Il nastro

di armen66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** CH 2 ***
Capitolo 3: *** ch 3 ***
Capitolo 4: *** CH 4 ***
Capitolo 5: *** ch 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


~~IL NASTRO

Seduto accanto alla finestra, le prime luci del giorno a illuminare il mondo di neve e ghiaccio, un uomo chiuse gli occhi, in attesa di essere chiamato nella sala delle udienze.
Non era difficile per lui rimanere concentrato ed in silenzio, tanti i pensieri che si rincorrevano nella sue mente, tanti da sei anni i ricordi.
Prima la sua vita non ne aveva avuti, non c’erano memorie, volti, luoghi od eventi degni  di appartenere al suo passato.
Non c’era un passato. Semplicemente.
Sei anni per trasformarsi da nessuno a qualcuno, sei anni per cambiare la sua vita.
Un suono stridulo lo allontanò dai pensieri, fuori dalla finestra un aquila bianca si appoggiò al parapetto del balcone, l’ultimo piano della torre rotonda.
L’uomo si alzo. Era sicuro che fosse la stessa aquila che aveva incontrato negli ultimi anni, riconosceva la piccola imperfezione nel piumaggio, il gruppo di penne più scure, tendenti al grigio, sul dorso.
Sorrise, anche lui alla fine aveva una simile imperfezione nei capelli,
L’aquila lo guardò e poi si librò in volo, girando tre volte sopra di lui per poi allontanarsi verso le montagne.
Rientrando nel tepore della stanza, accanto al fuoco acceso nell’enorme camino, l’uomo notò che un raggio di sole da un piccolo foro nel vetro andava a colpire una pietra laterale della struttura, che in questo modo risultava leggermente sbalzata rispetto alle altre.
Fece scorrere le dita e trovò che si muoveva.
Immaginava già cosa avrebbe trovato, non era più stupito dei segni che nel suo percorso aveva incontrato e quella mattina, per il significato speciale degli eventi che si sarebbero svolti, era prevedibile che il grande spirito che proteggeva la casa e i suoi abitanti si sarebbe manifestato.
Il grande padre ancora vegliava sui suoi figli, sulla loro dimora e sulle loro terre.
Decise di aspettare un attimo e di prendere dal cassetto chiuso a chiave la piccola scatola con interno di velluto  e di rileggere il prezioso rotolo custodito dentro.

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Il suo maestro era stato esplicito e diretto nel dare ordini.
Alla fine aveva preso un rotolo, legato con un nastro nero, dandogli istruzione di leggere il contenuto solo quando avrebbe ricevuto un segno.
Un uomo si sentiva stranamente inquieto, un incarico diverso, uno senza dover uccidere, per una volta.
Aveva discusso con il maestro il modo migliore per entrare in contatto, aveva chiesto una dettagliata descrizione, quella che era stata riferita al maestro stesso.
A un uomo era data la scelta del modo e del luogo, il maestro si fidava di lui, ma un uomo doveva agire in fretta, la richiesta era urgente, il cammino lungo.
Un uomo non chiese altro, era una routine, alla fine, nei vari anni di servizio la sua affidabilità ed efficienza non erano mai stati contestati.
Il rotolo scivolò nelle tasche profonde della sua tunica.

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Capitolo 2
*** CH 2 ***


~~Un uomo aveva preparato l’incontro nella gabbia dei prigionieri, ma un uomo non era preparato a quegli occhi, a quello sguardo, che erano troppo per lui, troppo intensi, decisi e pronti a rivelare una ragazza diversa da tutte le altre.


Arya Srark di Winterfell.


Neanche per un minuto aveva creduto fosse un ragazzo.


Una combinazione misteriosa,  occhi grigi e  capelli scuri, un prodigio raro, un segnale.


Il loro commiato, troppo presto,  e il suo dono, la preziosa moneta lasciata per una strana sensazione che un uomo sentiva dentro, di sicuro non era un addio.


Il suo maestro aveva parlato solo di un contatto, non si era spinto oltre, e la moneta invece implicava un futuro, qualcosa di difficile per un uomo senza volto, che viveva soltanto per il presente. . Prese la sacca con dentro il rotolo, con delicatezza tolse il nastro, sotto apparve la scritta “ A un uomo.”  Non poteva essere per lui, lui era nessuno e nessuno non riceveva lettere.


E invece quando lo svolse apparve un secondo rotolo con un sottile nastro rosso, sul lato esterno sotto la scritta “A Jaquen H’ghar,  destinato a proteggere mia figlia Arya Stark.


Un uomo sapeva che c’era del magico tra gli Stark, ascoltare i racconti dei mercanti era parte del suo lavoro e le taverne dell’approdo erano  luoghi preziosi per quel compito.


Uno dei fratelli della ragazza era diverso,  in parte un mago o uno stregone delle terre lontane e forse anche il padre aveva dei poteri particolari.


