Incantesimi d'amore e di morte di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prigioniera ***
Capitolo 2: *** La maga ***
Capitolo 3: *** Sotto il velo ***
Capitolo 1 *** La prigioniera ***
Incantesimi
d’amore e
di morte
Salutò il suo amore
Lui
s’imbarcò su una nave
dal molo di San Blas
giurò che sarebbe
tornato
E, bagnata di pianto, lei
giurò che lo avrebbe aspettato.
Mille lune passarono e lei
rimase al molo
Aspettando
Molti pomeriggi si
annidarono
Si annidarono nei suoi
capelli, sulle sue labbra.
(En Muelle de San Blas,
Manà, libera traduzione italiana: Shilyss)
Capitolo 1
La prigioniera
Aveva
le mani macchiate di sangue. Sangue suo. Colava dal naso, scivolava
sulle
labbra, contrastava con la mano che teneva, aperta, davanti a
sé. Una volta, al
Titano che, furioso, lo aveva accusato di aver perso
un’armata e ben due gemme,
aveva raccontato che i fallimenti non esistevano: era tutta una
questione di
prospettive, di punti di vista. Se guardata nel giusto modo, una
sconfitta non
rappresentava altro che l’opportunità di testare
un potere diverso e oscuro,
per poi vincerlo e schiacciarlo sotto i propri stivali. Quella
sicurezza c’era
ancora, da qualche parte nel suo petto, lo sentiva. Esisteva e
raschiava per
poter uscire, ma ora c’era il resto. La lucida consapevolezza
che il passato
non si poteva cambiare o, perlomeno, non quella parte che lui aveva
cercato in
tutti i modi di modificare e, così, l’amaro
presente, suo figlio diretto. Le
sconfitte potevano essere lette come opportunità, ma
bruciavano più delle
ustioni, infettando lo spirito, scalzando via la speranza.
Era
ragionevole che avrebbe fallito, ancora e ancora.
Non
esisteva alcun trucco in grado di ribaltare la sorte, perché
ogni variabile
mutata portava allo stesso, inevitabile, punto, anzi, peggio. La perdeva ogni volta di più.
“È
successo un’altra volta, non è vero?”
La
voce di Thor aveva il suono aspro della delusione ed era gonfia del
rimprovero
tipico del fratello maggiore, giusto e saggio, nei confronti dello
scapestrato
cadetto di famiglia. L’aveva sentito arrivare, ma non per
questo si voltò verso
di lui o gli rispose, né l’altro si sarebbe
aspettato diversamente, del resto.
Erano cresciuti insieme dividendo ogni cosa: avevano combattuto mille
battaglie
schiena contro schiena, con gli stivali affondati nel sangue dei nemici
sconfitti, le armi sguainate in pugno. Nessuno dei due era mai stato
capace di
arrendersi. Thor di questo era evidentemente cosciente, così
come sapeva che Loki
non poteva accontentarsi: non era nella sua natura, del resto. Ecco
perché il
filo tessuto dalle Norne doveva essere mutato a ogni costo.
Il
dio dell’inganno barcollò fino al tavolo
più vicino, prese un fazzoletto, si
pulì il sangue. Sentiva il seiðr scorrergli nelle
vene, bruciandole. Era un
mago potente, un maestro di magia come non se ne conoscevano di
migliori in
tutti i Nove Regni, ma l’incantesimo cui si era ripetutamente
sottoposto negli
ultimi tempi era così corrosivo da debilitare persino il suo
fisico di Jotunn,
altrimenti agile e robusto.
Thor
gli porse dell’idromele e lui ne bevve un lungo sorso.
“Ti sei costruito una
prigione terribile, fratello,” notò amaro.
Loki
serrò la mascella. Il paragone era drammaticamente calzante,
ma non gli avrebbe
mai concesso la soddisfazione di un’ammissione aperta. Il
potere logora,
rosicchia incastra, distrugge e, allo stesso tempo, dona.
“Rivivi
sempre lo stesso momento e, ogni volta, lasci indietro qualcosa.
È
un’illusione. Non cambierai ciò che è
stato, ciò che è.”
Dopo
aver staccato con un colpo netto la testa a Thanos ed essersi reso
conto di
quanto, in fondo, fosse stato inutile e tardivo il suo gesto, Thor
Odinson aveva
perso buona parte della retorica che gli aveva sempre gonfiato il
petto. Era il
re di un popolo di esuli venuti a vivere altrove, ma il peso di quel
ruolo lo
schiacciava, non lo rappresentava; così, Loki, che per tutta
la vita aveva
creduto di meritare il trono, governava di fatto al posto suo,
prendendo
decisioni ed emanando leggi, ma finendo inevitabilmente per bramare
sempre ciò
che aveva avuto e, senza una spiegazione plausibile, si era ritrovato a
smarrire.
Il
tonante era consapevole di ciò che stava facendo: aveva
contezza sia del bene compiuto
verso la nuova Asgard, che del dannoso tentativo di modificare ancora
il
passato. Non poteva resistere alla tentazione di provare a fermarlo.
Non c’era
mai riuscito, così come non era in grado di guidare il
gruppo di esuli Æsir che
aveva avuto la disgrazia di sopravvivere alla distruzione perpetrata da
Hela
prima, da Surtur poi.
“Ti
distruggerai, Loki. A che serve, saperlo? Perché non provi a
ricostruire la tua
vita, a ricominciare daccapo?”
Aprì
le braccia e indicò il fiordo che si stendeva, magnifico e
immenso, di fronte a
loro. Aveva compreso di essere stato ingiusto e avventato.
Tentò di rimediare. “Quando
sei tornato, era un villaggio di pescatori. Ora
è Asgard.”
Loki
gettò un’occhiata rapida e breve a quella cosa in
divenire, precaria e ben
lontana dai fasti della perduta, meravigliosa, Ásaheimr.
Aveva evocato lui Surtur affinché distruggesse ogni cosa,
avverando una
profezia antica e spaventosa in maniera imprevista. Ricordò
il fuoco, la fuga,
il brivido provato quando l’ombra dell’ammiraglia
di Thanos aveva oscurato la
loro lancia rapida e carica di fuggiaschi.
Con un gesto istintivo, si massaggiò il collo, dove, sotto
il colletto della
corazza di pelle intrecciata, spiccava una cicatrice antica, ormai
bianca: il
segno che il Titano gli aveva lasciato nel tentativo di rompergli il
collo,
spezzargli il respiro.
♥
Passò
il tempo. Passò così tanto tempo che si
dimenticarono di contarlo.
Loki
fingeva di essersi adattato alla sua nuova vita. Mentiva, sostenendo
che Asgard
fosse stata replicata quasi alla perfezione, ma, soprattutto,
s’illudeva che nessun
tarlo gli rodesse il petto, scavandogli dentro. La soddisfazione non
era nella
sua natura, del resto. Doveva sapere, capire cos’era successo
e quando e
perché, in quale luogo o tempo. Eccola, la sua maledizione:
da sempre era stato
capace di adeguarsi a ogni contesto, a qualsiasi situazione, ma la
conoscenza,
no, non poteva difettargli.
“Se
la liberassi?”
Fu
così che la voce del dio degli inganni spezzò il
silenzio di una notte vuota e
cupa.
Thor
volse il capo verso il fratello che, chino di fronte a un camino,
ravvivava con
l’attizzatoio le fiamme del fuoco tremante. Aprì
la bocca per parlare, ma
l’altro riprese quella cosa a metà strada tra la
confessione, lo sfogo e il
ragionamento ad alta voce.
Il
tonante capì che aveva ceduto un’altra volta al
bisogno di andarla a trovare
nella sua torre solitaria; ecco perché ora voleva tentare
nuovamente
quell’incantesimo pericoloso e crudele, capace di scardinare
il tempo e
rovinare quello che sarebbe dovuto rimanere un ricordo perfetto,
nient’altro.
“È
un
ciclo senza fine, che mi consumerà,” riprese Loki
con improvvisa lucidità. “A volte,
torno indietro e lei poi ricorda, ma troppo tardi; altre, non lo fa, ed
è come
perderla ancora e ancora. In ogni caso, sfugge. Andrà sempre
così,” concluse, “a
meno che io non scopra quel maledetto nome. Allora, Hela sarebbe obbligata
a dirmelo, ma scoprirlo pare impossibile.”
Thor
avrebbe voluto dirglielo: afferrarlo per le spalle, scuoterlo e
gridargli di
andare avanti, di smettere d’ingannare il fato o di tentare
di mutarlo. Lei
a suo tempo aveva scelto e l’ingannatore si era incastrato
nella perenne
ricerca di un modo per mutare un risultato destinato ogni volta a
peggiorare inevitabilmente,
sottilmente, ineluttabilmente.
“Che
vuoi fare?” gli chiese invece.
Alla
luce fioca delle fiamme, gli occhi di Loki scintillavano nella loro
trasparenza, cercando una soluzione che meditava da chissà
quanto. Gli Æsir possedevano
una forza invidiabile, un’intelligenza spiccata, ma nella
longevità quasi
ultraterrena di cui beneficavano era racchiusa la loro
infelicità: al contrario
dei midgardiani, loro non dimenticavano. Il tempo e
la memoria non
riuscivano a cancellare né il dolore né
l’ira né, tanto meno, il risentimento o
l’amore. La nostalgia non velava il ricordo con
l’oblio, non ottundeva i moti
dello spirito: i figli degli Æsir vivevano migliaia di anni,
ma non smettevano
di soffrire nemmeno per un giorno. Thor pensò che, forse, la
mente analitica e
tagliente di suo fratello era riuscita a recuperare quella
lucidità spietata
che l’aveva reso inviso a molti, riconoscendo
quest’ovvietà dolorosa. Pregò le
Norne affinché fosse così, ma invano.
L’ingannatore
fissava le fiamme seguendo pensieri tortuosi: era ora di cambiare piani
e
strategie, certamente. Hela non l’aveva ingannato, forse, ma
gli aveva proposto
un patto che si era rivelato inutile, stancante, improduttivo. Strinse
i pugni,
serrò la mascella. Sul viso affilato campeggiava
un’espressione tirata e seria.
Non si arrendeva facilmente. Era testardo, orgoglioso, fiero e, in quel
momento, stava lottando contro se stesso per giungere a una conclusione
che lo
liberasse da quel ciclo senza fine di strazio e di rimpianto una volta
per
tutte.
“Porrò
fine all’accordo con Hela,” annunciò a
un tratto, senza guardarlo.
A Thor
parve che la sua richiesta fosse stata esaudita. Forse, dato che nulla
era
stato davvero scardinato nell’ordine delle cose, gli Antichi
Dèi
li avrebbero perdonati e, dall’alto della loro ieratica
grandezza, sarebbero
giunti a riconoscere le attenuanti di Loki, affibbiandogli una
punizione blanda
e misericordiosa. Eppure, il biondo Ase scoprì di non essere
affatto felice
della decisione sofferta e sputata dal fratello a denti stretti.
L’amava,
l’avrebbe amata per sempre: quella ricerca
logorante aveva reso ancora meno fattibile qualsiasi
accettazione, distacco, riflessione. E lui non l’avrebbe
ammesso mai. Soffocava
sotto una gelida indifferenza un dolore nero e corrosivo, che gli
sbranava
l’anima e faceva avvicinare sempre di più le ombre
oscure di un tempo. E allora
glielo chiese, perché, pure se era ammantato di tormento,
Loki restava sempre
suo fratello e lui, Thor, ne conosceva il cuore e lo spirito come
nessuno, nei
Nove Regni.
“Rinuncerai?
Davvero?” domandò.
