A Tale Of Crows And Demons

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: di regni distrutti e principi caduti ***
Capitolo 2: *** Di demoni e cavalieri ***
Capitolo 3: *** Di Corvi e Arcieri ***
Capitolo 4: *** Di mostri e destino ***
Capitolo 5: *** Di doveri e desideri ***
Capitolo 6: *** Di fortuna e destino ***
Capitolo 7: *** Di ragioni politiche e ragioni del cuore ***
Capitolo 8: *** Di carne e sangue ***
Capitolo 9: *** Di vittorie e sconfitte ***
Capitolo 10: *** Di fiabe senza lieto fine e piccoli miracoli ***
Capitolo 11: *** Interludio: di tradimento e vendetta ***
Capitolo 12: *** Di incubi spaventosi e presagi oscuri ***
Capitolo 13: *** Di genitori e figli ***
Capitolo 14: *** Di cuori spezzatii e rose nere ***
Capitolo 15: *** Di essere Re ed essere Uomini ***
Capitolo 16: *** Di spicchi di cielo e castelli di sabbia ***
Capitolo 17: *** Di prodigi e disastri ***
Capitolo 18: *** Di gloria e grandi imprese ***
Capitolo 19: *** Di specchi e tradimenti ***
Capitolo 20: *** Interludio: di sogni infranti ed ingenue speranze ***
Capitolo 21: *** Di piume nere e primi passi ***
Capitolo 22: *** Di lunghi viaggi e nuovi orizzonti ***
Capitolo 23: *** Di onore e duelli ***
Capitolo 24: *** Di prede e predatori ***
Capitolo 25: *** Di debiti e corone ***
Capitolo 26: *** Di rosso e corvino ***
Capitolo 27: *** Di draghi e salti nel vuoto ***
Capitolo 28: *** Di scelte e bugie ***
Capitolo 29: *** Di eredi e condanne ***
Capitolo 30: *** Di cuori di drago e creature magiche ***
Capitolo 31: *** Di sole e d'estate ***
Capitolo 32: *** Di più e ancor di più ***
Capitolo 33: *** Di lucciole e stelle ***
Capitolo 34: *** Interludio: di possibile ed impossibile ***
Capitolo 35: *** Di fughe ed inseguimenti ***
Capitolo 36: *** Di persiane chiuse e bandierine colorate ***
Capitolo 37: *** Di debolezze e rischi calcolati ***
Capitolo 38: *** Di nuove stagioni e altre fughe ***
Capitolo 39: *** Di sentieri e alte montagne ***
Capitolo 40: *** D’intrusi e cambi di stagione ***



Capitolo 1
*** Prologo: di regni distrutti e principi caduti ***


Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni

Salve popolo!
Altro fandom, altro esperimento e questo richiede le note di premessa invece che a fondo pagina per rendere la lettura più agevole.
Io penso che quasi tutti conosciate anche solo di svista Haikyuu Finale Quest (per tutti gli altri googlate e divertitevi!). Bene! Probabilmente è stato il click definitivo che mi ha spinto a scrivere questa storia (insieme ad una lunga lista di fan art a tema che mi hanno dato alla testa) che tuttavia ha ben poco a che fare con quel videogioco. Più specificatamente, ne riprende la dimensione medioevale e poco altro da qui l'avvertimento Alternative Universe con elementi Fantasy e tanta licenza poetica per quanto riguarda il genere (penso che tutti abbiamo visto almeno un'immagine di Oikawa vestito di nero e con tanto di corna... Bene, questo da solo penso basti a giustificare).
Piccola introduzione: ogni squadra della storia originale qui corrisponde più o meno ad un regno. I regni si fanno le guerre, instaurano alleanze e via dicendo. E qui arriva il discorso delle coppie.
Come avrete letto questa storia nasce come una Kageyama x Hinata(che in questo specifico contrsto verranno chimati esclusivamente Tobio e Shouyou). Tuttavia, la trama presenta uno schema piuttosto corale e con l'importante presenza della Iwaizumi x Oikawa e della Daichi x Suga(specie nei primi capitoli) e questo non esclude il coinvolgimento di altre coppie che potremmo definire classiche per questo fandom.
Altre particolarità: la trama presenta elementi tipici delle relazioni Alpha-Omega e conseguente accenno ad mpreg nei primissimi capitoli, tuttavia la storia non gira intorno a nessuna delle due tematiche.
Mi auguro che la lettura sia piacevole!



Prologo:
Di regni distrutti e principi caduti



 
"Ti racconto una storia: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."




Il corvo cadde a terra.

La freccia era arrivata all'improvviso. Troppo perchè il rapace potesse evitarla, pur con l'assurda velocità che sembravano possedere le sue ali.

Il piccolo corpo nero toccò il terreno quasi senza emettere rumore ma al Principe era sembrato assordante come un colpo di cannone.

 
***



Il Regno di Seijou era andato distrutto.

Il Primo Cavaliere si sollevò a fatica dal letto in cui era stato portato alla fine della battaglia. Era rimasto sul campo fino all'ultimo, non si era arreso fino a che il suo corpo non aveva ceduto e sarebbe rimasto anche fino alla morte se non lo avessero trascinato via. Non aveva sperato di riaprire gli occhi quando lo avevano gettato tra quelle coperte nere chiamando disperatamente chiunque fosse in grado di medicare le sue ferite. Non meritava di vivere dopo aver fallito nel difendere la sua casa e la sua gente.

Provava vergogna per se stesso, per la sua debolezza. In quello che credeva fosse stato il suo ultimo minuto aveva voluto fare solo una cosa: chiedere perdono.

Perdono a Tobio per non essere riuscito a guidarlo come avrebbe voluto. Perdono al suo Re per aver tradito la promessa che gli aveva fatto ed il giuramento solenne che si erano scambiati. Non sarebbe stato al suo fianco fino all'ultimo, non poteva. Se ne sarebbe andato per primo e lo avrebbe lasciato indietro e si era sentito un bastardo traditore per quello.

Poi due mani si erano strette sulla sua. Nel caos che lo circondava, era riuscito ad avvertire il tremore che percorreva quelle dita ed aveva aperto gli occhi un'ultima volta per incontrare due occhi marroni che lo avevano accompagnato per tutta la vita. Non c'era stato nessun perdono in quelle iridi scure, rese lucide dalla disperazione, solo una preghiera che Hajime aveva sentito riecheggiare nella sua testa sebbene nessuno avesse parlato.

"Vivi!" Dicevano quegli occhi. "Vivi! È un ordine!"

E non aveva potuto disubbidire, non aveva importanza quanta rabbia provasse verso sé stesso.

Si era svegliato nel letto del Re, un'imprudenza a cui nessuno sembrava aver fatto particolarmente caso. Nessuno si preoccupava più di mantenere apparenze inutili in mezzo a caos e distruzione.

Tobio era stato l'imprudenza più grande e già allora non era certo un mistero il legame che vi era tra il giovane sovrano ed il Primo Cavaliere.

Hajime si portò una mano alle bende che gli fasciavano l'addome combattendo una fitta di dolore mentre si sollevava in piedi. Lo avevano liberato dall'armatura e dagli stivali lasciandolo solo con i pantaloni ancora sporchi di fango e sangue. Si avvicinò ad una delle grandi finestre della camera da letto ed osservò l'orrendo spettacolo che gli si presentava. Aveva osservato l'alba da quella stessa finestra innumerevoli volte nel corso degli anni. Aveva aspettato il sole sorgere dietro le montagne all'orizzonte per illuminare il loro regno con la luce di un giorno nuovo, l'ennesimo di altri mille.

Così aveva sperato. Così aveva creduto e doveva averci creduto anche il suo Re, quando si svegliava in quel letto dai tendaggi neri e si alzava per circondargli la vita con le braccia, poi appoggiava il mento sulla sua spalla ed osservava incantato lo stesso spettacolo che aveva catturato la sua attenzione.

Hajime non trovò nulla di quei giorni felici fuori da quella finestra. Vide solo la distruzione e la desolazione lasciati da una guerra finita in tragedia. I fuochi erano stati spenti ma si alzavano colonne di fumo oltre le mura di cinta della città. Hajime poteva indovinare senza sforzo di che cosa si trattassero e strinse i pugni fino quasi a ferirsi i palmi.

"Hajime?"

Il Primo Cavaliere si voltò. Era così diverso il suo Re alla luce di quell’alba grigia. Dov'era finito il mantello nero e l'aria spavalda? Dov'era finito il sorriso sicuro di chi non si è mai lasciato piegare da una sconfitta? In quel preciso momento, Tooru assomigliava tanto al sé stesso di anni prima, al giovane re con dorati sogni di gloria che era riuscito a tirarsi in piedi anche dopo che il Re dell'Aquila l'aveva fatto prigioniero ed umiliato. O, forse, no. Quel Tooru aveva ancora voglia di sorridere, anche se non sempre sinceramente. Il Tooru che lo guardava ora sembrava aver dimenticato come si faceva.

Aveva l'aria stanca, distrutta ma camminò a testa alta nell'attraversa la distanza che li separava.

Quanto tempo era passato dall'ultima volta che erano stati così vicini?

"Non dovresti stare in piedi," disse con triste gentilezza.

"Hai ragione," replicò Hajime. "Non dovrei."

Tooru strinse le labbra. "Non accetto sentire una parola di rimpianto da te."

"La mia vita per una qualunque di quei ragazzi che bruciano laggiù," disse Hajime fissando le colonne di fumo che si alzavano verso il cielo che andava via via schiarendosi. Non poté evitare lo schiaffo di Tooru. Non lo vide arrivare.

"Non osare," lo avvertì il Re con voce tagliente. "Non lo devi nemmeno pensare!" Faceva male vederlo così sinceramente emotivo, così disperato. Tooru aveva sempre nascosto tutto dietro ad un sorriso sarcastico e Hajime aveva impiegato praticamente tutta la sua vita per imparare a vedere cosa vi era nascosto dietro. Ora, Tooru non aveva più nemmeno la forza di nascondere niente.

"Stai bene?" Chiese Hajime.

"Non ho ferite che possano compromettere la mia salute," replicò Tooru, poi alzò una mano per sfiorare la fasciatura sull'addome del Primo Cavaliere. "Se non fossi così testardo saresti già morto."

"Non sei la persona più adatta per rimproverarmi per la mia testardaggine," gli ricordò Hajime.

"Stai zitto!" Sibilò il Re. "Stai zitto! Stai zitto! Stai zitto!"

Non era la prima volta che Hajime assisteva alla distruzione di Tooru, il Re Demone ma, in tutta onestà, ogni volta era una tortura terribile. Il giovane sovrano appoggiò la fronte contro la sua spalle e versò tutte le lacrime che non era riuscito a versare la notte scorsa. Hajime lo lasciò fare: non poteva essere di nessun'altra utilità in quella situazione.

"Dov'è Tobio?" Domandò il Primo Cavaliere come i singhiozzi del sovrano cominciarono a calmarsi. Tooru rimase immobile per una manciata di secondi, poi rivolse a Hajime uno sguardo di puro terrore. Quest'ultimo lo ricambiò immediatamente. "Non è tornato al castello?"

Il Re scosse lentamente la testa mentre una nuova ondata di panico gli chiudeva la gola. Dimentico del dolore, della stanchezza e delle ferite, il Primo Cavaliere afferrò i suoi stivali lasciati abbandonati accano al grande letto. "Fammi preparare un cavallo!"

Tooru scosse la testa. "Non puoi cavalcare nelle tue condizioni, vado io!"

"Non sai dove l'ho lasciato, non potresti mai..."

La porta della camera si aprì senza rispetto e Tooru si voltò a guardare l'intruso con occhi animati dalla più terribile ira. Fu solo un momento.

Gli occhi blu del giovane Cavaliere che li aveva appena interrotti fu abbastanza per calmare gli animi di entrambi. "Maledetto moccioso!" Esclamò Hajime irato gettando gli stivali a terra e avvicinandosi al ragazzo. Tooru fece per fare lo stesso ma l'orgoglio fu più forte: strinse i pugni e rimase dov'era.

Tobio reggeva qualcosa tra le braccia: un fagotto rosso e bianco. Il suo mantello, riconobbe il Re Demone. Il ragazzo parlava velocemente, come se fosse sul principio di una crisi di panico ma Tooru non ascoltava le sue parole, era troppo preso ad osservarlo in tutta la sua interezza.

Non era andato incontro ad un cambiamento fisico enorme nel periodo di tempo in cui erano stati separati, eppure era diverso. Forse, erano gli abiti da Cavaliere comune. Forse, era la luce di disperata umiltà con cui pregava Hajime di aiutarlo in qualsiasi cosa lo turbasse.

Il Primo Cavaliere prese il fagotto rosso dalle braccia di quello che era stato un Principe, il loro erede al trono e fissò il proprio sovrano come se avesse visto qualcosa di ben più tragico della distruzione che li circondava. "Tooru..." Chiamò, poi si avvicinò al letto depositandovi la creaturina agonizzante avvolta nella stoffa rossa.

Solo allora il Re Demone comprese il terrore negli occhi blu del Principe. Lo stesso terrore che doveva aver animato i suoi quando i Cavalieri avevano trascinato Hajime quasi morente all'interno del castello. Non poteva credere che il piccolo corvo fosse ancora vivo, non con la freccia che lo attraversava da parte a parte nel punto di giunzione tra l'ala e la spalla.

Era duro a morire il piccoletto.

Un altro esempio vivente di pura testardaggine.

"Farò qualunque cosa," era stato Tobio a parlare. Tooru alzò lo sguardo e si accorse che si stava rivolgendo a lui.

"Qualunque cosa," ripeté con solennità ed appoggiò un ginocchio a terra in segno di umiltà, "ma guaritelo, vi prego!"

Tooru non era certo di poter accettare tanto in un solo giorno: una sconfitta di tragiche dimensioni da parte di Wakatoshi ed anche l'erede che si umiliava senza remore di fronte a lui. Hajime lo giudicava in silenzio ma il Re Demone sospirò stancamente. Aveva già deciso nel momento in cui aveva visto lo stato in cui versava quel piccolo corvo. "Non possiamo fare niente finché rimane in questa forma, potremmo letteralmente staccargli l'ala per liberarlo della freccia," spiegò. "Non ci resta che aspettare... Hajime?"

"Sì?"

"Cerca Tetsuro e porta Tobio con te, digli di portare qui Kenma: non sarà una ferita facile da gestire."

Sentì gli occhi blu di Tobio su di sé ma Tooru non si disturbò ad alzare lo sguardo.

"Andiamo, Tobio," sentì dire Hajime e, in men che non si dica, erano già fuori dalla stanza.

Tooru appoggiò un ginocchio sul letto. "Dovresti essere fiero di te, piccoletto. Un futuro Re come quello che è pronto a prostrarsi in ginocchio per te... Non è da tutti."

La bestiola mosse debolmente l'ala sana e Tooru si accorse che tremava: la stanza era fredda. Si voltò verso il caminetto dove le braci non erano del tutto spente e si chinò per ravvivare il fuoco. Udì un improvviso frusciare alle sue spalle, seguito da un chiaro singhiozzo di dolore.

Il Re Demone si volto: non giaceva più un piccolo corvo ferito sul mantello rosso di Tobio.

Vedere quella freccia conficcata nel petto candido del ragazzino non era qualcosa a cui Tooru era preparato. Si muoveva lentamente sul letto lamentandosi per il dolore, gli occhi serrati ed il viso madido di sudore. Il Re non credeva fosse abbastanza lucido da aver realizzato dove si trovava.

Tornò accanto al letto e coprì quel corpo minuto con il mantello rosso in cui era stato avvolto per tutto il viaggio che lo aveva condotto lì. Preso da uno slancio di pietà passò una mano tra quei capelli ribelli dal colore impossibile.

"Sei al sicuro ora, Shouyou," gli disse gentilmente. Il piccoletto scottava ma non se ne sorprese con una ferita del genere. "Hai la febbre," lo avvertì. "Risparmia le forze."

Shouyou aprì a fatica gli occhi fissandoli in quelli del re senza timore. Strinse la stoffa rossa del mantello che lo ricopriva come se fosse qualcosa di prezioso. "Tobio?" Fu l'unica cosa che riuscì a dire. Era ad un passo dalla morte ed ancora quella era la sua unica preoccupazione?

"È qui al castello anche lui," lo rassicurò Tooru. "È al sicuro."

Shouyou chiuse gli occhi e si rilassò di colpo nel sentire quella risposta. "Ehi, piccoletto, resta sveglio," lo avvisò il Re Demone. "Resisti, avanti. Non ti sei mai arreso per così poco e non voglio essere io a riconsegnare il tuo cadavere a Koushi e Daichi."

"L'ho protetto..."

"Cosa?"

E Shouyou sorrise. Un sorriso debole, affaticato ma terribilmente simile ad un sorriso di vittoria. Tooru ne rimase sconvolto, mentre i grandi occhi quasi dorati si aprivano di nuovo e lo guardavano. "Non lo ha toccato. Sono riuscito a salvarlo..."

Perse i sensi un istante dopo e Tooru rimase lì a vegliarlo incapace di muoversi.

Per chi era stata la freccia che ora trapassava il petto di Shouyou?

Chinò la testa.

"Quanti altri Re conti di far inginocchiare ai tuoi piedi, Principe dei Corvi?"


 

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Capitolo 2
*** Di demoni e cavalieri ***


1
Di Demoni e Cavalieri

 



C'era una volta, molte stagioni prima...


“Il princ-princi…” Il piccolo Demone sbuffò, frustrato. “Questa parola è difficile, mamma!”

La Regina si allontanò dalla finestra con un sospiro stanco. “No, non è difficile.” Si sedette accanto al figlio, aggiustandosi la lunga gonna dell’abito nero sulle gambe. “Sei perfettamente in grado di leggerla, devi solo smetterla di arrenderti alla prima difficoltà. Riprova.” Passò l’indice sotto la parola incriminata, aiutando il bambino con la pronuncia. “Insieme: prin-

“Prin-”

“Ci-”

“Princi-pio.” Gli occhi scuri del Principe s’illuminarono. “Principio!”

La sovrano gli posò un bacio tra le piccole corna. “Bravissimo, Tooru. Continua.”

Il bimbo prese un respiro profondo, afferrando il grande libro con entrambe le mani. “Il principio fu la magia,” ripeté la frase due volte, ma non riuscì a comprenderne il significato. “Che vuol dire, mamma?”

La Regina incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò il mento. “Vuol dire che la magia ha dato inizio al nostro mondo, amore mio. Se tu sei nato, è proprio grazie a essa.”

Tooru non ne era convinto. “La balia mi ha detto che i bambini nascono dall’amore.”

Gli occhi della Regina si fecero tristi, ma fu svelta ad alzarsi per nasconderlo a suo figlio. “Sì, immagino che per gli altri sia così.” Si avvicinò allo scaffale pieno di libri, passando gli occhi blu sui titoli per trovare qualche volume utile alla loro lezione. 

Tooru si voltò a osservarla. “Che vuoi dire?”

Sua madre gli rivolse un sorriso forzato da sopra la spalla. “Voglio dire che i bambini che avrai nasceranno da te e dall’amore della tua vita.”

Era ciò che sperava di più per suo figlio, qualcosa che lei non aveva mai conosciuto.

Tooru scese dalla sedia, affiancandosi a lei. “Mio padre era l’amore della tua vita?”

Per lei, il giorno in cui avevano celebrato il funerale del suo Consorte era stato più felice di quello del loro matrimonio. In quanto unica erede al trono del Regno di Seijou, il consiglio aveva preteso solo una cosa da lei: un erede. Per averlo, le avevano imposto uno sposo bellissimo e crudele. Il giorno in cui era caduto in battaglia era stato lo stesso in cui era tornata a respirare.

“Mamma?”

La Regina guardò l’unica creatura a cui era mai appartenuto il suo cuore. Non poteva dirgli la verità - Tooru non meritava quel peso - ma gli doveva comunque una risposta. S’inginocchiò per guardare il suo Principe in quei grandi, profondi, occhi scuri. Le assomiglia in tutto, tranne che in quel piccolo particolare. Per sua fortuna, non era un’eredità di suo marito ma di suo padre, il Re Demone che l’aveva preceduta. Lo stesso sovrano nobile e valoroso di cui il suo bambino portava il nome.

“Tu sei l’amore della mia vita, mio Principe,” dichiarò la sovrana.

Tooru sorrise, orgoglioso di se stesso.

“Vai, continua a leggere.”

Il piccolo Principe ubbidì e riprese i suoi studi con entusiasmo. “La magia si può mani-manif-”

“Manifestare,” lo aiutò la Regina.

“La magia si può manifestare in varie forme… Attribu-buendo a ogni individuo talenti unici e irripetibili.”

“Questo non è del tutto vero,” intervenne la sovrana, afferrando un nuovo libro e tornando accanto al figlio. “Nel nostro caso, la magia ha attribuito le stesse doti a un intero popolo. Per questo Seijou è un Regno di Demoni, Tooru. Tutti noi siamo dotati di corna, per esempio. Il nostro corpo è più forte di quello di un comune essere umano. Ferite, malattie, il passare del tempo… Noi li affrontiamo in maniera diversa.”

“E perché proprio io sono il Principe Demone?”

“Perché tu discendi da una dinastia più antica delle altre. Grazie alle tue origini, nel tuo sangue c’è più magia di quello di chiunque altro in queste terre.” La Regina aprì il libro tra su di un’antica mappa. “In principio, molto tempo fa, queste terre erano dominate dai Signori dei Draghi,” raccontò, indicando la catena montuosa a nord. “Non ci è arrivato molto delle loro famiglie, ma sappiamo che regnavano da qui.”

“Quelle montagne segnano il confine estremo di quasi ogni regno. Perché nessuno riesce a conquistarle?”

“Diciamo che sono difficili da esplorare senza due ali forti e grandi, Tooru.”

“Ma continuiamo a respingere barbari che vengono da là.”

“Tribù. Popoli divisi dalla crudeltà delle terre in cui sono nati, incapaci di creare un regno unificato… Ma ora lasciami finire la storia.”

Tooru chiuse la bocca e rimase in ascolto.

“Ricordi chi si è ribellato all’oppressione dei Draghi?”

“I Demoni.”

“E chi altro?”

“Quelli capaci di trasformarsi in uccelli.”

La Regina rise. “Qualcuno li chiama mutaforma, io preferisco Spiriti della Natura. In fin dei conti, attraverso loro, la magia della terra ha avuto la sua massima espressione.”

Tooru storse il naso. “Sono diversi dai Demoni perché hanno le ali al posto delle corna?”

Sua madre scrollò le spalle. “Ammetto di non averne mai visto uno, ma tre di loro parteciparono alla guerra contro i Signori dei Draghi. Ricordi cosa è accaduto ai generali di quelle tre armate?”

“Sono divenuti i capostipiti delle dinastie di Shiratorizawa, Fukurodani e Karasuno,” rispose Tooru, indicando i tre regni segnati sulla carta. “Mentre i due generali Demoni divennero i fondatori del Regno di Seijou e del Regno di Nekoma,” aggiunse.

“Bravissimo,” lo lodò sua madre.

“E l’arcipelago di Dateko?” Domandò il Principe, indicando le uniche isole presenti sulla mappa, in direzione ovest.

“Dateko è un regno di uomini,” spiegò la Regina. “Sì, gli esseri umani combatterono nella guerra, ma a loro non venne riconosciuto un granché.”

Tooru cadde in uno stato di profonda riflessione e per un paio di minuti non parlò. “Ma se Tetsuro di Nekoma ha le corna, allora Wakatoshi di Shiratorizawa ha le ali?”

Sua madre gli sorrise, paziente. “Nei secoli, la magia si è dispersa, Tooru. Vi sono ancora creature che ce l’hanno nel sangue in questo mondo, spesso sono gli unici della loro famiglia a essere stati baciati dal destino. Questi possono essere Maghi, oppure Omega… Per quanto ne so, nessuno degli eredi degli Spiriti della Natura possiede delle ali da molto tempo.”

“Uhm…” Tooru s’imbronciò. “Peccato.”

“Quindi, con la fondazione dei regni di cui abbiamo parlato, che cosa è accaduto?” 

“Si sono formati i Regni Liberi,” rispose Tooru. “Suddivisi in cinque Regni Maggiori - Seijou, Shiratorizawa, Nekona, Fukurodani e Karasuno - e diversi Regni Minori, tra cui Dateko.”

La Regina gli posò un bacio tra i capelli. “Benissimo, amore mio.”

Tooru studiò la mappa sotto i suoi occhi con sguardo critico. “Mamma?”

“Dimmi, tesoro.”

“Sarà uno di questi Principi a divenire l’amore della mia vita?”

Fu una domanda innocente, ma colpì la Regina dritta al cuore. Posò gli occhi blu su quella mappa e ripensò a tutti i piani dinastici che le erano stati proposti da quando era nato il suo bambino. Qualcuno diceva Tetsuro di Nekoma, per mantenere puro il sangue di Demone della dinastia reale. Qualcun altro, Daichi di Karasuno: un’offerta di pace dopo che il Re dei Corvi e il Consorte della Regina Demone erano caduti sullo stesso campo di battaglia. I più, quelli che contavano davvero, indicavano come candidato migliore Wakatoshi di Shiratorizawa, il regno più grande tra quelli liberi.

E tra tutti quei giochi di potere, la Regina voleva che Tooru conoscesse l’amore, quello che a lei era stato negato.

Bussarono alla porta e la lezione finì lì.

Una fanciulla della servitù si presentò con un inchino. “I Cavalieri sono tornati con ciò che cercavate, Maestà.”

La Regina sorrise, sollevata. “Vieni, Tooru,” prese per mano il suo Principe. “Ho una sorpresa per te.”




 

La prima volta che Hajime vide Tooru, prestò poca attenzione ai grandi occhi marroni che lo fissavano entusiasti, ma non riuscì proprio a staccare lo sguardo dalle due piccole corna nere sulla sua testa.

Aveva sei anni ed era nato con la sfortuna di essere un comune bimbo umano in un regno di Demoni. Quella era la prima volta che ne vedeva uno da vicino.

“Hajime.” La Regina pronunciò il suo nome con un sorriso dolce, che gli ricordò la sua mamma. “Avvicinati, non aver paura.” 

Assicurandosi di tenere gli occhi verdi fissi sul pavimento di pietra, il bambino fece tre passi. Non vide la sovrana alzarsi in piedi, ma sentì il frusciare del suo vestito mentre scendeva i gradini del Trono Nero. Quando s’inginocchiò di fronte a lui, Hajime non poté evitare di guardarla. Era bella, i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo poco prima del sorgere del sole e i lunghi capelli le ricadevano sulle spalle con eleganza. Anche le sue corna erano nere, più grandi, ma Hajime non ne ebbe paura. 

La sovrana gli accarezzò il viso con dolcezza e il bimbo seppe che non aveva nulla da temere.

“Dove lo avete trovato?” Domandò ai due Cavalieri che lo avevano scortato nella sala del trono.

“Lavorava per una famiglia di contadini,” rispose uno dei due soldati. “Sono stati ben lieti di venderlo.”

La Regina non fu felice di sentire quella storia. “Era la tua famiglia?” Domandò, rivolgendosi a lui.

Hajime scosse prontamente la testa. 

“Dove sono i tuoi genitori, piccolo?”

Il bimbo strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Non voleva piangere di fronte alla Regina di Seijou.

“La famiglia che lo aveva in custodia ci ha detto che sono morti entrambi lo scorso inverno, a causa dell’epidemia di tosse,” disse il secondo Cavaliere. “Si era ammalato anche lui, ma è sopravvissuto.”

“Capisco…” Mormorò la sovrana. Prese il viso del bambino tra le mani, invitandolo a guardarla negli occhi. “Sei sopravvissuto a un destino crudele, Hajime. Questo fa di te un guerriero. Non abbassare la testa di fronte a nessuno.”

Sebbene il pianto gli chiudesse la gola, il bambino annuì. Quegli occhi verdi si fecero fieri, insolitamente adulti. 

La Regina sorrise soddisfatta. “I miei Cavalieri ti hanno trattato bene?”

“Sì, mia signora.” Hajime parlò per la prima volta.

“Hai avuto paura?”

“Un po’?”

“E adesso?”

“Ho freddo, Maestà,” rispose il bambino con sincerità.

“Lo capisco.” La Regina gli passò una mano tra i neri capelli ribelli. “Temo dovrai farci l’abitudine. Ti prometto che qui non soffrirai mai per la fame o per la troppa fatica, ma è difficile riscaldare queste mura di pietra.”

Hajime aveva solo sei anni e non riuscì a comprendere l’avvertimento nascosto in quelle parole. 

Stanco di essere messo in disparte, il Principe saltellò lontano dal Trono Nero. “Ciao!” Esclamò con entusiasmo, affiancandosi alla madre. “Hai un nome strano, puoi ripeterlo?”

“Tooru, sii gentile,” lo rimproverò la Regina.

“Hajime Iwaizumi,” rispose il piccolo umano, stando attento a scandire bene ogni sillaba.

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Hajime Iwa-Iwai...” Scosse la testa. “Non importa, ti chiamerò Iwa-chan!”

Hajime sgranò gli occhi verdi. “Eh?”

Tooru annuì con entusiasmo. “Sì, Iwa-chan!” Ripeté, afferrando la mano del bambino appena arrivato. “Da oggi, Iwa-chan, sei tutto mio!”

Se avesse dato retta all’istinto, Hajime gli avrebbe dato un pugno per cancellare quell’espressione felice dalla sua faccia. 

“Con rispetto, Tooru,” intervenne la Regina, per nulla divertita. “Hajime è una persona, non un giocattolo. Da oggi, riceverà la tua stessa educazione. Sarà un tuo pari in tutto e per tutto, a dispetto di qualsiasi corona.”

“Ho capito, mamma,” disse Tooru con determinazione, quasi che gli fosse stata affidata una missione importante. “Da oggi, io e Iwa-chan saremo amici.”

Hajime lo guardò storto. “Non lo so se voglio essere tuo amico.”

“Non essere rude, Iwa-chan!”

“Mi chiamo Hajime!”

La Regina posò una mano sulla guancia del figlio e sulla spalla dell’altro bambino. “La mia speranza è che impariate a volervi bene,” disse. “E che riusciate a prendervi cura l’uno dell’altro.”




 

Hajime non seppe mai perché toccò proprio a lui.

Il Regno di Seijou era pieno di bambini umani - orfani o meno - che vivevano vite miserabili. Alcune forse lo erano più di quella da cui era stato salvato.

“Perché io?” Questa domanda lo accompagnò per tutto il suo primo anno al Castello Nero. Non osò mai rivolgerla a Tooru, né tantomeno alla Regina. Il suo più grande timore era quello di essere additato come ingrato, perciò decise di mettersi il cuore in pace e ringraziare la sua buona stella. Si era lasciato alle spalle fame, schiavitù e un’esistenza fatta di continui espedienti per sopravvivere.

Lì, al sicuro tra le mura del Castello Nero, aveva la sua occasione di vivere.

E poi c'era Tooru.

Tooru, che era capace di fargli rimpiangere anche i suoi giorni più bui.

Era un bel bambino, il piccolo Demone. Un principino tutto moine e sorrisi, bravissimo a far innamorare chiunque di sé. Era perfettamente - e disgraziatamente - consapevole di quel suo talento e non aveva paura di usarlo.

Accanto a lui, Hajime non faceva che sfigurare nel modo più umiliante possibile: era nato forte ma, di sicuro, non aveva niente di carino con cui vincere i cuori degli altri.

La sua più grande disgrazia era che, nonostante tutto, Tooru non sembrava vedere altri che lui.

La Regina aveva redarguito il figlio più volte riguardo al suo modo di porsi con Hajime, ma il Principe viveva nella convinzione che Iwa-chan esistesse al solo scopo di esaudire ogni suo desiderio. Di conseguenza, non c'era modo per Hajime di staccarselo di dosso, neanche con tutta la violenza del mondo. 

Un "Iwa-chan, mi annoio!" seguito da un ben più lagnoso "Iwa-chan è così cattivo con me!" erano le strofe fisse di un ritornello che scandiva le ore di ogni loro giornata. Solitamente, si arrivava a sera con le imprecazioni di Hajime e il sorrisetto sfrontato di Tooru, che sapeva di averla avuta vinta una volta di più. 

No, Hajime non scoprì mai perché toccò proprio a lui, ma non fu difficile intuire la ragione che aveva spinto quei Cavalieri a portarlo a corte. Tooru era cresciuto isolato, seguendo le regole di un’etichetta che anche alla sovrana doveva stare piuttosto stretta. Circondata da una vecchia nobiltà, che le era per lo più ostile, la Regina Demone aveva rimediato alla solitudine di suo figlio comprandogli un amico. Perché se era disdicevole che un Principe scendesse nei giardini del Castello Nero per sbucciarsi le ginocchia e sporcarsi di fango con gli altri bambini Demoni, nessuno aveva nulla da ridire sulla presenza nella sua quotidianeità di un piccolo schiavo umano.

Il lato positivo di tutto questo era che nessuno impedì mai a Hajime di essere sincero con Tooru. Ben presto, il primo arrivò a dimenticarsi di essere in presenza di un Principe e il piccolo Demone - nonostante fosse irreparabilmente viziato - non fece mai nulla per ricordarglielo.

Non c’era un istante della giornata che non trascorressero l’uno in compagnia dell’altro. Hajime seguiva le stesse lezioni di Tooru, poi passavano il resto del tempo a correre lungo i corridoi del Castello Nero, creando confusione nei grandi saloni della corte di Seijou. Il legame che si creò tra loro fu la naturale conseguenza di una continua condivisione di tempo e spazio. In assenza di definizioni migliori, la si poteva chiamare amicizia, ma con una tinta di dipendenza in cui era difficile indovinare chi dei due possedesse la personalità dominante.

Nonostante la caparbietà, non c'era realmente nulla che Hajime potesse negare a Tooru e, da parte sua, il Principe cercava il suo compagno di giochi in ogni momento di fragilità.

Avevano otto anni, quando la Regina cominciò a mostrare i segni di una strana debolezza. Per sicurezza, Tooru fu allontanato dagli appartamenti di sua madre. Nei mesi successivi, la presenza di Hajime accanto al Principe divenne indispensabile per il piccolo Demone.

"Iwa-chan?"

Hajime grugnì, tirandosi le coperte fin sopra la testa.

Tooru era così: non stava zitto tutto il giorno e pretendeva anche di fare conversazione nel cuore della notte.

"Com'è il mondo di fuori?" 

Hajime aveva perso il conto delle volte che l’amico gli aveva fatto quella domanda. In cuor suo, gli dispiaceva non potergli dare una risposta esauriente, o non avere esperienze del mondo fuori che non avessero a che fare con la crudeltà della gente. 

"Un giorno ti ci porterò," rispose Hajime, mezzo addormentato. "Così lo vedrai con i tuoi occhi."

Perché un giorno quell’insopportabile bambino viziato sarebbe divenuto il Re Demone di Seijou e non poteva governare su una terra che non conosceva nemmeno.

Gli occhi di Tooru si fecero luminosi come due stelle. "Me lo prometti?"

Hajime sbuffò. "Certo, stupido. Ora, dormi!"

 

 


Tooru era stato educato all'arte della guerra dall'età di cinque anni.

A otto era già il più bravo Arciere della corte e non faceva mistero di quanto ne andasse orgoglioso. Hajime aveva assistito di rado ai suoi allenamenti. Raggiunta l’età giusta, fu spinto a seguire l’addestramento da Cavaliere nel cortile interno del Castello Nero.

Quella fu la prima occasione in cui Tooru e Hajime vennero separati, la sola in cui quest’ultimo ebbe occasione di conoscere gli altri bambini Demoni della corte di Seijou. 

“Non capisco perché vogliano che diventi un Cavaliere. È ovvio che non sarò mai all’altezza di un’intera generazione di Demoni.” Hajime espresse ad alta voce quella sua perplessità dopo i primi tre mesi di addestramento. 

"Sei sempre al fianco del Principe," gli spiegò Issei Matsukawa, il figlio di una famiglia nobile residente a corte. "Ci si aspetta che tu sia in grado di proteggerlo."

Hajime lo fissò atterrito. “Vuoi dire che passerò il resto della mia vita a fare da balia al principe degli idioti?” Si fidava, sapeva di poter essere sincero.

Non lo avrebbe mai detto a Tooru, ma poter parlare con qualcuno che non fosse lui era come una ventata di aria fresca.

"Non credo sia possibile," intervenne Takahiro Hanamaki, un altro bambino di nobili natali.

A Hajime quel commento non piacque. "Perché no?" 

L'altro scrollò le spalle. "Di regola, la guardia del corpo del Principe e del Re è il Primo Cavaliere e tu sei un umano a una corte di Demoni. Sei bravo con la spada e lo diventerai ancora di più, ma dovresti essere migliore di tutti noi per restare al fianco del Principe."

Per la prima volta in due anni, Hajime si ricordò di essere quello che i Demoni consideravano meno di niente. Uno schiavo, al massimo. Non aveva diritti, solo una lunga lista di doveri che lo avrebbero accompagnato fino alla morte. Tooru era tutto ciò che lo salvava da un’esistenza miserabile. Non si era meritato il suo posto in quella corte, gli era stato donato solo perché il destino aveva deciso così.

Strinse la spada di legno con forza in un futile tentativo di scacciare via l'ondata d'insicurezza che lo travolse.

Non ne parlò mai con Tooru.



 

Dodici anni e Hajime era ancora a fianco del Principe Demone. 

Aveva dovuto dimostrare di possedere una forza - soprattutto di volontà - superiore a quella dei giovani Demoni che lo circondavano. Più di una volta si era ritrovato piegato, in lacrime, sopraffatto dalla stanchezza e dalla convinzione di non potersi rialzare più. Si era nascosto da Tooru, dagli amici che aveva trovato in quegli anni di duro lavoro e, alla fine, sarebbe stato uno dei primi della sua generazione a essere investito del titolo di Cavaliere.

Tooru ne era orgoglioso come se fosse una vittoria sua.

“Io ci ho sempre creduto, Iwa-chan,” gli confidò, mentre avvolgeva le bende pulite intorno alla mano dell’amico. Avevano smesso di giocare con le spade di legno da anni. Con quelle vere, non era difficile che capitasse qualche incidente. 

“Non dovresti essere tu a farlo,” disse Hajime, alludendo al modo in cui l’erede al trono si prendeva cura di lui. 

Tooru scrollò le spalle. “Infatti, non devo,” chiarì, finendo di medicare la ferita. “Però lo voglio.”

Erano soli, in camera del Principe, seduti di fronte al caminetto acceso. Da quando la loro educazione aveva preso direzioni diverse, quei momenti erano divenuti preziosi. La Regina aveva fatto di tutto per garantire a entrambi gli stessi privilegi, ma ciò non toglieva che Tooru fosse destinato a divenire Re, Hajime no. In un modo o nell’altro, le loro strade si sarebbero divise. 

Quello che più disturbava il fanciullo umano era sapere di non avere alcun potere su quello che ne sarebbe stato di loro. Stava a Tooru - e solo a Tooru - scegliere se tenerlo accanto a sé, oppure decidere che poteva fare a meno di lui.

In cuor suo, Hajime sapeva che l’amico non gli avrebbe mai fatto del male privandolo del suo posto a corte. 

Ma che legame poteva mai esserci tra un sovrano e un orfano raccolto per strada? Perché Hajime poteva essersi conquistato il titolo di Cavaliere contro le aspettative di tutta la corte di Seijou, ma questo non toglieva che fosse nessuno.

“Ecco fatto!” Quando ebbe finito, Tooru posò un bacio sul dorso della sua mano.

Preso in contropiede, Hajime la ritrasse. “Ma che fai?”

“Un bacio per mandare via il dolore, come dice la mamma.”

“Non siamo più piccoli, Tooru. Non serviva.”

“Forse,” ammise Tooru con un’altra scrollata di spalle. “Ma io volevo farlo.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Però lo voglio è il tuo nuovo modo di approcciarti al mondo?”

Tooru rise e scosse la testa. “Non so nemmeno come è fatto il mondo, Iwa-chan,” gli ricordò. “Non mi sto comportando in modo diverso dal solito. Ho voglia di prendermi cura del mio Cavaliere e lo faccio, tutto qui. Non mi sembra che qualcuno me lo stia impedendo.”

“Non sono ancora un Cavaliere, Tooru.”

“Lo diventerai presto,” ribatté il Principe con sicurezza. “E quando io diverrò Re, tu sarai il mio Primo Cavaliere.”

Era una bella favola, ma Hajime non se la sentiva di assecondarla. “Non penso di poter essere migliore di così, Tooru.”

“Che brutta cosa da dire a dodici anni. Dobbiamo ancora diventare grandi!”

Hajime si sporse verso di lui. “Tooru, il tuo Primo Cavaliere dovrà essere qualcuno in grado di guadagnarsi la fiducia dei tuoi soldati e di proteggere te.”

Tooru sorrise, paziente, come se stesse parlando a un bambino che proprio non ne voleva sapere di ascoltare. “E sai dov’è questo prodigioso Cavaliere?” Domandò. “Proprio di fronte a me.”

“Tooru, per favore-“

“Non conosco nessuno dei fanciulli con cui hai trascorso gli ultimi quattro anni,” disse Tooru. Non sorrideva più. “Saranno i nobili della mia corte, i Cavalieri del mio esercito. Io non so chi sono e loro non sanno chi sono io. Tu parli di fiducia e di protezione... In chi altri dovrei cercarle, se non in te?”

Hajime non aveva una risposta da dargli. 

Era sbagliato. Tutto era sbagliato. 

La Regina aveva agito in modo che suo figlio non crescesse da solo, ma il Re che era destinato a diventare sarebbe stato un estraneo per chiunque si sarebbe inchinato al suo cospetto. Lui era l’unico ponte tra Tooru e quel mondo che gli apparteneva per diritto di sangue. In quel momento, Hajime comprese che sulle sue spalle gravava un dovere che non era riconosciuto da nessun titolo.

Tooru aveva bisogno di lui perché non conosceva altro.

Bussarono alla porta. Una fanciulla della servitù si presentò col fiato corto e l’espressione allarmata. “Vostra Altezza, si tratta di vostra madre…”




 

I malesseri che avevano perseguitato la Regina Demone negli ultimi anni si tramutarono in una malattia a cui nessun curatore seppe dare un nome. 

Fu allora che Tooru cominciò a fare una cosa per cui Hajime non avrebbe mai smesso di odiarlo.

"Andrà meglio,"cercò di convincersi il Principe, mentre erano seduti entrambi davanti al fuoco della sua camera. Hajime lo osservava con occhi attenti, ma l’altro ignorava il suo sguardo con determinazione.

"Starà bene," si disse ancora, i grandi occhi scuri fissi sulle fiamme. 

Sorrideva. Un sorriso falso.

Hajime non se lo dimenticò mai e sperò con tutta l'anima di non doverlo vedere mai più.

Fu solo il primo di molti.




 

Per un intero anno, quello fu l’unico sorriso a graziare le labbra di Tooru.

Hajime finse di non accorgersi delle crepe sempre più profonde che si stavano formando nell'animo del Principe. Non aveva il potere di cambiare le cose e restare al fianco di Tooru non bastava.

“La stanno uccidendo,” disse Tooru, gli occhi scuri persi nelle fiamme del camino acceso.

Era un’idea troppo pericolosa da coltivare, anche per l’erede al trono. Prima che mettesse radici solide, Hajime si sentì in dovere di estirparla dalla testa dell’amico. “Tua madre è malata, Tooru.”

“I Demoni non si ammalano,” replicò il Principe con rabbia. 

Hajime gli strinse la mano tanto forte da fargli male. “Qualunque cosa ti passi nella testa in questo momento, non dargli voce.” Non era nella posizione per sapere se Tooru avesse ragione o meno, ma era abbastanza sveglio da capire che se esisteva una congiura contro i reali di Seijou, non si sarebbe fermata di fronte a un bambino scomodo.

Gli occhi di Tooru si riempirono di lacrime. “Non posso permettere che la uccidano, Iwa-chan.”

“Nessuno sta uccidendo nessuno.” Hajime aveva bisogno che l’altro se ne convincesse. “Tooru, se qualcuno provasse a farti del male, io non saprei come proteggerti. Lo capisci?”

Il Principe Demone lo guardò con sdegno. “Non ho bisogno che tu mi protegga,” disse, freddo. “Se hai paura di aiutarmi, allora fatti da parte!”

La mano di Hajime si abbatté sul viso di Tooru con una rabbia che non si era mai permesso di dimostrare. Se ne pentì non appena quegli occhi scuri lo guardarono spaventati e una mano tremante andò a coprire la guancia lesa.

Hajime strinse i pugni e non chiese scusa. Afferrò Tooru per le spalle e lo tirò in piedi. “Tu siederai sul trono di Seijou,” disse, fermo. “Fosse l’ultima cosa che faccio, tu diventerai Re di questo regno… Ma non posso prometterti altro, Tooru. Non posso.”

Il Principe Demone nascose il viso contro la sua spalla e pianse.

Col passare delle stagioni, le condizioni della Regina Demone non migliorarono. Il consiglio si vide costretto a preparare Tooru a un’incoronazione che poteva avvenire in qualsiasi momento. 

Per tutto il tempo, Hajime lo guardò da vicino, vide la tristezza in quei grandi occhi scuri trasformarsi in brina. Impossibile dire se Tooru avesse paura di quello che stava per accadere perché non chinò mai la testa di fronte a nessuno.

Se si fosse dimostrato debole, quel gioco di potere lo avrebbe distrutto.

E se non era forte abbastanza, lo sarebbe diventato.




 

Arrivò di nuovo l’estate ed entrambi compirono tredici anni.

“Come sta mio figlio?” Domandò la Regina Demone, stringendosi nella vestaglia di seta nera. Nonostante il pallore del bel viso, la sua naturale fierezza non era stata intaccata dalla malattia. Era in piedi, ma Hajime ebbe l’impressione che fosse solo l’orgoglio a sorreggerla.

“So che viene a farvi visita ogni giorno,” rispose l’apprendista Cavaliere.

“Avanti, Hajime, sai che Tooru non sarebbe mai sincero con me.”

Gli appartamenti reali erano bui e freddi, come se fossero sospesi in un eterno inverno, incuranti del sole estivo che brillava fuori da quelle mura di pietra.

“Si sta preparando per salire al trono,” raccontò Hajime. “È un erede fiero, che non si lascia intimorire dai nobili della corte, mia signora.”

“Fiero? Sì, Tooru lo è sempre stato,” la Regina si lasciò cadere stancamente sulla poltrona di fronte al caminetto spento. “Ma sarà sufficiente?”

Hajime non poteva rispondere a quella domanda.

La donna allungò una mano nella sua direzione. “Avvicinati, mio Cavaliere.”

Il fanciullo evitò di ricordarle che ancora non era stato investito di alcun titolo. S’inginocchiò di fronte alla sua signora. Non abbassò lo sguardo come l’etichetta comandava, perché sapeva che lei preferiva così.

Quegli occhi blu sembravano coperti da un velo, come se la luce che rendeva quel colore speciale si fosse spenta del tutto. Eppure, la Regina Demone appariva soddisfatta. “Sei un animo fiero anche tu, mio caro Hajime.”

“Cerco di essere all’altezza del mio Principe, Maestà.”

“Oh, lo sei.” La Regina allungò una carezza tra i capelli ribelli del fanciullo. “Ho sempre saputo che lo saresti stato. Sono felice che Tooru sia toccato a te, non lo avrei messo nelle mani di nessun altro uomo.”

Hajime aveva tredici anni e, nonostante le responsabilità che pesavano sulle sue spalle, non si sentiva affatto un uomo

“Tooru indosserà la Corona Corvina, ma non sarà in grado di sorreggerla da solo,” mormorò la Regina Demone, come se stesse parlando nel sonno. “Lascio tutto nelle tue mani, Hajime.”



 

Quando accadde, Hajime era nella sala delle armi. Furono Issei a Takahiro a dargli la notizia.

Sebbene nessuno lo avesse convocato ufficialmente, l’apprendista Cavaliere salì le scale degli appartamenti reali due a due. Intorno a lui, c’era un gran via vai: servi che andavano a comunicare il triste evento ai loro signori, nobili che accorrevano per averne conferma. Nessuno si accorse di lui. 

Quando arrivò a destinazione, Tooru era in mezzo al corridoio, a pochi passi dalla camera di sua madre. Hajime fece per corrergli incontro, poi si ricordò di chi aveva davanti.

Il Principe bambino a cui era stato dato in dono non c’era più.

L’apprendista Cavaliere piegò il ginocchio destro e abbassò la testa in un inchino maldestro. 

Tooru esaurì la distanza tra loro con passi veloci, afferrò il suo migliore amico per le spalle e lo costrinse a rimettersi in piedi. “Non farlo,” mormorò con voce rotta, abbracciandolo. “Non farlo mai. Non tu.”

Hajime ricambiò la stretta. La porta della camera da letto reale era socchiusa e la gente della corte continuava a entrare e uscire, come in preda a un delirio. Nessuno fece caso all’erede al trono - no, al nuovo Re - che si aggrappava disperatamente a un giovane umano senza famiglia e senza titolo. Hajime posò la mano sulla nuca di Tooru per tenerlo più vicino a sé. “Che cosa vuoi che faccia?” Non gli avrebbe negato nulla, non in quel momento.

“Portami via,” lo pregò il Demone. “Anche se solo per questa notte, portami via.”



 

Hajime conosceva quella cascata da quando era bambino. Prima di morire, i suoi genitori lo avevano portato lì per insegnargli a nuotare e per trovare un po’ di refrigerio nelle giornate più calde. 

Scelse quel luogo perché non era vicino alle mura del Castello Nero, ma nemmeno troppo lontano da rendere il viaggio estenuante. 

Quando Tooru smontò da cavallo, fu la prima volta che mise piede fuori dalla sua casa.

Mentre Hajime legava il destriero a un albero, Tooru si avvicinò alla sponda del laghetto. Tutto era nuovo per lui, persino l’aria che respirava sembrava avere un odore diverso. S’inginocchiò sull’erba umida, vi fece scivolare sopra la mano, fino a immergerla nell’acqua cristallina. 

Sopra le loro teste, il cielo era limpido e la luna brillava come un sole notturno, conferendo alla radura un qualcosa di magico. 

In quell’atmosfera, che nulla aveva di paragonabile a quella claustrofobica dei saloni del Castello Nero, Tooru sentì il cuore leggero dopo tanto tempo. Sì, sua madre era appena morta e non appena fossero tornati a casa, il peso di quel lutto gli sarebbe crollato inevitabilmente addosso. Lì e ora, Tooru decise di cancellare ogni cosa, tranne loro due.

“È bellissimo,” commentò, cercando gli occhi dell’apprendista Cavaliere.

Hajime lo interpretò come un permesso ad avvicinarsi. Si sedette sull’erba, accanto al Demone fanciullo e quando questi gli afferrò la mano, non la ritrasse. 

“Ho avuto paura di questo momento per molto tempo,” confessò Tooru. “Ora che è arrivato, sono quasi sollevato.”

“È comprensibile,” disse Hajime. “Non è facile guardare la propria madre spegnersi un giorno alla volta. È una tortura per l’anima e vuoi solo che finisca, non importa quanto possa sembrare crudele.”

“Anche i tuoi genitori sono morti di malattia, vero?”

Prima di allora, non ne avevano mai parlato.

“Ricordo poco,” ammise Hajime. “Sono stato il primo ad ammalarmi. Sono stato io a contagiarli. Non so per quanto tempo ho delirato per la febbre, ricordo solo che quando sono tornato in me, loro non c’erano più.”

Tooru intrecciò le dita alle sue e si portò la mano al petto. “Non hai più le mani morbide,” commentò, senza una reale ragione. “Sono anche più grandi delle mie. Non hai più le mani di un bambino, ma quelle di un uomo.”

Nel corso dell’ultimo inverno, anche Tooru era cambiato: i tratti morbidi e infantili si erano modellati nei lineamenti raffinati che indossava ora. 

“Siamo cresciuti,” disse Hajime.

“Perché nessuno dice che crescere fa male?” Domandò Tooru. 

“A te non ha fatto così male.”

Il Demone inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?” 

“Assomigli molto a tua madre,” disse Hajime. “Anche se non avete gli stessi occhi blu, sicuramente condividete la stessa bellezza.” Lo disse senza imbarazzo. 

Tooru strinse con più forza la mano dell’apprendista Cavaliere nella sua. “Prometti che non cambierà niente.”

Questo Hajime non poteva farlo. “È già cambiato tutto, Tooru. Il primo passo è accettarlo."

“Lo so, ma…” Tooru era sempre stato bravo con le parole, ma in quell’occasione inciampò nei suoi stessi pensieri. “Resta con me,” disse senza troppe cerimonie. “Quel che deve cambiare, cambierà. Ma tu resta con me.”

Hajime si portò la mano del Demone fanciullo alle labbra. “Non vado da nessuna parte,” promise.

Tooru prese un respiro profondo. “Sii mio,” lo pregò, e le prime lacrime scesero a bagnargli le guance. “E ti prometto che sarò tuo. Tuo e di nessun altro.”

Hajime non riuscì a dire nulla. L’impressione di star toccando qualcosa di proibito non lo intimorì. Al contrario, quando Tooru lo guardava in quel modo, si sentiva invincibile.

Si mossero insieme.

Il loro primo bacio ebbe il sapore delle lacrime di Tooru, ma per quel misero, insignificante, instante, non esistette nulla all’infuori di loro.



 

Tre giorni più tardi, Tooru seppellì sua madre e fece il suo primo passo sulla strada verso il Trono Nero.

Poco dopo, Hajime venne investito del titolo di Cavaliere, fu il primo umano a ricevere un simile onore in una terra di Demoni.

Di quel bacio rubato sotto la luna di una notte di mezza estate, non parlarono più.



 

Quattordici anni compiuti e ormai non esisteva più nulla del mondo in cui erano cresciuti. Le giornate che avevano condiviso tra giochi e litigi divennero solo un ricordo in pochi mesi. Non c'era più tempo per giocare, non c'era più modo di litigare perché mancava il tempo di stare insieme.

Hajime era tanto impegnato negli addestramenti con gli altri Cavalieri, che spesso si addormentava ancor prima di cenare con il suo giovane signore.

Tooru, da parte sua, ingaggiava una battaglia di parole con ogni membro del consiglio che tentava di plagiarlo e usarlo a proprio vantaggio. Nonostante se ne stesse zitto, il pensiero che sua madre fosse stata uccisa da qualcuno di quegli avvoltoi non lo aveva mai abbandonato. Il suo talento naturale nel persuadere e ammagliare divenne la sua arma vincente, in attesa del giorno in cui avrebbe potuto creare una cerchia di fedelissimi tutta sua.

Non si erano dimenticati l'uno dell'altro. Il mondo si era solo intromesso tra loro ed era difficile aggirare la sua ingombrante presenza.

Tooru non mancò di tendere una mano al suo Cavaliere. 

“Hajime, dillo che non sei capace di medicarti una ferita da solo. Non ti prenderemo in giro, promesso!” Lo punzecchiò Takahiro.

Issei ci mise il carico. “Se continui così, qualcuno potrebbe pensare che ti faccia male a posta.”

“Ma volete stare zitti?” Hajime gli ringhiò contro, mentre Tooru rideva e gli annodava il suo fazzoletto intorno alla mano dell’amico, come medicazione di fortuna.

“Ecco fatto!” Cinguettò Tooru, posando un bacio sulle nocche del Cavaliere. “Per mandare via il dolore.”

Hajime si ritrasse velocemente. “Sono sporco di fango, Tooru.”

“Porti solo i segni della fatica che fai per essere un degno Cavaliere del Re,” replicò Tooru. “Non hai nulla di cui vergognarti,” si rivolse agli altri due. “Dovrei essere io a inchinarmi a voi.”

Issei e Takahiro si ricomposero e abbassarono la testa con rispetto. 

“Non ditelo neanche per scherzo, Maestà,” disse quest’ultimo.

“Onorati di potervi servire,” aggiunse il primo.

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Falsi,” commentò. “Siete dei falsi. Se poteste, stareste tutto il giorno seduti sulle scale a giocare a carte.”

“Gli altri puntano la virtù della propria sorella,” si difese Takahiro. “Uno si deve pure guadagnare il pane.”

“Siete in presenza di un futuro Re!” Li rimproverò Hajime. “Tenete per voi le vostre volgarità!”

“Oh, penso che il futuro Re sia già un esperto di volgarità,” intervenne Tooru. Gli baciò la mano una seconda volta, prima di lasciarlo andare. “Perché gli piace scandalizzare la corte con questi gesti,” aggiunse con un sorrisetto malizioso, poi si voltò. “Ti aspetto per cena, Iwa-chan. Prova a non deludermi di nuovo addormentandoti.”

L’espressione del Cavaliere era una maschera di frustrazione, ma non riuscì a staccare gli occhi di dosso da Tooru fino a che non scomparve dal suo campo visivo. Alla fine, lasciò andare un sospiro sconsolato. Nell’accorgersi che gli altri due lo scrutavano con attenzione, quel poco di buon umore che si era guadagnato scomparve. “Che cosa c’è?” Domandò esasperato.

“Fate sul serio?” Domandò Issei.

Hajime non comprese. “Cenare insieme? Sì, lo facciamo da sempre.”

“No, non è questo.” Takahiro gli afferrò il polso per meglio guardare il fazzoletto avvolto intorno alla sua mano. “Questa è una cosa da amanti.”

Hajime sbuffò. “Non per Tooru. Lo fa da sempre.”

“Oh, come siete precoci,” commentò Issei.

“Non c’è molto da scherzare.” Takahiro lo lasciò andare. “Non si diventa amanti di un Re pensando di uscirne indenni.”

Hajime li mandò al diavolo, chiudendo quella conversazione scomoda sul nascere.

Lui e Tooru non erano amanti.

Forse non erano semplici amici, ma c’era un confine inviolabile a dividerli e andava rispettato. Solo una volta, un anno prima, si erano permessi di desiderare di più.

Non c’erano stati altri baci perché, ragionevolmente, nessuno dei due poteva permettersi quella follia.



 

Alla fine di quella stessa estate, a Hajime venne il dubbio di essere l’unico a pensarla in quel modo.

Quando gli impegni di corte gli permettevano di allontanarsi dal Castello Nero per un po’, Tooru era solito andare da lui per chiedergli di cavalcare fino alla loro cascata. Dopo la morte della Regina, si erano potuti recare in quel luogo tante volte da poterle contare sulla punta delle dita - di solito, quando Tooru si sentiva soffocare dalle pressioni del consiglio e desiderava solo poter respirare un po’ di libertà - ma Hajime era felice che fosse divenuto speciale per il suo Principe.

Che qualcosa turbasse Tooru, il Cavaliere lo comprese quando gli propose di andare con un solo cavallo. La sua vicinanza lo confortava e Hajime lo accontentò di buon grado, lasciandosi abbracciare per tutto il tragitto.

Fecero il bagno insieme senza vergogna, trovando sollievo dal caldo soffocante nell’acqua fresca. Hajime si accorse di come lo sguardo di Tooru indugiò su di lui in più di un’occasione. Di contro, il Cavaliere fece tutto il possibile per tenere gli occhi lontano dal Principe. Era un gioco a dir poco ridicolo, ma Tooru fu bravo ad attirare l’attenzione di quelle iridi verdi su di sé. “Il consiglio vuole che scelga un Consorte,” disse, come se stesse parlando del tempo. “O che qualcuno scelga me per diventarlo.”

Sebbene fossero entrambi distesi sotto il sole di agosto, Hajime si sentì gelare. Se Tooru voleva farsi guardare, aveva trovato il modo per farlo. 

Il Principe rise del suo tacito sgomento, ma quel suono non conteneva alcuna allegria. “Non restare in silenzio, Iwa-chan.” Ora era lui a non riuscire a guardare l’altro negli occhi. “Dì qualcosa.”

“Non ti hanno neanche incoronato.” Quella fu l’unica obiezione a cui Hajime riuscì a pensare.

Tooru si sollevò sui gomiti, le labbra graziate da quel sorriso che non era un vero sorriso. “Far coincidere il mio matrimonio con la mia ascesa al trono farebbe la fortuna di molti,” disse. “Con l’alleanza giusta, io finirei per essere un pupazzo nelle mani di un altro Re e questo potrebbe risolvere molti problemi per il consiglio.”

“Ad esempio?”

“Avanti, Iwa-chan… La mia condotta e il mio modo di pensare sono spregevoli per i Demoni più anziani. Sono un fanciullo che non ha ancora preso in mano il potere che gli spetta di diritto. Legato allo sposo giusto, quel potere non diverrà mai mio e non rischierò di fare danni.”

Hajime si sentiva irrequieto. Aveva voglia d’impugnare la spada e duellare con qualcuno fino a metterlo in ginocchio. Ci ripensò: la sua non era irrequietezza, ma vera e propria rabbia. “E adesso che cosa accadrà?” Domandò.

Tooru lo guardò e lo fece per un lungo minuto di silenzio. “Sai che tutte le fanciulle della servitù parlano di te?” 

Hajime inarcò le sopracciglia. “Questo adesso non ha alcuna importanza.”

“Strano, vero? Eri il bambino più brutto della corte e adesso non fanno che tenerti gli occhi addosso.”

“Tooru, piantala…”

“Oh, come sei permaloso!”

“Tooru!” Quegli occhi verdi inchiodarono il Principe al suo posto. “Non me ne importa niente e lo sai. Quello che m’interessa è quello che accadrà a te.”

Tooru si mise a sedere. I suoi occhi scuri erano tinti di una sfumatura oscura, pericolosa. “Dipende…” Si fece più vicino, tanto che Hajime poté sentire il suo respiro contro la pelle nuda. “Tu che cosa vuoi farmi?”

Quando il Cavaliere capì il vero motivo per cui il Principe li aveva voluti lì, nel loro luogo segreto, tutto si fermò. Non appena Tooru premette le labbra contro il suo collo, persino la cascata tacque.

Hajime artigliò l’erba su cui era seduto. Non poteva toccare Tooru - ma voleva - e non poteva allontanarsi - ma doveva.

“Tooru, aspetta.”

“Shhh…”

Hajime non fece niente per impedire al Demone fanciullo di arrivare alle sue labbra. Fu completamente diverso dal bacio dell’estate precedente. Era passato solo un anno, ma ne sembrarono dieci. Tutta l’innocenza della prima volta si era trasformata in qualcosa di sconosciuto, quasi spaventoso. Hajime ne fu sopraffatto. Quando Tooru lo tirò sopra di sé, lo assecondò, frastornato dai baci che si facevano sempre più umidi. Era stato uno stupido. Aveva mentito a se stesso per troppo tempo.

Tooru era destinato a diventare Re e tanto bastava a renderlo irraggiungibile.

Eppure, erano lì, incuranti dei titoli che portavano e del mondo che non avrebbe mai permesso loro di stare insieme. 

Non fu quello il loro momento. 

Hajime sentì Tooru tremare sotto di sé e si fermò. Quando lo guardò, tutta la spregiudicatezza era scomparsa e in quegli occhi scuri trovò solo il timore di un fanciullo di quattordici anni. Fu a quel punto che Hajime tornò a essere ragionevole.

“No, aspetta!” Tooru comprese che qualcosa si era spezzato, ma non riuscì a fermarlo. 

Il Cavaliere gli gettò addosso il proprio mantello. “Rivestiti, per favore.” Lo disse con gentilezza. Non era il momento di essere brusco, anche se l’istinto gli gridava di prendere a pugni l’albero più vicino fino a farsi sanguinare le mani. Come se fosse improvvisamente conscio della sua nudità, Hajime si rivestì in fretta, stando attento a dare le spalle al Demone fanciullo per tutto il tempo.

“Torniamo a casa,” disse, fermo.

“Hajime, aspetta!” Tooru gli si gettò addosso, lo costrinse a guardarlo in faccia. Piangeva, aveva di nuovo i vestiti addosso ma erano in disordine. Il suo era l’aspetto di un ragazzo comune a cui si stava spezzando il cuore. “È stato solo un momento d’insicurezza. Io so quello che voglio, l’ho sempre saputo.”

Hajime sentiva la testa girare. Era difficile restare saldo quando quegli occhi scuri lo guardavano in quel modo.

Tooru gli prese il viso tra le mani, poggiando la fronte alla sua. “E ora so che lo vuoi anche tu,” mormorò, con voce rotta dal pianto. “L’ho sentito che mi vuoi anche tu.” Cercò un altro bacio, lo trovò. 

Si strinsero in un abbraccio, quasi volessero sparire l’uno tra le braccia dell’altro.

Hajime chiuse gli occhi, certo che quello che stava per fare avrebbe dilaniato l’animo di entrambi. “Non posso farlo, Tooru.”

“Puoi, se sono io a chiedertelo!” Ribatté il Principe, come se fosse ancora il bambino viziato che aveva conosciuto. “Se sapranno che hai intaccato il mio onore, nessun erede dei Regni Liberi vorrà più toccarmi. Il consiglio reale non potrà più vendermi al migliore offerente. A quel punto, saremo solo io e te.”

A Hajime fecero male quelle parole. Si sentì usato, umiliato. Come se non bastasse, quel piano era tanto idiota che era inspiegabile come fosse uscito dalla testa dell’erede al trono di Seijou.

“Saremo io e te all’interno di una corte che ci farà a pezzi,” disse Hajime. “Pensi che avere diritto alla Corona Corvina basti a darti potere? Lo hai detto tu che vogliono venderti per impedirti di essere un sovrano emancipato.”

“Che ci provino!” Tuonò Tooru. “Nessun erede dei Regni Liberi vorrà toccare un Consorte rovinato da un Cavaliere qualunque.”

“Ma io non voglio rovinarti, Tooru. Io voglio amarti!” Hajime lo urlò con tutta la voce che aveva in gola. 

Tooru fece due passi indietro, come se fosse stato spinto da una forza invisibile. 

“E se ci fosse un modo…” Aggiunse Hajime, l’inclinazione della sua voce terribilmente vicina al pianto. “Se ci fosse un modo in cui essere tuo non equivalga a condannarti, nessuno ti porterebbe via da me.”

Tooru fece per parlare, ma le lacrime ebbero il sopravvento e fu costretto ad abbassare lo sguardo. “Hajime, ti prego…” 

Non c’era nessuno da pregare. Se i timori del Principe Demone erano veri e la Regina era stata uccisa dai suoi consiglieri, allora Tooru non poteva permettersi nessun passo falso. Doveva divenire Re e doveva conquistare un tipo di potere che una corona sulla testa non poteva garantirgli. Doveva crescere, divenire forte, scegliere con cura i suoi alleati e saper riconoscere i traditori. E Hajime sarebbe rimasto al suo fianco per tutto il tempo, ma sempre un passo indietro.

“Torniamo a casa, Tooru.”

Per tutto il viaggio di ritorno, il Principe Demone si strinse al suo Cavaliere come se la sua vita dipendesse da questo.

Per quell’estate furono quasi amanti, nulla di più.





 

I consiglieri reali impiegarono tre stagioni a sviluppare le loro trame.

Il primo ballo di corte si tenne alla fine di maggio e l’ospite d’onore fu l’erede al trono del Regno di Nekoma.

Fu un grande evento per tutti i fanciulli del Castello Nero. L’ultima volta che la corte di Seijou aveva impiegato tempo e denaro nell’organizzare dei festeggiamenti era stato in occasione del matrimonio della Regina Demone, anni prima della nascita del Principe e della maggior parte dei giovani della loro generazione. 

Dopo quasi tre lustri, quei saloni si animarono e si riempirono di facce nuove, per la gioia di tutti i giovani Cavalieri. Tranne Hajime.

I suoi compagni di addestramento bevevano e mangiavano come se non ci fosse un domani, commentando l’aspetto dei fanciulli e delle giovani dame di Nekoma. Mentre gli ospiti, ignari, s’impegnavano a rendere onore alla loro casa reale, la giovane nobiltà di Seijou faceva una distribuzione delle risorse per evitare di entrare in conflitto con qualche vecchio amico. Il fatto che fossero tutti - ma proprio tutti - muniti di corna, rendeva le cose più facili. 

Hajime non sapeva se il Principe Tetsuro avrebbe scelto Tooru come suo consorte, ma era certo che, prima dell’inizio dell’inverno, l’alleanza con Nekona sarebbe stata resa solida da almeno una decina di matrimoni nobili. Non si poteva definire un esperto, ma ipotizzava che il consiglio avrebbe visto anche quella come una vittoria.

“Hajime, dimostra un po’ di voglia di vivere, avanti!” Takahiro cercò di coinvolgerlo nei festeggiamenti per la terza volta dall’inizio della serata.

Issei era stato abbastanza magnanimo da smetterla, dopo il secondo tentativo andato a vuoto. Anche se nessuno dei due aveva fatto parola dell’accaduto, Hajime sapeva che entrambi lo avevano sorpreso più di una volta a piangere da solo in armeria - epilogo di giornate passate a discutere con Tooru di un futuro che non poteva avverarsi. Gli avevano fatto il favore di non umiliarlo chiedendogli il perché, ma si sentivano in dovere di fare qualcosa per il suo cuore spezzato.

Perché di questo si trattava.

Tooru ballava sotto gli occhi di due Regni Liberi con un fanciullo che non era lui. Hajime, semplicemente, non voleva vederlo. Non era colpa sua se l’unico modo per non farsi altro male era starsene nell’angolo più buio della sala del trono, attaccato alla parete di pietra.

“Divertitevi a sprecare tutto quel cibo senza di me,” ringhiò il Cavaliere. “Intanto il popolo muore di fame e i consiglieri aumentano le tasse.”

Takahiro gli allungò un calice di vino. “Non si vincono le guerre con i contadini, Hajime.”

Il Cavaliere accettò l’offerta, ma lo guardò in cagnesco. “Sono nato in una famiglia di contadini e non sono meno Cavaliere di te e Issei.”

Rendendosi conto di aver fatto un passo falso, Takahiro accettò il contrattacco con un sospiro. “Ai Cavalieri non viene concessa la mano dei Principi, amico mio.”

I suoi due amici avevano saputo di lui e di Tooru ancor prima che Hajime fosse pronto ad ammetterlo a se stesso, ma non gli serviva che fossero loro a mostrargli la cruda realtà in cui viveva. No, era troppo, specialmente dopo che era stato lui a rifiutare Tooru.

Tracannò il vino che gli era stato offerto e restituì il calice all’amico. “Apprezzo l’amicizia tua e d’Issei, Takahiro, davvero,” disse con tono più gentile. “Ma ho bisogno di stare solo e qui dentro si soffoca.”

Sulla strada per raggiungere la balconata, Hajime fu costretto a costeggiare la pista da ballo. Non appena la musica finì, alzò gli occhi per dare un’occhiata: Tooru era al centro - bellissimo, col mantello rosso di pelliccia di ermellino sulle spalle - e sorrideva al giovane dai capelli corvini che gli teneva le mani sui fianchi. Da dove si trovava, Hajime non poteva vedere il Principe Tetsuro in faccia. Da come Tooru era a suo agio, dedusse che era un tipo che gli stava andando a genio.

Non riuscì a sopportare oltre e proseguì per la sua strada.

Non vi era ancora traccia del tepore dell’estate nell’aria della notte. Giocò a suo favore: aveva freddo ma, almeno, la balconata era deserta.

Hajime si appoggiò al parapetto di marmo e prese tre respiri profondi, illudendosi che questo sarebbe bastato a calmare il suo cuore impazzito. Quando si rese conto che il nodo che gli stringeva la gola non faceva che peggiorare, abbassò la testa sconfortato. Non voleva piangere di nuovo nel bel mezzo di un ballo. Tutta la corte di Seijou lo conosceva e non c’era modo di nascondersi adeguatamente in quella situazione.

“Perdonatemi.”

Ecco. Le cose potevano ancora peggiorare.

“Spero di non arrecarvi disturbo.”

Fu sorpreso di scoprire che era un giovane di Nekoma ad avergli rivolto la parola.

Era più basso di lui, i capelli biondi gli arrivavano quasi alle spalle. Notò che era vestito con eleganza, ma in modo più sobrio dei suoi compatrioti. 

Non sapendo di quale titolo fosse investito, Hajime s’inchinò goffamente optando per un neutro: “Sir…”

“Oh, no, vi prego, alzate la testa.”

Hajime lo fece, sebbene ne fosse sorpreso. Non aveva corna da esibire e a Seijou tanto bastava per provare che era di basso rango. Ma quando guardò lo sconosciuto per la seconda volta, si rese conto che le tenebre non lo avevano ingannato.

“No,” confermò il fanciullo dai capelli biondi. “Non sono un Demone, sono un comune umano. Esattamente come voi, immagino. Mi spiace avervi disturbato.”

“Non mi avete disturbato,” 

Il fanciullo non mostrava evidenti segni di timidezza, ma si vedeva chiaramente che era in difficoltà a parlare con lui. “Sei il Cavaliere del Principe Demone, vero?”

Hajime scosse la testa prontamente. “Sono un Cavaliere e basta.”

“Ma sei cresciuto accanto al Principe come suo pari, giusto? In molti parlano del compagno di giochi umano che la Regina ha fatto in dono al suo erede.”

Uno dono. Ecco come il mondo al di fuori di Seijou lo considerava 

“Non sapevo che qualcuno fuori dalle mura di questo castello conoscesse il mio nome,” ammise il Cavaliere.

“In effetti è così,” disse il fanciullo. “Ma mi piacerebbe conoscerlo.”

“Hajime. Hajime Iwaizumi.”

“Hajime…” Ripeté. “Io sono Kenma. Solo Kenma e, a differenza tua, non posseggo alcun titolo ufficiale. Ho solo avuto la fortuna di crescere al fianco di un Principe.”

Il Cavaliere sgranò gli occhi. “Siete amico di Tetsuro di Nekoma?” Gli sembrava così assurdo che qualcun altro avesse condiviso la sua stessa infanzia.

Kenma annuì. “Sono qui per lui,” ammise. “Voleva a tutti costi che conoscessi il Cavaliere del Principe Demone.”

“Sono solo un Cavaliere.”

“Lo avete già detto.”

Hajime non fu felice di sapere che l’erede al trono di Nekoma lo considerava una specie di attrazione, ma non abbastanza degno della sua personale attenzione. “E che cosa si aspetta il vostro Principe da me?” Domandò, non riuscì a nascondere il sarcasmo.

“Sono desolato di avervi offeso,” disse Kenma.

“Non mi avete offeso,” disse Hajime, per nulla intenzionato a fingersi cortese. “Il vostro Principe lo ha fatto. Se è così interessato al Cavaliere del Principe Demone, che mi parli di persona.”

“Hai perfettamente ragione, Cavaliere.”

Hajime si pietrificò, mentre un giovane più alto di lui gli passava a fianco per avvicinarsi a Kenma. 

Tetsuro di Nekoma non aveva l’aspetto di un Principe - bensì da criminale - ma di sicuro rendeva onore alla sua natura di Demone. “Dunque, dunque…” A dispetto dell’oscurità, squadrò il Cavaliere da capo a piedi. “Il tuo compagno di giochi ha davvero un bel carattere. Degno di te, Tooru.”

Il Principe Demone comparve al suo fianco e Hajime trattenne il respiro.

“Te l’ho detto,Tetsuro,” disse Tooru, orgoglioso. “Guardalo bene, perché il mio Hajime diventerà il Primo Cavaliere di Seijou, un giorno.”

Hajime lo guardò come se fosse del tutto impazzito.

Tetsuro, al contrario, sembrava molto soddisfatto - di cosa, era un mistero. “Non c’è che dire,” disse, afferrando la mano di Kenma come se fosse una cosa del tutto normale, “i miei complimenti, Tooru. Siete davvero belli insieme.”

 



 

Il Principe Demone e il suo Cavaliere si ritirarono negli appartamenti reali insieme.

Hajime era terrorizzato. Tooru, al contrario, era estatico.

"Il Principe Tetsuro non è poi così male," commentò l’erede al trono di Seijou, mentre si liberava degli stivali lucidi e del mantello di ermellino. 

Hajime controllò che il corridoio fosse vuoto e nessuno potesse udirli, poi sbatté le porta con rabbia. “Sei completamente impazzito?!”

Tooru sbuffò e sul suo viso comparve un’espressione annoiata. “Stai calmo, Iwa-chan,” disse. “Tetsuro è un nostro prezioso alleato.”

“Che cosa intendi per nostro?”

Tooru s’inginocchiò sul tappeto del salotto per ravvivare il fuoco nel camino. “Eppure, avevo dato ordine di tenere la stanza calda.”

“Tooru, mi vuoi rispondere!” Hajime non aveva la pazienza di assecondare i suoi giochetti.

“Stai calmo,” gli ordinò Tooru. “Tetsuro non potrà mai essere il mio sposo. Lui può guadagnare qualcosa da me - come io da lui - solo se la nostra amicizia è solida.” Si lasciò cadere sulla poltrona.

Hajime si avvicinò. "Per quale motivo?"

Tooru scrollò le spalle. "Nekoma è un regno d'incredibile stabilità: è autosufficiente, non perde risorse economiche e umane nell'organizzare guerre e, a differenza del nostro, non ha leggi razziali particolari. Ultimo ma non ultimo, è una terra di Demoni e questo farà piacere ai consiglieri bigotti.”

"No, mi riferivo al fatto che Tetsuro non potrà mai essere il tuo sposo.”

Le labbra di Tooru si piegarono in un sorriso complice. "Ama un altro," rispose, scivolando sul tappeto. “Vieni, Iwa-chan, siedi con me.”.

Hajime lo accontentò. “Te lo ha detto lui?”

“Gliel’ho fatto confessare,” rispose Tooru. “Non riusciva a smettere di parlare del suo amico d’infanzia, non aveva importanza quale fosse l'argomento della conversazione. È stato interessante... Rassicurante quasi."

"Perché?"

"Perché anche io non posso fare a meno di parlare di Iwa-chan con chiunque," confessò Tooru a cuor leggero, come se quelle parole non fossero una stilettata nel petto per Hajime. "Tetsuro mi diceva di raccontargli qualcosa di me e io continuavo a ripetere il tuo nome.” Gli occhi scuri si tinsero di malinconia. “Dovevi sentirlo mentre parlava del suo amante. È venuto qui per accontentare i suoi consiglieri, non ha mai avuto intenzione di sposarmi. Ha una sorella che è pronta a convolare a giuste nozze. Quando arriverà il momento, Tetsuro è deciso a riconoscere il suo primo nipote come legittimo erede al trono.”

Hajime percepì dell’invidia nella sua voce. “Smettila di pensarci, Tooru.”

Il Principe fissò il fuoco per non doverlo guardare negli occhi. “A cosa, Iwa-chan?”

“Smettila di cercare una soluzione per noi,” disse Hajime, apertamente. “Vuoi l’amicizia di Tetsuro perché la sua relazione illecita può giustificare la nostra?”

“Perché non mi permetti di lottare per te?” Urlò Tooru, esasperato, alzandosi in piedi.

“Perché non voglio che tu ti faccia male!” Ribatté Hajime con la stessa rabbia. “Vuoi farmi felice? Trova qualcuno che ti ami, qualcuno che sia davvero alla tua altezza!” Il dolore che stava provocando a se stesso era incalcolabile.

Tooru non si fece scrupoli a mostrargli il proprio. “Non dici sul serio.” Stava per mettersi a piangere.

Hajime con lui, ma doveva resistere. Strinse i pugni. “Io non sarò l’unico amore della tua vita, Tooru.” Faceva dannatamente male. “Siamo il primo amore l’uno dell’altro, ma cresceremo, incontreremo altre persone sulla nostra strada.”

“Ma io amo te,” confessò Tooru, piangendo. “Io amo te.”

Hajime serrò i denti sul labbro inferiore, obbligandosi a mantenere un tono di voce fermo. “Non hai avuto altri che me per tutta la vita, Tooru,” gli ricordò. “Non conosci altro, per questo sei convinto di amarmi.”

Tooru scosse la testa. “Non ti permettere di sminuire i miei sentimenti in questo modo!” Urlò. “Sei solo troppo codardo per lottare per me. Questa è la verità!”

Se era quello che voleva credere, Hajime glielo avrebbe permesso. Qualsiasi cosa, purché Tooru si allontanasse dalla strada di autodistruzione che aveva imboccato a causa sua.

Toccò a Hajime, seppur col cuore a pezzi, concludere quella conversazione: “penso che siamo entrambi d’accordo che ti meriti più di questo codardo.”





 

Tetsuro di Nekoma e la sua corte rimasero ospiti al Castello Nero per tre settimane. 

Lui e Tooru furono bravi a illudere tutti che le trattative matrimoniali stessero andando a buon fine. Si facevano vedere insieme nei corridoi del palazzo e nei giardini reali. Sorridevano, davano l’idea di divertirsi molto in compagnia l’uno dell’altro.

E forse era anche vero.

Per i loro amici d’infanzia, al contrario, il tempo sembrava essersi dilatato a causa della noia.

“Parlami di te, Kenma,” disse Hajime, per disperazione, sedendosi sul bordo della fontana al centro del parco reale. Qualunque cosa pur di non sentire Tooru ocheggiare come un idiota e Tetsuro dargli man forte. Erano impegnati a tirare con l’arco - così che il Principe Demone avesse la sua occasione per dimostrarsi il migliore nella sua arte - ma potevano benissimo essere due nobili pettegole sedute in un salotto, con una tazza fumante tra le mani.

“Non c’è molto da dire,” rispose il fanciullo coi capelli biondi. Anche lui sedeva sul bordo della fontana, un libro aperto tra le mani.

Magari non voleva essere disturbato, ma Hajime non ne poteva davvero più di avere solo Tooru su cui concentrare la sua attenzione. “Hai detto di non avere alcun titolo,” ricordò. “Che cosa fai a corte?”

Kenma voltò la pagina che aveva appena finito di leggere. “Il Mago,” rispose.

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte, poi lo fissò come se gli fossero spuntate di colpo due teste. “Prego?”

“E sto studiando per divenire un curatore. Un mestiere decisamente più pratico e utile.”

“No-Non ho capito la prima parte.”

“Sono un Mago,” ripeté Kenma, come se non vi fosse nulla di strano.

Il Cavaliere aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “E… Ehm... Che cosa faresti?”

“Subisco gli influssi della magia nel mio sangue,” rispose Kenma, chiudendo il libro e abbandonandolo da una parte. “Nel mio caso, questo processo si concretizza nell’avere visioni, sogni premonitori e cose di questo genere.”
Per un attimo, Hajime temette che la sua mandibola cadesse a terra. Scosse la testa e decise di darsi un tono. “Credevo che i Maghi lanciassero sortilegi.”

“I più preparati,” spiegò Kenma. “Questo mio talento mi ha permesso di entrare alla corte di Nekoma, nonostante le mie umili origini. Non appena Tetsuro si è reso conto che non era la mia strada, mi ha concesso di fare della mia vita quello che preferivo. Quindi, sì, io subisco la magia.” Una pausa. “Tu, invece, hai litigato col tuo Principe?”

Hajime avrebbe saputo gestire meglio una coltellata alla schiena che quella domanda. “Tooru non è il mio Principe nel modo in cui lo intendete tu e Tetsuro.”

Kenma lo guardò confuso. “Non siete amanti?”

Suo malgrado, Hajime arrossì. “Non siamo mai arrivati a quel punto.” 

“Pensavo che vi amaste.”

Perché tutti la facevano suonare come una cosa così semplice? Hajime cominciava a sentirsi un idiota. “Tu sai perché Tetsuro è qui.”

“Certo, ma il tuo Principe sa che non è interessato.”

“Ce ne saranno altri dopo di lui,” disse Hajime, con un sorriso amaro. “Tooru sceglierà uno di loro, non me. È giusto così.”

“Capisco.” La voce di Kenma rimase neutrale, ma abbassò lo sguardo con rispetto. “Deve essere molto doloroso per te.”
Hajime non credeva fosse il caso di specificare che era stato lui a rifiutare Tooru - due volte. “Lo è per entrambi, ma non posso permettere che il nostro legame lo distrugga.”

“Perché dici questo?” Kenma suonava sinceramente confuso.

E il Cavaliere si sentì ancora più stupido. “È proibito,” disse. “Il consiglio, i nobili… Nessuno sosterrebbe Tooru, se scegliesse me. È troppo pericoloso per lui e non posso permettere che si faccia male. Proteggerlo è la ragione per cui la Regina mi ha donato a lui.”

“Uhm…”

“Cosa?”

“Non fraintermi, Cavaliere,” disse Kenma con cortesia. “Pensi davvero che il tuo amore possa distruggerlo e un matrimonio basato sul potere no?”

Hajime non ebbe il tempo di rispondere a quella domanda. 

“Vostra Altezza.”
Issei e Takahiro comparvero sulla scena, inginocchiandosi al cospetto del loro Principe.

Tooru adagiò l’arco contro un cespuglio. “Parlate,” concesse loro.

“Un ospite vi attende nella sala del trono,” disse Issei, permettendosi di alzare un poco lo sguardo.

Tooru aggrottò la fronte. “Quale ospite?”




 

Solo Hajime seguì il Principe Demone.

Vista la situazione senza precedenti, era meglio che gli ospiti di Nekoma fossero tenuti fuori dalla questione.

“È in anticipo di giorni,” borbottò Tooru, procedendo ad ampi passi verso la sala del trono.

“È da solo,” aggiunse Hajime. “Quanto può essere folle un Re per presentarsi in una corte straniera senza scorta?”

Si scambiarono uno sguardo veloce ed entrarono nel salone fianco a fianco.

I membri del consiglio erano lì, intorno a quell’ospite inatteso, quasi dovessero intrattenerlo. Fu impossibile non notarlo, perché era più alto di tutti loro. 

Tooru si umettò le labbra e simulò un paio di colpi di tosse.

Il vociare che riempiva la sala si tramutò in silenzio e non appena i Demoni riconobbero il loro Principe, non esitarono a inginocchiarsi a terra. 

Hajime storse la bocca in una smorfia, guardandoli con disprezzo uno a uno. Fingevano di essere spaventati da un fanciullo di quattordici anni, poi tentavano di approfittarsi della sua giovane età per giocare con un potere non loro.

Tooru non li considerò degni di alcuna attenzione. Li superò uno a uno, arrivando di fronte al giovane Re giunto all’improvviso alla corte di Seijou.

“Wakatoshi di Shiratorizawa, presumo,” disse Tooru.

Hajime lo guardò in faccia solo allora. Se ricordava bene, l’erede al trono di quel regno aveva la loro età, ma quello che stava guardando era un giovane uomo e non un ragazzino.

“Presumete bene, mio Principe.” Wakatoshi chinò la testa con rispetto ma non s’inginocchiò.

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Siete in largo anticipo rispetto al vostro invito, ne siete consapevole?”

“Credevo che il viaggio sarebbe stato più lungo e complicato, Altezza,” si giustificò Wakatoshi.

Tooru sorrise divertito - no, infervorato. “Siete davvero giunto fino a qui completamente da solo?”

“Non rischierei mai di lasciare la mia corte priva di difese, Principe Demone,” spiegò il giovanissimo sovrano. 

“Il Primo Cavaliere di Shiratorizawa deve essere degno di molta fiducia, allora.”

“Sono io il Primo Cavaliere di Shiratorizawa.”

Tooru smise di sorridere, ma solo per un istante. “Un Re di quattordici anni che è anche Primo Cavaliere.”

Da dove era, dimenticato da entrambi i giovani reali, Hajime vide gli occhi scuri del suo Principe accendersi di sincero interesse. Sentendosi di troppo, abbassò lo sguardo.

Alla fine, Tooru accolse quell’inatteso ospite ben volentieri. “Benvenuto alla corte di Seijou, Re dell’Aquila.”



 

Nessuno dei tre avrebbe mai dimenticato quel giorno.

Fu solo l’inizio della loro storia.

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Capitolo 3
*** Di Corvi e Arcieri ***


2
Di Corvi e Arcieri




Il Principe Daichi di Karasuno divenne orfano all’età di sei anni.

Sua madre morì dandolo alla luce. Suo padre, l’unica famiglia che avesse mai avuto, cadde su uno dei tanti campi di battaglia contro il Regno di Seijou.

Il giorno del funerale del Re di Karasuno, Daichi era da solo di fronte alla sua pira funebre.

Il Generale Ukai e il Maestro Takeda restarono due passi dietro di lui. Il resto della corte era alle loro spalle, in silenzio.

Quel giorno, chi gli voleva bene non riuscì a dirgli nulla. Tutti gli altri, quelli che lo avvicinarono per comodità, non fecero che parlare con spudorata ipocrisia. Da parte sua, Daichi non ascoltò nessuno: era un bambino e voleva solo essere triste per la morte dell’unica persona che aveva al mondo.

Alla fine della cerimonia funebre, il Maestro lo invitò a tornare al Nido dei Corvi con loro. Il piccolo Principe fu sordo a quelle parole gentili. Quando divenne chiaro che non si sarebbe mosso, il Generale Ukai gli spettinò i capelli con una carezza, dicendogli di prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno.

Lo lasciarono solo.

Daichi non riusciva a piangere e faceva male. Il nodo che gli stringeva la gola era doloroso, ma le lacrime non ne volevano sapere di scendere dai suoi occhi. A trascinarlo fuori dall’abisso fu una manina pallida, stretta intorno all’orlo del suo mantello nero.

Si voltò. Il bambino che l'aveva disturbato non abbassò lo sguardo ma fece un mezzo passo indietro, intimorito. Aveva gli occhi color dell’oro ed erano tanto dolci che riuscirono a contrastare un poco il freddo che Daichi sentiva dentro. I capelli erano strani - troppo chiari - e il colorito della sua pelle lasciava intendere che fosse un bambino cagionevole - troppo pallida. 

Il piccolo sconosciuto non disse una parola, si limitò a porgergli un fiore selvatico dai petali bluastri. Un dono semplice, modesto, di quelli fatti col cuore. 

Fu allora che le prime lacrime scesero sulle guance del Principe, divenute rosse per il freddo. Per un breve istante, la tristezza negli occhi dorati di quel bambino lo fece sentire meno solo. Lasciò andare il suo mantello e se ne andò in silenzio come era arrivato.

Daichi non riuscì a chiedere il suo nome.


Le stagioni passarono e, mentre il Maestro Takeda e il Generale Ukai fungevano da governatori in attesa che raggiungesse l’età giusta, il Principe di Karasuno non impiegò molto tempo ad acquisire gli atteggiamenti di un adulto.



 

"Daichi, metti più forza in quell'attacco. Hayato non è qui per ricevere la tua pietà. Asahi, piantala di piagnucolare scuse ogni volta che il tuo avversario cade. Siete qui per diventare guerrieri, non ballerini!" Il giorno in cui il Generale Ukai avrebbe perso la voce, sarebbe stato considerato un presagio oscuro. "Yuu! Ryuu! Non fatemi venire lì! Giuro sulla testa di mia madre che se mi fate venire lì, vi pentirete di essere nati!"

Daichi assestò un colpo secco allo scudo di Hayato, questi cadde inesorabilmente nel fango, schiacciato dal suo stesso strumento di difesa. Il Principe abbassò la spada di legno e si fece vicino all'amico d'infanzia con un sorriso costernato. "Mi spiace."

Gli porse la mano. Hayato la rifiutò educatamente e si rimise in piedi da solo. "Non devi scusarti," gli ricordò l'amico. "Sei su di un campo di battaglia, non importa che sia per finta. Essere debole è una mia colpa, non tua. Sei più forte e va bene così.”

Daichi gli rivolse un sorriso nervoso. "Non esagerare."

Hayato sospirò. "Non dovresti essere così gentile con tutti. Sarai un Re, ricordi?"

"Essere l’erede al trono non m'impedisce di essere un buon amico, giusto?" Disse il Principe, con un sorriso paziente. "Facciamo una pausa?"

Hayato accettò la proposta di buon grado. Si accomodarono sulle scale di pietra che conducevano alle mura di cinta, mentre gli altri fanciulli continuavano ad allenarsi sotto l'occhio vigile e severo del Generale Ukai.

"In un altro regno, sarebbero già scandalizzati da questo," disse Hayato, sedendosi accanto a lui.

"Che intendi?"

"A Seijou non permetterebbero mai al Principe ereditario di mischiarsi con gli altri giovani della corte."

“Ma qui non siamo a Seijou.”

“Inoltre, nessun reale concederebbe a un membro della servitù l’onore di divenire Cavaliere.”

“Questo non è vero,” obiettò Daichi. "Seijou sembra aver concesso la stessa possibilità a un orfano umano.”

“Le ho sentite anche io queste voci, Daichi, ma è impossibile per noi sapere se siano vere.” 

“Che lo siano o meno, non cambia che per me non sei solo un servitore, sei un amico. Mi fido di te, siamo cresciuti insieme e sarei molto felice di averti al mio fianco su di un campo di battaglia.”

Hayato si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. "Sei senza speranze..."

"Asahi è senza speranze," lo corresse Daichi, osservando il ragazzo più alto e robusto di tutti gli altri: aiutava un suo coetaneo ad alzarsi da terra, dopo averlo sconfitto a duello senza troppi problemi.

"A me sembra forte," commentò Hayato.

"Lo è, come un Primo Cavaliere," ammise Daichi.

Il giovane servitore inarcò le sopracciglia. "Hai appena detto che è senza speranza."

"Non ha la personalità tipica del guerriero impavido," ammise il Principe con una scrollata di spalle. "Ciò non toglie che abbia il braccio più forte della sua generazione."

"Non farlo," lo avvertì Hayato, alzando gli occhi al cielo.

"Che cosa?"

"Non riconoscere ad alta voce la superiorità di qualcun altro. Sarai un Re, ti ricordo!" Fu più incisivo nel ripeterlo, nella vana speranza che il senso del suo avvertimento arrivasse più chiaramente.

"Se non riconoscessi le potenzialità dei miei uomini, sarei un Re caduto ancor prima di ereditare il trono," replicò Daichi. "Non voglio essere quel genere di sovrano che se ne sta in alto a comandare i suoi uomini come pedine. Se noto un guerriero più forte di me a corte, è mio dovere farlo brillare e ottenere la sua fiducia. Sarei un pazzo se lo gettassi nell’ombra per paura che metta in discussione la mia autorità.”

Hayato fece una smorfia. "Tredici inverni sulle spalle sono pochi. Crescendo smetterai di essere un idealista.”

"Parli come i vecchi del consiglio, Hayato e hai tredici inverni sulle spalle anche tu."

"Sono realista," Hayato, fu il suo turno di scrollare le spalle. "Sono onesto."

Daichi gli sorrise. "È proprio questo che stimo di te ed è il motivo per cui ti meriti un'occasione," diede all'amico una pacca sulla spalla e Hayato l'accettò.

"Ryuu, guarda!"

"Eccola! È lei!"

Quel gran vociare spinse il Principe ad alzare lo sguardo. Non fu sorpreso di vedere che quel gran schiamazzo era provocato dalla giovanissima Lady Kiyoko, intenta ad attraversare il cortile con passo elegante e rilassato. L'espressione su quel bel viso era quella stesa e riservata con cui il Principe l'aveva sempre vista, ma era impossibile che non avesse notato le occhiate che i suoi compagni di addestramento le lanciavano.

Era bella. Aveva tredici anni, un bocciolo di rosa che non era ancora fiorito in tutto il suo splendore, e già faceva girare la testa a molti. Kiyoko non se ne curava. Era consapevole degli sguardi dei giovani e dell’invidia delle altre fanciulle, ma ciò non le impediva di camminare a testa alta. Daichi la rispettava molto per questa sua silenziosa sicurezza. L’uomo che, un giorno, l’avrebbe avuta in sposa, sarebbe stato tra i più fortunati di tutto il Regno di Karasuno.

A scarseggiare in dignità erano Ryuu e Yuu - compagni del Principe e apprendisti Cavalieri - a cui mancava solo la bava alla bocca.

Daichi fece per redarguirli, poi si accorse che Kiyoko lo guardava con insistenza. Le si avvicinò.

"Il Maestro vi vuole nella biblioteca alla fine dell'addestramento, Altezza," gli comunicò la fanciulla.

Daichi le sorrise. "Rassicura il Maestro sulla mia presenza. Ti ringrazio."

Kiyoko chinò la testa in segno di rispetto e si congedò. Non rientrò al castello come Daichi si era aspettato, ma varco l’arco che permetteva l’accesso al cortile esterno. Lì era dove veniva addestrati gli Arcieri.

Curioso di scoprire chi fosse andata a trovare, Daichi si mosse per sbirciare la scena.

Riconobbe subito Chikara: discuteva con un fanciullo dai capelli chiari di cui il Principe non conosceva il nome. Fu proprio a lui che Kiyoko si avvicinò. Chikara si fece educatamente da parte per permettere ai due di parlare.

Il fanciullo sconosciuto le sorrise. Daichi percepì della sincera gentilezza in quell’espressione, mista a timidezza - forse perché era la fanciulla più bella della corte che aveva di fronte. 

La conversazione non durò molto. Non appena i due si salutarono, Daichi fu svelto a tornare da Hayato per non farsi vedere. Kiyoko rientrò nel cortile interno e sparì in cima alla scalinata che conduceva al castello. 

Ryuu e Yuu la seguirono con sguardo adorante. Fu allora che il Generale Ukai intervenne e li picchiò entrambi sulle testa con uno scudo di legno. "Tornate a duellare, perdi tempo!” Sbraitò. “Quella fanciulla è troppo per voi!"

Ryuu e Yuu guardarono il Generale con espressione sconfitta. "Crudele!" Si lagnarono in coro.

"Piantatela e datevi da fare! Asahi stai ancora piagnucolando?!"

Daichi non diede particolare importanza alla scena. Tornò ad affacciarsi oltre l’arco, osservando con interesse il gruppo di Arcieri impegnati a fare pratica. 

“Hayato?” Chiamò.

"Cosa c'è?" Domandò il giovane servitore, affiancandosi al suo Principe.

"Chi è quel fanciullo?"

Hayato seguì la linea del suo sguardo. "Quello con i capelli grigiastri vicino a Ennoshita?"

"Sì."

"È un giovane della nobiltà minore, viene dalla campagna," disse Hayato. “Non lo conosci perché non è nato a corte. I suoi genitori hanno servito tuo padre nell’ultima battaglia contro Seijou e sono morti. È cresciuto con dei parenti. Dalle voci che girano, sembra che siano stati ben felici di liberarsi di lui, quando il Generali Ukai è andato a reclutarlo.”

Daichi lo fissò perplesso. "Come può aver perso entrambi i genitori in guerra?” Domandò. “Che ci faceva sua madre sul campo di battaglia?"

"Non ne ha mai avuta una. È al centro di molti pettegolezzi, per questo ho molte informazioni su di lui,” disse Hayato. "È figlio di un Omega. Come puoi immaginare, adesso metà della corte - quella viscida e ipocrita - è curiosa di sapere se lo sia anche lui.”

Daichi non seppe come replicare.

Omega.

Ne aveva sentito parlare durante le lezioni con il Maestro Takeda. Come i Cavalieri in grado di tramutarsi in Corvi - ormai vivi solo nella leggenda - anche quelle creature erano state baciate dalla magia. Daichi non vi aveva mai dato importanza perché, durante la sua giovane vita, di magia ne aveva visto ben poca. Da bambino, aveva sognato di possedere le ali del Principe Corvo, capostipite della dinastia dei reali di Karasuno. Aveva smesso di farlo troppo presto, subito dopo la morte di suo padre. 

Guardò il fanciullo che sorrideva con gentilezza all'indirizzo di Chikara. Se davvero era un Omega, non era sorpreso che la sua famiglia non lo avesse voluto tra i piedi. Non c'era nessuna leggenda gloriosa per quelli come lui, solo storie scritte con la violenza e la crudeltà. Dare in sposo un fanciullo così sarebbe stato difficile, ancora di più ottenere un contratto matrimoniale vantaggioso. I parenti di quel fanciullo avevano ben pensato che sacrificarlo all’esercito della corona fosse la via di fuga più vantaggiosa per loro.

Daichi dubitava che quel fanciullo avesse avuto qualche possibilità di scelta. Forse, prima di arrivare al Nido dei Corvi, non aveva nemmeno mai pensato di divenire un Arciere. Ma doveva essersi ritrovato di fronte a un’alternativa assai peggiore.

Hayato aveva parlato dell’interesse dei nobili nei suoi confronti. Daichi era abbastanza grande per poterne immaginare la natura. 

Non aveva importanza quanto un regno fosse giusto o pacifico, ci sarebbero sempre stati quelli votati alla depravazione, di qualunque natura essa fosse.

E ci si sentiva giustificati a maltrattare un Omega. Perché se sui libri era scritto che fossero creature benedette dalla magia, nella vita reale erano maschi capaci di portare in grembo una vita e questo era un fatto abominevole, contro natura.

Essere Omega era una colpa. 

Daichi non era mai riuscito a capirne il motivo. Perché la capacità di dare la vita doveva essere motivo di disprezzo e derisione? Nessuno aveva educato il Principe di Karasuno a provare odio verso la diversità, nemmeno per quei Demoni che avevano mosso guerra contro le sue terre per generazioni, ma la cosa non lo aveva mai toccato da vicino.

"Qual è il suo nome?" Domandò Daichi.

Hayato scrollò le spalle. "È questo il limite dei pettegoli di corte: parlano, parlano e non dicono niente. So tutto di lui, meno il suo nome. Perché t’interessa?"

Daichi scrollò le spalle. "Ha un'aria familiare. Non so come spiegarlo."



 

Daichi non dovette aspettare molto per avere la sua risposta.

Quel pomeriggio, una volta resosi presentabile per il Maestro Takeda, si presentò in biblioteca come pattuito. Il suo tutore non era il solo ad aspettarlo.

"Vostra altezza," lo accolse Takeda, alzandosi dal tavolo vicino alla finestra, quello che usano occupare durante le loro lezioni.

"Maestro," rispose il Principe, ma la sua attenzione era tutta per il fanciullo silenzioso alle spalle del suo tutore.

Takeda notò la sua curiosità e non rimandò ulteriormente le presentazioni "Avvicinati pure, Koushi."

Koushi, prese nota Daichi. Il suo nome è Koushi.

Il fanciullo s'inchinò. Infine, gli occhi dalle sfumature dorate incontrarono timidamente i suoi. "È un onore conoscervi, mio Principe."

Daichi rimase incantato dalla sincerità del suo sorriso. Non era così che i giovani nobili solevano rivolgersi a lui, esclusi quei pochi che gli erano davvero vicini. Tutti gli altri si calpestavano l’un l’altro, pur di avvicinarlo e guadagnarsi un’amicizia che di amichevole aveva ben poco. 

"Vi ho convocato qui entrambi perché vorrei che foste compagni di studi," spiegò il Maestro Takeda. "Koushi è superiore a qualsiasi allievo abbia mai avuto. Temo che i miei insegnamenti non gli gioverebbero in alcun modo,” si rivolse al fanciullo con gli occhi dorati. “Sono certo che il nostro Principe saprà tenerti testa."

"Ho sentito dire che siete bravo negli studi almeno quanto siete forte nei duelli," disse Koushi con timida cortesia.

"Così dicono i miei tutori," replicò Daichi, ancora una volta gratificato da un complimento tanto sincero.

"Presto, Koushi, scoprirai che il nostro Principe è particolarmente modesto,” intervenne Takeda. "Un tratto che avete in comune."

"Immagino che andremo d'accordo, allora," disse l'erede al trono.

Koushi gli rivolse un altro di quei meravigliosi sorrisi carichi di sincerità e gentilezza. "Lo spero, mio Principe.”



 

"Ho saputo che hai un nuovo compagno di studi!" Esclamò Yui, durante una sera come tante altre negli appartamenti del Principe. Tra le persone che Daichi considerava degne di fiducia, lei era quella che gli era vicino da più tempo. Yui Michimiya era la sola erede della sua famiglia, una stirpe antica quanto la dinastia reale. Lei e Daichi erano cresciuti insieme. Anche se vi era molto di combinato nel loro legame, l’erede al trono non poteva fare a meno di considerarlo tra i più sinceri che aveva con la nobiltà.

"Sì, si chiama Koushi," rispose Daichi, rilassandosi sulla sua poltrona.

"Hai l'aria stanca," commentò Yui preoccupata, mentre Hayato si avvicinava per versarle ancora dell'acqua.

"Sveglia all'alba, addestramento nel cortile fino all'ora di pranzo e poi in biblioteca fino al tramonto," replicò Daichi con un sorriso.

"Capisco, deve essere stata una lezione difficile."

"In realtà, no," raccontò il Principe. "Io e Koushi abbiamo cominciato a parlare e il tempo ci è sfuggito di mano, tutto qui."

"Oh..." Yui annuì, comprensiva. "È vero quello che dicono su di lui?" 

Daichi la fissò, confuso. "A cosa ti riferisci?"

Hayato gli lanciò un'occhiata molto eloquente, ma il Principe non seppe interpretarla.

"Dicono cose spiacevoli su di lui," disse Yui.

“Ad esempio?” Indagò Daichi. Non vide Hayato alzare gli occhi al cielo.

Yui esitò, come se si fosse affacciata su un argomento poco adatto a lei e non sapesse come tornare indietro. “Alcuni dei ragazzi dell’alta nobiltà ne parlano con termini coloriti.”

Daichi si fece serio. “Definisci coloriti.”

Yui scosse la testa. “Lascia stare, sono solo degli stupidi che raccontano delle storie probabilmente non vere.”

“No, ora sono curioso,” insistette Daichi, sporgendosi verso di lei. “Che cosa dicono di Koushi?”

Qualcosa era cambiato nell’espressione del Principe e anche nell’inclinazione della sua voce. Yui lo notò immediatamente. “Mi par di capire che siete amici e non voglio offenderlo.”

Daichi e Koushi si conoscevano appena ma, sì, il Principe non avrebbe preso alla leggera degli insulti nei confronti del suo compagno di studi. “Stai solo riportando quanto sentito,” la rassicurò. “Non è una buona ragione per cui tu debba sentirti in difetto.”

Yui prese un respiro profondo, come se fosse sul punto di fare un salto nel vuoto. “Dicono sia un Omega,” disse. “Il resto penso che puoi immaginarlo.”

Daichi lanciò un’occhiata a Hayato, che rispose con un’espressione che diceva: te l’avevo detto.

“Koushi è una persona,” disse il Principe. “L’anatomia del suo corpo non è affar di nessuno.” Non c’era altro modo di dirlo senza essere volgare e voleva evitare simili scivolate di fronte a una dama.

Yui concordò con un cenno del capo. "Se avete parlato con così tanta naturalezza, deve essere una persona piacevole."

"Sì, lo è,” confermò Daichi. "Perlomeno è sincera."

"Come i tuoi amici dell'addestramento?"

L’erede al trono pensò a Yuu e Ryuu. "Più signorile di così," concluse con un sospiro. Quei due sarebbero divenuti Cavalieri a modo lo stesso giorno in cui Asahi si sarebbe trasformato in un guerriero spavaldo.

Yui rise divertita. "Mi spiace non poterli frequentare come Kiyoko, lo ammetto."

"La tua educazione ti occupa molto tempo, vero?"

"Mio padre vorrebbe che tornassi nella residenza di famiglia per imparare ad occuparmi dei nostri possedimenti."

"Ha ragione."

"Forse, ma sono cresciuta qui e temo che mi sentirei particolarmente sola, se me ne andassi," spiegò Yui con malinconia.

Daichi la capiva: l'eterno conflitto tra desiderio personale e le aspettative degli altri. 

Era cresciuto nel perenne altalenare di quelle due possibilità. Il grande senso del dovere che possedeva, pur essendo ancora molto giovane, lo aveva sempre spinto a scegliere la seconda strada. Voleva essere un Re degno del suo popolo. Ciò nonostante, alle volte, tutto quello che desiderava era una pausa da quel continuo ricordarsi delle proprie responsabilità. Così stringeva i denti e faceva ancora un passo in avanti, stando ben attento a tenere la testa alta per non farsi schiacciare da nessuno.

Anche se Ukai e Takeda facevano di tutto per proteggerlo, i giochi di potere erano pericolosi. Daichi non poteva sperare di contare perennemente su di loro: sarebbe diventato grande, prima o poi

Era destinato a diventare Re e, seduto su quel trono, sarebbe stato da solo. 



 

"Non per forza.” Fu la replica che Koushi gli diede qualche giorno dopo. "Non fraintendetemi: penso ci siano momenti della vita in cui siamo soli e basta. Tuttavia, non credo che concentrare tutte le responsabilità su di sé sia un modo per divenire un buon Re."

Come capitava un po’ troppo spesso in quei giorni, Daichi fu preso di sorpresa da tanta sincerità. “Il potere nelle mani di uno solo è il principio della monarchia,” replicò.

Se si stava per aprire un dibattito, avrebbe lasciato che accadesse.

"Non sto mettendo in dubbio questo.” Koushi si sedette sul davanzale della finestra. “Sono solo dell'idea che un Re che isola se stesso, sia per senso del dovere che per fame di potere, non faccia altro che indebolirsi con le proprie mani."

Il Principe scosse la testa. "Non mi sognerei mai di far pesare i miei doveri sugli altri."

"Non sono gli altri.” Koushi esponeva il suo punto di vista con gentilezza, ma era fermo. Non avrebbe finto di credere qualcosa di diverso solo perché era di fronte all’erede al trono. "Sono i vostri Cavalieri in battaglia. Sono vostri Consiglieri nei periodi di pace. È la vostra Consorte nella vita di tutti i giorni."

Daichi rimase incantato da quelle parole. Un peso che era gravato sul suo cuore per anni, sembrava essere sparito improvvisamente e senza particolare sforzo. Tutto perché Koushi aveva detto la cosa giusta al momento giusto. No, Daichi non sapeva se c’era della magia nel sangue del fanciullo che aveva di fronte - e se questa lo rendesse l’Omega di cui vociferava la corte - ma era come se lo avesse liberato da una maledizione.

"Un grande Re è colui che non dimentica di essere un uomo, mente compie il proprio dovere," Koushi sorrise nervoso e arrossì. "Almeno, è questo il punto di vista di un umile giovane senza alcun potere nelle sue mani."

"È un punto di vista che vale la pena ascoltare," disse Daichi con una nota di gratitudine. "Ti prego, chiamami per nome."

Koushi scosse la testa. "Non potrei mai..."

"Non costringermi a ordinartelo, per favore," lo interruppe il Principe. "Vorrei davvero che lo facessi."

Koushi trattenne il fiato per una manciata di secondi. Era come se la stanza si fosse fatta improvvisamente più calda, eppure aveva le mani gelide. "Ogni tuo desiderio è un ordine, Daichi."

Il Principe sorrise soddisfatto. "Non smettere mai."

"Di fare cosa?" Domandò Koushi, confuso.

"Di parlarmi come fai,” rispose Daichi. “Con una sincerità e una maturità che non ho mai trovato in nessun giovane all’interno di questa corte. Sarei onorato, se tu continuassi a condividere i tuoi pensieri con me.” Aveva la netta sensazione che nessuno gli avesse mai dato una simile opportunità.

Koushi abbassò lo sguardo. "Un giorno, i miei pensieri potrebbero non piacerti. Ci hai pensato?"

"Un Re deve saper accettare e affrontare un disaccordo o rischia di divenire un tiranno, no?"




 

La prima estate con Koushi, Daichi poté solo definirla indimenticabile.

Aveva avuto un'infanzia serena, nonostante la perdita prematura dei suoi genitori. Era cresciuto con abbastanza amici accanto da non sentirsi mai completamente solo.

Koushi era qualcosa di completamente diverso.



 

Daichi era steso sulla schiena, le braccia piegate dietro la testa ed il viso girato di lato. Koushi era accanto a lui. A pochi metri da loro, nel laghetto, gli altri fanciulli della corte stavano scatenando il caos. A loro non importava: parlavano di tutto e niente da ore, come se ci fossero solo loro.

"Se il Generale ci scopre, ci uccide," commentò Koushi, ma rideva. "È strano... Non sono mai scappato da nessuna lezione, sia teorica che pratica."

Daichi sorrise più di prima. "Non mi sembri pentito."

"È questo il peggio, temo," Koushi sospirò. "E dov'è finito il tuo smisurato senso del dovere?"

Daichi si alzò su di un gomito. Vide Yuu tentare di tirare in acqua uno spaventatissimo Asahi, sebbene non avesse la forza fisica necessaria per riuscirci. Ryuu lo aggredì alle spalle e tutti e tre caddero rovinosamente nell'acqua, strappando un sorriso divertito all'erede al trono.

"Mi piace essere loro complice, di tanto in tanto," ammise Daichi. "Come mi hai detto questo inverno, saranno i miei Cavalieri e non voglio che il legame che abbiamo costruito in anni si offuschi crescendo. Sono stati tutto quello che avevo quando non avevo nulla."

Quando si rese conto della piega malinconica che aveva preso la loro conversazione, guardò Koushi e vide un'ombra oscurare i suoi occhi dalle sfumature dorate.

"Mi spiace, non volevo rattristarti."

"Mi hai concesso di parlarti sinceramente," gli ricordò Koushi, sollevandosi sui gomiti. "Perchè non dovresti farlo anche tu con me?"

Daichi fece una smorfia. "Sono un Principe, Koushi. Non ho mai avuto nulla, non per davvero. Avevo molto più di molti dei bambini che sono rimasti soli dopo quella guerra."

"Trono o no, non saresti stato più fortunato di un ragazzino di umili origini, se non avessi avuto qualcuno che ti volesse bene," commentò Koushi, guardando i tre ragazzi giocare nell'acqua. "Un bambino che rimane solo è qualcosa di tragico, sia esso un Principe o un contadino."

Daichi reclinò la testa da un lato. "Ma come fai?"

Koushi sbatté le palpebre, confuso. "A fare cosa?"

"A pronunciare parole così."

Il fanciullo dagli occhi dorati arrossì e abbassò lo sguardo. "Non è un talento di cui andare fieri."

"Perchè dici così?"

"Nella mia famiglia, nessuno ha mai ascoltato quello che avevo da dire. Essere figlio di mia madre bastava a rendermi privo di valore e, di conseguenza, anche di una voce."

Daichi si fece serio di colpo. 

Koushi parlò come se desse per scontato che le voci sulle sue origini avessero raggiunto anche l’erede al trono. "Per mia fortuna, ho ereditato dal genitore che mi ha dato alla luce anche il mio amore per l'arco. È stato questo a convincere i miei parenti a darmi una possibilità, anche se non sono bravo come chi mi ha preceduto."

"Ti ho visto," replicò Daichi. "Non sminuirti, hai talento.”

Koushi scosse la testa. "Sono ordinario, tutto qui."

"Se fossi ordinario, il Maestro non ti avrebbe notato."

"Mi piace studiare, tutto qui."

"Perchè continui a denigrarti?" Domandò Daichi, un po’ troppo duramente. Si diede dell'idota e cercò di rimediare. "Perdonami, non volevo suonare duro."

Koushi abbassò lo sguardo, imbarazzato. "Se ti ho irritato, mi dispiace."

"Affatto!" Esclamò il Principe. "È che io non riesco a capire perché ti veda così."

Koushi sorrise, malinconico. "Io ho un'immagine di me," spiegò. "È completamente opposta a quella che mi hanno attaccato addosso gli altri, ma sto facendo il possibile per dimostrare che valgo più di quanto credono. Non è facile come pensavo, tutto qui."

"Per questo hai accettato di essere reclutato e sei venuto a corte?"

"Avrei fatto qualsiasi cosa per andarmene dalla casa in cui sono cresciuto, onestamente," confidò Koushi. "Ma non voglio lasciarmi abbattere da quell'immagine che mi è stata imposta, solo che... Penso che le abitudini siano dure a morire, tutto qui."

Forzò un sorriso e Daichi fu abbastanza sensibile da non chiedere altro. Koushi era figlio di un Omega e questo bastava a rendergli la vita difficile, senza che lo fosse lui stesso. 

"Vostra Altezza!"

Un cavallo bianco si fermò a pochi metri da loro. Daichi alzò lo sguardo e riconobbe Akiteru, uno dei Cavalieri più giovani dell'eserciro regolare. Sorrideva, un guizzo di divertimento rendeva più vivaci gli occhi scuri. "Sono venuto ad avvertirvi di un pericolo imminente."

Daichi guardò Koushi, il quale ricambiò lo sguardo con la stessa identica espressione perplessa.

Lo sentirono, prima di vederlo.

"Se vi trovo, maledetti mocciosi perdi giorno, giuro che-!" Qualunque cosa volesse giurare il Generale Ukai, nessuno lo seppe mai. Recuperarono i vestiti quanto più veloce poterono e corsero ai loro cavalli come se non ci fosse un domani.

Fu tutto inutile.

Ryuu inciampò nel tentativo d'infilarsi i pantaloni e correre nello stesso momento. Rotolò a terra, investendo Yuu che, a sua volta, si attaccò ad Asahi per sorreggersi. Quest’ultimo cadde rovinosamente ed atterrò sulla faccia.

"Maledizione..." Commentò Daichi a denti stretti. Quando dagli alberi emersero le figure del Generale, del Maestro Takeda e di Kiyoko, la scena mutò drasticamente.

Yuu e Ryuu si alzarono in piedi, esaltati come due idioti: il primo mezzo nudo, il secondo con i pantaloni slacciati - gli caddero dopo appena due passi. Asahi, dal canto suo, era rimasto a terra. Forse voleva fingersi morto e scampare alla punizione del Generale.

Daichi li guardò tutti con espressione estremamente frustrata. "Sono senza speranze." Sospirò, poi si rese conto che Koushi era ancora lì, vicino a lui. Sorrideva. No, rideva davvero e quel suono incantò Daichi. Non riusciva ad allontanare gli occhi dalle iridi dorate, rese ancor più luminose dall'allegria del momento. Pensò che, più tardi, avrebbe dovuto ringraziare quegli idioti dei suoi futuri Cavalieri.

Più tardi.

Ora, quel suono gli stava dando alla testa al punto che non era possibile trattenersi dal fare qualche follia.

"Vieni!" Daichi afferrò la mano di Koushi e lo fece salire sul suo destriero. Mentre cavalcava verso la foresta, sentì le piccole mani aggrapparsi con fiducia alle sue spalle.

Non ebbe bisogno di altro per convincersi a proseguire.



 

La torre diroccata in mezzo alla foresta doveva essere appartenuta a qualche antica roccaforte di vedetta. Daichi non ne aveva mai avuto la certezza.

A lui piaceva perché era in mezzo al nulla e dalla cima si poteva vedere tutta la valle, fino al Nido dei Corvi.

La mano di Koushi era ancora nella sua. Non appena Daichi lo aiutò a scendere da cavallo, fece intrecciare le loro dita in una stretta rassicurante. 

"Dove siamo?" 

Il Principe sorrise. "È il mio piccolo posto segreto."

Koushi sgranò gli occhi a quella rivelazione. "E ci hai portato me?"

"Pensavo ti sarebbe piaciuto. Seguimi." Daichi gli fece strada all'interno dell’edificio di pietra: c'era un arco a cui, in principio, doveva essere stato attaccato un cancello e, al di là di esso, vi era un piccolo cortile interno. Da lì, trovarono l'ingresso della torre e le scale che li avrebbero portati in cima.

"Cammina vicino al muro," lo istruì il Principe. Koushi annuì.

La natura aveva fatto da padrona sulle pareti di pietra: fiori selvatici dagli svariati colori erano cresciuti in ogni angolo toccato dal sole. 

"È bellissimo," commentò Koushi.

"E non hai ancora visto la parte migliore."

Daichi lo condusse fino in cima. 

Koushi non aveva mai visto niente di più bello in tutta la sua vita. Ammirare il Regno di Karasuno illuminato dalla luce del tramonto fu spettacolare, ma fu il gesto di Daichi a rendere unico quel momento.

"Non hai mai portato nessuno quassù?" Domandò, cercando gli occhi del suo Principe.

"Mai," rispose Daichi. "Tu sei il primo."

Per la prima volta nella sua vita, Koushi non si sentì più né sbagliato, né tanto ordinario.
 


L'inverno seguente fu l'ultimo che Yui passò alla corte del Regno di Karasuno.

"Mio padre vuole che torni a casa prima della primavera," confidò a Daichi in una giornata di neve. Il Principe era rammaricato dalla notizia. Nonostante la sua posizione, non aveva una soluzione per ovviare al problema: il dovere chiamava la sua amica d’infanzia, come presto avrebbe reclamato anche lui.

Era giusto così.

"Hai deciso quando partire?" Domandò Daichi.

"Una carrozza verrà a prendermi domani mattina," rispose Yui, continuando a fissare un punto nel vuoto.

Il Principe annuì. "Farò preparare una cena privata solo per noi, ed il giorno dopo ti saluterò alle porte del castello. Non è un addio e lo sai. Ci ritroveremo da grandi."

Yui lo guardò dritto negli occhi. "E quanto tempo ci vuole per diventare grandi?"

Daichi non aveva una risposta da darle.

"Puoi promettermi una cosa?" Domandò lei con le lacrime agli occhi.

"Qualunque cosa." Daichi non avrebbe dovuto dirglielo.

"Mi porterai nel tuo rifugio segreto, prima che me ne vada?"

Perchè, per quanto le volesse bene, questo proprio non poteva concederglielo.




 

"Ah! Mi resterà la cicatrice e Kiyoko non mi guarderà più!" Si disperò Ryuu, prendendosi il viso tra le mani. "La mia vita è finita!"

Yuu si spostò accanto a lui, drizzandosi con fierezza in tutta la sua scarsa altezza. "Non c'è nulla di cui preoccuparsi, Ryuu. Penserò io alla nostra bella dama, anche per te!"

Per tutta risposta, Ryuu lo guardò con l'espressione più ferita del suo repertorio. "Yuu, traditore!” Si lagnò. “Un po' di pietà!"

Koushi sospirò stancamente. "È solo un bernoccolo, Ryuu. Passerà!" Si accomodò su una delle poltrone, accanto al caminetto acceso della sala comune. Era il luogo di ritrovo di tutti gli apprendisti alle armi e diveniva improvvisamente affollato nelle giornate di neve come quella.

"L'espressione del Generale era spaventosa però," commentò Asahi, seduto a gambe incrociate sul tappeto, gli occhi fissi sulle fiamme scoppiettanti.

"Ehi!" Esclamò Yuu, abbandonando Ryuu al suo delirio per avvicinarsi al ragazzo più grande. "Tu, invece, quando la pianti di dare di matto ogni volta che mi sconfiggi in un corpo a corpo?"

Asahi lo guardò costernato. "Ho paura di farti male!" Esclamò, sulla difensiva.

"Ti sembro fatto di vetro, forse?"

"No, ma-"

"Ma, cosa? Se sono il tuo avversario, rispettami e combattimi con serietà!"

"È solo che..." Asahi si guardò bene dal proseguire e tornò a fissare il fuoco nel camino per evitare l'argomento.

"Che?" Yuu s'inginocchiò sul tappeto e fissò l'altro con tanta convinzione che, sebbene fosse il doppio di lui, lo fece tremare.

Asahi cercò di farsi piccolo piccolo e fallì. "È solo che sei così... Minuto.”

"Cosa?!" Yuu scattò in piedi, guadagnandosi un'occhiata da parte di tutti i presenti. "Stai giudicando il mio valore dalla mia altezza?!"

"Non oserei mai!"

"Sì, lo stai facendo!"

"Ragazzi, abbassate la voce!" Era Akiteru. Koushi lo udì da qualche parte, alle sue spalle.

Ryuu si alzò dalla sedia su cui era collassato, strisciando verso gli altri due per appoggiare la testa sulla spalla di Yuu con fare sconfitto. "Non temere amico, io ti vorrò sempre bene, anche se non crescerai mai. E tu continuerai a volermi bene, anche se sarò uno sfregiato per tutta la vita, vero?"

Koushi sospirò di nuovo e richiuse il libro che stava inutilmente tentando di leggere. "Ryuu, è un bernoccolo, non una ferita permanente. Asahi, Yuu ha ragione: il miglior modo che hai per portargli rispetto è prenderlo seriamente durante i duelli."