Un padre che un  uomo non avrebbe mai conosciuto aveva scritto il messaggio, perché il padre era già morto, nel momento in cui un uomo riceveva la missione, come aveva detto il suo maestro. Il rotolo adesso  bruciava come fuoco vivo, un uomo non poteva tenerlo in mano, la pelle scottava.


Non poteva leggerlo, non era il momento; lo lasciò cadere sull’erba che subito apparve gialla e secca, distrutta dal calore, mentre il foglio era rimasto intatto.

---

Un uomo non sapeva sognare, non c’erano ricordi o stimoli o spunti a occupare la sua mente di notte, durante le ore destinate al riposo del corpo.


Ma la voce che sentiva, la persona di fronte a lui, alta, capelli scuri, barba con segni bianchi, era reale nella sua stanza o solo il frutto dell’immaginazione, del sonno?


Le candele erano accese e illuminavano l’interno. 


Un uomo si alzò a sedere,  come poteva essere entrato qualcuno senza che lui si fosse accorto? La sua abilità era essere sempre pronto e chi era questo intruso, senza spada, senza apparenti strumenti di offesa o difesa.


Un uomo osservò bene il suo interlocutore, che alzò una mano a indicare i suoi occhi, e un uomo vide l’iride con  lo stesso grigio di Arya, il medesimo colore, e il naso e il volto e la stretta somiglianza.


“ Sono suo padre. Non preoccuparti, stai solo sognando.”


“Io non so sognare.”


“Ora lo sai,  ti spiegherò quello che potrai fare per mia figlia quando tornerà da te.”


“Lo farà davvero?”


“Le hai dato la moneta, lei ha bisogno di te.”


Forse in sogno un padre poteva sapere della moneta, di quella offerta fatta per potere rivedere una ragazza, per poterla aiutare?


 Stark si avvicinò, gli toccò la spalla.


“Sei tu il prescelto, Jaquen H’ghar.”


“Io sono nessuno, non ho un nome.”


“Arya ti ha dato un nome.”


Come faceva Stark  ad avere scritto quel nome, se era morto prima che un uomo ne conoscesse la figlia?  Come poteva Stark già conoscere il nome che  era stato assegnato a un uomo come un marchio di fuoco  sul suo petto?


Quali forze avevano combattuto dentro  un uomo  mentre  Arya guardava il volto che un uomo avrebbe usato ogni giorno e ogni notte avuto se non fosse diventato nessuno? Chi era davvero Arya Stark, cosa era in grado di  diventare se la sua forza era tale da definire le persone, anche quelle che non avevano identità?


__

Stark divenne una presenza abituale nel sonno o nella veglia, non era facile per un uomo cambiare le sue abitudini, il  maestro si accorse e  lasciò tranquillo un uomo, per permettergli  di ascoltare la voce interiore che era  Stark, che  compariva con maggiore frequenza quanto più un uomo era lontano dalla sala dei volti, dalle mura e dalle stanze in soli due colori.


Un uomo non riusciva a prevedere quando e dove avrebbe avvertito la presenza del padre di Arya.


Un giorno lo sentì in mezzo ai cavalli di un accampamento, agitati per i versi dei lupi in lontananza.


“Mia figlia ha una lupa che la protegge, ma non abbastanza, una lupa non può resistere a tutto.”


“Proprio così.  E un uomo prenderà il posto del lupo?”


“Dovrà prima insegnarle quello che serve per difendersi e per combattere. Mia figlia ha un difficile compito davanti a se.”


Un uomo piegò il capo in segno di rispetto.


“Quando sognerai il lupo e l’aquila correre insieme potrai leggere il rotolo.” Disse Stark prima di svanire.


Iniziarono le notti di turbamento, visitate da sogni, nebbie indistinte, colori vivaci, strani suoni.


Un uomo era incerto se  poteva governare i sogni, regolarli o   decidere - come prima - di non averli.


Si insinuavano sotto la sua mente in modo sottile, erano fili che ritornavano indietro a qualcosa che restava ai margini della sua mente. Ma non c’era mai nei sogni  un’adorabile ragazza, lei che forse era l’unica cosa che un uomo avrebbe voluto sognare, per capire quando l’avrebbe rivista.