Lingua
d’Argento pensò a lungo, prima di rispondere. Poi
smosse la cenere spingendola,
con la punta dell’attizzatoio, tra le fiamme che avevano
ripreso a guizzare.
“Ha
scelto il suo destino, in fondo. So solo questo.”
Lo
disse col tono distaccato e freddo che avrebbe usato per illustrare una
nozione
banale ed enciclopedica, come se non gli importasse poi molto, ma nei
suoi
occhi Thor lesse una disperazione infinita, atroce, terribile.
“È
sempre Sigyn, fratello. Qualsiasi incantesimo o patto abbia
pronunciato, deve
averlo fatto anche per
te,” gli
ricordò di getto, all’improvviso, pentendosi
subito dopo per quell’irruenza
che, lo sapeva, Loki non avrebbe tollerato. L’Ase dagli occhi
verdi, difatti,
piegò le labbra sottili in una smorfia. Gli aveva
già concesso abbastanza.
“Qualsiasi
cosa sia stata così sciocca da tentare,
l’ha distrutta, l’ha resa
un’altra persona, Thor.” La
voce dell’ingannatore si era fatta più
bassa, distante. “Ha il suo viso, le sue mani, i suoi occhi:
tutto qui. Forse
ti sembra, guardandola, che sia dannatamente lei – si muove
come lei, persino,
ma in realtà non lo è più, non lo
è mai.”
Lo
sguardo di Loki era perso tra le fiamme. Con le dita, sfiorava le
lingue di
fuoco, in un gesto lento e distratto che, forse, aveva il solo scopo di
distogliere gli occhi di Thor dal suo viso pallido e tirato, dalle
pupille che
parevano quasi luminose e lucide.
“Ma
tenterai un’altra volta ancora, non è vero?
Così avreste più tempo,” insistette
il biondo Ase.
Il
dio degli inganni continuò a fissare il fuoco.
♥
Gli occhi
grigi di Sigyn erano sottolineati da una riga sfumata di bistro che ne
esaltava
la profondità. Sedeva alla finestra, ma non si
alzò, sentendolo arrivare. La
luce del pomeriggio morente dava alla sua chioma bionda riflessi color
miele e
Loki pensò con rancore a tutte le volte in cui aveva
affondato le dita in
quelle ciocche chiare, subito dopo averla avuta, quando, ancora ansanti
e
scossi dal desiderio che li aveva catturati, si crogiolavano in lente
carezze
tra le coperte sfatte – seta e pelliccia contro la pelle,
baci avidi e lenti
che sapevano già di nostalgia e brama. A quel tempo, lei si
abbandonava sul suo
petto, stringeva il corpo snello e flessuoso contro il suo, invitandolo
a
restare anche se sapeva che non lo avrebbe fatto.
Niente
era mai stato semplice, tra loro. Le si avvicinò e Sigyn gli
rivolse uno
sguardo appena sorpreso, inarcando un sopracciglio.
“Mio
signore, non vi aspettavo,” lo salutò, ma il tono
della sua voce era lievemente
ironico, senz’altro freddo. Non gli riconosceva alcun titolo
né potere. Non su
di lei, almeno. L’ultima volta che aveva tentato di baciarla,
memore di quel
passato perduto in cui Sigyn era stata la sua amante, lei gli aveva
morso un
labbro, dicendogli con voce secca che la fedeltà non si
strappava né si poteva
ottenere con l’inganno.
Loki
si sfiorò il collo, lì dove la stretta mortale di
Thanos gli aveva lasciato un
segno ormai appena visibile.
Il
fatto era che la dea della fedeltà non ricordava nulla, di
quel tempo in cui si
inarcava contro di lui e invocava il suo nome, gli cercava le labbra.
Il
passato aveva una stortura che andava corretta, raddrizzata. Era
successo
qualcosa e Sigyn aveva dimenticato non lui, ma se stessa e di averlo
amato.
L’ingannatore
si guardò attorno, finché non abbassò
gli occhi su un disegno che lei stava
abbozzando. Nella stanza c’erano numerosi altri schizzi,
libri e appunti,
perché Sigyn doveva trovare un modo per trascorrere i giorni
della sua prigionia,
lenti e sempre uguali. Così, sfogava la sua sete di vivere
scrivendo, leggendo,
intrecciando collane di fiori, oppure disegnando, a seconda
dell’umore incerto
e ballerino. Quest’ultima passione veniva fuori di rado, il
dio dell’inganno lo
sapeva bene. Era stato vedendo un suo ritratto riprodotto da lei che,
anni e
anni prima, aveva compreso quanto Sigyn lo amasse. Ricordò
di aver preso in
mano il foglio per osservare, stupito e ammirato, il sentimento svelato
nell’attenzione con cui la ragazza aveva tracciato il suo
profilo affilato, si
era soffermata sul dettaglio del sorriso spesso sbieco, colto la nota
di
tristezza che velava i suoi occhi chiari, avidi, penetranti. Loki le
aveva
chiesto il conto di quel disegno che valeva più di mille
dichiarazioni e lei,
fiera e magnifica, non si era vergognata di ammettere che
sì, era innamorata:
per questo lasciava che la cercasse e s’infilasse nel suo
letto, tollerando la
sua natura scostante, spesso volubile e fin troppo crudele. Era stata
capace di
vedere che, in lui, la propensione a ingannare e a mentire per piegare
la
realtà al suo volere si accostava anche ad altro: a una
fierezza spiccata, a un’intelligenza
arguta, a uno spirito orgoglioso e sempre nobilissimo.
Non
le raccontò del ritratto delineato con infinita cura e
amore, bruciato assieme
alla bella Asgard dalle torri d’oro; non avrebbe avuto senso.
“Era
tanto tempo. Senz’altro troppo, mia signora.”
In
momenti come quelli, la recita cui entrambi sottostavano si trasformava
in
qualcosa di ancora più crudele. Intrecciò le mani
dietro la schiena. “Ti ho
portato un dono,” esordì, fissandola di sottecchi.
“Lo avevi chiesto la scorsa
volta.”
Lei scosse
la testa e sospirò stancamente. “Cosa mi hai
regalato, oggi? Una collana, un
anello? Desidero solo una cosa, Loki: la libertà.”
Avrebbe
voluto risponderle anch’io e smettere di
guardarla e pensare che fosse
bella. Serrò la mascella, sollevò appena il
mento, raddrizzò la schiena già
altera. Assomigliava maledettamente a quella che era stata, ma si
trattava di
un’illusione, nient’altro. Lo sapeva; era il dio
degli inganni, dopotutto.
Cambiò
discorso, ignorando la sua richiesta. Le porse una rosa, fatta apparire
con uno
schiocco di dita. Una sola, semplicissima rosa dai petali bianchi.
Lei
allungò la mano, esitante, perché era il suo
fiore preferito e lo sapevano
entrambi. Giocò con lo stelo puntellato di spine,
sfiorò i morbidi petali
chiari con delicatezza estrema. Forse il regalo le rammentò,
effettivamente,
qualcosa. Il lago, per esempio, quello che si affacciava sul fiordo.
“Un
dono semplice. Loki Laufeyson è anche capace di
questo,” osservò inclinando il
capo.
“Mi
conoscevi abbastanza da non stupirtene, un tempo.”
Sigyn
si riscosse. “So quanto il tuo spirito sia inquieto, ma non
puoi avere ogni cosa,
principe di Asgard. Liberami!”
Sarebbe
stato meglio ritrovarla come l’ultima volta, scalza e persa
nei suoi
vagheggiamenti a raccontare alle bambole storie inesistenti.
“Liberarti,”
soffiò l’Ase spostando di nuovo
l’attenzione sui disegni: alcuni rappresentavano
luoghi fantastici e mai visti, altri posti fin troppo noti.
“Riportami
ad Asgard. Avrai il mio perdono per… per tutto
questo,” insistette Sigyn,
indicando la stanza ingombra di schizzi, libri, abiti e dei
più disparati
oggetti.
“Non
esiste
più, Asgard.”
La
notizia fece ammutolire la dea della fedeltà, ma forse non
quanto avrebbe
dovuto. “Cosa vuoi da me?” chiese. La sua voce
aveva una nota d’urgenza.
“Perché
pensi di essere qui, Sigyn? In fondo tu…” Loki
s’inumidì le labbra sottili, in
cerca delle parole adatte, del concetto più giusto da dirle.
“Mi hai sempre
accordato la tua benevolenza, mia signora.”
La
giovane donna s’adombrò. “Ma poi hai
tradito tuo padre, tuo fratello, Asgard. A
Vanheim si sono combattute guerre feroci dovute alle tue azioni
sconsiderate,” concluse,
fiera e puntuale.
“Odino
mi mentì. Mi ha condannato a giocare una partita truccata,
dicendomi che avrei
potuto essere degno di un trono che, in realtà, è
sempre spettato a un altro –
al mio tronfio e arrogante fratello, graziato da un provvidenziale
esilio.
Asgard stessa mi tradì: ha riconosciuto troppo tardi gli
inganni e le manovre
che ho compiuto al solo scopo di renderla più
grande.”
Loki
aveva lasciato che lo sdegno per quello che considerava un affronto
impossibile
da perdonare gli infiammasse nuovamente il petto, spingendolo a
guardare una
ferita che si era cicatrizzata col tempo, forse sì, ma che
avrebbe continuato a
prudere, a tirare, a deturpargli la pelle per sempre, poiché
era il segno
indelebile dell’inganno che aveva dominato la sua intera
esistenza di principe
cadetto, di inconsapevole erede di un trono di mostri. Solo che dirlo a
lei era
inutile, sciocco, controproducente, persino.
“Eppure,
alla fine, li hai salvati tutti,” mormorò Sigyn,
acuta e consolante. “Ma questo
non ti basta; devi avere di più, hai bisogno di possedere
ogni cosa,” soffiò,
avvicinandoglisi con la grazia delicata di un tempo. Un fruscio leggero
della
bella e ampia gonna di seta e gli posò le dita sul petto
coperto dalla corazza
di pelle intrecciata, come aveva fatto in un passato lontano.
“Potresti
essere migliore di così. Guardati attorno, Loki. Tutto
questo non serve e non
ti aiuterà,” disse, facendo scorrere i
polpastrelli delicati fin sulla mascella
virile e sbarbata, diritta e decisa.
L’ingannatore
sorrise a quella lusinga, resa più carezzevole dalla voce
dolce di lei, dal suo
tocco gentile e lieve, ma non privo di un’insidia celata,
anzi, di molte. Gli
aveva sfilato un pugnale dalla bandoliera e ora tentava di trafiggerlo,
di colpirlo
al fianco.
La
disarmò con un gesto rapido e fulmineo, afferrandola per i
polsi sottili. “Non
sei mia prigioniera. Sei pazza. Totalmente. Sei
rinchiusa qui perché è
l’unico modo per controllare che tu non ti faccia del male.
Non sono io la
causa della tua condizione, ma quello che ti sei fatta.”
Sigyn,
pallida in volto, tentò di fuggire, di indietreggiare, di non
ascoltare.
Le
tremarono le labbra, distolse lo sguardo. “Tu
menti.”
Loki
sapeva che le avrebbe risposto in quel modo. Le aveva fatto quello
stesso
discorso così tante volte da perdere il conto, da
convincersi che fosse inutile
raccontarle ancora ciò che era stato e quello che lei era
diventata.
Un
giorno entrava nella torre e si trovava di fronte una bambina svagata
che gli
offriva una tazza vuota di tè, quello dopo era una donna che
lo fissava
impaurita e non riconosceva né lui né se stessa,
un altro ancora era la sua
Sigyn, innamorata e divertente, ma durava sempre troppo poco
– un pomeriggio o
un’ora.
