo schifoso corpo spellato…»

«Non dirò nulla!» squittì, solo per farlo smettere. «Lo giuro!»

«In realtà, non importa,» disse lo shinobi più grande, lasciando improvvisamente la presa e rilassando il braccio. «Non mi importa, tanto nessuno ti crederebbe. Non stiamo nemmeno insieme, sai?» continuò Obito, senza che Saburo avesse chiesto nulla. Aveva una piega nel sopracciglio, come se non sapesse più nemmeno lui se fosse vero o no. «Ti prendevamo solo per il culo l'altro giorno. È stato lui a iniziare con quella stupidata dei morsi sulle caviglie. Poi la cagata che ha fatto sul bus, e io ho provato a pareggiare i conti, ma non…»

Uchiha espirò sonoramente attraverso il naso. «Okay, tecnicamente, non mentiva quella volta: quelle ragazze mi hanno davvero fatto un sacco di domande imbarazzanti, ma quei morsi me li ha lasciati il cane testa di cazzo del custode. Il coprifuoco è a mezzanotte e lui è lì per aprire i cancelli agli shinobi. Una volta sono tornato a tarda notte e non mi andava di essere richiamato dal padrone di casa per aver scavalcato il cancello, quindi ho bussato e ho chiesto di aprirmi. Ma ho svegliato quel piccolo cane che mi odia a morte e ha iniziato ad abbaiare come un maniaco. Ho dovuto calciarlo per farlo staccare dalle mie fottute gambe, e il custode si è incazzato; l'abbaio alle tre del mattino ha fatto incazzare il proprietario di casa; e ho trovato un richiamo nella posta che ha fatto incazzare di brutto Kakashi. Ma... Insomma, dai. Cose che capitano, no?»

«Già.» Saburo modificò un po' la frase, solo nella sua mente. Cose che capitano a uno come te, Obito.

«Fanculo i condomini, non vedo l'ora di andarmene.»

Saburo mormorò, concorde e sincero.

«Le persone mi tratteranno come feccia ovunque io vada, quindi per lo meno vorrei avere una casa con una lavatrice. Capisci cosa intendo?»

«Sì, capisco,» disse Saburo. «Se non puoi avere dignità, almeno un po' di comfort.»

Quelle parole sembrarono mettere in pausa Obito. «Lascia che ti chieda una cosa, ragazzo: tu sei uno dei tizi del giornale, no?»

«Uh,» Saburo sperava non stesse per pestarlo di nuovo. «Sì.»

«Hai avuto un milione di possibilità per fare quella foto,» constatò Obito. «Hai ottenuto un sacco di informazioni da me e K per scrivere una buona storia, quindi qual è il punto? Stai aspettando il momento giusto, o pianificando di farci un documentario?»

«Io, è che…» Saburo maledisse se stesso e qualsiasi divinità lo avesse creato con i nervi così deboli. «Ho pensato che quella roba fosse confidenziale.»

Obito grugnì. «Questo non basterebbe a fermare la maggior parte delle persone.»

Saburo sospirò e si decise a dire la verità. «Ascolta, amico, io scrivo per la colonna di giardinaggio.»

Quando il ninja sfregiato smise di ridere, il sorriso gli rimase impresso sul volto e Saburo si sentì orgoglioso: mettersi in ridicolo valeva la pena per vedere quel sorriso.

«Quindi? Falla diventare la colonna più interessante di quest'anno!» gli suggerì Obito.

«Nah,» disse Saburo. «Non potrei mai. Il mio editore mi ucciderebbe. Solo germogli e boccioli, dice sempre. La colonna del giardinaggio deve essere motivante e romantica

«E ha scelto te per scriverla?»

«Già, non ho idea del perché.»

Obito rise di nuovo.


 

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Capitolo 4
*** Interludio: NFWMB (no one fucks with my baby) ***


 

interlude: nfwmb from radio fool on 8tracks Radio.

 

Quando erano arrivati al negozio, alla Zietta erano rimasti solo sei zampini dolci.

La pioggia aveva iniziato a cadere, ricoprendo le strade con un velo grigio pallido. Obito era stato costretto a spingersi gli occhiali sulla fronte per riuscire a vedere qualcosa, proteggendo la cena sotto alla giacca come uno spacciatore. Aveva provato a ignorare gli sguardi fissi dei passanti.

Dopo aver completato una dannata missione di grado B, aver camminato un giorno intero al folle passo di Kakashi attraverso la Foresta dei Brividi, e aver fatto fuori quei banditi alla cava della città, Obito non ce la faceva più. Aveva il cervello in pappa e stava per svenire.

Era stata la giornata più lunga della sua vita e, per di più, il suo compagno di squadra aveva pensato bene di fargli prendere un colpo: solo perché avevano passato le ultime tre notti a condividere il caldo dei loro corpi e fare battutacce per rimanere vivi, non significava che improvvisamente Kakashi potesse prenderlo per il culo e manipolarlo solo per fare uno scherzo di merda a un ragazzino.

È l'ultima volta che prendo i mezzi pubblici! pensò Obito, furioso.

Quando avevano raggiunto il condominio, la pioggia era aumentata, passando da un sottile velo a una spessa coltre. Obito aveva dovuto rimanere sotto quell'uragano mentre Kakashi si scambiava convenevoli con il guardiano. Obito si era sentito come un cane al guinzaglio mentre il solito cagnetto aveva continuato a fissarlo dalla guardiola.

Il guardino aveva aperto loro il cancello, ma Obito aveva pensato che fosse comunque un bastardo; il suo compagno di squadra però aveva voluto ricordargli placidamente che il custode viveva in una topaia due metri per due, a fianco al garage delle biciclette al piano terra, e che dentro quel loculo aveva un bollitore del riso, un letto e una radio, solo quel cagnetto gli faceva compagnia. Non sapeva perché, in realtà, ma quando Kakashi aveva detto così, a Obito era sembrato davvero un figlio di puttana e gli aveva fatto venire voglia di prenderlo a pugni.

«Obito!» Ecco che anche adesso gli urlava addosso. «L'acqua!»

«Vaffanculo!» sbraitò Obito in risposta.

Davvero! Alcune persone, solo perché si sentono dei gran fighi nel loro piccolo mondo, sono convinti di potermi comandare a bacchetta, sottomettermi con parole scortesi e stroncarmi con un dannato infarto usando le loro dita pallide e i loro nei carini…

Obito imprecò e si girò per mettere sotto al getto d’acqua della doccia anche l'altro lato del corpo. Strinse i denti alla sensazione di disagio dell'acqua calda che gli percorreva le cicatrici. Le cose calde gli davano la sensazione di calore, di freddo e formicolio; le cose fredde, solo formicolio. La temperatura ambiente non gli faceva provare un cazzo. Obito percepiva le cose a metà: il vento sulla faccia, ma non la sua freschezza; la fastidiosa temperatura della tazza da tè, ma non il suo peso, non fino a quando non si rovesciava sul tavolo. I vestiti gli davano ancora fastidio, ma non come prima.

Sulla sua pelle c'erano sia punti morti che punti ipersensibili; in alcuni dove non sopportava di essere toccato, altri gli dolevano anche alla carezza più gentile. Era un ammasso contorto di cicatrici e, in alcuni giorni, si sentiva troppo mostruoso per uscire alla luce del sole.

Quando si allenava o lavorava era costretto a mettere tutti i dubbi e le insicurezze da parte, ma quando era solo quelle ombre si allungavano e lo circondavano. Era davvero la ruota di scorta del suo clan. Era uno shinobi di medio livello con uno Sharingan sbloccato troppo tardi ed era anche troppo brutto per sposarsi e portare avanti l'eredità Uchiha. Senza contare che, da dopo la roccia, probabilmente, era diventato impotente come un prete senza dio.

Una volta aveva erezioni mangiando i dango; invece, adesso era come se lui e le sue palle parlassero due lingue diverse.

A conti fatti, l'opzione migliore che rimaneva a Obito era quella di essere ucciso in missione. Almeno, le persone lo avrebbero ricordato positivamente.

Quando si levò i palmi delle mani dagli occhi, l'acqua era diventata fredda. Lentamente, Obito si alzò dalla posa accucciata per appoggiarsi al muro piastrellato. A volte gli girava la testa anche solo per aver fatto quelle stupide scale della palazzina.

Il periodo di convalescenza successivo a un incidente era il peggior incubo di ogni shinobi; passavi dall'essere estremamente bravo in cose eccezionali, all'essere negato anche per le cose ordinarie. Sei un eroe di guerra, fino a quando non ti alzi dal letto e non ti accorgi che non riesci nemmeno a pisciare dritto.

Obito si infilò nei vestiti da notte già mezzo addormentato. Il bagno era grande come un ripostiglio per le scope e non aveva nemmeno una porta, solo un pannello che non si chiudeva bene. Non c'era nulla nella doccia se non un rubinetto e uno scarico al centro del pavimento. Nessuno specchio. Era un bene. L'unico lavandino nell'appartamento era in cucina: un secchio industriale incastrato nel bancone e fissato con il cemento. Era macchiato da anni di utilizzo dei mille proprietari precedenti. Una volta, lui e Kakashi avevano provato a cucinare. Perdeva terribilmente.

Mentre si dirigeva verso la sua stanza senza porta, Obito provò a scrollarsi di dosso i pensieri negativi, ma era difficile lasciarne indietro alcuni. Era ancora mezzo informicolato per via dell'acqua e il suo lato sinistro rabbrividiva.

La stagione delle piogge era davvero una merda e la topaia di cemento nella quale vivevano stipava il freddo fra le sue mura. Normalmente, Obito non ci faceva caso, ma ora il gelo gli stringeva le chiappe. Ci avrebbe messo ore a tornare a scaldarsi dopo essersi lavato.

Oh, e i suoi capelli stavano cadendo.

Obito si fece il tè. Voleva provarne un tipo nuovo, questa volta: ne mise su uno di grano saraceno venduto in confezioni singole. Glielo aveva dato Bunzo-sensei. Obito impazziva letteralmente per quella roba che sapeva di bruciato, perché poteva masticare il riso saraceno dopo averlo bevuto.

Mentre l’acqua bolliva, fece i suoi push-up. Cinquanta prima di andare a dormire, cinquanta quando si svegliava. Roba semplice tipo il tè e gli esercizi lo facevano sentire umano. Anche se, in alcuni giorni, solo a metà.

Lui e Kakashi si incontravano sempre per caso, nell'area in comune prima di andare a letto. Obito avrebbe fatto il tè e i suoi push up. Kakashi avrebbe letto, o meditato. Spesso, usavano quel momento insieme per organizzare le missioni o sistemare le loro cose, i piani delle operazioni e gli ordini. A volte, non avevano sonno e Kakashi rollava qualcosa e parlavano, imprecavano e urlavano tutta la notte, fino a quando qualche vicino non si lamentava. Più spesso, facevano la lotta, che iniziava da un litigio. Obito non era dell'umore quella sera, però, perché avevano già lottato troppe volte quel giorno: fuori della dannata città e poi ancora, subito dopo essere scesi dalla linea verde. Pugni e nocche nello stomaco normalmente non confondevano Obito, ma con Kakashi lo facevano sempre…

«Potresti gentilmente..,» iniziò, aspettando che il compagno alzasse lo sguardo da quel miserabile libro. «Alzare le chiappe dal mio posto?»

«Oh, non me ne ero accorto,» disse Kakashi, educato. Ma a Obito prudevano già le mani, e la cosa era peggiorata dal fatto che non riusciva a vedere la bocca di Kakashi muoversi sotto alla maschera. Ormai, non c’era modo di evitare un litigio.

«Come fai a non essertene accorto? Mi siedo lì ogni sera, è il mio posto.»

Obito si era già preparato altre cose da dire, quando Kakashi alzò le mani al cielo e abbandonò la sua posizione, camminando di lato lungo il tavolo fino al bordo opposto del divano. Obito si sarebbe calmato se Kakashi non gli avesse sventolato davanti al naso la copertina dell'ultimo volume del Paradiso della Pomiciata. Stronzo.

Obito si lasciò cadere nell'angolo e appoggiò gli alluci al tavolo mentre Kakashi fece lo stesso dalla parte opposta. La sua faccia gli faceva venire voglia di fare a botte, ma non sapeva perché. «Perché vuoi sempre litigare?»

«Forse,» Kakashi sospirò come se la pagina che stava fissando lo annoiasse, «perché è l'unico modo per farti parlare con me.»

Obito sentì rabbia e sorpresa riempirgli il petto e collidere all'improvviso. «Non fa ridere. Solo ieri mi hai chiamato “ladro di ossigeno” perché parlavo troppo.»

Il petto del suo compagno di stanza si sollevò e poi si abbassò in un sospiro silenzioso. «Maa, Obito, stavi di nuovo rompendo i coglioni per i tuoi punteggi e il seminario.»

«Sei serio? Non mi è nemmeno permesso arrabbiarmi per queste cose?» Obito strinse i pugni. Voleva fare a pezzi il libro che aveva tra le mani, metterlo in un sacchetto e dargli fuoco. «Dov'eri quando Bunzo-sensei mi ha chiesto a cosa servissero le batterie chimiche?»

«Uhu? Non esiste una roba del genere.»

«Grazie, adesso lo so!»

«Obito,» iniziò Kakashi, corrucciato.

«Bunzo-sensei è davvero un bastardo,» continuò Obito in fretta. «È quel tipo di persona che, quando ci dice di mettersi uno dietro l'altro alle cerimonie pubbliche, si mette davvero dietro di te e te lo appoggia.»

«Cristo santo.» Gli occhi di Kakashi si strinsero e iniziò a ridere. Probabilmente, nessuno gli aveva mai detto che comportarsi così lo faceva passare solo per uno stronzo insensibile. «È successo davvero?»

Obito sorseggiò il tè, si piegò sulle ginocchia e appoggiò la tazza al tavolo. «No, ma ho paura che possa farlo.»

Kakashi scosse la testa, rise ancora, ma continuò a leggere il libro. «Non lascerei mai che nessuno te lo appoggiasse, B.»

«Ma lo ha fatto,» insistette. «Intendo, metaforicamente lo ha fatto, in classe, e non hai fatto un cazzo.»

«Sei paranoico,» concluse Kakashi.

Obito lo sapeva. Sapeva che doveva affrontare questo genere di cose da solo e, pensandoci bene, non voleva nemmeno che il suo compagno interferisse. Bunzo-sensei aveva ragione: Obito aveva accorciato la sua convalescenza e aveva tirato troppo la corda tornando troppo presto in azione. Ora aveva un sacco di lavoro da recuperare e non ci stava riuscendo. Almeno, non abbastanza in fretta per stare dietro a luci chimiche e batterie magnetiche.

«Non te l'ha dato lui quel tè?» lo accusò Kakashi.

«Cosa, questo? No.»

«Sì, me lo ricordo,» mormorò. «Grano saraceno. Ha detto che avrebbe rinforzato il tuo chakra e impedito che ti prendessi il raffreddore. Tu piaci a Bunzo-sensei.»

«No, bello. Ha detto che avrebbe fatto fuori i miei radicali liberi. Mi suona come un lavaggio del cervello.»

«Amico,» Kakashi abbassò le mani e, finalmente, anche il libro. «I radicali liberi sono tossici.»

«Ugh, sta zitto,» urlò Obito. «Cretino.»

«Ehi!» sbraitò Kakashi, abbastanza forte da far girare Obito verso di lui. «Perché sei così incazzato?»

Cosa avrebbe potuto rispondere? Per via del tempo? Di tutte quelle piccole ingiustizie che sembravano nulla in confronto all'esistenza umana? Obito alzò una mano e la portò dietro al collo, cercando dei capelli staccati. «Oh, quindi adesso mi vuoi ascoltare.»

Kakashi sospirò e si spostò di nuovo. «Ascolta, ti ho solo detto di stare zitto e non parlare del seminario. L'ho detto perché non vale la pena arrabbiarti così tanto per quella roba. Bunzo-sensei è un vecchio pelato esaurito. E se ti dice una parola di troppo, gli inchiodo lo scroto alla coscia e gli dico di non darti più fastidio.»

Questo soddisfò abbastanza Obito e lo fece voltare. Appoggiò il lato sinistro al divano rigido e stese le ginocchia. «Davvero?» mormorò.

Il Ninja Copiatore spostò le lunghe gambe e si alzò le maniche sui gomiti come se avesse appena scoperto di essere famoso. Fece un tsk. «Certo, amico. Ma questo non significa che lui non abbia ragione. Hai un buon istinto, un buon intuito; sai sparare un sacco di cazzate, ma ti mancano le skill di base. È una bella pecca in una missione.»

Obito sentiva sempre tutto a metà, ma, quando si trattava di Kakashi, sentiva sia il dolore che il gelo. Alzò l'altra gamba e si premette i palmi delle mani sugli occhi.

«Obito, non fare così,» disse Kakashi con tono piatto e basso. «Non so che cazzo fare quando fai così.»

«Diventerò un vecchio pelato esaurito anche io,» mormorò.

«Cosa? No…» La sua voce era sempre più vicina e Obito si chiese se si fosse tolto la maschera. «Devi solo smettere di strapparti i capelli, B. E magari ascoltare Bunzo-sensei invece di sognare a occhi aperti tutto il tempo.»

«Vai a cagare,» protestò. «Non faccio nessuna delle due cose.»

«Beh, perché passi tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra imbronciato, allora?»

Obito scosse la testa, spinse i palmi più forte sugli occhi. Kakashi si era seduto di fronte a lui. «Ai bambini che fanno così, danno delle medicine.»

«Mi prendi per il culo,» ringhiò.

«Sto solo cercando di farmi guardare,» lo corresse Kakashi. «E di parlare, se ti va. Parlare di quello che ti turba.»

Obito rimase in silenzio. Prese in considerazione l'offerta. Poi disse «quello che mi turba è proprio di fronte a me.»

«Okay, ascolta,» disse Kakashi, e mentre parlava avvolse le mani intorno alle caviglie di Obito. Si appoggiò di peso come se stesse cercando di piantarlo a terra. «Penso davvero quello che ti ho detto, voglio che siamo amici per tutta la vita. Ma se è troppo per te, io posso, non so, trasferirmi. E posso essere riassegnato a qualcun altro, che dici?»

Obito scosse la testa.

Il peso sulle caviglie aumentò. «Dimmi cosa vuoi, cretino. Se non lo fai non posso aiutarti.»

«Io non capisco,» iniziò Obito togliendo i palmi dagli occhi. Vide bagliori in uno e sentì un dolore lancinante nell'altro. «Come fai a dire cose carine, che mi fanno sentire meglio nel giorno più merdoso della mia vita, e poi dire qualcosa di così insensibile e cattivo? Non è il genere di roba della quale ho bisogno adesso.»

Quando aprì gli occhi umidi la vista si offuscò, ma Kakashi gli apparve pensieroso. La bocca gli si incurvò un po' al lato. «Credo che siamo due fottuti idioti.»

Obito grugnì. A volte era bello discutere con Bakashi, ma era bello anche sorridergli, soprattutto a casa, quando potevano abbassare un po' la guardia, solo un po’.

Allungò un braccio, glielo avvolse intorno al collo e Kakashi girò la testa su un lato. Obito appoggiò il naso contro la sua guancia. Si ricordava la prima volta che lo aveva fatto: il giorno nel quale il suo amico sedicenne lo aveva trovato in un campo di segale sull'orlo di un esaurimento. Avevano riso per una battuta scema e poi si erano scambiati uno strano abbraccio fraterno che era diventato ancora più strano quando Obito si era reso conto di aver permesso all'amico di restare nel suo punto cieco. Nel girarsi per guardarlo, aveva urtato con il naso la sua guancia. Era stato goffo, ma lui e Kakashi si scontravano sempre, qualsiasi cosa facessero.

Obito sbadigliò e decise che ne aveva abbastanza di discussioni per quella sera. Appoggiò il mento alla spalla del compagno di squadra e sentì le mani di Kakashi lasciargli andare le caviglie. Era così stanco che non si sarebbe nemmeno accorto se fossero state lì per sempre. «Perché Genma pensa che scopiamo?»

Kakashi rispose con il suo solito tono annoiato. «Chiedo un parere a Genma solo quando voglio che qualcosa abbia un risvolto sociopatico.»

«E perché lo pensa anche Raidō?»

«Quei due sono venuti al mondo dallo stesso buco.»

«Stai solo screditando tutti i miei testimoni, huh? E il ragazzino del giornale?»

Kakashi si spostò e Obito si ritrasse per incrociare le braccia sulle ginocchia piegate. «Sei stato tu a farglielo credere,» disse.

Obito si scaldò subito. «No, sei stato tu!»

«Almeno io non ho mentito…»

«No, ma hai lasciato intendere,» sbraitò Obito in risposta. «Hai lasciato intendere un sacco di cose!»

«Che problema hai? Sei stato tu a dire che ero innamorato di te!»

«Si beh, e mi aspettavo che dicessi qualcosa di spiritoso in risposta!»

«Forse non sono così bravo a sparare cazzate come lo sei tu,» rispose Kakashi sottovoce.

«Tu sei un genio delle cazzate proprio come lo sono io.» Obito gli urlò addosso. «È per quello che non hai nessun altro amico, nessun altro oltre a me sa chi cazzo sei davvero!»

«Oh, senti chi parla,» disse Kakashi, velenoso. «Non posso credere di ricevere dei consigli psicologici da un Uchiha. Sei così concentrato sulla tua rabbia che devo costringerti a litigare per farmi notare da te.»

Obito odiava essere etichettato con il nome del clan e Kakashi lo sapeva, stava cercando di farlo incazzare di nuovo.

«Lasciami andare,» gli ordinò Obito. «Vado a letto.»

Per un momento, la presa di Kakashi si fece più salda e Obito strinse gli occhi, sentendo tensione nell'aria. Si preparò per un risvolto violento: ci sono un milione di cose che puoi fare con la presa sulle caviglie di qualcuno.

Invece, Kakashi lo lasciò andare e, visto che non aveva nient’altro da ottenere e doveva mostrarsi superiore, si alzò e se ne andò.

«Tipico tuo, Kakashi,» disse Obito. «Dici che vuoi parlare, ma l'unica cosa che fai è scappare via.»

Sapeva di aver colpito nel segno perché il suo compagno di stanza si fermò un attimo con un tallone sollevato e poi tornò nel corridoio che dava sulla sua camera, la porta e il bagno.

«Dillo un'altra volta.»

Provocazioni e insulti verbali non prendevano mai alla sprovvista Obito sul campo di battaglia, ma con Kakashi lo facevano sempre. Era il modo nel quale lui diceva le cose che lo trasformava in una bestia.

Obito si stava già muovendo dal divano. Si levò la maglia, caricò il compagno e finirono a terra con un fracasso di ginocchia, gomiti e insulti a fiato corto.

A un certo punto, quello che viveva sotto di loro bussò alla porta e Kakashi fece i convenevoli mente Obito si precipitò nella sua stanza dalla parte opposta del corridoio con la faccia che gli pulsava per la botta.

Aveva scelto la stanza vicino al portico perché gli piaceva la musica tradizionale che si alzava dal Green Lake Park di notte e di giorno, ma non poteva negare che la mancanza di isolamento che la rendesse gelida. Obito strisciò sotto alle pesanti coperte senza finire il tè o rimettersi la maglia, e i suoi occhi gocciolarono un po', ma non per la tristezza, solo per lo stress. Troppa agitazione dopo una giornata lunga, pensò. Decise di dare ragione a Kakashi: erano due fottuti idioti. E tutti e due non facevano altro che scappare.

A un certo punto, così tardi che la musica del parco era svanita, Obito si alzò mezzo addormentato e attraversò il corridoio per andare a pisciare. Poi si fermò sulla soglia della stanza del suo compagno ed entrò. Si rannicchiò dove le coperte erano già spostate, scivolò sotto, appoggiato al suo lato sinistro, rivolto verso la porta. Kakashi si girò dietro di lui, gli mise una mano sul petto e infilò il naso dietro al suo orecchio come faceva sempre.

«Va meglio così?» mormorò.

Obito si addormentò subito.

Probabilmente, non avrebbero parlato nemmeno di quello al mattino seguente.

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Capitolo 5
*** Giorni di riposo pt. 2 ***


 

Obito alzò le sopracciglia verso l’alba, come se per un attimo se ne fosse dimenticato, poi sorrise.

«Beh,» disse, avvicinando le caviglie. «Non so molto di giardinaggio, o quel genere di cose, ma so qualcosina sulle foglie.» Il Jōnin saltò in piedi, vacillò un momento, e si avvicinò alle sue cose al centro della colonna. Mentre rovistava nella borsa, una nuvola si avvicinò alla piattaforma; il suo respiro nebbioso colpì il fondo della gola di Saburo e lo fece sentire allo stesso tempo pieno d'acqua e leggero.

Era l'aria del mattino, fredda e spietata. Il vento soffiò, la struttura di metallo tremò e si scosse ai suoi piedi, facendogli stringere le ginocchia al petto. Saburo sapeva che l'Halcyon tower non stava oscillando davvero, ma, beh, stare lì lo mandava fuori di testa.

Obito tornò da lui con i piedi mezzi infilati nei sandali, la giacca sulle spalle nude e un cono di carta della lunghezza di un dito in mano.

«Questo me l'ha rollato Kakashi,» disse orgogliosamente, scivolando sulle gambe e appoggiando il culo a terra. «Si incazzerebbe un sacco se lo iniziassi senza di lui.»

Obito tenne il cono nella mano tesa così a lungo che Saburo lo afferrò con naturalezza.

«Avvita la fine,» gli disse il Jōnin mordendo il dito di un guanto e sfilandoselo.

«Um… cosa?» balbettò. «Come?»

«Come l'altra estremità,» disse Obito, impaziente. Si piegò indietro per prendere qualcosa nella tasca degli shorts. «Io non posso farlo, sono imbranato con la carta di riso, mi vengono i tremori.»

Saburo prese l'ampia estremità del cono fra il dito medio e il pollice proprio nel momento nel quale il vento iniziò a soffiare più forte. Si girò per impedire che la parte aperta perdesse il contenuto verde e torbido. Poi, con una vena che quasi gli scoppiava sulla fronte, afferrò la carta delicata e la girò diverse volte, fino a quando non fu sigillata come un petardo artigianale.

«Ho provato ad accendere uno di questi con una palla di fuoco una volta,» disse Obito, prendendo lo spinello con un movimento lento e attizzando l'accendino nell'altra mano. «Pensavo sarebbe stato un trucchetto fico, sai. Per le ragazze.»

«Ha funzionato?»

Obito piegò un ginocchio e, con quella protezione dal vento aggiunta, qualche tentativo con l'accendino e un paio di tiri, riuscì ad accenderlo. Il fumo circondò la sua gamba piegata e per un momento il suo ginocchio sembrò la cima di una montagna che faceva capolino fra le nubi.

«Kakashi si è incazzato un sacco. Mai visto così incazzato, quando è così è davvero tanta roba.» Allungò il braccio.

 Saburo fissò la carta accesa e accartocciata fra le sue dita e, infine, la prese. La prima tirata gli lasciò sulla lingua un sapore che se ne andò proprio come era arrivato, leggero, secco e un po' fruttato. La seconda tirata gli andò giù per la gola; una piccola scheggia di vetro che si spezzava in altre più piccole sparpagliate per il suo petto. Saburo tossì, tossì e tossì ancora.

Obito rise.

Da qualche parte, sotto di loro, un uccello cantò per salutare la mattina. Il sole che si stava alzando scaldava poco a poco l'acciaio della piattaforma.

Saburo si rilassò gradualmente, la gola che gli andava a fuoco, la caviglia che pulsava, la palpebra pesante.

«Eh, cazzo, ragazzo,» disse l'Uchiha, mettendo in salvo lo spinello dalle sue mani tremanti. «Una volta che capisci che non esistono cose come il bene e il male è molto più facile fare la parte del cattivo.»

I movimenti della giacca di Obito sembravano sussurrare parole a Saburo. Dalla bocca sfregiata del Jōnin uscì fumo e li avvolse con lente spirali. Obito espirò dalla bocca, ispirò il fumo dal naso, in una cascata al contrario, e lo fece uscire di nuovo dalla bocca.

Il corpo umano non era altro che una strana sacca di liquidi e solidi. Saburo si chiese come facesse, nonostante tutto, a essere così bello.

«Konoha è l'unico posto al mondo dove puoi comprare l'erba tutto l'anno,» disse Obito. «È per quello che la chiamano la città dell'eterna primavera.»

Saburo rise. Improvvisamente, tutte le cartoline di Konoha sembrarono terribili malintesi.

«Sono serio,» insistette Obito. «Sei mai stato fuori dalla città? Cresce selvatica su tutte le colline, proprio fuori dalle mura; tutta roba naturale, rigogliosa e selvaggia. L'erba della Foglia è il bene di maggiore esportazione. Vai da Tiger Leaping Gorge se non ci credi.»

Saburo rise ancora e si asciugò un po' le lacrime dagli occhi. «Non credo sia quello che ha in mente il mio editore.»

«Puoi intervistare Kakashi!» continuò Obito, come se avesse avuto un'illuminazione. «È un intenditore, sai. Aveva provato a farla crescere nella mia stanza, ti giuro. Ma adesso si è spostato da alcuni tizi sulle montagne. Gli shinobi fanno affari niente male: viaggiamo per il continente, senza confini; in più, creiamo relazioni di mutuo rispetto e fiducia con i nostri clienti. Gli Hokage vanno e vengono, ma la catena dell'erba rimane forte.»

Saburo batté le mani educatamente.

«Grazie,» Obito fece un ghigno divertito. «Se ne parli nell'articolo, non citarmi.» Gli offrì un altro assaggio della principale esportazione di Konoha, ma Saburo rifiutò educato.

«Non ne so molto di giardinaggio,» disse di nuovo Obito, piegando il braccio. Fissò lo spinello.

Agli occhi di Saburo, il Jōnin sembrava tenere un nastro di carta lungo e contorto fra le nocche. «Non dirlo a nessuno, ma ho notato che, ultimamente, dopo che mi alleno in certe aree per qualche giorno, iniziano a crescere dei fiorellini. Strano, uhu?»

«Um,» mormorò Saburo. «Non so. Beh, come sono fatti?»

«Tipo viola, credo.» Obito si concentrò. «Venosi e umidi.»

«Sembrano disgustosi.» Saburo immaginò che Uchiha non fosse molto bravo con la poesia.

«Quindi ho iniziato a pensare a una cosa,» continuò, con sguardo assente. «Forse, se porto un vaso di terra in camera, quelle merde ci cresceranno dentro.»

«Sì,» Saburo pensò avesse senso. «Forse.»

«K pensa che io sia, sì insomma, impazzito,» disse Obito, abbassandosi con la schiena sulla piattaforma e alzando una mano dietro alla testa per farsi da cuscino contro la ringhiera. Saburo guardò sotto alla giacca. Persino i peli delle ascelle di Obito sono terribilmente neri. «Devi piantare qualcosa per far sì che cresca, dice. Ma, a volte, le cose crescono anche dove non te lo aspetteresti. Capisci cosa intendo?»

Saburo annuì, anche se stordito. «Capisco. Come quella volta, a Green Lake Park, ho fatto una foto a delle farfalle che mangiavano l'occhio a un pesce morto.»

Il Jōnin sfigurato annuì verso il sole, ma la sua fronte si aggrottò. Poi disse «Sì, anche quello è strano. Dovrebbe arrivare a momenti, comunque,» continuò. «Sta facendo tardi perché è andato al Cimitero Monumentale. Spero non ti dispiaccia se c’è anche lui. È un vero, splendido, stronzo.»

«No, va bene,» disse veloce Saburo, colto dal bisogno di difendere il Ninja Copiatore. Mise insieme le parole giuste per fare una domanda. «Voi, ragazzi, venite spesso insieme quassù?»

«Uhh, no,» Obito sorrise. «Di solito non gli dico mai dove vado.»

«E allora, come fa a…?»

«Non so. A volte penso sia per via degli occhi che condividiamo.» Obito alzò le spalle contro la piattaforma, poi si spinse sui gomiti e stinse gli occhi verso la Roccia degli Hokage. «E a volte penso sia solo uno stalker innamorato di me.» Buttò indietro la testa.

 Saburo seguì il suo sguardo appena in tempo per scorgere un’ombra nel buco della scala che poco a poco divenne la sagoma del Ninja Copiatore.

«K-dot!» urlò Obito, con eccessiva gioia.

«Sei fatto,» lo accusò Kakashi, severo, gettando la borsa per terra e fissandoli entrambi.

«È l'alba. Svegliati e prepara la colazione, amore mio,» disse Obito, sorridendo pigramente. Poi guardò Saburo e aggiunse «lo chiamo così solo per scherzo, eh.»

Quando Kakashi si avvicinò abbastanza, Obito gli colpì il ginocchio con le nocche. «È come un fratello per me.»

«Agh,» grugnì Kakashi. «Ma che problema hai?»

Il Jōnin dai capelli argentati, che Saburo aveva sempre considerato inflessibile e preciso, si scagliò contro il suo compagno facendolo cadere sul pavimento della piattaforma in una presa decisamente inelegante.

Dopo un minuto di lotte, Obito perse le energie. Kakashi colpì il compagno all'addome con le nocche, colpendogli probabilmente un rene e facendo provare a Saburo una solidale fitta di dolore. Obito provò ad alzare un ginocchio, probabilmente per tenere e bada Kakashi, ma fu propria quella la mossa che causò la sua sconfitta, perché il Ninja Copiatore gli piegò l'arto così tanto che i polmoni dell'Uchiha vennero schiacciato sotto il peso della sua stessa gamba. Obito batté la mano sul pavimento d'acciaio un paio di volte.

A quel suono di resa, Kakashi si rilassò, ma non lo lasciò andare. Si allungò per prendere lo spinello dimenticato sulla piattaforma. «Non posso credere che lo hai iniziato senza di me. L'ho fatto io. Ma ce l'hai un briciolo di onore?» Il Ninja Copiatore si liberò il mento dalla maschera e alzò la carta di riso alle labbra. Con piccoli e pazienti respiri, rinvigorì la fiamma fino a quando la carta non iniziò ad accartocciarsi come se stesse bruciando. Poi il petto si allargò in una profonda inalazione e, con sottili rivoli di fumo che gli uscivano dalle narici, Kakashi appoggiò l'avambraccio che teneva ferma la gamba di Obito al suo petto. Per un momento sembrò che volesse espirare nella bocca del suo compagno.

«Gli ho solo detto la verità,» ansimò Obito.

Kakashi si paralizzò. Dalla sua posizione a più di tre metri di distanza, Saburo vide il suo occhio socchiudersi.

Lunghe scie di fumo uscirono insieme alle sue parole: «Tu, rovini, sempre, tutto.» Kakashi appoggiò la schiena e sembrò esaminare il suo compagno. «E come sei conciato? Cerchi di ottenere un ruolo in un film porno?»

«Sta zitto.» Obito strinse i denti. «Nessuno nei tuoi porno è come me.»

«Non che non ci provino,» mormorò Kakashi.

«No, non è… avevo caldo,» spiegò Obito. «E poi ha iniziato a fare freddo. E la mia maglietta era sudata.»

«Certo, come no,» affermò Kakashi, calmo.

«Vai a fanculo.»

Obito grugnì quando la gamba gli venne rilasciata da una presa dall'aspetto davvero doloroso. Kakashi si alzò e poi cadde fluidamente per mettersi seduto di fronte Saburo.

«Yo.» Il Ninja Copiatore annuì per salutarlo. «Il giornale ti fa alzare così presto?»

Saburo scosse la testa. «In realtà, io, um… speravo di fare una foto all'alba.»

Kakashi alzò le sopracciglia. «Se riuscito?»

«Non proprio.»

«Ow!» urlò Obito.

Saburo si girò in tempo per vedere il Jōnin sfigurato strofinarsi un orecchio e il braccio di Kakashi ritrarsi da dietro di lui. «Perché mi hai colpito?»

«Gli hai rovinato lo scatto, non è vero?»

«No!» mentì Obito, guardando da un'altra parte. «Non di proposito.»

«Non hai rovinato proprio nulla,» tentò Saburo. «Va bene così, davvero. È stato anche meglio, in realtà.»

«Meglio?» Kakashi tirò su con il naso. «Prima o dopo che si levasse la maglietta?»

Saburo si piegò sulle ginocchia per evitare di essere accidentalmente urtato dai due ragazzi mentre si prevedano a pugni alle sue spalle.

Obito fu il primo a fermarsi. Si alzò in piedi e si mosse veloce per evitare un colpo diretto al ginocchio, poi rivolse l'occhio buono al compagno e si mise il guanto. «Devo andare, comunque,» mormorò. «Ho finito qui.» Raccolse la maglia, ma non fece cenno di volerla mettere o di chiudersi la giacca, e sembrò aspettare che Kakashi gli dicesse qualcosa a riguardo.

Non disse nulla però, e Saburo ne approfittò. «È stato bello parlarti, uh, Obito,» azzardò. «Penso che sarai un, un grande Hokage. E, um… penso che le tue cicatrici siano belle.»

Il sospetto sul volto del Jōnin sfregiato divenne sorpresa e, infine, una sfrenata soddisfazione. Obito sorrise. «Grazie, bello.»

«N-niente, uh, alla prossima.»

Obito fece un cenno con la mano nella direzione del suo compagno. «Ci vediamo al seminario.»

Kakashi fece un suono per confermare, ma si mosse quando Obito raggiunse la scala a pioli. «Aspetta, prendi il resto di questo.»

Obito si girò e guardò il braccio allungato, e poi il suo compagno. Alzò la mano per toccarsi gli occhiali, ma non li tirò giù. «Sicuro?»

«Sì. Vai, cretino. Ti vengo a prendere per pranzo.»

«Okay.» Obito si infilò un guanto sotto al braccio e si abbassò per prendere l’offerta ardente con uno sguardo di pura concentrazione. «Però basta noodles alle lumache.»

Noodles alle lumache? Saburo rabbrividì.

«Lo so che è una cosa degli Hatake e tutto il resto,» continuò Obito. «E sì, okay, ti fa pensare ai vecchi tempi, ma cristo santo…»

«Avevi detto che ti piacevano!» disse Kakashi, sincero. Vedere il Ninja Copiatore a suo agio era come vedere una persona normale durante un attacco isterico.

«Ma è così, mi piacciono le noccioline, e l'olio piccante, ma ogni volta che siamo da quella parte della città ti lancio frecciatine sul nuovo Tani vicino al Waving Cat, e pensavo che avresti colto gli indizi.»

«Non sono indizi, è…» Kakashi si interruppe. «Manipolazione passiva!»

Il fumo si riversò dalla bocca di Obito nel suo naso.

«Mi piacciono i noodles alle lumache di fiume, bro,» disse, lamentoso. «Ma possiamo provare qualcosa di nuovo?»

«Bastava dicessi così,» mormorò Kakashi. Poi fece una veloce domanda. «Mi dici dove ti alleni oggi? O devo cercarti anche sta volta?»

Obito non rispose. Prese un'altra boccata dalla carta ardente e esalò attraverso il naso, guardando in basso verso il compagno di squadra e poi verso Saburo come se volesse dimostrare qualcosa.

Kakashi rotolò su se stesso e allungò una mano per afferrare la caviglia più vicina di Obito. Per un momento sembrarono non fare nulla.

«Sono su ai campi d'addestramento neri oggi,» disse Obito, e sembrò annuire nella direzione di Saburo. «Se vuoi vedere quei fiori dei quali ti ho parlato, ragazzino.»

Saburo gemette internamente. I campi neri... sentì la testa che gli girava solo al pensiero dell'allenamento in cima agli alberi di Konoha.

Obito scalciò qualche volta e si liberò della presa del compagno, poi si girò verso la colonna centrale per prendere il resto delle sue cose. Mise la maglia nella borsa, se la issò sulla schiena e, proprio quando Saburo pensò di vederlo scomparire nel buco della scala, Obito saltò sulla ringhiera, si diede una spinta con i piedi sulla barra più alta e si mosse troppo veloce perché i suoi occhi riuscissero a seguirlo. Lontano, sotto di loro, i negozi stavano iniziando ad aprire; il rumore metallico dei cancelli si sentiva a isolati di distanza. I contenitori di bambù riversavano già vapore per le strade, presto i grill avrebbero iniziato ad accendersi, e il traffico pedonale sarebbe stato riempito dalla fretta dei primi mattinieri.

Kakashi si tirò in piedi. Sembrava agitato. Si chinò per recuperare il sacchetto di castagne abbandonato da Obito sulla piattaforma e fissò l'alba come se ce l'avesse con lei. Poi, in un movimento così veloce che Saburo dovette registrare più volte nella mente, distese il braccio in una bassa frustrata e lanciò almeno tre castagne.

Passò solo un secondo prima che quelle sfortunate colpissero la pancia del grande serbatoio d'acqua in lontananza in rapida successione. Il gong ritmato ed echeggiante creato dall’impatto fu, con orrore di Saburo, un suono vagamente familiare.

«Io, io… uh,» Saburo si schiarì la gola. «Ho sentito parlare bene dei tuoi, uh, lanci di castagne.»

Kakashi fece un tsk. Con un saltello e un'altra bassa frustata del braccio il Jōnin mise in volo un'altra castagna. «Posso lanciarle così forte da farle incastrare nel ferro.»

«Ho… gli ho detto qualcosa di sbagliato?» rifletté Saburo.

Gong-g

«No,» disse Kakashi, grave. «Hai detto tutte le cose giuste. Era quello che aveva bisogno di sentirsi dire, probabilmente.»

Kakashi si lasciò cadere dalla piattaforma proprio mentre qualcosa volò in alto producendo un rumore metallico contro la colonna dell'Halcyon, rimbalzando e colpendo la piattaforma a pochi centimetri dai piedi di Saburo. Non era un fan del gioco delle castagne e si stava stufando anche dei giocatori.

«Non capisco,» disse Kakashi con voce profonda. «Come fanno alcuni a essere così bravi a relazionarsi agli altri? Non ho mai pensato di dirgli nessuna di quelle cose. Obito non sente il freddo a volte,» continuò, e il suo tono piatto aveva una nota addolorata. «Gli dico di mettersi una cazzo di giacca: si offende e si arrabbia. Se non dico nulla è peggio perché si intristisce e arrabbia. Si lamenta dei capelli tutto il tempo e ho anche smesso di dirgli che non gli stanno cadendo. È per quello che gli ho preso quegli stupidi guanti e gli rollo le canne: ha dei comportamenti ansiosi, amico. Possono rendere una brutta giornata anche peggiore.»

«Oh,» disse Saburo, sorpreso. «I guanti sono stati davvero una buona idea.»

«Non so.» Kakashi si grattò la rima dell'occhio con l'unghia. «Non so come fare a dirgli le cose. Hai visto, non possiamo respirare la stessa aria per due minuti prima di diventare cinetici.»

«Cinetici?»

«Violenti,» spiegò.

Improvvisamente il Ninja Copiatore si accovacciò sulla sporgenza e incrociò le braccia al parapetto centrale, proprio come aveva fatto Obito. «Il mio povero piccolo,» mormorò, così piano che Saburo quasi non lo sentì. «Si strappa i capelli.» Kakashi si girò e si rivolse direttamente a Saburo. «È un disastro, eh?»

Obito stava affrontando la situazione al meglio delle sue capacità. Saburo aprì la bocca per rispondere, quando il Jōnin continuò. «Tu pensavi che uscissi con lui? Cazzo. Lo hai visto! È un fottuto disastro. Ci hai creduto davvero? Io non lo avrei fatto.» Scosse la testa verso le montagne e tossì una piccola risata senza emozione. «Sai, Uchiha. Tradizioni e tutto il resto. Metà di quel clan mi vuole morto solo per la storia dell'occhio. E l'altra metà mi vorrebbe morto comunque.»

«Perché?»

«Perché,» Kakashi balzò in piedi, si passò una mano sulla maschera, ma non la tirò su. «Ho dovuto fare delle cose per riaverlo indietro. E chiunque altro non avrebbe fatto lo stesso al posto mio…»

Fece una pausa come se si aspettasse un'accusa di qualche tipo, ma Saburo scelse di tacere. Si aggrappò alla macchina fotografica e guardò il Ninja Copiatore attendendo che glielo svelasse.

«In tre anni,» continuò. «Ci sono state volte nelle quali ho sperato che morisse. So che può suonare brutto sentirmelo dire, ma non puoi capire se non provi. Tutti quei forse mi facevano stare male. Ogni giorno lo guardavo e aspettavo, e tutto quello che mi dicevano era che forse si sarebbe svegliato e forse avrebbe parlato o camminato o combattuto ancora. Mi sono portato dietro quegli inutili forse fino a quando ho pensato di aver sbroccato a forza di aspettare, sperare, temere tante cose. Voglio dire, che cazzo potevo fare? Cosa fai quando ti dicono che qualcuno non tornerà più, ma è lì, proprio davanti a te? Non aveva senso. Come fai a riportare qualcuno a casa, ma non averlo nella sua interezza? Quindi, quando alcune persone sono venute da me e mi hanno detto che forse poteva tornare a essere quello di prima, ho pensato, cazzo, niente può essere peggio di com'è ora! e ho accettato. Cellule speciali con poteri rigenerativi,» continuò, come se fosse la linea di un copione. «Un progetto segreto. Sembra una cagata, ma ero così fottuto dall’incertezza che gli ho dato il via libera. Sono stato egoista. Non pensavo nemmeno che avrebbe funzionato, volevo solo che la mia sofferenza finisse. Obito era andato in coma e io avevo smesso di vivere.»

«Lo sa?»

«Hmm vediamo,» Kakashi mormorò con un tono beffardo. «Ho detto al mio migliore amico che ho dato il consenso per farlo spremere come un topo da laboratorio perché ero stanco di aspettare un miracolo? No.»

«La vedi davvero così?»

«No,» disse di nuovo, con meno enfasi. «Ma è così che la vedrebbe lui.»

«Le cose sono cambiate parecchio in tre anni,» constatò Saburo, godendosi il sole sulla faccia. «Credo che tornare dopo tre anni di sonno ti incasina la mente.»

«Quindi cosa pensi, ragazzo?» disse Kakashi, appoggiando i gomiti dalla ringhiera. «Dovrei dirglielo?»

Saburo giocò con la cinghia della macchina fotografica. «Avevo cinque anni quando mio padre morì. I suoi amici mi hanno raccontato delle belle storie su di lui e mia mamma mi aveva detto che era stato ucciso in missione. Per un po' ho voluto essere uno shinobi solo per essere come lui, le persone lo amavano così tanto…  quando è morto hanno iniziato ad amare di più anche me. Poi ho compiuto dodici anni e mia mamma mi ha raccontato la storia per intero: era stato ucciso da fuoco amico. Mi disse che significava che il responsabile era stato uno dei suoi compagni. Mio padre era un eroe, ma quella parte era stata omessa dalla storia.»

Saburo sentì la conversazione diventare più pesante e si affrettò a continuare. «All'inizio, ero un po' arrabbiato, era facile incolpare il nemico per avermi portato via mio padre, ma era molto più difficile incolpare i suoi amici. Ci è voluto un po', ma mi sono reso conto che non avevo bisogno di incolpare nessuno per come erano andate le cose. Non era stata la verità a farmi male, era stato il fatto che per tutto quel tempo mi fossi messo a mio agio tra le bugie, adorando lo stesso sistema che aveva ucciso mio padre. So che non è esattamente la stessa cosa, ma mi hai chiesto cosa ne pensassi,» continuò Saburo. «E penso che Konoha abbia l'abitudine di nascondere scomode verità.»

Kakashi giochicchiò con una castagna, ma non la lanciò. Il suo Sharingan stava girando e Saburo si chiese quando lo avesse attivato.

«Non so, amico,» disse Kakashi, alla fine. «Ogni volta che provo a dirgli qualcosa mi esce tutto sbagliato. Io mento, lui sa che sto mentendo e probabilmente è per quello che litighiamo sempre anche per cose da niente.»

«Da quel che mi sembra,» osò Saburo, «Obito potrebbe apprezzare le azioni, più delle parole.»

«Ragazzo,» Kakashi era impassibile. «Hai ascoltato quello che ho detto? Tutto ciò che facciamo è litigare.»

«Davvero?» chiese Saburo, perché non era così che Obito aveva descritto la loro amicizia. «Le cose diventano sempre cinetiche in senso negativo?»

«Beh, a volte,» rifletté il Jōnin, fissando intensamente la castagna che aveva tra le dita. «Di notte, striscia nel mio letto.»

Saburo sentì la pelle d'oca sul braccio.

«È quella l'unica volta nella quale mi permette di stringerlo. Poi, al mattino...» Un lieve schiocco e un crack annunciarono l'arrivo di un fottuto lampo che fece a pezzi la castagna. «Se ne è già andato.»

Kakashi chiuse il pugno attorno ai resti vaporizzati della malcapitata mentre l'ultima energia statica danzava sul suo polso. «Fa schifo. È tutta colpa mia.»

Saburo inspirò a fondo. «Cosa intendi?»

Il Ninja Copiatore si voltò per guardarlo oltre la ringhiera e Saburo sentì il sangue fluirgli in faccia; non tanto per l'argomento trattato, quanto per lo sguardo serio che aveva Kakashi. «Ho rovinato tutto, amico. La prima volta che è successo, mi sono svegliato presto e lui era proprio lì accanto a me e ho pensato ugh

Si voltò e si passò una mano sul viso, poi si appoggiò ai gomiti.

«Ho allungato le mani,» ammise. «B è saltato fuori dal letto come se l'edificio fosse in fiamme e da quel giorno mi sveglio sempre solo.»

Offff, pensò Saburo. «Che animale, amico.»

«Vedi cosa intendo? Non posso fare quello che voglio. Non posso nemmeno fingere. Sto vivendo un'enorme fottuta bugia, ma almeno è meglio che perderlo del tutto.»

«Forse sì.» Saburo si interruppe perché non voleva interpretare troppo le parole di Obito.

«Sì, vedi?» ripeté Kakashi. Sputò oltre il parapetto. «Forse. Sono di nuovo qui con quell'orribile e fottuto forse. Io mando segnali e sento come se mi respingesse. Puoi sull'autobus ho pensato, quando ho… hai visto no? Ti stavo guardando quando l'ho baciato. Hai visto cos'è successo?»

«Uh, io ho distolto lo sguardo,» disse in fretta Saburo. «Sembrava un momento privato.»

Kakashi emise un suono di sincera frustrazione, un po' come quando ti mordi l'interno della guancia forte e provi un sacco di dolore, ma sai che in qualche modo sei stato tu a causartelo perché sei stato troppo sconsiderato e hai masticato con troppo abbandono.

«Per un secondo ho pensato che lui… ma non so. Potrei averlo immaginato.»

Saburo non conosceva le soluzioni ai suoi problemi, ma gli offrì la sua compagnia per qualche altro minuto mentre il sole si alzava dall'orizzonte.

«Um, Kakashi,» osò Saburo, digrignando i denti e riacquistando poco a poco la sua intelligenza. «So che non significa molto, sentito da me, ma non credo che tu abbia nulla di cui preoccuparti con lui.»

Kakashi fece un respiro profondo e guardò l'alba come se avesse deciso di risparmiarle la vita. Anche se era lupesco e orgoglioso, Saburo sospettava fosse un individuo premuroso. Solo che, a quando pareva, gli importava molto poco di alcune cose e troppo di altre.

«Vedi, in realtà mi sento meglio. Sei davvero bravo a farlo.» Si scrollò facendo alzare la croce della spada sopra le spalle, guardò giù verso la strada e riportò lo sguardo annoiato su Saburo. Sollevò un sopracciglio come se stesse nascondendo un celato divertimento. «Vuoi un passaggio di sotto?»

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Capitolo 6
*** Giorni di scuola pt.1 ***


Nota del traduttore: Ciao a tutti! Questa storia è una traduzione dall'inglese. Si tratta di un what if ambientato in una Konoha molto fedele al canon per quanto riguarda eventi e personaggi, ma con caratteristiche un po' diverse in merito all'avanzamento tecnologico. Il racconto è molto lungo, ed incentarto sul rapporto fra Kakashi ed Obito. Siccome il lavoro di traduzione è davvero impegnativo, vi invito a lasciare dei commenti se la storia vi piace!

Qui trovate il link originale:  https://archiveofourown.org/works/16946859/chapters/39822840
E qui l'instagram dell'autore: https://www.instagram.com/thedivinefool/

Ogni disegno illustrativo della storia è realizzato da thedivinefool

-

 

 

Quando Kakashi lasciò il posto che nessuno nominava mai, il cielo era solo leggermente velato. Volle comunque informare le due sentinelle all'entrata che da lì a poco avrebbe sicuramente piovuto.

Nessuno nominava mai quel luogo e, di conseguenza, nessuno poteva nemmeno riconoscerlo. Quando Kakashi era arrivato all’ingresso di quel luogo, nella Seconda Strada, aveva trovato la vetrina di una pasticceria con esposti fiori e torte. Era un locale stretto, come tutto in quella via, incastrata tra un bar karaoke e il lattaio di fiducia di Obito.

Come spesso accadeva nelle zone commerciali e di intrattenimento più trafficate del centro della città, qualcuno suonava musica. Un pezzo tradizionale, con il ritmato eco di un koto accompagnato dal sospiro di un flauto di bambù.

Kakashi si era fermato tra una donna che vendeva cavoli di sette colori differenti e una ragazzina in uniforme scolastica per dare un’occhiata gli articoli esposti nella vetrina della pasticceria. Biscotti al gelsomino, biscotti alla rosa, biscotti al tè verde… che fantasia.

Quando Kakashi era entrato, la ragazzina in uniforme gli aveva sorriso. Persino le sentinelle fuori da quel luogo erano camuffate un po' troppo bene per i suoi gusti.

Alle sue spalle aveva udito il pizzico delle tredici corte del koto, aveva sentito la sua melodia vibrargli alla base del collo. Conosceva la canzone: si basava su un sistema tonale pentatonico che a un inesperto sarebbe potuto sembrare poco orecchiabile, ma ad un orecchio allenato era un intreccio denso di armonie che a volte si discostavano da quella principale con un grido come Ehi! Listen! che arrivava a colpirti dritto al cuore.

Sì, però come si intitolava il pezzo? C'entrava con un fiore. Il titolo della canzone era sicuramente il nome di un fiore di qualche tipo. Fiori di ciliegio, probabilmente. Tutti scrivevano su quei cazzo di fiori di ciliegio, ormai.

Quella canzone non era però sdolcinata come la maggior parte delle musiche floreali tradizionali di Konoha. Se la ascoltavi bene notavi quanto fosse decisa, quasi militare.

Finito l'incontro, Kakashi era uscito dalla stessa porta dalla quale era entrato e non si era ritrovato più in una pasticceria, ma in un vicolo, in un tranquillo passaggio di pietra, all'ombra di pallidi muri di roccia. Il vicolo era fiancheggiato da piante rampicanti e i muri erano adoranti con grandi ritratti di famosi pezzi grossi della storia Ninja e versi di vecchie poesie dipinte sulla pietra accanto a loro. Il mormorio di una fontana d'acqua increspò l'aria immobile. Masse aggrovigliate di filo spinato arrugginito si arrotolavano in cima al muro del giardino insieme a fronde d'edera scompigliate. Una donna anziana e minuta lo scrutò sospettosa mentre passava.

Si capisce che è un buon genjutsu, pensò Kakashi, solo quando è impossibile scovare la minima imperfezione.

 


 


 

 Superato quello strano giardinetto nel vicolo, Kakashi si ritrovò di nuovo nella Seconda Strada e la sensazione pulsante alla testa finalmente cessò. Si strofinò il retro del collo. Lo Sharingan lo rendeva quasi invulnerabile alle insidie dei genjutsu, ma quando, nel luogo che nessuno nominava mai, le illusioni erano così belle da guardare… molto più belle della realtà.

La realtà era che, incastrata tra il k-bar e il rivenditore di latte, c'era solo un'inquietante scala di cemento che conduceva sotto terra.

Konoha ha l'abitudine di nascondere le verità scomode. Quel ragazzino aveva proprio ragione. Per tanto tempo anche Kakashi aveva scelto le illusioni alla verità. Riguardo suo padre. Riguardo la Radice, riguardo all’intero fottutissimo mondo. Si era sempre nascosto dietro al dovere per avere la vita più facile. Ideali come la lealtà e il dovere erano sempre state parte di Kakashi. Era un cane. Un bravo soldato.

La prima volta che Kakashi si era avvicinato all'entrata segreta della Seconda Strada, si era vergognato di non essere stato in grado di sciogliere il jutsu. Era abituato a individuare le illusioni durante le battaglie e conosceva bene la morsa dello sguardo di chi produceva un genjutsu. Sapeva riconoscere il peso che senti nella testa quando qualcun altro controlla le tue percezioni. Generalmente, gli ci voleva solo un attimo per trovare un errore nell'illusione e distruggerla dall'interno, ma il capolavoro che aveva camuffato l'entrata del luogo che nessuno nominava mai non era affatto come gli altri genjutsu che aveva visto prima.

Kakashi ci aveva impiegato tre secondi in più di quanto non avrebbe voluto ammettere, ma aveva compreso infine che l'innesco era uditivo: la chiave era il koto che faceva da collante a tutti gli altri elementi.

Kakashi non sapeva come facessero a realizzare quel miraggio in pieno giorno nella Seconda Strada, ma doveva assolutamente scoprirlo. Non aveva mai visto nessun genjutsu così squisitamente curato nei minimi dettagli... l'unica lamentela era che, a volte, esageravano un po'. Aveva sentito l'odore dei biscotti ai fiori, gli occhi di quella vecchia su di lui, cristo santo.

Era un lavoro eccezionale e avrebbe tanto voluto copiarlo.

Fuori, le due sentinelle strapagate avevano ora cambiato faccia: la prima era diventata una donna gobba che usava un ramo per spazzare il passaggio; la seconda, un uomo più anziano che fumava una sigaretta su una cassa rovesciata.

«Come fai a sapere che pioverà?» chiese l'uomo con il cappello di bambù. «C’è il sole.»

«Scommetto che può sentire l'odore della pioggia,» gracchiò la donna. «Vero, cagnolino?»

Kakashi scosse la testa davanti alla vetrina nella via affollata. «Quando sono arrivato, quel tizio vendeva cappelli da sole. Adesso sta mettendo fuori gli ombrelli.»