 

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Capitolo 3
*** ch 3 ***


~~Stark smontò da cavallo accanto all’entrata  di una casa in pietra, circondata da costruzioni più basse  con tetti di paglia e muri di un colore chiaro, un luogo  che ricordava qualcosa a un uomo, un passato lontano.
Dalla porta uscì la donna con i capelli rossi, che risplendevano nel sole del mattino,  due bambine al seguito, diretta alla stalla dove un cavallo era legato a un  carretto carico di frutti, primizie di grande valore, appena raccolte. Il marito teneva le redini dell’animale e la donna chiamò il figlio più piccolo, che portava un cesto più grande di lui di pregiate fragole da vendere al mercato.
Stark rimase immobile dentro un folto  cespuglio di rose, silenzioso e invisibile agli uomini armati che improvvisamente arrivarono al galoppo da ogni direzione. Il bambino lasciò cadere il cesto e si nascose dentro il cespuglio e il pesante mantello di Stark mentre i guerrieri passavano con la ferocia dei distruttori, uccidendo il padre e la madre e caricando le sorelle sui loro cavalli. Dall’interno della casa la nonna corse fuori e venne trafitta da una spada prima di vedere i suoi cari morti.
Il bambino non ebbe quasi il tempo di capire quello che succedeva, solo quando il fuoco avvolse la sua casa si mosse  e Stark lo trattenne per un braccio, due guerrieri erano ancora vicini, l’avrebbero visto. Gli uomini si guardarono attorno, cercavano qualcuno, ma il mantello e le spine erano un perfetto nascondiglio.
Stark si rivolse al bambino solo quando rimasero soli.
“Non puoi salvarli, non ha potuto allora, non puoi adesso.”
“Lasciami andare!”
Il bambino dai capelli rossi si ribellava, colpendo Stark con mani da uomo, le vene sporgenti, lle dita callose, picchiando a vuoto uno spirito.
“Jaquen, fermati, hanno sterminato la tua famiglia anni fa, non puoi tornare indietro.”
“Sono morti tutti, hanno ucciso anche le mie sorelle, le ho trovate  lungo la strada e io stavo morendo di fame e sete.”
I cavalieri avevano gettato veleno di proposito nel pozzo, incendiato il frutteto  e distrutto i campi con i raccolti perché nessuno potesse più vivere li e il bambino aveva vagato per giorni senza punti di riferimento, smarrito, fino a quando uno straniero gentile lo aveva trovato svenuto in un bosco,  nascosto in parte da dei grossi massi.
“Il tuo maestro ti ha raccolto senza sapere chi saresti diventato.”
“Io sono nessuno.”
“Sei un H’quar, non sei l’ultimo.”
Un bambino adesso uomo scuoteva la testa,  rifiutando il nome che rappresentava quel dolore.
Aveva dimenticato tutto per non soffrire più e non voleva ricordare di muovo, era stato faticoso  perdere se stesso e diventare un senza volto.
“Quando ti sei rivelato a mia figlia eri già qualcuno.”
Cosa lo aveva spinto  con Arya a usare il suo vero nome e il suo vero volto e poi a rinnegarli? 
Chiese a Stark una spiegazione ma l’uomo si trasformò in aquila e il suo cavallo in un lupo, scomparendo nella nebbia.
Al risveglio un uomo prese il rotolo, vide subito che erano poche righe, dal significato oscuro.
“Saranno giorni difficili, saranno fatica e sudore per lei e per te, fiducia e rispetto per un traguardo ambizioso.
Sarai un maestro abile di una allieva esigente,  ti metterà alla prova e imparerai nuove cose.”
Il rotolo  non dava risposte ai suoi dubbi, se il suo destino era di servire, il percorso era simile a quello che stava già vivendo; obbedire e servire, era inutile opporsi.
Chiese al suo maestro se i sentieri della mente potevano variare dall’itinerario che sembrava prestabilito: dopo venti anni vissuti al servizio del Dio, stava perdendo i punti di riferimento.
Il suo maestro aveva da tempo compreso che Arya Stark  non era destinata a perdere la propria identità, ma era il mezzo per  un fine più nobile, superire, che il Dio stesso accettava e benediva.
Se per questo fine un uomo  doveva ritrovare se stesso, ciò era anche il volere del Dio a cui un tutti gli uomini  senza volto portavano rispetto e devozione.


---

Negli anni in cui Arya rimase alla Casa del Bianco e Nero,  Stark ridusse le sue apparizioni;  un uomo avrebbe voluto porre domande al padre della sua  allieva, forse aveva interpretato male le parole di Stark,  forse i piani erano cambiati, forse per Arya era un addestramento troppo difficile.
I dubbi sul futuro di Arya, sul passato, sul presente sospeso nel tempio, tutto per cercare di comprendere il motivo per trasformare una ragazza in una discepola del Dio rosso.
Stark rimase ai confini del mondo di un uomo senza volto, presenza impalpabile che si manifestava in minuti segni.
Un uomo si limitava a svolgere il suo ruolo di maestro al meglio, scrupoloso e inflessibile con l’allieva, convinto che alla fine sarebbe rimasta al suo fianco come una delle poche ragazze.
La  pazienza e il silenzio condivisi lo rendevano sempre più legato ad Arya, che sopportava senza lamentarsi le lunghe ore di allenamento, il dolore fisico e le prove di resistenza a cui era sottoposta.