Allora
non lo accusava di essere sua prigioniera, ma gli buttava le braccia al
collo e
si metteva in punta di piedi per cercargli le labbra e donargli un
bacio
intenso o leggero. Poi, gli accarezzava la corazza di pelle
intrecciata, gli
sfilava la bandoliera con la sicurezza di quand’era ancora la
sua amante. Solo
che dopo non facevano l’amore come in passato,
perché quella Sigyn non era che
un’ombra di ciò che era stata e non era in
sé. Il giorno dopo – un’ora dopo,
nello stesso momento in cui era dentro di lei – avrebbe
potuto precipitare
nell’ennesima voragine di follia e accusarlo di usarle
violenza.
L’unica
certezza era che più assomigliava alla perduta dea della
fedeltà, più non
riusciva a starle accanto.
“La
cosa peggiore è quando sei così; simile a quello
che eri,” concluse con voce
fredda, liberandole finalmente i polsi che tante volte aveva
intrappolato nei
momenti dell’amore, quando la bloccava per sentirla inarcarsi
sotto le sue
spinte o a causa delle carezze sfacciate con cui le tormentava i seni
– labbra
sulle punte sensibili, sulla pelle morbida e delicata.
Fece
per voltarsi e uscire una volta per tutte da quella stanza, ma si
bloccò.
“Loki,
aspetta.”
La
vide mettere in un vaso di peltro la bella rosa bianca, lisciarsi la
gonna.
Riconobbe che era tesa e stava cercando di dirgli qualcosa. La
osservò
sfiorarsi una tempia, disorientata. Pregò le Norne
affinché non tornasse.
“A
volte mi sembra, effettivamente, di non essere me stessa. Di non
ricordare il
passato. Sono successe delle cose, ma non riesco ad
afferrarle,” mormorò,
avvicinandosi. “Forse hai ragione, forse stai cercando di
proteggermi, in
qualche maniera.” Assottigliò gli occhi, cercando
di recuperare ciò che le
sfuggiva. “Noi due eravamo più che amici, dico
bene? Tu non mi faresti mai del
male.”
A
volte, si chiedeva se Sigyn soffrisse. Dove fosse la vera lei, se
avesse
coscienza dell’infinito tormento in cui era precipitata,
probabilmente, per
colpa sua. Freya lo accusava di non essere pietoso. Di non
saper rinunciare
a niente, di non voler accettare che la mente della sfortunata ragazza
si era
persa irrimediabilmente. Aveva senz’altro ragione in tutto,
il dio dell’inganno
ne era cosciente, ma un pomeriggio in cui era rimasta se stessa
più a lungo del
previsto, Sigyn aveva ricordato ed era stata quasi sul punto di
raccontargli
come fosse giunta fino a lì, cosa l’avesse
spezzata, ma poi aveva scosso la
testa e si era coperta la bocca con le mani, confessandogli con voce
rotta che
lo avrebbe amato per sempre, ma non si pentiva di nulla, di niente. Un
battito
di ciglia più tardi, raccontava filastrocche e serviva il
tè a un animale di
pezza.
Lo
sguardo smarrito e le lacrime che le avevano bagnato gli occhi fino a
un
momento prima, avevano convinto l’Ase che fosse successo
davvero qualcosa
terribile, che andava corretto, raddrizzato, cambiato. Per questo si
era
rivolto a Hela. Eppure, ogni tentativo di tornare indietro nel tempo e
capire
cosa avesse determinato la follia di Sigyn si era rivelato
nient’altro che un
buco nell’acqua che aggiungeva solo dolore a dolore.
La
dea della fedeltà avrebbe saputo cosa fare, in una simile
situazione. L’aveva
raccolto quando, ammaccato e ferito, col petto gonfio d’ira e
di tormento,
aveva giurato vendetta contro Odino e Asgard, ma
l’ingannatore non era un uomo
in grado di prendersi cura di una donna in una simile condizione. Non
aveva la
pazienza, la capacità, la tenacia di starle accanto. Non
riusciva a essere
gentile e a parlarle di un passato che lei, a ogni buon conto,
ricordava, distorceva,
non capiva o rifiutava in toto.
Loki era uno stratega, un politico, un mago, un guerriero. Era nato per
essere
re e per mutare la sorte a suo piacimento, non per prendere le mani di
una
ragazza senza senno e insegnarle a essere di nuovo se stessa.
Era
successo qualcosa e la dea della fedeltà aveva dimenticato
non lui, ma di
averlo amato. Avrebbe dovuto lasciare che trascorresse il resto della
sua
misera esistenza in quella torre, a cantare e a farsi le trecce, a
tentare
d’uscire quando pensava di essere trattenuta ingiustamente,
ad aspettarlo
quando ricordava il suo nome. Se lo riprometteva ogni volta –
in fondo, era un
principe spietato e crudele, ma, di tanto in tanto, tornava da lei,
perché
dentro di sé, pur non avendone alcuna reale conferma, era
consapevole di essere
responsabile della sua triste sorte. E doveva aggiustare le cose.
I re,
in fondo, questo fanno: si assumono la responsabilità delle
loro scelte e non
solo.
L’aveva
maledetta mille volte, per la sua avventatezza. L’aveva
maledetta quando
sfogava con altre donne il bisogno di sentirsi vivo, portandosele a
letto nel
vano tentativo di non desiderarla più, ma
l’illusione non reggeva,
sgretolandosi sotto le sue dita. Le cacciava via subito dopo averle
avute,
incapace di sostenere il loro sguardo oltre il dovuto, nauseato.
Abitudine che,
in fondo, aveva sempre avuto – detestava le smancerie
– ma che, pure, aveva
ricusato per la sola con cui si era trattenuto fino all’alba,
che aveva
lasciato a crogiolarsi tra le coperte, nuda e sua. Cos’aveva
di speciale, lei?
Perché era arrivato al punto da concederle così
tanto, per quale ragione ne
aveva fatto la sua amante lasciandole, suo malgrado, la vittoria di
essere, in
qualche modo disturbante e doloroso assieme, l’unica?
Ti
odio, Sigyn. Più di ogni altra cosa al mondo.
Cos’aveva
lei? Era intelligente, vivace, dolce. Soprattutto dolce; un balsamo
sulle
proprie ferite che rideva alle sue battute, lo rimproverava quando gli
scherzi
in cui si dilettava erano troppo crudeli, accettava la sua natura
contorta,
ambigua, doppia fino allo stremo. Sapeva chi era e, nonostante tutto,
lo amava
fieramente. Loki lo sapeva – ne aveva avuto contezza con quel
ritratto antico e
con molte altre cose, ma, nondimeno, aveva scelto di darla per
scontata,
profittando del suo amore, cercandola ogni volta che la desiderava,
illudendosi
di avere il suo cuore. Era sua e gli bastava, ma, ora che
l’aveva persa, la
inseguiva, la rivoleva accanto a sé.
♥
“Questa
è l’ultima volta che ci vedremo. O meglio,
tornerò indietro e tenterò di
impedire che tu ti riduca così.”
Lei
era a terra, seduta a gambe incrociate sul tappeto, i bei capelli
sciolti sulle
spalle.
“Un’avventura?”
“Un’avventura,
sì.” Si sedette stancamente sul letto ordinato,
diede la consueta occhiata in
giro soffermandosi su ogni oggetto che raccontasse le giornate sempre
uguali
della sua prigioniera. Non c’era niente di acuminato con cui
potesse ferirsi o
tentare di scappare. Una preoccupazione in meno per lui, che non
avrebbe più
dovuto ammazzare chi pensava di poterla usare come una bambola solo
perché era
totalmente pazza. Una notte lontana, ansante e con la spada ancora
sguainata e
macchiata di rosso tra le mani, era entrato nella torre e aveva pensato
di
porre fine a quella maledizione liberando lei e se stesso.
L’aveva trovata
placidamente addormentata, ignara di tutto, con le gambe al petto e la
bocca
schiusa e si era messo a pensare che non c’era bisogno di
usare su di lei la
lama di un pugnale: sarebbe bastato un cuscino e se ne sarebbe andata
nel sonno
– se n’era già andata da tempo, in
verità, Loki lo sapeva. Non riusciva ad
accettarlo e si illudeva di poter inventare una menzogna abbastanza
grande da
ignorare un simile dettaglio, ma, nel suo petto, nella parte
più profonda della
sua anima, sapeva già di averla persa. Non c’era
riuscito, ovviamente. Si era
sentito indegno di un pensiero tanto meschino e disgustoso,
perché spaccare la
testa a un uomo che pesava quanto lui e si era comportato come un
vigliacco
bastardo o uccidere con un solo colpo un nemico in battaglia, non era
uguale a
soffocare nel sonno la donna che non riusciva a dimenticare.
“Sei
bello. Hai degli occhi bellissimi,” disse Sigyn.
“Mi piaci,” decise. Gli rivolse
un sorriso che apparteneva a una ragazza che non c’era
più e si avvicinò per
sfiorargli dolcemente la guancia. L’Ase sussultò,
perché quel tocco era come
fuoco e svegliava desideri sopiti, alimentava il caos soffocato dalla
lucida razionalità
che lo animava.
“Ti
detesto e ti maledico,” le disse tra i denti. “Non
dovevi ridurti così. È stato
un prezzo troppo alto, da pagare.” Le bloccò la
mano sottile, tenne tra le sue
dita quelle delicate di lei. Le strinse.
La
ragazza sbatté le palpebre, interdetta dalla freddezza delle
sue parole, così
in contrasto col suo tocco. “Sei triste. Ho fatto qualcosa
che non va? Non mi
vuoi più bene, per questo?”
Loki
scosse la testa in segno di diniego.
“È
l’ultima volta, Sigyn.”
Ti
odio perché te ne sei andata, non sei più tu.
È rimasto un guscio vuoto e poco
altro – bugia, ci sei ancora, da qualche parte.
|
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Capitolo 2 *** La maga ***
Capitolo 2
La maga
Then I open
up and see
The person falling here is me
A different way to be
I want more
Impossible to ignore
Impossible to ignore
They'll
come true
Impossible not to do
Impossible not to do
(Dreams,
The Cranberries)
Loki
aveva rivissuto la sera in cui si era festeggiata la battaglia di
Nornheim così
tante volte da perderne il conto. Conosceva a memoria ogni battuta,
discorso o
insignificante evento di quel banchetto che si distingueva dagli altri
per il
fatto che lì, solo in quel punto della sua storia, si
nascondeva la
motivazione, il segreto che aveva spinto Sigyn a essere così
sciocca e avventata
da sacrificare se stessa. In verità, non avrebbe dovuto
stupirsi più di tanto.
Era la dea della fedeltà come lui lo era
dell’inganno. Aveva scelto di seguire
la propria natura in virtù di quel suo delicato e dolce
orgoglio che
gliel’aveva fatta preferire tra tutte.
Qualsiasi
cosa facesse, in qualunque modo tentasse di fermarla, Sigyn, quella
notte,
s’innamorava di lui, anzi, di più: capiva di
amarlo e lo accettava. Ecco il
punto, il disastroso momento in cui il destino prendeva la piega che,
ormai,
l’Ase conosceva fin troppo a fondo. Lei diventava la sua
donna, nonostante il
biasimo di due interi regni. Poi, certo, lo avrebbe lasciato,
esasperata
dall’ambizione, profonda come una voragine nera, che lo
abitava, per poi piangerlo
fino a consumarsi gli occhi quando lui si sarebbe fatto inghiottire dal
buio
siderale oltre il Bifrost, ma quella sera, guardandosi allo specchio,
Sigyn
avrebbe riconosciuto il viso e lo sguardo brillante di una donna
inevitabilmente innamorata.