Yuu sorrise orgoglioso.

"E tu," concluse Koushi, rivolgendosi proprio a lui. "Capisco che possa darti fastidio, ma cerca di capire le motivazioni dietro le azioni di Asahi: non si trattiene per mancarti di rispetto, lo fa solo per il tuo bene. E perché ha paura che tu possa fargliela pagare dopo, se ti fai troppo male."

Asahi tentò di farsi piccolo piccolo per la seconda volta.

Ryuu guardò l’Arciere come se avesse appena avuto una rivelazione. "Sei un santo, Koushi!"

Il fanciullo dai capelli grigiastri forzò un sorriso. "Non sono poi così diverso dall'ordinario."

"Io non lo direi," intervenne Akiteru, sporgendosi sopra la sua poltrona.

Koushi alzò lo sguardo e lo fissò confuso.

"Guardali," disse il ragazzo dai capelli biondi, indicando i tre adolescenti di fronte al camino. "Hai detto loro tutto quello che avevano bisogno di sentirsi dire e non ci hai nemmeno pensato."

"Non ho fatto nulla per cui valga la pena vantarsi,” insistette Koushi con cortesia.

"Sai prenderti cura degli altri," rispose Akiteru. "Vivi al Nido dei Corvi da un solo anno, ma non c'è nessuno qui che, almeno una volta, non si sia sentito risollevato da una tua parola. È una dote rara."

Koushi gli sorrise con cortesia. Akiteru era più grande di lui, era già un Cavaliere e, probabilmente, era perfettamente consapevole delle voci che giravano sul suo conto. Proprio per questo gli era grato: era uno dei pochi a rivolgersi a lui senza un doppio fine.

"Ti ringrazio, Cavaliere."

Una serie di esclamazioni eccitate da parte di Ryuu e Yuu avvisarono Koushi che Kiyoko era entrata nella sala comune, attirando l'attenzione di tutti con la sua silenziosa presenza.

"Ryuu, mostrale il tuo bernoccolo," propose Yuu. "Fallo passare per ferita di guerra, magari le piace."

"Ottima idea, Yuu!" Esclamò il secondo.

Asahi li fissò entrambi, perplesso. "Quale guerra, scusate?"

Nessuno le rivolse la parola. La fanciulla si diresse diretta verso Koushi, senza guardare nessun altro negli occhi. Akiteru si fece educatamente da parte, mentre Koushi si alzava in piedi in segno di rispetto. "Il Principe vuole riceverti nei suoi alloggi questo pomeriggio, mi ha chiesto d'informarti."

"Ti ringrazio, Kiyoko."

"Ah, Koushi riesce a parlarci così naturalmente," mormorò Ryuu con voce pregna di stima.

"Deve essere la maturità," seguì Yuu.

"È solo un anno più grande di voi," gli fece notare Asahi, sempre più perplesso dai loro discorsi.

Kiyoko se ne andò silenziosamente come era arrivata, seguita dall'ennesimo commento sognante di Ryuu: “è sempre bellissima quando m'ignora!"



 

Koushi si accorse subito che qualcosa non andava nel momento in cui entrò nel salotto privato del Principe e vide l’espressione funerea sul viso di Daichi.

"Che cosa è successo?" Domandò il fanciullo dagli occhi dorati, avvicinandosi con ampi passi.

Daichi lo invitò a sedersi davanti al fuoco, accanto a lui e gli raccontò di Yui, del perché era obbligata a partire e della promessa che gli aveva strappato sull'orlo delle lacrime.

Koushi ascoltò ogni parola con attenzione. Il Principe non si fece sfuggire il modo in cui i suoi occhi divennero più spenti, non appena parlò del loro posto segreto. Quando Daichi ebbe finito, Koushi si umettò le labbra. "Capisco..." Mormorò, poi aggiunse con tono decisamente più casuale. "Ne stai parlando come se dovessi chiedermi il permesso."

Daichi lo fissò. "È una cosa che riguarda anche te."

"È una tua cara amica," replicò Koushi, senza guardarlo negli occhi. "È il tuo posto segreto. Io e te l'abbiamo solo condiviso per un anno." Si sforzò di suonare il più sincero possibile.

Lady Yui era un'amica del Principe da molto tempo prima che lui entrasse a far parte della vita di Daichi. Era suo diritto chiedere un ultimo regalo, prima che le loro strade si separassero per un tempo indefinito.

Koushi non aveva alcun diritto di opporsi. Sarebbe stato egoista e crudele. Il nocciolo della questione altro non che una roccaforte abbandonata nel bel mezzo del nulla. Portare Yui lì, non avrebbe cambiato nulla del rapporto tra lui e Daichi.

"Le ho detto di no."

Da principio, Koushi non fu certo di aver capito bene. "Come?" Domandò, smarrito.

Il Principe gli prese una mano tra le sue: erano calde e forti, il tipo di mani che avrebbero fatto sentire protetto chiunque. "Le ho detto di no," ripetè Daichi.

E Koushi non seppe se scoppiare a piangere o a ridere. Tutto quello che riuscì a fare fu fissare l'erede al trono. "Perché?" Fu tutto quello che riuscì a dire, dopo che ebbe recuperato un poco del controllo di sé.

"Le voglio bene," ammise Daichi, soppesando ogni parola. "Ma non voglio condividere con lei le stesse cose che condividiamo io e te. Le cose che sono nostre."

Koushi aprì la bocca, ma il nodo che gli stringeva la gola divenne insopportabile. Sentì il bisogno di alzarsi e di mettere tra sé e il Principe una distanza di sicurezza. 

Daichi rimase a fissare la sua schiena per un lungo minuto di rispettoso silenzio, poi si alzò a sua volta. "Koushi..."

Il fanciullo voltò gli occhi dorati nella sua direzione. 

Il Principe si sentì morire nel vedere che erano pieni di lacrime. "Non puoi farmi questo," sorrideva. Un sorriso nervoso, terribile.

"Se ti ho ferito in alcun modo, io-“

"Ferito?" Koushi scosse la testa. "Vorrei che mi avessi ferito, almeno ora saprei cosa fare."

"Di che cosa stai parlando?"

"Voglio chiederlo io a te," replicò il giovane Arciere. "Cosa significa che non vuoi condividere con altri ciò che è nostro?"

"Non lo so," ammise Daichi, costernato.

"Allora non dovresti dar voce a sentimenti a cui non sai dare un nome. Sarai un Re... Una tua parola mal interpretata potrebbe significare un caro prezzo da pagare, un giorno."

"Adesso sei ingiusto, Koushi."

"Ingiusto?" Domandò Koushi con occhi ardenti d'ira. 

Per un attimo, Daichi non fu certo di conoscere il giovane che aveva davanti. Comprese che l'immagine fragile e indifesa che si era costruito di lui era meno rispettosa di quella che gli attaccavano addosso i viscidi i pettegolezzi della corte.

Koushi era gentile. Questo non lo rendeva affatto fragile, tantomeno debole.

"Voi siete un Principe, mio signore. Sarebbe così facile per voi giocare con la mia dignità, se solo lo voleste."

Daichi non credette a quelle parole. "Ma che cosa stai dicendo?"

"Ti sto dicendo che non puoi rivolgermi parole simili, come se credessi davvero a quello che dici!"

"E se fosse così?" Domandò Daichi, facendo un passo in avanti. "Se volessi proteggere ciò che è nostro da tutto e tutti, cosa ci sarebbe di sbagliato in questo?"

"Sii ragionevole, tu sei un Principe ed io sono solo..." Koushi si bloccò, una lacrima gli solcò la guancia. Si adagiò sul tappeto perché temeva che le gambe non lo avrebbero retto. "Non puoi illudermi. Non puoi sollevarmi e lasciarmi cadere. Perché è questo che succederà, prima o poi."

Daichi appoggiò un ginocchio a terra. "Ti chiedo perdono, perché ho avuto l'arroganza di pensare che tu avessi bisogno che io ti proteggessi."

Koushi lo guardò.

"L'ho pensato e me ne pento," aggiunse il Principe. "Hai il dono di saperti prendere cura degli altri. È una forza che non ho trovato in nessun altro. Sei brillante e le tue parole incanterebbero anche i più colti pensatori del nostro tempo. E sai essere sincero in tutto, stando ben attento a non ferire nessuno. È solo che ho visto della tristezza nei tuoi occhi, quando ci siamo sconosciuti e sono stato tanto stolto da scambiarla per fragilità. In realtà, era solo l'ombra di chi guarda il mondo con un po' più di consapevolezza dei suoi coetanei, ma lo fa a testa alta."

Koushi era incapace di pronunciare parola.

"Questa è l'immagine che ho di te," concluse Daichi con un sorriso. "Non m'importa quello che dicono sul modo in cui sei venuto al mondo. In tutta onestà, in questo momento, vorrei solo ringraziare i tuoi genitori per averlo fatto," si lasciò sfuggire una risata. "Non so cosa sia questa cosa nostra, ma non voglio rinunciarci e non permetterò a nessuno di toccarla."

Alla fine, Koushi abbassò lo sguardo. "Hai ferito una tua cara amica a causa mia."

"Yui è una ragazza comprensiva, capirà," Daichi gli passò un braccio intorno alle spalle e lo strinse a sé. "Stai tremando."

"Ho freddo..."

"Vieni, siediti accanto a me."

"Dovrei tornare nella mia stanza, io-"

"Ho voglia di parlare," spiegò Daichi. "Mi piace parlare con te, mi è sempre piaciuto."

Koushi sorrise dolcemente e si lasciò abbracciare. "Sì, anche io sto bene con te, come non lo sono mai stato con nessun altro."



 

Parlarono e parlarono, fino a che il cielo fuori dalle finestre non si schiarì ed entrambi non caddero addormentati l'uno accanto all'altro.
 


Poco dopo il sorgere del sole, Yui scese nel cortile principale per ricevere la carrozza che era stata mandata da suo padre. Si guardò intorno, aspettò fino a sentire le lacrime pungerle agli angoli degli occhi e poi partì. Il suo Principe non la salutò mai.



 

Al suo risveglio, il Principe di Karasuno si sentì intorpidito, dolorante e un poco infreddolito. Il fuoco si era spento, ma Koushi era ancora accanto a lui, addormentato. Daichi si sorprese a guardarlo come se fosse lo spettacolo più incantevole del mondo.

Prese a giocare con la frangetta di capelli grigiastri e aspettò pazientemente che quegli occhi dai riflessi dorati si aprissero sul mondo, incontrando i suoi.

La prima cosa che fece Koushi fu sorridergli. "Buongiorno..." Mormorò dolcemente.

E Daichi pensò che quel sorriso doveva essere per lui e per lui soltanto.

Lo rubò con un bacio innocente, quasi a fior di labbra.


Improvvisamente, l'inverno nel Regno di Karasuno era più così freddo.


 

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Capitolo 4
*** Di mostri e destino ***


3
Di mostri e destino




Wakatoshi di Shiratorizawa era stato incoronato l’estate precedente, il giorno del suo quattordicesimo compleanno, dopo aver consegnato al suo esercito la testa dell’ultimo Signore del Nord che aveva osato minacciare i suoi confini.

Quell’impresa gli era valsa l’assoluta lealtà del suo esercito e del suo popolo, oltre al rispetto di tutti i Regni Liberi. 

Quel fanciullo, poco più di un bambino, era spuntato fuori dal nulla e aveva costretto il mondo intero a guardarlo. 

Era cosa risaputa che la corte di Shiratorizawa fosse il nido di prodigiosi guerrieri e Principi destinati a scrivere la storia, ma Wakatoshi era qualcosa di più.

Hajime non era nella posizione di capire che cosa fosse, ma Tooru sì.




 

“Siete bravo con gli scacchi,” commentò Wakatoshi.

La prima conversazione di un futuro Re e di uno incoronato da poche settimane non poteva che svolgersi di fronte a un campo di battaglia - seppur per gioco.

Tooru scrollò le spalle. Sorrideva con fare sicuro, per nulla intimidito dalla presenza di un sovrano così giovane e già così famoso. “Un addestramento militare in scala ridotta, nulla di più. È un modo per abituare la nostra mente a creare strategie vincenti.”

Wakatoshi lo fissò a lungo, prima di fare la sua mossa. “Non ci avevo mai pensato.”

Tooru inarcò un sopracciglio. “Davvero?” Suonò un poco derisorio.

Il giovane Re se ne accorse, ma si prese il suo tempo per replicare. Aspettò che il più giovane facesse la sua pedina e parlò: “una scacchiera non può prepararti ad un campo di battaglia.” 

“Giusto, voi ne sapete qualcosa, vero?”

Tooru decise d’indagare un po’ sotto la superficie. No, non era interessato a quel fanciullo nel modo in cui il consiglio avrebbe voluto, ma questo non significava che non fosse curioso. Il resto del mondo gli era stato precluso per tanto tempo, e Wakatoshi di Shiratorizawa era una finestra da cui non aveva mai sbirciato.

Il giovane Re non rispose.

Tooru non si sarebbe arreso tanto facilmente. “So cosa dicono le storie su di voi,” aggiunse, con una luce curiosa a rendere i suoi occhi più vivaci. 

“Volete sapere se siano vere, immagino.”

“No, per quello mi basta guardarvi.” 

Wakatoshi alzò lo sguardo dalla scacchiera. 

Tooru accennò un sorriso. “Abbiamo la stessa età… A essere precisi, sono un mese più vecchio di voi. Eppure, quando vi guardo, ho l’impressione che abbiate sulle spalle molti più inverni dei nostri coetanei.”

Il Re dell’Aquila fece la sua mossa. Fu un attacco distratto, fatta tanto per fare. Tooru concluse che non stava più ponendo attenzione alla partita, ora era lui il centro del suo interesse. Ne fu compiaciuto.

“Dicono che si trattasse di un’invasione del popolo del Nord. Raccontano di come siete tornato al vostro campo base, all’alba, e avete consegnato la testa del leader nemico al vostro esercito.” Tooru sollevò la sua torre. Prima di usarla, se la rigirò tra le dita per un po’. “È un gesto strano da fare.”

“Perché lo dite?”

“Perdonatemi, Wakatoshi. Sono abituato a quelle storie che si concludono con grandi guerrieri che donano ai loro signori dei trofei di guerra, non il contrario.”

Wakatoshi era sia Re che Primo Cavaliere, ma la sua immagine era così diversa da quella da monarca che era stata inculcata a Tooru. 

“Come Re sono chiamato a comandare, non a rischiare la mia vita per la mia gente,” spiegò. “Sono la loro guida. Se perdono me, sono perduti anche loro.”

“Lo hanno insegnato anche a me,” ammise Wakatoshi.

Tooru reclinò la testa da un lato. “Non mi pare che abbiate dato credito a simili insegnamenti.”

Wakatoshi assottigliò gli occhi. “Non riesco a capire se approvate o meno.”

“Mio padre è caduto in battaglia,” raccontò Tooru. “Non conservo alcun ricordo di lui. Ho sentito solo delle storie: il Re di Karasuno ha combattuto con i suoi uomini e lui non ha voluto essere da meno. Una pura follia, da parte di tutti e due.”

“Se ben ricordo, sono morti entrambi.”

“Perché entrambi erano impreparati.” Era facile per Tooru giudicare qualcosa che non conosceva, ma non serviva un genio per sapere che nobiltà e orgoglio non erano armi sufficienti da brandire in guerra.

“A mio padre è successa la stessa cosa,” disse Wakatoshi.

Tooru lo sapeva. Lo sapevano tutti i Regni Liberi. Sentirlo dal nuovo sovrano di Shiratorizawa ebbe tutto un altro significato.

“Era un grande Re,” aggiunse Wakatoshi. “Un ottimo stratega e un guerriero degno di nota, ma non abbastanza.”

“Non conosco le imprese di vostro padre,” ammise Tooru. 

“Perché non ve ne sono, non nel modo in cui le intendiamo io e voi,” spiegò Wakatoshi. “Divenuto Re, mio padre si è ritrovato tra le mani un regno grande e potente e la sua politica si è basata su una sola cosa: stabilità.”

“Non è un modo sbagliato di governare,” commentò Tooru. “Perché ne parlate con quell’espressione corrucciata?”

“Perché non era abbastanza,” disse Wakatoshi, con sguardo distante. “Quella grandezza e quel potere non erano abbastanza.”

Tooru non ebbe il tempo di replicare.

“Non l’ho affrontato,” aggiunse il Re dell’Aquila. “Il leader degli invasori… Non l’ho affrontato. L’ho sorpreso nel sonno. Ha avuto appena il tempo di riconoscere chi aveva di fronte, prima che gli tagliassi la gola.” Wakatoshi non voleva impressionarlo.

Tooru se ne accorse in quel momento: a quel fanciullo non importava nulla del suo giudizio, di dare una determinata impressione di sé. Non lo stava corteggiando o lusingando con parole vuote - Tetsuro ci aveva provato, prima che fosse chiara la mancanza d’interesse da parte di entrambi.

A dispetto delle ragioni che li avevano portati lì, di fronte a quella scacchiera, Wakatoshi non stava tentando di comprarlo con qualche bella bugia. La grande impresa che lo aveva fatto conoscere in tutti i Regni Liberi, altro non era che l’azione di un codardo. 

Tooru sapeva che Hajime lo avrebbe definito così: codardo

Ma Wakatoshi non si nascondeva, non se ne vergognava. “Mi sono sporcato le mani, piuttosto che chiedere a centinaia di uomini di farlo per me.”

Tooru rimase senza parole. Tutta la sicurezza con cui aveva invitato quell’ospite inatteso nei suoi appartamenti scivolò via, provocandogli un brivido freddo che gli fece venire la pelle d’oca. Gli scappò una risata nervosa.

Wakatoshi se ne accorse. “Ho detto qualcosa che vi ha turbato?” 

“Mi state prendendo in giro?”

“No.”

Tooru si umettò le labbra, poi si sporse in avanti, incrociando le braccia sul tavolo. “Perché?” 

“Perché cosa?”

“Le tue parole persuaderebbero chiunque a credere che tu sia quasi altruista. La morte di uno per salvarne centinaia. Vista da questa prospettiva, anche un atto di per sé riprovevole può essere giustificato.” Se fosse nato in un mondo diverso, Hajime sarebbe stato quel genere di Re. Tooru ne era certo. 

Wakatoshi di Shiratorizawa non era il suo Cavaliere. Nei suoi occhi, troppo maturi per la sua età, vi erano ombre che il Principe Demone conosceva bene: le aveva scorte innumerevoli volte nel suo stesso riflesso.

“Qual è la vera ragione che vi ha spinto a uccidere quel Signore del Nord da solo?” Domandò Tooru.

Wakatoshi non rispose immediatamente. L’erede al trono di Seijou immaginò che quella fosse la prima volta che qualcuno guardava oltre il suo operato e al significato che poteva avere in superficie.

“Non volevo ereditare la corona di Shiratorizawa,” rispose Wakatoshi. “Volevo conquistarla.”

Una persona comune non avrebbe mai potuto intuire l’enorme differenza tra le due cose. Tooru, invece, la conosceva molto bene. Era ciò che distingueva un titolo reale fine a se stesso da un Re nato per essere tale. Il primo era condannato a essere dimenticato dalla storia - semmai questa gli avesse permesso di sopravvivere - il secondo era destinato a divenire leggenda

E Tooru era dolorosamente consapevole di quale fosse la sua posizione.

Si sentì sconfitto in partenza.

Wakatoshi si ricordò della partita in corso e fece la sua ultima mossa. “Scacco matto…”




 

Quella notte, Tooru rimase in piedi fino a tardi.

Fece congedare i suoi servitori subito dopo la cena e si cambiò negli abiti da notte da solo. Rimase raggomitolato sulla poltrona accanto al fuoco per ore, perso in pensieri che non lo avevano mai sfiorato prima di allora.

Quando Tetsuro si era presentato al suo cospetto, Tooru sapeva che aveva un’esperienza del mondo che a lui era stata negata. Eppure, non si era mai sentito inferiore a lui.

Wakatoshi era una cosa completamente diversa.

Il giovanissimo sovrano di Shiratorizawa aveva già fatto quello che lui, il Principe Demone, aveva avuto solo il potere di sognare: aveva preso le regole del loro mondo e le aveva piegate alla sua volontà. 

A tredici anni, quel fanciullo aveva già compiuto un’impresa, un primo passo che lo avrebbe posto un gradino al di sopra di tutti i Re della sua generazione. 

Hajime lo sorprese allora, talmente perso in quell’intricato groviglio di riflessioni da non alzare neanche lo sguardo al suo ingresso nella stanza.

“Mi dispiace, Tooru,” disse, sinceramente costernato. “Gli allenamenti sono finiti dopo il tramonto, non sono riuscito a raggiungerti a cena.” I capelli neri erano ancora umidi, i vestiti scomposti. Si era premurato di avere un aspetto dignitoso, prima di presentarsi, ma il Principe non lo degnò di uno sguardo.

“Tooru?” Hajime allungò la mano e gli toccò la spalla.

Il Principe Demone trasalì e lo guardò come se si fosse accorto di lui solo allora. “Iwa-chan…” Accennò un sorriso. “Deve essere tardi. Perché non stai dormendo?”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Hai passato il pomeriggio con un ospite che non attendevamo,” gli ricordò. “Volevo accertarmi che stessi bene.”

Tooru non sapeva come stava, ma confidarlo al suo Cavaliere avrebbe portato a una conversazione che non credeva di poter affrontare. Era stanco, eppure sapeva che non avrebbe chiuso occhio tutta la notte. 

“Sto bene, Iwa-chan,” mentì, per rassicurarlo. 

Hajime non si mosse e quando fu certo che il Principe non avrebbe aggiunto altro, allargò le braccia e disse: “allora?”

“Allora, cosa?” Domandò Tooru distrattamente, fissando un punto qualunque del vuoto.

Messo in allerta da quel comportamento, Hajime s’inginocchiò sul tappeto in maniera tale che l’altro non potesse evitare il suo sguardo. “Prova a mentirmi di nuovo e ti prendo a schiaffi,” lo avvisò.

Tooru inarcò il sopracciglio destro. “Prego?”

“Ti sembra di stare bene?” 

Il Demone scosse la testa, scivolando sul tappeto accanto a lui. “Tetsuro riparte domani,” disse.

A Hajime non interessava. “Il Principe dell’Aquila resta qui?”

Re.”

“Eh?”
“Wakatoshi è il Re dell’Aquila, non dimenticarlo.” Tooru lasciò andare un sospiro. “Lo so, è molto giovane ed è facile confondersi.” Si strinse le ginocchia al petto, appoggiandovi il mento.

Hajime gli passò una mano sulla schiena. “Ehi...” Mormorò, come quando da bambini si confidavano i segreti. “Mi vuoi raccontare quello che è successo, Tooru?”

Solo a sentire il tocco gentile del suo Cavaliere, il Principe Demone sentì la tensione stemperarsi un poco, quanto bastava perché la brina nel suo cuore si sciogliesse in calde lacrime.

“Tooru.” C’era allarme nella voce di Hajime e quando gli circondò le spalle con un il braccio, il Principe si sentì al sicuro. “Devo andare a prendere a pugni un Re appena incoronato? Lo faccio, basta che tu me lo chieda.”

Suo malgrado, Tooru rise. “Resti a dormire con me, stanotte?” Lo chiese senza pensare, consapevole che le sue lacrime avrebbero reso difficile al Cavaliere tirarsi indietro.

Hajime aprì la bocca, poi la richiuse. Alla fine, sbuffò. “Se continui a comportarti così, io non ce la faccio.” 

Si allontanò e Tooru sentì freddo. 

“Tu pensi che per me sia più facile?” Domandò il Principe, sarcastico.

Era il turno del Cavaliere di non guardarlo in faccia. “Fingi di non sapere di avere il pugnale dalla parte dell’impugnatura?”

“Come se avessi mai usato quel pugnale contro di te!”

Hajime lo guardò, implorante. “Basta, Tooru.” Era stanco, al limite. “Voglio proteggerti, non continuare a farti del male.”

“Non preoccuparti, ti riescono bene entrambe le cose.”

“Fai un po’ come ti pare…”

Calò il silenzio. Hajime fissava le fiamme nel caminetto e Tooru un punto qualunque del tappeto. Il Principe sapeva che toccava a lui parlare per primo. “Wakatoshi è diverso…”

Quella scelta di parole incuriosì il Cavaliere abbastanza da portarlo a concedergli la sua attenzione. “Definisci diverso.”

Tooru scrollò le spalle. “Diverso.” Cercò di spiegarlo nello stesso modo in cui lo aveva pensato. “Hai presente i grandi Re e i valorosi guerrieri delle leggende? Wakatoshi riesce a essere entrambe le cose. Lo guardi e ti sembra che abbia già vissuto una vita intera. Ha un vantaggio su tutti noi che non so come si possa colmare.”

“Noi?”

“Mi riferisco ai futuri Re di questa generazione.”

Hajime corrugò la fronte. “Tooru, hai paura?”

Il Principe Demone lo guardò come se avesse osato fargli un torto. “Non ti permettere…” Sibilò, alzandosi in piedi e prendendo le distanze.

“Prego?” Hajime lo seguì. “Si può sapere che cosa è successo con il Re dell’Aquila?”

“È successo che non sarò mai - mai - alla sua altezza!” Urlò Tooru, buttando fuori tutto il malanimo che aveva covato dentro nelle ultime ore.

Hajime era confuso. “È venuto qui per chiederti in sposo ma non ti ritiene alla sua altezza?”

“Non abbiamo neanche parlato di quello.”

“E di cosa avete parlato?”

Solo ora che il suo Cavaliere glielo sottolineava, Tooru si rese conto di quanto era strano che il motivo che aveva spinto Wakatoshi fino a Seijou non fosse mai saltato fuori durante la loro conversazione. Il Demone era il primo a non essere interessato, ma il Re dell’Aquila non poteva essere giunto in una corte straniera per niente - senza una scorta per di più. 

“Di potere,” rispose Tooru. “Abbiamo parlato di potere, di come essere Re.” Non era un riassunto dei fatti particolarmente esauriente. 

Hajime studiò l’espressione del Principe con attenzione, quasi vi fosse una sbavatura nei tratti del suo viso. “Ti ha colpito,” concluse.

Tooru serrò i denti sul labbro inferiore e si concesse un istante per mettere insieme i pensieri. “Wakatoshi è qualcosa che non ho mai affrontato,” ammise. “E non sono certo di essere in grado di farlo.”

“Tooru…”

“No, Hajime, fammi finire,” lo pregò il Principe Demone. “Ho capito chi era Tetsuro nel momento in cui mi ha parlato. So che dall’aspetto non sembra, ma è un libro aperto. Lo stesso vale per i membri del consiglio: mentono, mi lusingano ma io so leggerli, so prevedere le loro azioni e so come farmi valere.” Si passò una mano tra i capelli. “Wakatoshi è come una fortezza inassediabile.”

Tooru ripensò a quello sguardo freddo e penetrante, alla voce monocorde con cui gli aveva raccontato del fallimento di suo padre e del modo in cui aveva consumato qualcosa che si avvicinava molto a un regicidio. Non aveva idea di quale fosse il grande scopo per cui Wakatoshi di Shiratorizawa aveva venduto l’anima - perché era un mostro, non un fanciullo, quello che era giunto alla sua corte - ma uno doveva essercene.

Se Tooru aveva avuto paura, se ne dimenticò in quel momento. Sorrise. 

“E tu non hai idea di quanto io voglia raderla al suolo quella fortezza, Hajime.”

 

 



 

L’autunno che Wakatoshi passò alla corte di Seijou fu il più lungo della vita di Hajime.

Il Cavaliere non allontanava lo sguardo  da Tooru nemmeno per un istante e quando era costretto a farlo, l’ansia lo divorava. Sotto il suo sguardo impotente, il Principe subì una metamorfosi stupenda e terribile.

Se il Cavaliere non poneva alcuna attenzione al modo in cui il suo corpo diveniva più forte e il viso si faceva più spigoloso, era impossibile staccare gli occhi da Tooru, mentre sbocciava in tutta la sua grazie e la sua bellezza - entrambe ereditate da sua madre.

In pochi mesi, Tooru crebbe per divenire quello che chiunque si sarebbe aspettato dal Principe dei Demoni: un tentatore e una tentazione al tempo stesso.

Non c'era più traccia di quei sorrisi sciocchini ed un po' ingenui per cui Hajime aveva ceduto innumerevoli volte, durante la loro infanzia. No, ora Tooru sorrideva con sicurezza, quasi spavalderia. Lo faceva con quello sguardo a tratti diabolico e a tratti malizioso, che avrebbe convinto qualsiasi uomo a vendergli l'anima.

Wakatoshi di Shiratorizawa lo rese così. Lui e la sua impenetrabilità.

Hajime aspettava d’incrociare lo sguardo del suo Principe a ogni buona occasione, ma gli occhi di Tooru non lo cercavano più come un tempo. 

Alla fine, era accaduto quel che doveva accadere. Hajime era stato messo da parte e l’interesse di Tooru era stato conquistato da un altro fanciullo..

Un giovanissimo Re - un mostro, come lo definiva l’erede al trono di Seijou - il primo candidato a divenire sposo del Principe Demone, secondo i desideri del consiglio.

Non sarebbe potuto accadere di meglio.

La corte si dimenticò presto di Nekoma. L’entusiasmo si spostò nella direzione della giovane coppia di promessi sposi. Non provavano alcuna vergogna a farsi vedere in pubblico, ma nessuno dei due si lasciava andare a gesti affettuosi. Ciò che contava era che il consiglio era ottimista: Tetsuro di Nekoma se ne era andato in meno di un mese, Wakatoshi di Shiratorizawa era arrivato alla fine dell’estate e, con l’arrivo della prima neve, era ancora lì.





 

Il primo dettaglio di Wakatoshi che saltava agli occhi era la sua altezza.

Tooru non poteva fare altro che guardarlo dal basso verso l’alto e chiedersi come fosse il mondo da lassù. Arrivò anche a domandarglielo ad alta voce, tanto per provare a farlo ridere, ma il Re dell’Aquila non capì la battuta. 

Il Demone fanciullo imparò in fretta che il suo ospite era privo di qualsiasi senso dell’umorismo. Wakatoshi era quanto di più lontano ci fosse da una persona divertente, eppure Tooru non si annoiava mai insieme a lui. Quel timore che  gli aveva fatto accapponare la pelle  mutò in qualcosa di meno sinistro.

Al di là delle voci, dell’impresa che l’aveva glorificato come Re più giovane e potente della sua generazione, Wakatoshi era ancora un ragazzo di quattordici anni.

“Non nevica spesso al Castello Bianco.”

Tooru sgranò gli occhi e guardò il giovane sovrano al suo fianco con un sorriso sorpreso. “Wow… Hai aperto bocca per primo e senza che io ti abbia spinto a farlo.”

Erano passati al tu da un po’, per l’esasperazione dei consiglieri di corte, che insistevano perché Tooru rispettasse l’etichetta. Mostrare troppa confidenza a un futuro sposo era sintomo di frivolezza, per nulla adatta all’erede al trono del Regno di Seijou.

Il Principe, da parte sua, non sapeva che cosa ci fosse di così frivolo in partite a scacchi e discorsi sul potere. Doveva ammettere, però, che da quando erano passati al tu, persino Wakatoshi aveva scoperto un po’ le carte.

“Al Castello Nero, invece, gli inverni sono lunghi,” disse Tooru, osservando i fiocchi cadere lentamente.

Per la prima volta dopo giorni, la bufera che aveva dato inizio al gelo, aveva permesso a tutti gli abitanti del castello di mettere piede fuori da quelle mura di pietra. 

I due futuri sposi se ne stavano sulla balconata che affacciava sul cortile interno, dove erano ripresi gli allenamenti regolari dei Cavalieri di corte. 

“Questo clima è un ottimo alleato nel rafforzare il fisico,” disse Wakatoshi.

Tooru storse la bocca in una smorfia poco convinta. “Siamo Demoni, non ci ammaliamo così facilmente.”

“Sono certo che i tuoi uomini avrebbero meno difficoltà, rispetto ai miei, ad abituarsi alle terre del Nord.”

A dispetto di quanto appena detto, il Principe si strinse di più nel suo mantello di pelliccia e sollevò il cappuccio rosso sulla testa per impedire ai fiocchi di neve di bagnargli i capelli. “Il Castello Bianco sorge sulla riva del mare, vero?”

Wakatoshi annuì. “In cima a un promontorio,” disse. “La capitale si estende lungo la costa, ma parte della spiaggia è all’interno delle mura, confina con il nostro parco reale.”

“Da bambino, io costruivo castelli di neve,” disse Tooru, “tu, invece, di sabbia.”

“Erano gli altri a costruirli. Io mi limitato a guardare, partecipavo solo dopo parecchia insistenza.”

Tooru non poteva credere alle sue orecchie. “Ci sono un sacco di credenze positive legate alla prima neve, ma mai avrei creduto che potesse spingerti a parlare tanto di casa tua.”

Wakatoshi parve confuso. “Non lo faccio?”

“No,” rispose Tooru, scuotendo la testa. “Leggi le tue lettere in privato. Scrivi le tue velocemente. Non mi confidi mai le parole che vi sono scritte.”

“Per te sarebbe solo una lista di nomi che non conosci.”

“È questo che ti sto dicendo,” insistette Tooru con cortesia. “Vorrei conoscerli. Vorrei… Non lo so, forse voglio solo sapere cosa mi aspetta.”

Wakatoshi lo fissò. “Nessuno ha deciso che tu debba lasciare il Castello Nero.”

Tooru sorrise amaramente. “Fa parte di quelle regole non scritte nel contratto matrimoniale: il regno più forte ha la precedenza.”

“Non sono un amante delle regole,” gli ricordò il Re dell’Aquila. “Al momento opportuno, ne parleremo e lo decideremo insieme.”

Il Demone fanciullo scrollò le spalle. “Tu hai degli amici a Shiratorizawa, Wakatoshi,” disse. “Sì, sono nato e cresciuto in questo Castello, ma non ho affetti che rischio di lasciare indietro.”

“E lui?” Domandò Wakatoshi, indicando uno dei Cavalieri nel cortile. “Lui non è un affetto che lasceresti indietro?”

Tooru si accorse che era Hajime l’oggetto dell’attenzione del Re. Il suo Cavaliere era in piedi, vicino alla mura. Osservava e commentava il duello in corso con Issei e Takahiro. Solo fino alla stagione prima, quegli occhi verdi si erano sollevati centinaia di volte per cercare i suoi. Avevano perso quell’abitudine velocemente.

“Non ti ho mai parlato di lui,” gli fece notare Tooru.

Wakatoshi non lo guardava più. “Anche io ho sentito le storie, Tooru. Un Cavaliere umano nel Regno di Seijou è abbastanza per attirare l’attenzione di molti.”

Tooru non poteva negarlo, ma aveva tenuto Hajime lontano da quella loro strana relazione fino ad allora e non ci teneva a tornare sui suoi passi.

“Frequenta le tue stanze abitualmente, eppure non ci siamo mai incrociati,” disse Wakatoshi.

Sarebbe stato sospettoso confessargli che era tutto calcolato. Da quando il Re dell’Aquila era arrivato a corte, i momenti che Tooru divideva con Hajime si erano drasticamente ridotti. Il legame tra loro non si era dissolto, certo, ma il Cavaliere era rimasto saldo nella sua posizione e il Principe aveva avuto ben altro per la testa.

“Oggi è la prima volta che parliamo di matrimonio.” Tooru cercò di cambiare discorso. “È una giornata piena di cose inedite.”

Wakatoshi riportò gli occhi su di lui e il Principe ne fu sollevato: Hajime non doveva essere parte di quella storia, era libero da lui e da qualsiasi promessa sua madre lo avesse obbligato a fare.

“Un matrimonio è quello che si aspettano da noi,” disse il Re dell’Aquila. La sua voce perse di colpo quel poco di vitalità che aveva animato quella loro conversazione.

Tooru decise che non era un dettaglio da ignorare. “Sei rimasto qui a parlare e giocare a scacchi per settimane, eppure non mi hai ancora palesato le tue intenzioni.”

Wakatoshi lasciò andare un sospiro che si condensò in una nuvola di vapore. “Tu che cosa vorresti?”

No, quella era una domanda che proprio non poteva fargli.

Tooru piegò le labbra in un sorriso nervoso. “Ha importanza?”

“Per me, sì.”

“Non rispondo, se prima non lo fai tu.” Era un’obiezione da bambini e Tooru lo sapeva bene, ma non sapeva cosa fare. Avevano ignorato quell’argomento per tanto di quel tempo che ora sembrava di troppo.

“Quando sono giunto alla tua corte, non nutrivo il ben che minimo interesse per te,” disse Wakatoshi, diretto, brutale, come suo solito.

“Ah…” Fu tutto quello che riuscì a dire Tooru, ma glielo si leggeva in faccia che era offeso.

“C’è una persona che mi manca, Tooru,” confessò Wakatoshi.

Il Demone fanciullo aveva seria difficoltà a comunicare con quella versione del Re dell’Aquila. Nulla di lui, dall’espressione alla voce, tradiva alcuna emozione ma gli offriva su un piatto d’argento delle confidenze personali a cui Tooru non riusciva a dare il giusto peso. Pensò a come sarebbe stato per lui vivere in una corte straniera, senza Hajime e scelse di credere che quella persona fosse altrettanto importante. “E allora che cosa ci fai qui?”

“All’inizio, era per dovere.”

“E ora?”

“Per interesse.”

“Di che natura?”

“Personale,” confessò Wakatoshi. “Quando parlo con te, alle volte, smetto di pensare a quella persona.”

Anche a Tooru succedeva di dimenticarsi di Hajime nei momenti che divideva con il Re dell’Aquila, ma lo aveva interpretato come il segno che stava andando avanti. 

“E smetti di amarla?” Domandò Tooru. “Perché la ami, non è così?” Altrimenti non gliene avrebbe mai parlato, non il giovane sovrano di Shiratorizawa, con la sua imperturbabilità e tutto il resto. 

Wakatoshi si limitò a fissarlo. Tooru scoprì che i suoi occhi rilucevano in modo completamente inedito: per la prima volta da quando si conoscevano, il Re dell’Aquila dimostrava la sua età.

“È un po’ un casino così,” ammise Tooru, con un sorriso amaro. “Per quel che vale, non mi sei indifferente nemmeno tu.” Era sincero, ma non sapeva che nome dare alla forza invisibile che lo spingeva verso Wakatoshi.

Da principio, Tooru si era sorpreso smanioso di dimostrare qualcosa, di compiere un atto di superiorità che non lo facesse rimanere nell’ombra dell’appena incoronato Re dell’Aquila. Quel desiderio non era mutato, ma si era aggiunto dell’altro. Entrambi erano rimasti soli su quella terra troppo presto, con un peso più grande di loro da reggere sulle spalle e nessuna intenzione di arrendersi, a costo di fare guerra al loro stesso mondo.

Wakatoshi era riuscito nell’impresa, decapitando un invasore a tredici anni. Tooru non aveva ancora avuto l’occasione di dimostrare il suo vero valore. Ma c’era un vissuto che li avvicinava e li rendeva diversi da chiunque altro.

Solo un Re poteva comprendere la solitudine di qualcun altro destinato a un trono.

Quella parte di Tooru, Hajime non era mai riuscito a comprenderla. Wakatoshi poteva perché era anche la sua maledizione.

“E tu ami qualcuno?” Domandò il Re dell’Aquila.

Tooru non aveva una risposta breve a quella domanda, solo una frase fatta che aveva deciso di rendere il suo nuovo credo: “il destino sceglie uno per il trono e tutti gli altri per l’amore,” piegò le labbra in un sorriso dalle sfumature oscure. “Qualsiasi cosa voglia dire.”




 

La presenza del Principe Demone pesava su Hajime come un macigno. 

Era abituato a essere spiato durante i suoi allenamenti. Non lo era al fatto che, alzando lo sguardo, non ci fossero gli occhi scuri di Tooru pronti ad accoglierlo.

Il Demone fanciullo con cui era cresciuto era ancora suo nei pochi momenti che riuscivano a passare insieme, ma sapeva che quello era l’ultimo atto di una storia che stava per concludersi. 

Hajime non aveva ancora capito se, alla fine, Tooru fosse riuscito a radere al suolo le mura inviolabili dietro cui si nascondeva il vero Wakatoshi. L’unica cosa certa era che quell’assedio accendeva il suo interesse. 

Era meglio così.

Shiratorizawa era l’alleato a cui il consiglio aveva puntato fin dal principio. Se il destino voleva che quella fosse anche la strada per la felicità di Tooru, tanto meglio.

Se Hajime non riusciva a esserne lieto, era solo un problema suo. A costo di mettere da parte il cuore per il resto della sua vita, avrebbe imparato a conviverci.

“Hajime, tocca a te!”

Takahiro gli lanciò un’occhiata. “Ce la fai?” Domandò, indicando la balconata con un cenno del capo.

“Falla finita, Takahiro.”

“Sicuro?” Si aggiunse Issei. “Il tuo avversario è il cane rabbioso. Una distrazione e ti ritrovi senza testa.”

“Chi?” Domandò Hajime, voltandosi a guardare il suo avversario.

Kyotani Kentaro lo aspettava con la spada stretta nel pugno, passando il peso del corpo da un piede all’altro.

Hajime sbuffò e fece un passo in avanti. “È solo Kentaro,” disse, guardando male i due amici. “Da quando lo chiamiamo cane rabbioso?”

Takahiro sgranò gli occhi. “Ma dove sei stato negli ultimi sei mesi? Da quando è entrato nell’ordine dei Cavalieri, è divenuto quasi un titolo per lui.”

Issei incrociò le braccia contro il petto. “Visto? Sei distratto e anche da un bel po’.”

Hajime li mandò al diavolo e andò a mettersi in posizione al centro del cortile. 

Kentaro lo guardava come una bestia selvaggia pronta a saltargli alla gola. Gli ringhiò anche contro, provocando un attacco d’ilarità nei Cavalieri che li stavano guardando.

Hajime estrasse la spada e si mise in posizione d’attacco: avrebbe concluso la cosa in fretta e si sarebbe ritirato nell’armeria, lontano da Tooru e dal suo Re dell’Aquila.

Lontano da Tooru.

Era quello il suo posto e desiderare che non fosse così avrebbe portato solo dolore.

Un fiocco di neve gli accarezzò il viso. Sollevò gli occhi verdi e si accorse che Tooru lo guardava.

Il mondo intero si fermò.

Hajime non udì il suo superiore dare il segnale d’inizio. Quando Kentaro gli si scagliò addosso, non fu pronto a difendersi. Perse la presa sulla spada e cadde e cadde all’indietro.

Batté la testa e tutto divenne buio.




 

“Hajime!” 

Tooru si dimenticò di Wakatoshi in un istante.

Nella sua corsa disperata per raggiungere il suo Cavaliere, quasi inciampò giù per le scale e investì un paio di poveri servitori.

Uscì nel cortile senza alcuna grazia, il mantello rosso che si agitava alle sue spalle. Non si preoccupò delle occhiate che ricevette da tutti i Cavalieri della corte, mentre si gettava sull’unico che aveva importanza per lui.

“Hajime!” Chiamò sull’orlo del pianto. Non appena il fanciullo umano emise un lamento, il Principe tornò a respirare. “Non devi farmi prendere simili spaventi, Iwa-chan!”

“Tooru?” Hajime mosse il braccio, lo cercò alla cieca.

Il Demone prese la sua mano e fece per dire qualcosa, ma qualcuno lo afferrò per le spalle e lo costrinse a rimettersi in piedi.

“Non si preoccupi, Altezza,” disse Takahiro, inginocchiandosi al suo posto. “Il vostro idiota è in buone mani.”

“Hajime, sei vivo?” Domandò Issei, restando in piedi.

Il Cavaliere a terra mostrò agli amici il dito medio, provocando un attacco d’ilarità in tutti i presenti. 

Tooru non era divertito, si sentiva solo messo da parte.

Servirono sia Issei che Takahiro per rimettere in piedi il suo Cavaliere. Un rivolo di sangue scese dalla tempia di Hajime, rigandogli il viso.

Il Principe Demone tentò di avvicinarsi una seconda volta - aveva già il fazzoletto ricamato con le sue iniziali stretto tra le dita - e nessuno tentò di allontanarlo.

Hajime lo guardò, ma sembrava avere difficoltà a tenere gli occhi aperti. “Tooru…”

“Non parlare. È stata una brutta caduta.”

“Non dovresti essere qui,” mormorò il Cavaliere.

Il Principe Demone lo ignorò. “Riuscite a portarlo nella sua stanza?” Domandò ai due scagnozzi del suo amico d’infanzia.

Anche se non ne avessero avuto la forza, Issei e Takahiro non avrebbero mai osato rispondere di no

Tooru aspettò che se ne andassero, poi si scusò per l’intrusione e permise agli altri Cavalieri di continuare con l’allenamento. Mentre tutti s’inchinavano al suo passaggio, alzò gli occhi scuri in direzione della balconata.

Wakatoshi rispose al suo sguardo. 



 

Tooru andò a cercare il Re dell’Aquila solo quando fu certo che Hajime stesse bene.

Lo trovò nei giardini reali che si allenava a tirare frecce ai bersagli con cui era solito allenarsi.

Il Demone fanciullo sbuffò. “Sai anche tirare con l’arco?” 

Wakatoshi scoccò la freccia, colpendo il cerchio rosso al centro dell’ultimo bersaglio. “Perché lo dici con quell’aria contrariata?” 

Perché Tooru si era convinto che essere il più forte nel piccolo mondo in cui era cresciuto equivalesse a non avere rivali in tutti i Regni Liberi. Una volta, Hajime gli aveva chiesto se Wakatoshi lo spaventava. La verità era un po’ più complicata: Tetsuro di Nekoma non gli aveva mai sbattuto in faccia quanto il consiglio reale lo stesse rendendo limitato, Wakatoshi era troppo diretto per perdere tempo con la cortesia.

Non era il Re dell’Aquila il problema ma lui, Tooru, che sentiva il peso dell’inadeguatezza farsi troppo pesante per le sue giovani spalle.

“Non sono contrariato,” ribatté. Era arrabbiato, ma non aveva senso biasimare l’altro per i suoi limiti. “Credo di doverti delle scuse,” cambiò argomento.

Wakatoshi incoccò un’altra freccia. “Se l’amico con cui sono cresciuto avesse un incidente durante un duello, anche io mi preoccuperei per il suo bene.”

“La mia condotta non è stata rispettosa,” insistette Tooru.

Il Re dell’Aquila lasciò andare la freccia, che mancò il centro per poco. “Come hai detto tu, è complicato.” Guardò il giovane padrone di casa dritto negli occhi.

Tooru comprese che gli stava dando l’opportunità di rimangiarsi quanto detto sulla balconata a proposito dell’amore, ma non aveva alcuna intenzione di scoprire quelle carte. “No, non lo è,” mentì. “Se me ne andassi domani, Hajime mi mancherebbe… Ma non è complicato nel modo in cui lo intendi tu.” Si augurò di essere stato abbastanza convincente. 

Wakatoshi appoggiò l’arco a uno dei cespugli ricoperti di neve. “Allora perché non me lo presenti?”

Perché Hajime era solo di Tooru e doveva rimanere il più possibile lontano dalla loro storia.

Il Re dell’Aquila interpretò il suo silenzio come una risposta. “Ho deciso di tornare a casa, prima che la neve si faccia troppo alta.”

Tooru sgranò gli occhi, spiazzato. “Ma la nostra allean-”

“Tornerò in primavera,” promise Wakatoshi. “Non sono abituato ai lunghi inverni.”

Era una scusa di cui il Principe Demone non aveva alcun bisogno. “Perché quella persona non può essere il tuo Consorte?” Non voleva condividere nulla di Hajime con il Re dell’Aquila, ma voleva sapere tutto di quell’amante che aveva lasciato indietro.

“Per la stessa ragione per cui tra te e il tuo Cavaliere non vi è nulla di complicato, immagino,” rispose Wakatoshi. 

Tooru sorrise con sufficienza. “Tanto giovane, tanto potente e basta una differenza di rango a fermarti?”

L’altro scosse la testa. “Non c’è un futuro per noi.”

“Però è da quella persona che stai andando.”

“Mi manca, te l’ho detto.”

Per la prima volta da quando lo aveva rifiutato, Tooru comprese il punto di vista di Hajime. “Se sai già che preferirai il dovere a lui, perché gli stai facendo del male in questo modo?”

A quelle parole, Wakatoshi tornò a essere il giovane impenetrabile che si era presentato al Castello Nero alla fine della scorsa estate. “Tornerò in primavera,” ripeté.

Fu l’ultima volta che si parlarono per quella stagione.




 

***




 

Dall’inizio dell’autunno, il tempo non era stato clemente con gli abitanti della capitale di Shiratorizawa. Dalla partenza del Principe - che fosse un caso o meno - non aveva più smesso di piovere. Il mare in tempesta aveva divorato gran parte della spiaggia e la zona del porto era stata evacuata a causa degli allagamenti.

Non era nulla a cui la corte non fosse preparata, ma Satori cominciava ad avvertire una certa tensione nell’aria. 

Era la prima volta che il loro giovanissimo sovrano si allontanava da casa, da solo, per un’intera stagione. Wakatoshi non mancava di far avere sue notizie regolarmente, ma cosa lo stesse trattenendo per tutto quel tempo era un mistero.

Il consiglio reale cercava di essere ottimista ma Satori, che era cresciuto al fianco del Re quattordicenne, era sospettoso. Wakatoshi era partito per Seijou controvoglia, in tutta fretta, con l’atteggiamento di chi vuole togliersi un pensiero molesto una volta per tutte. Qualcuno dei loro amici - forse Reon - era arrivato a ipotizzare che i Demoni avessero approfittato dell’assenza di una scorta per prendere il loro sovrano in ostaggio.

Satori non era così drammatico. Anche ammesso che qualcuno avesse cercato di trattenerlo, Wakatoshi non era il tipo da sottostare ai desideri altrui.

No, se il Re dell’Aquila continuava a risiedere alla corte di Seijou era perché voleva farlo. A quel punto della storia, Satori era solo curioso di sapere che cosa aveva attirato tanto l’attenzione dell’amico di sempre. Non era pensabile chiederglielo in una lettera: non era a lui che Wakatoshi scriveva. Il fanciullo a cui erano indirizzate quelle missive non aveva affatto bisogno di torturarsi con le sue riflessioni, aveva già le proprie a cui pensare.

Così Satori passava le notti a fare la guardia agli appartamenti del Re, tanto non sarebbe riuscito a dormire. Sperava solo che il fanciullo che si trovava dietro quella porta chiusa avesse più fortuna di lui.

“Satori?” 

Wakatoshi era così. Non si faceva annunciare e non lo sentivi arrivare. Spuntava dal nulla, provocando un attacco di cuore al povero sventurato di turno.

Satori trasalì, ma fu bravo a mantenere il controllo: se lo avessero sentito urlare dagli appartamenti reali, non sarebbe stato divertente. “Quando diavolo sei tornato?” Domandò, visibilmente innervosito. Poco importava che quello non fosse il tono adatto da usare di fronte a un Re.

“Non volevo spaventarti,” si scusò Wakatoshi con voce incolore.

Satori lasciò andare un sospiro. Alla luce dell’unica torcia rimasta accesa su quelle scale, Wakatoshi non mostrava alcun danno fisico. “Sei bagnato come un pulcino,” commentò Satori e si provocò un attacco d’ilarità da solo.

“Sta piovendo.”

“Lo so bene, mio Re. Piove da un po’.”

Wakatoshi rivolse la sua attenzione alla porta dei suoi appartamenti. “Sta dormendo?”

“Sì, sì. Lui sta bene.” Satori scansò la questione con un gesto della mano. “Parliamo di cose davvero importanti: che cosa è successo a Seijou?”

“Niente.”

La velocità con cui quella risposta arrivò non fece che renderla più sospetta. Satori piegò le labbra in un sorriso furbetto. “Due mesi di assenza per niente?” Domandò. “Sei partito con la faccia di un condannato a morte che si dirige al patibolo, poi ti sei messo comodo alla corte del Principe Demone?”

Wakatoshi inarcò un sopracciglio. “Quando sono partito, non credo di aver avuto una faccia diversa dal solito.”

Vero, ma Satori aveva anni di esperienza sulle spalle e aveva imparato a leggere le diverse sfumature degli occhi del suo Re da tempo. “Non era come te lo aspettavi?” Si riferiva all’erede al trono del Regno di Seijou.

“Non mi aspettavo nulla,” rispose Wakatoshi.

“Appunto…” Satori attese. Quando fu chiaro che l’amico non aveva intenzione di vuotare il sacco, dichiarò la resa e si fece da parte. “Se devi svegliarlo, abbi la decenza di non puzzare. Riesco a sentire il tuo odore da qui.”

“Grazie per esserti preso cura di lui, Satori.”

“Dovere… Ah, Wakatoshi?”

Il giovane Re si fermò sulla porta e lo guardò.

“Perché sei tornato?” 

“Perchè questo è il mio regno.”

Satori alzò gli occhi al cielo. “Sai bene cosa intendo,” disse. “Sei andato a Seijou per una ragione. Domani, oltre al tuo ritorno, devo annunciare l’imminente celebrazione di un matrimonio, oppure ci prendiamo ancora del tempo?” Neanche lui era certo di quello che stava dicendo. Sapeva che la magia poteva fare miracoli e il fanciullo che dormiva nelle stanze del Re sapeva dominarla. Non era certo che sarebbe bastato.

"Tornerò a Seijou in primavera,” rispose Wakatoshi. “Fino ad allora, stiamo a vedere cosa succede…”

Avevano ancora il tempo di sperare in un miracolo.




 

***




 

Hajime si riprese in fretta.

Una volta in piedi, non trovò Tooru ad aspettarlo.

Dopo la partenza del Re dell’Aquila, il Demone fanciullo s’isolò dal resto della corte. I consiglieri lo biasimavano apertamente per non essere riuscito a stipulare alcun accordo con il giovane sovrano di Shiratorizawa. Tooru li metteva tutti a tacere con la sua lingua tagliente, ma l’intera corte era in grado di ricostruire i fatti: Wakatoshi se n’era andato dopo aver visto il Principe Demone correre tra le braccia di un Cavaliere comune.

Era Tooru il problema. Lui e la sua condotta scandalosa.

Forse fu per arginare i danni che fece di tutto per evitare di restare solo con Hajime nelle settimane che seguirono.

“Da quanto tempo non vi parlate?” Domandò Issei, occupato a liberarsi delle protezioni alle braccia. A fine giornata, tutti i giovani Cavalieri si radunavano in armeria per riporre gli strumenti usati durante l’allenamento quotidiano. Era il momento peggiore per Hajime: dare di spada lo costringeva a concentrarsi su qualcosa di diverso da Tooru, ma i suoi due amici non mancavano mai di farlo tornare alla realtà.

“Quattro settimane e mezzo,” rispose.

Takahiro lo guardò esterrefatto. “Hai tenuto il conto?” 

E ho sentito la sua mancanza per ognuno di quei giorni. Hajime non lo disse per non guadagnarsi l’ennesima lavata di capo. Voleva bene a Issei e Takahiro e considerava importante il loro legame, ma quando si trattava di Tooru preferiva non parlare con loro. Era ovvio che i suoi amici non lo volessero appeso fuori dalle mura del Castello Nero e ora si vociferava che il Principe facesse saltare le alleanza a causa sua.

Evitandolo, Tooru stava facendo la sua parte. 

Hajime non poteva essere da meno. “Questa notte vengo alla locanda.”

Takahiro per poco non svenne e a Issei cadde di mano la protezione che aveva appena sganciato dal braccio. “Hai battuto la testa e non ci siamo accorti?” Domandò il primo.

“Adesso è illegale divertirsi?” Ringhiò il fanciullo umano.

Issei scrollò le spalle. “Abbiamo sempre pensato che tu non ne fossi capace.”

“Sono stanco di passare giorno e notte tra le mura di questo castello,” dichiarò Hajime. Se avesse potuto, se ne sarebbe andato dalla capitale stessa. Aveva bisogno di aria nuova, prima che il Re dell’Aquila tornasse a corte - perché era certo che sarebbe tornato. Tooru aveva fatto il suo primo passo sulla strada che lo avrebbe portato lontano da lui. Hajime non poteva rimanere immobile.

Una volta certi che non fosse uno scherzo, Issei e Takahiro si scambiarono un sorriso.

"Ti divertirai," gli assicurò Issei. "I soldati escono, si fanno conoscere in tutta la capitale, festeggiano, ridono. E, se sono fortunati, si trovano una donna disposta a riscaldarli per qualche ora."

"Siamo nell’età giusta per fare follie, ne dobbiamo approfittarne," aggiunse Takahiro. “I veterani nostalgici non fanno che ripeterlo.”

Hajime non sentiva nemmeno metà del loro entusiasmo, ma tanto valeva dare una possibilità a quella vita di sorprenderlo in qualche modo. 




 

All'inizio fu divertente.

La taverna più grande della città era presa d’assedio da tutti i Cavalieri della capitale. Fanciulli e uomini stavano condividendo un unico spazio, senza l'impiccio di titoli o ranghi che li ponessero su livelli diversi. Un giro di birre e, di colpo, era come se fossero tutti fratelli. I più grandi istruivano i più giovani su pratiche di approccio col gentil sesso, oppure li sfidavano a gare di bevute da cui non si poteva non uscire completamente devastati. Altri salivano sui tavoli e narravano gesta eroiche di cui nessuno dei loro compagni aveva memoria, ma che i novellini ascoltavano incantati.

Hajime dimenticò per un po’  il motivo dei suoi turbamenti e si lasciò trascinare da quello spirito di gruppo che, doveva ammetterlo, non era affatto male. Qualcosa di grande stava avvenendo in quel momento, qualcosa che, come ragazzini alle prime armi, lui e i suoi coetanei non avevano ancora mai sperimentato: il legame tra soldati che rende un esercito degno del suo nome.

Non aveva importanza la famiglia in cui erano nati, la morte li avrebbe guardati tutti in faccia sul campo di battaglia. A Hajime quel senso di uguaglianza piaceva, anche se non poteva sussistere tra le mura della corte di Seijou.

"Ehi, la cameriera ti sta guardando," gli fece notare Issei, dandogli una gomitata sul fianco.

"Chi?"

"Dai, non puoi non averla notata!" Aggiunse Takahiro, bevendo un altro sorso di birra dal suo boccale. 

Sì, Hajime l'aveva notata: aveva gli occhi grandi, marroni.

"Alzati, avanti..." Un'altra gomitata da Issei.

"Sì, amico, avanti!" Si aggiunse Takahiro.

"Toccatemi di nuovo e vi spacco la faccia!" Ringhiò Hajime.

"Ti farà bene," aggiunse Issei, con la solita espressione neutrale. "Per problemi come i tuoi, una bella fanciulla è meglio di una sbornia per dimenticare. Almeno, così dicono"

"Non abbiamo esperienza per parlare," disse Takahiro.

"E chi la vorrebbe?" Domandò Issei, sarcastico.

Hajime passò gli occhi da uno all'altro. "Devo avervi picchiato troppo forte nel corso degli anni..."

Takahiro sospirò. "Vai a parlare con quella ragazza e prendi da lei qualsiasi cosa ti darà. Potrebbe essere tutto o niente. La cosa positiva è che, nel tuo caso, ne varrà la pena in entrambi i casi."

Issei annuì, sollevando il suo boccale come ad augurargli buona fortuna. Hajime aveva perso il conto di quelli che aveva già buttato giù, era impressionante che agisse ancora come se fosse lucido. In quanto a lui, sarebbe potuto affogare nella botte della locanda e ancora avrebbe pensato a Tooru.

Rispose allo sguardo insistente della cameriera e questa gli sorrise.

Hajime si alzò e decise di mettere a tacere qualsiasi lume della ragione gli fosse rimasto.  




 

Se ne pentì

Rientrò al Castello Nero da solo, alle prime luci dell’alba. I suoi compagni, probabilmente, non erano venuti a cercarlo per paura di disturbare. Hajime poteva quasi vederli, mentre tornavano a casa ridacchiando tra loro e interrogandosi su quali gesta stesse compiendo. Qualunque cosa avesse fatto quella notte, Hajime non se ne sarebbe mai vantato con nessuno.

Si sentiva uno schifo, si vergognava al punto da voler cancellare quello che aveva fatto. Hajime sapeva che era una reazione esagerata rispetto agli eventi, ma questo non bastava ad allentare il nodo che gli stringeva la gola. Aveva avvicinato la fanciulla alla locanda senza alcuna aspettativa, ma lei si era dimostrata molto più intraprendente di lui.

Hajime non ricordava neanche una delle parole che si erano scambiati e nemmeno come si erano ritrovati nella dispensa, stesi sui sacchi di farina. Lei - non aveva nemmeno memorizzato il suo nome - lo aveva voluto e Hajime l’aveva assecondata. Niente di più, niente di meno. Sapeva di non essere stato il primo Cavaliere di quella ragazza e, di certo, non sarebbe stato l’ultimo. Si erano dati piacere a vicenda - forse lui se ne era preso più di lei - e si erano separati senza farsi alcuna promessa.

Nulla di complicato, perfetto per una prima - miserabilmente imbarazzante - esperienza.

Se solo Hajime non avesse chiuso gli occhi e pensato a Tooru per tutto il tempo.

Arrivato in camera sua, si lasciò cadere in fondo al letto e si prese la testa tra le mani. Aveva sentito il bisogno di piangere dal momento in cui la fanciulla lo aveva salutato, così si lasciò andare. 

Hajime era uscito dalla sua zona sicura per dimenticarsi di Tooru, e lui l’aveva accompagnato per tutto il tempo, anche tra le braccia di un’altra persona.

Quella notte era la prova che Hajime non sarebbe mai stato libero. Mai.

Tooru era suo, non per capriccio o per imposizione, ma perché lo aveva dentro. Per liberarsi di lui, di quel legame che gli spezzava il respiro, avrebbe dovuto strapparsi il cuore dal petto.

“Iwa-chan…” 

La mano del Principe tra i suoi capelli lo fece trasalire.

Hajime sollevò il viso e Tooru si accorse delle lacrime che gli bagnavano le guance. 

“Perché stai piangendo?” Domandò l’erede al trono, inginocchiandosi di fronte a lui. Aveva i capelli in disordine e i vestiti da camera addosso.

“Scusami,” mormorò Hajime, guardando qualunque cosa che non fosse il suo viso. “Ti ho svegliato.”

Tooru scosse la testa, come a dire che non aveva importanza. “Che cosa è successo?” Strinse la mano del suo Cavaliere.

Fu troppo per Hajime da sopportare. Si alzò in piedi e mise tra loro tutta la distanza che quella camera da letto gli permetteva. “Ti sarei grato se mi facessi trasferire negli alloggi degli altri Cavalieri semplici.”

“Per quale ragione?” Domandò Tooru. 

Lo aveva preso in contropiede, Hajime lo comprese dal tono della sua voce. “Perché io non ce la faccio più, Tooru.” Tentò di non essere codardo e di guardare il Principe negli occhi. “Quando Wakatoshi tornerà, tu dovrai avere occhi solo per lui.”
“Ti ci metti anche tu a darmi ordini, adesso?”

“Prima che questo avvenga, io devo uscire dalla tua vita.”

“Non è una decisione solo tua!” Urlò Tooru. “Il cuore di Wakatoshi non è libero, così come non lo è il mio!”

“Ma sarai tu a pagarne le conseguenze, se quest’alleanza non va a buon fine,” gli fece notare Hajime. “Te l’ho detto fin dal principio e te lo ripeto: non sarò io la tua rovina,” inspirò profondamente dal naso, “ma non posso stare qui, a un passo da te, ad aspettare che diventi di un altro uomo.”

Tooru aprì e chiuse la bocca un paio di volte. Allora non farlo, avrebbe voluto dire. Fammi tuo e non sarò di nessun altro.

Erano già arrivati a quel punto, Tooru sapeva cosa sarebbe seguito e non credeva che il suo cuore avrebbe retto un altro no. Wakatoshi poteva essere di un altro, ma quell’amore - sempre ammesso che lo fosse - non lo aveva reso indifferente a lui.

“È alla mia altezza,” disse Tooru. “Wakatoshi è alla mia altezza.” Lo credeva davvero ed era molto di più di quello che si era aspettato da un pretendente scelto dal consiglio.

Hajime serrò i denti sul labbro inferiore e annuì. “È giusto così, Tooru.”

Il Principe Demone credeva che non lo fosse affatto, ma era passata da tempo la stagione dei sogni e delle grandi speranze. “Domani farò trasferire le tue cose altrove.”





 

La primavera si prese il suo tempo per arrivare.

Alla fine di marzo, la neve non si era ancora sciolta e Tooru aveva perso le idee su come scacciare la noia. Senza Hajime, non gli era rimasto nessuno di fidato con cui parlare. Aveva riposto nei suoi allenamenti con l’arco tutte le sue speranze, era finito col ferirsi le dita a causa del freddo e del troppo esercizio e aveva dovuto rinunciare.

Tetsuro gli aveva scritto settimane prima per sapere della relazione clandestina col suo Cavaliere. Tooru aveva concluso che anche Nekoma doveva essere piuttosto noiosa, se il Principe ereditario aveva bisogno di materiale da pettegolezzo con cui intrattenersi. Aveva gettato la lettera nel fuoco e non si era disturbato a rispondere.

Un tempo, avrebbe speso parte del suo tempo ad assistere all’allenamento dei suoi Cavalieri, ma solo il pensiero d’incrociare gli occhi verdi di Hajime era come una pugnalata al cuore.

Avvolto nella sua solitudine e circondato da consiglieri sempre più arcigni, Tooru cercò rifugio nella biblioteca di corte, tra i libri con cui - prima dell’arrivo di Hajime - sua madre aveva riempito la sua infanzia. 

Fu nel bel mezzo di quella situazione a stento sopportabile che Wakatoshi fece ritorno.

“Ne avevo uno simile anche io.” 

La voce del Re dell’Aquila raggiunse Tooru mentre era chino sul vecchio libro di miti e leggende che sua madre era solita leggergli da bambino. Non sollevò immediatamente lo sguardo.

“Era mio padre a leggermelo,” aggiunse Wakatoshi.

Tooru sorrise e guardò il suo ospite. “Che cosa ti porta qui, straniero?” Domandò. “Dovere o desiderio?” Tanto valeva saperlo subito.

“Qualcosa a metà tra i due,” rispose Wakatoshi. “Mi spiace, non so darti una risposta migliore.”

Tooru gli fece cenno di avvicinarsi. “La tua gente crede a questa leggenda?” Domandò, mostrando al giovane sovrano l’illustrazione di una grande aquila reale. “Qui c’è scritto che i tuoi antenati riuscivano a volare e a passare questo potere, se lo desideravano.”

Wakatoshi prese il libro tra le mani. Tooru piegò le ginocchia contro il petto per dargli modo di sedersi sul davanzale, accanto a lui. “Mio padre era convinto che scorresse della magia nel nostro sangue,” raccontò. “Diceva che il destino stava solo aspettando il Principe giusto per trasformare queste antiche leggende in carne e sangue.”

“Se tu avessi queste ali,” Tooru indicò l’aquila disegnata sulla pagina ingiallita, “me lo diresti, Wakatoshi?”

“Forse…” Rispose il Re dell’Aquila.

Tooru appoggiò il mento alle ginocchia. “Parli sempre di tuo padre, ma mai di tua madre,” notò.

“Non eravamo molto legati,” si limitò a dire il giovane sovrano. “Non era una madre amorevole.”

Tooru scrollò le spalle. “Tu hai avuto un padre. Io una madre. Le nostre storie si compensano.”

Wakatoshi chiuse il libro e lo guardò dritto negli occhi. “Il tuo Cavaliere?”

Tooru si limitò a scuotere la testa. “La tua persona?”

Il Re dell’Aquila impiegò un lungo minuto a trovare una risposta soddisfacente da dargli. “Avevi ragione,” disse. “Gli ho fatto del male.”

Il Principe non seppe cosa dire per un po’. Avrebbe voluto sapere di più, capire se quella persona era uscita dalla vita di Wakatoshi come aveva fatto Hajime con lui, se il giovane sovrano aveva sofferto. Tooru aveva pianto ogni notte per settimane, ma l’altro non aveva bisogno di saperlo.

“Ora puoi dirmi la vera ragione per cui non potevi stare insieme a lei?” Domandò Tooru.

Lui,” lo corresse Wakatoshi. “Non può nascere nulla da noi. È questa la ragione.”

Tooru accettò quella verità senza nessuna particolare reazione. Punto a capo. Hajime non c’era più. L’altro non c’era più. Erano rimasti solo loro due, Tooru e Wakatoshi, e la pagina bianca su cui avrebbero scritto la loro storia.

Tooru sorrise. “Quale di quelle leggende è la tua preferita?” Era un buon punto da cui ripartire.





 

Hajime non aveva più messo piede in biblioteca dal giorno in cui lui e Tooru avevano finito le lezioni. Il destino volle che, dopo anni, si ritrovasse a passare di lì proprio quel giorno. La voce di Tooru si udiva fin dal corridoio, attraverso la porta socchiusa: era allegro e parlava con naturalezza. Il Cavaliere si avvicinò all'uscio lentamente, stando ben attento a non fare rumore. Vide Tooru seduto sul davanzale, come un ragazzino sgraziato senza titolo. Aveva fatto ammattire i loro precettori con quell’innocuo vizio, ma Hajime non ne era sorpreso.

Tooru era bellissimo mentre sorrideva in quel modo, senza ombre a oscurare i suoi grandi occhi marroni. C’era un dettaglio che rovinava la perfezione di quell’immagine: il fanciullo dalle spalle larghe che sedeva accanto al suo Principe.

Il Re dell'Aquila ascoltava incantato, mentre Tooru parlava. Seppur la sua espressione fosse quella indecifrabile con cui si era presentato alla corte di Seijou quel primo giorno, Hajime poteva vedere che la luce nei suoi occhi era cambiata. Tooru parlava di tutto e niente con quel sorriso che lo avrebbe fatto entrare nelle grazie di chiunque e Wakatoshi non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.

Il giovane Re si mosse con gentilezza, ma a Hajime sembrò che un colpo di cannone fosse esploso proprio lì, accanto a lui. Le dita di Wakatoshi sfiorarono la guancia del Principe e aggiustarono una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. 

Sorpreso, Tooru smise di parlare ma non di sorridere.

Hajime non rimase per guardare oltre..




 

***




 

Per Wakatoshi, tutto era cominciato con la totale assenza d’interesse.

Quel fanciullo Demone di appena quattordici anni non sarebbe dovuto essere altro che il mezzo necessario per raggiungere un fine più grande. C’era già una persona nel cuore del Re dell’Aquila e tutto quello che aveva desiderato, cavalcando fino al Castello Nero, era un figlio da poter crescere con lui. Un figlio che, era ormai impossibile ignorarlo, non potevano avere. Tutto quel che Tooru - conosciuto dai Regni liberi solo per l’antichità della sua stirpe - doveva fare era quanto di più semplice e squallido si richiedesse a un Consorte.

Wakatoshi sapeva che il Principe Demone era da solo, che non aveva alleati nel consiglio che si preoccupassero del suo bene. Una volta stretta quell’alleanza matrimoniale, nessuno avrebbe speso un pensiero per Tooru. 

Un e Wakatoshi avrebbe stretto in pugno lui e l’intera Seijou. Era un piano semplice, che non prevedeva alcuna violenza e che avrebbe portato il massimo profitto col minimo sforzo a entrambe le parti. L’unico a pagarne il prezzo sarebbe stato il Demone fanciullo, un Principe che nemmeno la sua corte sembrava voler proteggere.

La prima volta che Wakatoshi guardò Tooru negli occhi, lo fece ripetendo a se stesso che quella storia non era una questione di cuore.




 

Fu il suo primo errore come Re.




 

Wakatoshi di Shiratorizawa s’innamorò di Tooru di Seijou durante l’ultima primavera della loro fanciullezza. 




 

Tooru era nato per essere Re. Wakatoshi lo comprese da molte cose.

Il modo sicuro e disinibito in cui camminava accanto a lui era una di queste. Non gli importava che fosse il sovrano più giovane e potente dei Regni Liberi, o che Shiratorizawa fosse una potenza imbattuta da secoli. Tooru camminava a testa alta come se potesse vantare un potere altrettanto grande e, alle volte, arrivava a sfidarlo.




 

Wakatoshi strinse le labbra in un’espressione dolente. 

La ferita alla mano gli costrinse a mollare l’elsa che stringeva nel pugno. La spada cadde a terra con un rumore metallico. il Re dell’Aquila la fissò, contrariato.

Quando sollevò lo sguardo, vide il trionfo negli occhi scuri del suo sfidante. 

Tooru sorrise, neanche avesse compiuto l’impresa che avrebbe reso il suo nome immortale. Infilò la mano tra i capelli umidi di sudore, passò la lingua su quelle labbra che chiedevano solo di essere baciate. Wakatoshi era solito prendersi le sue rivincite con violenza ma, con la vittoria addosso, Tooru era la cosa più bella che avesse mai visto.

Cercò d’immaginare lo splendore che sarebbe diventato sul suo primo campo di battaglia. Perché, suo malgrado, Tooru sarebbe divenuto un Re per brillare, per essere grande. 

Wakatoshi desiderava averlo al suo fianco come aveva desiderato poche cose in vita sua.

“Non dici nulla, Re dell’Aquila?” Domandò il Principe Demone, rinfoderando la spada. “Ti ho lasciato senza parole?”

Sì, ma non solo.

“Ho voglia di baciarti,” confessò Wakatoshi.

Tooru smise di sorridere, le sue gote si colorarono. Scansò il nervosismo in fretta, simulando una risatina. “Non dovresti chiedermelo,” disse. “Sei un Re, baciami e basta.”

Wakatoshi ci provò, ma non appena tentò di toccare il viso del Principe, questi si fece indietro.

Tooru agitò l’indice, come se stesse sgridando un bambino. “Adesso è troppo facile,” disse. “E non sarebbe nemmeno piacevole.”

Wakatoshi si sentì offeso, ma cercò di nasconderlo. “Come fai a dirlo?”

Tooru se ne accorse eccome, ma non lo derise. “Perché voglio sentirlo anche io, come lo stai sentendo tu in questo momento. Riesci a capire?”

“No,” ammise Wakatoshi.

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Quando succederà, te ne accorgerai.”




 

Wakatoshi creò l’occasione perfetta in modo del tutto involontario.

Non era mai stato bravo a prendersi cura di se stesso e non diede particolare importanza alla ferita che Tooru gli aveva provocato. Dopo tre giorni, fu lo stesso Principe Demone ad accorgersi che non usava la mano come si doveva. Durante la cena, Wakatoshi dimostrò di avere difficoltà nel semplice atto di afferrare il coltello.

Quando Tooru diede ordine ai servitori di lasciarli da soli, il Re dell’Aquila sapeva che gli sarebbe toccata una lavata di capo.

“Glorificato a quattordici anni e per nulla in grado di medicare una ferita superficiale,” disse Tooru, irritato.

Non fu gentile mentre applicava l’unguento sulla ferita infetta. Wakatoshi si costrinse a sopportare in silenzio, anche se era difficile non sottrarre la mano dalla stretta del Principe Demone. Per sua fortuna, quando arrivò il momento della fasciatura, il tocco di Tooru si fece più gentile.

“Sei abile nel farlo,” commentò Wakatoshi.

“Perché l’ho fatto innumerevoli volte,” rispose Tooru, con un sorriso nostalgico.

Il Re dell’Aquila sapeva che si riferiva a Hajime, il Cavaliere umano con cui non aveva mai avuto occasione di parlare. La persona di Tooru, così era abituato a immaginarlo, quella a cui il Demone aveva rinunciato per stare con lui.

“Il talento di un Primo Cavaliere è nelle sue mani,” disse il Principe, passando il pollice sul palmo fasciato. “Devi averne più cura, Wakatoshi.”

Quando Tooru lo lasciò andare, il giovanissimo Re ebbe l’istinto di afferrarlo di nuovo. Il Principe Demone fu fuori dalla sua portata prima che potesse riuscirci.

“Buonanotte, Wakatoshi,” lo accomiatò.

Il Re dell’Aquila sapeva che qualcosa lo aveva turbato, ma decise di non indagare oltre. Avevano ancora tempo per conoscersi, per affrontare le questioni che erano rimaste sospese.

Come il fantasma di quel Cavaliere di nome Hajime.



 

Wakatoshi non sapeva se era stato fatto volontariamente, ma mentre Tooru risiedeva negli appartamenti che erano appartenuti alla Regina Demone, a lui erano toccati quelli del suo Consorte. Il Re dell’Aquila si sarebbe accontentato di molto meno, ma intuì che quello fosse un modo del consiglio per lusingarlo.

A quel punto della storia, tutti erano in ansia di ricevere qualche notizia ufficiale da parte dei due fanciulli reali.

L’inverno era finito da tempo, la neve era divenuta un lontano ricordo e, in poche settimane, sarebbe arrivata l’estate. Corteggiamenti con un valore politico di quella portata erano solitamente molto brevi - c’era poco da fare quando vi era una possibilità di scelta solo apparente - ma Wakatoshi e Tooru si erano scelti per davvero. Inaspettatamente, forse.

Wakatoshi passò la dita sulla fasciatura stretta intorno alla sua mano e si aggrappò al ricordo del calore di Tooru. Il desiderio di averne di più lo avrebbe sottratto al sonno per il resto della notte, ne era certo. 

Il Principe Demone seppe sorprenderlo una volta di più.

Bussarono alla porta. Wakatoshi andò ad aprire e Tooru era lì.

“Too-“

Fu il Principe Demone a baciarlo. Il giovane Re non poté fare altro che capitolare contro quelle labbra morbide. Dapprima, fu un contatto quasi innocente, tanto per mettere in chiaro chi dei due guidava la danza. II tempo di uno sguardo e Tooru si fece più audace: passò la lingua sul labbro inferiore dell’altro. 

E Wakatoshi seppe che gli avrebbe concesso ogni cosa. “Che cosa stai facendo, Tooru?” Se lo faceva parlare, forse avrebbe avuto il tempo di riprendere il controllo di sé.

“Sono un Re,” rispose Tooru, a pochi millimetri dalla sua bocca. “Mi prendo ciò che è mio di diritto.” Un sorriso oscuro rese quel viso più attraente di quanto già non fosse. “Siamo stati promessi l’uno all’altro da forze fuori dal nostro controllo, ma non pensare mai, neanche per un istante, che tu mi serva per il potere. Quello posso benissimo conquistarlo da me.”

Wakatoshi sorrise a sua volta, scaldato dalla consapevolezza che il suo trono non lo condannava più alla solitudine. Tooru gli era vicino più di chiunque altro perché era come lui. Erano eguali in un mondo di Principi e Re che mai sarebbero stati alla loro altezza.

Wakatoshi tirò il Principe verso di sé. “Che cosa vuoi?”

“Piacere,” rispose Tooru, prima di un altro bacio. “Ma non voglio dover pensare alle conseguenze, non ancora. Per quello ci sarà tempo dopo il matrimonio.”

Ormai era certo, un matrimonio ci sarebbe stato e sarebbe nato un Impero tra i regni. 

Ma quella notte nulla aveva importanza, all’infuori di loro.

Presto, il resto del mondo avrebbe raccontato la loro storia.




 

Quando Wakatoshi aprì gli occhi, il sole era alto.

Tooru era già sveglio, seduto contro i cuscini con le ginocchia strette al petto e lo sguardo rivolto alla finestra. Il Re dell’Aquila gli accarezzò il braccio e quegli occhi scuri furono immediatamente su di lui.

“Buongiorno.” Il Principe Demone gli passò le dita tra i capelli.

Wakatoshi gli afferrò il polso e posò un bacio sul palmo aperto: le mani di Tooru erano più morbide delle sue, meno avvezze all’arte della spada. 

Averle addosso era stato un incanto, scoprire la loro inesperienza era stato inebriante. 

Neanche il sovrano di Shiratorizawa poteva vantare una grande conoscenza nell’arte dell’amore, ma forse il Principe non se ne era neanche accorto.

Erano entrambi così giovani, con tutto il tempo del mondo dalla loro parte. Wakatoshi però era impaziente di ripetere l’esperienza, di scoprire dettagli del corpo di Tooru che ancora non conosceva. Quando il Principe si mise a cavalcioni su di lui, seppe di non essere l’unico a provare quel desiderio.

“Sai qual è la parte più divertente?” Domandò il Demone.

“No, qual è?”

“Nessuno è venuto a bussare alla tua porta, ma sono sicuro che si siano già accorti che i miei appartamenti sono vuoti. È così disdicevole da parte mia. I vecchi del consiglio ne saranno disgustati.”

“Ti piace così tanto creare caos, Tooru?”

“Sono un Demone.” Il Principe si accoccolò contro il suo petto. “Comincia a farci l’abitudine.”

Wakatoshi gli accarezzò la schiena nuda, tracciando la fossetta della colonna vertebrale con la punta delle dita. Nessuno dei due aveva alcuna fretta di alzarsi, rendersi presentabile e affrontare il mondo, ma non c’erano dubbi che quest’ultimo li stesse aspettando.

“Parlerò con il consiglio,” disse Wakatoshi.

“Quando?”

“Oggi stesso. Dirò loro che ho intenzione di prendere la tua mano.”

Tooru ridacchiò. “Si usa chiedere la mano di qualcuno.”

“Non la chiederò a loro,” ribatté Wakatoshi. “La chiederò a te.”

Il Principe si sollevò sui gomiti per guardarlo. “Che intenzioni hai, Re dell’Aquila?”

“Fai organizzare un ballo. Scegli la data che preferisci. M’inginocchierò al tuo cospetto di fronte alla tua corte e ai tuoi alleati.”

Gli occhi di Tooru s’illuminarono. “Una proposta di matrimonio solenne.”

“Adatta a te.” Wakatoshi aggiustò una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio del Demone fanciullo. “Se ti dicessi che siamo destinati a dare alla luce colui che regnerà su tutti i Regni Liberi, mi crederesti?”

Tooru divenne serio. “Nostro figlio?”

Wakatoshi annuì. “Siamo destinati a fare grandi cose, io e te.”

“Lo dici come se avessi sbirciato nel nostro futuro.”

Il Re dell’Aquila si portò la mano del suo promesso alle labbra. “Forse l’ho fatto.”




 

Tooru scelse il giorno del suo compleanno come data per il grande evento. Il consiglio apprese quella novità con entusiasmo e, ben presto, la notizia dell’imminente unione di Seijou e Shiratorizawa raggiunse tutti i Regni Liberi. 




 

Quella fatidica notte d’estate, Hajime indossò l'armatura dei Cavalieri di Seijou per la prima volta. Si era immaginato quel momento fin da bambino, quello in cui si sarebbe guardato allo specchio e avrebbe visto un giovane uomo che aveva trovato il suo posto nel mondo. 

Non fu così.

Quell’armatura gli donava come se fosse nato per portarla, ma non riusciva a essere orgoglioso di se stesso. Hajime si sentiva come il più umiliato dei perdenti. La sua posizione non era migliore di quella di un ostaggio di guerra che viene condotto al patibolo. I frammenti del suo cuore erano solo il monito per chiunque avesse osato camminare sulla sua stessa strada.

Tappeti rossi erano stati stesi in ogni dove, Hajime non li notò affatto. Percorse i corridoi deserti a passo di marcia: era in ritardo e non voleva che il suo pessimo tempismo fosse troppo chiacchierato. Quando si ritrovò ai piedi delle scale che conducevano agli appartamenti reali, indugiò un attimo. Sollevò lo sguardo, diede un ultimo addio alla vita che era stata sua fino allo scorso inverno. 

Hajime strinse i pugni e fece un passo in avanti. Solo uno.

Fu allora che si accorse di non essere solo.

Wakatoshi emerse dalle ombre dell’atrio. Vestito come si addiceva a un uomo del suo rango, sembrava ancor più alto. 

Il Re e il Cavaliere si scambiarono un’occhiata più lunga del dovuto. Fu Hajime a spezzare l’immobilità con un inchino affrettato, deciso ad andarsene di lì prima che Tooru scendesse quelle scale.

Ma il Re dell’Aquila non era famoso per la sua pietà.

"Hajime Iwaizumi.” Wakatoshi pronunciò il suo nome come se fosse quello di un cane. 

Il Cavaliere fu costretto a fermarsi, ma non diede all’altro la soddisfazione di tenere lo sguardo basso.

"Tutti questi mesi e non ci hanno mai presentati ufficialmente," disse Wakatoshi.

“Sono solo un Cavaliere come tanti altri, Maestà,” ribatté Hajime. “Il Principe deve averlo trovato sconveniente.”

“Non vedo nulla di sconveniente nel fare la conoscenza di un uomo che ha creato la propria fortuna, andando contro il destino stesso.”

Per Hajime, era già abbastanza difficile vedere il Re dell’Aquila prendersi la mano di Tooru. Non credeva di poter sopportare anche le sue adulazioni. “Ho fatto tutto quello che era in mio potere per essere degno del mio Principe, nulla di più,” disse. “Ho giurato di proteggerlo. Era mio dovere divenire abbastanza forte per farlo.”

Wakatoshi si avvicinò di un paio di passi. “Sei l’unico ad averlo fatto. Ti sono grato per questo, Cavaliere.”

Hajime non sapeva che farsene della sua gratitudine, né della cortesia con cui gliela rivolgeva. “C’è qualcosa di cui volete parlarmi, Maestà?” 

Voleva che quella tortura finisse. Voleva smetterla di ripetere a se stesso che era giusto così, che Tooru era destinato al Re dell’Aquila e che non aveva più bisogno di lui.

“Lo conosci da tutta la vita,” disse Wakatoshi. “Tu pensi davvero che sedere accanto al mio trono gli basterà?”

Hajime non riusciva a crederci. Era insicurezza quella che il sovrano di Shiratorizawa gli stava mostrando?

“Non siete il suo Re,” disse il Cavaliere e lo fece con tutto il rispetto. “Rammentate questo: non siete il suo Re. Se lo dimenticherete, lo perderete.” Lì iniziava e finiva il suo contributo a quell’unione.

Wakatoshi, per nulla offeso dalle sue parole, annuì.

"Scusami per il ritardo, Wakatoshi!" Cinguettò Tooru, scendendo le scale.

Per Hajime, quello fu il colpo di grazia.

Vedendoli insieme, Tooru se ne rimase a guardarli a metà della rampa di scale, bello come non lo era stato mai.

No, non è vero pensò Hajime. Bello lo era sempre stato, quella era solo la prima volta che lo vedeva così.

Le spalle di Tooru erano coperte dal mantello rosso in pelliccia di ermellino, simbolo degli eredi al trono di Seijou; sulla testa di capelli ricciuti sfoggiava la corona dello stesso colore. 

Dimentico di tutto, Hajime prese a salire le scale. 

Non c'era più il Re dell'Aquila. Non c’erano più i doveri di entrambi, quelli che avrebbero voluto Tooru su un trono e Hajime nell'ombra. 

C’erano solo loro due.

Lì, a un passo dalla fine di ogni cosa, Hajime dichiarò la resa contro se stesso: si era nascosto dietro un muro di ragionevolezza, ma da ciò che provava non c’era alcuna via di scampo. 

Hajime amava Tooru, giusto o sbagliato che fosse.

Il Cavaliere porse la mano al suo Principe. Tooru sorrise, come se non avesse aspettato altro per tutta la vita.

“Hajim-“

Wakatoshi scansò il Cavaliere da una parte. "Andiamo," disse, afferrando la mano del Principe Demone. 

Hajime cercò gli occhi di Tooru ma non li trovò. 

Mentre scendeva le scale al fianco del Re dell'Aquila, il Principe non si voltò neanche una volta.





 

Non va bene.

Tooru non riusciva a respirare.

Non va bene. Non va bene. Non va bene.

“Tooru!” La voce di Wakatoshi lo fece trasalire. Fu molto incisivo nel pronunciare il suo nome. Nonostante la calma apparente, il Principe si accorse che era arrabbiato.

“Non era niente,” disse Tooru, senza rendersi conto che giustificandosi non faceva che peggiorare la sua situazione.

Wakatoshi lo fissò e basta.

“Non era niente,” ripeté Tooru, la sua voce tremava. “Wakatoshi, io-“

Le porte della sala del trono si aprirono e la folla li accolse con un caloroso applauso. 

Tooru provò paura, di quella paralizzante, che annebbia i sensi e oscura la mente. Si era sentito così solo una volta nella sua vita: a fianco del letto di morte di sua madre, quando il suo futuro e quello della sua gente erano stati messi nelle sue mani di bambino. Quella volta, erano state le braccia di Hajime a sorreggerlo.

Ora il suo Cavaliere non c’era, lo aveva perso nel momento in cui Wakatoshi lo aveva preso per mano e non era riuscito a rifiutarlo.

Tooru era solo. Non poteva biasimare nessuno per questo, tranne se stesso.

Indossò un sorriso di cortesia da mostrare a chi si avvicinava: nobili che gli rivolgevano la parola per dovere, ma che non avevano la minima idea di chi fosse davvero. 

In quella stanza, l’unico che poteva dire di conoscerlo era il fanciullo che lo teneva per mano e che lo spaventava più di qualsiasi cosa al mondo. 

Wakatoshi si era accorto che indossava una maschera, che qualcosa lo turbava. Parlava a stento e solo se strettamente necessario. I suoi occhi penetranti non lasciavano mai andare il Principe Demone, ma quest’ultimo faceva l’impossibile per non rispondere al suo sguardo. 

Tooru era bravo a fingere - aveva dovuto imparare per sopravvivere - ma nella sua mente era ancora su quella scalinata con Hajime. Se lo avesse avuto lì, lo avrebbe preso a schiaffi, perché non poteva rifiutarlo due volte - avendo anche la presunzione di sapere quale fosse il suo bene - per poi guardarlo in quel modo. 

È colpa sua, continuava a ripetersi Tooru, un sorriso falso dietro l’altro. In fondo alla sua testa, la voce di sua madre gli rispondeva per le rime: prenditi le tue responsabilità, Tooru. Sei tu che in quegli occhi verdi ci vedi il mondo intero.

“Tooru?”

Quando il Principe Demone tornò alla realtà, la folla taceva. Si accorse di essere al fianco del Trono Nero e che il Re dell’Aquila aveva poggiato un ginocchio a terra. 

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. Se Wakatoshi aveva parlato, non lo aveva udito. 

Eccolo, si disse. È giunto il momento.

Quello in cui avrebbe smesso di essere un Principe nelle mani del proprio consiglio e non si sarebbe accontentato di ereditare la sua corona, ma se la sarebbe guadagnata. Poteva avere paura, ma ciò che amava davvero lo aveva già perso. 

“No...”

La prima volta che Tooru pronunciò quella parola lo fece a bassa voce. Wakatoshi lo udì, ma non si mosse. 

“No.”

La seconda volta, tutti quanti sentirono. 

Eppure, Wakatoshi rimase immobile. Sapeva che Tooru era arrogante. Aveva imparato che al Principe Demone piaceva giocare col fuoco anche a costo di scottarsi. Era una delle ragioni per cui lo voleva al suo fianco.

“No.”

Ma Tooru non stava affatto giocando.

Nel momento in cui Wakatoshi si alzò in piedi, finì ogni cosa.

Dalla folla si alzò un fastidioso brusio, ma a Tooru non sarebbe potuto importare di meno. Tutta la sua attenzione era per il fanciullo che aveva davanti: lo aveva tradito, lo aveva umiliato pubblicamente e sapeva di dovergli almeno una spiegazione. Si tolse la corona dalla testa e la gettò sul Trono Nero. “Vieni, Wakatoshi.”

Nessuno osò trattenerli.





 

Tooru lo guidò fino ai giardini reali, dove nessuno li avrebbe disturbati. Il silenzio e l’aria fresca furono un buon cambio di atmosfera, ma non bastò a rendere più semplice ciò che il Principe doveva fare. Fu lui il primo a parlare: “mi dispiace,” era sincero. “Mi dispiace, ma non posso.”

Wakatoshi teneva i pugni stretti e lo guardava con la stessa espressione di quel primo giorno, di fronte alla scacchiera. “L’ho fatto perché ero certo che lo volessi anche tu.” Non urlava, ma la sua voce era glaciale.

“Lo so!” Tooru non conosceva un modo di giustificarsi che agli occhi del Re fosse ragionevole - no, agli occhi del mondo intero - ma era stanco d’indossare un titolo vuoto, di sentirsi impotente anche con un corona sulla testa. “Non ti sei sbagliato,” aggiunse. “Tu non hai sbagliato nulla, Wakatoshi.”

Tooru lo aveva sedotto, si era sentito lusingato dalle sue attenzioni. Wakatoshi gli era solo venuto incontro e si erano trovati nel mezzo. Sì, si erano trovati, questo Tooru non poteva negarlo. Quel fanciullo dallo sguardo penetrante gli era piaciuto, lo aveva voluto e se lo era preso. 

Ma non era stato abbastanza. Nulla che non fosse Hajime lo sarebbe mai stato.

“È per quel Cavaliere, non è vero?” Wakatoshi non era uno stupido.

Tooru non poteva trattarlo come tale. “Mi dispiace,” ripeté, ignorando le lacrime che pungevano agli angoli degli occhi. “Non posso, Wakatoshi.”

“Ti sbagli,” ribatté il Re dell’Aquila. “Il nostro fato è già scritto, Tooru. Siamo destinati a stare insieme, lo capisci?”

Tooru scosse la testa. “Sono solo belle storie di cui ti se conv-“

“Smettila!” Quella fu la prima volta che Wakatoshi alzò la voce in sua presenza. “Ragiona, Tooru. La strada che stai scegliendo ti porterà solo dolore.”

“Sono stanco di sentirmelo ripetere!” Anche il Principe Demone aveva la sua parte di rabbia da sfogare. Wakatoshi non ne era la causa ma se continuava a provocarlo, ne avrebbe pagato le conseguenze. “La mia vita e il mio destino appartengono a me. Solo a me!” Esclamò. “E non permetterò mai più a nessuno di decidere al posto mio!”

Negli istanti che seguirono, ogni emozione - compresa la rabbia - scomparve dal viso di Wakatoshi. I suoi occhi, seppur ancora penetranti, divennero vuoti, freddi. “A te la scelta, Principe Demone,” disse, poi estrasse la spada.

Tooru sgranò gli occhi. “Wakatoshi…” Chiamò, spaventato.

“Mi hai umiliato di fronte alla tua corte e ai tuoi alleati,” gli ricordò il Re dell’Aquila. “È un mio diritto chiedere un risarcimento.” Si abbatté sul Principe con violenza.

Se Tooru non avesse avuto i riflessi abbastanza pronti da riuscire a impugnare la sua lama, sarebbe finito col ventre squarciato. “Wakatoshi, fermati!”

Il Re dell’Aquila non voleva sentir ragioni. “Battiti.”

“Sei lo spadaccino migliore dei Regni Liberi, solo un folle si-“

“Battiti!”

Fu uno scontro impari fin dal principio. 

Tooru continuò a far appello alla ragione del Re per tutto il tempo, ma questi non gli riservò alcuna pietà. Non ci volle molto perché si trovasse con la schiena a terra, disarmato e la lama del suo avversario puntata alla gola. Tooru sentì il sapore del suo stesso sangue sulla lingua.

Era ironico: Hajime aveva minacciato di spaccargli la faccia tante volte e non lo aveva mai toccato; Wakatoshi era sempre stato cordiale con lui ed era il primo a mettergli le mani addosso con violenza. Tooru si sentì così ridicolo a paragonare gli unici amanti che avesse mai avuto proprio in quel momento, senza che fosse riuscito ad avere fino in fondo né l’uno né l’altro.

Si accorse di star ridendo solo quando Wakatoshi glielo fece notare. “Che cosa ci trovi di così divertente?”

“La prima volta che ci siamo parlati, quando mi hai raccontato della tua eroica impresa nelle terre del Nord, pensavo lo avessi fatto per spaventarmi,” disse Tooru, guardandolo dal basso. Forse era la botta in testa o l’adrenalina, ma non lo temeva più. “E mi hai spaventato. Ho immaginato te bambino, con la testa decapitata del tuo nemico e ho pensato che fosse la genesi perfetta di un mostro.”

Wakatoshi lasciò cadere la spada e piegò un ginocchio a terra. Afferrò il Principe Demone per il colletto, senza alcuna gentilezza. “E tu, che hai scelto di farti toccare da me, che cosa sei?”

“Non lo so neanche io,” ammise Tooru. Doveva avere il labbro spaccato perché ogni parola era un dolore e una nuova ondata di sangue sulla lingua. “Ma quando mi hai detto di amare qualcuno, ho cambiato idea. Mi sono detto: anche io potrei trasformarmi in un mostro per proteggere la persona che amo.”

Wakatoshi lo guardò e Tooru ebbe l’impressione di vedere un guizzo di pietà nei suoi occhi. Non per lui, ma per loro.

“Ci hai condannati entrambi, Tooru.”

Qualcuno li divise con violenza. 

Tooru ricadde a terra e impiegò un istante per riprendere il controllo dei suoi movimenti. 

“Come hai osato, bastardo?!”

La voce rabbiosa di Hajime gli spezzò il respiro. “No,” mormorò, costringendosi in piedi. “No!” Non poteva scontrarsi con Wakatoshi, non ne sarebbe mai uscito vincitore.

Qualcun altro altro accorse e si sorprese di sentire una mano amica sulla spalla. “Tooru, stai bene?” Era Tetsuro ed era in compagnia di Kenma.

Lui non era importante, ma Hajime sì. Doveva essere fermato, prima che Wakatoshi gli facesse del male.

“È disarmato!” Esclamò una voce che Tooru non riconobbe. “È disarmato, Hajime, fermati!”

“È un Re, che ti salta per la testa?!”

“Lasciatemi andare, idioti!”

Una volta in piedi, Tooru vide che la faccia di Wakatoshi non versava più in una condizione migliore della sua. Hajime teneva la spada sollevata, pronto a combattere, ma Issei e Takahiro lo trattenevano.

Il Re dell’Aquila incrociò il suo sguardo, per nulla impressionato dalla confusione provocata dai tre Cavalieri. Recuperò la sua spada da terra e si voltò, scomparendo nell’ombra.

D’istinto, Tooru lo seguì quasi correndo, ma non lo raggiunse mai.

Wakatoshi di Shiratorizawa se ne andò dal Regno di Seijou come era arrivato: senza far rumore. 




 

“I giardini si trovano tra il castello e l’antica torre di vedetta. Ai lati c’è il vuoto. Non può essersene andato, a meno che non abbia le ali!” Esclamò Takahiro, nel tentativo di ricostruire quello che era avvenuto là fuori.

Solo Issei lo stava a sentire. "Perlustriamo ogni piano,” propose. “Se è ancora qui, non può nascondersi in eterno.”

Tooru non udiva la voce di nessuno. Nella sua mente c’era il caos più assoluto: aveva fatto saltare l’unione che avrebbe potuto cambiare la sorte di tutti i Regni Liberi, Wakatoshi era scomparso nel nulla sotto i suoi occhi e Hajime…

Si fermò di colpo. “Dov’è Hajime?” Domandò, voltandosi.

“Sta cercando il Re dell’Aquila, Altezza,” rispose Takahiro. 

Tooru fece per tornare sui suoi passi, ma Tetsuro lo trattenne. “Il tuo Cavaliere starà bene,” gli promise, sebbene il suo sorriso fosse tutto meno che rassicurante. “In veste di tuo alleato, devo ricordarti che la tua sala del trono è affollata da gente confusa sugli ultimi avvenimenti.”

Tooru non fu mai felice come in quel momento dell’assenza della corte di Shiratorizawa. Se Tetsuro si mostrava al suo fianco, l’alleanza tra Seijou e Nekoma non correva alcun pericolo. Restava il consiglio.

“So cosa devo fare,” disse il Principe Demone, risoluto.

Tetsuro annuì, soddisfatto. Si rivolse a Issei e Takahiro. “Cavaliere, cercate il vostro compagno e riportatelo dal suo signore. Serve più al suo fianco che in qualunque altro posto. E Kenma-“

“Resto con voi,” disse il fanciullo dai capelli biondi. “Il Principe avrà bisogno di essere medicato.”

Tooru si ricordò solo allora delle sue ferite. Portò una mano alla bocca e le sue dita si tinsero di rosso. Non aveva importanza, ci avrebbe pensato dopo. Non appena Issei e Takahiro se ne andarono, riprese la sua marcia verso la sala del trono.

Il gran vociare che udì lungo il corridoio si quietò non appena oltrepassò le porte lasciate aperte. Tooru decise che non aveva nulla di cui vergognarsi e attraversò la folla a testa alta. Qualcuno chinò il capo con rispetto, qualcun altro non si fece scrupoli a fissarlo esterrefatto. Giunto al Trono Nero, prese tra le mani la sua corona da Principe, ma non la indossò.

“Seijou non è una merce di scambio da cedere al miglior offerente,” dichiarò a gran voce. “E non lo è nemmeno il suo Principe.”

Tooru sollevò lo sguardo sulla folla silente. Il tempo per provare timore era passato da un pezzo.

“Ordino che tutta la corte ricordi queste parole e che arrivino in ogni angolo del regno: un solo Re siederà su questo trono, un solo Re indosserà la Corona Corvina e sarà quel Re a riconsegnare Seijou alle grandi storie a cui è appartenuta per secoli!”

I Cavalieri nella sala del trono spezzarono l’immobilità di tutta la sala sollevando le spade. “Lunga vita al Re Demone!” Esclamò qualcuno.

“Lunga vita al Re Demone!” Gli fecero eco gli altri.

Fu solo una questione d’istanti, prima che alcuni dei nobili li imitassero. A loro si aggiunsero quelli che indossavano i colori di Nekoma. 

Il Principe fece due passi indietro e si sedette sul trono che gli spettava per diritto di nascita.

Tooru di Seijou divenne Re quella notte, ancor prima della sua incoronazione.




 

“Politicamente parlando, tu lo hai rifiutato, ma il duello a cui ti ha sfidato era privo di testimoni e questo lo rende nullo,” disse Tetsuro, con la tranquillità di cui parla del tempo. “In altre parole: tu puoi averlo umiliato pubblicamente, ma lui ti ha aggredito. Sia Seijou che Shiratorizawa hanno i loro motivi per cui vergognarsi, siete pari.”

“Cosa mi devo aspettare?” Domandò Tooru, mentre Kenma si occupava delle sue ferite. Si erano ritirati nelle stanze del Principe Demone poco dopo il suo discorso, per discutere d’alleati di tutte le possibilità a disposizione di Tooru.

“Da Shiratorizawa? Niente. Nessuno muove guerra per un motivo simile, succede solo nelle antiche leggende di amori traditi,” disse Tetsuro con sicurezza. “È il tuo consiglio che mi preoccupa. Loro e chi li sostiene.”

“Hanno ucciso mia madre,” disse Tooru.

Tetsuro sbatté le palpebre un paio di volte. “Prego?”

“Ne sono certo, ma non ne ho le prove.”

“È un’accusa piuttosto grave.”

“Che posso fare contro un nemico che vive sotto il mio stesso tetto?”

Tetsuro si prese qualche istante per riflettere. “Non possiedo ancora una corona, Tooru,” disse, indicando la sua testa. “A pari condizioni, dopo gli eventi di questa notte, forse mi sei superiore.”

Kenma tradì un’espressione sorpresa a quell’ammissione, nessuno se ne accorse.

“Ma,” aggiunse Tetsuro, “al tuo consiglio non farà piacere sapere che, in caso ti accada qualcosa, il Regno di Nekoma s’impegna ad aprire un’inchiesta per punire i colpevoli.”

Tooru inarcò le sopracciglia. “Puoi farlo?”

“Non lo so,” ammise l’altro Demone. “Non lo sapranno nemmeno loro, credimi. Si sentiranno minacciati da una potenza straniera e sarà sufficiente.”

“E che ne sarà di Hajime?” Domandò Tooru, preoccupato.

“Tutto quello che tu vorrai tra le intime mura della tua- Ahia!”

Kenma gli aveva tirato un calcio sugli stinchi.

“Il tuo Cavaliere è amato dai suoi compagni,” disse Tetsuro, di nuovo serio. “Se lui ti seguirà, anche gli altri lo faranno. Se avrai l’esercito dalla tua parte, il consiglio non potrà fare nulla contro di te. Questa notte, hai toccato l’orgoglio dei Cavalieri di Seijou, quelli che non avrebbero mai chinato la testa di fronte a Shiratorizawa. Approfittane.”

“Hajime ha aggredito Wakatoshi,” gli ricordò Tooru.

“Oh, sì, il Cavaliere umano del Principe Demone che si lancia addosso al Re dell’Aquila e gli spacca la faccia!” Tetsuro era entusiasta. “Ne parleranno tutti per secoli - e sarà a vostro favore - e nessuno perderà tempo a spettegolare sul piccolo incidente tra te e Wakatoshi. Quando lo saprà Koutaro!”

Kenma alzò lo sguardo al cielo, esasperato. “Ho finito, Altezza,” disse, allontanandosi.

Tooru lo ringraziò e Tetsuro fece per aggiungere qualcosa sulla grande impresa del suo Cavaliere, quando bussarono alla porta.

Issei e Takahiro entrarono per primi, tirando dentro Hajime. Tutti e tre si erano liberati delle ingombranti armature.

Tooru dovette stringere i pugni per non correre dal suo amico d’infanzia e prenderlo a pugni e poi abbracciarlo per non lasciarlo andare mai più. 

Kenma fu il primo ad accorgersi che erano di troppo e fece cenno a Tetsuro di alzarsi. Il suo giovane signore recepì il messaggio. “Andiamo a dormire, Cavalieri,” disse, rivolgendosi a Takahiro e Issei. “È stata una lunga giornata e per qualcuno sarà una lunga notte- Ahi! Kenma smettila di prendermi a calci!”

La porta si richiuse e calò il silenzio. 

Tooru si alzò in piedi, anche se gli tremavano le gambe. “Hajime, io-“

Il Cavaliere esaurì la distanza tra loro in un lampo, come se la voce del Principe avesse cancellato le ultime incertezze del suo cuore. “Stai bene?” Domandò con urgenza, prendendo il viso del giovane Demone tra le mani. “Quando ho visto quello che quel bastardo ti stava facendo, non sapevo se tu… Ho avuto paura di non essere arrivato in tempo!”

“Va tutto bene.” Tooru coprì quelle mani calde con le sue. “Adesso che siamo insieme, andrà tutto bene, Iwa-chan.”

Hajime lo strinse forte, come se avesse paura di vederlo sparire da un momento all’altro. Aveva rischiato che accadesse, che un Re straniero se lo portasse via e tutto per la sua maledetta codardia. “Sono stato un debole,” disse, nascondendo il viso contro la spalla del Principe. “Non dovevo lasciarti andare e coprirti le spalle. Dovevamo combattere schiena contro schiena.”

“Da adesso in avanti, lo faremo,” promise Tooru.

Hajime lo allontanò da sé quel tanto che bastava per guardarlo in viso, fece aderire il palmo alla guancia gonfia e passò il pollice sotto il labbro spaccato. “Io non ero lì,” disse, gli occhi verdi ardenti d’ira. “Io non-“

Tooru lo zittì con un bacio a fior di labbra. “Adesso ci sei.” Appoggiò la fronte a quella del suo Cavaliere. “Io sono tuo e tu sei mio. Nulla in questo mondo avrà il potere di cambiarlo.” 

“Se ti bacio ora, rischio di farti male,” mormorò Hajime, sfiorando il naso del Principe con il proprio.

“Rischi di farmi male se non lo fai,” replicò Tooru, aggrappandosi alle spalle del Cavaliere. Erano più larghe delle sue, lo erano sempre state. Il giovane Demone era certo che fossero abbastanza forti da poterlo sorreggere in qualsiasi avversità. Lì, tra le braccia di Hajime, Tooru si sentiva amato, protetto. Quella era la persona con cui voleva condividere ogni giorno, fino al suo ultimo respiro.

“Baciami e basta, Hajime.”

Il Cavaliere lo accontentò e ogni bacio che aveva preceduto quello impallidì al confronto. Tooru era certo che, non appena l’altro si fosse allontanato da lui, le gambe non lo avrebbero retto. Hajime dovette avere lo stesso timore, perché lo spinse all’indietro, finché la sua schiena non aderì alla colonna del letto.

Tooru sentiva il labbro ferito pulsare dolorosamente, ma non gli importava. Quel momento gli era scivolato via dalle dita troppe volte perché potesse permettersi di rinunciarci ora. 

Hajime passò a baciargli il collo, le mani gli strinsero i fianchi, assaggiando la morbidezza della pelle sotto la stoffa della camicia. Il Cavaliere esitava, prendeva tempo, chiedeva il permesso. Fu Tooru a spogliarlo della sua tunica per primo.

I vestiti di entrambi scivolarono sul pavimento, dimenticati.

Una volta sul letto, col suo Principe sotto di lui, Hajime rallentò. I baci affamati divennero languidi. Le mani si presero la libertà di concedere le prime, timide carezze. Quella era un’arte a cui entrambi si erano affacciati, ma metterla in pratica col cuore gonfio d’amore era una cosa ben diversa.

“Dimmi quando vuoi che mi fermi,” mormorò Hajime.

“Mai,” rispose Tooru contro la sua bocca. “Mai.”




 

Tooru venne svegliato da due labbra calde sul retro del collo.

Sorrise e si stiracchiò contro il corpo del suo Cavaliere, come un gatto pigro alla ricerca di attenzioni. Hajime fu ben lieto di concedergliele. I baci continuarono, a tratti bramosi, a tratti giocosi. Tooru si raggomitolò su se stesso, ridacchiando. “Mi fai il solletico,” disse, poi si rigirò in quell’abbraccio per poter guardare il suo amante negli occhi.

“Hai idea di quante volte ho sognato questo momento?” Domandò il Principe, mentre l’altro lo cingeva e tirava più vicino a sé.

“Sì,” rispose Hajime. “Ne ho un’idea molto chiara.”

Si baciarono, quasi volessero rassicurare loro stessi che quello non era un sogno e nulla avrebbe distrutto la perfezione di quel momento. 

Tooru sorrise contro le labbra del suo Cavaliere. “Potrei già portare in grembo tuo figlio, ci hai pensato?” In cuor suo, lo sperava.

Lo smarrimento negli occhi verdi di Hajime gli rispose che no, non ci aveva pensato. “Mio figlio?”

Il sorriso di Tooru divenne più luminoso del sole. “Riesci a immaginarlo, Iwa-chan?”

Hajime si sollevò su un gomito, poggiando la testa al pugno chiuso. “Abbiamo tutto il tempo del mondo, Tooru,” disse, accarezzando i capelli del suo Principe.

Il Principe Demone s’imbronciò. “Ma io voglio un bambino adesso.”

Suo malgrado, il Cavaliere rise. “Lasciamo fare al destino,” propose. “Quando sembrava che non ci fosse speranza per noi, ci ha fatti tornare insieme.”

Destino...” Ripeté Tooru, divenendo serio di colpo. Gli tornarono alla mente le parole di Wakatoshi riguardo a quell’erede immaginario che non avrebbero mai avuto. Quando, per gioco, gli aveva chiesto se avesse sbirciato nel loro futuro, il Re dell’Aquila non gli aveva mai risposto sul serio. “Iwa-chan, tu pensi che sia possibile, attraverso la magia, conoscere l’intricata trama del destino in anticipo?”

Hajime aggrottò la fronte. “Perché questa domanda?”

Tooru non voleva parlare di Wakatoshi, non in quel momento. Confidò al Cavaliere un dubbio che aveva avuto fin da bambino ma a cui, prima di allora, non aveva mai dato particolare credito. “Penso che mia madre avesse visto il nostro.”

“La Regina?”

“L’ho capito dal modo in cui parlava di te, di noi,” spiegò Tooru. “C’era qualcosa nel modo in cui ti guardava. Era come se sapesse già che tipo di uomo saresti diventato.”

Hajime scrollò le spalle. “Le madri sono brave a intuire le cose,” provò a dare una spiegazione ragionevole.

“Sì, lo sono,” concordò Tooru. “Eppure, sono certo che le nostre strade si siano incrociate per un motivo,” posò la mano sopra il cuore del suo Cavaliere, “io e te eravamo destinati ad amarci, ne sono certo.”

Hajime prese quella mano nella sua e la baciò. “Destino o no, io non vado da nessuna parte,” giurò, con fare solenne. “Non so dirti se tua madre avesse davvero visto qualcosa o se la sua fosse più una speranza, ma sono certo che per te desiderasse un legame vero.”
“Quello che lei non ha mai avuto,” aggiunse Tooru, malinconico. “I tuoi genitori si amavano, Iwa-chan?”

Il Cavaliere sorrise. “Nel breve tempo che li ho avuti con me, non ne ho mai dubitato,” disse. “Ricordo che, una volta, mia madre tornò a casa con un ematoma sul viso. Durante il giorno, era mia abitudine stare con lei, ma quella volta avevo chiesto a mio padre di portarmi al lavoro con lui.."

"Quanti anni avevi?"

"Cinque, credo."

"Precoce,” commentò Tooru, per nulla sorpreso. "Il tuo senso del dovere ti ha accompagnato  fin da bambino, eh?"

"Mio padre era il mio eroe, anche se era solo un umile contadino.”

"Non ha importanza," ribatté  il Principe. "Se hai un ricordo così positivo di lui, deve essere stato un buon padre. Cos'era successo a tua madre?"

"Accadde sulla strada per uno dei villaggi vicini al nostro," proseguì il Cavaliere, "alcuni uomini ben vestiti le bloccarono il passaggio, facendole delle proposte."

Tooru poteva immaginare che tipo di proposte.

“Mia madre, ovviamente, non accettò e quando loro cercarono di obbligarla, si ribellò.”

“Bastardi..."

"Quando mio padre lo venne a sapere, perse completamente la testa. Scoprì dove quegli uomini alloggiavano e, quando li trovò, spaccò la faccia ad ognuno di loro."

Tooru sorrise. "Adesso capisco tante cose di te."

Hajime gli baciò i capelli. "Dopo quello che è successo ieri notte, comprendo bene quello che deve aver provato mio padre."

"È proprio vero che titolo e ricchezza non contano nulla, se si è poveri dentro,” commentò Tooru, con un po’ di malinconia.

"A chi ti riferisci?”

"Non ricordo nulla di mio padre, ma non mi ha lasciato nessuna eredità che possa rendermi orgoglioso di lui," disse il Principe. "So solo che si è fatto ammazzare in una guerra che non ha portato nulla a nessuno… Come si chiamava tuo padre, Iwa-chan?” Aggiunse.

Hajime inarcò un sopracciglio. "Perché me lo chiedi?"

"Tu rispondi."

"Tobio," disse il Cavaliere. "Mio padre si chiamava Tobio."

Tooru si stese sulla schiena, guardando il soffitto con fare riflessivo. Hajime ne fissò il profilo, cercando d'intuire i suoi pensieri. 

"Tobio," ripetè Tooru, sorrise. "Mi piace. È un bel nome per un Principe."




 

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Capitolo 5
*** Di doveri e desideri ***


4
Di doveri e desideri




Il Nido dei Corvi non era più lo stesso.

Qualcosa era accaduto lentamente, con discrezione, come un fiore che cresce e sboccia, segnando la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, senza che nessuno se ne accorga.

Era solo questione di tempo, prima che quel cambiamento fosse visibile agli occhi di tutti.




 

"Chissà quando è successo?" s'interrogò Ryuu, fissando il lenzuolo di fronte a sé come se potesse dargli una risposta. Con la fine della stagione fredda, lui e Yuu avevano dovuto combinarne un'altra delle loro. Asahi ci era finito in mezzo inconsapevolmente, colpevole di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, 

Il crimine, come l'aveva definito il Generale Ukai - i fanciulli preferivano chiamarla l’impresa - altro non era stato che il tentativo di sgattaiolare negli appartamenti delle dame di corte.

Non era finita bene. Per punizione si erano ritrovati tutti e tre a fare da lavandaie all’intero castello. Lì, nel bel mezzo del lavoro,la questione saltò fuori per puro caso.

"Potrebbe non essere accaduto nulla," mormorò Asahi, con un poco di ansia, appendendo l'ennesimo lenzuolo umido alle corde sospese a mezz'aria.

Yuu, che reggeva il cestello del bucato, rivolse all'amico d'infanzia un gran sorriso complice. "Io la penso come la pensi tu!"

"Yuu, abbassa la voce," lo implorò il più grande del trio. Ma quando quei due si perdevano nel vortice dei pettegolezzi, c’era ben poco da fare. Inoltre, c’era un dettaglio che Asahi non poteva trascurare: le voci di corridoio dell’ultima stagione parlavano con insistenza di due persone a loro molto vicine.

"Io l’ho previsto dal momento in cui ho saputo che erano divenuti compagni di studi!" Esclamò Yuu.

Preoccupato che qualche orecchio indiscreto li sentisse, Asahi si guardò intorno.

"Farli conoscere è stata un’idea del Maestro,” aggiunse Yuu. "Forse questa unione era già progettata.”

"Non può essere," intervenne Asahi, sperando di smorzare un poco l’entusiasmo. "Le unioni ragionate hanno sempre delle ragioni politiche dietro." 

Ryuu si portò una mano al mento. "Già… Inoltre, sono due ragazzi. Servirà un erede, prima o poi.”

Yuu fece un gesto con la mano, come a dirgli di non preoccuparsi. "Se nella storia è coinvolto un Omega, il problema non si pone!"

"Abbassa la voce, Yuu!" Lo scongiurò Asahi, afferrando un altro lenzuolo dal cestello. "Non è un argomento su cui possiamo fare insinuazioni così alla leggera, lo sapete entrambi."

I due ragazzini si fecero immediatamente silenziosi e abbassarono lo sguardo con aria colpevole.

"Anche se Koushi fosse… Beh, a me non importerebbe!” Esclamò Yuu.

Ryuu annuì. "Nemmeno a me. È uno di noi. È un nostro amico.”

Suo malgrado, Asahi sorrise. Era bello sapere di avere accanto dei compagni così: rendeva tutto un po' meno spaventoso per lui che, nonostante le apparenze, non era mai stato favorevole alla violenza. Per sua sfortuna, era nato più forte e più talentuoso con la spada di molti altri e quando il destino lo aveva chiamato, non aveva potuto rifiutare il suo posto nel mondo e i suoi doveri verso di esso. Sapeva che il Generale Ukai guardava a lui come futuro Primo Cavaliere di Karasuno, ma Asahi non avrebbe retto la tensione senza la vicinanza dei suoi amici.

"Che state combinando?" Daichi comparve da dietro una delle lenzuola appese. Koushi era dietro di lui, un libro stretto al petto e un sorriso a illuminargli il volto. "Li abbiamo spaventati, Daichi."

"Spaventato? Io?" Domandò Ryuu, con un sorriso nervoso. "Mai successo!"

"Dove andate di bello, così presto?" Domandò Yuu, cedendo il cestello ad Asahi con poca grazia.

Daichi li squadrò, meno convinto di prima. "L'ora di pranzo è passata da due ore, non è poi così presto."

"Oh!" Esclamò Ryuu. "Come vola il tempo quando ci si diverte!"

"Divertente..." Ripeté Daichi, fissando le lenzuola appese. Cercò lo sguardo di Asahi: se uno dei tre poteva crollare sotto pressione, quello era lui.

Di fatto, il gigante fece l'impossibile per porre attenzione a qualsiasi cosa che non fosse il viso dell'erede al trono. Per loro fortuna, ci pensò Koushi a smorzare la tensione. "È una bella giornata e ci sembrava uno spreco passarla chiusi in biblioteca," spiegò. “Così abbiamo deciso di studiare all’aperto.”

"Oh, certo!" Esclamarono Ryuu e Yuu all'unisono. Persino un cieco si sarebbe accorto che erano tesi come corde di violino.

Asahi pregò mentalmente che Koushi avesse abbastanza pietà di loro da portare il Principe il più lontano possibile, prima che accadesse l'inevitabile. 

"Vi lasciamo lavorare in pace," disse Koushi, educatamente. "Vieni, Daichi."

Il Principe li guardò tutti e tre con fare minaccioso, poi si voltò per seguire il fanciullo dagli occhi dorati. 

Asahi sospirò e decise di darsi una calmata. Yuu e Ryuu si sporsero oltre le lenzuola per guardare gli altri due, mentre si avvicinavano alle scuderie. A un certo punto, Daichi si fermò e prese il libro stretto contro il petto di Koushi, poi gli porse la mano libera. L’altro non esitò ad afferrarla. 

I due ragazzini si guardarono con un sorriso vittorioso. "È successo!" Esclamarono.

"Parlate piano!" Li implorò Asahi.




 

"Conosci le leggende che hanno per protagonista il fondatore di Shiratorizawa? Sono molto simili a quelle del primo Re di Karasuno, ma più violente..."

Daichi gli rispose con un mugolio distratto.

Non appena sentì le dita del Principe giocare coi suoi capelli, Koushi smise di leggere. Si sforzò di apparire severo, mentre cercava gli occhi del suo giovane signore. "Dovremmo studiare."

Daichi se ne stava sollevato su di un gomito, la testa appoggiata al pugno chiuso e lo sguardo sognante. "Ti sto guardando, infatti." 

“Dovresti ascoltarmi," replicò Koushi, ma non poté evitare di sorridere.

Si erano rifugiati nel loro posto segreto, sulla cima della torre in rovina, con l'idea di guardare il tramonto assieme, una volta finita la loro lezione giornaliera. Peccato che quel volume pieno di pagine non fosse abbastanza interessante da convincere il Principe ad allontanare l'attenzione dall'Arciere. 

"Una volta, ti piacevano i libri," gli ricordò Koushi, mentre si perdeva tra i brividi caldi che le carezze dell’erede al trono gli provocavano. 

"Anche a te," ribatté Daichi.

"Ci stiamo rovinando a vicenda, temo," commentò l’Arciere, per nulla allarmato da quella realizzazione. "Il Maestro non sarà felice di sapere che piega ha preso la sua idea."

"Sapessi quanto ne sono felice io," mormorò Daichi. 

Lo baciò. Non era più un semplice sfiorarsi di labbra, aveva smesso di essere qualcosa di goffo e innocente nel corso di poche settimane. Da quel primo bacio, rubato all'alba di una fredda mattina d'inverno, non ne avevano più potuto fare a meno. Ogni momento che spendevano da soli era quello giusto per cercare l’uno le labbra dell’altro.

Koushi si ritrovò con la nuca premuta contro il libro ancora aperto. Daichi era sopra di lui e lo riscaldava con baci caldi, bramosi. L’Arciere non si era mai creduto capace di cose del genere, non si era mai visto tra le braccia di un altro giovane a desiderare di più, sempre di più.

In estate, Koushi avrebbe compiuto quindici anni. Daichi avrebbe dovuto aspettare l’inverno successivo. I corpi di entrambi cominciavano a vibrare di un'emozione nuova, che d'innocente aveva ben poco e che, bacio dopo bacio, li spingeva verso un confine che li faceva restare senza fiato, coi cuori galoppanti nel petto e gli occhi lucidi di emozioni pericolose.

"Dovremmo rientrare," propose Daichi, prima che l'idea di allontanare le sue mani da Koushi divenisse insopportabile.

L'altro annuì. "Sì, forse sì..."





 

Quella primavera, tra di loro sbocciò uno dei fiori più belli della giovinezza: il desiderio.

Accadde nello stesso modo discreto e silenzioso in cui la loro amicizia si tramutò in qualcos'altro. Tuttavia, come tutte le cose quando perdono la loro innocenza, quel fiore dimostrò di avere molte spine nascoste sotto i propri petali.

Nel tentativo di raccoglierlo, fu impossibile non sanguinare.





 

L'estate arrivò in fretta e con essa un'ondata di caldo, come non se ne vedeva da diversi anni.

"Sto per morire!" Esclamò Ryuu, sedendosi con la schiena contro la parete di pietra. "Sarò completamente bollito per cena!"