---

Stark aspettava nel bosco  fuori dal tempio, con indosso abiti eleganti, in sella al cavallo da parata, l’aspetto più elevato che aveva, da vivo: un nobile, un soldato, un cavaliere.
Chiamò l’assassino per farlo avvicinare, abbassando la spada in segno di non ostilità.
“Ho scelto bene per lei. E’ pronta.”
“Una ragazza non è ancora senza volto.”
“L’addestramento è concluso, Arya ha una missione, ora tu sei riconosciuto come Jaquen H’ghar, il suo maestro.”
Una domanda saliva alle labbra   di un uomo, senza riuscire a staccarsi da esse.
Lui non era Jaquen H’ghar,   era un senza volto, era nessuno, perché il padre non vedeva le orbite bianche, il naso indistinto, la bocca  acquea?
E invece osservava un volto con contorni precisi e definiti, lo ammirava e diceva qualcosa in una lingua strana di cui un uomo comprese poche parole.
“E il tuo sangue entrerà nel suo, nel nostro.”
Cosa voleva dire? Uccidere lei, no, non voleva farlo, non poteva adesso colpire Arya, era la sua allieva, il suo progetto.
Questo desiderio di protezione, di vigilanza, non osava dire di possesso, era qualcosa di nuovo. Anche morire sembrava non più accettabile, un forte dispiacere da quando la dolce ragazza era entrata nella sua vita. Piuttosto che ferire lei avrebbe sacrificato se stesso.

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Arya era andata via, avvolta nella sua irruenza, facendo la sua scelta, quello che era stato scritto, che Stark aveva detto,
Il futuro aveva senso solo dopo le scelte del presente.
Il tempo dell’attesa era di muovo infinito, i compiti che  venivano assegnati a un uomo erano  di durata più breve rispetto al passato, il suo maestro sceglieva altri assassini per  gli incarichi  lontani o più lunghi di durata, cosi chè un uomo era spesso vicino al tempio.
Il maestro lo guardava in silenzio al tavolo comune dei pasti: da quando la ragazza aveva lasciato il tempio, il suo allievo preferito - il sui piccolo peccato, avere una predilezione – stava cambiando poco a poco.
Se era così, la profezia di Stark sarebbe davvero giunta a compimento. Ne ebbe la conferma quando,  di ritorno dopo una missione di una settimana,  il maestro vide una leggera barba rossa sul mento di un uomo.
A un senza volto non crescevano più ne baffi ne barba, non si formavano rughe sulla fronte o imperfezioni sulla pelle, ne rossore ne pallore. La flessibilità di cambiare  molti volti cristallizzava anche quello reale,  che molti assassini usavano dentro la Casa. 
Tra poco un uomo non avrebbe più potuto indossare una maschera, sarebbe rimasto un assassino abile, esperto, condannato però a non cambiare più aspetto fisico. Il maestro rimase in silenzio, già vedeva i segni del  turbamento interiore, avrebbe voluto risparmiare al suo  allievo  il doloroso processo.

---

Era una missione che poteva durare una vita, con quel nome e quel volto.
Andando a ritroso, con uno sforzo, il maestro stimò in due decadi fa il loro primo incontro, quando un ragazzino spaventato era passato per la prima volta sotto il grande arco del tempio. Un talento naturale, un accettazione piena delle regole e una totale  devozione alla causa. Un vero peccato lasciarlo andare, ma se il Dio così aveva deciso, quale dei suoi discepoli  poteva opporsi?  
Un giorno lo condusse nella sala dei volti, era il momento.
“Segnali di morte arrivano da Nord con sempre maggiore frequenza.”
Un uomo annuì, da qualche tempo sentiva il sangue pulsare più forte e il cuore battere più rapido a ogni visita di Stark.
“Il tuo compitò è la. Domani inizia la nuova missione.”
“Tutti devono servire.”
“Proprio così.”
Il maestro lo guardò intensamente.
“Lo sai che il tuo ritorno è incerto?”
“Se il dio mi chiama…”
Il maestro alzò una mano per interrompere, un gesto strano per un uomo così calmo e misurato.
“Il Dio ha un progetto per te che non si sviluppa dentro questi muri. Vai e trova la tua strada, forse ci vorranno anni, poi potrai ripassare da qui per raccontarla. Ricorda solo di non rivelare mai i nostri segreti.”
Prima che un uomo potesse replicare, il maestro era scivolato via.