Non
c’era
variante che Loki non avesse mutato, ma ora, nell’ultimo
viaggio attraverso il
tempo che aveva scelto di intraprendere, coperto da un mantello con il
cappuccio che gli copriva il volto, si limitò a fare da
spettatore muto, osservando,
per l’ennesima volta, ogni dettaglio di quel preciso momento:
un privilegio
che, più tardi, avrebbe pagato a caro prezzo, ma per tornare
nella Asgard che
aveva ricostruito e cancellare, definitivamente, il retaggio del
passato,
avrebbe fatto qualsiasi cosa. Una goccia gli cadde
sulla punta degli
stivali immacolati, un’altra sul pavimento di legno della
sala. Si sfiorò la
punta del naso accorgendosi di avere le dita macchiate di sangue
scarlatto.
Ogni volta che recitava le rune proibite che gli permettevano di
sfidare il tempo,
il suo corpo soffriva, corroso dal seiðr e dal potere
sfibrante.
Thor
aveva ragione. Si era scelto una prigione terribile, sottostava a
torture
spaventose.
Sigyn
– quella di un tempo, perduta, probabilmente, per sempre
– gli passò accanto senza
vederlo, sorridente e allegra: una nuvola di seta chiara e bracciali
tintinnanti che rivolgeva un ultimo sguardo a lui, per le Norne, al
Loki
sprezzante e fiero di quel tempo che, nello stesso momento, buttava il
capo
all’indietro per ingollare l’ultimo sorso del
pregiato idromele regalato dai
Nani a Odino in persona.
Il
dio dell’inganno si fissò nella mente ogni
particolare della scena, riflettendo
su quanto pesasse sulle sue spalle la conoscenza del futuro, su quanto
fosse
ingiusto cogliere i semi del dolore che li avrebbe attesi.
Lei,
che sarebbe arrivata persino a inginocchiarsi al cospetto di Odino
sfiorando
con la fronte il pavimento, per avere la possibilità di
poter scendere, anche
solo per un’ora, nelle buie celle di Asgard dove lui era
stato rinchiuso,
sorrideva innamorata e soddisfatta, inconsapevole della follia che, di
lì a non
molto, l’avrebbe resa pazza.
Quante
ore era rimasta, immobile, in attesa che Padre Tutto, irato e crudele
come il
re spietato che era stato, acconsentisse ad ascoltarla, di
più, ad accordarle
il permesso di vederlo?
Lui e
Sigyn non avevano fatto altro che rimanere rinchiusi in una trappola,
un
cerchio perenne che li portava sempre allo stesso, terribile,
risultato: lei
pronunciava un terribile quanto ignoto incantesimo e perdeva per sempre
la
ragione, lui non riusciva a impedirglielo.
Hela,
ritrosa e infinitamente sapiente, gli aveva mostrato il lato infantile
del suo
volto spaventoso, quando si era decisa a spiegare perché il
fato tessuto dalle
Norne fosse un insieme di bivi differenti che conducevano,
però, alla medesima
fine. Solo che Loki non l’aveva accettato. Si era rifiutato
di sottostare
all’idea che non esistessero scappatoie né
sotterfugi, che il destino non
potesse essere mutato anche lì, nell’inevitabile
fine. Occorreva solo trovare
il sentiero adatto e avere pazienza, la stessa dimostrata quando, poco
più che
ragazzo, aveva scoperto i sentieri che partivano da Asgard e portavano
ad altri
mondi, sostituti del Bifrost ignoti a tutti, portali che era possibile
attraversare senza farsi intercettare dallo sguardo color oro di
Heimdall. Era
stato attraverso uno di quelli che i Giganti di Ghiaccio erano
penetrati nella
Casa di Odino, rovinando l’incoronazione di Thor e segnando,
per sempre, il
futuro degli Æsir e il suo. Facendosi forza, si decise a
visitare, di nuovo, un
altro momento del proprio passato, uno che, forse, celava in
sé anche un altro
segreto.
.
♥
La
prigionia sfiancava Loki. Gli toglieva la ragione, il sonno, il
respiro,
persino. Non c’era nemmeno abbastanza spazio per pensare.
Godeva dell’assurdo e
ironico privilegio di una cella regale, a misura della sua persona,
abbellita con
mobili e libri: tutta una serie di ipocrite comodità che
accettava, ma verso
cui provava uno sprezzo senza pari. Stavolta, però, aveva
deciso di
intervenire. Di parlarle, di estorcere dalle labbra morbide di lei il
segreto
che, nel presente, era intrappolato nella sua testa svagata, nella
memoria
ormai fallace. Ecco perché acconsentì a entrare
nel perimetro sorvegliato e arredato
con attenzione. L’attese fin quando non la vide avanzare
verso il vetro della
cella. Reggeva un vassoio.
“Tua
madre mi ha chiesto di portarti una zuppa.”
“E tu
le sei molto devota, vedo.”
“È
preoccupata, lo siamo tutti.”
Loki
inclinò il capo di lato. “Anche tu? Eri in pena
per me?” le chiese, mellifluo e
crudele.
Sapeva
già cosa gli avrebbe risposto Sigyn. Abbassando le ciglia
scure, si sarebbe
fatta coraggio, ammettendo che il tempo e i racconti delle sue gesta
sconsiderate e spietate l’avevano rattristata profondamente,
ma che non erano
riuscite a mutare in alcun modo i suoi sentimenti.
Gli
avrebbe detto che lo amava, Loki lo sapeva, come ricordava
perfettamente di
averla derisa per la sua granitica fermezza. Colpa del rancore che gli
anneriva
lo spirito, della necessità di non avere legami
né di rimpiangere una relazione
in cui era rimasto invischiato suo malgrado, senza quasi rendersene
conto.
Iniziata perché Sigyn gli aveva chiesto, un pomeriggio
lontano, di aiutarla a
tradurre un passo di un poema antico che lei amava e su cui si
lambiccava da
settimane.
“Che
mi darai in cambio, mia signora?” le aveva domandato beffardo
e lei, seria e
altera, non si era scomposta a tale richiesta, reputando che la
conoscenza
valeva una concessione. Incuriosito e ammirato da quella sete di sapere
ben
nota, Loki le aveva chiesto di trascorrere un’ora insieme, da
soli.
Sigyn
aveva accettato, a patto, però, di scegliere il posto: le
rive del lago, che,
anticamente, erano parte del fiordo immenso su cui si affacciava
Asgard. L’Ase
l’aveva trovata una scelta interessante,
sebbene non originale.
“Qui
vengono le coppie d’innamorati a baciarsi sotto la luna;
c’è una grotta, poco
più avanti, dove Bor, mio nonno, fece scolpire nella roccia
una scala che
conduce a un’enorme caverna: lì, una lastra
trasparente, illuminata da torce
impossibili da spegnere, mostra cosa si nasconde sotto la superficie
dell’acqua.”
“Lo
so, la conosco,” aveva ribattuto lei con un sorriso appena
accennato sulle
labbra morbide e dolci. “Viene usata per impressionare le
ragazze.”
“E tu
vuoi essere impressionata, Sigyn? O sedotta?”
Lei
si era voltata verso le acque placide del lago. “Voglio
approfittare di una
serata tiepida mite e bella e chiacchierare in compagnia.”
Teneva i capelli
sciolti sulle spalle e un mantello di lana leggera le copriva la figura
sottile
e ben fatta.
Loki
aveva ammirato la massa dorata e spettinata dei suoi capelli.
“Domani diranno
che abbiamo una storia.”
Sigyn
si era girata verso di lui ridendo. “E noi li lasceremo
parlare, non è vero
Lingua d’Argento?”
Si
erano baciati contro la parete umida di roccia fiocamente rischiarata
dalle
lampade eterne, cercandosi con impazienza le labbra, stretti in un
abbraccio
convulso e nervoso, che saziava appena la voglia di toccarsi e
scoprirsi. Allo
scadere di quell’ora pattuita e concessa, si erano appartati
ridendo in quel
luogo banale e scontato, ritrovandosi a scambiare effusioni frettolose
e
intense, cariche di tutto lo strazio di un incontro negato, desiderato,
cercato, ma non soddisfatto, nonostante Sigyn gli avesse piantato le
unghie
nelle spalle e si fosse inarcata contro il suo corpo. Non sarebbero
diventati
amanti quella notte, nonostante il desiderio accecante. Lei avrebbe
preso a
negarsi a lungo, anteponendo ai loro incontri lo studio intenso delle
rune e
certi impegni diplomatici. Si sarebbe trasformata in una preda
incantevole e
ambita, ma difficile da catturare.
Di
fronte allo spettacolo sotterraneo e onirico di quel frammento di lago
visibile
da sottoterra, con le labbra ancora gonfie a causa dei baci che si
erano
scambiati, aveva sorriso facendogli una promessa strana ed eccitante al
tempo
stesso, capace di acuire i suoi sensi di cacciatore, di guerriero, di
orgoglioso
principe dei fieri Æsir.
“Non
cadrò ai tuoi piedi,” gli aveva detto.
Si
trattava di un ricordo lontano, molto più distante, nel
tempo, di quanto Sigyn
potesse immaginare. Loki Laufeyson vi si soffermò
assaporando in bocca il
sapore di fiele delle cose smarrite. Il se stesso cui si era sostituito
aveva
provato una fitta d’ira e di gelosia, all’idea di
averla persa. Ma quella Sigyn
era ancora riconquistabile, in qualche modo. Lo suggeriva lo sguardo
grigio e
umido, l’esitazione con cui aveva posato le dita delicate
sulle sue. Riconobbe
che si era trattato di un tocco leggero e carico di significati, si
chiese se
il giorno lontano dell’appuntamento al lago lei, con ancora
il sapore della sua
bocca sulle labbra, avesse preso un foglio per disegnare a memoria il
suo volto,
replicando con attenzione ogni particolare, caratteristica, aspetto.
Il
dio dell’inganno pensò a tutto queste cose e
ripeté la frase. “Eri in pena per
me.”
Nessuna
domanda, stavolta, ma solo una constatazione. Lei batté le
palpebre,
distogliendo solo per qualche momento lo sguardo da lui.
“Sono
sempre innamorata di te, Loki.”
L’Ase
sollevò il mento fiero, incrociò le mani dietro
la schiena diritta. Le avrebbe
risposto diversamente, stavolta. Se non poteva mutare il destino,
sarebbe
riuscito a scoprire l’incantesimo segreto che
l’aveva distrutta. La cicatrice
che gli segnava il collo prudeva, forse per il contatto tra la pelle
rimarginata e il collo della casacca.
“Cos’hai
fatto alla mano, Sigyn?”
La
ragazza si allontanò di scatto, nascondendo rapida le dita
sotto una piega del
mantello scuro che indossava. Era una domanda retorica, quella del dio
degli
inganni; era perfettamente a conoscenza di cosa le fosse successo e
perché, ma
desiderava sapere se lei gli avrebbe raccontato la verità o
una menzogna.
“Non
chiedermelo,” soffiò. “È
passato.”
Loki
scosse la testa, senza camuffare il ghigno sardonico che avevano
assunto le sue
labbra furbe. Non era una questione archiviata,
nient’affatto. Avrebbe avuto
ripercussioni sul futuro, perché quella mano stretta da una
fasciatura candida
nascondeva il segreto di un incantesimo terribile, uno che Sigyn aveva
pronunciato per lui. Per trovarlo. Per rintracciare
la sua firma dopo
che lo avevano creduto morto, dando così modo a Odino di
liberare tanta parte
di materia oscura da mandare Thor su Midgard.