«E quindi?»

Kakashi alzò le spalle e se ne andò. La cosa ironica della sua visita al luogo che nessuno nominava mai, con quelle persone alle quali non poteva ripensare, nemmeno nella sua testa, era che ogni volta se ne andava con la mente piena di cose. La sua parte preferita dell'incontro del quale non poteva parlare era stato quando gli avevano chiesto cosa avesse notato di strano nel suo compagno di squadra durante l'ultima settimana. Kakashi aveva detto loro senza problemi tutte le cose che gli erano venute in mente. Come l'altro giorno, quando Obito aveva dato di matto dopo aver notato che la loro dieta scarseggiava di cibi rossi. O l'altra notte, quando dopo aver giocato a carte con Ebisu e Gai, Obito aveva detto che non riconosceva l'alluce del suo piede destro e pensava fosse di qualcun altro. Kakashi stava per raccontar loro anche del vaso di terra che Obito teneva in camera, ma poi aveva deciso, per qualche motivo, di tenerlo per sé.

Quando Kakashi lasciò il luogo che nessuno nominava mai, la lunga ombra della torre dell'Hokage aveva raggiunto l'entrata segreta, le sentinelle muta-forme, il k-bar, il lattaio e una lunga sezione della Seconda Strada.

Si fermò per comprare del latte, ma poi si ricordò che Obito aveva già le sue bottiglie da far riempire. E poi, non voleva incoraggiarlo in quell'abitudine alimentare, perché nessuno nel clan Hatake beveva mai latte e Kakashi era fermamente convinto facesse male.

Gli Uchiha, pensò, e la loro capacità mutante di bere litri di latte al giorno.

Forse era solo il suo Uchiha a berne così tanto, però. Non ne aveva la certezza.

Tornare al campus fu spiacevolmente nostalgico. Quella sera il seminario si sarebbe svolto in una vecchia aula dell'Accademia, ma il più delle volte venivano organizzati nell'arena di addestramento sotterranea, all'aperto o sul tetto.

A volte, gli studenti si raccoglievano tutti in una classe solo perché Bunzo-sensei facesse l'appello e poi si spostavano altrove. Le lezioni preferite di Kakashi, e le uniche alle quali prestava davvero attenzione, erano quelle pratiche nelle quali Bunzo diceva loro di lasciar perdere i libri e mettersi a coppie.

Kakashi entrò nell’aula da una porta sul retro e scorse Obito nelle file posteriori. Stava già russando. La vista di quella figura nota lo aiutò a schiarirsi la mente.

Fu contento di vedere che gli altri studenti stavano lasciando in pace Obito. Le prime settimane di studio erano state un vero e proprio inferno, per lui. Chiunque tornasse in servizio attivo dopo un lungo periodo di fermo suscitava molto gossip; gli shinobi avevano il vizio di spargere voci velocemente e i Jōnin erano i peggiori. I lavori difficili andavano spesso a braccetto con un pessimo senso dell'umorismo. Sarebbe stato normale ritornare ai seminari e sentirsi chiamare tizio con la benda, oppure tizio con le cicatrici… ma tizio del coma con le cicatrici e la benda era stato davvero un colpo basso. Quelle attenzioni erano sia un bene che un male, ma più che altro un male: continui gesti, occhiatacce, rimarchi pungenti alla sua promozione, l’essere raccomandato, all'avere un ANBU che gli faceva da balia... Nel loro rank, gli anti-Uchiha erano rari, ma comunque fastidiosi.

Kakashi sapeva che quell'agitazione sarebbe andata scemando da sola, ma Obito reagiva, si arrabbiava e rispondeva, peggiorando le cose.

Ecco perché Kakashi amava le lezioni di combattimento uno contro uno: tutti potevano vedere che bestia fosse Obito sul campo di battaglia. Vinceva il dieci percento degli incontri, ma solo perché infrangeva il regolamento, aveva problemi di precisione o si lasciava trasportare dalla sua incontrollabile necessità di spingersi sempre oltre i limiti.

Kakashi faceva di tutto per assicurarsi che i loro nomi fossero in cima alla lista sul bollettino appeso fuori dal Mission Control. Maggior numero di missioni completate, punti allenamento ottenuti e nemici abbattuti. In termini numerici, il team composto solo da lui e l'Uchiha aveva punteggi migliori di alcune intere squadre di ANBU. Obito si impegnava un sacco, Kakashi lo spingeva a impegnarsi ancora di più.

Probabilmente, Obito ce l'aveva con lui per questo, ma se avessero ottenuto il titolo di team migliore avrebbero avuto il villaggio ai loro piedi. In quel modo, avrebbero messo a tacere metà dei pettegolezzi cretini. L'altra metà era solo frutto di gelosia, perché il suo miglior amico era davvero una bestia.

Kakashi si accomodò su una sedia, la spinse indietro fino a rimanere in equilibrio su due gambe e mise i piedi sulla barra sotto il banco. Obito era appoggiato al tavolo con la faccia tra le braccia e gli occhiali appoggiati sulla testa come un paio di occhi in più. Aveva aghi di pino nel cappuccio della giacca e piccoli rametti attaccati alla stoffa con resina scura. Alcuni frammenti di foglie tra i capelli. Kakashi scosse la testa e allungò un braccio sullo schienale della sedia per iniziare a togliere i frammenti di foresta dalla sua schiena. L’ultima volta che aveva visto Obito, dopo pranzo, aveva solo qualche bruciatura da corteccia e chiazza di sudore, ma ora era lì mezzo-uomo e mezzo-albero. E puzzolente.

Ormai era abituato all'odore del corpo del suo compagno, ma oggi la sua essenza selvaggia aveva una nota di menta.

Kakashi si avvicinò. Usò il pollice per strofinargli via un po' di sporco da dietro l'orecchio, ma avrebbe tanto voluto usare la bocca. L'ultima volta che aveva dato retta al suo istinto aveva rovinato tutto palpeggiandolo, e cristo, non voleva proprio ricevere il trattamento del silenzio anche quella sera.

Solo una cazzo di palpeggiata, pensò Kakashi. Ed era stata più una sfiorata, in realtà. Lo accarezzava in modo molto più inappropriato con lo sguardo tutti i giorni, cristo santo. Probabilmente, Kakashi aveva palpeggiato accidentalmente una dozzina di persone in quell’aula e almeno due o tre dei suoi nemici e nessuno si era mai arrabbiato.

E poi, non puoi strisciare nel letto di un ragazzo seminudo e aspettarti che non provi a darci dentro al mattino.

Ma Kakashi avrebbe dovuto saperlo: a Obito non piaceva essere toccato, era il classico tipo da tieni giù le mani! e forse era per quello che a Kakashi piaceva così tanto combattere con lui, dopo tutto.

Che posso dire? pensò Kakashi, sono davvero un cane.

Provava quei sentimenti per il suo compagno di squadra da un bel po', ma ci era sempre andato piano con la caccia. Kakashi incolpava la pubertà. I processi chimici e neurologici che cercavano di lacerare la sua innocenza gli erano passati inosservati nella prima adolescenza. Tredici, quattordici, quindici anni: i suoi compagni si scontravano con la cresciuta dei peli su tutto il corpo e miravano alle kunoichi più belle, ma a Kakashi interessavano solo le spade, le carte bomba e le tecniche di decapitazione. Poi, un giorno, mentre era nel suo negozio di fumetti preferito, trovò il primo numero del Paradiso della Pomiciata. Da lì, iniziò a guardarsi allo specchio e notò di essere alto e per niente male. Così, aveva dato il via a una relazione molto seria con la sua mano.

A Kakashi piaceva il suo miglior amico così com'era: addormentato sul banco con gli occhi chiusi, coperto di aghi di pino e resina del campo di addestramento più d'élite di Konoha. Così, dolce e oscuro. Kakashi si scaldò le mani nelle tasche della felpa e cercò di concentrarsi sul suo libro. L'ultima uscita era un numero filler ambientato tra Il Paradiso della Pomiciata e la serie successiva, Il Paradiso della Violenza, per l'uscita del quale stava davvero smaniando. Il libro di mezzo era un piccolo volume intitolato: Pomiciata: diamoci dentro! e gli stava piacendo, per adesso. Non amava molto quel genere di cose con i tentacoli, ma era bello vedere qualche cambiamento rispetto ai soliti personaggi.

Obito aveva proprio ragione: nessuno in quei libri era come lui. Nessuno in qualsiasi romanzo o film per adulti sarebbe mai stato come Obito.

Un'ombra sovrastò la fila posteriore e Kakashi provò a ignorarla, ma non servì a nulla. Quando la sagoma si posò sugli ambiti sedili sull'ultima fila esitò, forse valutando se dire qualcosa o spostarsi. Alla fine, Genma fece entrambe le cose.

«Com'è, Kashi?» disse con voce sibilante mentre gli passava accanto. La pubertà aveva asciugato ancor di più la sagoma di Genma Shiranui. L'esperto di veleni aveva il volto segnato da solchi profondi e, come Obito, doveva ancora adattarsi alla nuova voce, che si spezzava in alcuni punti. «È cresciuta roba nuova?»

Kakashi lanciò un'occhiata eloquente verso il suo compagno di squadra che sonnecchiava per sfidare il suo cliente occasionale e amico smilzo a parlare di nuovo.

Quando Genma sorrideva, le sue labbra si piegavano sempre verso un lato, chiudendosi dove l'ago senbon si adagiava nell'angolo della bocca. Era chiaro che non volesse andarsene senza aver fatto prima conversazione.

«Forse,» rispose Kakashi.

Genma si spostò da un piede all'altro nello stretto spazio tra il tavolo e gli schienali delle sedie nella fila di fronte a loro. «Anticipami qualcosa, amico. Te li restituisco la settimana prossima.»

«Non ti anticipo un cazzo,» disse Kakashi cercando di rimanere calmo. «Non finché non paghi per quella oncia al volo che ti sei fatto la scorsa settimana.»

«Ah-ha, cosa?» Gli occhi di Genma si spalancarono e si mise sulle ginocchia, come un attore. «Sei ancora incazzato per quello? Dai, Kashi. Abbi un po' di cuore, sai che era per la riabilitazione di mia madre. La sua squadra è stata attacca dai vermi della sabbia...»

«Sì, l'abbiamo sentito. Un milione di volte.» Kakashi scattò il più silenziosamente possibile, perché quel sociopatico bugiardo stava già iniziando a infastidirlo. «Fai silenzio ora.»

Lasciò cadere la mano sulla schiena del suo compagno di squadra e si sporse in avanti per scuotere di fronte al suo compagno di classe “diamoci dentro!”

«Niente soldi, niente erba. È semplice.»

«Okay, okay. Ho afferrato. Ma guarda, ti propongo un accordo. Che ne dici di questo?»

Kakashi stava iniziando a sospettare che Genma avesse acquistato il diploma dal tizio della Centosedicesima Strada. Il modo nel quale era diventato Jōnin rimaneva però un mistero. Era bravo nel combattimento, aveva il potenziale per essere eccellente, davvero, ma Genma era quel tipo di adolescente incapace di capire una situazione sociale anche se gliela scrivevi con i cereali e poi gliela sbattevi in faccia.

Genma spostò la mano dalla tasca al banco con un poderoso schiaffo metallico. Obito si svegliò di colpo dal sonnellino.

Kakashi fu vicinissimo a scattare per la rabbia. «Non voglio i tuoi gettoni,» disse con il tono più basso possibile. «Non valgono nemmeno un grammo.»

Obito sbuffò mezzo addormentato. «Un gettone pasto?» Si strofinò una mano sull'occhio. «Sul serio, amico. Sai con chi stai parlando? Kakashi sopravvive con una scodella di noodles al giorno, non puoi corromperlo con l'anatra arrosto.»

«Non è una scodella di noodles, ragazzi, è un gettone speciale,» disse Genma, il venditore dell'anno. «Ciò significa che funziona anche per beni di lusso come il sakè e le sigarette. Raidō ha comprato un deumidificatore con il suo. Puoi farci un sacco di soldi con uno di questi.»

Obito incrociò le braccia ed emise un altro sbuffo. Kakashi mandò indietro la moneta facendola scivolare per la scrivania.

«Il tuo riso soffiato non è ben accetto qui, Genma,» lo avvisò. «Torna con i soldi veri, quelli con le facce sopra, non gli spiccioli di carità del Mission Control.»

«Amico, sei una merda,» sospirò il loro compagno di classe. «Quanto costa una?»

«Hai detto che ne volevi mezza,» gli ricordò Kakashi.

«Oh,» Genma sorrise nervosamente. «Quanto per mezza?»

«Ottanta.»

«Ah-ha, cosa? Hatake, come cazzo fai a fare affari? Drongo la vende nell'anello a sessanta!»

«Drongo vende merda.»

Genma mantenne la sua espressione provocatoria per trenta secondi e Kakashi lo guardò con l'intento di ucciderlo. La gente si dimenticava troppo spesso che era lui quello che addestrava cani. E Genma condivideva il novanta percento del suo materiale genetico con i cani di Kakashi.

Genma non cedette, ma poi distolse lo sguardo e si portò una mano al petto, come in cerca del suo battito. «Ti scongiuro, amico, ho promesso ad Anko che l'avrei portata alla Festa dell'Oca questo weekend. L'anno scorso siamo stati sorpresi mentre scavalcavamo le porte e il suo vecchio è dovuto venire a recuperarci. Se questo fine settimana mi presento senza i biglietti e niente da fumare, penserà che sono un coglione.»

«Ma tu sei un coglione,» ripeté Obito, lentamente.

«Mezza costa ottanta, altrimenti puoi avere la tua oncia per centocinquanta. Fai la tua scelta e levati dalla mia vista.» Kakashi sollevò il libro e lo riaprì in una pagina casuale.

«Sei crudele, Hatake, davvero,» disse Genma, mostrando un po' del suo vero e aspro io. «Dai, aiuta un amico, fammi lo sconto che fai al tizio del coma.»

«Non rompere le palle, Shiranui.» La sedia di Obito sbatté contro il muro dietro di loro. «O te la metto io la mamma a letto!»

«Bene,» disse l'esperto di veleni, lo sguardo come quello di un serpente. «È bello rivedere la tua vecchia energia.»

«Continua a strisciare qui in giro e te ne mostro una nuova,» lo minacciò Obito. Strinse un guanto in un pugno e glielo promise con uno sguardo luccicante.

Prima che potesse continuare, Kakashi lo interruppe. «Devo dire, Genma, che la tua patetica storiella mi ha commosso. Aspetta un attimo.» Si chinò per cercare nella borsa. «Ho qualcosa per te.»

«Yo-o,» grugnì Genma. «Grazie, Kashi, sono in debito con te, amico. È proprio come si dice, sai: con gli affari fra amici, tutto si risolve. Non c'è bisogno di registri, conteggi… err, che cos'è quello?»

«Un campione gratuito,» rispose Kakashi, afferrandolo per un polso e mettendogli una gemma d'erba nel palmo. «È la mia nuova varietà: incrocio Fire Fruit e Pampas Nera. La chiamo Drago Viola.»

«Ma... tutto qui?»

Era la foglia più fantastica dell'ultima spedizione del suo coltivatore, era un dato di fatto. Con la forma simile a quella di un pioppo, Kakashi l'aveva selezionata per le sue sfumature viola, la struttura solida e una spolverata di verde freddo sulle punte superiori. Era davvero la gemma delle gemme.

«Non puoi permettertene di più,» disse. «Ma se vuoi ancora l'oncia, te la posso dare per centoventi.»

Genma si raddrizzò. «Davvero?»

«No, c'è una condizione,» continuò Kakashi incrociando i piccoli occhi stanchi del Jōnin. «E se non manterrai la parola, lo verrò a sapere.»

«Sì, okay. Cosa vuoi?»

«Devi usare il resto per comprare un giglio rosso ad Anko.»

Genma si strinse nelle spalle, afferrandosi sotto alla cintura con una mano. «Tutto qui?»

«Tutto qui. Chiedi a Raidō di dividerla con te, digli che ci siamo accordati per centoquaranta,» lo avvertì Kakashi. «Puoi tenere in tasca il resto.»

«Buon’idea.» Genma annuì, il sorriso sbilenco per via dell'ago. Fece per girarsi.

«Non tornare se c'è Bunzo-sensei,» gli disse Kakashi. «Non mi fido di quel pallino che ha in mezzo alla fronte.»

Genma saltò giù per gli scalini verso il lato frontale dell'aula, forse per parlare a Raidō dell'accordo. Obito lo fissò tutto il tempo, il mento appoggiato alle braccia conserte sul banco. Quella breve interazione doveva averlo messo di cattivo umore.

«E dovremmo combattere fianco a fianco a quel tizio, oltre le mura?» disse Obito. «Non ha nemmeno la decenza di pagare della fottuta erba. Venderebbe sua madre per un trimestre di vacanza. Che coglione.»

«Maa,» mormorò Kakashi. «Genma è cresciuto nell'anello più esterno, sai. Per loro il baratto è un'arte.»

«Non mi sorprende, chiunque indossi il copri fronte al contrario ha sicuramente amici nei bassifondi.» Obito si girò, poi gli occhi gli sfrecciarono di nuovo su Kakashi. «Quando sei diventato così comprensivo?»

Kakashi sorrise. «Sta buono... portalo al mercato con te, e non pagherai nulla. Quel tizio è un incantatore di serpenti.»

«Non lo sa che i gigli rossi costano tipo cinquanta l'uno?»

Obito era tutto arruffato.

Kakashi avrebbe voluto farlo stendere nel suo letto, in tutti i sensi possibili. «Sono gratis se ti arrampichi in cima al Monte Philo con la luna piena.»

Obito scosse la testa. «Non lo farebbe mai. Genma non ha una sola una cellula romantica in corpo. Anche se comprasse quella roba, Anko penserebbe lo abbia fatto sotto l'influsso di qualche jutsu di possessione e lo prenderebbe a calci nel culo. Pagherei per essere lì a vedere.»

«Allora,» Kakashi abbassò di nuovo “diamoci dentro!” «vuoi andare alla Festa dell'Oca questo weekend?»

«Uhm.» Obito sembrò strozzarsi, poi si schiarì la gola. «Certo, amico.»

Kakashi annuì, tornando a concentrarsi sul libro. «Andata, allora.»

 Anche nella sua gola c'era qualcosa, ma sarebbe stato troppo strano schiarirsi la voce in quel momento, quindi Kakashi decise di deglutire. Quell'azione non fece altro che rendere tutto più strano. Iniziò a tossire sulle pagine di fronte a lui.

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Capitolo 7
*** Giorni di scuola pt. 2 ***


 

school days pt. 2 from radio fool on 8tracks Radio.

 

Nessuno vedeva mai Bunzo-sensei entrare o uscire dalla classe. O era lì o non c'era.

Kakashi stava ancora cercando di liberarsi dal fastidio alla gola, in modo molto mascolino e che non desse troppo nell'occhio, quando scorse oltre il suo libro, in fondo alla stanza, la figura altissima e squisitamente pelata del Jōnin d'élite che sistemava le cose intorno alla cattedra. I suoi lineamenti accigliati avrebbero fatto sentire a disagio uno studente seduto nelle file posteriori a due aule di distanza.

Il professore indossava la sua solita armatura di pelle e tessuto e una giacca grigia che gli arrivava al ginocchio.

Kakashi socchiuse pigramente gli occhi. Con lo Sharingan sarebbe riuscito a comprendere qualcosa di più sul professore? Non aveva bisogno delle capacità straordinarie di quell'occhio per comprendere che tutti gli amici di Bunzo si erano ritirati o erano morti. Doveva essere un uomo particolarmente portato per l'haiku, e di certo aveva qualche brutta relazione alle spalle... almeno un’ex che ancora lo faceva soffrire e un gatto con il quale parlava per confortarsi. Ma quest’ultimo dettaglio era un po' tirato e unicamente frutto dell'immaginazione di Kakashi.

«Sembra sempre che Bunzo-sensei abbia un palo su per il culo,» scherzò Obito. «Secondo te che cosa indossa per dormire? Per me, un sacco di cinture.»

«Nulla, se non gli slip per lo yoga, probabilmente,» rispose Kakashi girando una pagina.

«Ugh, amico!» Il suo compagno di squadra si raddrizzò e fece passare la mano sulla superficie del banco come per cancellare quella conversazione. «Perché dici 'ste cose?»

«Perché sapevo ti avrebbe schifato.»

«Vi sbagliate entrambi,» disse un Jōnin nella fila di fronte a loro. Kakashi si ricordava avesse un nome stupido, tipo Kigo. Probabilmente si sbagliava, ma la maggior parte delle persone erano troppo educate o intimidite per correggere il Ninja Copiatore.

«Bunzo-sensei non dorme mai. Ho sentito che...» Kigo si piegò indietro sulla sedia e sussurrò. «Ho sentito che non può nemmeno sdraiarsi a causa di una brutta ferita. Quindi, quando è stanco si appoggia al muro e chiude gli occhi.»

Obito ridacchiò. «Pensa se te lo trovi così in un vicolo buio.»

«No, ti sbagli, è il contrario,» disse il vicino di banco di Kigo, un Jōnin dall'aspetto affamato con almeno una dozzina di pezzi di metallo appesi in faccia. «Le sue ferite gli impediscono di alzarsi. Bunzo-sensei è intrappolato nella sua casa, usa una proiezione astrale del suo corpo per tenere le lezioni. È per quello che ha sempre lo stesso aspetto, tutti i giorni.»

A Kakashi piaceva questa teoria perché avrebbe spiegato come il professore facesse a essere sempre così perfettamente pelato.

«Ma fammi il piacere,» sbuffò Kigo.

«Ho sentito anche,» continuò il suo compagno, «che quando Bunzo-sensei medita si eleva così tanto da levitare a tre piedi da terra!»

«La levitazione non è così difficile da fare,» sbraitò Obito.

«Buona sera, giovane Uchiha.» Era la voce grave del professore, improvvisamente di fianco a loro, nel corridoio in fondo alla classe.

La sedia di Obito cadde di nuovo su tutte e quattro le gambe e lui dovette aggrapparsi al tavolo in modo davvero comico. I due ragazzi di fronte a loro si girarono subito e iniziarono una formale conversazione ad alto volume su cosa ci fosse per cena all'Accademia quella sera.

«Le è piaciuto il tè?»

«Abbastanza,» mentì Obito.

Bunzo-sensei chiuse gli occhi e annuì con la pazienza di un monaco di fronte al suo pupillo prediletto. «Così come la natura è assalita dallo scorrere delle stagioni, allo stesso modo lo è il corpo. È necessario prendersene cura.»

«Uh huh.» Obito incrociò le braccia sul petto.

«Penso che pioverà questa sera.»

Obito grugnì. «Non c'è una nuvola in cielo.»

«Non fa niente.» Bunzo si infilò le mani nelle maniche. «Mi piacerebbe parlarti dopo la lezione, se possibile.»

«Ancora? Io vorrei davvero, sensei, ma il nostro padrone di casa deve venire a... controllare l'appartamento per, um, i ragni! Ci sono questi enormi ragni giganti...»

«Non ci sono più.» Kakashi lo interruppe dal suo annaspare. «Me ne sono sbarazzato sta mattina, ti ricordi?»

«Oh sì,» disse Obito. Poi, aspro aggiunse «grazie tante!»

«Nessun problema.»

Il professore piegò un po' la testa. Riapparve venti metri più lontano intento a sistemare le sue cose alla scrivania. Era smaterializzazione? Un jutsu spazio-tempo? Una proiezione astrale? Bunzo-sensei si muoveva veloce e leggero come il vento.

Kakashi evitò un pugno del suo compagno.

Obito bofonchiò qualcosa e si adagiò di nuovo sul banco.

Kakashi ghignò sotto alla maschera. «Maa, Obito. Non sarà così male. Forse ti darà altri regali.»

«Altri consigli, intendi,» mormorò infelice. «Come se avessi bisogno dei consigli merdosi di qualcun altro.»

«Dai una possibilità a Bunzo.»

«Agh,» grugnì Obito, di nuovo. «Non dire così, K. Sai come mi sento in presenza di quel bastardo.»

«Aspetto fuori dalla porta con una spillatrice,» promise.

«La cosa che meno mi piace di lui,» continuò Obito stringendo gli occhi verso il fondo dell'aula, «sono quegli anelli. Ha un anello su ogni cazzo di dito. Chi ha bisogno di tutti quegli anelli?»

La lezione fu un breve ripasso del renkei ninjutsu. Kakashi si rilassò subito. Magari, lui e Obito non erano l'esempio migliore di lavoro in squadra, ma la combinazione dei loro ninjutsu funzionava sorprendentemente bene. Una volta che sapevi la teoria del renkei a memoria, tutto ciò che restava da fare era metterlo in pratica e ripeterlo per affinarlo.

«Se accende il proiettore, per me è finita,» grugnì Obito.

Le luci si abbassarono, Bunzo-sensei accese il proiettore e Obito affondò il viso fra le braccia. Dopo un minuto stava già russando debolmente.

Dopo tre ore di lezione, Kakashi aveva raggiunto la fine del suo libro, scritto una lettera mentale all'autore e ripulito dalle foglie il lato destro della schiena del suo amico. Verso le 19:00 gli studenti iniziarono a muoversi, alcuni stomaci a brontolare sonoramente e il cielo si accese come una candela. Dopo un'altra mezz'ora, la mensa dell'Accademia era ormai chiusa, e chiunque sperasse di comprare un pasto economico avrebbe dovuto ormai sborsare o morire di fame.

L'occhio appannato di Obito si aprì quando Kakashi gli levò di nuovo lo sporco da dietro l'orecchio.

«È finito?»

Kakashi gli fece un verso affermativo e lasciò che Obito lo scansasse con un gomito. Il suo compagno si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe e stendere le braccia sopra la testa.

«Posso copiare i tuoi appunti dopo?»

«Um,» Kakashi guardò il materiale sul quale aveva preso appunti nelle ultime tre ore. “Pomiciata: diamoci dentro!” «Certo.»

Obito rise. Kakashi si trattenne più che poté, ma finirono a ridere e grugnire come due idioti in fondo all'aula. Il silenzio che calò sul Jōnin assonnato si contrappose con il casino della fine della lezione, gli studenti che parlavano seduti sui banchi, sulle sedie e si dirigevano verso le uscite. In pochi secondi, il frastuono divenne un mormorio.

«Io sono qui fuori,» lo informò Kakashi prendendo le sue cose; era rimasto l'ultimo dei loro compagni.

«Huh?» Obito si strofinò l'occhio.

«Dai una possibilità a Bunzo,» gli ripeté prima di sgattaiolare fuori dalla porta sul retro nel familiare corridoio.

Si trovavano nell'ala dell'Accademia dedicata alle armi. I muri erano decorati dal pavimento al soffitto con riproduzioni di strumenti di combattimento. C'erano pergamene raffiguranti l'evoluzione dell'alabarda, immagini del kunai triforcuto di Konoha... in teche di vetro, statuette che brandivano naginata. I naginata erano armi maneggiate in passato dai nobushi, leggendarie combattenti donne del passato di Konoha. A Kakashi piaceva l’idea che la Terra del Fuoco fosse stata occupata in parte da bande di ninja nomadi donne.

Il clan Hatake era sempre stato matriarcale, sebbene con il tempo avesse abbandonato un po' la tradizione. Kakashi ricordava ancora che suo padre aveva dovuto ottenere un permesso speciale dalla capofamiglia per allevarlo da solo in città, dopo la morte di sua madre.

Non aveva visitato mai il clan per tanti anni, né fisicamente, né con la memoria, ma era ancora abituato a provare ammirazione per le donne. Probabilmente, i membri del suo clan si sarebbero disperati per i contenuti della sua libreria.

Alla fine, però, lui era andato per la sua strada. Era uno shinobi ora, gli Hatake erano contadini. Loro faticavano e morivano nello stesso sporco nel quale erano nati, allevando oche e coltivando canna da zucchero. I più vecchi vivevano tutti insieme in grandi complessi con i figli e i figli dei loro figli e i figli dei figli dei loro figli. Avevano vite lunghe, routine prevedibili, che percorrevano seguendo le orme gli uni degli altri. Kakashi non era così. Lui era il figlio deviato di Zanna Bianca.

Allungò una mano per estrarre il suo tantō dal fodero sulla schiena, ma poi decise di tenerlo solo afferrato. Incolpava il tempo. La pioggia lo faceva diventare emotivo.

Le piogge stagionali di Konoha erano famose per riuscire ad aprire i flussi di chakra. Ultimamente Kakashi sentiva la massa triste dei suoi ricordi premergli contro la parte anteriore del cranio; era un ragazzo pieno di buchi e cercava di riparare le ferite. Guardava la sua anima a pezzi sul pavimento e pensava Come ci è arrivata lì? La sto perdendo per sempre?

Aveva sempre pensato a se stesso e a suo padre come agli unici due membri del loro piccolo clan personale. A quel tempo, era troppo giovane per accorgersi delle cazzate che lui gli diceva... e ora Kakashi era grande, ma si vergognava ancora troppo per riuscire ad accettare il passato. Sakumo era morto. Spettava a lui portare avanti il nome degli Hatake. Cosa avrebbe dovuto fare per provare a ridare onore al nome di Zanna Bianca?

Era un fottuto cane. Un ammazza-amici. Kakashi aveva distrutto la reputazione di suo padre.

«Che cosa starà mai facendo il Ninja Copiatore...» Una voce si alzò all'improvviso. «Legato al guinzaglio fuori dalla classe?»

Genma era apparso al suo fianco, osservando la teca del naginata con apprezzamento.

«Bunzo sta facendo un'altra chiacchierata con il tuo tesorino?»

Kakashi mugugnò qualcosa.

«Poteva andare peggio,» continuò il suo compagno di classe, spostandosi fuori dalla vista di Kakashi ondeggiando sulle gambe. «Una volta il sensei mi ha invitato a fare una partita di scacchi nel parco. Mi ha detto che potevamo puntare qualcosa. Io ho puntato le mie scarpe nuove, lui un sacchetto d'oro. Un sacco pieno! Così grosso che sembrava quello del bucato, amico.»

Kakashi non gli credette.

«Quella partita è durata dieci ore,» disse Genma. «Tutti i vecchi nel parco ci guardavano. Ho sudato sette camicie, non avevo mai giocato a scacchi nella mia vita. E per tutto il tempo Bunzo-sensei mi ha raccontato cose militari e gli effetti delle rappresaglie, il rapporto tra volontà e ricompensa, e l'arte di saper celare le proprie intenzioni... avrei lanciato tutto all'aria per farlo smettere.»

«Hai perso?»

«Sono tornato a casa scalzo, di nuovo.» Genma si scosse. «Ma non direi di aver perso... mi ha pagato il pranzo.»

Kakashi rise.

«Sai,» mormorò il ninja smilzo. «Non sei una persona facile da capire.»

«Ottima osservazione.» Kakashi non era decisamente dell'umore.

«Ho sentito dire,» iniziò Genma, piano, «che hai copiato più di cento jutsu quando eri negli ANBU. Quanti pensi che sarebbero oggi se non avessi mollato? Mille? Di più?»

La sua voce echeggiava lieve nel corridoio deserto. Quando Kakashi lo guardò negli occhi, Genma arretrò. «Ti piacciono le spade, Kash? Obito-kun mi sembra più un tipo da mani, se me lo chiedi. Ma chissà, magari morde anche.»

«Che cosa vuoi, Genma?»

Lui alzò gli occhi al cielo e si mise le mani in tasca rimanendo a una distanza di sicurezza. Un sorriso gli fece scattare l'angolo della bocca. «Non c'è bisogno che ti incazzi, Hatake, volevo solo chiedervi di uscire a cena. Io, Raidō e Ebisu andiamo al Waving Cat. Gai segue una lezione per avere qualche punto extra, quindi non può venire. Dragon dancing, mi pare. Qualcosa di folle.»

«Oh.» Kakashi indugiò con un lungo sospiro, ma non riuscì a calmarsi. «Non so. Potremmo anche vederci là.»

«Sai…» mormorò l'esperto di veleni, dondolando sugli alluci. «Ho visto un corvo appollaiarsi su una staccionata rotta oggi.»

«Quindi?»

Genma sorrise con un ghigno contorno. «Tra i contadini non si dice mica che porti tre anni di sfiga?»

Normalmente, a Kakashi non dava fastidio il senso dell'umorismo, ma Genma stava davvero sfidando la sorte quella sera. «Non devi andare da qualche altra parte?»

«Buono, buono. Non tirare, che il guinzaglio si spezza,» gli disse Genma ghignando prima di iniziare a risalire il corridoio. Alzò una mano sulla spalla in un veloce saluto. «Ci vediamo dopo, così mi dici qualcosa di più sul Drago Viola.»

La cosa bella di una conversazione con quel fattone di Genma era che, quando se ne andava, non ci avevi capito un cazzo. E tutti i problemi della vita reale alle quali stavi pensando intensamente, sprofondavano.

Le due presenze di chakra all'interno della stanza divennero improvvisamente solo una e Kakashi aprì la porta.

«B?»

Il cielo si stava tingendo di un colore ambrato e il suo compagno era in fondo alla stanza, una silhouette di fronte alla gigante finestra. Il tramonto era ormai alla sua fine e Kakashi notò che una strana pioggia scendeva dal cielo senza nubi. Delle ombre allungate raggiungevano la scrivania.

Obito aveva tolto la giacca; probabilmente, gli aveva dato fastidio tutto il giorno.

Kakashi sentì un dolore al petto, come se un coltello lo avesse infilzato tra le costole: aveva sempre pensato che Obito desse il suo meglio in quell'ora del giorno. Capelli scuri, il sole che tramontava, spalle nude… e lui, imbronciatissimo in quel cazzo di scenario.

«Yo, Genma e Raidō vanno al Waving Cat,» iniziò Kakashi, girando intorno a un banco. Si fermò al fianco di Obito. «Uh, che c'è che non va?»

Il suo occhio nero sembrava tè annacquato, la palpebra pesante, arrossata ai bordi. Un'increspatura di sale gli era rimasta tutta intorno sulla pelle, come se si fosse asciugato le lacrime.

«Amico.» Kakashi si chinò goffo, senza idea di come fare per sembrare a suo agio. «È stato così terribile?»

La pioggia batteva sul vetro, raggruppandosi in gocce che scendevano veloci per la finestra in rivoli copiosi. Obito si spostò verso il tavolo dietro di lui e scosse la testa, piegò le labbra.

Kakashi sorrise. Solo Obito poteva sembrare così tosto dopo aver pianto.

«Ti ha fatto piangere?» gli chiese Kakashi, issandosi sui palmi e mettendosi a sedere sul banco. Gli effetti personali di Obito, le cose che aveva portato con sé dall'appartamento quella mattina, erano impacchettate sul tavolo dietro di loro, come se si fosse già preparato per uscire, ma avesse deciso di rimanere un attimo a guardare la pioggia.

Kakashi non si permetteva mai di lasciarsi andare, doveva darsi un contegno, rappresentare suo padre, vivere per costruirsi una reputazione... essere il Ninja Copiatore, K cuore di ghiaccio, e tutta quella merda. Ma Obito era il genere di persona che ogni tanto si lasciava andare, quando capitava, e Kakashi lo ammirava per questo.

Alla fine, il suo compagno di squadra parlò. Con un tono flebile e tremante. «Ha detto... che ho potenziale.»

«Cazzo...» imprecò Kakashi. «Speravo di avere una buona ragione per farlo fuori.»

Il suono della pioggia che cadeva e l'odore dell'erba bagnata riempirono la classe. Kakashi sentiva il sapore e il peso dell'umidità sulla lingua che filtrava attraverso la maschera e percepì al temperatura esterna.

«Devo dirti una cosa,» disse improvvisamente Obito. «Riguardo a quando ero in coma.»

Kakashi si rese conto di essersi posizionato nel lato cieco del suo compagno e, cazzo, avrebbe dovuto saperlo meglio di chiunque altro, ormai, ma decise che era comunque meglio restare fermo. C'erano delle volte nelle quali Kakashi si considerava socialmente abile, ma con Obito sembrava sempre andare tutto per il peggio.

«Non ero... cosciente,» continuò Obito. «Ma non ero nemmeno privo di sensi. Mi ricordo tutti quei sogni… almeno credo. Forse sono cose che sono successe. Le cose delle quali parlavi sul bus? La cosa di Latte Avanzato? Me la ricordo, amico... mi ricordo quei tunnel pieni di corpi, mi ricordo l'oscurità.»

Kakashi avvicinò le sopracciglia. «Ma come è...?»

«A volte mi vedo,» continuò Obito, fissando la finestra gocciolante, «e ho tipo sei mila tubi che mi escono dal petto.»

«Dai, adesso non esageriamo... erano solo sei.»

L'occhio di Obito si allargò. «Cosa!»

«Hai avuto un sacco di tubi attaccati per un po',» ammise Kakashi. «Un polmone era collassato e la maggior parte delle tue ossa erano schiacciate su un lato. Perché non hai detto nulla fino a ora?»

Obito incrociò le braccia e si scosse. «Mi sentivo strano, credo. Ero intrappolato in una specie di sogno... e credo che stessi guardando la tua vita attraverso il mio occhio, bro. Beh, non tutta la tua via, sai, solo le parti più intense.»

Fece una pausa. Poi: «Sono riuscito anche a ricordarmi di Rin, alla fine.»

Kakashi sentì la tristezza sopraffarlo. Improvvisamente, Obito si scosse e tirò su con il naso.

Kakashi si paralizzò dalla testa ai piedi quando il suo amico iniziò a piangere.

«Agh,» sibilò Obito, spingendosi i palmi delle mani negli occhi. «Sei un bastardo!»

Quelle poche volte che lo aveva visto piangere, Kakashi aveva fatto cose stupide. Una volta era successo mente stavano lottando nell'appartamento; Obito era caduto per terra e si era messo i palmi sugli occhi e si era scosso... e Kakashi se l'era svignata. Più tardi se ne era vergognato, ma lo aveva fatto lo stesso. Come l'altro giorno, quando lo aveva trovato a piangere accanto a quello stupido vaso di terra in camera sua, e Kakashi era scappato di nuovo, e si era sentito di nuovo in colpa.

«Scusa,» gli disse Kakashi, ma suonò però come un insulto. «Puoi piangere.» Era strano che gli desse il permesso per qualcosa che non concedeva nemmeno a se stesso.

«È strano sai?» Kakashi allungò la mano cinquanta volte, ma non lo toccò nemmeno una. «Il giorno nel quale ti sei svegliato,» iniziò lentamente. «Ho detto al comandante della base che non avrei accettato nessun incarico. Mi sono inventato di essere malato... poi sono andato a casa, e ho pianto a dirotto.»

Il suo compagno di stanza tirò su con il naso, singhiozzò e si levò le mani dagli occhi.

«Non è vero,» disse.

«Giuro,» insistette Kakashi. «Non due lacrime, però. Un fiume. Tipo Maito Gai quando parla di giovinezza e vitalità.»

Obito abbozzò un mezzo sorriso e ghignò debolmente. Scosse la testa come se non ci credesse.

«E poi ho iniziato a pensare alla giovinezza e alla vitalità,» continuò Kakashi. «E ho pensato che ha ragione lui, sai... è davvero un miracolo e una benedizione, e mi ha fatto piangere di più.»

Quando le braccia gli ricaddero ai fianchi, Kakashi si mosse. Più lento che nel tai-chi, estese un braccio intorno alla spalla di Obito, poi lo piegò dietro al suo collo e lo afferrò fino al petto. Obito aveva bisogno di un abbraccio da settimane ormai, ma Kakashi aveva sperato fino all’ultimo fosse lui a prendere l'iniziativa. Non poteva però stare a guardare con le mani in mano qualcuno che amava mentre veniva sconfitto dalla tristezza per la seconda volta.

Quel pensiero toccò ancor di più i suoi nervi scoperti, e in quella strana posizione nella quale uno era seduto e l'altro in piedi, Kakashi strinse la sua presa e appoggiò la fronte alla tempia dell'altro, cercando la lasciar fluire il suo amore, e disse qualcosa di stupito e insensato tipo va tutto bene.

Improvvisamente, Obito si rilassò. Si girò verso di lui, e Kakashi sentì il suo naso rimbalzargli sulla guancia. È proprio questo il momento, pensò, di solito qui dico qualcosa di sbagliato che rovinava tutto.

«Kakashi?» mormorò Obito dopo un momento. «Non stai respirando.»

Kakashi non rispose.

«K?» provò di nuovo. «Che stai facendo?»

«Sto aspettando.»

«Che cosa?»

Obito gli respirava sulla bocca, cristo santo, e Kakashi avrebbe voluto levarsi la maschera, inclinare la testa solo di un altro po', o dire qualcosa di davvero d'effetto, ma rimase fermo. Era arrivato fino a lì e si era paralizzato. Con la coda dell'occhio vide Obito guardare la sua faccia, socchiudere gli occhi e far scendere un po' lo sguardo.

Se era frutto della sua immaginazione, stava davvero diventato bravo a utilizzare la fantasia, perché Kakashi poté giurare di aver sentito la bocca del suo compagno appoggiarsi appena sotto alla sua. Il cuore gli batteva forte, ma pazientò ancora per dare il tempo al suo compagno per allontanarsi e sottrarsi e fingere che non fosse successo nulla, ma Obito non lo fece. Il tempo si fermò e finalmente Kakashi inclinò la testa per rispondere con un po' di pressione.

E fu allora che Obito si ritrasse.

Kakashi trattenne il disappunto, sentendosi come se avesse appena saltato per fare il tuffo del secolo e si fosse ritrovato con l'acqua alta fino alle caviglie. Fece cadere le braccia.

Obito gli girò intorno per dare le spalle alla finestra e guardarlo dritto in faccia. Kakashi sentì un tocco caldo sul collo, e lo usò come leva per liberarsi il mento dalla maschera.

Obito lo fissava. L'aria colpiva la pelle nuda di Kakashi. Questa volta fu sicuro della direzione nella quale lo sguardo di Obito guardava, ma cercò di non illudersi troppo. L'occhio di Obito rimase fisso sulla sua bocca fino a quando non si inclinò per avvicinarsi.

Kakashi non sentì quella stronzata delle farfalle nello stomaco. Prese fra i denti il labbro inferiore del suo amico con un rapido morso, poi forzò le loro bocche insieme in un modo che non avrebbe lasciato a Obito nessuna possibilità se non ammettere che si fossero baciati.

Una volta. Due. Un sacco di volte. Kakashi alzò una mano e gliela fece passare dietro al collo. Lo afferrò forte per farlo avvicinare, poi cercò di distrarre il compagno di squadra con un cambio di angolo mentre le dita gli scivolavano tra i capelli neri.

«Ehi, non…» Obito iniziò a spingerlo via. «Non tirare, i capelli!»

Kakashi mantenne ferma la sua presa e approfittò della bocca aperta di Obito per appoggiarci la sua, mormorando qualcosa di incomprensibile in risposta.

«K...» Obito cercò di parlare, infilando la mano nella stoffa della maschera e usandola per spingerlo indietro. «Aspetta.»

«Colpa mia,» sospirò Kakashi, cercando di non ansimare e provando ad allontanarsi per respirare. «Troppo in fretta?»

Il compagno di squadra lo lasciò andare: era paonazzo. «No, solo... da quanto tempo volevi saltarmi addosso?»

Kakashi alzò gli occhi al cielo e si avvicinò di nuovo all'amico, passando la punta della lingua nell'angolo della sua bocca. «Da un po'.»

«Cosa... da quando?»

«Hm.» Gli passò le labbra sulla guancia sfregiata. «Dall'Accademia, forse.»

«Cosa!» urlò Obito. «Ma... non facevi altro che sputarmi palline di carta insalivate sulla nuca!»

Solo perché te ne stava lì a studiare in modo così adorabile, pensò Kakashi affettuosamente, come avrei potuto non farlo?

«Esatto,» gli disse invece. «Perché avrei dovuto sforzarmi tanto?»

«Um,» iniziò Obito. «Sono contento di essere stato schiacciato da quella roccia.»

Kakashi sentì le sopracciglia alzarsi. «B...»

«Davvero,» insistette. «Se non fosse successo, io, uh... non credo che saremmo così vicini adesso. E non intendo a sbaciucchiarci, tipo ora. Intendo come amici. Io ero così affezionato da Rin… la amavo, volevo che mi ricambiasse. Sapevo che era diversa dalle altre, ma sapevo anche che non le sarei mai piaciuto come lei piaceva a me. Ti vedevo come il soldato perfetto,» continuò, con occhi abbassati. «Non mi chiedevo nemmeno perché mi facevi incazzare così tanto. Non mi piaceva che fossi così talentuoso, o il tuo atteggiamento, questo è certo. Ma più che altro, credo, volevo che ti importasse qualcosa. Di qualsiasi cosa.»

Kakashi espirò lentamente attraverso il naso. Aveva davvero bisogno che il cuore gli rallentasse un po', cazzo. Si sentiva a pezzi. E se lo meritava.

«Non mi va di pensare a come sarebbero potute andare le cose. Non più.» Obito scosse la testa come per allontanare un altro pensiero. «E non mi importa che sia andato tutto da schifo. Poteva sempre andare peggio, poteva andare molto peggio. Ma noi stiamo... stiamo meglio adesso. Siamo shinobi migliori. Persone migliori, forse.»

Kakashi si ricordò all'improvviso di tutto quello che aveva dovuto sopportare, un calvario dopo l'altro... e la cosa peggiore non era stato l'amico che aveva perso, ma quello che nemmeno aveva fatto in tempo ad avere (e che forse non avrebbe mai avuto.) C'erano stati giorni nei quali anche solo mettere un piede davanti all'altro gli aveva richiesto una buona dose di volontà. Aveva combattuto senza passione, meditato senza spirito. Aveva fissato quella lapide e voluto aggiungerci il suo nome.

Kakashi allungò le mani e afferrò con un abbraccio il suo amico vivo, vegeto e puzzolente.

«Mi sei mancato, B,» ammise alla fine. «Ogni giorno, mentre dormivi.»

Obito grugnì. «Lo so, Bakashi. Non posso credere che tu sia stato lì con me e i miei tubi per tre anni. Deve essere stato davvero uno schifo.»

«Sì.» Kakashi sorrise, e improvvisamente si sentì come se stesse per piangere anche lui. «Lo è stato davvero, sì.»  

 



 

 

«Um» Obito si avvicinò fino a quando non fu fra le sue ginocchia.

«Posso baciarti ancora?»

Kakashi annuì sistemando un braccio in grembo e l'altro intorno al collo del compagno di squadra. «Apri la bocca questa volta,» lo avvisò. «E togliti quei cazzo di guanti.»

Obito lo ignorò, si avvicinò e chiuse le labbra sotto all'angolo sinistro della bocca di Kakashi. Fu così dolce che gli annebbiò la mente; gli fece domandare per un attimo se il suo compagno di squadra fosse innamorato di lui, o per lo meno fosse sulla buona strada... poi Kakashi piegò la testa e le loro labbra si unirono e i suoi pensieri si offuscarono nel calore di quel bacio. Gli occhi gli tremolavano, e due mani si strinsero intorno ai suoi fianchi... questa volta intenzionalmente, e terribilmente bollenti. La temperatura lo colse alla sprovvista, facendogli fare un verso di sorpresa. Obito si mangiò quel verso e si premette contro di lui con più forza di prima. Kakashi stava per rilassarsi e godersi il momento migliore della sua intera vita, quando, d'istinto, scansionò la stanza e notò il segnale di chakra.

«Genma!» urlò, girando la testa.

«Ah-ha,» tossì il loro compagno di classe. «Non volevo interrompervi. Mi sono dimenticato il mio Demone... Vento...»

Inciampò in una sedia e cadde per terra. «Shuriken

Obito si pulì la bocca con l'avambraccio, guardando in giro per la stanza. Kakashi rimase fermo come per fare da scudo tra l'esperto di veleni e il suo compagno, ma sapeva che probabilmente non era un gran mistero chi ci fosse fra le sue gambe.

Il ninja smilzo finì di tirare fuori scuse e parlò con lo stesso tono divertito. «Quindi è no per l’invito a cena?»

«Ti ha chiesto di uscire a cena?» mormorò Obito, guardando Kakashi e mettendo il loro compagno nel dimenticatoio.

Lui negò in fretta. «No...»

In fondo alla stanza, Genma annuì. «Sì che l'ho fatto.»

Obito socchiuse gli occhi.

«Ci ha chiesto di andare a cena.»

«Come offerta speciale per gli affari,» aggiunse l'esperto di veleni.

Kakashi si girò per lanciargli un'occhiataccia. «Hai fatto?»

«Quasi.» Genma estrasse un anello di lame ripiegate da sotto un banco.

«Ci vediamo dopo, ragazzi,» disse appoggiando la parte non affilata di una lama alla spalla e dirigendosi nella direzione dalla quale era entrato, fischiettando una canzoncina.

Dopo qualche istante, fu Obito a rompere il silenzio. «Quel tizio appare sempre nei momenti meno adatti.»

«Un giorno sarà un utile contributo all'unità di polizia,» disse Kakashi, divertito.

«Lo vedrei bene in un’unità di spionaggio,» aggiunse Obito. «Non si può avere un secondo di privacy in questo dannato mondo ninja.»

Sono stati dieci minuti, pensò Kakashi, ma non gli andava di correggerlo. «Vabeh, era Genma. Nessuno gli crederà.»

«Non mi interessa se lo racconta,» rispose Obito. «E cosa intendeva con ci vediamo dopo

«Viene all'appartamento,» gli ricordò Kakashi. «Per la roba.»

«Ugh,» grugnì, un po' melodrammatico. «Odio il modo nel quale ti chiama Kashi. È stupido.»

Kakashi pensò che quei due avrebbero potuto diventare davvero dei buoni amici se Obito non si fosse comportato sempre in modo inquietante.

La distrazione del suo compagno gli permise di ancorarsi a lui, e Kakashi si sentì improvvisamente trascinato nel fervore emotivo di quei dieci minuti precedenti. Guardò in basso e strinse le ginocchia intorno ai fianchi del compagno. Le narici di Obito si allargarono e Kakashi mostrò i denti.

«Ti va se andiamo via di qui?» suggerì. «O aspettiamo che entri un altro testimone?»

L'occhio di Obito si mosse su e giù, come se non fosse rimasto impressionato. «Un testimone di cosa?»

Kakashi ci pensò un momento, poi prese il suo libro. «Potrei mostrarti alcuni spunti interessanti...»

«Ugh, amico!» Il naso di Obito si arricciò. «Non quello dei tentacoli... cristo santo. Perché dici questo genere di roba?»

«Vado troppo in fretta?»

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Capitolo 8
*** Interludio: mani assassine pt.1 ***


La notte si insinuò scura tra le crepe di intonaco delle case popolari.

Quando Genma e i suoi scagnozzi se ne andarono, stava diluviando. Forti folate di vento e pioggia si scagliavano contro le mura del grande complesso di appartamenti, scuotendo gli infissi di cedro. Campanelle e acchiappasogni suonavano senza sosta, sbattendo contro gli stipiti delle porte.

Dalla sua stanza, Obito poteva ancora sentire una flebile musica provenire dal parco. Suonava lugubre durante le notti di tempesta.

La pioggia allagava le aiuole artificiali e naturali, scorrendo per le strade della città, dalla parte alta fino a quella bassa, per riversarsi infine nelle acque del Green Lake. La mattina dopo la tempesta, i lavoratori sarebbero arrivati presto sul lungo lago per ripulirlo dalla spazzatura e dal cibo avanzato trasportati fin lì dal diluvio.

Kakashi diceva sempre che il custode se la passava male, ma era risaputo che quelli messi peggio di tutti erano gli spazzini.

Il complesso di appartamenti nel quale vivevano sorgeva al centro di una strada, sul lato della collina. Era conosciuta come vicolo del piscio perché si incrociava con un distretto molto popolare con nightclub e bar; quelli che non potevano permettersi un taxi, di solito facevano ritorno a casa passando di lì.

In cima a quell'isolato c'era un vecchio edificio di cemento con una porta, una finestra e una sola stanza. Era una discarica, un luogo che si prendeva tutto il peggio che la città avesse da offrire. Ogni giorno, una donna con un fazzoletto annodato in volto, buste di plastica ai piedi e un rastrello di ferro, entrava nella piccola discarica e a poco a poco raschiava via tutta la spazzatura, ripuliva il piscio che impregnava le pareti e se ne andava via mettendo tutto accatastato sul porta bagagli della bicicletta. Nel pomeriggio, all'ora di pranzo, quella scatola di cemento nella parte superiore dell'isolato si sarebbe riempita di nuovo di sacchi di spazzatura e avanzi dei bar, del pescivendolo e del fruttivendolo. I civili di passaggio gettavano il loro cibo d'asporto e altra spazzatura nella finestra fino a quando non strabordava dalla porta. L'odore era così putrido che persino i gatti randagi sapevano che era meglio non bere l'acqua salmastra che scorreva per quella strada.

Nelle notti di pioggia come quella, quell'acqua orribile poteva arrivarti anche alle caviglie.

Era buffo come, anche in tempo di pace, la città sembrasse sempre in guerra con se stessa. Con quale diritto una città si espande, se non ha nemmeno imparato a vivere in modo decente?

Quella casa-discarica in cima al vicoletto del piscio faceva interrogare Obito sulla natura e il vero significato della parola pace.

Obito non era asociale. O almeno, non lo era mai stato in passato. Però, dopo un paio di ore passate a parlare, a fare gossip e intrattenersi con alcune delle teste di cazzo più d'élite di Konoha, dopo tre ore di giocate di carte e l’ennesima serata passata con Ebisu e Gai, Obito ne aveva avuto abbastanza quell'aggressiva riabilitazione sociale che Kakashi gli stava riservando. Il suo compagno di stanza lo voleva aiutare, ma Obito era stanco della faccenda del coma. Lo trattavano tutti come se fosse ingenuo, un bambino, o uno strambo che non riusciva a stare al passo con i tempi. A dire la verità, Obito si sentiva più anziano dei suoi compagni.

C’erano giorni nei quali preferiva la solitudine al sentirsi solo in mezzo a una folla di gente.

Quindi, dopo circa un'ora dall'inizio della serata con i compagni di classe, Obito sgattaiolò fuori per pisciare e non tornò. Preferì tornare nella sua stanza, fare i suoi push-up e rilassare i muscoli tesi con un po' di stretching. Era indolenzito e contratto dopo i campi d'addestramento neri, e sapeva che domani non sarebbe riuscito nemmeno a camminare dritto. Non senza un bagno turco o una seduta d'agopuntura. Era sempre difficile iniziare una giornata con i dolori muscolari, e la tensione nel lato destro del corpo lo faceva sentire attorcigliato come una matassa di elastici. Prendersi un giorno di riposo avrebbe reso solo tutto più doloroso e difficile in seguito.

Nella sua stanza, Obito ascoltò la musica proveniente dal parco sotto all'abbondante pioggia e guardò per un po' il vaso di terra. Poi si sdraiò sulla pancia e si mise a sfogliare uno dei fumetti che aveva preso dallo scaffale di Kakashi.

Alla fine, il soprannome 'tizio del porno' che molti attribuivano a Kakashi era davvero riduttivo, così come 'tizio del coma' lo era per lui; anche se vi era un fondamento dietro a quel soprannome, prima di essere un pervertito, Kakashi era un accanito lettore.

Obito non era mai stato appassionato di libri. Quando era piccolo, nel distretto Uchiha, aveva ricevuto lezioni di arte, cultura e storia che lo avevano annoiato a morte; non aveva mai avuto la soglia di attenzione necessaria per decifrare tutte quelle pergamene e le scritte strane, quindi aveva passato la maggior parte del tempo guardando fuori dalla finestra e consumandosi le nocche.

Ma con i fumetti era tutta un'altra storia. Il linguaggio non era arcaico e confusionario e le immagini lo aiutavano a seguire la storia. Una volta scoperto che non parlavano tutti di tette, cazzi e strane posizioni del corpo, Obito aveva iniziato a cercare regolarmente, sullo scaffale del suo coinquilino, delle storie che lo intrattenessero... e, improvvisamente, leggere non gli aveva richiesto più un grande sforzo.

Magari, qualche volta, aveva preso anche qualche numero di quelli porno, solo per curiosità. Aveva provato a leggerli, ma aveva trovato le descrizioni edulcorate e noiose, i personaggi falsi e, cosa più importante, al loro interno non aveva trovato nulla che poteva essergli utile per imparare come farlo con un altro ragazzo.

Quando le urla e le risate scomparvero dallo stretto corridoio dell’appartamento, Obito decise fosse sicuro riemergere. Ma, mentre stava uscendo dalla stanza, si ricordò di quel ragno enorme.

Il cadavere era proprio dove lo aveva lasciato, sulla soglia tra il corridoio e la sua stanza. Prima che potesse scappare, Kakashi lo aveva ucciso con un veloce colpo della porta e il corpo era rimasto incastrato, incollato allo stipite proprio ad altezza occhi, con le gambe paralizzate e piegate.

Kakashi li stava uccidendo tutti, uno a uno, Obito si imbatteva in una creatura crocefissa ogni giorno.

Ogni tanto, se ne dimenticava. Poi, se si avvicinava troppo al muro per uscire dalla porta, le loro zampe gli strofinavano l'orecchio. Avrebbe dovuto ripulire e buttarli via, ma, per qualche motivo, Obito non riusciva a farlo.

La cosa peggiore era che quei ragni non erano per niente pericolosi. Non mordevano, non avevano nessun veleno, non facevano nidi giganti e disgustosi. Erano dei coinquilini esemplari, mangiavano persino gli altri ospiti indesiderati. Se solo non fossero stati così fottutamente spaventosi...

Il clima nella capitale era abbastanza caldo da permettere di diffondersi ad alcune specie delle regioni del sud, incluse alcune specie di insetti e coleotteri subtropicali, più grandi dei loro cugini nordici.

Il ragno granchio era grande come una mano e si muoveva lentamente, si spostava di lato sulle pareti come un cazzo di mostro. Grande, marrone, e peloso... la classica cosa che speri di non vedere la notte. Molti giorni, Obito era tornato a casa stanco per allenamenti e lavori, ma era rimasto sveglio nel letto a fissare i suoi compagni di stanza andare in giro e toccare le sue cose.