Asahi si lasciò cadere accanto a lui. "Come farà Yuu a resistere?" Si chiese, osservando il piccoletto che continuava a muoversi freneticamente a destra e sinistra, evitando tutti i colpi di un avversario ben più grosso di lui. 

"La grinta non gli è mai mancata," commentò Asahi, con un mezzo sorriso. "Lo stimo e invidio per questo."

"Bene, Yuu!" Esclamò il Generale Ukai, dal lato opposto del cortile. "Fai una pausa anche tu!"

Il piccoletto raggiunse i due amici e si sedette tra loro, con un gran sospiro. "Hai informato Asahi del piano, Ryuu?"

Il più grande li fissò, terrorizzato: quando quei due si mettevano a fare progetti insieme, c’era solo da temere il peggio.

Ryuu si staccò dalla parete e sorrise euforico. "Oh, certo!” Esclamò. “Il piano!"

"Mi state spaventando..." Li informò Asahi, con un filo di voce.

Yuu gli diede una pacca sulla spalla che gli fece quasi male. "Non essere il solito! Non c'è nulla di cui preoccuparsi."

"Vorrei potermi fidare..."

Ryuu si fece più vicino, appoggiò il gomito sulla spalla di Yuu in un gesto complice. "Pensa, Asahi, pensa... Che cosa accadrà alla fine dell'estate?"

"Le investiture?"

"Anche..." Ammise Ryuu. "Dopo di quelle?"

Asahi ci pensò per una manciata di secondi, poi assunse l'espressione di chi ha di colpo ricordato qualcosa di fondamentale. "L'incoronazione!"

"Esattamente!" 

"E questo cos'ha a che fare con noi?"

Ryuu simulò un'espressione da intellettuale, ridicola addosso a lui. "Ho letto in un libro-“

"Non ti crede nessuno, Ryuu, sii sincero!" Lo interruppe Yuu, senza remore.

L'amico lo guardò storto e si corresse. "Mia sorella mi ha parlato di una tradizione particolare degli apprendisti Cavalieri."

"In breve, è usanza fare un viaggio tutti insieme, lontano da casa, prima che ognuno si prenda le proprie responsabilità da uomo!"

"Yuu, mi hai rovinato l'effetto!"

"Un viaggio..." Asahi già tremava al pensiero. "Lontano dal castello... Noi tre..."

"Noi cinque!" Lo corresse Yuu, aprendo tutte le dita della mano destra e sbattendole in faccia al più grande. "I presenti, più il nostro Principe e Koushi."

"E Chikara, Kazuhito e Hisashi," aggiunse Ryuu.

"Già, loro!"

"E Hayato, se vorrà venire... Anche se non è mai stato molto socievole con noi."

"Ma possiamo?" Li interruppe Asahi, nel tentativo di capirci qualcosa. "Voglio dire, possiamo lasciare il castello così?” Domandò. “L'erede al trono può lasciare il Nido dei Corvi con tanta semplicità?"

Yuu scrollò le spalle. "Finita l’estate, tutto cambierà. Daichi diverrà Re e anche noi… Beh, noi…”

"Anche noi cosa?" Domandò Ryuu, confuso.

Yuu si passò una mano tra i capelli. "Gli adulti sono così complicati, sempre pieni di doveri e responsabilità e mai uno che sia sincero su quello che prova, che desidera," si guardò le mani, come se potessero contenere le risposte a tutti i suoi interrogativi. "Chissà che fine faremo noi?"

Calò uno strano silenzio, ma i loro pensieri urlavano. Ryuu appoggiò la nuca alla parete e fissò il cielo. Asahi si limitò a studiare il profilo di Yuu, sorprendendosi di quanto fosse diverso, quando oscurato da riflessioni profonde come quelle.

Era cambiato.

Tutti erano cambiati.

Erano appena degli adolescenti, ma il mondo in cui vivevano reclamava presto le loro vite e imponeva loro ruoli che non avevano scelto. 

Ryuu si era fatto altissimo nel corso di un solo inverno. Yuu, invece, era sempre lo stesso e non c'erano dubbi, ormai, sul fatto che non sarebbe mai stato un gigante. Asahi non provava per lui alcuna preoccupazione: aveva una volontà capace di stendere eserciti interi e sarebbe divenuto un Cavaliere valido, come tutti loro.

"Daichi lo sa?" Domandò poi.

Yuu sorrise di nuovo di colpo. "Non ci dirà di no!"

Asahi inarcò il sopracciglio. "Potrebbe anche prenderci a calci per la nostra sconsideratezza e impedirci di partire. Sapete com’è fatto."

Ryuu fece un gesto con la mano, come per dire di lasciar perdere. “Concediamo a Daichi di restare con Koushi in un posto in cui non deve essere erede di niente!"

"Parlando di Daichi e Koushi..." Yuu si guardò intorno. "Dove sono?"

"Lezioni speciali," spiegò il Generale, facendoli sobbalzare. Tutti e tre si raggomitolarono nel tentativo di farsi piccoli piccoli: se li aveva uditi, non ci sarebbe stato modo di scampare all'ennesima punizione. In quel caso, non sarebbero mai partiti.

"Le-lezioni speciali?" Domandò Ryuu, con sorriso forzato.

"Lezioni speciali!" Ripeté Ukai. "Ora, in piedi! Avete poltrito anche troppo."

Si allontanò di un paio di passi. I tre scattarono immediatamente.

"Un'altra cosa..."

Asahi trattenne il fiato. Ryuu e Yuu si guardarono, manco potessero elaborare un piano di emergenza in un battito di ciglia.

"Cercate di convincere Daichi a venire con voi," disse il Generale, con tono vagamente comprensivo. "È un ragazzino. Lo resterà anche con una corona sulla testa, ma non potrà più comportarsi come tale. Non fategli perdere quest'ultima occasione."




 

Daichi era steso sul mantello nero, il viso rivolto verso il sole. Gli occhi chiusi, le braccia incrociate dietro la testa. La pelle olivastra, conseguenza di giorni interi passati ad allenarsi all’aperto, non faceva che mettere in risalto le linee dei muscoli. 

Il fanciullo dai capelli grigiastri era steso accanto al suo Principe, all'ombra di un albero per impedire ai raggi del sole di bruciare la sua pelle pallida. Gli occhi dalle sfumature dorate erano fissi sul corpo forte del giovane che riposava al suo fianco. 

Esteticamente, erano l’uno l’opposto dell’altro e questo li rendeva splendidi insieme.

Se il destino fosse stato più gentile con loro, sarebbero potuti essere il ritratto del futuro di Karasuno: un giovane Re, forte, fiero e un Consorte leale, con una volontà di ferro. Insieme, avevano le carte in regola per far tornare a volare i Corvi del Nido e dell’intera Karasuno.

Ma quella era politica, ciò che li univa era un potere ben diverso.

Koushi non sapeva quando era successo. Non poteva tracciare una linea di partenza e non era certo di voler sapere dove fosse quella di arrivo. Due anni cos'erano in confronto ad una vita intera? Alla loro età, avevano il loro peso, come lo aveva non passare nemmeno un giorno lontano l'uno dall'altro. 

C'erano momenti in cui a Koushi mancava il respiro nel stare accanto al suo Principe. Momenti in cui era certo che sarebbe bastato un bacio mancato, una carezza di meno o uno sguardo troppo sfuggevole per farlo morire di dolore. Koushi era consapevole di quanto fosse pericoloso un sentimento del genere, ma cercare di liberarsene non faceva meno male.

Avrebbe voluto parlarne con Daichi, sentire delle parole rassicuranti uscire da quella bella bocca per poi baciarla con rinnovata passione. Se poi non fosse stato così? Daichi era gentile, dolce e cristallino nell’esprimere i suoi sentimenti ma era anche razionale, realista e devoto ai suoi doveri di erede al trono. Era quella la parte del Principe che Koushi temeva di più.

Non lo avrebbe mai ferito con inutili illusioni, ma la verità non era indolore.

Ma non ancora…

Era una consolazione folle, masochista, ma gli serviva.

Non ancora. Questa era la sua preghiera.

Allungò una mano e accarezzò i capelli neri sulla tempia del Principe per poi scendere più in basso, sul bel viso dai lineamenti marcati. Aprì il palmo sui pettorali, proseguì sull'addome e respirare divenne un poco più difficile.  

Daichi ispirò profondamente, gli occhi ancora chiusi. "Koushi..." Chiamò, ancora mezzo addormentato.

Il fanciullo dai capelli grigiastri sorrise, poi si sporse in avanti e baciò le labbra del suo Principe teneramente. "Riposa ancora. Non è ora di rientrare." Daichi mugugnò qualcosa, poi lo sentì allontanarsi da sé. Il rumore di passi attutito dall'erba, seguito da quello provocato dai guizzi d’acqua, gli suggerirono che il suo amante - altro modo per definirlo non ve ne era - era andato a farsi un bagno. Il Principe si coprì il viso con la mano per impedire al sole di ferirgli gli occhi. Si sollevò sui gomiti per vedere quello che l’altro aveva da mostrare.

Koushi gli dava la schiena. Si passava la mano bagnata sul retro del collo e tra i capelli. Gli occhi di Daichi seguirono le goccioline d'acqua che scendevano lungo la sua schiena e accarezzò quella pelle pallida con lo sguardo, chiedendosi come sarebbe stato sentirla sotto le dita - o meglio, la lingua.

Il filo dell'acqua arrivava appena alla vita di Koushi, permettendo a Daichi di vedere l'inizio della curva morbida delle natiche. Il Principe si passò una mano tra i capelli corvini, emettendo uno sbuffo frustrato.

Quando alzò di nuovo lo sguardo, Koushi ricambiò l’occhiata da sopra la propria spalla.

Daichi non perse tempo a provare imbarazzo. Quello che stava facendo era un suo naturale diritto, ma non in quanto Principe. Mai come Principe.

Le guance di Koushi si colorarono appena, ma non sembrava in difficoltà sotto l'attenzione del suo sguardo. Al contrario, gli piaceva essere guardato.

Voleva porgere un invito al suo Principe, ma non trovava le parole o il coraggio per farlo. 

A Daichi non servì. Si alzò in piedi, liberando i bottoni dei pantaloni dalle asole e lasciandoli scivolare a terra senza pensarci troppo. S’immerse nell'acqua lentamente. A Koushi sembrò stesse accadendo tutto troppo in fretta: il cuore batteva velocissimo nel suo petto, mentre il nodo che gli stringeva la gola non ne voleva sapere di rendergli le cose più semplici.

Gli occhi dalle sfumature dorate rimasero fissi in quelli più scuri del Principe, mentre Daichi portava una mano sul suo viso e gli accarezzava dolcemente una guancia, passando poi il pollice sul labbro inferiore di quel meraviglioso fanciullo. Il bacio fu lento e caldo, le bocche non furono l'unica parte di loro a cercarsi.

Daichi portò la mano alla nuca di Koushi, mentre con l'altro braccio gli cingeva la vita.

I loro corpi aderirono con naturalezza.

Koushi gemette appena contro le labbra del Principe, muovendosi timidamente, assecondando un istinto che non aveva mai saputo di possedere. Daichi rese il bacio più bagnato e l’altro fanciullo si aggrappò alle sue spalle.

Respirare era solo un inutile fastidio, ma da cui non potevano liberarsi. Le loro bocche si separarono.

Koushi chiuse gli occhi e fece aderire la fronte contro la spalla del Principe. Daichi prese a baciargli il collo con foga crescente. 

Koushi non riuscì ad andare oltre.

“Basta,” mormorò, premendo le mani contro il petto del suo giovane signore. “Basta, ti prego.”

Per Daichi, fu come svegliarsi da un sogno meraviglioso con una secchiata d’acqua gelata. "Che cosa c'è?" Domandò, ma gli occhi dorati del suo amato lo evitarono. "Se ho fatto qualcosa che-“

"Non sei tu," lo rassicurò Koushi, guardandolo negli occhi per una frazione di secondo. "No, non sei tu."

L’Arciere lo evitava ma il Principe non percepiva in lui il desiderio di allontanarsi. “Dimmi cosa vuoi e lo farò,” gli concesse. Daichi non era un esperto, ma non sapeva immaginare un altro modo di farlo.

Koushi accennò un sorriso. “Non si tratta di te, ma di me,” ammise. “Di quello che sono.”

“Ti ho sempre detto che-“

“Invece, deve interessarti, Daichi,” disse Koushi, fermo, ma gentile. “Sono un Omega. A questo punto della storia, dobbiamo dirlo ad alta voce e basta.”

Daichi si umettò le labbra, incapace di dire qualcosa. Non era preparato.

“Non devi sentirti in difetto,” aggiunse Koushi. “Lascia che ti guidi, che t’insegni.”

“Devo imparare qualsiasi cosa,” gli ricordò Daichi con un sorriso imbarazzato. “Il tuo essere un Omega non dovrebbe rendere le cose più complicate.”

“Ti sbagli,” ribatté Koushi. “Il mio corpo è diverso da quello degli altri fanciulli. Non sono come te lo aspetti.” Un brivido di freddo gli attraversò la schiena. “Ma il sole sta tramontando, dobbiamo rientrare. Ci sarà tempo.”




 

Non dissero nulla per tutto il viaggio di ritorno al Nido dei Corvi. Koushi camminava davanti, con lo sguardo basso. Daichi fissava la sua schiena. Fu solo quando venne il momento di separarsi e Koushi fu sul punto di augurargli la buonanotte, che il Principe fu capace di dar voce al suo desiderio. "Resta con me stanotte," lo pregò, afferrandogli la mano.

Koushi smise di respirare per una manciata di secondi. "Devo... Devo fare un bagno... Dobbiamo cenare..."

"Potrai farlo nelle mie stanze," replicò Daichi.

"La servitù... Hayato..."

Il Principe scosse la testa. "Non ci sarà nessuno, a parte me e te," lo rassicurò. "Posso far portare la cena per entrambi nei miei appartamenti."

Koushi abbassò lo sguardo. “Non voglio farti sentire obbligato a fare qualcosa.”

"Non accadrà nulla, se non lo vorrai," lo rassicurò il Principe. Il fanciullo dai capelli grigiastri lo guardò negli occhi e vi lesse la più profonda sincerità. Strinse la mano nella propria con più forza. Questo bastò come risposta




 

Koushi restò nella sala da bagno per quello che parve un tempo infinito. Aveva bisogno di quella solitudine. Strinse le ginocchia al petto e rilassò la schiena contro il bordo di marmo della vasca. Poteva ancora sentire la pelle di Daichi contro la propria, il calore da lui emanato e il modo in cui il suo corpo aveva risposto.

Koushi concluse che se non fosse stato per la sua condizione, al lago si sarebbe concesso al suo Principe completamente, senza pensare alle conseguenze.

Si morse il labbro inferiore. Sapeva che il giorno in cui avrebbe dovuto affrontare la sua natura da Omega si stava avvicinando, ma non si sentiva pronto. Aveva appena compiuto quindici anni e il suo corpo non era andato incontro agli stessi cambiamenti dei suoi coetanei. 

Asahi aveva un accenno di barba ormai da qualche stagione e anche Daichi si radeva da qualche mese. Koushi no. I suoi muscoli si erano delineati, ma il suo corpo non aveva perso la grazia delicata che aveva avuto fin da bambino. Senza vestiti addosso, non era meno uomo di nessuno di loro ma aveva qualcosa che tutti gli altri non avevano. Una parte di sé che lo rendeva unico e che era solo sua, da condividere con chiunque avesse scelto come amante. 

Era nell'età giusta perché accadesse e Daichi era proprio lì, disposto a conoscerlo alle sue condizioni. Ciò non cambiava la cruda realtà: il fanciullo che amava era un Principe e lui solo un abominio.

Koushi nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere.




 

Koushi cercò di mascherare l'angoscia in ogni modo, ma il suo viso era segnato dalle lacrime versate. Daichi se ne accorse immediatamente. "Che ti è successo?" Domandò, sedendosi alla tavola imbandita per la cena. La sua preoccupazione rasentava lo spavento.

Koushi fissò il pavimento per tutto il tempo, lisciando la stoffa della casacca di seta nera che il Principe aveva fatto portare per lui. "Ti ringrazio per i vestiti," disse educatamente.

Daichi si alzò, prese il mento di Koushi tra le dita e lo costrinse a guardarlo. "Che cos'hai?" Ci mancava poco che non s’inginocchiasse a terra e lo pregasse di dargli una risposta.

"Mi spiace per il mio comportamento poco-"

"Koushi, smettila.” Il Principe non fu aggressivo nell’interromperlo, ma la sua voce non ammetteva repliche. "Che cosa c'è?”

Koushi prese la mano che ancora gli toccava il viso tra le sue. "È tutto così sbagliato, Daichi.”

Il Principe gli accarezzò i capelli argentei. "Non c’è nulla di sbagliato,” ribatté. “Io voglio te. Tu vuoi me. Siamo due persone che si desiderano e quello che sei non cambia le cose, non le rende più complicate né tantomeno sbagliate.”

Koushi gli sorrise, malinconico. "Avrai decine di fanciulle ai tuoi piedi. Non sei solo un Principe, sei bello, gentile, leale. Chi non ti vorrebbe?"

"Non ho mai guardato negli occhi nessuna di loro," replicò Daichi. "Dal giorno in cui ci siamo conosciuti, non ho mai guardato altri occhi che non fossero i tuoi."

Koushi continuava a sorridere in quel modo triste, come se fosse sul punto di scoppiare di nuovo a piangere. "Io non sono degno di te, Daichi."

"Non voglio sentire nessuna di queste sciocchezze!" Esclamò il Principe, prendendo le distanze.

Koushi si alzò in piedi, la cena ormai dimenticata. "Non sono sciocchezze.” Fece per andarsene, ma il Principe lo afferrò e fece aderire la fronte alla sua.

"Non c'è niente che possa cambiare quello che provo, Koushi," disse, intenso. "Niente…”

Koushi prese un respiro profondo. "Ti ho detto cosa sono, Daichi."

"E non m’importa."

"Sai come si riconoscono i fanciulli Omega?" Domandò Koushi, le guance pallide si tinsero di una leggera sfumatura di rosso. Daichi rimase in silenzio.

"Non presentano i caratteri sessuali secondari tipici dei fanciulli della loro età," spiegò Koushi. "Niente barba," accarezzò distrattamente una guancia del Principe. "Sviluppo muscolare moderato," gli accarezzò il petto forte, nascosto sotto la camicia bianca. "E, sì, sembra abbiano un odore particolarmente buono durante l'eccitazione. Come è successo a me oggi," concluse, con tono grave.

Daichi lo fissò a lungo e, nonostante tutto, Koushi resse il suo sguardo. "Questo è il motivo per cui ti ho fermato," la sua voce era divenuta tremante. "Tu non hai fatto nulla che io non volessi,” gli assicurò. “Ti ho desiderato, Daichi e so che lo hai fatto anche tu ma…” Abbassò lo sguardo con imbarazzo. “Il mio corpo non è come te lo aspetti, Daichi. Ci sono parti di me che non hanno nulla a che fare con quelle di un uomo. Per questo mi hanno educato a odiare la mia natura da Omega. Perché nessuno potrebbe mai desiderare una creatura deforme come me e rispettarla."

Daichi gli prese il viso tra le mani, ponendo un freno a quelle parole disperate. Non poteva comprendere la paura di Koushi. Non poteva, perché non aveva mai provato il dolore di quel fanciullo. 

Ma questo non impedì al Principe di provare a rassicurarlo. "So cosa dicono sugli Omega," confessò. "So cosa raccontano e non sono belle storie.”

Koushi abbassò lo sguardo con vergogna.

"Ma conosco te," aggiunse il Principe. “Tu non sei una storia, passata di bocca in bocca per essere deformata. Tu sei una persona. Sei una persona a me molto cara.”

"E se le storie fossero vere, almeno in parte?" Nessuno aveva dato a Koushi la possibilità di esplorare la sua natura. Sua madre era morta troppo presto perché potesse guidarlo. “Se quello che provi non fosse altro che un sentimento fasullo, indotto dall’Omega che è in me?”

"Koushi," Daichi gli baciò le labbra dolcemente. "Sogno ogni notte di poterti accarezzare. Qualunque desiderio provi per te, lo sento vivere sotto la mia pelle in ogni momento della giornata, che tu sia vicino a me o meno. Per questo, non avere paura della natura dei miei sentimenti.” Appoggiò la fronte a quella del giovane Arciere. “Tutto di te mi fa impazzire. Tu mi fai impazzire."

Koushi voleva tanto cedere sotto la dolce pressione di quegli occhi scuri, ma non ci riusciva. "Sarebbe un disonore per te..."

"Il disonore è toccare una fanciulla disperata che si vende per sopravvivere," replicò Daichi. "Il disonore è mettere le mani su qualcuno contro la sua volontà. Disonore è definire sbagliato qualcosa di diverso dai più." Il Principe accarezzò i capelli grigiastri con entrambe le mani. "Se ti desidero e se questo sentimento è tuo quanto mio, allora siamo solo due ragazzi che si vogliono. Nulla di più e nulla di meno," Una pausa, un sorriso più luminoso del sole. "Si diventa grandi anche imparando ad amarsi.”

Koushi non respirava più: l'emozione era tanto forte da essere insopportabile. Chiuse gli occhi e due lacrime scesero a bagnargli le guance, mentre Daichi gli baciava la fronte. 

"Vorresti..." Il mormorio dell’Arciere era esitante, ma non aveva alcuna intenzione di farsi indietro. "È ridicolo e goffo da chiedere così..."

"Chiedimi tutto ciò che desideri," gli concesse Daichi, con sguardo intenso.

Koushi ingoiò aria a fatica e si umettò il labbro inferiore. "Anche io sogno le tue mani su di me," ammise. "È un desiderio che mi fa paura."

"Perché?”

"Perché ora sei qui, vicino a me, ma un giorno sarai Re.”

"Tu sarai al mio fianco, Koushi."

L'Arciere fissò l'erede al trono come se avesse perso del tutto il lume della ragione, poi sorrise nervosamente. "Sei più ragionevole di così, Daichi e non sei tanto crudele da fare promesse vane." 

Il Principe scosse la testa. "Ti racconto una cosa," mormorò a pochi millimetri da quelle labbra morbide e tremanti. "Quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno, gli rimane accanto per tutta la vita."

"Lo so, è una bella storia ma..."

"Io ho scelto te," il Principe posò un bacio leggero sulle labbra dell'Arciere. "Se sei degno o no, lascialo decidere a me."

Koushi non trovò le parole per ribattere. Si era sempre fidato di Daichi. Sempre. Ma il futuro che gli prometteva era troppo bello perché potesse concretizzarsi. Crederci era troppo pericoloso.

Eppure, discendevano entrambi da una stirpe che aveva conquistato le ali per gli uomini. Se Koushi voleva imparare a volare, non poteva avere paura del vuoto.

"Renderesti i miei sogni realtà?"

Daichi non rispose a parole. Prese la mano dell’Arciere tra le sue e ne baciò il dorso, come se fosse la cosa più preziosa al mondo. "Obbligato, mio giovane signore."





 

Koushi non era innocente come tutti lo dipingevano.

"Sei bellissimo..."

Sapeva solo nascondere i propri lati oscuri meglio degli altri, ma i suoi desideri avevano le stesse sfumature peccaminose di quelle di qualunque giovane con fantasie carnali.

Steso al centro del letto del Principe, non provava alcuna vergogna. Non aveva nulla addosso, tranne il corpo caldo e forte dell'erede al trono. Non poteva esistere situazione più compromettente e a Koushi piaceva. Sì, gli piaceva da impazzire.

"Cosa vuoi che faccia?" Domandò Daichi contro le sue labbra, prima di baciarlo ancora. I loro corpi si toccavano lì, dove era più piacevole e, ad ogni movimento, un sospiro di piacere lasciava le labbra di Koushi. Per tenere il Principe vicino a sé, affondava le unghie nella sua carne. 

Koushi voleva tutto ma quella notte non aveva ancora il coraggio di chiederlo.

"Con te," mormorò con voce tremante. "Voglio provare piacere con te."

"Vuoi che..."

"No," Koushi si morse il labbro inferiore. "Perdonami, non questa notte."

Daichi gli sorrise. "Non c'è nulla da perdonare." Gli baciò la fronte, le palpebre chiuse e, infine, le labbra. Fece scivolare la mano calda tra i loro corpi.

 A Koushi sfuggì un singhiozzo e chiuse gli occhi, sciogliendosi completamente contro il corpo del suo Principe. Se solo la promessa di Daichi si fosse concretizzata, se solo Koushi si fosse convinto che potevano davvero essere l’uno dell’altro senza segreti, anche di fronte al mondo intero.

Se il mondo fosse stato gentile con un amore come il loro. 

Una lacrima scivolò lungo la guancia di Koushi, mentre si concedeva all’erede al trono secondo le proprie condizioni. Non era un illuso. La vita non gli aveva concesso il lusso di esserlo.

Viveva in un sogno a occhi aperti, ne era consapevole.

Ma avrebbe goduto di ogni momento, prima di svegliarsi.




 

 

***




 

Il sole era alto, ben visibile oltre la cima delle montagne e Daichi dormiva ancora.

Koushi si era svegliato alle prime luci dell'alba ed aveva oziato un po', avvolto dal calore delle coperte e dei loro corpi vicini. Il piacere era finito, ma il cuore dell’Arciere non era ancora tornato alla realtà. 

Mentre osservava il viso addormentato dell’erede al trono, Koushi si sentiva felice, leggere. Avrebbe osato definirsi persino libero.

Daichi lo voleva per quello che era. Non aveva importanza come si sarebbe conclusa la loro storia, quello era un dono che nessuno avrebbe mai potuto sottrarre al giovane Omega.

Koushi baciò un angolo della bocca del Principe e si fece lentamente da parte, per non dover disturbare il suo riposo. Si sedette sul bordo del letto e, con le coperte intrecciate alla vita, si stiracchiò. Koushi passò la mano sulle proprie braccia e sul petto, poi sulle gambe, risalendo fino al punto più caldo della sua pelle. Lasciò andare una risata leggera, allontanando le dita da se stesso per troppo imbarazzo e, forse, un pizzico di frustrazione: erano altre le mani che voleva addosso.

Alzò lo sguardo. Due occhi identici ai propri lo fissarono attraverso lo specchio accanto al letto: da principio, non si riconobbe. 

Sulle labbra di Koushi comparve un sorriso nervoso: se quello era l’effetto che gli facevano le carezze di Daichi, non poteva immaginare come sarebbe stato concedersi a lui completamente.

Delle dita calde gli sfiorarono il fianco. Si voltò e gli occhi scuri di Daichi gli parvero la cosa più bella del mondo. "Buongiorno..." Mormorò, tornando vicino al suo Principe

Daichi mugugnò qualcosa e si stese sulla schiena, gli occhi di nuovo chiusi. Furono due cosce morbide contro i propri fianchi a convincerlo a destarsi. Non fece in tempo ad incontrare gli occhi dorati del fanciullo sopra di lui. Due due labbra calde aderirono alle proprie in un bacio che fu dolcissimo, ma per nulla innocente.

"Ne voglio ancora," mormorò Koushi, con una malizia che lasciò il Principe senza fiato. Fu svelto a riprendersi dalla sorpresa. Afferrò l’Arciere e invertì le loro posizioni.

Koushi rise, mentre Daichi costringeva le sue mani contro il cuscino, intrecciando le loro dita. 

"Non mi accontento delle carezze, questa volta," lo avvisò il Principe. Era ebbre di desiderio, ma se Koushi si fosse dimostrato reticente, non avrebbe esitato a fare un passo indietro.

L’Arciere cercò le sue labbra, dandogli la conferma di cui aveva bisogno. “Purchè sia bello come la prima volta, va tutto bene.”

Daichi non aveva bisogno di altro. Si allontanò dalla bella bocca del suo amante per scendere sul collo e via, sempre più giù.

Intuendo quello che stava per accadere, Koushi ingoiò aria come un naufrago, certo che, a breve, sarebbe stato sopraffatto in tutt’altro tipo di tempesta. Daichi vezzeggiò la pelle tesa del grembo con un bacio umido, lento, prima di riprendere la sua discesa.

Non appena Koushi sentì il calore umido accoglierlo senza pietà, artigliò la federa del cuscino.

Si lasciò amare senza alcuna vergogna.




 

 

***




 

"Lo sapevo!" Esclamò Ryuu, correndo su per le scale. "Me lo sentivo che prima o poi sarebbe successo!"

"Niente panico!" Esclamò Yuu subito dietro di lui. "Niente panico!"

"Magari non è successo niente..." Mormorò Asahi. In realtà, era quello del trio ad avere i pensieri più pessimisti riguardo alla faccenda.

Koushi era sparito. Non aveva dormito nel suo letto e, peggio del peggio, non c'era traccia di lui in tutto il Nido dei Corvi.

"È sicuramente successo qualcosa!" Replicò Ryuu, arrivando in cima alla rampa di scale e correndo lungo i corridoi degli appartamenti privati del Principe. "Daichi!"

"Ryuu, non urlare," lo avvertì Asahi, facendo un gesto con la mano per sottolineare il concetto.

"Daichi!" Gli andò dietro Yuu, senza vergogna.

Una porta si aprì di colpo. Asahi credette di morire di paura anche quando ad uscirne fu solo Hayato. "Che cosa ci fate qui?" Domandò quest’ultimo, con aria severa.

Asahi forzò un sorriso. "Se è possibile, vorremmo-"

"Siamo qui per Daichi!" Esclamò Yuu, con un gran sorriso sicuro. 

Ryuu annuì con la stessa convinzione.

Il servitore li fissò uno ad uno, come se li avesse sorpresi nel compiere un crimine particolarmente grave, poi sospirò frustrato: non vedeva alcun senso nel punirli più di quanto il Generale non facesse già.

"Il Principe sta dormendo," si limitò a rispondere.

"Sveglialo," propose Yuu, con un'alzata di spalle.

"Sì, sveglialo!" Insistette Ryuu.

"Ragazzi, con calma..." Cercò di placarli Asahi.

Hayato sospirò di nuovo. "A meno che non sia un'emergenza, non vedo perchè-"

"Non troviamo Koushi," aggiunse subito il più grande dei tre. "Siamo preoccupati, tutto qui."

Hayato si fece serio di colpo. "Koushi?” Cercò conferma. “L'Arciere?"

"Ne conosci altri?" Domandò Yuu, sarcastico.

"Sii gentile..." Lo riprese Asahi.

Hayato riflettè velocemente. Pensò a Daichi che ordinava a lui e alla servitù di rimanere fuori dalle sue stanze, a quanto lo aveva pregato di essere discreto nel far portare nella sua camera una cena per due. 

Non era nel suo carattere porsi domande, non quando si trattava dell’erede al trono di Karasuno. L’arrivo di quei l’obbligò a farlo.

"Datemi qualche minuto,” disse al trio di futuri Cavalieri. "Vedrò cosa mi sarà possibile fare.”



 

 

***



 

Koushi era un incanto: il fiato corto, i capelli in disordine, gli occhi chiusi e le guance rosse per il piacere appena consumato. Daichi baciò quelle labbra, rese gonfie dai denti che vi erano affondati per mettere a tacere i gemiti più forti. L'Arciere rispose al bacio lentamente, affondando le dita tra i capelli del Principe.

"Anche io voglio assaggiare il tuo sapore," mormorò Koushi ad occhi chiusi, mentre Daichi appoggiava la fronte sulla propria e rideva con leggerezza. 

"Riprendi fiato," disse il Principe. "Il mio desiderio per te non va da nessuna parte."

Le palpebre dell’Arciere si sollevarono, liberando gli occhi dorati. "Non voglio essere di nessun altro come sono tuo in questo momento."

Daichi gli aggiustò una ciocca di capelli grigiastri dietro l'orecchio. "Non lo permetterei mai," disse con devozione, prima di cercare e trovare l’ennesimo bacio.

La porta della camera si aprì senza preavviso. Il Principe dimostrò di avere i riflessi abbastanza pronti d'afferrare la coperta e gettarla addosso a Koushi, prima che l'intruso comparisse in fondo al letto.

Hayato non parve particolarmente sorpreso. Malinconico, forse. Deluso, sicuramente.

"Ti aspetto di là," disse con voce prima d’inclinazione, rivolgendosi all’erede al trono. Ebbe il buon senso di chiudere la porta che i due giovani avevano lasciato aperta, prima di farsi da parte.

Daichi guardò Koushi e gli baciò una guancia per rassicurarlo. "Resta qui, ci penso io."





 

Trovò Hayato chino sul caminetto del salottino adiacente, intento ravvivare le braci che avevano lasciato morire la notte precedente. "Ne è valsa la pena, almeno?" Domandò il servitore, per nulla divertito.

"Non è successo nulla," replicò Daichi.

"È successo abbastanza." Hayato si alzò in piedi e guardò il suo Principe negli occhi. "Pensavo gli volessi bene."

"Gli voglio molto più che bene, Hayato."

"Lo ami?"

Daichi aprì la bocca.

"No, non rispondere," lo interruppe l'altro. "Non divenire un bugiardo più di quanto già sei. Le menzogne non ti si addicono."

Daichi inarcò un sopracciglio. "Di che cosa stai parlando?"

"Che cosa gli hai promesso per convincerlo a concedersi a te?"

L'espressione del Principe si fece più dura. "Non sai di cosa parli, Hayato."

"Ho una vaga idea delle persone che si faranno male a causa di questa storia, però," replicò il servitore, poi infilò una mano dentro la giacca di pelle e ne estrasse una busta bianca. "Una lettera di Yui."

Daichi esaurì la distanza tra loro e l'afferrò.

"Se pensi che non sono affari miei, hai ragione," aggiunse, avvicinandosi alla porta. "Ma nè lei nè Koushi si meritano una cosa così e se hai amato anche solo uno di loro, dovresti comprendere quel che voglio dire. A proposito, i tuoi amici sono qui fuori e sono in totale stato di panico perché non trovano l’arciere."

Daichi annuì distrattamente, fissando la lettera tra le proprie mani. "Dammi qualche minuto e poi falli entrare." 

Hayato annuì e se ne andò.

Il Principe si lasciò cadere su una delle poltrone, derubato dell’euforia che l’aveva animato fino a un istante prima. La porta alle sue spalle si aprì e sentì i passi leggeri di Koushi sul pavimento di pietra.

"Dimentica ogni singola parola che ha detto," ordinò Daichi, poi una mano calda s'infilò tra i suoi capelli, mentre l'Arciere si accomodava sul bracciolo della poltrona. Indossava la camicia che Daichi non si era preoccupato di recuperare.

Gli occhi dorati del suo Arciere erano malinconici e se ne dispiacque. 

Il Principe afferrò la mano tra i propri capelli e ne baciò il palmo dolcemente. "La promessa che ti ho fatto ieri notte è l'unica che abbia valore per me."

Koushi non sembrò rassicurato dalle sue parole e abbassò lo sguardo sulla lettera che stringeva nell'altra mano. "Dovresti risponderle."

"Lo farò," il Principe annuì. "Lo faccio sempre, te l'ho raccontato."

"Non voglio essere la causa della sua sofferenza."

"Sei la causa della mia felicità," replicò Daichi, con fermezza. "Non ti basta?"

"Mi basta," affermò Koushi. Ma sarà sufficiente?

Non ebbe il coraggio di chiederlo.

 

 



 

***





 

Non lo fu.

Daichi non aprì mai la lettera di Yui e quando, la settimana successiva, la fanciulla si presentò al Nido dei Corvi, tutte le promesse su cui aveva basato il suo futuro con Koushi crollarono. Fu il peso delle responsabilità da erede a schiacciarle senza pietà. Fu solo l'inizio di un lungo dissidio tra il dovere ed il desiderio, l'essere se stessi o essere quello che gli altri si aspettavano che fossero.

Essere Re ed Arciere o essere solo Daichi e Koushi.




 

 

***





 

L’arrivo di Yui al Nido dei Corvi non fu annunciato da nessuno, ma nemmeno propriamente inatteso.

La carrozza si fermò nel cortile esterno, nel bel mezzo degli allenamenti degli Arcieri. Koushi fu il primo ad accorgersene e non ebbe difficoltà. La giovane dama scese con grazia, avvolta in uno splendido abito color pesca. Nel vederla, tutti si fermarono per poterla ammirare, fino a che ella non scomparve oltre l’arco che conduceva al cortile interno, zona di allenamento dei Cavalieri.

Daichi fu l'ultimo ad accorgersi di lei. Si rese conto che qualcosa non andava nel momento in cui Asahi abbassò la spada e allontanò lo sguardo da lui, sebbene fossero nel bel mezzo di un duello.

Anche Yuu e Ryuu si fecero di colpo silenziosi.

Daichi si voltò e, sebbene fosse sudato e sporco, la fanciulla alle sue spalle lo abbracciò con trasporto e con grande affetto. "Sono a casa," mormorò Yui, come se stesse per mettersi a piangere dalla gioia. "Sono a casa."

Daichi ricambiò l'abbraccio, sebbene in modo goffo e forzato.

Alzò gli occhi e cercò quelli di Koushi. L'Arciere ricambiò lo sguardo ma solo per una frazione di secondo. Scomparve dal suo campo visivo, come se non fosse successo nulla.

 




 

***





 

Yui non era semplicemente tornata per lui.

No, la fanciulla aveva concluso la sua educazione da dama e moglie ed era pronta per divenire la sua sposa. La sua Regina.

Daichi non riuscì ad accettare la propria stupidità. Non riuscì a comprendere come avesse potuto farsi sfuggire un dettaglio che tutti avevano dato per scontato. Non c'era mai stato nulla di casuale nel legame tra lui e la sua amica d'infanzia. Era stato tutto deciso alla loro nascita, avevano solo fatto a entrambi la cortesia di farli crescere insieme, invece di farli sposare da perfetti estranei.

Era logico. Era comodo.

Daichi era l'erede al trono, Yui l'unica figlia della famiglia più vicina alla casa reale. La più ricca della nobiltà.

Politicamente, era tutto perfetto.

Nella sala del Consiglio, in presenza di tutti i signori di corte e della stessa Yui, il Maestro Taked lo ribadì più di una volta. Anche il Generale Ukai era presente, ovviamente. Per tutti, non c'era nessuna questione da porre. Al contrario, tutto appariva lieto e naturale agli occhi di chi gli stava intorno.

Yui sorrideva al suo fianco, come se fosse la fanciulla più felice del mondo. 

Non aveva motivo di non esserlo. Era destinata a divenire Regina e moglie dell’unico uomo con cui aveva creato un legame sincero, La maggior parte delle giovani dame non aveva nemmeno metà della sua fortuna e lei ne era perfettamente consapevole. Quando, due anni prima, Yui aveva detto a Daichi di dover lasciare la corte per imparare a occuparsi delle sue terre, aveva mentito. A Yui non avevano insegnato ad amministrare al meglio le proprietà di cui era erede, non le avevano insegnato a divenire una signora indipendente. No, le avevano comunicato che era destinata a divenire Regina del Regno di Karasuno e che la sua lontananza dal Principe era indispensabile ai fini della sua educazione.

Per Yui era stata la promessa di un destino splendente.

Per Daichi era come una condanna a vita.

Tutti sorridevano intorno a lui. Tutti erano felici e nessuno si accorgeva della sua angoscia.

Non aveva mai chiesto questo.

Certo, aveva realizzato che molti potevano averlo sperato: Yui era bella, dolce e figlia di una famiglia che avrebbe saputo dare molto alla corona. Il Principe però non aveva mai realizzato di non avere via di scampo. Credeva che Yui fosse una delle tante possibilità, non l'unica. Si era illuso di avere una possibilità di scelta, alla fine.

"Daichi..." Il Generale gli appoggiò la mano sulla spalla ed attirò la sua attenzione. Non si era accorto che Yui si era allontanata dal suo fianco, né che tutti i Consiglieri si erano ritirati. "Io e il Maestro vorremmo parlarti in privato... Nella biblioteca..."

Daichi lo guardò come se non lo comprendesse. "Yui?"

"La signora è negli alloggi che le sono stati riservati, in attesa dell'incoronazione."

Il Principe annuì e prese a riflettere velocemente: aveva il tempo di andare da Koushi e di parlare con lui. Potevano arrivare ad una soluzione insieme e...

"Vieni, Daichi." Lo esortò il Generale.

"Adesso?"

"Sì, adesso."

Il Principe scosse la testa. "Mi spiace, Sir. Ora non posso, devo andare da-"

"Non credo che Koushi voglia vederti, ora," lo interruppe Ukai con tono grave. "Non credo che voglia vedere nessuno."

Daichi si sentì congelare.

"Seguimi."

Il Principe ubbidì.




 

Era strano che tutto dovesse finire lì, esattamente dove era cominciato.

Daichi sedeva al posto che soleva occupare durante le sue ore di studio con Koushi. Il suo compagno non era lì e si sentiva scoperto, vuoto, incompleto.

"Hayato ci ha detto tutto, mio Principe," lo informò il Maestro Takeda, con sguardo triste.

Daichi strinse gli occhi e si morse il labbro inferiore. Perchè? Perchè proprio Hayato? Perchè?

"Non prendertela con lui," aggiunse il Generale, alle sue spalle. "Sono stato io a convincerlo a parlare. Non ho avuto altra scelta: Koushi era distrutto ed io-"

Daichi scattò in piedi di colpo e fissò Ukai in panico. "Cosa è successo a Koushi?" Non aveva più senso nascondersi.

Il Generale lo guardò frustrato. "Tempo un'ora e il pettegolezzo che Lady Yui fosse tornata per divenire la tua Regina ha fatto il giro dell'intero castello. Quando Koushi lo ha saputo, non mi è piaciuta affatto la sua espressione: sembrava un ragazzo sul punto di crollare dopo un colpo mortale. L'ho mandato nella sua stanza e poi Asahi, con i due combina guai, sono venuti a cercarmi disperati. Il loro amico era in preda a una crisi di pianto e non voleva saperne di calmarsi. Si è rifiutato anche di farli entrare per farsi aiutare. È stato allora che sono andata da Hayato..."

Daichi si sentì morire al solo pensiero di Koushi ridotto in quello stato e tutto per colpa sua. Solo sua.

"Abbiamo bisogno di sapere che cosa è successo, Altezza," spiegò il Maestro gentilmente. 

Ukai fu di tutt'altro avviso, si portò davanti all'erede al trono e sbattè un pugno sul tavolo con rabbia. "La conosci la storia di quel ragazzo, vero?"

"Keishin..." Tentò di calmarlo Takeda.

"No, Ittetsu, lasciami parlare!" Lo interruppe il Generale. "Se questo moccioso deve divenire Re, è ora che gli insegniamo a prendersi le sue responsabilità di uomo, prima di metterlo su quel trono! Rispondimi! Conosci la storia di quel ragazzo?"

"La conosco molto bene, signore," rispose Daichi, con molta umiltà.

"E come ti è venuto in mente di fargli vivere un'umiliazione del genere?" Sbottò Ukai. "Dove avevi la testa, Daichi? Come pensi di poter governare un Regno, se non sai gestire nemmeno i tuoi sentimenti!"

Il Principe strinse i pugni e guardò il Generale dritto negli occhi. "Ho scelto lui," disse, con fermezza. "Non l'ho usato. Non l'ho preso in giro. Ho scelto lui come mio compagno. Lo avrei dichiarato di fronte all’intero Karasuno, se ne avessi avuto la possibilità. L'avrei fatto sedere sul trono accanto a me, se mi aveste dato il tempo. Nessuno si è posto il problema. Nessuno. Una Regina era già stata scelta, perché perdere tempo a porsi domande sui desideri del futuro Re?"

Ukai divenne ancor più rabbioso di prima. "Hai detto tutto questo anche a Koushi?"

"Sì!" Esclamò il Principe. "Gliel'ho detto perchè è ciò che provo! È ciò che voglio per il mio futuro e quello di questo Regno!"

"I Regni non si reggono sui desideri, Daichi," il tono del Generale divenne più gentile, di colpo. "Non avevi il potere di promettergli nulla."

"Sono un futuro Re, posso-"

"Non potete," lo interruppe Takeda, tristemente. "Mi dispiace con tutto il cuore, mio Principe ma non potete. Se volete divenire un Re, dovete accettare che le ragioni di stato vengono prima di ogni cosa. Non dico che sia giusto. In questo caso, onestamente, credo che sia crudele e vi chiedo scusa, perché sono stato io a portare Koushi da voi. Ma non possiamo ignorare su cosa si fonda la storia di ogni Regno. So che voi siete abbastanza intelligente e devoto ai vostri doveri da comprendere."

Ukai annuì con aria grave. "La famiglia di Yui è potente. Rifiutare un matrimonio di questo calibro, significherebbe, nel migliore dei casi, la perdita del loro appoggio, nel peggiore-"

"Guerra civile..." Daichi si sentì con le spalle al muro, come se gli stessero premendo una lama contro la gola ed ogni respiro potesse essere l'ultimo. "Che cosa mi state chiedendo di fare?"

Conosceva già la risposta.




 

 

***





 

Il fidanzamento del Principe Daichi con Lady Yui venne ufficialmente annunciato tre giorni più tardi.

Per l'occasione, i Consiglieri decisero di organizzare un ballo. Il Regno di Karasuno era stato triste per molto tempo ma tutti confidavano che, con la dolcezza e l'allegria della futura Regina, i tempi a venire sarebbero stati di gran lunga più rosei.

Daichi sospese gli allenamenti per seguire i preparativi del ricevimento.

Koushi, da parte sua, si comportava come se nulla fosse successo.

"È normale," commentò Chikara, durante una pausa tra una sessione d'allenamento e l'altra. "Sorride, è gentile e continua a tirare bene le sue frecce."

Ryuu e Yuu si guardarono sconfortati.

"Non sta bene," replicò il primo, incrociando le braccia contro il petto.

Yuu annuì con convinzione.

"Se non ne vuole parlare, penso che dovremmo solo lasciarlo in pace," S'intromise Asahi, appoggiando la schiena al muro di pietra. 

Yuu lo guardò storto, "aspettiamo che crolli a pezzi al matrimonio di Daichi, dato che ci siamo!"

Asahi ricambiò l’occhiata tristemente. "Non c'è molto che possiamo fare. Non piace nemmeno a me restare a guardare ma temo che non abbiamo alternative questa volta."

"Devo tornare al cortile esterno," li informò Chikara. "Vi farò sapere se noto qualcosa."

"Grazie," rispose il più grande dei tre.

Nel mentre, Ryuu era concentrato come se stesse riflettendo sulla cosa più difficile del mondo. "Ma che diavolo! Sarà Re, no? Non può scegliere quello che vuole?"

"Dubito che sia questo il senso dell'essere Re," replicò Asahi.

"Non è giusto!" Esclamò Yuu, artigliando la stoffa dei pantaloni. "Non è giusto! Non è giusto!"

No, non lo era ma non c'era davvero nulla che loro tre potessero fare.




 

 

***




 

Yui non era una stupida.

Daichi non lo aveva mai pensato, ovviamente, ma si era illuso di poterle nascondere tutto senza dover ricorrere a spiegazioni dolorose. Era meglio che lei non sapesse. Se doveva finire così, era meglio che almeno lei fosse felice.

Ma Daichi non la cercava. Yui poteva anche essere felice della loro situazione, ma era comunque molto giovane ed aveva i propri timori. Non aveva mai avuto una personalità forte. Fin da bambina, pur dando il massimo, non aveva onorato i propri genitori con grandi soddisfazioni.

Era bella ma non aveva doti particolari, solo una naturale dolcezza e timidezza a cui nessuno aveva saputo dare valore. Solo Daichi l'aveva fatto. Daichi era stata la sua eccezione, la sua sicurezza, la forza che lei non aveva di suo.

Quando le avevano detto che sarebbe divenuta Regina, era stata terrorizzata dall'idea. Solo il pensiero del suo Principe l’aveva convinta ad accettare quella sfida con coraggio, sebbene non ne possedesse molto. Yui era cresciuta, era divenuta una donna prima del tempo e solo perché voleva che il suo Principe fosse orgoglioso di lei. Daichi, invece, non la guardava nemmeno.

Il pomeriggio prima del ballo, fu Yui ad andare da lui ma non lo trovò nella sua stanza.

Hayato la informò che il Principe si era ritirato nella biblioteca alcune ore prima. Yui lo ringraziò e si diresse verso il luogo indicato. Lo trovò seduto sul davanzale di una delle grandi finestre, mentre fissava il paesaggio con sguardo assente e malinconico. La ferì vederlo così.

"Daichi..." Lo chiamò.

Lui si voltò immediatamente e le rivolse un sorriso che di sincero aveva ben poco, solo la tristezza che vi era celata dietro. "Yui... Non ti ho sentita entrare, scusami."

"Scusami tu, se ti ho disturbato."

"Affatto," replicò il Principe educatamente. Un'altra bugia.

Yui si avvicinò al davanzale, lentamente. " Non siamo ancora riusciti a parlare da soli."

"Sono stato molto impegnato, perdonami."

"Non preoccuparti, capisco."

"Che cosa volevi dirmi?" Le domandò Daichi gentilmente.

Yui aprì la bocca ma esitò. Tante cose, sarebbe stata la sua risposta. Si era immaginata quella scena per anni, ma nulla l'aveva preparata alla tristezza nel sorriso del suo Principe e all'incertezza che le stritolava il cuore.

"Sei felice?" Le scappò di bocca.

Daichi si fece immobile, come se quelle parole avessero avuto il potere di pietrificarlo.

"Tu lo sei?" Domandò di rimando.

Yui non ebbe la fermezza di sottolineargli che lo aveva chiesto lei per prima. "Sì," ammise. "Moltissimo..."

"Ne sono lieto," fu la conclusione di Daichi.

Non era quello che lei si era aspettata di sentire. "Sei un pessimo bugiardo," lo informò, mentre un nodo cominciava a stringerle la gola. Non c'era nessuna accusa nella sua voce, solo tanta tristezza.

Daichi abbassò gli occhi. "Mi dispiace." Era sincero adesso.

Yui prese un respiro profondo e tentò di darsi un contegno. "Perchè vieni qui tutte le sere?"

"Mi ricorda dei giorni felici, tutto qui," rispose lui.

"Non siamo mai stati qui insieme..." Notò lei a bassa voce.

"Lo so." Daichi non avrebbe mai voluto gettarle addosso il peso della verità. Ma lei aveva ragione: era un pessimo bugiardo.

"Sapevo che non avrei mai potuto scegliere la persona che sarebbe stata accanto a me per il resto della mia vita," confessò Yui. "Quando mi hanno detto che saresti stato tu, sono stata così felice..."

Daichi strinse gli occhi. Non aveva vie di fuga. Come aveva detto Ukai, era arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità. "Non devi temere nulla, Yui. Quella felicità esiste ancora."

"No, è solo una bugia," una lacrima scese sulla guancia di Yui.

Daichi la guardò e si sentì un verme. "Farò tutto il possibile per essere degno di te."

"Lo so che lo farai," lei singhiozzò. "Lo so... Ma è giusto?"

"Lo devo fare," rispose Daichi, con tono grave. "Tu ne sei felice e tanto mi basta."

"Non sono felice se sono la causa del tuo dolore!" Esclamò lei. "Non so cosa sia l'amore, non quello di cui parlano le grandi storie scritte nei libri. Ciò che ci si avvicinava di più eri tu, ma so che sei di un avviso ben diverso." Yui si fece più vicina e Daichi la guardò dritto negli occhi, nonostante le sue lacrime gli facessero male. "Nemmeno io voglio essere causa del tuo dolore," le disse. "Siamo cresciuti insieme, ti voglio bene..."

"Anche io!" Esclamò lei tra le lacrime. "E per me è sufficiente! Ma tu..." Si lasciò andare ad alcuni singhiozzi. Daichi avrebbe voluto abbracciarla, consolarla ma sarebbe stato viscido e ipocrita da parte sua.

"Non volevo farti soffrire così," le disse, invece.

"Te l'ho già detto," replicò lei, tirando su col naso. "Sei troppo onesto e leale per mentire su cose del genere." Lo guardò, ma gli occhi scuri di lui erano di nuovo rivolti fuori dalla finestra. "Quale fiore tra tanti è stato tanto fortunato da essere raccolto da te?"

"Non ha più importanza, ormai. Sono destinato a te e tu a me."

Yui lo guardò allibita. "Sei devoto ai tuoi doveri fino a questo punto?"

"Sono nato Re," replicò Daichi con le lacrime agli occhi. "Per la prima volta nella mia vita, mi rendo conto di quanto sia maledetta una simile sorte."

"La ami così tanto?"

"È la mia vita,” confessò lui ed inspirò profondamente

"È la stessa per cui non mi hai salutato il giorno che sono partita?"

Daichi annuì e tirò su col naso. "Sarei voluto venire, in realtà... Mi sono addormentato tra le sue braccia e non mi sono svegliato in tempo."

Yui annuì distrattamente, asciugandosi il viso con il palmo della mano. "Sono causa anche della sua di sofferenza."

"No," mormorò Daichi,  scendendo dal davanzale. "Quella è solo colpa mia."

Appoggiò la mano sulla spalla di Yui. "Ti prometto che sarò leale nei tuoi riguardi. Non sei colpevole di nulla in questa storia." Yui rimase in silenzio, mentre la superava e spariva fuori dalla porta della biblioteca. Guardò la finestra accanto a lei. Non seppe cosa la spinse ad avvicinarsi, non seppe perché fu così curiosa di sapere. Non seppe perché volle farsi del male.

Sotto la biblioteca vi era il cortile esterno del castello, dove solitamente si addestravano gli Arcieri. Solo un fanciullo era là sotto, con l’arco teso tra le mani e lo sguardo rivolto davanti a sé, verso il bersaglio.

Scoccò la freccia e ne colpì il centro.

Yui non lo aveva mai conosciuto davvero, ma il suo nome era scivolato dalle labbra di Daichi troppe volte perchè lei potesse averlo dimenticato.

 




 

***





 

"Kiyoko in abito da sera!" Esclamò Ryuu.

"Kiyoko che balla!" aggiunse Yuu.

Koushi sospirò ed alzò gli occhi dal cielo. "Non avete bisogno d'indossare l'armatura, voi?" Domandò, con una nota di rimprovero nella voce, mentre aiutava Asahi a finire d'indossare la sua.

"Ma dobbiamo proprio andare a quel ballo vestiti così?" Domandò quest'ultimo, guardandosi allo specchio poco convinto.

Yuu sorrise. "Sciocchezze! Stai bene!"

Il ragazzo più grande abbassò lo sguardo e sorrise. 

"Un po' di sicurezza signor Primo Cavaliere," cercò di spronarlo Koushi.

Asahi divenne più rosso di prima. "Non sono ancora il Primo Cavaliere..."

"Kiyoko che balla con me..." Continuava a ripetere Ryuu, sognante.

"Tu vatti a vestire!" Esclamò Koushi. "Yuu dagli una mano e poi fatti aiutare."

"Ryuu non è così sveglio, preferisco farmi aiutare da Koushi," replicò il piccoletto, facendo dondolare le gambe oltre il bordo del letto dell'Arciere. Perché si erano radunati tutti in camera sua per vestirsi, Koushi proprio non riusciva a capirlo.

Forse, era un tentativo dei loro di convincerlo ad andare al ballo come tutti gli altri.

Nessuno avrebbe potuto fargli cambiare idea, nemmeno il Principe in persona.

"Sei crudele, Yuu!" Si lagnò Ryuu.

"Ryuu, basta così,” disse Koushi stancamente, allontanandosi da Asahi. "Tornate nelle vostre stanza, avanti."

I due ragazzini lo fissarono come se avesse parlato una lingua sconosciuta. "Noi al ballo non andiamo!" Esclamarono in coro.

Koushi inarcò entrambe le sopracciglia. "Avete battuto la testa?"

"Ti vogliamo troppo bene. Abbiamo deciso di rinunciare a Kiyoko in abito da sera per te," lo informò Ryuu in tono solenne.

Koushi guardò Asahi, nella speranza di capirci qualcosa. Lui si passò una mano tra i capelli con difficoltà. "Loro pensano che potresti sentirti triste, qui da solo…"

Koushi fu sinceramente sorpreso da un simile gesto di affetto.

"Non guardarci così," aggiunse Asahi, in imbarazzo. "Ti vogliamo bene e non possiamo essere di grande aiuto ma-"

"Parla per te!" Esclamò Yuu.

"...Ma quel poco che possiamo fare, lo facciamo col cuore."

Koushi non seppe come replicare. Per un istante, abbassò lo sguardo e si sentì in colpa per aver fatto preoccupare Asahi e quei ragazzini. Tutti avevano i propri pensieri, stavano per diventare grandi e non era giusto che si caricassero anche dei suoi dispiaceri. Sorrise gentilmente. "Se volete che sia felice, andate tutti e tre a quel ballo e divertitevi... No, non voglio sentire storie!"

"Koushi..." Akiteru si affacciò dalla porta socchiusa. "Perdona il disturbo, ma c'è qualcuno che vuole parlarti."

"Non ora, stiamo facendo opera di convincimento estremo!" Esclamò Ryuu.

"Di chi si tratta?" Domandò Koushi perplesso.

Il giovane Cavaliere non rispose, si fece da parte permettendo alla Dama alle sue spalle di superarlo. "Ti ringrazio, Akiteru," disse Yui, con un sorriso gentile.

I quattro nella stanza si fecero immobili, mentre Akiteru faceva segno a Ryuu, Yuu e Asahi di seguirlo nella sala comune di sotto.

"Noi..." Mormorò Asahi con voce ansiosa.

"Andiamo a cambiarci!" Affermò Yuu, prendendolo per il braccio.

"Oh, sì! Non vorremmo mica fare tardi!" Aggiunse Ryuu, spingendo il ragazzo più grande verso l’uscita della camera da letto. 

Una volta rimasto solo con la futura Regina, il fanciullo non seppe cosa dire.

Lei sospirò profondamente, come se temesse di rivolgergli la parola. "Tu sei Koushi."

"Sì, mia signora," rispose lui, facendo un inchino veloce.

"Alza pure la testa, non hai motivo di essere così formale con me," disse Yui.

"Siete gentile," replicò Koushi.

Yui si umettò le labbra. "Ho sentio molto parlare di te."

"E io di voi ma, perdonatemi, non capisco perchè vi siate disturbata a farmi visita." Lei abbassò lo sguardo con vergogna e prese a torcersi le mani. "Volevo chiederti perdono."

Koushi trattenne il fiato per una manciata di secondi. "Non capisco, mia signora."

"Non devi essere così gentile con me," lei sembrava sull'orlo delle lacrime. "Credimi,  quando dico che non era mia intenzione farti alcun male."

L'Arciere scosse la testa. "Voi non mi avete fatto nulla."

"Se l'avessi saputo, te lo giuro, non mi sarei presa tanta libertà con Daichi, io-"

"Il Principe è vostro," replicò Koushi e quanto gli fece male pronunciare quelle parole. "Non avete ragione di scusarvi di nulla."

Yui scosse la testa, un sorriso tristissimo sulle labbra. "Daichi non ha scelto me."

"Temo di non comprendere," disse Koushi. 

"Conosci quella storia sui corvi?" Domandò Yui. "Quella secondo cui un corvo, una volta trovato un compagno, gli rimane accanto per tutta la vita?"

Koushi sentì un nodo stringergli la gola. "Sì..." Mormorò. "La conosco molto bene." Lei prese un altro respiro profondo. "Daichi è pronto a sposarmi per paura delle conseguenze che potrebbero esserci sul Regno e sulla sua gente, se si rifiuta. Sta mettendo Karasuno prima di se stesso."

"Sarà un grande Re."

"Non con me," concluse Yui. "Con me sarà solo troppo triste per brillare come potrebbe."

Koushi non seppe come replicare, così rimase in silenzio. Gli occhi dorati fissi in quelli scuri della giovane dal cuore spezzato, esattamente come il suo.

Non c'era modo per quella storia di finire senza che qualcuno si facesse male.

"Daichi ha scelto, Koushi," Yui si fece più vicina e gli appoggiò la mano sulla spalla. "Ha scelto te."

 

 



 

***



 

Daichi si era ripromesso di non tornarvi più ma non ce l'aveva fatta.

Ad un passo dalla decisione peggiore della sua vita, aveva sentito il bisogno di rifugiarsi in un luogo sicuro, in sola compagnia di se stesso. Il cielo era limpido e, disteso sulla cima di quella torre nel bel mezzo del nulla, il Principe poteva vedere ogni stella del firmamento.

Era uno spettacolo bellissimo ma non era sufficiente a colmare il vuoto che sentiva dentro.

Era come un condannato a morte, ma la sua strada per il patibolo sarebbe stata molto più lunga del normale e così la sua agonia. Non avrebbe mai fatto del male a Yui più di quanto non gliene aveva già fatto e questo significava una vita senza Koushi. Una vita in cui l'Arciere sarebbe sempre stato ad un passo da lui, senza che avesse la possibilità di toccarlo.

Ukai gli aveva detto che sarebbe passata, che era un ragazzino e che la vita aveva tanto da dargli. Daichi aveva provato ad immaginare il suo futuro così. Aveva provato a vedersi accanto a Yui, mentre diveniva uomo. Aveva provato a dipingersi con un figlio loro in braccio e quello era stato il colpo di grazia. Il bambino aveva sempre gli occhi dorati. Sempre.

Perché era così che si era sempre immaginato il figlio suo e di Koushi. A volte i capelli erano scuri, a volte grigiastri, ma gli occhi erano sempre quelli del suo Arciere.

Si coprì il viso con un braccio, cercando d'ingoiare l'angoscia e la rabbia: doveva tornare, doveva prendersi le sue responsabilità e divenire un adulto.

Si alzò in piedi e scese le scale con passo strascicato e lo sguardo basso. Arrivato al cortile, si rese conto di non essere da solo.

Per un istante, pensò di aver completamente perso il lume della ragione.

Ma il fanciullo dai capelli grigiastri gli sorrise e decise che, se quella era un'illusione, non aveva alcuna voglia di svegliarsi. Esaurì la distanza tra loro velocemente e lo strinse tra le braccia, temendo di vederlo sparire da un momento all’altro.

"Che cosa ci fai qui?" Domandò Daichi, tra quei capelli morbidi.

"Mi manda Yui," confessò Koushi.

Il Principe si staccò da lui solo per fissarlo confuso. 

"Mi ha detto di correre da te. Mi ha detto di dirti che ti vuole bene e che si scusa per tutto... Le ho detto che non aveva nessun motivo per scusarsi e lei mi ha chiesto di prendermi cura di te, di dirti che non hai nulla da temere e che penserà lei ad ogni cosa."

"Che cosa vuol dire?" Domandò Daichi.

"Non lo so," ammise Koushi. "Sono corso da te più veloce che potevo e quando Hayato mi ha detto che avevi lasciato il castello, io sapevo che-" 

Il Principe gli prese il viso tra le mani. "Certo che lo sapevi. Sei l'unico che poteva saperlo."

Dopo giorni di agonia, le loro labbra s'incontrarono in un bacio che sapeva di speranza e di vittoria.

"Che cosa facciamo?" Domandò Koushi, appoggiando la fronte a quella del Principe.

"Non lo so..." Ammise Daichi. "Non possiamo tornare al Nido dei Corvi."

"No..."

"Andiamocene," propose il Principe.

"Dove?"

"Verso il mare. Non ho mai visto il mare."

"Nemmeno io, ma..."

"Il mondo ci ha divisi per troppo tempo," lo interruppe Daichi, accarezzandogli una guancia. "Al nostro ritorno sarà ancora qui ed allora saremo abbastanza forti per affrontare ogni cosa ma... Ora..." Il principe prese la mano dell'Arciere nella sua. "Ti fidi di me?"

Koushi non aveva bisogno di pensarci. "Sì..."

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Capitolo 6
*** Di fortuna e destino ***


5
Di fortuna e destino




Tooru sapeva di essere bello.

Era stata una sua arma ed un suo punto di forza fin da bambino per ottenere qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Nessuno si era sorpreso particolarmente nel vederlo divenire il più bel fanciullo della corte di Seijou, sebbene fosse stato impossibile non incantarsi a guardarlo mentre cambiava gradualmente nel corso delle stagioni. Non c'era nulla di strano se le fanciulle cadevano ai suoi piedi ed anche i Principi e giovani Re più potenti accettavano di presentarsi al suo cospetto come possibili consorti.

Quello che nessuno si era aspettato era che, tra tutto quello che Tooru, Principe di Seijou, avrebbe potuto pretendere ed ottenere, scegliesse di rinunciare ad ogni gloriosa possibilità per qualcosa che, in fin dei conti, era stato suo fin dal principio.

Che parlassero, che mormorassero, che si ponessero domande e lo giudicassero come il peggiore dei folli. A Tooru non importava niente: non aveva bisogno di un consorte con una storia gloriosa alle spalle, poteva essere grande benissimo senza. Ma non da solo... Mai da solo...

Semplicemente, aveva scelto qualcuno che fosse al suo fianco e non lo volesse due passi indietro, nell'ombra.

Da bambini, i paragoni tra lui e Hajime erano stati impossibili da evitare e Tooru li aveva vinti tutti per una lunga serie di ragioni che non erano sempre così buone o realistiche. Nessuno perdeva tempo a dare credito ad un bambino umano senza valore, comprato dalle campagne del Regno per puro caso. Quel caso, però, a Tooru aveva salvato la vita e finchè Hajime rimaneva suo sarebbe andato tutto bene.

Poi, però, erano cresciuti e gli occhi che guardavano al Principe con sincero incanto erano ancora lì ma lui non era più l'unica cosa ad attirare la loro attenzione. Il bambino umano si era dimostrato un ottimo guerriero, un Cavaliere e si era improvvisamente trasformato nel ragazzo di cui tutte le giovani della servitù mormoravano con fin troppa eccitazione. Tooru le aveva odiate... Le aveva odiate tutte... Piccole ipocrite che, alla fine, ponevano attenzione a qualcosa che era suo e suo e basta.

Hajime, forse, non aveva la sua grazia o i suoi lineamenti delicati. Hajime, forse, non aveva nessun titolo e non era un Demone ma Tooru non ci avrebbe rinunciato per nessuna ragione al mondo.

Il rumore del mare erano l'unico suono che si potesse udire in quella notte d'estate, oltre ai loro sospiri di piacere.

Alle volte, in quei momenti, Tooru pensava a tutte le bocche maligne che avevano giudicato il suo Cavaliere nel peggiore dei modi per le sue umili origini o per la sua natura umana. Li avrebbe volentieri sfidati a guardarlo ora, il suo Hajime, mentre gli dava piacere come il migliore degli amanti. Bello e forte come nessuno avrebbe mai creduto che sarebbe diventato.

"Tooru..."

Il Principe sorrise appena e si aggrappò ancora a quelle spalle che gli avevano sempre dato l'impressione di poterlo sorreggere in qualunque occasione, insieme a tutte le responsabilità del suo ruolo. Hajime gli baciò una guancia, fece intrecciare le loro dita mentre si muoveva in quel modo che, il Cavaliere lo sapeva bene, lo faceva impazzire. E Tooru si chiese come aveva pensato di poter vivere senza tutto quello, senza un compagno che lo facesse sentire Re senza bisogno di troni o corone dorate.

Se fosse stato più ragionevole al momento opportuno, se avesse detto sì quando Wakatoshi gli aveva fatto la proposta di una vita, a quest'ora si sarebbe ritrovato in un castello dalle alte torri bianche con tutto il mondo ai suoi piedi ed un Re che avrebbe potuto regalarglielo senza battere ciglio.

"Hajime... Hajime!"

Il Cavaliere lo baciò ed il Principe lo strinse forte a sè mentre il momento raggiungeva il suo apice. "Tooru..." Lo chiamò Hajime, passandogli una mano tra i capelli. Lui aprì appena gli occhi e sorrise nel vedere le iridi verdi tinte di una leggera sfumatura di preoccupazione. Era sempre così e Tooru gli sorrideva ogni volta. "E' stato bellissimo, Iwa-chan."

 
***



Koushi non aveva mai compiuto gesti particolarmente folli.

Eppure, era stato un ribelle per tutta la vita.

Lo era stato quando aveva continuato a prendere in mano l'arco di suo padre, nonostante gli ripetessero di continuo che non aveva alcun talento. Lo era stato nel tenere la testa alta anche quando gli ricordavano che era figlio di un Omega e che portava addosso tutti i segni giusti per riscoprirsi come uno di loro a sua volta. Lo era stato quando, senza l'appoggio di una famiglia privilegiata o di un titolo che gli garantisse sicurezza, era tornato a corte per divenire un Arciere.

Sì, Koushi era un ribelle insospettabile ed altrettanto insospettabile era stata la follia che gli aveva cambiato la vita: aveva osato tanto da guardare il Principe del Regno di Karasuno negli occhi e non aveva più abbassato lo sguardo.

Solo di una cosa si vergognava. Una...

Non di essersi concesso all'unico giovane che non avrebbe mai dovuto desiderare, non di essersi gettato anima e corpo in una storia che, lo sapevano tutti, non avrebbe mai potuto lasciarlo illeso. No, quello che Koushi non si perdonava era di non aver fatto nulla quando il mondo si era messo tra lui e Daichi ed il suo Principe, da degno erede al trono quale era, aveva messo i propri doveri davanti ai suoi sentimenti personali.

Sebbene la ragione continuasse a ripetergli che farsi da parte era stata la cosa più giusta per la maggioranza, il suo cuore non riusciva a dargli pace. Alla fine, se Daichi era ancora accanto a lui era solo per pura fortuna e Koushi non era certo di poterlo accettare.

Il cielo era limpido e c'era qualcosa di poetico nel potersi amare sotto le stelle come due ragazzi senza titoli o storie complicate alle spalle. Daichi non gli chiese niente di più di quello che gli aveva già concesso e Koushi decise di assecondarlo.

Andava bene anche così. Era bello accarezzarsi e studiare con più attenzione i dettagli dei loro corpi privi di barriere. Il desiderio poteva essere una forza dettata dall'istinto ma l'essere amanti era una cosa ben diversa: richiedeva attenzione, cura e tanta pazienza.

Erano forti nel brandire il sentimento che li univa ma erano comunque molto giovani ed il timore faceva ancora la sua parte nei loro momenti d'intimità, insieme ad una grossa fetta d'insicurezza sul loro futuro.  Ogni notte, dopo aver raggiunto il piacere, Koushi guardava il suo Principe dormire accanto a lui e si chiedeva, con un nodo in gola, quanto sarebbe potuta durare una simile benedizione.

Poi Daichi apriva gli occhi, gli rivolgeva quel sorriso meraviglioso e Koushi non poteva evitare di sentirsi ancora una volta al sicuro.

"Buongiorno..." Gli passò una mano tra i capelli sporgendosi in avanti per baciargli le labbra.

"Buongiorno," rispose Koushi, sollevandosi sui gomiti per guardarlo meglio.

Daichi si stiracchiò. "Coraggio, non deve mancare molto alla costa..."

Koushi annuì e si mise a sedere per recuperare i suoi vestiti. "Posso farti una domanda?"

Il Principe sollevò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi, poi annuì.

"Che cosa faremo una volta arrivati?"

Daichi lo guardò ma Koushi fissava il terreno. "Voglio dire, non abbiamo molte cose con noi e..."

"Qualcosa troveremo," lo rassicurò il suo Principe. "Potrei anche mettermi a fare il pescatore per un po'."

Koushi lo guardò allibito, poi scoppiò a ridere.

"Ehi, così mi offendi!" Esclamò il Principe.

"Io potrei andare a caccia," aggiunse Koushi alzandosi in piedi per infilarsi i pantaloni. "Potremmo costruire una casa in riva al mare. Che ne pensi?" I sogni erano senza prezzo, dopotutto.

Daichi non smise di sorridere ma il suo sguardo si fece improvvisamente solenne. "Potremmo crescere i nostri figli in riva al mare," propose, come se quella fantasia potesse tramutarsi in realtà. "Io potrei insegnare loro a pescare e tu a cacciare."

Koushi non sorrideva più. Le guance si erano tinte di una leggera sfumatura di rosso ed una smorfia nervosa era comparsa sul suo viso. "Non abbiamo neanche fatto l'amore, mi sembra prematuro parlare di bambini. Non credi?" Recuperò il suo mantello da terra e si diresse verso i cavalli che avevano legato poco distante dal loro accampamento accidentato.

"Sono serio, Koushi..."

L'Arciere si bloccò fissando il vuoto con occhi sgranati.

"Magari non sulla casa al mare," aggiunse Daichi, mentre l'altro lo guardava da sopra la spalla. "Non posso smettere di essere ciò che sono."

"Non te lo chiederei mai..." Mormorò Koushi.

"Ma c'è una cosa che voglio chiederti io," Daichi esaurì la distanza tra loro e prese nelle sue la mano dell'Arciere. "Un giorno, quando il momento verrà... Quando sarò Re ed il Regno di Karasuno avrà bisogno di un Principe... O di una Principessa," rise nervoso. "Io vorrei che il mio erede avesse i tuoi occhi. Non sai quanto lo desidero, Koushi."

L'Arciere rimase senza parole. Un'altra promessa per la vita da parte di un futuro Re. Un'altra condanna a morte per il suo cuore? Non era certo di essere abbastanza forte per quello.

Sottrasse la sua mano dalla stretta di quelle di Daichi e forzò un sorriso fissando la punta dei suoi stivali. "Non posso dare alla luce gli eredi di un trono," gli ricordò con umiltà. "Non sono nessuno... Anzi, sono un..."

Daichi gli premette un indice contro le labbra. "Dovrei smettere di farti promesse," disse con un sorriso malinconico. "Dovrei cominciare a far parlare i fatti. Concedimi del tempo, Koushi... Solo ancora un po' di tempo e userò tutto il potere che mi sarà concesso per rendere realtà le nostre speranze."

Koushi fece una smorfia. "I doveri prima dei sogni, mio Principe."

"Se funzionasse davvero così, adesso sarei al fianco di un'altra donna," gli ricordò Daichi. "Te l'ho già detto: non posso cambiare quello che sono. Posso essere migliore di quello che gli altri vogliono che io sia, però."

 
***



Tooru si svegliò con un sospiro, lasciando che i suoi sensi venissero investiti dall'odore dolce delle lenzuola. Allungò una gamba all'indietro alla ricerca del corpo caldo del Cavaliere che avrebbe dovuto giacere accanto a lui ma trovò solo uno spazio vuoto. Fece una smorfia contrariata, poi si sollevò su di un gomito sbirciando oltre la sua spalla, alla ricerca del ribelle che aveva osato allontanarsi dal suo letto senza permesso.

Forse, dal loro letto sarebbe stato più appropriato, dato che il Cavaliere una camera sua non ce l'aveva in quel piccolo castello sulla costa. Il Principe Demone aveva trovato del tutto inutile fargliene preparare una quando era ovvio che avrebbe passato ogni sua notte con lui. Uno dei vantaggi del condividere la stessa camera sarebbe dovuto essere proprio quello di non risvegliarsi da soli ma no, sembrava che Hajime avesse trovato qualcosa d'infinitamente interessante fuori dalla finestra. Molto più del suo meraviglioso amante, persino.

Tooru rimase a guardare le spalle larghe del Cavaliere con il broncio per un po'. La sua unica consolazione fu che non si era disturbato ad indossare nessun vestito ed il Principe seguì il suo esempio, mentre scivolava fuori dalle lenzuola e si avvicinava all'amante con passo felpato. Nascose un sorriso trionfante contro i capelli neri della nuca del Cavaliere, mentre Hajime sobbalzava nel sentirsi circondare la vita dalle sue braccia. "Mai abbassare la guardia con un Demone, mio Cavaliere," mormorò contro la pelle del suo collo, poi appoggiò il mento sulla spalla del giovane incrociando lo sguardo vagamente annoiato di due occhi verdi tutt'altro che gentili. Tooru, però, sorrise perchè sapeva bene cosa si nascondeva dietro a quell'eterna espressione da duro. "Speravo di svegliarmi accanto a te..."

Hajime si spostò di lato in modo da poter passare un braccio intorno alle spalle del Principe per tirarlo a sè. "Stai zitto e goditi l'alba..."

Tooru guardò il paesaggio all'esterno e sorrise nel vedere le sfumature brillanti del nuovo giorno che nasceva riflettersi sull'acqua di quel mare all'apparenza infinito. "Eravamo bambini l'ultima volta che siamo stati qui, ricordi?" Domandò il Principe appoggiando la nuca contro la spalla dell'altro. "Ti piaceva guardare le luci dell'alba e del tramonto riflettersi sull'acqua anche allora. Avrei dovuto capire quanto eri romantico da quell'estate."

Hajime sospirò. "Hai la bocca piena di sciocchezze fin dalla prima mattina?"

"Sarei stato lieto di occuparla in altro modo, se qualcuno si fosse fatto trovare a letto, a portata di mano e pronto a soddisfare con piacere ogni mio... Uhm!" Tooru si ritrovò con la schiena contro la tenda rossa a lato della finestra, la bocca di Hajime sulla sua e le sue mani possessive sui suoi fianchi. Fu un bacio passionale, intenso e Tooru sorrise: non aveva più così voglia di sentirsi contrariato.

Fecero l'amore ancora una volta e Hajime s'incantò ad osservare il suo Principe alle prime luci del giorno come se lo vedesse per la prima volta. C'era poco da fare, ormai gli aveva venduto l'anima ma era ancora troppo orgoglioso per poterlo ammettere a cuore aperto: Tooru era pericoloso e si sentiva in dovere di tenere alzata almeno una barricata di difesa per se stesso, mentre cercava di costruirne una ben più solida intorno al suo Principe.

"Se tutti gli esseri umani facessero l'amore come te, Iwa-chan, eliminare le leggi razziali dal Regno di Seijou sarebbe molto più facile," il Principe se ne stava sollevato sui gomiti giocherellando con i capelli ribelli del Cavaliere. Hajime era completamente rilassato tra i cuscini e lo guardava con un braccio piegato dietro la testa e l'altra mano occupata a solleticargli distrattamente un fianco. "Pensi davvero di farlo?" Domandò improvvisamente serio.

Tooru reclinò la testa da un lato e gli sorrise. "Certo, Iwa-chan... Non possiamo far nascere Tobio-chan in un Regno schiavista e bigotto. Dobbiamo cercare di migliorare il nostro mondo almeno un poco per lui!"

Tobio-chan... Tobio-chan... Tobio-chan...

La nuova ossessione di Tooru, Principe di Seijou.

Alle volte, capitava: Tooru si fissava con qualche idea assurda assolutamente priva di ogni fondamento e dava inizio ad un'impresa tutta personale per provare che fosse reale. Hajime ricordava con particolare orrore quando lo aveva costretto a dormire sulla cima della torre più alta del Castello Nero in pieno inverno: l'idiota si era convinto che vi fossero altri popoli e altri regni che vivevano sulle stelle e, se avessero fatto abbastanza attenzione, avrebbero potuto osservarli mentre gli altri osservavano loro.

Da quella fantasia, Tooru non era guarito mai del tutto ma, questa volta, sembrava una cosa completamente diversa. Tooru non parlava del bambino immaginario, a cui aveva dato il nome di suo padre, con il fare capriccioso con cui si lanciava in discorsi inverosimili e pretendeva che Hajime lo ascoltasse e gli desse ragione. No, Tooru pronunciare il nome Tobio e la luce nei suoi occhi cambiava drasticamente in qualcosa che Hajime poteva ricollegare solo alla speranza.

Il Cavaliere non era certo di sapere dove finisse il gioco e dove cominciasse la più pura ed ingenua convinzione, a quel punto della storia e, non con poca angoscia, si chiedeva se fosse possibile che a Tooru fosse sfuggito un particolare impossibile nel già poco realistico per sempre che si era scambiati.





"È possibile! È possibile!"

Bastarono quelle parole da parte di Issei, seguite da un cenno d'assenso da parte di Takahiro per sottolineare il concetto ed anche le più elementari certezze di Hajime Iwaizumi crollarono come un castello di carte colpito da un soffio di vento.

Erano sulla spiaggia con gli orli dei pantaloni tirati fino alle ginocchia e le maniche delle camicie arrotolate all'altezza dei gomiti, occupati a cercare di acchiappare qualche pesce con quei pochi strumenti che avevano recuperato dal sotterraneo del castello e praticamente nessuna esperienza nel campo.

L'idea di andarsene un po' dalla corte era stata di Tooru: l'esperienza col Principe dell'Aquila aveva reso urgente la necessità di cambiare aria. In più, quella sarebbe stata la sua ultima estate da Principe e nessuno poteva dire quando avrebbe avuto occasione di fare un viaggio di piacere, una volta che le responsabilità del Regno di Seijou sarebbero ricadute completamente su di lui. Tutto questo, oltre al fatto che sia Tooru che Hajime avevano un gran bisogno di passare del tempo insieme, lontano da tutto e tutti, aveva convinto il Principe a prendere con sè pochi Cavalieri e servitori per trasferirsi al piccolo castello sulla costa di proprietà della famiglia reale.

"Come sarebbe a dire è possibile?" Domandò Hajime sconvolto.

"I Demoni non funzionano propriamente come gli esseri umani," spiegò Takahiro distrattamente, gli occhi fissi sulla canna da pesca tra le sue mani che proprio non ne voleva sapere di servire al suo scopo. "C'è un motivo per cui nel Regno di Seijou detengono il potere ritenendosi superiori."

"Tooru non ti ha detto nulla?" Domandò Issei con fare lontanamente confuso accomodandosi su uno degli scogli più bassi davanti a cui stavano cercando di pescare.

Hajime fece lo stesso, ormai arresosi all'idea che la pesca non faceva per lui e ben più interessato al discorso che era appena saltato fuori. "Non credo di aver compreso bene cosa avrebbe dovuto dirmi."

"Non è una fantasia..." Rispose Takahiro sollevando il filo della canna per controllare se, per puro sbaglio, un pesce si fosse impigliato nell'amo. Lo ributtò in acqua con un sospiro frustrato.

Issei incrociò le braccia contro il petto ed annuì. "Tooru è l'ultimo erede di una delle famiglie di Demoni più antiche ancora in circolazione. C'è del potere nel suo sangue, su questo non ci piove."

"Che genere di potere?" Hajime ci capiva sempre meno.

"Siete cresciuti praticamente attaccati l'uno all'altro e ti sei perso i dettagli basilari?"

"Basta ciarlare e siate chiari!"

"In mancanza di soluzioni migliori, un Demone abbastanza potente può dare alla luce un bambino, se necessario," rispose Takahiro continuando a giocherellare con la sua canna da pesca. "Qualcosa che ha a che fare con la magia nera che hanno nel sangue o qualcosa del genere... Nessuno di noi è completamente informato sull'argomento, Hajime. Quale ragazzo vorrebbe andare incontro ad un destino simile, del resto?"

"Drammatico..." Commentò Issei.

"Sono il maggiore di una lunga lista di fratelli, so quello che dico," replicò Takahiro.

Da parte sua, Hajime si era fatto silenzioso di colpo, gli occhi fissi sull'immensa distesa d'acqua davanti a loro. Issei si sporse in avanti per dare un'occhiata alla sua espressione. "L'abbiamo traumatizzato, Takahiro."

L'altro scrollò le spalle. "Meglio noi che il Principe con qualche annuncio ufficiale di un erede in arrivo. Quello si che sarebbe difficile da superare!"

Hajime fece un gesto scocciato con la mano. "E piantatela!"

"Non c'è nulla di male ad essere un attimo sconvolti, Hajime," lo rassicurò Issei afferrandogli una spalla. "Magari, Tooru ha dato per scontato che lo sapessi..."

"E come dargli torto..." Intervenne Takahiro.

"Ora, l'idiota sarei io?!"

Hajime era arrabbiato, non c'era modo di nasconderlo. Doveva forse credere che, sì, Tooru non gli aveva fatto nessun discorso articolato perchè aveva dato per scontato che lui sapesse? Anche se fosse stato così, avrebbero dovuto parlarne! Possibile che quell'altro fosse tanto folle da...?

Pensò a Tooru, pensò alla luce nei suoi occhi mentre fantasticava su Tobio. Pensò che il suo Principe aveva dato al loro bambino il nome di suo padre senza esitare. Hajime non si era mai fermato ad immaginarsi come genitore: era oggettivamente troppo giovane ed insicuro per prendersi cura di un'altra persona. Tooru non contava, l'aveva trovato che era già abbastanza grande per essere preso a calci, se necessario.

Un figlio era una faccenda completamente diversa ed infinitamente più grande.

Hajime era stato pronto a sfidare la legge e la sorte per essere degno di restare al fianco di Tooru. Era divenuto Cavaliere quando nessuno gli avrebbe mai dato una sola speranza di vittoria ed aveva spaccato la faccia al Principe dell'Aquila come se ne avesse il diritto, dopo quello che aveva fatto al suo Demone. Non si credeva un debole, un codardo e se le sfide non avessero fatto per lui, avrebbe abbandonato Tooru al suo destino già da parecchio tempo. Stringere tra le braccia una creatura completamente indifesa, però, non era una sfida ma una missione di vita.

"Dobbiamo cercare di rendere il mondo un poco migliore per lui."       

Hajime sospirò e rilassò le spalle. Il mondo non era pronto ad un altro Principe di Seijou e nemmeno lui. Allora perchè l'immagine di un bambino tutto riccioli, grandi occhi marroni e sorrisi più splendenti del sole diveniva più nitida minuto dopo minuto?

Si alzò dallo scoglio su cui si era seduto e se ne andò senza aggiungere una parola.

Takahiro allontanò la sua attenzione dalla canna da pesca per guardare Issei. "È davvero possibile? Voglio dire... Un Demone ed un Umano?" Domandò il primo.

L'altro scrollò le spalle. "Chi può dirlo?"

 
***



Koushi tese l'arco lentamente, entrambi gli occhi ben aperti sulla lepre intenta a pulirsi il muso ad una decina di metri di distanza davanti a lui. Non si era minimamente accorta della sua presenza: sarebbe stato un colpo facile. Scoccò la freccia mirando dritto alla gola dell'animale. La lepre abbassò la testa appena in tempo per evitare il colpo ma bastò quell'errore perchè l'animale si accorgesse della sua presenza e realizzasse la minaccia che rappresentava. Era già sparita tra i cespugli prima che l'Arciere avesse il tempo d'incoccare un'altra freccia.

Abbassò l'arco con un sospiro frustrato. "Maledizione..." Imprecò a bassa voce.

"Non essere così severo con te stesso," replicò una voce alle sue spalle.

Koushi sobbalzò. Si voltò, l'arco teso ed il cuore in gola.

Il giovane sconosciuto sgranò i grandi occhi marroni ed alzò entrambe le mani in segno di resa. "Tranquillo, non ho nessuna intenzione malevola nei tuoi confronti," sollevò l'arco che stringeva nella mano destra. "Vedi? Sono un cacciatore anche io!"

Koushi prese un respiro profondo e si calmò. "Perdonami," disse rimettendo la freccia al suo posto. "Mi hai preso di sorpresa."

L'altro gli sorrise amichevolmente. "Era un bel colpo," commentò con sincerità.

"Ti ringrazio," rispose Koushi educatamente. "Vivi in questa foresta?"

L'altro scrollò le spalle. "Solo fino al prossimo autunno."

"Sei un nobile."

"Come te," replicò lo sconosciuto.

Koushi lo fissò incuriosito. "E da cosa l'hai capito?" Domandò. "Viaggio da giorni in condizioni particolarmente scomode, non posso avere un aspetto così raffinato."

Lo sconosciuto scrollò di nuovo le spalle. "I nobili si riconoscono tutti tra loro, credo." Ebbe appena il tempo di finire di parlare che tese l'arco puntandolo verso il cielo. Una frazione di secondo e Koushi sentì qualcosa cadere alle sue spalle. "Ecco fatto!" Esclamò il giovane nobile superandolo per andare a recuperare la sua preda.

Koushi lo seguì con lo sguardo, gli occhi sgranati. Come aveva fatto a tirare un colpo tanto preciso? Era certo che quel volatile non avesse emesso il minimo rumore. Fece per complimentarsi quando il giovane appoggiò un ginocchio a terra e Koushi vide tra i suoi capelli un particolare a cui non aveva fatto ancora caso.

"Oh! Che sfortuna!" Si lamentò il ragazzo estraendo la freccia dal  piccolo cadavere nero riverso sull'erba. "È un corvo."

Koushi sentì una sensazione spiacevole all'altezza dello stomaco.

"Tu dove risiedi, signor nobile?" Domandò il Demone riponendo la freccia nella faretra sulla sua schiena. Qualcosa doveva essere cambiato di colpo sul viso di Koushi perchè l'altro lo guardò improvvisamente in modo diverso. "Di sicuro non sei del Regno di Seijou o dintorni," si rispose, poi indicò le corna scure tra i capelli castani. "Ti spaventano queste, vero?"

"Perdonami," Koushi si sforzò di apparire il più rilassato possibile.

"Da dove vieni?" Non c'era nulla di minaccioso in quella domanda, eppure l'Arciere non riuscì a rispondere sinceramente. Quel giovane era un Demone, un nobile ed aveva parlato del Regno di Seijou con una tale naturalezza che era facile intuire che fosse il suo luogo di origine. Il nemico storico del Regno di Karasuno.

"Come ti chiami?" Domandò il giovane Demone con un sorriso che Koushi non seppe come interpretare ma gli faceva venire i brividi freddi lungo la schiena.

"Koushi!"

L'Arciere sentì il sangue gelarsi nelle vene nell'udire la voce di Daichi.

"Koushi?"

Si faceva più vicino e, per un momento, ebbe l'istinto di voltarsi e gridare a squarciagola di non avvicinarsi, di correre il più lontano possibile senza voltarsi per nessuna ragione al mondo. "Koushi?" Riprese a respirare come una mano si appoggiò sulla sua spalla.

Il Demone sorrise ancor di più. "Bene, bene, bene..." Si avvicinò come se non temesse nulla da loro. Daichi si portò immediatamente davanti al suo Arciere, una mano stretta intorno all'elsa della spada. L'altro sbuffò. "Suvvia, non c'è bisogno di essere così aggressivi!" Esclamò con un gran sorriso. "Io ho delle corna in testa come i Demoni di Seijou e voi indossate un mantello nero come i signori di Karasuno ma non ricordo di avervi fatto nessun  torto nè tanto meno voi a me."

Daichi fu sorpreso da una simile affermazione ma rilassò comunque il braccio lungo il fianco. "Mi trovate d'accordo, chiunque voi siate."

"Tooru," rispose il Demone porgendo la mano destra all'erede al trono di Karasuno. "Principe di Seijou. Temo che siate finiti nei miei territori senza volerlo."

Koushi sgranò gli occhi dorati e strinse le dita intorno all'arco con più forza, come se temesse un attacco a sorpresa da quell'Arciere assolutamente impeccabile. Tooru lo guardò e continuò a sorridere amichevolmente. "E penso proprio di sapere chi siete voi, mio Principe," aggiunse rivolgendosi a Daichi.

Questi non lo negò nè lo confermò.

"Perdonatemi, non ricordo il vostro nome," si scusò il Demone. "Però corre voce che l'erede al trono di Karasuno sia scomparso la sera del ricevimento per il suo fidanzamento ufficiale con la seconda erede più potente del suo regno."

Daichi continuò a rimanere in silenzio.

"Avete attirato l'attenzione di molti, lo sapete?" Continuò Tooru con fare rilassato, "peccato che i pettegolezzi non dicessero nulla riguardo alla ragione della vostra fuga ma lasciate che vi dica che," lanciò un'occhiata al giovane Arciere alle spalle del Principe e Koushi trattenne il respiro per la tensione, "nessuna delle ipotesi che girano per le corti è lontanamente interessante come la realtà dei fatti, nel vostro caso. Complimenti, è una cosa rara!"

"Vi chiedo perdono per aver sconfinato nelle vostre terre, Principe Tooru," disse Daichi con fredda cortesia. "Come voi stesso avete sottolineato, si è trattato solamente di un errore senza nessun significato nascosto."

Tooru annuì. "Vi credo ma temo di non potervi lasciare andare."

Daichi strinse le labbra, tutti i muscoli del corpo tesi, pronti a reagire in caso di attacco ma il Principe Demone continuò a sorridere loro in modo amichevole, sebbene fosse impossibile determinare quanto fosse sincero. "Che Principe sarei se non trattassi un mio pari come un ospite d'onore?" Disse Tooru, poi guardò Koushi ancora una volta. "Inoltre, il vostro Arciere ha un gran talento. Mi piacerebbe poter giocare un po' con lui, se me lo concederete."

 
***



Koushi si strinse le ginocchia al petto osservando Daichi mentre si spogliava per raggiungerlo all'interno della vasca. Nonostante la tensione, l'acqua calda sulla pelle gli parve una benedizione, dopo giorni e giorni di viaggio. "Stai bene?" Domandò il Principe sedendosi sul lato opposto della vasca ed allungando una mano per sfiorargli un ginocchio.

Koushi sospirò. "Ci hanno dato una sola camera," gli fece notare con le guance rosse.

"Meglio così," commentò Daichi con serietà. "Non avrei sopportato di non averti sotto gli occhi per tutto il tempo in questa situazione."

"Che cosa vuole il Principe Demone da noi?" Si chiese l'Arciere guardando l'erede al trono di Karasuno negli occhi.

Daichi scosse la testa. "Non lo so ma non tenterà nessuna follia, non può."

"Come fai a dirlo?"

"Non ha una giustificazione politicamente valida per farci del male, passerebbe come crimine agli occhi degli altri sovrani ed il suo Regno sarebbe condannato ancor prima di cominciare."

Koushi annuì, sebbene non ci fosse nulla capace di fermare il suo cuore agitato.

"Ehi..." Daichi si sporse in avanti prendendogli il viso tra le mani. "Non permetterò mai a nessuno di farti del male."

Koushi scosse la testa. "Non avrei dovuto spingerti a lasciare il castello."

"Tu non mi hai spinto a fare niente."

"Se ti dovesse accadere qualcosa..."

"Non accadrà nulla, Koushi," Daichi posò un bacio sulla fronte dell'altro. "Fin tanto che siamo insieme, andrà tutto bene."

 
***



Hajime rivide Tooru solo nel tardo pomeriggio.

Lo cercò nella loro stanza e lo trovò nella sala da bagno adiacente con la testa appoggiata contro il bordo della vasca di marmo, gli occhi chiusi, l'espressione rilassata. Il Cavaliere si fece più vicino e gli sfiorò le corna con la punta delle dita. Il Principe si destò dal suo torpore e, dopo un istante di confusione, gli sorrise. "Bentornato, Iwa-chan," gli disse. "Deve essere stata intensa questa sessione di pesca, sta calando il sole..."

"Me ne sono andato dalla spiaggia ore fa."

Tooru smise di sorridere. "E dove sei stato?"

"Qui intorno..."

"È successo qualcosa?"

"Ho bisogno di parlarti."

Il Principe annuì raggomitolandosi su di un lato della vasca. "Ti va di farmi compagnia, mentre parliamo?"

Hajime sospirò frustrato: l'aveva chiesto come se avesse avuto la possibilità di dirgli di no ma sapeva che, se si fosse rifiutato, il suo Principe avrebbe piantato una scenata secolare per convincerlo a desistere. Decise di volersi bene e di risparmiarsela. Si sfilò gli stivali con cura e gettò il resto dei vestiti sul pavimento con poca grazia.

"Sei un bruto, Iwa-chan," commentò Tooru ma sorrideva nel guardarlo spogliarsi con disinvoltura davanti a lui.

"Vuoi annegare nella vasca?" Domandò il Cavaliere sollevando una gamba oltre il bordo di marmo. L'altro mise su un broncio che di sincero aveva ben poco. Di fatto, scivolò via da quel viso perfetto nel momento in cui Hajime fu a portata delle sue mani. "Vieni qui."

Lo tirò verso di sè ed il Cavaliere finì per ritrovarsi sopra al suo Principe, le sue braccia intorno al collo e la bella bocca sulla sua. Hajime ricambiò il bacio distrattamente e Tooru se ne accorse subito. "Che cosa c'è?" Domandò contro le sue labbra.

"Niente..."

"Non puoi rispondere niente con quella brutta faccia."

"Ci sono nato con questa faccia."

Tooru si mise a sedere e Hajime con lui. Il Principe prese a passare la punta dell'indice contro il suo petto fissandone il percorso con sguardo contrariato: doveva aver progettato per altro genere di bagno ed il Cavaliere si rese conto di avergli rovinato i piani. "Di che cosa volevi parlare?" Gli concesse sua grazia con tono scocciato.

Hajime si sforzò d'ignorarlo e di porre tutta la sua attenzione sulla questione d'affrontare. "Del bambino..." Rispose.

Gli occhi marroni di Tooru furono immediatamente su di lui. "Il bambino?"

"Quello che insisti a chiamare col nome di mio padre," chiarì il Cavaliere. "Penso che mi sia sfuggito qualcosa..."

Tooru ridacchiò e baciò una guancia del suo Cavaliere con allegria allacciando di nuovo le braccia intorno al suo collo. "Quanto sei dolce, Iwa-chan! Mi spiace, mio Cavaliere, ma temo che dovre.mo avere ancora un po' di pazienza. Tobio-chan sarà un Principe ed i Principi si fanno aspettare, lo sai."

"Tooru," Hajime afferrò i polsi e tenne le sue mani lontano da sè, "sii serio."

Ed il Principe lo divenne di colpo. "Va tutto bene, Iwa-chan?"

"No... Cioè, sì... Cioè..." Il Cavaliere si passò una mano tra i capelli neri imprecando a bassa voce. "Tooru, tu non mi hai detto niente."

"Riguardo cosa?"

Hajime fece per riaprire bocca. "Riguardo al bambino, alla possibilità di averlo, al... Non mi hai mai detto di volere un figlio."

Tooru fece una smorfia. "Sarò Re da quest'inverno. Era ovvio fin dal principio che ci sarebbe dovuto essere un erede, prima o poi."

"Sì, ma..." Hajime si morse il labbro inferiore. Sì, era vero: presto o tardi il Regno di Seijou avrebbe avuto bisogno di un altro Principe e sarebbe dovuto essere Tooru il padre ma non si era mai posto domande in merito. Si era fatto problemi riguardo al fatto che Hajime non aveva nulla, mentre Tooru poteva avere tutto. Aveva riflettuto sulla sua umile natura umana e sul fatto che l'altro fosse nato sia Principe che Demone ma non aveva mai pensato oltre.

Tooru sì. Tooru aveva pensato ad ogni cosa e l'aveva scelto come compagno anche con questa consapevolezza e Hajime non sapeva se amarlo di più oppure odiarlo per questo.

Il Principe si fece indietro e premette la schiena contro il bordo della vasca. Un'insicurezza improvvisa aveva oscurato il suo volto. "Non lo vuoi?"

"Non ho detto questo," replicò il Cavaliere.

"Allora cosa?"

"Dovevi parlarmene!" Esclamò Hajime. "Non sapevo nulla..."

Tooru fece una smorfia. "Sapevo che non eri bravo ad usare la testa, Iwa-chan..."

"Ehi..."

"Ma pensavo che ti fossi posto delle domande e dato delle risposte nel vedere che tra i possibili pretendenti alla mia mano vi erano altri Principi. Tetsuro, il Re dell'Aquila..."

"Perdonami, se ero troppo impegnato a cercare di scendere a patti col fatto che ti amavo, mentre tu passavi le tue giornate a sedurre un altro, per pormi quesiti esistenziali tanto complessi!" Esclamò irato il Cavaliere, poi si sollevò ed uscì dalla vasca.

Non andò lontano. Si fermò davanti alla finestra che dava sul mare ed appoggiò un avambraccio al muro guardando distrattamene le luci del tramonto che si riflettevano sull'acqua. Sentì Tooru che si alzava e si avvicinava per aggrapparsi alle sue spalle.

Hajime lo lasciò fare. Sembrava una replica perfetta della scena che avevano vissuto quella mattina ma non avrebbero potuto chiudere il discorso facendo l'amore e far finta che non fosse successo niente. Possibile che non potessero fare a meno di ferirsi con qualche parola non ragionata?

"Non credevo che ti avrebbe sconvolto tanto," ammise Tooru appoggiando le labbra contro la spalla destra del Cavaliere.

Hajime lo guardò con la coda dell'occhio. "Siamo dei ragazzini, Tooru..."

"No," replicò il Principe con quel tono malinconico che il Cavaliere non riusciva proprio a sopportare: era la voce del lato fragile e spaventato di Tooru e, sebbene Hajime fosse completamente consapevole della sua esistenza, si sarebbe preso a calci da solo quando risaliva a galla per colpa sua. "Non siamo più ragazzini. Forse, abbiamo visto troppi pochi inverni per essere definiti adulti ma io ho rinunciato al trono più forte dei Regni liberi per te

e tu ne hai preso a pugni il Re a testa alta e senza temere le conseguenze."

"Quanto suono idiota se ti confesso che nessuno di questi eventi mi ha sconvolto quanto sapere che abbiamo la possibilità di concepire un bambino nostro?" Domandò Hajime con voce notevolmente più gentile rispetto a quella che aveva usato pochi istanti prima.

Tooru gli circondò la vita con le braccia ed appoggiò una guancia contro la sua schiena. "Sarebbe potuto essere suo figlio," disse con estrema serietà e Hajime voltò appena il viso per cercare il suo sguardo: non ci riuscì. Tooru si stava nascondendo da lui e poteva anche intuire il perchè: un figlio del Principe Demone e del Re dell'Aquila.

Sarebbe potuto essere il bambino più potente del mondo conosciuto ma a che prezzo?

"Sì, è vero, cercavo di sedurlo. Cercavo di ottenere un qualche tipo di potere su di lui e meno ci riuscivo, più avevo paura di fare la stessa fine di mia madre. Non dico che sia stato facile per te ma cerca di comprendere come è stato per me."

Tooru si staccò da lui. Hajime si voltò e gli afferrò una mano.

Il Principe lo guardò con quello sguardo ferito che non aveva mai rivolto a nessun altro e per cui Hajime si sentiva morire un poco ogni volta: ogni espressione così era una sconfitta per lui prima come amico, poi come Cavaliere ed, infine, come compagno di vita.

"Me lo sono immaginato, lo sai?"

Tooru non comprese. "Chi?"

"Tobio..."

Gli occhi del Principe si fecero grandi e luminosi e Hajime abbassò lo sguardo arrossendo come un'idiota. "Lo immagino identico a te, odio farlo e odio che immaginarlo identico a te mi piaccia."

Tooru rise, a Hajime parve il suono più bello del mondo. "Certo che lo immagini come me, Iwa-chan," gli disse abbracciandolo. "Non vogliamo mica che il nostro Tobio-chan abbia il tuo brutto muso!"

"Ehi..." Ringhiò il Cavaliere ma ricambiò l'abbraccio senza esitare.

 
***



"Sei bellissimo..."

Koushi sentì le labbra di Daichi sul retro del collo, mentre tentava di sistemarsi il mantello nero su di una sola spalla, come era usanza fare.

"Il nero ti dona, è semplicemente destino che tu lo indossi."

Koushi sorrise un po' imbarazzato ed un po' lusingato. "Smettila..." Mormorò ma, quando si rigirò tra le braccia che gli cingevano la vita ed incontrò il sorriso del suo Principe, c'era solo gratitudine nei suoi occhi dorati. Daichi aveva i capelli neri tirati all'indietro ed indossava un mantello identico al suo: il Principe Demone ci aveva tenuto particolarmente che entrambi indossassero colori che sottolineassero il loro luogo di provenienza. Se fosse una provocazione o un segno di rispetto, Koushi non era in grado di capirlo.

Sapeva solo che Daichi era perfetto, come ci si poteva aspettare solo da un futuro Re.

"Guardaci," gli disse il Principe, indicando lo specchio con un cenno del capo. Koushi si voltò e si vide con le mani posate sul petto del suo signore, quelle di lui sui suoi fianchi e gli occhi scuri che lo guardavano amorevolmente. Era sempre stato un tipo piuttosto umile e modesto, il giovane Arciere e non si era mai guardato allo specchio più a lungo del necessario ma questa volta la fece. Si vide al fianco del suo Principe, si vide avvolto in un ricco mantello di lucida stoffa nera ed immaginò quello come il suo posto nel mondo.

Per un momento, non ebbe importanza quanto fosse indegno, pensò solo che lo desiderava con tutta l'anima. Desiderò che quella fosse la sua vita.

"Andiamo, il Principe di Seijou ci starà aspettando," Daichi gli prese una mano e lo invitò gentilmente a seguirlo.

Lo sguardo di Koushi esitò ancora un istante sul suo riflesso nello specchio, prima di voltarsi.

 
***



Il Principe Tooru non era solo e questo sorprese e rassicurò Koushi nello stesso momento.

Il giovane dai capelli scuri sembrava altrettanto confuso dalla loro presenza ma non disse nulla per infomarsi sulla loro identità. "Spero vi siate messi comodi," disse il Principe Demone con un sorriso amichevole.

Daichi rispose con la stessa espressione. "Devo ringraziarvi, vostra altezza."

Tooru ridacchiò. "Apprezzo l'educazione ma siamo tutti ragazzi qui, diamoci pure del tu. Cosa ne pensi?"

"Con piacere," rispose Daichi spostando una delle quattro sedie intorno al tavolo per premettere a Koushi di accomodarsi.

"Un vero Cavaliere," commentò Tooru, mentre il giovane Arciere ringraziava con un sorriso timido ma grato. Guardò Hajime, "a te fanno male le mani?"

Hajime lo guardò storto. "Le tue stanno benissimo. Sposta quella sedia e mettiti seduto composto."

Il Principe sbuffò ma fece come gli era stato detto. "Iwa-chan..."

"Chiamami col mio nome se vuoi interpellarmi," lo interruppe il Cavaliere sedendosi accanto a lui.

"Hajime," si corresse Tooru senza smettere di sorridere. "Lascia che ti presenti il Principe di Karasuno, Daichi ed il suo adorabile compagno di viaggio, il giovane Koushi."

Il Cavaliere per poco non si strozzò con l'acqua che stava bevendo, mentre, dal lato opposto del tavolo, Koushi sgranava gli occhi imbarazzato e Daichi continuava a sorridere in modo evidentemente forzato. Hajime boccheggiò per un lungo minuto e Tooru gli sorrise amorevolmente. "Hai ingoiato la lingua per sbaglio, Iwa-chan?"

Il Cavaliere guardò il proprio signore con espressione irata, poi s'impose un contegno, si alzò in piedi e s'inchinò con rispetto. "E' un onore fare la vostra conoscenza, vostra altezza."

"Hajime, si era appena deciso di darsi tutti del tu!" Gli ricordò Tooru.

"Posso avere l'onore di conoscere il tuo nome?" Domandò Daichi educatamente.

"Hajime Iwaizumi," rispose il Cavaliere alzando lo sguardo. "Cavaliere del Regno di Seijou."

Koushi lo guardò sorpreso. "Hai già il titolo di Cavaliere così giovane?"

Tooru annuì. "Hajime è uno dei guerrieri più forti della nostra corte ed è tra i candidati per divenire Primo Cavaliere, un giorno," spiegò, poi si sporse verso l'amico d'infanzia. "Siedi, Iwa-cha..." Mormorò. "Siedi, li hai onorati fin troppo."

"Devi essere particolarmente abile con la spada," ipotizzò Daichi interessato.

"Faccio del mio meglio, altezza," rispose Hajime educatamente.

Tooru lo guardò con il broncio. "Dagli del tu, Iwa-chan..."

"Il tuo meglio deve essere molto, se ti è concesso di occuparti della sicurezza personale del tuo Principe."

Tooru ridacchiò e scosse la testa. "Hajime si prende cura di me da quando siamo bambini, Daichi ma non è qui in veste di guardia del corpo."

"Da bambini..." Mormorò Koushi. "Dovete conoscervi da molti anni."

"Siamo cresciuti insieme," rispose Hajime educatamente.

"Per quanto riguarda voi," intervenne Tooru. "Se la camera singola è stata di vostro gradimento, devo dedurre che le mie intuizioni in merito alla vostra fuga erano corrette."

Koushi si fece teso ed afferrò i braccioli della sua sedia come se fosse sul punto di cadere da un momento all'altro. "Intuizione giustissima," rispose Daichi senza difficoltà. "Koushi è il mio compagno e conto di farlo sedere accanto a me sul trono di Karasuno, quando arriverà il momento."

Gli occhi dorati si fissarono sul profilo del suo Principe, mentre la mano calda di lui cercava la sua e la stringeva senza timore nè vergogna.

Tooru sorrise. Un sorriso che aveva ben poco d'innocente ma per nulla derisorio. "Ti ho appena conosciuto e hai già la mia stima, Principe di Karasuno."

"Ne sono onorato, Principe di Seijou."

 
***



Col passare dei giorni, Koushi si convinse che non avevano nulla da temere e che Tooru non era il mostro che aveva temuto che fosse. Al contrario, lo invitò gentilmente a prender parte ai suoi allenamenti con l'arco, sostenendo di non aver mai trovato un Arciere in tutto il Regno di Seijou capace di attirare la sua attenzione come lui.

Koushi, da parte sua, non credeva di aver nessun talento particolare e, di certo, nulla poteva in confronto alle abilità del Principe Demone ma Tooru non gli faceva pesare in alcun modo l'evidente differenza che c'era tra i loro potenziali. Al contrario, lo invitò ad andare a caccia con lui ogni pomeriggio con la scusa di voler provare quanto amichevole fosse la sua ospitalità e perchè, a detta sua, gli interessava sapere di più di lui e Daichi.

Koushi, da principio, non si sbottonò poi così tanto in merito alla questione e Tooru comprese di dover prima dare qualcosa per guadagnarsi la sua fiducia.

"Io e Hajime non siamo solo amici d'infanzia," se ne venne fuori un pomeriggio, mentre entrambi erano seduti all'ombra di una fila di alberi sulla cima di un promontorio vicino al castello. Koushi non era certo di aver capito bene ma quando guardò il Principe e vide che gli sorrideva con quell'aria complice, non ebbe più motivo di dubitare.

"Oh..." Fu l'unico commento che riuscì a fare.

"Non essere così sorpreso, avanti!" Esclamò Tooru allegramente. "Per questo ho capito subito cosa c'era tra te e Daichi. Tu guardi il tuo Principe nello stesso modo in cui io guardo il mio Cavaliere."

Koushi non replicò subito: era la prima volta che si ritrovava ad affrontare quella parte della sua vita con qualcuno che sembrava poterne parlare con naturalezza, come se i suoi sentimenti non fossero sbagliati, minacciosi quasi. Si sentiva smarrito, a dire il vero: non aveva mai creduto di poterlo fare.

"Ehi, tutto bene?" Domandò Tooru perplesso.

Koushi scosse la testa. "Perdonami, non sono abituato a parlare di..." S'interruppe e sospirò.

Il Principe Demone ebbe il potere di capirlo comunque. "Vi ho voluti al mio castello proprio per questo," gli confessò senza vergogna. "E per lo stesso motivo ho voluto che mi accompagnassi a caccia da solo."

Koushi non ne fu del tutto sorpreso. "È la prima volta che ne parli con qualcuno anche tu?"

Tooru gli sorrise, poi guardò l'orizzonte sconfinato di fronte a loro dove il cielo ed il mare sembravano toccarsi. "Avevo da poco compiuto sei anni quando i soldati di mia madre portarono Hajime da me. Non ci siamo più lasciati da allora."

Koushi sorrise a sua volta. "Anche io ho conosciuto Daichi a sei anni," confessò. "Lui, però, non lo ricorda."

Tooru lo guardò perplesso. "Il tuo Principe non ha memoria del vostro primo incontro? Scherzi, vero?"

L'Arciere scosse la testa. "È stato durante il funerale di suo padre," raccontò. Il Principe Demone si fece serio di colpo ed i suoi occhi divennero più scuri al pensiero di come il padre di Daichi era venuto a mancare. Era una storia che conosceva bene perchè aveva avuto lo stesso epilogo anche per lui. Però, Tooru dubitava che il livello di tragicità fosse lo stesso: lui non aveva pianto per suo padre e non si vergognava ad ammetterlo.

"Forse, non dovrei parlarne con te, so che anche il tuo..."

"Il ricordo di mio padre non ha il potere di rendermi triste," ammise il Principe Demone. "Forse, è capace di farmi vergognare del mio nome ma questa è un'altra storia ed è troppo lunga perchè io te la confidi ora. Immagino che per Daichi sia diverso, dico bene?"

Koushi annuì. "Non ha mai conosciuto sua madre e suo padre era tutto ciò che aveva ma, nonostante questo, non versò una lacrima il giorno del suo funerale. Cominciò a piangere solo dopo che fu rimasto da solo ed io pensai di consolarlo regalandogli un fiore selvatico e scappando via," rise di se stesso. "Conoscendolo, penso avesse fatto il possibile per dimostrarsi forte anche di fronte ad una tragedia simile."

Tooru annuì distrattamente. "Conosco questo genere di maledizione: non ha importanza cosa provi o quanti anni hai, il ruolo del Principe ha delle regole che non puoi non rispettare."

L'Arciere lo guardò e ricambiò quello stesso sorrisetto complice che l'altro gli aveva rivolto poco prima. "Tu non lo hai fatto."

Tooru fece una smorfia divertita. "Io sono più in alto delle regole, Koushi e così lo è Daichi. Una volta che lo capisci divieni l'essere più potente e più pericoloso del tuo Regno. Puoi fare tutto ma, allo stesso tempo, non puoi. L'essere grandi Re penso dipenda da quanto e come quel potere viene gestito fino a che è nelle nostre mani."

"Daichi è quel tipo di Re pronto a mettere prima se stesso della sua gente."

Tooru ridacchiò.

Koushi inarcò un sopracciglio. "Cosa c'è di così divertente?"

"Ti do un consiglio d'amico," rispose Tooru. "Diventa consapevole del potere che hai su di lui: potrebbe decidere le sorti del vostro regno in futuro."

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire che, sì, senza dubbio Daichi è quel genere di uomo che sarebbe pronto a fare da scudo a tutti i suoi uomini col proprio corpo ma, credimi, l'ho visto come ti guarda e se è scappato da Karasuno per te, stai pur tranquillo che sarebbe pronto a veder bruciare il suo Regno per il tuo bene."

Koushi si sentì come se una freccia gli avesse trapassato il petto. "Pensi che sia pericoloso per il suo bene e per quello del mio Regno?" Domandò.

Tooru scrollò le spalle. "Non ho detto questo. Ti consiglio solo di non essere quello che molti pretendono dai consorti dei sovrani, quello che i miei Consiglieri pretendevano da me."

L'Arciere non replicò: non c'era nessuno dei Regni liberi che non sapesse che Tooru, Principe di Seijou, aveva rifiutato la mano del Re dell'Aquila di fronte a tutta la sua corte.

"Che cosa pretendono da un consorte?" Domandò

"Che se ne stia buono ed in silenzio ma non devi scordarti di sfornare qualche figlio che useranno come pedina per i loro piani politici, proprio come fanno con te."

Koushi aggrottò la fronte. "Io non sono nessuno ma tu sei l'erede al trono del Regno più forte, dopo quello di Shirotazawa."

Tooru gli rivolse un ghignetto soddisfatto. "Per fortuna, me lo sono ricordato anche io."

"Lo hai fatto per Hajime," concluse Koushi con un sorriso appena accennato.

Il Principe Demone sospirò. "Ho visto attraverso mia madre cosa significa stare al fianco di un uomo potente che non prova nulla per nessuno," si strinse le ginocchia al petto. "Ho provato a sedurre Wakatoshi. Volevo essere quel Principe capace di tenere testa al Re dell'Aquila ma non ce l'ho fatta."

"Te ne penti?"

"Mi pento di non averlo costretto in ginocchio quando l'ho sfidato a duello ma no, non rimpiango di non averlo seguito. Quando ho concluso che non avrei rinunciato a Hajime per nessuna ragione al mondo, ho cominciato a smettere di sentirmi insicuro."

Koushi incrociò le gambe sull'erba e fissò le proprie mani con sguardo critico. "Io quella sicurezza ancora non ce l'ho," ammise. "Vedo Daichi cercare di progettare un futuro insieme e temo di divenire la causa della sua dipartita."

"Lo sarai se scappi..."

I due giovani si guardarono negli occhi per un lungo istante di silenzio.

"Io ho cominciato a perdere quando Hajime ha deciso di fuggire da me," aggiunse Tooru. "Non lasciare che le tue insicurezze ti portino a compiere lo stesso errore."

Koushi ci pensò, prese un respiro profondo ed annuì con fermezza.

Tooru gli sorrise e scattò in piedi. "Bene!" Esclamò. "Wow... È incredibilmente liberatorio  poter parlare di queste cose con qualcuno!"

Koushi sorrise gentilmente alzandosi in piedi a sua volta. "È lo stesso per me."

"Vi voglio come miei ospiti fino alla fine dell'estate," concluse il Principe Demone. "Potrei anche avvisare la vostra corte che state bene e... No, forse è meglio evitare. Qualche genio potrebbe pensare di combinare me e Daichi insieme ed allora ci toccherebbe rifare tutto il lavoro da capo!"

Koushi rise. Tooru aveva ragione: ci si sentiva incredibilmente più leggeri nel sapere di non essere i soli ad aver scelto un cammino difficile per il bene del proprio cuore.


 
***




Daichi non aveva duellato con nessuno all'infuori dei giovani Cavalieri del Regno di Karasuno, quindi non poteva vantare un'enorme esperienza ma sapeva riconoscere un degno avversario quando se lo ritrovava davanti ed il Cavaliere del Principe di Seijou non era un guerriero comune.

La spada gli sfuggì di mano e si ritrovò a cadere seduto nel bel mezzo del cortile interno del castello. Hajime gli porse immediatamente una mano in segno di rispetto. "Perdonami..."

Daichi lo guardò dal basso all'alto, poi scosse la testa con un sorriso ed accettò l'aiuto del Cavaliere per tirarsi in piedi. "Non devi scusarti di nulla," gli disse amichevolmente. "Sei solo più capace di me con la spada."

"Dopo due pareggi, la mia può essere definita solo fortuna," replicò Hajime rifoderando la spada, mentre due giovani serve si avvicinavano per porgere ad entrambi un bicchiere d'acqua fresca. "Sei modesto," commentò Daichi bevendo il suo, "ma non sottovalutarti. Mi alleno col nostro futuro Primo Cavaliere da anni e sono convinto che gli daresti del filo da torcere in un duello testa a testa."

"Ti ringrazio," rispose Hajime educatamente.

Daichi aveva imparato presto a capire che il giovane Cavaliere sapeva essere molto più rispettoso e signorile del suo Principe, quando voleva e non gli dispiaceva nemmeno che avesse il potere di metterlo al suo posto se esagerava. A differenza di Koushi, Tooru non era stato particolarmente interessato ad approfondire la loro conoscenza ma a Daichi stava più che bene: non era certo di poter mantenere un comportamento distaccato e cordiale nei confronti del figlio dell'assassino di suo padre ma se a Koushi quei pomeriggi di caccia facevano piacere, non aveva ragione di trattenerlo.

Dopotutto, anche a lui faceva piacere misurarsi con un avversario che non si tratteneva dal contrattaccare per via di un'amicizia secolare, come accadeva con i ragazzi del Regno di Karasuno.

"Una pausa?" Propose Hajime passando una mano tra i capelli umidi di sudore.

Il sole aveva quasi raggiunto il punto più alto nel cielo ed il caldo cominciava a far perdere ad entrambi la voglia di mettersi alla prova. Daichi sospirò ed annuì. "Sulle montagne non è mai così caldo," commentò. Si sedettero a terra, all'ombra, tra due colonne del portico del castello.

"Il Castello Nero è a valle e siamo abituati a climi così," replicò Hajime.

"Posso farti una domanda?"

"Prego..."

"Tu conosci bene il Principe Tooru, non è così?"

"Ne ho la sfortuna..."

Daichi ridacchiò. "È strano, lo devo ammettere..."

Hajime fece una smorfia. "È un commento fin troppo lusinghiero da parte del Principe di Karasuno."

"Quando lo abbiamo incontrato nella foresta ho temuto il peggio," confessò Daichi. "A Koushi non ho detto nulla per non spaventarlo ma non riuscivo a capire fin dove il suo comportamento fosse genuino e dove cominciasse la farsa per indurci a cadere in trappola."

Hajime ridacchiò. "Non prenderlo come un errore tu, leggere Tooru è un'impresa solo per chi gli è cresciuto accanto e, alle volte, ti confesso che non è così semplice nemmeno per me."  

Daichi lo guardò. "Siete molto legati..."

Il Cavaliere sospirò sconfitto. "Più di quanto sia intelligente ammettere," confessò. Il Principe accennò un sorriso ed annuì: non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni, il dubbio gli era già venuto durante i loro primi giorni di convivenza e Hajime non doveva essere così ansioso di nasconderlo se glielo confermava con tanta naturalezza.

"Non deve essere semplice..."

"Anche tu e Koushi ne sapete qualcosa o non sareste qui."

"Ora mi è chiaro come ha fatto Tooru ad indovinare il legame tra me e lui così facilmente."

"Un'altra sua abilità," replicò Hajime. "Riesce a leggere le persone. Non so come fa ma lo fa anche piuttosto bene. Se mi posso permettere, Daichi, nel vostro caso era abbastanza evidente anche per me."

Il Principe ridacchiò passandosi una mano tra i capelli imbarazzato. "Nè io nè Koushi siamo particolarmente bravi a mentire, temo. Siamo stati il più discreti possibile, eppure chi ci stava vicino ha capito tutto comunque."

"È vero quello che dice Tooru?" Domandò Hajime con un po' più di confidenza. "Siete scappati per il vostro legame?"

Daichi sospirò profondamente alzando gli occhi scuri verso il cielo limpido ed azzurro. "Diciamo ci serviva tempo... Tempo per me e lui. Tempo per riflettere sul prossimo passo."

Il Cavaliere annuì. "Già... Io e Tooru siamo venuti qui per un motivo simile, credo. Non era più respirabile l'aria di corte dopo quello che era successo col Re dell'Aquila."

L'altro si umettò le labbra indeciso se porre o no la domanda che aveva sulla punta della lingua. "Tooru ha detto di no per te, vero?"

Hajime fece una smorfia e scrollò le spalle.

"Il coraggio non gli manca di certo," commentò il Principe di Karasuno con stima ed invidia al tempo stesso. "Io, per i miei doveri, stavo quasi per buttare via Koushi e sarei andato avanti, se la mia promessa sposa non fosse stata più forte e lungimirante di me."

"Non fartene una colpa, sarai Re... Tooru è nato per osare, per forzare i limiti ma è una strada pericolosa la nostra. Non credo che Koushi non ti giudichi per aver messo la tua gente prima di te stesso."

Daichi annuì. "Certe volte, vorrei che lo facesse..."

"Per quale ragione? E' intelligente, comprensivo... Non è una cosa da tutti."

"No è che... Credo che lo faccia perchè non si sente degno di stare al mio fianco."

"Non lo biasimo."

Daichi fissò il Cavaliere confuso. "Che vuoi dire?"

"Ci sono passato anche io..." Confessò Hajime. "Tutto quello su cui riesci a riflettere è sul fatto che ti sia innamorato dell'unica persona che non avresti mai dovuto nemmeno guardare. Tu non sei nulla, loro sono tutto e vivi nella costante paura di divenire per loro un impedimento, un peso... Quello che li trascinerà a fondo nel momento più pericoloso," abbassò lo sguardo, "Tooru l'ha fatto dicendo no al Re dell'Aquila, in fondo. Ha accettato un rischio evitabile e si è fatto mettere in ginocchio per me."

Il Principe di Karasuno sorrise. "Non sembra essersene pentito, però..."

"Solo perchè il bastardo ha deciso di non far scoppiare una guerra per capriccio."

"Alle volte, la fortuna è un elemento da considerare," replicò Daichi. "Siete insieme e state bene, non porti altre domande. Non credo che Tooru lo faccia... O, almeno, se riuscissi ad avere Koushi al mio fianco sotto gli occhi di tutti, io non me ne farei."

