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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Casa delle Anime Gemelle ***
Capitolo 2: *** Il ballo ***
Capitolo 1 *** La Casa delle Anime Gemelle ***
La Casa delle Anime Gemelle
Le
fotografie, che seguivano quelle delle famiglie Holmes e Watson,
raffiguravano John e Sherlock in diversi momenti della loro infanzia e
adolescenza. L’Omega le superò con un sorriso e si
soffermò a osservare due immagini che aveva incollato nella
medesima pagina e che lo ritraevano a 16 anni. John strinse le labbra
in una linea sottile, mentre il suo sguardo si fissava su una delle
due. Il giovane adolescente Omega era in posa, avvolto in un abito
troppo stretto, con pantaloni e giacca di un celeste pastello che John
odiava. La camicia bianca era arricciata intorno ai bottoni e i polsini
spuntavano fuori dalla giacca, in uno svolazzo di seta. I primi due
bottoni erano aperti, per mostrare il collo, privo del Marchio del
Reclamo. Il volto di John era stato truccato, per sottolineare gli
occhi e mettere in risalto le gote e le labbra. John detestava quella
fotografia, perché dava un’immagine di lui in cui non si
riconosceva. Era stata inserita nel catalogo di una Casa delle Anime
Gemelle, con il fine di mettere in mostra il giovane Omega, per fargli
trovare un compagno Alfa che lo reclamasse. Malgrado fossero trascorsi
anni, John provava ancora rabbia, verso quella foto e l’usanza
che rappresentava, ma il dottore la aveva messa ugualmente
nell’album, come promemoria per ciò che sarebbe potuto
essere e non era stato. John, invece, amava molto la seconda
fotografia, che aveva posto proprio accanto alla prima. Anche il
secondo scatto ritraeva lui, ma mostrava tutto fuorché un Omega
debole e piegato ai voleri di un qualsiasi Alfa, che intendesse
reclamarlo e sottometterlo.
La Casa delle Anime Gemelle
“John! Smetti immediatamente di sfregarti gli occhi! Rovini il
trucco!” Sibilò l’Alfa, in tono irritato e
impaziente. Era la quarta volta che Sebastian Wilkins III era costretto
a ripetere la stessa cosa al giovane John Hamish Watson. Il ragazzo era
un Omega dall’aspetto e dal profumo deliziosi, di corporatura
minuta, ma ben proporzionato e con muscoli allenati, ma non gonfi. I
capelli erano di un biondo che ricordava il colore del miele, ma erano
gli occhi, di un azzurro intenso increspato da venature dorate, che
avrebbero sicuramente attratto e conquistato tanti Alfa. L’unico
enorme difetto di questo giovane Omega, altrimenti perfetto, era il suo
pestifero carattere. John Hamish Watson era completamente
indisciplinato e assolutamente disobbediente. Così non poteva
andare. Nessun Alfa, degno del proprio genere, voleva un Omega che
usasse il proprio cervello per pensare e che contestasse ogni ordine
che gli veniva impartito. Serrando le labbra e stringendo gli occhi,
Sebastian Wilkins III promise a se stesso di piegare quel piccolo
irrispettoso ragazzo. Erano anni che lui preparava e presentava i
giovani Omega in società, in modo che gli Alfa potessero
scegliere quello più confacente alle loro esigenze. Non era mai
accaduto che un Omega gli avesse fatto fare una brutta figura. O gli
avesse tenuto testa. John Hamish Watson non sarebbe certo stato il
primo. Non gli avrebbe permesso di macchiare l’immacolata
reputazione della sua “Casa delle Anime Gemelle”, come
venivano ancora chiamate le associazioni che si prodigavano per fare
incontrare agli Alfa il loro giusto Omega. Il nome derivava
dall’antichissima usanza di consegnare gli Omega adolescenti a
una casa, gestita ovviamente da un Alfa, affinché fossero
adeguatamente educati e preparati a servire il padrone che li avrebbe
acquistati, tramite una vera e propria asta. Wilkins pensava che,
sfortunatamente, quella bella usanza era stata abolita, tacciata di
essere degradante per gli Omega. Nel corso dei secoli, gli Omega
avevano ottenuto pari diritti e opportunità con gli Alfa.