Aveva fatto l'errore di lamentarsi della situazione, l'altra settimana al seminario e Genma gli aveva detto un sacco di cose inquietanti a proposito di ragni che si insinuavano negli orifizi del corpo di notte e spruzzavano ormoni sessuali per attirarci altri ragni. Diceva che mangiano la pelle morta delle labbra, che depongono le uova nei pori della pelle dai quali poi si schiudono migliaia di piccoli ragnetti. Diceva che ti fregano le stelle ninja e la bici e le portano al banco dei pegni.

Obito aveva iniziato a ripensare a tutte quelle cose orribili sui suoi ospiti a otto zampe. Non potendo comunicare con loro, le sue paure non avevano fatto altro che crescere, creando una tensione terribile. Poi Kakashi ne aveva schiacciato uno nella porta. All'inizio, Obito ne era rimasto sollevato, ma poi il ragno gli era sembrato così piccolo, tutto accartocciato, e Obito si era reso conto che la cattiva energia tra loro era stata tutta frutto della sua fantasia; aveva mal interpretato le cose, creato significati anche dove non c'erano. Si era immaginato un nemico, lo aveva ucciso, e poi l'aveva chiamata giustizia. Adesso, ogni volta che passava di fronte a quel ragno morto incastrato nello stipite della porta, quell'omicidio a sangue freddo tornava a perseguitarlo.

Obito pensò alle mani da assassino di Kakashi che gli toccavano il retro del collo, le sue mani intorno a quei fianchi sorprendentemente stretti... Il pensiero lo arrapava ancora, ma dopo aver pensato a quei ragni, Obito provava anche qualcosa di diverso.

Kakashi ha ragione, sono davvero fuori di testa.

Obito scalciò per infilare i piedi nei sandali e si diresse nel corridoio angusto che conduceva alla cucina per accendere il bollitore elettrico.

Il corridoio era la spina dorsale dell’appartamento. All'estremo ovest c'era la porta d’ingresso e all'estremo est un piccolo balcone che dava su Green Lake Park. Obito percorreva tutta la lunghezza in tredici passi. Sei, correndo. La larghezza non era sufficiente nemmeno per assumere una posa di taijutsu, figuriamoci i katas volanti.

La corsia divideva in due l'area comune: da un lato c'era una stanza irregolare con un soffitto basso e inclinato; dall'altro la cucina, che in realtà era più un angolo con il lavandino e il frigo che una vera stanza. La parte con il soffitto inclinato era adibita a soggiorno angusto grazie all'aggiunta di un divano scomodo, un pesante tavolo di legno di quercia e qualche sgabello. Le strisce di legno di cedro delle persiane diffondevano la luce di una piccola finestra incastrata nel muro sotto al soffitto inclinato; Kakashi doveva piegarsi un po' prima di sedersi.

In cucina, Obito trovò dell’acqua scaldata poco prima, quindi si guardò in giro in cerca di una tazza pulita e rovistò nella busta di grano saraceno. Mentre preparava il tè, vide il suo compagno di stanza con la coda dell'occhio. Era in fondo al corridoio, al centro del divano. Sul tavolo di fronte a lui c'erano tre bicchieri vuoti, il suo vassoio per rollare, una bilancia da cucina e una busta di hashish giallo-verde gonfia come un palloncino. Di solito Kakashi ripuliva tutto dopo le visite, soprattutto quelle che avevano a che fare con la droga, ma quella volta sembrava che ci avesse provato e avesse lasciato il lavoro a metà.

«Dovresti provare a stare di più con gli altri,» disse, curvo in avanti come se stesse rimproverando il tavolo.

Certo, pensò Obito, siccome non volevo passare la sera a fumare dieci metri di carta di riso con due cretini come Genma e Raidō, sono un eremita.

«Voglio solo che tu vada d'accordo con loro. Nel caso succedesse qualcosa.»

Succedesse qualcosa... ripeté Obito nella sua mente. Qualcosa di che tipo? A chi?

«Tipo cosa?»

Un secondo dopo aver fatto la domanda, capì da solo la risposta. Kakashi voleva che Obito avesse degli amici, nel caso avesse tirato le cuoia nella loro prossima missione fuori dalle mura. La paura gli si spostò dalle nocche delle dita allo stomaco e gli finì sul fondo della lingua. Obito strinse il tè fra le mani, tremando di odio solo all'idea. Non disse nulla, perché ogni volta che lui provava emozioni forti e Kakashi rimaneva impassibile, iniziavano a litigare.

«Per esempio...» Kakashi mormorò come quando stava per sparare una cazzata o dire qualcosa di ovvio. Il problema era che Obito non riusciva a capire in anticipo quale delle due sarebbe uscita dalla sua bocca. «Se io dovessi iniziare un ku e rovesciare il governo o, che ne so, distruggerlo dall'interno, Genma e gli altri sarebbero proprio quelli che sceglierei per una cosa del genere.»

Obito tirò su con il naso girando intorno al tavolo e raggiungendo il suo posto. Scalciò via i sandali e incrociò le gambe. Prese un sorso di tè e si ustionò la lingua, poi abbassò la tazza per guardarla imbronciato.

Ma che razza di team sarebbe quello? Genma e Raidō, Anko e la ragazza del Team Tre. «Anche Drongo? Fino a oggi non sapevo nemmeno che aveva lasciato il negozio nella Sedicesima strada. E poi chi cazzo indossa gli shorts con questo tempaccio?»

«Tu indossi gli shorts con questo tempaccio, Obito,» disse Kakashi senza alzare lo sguardo.

Obito arrossì. Lui, ovviamente, aveva delle buone e solide motivazioni mediche per odiare i vestiti, ma ormai non c'era modo di celare la sua ipocrisia, né i suoi stinchi pelosi.

Kakashi sospirò, si allontanò dal tavolo e si lasciò cadere sul divano a fianco a lui. Si strofinò gli occhi e sprofondò fino a quando le sue lunghe gambe non si piegarono sul pavimento. «Sono un po' troppo fatto adesso.»

«Pulisci domani,» gli suggerì Obito. Non avrebbe voluto che la frase suonasse così avvelenata, ma stava ancora pensando alla sua incapacità di farsi nuovi amici e si stava frustrando al pensiero di un futuro che non comprendesse Kakashi. Aveva bisogno che il suo bro gli stesse vicino.

Obito si portò la tazza alle labbra e prese un altro sorso. La roba calda non ti può scottare, se sei già ustionato.

Mentre Obito era immerso nei pensieri, Kakashi allungò una mano e gli strappò qualcosa dalla maglia: un frammento di ramoscello che non era riuscito a rimuovere con la sua imprecisa pulizia. Gli lanciò il ramoscello in faccia e rise della sua incapacità di schivare. Ma era solo perché Obito aveva le mani impegnate con il tè caldo.

Stronzo, pensò Obito, sibilando quando del liquido bollente gli scivolò sulle dita. Aveva tolto i guanti da un'ora e le mani non stavano ancora sparando fiamme, ma erano insensibili.

«Non ti sei fatto la doccia,» lo accusò Kakashi.

«Odio fare la doccia!» disse Obito asciugandosi una mano sulla giacca.
 «Cosa?» Le sopracciglia di Kakashi si alzarono, spesse schegge grigie. «Perché?»

Obito allargò le narici e si sentì improvvisamente a disagio e incapace di spiegarsi. «Mi dà fastidio alle cicatrici.»

«Oh,» fece Kakashi. «C'è qualcosa che posso fare?»

Quando lo disse, passò le nocche sullo stinco scoperto e sfregiato di Obito e le fece scivolare fino al ginocchio. Aveva usato un tono strano e lo guardava come se volesse afferrargli di nuovo i fianchi.

Obito sentì i peli delle gambe rizzarsi. «In realtà, c'è qualcosa con la quale potresti aiutarmi.» Si girò e alzò una mano dietro alla maglia, poi si fermò per fare un respiro profondo.

Kakashi appoggiò le dita dei piedi contro il bordo del tavolo come se la serata stesse per iniziare a farsi interessante.

Obito alzò gli occhi al cielo prima di levarsi la maglietta e girarsi. «Qui dietro.»

Kakashi fece una potente inspirazione. «Obito,» disse. «Mi prendi per il culo?»

Il sangue gli ribolliva di rabbia e imbarazzo e Obito fece per rimettersi la maglietta con i gomiti. «Non devi farlo se poi ti incazzi.»

«No, io non...» Kakashi si alzò dal divano e lo afferrò per il polso. Lo forzò a levarsi la maglietta puzzolente e la lasciò cedere per terra. «Non sono arrabbiato, sono solo...» Sembrava arrabbiato. «Sei stato seduto in classe per tre ore con questo cazzo di squarcio sulla schiena?»

«Non è così brutto...»

«È talmente ricoperto di resina e schifezze della foresta che non sono nemmeno riuscito a sentire l'odore,» disse Kakashi infuriato. Lasciò andare il polso di Obito e fece scivolare uno degli sgabelli di legno sul pavimento con un calcio. «Siediti.» Poi ne fece volare un altro, senza motivo. «Avevo davvero sperato in uno spogliarello.» Si diresse verso la cucina.

Kakashi aveva le gambe lunghe. Il giovane esile che Obito ricordava nella loro infanzia si era trasformato in un adolescente alto e, a essere onesti, era davvero un piacere per gli occhi.

Anche se, come al solito, Kakashi aveva colto l'occasione per fare lo stronzo, Obito cadde obbediente sullo sgabello. Era davvero rimasto seduto per tre fottute ore con una bruciatura da corteccia in mezzo alla schiena. Era solo una ferita superficiale, una cagata per uno shinobi, ma tutta quella resina attaccata alla pelle tagliuzzata dava davvero fastidio, era come una colla schifosa e marrone. Obito l’aveva sentita iniziare a staccarsi dove la maglia gli strofinava sulla crosta superficiale. Probabilmente, avrebbe avuto prurito per settimane; non ci voleva davvero una litigata adesso.

Era un dato di fatto: allenarsi senza la maglietta nei campi neri e cadere giù fino alla zona blu sbattendo il culo a terra non era stata una delle idee più brillanti di Obito. Tutto ciò che poteva fare adesso era accettare la sua punizione con dignità.

Kakashi riemerse con le braccia piene di provviste e ancora quell'atteggiamento fastidioso. Mise il wok di metallo sul pavimento insieme a uno straccio e all'ultima bottiglia di olio per friggere della dispensa. Obito appoggiò i gomiti sulle ginocchia e Kakashi tornò in cucina per togliere il bollitore elettrico dalla presa. Sembrava stesse per iniziare un'elaborata scena di tortura.

«Non sarà piacevole,» lo informò, facendo scattare un dito dolorosamente contro l'orecchio di Obito mentre gli passava accanto.

Stronzo.

Kakashi prese uno sgabello con il piede e lo avvicinò, sedendosi dietro di lui con un unico movimento. Obito sentì l'acqua rovesciarsi nel wok.

La strofinata con lo straccio sulla pelle, prima calda e poi bollente, sembrò un filo d'acciaio sulla carne viva e Obito si morse la lingua ustionata quando sentì una grossa sfera di resina appiccicosa staccarsi insieme ad alcuni peli della schiena.

«Se ti tratti da schifo, tutti penseranno che fai schifo,» lo infornò il Ninja Copiatore.

«Vai a cagare.»

Kakashi fece un tsk. «Non capisco, come hai fatto a farti così male contro un albero?»

Obito sussultò mentre altri detriti ghiaiosi uscivano dalla ferita. «Non sono sicuro,» rispose, troppo miserabile per potersi difendere. «Sono caduto. Sono svenuto mentre usavo la teleferica.»

«Ma... c'è una fune di sicurezza.» La voce di Kakashi si spezzò. Lo straccio cadde nel wok. «Ci vogliono due secondi ad allacciarla alla cintura, mi stai dicendo che hai solo preso la maniglia e ti sei lanciato?»

«Te l'ho detto, ho avuto un blackout,» grugnì Obito. «È stato un incidente. Nessuno usa quelle funi, comunque, sono per i dilettanti, io sono d'élite...»

«No, tu sei un idiota,» lo corresse, strizzando lo straccio e riportandolo fumante sulla schiena. «Non sai quali sono i tuoi limiti. Se sei troppo stanco per usare la teleferica, non farlo. È esattamente il genere di cosa che ti fa rimanere ferito in missione. I tuoi punteggi di valutazione sono una merda perché sprechi le energie con tecniche scenografiche invece di fare leva sui tuoi punti di forza. Essere uno shinobi non è un cazzo di corso di danza, è una prova di sopravvivenza e tu fai schifo in quello!»

Obito piegò le spalle sporgendosi sulle ginocchia e cercò di non pensare a tutti quelli che avevano fallito quel test di sopravvivenza. «Credo tu abbia ragione,» mormorò.

«Perché fai queste cazzate? Perché sei ossessionato dal voler stare sempre un passo davanti agli altri?»

«Non voglio stare davanti agli altri... voglio cercare di raggiungerli.»

Passò un minuto di silenzio tra loro, con la bruciatura da corteccia di Obito e la ruvida trama dello straccio di Kakashi. Poi il tessuto tornò nel wok con uno schizzo e Obito sentì una folata d'aria tra le scapole. Un braccio lo avvolse mentre il polso di Kakashi gli si fermò sul fianco opposto.

«Idiota,» sospirò Kakashi.

Circondato dalle ginocchia del suo compagno di squadra, Obito appoggiò i palmi sugli occhi e dopo qualche respiro si sentì completamente circondato dall’abbraccio.

Kakashi si ritrasse, strizzò lo straccio e riprese a ripulire il sangue, la resina e i residui degli alberi dalla sua pelle.

Improvvisamente, Kakashi interruppe quel silenzio con un altro sospiro tagliente. «Okay, ascolta. Non fraintendermi, penso che tu sia una bestia. Sali sul ring e spaventi la gente. Pensano che gli strapperai un braccio o altre cose del genere.»

Obito sbuffò.

«Sono serio,» disse. «C'è qualcosa nelle tue emozioni, un potere feroce, amico. Sono geloso. Voglio dire, non hai idea di cosa devi fare là fuori, ma spacchi tutto. È impressionante.»

All'improvviso, Obito sentì il suo compagno alzare il braccio e grattarlo con le unghie smussate far i capelli dietro all'orecchio, come se fosse un cane o un animaletto del genere. Se lo scrollò di dosso.

«Il mese scorso ho guadagnato trecento solo scommettendo sui danni che avresti fatto nei tuoi scontri.»

«Ah, è così?» grugnì Obito, pensando che Kakashi stesse mentendo. Avrebbe dovuto sparare un numero più credibile di tre ryo. Era un terzo del loro affitto.

«Beh, di solito è di più, ma non mi aspettavo che avresti perso la testa nello scontro contro Yahagi. Di solito scommetto sempre cinquanta per venti minuti, dieci alberi...»

«Dieci alberi? Cosa significa?» lo interruppe Obito, sconcertato.

Non capiva: Bunzo organizzava i combattimenti nelle foreste solo la metà delle volte, e il suo combattimento con Yahagi era stato al lago sotterraneo. Se lo ricordava perché alla fine della battaglia il lago non c'era più.

«Un albero è una misurazione di valore, equivale a dieci ryo di spese comunali per la città,» spiegò Kakashi. Lo straccio strofinò la larghezza della schiena di Obito senza nessun reale scopo. «La tua media è di dieci alberi e mezzo a partita. La maggior parte delle persone ha una media di tre o quattro. Ma la tua lotta con Yahagi è durata solo quattordici minuti, e hai fatto un buco nella piattaforma sotterranea.»

«Mi ero stufato di tutti quei jutsu d'acqua!» disse Obito. «Yahagi è fastidiosa, volevo solo levarmela di torno.»

«Non sapevamo come calcolare quanto sarebbe costato riparare la roccia nuda,» continuò Kakashi. «O se avrebbero reindirizzato nuovi corsi d'acqua per riempire di nuovo le caverne, quindi abbiamo consegnato il vaso al miglior offerente. Genma ha portato a casa il bottino, ecco perché quel giorno ci ha portato fuori a mangiare il pesce gatto. Non ti sembrava strano?»

Obito si chinò ancora un po' sulle ginocchia. La storia del ring e delle scommesse non lo faceva stare meglio, in realtà. Soprattutto, non gli piaceva l'idea che Genma guadagnasse soldi dai suoi scontri e poi la sera lo ingozzasse di pesce gatto come se fosse una sorta di investimento segreto. Ma doveva ammettere che le adulazioni erano piacevoli. Non sapeva se 'bestia' fosse davvero un complimento, ma il modo nel quale Kakashi lo aveva detto lo aveva fatto suonare tale.

«Sono sicuro che ha truccato la partita in qualche modo,» rifletté il Ninja Copiatore. «Yahagi ti ha detto qualcosa per farti incazzare così?»

«No.» Obito provò a pensarci su. «Beh, sì. Ma va bene. Anche schernire è una tecnica ninja.»

«Suppongo di sì,» disse Kakashi. Poi, si prese una pausa dal provocargli quell'angosciante dolore, e lo straccio gli attraversò le spalle, lontano dalle ferite. «Da quando sei così comprensivo?»

«Ch,» sbuffò Obito. «Non so nemmeno perché ti importi così tanto.»

«Credo che non mi piaccia quando le persone ti prendono per il culo.»

Obito girò la testa abbastanza per guardare il suo compagno di squadra, ma Kakashi scelse proprio quel momento per lasciar cadere il panno e abbassarsi per afferrare il bollitore. Aggiunse acqua bollente al wok.

Fino a poco prima... beh. Fino a qualche ora prima, Obito aveva sempre pensato che uno dei motivi per il quale Kakashi lo seguiva tutto il tempo era il senso di colpa per il gesto eroico e improvvisato che lo aveva portato in coma per tre anni. Kakashi era quel genere di persona che non chiedeva mai scusa per quello che faceva, ma questo non significava che non volesse essere perdonato. La cosa del senso di colpa avrebbe avuto senso.

Ma un'altra ragione poteva essere che a Kakashi fosse stato ordinato di seguire Obito. Dopo il ponte Kannabi, molte cose erano cambiate nel suo compagno di squadra, ma una cosa era rimasta la stessa: lui eseguiva sempre gli ordini alla lettera.

Dopo il suo risveglio, Obito aveva sospettato di tutto. Aveva sospettato anche dell'amicizia offerta dal suo vecchio rivale, quel giorno sul campo di addestramento, lo stesso giorno nel quale il Mission Control lo aveva scaricato e Obito se ne era andato dopo aver causato danni per dieci alberi e mezzo a quel merdoso palazzo governativo. E comunque, statue e fontane normalmente non devono stare dentro agli edifici.

Quando Kakashi era riapparso la prima volta, Obito era davvero senza opzioni. Ciò del quale aveva avuto bisogno più di ogni altra cosa erano stati un letto, un pasto del cazzo, o semplicemente qualcosa di familiare. E dato che il suo stato emotivo era precario, era stato troppo facile per Kakashi conquistarlo con una manciata di promesse e con i suoi complimenti e nei carini. Da quel momento, le cose avevano iniziato ad andare bene; Obito era tornato in missione, con quasi nessuna conseguenza del suo atto terroristico nella base operativa di Konoha, e persino gli ANBU avevano smesso di seguirlo ovunque andasse. Porco cazzo, pensandoci, c'era davvero qualcosa sotto e il suo compagno di stanza era sicuramente coinvolto.

La voce di Kakashi si alzò. «A volte, B, mi sembra che io stia ancora aspettando il tuo ritorno.»

La terza possibilità era, pensò Obito, che il suo compagno gli stesse dicendo la verità; stesse solo cercando di aiutarlo... e che lo volesse davvero.

«Perché devi allenarti da solo tutto il tempo?» Lo straccio tornò a toccarlo, un po' troppo bagnato, e Obito sentì il gocciolio dell'acqua calda sulla schiena. Kakashi la fermò con il polpastrello del pollice e la asciugò. «Perché non mi dici mai che cosa ti preoccupa?»

«Perché non vai a farti fottere e mi lasci i miei spazi?» Obito scattò. Con tre diverse teorie in mente, non sapeva come comportarsi. Doveva essere sembrato pazzo.

Rimasero di nuovo in silenzio mentre il suo compagno continuava il suo lavoro e Obito rimase seduto nella sua ipocrisia, sentendosi come se avesse un gigantesco buco nel petto. Di solito non si accorgeva di quel buco, ma quando Kakashi era nei paraggi, faceva male. Gli ricordava che era solo la metà di ciò che era stato una volta. E il suo approccio di convivenza del tipo 'tu fai le tue cose e io faccio le mie' non funzionava così bene se aveva sempre intorno Kakashi... e se era spaventato da quello che era capace di fare a sangue freddo. Faceva paura, ma Obito sapeva anche che aveva bisogno di lui.

«Scusa,» disse a denti stretti, stringendo i pugni sulle gambe. «In realtà io ho bisogno di te.»

Forse, se semplicemente gli avesse fatto quelle domande, si sarebbe risolto tutto. Kakashi avrebbe detto la verità.

Ma.

Se avesse scoperto che era davvero un doppio agente di un'organizzazione segreta ANBU con il compito di controllarlo e di infilarsi nei suoi pantaloni... Obito avrebbe visto tutto il suo mondo distruggersi. E aveva appena iniziato a ricostruirlo dalla cenere.

«Stai bene?» chiese Kakashi.

«Uh-huh.» Era la bugia più debole che avesse mai detto.

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Capitolo 9
*** Interludio: mani assassine pt.2 ***


Kakashi non sapeva perché si fosse convinto che, dopo aver baciato Obito, le cose tra loro sarebbero migliorate.

Ora si erano già baciati. Un paio di volte. E se ne stava lì, seduto sul divano, a fissare il posto vuoto di Obito.

Aveva provato a far sloggiare i suoi amici del cazzo, perché quello non era il momento giusto per fare serata, merda, ma bastava che uno di loro aprisse bocca ed ecco che Kakashi rollava un altro spinello. Così, si era ritrovato bollente e strafatto a ripensare ai giorni passati e a fissare ancora quel posto vuoto sul divano... Che cazzo?!

Non sarebbe dovuto essere insistente. Anko gli aveva lanciato occhiatacce per tutta la sera; lo conosceva fin troppo bene. Sta attento a quello che dici e fai, non essere insistente, gli aveva detto, qualsiasi cosa significasse. Ma Kakashi non era così stupido da insistere con Obito. Quindi aveva aspettato che tornasse, aspettato, aspettato e aspettato, come aveva sempre fatto. Quando finalmente se ne erano andati via tutti, Kakashi aveva ripulito la merda che avevano lasciato sul pavimento. Si era seduto. Aveva fumato un po'. Giocato con lo Sharingan. Si era alzato. Aveva messo la teiera sul fuoco. Aveva fatto qualsiasi cosa tranne infilare la testa nella camera di Obito per chiedergli di mettersi seduto sulle sue gambe.

Kakashi aveva aspettato tre anni. Per l'amor del cielo... poteva aspettare ancora un po', se era ciò del quale Obito aveva bisogno.

Ma poi, gli dèi avevano deciso di mettergli il compagno di squadra tra le gambe, senza maglietta e unto d'olio… Kakashi sarebbe davvero stato un pessimo opportunista se non avesse provato a combinare qualcosa.

Ho bisogno di te, gli aveva appena detto Obito.

Beh, cazzo, questo è un buon punto di partenza.

«Non ci alleniamo più insieme,» disse. «Se vuoi migliorare, dovresti scontrarti con me, non con gli alberi.»

L'ustione da corteccia si estendeva per quasi tutta la larghezza della schiena di Obito, proprio al di sotto delle scapole. E gli era andata bene: sarebbe potuto finire di nuovo in quel maledetto ospedale con altri tubi e cicatrici.

Kakashi attivò il suo Sharingan. Trascinò le mani nell'olio che si era raccolto al centro della schiena del suo compagno di squadra e iniziò a impastare con le punte delle dita facendo movimenti lungo i flussi del chakra, spostandosi verso il centro.

«Cosa stai...»

Usando le nocche e i pollici, Kakashi si fece strada verso il basso, ai lati della colonna vertebrale, con lenti movimenti circolari, come se stesse slacciando un lungo stivale. Poi raggiunse i bordi della ferita, usò la stessa tecnica e aumentò la pressione per allentare i muscoli.

Obito si rilassò ed emise un gemito di piacere. Quel suono raggiunse tutti i sensi di Kakashi e gli fece venire voglia di farglielo fare di nuovo, più forte.

Kakashi era un incapace. Non era nemmeno in grado di dire una frase semplice come “le tue cicatrici sono belle”, ma poteva agire, forse. Poteva agire con le azioni.

Perfino chi non sapeva nulla di anatomia umana avrebbe potuto vedere i giganteschi nodi che avevano messo radici sulla schiena del suo compagno di stanza, o quanto Obito tenesse sempre teso il lato destro del corpo. Kakashi non usò troppa forza, ma applicò un po' di attrito sul tessuto connettivo fra le spalle di Obito e iniziò ad allentare i muscoli dove il chakra si raccoglieva. Ogni volta che un nodo si scioglieva, sentiva immediatamente il cambiamento nella trama e nel flusso di chakra sotto alla pelle.

Obito piagnucolò. «Come fai a farlo?»

«Non lo so.» Kakashi fece una risata. Era così fatto che non si ricordava nemmeno di essere stato abbattuto poco prima. «Io, uh, credo di aver finito. Ti ho ripulito tutto. Dovresti sciacquarti, però.»

Obito rispose con un altro gemito trattenuto e Kakashi alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a levarsi il ghigno dalla faccia. Poi abbassò le mani sotto alla ferita e si fece strada nella parte bassa della schiena con gli stessi movimenti di prima.

Obito incrociò le braccia intorno alle gambe.

«Sai, se hai bisogno di aiuto per stirarti...»

«K,» piagnucolò di nuovo Obito.

Kakashi non avrebbe mai creduto che una sola lettera avrebbe potuto renderlo così felice. Era pronto a benedire l'albero che aveva preso a calci nel culo il suo compagno di squadra.

«Perché non ci alleniamo più insieme, huh?» chiese di nuovo, avvolgendo le dita intorno ai suoi fianchi e affondandoci i pollici.

«Se sapessi spiegartelo, lo farei,» disse Obito, dimenandosi come se Kakashi gli stesse infliggendo una terribile tortura.

Lo lasciò andare e ricominciò a far passare le nocche sulla sua schiena, ruotandole e spostandole lentamente. Le sue mani innescarono una serie di contrazioni muscolari e la pelle di Obito rabbrividì.

«So che dovremmo allenarci insieme. Ma...» Un altro brivido attraversò le spalle di Obito, scuotendolo. «Non so perché... ti vedo corrermi in contro e una parte di me pensa che mi trafiggerai infilandomi una mano nel petto e... mi fa paura,» concluse piano. «Non so se quello che vedo è il passato o il futuro.»

Kakashi abbassò le mani. «Obito. Non esiste che io ti uccida.»

Un respiro. Due. All'improvviso, il suo compagno di squadra si raddrizzò, si girò sullo sgabello e lo strinse con un solo braccio. Kakashi non se ne sarebbe mai lamentato: finalmente, sembrava aver detto qualcosa che Obito aveva bisogno di sentirsi dire, ma era comunque tutto un po' strano. Davvero Obito era preoccupato che Kakashi potesse ucciderlo?

«Risciacquati,» gli suggerì piano. «Poi, se ti sdrai continuo con la schiena.»

«Okay,» mormorò Obito, abbassando il braccio e appoggiando la faccia al suo collo. «Però non nella mia stanza. Fa freddo e ci sono i ragni.»

«Sì? Ancora? Pensavo di averne ucciso la maggior parte...»

«No. Non uccidere più i ragni. Per favore, Kakashi.»

«Pensavo che ti dessero fastidio.»

«No, è che...» Obito si allontanò, sfregandosi le nocche sugli occhi. «Ho alimentato la disinformazione. Non abbiamo comunicato bene c’è stato un malinteso a causa del quale molti ragni sono morti.»

Malinteso... con i ragni? Kakashi non capiva.

Quando il suo strano e puzzolente compagno di stanza si trascinò nella doccia, Kakashi si diede da fare per ripulire tutto. Sacrificare per gli ospiti ogni cosa che si aveva in casa era un’usanza della Terra del Fuoco. Se avevano fame, rinunciavi all'ultima busta di patate dolci essiccate. Se volevano bere, dovevi dire addio allo Shenhin di melone e miele che avevi tenuto da parte per sei mesi; e se volevano l'erba, dovevi assicurarti che se ne andassero più fatti di quanto non lo fossero mai stati in vita loro. A Konoha, se i tuoi ospiti volevano tirarlo fuori e pisciare sul pavimento di casa tua, potevi solo congratularti per le loro dimensioni e sperare che l'odore non penetrasse nel legno.

Kakashi calciò gli sgabelli sotto al tavolo, raccolse il wok e i bicchieri vuoti e li portò in cucina. Se ne sarebbe pentito l'indomani, quando si sarebbe svegliato con i piatti nel lavandino e i postumi di tutta quell'erba ad appesantirgli le palpebre, ma se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe riuscito ad attirare il suo compagno di squadra nella sua stanza per passare insieme la notte.

Non gli interessava se a Obito piaceva stare solo. O meglio... andava bene se per giuste ragioni, ma non se perdeva tempo a farsi seghe mentali sotto alla doccia. A volte, Kakashi sbatteva contro il muro e gli urlava di chiudere l'acqua solo per distrarlo dai pensieri oscuri.

Una volta sistemato il soggiorno, si diresse verso la camera da letto. Si tolse la maglietta, si cambiò i pantaloni della tuta, annusò la manica della maglia e decise che andava ancora bene. Nell'area comune, mise il bollitore a scaldare e si lavò i denti nel lavandino, poi scivolò lungo l'ala est fino al portico. La musica era molto più forte da quel lato dell’appartamento e Obito e aveva ragione: faceva freddo. Si fermò fuori dalla camera da letto e si guardò intorno per vedere quanti ragni c'erano. Ne contò due e notò con soddisfazione che il compagno di stanza era al terzo volume di una delle sue serie preferite di fumetti, Okami. Se a Obito piacevano i lupi e le gigantesche spade, allora era fatta.

I muri sottili erano in costante conversazione con la pioggia. Kakashi non fece troppo caso a quel rumore simile a un'interferenza sbiadita nella sua mente, ma quando l'acqua del bagno si fermò, il suono di quella tempesta divenne improvvisamente più nitido.

«Stai toccando le mie cose?»

«Cosa? No.» Era un'insinuazione così assurda che Kakashi balzò sulla difensiva in fretta e si voltò in tempo per vedere Obito socchiudere gli occhi. Solo lui avrebbe potuto apparire così serio mentre si scuoteva l'acqua fuori dalle orecchie.

«Stavo contando i ragni.»

«È una cosa un po' strana da fare,» mormorò Obito, superandolo per entrare nella stanza buia. «Visto che ti ho detto di lasciarli stare.»

Kakashi si strinse nelle spalle. «Bisogna conoscere il proprio nemico...»

Obito si strofinò l'asciugamano sulla testa, lo gettò sulla sedia in un angolo, poi rimase fermo. Scrutò le pareti, la piccola finestra.

Kakashi si appoggiò allo stipite della porta per aspettarlo e sussultò quando qualcosa gli sfiorò il collo. Una zampa di ragno. Incastrato nel telaio dentro il quale lo aveva ucciso. Fece cadere il corpo sul pavimento.

«Porto la mia coperta.»

«Va bene,» mormorò Kakashi. «Ho il prossimo numero di Okami, se lo vuoi. Amaterasu ottiene finalmente la Lama di Kusunagi

«Fico,» fece Obito, chinandosi per raccogliere il terzo volume dal pavimento. Se lo mise sotto all'ascella. «Quello scudo-specchio dell'ultimo capitolo non serviva a un cazzo alla fine.»

Kakashi sbuffò. «Lo so, amico, l'hanno appena aggiunto. L'idea viene dal dio del sole. Almeno è figo.»

Sobbalzò un po' sulle punte dei piedi mentre Obito fece strada lungo il corridoio. Era difficile non concentrare l'attenzione sulla nuova ferita che aveva sulla schiena e non odiarla. La maggior parte degli shinobi moriva intorno ai vent'anni; trenta, se erano fortunati. Obito si comportava come se avesse già raggiunto la sua data di scadenza e i suoi giorni fossero solo presi in prestito. A volte Kakashi aveva paura, ma non esisteva possibilità lo dicesse ad alta voce.

Kakashi lo superò ed entrò in camera sperimentando un familiare momento di doppia visione dello Sharingan. La sua vista vibrò. Cercò qualcosa nel cassetto della scrivania. La luna era come un'unghia lontana, tonda e bianca, ed emetteva abbastanza luce attraverso la barriera di nuvole per permettere la visione notturna. Invece di perdere tempo a curiosare nella stanza del suo compagno, Kakashi avrebbe dovuto cercare... ah, beh, non era stato difficile da trovare. Si girò.

Obito si era steso sulla pancia con solo la gamba sinistra sotto le coperte, la faccia semi nascosta nell'incavo del braccio, e sfogliava il fumetto sul letto, come se fosse sempre stato lì. E forse era così, in un certo senso, ma non in carne e d'ossa, non con tutti quei meravigliosi realistici dettagli.

Kakashi si accovacciò e fece passare la bottiglietta aperta sotto al naso del compagno.

«Cos...» Obito strizzò gli occhi. «Stai scherzando? Olio di canapa?»

«Le vitamine faranno molto felici le tue cicatrici.»

Obito si accigliò.

Kakashi si spostò e si inginocchiò al suo fianco. «Fidati di me. E togliti quella fottuta benda dall'occhio.»

«Togliti quella fottuta maschera,» ridacchiò l'altro. Ma la sua mano sinistra si chiuse come un artiglio sull'occhio e gettò la toppa nel buio.

Un'altra folata di vento colpì il lato dell'edificio e si udì il rumore lugubre dei ciondoli appesi alle finestre e alle porte. Kakashi non era mai stato così felice in un giorno di tempo così merdoso. Aveva pensato di mettere una goccia di quell'olio sotto alla lingua di Obito, ma decise che lo avrebbe fatto un'altra volta. Svitò il coperchio e lasciò che alcune gocce si accumulassero fra le sue scapole. Non era inodore, ma l'essenza di foglie non era eccessiva. L'olio di canapa era fatto con il muschio, che era un antinfiammatorio e faceva bene alla pelle, ma Kakashi non lo disse a Obito, che probabilmente avrebbe trovato il modo per trasformarla in una cosa negativa.

Si prese del tempo per spargere l'olio fino a quando non riuscì a sentire il suo aroma riempire l'aria che respiravano. Poi, come prima, fece scorrere le dita lungo i canali del chakra del suo compagno di squadra, andando verso il centro. Pensò di chiedere a Obito dove gli facesse più male, ma sapeva che non glielo avrebbe. Si mise a cercare quei punti da solo.

Aumentò gradualmente la pressione con le nocche e i pollici, usando lo Sharingan per cercare i punti in cui la rete di chakra di Obito sembrava più lenta o bloccata. Gli allentò un paio di nodi duri sul lato destro e un altro nella parte bassa della schiena, un po' più a sud dell'anca. Ogni tanto Obito piagnucolava, si contorceva e, come il signore dei fottuti bifolchi quale era, indossava solo gli shorts... Kakashi avrebbe voluto farsi strada in ogni irregolarità della sua pelle.

«Non pensavo che sarebbero rimasti qui così a lungo,» disse, pigramente. «O che avrebbero bevuto tutto il mio liquore, cazzo.»

«Avresti potuto sbatterli fuori di casa,» disse Obito, la voce soffocata dal braccio. «Ma sei così diligente da non riuscire a rompere le righe, figuriamoci a maltrattare un ospite.»

«Lo so,» ammise Kakashi. Esercitò un po' di pressione alla base del collo del compagno di squadra con la punta delle dita e le lasciò scivolare lungo le scanalature delle scapole. «Non posso farci niente, sono programmato così.»

Obito sbuffò piano. «Sei una fottuta macchina, Kakashi. E se giustifichi un'altra tua azione con la frase sono un cane, ti giuro che mi trasferisco con Genma e i suoi diecimila compagni di stanza. E pure con le galline. Mi andrà bene qualsiasi cosa.»

Kakashi sorrise. «Un cane riconosce una minaccia a vuoto quando ne sente una.»

Obito sbuffò. Rimase in silenzio un momento. Girò una pagina e poi disse «sai, l'unica cosa che fa andare avanti tutte queste storie è una grandissima quantità di male. Ma immagino che anche la vita reale sia così.»

«Non avevi detto che secondo te non esistono il bene e il male?»

«Dai, lo sai cosa intendo. Non proprio il male, ma il buio, la paura, il dolore.»

Kakashi mormorò pensieroso. «Ma non avevi detto che sono quelle cose a renderci migliori?»

Obito non rispose per un po'.

Kakashi sollevò le mani e scivolò su un fianco, chiuse il fumetto e lo spinse sul pavimento.

«B?»

«Hm,» rispose lui. «Ci devo pensare su.»

Kakashi rilassò le spalle e portò di nuovo le mani indietro, facendo scivolare le punte delle dita lungo i percorsi luminosi di Obito. Disegnò lunghe mezzelune sotto alle costole, sui fianchi, e si stava dirigendo verso gli stretti raggruppamenti muscolari delle sue anche quando sentì il suo sguardo scivolare in basso e un indesiderato calore gli pervase l'inguine. Decise di fermarsi per non spaventare ulteriormente il suo compagno di stanza quella notte. Ma il suo mantra del non affrettare le cose si indeboliva sempre più mentre l'aroma di muschio si faceva strada nella sua bocca.

Obito mormorò qualcosa che Kakashi non riuscì a comprendere. Allungò la schiena mente si stirava, poi di scosse in un brivido. «Non sapevo che le tue mani potessero essere così gentili.»

«Resti stanotte?» chiese Kakashi. «Fino al mattino questa volta?»

«Hm?» mormorò Obito, distratto o mezzo addormentato. «Cosa intendi?»

«Mi dispiace di averti toccato il cazzo,» aggiunse Kakashi in fretta. «Non lo farò più.»

«Eh? Hai toccato il mio...» All'improvviso il suo compagno di squadra si mise a sedere e Kakashi si appoggiò le mani in grembo osservando le ombre della pioggia che giocavano sulla sua pelle. «È la prima volta che ti sento chiedere scusa, e lo fai per qualcosa che non mi ricordo nemmeno.»

«Ma allora...» Kakashi avvicinò le sopracciglia. «Perché te ne sei andato? Pensavo fosse per quello che non rimani mai fino al mattino; sei saltato fuori dal letto così in fretta la prima volta, ho pensato di aver mandato tutto a fanculo.»

«No, io… che cosa?» Obito si premette il palmo della mano sulla fronte e scosse la testa. «Sono saltato fuori dal letto perché mi sono svegliato e ce l'avevo duro.»

Kakashi cercò di nascondere una risata, ma non riuscì a trattenerla in tempo, senza maschera. «Ed è un male? Un sacco di gente si sveglia così, anche le ragazze.»

Obito scosse la testa più vigorosamente. «No, amico, non io. Era tutto morto laggiù da quando mi sono svegliato dal coma. Stavo iniziando a pensare di essere stato un vegetale per troppo tempo, di avere ancora tutta l'attrezzatura, ma che non funzionasse.»
Kakashi rise. Cadde a faccia in giù e continuò a ridere. In realtà, si sentiva un po' in colpa, perché non ci aveva mai pensato, e sicuramente era una cosa che aveva preoccupato a lungo Obito, ma doveva essere stato troppo imbarazzante per lui per parlarne. Povero B, pensò Kakashi divertito, per tutto questo tempo ha pensato di essere calvo e impotente.

«Poi, Genma mi fa sempre battute sulla mia palla destra,» continuò Obito con tono burbero. «E io gli dico sempre che quella di sinistra funziona perfettamente, ma mi innervosisce perché pensavo che sapesse, non so come.»

Kakashi si immaginò Obito incazzarsi con l'esperto di veleni sbraitando di avere due testicoli funzionanti. Dovette davvero sforzarsi per reprimere le risate. «Genma dice quella roba solo perché sa che ti fa incazzare.»

«Un giorno gli stacco il cazzo!» ringhiò Obito, ufficialmente incazzato. «Allora vediamo se riderà ancora delle mie palle.»

Kakashi distolse lo sguardo e ridacchiò fino a diventare quasi delirante.

«Sei troppo fatto,» lo accusò Obito. «Ma...»

Kakashi sentì la mano del compagno di squadra sul suo fianco, e rotolò seguendo la sua trazione fino a quando non fu sulla schiena. Obito si inginocchiò accanto a lui.

«Grazie comunque,» disse. «In realtà, mi sento meglio adesso.»

Fuori, il vento sembrava urlare, e internamente Kakashi era a un passo dal fare lo stesso... perché il suo compagno di stanza incombeva su di lui e il suo naso gli stava sfiorando la guancia. Le labbra di Obito si chiusero nell'angolo sinistro sotto alla sua bocca. Lo aveva già fatto qualche volta, ma Kakashi si era reso conto solo ora che era perché lì aveva un neo. Sorrise, girò la testa finché Obito non fu costretto a baciarlo correttamente.

Kakashi avvolse il palmo dietro la nuca di Obito e gli spinse le dita nei capelli corti dietro all'orecchio. Non c'era nessuno questa volta a interromperli, quindi si sistemò, inclinò la testa e divise le labbra del compagno con la lingua. Gli mise entrambe le mani sul collo e sulla mascella per ottenere una buona angolazione e sentì Obito avvicinarsi, appoggiando la mano destra sulle coperte, la sinistra serrata sul fianco di Kakashi.

Stava ancora pensando a come mettere la lingua, quando la mano sul suo fianco cominciò a spostarsi su e giù mentre si baciavano. Obito gli spinse la maglia fino a esporre la pelle sotto alle costole. Quando il palmo del suo compagno di squadra gli toccò la pelle nuda, ruvido e bollente, Kakashi spostò la schiena nelle coperte e si lasciò scappare un suono che non avrebbe mai pensato di sentire provenire da se stesso.

Si era scopato mentalmente il suo compagno di squadra almeno dieci volte ogni mattina prima di fare colazione, e non in una singola di quelle fantasie era stato Kakashi a gemere sotto di lui. L'idea però non gli dispiaceva... con sua lieve sorpresa, anzi, era esattamente il contrario. Libri e immaginazione non reggono al confronto con le difficoltà di una vera relazione. Obito era una persona vera e Kakashi non poteva fargli recitare una parte.

Sapeva che il suo compagno di squadra faceva il grezzo di proposito, e, al contrario, non era intenzionalmente schietto; tutto quello che Kakashi doveva capire era come controllarlo, e come ottenere di più da lui.

Obito gli passò la lingua sul labbro inferiore e poi sparì. Lasciò Kakashi lì, ad ansimare nel buio.

«B...?» Kakashi aspettò di percepire il suo respiro prima di chiamarlo. «Obito!» Venne sorpreso da un sussulto improvviso quando la bocca aperta del suo compagno di squadra atterrò calda e umida nel mezzo del suo stomaco nudo. Tutto il corpo di Kakashi si contorse istintivamente, e si piegò verso l'interno. La lingua di Obito iniziò a muoversi. Kakashi si morse l'interno della guancia e lo colpi con la mano. «B... fermati, B.»

«Scusa.» Obito si allontanò ed emise una risata rauca e nervosa. Poi gli ribaltò la sua battuta: «Troppo in fretta?»

«No, ma se...» Kakashi fece un respiro profondo attraverso il naso prima di continuare con un tono molto più neutro di prima. «Se continui, mi verrà duro. Voglio solo assicurarmi che sia quello che vuoi.»

«Oh.» Obito si mise di nuovo seduto sulle ginocchia e si asciugò la bocca con l'avambraccio, continuando a guardargli la pancia come se volesse mangiarsela. «No, non so perché l'ho fatto. Volevo solo ringraziarti.»

Kakashi sollevò il braccio per nascondere il rossore nell'incavo freddo del gomito. «Che noioso,» sussurrò. Il cuore gli batteva veloce.

Il sangue gli aveva appena lasciato le guance, quando l’odore di muschio pungente del suo compagno di stanza si fece sentire chiaro di nuovo vicino a lui. Kakashi non si oppose quando Obito appoggiò la faccia al suo collo. Quando gli strofinò di nuovo la mano sulla sua parte inferiore del ventre, Kakashi si morse l'interno della guancia, scalciò e gemette.

«Continua a tentarmi...» Sbuffò, allontanando il braccio dal viso. «Fallo e giuro che...» Ti spremo fino all'alba, finì la frase non verbalmente.

«Okay, okay,» Obito si ritrasse. «Non sapevo che potevi fare tutti quei bei versetti, tutto qui. Adesso vado a dormire.»

Quando Obito rotolò via, Kakashi finalmente tornò un po' in sé.

Tutti quegli anni, aveva sottovalutato quanto bisognava essere vulnerabili per far sì che una relazione funzionasse; era sia terrificante che eccitante, e se Kakashi non avesse pensato che Obito avesse ancora delle riserve su loro due e dovesse pensarci ancora su, avrebbe sciolto tutti i suoi nodi quella stessa notte.

«Sono stanco di guardare questa ferita,» disse, tracciando la lunghezza della bruciatura da corteccia.

«Ci scambiamo?» mormorò Obito.

Non era sicuro di cosa significasse fino a quando il suo compagno di squadra non si alzò in piedi e si arrampicò su di lui per passare dalla parte opposta del letto. Kakashi si avvicinò per prendere il suo posto lasciato in caldo e Obito si sistemò alla sua sinistra, questa volta dietro di lui. Aspettò un po' e alla fine una mano sfregiata scivolò sul suo fianco e sentì la punta del naso che gli strofinava la nuca. Ma, a parte questo, non lo toccava con il copro.

«Ce l'hai duro?» Kakashi espresse il suo sospetto ad alta voce.

«No,» disse Obito. Si mosse alle sue spalle. «Un po'.»

Kakashi aspettò, con la lingua nell'angolo della bocca, dove indugiava ancora il ricordo del sapore del suo compagno di stanza. Poi, lentamente disse: «Posso aiutarti in qualche modo?»

«Va a dormire.»   

 


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Capitolo 10
*** Vacanze pt.1 ***


Gli shinobi non avevano molti giorni di permesso. Le vacanze erano una volta all'anno, durante la stagione delle piogge. Per circa un mese, i ninja del villaggio potevano riporre le uniformi e passare del tempo a fare rifornimenti, ricongiungersi alle famiglie e recarsi alle numerose feste che si tenevano in città.

La Festa dell'Oca era la più importante e trafficata, ma, negli angoli meno conosciuti del villaggio e delle comunità limitrofe, minoranze etniche e clan più grandi organizzavano altri eventi nei quali si poteva mangiare, bere e divertirsi in un sacco di modi. Quella della fioritura dei ciliegi, del sakè, e il festival delle barche-drago erano le preferite di Obito, soprattutto per il cibo e le bevande. In più, alla fine della stagione Konohagakure onorava le origini multietniche della Terra del Fuoco con un enorme Festival delle Luci.

Anche in tempo di pace, nella capitale giungevano migliaia di richieste di aiuto provenienti da tutto il paese. Il mondo shinobi era in fase di stravolgimento industriale e sociale, e la leadership del vecchio mondo provava a tenere a bada il progresso; questo significava che i ninja del villaggio dovevano spesso portare a termine missioni lontane; dall'espulsione di pericolosi membri della yakuza di città straniere, alla supervisione dei cantieri in campagna.

I civili che vivevano nella capitale si lamentavano delle loro giornate lavorative da dieci ore, dei datori di lavoro ingrati e dei trasporti inaffidabili.

Cazzate, pensò Obito.

Una volta aveva passato dieci giorni a supervisionare un incendio in un campo di canna da zucchero. E nemmeno lo avrebbe voluto accettare quel lavoro.

Gli incendi delle colture stagionali del Paese del Fuoco erano così vasti che alcuni settori richiedevano finanziamenti e risorse extra dalla capitale per gestirli e mantenerli. Una di quelle richieste annuali proveniva da una comunità agricola del sud, responsabile della produzione dell’ottanta per cento della canna da zucchero dell'interno paese. Era stata immediatamente contrassegnata come missione di grado A nei registri del Mission Control e tutti i Jōnin in attivo si erano ammucchiati fuori dalla porta dell'Hokage implorando di essere assegnati alla missione di grado A più facile della stagione. Quando Obito era stato scelto per andare con il convoglio, aveva dovuto farsi strada fra orde di teste di cazzo per riuscire a ricevere gli ordini alla base della Torre.

Obito non impazziva di gioia all’idea di fissare un fuoco palloso per due settimane. Fanculo, avrebbe preferito portarsi a casa una missione di grado D sbloccando scarichi intasati o inseguendo ladri per la Centosedicesima Strada. Ma quando il Mission Control gli aveva inviato la convocazione per posta e glielo avevano chiesto personalmente, beh... non aveva detto certo no a quella busta paga. Il guadagno di un grado A poteva sfamarti per un mese interno, se sapevi risparmiare un po'.

Cazzo, era chiaro: avrebbe dovuto fare il vigile del fuoco, nient’altro. La semplicità della missione non aveva però reso l’unità più amichevole nei confronti di Obito. Alcuni avevano addirittura osato esprimere i loro dubbi su quanto fosse adatto all'incarico. Un grande errore.

Obito ci stava ancora pensando e... Kakashi ha ragione, sono stato la causa di un gran bel numero di casini in passato. Ripiantare dentro al marciapiede un lampione sradicato era un vero lavoraccio... ma Obito non ci aveva pensato quando quella testa di merda di Quattordici-Dita Fuyomichi aveva deciso di insultarlo in mezzo alla strada.

Fino a quel giorno, Obito non sapeva che i lampioni fossero collegati a cavi elettrici sotterranei.

Causava così tanti danni ai beni pubblici che era considerato al pari di una calamità naturale nei registri dell'Hokage Public Security Bureau. C'era un intero fondo economico con il suo nome sopra, da usare in occasioni come quella sopracitata nella quale una testa di cazzo era andato da lui a rovinargli la giornata.

Una vera contraddizione: Obito sapeva di essere bravo a demolire le cose, ma odiava combattere. In effetti, aveva il temperamento di un pacifista, ma la violenza era l'unico linguaggio che conosceva e sembrava essere l'unico che certa gente capiva.

A chi riteneva di avere dei jutsu di fuoco migliori dei suoi, avrebbe solo voluto dire un bel vaffanculo: non avrebbe ceduto a loro la missione che il Terzo in persona gli aveva affidato. No. Non sarebbe successo... mi dispiace amico. Vattene via, tu e le tue dita in più.

Fuyumuchi però, quel giorno, non se ne era andato.

La cosa triste era che, mentre Obito era in missione a fissare quell'enorme incendio palloso, annoiato a morte e inalando fumi di zucchero, tutte quelle teste di merda che si erano accalcate davanti alla Torre stavano facendo una missione D che consisteva nel ripiantare a terra quel lampione e ripulire i suoi casini.

Kakashi gli aveva parlato della questione delle scommesse sul ring, ma si era dimenticato di riferirgli un dettaglio: Obito si era guadagnato il soprannome Tobi Dieci-Alberi.

Già, non vedeva l'ora di mettere le mani sullo stronzo che se lo era inventato.

Obito atterrò con su un cedro che segnava l'inizio dei campi neri. L'impatto rimbalzò dal legno alle sue caviglie e lo intorpidì fino al ginocchio. Ricadde appoggiando il culo per alleviare un po' la pressione e riprendere fiato.

Legato al grosso tronco del cedro c'era un refrigeratore d'acqua della capienza di cinque litri. Si trascinò fin lì per metterci sotto la faccia e premere l'interruttore. Era l'acqua più buona che avesse mai bevuto e per qualche istante Obito si crogiolò nell'istintivo piacere di dissetarsi. Chiunque fosse il responsabile della ricarica dei refrigeratori sul Monte Philo meritava un premio come cittadino dell'anno, cazzo, oppure uno di quei bei giubbotti di pelle dell'Hidden Leaf, o qualcosa del genere.

Obito lasciò andare la levetta, rilassò le braccia e si riposò sulla superficie usurata del ramo del cedro. Se avesse chiuso gli occhi sarebbe svenuto, ma questa volta non poteva permettersi di perdere la cognizione del tempo. Quella sera doveva andare in un posto.

Aveva impiegato un'ora intera per scendere dai campi neri senza usare la teleferica. Ce ne erano volute altre tre per arrivare lassù, ma era un gran miglioramento rispetto a quando aveva iniziato ad allenarsi in montagna.

Quando era piccolo, Minato-sensei portava spesso il Team 7 ad allenarsi oltre le mura. Solo il ricordo delle infinite camminate di dieci miglia lo stancava. A quei tempi, Obito si limitava a fare casini nei campi blu, e magari a volte in quelli rossi. La zona blu era per lo più composta da roba divertente: funi, monkey bar e reti. Ma ogni sezione di percorso a corde sugli alberi di Konoha diventava sempre più difficile mano a mano che si saliva per il fianco della montagna.

Il primo ostacolo dei campi neri era una fila di tredici tronchi verticali sospesi con catene, che pendevano uno accanto all'altro e ruotavano un po' nella brezza. L'idea era quella di passare alla piattaforma successiva usando solo quei tronchi senza punti per aggrapparsi, e non farsi prendere dal panico per via del vuoto fra gli alberi sottostanti. Quando Obito aveva ricominciato ad allenarsi, quella era stata la prova più tosta che aveva dovuto superare. Farsi strada abbracciando una dozzina di tronchi senza perdere la presa o aiutarsi con le catene che li collegavano aveva messo alla prova le sue capacità; i muscoli specifici che doveva usare per questo esercizio non erano gli stessi impiegati per pugni e calci; erano altri, più deboli e atrofizzati e per questo aveva fallito miseramente nell'esercizio; ancora, ancora e ancora.

Ora però possedeva la tecnica, la versatilità e la forza per attraversare tutti i campi neri in una sola volta. Poteva farlo anche con l'occhio buono chiuso. Era arrivato il momento di cambiare le routine e il terreno di allenamento.

A Obito sarebbero mancate le montagne. Là c'era silenzio, solitudine e, anche se lui ci andava per allenarsi, valeva la pena arrampicarsi sulla teleferica che attraversava il campo anche solo per farci un giro. Nel punto più in alto della zona nera, con una buona rincorsa, Obito riusciva ad afferrare la maniglia e volare per cinquanta metri con le dita dei piedi che sfioravano le punte degli alberi. La teleferica poteva portare gli shinobi più pigri da una piattaforma all'altra, indietro fino alla base sulla montagna e alla zona blu senza farli sudare.

Certo, se per qualsiasi ragione non riuscivi a rimanere appeso o se cadevi mentre ti muovevi a tutta velocità, la teleferica diventava davvero pericolosa.

Obito adesso era troppo stanco per scendere per l'intera montagna a piedi. Sarebbe arrivato in ritardo, come al solito.

Quando fu di nuovo a mente lucida, si mise in piedi, si ripeté di non avere le vertigini e si spostò verso la teleferica. Cercò di afferrare qualche volta una maniglia, fino a quando non riuscì a prenderla con la mano. Poi cercò la fune di sicurezza e non trovò nulla se non un cordino elasticizzato che pendeva dal parapetto, lacerato e sfilacciato all'estremità come se il gancio e il moschettone fossero stati strappati via. Obito si rimangiò l'elogio ai tizi che riempivano i refrigeratori d'acqua ogni giorno. Meritavano ancora una bella giacca di pelle, certo, ma, se quanto riguardava il premio per la cittadinanza, avrebbero dovuto pensare anche alla manutenzione delle funi di sicurezza.

Lo stava per fare: stava prendendo la fottuta teleferica, non c'era altro modo per arrivare in tempo. Non poteva allacciarsi alla fune di sicurezza, ma pazienza. Fottiti, K!

Il senso di colpa per aver disubbidito al suo compagno di squadra fece sparire la stanchezza e Obito riuscì a concentrarsi e fare il primo salto dalla piattaforma. La corda lo lasciò cadere nel vuoto per quasi quindici metri, fuori dagli alberi e lungo il fianco della montagna. Alla fine, la puleggia si bloccò e lo spinse in avanti. Obito assorbì il colpo con le braccia, rimase appeso, ma accidentalmente perse l'inclinazione dei gomiti a novanta gradi. La posa vacillò e i muscoli delle spalle gli si tesero dolorosamente.

Obito stava guadagnando velocità. Non poteva perdere di nuovo i sensi. Sarebbe stato troppo prevedibile svenire di nuovo.

Passò dal braccio destro a quello sinistro per non stancarsi troppo. Usare un braccio solo non era un problema per lui: era un ninja d'élite. Il Terzo in persona gli aveva chiesto di andare a fissare gli incendi.

Il tramonto stava spargendo i suoi morbidi petali sull'orizzonte e le cime degli alberi erano premature ombre nere. Obito adorava quel momento della giornata: il tramonto. Il vento gli colpiva la faccia con forza, ma non poteva certo prendersela, visto che era lui che gli stava passando attraverso a tutta velocità.

Poi successe qualcosa di strano.

Obito non aveva lasciato andare la maniglia, ma non la sentiva più nella mano. Forse aveva perso conoscenza? Strano, gli sembrava che i suoi occhi fossero rimasti aperti e una tenda scurissima gli fosse calata davanti. Non c'era più vento, ma lo sentiva ancora bruciare sulle guance. Più a lungo scrutava l'oscurità intorno a lui, più gli sembrava che avesse una forma, come se Obito fosse finito in un luogo buio. Aveva solo bisogno di fare luce...

Shhhhhhhhhhh!

Il rumore si trasformò in un suono lugubre che aumentò di volume, simile a quello dell’aria che si sposta e dell’acqua che scorre. Più Obito lo ascoltava, più gli sembrava chiaro, finché quel rumore non iniziò a essere interrotto da rametti che si spezzavano nelle sue orecchie.

Shhhhhhhhh-crack!

La barriera del suono si spezzò e lo spazio vuoto privo di luce collassò intorno a lui, dentro di lui, e Obito sbatté le palpebre mentre la luce inondò ancora una volta la sua vista. Si rese conto lentamente e con dispiacere che, di fatto, stava cadendo di nuovo.

Cercò di afferrare un ramo robusto, ma quando lo colpì quello si staccò e si frantumò come se il suo braccio fosse fatto di diamante. Obito quasi non sentì l'impatto.