 

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Capitolo 4
*** CH 4 ***


~~
Lontano  dalla Casa l’uomo provava una nuova forma di libertà, aveva il controllo della sua vita e allo stesso tempo era insicuro di quello che sarebbe stato il suo destino:  sapeva soltanto che doveva andare da Arya Stark a Winterfell.
Sulla sponda del lago di ghiaccio che si estendeva davanti a se l’uomo chiuse gli occhi per entrare in contatto  con   Stark  nel mondo da cui nessuno tornava e sentì il tocco  del vento attorno alla sua testa.
Riaperti gli occhi,un segno nel ghiaccio – rami e foglie a forma di freccia  visibili sotto la superficie trasparente  - indicavano la via da seguire.
Il percorso verso  nord era difficile, il freddo e il ghiaccio  impedivano all’uomo di procedere alla velocità desiderata, il cavallo era stanco e il cavaliere sentiva la fatica. Era passato dalle colline arse dal sole alla montagne bianche di neve, aveva perso il conto dei giorni di viaggio.
Sark appariva nell’aquila e nel vento,  lo vedeva librarsi a tratti sopra di se a segnalare il tragitto, scompariva quando lui si fermava per la notte nella locanda di un villaggio, per mettere il cavallo nella stalla e nutrire l’animale e se stesso.
Una forza lo spingeva a nord, era attratto da Arya, per l’uomo non poteva esserci altra: se mai avesse dovuto scegliere, se il suo cammino era  stato scritto fin dall’origine, portando lui a lei, allora l’uomo era sicuro, Arya Stark era destinata a lui, mai una bambina, una ragazza, una donna comune,  ma quella che riempiva il vuoto dentro di lui, il vuoto che in lui era stato  creato, sviluppato e voluto per far uscire tutto se stesso e il passato e riempirlo di nulla e di un solo scopo, uccidere.
Non era facile uscire dal vuoto per entrare in un corpo fatto di sangue,  carne e anima.
Il viaggio verso Winterfell era anche un viaggio dentro se stesso.
Sentire ogni fibra  riprendere vita, dolorosamente, ogni nervo e muscolo e arto tendersi  e il sangue scorrere  e farsi strada nelle vene. I polmoni  espandersi e contrarsi ad ogni respiro, l’aria infilarsi nella gola, raggiungere ogni minuscolo alveolo e poi uscire, percorso inverso. Il cuore battere con fatica nel torace contro le nuove sensazioni chiamate paure, la schiena rigida dopo le lunghe ore a cavallo.
Questo voleva dire esser vivo, vivere davvero, nascere da adulto, nascere con una storia da vivere e una già vissuta.

L’uomo chiese a Stark di manifestarsi e gridò all’aquila la sua angoscia, la sua incertezza di  arrivare in tempo per la battaglia; l’ultimo tratto del viaggio sembrava infinito, il bisogno di vedere la sua adorabile ragazza lo stava consumando. La perdita di tutte le certezze lo rendeva più fragile.
Una notte oltre le colline in lontananza c’erano  suoni e bagliori,  il cielo era  popolato da  scure creature alate, il freddo era  più intenso; l’uomo ebbe una fitta forte al cuore, sentiva il gelo  e aveva fame, le scorte di cibo stavano finendo.
Cadde in ginocchio, le mani al petto, pregando il  suo Dio  di non farlo morir adesso, così vicino alla meta. Strizzando forte gli occhi, al tocco del vento sulla spalla si riscosse, Stark era davanti a lui, in tenuta da combattimento.
“Puoi continuare ancora. La battaglia è imminente.”
L’uomo scosse il capo, doveva fermarsi  per qualche ora, si sentiva debole, aveva  bisogno di recuperare le forze.
“Non ce la faccio stanotte.”
“Devi. Mia figlia sente la paura, la sua e la tua. Sta cercando rifugio in un uomo che non è adatto a lei. Vuoi perderla ora che sei così vicino? Vuoi che abbracci lui al posto tuo?”  La visione di   Arya vicino a un giovane dai capelli neri, un grande fuoco dietro di loro.
Lei era come la ricordava, i capelli ora lunghi, le trecce, solo un poco più alta, una riga sulla fronte a segnalare la sua preoccupazione; Arya era una guerriera ora. Tese la mano, quasi per toccarla, ma lei continuava  a parlare di spade e pugnali.
L’uomo sentì qualcosa sciogliersi dentro, il dolore al cuore cambiò forma e natura, una sofferenza sottile gli tolse il respiro, si sentiva pungere da mille aghi senza capire la loro provenienza.
Cercò un nome per quello che provava,  senza successo,  più si avvicinava a Winterfell, più la confusione in lui cresceva. I punti di riferimento della sua vita da uomo senza volto e senza storia si perdevano nella distanza tra se stesso e il tempio,  Stark trasmetteva impulsi che l’uomo non sempre sapeva interpretare. Il desiderio  che spesso aveva visto in tante persone ora era dentro di lui e aveva un nome, Arya; aveva attraversato il fuoco e il ghiaccio per lei, si era purificato dal suo passato.
Sentì un rumore dietro di se, si girò di scatto brandendo la spada e vide gli occhi enormi  del lupo: era reale e il vapore del fiato si condensava velocemente per il freddo.
Stark indicò al lupo l’uomo, l’animale si avvicinò con cautela, annusando fino ad accucciarsi , le orecchie sempre dritte in allerta.
“Per qualche ora Nymeria ti scalderà, ma poi dovrai proseguire.”
Stark tese il braccio verso Nord, un atteggiamento imperioso; c’era un motivo importante per continuare, l’assassino lo sentiva dentro di se. La sua scelta era solo obbedire.