Potevano lavorare, uscire di casa senza essere accompagnati e scegliere
il compagno con cui trascorrere la loro vita. Potevano persino
rifiutarsi di avere rapporti sessuali con un Alfa, anche durante il
periodo del Calore. Dovevano essere state stupende le ere in cui gli
Omega non potevano che sottostare al volere di un Alfa e soddisfare
ogni suo desiderio. Anche il più perverso. Era stato in quei
secoli meravigliosi che erano nate le Case delle Anime Gemelle, ora
rimaste più che altro come una tradizione edulcorata e svuotata
del suo reale significato. L’asta era stata trasformata in una
specie di ballo per debuttanti, che permetteva ai ragazzi Alfa e Omega
di valutarsi fra di loro, anche al di fuori delle mura di una scuola.
Wilkins era costretto ad interagire con ragazzini male educati da
genitori, che credevano che gli Omega potessero veramente pensare e
decidere con la propria testa. Lui, invece, sapeva che gli Omega non
erano altro che uteri con due gambe, creati per dare piacere agli Alfa,
lasciandosi fottere e ingravidare senza protestare o accampare stupidi
diritti. John Hamish Watson era sfrontato, ma Sebastian lo avrebbe
piegato, come aveva sempre fatto con tutti i piccoli ribelli Omega, che
pensavano di poter agire senza la supervisione di un Alfa.
Il giovane Omega avrebbe voluto rispondere per le rime al vecchio e
bavoso Alfa. Si sentiva ridicolo, con quel trucco pesante e quel
vestito celeste pastello. Lui era un maschio, anche se era un Omega. Se
lo avessero visto i suoi compagni della squadra di rugby, lo avrebbero
preso in giro in eterno. Conciato in quel modo, John si sentiva
sminuito e degradato. Lui voleva fare il dottore, non il casalingo,
chiuso in casa tutto il giorno in attesa del rientro dell’Alfa.
Non erano più nel Medioevo! Quel ballo era un’usanza
stupida. Se solo il suo papà non ci avesse tenuto così
tanto… John non lo capiva proprio. Come Omega, Paul Watson
avrebbe dovuto aborrire l’esposizione pubblica del suo unico
figlio, messo in mostra come un articolo da acquistare. I suoi genitori
non erano passati da nessuna Casa. Si erano conosciuti
all’università, innamorati, messi insieme e sposati. Che
cosa c’era di male in tutto questo? Perché non poteva
farlo anche lui? John aveva tentato di convincere il papà a
soprassedere, ma Paul era stato irremovibile. Anche se lui e Richard
non avevano rispettato la tradizione, non avrebbe mai permesso al suo
unico figlio di sottrarsi a quell’antica usanza. John aveva
parlato con il padre, Richard, spiegandogli quanto quel rituale lo
mettesse a disagio e cercando di convincerlo ad appoggiare la sua
richiesta di ritirarsi dal ballo. Richard aveva sospirato: “So
che pensi che questa tradizione sia stupida e antiquata. Non ti posso
nemmeno dare torto. Il fatto è che papà ci tiene
moltissimo e non credo che sia così terribile se partecipi a un
ballo, per farlo contento. Ti prometto che non prenderemo accordi con
nessun Alfa, senza la tua approvazione. Mal che vada, avrai partecipato
a un ballo pomposo. Potrebbe persino essere divertente.”
John aveva alzato le sopracciglia, in modo scettico. Richard aveva
riso: “Non ho detto che sicuramente ti divertirai, ma solo che
è una possibilità. Non porre limiti al caso,”
rimbrottò scherzosamente il figlio, scompigliandogli i capelli.
“Ma perché è così importante? In quella
Casa, a nessuno importa chi sia io e a che cosa io aspiri per il mio
futuro. Vogliono solo mettere in mostra il mio corpo, per rendermi
appetibile al miglior offerente, neanche io fossi un’opera
d’arte mettere all’asta!” Aveva sbottato John,
esasperato, sottraendosi al padre.
“Sai che papà era l’unico Omega della sua famiglia.