Cristo santo! Se sopravvivrò Kakashi mi farà una ramanzina.

All'improvviso, l'oscurità calò di nuovo su di lui e Obito si agitò. Che cazzo sta succedendo?

La prima volta, magari, poteva essere davvero svenuto, ma questa era la terza volta che la sua coscienza faceva letteralmente un salto nel buio senza il suo permesso, e Obito era pronto a prendere il controllo di questo invasivo spazio oscuro e dargli una bella lezione...

Whumpf.

Tutta l'aria che aveva nei polmoni gli venne letteralmente sbattuta fuori e, quando colpì il terreno, per poco non gli uscì anche l'anima. Strizzò gli occhi e si ritrovò a faccia in su a fissare il cielo far le lontane punte degli alberi. La gravità gli fece tornare l'occhio nel cervello.

«Che... cazzo?» Il terreno grugnì sotto di lui.

Obito guardò in basso. Oh. Il suo atterraggio era stato stranamente morbido.

«Genma,» disse, piano. «Penso che tu mi abbia appena salvato la vita.»

«Non prenderla sul personale.» La risposta arrivò ovattata, un istante prima che l'esperto di veleni si spostasse velocemente e gettasse Obito sugli aghi di pino del sotto bosco.

«Se mi piacesse avere la faccia schiacciata a terra,» disse il suo accidentale salvatore, spingendosi le mani sulle ginocchia e sputando per terra, «starei ancora con Anko.»

La testa di Obito girava o, forse, erano il cielo e gli alberi e le montagne che stavano volteggiando intorno a lui. Pensò, delirante, di trovarsi proprio al centro dell'intero universo.

«Obito?» Genma scivolò sulle foglie e si mise seduto ai suoi piedi. «Yo.»

Obito provò ad articolare una frase, ma mormorò qualcosa nell'aria fredda della sera. Si sentiva come se fosse riemerso dalle profondità marine all'interno di una capsula pressurizzata, improvvisamente nell'aria rarefatta di una grande altitudine... come se stesse soffrendo gli effetti della decompressione o robe del genere.

«Obito.» Genma iniziò a scuoterlo. «Avanti, amico, riprenditi. Kakashi mi ammazza se ti riporto a casa deficiente.»

Obito ricevette una sberla che gli fece girare la testa, ma anche tornare in sé. Si mise sulle ginocchia e vomitò.

«Bene,» disse Genma con quel suo tono sociopatico, senza gentilezza. Si abbassò in uno squat accanto a lui. «Va bene. Fai uscire tutto.»

«Sta zitto,» grugnì Obito. Aveva i tremori. La combinazione del dolore muscolare e del puro terrore degli ultimi dodici secondi gli aveva fottuto il cervello. Sputò a terra un paio di volte, per ricordarsi come funzionava la fisica nel mondo e togliere il sapore di bile dalla bocca. Dopo un po' si sedette, contemporaneamente dissanguato e caldo allo stesso tempo.

«Oy.»

Nella mano tesa verso di lui, Genma teneva una borraccia. Obito la prese, la stappò con i denti e iniziò a bere. Era acqua ghiacciata. Sbatté gli occhi per ringraziarlo e le sopracciglia dell'esperto di veleni scattarono.

«Meglio?»

Obito si sdraiò sul terreno della foresta, poi si alzò su un gomito per continuare a bere.

«Da dove sei sbucato?»

Obito abbassò la borraccia, chiedendosi a che gioco stesse giocando Genma, perché la risposta era piuttosto ovvia. Si pulì la bocca con il braccio, ruttò più sonoramente di quanto non si fosse aspettato. Poi disse «sono caduto.»

Genma scosse la testa. «Non credo. Non ho sentito nulla fino a quando non eri proprio sopra di me.»

Obito forzò un'altra bolla d'aria fuori dal suo petto, si scolò il resto dell'acqua del suo compagno e gli restituì il contenitore. «Tu, sei scemo. Io, sono caduto.»

Genma prese il contenitore e si alzò in piedi, ancora con le mani tremati. «Stronzo, ti dico di no,» mormorò.

«Che ci fai qui fuori, comunque?» Obito si alzò, vacillò e si inclinò, poi si ricompose appoggiandosi a un albero ginkgo che doveva avere un tronco della circonferenza di dieci metri. «Pensavo avessi un appuntamento stasera.»

«Anche tu ne hai uno.»

«Cosa?» Obito rise, raggiungendo una nota più alta di quanto non avrebbe voluto. «Io e- No, non è così. Me l'ha chiesto prima che quella cosa succedesse fra noi. Noi siamo, voglio dire, stiamo solo, andiamo come... andiamo tra uomini.»

«Beh,» rifletté l'esperto di veleni, infilandosi le mani in tasca e iniziando a incamminarsi per il bosco. «Fammi sapere se hai bisogno di consigli sul come uscire 'tra uomini' stasera.»

Obito fece un passo, vacillò ancora e si premette un palmo sulla fronte. «Aspetta,» gli disse, raggiungendolo. «Che intenti?»

Il giovane Jōnin si strinse nelle spalle, muovendosi con calma e camminando a passo sicuro lungo il sentiero di montagna. Evitò un ruscello secco, montò sul tronco sdraiato di un albero e si voltò verso Obito, che barcollava dietro di lui. Il bosco era invaso da colonie di spesso muschio verde brillante. Sembrava morbido, accogliente e profumato: Obito avrebbe voluto rannicchiarsi e dormirci dentro.

«Andrai vestito così?» La collana nera di Genma lo faceva sembrare decapitato in quelle profonde ombre scure, come se la testa stesse levitando sulle spalle.

Obito si tirò il collo della maglia da allenamento, improvvisamente imbarazzato. Era molto vecchia e le aveva strappato le maniche quando era uscito dal coma e aveva scoperto di odiare le maniche. Non gli piacevano nemmeno i pantaloni, e neanche le calze.

«Ecco una cosa che ho imparato tanto tempo fa,» continuò Genma, scendendo dal tronco con le mani ancora in tasca. «A volte sei povero, ma non devi mai sembrare un poveraccio.»

«Vaffanculo.» Obito saltò dopo di lui e si fermò sul sentiero di montagna. Lasciò cadere la fascia e la borsa, li adagiò nei cespugli e si tolse la maglietta. Poi iniziò a rovistare.

Poco prima, quando aveva tirato fuori il pranzo, aveva notato un capo di abbigliamento comparso dal nulla. Gli ci volle solo un attimo per ritrovarlo, e lo tirò fuori; una delle maniche si srotolò e qualcosa colpì il terreno della foresta con un suono metallico. Obito scrollò il maglione per le spalle e raccolse l'oggetto caduto; era una delle scatole di mentine allo zenzero di Kakashi. Aprì il coperchio e guardò dentro, poi si voltò per vantarsi con il suo compagno altezzoso, perché K-dot gli aveva letteralmente impacchettato un maglione e uno spinello. Quando Obito alzò lo sguardo però, Genma alzò gli occhi e il suo sorriso storto sembrò ancora più beffardo del solito.

«Ti sta bene il nero.»

Bastardo, pensò Obito arrossendo. Mise da parte la scatola e si sistemò alcune pieghe di tessuto sul petto.

«Dove stai andando?» gridò a Genma, arrancando dietro di lui.

«Ho una missione,» rispose, freddo come l'inverno. «Un fiore. E una ragazza.»

Obito sbuffò. «I gigli rossi fioriscono solo al chiaro di luna. È a malapena il tramonto.»

«Sarò fortunato,» disse Genma saltando su un ripido strapiombo di rocce e limo. «Mi merito di essere fortunato.»

Che idiota, pensò Obito. «Da quanto esci con Anko?»

«Oh, non stiamo insieme, non più. Ci abbiamo provato per un po' quando eravamo più giovani, ma non ha funzionato.»

«Con Raidō allora?»

Genma sorrise. «Ma per piacere. Se hai vissuto con qualcuno così a lungo da poter rispondere alle sue domande con una scoreggia, una relazione ormai è agli sgoccioli. È un bravo cuoco e lo amo, è mio fratello... ma quel ragazzo ha la faccia da comatoso.» Poi Genma sbiancò. «Oh scusa...» Fece una pausa come se si fosse appena ricordato di aver lasciato il fornello acceso. «Non avrei dovuto dirlo? A volte dimentico che non sei mai riuscito a fare i conti con l'essere il membro meno attraente del tuo clan.»

Obito strinse i pugni, ma dovette allentarli per arrampicarsi lungo il pendio.

«E se devo essere sincero,» continuò Genma pigramente, «penso che le cicatrici ti abbiano aiutato in quel senso.»

«Gen-ma!» ringhiò Obito lanciandosi con ritrovato vigore sulla parete. «Se ti prendo ti butto giù da questa fottuta montagna!»

L'esperto utilizzatore di veleni guaì, aumentando la velocità della salita. Obito si lanciò verso di lui, che però era già salito per mantenere una certa distanza di sicurezza.

«Ascolta, nulla di personale,» gli disse quando raggiunsero entrambi la cima. «Gli aghi sono i miei strumenti, il veleno il mio elemento, sono abituato a mirare ai punti deboli del mio avversario; non posso farci nulla! Sei un bersaglio enorme, facile da colpire. A ogni modo, a parte le unghie disgustose, non sei male in fondo

«In... fondo?» Obito ansimò, appoggiandosi le mani alle ginocchia.

Genma unì le mani di fronte alla sua faccia e poi le separò come se gli stesse mostrando la forma dell'arcobaleno. «Fondo schiena.»

Obito arrossì mentre comprendeva il doppio senso e colpì il terreno con la mano, lanciando una manciata di terra al suo compagno sghignazzante. Genma schivò e rise più forte.

Avevano raggiunto uno sperone di roccia, eretto in alto sul lato più ripido della montagna. La radura era contornata da un groviglio di alberi e viti striscianti e quella pianta tossica che non si cura di soffocare gli alberi e uccidere i suoi cugini durante la sua secolare ricerca della luce del sole.

Genma si schermò gli occhi con la mano e scrutò la parete di roccia incombente. Al centro il terreno si abbassava, formando un incavo simile a un teatro o a un garage inclinato. «È questo il picco?»

«No, questa è al Sedia del Diavolo,» disse Obito facendosi strada verso l'avvallamento. Al centro sorgeva una catasta di pietre, con tavole sul tetto che creavano un piccolo tempio o una sedia di pietra. Si arrampicò su per la struttura, all'ombra della sporgenza e appoggiò le spalle alla sua fredda faccia di pietra. All'altezza esatta della sedia, il boschetto di grovigli sembrava aprirsi, e poi richiudersi intrecciato. I colori del tramonto sbocciavano come fiori meravigliosi negli spazi fra gli alberi.  



 

«L'ultima volta che sono venuto qui ero un bambino,» disse Genma.

«Minato-sensei ci portava sempre qui.» Obito si tolse un sasso da sotto il culo e lo gettò giù per il pendio. Lo immaginò cadere fino ai piedi della montagna.

«Sì, mi ricordo degli allenamenti qui, nei campi blu.» Genma camminò con passo sicuro e rallentò nell'ombra dello strapiombo. «Ma non mi ricordavo questo posto.»

«Ovvio, non ci viene mai nessuno,» spiegò Obito, saltando giù dalla Sedia del Diavolo. «O non conosci la leggenda dell'Uomo Caduto

Genma strinse le spalle. Era così sicuro di sé che non lasciava mai trapelare nulla.

«Tanto tempo fa,» iniziò Obito, «quando i tre campi sono stati edificati, le squadre addette agli scavi volevano costruire anche da questa parte della montagna. Ma quando iniziarono a perlustrare il territorio, il fratello del caposquadra scomparve. Lo cercarono nel bosco e scoprirono una caverna nascosta da qualche parte tra queste rocce. Dentro trovarono una fossa. Il caposquadra sentì suo fratello chiamarlo dal fondo. Nessuno sapeva quanto fosse profonda, nessuna luce poteva illuminarla. La squadra gettò funi, che però non raggiunsero nessuno, e il tizio continuava a urlare chiedendo aiuto. Alla fine, il caposquadra scese nella fossa. Tornarono su solo la corda e qualche straccio sporco di sangue. L'Hokage mandò qualche shinobi a controllare,» continuò, strofinando i sassi umidi con le dita, «ma nessuno che abbia trovato quella fossa è mai tornato. Poi la spedizione venne cancellata; ed ecco perché i campi d'addestramento sono solo sul lato est della montagna. La leggenda dice che l'Uomo Caduto vive laggiù, in quel buco, e attiri le vittime negli inferi.»

La sfera arruffata di alberi e piante rampicanti nel boschetto sulla collina aveva assunto un'aria più inquietante nella penombra. Ombre che sanguinavano dai suoi solchi.

Genma guardò la roccia rugosa e si accigliò. «Okay, ma sono solo voci. Non è successo davvero, no?»

Obito continuò a farsi strada sotto al picco, più in profondità nei suoi meandri rocciosi. Il suo compagno era rimasto indietro e indugiava di fronte alla sedia del diavolo. «Posso mostrati la Tana, se vuoi.»

L'espressione annoiata di Genma si spezzò e l'ago senbon si agitò pericolosamente nell'angolo della bocca. «L'hai trovata!?» Si affrettò lungo il terreno dissestato e lo raggiunse proprio mentre Obito si arrampicava dietro un angolo nascosto dalla luce del sole.

«Sì,» rispose Obito sondando la pietra per cercare appigli. Cominciò a sollevarsi e attraversare una parete a nido d'ape. «Quando eravamo bambini, K e io ne abbiamo sentito parlare e abbiamo deciso di dare un'occhiata. Poi mi ha sfidato a passare la notte lì e io l'ho sfidato a farlo quella stessa notte e... eravamo due idioti.»

«Cos'è successo poi?»

«Diventa stretto qui,» lo avvisò Obito. «Spero che tu non soffra di claustrofobia.»

Il passaggio era molto più stretto di quanto non ricordasse, in effetti. L'ultima volta che era stato lì era più piccolo. Si mosse attraverso uno stretto passaggio che lo fece appiattire con un pancake umano. Se fosse cresciuto di più, non ci sarebbe passato.

Le ragnatele gli sfioravano la faccia e Obito starnutì quando qualcosa gli solleticò il naso. Alzò gli occhiali e attivò lo Sharingan, ma ormai era lontano da qualsiasi cosa sulla quale la luce potesse riflettersi. Il sudore gli colò sulla fronte. Solo il suono di Genma che scivolava dietro di lui lo faceva continuare a muoversi. Doveva continuare a camminare. Avanti, avanti nel buio. Le rocce sembravano inalare ed espirare intorno a lui e per un istante Obito si ricordò del dolore che aveva provato sotto al peso schiacciante di una circostanza simile, ma molto diversa.

«Non vedo un cazzo.» Genma lo afferrò. «Obito?»

«Hm.»

«È questa la strada che tu e Kakashi avevate fatto?»

«Già,» disse. «Ci siamo quasi.»

«Avete davvero passato qui la notte?»

«Ci abbiamo provato.» Obito sbuffò spingendosi in avanti, il panico gli scorreva nel sangue. «Abbiamo trovato la Tana, ma nessuno di noi due è riuscito a dormire con quella fossa nera nel pavimento. Poi, a metà nottata, abbiamo sentito qualcosa che chiamava.»

«Dalla buca? Mi stai prendendo per il culo,» sibilò l'esperto di veleni. «Cos'era?»

«Non ne sono sicuro,» disse, sforzandosi per ricordare. «Sembravano voci, e poi… qualcosa che ci inseguiva. All'inizio erano solo piccoli suoni, qualcosa che scivolava sulla roccia, ma poi abbiamo sentito graffiare, scavare, qualcosa che si trascinava, strisciava sempre più vicina fino a quando l'eco l'aveva fatta sembrare tutta intorno a noi.»

«Che cosa avete fatto?» chiese Genma.

Un barlume di luce splendeva poco più avanti. Obito emise un sospiro di sollievo, disattivò lo Sharingan e si trascinò attraverso la fessura nella roccia fino a una camera grande circa la metà della sua stanza da letto. «Kakashi ha fatto un buco nel soffitto.»

Le pareti della Tana del Diavolo si inarcavano a due metri di altezza. La fonte della luce era un'apertura nel soffitto abbastanza ampia da consentire alle spalle di due bambini idioti di passare; un raggio di luce ambrata filtrava nell'apertura e cadeva nell'abisso sul pavimento, come una stella della sera bloccata nell'orbita da un buco nero. Obito venne trasportato indietro a quella notte di tanti anni prima e si ricordò di quanto si fosse spaventato a morte, ascoltando l’oscurità insinuarsi dal buco nel pavimento. Si ricordò di quanto la luce lo avesse confortato.

«Quindi,» iniziò Genma, appoggiandosi contro il muro come se pensasse che la fossa potesse espandersi all'improvviso e inghiottirlo. «Cosa c'è là sotto?»

Obito si avvicinò al buco e si piegò sulle ginocchia per guardare in profondità dentro quel vuoto. Dopo un attimo, sbuffò, poi tirò su con il naso, così forte da farlo echeggiare nelle pareti della caverna. «Niente. Qualunque cosa malvagia ci fosse qua dentro non c'è più da tempo: abbiamo fatto un buco nel soffitto. I rumori che abbiamo sentito erano quelli del gruppo di ricerca che erano venuti a cercarci. Almeno, è quello del quale ci siamo voluti convincere.»

«Qualcuno aveva fatto la spia?»

Obito si strinse nelle spalle. «Rin era preoccupata per noi.»

Finalmente si allontanò dalle sue paure d'infanzia e scrutò il raggio di luce che cadeva dal soffitto. Kakashi era stato un cazzo di eroe quella notte. Obito non glielo aveva mai detto.

Il suo compagno di squadra era sempre stato bravo a scacciare l'oscurità, mentre Obito sapeva solo viverci dentro.

Infilò un piede in un anfratto del muro e cominciò a farsi strada verso l'alto, afferrando le radici degli alberi sotterranee a mano a mano che si avvicinava alla superficie. Afferrò l'apertura e si issò a terra. Si stava girando per afferrare Genma, quando notò qualcosa sulla collina erbosa.

«Sei proprio un bastardo fortunato!» disse allungando il braccio al Jōnin e tirandolo fuori della portata del Diavolo.

«Huh-?» Genma si tolse un po' di polvere dal cappotto, poi si guardò intorno. «Oh cazzo! Guarda qua!»

Contro ogni previsione, c’era una manciata di gigli rossi sparpagliata sull'erba selvatica. Obito si chinò e sfiorò uno dei fiori con il polpastrello; era carnoso, tiepido e asciutto. Al centro era arancione brillante e alle estremità di ogni petalo appuntito sbiadiva in un colore simile a quello delle pergamene. Genma si chinò per afferrarne uno vicino alla base e tagliarlo alle radici, poi se lo infilò nella tasca sul retro della cintura.

«Fatto,» disse alla fine. «Evvai!»

Obito lanciò un'ultima occhiata ai fiori rari che sbocciavano nel momento sbagliato della giornata intorno al buco nella collina e si voltò, felice di lasciarsi tutto alle spalle.

Lui e Genma calciarono di nuovo le rocce giù per il pendio, velocizzando tacitamente il passo mentre gli alberi allungavano le ombre intorno a loro.

«Genma?» disse Obito, dopo averci pensato per dieci volte ed essersela fatta sotto. «Sei mai stato con un ragazzo?»

L'esperto di veleni si fermò bruscamente alla curva successiva del sentiero di montagna. Sorrise con un ghigno contorno. «Sapevo che ti arrapavo.»

Obito si accigliò.

«Vorrei poterti aiutare, ma sono etero.» Genma alzò le mani e scrollò le spalle. «La mia regola è: capisci cosa le piace, e fallo

«E come ti vanno le cose?»

«Non molto bene,» ammise senza vergogna. «Ho scoperto che le donne non sono grandi comunicatrici.»

Obito espirò forte attraverso il naso. «È diverso con loro, non funziona come tra te e Raidō.»

«Esatto...» Genma si mise le mani dietro al collo e riprese a muoversi con sicurezza per il sentiero. «Se Anko avesse riso di una mia scoreggia, una volta ogni tanto, forse fra noi le cose avrebbero funzionato.»

Obito non riusciva davvero a capire il senso del discorso, ma non disse nulla. Probabilmente non avrebbe dovuto chiedere consigli a un adolescente sociopatico, ma Genma era molto percettivo, anche se a modo suo. Valeva la pena provare.

Obito si annusò l'ascella e si levò un po' di ragnatele e detriti che gli erano rimasti attaccati al maglione. In bocca aveva un sapore leggermente acido e il sudore sulla sua pelle si era asciugato. Era un disastro. Non sapeva nemmeno perché si fosse preso la briga di arrampicarsi fino a quel buco per una seconda volta.

«Non so di cosa ti preoccupi.» La voce affilata di Genma si fece strada attraverso il bosco. «Fino a qualche tempo fa il Lupo Bianco di Konoha barcollava per il vicolo del piscio solo per te...»

«Huh?» Obito si grattò via un po' di terra dall'orecchio e qualche seme di albero dalle scapole. «Di che parli?»

«Ma-an,» canticchiò Genma con le mani dietro al collo, continuando a camminare come se fosse il padrone della montagna. «Ci sono stati dei giorni nei quali Gai ha sollevato di peso il tuo amico dal pavimento solo per convincerlo a presentarsi in servizio. Se andava bene si presentava alla FOB con due ore di ritardo, sempre con i postumi di una sbornia e una pessima scusa.»

Obito si corrucciò. «Kakashi non beve.»

«Forse è per quello che per lui è così facile finire a terra. Te lo dico, Obito: quello era un Kakashi diverso. Non ho mai visto nessuno con così pochi obiettivi nella vita. Il più giovane capitano ANBU di cui avessi mai sentito parlare si trascinava in giro come un vecchio veterano in rovina. Era patetico.»

«Sta zitto!» Obito scattò, non sicuro di chi stesse difendendo.

Anche Kakashi a volte era triste, ma loro due non vivevano la tristezza allo stesso modo. Proprio come la maggior parte delle persone separa i calzini dalle mutande, Kakashi divideva le emozioni dagli obblighi, organizzava tutto e metteva ogni cosa al posto giusto. Aveva dei determinati momenti della giornata per essere triste, ovvero quando andava al Cimitero Monumentale e stava lì impalato come una fottuta statua.

«Ti sto solo dicendo che era una persona diversa.»

«E quindi?»

«Quindi, mani-grasse,» Genma gesticolò, come se Obito avesse mancato qualcosa di ovvio. «Non so perché sei così nervoso.»

Non era nervoso. Era in piena crisi adolescenziale. Genma non riusciva a capire quali conflitti stesse vivendo, o di cosa stesse parlando... ma Obito non era molto interessato a condividere le sue preoccupazioni con il suo strambo compagno. Camminarono in silenzio fino a quando il sentiero non si uniformò. La foresta si diradò in pochi alberi. Saltarono via un torrente rumoroso e i grilli iniziarono a cantare nei bassi cespugli.

«È solo che, a volte,» Obito si passò una mano sui capelli e il sangue gli fluì in faccia. «Vorrei fare cose con lui, ma non sono sicuro di come fare.»

Genma si fermò. Sembrava davvero sorpreso. «Sei serio? Con quella gigantesca biblioteca porno nell'appartamento?»

«No,» disse Obito, confuso. «Non è tutto… voglio dire, è diverso…»

«Usa l'immaginazione,» ridacchiò Genma. «Cazzo. Saprai come lo fanno i cani, dopo aver vissuto così tanto con Kash.»

Obito deglutì e le narici gli si allargarono. Anche se era ancora restio a chiedere consigli di quel tipo a Genma, doveva ammettere che forse aveva ragione lui: le cose sarebbero state più semplici se avesse smesso di pensarci così tanto.

Ma i libri non erano stati d'aiuto. Non dicevano nulla sulle cose che Obito avrebbe voluto fare, e temeva di apparire strano. C'erano delle volte nella quali non voleva altro che affondare la faccia nella pancia morbida del suo compagno di squadra, a volte succedeva che Obito si svegliasse al mattino pensandoci.

Avevano passato solo due notti insieme, in parte perché a Obito non andava di spostare la coperta e tornare nella stanza dei ragni… ma soprattutto perché, anche se lui e Kakashi dormivano più o meno nella stessa posizione, si svegliavano sempre spostati e allargati come stelle marine per il letto; era terribile doversi allontanare da quel letto accogliente al mattino.

Obito pensò al suo futuro e vide una sequenza infinita di erezioni fastidiose nel letto di Kakashi. No, pensò, qualcosa deve cambiare. Uno di loro, o entrambi, avrebbero dovuto cambiare le cose e porre fine a quella situazione o Obito non avrebbe avuto altra scelta se non quella di arrendersi al suo istinto più selvaggio... e poi probabilmente avrebbero ridefinito tutto partendo da lì. Ma Obito non sapeva come fare, perché non era sicuro nemmeno se fosse giusto stare davanti, oppure dietro a Kakashi. Forse poi, se lo avessero fatto, sarebbero stati come Genma e Anko; forse non avrebbe funzionato e sarebbero tornati a essere… cosa? Compagni di stanza che a malapena si sopportavano.

Una volta che il Monte Philo fu dietro di loro e la porta nord della città fu visibile, Obito si irrigidì ancor più della volta nella quale gli erano cadute addosso tutte quelle rocce. Fecero un cenno alle guardie delle mura e preferirono balzare oltre il confine piuttosto che farsi aprire il portone della città. Dalla cima del muro esterno si poteva vedere un gruppo di edifici alti nel cielo sopra al villaggio. Il lontano bagliore festoso di Green Lake Park faceva a gara con l'inquinamento luminoso urbano.

Girarono attorno al muro, fecero qualche balzo nell'anello esterno e si fecero strada sui tetti bassi e bui. Attraversarono il ponte, il borgo e la balconata salendo sempre più in alto a mano a mano che si avvicinavano al centro della città. Quando saltarono giù, sul perimetro del parco, i muscoli di Obito bruciavano e i raggi del sole stavano appassendo dietro alle mura della città. Aveva le gambe molli e non riusciva a non darlo a vedere.

Genma lo spinse malamente verso la porta est e pagò due biglietti prima che Obito potesse sbattere gli occhi annebbiati dal sonno.

«Non fraintendere, adesso,» lo avvertì, spingendogli la matrice del biglietto in mano. «Kash ha pagato per Anko e mi ha detto di pagare il tuo ingresso in cambio. È un appuntamento invertito. Ora tutto quello che dobbiamo fare è...» Genma fece una pausa, scrutando tra l'immensa folla. «Trovarli,» concluse.

Obito affondò le mani nelle tasche dei pantaloncini, scrollò le spalle e scosse la testa. «Seguimi.»

«Giuuusto,» disse l'esperto di veleni, trotterellando dietro di lui. «Mi ero scordato che lo Sharingan è come un radar. È davvero utile. O forse avete una capacità speciale da gemelli di bulbo oculare? Non lo devi accendere?»

Obito scosse la testa.

«Cosa c'è? Perché sei così serio all'improvviso?»

«Sta un po' zitto, Shiranui,» disse. «Non sai cosa vuol dire avere una storia di merda scritta sulla faccia.»

Il ninja smilzo sospirò e gli mise un braccio intorno alle spalle. «Beh, hai ragione, non c’è che dire.»

Obito era troppo impegnato a farsi scudo contro la folla impetuosa per preoccuparsi di scrollarsi di dosso quel falso conforto. La gente si era disposta a collo di bottiglia tra due grandi colonne di venditori di cibo e tende con i giochi. La musica non lo rilassava affatto. Obito desiderava il suo letto. Il tè. Un fumetto, forse. Lo stomaco pallido di Kakashi.

«Credo di vederli,» mormorò.

Vide solo di sfuggita i capelli scuri di Anko e quelli straordinariamente bianchi di K-dot, ma notò un'altra cosa. Obito ruotò intorno all'angolo più vicino e si accovacciò tra due tende, nascosto da quella moltitudine.

«Ma cos...?» Genma gli si mise accanto. «Cosa succede?»

«Mi piacerebbe sapere,» iniziò Obito, scuotendosi di nuovo, «chi è lo stronzo che gli ha messo dei fiori nei capelli.»

Genma inarcò un sopracciglio, si alzò e inclinò la testa per sporgerla da quell'angolo nascosto. Poi ricadde sui talloni. «Woo,» mormorò. «Non so chi guardare tra i due.»

Obito fendette l'aria con un pugno, furibondo. «Avevi detto di essere etero!»

Genma agitò una mano. «Gay ed etero sono più che altro delle linee guida. Diciamo che nove volte su dieci vado dietro a una femmina. Una su dieci, a un uomo. Ma deve avere proprio le carte in regola. Odio dovertelo dire, Obito, ma per la maggior parte delle persone… Kakashi è quello giusto.»

Obito gemette, premendosi i palmi delle mani sulle orbite. K sembrava sempre un cazzo di Serafino in mezzo a un gruppo di sporchi nematodi... come cazzo avrebbe fatto a reggere il confronto con tutti quei semi volanti che gli uscivano dalle orecchie?

«Obito,» disse Genma, con tono saggio. «Quello che senti in questo momento sono le tue palle che ti parlano, ti dicono di andare e attaccare, fare a pezzi il mondo per la tua bella! Ti sei appena svegliato dal Grande Sonno, quindi, probabilmente non ci sei abituato. Parte del diventare un uomo, mio caro amico, è imparare a capire cosa ti dicono le palle: sta a te decidere quando ascoltarle e, più importante, quando lasciar perdere e svignartela.»

«Penso,» rispose Obito. «che mi stiano dicendo di sbatterlo contro un muro e farlo mio.»

«Oh.» Genma fece una pausa. «Beh, okay. I loro messaggi a volte possono essere difficili da esperire a parole.»

«Non credi...» Obito si mise la faccia tra le mani. Era nel panico. «Che dovrei uscire con qualcuno, sai, che sia almeno della mia stessa specie

«Yo, devo schiaffeggiarti di nuovo? Non fa bene alla mia reputazione picchiare le femminucce, sai?»

Obito si mise subito sull'attenti, sputò e sibilò. «Vaffanculo.»

«Bene,» Genma annuì e allungò la testa sopra la tenda per scrutare la folla. «Sono alla tenda della schifezza-sul-bastoncino. Andiamo.»

Obito venne strappato fuori dall'ombra e Genma gli mise di nuovo il braccio sulle spalle per guidarlo. Ogni passo era una sofferenza.

Quando furono vicini, l'esperto di veleni urlò per chiamarli. Anko si girò. In mano aveva un bastoncino con degli scorpioni fritti. Obito si liberò dal fastidioso tocco del suo collega e scivolò come un cucciolo colpevole al lato del suo compagno di squadra.

«B?» Kakashi sorrise, avvolgendolo con un braccio. «Che c'è che non va?»

Obito nascose la faccia nel collo di Kakashi, felice che per una volta la sua maschera fosse al suo posto. Non ce l'avrebbe fatta a vedere quei nei carini, in quel momento. Voleva ancora tornare a casa, ma le sue palle gli stavano dicendo di restare ancora un po'. «Niente.»

«È successo qualcosa?» mormorò Kakashi, piano.

Obito sapeva che comportandosi in quel modo aveva suscitato una leggera curiosità tra i suoi compagni Jōnin, sentiva i loro sguardi pesanti sulla sua schiena. Cercò di non curarsene; Kakashi era la cosa più simile a una casa che Obito avesse e, dopo una giornata come quella che aveva avuto, aveva davvero bisogno di sentirlo vicino. «Siamo andati alla Tana del Diavolo.»

Kakashi sbarrò un po’ gli occhi. «Perché sei tornato lì?»

«Non sono sicuro,» rispose piano, scrollando le spalle contro di lui. «Per vedere se riuscivo ancora a uscirne, credo.»

«Maa, Obito,» disse dolcemente. «Non ci ha sconfitti quella volta, non può sconfiggerci adesso.»

«Quindi che ne dici, Kash?» li interruppe Genma. «Facciamo uno scambio? La ragazza più bella del villaggio per Tobi Dieci-Alberi.»

Obito si irrigidì e girò l'occhio buono verso il Jōnin. Era stanco degli abusi verbali di Genma e pronto a spaccare un paio di teste se avesse significato liberarsi per tutta la sera da quelle provocazioni. Dopo il tempo che avevano trascorso insieme, tutto ciò che Obito aveva imparato su Genma era che non era altro che un coglione troppo sicuro di sé e una compagnia terribile.

«Oh, ehi,» Kakashi gli impedì di accanirsi contro il loro compagno afferrandolo per un braccio con la mano. «Questo è per te.» Si avvicinò e mise intorno al collo di Obito qualcosa di pesante. Kakashi gli aveva preso... una catena?

Genma fece un fischio di apprezzamento. «Splendente.»

Obito abbassò lo sguardo e toccò le maglie argentate e lucide sul maglione nero. Il fresco contatto del metallo sulla parte posteriore del collo era rilassante. Parte del suo nevrotico calore si placò all’istante. «Grazie, K,» mormorò.

Gli occhi del suo compagno di squadra si strinsero e Obito capì che forse Genma aveva fottutamente ragione su un po' di cose... ma soprattutto su queste: quello era un appuntamento; Obito era un ingenuo; e Kakashi era quello giusto.

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Capitolo 11
*** Vacanze pt.2 ***


Quando il sole tramontò, alla Festa dell'Oca si accesero le torce. Tanto tempo prima, durante l'autunno, i contadini e i mercanti di tutto il mondo viaggiavano fino alla capitale, sperando di poter approfittare dell'abbondanza di riso che seguiva il raccolto. Le oche non erano native di Konoha né della regione; quegli uccelli strani e rumorosi venivano condotti ogni anno da nord per essere commerciati e gli abitanti di Konoha e della campagna circostante associavano la alle oche che scorrazzavano per le strade. Una volta, agli uccelli venivano messi degli stivaletti in pelle per proteggere le zampe durante il lungo viaggio.

E così, le vacanze divennero note come Festa dell'Oca.

Negli ultimi anni, non c'era stato nessun esodo di pennuti; la festa si era evoluta ed era passata da un evento di commercio di bestiame a una nottata piena di rumori e divertimenti dentro e oltre le mura della città.

A Kakashi, più che le feste dedicate ai fiori autunnali, interessavano quelle dei combattimenti.

Il capo del Hokage's Public Relations Bureau promuoveva i festival di combattimento alla Foglia descrivendoli come celebrazioni alla salute e alla sportività. I monaci sostenevano che quelle grezze risse fossero una forma di preghiera.

Kakashi non avrebbe saputo dire se le risse tra ubriaconi e il baccanale dei festival dei combattimenti fossero davvero graditi agli dei, ma cazzo, sicuramente piacevano a lui. E a un sacco di giovani uomini che vivevano in città. C'era chi deve che quei tornei erano semplici, brutali e poco eleganti… e Kakashi non poteva negare che fossero essenzialmente risse di massa con il banale obiettivo di buttare giù qualcuno da un pilastro, ma la natura competitiva di quegli scontri aveva reso le vacanze delle cerimonie momenti da venerare. Qualunque fosse il punto di vista, la città aveva sempre ospitato grandi spettacoli di sacra violenza dalla fondazione delle nazioni shinobi.

Il fine settimana seguente si sarebbe tenuto uno spettacolo del genere: il Festival dei Mille Guerrieri, un evento di due giorni che attirava turisti e viaggiatori provenienti da tutto il paese con la sua musica dal vivo e le danze, le dimostrazioni di antiche arti marziali e gli spettacoli messi in scena da compagnie teatrali molto qualificate che si recavano a Konoha solo in quell'occasione. A Kakashi piaceva per gli anelli di kendo, i tornei, le partite di sumo e le feroci lotte di mikoshi.

Ogni anno, al Festival dei Mille Guerrieri, alcuni cuori sarebbero stati conquistati, alcuni amici traditi, e molto sangue sarebbe stato inevitabilmente versato.

Lui e Anko avevano camminato lungo il viale ai margini del parco fino a quando flauti, campanelli e tamburi taiko non avevano iniziato a diventare ridondanti. I venditori, di solito, riuscivano a distinguere gli shinobi dai civili e quindi, per la maggior parte del tempo, avevano camminato in pace. Gli ambulanti meno consapevoli non avevano la stessa avvedutezza; fermavano dozzine di persone sulle strade e i ponti del Green Lake Park. Cantavano, toccavano e urlavano i loro slogan così forte da soffocare le altre voci. Usavano gli spettacoli, i giri di parole, i trucchi di magia. Mancava solo che si mettessero a evocare un demone e fargli girare la testa sul collo… tutto per attirare l'attenzione sulle loro merci. Alcuni di questi rumorosi maestri del commercio erano talentuosi, esperti nell'arte dello sviare, così invadenti da essere affascinanti, ma la maggior parte di loro erano solo bugiardi irsuti che non rispettavano gli spazi personali.

Non appena Anko aveva lanciato un'occhiata a un espositore di bracciali di giada, una vecchia donna le aveva afferrato il braccio. Un grande errore.

Si erano lasciati il traffico di quel viale alle spalle, imboccando la silenziosa strada secondaria sul lato orientale del parco. Le bancarelle avevano lasciato il posto alla vista sulle acque del lago placido e una fila di alberi di ginkgo disposti lungo una ringhiera; dalla parte opposta, alcune tende dei giochi illuminate, un uomo che vendeva schifezze su dei bastoncini; più in là, la strada finiva nell’oscurità per lasciare il posto a un paesaggio ben tenuto, giardini radi e il silenzioso patio degli scacchi.

«Non credi di aver esagerato?» chiese Kakashi, pigramente.

Anko si voltò per guardare verso il viale lontano che costeggiava il lago. La confusione della festa si intensificava a mano a mano che la gente si radunava attorno al mercante dei gioielli usati.                                                                                                         

«In realtà no, cazzo,» disse avvolgendosi un braccio intorno alla spalla come se stesse ripensando a una ferita o a un knock-out molto soddisfacente. «Toccare qualcuno senza il suo consenso è aggressione. E l'arte del jutsu è di per sé una forma di autodifesa. Non posso essere incolpata per il danno alla bancarella se è stata la proprietaria a finirci sopra. E non devo giustificarmi. La giustizia non cade dal cielo, Kakashi. La giustizia va pretesa.»

«Che carina,» mormorò lui, «ma se hai ancora intenzione di unirti alla polizia militare, sarebbe meglio che non ti facessi una cattiva reputazione.»

Anko rimase ferma per un momento, ma le spalle le si piegarono leggermente. «Sì, hai ragione.»

Anche io ho... pensò Kakashi nel silenzio che seguì, aggredito Obito?

Il suo comportamento non poteva essere considerato accettabile solo perché entrambe le volte Obito era addormentato e non se ne era accorto... maledizione.

Kakashi non espresse la sua frustrazione, ma alzò gli occhi al cielo chiedendogli pietà. Non era meglio di quei cazzo di venditori ambulanti.

«Sai,» disse Anko, pensierosa. «Genma le avrebbe rigirato la frittata: l’avrebbe convinta che tutti i suoi gioielli erano falsi. Le avrebbe rovinato gli affari per sempre. Avrebbe tirato fuori dalla manica un pezzo di giada falsa e avrebbe mostrato ai clienti tutte le imperfezioni. L'ho visto fare una cosa del genere con un venditore di teiere e uno scultore di sigilli, e persino con il tizio che vende quelle belle zucche... sa essere così fastidioso che alla fine ottiene sempre quello che vuole.»

«È divertente starlo a guardare.»

«Sì, lo è,» concordò Anko avvicinando le sopracciglia. «Fino a quando non sei tu la cosa che vuole ottenere.»

Girarono intorno a un tronco di un zelkova che doveva essere alto almeno venti metri e si chinarono per passare sotto ai fili rossi che scendevano dai suoi rami. Alla fine di ogni corda c'era annodato un rotolo con scritto a mano un desiderio o una preghiera per la stagione successiva. Monaci e viaggiatori meditavano in una pagoda lì vicino, solo un bagliore tra i rami. Le note tremanti di un flauto di bambù si allungavano sulle terrazze come ali di pipistrello. A Kakashi piacevano quei piccoli santuari che riposava a pancia in giù nella terra.

Anche se si erano lasciati i giochi, il caldo e i rumori alle spalle, l’atmosfera del festival autunnale si assaporava ancora; le maschere oni sbucavano dalla folla e agli alberi c’erano pesanti rotoli appesi, poi tendoni, fantasmi, torce da cento chili che illuminavano i percorsi tortuosi del parco. A Kakashi piacevano le vacanze con i loro yin e yang: il loro lato oscuro e il lato di luce.

Anko era la più giovane di tutti loro e, come tale, sentiva ancora il desiderio primitivo di esaminare ogni bancarella e tavolo del parco per selezionare con cura le migliori caramelle amezaiku.

Quest'anno erano in onore Kazegami, il dio del vento. Anko si affrettò a decapitare il maestoso pony bianco di zucchero.

«Come fai a mangiare quella roba?» Fino a quel momento, Kakashi aveva osservato la festa e i partecipanti con un occhio coperto, ma era riuscito a coglierne l'essenza. La maggior parte delle bancarelle attiravano i più piccoli; i venditori cercavano di fregarti; quasi tutti i giochi erano truccati. Quando ti avvicinavi ai piccoli venditori ambulanti e le loro merci disposte sulle coperte, avevi le stesse probabilità di comprare qualcosa o essere derubato. «È solo zucchero.»

Lei si leccò lo sciroppo dalle labbra. La luce delle torce le colava dalle ciglia. «Sai, inizialmente erano fatte per essere offerte alla dea del sole.»

Kakashi si strinse le mani dietro al collo e guardò il cielo buio. «È per quello che mi hai costretto a pagarle?»

Anko sorrise, quella bocca mangia-merda. «Alcuni ruoli di genere sono accettabili.»

Kakashi alzò gli occhi al cielo. «Non posso credere che stavi con Genma.»

Lei scrollò le spalle. «Era lì quando avevo bisogno.»

Beh, suonava davvero fottutamente romantico. Kakashi non riusciva a immaginare l'esperto di veleni preoccuparsi per nessuno... non senza un ordine diretto o la promessa di un pasto gratis. Genma aveva convinto i funzionari amministrativi della base operativa di Konoha a iniziare a offrire tè e torta ai Jōnin attivi durante le riunioni mensili. La sua soluzione, semplice quanto inaspettata, aveva raddoppiato le frequenze, anche se alla fine la quantità di lavoro che andava fatta era sempre quella.

«In che modo?»

«Beh, onestamente?» Anko sollevò in alto il pony decapitato, chiuse un occhio e scrutò attraverso la caramella il bagliore delle lanterne rosse di carta che si intravedevano tra gli alberi sulla riva del lago. «Lavoravamo entrambi di notte ed era l'unico in circolazione quando tornavo all'appartamento. Entravo la mattina e pensavo: okay, adesso mi faccio una canna, o cinque canne, e lui c'era. Quel dannato, fuma come un camino. E dopo un po' è diventato confortante e affidabile.»

«Come no, è andata così.» Kakashi non le aveva creduto.

«È così che è andata.»

«Fino a quando non ha più funzionato,» insistette lui. «Cos'è successo? Ha smesso di fare le notti?»

«No,» Anko si accigliò, poi esplose, brandendo la caramella come una spada. «Mi sono stufata di quello stronzo che aspettava che gli preparassi la cena. Tipo, staccavo da settanta ore di lavoro nelle paludi e lui: è tempo che tu mi serva da mangiare, donna!»

Kakashi si pentì di aver chiesto. A volte, quando Anko attaccava, non la fermava più nessuno.

«Non voglio fare sesso con te!» continuò lei, urlando. «Voglio solo farmi un bagno ora!»

«Fantastico, Anko,» mormorò Kakashi, incrociando alcuni sguardi di passanti con il suo occhio socchiuso. «Ti calmi? Ora tutte quelle persone pensano che io sia un pessimo partner.»

«Beh, K, probabilmente lo sei,» gli disse mettendosi una mano sul fianco, la caramella ancora alzata. «Ma non c'è nulla di cui preoccuparsi: tutti gli uomini della tua età sono pessimi partner.»

Kakashi sentì una risposta tagliente crescergli nel petto, ma la lasciò sgonfiare. Probabilmente, aveva ragione lei.

«Aw,» disse Anko, improvvisamente gentile. «Mi dispiace, ho toccato un punto debole?»

«Non ho punti deboli.»

Maledetta empatia femminile.

«O-k, ragazzo tosto,» ridacchiò lei. «Capisco. Dimmi se vuoi parlarne. E non ti dimenticare la cena stasera.»

«Oh, già. Dov'è?»

Anko fece schioccare la lingua contro i denti in modo davvero esagerato. «Il cancello sud, l'inaugurazione del ristorante dell'amico Asuma, un piatto caldo di pesce, ricordi? Ci fanno mangiare gratis.»

«Oh, sì,» disse di nuovo Kakashi.

«Vedo che hai lasciato di nuovo l'entusiasmo negli altri pantaloni.» Anko sorrise. «O sei nervoso?»

Kakashi si strinse nelle spalle.

«Sai,» continuò lei, con un tono meditativo. «Conosco Obito da quando eravamo piccoli, prima dell'Accademia. Te l'ho mai raccontato?»

Kakashi grugnì.

«Avevo tipo tre anni,» iniziò lei, non curante dal suo scarso entusiasmo, «non capivo ancora nulla del mondo, ma comprendevo la natura. Ho sempre dato importanza alle piccole cose e uno dei miei posti preferiti era il Green Lake Park in estate. C'erano così tante libellule!»

Non si capiva più se il bagliore intorno a loro provenisse dalle torce o dalla memoria della kunoichi. «Libellule che riempivano il cielo, piccoli squamosi demoni! Erano la cosa più bella al mondo, per me. Le seguivo nell'erba alta, come uno di quei famosi esploratori, sai? Mi avvicinavo di soppiatto dietro di loro e afferravo le ali sottili tra le punte delle dita prima ancora che potessero volare via. Poi le appoggiavo da qualche parte e le lasciavo andare; a volte volavano via, ma altre volte rimanevano a guardarmi, e io guardavo loro: grandi occhi e piccole zanne e squame arcobaleno, niente che si frapponesse tra noi...»

Kakashi si schiarì la gola. «Um, Anko...»

«Okay, okay.» Lei sventolò la mano libera senza guardarlo. «Va bene, taglio corto. Se metti qualche parola di troppo, gli uomini temono subito che gli spuntino le tette o cose del genere.»

«Pensavo solo che…»

«Smettila di interrompermi, se no non arrivo al punto!»

Kakashi si mise le mani in tasca. Svoltarono lungo il perimetro esterno del lago e rientrarono attraverso la porta est. Un ufficiale annoiato della piccola stazione di polizia li riconobbe e fece cenno di passare attraverso la biglietteria.

«Un giorno c’era anche Obito,» continuò Anko. «Era lì, mentre giovano nell'erba. Prima l'avevo visto con un gruppo, ma poi si era allontanato da loro. Ha condiviso con me i suoi spicchi d'arancia e mi ha detto che aveva fatto un bel pisolino. Mi ha detto anche che aveva fatto un brutto sogno. Poi gli ho mostrato come catturare le libellule.» Sorrise, un po' triste. «È stato un disastro. Le libellule continuavano a scappare da lui, finché alla fine non si è arrabbiato così tanto da colpirne una con la mano. Ha urlato e l'ha colpita. All'inizio credevo l'avesse uccisa. Invece, la libellula era viva, ma aveva un'ala rotta. Ero arrabbiata e allora gli ho detto che le libellule muoiono quando non possono più volare e che quella sarebbe rimasta triste per terra mentre tutti i suoi amici avrebbero continuato a volare nel cielo. Poi però ho notato che stava piangendo. Stava davvero male, sai? Ci ha messo un sacco a tirarla fuori dall'erba, con gentilezza, e se l’è portata in giro per tutto il resto della giornata. Fino a quando non è morta, credo. Non penso che la sua famiglia ne fosse molto contenta.»

Kakashi si passò una mano sul viso guardando il cielo per una seconda volta, ricolmo di nostalgia per il suo compagno di stanza.

«Dovresti considerarti fortunato.»

«Hm?»

«Beh, Obito è molto...» Anko cercò la parola giusta. «Sensibile.»

Kakashi scosse la testa. «Dai, non prenderlo in giro...»

«Non è un insulto,» insistette lei. «È proprio questo il tuo problema: pensi che se una persona non è una scatola chiusa, allora è un caso clinico. Ma sentire le cose intensamente non è segno di debolezza, e indovina un po', Kakashi: i problemi non si risolvono non pensandoci e fumando erba. Alla fine dovrai affrontarli anche tu...»

«Scusa?» disse Kakashi, secco, mentre avvertiva una strana sensazione nella testa. «Che problemi? Non capisco.»

«Da quello che mi hai detto...» disse Anko lentamente, come se stesse parlando con un imbecille. «Sembra che lui sia ancora indeciso su voi due...»

«Ma perché dovrebbe?»

«Smettila di interrompermi!» ringhiò lei. «Idiota, probabilmente si accorge che anche tu lo sei.»

«Cosa vuoi dire?» Kakashi alzò le spalle e le rilassò in un gesto fine a se stesso. «Io lo amo.»

«Io credo che ami il fatto che lui abbia bisogno di te.»

Kakashi scosse la testa. Anko gli stava dando contro su ogni cosa.

«Okay, dai: sì sincero,» disse la kunoichi. «Cosa ti piace di lui?»

«Odora di miele dietro alle orecchie.»

Anko accelerò improvvisamente il passo e iniziò a saltellare ridacchiando. «Oh, cielo. Questo è qualcosa che sono un uomo-cane direbbe!»

Kakashi batté le palpebre. Stava ascoltando, ma non riusciva a comprendere.

«Okay,» disse di nuovo lei, sospirando. «Non ti costringo a parlare, ma, è come ho detto: Obito è sensibile, per essere un ragazzo. Se non sei sincero con lui su qualcosa, se ne accorge. Essere eccessivamente aggressivo non fa funzionare una relazione.»

«Sarei eccessivamente aggressivo?» Kakashi strillò, sentendosi insultato. «E tu hai la mamma puttana!»

«Vedi?» La sua compagna si agitò, scosse la testa e sollevò entrambe le mani alle orecchie, come se avesse appena dimostrato qualcosa di cui tutti dubitavano, ma non volesse vantarsene troppo. «Dovresti lavorare su questo. Ogni volta che ti senti insicuro, usi attacchi personali e scappi dal conflitto. Questa è un'ottima strategia per evitare noiose conversazioni inutili... ma non credo sia quello del quale Obito ha bisogno adesso.»

«Anko.» Kakashi fece una pausa, prese fiato, poi tornò neutrale. «Io gli darò qualsiasi cosa della quale lui abbia bisogno.»

«Aw,» disse lei prima di iniziare a ridere. «Okay, okay, abbiamo finito con i consigli per oggi. La medicina buona lascia l'amaro in bocca, sai. Farò solo da supporto per il resto della serata.»

«Grazie,» mormorò lui. «Vorrei poterci credere.»

«Su con il morale!» disse Anko, rafforzando il comando con un colpo di gomito. «Cazzo, non volevo darti tutti questi pensieri. Mi dispiace. Ehi, guarda...»

Lo trascinò via dalla strada principale attraverso una cortina di pergamene appese. L'istinto ninja lo abbandonò, lasciandolo schiaffeggiato dalle illustrazioni dei kunai triforcuti di Konoha. L'interno della tenda era profondo e stretto, con un divisorio nel mezzo. Il lato destro era per i lanci. Kakashi gemette.

Anko avvolse i pugni intorno alle cinghie del suo cappuccio e le usò per trascinarlo verso il tavolo all'ingresso.

«Giochiamo...»

«Anko, sono troppo vecchio per questa roba.»

«Siamo shinobi...»

«Lo sanno. Ci daranno un bersaglio speciale. Esistono delle regole per i dojutsu, ci coprono gli occhi.»

Gli sfidanti civili lanciavano coltelli di legno intagliati grossolanamente contro bersagli di tela dipinti con dei cerchi e riposti sopra a delle balle di fieno. La tela era troppo spessa per permettere ai coltelli dei dilettanti di penetrarla, ma gli sciocchi ci provavano lo stesso.

«Asuma ha vinto il suo primo set di coltelli qui. Erano pure carini.»

L'altro lato della tenda era dedicato alle merci e Kakashi dovette ammettere che la lavorazione del metallo di alcuni coltelli era decente, anche se quelli di legno che venivano usati per i lanci erano solo spazzatura.

Appena entrarono, notarono un uomo appoggiato al bancone che, quando li vide, fece girare un coltello nella mano con solo tre dita e sorrise; gli mancavano tutti i denti da un lato della bocca.

«Cosa!» Anko indicò il tabellone dei prezzi. L'uomo, posto tra loro e il tabellone, era grosso come la Roccia degli Hokage. Un tatuaggio si nascondeva tra le pieghe della sua nuca. «Quaranta per una sola partita? È il doppio dell'anno scorso.»

«Sì, ma guarda che cosa potresti vincere,» disse l'uomo. La sua voce gorgogliava come una fogna. «Molto di più dell'anno scorso, è un prezzo regalato. Non è vero, Ajimi?»

Dall'altro lato della tenda, un tizio sghignazzante annuì.

«Ajimi-san era capo chef di un grande boss della yakuza nella prefettura di Boukan,» disse il venditore tatuato. «Era conosciuto in tutto il mondo per fare il sushi migliore del paese con i suoi coltelli pregiati... fino a quando, un giorno, si è dimenticato di fare un antipasto. Il boss gli ha fatto fare le valigie… subito dopo avergli tagliato la lingua, proprio con uno di questi coltelli pregiati.»

Fanculo questi tizi, pensò Kakashi.

«Già,» mormorò l'uomo. «Nessuno conosce una lama affilata come lui. Non è vero, Ajimi?»

«Okay, ma non ci interessa,» lo informò Anko. «Vorrei pagare per una partita, ci dividiamo i lanci.»

Una delle cose che a Kakashi piaceva di più di Anko era che riusciva a essere schietta senza mai essere maleducata.

Il venditore non sembrò infastidito e accettò i soldi della kunoichi. Quando i civili finirono di giocare, alzò la parte posteriore della tenda per raddoppiare il raggio di lancio; in lontananza c’era l’apertura che dava sul cielo notturno e una palude buia. Alcuni tecnici fecero rotolare grandi dischi tra sporco e la segatura. Indossavano maschere di carta bianca con una sola pennellata orizzontale. Dei polli iniziarono a correre qua e là. I dischi erano di legno e dipinti con sembianze di tori, ma il retro era fatto di metallo.

Kakashi vide un sigillo di carta attaccato sulla parte metallica di uno dei dischi. Erano cinque e andavano da un diametro di novanta a trenta centimetri. Capì subito cos’avevano in mente i giostrai.

Una ragazza entrò in scena, anche lei mascherata e con i guanti, ma apparentemente molto più giovane degli altri giostrai. Salì sulla balla di fieno più alta e si sedette in mezzo ai bersagli.

«Questa è una novità,» mormorò Anko, seguendo gli obiettivi di legno con gli occhi.

«Non preoccuparti per Sayo,» gorgogliò il venditore tatuato. «Riuscirebbe a schivare anche un fulmine dal cielo!»

Sul bancone dal lato opposto della tenda, Ajimi sorrise e fece oscillare la testa.

La ragazza incrociò le gambe e fece un gesto strano, con una mano davanti e l'altra dietro la schiena. I giostrai indietreggiarono e i cinque i dischi rimasero in piedi, in equilibrio; poi, come di loro iniziativa, iniziarono a girare su se stessi.

«Sayo si è unita a noi la scorsa stagione,» dichiarò orgogliosamente il venditore. «L'abbiamo trovata nel Pozzo di Fuoco.»

Il Pozzo di Fuoco era un luogo mitologico dove venivano gettate le cose abbandonate.

Kakashi sospettava che la ragazza fosse un randagio: non un ninja, ma un possessore di chakra senza fedeltà a nessun paese. Recentemente stavano aumentando di numero, ed erano spesso considerati dei mascalzoni, senza obblighi o lealtà alcuna; erano visti come indisciplinati, persino pericolosi. Konoha era uno dei pochi luoghi nel mondo shinobi dove quegli individui non venivano arrestati a vista.

I bersagli dipinti continuarono a girare per un po' sul terreno, creando un vagone scomposto nello sporco e la segatura. Lentamente, acquistarono velocità fino a quando non si sollevarono in aria tutti insieme, ognuno con uno spruzzo di polvere dorata e un fremito. Si alzarono fino all'altezza occhi, a circa cinque o dieci metri di distanza l’uno dall’altro, e fluttuarono languidamente in posizione come se fossero sostenuti da elastici invisibili.

Kakashi studiò i loro movimenti e quelli della ragazza. Senza il suo occhio, non poteva capire se a far galleggiare i bersagli fosse qualcosa di semplice come una marionetta, o qualcosa di più articolato come un jutsu spazio tempo, o se fosse qualcosa che non aveva mai visto prima.

A Kakashi piaceva pensare che esistessero ancora tanti misteri nel mondo, che alcune cose fossero inspiegabili. Il gioco comunque aveva suscitato il suo interesse, e suggerì ad Anko di fare il primo lancio.

«Hai tre tentativi,» disse il venditore. «Il bullseye su quello più grande ti fa guadagnare dieci punti, su quello piccolo invece sono cinquanta. E siccome sappiamo bene quanto sono talentuosi i ragazzini da queste parti, tutto al di fuori del centro non ti fa guadagnare punti. Va bene?» Ridacchiò grottescamente.

«Dimmi che non dobbiamo usare quegli orrendi kunai di legno,» gemette Anko.

«Mi dispiace, signorina.» Le disse guardandola senza una traccia di dispiacere tra i denti anneriti. «Sono le regole.»

«Voi state scherzando, il bersaglio è di metallo!»

«La faccia anteriore è fatta di legno massiccio spesso tre centimetri. Bello e morbido. Perfetto da intagliare.» L'uomo tatuato si sedette sullo sgabello e appoggiò i gomiti al tavolo. «L'unica ragione per la quale hanno il retro di argento è per lo spettacolo di magia. L'argento è un buon conduttore, sai?» Fece l'occhiolino.

Ah, pensò Kakashi, elettromagnetismo.