"Mi fido..." Hajime sospirò appoggiando la spalla alla colonna alla sua destra. Forse, Daichi aveva ragione: in fin dei conti, quale altra forza oltre alla fortuna poteva aver indotto quelle guardie a comprare lui, tra tutti gli orfani del Regno?

Sì, in principio, era stata la fortuna a condurlo da Tooru.

Era un potere che doveva smettere di sottovalutare.

***

"Toglimi una curiosità..."

Koushi guardò il Principe Demone attendendo la domanda. Il sole stava calando e stavano rientrando a passo tranquillo, godendosi la brezza che soffiava tra gli alberi della foresta.

"Va bene che Daichi ti ama, tu lo ami e vi stimo per combattere per rimanere insieme ma, anche se il tuo Principe riuscisse a farti sedere sul trono accanto a lui, come risolvereste la questione degli eredi?" Domandò Tooru.

Koushi divenne color porpora ed abbassò lo sguardo. Si umettò le labbra e prese un respiro profondo. "Sono un Omega..." Confessò a voce bassissima.

Tooru non comprese. "Cosa?"

"Sono un..." Koushi si decise a guardarlo negli occhi. "Sono un Omega," ripeté più chiaramente. Tooru non ebbe la reazione che si era aspettato. Sgranò gli occhi e lo guardò perplesso, sì, ma non vide alcuna traccia di disgusto nella sua espressione. Alla fine, sorrise. "Immagino che, oltre all'arco ed ad una gran sconsideratezza, abbiamo qualcos'altro in comune, allora."

Fu il turno di Koushi di essere sorpreso. "Che vuoi dire?"

Tooru fece un gesto veloce con la mano. "Non fraintendermi! La tua situazione è di gran lunga più complicata della mia: so che quelli come te non hanno una vita facile nella maggior parte dei Regni o sbaglio?"

Koushi fece una smorfia. "No, non sbagli."

"Per i Demoni è diverso," spiegò Tooru. "Non per tutti e, comunque, non è una cosa che accade abitualmente ma abbiamo magia nera nel sangue, sai? Siamo capaci di cose che i comuni esseri umani possono solo sognarsi!"

"Anche dare la vita?" Domandò Koushi.

"Anche dare la vita!" Confermò Tooru. "E non dirlo con quell'espressione. Non so cosa ti abbiamo insegnato nel tuo Regno ma, a mio modesto parere, non è assolutamente qualcosa di cui vergognarsi. Sfiderei i guerrieri più famigerati per le loro prodezze a dare alla luce un figlio! La maggior parte di loro non ne avrebbero il coraggio e si nasconderebbero dietro alla banale scusa del fatto che è una cosa da donne... Come se le donne fossero esseri inferiori per questo! Mia madre mi ha cresciuto da sola, mio padre è stato capace solo di morire in un'inutile guerra!"

L'Arciere era impressionato ed interessato al contempo dal sentire parole del genere uscire dalla bocca dell'erede al trono di un Regno che non aveva certo bisogno di rivoluzioni per essere grande. Si rese conto che lo ammirava. Lo ammirava perchè Tooru non era come gli altri Principi che si accontentavano di prendere ciò che altri avevano conquistato per loro: aveva idee sue e principi suoi e non si vergognava ad esprimerli ad alta voce, nonostante il loro carattere ribelle e, in un certo senso, scomodo.

"Dimmi un po', avete già scelto il nome?"

"Il nome?"

Tooru ridacchiò. "Del vostro Principe, intendo!" Esclamò, poi fece una smorfia. "Nel nostro mondo, ti fanno passare anche i nomi come questioni di stato... A me hanno imposto quello di mio padre e non è un'eredità semplice da gestire."

"Anche Daichi ha il nome di suo padre. Ne va fiero..."

"Ha avuto la fortuna di avere un padre di cui essere fiero, io no," gli ricordò Tooru. "Non c'è nessuna ragione di stato dietro al nome di mio figlio e mi piace così."

Koushi lo guadò nuovamente sorpreso. "Avete davvero già scelto il nome?"

"Sarò Re prima della fine dell'anno e non è mai troppo presto per l'arrivo di un erede," rispose Tooru euforico. "Ogni momento potrebbe essere quello giusto..."

"Il bambino non sarebbe comunque illegittimo?"

Tooru scrollò le spalle. "Il Re sono io ed il figlio lo metterò al mondo io. Chiunque sia il padre, nessuno potrà dubitare che sia erede mio."

Koushi annuì: non aveva tutti i torti. "E Hajime lo riconoscerebbe?"

Tooru strinse le labbra per un istante. "Non potrebbe..." Disse con una nota di malinconia. "Però, sarebbe suo padre... Non sarebbe scritto da nessuna parte ma immagino che un figlio riconosca i genitori dalle loro attenzione e non da quello che è scritto su di un pezzo di carta."

"Sono d'accordo."

"E allora? Questo nome?"

Koushi scosse la testa con un timido sorriso. "Non c'è rischio che accada nulla per ora."

Tooru, inizialmente, non capì. "Oh!" Esclamò poi.

Koushi arrossì. "La mia condizione mi crea qualche problema, ecco."

"Intendi l'essere un Omega?"

"Come hai ben detto, non educano i ragazzini come me ad avere stima di sè e, a differenza tua, potrebbero dubitare della paternità di Daichi... L'immaginario comune vuol che quelli come me abbiamo bisogno di rapporti carnali come aria e, così, viene giustificata ogni violenza nei loro confronti."

Tooru annuì. "So cosa vuol dire andare contro a credenza stupide e bigotte. Hajime è un Umano in un Regno in cui non gli sarebbe garantito nessun diritto se non fosse per me."

"È da stimare quello che fa... Combattere per divenire il Primo Cavaliere, combattere per te."

Il Principe Demone sorrise. "È la mia forza..."

Koushi sorrise ed annuì. "Anche io penso a Daichi nello stesso modo."

 
***



"Tu e Koushi andate d'accordo," notò Hajime sinceramente sorpreso.

Tooru lo raggiunse sul letto con il broncio. "Lo dici come se fosse impossibile andare d'accordo con me."

"È la verità!"

"Rude..."

"Io non ti sopporto!" Aggiunse il Cavaliere ma il suo Principe ebbe la bella idea di trasformare l'espressione infantile che aveva in una ben più maliziosa e seducente e Hajime sospirò sconfitto, aspettando la sua prossima dipartita. Nessuno dei due si era scomodato a mettersi un solo vestito addosso: era calda l'aria di fine estate ed il bisogno che avevano l'un dell'altro era ancora troppo forte per poter rinunciare anche ad una sola notte d'amore

Il Cavaliere si sedette contro il cuscino, portando le mani sui fianchi del suo Principe.

Hajime non lo aveva ancora avuto così, sopra di lui, bello come un solo un Demone tentatore poteva essere. Le guance di Tooru si tinsero appena di rosso: poteva essere sicuro di sè quanto voleva ma era completamente esposto in quella posizione e nessuno dei due aveva tanta esperienza d'affacciarsi a nuovi esperimenti di quel genere senza un briciolo d'imbarazzo.

"Lentamente..." Mormorò Hajime guidandolo gentilmente su di sè.

Tooru gli appoggiò entrambe le mani sul petto per farsi leva. Mosse appena il bacino ed il Cavaliere gli afferrò i fianchi con più forza per bloccarlo. "Cosa c'è?" Domandò Tooru frustrato. "Non mi fai male, giuro..."

Hajime si morse il labbro inferiore. "Non è questo..." Si sollevò dai cuscini ed invertì le loro posizioni per la disapprovazione del Principe. "Hajime!" Non lo chiamava mai per soprannome mentre erano a letto insieme. Il Cavaliere non gli aveva mai detto quanto gli piaceva e se lo sarebbe tenuto per sè ancora per un poco.

"Non ti sopporto," ripeté Hajime contro quelle labbra imbronciate, passando una mano tra i capelli castani per liberare il bel viso. "Mi basta guadarti per venire. Sei insopportabile..."

Tooru rimase a guardarlo senza parole per un po', poi gli rivolse un sorriso più luminoso del sole e lo strinse a sè per baciarlo e non perdere altro tempo. "Lentamente," mormorò chiudendo gli occhi ed aggrappandosi alle spalle del suo Cavaliere. "Fammi sentire tutto, come sai fare tu..."

 
***



Il cielo era scuro.

Nessuna stella era visibile in quella notte buia, illuminata solo dalla città che ardeva senza pietà. L'aria era pregna dell'odore di fumo, polvere e sangue. L'odore di una guerra giunta al suo tragico epilogo.

I nemici giacevano al suolo, oppure erano costretti in ginocchio, mentre i soldati vittoriosi s'inginocchiavano con sincero rispetto al cospetto del loro Cavaliere più forte, il loro Generale, il loro Re. Il mantello rosso sembrava fatto di fiamme esso stesso, mentre si alzava colpito dal gelido vento della notte.

Il giovane camminava a testa alta, i capelli corvini gli ricadevano sul viso ma non erano sufficiente a nascondere lo sguardo tagliente e sicuro di quei penetranti occhi blu.

Il canto di un corvo spezzò il silenzio. Come se fosse un segnale impossibile da fraintendere, il giovane re alzò l'avambraccio verso il cielo. Le ali nere si mossero velocemente, senza emettere rumore ed il corvo affondò i piccoli artigli nel guanto di cuoio alzando la piccola testa con orgoglio, come il suo signore.

Solo allora, il Re andò avanti, come se ora avesse tutto ciò di cui aveva bisogno.

Come se il corvo sulla sua spalla fosse l'unico compagno degno di essere al suo fianco fino alla fine.





Kenma si svegliò col cuore in gola stringendo le lenzuola contro il petto nudo, come se quelle immagini di distruzione si fossero verificate di fronte ai suoi occhi.

"Ehi..." Un braccio caldo gli circondò la vita ed un petto forte aderì alla sua schiena ricordandogli dove era e con chi era. Il giovane Mago chiuse gli occhi e sospirò.

"Perdonami, non volevo svegliarti," mormorò docilmente, mentre il Re di Nekoma gli posava una serie di baci leggeri sul retro del collo.

"Ancora quell'incubo?" Domandò Tetsuro affondando il naso tra i capelli chiari e chiudendo gli occhi.

"Sì..." Rispose Kenma.

"Non è la prima volta che ti succede di fare un sogno ricorrente."

"È la prima volta che mi terrorizza così," replicò il più giovane, poi si rigirò tra le braccia del suo Re per poterlo guardare negli occhi. "Pensi che sarà possibile raggiungere Tooru?"

Tetsuro lo guardò con rinnovato interesse. "È lui che vedi in questi sogni terribili?"

"No," Kenma scosse la testa. "Vedo un Re Demone, però."

Tetsuro gli rivolse un sorrisetto divertito. "Potrebbe essere solo il segno che il Cavaliere ha compiuto l'impresa!" Disse. "Forse, dovremmo solo preoccuparci di pensare ad un regalo degno per il nuovo Principe in arrivo."

"Un Re Demone con un corvo al suo fianco..." aggiunse Kenma.

Tetsuro non sorrideva più. "Che razza di presagio è mai questo?"

"Non lo so," ammise il giovane Mago. "Ma ho paura."

 

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Capitolo 7
*** Di ragioni politiche e ragioni del cuore ***


6
Di ragioni politiche e ragioni del cuore.




"Un sogno..." Ripeté Tooru allontanando lo sguardo dallo sconfinato orizzonte oltre il parapetto della balconata per tornare a guardare i suoi ospiti. "Avete viaggiato tutta la notte per un sogno?"

Tetsuro lo guardava con espressione assonnata come a dirgli che, sì, aveva completamente ragione ma Kenma, pur con la sua solita espressione apatica, sembrava piuttosto preso dalla faccenda. Il Principe di Seijou li aveva fatti accomodare sul balcone dei suoi alloggi privati, dove era solito far servire la prima colazione, così che potessero mangiare qualcosa a loro volta.

"Non si tratta solo di un sogno, mio Principe," spiegò il giovane Mago rispettosamente. "Sono presagi. Immagini di un possibile futuro... Una sorta di avvertimento."

Tooru sgranò gli occhi e passò lo sguardo dal viso del ragazzino a quello dai tratti affilati del sovrano del Regno di Nekoma. "Hai un simile asso nella manica e non me lo confidi?" Domandò con una nota di sarcasmo nella voce. "Pensavo fossimo alleati."

"Proprio perché lo siamo, sono qui ora," replicò Tetsuro con aria scocciata allungano una mano per afferrare una fetta di dolce senza troppi complimenti. "Se non mi fidassi delle capacità di Kenma come faccio, non mi sarei mai fatto buttare giù dal letto nel cuore della notte per risalire la costa. Gran bel rifugio, comunque," aggiunse guardando il panorama.

Tooru accennò un sorriso. "Ti ringrazio..."

"E Hajime?"

"Sta ancora dormendo," rispose il Principe con naturalezza. Ormai, era un fatto di cui tutti erano a conoscenza e, in particolare, Tooru doveva a loro tutta la comprensione che aveva convinto i suoi Consiglieri a non impicciarsi nella faccenda più del dovuto. Non avevano ottenuto il loro matrimonio dorato dalle gloriose conseguenze ma il Regno di Nekoma si era dimostrato particolarmente amichevole in seguito al suo rifiuto di seguire il Re dell'Aquila.

Tooru era grato a Tetsuro personalmente ma non era uno stupido, sapeva che c'era una ragione politica anche dietro a quello: se Hajime fosse riuscito a rimanere al suo fianco come compagno, sebbene non ufficialmente, il Regno di Seijou avrebbe creato un precedente che avrebbe reso la situazione di Kenma più sicura agli occhi di tutti. Tooru lo capiva e se Tetsuro voleva usarlo in tal senso che facesse pure, non aveva nulla da perderci e non lo avrebbe mai biasimato.

Tetsuro gli rivolse un sorriso malizioso, un po' sfacciato. "Tutto bene tra voi, quindi?"

Tooru non mostrò alcun imbarazzo. "Hajime mi dà tutto quello che un Re potrebbe desiderare."

Tetsuro alzò la fetta di torta che aveva tra le mani. "Alla faccia del Re dell'Aquila, allora."

Kenma sospirò. "Non credo che dovreste parlare così, se mi posso permettere."

Il sovrano di Nekoma fece una smorfia. "Come se dall'alto del suo trono potesse sentirci..."

Tooru sorrise divertito. "Kenma ha ragione, Tetsuro..." Disse comunque. "Potremmo pagarla cara un giorno di questi per le nostre lingue lunghe."

"A te è già successo," gli ricordò una nuova voce. Il Principe si voltò e sorrise all'indirizzo del suo Cavaliere fermò sull'uscio della portafinestra. "Buongiorno, Iwa-chan!" Esclamò.

Hajime mosse un passo in avanti e fece un breve inchino in segno di rispetto. "Vostra maestà, Kenma..." Salutò.

Tetsuro fece un gesto con la mano come a dirgli di rilassarsi. "Siamo qui per motivi informali, Hajime e comunque siamo ospiti a casa vostra, tanti onori non sono necessari."

Hajime alzò la testa. "Vi ringrazio."

Tooru continuò a guardarlo fino a che non si sedette accanto a lui e Tetsuro lo notò immediatamente. "Puoi anche baciare il tuo Principe in nostra presenza! A noi non infastidisce e Tooru non aspetta altro!"

Kenma lanciò una gomitata a Tetsuro da sotto il tavolo, Hajime divenne color porpora e Tooru scoppiò a ridere. "Iwa-chan non è proprio il tipo da smancerie in pubblico!" Spiegò divertito, mentre il suo Cavaliere gli lanciava un'occhiata storta.

 
***



Daichi si mise a sedere sul bordo del letto con un sospiro.

Koushi rimase steso ancora qualche istante a fissargli la schiena, poi si alzò in piedi dal lato opposto del letto e fece il giro per arrivargli davanti. Il Principe alzò gli occhi scuri su di lui e l'Arciere gli accarezzò una guancia con la punta delle dita. "Mi dispiace..."

Daichi accennò un sorriso rassicurante, gli prese la mano e ne baciò il dorso. "Non devi scusarti. Se non ti senti pronto, va bene così."

Koushi scosse la testa. "Io lo voglio, Daichi," confessò senza vergogna inginocchiandosi sul tappeto ed appoggiando i palmi aperti sulle ginocchia del suo Principe. "Anche io ho fatto la mia scelta ed ho scelto te."

Daichi gli rivolse un sorriso innamorato aggiustandogli una ciocca di capelli grigiastri dietro l'orecchio destro. "Queste sono le parole che volevo sentirti dire."

"Le parole non sono sufficienti," replicò Koushi con amarezza. "Voglio farti mio ma..."

Daichi si chinò e gli sfiorò le labbra con le proprie. "Sono già tuo, Koushi..." Mormorò contro la sua bocca, poi si alzò in piedi e porse una mano al suo Arciere per invitarlo a fare lo stesso. "Dopotutto, ci sono possibili conseguenze da considerare." Il Principe recuperò i propri vestiti dal pavimento. Indossò i pantaloni e passò la tunica scura a Koushi.

Non glielo aveva mai detto ma gli piaceva vederlo con i suoi vestiti addosso.

l'Arciere la infilò e tornò a sedersi sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini e le ginocchia strette al petto. "Dimmelo ancora," domandò con un sorriso appena accennato.

Daichi tornò ad accomodarsi sul bordo del materasso. "Dirti che cosa?"

"Come immagini nostro figlio."

Il Principe lo guardò allibito per un attimo, poi sorrise come se gli avesse fatto una richiesta che aspettava da molto, molto tempo. Si fece più vicino, afferrò una caviglia del giovane amante e si portò il piccolo piede sulle gambe tracciando con l'indice una linea invisibile fino al ginocchio. "Me lo immagino con gli occhi grandi," rispose. "Belli, luminosi, un nocciola chiaro, dalle sfumature dorate."

Koushi ridacchiò. "E se li avesse scuri?"

"Sarebbe poco sveglio in partenza se preferisse i miei ai tuoi," replicò Daichi con allegria. "Non so decidermi sui capelli," ammise. "Nella mia famiglia ci sono stati solo Principi con i capelli neri."

"Come si addice ad un Principe dei Corvi, immagino."

"Tu?"

Koushi scrollò le spalle. "I miei li ho ereditati dal Cavaliere che, contro il giudizio di tutti, ha deciso di avere un figlio con l'Omega che, a sua volta, aveva dato tutto ciò che aveva per divenire un Arciere del Re e dimostrare che valeva, indipendentemente da come era nato."

"Mi ricordano entrambi qualcuno..." Mormorò Daichi con una nota d'orgoglio nella voce.

Koushi scrollò le spalle. "È l'unica cosa che ho di lui. Tutto il resto è del fanciullo che mi ha dato alla luce."

"Era molto giovane quando sei nato?"

"Diciassette anni. Io ne ho solo due meno di lui e mi sento incredibilmente piccolo anche solo per pensare ad un passo del genere." Sospirò. "Dopotutto, ci sono fanciulle della nobiltà che, alla nostra età, sono già madri."

"È politica," rispose Daichi con amarezza. "Viviamo in un tempo in cui ogni inverno può essere più tragico di una guerra. I bambini che raggiungono l'età adulta sono la maggioranza, per fortuna ma non è raro che anche i piccoli nobili non ce la facciano. Lo stesso vale per le madri: generalmente si è portati a pensare che i giovani reggano meglio i traumi fisici."

"E a quelli dell'anima non ci pensa nessuno," replicò Koushi con tono grave. "Fanno partorire ragazzine poco più che bambine pensando se questa volta non funziona, avrà tutto il tempo per riprendersi e riprovare..." Fece una smorfia. "Che schifo..."

"Te l'ho detto, è politica," ripeté Daichi. "Non deve piacerci ma il nostro mondo va anche così. Sono lieto di non far parte di una di quelle storie, però."

Koushi annuì. "Anche Tooru ha detto una cosa del genere, sai?" Gli disse. "Mi ha raccontato di sua madre e di come soleva essere una Regina oggetto. Lui la adorava ma quando si è trattato d'imboccare la strada giusta e fare la sua stessa fine o rischiare tutto e scegliere Hajime, ha deciso per quello che sperava l'avrebbe reso felice."

"Lo capisco," replicò Daichi. "Non so che tipo di coppia fossero i miei genitori. Ai miei occhi, mio padre era un eroe e spero che mio figlio sia orgoglioso di me allo stesso modo, un giorno." Guardò il suo Arciere negli occhi. "Mi rassicura sapere che non sarò solo in questo, ecco."

Koushi gli rivolse un sorriso dolcissimo. "Per la cronaca, il genitore che mi ha dato alla luce aveva i capelli rossi."

Daichi lo guardò allibito per un attimo, poi scoppiò a ridere.

"Cosa c'è di così divertente?" Domandò Koushi sottraendo il piede alla stretta del Principe e dandogli un calcio scherzoso sul fianco.

"Sto pensando a quanto sarebbe assurdo se dai noi due nascesse un bambino con dei capelli così!"

"Erano belli i capelli di mio padre!"

"Non ne dubito!"

"Daichi, smettila!" Koushi fece per dargli un altro calcio ma il Principe gli afferrò una gamba tirandolo verso di sé. L'Arciere si ritrovò steso sul letto con gli occhi fissi sul soffitto e la tunica arrotolata fino al petto. Daichi si spostò sopra di lui con un gran sorriso.

"Non sei divertente," gli disse Koushi con un broncio.

"Tu, invece, sei bellissimo."

Koushi girò il viso di lato ma non per imbarazzo, sembrava stesse pensando a qualcosa.

"Ehi?" Lo richiamò Daichi. "A che pensi?"

Gli occhi dorati incontrarono di nuovo i suoi. "Potresti farmi esprimere un desiderio."

"Tutto quello che vuoi."

"Se avremo un maschietto, potrò dargli il nome di mio padre, quello che mi ha dato alla luce?" Domandò timidamente. "Lo so che è tradizioni sceglierne uno con un significato preciso per i Principi ma..."

"Come si chiamava tuo padre?" Domandò Daichi sinceramente interessato.

Koushi ne fu sorpreso. "Shouyou..." Rispose poi.

Il sorriso del Principe si fece anche più dolce. "Non sono un esperto ma mi sembra che il suo significato abbia qualcosa a che fare con il volare, vero?"

Koushi annuì. "Sì, credo di sì."

Daichi si fece più vicino al suo viso. "Non credo esista un nome con un significato migliore per il Principe dei Corvi..."

 
***



Il giovane Mago portò la sua attenzione su Tetsuro. Il sovrano ricambiò lo sguardo ma ci mise un poco a capire il messaggio. "Oh, Hajime!"

Il Cavaliere alzò immediatamente gli occhi dalla colazione.

"Perché non mi mostri l'armeria di questo posto?" Propose alzandosi in piedi. "Ci facciamo un duello amichevole, prima che il sole si faccia troppo alto ed il caldo ci metta in ginocchio."

"Dovrei mangiare..." Cercò di obiettare Hajime ma il sovrano lo aveva già afferrato per un braccio e tirato su di peso.

"Lasciamo conversare gli intellettuali!" Esclamò Tetsuro trascinandolo via. "Noi siamo uomini d'azione!"

Hajime cercò l'aiuto di Tooru ma il suo Principe si limitò a sorridergli e salutarlo con una mano. "Divertitevi!" Esclamò con allegria. "Fai il bravo, Iwa-chan." Il sorriso scivolò via dalle sue labbra non appena i due furono spariti dalla sua vista. Si voltò verso Kenma con un'espressione ben più seria. "Ha capito bene?" Domandò. "Volevi parlarmi da solo?"

"Sì, altezza, io..."

"C'eri nel momento più umiliante della mia vita," gli ricordò il Principe. "Chiamami per nome."

"Ti ringrazio, Tooru."

"Di che cosa volevi parlarmi?"

Kenma si diede un momento per cercare le parole giuste per affrontare l'argomento. "Come stai?" Cominciò. "La tua salute?"

Tooru sorrise vittorioso. "Non ho più un segno del duello! Tutto grazia a Iwa-chan, ovviamente, anche se lui sostiene che devo essere grato alla mia testa dura."

Kenma annuì. "Voi Demoni siete più forti, guarite in fretta ma non c'è niente altro?"

Il Principe batte le palpebre. "In che senso?"

"Non c'è nulla che devi dirmi? Qualche dubbio a cui ti serve una risposta?"

Tooru impiegò qualche secondo per capire, poi rise nervosamente e scosse la testa. "No," rispose. "Non ancora ma è passato poco più di un mese dal duello con Wakatoshi e dall'inizio di tutto con Iwa-chan e... Non c'è fretta, ecco. Stiamo bene insieme ma, forse, sarebbe meglio se rimanessimo solo noi due ancora per un po'... Almeno, fino all'incoronazione di questo inverno, pensavo."

Kenma si accorse che era nervoso e che cercava di nasconderlo con tutte le sue forze.

"Perché mi fai questa domanda?" Chiese poi. "Ha a che fare con il tuo sogno?" Lo domandò come se sperasse il contrario ma il giovane Mago non lo aveva cercato per raccontargli bugie. "Sì..." Rispose.

Tooru si fece serio di colpo. Forse, lo aveva spaventato.

Simulò un colpetto di tosse. "Ed è la prima volta che ti capita di fare sogni simili?"

"No," ammise Kenma. "Mi capita fin da quando ero bambino ma ho cominciato a parlarne seriamente con Tetsuro solo di recente. Nekoma ha un sovrano Demone e cose come magia e divinazione non sono completamente assurde ma..."

"Un conto è parlarne ed un conto è possederle ed esserci in mezzo," concluse Tooru con un sospiro.

Kenma annuì.

"Che cosa hai visto nel tuo sogno, Kenma?"

Il giovane Mago cercò di riportare alla memoria tutte le immagini che erano passate davanti ai suoi occhi la notte precedente ma non dovette sforzarsi molto: era come se quella scena fosse impressa a fuoco dentro lui, insieme a tutto il timore che gli aveva ispirato.

"Ho visto un giovane," raccontò con voce pacata. "Capelli neri, occhi blu... Sì, me li ricordo in modo particolare gli occhi blu."

"Vai avanti..." Lo esortò Tooru con interesse.

"Aveva il tuo mantello," proseguì Kenma. "Quello rosso che indossavi la sera del duello contro il Re dell'Aquila."

"È il mantello degli eredi al trono di Seijou."

Kenma annuì. "Già..."

Fu allora che Tooru cominciò a mettere insieme i pezzi. "Hai visto un giovane indossare i colori dei Principi del mio Regno?"

"Sì," rispose il giovane Mago.

L'erede al trono impiegò qualche istante per elaborare. "Hai visto mio figlio nel tuo sogno, Kenma?"

"Credo di sì."

"Credi?"

"C'è una particolarità," aggiunse Kenma. "Ve ne sono molte, a dire il vero ma questa ha messo in allarme anche Tetsuro."

Tooru strinse con forza i braccioli della sua sedia. "Parla," gli concesse.

"Quel Principe Demone aveva un corvo con sé," raccontò il Mago.

L'erede al trono di Seijou inarcò un sopracciglio. "Un corvo? Cosa c'è di così minaccioso in un corvo?"

"Non credo fosse un animale comune," replicò Kenma. "Conosci le leggende di Karasuno? Quelle secondo cui il primo Principe Corvo fosse un mutaforma capace di trasformare se stesso ed in suoi Cavalieri in veri e propri corvi?"

"È una leggenda comune," Tooru fece spallucce. "Ne hanno una identica a Shiratorizawa... Hanno solo le aquile al posto dei corvi e c'è molto più sangue e violenza sparso qua e là."

"E se non lo fosse?" Ipotizzò Kenma. "Se avessi sognato il prossimo Principe di Seijou con un Principe Corvo, dal potenziale di un mutaforma, al suo fianco?"

"Continuo a non capire che cosa ti spaventa, Kenma," Tooru cominciava a perdere la pazienza. "Se nel futuro di Seijou c'è un'alleanza con il Regno di Karasuno, di che cosa mi devo preoccupare? Potrebbe essere la fine di una serie di guerre inutili senza vincitori, né vinti!"

"Era un mostro, Tooru."

"Chi?"

"Quel Principe dagli occhi blu era un mostro," ripeté Kenma. "Tutto bruciava... Tutti i Regni liberi bruciavano e quel giovane se ne stava lì, a testa alta, passando in mezzo ai suoi nemici costretti in ginocchio."

Tooru non seppe più cosa dire, così rimase in silenzio, dandosi il tempo per realizzare il vero significato delle parole di Kenma. Pensò a Tobio. Pensò a Hajime che se lo immaginava identico a lui, con tutti i suoi pregi e difetti. Tooru provò a vederlo come Kenma glielo aveva descritto: capelli neri, occhi blu.

I capelli del suo Cavaliere, gli occhi di sua madre ed il suo mantello rosso sulle spalle.

Prese un respiro profondo cercando di combattere il nodo che aveva preso a stringergli la gola. Scosse la testa. "Non è vero..." Mormorò alla fine, rivolgendo a Kenma uno sguardo astioso. "Non ci credo..."

Kenma annuì. "Non sono qui per convincerti," gli disse con pacata gentilezza. "Dovevi sapere, però."

Tooru annuì: avrebbe voluto urlargli contro di andarsene, avrebbe voluto punirlo per la sua sincerità scomoda e avrebbe voluto scagliargli addosso tutta la rabbia generata dal dubbio che aveva insinuato nella sua mente. Ma non poteva. Se c'era anche solo una possibilità che quel presagio potesse realizzarsi, non poteva.

Cercò di convincersi che Kenma lo aveva fatto con le migliori intenzioni... Che il sogno che aveva con Hajime si fosse trasformato in un incubo aveva ben poca importanza, vero?

"Tooru?"

Il Principe sollevò lo sguardo in un gesto automatico: Koushi lo guardava dalla portafinestra aperta con espressione preoccupata. Koushi, sì... Un Omega. L'Arciere del Principe di Karasuno. Il suo amante.

Quel Principe Demone aveva un corvo con sé.

Forzò un sorriso all'apparenza tremendamente sincero. "Koushi!" Esclamò con allegria. "Avvicinati, voglio presentarti Kenma, il Mago e Curatore della corte del Regno di Nekoma!"

Kenma si alzò in piedi in segno di rispetto ma persino su quel viso solitamente inespressivo comparve l'ombra della confusione. Il Principe di Seijou se ne accorse. "Kenma, lui è Koushi, Arciere del Regno di Karasuno. È nostro ospite insieme al suo Principe," spiegò. "Vieni, Koushi. Siediti vicino a me."

 
***



Tooru si sollevò sui gomiti e gli rivolse un gran sorriso. "Sul serio?"

Koushi si strinse le ginocchia al petto e ricambiò l'espressione. "Sì, sul serio."

Il Principe di Seijou cercò con lo sguardo Daichi e Hajime e li trovò sugli scogli più in basso, con i piedi immersi nell'acqua, completamente impegnati nel cercare di rendere utilizzabile una rete da pesca con fin troppi nodi. Bene, potevano parlare tranquillamente.

"Quindi è...?"

"No," lo interruppe subito Koushi con le guance un po' rosse. "Non ancora..."

Tooru mise su un broncio decisamente infantile. "Ma avete parlato di bambini, avete scelto il nome... Che cosa aspetti?"

"Un po' di sicurezza per il bambino che potrebbe nascere, tutto qui," spiegò l'Arciere scrollando le spalle. "Se c'è veramente la speranza di costruire un futuro insieme, per me e Daichi, lo scopriremo solo dopo la sua incoronazione. Non è così semplice... Non posso rischiare di dare alla luce un bambino che Daichi potrebbe riconoscere come suo figlio ma la nobiltà non come erede legittimo."

Tooru sospirò scocciato ma annuì: era logico e non faceva una piega. "Che brutta razza la nobiltà!" Esclamò.

Koushi rise. "Ne facciamo parte anche noi."

"No, noi siamo di una classe superiore!"

"Che sciocchezze stai dicendo, Tooru?" Domandò Hajime a gran voce dalla riva del mare.

Tooru si sporse oltre lo scoglio dove lui e Koushi erano seduti. "Sempre rude, Iwa-chan!" Si lagnò, poi si stese sulla schiena con le braccia incrociate dietro la testa. Il silenzio durò pochi secondi, poi si sollevò e tornò a guardare Koushi negli occhi. "Facciamo così... Io lo dico a te e tu lo dici a me!"

Koushi inarcò un sopracciglio. "Cosa?"

"Il nome del tuo bambino!"

L'Arciere rise. "Porta sfortuna!"

"Porta sfortuna sceglierlo prima della nascita ma dato che i nostri non sono nemmeno concepiti, penso si possa fare uno strappo alla regola!" Replicò il Principe Demone. "Comincio io allora..."

"Hajime non si arrabbierà?" Lo interruppe Koushi.

"Oh, non è necessario che i baldi giovani lo sappiano. Sarà un piccolo segreto tra me e te!" Affermò Tooru con entusiasmo. "Dopotutto, non possiamo mica rischiare che si chiamino nello stesso modo. Primo, visti i precedenti dei nostri Re, farebbe abbastanza ridere. Secondo, immagina la confusione quando tutti i Regni cominceranno a mandare lettere per avere la mano del Principe tal dei tali, sia di Karasuno che di Seijou. Salviamo gli imbecilli da tanta fatica!" Esclamò sarcastico. "In ogni caso, il nome del mio principino è Tobio."

"Tobio..." Ripete Koushi provando a pronunciarlo.

"È il nome del padre di Hajime."

"Io vorrei che mio figlio si chiamasse Shouyou," disse Koushi timidamente. "È il nome di uno dei miei genitori."

Tooru fece una smorfia soddisfatta. "Entrambi contro le tradizioni, eh?"

Koushi scrollò le spalle. "Almeno saranno unici, speciali..."

 
***



L'estate finì in fretta.

Daichi e Koushi furono i primi a lasciare il piccolo castello in riva al mare. Fu amichevole il loro addio e pieno di belle promesse per il futuro di entrambi i Regni.

"Se ci fossimo conosciuti per questioni politiche, non sarebbe mai andata così!" Esclamò Tooru.

Daichi gli sorrise. "Mi trovi d'accordo," gli porse la mano. "Ci vediamo da Re, Tooru."

"Ci vediamo da Re, Daichi."

Il Principe di Karasuno strinse la mano anche a Hajime. "Mi devi ancora un duello di rivincita."

"Quando vuoi," rispose il Cavaliere con un sorriso d'approvazione.

Koushi e Tooru non si dissero nulla. Si scambiarono uno sguardo d'intesa e andarono ognuno per la loro strada.

Ora, toccava a tutti e quattro giocare le loro carte.

 
***




Il Regno di Seijou era coperto di neve la notte in cui Tooru, unico erede al trono del Castello Nero, divenne Re.

Tooru proibì categoricamente a Hajime di vederlo prima della cerimonia, manco fosse una sposa che nascondeva il suo abito bianco tutta orgogliosa. Il Cavaliere aveva alzato gli occhi al cielo commentando che sarebbe stato solo che felice di vivere qualche minuto in più senza guardare la sua faccia. Se ne era andato con la voce lagnosa di Tooru in sottofondo ed era rimasto in camera, fino a che Issei e Takahiro non lo avevano chiamato per scendere nella sala del trono.

Per la seconda volta, Hajime indossò l'armatura nera dei Cavalieri del Re ma fu l'unica in cui riuscì, effettivamente, ad usarla in un'occasione ufficiale. Questa fu la scusa di commenti e battute a non finire da parte dei suoi compagni di addestramento, i quali non persero tempo a prendersi amichevolmente gioco di lui e fingersi commossi nel constatare quanto il loro Iwa-chan fosse diventato grande e avesse fatto molta strada.

Hajime li aveva guardati tutti in cagnesco ma, in cuor suo, si era sentito riscaldato da un simile accoglienza. Quasi dieci anni prima, quando le guardie lo avevano trascinato di peso da Tooru ed era iniziata tutta quella storia, non era stato altro che un orfano col compito di divenire il giocattolo personale del Principe.

Sì, le cose erano decisamente cambiate per lui e gli piaceva credere che, almeno in parte, fosse anche per merito suo e non solo per la sua vicinanza all'erede al trono. Tutti loro sapevano di Tooru. Tutti loro sapevano quanto profondo fosse il sentimento che li legava e nessuno aveva mai fatto rivalsa su di lui per questo. Quella coesione che Hajime aveva sentito quella prima sera fuori dal castello, alla taverna, l'aveva ritrovata nel momento in cui chiunque altro gli avrebbe voltato le spalle.

Come il Generale Mizoguchi li fece disporre tutti ai lati del Trono Nero, Hajime si convinse che era a casa e andava tutto bene.

Tooru entrò dal portone dell'enorme salone e, di colpo, sembrò che il mondo intero si fermasse al suo cospetto.

Un brusio sorpreso aveva già cominciato ad alzarsi, quando Hajime, infine, si voltò.

Se aveva mai messo in discussione che Tooru fosse bello (per mettere l'altro in crisi, non che avesse mai avuto realmente dubbi in merito), da quella notte non avrebbe mai più avuto l'occasione di farlo. Il mantello rosso era stato riposto nell'armadio, in attesa che un nuovo Principe Demone lo indossasse al suo posto.

Tooru era un trionfo di velluto nero e la stoffa lucida rifletteva tutte le luci della stanza come se fosse acqua scura. Camminava a testa alta, con l'espressione sicura di chi si sente invincibile e non teme nulla. Quando gli fu accanto, gli sorrise con discrezione e complicità e Hajime si ritrovò a rispondere a quell'espressione senza pensarci, come se fosse un idiota completamente incapace di controllare le sue azioni.

Accanto a lui, Issei e Takahiro trattennero una risata e si costrinse a tornare serio immediatamente, mentre Tooru saliva le scale che conducevano al trono.

Vi si inginocchiò davanti e Hajime si sorprese a trattenere il respiro mentre il più anziano dei Consiglieri gli posava la corona nera sul capo.

Il nuovo Re Demone del Regno di Seijou si alzò in piedi e rivolse lo sguardo verso la sua corte.

La sala sembrò esplodere.

"Lunga vita al Re!" Urlavano tutti con euforia. "Lunga vita al Re!"

Hajime rimase in silenzio a guardare Tooru divenire quello che era nato per essere. Un sorriso emozionato comparve sul viso del suo Principe... No, era il suo Re, ora.

Un sorriso sincero, di quelli che così poco comparivano sul suo viso.

I grandi occhi marroni vagarono tra i Cavalieri ai piedi del Trono Nero e si fermarono solo quando trovarono i suoi. Per un istante, sembrò che in quella sala ci fossero solo loro.

Hajime sorrise. "Lunga vita al Re!"

Il resto della serata fu una vera tortura per entrambi.

Per quanto ormai in molti fossero consapevoli di quello che c'era tra il nuovo Re di Seijou e l'unico Umano tra i suoi Cavalieri, quella era un'occasione in cui era indispensabile mantenere le apparenze. Passarono tutta la sera a scambiarsi occhiate da lontano, scusandosi in silenzio per quella scomoda situazione.

Fu poco dopo la mezzanotte che Issei diede una gomitata a Hajime, mentre Takahiro prese ad indicargli una delle porte secondarie della stanza con insistenza. Il Cavaliere voltò lo sguardo e fece appena in tempo a vedere il giovane dal mantello nero allontanarsi dalla folla e scomparire all'esterno.

Hajime lo seguì solo un battito di cuore più tardi.

Lo trovò a metà della rampa di scale che conduceva agli appartamenti reali.

Hajime lo raggiunse lentamente, studiando tutte le sfumature di quel sorriso che gli rivolgeva con una naturalezza che gli ricordò tanto la loro infanzia. Tooru era Re, alla fine e, per assurdo, il Cavaliere non lo aveva mai sentito così suo come in quel momento.

Il giovane sovrano spezzò il silenzio con una risata leggera. "Sembri senza parole, Iwa-chan!"

"Lo sono..." Ammise lui, suo malgrado.

C'erano solo due gradini a separarli. Hajime ricordava alla perfezione una scena simile di pochi mesi prima, quando aveva chiesto in silenzio la mano del suo Principe ed un altro uomo l'aveva sottratta dalla sua presa. Ora, erano solo loro due e persino il resto del mondo sembrava essersi messo da una parte.

Come aveva fatto mesi prima, Hajime alzò la mano destra e la porse al suo Re. "Hai detto che era questa la mano che avresti voluto stringere per il resto della vita."

Il sorriso di Tooru cambiò un poco: divenne più dolce, più emotivo. Fece scivolare le sue dita sul palmo del Cavaliere. "Sì, mille volte sì."

Il mattino seguente, la prima cosa che Tooru sentì fu il respiro caldo del suo Cavaliere sul retro del collo. Sorrise, stiracchiandosi tra quelle braccia forti che lo stringevano dalla notte precedente. Scivolò fuori dalle coperte lentamente per non svegliarlo, infilò qualche vestito alla male e peggio, poi si sedette sul bordo del materasso concedendosi qualche istante per guardare il suo Cavaliere dormire serenamente. Non avrebbe mai potuto immaginare nessun altro al suo posto, lì, nel suo letto.

Tooru si sporse in avanti e posò un bacio su una delle guance del giovane addormentato. "Riposa ancora, Iwa-chan."

Aveva dato ordine di far servire la colazione nel suo salottino privato e nel modo più discreto possibile: non voleva che nulla e nessuno interrompesse l'intimità di quella sua prima mattina da Re. Ora, aveva il potere e la libertà di trattare Hajime come più meritava e non aveva alcuna vergogna nel farlo. Che i vecchi bigotti si scandalizzassero pure!

Il suo Cavaliere aveva la stima e l'appoggio di tutti i suoi compagni d'armi e tanto bastava per mettere a tacere anche i Consiglieri. Ora, era il turno di Tooru.

Hajime aveva messo tutto sé stesso nel conquistarsi una posizione di tutto rispetto ed il minimo che poteva fare come Re era rendere legge ciò che i fatti avevano già dimostrato: un bambino Umano poteva essere capace quanto un piccolo Demone e non c'era ragione perché non potessero godere degli stessi diritti.

Quella mattina, la mente di Tooru era piena di tutto e di più: idee che avrebbero potuto rendere Seijou un Regno migliore, più grande e senza l'aiuto di altre famiglie reali. Era la sua corona, era la sua gente ed era una sua responsabilità... No, decise che non sarebbe mai stato giusto vendersi per seguire la strada più facile.

Poteva essere migliore di così e non aveva paura di dimostrarlo.

Tanto buon umore si sbriciolò e divenne polvere nel rendersi conto che c'era già qualcuno nei suoi appartamenti. Qualcuno che non avrebbe dovuto avere alcuna ragione per essere lì.

"Mio Re," lo omaggiò Wakatoshi con un breve inchino alzandosi dalla poltrona su cui si era accomodato senza permesso. "Perdonate ancora una volta il mio ritardo, avrei voluto essere presente alla vostra incoronazione di ieri."

Tooru non seppe come replicare. Lo guardò come se si fosse presentato armato e con aria minacciosa quando, in realtà, il Re dell'Aquila aveva l'aspetto di un qualunque viaggiatore con la sola intenzione di fare una visita di cortesia.

"Cosa ci fai qui?" Domandò velenoso il giovane Re.

"Onorarvi, cos'altro?"

"Piantala con questo falso rispetto!" Esclamò Tooru. "Ti sbagli, se pensi che lo ricambierò."

Wakatoshi annuì con la sua solita espressione neutra: le sue parole non lo avevano offeso, né toccato in alcun modo. C'era stato un tempo in cui Tooru era stato attratto da una simile forza, da tanta impenetrabilità e, forse, in un certo senso, lo era ancora e non era meno acceso il desiderio di assediare quell'animo indecifrabile. Semplicemente, nel frattempo, aveva conquistato ben altro.

"Sei intelligente, Tooru," commentò il Re dell'Aquila con meno formalità. "Era indispensabile per il mio onore che vincessi quel duello e lo sai bene."

Tooru non poteva negarlo: l'aveva rifiutato pubblicamente senza una ragione politica che giustificasse una simile follia. Si era cercato l'umiliazione che aveva subito per mano dell'altro sovrano ma questo non significava che l'avesse cancellata dalla sua testa.

Reclinò la testa da un lato e sorrise sarcastico. "Se sei qui senza una vera ragione, devo forse credere che non potevi fare a meno di vedermi, mio Re?" Domandò con sicurezza ed una nota derisoria nella voce.

"Sì, infatti," fu la risposta ferma del Re dell'Aquila e Tooru sentì la sua difesa cadere con la facilità di un castello di carte. "Volevo vedere con i miei occhi il nuovo Re di Seijou e capire in che cosa è diverso dal Principe che ho costretto in ginocchio."

Tooru strinse i pugni ed il fatto che l'altro non stesse usando nessun tono che potesse umiliarlo più di quanto già non avesse fatto non faceva che aumentare la rabbia che provava nei suoi confronti. "Non c'era niente per te allora," rispose. "Non c'è niente per te nemmeno oggi."

Wakatoshi esaurì la distanza tra la loro e Tooru si odiò per la soggezione che la sua vicinanza gli metteva, per il galoppare impazzito del suo cuore di fronte a quello sguardo che non tradiva nulla... Assolutamente nulla.

"Ancora questo stupido orgoglio, Tooru?" Wakatoshi alzò una mano e gli sfiorò i capelli distrattamente. Un gesto che era tanto simile a quello che aveva spinto Hajime ad allontanarsi solo pochi mesi prima. Il Re di Seijou non si sottrasse. "Che fine ha fatto il tuo di orgoglio, se mi vieni a cercare dopo il disonore che ti ho arrecato?"

"Hai già pagato per quello..."

"E non voglio pagare più," replicò Tooru. "Non ne vale la pena. Non per me."

Il Re dell'Aquila allontanò la mano dal suo viso. "Non ho mai negato di volerti e non ti ho mai nascosto di farlo per ragioni che andavano ben oltre quelle politiche."

Tooru fece una smorfia. "Non ricordo nessuna confessione d'amore da te."

"Lascia perdere l'amore, Tooru," lo rimproverò Wakatoshi. "Avevi la mia indiscussa attenzione. Non ti bastava?"

Il più giovane non si era ancora cancellato quel sorrisetto arrogante dal volto. "Che cosa vuoi davvero, Re dell'Aquila?"

"Nulla di diverso da quello che volevo la prima volta che ho messo piede al Castello Nero." Diretto, pratico. Nessuna esitazione. Nessuna emozione.

Tooru strinse le labbra fino a fale divenire una linea sottile, poi le socchiuse quel tanto che bastava per prendere un respiro profondo. "Potrei già aspettare suo figlio," confessò come se lo sperasse, come se fosse qualcosa di cui essere orgogliosi. "Non credo che il sovrano più forte dei Regni liberi possa permettersi di prendere per consorte un Demone che si è fatto rovinare da un Cavaliere senza nome, dico bene?"

Wakatoshi lo fissò e, per la prima volta da quando era entrato nella stanza, un barlume di emozione sembrò comparire nei suoi occhi. "Non puoi avere un figlio con lui."

Se Tooru fosse stato più attento, avrebbe notato che lo aveva detto con la semplicità con cui si afferma un dato di fatto. "Sai qual è il vantaggio nell'essere mostri? Alle volte, le leggi degli uomini non valgono per quelli come me. Non ci sarà alcuna ragione di negare la legittimità di un figlio nato da me."

"No, Tooru," ripeté Wakatoshi. "Non sto negando il tuo potere. Dico che non puoi avere un figlio da un Umano."

Tooru gli rivolse una smorfia esasperata e fece per replicare, poi si rese conto del reale significato delle sue parole. Inarcò un sopracciglio e fissò il sovrano di fronte a lui in attesa di una spiegazione.

"Vuoi sapere una delle ragioni politiche per cui ho scelto questo Regno?" Domandò il Re dell'Aquila. "La tua Dinastia è una delle poche antiche quanto la mia ad aver mantenuto un potere degno di tale nome per un gran numero di generazioni."

Tooru non comprendeva. "Che cosa centra l'antichità del mio nome?"

"Il tuo sangue è molto potente, Tooru. Il fatto che tu stia qui a parlarmi della possibilità di dare alla luce un figlio, vuol dire che ne sei perfettamente consapevole."

"Ovvio!" Quasi ringhiò il Re di Seijou.

"Hai mai visto un bambino mezzo Umano e mezzo Demone, Tooru?"

Il più giovane sbuffò esasperato. "Non lo so... No!"

"Perché non esistono," fu la crudele conclusione di Wakatoshi. "Non possono esistere."

A quel punto, Tooru fu costretto a concedergli tutta la sua attenzione. "Che cosa stai delirando?" Domandò in un sibilo.

"Il suo sangue non è potente quanto il tuo," spiegò Wakatoshi. "Scorre magia nera nelle tue vene ed anche molta. Hajime è solo un uomo, Tooru. Non può nascere nulla da voi."

Fece una pausa.

"Pensavo ne fossi consapevole..."

Gli occhi di Tooru fissavano il vuoto. "Ho perso mia madre a tredici anni," mormorò. "L'hanno portata via da me molto prima. Non ha avuto il tempo di... In fin dei conti, per loro, ero legato a te da molto tempo prima che t'incontrassi."

Per qualche strana ragione, forse per un gesto di conforto, Wakatoshi alzò la mano e cercò di toccarlo di nuovo. Tooru si ritrasse. "Non mi toccare..." Sibilò senza guardarlo.

Il Re dell'Aquila annuì e si allontanò. "Il tuo Regno avrà bisogno di un erede, prima o poi."

"Non sono affari che ti riguardano," replicò velenoso. “In fin dei conti, sei solo un uomo anche tu."

"Questo è solo quello che credono tutti,” Wakatoshi lo fissò per un'ultima volta. "Non aspettare troppo, Tooru. Potresti finire per pentirtene."

Il rumore della porta della stanza che si richiudeva per Tooru fu come un colpo di cannone. Si lasciò cadere sulla poltrona su cui aveva trovato seduto Wakatoshi e fissò le fiamme ardere nel camino al suo fianco. "Tobio..." Chiamò con un filo di voce ma nessuno gli rispose.

Quel bambino non era ancora nato. No, quel bambino non sarebbe mai nato.

"Tooru?"

Raggelò per un istante, poi si voltò ed incrociò gli occhi verdi assonnati del suo Cavaliere. Per un attimo, uno solo, Tooru fu sul punto di gettarsi tra le sue braccia e buttare fuori tutta la rabbia e l'odio che provava per sé stesso: gli aveva promesso un figlio e non avrebbe mai potuto darglielo. Invece, un sorriso magistralmente simulato comparve sul suo viso. "Buongiorno, Iwa-chan. Mi porteresti dell'inchiostro ed una carta da lettera? Devo compiere la mia prima azione da sovrano degno di tale nome!"

Il Cavaliere gli rispose con una smorfia. "Che follia ha partorito quel cervellino diabolico?"

"Iwa-chan, sempre rude! Devo fare il regalo di nozze a Koushi e Daichi."

Hajime ci capì meno di prima. "O sei diventato completamente stupido tu o i pettegolezzi sono passati di moda."

"Giochiamo d'anticipo!" Esclamò Tooru con falsa euforia.

Quella fu la prima volta che riuscì a nascondere qualcosa a Hajime.

 
***



Il Generale Ukai si rigirò la lettera tra le mani cercando di mantenere l'espressione più formale del suo repertorio. Daichi si accorse che faceva particolare fatica.

Un forte senso d'ansia gli aveva chiuso lo stomaco quando il Generale aveva sottratto sia lui che Koushi dagli allenamenti della mattina e aveva ordinato ad entrambi di seguirlo nella biblioteca, dove ad attenderli vi era anche il Maestro Takeda.

Sulla loro fuga non erano state pronunciate parole da nessuno dei due, né dal resto del Consiglio. Yui era stata di parola: aveva pensato a tutto.

Le uniche reazioni che i due amanti avevano dovuto affrontare erano state quelle dei loro compagni che, a detta di Ukai, erano stati insopportabilmente inconsolabili per settimane intere e nemmeno le parole di Yui, che li aveva rassicurati che erano insieme e che stavano bene, erano servite a nulla. Daichi si era trattenuto dal dire che non sembravano essere particolarmente consolati nemmeno dal loro ritorno.

Yuu e Ryuu avevano pianto attaccati a Koushi per ore e, quando Daichi era riuscito ad allontanarli a suon di minacce, avevano continuato a lagnare stringendosi tra loro. Asahi aveva avuto il buon senso di singhiozzare discretamente, restando in disparte.

Persino Kiyoko aveva concesso a Koushi un breve abbraccio. Questo aveva poi spinto Yuu e Ryuu a progettare una fuga a loro volta solo per ricevere la stessa accoglienza, sventata sul nascere da Ukai che li aveva costretti ancora una volta ad occuparsi della lavanderia del castello come punizione.

Hayato, da principio, non gli aveva detto nulla. Solo successivamente, gli aveva spiegato che Yui aveva rinunciato personalmente al fidanzamento e, da degna erede di una delle famiglie più potenti del regno, aveva giurato di fronte al Consiglio la sua lealtà alla corona indipendentemente da quella scelta.

Aveva lasciato il castello subito dopo.

Daichi aveva capito ma aveva provato un tuffo al cuore all'idea di non poterla ringraziare: non era saggio farsi vedere insieme.

Nulla era cambiato tra lui e Koushi nei mesi a seguire. La sola differenza era che non dovevano più nascondersi come in precedenza, anche se avevano continuato a rimanere discreti per varie ragioni: Koushi era ancora solo un Arciere ed i Consiglieri, convinti che si trattasse solo dell'infatuazione di un Principe troppo giovane, avevano mandato avanti le trattative per altri possibili matrimoni di profitto.

Alla fine, era arrivata quella lettera dal Regno di Seijou e, anche se nessuno dei due ne conosceva il contenuto, bastava guardare la faccia del Generale per intuire che quello sarebbe stato un altro di quei momenti da cui non sarebbero mai potuti tornare indietro.

Ukai si rigirò la missiva tra le mani ancora una volta.

"Non ha importanza come la guardi, il messaggio è chiaro."

Koushi dovette stringere il pugno per impedirsi di cercare la mano di Daichi.

Il Principe guardava dritto davanti a sé, come se fosse in attesa di ricevere un verdetto sospeso tra la vita e la morte.

Takeda, alla fine, sorrise. "Diglielo e basta. Non avranno ragione di esserne infelici."

Ukai annuì e simulò un paio di colpetti di tosse. "In breve," cominciò. "Il nuovo sovrano del Regno di Seijou, il Re Demone Tooru, ha spedito alla corte un messaggio, con tanto di sigillo reale, in cui afferma che, nel qual caso il nostro Principe prenderà come consorte qualcuno che non sia Koushi, si vedrà costretto a muovere guerra contro Karasuno."

Un silenzio allibito calò sulla stanza.

I due ragazzi continuarono a tenere gli occhi fissi davanti a loro, incapaci di dire nulla.

"In altre parole," intervenne il Maestro Takeda con un sorriso gentile. "Per ragioni di stato, il nostro Principe si vede costretto ad avere la mano del nostro Arciere per evitare alla sua gente l'orrore della guerra."

"È tutto scritto qui!" Esclamò Ukai con urgenza, come se fosse imbarazzato, costringendo Daichi a prendere la lettera in mano. "C'è solo una particolarità, Koushi."

L'Arciere si fece immediatamente attento.

"Dobbiamo garantire al Consiglio e alla nobiltà la venuta di un erede, in futuro," spiegò il Generale. "Sai cosa significa per te, vero?"

Koushi abbassò lo sguardo per un istante, poi prese un respiro profondo. "Lo comprendo bene."

"Sei disposto a farlo?"

Non esitò un istante. "Sì, signore," rispose. "Con tutto il cuore, sì."

"Lasciamoli da soli, Keishin," si fece avanti Takeda. "Immagino abbiano molto di cui parlare."

Il Generale annuì frettolosamente ed uscì dalla biblioteca quasi a passo di marcia, seguito dal Maestro. Rimasti soli, si guardarono senza parole e si scambiarono dei sorrisi titubanti, increduli. Daichi fu il primo ad avere il coraggio di muoversi: appoggiò una mano sulla guancia di Koushi e l'altro la coprì con la sua.

"Se è un sogno, ti prego, non svegliarmi," mormorò l'Arciere con le lacrime agli occhi.

"No," Daichi scosse la testa. "No, è solo realtà."

E, come a volerlo provare, lo baciò sulle labbra.

La notte dell'incoronazione, il Regno di Karasuno era ricoperto di neve ed il castello non fu mai in festa come in quell'occasione.

La folla era euforica ma mai quanto i Cavalieri e gli altri giovani dell'esercito che avevano condiviso tutto con i due giovani sovrani appena incoronati.

Yuu e Ryuu, appena fatti Cavalieri, se ne stavano in prima fila con la schiena dritta e la testa bassa. I volti rigati da fiumi e fiumi di lacrime per la troppa emozione. Asahi non era da meno ma cercava di trattenersi quanto poteva per troppa vergogna di essere visto.

Persino il Generale fu titubane in alcuni momenti della cerimonia ma fu tanto bravo a nasconderlo che solo il sorriso discreto che il Maestro Takeda gli rivolgeva poteva tradirlo.

"Lunga vita al Re!" Gridavano tutti.

"Lunga vita al Re..." Mormorò qualcuno alla destra del giovane sovrano. Daichi si voltò e vide Koushi dove sempre aveva desiderato averlo: accanto a lui, sul punto più alto del loro mondo che, forse, non era molto in confronto ad altri grandi nomi ma era tutto quello che aveva da offrire e voleva condividerlo col compagno che si era scelto senza esitazione.

Era bellissimo, il suo consorte, con la corona dorata sul capo identica alla sua ed il mantello ricoperto di piume nere.

"Lunga vita al Re," disse ancora Koushi col più dolce ed innamorato dei sorrisi.

Fu come se gli avesse detto ti amo.

Koushi non aveva il carattere adatto per i grandi eventi e la confusione che questi provocavano. Era stato felice come mai in vista sua di essere festeggiato al fianco del giovane Re del Regno di Karasuno ma si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, quando riuscì a ritirarsi negli appartamenti reali.

Il silenzio lo accolse come un vecchio amico e Koushi sorrise sereno sfilandosi il mantello pesante ed appoggiandolo sulla poltrona accanto al caminetto. Prese tra le mani la corona dorata ma non la ripose. Continuò a passarvi le dita come per accertarsi che fosse reale, mentre si dirigeva lentamente in camera da letto. Lì, vi erano solo candele ad illuminare la stanza, dandole un aspetto suggestivo che Koushi non poté che apprezzare. Era intimo.

Si sedette sul bordo del letto, la corona ancora tra le mani.

Per un istante, pensò a suo padre, a quel poco che ricordava della sua prima infanzia. Pensò alle parole crudeli che la famiglia da cui aveva avuto solo il nome aveva riservato ad entrambi. I suoi genitori gli avevano sempre ripetuto che era speciale ma li aveva perduti troppo presto perché avessero avuto il potere di convincerlo. Si chiese cosa avrebbero pensato di lui se avessero potuto vederlo ora.

Una tristezza improvvisa gli strinse il cuore ed una singola lacrima cadde sulla superfice lucida della corona tra le sue mani. Si asciugò il viso con una mano e sorrise: alla fine, aveva trovato qualcuno in grado di completare il lavoro che loro erano stati costretti a lasciare a metà. Daichi lo faceva sentire molto più che speciale e questo senza una corona che dovesse provarlo.

L'appoggiò con cura sul baule in fondo al letto e si alzò in piedi e si portò davanti allo specchio: aveva tanti di quei bottoni addosso che gli ci sarebbe voluta tutta la notte per spogliarsi.

"Aspetta..."

Le dita dell'Arciere si congelarono nell'udire quella voce, gli occhi dorati fissi sulla superficie riflettente. Vide il giovane alle sue spalle togliersi il mantello corvino e lasciarlo cadere a terra. Appoggiò la corona dorata accanto alla sua e passò a liberarsi dei vestiti.

Gli occhi scuri incollati a quelli dorati nel riflesso dello specchio. Quando ebbe finito, il giovane Re esaurì la distanza tra loro circondando la vita del compagno con entrambe le braccia. Koushi chiuse gli occhi e reclinò la testa all'indietro, mentre la bocca di Daichi gli torturava dolcemente il collo facendo aderire completamente i loro corpi. Le mani del Re trovarono i due lembi della camicia di velluto e strapparono via ogni bottone senza remore.

Koushi s'irrigidì appena di fronte a tanta violenza ma il cuore prese a battergli ancor più forte dopo. Si rigirò in quell'abbraccio possessivo per poter guardare il proprio amante negli occhi. Daichi gli sfilò dalle spalle ciò che rimaneva della camicia accarezzando la pelle pallida delle spalle e delle braccia con la punta delle dita. L'Arciere sentì un brivido caldo scendere lungo la schiena ed il giovane Re lo strinse a sé con più forza, unendo le loro labbra in un bacio che li lasciò entrambi senza fiato.

Koushi passò i palmi aperti sui muscoli del torace, sulle spalle larghe e vi si aggrappò come se da questo dipendesse la sua vita. Le mani di Daichi lavorarono abilmente sulla cintura dell'altro e ben presto i corpi di entrambi s'incontrarono senza più nessuna barriera a separarli. Pelle contro pelle e basta ed il bacio divenne più lento, sebbene più urgente.

Koushi si stese al centro del letto senza allontanare i propri occhi da quelli di Daichi nemmeno per un istante. Il suo Re rimase a guardarlo. Entrambi si concessero un istante per ammirare l'uno il corpo dell'altro e ricordare a loro stessi l'intensità del desiderio che li legava con la dolcezza di un incantesimo e la forza di una maledizione. Koushi piegò le gambe e si portò entrambe le mani in grembo, indeciso su cosa farci.

Daichi gli sorrise dolcemente e, non appena si avvicinò, l'Arciere lo strinse a sé con bisogno, con disperazione e chiuse gli occhi: era pronto a concedergli ogni cosa avesse desiderato da lui. Non lo avrebbe mai fatto per nessun altro, solo per Daichi, solo per il suo Re.

"Apri gli occhi," gli ordinò lui.

Koushi lo fece, sebbene non ne capisse il motivo.

"Voglio guardarli," spiegò Daichi appoggiando la fronte sulla sua. "Voglio vedere quello che provi... Ogni cosa..."

Le prime luci del sole li sorpresero che si amavano ancora.

Fu come se tutto il tempo nel mondo non fosse sufficiente per premettere ad entrambi di saziarsi l'uno dell'altro. Fu una notte infinita e comunque troppo breve.

Fu tutto quello che avevano sognato e molto di più.

Il Re si addormentò tra le braccia del suo Arciere con fiducia ed il giovane consorte vegliò il suo sonno fino a che la stanchezza non ebbe la meglio anche su di lui. Koushi non sognò nulla quella notte, non ne aveva bisogno: tutto quello che aveva solo potuto immaginare durante le lunghe e fredde notti della sua infanzia, ora era realtà.

 
***



Passarono i mesi.

Tooru divenne presto la disperazione di tutti i Consiglieri del Regno di Seijou: le sue idee rivoluzionarie non piacevano ai più ma godeva dell'appoggio indiscusso dei suoi Cavalieri e questo lo doveva a Hajime e a tutto il rispetto che aveva conquistato per sé nel corso dei suoi anni a corte.

I vecchi nobili non vedevano di buon occhio tanta rivoluzione ma i loro figli, specie quelli che erano cresciuti col compagno del giovane sovrano, erano di tutt'altro avviso.

Così, tra una discussione inutile e l'altra, Tooru fece quello che meglio gli riusciva: ottenere tutto quello che desiderava.

Con l'arrivo dell'estate, venne proclamata la parità di diritti tra Demoni ed Umani.

"Sei orgoglioso di me?" Domandò Tooru una sera, mentre erano soli nella loro camera.

Hajime lo guardò senza che i suoi occhi tradissero nulla. "Che domanda stupida, proprio da te!" Esclamò, poi lo strinse a sé per dargli un lungo bacio sulle labbra.

Daichi aveva imparato una cosa dalla tragedia della sua infanzia e quella di molti altri bambino come Koushi ed i suoi amici Cavalieri: un Re saggio non aspirava mai alla guerra ma il mondo in cui vivevano era spinto dalla crudeltà e dalla sete di potere.

Nei suoi primi mesi di regno, il suo obbiettivo primario fu la difesa.

Tenne i guerrieri più forti e quelli più giovani a corte in modo che potessero imparare gli uni dagli altri ma decise di trasferire i più esperti ai confini, garantendo così una sicurezza ferrea anche per quei villaggi e quei territori più lontani dalla Capitale.

Koushi fu al suo fianco per tutto il tempo.

Non c'era idea che gli passasse per la testa che Daichi non ponesse al suo giudizio e, intelligente e riflessione com'era, il suo Arciere seppe sempre consigliarlo nel migliore dei modi per la gioia e la soddisfazione del Generale Ukai e del Maestro Takeda.

L'estate arrivò e scivolò via senza che vi fosse l'annuncio di un erede in arrivo da parte di nessuno dei due giovani sovrani.

All'inizio dell'autunno di quello stesso anno, il Regno di Shiratorizawa spostò le sue truppe al confine col Regno di Seijou e al Castello Nero giunse voce che fossero guidate dal Re dell'Aquila in persona.

"Vuole me..." Dichiarò Tooru con voce grave una notte, stretto tra le braccia del suo Cavaliere. "È tornato per me."

Hajime continuava a passare le dita tra i suoi capelli distrattamente, gli occhi verdi rivolti al soffitto, persi in qualche riflessione che il giovane Re non poté indovinare. "A cosa pensi?" Domandò Tooru alzando lo sguardo sul suo viso.

"A quello che quel bastardo deve provare per te," rispose Hajime senza guardarlo.

Tooru sospirò stancamente e chiuse gli occhi strofinando la guancia contro il petto del Cavaliere come a voler scacciare quei pensieri dalla sua mente per far spazio ad altri decisamente più dolci. "Non rovinarti il sonno per questioni del genere."

"Tu riesci a dormire tranquillo sapendolo alle porte della nostra casa?" Domandò il Cavaliere.

Tooru si sollevò sui gomiti: non era una questione che si potesse evitare in eterno, in fondo.

"Non posso fare nulla senza andare incontro a conseguenze enormi," replicò con serietà.

"Lo so." Rispose il Cavaliere incontrando, finalmente, i suoi occhi. "Ma non puoi chiedermi di mantenere la calma mentre quello se ne sta ad un passo dalla nostra terra con un esercito al seguito ed una sua lettera compare sulla nostra tavola ogni mattina."

Suo malgrado, a Tooru sfuggì un sorriso. "La maggior parte di quelle lettere l'hai lette e stracciate tu."

Anche Hajime si sollevò su di un gomito. "Non mi sento minacciato dai sentimenti che quell'uomo prova per te ma non significa che mi scivolino addosso come se niente fosse."

Tooru scosse la testa. "Wakatoshi non prova nulla per nessuno."

"Tu sei la sua eccezione," rimarcò Hajime con sicurezza. "Me lo ha detto."

Il giovane sovrano evitò di confessargli che lo aveva detto anche a lui la mattina seguente alla sua incoronazione. Non aveva mai parlato ad Hajime del dialogo che avevano avuto e non aveva alcuna intenzione di ripensarci ora, a quasi un anno di distanza.

Nel corso dei mesi, lui e Kenma si erano rivisti innumerevoli volte ed avevano anche parlato da soli in più di un'occasione: Tooru non gli aveva parlato dell'impossibilità di avere un figlio dal suo Cavaliere ed il giovane Mago non aveva più toccato l'argomento. Se aveva fatto altri sogni, al Re di Seijou non l'aveva confidato e questi non poteva del tutto biasimarlo per questo.

Per quanto riguardava l'arrivo di un bambino, nemmeno lui e Hajime ne avevano più parlato.

Tooru non era più riuscito a pronunciare più il nome di Tobio e se il suo Cavaliere se ne era accorto, non aveva detto nulla in proposito. Hajime non avvertiva alcuna pressione sulla questione: avevano appena compiuto sedici anni ed avevano tutta la vita davanti. Non aveva fretta di divenire genitore e Tooru non lo biasimava per questo. Alcune notti, il giovane Demone rimaneva sveglio a guardarlo dormire e si chiedeva cosa ne sarebbe stato di loro quando non sarebbe più stato così, quando il tempo sarebbe divenuto contatto e la nascita di un bambino avesse smesso di essere un desiderio e si fosse trasformata in dovere.

La risposta gli stritolava il cuore al punto che Tooru si ritrovava costretto ad alzarsi dal letto e versare qualche lacrima nel salottino adiacente nella speranza che il suo Cavaliere non si svegliasse e si accorgesse della sua assenza.

"Può essere un bastardo freddo e calcolatore ma qualcosa di te l'ha colpito sinceramente," aggiunse Hajime con irritazione. "Sei insopportabile..."

Tooru sgranò gli occhi. "Che colpa avrei io?!"

"Qualcuna ne hai senza ombra di dubbio!"

"Che rude, Iwa-chan..."

"È una pessima idea," commentò Issei con espressione allibita.

Hajime sellò il proprio cavallo come se non avesse parlato.

"La peggiore nella storia delle pessime idee!" Esclamò Takahiro.

"Non vi sto chiedendo di venire," gli fece notare Hajime completamente tranquillo.

"Se il futuro Primo Cavaliere del Regno si lancia contro le linee nemiche in perfetta solitudine e senza il consenso del Re, è praticamente doveroso da parte nostra venirti dietro!" Esclamò il Cavaliere con i capelli più chiari, mentre l'altro annuiva dandogli ragione.

"Non ho intenzione di fare nulla di avventato," li rassicurò Hajime salendo sul cavallo nero e guardando i compagni dall'alto al basso.

"E per quale motivo è necessario che Tooru non lo sappia?" Domandò Issei inarcando un sopracciglio con sospetto.

"Non mi lascerebbe andare."

"E avrebbe ragione!" Esclamò Issei. "Non è il Re più potente dei Regni liberi per nulla, Hajime!"

Il Cavaliere scrollò le spalle. "Non sono così stupido da affrontarlo, infatti," replicò. "Avvertite Tooru non appena il sole comincia a calare. Avrò fatto ciò che devo fare per allora e sarò già di ritorno."

Detto questo, Hajime galoppò fuori dalle scuderie ed i due compagni rimasero a guardarlo fino a che non sparì all'orizzonte.

"Folle," commentò Issei. "Solo presentarsi all'accampamento del Re dell'Aquila sarà come affrontarlo."

 
***



Hajime arrivò all'accampamento quando il sole aveva raggiunto il punto più in alto nel cielo.

Il sovrano di Shiratorizawa si era accomodato in una piccola roccaforte di confine insieme ai suoi Generali e Consiglieri, mentre il resto dell'esercito si era sistemato in grandi tende tutt'intorno alle mura. Hajime non aveva mai visto nulla di simile: l'accampamento era grande quanto una città ed era altrettanto pieno di vita. I Cavalieri lo fecero passare indisturbato, sebbene non mancassero di rivolgergli occhiate sospettose al suo passaggio.

Lo fermarono solo una volta arrivato al cancello della piccola roccaforte.

"Ti sei perso, Cavaliere?" Domandò un tipo dai capelli ribelli e dall'espressione amichevole ma comunque inquietante. Ve ne erano altri due alle sue spalle: un tizio dalle spalle larghe e la faccia vagamente simile a quella di una scimmia ed un ragazzino dai capelli chiari senza nessuna reale espressione sul viso.

"Sono qui per vedere il Re," rispose Hajime senza timore.

Il tipo dai capelli ribelli rise. "Senza offensa ma il nostro sovrano non è tipo d'accogliere amichevolmente dei vagabondi."

"Sono Hajime Iwaizumi, Cavaliere della corona del Regno di Seijou," si presentò Hajime con fredda cortesia. "Il vostro signore conosce il mio nome molto bene."

L'espressione sul viso dell'altro cambiò di colpo. "Il Cavaliere Umano del Re Demone?" Domandò curioso.

"Sì," rispose Hajime.

Il tizio si voltò e si scambiò una breve occhiata con entrambi i compagni. "Immagino non sia di nostra competenza decidere se puoi restare o meno, allora."

Erano spogli e freddi gli alloggi del Re dell'Aquila.

Nulla di lontanamente simile allo sfarzo vivace a cui era abituato stando vicino a Tooru. Si era aspettato molto di più dal sovrano più potente dei Regni liberi ma, dopotutto, ogni cosa in quella stanza non faceva che rispecchiare la personalità del suo proprietario.

Nemmeno allora, nelle sue stanze, Wakatoshi si scopriva almeno un poco.

Aveva tra le mani un calice di vino che appoggiò sulla mensola del caminetto con fare annoiato. "Sei solo..." Non era una domanda.

"Non dirlo come se fossi sorpreso," le formalità erano cadute tra loro nel momento in cui Hajime gli aveva dato un pugno in faccia per aver toccato ciò che di più prezioso aveva al mondo. Wakatoshi lanciò un'occhiata ai tre Cavalieri alle sue spalle e fece loro cenno di lasciarli da soli. Non disse nulla, fino a che la porta non si fu richiusa.

"Tooru non sa che sei qui, immagino," ipotizzò il Re. "Non ti avrebbe mai permesso di venire da solo, altrimenti."

"Non lo voglio vicino a te."

"È lui il tuo signore e non il contrario."

"Forse, nel tuo Regno sei abituato a trattare i tuoi Cavalieri come cani ma a Seijou le cose sono diverse."

Wakatoshi annuì distrattamente. "Sì, ho saputo," disse. "A Tooru non serviva altro che una corona per essere Re. Molti altri hanno solo quella."

"È forte e perfetto così com'è."

"Forte?" Domandò Wakatoshi. Sì, senza ombra di dubbio. Perfetto? La perfezione appartiene ai più forti, Hajime e, al momento, sono io che siedo più in alto di chiunque altro."

C'era una cosa di quel bastardo che faceva perdere le staffe a Hajime più di ogni altra: non si serviva di parole maligne o di cattiverie perfettamente costruite per mettere a tacere chi aveva davanti. No, si limitava a mettere sul tavolo la crudele realtà dei fatti e lo faceva senza nemmeno provare soddisfazione. Quanto avrebbe voluto vedere un'emozione su quel viso marmoreo, una qualunque. Un segno che anche il Re dell'Aquila era, in fin dei conti, un essere umano.

"Perché sei venuto fin qui?" Domandò il sovrano.

"Potrei farti la stessa domanda," replicò Hajime a testa alta. Gli parlava da pari e lo guardava negli occhi come se fosse tale: non si sarebbe mai inginocchiato davanti a lui, nemmeno se gli avessero ceduto le gambe. Non era una questione politica ma puramente personale e Hajime ne era completamente consapevole: aveva toccato Tooru come non si sarebbe mai dovuto permettere di fare e, dopo avergli confessato che provava un sincero interesse nei suoi confronti, continuava a ricomparire nelle loro vite.

"Tu lo sai quello che voglio," disse Wakatoshi.

"E non lo otterrai," rispose il Cavaliere con il suo stesso tono neutrale. "Se attacchi, tutti i Regni ti condanneranno come un tiranno conquistatore. Se rimani qui spaventi la mia gente e non mi piace."

"E Tooru?" Domandò Wakatoshi. "Pensavo fossi qui per Tooru."

"Tooru è talmente fuori dalla tua portata che la cosa non mi preoccupa."

Il Re annuì di nuovo. "La tua sicurezza è da stimare, Hajime. Il fatto che tu sia venuto fin qui di tua spontanea volontà per difendere la tua gente ed il tuo Re non è da tutti. Capisco perché Tooru abbia fatto tutto quello che ha fatto per te ma non cambia ciò che ti dissi quella notte: lui ha tutto ciò che serve per essere perfetto, tu hai tutte le carte in regola per essere la sua rovina."

"Quando te ne andasti ti dissi che ero tornato per restare," gli ricordò Hajime. "Puoi cercare di convincermi che Tooru cadrà per causa mia ma non potrai mai cancellarmi dalla testa l'immagine dei suoi occhi vuoti mentre gli prendevi la mano e cercavi di portarlo via."

Wakatoshi sospirò. "Siamo sinceri con noi stessi. Il giudizio che hai di me è assolutamente influenzato dal mio interesse per Tooru."

"Forse..." Ammise Hajime senza vergogna. "Ciò non toglie che dovrai passare sul mio cadavere, prima di averlo."

Il Re dell'Aquila abbassò lo sguardo. "Non sarà necessario."

"Vattene da questo confine, Re dell'Aquila o molte cose spiacevoli diverranno necessarie!"

"Sono ancora nei miei territori," gli ricordò il giovane sovrano. "Tooru non può muovere un passo contro di me, senza mettere a rischio la sua posizione ed è troppo intelligente per farlo. Per questo sei venuto senza dirgli nulla, vero? Posso vederlo mentre resta sveglio la notte in cerca di una soluzione, perché non vuole mostrare a te o agli altri quanto sia insopportabile reggere la pressione di un esercito alle porte della propria casa con la consapevolezza che basterebbe un suo sì per mettere tutto al proprio posto."

Hajime lo fissò con astio. "Quale bastardo scende a ricatti di una simile proporzione per costringere un altro Re, un suo pari, nel suo letto?"

"È la guerra, Hajime," rispose Wakatoshi. "La scacchiera è pronta, le pedine sono al loro posto. Presto o tardi, qualcuno deciderà di muovere per primo ed io sono molto paziente."

Il Cavaliere strinse i pugni e si voltò.

"Mi spiace, Hajime," la voce del sovrano lo bloccò. "Venendo qui, sei stato tu a muovere per primo. Ora, è il mio turno."

 
***



Al Castello Nero, non si ebbero notizie di Hajime per tre giorni e Tooru credette seriamente d'impazzire.

Issei e Takahiro avevano fatto come il compagno aveva detto loro ed il Re si era alterato e aveva giurato di fronte ai due Cavaliere che Hajime avrebbe subito le conseguenze di una simile alzata di testa. Non lo avevano preso sul serio, nemmeno lui si era preso sul serio ma Hajime non era più tornato a casa ed inutili erano stati i tentativi di contatto che Tooru aveva fatto spedendo piccoli gruppi dei suoi Cavalieri all'accampamento del Re dell'Aquila.

Erano state tre notti terribili, le peggiori di cui il giovane sovrano avesse memoria.

Tre giorni.

Tre soli giorni...

A Tooru erano sembrati una vita intera.

Alla fine, non ce l'aveva fatta più.

"Maestà, con tutto il rispetto, no!" Il Generale Mizoguchi gli era corso dietro dal cortile interno del castello fino alle scuderie, a sua volta seguito da Takahiro ed Issei. "Vi farete ammazzare!"

Tooru non gli rispose che se passava un altro giorno ad aspettare inutilmente e starsene con le mani in mano, sarebbe morto comunque ma di una morte molto più orribile di quella fisica.

"Maestà, Hajime non se lo perdonerà mai!" Intervenne Takahiro.

"E non ce lo perdonerà mai," aggiunse Issei.

Tooru non voleva sentir ragioni. Non stava agendo da Re ed il suo aspetto ne era una prova indiscutibile: nessun mantello prezioso, nessuna corona. Aveva indossato gli abiti più semplici e comodi che aveva trovato per cavalcare il più velocemente possibile. L'arco e le frecce sarebbe stati i suoi unici compagni di viaggio e gli sarebbero bastati. Al diavolo le apparenze o quello che i nobili di Shiratorizawa avrebbero potuto pensare di lui!

Hajime veniva prima di tutto.

Sellò il cavallo senza l'aiuto di nessuno, non lo pretese. Il Generale ed i due cavalieri continuarono ad invitarlo a ragionare a gran voce ma era sordo alle loro parole. Tooru non sentiva nulla all'infuori del tamburo impazzito del suo cuore.

Montò a cavallo senza esitazione ed abbassò lo sguardo sui suoi uomini. "Se non sarò di ritorno entro tre giorni," ordinò con fermezza, "convocate il Re Tetsuro ed il Re Daichi e spazzate via l'esercito del Re dell'Aquila."

Il Generale fece per replicare ma gli altri due Cavalieri si scambiarono un'occhiata veloce e fecero un breve inchino. "Sì, vostra maestà!"

Tooru prese a cavalcare verso il confine.

Non si voltò indietro a guardare il Castello Nero nemmeno una volta.

 
***



Quando arrivò a destinazione, il cielo aveva assunto le sfumature vivaci del tramonto e l'accampamento dei soldati di Shiratorizawa era quasi deserto.

Tooru si aggirò per le tende quasi indisturbato: non indossava un'armatura, né dei colori riconoscibili. Per chi lo vedeva, poteva essere uno qualunque dei ragazzini che servivano sotto uno dei nobili fedeli alla corona. Notò che vi erano molti fuochi accesi alla piccola roccaforte intorno a cui l'esercito si era accomodato e, dal gran vociare che si alzava da dietro le mura, Tooru dedusse che gran parte dei soldati dovettero trovarsi lì.

Per quale ragione?

Più si avvicinava, più intuiva che doveva trattarsi di un qualche tipo di festa ma non udiva alcuna musica provenire dall'interno, solo un continuo rumore metallico. Come se qualcuno stesse duellando.

Lasciò il proprio cavallo fuori dal cancello principale e proseguì a piedi. Nessuno lo fermò, tutti erano troppo presi dallo spettacolo che si stava consumando nel cortile interno della rocca per porre attenzione alla sua presenza. Pochi passi tra la folla di soldati euforici e Tooru ne comprese il motivo.

Wakatoshi era in piedi, a testa alta, in mezzo al cortile. La spada stretta nel pugno e l'espressione autoritaria, di chi non teme nulla da nessuno, stampata in volto. Tooru lo guardò solo per una manciata di secondi, poi lo sguardo orripilato cadde sul Cavaliere che lo stava sfidando a duello. Riconobbe l'armatura nera del Regno di Seijou ammaccata in più punti e non più splendente come la prima volta che l'aveva vista addosso a quel giovane dai capelli scuri che, nonostante fosse evidentemente sconfitto, strinse i pugni sul terreno fangoso e strisciò verso la spada che era caduta a poca distanza da lui.

Wakatoshi chiuse gli occhi per un istante, come se stesse riflettendo sulle sue possibilità.

Alla fine, rivolse al suo avversario uno sguardo tagliente e si fece più vicino con la spada sollevata a mezz'aria.

Tooru agì completamente d'istinto. Era in fondo alla fila e nessuno lo vide afferrare la freccia, incoccarla e scoccarla subito dopo. Non colpì nessuno degli uomini che gli oscuravano la visuale, per lui era chiara abbastanza.

La freccia colpì il Re dell'Aquila nella spalla sinistra e la spada gli cadde di mano prima che potesse affondare nella schiena del Cavaliere a terra. Seguì un lungo istante di terrificante silenzio, mentre Wakatoshi cadeva in ginocchio sul terreno e Tooru si faceva strada tra la folla di Cavalieri senza la minima prudenza.

Non gli importava di nulla.

Qualunque cosa accadesse, doveva arrivare al Cavaliere che aveva avuto la peggio in quel duello. Non appena mise piede nel cortile, due occhi verdi lo fissarono sconvolti da dietro una maschera di fango e sangue ma Tooru gli sorrise come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

"Tooru..." Chiamò Hajime incapace di credere ai suoi stessi occhi.

Il giovane Re si buttò in ginocchio accanto a lui e lo prese per le spalle aiutandolo a sollevarsi in piedi. "Che cosa hai fatto?" Domandò Hajime atterrito. "Che cosa hai fatto?"

Tooru non lo ascoltava. Scosse la testa e lo strinse a sé con forza godendosi il tremore di quel corpo dolorante: qualunque prova che fosse ancora vivo era una benedizione per il giovane sovrano.

"Fermi!" Tuonò la voce del Re ferito.

I due amanti si voltarono a guardarlo: alcuni soldati si erano avvicinati per soccorrerlo ma il Re dell'Aquila si era alzato in piedi con le sue sole forze. Tooru non aveva colpito nessuno punto vitale e la ferita non sembrava preoccuparlo eccessivamente: la sua attenzione era tutta per la giovane coppia che si era appena ritrovata e, in particolare, per il giovane Re del Regno di Seijou.

"Hai fatto la tua mossa, Tooru," gli disse col fantasma un'espressione soddisfatta sul viso. "Hai scagliato la tua freccia contro un altro Re."

Tooru sapeva cosa voleva dire. Lo sapeva fin troppo bene ma non ebbe il coraggio di pentirsene, non mentre Hajime era in piedi al suo fianco ancora una volta.

"Andiamocene..." Disse afferrando la mano del suo Cavaliere.

Nessuno provò a fermarli.

"Non mi ha dato scelta, Tooru," aggiunse il Re dell'Aquila. "Gli avevo detto che lo avrei lasciato andare, se ti avesse mandato una lettera in cui ti chiedeva di presentarti al mio cospetto."

Tooru si bloccò.

"Si è rifiutato. Tutto il resto è stata solo una conseguenza della sua scelta."

Il Re Demone guardò il proprio Cavaliere e Hajime ricambiò lo sguardo a testa alta.

Avrebbero parlato più tardi della questione.

I Cavalieri di Shiratorizawa si strinsero intorno a loro ma la voce di Wakatoshi si alzò di nuovo sui loro brusii. "Lasciateli andare," ordinò. "La resa dei conti avverrà su di un campo di battaglia degno di due Re."

Tooru non replicò in alcun modo e trascinò Hajime fuori da quella roccaforte il più velocemente possibile. Lo fece salire a cavallo dietro di sé e lo invitò a stringergli la vita per mantenere l'equilibrio. "Che cosa hai fatto, Tooru?" Domandò ancora una volta Hajime appoggiando la fronte tra le sue scapole.

Ancora una volta, Tooru rimase in silenzio.

 
***



Hajime doveva aver perso i sensi da qualche parte lungo il tragitto, perché il cielo era scuro quando riuscì a sollevare lo sguardo ancora una volta ed il cavallo di Tooru era sul punto di fermarsi. "Siamo al Castello Nero?" Domandò chiudendo gli occhi ancora una volta.

"No," rispose Tooru e scese dalla sella con un movimento improvviso. Hajime per poco non cadde di lato. "Avverti, idiota!" Sibilò ma Tooru si limitò a porgergli una mano per aiutarlo a scendere a sua volta. Hajime avrebbe tanto voluto rifiutarla ma non era certo di avere il controllo completo del suo corpo. Una volta con i piedi a terra, imprecò per il dolore e Tooru lo sorresse e lo aiutò a sedersi con la schiena contro il tronco di un albero.

"Dobbiamo tornare indietro," disse con voce debole. "Dobbiamo tornare al castello, prima che..."

"Taci, Hajime."

Il Cavaliere divenne lucido di colpo nel sentire il giovane Re chiamarlo per nome: non era un'occasione da tutti i giorni. In realtà, era un privilegio che gli era stato riservato solo durante i loro momenti d'intimità, fino a quel momento. Si guardò intorno e non ebbe difficoltà a capire dove si trovavano: la cascata, il laghetto sottostante... Non erano più tornati in quel luogo dal giorno in cui il Re dell'Aquila aveva fatto la sua comparsa nelle loro vite.

Tooru era in piedi sulla riva e, da quell'angolazione, Hajime poteva solo vedergli la schiena.

"Tooru?"

"Perché sei così maledettamente testardo?" Domandò il Re con voce rotta, come se fosse sul vertice delle lacrime.

Hajime fece una smorfia. "Non credo che tu possa..."

"Ti avrebbe ucciso!" Urlò Tooru voltandosi a guardarlo. "Ti avrebbe ammazzato come un cane e tutto perché tu non hai voluto chiedere il mio aiuto."

Il Cavaliere lo fissò con astio. "E accettare il rischio che potesse fare del male anche a te?"

Tooru si morse il labbro inferiore e prese a camminare avanti ed indietro come se qualcosa lo tormentasse.

"Hai fatto scoppiare una guerra..." Mormorò Hajime, come se avesse paura di dirlo ad alta voce.

"Lo so..."

"Hai colpito il Re più potente dei Regni liberi per un Cavaliere qualunque, Tooru!"

"Smettila!" Urlò il giovane sovrano guardandolo con la stessa espressione dura che gli stava rivolgendo lui. "Che cosa avrei dovuto fare, eh? Lasciare che ti uccidesse davanti ai miei occhi?"

"Hai la responsabilità della nostra gente, della nostra terra!"

"E pensi che sarebbe andata diversamente, se non fossi venuto a cercarti?" Domandò Tooru con il viso rigato di lacrime. "Ragiona, Hajime! Wakatoshi non cercava altro che una scusa politica che reggesse per dichiararmi guerra. Ha compreso che sconfiggermi su di un campo di battaglia è l'unico modo che ha di avermi ed è un prezzo che è disposto a pagare. Ora, può usare come scusante il fatto che abbia attentato alla sua vita ma, se non fossi stato lì, mi avrebbe riconsegnato personalmente il tuo cadavere e come pensi che avrei reagito allora?"

Hajime non replicò e Tooru riprese a camminare avanti ed indietro come in panico.

"Mi ha detto del bambino..." Confessò il Cavaliere con un filo di voce.

Tooru raggelò.

"Mi ha detto della sua visita la mattina dopo l'incoronazione e mi ha spiegato perché è impossibile che nasca qualcosa da noi due."

Il giovane Re strinse i pugni ma non ebbe il coraggio di voltarsi a guardare il suo Cavaliere.

"Perché non me lo hai detto?"

"Cosa?" Domandò Tooru tirando su col naso. "Che la mia promessa era solo un'illusione infantile?"

Hajime si morse il labbro inferiore ed annuì. "Tooru, consegnami."

Il Re Demone si voltò e lo guardò come se avesse urlato una blasfemia. "Cosa?"

"Se mi prendo la responsabilità per tutto pubblicamente, non potrà muovere alcuna accusa contro di te. Non è una novità che i sovrani usino dei capri espiatori per salvarsi il culo, comunque."

Tooru non credeva alle sue orecchie. "Che cosa stai dicendo?"

"Andrà male comunque!" Esclamò Hajime. "Sacrifica me, dai a quel bastardo quello che vuole e non accadrà nulla né a te, né alla nostra gente e..."

Hajime non poté evitare lo schiaffo che lo colpì in pieno viso. "Non voglio sentire un'altra parola da te," sibilò Tooru con voce glaciale. "Se ti sei stufato di me, dillo chiaramente, bastardo!"

Hajime strinse i pugni e lo fissò astioso. "Sei talmente stupido che vorrei prenderti a calci..."

"Tu impazzivi all'idea di vedermi al suo fianco!" Gli urlò contro Tooru. "Tu dicevi che sarebbe stata la mia rovina ed io ho rinunciato a tutto per te!"

Hajime inspirò profondamente dal naso ed abbassò gli occhi per evitare il suo sguardo. "Forse, mi sono sbagliato..." ammise con un filo di voce. Era lui quello che stava per mettersi a piangere, ora. "Forse, il bastardo ha avuto ragione fin dal principio... Sono io la tua rovina, non lui..."

"Rimangia immediatamente quello che hai appena detto!"

"Guardaci, Tooru!" Tuonò Hajime alzandosi in piedi a fatica. "Non sono un Demone, non sono un nobile, non sono niente!"

"Te l'ho già detto, sei tutto per me!"

"Però, non puoi avere un figlio da me," replicò Hajime mentre il nodo che gli stringeva la gola cominciava a farsi insopportabile. "E a causa mia, il Re dell'Aquila si abbatterà su di te senza pietà."

Tooru forzò un sorriso e gli prese il viso tra le mani. "Io non ho paura di lui, Hajime. Non ho paura di nulla, se tu sei con me."

Anche il Cavaliere piangeva, ora. "Non voglio essere io a trascinarti sul fondo, Tooru!" Suonava come una preghiera. Tooru appoggiò la fronte sulla sua. "Non lo farai," mormorò contro le sue labbra. "Tu sei ciò che mi tiene in piedi, Hajime. Non puoi chiedermi di essere Re senza di te."

"Ma il bambino..."

"Non pensare al bambino," lo pregò Tooru stringendolo a sé. "Siamo dei ragazzini, abbiamo tutto il tempo del mondo e troveremo una soluzione ma non chiedermi più di lasciarti andare. Non farlo mai più!"

Hajime lo strinse a sé chiedendogli scusa in silenzio per tutte le parole che lo avevano ferito, per non essere abbastanza forte per entrambi per costringerlo a fare la scelta più giusta.

Per un attimo, uno solo, pensò al bambino con gli occhi grandi ed i capelli castani col nome di suo padre.

Affondò il viso tra i capelli del giovane amante e decise di non pensarci più.

 
***



Daichi guardò la lettera appoggiata sul tavolo della biblioteca, gli occhi scuri rivolti alla finestra alla sua destra. Stava riflettendo ma non riusciva ad arrivare ad una conclusione che lo soddisfacesse completamente.

Koushi gli stringeva le spalle come per rassicurarlo.

"Che cosa facciamo?" Domandò il giovane Re.

"Dobbiamo a loro la nostra felicità," replicò Koushi con voce funerea. "Lo so, non è quello che volevamo per la nostra gente ma se il Re dell'Aquila minaccia il Regno di Seijou e lo sconfigge..."

"Lo so..." Lo interruppe Daichi allungando una mano all'indietro per afferrare uno dei polsi esili dell'Arciere. "Semplicemente, non avrei mai voluto che i bambini di questo Regno conoscessero l'orrore della guerra durante il mio regno. Non avrei mai voluto che lo conoscessero i miei figli."

Koushi sorrise amaramente. "Forse, è una fortuna che non sia successo nel corso dell'ultimo anno."

"Forse sì..." Daichi alzò gli occhi scuri sul viso del compagno. "Dobbiamo avvisare il Maestro ed il Generale della nostra partenza."

***

Ufficialmente, Tooru, Re di Seijou, aveva attentato alla vita del sovrano di Shiratorizawa e questo era sufficiente perché quest'ultimo dichiarasse guerra al primo senza cadere nella vergogna. Nessuno sembrava parlare del fatto che la ferita inferta da Tooru a Wakatoshi fosse stata molto lontano dall'essere mortale e tutti sembrarono aver dimenticato la circostanza di un simile scontro.

Comunque, anche se Tooru avesse tentato di difendere il suo nome alludendo all'integrità fisica del suo Cavaliere, nessuno avrebbe saputo comprendere il suo operato. Sarebbe stato politicamente intelligente lasciare che il Re dell'Aquila facesse di Hajime quello che voleva.

Tooru, però, non aveva agito da Re e anche se non mancò di chiedere scusa ai suoi alleati per la situazione in cui li aveva cacciati, non mostrò mai segni di pentimento per quel che aveva fatto.

Daichi e Tetsuro capirono e così Koushi e Kenma.

"Ha giocato con te fin dal principio," commentò il Re del Regno di Nekoma. "Ha giocato maledettamente bene, il bastardo..."

Gli occhi di Tooru erano fissi su Daichi. "Mi spiace che il nostro secondo incontro debba essere per un simile motivo."

Il Re del Regno di Karasuno scosse la testa. "Non hai fatto nulla che non avrei fatto anche io."

Tooru annuì e li guardò entrambi. "Vi ringrazio," disse sinceramente. "Dal profondo del cuore, vi ringrazio."

Come i colori vivaci dell'autunno vennero sostituiti da quelli freddi e tristi dell'inverno, il Re dell'Aquila scese in guerra contro il Re Demone ed i suoi alleati: il Regno di Nekoma ed il Regno di Karasuno.

Tutto quello che accadde dopo divenne leggenda.






 

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Capitolo 8
*** Di carne e sangue ***


7
Di carne e sangue




Tooru era salito molte volte sulle mura più alte del Castello Nero, nelle notti d'estate.

Da bambino, si era convinto che vi fosse un altro popolo che abitava le stelle e che, in gran segreto, li osservava tutti da lassù. Hajime gli aveva sempre dato dello stupido per questa sua fantasia ma non lo aveva mai lasciato solo nelle notti in cui decideva di rimanere all'aperto, sveglio fino all'alba, alla ricerca di una prova che lo convincesse del contrario. Tooru, quella prova, non l'aveva mai trovata, eppure era tornato a cercarla in quella notte d'autunno, mentre il suo Cavaliere dormiva nel suo letto. Si era convinto che se fosse riuscito in quell'impresa, forse, avrebbe anche potuto provare di essere più forte del Re dell'Aquila.

Sospirò e si strinse ancor di più nel mantello nero per combattere un brivido di freddo.

"Ehi..."

Il giovane Re trasalì nell'udire quella voce ma riconobbe immediatamente il fanciullo dai capelli grigiastri che vide in cima alle scale. "Scusami," aggiunse immediatamente Koushi. "Ti ho spaventato."

Tooru scrollò le spalle. "Sono io che non avrei dovuto abbassare la guardia," replicò. "Come mai qui? Non riesci a dormire?"

"Qualcosa del genere..." Rispose Koushi. "Ti ho visto quassù e ho pensato di farti compagnia. Ti ho disturbato?"

"No, forse, farebbe bene anche a me parlare un po'..."

"Guardavi le stelle?" Chiese l'Arciere alzando lo sguardo.

"Era una cosa che mi piaceva fare da bambino," disse Tooru. "E obbligavo Hajime a tenermi compagnia."

Koushi ridacchiò. "Pensieri nostalgici?"

"I ricordi dell'infanzia mettono sicurezza e ne abbiamo bisogno in questo momento."

"Sono d'accordo."

"Daichi?"

"È crollato," rispose l'Arciere. "È distrutto dal viaggio. Non siamo abituati ad allontanarci dal castello. Esclusa quell'estate al mare, non abbiamo mai lasciato le nostre terre."

"Io volevo scappare dal mio, lo sai?" Raccontò Tooru tornando a guardare il cielo. "Ho passato tutta l'infanzia tra queste mura, senza il permesso di uscire mai."

"Come mai?"

"Mia madre era una persona fragile ed io ero l'unico erede di un Regno che non poteva permettersi una lotta dinastica."

Koushi sospirò. "Bisogna metterle sotto chiave le cose uniche e fragili, giusto?"

Tooru annuì. "Hai capito perfettamente. Hajime era la mia finestra sul mondo esterno: mi raccontava del villaggio in cui era nato, delle foreste, dei fiumi... La notte in cui mia madre è morta, mi ha portato ad una cascata che credo conoscesse da prima che lo portassero a corte. La mia prima notte di libertà corrisponde alla peggiore della mia vita."

"La vita è fatta di queste assurdità," disse Koushi. "Io ho conosciuto Daichi davanti alla pira funebre di suo padre, dopotutto. Certo, non mi sarei mai immaginato al suo fianco come consorte nel giro di un decennio."

"Io, invece, non mi sono mai visto diviso da Hajime," confessò Tooru. "Per questo, ora la mia gente e la vostra pagherà un caro prezzo."

Koushi abbassò lo sguardo. "Daichi mi ha raccontato tutto," gli disse con voce malinconica. "Nessuno di noi può rimproverarti nulla, lo sai bene."

"Hajime lo fa continuamente," replicò Tooru con un sorriso amaro. "La notte stessa in cui l'ho salvato, ha cercato di convincermi a consegnarlo ed usarlo come capro espiatorio."

L'Arciere sgranò gli occhi: quello era un dettaglio di cui non era a conoscenza. "Deve amarti veramente tanto..."

Tooru fece una smorfia. "Tanto da essere pronto ad abbandonarmi."

"Non è così e lo sai," replicò Koushi mettendogli una mano sulla spalla. "Siete disposti a mettere in gioco tutto l'uno per l'altro, non dico che sia giusto... Non credo che sia il modo più adatto di agire per un Re ma, Tooru, mi sono fatto una mia idea e Daichi è d'accordo con me: Wakatoshi voleva questa guerra, aspettava soltanto l'occasione per metterti dalla parte del torto e concedersi il diritto di costringerti in ginocchio. Ci saremmo ritrovati qui comunque, prima o poi e sono felice che non sia accaduto con un cadavere di mezzo."

"L'ho pensato anche io..." Concordò Tooru con occhi accesi d'ira. "Sarebbe stato disposto a consegnarmelo un pezzo alla volta pur di farmi perdere la testa, quel bastardo."

"Se mi posso permettere," Koushi esitò, poi lo guardò in faccia. "Non c'era solo politica tra te ed il Re dell'Aquila, vero?"

Tooru sospirò stancamente. "Ho giocato col fuoco per sfamare il mio orgoglio... Evidentemente sono riuscito nell'intento di attirare l'attenzione di un Re impenetrabile ma non in quello di condurre il gioco. Wakatoshi mi ha confessato che ho tutta la sua attenzione... La cosa schifosa è che, se non mi avesse dichiarato guerra per possedermi, mi avrebbe anche lusingato: il Re dei Re ai miei piedi, corroso dal desiderio e nulla che ciò che mi avrebbe offerto sarebbe stato paragonabile a quello che mi da un Cavaliere Umano," sorrise sarcastico. "Era una bella storia, vero? L'ho messa insieme con poco, tra arroganza ed illusioni. Ho quasi perso Hajime per questo..."

"Nutre per te un'ossessione così grande da far scoppiare una guerra," Koushi sorrise tristemente. "Nessuna storia di fantasia potrebbe superare una realtà simile."

"C'è anche di mezzo la necessità."

"Che necessità?"

"Di un figlio..." Confessò Tooru con voce funerea. "Per qualche fottuto scherzo del destino, io sembra che sia l'unica creatura vivente in grado di far germogliare il suo fottuto seme perché, gloria delle glorie, sono erede di un sangue antico e potente quanto il suo!"

Koushi inarcò le sopracciglia. "Temo di non seguirti."

Tooru lo guardò. "Posso condividere un segreto con te? Un segreto che non avrei confessato neanche a Hajime, se quel bastardo non mi avesse preceduto..."

 
***



Il consiglio di guerra si riunì il mattino seguente.

Si presentò Hajime al posto del Re di Seijou e nessuno ebbe da ridire in merito: uno dei motivi per cui Tooru poteva contare completamente sul potere militare del regno era anche grazie a lui, alla stima che aveva saputo guadagnarsi dai suoi superiori e dai suoi compagni.

Solo Tetsuro e Daichi si accorsero del nervosismo con cui Hajime fece le veci del suo giovane signore. Si guardarono e trattennero a stento una risata: forse, Tooru avrebbe evitato di passare la notte fuori dal suo letto dopo la lavata di capo che lo aspettava.

Tooru si svegliò di colpo poco prima dell'ora di pranzo. Si spostò i capelli dagli occhi con nervosismo cercando di scendere dal letto senza inciampare nelle lenzuola e nei suoi stessi piedi. "Tardi, tardi, tardi!" Esclamò raccogliendo i suoi vestiti da terra.

Perché Hajime non lo aveva svegliato? O, forse, ci aveva provato e, nel ricevere solo mugolii sconnessi in risposta, l'aveva abbandonato e se ne era andato imprecando? Era sempre così rude il suo Cavaliere. Mise su il broncio indossando i pantaloni scuri alla male e peggio e infilando una tunica che, se ne accorse troppo tardi, non era la sua. Sbuffò e si lagnò ancora trascinandosi nel salottino adiacente tra uno sbadiglio e l'altro: sperava, almeno, che quello scorbutico del suo amante gli avesse lasciato qualcosa da mangiare.

Sorrise raggiante nel vedere il piatto già pieno dei suoi dolci preferiti di fronte alla poltrona che era solito occupare. Hajime sarebbe stato arrabbiatissimo con lui al suo ritorno ma si era fregato con le sue mani con quel semplice gesto d'affetto. L'avrebbe rimproverato con durezza e Tooru sarebbe rimasto a guardarlo con un sorriso innamorato per tutto il tempo, fino a che il suo Cavaliere non l'avrebbe minacciato di cancellarglielo dalla faccia a suon di pugni. A quel punto, Tooru si sarebbe preso un bacio, Hajime si sarebbe ritrovato costretto a tacere guardandolo con disappunto e, tra una punzecchiata e l'altra, sarebbero finiti in camera da letto a fare l'amore come se nulla fosse successo.

Rise tra sé a sé a quella prospettiva e sperò che Hajime tornasse da lui con i suoi nervi saltati il più presto possibile. Poi, di colpo, ricordò perché il suo Cavaliere nel suo letto non c'era già e perché, ben presto, la sicura intimità della loro camera sarebbe stata solo un ricordo. Quanto poteva durare una guerra così? Tooru non lo sapeva. Ricordava un padre Re assente per tutta la sua infanzia. Ricordava sua madre che, con un sorriso forzato e lo sguardo perso, cercava di convincerlo che stava combattendo per il loro bene. Invece, era solo sete di potere la sua. Era morto prima che Tooru avesse il tempo di memorizzare il suo viso. Si accoccolò sulla poltrona stringendo le ginocchia contro il petto e chiudendo gli occhi stancamente. Non era ancora cominciata e già aspettava la fine. O, forse, sarebbe stato meglio dire che la temeva.

Il rumore di una finestra che sbatteva lo fece sobbalzare. La guardò con astio, come se fosse la causa di tutti i suoi problemi e solo allora gli occhi marroni caddero sulla busta bianca al centro del tavolo. Inarcò le sopracciglia e si sporse in avanti per afferrarla. L'aprì, la lesse ed il cuore gli si fermò nel petto.

 
***



Il cortile del Castello Nero non era mai stato così pieno di vita come quel giorno.

Issei cadde a terra e la spada gli sfuggì di mano. Asahi rifoderò immediatamente la sua e porse una mano al suo avversario con aria desolata. "Mi dispiace..." Mormorò, mentre i Cavalieri del Regno di Karasuno esultavano alle sue spalle. Yuu e Ryuu nel modo più rumoroso ed insopportabile possibile. Issei ridacchiò ed accettò la mano dell'alleato, mentre i suoi compagni si avvicinavano e gli davano pacche sulle spalle per complimentarsi per il bel duello. "Non devi scusarti," gli disse. "Sarà un onore combattere al tuo fianco."

Asahi sorrise imbarazzato. "Non sono nessuno per onorarvi."

Yuu si fece in avanti senza timore. "Fate bene a sentirvi onorato, Cavaliere," disse con orgoglio. "Perché avete appena duellato contro il futuro Primo Cavaliere del Regno di Karasuno."

"Yuu," disse fermamente Asahi, come se avesse detto qualche parola di troppo. Il ragazzino lo guardò spaesato, mentre l'altro abbassava lo sguardo per non dover incontrare il suo. Yuu si fece da parte immediatamente sotto lo sguardo sorpreso e confuso di Ryuu.

"È stato un bel duello," commentò Asahi educatamente porgendo la mano al suo avversario.

"Quando vuoi!" Esclamò Issei stringendola con forza.

Takahiro lanciò un'occhiata ai Cavalieri in mantello rosso seduti sulle scale che conducevano alle mura della rocca. "I Cavalieri del Regno di Nekoma non hanno nulla da mostrare?"

Uno dei Cavalieri si alzò in piedi con fare minaccioso. "Mi state sfidando, Cavalieri di Seijou?" Domandò come se fosse stato ferito nell'orgoglio. Un Arciere dai capelli chiari alzò gli occhi al cielo e guardò il compagno con aria scocciata. "Taketora, per favore, non metterci in imbarazzo."

"Mi stanno sfidando, Morisuke!"

"Era solo una battuta amichevole," intervenne Kai Nobuyuki, il loro Primo Cavaliere. "Non renderti ridicolo."

Ryuu lanciò una gomitata a Yuu. "Sembra che il tipo ombroso sappia parlare, amico!"

Yuu, però, non rise, nemmeno gli prestò attenzione. Gli occhi del piccoletto erano tutti per Asahi ma il Cavaliere si era ritirato in un angolo per bere dell'acqua ed asciugarsi il sudore dalla fronte. Gli occhi bassi e l'espressione seria, tormentata. Ryuu se ne accorse. "Ma cos'ha?" Domandò. Yuu fece una smorfia vagamente addolorata, poi scosse la testa e si allontanò. "Yuu!" Lo richiamò Ryuu ma l'altro non si voltò. "Devo trovarmi una ragazza..." Sospirò sconfortato.

 
***



Hajime si appoggiò al parapetto della balconata che dava sul cortile interno ed osservò i Cavalieri dei tre Regni alleati interagire tra di loro come se fossero vecchi amici tenuti insieme solo dallo spirito della giovinezza. "Sarebbe una bella cosa, se non fossero tutti qui per una guerra imminente," commentò Daichi arrivandogli accanto.

Hajime accennò un sorriso. "Da bambino, potevo solo immaginarle cose del genere... Ne parlavano i Cavalieri più vecchi narrando le gesta di nemici come se li stimassero personalmente."

Daichi annuì. "Le guerre sono piene di storie di rivali che si stimano," disse. "È triste ma, forse, anche molto poetico."

Hajime fece una smorfia divertita. "Ne so poco delle poesie, mio Re," disse. "Basti pensare che ho devoto la mia vita ad un idiota."

Daichi ridacchiò. "Non essere così duro con lui. Era con Koushi, nessuno dei due è riuscito a dormire. Anche il mio compagno riposa ancora."

"Koushi è abbastanza intelligente da non perdere il sonno alla ricerca di un'altra forma di vita sulle stelle," replicò Hajime con un sospiro esasperato e si staccò dalla balconata. "Vado a risvegliare lo stupido addormentato."

Tooru non era nella loro camera da letto.

Hajime non se l'era aspettato. "Tooru?" Chiamò.

Non sarebbe andato in giro dopo aver saltato un consiglio di guerra per le sue orribili abitudini notturne e comunque non lo avrebbe fatto senza prima averlo cercato o fatto chiamare. "Tooru?" Si affacciò nella sala da bagno ma era vuota. "Tooru?" Tentò di nuovo attraversando la stanza con ampi passi per arrivare al salottino adiacente. La colazione che gli aveva fatto trovare al posto che era solito occupare era praticamente intoccata. Ad interrompere il silenzio vi era solo una finestra socchiusa che continuava a sbattere a causa del vento. Hajime imprecò a bassa voce e la richiuse con nervosismo: dove diavolo era finito quello stupido? Non era tipo da sparire, non per lui e non era il caso di cominciare a farlo in giorni delicati come quelli. Erano fortunati che i loro alleati fossero legati a loro anche d'amicizia personale o sarebbe stato vergognoso non presentarsi al loro primo consiglio di guerra ufficiale. L'avrebbe preso a calci in culo per tutto il castello non appena lo avrebbe trovato, lo giurava.

Fece per andarsene, quando gli occhi verdi si posarono quasi per caso su di una lettera aperta al centro del tavolo rotondo. La prese tra le mani con confusione e la lesse velocemente. Il suo cuore salò un battito e si ritrovò a correre fuori dagli appartamenti reali come se da questo dipendesse la sua stessa vita. "Issei!" Chiamò scendendo le scale. "Takahiro!"

 
***



Tooru era sceso nelle scuderie passando per il cortile esterno. Nessuno si era accorto di lui.

Aveva sellato un cavallo ed era uscito dalla rocca al galoppo, il petto incendiato dalla rabbia più pura. Sentì il rumore della cascata prima di arrivare nel luogo che, per anni, era appartenuto solo a lui e a Hajime. Il suo primo frammento di libertà fuori dalle mura del Castello Nero, il loro primo bacio, l'evoluzione della loro innocenza in qualcosa di più maturo. Quando vide il Re dell'Aquila appoggiato all'albero solitario vicino alla riva del laghetto, Tooru prese a tremare per l'ira. Non aveva alcun diritto di essere lì, non aveva alcun diritto di prendersi anche quello. Scese da cavallo con aria minacciosa ma Wakatoshi non sembrava affatto condizionato dallo sguardo di fuoco che gli rivolgeva.

"Che diavolo ci fai qui?" Sibilò Tooru arrivandogli davanti.

Il Re dell'Aquila lo fissò per un po', poi alzò una mano per sfiorargli una guancia. Tooru seguì quel movimento con la coda dell'occhio, poi gli rivolse un sorriso sarcastico. "Sei così malato di desiderio per me, Re dell'Aquila?" Domandò con evidente soddisfazione. "Tienilo stretto a te questo desiderio. Stringilo con forza, perché sarà la ragione per cui ti costringerò in ginocchio!" Si voltò di colpo senza l'intenzione di voltarsi a guardarlo ancora.

Wakatoshi, però, era un uomo che pretendeva l'ultima parola.

Tooru si sentì afferrare un braccio con forza e, non riuscendo a liberarsi, fu pronto a sfoderare lo sguardo più minaccioso del suo repertorio ma il Re dell'Aquila lo sconfisse prima ancora che avesse il tempo di combattere. Lo spinse contro il tronco dell'albero a fianco a loro e calò sulle sue labbra come un rapace cala sulla sua preda.

Durò più tempo di quanto Tooru avrebbe mai ammesso con se stesso.

Fu un bacio violento, soffocante. Il bacio di un Re, di un conquistatore.

Non aveva nulla a che fare con quelli che gli dava Hajime ma il giovane Re del Regno di Seijou sentì il cuore galoppare nel petto lo stesso. Wakatoshi si spinse più contro di lui reclinando appena la testa. Tooru lo morse non appena ebbe il labbro inferiore a portata. Il Re dell'Aquila si ritrasse immediatamente, una mano alla bocca.

Tooru rimase con la schiena appoggiata al tronco dell'albero guardandolo con astio e gustandosi il sapore del suo sangue in bocca. Eppure, non gli sembrò una vittoria.

"Come fai a conoscere questo posto?" Gli domandò come se avesse violato un luogo sacro.

"Ti ho seguito," rispose Wakatoshi pulendosi il mento con la manica della giacca. "La notte che sei venuto a salvare il tuo Cavaliere."

Tooru scosse la testa. "Non è possibile, me ne sarei accorto!"

"E come? Avevi occhi solo per lui..."

"Ed il Castello Nero?" Domandò il giovane sovrano. "La Capitale del mio Regno è piena di soldati, come hai potuto lasciarmi quella lettera senza che nessuno ti vedesse?"

Wakatoshi si avvicinò di nuovo, non sembrava volergliene per il morso che gli aveva dato. Appoggiò una mano al tronco ruvido, proprio accanto al viso del più giovane. "Nulla nel Regno di Seijou è degno di te. I tuoi uomini non sono nemmeno in grado di proteggerti. Il tuo Cavaliere non lo è..."

Tooru strinse i pugni. "Non ti azzardare a parlare dei miei Cavalieri."

"Ti meriti qualcosa di più grande di quello che ti hanno tramandato i tuoi avi."

Tooru sorrise sarcastico. "È il Regno più grande e forte subito dopo il tuo."

"È un Regno infinitamente debole e piccolo in confronto al mio," lo corresse il Re dell'Aquila. "Per questo ti servono ben due alleati per tenermi testa."

"Io non ti terrò testa, io ti spazzerò via..."

"Anche se fosse, non sarà solo una vittoria tua e non ti basterà."

"Mi basterà averti in ginocchio ai miei piedi."

"No, Tooru, no," Wakatoshi gli appoggiò una mano sulla guancia. "La superbia è il tuo peccato preferito, non potrai mai sopportare di avere qualcuno da riconoscere come tuo pari, accanto a te. Oggi li tratti come alleati ma arriverà il giorno in cui vorrai vederli ai tuoi piedi proprio come oggi desideri costringerci me. E pensare che ti basterebbe un sì per ottenere un simile potere."

Tooru strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. "Diventerò forte... Il più forte e lo farò con il mio di potere. Arriverò tanto lontano quanto nessun altro Re Demone è arrivato e, quando mi guarderò indietro, non avrò nessun altro da ringraziare se non me stesso."

"Io, io e ancora io," disse Wakatoshi con quell'insopportabile voce atona. "Il tuo stupido orgoglio farà finire la tua storia in tragedia."

"Non sei forse tu il primo a mettere te stesso prima di ogni altro."

"Sono Re."

"E così lo sono anche io."

"No, Tooru. Il modo in cui concentri tutto su te stesso non ti renderà un sovrano ma un tiranno. L'ambizione, la superbia... Puoi permetterti tutto questo ma se non giochi bene le tue carte, finirai per essere un Re che usa i suoi uomini come pedine e non come soldati e questo sarà la tua rovina."

"Hajime doveva essere la mia rovina! Il mio orgoglio doveva essere la mia rovina! Ora tocca alla superbia?" Domandò sarcastico. "Vedi in me troppi difetti per sostenere che mi sono guadagnato la tua completa attenzione!"

"Perché i nostri difetti sono gli stessi," ammise Wakatoshi senza vergogna. "Orgoglio, superbia, desiderio di essere i più forti... È una strada solitaria, Tooru e, credimi, quando si guarda il resto del mondo dall'alto in basso ci si abitua ad essere soli. Poi, contro ogni aspettative, la tua strada incrocia quella di qualcuno che è come te e quell'abitudine si trasforma in maledizione."

Tooru scosse la testa. "Io non sono solo."

"Hajime non è come te. Non ti capirà mai e, alla fine, l'incomprensione tra voi diverrà più grande di qualunque sentimento sostieni che vi leghi."

"Tu non hai la minima idea di quello di cui stai parlando," sibilò il giovane Re di Seijou. "Dovrei forse credere che sei tu il compagno giusto per me? Sì, la politica parla chiaro ma non ho intenzione di rendere la mia vita un contratto."

"C'è politica e gioco di potere nella nostra unione ma non sono qui per questo."

Tooru inarcò un sopracciglio. "Come?" Domandò. "Ci hai manipolati tutti per dichiarare guerra al mio Regno e sottrarmi tutto quello che ho."

"Pensi che siano queste le mie ragioni?"

"Mi vuoi scopare e questo l'hanno capito tutti ma nemmeno il peggiore dei folli manderebbe i suoi uomini in guerra per un capriccio simile."

"Sei volgare..." Commentò Wakatoshi.

"Quando mi hai descritto la nostra prima notte insieme, hai detto che sarebbe stato veloce e fastidioso," gli ricordò Tooru con una smorfia disgustata. "Mi permetto di essere volgare con un uomo capace di pronunciare parole tanto pessime."

"In ogni caso," replicò Wakatoshi. "Tu manderai i tuoi a morire per un Cavaliere comune che ti scalda il letto."

"Non è la stessa cosa!"

"E come fai ad esserne certo?" Domandò il Re dell'Aquila con uno sguardo solenne che lasciò Tooru senza difese. Il giovane sovrano del Regno di Seijou scosse la testa. "No.…" Mormorò. "Sei un Re, sei un conquistatore..."

"Non m'interessano le tue terre, Tooru. Lascia pure che gli altri lo pensino ma voglio che tu sappia per cosa combatterai, quando scenderai su quel campo di battaglia."

Tooru era sconvolto. "Non ci stai veramente trascinando tutti in questa storia solo per questo."

Wakatoshi non replicò ed il più giovane trattenne il fiato in preda all'orrore di una simile confessione. "Mi vuoi?" Domandò con un sorriso isterico. "Allora fallo qui!" Lo provocò con rabbia. "Fallo ora! Togliti questa soddisfazione ma non condannare alla morte centinaia di uomini perché ti sei convinto di amarmi!"

Il Re dell'Aquila gli afferrò la gola senza stringerla ma il respiro di Tooru morì comunque per una frazione di secondo. "Potrei farlo," gli disse a pochi centimetri dalle sue labbra. "Potrei prenderti qui ed ora."

Tooru resse il suo sguardo senza paura.

"Ma non ti avrei davvero," concluse Wakatoshi. "Sì, fui pessimo quando ti dissi quelle parole ma ancora non avevi catturato la mia attenzione come poi hai fatto e volevo disilludere qualsiasi fantasia d'adolescente avessi ricamato nella tua testa."

"Sei un bastardo..."

"Non voglio averti con violenza, Tooru. Non voglio averti per farti del male o umiliarti, non avrebbe senso."

"Non giocare all'innamorato, ora!"

"Interpreto solo il ruolo del Re," replicò Wakatoshi. "Sarai tu a concedermi tutto, il giorno in cui ti farò mio e sarò un amante degno, attento, gentile. Non c'è più grande vittoria di quella che ti viene offerta da un nemico senza sfoderare le armi, Tooru."

Tooru gli rivolse un sorrisetto di sfida. "Sarò morto, prima di fare una cosa del genere."

Wakatoshi si sporse verso di lui e gli diede un altro bacio a fior di labbra. Tooru girò il viso di lato quando si fu allontanato.

"Non ho mai fatto una promessa in vita mia ma ne voglio fare una a te," disse giocando con i capelli castani del più giovane. "Dammi un figlio e ti giuro che farò vostro ogni Regno libero fino ai confini del mondo."

Tooru lo guardò con tutta la rabbia che poteva essere contenuta in uno sguardo. "Anche io ti faccio una promessa. Ricordati questo mio stupido orgoglio come lo chiami tu, perché ne sentirai parlare per molto, moltissimo tempo."

 
***



"Non ha senso!" Esclamò Issei. "Siamo stati nel cortile interno tutto il giorno, nessuno sarebbe potuto passare senza essere visto!"

Takahiro incrociò le braccia contro il petto. "Tooru conosce il castello come il palmo della sua mano, può essere arrivato alle scuderie evitandoci di proposito."

"Sì, ma Wakatoshi no!"

Erano tutti e tre nelle scuderie ed effettivamente mancava un cavallo all'appello.

Hajime prese un respiro profondo, strinse il pugno destro e la lettera di quel bastardo si accartocciò tra le sue dita. "Vado a cercarlo!"

Gli altri due gli misero immediatamente le mani addosso.

"Non se ne parla!" Esclamò Takahiro.

"Sei vuoi farti ammazzare, porta pazienza: siamo sull'orlo di una guerra!" Gli ricordò Issei. Hajime non fece in tempo a replicare e ribellarsi alle braccia che lo tenevano fermo, che un cavallo entrò nelle scuderie al galoppo fermandosi di colpo. Tooru li fissò tutti e tre dall'alto del suo destriero con gli occhi sgranati. La scena si fece immobile, poi Issei e Takahiro si guardarono negli occhi, lasciarono andare il compagno nello stesso momento e bofonchiarono qualche scusa improvvisata per togliere il disturbo. Nessuno dei due amanti fece caso alla loro tattica ritirata comunque.

Hajime guardò Tooru.

Tooru guardò Hajime.

Alla fine, il giovane sovrano sospirò e mise piede a terra occupandosi del suo cavallo come se fosse semplicemente uscito a fare una passeggiata. Hajime lo seguì fino all'interno della struttura di legno e restò a fissarlo per tutto il tempo. Quando ebbe finito, Tooru lo superò senza guardarlo negli occhi ed il Cavaliere non ci vide più. Gli afferrò il braccio costringendo l'altro a fermarsi e concedergli la sua attenzione. "Perché non mi hai fatto chiamare?" Ringhiò il Cavaliere.

Il giovane sovrano resse il suo sguardo alla perfezione. "Era una cosa che dovevo fare da solo."

"Avrebbe potuto ammazzarti!"

"Sai che non poteva farlo senza andare incontro a conseguenze scomode."

Hajime fece per replicare, poi qualcosa attirò la sua attenzione. Alzò una mano verso il viso di Tooru e gli sfiorò l'angolo della bocca sporco di liquido vermiglio. Gli occhi verdi si accesero d'ira immediatamente.

"Aspetta!" Esclamò Tooru afferrando il polso della mano che lo aveva toccato. "Non è sangue mio."

Hajime non comprese. "Come sarebbe a dire? Hai del sangue sulle labbra, di chi altro può..." S'interruppe di colpo, gli occhi sgranati a causa della realizzazione che lo aveva appena fulminato. "Io lo ammazzo..." Mormorò stringendo i pugni. "Io lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo!"

Tooru gli prese il viso tra le mani e lo baciò di slancio facendolo finire con la schiena contro la parete di legno delle scuderie. Non fu una cosa breve. Tooru si spinse completamente contro di lui e Hajime gli circondò la vita con un braccio, affondando l'altra mano tra i capelli in disordine a causa della cavalcata.

"Facciamo l'amore?" Domandò Tooru con disperazione.

Hajime arrossì come un ragazzino, fece per anche per rispondere, poi si guardò intorno e si ricordò di dove erano. "Sì ma non qui!"