La nonna ci teneva moltissimo al fatto che lui andasse al ballo della
Casa delle Anime Gemelle, come avevano fatto lei e tutti gli altri
Omega della sua famiglia, prima di lei. A causa di una malattia,
papà non ha potuto partecipare al ballo previsto per i 16 anni,
quindi avrebbe dovuto partecipare a quello dei 21 anni, ma noi ci siamo
conosciuti e messi insieme prima. La nonna non ha detto nulla, quando
io e Paul ci siamo fidanzati, senza passare da una Casa, ma papà
sapeva di averla delusa e ha giurato a se stesso che, se avesse avuto
un figlio Omega, avrebbe rispettato la tradizione, in memoria di sua
madre.”
John aveva abbassato gli occhi. Non aveva conosciuto sua nonna. Quasi
nessuno conosceva o aveva ricordi dei propri nonni Omega. La Natura era
stata crudele, con loro. Dopo venti anni dall’ultimo parto, gli
Omega morivano. Per quanti studi fossero stati fatti, per quanti
esperimenti fossero stati compiuti, nulla aveva cambiato il tragico
destino degli Omega. I Watson avevano avuto un unico figlio. John aveva
compiuto da poco sedici anni. A Paul erano rimasti solo quattro anni da
vivere. Il giovane Omega aveva sospirato, rassegnato. Se il papà
desiderava tanto che John partecipasse a quello stupido ballo, al
figlio non sarebbe costato troppo accontentarlo. Comunque, sarebbe
stato tutto molto più semplice, se quel pallone gonfiato di
Wilkins non lo avesse costretto a vestirsi e truccarsi in modo osceno,
trasformandolo in una delicata femminuccia!
John strinse i denti e si rimise in posa. Il fotografo scattò
alcune fotografie e le osservò, con sguardo critico. Con un
sorriso soddisfatto, mise lo schermo della macchina fotografica davanti
agli occhi di Wilkins: “Queste sono perfette. Possiamo metterle
nel catalogo cartaceo e in quello che pubblicheremo in rete, come
pubblicità per il ballo. Il ragazzo sarà molto
conteso.”
Wilkins studiò accuratamente le fotografie. Il ghigno che gli
stirò le labbra fece rabbrividire John, facendolo sentire come
se fosse stato nudo, malgrado fosse completamente vestito. “Hai
ragione. – mormorò Wilkins a voce bassa, in modo da non
farsi sentire dal giovane Omega – Saranno in tanti a desiderare
questo bel bocconcino. Prevedo che ci porterà tanti soldi.”
“Abbiamo finito? Posso andare? Dovrei studiare per un compito in classe,” si informò John, in tono teso.
“Certo, caro. Puoi andare, se hai compilato il modulo che ti ho
dato l’ultima volta che sei venuto,” rispose Wilkins,
mellifluo.
John allungò un foglio all’Alfa e si diresse verso lo
spogliatoio, ma fu fermato dalla voce scandalizzata di Wilkins:
“Stiamo scherzando? Non puoi scrivere che giochi a rugby e che
vuoi diventare dottore! Ed entrare nell’esercito! Non sono
attività confacenti a un buon Omega!”
“Però sono le risposte alle domande presenti nel
questionario!” Sbottò John, la cui pazienza era oramai
giunta al limite.
“Sistemerò tutto io. Vai a studiare per il tuo inutile
compito in classe. Ci vediamo la sera del ballo,” Wilkins
congedò il giovane Omega, con un gesto della mano.
John era furioso, ma non poteva fare molto per fermare Sebastian e se
ne andò, a passo di marcia, stringendo i pugni. Non poteva
ribellarsi o fare una scenata, per non deludere il papà.
Mentre usciva dalla stanza, John incrociò una donna dai capelli
biondi, che lui non degnò di uno sguardo, mentre lei lo
osservò, incuriosita.
“Elisabeth! Che piacere vederti. A che cosa debbo questo onore?” La salutò Wilkins in tono affettato.
“Volevo confermare la presenza di mio figlio Sherlock al tuo prossimo ballo,” rispose la donna, senza sorridere.
“Oh, ma è meraviglioso! Sarà un piacere e un onore
trovare il compagno ideale al tuo figlio minore. Mi è molto
dispiaciuto avere fallito con Mycroft, ma vedrai che con Sherlock
saremo più fortunati. Ci sono diversi Omega che saranno
sicuramente desiderosi di diventare l’anima gemella di tuo
figlio,” disse Wilkins, in tono garrulo.