Rinchiuso in quella stessa cella, si era ripromesso che non
l’avrebbe mai
perdonata per una simile leggerezza, salvo poi ricredersi quando, dopo
Thanos, gli
era venuto il ragionevole sospetto che lei avesse sacrificato la
ragione per
lui. Per tentare di rintracciarlo di nuovo, magari.
“Com’è
andata, mia dolcissima dea della fedeltà?”
Sigyn
non rispose. Non era tenuta a farlo, del resto. A entrambi tornarono in
mente
alcuni lunghi e bui pomeriggi d’inverno, certe serate fredde
passate insieme a
rotolarsi nel letto. La voce arrochita di Loki era stata volutamente
suadente.
“Sei
un’abile strega,” ricordò. “Ma
che prezzo hai pagato, per trovarmi?”
“Devo
andare.” La donna si voltò verso
l’uscita della cella, ma Loki
l’intrappolò,
bloccandole con un braccio il varco. Le due guardie che sorvegliavano
pigramente le segrete di Asgard scattarono verso il vetro della
prigione,
terrorizzate all’idea che l’ingannatore potesse
prendere in ostaggio Sigyn o
approfittare del momento per fuggire.
“So
cos’hai fatto stavolta,” le
rivelò rapido, a denti stretti. “Hai recitato
una formula pericolosissima e hai posato la mano sul braciere,
lasciando che
bruciasse, perché il prezzo da pagare per ritrovarmi era
quello – le tue
lacrime mute per una posizione rivelata.” Scoprì i
denti, soddisfatto dalle
guance di Sigyn che perdevano colore, dalle sue spalle scosse da un
tremito a
stento trattenuto, ma riprese a parlare. Era un uomo spietato, del
resto. “Perché
lo hai fatto? Come hai potuto?” le soffiò contro.
I
secondini avevano ormai varcato l’ingresso della gabbia e gli
puntavano incerte
le lance contro.
Sigyn
uscì dalla prigione, la mano ancora nascosta sotto le pieghe
del mantello, ma
si voltò di nuovo verso di lui. L’ultima domanda
del dio dell’inganno l’aveva
colpita. C’era qualcosa di stonato, nella rabbia di Loki.
Parlava come se
avesse il cuore avvelenato dal rimpianto, dalla nostalgia, dalla
disperazione.
La guardava come si osserva un fantasma, ma il principe degli
Æsir non era un
uomo che si arrendeva facilmente. Dal suo analitico e tagliente punto
di vista,
persino la prigionia poteva rappresentare
un’opportunità interessante. Quando
era stato riportato in catene ad Asgard, da Thor, sotto il bavaglio di
ferro
che doveva tenere a freno la sua lingua sardonica c’era
dipinto un sorriso.
Quel ghigno lei lo aveva visto, Loki lo sapeva. Niente poteva essere
perso
davvero, se si era dotati della mente svelta del migliore mago di
Asgard, del
più brillante stratega dei Nove Regni. I fallimenti erano
opportunità, per chi
sapeva fare tesoro della mole di informazioni che racchiudevano.
“Indossavi
abiti chiari, una volta,” notò Loki oltre il
vetro, con voce distante, ma
carica di rammarico. Circondata dalle guardie, Sigyn abbassò
lo sguardo sul
corsetto nero e aderente, sulla gonna ampia e leggera, del medesimo
colore, che
le scivolava sulle gambe. Lei lo ricordava. Ma un giorno più
triste degli
altri, di fronte ad uno specchio, si era accorta che il mondo non aveva
più
colori, e allora aveva strappato i suoi capelli e si era stretta in un
lutto
serrato.
“Questi
toni mi si addicono di più, adesso.”
“Eri
in lutto per me?”
“Non
m’importa averti accanto o saperti al mio fianco. Non sei il
tipo d’uomo che
può accontentarsi di vivere con una donna e avere una
famiglia,” spiegò la dea
della fedeltà arcuando appena le labbra in un sorriso triste
– forse,
dopotutto, era esattamente questo che lei avrebbe voluto, da lui. Lo
amava, in
fondo, anche se erano state proprio la sete di libertà e la
crudele spavalderia
che non le aveva mai nascosto, a stregarla. “Posso vivere
sapendoti lontano,
amore mio, ma devo avere la certezza che tu stia bene. Da te, non
desidero
altro.”
Aveva
lasciato che la sua pelle bruciasse, per lui.
Era
una dichiarazione d’amore generosa, spiazzante, totale. Che
non chiedeva
niente, anzi, donava e, per questo, era più difficile da
accettare.
Loki
si avvicinò al vetro della cella arrivando quasi a sfiorarlo
con il naso.
“Cosa
saresti disposta a fare, qual è l’incantesimo
peggiore, il più spaventoso che
riusciresti a recitare, per me?”
|
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Capitolo 3 *** Sotto il velo ***
Capitolo 3
Sotto il velo
If
it takes forever I will wait
for you
For a thousand summers I will wait for you
Till you're back beside me, till I'm holding you
Till I hear you sigh here in my arms
Anywhere
you wander, anywhere you
go
Every day remember how I love you so
In your heart believe what in my heart I know
That forevermore I'll wait for you
The
clock will tick away the hours
one by one
Then the time will come when all the waiting's done
The time when you return and find me here and run
Straight to my waiting arms
(Connie
Francis, I will wait for
you)
Il
dio dell’inganno era tornato indietro nel tempo
così tante volte da perderne il
conto. Aveva studiato ogni possibile variante, ipotesi, coincidenza,
per poi
mutarla e osservarne gli effetti, scoprendo, così, gli
inganni nascosti nelle
varie linee del tempo. Da qualche parte, le Norne, ironiche e
impietose, dovevano
aver sorriso, osservando i suoi tentativi di rintracciare col
seiðr il nodo
giusto. Alla fine, però, era riuscito a scoprire quel
segreto che lo tormentava.
Finalmente
aveva il nome dell’incantesimo recitato da Sigyn sulle
labbra. Eppure il suo trionfo
era amaro, sapeva di fiele: si ritrovò a pensare a una
triste coincidenza. Lui,
il dio dell’inganno, doveva pagare sempre sulla propria pelle
il peso atroce e
terribile della verità nella sua forma più cruda
e spietata, come quando le sue
origini erano saltate brutalmente fuori, incrinando per sempre ogni
certezza,
infiammando fino all’esasperazione il suo innato cinismo. In
fondo, la
menzogna, alle volte, non è altro che un dolce velo che
copre gli orrori e le
brutture di una realtà amara, sporca, ignobile.
Questo
è l’ultimo viaggio che intraprenderò
per ritrovarti, perché sfidare il tempo è
rischioso, debilitante, doloroso, persino.
Chiuse
un momento le palpebre, tentando di scacciare via i pensieri cupi che
gli
serravano la testa. Non era più così sicuro che
sarebbe riuscito a portare a
termine la sua missione disperata. Una parte di Loki, quella di mago,
era
ammirata dal talento dimostrato da Sigyn nell’uso del
seiðr, ma un’altra
valutava con occhio critico gli effetti che una magia troppo potente
aveva
avuto sul fisico esile e sulla mente sveglia della giovane strega. Gli
rimaneva
una sola domanda a cui dare una risposta plausibile e soddisfacente: perché.
La
conoscenza era una fonte di liberazione, ma il suo peso era gravoso.
Apriva lo
spiraglio su altre considerazioni che la mente lucida
dell’ingannatore non
poteva ignorare o far finta di non considerare. Con la testa
febbrilmente
immersa in un mare di sospetti e illazioni, decise di porre fine a
quella
ricerca sfiancante e senza fine, domandandolo all’unica
creatura a conoscenza
di tutto, la sola che si era detta disposta a stringere con lui un
patto, un
accordo: Hela, la signora dei morti. Deglutendo e senza conoscere
ancora quale
fosse il tassello mancante più importante di tutti, si
domandò se l’avrebbe
convinta un’ultima volta.
♥
I
ricordi, a volte, sono una tortura dolorosa, specie se dolci. Per gli
Æsir,
incapaci di dimenticare – di perdonare
– questo era ancora più vero.
Ecco perché, avvolto nel suo mantello color notte, Loki si
ritrovò a pensare
con risentimento a una delle innumerevoli sere passate con lei, ormai
lontane
nel tempo e nello spazio, introvabili se non nella propria memoria.
Sigyn
era sdraiata sul suo letto, nuda, con i capelli biondi sciolti sulla
schiena. La
luce calda delle fiamme che crepitavano nel caminetto le illuminava la
pelle
dorata, esaltando le forme delicate e sinuose dei fianchi e della
schiena. Si puntellava
sui gomiti, tormentandosi con i polpastrelli un labbro – lo
stesso che Loki,
pochi minuti prima, aveva assaporato con una serie di lunghi baci ora
lenti e
perfidi, ora avidi e sfrontati. Davanti a lei, giaceva aperto lo scopo
della
sua visita notturna, tramutatasi invariabilmente in altro: un tomo che
il dio
degli inganni aveva opportunamente sottratto alla biblioteca di Odino e
che
ancora non aveva intenzione di rendere. Si era messa a sfogliare le
pagine in
cerca di chissà che formula, porgendogli domande, facendo
considerazioni argute,
discutendo con lui di teorie e congetture. Era
un’interlocutrice acuta e
brillante, del resto.
Loki,
steso accanto a lei, si deliziava per il modo inconsapevolmente
sensuale con
cui Sigyn arricciava leggermente la bocca quando rifletteva su qualche
concetto
astruso, ammirando la grazia delicata con cui piegava le gambe e le
incrociava.
L’ingannatore spiegava, annuiva, concordava, correggeva,
ascoltava e, nel far
questo, finiva inevitabilmente per carezzarle distrattamente la pelle
levigata
e morbida finché, fintamente offeso del fatto che lei
concentrasse le sue attenzioni
principalmente sul libro e non su di lui, non aveva iniziato la sua
spietata
rappresaglia, posando la bocca ironica e beffarda sulle curve dolci e
rotonde
di cui non si era ancora saziato. Sigyn aveva riso, quando lui si era
avventato
sui suoi fianchi, non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire un
sospiro
basso, mentre la lingua bugiarda dell’Ase giungeva a
sfiorarle la schiena
sensibile ed esposta, aveva smesso totalmente di dedicarsi al libro,
nel
momento in cui Loki era riuscito a raggiungere i seni piccoli e sodi e
il
collo. L’Ase l’aveva sentita vibrare e tendersi,
nonostante fosse intrappolata
sotto di lui e, di nuovo, l’aveva desiderata con forza
nonostante fino a pochi
istanti prima parlassero di tutt’altro. Certo, già
allora il loro rapporto era
stato guastato da incomprensioni e litigi, ma la strega era sempre
stata una
conquista troppo difficile e ambita per lasciarsela scappare a causa di
un
inutile fraintendimento circa il suo non rapporto
con Sif o con altre. L’aveva
voltata con un gesto deciso per ammirarne ancora il corpo snello e ben
fatto,
sfiorare e saggiare le labbra dolci e morbide, che rispondevano ai suoi
baci
tentando e concedendo, negando e offrendo. Sigyn.
Lei gli
aveva sfiorato il volto con le mani delicate, era arrivata a cingergli
il collo
attirandolo ancora più vicino a sé e il libro era
stato presto dimenticato,
rimanendo l’unico testimone dei loro sospiri rotti,
frenetici, mescolati.