 
***



Le settimane passarono in fretta e non ci volle molto perché tra i soldati dei Regni alleati venissero a crearsi dei legami che, nella situazione in cui si trovavano, sarebbero potuti anche essere utili a tutti loro. La cosa più triste era che non era pensabile che ognuno di quei ragazzi sarebbe tornato a casa vivo ma, semplicemente, tutti fingevano di non esserne consapevoli.

Wakatoshi aveva mosso il suo esercito all'interno del territorio di Seijou.

Aveva preso sotto assedio alcuni villaggi garantendo ai suoi uomini il riposo, lo svago ed i viveri necessari per la battaglia imminente. Tooru non aveva potuto fare nulla in merito: non erano pronti, non avevano ancora una strategia e mandare soldati allo sbaraglio per salvare ciò che già era stato perduto non era una mossa intelligente dal punto di vista militare.

A nessuno dei Cavalieri del Re faceva piacere abbandonare la propria gente ma le guerre non venivano vinte con atti eroici sconsiderati e Tooru aveva una responsabilità troppo grande per potersi permettere di sacrificare tutto per dei villaggi ai confini. Questo non lo faceva stare bene ma finché poteva stordirsi con il calore di Hajime ogni notte, poteva ancora reggere il peso delle conseguenze delle sue azioni.

Passarono pochi giorni e Wakatoshi fece il suo primo errore: mandò una piccola parte del suo esercito in avanti, mentre la maggior parte delle truppe presero posto ai lati, divise in piccole squadre d'attacco. Il Re dell'Aquila, ovviamente, era in prima linea.

Il Generale Mizoguchi batte il pugno sul tavolo della sala del consiglio con rabbia.

"Vuole circondarci!" Esclamò. "Un attacco diretto di fronte guidato da lui e piccoli attacchi laterali perfettamente coordinati dal resto dei lati! Vuole assediarci fino a sfinirci ed osservarci mentre pieghiamo lentamente la testa e poi caleranno su di noi come aquile!"

Il Generale Ukai fece una smorfia. "Paragone azzeccato!"

Tooru continuò a fissare la cartina di fronte a sé con le braccia incrociate sul tavolo. "Quanto velocemente si muovono?" Domandò

"I miei uomini dicono che, di questo passo, Wakatoshi sarà qui in meno di un mese," rispose Tetsuro. "Le truppe ausiliarie si muovono molto meno velocemente."

Daichi annuì. "Stanno liberando il campo dai piccoli eserciti degli altri nobili per permettere all'armata principale di procedere più velocemente. Se riescono a muoversi liberamente su un ampio raggio di territorio, gli uomini guidati da Wakatoshi arriveranno alle porte del Castello Nero senza aver nemmeno sfoderato una spada."

Tooru sorrise sarcastico. "Tutti i suoi uomini sono devoti a metterlo in primo piano. I cittadini in grado d'impugnare le armi, i nobili con i loro piccoli eserciti personali... Il Re dell'Aquila non perde tempo con nessuno di questi comuni mortali. Vuole sporcarsi le mani solo col sangue reale."

Daichi lo fissò per un lungo istante. "Hai un piano..."

"Non lo so," ammise Tooru scrollando le spalle. "È più un gioco psicologico che una strategia militare."

"È la tua terra, a te la parola," disse Tetsuro.

"Wakatoshi è superbo," commentò Tooru sporgendosi sulla cartina di fronte ai suoi occhi. "Vuole intimidirci buttandosi in avanti senza timore. Ha sparpagliato il suo esercito intorno a sé per aprirsi la strada. Allo stato attuale, sarebbe una bella tentazione ripagarlo con la sua stessa moneta e affrontarlo di petto."

Il Generale Mizoguchi annuì. "Eliminato lui, il problema è risolto, dopotutto e metteremo ogni nostro uomo a difesa della Capitale. Non ha importanza quanto siano forti gli uomini al seguito di Wakatoshi. Le guerre non saranno vinte dai numeri ma poche decine di soldati cosa possono contro centinaia."

"Esattamente," Tooru annuì. "Per questo non lo attaccheremo."

Mizoguchi sgranò gli occhi. "Come, maestà?"

"Wakatoshi e la squadra d'attacco sotto i suoi ordini hanno un vantaggio di settimane," cercò di elaborare Tooru. "Un assedio ad un castello come questo può andare avanti molto di più. Le truppe ausiliarie avrebbero tutto il tempo di fare terra bruciata tutto intorno a noi e raggiungere il loro Re ai nostri cancelli."

Daichi annuì. "Ci metterebbero con le spalle al muro un poco alla volta... I morti sarebbero infiniti."

"Non possiamo rischiare un assedio," concluse Tooru con convinzione.

"Ma l'assedio è alle porte, vostra maestà!" Esclamò Mizoguchi.

"Lo so..." Tooru rivolse alla cartina un sorrisetto sarcastico. "Vuole il Castello Nero? Che se lo prenda..."

Tetsuro ridacchiò. "Stiamo per fare qualche pazzia!"

Daichi non fu altrettanto divertito. "Spiegati meglio, Tooru."

Il giovane sovrano alzò gli occhi sugli altri uomini presenti nella stanza. "I confini con il Regno di Karasuno e quello di Nekoma non sono ancora stati toccati, vero?"

Ukai annuì. "Sono il luogo più lontano da dove Wakatoshi ha deciso di far partire l'attacco."

Tooru annuì. "Tetsuro?"

"Vostra maestà?"

"Puoi organizzare l'evacuazione della Capitale e di tutte le città minori nelle vicinanze nel giro di un mese?"

Tutti fissarono il giovane sovrano allibiti.

"Mi ci vorrebbe un esercito," replicò Tetsuro un poco confuso.

"E ce l'hai, mi pare," disse Tooru con un sorrisetto amichevole.

Calò un silenzio di tomba nella stanza, fino a che Daichi non ridacchiò. "Un gioco psicologico, eh?" Domandò divertito guardando Tooru dritto negli occhi. L'altro gli rivolse un sorrisetto complice. "La sola cosa che mi dispiacerà è di non poter vedere la sua faccia quando capirà che sta assediando una fortezza vuota."

Mizoguchi li guardò tutti come se fossero pazzi. "Non ci sto capendo più nulla."

"Io sì..." Intervenne Ukai con fare interessato. "Vuoi lasciare che Wakatoshi arrivi qui con i suoi uomini senza nemmeno toccarlo e vuoi fargli trovare un forziere senza nessuno tesoro dentro."

"Anche questa è un'ottima metafora!" Esclamò Tooru con un sorriso amichevole. "Abbiamo tre eserciti. Wakatoshi si aspetta che io osi quanto lui e lo sfidi faccia a faccia ma voglio usare la carta della strategia ingannevole contro la sua forza bruta."

"Avete tutta la mia attenzione, maestà," disse il Generale Ukai con un sorrisetto.

"Abbiamo tre eserciti..." Cominciò Tooru. "Tetsuro si occuperà della popolazione e renderà questa città e quelle principali ancora libere inadeguate a divenire dei bottini di guerra. Che si prenda pure queste mura di pietra!"

"Io e te, invece, lo aggiriamo completamente e ci lanciamo contro le truppe sparse ai suoi lati e dietro di lui," intervenne Daichi.

"Io vado ad est, tu vai ad ovest e ci ritroviamo al confine sud, dove l'attacco è cominciato."

"Wakatoshi, nel frattempo, sarà dove siamo noi ora, completamente solo..."

"Io sarò a nord con il mio esercito perfettamente intoccato per via dell'evacuazione," intervenne Tetsuro. "E voi sarete a sud, insieme."

"Indovinate chi si ritroverà al centro della scena, circondato da ogni lato?" Domandò Tooru alzandosi in piedi e appoggiando l'indice sopra sul punto della cartina che corrispondeva alla Capitale.

Tetsuro si stiracchiò. "Oh, beh..." Si alzò dal suo posto. "Sarà meglio mettersi al lavoro! Un mese passa presto!"

All'alba, tutti e tre gli eserciti erano pronti ai cancelli della Capitale.

"Ti affido la mia gente," disse Tooru porgendo a Tetsuro la mano destra. Il Re di Nekoma la strinse. "Felice di avere la tua fiducia," gli disse. "Star pur certo che la onorerò." Salì a cavallo e così fecero la cerchia dei Cavalieri più vicini a lui. Tooru lanciò un'occhiata a Kenma che avrebbe cavalcato a fianco del suo Re. Non si dissero nulla.

L'armata rossa di Nekoma fu la prima a lasciare il Castello Nero cavalcando verso nord, mentre pochi soldati rimasero nella Capitale per completare l'evacuazione.

Tooru aspettò che Tetsuro fosse scomparso dalla sua vista, poi sospirò e si voltò verso Daichi. Il giovane sovrano del Regno di Karasuno lo guardò con la sua stessa espressione: erano ad un bivio e quando le loro strade si sarebbero incrociate di nuovo, quel poco d'innocenza che aveva conservato sarebbe stata lavata via dal primo sangue che avrebbero versato con le loro mani. Avevano smesso di essere bambini.

Daichi gli porse la mano. "Ci vediamo al confine sud."

Tooru gli strinse la mano. "Abbi cura di te."

"Tu fa lo stesso."

Si separarono, salirono in sella ai rispettivi cavalli. Hajime e Koushi erano già al loro fianco.

Tooru avrebbe condotto la sua armata verso est.

Daichi avrebbe portato i suoi uomini verso ovest.

Il giovane Re del Regno di Seijou prese un respiro profondo e poi diede l'ordine di partire.

Era l'ultima settimana di novembre ed i colori dell'autunno stavano lentamente sfumando per lasciar spazio al vuoto e al gelo dell'inverno.

La guerra dei tre Regni alleati contro il Regno di Shiratorizawa ebbe inizio.

 
***



Vinsero.

Sia ad est che ad ovest.

Vinsero, vinsero e vinsero ancora.

Alle porte di dicembre, il confine sud era appena dietro l'angolo e non vi erano notizie da parte di Tetsuro che potessero mettere in allarme le altre due armate. Di Wakatoshi non vi erano notizie e tutti conclusero che doveva essersi chiuso all'interno del Castello Nero alla ricerca di una via d'uscita dalla trappola per topi in cui era finito.

Quello che Daichi e Tooru non avevano considerato era come la vittoria potesse essere pesante quanto una sconfitta.

 
***



Era notte e stava cadendo la prima neve.

Le perdite dell'esercito del Regno di Karasuno erano state minime nelle ultime settimane e Daichi non sapeva se ringraziare la fortuna o la capacità tattica di Tooru. Questo però non gli era sufficiente per dormire sonni tranquilli. La guerra era guerra per tutti, anche per i vittoriosi.

Uscire vivi dalla prima battaglia era stato un momento di euforia assoluto.

I ragazzi avevano cantato e festeggiato per tutta la notte. Ryuu non aveva smesso di parlare delle grandi gesta che aveva compiuto in un solo giorno fino a che non era crollato, Yuu aveva fatto l'impossibile per risollevare il morale ad Asahi e, miracolosamente, vi era riuscito. Poteva essere candidato a divenire Primo Cavaliere ma questo non significava che la sua natura pacifica potesse essere spazzata via con un colpo di vento. Probabilmente, era quello di loro che più soffriva di quella situazione e Daichi era felice che Yuu lo sostenesse sempre e comunque. Il piccoletto non poteva avere la forza dell'altro ma aveva tutta la determinazione, la testardaggine e l'orgoglio granitico che ad Asahi mancava. Koushi li guardava e sorrideva teneramente, Daichi poteva indovinare perché ma non voleva affrontare l'argomento quando ogni loro giorno poteva essere ultimo.

La notte della loro prima vittoria, Daichi e Koushi avevano fatto l'amore nella tenda del giovane Re per tutta la notte e con una passione che il loro primo anno insieme non avevano mai provato. Daichi aveva sentito delle storie dai Cavalieri più grandi e meno timidi nel raccontare delle proprie esperienze di guerra. Dicevano che l'amore si fa in tempo di pace ma il sesso in tempo di guerra era capace di ustionare anche gli animi più glaciali.

La quotidianità li aveva uniti ogni giorno di più ma condividere simili imprese da compagni sul campo di battaglia e da amanti al calar del sole, aveva reso il loro legame più ferreo di quanto già non fosse.

Poi la guerra era continuata. Avevano continuato a vincere e ad ogni tramonto si era ritrovato ad accarezzare il viso di Koushi con mani sporche di sangue. Lo stesso sangue che aveva ritrovato tra i capelli chiari del suo consorte. Ryuu aveva smesso di raccontare storie avvincenti ed esagerate molto presto e Daichi era certo di aver visto Asahi allontanarsi dal campo per piangere in solitudine più di una volta. Yuu perennemente al suo fianco.

Se in principio c'era stato qualcosa di glorioso ad aver accecato Daichi, ora tutto il dramma della sua infanzia sembrava ripetersi davanti ai suoi occhi.

"Daichi..." Una mano fredda afferrò la sua ed il giovane Re alzò lo sguardo sugli occhi dorati del suo compagno. I veterani, quelli abituati ai massacri e contenti di essere vivi, festeggiavano ancora. I più giovani stavano diventano grandi ognuno a modo suo ed erano completamente soli in questo.

"Fa freddo questa notte," commentò Koushi appoggiando la fronte sulla sua spalla. "Riscaldami, ti prego."

Nevicava fuori ma il calore della pelle di Koushi era ustionante mentre aderiva alla sua.

Daichi ricordava qualcosa dai racconti degli adulti riguardo ai desideri febbrili che sfumano non appena vengono consumati degnamente. Non lo capiva. Ogni volta che amava Koushi era come la prima volta. Ogni volta che appagava quel desiderio, non faceva che provarlo ancora con rinnovata passione. Koushi era come l'aria che respirava, era come il cuore che batteva nel suo petto. Era tutto, la sua vita, il suo mondo.

Poteva sopportare di sporcarsi le mani di sangue fin tanto che Koushi era disposto purificare la sua anima con i suoi baci ed il suo calore. I gemiti leggeri ed i sospiri soffici s'interruppero come quelle mani fredde gli presero il viso tra le mani e lo costrinsero a guardare gli occhi dorati che, nella semi oscurità, sembravano brillare di luce propria. "Che cosa c'è?"

Daichi sorrise afferrando una di quelle mani dalle dita affusolate e baciandone il palmo. "Niente..." Mormorò. "Pensavo solo che anche in mezzo a tanta distruzione, continui ad incantarmi come se fossi la cosa più bella del mondo..."

I movimenti si fecero più intensi, più passionali. Koushi gli andò incontro senza vergogna stringendolo a sé, inarcandosi contro di lui. Sentì il cuore del suo Re battere contro il suo mentre il piacere li travolgeva entrambi. Andava bene così...

Era crudele, era egoista. Era solo un'altra vita in mezzo a tutte quelle che erano state spezzate ma Koushi pensò che andava bene così. Fin tanto che c'era vita nel petto di Daichi, avrebbe sopportato il peso di qualsiasi peccato.

In quella notte d'inizio inverno, il sogno di un giovane Mago divenne carne e sangue

 
***



Era terribile l'immagine del sangue appena versato sulla neve candida.

Tooru era in piedi in mezzo al campo di battaglia su cui avevano trionfato ancora una volta. Intorno a lui vi erano terreno ghiacciato e cadaveri e, come suggestivi fiori invernali, il sangue si espandeva sotto di loro rendendo brillanti i colori di quel paesaggio invernale. Il cielo era plumbeo, faceva freddo e presto avrebbe ricominciato a nevicare.

Tooru non sentiva niente. Assolutamente niente.

Si guardò le mani sporche di sangue e pensò che nemmeno l'acqua più pura e limpida avrebbe saputo lavarlo via.

"Tooru?"

Si voltò. Hajime lo guardava a testa alta, l'armatura sporca di fango e sangue, i capelli neri madidi di sudore, nonostante il freddo. Respirava come se avesse corso per una lunga distanza. Tooru si sentì come se avesse trattenuto il fiato per molto tempo nell'incrociare i suoi occhi verdi. Era così ogni volta: sfumata l'euforia della battaglia, Tooru si sentiva soffocare fino a che non rivedeva il suo Cavaliere attraversare il campo di battaglia sulle sue stesse gambe e sentiva il suo cuore battere contro il suo al calar del sole, nella loro tenda, mentre i soldati festeggiavano la loro ennesima vittoria e Hajime ed il suo giovane sovrano non volevano altro che ricordare a loro stessi che erano vivi ed erano ancora insieme.

Ogni notte, Tooru faceva l'amore col suo Cavaliere e poi crollava tra le sue braccia piangendo per tutto quel sangue che bagnava la loro terra a causa sua. Ogni notte, Hajime raccoglieva i pezzi di quel cuore tormentato e cercava con testardaggine di rimetterli insieme. Lo stringeva, gli accarezzava i capelli, gli baciava il viso e gli ripeteva che non era colpa sua che stava facendo tutto il possibile per proteggere la loro gente. Tooru si aggrappava a lui con la disperazione di un naufrago in mezzo ad una tempesta e si lasciava convincere ancora una volta da quelle parole, cercando d'ignorare la disperazione nella voce del suo Cavaliere che, vittoria dopo vittoria, diveniva sempre più evidente.

 
***



Entrambe le armate arrivarono al confine sud pochi giorni prima della fine dell'anno.

Non aveva smesso di nevicare neanche un giorno e, una volta sconfitto ciò che rimaneva delle forze ausiliari del Re dell'Aquila, i due Re procedettero di comune accordo verso la costa, dove il sovrano di Seijou poteva garantire ai suoi uomini e a quelli del suo alleato un degno riposo.

All'inizio di quello che si preannunciava come l'inverno più freddo degli ultimi anni, Daichi e Tooru tornarono a risiedere al piccolo castello sulla riva del mare che era stato teatro del loro primo incontro e della loro ultima estate come Principi.

"Non ci sono notizie da Tetsuro?" Domandò Tooru.

Il Generale Ukai scosse la testa. "Se la bufera di neve è tanto forte qui, mio signore, al nord le cose non possono che essere peggiori. Inviare messaggeri in questo lato del Regno con tutti gli scontri che ci sono stati e con simili condizioni climatiche è praticamente impossibile."

Tooru imprecò tra i denti lasciandosi cadere sulla sedia dall'alto schienale alla fine del tavolo. Avevano improvvisato un piccolo consiglio di guerra per fare il punto della situazione e la conclusione era che godevano di un vantaggio quasi surreale. Quella che doveva essere l'armata più forte dei Regni liberi, era caduta sotto la loro avanzata come se fosse composta da soldatini di carta. Tooru, però, non era soddisfatto. Fin tanto che l'Aquila reale non cadeva, i suoi seguaci avrebbero continuato a combattere e la sua gente ad essere in pericolo.

"Avevamo detto che Wakatoshi sarebbe arrivato al Castello Nero in poche settimane con le truppe ausiliarie." Disse Daichi. "Perdendo quelle, possiamo pensare che la sua marcia sia stata rallentata e che Tetsuro abbia avuto tutto il tempo di mettere in sicurezza la parte nord del Regno avevano, prima del suo arrivo e dell'inizio delle bufere."

Il Generale Mizoguchi incrociò le braccia contro il petto. "Se il Re dell'Aquila passa l’inverno al Castello Nero con la Capitale deserta e tutte le città intorno inutilizzabili, finirà per morire di fame insieme ai suoi uomini."

"È isolato quanto lo siamo noi," concluse Tooru con voce stanca. "Non si lascerà uccidere da questo inverno."

"Che cosa pensate di fare?" Domandò il Generale Ukai.

Daichi sospirò pesantemente. "Non ci resta che aspettare, Tooru."

Il Re di Seijou annuì con aria grave. "Riposiamo. Prendiamoci cura dei feriti, chi è ancora in forza verrà assegnato ad una squadra e mandato nei territori vicini per concedere i primi soccorsi alla gente di questa zona. Sarà un inverno duro per tutti e non voglio che due eserciti gravino sull'autonomia dei villaggi e delle città qui intorno. Offriremo appoggio per ricevere ospitalità. Sono il loro Re ma non intendo affamarli, hanno già subito un'invasione."

Daichi annuì. "Sono d'accordo..."

"Aspettiamo che l'inverno finisca o che, almeno, sia sicuro viaggiare. Nemmeno l'armata di Shiratorizawa può combattere in queste condizioni infernali," concluse il Re Demone.

 
***



"Sei sicuro di stare bene, Koushi?" Domandò Asahi con espressione preoccupata mentre l'Arciere lo aiutava a cambiarsi le bende che gli fasciavano il petto. Una ferita superficiale ma che continuava a riaprirsi alla fine di ogni battaglia. Koushi sorrise ed annuì. "Sto bene, sono solo un po' stanco."

"Anche io sono distrutto!" Esclamò Ryuu con fare drammatico con un braccio completamente fasciato, una gamba immobilizzata e la testa bendata. Lui e Yuu avevano dato di matto durante l'ultima battaglia. Quest'ultimo ne era uscito sulle sue gambe trascinandosi dietro il compagno con una gamba rotta. Daichi li aveva rimproverati con tanta durezza che li aveva ridotti a due pulcini tremanti per ore intere e Koushi era dovuto intervenire per calmare le acque e rassicurarli.

"No, è solo un po' di stupidità," commentò Yuu saltellandogli accanto. "Dovrai farci l'abitudine."

"Brutto bastardello fortunato!" Esclamò Ryuu. "L'unico motivo per cui ne sei uscito solo con qualche graffio, è perché non ti hanno visto. Sei troppo basso!"

"E tu sei finito massacrato perché sei troppo stupido!" Replicò Yuu.

Koushi si portò una mano alla testa e chiuse gli occhi in un'espressione dolorante. Asahi se ne accorse immediatamente. "Ragazzi, fate silenzio, per favore."

Era una grossa pretesa: avevano sistemato tutti i feriti nei saloni inferiori del castello e vi era un brusio fastidioso tutt'intorno a loro. Ryuu si sollevò sul gomito sano. "Koushi, non ti senti bene?"

L'Arciere forzò un sorriso. "No, ho solo bisogno di riposare un poco. Tutto qui..."

Yuu lo studiò per un istante, poi gli afferrò il polso. "Ti accompagno nella tua stanza. Il matto può continuare a lagnare anche da solo e Asahi sta bene, ora devi prenderti cura di te."

Asahi annuì e recuperò la tunica dallo schienale della sedia su cui si era accomodato. "Faccio chiamare Daichi," disse rivestendosi.

Koushi sorrise a tanta premura. "Non sono l'unico ad essere stanco qui. Abbiamo combattuto tutti e non voglio nessun privilegio perché sono il consorte del Re."

"Fallo per noi, allora!" Tentò Ryuu. "Fallo per il nostro di bene: se collassi mentre sei con noi, Daichi ce la farà pagare fino alla fine dei nostri giorni!"

Il viso di Asahi assunse una sfumatura bluastra al pensiero ed anche il sorriso sicuro di Yuu si fece tremolante.

"Chi è che sta per collassare?" Domandò Tooru intervenendo nel discorso senza chiedere il permesso. Koushi lo guardò con interesse. "Finito il consiglio di guerra?" Domandò.

"Sì," rispose Tooru con una smorfia. "Non abbiamo concluso molto ma abbiamo a nostra disposizione tutto il tempo che impiegherà questa neve a sciogliersi," si guardò intorno: vi erano feriti in ogni angolo e chi si reggeva sulle sue gambe portava sul viso i segni di un crollo imminente. "Non credo che sia una cosa negativa, comunque..."

Koushi annuì con aria grave. "Abbiamo bisogno di una pausa... Tutti noi..."

Tooru studiò il suo viso per un lungo minuto di silenzio. "Tu più degli altri, Koushi," concluse. "Non hai una bella cera."

L'Arciere sorrise tristemente. "Nessuno qui intorno ce l'ha."

"Io sono mezzo rotto e non ho un aspetto di merda quanto il tuo, se mi posso permettere," intervenne Ryuu. Asahi lo guardò con gli occhi sgranati. "Un po' di tatto, Ryuu!"

Yuu annuì. "Ha ragione, Koushi. Dovresti andare a riposarti."

"Vieni con me?" Propose Tooru. "Sto andando di sopra a controllare Hajime. Issei e Takahiro lo hanno trascinato in camera di peso, dopo che è quasi collassato a terra a causa della febbre. Continuava a trasportare feriti come se non avesse avuto un piede nella fosse a sua volta e me ne basta uno di folle così, Koushi."

L'Arciere scosse la testa. "Ho solo un po' di nausea," rispose. "Passerà."

Yuu inarcò un sopracciglio. "Prima hai detto che ti girava la testa."

Tooru portò gli occhi sul piccoletto distrattamente.

Fu una frazione di secondo, gli occhi marroni divennero grandi e luminosi per la sorpresa, mentre un'intuizione prendeva forma nella sua testa e cominciava a divenire insistente. Afferrò una spalla di Koushi e gli occhi dorati gli concessero tutta la loro attenzione. "Che c'è?" Domandò confuso e preoccupato. "Perché mi guardi così, Tooru?"

Il Re del Regno di Seijou trattenne a stento un sorriso. "Forse, è meglio che tu venga con me, Koushi. Ci mettiamo comodi nella tua stanza e parliamo un po', poi farò chiamare un medico..."

Daichi salì le scale che lo separavano dagli alloggi privati che erano stati riservati a lui a due a due. Il fiato corto ed il cuore galoppante nel petto. Erano stati Yuu e Asahi ad informarlo e la preoccupazione sui loro volti era bastata a convincere il giovane Re a mettere da parte i suoi doveri per correre al fianco del suo compagno.

Percorse il corridoio con ampi passi e, nell'arrivare davanti alla porta, per poco non finì addosso al Re del Regno di Seijou. Si bloccarono entrambi col respiro spezzato.

"Tooru?" Domandò Daichi con sguardo confuso e con il fiato corto.

Il giovane sovrano si riprese immediatamente dalla sorpresa e sorrise. "Stavo venendo a cercarti ma i vostri amici devono avermi preceduto."

"Che cosa è successo?" Domandò spaventato. "Che cos'ha, Koushi?"

Tooru si fece da parte per permettergli di passare. "Perché non glielo chiedi tu stesso?" Gli propose con un sorriso furbetto. "Io ho un Cavaliere febbricitante di cui prendermi cura ma darò ordine di non disturbarvi, promesso."

Daichi annuì. Non comprendeva ma non fece domande.

Entrò nella camera da letto con il cuore in gola ma sentì di poter di nuovo respirare come gli occhi dorati del suo consorte incontrarono i suoi ed uno splendido sorriso gli illuminò il viso.

Nel corridoio, Tooru fece per andarsene poi si accorse che, nella fretta di riabbracciare il suo compagno, Daichi aveva dimenticato di chiudere la porta. Si avvicinò lentamente, senza emettere rumore e sbirciò la dolce scena che si stava consumando al suo interno.

Koushi appoggiò a terra i piedi nudi e la camicia da notte si aggiustò sul suo corpo come si sollevò in piedi e si avvicinò al suo Re. Daichi lo guardava con una preoccupazione che rasentava la paura. Si dissero qualcosa che Tooru non poté udire.

Daichi gli appoggiò una mano sulla guancia amorevolmente, Koushi la prese tra le sue, ne baciò il palmo e poi se la premette contro il grembo. Il Re del Regno di Karasuno impiegò qualche istante per capire, poi strinse il compagno tra le braccia di slancio, come se avesse paura che potesse sparire da un momento all'altro. Koushi ricambiò la stretta con forza, aggrappandosi alle spalle forti del suo Re ed appoggiando la fronte contro il suo petto.

Daichi gli baciò i capelli, gli prese il viso tra le mani e riempì di baci anche quello, fino a che le loro labbra non s'incontrarono. Fecero aderire le loro fronti e si scambiarono sorrisi luminosi e commossi, mentre alcune lacrime scendevano a bagnare le guance di Koushi.

Tooru si sentì contagiare da tanta felicità. Sorrise ma una sfumatura triste rese i suoi occhi più scuri, mentre si voltava e lasciava i due futuri genitori da soli con il loro dolce segreto.

 
***



Il Re del Regno di Karasuno annunciò l'arrivo del futuro Principe dei Corvi alla fine del primo mese del nuovo anno. La neve continuava a cadere incessantemente intorno a loro e non vi erano notizie né da parte di Tetsuro, né dal Castello Nero ma quella novità si rivelò essere quello di cui gli uomini avevano bisogno per allietare in parte i tristi ricordi delle settimane di guerra che si erano lasciati alle spalle.

Hajime si congratulò personalmente con Daichi e Koushi e Tooru finse di non vedere la malinconia di quegli occhi verdi mentre stringeva la mano del Re di Karasuno e lo punzecchiava amichevolmente sul fatto che presto sarebbe divenuto padre. Yuu e Ryuu piansero al capezzale del consorte reale come se fosse in punto di morte ed anche Asahi si commosse ma solo Daichi se ne accorse e lo ringraziò con un gran sorriso.

"E quando nascerà?" Domandò Yuu saltellando accanto al letto del giovane Arciere.

Daichi l'aveva praticamente costretto a rimanere a letto per la maggior parte del tempo e guai a lasciare che Koushi uscisse dalla camera o addirittura scendesse le scale completamente da solo. Tooru aveva assistito ad una simile follia completamente basito ma Koushi ci rideva su, prendendo in giro amorevolmente l'iperprotezionismo del suo compagno.

La sua felicità era quasi abbagliante e Tooru si ritrovò a guardarlo con invidia sempre più spesso.

"Alla fine della prossima estate," rispose l'Arciere passando dolcemente una mano sul grembo ancora piatto. "Spero che la guerra sarà finita per allora. Vorrei darlo alla luce a casa, nel Regno di Karasuno."

Ryuu, ancora con una gamba ingessata ed armato di stampelle di legno, si lasciò cadere su di una poltrona accanto al fuoco. "Mi manca tanto la mia Kiyoko. Spero che la guerra finisca molto prima di questa estate!"

Koushi guardò Tooru che era in piedi accanto ad una delle grandi finestre. Il Re del Regno di Seijou non gli disse nulla e tornò a guardare la neve cadere incessantemente dal cielo grigio.

 
***



Fu il giovane Shinji, uno degli Arcieri del Regno di Seijou, a portare la notizia per primo.

Era la fine di febbraio, la neve era ancora alta ma le strade principali erano tornate utilizzabili. Questo aveva spinto Tooru e Daichi a mandare alcune piccole squadre in ricognizione verso nord. Le notizia che il giovane messaggero portò loro furono devastante.

Tetsuro non aveva mai completato l'evacuazione.

Arrivati al confine nord, i Cavalieri del Regno di Nekoma si erano ritrovati davanti un muro di centinaia di soldati con i colori del Regno di Shiratorizawa. Al loro seguito, vi erano centinaia di civili. La sconfitta era stata impossibile da evitare e le perdite erano state innumerevoli. Wakatoshi non aveva preso parte a quell'operazione. No, il Re dell'Aquila aveva atteso con pazienza che i suoi Cavalieri più forti gli portassero il Re del Regno del Nekoma e pochi altri ostaggi da rinchiudere al Castello Nero, mentre lui sedeva sul trono di Seijou che era stato Tooru stesso a lasciare vacante nella speranza di trarlo in inganno.

"Abbiamo sbaragliato la loro armata..." Mormorò Daichi sconvolto quanto lui.

"Non era il loro esercito regolare," concluse il Generale Ukai con tono grave. "Avevo notato che la maggior parte di quei soldati non poteva avere più di vent'anni ma non credevo che..."

"Ci hanno fatto massacrare i loro soldati più inesperti per farci perdere tempo e allontanarci dal cuore del Regno," concluse Tooru fissando la stessa cartina su cui aveva elaborato il geniale piano che avrebbe dovuto portarli ad una vittoria sicura, geniale e strategica. Wakatoshi aveva spazzata via tutto con pura e grezza violenza.

"Non sapevamo fossero anche a nord," mormorò Mizoguchi sconvolto.

"Non c'erano soldati da quella parte," gli ricordò Tooru. "Anche li avessero mandati all'ultimo come è possibile un attacco tanto preciso in così poco tempo?"

La voce del Re Demone era vuota ed erano spenti i suoi occhi. Daichi se ne accorse ma non aveva parole di conforto per lui: quella che era parsa una vittoria facile si era rivelata un'illusione dietro cui di nascondeva la più crudele delle sconfitte. Erano soli, completamente soli. Tetsuro era nelle mani del nemico e tutti gli sforzi di Tooru di proteggere la sua gente erano stati vani. Quanto sangue versato inutilmente?

Koushi lo guardò con gli occhi sgranati. "Ha mandato a morire i suoi uomini consapevolmente?"

Lui e Tooru erano seduti sul tappeto di fronte al caminetto acceso. Il giovane Demone non aveva avuto il coraggio di tornare da Hajime e dirgli che i compagni che aveva perso in battaglia erano morti invano e che quelli che erano sopravvissuti si erano sporcati le mani col sangue innocente di soldati che non avrebbero mai saputo tener testa ad un esercito regolare. Daichi si era offerto d'informare tutti i Cavalieri al posto suo e Tooru si sentiva uno schifoso codardo per non essere riuscito ad affrontare di petto le conseguenze delle sue scelte. Koushi era l'unico amico che aveva. Il solo che non lo avrebbe giudicato come Re ma lo avrebbe trattato come il ragazzo di sedici anni che era: troppo giovane per reggere il peso di un Regno così vasto sulle spalle, troppo debole per tener testa ad un Re non molto più grande di più ma infinitamente più cinico e freddo.

Gli occhi marroni scivolarono sulla mano che il coetaneo si teneva in grembo in un gesto protettivo che poteva comprendere. Il bambino che Koushi portava in grembo cresceva sano e non era più così difficile per Tooru notare la pancia che cresceva con lui. "Tu come stai?" Domandò.

Koushi sorrise abbassando lo sguardo sul proprio corpo. "È complicato..."

Tooru incrociò le gambe sul tappeto. "Me ne parli un po'?"

Gli occhi dorati lo scrutarono con attenzione. Tooru accennò un sorriso. "Non guardarmi così. Te l'ho chiesto io..."

Koushi ricambiò l'espressione, sebbene dalle sfumature tristi: non avevano più parlato della confidenza che Tooru gli aveva fatto sotto quel cielo stellato e da quando aveva scoperto di aspettare un bambino non aveva potuto fare a meno di sentirsi un po' a disagio in sua presenza. Si era accorto delle occhiate invidiose che l'altro gli lanciava di tanto in tanto ma non lo biasimava. Non doveva essere affatto semplice vivere con la consapevolezza che l'unico uomo che avrebbe potuto dargli un figlio era quello che odiava di più al mondo.

"È una sequenza infinita di emozioni contrastanti," cercò di spiegare. "La prima cosa che ho sentito quando l'ho scoperto, è stato smarrimento. Lo cercavo ma, onestamente, nulla sarebbe stato capace di prepararmi ad un momento simile."

Tooru lo ascoltò come se gli stesse raccontando una bella storia.

"Mi guardavo, mi toccavo la pancia e mi chiedevo come fosse possibile che mi stesse accadendo qualcosa di tanto grande ma non ve ne fosse traccia."

"Adesso si fa vedere da tutti, in compenso," lo interruppe Tooru con una risatina.

"Subito dopo, è arrivata la gioia," continuò Koushi. "Talmente tanta da non saperla esprimere. Mi sembra di amarlo come non ho mai amato nessuno," arrossì. "Ti sembra stupido, non è vero? Amare qualcuno che non esiste ancora..."

Tooru scosse la testa. "Non pensarlo neanche..."

"Dopo, è subentrata la paura," aggiunse Koushi con un sorriso amaro. "Daichi mi ha sempre dato sicurezza ed io ho sempre cercato di essere forte per me stesso ma di colpo è cambiato tutto. Lo volevo continuamente vicino, come se potesse succederci qualcosa da un momento all'altro. Non mi sono mai sentito così indifeso, sai? Ma non è per me che ho paura..."

Il giovane Demone annuì. "Posso capire. Dipende completamente da te e nessuno può farlo al posto tuo."

Koushi sospirò e rise di sé stesso. "Da quando so di avere un bambino nella pancia, mi sento incredibilmente piccolo a mia volta!"

Tooru piegò le ginocchia e se le strinse al petto. Era un po' come si sentiva anche lui, come quando da bambino era triste per qualcosa e correva a piangere tra le braccia della mamma, oppure andava da Hajime e si faceva sgridare bonariamente per i suoi capricci, mentre l'altro bambino gli spettinava i capelli gentilmente. Avrebbe potuto correre dal suo Cavaliere e farsi stringere come era accaduto nelle disperate notti d'amore che avevano condiviso sul campo di battaglia ma non lo fece. Era una sua sconfitta. Era un suo fallimento.

Era lui il debole ed era lui che doveva divenire più forte.

Era lui che doveva sconfiggere il Re dell'Aquila e vincere.

Quando Hajime tornò ai loro alloggi si ritrovò in una camera da letto vuota. Imprecò a bassa voce contro quell'idiota del suo Re chiedendosi dove si fosse andato a cacciare in un momento tanto delicato come quello. Daichi aveva parlato all'esercito da solo e aveva spiegato nei dettagli la loro situazione. Non aveva giustificato in alcun modo l'assenza di Tooru e Hajime non aveva avuto bisogno di chiedere.

Quello stupido era sicuramente perso nell'ennesima sessione di autodistruzione nel tentativo di tirar fuori da solo una soluzione che avrebbe potuto costringere in ginocchio Wakatoshi e aggiudicare loro la vittoria. Lo odiava quando faceva così. Lo odiava quando si nascondeva da lui, perché erano quelli i momenti in cui Hajime sapeva di dovergli stare vicino.

Ebbe il tempo di spogliarsi, accendere il fuoco, prepararsi per la notte e coricarsi al centro del letto, prima che Tooru varcasse quella porta con occhi spenti e con passo stanco. "Ehi..." Mormorò il Cavaliere. Tooru gli sorrise. Un'espressione perfettamente simulata. Hajime sentì le mani tremargli per la voglia di prenderlo a sberle.

"Mi hai aspettato alzato, Iwa-chan?" Domandò cominciando a togliersi i vestiti, gli occhi da Demone tentatore fissi in quelli verdi del Cavaliere. "Ne sono lieto. Anche io speravo di trovarti ancora sveglio, sai?"

Una delle cose di Tooru che sopportava di meno: quel pessimo vizio che aveva di sfogare il dolore e la rabbia con il sesso. Suo malgrado, Hajime lo aveva assecondato in più di un'occasione e odiava sé stesso quanto l'altro per quello. Erano mesi che non passavano una notte ad amarsi senza che nessun fantasma li tormentasse. Per mesi, si erano cercati con passione disperata per sentirsi vivi mentre tutto intorno a loro sembrava esserci solo morte.

E Hajime lo aveva odiato. Sì, lo aveva odiato con tutto il cuore ma non aveva potuto fare a meno di amarlo e se quel calore poteva essere utile a Tooru per stare meno male, non poteva sottrarglielo. O, forse, era Hajime che aveva bisogno di stringerlo, di farlo suo per convincersi che i sensi di colpa e l'ossessione della rivalsa non glielo stessero portando via.

Se lo ritrovò sopra prima che avesse il tempo di protestare. "Ho freddo, Hajime," disse suadente appoggiandogli entrambe le mani sul petto e chinandosi sulle sue labbra. Il Cavaliere non rispose al bacio ma non lo rifiutò. Il Re Demone lo guardò con un broncio infantile. "Sei arrabbiato con me?" Prese le mani del suo Cavaliere e le guidò sui suoi fianchi. "Allora facciamo la pace, che ne dici?"

Tooru gli posò una serie di baci leggeri sul petto, poi passò ad inumidirgli la pelle del collo. Hajime chiuse gli occhi ed infilò una mano quei capelli morbidi. "Tooru, aspetta..."

Per tutta risposta, il giovane Re sollevò il viso e lo baciò sulle labbra. Hajime non poté respingerlo ancora. Strinse appena le dita tra le ciocche arricciolate e fece scorrere la mano libera sulla sua schiena, fino a raggiungere il punto più morbido e bollente. Tooru gemette contro la sua bocca e si sollevò sulle ginocchia concedendo al suo Cavaliere un'immagine perfetta del suo corpo. I capelli gli erano ricaduti sulla parte sinistra del viso conferendogli un aspetto ancor più sensuale. Rimasero a guardarsi per un minuto che parve infinito, poi Tooru gli accarezzò il viso sfiorando i capelli più corti sulla tempia del Cavaliere. "Nostro figlio doveva avere i capelli neri, lo sai?" Domandò con un sorriso malinconico. Hajime lo fissò confuso, poi si sollevò quel tanto che bastava per sedersi contro i cuscini. "Che cosa stai dicendo, Tooru?"

"I tuoi capelli neri e gli occhi blu di mia madre," continuò il giovane Demone passando le mani calde sulle spalle larghe del suo Cavaliere e sui muscoli del petto. "Riesci a vederlo il nostro piccolo Tobio, Hajime?" Domandò con un sorriso tristissimo. "Io scherzavo dicendo che sarebbe stato tutto me. In realtà, ho sempre sperato che avesse il tuo cuore. Che meraviglia sarebbe stato..."

"Tooru..." Hajime si sporse verso di lui e l'altro gli circondò il collo con le braccia affondando il viso tra i suoi capelli. "Stringimi..." Lo implorò il giovane Re. "Stringimi, ti prego."

Hajime lo fece e chiuse gli occhi appoggiando la fronte sulla sua spalla. "Devi smetterla d'isolarti, Tooru. Ti distruggerai..."

"Continuo a perdere contro di lui, Hajime," mormorò Tooru tra i suoi capelli. "Ogni volta che credo di essere diventato abbastanza forte, io..."

Hajime sbuffò, lo afferrò per le braccia e lo spinse gentilmente indietro per guardarlo negli occhi. "Io, io, io... Sempre e solo io!" Esclamò irritato. "Tooru, un Re che crede di poter vincere le sue guerre da solo è un Re sconfitto in partenza."

Gli occhi di Tooru si fecero grandi, di nuovo luminosi. Ridacchiò.

"Che cosa c'è di divertente?" Domandò Hajime con una smorfia.

"Come dire..." Disse Tooru passando le mani tra i suoi capelli lentamente. "Mi sento improvvisamente invincibile." Baciò il suo Cavaliere con rinnovata passione. Le mani di Hajime scivolarono dal suo viso ai suoi fianchi. Il Re si aggrappò alle sue spalle. "Lo facciamo un figlio?"

Hajime sospirò. "Tooru..."

"Non m'importa quello che ha detto quel bastardo," replicò Tooru con un sorrisetto arrogante. "L'unico figlio che voglio è il tuo. Hai detto che non posso sconfiggerlo da solo," lo baciò sulle labbra, "allora sconfiggiamolo insieme, Hajime," ancora un bacio. "Insieme..."

La mattina seguente, Tooru si svegliò da solo.

Restò a fissare con un broncio il lato vuoto del letto, poi si passò una mano tra i capelli e si alzò in piedi. La stanza era calda perché il suo Cavaliere era stato così gentile da ravvivare il fuoco, prima di andarsene. Tooru sorrise alle fiamme scoppiettanti, poi si avvicinò alla finestra: non nevicava più da qualche settimana ma il sole non era ancora tornato a brillare sul serio. Un rumore nel salottino adiacente lo fece sobbalzare.

"Siamo d'accordo, Daichi," sentì dire la voce del suo Cavaliere.

Tooru sorrise tra sé e sé: non lo aveva lasciato da solo, allora.

"Buona fortuna, Hajime," rispose il sovrano del Regno di Karasuno.

Il Re Demone inarcò le sopracciglia confuso, poi sentì la porta del salottino aprirsi e richiudersi e tornò di corsa a letto infilandosi sotto le coperte. Hajime rientrò in camera con addosso un paio di pantaloni comodi e la camicia slacciata sul petto.

"Buongiorno," Tooru gli sorrise raggiante.

"Buongiorno," rispose il Cavaliere sedendosi sul bordo del letto. "C'è la colazione di là. Ti alzi o vuoi che te la porti qui?"

Tooru si mise a sedere contro i cuscini con un sorriso furbetto. "Come mai sei così dolce con me, Iwa-chan?" Domandò. "O hai qualcosa da farti perdonare o devo credere che ieri notte è stato particolarmente bello."

Hajime gli accarezzò una gamba da sopra le coperte. "È vero..." Confessò. "Ieri è stato particolarmente bello. Da come non lo era da un po'..."

"Allora perché non ti togli quei vestiti e vieni sotto le coperte con me?" Propose Tooru con sguardo sensuale. Hajime abbassò gli occhi verdi sul pavimento. "Domani marciamo verso la Capitale," lo informò.

Tooru sgranò gli occhi. "C'è stato un altro consiglio di guerra? Avresti potuto svegliarmi..."

"Tu rimani qui, Tooru," aggiunse il Cavaliere.

Il giovane Re si fece serio di colpo, poi gli rivolse un sorriso nervoso. "Che cosa stai dicendo, Iwa-chan?"

"È deciso," disse Hajime con tono solenne. "I Generali sono d'accordo con noi. Io e Daichi guideremo i due eserciti per l'assedio e tu Koushi rimarrete qui, al sicuro."

Tooru lo fissò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. "Io vengo con te," proclamò col tono di chi non ammette repliche. Hajime scrollò le spalle. "Ti farò rinchiudere nelle segrete, ho sempre desiderato farlo almeno una volta nella vita."

"Io vengo con te!" Esclamò Tooru con rabbia.

Hajime non sembrò essere colpito da quella reazione. "No, Tooru," replicò. "Questa volta vado da solo."

Il Demone artigliò le coperte. "E quale sarebbe la ragione di una simile follia?"

Hajime prese un respiro profondo e si fece più vicino al giovane Re. "Battaglia ad alto rischio di sconfitta," fu la sua risposta. "Io e Daichi ne abbiamo parlato... È una di quelle situazioni in cui le scelte politiche vanno messe prima di quelle personali e non c'è vittoria se non c'è un Re per cui combattere."

"Daichi è un Re..." Gli fece notare Tooru.

"Il suo consorte aspetta un bambino," gli ricordò il Cavaliere. "Il futuro del Regno di Karasuno è quella creatura non ancora nata e quello del Regno di Seijou sei tu. In caso di estremo pericolo come questo, siete voi che andate protetti ad ogni costo."

"Ogni guerra è a rischio di sconfitta, Hajime!"

"Non così..." C'era paura negli occhi del Cavaliere e Tooru non lo sopportò. "Sei nato e cresciuto al Castello Nero. Conosci tutto di quella rocca e sai che non ha punti deboli."

Tooru lo guardava sconvolto. "Vi volete suicidare..."

"Dobbiamo provarci, Tooru. Dobbiamo proteggervi, prima che arrivino qui."

Tooru scosse la testa. Si morse il labbro inferiore alla ricerca di una soluzione ma la sua mente era sprofondata nel caos più completo. Non poteva essere vero... Non poteva finire così... Non poteva permetterlo!

"Scappiamo..." Mormorò in preda al panico.

Hajime non lo giudicò solo perché era evidentemente fuori di sé. "E abbandonare Seijou? Portare la guerra in un altro regno? No, Tooru, personalmente ho già visto abbastanza gente innocente morire."

"Ed io dovrei accettare in silenzio che tu faccia la stessa fine?!" Urlò il Re. "Avevi detto che non potevo sconfiggerlo da solo... Mi sta bene! Ma voglio farlo con te! Con te! Con te..." Aveva preso a piangere disperatamente.

"Smettila di fare il bambino," disse Hajime con un sospiro ma c'era solo tenerezza nella sua voce. Gli sfiorò una guancia con la punta delle dita e portò una mano sulla sua nuca spingendolo ad appoggiare la fronte sulla sua. "Non sono ancora morto."

Tooru si aggrappò alla sua camicia con tutta la forza che aveva, come se questo fosse sufficiente a strapparlo del destino che lo attendeva.

 
***



Era la seconda settimana di marzo e la neve si era sciolta quasi del tutto.

Koushi, però, non aveva mai sentito così freddo in tutta la sua vita.

Strinse la corona dorata tra le sue mani come se avesse voluto distruggerla e, in cuor suo, avrebbe tanto voluto avere il potere di farlo quel giorno. Un pensiero terribile lo aveva colto quando Daichi si era alzato dal letto e lo aveva privato del suo abbraccio, un pensiero che si era pentito subito di aver fatto ma che non aveva potuto evitare.

Daichi lo guardò con solennità, l'armatura splendente rifletteva la luce del primo mattino. S'inginocchiò a terra e Koushi gli mise la corona sul capo.

"Ho pensato che sarebbe stato meglio se questo bambino non ci fosse stato," confessò, mentre il suo Re si alzava da terra e lo fissava allibito. "Ho pensato che così sarei potuto restare al tuo fianco fino alla fine, come ho giurato il giorno in cui mi sono seduto sul trono del nostro Regno accanto a te," Koushi si lasciò sfuggire un singhiozzo mentre le lacrime scendevano a bagnargli le guance, i pugni serrati sulla stoffa della camicia da notte all'altezza del ventre. Daichi lo guardò con espressione ferita, come se fosse lui quello sul punto di essere lasciato indietro. Scosse la testa, sorrise dolcemente ed appoggiò entrambe le mani su quelle di Koushi invitando le dita a rilassarsi contro la dolce curva che provava che il loro bambino stava crescendo. Rimasero a guardare il loro piccolo tesoro per un po', poi Daichi appoggiò un ginocchio a terra e posò un bacio sul grembo pieno di vita del suo compagno. "Ti ho affidato il mio cuore una volta, Koushi," gli disse chiudendo gli occhi ed appoggiando la fronte contro la stoffa calda della sua pelle. "Ora, ti affido qualcosa d'infinitamente più importante."

Koushi strinse gli occhi e si morse il labbro inferiore passando le dita tra quei capelli neri come se lo facesse per l'ultima volta. "Lo proteggerò al costo della vita, mio Re."

Hajime non chiese nulla mentre Tooru gli sfilava la spada dalla vita e la gettava sul pavimento come se fosse solo un pezzo di metallo senza valore.

"Voglio che tu porti questa con te," disse il giovane Demone avvicinandosi al suo Cavaliere per stringere la ricca cintura degna di un Re intorno alla sua vita. La spada dei sovrani di Seijou. Hajime aprì bocca e fece per dire qualcosa in contrario ma Tooru gli prese il viso tra le mani e lo baciò sulle labbra. "Non sarò lì a combattere, Hajime ma concedimi almeno di essere al tuo fianco in questo modo." Appoggiò la fronte contro la spalla coperta dall'armatura nera.  Hajime strinse gli occhi ed appoggiò le labbra tra le corna di Tooru aspirando a pieni polmoni l'odore dei suoi capelli come se sapesse che non lo avrebbe fatto mai più.

 
***



Non ricevettero notizie per settimane.

Koushi e Tooru passavano insieme ogni momento della giornata circondati dai pochi Cavalieri rimasti a loro protezione e dalla servitù che si occupava dei loro bisogni. La pancia di Koushi non cresceva più e questo aveva cominciato ad essere fonte di preoccupazione per il giovane Arciere.

"Ho paura che gli sia successo qualcosa," disse una sera appoggiando entrambe le mani sulla piccola pancia.

Tooru lo aveva osservato per un lungo minuto, poi aveva picchiettato l'indice contro il ventre appena rigonfio. "Ehi, Shou-chan! Dato che la mamma ti garantisce vitto e alloggio continuo, potresti farci la cortesia di battere un colpo... Sai, tanto per sapere se gli appartamenti privati e la servitù sono di tuo gradimento!"

Koushi rise di cuore e Tooru si sentì soddisfatto così.

Tre giorni dopo, nel bel mezzo di una partita a scacchi, Koushi si bloccò di colpo portandosi una mano alla pancia. Gli occhi dorati più grandi di quanto già non fossero. Fu la prima volta che sentì muovere il suo bambino e fu il giorno in cui sia lui che Tooru presero a chiamarlo regolarmente Shouyou.

 
***



La tanto attesa lettera arrivò all'inizio di aprile.

Fu il giovane Shinji a portarla e Tooru fu ben felice di vedere che si reggeva saldamente sulle sue gambe e non aveva l'espressione di chi deve annunciare la sepoltura di un Re o di un Cavaliere armato come tale. Tooru lo accolse con discrezione, assicurandosi che non avesse notizie tragiche prima di avvertire Koushi: nessuno metteva in dubbio la sua forza d'animo ed il giovane Demone era il primo a dire che, nelle sue stesse condizioni e senza Hajime, dubitava che ce l'avrebbe fatta ma questo non era sufficiente a fargli dimenticare che versava in uno stato comunque delicato e non voleva stressarlo più del dovuto.

"Ho con me due lettere," disse Shinji dopo che si fu abbeveratoi e nutrito.

Cacciò una mano sotto il mantello e posò sul tavolo due buste chiuse. Su di una vi era scritto il nome del Demone e sull'altra quello dell'Arciere.

"Abbiate fiducia in loro," fu tutto quello che disse Shinji, prima di ripartire. "Noi tutti ne abbiamo, li seguiremo fino alla fine."

Tooru e Koushi non si dissero nulla ma entrambi furono orgogliosi di udire quelle parole.

 
***



Lessero le loro lettere privatamente, chiusi nelle loro stanze.

"Hajime chiede di vedermi," disse Tooru l'indomani mattina a colazione.

Koushi sgranò occhi, poi gli rivolse un gran sorriso. "È una bellissima notizia!"

Il giovane Demone fissò la propria tazza fumante con aria assorta.

"Tooru?" Lo richiamò l'altro.

Gli occhi marroni si sollevarono su quelli dorati. "Andrai non è vero?" Domandò quest'ultimo.

"È solo per una notte," chiarì il sovrano del Regno di Seijou.

"È almeno una notte," lo corresse l'Arciere con un sorriso gentile. "Hai paura di vederlo..." Non era una domanda. Koushi capiva. La mattina in cui aveva salutato Daichi era stata la peggiore della sua vita e sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di viverla di nuovo, non dopo quelle settimane passate nel terrore che un messaggero arrivasse stringendo una corona dorata tra le mani.

"Ho paura che non lo lascerei andare più..." Mormorò Tooru in risposta.

Partì quello stesso pomeriggio.

 
***



L'aria della sera era fresca ma il Cavaliere non aveva freddo.

Appoggiò la schiena all'albero vicino alla riva del laghetto lasciando che il rumore della cascata lo aiutasse a distendere i nervi tesi. In cuor suo, sapeva che non avrebbe mai dovuto fare quella richiesta, che avrebbe fatto solo più male a Tooru e a se stesso chiedendogli di passare ancora una notte assieme. La marcia verso la Capitale, però, si era rivelata più dura di quanto già non avessero previsto. Il Re dell'Aquila aveva fatto bene i suoi calcoli ed aveva armato tutte le roccaforti più piccole ai piedi del Castello Nero, impedendo all'esercito di Karasuno e quello di Seijou di avvicinarsi in modo utile. Per la prima volta dall'inizio del conflitto, sia lui che Daichi avevano conosciuto il sapore della sconfitta: un misto tra polvere, sangue e sudore. Scrivere ai loro compagni si era rivelato un dovere, non un capriccio.

Ora che ogni giorno poteva essere davvero l'ultimo, entrambi avevano premura di rivolgere la loro attenzione a chi amavano fino all'ultimo respiro. Daichi lo aveva convinto a chiedere a Tooru di vederlo, anche se solo per una notte. Il giovane sovrano del Regno di Karasuno gli disse che, se Koushi non avesse versato nelle delicate condizioni in cui era, avrebbe fatto lo stesso.

Il rumore di zoccoli dall'altra parte del laghetto fece riemergere il Cavaliere dai suoi pensieri.

Il giovane Demone era a cavallo di un destriero nero come la notte, i suoi vestiti erano semplici. Non vi era nessun mantello regale sulle sue spalla, nessuna giacca di velluto corvino, nessuno corona di oro nero. Tooru non era altro che il bellissimo ragazzo di quasi diciassette anni che gli aveva preso il cuore dal momento in cui quei grandi occhi marroni si erano posati con sicurezza sui suoi. Il Re gli rivolse un sorriso emozionato, sincero, poi scese a terra e legò il suo cavallo. Hajime si staccò dall'albero e si spostò dove l'acqua era più bassa. Tooru attraversò il guado del fiumiciattolo alla fine del laghetto, senza preoccuparsi dell'acqua che gli bagnò gli stivali. Nel momento in cui lo strinse tra le braccia, il Cavaliere riprese a respirare. Tooru non perse tempo, gli prese il viso tra le mani e lo baciò come se non ci fosse un domani. Hajime affondò una mano tra i suoi capelli e con l'altro braccio gli circondò la schiena.

"Avevo paura che non venissi..." Mormorò contro quelle labbra vogliose.

"Avrebbero dovuto uccidermi per impedirmelo," rispose Tooru chinando la testa e affondando il viso contro il petto del suo Cavaliere. "Sento il tuo cuore battere, è così bello..."

Si sedettero sotto l'albero più vicino all'acqua, incapaci di scambiarsi più di due parole senza baciarsi.

"Come stanno Koushi ed il bambino?" Domandò Hajime con un mezzo sorriso. "Daichi mi ha pregato di chiedertelo."

Tooru gli rispose con un gran sorriso luminoso. "Informa il Re che il suo erede non fa che prendere a calci il suo consorte con impertinenza."

Hajime inarcò un sopracciglio. "Già si muove?"

"Continuamente!" Esclamò Tooru assumendo una falsa aria tragica. "Ha cominciato appena due o tre settimane fa e non ha smesso più. Ma dico... Non dovrebbe essere piccolo e fragile? Non sta fermo un attimo, riesco a sentirlo anche io, se appoggio una mano sulla pancia di Koushi. Sembra non veda l'ora di uscire!" Rise, poi divenne malinconico di colpo. "Rassicura Daichi sul fatto che il suo bambino è sano e Koushi è abbastanza forte per tutti e due."

Hajime annuì.

"Anche tu hai pensato a me, Iwa-chan?"

Il Cavaliere dovette trattenersi dal prenderlo a pugni dopo una domanda tanto stupida. "No," rispose. "Mi sono goduto il silenzio, per una volta."

"Iwa-chan!" Esclamò Tooru con finta aria ferita. "Sei così insensibile! Così rude! Così..."

Hajime lo baciò sulle labbra e questo bastò a farlo rilassare e convincerlo a smetterla di lagnare. "Anche tu mi sei mancato tanto, Iwa-chan!" Esclamò Tooru appoggiando la fronte su quella del suo Cavaliere. "Faccio fatica ad addormentarmi da solo in quel letto freddo e grande."

"Sei sempre stato un bambino viziato..."

"Tu, invece, eri un bambino burbero e dolcissimo," replicò Tooru appoggiando le labbra sul collo del suo Cavaliere, la bella mano dalle dita affusolate prese a slacciare i bottoni della camicia bianca, poi s'infilò sotto la stoffa ed accarezzò i muscoli del petto. "Nessuno ci credeva che saresti divenuto il bel giovane che sei ora ma io lo sapevo... Io l'ho sempre saputo," la stoffa scivolò via dalle spalle di Hajime e chiuse gli occhi mentre Tooru gli baciava il collo. Maledetto Demone tentatore...

"Dovevi essere mio, Hajime," Tooru lo spinse con dolcezza contro l'erba fresca, mentre si liberava della tunica. "Solo mio..."

Hajime non poté fare a meno di pensare quanto fosse bello, sensuale, da perdere la testa mentre veniva baciato dalle luci del tramonto. aspettò che si chinasse a baciarlo, poi gli portò una mano sulla nuca ed una sul fianco invertendo lentamente le loro posizioni. Tooru non smise di baciarlo e gli circondò il collo con le braccia per stringerlo a sé, mentre le mani esperte del suo Cavaliere gli slacciavano i pantaloni e s'infilavano sotto la stoffa per assaggiare la pelle morbida delle natiche prima e quella bollente tra le sue gambe dopo. Tooru s'inarcò con un gemito soffice, quasi elegante. Hajime non sapeva come faceva e non avrebbe mai cercato una risposta da lui ma non poteva fare a meno di chiederselo ogni volta. Tooru sapeva essere erotismo puro, di quello che stuzzicava i suoi istinti più animali e li assecondava senza timore, eppure non vi era nulla di volgare in lui, nel modo in cui si concedeva senza pudore.

Hajime si era ritrovato spesso a pensare che Tooru faceva l'amore nello stesso modo in cui tirava la corda del suo arco. Lo aveva visto molte volte da quando erano divenuti amanti. Aveva visto l'espressione concentrata, completamente persa per il suo bersaglio. Aveva visto la sicurezza con cui incoccava la freccia e tirava indietro il braccio. Gli occhi marroni grandi e profondi, sicuri come quelli di una creatura che si muove con maestria nel suo territorio di caccia. Il modo in cui s'inumidiva le labbra e le schiudeva appena prima di scoccare una freccia nella direzione perfetta. Era sempre una scena di pochi istanti e Hajime si era ritrovato ad osservarla ogni volta come se fosse a rallentatore. Ovviamente, ogni maledetta volta, si erano ritrovati in camera da letto per la gioia di Tooru e per la frustrazione di Hajime che di venire a patti con il suo orgoglio ferito non ci riusciva proprio.

Dopotutto, era solo un essere umano e nessuno si aspettava che avesse la forza di volontà necessaria per resistere ad una tentazione simile. In fin dei conti, chi potrebbe mai rifiutare la perfezione?

Il Cavaliere appallottolò la sua camicia e la sistemò sotto la testa del giovane Re con cura. Quel gesto gli fece guadagnare un dolce sorriso da parte di Tooru che si lasciò manovrare docilmente, mentre Hajime gli sfilava gli stivali e lo liberava definitivamente dei pantaloni. Si alzò in piedi, gli occhi verdi fissi sul corpo meraviglioso davanti a lui ma gli occhi di Tooru erano ciò che lo incantava di più, accendendo il suo corpo di una passione per cui avrebbe potuto perdere la ragione. Lo guardava languido, paziente, godendosi ogni nuovo centimetro di pelle che veniva scoperto man mano il Cavaliere si liberava di ciò che rimaneva dei suoi vestiti. Quando Hajime tornò sopra di lui e fece aderire i loro corpi, Tooru lo strinse senza pensarci e le loro bocche furono subito l'una sull'altra.

"Ti amo..."

Tooru lo sussurrò contro le labbra del suo Cavaliere non appena il piacere li ebbe travolti e lasciati andare. Le loro dita ancora intrecciate sull'erba, le loro fronti l'una sull'altra.

Gli occhi verdi di Hajime si aprirono e si persero in quelli grandi e lucidi di Tooru, alcune lacrime avevano preso a rigargli il viso. "Ti amo..." Ripeté il giovane Re con voce tremante. "Ti ho sempre amato."

Hajime non aveva mai dubitato che valesse la pena combattere per lui, che sarebbe anche potuto morire per lui. Ora, però, ne era certo come non lo era mai stato di niente altro in tutta la sua vita. Affondò il viso contro il petto del suo Re e, per la prima volta da quando quella guerra era iniziata, si concesse il diritto di piangere anche lui. "Hajime..." Lo chiamò Tooru, poi strinse le braccia intorno alle sue spalle ed appoggiò le labbra contro quei ribelli capelli neri. "Piangi, mio Cavaliere. Piangi quanto vuoi, quanto ne hai bisogno..."

Tooru, forse, non poteva essere forte abbastanza per mettere in ginocchio il Re dell'Aquila ma poteva esserlo per Hajime se il suo Cavaliere ne aveva bisogno.

Sì, poteva.

E, sì, la profezia divenne di carne e sangue.

 
***



Solo Daichi vide Hajime rientrare al campo all'alba del giorno successivo.

Sebbene avesse particolare premura di sapere come stavano Koushi ed il bambino, decise che non sarebbe stato invadente: non doveva essere stato semplice dire addio a Tooru ancora una volta. Fu il Cavaliere a venire da lui, però, a dirgli che suo figlio non faceva che esprimere la sua gran voglia di vivere prendendo continuamente a calci il suo povero consorte.

Hajime gli diede una pacca sulla spalla con fare amichevole. "Fatti forza, quando sarà nato, quello contro cui abbiamo combattuto qui sarà nulla a confronto."

Daichi rise.

 
***



Passarono altre due settimane, prima che il Re ed il Cavaliere furono in grado di mandare Shinji al confine sud per consegnare altre due lettere.

Il messaggero fece ritorno tre giorni più tardi con una terribile notizia.
 

***



Non avevano mai cavalcato così velocemente in vita loro.

Avevano preso con loro pochi uomini per fare il più in fretta possibile ma, come aveva detto Shinji, quando arrivarono sulla spiaggia, era già troppo tardi.

Daichi scese da cavallo, fece qualche passo poi cadde in ginocchio sulla sabbia. Hajime rimase in piedi accanto a lui osservando con espressione sconvolta il piccolo castello ridotto a macerie. "Tooru..." Chiamò avanzando di qualche passo. "Tooru!"

Takahiro ed Issei lo bloccarono prima che potesse lanciarsi contro la piccola rocca distrutta. "Non sappiamo se è vuota, Hajime," gli disse il primo cercando di farlo ragionare.

"Andiamo insieme," aggiunse Issei. "Spade alle mani, non sappiamo se ci sia ancora qualcuno qui."

Anche Asahi era sceso da cavallo per essere di qualche conforto a Daichi ma il giovane Re si era rimesso in piedi con le sue forze. Strinse i pugni, poi si avvicinò al Cavaliere e gli strinse una spalla. "Andiamo..."

Di Tooru e Koushi non c'erano tracce.

Gli altri erano morti tutti.

Pensarono tre dei quattro Cavalieri a mettere insieme una pira funebre per i soldati caduti. Hajime uscì dal cortile principale non appena arresosi all'idea che non c'era modo di sapere che cosa fosse successo a Tooru. Andò a sedersi sugli scogli sotto la rocca dove lui, il suo Re e la giovane coppia del Regno di Karasuno avevano passato molto tempo durante la loro estate insieme. L'aria di mare era fredda ma l'acqua era tranquilla sotto il suo sguardo perso.

Sentì una mano dargli una pacca amichevole sulla schiena e alzò lo sguardo per vedere Daichi sedersi accanto a lui e fissare l'orizzonte senza realmente vederlo. "Sono ancora vivi..." Si lasciò sfuggire il Cavaliere.

Daichi lo guardò con gli occhi scuri di nuovo pieni di speranza. "Come fai a dirlo?"

"Il bastardo vuole Tooru," spiegò il Cavaliere. "Anche l'avesse preso con la forza, non gli avrebbe mai fatto del male e Tooru non lo avrebbe mai perdonato, se avesse toccato Koushi."

Daichi ci pensò e cercò di convincersi che, sì, era logico, plausibile.

Hajime si passò una mano tra i capelli ed imprecò. "C'è qualcosa di disumano in questa storia!"

Il giovane Re lo guardò. "Che vuoi dire?"

"Le tempistiche non sono normali," spiegò il Cavaliere. "Il confine nord era sicuro e Wakatoshi era già sul campo di battaglia dalla parte opposta del regno. Come hanno fatto ad organizzare un attacco in modo da fermare Tetsuro proprio nel momento in cui meno si aspettava di dover combattere?"

"Un messaggero?" Ipotizzò Daichi.

Hajime fece una smorfia poco convinta e scosse la testa. "Sapeva dov'era Tetsuro e sapeva quando ce lo avrebbe trovato con tutti i civili al suo seguito. Nemmeno noi siamo stati in possesso d'informazioni simili. È come se qualcuno volasse sopra di noi e ci vedesse muovere un passo alla volta! Nessun cavallo avrebbe potuto percorrere una distanza simile in poco tempo e nessun essere umano avrebbe potuto organizzare un attacco non previsto con tanta precisione!"

Daichi ci pensò ma non riuscì ad arrivare a nessuna conclusione soddisfacente. "Dove pensi che li abbia portati?"

Hajime sospirò stancamente. "Nel posto più sicuro del Regno di Seijou," si alzò in piedi e si voltò verso nord. Qualunque strategia avessero organizzato, Wakatoshi aveva saputo leggerla con anticipo impressionante e l'aveva distrutta senza esitazione.

Alla fine, il teatro della battaglia finale sarebbe stato proprio il cuore del Regno di Seijou.

Gli occhi verdi del Cavaliere cercarono quelli scuri del giovane Re. "Se prima non sapevamo se saremmo mai riusciti a fare un passo oltre le porte del Cancello Nero ed uscirne vivi, ora non abbiamo altra scelta, Daichi."

 




 

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Capitolo 9
*** Di vittorie e sconfitte ***


8
Di vittorie e sconfitte




Tooru era nato e cresciuto al Castello Nero.

Per un po', gli era sembrato il luogo più sicuro del mondo e, dopo, aveva cominciato a stargli stretto con l'arrivo dell'adolescenza. Hajime gli aveva regalato il mondo esterno la notte della morte di sua madre, però a nessuno dei due era mai venuto in mente di scappare da quelle mura. In quei lunghi corridoio, si erano rincorsi nei pomeriggi d'inverno ed in quei cortili e giardini avevano passato tutte le estati della loro infanzia. Era il luogo in cui erano divenuti grandi insieme, era il posto in cui si erano innamorati.

Tooru sapeva che nè lui nè Hajime avrebbero mai smesso di amarlo come si può amare solo la casa della propria infanzia.

Il Re dell'Aquila era riuscito a rovinare anche questo.

Quando li portarono nella sala del trono, non li costrinsero ad inginocchiarsi a terra ma per Tooru fu comunque umiliante vedere Wakatoshi seduto sul posto che spettava a lui per diritto di nascita. Sembrava riposato, il sovrano di Shiratorizawa, come se quella guerra, che aveva massacrato un'intera generazione dei suoi soldati, non lo avesse ancora toccato neanche per sbaglio. Fu la prima volta che Tooru sentì la mancanza della sua spada attaccata alla cintura: avrebbe voluto volentieri fargli recuperare tutto ciò che si era perso nelle ultime settimane.

"Lasciateci..." Disse alle guardie che li avevano scortati.

Non si erano ribellati granchè, dopo che li avevano trascinati via da quel piccolo castello sul mare che non si era rivelato il rifugio sicuro che si erano aspettati. Come il Re dell'Aquila fosse riuscito a trovarli era un mistero a cui Tooru proprio non riusciva a venire a capo. Nessuno poteva avergli riferito la posizione del giovane Re e del consorte reale del Regno di Karasuno e nessuno avrebbe mai mandato tanti uomini come quelli che li avevano attaccati in avanscoperta in un territorio in cui Shiratorizawa era già stato sconfitto.

Tooru fissò il suo nemico dritto negli occhi: non provava alcun timore, solo tanto odio.

Accanto a lui, Koushi non era da meno in quanto forza di volontà, sebbene si stringesse quel mantello intorno al corpo con un po' troppa premura perchè non tradisse alcun timore. Il giovane Demone non lo invidiava affatto in quel momento e sperò che Wakatoshi fosse troppo impegnato a porre attenzione a lui per rendersi conto dello stato in cui versava il compagno del Re Daichi di Karasuno. Non appena le guardie si furono richiuse alle spalle il portone della sala del trono, Wakatoshi si alzò in piedi e scese lentamente le scale che li separava. I vestiti che indossava erano perfettamente lindi e puliti ma non erano particolarmente preziosi. Un altro dettaglio del Re dell'Aquila che Tooru non si era lasciato sfuggire: a differenza sua, il suo nemico non si preoccupava particolarmente della sua immagine fin tanto che era dignitosa. Un'altra lezione che stava cercando d'imporgli: un Re non si riconosceva dal ricco mantello che portava sulle spalle o dalla corona preziosa che teneva sul capo; un Re era tale quando era capace di difendere il suo nome e la sua gente.

Ancora una volta, Tooru si sentì sconfitto dal sovrano del Regno di Shiratorizawa e non lo sopportò.

"Non ti avrebbe mai lasciato morire nell'assedio del tuo stesso castello," Wakatoshi cercò di toccarlo e Koushi osservò quel movimento come se fosse stato uno schiaffo. Tooru fece un passo indietro con aria di sfida. Il Re non sembrò sorpreso. "Ancora rinchiuso dietro la fortezza del tuo orgoglio."

Non era una domanda e non aveva bisogno di una risposta.

"Non posso sperare che il tuo Cavaliere si arrenda se lo informo che ti ho come mio prigioniero, vero?"

"Assolutamente no," disse Tooru con un sorrisetto diabolico. "Lo inviterai solo a sfondare la porta d'ingresso con più urgenza di prima."


E fu così che Tooru, Re di Seijou, divenne prigioniero nella sua stessa casa.


Li fecero accomodare negli appartamenti della torre più alta del Castello Nero. Tooru alzò gli occhi al cielo per tanta banalità: quella torre era stata costruita sul confine estremo del giardino esterno in modo che non avesse nessun collegamento diretto con l'edificio principale e fosse quasi del tutto circondata dal dirupo su cui il castello era costruito.

Rinchiusi lì, era impossibile uscire senza fare un volo di svariate decine di metri. Una prigione per importanti ostaggi politici che era rimasta in disuso per generazioni. Era anche disposta di un piccolo cortile interno addobbato a mo di piccolo giardino e circondato da un portico. Wakatoshi lo voleva sotto chiave ma di sicuro ci teneva a farlo stare comodo.

Questo fu utile a tranquillizzare un poco Koushi, se non altro.

Quello che Tooru non si era aspettato era di trovare già un prigioniero all'interno di quella enorme gabbia per Re.

Il fuoco era acceso nel piccolo salottino degli appartamenti sulla cima della costruzione ed il giovane dai capelli chiari, che vi si era seduto davanti, si alzò immediatamente non appena li vide entrare. Tooru sgranò gli occhi per la sorpresa. "Kenma?"

Il giovane Mago s'inchinò velocemente. "Mio Re," disse con rispetto e con una nota di sollievo evidente. "Lord Koushi."

L'Arciere sorrise, mentre la guardia che li aveva scortati richiudeva la porta degli appartamenti e tutti e tre udirono chiaramente il rumore di una chiave che veniva girata nella serratura. Rimasti soli, si lasciarono alle spalle ogni formalità.

"Che bello vederti tutto intero!" Esclamò il giovane Re esaurendo la distanza tra sè ed il giovane Mago. Appoggiò una mano sulla spalla di questi con fare amichevole. "Quando abbiamo saputo che vi avevano sconfitti e che Tetsuro era stato portato qui, non sapevamo chi altro si fosse salvato."

Anche sul viso solitamente inespressivo di Kenma comparve una sfumatura oscura. "Tetsuro non è qui. Lo hanno portato nelle segrete insieme ai suoi Cavalieri più fidati."

Tooru tornò serio di colpo e guardò Koushi. "L'importante è che sia vivo," disse poi. "Hajime e Daichi stanno combattendo fuori dalle mura e ci salveranno sicuramente. Dobbiamo solo resistere!"

Koushi accennò un sorriso ammirando Tooru per tanto ottimismo e decise di seguire il suo esempio. "Inoltre, Kenma, temo di averti trovato un bel po' di lavoro con cui distrarti," disse con un poco di allegria. Il giovane Mago lo guardò confuso e l'Arciere si tolse il mantello dalle spalle facendo poi aderire la stoffa della tunica all'addome con entrambe le mani. La pancia di Koushi continuava ad essere piccola ma il bambino al suo interno non ne voleva proprio sapere di starsene fermo, così ogni preoccupazione era presto scivolata via.

Kenma sgranò gli occhi dorati nella prima reale espressione sorpresa che Tooru gli avesse mai visto fare. "Koushi, voi..."

"Dammi pure del tu, dovremo passare insieme un bel po' di tempo, immagino."

Kenma si fece più vicino, gli occhi fissi sulla pancia del giovane Arciere. "Posso?" Domandò alzando una mano. Koushi annuì e l'altro prese ad accarezzargli il grembo lentamente, con un poco di timore. Appena un istante più tardi, l'allontanò come se fosse stato scottato. "Si muove..." Commentò sorpreso.

Koushi sospirò. "Si muove continuamente."

Tooru gli diede una pacca sulla spalla. "Sei un Curatore, no? Come mai sei tanto sorpreso?"

"Quando nascerà?" Domandò il giovane Mago.

"Alla fine dell'estate," rispose Koushi. "Sì, sembra che sarà piccolino ma tira certi calci!"


Fu meno difficile di quello che sembrava.

Erano serviti come solo dei reali potevano esserlo e, se non riflettevano troppo sulla mancata libertà di movimento che dovevano sopportare, non era poi così diverso dal starsene in un castello sulla costa, isolati dalla battaglia.

La cosa peggiore era il silenzio.

Da lì, era impossibile udire i soldati combattere. Sempre ammesso che fossero riusciti ad arrivare alle mura della Capitale nelle ultime settimane. Notizie non ne arrivavano e Tooru non perse tempo ad interrogarsi sul perchè. Wakatoshi doveva pur torturarli in qualche modo o non avrebbe potuto far leva su nulla per ottenere qualcosa da lui.

Come previsto, fu il Re dell'Aquila a cercarlo.

Mandò una guardia nei loro appartamenti a metà del loro decimo giono di prigionia e questi gli consegnò dei vestiti eleganti, informandolo che sarebbe venuto a prenderlo al tramonto per portarlo dal suo signore. Tooru fissò quel completo bianco con astio e fu sul punto di bruciarlo almeno una dozzina di volte. Alla fine, Koushi lo convinse gentilmente e ritirarsi in camera con lui e Kenma e lo aiutò a prepararsi.

"Stai molto bene," commentò Koushi con sincerità, mentre liberava alcune ciocche di capelli castani dal collo dagli orli dorati della giacca di velluto. Tooru era seduto di fronte allo specchio e fissava il proprio riflesso con emozioni contrastanti. "Il bianco è un suo colore," replicò Tooru. "Come il nero è quello dei Demoni e dei Corvi."

Koushi smise subito di sorridere e gli appoggiò una mano sulla spalla. "Ammiro il tuo coraggio," gli disse. Tooru alzò lo sguardo su di lui e gli rivolse un sorriso malinconico. "Sei tu il più forte tra noi, Koushi. Sei tu che stai combattendo una guerra e, nello stesso tempo, stai crescendo un bambino dentro di te."

Koushi scosse la testa e ricambiò il sorriso. "Non sono solo in questo," gli ricordò.

"Già..." Tooru annuì tornando a guardare il proprio riflesso. "Anche Hajime ha cercato di convincermi di questo, prima di partire. Non combatto questa guerra da solo e non posso vincerla da solo."

Koushi abbassò gli occhi dorati giocando distrattamente con le ciocche arricciolate sulla nuca del giovane Re. "Mi spiace che, quando quella porta si aprirà, sarai solo contro Wakatoshi," disse come se gli stesse chiedendo scusa. "Ti aspetto alzato, così al tuo ritorno potremo parlare e..."

Tooru scosse la testa. "Non so quando farò ritorno e voglio che ti riposi."

L'Arciere inarcò le sopracciglia. "È solo una cena, Tooru..."

Il giovane Demone fissò il proprio riflesso senza realmente vederlo stringendo le labbra fino a farle divenire una linea sottile. Koushi si sedette accanto a lui con sguardo improvvisamente orripilato. "Tooru?"

Il Re abbassò il suo.

"Tooru!" Koushi gli afferrò una mano. "Non andare se credi che..."

"No, non lo farà!" Si convinse Tooru. "L'ultima volta che ci siamo visti, ha detto che, quando sarebbe successo, sarei stato io a volerlo."

L'Arciere non comprese. "È un'assurdità," commentò.

"Lo so..."

"Un Re che manda a morire i suoi uomini è tanto umano da lasciarti scegliere..." Koushi non sembrava completamente convinto ed il Demone non lo poteva biasimare. "Di che cosa hai paura realmente, Tooru?"

Il Re di Seijou prese un respiro profondo e tornò a guardare la propria immagine riflessa nello specchio. "Non ha fatto che sconfiggermi fin dal primo giorno," disse con rabbia a stento trattenuta. "Ogni volta che credo di averlo in pugno, quel bastardo sa prevedere perfettamente le mie intenzioni e mi costringe in ginocchio."

Koushi gli rivolse un sorriso rassicurante. "Per quel che vale, Tooru, ti ho visto con Hajime... Vi ho visti insieme. Che cosa mai potrebbe convincerti a tradirlo?"

Tooru lo guardò. "Io non lo so," ammise. "Quello che temo è che lo sappia lui."


Tooru ebbe un tuffo al cuore quando lo guidarono verso l'ala del castello in cui aveva passato praticamente tutta la sua vita e sentì il respiro venire meno, come lo fecero accomodare nel salottino adiacente a quella che era stata la sua camera da letto.

Wakatoshi lo aspettava in piede con un braccio appoggiato al davanzale del caminetto. Lo guardava a testa alta e con l'espressione sicura di un signore nella sua casa ed il giovane Re dovette stringere i pugni per contenere la rabbia. Ordinò alle guardie di lasciarli soli, poi si fece più vicino per poterlo osservare meglio. "Il bianco ti dona almeno quanto il nero," commentò. Avrebbe dovuto essere un complimento ma nè il tono della sua voce nè la sua espressione lo facevano apparire tale.

Tooru gli rispose con un sorrisetto sarcastico. "La natura mi ha dato tutto ciò di cui ho bisogno per essere bello anche solo con uno straccio addosso."

"Arrogante..." Mormorò Wakatoshi, poi si avvicinò alla tavola imbandita ed allontanò una delle poltrone dal bordo. "Siediti," suonava più come un ordine che come un invito ma Tooru decise di lasciar correre ed accomodarsi su quella che era sempre stata la sua poltrona.

Non mangiò molto, aveva lo stomaco chiuso e gli occhi marroni non facevano che cadere sulla porta chiusa alla sua destra. Wakatoshi se ne accorse. "Non dormo qui," lo rassicurò.

Tooru lo guardò come se si fosse completamente dimenticato della sua presenza.

"Mi sono accomodato negli alloggi che erano di tuo padre," continuò il Re dell'Aquila rilassandosi contro la sua poltrona e guardando il suo ospite con sguardo attento. Voleva studiare la sua reazione. "Ho fatto preparare la cena qui perchè pensavo che ti avrebbe fatto piacere tornare nelle tue stanze per un po'."

Tooru fece una smorfia. "Come sei magnanimo per un conquistatore che manipola i fatti e le persone in modo da non dover passare per tiranno."

"Hai attentato alla mia vita," gli ricordò Wakatoshi.

"Solo per difendere la mia," replicò Tooru velenoso. "Ma questo i Regni non lo sapranno mai, giusto? Che io vinca o perda, sono comunque un ragazzino ambizioso che ha puntato troppo in alto sfidando la sorte contro il Re dei Re."

"Non sei una vittima in tutto questo, Tooru, smettila di comportanti come tale... È un ruolo che non ti si addice."

"Oh, no, mio Re, non ho mai pensato a me stesso come una vittima e mai lo farò," replicò Tooru tornando a sorridergli in quel modo insopportabile. "Dovreste saperlo... Ho atirato la vostra attenzione per un motivo, dopotutto."

Wakatoshi lo fissò per un lungo minuto di silenzio. "È così..." Confermò con tono atono.

Tooru gli rise in faccia senza vergogna. "Toglimi una curiosità," gli disse. "Quando fai l'amore sei passionale almeno quanto lo sei mentre parli?"

"Non so cosa voglia dire," ammise il Re dell'Aquila. "Non ho mai portato nessuno nel mio letto per sciocchi sentimentalismi. Tutto ciò che volevo da chi mi scaldava il letto era un po' di piacere fugace con cui distrarmi."

"Piacere fugace con cui distrarti..." Ripetè Tooru con espressione disgustata. "Pensavo mi avessi invitato a cena per sedurmi."

Wakatoshi accennò quello che parve essere un sorriso. "Tu sei quello bravo a sedurre, Tooru e non hai idea di quanto ti riesca bene..."

"Non sottovalutarmi."

"Tuttavia, non sei tanto stupido da cadere nella tua stessa trappola," concluse Wakatoshi. "Potrei stare qui a farti lusinghe per tutta la notte e tu mi umilieresti con un sorriso soddisfatto senza concedermi nemmeno una parola benevola. Se i tuoi Consiglieri ti avessero permesso di frequentare le corti degli altri Regni liberi, avresti infranto molti cuori."

"Lo ammetto," disse Tooru rilassandosi contro la sua poltrona come se avesse la situazione in pugno. "Mi piace avere gli occhi di tutti su di me. Quando entro in un salone affolato, voglio essere certo che la mia sola presenza basti ad attirare l'attenzione di tutti."

Wakatoshi si concesse un istante di silenzio. "Come la puttana più bella e costosa di un bordello..."

Il sorriso sicuro di Tooru morì nel giro di un istante, sostituito da un'espressione allibita, scandalizzata. Fece per alzarsi ed andarsene ma Wakatoshi fu in piedi prima di lui. "Non volevo offenderti," disse senza nemmeno una nota di scusa nella voce.

"Mi hai dato della puttana!" Sibilò Tooru guardandolo con espressione velenosa.

"Ne ho porate a letto molte di giovani prostitute," ammise il Re dell'Aquila con naturalezza. "Nemmeno la più bella di loro poteva competere con te."

"Per bellezza o volgarità?" Chiese il Re Demone avvicinandosi ancor di più al suo nemico.

Wakatoshi scosse la testa. "Scommetto che se il tuo Cavaliere si confidasse sinceramente con me, mi direbbe che non saresti capace di essere volgare nemmeno volendolo."

"Lui non devi nominarlo!"

Wakatoshi guardò la porta chiusa accanto a loro, quella che conduceva alla camera da letto del giovane Re di Seijou. "Sono entrato poche volte in quella stanza," ricordò. "E nessuna di quelle volte ho mai ricevuto l'invito in cui ho sperato."

Tooru alzò gli occhi al cielo. "Sei così falso, Wakatoshi..."

"Mai quanto lo eri tu nel tentaivo di sedurmi," replicò il Re dell'Aquila. "Volevi che ti desiderassi, mentre tu bramavi il cuore di un altro giovane. Sei sicuro che non sia stata colpa tua fin dal principio, Tooru?" Domandò provocatorio.

Il giovane Demone scosse la testa. "Avresti avuto comunque bisogno di me per avere un figlio," gli ricordò. "Ti ho solo reso le cose più difficili."

"O tu hai reso le cose più difficili a te stesso."

Tooru tornò a sedersi sulla sua poltrona ma non smise di guardare il suo nemico negli occhi. "Se Hajime non mi avesse voluto, ti avrei detto sì e me ne sarei pentito per il resto della mia vita."

Wakatoshi lo superò e si avvicinò alla finestra alle sue spalle. "Avevi una faccia sconvolta quando sei entrato in questa stanza," gli fece notare. "Qualcosa ti ha turbato nel vedermi nei tuoi appartamenti privati."

Tooru prese un respiro profondo. "Mi ripugnava l'idea che dormissi nel nostro letto."

"Sarebbe stato come violare un luogo sacro per te, vero?" Domandò Wakatoshi. "Come quel giorno alla cascata... È lì che il tuo Cavaliere ti ha deflorato?"

Tooru alzò gli occhi al cielo per l'assurda scelta di parole. "No," rispose. "Quello è il luogo nel nostro primo bacio."

Perchè glielo stava confidando?

"Parlami della vostra prima notte insieme."

Tooru si voltò con espressione oltraggiata ma Wakatoshi gli dava le spalle, gli occhi scuri persi in qualcosa fuori dalla finestra.

"Non sono affari che ti riguardarono," replicò.

Il Re dell'Aquila si voltò a guardarlo. "Come preferisci," gli concesse. "Dopotutto, abbiamo tutto il tempo per conoscerci."

***


Fu solo la prima di una lunga serie di cene.

Il Re pretendeva che Tooru indossasse ogni volta i colori di Shiratorizawa ed il giovane Demone lo assecondava ben convinto di poter giocare al suo stesso gioco e vincerlo. Di fatto, Wakatoshi non aveva mai alzato un dito su di lui e questo gli faceva acquisire lentamente una sicurezza che per molto tempo aveva creduto perduta.

"Non allontanare lo sguardo da lui, Tooru," lo metteva in guardia Koushi. "Ha portato la guerra nella tua casa con l'inganno e sa come ottenere quello che vuole con qualsiasi mezzo."

Tooru lo rassicurava distrattamente, godendosi lo svago di quel gioco di potere nella certezza che, prima o poi, ne sarebbe uscito vincitore. Doveva solo aspettare il momento giusto per colpire...


Il giovane Demone tese l'arco, prese la mira con entrambi gli occhi aperti e scoccò la freccia  con un movimento veloce e sicuro. La punta penetrò il centro del bersaglio e Tooru guardò il suo operato con un sorriso soddisfatto. Si voltò verso il Re dell'Aquila con una mezza piroetta e trovò gli occhi freddi di Wakatoshi a rispondere al suo sguardo.

"Vi sono arcieri capaci come me nella vostra invincibile armata?"

"Non c'è nulla come te in nessuno dei Regni liberi," replicò Wakatoshi. "Te l'ho già detto molte volte." Si staccò dal tronco dell'albero a cui si era appoggiato e si diresse verso il Castello Nero a testa alta.

Fu un istante.

Wakatoshi udì il sibilo di una freccia accanto all'orecchio una frazione di secondo prima che questa centrasse l'albero di fronte a sè. Il Re dell'Aquila restò ad osservarne l'estremità tinta coi colori del suo Regno, mentre una goccia di sangue scorreva lungo la sua guancia.

"Non datemi le spalle, mio Re," lo avvertì il giovane sovrano alle sue spalle.

Wakatoshi si voltò: Tooru teneva ancora l'arco alzato ed il braccio destro sospeso a mezz'aria. Gli occhi marroni erano sicuri ed ardenti. "La prima volta che vi ho tirato una freccia volevo solo fermare la vostra mano, prima che calasse sul mio Cavaliere," ammise avvicinandosi con passo lento, quasi sensuale. "Questa volta è stata solo un avvertimento," appoggiò il palmo sul petto del Re dell'Aquila, proprio sopra il suo cuore. "La prossima freccia colpirà il centro."

Tooru non sorrideva più.

L'espressione del Re dell'Aquila non cambiò di una virgola.

Restarono immobili per una manciata di secondi, poi Wakatoshi lo afferrò per il collo e lo costrinse a terra, contro l'erba curata del parco del Castello Nero. Tooru non sorrideva più ma non aveva smesso di guardarlo negli occhi.

"Non hai paura..." Commentò il Re dell'Aquila.

"Non ne avrò mai," sibilò Tooru con rabbia. "Mai..."

Wakatoshi gli passò una mano tra i capelli in una carezza stranamente gentile. "Speri di scoraggiarmi con tanta arroganza?"

"No," Tooru gli sorrise diabolico. "Spero d'incendiarti fino a farti peredere la testa."

Wakatoshi si chinò su di lui, le loro labbra a pochi millimetri di distanza. "Chi gioca col fuoco finisce bruciato, Tooru."

"Meglio essere cenere che essere tuo, mio Re."

Tooru sollevò la testa quel tanto che bastava per baciarlo sulle labbra. Un bacio veloce, freddo, umiliante ma tanto bastò a prendere il Re dell'Aquila di sorpresa. Tooru ridacchiò e lo spinse via da sè rimettendosi in piedi. Una vittoria per lui.


"È un gioco pericoloso, Tooru," commentò Koushi, mentre il giovane Re si cambiava per la notte.

"Non posso vincere, se non rischio," replicò il sovrano del Regno di Seijou raggiungendolo sul letto ed appoggiando la schiena contro i cuscini, le ginocchia strette al petto. "E siamo arrivati al punto in cui rischiare non è più una scelta."

Bussarono alla porta, Tooru diede il permesso di entrare e Kenma entrò nella stanza con una tazza fumante in mano. "Ti ho preparato una tisana," disse attraversando la stanza e sedendosi sul bordo del letto accanto al Demone. "Dovrebbe aiutarti a stare meglio."

Koushi lo guardò preoccupato. "Non stai bene?"

Tooru scrollò le spalle e tornò a rilassarsi contro i cuscini. "Ho lo stomaco sotto sopra, nulla di cui sorprendersi! Consumo pasti in sola compagnia del mio nemico, non posso dire che sia rilassante!"

"Sei pallido," commentò Kenma. "Non tocchi più nulla nemmeno a colazione."

"Ve l'ho detto!" Esclamò Tooru prendendo un sorso della sua tisana. "Ho lo stomaco sotto sopra... Oh, giusto! Come sta il tuo?" Domandò all'indirizzo di Koushi. Il giovane Arciere si posò una mano sulla pancia. "Shouyou non mi lascia in pace un attimo," rispose. "Anche se continua a crescere poco, almeno ad occhio."

"Non c'è nulla da temere," rispose Kenma. "A differenza delle credenze popolari, un bambino grosso non è per forza un bambino sano. È positivo che si muova di continuo, significa che è pieno di vitalità."

"Beato lui!" commentò Tooru con un sospiro stanco.
***


Il gioco s'interruppe bruscamente una sera di metà giugno.

Tooru venne portato nelle sue vecchie stanze per l'ora di pranzo ma il Re dell'Aquila si presentò solo molte ore più tardi lasciandolo consumare il suo pasto da solo. Quando la porta del salottino si aprì, Tooru aveva già pronto un sorrisetto sarcastico e qualche parola velenosa per rimproverare il sovrano del suo ritardo ma dimenticò tutto nel momento in cui Wakatoshi mise piede nella stanza e lo guardò dritto negli occhi. Aveva ancora addosso l'armatura ed era coperto di sangue dalla testa ai piedi.

"Il tuo Cavaliere è riuscito ad arrivare alle mura della Capitale," lo informò con voce incolore. "Mi ha fatto perdere più tempo di quello che credevo."


Tooru non ricordava l'ultima volta che era stato negli appartamenti di suo padre.

Non vi era più tornato dopo la sua morte: non ne aveva avuto ragione. Non conservava nessuno ricordo di quelle stanze e non lo disturbava particolarmente che Wakatoshi le avesse occupate come se fossero sue. Non sapeva perchè il Re dell'Aquila l'avesse voluto lì.

In tutta onestà, tutto quello che Tooru voleva era allontanarsi da lui e dall'odore di sangue che emetteva il più presto possibile. Gli dava la nausea e aveva seriamente paura che avrebbe vomitato sul pavimento da un momento all'altro. Era rimasto seduto in fondo al letto della grande camera, mentre i servitori andavano e venivano dalla stanza da bagno adiacente intenti a preparare un bagno. Wakatoshi era in piedi davanti alla finestra, gli occhi fissi sulle mura del Castello Nero. Non diceva una parola e Tooru gli era grato per questo.

Hajime era arrivato fino alla Capitale.

Il suo Cavaliere era ancora vivo e abbastanza in forze da poter combattere. Avrebbe voluto sfogare tutta l'angoscia che aveva trattenuto nelle ultime settimane e mettersi a piangere dal sollievo ma non aveva intenzione di mostrare alcuna debolezza di fronte al Re dell'Aquila.

"Andatevene," ordinò alla servitù una volta che ebbero finito.

Tooru se ne sorprese: aveva ancora l'armatura addosso e non avrebbe mai potuto pulire via tutto quel sangue da solo. Strinse gli occhi orripilato al pensiero che gli passò per la testa. Ora capiva perfettamente perchè aveva voluto che lo seguisse nelle sue stanze.

Sentì quelle dita sporche sfiorargli la guancia e l'odore di sangue divenne insopportabile. Tooru alzò gli occhi sul viso del Re dell'Aquila e questi gli indicò il bagno con un cenno del capo. Non riuscì a trovare una via di fuga da ciò che lo attendeva.


Wakatoshi si liberò dell'armatura da solo e, in seguito, dei vestiti che vi erano sotto. Gettò tutto a terra ed una pozza di sangue si allargò sul pavimento pulito. Tooru strinse le labbra per combattere l'impellente bisogno di vomitare. Allontanò lo sguardo da quello spettacolo disgustoso ma finì solo per posare gli occhi sul corpo nudo dell'atro Re e questo non lo fece sentire meglio. Abbassò il viso immediatamente ma Wakatoshi non aveva alcuna intenzione di avere pietà di lui.

"Guardami..."

Tooru si rifiutò.

"Guardami, è un ordine."

"Vai al diavolo..." Sibilò Tooru. Wakatoshi si avvicinò, gli prese il mento e l'obbligò ad alzare gli occhi. "Sei timido per uno a cui piace avere gli occhi di tutti su di sè," commentò il Re dell'Aquila con la sua solita voce atona.

Tooru lo fissò con astio e continuò a farlo anche quando si fu allontanato da lui per immergersi nella vasca piena d'acqua calda. "Sei disgustoso per uno che ha intenzione di sedurmi," replicò il giovane Demone con un sorrisetto sarcastico.

Il Re dell'Aquila si passò le mani bagnate tra i capelli, tirandoli indietro. Tooru vide l'acqua tingersi di scarlatto e prese un respiro profondo per combattere la nausea. "I miei Cavalieri ti hanno dato del filo da torcere, vedo."

"Il tuo Cavaliere," precisò Wakatoshi.

Gli occhi marroni si fecero più grandi e scuri per la paura di quello che sarebbe potuto seguire.

"È ancora vivo," concluse il Re dell'Aquila continuando a pulire via il sangue dei suoi nemici. "Posso fidarmi di te per rassicurare il consorte reale di Karasuno che il suo Re è ancora vivo e pronto a combattere?"

Tooru annuì distrattamente. Hajime e Daichi erano alle mura della Capitale, insieme. Non era una vittoria ma era una speranza a cui aggrapparsi. "Che devo dire a Kenma, invece?"

"Il giovane Mago del Regno di Nekoma?" Domandò Wakatoshi distrattamente.

Tooru alzò gli occhi al cielo. "Non fingere di non sapere!"

"Il fatto che scaldi il letto del suo Re non mi fa intuire nulla," replicò il Re dell'Aquila. "Forse, non hai vissuto troppo la vita di corte da saperlo, ma non tutti i giovani Principi sono devoti per la vita al Cavaliere a cui sono legati fin da bambini."

Tooru strinse i pugni e si costrinse a mantenere la calma. "Dov'è Tetsuro?"

"Il Mago sa dov'è."

"È vivo?" Domandò Tooru direttamente.

Wakatoshi lo guardò, poi si sollevò dall'acqua regalando al giovane Demone un'altra immagine integrale del suo corpo pulito da ogni residuo della battaglia. Era bello, il Re dell'Aquila, era perfetto sotto molti punti di vista e Tooru dovette ammettere a se stesso che non gli era indifferente. Abbassò lo sguardo.

"Sei arrossito, Tooru," gli fece notare Wakatoshi afferrando un asciugamano e passandoselo sul corpo.

"Stai zitto..." Disse il Demone esasperato.

"Il Re di Nekoma è vivo," lo rassicurò poi con voce distratta. "Informa il giovane Mago che non deve preoccuparsi di altro che dell'erede del Regno di Karasuno."

Tooru non capì da principio, poi sgranò gli occhi e li fissò in quelli dell'altro sovrano.

"Pensavi non lo avessi capito?" Wakatoshi non sembrava sorpreso, forse deluso. "I miei uomini mi sono leali per lo stesso motivo per cui i tuoi lo sono al tuo Cavaliere. Mi confidano quello che notano senza io dia degli ordini precisi."

Tooru lo guardò con astio. "Però hai mandato i tuoi soldati più giovani a morire per prendere tempo."

Wakatoshi si bloccò e lo guardò. "È questo che credi?"

"E cos'altro dovrei credere?!" Urlò Tooru attraversando la stanza ed arrivandogli davanti. "Sono caduti uno dopo l'altro come mosche, mentre tu raggiungevi il Castello Nero indisturbato ed il tuo esercito regolare massacrava quello di Tetsuro."

Wakatoshi si concesse un istante di silenzio. "Pensi veramente che sia andata così?"

"Non so come hai fatto," ammise Tooru. "Non sono come tu abbia potuto organizzare un attacco da nord con tanta velocità e precisione."

"Forse, perchè non lo avevo previsto," ammise il Re dell'Aquila. "Forse, perchè ti ho sottovalutato al punto che credevo che i più giovani, quelli addestrati insieme a me, fossero sufficienti a piegare te ed i tuoi alleati."

Tooru non riusciva a credere alle sue parole. "Hai mandato i tuoi compagni d'addestramento a morire?"

"No, Tooru," replicò Wakatoshi con una nota astiosa nella voce da cui il giovane Demone si sentì improvvisamente intimorito. "Li ho mandati perchè credevo in loro e non lo avrei mai fatto se avessi saputo di condannarli a morte senza una singola speranza di vittoria."

Tooru non sapeva più come replicare. Nel momento in cui aveva creduto di aver compreso tutto, in realtà, non aveva capito niente. "Hai fatto un errore..." Mormorò ma non gli diede la soddisfazione che si era aspettato. Sì, era riuscito ad avere un reale vantaggio sul suo nemico, anche se per breve tempo. Wakatoshi non era infallibile, era solo molto veloce a rialzarsi e porre rimedio ai suoi errori. Tooru, però, non riusciva a gioire per questo. Non riusciva a sentirsi appagato dallo scoprire che il Re dei Re, in fin dei conti, era solo un altro essere umano.

No, questo lo terrorizzava ancor di più di quando avevo creduto che fosse un bastardo violento assetato di potere. Non riusciva più a respirare.

Wakatoshi lo fissò. "Che immagine hai di me?" Gli domandò. "Hai cercato anche di nascondermi la futura nascita dell'erede al trono del Regno di Karasuno."

Tooru si voltò di colpo, incapace di guardarlo ancora negli occhi.

"Mi credevi davvero un mostro tale da far del male ad un bambino non ancora nato?"

Tooru non rispose. Uscì dalla stanza quanto più velocemente le sue gambe tremanti gli permisero e tornò alla torre senza che nessuno lo scortasse.


Vomitò sul pavimento di pietra, non appena la porta di quella prigione si richiuse alle sue spalle. Kenma attirò l'attenzione delle guardie e le esortò a chiamare la servitù, mentre Koushi si occupava di Tooru. Lo aiutò ad arrivare in camera e a stendersi sul letto. Il Re di Seijou tremava, era pallido e lo guardava sconvolto.

Passò almeno un'ora prima che fu in grando di raccontare tutto ai suoi compagni di prigionia. Entrambi furono lieti di udire che i loro compagni erano ancora vivi, anche se in situazioni drammaticahe ma si tesero immediatamente nel momento in cui il giovane Re spiegò loro di come avevano realmente avuto un vantaggio sul nemico per poco tempo e di come le intenzione di Wakatoshi fossero state completamente diverse da quelle che si erano aspettati.

"Sa del mio bambino?" Domandò Koushi spaventato.

Tooru annuì. "Sì e vuole che Kenma si prenda cura di te con ogni mezzo."

"Perchè tanta gentilezza?" Domandò l'Arciere. "Siamo suoi nemici. Suoi prigionieri..."

"Non lo so," ammise Tooru. "Non lo so più. Pensavo di conoscere il mostro che dovevo sconfiggere ma ora non ne sono più sicuro," si raggomitolò su di un fianco e si avvolse le braccia intorno all'addome. "Maledizione! Non riesco a togliermi dalla testa l'odore di tutto quel sangue..."

***


"Ecco, ho finito..." Disse Yuu lasciando andare lentamente la mano dell'altro Cavaliere. "Prova a muovere le dita."

Asahi fece come gli era stato detto e l'altro fu felice di notare che riusciva a stringere il pugno quasi senza fastidio. "Molto bene!" Esclamò soddisfatto ma l'espressione dell'altro era tutto meno che allegra. "C'è ben poco che vada bene," replicò Asahi guardandosi intorno. Quasi tutti i soldati avevano riportato ferite importanti nell'ultimo attacco e, ormai, avevano perso il conto dei caduti. Se avessero fatto altrimenti, non si sarebbero più tirati in piedi. "Non so Daichi come faccia, sinceramente."

"È un Re," rispose Yuu. "Un gran Re."

Asahi annuì. "Già... Siamo fortunati ad essere nelle sue mani."

"Siamo fortunati ad avere anche Cavalieri forti come te," gli ricordò Yuu con un sorriso appena accennato. Tutto quello che voleva era che il compagno riconoscesse il proprio valore e ne andasse fiero e la smettesse di rimproverarsi per tutti i soldati che sconfiggeva e per quelli che non riusciva a salvare. "Sei un essere umano, Asahi e sei un degno membro di questo esercito."

Il Cavaliere abbassò lo sguardo. "Allora perchè provo così tanta vergogna per me stesso?"

Yuu s'inginocchiò davanti a lui per poterlo guardare negli occhi. "Smettila di autodistruggerti," gli disse prendendogli il viso tra le mani. Asahi scosse la testa, afferrò i polsi esili dell'altro ed allontanò quelle mani da sè. "Yuu... Per favore..."

Nulla gli impedì di vedere lo sguardo ferito sul viso del più giovane. Yuu prese un respiro profondo, strinse i polsi e si umettò le labbra. "Hai paura anche di me, adesso?" Domandò con un poco di astio.

"Sai bene che non è così..."

"Prima era perchè ero troppo giovane e potevo essere influenzato da tutti gli anni che abbiamo passato insieme. Ora, è perchè siamo in guerra, tu sei constantemente in prima linea e non te la senti di darmi un dolore così grande, se dovesse finire male," si era fatta stridula la voce di Yuu. "Avrò sedici anni questo inverno ed avrò visto più morte e distruzione di quanto un ragazzo della mia età dovrebbe vedere e non mi sarà stato ancora concesso di..." Si bloccò, tirò su col naso. "Non si può temere di vivere per paura di morire, Asahi. Non è così che funziona!" Si alzò da terra e si allontanò senza voltarsi a guardare il Cavaliere neppure una volta. Asahi abbassò il capo lasciando che i lunghi capelli gli coprissero il viso.


Daichi aveva osservato la scena da distanza e non aveva udito una singola parola che i due compagni si erano scambiato ma poteva intuire perfettamente l'argomento. Sospirò stancamente: Koushi era quello bravo con le questioni sentimentali, non lui.

"Ho fame!" Prese ad urlare uno dei soldati di Seijou dall'aspetto simile a quello di un cane rabbioso. "Portatemi da mangiare!"

Daichi vide Issei alzare gli occhi al cielo. "Stai quieto, Kentaro, prima che Hajime si accorga del casino che stai facendo!"

Il tipo in questione emise un verso simile ad un ringhio. "Ma io ho fa...!" L'esclamazione venne interrotta di colpo da un elmo che, dal nulla, si schiantò contro la faccia del burbero Cavaliere.

"Parli del diavolo..." Mormorò Takahiro con un mezzo sorriso, mentre Hajime gli passava davanti con aria ostile. "Ancora una parola..." Sibilò all'indirizzo del Cavaliere colpito. "E ti butto sotto quelle mura a suon di calci, Kentaro!"

Il tipo con la faccia da cane rabbioso non replicò ma continuò a ringhiare sommessamente con le braccia incrociate contro il petto.

Hajime sospirò frustrato passando una mano tra i capelli umidi di sudore e sedendosi accanto al giovane Re. "Non è andata male," commentò Daichi.

"Siamo riusciti ad arrivare alla Capitale, se non altro," replicò Hajime con aria stanca. "Ora, non ci resta che entrare."

"Il tuo attacco ha fatto scendere in campo il Re dell'Aquila in persona," gli disse Daichi. "Non puoi dire di essere passato inosservato."

"Sono stati i Cavalieri di Seijou a rendere necessario l'intervento del bastardo, non io..."

Daichi gli diede una pacca sulla spalla. "Sempre così modesto! Sei proprio l'opposto di Tooru in questo."

"Per questo si è guadagnato tanti colpi in testa da me," replicò il Cavaliere sospirando profondamente. "Notizie dai rinforzi che hai fatto chiamare?"

Daichi fece per rispondere, quando Akiteru si avvicinò a loro reggendo un agitatissimo Ryuu. "Hai visto, Akiteru?" Domandò a gran voce. "Li ho stesi tutti! Tutti!"

Il Cavaliere dai capelli biondi lo aiutò a sedersi a terra con un sorriso forzato. "Sei stato grande, Ryuu ma ora..."

"Più che grande!" Esclamò il più giovane facendo un gesto teatrale con entrambe le braccia.

Daichi si schiaffò una mano in viso con vergogna ma Hajime se la rise. "Per fortuna che ci sono idioti simili a tener alto il morale dei soldati!"

"Non ne saresti così felice se gli idioti fossero i tuoi," gemette Daichi.

"Ryuu! Ryuu!" Chiamò a gran voce Yuu avvicinandosi all'amico di sempre. "È arrivata tua sorella!"

Daichi si fece immediatamente attento, mentre Hajime lo guardava spaesato. Ryuu divenne serio di colpo. "Mia sorella? E che ci farebbe qui?" Domandò.

Yuu scrollò le spalle. "Dice che il Re l'ha fatta chiamare. Lei e tutte le altre."

Ryuu sembrava meno convinto di prima. "Che significa tutte le altre?"

Daichi appoggiò una mano sulla spalla di Hajime e si alzò in piedi. "Chiedevi dei rinforzi? Eccoti i rinforzi!" Esclamò con un gran sorriso. L'attenzione di tutti si era spostata verso il folto della foresta che costeggiava la Capitale ed in cui si erano accampati. Hajime fece lo stesso e vide una serie di carri spuntare da dietro gli alberi. Vi erano solo fanciulle sopra di essi.

"Ryuu-chan!" Esclamava una giovane donna dai capelli biondi alzando la mano destra in segno di saluto.

Per tutta risposta, Ryuu collassò a terra. "Ditele che sono morto!"

Yuu fece alcuni passi in avanti. "C'è anche Kiyoko con loro!"

Ryuu saltò su animato da nuova vita. "Kiyoko!"

Akiteru li guardò continuando a ridere, Daichi aveva preso ad ignorarli da tempo.

"Hai chiamato le donne del tuo regno in battaglia?" Domandò Hajime che non sapeva se esserne divertito o allibito.

"Non sottovalutarle," disse il giovane Re con un sorriso amichevole. "Possono reggere la fatica meglio di noi e prendersi cura dei feriti al posto dei soldati più giovani, che sono ben più utili sul campo di battaglia. Sanno tenere vivo un campo e aiutano di certo l'umore dei soldati."

Takahiro e Issei ridacchiarono tra di loro. "Oh, al nostro futuro Primo Cavaliere questo genere di cose non interessa!" Esclamarono.

Hajime li fissò in cagnesco con le guance rosse. "Tacete!"


Quando la richiesta di aiuto di Daichi era arrivata al Regno di Karasuno, Yui non aveva esitato a mettersi in viaggio con qualunque giovane fosse stato disposto a seguirla sul campo di battaglia. Solo il Maestro Takeda era rimasto indietro per prendersi cura di una corta che, altrimenti, sarebbe stata lasciata desolatamente vuota.

Al suo arrivo, la giovane dama avrebbe voluto subito cercare il suo signore e riunirsi con lui in amicizia ma si era ritrovata davanti ad uno spettacolo che di piacevole aveva ben poco. Aveva lasciato che le fanciulle corressero dai loro fratelli e dai loro uomini, aveva lasciato le moglie cercare notizie dei loro mariti. Alcune, erano tornate da lei in lacrime, altre avevano accettato il dolore con coraggio e si erano subito messe al lavoro per aiutare i feriti. Yui aveva fatto lo stesso e solo al tramonto, mentre campo era tranquillo ed illuminato da alcuni fuochi rassicuranti, aveva trovato il modo di avvicinare il suo amico d'infanzia.

Lo trovò al limitare del campo, nel punto più vicino alle mura della Capitale. Parlava con un Cavaliere del Regno di Seijou di cui Yui non conosceva il nome ma dedusse che doovesse essere importante per discutere così apertamente con un Re.

"O vinciamo o muoriamo," sentì dire il Cavaliere. "Non c'è molto altro che possiamo fare per salvare Tooru e Koushi."

Yui si fece rigida. Che cosa centrava Koushi in quella storia? Era vero, non lo aveva ancora visto ma...

Il Cavaliere la vide e lei trattenne il fiato. Daichi si voltò un istante più tardi e la riconobbe immediatamente. "Yui!" Esclamò con un gran sorriso, porse una mano nella sua direzione. "Avvicinati, avanti! Hajime... Lei è Lady Yui del Regno di Karasuno, la sua famiglia è la più importante del Regno subito dopo la casa reale."

Il Cavaliere chinò la testa con rispetto. "Mia signora..."

Yui arrossì appena.

"E' a lei che dobbiamo i nostri rinforzi," aggiunse Daichi.

"Il Regno di Seijou vi è grato, mia signora."

"Tutto per essere utile," rispose lei accennando un timido sorriso.

"Hajime!" Chiamò qualcuno a gran voce dal campo e due Cavalieri comparvero nel loro campo visivo. "Kentaro sta di nuovo cercando rogne con i soldati più anziani!"

Hajime imprecò a bassa voce, poi si scusò e lasciò i due vecchi amici da soli per prendersi cura del ribelle che non faceva che creare scompiglio tra i suoi uomini.

"E' un essere umano," commentò Yui quando si fu allontanato.

Daichi annuì. "Sì, lo è..."

"Un Umano può essere un Cavaliere nel Regno di Seijou?" Domandò lei confusa.

"E' il primo ad esserlo," spiegò il giovane Re. "Grazie a Tooru, non sarà l'ultimo. Per farla breve, è per il Re Demone quello che Koushi è stato per me prima dell'incoronazione."

Ancora il nome di Koushi e nessuna risposta su dove fosse.

"Daichi?" Lo richiamò con preoccupazione. "Dov'è il tuo consorte?"

Gli occhi scuri del giovane divennero tristi di colpo.

Le raccontò tutto e Yui ascotlò ogni parola.

***


Tooru aveva chiesto ed ottenuto il permesso di allenarsi nel parco del castello col suo arco.

Wakatoshi non era sceso a guardaro e ne era lieto. Non era certo di poterlo affrontare con i nervi saldi dopo l'ultimo dialogo che c'era stato tra loro. Il Re dell'Aquila era un uomo e non un mostro. Questo implicava che aveva dei limiti ma Tooru doveva anche prendere in considerazione l'idea che ciò che diceva di provare per lui potesse essere reale.

"La solitudine di chi guarda il mondo dall'alto verso il basso..." Mormorò scoccando una freccia che colpì il centro del bersaglio davanti a lui. Aveva saputo a che cosa si riferiva Wakatoshi quel giorno alla cascata. Conosceva quel tipo di solitudine, anche se la sua non era stata agonizzante come l'altro l'aveva fatta apparire. Non aveva dovuto farci l'abitduine. Non Tooru. Lui non era solo e i momenti in cui lo era ne aveva la piena responsabilità.

Per questo, Hajime, alle volte, non lo sopportava. Si isolava, cercava di venire fuori da ogni situazione con le sue sole forze e, inevitabilmente, si ritrovava costretto in ginocchio a tormentarsi sul perchè non fosse abbastanza forte. Aveva ragione il Re dell'Aquila quando diceva che era stato umiliante per lui dover ricorrere a degli alleati per tenergli testa.

Era grato a tutti loro e non lo avrebbe mai negato ma quando sarebbe arrivato il momento di vincere, sarebbe stata una vitorria condivisa e non solo sua. Comunque andasse a finire, Tooru non avrebbe mai sconfitto Wakatoshi testa a testa. Scoccò un'altra freccia e questa colpì il bersaglio per poco: un colpo tirato con rabbia.

Gettò l'arco a terra e si sedette sull'erba prendendosi la testa tra le mani.

"Il punto più in alto del mondo..." Sarebbe bastato un sì e lo avrebbe ottenuto. Un sì e sarebbe stato il più forte di tutti... Tranne del Re che sarebbe stato al suo fianco. Strinse i capelli tra le dita e scosse la testa: no, non sarebbe servito a niente, solo a rendere vani i sacrifici di molti, di troppi. Doveva combattere per Seijou, doveva combattere per i suoi Cavalieri. Doveva combattere per Hajime.

Il senso di nausea gli chiuse la gola ancora una vola. Si lasciò cadere all'indietro, sull'erba, un braccio sulla fronte. Sentiva il viso caldo ma era impossibile che avesse la febbre, i Demoni non si ammalavano così facilmente. Aveva dormito accanto ad Hajime durante tutte le malattie della sua infanzia e ne era sempre uscito incolume. Aveva solo avuto tre giorni di debolezza in seguito alla sua prima memorabile sconfitta sia politica che personale: il duello contro il Re dell'Aquila. Quella volta, però, ne era uscito talmente malconcio che Kenma era stato il primo a dire che, se fosse stato Umano, non l'avrebbe scampata.

Pensò al sangue su quell'armatura, a quello che Wakatoshi si era lavato via dalla pelle ed era andato a sporcare l'acqua della vasca. Pensò a Hajime, a quanto fossero fragili gli esseri umani. Chiuse gli occhi e si tirò in piedi. Dovette farlo troppo in fretta perchè venne colto da un giramento di testa improvviso. Prese un respiro profondo e rientrò al Castello Nero.

Era la sua casa, maledizione! Che ci provassero a fermarlo, se ne avevano il coraggio!


Gli bastò mettere piede nella sua camera da letto per distendere i nervi. Quelle quattro mura lo avevano fatto sempre sentire al sicuro come solo le braccia di Hajime erano riuscite a fare. Trovò dei membri della servitù nel corridoio ed ordinò loro di preparargli un bagno caldo. Nemmeno provarono a contraddirlo.

Rimasto solo, Tooru s'immerse nell'acqua bollente con un sospiro. Anche quella vasca era troppo grande per i suoi gusti. C'era stato un tempo in cui era Hajime a preparargli un bagno caldo che dopo condividevano pigramente, godendo semplicemente l'uno della vicinanza dell'altro. Hajime si era sempre preso cura di lui, sempre. Tooru non poteva dire di essere capace di fare lo stesso.

Si strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò una guancia. L'unica volta che era stato di aiuto al suo Cavaliere era stata quell'ultima notte d'amore che avevano condiviso alla loro cascata e non aveva fatto altro che concedergli un abbraccio in cui piangere liberamente. Hajime non gli aveva chiesto altro, dopotutto e Tooru non poteva fare a meno di sentirsi colpevole, inutile, impotente. Si era detto che avrebbe combattuto anche per lui per poi non fare altro che vagare per il loro castello, perdersi nei ricordi delle stanze in cui erano cresciuti e non avere la minima idea di come riconquistare tutto.

Appoggiò la nuca al bordo della vasca e chiuse gli occhi, distentendo lentamente le gambe.

La nausea era sparita ma non il giramento di testa. Si addormentò senza neanche rendersene conto.

***


Il Castello Nero era situato in cima ad un dirupo per una ragione: era impossibile che subisse attacchi da più lati. Questo permetteva a chi era all'interno di concentrare tutte le forze belliche in un'unica direzione, riducendo drasticamente le possibilità del nemico di avere la meglio. Se l'assedio finiva prima che le provviste all'interno della città terminassero, non c'era modo di piegare l'esercito di Seijou.

Il Generale Mizoguchi aveva spiegato loro questo meccanismo moltissime volte durante i primissimi giorni d'addestramento che avevano avuto da bambini.

"E se l'assedio durasse di più?" Aveva domandato Hajime un giorno. "Se fosse necessario ricorrere ad una manovra disperata, che cosa bisognerebbe fare?"

Mizoguchi aveva sorriso ben contento di rispondere ad una simile domanda.

Quasi un decennio più tardi, Hajime, ormai Cavaliere e al comando dei soldati di Seijou al posto del suo Re, aveva dimenticato la risposta. Era stato un errore terribile da parte sua.

"Ci spingono verso il dirupo!" Urlò Takahiro.

"E tu continua a spingere dalla parte opposta!" Fu la risposta rabbiosa e disperata, al contempo, d'Issei.

Hajime non sapeva da quanto tempo fossero bloccati così ma sapeva che, se non sarebbe finita presto, in un modo o nell'altro, sarebberro collassati tutti a terra. Erano avanzati insieme, lui e Daichi. Entrambi erano stati ben consapevoli che i rischi erano alti, che i morti sarebbero stati a centinaia e non ci sarebbe stata un'altra possibilità. Avevano alcune catapulte dalla loro per prendere tempo e permettere a pochi uomini, almeno quelli più veloci, di salire su una delle scale fino alla cima delle mura. Se la porta della capitale fosse stata aperta, i numeri non avrebbero fatto differenza. Non aveva calcolato che Wakatoshi li avrebbe attaccati con la sua stessa arma, che, invece di starsene dietro quelle mura ad aspettare l'inevitabile, sarebbe sceso direttamente sul campo impedendo loro anche solo di avvicinarsi alla città. Hajime aveva dimenticato che tutto il loro campo di battaglia era praticamente sospeso in aria.

"Spingete!" Urlava Daichi da qualche parte vicino a lui. "Spingete!"

"Se vorranno farmi finire lì sotto, dovranno prendermi di peso e buttarmi giù!" Urlò Ryuu in preda all'euforia della battaglia, sebbene lo stessero tirando indietro molto più facilmente di Asahi che, invece, non sembrava proprio voler mollare.

Hajime non era da meno.

Si era spostato dietro ai suoi uomini per impedire loro di cadere. Se qualcuno doveva essere il primo, quello sarebbe stato lui. "Spingete!" Urlava, mentre i soldati di Shiratorizawa continuavano a buttarli indietro, verso la loro fine.

Hajime sentì un piede scivolare pericolosamente verso il vuoto. Resse lo scudo con un solo braccio, mentre estraeva la spada di Tooru e la conficcava a terra per usarla da perno. La terra sotto di lui cedeva ma la ignorò deliberatamente.

Ad un certo punto, non seppe se fu reale o se fu solo uno scherzo della sua testa, udì quello che gli parve il canto di un'aquila. Sentì il sangue bagnarli il viso di colpo e, in un movimento automatico, si voltò verso Daichi che era a meno di un metro da lui. Lo vide cadere a terra e il sangue gli si gelò nelle vene. "Daichi!" Chiamò e cercò di raggiungerlo ma ogni movimento poteva fargli perdere l'equilibrio. "Daichi!"

La terra sotto i suoi piedi cedette definitivamente. Il respiro gli si spezzò in gola ma non cadde. Una delle sue mani era ancora stretta all'elsa della spada conficcata nel terreno, a bilanciarlo vi era qualcuno che aveva afferrato il suo mantello.

Il Cavaliere alzò gli occhi verdi. Fu un attimo...

Il Re dell'Aquila lo guardava dall'alto in basso senza un reale espressione. Se avesse visto soddisfazione in quegli occhi taglienti, forse gli avrebbe anche fatto piacere ma, no, non era nessuno per concedergli un'emozione simile. Hajime era solo un Cavaliere come tanti altri.

Per un attimo, fu come se il rumore della battaglia fosse sparito di colpo.

"Sei bravo," la voce del Re dell'Aquila era l'unica che Hajime riusciva ad udire. "Sì, sei bravo... Sei tanto bravo da meritarlo, lo devo ammettere. Peccato che solo uno di noi due sappia volare, Cavaliere..."

Wakatoshi lasciò andare la presa e Hajime cadde nel vuoto.

***



Tooru si svegliò di colpo a causa del rumore di una finestra che sbatteva.

La guardò con astio passando una mano sul viso e poi tra i capelli. L'acqua in cui era immerso aveva perso calore. Sospirò e fece per alzarsi, quando i suoi occhi incrociarono il riflesso di un'altra figura sulla superficie. Sobbalzò e si voltò di scatto.

Wakatoshi lo fissava in piedi, col viso inespressivo sporco di fango e umido di sudore.

Tooru prese un respiro profondo. "Vai all'inferno!" Urlò con il cuore ancora a mille. "Mi si è fermato il respiro, bastardo!"

Il Re gettò un asciugamano pulito sul bordo della vasca. "Asciugati e vestiti, ci sono dei visitatori per te nella sala del trono."

Tooru s'inginocchiò nell'acqua, afferrò l'asciugamano e se lo strinse al petto. Wakatoshi non si era mosso di un passo.

"Fuori di qui..." Sibilò il giovane Demone.