“Sì, certo. Chi è il ragazzo appena uscito?
Sembrava piuttosto seccato,” lo interruppe Elisabeth Holmes.
“John? È uno degli Omega che saranno presenti al ballo.
Sai come sono questi giovani in cerca dell’Alfa perfetto,”
ribatté Sebastian, sorridendo untuoso.
Elisabeth Holmes strinse gli occhi e le labbra diventarono una linea
sottile: “No, dimmi, Sebastian, come sono questi giovani Omega in
cerca dell’Alfa perfetto?” Domandò in tono tagliente.
Il sorriso di Wilkins si spense lentamente. L’Alfa iniziò
a sudare. Non poteva inimicarsi una donna potente e influente come
Elisabeth Holmes. Una sua parola contraria lo avrebbe rovinato:
“Io… io… niente. Non stavo pensando nulla di male.
Solo che… sai… il giovane John non è abituato a
certi ambienti… è nervoso… teme di fare una brutta
figura…” balbettò.
Elisabeth alzò un sopracciglio e fece un sorriso sornione:
“Ci vediamo la sera del ballo,” salutò e se
andò. Sebastian non le era mai stato simpatico e non avrebbe
voluto andare al ballo organizzato da lui, ma voleva che Sherlock
incontrasse la persona giusta per lui e questa poteva essere una buona
occasione.
Angolo dell’autrice
Secondo racconto della serie “Fotografie”, dove si iniziano
a conoscere alcune caratteristiche di questo inusuale Omegaverse e si
può intuire il motivo della malinconia di John, presente nel
primo racconto “Famiglie”.
Questo racconto è composto da due capitoli. Il rating è
dovuto alla presenza di un linguaggio non proprio appropriato. Forse mi
preoccupo per nulla, ma preferisco fare così.
Ovviamente i personaggi non mi appartengono e spero che il racconto non ne ricordi altri.
Grazie per avere letto fino a qui. Grazie a emerenziano per il commento
a "Famiglie". Grazie a chi abbia segnato il primo racconto della serie
in qualche categoria.
Spero di trovarvi domenica prossima per la seconda e ultima parte.
Alla prossima.
Ciao.
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Capitolo 2 *** Il ballo ***
Il ballo
La
pioggia battente aveva imperversato per tutta la durata della partita
di rugby, riversando acqua fredda sui giovani giocatori, che entrarono
nello spogliatoio bagnati e infangati, ma felici, perché avevano
vinto la partita contro la squadra favorita alla vittoria del
campionato studentesco.
“Li abbiamo
annientati!” Urlò Patrick Forbes, il capitano della
squadra, sovrastando le grida degli altri ragazzi.
“Credevano di venire qui
e vincere facilmente, ma non avevano fatto i conti con il nostro
piccolo e guizzante Omega!” Rise Mark Alcott.
“Voi Alfa pensate sempre
che noi Omega siamo degli oggetti fragili e delicati, da maneggiare con
cura per evitare di romperci, così noi Omega ne approfittiamo
per beffare voi potenti Alfa. Quando vi accorgete che siamo più
abili di voi, vi abbiamo già giocato,” ghignò John,
soddisfatto. Aveva disputato un’ottima partita ed era molto
orgoglioso di avere contribuito in modo determinante alla vittoria
della sua squadra. Quando aveva iniziato a giocare, molti dei suoi
compagni non si erano dimostrati entusiasti. Pensavano che un gioco
rude come il rugby non fosse adatto a un Omega, ma erano stati
costretti ad accettarlo, per non essere accusati di discriminazione di
genere. John li aveva fatti ricredere tutti. Si era impegnato, senza
lamentarsi e stringendo i denti, quando i suoi compagni di squadra gli
rinfacciavano il suo genere, per giustificare i suoi errori. Aveva
dimostrato a tutti di essere abile come un Alfa. A volte persino
migliore. Come unico Omega della squadra, John ne era diventato la
mascotte. I compagni lo apprezzavano e raramente si ricordavano del
fatto che fosse un Omega. Per i ragazzi della squadra, John era un loro
eguale.
Almeno fino a quel giorno.