L’aquila rimase sopra Jaquen e Arya  per tutto il tempo della battaglia, in mezzo al fragore degli eserciti a confronto, al sangue sul terreno, alle urla degli uomini feriti, alle grida dei condottieri, prima su tutti Arya Stark di Winterfell, la donna senza paure, la sua donna.
Sua da poche ore, da quando per la prima volta avevano fatto l’amore,  la prima volta di Arya, come  la  prima per Jaquen,  in quel nuovo corpo di uomo che imparava a conoscere.
Le loro menti si erano unite, Jaquen si rese conto della potenza del loro legame quando la vide, entrando nel cortile centrale, fulcro dei preparativi; al suo passaggio i soldati si erano spostati, rivelando in fondo Arya che soppesava  con il giovane dai capelli neri della visione le nuove spade forgiate . 
Sceso da cavallo, l’aveva chiamata con il  nome completo e Arya si era voltata, prima incredula, poi felice, poi veloce a gettarsi tra le sue braccia,  era lui, stanco, con la barba lunga e i vestiti sporchi.
“Sei qui!” continuava a ripetere, stringendolo forte, incurante degli sguardi di chi era intorno, toccandogli le spalle e le braccia per essere sicuro che fosse reale.
“Sono qui, un lungo viaggio per vedere un’adorabile ragazza.”
Arya lo abbracciò forte ancora, sentì l’armatura nascosta sotto la tunica, era venuto per combattere.
Nella crescente oscurità  - i soldati accesero dei fuochi per riscaldarsi  e le donne servirono la cena, che per molti sarebbe stata l’ultima – Arya e Jaquen rimasero a parlare vicino al pozzo. Il fabbro li aveva osservati finché la forgia non si era spenta per mancanza di combustibile, Jaquen aveva
sentito lo sguardo intenso e i colpi rabbiosi del martello.
Ora Jaquen aveva freddo, le  dita erano gelide, i denti battevano,  così  Arya gli prese la mano per guidarlo nella sala del mastio dove aveva stabilito il suo comando.
In silenzio,  chiusa la porta al mondo,  la labbra di Arya delicate sulle sue e poi le mani di a nelle sue e poi Arya  dentro di lui e lui dentro di lei.
Jaquen non si era posto più alcun dubbio, lei era il suo destino e lui l’aveva accettato.
All’alba erano di vedetta in attesa del nemico,  l’aquila visibile sul punto più alto del tetto; si erano aiutati a vicenda a indossare le armature, un gesto più intimo dell’atto sessuale che avevano condiviso.
“Perché l’aquila rimane qui?”  Arya chiese. “I draghi possono ucciderla.”
“È lo spirito di tuo padre.” disse Jaquen indicando il rapace.
Arya seguì la mano e  l’animale spiegò le ali, abbasso il capo e lanciò il suo grido. Dalle scale la corsa di Nymeria, che vista l’aquila si accucciò obbediente, il muso  tra le zampe, uggiolando piano.
Se Arya cercava una conferma, Nymeria l’aveva appena data, ma ora  non aveva tempo per pensare, il grido di battaglia del nemico incalzava.

Sconfitto il nemico, cessato il clamore delle armi, medicati i feriti e seppelliti i morti , Arya era seduta a scrivere  lettere  e Jaquen si allungò nella vasca di acqua calda che Arya aveva fatto preparare per lui.
Sotto le palpebre, quando chiudeva gli occhi, le immagini della battaglia, nel sangue i residui di adrenalina, sulle spalle la sensazione della mano di Stark a congratularsi con lui,
Il grande merito era di Arya, Stark poteva essere orgoglioso della figlia, il ruolo di Jaquen era stato di supporto, l’istinto guerriero negli occhi grigi di Arya aveva acceso i cuori dei suoi uomini, ma Stark sussurrava che il ghiaccio in Arya era stato sciolto della fiamme dei capelli di Jaquen.
La osservava con attenzione, Arya mordeva il labbro inferiore mentre la penna scorreva, un attimo di pausa, un pensiero, riprendeva su un nuovo foglio, poi raddrizzava la schiena, gli occhi al soffitto, e poi su di lui, sull’uomo che lei aveva liberato, a cui aveva dato un volto. .
Jaquen si alzò e prese una tunica per asciugarsi, lo sguardo di Arya lo riempieva di un calore piacevole, diverso da quello del bagno.
Arya posò la penna e chiuse l’inchiostro per  andargli  vicino, il loro abbraccio non era disperato come quello della prima notte, avevano  il tempo per esplorare i loro corpi che si attraevano e si fondevano secondo i ritmi della natura.
Dopo,  le dita di Arya lo toccarono ovunque.
“Mi piaceva la tua barba.”
“Ricrescerà sempre adesso.”
“Sei ancora un senza volto?”
Jaquen fece una piccola smorfia.
“Non posso più cambiare faccia senza l’aiuto del mio maestro.” 