Guardò di nuovo i dischi fluttuanti. Con lo Sharingan, probabilmente avrebbe potuto individuare la larghezza e la profondità del campo elettromagnetico generato dalla ragazza. Poteva solo supporre quale fosse la funzione dei sigilli... servivano a contenere, forse dirigere il chakra. Forse, generavano energia.

«Un materiale piuttosto costoso,» mormorò Kakashi, «per un gruppo di giostrai itineranti.»

«Oy-» Il vecchio tasso allargò le braccia. «Ti sembriamo giostrai? Siamo artisti e artigiani. La gente ci insegue per le città per le nostre opere di metallo, non è vero?»

Anko raccolse una delle lame di legno intagliate grossolanamente. La fece scivolare sulle nocche e poi sul palmo, la fece girare una volta e la tenne in equilibrio sui polpastrelli. Era più pesante nel pomolo all'estremità. «Nessuno ti corre dietro per come lavori il legno, questo è certo.»

Ajimi fece un suono simile a una risata e un respiro sibilante. Ci fu un tintinnio e uno schiocco quando l'uomo emerse da dietro il banco mercantile e cominciò a camminare lentamente. Aveva la postura di un albero bonsai. Quando finalmente arrivò al punto di lancio, tese il kunai che aveva appena finito di intagliare e lo offrì ad Anko.

«Hai ragione, Ajimi,» borbottò l'uomo tatuato. «La nostra prima sfidante shinobi della giornata. Sarà interessante.»

Anko accettò la scultura di legno. Kakashi la vide sforzarsi per non aggrottare le sopracciglia. C'era ancora un ramoscello con una foglia che sbucava dal manico. «Grazie, Ajimi-san» disse Anko gentilmente.

Ajimi mostrò il suo mezzo sorriso vuoto.

«Se fai cinquanta punti puoi scegliere un premio da questo tavolo,» disse l'uomo grande come una montagna, indicando un'impressionante serie di vecchi coltellini, tutti con i manici d'osso e giada malconci. «Se ne fai cento puoi prendere qualcosa da questa rastrelliera e centocinquanta per qualcosa da quella parte.» Spostò una mano verso il lato mercantile della tenda. «Fai del tuo meglio, ma attenta: la nostra amichetta può diventare un po' competitiva.»

Kakashi lanciò un'occhiata alle balle di fieno accatastate al centro della pista per i lanci. La ninja randagia era il ritratto dell'indolenza, sdraiata sulla schiena sulla balla più alta con le gambe incrociate e una che oscillava. La sua maschera aveva la faccia rossa e un lungo naso e un'impressionante mono sopracciglio nero. Era una rappresentazione di un tengo, lo spirito di un corvo e un monaco guerriero.

«Non è un problema.» Anko sorrise, lasciò cadere il coltello da lancio sul tavolo insieme agli altri e intrecciò le dita, distendendole in avanti fino a quando non scrocchiarono. «Può far volteggiare per aria quei cosi quanto vuole, ma io non me ne vado via senza il mio gioiello ninja.»

Kakashi alzò gli occhi al cielo, ma sorrise alla sua compagna. Il sangue di Anko stava ribollendo, e il suo fece lo stesso. Anko non gli aveva mai raccontato un cazzo del festival dei combattimenti, ma Kakashi sapeva che era stata lei quella che aveva calpestato tutte le teste e si era arrampicata in cima a quel palo. E Kakashi la ammirava; era spietata, ambiziosa, ma anche di natura intrinsecamente buona, quel tipo di energia che emerge in una stanza. La stessa che aveva Minato-sensei.

«Scusa, Kash,» disse Anko, gli occhi concentrati sui bersagli galleggianti. «Dovrai sborsare. Non voglio più dividere i lanci.»

Scelse tre coltelli di legno dalla pila e saltò sul bancone in posa da parkour, come a cavallina con sella laterale. Il suo movimento energico causò una piccola onda che spostò i premi più economici: alcuni coltelli si ribaltarono; la rastrelliera vicina roteò leggermente. «Dove mi metto?»

Ajimi si trascinò intorno al tavolo per sedersi su uno sgabello sul lato opposto rispetto all’uomo tatuato. La faccia sfregiata ondeggiava su e giù.

«Ovunque tu voglia, signorina,» rispose il venditore, guardandola come una zucca spaccata. «Sei una donna libera.»

«Eccellente.» La risposta di Anko fu flebile. Girò le spalle al tavolo e si accovacciò all'interno della pista, i coltelli le uscivano dalle nocche, due in una mano e uno nell'altra. In un istante, si mosse.

Il soffitto della tenda era molto alta, forse tre o quattro metri. Nella pioggia di segatura che seguì, Anko saltò e i bersagli iniziarono a muoversi, confinandola ai lati della tenda stretta e sorprendentemente agili. Anko stava chiaramente mirando ai bullseye più piccoli e alti, e i dischi più grandi avevano approfittato di quella sua decisione per avvicinarsi a lei, diventando bersagli ridicolmente facili da colpire.

Il primo lancio di Anko colpì il secondo disco più piccolo al centro. Doveva aver avuto la stessa intuizione di Kakashi, perché aveva inclinato la lama per farla penetrare più a fondo nella parte del legno più sottile, sui lati. Il secondo lancio, che mirava dritto al cerchio più piccolo, sbatté contro il bordo di uno più grande e venne deviato.

Anko andò più veloce, facendo salti alti e misurati attentamente per studiare la disposizione dei cerchi. Atterrò all'ombra di un disco fluttuante e si lanciò di nuovo; a un occhio inesperto, la kunoichi sarebbe sembrata solo uno sfarfallio ambientale.

Kakashi notò che la ragazza sulle balle di fieno si era mossa. Solo il piede, che oscillava come un pendolo. La maschera rivolta al cielo come un tengo che guardava le nuvole.

 



 

Anko svolazzò da una parte all'altra fino a quando non preparò il terzo lancio. Aveva bisogno di fare altri dieci punti per prendere il premio, ma era troppo orgogliosa per accontentarsi del disco grande.

I dischi più piccoli si nascondevano nella parte posteriore, più veloci degli altri. Anko balzò in piedi: mirava di nuovo al quarto, e ancora una volta i bersagli più grandi le bloccarono la strada; strinse l'ultima lama tra i denti e afferrò il secondo disco tra le mani, si catapultò al di sopra di quello, lanciò il terzo bersaglio e pugnalò il quarto proprio a fianco al suo primo kunai ben piazzato.

Anko pendeva dal piccolo bersaglio, il kunai ancora stretto nella mano, sorridendo con quel suo ghigno da mangia-merda che sarebbe stato visibile da dieci isolati di distanza. Quando il disco iniziò a girare vorticosamente, si lasciò cadere nella segatura. Una raffica di polli impazziti le diede il benvenuto a terra.

«Bello spettacolo,» commentò il venditore.

Anko corse indietro, sormontando il tavolo. L'euforia le aveva messo un po' di colore sulle guance. «È stato divertente, truccato così com'è.»

«Oy!»

«Il legno è così spesso al centro che devi colpire con angolazioni impossibili.» Gesticolò con entrambe le braccia. «Oppure puoi infilzarli come ho fatto io. Lascia perdere il quinto bersaglio, è a vuoto. Ma puoi arrivare a cento, K. So che puoi. Lo farai?»

Kakashi non rispose.

«Avanti... per te sarà un gioco da ragazzi, e io potrei prendere qualcosa dalla rastrelliera. Se Gai fosse qui lui sicuramente...»

«Va bene,» disse Kakashi. Avrebbe comunque concluso una vendita, quella sera. La maggior parte dei soldi era custodito in un anfratto segreto nella sua scarpa, ma teneva sempre cinquanta spiccioli in posti più accessibili. Cinquanta, meno la bacchetta di zucchero che aveva preso ad Anko. E i biglietti.

«Ho solo trenta,» si ricordò.

Anko alzò gli occhi al cielo e gli sbatté una moneta da dieci sul tavolo. «Tieni. Siamo a posto.»

«Certo,» mormorò Kakashi. Selezionò tre lame intagliate dal mucchio.

Anko stava già esaminando i coltelli brillanti che avrebbe potuto scegliere come premio quando Kakashi le girò intorno per entrare nell'area di tiro, dall'altra parte del tavolo.

L'ombra del primo lancio di Kakashi era stata bloccata, reindirizzata da ciascuno dei quattro bersagli rotanti, ma la sua forma fisica si andò a inserire saldamente al centro del bersaglio più piccolo. Anko urlò e il venditore gorgogliò, ma Kakashi si stava già preparando per il secondo lancio.

Il piede della ragazza tengo smise si oscillare.

Kakashi aveva memorizzato il ritmo, comunque, e quando il secondo disco si mise in mezzo per attaccare, si girò e si nascose all'ombra del quarto che stava passando di lì.

«Ehi!» urlò Anko. «Sta cercando di metterlo fuori gioco?»

È sempre bello avere supporto dalla platea, anche quando è chiassoso e distraente.

Il metodo di combattimento di Kakashi si basava sul prevedere con precisione i movimenti dell'avversario; riusciva a prevederli con così tanto anticipo da potersi muovere insieme a loro, o precederli, se voleva... e tutto senza usare lo Sharingan. Vide un'apertura verso il timido quinto bersaglio e, come nel momento di quiete che segue il battito di un cuore, saltò.

Il secondo lancio di Kakashi affondò proprio a fianco al primo; all'interno di un bullseye così piccolo da scomparire completamente sotto alle due lame. Sarebbe stato impossibile ficcarci anche un terzo kunai.

Il suo ultimo coltello sembrava un po' più equilibrato rispetto agli altri. Aveva una piccola foglia che sporgeva dal manico.

La ragazza corvo era in piedi, adesso.  Kakashi sentì il tocco del campo magnetico sulla pelle e gli obiettivi iniziarono a girare intorno a lui, sfrecciarono nell'aria sopra di loro, girando anche su sé stessi. Non sembravano più docili bersagli, ma un mucchio di monete rotanti, o giostrai pazzi che non sapevano quando fermarsi.

Kakashi finse un lancio al quarto bersaglio e, mentre si lanciava, diede uno schiaffo al supporto del terzo. Il suo palmo colpì il metallo e vi inviò un impulso di chakra. Gli elettroni nei dischi d'argento danzarono con l'elettricità.

Fortunatamente, Kakashi sapeva un paio di cose sull'elettricità, essendone lui stesso un utilizzatore; ed era consapevole delle ottime proprietà di conduzione dell'argento; sapeva che c'erano molti modi per aumentare la resistività nei materiali conduttivi. Cercare di far scorrere la corrente all'interno di un materiale con alta resistività sarebbe stato come soffiare aria in una cannuccia tappata; se avesse potuto far scorrere la corrente della ragazza insieme alla propria, abbastanza da surriscaldare il metallo e interrompere la frequenza, avrebbe potuto fermare i dischi abbastanza a lungo per tentare un lancio.

Kakashi si accovacciò su una delle balle di fieno al centro del campo e attese la prossima apertura dei cicli di oscillazione del campo elettrico. Quando il tengo finalmente lo notò, fece un salto ragionato.

Il campo magnetico prodotto al passaggio della corrente attraverso un conduttore scorre sempre perpendicolare al campo elettrico; sembrava che gli obiettivi stessero orbitando liberamente intorno alla loro gravità artificiale, ma in realtà c'erano precise regole prevedibili che li vincolavano. Kakashi si girò a mezz'aria per evitare di sbattere un ginocchio contro un disco che lo aveva puntato, veloce come una cometa. Il quinto bersaglio stava fluttuando pigramente sul perimetro. Quando divenne ovvio che era quello al quale Kakashi stava mirando, i dischi cambiarono formazione e si posizionarono in uno schema di attacco. Kakashi ne afferrò uno, lo immobilizzò con una scarica elettrica del palmo della mano e lo fece cadere a terra, rotolò e si rimise in piedi, tenendo l'occhio sul bersaglio.

«È un tiro a vuoto!» urlò Anko.

Due dischi si lanciarono verso di lui e Kakashi non aveva più intenzione di girarci intorno; posò un tallone su un piatto, il gomito sull'altro e li mandò entrambi a unirsi al loro compagno nella segatura. Afferrò il quarto disco con due mani. Invece di farlo cadere come gli altri, lanciò il disco e colpì il quinto bersaglio. Aveva nascosto la sua ultima lama nell'ombra di quel frisbee, a al giro successivo che fece il bersaglio, lento, questa volta, c'era un terzo coltello ammassato insieme agli altri nel bullseye: incastrato nel calcio del primo coltello di legno.

Anko esultò, la ragazza mascherata rimase in silenzio, e Kakashi tornò a terra. Sentiva un formicolio sulla pelle... era stato divertente anche così, truccato com'era.

Stava tornando al tavolo dei punteggi quando i capelli dietro alla nuca gli si sollevarono. Si abbassò e qualcosa di pesante gli volò accanto, scagliandosi lontano.

«Tu...!» ringhiò Anko.

Kakashi cercò di impedire alla sua compagna di entrare di nuovo nella pista. Anko strinse i pugni e si rivolte alla bambina tengo. «Prenditi un copri fronte, vagabonda!»

«Anko,» disse Kakashi, mite.

Anko si indicò gli occhi e poi puntò le dita verso la giostraia mascherata.

«Hai occhio, ragazzo,» disse il venditore. Mise le braccia conserte sul petto massiccio. «Qual è il tuo segreto?»

Kakashi girò di nuovo intorno al tavolo. «Io, uh, miro al centro.»

Anko rise di gusto. «Che carino,» si complimentò. «Un'altra lezione brillante, Kakashi-sensei.»

«Non dirlo mai più.» Avrebbe rifiutato gli onorifici, per sempre, senza eccezioni.

La testa di Ajimi stava ancora oscillando con fare di approvazione quando l’uomo si alzò dallo sgabello e gli fece segno di avvicinarsi al lato della tenda. Kakashi si mise le mani dietro al collo e lo seguì, mentre Anko continuava a ronzare intorno alle armi esposte. Era una sezione con oggetti ornamentali, ma lei aveva puntato una serie di stelle ninja in grado di perforare armature e una scorta di sottili protezioni in kevlar per le missioni furtive. Anko non riusciva a decidersi tra un paio di coltelli a farfalla d'argento e un coltello tattico dall'aspetto aggressivo con una lama nera e impolverata. Il metallo era di buona qualità, ma Kakashi non aveva bisogno di nulla di nuovo.

«Prendi quello che vuoi,» disse ad Anko.

«Davvero?» Le brillarono gli occhi. Poi sospirò. «No, credo che dovresti prendere qualcosa per te stesso. Hai fatto un ottimo lavoro con la tua vittoria.»

«È stato facile.»

Anko alzò gli occhi al cielo. «E dai...» insistette. «Obito non vuole un bel coltello?»

Kakashi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «No. È... un tipo più da pugni.»

«Ma è ridicolo!» dichiarò Anko. «Tutti gli shinobi apprezzano un bel coltello. Ne ricevo sempre un milione durante le vacanze. So che i civili invece si regalano i calzini.»

Kakashi appoggiò la schiena al banco dei premi per aspettarla. Dopo un po' si allontanò, giocherellando con i trucioli di legna rimasti dalla lavorazione dell'ultimo progetto di Ajimi. Diede un'occhiata al bancone. Il vecchio gli sorrise. Kakashi deglutì, a disagio. Alcuni sfidanti erano arrivati per giocare e i giostrai stavano ripristinando il campo. Il venditore tatuato disse le stesse cose che aveva detto a loro sui coltelli e sulla loro lavorazione.

L'argento scintillava sotto al bancone di vetro. Non era solo un materiale estremamente conduttivo, ma rifletteva la luce più di qualsiasi altro elemento, ed era fresco al tatto.

«In tempi antichi, le persone usavano questo metallo per curare le malattie,» disse una voce rauca, come arrugginita; sembrava lo scricchiolio del legno o la vibrazione di una campana di ferro. Era inaspettato che provenisse da qualcuno di così esile. Prima non ci aveva fatto caso, la ragazza con la maschera tengo era bassa, raggiungeva appena il bancone con il mento. «Si credeva che i corpi celesti fossero i responsabili della presenza del metallo sulla Terra. Il ferro veniva da Marte, il rame da Venere. L'argento dalla Luna.»

Amiji mosse la bocca come se volesse dire qualcosa, e la ragazza si girò verso di lui, poi guardò di nuovo il bancone. I suoi occhi erano due pozzi bui.

«Quando l'oro o il rame entrano a contatto con la pelle, una corrente elettrica viaggia per tutto il corpo. Con l'argento, la corrente scorre nella direzione opposta: dalla pelle al metallo. Bilancia gli elementi del corpo, calma i nervi e purificare il sangue. Le persone indossano l'argento per...»

La ragazza si interruppe bruscamente e girò la maschera con il lungo naso di nuovo verso il mercante. «Ma la sua pelle non ha niente che non va, Ajimi!»

Il tengo si girò di nuovo verso Kakashi e fece un sospiro di esasperazione. «Bene. Comunque: Ajimi dice che l'argento aiuta anche contro il dolore, la guarigione e la formazione delle ossa e della pelle, non so perché voglia dirtelo. Adesso dovresti scegliere qualcosa e andartene.»

«Sei una marmocchia...» mormorò Kakashi. Spazzò via alcuni trucioli di legno dal vetro e guardò i premi. Non le armi, questa volta, ma i “gioielli ninja” di Anko.

«E tu sei un imbroglione,» ribatté Sayo. «Hai invertito il mio campo elettromagnetico.»

«Maa. Non so perché dici che ho imbrogliato,» rispose Kakashi allegro. «La tua tecnica era carina, ma l'esecuzione era grezza. La risonanza era pulita, ma il ritmo nello stile di combattimento l'ha reso prevedibile. Mi hai lasciato un'apertura enorme. Anzi, tre.»

La ragazzina corvo si irrigidì dal becco agli stivali e sbuffò. «Non erano enormi,» ribatté.

«Se comprendi lo strumento che usi,» le consigliò. «Non sarai così vulnerabile ai contrattacchi.»

«Kakashi-sensei!» gridò Anko, ritirandosi dal suo esame delle merci della tenda. «Lei è così impegnato stasera!»

Guardò da dietro le sue spalle e batté un dito sul vetro prima che Kakashi potesse rispondere. «Oh! Mi piace un sacco questo. Lo prendi? Dai, dai!»

«Uh...»

Ajimi stava già facendo scorrere la teca, aprendo la porta e tirando fuori la custodia. Era una catena semplice, ma gli anelli erano audaci e lucenti, e Kakashi testò il loro peso sulle dita.

«Lo abbiamo trovato in un relitto sotto a una luna crescente,» disse Sayo. «È affondato al largo delle coste di Ibaraki... non è mai arrivato alla Nebbia.»

«Lo avete trovato?» disse Anko. «Che fortuna, trovare un tesoro così.»

Il lungo naso nella maschera si sollevò in aria. «Mi ha detto Amiji di dirlo!» disse con agitazione. «Non siamo saccheggiatori. E comunque non dovrebbe prendere l'argento, lui ha già un sacco di cose!» Si girò verso Kakashi e sputò: «Non ti sta per niente bene!»

«Non ti preoccupare, bestiolina selvaggia. Non è per lui,» disse Anko.

La piccola tengo scrutò attentante gli anelli incastrati gli uni agli altri. Poi disse «ma quella è una collana da maschio.»

Anko fece il suo sorriso da mangia-merda. «Tutti hanno bisogno di qualcuno che li incateni.»

Kakashi si infilò la catena in tasca, la sentì strofinare gelida contro la gamba. Annuì all'uomo senza lingua e Ajimi gli sorride ancora, spalancando la bocca senza denti.

«Aw,» disse Anko, mentre cominciavano a farsi strada verso l'entrata. «Spero che Obito ti faccia cose davvero fantasiose a letto, con tutto quello che fai per lui…»

«Hai la mamma puttana,» mormorò Kakashi.

Anko rise di gusto.

Uscendo dalla pista, il venditore enorme offrì ad Anko un traliccio di flora autunnale. «Fiori per la signora,» disse con una voce orrenda.

 

 

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Capitolo 12
*** Interludio: Akatsuki ***


«Ehi, guarda.» Obito alzò il mento, le mani ancora infilate nelle tasche. «È quel ragazzino del giornale.»

Kakashi scrutò il viale, tra gli spazi vuoti lasciati dalla folla, e riconobbe vagamente il profilo dello studente dell'Accademia che continuavano a incontrare per caso.

Era... Seigo. No, Seijiro? Dannazione.

«Con chi è?»

«Izumo,» suppose Kakashi. «E quell'altro ragazzino.»

«Quello sempre strafatto di zuccheri,» confermò Obito socchiudendo l'occhio. «Cosa stanno facendo quelle piccole pesti?»

Prima che Kakashi potesse fermare o distrarre il suo compagno di squadra, Obito si stava già facendo strada per la via. Attraversava i civili chiassosi come se non li vedesse nemmeno, come se ci scivolasse attraverso. Kakashi alzò gli occhi al cielo e si avventurò in quella boscaglia umana per andargli dietro, chiedendosi perché la sua vita si riducesse sempre a inseguire quell'Uchiha.

«Saburo!» Obito chiamò il ragazzino.

I tre preadolescenti erano accalcati a bordo strada, infilati tra una stazione dell'acqua e una bancarella affollata che vendeva cibo. Lì vicino, un uomo allungava sapientemente i noodles, con grande gioia della folla che si fermava a osservare. Le ombre proiettate dalla moltitudine di adulti oscuravano i tre bambini.

«Come va?» chiese Obito. Allungò il pugno al ragazzo del giornale che, dopo mezzo secondo di esitazione, batté contro le sue nocche.

«Ehi, Obito.» La sua voce gentile era familiare. «Che figa la tua catena.»

«Grazie, bello. Me l'ha regalata K.» Obito esaminò i due genin vicino a lui. «Questi sono amici tuoi?»

«Err…»

«Cos'hai dietro alla schiena?» Obito lo interruppe per rivolgersi a uno dei ragazzini.

Nessuno rispose e il silenzio si allungò insieme ai noodle fino a quando finalmente il ragazzo con i capelli ispidi diede un pugno all'altro sul braccio. «Dai, Izumo!» sibilò.

Izumo lanciò diverse occhiatacce segnaletiche al suo compagno.

«Kotetsu,» disse Kakashi, che si sentiva davvero troppo alto in loro compagnia. «Tuo padre sa che hai preso il kikigori

Il giovane ninja dondolò sugli alluci, stringendosi il bicchiere di zucchero e ghiaccio tritato al petto. I suoi occhi guizzarono come se fosse in procinto di scappare da un momento all'altro.

«L'ultima volta che hai mangiato quella merda, non hai dormito per dieci giorni,» gli ricordò Kakashi. «Hai fatto incazzare di brutto il tuo vecchio. E adesso devi ingoiare una pillola enorme ogni sera, o mi sbaglio?»

Kotetsu arrossì intorno al naso.

«E quindi?» chiese Izumo. «Vai a quel paese, smilzo.» In segno di attacco non diretto, si girò per sputare nella direzione opposta.

«Ehi!» Obito prese Izumo per il nodo del copri fronte e lo afferrò stretto per le orecchie.

Quando l’altro tentò la fuga, Kakashi gli fece lo sgambetto e lo prese al volo per il colletto, poi afferrò la sua granita e la tenne alta sopra la testa.

Fare il bullo era bello, ma ormai Kakashi aveva la reputazione di uno con il quale non bisognava scherzare. Uno grande, troppo grande. Una bella seccatura, a volte. Nessuno voleva più fare rissa, ormai. Quando succedeva che inciampasse contro qualcuno mentre camminava con gli occhi sulle pagine del libro, il malcapitato credeva sempre di averlo offeso in qualche modo, e iniziava a implorarlo di non ucciderlo. Kakashi in quei casi avrebbe potuto semplicemente spiegare che era andato a sbattergli addosso perché era strafatto, ma a volte non ne aveva davvero la voglia.

«Avanti, ti sfido!» ringhiò Obito a Izumo, che si oppose contro la sua presa. «Ho delle piaghe che sono più grandi te, nanetto.» Prese con fare curioso ciò che il ninja più piccolo aveva tra le mani.

Kakashi doveva ammetterlo, la reputazione di Obito stava crescendo velocemente insieme alla sua, volente o nolente. E avrebbe potuto crescere ancora di più in quei giorni nei quali non erano in servizio. In modo pericoloso, forse.

Kakashi aveva sfruttato i vantaggi che la sua reputazione gli conferiva, così come le insidie che comportava: la maggior parte dei ninja coetanei si sentiva minacciata e impotente in confronto a lui; ma all'interno della sua cerchia ristretta era considerato praticamente un dio. Non doveva mai rispettare il coprifuoco o pagare multe, perché la polizia militare chiudeva sempre un occhio per lui; ma era stato forse proprio quello a far pensare ai civili che Kakashi fosse una specie di delinquente con privilegi speciali. Tutti i politici e i pezzi grossi nelle FOB lanciavano la pietra e nascondevano la mano; ma il rapporto professionale di Kakashi con l'Hokage e l'Agenzia di Intelligence del Terzo gli garantiva vantaggi anche all'interno della gerarchia miliare. Se vedeva una missione che gli piaceva, se la poteva prendere.

«Sparisci e ti ridò il tuo sciroppo,» gli propose Kakashi. Kotetsu annuì freneticamente. Il ragazzino colpì il terreno e corse via, e dietro di lui lo seguì anche il suo amico. Erano davvero viscidi per essere genin così giovani.

«I tuoi amici fanno schifo!» disse Obito a Saburo, restituendogli la macchina fotografica. «Quei due si sono messi in lista per gli esami quest'anno. Ci puoi credere? Quei due che diventano Chunin.»

Saburo prese la fotocamera e sorrise senza speranza. «Stavano solo scherzando.»

«Già, beh. Non puoi lasciargli fare quello che vogliono, bello.» Obito si infilò di nuovo le mani nelle tasche. «Sei in giro da solo?»

Kakashi lasciò che lo Sharingan si attivasse. Scrutò la folla oltre la testa dello studente dell'Accademia.

«Mia mamma è in servizio poco più avanti.»

«Andiamo, allora,» decise Obito. Iniziò a camminare aggirando la gente ammassata e guardando tutti male e sospettoso. «È meglio se non te ne vai in giro, S-dot. C'è qualcosa di strano nell'aria.»

Quel soprannome sembrò divertire Saburo, che ridacchiò raggiungendo l'Uchiha e trottando al suo fianco. Aveva i denti storti, che si spingevano l'un l'altro in cerca di spazio. «Ho fatto la foto a un tizio,» disse eccitato, agitando un braccio verso le bancarelle di cibo affollate, «che usava i noodles come se fossero una corda per saltare. E poi a un gruppo di MP che se ne andavano in giro in uniforme.»

«È losca questa città del cazzo,» mormorò Obito. «Perché c'è tutta questa sicurezza?»

Kakashi seguì quello strano duo, strofinandosi le mani dietro al collo e continuando a sorvegliare le persone intorno a loro. Si stava facendo la stessa identica domanda.

«Non si può nemmeno andare al cesso senza incrociare uno stronzo in uniforme che ti rovista nelle tasche,» brontolò Obito. «A chi verrebbe mai in mente di andare a picchiare qualcuno mentre sta cagando?»

«Forse è per via della rapina che c'è stata nei bagni un paio di anni fa,» disse Saburo. «Ricordi?»

«No,» rispose Obito, secco.

Saburo fece una breve pausa. «Oh, giusto. Scusa. Beh, un paio di anni fa un tizio ha rubato un sacco di medicali dalla drogheria. Non solo sciroppi per la tosse, ma anche roba costosa: squame di qualche tipo, in polvere. La polizia militare lo ha messo alle strette, quindi lui ha preso una donna come ostaggio e l'ha chiusa nel bagno.»

«Un disperato,» commentò Kakashi.

«Merda umana,» disse il suo compagno di squadra. «Che è successo poi?»

«L'ha lasciata andare ed è scappato,» disse il giovane giornalista. «Ma credo avesse un debito con qualche gang locale e stesse cercando di pagare le medicine per sua madre. Lo hanno trovato prima loro e l'hanno ucciso.»

«Un po' sospetto.»

«È losca questa città del cazzo,» ripeté Obito scuotendo la testa.

«Obito,» disse Saburo all'improvviso. «Attento alle pergamene dei demoni.»

«Nah, bro,» sbuffò lui, iracondo. «Le pergamene devono stare attente a me, al massimo...» Fu sufficiente un soffio di vento autunnale per far ondeggiare i rotoli appesi agli alberi, in mezzo a due torce ai bordi delle strade. L'istinto ninja di Obito lo abbandonò per un momento e Kakashi assistette all'Uchiha che veniva schiaffeggiato dai festoni. «Unh! Che cazzo!»

«Le pergamene devono stare attente a me, al massimo!» lo prese in giro Kakashi.

«Ugh, sta zitto, scemo!» ringhiò Obito, spostando il tessuto pesante. «Che cazzo ci fa qui questo coso comunque? È un possibile rischio d'incendio lungo ben dieci metri.»

«Serve a raccontare una storia,» rispose prontamente Saburo.

«Huh?»

«La leggenda dei dio del sole Amaterasu,» chiarì, alzando gli occhi lungo l’arazzo oscillante.

La cosa buffa riguardo agli arazzi dei demoni era che sbucavano ogni autunno, sempre alla stessa ora, ma nessuno vedeva mai qualcuno appenderli. «Questo racconta dell'alba.»

Obito si accigliò guardando il manufatto leggermente stropicciato. «Non riesco a leggere nessuno di questi scarabocchi. E i dipinti non hanno nessun senso: cos'è questa macchia nera sul lato?»

«Dicono che Amaterasu sia nata quando Nagi si è tolto dell'oscurità dall'occhio sinistro,» spiegò Saburo pazientemente. «Lei litigava continuamente con il dio della tempesta Sosanoo, suo fratello.»

«Okay,» Obito socchiuse gli occhi. «E il cavallo?»

«Un giorno, Susanoo lasciò un pony scuoiato sulla soglia della sua casa. I cavalli sono sacri per la dea del sole, e Amaterasu fuggì via di fronte alla malvagità di suo fratello. Nessuno riuscì a convincerla a uscire dal suo nascondiglio e il mondo cadde nell'oscurità.»

Saburo indicò il centro della pergamena, dove c'era un'illustrazione che raffigurava del fumo nero che usciva dai bordi; ingoiava il Vecchio Mondo come spirali dentro a una grande iride.

«Cosa sono queste cose verdi e blu?»

«Demoni,» rispose Saburo. «La leggenda dice che i folletti vennero mandati negli inferi per schernire la dea del sole e far sì che rimanesse sempre triste. Le raccontarono bugie sullo stato delle cose, fino a quando non si convinse di essere qualcun altro.»

«Che bastardi. Come ne è uscita?»

«Ha sentito delle risate provenire dall’esterno,» disse Saburo. «E quando ha messo la testa fuori dalla caverna nella quale era nascosta, Amaterasu si è vista allo specchio ed è rimasta stupita del suo stesso riflesso. In quel momento ci fu la prima alba.»

Obito elaborò la storia per qualche istante, con la bocca chiusa e un'espressione indecisa. Poi indicò un anello di simboli nella parte inferiore della pergamena. «Guarda, K, questi sembrano un po' degli Sharingan.»

Kakashi mormorò qualcosa. Avrebbe solo voluto annusare profondamente dietro all'orecchio del suo compagno di squadra.

«È, uh, Magatama.» Saburo si offrì di nuovo volontario per spiagare, facendo una pausa per guardarsi intorno. Sembrava confuso per via dell'attenzione che i suoi superiori gli stavano dando, o per la loro ignoranza; Kakashi non sapeva quelle delle due. Le torce si allinearono con Obito, facendolo sembrare avvolto dalle fiamme dell'inferno. Quel rotolo sembrò sussurrare i suoi inquietanti racconti folkloristici in una sinfonia di foglie nere. «La collana che Amaterasu ha passato ai suoi discendenti,» spiegò il ragazzino. «Ha chiesto loro di governare la terra e coltivare il riso, e ha dato loro tre tesori: uno specchio di bronzo, il Magatama e la spada di Kusanagi, che era nascosta dentro alla coda del serpente Orochi

«Avrebbe potuto semplicemente spedire un pacco per posta,» disse Obito, incorreggibile. «Comunque queste storie sono tutte uguali: abiette e violente.»

«Non sono così male,» disse Saburo. «Che mondo sarebbe, senza mostri?»

Obito si appoggiò le mani sui fianchi, poi dietro la testa. Socchiuse gli occhi. «Ma, bello, i mostri hanno tenuto Ammy chiusa in una caverna!»

«Ma se lei non li avesse affrontati e sconfitti, non ci sarebbe stata l'alba, non esisterebbero il giorno e la notte: la forza, la sofferenza o il sollievo. La storia ci insegna che la vita è ciclica, ma perenne: il sole sorgerà e tramonterà con la stessa certezza con la quale il riso verrà raccolto ogni anno. Questo lo dobbiamo ad Amaterasu e ai suoi demoni. Senza di loro, non esisterebbero cose come la pace o l'equilibrio, lo yin e lo yang.»

«Wow, sei davvero preso da questa merda,» disse Obito. Kakashi sbuffò.

«Err... penso solo che sia una bella storia.» Il ragazzino balbetto, si girò di scatto e cominciò a camminare lontano dalla decorazione appesa.

Kakashi indugiò mentre il suo compagno di stanza diede un'ultima occhiata alla pergamena del demone. Prima che potesse voltarsi, Kakashi gli pizzicò l'orecchio. Solo per fargli tirare fuori le mani dalle tasche, o fare in modo che lo guardasse. Prevedibilmente, Obito si scagliò contro di lui, prima con una gomitata che lo mancò, poi con una mano che gli afferrò il cappuccio e lo trascinò vicino a sé. Avvenne solo perché Kakashi glielo permise.

«Vieni dagli Inferi per caso?» mormorò Obito.

Kakashi fece una risata sorpresa. «Obito... tu non sei certo il dio del sole in quello scenario.»

«Perché no?» Alzò gli occhi al cielo. «Hai visto l'ultimo numero di Okami. Amaterasu è una gnocca.»

«E allora?» Obito si accigliò, scuotendolo. «Chi ti credi di essere?»

Kakashi ghignò sotto alla maschera. Obito emise un verso di frustrazione e lo lasciò nel trambusto. Continuarono a seguire il loro giovane compagno.

Trascorsero alcuni momenti di silenzio mentre la folla eccitata diventata sempre più fitta. Poi Saburo si rivolse al lunatico Uchiha. «Allora, come va il tuo vaso di terra?»

Obito sbiancò. «Oh, beh sai, è terra.»

«Mi dispiace,» disse Saburo sincero. «Stavo pensando però: i fiori non appaiono in ogni luogo nel quale vai, no? Ad esempio non spuntano nel campus, o qui nel parco, no?»

Obito scosse la testa.

«Pensavo: forse ha a che fare con il chakra. Intendo dire, forse ha qualcosa a che fare con la tua energia.»

«Oh,» fece Obito, e il suo malumore sembrò diradarsi un po'. «Non ci avevo pensato. Ma sì... proverò.»

Kakashi provò a non ridere dell'interesse sincero che il ragazzino stava dimostrando verso l'esperimento scemo del suo compagno di stanza. Lui non ci aveva nemmeno più pensato, era stato troppo occupato a chiedersi perché il suo compagno non volesse allenarsi con lui...

«Um, Kakashi? Ho pensato a quella domanda che hai fatto, la cosa della metafora,» disse Saburo. Kakashi abbassò lo sguardo perplesso e cercò di capire a cosa diavolo si stesse riferendo. «Riguardo la mente, il litorale e il colore blu. E ho deciso: la coscienza esiste in funzione del corpo e del tempo…»

Obito grugnì la sua confusione.

«Voglio dire, la coscienza,» continuò Saburo, «abita un corpo all'interno del tempo. Quindi puoi essere cosciente senza necessariamente entrare in contatto con la realtà, o mai lasciare la riva. Ma essere un essere vivente, invece, è un insieme di esperienza, verità e crescita. Ci ho pensato e sono d'accordo con te, penso che se vuoi davvero conoscere la vita, devi salpare con una nave. Devi uscire di testa.»

Kakashi sorrise, divertito. Non ricordava ancora di che cazzo stesse parlando.

Obito sollevò il giornalista in un piccolo scherzo giocoso. «Anche tu sei pazzo,» concluse.

Il bambino ridacchiò nervosamente e tirò il braccio del Jōnin. «Uh, grazie, Obito.»

«Puoi chiamarmi B. Nessuno usa più tutte quelle sillabe con me.»

Saburo si sforzò per eduzione. «Oh, capisco.»

«L'Hidden Leaf ha fatto schifo ultimamente,» iniziò Kakashi. «Ho letto un sacco di stronzate sulle foglie che sbocciano e i fiori. Nessuno ha parlato dell'enorme progetto di costruzione nel distretto di Hokuto; non abbiamo bisogno di un altro muro... soprattutto non dentro alla città...»

«E i pipistrelli!» lo interruppe Obito. «Nessuno ha notato che i pipistrelli sono agli sgoccioli?»

«Ma-a,» Kakashi rise. «È perché il nuovo batterista non sa la differenza tra taiko e den-den daiko...»

«Non sto parlando di quella band di merda!» disse Obito, iracondo. «Smetti di cercare di farmi incazzare!»

«Non so cosa stia succedendo in redazione.» Saburo si liberò districandosi dalla presa di Obito e sospirò come se fosse molto più anziano. Abbassò le spalle. «In realtà, non scrivo più per il giornale, ormai.»

«Oh?» Kakashi batté le palpebre. «Cos'è successo?»

«Sono stato licenziato.» Saburo fece il broncio, poi un passo indietro. «Beh... mi hanno detto che era il momento di cercare altre opzioni lavorative.»

«Stronzate,» ribatté Obito. «Se ti piace dovresti essere libero di farlo. Non importa quello che dicono quegli stronzi.»

Saburo lasciò ricadere la macchina fotografica intorno al collo e mise una mano nella borsa mentre continuarono a camminare lungo la via illuminata dalle torce. A un certo punto, tirò fuori un piccolo involucro di carta arrotolato e glielo offrì. Kakashi lo prese e spiegò la prima pagina. Era un giornale.

Mentre leggeva i titoli degli articoli, il suo compagno di stanza si appoggiò pesantemente alla sua spalla e lesse in modo odioso e ad alta voce. «Watertower» disse. «Bello!»

«Ho deciso di auto pubblicare i miei articoli,» spiegò Saburo. Poi il petto gli si sollevò con orgoglio. «Ho capito che i miei pezzi migliori sull'Hidden Leaf erano le mie idee peggiori.»

«Buon per te, ragazzino.»

«Yo!» gracchiò Obito all'improvviso, mettendo la sua fottutissima mano aperta sulla fotografia in prima pagina. «Conosco quel posto, quella è la casetta della merda. La casetta della merda in cima al nostro isolato!»

«Ho mappato il sistema igienico della città,» disse Saburo. Sospirò profondamente. «Sapevate che, nell'anello inferiore, il periodo di attesa per poter vedere un medico ninja a volte è di anni? Le persone nei quartieri bassi hanno una probabilità tre volte maggiore di morire di malattie curabili e complicazioni al parto, e ho scoperto...»

«I giovani...» mormorò Kakashi, guardando l'articolo sotto alla lieve luce del festival. «Devi stare attento con queste cose.»

«Lo so,» disse Saburo in fretta. «Ma va bene. La distribuzione fa schifo. Solo dieci persone nella città hanno una copia, probabilmente.»

«Bene. Ti dispiace se ne tengo uno?»

Saburo si strinse nelle spalle. «È tuo.»

La piazza era piena di gente. Gli spettatori avevano congestionato il flusso naturale del traffico, si erano radunati intorno agli artisti di strada e alle grandi pedane per le danze; le tende per le attività diffondevano una luce calda; gli ospiti del Green Lake teahouse punteggiavano le terrazze dei giardini all'interno e all'esterno dell'edificio principale, dal piano terra fino al quinto, avvolto dal fumo.

Le attività in piazza attiravano sempre più persone rispetto al centro del parco e i venditori ambulanti approfittavano del traffico per irritare i clienti ignari; corridoi labirintici di banchetti temporanei che vendevano curiosità dalla Terra Del Fuoco erano spuntati durante la notte lungo tutto il bordo della piazza, incanalando la folla attraverso infinite curve di bancarelle, una accanto all'altra. Vendevano sigilli, pergamene, portachiavi con facce di animali ammiccanti, narghilè ed enormi pipe scolpite in acero, ciliegio e olmo.

Non molto tempo dopo aver raggiunto la sorgente di quella confusione, Obito li abbandonò, schivò le trappole di qualche venditore appostato e si avventò su un innocuo banco di cibo posizionato ai margini di quel caos. Saburo si guardò un po' intorno per la piazza e poi seguì l'Uchiha.

La bancarella vendeva il chimaki, un tipo di riso dolce cotto all'interno di gambi di bambù di venti centimetri. Più comunemente, veniva avvolto nelle foglie, ma a Obito piaceva dover aprire i bastoncini.

Divenne visibilmente frustrato quando il venditore gli chiese se lo voleva bianco o nero.

«Esiste il riso nero?»

Konoha commerciava con le comunità delle montagne orientali solo da qualche anno; Kakashi si rese conto che Obito non aveva mai visto quel riso straniero. «Provalo,» gli propose con una gomitata al fianco. «Te lo offro io.»

«Non ho bisogno dei tuoi soldi da drogato, Kash,» Obito tirò su con il naso. Che babbeo. «Ho fatto un grado D oggi.»

«Di nuovo a caccia di gatti?»

«No, la vecchia signora al piano di sopra si è chiusa fuori di casa, così l'ho aiutata a sfondare la porta.»

«Molto più eroico,» mormorò Kakashi.

«Perché non ha chiamato un fabbro?» chiese Saburo.

«Non aveva il tempo per un fabbro, amico,» insistette Obito. «Gli anziani vanno a fare tai-chi al mattino presto nel parco. La nonnina era in folle ritardo. Era l'unico modo.»

«Ti ha pagato per entrare nel suo appartamento?»

«Lui piace un sacco ai vecchi,» ridacchiò Kakashi.

L'espressione del suo compagno divenne improvvisamente seria. «Fuori dalle sue finestre c'erano tutti quei pipistrelli morti, amico. Come se si fossero stancati troppo a volare là fuori, o cose così. Continuo a vederli...»

«Smetti di pensarci.» Kakashi gli diede un’altra gomitata. «Scegli un bastoncino. C’è il mango dentro a quello nero.»

Obito osservò di nuovo la serie di steli di bambù nella vetrina, con gli occhi spalancati. «Man-go

Kakashi si mise una mano sugli occhi. Ovviamente non poteva sapere cosa fosse un dannato mango.

«Esatto,» disse Saburo, calmo. «Di recente abbiamo iniziato a commerciare con Tanigakure. Ci sono un sacco di cose nuove e fighe, B,» continuò il ragazzino, alzando la voce. «C'è il gelato al mango, la torta fatta con il grano e il sake di latte di doboroku...»

«Dobo...roku?» il broncio di Obito si trasformò in un sorriso. «Sì, hai ragione. Non ci avevo mai pensato. Devo mettermi in pari anche con il cibo.»

Quel ragazzino era un fottuto sussurratore di Uchiha... Kakashi aveva bisogno di sapere quale metodo Saburo stesse usando per rendere così semplice il dialogo con il suo compagno di stanza.

Obito pagò il venditore con la misera indennità della vecchia signora e aprì il bambù al centro usando i pollici.

«È tipo... viola.» Osservò il riso appiccicoso e macchiato di frutta all'interno, con una faccia stupida, come se fosse infastidito, in qualche modo. Infastidito dal riso.

«Smetti di fissarlo e mangialo.»

«Lo sto per fare!» Obito gli lanciò uno sguardo burbero. «Non ridere, io... non pensavo che il riso potesse essere viola. E queste altre cose sono arancioni e viscide.»

«È frutta. Raidō ha portato il mango una volta. Non ricordi? Quando è venuto a giocare a carte con Ebisu e Gai.»

Raidō si sforzava sempre per essere un bravo ospite. A differenza di tutti gli altri.

«Quelle cose rosse e verdi? Pensavo fossero delle patate.»

Il ragazzo del giornale soffocò una risata nell'interno del gomito. Kakashi alzò gli occhi al cielo e nascose il suo fastidio. Non aveva ancora fumato niente quel giorno, ma ne aveva bisogno per riuscire a superare quella serata con il suo compagno.

Obito si fermò con il bambù aperto vicino alla bocca. «K? C'è qualcosa che non va?»

La schiena di Kakashi si era raddrizzata, i talloni avvicinati. Non era riuscito a trattenersi. Nella cultura Hatake, ci si inchina per salutare la propria madre.

Saburo si coprì gli occhi con entrambe le mani e gemette.

Una maschera bianca sembrò materializzarsi dalle ombre della folla circostanti; il volto di una leonessa malandata, con la bocca sorridente e lo sguardo soddisfatto. Anche se non si fosse ricordato di quella maschera o dell’acconciatura afro, Kakashi non avrebbe mai potuto dimenticare le cattivissime lame curve incorniciate che aveva nella cintura. O il modo nel quale la sua statura lo faceva sentire solo un bambino.

«Sera, uomini.» Arrivò un saluto innocente. «A riposo.»

«Oishi-senpai.» Kakashi alzò lo sguardo e la salutò.

«O-i-shi?» mormorò Obito. «Ma non è un nome da maschio?»

Kakashi colpì forte il suo compagno nelle costole. «No, non lo è!» sibilò.

«No infatti,» disse l'ufficiale ANBU. Salutò Kakashi portando la mano al lato della faccia e fece una risata oscura. «È passato un bel po', piccolo. Guarda come sei alto.»

Saburo sembrò accigliarsi. «Mamma...»

«Mi ricordo ancora quando ti sei unito alle Special Ops.» Si appoggiò al muro e si portò una mano all'anca, ignorando le lamentele del figlio. «Abbiamo dovuto ordinare un'uniforme fatta apposta per te... eri troppo piccolo per quelle che avevamo a disposizione.»

Kakashi sentì il suo compagno di stanza ghignare e il viso andargli a fuoco. Guardò dritto davanti a sé.

«E tu devi essere Obito.»

Quando lo sguardo vuoto della maschera si posò su di lui, l'Uchiha deglutì. Non cercò di attirare l'attenzione o altro, ma rimase immobile e annuì come se stesse nascondendo qualcosa.

«Carino,» disse l'ufficiale. «Puoi chiamarmi Oishi. Vederti in piedi e andare in giro conferisce molta speranza alla gente nella FOB, sai? Ragazzi, state facendo dei numeri impressionanti.»

Obito abbassò lo sguardo a terra, poi lo sollevò di nuovo. «Speranza?»

«Certo,» disse lei, e la parola risuonò con fierezza. «Senti quest'energia nell'aria?»

Una profonda inspirazione risuonò da sotto il volto da leone. Oishi si chinò di nuovo, e la sua voce divenne un sussurro cospiratore. «Una volta, un grande poeta disse: l'autunno è un bagno di sangue. Lo senti? Il suono che fa il campo prima di bruciare?»

«Mamma,» disse Saburo seccato. «Nessuno dice questo genere di cose.»

Lei scrollò le spalle languidamente. «Le stagioni stanno cambiando, amore mio, e con loro anche le guerre. La violenza fa parte della natura, così come gli uccelli, le api…»

Era davvero un pessimo momento perché un ANBU gli si piazzasse davanti e iniziasse a parlare in fottuto codice, e Kakashi cercò un modo per distrarre educatamente la suo ex mentore dal compagno. «Oishi,» cominciò.

Obito però lo precedette. «Ma che cazzo stai dicendo?»

La leonessa inclinò la testa. Non c'era un modo discreto nel quale Kakashi avrebbe potuto spiegarle che non aveva detto nulla al suo compagno di squadra (nulla sul loro passato, e tanto meno nel loro futuro), quindi si fece prendere dal panico e afferrò la mano di Obito in una presa schiacciante.

L'ufficiale delle Special Ops si abbassò di nuovo e posò le mani sulle spalle del Jōnin. «Non c'è niente di più bello,» disse, «di due ragazzi smarriti che stanno cercando di tornare a casa.»

Le narici di Obito si allargarono. Oishi tornò alla sua altezza. «Vi state godendo la fiera?»

Kakashi ritirò la mano e si parò il culo con nonchalance. «La sicurezza sembra intensa quest'anno,» disse. «Pensavo lei fosse in congedo.»

«Oh, conosci Hiruzen,» rispose Oishi a voce alta, come se per lei non fosse un problema chiamare l'Hokage per nome. «Uno dei suoi consiglieri gira un bastone per la pioggia, e lui cambia idea sulle decisioni di un mese intero: stasera ha schierato alcune divisioni in più, e io ho estratto il bastoncino più corto.»

«Un po' eccessivo però, no?» disse Obito. «Con tutti quegli MP che se ne vanno in giro.»

Lei fece un verso di approvazione. «Speriamo lo sia. Ragazzi, voi non avete visto nulla di strano, no?»

Kakashi scosse la testa.

«Tipo cosa?» Obito era curioso. «È solo la solita merda losca.»

«Bene, allora.» Finalmente, l'agente si rivolse al figlio, mettendogli una mano sul collo e l'altra sulla spalla. «Saburo, non ti stai mettendo di nuovo nei guai, vero?»

Lui negò. Kakashi pensò che probabilmente erano i guai a trovare lui e non viceversa.

«Non preoccuparti per l'Hidden Leaft, amore. Non sanno cosa si sono persi. In città ci sono altri giornali e molti editori adorerebbero i tuoi lavori, ne sono certa.»

«Okay, mamma.»

«Non ti bacio di fronte ai tuoi amici.»

«Mamma!» protestò. «Se lo dici peggiori le cose.»

La maschera tornò a guardare i Jōnin. Oishi si mise le mani sui fianchi. «È ora di riattaccare con il lavoro, ma voglio entrambi a cena uno di questi giorni, capito? Niente scuse!»

Un attimo dopo, l'ufficiale ANBU si smaterializzò e Kakashi sbatté le palpebre per rimuovere l'immagine residua del gatto sorridente. Tre esalazioni interruppero il silenzio seguente.

«Era tua madre?» lo accusò Obito.

Saburo si strinse nelle spalle. «Mi hanno sempre detto così.»

«Ha tenuto i miei esami ANBU,» disse Kakashi. «Siamo stati nella stessa divisione per un po'.»

«Veramente?»

«Sì, Oishi è mi ha aiutato a decifrare il codice di quella civetta.»

«Ora sta facendo più che altro crittografie,» disse Saburo. «La lasciano rimanere in città. Così può tenermi d'occhio. È terribile.»

«Cristo santo. Perché non mi hai detto che tua mamma era un ANBU quando hai fumato erba con me, eh?»

«Hai fatto fumare un tredicenne?» disse Kakashi, non troppo impressionato.

«Beh, sì? Cioè...» Obito strinse il bastoncino di bambù con entrambe le mani. «Non è così grave, no?»

«Dimmelo tu. Hai visto le lame nella sua cintura?»

«Ragazzi...» Saburo li interruppe con espressione cupa. «Non sono i suoi artigli quello che deve preoccuparvi: schivatevi quell'invito a cena, fidatevi di me.» 


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Capitolo 13
*** Vacanze pt.3 ***


Le strade principali intorno al Green Lake Park collegavano le quattro entrate, poste ai punti cardinali, alla piazza centrale, ma un labirinto di stradine secondarie e passerelle su palafitte si diramava fino alle attrazioni minori sull'acqua: i giardini galleggianti, l'area con le barche a pedali, isola del bambù... e il cesso, fra le altre cose.

Kakashi aveva cercato di evitare i luoghi troppo affollati, ma Obito aveva voluto trascorrere quasi un'ora a passeggiare per il giardino sotto alla luce della luna, dando da mangiare ai pesci del laghetto paludoso insieme a bambini dai tre e ai cinque anni d'età.

Alcune carpe koi anziane erano sfregiate; avevano le pinne strappate da numerose battaglie, occhi mancanti.

Restare a guardare il suo compagno di squadra gettare lattuga mentre rifletteva sotto alla luna piena era stata un'esperienza surreale. Dopo un po', Kakashi lo aveva lasciato solo ed era rimasto a una certa distanza, all'ombra di un ponte ricurvo pedonale. Era rimasto fermo nell'erba umida così a lungo che un randagio era emerso da sotto il ponte e si era messo ai suoi piedi: era un gatto grigio come la luna, con le zampe infangate e i baffi arricciati. L'animale lo ignorò per un po', poi ruotò la testa e gli socchiuse gli occhi.

«Non ho niente da darti da mangiare,» lo avvisò Kakashi. Il gatto lo guardò con sufficienza, come per dire che al massimo era lui quello in cerca di cibo e di una casa.

Obito sembrava piacere molto ai pesci. Dopo un po' di tempo, i bambini si ammassarono intorno a lui, spingendosi lungo la passerella per guardare la nuvola di koi e piccoli killifish che si erano radunati ai piedi dell'Uchiha.

A volte, l'amore faceva male, ma si poteva tollerare, come con un'unghia incarnita o un maglione che pizzicava. Gli alberi erano fioriti, un vento lontano soffiava; i petali cadevano dalle montagne sugli alloggi shinobi e sui condomini delle terrazze suburbane… e Kakashi era seduto nell’ombra a rimuginare su quel sentimento illogico.

L'unica cosa che non erano riusciti a insegnargli all'Accademia era cosa fosse davvero la paura. Kakashi adesso la conosceva intimamente; ne aveva vista ogni sfumatura negli occhi dei suoi nemici, nei suoi amici e nelle sue vittime. La ricordava in Rin.

La paura nasce quando percepiamo una minaccia e può essere vantaggiosa; il panico, invece, bisogna saperlo gestire. Kakashi sapeva controllare la sua paura, usarla per sconfiggere i suoi rivali.

Si diceva che gli occhi dei killifish portassero la felicità. «Sarà vero?»

Il gatto randagio mantenne lo sguardo fisso su di lui per un momento prima di sollevare bruscamente la zampa posteriore e iniziare a leccarsi il culo. Kakashi pensò che quell'animale dovesse aver già guardato negli occhi un killifish: era davvero il ritratto della felicità. 

Dopo un po', Obito si spostò dalla folla, affondò le mani in tasca e sembrò farsi strada ciecamente attraverso le passerelle del giardino, attorno al ponte ad arco e nell’erba frasca. Proprio nello stesso modo nel quale Kakashi si era fatto strada ciecamente verso di lui nel giorno nel quale Obito si era risvegliato.

Si sentì pizzicare la pelle e fremette.

«Andiamo,» bofonchiò Obito. «Non ho più lattuga e sono piuttosto sicuro che uno di quei piccoli coglioni si sia pulito il naso sulla mia gamba.»

Un po' della sua scontrosità si sbiadì nel divertimento. «Che vuole il gatto?»

Il randagio grigio fissò l'Uchiha con gli occhi spalancati e abbassò la zampa da dietro la testa. Prima che Obito potesse aggiungere qualcosa, si mise su quattro zampe e corse sotto al ponte con le orecchie piatte sulla la testa.

«È stata la compagnia migliore che ho avuto stasera,» disse Kakashi, solo per scherzare.

Obito si accigliò. «Vagli dietro, allora.»

Kakashi si alzò in piedi e allungò le braccia dietro la testa per stiracchiarsi, non prestando troppa attenzione a quella risposta acida. No, avrebbe lasciato che fosse il resto degli adolescenti in città a unirsi al randagio alla sua caccia serale alle tope… non importava se Obito avrebbe evitato il suo sguardo tutta la sera.

«Quando ero bambino venivo sempre qui a dare da mangiare ai pesci. Ne riconosco ancora alcuni.»

«Ah sì?» mormorò Kakashi, guardando alla sua destra. «Vedi qualcos'altro quando guardi là sotto?»

«Tipo?»

Kakashi si strinse delle spalle. Ricominciarono a camminare lungo la passerella rialzata e Obito sfuggì ai bambini ammassati saltando sul ponte e scivolando dietro a un venditore di popcorn e mangime per pesci. Esitò, poi attraversò di nuovo l'ingresso principale del parco.

«Di solito non ci sono così tante persone qui.» Superarono una bancarella che vendeva tartarughe neonate in recipienti sferici di plastica. Obito si accigliò. «È difficile concentrarsi. Mi toccano tutti.»

«Hai mai pensato che la tua bolla di spazio personale è larga un miglio?»

«Ah, cazzo.» Obito sollevò il lato sfregiato della bocca e quel ghigno fece stringere la gola a Kakashi in modo quasi fatale. «Mi prendi per il culo?»

Kakashi strinse le spalle per guadagnare del tempo. Poi: «Se vuoi.»

«Nah, scordatelo.» Una mano omicida gli uscì dalla tasca e cercò di colpirlo, ma il suo occhio rimase fisso sul sentiero davanti a loro. «So già a memoria cosa vuoi dirmi: “Obito, prova a lasciare avvicinare le persone e potresti scoprire che ti piace e tu piaci a loro; esci dalla scatola, Obito, inizi a puzzare; parli male perché mangi male; ma-a, Bunzo-sensei ha un bastone più corto del tuo su per il suo culo.” Sai cosa ti dico? Vaffanculo. Le ho già sentite tutte e sono stufo. Falla finita.»

«Va bene, ho finito.» Kakashi gli afferrò la mano prima che potesse farla sparire di nuovo nella tasca. Gli infilò le dita nelle fessure delle nocche e passò il momento successivo di silenzio con lo sguardo rivolto al boschetto di bambù distante nell'acqua. La pelle di Obito bruciava, ma non in modo insostenibile. Almeno all'inizio.

Nel boschetto di bambù era stata allestita un'arena per pugili. A Kakashi non sarebbe dispiaciuto far cadere un po' di gente dal suo piedistallo, quella sera. Lui e Maito Gai avevano trascorso intere nottate in una maledetta arena per pugili; ed era stata l'unica cosa che aveva fatto in fiera, ma una volta che Kakashi era entrato negli ANBU e la gang era passata da un gruppo di Chunin a una manica di Jōnin davvero pericolosi, partecipare alle attività del luna park dei civili era diventato di cattivo gusto, per quanto divertente.