Il ballo
L’ingresso nello
spogliatoio fu accompagnato da un vociare chiassoso ed entusiasta. I
ragazzi si davano grandi pacche sulle spalle, sul sedere e sulla pancia
o si scompigliavano i capelli a vicenda, incuranti del fatto che
fossero tutti ricoperti di fango e bagnati fradici. John era quello
più festeggiato, come eroe della partita. La presenza
dell’allenatore Frank Sommers nello spogliatoio era più
che giustificata. I ragazzi pensarono che volesse festeggiare con loro.
Nessuno aveva notato la strana espressione presente sul suo volto:
“Va bene, ragazzi. Ora datevi una calmata e andate sotto le
docce. Abbiamo vinto una partita, non il campionato,”
cercò di placarli, con un sorriso condiscendente.
“Coach! Abbiamo battuto
i favoriti! Potremmo vincere noi, il campionato. Non sarebbe
fantastico?” Patrick Forbes urlò per sovrastare il
frastuono provocato dai suoi compagni di squadra.
“Certo, Pat, sarebbe
fantastico, ma rimaniamo con i piedi per terra, va bene?”
Ridacchiò Sommers. Passò lo sguardo sui ragazzi festanti
e si fermò ad osservare John, che scherzava e rideva con i suoi
compagni. Sommers aveva avuto delle riserve, quando aveva accettato un
Omega nella sua squadra. Sapeva quanto potesse essere difficile
integrarsi in un team di esuberanti maschi Alfa per un piccolo Omega,
ma John si era dimostrato all’altezza della situazione. Sommers
lo aveva tenuto d’occhio in modo discreto, senza che il giovane
Watson se ne accorgesse. Lo aveva visto stringere i denti nelle
difficoltà e rimettere al proprio posto prima un paio di
compagni poi alcuni avversari, che pensavano di poter approfittare
della situazione per allungare le mani. John non aveva chiesto
l’aiuto di nessuno. Aveva chiaramente fatto capire che avrebbe
reagito a ogni molestia o proposta indesiderata. Un occhio nero aiutava
sempre a comprendere che John Watson non fosse un Omega debole e
indifeso. Sommers non avrebbe mai voluto affrontare quel discorso con
John, ma non poteva nemmeno soprassedere. Ne andava della reputazione
del giovane Omega, della squadra e della scuola: “Watson,
potresti venire nel mio ufficio? Ho bisogno di parlarti.”
“Subito, coach,”
rispose John, sottraendosi alle scherzose attenzione dei compagni e
seguendo l’allenatore. Entrarono in una piccola stanza, arredata
con una scrivania, tre sedie e un mobiletto basso, senza ante e pieno
di carte. Sommers chiuse la porta e fece cenno a John di sedersi. Solo
in quel momento Watson si accorse dell’espressione seria
dell’allenatore.
“Ho fatto qualcosa di
sbagliato?” Domandò preoccupato, cercando di ricordare se
avesse fatto qualcosa che non doveva.
“No, John. Non hai fatto
nulla di sbagliato. Anzi. Oggi hai giocato una splendida
partita,” lo rassicurò Sommers. L’Omega
corrugò la fronte, sempre più confuso. L’allenatore
gli sorrise tristemente: “Un genitore mi ha portato
questo,” disse, porgendo a John una piccola brochure. Un brivido
freddo corse lungo la spina dorsale di John. Non aveva bisogno di
aprirla per capire che cosa fosse: “Si tratta solo di un
ballo,” sibilò, incrociando le braccia sul petto.
“Il genitore non ha
contestato l’evento in sé. Si tratta di quello che
c’è scritto sotto la tua fotografia,” ribatté
l’allenatore, con un certo imbarazzo nella voce.
John afferrò la
brochure e cercò rapidamente la propria fotografia.
Faticò a riconoscere se stesso in quel ragazzo truccato e
vestito in modo così ricercato. Lesse rapidamente le righe che
accompagnavano la sua immagine e sbiancò:
“Mi
chiamo John Hamish Watson. Adoro leggere libri di poesia e romanzi
d’amore, cucinare e andare al cinema a vedere film romantici. Per
il mio futuro cerco un Alfa che si prenda cura di me, che mi supporti e
con cui formare una famiglia numerosa. Per il mio Alfa alleverò
amorevolmente i nostri figli e terrò in ordine e pulita la
nostra casa, aiutandolo a realizzare i suoi sogni e le sue
aspirazioni.”