Avrebbe
dovuto rintracciare in quelle antiche notti di passione trascorse a
rotolarsi
nel letto con lei, il seme della tragica sete di sapere che sarebbe
stata
capace di condurla alla follia? O individuare allora la misura di
ciò che Sigyn
avrebbe, un giorno, immolato in nome di una relazione sconsiderata,
criticata
da tutta Asgard?
Scoprire
la verità in ogni sua forma richiedeva il pagamento di un
prezzo esoso. Sigyn
aveva recitato un incantesimo proibito, mentre lui era impegnato a
combattere
Thanos. Lo aveva fatto per tutelarlo, vinta dal timore di perderlo. Si
trattava
di un baratto nero, oscuro, difficile da stipulare, ma la dea della
fedeltà era
una maga abile e perseverante: aveva sopperito alla forza con
l’abilità e la
pazienza. Tra gli effetti collaterali connessi a quella particolare
formula,
c’era l’insorgere di una possibile demenza, sebbene
non nelle forme
imprevedibili e schizoidi manifestate da Sigyn. Si era trattato di un
sacrificio dettato da un eccesso di zelo, dalla paura annichilente che
il
Titano incuteva in ogni creatura dell’universo, lei compresa.
In poche parole,
aveva cercato inutilmente di proteggerlo.
Sì,
doveva essere andata così.
La
ragazza aveva saputo della vendetta di cui Thanos era in cerca;
probabilmente,
non gli era servito altro per agire. Loki emise dei lunghi respiri,
lenti e
profondi: era stato torturato a lungo dal folle conquistatore. Per
giorni,
anzi, settimane intere. Un incubo da cui era riuscito a fuggire a
stento: lo
avevano ritrovato a vagare per le spiagge che circondavano la nuova
Asgard
ricostruita in preda al delirio, febbricitante, ferito. Aveva impiegato
mesi a
riprendersi completamente. Le sofferenze patite durante la prigionia
erano
state tante e tali che la sua mente si era incastrata, rammentando
dettagli
sparsi, niente di più. Particolari agghiaccianti che lo
sorprendevano nel cuore
della notte, facendogli sbarrare gli occhi nel buio, dolorosi come lame
affondate nella carne e poi girate. Un senso d’oppressione lo
avvolse, ma lo
ignorò.
♥
Il regno di
Hela era oltre un fiume dalle acque scure e torbide: in esse si
potevano vedere
gli spiriti dei dannati che gemevano disperati, trasportati dai flutti;
Loki
attraversò il ponte di pietra che univa le due rive e
gettò un’occhiata
sprezzante alle anime perse nel loro annaspare. Lamentandosi, esse
tendevano le
loro braccia bianche verso la superficie, mentre mulinelli arcani le
trascinavano nel fondo. Il dio degli inganni pensò che
l’angosciante scena gli
ricordava Sigyn: esattamente come i resti incorporei trascinati dalle
onde,
soffriva persa in un gorgo da cui lui, che pure era il potente dio
degli
inganni, non riusciva a trarla fuori. Quante notti insonni aveva
passato consultando
i libri faticosamente racimolati in lungo e in largo per i Nove Regni
dopo la
distruzione di Asgard? L’antica sapienza degli Æsir
era andata
irrimediabilmente perduta nel rogo immenso generato da Surtur e Loki
aveva
tentato di recuperarla con tutte le sue forze, in cerca
com’era di un modo per
annullare o mitigare gli effetti di quell’incantesimo. Aveva
sempre creduto di
essere uno dei più potenti maestri di magia di tutti i Nove
Regni –
dell’universo intero – ma, alla fine, non gli era
rimasto altro da fare che
scendere in Helheim,
per avere una possibilità, una soltanto, di riavere al suo
fianco la sfrontata
e curiosa strega che gli aveva promesso una fedeltà eterna
senza pretendere
nulla in cambio. A lui, Loki di Asgard, che a quel tipo di amore non
aveva mai
creduto, pur ritrovandosi, suo malgrado, ad attraversare il tempo e a
visitare
il regno dei morti, per lei.
Si disse che la
soddisfazione non era nella sua natura; non poteva accettare di aver
fallito e
di non essere in grado di salvarla dall’abisso in cui si era
volutamente
gettata. Convincendosi di questo serrò la mascella e
proseguì diritto oltre il
ponte, augurandosi che Hela gli mostrasse la metà rosea del
suo volto.
Il Regno dei
Morti era avvolto da una coltre fitta e pesante di nebbia. Con passi
alteri e
uno sguardo particolarmente guardingo, Loki Odinson
s’incamminò attraverso quel
velo denso, oltre cui intravide le anime dei dannati scrutarlo con i
loro occhi
ciechi e forse maligni. Gli parve che tra le orbite vuote e nere ci
fosse persino
qualcuna delle sue numerose vittime, ma lui era il dio degli inganni,
il principe
di Jotunheim e di Asgard; qualunque morte avesse inflitto nel corso
della sua
giovane vita di Ase, non provava alcun rimpianto. Gli inorgogliva il
petto,
anzi, che quegli sguardi senza tempo si posassero su di lui. Le ombre
non
intravidero nulla del sottile compiacimento del fiero guerriero,
perché Loki
volle arrivare al cospetto di Hela con la sua faccia più
impassibile. Era
furba, lei. E, sebbene lo adorasse, non avrebbe concesso invano i suoi
favori.
Era per la sua mente brillante e la scaltrezza che Odino
l’aveva resa signora
assoluta di quel posto.
Il castello di
Helheim sbucò dal nulla, all’improvviso: la soglia
era vastissima, affinché le
anime potessero entrarvi in gran numero; le torri bronzee,
innaturalmente alte,
svettavano su un cielo plumbeo e perennemente coperto.
L’ingannatore rivolse
un’occhiata alle guglie decorate con cupi mostri alati e poi,
con passo
elegante, varcò il pesante portone.
Hela
l’aspettava. Glielo lesse nei suoi occhi, verdi come i
propri. Assisa sul suo
trono ricoperto di drappi neri, con le ciocche corvine che le coprivano
parzialmente il viso, tamburellava con le dita sottili sul bracciolo
del suo
scranno color pece.
“Loki
di
Asgard, ti aspettavo già da molte ore” disse,
rivolgendogli il suo lato di
ragazza.
“Allora
perdona
il mio ritardo, nobile signora. Ho viaggiato attraverso il tempo troppo
a
lungo, ma non invano,” spiegò con un sorriso
tirato, memore del loro primo
incontro. “Ho il nome, finalmente. E tu sai
cosa ti chiederò, adesso.”
Hela
inclinò
leggermente il capo, rivelando ancora più del viso
bellissimo. “Hai viaggiato molto,
dio degli inganni, lo so. Così tanto da
sapere che la trama filata dalle
Norne non sempre si può disfare. In qualunque linea
temporale esistente, lei
pronuncerà l’incantesimo e perderà la
sua mente,” sentenziò. “Ora lo
sai.”
“L’ho
scoperto
a mie spese, sì,” ammise Loki, avvicinandosi a
passi lenti al trono. “Grazie al
tuo suggerimento l’ho sperimentato in tutte le sue
varianti.”
Si
rese lucidamente conto che, nonostante il segreto non fosse
più tale, con tutta
probabilità, nemmeno lui sarebbe riuscito a mutare il
passato aggiustando,
così, il proprio presente, risanando la dea della
fedeltà. Quello era,
evidentemente, un male immutabile – ineluttabile.
La parola gli provocò
una fitta dolorosa.
La regina di
Helheim gli mostrò la parte del volto marcia e consumata.
“L’onniscienza non mi
appartiene, figlio di Laufey, bada a ciò che dici. Non
potevo sapere. Dovevi
tentare. Io ti ho indicato l’unica via
percorribile.”
Loki rise tra
sé e sé e annuì. Le parole della
signora dei morti parevano non averlo convinto
del tutto.
“Hai
ragione,
saggia signora. Col nome del maleficio in mano, però, so a
chi si è rivolta
Sigyn. So a chi chiedere il favore di annullarne gli
effetti,” ragionò. “Liberala
dalla follia in cui è precipitata. Sciogli le rune che ha
pronunciato. Ha
invocato te, ora lo so e posso chiedertelo. Sono
disposto a stringere un
accordo,” decise, allargando le braccia con fare sicuro.
Hela sorrise
debolmente, mostrandogli, allo stesso tempo, entrambi i volti.
“Non voglio né
posso accontentarti, Loki di Asgard. Se lo facessi, la dea della
fedeltà
precipiterebbe in un incubo decisamente peggiore di quello in cui
è
intrappolata adesso.”
Il dio degli
inganni impallidì visibilmente e poi sparì,
rivelandosi nient’altro che
un’illusione perfetta.
Prima che
potesse anche solo pensare, Hela si ritrovò una delle lame
sulla carotide. L’Ase,
quello vero, era alle sue spalle. Non poteva morire, ma soffrire
sì e lui lo
sapeva. “Cosa dici? Come lo sai?” sibilò
furioso.
“Oh,
Loki,”
sospirò quella tristemente, nonostante l’arma che
le premeva sul collo. “Tu non
ricordi più nulla, ma, a questo punto, dovresti
sapere.”
Un brivido
corse lungo la schiena dell’ingannatore; i suoi sensi di lupo
captarono il
pericolo imminente, legato, una volta di più, alla
conoscenza.
“Thanos
ti ha
torturato a lungo prima di ucciderti.”
La stretta che
Lingua d’Argento esercitava sull’elsa del pugnale
vacillò appena.
“Non
è
possibile,” rispose di getto, ma la cicatrice che aveva sul
collo iniziò a
tirare più del solito. Era il dio degli inganni, del resto:
sapeva distinguere
fin troppo bene il vero dal falso. Conosceva le leggere pause o le
incrinature
nella voce legate alle menzogne e, in quel preciso frangente, Hela non
mentiva,
affatto.
“Tuo
fratello
ti trovò delirante e scosso dalla febbre; credette che i
racconti tremendi
circa la tua morte fossero falsi, nient’altro che un
depistaggio messo a punto
dai tirapiedi del Titano. Asgard era stata distrutta, lo schiocco aveva
dimezzato metà dell’universo e lui era preda delle
sue ombre e dell’idromele…
non poteva sopportare anche il tuo fantasma. Non indagò
oltre.”
La voce di Hela
era un sussurro gentile, pietoso. Loki abbassò la lama del
pugnale.
“Non
si chiese
come avessi fatto a fuggire. Non te lo sei mai chiesto davvero nemmeno
tu,”
proseguì con una certa benevola stanchezza nella voce.
“La verità, dio degli
inganni, è che non lo hai fatto: Thanos ti ha ucciso e
Sigyn… ha preso una
decisione drastica. Ecco qual era il segreto che dovevi scoprire da
solo.”
♥
Era
un dolore lacerante, che la divorava seccando tutto quello che
c’era in lei.
Persino le lacrime. Sigyn aveva smarrito la speranza: le era rimasta
addosso
solo una veste logora e strappata – la fedeltà
donata a un uomo che non l’aveva
ascoltata e, crudele, tronfio, fiero, era andato a farsi torturare e
ammazzare da
un Titano Folle.
Non era
morta quel giorno, ma dopo, quando aveva scoperto come. La
sofferenza le
si era congelata nell’anima.
A
volte, chiudeva gli occhi e ricordava com’era fare
l’amore con lui: labbra che
si sfioravano, lambendosi ora lente e leggere, ora ansiose e disperate,
dita
che si cercavano intrecciandosi in strette spasmodiche, urgenti,
frenetiche.