Le armi erano essenzialmente bastoni con entrambe le estremità avvolte in un'imbottitura pesante. Le partite uno contro uno si svolgevano su piedistalli posizionati a poco più di un metro e mezzo di distanza e sollevati a tre metri d'altezza. L'obiettivo era far cadere l'avversario sulle stuoie senza perdere l'equilibrio. Dopo un paio di drink, era una sfida ardua anche per un Jōnin d'élite.

«Sapevi che Anko è allergica ai gigli rossi?»

Kakashi mormorò qualcosa.

Ovvio che lo so, ma vorrei parlare del perché tu mi hai ignorato tutta sera.

«È stato bello vedere Genma prenderle da qualcuno, ma tu, uh...» Le narici di Obito si allargarono, ma non sembrava arrabbiato. Non ancora, pensò Kakashi. Era agitato, forse. «Hai rovinato il loro appuntamento.»

Kakashi si passò la mano libera dietro il collo. Non si sentiva molto in colpa. «Si conoscono da ancor prima che fare il bagno insieme fosse una cosa erotica! Come ha potuto scordarsene?»

«Hm,» borbottò Obito. «Era davvero incazzata. Perché lo hai fatto?»

«Genma mi ha infastidito.»

«Quando?»

«Eri lì a vedere anche tu.»

«Intendi...» Le sopracciglia scure di Obito si avvicinarono. «Quando ci stava importunando al seminario? Non mi ero nemmeno accorto che ti fossi incazzato, quel giorno. Gli hai anche fatto lo sconto sull'erba e tutto il resto.»

Si zittirono mentre attraversavano un angolo più affollato della strada panoramica. Mentre Kakashi ragionava su cosa fosse più saggio, se spiegare o rimanere in silenzio, il suono dei tamburi battenti e della folla continuò a crescere. La notte scendeva come un fiume che scorreva sui sentieri levigati di calcare, calando l'oscurità intorno a piccoli arcipelaghi dorati di torce e lanterne. Le bancarelle alimentari rilasciavano fragranze miste di risate e olio da frittura.

Due file di ginkgo si estendevano lungo una viuzza che si diramava dalla strada principale. La folla si diradò nelle ombre alte vacillanti di quegli alberi. Una coltre di foglie cadute chiacchierava sotto ai loro piedi.

Obito finalmente smise di pensare. «L'hai preso per il culo.»

Kakashi si mise a ridere. Non aveva capito. «Gli ho dato un paio di giorni per sistemarsi con me. Non l'ha fatto.»

Inserì un terzo dito nella presa molle di Obito. «Hai passato di nuovo tutto il giorno su ai campi neri

Obito annuì e qualcosa nell'espressione colpevole che aveva avuto tutta sera tornò a distorcere i suoi lineamenti. Le dita si contrassero. «Mi dispiace, bello.»

Kakashi scosse la testa a quella strana ammissione. «Per cosa? Stai nascondendo altre ferite aperte?»

«No, voglio dire...» Obito guardò gli alberi sul lato opposto della strada. «Sono sciatto e sporco.»

«Non me ne frega un cazzo.»

Kakashi attivò lo Sharingan e assaporò la familiare sensazione di scambiarsi la vista con Obito. Si spinse in alto la fascia che gli copriva l'occhio e in pochi giri d'iride passò dallo stato di eccessiva vigilanza alla normalità. Lasciò la mano del suo compagno di squadra e provò invece con una presa più familiare sulla nuca. Più o meno erano alti uguali, ma non esattamente... la cosa del tenersi per mano avrebbe funzionato solo se Obito avesse fatto almeno un piccolo sforzo.

L'argento era ancora freddo al tatto.

Anche se l'Uchiha non avesse avuto un aspetto delizioso, in nero e con la catena, a Kakashi non sarebbe fregato nulla del suo aspetto. Solo un anno prima, Kakashi non solo non era andato alla Festa dell'Oca, ma aveva fatto del suo meglio per evitare chiunque avesse cercato di trascinarcelo. Aveva passato la serata con una bottiglia di whisky ed era collassato su tre sedie scomode dell'ospedale. A quei tempi, non sembrava ci fossero possibilità che il suo compagno si svegliasse. Tanto meno che lo facesse solo un paio di giorni dopo.

Le vacanze avevano sempre avuto l'orrendo effetto collaterale di fargli pensare alle cose che aveva perso e a quelle che le altre persone avevano, a tutte le cose che non avrebbe mai fatto. E ogni anno, da quando aveva compreso cosa fosse davvero la paura, in quel giorno, Kakashi si sarebbe ricordato anche di tutto ciò che al riguardava: la famiglia morta, gli amici morti, ferite orrende, missioni strazianti e segreti soffocanti... l'Accademia ti preparava per quel genere di cose. Questo è ciò che significa essere uno shinobi, aveva pensato Kakashi, guardando i tubi pompare aria nel petto di Obito.

Non avrebbe mai immaginato di potersi sentire così giovane e già così vuoto allo stesso tempo. Kakashi sapeva, aveva sempre saputo fin dall'inizio, quali sarebbero stati i rischi, ma quello che era successo al Team Minato era stata una vera eccezione, e per molto tempo le decisioni crudeli del fato lo avevano confuso, tanto da non fargli comprendere nemmeno che i suoi amici gli stavano offrendo aiuto. Ma come avrebbe potuto accettare di andare avanti con uno dei suoi occhi intrappolato in quel reparto d'ospedale, bloccato lì a ricordargli cos'era successo?

Kakashi non aveva nemmeno pensato che un giorno sarebbe potuto tornare a quella maledetta Festa dell'Oca, figuriamoci di divertirsi. Non sapeva se dare la colpa ai teatrini in strada o agli ormoni, ma non voleva più fingere; essere felice non richiedeva un grande sforzo quando c'era Obito accanto a lui e non importava se per scioglierlo ci sarebbero voluti un centinaio di noiosi stagni di pesci rossi.

«Chi ti ha dato i fiori?»

Kakashi portò una mano al piccolo mazzo di flora autunnale che aveva ancora dietro all'orecchio; alcuni grappoli pallidi di lavanda e valeriana, una lunga coda di trifogli. Se ne era quasi dimenticato.

«Uno dei venditori li ha regalati ad Anko,» rispose, «ma lei si è offesa e ha detto qualcosa sugli stereotipi di genere, quindi li ho presi io. Ne vuoi uno?»

«N-no…» disse Obito in fretta. «Stanno meglio a te.»

Kakashi lanciò un'occhiata di lato e ghignò sotto alla maschera. Finalmente aveva la completa attenzione del suo compagno di squadra. Obito fece un timido mezzo sorriso che Kakashi non gli vedeva da quando erano bambini e correva dietro a Rin con gli occhi a forma di cuore. Fu una sensazione surreale guardare l'occhio nero del suo compagno attraverso il suo gemello separato. Kakashi desiderò per l'ennesima volta che il mondo non lo avesse masticato in quel modo, ma… almeno, almeno me lo ha sputato indietro. Gli era grato per averlo fatto.

Kakashi sapeva che Obito non sopportava che lo facesse, ma gli avvolse un braccio sulle spalle, solo per accorciare la distanza fra loro. «Se ti baciassi in pubblico, il tuo clan ti rinnegherebbe?»

Obito alzò gli occhi al cielo e rafforzò il mezzo sorriso. Per un secondo, mostrò i denti in un'espressione maliziosa.

Da panico, pensò Kakashi, sentendosi appagato e confuso. Non gli dispiaceva abbassare la guardia in questi casi... non gli dispiaceva impanicarsi per lui. «Bakashi, non sai nulla degli Uchiha, vero?»

Kakashi sbatté le palpebre, socchiuse gli occhi attraverso la nebbia che li aveva offuscati. «Huh...?»

«Satsuma!» urlò Obito all'improvviso, con un ringhio di felicità. Si diresse verso un complesso di bancarelle disposte lungo il bordo del patio degli scacchi. Kakashi fece sprofondare le mani nelle tasche e lo seguì, fantasticando pigramente sul giorno nel quale sarebbe stato il suo nome a uscire dalle labbra del suo compagno di squadra con la stessa passione con la quale aveva chiamato i bastoncini fritti di patate dolci.

Il venditore aveva tutti i cibi tipici locali: il satsuma; una specie di palla di riso appiccicosa chiamata agemochi; castagne arrostite e semi di ginkgo; tempura di mais grigliata e zuccherata chiamata dakekimi. L'odore di tutte le pietanze che sfrigolavano nella soia avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca anche alla persona più salutista. Obito si voltò a guardarlo con un occhio solo, con l'espressione più solenne e seria che Kakashi gli avesse visto per tutta la sera.

«Amico,» disse facendo inarcare le labbra di Kakashi in un sorriso. «Posso usare la carta? Hai preso il resto dei miei punti riscattati al Mission Control?

«Mhm,» confermò Kakashi, anche se ovviamente non lo aveva fatto.

«Sul serio? Vedi…» Obito sollevò le sopracciglia nere e fece un gesto puntandosi contro un pollice. «Vado giù alle FOB e non ottengo altro che incazzature; vai tu e sono tutti pancia all'aria.»

Quando smise di sprecare ossigeno e si rivolse al venditore, Kakashi tirò fuori le carte dalla tasca. I pagamenti elettronici erano una comodità recente a Konoha; i punti addestramento erano facilmente scambiabili all'interno delle mura della città, ma non valevano molto al di fuori di esse, quindi i venditori ambulanti e i piccoli mercanti non potevano accettare trasferimenti di punti dagli shinobi del villaggio. In quel modo gran parte del capitale della nazione era ben controllato.

Kakashi aveva deciso di gestire sia il suo conto che quello di Obito, perché così sarebbe stato molto più semplice. Erano d'accordo sul fatto che nessuno dei due dovesse prendersi cura dell'altro, ma avevano anche stabilito di aiutarsi là dove uno dei due non riusciva. Tipo, un anno prima Kakashi era perfettamente soddisfatto con le sue razioni per i pasti, gli allenamenti intensi e le lunghe serate di divertimento tossico, ma una delle prime cose che Obito aveva fatto dopo essersi incontrati la prima volta era stata quella di incazzarsi per un satsuma stantio: aveva rovinato la giornata al venditore. E dopo quell'evento, Kakashi aveva iniziato a trascorrere molto più tempo nell'appartamento; inizialmente B era stato una cazzo di porta chiusa. Si era trasferito solo con un bollitore elettrico, una manciata di mollette per il bucato, una ciotola scheggiata che aveva nella vecchia casa e aveva iniziato a chiedere perché non avessero un tavolo, un divano o delle pantofole. Kakashi aveva dimenticato i semplici piaceri della vita, la spensierata soddisfazione che si poteva trarre dal cibo e dal riposo. Obito gli aveva insegnato che abbandonare se stessi era solo un altro modo per essere egoisti.

Dopo l'incidente al Ponte Kannabi, Kakashi si era lasciato andare e chiuso in se stesso. Ma dopo il risveglio di Obito, si era davvero lasciato andare. Gli stronzi cercavano di smerdarlo per aver lasciato gli ANBU, ma Kakashi era ancora il ninja più tosto in circolazione e se ne potevano anche andare a fanculo, perché adesso era anche felice. Preferiva tornare a casa dal suo compagno di stanza e trovarlo a piangere per uno stupido vaso di terra che stare da solo in una scatola vuota ricolma di odio per se stesso.

Obito si stava ancora destreggiando con il cambiamento tecnologico di Konoha, quindi alla fine di ogni settimana era Kakashi a prendere i loro registri di allenamento e riscattare i punti al Mission Control per entrambi. Con trenta ore di allenamento a settimana uno shinobi guadagnava circa trecento punti che venivano depositati direttamente sul suo conto; loro due riuscivano ad accumulare quasi mille punti in una settimana senza fare nessuna missione; e quel conto non era effettivo, perché Kakashi riduceva al minimo il contributo di Obito.

Semplicemente, sarebbe stato meglio se le FOB non si fossero interessate a quanto Obito si allenasse davvero.

Non è ingannare, pensò Kakashi, e nemmeno occultare deliberatamente qualcosa: è solo negligenza. Entrambi a volte si dimenticavano di timbrare ai campi o di portare i biglietti a casa. E a volte, solo la metà delle ore di allenamento di Obito veniva registrata nel sistema... ooops. Era meglio che pensassero che se la stesse prendendo comoda piuttosto che rischiare di avere qualcuno del quale Kakashi non poteva parlare e che lavorava per un'organizzazione che non esisteva che considerasse il suo compagno come una potenziale minaccia per il villaggio. Erano fortunati che il buon vecchio Sarutobi trovasse divertente il fare distruttivo di Obito; ma comunque, la cosa di Tobi Dieci Alberi non faceva bene alla loro immagine.

A nessuno importava che Obito passasse le ore al parco a dar da mangiare ai fottuti pesci rossi, tutto ciò che importava alla gente era il suo comportamento, il suo passato, e il suo fottuto cognome del cazzo.

Comunque, per il momento potevano cavarsela anche senza soldi.

Dopo alcuni ordini di satsuma e una porzione di mais grigliato, Obito si illuminò. L'unico lato positivo dell'umore altalenante del suo compagno di squadra era la velocità con la quale poteva essere sollevato da qualcosa di semplice come il cibo. Una caratteristica che poteva però diventare anche una rottura di coglioni: c'era una donna che scendeva dalle montagne fino a Wood Row ogni giorno e rimaneva lì fino al sorgere del sole; vendeva mirtilli freschi avvolti in un panno bianco e latte di yak speziato alla cannella e al cardamomo in un bollitore di ferro. A volte portava direttamente lo yak. E se Obito non vedeva quella donna come prima cosa al mattino, entrava in modalità “tieni giù le mani!” fino all'ora di pranzo.

Una tenda vendeva pesce d'acqua dolce grigliato con sale, calamari rossi brillanti in umido con salsa di soia e takoyaki di diversi sapori. Dovevano andare a cena con gli altri più tardi, quindi Kakashi lo avvisò di andarci piano, ma non insistette perché sapeva che Obito era una specie di pozzo senza fondo e stava diventando d'umore sempre più affabile.

«Asuma,» disse Obito, bloccando il suo ringhio affamato. «Quel ragazzo conosce un sacco di gente. Come fa? Perché Asuma conosce tutti?»

Aveva ordinato tre spiedini di ayu grigliati, due torte piatte rotonde a base di farina di grano saraceno fermentato chiamate oyaki, una porzione di takoyaki allo zenzero e una tazza di uva e albicocca caramellata. Passò ai calamari.

«Ma hai mangiato oggi?» disse Kakashi, solo per scherzare un po'.

«In realtà... io... ho perso il mio pranzo.»

Obito si divincolò dal traffico pedonale con tutti i suoi acquisti e si sistemò per fare uno spuntino sotto l'ombra di un ginkgo pendente. Kakashi saltò giù dal camminamento e lo seguì sul pendio ombroso al suo stesso passo. La luce argentata della luna piena scivolò tra le crepe della tettoia sopra di loro. Una torcia scoppiettava allegramente nelle vicinanze.

«Non è vero takoyaki se non è al polpo,» affermò Obito mentre si sedeva nell'erba tra due radici.

Kakashi costeggiò i nodi legnosi, scivolò su una grossa radice e si lasciò cadere sui talloni a fianco a lui. Rubò una delle bacchette del suo compagno di squadra e la usò per impalare uno gnocchetto di takoyaki in un modo che avrebbe fatto piangere un tradizionalista.

«Perché lo hai preso allo zenzero, allora?»

«Volevo provare qualcosa di diverso, credo.»

Kakashi alzò le spalle. Lo zenzero faceva la differenza, gli piaceva che il cibo avesse una nota decisa.

Si fermò con una seconda cattura vicino alla bocca e si chiese se il suo compagno di squadra li avesse comprati apposta per lui.

«Hai fatto amicizia con Genma, huh?» mormorò per conversare un po'. «Com'è andata?»

Obito grugnì, finì il pesce, infilò le bacchette nell'erba e iniziò a dividere una delle torte di grano saraceno. Si udì uno sbattere d'ali fra le fronde dell'albero. «Dice che devo stare tranquillo.»

«Cosa significa?»

Un drongo dalla coda quadrata atterrò sull'erba, arruffò le piume blu-nere e inclinò un solo occhio ambrato verso il suo compagno di squadra. Obito prese un po' del suo oyaki e lo condivise con l'animale.

«Che cazzo ne so. E non mi frega un cazzo se pensa che sia messo bene con il fondo schiena.»

Kakashi guardò dietro di lui e scrutò la folla che si muoveva avanti e indietro per la passeggiata principale. «Non voglio che ti guardi il culo.»

«Nah...» Obito si interruppe, si strozzò e continuò senza ingoiare. «Andiamo, è una cosa della quale la gente parla normalmente, no? E poi so che mi prendeva per il culo.»

«Uhm, no, la gente non ne parla,» rispose Kakashi sinceramente, girandosi e infilzando un'altra pallina di zenzero. «E no, non lo stava facendo.»

«Davvero?» Le sopracciglia di Obito si alzarono, poi si corrugarono di nuovo. «Mi ha chiamato mani-grasse

Kakashi esplose in una risata, ma si riprese velocemente. «Ecco, in questo caso sì, ti prendeva per il culo.»

Il suo compagno di stanza fissò la singola bacchetta nelle dita sfregiate. Si contesero l'ultimo takoyaki.

«Devi farlo stare zitto,» lo avvisò Kakashi. «Quando inizia a fare così.» Lo colpì.

«Ha! Non riesco... lui mischia le prese in giro alle cose serie.» Obito abbandonò la bacchetta nel sacchetto vuoto e prese il bicchierino di frutta candita. Il drongo si fiondò sui suoi avanzi. «Non capivo se mi stesse dando consigli o stesse facendo il bullo.»

«Il bullismo si fa in due.»

«Cosa vorrebbe dire?»

«Niente.» Kakashi cercò di rimediare in fretta. «Intendo solo che la gente cercherà sempre di colpirti B... ma sei tu che ti lasci prendere.»

«Questo è decisamente qualcosa che solo un bullo direbbe.»

Kakashi si zittì e si sentì un po' male, perché a volte sembrava che tutti ce l'avessero con Obito. Era sempre stato così, da quando era arrivato in ritardo alla maledetta cerimonia d'ingresso all'Accademia, secoli prima, e il fatto che adesso l'Hokage mettesse una buona parola per lui non faceva altro che alimentare la questione Uchiha nei loro rank. Obito stava sul cazzo persino al guardiano del palazzo dove vivevano, chissà perché.

Si sentiva in colpa anche perché era vero: Kakashi era proprio un bulletto e non c'era modo per rimediare se non spiegare che stesse provando a imparare a comunicare i suoi sentimenti invece che fare lo stronzo tutto il tempo. Ma a volte era ancora troppo difficile.

«Ehi, B,» cominciò, mettendo una spalla contro l'albero e rilassandosi appoggiando il culo nell'erba tra le radici biforcute del ginkgo. La torcia scoppiettava e si muoveva rumorosamente sopra alla musica, come se avesse qualcosa da dire. «Cosa stavi dicendo sul tuo clan, prima?»

Obito allargò le narici e posò l'occhio sull'erba palustre che sussurrava lungo la riva del lago. Perfino il drongo stava ascoltano. Deglutì, poi mescolò il resto della sua acqua candita. Il Mizuame era molto comune in quel periodo dell'anno. «Oh, um...» Si spinse gli occhialoni più in alto sulla fronte, si portò la coppa alle labbra e sorseggiò il resto della frutta candita tutta d'un fiato.

Dopo essersi liberato da ogni distrazione e aver sistemato la spazzatura, Obito saltò in piedi e raggiunse uno dei cestini dell'immondizia sistemati lungo la via principale, poi tornò indietro facendo dei salti a zig-zag. La luce del fuoco gli calzava a pennello. Kakashi attese che si sedesse di nuovo sotto al ginkgo, si appoggiasse al tronco e stendesse le gambe dritte a terra. Poi Obito si asciugò la bocca sul braccio e sembrò pronto a parlare.

«Intendo, hai ragione sul fatto che siamo tradizionalisti e cose così...» iniziò. «Ma molte persone non sanno quali sono le nostre tradizioni. Nel clan Uchiha è considerato più onorevole uh... avere una relazione con un uomo. Invece che, uh, una donna.»

Kakashi pronunciò la sillaba più sorpresa di tutta la sua vita. «Uh?»

«Già,» Obito fece una risata nervosa. Scintille ambrate si riflettevano nei suoi occhiali arancioni. «Sono le antiche regole del Bushido, bro. Non le seguiamo più molto, ma... se portassi a casa il Ninja Copiatore, quegli stronzi mi organizzerebbero una fottuta parata.»

Arrossì lungo le cicatrici, fino alle punte delle orecchie. Obito bevve dal bicchiere e Kakashi gli appoggiò il naso alla mandibola, passandogli la bocca chiusa sulla pelle. Per un momento pensò di lasciargli un'intera preghiera per la prossima stagione disegnata sulla gola.

«Te lo avrei detto.» Le parole successive di Obito uscirono tra respiri veloci e inadeguati. «Se avessi pensato che fosse stato un problema.»

Non lo era, in un certo senso. Ma era un gran problema... perché Kakashi stava cercando di non rendergli la vita più incasinata di quanto non fosse già, anche se significava falsargli le finanze e tirare leggermente la corda per tenere tutto sotto controllo. Avrebbero potuto farcela anche senza il supporto della famiglia, ma era stato un sollievo scoprire che la natura della loro relazione non avrebbe reso Obito un emarginato. La natura della loro… qualsiasi cosa fosse.

«B...» sussurrò.

Obito mormorò in risposta, piegò la testa ed espose di più il collo. Kakashi accettò l'offerta, non fece nulla di troppo umido o sgradevole, anche se lo avrebbe voluto, ma sentì il battito del suo cuore attraverso le labbra. Affondò il canino nella morbida carne del lobo. Poi si ricordò a frammenti ciò che voleva dire. «Vuoi uscire con me?»

«Veramente? Ancora?»

«No. Cioè sì, ma voglio dire...» Kakashi fece un enorme sforzo per ritrarsi. Se avesse balbettato ancora non sarebbe riuscito a dire un cazzo. Tagliò corto. «Ti va di stare insieme? Insieme a me?»

Obito lo fissò come se lo stesse guardando attraverso un enorme buco che aveva nel petto, e Kakashi sentì i polpastrelli ruvidi del suo compagno di squadra trovarlo nell'oscurità; gli strofinarono il mento, la mascella, la linea della cicatrice sull'occhio. Un bagliore tremolante e infocato si insinuò al bordo della sua visione, sovraesponendo tutto come una vecchia fotografia.

«Okay,» disse.

Kakashi si era quasi dimenticato cosa stesse aspettando, e quando se ne ricordò provò una sorta di brivido: era Obito. Sentì i bordi del suo sorriso affilarsi, venne inebriato dall’euforia inconsueta ed egoistica per essere stato ricompensato; tutto ciò che aveva sempre voluto stava arrivando da lui. Anko era pazza: Obito aveva bisogno di lui. L'aveva detto lui stesso.

Era difficile però non tirare troppo la corda.

«Pensavi che avrei detto no?» lo provocò il compagno di stanza, così audace da apparire bellicoso. Kakashi lo amava fervidamente per essere così.

«No,» disse. «Ma non avevo nemmeno mai pensato al fatto che avresti detto sì.»

«Beh, a volte mi fai davvero incazzare,» ammise Obito facendo abbassare lo sguardo di Kakashi sull'erba. «E quando vedo che fai cose come quella dei gigli rossi, mi viene da pensare: cos'altro può fare senza che nessuno lo sappia? E mi fai paura, però...»

Grazie a dio c’è un cazzo di però. Kakashi alzò gli occhi. Sembrava che il suo compagno si stesse sforzando parecchio.

«Ho pensato a quello che ha detto quel ragazzino,» continuò, «a proposito del mondo senza mostri. Ora credo di capire: tutti siamo in una grotta, no? I mostri sono... i nostri. Immagino di essermi preso un po' dei tuoi, perché non credo che Rin ne avesse. Ameno, non me ne sono mai accorto.»

Kakashi rivolse uno sguardo malvagio al lago, sentendosi come un bambino. Non reggerò mai il cazzo di confronto con lei.

«Ma ora ne ho molti anche io,» disse Obito, stanco. «E adesso è stupido pensare a tutto ciò che c'era prima nella caverna. Sei uno stronzo, ma se non fosse per te, ora probabilmente sarei ancora su quelle montagne, in una grotta, a mangiarmi i capelli, iniziare uno strano culto o cose così.»

Kakashi grugnì, incrociò le braccia sulle ginocchia e posò il mento tra loro. Obito si appoggiò al tronco d'albero e gemette come se fosse appena tornato a casa dopo una lunga giornata. Lo guardò.

«Fanculo,» decise. «Sei il mio migliore amico, K. Stai sempre a controllarmi, anche se a volte è fastidioso. Vedo che ti sforzi a dire cose carine; è divertente e lo apprezzo davvero. E sei stato una ventata d'aria fresca dopo quella camminata del cazzo con Genma-uomo-dello-spettacolo. Le apparenze sono l'ultimo dei mie problemi, ma ero davvero giù e ne avevo bisogno.»

«E, um,» Obito espirò, poi: «Quando ti togli la maschera, mi fai venire voglia di farti cose.»

La pelle di Kakashi si scaldò un po'. «Obito...»

«Fanculo, bello. Sono stanco di scappare da te.» Il suo compagno di squadra sbuffò e sembrò allarmato dalle sue stesse parole. «Puoi baciarmi, se vuoi. Scusa se ho un sapore schifoso.»

Sapeva di zenzero dolce e albicocca.

Kakashi non si rese conto di quanto tempo passò. Rimasero seduti nell'ombra sotto all'albero di ginkgo per un po’, abbastanza a lungo da far consumare le torce e sollevare le acque illuminate della luna su per il pendio erboso. Impiegò molto tempo per calmarsi e riuscire a mettere le mani intorno al colletto di Obito, angolandolo con una mano sotto alla mandibola e l'altra al fianco del suo viso. Solo dopo, pensò a cosa fare con le gambe. Alla fine si ritrovò inginocchiato sulla parte superiore delle cosce del suo compagno.

Ma quella posizione era destinata a non funzionare. Più Kakashi cercava di avvicinarsi, più doveva combattere contro le proprie ginocchia e alla fine si dovette allontanate e aggiustarsi di nuovo, sollevandole su e giù, infilando un piede sotto alla gamba di Obito e allungandosi in una nuova posizione. Fece un sospiro di sollievo. Molto meglio.

Mentre Kakashi era distratto, il suo compagno di stanza spostò la sua attenzione baciandolo dolcemente sotto all'angolo della bocca. Ma a Kakashi non stava bene, voleva sentire il suo sapore.

Obito gli batté il naso contro la guancia, poi sbuffò. «Le tue fottute gambe.»

Kakashi fece una smorfia. Che noioso. «Avrai un altro scatto di crescita quando arriverai ai vent'anni,» lo avvisò. «Spero che ti vengano delle gambe lunghissime, e che i tuoi vestiti non ti coprano più le caviglie.»

Obito agitò le dita sotto a una delle catene che aveva intorno al ginocchio e Kakashi sembrò metterlo alla prova.

«Non me ne lamento.»

Lo Sharingan di Obito brillava nell'oscurità e Kakashi sentì il calore che iniziava a colorargli il collo. Cercò di reprimerlo. Non riusciva a capire come facesse la persona più vicina a lui sembrargli così distante. A volte si emozionava anche solo guardando il torace di Obito sollevarsi.

«Apri la bocca,» disse, scattando d'ira senza volerlo. «Per l'amor del cielo.»

La ruota dell'iride girò un po' nel crepuscolo e nel fuoco e Kakashi pensò che avesse qualcosa di strano, ma non riuscì a capire cosa... in fondo, lo Sharingan del suo compagno era identico al suo.

Obito spinse la spalla vicino a quella di Kakashi e gli avvolse la schiena con un braccio, avvicinandolo a sé; le loro labbra si incontrarono aperte, un breve sospiro gli sfiorò l'angolo della bocca e la mano di Obito si sollevò sotto alla sua maglietta.

Kakashi alzò gli occhi al cielo per chiedergli di nuovo perdono, ma prima di riuscire a formulare la sua preghiera, l'altra mano del suo compagno di squadra iniziò un lento giro dal ginocchio fino all'anca, dove armeggiò con il maglione e gli scivolò sotto. Il polpastrello di Obito gli strofinò lungo la parte inferiore del ventre, poi il tocco caldo della mano aperta si spostò sul suo fianco nudo. L'altro palmo gli scivolò giù per la schiena e Kakashi sentì le dita tracciare la linea dei boxer che uscivano dai pantaloni. 

 



 

«B,» grugnì. Aveva già catalogato il suo compagno di stanza fra gli amanti oscuri e passionali, ma non si aspettava se la cavasse così bene. Obito non riusciva a tenere in mano una carta di riso senza avere i tremori e i suoi tentavi di calligrafia con il pennello facevano scompisciare Kakashi. Ma le sue mani lo stavano prendendo in giro. E non era divertente... era magia nera e Kakashi passò le mani sulle orecchie dell'Uchiha, spinse accidentalmente gli occhiali fuori di scena, gli passò la punta delle dita nude tra i capelli. Così era più facile tenerlo fermo, fargli inclinare la testa e avvicinarsi ad angolo retto per costringerlo ad aprire la bocca. Kakashi gli strofinò la lingua una volta, dalla base alla punta, e prima che potesse trovare una ragione sensata per non farlo, appoggiò gli avambracci sulle spalle del compagno e li usò come leve per sollevare i fianchi. La mano esplorativa di Obito venne forzata a scendere più giù.

Si udì l'indiscreto rumore di un fottuto accendino, appena un secondo prima che la voce di un estraneo rompesse il loro stato di trance. Kakashi indietreggiò sentendosi sazio e calmo, ma ogni respiro si agitava nel suo petto come un battito selvaggio.

«Ho sentito che scommettevano su di voi. E ne ho preso parte anche io, in realtà,» disse il nuovo arrivato. «Ma non avrei mai creduto di assistere alla scena.»

Asuma fece una pausa di cortesia mentre tornavano a essere due persone separate. Fece roteare il contenuto di una lattina che aveva tra le mani e poi se la portò alle labbra. Kakashi riconobbe la scritta gialla e verde e riconobbe la birra Asahi.

«Sono rimasto qui a guardare solo tre secondi.»

Kakashi se ne era accorto, ma aveva sperato che il loro compagno Jōnin rimanesse zitto per altri due.

«Non so dire se si tratta di voyeurismo o di cattivo tempismo.»

«Asuma,» ringhiò Obito. «Che cazzo vuoi?»

Asuma sorrise e una nuvola di fumo gli uscì dalla bocca. Aveva una sigaretta accartocciata e rollata a mano tra il dito medio e la nocca. «Mi chiedevo solo se volevate ancora venire a cena, tutto qui.»

Obito fece per tirarsi in piedi, ma mise la presa sul fianco di Kakashi, consapevolmente o meno, e il palmo gli bruciò sul lato dello stomaco. Kakashi abbassò lo sguardo del suo occhio attivato, e vide il chakra alzarsi dalle sue mani come vespri di fumo. Si chiese per la prima volta se avesse qualcosa a che fare con quei cazzo di guanti.

«Non ricordo di aver richiesto un accompagnatore,» mormorò, afferrando il braccio disteso di Obito e aiutandosi ad alzarsi ancor prima che ci riuscisse il suo compagno.

«Non ce ne è stato bisogno,» rispose Asuma. «Anko ti offre il pacchetto deluxe. Vengo a prendervi e vi porto là, bevande incluse.»

«Scordati che salga su un risciò,» mormorò Obito, ripulendosi sul culo degli shorts.

Il loro compagno sorrise un po', sbilenco e ospitale. Allargò le braccia. «Ho la birra, il crack e l'erba.»

Obito alzò gli occhi al cielo, ma raggiunse Asuma; i loro palmi si incontrarono, scivolarono, unirono le dita per un momento, poi ricaddero ai loro fianchi; la fiducia era ristabilita. «Non ci interessa.»

«Fai come vuoi.» Asuma si strinse nelle spalle. Aveva sempre la risposta pronta.

Kakashi si riaggiustò la maschera, incrociò lo sguardo del suo compagno di stanza per ricordargli che la loro conversazione sarebbe continuata più tardi, poi si ricoprì l'occhio. Si spostò e salutò il loro compagno come aveva fatto Obito.

«Kash.» Asuma fece un ampio sorriso. «Hai bisogno di qualcosa?»

«Siamo a posto,» disse mentre le loro mani si univano. Sapeva che a Obito non piaceva prendere parte al commercio di droga a cielo aperto. «Dov'è il tuo secondino?»

Asuma sospirò, facendo un piccolo gesto con la lattina. «Sai com'è. Si sta preparando. È almeno un'ora e mezza che la aspetto qui. Ascoltate, belli...» continuò con fare accademico. «Sapete perché si inizia una relazione, di solito? Non è per l'aspetto estetico. Non è per lo charm. È per la vicinanza, fidati di me. Chiunque ti sia vicino, va bene. Sembra bello all'inizio. Uno dei tuoi compari ha quello che cerchi e tutti intorno a te scopano, quindi...» scosse di nuovo le spalle. «Ma poi, ecco che arrivano le aspettative, gli standard da rispettare. E ci si ritrova uno con le mani intorno alla gola dell'altro. Non vai a una cerimonia di assaggio del tè, e sei una specie di criminale; un pomeriggio di allenamento, e sei accusato di nasconderti; un drink alla fine della giornata e improvvisamente ti ritrovi tutta la famiglia a casa per parlare del tuo problema, e della tua barba che è andata fuori controllo…»

«Stai entrando un po’ troppo nello specifico.»

«Non avresti dovuto saltare l'assaggio del tè, amico,» disse Obito.

«Shhh,» Asuma sibilò tra i denti. «Lei ci mette tre ore a uscire da quell'appartamento e sarei io quello inaffidabile?» Cominciò a camminare sul pendio fino alla passeggiata principale, guardandosi alle spalle per vedere se lo stavano seguendo. «Fidatevi di me,» disse. «È meglio la roba occasionale. Risparmia a tutti un sacco di energie e di tempo.»

Finì il resto dell'Asahi, gettò la lattina di lato, e alzò un sopracciglio verso di loro. «Ma poi, magari, chissà. Forse è diverso per la comunità gay.»

Gli occhi di Obito si strinsero criticamente sulla lattina abbandonata.

«No, è la stessa cosa,» disse Kakashi mite. «Lui si nasconde per tutta la settimana.»

«Stronzo,» imprecò Obito, distratto. «Tu sei sempre in ritardo di ore, per qualsiasi cosa.»

«Essere così belli richiede ore di preparazione.»

«Davvero?» Asuma abbassò la sigaretta. «È davvero per quello che fai tardi?»

«Oh, ma certo.» Obito alzò gli occhi al cielo. «Le persone crescono, ma non cambiano. Riusciresti a guarirlo dal vizio della droga, ma non il narcisismo.»

«A chi stai dando del narcisista?» mormorò Kakashi. «Sei tu quello che pensa che tutti vogliano palpeggiarti.»

«Sta zitto!» Obito si accese. «Perché glielo stai dicendo?» Obito fece per colpirlo e Kakashi si inclinò in avanti per schivarlo.

Una delle torce apparve mentre salivano per il pendio. Asuma fece un passo nella luce e li guardò dubbioso. «Ragazzi, state solo cercando di farmi stare meglio, non è vero?» li accusò. «Tra voi è tutto perfetto.»

«Scusa, bello,» ammise Obito alzando le spalle.

Kakashi sorrise sotto alla maschera: il suo compagno di squadra era sempre disposto a scherzare, anche se poi finiva per odiare il suo stesso gioco. Kakashi gli afferrò la manica appena prima che entrasse nella luce, gli ficcò il naso dietro all'orecchio e fece schioccare i denti.

«Idiota,» mormorò l'Uchiha, allontanandosi ed entrando di nuovo nella folla accanto ad Asuma. Ma prese la mano di Kakashi, e la tenne stretta. 

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Capitolo 14
*** Interludio: il re ***


Dormire per tre anni equivaleva ad accoltellare tutte le tue amicizie.

In effetti, scordatevi il pugnale… è più appropriato pensare a una di quelle grandi e grezze spade mamelucche. Quelle che la FOB faceva indossare agli shinobi durante le parate pompose. Erano lunghe e curve in modo stupido e Obito le urtava sempre con i talloni.

Ecco: andare a dormire per tre anni infliggeva un fendente di spada mammalucca a tutte le tue amicizie.

Quando Kakashi e Obito avevano otto anni e cazzeggiavano alla Tana del Diavolo, Asuma Sarutobi era caduto nella cava fuori dalla città e si era rotto un femore.  Lo avevano trovato solo qualche ora più tardi, quella notte.

Dopo quell'evento, niente lo aveva più spaventato.

Asuma si era fatto vivo un paio di settimane dopo che Obito e Kakashi si erano trasferiti al quinto piano dell'appartamento all'angolo tra il vicolo del piscio e il barbiere. Obito stava litigando con il suo compagno di stanza, e non ci aveva dovuto pensare troppo prima di accettare l'invito a passare una serata a rilassarsi con il re e il gruppo di persone che Sarutobi definita la piccola truppa.

La serata era iniziata in modo tranquillo, con una camminata per il parco fino al cancello sud. Poi, si erano diretti verso un locale nel quale Obito non era mai stato. Al k-bar, invece che prendere un tavolo, avevano avuto un’intera stanza. C'era un enorme schermo per cantare, una macchina al muro che serviva lattine di birra e una fresca bacinella con melone e semi da sgranocchiare. Obito aveva provato a schiacciare altri bottoni per vedere cosa sarebbe successo, ma il risultato era sempre stato un altro tipo di cibo o liquore. Aveva poi scoperto che la truppa non era altro che la sua vecchia classe: solo quelli simpatici, con alcune assenze: Fuyumichi si stava facendo rimuovere un bunyon maledetto; Yahagi aveva male al piede. Genma era stato male dopo aver mangiato un misterioso frutto dall'albero Crickle-Crack.

Obito lo aveva trovato un po' sospetto. Tutti sapevano che non bisognava mangiare i frutti dell'albero Crickle-Crack. E comunque, che cosa cazzo era un bunyon?

A un certo punto, aveva smesso di farsi domande. Tutti intorno a lui erano stati molto rilassati, quel giorno: Kurenai gli aveva rivolto domande semplici e gentili; Anko aveva passato la serata a dargli da mangiare, mettendogli cose nel piatto come una vecchia mamma super impegnata, e cristo santo, le ragazze adesso avevano le tette e persino il pensiero di quella parola suonava strano nel cervello di Obito. Raidō ed Ebisu gli avevano insegnato a fare un gioco di bevute usando un dialetto locale che non era riuscito a capire bene. Asuma aveva riempito tutta la stanza di fumo.

Dopo essere usciti da quello stanzino per la musica, si erano incontrati con un tizio con la giacca strappata, i tatuaggi sbiaditi e una ragazza sul retro della motocicletta. Avevano aspirato vapori con strani sapori fuori da cilindri di vetro in un losco vicoletto con edere e fili attorcigliati.

E non era finita lì.

Obito ricordava si fossero ammassati dentro a un ristorantino strano, nascosto in un bosco di bambù, così verde e così alto da sembrare fluorescente come un indomabile luogo selvaggio, che si trovava proprio a fianco a una delle strade più trafficate di Gentlemen Alley; il bosco sbucava nel paesaggio urbano tutto d'un tratto, così improbabile da sembrare finto. Obito ricordava di aver toccato le fronde con le dita, sorprendendosi di trovarle naturali, simili a carne calda. Era stato come un sogno assurdo intrappolato dentro a una città.

Dentro, era tutto fatto di cedro grezzo e pietra venata, inumidita da quei licheni verdi che crescono solo dove l'aria è pulitissima. Un labirinto di stradine li aveva guidati intorno a giardini di rocce ben curati, fitti ceppi di bambù e lanterne dei demoni. Si udiva il rumore ticchettante delle fontane a dondolo di bambù che sbattevano contro le rocce. L’acqua scorreva sotto ai loro piedi, scura e rumorosa. Obito si ricordava di aver superato una serie di ponti inarcati così piccoli che era riuscito a percorrerli solo con tre falcate. Attraversandoli aveva provato una strana sensazione, come se la sua anima stesse tornando piano piano al suo posto.

Inizialmente, il costante eco delle fontane lo aveva infastidito. Come i kakashi, i shishi-odioshi erano costruiti per allontanare gli animali dal raccolto.

Poi, il suono era finito in sottofondo e Obito se ne era dimenticato.

Avevano ordinato tutti i cross-bridge noodles, la preparazione che aveva reso famoso quel posto. Dietro al nome di quel piatto c’era una leggenda locale che parlava di due amanti separati da un fiume. Il ragazzo era malato e la ragazza attraversava tutti i giorni l'acqua insidiosa del fiume per portare al suo debole amante una scodella speciale di noodles. E poi lui morì, probabilmente. Obito si era dimenticato la fine della storia. Era convinto funzionasse meglio nel dialetto locale, dove la parola “attraversare” significava “superare un ostacolo”, ma anche “resistere a qualcosa e passarvi oltre”. Gli piaceva l'idea di base della preparazione, ma la ricetta aveva bisogno di qualche miglioramento; il brodo era leggero e alcuni dei funghi più fibrosi sembravano così crudi da nuotarci dentro.

Si era seduto su un cuscino vicino a un falò per mangiare. Gli ospiti intorno a lui erano diventati solo uno sbiadito mormorio, e Obito aveva ripensato a un articolo che aveva letto sull'Hidden Leaf quella mattina, che parlava della teoria che vedeva l'acqua come il magazzino della memoria dell'umanità.

E Asuma aveva riempito l'aria di fumo.

Dopo aver ribadito di non aver bisogno di un accompagnatore o di un taxi del cazzo, Obito era tornato a casa percorrendo il vicoletto del piscio con la sensazione di aver appena trascorso dodici serate di socializzazione forzata. Aveva comprato una barretta candita e un tè zuccherato dal negozietto dell'angolo, solo per ricordarsi quale fosse il sapore delle schifezze da quattro soldi. Non aveva voluto svegliare il custode, quindi aveva saltato il cancello, facendo suonare l'allarme e strappandosi i pantaloni.

Quella era stata la prima notte nella quale Obito era entrato nella stanza di Kakashi. La prima nella quale ed era stato grato per la tranquillità che caratterizzava gran parte della loro amicizia altalenante.

Non pensava che cose semplici come mangiare e rilassarsi potessero essere così estenuanti; non fino a quando non le aveva fatte con Asuma e la sua gang.

Uscire con Kakashi, anche quando erano stati rivali, non gli aveva mai richiesto lo stesso sforzo. Ormai loro due avevano sviluppato delle abitudini: giocavano a palla dopo le lezioni; giravano per l'anello nel tardo pomeriggio. Facevano spuntini camminando per le strade e si rincorrevano sui tetti; venivano sorpresi dalla pioggia e stavano in giro il doppio del tempo. Tra i briefing delle missioni, cazzeggiavano nel parco per gli skate e Kakashi gli mostrava dei nuovi trick. Obito non era mai stato bravo con lo skateboard, gli erano bastati due o tre tentativi per dire addio per sempre a quei giocattoli per civili... e non gliene era mai fregato un cazzo di cosa fosse un fakie. Il suo compagno però era bravo in qualsiasi cosa facesse e ogni tanto era bello anche solo starlo a guardare.

Lui e K avevano messo da parte tutte queste uscite almeno un centinaio di anni fa. Non avevano più bisogno di affiatarsi e conoscersi, non dopo i giorni trascorsi in missione; non dopo che avevano condiviso tutto, compresa il passato di merda che non avrebbero voluto avere; e certamente non dopo la Foresta dei Brividi, le giornate passate nel bosco, a gelarsi i coglioni e cagare in buchi di terra, con un gelo così pungente che Obito non era riuscito a trovarsi il cazzo quando era andato a pisciare. Non c'era stato più spazio per lo sforzo o l'imbarazzo, dopo quello. La loro amicizia poteva anche essere traballante, ma come team ormai erano indistruttibili.

A volte, nella notte, quando le loro caviglie si erano incontrate, Obito aveva alzato la maglietta del suo compagno fin sopra ai suoi gomiti, e tra i denti che gli battevano e la pelle bianca come il latte aveva scoperto che a volte bellezza e brutalità avevano la stessa faccia.  

 

 

La vita in città era asfissiante. Quando Obito cominciava a sentirsi soffocare e i giorni iniziavano a trascorrere a fatica, andava sulle montagne per riempirsi di nuovo i polmoni dell'aria del Monte Philo e guardare la schiuma bianca del Tiger Leaping Gorge. A volte permetteva a Kakashi di andare con lui, ma solo se era già nei paraggi e se prometteva di non rompere i coglioni.

Obito si era sentito soffocare anche quella sera, quindi aveva deciso di andare sul bordo del lago e allontanarsi dalla Festa dell'Oca. Si era sentito un po' meglio dopo aver mangiato e aver palpeggiato il suo compagno di squadra sotto l'albero ginkgo, ma avrebbe avuto bisogno di almeno altre undici boccate d'aria per riuscire a superare la notte con Asuma e la sua truppa del cazzo.

Ma quando aveva provato a dirlo a Kakashi, lui si era limitato a grattarlo dietro all'orecchio. Come se fosse un povero idiota. A volte era come se parlassero due lingue completamente diverse.

Asuma fece strada fino alla via principale e poco dopo incontrarono Raidō, che aveva appena staccato dalla lezione di kendo ed era sporco fino alle caviglie di pezzetti d'erba. Aveva una grande spada di legno sulla schiena.

Lui e Raidō si allenavano molto spesso con i bastoni; Anko era ancora Chunin, ma particolarmente in gamba; e Asuma era uno dei guerrieri corpo a corpo migliori del villaggio. Certo, tenere una sigaretta sempre accesa lo rendeva semplice da individuare, ma poco importava, visto il suo stile di combattimento.

Il figlio dell'Hokage non si era messo in lista per diventare Jōnin, ma aveva perfezionato la sua Rondine Volante, quell'autunno; secondo le voci, aveva iniziato a mettere in imbarazzo la sua unità, perché non era bello che ci fosse un Chunin che li surclassava tutti, così gli avrebbero dato la promozione quella primavera, su raccomandazione del Terzo.

Obito vedeva in modo diverso i rank shinobi, adesso che i loro componenti non erano tizi sconosciuti e senza volto che uccidevano altri sconosciuti; ora erano i suoi vecchi compagni di classe e amici, persone con le quali era più o meno cresciuto, e ai quali, più o meno, voleva bene. La squadra era giovane, scema e pericolosa... e, in realtà, andava contro ogni standard della città. Un sacco di cose erano cambiate: il ninja più pigro del loro passato era improvvisamente diventato adulto e letale; e come se non bastasse, Kakashi aveva anche lasciato gli ANBU. Le ragazze avevano le tette.

Obito iniziò a pensare di essersi risvegliato in una dimensione diversa. E non se ne sarebbe sorpreso: la linea che separava le realtà ultimamente sembrava diventata più sottile.

Kakashi lo colpì con il gomito e Obito inciampò in una tavola di cedro del pavimento della strada panoramica. Si riprese e si girò per rivolgere un'occhiataccia all'asse di legno.

«Che problema hai?» Kakashi parò in fretta il suo colpo. «Cristo santo.»

«Huh? Oh...» Forse aveva ragione lui. Forse Obito sognava a occhi aperti. «Questa è davvero una domanda complicata.»

A volte si sentiva in colpa per il fatto che Kakashi avesse lasciato gli ANBU a causa sua, ma cosa avrebbe fatto se si fosse svegliato in quell'inferno da solo? In un momento come quello, cazzeggiare al parco degli skate con K era stata una cosa famigliare, rimata uguale al passato.

Kakashi gli pizzicò l'orecchio ed evitò il pugno di Obito. A volte voleva davvero strangolarlo.

«... ho messo insieme tre ingredienti al volo, lo giuro,» Raidō stava parlando, due passi avanti. «E c'erano almeno venti persone in cucina a chiedere: che si mangia?»

«Davvero?» Asuma sorrise. Le sue spalle si piegarono un po' e Obito sentì il rumore dell'accendino. Un secondo dopo, le foglie di tabacco di provincia si colorarono come torce.

«Uova, pomodori, cipolle verdi,» confermò Raidō. «Bang... Ebisu era a casa, G era tornato, Anko e Yahagi avevano portato degli amici, Maito era lì con tutto il club della giovinezza, e tutti chiedevano un dessert... voglio dire, che cazzo è, un pollaio?»

Asuma gli offrì un po' del suo sigaro. «Sembra invitante però,» disse di buon umore. «Non mangio qualcosa cucinato in casa da quando mia mamma mi ha sbattuto fuori.»

Raidō trattenne un colpo di tosse, sorpreso. Un po' di fumo gli sfuggì dalle narici. «Sei sempre benvenuto al pollaio, cugino,» dichiarò, appoggiandosi un po' alle spalle del suo compagno. «Non mi dà fastidio cucinare per gli altri.»

Anko era molto più di buon umore dell'ultima volta che Obito l’aveva vista. Così come gli scatti d'ira, anche l'orticaria e il gonfiore al viso andavano e venivano.

Anko trascinò Kakashi via da Obito, il che fu una liberazione: il Ninja Copiatore riusciva sempre a farti sentire osservato. Forse, lo faceva solo con Obito, però.

Anko li condusse verso alcune bancarelle a lato della strada. Aveva una passione per le cose strane: antichità da oltre l'oceano, zucche porta fortuna, pupazzi da cerimonia. Si fermarono davanti a una tenda con un uomo che vendeva incantesimi e gabbie di ferro per spettri. Poi, da una donna che cuciva pannelli ricamati. Oceani scuri, antichi campi di battaglia, pianure con cavalli selvaggi e montagne con risaie a perdita d'occhio, tutti in tessuti in una miriade di fili di lana colorati, piccoli e sottili. Se li guardavi da vicino, le facce delle persone raffigurate diventavano inquietanti.

«Sai cosa mi piace di te, Obito?» aveva urlato Anko. «Che non hai paura di dire forte e chiaro come ti senti dentro.»

Era l’unico modo che Obito conosceva per comunicare.

Rimase fuori da una delle affollate tende per prendersi una pausa dai giocattoli, i gingilli e le conversazioni frivole. Il cielo sembrava di velluto nero; la notte era scesa spessa e soffice intorno a loro, ma la Festa dell'Oca rimaneva brillante e rumorosa.

Dopo un po', Obito sentì delle risate dall'interno della tenda e si girò per guardare.

Genma e Raidō erano di fronte a una tavola adornata con tantissimi portachiavi ornamentali colorati. Obito non capiva bene se fossero fatti a mano con pelo di capra o di yak, ma gli shinobi sembravano trovarli particolarmente divertenti.

«B!» Genma lo chiamò, facendogli segno di avvicinarsi. Obito si accigliò: non si ricordava di avergli mai dato il permesso di chiamarlo con una sola lettera. «B, B, B, B, B, B...»

Obito alzò gli occhi al cielo, si mise le mani nelle tasche e si avvicinò solo per farlo stare zitto. Quei due odoravano di erba e cannabis.

«Guarda questo,» disse Genma, facendo segno verso la tavola piena di gadget appesi. C'erano maiali grandi come il palmo di una mano, topi e galli, alcuni cactus sorridenti e un frutto che Obito si ricordò venisse chiamato ananas. Avevano tutti sguardi confusi e amichevoli. Uno gli ricordò la strana leonessa di poco prima.

«Questo non ti ricorda Kash?»

«Che cosa state...» Obito seguì il dito puntato, già pronto a menarlo. «Oh, wow. È vero.»

La creatura indicata non sembrava voler assomigliare a nessuno specifico animale: era semplicemente una testa con quattro gambe lunghe, bianche come la candeggina e punteggiate di grigio; la sua espressione non era triste, ma non stava nemmeno sorridendo. Era neutrale.

Obito incrociò le braccia e annuì. Le gambe, il pallore, la depressione nella sua postura; la piccola creatura cucita era il ritratto del suo compagno di squadra.

«Ma-a,» aggiunse. «Assomiglia a Kakashi quando è all'apice della sua felicità.»

Raidō si lasciò andare un grugnito e Genma si schiaffeggiò le ginocchia, ridendo come un pazzo. E anche se una parte di Obito si stava ancora chiedendo ma che cazzo sto guardando?! per un secondo quella scenetta gli ricordò lui e Kakashi, quando erano strafatti, lontani dal mondo reale e troppo sballati per interessarsene. Improvvisamente, non si sentì arrabbiato con loro, non più. E nemmeno con se stesso. 

 


 

«Raidō» disse Genma, non appena si furono calmati. «Ti compro l'uccello.»

Il giovane spadaccino alzò la mano, la faccia impassibile. «Va bene: due, grazie.»

Obito tirò su con il naso. «Due?»

«Ci potete credere?» Una quarta voce li interruppe.

Era Asuma. Si fermò vicino a loro e fissò la tenda del mercante. «Ho visto le altre ragazze qui in giro... e non capisco. Cosa fa lei ai capelli per doverci mettere tutto questo tempo? Sapeva che saremmo usciti stasera... avrebbe dovuto iniziare a prepararsi stamattina!»

Con “altre ragazze” si doveva riferire ad Anko. E forse anche a Kakashi, che era diventato una parte integrante di lei da quando era arrivata. Quel pensiero, insieme all'immagine del suo compagno di squadra con quelle orecchiette da cane, fece ridacchiare Obito come Raidō e Genma.

«Sapete cosa mi ha chiesto, oggi?» disse Asuma. «Stavo andando ad allenarmi questa mattina, e sapete cosa mi ha chiesto?»

Obito scosse la testa, perplesso dalla perplessità del Jōnin. «No, cosa?» Genma lo colpì in un fianco, Obito rispose colpendolo a sua volta.

Asuma non prestò loro attenzione. «Qual è il mio colore preferito,» concluse.

Raidō represse una risata con l'interno del gomito. Il bokken urtò il display dei portachiavi e lo fece oscillare. «Cos'hai risposto?»

«Ho risposto che non lo so.» Asuma fece una pausa, stringendo le spalle. «Le ho detto: il mio colore preferito è quello che c'è tra le tue gambe. E lei ha detto, quindi... è il rosa

Genma si piegò sulle ginocchia e il suo compagno si strinse a lui. Obito si chiese se fosse un effetto collaterale del Drago Viola di Kakashi.

«Già,» continuò Asuma, apparentemente rallegrato. Gli piaceva avere un pubblico. «Ma tipo: e se anche gli uomini facessero così? Se io mi presentassi con tre ore di ritardo perché devo tingermi la barba o altro?»

«Quale barba?» La provocazione arrivò da Anko e dal Ninja Copiatore subito dietro di lei. La ragazza aveva probabilmente saziato la sua voglia di guardare tutte le stranezze nelle bancarelle.

«Sta spuntando!» Asuma si strofinò la mascella.

Kakashi si slegò dalla kunoichi e si allontanò, scoprendosi l'occhio sinistro con una mossa naturale e diventando improvvisamente il triplo più inquietante di prima. Obito iniziò a sentirsi a disagio e osservato. Perché continua a farlo?

«Mi fa male la testa,» sussurrò Kakashi. Lo disse piano e mite come al solito, ma c'era una profonda ruga tra le sue sopracciglia e la noia di Obito svanì all'improvviso. Il suo compagno di stanza soffriva di emicrania a volte, ma non se ne lamentava mai.

«Tanto?»

«No,» Kakashi scosse la testa. «È come se il mondo fosse troppo rumoroso per me.»

«I tuoi amici sono troppo rumorosi,» sussurrò Obito. Ma non conosceva nessun modo per farli stare zitti, oltre allo Tsukuyomi.

«Cosa significa, Anko?» Asuma smise di difendere la sua barba. «Cosa significa quando una donna ci mette più di tre ore per prepararsi?»

«Questione di standard,» dichiarò lei. «Noi abbiamo alti standard per noi stesse e bassi per i nostri partner. È uno stratagemma che gli uomini usano per far mettere le donne una contro l'altra. Non so dirti quanti uomini ho incontrato convinti di essere perfetti candidati alla convivenza solo perché sapevano usare il bollitore del riso.»

Asuma annuì, lento e contemplativo. Poi aggiunse: «Non capisco.»

Si girò verso Obito, forse perché era il più vicino. E con una fervida sincerità, chiese: «Voi ragazzi avete questo problema nella comunità gay?»

Obito aprì la bocca, la punta della lingua gli stava andando a fuoco. A lui piaceva molto Asuma, ma se avesse continuato a eleggerlo rappresentato di questa fantomatica “comunità gay”, avrebbe rivoltato la testa a lui e a chiunque avesse poi osato dargli del matto, ovviamente.

Prima che potesse iniziare a parlare però, Kakashi rispose. Non freddo, ma così secco da asciugare l’aria. «Sappiamo usare entrambi un bollitore per il riso, se è quello che intendi.»

A volte Obito rimpiangeva di essersi perso così tanti anni della giovinezza del suo amico cazzuto. Kakashi gli teneva sempre gli occhi addosso e nessuno poteva mai attaccarlo.

«Sono sicura che tutti…» Anko guardò Genma mentre enfatizzava la parola. «Faticano a comunicare in una coppia. Specialmente…» Guardò di nuovo Genma. «Se uno dei due parla con un orifizio diverso dalla bocca.»

Genma tirò fuori il mignolo dal naso. «Non parlo con il culo,» disse pulendosi il dito sul cappotto. Si erano radunati all'entrata di una tenda kitsch. «Ma mi sembra di sentire in lontananza una vagina chiacchierona.»

«Beh, è solo questione di tempo!» Anko iniziò a tirarsi su le maniche. «Lascia che ti apra bene le orecchie, testa di cazzo...»

«Una volta…» Kakashi si mise in mezzo gentilmente, «ero in pausa pranzo. Obito è tornato a casa... non mi ha nemmeno guardato. Non ha detto Ehi, come va? Niente. Solo: fanne uno anche per me

Anko fece un tsk sonoro, e i suoi occhi assassini tornarono su di lui.

Obito cercò di non arrossire; non aveva ancora capito cosa Kakashi stesse raccontando nello specifico, ma l'immagine gli era in qualche modo familiare.