John rilesse la frase ancora
un paio di volte, incredulo: “Io… io… io non ho mai
scritto una stupidaggine come questa!” Sbottò infine,
allibito.
L’allenatore
sospirò: “Non lo dubito. Ti conosco abbastanza bene per
sapere che quelle parole non sono certo uscite dalla tua penna.
Purtroppo non posso dire lo stesso dei genitori dei tuoi compagni di
squadra. Il padre che mi ha portato questa brochure mi ha fatto notare
che un qualsiasi Alfa dovesse essere interessato a te, potrebbe creare
tantissimi problemi alla squadra, insinuando che succeda chissà
che cosa all’interno dello spogliatoio. Mi ha chiesto di metterti
fuori dalla squadra.”
John scattò in piedi, furioso: “Lei non può cacciarmi dalla squadra!”
“Non ti voglio cacciare,
ma devo almeno prendere in considerazione la richiesta fatta dal padre
del tuo compagno. Per il tuo bene, John. Se al ballo di stasera ti
fidanzi, il tuo Alfa potrebbe contestare qualsiasi azione tu faccia,
rendendo la tua vita un inferno. Io devo pensare a proteggere te e la
squadra. Mi dispiace, John…” Sommers non terminò la
frase. Il giovane Omega fuggì dal suo ufficio, spalancando la
porta e correndo fuori come se fosse inseguito dal peggiore dei suoi
incubi.
John girovagò per la
città, senza una meta precisa. Stringeva in mano la brochure e
camminava, incurante della pioggia e degli sguardi curiosi dei
passanti. Non aveva fatto la doccia. Non si era cambiato. Camminava con
lo sguardo fisso davanti a sé, con ancora indosso pantaloncini e
maglietta da gioco, coperto di fango dalla testa alle scarpe. Era
furioso con Wilkins, perché aveva completamente cambiato la
frase che John aveva scritto per la brochure. Da quella pubblicata, ne
usciva il ritratto di un Omega sottomesso e debole, senza ambizioni e
sogni. Quello non era lui. John aveva delle ambizioni. Aveva dei sogni.
E non vi avrebbe mai rinunciato. L’Alfa che lo avrebbe sposato,
doveva accettarlo per quello che era. Lui non si sarebbe mai
trasformato nel mollusco descritto dalla brochure. Anche a costo di
rimanere solo per sempre. John sapeva che stava per dare un dispiacere
al suo papà, ma era anche consapevole del fatto che Paul lo
avrebbe compreso. Con un sorriso sfrontato sulle labbra, si
avviò verso la sua meta. Avrebbe dimostrato a Sebastian Wilkins
III che non tutti gli Omega volevano una vita solo casa e famiglia.
La sala da ballo della Casa
delle Anime Gemelle Wilkins & Sons era gremita di persone
abbigliate in modo elegante. Gli adulti chiacchieravano amabilmente,
mentre i ragazzi si scambiavano occhiate di sottecchi. Secondo il
copione secolare previsto dal ballo, i ragazzi Alfa e Omega non
potevano parlare fra di loro, fino a quando non fossero stati
autorizzati dall’accompagnatore dell’Omega a ballare
insieme. Non potevano nemmeno appartarsi, se non erano sorvegliati da
un adulto Alfa parente dell’Omega.
Sherlock Holmes era alto, per
i suoi sedici anni. Avvolto in un elegante abito nero, era molto magro.