Per un momento, Tooru si sentì improvvisamente felice e, dal sollievo, per poco non corse ad abbracciare i due Cavalieri che gli uomini di Wakatoshi avevano scortato nella sala del trono.

"Issei!" Chiamò con un gran sorriso. "Takahiro!"

Si avvicinò ai due con ampi passi ed il cuore galoppante nel petto. I due Cavalieri non ricambiarono l'entusiasmo ma il giovane Re era troppo contento di vederli vivi e forti per potervi fare caso. Chinarono entrambi la testa in segno di rispetto. "Vostra maestà..." Mormorarono in coro.

Tooru fece un gesto scocciato con la mano. "Per favore, siete cresciuti con Hajime, non c'è bisogno di tante formalità!"

Wakatoshi era rimasto in disparte, dietro di lui.

I due Cavalieri si guardarono per un istante, poi alzarono timorosi lo sguardo sul loro giovane sovrano. "Non possiamo restare molto, mio signore," disse Takahiro. "Abbiamo una cosa da restituirvi."

"Più tardi!" Esclamò Tooru. "Dovete parlarmi di Hajime. Dovete dirmi come sta e... Daichi! Sì, Daichi... Koushi vorrà saperlo e..."

"Il Re di Karasuno è stato gravemente ferito, mio signore," lo interruppe Issei.

L'entusiasmo di Tooru morì in quel preciso momento.

"Siamo venuti noi a dare la notizia, in quanto i suoi uomini non se la sentono di lasciare il suo capezzale," aggiunse il Cavaliere. "I medici del campo non sono certi riuscirà a superare la notte..."

Tooru non riuscì a dire una parola. Il suo pensiero andò subito a Koushi, allo stato delicato in  cui versava e a quanto gli appariva insopportabile l'idea di dover essere lui a dargli un simile dolore. Forse, pensò, avrebbe potuto aspettare... Forse, era meglio attendere che il bambino nascesse e...

"Il consorte reale del Regno di Karasuno sa già tutto," intervenne Wakatoshi.

Tooru si voltò a guardarlo sconvolto.

"Ero presente," fu l'apatica giustificazione del Re. "Sono andato ad informarlo prima di venire da te."

Il giovane Demone strinse i pugni. Non aveva nessuno diritto di farlo! Non lui! Non a Koushi! Non...

"Vostra maestà..." Lo richiamò Takahiro gentilmente. "C'è un'altra cosa..."

Tooru non era preparato a quello che vide, quando tornò a guardare i due Cavalieri.

Issei aveva tra le mani una spada e gliela porgeva. Tooru conosceva molto bene quella spada, ricordava con chiarezza la mattina d'inverno in cui l'aveva tenuta tra le mani per l'ultima volta e non avrebbe mai dimentico il motivo per cui l'aveva ceduta ad un altro Cavaliere. Il suo Cavaliere...

Le prese tra le mani senza rendersene conto, una appoggiata sull'elsa ed una sulla lama appena ripulita.

Nè Issei nè Takahiro erano più in grado di guardarlo negli occhi.

"Ci dispiace con tutto il cuore, mio signore," disse quest'ultimo con voce tremante, mentre il suo compagno stringeva le labbra e predeva una respiro profondo per darsi un contegno.

Tooru non disse nulla. C'era solo vuoto nella sua testa, gli occhi marroni fissi sull'arma tra le sue mani, l'espressione smarrita.

"Basta così," decise il Re dell'Aquila e fece un gesto con la mano per ordinare ai suoi uomini di scortare fuori i due Cavalieri.

"Tooru!" Lo chiamò per nome uno dei due. Non sapeva chi, non li guardava più. "Abbi fiducia nei Cavalieri di Seijou come ne hai avuta in lui!"

"Ti tireremo fuori di qui!" Esclamò l'altro. "Lo faremo anche per lui! Glielo dobbiamo!"

Tooru non rispose. La porta della sala del trono si richiuse con un rumore sordo e non ci fu altro che silenzio, dopo.

Il Re dell'Aquila attese paziente per alcuni istanti, poi si mosse in avanti con passi lenti che riecheggiarono lungo il salone vuoto. "Tooru..." Chiamò. "Si è battuto con coraggio fino alla fine. La tua gente lo ricorderà per sempre come un eroe. Un Cavaliere degno di te."

C'era una sincerità in quelle parole che nessuno avrebbe potuto negare e Tooru non lo fece. Non disse nulla. Non lo guardò neanche.

Wakatoshi si avvicinò ancora. "Tooru..." Solo allora si accorse delle goccioline di sangue che percorrevano la lama della spada per finire sul pavimento di pietra. Una mano del giovane Demone era stretta intorno all'elsa della spada, l'altra sulla lama affilata.

"Tooru!" Chiamò il Re dell'Aquila nel tentativo di persuaderlo dal farsi altro male. Fece per toccarlo ma non ebbe il modo di sfiorarlo che il Re di Seijou si voltò di colpo, puntanto la lama contro di lui. Il movimento era stato tanto improvviso che un taglio si era aperto sulla guancia di Wakatoshi.

"Avanti..." Lo incoraggiò Tooru con un sorriso folle. "Avanti, mio Re, dammi una buona ragione per cui non dovrei farlo."

La punta della spada si avvicinò pericolosamente alla gola del sovrano ma Wakatoshi non si mosse. "Avanti, fammi uno dei tuoi bei discorsi," continuò il Re Demone. "Dimmi come la mia emotività, il mio orgoglio e la mia superbia mi porteranno alla rovina. Ricordamelo adesso e fallo in fretta perchè, credimi quando te lo dico, non è rimasto più molto da vivere a questo giovane Re che è stato capace di attirare la tua >attenzione!" Tooru respirava a fatica, come se ogni parola fosse uno sforzo immane. "Dimmelo prima che mi trasformi in un regicida, in un mostro che tutti i Regni liberi vorranno morto per paura! Perchè, vedi, quello che mi rendeva ciò che tanto stimavi e, forse, amavi ora non esiste più..."

Wakatoshi rimase in silenzio, se aveva paura non lo dava a vedere.

Tooru mosse ancora un passo in avanti e la lama della sua spada tagliò la pelle morbida della gola facendone fuoriuscire una goccia di sangue.

La porta laterale della sala del trono si spalancò.

"Tooru!" Era Kenma e sembrava disperato. Una novità per il giovane Mago sempre calmo e composto. Gli occhi marroni del Demone non si allontanarono dal viso del Re dell'Aquila. "Che cosa c'è?" Domandò con voce improvvisamente pacata, quasi atona.

"Si tratta di Koushi!" Esclamò Kenma. "Il bambino... Lui..."

Un'improvvisa ondata di lucidità investì Tooru. Portò immediatamente tutta la sua attenzione sul giovane Mago, abbassò la spada e superò il Re dell'Aquila come se fosse divenuto di colpo invisibile.

"Come sarebbe a dire il bambino?" Domandò Tooru. "Mancano almeno altri due mesi!"

"Non credo andremo oltre questa notte!" Replicò Kenma con urgenza, poi gli afferrò il polso per invitarlo a seguirlo più velocemente.

"Kenma, è troppo presto!" Esclamò Tooru andandogli dietro. "Il bambino non può..."

Il giovane Mago si voltò a guardarlo con occhi tristi e Tooru chiuse i suoi scuotendo la testa. "Non è vero... Non è vero... Non può accadere anche questo..."

"Il bambino deve nascere, Tooru," concluse Kenma con tono grave. "Comunque vada, questo non possiamo evitarlo."
***


Era ormai mattina e le scale della torre si stavano illuminando gradualmente con il sorgere del sole.

Tooru era seduto in un punto impreciso della rampa a chiocciola. Era sceso fin tanto che le gambe lo aveva retto, poi si era lasciato cadere seduto su uno dei graditi di pietra, accanto ad una delle piccola finestre a punta che davano sul dirupo sottostante. Un dei primi raggi di  sole gli accarezzò il viso ma Tooru lo ignorò deliberatamente: la sua attenzione era tutta per le sue mani e per il sangue di cui erano macchiate.

Tooru pensò di aver già vissuto un scena simile e contraria. Il tramonto di un giorno d'inverno in mezzo ed uno dei tanti campi di battaglia da cui aveva avuto la fortuna di andarsene con le sue gambe. Pensò a quanto fosse assurdo che la vita, in fin dei conti, iniziasse e finisse col sangue in quel mondo di gloriose leggende e Re pronti a tutto per esserne all'altezza.

Non udì i passi dal fondo delle scale che si avvicinavano, vide solo il Re dell'Aquila spuntare da dietro la curva della rampa. Si era cambiato e si era ripulito dalle tracce dell'ultima battaglia combattuta. Tooru non aveva più la spada con sè ma un vuoto assoluto aveva preso il posto di qualsiasi rabbia o dolore. Fissò il suo nemico e non provò niente.

"Le guardie qui sotto hanno detto di aver sentito un bambino piangere per alcuni minuti," disse con voce atona.

Tooru tornò a guardare le proprie mani sporche di sangue. "Già..." Rispose distrattamente. "Potrebbe aver emesso il suo primo vagito nel momento in cui suo padre lasciava andare l'ultimo respiro."

Si alzò in piedi, sebbene la testa gli girasse ed il senso di nausea fosse tornato più forte che mai.

Salì due gradini.

"Non volevo che finisse così."

Tooru si bloccò, aspettò un istante e poi si voltò a guardare il Re dell'Aquila. "Non è vero," rispose. "Penso che sia la prima che mi dici una bugia. Penso che, da qualche parte tra i piani politici e le rivalse del nostro onore, tu ti sia davvero innamorato di me, in qualche tuo modo assurdo ed ossessivo... Il mio errore è stato credere che non fossi un uomo e non potessi provare nulla di tutto ciò. Penso che, anche se non me lo confesserai mai, sia stato tu a dargli il colpo di grazia perchè, pur ammesso che fossi riuscito a piegarmi al punto da rendermi il tuo consorte, lui aveva qualcosa che io non avrei mai concesso a te." Tooru sorrise amaramente e scosse la testa. "Il tuo errore è stato credere che fosse l'ennesimo gioco di potere tra Re. Non funziona così, mio signore, non conquistii il cuore di qualcuno uccidendo chi già lo possiede."

Una singola lacrima solcò il viso di Tooru.

"Consolati con questo: nessuno ti ha portato via niente, tutto ciò che amavi in me lo hai ucciso tu. Tooru non c'è più, rimane solo il Re Demone adesso."

***




Shouyou, Principe dei Corvi, erede al trono del Regno di Karasuno, venne al mondo all'alba del giorno del solstizio d'estate. Si annunciò con un pianto vigoroso che distrusse all'istante tutte le preoccupazioni e le paure di chi era lì ad assistere alla sua nascita.

Tooru fu il primo a prenderlo in braccio ma non si calmò fino a che non fu accocolato e al sicuro contro il petto di Koushi. Il consorte reale del Regno di Karasuno lo guardava innamorato... No, incantato, completamente perso in ogni dettaglio minuscolo.

"Dovresti riposare," disse Kenma gentilmente dal fondo del letto.

Koushi gli sorrise lanciandogli una breve occhiata per poi riportare tutta l'attenzione dei suoi occhi dorati sulla creatura tra le sue braccia. "Non sono stanco," era una bugia: era distrutto. "Non voglio perdermi questi momenti, non potrò più riviverli dopo."

Tooru rientrò nella camera da letto con cautela. Non vi era più sangue sulle sue mani.

"Dorme?" Domandò a bassa voce.

Koushi scosse la testa. "No, è sveglissimo!"

Il giovane Re si avvicinò e si sporse in avanti per dare ancora un'occhiata al faccino paffuto. Gli occhi grandi, ancora incolori, si spostarono immediatamente su di lui. Ad una prima occhiata gli ricordava più Koushi che Daichi ma era impossibile stabilirlo con certezza dopo solo poche ore di vita. I capelli erano impossibili da non notare. Erano tanti ed era bastato asciugarli perchè quella testolina divenisse un delirio di ciuffetti ribelli. Per non parlare del colore...

Tooru era preparato a tutto, anche ad un bambino con due ali da corvo sulla schiena ma a quei capelli rossicci decisamente no.

"Un giorno mi racconterai la storia di questi capelli," disse il Re Demone giocherellando con una ciocca che proprio non ne voleva sapere di stare giù.

Koushi rise appena. "Ha i capelli di mio padre!" Spiegò.

"Ah..." Fu il solo commento di Tooru. "Non si può negare che abbia un'aria sveglia comunque, perfettamente coerente con tutto il casino che faceva dentro la pancia," guardò Kenma ed il Mago annuì. "È piccolino ma è forte e sano."

Tooru sospirò. "E dal modo rumoroso in cui ha debuttato in società non possiamo negare che abbia anche carattere."

Koushi osservò incantato le dita miscole che cercavano di afferrare il suo indice e le baciò con una devozione che non aveva mai provato per nessuno. Forse, nemmeno per Daichi.

"È perfetto," concluse con un sorriso triste. Il neonato fece un gran sbadiglio e Koushi gli baciò la fronte accarezzando una della guance morbide con la punta delle dita. "Benvenuto al mondo, Shouyou."

Tooru annuì distrattamente. "Sì, benvenuto piccolo Corvo."

Gli occhi dorati di Koushi si sollevarono sul suo viso. "Ho saputo di Hajime..." Mormorò con sincera tristezza. Tooru scosse la testa. "Il piccoletto è l'unica cosa di cui ti devi preoccupare," gli disse guardando il vuoto. "Al resto penso io."

***


Tooru andò a cercare il Re dell'Aquila quella stessa sera.

Lo trovò nella sala del trono, seduto al posto che sarebbe dovuto spettare a lui ma non gliene importò. Erano davvero poche le cose di cui riusciva a preoccuparsi ora ma erano abbastanza importanti da costringerlo a restare in piedi. "Rivoglio le mie stanze," disse senza girarci troppo intorno. "La torre non è adatta per un bambino. Voglio dormire nel mio letto e voglio i miei alleati vicino a me."

Wakatoshi lo fissò solo un istante prima di annuire. "C'è quindi un nuovo erede al trono che devo omaggiare?"

Tooru fece una smofia. "Sii abbastanza decente da stare lontano da Koushi, bastardo."

"È un maschio o una femmina?"

"È un maschio," rispose Tooru con voce atona. "È piccolo ma è forte..."

"È prematuro..."

"Non andrà da nessuna parte, Re dell'Aquila, stanne certo," replicò Tooru con astio, poi si voltò: non aveva altro da dire.

"I Cavalieri di Seijou e quelli di Karasuno non si arrendono," lo informò come se fosse deluso. "Si stanno organizzando da soli. Andranno avanti fino a che tu non dirai basta, Tooru. A questo punto, è solamente una tua scelta come scrivere la parola fine."

Tooru strinse i pugni e prese un respiro profondo. "Ne sono perfettamente consapevole."

"Che cosa hai scelto, dunque?" Domandò il Re dell'Aquila.

Il Re Demone non si voltò. Uscì dalla sala del trono senza dire una parola.

***


Tooru rimase chiuso nelle sue stanze per giorni.

Koushi era tornato presto in piedi e Shouyou sembrava avere sempre più voglia di vivere per la gioia del genitore ma l'assenza del giovane sovrano non poteva essere ignorata. Passarono dieci giorni, prima che il Re dell'Aquila in persona si recasse nella torre per chiedere il suo aiuto.


Koushi era occupato a cullare Shouyou accanto ad una delle finestre della sua stanza: il sole d'estate era bello e brillante e sembrava piacere molto al piccolo Principe che spalancava gli occhi sull'orizzonte sconfinato, guadagnandosi un sorriso innamorato da parte del giovane genitore. "Ti piace la luce?" Domandò stringendo con amore quel fagottino nero contro il petto, il colore del loro Regno. "Ti piace il cielo?"

Shouyou lo guardava buono buono, intrattenuto dal suono dolce della sua voce e Koushi adorava tenerlo tra le braccia e parlargli. Non avrebbe voluto fare altro.

"Lo sai..." Appoggiò il naso tra i capelli ribelli del suo bambino aspirandone il dolce odore di nuovo, di pulito. "C'è un piccolo castello nelle nostre terre da cui si può vedere benissimo il cielo. Io e papà ci andavamo a guardare le stelle nelle notti d'estate," un nodo gli strinse la gola al pensiero del suo Re ma cercò di sorridere comunque: non voleva che il suo bambino sentisse la sua stessa tristezza, non ne aveva bisogno. Era il solo modo che aveva di proteggerlo dalle brutture del mondo. "Sai, Shouyou, io e papà abbiamo scelto questo nome per te, nella speranza che potessi volare libero, ovunque il tuo cuore desiderasse," baciò la sua creatura con dolcezza cercando di trattenere le lacrime. "Ti prometto che quella speranza diverrà realtà, amore mio. Te lo prometto, Shouyou."

"È un bel nome..."

Koushi trasalì e si voltò di colpo, il cuore in gola.

Il Re dell'Aquila era rimasto vicino alla porta e, non appena i loro sguardi s'incrociarono, chinò la testa in segno di rispetto. "Le mie congratulazioni, mio signore."

"Perchè siete qui?" Domandò Koushi con dignitosa rabbia, stringendo suo figlio a sè con fare protettivo.

"Non è per me," lo rassicurò il sovrano. "Si tratta di Tooru..."

"Siete voi ad averlo portato via," gli ricordò il giovane Arciere.

"Non è corretto," replicò Wakatoshi. "Il Re Demone si è chiuso nelle sue vecchie stanze," spiegò. "Non mangia, non sono certo nemmeno che riposi..."

Koushi sgranò gli occhi. "Per quanti giorni lo avete lasciato in questo stato?"

"Non mi permette di..."

"Non importa cosa vi permette," lo interruppe Koushi. "Ha perso la persona che amava, come pensate di poterci ragionare?"

Wakatoshi non replicò.

Koushi prese un respiro profondo, guardò il suo bambino e posò un bacio tra i suoi capelli. "Mandatemi Kenma," gli disse. "È l'unico a cui mi fido di lasciare mio figlio. Parlerò io con Tooru..."

***


A dispetto delle premesse, Tooru gli aprì la porta senza troppe storie.

"Tooru!" Esclamò Koushi entrando nella camera da letto con urgenza. Cercò subito gli occhi del giovane sovrano ma il Demone si era già voltato per tornare a sedersi a terra, accanto ad una delle due grandi finestre ai lati del letto. "Tooru..." Chiamò di nuovo Koushi inginocchiandosi accanto a lui. "Perchè te ne sei andato così? Pensavamo che il Re ti avesse fatto qualcosa!"

Il giovane Demone scrollò le spalle. "Sto bene..." Mormorò con voce atona.

"Non stai bene per niente!" Esclamò Koushi. Il viso di Tooru era pallido e aveva le occhiaie marcate di chi non chiudeva occhio da giorni. "Il Re mi ha detto che non mangi nulla."

Tooru lo guardò con espressione annoiata. "Non è colpa mia se continuano ad avvelenare il mio cibo."

Koushi trattenne il fiato e sgranò gli occhi. "Che cosa?" Domandò spaventato.

Tooru fece un gesto con la mano come a dirgli di lasciar perdere. "Il piccoletto come sta?"

L'altro accennò un sorriso. "Shouyou sta bene, Tooru," rispose. "Puoi vederlo con i tuoi occhi quando vuoi, devi solo uscire di qui."

Tooru appoggiò pigramente la testa contro le tende della finestra. "L'ho cercato qui, tra le mura in cui siamo cresciuti insieme... Non l'ho trovato, Koushi."

Il giovane Arciere si morse il labbro inferiore. "Tooru, hai pianto almeno un po'?"

"Ero troppo occupato a vomitare," rispose il giovane sovrano con tono vago. "Qualcuno mi avvelena il cibo, me lo sento..." Rise istericamente. "Il bastardo ha finalmente capito che non otterrà nulla da me... È tardo, non c'è che dire..."

"Tooru..." Koushi gli afferrò entrambe le spalle. "Tu non stai bene. Dobbiamo andare da Kenma... Non puoi..."

"Mi gira la testa..." Disse Tooru chiudendo gli occhi e massaggiandosi la fronte. "Ci sono dei momenti in cui non mi reggo in piedi e questa maledetta nausea non ne vuole sapere di andarsene. Sento l'odore di sangue ovunque, mi fa impazzire..."

Koushi si fece immobile per un attimo. "Tooru..." Mormorò incerto. "È successo qualcosa?"

Tooru lo guardò di traverso. "Che altro può succedere che non sia già accaduto?"

"No, intendo..." Non era certo di avere il coraggio di chiederlo, nè di volerlo sapere. "Tra te e Wakatoshi... È successo qualcosa? Ti ha fatto qualcosa?"

Tooru lo fissò perplesso per qualche istante, poi fece una smorfia. "Ma che ti salta per la testa?!" Esclamò indignato, poi si alzò in piedi a fatica.

"Tooru, aspetta!" Koushi tenne salda la presa sulle sue spalle. "Da quanto tempo ti senti così?"

"Non lo so, non importa..."

"Importa invece!" Koushi prese a sorridere senza neanche rendersene conto. "Possibile che tu non abbia avuto qualche sospetto?"

Tooru si voltò a guardarlo come se stesse parlando una lingua sconosciuta. "Sospetto di cosa?" Si portò una mano alla testa e prese un respiro profondo. "Va bene, andiamo da Kenma... Spero abbia qualcosa per farmi dormire..."

"Ascolta!" Esclamò Koushi parandosi di fronte a lui. "La notte in cui te ne sei andato dal castello al mare per vedere Hajime..."

Tooru lo spinse indietro di colpo ma non aveva abbastanza forze per fargli del male. Fu il giovane Re a sbilanciarsi all'indietro fino a toccare la colonna del letto con la schiena. "Non pronunciare il suo nome..." Sibilò. "Non devi... Pronunciare il suo nome..."

Collassò a terra un istante più tardi.

***


Fu il pianto di un neonato a destare Tooru.

"Buono, buono..." La prima cosa che vide fu Koushi seduto su di una poltrona accanto al suo letto, mentre cullava il piccolo Shouyou con un dolce sorriso sulle labbra. "Non dobbiamo svegliare Tooru. Ha bisogno di riposare..."

"Troppo tardi..." Mugugnò mettendosi a sedere contro i cuscini del letto, il suo letto. "Sono gi sveglio." Solo allora si accorse della presenza di Kenma accanto ad una delle colonne del baldacchino. "Come si senti?" Chiese il giovane Mago.

Tooru ci pensò scostando le coperte troppo pesanti per la stagione e piegando le ginocchia contro il petto. "È rimasta la nausea ma almeno la stanza non gira più."

"Non dormivi da notti, vero?" Domandò Koushi preoccupato.

Era calato il sole e la stanza era illuminata solo da un gran numero di candele.

"Sai qual'è la vera tragedia?" Domandò Tooru. "È che tu hai un bambino di dieci giorni e hai una faccia migliore della mia!"

Koushi rise appena, mentre Shouyou non faceva che muoversi quel che poteva nel suo fagotto nero. "Va bene, va bene, ho capito!" Esclamò Koushi spostando il piccolo contro il suo petto in modo che potesse guardarsi intorno. Tooru inarcò un sopracciglio. "Dieci giorni e già pretende?"

"L'hai detto tu che è molto sveglio," gli ricordò Koushi. "Seriamente, come ti senti?"

Tooru passò gli occhi dal viso di uno a quello dell'altro. "Si può sapere che c'è? Sto per morire?"

"No," Koushi scosse la testa rivolgendogli un sorriso un po' triste ma comunque gentile. "È solo ironico che, quando è toccato a me, tu te ne sia accorto prima di chiunque altro ma non abbia mai avuto alcun sospetto su te stesso."


Wakatoshi arrivò negli alloggi privati del Re di Seijou pochi minuti più tardi.

Entrò nella camera da letto senza bussare e fissò la scena che si stava svolgendo all'interno senza una reale espressione. Tooru aveva le ginocchia strette al petto, gli occhi grandi, pieni di lacrime. Koushi aveva un braccio intorno alle sue spalle e con la mano libera gli stringeva la mano nel tentativo di consolarlo. Kenma era in piedi accanto al letto con il piccolo Shouyou tra le braccia. Tutti e tre lo fissarono in silenzio.

Tooru sospirò, appoggiò una mano sul petto di Koushi e lo spinse gentilmente a farsi da parte. L'Arciere scese dal letto e lo guardò. "Sei sicuro?" Domandò.

Il giovane Re annuì. "Andate..." Portò gli occhi marroni sul sovrano in fondo al suo letto. "Non c'è nulla che possa più spaventarmi, ormai."

Koushi annuì, prese il bambino dalle braccia di Kenma e tutti e tre uscirono senza dire una parola. Wakatoshi aspettò che la porta si fosse richiusa, prima di avvicinarsi al letto con passo lento. "Mi hanno detto che hai perso i sensi..."

"Nulla di cui preoccuparsi," rispose Tooru con voce atona, gli occhi ancora fissi su quelli taglienti dell'altro sovrano. "Va tutto bene," disse con sicurezza. "Comunque finisca questa storia, andrà tutto bene..."

Wakatoshi non mostrò alcuna sorpresa a quelle parole. "Devo dedurre che hai fatto la tua scelta?"

"Un altro Principe l'ha fatta per me," rispose Tooru. "Io non avrei saputo fare di meglio."

La confusione sul viso di Wakatoshi era evidente, ora.

Tooru distese un poco le gambe lasciate scoperte dalla camicia da notte e si portò entrambe le mani in grembo. "Durante una delle nostre ultime notti insieme," disse guardando le sue stesse dita. "Hajime mi ha ricordato che questa guerra non era solo mia e che non avrei mai potuto sconfiggerti da solo."

Gli occhi di Tooru cercarono di nuovo quelli di Wakatoshi e li trovarono.

"Aspetto un bambino," confessò con lo sguardo sicuro di un Re che è certo della sua vittoria. "Aspetto suo figlio..." Strinse appena le dita sulla stoffa dellla camicia da notte. "Avevo promesso a Hajime che ti avremo sconfitto insieme e, comunque vada a finire, Re dell'Aquila, ho mantenuto la mia parola." Due lacrime gli rigarono le guance pallide ma non furono sufficienti a privare Tooru della sua dignità, della forza e della sicurezza che esprimeva in quel momento. Di colpo, Wakatoshi pensò che fosse più bello di quanto non lo fosse mai stato ma, ancora una volta, non era grazie a lui ma al Cavaliere che non aveva mai dubitato di poter sconfiggere. Ancora una volta, si ritrovò a fare i conti con un errore.

"Questa è una vittoria che non ci potrai mai portare via," concluse Tooru.

Il Re dell'Aquila strinse i pugni e per un istante, uno solo, i suoi occhi brillarono d'ira.

Uscì dalla camera da letto sbattendo la porta.

Tooru trasalì, poi prese un respiro profondo e cercò di calmare il suo cuore impazzito. Quando smise di tremare, aprì gli occhi e guardò il punto che le sue mani coprivano con tanta premura. Suo malgrado, riuscì a sorridere... Uno di quei rari sorrisi sinceri, senza ombre nascoste, di cui tanto era innamorato il suo Cavaliere.

"Ehi..." Mormorò muovendo appena le dita sulla stoffa bianca. "Va tutto bene, Tobio."

Si strinse le braccia intorno all'addome come le lacrime presero a scendere copiose dai suoi occhi. "Andrà tutto bene, te lo prometto..."

A dieci giorni dalla morte di Hajime, Tooru riuscì a piangere.




 

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Capitolo 10
*** Di fiabe senza lieto fine e piccoli miracoli ***


9
Di fiabe senza lieto fine e piccoli miracoli




Aveva ancora gli occhi aperti quando era caduto a terra.

Eppure, non aveva visto il cielo azzurro d'estate sopra o i Cavalieri che continuavano a muoversi intorno a lui nel frenetico tentativo di ottenere una vittoria impossibile. No, quando  il Re di Karasuno era caduto e al dolore intenso era seguita l'assenza di ogni sensazione, tutto quello che aveva visto era stato un bambino dagli occhi dorati che gli porgeva un fiore dal colore blu, il fuoco della pira funebre di suo padre che ardeva accanto a loro.

"Daichi!"

Qualcuno lo chiamava disperatamente.

"Daichi!"

Di colpo, vide il viso di Asahi sopra il suo. "Ehi! Resisti! Ti porto via di qui!"

"Asahi..." Mormorò con quel poco di voce che aveva. "Asahi... Mi sono ricordato la prima volta che ho visto Koushi..."

Perchè proprio in un momento come quello?

Il Cavaliere non l'aveva sentito. "Avanti! Andiamocene... Resisti, ti scongiuro!"

Si sentì sollevare da terra e, dopo, più nulla. L'ultima immagine che la sua mente riportò alla luce fu quella di una mattina d'inverno, nella camera di un castello sulla riva del mare. Vide Koushi alzarsi dal loro letto con grazia, la camicia da notte che gli scendeva sulle gambe fino a poco sopra le ginocchia, un sorriso dolcissimo ad illuminagli il volto. Ricordò quelle mani fresche afferrare la sua e farla aderire contro il grembo. Il giorno più felice di tutta la sua vita...

"Shouyou..."

"Resisti, Daichi! Resisti!"

 
***



Koushi s'inginocchiò sul pavimento reggendo il bambino con un solo braccio. Immerse una mano nell'acqua bassa della vasca per provarne la temperatura e guardò suo figlio con un gran sorriso. "Pronto per il bagnetto?"

Shouyou continuò a succhiarsi il pugnetto con soddisfazione e Koushi lo sollevò con delicatezza. Con un braccio continuò a sostenere la piccola schiena, mentre con l'altra mano  lavava dolcemente il corpicino del suo bambino. "Ti piace l'acqua, Shouyou?" Il piccolo sembrava pefettamente a suo agio e si muoveva appena, curioso di quella situazione completamente nuova per lui. I grandi occhi incolori, però, erano fissi in quelli del giovane genitore.

Koushi non smetteva mai di sorridergli: era impossibile di fronte a quella creatura tanto adorabile. Rise di sè stesso e della sua poca oggettività ma non era mai stato orgoglioso di se stesso come il giorno in cui aveva tenuto Shouyou tra le braccia per la prima volta. Era stata la cosa più bella che avesse mai fatto in tutta la sua vita e l'aveva fatta insieme al suo Re.

Qualcuno entrò nella stanza e Koushi allontanò gli occhi dal viso del suo bambino solo per un istante. Sorrise al giovane sovrano che si era unito a loro. "Buon compleanno!" Disse con allegria. Tooru accennò un sorriso, poi s'inginocchiò sul pavimento dal lato opposto della vasca ed incrociò le braccia sul bordo di marmo. "Ti ringrazio..." Rispose con un sospiro stanco.

Koushi non ne fu particolarmente sorpreso. "Conosco quell'espressione," disse intenerito. "La vedevo ogni giorno quando mi guardavo allo specchiofa, solo fino pochi mesi fa."

Tooru mise su il broncio. "A me sembravi solo radioso... Anzi, sembrava che il piccoletto ti facesse bene."

Koushi rise. "Lo diceva anche Daichi," passò la mano umida tra i capelli ribelli di Shouyou ed il bambino fece una smorfia come alcune goccioline d'acqua gli finirono negli occhi. "No, buono, buono..." Mormorò accarezzando una guacia morbida. Shouyou si lamentò un po' ma non si mise a piangere. "Tooru puoi prendermi un asciugamano?"

Il giovane Re annuì e si alzò in piedi, poi tornò accanto al consorte reale del Regno di Karasuno. Koushi lo guardò in viso. "Anche tu stai bene," commentò sinceramente. "Hai ripreso colore."

Tooru scrollò le spalle. "Sei tu l'esperto..."

"Distendi quell'asciugamano sulle braccia." Lo istruì Koushi.

L'altro inarcò un sopracciglio, poi scosse la testa. "No, io non..."

"Avanti!" Esclamò l'Arciere con allegria. "L'hai praticamente fatto nascere tu..."

Tooru ubbidì con un broncio infantile e Koushi sollevò Shouyou dall'acqua consegnandolo alle sue braccia. Il bambino guardò il giovane Re con fare curioso e confuso al tempo stesso e Tooru ricambiò lo sguardo, mentre Koushi lo asciugava con delicatezza. "Non pesa nulla," commentò il Demone. "Non hai paura di fargli male quando lo tieni in braccio?"

Koushi scosse la testa divertito. "È solo un'impressione," spiegò. "Anche io pensavo mi sarei sentito così ma, non lo so... So che è forte e non è così fragile come appare. È difficile da spiegare."

"È vero quello che dicono?" Domandò Tooru. "Che non è paragonabile a nulla? Che si può capire solo se lo si vive?"

Koushi riprese il suo bambino tra le braccia, Shouyou emise subito un versetto felice ed il giovane genitore gli baciò il faccino paffuto con amore. "Non si descrive," rispose con sguardo innamorato. "Ma, dopotutto, lo sai già."

Tooru lo guardò confuso. "Che vuoi dire?"

"Guardati..." Koushi si alzò e tornò in camera da letto, l'altro lo seguì. "Sei in piedi, sei forte..." appoggiò Shouyou sul letto per rivestirlo. "Anzi, scommetto che non ti sei mai sentito tanto forte in tutta la tua vita."

"Dovrei smettere di piangere per essere forte," confessò il Re lasciandosi cadere sul bordo del materasso "Ogni notte, mi tocco la pancia e parlo con Tobio come se potesse sentirmi," prese a fissare il pavimento con aria assorta. "Gli prometto che andrà tutto bene, poi le lacrime cominciano a scendere e non so come fermarle."

Koushi lo guardò tristemente, sollevvò Shouyou e lo depose nella sua culla, poi tornò a sedersi sul letto, accanto al giovane Re. "Stai combattendo, però..." Gli fece notare appoggiando una mano sulla sua spalla. "Non ti sei arreso di fronte al dolore."

Tooru abbassò gli occhi e si toccò la pancia. "È merito di Hajime anche questa volta."

"Ti saresti rialzato comunque, ne sono convinto," gli disse Koushi. "I tuoi soldati credono in te almeno quanto credevano nel tuo Cavaliere o non starebbero rischiando le loro vite senza una guida a spingerli. Il rispetto che avevano per Hajime non è più sufficiente per giustificarli. Sì, ti saresti rialzato e lo avresti fatto per il Regno di Seijou..."

"Per Seijou..." Ripeté Tooru con occhi ardenti di determinazione. "Sì, c'è ancora qualcosa che posso fare per Seijou..."

 
***



Dalle camere del vecchio Re si poteva vedere il parco del castello in tutta la sua estensione, fino alle mura che fungevano da confine tra il Castello Nero ed il vuoto sotto il dirupo. Lo stesso in cui aveva spinto un Cavaliere più meritevole di altri, consegnandolo alle mani della morte. Erano sensi di colpa quelli? No, sicuramente no. Forse, era la consapevolezza che man mano stava prendendo di aver rovinato con le sue mani l'unica cosa che lo avesse incantato in quel mondo tanto mediocre ma che, comunque, era l'unica fonte di potere di cui loro poveri mortali potessero usufruire e Wakatoshi della forza e del potere aveva fatto la sua ragione di esistere.

"Che bella storia!" Commentò Satori con aria sarcastica vagando per il salottino del Re con un sorrisetto divertito. "Il Re che s'innamora del Principe... Il Principe è stato innamorato del suo Cavaliere da tutta la vita. Il Cavaliere muore, il Re vince tutto ma il Principe aspetta già un figlio ed indovina un po' chi è il padre..."

"Piantala..." Sospirò Kenjirou seduto sulla poltrona davanti al camino spento.

"Perchè?" Satori ridacchiò. "Lo conosciamo da anni... Ha sempre detto con assoluta certezza  di non avere l'anima adatta per ritrovarsi in mezzo ad una storia strappalacrime e, guardati intorno: siamo in mezzo ad un'impresa da rivalsa perfettamente costruita per nascondere un desiderio ossessivo che, ammettiamolo, tutti sappiamo che ha ben poco di politico." Afferrò un calice di vino dal tavolo in mezzo alla stanza e prese un gran sorso.

Wakatoshi lo ignorò deliberatamente, gli occhi fissi sulla torre che poteva vedere fuori da quelle finestre.

"Ti ricordo che è vuota," aggiunse Satori lasciandosi cadere su di una poltrona vuota. "Il tuo  Demone è tornato nella camera da letto che divideva col suo Cavaliere..."

"Lo so," disse Wakatoshi distrattamente.

"Che cosa vuoi fare?" Domandò Taichi. "I Cavalieri di Seijou attaccheranno se il loro Re non ordina altrimenti e quelli di Karasuno hanno un Principe ereditario per cui combattere."

"Spetta al Re di Seijou prendere una decisione," replicò Wakatoshi.

"Quello a cui non parli da giorni?" Domandò Satori ancora con quel sorrisetto insopportabile.

"Faremo ciò che ordina il Re," disse Reon.

Satori fece una smorfia. "Sì, amico, su questo non c'è dubbio! Abbiamo fatto la gran scelta di seguirlo con lealtà!"

Kenjirou lo fissò sospettoso. "Lo dici come se te ne pentissi..."

"No, assolutamente..." Replicò Satori tornando serio di colpo. "Ma sono il mago delle previsioni, io! Altro che quel moccioso apatico di Nekoma!"

Wakatoshi lo guardò. "Sapevi che Tooru non si sarebbe arreso?"

"Quello lo sapevi anche tu," rispose il Cavaliere riappoggiando il calice sul tavolo di fronte a lui e alzandosi in piedi. "Per questo sei ossesionato da lui, no? Non importa quanto male gli fai, continua a guardarti negli occhi con fierezza anche quando piange, dico bene?" Si fermò davanti alla finestra.

"Mettilo con le spalle al muro," propose Hayato con una smorfia annoiata. "Anche il predatore più feroce può essere manovrato quando si tratta dei suoi cuccioli, no?"

"Non hai capito nulla di caccia, dopotutto," commentò Wakatoshi. "Minaccia i cuccioli di un predatore e, comunque vada a finire, la sua ira t'inseguirà in capo al mondo fino a che non ti avrà distrutto."

Satori fece una smorfia osservando con attenzione qualcosa fuori dalla finestra. "Non sembra che del cucciolo gliene importi un granchè, però."

Tutti si voltarono a guardarlo, mentre il loro Re riportava la sua attenzione al giardino sottostante. Fece appena in tempo a vedere Tooru tirare la corda dell'arco e scoccare una freccia che colpì senza problemi il centro di uno dei bersagli di paglia a decine di metri di distanza. "Non dovrebbe starsene a letto a pensare a... Che ne so, nomi, corredino per neonati... Quelle cose noiose lì?" Si chiese Satori mentre tutti i Cavalieri si spostavano vicino alla finestra per guardarlo.

Wakatoshi restò a fissare il giovane Re ancora per un poco, poi lasciò andare un sospiro. "Suo figlio ce l'ha già un nome," rispose quasi per caso ed uscì dal salottino senza aggiungere altro sotto lo sguardo non sorpreso dei suoi Cavalieri.

"Adesso ci divertiamo!" Fu l'ultimo commentò di Satori.

 
***



Tooru afferrò un'altra freccia, la incoccò, tese la corda e lasciò.

Anche quella colpì il bersaglio perfettamente al centro. Non gli diede alcuna soddisfazione.

Un tempo, i suoi tiri perfetti lo riempivano di una sicurezza e di un'euforia senza pari. Dopo la morte di sua madre, quando gli era stato permesso di uscire dal castello regolarmente, aveva preso l'abitudine di passare ore ed ore ad allenarsi a colpire i bersagli più assurdi, ad andare a caccia dei volatili più scaltri e veloci per sfidarli ad un gioco di sopravvivenza che, comunque, aveva sempre vinto lui. Molte volte Hajime era venuto a recuperarlo per ricordargli di mangiare e riposarsi e non sempre era riuscito a convincerlo con le buone.

Il suo Cavaliere...

Tooru chiuse gli occhi, ingoiò a vuoto ed incoccò un'altra freccia: non ci poteva pensare. Avrebbe potuto crollare dopo che tutta quella storia sarebbe finita. Ora, doveva pensare alla sua gente, ai suoi Cavalieri, agli alleati che erano ancora al suo fianco e al Principe che cresceva dentro di lui. Il suo erede e quello del Cavaliere che tutti i soldati di Seijou erano stati disposti a seguire.

"Che cosa ci fai qui fuori?"

Si voltò di colpo, l'arco teso e così tutti i muscoli del corpo, pronti a lanciare un colpo perfetto.

Wakatoshi non aveva affatto l'espressione di un uomo minacciato. Allargò le braccia. "Avanti..." Lo invitò.

Tooru strinse le labbra.

"Hai avuto l'occasione di farlo due volte," gli ricordò il Re dell'Aquila avvicinandosi lentamente. "La prima volta, eravamo proprio qui, nella stessa identica posizione. La seconda, eravamo nella sala del trono, mi puntavi la spada del tuo Cavaliere alla gola ed avevi gli occhi ardenti di chi è pronto a commettere un regicidio."

Tooru rimase in silenzio.

"Ci ho pensato a lungo, Tooru," aggiunse il sovrano di Shiratorizawa. "E credo che l'abbia fatto anche tu..."

"Vuoi sapere cosa ho pensato?" Sibilò Tooru con rabbia a stento trattenuta. "Se ti avessi ucciso quel primo giorno qui, al parco..."

"Ma non l'hai fatto."

"Ho giocato con il fuoco..."

Wakatoshi si avvicinò quel tanto che bastava perchè la punta della freccia gli toccasse il petto. "Fa male scottarsi, vero?"

Tooru gettò l'arco a terra e gli mise le mani addosso ma il Re dell'Aquila gli afferrò i polsi prima che potesse colpirlo. "Perchè non mi hai ucciso quando hai potuto, Tooru?"

"Mi credi un idiota?" Domandò il giovane Demone. "Ammazzarti in un castello pieno dei tuoi soldati con me qui dentro, i miei alleati alle porte e nelle tue segrete e Koushi con un bambino appena nato?"

"Non c'è guerra senza un Re."

"Questo è quello che c'insagnano i politici ma, se io fossi morto qui dentro, pensi che i miei Cavalieri si sarebbero arresi a te? No, sarebbero andati avanti fino all'ultimo uomo e ti avrebbero massacrato come tu avevi fatto con me!" Urlò. "Tu non lo sai quanto avrei voluto tagliarti la gola il giorno in cui lui è morto ma questo mi avrebbe condannato a mia volta e mi condannerebbe anche ora!"

Wakatoshi lo spinse all'indietro fino a fargli aderire la schiena ad uno degli alberi del parco. "Esatto..." Mormorò lasciando andare uno dei polsi del giovane Re, posò la mano sulla guancia del più giovane in un gesto assurdamente gentile. "Anche nel momento di maggiore disperazione ti dimostri il Re che sei nato per essere. Hai riflettuto come non hai fatto quel giorno che hai rifiutato la mia offerta."

Tooru gli sorrise diabolico. "Oh, ho riflettuto anche allora, credimi. Se non lo avessi fatto, avrei detto sì."

"Allora fallo anche ora," disse Wakatoshi. "Ho un'altra proposta per te..."

"Non voglio niente da te!" Esclamò Tooru cercando di liberarsi ma era facile per Wakatoshi tenerlo fermo perchè non era un vero scontro corpo a corpo quello che cercava, Non poteva permetterselo.

"Tooru," Wakatoshi gli accarezzò la guancia come a volerlo tranuqillizzare. "Hajime non c'è più..."

Il Re di Seijou lo guardò come se avesse detto una blasfemia. "Lasciami andare," gli ordinò.

"Il motivo per cui ti ostinavi a combattere questa guerra non esiste più."

"Stai zitto..."

"Devi prenderne atto, Tooru."

"Stai zitto!" Urlò il Re Demone spingendolo indietro con tutte le sue forze. Wakatoshi indietreggiò di un paio di metri. Tooru, invece, dovette reggersi al tronco alle sue spalle per combattere un giramento di testa. Wakatoshi se ne accorse. "Ti porto in camera tua."

"Non mi toccare..." Tooru cercò di cacciarlo ma era troppo debole e si odiava per questo. Ancora una volta, era troppo debole.

Wakatoshi gli afferrò le spalle. "Quando imparerai ad accettare la sconfitta, Tooru?"




Il Re dell'Aquila gli fece preparare qualcosa da Kenma che lo facesse rilassare un po' ma fu lui in persona a portargli la tisana calda.

"Tieni," disse porgendogli la tazza bollente.

Tooru la prese senza ringraziarlo ed appoggiò la schiena ai morbidi cuscini del letto.

"Il Curatore ha detto che devi riposare," disse il Re dell'Aquila sedendosi sulla poltrona accanto al letto. "Sei in una situazione stressante ed in condizioni delicate. Se non ti prendi cura di te, rischi di fare la stessa fine di Koushi e, a differenza del suo, il tuo bambino non sarebbe in grado di sopravvivere in questo momento."

"E tu ne saresti felice, non è così?" Domandò Tooru fissando un punto qualunque di fronte a sè.

"No," ammise il Re dell'Aquila con sincerità. Gli occhi marroni del giovane Demone si spostarono immediatamente su di lui. "Sei sincero," commentò Tooru allibito.

"Continui a guardarmi e a vedere un mostro?"

"Continuo a guardarti e vedere il momento in cui lo hai ucciso," replicò Tooru con voce glaciale. "Takahiro ed Issei non mi hanno detto come è morto ma ho sempre avuto molta fantasia... Ma tu perchè dovresti preoccuparti del mio bambino?"

"Per quello che mi hai detto dopo la morte di Hajime," rispose Wakatoshi. "Riguardo al fatto che ho ucciso ciò che amavo di te. Se succede qualcosa a tuo figlio, le mie possibilità di renderti integro ancora una volta si azzerano di colpo."

"Tu non puoi rendermi integro," replicò Tooru prendendo un sorso della sua tisana. "Che cosa avresti da offrirmi?"

"Una via d'uscita..." Rispose il Re dell'Aquila. "Ti offro ancora una volta ciò hai rifiutato in nome di un sentimento che ti legava ad un Cavaliere comune."

Tooru lo fissò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. "Che cosa stai dicendo?" Domandò allibito.

"Divieni il mio consorte," fu più diretto Wakatoshi.

Il Demone appoggiò la tazza fumante sul comodino e si appoggiò entrambe le mani in grembo, sotto le coperte. "Io aspetto il bambino di quel Cavaliere comune."

"Lo so, anche se non riesco a spiegarmelo."

"Forse, perchè quella mia prima mattina da Re mi hai mentito per allontanarmi da Hajime."

"No, non l'ho fatto."

Tooru scostò le coperte e mostrò al suo nemico il grembo ancora piatto. Sarebbe bastato ancora poco tempo e avrebbe cominciato a vederlo ma Hajime no, lui non avrebbe mai potuto vedere nulla di tutto quello. "Allora lui è un miracolo."

"Tobio..."

Tooru agrottò la fronte. "Come lo sai?"

"Ho sentito te e Koushi parlare mentre portavate il Principe di Karasuno a fare una passeggiata nel parco."

Il Demone fece una smorfia. "Tu sai tutto, ascolti tutto... Ed io non dovrei pensare a te come a un mostro?"

"Stai ignorando di proposito la mia proposta."

"Ed io ti ripeto ancora una volta che aspetto un bambino e nascerà questo inverno, quindi, perdonami, ma non capisco che cosa tu voglia da me."

"Anche io ti ripeto che voglio che tu sia il mio consorte."  

"E tutti questi morti per nulla?"

"Nulla? Io ottengo te e tu ottiene pace, potere e ricchezze per il Regno."

"E mio figlio?" Domandò Tooru con un sorriso sarcastico. "Adesso mi proporrai di essere il padre del mio bastardo per risarcirmi di quello che mi hai portato via?"

"Non posso," confessò Wakatoshi con tono neutrale. "Ti lascerei avere il bambino e te lo lascerei crescere ma non avrebbe alcun diritto di ereditare."

Tooru lo guardò come se fosse un idiota. "Devi essere proprio disperato per propormi un accordo del genere!"

"Sarà un Cavaliere come suo padre e non gli mancherà nulla."

"Tobio sarà un Principe!" Urlò Tooru come se non volesse più discutere l'argomento. "Il figlio di Hajime siederà sul trono del Regno di Seijou dopo di me, fosse l'ultima cosa che faccio..." Si girò su un fianco e diede le spalle al suo nemico. "Vattene..."

"È venuto il momento di riflettere ancora, Tooru," disse il Re dell'Aquila dietro di lui. "Quello che ti posso dare te l'ho detto, se lo rifiuti, indirettamente, fai comunque una scelta."

Tooru rimase in silenzio ma lo ascoltava.

"Capisco che tu voglia lottare per il futuro di tuo figlio," disse Wakatoshi spostandosi dalla poltrona al bordo del letto. "Ma che futuro puoi dargli in un Regno distrutto, Tooru?"

Il giovane Demone lo spiò da sopra la propria spalla.

"Lo sai che i tuoi uomini non possono farcela," aggiunse il Re dell'Aquila e non c'era alcuna cattiveria nella sua voce. Ancora una volta, si limita ad illustrare i fatti come la realtà li presentava. "Moriranno uno dopo l'altro e, alla fine, sicuramente sarà Karasuno ad implorare la resa nella speranza di riavere il proprio Principe. A te cosa rimarrà, Tooru? Un Regno fatto a pezzi sotto ogni punto di vista e conquistato totalmente. Rifiutami e sarai un nemico sconfitto ed allora non potrò garantire nè per te nè per tuo figlio."

"In ogni caso, Tobio non sarà mai un Principe, tantomeno un Re..." Concluse Tooru con un filo di voce. "È questo che stai cercando di dirmi?"

Wakatoshi non rispose.

"Chiediti adesso perchè ti vedo come un mostro," disse Tooru con le lacrime agli occhi.

"Penso da Re," rispose Wakatoshi. "Quello che dovresti cominciare a fare anche tu..."

 
***



Quando al Regno di Fukurodani era arrivata quella lettera disperata da parte di Tetsuro, era già troppo tardi perchè Koutaro potesse fare qualsiasi cosa. Erano un Regno del nord e la neve aveva impedito loro qualsiasi spostamento fino a primavera inoltrata. Keiji non aveva detto nulla quando il suo Re aveva armato tutti i soldati del loro esercito ed aveva deciso di partire per il Regno di Seijou. L'avrebbe seguito ovunque perchè aveva fatto un giuramento.

Tuttavia, Koutaro non sembrava avere la minima idea di quello che lo aspettava ed il suo buon umore non era molto facile da sopportare per l'Arciere. Koutaro non aveva mai dovuto vivere gli orrori di una guerra, Keiji sì. Lui non aveva avuto la fortuna di nascere in un Regno che aveva solo conosciuto pace e ricchezza per generaizoni, era arrivato a Fukurodani solo a metà strada tra la fine della sua infanzia e l'inizio dell'adolescenza e l'avevano lasciato lavorare al castello solo perchè era più facile sfruttare un ragazzino disperato ed affamato. Il resto era stato tutto un fortunato gioco del destino.

"Ehi! Ehi! Ehi!"

Keiji aveva alzato gli occhi al cielo ancor prima di voltarsi a guardare il suo Re.

"C'è un Cavaliere appeso a quell'albero!"

Keiji aveva fermato il cavallo ed aveva guardato Koutaro come se fosse l'essere più stupido sul pianeta. "Hai di nuovo esagerato con il vino prima di metterci in mar...?" Non riuscì a finire la frase che i suoi occhi videro la stessa cosa che aveva attirato l'attenzione del suo Re.

Non credeva sarebbbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto dargli ragione.

 
***



Tooru non si era più mosso dal letto.

Non aveva mangiato nulla ma non avrebbe comunque potuto tenersi molto nello stomaco con tutta la nausea che il piccolo Demone nella sua pancia gli provocava. "Moccioso impertinente..." Mormorò alla stanza buia, gli occhi chiusi nel tentativo di prendere sonno.

Una mano giocò con il colletto della sua camicia da notte fino a scoprirgli una spalla. "Ben ti sta..." Disse una voce che conosceva bene, mentre due labbre calde si posavano sulla sua pelle ed una mano s'infilava sotto quella che teneva sulla pancia. "Tu ti stanchi per cose stupide, lui si irrita e te la fa pagare."

Le dita del suo Cavaliere si mossero dolcemente sul suo grembo e Tooru si sentì morire e rinascere di nuovo. Si girò in quell'abbraccio lentamente, fino ad incrociare gli occhi verdi del giovane steso accanto a lui. "Ehi..." Hajime immerse le dita tra i capelli ricciuti sulla nuca del giovane Re. "Hai la faccia stupida di chi ha visto un fantasma..."

Tooru sorrise, sebbene avesse gli occhi pieni di lacrime. Portò entrambe le mani su quella premuta sul suo grembo. "Impazzivo al pensiero che non avrei mai potuto dirtelo."

Hajime lo guardò con l'espressione irritata che gli rivolgeva ogni volta che diceva qualcosa di stupido. "Me lo hai detto giorni fa."

Tooru si strinse contro il suo petto caldo e sorrise nel sentire quel cuore battere forte e vivo. "Ho fatto un sogno orribile," mormorò. Hajime gli appoggiò una mano sulla guancia e lo invitò a guardarlo. "Che genere di sogno?"

"Tu non c'eri più," rispose il giovane Re. "Io scoprivo di aspettare un figlio e tu non c'eri più."

Hajime lo guardò come se avesse detto un'assurdità. "Sono qui..." Rispose.

Tooru sorrise e pianse di gioia. "Stringimi," lo pregò affondando il viso contro il petto del suo Cavaliere. "Stringici tutti e due..."

"Sono qui, Tooru..."

"Hajime..." Tooru si svegliò con un sorriso innamorato e con le lacrime agli occhi. Queste continuarono a scorrere, il primo morì non appena si rese conto che non c'era nessuno su quel letto accanto a lui.

Alzò i grandi occhi marroni in direzione della finestra che dava sulla Capitale. Ricordava tutte le volte che si era svegliato ed aveva trovato il suo Cavaliere in piedi, a guardare il sole sorgere con grazia sulle loro terre. Tooru soleva osservarlo sempre per minuti interi mentre la loro camera si riempiva di luce ed accarezzava il corpo perfetto di quello che era stato il suo compagno di giochi, il suo più grande complice ed era finito col dormire nel suo letto come il più devoto degli amanti. Solo dopo si alzava e lo raggiungeva in punta di piedi, appoggiandogli le mani sul petto caldo e baciandolo sulla nuca, poco sotto la linea dei neri capelli ribelli.

Tooru si morse il labbro inferiore e strinse la federa del cuscino con forza. Gli parve quasi di sentire il cuore fiero del suo Cavaliere battere sotto il suo palmo aperto. Le mani di Hajime erano sempre calde, sia quando lo afferrava con fermezza per costringerlo a tornare in sè, sia quando lo accarezzavano mentre facevano l'amore. Tooru affondò il viso nel cuscino mentre  le sue dita artigliavano la camicia da notte. Avrebbe tanto voluto sentire una di quelle mani sul suo ventre, avrebbe voluto avere l'occasione di dirglielo, di vedere quegli occhi verdi accendersi ed il suo viso illuminarsi con un sorriso completamente inedito. Quanto era bello il suo Cavaliere quando sorrideva, anche quando lo faceva per prenderlo in giro.

Tobio avrebbe avuto il suo sorriso oltre ai suoi capelli neri?

Tooru sperava solo che avesse il suo cuore.

"Perdonami..." Mormorò asciugandosi le lacrime ed alzandosi dal letto. "Perdonami..."

Non sapeva se lo stava dicendo a suo figlio, al suo Cavaliere o a se stesso.




Non si rivestì, non ce ne era alcun bisogno: era il cuore della notte e non incrociò nessuno lungo i bui corridoi dalle pareti di pietra. Vide la luce filtrare da sotto la porta della camera che era appartenuta a suo padre. Non bussò, non aveva bisogno di chiedere nessun permesso.

Il Re dell'Aquila era seduto dietro alla scrivania vicino ad una delle grandi finestre. Un barlume di sorpresa illuminò il suo viso come Tooru entrò nella sua camera a piedi scalzi, richiuse la porta alle sue spalle e vi appoggiò la schiena. Non disse nulla, non ce n'era alcun bisogno. Wakatoshi si alzò dal suo posto e gli arrivò davanti. Si guardarono per un lungo momento di silenzio, poi il Re dell'Aquila gli sfiorò la guancia ed infilò le sue dita tra i capelli ricciuti sulla nuca. Il bacio che seguì non fu come nessuno di quegli che si erano scambiati: non c'era odio, non c'era violenza. Solo la passione di un giovane uomo per l'oggetto del suo desiderio che, alla fine, era venuto da lui. Quando rimasero senza fiato si allontanarono ed Wakatoshi appoggiò la sua fronte a quella del sovrano più giovane.

"Lo hai ucciso tu?" Domandò Tooru a pochi millimetri dalle sue labbra. "Ho bisogno di saperlo..."

Wakatoshi scosse la testa. "Non stai tradendo nessuno," gli rispose baciandolo ancora. "Non stai tradendo nessuno..."

Tooru chiuse gli occhi e si lasciò condurre sul letto, la bocca del Re dell'Aquila ancora sulla sua, mentre le sue mani ruvide s'infilavano sotto la sua camicia da notte e lo spogliavano con insolita gentilezza. Non si era mai sentito tanto scoperto in vita sua. La prima volta che aveva fatto l'amore con Hajime era stato tutto così naturale che non c'era stato spazio per la vergogna. Quello che stava condividendo con Wakatoshi era qualcosa di completamente diverso. Doveva essere quella sottile differenza che vi era tra l'amore ed il sesso.

Wakatoshi si tolse i vestiti senza staccargli gli occhi di dosso.

Tooru lo guardava e non sapeva cosa provare e, come quel corpo caldo e forte scivolò sul suo, si sentì smarrito come se non avesse mai condiviso il letto con nessuno. "Stai tremando," commentò Wakatoshi baciandolo a fior di labbra. "Hai paura?"

Gli occhi marroni si accesero di colpo. "Di te? Mai..."

E Wakatoshi fece una cosa che non aveva mai fatto: sorrise.

"A cosa pensi?" Domandò Wakatoshi molto più tardi, al sorgere del sole.

Tooru era disteso su un fianco e gli dava le spalle osservando il cielo schiarirsi lentamente fuori dalle grandi finestre. Si era assopito non appena era tutto finito e quando aveva aperto gli occhi, per un attimo, era stato convinto di trovare il suo Cavaliere in piedi ad aspettare l'alba, poi una mano gli aveva stretto il braccio e si era ricordato che era un altro amante quello con cui aveva condiviso la notte.

"Non stai tradendo nessuno..."

Strinse gli occhi, poi sentì Wakatoshi baciargli una spalla. "È stato come ti aspettavi?"

"No..." Ammise Tooru con voce atona. Era vero. Si era aspettato qualcosa di squallido, animalesco, violento e veloce. Il Re dell'Aquila, invece, era stato lento, attento e straordinariamente passionale. Non poteva negare che gli fosse piaciuto e non sapeva se sentirsi fortunato, oppure diabolico. Per un attimo, uno solo, Wakatoshi era stato capace di fargli dimenticare di Hajime, di Tobio e della guerra che si era scatenata intorno a loro per un'ossessione.

"Devo prendere questa notte come la tua scelta definitiva?"

"Ho le mie condizioni..." Mormorò il giovane Re.

Wakatoshi appoggiò ancora le labbra contro la sua spalla. "Ti ascolto..."

Tooru si portò una mano alla pancia. "Tu vuoi me," concluse. "Seijou non ti serve e, se io divento tuo consorte, Shiratorizawa, prima o poi, avrà il suo erede."

Wakatoshi non rispose e passò la punta delle dita lungo il braccio del sovrano più giovane.

"Tobio sarà il mio erede," concluse col tono di chi non ammette obbiezioni. "Mio figlio sarà il Principe di questo Regno e, quando sarà grande, diverrà Re. Io sarò tuo e Seijou sarà sua. Uno scambio equo."

Wakatoshi smise di accarezzargli il braccio. Sembrò rifletterci per un po', poi gli diede ancora un bacio sulla spalla. "Come desideri, mio signore."




Koushi entrò nella sua camera sul piede di guerra.

Tooru era di nuovo a letto con la testa che gli scoppiava e gli lanciò un'occhiata storta per tutto il caos che stava provocando.

"Una lettera!" Esclamò Koushi adirato sventolando un foglio di carta su cui il giovane Demone aveva scritto di suo pugno. "Dormo nella stanza accanto alla tua e lo vengo a sapere da una lettera!"

Tooru alzò gli occhi al cielo, poi afferrò uno dei cuscini e se lo premette sopra la testa.

"Tooru!"

Il giovane Re sentì il materasso abbassarsi sotto il peso dell'Arciere. "Tooru!" Koushi gli strappò il cuscino di dosso e l'altro non fece molta resistenza.

"Koushi!" Si lagnò tirandosi le lenzuola fin sopra la testa. "Non sto bene, lasciami in pace..."

"No, non stai bene," convenne Koushi. "Non stai bene per niente per scrivere una cosa del genere e metterci anche il sigillo della casa reale di Seijou in fondo."

Dalla stanza accanto, Shouyou cominciò ad urlare a pieni polmoni.

Koushi si fece immobile

Tooru continuò a guardare dalla parte opposta aspettando che se ne andasse. L'Arciere uscì dalla camera e, pochi istanti più tardi genitor, il bambino si era già calmato, le sue urla sostituite dalla dolce voce del giovane genitore. "Shhh... Va tutto bene, amore mio, va tutto bene..." Imperterrito, Koushi tornò sui suoi passi con un fagottino nero stretto al petto. Sospirò, si sedette sulla poltrona accanto al letto del sovrano e continuò a guardare Tooru in faccia, sebbene l'altro facesse di tutto per evitare il suo sguardo.

"Perchè?" Domandò con voce più calma. "Dopo tutto quello che abbiamo passato... Pensavo volessi combattere."

"Lo sto facendo," ammise Tooru mettendosi a sedere contro cuscini ed incrociando lo sguardo dorato del consorte reale di Karasuno. "Combatterò ogni giorno, fino a che non vedrò suo figlio divenire Re." Si portò entrambe le mani in grembo. "Sei un genitore, Koushi. Sai come funziona... Il loro bene prima del nostro."

Koushi non rispose, abbassò gli occhi su Shouyou che giocava tranquillamente con il suo indice. "Un consorte per Shiratorizawa ed un Regno per il Principe Demone."

"Ho dato ordine di mandare un messaggero fuori dalla Capitale," lo informò Tooru. "Non appena i miei uomini ed i tuoi riceveranno la mia lettera, la guerra sarà finita. Se c'è qualche speranza per Daichi, stai pur certo che gli garantiremo tutte le cure necessarie."

Koushi strinse le labbra ed annuì. "Tooru..."

"Non è una resa, Koushi," lo rassicurò Tooru con fermezza. "Ci arrendiamo solo quando pieghiamo la testa e, stanne certo, che sia su di un campo di battaglia o accanto al suo trono, non ho alcuna intenzione di perdere."

 
***



Daichi aveva resistito per giorni. Aveva resistito per più tempo di quanto fosse umano.

L'avevano colpito all'addome e se non fossero intervenuti subito sull'emoraggia, sarebbe morto per la veloce perdita di sangue. Avevano dovuto cauterizzare la ferita con un tizzone ardente e non era stato un bello spettaccolo a cui assistere. Asahi aveva visto tutto dal momento in cui era caduto a quello in cui gli avevano prestato i primi soccorsi. Era stato lui a riportarlo al campo ma non aveva visto chi lo aveva colpito.

Per il futuro Primo Cavaliere era stata un'esperienza insopportabile.

Non appena Daichi aveva perso i sensi, dopo tutte le urla ed il dolore lacerante, era uscito fuori dalla tenda con passo strascicato affidandolo alle amorevoli cure di Yui. Solo Yuu se ne era accorto e lo aveva seguito nel folto del bosco dove sapeva che non lo avrebbe visto nessuno. Il compagno aveva continuato a chiamare il suo nome e lui aveva continuato a camminare, fino a che le lacrime non erano divenute accecanti e le ginocchia non lo avevano sorretto oltre.

Yuu lo aveva stretto a sè e l'aveva fatto piangere contro il suo petto.

Asahi gli affidò il suo cuore, quella notte, e l'altro se ne prese cura con gentilezza. Da quel maledetto giorno, non avevano più passato una notte separati.

"Ehi..." Yuu si chinò su di lui, gli scostò via dal viso i lunghi capelli scuri e gli baciò una guancia. "Sei sveglio?"

Le voci del campo lo avevano svegliato da un po', a dire il vero.

Il Cavaliere si girò sulla schiena stancamente. "Dov'eri?" Chiese gentilmente. "Quando mi sono svegliato non c'eri."

"Sono andato a vedere se Yui aveva bisogno di qualcosa," disse con voce amara. "Hayato le ha dato il cambio. Poi sono passato nella tenda dei feriti per andare a trovare Ryuu... Amoreggia con Kiyoko e lei non lo ha ancora picchiato a sangue; o ha pietà di lui perchè sono mesi che non riesce a stare intero per più di tre giorni di seguito o, forse, è lui quello fortunato..."

Asahi sospirò, appoggiò un braccio contro la fronte e guardò il più giovane con aria stanca. "Tu non ti senti fortunato?"

Yuu sorrise. Non il sorriso aperto e brillante che mostrava al mondo, un sorriso quieto, dolce... "Io sono felice, è diverso."

"Daichi?"

Lo sguardo di Yuu si oscurò appena. "Ha passato un'altra notte," lo rassicurò. "Il nostro Re è forte. Dobbiamo avere fiducia in lui..."

Passarono alcuni minuti di silenzio in cui entrambi godettero semplicemente della vicinanza l'uno dell'altro.

"È finita!" Urlò qualcuno fuori dalla tenda. "La guerra è finita!"

Entrambi scattarono a sedere. Si guardarono increduli. "Era Shinji!" Esclamò Yuu uscendo dalla tenda per primo.




"La guerra è finita!" Urlò il giovane Arciere correndo in direzione dei suoi compagni. Issei e Takahiro furono i primi a saltare in piedi.

"Il Re Demone ha intenzione di firmare la pace con il Re dell'Aquila!" Proseguì Shinji, poi si piegò in avanti cercando di riprendere fiato. I Cavalieri di Seijou non sembravano credere alle proprie orecchie. "Fammi vedere quella lettera!" Sbottò Issei staccandosi dal gruppo.

Takahiro gli era dietro.

"Non è possibile..." Mormorò quest'ultimo puntando gli occhi sul familiare sigillo posto a firma della missiva.




"Daichi..." Mormorò Yui dolcemente con le lacrime agli occhi. Afferrò una delle mani del giovane Re e se la portò alle labbra. "Daichi, è tutto finito. Mi hai sentito? La guerra è finita..."

Hayato assisteva alla scena con discrezione da un angolo della tenda reale.

Daichi si mosse a stento prendendo un respiro profondo che, per lui, fu più doloroso della febbre che gli faceva scoppiare la testa da giorni. "Koushi..." Fu tutto ciò che uscì da quelle labbra. Il sorriso di Yui cedette per un attimo, poi tornò ma aveva perso tutta la sua sincerità. "Sì, Daichi," lo rassicurò passandogli una mano tra i capelli umidi di sudore. "Presto sarai di nuovo con Koushi, lo prometto."

 
***




Pochi giorni dopo il diciassettesimo compleanno del Re Demone, a poco meno di un mese dalla morte di Hajime Iwaizumi e della nascita del Principe ereditario del Regno di Karasuno, la guerra tra Shiratorizawa ed i tre Regni alleati si concluse.

Tutti i soldati furono invitati ad abbandonare le armi e solo allora le porte della Capitale di Seijou si aprirono per i suoi figli e per i loro compagni stranieri.

Doveva essere un giorno di festa.

Non furono raccontate grandi storie o cantate canzoni, quel giorno.

Il sovrano del Regno di Nekoma venne liberato insiema ai suoi Cavalieri. Quello fu il primo giorno che Tooru vide Kenma sorridere, prima di correre tra le braccia del suo Re. Tetsuro ricambiò la stretta con un gran sospiro liberatorio. Era malconcio ma si reggeva sulle sue gambe.

I suoi occhi felini cercarono quelli del Re Demone un istante più tardi, Tooru gli sorrise ma non si dissero nulla. I Cavalieri di Karasuno entrarono nel cortile interno del Castello Nero un istante più tardi, trasportando con urgenza una barella su cui Tooru riconobbe immediatamente esserci un altro Re che conosceva bene.

"Daichi!" Esclamò arrivandogli accanto.

Il giovane sovrano era a stento cosciente e alzò la mano come per cercarlo. "Tooru...?"

Il Demone l'afferrò. "Daichi, resisti! Sei al sicuro, ora! È tutto finito e si prenderanno cura di te, lo prometto!"

"Koushi..." Mormorò Daichi. "Koushi..."

"Lo porterò da te!" Esclamò Tooru, mentre le loro mani si separavano e la barella veniva trasportata all'interno dell'edificio principale. "Resisti, Daichi! Te lo prometto, io..."

Daichi non rimase cosciente abbastanza a lungo per sentire oltre.




Fu il pianto di un neonato a strappare il Re di Karasuno al sonno e, per un attimo, credette che si trattasse solo di un sogno, un'altra di quelle visioni deliranti in cui poteva riabbracciare Koushi ed entrambi vegliavano sul sonno del loro bambino. Un figlio che non era ancora nato.

Eppure, quella vocina era vigorosa, insistente, come se volesse strapparlo definitamente dall'oblio di incubi e semi-coscienza in cui era caduto per giorni che a lui erano sembrati un'agonizzante eternità.

"Shhh..."

E quel sussurro.

"Abbi fiducia, amore mio. Crediamo in tuo padre e lui tornerà presto da noi, ne sono certo..."

"Koushi..." Pronunciò il suo nome prima che riuscisse ad aprire gli occhi ma quando le iridi scure del giovane Re comparvero da sotto le palpebre pesanti, altre due dalle sfumature dorate erano pronte ad accoglierlo con emozione impossibile da contenere. Koushi gli parve bello come non lo era mai stato, anche col viso pallido e stanco e le guance già umide di lacrime.

"Daichi," il sorriso che gli regalò era tra i più luminosi che gli avesse mai rivolto e, per un momento, al giovane Re parve di vederlo ancora in quel castello in riva al mare mentre gli prendeva la mano con emozione e se la portava in grembo rivelandogli il dolce segreto che vi cresceva dentro. Fu allora che il piccolo Principe tra le braccia di Koushi pretese di nuovo l'attenzione del genitore su di sè e gli occhi dorati si staccarono dal viso del Re, illuminandosi di una luce che Daichi non aveva mai visto ma pensò che fosse meravigliosa.

Si accorse solo allora del fagotto nero che il consorte stringeva tra le braccia e, di colpo, tutto il dolore che il suo corpo aveva dovuto sopportare e tutta la sofferenza che quella guerra aveva inflitto al suo animo sparirono come se non fossero mai esistiti. Cercò di sedersi contro i cuscini del letto in cui lo avevano deposto e Koushi si avvicinò a lui lentamente, continuando a parlare alla creatura tra le sue braccia. "Buono, mio Principe, c'è qualcuno che vuole conoscervi."

Depose quel dolce fardello sul petto di Daichi, stando ben attento ad evitare le fasciature sul suo addome. Il giovane Re portò una mano sulla piccola schiena ed un'altra sulla testolina ricoperta di capelli ribelli del colore incredibile. Il bambino si accocolò contro la sua spalla e lo fissò con i grandi occhi curiosi, la piccola bocca a cuore appena imbronciata.

Il Re di Karasuno guardò il viso di suo figlio per la prima volta e vide tutto ciò che aveva sempre sognato.

Gli occhi scuri si alzarono su quelli dorati di Koushi. "Ti amo..." Furono le prime parole che gli disse, dopo mesi di sofferente separazione. "Ti amo..."

Koushi sgranò gli occhi, poi sorrise e pianse, colto una felicità totalizzante. "Anche io..." Mormorò e si chinò sul suo Re per poterlo baciare.

Le loro dita s'intrecciarono sul cuore del loro bambino e Shouyou si addormentò dolcemente cullato dalla presenza di entrambi i suoi genitori.




Tooru prese un respiro profondo e si voltò a guardare i due Cavaliere che aveva fatto convocare nella loro camera da letto. "E questo è tutto," concluse a testa alta. "Provate rabbia, se volete ma non provate vergogna perchè questa non è una sconfitta per Seijou, è solo la promessa e la speranza per un futuro migliore... Solo... Non attraverso me..."

Issei e Takahiro lo fissavano ammutoliti, allibiti.

"Confido che manteniate il segreto ancora per un po'," aggiunse il giovane sovrano. "Vi ho confidato ogni cosa perchè siete cresciuti al suo fianco, esattamente come me. Si fidava di voi e condivido tale sentimento."

C'era emozione negli occhi dei due Cavalieri ma Tooru cercò di non farsi coinvolgere. Rivolse loro uno di quei falsi sorrisi che Hajime odiava tanto e sperò che, ovunque fosse, potesse perdonarlo perchè non riusciva a fare di meglio. Si appoggiò una mano in grembo e prese un respiro profondo. "Devo farvi una richiesta ma non come Re, è solo Tooru che vi parla in questo momento... Vi prego, siate leali a lui come lo siete stati a suo padre. Raccontategli che uomo era, come è divenuto Cavaliere e come si è dimostrato di essere degno del suo titolo con coraggio e devozione non solo nei cofronti del suo signore, ma anche dei compagni al suo fianco sul campo di battaglia."

Una pausa.

"Vi prego..."

Takahiro ed Issei non si guardarono e non esitarono un istante.

Premettero il pugno destro contro il petto, sopra il cuore e s'inginocchiarono a terra.

"Lo giuro," dissero insieme.
 

***



Venne deciso che la pace tra Shiratorizawa ed i Regni alleati, insieme all'unione ufficiale tra il primo ed il Regno di Seijou, si sarebbe firmata tre giorni più tardi.




"Ma... Quei capelli?" Fu l'unico commento di Ryuu quando la coppia reale di Karasuno invitò tutti i loro amici più intimi a conoscere il nuovo Principe dei Corvi. Sua sorella gli diede una sonora manata sul retro del capo invitandolo a tacere.

"Sono fantastici!" Esclamò Yuu, l'unico che aveva chiesto ed ottenuto di prendere in braccio il piccolo Shouyou. "Ciao piccolino! Lo sai che sei una bellezza?" Il bimbo lo guardò con gli occhi lucenti di curiosità e Koushi sorrise intenerito. "Gli piaci..." Rispose il giovane genitore seduto sul bordo del letto in cui ancora giaceva il loro Re. Questo però non impediva a Daichi di guardarli tutti con fare minaccioso, nel qual caso uno di loro avesse deciso di fare qualche scherzetto che avrebbe finito solo col far piangere il bambino. Motivo per cui Asahi si era messo democraticamente da una parte, limitandosi a congratularsi di cuore con Koushi ed osservando il Principe da distanza.

"Sì, ma... I capelli?" Domandò ancora una volta Ryuu.

Saeko alzò gli occhi al cielo e lo colpì di nuovo. "E smettila, Ryuu-chan!" Esclamò esasperata.

Kiyoko si avvicinò a Koushi con discrezione. "È un bellissimo bambino," gli disse con gentilezza. L'Arciere le sorrise. "Ti ringrazio."

"Quando lo saprà il vostro Maestro!" Esclamò il Generale Ukai seduto su di una poltrona vicino al letto del giovane Re. "Che nessuno provi a spedirgli un messaggio prima che arrivi qui e veda il Principe di persona, potrebbe avere una crisi di panico solo pensando a Koushi da solo in una situazione come quella che ha vissuto!"

L'Arciere lo guardò sorridendo. "Sto bene, Generale, sul serio. Non ero solo come pensate, c'erano Tooru e Kenma con me," alzò una mano per sfiorare una guancia morbida del suo bambino ancora perfettamente a suo agio tra le braccia di Yuu, "se non fosse stato per loro, non so come avrei fatto a dare alla luce Shouyou."

"Avrei voluto ringraziarli entrambi di persona," disse Daichi. "Tooru, però, non è ancora venuto a trovarmi," non lo disse con aria offesa ma con quella triste di chi comprende perfettamente il dolore di qualcun altro.

Ryuu scrollò le spalle. "Sarà impegnato con i preparativi per il grande giorno..."

"Forse, è impegnato a dimenticare," intervenne Asahi di colpo e Yuu annuì.

Il Generale Ukai si alzò in piedi con un sospiro. "Mizoguchi ha avuto una crisi di panico quando ha saputo che quel Cavaliere era caduto in battaglia. Una vera tragedia, se mi posso permettere."

Daichi annuì. "Sono certo di averlo sentito chiamare il mio nome, prima che Asahi venisse a soccorrermi..."

"È successo tutto molto velocemente," ricordò il Cavaliere con aria funerea. "Non l'ho visto cadere. Nessuno di noi c'è riuscito. Ricordo solo che Issei e Takahiro si sono voltati e hanno trovato la sua spada conficcata a terra, sul ciglio del dirupo... Di Hajime nessuna traccia."

"Tooru mi ha detto che sono cresciuti insieme," disse Koushi.

"In effetti," intervenne Ryuu incrociando le braccia contro il petto. "Non sono più stati gli stessi dopo quel giorno."

"È naturale..." Commentò Yuu guardando il bambino tra le sue braccia come se avesse bisogno d'impegnare la mente con l'immagine di qualcosa di bello. "Se accadesse ad uno chiunque di noi e nessuno fosse in grado di fare nulla, non credo che saremmo più noi stessi."

Shouyou scoppiò a piangere di colpo facendoli sobbalzare tutti: Asahi si era avvicinato al giovane compagno e, così facendo, era comparso nel campo visivo del bambino, spaventandolo. Daichi non perse tempo a lanciare al suo Cavaliere un'occhiata glaciale per cui Asahi cercò di farsi piccolo piccolo scusandosi a raffica. Koushi fu l'unico a mantenere la calma. Sorrise, prese il piccolo Principe tra le braccia e lo strinse contro il petto. "No, Shouyou, non aver paua..." Mormorò affondando il naso tra quei ciuffetti ribelli. "Le persone in questa stanza ti vogliono tutte un gran bene, lo sai?"

Shouyou piagnucolò ancora un po' accocolandosi contro il petto del giovane genitore e Koushi continuò a cullarlo con dolcezza innata.

"Sei così bravo..." Commentò Ryuu avvicinandosi un poco.

"Oh, se è stato capace di prendersi cura di voi piaghe," disse Saeko facendo l'occhiolino al giovane Arciere.

"Dov'è Yui?" Chiese Daichi di colpo.

Koushi si voltò a guardarlo spaesato. "Yui è qui?"

"Sì, ha vegliato su di me mentre ero ferito," gli raccontò il giovane Re.

"Oh..." Fu tutto ciò che disse Koushi con aria colpevole e questo fu sufficiente perchè Daichi si guadagnasse un'occhiata storta dal Generale, da Saeko e da Kiyoko. Gli occhi scuri ricambiarono l'occhiata un po' intimoriti ed un po' confusi. "Che ho detto?" Domandò. "Volevo solo presentarle nostro figlio. Hayato mi ha assicurato che l'avrebbe fatta chiamare."

Koushi forzò un sorriso. "Più tardi posso cercarla e portare Shouyou con me," propose. "Le dico anche di venire da te e..."

Bussarono alla porta e Daichi diede il permesso di entrare. Gli occhi felini di Kenma cercarono quelli dorati di Koushi non appena mise piede nella camera da letto. "Tooru vuole parlarti," disse con voce atona.

Koushi annuì immediatamente e consegnò il fagottino nero al suo Re. Shouyou protestò immediatamente del cambiamento e Daichi rivolse subito al compagno uno sguardo tra il terrorizzato ed il supplicante. Yuu e Ryuu dovettero mordersi con violenza l'interno bocca per non scoppiare a ridere. "Buono, Shouyou," disse Koushi dolcemente, invitando il compagno a tenere il bambino stretto contro il petto. "È papà, va tutto bene."

Sebbene gli occhi del bambino non avessero ancora lasciato quelli di Koushi, l'Arciere decise di allontanarsi non appena si fu calmato e Daichi si sentì abbastanza sicuro da sorridere di nuovo. "Non sono ancora abituato," ammise.

"Non hai molto tempo da recuperare, non preoccuparti," gli disse Koushi. Daichi lo guardò e basta, innamorandosi ancora una volta di tutti i piccoli cambiamenti che si erano verificati sul suo viso, nelle sfumature delle sue espressioni e dei suoi occhi da quando era nato il loro bambino. Pensò al ragazzino dallo sguardo triste con il fiore blu in mano, mentre il calore della pira funebre si portava via tutto ciò che il se stesso bambino aveva amato.

Koushi si voltò ed uscì dalla stanza con la stessa grazia con cui si era allontanato da lui quel giorno. Il giovane Re abbassò lo sguardo e rivide sul viso di suo figlio un'eco di quell'ultimo ricordo della sua infanzia. Shouyou ricambiò lo sguardo e, per la prima volta, Daichi non ebbe paura di porsi al giudizio di quegli occhi grandi ancora incolori ma, ne era certo, molto presto sarebbe divenuti dorati. "Abbiamo volato più in alto di quanto avessimo mai sperato..." Mormorò con sguardò innamorato, mentre prendeva una di quelle manine minuscole tra le dita e suo figlio avvolgeva le sue intorno al suo indice con fiducia.

Solo Shouyou udì quelle parole.

 
***



"Non ho capito," disse Koushi con espressione dura.

Tooru sospirò stancamente. "Hai capito benissimo, invece," replicò. "Ho bisogno di due testimoni che sottofirmino quell'alleanza ufficiale e so che Daichi non sarà in piedi fra due giorni. Sei il suo consorte, puoi fare le sue veci."

"Non ho intenzione di farlo," concluse Koushi con espressione seria. "Posso comprenderti. Posso appoggiarti ma non chiedermi di mettere il mio nome sul contratto che ti rovinerà la vita."

"Salverà quella della mia gente, però," gli ricordò Tooru. "Quella di mio figlio."

Koushi lo studiò per una manciata di secondi, poi sospirò a sua volta. Si arrese.

Tooru sorrise. Un sorriso forzato. Un sorriso che nascondeva tante lacrime e tanti rimpianti a cui, lo sapevano entrambi, se ne sarebbero dovuti aggiungere tanti altri ancora. "Questa non è una fiaba, Koushi," disse. "Ho passato tutta la vita ad immaginare che la mia vita lo sarebbe stata, che, dopo una serie di clamorose imprese, avrei ottenuto il mio lieto fine." Scosse la testa. "Penso che tutto dipenda da dove si decide di mettere la conclusione. La fine di una vita non è mai lieta, dopotutto e la mia sarebbe dovuta finire la notte in cui sono divenuto Re e a stringimi ci furono le braccia del giovane per cui ho rinunciato a tutto. Ho perso la mia occasione... Tobio non perderà la sua."

Si guardarono negli occhi ancora una volta. "Sarai il mio testimone tra due giorni?" Domandò il Re Demone ancora una volta.

Koushi chiuse gli occhi per un istante, poi annuì. "Sì, mio signore."

 
***


Tooru non poteva saperlo ma Wakatoshi lo aspettava ogni notte per ore, prima di addormentarsi con ancora tutti i vestiti del giorno addosso. Tooru, però, dopo quella prima notte di passione che gli aveva concesso, non era più tornato da lui. Il Re dell'Aquila non poteva negare di sentirsi contrariato di fronte ad una simile reazione e, sebbene fosse tutto meno che un ingenuo o uno stupido, l'idea che il più giovane si fosse concesso solo per ottenere il trono di Seijou per suo figlio, lo irritava oltre ogni modo.

Cenarono insieme la notte prima della firma della loro alleanza.

Non si dissero una parola e Tooru fu particolarmente bravo ad evitare il suo sguardo per tutto il tempo.

"Sei pallido," commentò il Re dell'Aquila alzandosi.

Il giovane Demone gli rivolse un sorriso cortese del tutto simulato. "Il bambino m'indebolisce, mio signore," spiegò.

"Non ricordo che Koushi fosse così debole quando era nelle tue condizioni," aggiunse Wakatoshi esaurendo la distanza tra loro ed arrivandogli accanto. Anche allora Tooru continuò ad ignorarlo.

"Kenma dice che ogni gravidanza è a sè," rispose Tooru prendendo un sorso d'acqua e sospirando con aria stanca. "Questo bambino non sarebbe mai dovuto essere concepito: è naturale che mi dia da fare più del normale, dopotutto."

Il Re dell'Aquila annuì, poi passò le dita sul retro del collo del giovane sovrano. "Non sei più venuto nella mia camera..."

"Ho bisogno di riposare, mio signore."

"Resta con me, questa notte."

Tooru lo guardò perchè, per la prima volta da quando erano costretti a condividere lo stesso castello, il suo nemico non gli domandava qualcosa con lo stesso tono con cui avrebbe impartito un ordine ad uno qualunque dei suoi Cavalieri. "No," disse serio di colpo: la prima espressione spontanea da giorni. "Non posso, Wakatoshi."

"Non ti chiederò nulla, se non ti senti in forze."

"Non è questo," ammise Tooru alzandosi dal suo posto e guardando l'altro Re dritto negli occhi. "Sarò tuo fino alla fine dei miei giorni, a partire da domani," gli ricordò. "Quest'ultima notte ho bisogno di passarla nel mio letto, in compagnia del padre di mio figlio."

Wakatoshi non sembrò comprenderlo. "Ti aspetta un letto vuoto. Lo sai questo, vero?"

"Ci sono i ricordi di tutta la mia vita in quella stanza," continuò Tooru con fare malinconico. "Ho bisogno di dirgli addio a modo mio."

Il Re dell'Aquila annuì e non insistette oltre.

Lo riaccompagnò nei suoi appartamenti privati e, come un signore che si rispetti, fu fedele alla parola data e lo lasciò solo un'ultima volta.

Tooru si richiuse la porta della camera da letto con un sospiro profondo: era da poco calato il sole e ne sarebbero dovute passare di ore, prima che il cielo all'orizzonte si fosse rischiarato con i colori dell'aurora. Sapeva che sarebbe state ore terribili, agonizzanti e sapeva di aver mentito quando aveva detto che aveva bisogno di dire addio a quella stanza: sarebbe voluto fuggire via da quelle quattro mura. Sarebbe voluto andare dove i ricordi non avrebbero potuto raggiungerlo perchè solo allora, forse, il cuore avrebbe smesso di dolergli in quel modo e, forse, il suo bambino si sarebbe deciso a dargli un po' di pace.

Il suo piccolo Tobio...

Tooru sapeva che poteva sentire tutto il dolore che gli stringeva il petto come se fosse suo e sapeva che era inutile accarezzarsi la pancia e ripetere tra le lacrime che sarebbe andato tutto bene, quando non lo credeva. Non era stato capace di proteggere Hajime da un destino orribile ed ora non riusciva nemmeno a difendere il loro bambino dai fantasmi del passato che tormentavano il suo animo. In conclusione, non era abbastanza forte come Re, non era abbastanza forte come compagno e non riusciva ad esserlo nemmeno come genitore.

Scacciò con rabbia alcune lacrime che gli avevano rigato le guance. Guardò il proprio letto e vi vide steso sopra il completo bianco dal mantello violaceo che Wakatoshi aveva fatto confezionare appositamente per lui, per il giorno della loro unione. Su quel letto aveva passato la maggior parte delle notti della sua infanzia a dormire con Hajime, su quel letto il suo Cavaliere lo aveva amato per la prima volta e per molte altre che erano seguite.

Si voltò, aprì la porta, uscì e la richiuse: non sapeva dove fosse Hajime ma si rese conto, infine, che non lo avrebbe trovato tra quelle quattro mura, non aveva importanza con quanta disperazione il suo cuore avrebbe continuato a cercare.

Il corridoio dei suoi appartamenti privati era buio e deserto. Koushi si era trasferito con il bambino negli alloggi che erano stati riservati a Daichi, Kenma aveva seguito Tetsuro nei suoi. In quella fatidica notte, Tooru era rimasto completamente, inevitabilmente da solo.

Prese a scendere le scale lentamente: non aveva una meta, avrebbe anche potuto vagare per il Castello Nero tutta la notte, l'ultima che avrebbe passato nella sua casa, tra le mura che l'avevano fatto sentire a tratti prigionieri e a tratti protetto. Sapeva che, una volta varcato quel cancello al fianco del Re dell'Aquila, non avrebbe più fatto ritorno. Wakatoshi, probabilmente, non glielo avrebbe mai negato ma Tooru non avrebbe mai avuto il cuore di farlo. Al Castello Nero avrebbe seppellito il suo cuore, i suoi ricordi e, sì, anche Hajime... Hajime, di cui non era rimasto nemmeno un corpo su cui piangere, nè una tomba con cui commemorarlo. Vi era solo quella piccola vita che, con caparbietà, era sbocciata dentro di lui, nonostante nemmeno loro non vi sperassero più.

Sì, Tooru si sarebbe lasciato tutto alle spalle.

Dopo, ci sarebbe stato solo Tobio...

Il rumore di passi in fondo alle scale lo prese di sorpresa. Alzò gli occhi marroni dai gradini di  marmo, su cui erano rimasti fissi senza realmente vederli, quasi distrattamente. Il suo cuore smise di battere in un istante.

Era strano... Ridicolo, quasi.

Ogni momento decisivo della sua vita era avvenuto proprio lì, lungo quella scalinata che aveva sempre funto da passaggio tra il suo mondo, quello che aveva sempre condiviso con il suo compagno di giochi, e quello reale, quello in cui il suo Cavaliere era sempre rimasto al suo fianco.

Per questo, per un momento, Tooru pensò che la sua fosse semplice soggezione, che fosse la follia provocata dal dolore e dalle continue notti insonni passate a piangere un amore che gli era stato strappato dalle braccia con violenza.

Il Cavaliere di fronte a lui, però, gli sorrise e fu troppo bello perchè potesse essere solo un'illusione. Se lo fosse stato, se si fosse svegliato in quel preciso momento, mentre il giovane saliva i pochi gradini che li dividevano, Tooru era certo che il suo cuore non avrebbe retto l'urto.

Gli occhi verdi lo guardavano con una dolcezza che non era comune in quello sguardo ed il giovane Re si sorprese incapace di respirare. Il Cavaliere gli porse la mano e quel gesto, per Tooru, fu la conferma che poteva vivere ancora. Sollevò la propria e fece scivolare le dita sul palmo caldo, fino a che quelle dell'altro non lo afferrarono con dolce fermezza.

"Tooru..."

Il giovane Re sentì il cuore riprendere a battere velocemente ed il respiro farsi veloce e affaticato, come se lo avesse trattenuto fino a non poterne più. Riuscì a sorridere solo quando le lacrime gli rigarono le guance. Un sorriso sincero come credeva non ne avrebbe fatti mai più. "Hajime..."

La mano del suo Cavaliere scivolò sulla sua guancia, sul retro del suo collo e s'infilò tra i suoi capelli, mentre lo trasciava verso di sè. Ebbe il sapore del loro primo bacio ma non ebbe quello amaro del dolore, bensì quello totalizzante di una felicità che non si era mai creduto capace di poter vivere ancora. Tooru si sentì mancare, si aggrappò alle braccia di Hajime con quelle poche forze che aveva ma il Cavaliere tornò immediatamente in sè e lo sorresse fino a che entrambi non si ritrovarono seduti sui gradini di marmo. Gli occhi verdi erano tinti di preoccupazione ma quelli grandi e lucidi del giovane Re non sembravano riflettere alcun timore.

"Tooru..." Chiamò Hajime accarezzandogli il viso, tirando indietro i capelli e guardandolo come se fosse la causa della sua sofferenza. Lo era, avrebbe voluto gridare Tooru. Era colpevole di essere morto ed averlo ucciso dentro. Era colpevole di averlo lasciato solo per poi afferrarlo ad un passo dal baratro. Era crudele, il suo Cavaliere, per giocare con la sua vita tanto liberamente e spossando un cuore che a fatica riusciva a battere per sè e la creatura che portava in grembo.

Tooru, però, non riuscì a pensare a Tobio in quel momento. Non riuscì a pensare a quanto si era disperato all'idea che non avrebbe mai potuto dire a Hajime che aspettavano un bambino. No, prima di poter condividere una simile felicità con il suo Cavaliere, doveva prima rimettere insieme i pezzi del suo cuore distrutto.

Toccò il viso di Hajime con mani tremanti, passò le dita tra i suoi capelli neri. Lo strinse a sè con disperazione e lo baciò ancora, ancora e ancora.

E, quando varcarono insieme quella porta, quella camera da letto non gli parve più una tomba vuota da cui fuggire ed in cui rinchiudere una felicità perduta ed impossibile da recuperare. I vestiti di entrambi scivolarono via dai loro corpi, lasciando che il calore della loro pelle fosse sufficiente a riscaldarli entrambi. Tooru aveva bisogno di quel calore più dell'aria, più dello stesso cuore che gli batteva nel petto. Il completo bianco ed il mantello violaceo finirono a terra senza che nessuno dei due se ne rendesse conto.

Era un'eccitazione disperata la loro, quella di due anime ad un passo dalla morte che lottavano per imanere in vita ed altrettanto disperata fu la passione che consumarono tra quelle lenzuola. Non smisero di baciarsi neanche per un istante, come se avessero bisogno l'uno del respiro dell'altro. Le lacrime continuarono a scendere sul viso di Tooru e Hajime continuò ad asciugarle con dolcezza, una carezza dopo l'altra. "Stringimi..." Lo implorò Tooru con occhi tristi. "Stringimi, Hajime... Stringimi..."

Hajime appoggiò la fronte sulla sua. "Sono qui, Tooru. Sono qui..."




Come il piacere raggiunse il suo apice e sfumò via lentamente, inesorabilmente, Tooru si chiese con che coraggio aveva sperato di poter vivere senza quelle emozioni. Hajime era ancora sopra di lui, dentro di lui e Tooru sentiva quel corpo forte tremare appena contro il suo, mentre i muscoli si rilassavano ed il cuore riprendeva un battito regolare.

Tooru gli appoggiò una mano sul petto, come tante volte aveva sognato di fare in quelle notti disperate in sola compagnia di un bambino non ancora nato e già condannato a crescere senza padre. Il silenzio nella stanza era interrotto solo dal rumore soffice dei loro respiri che si confondevano. Hajime lo osservava sollevato sui gomiti, gli occhi verdi limpidi ed un sorriso meraviglioso ad illuminargli il viso. Le sue dita continuavano a toccare il viso del giovane Demone sotto di lui e Tooru si sentì amato, adorato, completo...

... Colpevole.

"Ti ho tradito..." Quelle parole gli sfuggirono dalle labbra in poco più di un sussurro.

La luce sparì dagli occhi verdi del suo Cavalieri ed altrettanto velocemente morì il suo sorriso. Tooru sentì il cuore crinarsi ancora una volta ma non aveva mai pensato nemmeno per un istante di mentire... C'erano già state troppe cose ingiuste tra loro, senza che la menzogna riuscisse a trovare il suo spazio.

Tooru chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore come Hajime si allontanò da lui, il suo calore lo lasciò indifeso contro l'aria fredda della notte ma non fece nulla per trattenerlo. Non ne aveva il diritto. S'impose di non piangere, di rimanere lucido abbastanza per poter dare tutte le spiegazioni che il suo Cavalieri avrebbe avuto il diritto di pretendere.

Hajime, però, rimase in silenzio, seduto sul bordo del letto.

Tooru non poteva vedere il suo viso e, forse, fu grato per questo: non era certo che avrebbe sopportato l'immagine del dolore che era stato lui stesso a provocare. Sapeva che Hajime aveva compreso il significato delle sue parole, non avrebbe avuto tanta urgenza di pronunciarle altrimenti. Tooru si mise a sedere e cercò d'ignorare il calore umido che sentì tra le gambe, la prova concreta di un amore di cui non si sentiva degno.

"Mi avevano detto che eri morto," Tooru non voleva giustificarsi dato che era lui il primo a non riuscirlo a fare con se stesso ma doveva spiegare, doveva cercare di far vedere a Hajime come era stato il suo mondo senza di lui e l'unico modo in cui era riuscito a dipingere il suo futuro da solo. "Perso te, tutto quello che mi rimaneva era Seijou e, per un attimo, ho anche pensato che non m'importava, che poteva anche bruciare ma... Non era giusto, Hajime. Dovevo fare qualcosa. Koushi aveva appena avuto il suo bambino e non potevo mettere a rischio la loro vita per una vendetta che ci avrebbe condannati tutti a morte. Il Re dell'Aquila mi ha dato una seconda possibilità e l'ho sfruttata."

Tooru vide il Cavaliere artigliare le lenzuola ma non disse una parola.

"È successo solo una volta," si trovò in dovere di aggiungere. "Secondo i piani, domani dovrei divenire il suo consorte e allora..."

Hajime si alzò in piedi e Tooru smise di parlare. Il Cavaliere si avvicinò alla finestra da cui era solito aspettare il sorgere del sole ma il giovane Re non si sentì rassicurato da tanta familiarità. Il silenzio divenne eterno, pesante e Tooru si sentì soffocare. artigliò le lenzuola con entrambe le mani e, mentre le lacrime gli rigavano le guance ancora una volta, cercò in sè la forza di alzarsi, di correre dal suo Cavaliere e di stringerlo mentre implorava il suo perdono.

"Ti amo..."

Ma, ancora una volta, Hajime fu più forte di lui.

Tooru non disse nulla, incapace di capire se avesse udito bene o se fosse tutto un crudele gioco della sua mente attanagliata dal senso di colpa.

"Mentre cadevo nel vuoto ed ero certo di non avere scampo, tutto quello a cui sono riuscito a pensare era il tuo viso... Il tuo viso che s'illumina quando mi guardi con quel sorriso sincero. È stata l'ultima immagine che ho visto, prima di perdere i sensi. Quando mi sono risvegliato... Quando ho capito di non essere morto, ho giurato che avrei fatto tutto per poter rivedere quel sorriso."

"Hajime..." Tooru singhiozzò.

"Ti amo, Tooru," gli occhi del suo Cavaliere non erano mai stati tanto verdi come in quel momento. "A questo punto della storia, qualunque cosa accada, o ci sei tu o c'è la morte per me."

"Hajime..." Tooru non era capace di fare altro che pronunciare il suo nome ma c'era ancora qualcosa che doveva confessare, qualcosa che aveva desiderato poter dire al suo Cavaliere per tanto tempo. Sorrise. Quel sorriso sincero per cui Hajime aveva vissuto fino a quel momento. Appoggiò i piedi a terra e si alzò con una grazia che era solo sua.

La luce della luna era l'unica cosa ad illuminare la stanza e creava intorno a loro un'atmosfera suggestiva che rendeva Tooru più bello di quanto già non fosse. Hajime si sorprese a guardarlo incantato, come se non avesse mai visto quel corpo perfetto accarezzato dai raggi argentei della signora della notte. Lo aveva osservato tante volte da poterne disegnare le linee a memoria. Lo aveva fatto mentre il suo Re dormiva accanto a lui o nei pomeriggi d'estate quando cavalcavano fino alla loro cascata e facevano il bagno insieme, come se il mondo fosse solo loro. I suoi occhi lo avevano accarezzato in silenzio per mille e più notti ed altrettanti giorni. Seguivano sempre le carezze e, subito dopo, i baci.

Se avesse potuto sintetizzare in parole quello che provava per Tooru, sarebbe stato un poeta. Non lo era, era un Cavaliere e di canzoni d'amore non sapeva che farsene, erano i fatti che parlavano per lui e a Tooru era sempre andato bene così. Quel ti amo erano le ultime parole che non era riuscito a pronunciare in punto di morte e si era reso conto che il mondo non gli avrebbe concesso di perdere altro tempo. Tooru sapeva, certo... Hajime, però, aveva voluto dirglielo, prima che fosse di nuovo troppo tardi.

Tooru si fermò accanto alla finestra, davanti a lui, quel sorriso meraviglioso era ancora al suo posto e Hajime pensò che, se non avesse parlato in fretta, si sarebbe sentito in diritto di affondare le dita tra quei capelli ricciuti e rubarlo con un altro bacio.

"Mi ami al punto che mi perdoni così facilmente di essere stato di un altro uomo, anche se solo per una notte?" Domandò il giovane Re.

Hajime non gli disse che sentiva il sangue bollire nelle sue vene per la rabbia. Non gli disse che qualunque parte di lui gridava di correre negli alloggi di quel bastardo e lavare via quel disonore con il sangue. "Non posso permettergli di separarmi da te ancora," confessò infine ma, in cuor suo, avrebbe avuto bisogno di tempo per superare la cosa. Tooru, però, ne aveva passate fin troppe di prove per poter reggere anche il peso di un rancore che non gli riguardava. Non era giusto che gli riguardasse.

Tooru si avvicinò ancora un poco e lo guardò dritto negli occhi. "Ho ancora una confessione," ammise. Hajime rimase in attesa, l'espressione ferma di un Cavaliere pronto ad affrontare qualsiasi avversità, purchè fosse per la ragione del suo cuore. Tooru rise con leggerezza, poi gli afferrò la mano e se la portò in grembo coprendola con le sue. "Riesci a sentirlo?" Domandò con dolcezza disarmante.

Hajime passò lo sguardo dal punto in cui le loro mani si toccavano ai grandi occhi del suo Re.

"Riesci a sentire il cuore del nostro bambino?" Aggiunse Tooru prima che il suo Cavaliere potesse fargli qualsiasi domanda. Divennero grandi, gli occhi verdi di Hajime e si tinsero di una sfumatura che Tooru non conosceva: assomigliava all'incredulità ma era infinitamente più dolce e profonda. "Quella notte alla cascata," ricordò il Cavaliere. "L'ultima notte che abbiamo passato insieme, noi..."

Tooru annuì. "Sì, Hajime, sì..."

"Ma come... ?"

"Non lo so," il giovane Demone abbassò lo sguardo. "Forse, è solo un'eccezione... A me piace definirlo miracolo... Il nostro piccolo miracolo."

"Nostro..." Ripetè Hajime con un filo di voce ed un sorriso innamorato sbocciò sulle sue labbra. "Tooru... Oh, Tooru..." Lo strinse tra le braccia ed il giovane Demone si aggrappò a lui affondando il viso contro la sua spalla. Il suo Cavaliere gli baciò il collo, i capelli e la guancia. Gli prese il viso tra le mani con una devozione che aveva sempre provato ma non aveva mai espresso con tanta dolcezza. "Tobio..." Mormorò con gli occhi lucidi per l'emozione. Tooru sorrise, le loro fronti aderirono l'una all'altra e circondò il collo del suo Cavaliere con entrambe le braccia per tenerlo più vicino a sè. "Sì, Tobio..."

 
***



La sala del trono era pronta a fare da teatro al grande evento che avrebbe funto da atto finale a quella guerra. A sinistra avevano preso posto gli alleati del Regno di Seijou, a destra i Cavalieri più vicini al sovrano di Shiratorizawa.

Il Re dell'Aquila se ne stava ai piedi delle scale che conducevano al trono del Re Demone in attesa che questi si presentasse insieme ai suoi soldati. Le tensione si era fatta palpabile e Koushi percepiva chiaramente con l'aria si fosse fatta inrespirabile. Tetsuro gli diede una gomitata per attirrare l'attenzione. "Che tu sappia, Tooru vuole morire in grande stile o è semplicemente un altro scherzo del cazzo dei suoi?" Domandò con un sorriso tirato.

Koushi lo guardò storto. "Tooru terrà fede alla parola data," disse con assoluta certezza. Non gli disse che anche lui non comprendeva un simile ritardo e non gli disse che l'unica cosa che lo rassicurava era l'esistenza del bambino che Tooru portava in grembo. Guardò Wakatoshi ma il sovrano dava le spalle a tutti loro ed indovinare il suo stato d'animo era impossibile.

I Consiglieri cominciavano ad agitarsi ed anche i soldati di Shiratorizawa avevano preso a fissare gli esponenti dei due regni alleati accanto a loro con aria minacciosa. Se tradivano gli accordi, nulla avrebbe impedito loro di estrarre le spade e far di loro quello che più preferivano se il loro Re concedeva loro il permesso.

"Vado a cercarlo..." Mormorò Koushi rompendo le fila. Tetsuro annuì, il Mago accanto a lui e l'Arciere si scambiarono un'occhiata, prima che quest'ultimo si staccasse dalla sua fila e ripercorresse il salone con ampi passi. Non arrivò molto lontano che il portone di legno scuro si spalancò ed i Cavalieri del Regno di Seijou entrarono nella sala del trono al passo di marcia, come un esercito vittorioso di ritorno da una guerra.

A guidarli non vi era il loro Re ma un Cavaliere che tutti loro avevano dato per perduto.

Koushi sgranò gli occhi e non fu capace di dire una parola, mentre l'intero salone si voltava a guadare i soldati in armatura nera. Wakatoshi fu l'ultimo a voltarsi e la scena si fece immobile per alcuni, lunghissimi istanti. Se era sorpreso, nulla sul suo viso lo tradì ma Hajime non si fece sfuggire il modo in cui strinse i pugni. Gli rivolse un sorriso trionfante dalle sfumature sarcastiche, mentre si sposatava in avanti, staccandosi dalle linee degli altri Cavalieri.

Koushi continuava a fissarla incredulo. "Hajime..."

L'altro gli posò per breve tempo una mano sulla spalla. "Per tutto quello che hai fatto," disse a bassa voce. "Ti ringrazio."

Proseguì e l'Arciere si voltò a guardarlo. Tetsuro lo fissò come se volesse mandarlo al diavolo ma poi sorrise. Si fermò davanti al Re dell'Aquila e lo guardò dritto negli occhi come se fosse un suo pari. "Ho imparato a volare, mio signore," sibilò.

In uno scatto dettato dall'ira, Wakatoshi estrasse la spada e, se Hajime non fosse stato abbastanza veloce dal spostarsi, gli avrebbe reciso la gola. Koushi trasalì e tutti soldati, sia di Seijou che di Shiratorizawa, presenti nel salone divennero tesi, pronti ad intervenire in favore del Re o del Cavaliere.

Hajime fece lo stesso con la sua, quella che Takahiro ed Issei avevano restituito a Tooru credendolo caduto in battaglia.

"Ti avevo promesso un duello," ricordò Wakatoshi con voce atona. "Avanti, Cavaliere. Sconfiggimi una volta per tutte e riconquista ciò che è tuo."

Hajime lo guardò con espressione glaciale. "Come se fossi mai riuscito a portarmelo via..."

Per un attimo, uno solo, gli occhi del Re dell'Aquila arsero di rabbia.

"Ehi! Ehi! Ehi!" Esclamò qualcuno dal fondo della sala. "Ma tu guarda se non è il mio buon vecchio amico Wakatoshi, detto Re dell'Aquila!"

Tutti si voltarono. I Cavalieri di Seijou si fecero da parte per permettere ai nuovi arrivati di passare ma Wakatoshi aveva già abbassato la spada nel riconoscere la voce del giovane Re che attraversò la sala a testa alta, con solo pochi Cavalieri al suo seguito e l'espressione spavalda di chi è troppo impulsivo per temere qualsiasi cosa.

"Koutaro..." Disse il sovrano di Shiratorizawa con aria vagamente annoiata. "Che cosa ci fai qui?"

L'altro scrollò le spalle. "Non mi hai invitato all'unione ufficiale tra il tuo Regno e quello di Seijou ed ho ben pensato di presentarmi di mia spontanea volontà. Non volevo perdermi l'evento!" Esclamò con allegria. "Anche se, in realtà, un mezzo invito l'ho ricevuto da lui," aggiunse Koutaro indicando Tetsuro che, dalla prima fila, aveva alzato una mano in segno di saluto. Il Re di Nekoma forzò un sorriso e si trattenne dal sottolineare che l'invito in questione era stato spedito mesi e mesi prima in una situazione disperato da cui i suoi Cavalieri rossi non erano riusciti a salvarsi.

"Tuttavia, lungo la strada," continuò il Re del Regno di Fukurodani come se stesse raccontando una bella storia. L'Arciere al suo fianco prese un respiro profondo a questo ma non disse nulla. "Ho avuto la fortuna d'incontrare il prode Cavaliere che hai davanti," Koutaro indicò Hajime. "Per essere precisi, era appeso ad un albero, mezzo morto e con le speranze di farcela pari a zero. Eppure, con un testa dura contro cui non auguro a nessuno di scontrarsi, si è rimesso in piedi in poche settimane e dovevi vedere quanto correva quando lo abbiamo informato che il Regno di Seijou aveva accettato la pace con te!"

"Chiedo scusa per il racconto prolisso," disse Keiji con voce atona e viso inespressivo, mentre Koutaro continuava a narrare gli eventi a modo suo.

"In tutta onestà, non ho capito come sia stato umanamente possibile che sia riuscito a precederci," fece l'occhiolino all'indirizzo di Hajime. "Sei un atleta amico, non c'è che dire! Oltre ad un testa dura... Ma, tornando a noi, in verità mi sono allontanato da casa con l'intenzione di affiancare il mio vicino di Regno," salutò di nuovo Tetsuro, "per sconfiggerti in un'epica guerra senza precedenti ma, purtroppo per me, quando siamo arrivati l'impresa era già giunta alla sua conclusione! Però, dopo, è successo che il Cavaliere qui presente mi ha raccontato la più bella ed intricata storia che avessi mai sentito e non era nemmeno inventata! Dopo una serie di ragionamenti politici dei miei Consiglieri che, onestamente, non ho capito molto ed una lunga discussione con il mio Arciere qui," indicò Keiji al suo fianco, "ho concluso che, per farla breve, non posso appoggiare la tua unione al Regno di Seijou."

Un silenzio di tomba cadde nella sala del trono.

"E con quali ragioni serie ti opporresti a ciò, Koutaro?" Domandò Wakatoshi.

L'altro scrollò le spalle. "Chi li vorrebbe i due Regni più potenti in circolazione uniti sotto un'unica bandiera? Possiamo metterci a firmare tutte le alleanze che vogliamo ma, amico mio, tutti sappiamo che scherzo può fare la sete di potere alle persone e se il Regno di Karasuno e quello di Nekoma firmano come testimoni a questa unione non devono aver riflettuto abbastanza sul fatto che, un domani, potrebbero rendersi conto di aver contribuito a creare un pesce molto grosso in un'acquario in cui loro stessi sono pesci piccoli."

Koushi sgranò gli occhi dorati e cercò quelli di Tetsuro che sembrava essere stato colto impreparato di fronte a quel ragionamento più che logico.

Koutaro rivolse una sorrisetto a Hajime. "In secondo luogo, il Cavaliere mi sta particolarmente simpatico, a differenza tua, mio buon vecchio Wakatoshi."

Il Re dell'Aquila si mosse in avanti, attraversò il salone e si fermò a pochi metri dal vecchio rivale di spada. Anni e anni di duelli e Wakatoshi era ancora il miglior spadaccino tra i due ma lo conosceva abbastanza per sapere che sarebbe stato stupido non temere il giovane Re dei Gufi.

"Mi stai dichiarando guerra, Koutaro," gli fece notare Wakatoshi.

"Allora non lo sta facendo solo lui," intervenne una voce alle sue spalle. Il Re dell'Aquila si voltò e gli occhi dorati del consorte reale del Regno di Karasuno ressero il suo sguardo alla perfezione. "Karasuno non legittimerà mai una simile unione," disse con fermezza.

Ai piedi della scale del trono, Tetsuro si staccò dalla sua fila e si fece avanti. "Lo stesso vale per Nekoma."

Wakatoshi passò lo sguardo tagliente da l'uno all'altro e Hajime si mosse in avanti per frapporsi tra lui e l'Arciere disarmato. "E Seijou non accetta di perdere l'indipendenza," disse il Cavaliere ed i suoi compagni gridarono la loro approvazione.

"Se è la guerra ciò che desiderate, miei signori..." Cominciò Wakatoshi.

I Cavalieri di Shiratorizawa sfoderarono le armi e così fecero quelli di Seijou. Hajime si spostò per difendere Koushi nel caso qualcuno avesse avuto la stupida idea di attaccarlo.

"Calma, Re dell'Aquila," disse la voce pacata di Keiji. "Se dichiarate guerra in questa sala del trono, non uscirete vivo da questo castello."

Wakatoshi lo guardò e cercò di capire dal suo viso inespressivo quello che a lui sembrava sfuggire. L'ultima parola, però, spettava solo ad un figlio del Regno di Seijou e non uno qualunque...

"Tutti i tuoi soldati sono dentro le mura di questa Capitale," disse Hajime. "L'esercito di Fukurodani e quello che rimane di quello di Nekoma aspettano impazienti alle sue porte."

Fu estremamente piacevole vedere tutta la sicurezza del Re dell'Aquila sgretolarsi in un istante di fronte ai suoi occhi.

"Dentro e fuori dal Castello Nero vi sono ancora tutti i Cavalieri di Seijou e Karasuno. L'unica via di fuga è il dirupo che circonda la rocca ma non dovrebbe essere un problema per chi sa volare, no?" C'era sarcasmo nella voce del Cavaliere e non si preoccupò di nasconderla. "Alla fine, sei esattamente dove lui ti voleva: in trappola."

Ci fu un momento di silenzio in cui nessuno osò muoversi.

"Riflettete attentamente, Re dell'Aquila," aggiunse Hajime. "Fate la vostra scelta."




Wakatoshi fu il primo ad uscire dalla sala del trono, i suoi Cavalieri dietro di lui. I soldati di Seijou si erano già premurati di raccogliere tutti i nemici nel cortile principale del Castello Nero e quelli di Karasuno si erano occupati di quelli nella Capitale scortandoli oltre i cancelli. Tutti erano immobili, silenziosi, in attesa dell'ordine del loro Re.

Koutaro uscì con secondo con il sorriso trionfante di un eroe di guerra e a nulla valsero gli apatici rimproveri di Keiji che continuò a ripetergli che non aveva fatto altro che raccontare una bella storiella e far sfilare il loro esercito di fronte alle mura di una Capitale straniera.

Tetsuro fu il terzo a mettere piede fuori, Kenma accanto a lui e, alle sue spalle, i suoi Cavalieri più fidati.

Hajime e Koushi furono gli ultimi, alle loro spalle la sala del trono ormai vuota.

"È finita?" Domandò l'Arciere incredulo osservando quella folla di sovrani e Cavalieri riversarsi nel cortile principale del Castello Nero. Hajime teneva gli occhi verdi fissi sulla stessa scena. "Sì, questa volta sì."




Il Re dell'Aquila salì a cavallo per primo, la cerchia dei suoi Cavalieri più fidati lo imitò un istante più tardi. Sentì una strana sensazione sul retro del collo, un brivido. Si voltò e sollevò gli occhi freddi in direzione della balconata che si affacciava sul cortile interno.

Tooru lo guardava dall'alto in basso con l'espressione sicura di un Re vittorioso ma non c'era nessun sorriso arrogante ad illuminargli il volto. Comunque fosse andata a finire, era andata distrutta l'innocenza di molti in quella storia, del Re Demone compreso. Potevano esserci vincitori e perdenti ma nessuno... Nessuno di loro poteva giurare di esserne uscito illeso.

Tooru sollevò qualcosa oltre il parapetto di marmo e Wakatoshi riconobbe il mantello violaceo che avrebbe dovuto indossare quello stesso giorno, il giorno in cui sarebbe dovuto divenire il suo consorte e avrebbe dovuto sedere al suo fianco, sul trono più in alto del mondo conosciuto. Il Re Demone lasciò andare la presa e la stoffa violacea cadde a terra con l'eleganza di un'aquila colpita a morte. Wakatoshi ne seguì la caduto, poi sollevò i suoi occhi su Tooru un'ultima volta. Tutto ciò che, pur con la sua forza, non aveva mai avuto speranze di conquistare.

Si voltò e lanciò il suo cavallo al galoppo.

Non si voltò neanche una volta mentre lasciava il Regno di Seijou.

 
***




I giorni che seguirono furono contraddistinti d'allegria e vivaci festeggiamenti.

Hajime e Asahi ricevettero ufficialmente il titolo di Primo Cavaliere dai loro Re e, con l'arrivo a corte degli ultimi esponenti nobili del Regno di Karasuno, Tooru propose a Koushi e Daichi di organizzare al Castello Nero la presentazione ufficiale del Principe dei Corvi. Fu una festa in grande, di come nessuno dei due genitori si era mai sognato che sarebbe stata.

Shouyou fu presentato al cospetto di una corte affollata da sovrani di più Regni e questo non avrebbe potuto avere altro che un impatto positivo sulla crescita politica del Regno di Karasuno. Come previsto, al Maestro Tanaka venne un colpo quando giunse a corte e vide il suo pupillo con un bambino tra le braccia nato prematuramente e a nulla servirono le rassicurazioni dei ragazzi o quelle del Generale Ukai. Alla fine, Yui venne a porgere i suoi omaggi formalmente, come ci si aspettava da una gran dama della nobiltà.

"È un bambino bellissimo," commentò con sincerità guardando il neonato tra le braccia di Daichi. Il Re le sorrise. "Ti ringrazio."

Non le chiese se voleva prenderlo in braccio. Koushi non avrebbe detto nulla ma, Daichi lo comprese solo in quel momento, si era alzato un muro tra lui e Yui che il buon senso imponeva ad entrambi di tenere integro. La guerra li aveva ravvicinati e, forse, nel caso di lei, lo aveva fatto anche fin troppo. Forse, proprio per questo non era andata da lui quando si era riunito a Koushi e al loro bambino. L'amicizia che c'era stata tra loro sarebbe rimasta un bel ricordo a cui entrambi avrebbero ripensato con tenerezza ma nulla di più.

"Iwa-chan, comportati da Primo Cavaliere degno di questo nome e rendi omaggio al Principe!" Esclamò Tooru a gran voce spingendo il compagno ad avvicinarsi al sovrano di Karasuno ed al suo piccolo erede. Daichi sorrise con fare amichevole. "Giusto, tu non lo hai ancora visto!"

Hajime non disse nulla per giustificarsi, si limitò a ricambiare lo sguardo degli occhi grandi del bambino avvolto nel fagottino nero tra le braccia del giovane sovrano.

"Hai visto quanto è piccolo, Iwa-chan?" Domandò Tooru.

Hajime mugognò qualcosa in risposta. Koushi si avvicinò a loro con un gran sorriso. "E dovevi vederlo appena nato! Era un piccolo concentrato di energia!"

"L'energia non sembra mancargli neanche ora," commentò Hajime reclinando la testa da un lato ed osservando il bambino che sembrava volersi rigirare tra le braccia del padre per poter meglio osservare la scena intorno a lui. Koushi gli sorrise. "Vuoi tenerlo in braccio, Hajime?"

Il Cavaliere divenne paonazzo e cominciò a scuotere la testa.

"Avanti!" Lo incoraggiò Daichi, più che orgoglioso di mostrare il suo piccolo tesoro ai suoi compagni di battaglia più fidati. Hajime si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga ma tutto quello che trovò fu il sorriso pregno di aspettativa di Tooru ed imprecò internamente per non poterglielo cancellare dal viso a suon di pugni.

Fu una cosa breve, appena il tempo che Shouyou realizzasse di essere finito in braccia estranee ed Issei e Takahiro si ritrovassero a passare di lì proprio per commentare quanto fosse carino il loro Iwa-chan in versione papà. Il piccoletto scoppiò a piangere e Koushi intervenne con un sorriso rassicurante. "Buono, Shouyou, buono..."

Tooru si sporse sul fagottino con un sorrisetto. "Iwa-chan ha una brutta faccia vero, Shou-chan?"

"Ehi..." Ringhiò Hajime alle sue spalle.

"Che dramma, Iwa-chan!" Si lagnò Tooru. "Come faremo quando arriverà il nostro, eh?"

"A meno che non venga idiota come te, non dovrebbero esserci problemi!"

"Rude!"




Quella fu anche la sera in cui Tooru, sovrano del Regno di Seijou, annunciò ufficialmente la futura nascita del suo erede, il nuovo Principe Demone.



***




Con la fine dell'estate, ci furono molte partenze dal Castello Nero.

Koutaro fu il primo ad andarsene e Keiji non si congedò prima di aver espresso le sue inespressive scuse per qualunque comportamento assurdo del suo sovrano. Tetsuro e Daichi non si mossero: Kenma e Koushi avevano espresso il desiderio di restare fino alla nascita del bambino di Tooru ed entrambi sarebbero stati più che utili quando il momento sarebbe arrivato. I soldati dei loro Regni però ebbero il permesso di fare come meglio credevano e molti non persero l'occasione per tornare alla loro casa e riabbracciare i propri cari.

Akiteru fu uno dei primi uomini di Karasuno a fare ritorno a casa. "Mia madre avrà un bambino per l'inizio dell'autunno," disse con un gran sorriso. "Non voglio perdermi la nascita del mio fratellino."

"Sarà un bambino fortunato," fu l'unico commento di Daichi nel congedarlo.

Shouyou, invece, diveniva ogni giorno più bello e, ben presto, Daichi si arrese all'idea che assomigliasse più a Koushi che a lui. Quegli occhi, però, non ne volevano sapere di stabilizzarsi ed il giovane sovrano cominciava a divenire insistente.

"Avrai gli occhi dorati, vero?" Domandò con un gran sorriso al bambino che poteva reggere senza sforzo con entrambe le mani. "Avrai dei bellissimi occhi dorati."

Shouyou lo ascoltava con attenzione, come se potesse capirlo.

"Avrai la sua grazia, la sua dolcezza e la sua pazienza," aggiunse stringendo il piccolo a sè e posando le labbra tra quei rossicci capelli ribelli. "Tutti i fanciulli dei Regni cadranno ai tuoi piedi," una pausa. "Ed io avrò un gran da fare ad eliminarli tutti," concluse con un sorriso inquietante.

Koushi alzò gli occhi al cielo. "Daichi..." Lo rimproverò. "Non puoi farti venire questi pensieri fin da subito."

Daichi sospirò con aria drammatica. "Mi sembra ieri che mi hai detto di aspettarlo ed ora eccolo qui," lo sollevò sopra la sua testa e Shouyou gli regalò un'espressione simile ad un sorriso. Koushi sorrise. "Ha due mesi di vita," gli ricordò.

Daichi stese il bambino tra le braccia e cominciò a camminare avanti ed indietro per la stanza come se stesse riflettendo sulla venuta di una minaccia imminente. "Quando abbiamo cominciato a divenire poco innocenti noi?"

Koushi non si preoccupò di nascondere lo sguardo seccato che comparve sul suo viso. "Dai," sospirò. "Dallo a me. Ha bisogno di fare un riposino."

Daichi lo strinse a sè con fare protettivo e Koushi sorrise intenerito dal modo in cui Shouyou sembrava incredibilmente piccolo contro il petto del suo papà. Al Principe piaceva. Koushi se ne era accorto nelle sere in cui si prendeva qualche minuto per sè per rilassarsi, farsi un bagno caldo o prendere una boccata d'aria e tornava trovando Daichi seduto sul letto o su di una poltrona con Shouyou comodamente accocolato contro il suo petto. Doveva sentirsi incredibilmente protetto e Koushi lo capiva perchè faceva lo stesso effetto a lui.

"Daichi," mormorò accarezzando i capelli più corti sulla nuca del suo Re. "Qualunque Principe o Cavaliere sceglierà per sè, tu sarai sempre il primo sovrano che lo ha amato e non lo dimenticherà tanto facilmente, credimi."

Daichi non lo guardò tanto convinto. "Come fai a dirlo?"

"Perchè quello stesso sovrano ha dimostrato il suo amore anche a me," rispose Koushi dolcemente e riuscì a prendere suo figlio tra le braccia appoggiandolo contro una spalla e posando le labbra sulla testolina ricoperta di capelli ribelle. "Inoltre," aggiunse. "Perchè sei già convinto che dovrà esserci un Principe nel suo futuro? Potrebbe essere una Principessa."

Daichi inarcò un sopracciglio. "Con quegli occhi? Con quel faccino? Le Principesse lo guarderanno e proveranno invidia, Koushi, te lo dico io!"