 

La casa in fiamme  era così vicina che Jaquen sentiva il calore del fuoco e  respirava il fumo dell’incendio, i  polmoni facevano male.
Tossendo si sollevò di scatto, afferrando il bordo del letto, tremando per lo sforzo; Nymeria che riposava a lato sul tappeto alzò la testa e fece un breve guaito .
I sogni erano tornati, avevano un ultimo nemico, il re della notte.
I  movimenti  svegliarono Arya che  con preoccupazione lo guardò, non aveva  mai visto Jaquen prima in un  simile stato, il viso era una maschera di dolore, gli occhi pieni di lacrime.
Lo toccò a un braccio per leggere  nei suoi pensieri per  prima volta.  il rispetto per il suo maestro prima e poi la delusione dopo avere lasciato la casa  l’avevano bloccata nell’usare  quello che suo padre le aveva trasmesso e insegnato. E dentro il cuore di Jaquen lesse  fiamme, morte  e un dolore simile al suo, una perdita mai affrontata,  soltanto rinnegata e sepolta per molti anni.
Jaquen non poteva gestire il dolore, non aveva strumenti per capire i sentimenti che lo stavano sfidando. Lo spinse a parlare, toccandogli il volto con dita leggere finche non si rilassò.
Un assassino diventato uomo  non sapeva cosa fossero rimpianti e rimorsi. Jaquen le raccontò della sua famiglia,  il padre aveva avuto in dono la casa e i campi per i servizi resi al suo signore e aveva deciso di diventare un uomo di pace.
“Non sarebbe orgoglioso di me.”
“Non potevi fare altro. La vendetta assorbe ogni altro desiderio.”
“Proprio così,  cara ragazza. Forse da sempre sapevo che aiutare la tua vendetta era espiare la mia.”

 

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Capitolo 5
*** ch 5 ***


~~Per confermare la pace, per sospendere le ostilità, per dare stabilità al governo del Nord, Arya chiese la mano di Jaquen.
Il motivo – gli spiegò Arya poi - era anche per non dover sposare qualcun altro al fine di cementare alleanze politiche o dinastiche.
Jaquen era in grado di guardare dentro di lei e comprendere la sua forza. Non un nobile, un principe o un re. Solo un nome era nella mente di Arya, da tanto tempo, da quando era arrivata alla Casa seguendo la strada che la moneta aveva aperto.
Non fu una proposta propriamente romantica, almeno a giudizio di Sansa.
Arya aspettò che Jaquen arrivasse nella sala del comando come ogni mattina, indicò una panca e poi sedette accanto a lui; se Jaquen era curioso, non lo lasciava trasparire. Arya non si preoccupò, era abituata all’impassibilità del suo volto.
“Il nostro maestro ti ha assegnato a me, vero?”
“Proprio così.”
“Per quanto tempo?”
“Non lo so, questa missione non ha un termine certo.”
“Ti sei accorto che non parli più sempre in terza persona?”
“Ora sono diventato Jaquen H’ghar. Anche lo spirito di tuo padre lo conferma.”
“Allora possiamo sposarci.”
Un uomo rimase a bocca aperta, incredulo: di tutte le idee di Arya, questa era la più inaspettata.
“Allora?”
Arya aspettava una risposta, il labbro inferiore intrappolato tra i denti.
“Sposarci…tu e io?”
“Chi altro? Hai lasciato la Casa e hai bisogno di un posto dove vivere e di un ruolo, mentre a me serve un marito. Qualcuno che mi rispetti e di cui mi possa fidare. Non un nobile qualunque che mi costringa a vivere in una prigione dorata.”
Arya si era guadagnata il diritto di scelta del consorte con le sue imprese da guerriera, lo aveva esteso a sua sorella maggiore - libera di sposare Sandor, il suo protettore – e alle altre figlie dei nobili del Nord; una cadetta era diventata più importante del primogenito.
Nessuno poteva imporre un marito a Arya o imporsi come marito, dopo la proposta di matrimonio Jaquen scese nel giardino, per riflettere e sperare che Stark non fosse inorridito dall’idea di sua figlia con un assassino, anche se lei stessa era stata appositamente istruita ad uccidere.
La galleria degli antenati di Arya, ritratti nei quadri appesi nel salone, era impressionante e lui poteva solo portare i ricordi di una casa bruciata e di una famiglia distrutta, non nobile anche se suo padre era stato un fedele soldato.
Gli eredi del titolo sarebbero arrivati dal nipote Jon, da Sansa sorella maggiore – secondo Arya, un cucciolo umano era già in arrivo - dagli altri maschi Stark; Jaquen voleva un futuro con Arya, doveva parlare on il suo maestro per capire di essere sciolto in parte dai voti: impossibile pensare di lasciarla, dopo quanto li aveva uniti.
Seduta a un tavolo di pietra, Sansa gli fece cenno di sedersi accanto;. ai suoi piedi Nymeria e altri due enormi lupi, il loro manto invernale folto e lucente.
Nymeria voleva capire se Jaquen era davvero parte del branco e l’annusò, c’era l’odore della sua padrona sulla pelle e sugli abiti.
Sansa e Jaquen non avevano mai conversato molto, sansa era presa dai suoi doveri di Signora di della casa, dal novello sposo e dal restauro di Winterfell.
“Arya mi ha anticipato l’idea del vostro matrimonio.”
Jaquen abbassò il capo; era logico per Arya informare la sorella, il capo della famiglia.
Sansa osservò con attenzione l’uomo che Arya aveva scelto, una decisione che rispecchiava la vera natura della giovane Stark. Dopo gli anni al servizio del Dio dai molti volti, Arya non poteva optare per un semplice cavaliere e nemmeno per l’ex fabbro ora legittimato alla sua casata.
“Mia sorella dice che ti obbedirà sempre, ma non ti obbedirà mai.”
“Sono sempre stato io a obbedire.”
“Hai una scelta, accettare o rifiutare il matrimonio.”
“Non ho mai scelto, un uomo per anni ha solo servito il suo Dio.”
“Mia sorella deve davvero tenere a te per chiederti in sposo. Ha sempre rifiutato l’idea del matrimonio.” Concluse Sansa prima di alzarsi e allontanarsi seguita dai lupi.
“Proprio così.” Rispose Jaquen, riprendendo il suo percorso nel giardino.
Stark era davanti al cancello che dava sui bastioni, lo teneva chiuso e bloccava il passaggio.
Jaqen capì e annuì. Doveva restare.