La madre non era riuscita a redimere i suoi ricci neri e ribelli. Il
giovane Alfa si stava annoiando e non perdeva occasione per farlo
capire a chiunque avesse il coraggio o l’imprudenza di appoggiare
il proprio sguardo su di lui. Non si contavano i sospiri e gli sbuffi
di un’insofferenza sempre più infastidita verso
l’inutile evento. I genitori avevano trascinato al ballo anche il
figlio maggiore Mycroft con il marito, un Omega dai capelli castani e
con gli occhi nocciola di nome Gregory Lestrade. I due erano sposati da
un paio d’anni ed erano in attesa del loro primogenito, anche se
i segni della gravidanza non erano ancora visibili sul corpo
dell’Omega. Il compito principale di Mycroft e Greg era
controllare e arginare Sherlock, in modo che non facesse commenti
offensivi rivolti agli altri ospiti della serata. Nessuno voleva che il
giovane Alfa scatenasse una rissa per dispetto, perché i
genitori lo avevano trascinato al ballo, mentre stava svolgendo un
importante esperimento di chimica. Gli occhi azzurri del giovane Alfa
sezionavano gli invitati e scartavano ogni possibile candidato, con
commenti acidi e taglienti: “Questo ballo è solo una
perdita di tempo. Non ho visto un Omega che sia anche solo lontanamente
interessante. Sono tutti noiosi e banali ragazzi sottomessi, pronti a
obbedire a ogni ordine che venga loro impartito. Vogliono essere
accuditi e ingravidati. Io non ho tempo per un tipo del genere. Io
voglio un Omega che sappia prendersi cura di se stesso e che sia capace
di usare il cervello. Nei limiti della funzionalità e delle
limitate capacità intellettive di un normale e banale essere
umano,” concluse, con una smorfia di disgusto.
“Non puoi giudicarli
solo guardandoli. Potresti dare una possibilità a qualcuno di
loro,” lo incoraggiò Greg.
“Stai scherzando, vero?
Sai benissimo che io…” Sherlock si interruppe. Nella
stanza era calato un silenzio sbigottito. Il giovane Holmes
cercò con lo sguardo chi avesse causato un tale scandalo da
zittire la sala. Gli occhi di tutti erano puntati su un ragazzo della
sua età, basso e magro, probabilmente biondo, con incredibili
occhi di un azzurro inteso. Indossava una divisa da rugby ed era
coperto di fango dalla testa ai piedi, oltre a essere bagnato fradicio,
motivo per cui era difficile stabilire esattamente il colore dei suoi
capelli. Il ragazzo osservava i presenti con uno strano sguardo di
risoluta sfida. Dalla destra di Sherlock si levò un grido
soffocato: “John!”
Il ragazzo, sicuramente un
Omega, si diresse verso l’uomo che aveva parlato:
“Papà, mi dispiace molto darti questa delusione, ma non
posso sottostare e partecipare a questa barbarie,” esordì,
in tono risoluto e per nulla dispiaciuto.
“Barbarie?! Come osi
definire barbarie il mio ballo, piccolo ingrato che non sei altro? Ho
tentato di trasformarti in un Omega almeno desiderabile e presentabile
e tu mi ringrazi in questo modo?” Si intromise Sebastian Wilkins
III, furioso.
“Io mi sto mostrando per
ciò che sono. Io voglio un Alfa che sia veramente interessato a
me, non al fantoccio che ha creato per la sua brochure!”
Ringhiò John, per nulla impressionato o intimidito dalla rabbia
dell’Alfa adulto.
“John, spiegati,” intervenne Richard, in tono severo.
“Il signor Wilkins mi ha
chiesto di scrivere la didascalia per la mia fotografia, spiegando
quali fossero i miei interessi, i miei sogni e le mie aspirazioni. Io,
ovviamente, ho scritto che gioco a rugby, che voglio diventare medico
ed entrare nell’esercito, per aiutare più persone
possibili. Ho consegnato il foglio al signor Wilkins alcuni giorni fa.
Potrai immaginare il mio disappunto, padre, quando il coach Sommers mi
ha fatto leggere questo,” concluse con calma, porgendo a Richard
la brochure, che la prese e cercò la fotografia del figlio. Paul
si posizionò in modo da potere leggere insieme al marito. Scorse
le poche righe, Richard alzò un sopracciglio e si rivolse a
Wilkins: “Che fine ha fatto ciò che ha scritto mio
figlio?”