L'acqua fresca era piacevole contro la pelle accaldata dal sole.

Hajime gli cingeva la vita con le braccia, Tooru era aggrappato alle sue spalle e le loro bocche non ne volevano sapere di separarsi. Il giovane Re avvolse le gambe intorno ai fianchi del Cavalieri e questi lo tenne sollevato senza sforzo, complice il peso alleggerito dall'acqua. "Tu vuoi farmi morire," mormorò Hajime.

"Purchè tu muoia per me, potrebbe anche starmi bene," rispose Tooru con un sorriso da Demone tentatore a pochi millimetri dalle sue labbra. Hajime accettò la sfida con un ghigno sicuro e lo sollevò fuori dall'acqua senza sforzo, fino ad adagiarlo su uno dei loro mantelli stesi all'ombra degli alberi della foresta.

Il rumore della cascata era l'unica cosa a spezzare il silenzio. Tooru si tirò il suo Cavaliere sopra con desiderio e Hajime sentì un brivido caldo incendiarlo da capo a piedi come la pelle morbida delle cosce gli accarezzò i fianchi in un invito che non ammetteva un no come risposta. Come se avesse avuto il coraggio farlo, poi...

Fu lento, intenso, passionale. Tooru lasciò che il piacere lo distruggesse e lo rimettesse insieme affidandosi totalmente alle mani calde e gentili del suo Cavaliere. Quando ebbero finito, Hajime appoggiò la schiena al tronco dell'albero più vicino e Tooru si sedette rilassandosi contro il suo petto. La mano del Cavaliere accarezzava distrattamente la dolce curva che nelle ultime settimane era comparsa sul ventre del giovane Re e Tooru sorrideva sereno godendosi il suo sogno divenuto realtà.

"State bene?" Domandò Hajime posando un bacio tra i capelli dell'amante.

Tooru rise teneramente. "Stiamo benissimo. Siamo con te, dopotutto."

Hajime reclinò la testa e fissò il punto in cui era comparsa la prova che il loro bambino stava bene e continuava a crescere al sicuro. "Impazzirò quando sarà abbastanza grande perchè possano vederlo tutti."

Tooru alzò lo sguardo e lo fissò confuso. "Perchè?"

Le guance di Hajime si tinsero appena di rosso. "È una cosa nostra," sottolineò. "Non voglio condividerla con nessun altro più del necessario."

Tooru sgranò gli occhi per una manciata di secondi, poi rise. "Il nostro bambino non è neanche nato e già sei geloso?"

"Non sono geloso del bambino," replicò il Cavaliere in imbarazzo. "È che... Ah! È colpa tua!"

"E perchè mai lo sarebbe?"

"Perchè la natura ti ha dato tutta la bellezza di questo mondo e questo bambino non fa che amplificarla!"

Fu il turno della guance di Tooru di tingersi appena di rosso, mentre gli occhi marroni diveniva di colpo brillanti. Hajime non era un uomo da complimenti gratuiti e, sebbene non mancasse di fargli capire quanto gli piacesse, Tooru poteva contarle sulla punta delle dita le volte che gli aveva detto esplicitamente che lo trovava bello. Non che ne avesse mai dubitato o avesse bisogno di conferme ma, comunque, faceva il suo effetto.

"Pensi che il bambino mi renda più bello?" Domandò coprendo la mano del suo Cavaliere con la propria ed intrecciando le loro dita.

"Sorridi di più," rispose Hajime.

Tooru sapeva quanto amava il suo sorriso. "Anche tu lo fai," replicò e non aveva parole per esprimere quanto piacesse anche a lui.

Il Cavaliere scrollò le spalle. "Sono un uomo felice," fu la sua unica giustificazione.

Il giovane Re gli sorrise come se gli avesse confessato ancora una volta il suo amore. "Sì, immagino che sia questa la felicità..."

 
***



"Sono dorati!" Proclamò Daichi una mattina d'inizio autunno come mise piede nel cortile interno del castello. "Mio figlio ha gli occhi dorati del mio consorte, amici miei!"

Nessuno gli fece notare che da un giorno all'altro era praticamente impossibile che il cambiamento fosse avvenuto in modo definitivo. I Cavalieri di Karasuno non ne ebbero il coraggio, Tetsuro e Hajime pensarono fosse troppo divertente per smorzare l'entusiasmo dell'altro Re. Il sovrano di Nekoma, in particolare, alzò le mani al cielo con espressione teatrale. "L'attesa è finita, possiamo tornare a respirare!" Esclamò.

Daichi lo guardò indignato. "È una questione seria!"

Hajime lo guardò con un sorrisetto. "Il colore degli occhi di un figlio è un affare di stato di tale proporzioni?"

L'altro gli rivolse un ghignetto. "Aspetta che nasca il tuo e poi ne riparliamo."

Il Cavaliere sospirò stancamente. "L'unica cosa che mi preoccupa ora è che nasca sano e che Tooru non debba pagarne le conseguenze."

Daichi gli sorrise e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. "Avevo gli stessi pensieri quando Koushi aspettava Shouyou e averlo lontano non mi ha facilitato le cose. Sei fortunato ad avere l'opportunità di essere al fianco di Tooru."

Hajime si lasciò cadere stancamente sulle scale di pietra. "In realtà, lo guardo e più che sentirmi fortunato mi sento impotente. Qualsiasi cosa accada, Tooru dovrà affrontarla da solo e mi sento un bastardo per questo. E' anche mio figlio, dopotutto e non posso fare nulla per proteggerlo."

Tetsuro gli rivolse un sorrisetto inquietante. "Vuoi provare le gioie del parto, Cavaliere? Conosco due o tre trucchetti di magia oscura che..."

"No, grazie," declinò Hajime.

"Non stai passando nulla di diverso da quello che passano tutti i padri, credimi," lo rassicurò Daichi sedendosi accanto a lui. "Vinciamo guerre, compiamo grandi imprese e siamo completamente inutili nella battaglia più grande che i nostri compagni devono affrontare."

"Sono terrorizzato, Daichi," ammise Hajime a bassa voce. "Lo so, Tooru è duro ad arrendersi ed il bambino sembra stare bene ma... Non riesco a smettere di pensare alla possibilità che gli succeda qualcosa durante la nascita."

Daichi sospirò. "Qualunque cosa possa dirti ora non ti tranquillizzerà, mi dispiace," ammise con un sorriso di scuse. "Posso assicurarti, però che, quando terrai tuo figlio tra le braccia per la prima volta, ti sentirai l'uomo più forte del mondo. Ti crederai capace di qualsiasi impresa per il suo bene. Tooru la sta già vivendo sulla sua pelle questa cosa e non permetterà mai che succeda qualcosa a vostro figlio o a se stesso. Abbi fiducia in lui ed andrà tutto bene."

Hajime annuì cercando di convincersi di quelle parole. "Ti ringrazio..."

"Hajime!"

Il Cavaliere alzò immediatamente lo sguardo in direzione della balconata da dove Koushi si era affacciato. Il fagottino nero in cui era avvolto Shouyou stretto al petto.

"Si tratta di Tooru! Lui..."

Hajime non rimase per ascoltare la fine. Si precipità all'interno del castello e su per le scale che conducevano agli appartamenti privati che divideva con il suo sovrano. Spalancò la porta della camera da letto come se un solo secondo di ritardo potesse fare la differenza tra la vita e la morte. Tooru era seduto al centro del loro letto e lo guardava come se fosse del tutto impazzito. "Iwa-chan, che ti prende?"

Hajime lo guardò allibito, poi si costrinse a prendere un respiro profondo e a mantenere la calma. "Tu sarai la mia morte!" Esclamò. "Non puoi farmi prendere un colpo e farti trovare disteso e rilassato."

Tooru inarcò un sopracciglio. "Non vedo che cosa ci sia di... Ah!" Esclamò portandosi entrambe le mani alla pancia. Hajime sbiancò e gli fu subito accanto. "Cosa c'è? Non ti senti bene?"

Tooru rise. Un risata serena, cristallina.

"Tooru, per l'amor del cielo! Io sto morendo di angoscia qui!" Esclamò il Cavaliere fuori di sè dalla preoccupazione. Il giovane Re gli rivolse un sorriso gentile e gli afferrò una mano portandola nel punto in cui prima era la sua. "Shhh... Ascolta..."

Hajime non fece in tempo a chiedergli che cosa si aspettava che sentisse che qualcosa colpì con chiarezza il palmo della sua mano interrompendo qualsiasi pensiero, respiro o battito di cuore per una frazione di secondo. Il sorriso di Tooru si fece più luminoso. "Ha cominciato e non smette più!" Esclamò con emozione.

Hajime non disse nulla, si sporse in avanti ed appoggiò l'orecchio sulla curva della sua pancia. Rimasero così per un po', con Tooru che giocava distrattamente con i suoi capelli ed il Cavaliere attento a percepire anche solo il minimo movimento del loro bambino. Un altro calcio gli arrivò dritto in faccia e Hajime scattò indietro come se fosse stato un colpo capace di fargli del male. Alla fine, sorrise. "Si muove," sottolineò l'ovvio, poi prese ad accarezzare la pancia del compagno con dolcezza.

"Ciao Tobio-chan," disse Tooru con dolcezza mentre Hajime tornava a posare la guancia sul suo ventre. "Spero che tu abbia scelto di essere un maschietto perchè saremo nei guai se salterai fuori nelle sembianze di una bella femminuccia!"

Hajime posò un bacio delicato sulla sua pancia e poi vi posò la fronte con un sospiro. "Sia quel che sia, non vedo l'ora di conoscerti," mormorò a pochi millimetri dalla stoffa che gli ricopriva la pelle. "Abbi cura del tuo Re anche per me e ti prometto che, quando sarai qui, mi prenderò cura io di entrambi con tutto ciò che è in mio potere."

Tooru rimase incantato da quelle parole ma non disse nulla. "Si è calmato..." Commentò dopo pochi istanti. "Gli piace la tua voce, Iwa-chan."

Hajime si sollevò e lo guardò negli occhi. "O, forse, è già stufo della tua..."

Tooru non se la prese, lo trascinò verso di sè e lo baciò sulle labbra. "Lo capisco, sai?" Disse in un sussurro. "La tua voce nei miei sogni era ciò che mi spingeva a continuare a combattere."

 
***



Alla fine di dicembre, il Regno di Seijou era completamente coperto di neve ed il cielo non ne voleva sapere di prendersi una pausa da quella continua cascata di fiocchi candidi.

Era freddo anche nella camera da letto del Re.

Tooru si svegliò con un sospiro e, con gli occhi ancora chiusi, si spostò fino a far aderire la schiena contro il petto caldo del Cavaliere alle sue spalle. Hajime gli circondò la vita con un braccio posando la mano sulla sua pancia in un gesto tenero e protettivo per cui Tooru sorrise nel dormiveglia. Il bambino cominciò a prenderlo a calci immediatamente, sollecitato dalle carezze del padre. Hajime rise e Tooru sentì il suo respiro tra i capelli.

"Non c'è nulla da ridere," bofonchiò Tooru con un sospiro stanco. Aprì gli occhi con rassegnazione: non c'era modo di calmare il mocciosetto una volta che decideva di farsi sentire. Hajime gli baciò il retro del collo. "Sembra avere un bel caratterino," commentò con una nota d'orgoglio nella voce.

"Non esserne così felice!" Si lagnò Tooru. "I caratteri forti non sono affatto facili da gestire nei bambini."

"Ho gestito te, non mi sento intimorito..."

"Rude!"

Hajime si sollevò e posò un bacio sul suo fianco, dove iniziava la curva della pancia. Tooru lo guardò con un broncio indignato oltre l'inverosimile ed il Cavaliere decise di cancellarlo con un bacio a fior di labbra. Il suo Re sembrò ben contento dopo.

"Alzati con calma," disse il Cavaliere a pochi millimetri dalle sue labbra. "Faccio portare la colazione."




Tooru storse il naso quando si sedette sulla sua poltrona nel salottino adiacente e si ritrovò davanti un piatto pieno di frutta. "No, anche stamattina no!" Si lamentò come se stesse per scoppiare a piangere. "Io ho fame!" Esclamò guardando Hajime con espressione implorante. Accanto a lui, il Cavaliere sospirò e ricambiò lo sguardo senza rispondere.

"Lo so!" Aggiunse Tooru. "Kenma ha detto che devo mangiare sano, altrimenti il bambino cresce troppo," Hajime gli diede un veloce bacio sulla guancia come per consolarlo. "Ma io ho fame lo stesso, Iwa-chan! Ah..."

Il Cavaliere tornò a guardarlo in faccia: Tooru aveva smesso di parlare di colpo e fissava il vuoto sconvolto. "Ohi..." Lo richiamò Hajime. "Ehi, che c'è?"

Tooru lo guardò, provò a parlare ma l'unica cosa che riuscì a fare fu rivolgerli un sorriso tremolante. "Iwa-chan, niente panico," disse gentilmente. "Credo che ci siamo..."




Quando lo videro scendere nel cortile interno, Issei e Takahiro conclusero senza consultarsi che il loro Primo Cavaliere doveva essere del tutto impazzito. Nessun essere umano, Demone o ibrido sano di mente sarebbe uscito con un paio di pantaloni allacciata alla male e peggio ed una camicia aperta sul petto nel bel mezzo dell'ennesima nevicata della stagione.

"Ci siamo!" Esclamò in panico.

La cosa più assurda era che il Primo Cavaliere in questione il freddo non sembrava sentirlo proprio. "Fate chiamare Koushi e Kenma, svelti!"

Hajime si voltò e fece per tornare da Tooru ma l'assenza di movimento alle sue spalle lo insospettì. Tornò a guardare i suoi due compagni che ancora lo fissavano basiti. "Ehi! Scattare!" Ringhiò.

I due Cavalieri ubbidirono all'istante.

 
***



Era stato il giorno più brutto e più bello della vita di Hajime. Più di una volta si era pentito di non aver accolto l'invito di Koushi ad andarsene e lasciare quella faccenda a chi la capiva ma Tooru lo aveva guardato con due occhi terrorizzati ed aveva capito che se era tanto codardo da negargli il suo appoggiò in quella situazione, poteva anche smettere di definirsi un uomo, oltre che un Cavaliere.

Gli aveva stretto la mano per tutto il tempo e mai una volta aveva pensato di lasciarla andare, come se fosse Tooru a fare forza a lui e non il contrario. Eppure, c'erano stati istanti in cui Hajime avrebbe voluto staccarsi le orecchie pur di non sentire Tooru soffrire in quel modo atroce. Per un istante, uno solo, aveva odiato quel bambino...

Dopo, la mano di Tooru aveva cominciato a stringere la sua debolmente e Hajime si era sentito morire per pochi ma infiniti istanti. Poi il silenzio nella stanza era stato spezzato dal pianto di una nuova vita ed il Cavaliere aveva sentito il suo cuore battere di nuovo.

Tooru era stato forte fino a quel momento ma sentir piangere il loro bambino lo fece sciogliere completamente, lasciandolo libero di sfogare tutte le emozioni che gli avvenimenti dell'ultimo anno lo avevano costretto a tenere strette al petto per poter rimanere in piedi, a testa alta. La mano di Hajime ancora stringeva la sua.

"È un maschio!" Proclamò Koushi con allegria, mentre Kenma si premurava di controllare che il bambino stesse bene.

"Tobio..." Mormorò Hajime guardando Tooru con un gran sorriso. "È Tobio..." Passò una mano tra i capelli dal giovane Re e ne baciò le labbra con devozione. Tooru sorrideva e piangeva, incapace di dire qualsiasi cosa. L'emozione era assoluta, soffocante, indescrivibile.

"Hajime," lo richiamò Koushi dopo alcuni istanti.

Il bambino piangeva ancora.

Il Cavaliere lo guardò, poi riportò gli occhi verdi sul viso del suo Re. Tooru baciò il dorso della mano ancora stretta nella sua. "Vai..." Gli disse con un sorriso stanco ma meraviglioso e Hajime trovò il coraggio di lasciarlo andare.

Tobio, Principe Demone ed erede al trono del Regno di Seijou, venne alla luce al tramonto del giorno del solstizio d'inverno ed il Primo Cavaliere fu quello ad avere l'onore di metterlo tra le braccia del giovane Re.

"È bellissimo," fu tutto quello che Hajime riuscì a dire nel tornare accanto al suo compagno. "È bellissimo, Tooru..." Stretto tra le sue braccia, Tobio non piangeva più.

"Ti ha riconosciuto, Iwa-chan," commentò Tooru protendendo le braccia nella sua direzione in una richiesta più che chiara. Quando, alla fine, il Re Demone posò gli occhi sul suo Principe, la prima cosa che vide fu un broncetto indignato che rendeva onore ad entrambi i suoi genitori. Tooru rivide se stesso nel modo in cui imbronciava la piccola bocca e rivide Hajime nello sguardo arrabbiato che gli rivolse. Il loro piccolo miracolo, il loro piccolo Tobio...

"Ciao, Tobio-chan," mormorò con un sorriso luminoso prendendo una di quelle manine minuscole tra le dita. "Benvenuto al mondo, piccolo Principe."

Accanto a lui, Hajime allungò una mano e passò la punta delle dita sulla testolina ricoperta di capelli corvini. Loro lo guardavano incantati, Tobio li fissava con quegli occhi incolori come se avessero osato fargli un affronto. "No, non dirmi che hai ereditato il brutto muso di papà Iwa-chan!" Disse Tooru con un sorriso intenerito posando le labbra sulla fronte del suo bambino.

"Ehi..." Lo avvertì il Primo Cavaliere al suo fianco.

Tooru, però, lo guardò e gli sorrise radioso. "Guarda che cosa abbiamo messo al mondo, Hajime," gli disse con orgoglio e devozione. Il Primo Cavaliere guardò il giovane Re ed il bambino tra le sue braccia. Li guardò e realizzò di avere davanti la sua famiglia. Affondò le dita tra i capelli sulla nuca del suo Re e ne baciò le labbra con dolcezza. "Grazie..." Mormorò, dopo, a pochi millimetri dalle sue labbra. "Avrei dato tutto per te, fino alla fine, anche se non mi avessi voluto al tuo fianco."

Tooru sentì il cuore saltargli un battito a quelle parole. Sorrise ancora. "Ed io ti avrei amato fino alla fine, anche se non avessi fatto di me il Re più forte."






 

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Capitolo 11
*** Interludio: di tradimento e vendetta ***


Interludio:
Di tradimento e vendetta




Il giorno in cui il Primo Cavaliere del Regno di Seijou era divenuto padre, il giorno in cui Tooru aveva dato alla luce il loro bambino e Hajime aveva stretto Tobio tra le braccia per la prima volta; si era sentito invincibile.

Era stata solo una dolce illusione...

"Solleva il viso, avanti."

Tobio alzò le iridi blu dagli scalini di pietra e Hajime gli mise una mano sulla spalla appoggiando un ginocchio a terra. Un verso dolorante gli sfuggì dalle labbra e gli occhi del ragazzo si fecero subito attenti, alla ricerca di qualsiasi macchia di sangue sui bendaggi puliti che potesse suggerire che la ferita sul suo petto si fosse riaperta. Hajime strinse le dita sulla sua spalla e scosse la testa. "Non è niente."

Tobio non replicò ma non gli credette.

"Hai duellato con qualcuno, " notò il Primo Cavaliere. C'erano segni evidenti di quell'affermazione sul viso del Principe: il labbro inferiore era spaccato, vi era un lungo taglio sopra il sopracciglio destro e lo zigomo sinistro stava cominciando a gonfiarsi e divenire più scuro.

Tobio continuò a rimanere in silenzio e Hajime sapeva bene che insistere non sarebbe servito a nulla, così si sedette sul gradino di pietra accanto a lui. Passò un istante di assoluta immobilità, poi Hajime strinse le labbra ed assestò un colpo preciso sulla nuca del ragazzo. A Tobio scapppò un gemito, poi si portò una mano sulla zona lesa ma non alzò lo sguardo verso l'altro. Sapeva di essere in torto e di non avere alcuna ragione per obiettare a quel trattamento.

"Che cazzo ti è saltato in mente, eh?" Sibilò Hajime con rabbia. "Ti avevo dato degli ordini!"

Tobio strinse le labbra ed abbassò il capo ancora una volta.

"Hai duellato contro di lui?" Domandò il Primo Cavaliere.

Il Principe si morse il labbro inferiore.

"Tobio!"

"Ero lì!" Sbottò il più giovane stringendo i pugni. "L'ho colpito o ti avrebbe ucciso!"

Il Primo Cavaliere rimase senza parole. "Che cosa stai dicendo?" Domandò ancora incredulo. "Eravamo da soli fuori dalle mura della Capitale."

"Non ho avuto bisogno di avvicinarmi," spiegò Tobio gurdandolo in faccia di sfuggita. "Sì, sono andato contro i tuoi ordini e ti ho seguito. Quando sono arrivato, eri già a terra ed il Re dell'Aquila stava per darti il colpo di grazia."

Hajime lo fissò per una manciata di secondi. "Pensavo se ne fosse andato..."

"Pensi che ti avrebbe lasciato vivere dopo tutto questo?"

Il Primo Cavaliere si concesse un istante per riflettere, per ricordare. L'immagine del piccolo cortile di una rocca di difesa gli passò davanti agli occhi e gli parve di udire le voci divertite dei soldati di Shiratorizawa intorno a lui, mentre il loro Re lo massacrava per intrattenerli ed umiliarlo pubblicamente. Sarebbe morto quel giorno se un giovane sovrano non avesse teso il suo arco per fermare la mano del suo carnefice.

Hajime prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.

"Piccolo stupido..." Nonostante quelle parole, appoggiò il palmo sulla nuca del Principe in un gesto pregno di affetto. "Sei come tuo padre, sei un folle, oltre che un idiota." Lo guardò ancora una volta ma gli occhi di Tobio erano nascosti dietro le ciocche corvine che gli erano ricadute sul viso. "Mi disubbidisci e mi salvi la vita," gli venne da ridere. "In che situazione mi hai cacciato, Tobio... Un padre non dovrebbe esitare quando si tratta di decidere se premiare o punire i suoi figli."

"Allora puniscimi," concluse il Principe con voce atona.

Il viso del Primo Cavaliere si oscurò di colpo, mentre gli occhi blu di Tobio si alzavano per incontrare i suoi.

"Puniscimi, padre, perchè le mie mani sono sporche di sangue..."

 
***



Shouyou riprese i sensi lentamente, al calar del sole.

Un gemito di dolore fu la prima cosa che sfuggì a quelle labbra tremanti ed inarcò appena la schiena a causa del dolore che gli lacerava il petto. "Piano," mormorò Tooru posandogli una mano sulla fronte. "La freccia è l'unica cosa a fermare il sangue, se ti muovi troppo rischi di farti male."

"Ha la febbre?" Domandò Kenma inginocchiato accanto al caminetto acceso.

Tooru si voltò a guardarlo. "A che punto siamo con le medicazioni?"

Il Curatore prese tra le mani alcune strisce di stoffa bianca che avevano fatto bollire per medicare la ferita del Principe dei Corvi. "Si sono asciugate," confermò. "Ma ce ne servono delle altre."

"Le prepareremo dopo," replicò Tooru con voce ferma.

Kenma si alzò in piedi. "Mio signore, non posso medicare una ferita simile con delle bende non sterilizzate. Se il Principe soffrirà per un'infezione, allora..."

"Non possiamo attendere oltre," lo interruppe il Re Demone passando il dorso delle dita sul viso del ragazzino che giaceva sul suo letto. "Hai visto dove l'ha colpito? Uno spostamento d'aria e questa freccia gli avrebbe trapassato il cuore. Basta un movimento sbagliato, Kenma, solo uno..."

Il Mago attese pochi istanti, poi si sollevò in piedi e si avvicinò al letto. "Non posso estrarla." Concluse immediatamente.

Tooru gli lanciò un'occhiata velenosa. "Ti ho visto prendere rischi ben più grandi di questo!"

"Intendo dire che non posso estrarla io," chiarì Kenma. "L'unico modo per tirarla fuori senza ucciderlo è estraendola con un singolo movimento verso l'alto. Come avete detto voi, basta un movimento sbagliato e potremmo colpire il cuore."

"Esplica in fretta le nostre possibilità, Mago," ordinò il Re con voce dura.

Kenma si umettò le labbra e guardò il sovrano dritto negli occhi. "Serve qualcuno con mano ferma, riflessi veloci e più forza fisica della mia. Se lo faccio io, impiegherei troppo tempo, rischierei di peggiorare la situazione e Shouyou perderebbe troppo sangue perchè ci sia possibile intervenire."

Gli occhi di Tooru si fecero grandi e scuri per il terrore. "Che cosa mi stai chiedendo di fare?"

Kenma abbassò lo sguardo. "Siete un Arciere, mio signore. Siete il migliore Arciere dei Regni liberi: non esiste una mano più ferma della vostra."

Shouyou singghiozzò di nuovo stringendo le dita sulla stoffa rossa del mantello che ricopriva il suo corpo tremante per la febbre. "Tobio..." Chiamò e gli occhi dorati si aprirono appena.

Tooru strinse le labbra s'impose di rimanere lucido e freddo anche di fronte all'espressione agonizzante sul viso di quel ragazzino nato appena due stagioni prima di suo figlio. "Shouyou," lo chiamò. "Riesci a sentirmi?"

Il Principe non rispose, si limitò a guardarlo negli occhi e Tooru se lo fece bastare come risposta. "Stiamo per farti molto male, non te lo nascondo," gli spiegò muovendo appena le dita che aveva appoggiato tra quei capelli ribelli, umidi di sudore. "Ma dobbiamo farlo per curarti, va bene? Ho bisogno che tu rimanga sveglio, hai capito?"

Shouyou annuì appena. Tooru fece l'impossibile per nascondergli tutto il timore che provava. Avere tra le sue mani la vita dell'erede al trono del Regno di Karasuno non era esattamente il genere di esperienza che avrebbe mai voluto vivere ma non c'era tempo da perdere e Kenma aveva ragione: nessuno aveva una mano più ferma della sua, se si escludeva Tobio ed il suo successore non era contemplabile come aiuto in una situazione tanto delicata.

"Kenma, pronto ad intervenire?" Domandò il sovrano portando una mano sull'asta della freccia e usando l'altra per coprire gli occhi di Shouyou.

"Sì," rispose il Mago alle sue spalle.

Il Principe gli afferrò debolmente un polso liberandosi la visuale. Tooru sospirò e scosse la testa. "Fallo per me, piccoletto," gli chiese spostando il palmo su quegli occhi dorati ancora una volta. "Non ce la faccio, se ti guardo."

Shouyou non tentò di allontanare la sua mano di nuovo ma le sue dita rimasero strette intorno al suo polso, come se avesse bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi. Tooru non poteva esprimere a parole quanto avrebbe voluto poterlo fare anche lui, quanto avrebbe voluto far entrare Hajime in quella stanza perchè gli dicesse che poteva farcela, che era abbastanza forte per riuscirci. Il suo Cavaliere, però, era con Tobio ed il Principe aveva bisogno di suo padre più di quanto lui avesse bisogno del suo compagno.

Strinse le dita sull'asta di legno e si costrinse a non pensare a Koushi, a quei giorni che avevano passato da soli in quel castello in riva al mare con solo un bambino nella pancia del consorte reale di Karasuno e distrarli dalla guerra che metteva tutto a ferro e fuoco intorno a loro. Cercò di non pensare a quel giorno del solstizio d'estate in cui aveva temuto per ore di dover mettere tra le braccia di Koushi un neonato morto, solo per ritrovarsi tra le mani un bambino vivace e pieno di vita. Cercò di non pensare a Tobio, a che cosa avrebbe dovuto pagare se avesse perso anche quella battaglia.

No, Tooru cercò con tutte le sue forze di non pensare e quando si rese conto di non poterci riuscire, era già troppo tardi.

Shouyou urlò come se gli stessero strappando il cuore dal petto a mani nude.

 
***



Sulle scale di pietra che collegavano gli appartamenti reali al resto del Castello Nero, la voce disperata, agonizzante del Principe del Corvi riecheggiò in modo inquietante contro le mura di pietra. Tobio scattò in piedi e fissò la cima della scalinata come se si aspettasse di vedere il suo carnefice designato comparirvi da un momento all'altro.

Il silenzio che seguì lo scosse più del grido disperato che gli aveva bloccato il cuore nel petto e gli aveva spezzato il respiro.

Fece per muovere un passo ma Hajime lo afferrò per un braccio, prima che potesse salire di corsa quei gradini di pietra e affrontare di petto le conseguenze delle sue azioni. "Aspetta," gli disse con voce pacata. "Aspetta che vengano a chiamarci."

Hajime dovette ringraziare tutta la fiducia che Tobio, nel bene o nel male, aveva in lui e nelle sue parole, perchè, dal modo in cui lo guardò, dedusse che, se si fosse trattato di qualcun altro, il Principe sarebbe stato disposto anche a staccargli il braccio pur di salire quelle scale.

Non dovettero attendere molto.

Tooru scese i gradini di pietra un istante più tardi con espressione funerea e la camicia sporca di sangue. Hajime lo guardò nel tentativo di capire che cosa fosse successo dal suo sguardo ma il Re Demone fissava il Principe al suo fianco come se fosse un criminale o anche peggio. Per sicurezza, le dita del Primo Cavaliere rimasero salde sul braccio del giovane.

Tobio e Tooru si scambiarono un lungo sguardo silenzioso pregno di tutti i sentimenti che Hajime non avrebbe mai voluto ci fossero tra loro. Tra tutti i suoi fallimenti come Cavaliere e come uomo, però, c'era anche quello: non era stato capace di proteggere la sua famiglia dal veleno del potere, della rivalsa e dell'odio che nasceva da entrambi.

Tooru sollevò la mano destra mostrando ad entrambi una freccia dalla punta e dall'asta coperte di sangue. Hajime comprese che cosa stava per accadere, Tobio gli aveva appena raccontato i fatti e Tooru, ovviamente, era venuto da loro alla ricerca di spiegazioni.

"La riconosci questa, vero?" Domandò il Re Demone.

Tobio non rispose e Hajime lo lasciò andare con un sospiro. "Avanti, Tobio, raccontagli quello che hai detto anche a me."

Ma il Principe non pronunciò una singola parola.

Tooru guardò la freccia nella sua mano come se lo disgustasse. "Anche le mie sono così," disse con voce pacata. "Avevo ordinato chiaramente che il tuo arco e le tue frecce fossero identici ai miei per poterti distinguere da tutti gli altri Arciere e ricordare ai Cavalieri di puro sangue di Demone di chi eri figlio."

Il Re Demone gettò la freccia a terra come se fosse un'onta anche il solo toccarla. "C'è il sangue di un altro Principe su di una freccia che è stata sicuramente scoccata da te. Come puoi giustificarlo questo?"

Tobio abbassò gli occhi blu sulla freccia insaguinata e dovette ingoiare a vuoto per ricacciare in gola un conato di vomito. La sua espressione e la sua voce erano incredibilmente ferme quando tornò a rivolgersi al Re Demone. "È vivo?" Domandò diretto.

"Rispondi alla mia domanda!" Sbottò Tooru.

"È vivo?" Ripeté Tobio con violenza.

Hajime tese tutti i muscoli del corpo, pronto ad intervenire nel qual caso quei due avessero deciso di passare alle mani. Tooru strinse le labbra per un istante. "Sì," rispose infine. "Non andrà da nessuna parte a breve, te lo assicuro."

Il Primo Cavaliere di Seijou vide chiaramente come le spalle del giovane si rilassarono a quella risposta ma il suo viso non si addolcì in alcun modo: il sangue che gli macchiava le mani poteva non avere l'odore della morte ma non era ancora stato lavato via. Tobio appoggiò un ginocchio a terra e chinò il capo in segno di rispetto. "Grazie per tutto quello che avete fatto," disse con tono formale al Re Demone, poi allungò una mano ed afferrò la freccia caduta sui gradini di pietra. "Il sangue che vedete qui verrà lavato via con altro ben più gradito sia a voi che a me, avete la mia parola."

Tobio si tirò in piedi e prese a scendere le scale.

Hajime lo afferrò per una spalla. "Dove credi di andare, moccioso?" Domandò irritato. "Sei distrutto, ti reggi in piedi a stento e non me ne frega un cazzo del tuo senso di colpa. Vai a ripulirti e torna al fianco del tuo Principe, se vuoi essere definito un uomo!"

Tobio non rispose per un po'. "Lasciami andare..."

Tooru fece una smorfia. "Lascialo andare, Hajime," ordinò.

"State zitti!" Sbottò il Primo Cavaliere. "Se pensi che varcherai quel cancello senza che io ti stia attaccato al culo, ti sbagli di grosso, moccioso!"

Tobio si liberò con uno strattone. "Solo i più forti rimangono sul campo di battaglia fino alla fine," recitò come se fosse la strofa di una vecchia filastrocca. Si voltò a guardare i suoi genitori oltre la sua spalla. "Io volevo essere il più forte ma non lo sono. Non sono un Principe, non sono un Cavaliere e, soprattutto, non sono un Arciere."

Tornò a guardare dritto di fronte a sè.

"Non lo so più cosa sono..." Concluse. "Per questo me ne vado."

"Tobio!" Ringhiò Hajime. "Giuro che sei fa un passo di più..."

Il Principe non lo fece ma non perchè decise di dare ascolto alle parole di suo padre. Semplicemente, le gambe non lo ressero più. Collassò in fondo alla scalinata di pietra sotto lo sguardo allibito del Re Demone e del Primo Cavaliere del Regno di Seijou. Ci fu un attimo d'immobilità, poi sia Hajime che Tooru si precipitarono al fianco del Principe.

"Tobio!"

"Perde sangue!" Esclamò Hajime in panico. "È ferito, perchè non ci ha detto che... Maledizione! Tobio! Resta sveglio! Tobio!"

 
***



Tooru non ricordava l'ultima volta che era entrato in quella camera, eppure era certo non fossero passate più di alcune settimane. La camera di suo figlio.

Hajime si era addormentato sulla poltrona accanto al letto con ancora i pantaloni e gli stivali della battaglia addosso e la camicia aperta sul petto fasciato. Tobio dormiva sulla schiena con il viso girato di lato. Le sue ferite non erano gravi ma lo avevano indebolito abbastanza da fargli perdere i sensi. Qualche giorno di riposo e sarebbe tornato come nuovo, così aveva detto Kenma.

Il Re Demone si avvicinò al Primo Cavaliere e ne osservò il viso addormentato con aria nostalgica. Da quanto tempo non lo vedeva così? Tanto. Troppo.

Sarebbe dovuta essere la prima cosa da vedere al suo risveglio ogni giorno, così si erano giurati una notte di molti anni prima. Ora, Tooru non ricordava nemmeno l'ultima volta che avevano dormito nello stesso letto o fatto l'amore con la voglia di farlo e non per sfogare una rabbia o sottolineare un possesso che nessuno dei due era stato in grado di mantenere. Tooru inspirò aria attraverso la bocca per combattere il nodo che gli stringeva la gola, poi alzò la mano e fece per affondare le dita tra i neri capelli ribelli del suo Cavaliere, il suo compagno, il padre di suo figlio. Hajime gli afferrò il polso prima che potesse riuscirci, gli occhi verdi fissi sul suo viso come se stesse per rispondere ad un attacco a sorpresa. Rilassò i muscoli e lo lasciò andare come lo riconobbe.

Sospirò e si passò una mano tra i capelli. "Sei ancora sveglio," notò posando gli occhi sul giovane addormentato sul letto. Tobio si girò su di un fianco nel sonno dando ad entrambi le spalle. "Tu hai bisogno di riposare," disse il Re Demone. "Ho fatto preparare la vecchia stanza di mia madre per te. Shouyou è nella nostra e Tobio è qui nella sua, non ci sono altri letti disponibili in questi appartamenti."

Hajime lo guardò. "Il Principe dei Corvi?"

"La febbre si è abbassata," rispose Tooru. "La ferita è pulita e grazie al potere nel suo sangue si rimarginerà presto. Kenma sostiene che se fosse stato umano non sarebbe andata altrettanto bene."

Il Primo Cavaliere si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.

"Hajime, vai a riposare. Resto io con Tobio."

Fece come gli era stato detto e Tooru si accomodò sulla poltrona lasciata libera, poi si accorse che il Cavaliere si era fermato davanti al letto appoggiando una spalla ad una delle colonne del baldacchino. "Iwa-chan..." Lo richiamò impulsivamente e fu un errore.

"Non chiamarmi così," gli rispose il Cavaliere freddamente e nemmeno lo guardò negli occhi nel farlo. "Non parlarmi come se non fosse successo niente o fosse tutto risolto. Non c'è rimasto più nulla da distruggere, Tooru, è ben diverso."

"Hajime..." Si corresse immediatamente il Re Demone. "Siamo stanchi tutti e due. Lo siamo stati per un po'..."

"Non scaricare le tue colpe su di me," replicò Hajime e lo guardò dritto negli occhi questa volta. "Io non ero stanco, Tooru. Non ero stanco delle tue ossessioni, della tua corsa disperata verso il potere, verso una perfezione inesistente. Non ero stanco dei tuoi capricci, dei tuoi vaneggiamenti. No, potevo ancora accettare tutto questo."

Tooru chiuse gli occhi. "Hajime, ti prego..."

"Sì, non ero stanco di tutto il sangue che versavo per te, per rendere questo regno più grande, come dicevi tu. Non ero stanco nemmeno il giorno in cui hai firmato l'alleanza con Shiratorizawa e Tobio ha dormito nel nostro letto perchè non riusciva a trovarti ed io ero talmente stupido e fiducioso nei tuoi confronti che mi sono detto con espressione seccata che dovevi essere rimasto in piedi a studiare strategie fino a tarda notte."

Tooru abbassò gli occhi con vergogna. "Quella notte è stato un errore..."

"E quelle che sono seguite, Tooru?"

"Non l'ho più visto per anni, Hajime," rispose il Re Demone. "L'ho disprezzato per quella notte, mi sono disprezzato... Sono tornato all'alba nella speranza d'infilarmi nel nostro letto senza che tu te ne accorgessi e ti ho visto lì, con Tobio addormentato tra le tue braccia e vi ho guardato dormire," Tooru sorrise a quel ricordo, sebbene le lacrime avessero cominciato a rigargli le guance, "eravate così belli, io vi amavo così tanto ed ho pensato a quanto tutto quello per cui avevo combattuto fosse così superfluo. Avevo tutto quello che qualcuno potesse desiderare in questa vita e ho fatto il più diabolico degli errori: l'ho dato per scontato."

Hajime tornò a guardare Tobio. "La peggiore cosa che hai fatto non sono stati i tuoi ripetuti tradimenti nei miei confronti... Sai, non ero stanco di te nemmeno dopo che me li hai confessati," ammise. "Sì, Tooru, anche allora avrei lottato per te, per riaverti... Anche allora mi sarei messo in discussione e avrei guardato quello che eravamo diventati per affrontare la mia parte di errori ma tu hai deciso di rovinare anche la cosa più bella che abbiamo fatto insieme e questo non sono riuscito a perdonartelo."

Tooru guardò il giovane addormentato nel letto. "Quando Kenma mi ha confessato di aver sognato che il Re Demone dopo di me sarebbe stato il mostro che avrebbe conquistato tutti i Regni liberi con un corvo al suo fianco, non ho voluto credergli," sorrise amaramente. "Ricordi quel tramonto d'inverno in cui abbiamo stretto Tobio tra le braccia per la prima volta?"

Hajime non rispose, Tooru sapeva che non poteva averlo dimenticato. Era stato il giorno più bello della vita di entrambi, era stato il lieto fine in cui nessuno dei due aveva osato più sperare. Era stato l'inizio di una felicità che sarebbe dovuta durare fino alla fine dei loro giorni ma che erano riusciti a proteggere per poco più di un decennio.

"Era il nostro miracolo e non poteva essere un mostro," il viso di Tooru s'illuminò di un sorriso nostalgico che ebbe vita breve. "Poi ci sono stati altri sogni ed altri ancora, fino a che  Tobio non è divenuto una minaccia, è divenuto il nuovo Principe Demone capace di attirrare l'attenzione del Re dell'Aquila."

Hajime lo guardò con disprezzo. "E tu questo non potevi accettarlo, vero?"

Tooru lo fissò nello stesso modo. "Dovevo firmare quell'alleanza per proteggerlo!"

"E dovevi anche divenire il suo amante per renderla effettiva?"

Il Re Demone non aveva una giustificazione pronta, solo tante accuse. "Ho cominciato ad odiarvi," ammise.

Hajime rise istericamente. "Ma davvero? Povero, stupido, folle Re Demone."

"Più Tobio cresceva, più mi metteva in ombra e tu non facevi che ripetermi quanto tutto quello che facessi fosse sbagliato. Ho coquistato la cima del mondo, tutto il potere in cui potessi sperare e mi sono trovato completamente solo."

"E le sue braccia erano perfette per combattere la solitudine, vero?" Domandò Hajime con rabbia a stento trattenuta.

Tooru non rispose per un po'. "Tu non c'eri..."

"Perdonami, se nostro figlio si era lanciato alla conquista del Regno di Karasuno per dimostrare qualcosa a suo padre, il Re Demone e a quel bastardo del Re dell'Aquila e dovevo premurarmi che tutti i Regni non lo conoscessero come un tiranno assetato di potere."

"Sarebbe stato meglio se Karasuno fosse andata distrutta..."

"Come puoi dire una cosa del genere? Come..."

"Perchè allora non saremmo arrivati a questo punto!" Tooru artigliò la stoffa dei suoi pantaloni. "Avevo fallito con te, avevo fallito con Tobio ma ero ancora un grande Re... Ma ora..." Gli sfuggì una serie di singhiozzi violenti.

"Che cosa hai trovato?" Domandò Hajime di colpo. "Sulla cima del mondo, che cosa hai trovato?"

Tooru si asciugò il viso con una mano e scosse la testa. "Niente," ammise. "Solo vuoto e solitudine e ho compreso che il prezzo per ottenere un simile potere era stato me stesso. Tutto quello che ero, tutto quello che avevo..." Tirò su col naso. "Tooru era morto, per questo non riuscivamo ad amarci più."

Hajime non rispose. Guardò Tobio ancora per un istante, poi tornò davanti a Tooru e s'inginocchiò ai suoi piedi abbassando la testa. "Vi chiedo perdono per non essere riuscito a difendere la mia gente e la mia casa, mio signore," disse formalmente, sebbene il dolore in quelle parole fosse reale."Vi giuro che non avrò pace fino a che non avrò posto rimedio a questo fallimento."

Si alzò in piedi e fece per andarsene senza degnare nemmeno di un ultimo sguardo quei grandi occhi marroni che aveva tanto amato. Tooru, allora, comprese. Comprese che se lo avesse lasciato andare, se fosse uscito da quella porta, Hajime non sarebbe mai stato suo ancora una volta. O, forse, era già troppo tardi. Forse, no... Sicuramente non si meritava tanto ma che se ne faceva del buon senso e dell'orgoglio quando la sua anima era in punto di morte?

Si aggrappò a quelle spalle forti come aveva fatto innumerevoli volte nel corso della sua vita ed affondò il viso contro quella schiena forte che aveva saputo sorreggere tutti i peccati sia suoi che di Tobio, fino a che non era stato Tooru stesso ad imporgli una scelta. "Quando ti ho visto moribondo nel nostro letto," confessò con un filo di voce. "Ho sperato di poter morire con te. Perdere il tuo cuore era già stato insopportabile ma una vita senza di te... No, Hajime, la prima volta che ho creduto di doverla affrontare sono rimasto in piedi perchè il cuore di Tobio batteva con il mio ma non avrei avuto nemmeno metà di quella forza, ora."

Hajime sospirò pesantemente ed abbassò il capo. "Meriti solo di essere abbandonato, Tooru."

"Lo hai già fatto," gli ricordò il sovrano. "Ti ha fatto sentire meglio?"

Suo malgrado, nonostante la voce della ragione gli gridasse a squarciagola di non farlo, Hajime afferrò una delle mani sul suo petto fasciato, quella sopra il suo cuore. "No..." Rispose con un filo di voce.

"Non ti chiedo di perdonarmi," disse Tooru. "Non ti chiedo nemmeno di amarmi. Ti chiedo solo questa notte... Questa notte e tutte quelle in cui ne avrai voglia."

Hajime si rigirò tra le sue braccia e lo guardò dritto negli occhi. "Sei un Re e mi parli come una puttana."

"Come se avessi il diritto di essere un Re con te," replicò Tooru con amarezza. "In fin dei conti, ti sto implorando per una notte di calore e questo non mi rende un sovrano."

"No, forse no," ammise Hajime scontando un ciuffo ribelle da quel viso provato. "Ti rende umano, però."

Aprirono la porta con cautela, lanciarono un'ultima occhiata a Tobio per assicurarsi che dormisse ancora tranquillo, poi se ne andarono. Come l'uscio si richiuse, un paio di occhi blu si aprirono nella penombra della stanza e fissarono quella maniglia scura per alcuni secondi.

Il Principe sospirò, si alzò lentamente, attento a non forzare le zone ferite, poi aprì la porta. Sbirciò all'esterno e vide i suoi genitori fermi davanti alla camera che era stata preparata per permettere al Cavaliere di riposare. Tooru piangeva in silenzio, con la schiena premuta contro la porta chiusa. Hajime gli asciugava le guance con tenere carezze sul viso.

Si dissero alcune parole che il Principe non riuscì ad udire, poi si scambiarono un bacio timido, timoroso come quello di due ragazzini. Entrarono nella camera da letto tenendosi per mano e Tobio uscì in corridoio non appena la porta si fu richiusa.

La osservò per una manciata di secondi, poi s'infilò nella stanza principale lentamente, senza emettere rumore. Il fuoco nel camino era l'unica cosa ad illuminare la stanza ma era più che sufficiente al Principe per vedere chiaramente il corpicino che giaceva al centro del grande letto con il mantello rosso degli eredi al trono di Seijou a coprirlo. Tobio non era più degno d'indossare quei colori, come non lo era di portare quel titolo. Si avvicinò al letto con cautela osservando con attenzione il viso dell'altro Principe, sentendo una sensazione spiacevole al petto come si rendeva conto di quanto quel viso fosse pallido.

Dovette stringere i pugni per combattere l'istinto di affondare le dita tra quei capelli ribelli, di baciarlo, di svegliarlo per poter vedere ancora quegli occhi dorati ma la fasciatura sul petto di Shouyou gli ricordò che cosa doveva fare e pensò che non ci sarebbe riuscito se il Principe dei Corvi lo avesse guardato in faccia.

"Perdonami," disse con voce ferma. "Non avrei dovuto scoccare quella freccia ma ti giuro che questa è l'ultima volta che chiedo scusa per un bersaglio mancato. La prossima volta, non sbaglierò..."






 

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Capitolo 12
*** Di incubi spaventosi e presagi oscuri ***


10
Di incubi spaventosi e presagi oscuri



Quando il Primo Cavaliere scese le scale degli appartamenti reali, Issei e Takahiro furono felici di notare che aveva recuperato il senno abbastanza da presentarsi vestito adeguatamente per la stagione. "Ehi!" Esclamarono in coro Tetsuro e Daichi, mentre quest'ultimo si portava in avanti per accogliere l'alleato appena divenuto padre con una pacca sulla spalla. "Tutto bene?" Domandò, come se il sorriso abbagliante sul viso dell'altro non parlasse da solo.

Hajime annuì guardandoli tutti. "Stanno bene entrambi," proclamò, poi prese un gran respiro per darsi un contegno. "È un maschio!" Esclamò pieno d'orgoglio. "Il Regno di Seijou ha un nuovo Principe."

"Congratulazioni, amico," disse Issei afferrandogli una spalla.

"È ufficiale, allora?" Domandò Takahiro. "Tobio, come tuo padre?"

Hajime annuì non riuscendo a cancellarsi dalla faccia quel sorriso quasi inebetito. "Sì, Tobio. Così vuole Tooru."

Tetsuro fece un gesto con la mano. "Come se non ti facesse piacere chiamare il tuo primogenito col nome di tuo padre. Il primo Principe del Regno di Seijou ad avere il nome di un uomo comune. Tooru non si smentisce mai, non c'è che dire."

"È il primo del suo nome," sottolineò Daichi. "È una scelta importante! Qualunque Principe, dopo di lui, che si chiamerà Tobio lo sarà per una ragione simbolica. Ha tutta la vita davanti per decidere quale..."

"Andiamo, Issei!" Esclamò Takahiro scendendo le scale di pietra. "Abbiamo un esercito di Cavalieri da far esultare, dei Consiglieri da impanicare e dobbiamo trovare qualcuno che salga sulle mura a sparare cento colpi di cannone."

Hajime rivolse tutta la sua attenzione ai suoi compagni. "Pensate a farlo voi?"

"Potremmo mai perderci l'occasione di scatenare una folla con una notizia come questa?" Domandò Issei. "Vai pure a goderti l'intimità della tua famiglia, fino a che la corte non comincerà a salire queste scale correndo. Le luci della ribalta lasciale a noi per un po'!"


Come Hajime tornò in camera, un boato si alzò dal cortile interno del Castello Nero.

Seduto al centro del loro letto, Tooru alzò gli occhi dal fagottino tra le sua braccia e si sorprese d'incrociare gli occhi verdi del suo Cavaliere. "Ti credevo lì fuori ad annunciare la sua nascita," disse, mentre Hajime tornava a sedersi sul bordo del letto e sorrideva all'indirizzo del neonato dall'aria arrabbiata. "Non vuoi festeggiare la nascita di tuo figlio?"

Hajime scrollò le spalle. "E perdermi questi momenti?" Domandò. "Scenderò ad unirmi a loro non appena lui si sarà addormentato e tu ti riposerai."

Tooru scosse la testa tornando a guardare il faccino paffuto del loro bambino appena nato. "Se riposo sarò io a perdermi questi momenti," replicò.

Dal lato opposto della stanza, Kenma sospirò sconfortato. "È già la seconda volta che un paziente usa una scusa del genere per sfinirsi."

Koushi si voltò verso Tooru e gli fece l'occhiolino. "Vorrei essere ragionevole e dirti di seguire il consiglio di Kenma ma so cosa si prova."

Il Re Demone sorrise ad entrambi in risposta. Hajime, dal canto suo, era completamente preso dall'osservare il neonato tra le braccia del suo sovrano. Tooru se ne accorse e, con un sorriso leggero, alzò di nuovo lo sguardo verso l'Arciere ed il Mago. Koushi capì immediatamente ed annuì. "Sei hai bisogno di qualcosa..." Si limitò a dire.

Tooru annuì.

"Allora vi lasciamo da soli," concluse Kenma. "Mi raccomando, il riposo è importante."

Il giovane Re annuì ed il suo Cavaliere si alzò in piedi piegando appena il capo in segno di rispetto. "Vi ringrazio," disse con fare solenne. "Vi sarò eternamente grato."

Koushi rise appena. "Il tuo Re ha fatto nascere il mio bambino sei mesi fa," gli disse con semplicità. "È stato un onore poter essere d'aiuto alla nascita del vostro."

Hajime alzò lo sguardo ed annuì. "Vi ringrazio comunque." Il Cavaliere aspettò che entrambi fossero usciti, prima di tornare a sedersi accanto al suo Re e la sua attenzione fu tutta per quegli occhi marroni che lo guardavano come non lo avevano mai guardato.

Il giovane Demone se ne stava rilassato contro i grandi cuscini alle sue spalle, i capelli castani più arricciolati del solito e meno colore sulle guance ma Hajime pensò che fosse bello in un modo unico ed irripetibile.

Di colpo, tutte le ombre che avevano fatto parte di Tooru dal giorno in cui era morta sua madre sembravano essersi dissolte nel nulla. Hajime gli appoggiò una mano sulla guancia e gli accarezzò lo zigomo con il polpastrello del pollice. Il sorriso di Tooru sparì per un istante, uno solo, poi torno più dolce e commosso di prima. "Continua a guardarmi..." Gli disse con le lacrime agli occhi. "Continua a guardarmi così..."

"Così come?" Domandò Hajime senza togliersi dalla faccia quell'espressione incantata che non aveva alcuna vergogna a mostrare.

Tooru ci pensò un attimo, poi scosse la testa. Girò il viso di un poco e baciò il palmo di quella mano calda e gentile che non aveva lasciato la sua nemmeno per un istante. Dopo, gli occhi marroni abbandonarono quelli verdi del Cavaliere e si posarono sul neonato che se ne stava tranquillo tra le sue braccia, sebbene quel broncio indispettito non se ne fosse andato nemmeno per un istante. Tooru prese tra le dita una di quelle manine minuscole perdendosi un istante nei dettagli minuscoli di quel visetto paffuto.

Hajime passò la punta delle dita sulla testolina ricoperta di morbidi capelli corvini, poi vi posò le labbra inspirando a pieni polmoni l'odore di nuovo e di pulito del loro bambino. "Hai mai visto qualcosa di più bello?" Domandò rubando con gentilezza il piccolo pugno stretto tra le dita del suo Re.

Tooru, per un momento, tornò a sorridere come il vecchio se stesso. "Sì," rispose con sicurezza, "me."

Hajime alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere, fino a che qualcosa non colpì la sua attenzione. Più accarezzava i capelli di suo figlio, più qualcosa gli sembrava fuori luogo ma non comprese immediatamente di che cose si trattasse.

Tooru s'incupì di colpo. "Che cosa c'è, Hajime?"

"Non ha le corna," rispose il Cavaliere scrutando con attenzione tra i fini fili d'ebano del neonato. Anche Tooru, per un momento, lo guardò con come se qualcosa non andasse. Passò le nocche ai lati della piccola testa ma non trovò nessuna protuberanza che avrebbe già dovuto essere ben visibile. Sentì gli occhi verdi di Hajime su di sè ma Tooru tornò a sorridere immediatamente posando le labbra sulla fronte del loro bambino. "Assomiglia al suo papà, non c'è nulla di sbagliato in questo."

Hajime si accorse che stava nascondendo qualcosa e non poteva lasciar correre, non nello stato delicato in cui versava il suo Re in quel momento. "Tooru..."

"È perfetto," concluse il giovane Demone con le lacrime agli occhi. "È sano, forte ed ha il faccino arrabbiato del suo papà, quindi per me è perfetto così." La voce gli tremava, baciò ancora il neonato con dolcezza e lo strinse di più come se volesse proteggerlo da qualcosa.

Hajime si fece più vicino e gli passò una mano tra i capelli in disordine. "Tooru..."

Il suo Re però gli impedì di andare avanti. "Vuoi tenerlo in braccio?" Chiese con dolcezza.

Il Primo Cavaliere lo fissò come se gli avesse detto di saltare giù dal dirupo da cui si era salvato per pura e semplice fortuna. Tooru rise e fu un suono cristallino, sincero, capace di allontanare le ombre che, per un istante, avevano oscurato il capitolo più bello della loro storia. "Avanti!" Lo incoraggiò. "Sei stato il primo a prenderlo tra le braccia, non dimenticarlo."

Sì, Hajime lo aveva fatto e sapeva che non avrebbe mai dimenticato, nemmeno avesse avuto la fortuna di arrivare alla fine della sua vita tanto vecchio da essere inevitabilmente rimbambito, come il respiro gli era venuto a mancare nel momento in cui Koushi aveva deposto tra le sue braccia la piccola vita che avrebbe cambiato per sempre la sua. Il cuore si era fermato. Tuttavia, non si era sentito morire, al contrario, aveva realizzato che fosse un'emozione troppo grande perché potesse comprenderla in pieno.

Tobio era stato tra le sue braccia solo per pochi istanti, prima che Tooru potesse finalmente stringere a sè la loro più grande vittoria ma erano stati sufficienti perché se ne innamorasse perdutamente, follemente. Era stato come aveva detto Daichi: aveva tenuto suo figlio tra le braccia e si era convinto di non avere più limiti. Se era stato pronto a tutto per Tooru e si era convinto che mai nessun altro lo avrebbe fatto sentire così, aveva avuto torto.

"Avanti, papà Iwa-chan, non essere timido!" Tooru gli mise il neonato tra le braccia con delicatezza. Hajime si sedette contro i cuscini e sistemò quel fagotto senza peso contro il petto, mentre Tooru appoggiava la guancia contro la sua spalla. Tobio non emise un lamento, come se le braccia che lo avevano accolto fossero sicure quanto quelle che lo avevano lasciato andare. Gli occhi incolori si fissarono in quelli verdi del Primo Cavaliere e Hajime gli sorrise perché non sarebbe stato capace di fare altro.

"Ciao Tobio," gli disse tracciando il profilo del naso minuscolo con la punta dell'indice. Tobio non si fece sfuggire l'occasione ed afferrò quel dito immediatamente, come se fosse una sua proprietà. Hajime rise e guardò Tooru. "Ha una bella stretta, diventerà un ottimo spadaccino."

"Ed un grande Arciere," sottolineò il giovane Re.

"Potrà essere tutto quello che vorrà," replicò Hajime guardando Tobio con sguardo innamorato. "Purché sappia apprezzare il valore della propria libertà e di quella degli altri."

Il Primo Cavaliere non si accorse dell'occhiata del Re al suo fianco. "Lo stai guardando come prima guardavi me," commenta Tooru.

Hajime alzò gli occhi verdi su di lui. "Non mi hai ancora detto come ti guardavo."

"Come se fossi tutto il tuo mondo..."

Hajime si fece serio di colpo e la sua espressione si tinse di una sfumatura solenne. "Da bambino mi chiedevo spesso perchè fosse toccato a me?"

"Cosa?"

"Essere al tuo fianco..."

Tooru non rispose, rimase in silenzio ad ascoltare.

"Dopo ho deciso di ringraziare la mia buona stella e non fare l'ingrato col destino ponendo domande sulla mia fortuna," Hajime sospirò. "Oggi non so chi ringraziare. So solo che a sei anni ho perso tutto il mio mondo e, anche se era piccolo ed umile, era pur sempre un mondo che mi aveva permesso di esistere per amore."

Tooru comprese immediatamente che stava parlando dei suoi genitori.

"E a sei anni ho ottenuto anche tutto quello che non avrei mai osato desiderare," Hajime tornò a guardare Tobio, perché gli era impossibile affrontare gli occhi profondi di Tooru in quel momento. "Io, che ero destinato a rimanere niente, sono stato un compagno di gioco, un amico, un complice, un compagno..."

Tooru sospirò e chiuse gli occhi per un istante. "Lo saresti stato anche senza un futuro Re, Hajime."

Il Primo Cavaliere scosse la testa. "Ma non senza di te..."

Il cuore del giovane Demone saltò un battito e Hajime alzò gli occhi verdi per incontrare i suoi ancora una volta. "Fossi stato un contadino in un villaggio sperduto tra i boschi di Seijou, ti avrei amato comunque esattamente come ti amo ora e quando mi avresti messo nostro figlio tra le braccia, fosse stato in una casetta di appena due stanze, invece di questo castello, ti avrei guardato proprio come ti guardo adesso," prese un respiro profondo. "Tu sei tutto il mio mondo, Tooru. Mi avresti reso grande anche se non avessi avuto il potere di rendermi il primo Cavaliere Umano in un Regno di Demoni."

Tooru non fu in grado di parlare dopo una confessione simile. Solo dopo cercò di dire qualcosa ma ogni tentativo morì in un lieve singhiozzo seguito un sorriso splendente di felicità. Appoggiò la guancia contro il petto del suo Cavaliere e si lasciò andare alle lacrime di una gioia troppo grande per poter essere stretta al petto.

Hajime passò il peso di Tobio su di un solo braccio usando quello libero per circondare le spalle del compagno e stringerlo a sé. Posò un lungo bacio tra quei capelli ricciuti e poi vi appoggiò la guancia.

Tooru emise una risata tremolante nel vedere il loro bambino fare il suo primo, grande sbadiglio. Ne accarezzò le guance morbide osservando incantato come gli occhi incolori si chiudevano ed il tenero broncio si rilassava grazie al potere del sonno.

In quell'abbraccio, Tooru trovò realizzati tutti i sogni che aveva fin da bambino e tutti quelli che non aveva mai osato fare nemmeno lui. Il compagno di una vita al suo fianco, il loro bambino appena nato tra le loro braccia. Lui un Re vittorioso, Hajime il Primo Cavaliere di un Regno che era rimasto in piedi nel corso di una guerra senza speranza ed il loro piccolo Tobio a rappresentare la promessa di un futuro radioso.

"Vorrei restare così per sempre, Hajime..."

 
***



Shouyou giocava con la mano grande del suo papà e quei grandi occhi dalle sfumature dorate non ne volevano sapere di chiudersi, nonostante fosse già notte da diverse ore.

Il Castello Nero era ancora in festa per la nascita dell'erede al trono e, probabilmente, avrebbero continuato a brindare e cantare fino all'alba ma sia lui che Hajime avevano abbandonato presto la celebrazione e si erano ritirati nelle rispettive stanze per adempiere al loro dovere di padri e compagni. Il giovane Re guardò fuori dalla finestra osservando i fiocchi di neve cadere con delicatezza dal cielo. Koushi dormiva sereno nel loro letto ma Shouyou sembrava avere tutt'altre intenzioni per quella notte. Daichi tornò a guardare quel faccino paffuto, mentre le piccole mani afferravano il suo indice e lo portavano tra le piccole labbra a cuore. Il sovrano di Karasuno era certo che il suo erede avesse la stessa bocca del suo consorte e questo, oltre a riempirlo d'orgoglio e farlo innamorare del suo bambino per l'ennesima volta, lo riempiva di un'ansia incredibile per il futuro a venire.

Daichi si era innamorato di quelle labbra. Daichi credeva che la sua felicità avesse il sapore dei baci di Koushi e quando il suo Arciere sorrideva...

Per sottolineare il concetto, Shouyou scelse proprio quel momento per sollevare lo sguardo e sorridere al suo papà nel modo più adorabile che fosse possibile. E, sebbene Daichi volesse solo coricarsi accanto al suo consorte e lasciarsi vincere dal sonno a sua volta, non potè trattenersi dal sorridergli a sua volta. Era impossibile rimanere impassibili di fronte a quel sorriso, lo era stato da quando il piccolo Principe aveva compiuto tre mesi ed aveva cominciato a regalarne al mondo ogni volta che ne aveva l'occasione.

Shouyou sorrideva spesso e Daichi poteva solo immaginare come sarebbe apparso agli occhi degli altri tra quattordici o quindici anni. Sospirò profondamente e riportò alla memoria quel giorno di pochi mesi prima in cui si era risvegliato da un sonno che credeva non lo avrebbe mai più lasciato andare e Koushi gli aveva messo tra le braccia la splendida creatura che avevano messo al mondo.

Per un attimo, la sua mente tornò a quel pomeriggio, all'espressione indescrivibile sul viso di Hajime quando era sceso ad annunciare la nascita di suo figlio. Daichi non aveva mai pensato troppo al giorno in cui Shouyou era venuto alla luce. Certo, avrebbe voluto essere vicino a Koushi o, perlomeno, sapere che l'evento si stava verificando ma non aveva mai pensato all'eventualità di essere diretto testimone della nascita del suo erede. Era una questione di mentalità: i padri non s'impicciavano di un evento che non potevano capire e si limitavano a pregare che tutto andasse nel migliore dei modi.

Daichi non aveva mai pensato a questo fosse codardo fino a che non aveva visto il Primo Cavaliere di Seijou rimanere accanto al suo Re fino al primo vagito del loro bambino. Non ci aveva mai pensato, no ma aveva sentito una strana invidia stringergli il petto quando Hajime gli aveva confidato di essere stato il primo a prendere Tobio tra le braccia e a metterlo tra quelle di Tooru.

"Daichi..."

Una mano si posò delicata sulla sua spalla: Koushi si era svegliato.

Daichi sorrise alla sua espressione assonnata. "Ti abbiamo svegliato?"

"Mi ha svegliato il letto vuoto," rispose l'Arciere con un sorriso stanco appoggiando la guancia sulla spalla del suo uomo. Due occhi dorati identici ai suoi lo guardarono dal basso ed il sorriso di Shouyou si fece ancora più luminoso, mentre staccava le piccole mani da quella ben più grande del padre e le alzava verso il viso dell'altro genitore. Koushi sospirò stancamente ma non si sottrasse a quel richiamo adorabile. "Vieni..." Mormorò prendendo il suo bambino e stringendolo contro il petto. "Il fatto che tu sia nato Principe non ti da il diritto di sfinire tuo padre, lo sai?"

Shouyou strofinò il nasino contro la spalla dell'Arciere contento di essere di nuovo tra le sue braccia e si accoccolò dolcemente, mentre Koushi gli portava una mano sul retro della piccola testa e prendeva ad accarezzargli i capelli con lenti movimenti circolari, le labbra premute contro la fronte tiepida. Daichi passò il polpastrello dell'indice su una delle manine strette sulla camicia da notte del suo consorte. "Raccontami del giorno in cui è nato."

"Sai già tutto," rispose Koushi, mentre Shouyou alzava la testa e l'Arciere gli posava un bacio sul nasino minuscolo. "È una storia che ti ho narrato in ogni dettaglio."

"Fallo ancora..."

Gli occhi dorati lo guardarono con sospetto. "Che cosa c'è, Daichi?"

Il giovane Re scrollò le spalle. "È solo che pensavo... Hajime, Tooru, il piccolo Tobio."

Koushi sorrise appena. "Stai pensando al fatto che Hajime ha assistito alla nascita di suo figlio e tu no?" C'era poco da fare, il consorte reale di Karasuno aveva il dono dell'intuizione.

Daichi annuì ed arrossì appena. "Pensavo che, in fin dei conti, fosse importante esserci dopo, durante gli anni della sua crescita ma..." Sospirò. "Ho come la sensazione di essermi perso qualcosa d'irripetibile. Qualcosa che non mi sarei mai dovuto perdere."

Koushi scosse la testa. "Stavi combattendo per noi," gli ricordò. "Non hai nulla da rimproverarti."

"Non mi fa stare meglio," replicò Daichi.

Koushi si avvicinò e sfiorò le labbra del suo Re con le proprie. "La nascita di Shouyou è stata molto più veloce di quella di Tobio. È stato tutto molto instintivo per me e non ho avuto molto tempo per riflettere sul dolore o su quanto fossi terrorizzato. Prima ancora che perdessi la testa al punto da cercare la tua mano, Tooru mi ha messo Shouyou tra le braccia."

"Avrei voluto essere al suo posto."

Koushi scosse la testa. "No," ammise con un sorriso. "Non avresti voluto. Non era uno spettacolo piacevole e Kenma non ti avrebbe mai fatto restare e a ragione. Ha permesso a Hajime di farlo con Tooru perché, nel suo caso, è stato tutto molto più graduale ed il bambino non era prematuro."

Daichi si chinò a baciare la testolina di Shouyou. "Mi dispiace lo stesso."

Koushi ridacchiò. "Vorrà dire che se capiterà una seconda volta, in futuro, mi premurerò di pretendere la tua mano stritolata tra le mie dita per tutto il processo!"

 
***



Hajime si svegliò per il freddo: il fuoco era andato a morire lentamente durante la notte e la neve fuori non ne voleva sapere di smettere di cadere. Il Primo Cavaliere di Seijou prese un respiro profondo e si alzò dalla poltrona su cui si era appisolato. Tooru dormiva nel loro letto steso su un fianco, a pochi centimetri della culla del Principe appena nato. Hajime gli lanciò un'occhiata veloce, poi s'inginocchiò sul tappeto e si adoperò per rianimare il fuoco: era troppo freddo all'esterno perché potesse permettersi di lasciare la stanza priva di qualsiasi fonte di calore. Finito il lavoro, udì una serie di soffici versetti alle sue spalle e tornò a sedersi sulla sua poltrona per poi incrociare le braccia sul bordo della culla e sporgersi per vederne l'interno. "Ehi..." Mormorò sfiorando il faccino paffuto del bambino che si era svegliato. Hajime fu felice di notare che le guance erano ancora calde ma questo non gli impedì di aggiustare di nuovo la copertina intorno al corpicino del Principe. Tobio lo guardò e Hajime gli sorrise ma l'espressione del piccolo si accartocciò come se fosse di carta. "Shhh..." Mormorò il Primo Cavaliere posando il palmo su quella testolina e muovendo il pollice sulla fronte in una tenera carezza. "Va tutto bene, Tobio. Va tutto bene..."

Il Principe sembrò calmarsi un poco ma non abbastanza da riaddormentarsi: era la sua prima notte fuori dalla pancia e a quel pensiero Hajime cominciò a riflettere su cose che non lo avevano mai nemmeno sfiorato. Era stato con Tooru per nove mesi ed ora era un esserino a se stante in un mondo sconosciuto. Doveva essere terribile, spaventoso...

Hajime concluse che sarebbe stato meglio vegliare su di lui fino all'alba, in modo da farlo sentire al sicuro mentre Tooru riposava qualche ora in santa paca.

"Iwa-chan..."

Il Cavaliere alzò gli occhi al cielo e trattenne un'imprecazione: mai una volta che l'idiota mancasse di mandare a monte i suoi piani. Il viso assonnato del suo Re comparve dal lato opposto della culla. "Si è svegliato?" Domandò con un sorriso stanco sporgendosi verso la culla.

"È tranquillo," rispose Hajime. "Torna a dormire, Tooru, hai riposato solo qualche ora."

Tooru ridacchiò. "Va tutto bene, Iwa-chan," lo rassicurò, poi si chinò sul bambino nella culla e sfiorò il piccolo naso con il proprio, mentre una sua mano andava a posarsi sul pancino coperto. Hajime sentì un tuffo al cuore nel rendersi conto che il palmo di Tooru era sufficiente per coprirlo interamente. "Stai bene con papà vero, Tobio-chan?" Il giovane Demone baciò una delle guance morbide. Il Principe alzò le manine per sfiorargli il viso e Hajime restò bloccato a guardarli come se fossero l'unica cosa al mondo a cui valesse la pena di porre attenzione. In fin dei conti, ci sarebbe mai stato niente altro in grado d'incantarlo così?

Tooru sollevò il bambino con entrambe le mani e se lo portò vicino al viso riempiendolo di baci e mormorando parole tenere e sciocchine a cui Hajime non potè fare a meno di sorridere. "Questa boccuccia è senza ombra di dubbio la mia," concluse il giovane Re passando l'indice sulle piccole labbra piene. "I capelli neri sono di papà ma almeno hanno un senso, a differenza dei suoi."

"Ehi..." Hajime lo guardò storto.

Tooru sollevò il bimbo sopra il suo viso e Tobio ricambiò lo sguardo con la solita espressione contrariata. "Anche il brutto broncio è tutto di papà. Uhmm... Possiamo anche ritenerci soddisfatti: sarai uno sgorbietto ma almeno siamo certi che bacerai come un Re."

"Ehi!" Quasi ringhiò il Primo Cavaliere ma Tooru rise riportando il faccino di Tobio a portata delle sue labbra per riempirlo di baci. "Adesso che ci sei tu, io e papà non ci lasceremo sconfiggere mai più," rispose il neonato nella sua culla premurandosi di coprirlo per bene. "Vinceremo ogni battaglia e lo faremo per te," si chinò per concedere a suo figlio un ultimo bacio. "Meglio, io vincerò e papà Iwa-chan starà a guardarmi con aria adorante."

"Sei fortunato se continuerò anche solo a guardarti di sfuggita," rispose il Cavaliere posando di nuovo il palmo sui fini fili d'ebano sulla testa del loro bambino. Tooru s'imbronciò immediatamente. "Iwa-chan! Dov'è finita tutta la devozione di questo pomeriggio?"

"È scomparsa col ritorno della tua stupidità," rispose ma era troppo impegnato a sorridere a Tobio per fingersi arrabbiato. "È tranquillo, comunque."

Tooru incrociò le braccia sul bordo della culla e osservò il neonato con aria sognante. "Siamo qui con lui. Perchè dovrebbe agitarsi? Si calmava al suono della tua voce anche mentre era dentro la pancia e..." Ma Hajime non lo ascoltava più: tutta l'attenzione del suo Cavaliere era per quella piccola creatura che lo fissava imbronciata ma non per questo era meno perfetta o adorabile.

Tooru rimase a guardarli per una manciata di secondi, poi sorrise con un po' d'amarezza. "Almeno adesso so chi sarà..."

Hajime lo guardò confuso. "Chi?"

"Il Re che amerai anche più di me..."

 
***



Era ancora notte ma il cielo si sarebbe schiarito presto.

Il Principe Demone camminava sul terreno erboso della foresta lentamente, senza emettere alcun rumore. I suoi movimenti erano quelli di un cacciatore esperto, di un predatore che non avrebbe mai permesso a se stesso di perdere contro la propria preda.

La freccia era già incoccata nel grande arco.

Tutto quello che doveva fare era aspettare che il suo nemico compiesse un passo falso.

Aspettò pazientemente e, alla fine, un veloce frusciare di foglie gli diede la direzione giusta in cui lanciare il colpo. La creaturina alata, però, aveva la velocità dalla sua parte ed era un talento in cui nessuna preda che lo aveva preceduto poteva eguagliarlo.

Alcune piume nere caddero a terra ma nemmeno una goccia di sangue. La freccia aveva colpito il bersaglio ma il Corvo era stato troppo veloce. Il Principe Demone ne incoccò un'altra avanzando nella direzione che il movimento tra le chiome scure degli alberi gli suggeriva. L'erba sotto i suoi piedi venne sostituita da un terreno in cui i suoi stivali affondavano pericolosamente. Il bosco era scomparso e di fronte a sè vide la distesa d'acqua scura estendersi fino all'orizzonte ed oltre.

Per quanto tempo dovevano essersi inseguiti per arrivare lì, alla fine del mondo?

Perchè tanta caparbietà quando il Principe Demone non aveva bisogno di dimostrare niente a nessuno per essere il degno erede del trono a cui era destinato ed il piccolo Corvo era solo una piccola preda come tante altre, senza nessun valore effettivo?

Non ci fu il tempo per darsi alcuna risposta.

Alla fine, il volatile si arrese ed il Principe Demone lo vide planare sulla sabbia proprio davanti ai suoi occhi blu. Tese l'arco, aspettò il tempo di un respiro e fu troppo tardi.

Il piccolo Corvo scomparve in un vorticare di piume nere e, nelle prime luci di un'alba che sembrava avesse impiegato un'eternità per arrivare, il corpicino del volatile assunse una forma che non era meno minuta o dall'apparenza meno fragile ma ebbe il potere di sconvolgere il Principe Demone al punto che la freccia cadde a terra, mentre la corda dell'arco sfuggiva dalla stretta delle sue dita. Gli occhi un poco dorati ed un poco ambrati che lo guardavano sembravano brillare di luce propria ed era impossibile non riconoscere quei capelli ribelli dal colore impossibile. La pelle nivea era completamente scoperta e le guance del piccolo Corvo si colorarono di porpora mentre si stringeva le braccia intorno al corpo in un ingenuo, innocente tentativo di coprirsi.

Anche l'arco del Principe Demone cadde a terra.

Rimasero guardarsi per un lungo istante di silenzio che sembrò dilatarsi nel tempo in eterno. Le belle ali corvine indugiarono ancora un attimo sulla schiena di quel fanciullo prodigioso, poi scomparvero in una cascata di piume nere che si posarono sulla sabbia bianca senza fare rumore.

Era quella la cosa assurda: era tutto accaduto nel modo più silenzioso possibile, eppure il Principe Demone era stato certo di aver udito un boato da qualche parte, dentro di lui.

Il piccolo Corvo non si era mai voluto arrendere, l'aveva solo sfidato ad un nuovo gioco, uno per cui era valsa la pena inseguirlo fino alla fine del mondo.

Il Principe Demone si avvicinò disarmato, si tolse il mantello rosso da sopra le spalle, simbolo del titolo che portava, e lo avvolse intorno a quel corpicino minuto ma dalle proporzioni perfette.

Preferì non chiedersi chi fosse il cacciatore e la preda alla fine di quella battuta di caccia.



 

Eita si svegliò di scatto ritrovandosi sollevato sui gomiti, gli occhi fissi su una delle grandi finestre della camera da letto. Al di là del vetro, i fiocchi candidi cadevano copiosi e pensò che dovesse fare un gran freddo se la neve era giunta fin sulla costa.

Una mano calda si posò alla base del suo collo e gli accarezzò la schiena nuda in un movimento sensuale, quasi affettuoso. Voltò lo sguardo per incontrare quello tagliente del giovane uomo steso al suo fianco. Accennò un sorriso. "Sei sveglio..." Notò.

Non c'era nessuna reale espressione sul viso del suo amante. "Hai fatto un sogno?" C'era interesse nella sua voce. Il sorriso del giovane Mago si affievolì appena. "Sì..."

L'altro prese a giocare coi capelli più corti alla base del suo collo portando gli occhi verso la stessa finestra che, appena pochi istanti prima, aveva attirato la sua attenzione. "È nato..." Mormorò quasi distrattamente. "È un maschio."

Eita si fece subito attento. "Quando?"

"Il giorno del solstizio d'inverno."

"Oh..." Fu tutto quello il giovane Mago riuscì a dire appoggiando la guancia contro il cuscino e allungando una mano per accarezzare il petto dell'amante. Rimasero in silenzio per un po'. "Vuoi andarlo a vedere, vero?" Non c'era reale dispiacere nella sua voce: ormai aveva fatto i conti col fatto che il suo uomo non sarebbe mai stato realmente suo. Non gli aveva mai promesso niente ed Eita non aveva chiesto nulla. Si era scelto un amante realista, razionale e decisamente poco incline a qualsiasi sentimentalismo ma non aveva mai sperato che cambiasse. Non lo aveva mai voluto.

Tutto ciò che aveva desiderato era di poter essere degno di stare al suo fianco ma il destino non l'aveva ritenuto all'altezza, non come il giovane Principe che aveva stuzzicato l'attenzione di quegli occhi apparentemente vuoti. Non come quel giovane Re che aveva appena dato alla luce un bambino che non sarebbe mai dovuto nascere. Il silenzio del suo amante lo preoccupava. "Dopo quello che è successo, sarebbe politicamente positivo presentasi per rendere omaggio al nuovo Principe di Seij..."

"Non voglio vederlo," tagliò corto il giovane uomo al suo fianco senza guardarlo negli occhi. La suo voce era atona e sbrigativa ma Eita aveva imparato a leggere anche la sua assenza di sfumature. "Non è vero," replicò. "T'incuriosisce e ti accende di rabbia al contempo, non è vero?"

L'altro si sedette contro i cuscini del grande letto continuando a fissare il panorama fuori dalle grandi finestre. "Sei stato tu a confidarmi quel sogno," gli ricordò. "A dirmi che il Re Demone dopo quello attuale sarebbe stato quello capace di conquistare tutti i Regni liberi."

"Tu lo avresti voluto anche se non fosse stato destinato a dare alla luce una creatura tanto potente," replicò Eita fallendo nel nascondere il dispiacere nella sua voce. Il suo amante se ne accorse e tornò a guardarlo. "Sai perchè sono andato da lui."

Eita sorrise amaramente. "So perché hai combattuto per rimanere..." Replicò.

L'altro non replicò ed il giovane Mago s'inginocchiò sul materasso. "Sai che puoi essere sincero con me," gli disse. "Lo hai mai amato?"

Il giovane uomo non rispose subito: pensò al ragazzino dal sorriso solare e dalle grandi ambizioni, pensò al piccolo folle che si era fatto massacrare per amore e che per quello stesso amore aveva combattuto una guerra in cui non aveva piegato la testa nemmeno dopo  essere stato costretto in ginocchio nel modo più crudele. Rivide quegli occhi ardenti di orgoglio e risentimento mentre le mani che, anche se solo per una notte, si erano aggrappate alle sue spalle gettavano via il mantello violaceo che aveva fatto confezionare a posta per lui. Era stato un gesto simbolico. Era stato lui quello che aveva buttato via.

L'aveva sfidato fino alla fine e, proprio ad un passo da questa, aveva vinto.

Non da solo... No, non lo aveva sconfitto come lui desiderava ma non aveva importanza dal punto di vista pratico.

"Wakatoshi..." Lo richiamò Eita.

Il Re dell'Aquila si sedette sul bordo del materasso e gli diede le spalle. "Sì, credo di averlo fatto," confessò infine. "Non so quando abbia cominciato a farlo con precisione ma, sì, Eita, penso di averlo amato in un certo modo."

Il giovane Mago rimase in silenzio per un lungo minuto. Wakatoshi sapeva di averlo ferito ma non gli aveva mai mentito nemmeno nei momenti più crudeli della loro vita insieme e non sarebbe stato rispettoso cominciare a farlo ora. Eita sapeva tutto di quello che c'era stato tra lui e Tooru e, senza ombra di dubbio, c'era stato male ma non era accaduto nulla di diverso da quello per cui si era preparato. Era inevitabile: Wakatoshi era Re del più potente dei Regni liberi ed era destinato ad avere al suo fianco un consorte che potesse dargli un erede degno di questo nome. Eita aveva fatto i conti con questa realtà da tempo e aveva imparato ad accettarla fin tanto che il suo Re non lo lasciava indietro.

Lo aveva già fatto quando gli aveva impedito di partire per la guerra come Arciere ma, forse, a ripensarci, era stato un gesto gentile: gli aveva impedito di vederlo mentre Tooru si prendeva tutto ciò che aveva sempre desiderato fosse solo suo.

Il giovane Re di Seijou aveva fatto ben di peggio, però. Non solo aveva costretto gli occhi del suo amante lontano dai suoi per ragioni non strettamente politiche ma era anche riuscito a superare il limite dietro cui lui e Wakatoshi erano rimasti prigionieri senza via di scampo: Tooru aveva dato alla luce il figlio del suo Primo Cavaliere. Tooru era riuscito in quel in cui Eita aveva fallito miserabilmente: aveva avuto un figlio da chi aveva scelto di amare, da un comune essere umano che, a causa del potere del sangue di Demone, non sarebbe mai dovuto riuscire a concepire una vita con lui.

Quella notizia per Eita era ben peggio di qualsiasi notte Wakatoshi avesse passato nel suo letto perché, fino a prova contraria, non c'era nessuna ragione logica per cui Tooru potesse stringere tra le braccia la sua creatura e lui no. Perché lui e non io?

Il bambino di Tooru era l'eccezione.

Eita confermava la regola.

"Non vuoi vederlo perchè temi di vedere il viso di quel Cavaliere su quello di suo figlio," concluse.

Wakatoshi non rispose.

 
***



Il giorno successivo alla nascita di Tobio, fu un altro Principe il primo a rendere omaggio all'erede al trono del Regno di Seijou. Tooru era ancora coricato a letto con il suo prezioso fagottino tra le braccia. Quello di Koushi invece se ne stava seduto contro il suo petto osservando quella nuova creatura con grandi occhi curiosi.

Era quasi assurdo come sei mesi di differenza potessero sembrare un'infinità in quei primi anni di vita. Tobio era una cosina minuscola che solo per testardaggine riusciva a tenere gli occhi aperti per guardare storto chiunque fosse nel suo campo visivo, Shouyou era il doppio e  li guardava tutti con l'espressione sveglia di chi vorrebbe divorare il mondo anche solo con uno sguardo. Era un bambino bellissimo, lo era sempre stato e quei capelli ribelli non facevano che renderlo ancor più adorabile.

Tooru guardò per un attimo lo sgorbietto tra le sue braccia e pensò che, in fin dei conti, a quattordici anni anche Hajime era riuscito a divenire uno dei fanciulli più desiderati dalla corte, quindi, forse, per il suo imbronciatissimo Principe c'era ancora speranza.

"Hai visto quanto è piccolo Tobio, Shouyou?" Domandò Koushi dolcemente tenendo una mano sul petto del figlio per impedirgli di sporgersi troppo in avanti e di perdere l'equilibrio. Shouyou allungò una delle manine per toccarlo ma Koushi si fece indietro. "No, tesoro, fai il bravo..."

Tooru rise. "Tranquillo, lascia che facciano conoscenza. Magari il piccoletto riesce a contagiare questo musone qui con un po' di solarità."

Koushi decise di provare ed avvicinò Shouyou quel tanto che bastava per permettergli di sfiorare una delle manine del Principe appena nato. Quella conquista fu sufficiente a far comparire sul viso del bambino un sorriso vittorioso pieno di luce.

"Tobio-chan," mormorò Tooru con voce infantile. "Lui è Shou-chan. È al mondo da sei mesi prima di te, quindi prendi esempio e sorridi."

Per tutta risposta, Tobio fissò il Principe sorridente come se fosse la peggiore di tutte le scocciature che avesse subito nella sua brevissima vita, poi prese ad agitarsi rumorosamente per nascondersi contro il petto di Tooru, come se solo la vista di Shouyou gli desse fastidio.

Confuso per un simile rifiuto, Shouyou alzò gli occhi dorati pieni di lacrime su quelli del giovane genitore. "No," Koushi rise prendendo il suo bimbo tra le braccia. "Non è successo nulla, Shouyou."

Tooru spostò Tobio contro la sua spalla cullandolo appena. "Tobio-chan, non si fa così!" Fece finta di sgridarlo. Il Principe nascose il faccino paffuto contro la camicia da notte del genitore e lì rimase, ignorando tutti i suoi ospiti. "Sei rude come papà Iwa-chan, c'è poco da fare."

 
***



Dieci giorni dopo, al Castello Nero venne organizzata la festa per l'inizio del nuovo anno e Tooru pensò bene di approfittarne per renderla anche la presentazione ufficiale del suo erede al resto della corte e ai Regni alleati che sarebbero voluti intervenire all'evento.

Tobio li squadrò tutti con fare irritato al sicuro tra le braccia del suo papà e Takahiro ed Issei non poterono evitare di ridere. "Ha il sorriso del padre, non c'è dubbio!" Esclamò quest'ultimo.

"Sì, ha anche la stessa espressione amichevole," aggiunse il primo.

Hajime li guardò in cagnesco entrambi ma Tooru rise. "È la prima cosa che ho pensato appena l'ho preso in braccio."

Il Primo Cavaliere lanciò un'occhiata storta anche a lui, mentre Tobio cominciava a lamentarsi rumorosamente. "Andiamocene," sibilò Hajime. "Questo branco d'idioti irrita anche me."

Non che potesse andare molto lontano nel bel mezzo della festa per l'inizio del nuovo anno e per la presentazione ufficiale dell'erede al trono di Seijou. Per l'occasione, Tooru aveva avvolto Tobio nel mantello rosso che, un tempo, era stato suo, col risultato che Hajime se ne andava in giro con un fagotto di pelliccia grosso tre volte il bambino stesso e con uno strascico in cui rischiava d'inciampare rovinosamente ogni volta che faceva un passo.

"Non è colpa mia se Iwa-chan è maldestro per natura," era stata la risposta di quell'idiota del suo Re e Hajime aveva dovuto fare i conti con l'antico desiderio di prenderlo a calci per tutti i corridoi del castello.

 
***



Pioveva.

Il cielo era scuro facendo apparire le colonne del Castello Bianco quasi grigie.

Il mare era in tempesta ed il rumore delle onde era secondo solo al boato dei tuoni.

Il Principe uscì dal portone principale correndo, incurante del fango che, nella corsa, gli sporcava gli stivali lucidi ed i pantaloni bianchi. Il lungo mantello violaceo scivolò via dalle piccole spalle e, dopo un breve volo, cadde a terra. I Cavalieri dalle armature chiare uscirono dal castello, lanciandosi all'inseguimento ma il Principe correva veloce come se potesse spiccare il volo da un momento all'altro.

Non lo fece.

Non ci riuscì.

La sua corsa disperata venne frenata dalle alte sbarre di un cancello di ferro, una delle piccole mani si avvolse intorno ad una di esse aggrappandovisi disperatamente. L'altra si tese oltre ed un'altra, più grande, la raggiunse intrecciando le loro dita ma era troppo tardi.

I Cavalieri bianchi avevano raggiunto il Principe e avevano afferrato il suo corpo minuto senza permesso, ignorando deliberatamente il modo inutile e disperato in cui si dimenava o il dolore che rendeva i suoi occhi ambrati più grandi di quanto già fossero, mentre la mano al di là dal cancello era costretta a lasciarlo andare.

Sopra il rumore delle onde ed il boato dei tuoni, si udì il grido di un'aquila.





Kenma si svegliò di soprassalto ma non si mosse di un millimetro.

Gli occhi felini si limitarono a fissare l'oscurità della camera da letto come se potesse uscirne un mostro spaventoso da un momento all'altro. Non aveva emesso alcun rumore, nonostante quel sogno lo avesse spaventato peggio di certi incubi dalle immagini raccapriccianti. Quanto dolore aveva percepito in quella scena e nel suo giovane protagonista...

Tetsuro sospirò nel dormiveglia ed allungò un braccio sotto le coperte per potergli cingere la vita e tirarlo contro il suo petto forte e caldo. Kenma si concesse un istante per ricordarsi che era sveglio ed era al sicuro al fianco del suo Re. Qualunque cosa avesse visto in quel sogno non era reale.

Non ancora...

 
***



Le settimane passarono e ben presto la neve smise di cadere lasciando il posto ad una lunga serie di gelide giornate di sole. Il Castello Nero era pieno di vita come non lo era mai stato.

Cavalieri di ben tre Regni si allenavano ogni giorno nel cortile interno, mentre le vocine di due bambini riempivano i lunghi corridoi dagli alti soffitti.

Shouyou aveva imparato a gattonare e questo aveva reso necessario l'utilizzo di una scorta  armata per impedire che non andasse perduto o finisse per farsi seriamente male. Koushi non era stato timido nell'esprimere quanto fosse esagerato ma Daichi non aveva voluto sentir ragioni.

"Ehi, Shouyou!" Esclamò Yuu sedendosi a gambe incrociate in fondo al corridoio degli appartamenti che erano stati riservati alla coppia reale del Regno di Karasuno. "Vieni da me, avanti!"

Il bambino sorrise entusiasta muovendosi agilmente sul pavimento di pietra fino a che il giovane Cavaliere non lo ebbe a portata di mano per sollevarlo tra le braccia. Shouyou rise soddisfatto e Yuu lo sollevò in aria entusiasta quanto lui. "Dimostriamo ad Asahi che noi piccoletti abbiamo qualcosa in più!"

Dal lato opposto del corridoio, il Primo Cavaliere di Karasuno sorrise timidamente. "Non devi dimostrarmi nulla," replicò. "Lo so già..."

Yuu baciò una delle guance morbide di Shouyou, poi lo strinse contro il petto e si sollevò in piedi. "Non piange più quando ti vede!" Commentò avvicinandosi al compagno. "Ha capito che sei grande, grosso ed incapace."

Il sorriso di Asahi morì istantaneamente. "Non è propriamente un complimento, Yuu..." Gli fece notare con aria avvilita ma il più giovane prese a fare facce buffe all'indirizzo del piccolo Principe tra le sue braccia facendogli capire che non voleva intendere nulla che potesse offenderlo o ferirlo. "Vuoi tenerlo in braccio?" Propose di colpo.

Asahi sbiancò. "Ehm, io... Non credo sia il caso..."

"Avanti!" Yuu si fece più vicino. "Daichi non c'è e se si mette a piangere posso sempre pensarci io!"

Il Primo Cavaliere abbassò lo sguardo sul bambino e Shouyou lo fissò con i grandi occhi dorati e curiosi. "Sembra tranquillo..." Cercò di farsi coraggio.

"E smettila di essere il solito fifone!" Yuu gli lanciò letteralmente il piccolo fardello tra le braccia così che Asahi non potè fare altro che stringerlo al petto per non farlo cadere rovinosamente a terra. Quel movimento improvviso divertì Shouyou che, per nulla a disagio, guardò il Primo Cavaliere e rise facendolo arrossire come un ragazzino imbarazzato.

Yuu, però, non rise, si limitò a fissare la scena incantato. "Stai bene lo sai?"

Asahi non comprese. "Che vuoi dire?"

"Così!" Esclamò il più giovane con le guance appena colorate di rosso. "Sei grande e grosso ma sei la persona più paziente e gentile che conosco. Saresti un papà molto amato, lo sai?"

Se possibile, il Primo Cavaliere arrossì ancora di più. "Tu sei bravo," commentò rimettendo Shouyou tra le sue braccia con un sospiro sollevato. "Lui si è fidato subito di te dalla prima volta che ti ha visto. Tu piaci ai bambini e loro piacciono a te."

Yuu sospirò accomodando Shouyou contro una spalla. "Da piccolo, quando immaginavo una casa tutta mia, la dipingevo piena di bambini che correvano da tutte le parti," confidò.

Asahi si fece rigido di colpo.

"Non lo so," il più giovane scrollò le spalle guardando Shouyou. "Forse, è perchè noi figli orfani dei soldati caduti siamo cresciuti tutti insieme al castello come fratelli e a me piaceva. Penso che ci siamo sentiti meno soli al mondo gli uni grazie agli altri." Sorrise nostalgico. "Era un tipo di famiglia anche quella, dopotutto e a me piacerebbe averne una simile... Tutti i bambini hanno diritto ad avere qualcuno che li cresca con amore e non solo per dovere o perché ormai sono al mondo ed è troppo crudele lasciarli a loro stessi, anche se così vengono visti solo come l'ennesima bocca da sfamare."

Lo sguardo di Yuu s'incupì appena. "Quanti bambini saranno rimasti soli dopo questa guerra?" Si chiese. "Se fossi un nobile con delle terre ne prenderei con me il più possibile."

Asahi non diceva nulla ma ascoltava ogni parola con immenso rispetto. "Hai mai pensato di crescerli con qualcuno?" Non si rese conto di averlo detto realmente fino a che gli occhi grandi di Yuu non lo guardarono sorpresi. Il viso del Primo Cavaliere divenne paonazzo e così quello del più giovane. "Cioè, voglio dire..." Farfugliò il primo.

"C'è tempo!" Esclamò il secondo nervosamente. "Ho solo sedici anni, dopotutto e penso che solo Koushi sia abbastanza grande per essere un genitore capace ad una simile età!"

Entrambi forzarono una risata e furono costretti ad allontanare lo sguardo l'uno dall'altro per troppo imbarazzo. Era meglio per loro darsi una calmata: se Ryuu li avesse trovati così frustrati per la loro stupidità e timidezza, nessuno dei due sarebbe vissuto abbastanza per udire la fine.




Le coperte erano scivolate in fondo al letto ed entrambi si erano riscoperti troppo pigri per allontanarsi l'uno dall'altro e recuperarle. La camera da letto non poteva definirsi propriamente calda ma la pelle dei due amanti era ancora bollente per via della passione appena consumata ed i loro corpi sembravano essere l'unica fonte di calore di cui avevano bisogno. Se ne stavano entrambi stesi su un fianco a guardarsi. Koushi con la guancia appoggiata al cuscino e Daichi sollevato su di un gomito, sulle loro labbra un sorriso sereno, complice. La mano del giovane Re prese a vagare lentamente lungo il fianco del consorte, concedendogli una carezza che era sia rilassante che sensuale.

"Siamo dei genitori orribili se cominciamo a prenderci il vizio?" Domandò Daichi.

Koushi ridacchiò. "No," rispose. "Shouyou ha un carattere solare, socievole... Gli fa bene stare con le altre persone, non voglio che cresca pensando che il mondo sia sicuro solo con noi."

"È la verità, però."

"Daichi..." L'Arciere sospirò. "Non ha un carattere docile come il mio o riflessivo come il tuo. Spiccherà il volo molto presto, dai retta a me... Non lascerà il nido troppo facilmente ma si allontanerà spesso dalla nostra portata, facciamoci l'abitudine."

Daichi inarcò un sopracciglio. "Ha otto mesi di vita e riesci già a fare previsioni del genere?"

Koushi gli fece l'occhiolino. "L'ho fatto io!"

"Con la mia gentile collaborazione..." Gli ricordò il Re.

"Non pensiamoci," replicò Koushi spostandosi sopra di lui con un sorrisetto malizioso che accese il giovane sovrano come solo quegli occhi dorati riuscivano a fare. "Abbiamo ancora un po' di tempo prima di tornare ad essere in tre ed io non voglio sprecare nemmeno un minuto."

 
***



Tobio piangeva.

Tooru riemerse dal dormiveglia velocemente. Sospirò, poi tentò di sollevarsi su di un gomito ma un'improvvisa ondata di debolezza lo costrinse a desistere e lasciarsi ricadere tra i cuscini. "Iwa-chan..." Mormorò girandosi sulla schiena ed allungando un braccio al suo fianco.

Non era sua abitudine svegliarlo nel cuore della notte se non era il primo ad alzarsi di sua iniziativa ma sentiva di non avere nemmeno la forza di mettersi a sedere in quel momento e Tobio continuava a piangere spaventato. "Iwa-chan..." Lo cercò tastando il materasso alla cieca ma non lo trovò. Voltò il viso da un lato e trovò il posto accanto a lui vuoto. "Hajime..."

Cercò di sollevarsi sui gomiti ancora una volta, sebbene la testa gli girasse e riuscisse a stento a tenere gli occhi aperti. Un fulmine illuminò la stanza per un istante e lo fece sobbalzare. Gli occhi grandi del giovane Demone cercarono la culla accanto al suo lato del letto e, non appena i suoi occhi si furono abituati all'oscurità, vi trovò davanti il suo Cavaliere intento ad osservare il loro bambino. Tooru accennò un sorriso. "Iwa-chan, mi hai spaventato," mormorò stancamente. Hajime fece come se non lo avesse udito, gli occhi verdi fissi su qualcosa all'interno della culla, l'espressione orripilata.

Tooru inarcò un sopracciglio. "Ehi..."

Hajime continuò ad ignorarlo. Tobio piangeva ancora.

"Hajime, prendilo in braccio, avanti..." Lo incoraggiò Tooru ma il suo Cavaliere si limitò a portare l'attenzione su di lui e Tooru raggelò di fronte a quello sguardo pieno di odio.

"Hajime?" Chiamò il giovane sovrano spaventato.

C'erano delle lacrime sul viso del suo Cavaliere. "Che cosa hai fatto?" Domandò con voce più che incredula. Tooru non comprese. Tobio continuava a piangere e questo era tutto ciò che riusciva a registrare in quel momento. "Hajime," Tooru si sedette sul bordo del materasso cercando di tenere la testa sollevata. "Hajime, che..."

"Che cosa hai fatto, Tooru?" Domandò il suo Cavaliere arrivandogli davanti.

Il giovane Demone non aveva la minima idea di che cosa stesse dicendo. "Hajime, Tobio sta piangendo," gli fece notare con voce stanca. "Non mi sento bene, per favore... Pensa a lui e poi parleremo di qualunque cosa abbia fatto che ti abbia fatto arrabbiare."

Tooru udì un rumore metallico che conosceva bene. Il rumore di una spada che veniva estratta dall'elsa. Fece appena in tempo a vedere il barlume della lama che rifletteva la poca luce nella camera da letto, poi riportò gli occhi sul Primo Cavaliere. "Mi stai spaventando, Hajime."

Il compagno piangeva e lo guardava con un odio che Tooru non aveva mai visto nei suoi occhi nemmeno di fronte al Re dell'Aquila. "Che cosa hai fatto, Tooru?"

"Hajime, Tobio sta piangendo, ti prego..."

"Tobio non può piangere più, Tooru," replicò Hajime avvicinandosi ancora di un passo.

Il Re Demone, da principio, non comprese e scosse la testa. "Che stai dicendo, non lo senti?" E fu allora che si rese conto che non lo udiva più nemmeno lui. Gli occhi marroni si fissarono sulla culla con orrore. "Tobio..." Chiamò in un sussurro ma il bambino era silenzioso, immobile. "Tobio!" Si alzò dal letto di scatto ma le gambe non lo ressero e cadde a terra.

Un altro fulmine illuminò la stanza e Tooru si accorse che c'era qualcosa sulle sue mani. Le sollevò, se le portò vicino al viso e, sebbene non potesse vedere il liquido scarlatto che gli sporcava le dita, aveva passato abbastanza tempo sul campo di battaglia per poterne riconoscere l'odore, la sensazione che si provava nel sentirlo sulla pelle. Si accorse di aver addosso un elegante completo bianco e che dalle sue spalle scendeva un mantello violaceo dagli orli dorati.

Sollevò lo sguardo sulla culla di suo figlio e poi sul Cavaliere. "Hajime.."

"Che cosa hai fatto?"

"No," Tooru scosse la testa disperatamente scoppiando a piangere. "No... Il nostro bambino... Io non... Tobio..." Non riusciva a parlare, a stento era ancora capace di respirare. "Hajime, ti prego... Ti prego, dimmi che non è vero... Tobio! Tobio!"

Hajime gli strinse una mano intorno al collo e lo costrinse a terra. Tooru piangeva e così il suo Cavaliere ma la disperazione nei suoi non era nulla di paragonabile all'odio con cui Hajime lo fissava.

"Hajime..." Sussurrò con voce rotta.

Il Primo Cavaliere del Regno di Seijou sollevò la spada stretta nel pugno destro.

"Hajime!" Lo chiamò disperato. "Hajime, ti prego..."

Ma il suo Cavaliere non lo udiva più.

"Lunga vita al Re Demone..."

Tooru urlò ma la spada del suo Cavaliere non lo trafisse mai.

"Tooru... Tooru!" Due mani calde lo afferrarono per le spalle e lo costrinsero contro il materasso. Gli occhi marroni si sgranarono fissandosi in quelli verdi del suo Cavaliere che lo guardavano confusi e spaventati quanto i suoi. Il giovane Demone impiegò ancora alcuni istanti, prima di realizzare che andava tutto bene, che era nel letto suo e del suo Cavaliere. Hajime gli passò una mano tra i suoi capelli tirandoli indietro. "Un incubo?" Domandò.

Tooru non rispose, si perse nello sguardo del suo Cavaliere, il suo viso illuminato dalle prime luci dell'alba. Il nodo alla gola che gli impediva di respirare si sciolse e così le lacrime congelate nei suoi occhi. "Hajime..." Circondò il collo del compagno con le braccia tenendolo vicino a sé. L'altro lo strinse a sua volta passandogli una mano tra i capelli in un gesto di conforto. "Ehi, va tutto bene..." Lo rassicurò con voce insicura. "Sei sveglio, Tooru... Smettila di piangere come un moccioso: Tobio sta ancora dormendo."

Tooru lo allontanò di colpo da sè e lo guardò come se avesse appena detto un'assurdità. "Tobio..." Mormorò e gli occhi marroni si allontanarono da quelli verdi del Cavaliere per posarsi sulla culla accanto al loro letto. Il giovane Re scostò il compagno da sé gentilmente e, con passo insicuro, si avvicinò al neonato che dormiva serenamente tra le sue copertine. Tooru appoggiò entrambe le mani sul bordo della culla come se dovesse sorreggersi, mentre un sorriso tremolante compariva sul suo volto e nuove lacrime scendevano a bagnargli le guance. Era leggero il respiro di Tobio, la boccuccia socchiusa, i pugnetti chiusi ai lati del faccino paffuto.

In un'altra occasione, non avrebbe mai osato disturbare un sonno tanto tranquillo ma Tooru aveva bisogno di stringerlo a sé quel corpicino, di sentire il calore confortevole che emetteva e di percepire il cuoricino che batteva con forza nel piccolo petto.

Tobio aprì appena gli occhi bluastri mentre il giovane genitore se lo stringeva al petto col dolcezza posando le labbra tra i sottili fini d'ebano di quella testolina. Hajime non lo rimproverò, non gli disse che modificare il ritmo del sonno del bambino poteva avere delle conseguenze che avrebbero potuto far impazzire entrambi. Il Cavaliere se ne rimase seduto sul letto aspettando che il giovane sovrano tornasse a coricarsi al suo fianco con il loro bambino tra le braccia. Tooru si accoccolò contro i cuscini e Hajime gli fu subito accanto: ringraziò mentalmente la capacità che aveva Tobio di addormentarsi in qualsiasi situazione purché avesse sonno. Forse, non sarebbe accaduto nulla alla serie di notti miracolosamente tranquille che il piccolo concedeva loro.

Forse... A meno che non ci pensasse Tooru a fare il doppio del lavoro per lui...

"Tooru..." Lo chiamò ma il giovane Re continuò ad accarezzare e baciare i capelli del loro bambino fissando il vuoto. "Tooru, era solo un brutto sogno."

Il Demone sollevò lo sguardo atterrito sul suo viso. "Tu saresti capace di uccidermi per lui?" Domandò di colpo. Hajime si oscurò immediatamente. "Che diavolo ti salta in testa adesso, idiota?"

Tooru, però, non sembrò averlo udito. "Io potrei farlo... Io sarei capace di uccidere per lui," mormorò guardando il bambino addormentato sul suo petto.

"Tutto quello che devi fare per lui è esserci," replicò Hajime con fermezza ma senza essere brusco.

"Io non gli farei mai del male," aggiunse il Re Demone con voce rotta. "Morirei, prima di fare del male a te o a lui."

"Tooru..." Hajime appoggiò il palmo destro sulla schiena di Tobio massaggiandola con gentilezza. "Era solo un brutto sogno."

Tooru non era certo di potersene convincere ma annuì comunque e lasciò che Hajime lo tirasse contro il suo petto. Restarono così, a guardare il loro bambino dormire fino a che il piccolo Principe non decise di far loro l'onore di guardarli con quei grandi occhi blu dal colore ancora incerto ma dalle chiare sfumature bluastre.




"E tre..." Mormorò Issei con tono casuale.

"Due," aggiunse Takahiro nello stesso tono di voce.

Pausa.

"Uno," dissero in coro.

Hajime rifoderò la spada e fece appena in tempo a salutare il Generale Mizoguchi che si era già allontanato dagli altri Cavalieri per prendere la via delle scale. I due amici lo guardarono mentre le saliva due a due con urgenza, come se negli appartamenti reali in cui si stava dirigendo fosse in corso un'emergenza a cui doveva porre rimedio, questione di vita o di morte.

"Per quante ore non lo ha visto?" Si domandò Issei.

Takahiro scrollò le spalle. "Cinque? Minuto più, minuto meno..."

"Fortuna che è un maschio," aggiunse il primo. "Se fosse stata femmina, non ho idea delle guerre che ci sarebbe toccato vincere a causa dei comportamenti minacciosi del Primo Cavaliere per i pretendenti alla mano della Principessa."

"E se Tobio fosse un Principe come Tooru?" Ipotizzò Takahiro. "Di quelli capaci di stuzzicare il desiderio anche dei Re più glaciali?"

Chiunque sarebbe stato d'accordo nell'affermare che il mondo era troppo piccolo per due Tooru e anche Hajime Iwaizumi era troppo umano per uscire vivo e vegeto da una simile impresa ma sia il loro Re che il loro Primo Cavalieri erano imbattibili in testardaggine ed in idee geniali con catastrofiche conseguenze e pensare che fosse nata una creatura da due simili elementi era quasi mostruoso.

"Forse," rispose Issei, "ci conviene allenarci di spada ancora un po'..."


Hajime entrò in camera da letto di corsa e con altrettanta fretta si liberò di tutto l'armamentario per l'addestramento. La porta della sala da bagno era socchiusa ed il Primo Cavaliere poteva udire chiaramente la voce del proprio Re che parlava con dolcezza al loro bambino. Hajime si affacciò quasi timidamente e gli occhi grandi di Tooru lo accolsero subito luminosi. "È tornato papà!" Esclamò passando una mano umida sui capelli corvini del bimbo di pochi settimane che sorreggeva nella vasca. Hajime gli arrivò accanto e s'inginocchiò accanto a lui posandogli una mano sulla spalla. "Come stai?" Fu la prima cosa che chiese e lo fece con la stessa espressione preoccupata che era solito rivolgergli i primi tempi che facevano l'amore.

Tooru gli sorrise. "Stiamo bene, Iwa-chan!" Lo rassicurò. "Puoi prendere un asciugamano? Tobio è bello che lavato e l'acqua comincia a raffreddarsi."

Hajime fece come gli era stato detto ed il giovane Demone sollevò il bambino con entrambe le mani affidandolo alle braccia forti del suo papà. Tobio lo guardò come se sapesse perfettamente chi era e Hajime gli sorrise avvolgendo l'asciugamano intorno al corpicino bagnato. "Credo che abbia gli occhi di tua madre," commentò di colpo osservando le piccole iridi dal colore ancora indefinibile. Avrebbe giurato che fosse una sorta di sfumatura blu ma non poteva essere certo che sarebbe rimasta stabile nel tempo.

Tooru si asciugò le mani e forzò un sorriso: Hajime non sapeva che Tobio era destinato ad avere gli occhi blu di sua madre, come non sapeva che quei capelli sarebbe rimasti scuri anche con lo scorrere degli anni. Tooru non aveva mai parlato al suo Cavaliere del Principe Demone che Kenma aveva sognato ancor prima che Tobio venisse concepito ma, quando aveva saputo di aspettarlo, non aveva esitato nemmeno per istante ad immaginarselo maschio e non era rimasto particolarmente sorpreso dal vedere i ciuffetti corvini sulla testolina del neonato che Hajime gli aveva messo tra le braccia.

A tutti gli altri dettagli di quel sogno, Tooru preferiva non pensare. Si strinse l'asciugamano umido al petto e guardò il suo compagno sorridere al loro bambino come se fosse la cosa più bella del mondo. E lo era... Tobio era la loro vittoria, la loro rivalsa verso un destino avverso, la loro speranza. Tobio era un'eccezione, un miracolo... Era qualcosa che, suo malgrado, Tooru sapeva sarebbe stata irripetibile.

Come potevano permettere che qualcosa di così tanto prezioso nato da loro potesse trasformarsi in un mostro?

Hajime posò le labbra tra i capelli umidi di Tobio e Tooru decise che, no, non sarebbe mai potuto accadere. Fin tanto che sia lui che suo figlio avevano il loro Primo Cavaliere al loro fianco, tutto sarebbe andato bene.

 
***



C'era odore di sangue nell'aria.

Il Principe Demone ne era ricoperto da capo a piedi. I capelli corvini erano umidi e sporchi contro la sua fronte ed i suoi occhi blu non sembravano contenere più l'orizzonte sconfinato che si estendeva in riva al mare. L'armatura nera era stata danneggiata in più punti e non era certo che il sangue sul suo corpo appartenesse solo ai suoi nemici ma non gli importava.

La camera da letto era piena di fiori ma il loro profumo non era sufficiente a coprire l'odore di morte che sembrava impregnare ogni cosa. Un'immagine passò davanti agli occhi del Principe Demone, un incubo antico e vivo nell'angolo più oscuro della sua mente: un'aquila che costringeva il corpo di un piccolo Corvo a terra e ne divorava le interiora senza pietà.

Quello, però, era stato solo un incubo, un parto macabro e malato della sua mente.

L'immagine che aveva davanti era reale e non aveva importanza quanto avesse pregato di farlo, non si sarebbe mai svegliato. Di colpo, il Principe Demone fu in grado di percepire solo tre colori: il nero delle rose che circondava il letto, il bianco della camicia da notte che indossava la figura minuta stesa al centro ed il rosso che la macchiava all'altezza dell'addome... Lo stesso rosso che bagnava le belle labbra appena socchiuse scivolando lungo il mento e sporcando la federa candida del cuscino. Una delle piccole mani era abbandonata sopra la ferita mortale: un tentativo disperato di fermare l'emorragia negli ultimi istanti di vita di un Principe fanciullo che aveva appena cominciato a vivere.

Il Principe Demone cadde in ginocchio e realizzò che, evidentemente, il sangue sulla sua armatura doveva essere più suo che quello dei suoi nemici. Si trascinò sul letto fino a prendere nella sua la piccola mano sporca di sangue. Era gelida, immobile e non c'erano lacrime con cui potesse sfogare il dolore e l'orrore che provava in quel momento.

Ogni cosa che aveva fatto l'aveva fatta solo per lui.

Ogni guerra che aveva fatto scoppiare, ogni goccia di sangue che aveva versato con le sue mani era stata per lui e per nessun altro. Aveva distrutto il mondo che aveva impedito loro di stare insieme soltanto per ricostruirne uno dove non sarebbero stati separati mai più.

Alla fine, solo il Re più forte rimane in piedi fino alla fine.

Questo gli aveva insegnato suo padre e per dimostrargli che aveva imparato la lezione aveva dovuto distruggere anche lui.

Scostò una ciocca di capelli rossicci dal viso pallido e posò la propria bocca sulle labbra piene in un ultimo bacio al sapore del sangue.

Per un attimo, ebbe come l'impressione di sentire la risata sarcastica di suo padre nella sua testa mentre lo guardava con pietà.

Una storia già scritta, già raccontata...

Un bambino piangeva nel buio in una culla dalle coperte violacee dagli orli dorati ma non erano corvine le sue ali e non erano blu i suoi occhi. Alla fine, dal sangue versato di due casate reali, era nato tutto ciò che non sarebbe mai dovuto esistere.

Su di un Regno di Cavalieri morti, Re sconfitti e Principi caduti, l'Aquila cantava ancora.





Aveva smesso di nevicare sulla costa ma il mare si abbatteva contro la scogliera con violenza mentre la pioggia cadeva incessante sul Castello Bianco.

Il Re dell'Aquila guardava fuori dalla finestra con sguardo assente, sotto i suoi occhi un foglio bianco su cui avrebbe dovuto scrivere un messaggio amichevole per omaggiare la nascita del nuovo erede al trono del Regno di Seijou. I Consiglieri reali gli avevano consigliato d'inviarlo con una nota d'irritazione nella voce, come a voler dire che, dopo tutto quello che il loro giovane sovrano aveva provocato per avere il Re Demone, poteva almeno sforzarsi di mantenere una situazione politica stabile, che non consentisse ai Regni alleati di alzare la testa contro Shiratorizawa più del dovuto.

Quello del Re dell'Aquila era ancora il Regno più potente tra quelli liberi ma Seijou aveva dato la prova che qualcosa di pericoloso poteva avvenire per mano di chi, fino a quel momento, lo aveva temuto osservandolo dal basso: se Tooru avesse deciso di usare il suo talento naturale fino in fondo, non avrebbe avuto particolari problemi a costituire un'alleanza di proporzioni enormi a cui mettersi a capo per mitigare il potere del Regno di Shiratorizawa.

La lezione che avevano imparato era stata chiara: il Re Demone era giovane, folle ma non era uno stupido e sottovalutarlo poteva risultare letale.

Wakatoshi sentì un movimento nel letto alle sue spalle e si voltò per incrociare gli occhi ancora assonnati di Eita. Aveva un braccio teso verso la parte del letto rimasta vuota: doveva essere stata la sua assenza tra quelle coperte a destarlo.

"Perdonami," disse con tono atono ma il giovane Mago scosse la testa sedendosi contro i cuscini e guardandolo confuso.

"Che cosa stai facendo?"

Wakatoshi tornò a guardare il foglio bianco sulla sua scrivania, poi si alzò dalla sedia e si liberò velocemente dei pantaloni che si era infilato senza nemmeno allacciarli. "Nulla d'importante..." Concluse tornando accanto al suo amante.

Che i Consiglieri dicessero quello che volevano: alle volte, l'orgoglio valeva più di qualsiasi questione politica e lo pensava un Re che era sempre stato molto pragmatico nel suo decidere e nel suo agire. Fino a Tooru...

"Stai ancora pensando a lui," notò Eita mentre il suo Re lo invitava gentilmente a stendersi sul materasso sotto di lui.

Wakatoshi non poteva non pensarci.

Non poteva non pensare a Tooru con quel bambino tra le braccia.

"Mi avevi detto che sarebbe stato mio figlio," gli ricordò il Re dell'Aquila.

Il giovane Mago lo guardò dal basso con amarezza. "Ti avevo detto che il nuovo Principe Demone avrebbe avuto il potere di conquistare tutti i Regni liberi. Sei tu ad aver concluso che sarebbe stato il figlio tuo e di Tooru."

"Non poteva essere altrimenti."

"No, non poteva," concordò Eita. "Non poteva essere nostro figlio. Non poteva essere quello di quel Cavaliere."

Wakatoshi s'inginocchiò sul letto ed Eita si mise di nuovo a sedere contro i cuscini. "Sei stato tu a dirmi di andare da Tooru."

Il giovane Mago annuì. "Perché era giusto che quel Principe fosse tuo figlio. Perché avevi bisogno di un erede e non importa quanto ci credessimo, noi non siamo riusciti a..."

Tooru, però, ce l'ha fatta...

Eita sentì la voce morirgli in gola ed abbassò lo sguardo. Il suo Re alzò una mano e gliela posò sulla guancia invitandolo a guardarlo di nuovo. "Un figlio tuo era quello che volevo," confessò e, sebbene non ci fosse nessuna emozione sul suo viso, Eita seppe che era sincero.

Il giovane Mago sorrise amaramente. "Tooru, però, ti avrebbe dato quello di cui il Re dell'Aquila aveva bisogno: un erede potente, degno del Regno di Shiratorizawa e di suo padre." Appoggiò una mano pallida su quel petto muscoloso e forte. Molte notti dalla fine della guerra, Eita si era lasciato amare con trasporto e passione per poi cadere nell'abisso della più cupa gelosia non appena il suo amante si addormentava al suo fianco.

"Non ti avrei mai spinto tra le sue braccia, se non ci fosse stata una possibilità che quel Principe dalle capacità prodigiose fosse tuo figlio."

Non avrei mai rinunciato a te per dovere, se avessi saputo che avresti fatto scoppiare una guerra per lui.

Eita, però, conosceva il suo ruolo e, suo malgrado, non era accanto ad un trono, non era con l'erede di quel Regno tra le braccia. Tutto quello che poteva fare era usare l'unico potere che aveva per guidare il suo Re verso il futuro glorioso che meritava. Wakatoshi era tutto per lui e questa era stata la sua benedizione per molto tempo e sarebbe stata la sua condanna per il resto della sua vita.

"Avrete il vostro erede, mio signore," disse. "Ve lo giuro..."

Wakatoshi lo guardò con rinnovato interesse e la mano sul suo viso scese a sfiorargli il grembo per una manciata di secondi. Eita scosse la testa e l'allontanò con gentilezza, sebbene velocemente. "No," disse. "Il Principe di Seijou è un'eccezione, un miracolo... Non posso sperare che anche a noi verrà riservata la stessa fortuna."

"Hai fatto un altro sogno?" Domandò il Re dell'Aquila.

"Sogno di continuo," ammise Eita. "Da quanto il Principe Demone è nato, vedo continuamente delle cose ma divengono più difficili da interpretare notte dopo notte."

"C'è qualcosa che puoi dirmi?"

Eita annuì. "Al mondo c'è un Principe che ha nel sangue il tuo stesso potere," confessò. "La sola differenza è che le sue ali sono corvine."

"Corvine?" Domandò il Re dell'Aquila. "Intendi come quelle del Re Corvo della leggenda?"

Eita scosse la testa distrattamente. "Potrebbe essere l'erede di quel potere ma non ti so dire dove trovarlo."

"Il consorte reale del Regno di Karasuno ha avuto un bambino durante la guerra," gli confidò  Wakatoshi. "Un bambino normalissimo. I suoi genitori non sono portatori di poteri particolari... La casata reale di Karasuno è ormai convinta che quelle leggende sulle loro origini siano solo frutto di antiche fantasie."

"L'eredità nel sangue di una stirpe non sempre segue degli andamenti logici," gli ricordò Eita. "Tu ne sei la prova. I tuoi genitori erano comuni esseri umani e tu sei un essere tanto potente da non riuscire a concepire un figlio nemmeno con me che non sono completamente umano. Tooru era il candidato per eccellenza ma se davvero vi fosse al mondo un Principe col tuo stesso potere, quel che potrebbe nascere da voi potrebbe essere ancor più potente del Principe Demone che tanto temi."

Wakatoshi lo guardò con un poco d'irritazione. "Io non lo temo..."

"Invece sì," replicò Eita. "Hai desiderato a tutti i costi che fosse il tuo erede per questa ragione, perché averlo come nemico sarebbe molto più pericoloso di Tooru... E Tooru può non avverti sconfitto al punto da costringerti in ginocchio ma ha comunque ottenuto la vittoria che voleva, mentre tu hai avuto solo una notte che ti ha concesso per disperazione."

"Parli come un amante ferito nell'orgoglio, ora."

"Lo sei anche tu quando pensi a quel bambino, il figlio di Tooru e di quel Cavaliere."

Wakatoshi non replicò. Fosse stato qualcun altro, avrebbe agito senza scrupoli ma Eita aveva le sue ragioni per gettargli addosso tutto quel veleno celato con maestria. Al suo posto, avrebbe fatto di peggio.

Aveva fatto ben di peggio quando aveva spinto Hajime in quel dirupo.

"Guidami," gli chiese quasi con modestia. "Hai sempre avuto la mia totale fiducia, Eita."

Gli occhi del giovane Mago s'illuminarono appena a quelle parole ma non furono sufficienti a cancellare l'espressione malinconica sul suo viso. "Non so chi sia quel Principe dalle ali corvine," confessò. "So che il suo destino è legato a quello dell'erede al trono del Regno di Seijou e questo legame sarà la rovina di entrambi."

Wakatoshi lo fissò. "E questo come potrebbe portarmi un erede?"

Eita abbassò lo sguardo e ripensò all'immagine macabra e disperata del suo ultimo sogno. Ricordò il bambino che piangeva nella culla dai drappi violacei ma il Principe che giaceva nel letto del Re non era morto nel darlo alla luce.

"Porterai via al figlio di quel Cavaliere ciò che non sei riuscito a sottrarre a lui."

No, il Principe morto tra le rose nere doveva essere stato ucciso da qualcuno una volta assolto il suo compito.

Eita sentì un nodo stringergli la gola a quel pensiero. Guardò Wakatoshi e si chiese se sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere? Si accorse di non saper rispondere.

Prese il viso del suo amante tra le mani e appoggiò la propria fronte contro la sua.

Il Re dell'Aquila lo lasciò fare. "Eita..."

"Portare una vita in questo mondo con violenza non può che portare allo spargimento di sangue... Tanto sangue," mormorò contro le sue labbra, mentre una lacrime gli solcava la guancia. "Se mi hai mai amato, Wakatoshi. Se hai mai amato il Re Demone con cui hai cercato di sostituirmi... Quando arriverà il momento, fermati prima di pagare un simile prezzo."







 

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Capitolo 13
*** Di genitori e figli ***


11
Di genitori e figli


 

Era limpido il cielo sopra le montagne del Regno di Karasuno ma era ancora fredda l'aria di primavera della prima mattina. Era stato un inverno di pace ma era stato lungo e, alla fine, la coppia reale aveva fatto ritorno a casa ad un anno e mezzo preciso di distanza dalla loro partenza per la guerra contro il Re dell'Aquila come alleati del Regno di Seijou.

Il Castello dei Corvi, le loro terre e la loro gente non erano state coinvolte direttamente nel conflitto ed i loro danni economici non erano paragonabili a quelli subiti dai territori del Re Demone ma, dal punto di vista umano, c'erano molti frammenti da raccogliere.

Presi dalla gioia della nascita del loro bambino, Daichi e Koushi avevano potuto dimenticare per un po' che le conseguenze di quella guerra, sebbene finita con una vittoria, non sarebbero state all'insegna del lieto fine. Come per la loro generazione, molti bambini erano rimasti soli e non tutti vantavano un lignaggio nobile e dei parenti importanti capaci di prendersi cura di loro. Quella questione li riguardava tutti da vicino: il Re, il suo consorte, il Primo Cavaliere del Regno e molti dei Cavalieri che erano cresciuti con loro.

La coppia reale non si risparmió in nulla: Daichi pensó alle questioni più strettamente politiche coinvolgendo il Consiglio e tutti i nobili del Regno in grado di essere d'aiuto, Koushi s'impegnò sul lato pratico. Portava Shouyou con sé nei saloni che avevano allestito per gli orfani e aveva fatto di Asahi, Yuu e Ryuu i suoi allievi, mentre Kiyoko e Saeko non avevano bisogno di nessuna supervisione. Ah, le infinite risorse delle donne...