 

Ancora Jaquen non credeva che in poche ore, all’apice del sole, nella gelida luce invernale, sarebbe diventato lo sposo di Arya, davanti alla famiglia e ai nobili del Nord riuniti.
Arya sarebbe stata unita a lui per la vita, secondo le leggi e gli Dei. Era la strada che il suo maestro aveva disegnato nel loro ultimo incontro, essere un nome e dare il proprio nome a qualcun altro.
Significava abbandonare una parte della vecchia vita, non la fede nel suo Dio, al servizio ora della sua donna.
Jaquen spostò il mattone del camino che il raggio di luce aveva colpito e nella cavità trovò un rotolo legato con un nastro bianco.
La pergamena era sottile, impalpabile e resistente allo stesso tempo; la srotolò con attenzione, le mani insicure, un nuovo segno da un padre, soddisfatto che i suoi figli avessero trovato pace.
Il disegno si rivelò ai suoi occhi: un uomo con una ciocca bianca in testa, accanto a una figura femminile in abiti da uomo, più bassa, le trecce scure legate al modo del Nord, in mezzo ai due un bambino dagli occhi grigi e dai capelli rossi, ai loro piedi un grande lupo, sopra un aquila.
I dettagli erano precisi e decisi, la donna era Arya, l’uomo era lui e il bambino con i tratti distintivi dell’una e dell’altro, era loro.
Un figlio, un altro erede per Winterfell, per gli Stark, per Arya.
Jaquen guardò meravigliato il disegno, aveva sempre preparato per Arya l’infuso che evitava il concepimento ogni volta che i loro corpi si erano uniti, dopo la cerimonia la scelta – o il destino – diventava di Arya, lui non voleva influenzarla. Un figlio non era facile per una guerriera come lei, c’era un cugino a governare, un fratello a giudicare e la sorella a tenere la corte, lui e Arya erano liberi di scegliere la loro vita. Ma di una famiglia non avevano mai parlato, magari dopo il viaggio verso Ovest che Arya tanto agognava.
Forse il disegno era giusto, un figlio, uno soltanto, nessun altro, Arya gli avrebbe trasmesso i suoi poteri e Jaquen insegnato a combattere per se stesso e per la famiglia.
La porta di aprì ed il Mastino chiamò Jaquen.
“Sei pronto?”
Un uomo che una volta era senza nome e senza volto si alzò e raggiunse sulla soglia Sandor, vestito come lui con abiti eleganti e un po’ a disagio.
“Puoi ancora evitarlo. C’è un cavallo sellato pronto nella stalla.” La voce di Sandor aveva una punta di rimpianto, alla sua Sansa il futuro cognato piaceva e Arya aveva parlato così tanto del suo vero assassino quando lei e Sandor avevano viaggiato insieme. Ma forse Jaquen aveva altri progetti e altri destini, Sandor voleva offrigli una via di fuga.
“Sfuggire a una Stark? Chi è mai riuscito a farlo?” I due uomini si guardarono a lungo negli occhi, arrivando a comprendersi mai come in passato.
“Hai ragione, è impossibile.”
“Andiamo, non posso far aspettare la mia cara ragazza.”

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