Così si erano avuti senza remore sui letti sfatti in cui
rimaneva impresso
l’odore della loro pelle, nelle radure dei boschi dove si
stendevano dopo aver
spinto i loro cavalli in una folle gara di velocità. Si
erano catturati a
vicenda, per poi fondersi e diventare una sola cosa, unendo bocche,
sospiri,
corpi, anime e battiti del cuore. Solo che l’infinita
dolcezza di un ricordo
baciato da una passione eterna e struggente, che spezzava le vene, era
stato
spazzato via dalle immagini, impossibili da cancellare, di Loki e di
quello che
gli avevano fatto.
Ecco
perché Sigyn non riusciva a trovare consolazione. Il suo
cuore si era svuotato
totalmente, riempiendosi con i resti martoriati del suo unico ed eterno
amore
dagli occhi brillanti e il sorriso furbo.
E
dimenticare era impossibile. La ragazza serrava le palpebre e
continuava a
vedere il suo corpo massacrato e senza vita, torturandosi con domande
perfide che
non avrebbero mai avuto risposta rimanendo lì, nella sua
testa, a pungerla per
sempre: aveva sofferto?
Il
suo cuore si congelava nel dubbio, pregando inutilmente le Norne che la
morte
fosse sopraggiunta prima del resto, corrosa dal
dubbio che, invece, la
sua tempra robusta di principe di Asgard e di Jotunheim
l’avesse, invece,
tradito, concedendogli la morte solo al termine di una spaventosa,
lenta,
tragica agonia. E ogni volta che ci pensava, il respiro le moriva in
gola, il
cuore perdeva un battito, lo stomaco si contraeva in uno spasmo
doloroso. Così
si ritrovava a sfiorare il ventre vuoto, condannato a rimanere freddo,
a non
ospitare mai i figli che avrebbe voluto dargli.
Come
si può sfidare il Titano dopo aver perso due gemme e
un’armata proponendogli un
altro, palese, inganno, puntandogli un secondo dopo una lama affilata
al collo?
Odiava Loki e lo amava al tempo stesso, perché era stato
arrogante, troppo
sicuro di sé, impavido, ironico, magnifico e non
l’aveva ascoltata e, forse,
nemmeno mai amata. Desiderata sì, persino troppo, con una
foga da conquistatore
di cui erano stati testimoni muti i loro letti ormai gelidi, dimentichi
di
quando la ghermiva e faceva scorrere la lingua e le labbra sulla sua
pelle
tremante, sensibile, smarrendola e perdendosi in lei.
A
Hela, che le chiese perché fosse giunta al suo cospetto,
Sigyn rivolse un
sorriso debole e sicuro. “Sono morta, mia signora. Sono
morta, ma cammino
ancora sulla terra. Liberami da questa pena.”
Le
spiegò che era il dolore, a tormentarla, più di
tutto il resto. Si era
innamorata di un principe degli Æsir; aveva messo in conto,
fin dal primo
momento, che sarebbe finito macellato su un campo di battaglia, col
corpo steso
a terra, le braccia abbandonate spalancate in un abbraccio gelido, ma
il resto
no, e proprio quello era l’inaccettabile quadro che vedeva
davanti agli occhi
da quando si alzava al mattino al momento di coricarsi e anche oltre. E
allora,
nelle notti insonni in cui persino le lacrime si sarebbero trasformate
in una
benedizione, s’immaginava la morte solitaria che
l’aveva ghermito al termine
delle spaventose sofferenze, perché era troppo facile
pensare che Thanos non
avesse infierito su di lui quand’era ancora vivo.
Con
Thor non aveva mai parlato di tutto questo. I dettagli li aveva
scoperti per
caso, quando i suoi occhi erano ancora capaci di inumidirsi e il pianto
rigava
le sue guance ogni sera. Il figlio di Odino aveva scelto di chiudersi
nel
silenzio e di stordirsi col sapore speziato dell’idromele e
del vino più
robusto, consolandosi dalla sconfitta più amara con una
vendetta che aveva
dimostrato tutta la sua vacuità nel momento stesso in cui si
era compiuta,
senza lasciargli nessun appagamento.
La
vita si era interrotta sul filo che aveva cucito le labbra di Loki
impedendogli
di gridare, ponendo fine a una vita d’inganni e di bugie,
nella pelle segata
dalle catene e bruciata dal veleno urticante di una bestia immonda e
spietata,
dotata di una pazienza infinita.
Sigyn
non aveva potuto fare nulla per salvarlo o alleviare il suo dolore,
nessuna
cosa. Lui era morto e a lei avevano tolto via il cuore, costringendola
a vivere
ogni giorno nella sua testa il supplizio toccato al traditore che aveva
amato
più di ogni altra cosa.
Leggeva,
ricamava, parlava e, a un tratto,
pensava alle sue labbra sottili e beffarde, increspate in un sorriso
ironico e
perfetto; le stesse che l’avevano baciata e amata
così tante volte da perderne
il conto ed erano state cucite dal Titano.
“Sono
morta,” disse a Hela, perché, col cuore congelato
e l’anima svuotata, non
riusciva nemmeno a raccontare, a spiegare, la desolazione in cui si
trascinavano i suoi giorni da fantasma che respirava.
La
signora dell’Oltretomba inclinò il capo,
scrutandola attentamente, ascoltando
il dolore del suo spirito tormentato, annichilito, seccato. Le Norne
avevano
tessuto insieme i fili del destino del dio dell’inganno e
della fedeltà, unendo
i loro spiriti diversi eppure complementari, stabilendo, per loro,
l’esistenza
di un legame capace di resistere persino alla sua falce, meraviglioso e
allo
stesso tempo terribile: uno non poteva sopravvivere
all’altra, semplicemente.
Non
le disse – e Sigyn, per parte sua, non chiese –
nulla delle ultime ore di Loki,
se fossero state spaventose o meno. C’era un riserbo
particolare sulle anime
trapassate, in Hel. Parlò d’altro:
dell’incantesimo che avrebbe potuto
cancellare il nome del dio dell’inganno dal libro dei morti
se l’universo, nel
frattempo, fosse stato scosso da un sussulto particolare, del prezzo
che ogni
desiderio o incantesimo portava immediatamente con sé.
Sigyn,
incapace persino di provare freddo al suo cospetto, ascoltò
ogni parola. Il suo
destino era alleviare le sofferenze del dio dell’inganno,
come tante volte
aveva fatto nella perduta Asgard che non c’era
più, quando lo cercava al
termine di una battaglia per sanare, con unguenti e attenzioni, il suo
corpo
ferito, per ascoltare le magnifiche storie, né false
né vere, che lui le
raccontava per incantarla, le labbra astute piegate in un sorriso
furbo,
perenne.
Hela
si sporse appena verso di lei, mostrandole la sua parte di volto
benigna, di
ragazza.
“Accetti?”
Ecco
cos’era successo.
♥
Loki
deglutì a vuoto. La dea della fedeltà aveva
deciso di pronunciare un
incantesimo proibito e terribile, che le aveva devastato
irrimediabilmente la
mente, al solo scopo di saperlo vivo. Cercò la cicatrice
parzialmente nascosta
sotto il colletto della corazza di pelle intrecciata, sfiorandola.
Credeva di
essere sfuggito alla furia del Titano, ma non era vero.
Non
era sopravvissuto grazie alla sua astuzia, no. Era stato
qualcos’altro a
liberarlo dalle grinfie di Thanos, così potente da
sopravvivere persino alla
morte e infrangere il vincolo che legava le anime a Hel. Non ne
pronunciò il
nome – le parole gli rimasero incollate al palato.
Capì
di avere le mani legate, strette in ceppi impossibili da spezzare:
salvandola
dal destino misero in cui era precipitata, l’avrebbe
condannata a un dolore
capace di risucchiarle il cuore, che lei non aveva potuto sostenere.
L’aveva
persa – si erano persi – e
l’unica cosa che gli rimaneva da fare era
accettare i suoi sorrisi di bambina, l’astio di cui lo faceva
oggetto, lo
slancio d’amore che durava sempre troppo poco, ricordando che
quello era stato
il prezzo pagato da Sigyn per cancellare l’orrore di una
tortura tremenda,
forse meritata, ma che lei non era riuscita a tollerare.
Pur
di proteggerlo, si era condannata lei stessa. Il
segreto sarebbe dovuto rimanere tale.
Chiuse
gli occhi, serrando le palpebre di fronte a quella che gli sembrava
un’oscena
ingiustizia. Sarebbe stato meglio tornare e sapere che
l’aveva dimenticato e la
sua vita era andata avanti. Vederla crescere i figli di un altro,
com’era nella
natura delle cose accadesse, era più sopportabile che avere
contezza
dell’annichilente dolore capace di prosciugare Sigyn e di
spingerla ad
alleviare a ogni costo il suo, di dolore. Maledisse le Norne, che
l’avevano
costretta a reggere in eterno un bacile colmo del veleno capace di
corroderlo,
versato sulla sua carne per punirlo delle sue molte malefatte
– inganni e trame
perpetrati con astuzia e coscienza, che non era capace di rinnegare
nemmeno in
quel momento – e maledisse lei, sua anima affine, sua devota
sposa in eterno,
sebbene nessun vincolo ufficiale li legasse.
Hela
aveva descritto il dolore di Sigyn con poche, semplici, parole, ma
l’Ase aveva
immaginato ugualmente ogni sussulto del cuore della strega dai capelli
d’oro.
Era
morto e lei aveva sacrificato ogni cosa per riportarlo indietro. Non
l’avrebbe
mai perdonata, per questo.
“Non
avremmo dovuto mai incontrarci,” constatò con
amarezza. “Lei avrebbe avuto una
vita più felice.”
L’altra
scosse il capo. “Avrebbe avuto una vita grigia, senza
amore.”
“Dicevi
di non essere una veggente.”
“E
non lo sono. Ma qui, seduta sul mio trono, ascolto – ho
ascoltato ogni cosa fin
dall’alba dei tempi. Vuoi tornare indietro ancora e
cancellarla dal tuo
passato?” Hela sorrise. “Non ne hai più
la forza e poi, in fondo, non sarebbe
nella tua natura fare una cosa del genere. Dico bene? Tu non
sai rinunciare
a niente, dio degli inganni.”
Loki
ragionò in fretta, tentando di elaborare una strategia.
“Ti propongo un altro
patto, mia signora. Un accordo,” disse con voce il
più possibile incolore,
posizionandosi nuovamente di fronte a Hela.
La
regina increspò le labbra in una smorfia scuotendo la testa,
volgendosi verso
Loki con la parte di viso scheletrica, mangiata dai vermi.
“Se annullassi
l’incantesimo, tu moriresti e Sigyn soffrirebbe, ancora e di
nuovo. Quindi cosa
vuoi da lei, Loki?”
“Guarirla.”
“Il
prezzo per l’incantesimo che ti ha strappato alla morte
è stato la sua mente. È
riuscita a recitarlo, a invocarmi in modo abbastanza potente da
sciogliermi il
cuore, perché ti amava. Ecco il motivo per cui Sigyn non
ricorderà mai più
cos’ha fatto per te, cosa sei stato per lei.”
Il
passato che tante volte aveva visitato e ricordato, per lei, non
sarebbe
esistito più, anzi, era già svanito.
“A
meno che…” esordì l’Ase. Un
ghigno furbo gli increspò le labbra sottili. “Mi
correggo: ti propongo una scommessa, Hela. Ci sei stata amica, fino a
questo
momento.”
“Ho
accontentato un’anima infelice. Credevo che sarebbe morta,
invocando una magia
tanto oscura; in quel caso, le avrei concesso il sereno oblio di chi
dorme in
eterno. Invece è sopravvissuta – è
più forte di quanto pensassimo entrambi,
credo.”