“Oh, andiamo! Stiamo
scherzando? Chi prenderebbe mai in considerazione di fidanzarsi con un
Omega così grezzo e selvaggio. Sono stato costretto a
ingentilire la didascalia o nessun Alfa si sarebbe seriamente
interessato a un Omega primitivo come…” Wilkins non
terminò la frase. Finì lungo disteso sul pavimento,
colpito al volto da un pugno di Richard: “Considerati fortunato
perché ti ho colpito io e non mio marito. E non lo ho fatto per
salvaguardare il tuo onore di Alfa. No. L’ho fatto perché
mio marito è un medico e con le sue mani cura e salva le
persone. Non volevo che si facesse male a un mano colpendo una testa
dura come la tua. Sei anche fortunato che non ti faccio causa per
offese personali e danni morali. Lo farei volentieri, ma voglio che mio
figlio si metta dietro alle spalle questa storia il più in
fretta possibile. Voglio che John dimentichi che esistono Alfa come te.
Ora ce ne andiamo. Non farti più sentire né vedere. Con
te, signorino, faremo i conti a casa. Guarda come vai in giro. Se ti
prendi anche solo un raffreddore, ti faccio saltare due settimane di
allenamenti e le prossime partite,” concluse, prendendo il marito
sotto braccio e avvolgendo con l’altro le spalle di John.
“Sai che ti amo, vero
Richard? – domandò Paul, dolcemente – E voglio bene
anche a te, piccolo scavezzacollo. Mi fai dannare, ma sono orgoglioso
di te,” terminò, scompigliando i capelli del figlio. John
sorrise, felice. A Sherlock sembrò che, per un attimo, la stanza
fosse più luminosa. I Watson lasciarono il ballo, seguiti dagli
sguardi sbigottiti degli altri inviati.
Sul viso di Sherlock si
formò un sorriso divertito e intrigato: “Quello sì
che è un ragazzo interessante,” mormorò fra
sé e sé.
Elisabeth si ricordò
del ragazzo biondo, che aveva incontrato alcuni giorni prima.
Notò l’espressione del figlio minore e le labbra si
incresparono in un lieve sorriso soddisfatto. Prese il marito sotto
braccio e lo guardò negli occhi: “Credo che questo ballo
abbia perso il suo interesse. Che ne dici di andare a cena? Sono
affamata. Ho sentito parlare di un nuovo ristorante, che hanno appena
aperto vicino a Piccadilly Circus. Dicono che si mangi molto bene. Ti
va di provarlo?”
“Sì, certo. Me lo
ha consigliato anche Arthur. Direi che sia l’occasione giusta per
andarci, visto che siamo tutti insieme,” concordò Phillip
Holmes, mentre si avviavano vero la porta. Sherlock si accodò ai
genitori, raccogliendo una brochure. Mycroft estrasse da una tasca una
agendina nera e vi segnò qualcosa, con una biro.
“Che cosa stai scrivendo?” Domandò Greg, incuriosito.
“Il nome di quel ragazzo
Omega. Credo che ne sentiremo ancora parlare,” sorrise, riponendo
l’agendina in una tasca e circondando le spalle del marito con un
braccio.
“Penso che tu abbia
ragione. Anche a me piace quel John. Deciso, sicuro e indipendente.
Sarebbe proprio l’Omega ideale per un certo Holmes di mia
conoscenza.”
“Esatto. Non è
stata una serata così infruttuosa come pensavo. Persino alla
Casa delle Anime Gemelle di Sebastian Wilkins III si può trovare
un vero diamante.”
Greg fissò il marito,
fra lo stupito e il malizioso. “Mycroft Holmes! Mi stai
diventando romantico e sdolcinato!”
“Tutta colpa della tua pessima influenza,” Mycroft fece l’occhiolino al marito e lasciarono il ballo.
Sherlock e John non si erano
parlati. Non si erano nemmeno sfiorati con lo sguardo. Eppure, quella
sera era stato piantato un seme che sarebbe lentamente e dolorosamente
sbocciato in un grande amore.
Angolo dell’autrice
Un primo contatto diverso dal
solito, che spero incontri il vostro gusto. L’ispirazione del
capitolo mi è venuta da un episodio di “Lady Oscar”,
quando lei si presenta al ballo, organizzato dal padre per trovarle un
fidanzato, vestita con la divisa di comandante della Guardia Nazionale.
Grazie a chi stia leggendo la serie.
Grazie a emerenziano per il commento allo scorso capitolo.
Grazie a chi stia segnando i racconti in qualsiasi categoria.
Alla prossima settimana con un nuovo racconto.
Ciao!
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