«Eravamo così poveri ai tempi,» continuò Kakashi, «che non uscivamo mai, e a malapena avevamo qualcosa per cucinare. Ho detto Obito, metto il burro di arachidi su una cazzo di fetta di pane. E lui mi fa: bene, fanne uno anche per me.»

«Non si dice per favore, U-chi-ha?» Anko si scrocchiò le nocche.

«Non ricordo...» Obito alzò le spalle. «Forse l'ho chiesto, per favore!»

«Perché eravate così poveri?» chiese Asuma, sorridendo. Stava rollando una nuova sigaretta.

Obito vide Kakashi esitare un momento e decise di approfittare dell'apertura. «Oh, avevamo smesso di fare missioni per poter fare più sesso.» Si sistemò alcune pieghe del maglione quando troppi occhi si girarono tutti su di lui. «È questo l'unico problema di noi della comunità gay,» concluse.

«La parte peggiore è,» disse Kakashi, nel silenzio che seguì. «Che abbiamo finito per dividere in due quella fetta di pane.»

Raidō e Genma scoppiarono di nuovo a ridere. Anko si coprì gli occhi con una mano.

Asuma rise intorno alla sua sigaretta, girandosi per allontanarsi dalla tenda di stranezze. «Ci prendete per il culo,» disse. «Nessuno se la passa così bene.»

Li condusse a sud per il vialone. Quando Maito Gai arrivò, si portò dietro due pelati vestiti in modo strano e con nomi ancora più strani e il suo familiare ottimismo.

Nel trambusto, Kakashi gli si avvicinò da dietro. «Odio quando fai così,» disse.

Obito non sapeva se si riferisse alla sua tendenza a evitare gli uomini pelati, o allo sparare stronzate sulla loro inesistente vita sessuale. «Ti piace quando lo faccio,» rispose.

«Cosa ti è venuto in mente?» Kakashi sembrava quasi incazzato. Idiota. «Da dove hai tirato fuori tutte quelle stronzate?»

Obito provò a scrollarselo di dosso. «Proprio dove le hai lasciate tu.»

Kakashi sospirò e, nel caso non avesse reso la sua frustrazione abbastanza chiara, si mise una mano dietro al collo. Dovettero dividersi per lasciar passare un gruppo di scolari in uniforme. Era un po' tardi per i bambini, ma le vacanze significavano anche niente regole, soprattutto nel parco. Obito pensò che il Green Lake non fosse il posto migliore dove lasciare scorrazzare dei bambini... con tutte quei fantasmi e quelle lanterne e pergamene che svolazzavano, ma, beh la città era anche loro, in fondo.

«Quando siamo soli ti arrabbi con me perché voglio litigare,» disse il Ninja Copiatore, sovrastando il rumore della folla. Si credeva figo con quei vestiti, ma i pantaloni erano strappati all'altezza delle ginocchia. «E poi in pubblico sei tu a provocarmi.»

Kakashi amava quel genere di battute e scherzi del cazzo. E la metà delle volte era lui a farli. Obito non capiva perché tutto d'un tratto non gli piacessero più.

«Per caso stai cercando di farmi pensare a certe cose?» chiese Kakashi.

«Forse non sei l'unico a pensarci.»

Kakashi si zittì un attimo. Poi: «Agh,» grugnì. «Non riesco a capire se mi stai prendendo in giro o sei serio.»

Obito ghignò. Kakashi faceva l'impassibile, ma la sua palpebra inferiore tremava. Dopo una vita passata a parlare con l'occhio di quel tizio mascherato, a Obito non serviva il resto della sua faccia per capire come si sentisse. C'era voluto un po' di tempo per abituarsi però alla sensazione di parlare al suo stesso occhio.

«Stai bene?» gli chiese Kakashi all'improvviso.

Obito sbatté le palpebre. «Cosa? Io?»

«Voglio dire, vuoi andare a casa? Prima hai detto che eri stanco.»

«Hm,» Obito ci pensò ancora. «Lo sono, ma...» si infilò una mano sotto al maglione per alleviare il prurito persistente. «Vorrei assaggiare lo stufato di frutti di mare.»

Kakashi piegò indietro la testa e socchiuse gli occhi. Quando gli allungò la mano nei capelli, Obito non lo allontanò, e si lasciò grattare come un povero idiota.

«Oy.» Genma sbucò dalla folla. «Smettetela,» li avvisò. «A nessuno è permesso essere felice se il re è arrabbiato.»

Obito grugnì. «Fanculo il re

Gli occhi dell'esperto di veleni si sbarrarono comicamente. «Cos'hai detto?!»

Balzò verso di lui e Obito dovette spostarsi per evitare un pugno e alcuni civili di passaggio. Era trascorso un sacco di tempo da quando aveva combattuto contro Genma e ancora più tempo da quando aveva fatto rissa con qualcuno che non fosse il suo compagno di squadra. Di solito, nessuno voleva iniziare una vera e propria lotta con Genma, sia in allenamento che per gioco... perché l'esito era la sconfitta da trenta metri di distanza per mano di un senbon lanciato dalla sua bocca. Obito preferiva il corpo a corpo e sapeva che in quel frangente Shiranui sarebbe stato alla sua altezza.

Evitò un tentativo di presa, gli invertì quella successiva, e fu deliziato dallo scoprire che l'esperto di veleni era molto più semplice da schivare rispetto a Kakashi, persino quando il suo compagno lottava per scherzo. Obito prese i polsi di Genma e li incrociò sul petto e ghignò. Ma poi si ricordò che Genma aveva dalla sua parte qualcuno di pericoloso: Asuma aveva affinità sia con il fuoco che con il vento; questo lo rendeva impulsivo e poco ragionevole, ma con un grande margine di errore.

«Fanculo, amico,» lo avvisò Obito. «Guarda che ti sguinzaglio il mio ragazzo. E sappi che ha mal di testa.»

«Provaci...» Genma fece come per sputare l'ago e Obito urtò un civile con un lungo cappotto.

«Tanto è sempre la stessa storia con Kakashi...» disse Genma mentre la folla li guardava con disapprovazione. «Arriva, si toglie la maschera e si scazza.»

Obito rise, si sorprese di aver fallito a schivare alcuni colpi e dovette alzare il braccio per fermarne un altro. «Non sai quanto ti sbagli.»

«Asuma è in grado di tenerlo a bada.»

«Non c'è storia!» gracchiò Obito, furibondo. «L'unico modo nel quale Asuma può fottere K-dot è in una gara per chi ha la fronte più grande.»

«Obito...» A riprenderlo era stato Kakashi, con quel tono che usava sempre quando Obito stava iniziando a sparare troppe stronzate. Ma ormai era entrato in modalità combattimento e tutto ciò al quale riusciva a pensare era il labbro sbilenco di Genma. Si scagliò su di lui e sembrò ottenere vantaggio afferrandogli la testa.

«La prossima settimana ci sono le battaglie di allenamento,» disse l'esperto di veleni tra i denti stretti. «Io e il re contro di te e il tuo cane... che ne dici?»

«Vuoi scommettere?»

«Certo... quanto?»

«Prenota un posto in infermeria, bello!» urlò Obito. «Voi di primo pelo tornerete a essere genin. Ci scommetto un ryo.»

«Facciamo tre

Obito lasciò andare la presa sulla sua testa. «Tre ryo? Sei serio?»

Genma alzò le spalle, usò i gomiti per liberarsi del tutto e finalmente indietreggio. Obito sentì di essere stato imbrogliato.

Ma Kakashi combatteva come un fottuto Sannin... non c'era modo che potessero perdere contro due freschi di promozione come Asuma e Genma. Il Ninja Copiatore era sceso di grado, è vero, ma riusciva a far sembrare che il resto del mondo fosse sceso con lui.

Anko si avvicinò all'improvviso e Genma cambiò subito discorso.

«... quindi mi sono levato un'unghia del piede così grande che sembrava un boomerang.»

Lei si accigliò. «E l'hai lasciata in giro in modo che qualcuno la calpestasse, suppongo.»

«Ci provo a sbarazzarmene, lo giuro.» Genma fece una pausa prima di fare la battuta. «Ma tornano sempre indietro.»

«Sei un idiota.»

«Ottima osservazione.» Gli occhi di Kakashi si abbassarono a terra.

Anko si mise al suo fianco. «Per cosa stavate litigando?» Si girò verso Obito. «Per cosa continuate a litigare?»

«Senti chi parla,» disse Genma. «Tu hai iniziato ben due risse stasera.»

«È una cosa diversa,» disse lei. «Per me azzuffarmi in pubblico non è un'abitudine; solo che, una volta ogni tanto, un calcio in culo è necessario.»

Lui alzò le spalle. «Due pesi, due misure.»

La kunoichi arrossì un po'. «Non è così.»

Obito capì che l'esperto di veleni si scagliava sempre sulla persona più permalosa nelle vicinanze. E Anko lo superava di gran lunga.

 

 

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Capitolo 15
*** Interludio: il re II ***


 

Obito non avrebbe mai pensato che un'azione semplice come mangiare potesse rivelarsi così imbarazzare e stressante... fino a quando non era arrivato lo stufato di frutti di mare.

Il ristorante dell'amico di Asuma era a fianco al cancello sud, il più grande e trafficato di tutti e quattro gli ingressi del parco. Per aprire un ristorante vicino al cancello sud, dovevi per forza avere un sacco di soldi o le giuste conoscenze.

Quando erano entrati e un gruppo di ragazzi vestiti da chef si erano fiondati su di loro, Obito aveva optato per la seconda ipotesi.

Oltre a loro, non c'erano altri invitati e i camerieri erano lì apposta per loro. Li avevano guardati nella gigantesca struttura mentre un tizio più giovane, che doveva essere il capo chef, era uscito per parlare, fumare e ridere con Asuma.

Obito non aveva sentito molto della loro conversazione, ma gli era pervenuta la sensazione che Sarutobi avrebbe potuto ottenere da lui tutto quello che voleva.

Attraversare il ristorante fu come camminare in una strana foresta. Il design era ricercato: strutture assurde, cose senza forme definite che avevano comunque delle forme, colori e materiali dei quali Obito non conosceva i nomi; evitò di guardare direttamente le sculture e le cose appese ai muri perché sfidavano duramente la sua capacità di percezione. Sentiva le fronde della loro stranezza strofinargli le spalle mentre passava. Non gli piaceva come si muoveva la luce senza fiamma che saliva dalle fessure nel pavimento e nei muri.

Al piano terra, il pavimento era percorso da canali d'acqua che attraversavano le stanze. Gli ricordò un po' il posto nel boschetto di bambù nascosto; solo un po', perché questo ristorante era più ombroso, l'acqua era zittita da vetri spessi e troppo cristallina e pulita per provenire dal Green Lake. Sotto i loro piedi, carpe koi percorrevano i canali artificiali come ignari passanti di un altro mondo. Bianco perlato splendente, zebrato e arancione intenso... erano i pesci più belli che Obito avesse mai visto. Non resistette e si accovacciò sui talloni per un attimo, per guardarli meglio. Erano pesci timidi. Anche i pesci belli erano timidi, a volte.

Tavoli bassi a forma di foglia di ninfea erano sparsi per l'area di ristorazione, alcuni sorretti da steli, altri attaccati al muro con piedistalli più bassi, e altri con sedute tradizionali. Tappeti leggermente ruvidi connettevano un tavolo all'altro. I loro ricami richiamavano ombre delle piante acquatiche in uno stagno scuro. Tende vellutate dividevano lo spazio in corridoi stretti.

Obito calpestò qualcosa di caldo. Alzò il piede e notò una torcia finta sul pavimento... un piccolo quadrato di stoffa fluttuante su un bulbo arancione e luminoso.

Salirono su per una serie di scale strette e ripide a zig zag, arrampicandosi lungo la colonna centrale dell'edificio. Obito si strinse le braccia ai fianchi, sentendosi di nuovo un bambino nel quartiere Uchiha; aveva il timore che, se avesse toccato o rotto qualcosa, sarebbe stato punito severamente.

Si sentiva un intruso mentre si faceva strada fra un centinaio di tende appese... come se ci fosse qualcosa di sconosciuto dentro di lui.

Il piano superiore era composto da un patio e una veranda, con solo qualche tavolo a forma di ninfea. Niente pesci, niente acqua. Solo piante da interni dall'aspetto selvaggio e un pavimento di cedro lustro ricoperto da altri tappeti rugosi.

Obito dovette piegarsi per via del soffitto inclinato, ma, una volta seduto contro il muro, scivolò fino alla finestra e l'ambiente divenne decisamente meno sconcertante; i tappeti gli scaldavano le ginocchia, una brezza autunnale arrivava e veniva, soffiandogli sul collo, e le musiche della festa all'angolo del parco si erano ridotte al volume giusto... persino la stranezza dei decori sembrava divenuta accogliente. In fondo, anche le torce finte erano belle da guardare.

Delle braccia si alzarono tutte intorno a lui. Obito indietreggiò un po' e si girò verso il tavolo in tempo per vedere i suoi compagni sollevare i bicchieri... forse, era rimasto a fissare fuori dalla finestra per troppo tempo.

Kakashi aveva l'occhio scoperto, un bicchiere nella mano, e un altro identico sul tavolo di fronte a lui; era un bicchierino senza manico, uno di quei lavoretti artigianali in ceramica che contenevano solo un sorso di liquido. Obito lo prese con due dita e un pollice e fissò il suo contenuto leggermente vorticoso: un abisso di fluido bianco come il latte, splendente come le scaglie delle koi. Era freddo, argentato e puntinato con piccoli aghi neri, come un cielo notturno invertito.

«Doboroku,» lo informò il suo compagno di squadra, prima di buttare indietro la testa. Obito intravide il neo sotto alla bocca un istante prima che la maschera tornasse al suo posto.

La pelle di Kakashi era aliena, pallida in contrasto con il legno scuro. Si appoggiò alla sua spalla e fece un rumore sommesso con il naso. «Bevilo e falla finita.»

Obito prese il suo primo assaggio di doboroku in un unico sorso. Ovviamente si era aspettato bruciasse, ma la sensazione non si era fermata alla bocca, o alla gola, e nemmeno allo stomaco; quando il sakè non fu altro che un dolce ricordo sulla lingua, il calore gli si irradiò nel petto e rimase lì anche dopo un paio di profondi respiri.

Alcune delle cose che mangiarono nell'ora successiva, Obito non sapeva nemmeno come si chiamassero, figuriamoci se era in grado di tenerle a bada nel piatto.

Aveva passato la maggior parte del tempo a guardare di striscio Raidō; lo spadaccino aveva un modo di mangiare molto particolare, da esperto, e Obito aveva cercato di capire come diavolo rompere i gusci e le capsule e gli esoscheletri... ma, sfortuna vuole, il suo occhio buono era dall'altro alto. Si era ritrovato le bestioline smontante nel piatto e si era chiesto quali parti si potessero mangiare e quali invece avrebbero suscitato risate se le avesse ficcate in bocca. C'era un trucco per aprire le ostriche senza che si sgretolassero in mille pezzi tra le mani, ma non aveva ancora capito quale fosse.

Obito non aveva un briciolo di talento naturale.

Alla fine, lo stufato di frutti di mare era stato delizioso quanto estenuante. Ogni squisito morso aveva richiesto una quantità di lavoro assurda... e dopo un po' Obito aveva iniziato a pensare che fosse proprio quello il punto dei frutti di mare: sì, funziona così per ogni cosa, in fondo. La vita, l'amore e la felicità non erano altre che faticose estrazioni di materia squisita fuori da gusci stretti. Richiedevano anche loro di strappare via le gambe... succhiare fuori gli occhi e il cervello.

Scartò un pezzo gommoso di seppia, una testa di pesce che non sapeva bene come maneggiare e un pezzo di aragosta che sembrava solo armatura. Si accigliò guardando gli avanzi nella scodella e optò per assaggiare un cuneo di un frutto giallo sul bordo del piatto più grande. Probabilmente, non era parte del pasto, ma Obito succhiò il succo fuori dal limone, capendo finalmente di cosa diavolo si trattasse. Mangiò anche la polpa, rosicchiò intorno alla buccia amara e si diede un po' di sollievo.

«Obito,» mormorò Kakashi. Era diventato silenzioso dopo il terzo o quarto giro di doboroku. «Ti sei appena mangiato la guarnizione?»

Obito guardò alla sua destra e si trovò davanti Kakashi floscio, con le palpebre abbassate. Solo una piccola ruga tra gli occhi, come se stesse arricciandogli il naso.

«Non guardarmi così,» gli disse Obito.

«Così come?» ribatté Kakashi, rimanendo fermo.

«Come se fossi un povero idiota.»

«Hm,» fece un mormorio lungo, poi aggiunse. «Perché, lo neghi?»

Arrossire quando stai già andando a fuoco e sei brillo ti fa annebbiare un po' la vista.

«Tutta questa roba è così difficile da mangiare, bro,» mormorò Obito, nelle conversazioni ad alto volume della tavola. «Non avevo mai visto questi piatti e sono stato in giro per mezzo cazzo di mondo.»

Kakashi fece una risata secca, con un singhiozzo nel mezzo. «Questo perché prendi sempre la stessa merda ovunque tu vada.»

«No, non è vero.»

«Sei entrato in quel nuovo Thai l'altro giorno e hai ordinato il curry

«Con il curry si va sempre sul sicuro,» si giustificò Obito, ancora riscaldato dal saké e improvvisamente con la testa che gli girava per la frustrazione di quella lunga giornata. «Penso che... il cibo dovrebbe essere facile e semplice. E...»

«Mhm

«E non so nemmeno perché ti sto parlando,» concluse Obito. «Non capisco nemmeno se mi stai ascoltando.»

Kakashi fece di nuovo quel verso, iniziando a sollevare le gambe da sotto il tavolo. «Facile e semplice,» lo scimmiottò.

Il Ninja Copiatore si sistemò gli arti nella stessa posizione che usava per meditare e Obito non notò nemmeno il ginocchio che gli finì in grembo. Anko però, che era dall'altro lato, fece esattamente il contrario e quando lo spinse via, Obito accettò l'aggiunta di un secondo ginocchio sulla pancia. Non sapeva quale strana tecnica di meditazione avesse spinto il suo compagno di squadra a mettersi contro la sua spalla e chiudere gli occhi, ma Obito ora era troppo sazio per mettersi sulla difensiva. Sputò qualche capello argentato fuori dalla bocca e si arrese al suo destino.

«Kash non regge nemmeno un bicchierino,» osservò Genma, oltre Raidō.

Le difese di Obito tornarono al loro posto. «Te l'ho detto.» Socchiuse gli occhi all'esperto di veleni. «Lui non beve!»

«Non ultimamente.»

Obito si accigliò, abbracciò le gambe del suo compagno di squadra, più che altro perché sembrava non ci fosse altro modo per posizionare le braccia. Gli piaceva che Kakashi non reggesse nemmeno un bicchierino. Erano persone come Asuma e Raidō, in grado di bere anche tutta la notte, che lo spaventavano.

Tornò a guardare il tavolo e constatò si essere solo un po' brillo; aveva messo un bel po' di peso da quando si era risvegliato e, grazie agli allenamenti intensivi, aveva aumentato un po' la sua tolleranza all'alcool. Sarebbe stata la stessa cosa anche per Kakashi, se solo avesse mangiato un po' di più... ma i prodigi sono così: si annoiano in fretta, soprattutto nello svolgere attività ripetitive come mangiare e allenarsi per fare massa muscolare.

A un certo punto, arrivò quel tossico della Centosedicesima strada, quello che tutti chiamavano Drongo; prima arrivò il suo naso enorme, poi lui. Si scambiò qualcosa con Asuma con una veloce mossa e una pacca sulle spalle. Durante quello stesso movimento, Drongo aveva tirato fuori dalla manica qualcosa della dimensione di una castagna e lo aveva lanciato lungo il tavolo. Mentre Obito si stava ancora chiedendo perché lo avesse fatto e se avrebbe dovuto evitare o prendere quell'oggetto misterioso, Kakashi lo aveva già afferrato a mezz'aria con un pigro scatto del braccio. Obito non ne rimase molto stupito.

Sperava che quel mercante non avesse ottenuto il suo soprannome per via del suo grande naso, ma aveva sentito parlare di uno sfortunato Chunin della Prima Signal Brigade che aveva una deformità a una mano e che era conosciuto come Sinistro. Sapeva anche di una ragazza soprannominata Viola che diceva di aver visto un drago con la faccia di suo nonno. E c'era un tizio chiamato Piccolo; e la parte peggiore era che apparentemente non c'era nulla di piccolo in lui. La gente chiamava anche Kakashi in un sacco di modi stupidi, ma nessuno doveva portare lo stesso onere di Rifiuto Volante, poveretto. Nel primo plotone era dura. I soprannomi nei rank shinobi, soprattutto fra i Jōnin di alto grado gli facevano pensare che, in fondo, Tobi non fosse così male.

All'arrivo del Drongo, c'era stato un altro giro di doboroku.

«Vorrei dedicare questo...» Il mercante fece una pausa e starnutì rumorosamente. Tutti i suoi capelli neri si mossero per come piume. «Al mio amico, Asuma.»

Kurenai lo guardò con disapprovazione.

«Il Nostro Salvatore, il Mighty Swallow...» continuò. Il bicchiere saliva più in alto a ogni titolo ridicolo. «L'inamovibile Sovrano, Re della Foglia, Signore delle Mosche...»

L'unità di supporto di Kurenai, Yahagi e la ragazza del Team Tre, fecero calare le loro espressioni gravi, rincarando il silenzioso attacco che stavano riservando a quel tossico rumoroso. La disapprovazione era palpabile nell'aria e Obito si spostò un po' dal suo posto, guardò Raidō, che stava ghignando con Genma; Anko era impegnatissima con il suo gamberetto; Gai aveva le lacrime agli occhi e Asuma, inconsapevole, aveva un sorriso fin dietro alle orecchie. Sarutobi era stato inaffondabile da quando la sua ragazza era arrivata con i suoi bellissimi capelli ondulati e la sua fascia in testa. Yahagi guardava Obito come qualcosa di schifoso che aveva calpestato per errore. La ragazza del Team Tre non sorrideva mai.

«E, in fine…» Il drongo abbassò la testa, ma il doborouku stava quasi toccando il soffitto. «Il figlio del Terzo.»

Anko grugnì nel piatto e alzò la testa per unirsi a dieci Jōnin che fischiavano incazzati.

«Siediti!» gli urlò. «Basta con i titoli!»

Le bacchette picchiarono sul tavolo, volarono tovaglioli e Obito pensò non fosse per niente divertente sparare a zero sull'Hokage... ma poi qualcuno scorreggiò e le ragazze si guardarono intorno incazzate e anche lui si ritrovò a ridere contro il muro.

«Avanti, bello,» disse Asuma, ristabilendo l'ordine. «Forza, siediti.»

Drongo si guardò ancora in po' intorno. Il suo naso oscurava la visuale. Una cicatrice gli divideva i capelli. «Salute, bro,» concluse, e si buttò uno shot in fondo alla gola. Rabbrividì mentre ingoiò, sghignazzando drammaticamente.

Obito guardò nella sua tazzina. Aveva perso il conto di quanti giri aveva fatto, ma vide qualcosa di luccicante e invitante nelle profondità bianche del suo sakè. Lo sollevò e lasciò che un caldo fiume gli inondasse lo stomaco.

«Scusatemi,» disse uno dei due pelati del club della giovinezza. Obito ricordava i loro nomi da quanto erano strani: Gai li aveva presentati come Thinbone e Tether. Strambo, come tutto quello che c’entrava con Gai, ma Obito aveva un amico che si chiamava Spaventapasseri, quindi...

Tether sembrava il più loquace dei due. «Cosa significa Signore delle Mosche

Obito si chiese se rasarsi la testa facesse sembrare una persona più giovane o fottutamente vecchia.

«È una lunga storia quella,» disse Asuma, ghignando. «Eravamo Chunin, giusto?»

«Uh-huh.» Il drongo rise e annuì.

«Nella provincia di Satun, vero?»

«Uh-huh.»

Kurenai alzò gli occhi al cielo come se stesse contemporaneamente controllando il tempo atmosferico e attendendo una delle storie di Asuma, e si scambiò uno sguardo con Yahagi come per dire è proprio di questo che ti parlavo. Yahagi si spostò le pesanti trecce su una spalla. La ragazza del Team Tre si portò il picchiere alle labbra.





 

«Satun?» intervenne Anko. «Cosa stavate facendo della Provincia di Satun? Là c'è solo un enorme deserto.»

«È il deserto più grande nella Terra del Fuoco,» confermò Drongo, «ma non è disabitato.»

«L'ingaggio era una missione di grado C,» disse Asuma. «Dovevamo portare alcuni armamenti fino a una base in aperta campagna. Siamo arrivati senza problemi, ma la spedizione che sarebbe dovuta passare a prenderci non arrivò... e ci trovammo a dover restare nel deserto per due giorni ad aspettare nuovi ordini.»

Obito non sapeva nemmeno che Drongo si fosse arruolato. Ora non stava portando a termine nessuna missione, il che poteva solo significare che era stato sollevato. Ma perché? Il mercante era ancora giovane. Venti, ventitré o ventiquattro anni al massimo; non aveva ferite visibili, a parte la cicatrice sulla testa. Ma se quella ferita era sufficiente a farti dimettere, allora Obito avrebbe dovuto chiedere un assegno per disabili.

«Il villaggio era morto...» Asuma fece una pausa e si accese un'altra sigaretta.

«Solo facce rugose,» aggiunse Drongo. «Una vecchia città, consumata dalla guerra. Il commercio si basava sul bambù e la canna da zucchero, anatre e passeri.»

«Il villaggio era morto, ma,» continuò Asuma. Il fumo si accumulò sotto al soffitto basso. «Avevamo sentito delle voci interessanti sulle scimmie delle rocce.»

«Le scimmie delle rocce?» chiese Obito. Kakashi tirò su con il naso. Obito arrotolò il dito intorno a una delle catene che il suo compagno di squadra aveva al ginocchio. Sembrava una storia interessante, cazzo. «Cosa sono?»

«Il popolo primitivo che vive nel deserto,» rispose lo strano mercante. «Hanno il controllo sulla risorsa più preziosa di tutte.»

«Che tipo di risorsa?» chiese Anko. «il succo di cactus?»

«Beh, in realtà, è una specie di... rospo.»

«Un rospo.» Kurenai sospirò.

«Un rospo sacro,» la corresse Asuma.

Drongo starnutì di nuovo. «Uh-huh!»

«Come fa un rospo a sopravvivere nel deserto?» chiese Raidō.

«Esattamente come il verme gigante della sabbia,» rispose Genma, cupo. «Sotto terra, probabilmente.»

«Uh-huh!»

«Tutto questo è ridicolo,» ribatté Kurenai.

«La gente del villaggio ci aveva detto che i rospi uscivano in superficie solamente un mese all'anno,» disse Asuma. «Sapete com'è il territorio lì: Satun è un deposito cristallino e acido, l'arsenico inquina la terra. Il calore del sole lo rende impossibile da attraversare a piedi, ma una volta all'anno la pioggia riempie la valle di acqua. I rospi si risvegliano dall'ibernazione e vivono tutta una vita in solo una settimana...»

«Cantano, mangiano, e scopano!»

Asuma continuò con ritmo lento sopra alle interruzioni dei suoi compagni. Gli piaceva essere ascoltato. «Le scimmie delle rocce in quel periodo vanno a cacciarli. Per qualche rito sacro, penso, non so. Sono un'antica comunità di guerrieri, non amano molto gli sconosciuti.»

Drongo prese in mano le bacchette e ringhiò. «Indossano cinture fatte con le orecchie sinistre delle loro vittime!»

Anko rise e batté le mani. Obito era abbastanza brillo da considerare la loro storia interessante.

«E guarda caso,» continuò Asuma alzando l'angolo della bocca, «eravamo arrivati in città proprio negli ultimi giorni della stagione delle piogge. Sarebbe stato un peccato non dare nemmeno un'occhiata. Ci preparammo per il viaggio e portammo un paio di razioni C e le nostre tende.»

«Siete andati là fuori?» chiese Raidō. Pesino Genma si era incupito, ma probabilmente era per via del ricordo di sua madre, che recentemente era morta proprio nelle sabbie del Satun.

«Perché fare una cosa del genere?» chiese Kurenai. «Sapevate che quella gente odia gli estranei.»

«Amore, non eravamo andati a cercare le scimmie delle rocce,» si lamentò Asuma, «ma i rospi.»

«Ma perché

Il re esitò. «Uh...»

«Per sballarci, ovvio!»

Le parole del drongo furono seguite da un’eruzione di grida. Il club della giovinezza apparve disturbato e divertito in egual modo. Kakashi si spostò leggermente, ma Obito era ormai completamente concentrato sullo strano duo e la loro storia.

«Girava una voce nel primo Plotone,» disse Asuma in mezzo al baccano. «Pare che il latte del rospo del deserto abbia un effetto psichedelico.»

«È il più psichedelico conosciuto al mondo, bello.» Drongo mise le braccia conserte sul petto, come ali, irriverente e orgoglioso.

Obito guardò il doboroku avanzato nel suo bicchiere. «I rospi fanno il latte

«Una tossina,» gli spiegò Genma. «Si tratta di una tossina, credo. La producono per difendersi dai predatori.»

«Ce l'hanno nelle verruche.»

«Quindi,» rifletté Anko, interrompendo la storia e alzando entrambe le mani. «Voi ragazzi siete andati in un deserto velenoso in cerca del latte nelle verruche di un rospo?»

«Uh-huh!»

«Abbiamo fatto una decina di chilometri e poi siamo rimasti senz'acqua.» Asuma colpì con il gomito il suo compagno. «Ci sarebbe bastata se tu non fossi inciampato in un ruscello acido.»

«Di che ti lamenti? Ho perso il mio stivale sinistro preferito!»

«Avresti perso il tuo piede sinistro preferito se non ci avessi svuotato sopra l'intera borraccia.»

«Già, grazie ancora amico.» Il mercante sospirò, poi rise. «Però non mi sarebbe dispiaciuto ritrovarmi un assegno per disabili nella buca delle lettere di questi tempi, se capisci cosa intendo.»

Kurenai sospirò. Obito trattenne un sorriso, perché sembrava proprio una di quelle cose per le quali anche lui sarebbe stato preso a calci in culo da Kakashi. Solo che il suo compagno di squadra, prima di versare l’acqua, avrebbe lasciato che l'acido gli consumasse un paio di dita. Solo per lasciargli un ricordo sulla pelle e fare in modo che imparasse dall'esperienza.

«Ci siamo rimasti ventisei ore e...» Asuma fece una pausa ed emise un piccolo suono. Estrasse la sigaretta. Guardò l'estremità accesa. Poi disse «cazzo, stava diventato strano là fuori.»

Il drongo ridacchiò.

«Strano come?» chiese qualcuno.

«L'orizzonte.» Asuma continuò a temporeggiare. «Era nero come il carbone. E non avevo mai visto un sole così grosso in tutta la mia vita; era come un tunnel di luce che si abbatteva su di noi, che ci trascinava verso di lui. Non c'erano né il giorno né la notte, quel tunnel non se ne andava mai... a volte mi sembrava di vedere la luna sorgere, ma era solo qualche roccia all'orizzonte, una luce che compariva ai lati dei miei occhi. Dalla terra continuavano a eruttare dei giganti geyser giallo-verdi. Tutto ciò che c'era alla mia destra e alla mia sinistra era scomparso. Poi, questo scemo è collassato per la febbre da acido. Insomma, stavamo morendo entrambi.»

«Okay, ma...» Anko sventolò la mano. «Avete trovato i rospi o no?»

«Prima abbiamo trovato le scimmie delle rocce.» Asuma rise. «O forse sono state loro a trovare noi. Mi sono preso un sasso in testa dopo due minuti di combattimento, ma devo ammettere che avevano un'ottima mira.»

«Vi hanno catturati? Cosa vi hanno detto?»

«Come avete fatto a non farvi staccare le orecchie?»

Asuma attese che le domande si fermassero. «Non hanno detto nulla. Nulla che potessi capire, almeno. Mi sono svegliato sul confine della pianura allagata, bruciato dal sole e disidratato, ma senza ferite. Mi sono scrollato di dosso le mosche e ho trovato un rospo che mi fissava. Le scimmie delle rocce ci avevano preso le provviste, tutto tranne il poncho che usavo per avvolgere Drongo. Lo avevo avvolto come un cazzo di cadavere. Era ancora steso lì con tutte e due le orecchie attaccate. Ci avevano lasciati vivere, ma a Satun non puoi mai essere sicuro di sopravvivere. Non sapevo quanto fosse distante la città, e non potevo trascinarlo per tutta quella strada senza acqua. Abbandonarlo sarebbe equivalso a ucciderlo lentamente.»

«Cosa avete fatto?» Persino Kurenai si piegò in avanti. Non lo avrebbe mai ammesso, ma tutti sapevano che la violenza la intrigava.

«Prima abbiamo munto il rospo,» dichiarò Drongo.

Anko si portò una mano sulla fronte e grugnì. «Veramente

Fu Raidō a fare la domanda più importante di tutte. «Com'è stato?»

«Come...» Asuma fece una lunga e lenta espirazione. «Come aprire una porta che non puoi più richiudere.»

«Non è stato un trip, ma un vero viaggio.» Il drongo annuì con fare solenne. «È stato il latte a riportarci a casa, amico. La mia febbre si è dissolta nell'universo, gli spettri mi hanno insegnato a camminare di nuovo, e abbiamo giocato tutti a go su un alto piano celestiale.»

«Okay, ma come avete fatto senz'acqua?»

«Ah.» Il drongo rise. «L'idea brillante del re: abbiamo mangiato le mosche.»

«Le... cosa!?»

Asuma si mise le mani dietro al collo, alzando le spalle come se non fosse nulla di che. «I corpi delle mosche filtrano l'acidità sotto alla pioggia; erano probabilmente l'unica fonte di acqua in chilometri, e il piede puzzolente di Drongo ne attirava un sacco.»

«Mi chiedo, sapete, se le scimmie delle rocce lo sapessero,» disse il mercante, strizzando l'occhio. «Forse ci hanno portato in quella valle a un passo dalla morte solo per lasciare che le mosche si radunassero. Forse ci hanno dato loro quel rospo sacro per curare le mie ferite.»

Kurenai non sembrava impressionata. «Credo che voi due dovreste smettere di fumare prima di andare a dormire.»

«Kurenai…» Asuma sospirò e tutto il tavolo ridacchiò. «Se non ti conoscessi direi che sei contro l'erba; ma sappiamo entrambi la verità.» A quel punto si girò e sbatté il pugno contro quello di Drongo. «Se vuoi conoscere il fiore, prima devi coglierlo

«Io so già tutto quello che devo sapere di te,» disse Kurenai. «Questa mattina hai avuto una crisi paranoica per il postino, tesoro

Asuma sospirò di nuovo e alzò le spalle sotto al peso di un grandissimo fraintendimento. «Un grande sciamano una volta mi ha detto: la cosa meravigliosa delle sostanze stupefacenti sta nel fatto che ti fanno emozionare anche per cose più semplici.»

Kurenai lasciò che il silenzio si protraesse ancora un po', poi si scostò i capelli da una spalla. «Stai dicendo che io sono una cosa da niente?»

Yahagi la difese con quel suo tono cinico. «Non credo che quel drongo si possa definire un grande sciamano.»

«Andiamo,» Asuma provò a difendersi Drongo, con le braccia aperte come un pacifista. «Tutti siamo un po' sciamani, no? Tutti siamo in grado di curare qualcuno.»

Kurenai non sembrava molto stupita dalle azioni eroiche del re. «Perché non racconti mai una storia bella?»

«Huh?» Asuma le mise una mano dietro alla schiena. «Che intendi?»

«Oh, non so!» mormorò lei. «Magari una senza nessuna morte e senza smembramenti o disturbi dissociativi causati dalle droghe.»

«Una senza...» Il suo compagno sembrò pensarci molto. Poi provò «vi ho mai raccontato, ragazzi, quella dell'albero che sanguina sulla collina?»

La sua proposta suscitò subito l'interesse di alcuni di loro, ma la sua fidanzata si appoggiò su un gomito e imprecò. «Oh, santo cielo.»

«Cosa?» la implorò Asuma, e la sua sincerità fu in qualche modo commovente. «Te l'ho già raccontata?»

«Perché semplicemente non racconti a tutti cos'hai fatto questa mattina?»

«Huh? Oh.» Asuma si portò la sigaretta alla bocca, trattenne un colpo di tosse e aspettò un po' prima di continuare. Obito non lo aveva mai visto così frustrato. «Io, uh, sono andato alle caverne sotterranee, a...»

«A nasconderti.» Kurenai lo aiutò a finire la frase, la sua voce era persuasiva, d'acciaio, come un terribile genjutsu.

«Okay, quindi...» disse Asuma, ritraendo il braccio. «Ogni volta che io perdo il senso del tempo mi sto nascondendo. Quando invece sei tu a farlo è solo per prepararti. Qual è la differenza fra quello che faccio io e quello che fai tu, se entrambi stiamo comunque mandando all'aria i nostri piani?»

«La differenza sta nello sforzo. Non vedi che non ho un capello fuori posto stasera?»

Obito constatò che Kurenai era come Kakashi. Era bella e talentuosa, e si prendeva sempre tempo per le sue cose.

«Non volevo perdermi la cerimonia del tè. Mi dispiace,» riprovò Asuma. «Sono andato alle caverne per meditare, ma poi, uh...»

«Ti sei addormentato, non è vero?» gli disse Genma, facendo girare pigramente le bacchette.

«Come lo sai?»

L'esperto di veleni spostò lo sguardo dagli intensi occhi del re. Abbassò la bacchetta e alzò le spalle. «Sembra una cosa da te, amico.»

Asuma sospirò, toccò la mano di Kurenai come un colpevole in cerca di redenzione. Lei non si mosse, ma non sembrò molto affettuosa. «Mi dispiace. Faremo un altro assaggio del tè.»

Drongo starnutì nel gelido silenzio. Poi disse «le caverne sotterranee sono da sballo. Da quando Tobi ha spaccato il lago, un sacco di gente va laggiù, anche i civili. È una festa contin…»

«Amico,» grugnì Asuma. La mano di Kurenai si spostò velocemente. Un sonnellino sotto terra sarebbe stato molto meno incriminante di un party sotterraneo.

«L'ultima volta che ci sono stato,» intervenne di nuovo Genma, «c'erano un sacco di mercanti che vendevano frutta e noci di cocco.»

«È un bel posto per fare skate.»

Il club della giovinezza continuò a elencare i lati positivi dell'ultima impresa distruttiva di Obito, e lui sentì il calore nel petto salirgli fino alle orecchie. «Io non volevo,» iniziò.

«Tu non volevi?!» La voce di Yahagi che lo scimmiottava si alzò sopra alla folla. «Perché non guardi dove tiri quei pugni, allora?»

«Ehi, basta.» Asuma si mise in mezzo. «Io penso sia figo. Le persone si divertono laggiù...»

«Ha fatto fuori un intero ecosistema

Obito si alzò e annunciò di dover andare a pisciare, ma probabilmente nessuno lo sentì nel trambusto... urtò il bokken di Raidō, cadde quasi in braccio a Genma, e si schiaffeggiò la faccia. Comunque, non gliene fregava un cazzo della loro opinione.

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Capitolo 16
*** Vacanze pt.4 ***


«Immagina cosa potrebbe fare quel ragazzo se solo fosse un po' più cosciente

«Se solo ogni tanto facesse andare un po' il cervello.» Questa era Yahagi.                                                                                     

«Immagina se si facesse aiutare da un paio di cugini,» suggerì Raidō.

«Verrebbe fuori una specie di apocalisse.» Dopo la cena, l'ago senbon di Genma si era materializzato di nuovo nella sua bocca. «Le dita non bastano per contare i suoi zii squilibrati... nemmeno se usi tutte e due le mani.»

«Gli Uchiha, amico!»

«Il nostro Obito è chiaramente,» Gai alzò il pugno in aria, «nel fiore della giovinezza!»

Kakashi si lasciò scappare una risata, ma ricevette una gomitata dalla kunoichi al suo fianco. «Ow,» mormorò confuso.

Anko lo guardò furiosa.

«Cosa c'è?» chiese Kakashi. «Era divertente.»

Un movimento vicino al tavolo attirò la sua attenzione, ma nel tentativo di girarsi per guardare, Kakashi si ribaltò in avanti. Un continuo mal di testa martellante aveva offuscato la sua percezione; pensieri pigri andavano e venivano e Kakashi riusciva solo a scrutarli da lontano, come da dietro una spessa tenda.

Drongo tirò fuori un altro oggetto dalle sue piume e lo diede ad Asuma.

«Quasi mi dimenticavo,» disse il venditore. «Dagli un'occhiata.»

Era un rotolo di carta spesso più o meno come una rivista, o un giornale. Asuma srotolò la prima pagina e batté gli occhi, perplesso dal contenuto. Stava bevendo da quando era tramontato il sole, ma niente riusciva mai a turbarlo... solo l'arrivo di Kurenai e del suo amico volatile erano riusciti a mettere un po' di colore sulle sue guance.

«Un nuovo giornale,» disse l'informatore al suo fianco. «Ci sono solo poche copie che circolano nell'anello più esterno.»

«Il Watertower,» rombò Asuma.

Kakashi sapeva bene che, in un modo o nell'altro, tutto finiva nelle mani del re.

«Uh-huh! Queste notizie sono acqua fresca per la gente,» disse il drongo. «E i bassi fondi sono assetati, amico. Lo sento.»

Asuma aggrottò le sopracciglia mentre leggeva. «Chi altro ha una copia di questo?»

Il suo vecchio compagno si strinse nelle spalle e fece un po' di moine ripulendosene una. «Qui intorno? Solo io e te, che io sappia.»

«Che c'è, tesoro?» Kurenai si avvicinò e passò una mano sul suo compagno in modo familiare, il pollice sulla mandibola. Quel gesto ricordò a Kakashi la volta nella quale Obito lo aveva chiamato stronzo e poi avevano pomiciato. Rivolse lo sguardo al posto vuoto di fianco a lui. Il rimpianto gli salì su per la gola.

Asuma piegò il giornale e se lo infilò sotto alla giacca. Sorrise alla sua fidanzata, sbilenco e sincero.

«Tienilo d'occhio,» disse a Drongo. «Se trovi qualcos'altro, vecchio o nuovo, voglio vederlo.»

Il venditore si congedò.

I dronghi non erano uccelli autoctoni di Konoha; erano originari dei territori desertici a nord-ovest, arrivati fino in città con i commercianti della Sabbia. Era una specie invasiva, che si era fatta velocemente una nuova casa nella capitale, nota per la sua abitudine di rubare il cibo agli altri uccelli e alle persone con ingegno e astuzia, ma anche grazie ad avanzate tecniche di imitazione di allarmi o pianti di neonati. Ottieni la fiducia di un drongo, e ti porterà cose preziose.

Un altro gomito affondò nel fianco di Kakashi. Provò il dolore agonizzante dell'essere tornato completamente sobrio.

«Posso aiutarti, Anko?» mormorò.

«No, Kakashi,» disse lei a voce bassa. «Sono io che sono qui per aiutare te. Non ti sembra che manchi qualcuno?»

«Sì,» Kakashi alzò le spalle. «E allora? Doveva pisciare.»

Anko appoggiò le bacchette al piatto e mise le braccia conserte. «È passato un bel po' di tempo, ormai.»

«Forse doveva cagare.» Parlare con Anko era come ricevere segnali di luce attraverso una spessa nebbia. Kakashi riusciva a vedere tutti i puntini, ma non a metterli insieme. È passato tanto tempo? Pensava di essersi risvegliato dal suo sonnellino solo da qualche istante.

La brezza del patio era calda, ma lasciava la pelle stranamente fredda. Le stelle riuscivano a malapena a intravedersi sotto le luci del parco.

«Penso che Obito non si sentisse a suo agio,» disse la kunoichi. Kakashi sapeva che non c’era un modo carino per esprimere quello che Anko stava per dire. «Devi riprenderti dalla sbornia e andare a cercarlo.»

«Io sono sobrio.» Kakashi alzò la testa e provò un dolore terribile. Si pentì subito di averlo fatto. «Sono un cazzo di ninja, bella

«Sei una testa di cazzo,» disse Anko, con convinzione. «Ho detto che sarei stata il tuo supporto per questa sera, quindi ascoltami: smetti di sghignazzare per le pessime battute sugli Uchiha e alzati

Kakashi trattenne le lamentele e iniziò a scalciare per spostare i piedi e alzarsi. Anche se era Anko ad avere ragione, decise di farle notare quanto si sbagliasse. «Io non sghignazzo.»

«O-k...» Anko alzò gli occhi al cielo. «Vai, ragazzo. Alza il culo.»

Era quasi completamente in piedi quando il tavolo iniziò a inclinarsi su un lato e Kakashi lo afferrò per fermarlo. Non aveva pensato così tanto come Anko beveva. Cazzo, no!

Ninja Copiatore in movimento!

«Non sono insensibile,» la informò iniziando a spostarsi sul lato. Avrebbe anche potuto smaterializzarsi, forse, ma non voleva rischiare di sbalzare il tavolo contro il muro a causa dell'onda d'urto che il suo immenso potere avrebbe causato. O beh, i problemi tipici dei Lupi Bianchi.

«Io non l'ho mai detto,» disse la kunoichi, spostando le gambe per permettergli di passare. Il suo ghigno mangia-merda scintillava anche attraverso tutta quella foschia.

Kakashi tornò fino alla colonna centrale sbattendo contro una ventina di arazzi appesi. Sulle scale, la sua visione barcollò e oscillò. Appoggiò il palmo al muro e imprecò. Era colpa del suo Sharingan. La ruota di quell’occhio girava e bruciava. Ovunque la luce si inarcasse, Kakashi la seguiva senza scelta alcuna, lasciandosi trascinare in uno strano movimento. Era come camminare su un fiume con la corrente a proprio favore.

Il ristorante dell'amico di Asuma era un piccolo mondo selvaggio. Alcuni dei decori ai muri sembravano porte, finestre, terrazze... altri nascondevano specchi al loro interno. A un certo punto Kakashi iniziò a chiedersi in quale cazzo di posto fosse finito e poi... doveva aveva conosciuto tutto quella gente Asuma?

Forse aveva ragione Anko: Obito se ne era andato. Avrebbe davvero dovuto controllare e forse non lo avrebbe nemmeno più ritrovato.

Finì in alcune stanze che sembravano allagate, connesse da stretti canali. Inciampò in qualcosa e per un momento pensò di essere finito con le caviglie nell'acqua... ma era tutto coperto da vetro, ovviamente. Stava riacquistando la memoria. Si ricordava di quella zona, almeno un po'.

Sentì un movimento nell'aria e lo seguì, una tenda svolazzante nel fondo della sua mente.

«B...» si schiarì la voce. «B?»

Non vedeva nulla. Anzi, peggio: non percepiva nulla. E di solito era bravo a individuare le cose. Molto bravo, a dire il vero. Una sensazione pungente lo colpì sulla pelle e Kakashi seguì il suo sesto senso e continuò a vagare attraverso quelle stanze allagate.

I divisori di stoffa oscillavano nella brezza autunnale. Il cielo notturno brillava fra loro. Kakashi sbatté la tibia contro un tavolino e si chiese perché tutto il sangue gli fosse finito improvvisamente alle estremità. Le orecchie calde, il petto freddo...
 «Yo.»

Cazzo. Kakashi si spaventò, ma mantenne la sua postura immobile anche quando il compagno apparì all'altezza delle sue ginocchia, a fianco a lui. Apparì così, di colpo. Come se fosse sempre stato lì, accovacciato e indispettito, a fissare l'acqua... ma Kakashi non lo aveva percepito; in effetti, non lo percepiva nemmeno ora. Era come cercare di seguire la traccia odorosa di un'ombra.

Obito gli aveva rubato la battuta introduttiva e Kakashi si trovò in difficoltà a trovarne un'altra.

«Ti nascondi quaggiù?»

«No,» rispose secco Obito. In alcune occasioni quella benda sull'occhio era davvero sexy. «Mi sono solo stufato dell'emotività di Gai.»

«Vuoi dire,» mormorò Kakashi, «che non sei nel fiore della tua giovinezza?»

Il suo compagno di squadra tirò su con il naso, mise le braccia intorno alle ginocchia e ci appoggiò il mento. «Non mi sento affatto così.»

Il vento soffiò. Persino sotto al vetro, senza lattuga, le carpe koi si erano radunate ai piedi di Obito; tremolavano in gruppetti da due o tre. Oro, bianco, alcune erano ambrate con puntini neri. Una corrente gentile le spingeva un po' in avanti e alcune si lasciavano trasportare, ma altre tornavano indietro, muovendo le code in oscillazioni fino a quando non increspavano la superficie. E poi tutto oscillò: il vetro, le tende, il cielo notturno della veranda. Le luci del parco ingoiarono le stelle.

«Sembra quasi che tu stia per piangere, bello.»

«Cosa?» Kakashi si mise quasi a ridere. Non esiste che succeda, lo confortò la voce della sua mente.

Obito si alzò come un fiore oscuro con un inferno di torce finte ai suoi piedi e Kakashi mantenne il contatto visivo. Non voleva fare passi indietro quella sera. Sono pronto per la caccia, stanotte, fanculo tutto il resto e quello che dice Anko.

Kakashi era certo che la stanza aveva continuato a oscillare. Stava ancora cercando di capire cosa stesse succedendo, quando notò che il suo compagno di squadra si stava avvicinando a lui e che il suo Sharingan era attivo e girava. Lo poté capire guardando la sua pupilla specchiata e identica: dentata, elegante e affilata come lame, si stagliava sull’iride vellutata rossa. Ma, si muove in senso antiorario?

Un familiare senso di ipnotismo lo colpì a fondo nella mente e Kakashi lo lasciò crescere.

«Voglio mostrarti una cosa,» disse l'Uchiha.

Kakashi grugnì.

«È successo diverse volte, ultimamente, ma guardando i pesci mi si sono schiarite le idee.»

Kakashi stava per dire al suo compagno di squadra di arrivare al punto, quando il mondo intorno alle sue caviglie iniziò a roteare. La notte venne fuori dal pavimento; il cielo venne adornato da code di pesci... e quando Kakashi chiuse gli occhi per fermare la vertigine, tutto divenne nero. Oscurità completa, vuoto assoluto.

Gli era già successo di svenire, ma non era mai successo che rimanesse in piedi nel frattempo. O che potesse battere le palpebre. O che sentisse qualcuno lì con lui.

Lentamente, dedusse cosa stesse succedendo e batté di nuovo le palpebre.

Una linea pallida e sottile marcava un orizzonte distante, ma non irraggiungibile, che divideva in due metà il buio. Il terreno era formato da prismi lisci alti come edifici irregolari. Kakashi guardò ai suoi piedi: sembrava tutto appena nato, solo abbozzato, come la bozza di un pensiero. Materiale grezzo e lavorato solo in parte, posto qua e là senza un vero schema. La prima cosa che pensò fu che fosse... davvero buio. Era troppo buio là dentro.

«Quando ho trovato questo posto per la prima volta non c'erano nemmeno un sopra o un sotto. Mi confondeva,» disse Obito.

Il cielo era lontano, come se Kakashi lo stesse guardando dal fondo di un barile chiuso. Però sentiva che c'era qualcosa lassù, qualcosa pronto a schiacciarlo.

Seguì la voce del suo compagno di squadra fino a un blocco deforme nelle vicinanze, ma quando fece un balzo si ritrovò troppo in alto, e quando scese si sentì pesante come se avesse un'incudine attaccata ai piedi. Atterrò con un insolito lamento e troppo sforzo.

«Già,» disse Obito. «Ci vorrà un po' a sistemare la gravità. Ma ehi: guarda queste strane scatole. Almeno ho qualcosa sul quale lavorare.»

«Obito,» disse il Ninja Copiatore, intontito. Il suo stomaco era sotto sopra dopo quella caduta. «Che cazzo sta succedendo?»

«Oh, scusa.» L'occhio ipnotico di Obito si chiuse di nuovo e Kakashi cercò di ignorare lo strano paesaggio. In che cazzo di posto sono finito?

«K, questa è la mia dimensione tascabile. L'ho trovata, umm, dentro al mio occhio.»

«Una dimensione. Dentro al tuo...?» Kakashi guardò la pallida luce dell'orizzonte in lontananza.

«È la mia teoria, al momento.» Obito passò il piede sulla superficie del blocco sul quale si trovavano. Non produsse nessun suono. «Non è infinita, da quello che sono riuscito a capire. È uno spazio chiuso con una sola entrata, e... mi stai ascoltando almeno? Ehi, che cosa stai... Come fai a farlo? Fermo!»

È così buio, pensò Kakashi, fissando la linea distante. Questo è l'interno della mente di Obito? Perché è così buio?

Kakashi sentì un pizzichio sulla fronte, si spostò di lato, evitò e contrattaccò l'attacco del suo compagno con dei movimenti che aveva memorizzato nella loro routine.

«Fermo!» continuava a urlare Obito.

Kakashi non capiva perché se la stesse prendendo con lui. Quando Obito provò a tirargli un pugno, Kakashi gli afferrò il gomito, poi fermò un altro colpo con il palmo della mano. Obito spinse con forza e causò la perdita di equilibrio di entrambi.

Solo allora, Kakashi notò un cambiamento nel cielo.

In lontananza, la linea pallida era diventata più bianca, divorò lentamente l'oscurità sfumandola dal grigio fino a bianco brillante. E persino quando la superficie dei blocchi della dimensione tascabile risplendette nel calore del sole, la luce continuò ad aumentare.

Obito sembrava incazzatissimo e a un certo punto Kakashi smise di opporsi e si lasciò schiacciare a terra. Non sapendo cosa fare, chiuse gli occhi.

«Ma certo,» mormorò Obito, respirando affannosamente. «Sono dovuto venire qui venti volte prima di trovare anche solo il pavimento... e tu arrivi e inizi a cambiare le cose. Se esageri, lo spazio collasserà su di noi e dovrò ricominciare da zero.»

Kakashi rimase fermo, respirando lentamente e cercando di non pensare troppo a cosa stesse respirando e come... c’era aria in quello strano luogo?

«Puoi aprire gli occhi, Bakashi,» mormorò Obito con un sospiro. «Ma non interferire più con la mia roba.»

Quando Kakashi aprì gli occhi, l’oscurità opprimente era tornata. Appena la guardò, iniziò di nuovo a schiarirsi. Kakashi imprecò, questa volta deciso a controllarsi. Pensò all'inquinamento luminoso del parco che faceva a gara con le stelle e rovinava il cielo notturno e si sforzò di figurarsi un momento della notte più tranquillo, quando le torce si consumavano e i venditori se ne andavano; la luce nei neon artificiali sarebbe stata smorzata sotto ai tendoni e le stelle sarebbe riemerse, brillando come occhi dal profondo buio.

Il cielo sopra la sua testa si contorse come una giungla, un buio profondo spruzzato da gas e vapori blu-viola che galleggiavano nell'atmosfera.

«Esibizionista.»

Tonalità violacee e calde colorarono Obito, come la luce di un tardo tramonto. Molto meglio.

«Sei piuttosto bravo anche tu.»

L'occhio demoniaco di Obito si alzò teatralmente al cielo, poi si allontanò da Kakashi per guardare il cielo notturno. «Piuttosto bravo,» mormorò. «Ho un universo alternativo dentro ai miei occhi e tu dici: Piuttosto bravo, B. Cosa devo fare per impressionarti?»

Kakashi sentì un torpore nel retro degli occhi, e si rese conto di essere ancora sdraiato sulla schiena. Si mise seduto. Lo shock mentale dell'essere stato trasportato nella sua forma fisica in un'altra dimensione, con regole e barriere diverse, iniziò a dissolversi; la presenza del suo compagno di squadra e il suo temperamento lunatico lo avevano portato lentamente alla normalità e finalmente riuscì a parlare.

«Nei tuoi... Occhi?»

«Già, quindi, voglio dire, penso che anche tu ne abbia uno. O qualcosa di simile.»

«Come lo sai?»

Obito alzò una mano e se la mise dietro alla nuca. Kakashi sperò non si stesse ancora strappando quei cazzo di capelli. «Non lo so. Non sono la persona giusta alla quale fare questa domanda. Tutte le informazioni sui nostri doujutsu, la storia, le tecniche, e le abilità, ogni cosa è archiviata nel distretto Uchiha. E là io non ci torno. Sai, non sono ben accetto.»

«Hm

Kakashi provò ad abituarsi di nuovo alla sensazione che lui e il suo compagno fossero collegati nel destino. Era un pensiero che non lo infastidiva affatto.

«E meno male che stiamo alleati,» farneticò Obito. «Perché, sai, sarebbe davvero sconveniente altrimenti, condividere questa merda con te.»

«Già. Poteva andare peggio.» Kakashi sentì di nuovo un po’ di risentimento, alzò il culo dai prismi. Poggiò le suole delle scarpe per terra aiutandosi con il chakra. «Avresti potuto condividerla con Genma.»

Obito si girò, fece scivolare gli occhiali sul naso senza motivo e gli sorrise. Che lunatico. «Lascia che mi spieghi meglio: sono contento che condividiamo questa cosa, perché mi sono reso conto...» fece una pausa, annuendo fra sé e sé, «che i giorni migliori della mia vita li ho passati con te, K.»

Qualcosa di umido si diffuse ai bordi del paesaggio; Kakashi lo aveva percepito molto prima che i loro sensi potessero rendersene conto. Le narici di Obito si allargarono, e gli si avvicinò di nuovo.

«Che stai facendo ora?» chiese piano. «Che stai facendo?»

Kakashi scosse la testa. Il piccolo movimento, come il resto dei suoi pensieri, fu lento e involontario. Cosa sto facendo? Non ne ho idea.

Acqua scura si riversò nella dimensione tascabile, riempiendo il vuoto tra i blocchi di Obito, creando mari e isole dove prima c'erano solo falesie e fossati. Quel flusso salì e si riversò ovunque, spostò l'aria e creò vento che soffiò fra i prismi e levò loro il respiro. Kakashi sarebbe soffocato nel suo stesso oceano di lacrime.

Kakashi aprì gli occhi e si ritrovò di nuovo nel ristorante. Le leggi della fisica si ristabilirono intorno a lui, i colori e le tonalità scure del locale sembrarono improvvisamente rincuoranti. Tende alte sventolavano le une contro le altre nella brezza autunnale; e la notte infinita si stagliava sopra di loro.