“Ora
che so cos’è successo e perché, non ti
chiederò di cancellare ciò che è
stato,
né di ridarle quello che ha sacrificato,”
spiegò Loki sicuro. “Non ricorderà
nulla, ma potrebbe essere di nuovo lei,” spiegò.
“Donale un futuro libero dalla
follia, tieniti ciò che già ti immolò.
Otterrò di nuovo quello che mi concesse
una volta. Ne sono certo.”
La
regina gli mostrò la parte del volto bellissima, di ragazza.
“Come
sei sfrontato e sicuro di te! Allora, che cosa mi offri in cambio, Loki
di
Asgard?”
♥
Il fiordo,
al tramonto, era una distesa placida, incantevole. Le montagne,
nascendo dalla
spuma del mare, si fondevano con l’acqua. Sigyn sedeva sulla
riva, con una
cartella di cuoio piena zeppa di fogli sulle ginocchia. Da quando si
era
ripresa dalla lunga e tremenda febbre che l’aveva costretta a
letto per
settimane, sentiva sempre più spesso il bisogno di
disegnare, di mettere su
carta impressioni, volti, paesaggi. Prendeva in mano una matita e,
semplicemente, la sua mano iniziava a tratteggiare forme fantastiche,
spazi
reali, bozze di particolari, studi anatomici di varia natura. A volte
replicava
la meravigliosa natura che la circondava, soffermandosi
sull’eterea bellezza di
un fiore, sulla maestosità di un albero o sullo splendido
panorama su cui si
affacciava la nuova Asgard. Altre, si divertiva a fissare sul foglio
alcuni
semplici frammenti di vita quotidiana. C’erano dei momenti,
però, in cui
disegnava palazzi e castelli di un mondo che, le dicevano, non esisteva
più. In
mezzo a tutti i suoi schizzi, un volto in particolare emergeva fin
troppo di
frequente. Sigyn lo replicava con incredibile precisione anche quando
il
soggetto ritratto non era presente. E questo, la confondeva.
Loki
la trovò così, persa in quel passatempo antico
che, per lui, era carico di
ricordi, ma alla ragazza, ormai, non evocava niente. Era accaduto e
basta: una
mattina la dea della fedeltà si era risvegliata in un mondo
di sconosciuti.
Le si
sedette accanto e lei lo lasciò fare, nascondendo
però, con cura, il disegno che
stava tratteggiando.
Era
la sua Sigyn, ma in qualche modo era diversa. Nei suoi occhi grigi e
rotondi
non c’era più l’antica dolcezza con cui
lo guardava, ma una diffidenza ben
nota, che l’ingannatore aveva conosciuto quando lei, nel
delirio, credeva di
essere sua prigioniera. Forse, una parte della donna lo pensava ancora,
nonostante lui le avesse offerto più volte la
possibilità di andarsene. Allo
stesso modo, non sapeva dire per quale ragione un segno bianco le
macchiasse la
pelle candida della mano: anche quel sacrificio era stato dimenticato,
così come
le notti trascorse insieme, i lunghi baci, le lacrime. Ogni cosa era
svanita
per sempre e lei era lì, intoccabile e ignara degli
incantesimi d’amore di
morte che entrambi avevano recitato una per l’altro e
viceversa.
Il
passato, per lei, era un racconto privo di significato, la storia di
un’altra
persona in cui non riusciva a riconoscersi. Non era quella di un tempo,
non lo
sarebbe stata mai più. Loki aveva consegnato a Hela le sue
insegne e promesso
cospicui doni – tra cui la bandoliera carica di pugnali
affilati – e questo era
stato il guiderdone necessario non per riavere accanto a sé
la dea della
fedeltà, ma per liberarla dalla pazzia. Del suo passato,
Sigyn non ricordava
nulla e qualunque riferimento agli anni trascorsi e dimenticati le
provocava
crudeli emicranie.
La
ragazza si chinò per accarezzare un gattino che aveva preso
a girarle attorno e
miagolava in cerca di cibo, tentando di conquistare le sue attenzioni.
Guadagnò
un paio di carezze sulla testa e tra le orecchie, che
ricambiò sfregandosi
sulla sua gonna. Consapevole, forse, della necessità di
ammaliare anche lui, l’animale
s’azzardò a strusciarsi contro i suoi stivali.
Loki tollerò con un certo qual
distacco le accattivanti attenzioni feline.
“Puoi
tenerlo,” le concesse. “Sei libera di fare
ciò che vuoi.”
Lei
gli rivolse un’occhiata lunga e attenta, come se potesse
cogliere la reale
portata di quell’affermazione.
“Ti
andrebbe di
raccontarmi alcune delle tue storie?” gli domandò.
Il
dio degli inganni si
morse le labbra. Si chiese se tutto quello che stavano vivendo non
fosse che un
ciclo, uno di molti, che si sarebbe avvicendato ad un altro e poi ad un
altro
ancora, destinato a finire sempre nel medesimo modo.
“Molte
delle cose che
si dicono su di me sono false o sbagliate,” rise.
Lei
si fece ancora più
seria di quanto già non fosse. “L’altro
giorno sono andata alle rovine giù alla
collina. Ho sentito dei discorsi strani. Mi hanno detto che hai
viaggiato fino
a Helheim, portando indietro con te un grande tesoro. Mi sembrava di
ascoltare
una fiaba.”
Gli
occhi verdi di
Loki brillarono. “L’ho sentita raccontare anche io,
una volta.”
“È
falsa? Sembra che
la conoscano tutti,” replicò lei. “Ma
ogni versione pare sia diversa dall’altra.
Tu quale conosci? Raccontamela, per favore.”
“Perché?”
domandò
aggrottando le sopracciglia.
Gli
occhi di Sigyn si
fissarono su un punto indefinito del vecchio muro di pietra antica.
“La trovo
bella. E poi, nessuno ha saputo dirmi come finisce.”
Loki
sospirò e scostò
lo sguardo da lei. “Perché non
ha una
fine. Dicono che ho attraversato cento ponti e cento fiumi,
cento montagne
e cento valli, per giungere, infine al cospetto della regina degli
inferi. Le
dissi ti donerò le armi magiche degli Æsir, ti
svelerò i loro segreti, ti
porterò tutte le reliquie di tutti i Nove Regni,
perché tu possa diventare la
più potente tra i Sovrani. Ma lei non si
impietosì e allora insistetti. Dissi
risanerò il tuo corpo, affinché sia fresco come
una rosa in entrambi i lati;
accrescerò il tuo potere conducendo a te eserciti e popoli,
finché sarai più
potente di quanto non sia stato Odino; ti consegnerò la
spada con cui Sigurd
uccise il drago, ti porterò il corno da cui beve Utgardha
Loki; viaggerò per te
attraverso tutti i Nove Mondi, e cercherò ogni reliquia,
ogni tesoro, ogni
incantesimo, e tutto questo sarà tuo; e continuai, offrendo
tutto quanto c’era
di bello e prezioso nell’Universo intero. Ma nessuna cosa
sembrava convincere
la dea degli inferi a restituirmi ciò che avevo perso.”
Sigyn
fu scossa da un
brivido intenso e profondo, che le sembrò essere
l’eco di qualcosa di antico.
Un dolore sordo, annichilente, disperato, che le fece scivolare una
lacrima
calda e muta sulla guancia. “È molto triste. Cosa
volevi che ti restituisse?”
Loki
la soppesò a
lungo, prima di rispondere.
“È
solo una storia, forse.”
Il
dio dell’inganno non l’avrebbe saputo mai, ma il
disegno che Sigyn aveva
nascosto con cura era un suo ritratto. L’ennesimo che si era
ritrovata a fargli
quasi per caso, mentre era sovrappensiero, spinta da un bisogno senza
nome né
spiegazione. Il volto affilato di Lingua d’Argento, replicato
con incredibile
precisione, emergeva dall’insieme dei tratti morbidi carico
di una vividezza
incredibile.
Certi
incantesimi d’amore e di morte sopravvivono al tempo, al
destino, alle
menzogne, a ogni cosa. Rimangono attaccati alle anime e urlano
prepotenti anche
quando vengono nascosti. Sigyn strinse con forza la cartella di cuoio
che
conteneva i suoi disegni e, da sotto le ciglia nere, gli rivolse
un’occhiata
incredibilmente seria. “Noi ci conoscevamo già?
C’è mai stato qualcosa, tra di
noi?”
Il
dio dell’inganno stirò le labbra in un sorriso e
le sfiorò una ciocca di
capelli, pensando a come lei lo baciava nelle fredde notti
d’inverno della
perduta Asgard, gettando il capo leggermente all’indietro e
infilandogli le dita
tra i capelli scuri. Le lambì le labbra stupite e incerte
che, più memori di
lei, risposero al contatto con la delicatezza che l’Ase aveva
quasi dimenticato
e stava ritrovando ora. Vivevano in un luogo davvero crudele, in un
mondo
spietato, in un universo devastato, ma, nonostante ciò, il
dio dell’inganno scese
sul collo, inspirò il suo odore e tornò sulla
bocca già carica di domande. Rispose
al bacio dolce di Sigyn, che non sapeva e non ricordava, ma, in qualche
modo, percepiva
e sentiva cosa c’era stato, tra loro. Indugiò e
temporeggiò, perché per lui il
tempo non aveva più significato, in fondo, e voleva gustarsi
quell’istante per
cancellare tutte le attese e le ricerche che gli avevano sfibrato
l’animo
inquieto. E allora prolungò con sottile perfidia quel
momento, fino a che il
sole non s’inabissò nel fiordo.
Gli
incantesimi d’amore e di morte non possono cancellare il
passato e, nemmeno,
celarlo per sempre.
Fine
Note
autore:
Questa
minilong ha una genesi travagliata per molte, tante ragioni.
L’idea di Loki che
cerca di recuperare Sigyn a qualsiasi prezzo mi è sempre
piaciuta tantissimo;
se vi dovessi dire tutte le opere che hanno ispirato in qualche modo la
minilong finirei l’anno prossimo, dato che questa idea mi
gironzolava in testa
dal… 2015, ebbene sì. L’occasione per
scriverla e definirla è dovuta al contest
“Elisir, pozioni e distillati” indetto
da wurags sul forum di Efp.
Il pacchetto che ho usato è il Veritaserum
(eh eh eh, con Loki,
che ironia!): secondo le direttive, la storia doveva basarsi su un
segreto
nascosto con cura che poi viene rivelato.
A tenerlo, ovviamente, qui
è Sigyn: recita un incantesimo proibito per far tornare Loki
dal regno dei
morti e, come conseguenza, perde la ragione. Ovviamente, il peso del
sacrificio
di Sigyn è il motivo stesso per cui Loki non avrebbe dovuto
sapere di essere
morto.
Il
viaggio attraverso il tempo del dio dell’inganno è
volto a scoprire quale
incantesimo ella abbia recitato per poi tentare di annullarlo o, come
è stato,
mitigarlo, offrendo un dono a Hela.
I prompt
utilizzati sono disegno (i ritratti che Loki fa a
Sigyn) l’acquario/lago/fiordo
(dove si vedono in più di un’occasione) e i
concetti di rancore e perdono,
ricorrenti soprattutto nella rabbia di Loki verso il sacrificio di
Sigyn e
nell’incapacità di perdonarla.
Se la
storia vi è piaciuta, inseritela nelle liste di
Efp, in alto a destra ♥ (farete
felice un’Autrice) o fatemi sapere che ne pensate
con una recensione
(ogni pensiero è importante e non dovete scrivere un testo
critico. ^^).
Sperando
vi sia piaciuta, vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui,
Shilyss
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