«Dovresti provare a bere qualcosa che non sia doboruku,» lo avvisò Obito, forse per confortarlo. Strano lo stesse facendo, visto che gli aveva appena distrutto la dimensione tascabile.

«Vuoi tornare alla tana?» suggerì Kakashi.

Obito tirò su con il naso. «Sembra che tu non veda l’ora di andare a casa.»

Kakashi alzò le spalle in un movimento al rallentatore, e notò che l'occhio si era disattivato. «Ho mal di testa.»

«Cazzo,» sbraitò Obito. «È per quello che hai fatto un buco nella mia dimensione tascabile e l'hai allagata, brutto cazzone sconsiderato?»

«Vuoi pomiciare?»

«Nah, direi di no,» rispose Obito. Il suo occhio spalancato era simile a quello di una salamandra nella luce arancione del fuoco. «Sai cosa? Ci vuole un enorme sforzo mentale per riuscire a fare quello che hai fatto tu. Per di più, in un luogo che non è nemmeno tuo... quindi come stanno le cose, amico? Che hai nella testa?»

Kakashi si schiarì la gola. «Perché stai sempre a guardare i pesci?»

Dopo un momento di silenzio, il compagno di squadra spostò il suo sguardo omicida sulle pozze d'acqua ai loro piedi. Alzò una mano e se la passò sotto la maglietta. Solo per far impazzire un po' Kakashi, probabilmente.

«I pesci hanno regole diverse dalle nostre,» disse infine. «Mi hanno fatto pensare ai miei svenimenti come un salto in acque diverse.» Mise la lingua nell'angolo della bocca. «Mi hanno permesso di comprendere. Quella dimensione, all'inizio non era niente... solo vuoto. Ho dovuto creare tutte le regole di quella realtà da zero. È per quello che la gravità fa ancora un po' cagare. È stato più difficile di quanto pensassi... è stato come organizzare la mia mente.»

«Pensavo avessi solo un debole per i pesci.»

Lo sguardo di Obito tornò veloce su di lui. «Sta zitto! Che ti importa? E poi sono dappertutto, è impossibile non guardarli!»

«Yo, rilassati... non me ne frega nulla dei pesci.»

«Scusa,» mormorò Obito, e suonò come se gli dispiacesse davvero. «Credo che le persone me lo dicano un po' troppo spesso.»

Kakashi lesse fra le righe. «Ci sono tanti stagni nel complesso Uchiha?»

«Un po',» disse a denti stretti. «Perché vuoi sempre litigare con me?»

Questa era facile, comparata alle altre cose che Obito gli aveva chiesto quella sera. «Perché mi ecciti.»

Obito abbassò lo sguardo e passò l'alluce fra il legno e il vetro del pavimento. «Sei ubriaco,» concluse.

Kakashi sospirò. Che noioso.

«No...» L’umore di Obito cambiò di nuovo. «Noioso sei tu che demolisci il mio spazio personale dopo che ti ho invitato a vederlo, figlio di puttana.»

«Colpa mia,» ammise Kakashi. «Vuoi tornare alla tana?»

«Colpa mia,» mormorò Obito scimmiottandolo. Gli occhi di Obito saettarono di nuovo su di lui. «Asuma avrà in mente altre diecimila cose da fare.»

«Non mi interessa.» Kakashi pensò che fosse appropriato toccarlo. Stavano insieme, dopo tutto. E se Kurenai e Asuma potevano fare quei piccoli gesti intimi alla luce del sole, sicuramente lui poteva avvolgere le dita intorno ai fianchi di Obito in una stanza vuota e strana. Non sembrava affatto vuota, comunque, con tutti quegli arazzi sventolanti e le koi strabuzzanti che nuotavano in giro. «Possiamo andare in giro con lui per il parco un'altra volta. Capirà.»

«Sapevo che non sei socievole come vuoi fingere di essere.»

Kakashi aveva bisogno di schiarirsi la gola, ma non voleva farlo. «Maa, Obito. Sembra che sia tu quello che vuole sempre litigare.»

Kakashi si era aspettato che quella frase causasse una reazione violenta da parte di Obito... e, infatti, il suo compagno gli prese la testa sotto al braccio; la manovra che di solito dava inizio alle loro zuffe. Kakashi si preparò per contrattaccare come faceva sempre, ma venne colto alla sprovvista dalla variazione che seguì: le dimensioni collassarono e si ripiegarono una sull'altra e gli sembrò di essere spezzato, come se le costole gli si stessero aprendo e...

Colpì il muro dell'appartamento così forte che gli sembrò che gli si fosse spappolato il cervello e cadde a pancia in su sul pavimento per la seconda volta in un solo giorno. Un secondo dopo, venne schiacciato da Obito. Si prese una ginocchiata che miracolosamente gli evitò l’inguine di pochi centimetri e un gomito nel petto. Un altro nel fegato.

«Ci hai teletrasportati a casa?»

Obito si sgrovigliò e piantò i palmi a terra. «Io, uh, ho cambiato la curva spaziale del tunnel, credo.» Si mise in piedi. «Devo lavorarci ancora un po'.»

Kakashi socchiuse gli occhi al soffitto. È straordinario.

Si alzò, ma dovette fare un bel respiro e appoggiarsi al muro perché un'ondata di nausea gli salì per lo stomaco. Avrebbero dovuto inventare delle leggi che impedissero di viaggiare nello spaziotempo dopo aver bevuto. A Kakashi girava così tanto la testa che riuscì a vedere il Tempo in persona girare intorno a lui con il monocolo. Mentre suonava il flauto. No, come non detto, la musica viene dal parco.

I muri dell'appartamento erano di cemento, coperti solo da un sottile strato di intonaco. Kakashi appoggiò le spalle al muro, poi le guance. Era bello fresco. Anche con le finestre chiuse, l'aria circolava dal portico. Obito si era dimenticato i calzini stesi la settimana prima. Si erano inzuppati di pioggia e poi erano seccati al sole. Le luci delle strade e delle lanterne dei demoni proiettavano oro e bronzo sul legno del tavolo. C'erano alcuni ragni qua e là, ma, tutto sommato, la vita nei bassi fondi non era male.

Un altro suono smosse Kakashi dal suo stato di trance, confondendolo.

«... ehi, ti va?» disse Obito. «È bello caldo. Ti va o no?»

C'erano voluti solo due minuti perché Obito si levasse il maglione.

Gli stava forse chiedendo di fare sesso?

Cazzo sì, me lo sta chiedendo.

L'Uchiha gli spinse la tazza fumante nelle mani. «Genma aveva ragione,» disse, divertito. «Sei davvero patetico.»

Kakashi socchiuse gli occhi fra il vapore. «Te lo farò rimangiare tra un minuto,» promise, incazzato. «Poi, ti porterò in giro per la città... ti strizzerò fino a quando non vomiterai, e Shiranui e sua mamma se lo mangeranno. Unh... cazzo!»

«Te lo avevo detto che era caldo.»

Obito si alzò e si allontanò, il che era un bene. Kakashi non aveva bisogno di un'infermiera, ma rimase un minuto appoggiato al muro a sorseggiare. E in effetti fu d'aiuto.

Dopo una doccia, si cambiò, gettò i suoi vestiti in un angolo della stanza e si buttò con le gambe incrociate tra le coperte confortanti della sera prima. Lo stomaco andava meglio, la visione era tornata dritta e nulla lo preoccupava più.

Poi, Kakashi si ricordò di avere un compagno di stanza con il quale condivideva il letto.

Aveva fissato la sua schiena per un intero minuto prima di notarlo. Gli scivolò contro, per testare la sensazione dei loro corpi uniti.

«La tua bruciatura da corteccia,» mormorò, «se ne è andata.»

«Unh!?» Obito grugnì. «È guarita?»

«No, se ne è andata.»

Obito sbadigliò. «K. Quella cosa dello spazio-tempo mi risucchia le energie. Sto cercando di dormire.»

Kakashi si sistemò un po'. Era vero, Obito era stanco stato fin dall'inizio della serata. E due tecniche avanzate spazio-tempo avevano sicuramente peggiorato le cose... la sua riserva di chakra non era immensa, anche se in crescita.

Kakashi si tirò sui gomiti e fece passare gli occhi sul corpo del suo compagno. Scosse la testa fino a quando la maschera non gli scese sotto il mento e si sentì di nuovo a suo agio; questo era il suo appartamento, la sua stanza...

«Mi dispiace,» dichiarò, «ma oggi hai giocato in pubblico la carta del fidanzato, quindi devi pagare pegno.»

Obito fece una risata burbera. «È così che funziona?»

«Già. E c'è un pegno anche per strisciare nel mio letto senza preavviso. Ne hai accumulati parecchi di quelli.»

La pelle di Obito bruciava. Kakashi inspirò, forzò lo stomaco contro la curva della sua schiena e gli afferrò l'anca con la mano. «Puoi pagarmi un po' alla volta, oppure tutto insieme...»

«Amico...»

Quando il suo compagno fece un sospiro, Kakashi colse l'occasione per far scivolare la mano in basso, fino al bacino. «Ti sta bene?»

«Stronzo!» sibilò Obito. «Avevi detto che non lo avresti fatto più!»

«Non ti sto toccando,» ma Kakashi infilò tre dita sotto all'elastico dei pantaloni e si preparò per farlo. «E comunque, ti è piaciuto la prima volta. Ora non devi più nasconderlo.»

Obito si girò e fece un sorriso malinconico. «Già, non più.» Ritrasse la pancia, forse per sfuggire al suo tocco, ma non fece altro che rendere più semplice a Kakashi premersi contro la sua schiena. Era esattamente quello che voleva. Aveva spinto i polpastrelli oltre la linea del tessuto e aveva raggiunto i peli rozzi e spessi che il suo compagno aveva fra le gambe. Poi si fermò, ripensando a quello che gli aveva detto.

«Ehi,» iniziò Kakashi, sospettoso. «Quella è stata la prima volta, vero? Non ti eri mai arrapato vicino a me prima, giusto?»

«Che importa?» grugnì Obito. Poi: «Tu non hai mai avuto un'erezione dopo un bello scontro?»

Kakashi ci pensò. «Obito, mi stai prendendo per il culo, vero?»

«No,» mormorò. La sua voce passò dall'essere irritata a triste e flebile. «Ti ricordi il combattimento che abbiamo fatto al Ponte Kakyuu

«Sul fiume giallo, sì.» Certo che si ricordava. Aveva detto delle cose orrende quel giorno. Tutti e due lo avevano fatto. «Ma avevamo dodici anni.»

«Sì, e allora?» ribatté Obito, facendo un minuscolo movimento dei fianchi. «È del tutto naturale... stavo, crescendo...»

«Ecco perché non hai lasciato che ti aiutassi.» Arrivò la comprensione. «Pensavo mi odiassi!»

«Ma è così! Ti odiavo!» ringhiò Obito. «Quel giorno mi hai confuso parecchio.»

«Sei rimasto immerso in quel fiume merdoso tutta la notte, bello. Sono rimasto tutte quelle ore nascosto far i cespugli a curarti e mi è venuto un crampo. Pensavo stessi avendo una crisi esistenziale.»

«No,» sospirò Obito. «Cercavo di farmi passare un'erezione.»

Kakashi si mise quasi a ridere. Tolse la mano dai pantaloni del suo compagno di squadra per avvolgergli le braccia intorno al busto e premere la faccia contro il suo collo. «Lo sapevo: ti eccita. Per quello vuoi sempre combattere con me.»

«Sei sempre stato tu a iniziare,» disse Obito, cupo. «Fin da quando hai sabotato la mia sedia con quel bicchiere di gelatina rossa, quando avevamo cinque anni. Che cazzo di malato mentale lo farebbe mai?»

Kakashi gli passò una mano sull'addome, cercando una delle sue linee preferite fra le cicatrici. Mormorò, allegramente. «Sei ancora arrabbiato per quello? Devi sempre guardare prima di sederti, è una regola base.»

«È stato umiliante,» rispose Obito, iniziando a sgomitare per allontanarlo. «Sapevi che stavo cercando di fare una bell'impressione su Rin!»

Kakashi rinunciò a cercare di apparire figo e si mise sulla schiena contro il materasso, l'interno del gomito sugli occhi. Sospirò annoiato, ma non era abbastanza sobrio per farlo in modo evasivo. «Avevo cinque anni,» gli ricordò. «Volevo solo che mi notassi.»

Obito rise e si girò, si alzò su un gomito e lo guardò divertito. Volevo essere notato, ma più che altro, pensò Kakashi, volevo che mi sorridessi come adesso.

«Ehi,» disse Kakashi, inclinando la schiena in un piccolo gesto d’invito. «Ha funzionato?»

Obito alzò gli occhi al cielo, ma la sua bocca si inclinò. «Coglione.»

Doveva aver funzionato, perché l'ombra del suo compagno calò su di lui. Kakashi lasciò che le ginocchia gli cadessero ai lati. Stava per spostare il gomito dalla faccia, ma una mano lo afferrò; Obito fece scivolare il calore del suo palmo sul braccio di Kakashi fino quando le loro dita non si intrecciarono, poi appoggiò il peso per bloccarlo. L'altra mano di Obito gli alzò l'orlo della maglietta; l'aria fresca colpì la sua pancia un istante prima del calore di un altro bruciante palmo.

L’Uchiha si avvicinò e Kakashi aprì le labbra, di attesa di assaporare il suo nome sulla lingua.

Obito rimase lì sospeso per un secondo di troppo e il Ninja Copiatore si allungò, gli afferrò con i denti il labbro e forzò le loro bocca a unirsi, avvolgendo la mano libera al collo del suo compagno di stanza e infilandogli le unghie nei muscoli fra le scapole.

«Unh,» mormorò Obito. «Perché sei così violento?»

Kakashi girò la testa di lato per fare qualche respiro. Fece scivolare la schiena nelle lenzuola, flesse le dita intrappolate e fece un enorme sforzo per rilassarsi.

Il suo compagno gli batté il naso contro la guancia. «Va bene.» E quelle parole echeggiarono nella mente di Kakashi tutta la notte. «Non fermarti.»

 


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Capitolo 17
*** Tarda Notte pt.1 ***


 

 

 

 

 

Obito non aveva immaginato che due semplici parole potessero sguinzagliare in quel modo il suo compagno di stanza. Ma sguinzagliare era l'unico termine per descrivere quello che era appena successo.

Kakashi non si era comportato correttamente. Se ne era uscito con quella cagata del “volevo solo che mi notassi”. Cosa cazzo significava? Nessuno con due buchi per gli occhi avrebbe potuto non notare il dannato Ninja Copiatore... a maggior ragione se era sdraiato, ubriaco e sexy con l'ombelico scoperto. Obito non avrebbe mai potuto resistergli.

Kakashi aveva ignorato Obito per tutta la serata fino a quando non gli era caduto letteralmente in braccio durante la loro prima azzardata prova di viaggio dimensionale.

Dopo il ritorno all'appartamento, Kakashi aveva cazzeggiato e fatto cose da ubriaco per circa un'ora. Era andato alla porta e aveva allineato le scarpe, aveva sistemato sul tavolo le cose per la missione del giorno seguente, aveva appoggiato la mano contro il muro e si era guardato intorno intensamente come se un fottuto terremoto di nono grado avesse appena scosso l'edificio. Alla fine, aveva aperto l'acqua della doccia. Subito dopo aver messo la teiera in frigo.

Non si era curato nemmeno di spostare il pannello che usavano come porta del bagno, e a Obito non interessava troppo... perché quel pannello era stupido e lavarsi nel loro appartamento sudicio non era molto sexy... ma quando Obito era passato di fronte alla porta aperta nel corridoio per andare in camera, gli si erano strette le palle, come se stesse sollevando qualcosa di pesantissimo.

Poco dopo, l'acqua si era fermata e Kakashi era entrato nella stanza sbattendo il gomito contro lo stipite della porta. Si era girato per il colpo, aveva lanciato i vestiti sulla sedia nell'angolo ed era rotolato sul letto, tutto in un'unica mossa.

È davvero una roba incredibile.

C'era qualcuno come Kakashi in ogni generazione: lo studente che scovava gli errori nel libro di testo prima che chiunque altro riuscisse a capire come tenerlo in mano; quello che spaccava culi e si guadagnava soprannomi quando aveva ancora i denti da latte. Faceva uno strano effetto sapere che quel qualcuno fosse il proprio amico da sballo e compagno di stanza. Era figo averlo accanto, certo... ma non giovava molto all'autostima.

Obito era rimasto a guardare Kakashi meditare per un po'. Dopo qualche respiro e un’alzata di spalle lenta, era rimasto immobile.

Obito teorizzava che quello fosse il momento nel quale il suo compagno di stanza si levava i calzini e le mutande mentali. Tutta la merda alla quale cercava di non pensare durante il giorno si accumulava in uno scomparto segreto del suo cervello, nascosto a chiunque, anche a se stesso. Era una tattica usata per non cedere durante gli interrogatori. La insegnavano durante alcune lezioni speciali per certe unità ninja d'élite; per far sì che funzionasse, dovevi convincerti di non essere a conoscenza dell'informazione che il nemico voleva ottenere. Il trucco era avere un codice chiave per sbloccare i ricordi e recuperarli; la chiave doveva essere nascosta in bella vista, tipo nella lista della spesa o in oggetti d’uso quotidiano. Obito aveva sentito dire che uno shinobi del Primo Plotone aveva usato quella tecnica per cavarsela durante cento giorni di prigionia nella Seconda Guerra Ninja; quando era stato rilasciato, insieme al suo reggimento, il tizio aveva ormai quasi perso l’identità per via delle torture, ma non aveva mai parlato. Poi, aveva recuperato la memoria sentendo l'odore dell'erba tagliata all'esterno.

Il corpo lottava per sopravvivere a ogni costo, ma il cervello poteva essere programmato. I soldati potevano essere istruiti per dare la vita per la società, il dovere, il bene superiore.

A un certo punto, Obito si era allontanato dal suo compagno e dalle coperte, era andato in bagno sperando che fosse rimasta abbastanza acqua calda per levare via tutto il sudore e la terra di montagna. Frammenti di aghi di pino e cedro gli erano caduti dai capelli. I corpi morti di un paio di mosche si erano incastrati nello scarico.

Nella stagione delle piogge, quando faceva la doccia in quel mezzo metro quadro, il muro rimaneva bagnato per giorni. Tutto rimaneva umido, persino gli asciugamani. Obito si era asciugato al meglio, ma quando la pelle e le cicatrici si erano raffreddate, un brivido gli aveva percorso il collo e il braccio.

Una gigantesca falena con occhi disegnati sulle ali aveva svolazzato sul muro della camera da letto. Un geco le era corso dietro. Obito si era chiuso la porta alle spalle.

Di Kakashi, nella dimensione terrena, restava solamente il corpo. Obito aveva pensato che, se qualcuno fosse davvero riuscito a levitare a un metro da terra, quello sarebbe stato il suo cazzo di compagno di stanza. Kakashi non avrebbe interrotto la meditazione per nessun motivo se non di fronte a una reale minaccia di morte.

Una volta, Obito lo aveva visto meditare senza la maschera e da quel giorno non si era più stupito la indossasse sempre. Se le persone avessero visto il suo broncio concentrato, probabilmente non lo avrebbero più preso sul serio.

Obito era tornato sotto le coperte al suo fianco, dando un’ultima occhiata al Ninja Copiatore, ancora seduto immobile. Adorabile figlio di puttana, aveva pensato, prima di girarsi.

Obito era esausto. Il giorno dopo avrebbero dovuto svolgere una missione impegnativa e non aveva intenzione di partire con il peso di una notte insonne. Le missioni durante le vacanze erano rare, ma Kakashi era sempre pronto ad accettarle, che avesse o meno il mal di testa.

Ma cazzo, Obito voleva che finisse di meditare e si premesse contro la sua schiena.

Poco prima, Obito gli aveva detto “non fermarti”, intendendo che voleva continuare a pomiciare. Quelle due parole però avevano fatto cambiare direzione al suo compagno di squadra. Kakashi si era messo a mordere, tirare e si era aggrappato così forte che Obito aveva dovuto sforzarsi per trattenerlo. Anche lui voleva provare a fare delle cose, ma era impossibile se Kakashi gli passava la lingua sulle orecchie, gli masticava il lato del viso non sfregiato. Una delle sue gambe si era arrotolata intorno a lui e Obito aveva sentito chiaramente un piede sul culo che cercava di sfilargli i pantaloni.

Brutto figlio di puttana pervertito, pensò, prendendo il ginocchio e fermandolo con il braccio. Quando cercò di levargli la maglietta, Obito gli afferrò il polso. Improvvisamente, gli sembrò di andare a fuoco.

«Kakashi,» iniziò, pensando che, come nel renkei ninjutsu, la comunicazione fosse la chiave. Il Ninja Copiatore sembrò prenderlo come un incoraggiamento, mise la mano libera sulla gola di Obito e si fece strada con la bocca e i denti da squalo su per la linea della mandibola.

«Tu mi stai,» mormorò Kakashi. Non sembrava gli mancasse il fiato, ma faceva lunghe pause tra le parole. «Fermando.»

«Potresti solo...»

Obito venne zittito da un bacio a bocca spalancata che durò così a lungo che, quando si separarono, schioccò. Prima che potesse dire una parola, Kakashi lo baciò di nuovo.

Obito non avrebbe ottenuto nulla con il dialogo. Non sapeva quale altra carta giocare. Gli diede un altro bacio con un angolo storto e Kakashi lo corresse veloce, passò la punta della lingua sul suo labbro inferiore.

Obito divenne un po' timido, ma non arretrò per mantenere altro l'onore degli Uchiha. Poi, si arrese alla bizzarra sensazione dell'essere strofinato sotto alla lingua.

Dopo un po', liberò la mano del suo compagno di stanza, gli mise la sua dietro al collo e spinse le dita fra i capelli argentati dietro all'orecchio. Era ancora umido, pulito e oleato per la doccia. Obito si contorse, lo afferrò e accarezzò. Era molto meglio di quanto non avesse immaginato.

Le mani di Kakashi gli percorsero il petto, ma a metà strada si fermarono e si allontanarono. Kakashi fece un’inalazione sonora.

«Va bene così, giusto?» chiese, strofinando debolmente il lato sfregiato di Obito. «Nessuna di queste ti fa più male, vero?»

Obito ci mise più del necessario a comprendere la domanda, e scosse la testa. Quella era la prima volta che Kakashi glielo chiedeva.

«Dimmi se qualcosa ti dà fastidio, okay?»

Obito fece un verso di conferma. Era distratto dal neo nell'angolo della sua bocca quando sentì un'agonia improvvisa, come una scarica elettrica che si diffuse dai nervi del petto. Lasciò al morsa dalla gamba di Kakashi e si afferrò istintivamente un capezzolo.

«Uh-huh!» disse a denti stetti. «Questo mi dà fastidio. Non farlo più!»

Kakashi gli afferrò il retro del collo e lo avvicinò a sé. «Ti stavo solo mettendo alla prova,» disse. Alzò entrambe le ginocchia per incastrarlo.

Per la quarta volta, Obito andò incontro alla lingua di Kakashi. Ormai conosceva l'interno della sua bocca in modo molto intimo: era nuovo e sconcertante. Aveva scoperto quel nuovo territorio a poco a poco, con delle spinte di prova, regolando il respiro, prestando attenzione ai denti. Come al solito, ogni volta che loro due si incontravano, lottavano... solo che in questo caso era più gay del solito e c'era più saliva. Dopo un paio di giri, Kakashi rimase fermo sotto di lui e Obito si spostò piano, spaventato dalla possibilità di aver esagerato. Il suo compagno di stanza batté le palpebre. Aveva gli occhi brillanti e spalancati, le labbra gonfie e rosa...

Quando non recideva arterie, non mozzava teste e dita, Kakashi era la cosa più delicata che esistesse, come un’alba tenue e sconcertante, apparsa sulle montagne nebbiose.

«Io non- um.» Obito si spostò per concedergli un po' di respiro. Si stava calmando lentamente, guardando il fremito irregolare del petto del suo compagno di stanza. All'inalazione seguente, Obito allungò le mani per toccargli la cassa toracica. «Non ti avevo mai visto bere.»

Ci volle un'eternità perché Kakashi rispondesse a quella domanda implicita. Deglutì, girò la testa su un fianco per fingere un colpo di tosse. Obito ebbe l'impressione che stesse cercando di muovere gli ingranaggi.

«Lo faccio quando voglio evadere,» disse, rauco. La sua voce era cambiata tanto dal Ponte Kannabi, ma aveva ancora qualcosa di quel ragazzino pigro e Obito sperò che non se ne andasse mai.

«Sì, ma perché?»

«Sai il perché,» grugnì il Ninja Copiatore alzando una mano per strofinarsi un occhio. «La solita merda da shinobi.»

Obito ci aveva pensato su e si era già fatto un'idea, ma la risposta lo colpì lo stesso all'improvviso e tutto il suo corpo sembrò smettere di funzionare in un istante.

«Capisco che a volte...» iniziò con grande sforzo, «ci sono cose che non mi puoi dire, ma vorrei che non fosse così. Quindi mi sono chiesto, sai... se...» Obito fece un profondo respiro, che gli uscì a singhiozzi. «Se mi posso ancora fidare di te. E anche...»

Stava per mettersi seduto sui talloni quando il suo compagno di stanza si alzò e lo trascinò di nuovo giù con un braccio intorno al collo. Non era stato molto gentile, in realtà... il bicipite gli schiacciava la trachea e impediva di respirare.

Poi Kakashi forzò le loro fronti insieme e disse una cosa molto disturbante che non suonò per nulla romantica alle sue orecchie: «Tutti gli altri possono andare all'inferno.»

Obito capì in quel momento che gentilezza e intimità non sono la stessa cosa. Infatti, le due cose possono non essere affatto collegate. Non si scomodò a fare l'altra domanda che aveva in mente, quella che riguardava l'incolumità di Kakashi (se fosse in pericolo o meno, o se volesse aiuto per la sua missione segreta.) In realtà, Obito era molto più preoccupato per la sopravvivenza dei nemici. Era curioso però di scoprire chi o cosa potesse turbarlo così tanto. Era strano che Kakashi si comportasse in quel modo: la maggior parte delle cose, di solito, non gli interessava abbastanza da suscitargli odio. Tantomeno da spaventarlo, come sembrava in questo caso.

Obito posizionò le mani ai fianchi del suo compagno e si sollevò dalla sua presa, sedendosi sui talloni per guardarlo meglio. Aveva la maglietta alzata fino ai gomiti, ma Obito non gliel’avrebbe fatta togliere. Un po' perché, così, aveva un delizioso aspetto frustrato, e un po' perché sapeva, per esperienza, che K-dot senza la maglia avrebbe ucciso qualcuno in modo estremamente sexy. Così, scoperto solo a metà, era arrapante e non era per niente spaventoso. Era perfetto. Lo sguardo di Obito scese.

Morbido, pallido e con nei qua e là, lo stomaco di Kakashi non aveva mai fatto del male a nessuno. Era un letto di innocenza non rivelata, nascosta al centro del corpo di un killer. Era stato il punto di svolta per Obito nel considerare di uscire con quello stronzo.

«B...»

Obito non gli fece finire la frase. Come prima, il suo compagno di squadra si tese e scalciò. Obito mise le mani sotto di lui e affondò la lingua nel suo ombelico con alcune lente spinte. Poi, esplorò il centro della pancia, succhiando la pelle che si stava raffreddando. Un gemito sconcio si alzò dal fondo della gola di Kakashi. Obito continuò a salire, voglioso di esplorare, passò i denti e la lingua fra i solchi dell'addome.

Si dice che un bravo chef non si scotti mai... e la stessa cosa, più o meno, vale per gli shinobi. Nonostante siano considerate simboli di esperienza e duro lavoro, nessun ninja considera le sue cicatrici positive per la sua reputazione. Averle significa che hai sbagliato; che hai calcolato male una situazione.

Kakashi ne aveva pochissime, alcune leggere, altre più brutte.

Obito tornò giù per assaggiare la pelle della sua pancia. Affondò i pollici nelle ossa dei fianchi fino a quando il suo compagno di squadra non squittì. Percorse tutta la cintura fino a quando non raggiunse i peli che gli salivano dal pube. Senza pensarci troppo, Obito infilò le mani nella stoffa dei pantaloni di Kakashi e tirò giù un po', solo di qualche centimetro. Abbastanza da confermare che sì, dalla testa, le sopracciglia, le ascelle, fino al pube, era tutto argenteo e bianco. Fottutamene epico.

Obito abbassò ancora un po' l'elastico, così da poter affondare il naso in quei ricci spessi. Gli piaceva l'odore... era simile all'indolo, floreale. Niente di sgradevole, comunque. Il suo sguardo scese di nuovo e Obito espirò profondamente fra i peli, mettendo alla prova la pelle con le dita, con i denti, e passò un po' di tempo così prima di infilare i pollici di nuovo nei pantaloni e tirarli ancora un po' giù, abbastanza da liberare la sua erezione. La prima cosa che Obito notò fu un neo all'interno della sua coscia sinistra.

Guardò il suo compagno di squadra negli occhi.

Kakashi batté le palpebre. Aveva la maschera arrotolata sotto al mento, la maglia all'altezza delle ascelle. A Obito piaceva quando era così.

«Uh,» iniziò. «Va bene se io...?

«Qualsiasi cosa,» il Ninja Copiatore lo interruppe impaziente, si schiarì la gola e disse «puoi fare qualsiasi cosa.»

Obito si mise sulle ginocchia, premette il palmo al bacino del compagno e ci appoggiò il peso.

Si udiva solo il suono dei loro respiri nel buio. Obito non sapeva se avrebbe dovuto chiedergli il permesso per fargli un pompino o se era una di quelle cose per le quali non ce ne era bisogno. Beh, Kakashi aveva detto qualsiasi cosa, quindi...

«Um,» Obito guardò in basso e si inumidì le labbra. Sarebbe stato carino fare un commento positivo. Si portò una mano al collo e si sfilò la catena, appoggiandola a fianco al letto e lo guardò di nuovo negli occhi. «Mi piace la tua spada.»

Persino il prepuzio di Kakashi era pallido e vellutato. Obito lo toccò con una mano, esponendo di più la punta scura del pene con alcune strofinate. Kakashi si scosse e scalciò, così responsivo che Obito dovette sedersi di nuovo e premergli le mani sulle gambe. Stava per mettergli le dita intorno al pene quando il suo compagno strinse i denti nelle coperte e piagnucolò.

«Che c'è?»

Kakashi lo guardò come se la risposta fosse ovvia. «Le tue mani. Sono troppo calde.»

«Sono... Cosa?»

«Perdono chakra, idiota... non mi puoi toccare così!»

Obito girò i palmi per esaminarli. «Il mio controllo del chakra fa così schifo?»

«Quale controllo del chakra?!»

Beh, che palle. Obito si appoggiò le mani al petto. «Sei sicuro?»

Kakashi espirò dal naso, lasciando trasparire la sua sfacciataggine da adolescente. «Ma-a… pensi che sia normale sciogliere tutti gli spazzolini e bruciare le bacchette ogni settimana?»

Obito sbatté le palpebre verso i suoi palmi spaiati. Pensava di avere solo una presa molto salda. «Ora ha senso. Ecco perché succede. Huh

Questo spiegava perché Kakashi squittisse quando gli passava le mani sui fianchi freddi (Obito si godeva lo spettacolo ogni volta.) Era chiaro dovesse cambiare approccio. Afferrò il suo compagno per i fianchi, abbassò la testa, leccò una volta l'umidità perlata della testa del suo pene e poi trascinò la punta della lingua contro la fessura.

«Obito…» Kakashi fece un mormorio sforzato.

«Non tirarmi i capelli,» lo avvisò Obito prima di abbassarsi di nuovo. Gli piaceva il sapore. Non era per nulla sgradevole.

Prese la punta in bocca, si ritrasse, mise la lingua sui denti inferiori e provò di nuovo. Kakashi era pervaso da spasmi e tensioni che gli contraevano i muscoli e lo facevano tremare sotto di lui. Quando i peli ricci alla base del pene gli solleticarono la punta del naso, Obito si abbassò con la fronte e succhiò facendo qualche prova senza muovere la testa.

La reazione fu immediata, così volgare e intensa che Obito fu costretto a fare un cambio di direzione. Avvolse un dito e il pollice intorno al pene e si alzò completamente.

Si pulì la bocca con il braccio e ingoiò intorno allo strano ricordo di quella sensazione. Sorrise nervoso. «Quelli erano lamenti buoni o cattivi?»

Kakashi aprì i denti lasciando andare le lenzuola e sembrò fare un enorme sforzo per fare uno sguardo torvo. «Sta zitto.»

Obito raddoppiò la presa intorno alla base usando altre due dita, poi le spostò in alto.

Kakashi alzò le anche con uno spasmo come se fosse immobilizzato da qualcosa di invisibile. «B,» disse il Ninja Copiatore. Obito non aveva mai sentito il suo nome pronunciato così spesso. «Continua, bello. Per favore.»

«Sì? Okay.» Si centrò e mise i palmi sul suo bacino. «Hai un neo qui sotto, nell'interno alla coscia. Mi sento come se mi stesse guardando.»

Kakashi alzò gli occhi al cielo ed espirò. «Ti stanno guardando tutti.»

«Dio...» Obito imprecò sentendo la testa leggera. Fece una risatina nervosa. «Quanti sono?»

«Obito!» Kakashi lo guardò truce e omicida, ma rosso in viso.

«Okay, vado.» Obito si premette sui fianchi, spostò le spalle, e guardò di nuovo in alto. «È difficile scendere fino in fondo.»

«Non devi scendere fino in fondo,» lo informò veloce Kakashi. Si mise seduto, e per un secondo i suoi addominali sembrarono affilati e inquietanti... ma poi la schiena gli si inarcò e Obito sorrise vedendo il suo stomaco raggrinzirsi. Kakashi lo afferrò per le orecchie facendogli salire il sangue in faccia.

«Non vuoi davvero baciarmi adesso...»

«Invece voglio davvero.» Kakashi lo trascinò in un bacio a bocca spalancata. Una, due volte. Gli strofinò la lingua sui denti, e poi si ritrasse. «Non ti stanno cadendo i capelli,» aggiunse nello sgomento di Obito. «Lascia che li tiri. Ti piacerà.»

«Uh. Uh-huh» Obito strizzò gli occhi quando sentì l'improvvisa pressione di dieci dita sul cranio.

Per qualche motivo, quell'azione gli fece pompare il sangue e gli diede una scarica di adrenalina, e Obito affondò i pollici nelle creste iliache del suo compagno, spostò le spalle e tornò giù... chiuse le labbra per un istante intorno alla punta e poi scese di più lungo l'asta. Non andò fino in fondo questa volta, e cambiò direzione. In un paio di giri trovò il ritmo.

Kakashi continuava a fare rotazioni con i fianchi, occasionali e impetuose, ma Obito lo lasciava fare. Riusciva a capire che apprezzava grazie ai bellissimi versi che gli uscivano dalla gola. Per la maggior parte del tempo, Kakashi tenne la coperta fra i denti e grugnì debolmente cercando di trattenersi; la mano libera setacciò i capelli che Obito aveva sulla nuca e li tirò. All'inizio piano, poi con decisione...

Il compito richiedeva una certa dose di concentrazione. Per Obito, che era un novellino, una tirata di capelli significava bel lavoro. Quando Kakashi divenne davvero violento e molto rumoroso, Obito si piegò di nuovo sulle braccia e lo ingoiò completamente.

Il suo compagno di squadra si tese violentemente, si scosse dalla testa ai piedi e Obito capì cosa stesse succedendo un istante prima che il retro della sua gola si inumidisse e riempisse. Annaspò levandosi e strozzandosi.

«Ecco cosa stavi cercando di dire.» Obito rise fra i colpi di tosse e i singhiozzi. Guardò il Ninja Copiatore nel mezzo dell'orgasmo, con un ringhio che gli faceva aggrottare le sopracciglia, e si godette il suo compagno di squadra in quello stato di rilassamento. Obito si pulì la bocca con il braccio e ingoiò, molto soddisfatto di se stesso. Tornò a avvolgere con le dita il pene, mentre si afflosciava contro la gamba. Kakashi si scosse con le ginocchia e le spalle a quel contatto, e al calore, forse. Obito gli prese la gabbia toracica con le mani mentre ansimava. Poi abbassò lo sguardo.

Il resto del seme di Kakashi gli ricopriva la pancia, e Obito guardò quel disastro con espressione seria. Passò il pollice su una delle linee e se lo infilò in bocca.

… sarebbe un peccato lasciarlo seccare.

«Non devi...»

Obito si piegò su di lui e si mise al lavoro. Non aveva bisogno di una scusa per passare la lingua sul suo stomaco. Kakashi avvolse le braccia intorno alla sua testa.

Quando finì di pulirlo, Obito alzò la testa e le mani del suo compagno di squadra caddero ai suoi fianchi. Disse il suo nome, di nuovo... in continuazione. Obito gattonò in avanti, mise la faccia sul suo collo e mormorò. Si sentiva sazio... ma non lo era affatto.

«Sono così duro che non riesco a chiudere le gambe,» disse.

Kakashi rise. Obito si ritrasse per guardare i suoi denti da ragazzino, e decise che il delirio post-orgasmo gli donava. Passò il naso sulla sua mandibola, compiaciuto. 

 



 

«Ho bisogno di un vero drink ora, però,» continuò Obito, iniziando a spostarsi di lato. «Vuoi qualcosa?»

«No.» Kakashi scosse la testa. Poi però rotolò, portandosi dietro Obito, si mise seduto e lo afferrò di nuovo per le orecchie. «Resta,» gli chiese senza intonazione.

«Huh? Vado solo a fare un tè, bro. Fortunatamente...» aggiunse Obito, sollevandosi sulle braccia, «ho visto dove hai messo la teiera.»

Kakashi torse i polsi e invertì la presa facendo ritrovare Obito con il braccio sinistro alzato e intrappolato. Obito sospirò e smise di combatterlo. Si sedette di nuovo nelle lenzuola e Kakashi gli concesse di liberarsi il braccio, poi gli avvolse una mano intorno al collo.

«Non mi vuoi baciare, davvero...»

Ma, a quando pareva, Kakashi non era infastidito dal suo stesso sapore.

Obito non riuscì a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo, ma quando Kakashi ripeté di nuovo quella semplice richiesta si arrese e mise le mani sulla cassa toracica del suo compagno di squadra. Poi, le fece scendere fino alla vita, le infilò sotto alla maglietta e le riposizionò come prima, ma questa volta con i palmi sulla pelle nuda; era una sensazione che aveva velocemente iniziato a bramare.

Il petto di Kakashi si gonfiò in una profonda inalazione. Questa volta, quando iniziò a sfilarsi la maglia dalla testa, Obito non lo fermò. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare cosa fare prima che il dannato Ninja Copiatore si mettesse seduto sulle sue gambe e premesse il petto contro il suo in un'unica mossa.

«Unh,» mormorò, dopo la scarica di adrenalina causata del contatto con l'inguine. «Ehi, Kakashi...»

In risposta, Kakashi mormorò contro la sua bocca.

«Cosa succederebbe, se...» Obito sollevò un po' le anche, sperimentando una spinta contro il suo compagno di squadra. «Volessi scopare?»

«Scopare…» Gli occhi di Kakashi si aprirono con un tremolio. «Scopare, me

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Capitolo 18
*** Interludio: il crepuscolo ***


 

A poco a poco, Kakashi riuscì a rimettere insieme i pensieri e a dar loro un senso.

Stava lottando ancora contro il ricordo degli ultimi dieci minuti; nonostante gli sforzi, non riusciva proprio a comprendere cosa fosse successo e così, alla fine, si era arreso e aveva accettato l’evidenza: lui e il suo cervello erano due perfetti sconosciuti.

L'imbrunire scendeva in modo strano sulla città: era come un respiro caldo, un odore denso e pregno del tanfo dei tombini, dei fumi oleosi degli scarichi, degli aromi di qualche bar aperto alle tre di notte e dell'inquinamento dei veicoli. La puzza si alzava dal cemento delle strade, si appoggiava alla sua lingua e rimaneva lì, indesiderata.

Un autobus raggiunse il capolinea e si fermò in fondo all’isolato con un fischio. Kakashi ascoltò il rilascio lento dell'idraulica. Alcuni motori rombavano in lontananza, probabilmente taxi che andavano in giro per il distretto dei bar. Ogni tanto una moto ruggiva. Ogni folata di vento faceva ticchettare le tettorie di Konoha e foglie nere cadevano sulle strade disegnando spirali.

Una foschia autunnale si era adagiata sugli edifici più alti, intrappolando le lanterne dei demoni in una vera e propria ragnatela di nebbia. I lampioni si spegnevano nelle tarde ore della notte, ma le lanterne rimanevano accese, non curanti dell'orario; fluttuavano come pescherecci in un mare grigio. Risplendevano intermittenti e dorate, una luce abbastanza intensa da attirare le anime fino alla baia.

Nessuno in città era ben informato sui fantasmi, ma tutti sapevano che erano attratti da un particolare tipo di ombra: quella che c'è in uno specchio rotto, o sotto ai ponti, nei ghetti, nei cimiteri e nei pozzi abbandonati, in ogni buco profondo della società. La maggior parte dei fantasmi vagavano nei boschi fuori dalla città, ma alcuni si insinuavano dentro le mura. Occasionalmente, aumentavano di numero e con loro anche le sparizioni di bambini. A quel punto, la Polizia Militare avrebbe evocato qualche demone, l'avrebbe sigillato dentro a globi luminosi e lo avrebbe rilasciato nelle strade sotto forma di lanterna... piccoli schiavi sacrificati per curare il malessere dell'oscurità cittadina.

Ancora stordito e con i muscoli indolenziti, Kakashi continuava a tornare indietro con la mente e ripensare a come avesse fatto il suo compagno di squadra a sconvolgergli così la mente... solo due minuti prima non lo avrebbe creduto possibile. Stava ancora cercando di formulare un pensiero razionale quando la voce di Obito spazzò via il baccano della città e calò su di lui come una tenda pesante che segnava l'inizio di un nuovo atto.

Obito. Il nome gli riemerse nella mente. A Obito piace la mia spada. Obito vuole di più. Kakashi strinse gli occhi, pigro ma con una vena di orgoglio. Nulla avrebbe potuto sconfiggerlo ora.

«Kakashi?»

Poi si ricordò che il suo compagno di squadra gli aveva fatto una domanda. «Uhh...»

Il Ninja Copiatore chiuse la bocca. Lontano, nella stanza a fianco, il suo terzo livello di coscienza si premette una mano sulla fronte, sconsolato. Kakashi si schiarì la gola e deglutì. Il processo produsse un minuscolo mhm dal fondo della gola che involontariamente rispose alla domanda.

«Davvero?» Obito fece un ghigno da rospo a bocca chiusa. «Fico.»

Non sapeva se Obito era solo onesto e ingenuo o semplicemente noncurante nei confronti di qualsiasi regola o standard sociale. Tutto ciò che Kakashi sapeva era che, fosse stato per lui, avrebbe posto fine a quella farsa noiosa la prima volta nella quale Obito era entrato nel suo letto (se solo avesse avuto le palle di seguirlo attraverso quella cazzo di porta.) Invece aveva preferito scegliere la sicurezza; fin da quando aveva cinque anni aveva iniziato a ergere un muro per proteggersi e creare forzatamente uno spazio tra lui e gli altri. Anche tra lui e i suoi amici più vicini. E persino dopo tutte quelle notti passate al suo fianco in ospedale, stava ancora mantenendo inconsciamente uno spazio fra lui e il suo compagno di squadra.

«Ho davvero bisogno di bere qualcosa però prima,» disse di nuovo Obito. La sua voce da ragazzo a volte lo coglieva di sorpresa, come se fosse qualcosa di completamente nuovo. Kakashi non capiva come potesse essere diventato così rude se da ragazzino era sempre stato così goffo. Ma di nuovo, nell'ultima mezzora erano accadute molte cose inaspettate, cose decisamente senza precedenti: per esempio, Kakashi non avrebbe mai pensato che a Obito piacesse ingoiare. Ma a quanto pareva non era una persona che si curava di quel genere di cose: a Obito non interessava cosa si faceva di solito, o cosa era più giusto fare in certe situazioni. Kakashi capì allora che avrebbe semplicemente dovuto smettere di fare delle supposizioni sul suo compagno. In battaglia era abituato a cercare di prevedere le mosse degli altri, ma ora avrebbe voluto mettere a tacere il fottuto soldato in lui. Almeno fino all'alba.

Obito alzò di nuovo i fianchi. C'era del divertimento nel suo tono, qualcosa nei suoi occhi che lo faceva assomigliare a uno spettro che scrutava un viaggiatore dagli alberi.

Quando si alzò, Kakashi scivolò all'indietro nelle coperte. «Faccio il tè,» disse Obito. «Torno subito.»

«Io… rollo qualcosa da fumare,» disse Kakashi. Avrebbe preferito che non gli fosse uscito così sgarbato e improvviso.

L'Uchiha tirò su con il naso mentre si alzò. «Ch, va bene.» Alzandosi, si spinse una mano sulle mutande per alleviare la pressione della sua erezione, poi sembrò pensare a qualcosa. Qualsiasi cosa fosse, lo fece piegare per afferrare Kakashi con la mano libera. Obito lo toccò sotto alla mascella e fece percorrere al pollice la cicatrice sotto al suo occhio. Il suo occhio.

«Perché lo tieni sempre coperto?»

«Non più. Una volta lo facevo.»

«Ma perché?»

Mi prosciuga il chakra. I segreti sono un vantaggio in battaglia. Non voglio farlo vedere agli altri. Kakashi pensò a un sacco di motivi, sentendosi stanco e distratto e chiedendosi perché il suo compagno avesse voluto fare quella discussione tenendosi il cazzo con la mano.

«Era l'ultima parte rimasta di te, credo. Volevo nasconderla dal resto del mondo.»

«Ma-an.» Obito si inginocchiò, allontanandosi. «Sei innamorato di me.»

Il suo ghigno sparì quando Kakashi non lo negò. La mano lasciò i suoi shorts, come se gli fosse passata improvvisamente la voglia, e dopo un momento tirò di nuovo su con il naso. «Dai, smettila.»

Kakashi sentì la schiena irrigidirsi per la scocciatura. «Perché vi comportate tutti allo stesso modo? È così

Avrebbe voluto prenderlo per le orecchie di nuovo, affondarci le dita e lasciargli dei ricordi a mezza luna sulla pelle. «Io ti amo,» sbraitò con ancora la confusione in testa.

Obito batté le palpebre, guardò a terra, e batté le palpebre di nuovo. «Io, uh, vado a bere qualcosa.»

E se ne andò.

Un'altra lanterna dei demoni volò sotto alla finestra della camera da letto. Da qualche parte nel cortile, cinque piani più sotto, uno scooter elettrico si avviò con un rumore inconfondibile.

Kakashi odiava le dinamiche della società degli shinobi, odiava il bisogno di costruirsi una reputazione. Un tempo non se ne curava molto, ma adesso odiava quanta importanza avessero assunto per lui: le voci, le storie, le scommesse che si diffondevano sempre più nei rank. Tutta quella roba serviva solo a tenerti per la gola, colpire alle spalle e lanciare pietre... era un modo che i superiori usavano per raggirare la realtà, per tenere buoni i loro sottoposti mentre cercavano un nuovo arrivato da mettere sotto.

Con Kakashi non c'erano andati giù leggeri, e pensandoci era stata tutta…

Tutta colpa sua.

Anche lui era pieno di storie e bugie, forse anche peggiori di quelle di tutti loro messi insieme. E Obito non avrebbe dovuto essere coinvolto. Non avrebbe dovuto esserlo.

«Sicuro che non vuoi… K? Che succede?» Obito inciampò e sibilò sulla soglia della porta. «Cristo santo!» Abbassò la tazza fumante sul pavimento con concentrazione. Si asciugò la mano sui pantaloncini e tornò nelle lenzuola. «Cosa cazzo...?»

Non finì la domanda, ma si avvicinò e lo abbracciò. Kakashi si mise una mano sulla faccia, chiedendosi vagamente cosa cazzo stesse mandando il suo compagno di squadra nel panico.

Inspirarono insieme. Il petto nudo di Obito si schiacciò contro il suo e fu tutto quello che Kakashi avrebbe potuto desiderare... era semplicemente patetico che avesse dovuto piangere per ottenerlo.

«Nah, avanti, non fare così,» bisbigliò il suo compagno di squadra. Obito probabilmente non aveva mai confortato nessuno in tutta la sua vita, ma alcune persone sono semplicemente portate per questo genere di cose.

Dopo un po', parlò di nuovo. «Mi dispiace, bello. È che è davvero troppo per me. E so che non funzionano così queste cose generalmente, ma... un avvertimento sarebbe stato gradito.»

Kakashi sorrise debolmente.

«Dio,» Obito imprecò a bassa voce. «Sei sexy anche quando piangi.» Gli passò le mani sulla schiena e se lo portò di nuovo in braccio.

Kakashi si mise contro di lui... gli piegò una mano dietro al collo e provò a memorizzare la grana degli spessi capelli sotto le dita, l'odore della sua pelle, il mormorio del suo battito del cuore. Ogni persona è una società, e ogni società ha i suoi anfratti bui... l'oscurità può insinuarsi al suo interno, sempre.

Sembrò passare molto tempo prima che parlassero di nuovo.

«Meglio?»

«Hm

«K-dot» mormorò Obito in risposta.

«Um» Kakashi si spostò. La mancanza di contatto visivo era rilassante. Mise il mento sulla sua spalla per cercare di mettersi comodo. «Non ho mai condiviso il mio oceano di lacrime con nessuno prima d'ora.»

Un leggero prurito gli infastidì l'occhio, e se lo strofinò. Obito scivolò sul sedere e spinse le gambe in su una alla volta. Se il silenzio si fosse protratto ancora, Kakashi avrebbe dato di matto e, era strano dirlo e anche solo a pensarlo, non c'era modo di tornare indietro ormai.

Una paura simile alla vertigine si posizionò fra le sue orecchie e iniziò a girare dietro ai suoi occhi.

Il polpastrello del pollice di Obito tornò sulla sua cicatrice, passando sull'incavo sotto al suo occhio. Kakashi sentì il freddo delle lacrime.

«Non ti ho dato molta scelta quella volta, eh?»

«Non devi…» Kakashi fece una pausa per deglutire. Non avrebbe più pianto, ma la nausea gli stava facendo contrarre la gola. «Non devi sentirti in colpa.»

«Un po' sì,» disse Obito passando il dito sul sopracciglio dove la cicatrice lo spezzava. «A volte mi sento in colpa. C'è un sacco di gente che ci vuole morti per via di questi occhi. Perché non ci ho pensato prima di dartelo?»

«Stavi morendo.»

Obito sorrise in un modo che fece sobbalzare il cuore di Kakashi, e scostò la mano. «Funziona così.»

Funziona così? Funziona che il desiderio insensato di avvicinarsi a qualcuno finisca con un'automutilazione che mette a rischio la vita della persona alla quale tenevi? Sì, anche Kakashi lo sapeva bene. Obito portava sulla sua pelle il prezzo delle sue azioni e Kakashi, beh, il suo cervello assomigliava all'uovo strapazzato che mangiava a colazione.

Per tutto quel tempo, fra loro due, era stato lui a essere un fottuto rottame. Il suo compagno invece aveva gestito la cosa in modo davvero straordinario.

Kakashi si sentì improvvisamente in colpa per avergli messo tutta quella pressione, ma non sapeva come fare per chiedergli scusa. E ora era lì che cercava di avvicinarsi di nuovo a lui. «Io, uh, non ho rollato nulla.»

«Non fa niente,» disse Obito. Infilò la mano alla tasca e gli porse uno spinello accartocciato.

Kakashi prese e lo raddrizzò un po'. «Questo era per il tuo allenamento di oggi pomeriggio.»

«Io, uh...» Obito fece una pausa, avvicinando le sopracciglia come se stesse tenendo in mano qualcosa di delicato. «Volevo fumarlo con te.»

Kakashi si distrasse mentre lo accendeva e sentì la pelle scottare.

Quando le mani del suo compagno si posizionarono sui suoi fianchi, Kakashi fece quasi cadere quella dannata carta. «Sei pieno di lividi,» mormorò Obito.

Kakashi fece due tiri mentre il sangue gli andò tutto in faccia e fluì via lentamente.

«Oh,» disse l'Uchiha ridacchiando. «Te li ho fatti io prima, vero?»

Dio, come fa questo idiota a essere un così imbarazzante a volte?

«Scusa. Non sapevo fosse così facile lasciarteli.»

Ora Kakashi voleva davvero picchiarlo.

«Ehi, Kashi,» continuò Obito dopo aver accettato lo spinello. Alcune nuvole di fumo fragrante e soffice si alzarono fra loro. Kakashi si svegliò dalla sua trance. Non perché gli era stato richiesto, ma perché il suo compagno non lo aveva mai chiamato così, ed era suonato stranamente impersonale.

Obito aspirò profondamente e poi fissò lo spinello ardente fra le sue dita. Il fumo gli uscì dalle narici. «Pensi mai a quel ragazzino?»

«Quale ragazzino?»

«Quello di Minato.»

«Che cosa esattamente?»

«Chissà se si stanno prendendo cura di lui... è il figlio di un tizio importante, è il bambino che ha salvato il mondo ninja, quindi gli staranno dando un'occhiata, no?»

«Non ci ho mai pensato davvero, ma sì, ha senso.»

«Già.» Obito espirò e passò lo spinello a Kakashi. «Dovremmo controllare, però.»

Kakashi alzò le spalle. «Okay.» Si mise sulle ginocchia, raggiunse le labbra del suo compagno e le inondò di fumo.

«Agh,» Obito borbottò e si spostò di lato.

«Aspira.»

«Sì, okay!» tossì, «ma dammi un segnale prima. Cazzo.»

«L'ho appena fatto.»

La seconda volta che le loro bocche si incontrarono, Obito ingoiò il fumo e lo lasciò uscire dal naso. Kakashi colse l'occasione per alzare la mano libera e correggere l'angolo. Le loro labbra si toccarono appena, un piccolo aumento di temperatura rispetto a quella della stanza, ma la sensazione era stata così soddisfacente che Kakashi la cercò ancora e ancora. I gesti d’affetto che riusciva a estorcere al suo compagno di stanza lo lasciava febbricitante: i suoi pensieri si spargevano sulla pelle di Obito e ritornavano nella sua testa con un po' di frustrazione e incompletezza. Kakashi gemette.

«Ehi, attento a dove metti quella dannata cosa.»

«Oh.»

Kakashi si mise seduto, si leccò il pollice e batté la cenere rimanente nella tazza di Obito.

«Sai cosa stiamo per fare?»

«Conosco le basi,» rispose Obito, scorbutico. Gli occhi danzarono, come se fosse rimasto per un momento sopraffatto.

«Incoraggiante.»

«Sei tu quello che voleva stare insieme a me.»

«Mi hai baciato tu per primo.»

«Cosa!?» Le narici di Obito si allargarono. «Sai che non è vero. Sei tu che hai iniziato... con i tuoi nei e le tue cose lasciate intendere!»

Beh, questo non è proprio corretto, pensò Kakashi. Tecnicamente, era stato Obito a chiedere di stare insieme e anche lui lasciava intendere cose. Lo stava facendo anche ora... ora che Kakashi era sotto di lui, seminudo e scompigliato. Gli mise i palmi sul petto. Ormai aveva deciso: avrebbero scopato quella notte, non importava come o chi avrebbe fatto cosa. Lo spinse indietro fino a quando Obito non fu sdraiato.

Il fumo si sparse lasciando tracce sulla sua pelle, una pressione senza peso, un tocco senza calore. La texture sulla lingua gli ricordò l'aria che riempiva della dimensione tascabile di Obito.

Una lanterna dei demoni si affacciò pigra alla finestra e la sua luce dorata si sparse sul pavimento. Giocò sui fianchi del suo compagno e sulle particelle di fumo intorno a loro. Sembravano seduti sul fondo di una clessidra, improvvisamente circondati da dune dorate.

Basta un istante, pensò Kakashi, per andarsene per sempre.

Forse sarebbe stato meglio se avesse mostrato a Obito come si faceva.

«Ehi, cosa stai...»

«Sta zitto un momento,» gli disse Kakashi. «Hai avuto il tuo turno.»

Obito si zittì, ma la sua espressione parlava chiaramente.

Non c'era nessuna logica nel pattern delle cicatrici di Obito, ma Kakashi riusciva a riconoscere alcuni punti nei quali le ferite e le ustioni dei fulmini assumevano forme. Alcune erano simili a costellazioni, archi contorti che ricordavano grandi onde e una luna crescente, altri sembravano occhi intarsiati nel petto. Obito era come un arazzo di guerra e Kakashi, strafatto, pensò assomigliasse a una pergamena dei demoni.

«Quando ce ne andremo da qui?»

Kakashi bofonchiò passando le mani sulle scanalature sui suoi fianchi.

«Intendo, quando ce ne andiamo da questo condominio merdoso?»

«Quando vuoi.» Kakashi si abbassò e assaporò il centro dello stomaco di Obito. «Sono andato a vedere qualche posto.»

«Davvero? Perché non me lo hai detto?»

Kakashi si mise seduto sulle ginocchia e chiuse un occhio. «”Ho bisogno di recuperare gli altri, K,”» lo scimmiottò, «”non ho tempo per giocare. Gli Uchiha non dormono. Si allenano duramente, diventano forti, cento ore a settimana...”»

Obito stava per protestare, ma Kakashi lo zittì. «”Non esco, Kakashi, è quasi l'ora di andare a piangere sul mio vaso di terra...”»

«Stronzo!» sibilò Obito. In quell'esatto momento si capovolse, girò le anche e scaraventò Kakashi nelle lenzuola. Ma quando iniziò a posizionarsi sopra di lui, Kakashi usò la presa di Obito sotto alle sue ginocchia per controbilanciare e invertire di nuovo la posizione.

«Che senso ha fare tutti quei push-up...» disse, ansimante, contro il collo di Obito e passandoci la lingua. «Se pecchi comunque in delicatezza?»

 



 

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