Koushi guardava Shouyou, guardava le bambine più grandi che gli giravano attorno con curiosità interagendo col piccolo Principe e non temeva nulla nel lasciarle prenderlo tra le braccia o fargli una carezza. Erano attente, responsabili nella maniera in cui lo puó essere solo un bambino. Di certo, quelle bimbe erano qualche passo avanti rispetto ai suoi compagni, che negli anni precedenti lo avevano fatto sudare per evitare loro di finire continuamente nei guai. Bastava guardarli ora, con un neonato piangente in braccio: Asahi sul vertice delle lacrime a sua volta, Ryuu che pensava di poter risolvere la situazione con qualche faccia terribilmente buffa e Yuu che era l'unico ad ispirargli un briciolo di fiducia.

Una delle bimbe piú grandi sollevó Shouyou da terra passandolo a Koushi che ringraziò lei e le sue amichette per l'ottimo lavoro. Il Principe regalava loro sorrisi adorabili conquistando i loro cuori con un semplice battito di ciglia e Koushi ne fu lieto: non era stato altrettanto fortunato con i maschietti, Shouyou sembrava aver paura di loro invece di esserne incuriosito. Dopotutto, le bambine avevano sicuramente modi più delicati e comportamenti più accomodanti. Caratteristiche che erano necessarie per prendersi cura di Shouyou.

"Ehi..." Shouyou alzó gli occhi grandi su di lui e sorrideva ancora. "Ti piacciono le bimbe, vero?" Il piccolo Principe si arrampicó su di lui prendendo il suo mento tra le labbra come se fosse un succhiotto. "Shouyou!" Koushi rise.

Quando aveva scoperto che il suo adorato Principe cresceva dentro di lui, il suo unico pensiero era stato che nascesse al sicuro e che fosse forte e sano. Se non altro, Shouyou non aveva mancato di realizzare quel secondo desiderio. Lanció un'altra occhiata alle bambine che giocavano a poca distanza da lui e sorrise.

Un nuovo desiderio stava cominciando a sbocciare nel suo cuore.

"Ehi... La vorresti una sorellina, Shouyou?"


 
***



"Si chiama Tadashi," disse Akiteru con estrema serietà, come se la faccenda lo toccasse parecchio. "È il figlio del mio vecchio maestro di spada, uno degli uomini di mio padre."

Daichi annuì. "Yamaguchi hai detto? Me lo ricordo. Ha combattuto anche al fianco di mio padre quando il tuo lo seguì in guerra contro Seijou."

Akiteru annuì. "La mia famiglia non è tra le più potenti, mio Re," ammise. "Gli uomini che vi offriamo per proteggere il nostro Regno sono gli stessi che lavorano la nostra terra. Mio padre è malato e mia madre non c'è l'ha fatta dopo la nascita del mio fratellino, come quella del piccolo Tadashi."

Il Re lo guardó con rispetto. "Sei il nuovo Lord Tsukyshima a tutti gli effetti."

Akiteru sorrise amaramente. "Non ho l'ardire di presentarmi col titolo di mio padre. Non ancora," confessò tristemente. "Ma un mio dovere è prendermi le responsabilità legate al mio nome. Non posso offrire ad ogni figlio di Karasuno quello che si meriterebbe ma quel bambino è nato poche settimane dopo mio fratello e posso provvedere a lui alla stessa maniera in cui mi prendo cura di Kei. Giuro che li educheró entrambi per divenire futuri Cavalieri della corona, leali al loro Re e devoti alla loro terra."

Daichi gli sorrise amichevolmente e gli appoggiò una mano sulla spalla. "Non hai bisogno di dimostrare nulla, Akiteru," gli disse. "Sono io che mi devo dimostrare un Re degno di una simile fiducia. Sento solo onore nelle tue parole e non ho ragione di negare a quel bambino una casa nelle stesse terre in cui è vissuto suo padre. Koushi si sta occupando dei piccoli nelle sale grandi ai primi piani del castello, so che li conosci... Sono certo che può aiutarti a trovare il piccolo Tadashi e rendere ufficiale questa tua decisione."

Akiteru chinò la testa. "Vi ringrazio..."

"Ti chiedo solo un favore in cambio ma non come Re."

Il Cavaliere lo guardó confuso.

Daichi gli sorrise con confidenza. "Il tuo Kei ed il piccolo Tadashi sono nati nello stesso anno di mio figlio," spiegó. "Saranno la generazione di Cavalieri che crescerà con lui e combatterà al suo fianco. Non dubitò del tuo buon cuore e del tuo onore, Akiteru ma ti chiedo di passarlo in eredità anche a quei due bambini. Desidero solo che Shouyou abbia compagni degni dei loro predecessori, quelli che ho avuto l'onore di servire come loro hanno servito me... O, almeno, spero di esserne stato all'altezza."

Anche Akiteru sorrise ed annuì. "È un giuramento, mio Re."

 
***



A tre mesi, Tobio era il più bel bambino di tutta la corte di Seijou e Tooru non si faceva scrupoli ad affermare che doveva essere il più bello del Regno stesso. Il broncio arrabbiato con cui era nato era andato man mano distendendosi ed ora non era raro vedere quel faccino paffuto assumere le espressioni più diverse, imitazioni di quelle che gli adulti gli rivolgevano. Gli occhi si erano fatti più grandi ma non avevano perso la loro forma tagliente, mentre le iridi tendevano sempre di più verso un blu intenso.

Una cosa in particolare distingueva Tobio dagli altri bambini: il sorriso.

I Cavalieri di Seijou più vicini al giovane sovrano e al loro Primo Cavaliere potevano affermare con assoluta certezza che il bambino non fosse ancora capace di sorridere.

Anche quando Tooru scendeva nel cortile interno con quel fagottino stretto al petto e Hajime si prendeva qualche minuto di pausa per prendere Tobio tra le braccia e sollevarlo in aria per gioco, il piccolo Principe non accennava a voler sollevare gli angoli di quella boccuccia perfettamente disegnata. Tooru e Hajime ridevano mentre il loro bambino muoveva le piccole braccia emozionato ma non c'era verso che quel bel faccino fosse illuminato da un sorriso.

"Forse, non gli piace essere sollevato in quel modo," commentò Takahiro avvicinandosi alla giovane coppia, mentre Hajime distendeva Tobio contro il braccio ricoperto dall'armatura e Tooru aggiustava la copertina intorno al piccolo corpo perché non prendesse freddo.

"Ma no! Gli piace tanto giocare a vola vola col suo papà!" Affermò Tooru allegramente.

Issei si unì al compagno e lanciò un'occhiata al viso serissimo del bambino. "A me sembra sia ufficialmente un musone come Hajime."

"Ehi!" Esclamò il primo Cavaliere guardando storto i due amici d'infanzia.

Tooru, invece, rise. "Hanno ragione, Iwa-chan, da bambino vederti sorridere era un evento da festeggiare."

Hajime guardò storto anche lui. "Forse, perchè qualcuno non la smetteva di trascinarmi nelle sue idiozie."

Tooru mise su il broncio. "Non essere rude con me davanti al nostro principino! Non vogliamo che diventi un bruto come te, no?"

"Non giocate col fuoco, vostra maestà!"

"Oh, Tobio-chan! Senti papà Iwa-chan quanto è rude!" Tooru riprese il bambino tra le braccia. Tobio non fece alcuna protesta ma gli occhi blu cercarono immediatamente quelli verdi di Hajime.

Issei e Takahiro se ne accorsero e diedero entrambi una pacca sulla spalla al loro Primo Cavaliere.

"Il Principe richiede i tuoi servigi, Primo Cavaliere," disse quest'ultimo.

"Sarà divertente quando lo dovrai addestrare," aggiunse il primo. "Quanti poveretti finiranno con un occhio nero per aver osato toccare il tuo principino?"

"Ve la finite?" Sbottò Hajime ma il giovane Re rideva di gusto.

"Iwa-chan è un papà così protettivo, vero, Tobio-chan?" Tooru sorrise all'indirizzo di Tobio giocherellando con una delle sue manine. "Però non è bravo a viziare, no, no... Per fortuna che ci sono anche io!"

Hajime fece per replicare quando al piccolo sfuggì un sonoro starnuto. Tooru accoccolò il Principe contro il suo petto passando la punta del naso contro le guance morbide. "Oh, ma non sei freddo."

"Torna di sopra, Tooru," Hajime lo disse gentilmente ma con la fermezza di un ordine.

Un paio di occhi marroni ed un paio blu si voltarono a guardarlo. "Ma noi vogliamo stare con papà Iwa-chan!" Si lagnò Tooru. "Da quando ha smesso di nevicare e sono ripresi gli allenamenti, lo vediamo così poco. Ci manca tanto."

Hajime dovette sforzarsi per mantenere l'espressione inflessibile che aveva sul viso: anche a lui mancavano. Sì, il suo Re ed il suo piccolo Principe gli mancavano da impazzire ma aveva dei doveri d'assolvere e non avrebbe dato a Tobio l'esempio che voleva se avesse messo tutto da parte per un suo egoistico desiderio personale. Era il Primo Cavaliere, aveva combattuto tutta la vita per diventarlo e questo non doveva impedirgli di essere un compagno ed un padre. "Tornerò da voi il prima possibile, lo prometto," disse con fare solenne.

Tooru tornò serio di colpo e realizzò di aver parlato troppo: non era mai stata sua intenzione colpevolizzare Hajime di nulla. "Ma no, Iwa-chan!" Esclamò tornando a sorridere. "Noi siamo felici che papà sia il Cavaliere più bello e forte del regno," sollevò Tobio davanti al suo viso per sottolineare il concetto ma gli occhi blu continuarono a cercare quelli verdi del padre. "Certo, mai bello e forte quanto me ma..."

Tobio starnutì di nuovo.

"Fila in camera, idiota!" Sbottò il Primo Cavaliere e Tooru non se lo fece ripetere due volte.



  

In fin dei conti, tutto si poteva dire di Tooru meno che non fosse un genitore affettuoso.

Rientrato negli appartamenti reali, Hajime trovò il suo Re seduto a gambe incrociate di fronte al caminetto acceso, Tobio steso su di un gran cuscino davanti a lui. Tooru giocava con i pugnetti chiusi del loro Principe raccontandogli un sacco di storie che variavano dai giorni della loro infanzia ai mesi in cui ancora era dentro la pancia e papà Iwa-chan questo e papà Iwa-chan quello...

Hajime non poteva negare che gli facesse piacere, come non poteva negare che rientrare dopo una dura giornata di addestramento e trovare il suo compagno allegro e sorridente mentre giocava con il loro bambino fosse un dono a cui ancora non riusciva a credere.

"Ecco papà!" Esclamò Tooru afferrando Tobio sotto le braccia per sollevarlo e baciarlo su quel nasino minuscolo. Il suo Re gli sorrise e Hajime non potè evitare di farlo a sua volta.

"Vado a farmi un bagno," annunciò ma non si avvicinò alla porta che dava sulla stanza adiacente prima di aver posato un bacio tra i capelli corvini del suo Principe ed uno sulle labbra del suo Re.

Al suo ritorno, Tooru si era cambiato per la notte ed aveva fatto lo stesso con Tobio.

"Papà è tornato!" Il suo Re non la smetteva di riempire il faccino del piccolo di baci.

Hajime si sedette sul bordo del letto: Tobio non sorrideva, non proprio ma i suoi occhioni blu s'illuminavano di colpo quando una cosa gli piaceva. Era un fatto che solo lui e Tooru potevano notare perchè solo loro ne erano a conoscenza e andava bene così: il loro bambino non era un raggio di sole come il piccolo Shouyou ma era felice e lo esprimeva in un modo tutto suo ed era solo questo ad avere importanza.

"Non smetterei mai di coccolarlo!" Esclamò Tooru con gli occhi brillanti d'amore mentre stringeva Tobio a sè. Hajime si sporse in avanti e posò un bacio sulla fronte del Principe, gli occhi blu lo guardavano da sopra un pugnetto chiuso umido di saliva.

"Ha sonno," commentò il Primo Cavaliere.

"Sì," mormorò Tooru dolcemente spostandolo contro la sua spalla. "È stanco."

Il giovane Re si alzò in piedi e Hajime rimase a guardarlo incantato mentre depositava Tobio nella sua culla, gli rimboccava le coperte e poi si chinava su di lui mettendo a tacere le deboli proteste del Principe con una serie di baci leggeri. Tooru sorrise passando le dita sulla testolina di capelli corvini, poi posò per un'ultima volta le labbra sulla fronte del loro bambino e si sollevò. "Buona notte, mio Principe."

Hajime sorrise tra sè e sè: non aveva ancora diciotto anni ed in quella camera da letto c'era tutto ciò che gli serviva per essere felice.

Qualcosa venne schiaffato contro il suo viso ed il Primo Cavaliere venne strappato dal suo stato di beatitudine di colpo. Imprecò a bassa voce per non svegliare il bambino e gettò a terra ciò che gli oscurava la vista. Si accorse solo dopo che si trattava della camicia da notte del suo Re.

"Tooru..." Qualunque cosa volesse dire fu stroncata da due labbra tentatrici premute contro le sue. Hajime chiuse gli occhi, infilò una mano tra le ciocche ricciute e si spostò in modo d'adagiare il giovane amante tra le coperte. L'asciugamano che gli cingeva la vita scivolò via lasciando che i loro corpi si toccassero completamente, mentre il bacio diveniva più caldo.

Quando rimasero entrambi senza fiato, Hajime posò la fronte su quella del suo Re e riaprì gli occhi per godersi la luce di quegli occhi nocciola che lo fissavano maliziosi.

"Ciao..." Mormorò Tooru.

"Ciao," rispose Hajime aggiustando un ciuffo di capelli castani dietro l'orecchio del giovane sovrano.

"È passato un po' di tempo..."

"Sì, è vero."

Tooru lanciò un'occhiata veloce verso la culla accanto al letto. "Tobio dorme sereno."

"Sì, lo so," Hajime non riusciva a smettere di sorridere mentre le sue dita continuavano a giocare con quei riccioli perfetti.

Ed eccolo quel sorriso da Demone tentatore, quello a cui il Primo Cavaliere non avrebbe mai imparato a resistere. Tooru passò l'indice sulle sue labbra.

"Dobbiamo fare piano, mio Cavaliere..."





Si svegliarono completamente infreddoliti e con le coperte intrecciate tra le gambe.

Hajime fu il primo ad aprire gli occhi: Tooru si era bello che accomodato sopra il suo petto ed i capelli ricciuti solleticavano appena il mento del Primo Cavaliere invitandolo ad accarezzarli pigramente aspettando che il sonno lo lasciasse andare del tutto.

Hajime sospirò e richiuse gli occhi per un istante: faceva un gran freddo per essere quasi primavera e questo non era un bene se pensava alle loro terre già torturate da una guerra finita appena l’estate scorsa. Dalla nascita del bambino e dalla partenza di Koushi e Kenma, Hajime non si era più azzardato a lasciare il castello per controllare come il loro popolo se la stesse cavando in seguito al conflitto. Non gli piaceva lasciare Tooru da solo mentre Tobio era ancora così piccolo ma, come per gli allenamenti, c’erano dei doveri che come Primo Cavaliere doveva assolvere e stava seriamente pensando di portare l’esercito nelle zone in cui le battaglie avevano torturato i civili e le loro terre tanto da rendere loro la vita difficile più di quanto già non fosse.

Tooru si spostò e le sue labbra gli sfiorarono il collo.

Ben presto, il Consiglio avrebbe preteso di nuovo anche la sua piena partecipazione alla vita politica, pensò Hajime ed allora sarebbero cominciate le vere complicazioni: nessuno dei due era d’accordo a lasciare Tobio da solo ma c’erano ancora vecchi nobili bigotti che guardavano il loro bambino e vedevano un bastardo mezzo-sangue senza potere né diritti ed il Primo Cavaliere era certo che il suo Re non avrebbe retto all’infinito una simile tensione se avesse deciso di portare il Principe con sè.

A dire il vero, nemmeno Hajime era certo di poter fare affidamento sul proprio autocontrollo e sarebbe stato un problema se, in un eccesso di rabbia, si fosse ritrovato a decapitare qualche nobile bastardo per aver sottolineato con troppo acidità che Tobio era nato senza corna.

Fu una serie di tre starnuti a salvarlo da quei pensieri oscuri.

Guardò Tooru e due occhi marroni ancora assonnati ricambiarono lo sguardo.

Il Primo Cavaliere portò subito l’attenzione alla culla accanto al loro letto. “Maledizione...” Imprecò a bassa voce, poi si alzò dal letto ignorando le deboli proteste del giovane sovrano ancora mezzo addormentato. “Fa freddo, Iwa-chan...”

Tooru riuscì a tirarsi la coperta fino al naso, mentre Hajime si chinava sulla culla del Principe con una smorfia contrariata: Tobio aveva calciato via la copertina durante la notte ed il corpicino era freddo e tremante come Hajime se lo strinse contro il petto. Sospirò sconfortato come due occhioni blu si aprivano a guardarlo. Suo malgrado, sorrise, poi si avvicinò al letto ed infilò il piccolo sotto le coperte vicino a Tooru.

Il giovane Re aprì gli occhi nel sentire i corti capelli corvini solleticargli il naso e ad accoglierlo trovò il broncetto adorabile del suo piccolo Principe. Hajime lo vide sorridere deliziato mentre avvolgeva un braccio intorno al bambino e se lo accoccolava contro il petto, al caldo, sotto le coperte.

“Mi preparo per l’addestramento del mattino,” disse Hajime a bassa voce, poi si chinò per posare un bacio sul collo di Tooru. Il giovane Re mugugnò qualcosa accarezzando pigramente la schiena del piccolo Principe. Hajime sapeva che non avrebbe ottenuto altra risposta.





“Come sarebbe a dire mamma?”

Non era raro che, sebbene fosse praticamente cresciuto in mezzo ai Demoni, Hajime si ritrovasse spesso e volentieri a cadere dalle nuvole quando si trattava di certi discorsi.

Takahiro scrollò le spalle. “E come dovrebbe farsi chiamare? Tu sei papà e lui è mamma.”

Issei annuì. “Tuo figlio ha tre mesi e non ci avevi ancora pensato? Gli Omega lo fanno, dicono.”

Hajime si pentì amaramente di non aver chiesto conferma a Koushi quando ne aveva avuto l’occasione. Rifoderò la spada e si sedette sui gradini di pietra del castello pensando alla questione appena portata alla luce: certo, non aveva mai dubitato che per Tobio sarebbe stato papà ma non aveva mai seriamente pensato a cosa sarebbe stato Tooru.

“In fin dei conti, non manca di logica,” aggiunse Takahiro. “L’ha dato alla luce, dopotutto. Inoltre, Tooru è così controcorrente. Non si sorprenderebbe nessuno se si sentisse onorato dal sentirsi chiamare mamma.”

Fu il turno di Issei di scrollare le spalle. “Considerando quanto gli piace farsi notare...”

Oh, sì, a Tooru piaceva molto essere il ribelle raffinato e provocatore che attirava sguardi affascinati su di sè con la stessa facilità con cui provocava cocente disapprovazione in altri ma...

Hajime scosse la testa. “Non credo che nemmeno lui sia tanto idiota...”





“Mamma... Mamma...”

Tooru passò ancora una volta la punta dell’indice sul profilo del nasino minuscolo e Tobio lo guardò rapito accennando quel sorriso un po’ goffo ed adorabile per cui il giovane Re ed il suo Cavaliere stravedevano.

“Riesci a dire mamma?” Domandò Tooru con un sorriso luminoso. “È facile! Mam-ma!”

Tobio prese ad agitarsi tutto tra le coperte del grande letto dei suoi genitori. Tooru rise massaggiandogli il pancino con lenti movimenti circolari. “Stiamo bene nel lettone al caldo, vero?” Domandò sfiorando la punta del naso minuscola con quella del proprio. “Ci facciamo le coccole ed aspettiamo che torni papà. Che ne dici di questa? Papà... Pa-pà!”

Tobio starnutì di nuovo.

“Sì, è meglio mamma...”

 
***



“Mama... Ma-Mama... Mama!”

La prima cosa che Koushi vide quando aprì gli occhi furono due manine aggrappate saldamente al bordo della culla, una testa di capelli ribelli dal colore impossibile e due occhi dorati identici ai suoi che lo guardavano completamente svegli.

“Mama!”

Koushi sospirò stancamente e scivolò via dall’abbraccio di Daichi per occuparsi della piccola peste che aveva deciso fermamente che non c’era più bisogno di dormire, poco importava che fossero nel cuore della notte. Non sentì nemmeno il freddo contro la pelle nuda tanto era stanco e non si sforzò di sorridere: non ne aveva la forza.

“Vieni qui, Shouyou...” Mormorò prendendo il bambino che già aveva sollevato le piccole braccia per farsi prendere. Koushi era particolarmente lieto che fosse minuto e leggero in quei momenti: non era certo sarebbe riuscito a sollevarlo se fosse stato un bambino robusto come lo era stato Daichi.

Tornò a letto con un sospiro stanco accollandosi Shouyou contro al petto.

Lo sbirciò per un istante e si rese conto che lo guardava con quei grandi occhi luminosi come il sole comunicandogli senza possibilità di appello che era condannato a rimanere per le prossime ore sveglio ad intrattenerlo. Il Consorte reale gemette appena, poi posò le labbra tra i capelli ribelli del suo bambino nella speranza di farlo rilassare e convincerlo a cedere al sonno. “La notte è fatta per dormire, amore mio.”

Un braccio forte gli circondò la vita ma Koushi non ebbe la forza di alzare lo sguardo sul viso del suo Re quando questi appoggiò la guancia contro la sua spalla per sbirciare il piccolo Principe accoccolato contro il suo petto.

“L’hai portato di nuovo nel nostro letto...”

Non suonava come un rimprovero, più come l’ammissione di una sconfitta.

“Hai la forza di alzarti e cullarlo per le prossime due ore?” Domandò Koushi.

Il Re rimase in silenzio.

“Appunto...” Shouyou prese a giocare con la sua mano portandosela alla piccola bocca. “Se penso che Tobio ha cominciato a dormire dal tramonto all’alba ad appena un giorno di vita.”

“Saranno i denti,” ipotizzò Daichi baciandogli la spalla.

“Prima perché era dentro la pancia e non conosceva la differenza tra il giorno e la notte, dopo perchè gli faceva male il pancino, adesso per i dentini... Non finirà più...”

Daichi passò una mano tra i capelli del loro bambino e Shouyou rise deliziato, come se non ci fosse nulla per cui disperarsi.

Suo malgrado, entrambi i genitori sorrisero e Koushi posò un bacio sulla guancia morbida del piccolo Principe.

“Compiuto l’anno, possiamo provare a spostarlo in una stanza tutta sua,” propose Daichi.

Koushi ridacchiò amaramente. “Daichi...” Sospirò. “Ha nove mesi e si sposta su due piedi aggrappandosi a tutte le superfici utili del castello... Tra tre mesi scavalcherà il bordo di qualsiasi culla senza problemi ed arriverà al nostro letto sulle sue gambe.”

Nonostante la stanchezza, Daichi sorrise. “Non si può dire che non sia coerente con se stesso: precoce in tutto dall’inizio alla fine. Prima del suo primo compleanno, camminerà da solo e ripeterà ogni parola che gli rivolgiamo.”

L’espressione di Koushi si oscurò appena. “Sì, parla, cammina...” Accarezzò i capelli ribelli di Shouyou amorevolmente. “Ma è così piccolo.”

Daichi si sollevò su di un gomito, ora completamente sveglio. “Ehi...”

Koushi non lo guardò. “Se fossi stato più attento e lo avessi dato alla luce allo scadere del tempo, forse...”

“Koushi,” lo chiamò il suo Re fermamente e gli occhi dorati si alzarono per incontrare quelli scuri. “La tua unica colpa è quella di aver dato alla luce un Principe forte e sano in una situazione disperata.”

Koushi tornò a guardare Shouyou ed il bambino gli sorrise. Non avrebbe mai potuto esprimere a parole quanto lo amava, quanto lo trovasse perfetto in ogni suo singolo dettaglio e non avrebbe mancato di ripeterglielo più volte negli anni della sua crescita. Ciò che temeva non era Daichi: il suo Re non sarebbe mai stato uno di quei padri votati a plagiare i propri eredi a loro immagine e somiglianza. Non temeva nemmeno i loro Cavalieri ma, in passato, aveva provato sulla sua pelle quanto potesse essere crudele la nobiltà con i diversi ed un erede al trono incapace di combattere veniva spesso considerato inutile.

“Papa... Pa-Papa...”

Koushi sorrise e sentì Daichi farsi più vicino.

“Va bene...” Mormorò il suo Re. “Possiamo concedere al nostro Principe di dormire con noi ancora per una notte.”

E Koushi non potè che sentirsi rassicurato: forse, Shouyou non sarebbe mai stato un guerriero micidiale ma di sicuro non gli mancavano le armi per piegare un Re al suo volere.





Era la metà di marzo quando, durante uno dei loro turni nei saloni dei piccoli orfani, Kiyoko prese Koushi da parte e gli confidò il piccolo segreto che portava con sé da quasi tre mesi.

“Kiyoko...” Koushi sgranò gli occhi e non riuscì a fare altro che sorridere. “Sei felice? Voglio dire, stai bene? Insomma...”

Kiyoko non era mai stata una fanciulla particolarmente espansiva o espressiva ma tutti loro avevano imparato a conoscerla crescendo accanto a lei e Koushi non poteva che ammirarla per la razionalità ed il carattere forte che dimostrava in ogni situazione. Vederla lì, con lo sguardo basso e le guance appena colorate gli fece sentire una gran tenerezza.

“Ehi...” Le prese le mani amichevolmente. “Non c’è nulla di cui vergognarsi! È una notizia meravigliosa!”

Lei annuì ma ancora non si azzardò a guardarlo negli occhi. “Dovrei lasciare la corte?”

Koushi la guardò allibito. “Lasciare la corte? Ma che ti viene in mente? Qui avrai i migliori curatori del Regno e noi tutti ci prenderemo cura di te con piacere! Yuu e Ryuu faranno lutto per un po’... Forse, più Ryuu che Yuu, non so se hai notato lui e Asahi negli ultimi mesi...”

Il viso di Kiyoko si fece ancora più rosso e Koushi comprese di aver toccato un punto particolarmente sensibile. “Kiyoko va tutto bene? Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Lei scosse la testa. “Il ragazzo che...” Prese un respiro profondo. “È Ryuu...”

Sì, dopo questa notizia Koushi rimase seriamente senza parole. Per anni si era convinto che Kiyoko sarebbe finita tra le braccia di un giovane nobile e valoroso di sani e seri principi, un tipo molto simile a Daichi e che Yuu e Ryuu avrebbero ricordato per tutta la vita il loro primo amore in comune mai sfiorato, né vissuto. A dire la verità, Koushi si era sentito particolarmente sollevato nel vedere come Yuu avesse lasciato andare quelle fantasie infantili in favore di qualcosa di più profondo e realistico come il legame con Asahi. Ma Ryuu... Ben inteso, credeva che anche lui, prima o poi, avrebbe trovato la felicità al fianco di qualcuno come tutti loro ma non avrebbe mai ipotizzato che...

Lanciò un’occhiata ai tre Cavalieri dalla parte opposta della stanza: Yuu stava facendo giocare Shouyou con altre bambine mentre Ryuu intratteneva un gruppo di maschetti con esagerate e Asahi assisteva alla scena completamente a disagio.

“Kiyoko, Ryuu lo sa?”

Lei scosse la testa. “Non siamo sposati,” si giustificò lei. “Come dama di corte potrei essere espulsa per una cosa simile e Ryuu potrebbe passare dei guai.”

Oh, adesso era chiaro. Kiyoko non vantava un lignaggio come quello di Yui ma era comunque una dama ben educata e ritrovarsi nelle sue condizioni fuori da un matrimonio poteva apparire sconveniente a molti. Koushi e Daichi, però, pur come sovrani, erano ben lontani da farsi scrupoli del genere.

“Sei felice di questo bambino, Kiyoko?” Domandò a cuore aperto.

La fanciulla sgranò gli occhi chiari per un istante, poi annuì.

Koushi sorrise. “È tutto ciò che ha importanza ed è l’unica cosa che volevo sentirti dire,” la rassicurò. “Sono onorato che tu abbia deciso di confidarti con me e sta tranquilla che manterrò il segreto fino a che Ryuu non comincerà a correre per i corridoi annunciando a gran voce il lieto evento. Credimi, è un bravo ragazzo e ti porterà all’altare di corsa quando saprà l’immenso dono che stai per fargli... E noi lo fermeremo di forza, nel caso tu non voglia.”

Kiyoko sorrise appena. “Ti ringrazio, Koushi.”





Il giorno dopo, Ryuu entrò nella sala comune dei Cavalieri annunciando il suo imminente matrimonio ed il fatto che sarebbe divenuto padre alla fine della prossima estate.

Yuu lo abbracciò ed entrambi scoppiarono in lacrime, poi il piccoletto si ritirò in un angolo della stanza per parlare con Asahi.

Daichi sospirò, guardò Shouyou tra le sue braccia e gli sorrise. “Se chiunque ti biasimerà per essere un piccolo terremoto, mio Principe, fai loro presente che sei venuto a nascere in una famiglia in cui non ci si annoia mai.”

Al suo fianco, Koushi rise.





Il giorno seguente, Yuu e Asahi vennero da loro, il primo rosso in faccia ed il secondo completamente viola, a chiedere se fosse possibile per loro prendere in custodia uno o due dei bambini orfani accolti alla corte.

Daichi alzò gli occhi al cielo e diede loro la sua benedizione.

 
***



Issei e Takahiro dovettero concordare sul fatto che Tooru fosse incredibile e che lo sarebbe stato con o senza una corona sulla testa ed un Regno tra le dita.

Alla fine di marzo, Hajime si era ritrovato nella condizione di dover lasciare il Castello Nero per garantire al loro popolo, stremato dopo una guerra disperata ed un lungo inverno, tutto l’aiuto che i Cavalieri di Seijou potevano dare loro.

Il loro Primo Cavaliere, così, era partito a compiere i suoi nobili doveri lasciando ai suoi due compagni più fidati il compito di proteggere il giovane Re ed il piccolo Principe. Nonostante le ben note storie di Hajime con Tooru come indiscusso protagonista ed il fatto che vi fosse coinvolto un bambino di pochi mesi, il Re Demone affrontò la separazione dal proprio compagno con rispettabile dignità e, consapevole di non poter essere da meno del suo Primo Cavaliere, era tornato ad essere il sovrano che il Consiglio attendeva con tanta ansia.

Ma non fu questo a far comprendere ad Issei e Takahiro quando Tooru fosse unico nel suo genere  e quanto Hajime si fosse meritato il titolo di Primo Cavaliere anche solo per essergli rimasto accanto tutto la vita, figurarci divenirne il compagno quasi ufficiale e farci anche un figlio...

Quello che davvero stupì i due Cavalieri fu la naturalezza con cui Tooru riuscì ad adempiere a quei maledetti doveri solo ed unicamente alle sue condizioni.

Di una balia per Tobio non si era mai parlato e nessuno dei due genitori aveva preso in considerazione l’idea nemmeno quando il mondo reale aveva costretto entrambi ad uscire dalla dimensione idilliaca in cui si erano rinchiusi con la loro bella famigliola.

“Le donne del popolo lavorano fino all’ultimo e tornano a compiere i loro doveri con bimbi di appena pochi giorni di vita ed io non posso pensare a Tobio seduto su di una poltrona alla fine di un lungo tavolo occupato da vecchi acidi?”

Questa era stata l’opinione di Tooru in proposito ed Issei e Takahiro non potevano non stimarlo mentre se ne stava lì a mettere tutti quei vecchi bigotti a posto con Tobio che non faceva che sottolineare ogni parola che usciva dalla sua bocca con un broncio bello in vista sul faccino paffuto.

Alcuni, i più ipocriti, si erano anche avvicinati con sorrisi falsi e forzati rendendo omaggio al piccolo Principe e lanciandosi in complimenti a cui non avrebbe creduto nemmeno il peggiore degli idioti. “Assomiglia tutto a vostra maestà!” Dicevano alcuni. “Assolutamente!” Concordavano altri. “Un Principe Demone degno di tale nome.”

E sia Issei che Takahiro non avevano potuto non notare come azzardassero una carezza sulla testolina priva di corna del bambino mentre pronunciavano simili parole.

Tooru, troppo sveglio per credere a simili scenate buoniste, si limitava a rivolgere loro un’espressione altrettanto falsa e cordiale, poi allontanava Tobio da quelle mani viscide e rispondeva qualcosa del genere: “Il Principe è senza ombra di dubbio degno erede della mia corona ma non lo è meno del valoroso Primo Cavaliere di cui è figlio.”

Non aveva importanza quanto la nobiltà gli ricordasse più o meno velatamente quanto fosse scandaloso che Tooru avesse riconosciuto come erede legittimo il figlio bastardo di un umano e al diavolo se tutti credevano che fosse divenuto Primo Cavaliere per aver scaldato il letto del giovane Re per anni, Tooru non abbassava la testa e non mancava di dimostrarsi orgoglioso sia del suo uomo che della splendida creatura che avevano messo al mondo.

Poi c’erano quegli altri, quelli che Issei e Takahiro si ritrovavano a guardare con sospetto perché sembravano sul punto di progettare un infanticidio dal modo disgustoso in cui guardavano il piccolo Tobio.

Erano quelli ad avere il potere di colpire il giovane Re, sebbene non all’apparenza ma i due Cavalieri avevano imparato ad accorgersi di alcune cose che Tooru non avrebbe mai lasciato trasparire di fronte ad altre persone ed era allora che comprendevano veramente quanto Hajime dovesse amarlo per sopportare tutto quello.





Tooru aveva coricato Tobio al centro del grande letto.

Non lo aveva detto a nessuno ma aveva paura a lasciarlo nella sua culla in assenza di suo padre, come se potessero entrare nella loro camera da letto e fargli del male nel sonno. Chi? Tooru non poteva saperlo ed era completamente consapevole di apparire paranoico ma, ancora, l’incubo che aveva fatto poco dopo la nascita di Tobio, quello con la culla silenziosa e la spada di Hajime puntata contro il petto, il giovane Re non riusciva proprio a toglierselo dalla testa.

Hajime era partito da due settimane e tutte le manovre politiche che avevano progettato da prima della guerra contro il Re dell’Aquila stavano procedendo come voleva ma Tooru non si sentiva al sicuro nemmeno nella sua casa. Non senza Hajime.

Aveva smesso di farlo quando quelle mura erano divenute la sua prigione ed un altro Re era stato il suo secondino.

Tobio si lamentava, piagnucolava ed era spesso nervoso.

Forse, sentiva la sua tensione. Forse, avvertiva l’assenza di suo padre.

Tooru sapeva solo che se non avesse fatto qualcosa alla svelta, sarebbe successo qualcosa di brutto e non sapere come difendersi non faceva che peggiorare il terrore che gli stringeva il petto.

“Tobio-chan...” Chiamò passando una mano tra quei capelli corvini, gli occhi blu pieni di lacrime lo fissarono fiduciosi: sembrava quasi sparire tra quei cuscini e Tooru poteva a stento immaginare che quella creaturina si sarebbe un giorno trasformata in un giovane uomo bello e forte. Fino ad allora, però, non poteva correre rischi e la sua sicurezza doveva venire prima di qualsiasi cosa.

“Tobio-chan,” si chinò e baciò una guancia morbida. “Che ne dici di fare una sorpresa a papà?”

 
***



“Lo giuro su tutta Seijou, Kentaro! Un’altra parola anche solo mormorata sul caldo e ti prendo a calci in culo fino a che non hai arato a mani nude tutto questo fottuto campo!”

Il resto dei Cavalieri scoppiò a ridere, mentre il loro compagno prendeva a ringhiare a bassa voce come un cane.

Hajime prese un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli scuri umidi di sudore: la primavera aveva tardato ad arrivare ma stava facendo scontare loro tutti i giorni d’attesa. Non era eccessivamente caldo ma lavorare nei campi per ore e sotto il sole li faceva penare tutti come bestie da soma ma il Primo Cavaliere era ben lontano dal lamentarsi ed i suoi Cavalieri non erano da meno. Tranne Kentaro ma, forse, ci sarebbe stato da preoccuparsi del contrario nel suo caso.

“Sir! Un po’ d’acqua!” Shinji si avvicinò al superiore con un bicchiere ricolmo.

Hajime infilzò la zappa a terra con la stessa eleganza con cui avrebbe manovrato una spada, poi accettò l’offerta del giovane Arciere di buon grado. “Sei molto gentile.”

“Dovere, sir!” Esclamò il giovane con un gran sorriso e tornò alla sua postazione tra gli alberi per riempire altri bicchieri da consegnare ai suoi compagni.

Hajime era orgoglioso di loro, di tutto loro.

Nessuno aveva esitato quando aveva spiegato loro la missione che dovevano portare a termine. Nessuno aveva avuto da ridire sul fatto che non erano semplici contadini e non ci sarebbe stata nessuna gloria personale da conquistare.

Lo avevano seguito tutti con la stessa lealtà con cui lo avevano fatto sul campo di battaglia contro Shiratorizawa.

Appoggiò il bicchiere a terra, piegò un braccio e si appoggiò all’asta della zappa.

Erano passate quasi tre settimane dalla sua partenza e, sebbene non mancasse di scrivere lettere a casa un giorno sì e l’altro pure, sapeva che la sua assenza doveva pesare su Tooru almeno quanto era utile lì, dove si trovava.

Pensò che una volta finita quella parte di terra, sarebbe potuto tornare almeno per qualche giorno: avrebbe preso in braccio suo figlio, avrebbe fatto l’amore col suo compagno ed avrebbe accettato di tornare ad assolvere il suo dovere di Primo Cavaliere ancora una volta.

Tutto quello che poteva sperare era che Tooru non lo biasimasse e che Tobio, un giorno, sarebbe stato orgoglioso di lui.

“Eccolo, Tobio-chan! Abbiamo trovato il nostro papà Iwa-chan!”

Per un momento, Hajime pensò che il caldo gli avesse dato alla testa e che stesse cominciando a sentire dal nulla la voce di Tooru per troppa nostalgia, poi sollevò gli occhi e ci mise decisamente troppo a riconoscere il giovane che trotterellava allegramente verso di lui. Come se qualunque altra persona normale avesse potuto camminare in quel modo...

Come se chiunque altro possedesse quel sorriso più luminoso del sole.

Tooru non era neanche il fratello gemello del Re Demone che era abituato ad avere sotto gli occhi. Il giovane sorridente, dai riccioli perfetti e dai grandi occhi marroni era vestito solo di un paio di pantaloni da lavoro, stivali fino al ginocchio ed una semplice camicia bianca con le maniche tirate fin sopra i gomiti.

Il bambino tra le sue braccia era vestito con la stessa semplicità: una leggera tunichetta bianca a maniche corte ed una cuffietta di cotone a campanella per proteggerlo dal sole. L’orlo di pizzo era l’unico dettaglio che potesse tradire il sangue nobile che gli scorreva nelle vene ma non era comunque nulla che una famiglia di proprietari terrieri benestante non potesse permettersi.

Hajime rimase a fissarli entrambi come se fossero creature di un altro mondo e solo dopo si accorse dei due Cavalieri dietro di loro.

“Non siamo riusciti a fermarlo,” spiegò Issei con espressione stoica.

“Impensabile,” aggiunge Takahiro scuotendo la testa. “Impossibile.”

Il Primo Cavaliere riportò gli occhi sul giovane con il bambino in braccio ed un broncio che conosceva bene aveva preso il posto di quel sorriso splendente. “Non ci saluti nemmeno, Hajime?”

Il Primo Cavaliere sbatté le palpebre un paio di volte, poi vide il bambino tra le braccia dell’altro sporgersi pericolosamente verso di lui. “Vuoi andare da papà, Tobio-chan?” Domandò Tooru con un dolce sorriso.

Hajime fece un passo indietro. “Ho lavorato per tutto il giorno, Tooru, non credo che...”

“Come se a Tobio importasse qualcosa!”

Tooru gli passò il loro bambino e Hajime lo afferrò sotto le piccole braccia tenendolo lontano dal petto per non insozzarlo con la pelle sudata e sporca di polvere. Gli occhi sembravano ancora più blu ed i capelli più neri sotto quella cuffietta bianca. Hajime sorrise e lo sollevò in aria. Le iridi blu guardarono in lungo ed in largo studiando quel paesaggio completamente diverso dai saloni dalle mura di pietra del Castello Nero. Alla fine, si posarono sugli occhi verdi del suo papà e Hajime gli baciò una guancia. “Ciao piccolo...”

“Quanto è rude, Iwa-chan ad ignorarmi!”

Per tutta risposta, Hajime spostò Tobio sul braccio destro ed immerse le dita della mancina tra i riccioli castani di Tooru trascinandolo in un bacio che lasciò i due Cavalieri alle loro spalle completamente senza parole.

“Sei completamente folle lo sai?” Commentò Hajime con tono di rimprovero ma, nel dirlo, gli baciò una guancia.

Tooru rise. “Se non lo fossi, non mi ameresti come fai.”




Hajime aveva ottenuto di risiedere in una tenuta di campagna piuttosto grande e pulita. In confronto alla casa in cui era nato, era puro lusso ma nulla in confronto al Castello Nero a cui era abituato Tooru. Tuttavia, il suo Re non fece che dire quanto delizioso fosse quel posto e si comportò come se non avesse mai avuto un servitore per tutta la vita.

Hajime recuperò un cestino di vimini da bucato, vi piegò dentro delle lenzuola pulite creando un materasso accidentato e Tooru vi depose Tobio: non avevano culle degne di tale nome lì ma il bambino sembrava stare comodo e tanto bastava.

“Ti piace il tuo nuovo lettino, Tobio-chan?” Domandò Tooru ed il bambino concesse ad entrambi quella specie di sorriso che nessuno, a parte loro due, avrebbe saputo interpretare come tale.

Lungo la strada, Hajime aveva pensato ad almeno cento modi di rimproverare Tooru per il suo poco giudizio ma ora, nel vederli entrambi nella sua modesta camera da letto come se le tre settimane di separazione non ci fossero mai state, gli aveva fatto dimenticare ogni cosa.

“Vado a farmi un bagno.”




Tobio prese a lamentarsi un poco come Tooru si allontanò dalla sua culletta accidentata per farsi un bagno a sua volta ma bastarono poche carezze di Hajime per farlo sentire a suo agio. “Shhh... C’è papà,” mormorò posando un bacio tra quei capelli corvini. “Va tutto bene, c’è papà”

A Tobio sembrò bastare, perchè si addormentò pacificamente come se fosse nella sua camera di sempre e non in una casa di campagna che mai sarebbe potuta essere la degna dimora di un Principe.

“È cresciuto, non trovi?” Domandò Tooru ritornando in camera, un sorriso orgoglioso in viso e solo un asciugamano addosso. Hajime non versava in condizioni più dignitose ma la sua era stata un’innocente dimenticanza e dubitava fosse lo stesso per il suo Re.

“Diviene più bello ogni giorno che passa,” aggiunse il giovane Demone.

“Come te...” Hajime non si rese veramente conto di aver parlato prima che quegli occhi marroni cominciarono a fissarlo sorpreso. Tooru gli sorrise e le guance gli si colorarono appena. “Allora sei felice di vedermi,” disse. “E devi esserlo davvero tanto per farmi un complimento, non è una cosa da tutti i giorni.”

“Quanto sei stupido,” commentò Hajime sbuffando. “Devi sentirtelo dire che sono felice di avervi qui, nonostante il destino ti abbia graziato con tutta l’intelligenza di questo mondo? Usata di rado, lo devo ammettere...”

Tooru, però, rise. “Iwa-chan è così timido,” disse.

“Taci...”

Il viso del giovane sovrano si oscurò appena. “Ed io sono così insicuro,” aggiunse a voce più bassa guardando il loro bambino dormire. “Da quando è nato lui, lo sono ancor di più.”

Fu allora che comprese che la questione era seria perchè non fosse mai che il grande Re Demone ammettesse un suo difetto. Hajime li conosceva tutti, uno per uno e quello che sopportava di meno e per cui l’aveva sempre biasimato era la maschera dietro cui tentava di nascondere tutti i problemi più grandi di lui. Non stava accadendo in quell’occasione ed era la prima volta da una vita intera.

Hajime guardò il loro piccolo Principe e pensò che la questione dovesse riguardarlo, altrimenti Tooru non si sarebbe esposto così facilmente nemmeno con lui.

“È successo qualcosa mentre ero via, Tooru?”

Per un attimo, Hajime s’illuse che lui ed il giovane Demone avrebbero potuto affrontare quella questione come una coppia, tanto per fare qualcosa di nuovo ma Tooru gli rivolse quel sorriso falso che tanto odiava e si sporse verso di lui per dargli un bacio sulle labbra. “Facciamo l’amore, Hajime?”

Ed il suo calore gli era mancato troppo perché potesse rifiutarlo.

 
***



Daichi si era ritrovato a vedere un indescrivibile bellezza in un sacco di cose che non avrebbe mai preso in considerazione: il pianto del suo bambino, il suono ripetitivo delle sue prime sillabe, le prime parole riconoscibili e la meravigliosa sensazione che aveva provato la prima volta che Shouyou lo aveva guardato e, consapevolmente, lo aveva chiamato papà.

Ma il rumore appena percettibile che quei piedini facevano sul pavimento di pietra era qualcosa d’indescrivibile... Il Re di Karasuno avrebbe temuto di gran lunga di meno se la terra avesse tremato sotto i passi di un gigante.

Prese un respiro profondo, si passò una mano tra i capelli e si sedette sul gradino di pietra accanto al suo consorte. Solo allora, Shouyou prese in considerazione l’idea di fermarsi. Fu solo un secondo, però: si voltò a guardarli, sorrise ai suoi genitori in quel modo adorabile e poi riprese a correre per il salone vuoto come se le due ore appena trascorse non avessero avuto alcun effetto sulla sua resistenza ripetendo a gran voce versi di cui solo lui conosceva il significato.

“Gwah! Bwah!”

Daichi guardò Koushi e la coppia reale si scambiò un sorriso stanco prima di scoppiare a ridere.

Appena una settimana prima, Daichi aveva ripulito con il fondoschiena i pavimenti di tutti i corridoi del Castello dei Corvi, mentre il piccolo Principe gli veniva incontro con le braccia allargate per mantenere l’equilibrio dei suoi primi, incerti passi. Koushi dietro di lui pronto a prenderlo in caso di squilibrio improvviso... Anche se Shouyou era finito col faccino contro il pavimento un paio di volte comunque e, dopo un gran pianto, era tornato alla carica come se nulla fosse successo.

Ora, la vera impresa era tenerlo fermo.

Koushi e Daichi arrivavano distrutti alla fine di ogni giornata, Shouyou era talmente poco influenzato dalle sue prime grandi imprese che, all’alba, scavalcava il bordo della sua culletta ed il giovane Re si risvegliava di soprassalto per un improvviso peso sul petto. Aperti gli occhi, ritrovava a dargli il buongiorno un sorriso furbetto e due occhi luminosi sotto di una frangia di capelli dello stesso colore del tramonto e non poteva evitare di sorridere a sua volta.

“La prossima volta che ci diranno che è piccolo e fragile,” disse il giovane Re afferrando la mano del suo consorte. “Sfidiamo il povero sfortunato a stare al suo passo per un’intera giornata.”

Koushi rise.




Kei Tsukishima era nato precisamente tre mesi ed una settimana dopo l’erede al trono del Regno di Karasuno. Era ben presto rimasto solo con un padre malato ed un fratello maggiore troppo giovane per prendersi cura sia di un bambino che delle terre della loro famiglia ma Akiteru si era innamorato del suo fratellino fin dal primo sguardo e non deluderlo, renderlo orgoglioso di lui erano divenuti in breve tempo gli obiettivi ultimi della sua vita.

La prima volta che il giovane Lord Tsukishima portò il piccolo Kei al Castello dei Corvi era ormai primavera inoltrata ed il Principe era stato subito ben disposto a fare conoscenza con il nuovo arrivato.

“Con gentilezza, Shouyou,” disse Koushi con espressione seria.

Il piccolo lo guardò, poi tornò a sorridere all’indirizzo del bimbo più piccolo seduto sul grande tappeto ricoperto di giocattoli. I saloni inferiori del Castello dei Corvi erano ormai stati adibiti per far giocare tutti i bambini della corte, orfani e non. Daichi sosteneva che fosse costruttivo far giocare insieme i piccoli di diversa estrazione sociale: un giorno, sia eredi nobili che orfani senza nome avrebbero potuto combattere su di un campo di battaglia l’uno a fianco dell’altro ed il Re aveva provato sulla sua pelle quanto i legami di una vita potessero essere un sostegno indispensabile in simili situazioni.

Come padre, era felice che Shouyou socializzasse con tutti e che non imparasse mai a distinguere le sue amicizie in base ad un’estrazione sociale che non faceva il valore della persona stessa. Tutti erano il suo popolo e Daichi era felice che li vedesse come pari per quanto la situazione pratica lo permettesse.

“Ti assomiglia tantissimo, Akiteru!” Commentò Yuu stando attento che il piccolo Izumi, uno dei due bambini che lui e Asahi avevano preso con loro, non gattonasse troppo lontano dalla sua portata. L’altro, Kouji, di qualche mese più grande, era saldamente aggrappato alle mani del Primo Cavaliere qualche metro più in là nel tentativo di muovere i primi passi. Ryuu, nel frattempo, si era lanciato in un lungo discorso di come suo figlio sarebbe stato il migliore dei Cavalieri a chiunque fosse abbastanza educato d’ascoltarlo.

Appoggiato ad una delle colonne di pietra che sostenevano l’alto soffitto, Koushi si accorse di due cose: primo, Shouyou era l’unico bambino della sua generazione ad aver raggiunto la completa autonomia di movimento ancor prima di compiere un anno; secondo, per proporzioni si poteva confondere benissimo con i bambini di qualche mese più piccoli e, notò come il Principe si avvicinava al piccolo Kei, sembrava anche piuttosto più piccolo di quanto non fosse.

L’unico che fosse ad occhio nudo più minuto di Shouyou era Tadashi, il piccolo preso in custodia dalla famiglia Tsukishima, ancora non molto sicuro nemmeno nel suo gattonare.

“Tao!” Shouyou salutò il piccolo Kei a gran voce agitando la manina destra.

Koushi sorrise anche se con un po’ di malinconia: Shouyou era un bambino vivace, pieno di vita ed in compagnia si sentiva a suo agio come lui, incredibilmente timido per natura, non era mai stato. Quello che lo spaventava era che potesse essere messo da parte per apparente fragilità come era accaduto a lui quando la sua famiglia aveva scoperto che fosse un Omega.

Koushi sapeva che Shouyou era forte, sapeva che era pieno di risorse e che aveva dalla sua una testardaggine pari a quella di pochi ma temeva che il mondo non gli avrebbe mai dato la possibilità di dimostrarlo.

“Ma-Mama...”

Riportò l’attenzione sul suo bambino e vide che lo guardava con i grandi occhi pieni di lacrime: Kei si era girato dalla parte opposta continuando a giocare con i suoi giocattoli di legno ed ignorando deliberatamente il piccolo Principe che aveva tentato di fare amicizia.

Koushi sentì il cuore saltargli un battito ma forzò un sorriso nell’avvicinarsi al tappeto dei bambini per consolare il suo.

Il rifiuto era ciò che temeva di più per suo figlio come lo aveva temuto per sè, prima di avere la fortuna d’incontrare Daichi.

“Sono desolato, maestà!” Esclamò Akiteru in difficoltà ma Kei non ne voleva sapere di voler socializzare con nessuno dei bambini e sembrava si limitasse a sopportare la vicinanza di Tadashi che, lentamente, si era avvicinato ai suoi giocattoli prendendone uno per sé con discrezione.

“Non devi scusarti di nulla,” lo rassicurò Koushi inginocchiandosi e passando una mano tra i capelli ribelli di Shouyou. “Sono bambini, Akiteru.”

Il piccolo Izumi, accortosi della tristezza dell’altro bambino, gli gattonò vicino, si mise a sedere e prese a passare una manina sulla testolina del Principe imitando il gesto di Koushi. Shouyou tirò su col naso ancora un paio di volte, poi guardò il bambino occupato a consolarlo e gli sorrise gioioso.

Akiteru rimase senza parole. “Com’è premuroso!”

Yuu sorrise soddisfatto. “Sta prendendo tutti i pregi di Asahi... Speriamo non venga influenzato anche dai suoi difetti...”

Il Cavaliere dai capelli biondi sospirò frustrato e guardò il fratellino occupato a mettere in fila le sue costruzioni di legno. “Kei, perchè non provi a giocare con gli altri bambini?”

“È solo un po’ timido,” lo rassicurò Koushi. “Scommetto che, però, perlomeno la notte vi fa dormire.”

Akiteru accennò un sorriso. “Non posso lamentarmi da quel punto di vista. Sia Kei che Tadashi sono bambini molto tranquilli e, alle volte, sono così silenziosi che mi preoccupo.”

“Attenzione! Attenzione!”

Prima che i giovani potessero capire quello che stava succedendo, Kouji si schiantò a tutta velocità addosso ad Izumi che, a sua volta, finì per dare una testata al piccolo Shouyou.

“Mi è sfuggito dalle mani!” Esclamò Asahi sull’orlo di una crisi di panico, mentre il piccolo trio scoppiava in un pianto a dirotto. Spaventato da tanto baccano, anche Tadashi prese a singhiozzare.

L’unico a rimanere tranquillo fu Kei che li guardò tutti come se li stesse giudicando in silenzio e poi continuò a giocare con un broncio annoiato.

 
***



Tobio guardò l’acqua sotto di sè con fare minaccioso e Tooru rise divertito, baciando una guancia del piccolo Principe. “L’acqua non ti può mica mordere, Tobio-chan.”

La loro cascata era solo ad una breve passeggiata di distanza dal casolare in cui lui e Hajime alloggiavano e dopo settimane di lavoro senza sosta, i Cavalieri di Seijou erano riusciti a convincere il loro Primo Cavaliere a prendersi una giornata libera da passare con la sua famiglia.

Il freddo era sparito di colpo ed altrettanto velocemente era arrivato il caldo facendo divenire il lavoro nei campi ancor più faticoso di quanto già non fosse.

Hajime si passò le mani bagnate tra i capelli scuri: nonostante il forte senso del dovere che possedeva non poteva dire di non essere grato di poter passare qualche ora nell’acqua fresca del laghetto ai piedi della cascata che era stata testimone di alcuni dei momenti più importanti della storia sua e di Tooru.

Tooru prese Tobio sotto le braccia staccandoselo di dosso e facendogli sfiorare la superficie cristallina con i piccoli piedi. Da principio, il Principe li sollevò immediatamente, poi provò molto lentamente a rilassare le piccole gambe per provare fino in fondo quella sensazione completamente nuova. “Ah! La prima estate di Tobio-chan!” Esclamò Tooru, poi si riportò di nuovo Tobio contro il petto abbassandosi nell’acqua fresca insieme a lui.

Hajime si avvicinò e passò le dita bagnate tra i capelli neri del bambino tirandoli indietro. “Ti piace l’acqua, Tobio?” Domandò con un sorriso. Il Principe prese a sbattere le manine sulla superficie del laghetto ed i due giovani genitori risero deliziati

“Sai, Tobio-chan...” Tooru immerse il naso tra i ciuffetti bagnati di capelli corvini e chiuse gli occhi aspirandone l’odore di pulito. “Io e papà Iwa-chan ci siamo dati il nostro primo bacio in questo luogo.”

Gli occhi marroni si aprirono e s’incatenarono a quelli verdi. “Ne abbiamo fatta di strada da quella notte...”

Il Primo Cavaliere gli concesse un sorriso e si perse negli occhi blu del loro bambino. “Per una volta, hai ragione.”

“Rude, Iwa-chan!”

Ma prima che Tooru potesse lanciarsi in una delle sue lagne rumorose, Hajime infilò le dita tra i suoi capelli e lo trascinò in un bacio a cui Tooru rispose immediatamente. Non appena il suo Cavaliere si fu allontanato da lui, rise. “Questa parentesi lontano dalla corte ti fa uno strano effetto,  Iwa-chan... Mi piace!”

Non era uno strano effetto, era l’effetto che aveva su di lui la brillante felicità con cui erano stati benedetti ed era stato Tooru a metterla al mondo. Tobio prese ad agitare i piccoli arti nell’acqua attirando l’attenzione dei suoi genitori. “Tobio, la prossima cosa che cercheremo d’insegnarti sarà la pazienza,” disse Hajime sollevandolo in aria per gioco ed il piccolo gli rivolse subito un sorriso.

“È un Principe!” Gli ricordò Tooru con un broncio. “Può pretendere tutto quello che vuole quando lo vuole!”

“Mi butterò dalla torre più alta del castello se solo avrò il sospetto che possa sviluppare questo tratto di te.”

“Iwa-chan, pensavo stessimo avendo un momento qui!”

“Sì, prima che tu aprissi bocca...”


 
***




Shouyou era saldamente aggrappato alla mano di Koushi e non aveva importanza quanto il sorriso di Daichi fosse rassicurante e le sue braccia apparissero forti e sicure, di mettere piede in quella cosa fredda e bagnata non se ne parlava proprio.

“Shouyou,” Koushi s’inginocchiò e gli sorrise dolcemente. “È come quando stai nella vasca da bagno con mamma e papà, solo più grande.”

Gli occhi dorati lo guardarono poco convinto, poi tornarono ad osservare il giovane Re seduto nell’acqua più bassa con le braccia protese in avanti. “Avanti, piccolino. Papà è qui, non ti accadrà nulla.”

Forse, Shouyou non era un bambino particolarmente coraggioso ma in quanto curiosità non lo eguagliava nessuno ed i due giovane genitori sapevano che stuzzicandolo un pochino sarebbe entrato nell’acqua del lago in perfetta autonomia.

Ci mise un po’ a lasciare andare la mano di Koushi e si bloccò di colpo come i piedini toccarono l’acqua fresca ma, piano piano, Shouyou arrivò al sicuro tra braccia del suo papà e si aggrappò al suo collo. Daichi sorrise spingendosi verso l’acqua più alta e Koushi li raggiunse.

“Visto, tesoro?” Disse il consorte reale passando la mano bagnata tra i capelli del piccolo Principe. “Non è successo nulla.”

“Finché mamma e papà saranno con te non ti succederà mai nulla,” aggiunse Daichi e Koushi lo rimproverò con uno sguardo. “Che c’è?”

“Smettila di ripetergli che il mondo lontano da noi è oscuro e pericoloso. Ci sono già situazioni in cui è pauroso di suo ed è normale ma non contribuiamo a renderlo insicuro.”

Daichi prese Shouyou sotto le braccia sollevandolo in aria ed immergendolo di nuovo nell’acqua per farlo ridere. Funzionò. “Non voglio che sia impulsivo e spericolato, nemmeno,” replicò Daichi. “E ci sono volte in cui lo è.”

Koushi sospirò. “Daichi, insegnargli a riconoscere le situazioni pericolose è una cosa che verrà col tempo, come il raziocinio ma non possiamo incatenarlo nel frattempo. Cadrà e si rialzerà. Avrà bisogno di noi? Ci saremo ma abbi un po’ di fiducia in lui, ti prego.”

Daichi guardò il suo bambino preoccupato. “Ho rischiato di perdervi una volta, Koushi, io...”

“Non possiamo lasciarci mettere in ginocchio dalla paura che ci ha lasciato quella guerra, Daichi!”

Il giovane Re guardò il suo consorte ed annuì. “Hai ragione,” ammise con un sorriso. “Shouyou non si merita di essere cresciuto nella paura. Al contrario, vorrei che non la conoscesse mai.”

“Come non vorremmo che conoscesse il dolore, la sconfitta e tante altre cose,” Koushi sorrise un po’ amaramente. “Ma fa parte della vita, Daichi e, spesso, non si può ottenere ciò che si desidera senza combattere e soffrire nel processo. Noi lo sappiamo. Basta che Shouyou sappia che non è per sempre, che anche dopo la più lunga delle notti sorge sempre il sole.”

 
***



Tooru non aveva voluto sentir ragioni e nemmeno le minacce ben poco velate di Hajime erano servite a farlo desistere.

Aveva indossato abiti da lavoro e, afferrando un utensile per lavorare la terra, era partito verso i campi da coltivare come se stesse guidando un esercito in guerra. Peccato che dietro di lui vi fosse solo un molto più che irritato Primo Cavaliere che non smise di lanciargli contro insulti fino a che fu chiaro che il Re Demone non aveva alcuna intenzione di ripensare alla sua posizione e a cosa essa comportava.

I più si sentirono in estrema difficoltà nel vedere il loro giovane sovrano lavorare la terra come un contadino qualunque e più di una volta Hajime dovette fermarlo perchè stava provocando più danni che altro ma Tooru non smise di sorridere nemmeno per un istante e con solarità ed umiltà si fece insegnare come manovrare quegli attrezzi da lavoro nel migliore dei modi.

Nel giro di mezza giornata, Hajime aveva smesso di parlare ed aveva cominciato ad osservarlo da una prospettiva completamente nuova. Nonostante i capricci da bambino viziato, Tooru non era un Re come tanti altri e Hajime lo aveva saputo fin dai suoi giorni come Principe. Le leggi che aveva fatto promuovere all’inizio del suo regno erano state una conferma ma vederlo lì, vestito come un ragazzo come tanti altri, più bello di chiunque altro, mentre si asciugava il sudore dalla fronte come tutti loro e lavorava senza lamentarsi, spingeva il Primo Cavaliere ad innamorarsi del giovane Demone ancora una volta ed era un sentimento tanto ingombrante ed imbarazzante che Hajime non sapeva cosa fare con se stesso.

“Ah! Il mio Principe!” Esclamò Tooru durante la pausa pranzo come Issei e Takahiro comparvero in cima alla collina con il piccolo Tobio tra le braccia. Hajime si avvicinò a passo di marcia: Tooru aveva fatto un lungo discorso su quanto Tobio fosse un bambino tranquillo ed entrambi dovessero cominciare a fargli capire che al mondo c’erano anche altre persone oltre a loro due ma il Primo Cavaliere non era riuscito a convincersene del tutto, non quando le altre persone in questione erano due Cavalieri a cui avrebbe affidato la propria vita ma non il cambio di pannolino del suo bambino.

Tobio venne riconsegnato alle braccia di Tooru con il cappellino a campanella storto ed i vestitini al contrario. Hajime pensò che dovesse accontentarsi che fosse ancora vivo. Da parte sua, Tooru non sembrava nemmeno essersene accorto, troppo preso dallo sbaciucchiare il faccino paffuto del piccolo Principe.

“Quanto mi sei mancato, Tobio-chan!”

Hajime si accorse immediatamente che l’emozione negli occhi grandi del suo Re era sincera e per nulla esagerata. Si fece più vicino, diede un bacio al loro bambino e poi guardò il compagno dritto negli occhi. “Perchè non torni a casa con lui?” Propose gentilmente. “Ci hai aiutato in queste ore ma nessuno avrebbe da ridire se volessi passare il resto della giornata con Tobio. Tutti sanno che abbiamo un bambino di pochi mesi e basta solo un po’ di buon senso per capire che ha bisogno di almeno uno dei suoi genitori, ancora.”

Tooru gli rivolse immediatamente un sorriso dei suoi, quelli finti ma incredibilmente realistici. “Issei e Takahiro mi pare se la siano cavata bene!”

“Non fa che dormire,” rispose il primo scrollando le spalle.

“E se non dorme, basta portarlo in giro,” aggiunse il secondo.

Tooru annuì. “Tobio-chan è un bravo bimbo ed è facile da gestire.”

Hajime evitò di dire ai due compagni che cosa poteva accadere quando Tobio andava incontro a qualche disagio: non voleva spaventarli inutilmente ed il Principe non sembrava aver sofferto particolarmente l’assenza di entrambi i suoi genitori.

“Ha pianto?” Domandò Tooru.

“Un po’,” rispose Takahiro sinceramente. “Si vedeva che cercava qualcuno ma siamo riusciti a distrarlo abbastanza facilmente.”

Il giovane Re annuì e tornò a baciare il bimbo tra le sue braccia. “Ma che bravo il mio Tobio-chan!”

“Ci ha guardato con aria minacciosa il resto del tempo, però,” ammise Issei, gudagnandosi una gomitata dall’altro Cavaliere.

Tooru rise. “Tutto suo padre!”

Hajime inarcò un sopracciglio rivolgendogli la stessa identica espressione che Tobio doveva aver avuto stampata in faccia mentre era nelle mani dei due Cavalieri. “Che hai detto?”

“Appunto...”




Tooru era rimasto a lavorare nei campi fino al tramonto e Hajime non era stato capace di staccargli gli occhi di dosso.

La situazione si era fatta ancor più difficile quando Tooru aveva deciso di sbarazzarsi della camicia ed il sole aveva illuminato la pelle sudata che vi era nascosta sotto. Per il resto della giornata, il Primo Cavaliere aveva dovuto sfogare tutta la sua frustrazione contro quel cane di Kentaro che, per sua fortuna, non perdeva occasione di dargli sui nervi e lo costringeva a portare l’attenzione su qualcosa di diverso dallo splendido giovane a pochi metri da lui.

Al tramonto, però, il contatto visivo era stato inevitabile.

Shinji si era avvicinato al giovane Re e gli aveva consegnato un gran bicchiere d’acqua. Tooru lo aveva ringraziato ed il giovane Arciere era passato ad occuparsi degli altri Cavalieri.

Hajime lo aveva guardato con attenzione mentre il suo uomo beveva un gran sorso d’acqua, poi si chinava e si versava la restante sulla nuca. Si sentì mancare il fiato come Tooru gettò la testa all’indietro ed i capelli umidi presero a gocciolargli sul viso, sul collo, sul petto.

Alla fine,  gli occhi grandi e scuri si aprirono ed incrociarono i suoi e le belle labbra si piegarono in un sorriso malizioso che sapeva di tentazione e dannazione.

Hajime ricambiò il sorriso del Demone e non poté fare altro che vendergli l’anima.




Fu animalesco, quasi violento ma fu piacere puro per entrambi.

Di solito, Hajime non era così. Il Primo Cavaliere lo voleva comodo il suo amante e con comodità voleva prendere e dare tutto ciò che fosse in suo potere.

Quella volta fu diverso.

Quella volta sarebbe andata bene qualsiasi superficie lontano da occhi indiscreti: il desiderio gli aveva dato alla testa. Alla fine, il tronco di un albero fu tutto quello che trovarono e non persero tempo nemmeno a liberarsi dei vestiti. Lo fecero in piedi, con i pantaloni abbassati. La schiena di Tooru premuta contro il petto di Hajime. La pelle sudata di entrambi non faceva che rendere ancor più erotico quel gioco nuovo per entrambi.

Fu breve ma intenso con Tooru che appoggiò la nuca contro la spalla di Hajime lasciando andare la voce ed il Primo Cavaliere che affondava i denti in quella del suo Re per trattenere la propria.

Si sedettero a terra spalla contro spalla, i respiri affaticati ed i cuori a mille.

Si scambiarono uno sguardo veloce e scoppiarono a ridere rilassando la schiena contro il tronco dell’albero che era stato loro complice in quel peccato carnale.

“E pensare che i vecchi dell’esercito non facevano che dirmi che la passione sarebbe morta non appena il nostro primogenito sarebbe nato,” disse Hajime divertito.

“I vecchi dell’esercito non hanno fatto un figlio con me,” replicò Tooru per nulla modesto. “Compieremo entrambi diciotto anni solo tra qualche settimana, se avessimo perso la passione per colpa di Tobio a questa età, non sarebbe stato lui quello da biasimare.”

“Già...” Concordò Hajime e prese a guardare le chiome degli alberi sopra di loro con aria sognante.  Pensò agli occhi blu del loro bambino, pensò ai capelli neri che scivolano tra le sue dita come seta. “Che capolavoro che abbiamo messo al mondo, Tooru...”

Il suo Re lo guardò stupito, poi sorrise. “L’aria di campagna ha seriamente uno strano effetto su di te, Iwa-chan.”

Hajime lo guardò con un sorrisetto. “Anche su di te,” replicò. “Un Re che si spacca la schiena in un campo insieme alla sua gente. Pensavo fosse troppo anche per te...”

“Nulla è troppo per me!” Tooru gli fece l’occhiolino.

“Tranne la modestia, evidentemente.”




Ancora due settimane ed il grosso del lavoro fu concluso.

Ora, non restava che aspettare e sperare che, con l’arrivo dell’estate, tutto l’impegno che il Re Demone ed i suoi Cavalieri avevano messo nell’aiutare la loro gente portasse i suoi frutti.

Tooru non si era lamentato della fatica nemmeno una volta in tutti quei giorni ma, quella sera,

tornati a casa, Hajime si accorse che le belle mani del suo Re avevano subito le conseguenze della sua testardaggine. “Lascia fare a me,” disse con un sospiro e si premurò di trovare delle bende pulite con cui pulire le piaghe su quelle belle dita e fasciarle. “Ti ho detto di smettere giorni fa.”

Tooru sorrise. “Che Re sarei se non fossi all’altezza del mio Cavaliere?”

Tobio se ne stava nella sua nuova culletta di legno: un gentile regalo dei contadini che abitavano quelle terre e che volevano dimostrare la loro gratitudine verso il giovane sovrano ed i suoi Cavalieri. Comunque fosse andata la stagione, Hajime era certo che il popolo avrebbe amato Tooru ancor di più dopo quelle settimane passate nelle campagne e questo non avrebbe fatto altro che inacidire i vecchi del Consiglio.

Si sentì un idiota per aver pensato di lasciare Tooru e Tobio da soli nelle mani di quei viscidi nobili e fu grato al suo compagno di non averlo ascoltato nemmeno quella volta. Non erano serviti e riveriti e tutte le notti di passione che erano abituati a condividere al Castello Nero spesso erano sostituite da semplici coccole per conciliare il sonno ma Hajime era felice di aver avuto l’occasione di condividere con Tooru anche quell’esperienza, di poterlo conoscere sotto una luce del tutto nuova anche per lui.

Tobio prese a lamentarsi e Hajime si alzò dal bordo del letto su cui erano seduti entrambi per poterlo sollevare tra le braccia ma lo passò tra quelle di Tooru non appena si rese conto di come il suo Re li guardava. “Il mio Principe,” mormorò con sguardo innamorato, accolandosi Tobio contro il petto. “Mi è mancato così tanto.”

Hajime si sentì un po’ in colpa: nemmeno a lui faceva piacere stare lontano da Tobio e il suo pensiero andava al bambino ogni volta che non lo aveva sotto gli occhi per alcune ore di seguito ma Tooru aveva sofferto di non poter passare ogni momento della giornata con il loro Principe in un modo che non si era aspettato.

“Se pensavi che fosse ancora troppo presto, non avresti dovuto farti del male,” gli disse Hajime gentilmente. “Non devi dimostrare nulla nè ai nostri uomini né a me.”

Tooru sorrise malinconicamente e distese Tobio contro il suo braccio per perdersi negli occhi blu che aveva ereditato da sua madre. “Voglio dimostrare qualcosa a lui, però.”

Hajime sospirò. “Tooru, per Tobio conta se ci siamo... Non gli interessa davvero se siamo portatori di un titolo o semplici ragazzi che lavorano la terra per sopravvivere.”

“Sì ma voglio che capisca che quello che facciamo è importante,” replicò Tooru con serietà. “Voglio che sappia che, quando non siamo con lui per adempiere ai nostri doveri, lo facciamo anche per il suo bene e non solo per egoismo personale.”

Hajime sorrise. “Ha poco più di quattro mesi,” gli ricordò. “Inoltre, da dove ti viene tutta questa voglia di fare? Da quando è nato, hai messo da parte anche quegli allenamenti assurdi con cui ti sfinivi ogni giorno.”

Tooru sbuffò. “Partecipare ad un Consiglio di vecchi ottusi non serve a nulla,” confessò. “Quello che facciamo qui ha un senso: aiutiamo la nostra gente e non decidiamo del loro destino emanando leggi su cui loro non hanno alcun diritto di parola,” guardò il suo Cavaliere. “Sai, io e Daichi una volta abbiamo parlato del concetto di referendum e l’idea non è male... Anche se Tetsuro ci ha dato dei pazzi.”

Hajime fece una smorfia. “Molti bambini dei villaggi più isolati non sanno nemmeno leggere e scrivere e così nemmeno i loro genitori.”

“Spenderemo qualcuna delle tasse che riscuotiamo per l’istruzione invece che per il guardaroba del Lord tal dei tali!”

“Tooru...”

“Potremmo anche creare un Consiglio che sia utile, santo cielo! Non di vecchi che non hanno mai alzato il culo dalla loro poltrona, ma di rappresentanti delle città più grandi dopo la Capitale, quelli che conoscono i territori in cui sono nati e sanno di cosa parlano quando fungono da loro rappresentati e...”

Hajime gli afferrò una spalla. “Fermati, Tooru.” Disse fermamente.

Tooru si zittì intimorito da quegli occhi verdi. “Che cosa c’è, Iwa-chan?”

“C’è che hai un bambino di pochi mesi tra le braccia,” rispose il Cavaliere. “C’è che sei forte ma non sei immortale e nessuno può essere un ribelle sperando di non farsi male.”

Tooru si fece rigido di colpo e guardò Tobio che li fissava entrambi tranquillo ed imbronciato come sempre. “Hajime,” lo chiamò. “Se mi succedesse qualcosa...”

“Smettila subito, Tooru...”

“No, non intendo per forza qualcosa di fisico,” Tooru ripensò all’incubo che aveva fatto pochi giorno dopo la nascita di Tobio. “Se qualcosa andasse storto, se facessi un errore imperdonabile, tu penseresti a Tobio, non è vero? Lo salveresti, giusto?”

Hajime inarcò un sopracciglio. “Di cosa diavolo stai parlando, idiota?”

Tooru pensò alla culla vuota, al mantello violaceo sulle sue spalla, al suo Cavaliere che gli trapassava il petto con la spada che era stato lui stesso a donargli. Scosse la testa e forzò un sorriso. “Niente, Iwa-chan,” rispose. “Sono solo stanco...”

 
***



Il primo compleanno di Shouyou fu tra le feste più sontuose di cui il Castello dei Corvi fu cornice da moltissimi anni.

Dopo la guerra contro Shiratorizawa, la vita politica del Regno di Karasuno si era fatta decisamente più vivace, tanto che furono invitati a partecipare all’evento ben tre case reali e due accettarono l’invito volentieri. Seijou fu la grande assenza di quell’evento ma Daichi era stato informato da Tooru che sia lui che Hajime si stavano impegnando in prima persona per risollevare le sorti economiche del loro Regno impegnando l’esercito nella lavorazione delle terre colpite dal conflitto che li aveva visti protagonisti ed aveva compreso perfettamente.

“Mi dispiace che Tooru non sia qui,” commentò Koushi, con Shouyou tra le braccia che passava gli occhi dorati da una faccia sconosciuta all’altra. “Avrei voluto vedere com’era divenuto bello il piccolo Tobio... Ha già sei mesi e mi sembra ieri che scoprimmo che Tooru lo aspettava, vero, Kenma?”

Il giovane Mago annuì e non disse una parola ed il consorto reale di Karasuno non potè evitare di notare che aveva l’aria stanca, quasi afflitta, come se non di fosse ancora ripreso dalla guerra che li aveva portati ad essere compagni di prigionia per molti mesi.

“A me sembra ieri che tu mi abbia detto di aspettare lui,” disse Daichi con un gran sorriso prendendo il piccolo Principe tra le braccia con un gran sorriso orgoglioso. “Ti ricordo, Tetsuro, che di quell’alleanza manchi solo tu a mettere al mondo un erede!”

Il sovrano del Regno di Nekoma fece un gesto seccato con la mano. “Godetevi le vostre notti insonni ed io mi godrò le mie ma sappiamo entrambi che sono di due generi completamente diversi!”

Daichi rise e Koushi alzò gli occhi al cielo e quando cercò il sostegno di Kenma si accorse che il Curatore stava fissando il pavimento di pietra come se si sentisse in difficoltà.

“Ehi! Ehi! Ehi!” Koutaro si fece strada tra le folla e si avvicinò a Daichi per dare un’occhiata da vicino al piccolo festeggiato. Shouyou lo guardò insicuro per un po’, poi prese a rivolgergli uno di quei sorrisi luminosi dei suoi. il Re Gufo ne fu entusiasta. “Era bellissimo bambino un anno fa ma adesso è davvero forte!”

Daichi sorrise. “Ti ringrazio, Koutaro.”

“Lo sai che hai proprio il faccino di una piccola peste, Shou-chan!” Esclamò Koutaro solleticando il piccolo sotto il mento e Shouyou rise divertito. “Keiji! Keiji! Ne voglio uno così! Ne facciamo uno così? Ma deve essere proprio così, non so se mi spiego!”

Il giovane Arciere non perse nemmeno un briciolo della sua compostezza. Sospirò e si avvicinò. “Mi scuso per l’eccesso di euforia, vostra maestà,” disse a Daichi.

“Nessun problema,” rispose il Re di Karasuno piuttosto divertito da quella scenetta. Se Tetsuro e Kenma erano sempre stati un mistero per lui, Koutaro ed il suo Arciere non sapeva proprio come definirli.

“Dov’è quell’incredibile Cavaliere di Seijou?” Domandò Koutaro guardandosi intorno.

“Hajime...” Mormorò Keiji.

“Hajime, sì! Lui!”

“Lui e Tooru si stanno impegnando in prima persona per rimettere in piedi il loro Regno,” spiegò Koushi. “Hanno preferito non allontanarsi da casa e restare col loro popolo durante la stagione del raccolto.”

Koutaro sgranò gli occhi e si voltò verso il suo Arciere. “L’avevo detto che quel Cavaliere era un fenomeno ed il suo Re non è da meno. Non credo che nessuno abbia mai avuto il coraggio di affrontare Wakatoshi di Shiratorizawa guardandolo dritto negli occhi, specie un giovane figlio del popolo. Tranne me, ovviamente...”

“Tu sei incapace di riconoscere il pericolo, è diverso,” replicò Keiji con espressione stoica.

“Hanno avuto un maschietto questo inverno, dico bene?”

“Sì,” confermò Tetsuro con un sorriso divertito. “Se penso a quanto era arrabbiato quel coso quando l’ho visto!”

“Tobio è un bel bambino,” aggiunse Koushi con un sorriso. “È solo nato con un bel caratterino.”

“Ho conosciuto il padre,” commentò Koutaro. “Non mi sorprenderebbe se fosse nato con lo scettro del comando! Wakatoshi deve essersi mangiato i gomiti per gli ultimi sei mesi!”

Tutti divennero seri di colpo e Keiji alzò gli occhi al cielo. “Koutaro...”

“Che ho detto?”

Shouyou prese a dimenarsi tra le braccia del padre e Daichi fu costretto a metterlo giù.

Il Re Gudo sgranò gli occhi estasiato. “Già cammina? Keiji è assolutamente necessario che ne facciamo uno uguale!”

L’Arciere guardò Koushi. “Prendilo come un complimento.”

Il consorte reale di Karasuno rise e prese una delle manine di Shouyou che prese a tirarlo per tutta la sala. “Mama! Mama!”

“E parla! Keiji dobbiamo...”

“Ho capito, Koutaro.”

Tetsuro se la rise di cuore. “Il mondo è troppo piccolo per contenere due te, vecchio mio.”

“Se ci stringiamo, magari riusciamo a farci entrare anche un secondo egocentrico come te!”

Daichi li guardò sorridendo, ben contento di vedere quelle casate reali così interessate al suo bambino: un domani, Shouyou non avrebbe sofferto dell’isolamente politico che aveva affrontato lui all’inizio del suo Regno e che, se non fosse stato per Tooru, gli avrebbe anche impedito di avere al suo fianco il giovane di cui si era innamorato.

Il giovane Re di Karasuno ne era certo: poteva rimediare agli errori dei suoi predecessori con Koushi al suo fianco e doveva farlo per garantire a Shouyou un futuro migliore che gli avrebbe permesso di splendere come era certo che sarebbe stato in grado.

Fece per seguire il piccolo gruppetto con Shouyou a capo, quando una piccola mano afferrò il suo mantello con discrezione. Abbassò lo sguardo ed incontrò gli occhi dorati di Kenma. “Perdonatemi, mio signore.”

“Qualcosa non va?” Domandò il giovane Re.

“Ho bisogno di parlarvi,” rispose il Mago con voce stanca. “In privato...”

 

***




L’aquila volava silenziosa ed era piacevole l’aria del tramonto d’inizio estate tra le sue ali.

Era terso il cielo sopra il Regno di Seijou ed i suoi colori erano un capolavoro naturale che avrebbe incantato chiunque ma non quel rapace.

L’aquila aveva una destinazione da raggiungere e aveva cercato troppo a lungo perché potesse permettersi una pausa ora.

Il luogo che cercava era nascosto tra gli alberi di un boschetto nel bel mezzo della campagne del Regno. Si trattava di una graziosa tenuta di campagna dalle mura bianche, il cortile di ghiaia e fiori selvatici di ogni colore che crescevano tutt’intorno. Non era una dimora adatta ad un Principe, tanto meno ad un Re.

Le finestre erano state lasciate aperte per permettere all’aria fresca della sera di entrare.

L’aquila volò attraverso una di queste senza emettere rumore e si ritrovò in una stanza semi-buia e probabilmente in disuso. Rimase immobile per una manciata di secondi, la testa alta ed orgogliosa passò da un angolo all’altro di quell’ambiente sconosciuto assicurandosi di essere solo, poi un vorticare di piume circondò la piccola figura e quella di un giovane uomo alto e dalle spalle larghe comparve al suo posto. Lo sguardo orgoglioso era l’unica cosa ad essere rimasta immutata.

La porta che dava sulla stanza accanto era socchiusa, una luce gentile entrava dallo spiraglio lasciato aperto e con essa una voce dolce, melodiosa. Qualcuno stava cantando una ninna nanna ed i soffici versi di un bambino accompagnavano la melodia.

Il giovane uomo si mosse senza emettere rumore sporgendosi in avanti per sbirciare attraverso la porta socchiusa: vi era un ragazzo seduto sul bordo del letto della stanza accanto, un sorriso innamorato gli illuminava il volto ed erano pieni di dolcezza i suoi grandi occhi marroni mentre guardava il bambino tra le sue braccia. Delle manine minuscole giocavano con le dita del giovane genitore che continuava a canticchiare la sua ninna nanna posando di tanto in tanto un bacio leggero sulla testolina ricoperta di capelli corvini.

Tooru era bellissimo con suo figlio tra le braccia ed Wakatoshi, il Re dell’Aquila, si ritrovò ad osservarlo completamente incantato.

Il giovane genitore si sollevò dal bordo del letto con un movimento elegante, gli occhi ancora fissi sul viso della sua creatura. Lo baciò ancora una volta e lo depose nella semplice culla di legno che non era nemmeno lontanamente degna di un Principe ma questo non scalfiva in alcun modo la bellezza di quell’immagine.

“Sogni d’oro, amore mio,” disse Tooru in un dolce sussurro, s’incantò a guardare il suo bambino ancora per un istante e poi uscì dalla camera senza emettere rumore.

Wakatoshi attese e quando si convinse che il giovane Re non sarebbe tornato indietro scivolò all’interno della stanza un passo alla volta. Si fermò una volta arrivato di fronte alla culla in cui dormiva il Principe Demone, erede al trono del Regno di Seijou.

Il faccino paffuto era girato di lato, i piccoli pugni ai lati della testa e le piccole labbra schiuse e rosee come un bocciolo sul punto di sbocciare.

Aveva la bocca di Tooru.

Aveva il suo naso con la punta un poco in sù ma quei capelli corvini non erano eredità del giovane Re di Seijou, così come alcuni tratti del piccolo viso paffuto.

Il bambino prese a muoversi di colpo e Wakatoshi si fece immobile, in attesa.

Le piccole palpebre si sollevarono rivelando due occhi blu che non appartenevano a nessuno dei due giovani che lo avevano messo al mondo ma lo sguardo che gli rivolse faceva onore al Primo Cavaliere di Seijou più di ogni altra cosa.

Tobio non pianse, non sembrò temere la presa di quello sconosciuto in alcun modo.

Il Principe Demone resse alla perfezione lo sguardo del Re dell’Aquila ed Wakatoshi si ritrovò a stringere i pugni per contenere un'improvvisa ondata di rabbia.

“Tooru?” La voce di Hajime spezzò il silenzio della casa ed Wakatoshi si voltò verso la porta chiusa alle sue spalle.

“Parla piano, Iwa-chan,” gli rispose Tooru con voce notevolmente più bassa. “Tobio si è appena addormentato e lo sai che se sente la tua voce si sveglia immediatamente.”

“Vado a vederlo.”

Seguì un istante di silenzio.

“Gli do un bacio ed esco,” chiarì il Cavaliere un istante prima che la porta della camera venisse aperta. Gli occhi verdi di Hajime si riempirono di confusione. “Che diavolo è successo qui?”

Tooru fu subito accanto a lui e vide ciò che aveva preso di sorpresa il suo compagno: il pavimento davanti alla culla era ricoperto di piume bianche striate di marrone. La finestra sopra al letto era aperta. “È entrato un uccello?” Tooru si guardò intorno ma non vide nulla muoversi ed attirare la sua attenzione.

Hajime si avvicinò alla culla e lo sguardo di due occhi blu lo fece sorridere immediatamente. “Ben svegliato, mio Principe.” Sollevò suo figlio tra le braccia e Tobio gli regalò subito un sorriso soddisfatto.

Tooru sospirò frustrato. “Te l’avevo detto di non farti sentire,” si chinò per raccogliere una delle piume finite a terra, la osservò ma non riuscì a capire a che volatile appartenesse: era molto più grande di quelle che era abituato a vedere lui. Guardò verso la finestra aperta e scrutò il cielo variopinto dei colori del tramonto.

Scosse la testa e lasciò che quella piuma cadesse dalle sue dita e finisse a terra insieme alle altre.

 
***



Daichi era certo che il suo cuore si fosse fermato ad un certo punto e respirare gli era sembrato più difficile man mano che Kenma gli confidava quello che lo aveva torturato per mesi, ciò che aveva animato i suoi incubi dal giorno in cui il Tooru aveva dato alla luce il Principe Demone che lo avrebbe succeduto.

“Non potevo dire a Koushi una cosa così,” concluse Kenma. “Nè a Koushi, nè a Tooru... Entrambi hanno già sofferto abbastanza ma se fosse accaduto qualcosa ed io non avessi... Ho deciso di avvertire voi perché confido nel fatto che prenderete la decisione giusta, mio signore.”

Daichi annuì lentamente, gli occhi sgranati. “C’è una...” Si morse il labbro inferiore ed ingoiò a vuoto. “C’è una speranza che possa salvare mio figlio?”

Kenma abbassò lo sguardo. “Il destino non è immobile, mio signore. Il mio potere è quello di tracciare per voi delle linee guida affinchè si possa evitare il peggio ma non posso garantirvi che evitando di proposito i fatti che vi ho predetto, il Principe possa...”

“Ho capito...” Lo interruppe Daichi fissando il vuoto. “La linea guida che stai tracciando per me ora mi suggerisce di non lasciare che Shouyou attiri l’attenzione di nessun Principe o Re.”

Kenma annuì.

“E di nascondere qualsiasi potere possa sviluppare crescendo.”

“Sì, mio signore.”

Il giovane Re annuì di nuovo. “Ti ringrazio,” mormorò ma il giovane Mago non udì alcuna gratitudine nella sua voce. “Lasciami solo...”

Kenma annuì e si voltò ma la voce del Re lo raggiunse prima che potesse superare la porta di quella stanza e fingere ancora che nulla di brutto si stesse verificando.

“Io e Koushi non abbiamo niente di straordinario nel nostro sangue,” disse con dignitosa disperazione. “Perchè Shouyou? Perchè?”

Kenma fissò la schiena ricurva del giovane Re. “La Magia, mio signore, non sarebbe tale se non fosse sorprendente.”

Era l’unica verità di cui era fermamente convinto.

 
***



Le porte del Castello Bianco vennero spalancate con violenza ed il boato che provocarono riecheggiò sulle pareti di pietra di tutto l’edificio.

“Sua maestà ha fatto ritorno a casa!” Esclamò Satori con un gran sorriso affondando il cucchiaino nel budino che si era fatto servire. “E non sembra di buon umore...”

Gli occhi di tutti i Cavalieri si spostarono sulla figura del giovane Mago accanto alla finestra. Eita non li guardò, i suoi rimasero fissi sulle onde che s'infrangevano inesorabilmente contro la scogliera che circondava il castello.

Tre giorni.

Tre giorni senza avere sue notizie e sapere dove si fosse diretto e perchè.

Certo, Eita lo aveva immaginato... Tutti lo avevano immaginato.

Uscì dalla sala comune dei Cavalieri senza dire una parola.

Trovò il suo Re in camera da letto intento a liberarsi del mantello e della camicia luridi dopo ben tre giorni di viaggio ininterrotto. Aveva i capelli spettinati, il Re dell’Aquila e, come sempre, il viso dai lineamenti marcati e l’espressione dura non tradiva alcuna emozione specifica.

Eita restò a fissare quelle grandi spalle nude e comprese dal modo in cui quei muscoli perfetti erano tesi che doveva essere successo qualcosa. Ovvio che era successo qualcosa...

“Wakatoshi...”

Il giovane uomo si voltò e lo guardò dritto negli occhi. Eita si sentì intimorito da uno sguardo tanto diretto e si ritrovò ad abbassare il proprio. “Sei tornato...” Sottolineò l’ovvio.

Il Re non rispose e lasciò cadere a terra la camicia che era rimasta tra le sue dita. “È successo qualcosa durante la mia assenza?”

“No,” rispose il giovane Mago. “Eravamo tutti preoccupati per te.”

“Tranne Satori, scommetto. Deve aver intuito perfettamente dov’ero e non deve averne fatto mistero con nessuno.”

Eita prese un respiro profondo. “Con tutto il rispetto, mio signore, tutti sapevano che eravate nelle vicinanze di un Re nemico ma questo non ha tranquillizzato nessuno, al contrario.”

Wakatoshi si fermò a guardarlo ancora una volta. “C’è rabbia nella tua voce.”

“Ce ne è anche nei tuoi occhi,” replicò Eita. “Lo hai visto?”

Pronunciare nomi non era necessario.

“Sì,” rispose il Re dell’Aquila. “Lui, però, non ha visto me.”

Eita non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo: questo significava che...

“Tooru è innamorato del padre di suo figlio, Eita,” aggiunse il Re. “Se mi avesse visto, mi avrebbe puntato una spada contro il cuore, nulla di più.”

“Perchè sei andato?” Domandò il giovane Mago. “Perchè ora?”

“C’era una cosa che volevo vedere.”

“Il bambino?”

“È un Principe,” gli ricordò Wakatoshi e nella sua mente comparve l’immagine di quegli occhi blu arroganti e superbi. “E sa già di esserlo.”

“Gli somiglia?” Domandò Eita.

“No...”

“È per questo che sei arrabbiato?”

Wakatoshi guardò l’amante come se avesse toccato un punto che non avrebbe mai dovuto nemmeno conoscere ma c’era troppa storia tra lui ed Eita perchè l’altro, suo Arciere, il Mago della sua corte, il suo più vecchio amico e l’unico amante per cui avesse mai provato qualcosa prima di Tooru, non si accorgesse del sentimento distruttivo che gli faceva ribollire il sangue nelle vene.

Il viso di quel bambino lo tormentava.

Il fuoco gelido che aveva visto in quegli occhi gli era sembrato come un avvertimento, un presagio oscuro. Una minaccia...

Il Re dell’Aquila che si sentiva minacciato da un moccioso di pochi mesi di vita.

“Vado a farmi un bagno...”

Eita sapeva che sarebbe finita così ma non proprio così

Sapeva che il suo Re sarebbe uscito da quel bagno senza nessun vestito addosso ed un solo desiderio a dominarlo ed il giovane non aveva alcuna ragione per dirgli di no. Era stato così al ritorno da ogni suo viaggio di qualunque natura fosse. C’era stato un tempo in cui Eita lo aveva seguito ovunque ma la loro complicità era andata via via sfumando come il suo grembo restava vuoto e la fame di potere del Re dell’Aquila non sembrare trovare mai appagamento.

Eita non aveva mai dubitato della fedeltà del suo Re: Wakatoshi era quasi incapace di mentire e la sua sincerità si confondeva spesso con la crudeltà che molti gli riconoscevano. Non aveva provato a nascondergli la notte che aveva passato con Tooru, non aveva negato di provare qualcosa per quel giovane Demone. Qualcosa che non aveva precedenti...

Nonostante questo, però, Eita aveva cominciato a chiedersi se, durante i suoi viaggi politici, qualcun altro riscaldasse le sue notti in sua assenza. Nessuno d’importante, nessuno per cui valesse la pena chiedere perdono, non come Tooru ma comunque qualcuno.

Qualcuno da trattare semplicemente come sfogo perchè, infedele o meno, Wakatoshi non lo aveva mai toccato senza rispetto.

Tranne quel giorno.

Eita aveva sempre sentito perlomeno dell’affetto durante i loro amplessi. La meraviglia delle prime volte era stata soffocata dalla consapevolezza che dal loro amore non sarebbe mai potuto nascere niente ma Wakatoshi non lo aveva mai trattato come un giocattolo vecchio tra le lenzuola del loro letto. Nemmeno dopo Tooru.

Ma quel bambino... Quel Principe di appena pochi mesi di vita doveva aver scalfito il suo orgoglio di uomo più di chiunque altro ci fosse riuscito, compreso quel Cavaliere umano che era suo padre.

Dopo tre giorni di vagabondaggio per i cieli di Seijou alla riceca di Tooru.

Dopo quella sfida di sguardi col il Principe Demone che, secondo i suoi sogni, sarebbe stato il mostro o il tragico eroe della generazione a venire.

Wakatoshi non fece l’amore con lui.

No, Eita sentì che lo usò semplicemente per svuotarsi.

Della rabbia, dell’umiliazione... E, sì, anche nel senso più schifoso e letterale del termine.

Lo prese di schiena a posta per non guardarlo negli occhi e non ci fu alcun gesto o parola da parte sua alla fine di tutto. Quando Eita trovò il coraggio di sollevare il viso dal suo cuscino, il suo Re si era già addormentato.

Non l’avrebbe ritrovato al suo fianco, al suo risveglio.

 
***



“Daichi?” Chiamò Koushi a bassa voce entrando nella loro camera da letto con passo felpato.

Il giovane Re era in piedi davanti alla finestra. Un candelabro vicino al comodino era l’unica fonte di luce nella stanza ma Daichi avrebbe saputo riconoscere quegli occhi dorati anche in un luogo completamente buio. Nell’oscurità più cupa erano sempre riusciti a ricordargli quando fosse chiare la luce del sole.

Ora, ve ne erano due paia di quegli occhi meravigliosi e Daichi sperava che sarebbero riusciti a guidarlo anche nell’abisso di paura ed impotenza in cui era stato gettato il suo cuore.

“Ti senti bene?” Domandò Koushi preoccupato. Shouyou era tra le sue braccia con il faccino nascosto contro la sua spalla: doveva essersi addormentato. “Quando mi hanno detto che ti eri ritirato nelle tue stanze mi sono preoccupato ma Hayato mi ha pregato di non interrompere la festa e così ho fatto.”

“Era quello che volevo,” replicò il giovane sovrano con un sorriso stanco passando la punta delle dita sulla guancia pallida del suo consorte. “Mi dispiace di essere mancato al primo soffio delle candeline di nostro figlio.” Posò il palmo aperto sulla testolina di capelli ribelli ma il bimbo sembrava essere caduto in un sonno profondo.

“È crollato,” disse Koushi. “Lo metto nella sua culla, andremo a letto e parleremo.”

“Lascialo dormire con noi questa notte,” lo pregò il suo Re. “È la notte del suo compleanno ed io mi sono perso la sua nascita un anno fa e praticamente la celebrazione del suo primo compleanno. Voglio avervi entrambi vicino questa notte.”

Koushi aveva capito perfettamente che qualcosa non andava ma non disse nulla al momento, sistemò Shouyou al centro del grande letto ed il bambino si accoccolo tra i cuscini come se nulla fosse.

La coppia reale prese a cambiarsi per la notte ma non appena Daichi si fu liberato della camicia bianca, Koushi appoggiò le mani sulle sue braccia e lo costrinse a guardarlo negli occhi. “Mi dici che cos’hai?” Era lui a pregarlo ora. “Kenma non era lui quest’oggi. Ho chiesto a Tetsuro e lui ha accennato al fatto che ha dei problemi a dormire ma pensi davvero che non mi sia accorto che ti sei assentato dopo che lui ha parlato con te.”

Daichi scosse la testa e forzò un sorriso. “Non c’è nulla di cui preoccuparsi.”

“Stai mentendo...”

“Sì,” ammise Daichi. “In realtà sto mentendo dal giorno in cui la guerra è finita e sono potuto tornare da te.”

Koushi lo guardò allarmato, un po’ rancoroso. “Daichi...”

“Shhh...” Il giovane Re gli sfiorò le labbra con le proprie, poi indietreggiò fino a raggiungere il cassetto della sua scrivania. Ne tirò fuori un piccolo libro dalla copertina rossa. Koushi lo riconobbe, anche lui ne aveva posseduto uno negli anni di solitudine della sua infanzia e lo aveva aiutato a sentirsi meno solo: il ciclo di leggende del Regno dei Corvi, del Principe leggendario capace di mutare la propria forma e quella dei suoi soldati.

Il suo Re gli tornò accanto, aprì il libro su di una pagina al centro dove un piccolo fiore blu era stato premuto tra le pagine e lasciato appassire. Gli occhi di Koushi si fecero più grandi di quanto non fossero.

“La prima volta che ti ho visto nel cortile di questo castello, con l’arco teso e gli occhi puntati verso l’orizzonte, ho avuto come l’impressione di conoscerti da sempre,” gli confessò Daichi con gli occhi brillanti di emozione. “Allora non ricordai... Non ho ricordato fino a che la morte non mi ha quasi portato via da te.”

Koushi sfiorò il piccolo fiore con la punta delle dita e gli occhi dorati si riempirono di lacrime. “Pensavo non lo ricordassi...”

“Avrei dovuto farlo fin da subito,” replicò Daichi. “Avrei dovuto chiedere il tuo nome e stringere la tua mano allora. Quanti anni di solitudine ci saremmo risparmiati...”

Koushi lasciò andare le lacrime e nascose il viso contro il petto forte del suo Re. “Quando Shouyou  sarà grande e ci chiederà come ci siamo innamorati...”

“Gli racconteremo la storia dall’inizio,” concluse Daichi.

Koushi lo baciò sulle labbra ed il piccolo libro cadde a terra, sul tappeto, senza emettere rumore.

Quella, sebbene il giovane consorte reale non ne fosse a conoscenza, fu la prima volta che il suo Re tradì la sua fiducia. Non sarebbe stata l’ultima.

 
***



Quei campi di grano erano meravigliosi.

Hajime camminava tra le spighe dorate con Tobio tra le braccia. Gli occhi blu divoravano tutto ciò che avevano intorno e, di tanto in tanto, si sollevavano per incontrare quelli verdi del padre. Hajime gli sorrideva, gli baciava la fronte e gli parlava di quella terra, di come un giorno avrebbe dovuto imparare a proteggerla.

“Un Re che si rispetti non si limita a guardare il suo Regno dalle torri del suo castello, Tobio,” disse, appoggiando un ginocchio a terra e mettendoci a sedere il piccolo Principe. “Bisogna amare qualcosa per trovare la forza di proteggerlo con tutti noi stessi.” Il Cavaliere piegò una delle spighe dorate portandole alla portata delle piccole mani curiose. Tobio la studiò con la punta delle dita fino a che non sfuggì alla sua presa e suo padre si rialzò in piedi stringendolo al petto. “E non si può amare qualcosa se non la si tocca con mano, Tobio.”

Il bambino lo ascoltava rapito. Hajime lo afferrò sotto le braccia e lo sollevò verso il cielo. “Magari te lo spiegherò meglio quando sarai più grande,” concluse con un sorriso.

“Iwa-chan! Tobio-chan! La cena è pronta!”


La loro casetta di campagna era in cima ad una collina ai confini di un boschetto che gettava una piacevole ombra sul cortile interno anche nelle ore più calde della giornata. Dalla balconata e dalle finestre a nord si poteva vedere la terra che i Cavalieri di Seijou avevano aiutato a coltivare ed il grano dorato che vi era cresciuto nel corso delle ultime settimane.

Hajime aveva compiuto diciotto anni, Tobio sei mesi ed in meno di un mese.

Per festeggiare il suo Primo Cavaliere, Tooru si era fatto aiutare da tutte le fanciulle e le giovani donne dei villaggi vicini per mettere insieme una festicciola popolare a cui i Cavalieri si divertirono come mai era accaduto durante i grandi eventi di corte. Alcuni giovani contadini presero a suonare e cantare e le giovani scompagnate non furono timide a costringere gli uomini del Re a ballare con loro.

Tooru improvvisò un serie di piroette tenendo Tobio in braccio e, nel guardarli, Hajime concluse che fosse senza ombra di dubbio il compleanno migliore della sua vita. Il primo come compagno di fatto di Tooru, come padre di Tobio e come Primo Cavaliere del Regno di Seijou.

Quella notte fece l’amore col suo Re con un trasporto che sembrava essere divenuta un’abitudine in quella realtà così diversa da quella di corte. Non c’erano titoli nobiliari da omaggiare, non c’erano gerarchie da rispettare, i Cavalieri avevano anche preso a chiamare il giovane sovrano per nome e Tooru lo accettava con naturalezza.

In piccolo, in quella zona di campagna, il Re Demone ed il Primo Cavaliere videro quello che il Regno di Seijou sarebbe potuto essere se le vecchie generazioni non avessero continuato ad influenzare la classe dirigente.

“Non credo riuscirò ad ispirare qualcosa di altrettanto grande per il tuo compleanno,” confessò Hajime mortificato accarezzando la schiena dell’amante con la punta delle dita.

Tooru ridacchiò. “Iwa-chan è pieno di carisma.”

“Con dei Cavalieri in battaglia. Quello bravo ad incantare le fanciulle sei tu e a meno che tu non voglia mettere un elemento come Kentaro davanti ai fornelli...”

Tooru scoppiò a ridere a quell’immagine. “Un giorno dovrai spiegarmi come hai fatto a domarlo.”

“Una serie di sfide fisiche nel corso degli anni vinte tutte da me,” tagliò corto Hajime, poi sollevò la testa per assicurarsi che Tobio dormisse tranquillo nella sua piccola culla di legno.

Tooru gli posò un bacio sopra il cuore. “Il mio Primo Cavaliere...” Mormorò con una sensualità che sommata alla sguardo di quegli occhi marroni fece comprendere a Hajime che quella notte non avevano ancora finito. “Ti ricordo che abbiamo un esercito di balie ben disposte a prendersi cura di Tobio-chan quando necessario, puoi concedermi te stesso per un giorno intero per festeggiare il mio diciottesimo compleanno.”

Hajime lo bloccò contro il materasso e Tooru sorrise estasiato: poteva avere una personalità in grado di conquistare il mondo ma gli piaceva essere dominato, viziato e adorato in simili situazioni ed il Primo Cavaliere era particolarmente bravo nel farlo.

“Pensavo di essermi già concesso a te per tutta la vita,” gli ricordò.

Tooru sorrise felice, poi gli circondò il collo con le braccia e lo trascinò in un bacio passionale da spezzare il fiato.

 
***



“Ti è mai venuto pensato che potrebbe esserci la remota possibilità che possa essere una bambina?” Yuu ebbe l'ardire di porre quella domanda al suo migliore amico una mattina di mezza estate, mentre tutti, coppia reale esclusa, se ne stavano in riva al lago insieme ad i bambini.

Shouyou era stato affidato alle mani dei compagni di mamma e papà e sembrava essersi integrato  bene con i due bimbi adottati da Asahi e da Yuu a giudicare a come se stavano seduti tutti e tre nell’acqua più bassa, sbattendo le manine sulla superficie e ridendo dei piccoli schizzi che provocavano. Il piccolo Kei era seduto poco distante e li guardava tutti come se fossero dei perfetti idioti e a nulla servivano le incitazioni di Akiteru che, con Tadashi in braccio che di toccare l’acqua proprio non ne voleva sapere, continuava a forzare un sorriso incoraggiante da cui il suo fratellino non sembrava essere particolarmente influenzato.

Kiyoko era rimasta al castello insieme a Saeko: viste le sue condizioni, farla restare troppo sotto il caldo sole d’estate non era saggio secondo il Maestro Takeda ma questo non aveva fermato Ryuu dal fare il consueto giro delle sue amicizie per parlare di quanto forte, fiero e perfetto sarebbe stato suo figlio come Cavaliere.

Poi Yuu aveva espresso ad alta voce il dubbio che, nel corso degli ultimi mesi, aveva colto un po’ tutti.

“Giammai!” Fu la risposta sicura di Ryuu. “Nella mia famiglia non sono mai nate femmine, per questo il nostro nome continua a brillare!”

Yuu inarcò un sopracciglio. “E tua sorella dove la metti?”

L’altro fece una smorfia. “Ti sembra una donna quella?”

Yuu alzò le spalle. “A giudicare da...” Si portò entrambe le mani davanti al petto in un chiaro gesto che fece divenire rosso Asahi, seduto accanto ai tre bambini intenti a giocare con l’acqua.

Ryuu lo guardò sconvolto. “Yuu, proprio tu... Il mio migliore amico... Traditore!”

Il piccoletto fece una smorfia. “Ma che ti salta in testa? Ti ricordo che passo le mie notti nel letto del Primo Cavaliere.”

A questo, Asahi si prese il viso tra le mani e pregò di scomparire.

Ryuu gli rivolse un gran sorriso. “Giusto! Ti perdono!”

“Però, pensaci, i maschietti sono carini ma una bambina da Kiyoko significa che...”

“No!” Esclamò Ryuu perentorio incrociando le braccia contro il petto. “Il destino non sarà così avverso con me dal concedermi una figlia femmina dalla bellezza divina!”

“Non dovrebbe essere un vanto?” S’intromise Akiteru.

“E sopportare che tutti i Cavalieri di Karasuno le mettano gli occhi addosso una volta raggiunta l’adolescenza?”

“Come tu e Yuu facevate con Kyioko?” Domandò il Primo Cavaliere riemergendo dal suo stato d’imbarazzo totale.

“Asahi non peggiorare la situazione,” lo pregò Yuu.

“No!” Ripetè Ru con aria drammatica. “Dovrei restare a guardare mentre, un giorno, una creatura meravigliosa come Kyioko, cresciuta tra le mie braccia, amata da me come nessun altro, mi lasci per sposare un ragazzo sicuramente indegno di lei?! No, non sarebbe un dolore sopportabile!”

Yuu guardò Asahi dritto negli occhi. “Noi ci fermiamo ai due maschi, vero?”




“La facciamo una bambina?”

Dopo un’ora d’intimità come quella che aveva appena passato e con il suo amante ancora a cavalcioni su di lui caldo ed umido per l’orgasmo appena raggiunto, Daichi ritenne quelle parole un tantino minacciose.

“Eh?” Fu tutto quello che riuscì a dire.

Koushi rise di cuore spostandosi da sopra di lui e privandolo di quel calore meraviglioso provocato dai loro corpi fusi in un singolo piacere. Il giovane consorte si lasciò ricadere sulle lenzuole fresche e Daichi lo osservò più confuso di prima. “Non subito,” chiarì. “Mi chiedevo solo se saresti felice di avere altri figli.” Si girò sulla pancia, si sollevò sui gomiti e prese a giocare con le ciocche scure del suo Re che non si era mosso dalla sua posizione.

“Sono un sovrano,” rispose Daichi. “Si presume che metta al mondo più figli possibile...”

“Lo so,” Koushi abbassò appena lo sguardo. “Ma io non parlo di dovere...”

Daichi sospirò. “Sì, l’avevo capito.”

“Il Maestro ed il Generale mi hanno detto che Karasuno non ha una Principessa da generazioni.”

“E vorresti che fossimo noi ad interrompere questa serie di eredi maschi e noiosi?”

“Definiresti Shouyou noioso?”

“Darò una definizione a Shouyou dopo che sarà sbocciato e mi sarò reso conto di quanto possa essere pericoloso lasciarlo libero di volare nel mondo.”

Koushi sospirò ma non smise di sorridere. “Ancora con questa storia?”

Il suo consorte non poteva saperlo ma quella storia non era nemmeno al suo inizio: Daichi non aveva idea di che genere di giovane sarebbe divenuto suo figlio ma se tutto ciò che lo rendeva un bambino meraviglioso si fosse amplificato nel crescere, tenerlo nascosto e al sicuro sarebbe stato ancor più difficile.

“Non hai nulla da temere,” aggiunse Koushi. “Shouyou è bellissimo, testardo, vivace e completamente sgraziato. Non svilupperà nulla delle mie caratteristiche che tanto ti mettono sulle spine.”

Daichi sospirò frustrato e piegò un braccio sopra gli occhi. “I suoi occhi sono divenuti più scuri, lo hai notato?”

“Sì,” Koushi sorrise. “Sembrano ambra, una perfetta via di mezzo tra i miei ed i tuoi.”

“Sono comunque troppo belli...”

“Daichi, non puoi sperare che si trasfromi in un brutto anatroccolo per calmare il tuo animo inquieto.”

“Considerando che Kyioko è finita volontariamente in moglie a Ryuu, nemmeno quello mi tranquillizzerebbe.”

Koushi rise. “Daichi!” Lo rimproverò.

“Shouyou non è come noi,” concluse il giovane Re. “Non è discreto, timido, silenzioso... È un piccolo terremoto e mi chiedo seriamente da chi abbia preso.”

Il giovane consorte prese a giocare di nuovo con i capelli del Re. “Ha una sua personalità, dobbiamo esserne fieri: non si farà mettere i piedi in testa tanto facilmente...”

“Ma questo inevitabilmente finirà per trascinarlo in qualche guaio,” aggiunse Daichi con malinconia.

Koushi non rispose: doveva essersi stancato di quei discorsi senza fondamento e aveva ragione. Il loro bambino aveva appena compiuto un anno e preoccuparsi per un futuro che non era visibile nemmeno in lontananza era inutile. Ma Daichi conosceva qualcuno che l’aveva sbirciato quel futuro e quello di Shouyou sembrava essere pieno di eventi straordinari e di altri macchiati di sangue.

Daichi sentì le cosce calde del suo compagno contro i fianchi ancora una volta e l’espressione di Koushi non era nè timida nè discreta come il suo Re lo aveva appena definito. Ecco, quella era un’altra cosa che Daichi temeva come poche, che Shouyou ereditasse l’insano e l’insospettabile talento di Koushi quando il mondo veniva lasciato fuori dalla camera da letto e tutto quel che accadeva tra le lenzuola era puro incanto.

Il suo consorte lo voleva morto prima di aver compiuto un quarto di secolo, se sognava di dargli anche una figlia femmina...

 
***



Hajime cercò un posto all’ombra sotto una grande quercia nel bel mezzo del campo, stese il mantello a terra e vi depositò sopra il piccolo Principe che, immediatamente, si alzò a sedere per guardarsi intorno con curiosità.

Il Primo Cavaliere sospirò. “Se l’unico complice che posso avere in queste imprese,” gli disse con un sorriso gentile togliendo il cappellino bianco dalla testolina di capelli corvini. “Perchè, un giorno, non ne conserverai nemmeno il ricordo.”

Si allontanò di un paio di metri ed appoggiò un ginocchio a terra studiando con attenzione i fiori selvatici dai mille colori che ricoprivano tutto il prato fino al confine tracciato da un fiumiciattolo in lontananza. Era una terra incoltivata ma che la natura aveva pensato a rendere bella a modo suo.

Lui e Tooru l’avevano scoperta portando a passeggio Tobio alla fine di una giornata di lavoro nei campi: il periodo del raccolto era cominciato e con esso erano finite le giornate passate a prendersi semplicemente cura l’uno dell’altro e del loro piccolo.

Non che Tobio si lamentasse: i Cavalieri avevano cura di lui in assenza dei genitori e le fanciulle dei villaggi vicini, interessate a fare qualche amicizia maschile, non si facevano scrupoli a presentarsi per dare una mano. In questo modo, loro erano felici, i ragazzi lavorano con più entusiasmo e Tobio non era mai solo.

Anche Tooru sembrava sopportare la distanza meglio dell’ultima volta ma ciò non impediva ai due genitori di correre a prendere tra le braccia il loro bambino non appena tornavano a casa.

Le passeggiate al tramonto erano divenute un’abitudine per stare tutti e tre insieme e la sera in cui si erano ritrovati davanti quel campo di fiori, Tooru non aveva smesso di parlare di quanto Iwa-chan non gli avesse nemmeno regalato un fiore il giorno in cui aveva dato alla luce Tobio.

“Era inverno!” Gli aveva ricordato Hajime esasperato. “Nevicava!”

Ma il suo Re non aveva voluto sentir ragioni: la lagna era cominciata e non era finita fino a che il Principe non era crollato ed il Primo Cavaliere aveva risolto la questione a modo suo, occupando la bocca di Tooru in attività ben più piacevoli dei suoi monologhi.

Ciò nonostante, la fine di luglio era alle porte e, con il compleanno del giovane Demone appena dietro l’angolo, Hajime si ritrovò in quel campo di fiori ancora una volta con l'insano intento di realizzare quel ridicolo, effeminato desiderio per cui il suo compagno aveva fatto una tragedia campale. Si diede dell'idiota in silenzio riflettendo attentamente su quali colori scegliere, quali stessero meglio insieme, quali il suo stupido Re avrebbe gradito di più.

Qual'era il colore preferito di Tooru?

Il silenzio che seguì nella testa del Primo Cavaliere fu assordante. Una vita insieme e non aveva la minima idea di quale fosse la risposta a quella domanda. Avrebbe voluto prendersi a calci da solo.

Provò a riflettere, a ricordare... Cosa? Non ne era del tutto certo nemmeno lui. Tooru non aveva mai fatto particolari monologhi riguardo a dei colori. In contesti particolarmente intimi, il suo amante non aveva mai mancato di ricordargli quanto adorasse i suoi occhi verdi ma... Non poteva certo presentarsi a casa con un mazzo di erba e foglie!

Si voltò: Tobio era ancora seduto dove lo aveva lasciato e lo guardava con quegli occhioni blu pieni di curiosità aspettando che facesse qualcosa. Alle volte, non sapeva se sentirsi un padre particolarmente fortunato per la tranquillità di quel bambino, oppure inquietato. Anche se nei suoi momenti di nervosismo, Tobio sapeva compensare tutte le notti che li aveva lasciati dormire e tutte le volte che lo avevano trascinato da un angolo all'altro del Regno senza capricci. Capitava solo se qualcuno lo infastidiva in qualche modo ma ogni volta non c'era modo di tranquillizzarlo prima che lui e Tooru fossero rimasti da soli in un ambiente silenzioso.

Non era un tipo da folle e sfarzi, il loro Tobio.

Era un piccolo lupo solitario che era appagato dalla sola presenza dei suoi genitori.

In questo, era l'opposto perfetto di Tooru e nemmeno Hajime ci si rivede a un granché: non aveva mai vantato il fascino magnetico del suo compagno ma era stato capace di creare amicizie vere e durature con gli altri Cavalieri, come per Issei e Takahiro.

Sperava solo che, crescendo, Tobio avrebbe imparato ad accettare la presenza di altre persone oltre a lui e Tooru e non sopportarla come sembrava fare.

Il bambino prese a gattonare sul mantello fino a finire sull'erba. Allora, Hajime lo sollevò tra le braccia. “Hai in mente qualche fiore che potrebbe piacere alla mamma?”

Non gli veniva ancora del tutto naturale chiamare Tooru in quel modo ma era l'unico titolo che si fosse scelto di sua iniziativa e Hajime non poteva fare altro che assecondare nella speranza che, non appena Tobio avesse cominciato a parlare, avrebbe potuto a farci l'abitudine.

Il Principe starnutì e Hajime lo guardò allarmato. Premette le labbra contro la guancia morbida: non era freddo e l'aria della sera era piacevole ma forse era meglio rientrare.

“Torniamo dalla mamma, piccolo...”

Spostò Tobio su di un fianco e recuperò il mantello da terra. Non si accorse del cavallo fermo dietro la quercia fino a che non sollevò di nuovo gli occhi.

Hajime si tese ma lo sconosciuto dai capelli chiari sorrise amichevolmente. “Perdonatemi, non volevo spaventarvi.”

Il Primo Cavaliere scosse la testa come a dire che non aveva importanza.

“Vivete da queste parti?”

“Sì...”

“Allora, forse, potete aiutarmi,” il sorriso del giovane era elegante, esprimeva fiducia. “Mi hanno detto che il Re Demone ha lasciato la Capitale per la stagione calda e si è trasferito qui con il suo esercito ma non ho trovato castelli in questa zona.”

Hajime sentì il cuore saltargli un battito ma rimase composto.

“Io sono solo un umile contadino,” rispose.

“Ed io sono il Mago di corte di Shiratorizawa.”

Fu come ricevere una coltellata alla schiena. “Io sono solo un contadino,” ripeté educatamente.

Lo sconosciuto annuì e girò il suo cavallo verso il sole calante. “Avete un bambino bellissimo, sir contadino.”

Hajime guardò Tobio e lo vide fissare lo sconosciuto senza timore e continuò a farlo anche quando il cavallo venne lanciato al galoppo e lo straniero scomparve all'orizzonte.

Hajime strinse suo figlio a sè, circondano le piccole spalle col suo mantello in un chiaro gesto di protezione. “Andiamo a casa, Tobio...”






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Capitolo 14
*** Di cuori spezzatii e rose nere ***


12
Di cuori spezzati e rose nere



Hajime non riusciva a dormire.
Tooru si era ritirato con Tobio nella loro stanza da ore e, dopo aver fatto addormentare il bambino, si era anche alzato più volte per esortarlo a raggiungerlo, prima con fare giocoso ed un poco malizioso e, infine, con espressione preoccupata. Hajime avrebbe voluto avere il suo stesso maledetto talento di nascondere tutto dietro ad un sorriso simulato ma, dopotutto, trattandosi di Tooru, non avrebbe funzionato comunque: si conoscevano l’un l’altro meglio di quanto conoscessero loro stessi e per quanto Hajime avesse deciso di non allarmare Tooru senza una buona ragione, non era certo di essere riuscito a proteggerlo dai suoi sospetti.
La luce delle fiaccole nel cortile interno della piccola tenuta lo informò che i suoi uomini erano tornati. Scese di sotto velocemente ma cercando di fare il meno rumore possibile: non aveva convinto Tooru l’ultima volta che era venuto a chiamarlo e se non si era alzato di nuovo doveva essere crollato e non doveva giacere in un sonno comunque sereno. 
Hajime aspettò che i quattro Cavalieri scendessero stancamente da cavallo, prima di parlare. “Fate rapporto...” Ordinò come se fossero al termine di una missione formale.
Issei fu il primo a rispondere. “Niente, Hajime. Non c’è niente di sospetto da nessuna parte.”
Il Primo Cavaliere scrutò le espressioni degli altri e vide Shinji nascondere uno sbadiglio dietro la mano destra e Kentaro fissarlo con le braccia incrociate contro il petto come se fosse un cane rabbioso sul punto di sbranarlo.
“Nemmeno le abitazioni vicine o le persone nei villaggi qui intorno hanno visto nessuno che corrisponda alla tua descrizione,” aggiuse Takahiro.
Giovane, biondo, occhi chiari e con addosso gli inconfondibili colori di Shiratorizawa.
“Potrebbe essere passato inosservato,” ipotizzò Hajime.
“Ne dubito,” replicò Issei. “Non con quel mantello violaceo e non in questa terra: la gente di qui ha visto l’esercito del Re dell’Aquila fare a pezzi la loro casa sotto i loro occhi. Nessuno potrebbe mai farsi sfuggire un dettaglio del genere.”
Hajime annuì ma non era soddisfatto. “Si è presentato come un membro della corte del Regno di Shiratorizawa,” disse, come se non lo avesse già ripetuto fino allo sfinimento.
“Questo ce lo hai detto,” disse Takahiro con un sospiro. “Quello che non capiamo è perchè te lo abbia confessato così a cuor leggero! Dovrebbe essere consapevole di come la sua gente è vista da questa parti...”
“Sa chi sono,” rispose Hajime.
I due amici di sempre lo guardarono confuso. “Glielo hai detto?” Domandò Issei inarcando un sopracciglio.
“No, affatto,” raccontò Hajime. “Avevo Tobio in braccio, non ho potuto fare altro che mentire sulla mia identità ma non credo ci sia caduto, altrimenti non mi avrebbe confidato chi era.”
Issei si grattò la base del collo riflettendo. “Siamo tutti qui, Hajime,” concluse, alla fine. “Tooru ha più protezione qui che al Castello Nero per assurdo, quindi, anche ammesso che quel giovane stia ancora girovagando per le nostre terre, non hai nulla da temere.”
Hajime sapeva che il compagno aveva ragione: la maggior parte dell’esercito risiedeva in quelle terre insieme a loro e tra di essi vi erano gli uomini fidati a cui Hajime avrebbe affidato la vita della sua famiglia senza pensarci due volta. Tuttavia...
“Vi ringrazio,” disse sinceramente ai quattro Cavalieri, sebbene sentisse l’irrefrenabile bisogno di prendere a calci Kentaro anche solo per sfogarsi dellla frustrazione che cominciava ad opprimergli il petto. “Confido nella vostra discrezione.”
Tre dei Cavalieri annuirono, il cane rabbioso dell’esercito di Seijou ringhiò.
Hajime non aveva fatto parola a Tooru di quanto avvenuto e nulla sarebbe dovuto arrivare a lui tramite i suoi Cavalieri. Issei aveva ragione: lì erano protetti, non c’era nulla da temere.
Peccato che il suo Re fosse difficile da ingannare almeno quanto lo era capire quando era lui stesso a farlo. 
“Iwa-chan...” 
Hajime lo trovò in piedi nel salottino adiacente la loro camera da letto: una coperta leggera sulle spalle e Tobio accocolato contro il petto. 
Il Primo Cavaliere sospirò. “Scusami, non volevo far rumore,” disse facendosi più vicino. La sola fonte di luce nella stanza era quella proveniente dalla finestra ma il cielo era limpido quella notte ed il bagliore lunare permetteva a Hajime di vedere il bel viso di Tooru chiaramente.
Il giovane Re scosse appena la testa. “Non lo hai fatto,” lo rassicurò. “È stato il posto vuoto accanto a me a svegliarmi.”
Hajime fece una smorfia e, non sapendo come replicare, portò la sua attenzione sul bambino tra le braccia del compagno. Tobio lo guardava con gli occhi blu ancora assonnati ed il Primo Cavaliere dubitò che si fosse svegliato da solo.
Gli occhi verdi si fissarono in quelli più grandi e più scuri.
Tooru sorrise. “Ti cercava,” si giustificò abbassando lo sguardò innamorato sul piccolo stretto contro il suo petto.
“Ah, lui mi cercava...”
“Mi sono svegliato e non c’eri, così ho portato Tobio-chan nel lettone per farmi compagnia ma quando non ti ha trovato non si è addormentato più. Che cosa è successo? Ho visto i ragazzi nel cortile ancora armati e tutto.”
Hajime non era bravo a mentire, specialmente a Tooru, così disse la prima cosa logica che gli passò per la mente nella speranza di suonare credibile. “Sembra che un gruppo di banditi stia terrorizzando la zona.”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Le ragazze dei villaggi non mi hanno raccontato nulla.”
Hajime ignorò deliberatamente quella replica. “Ho mandato i ragazzi a controllare la zona per sicurezza, tutto qui.”
Tooru sembrò rifletterci per una manciata di secondi, poi annuì ed Hajime rilassò di colpo le spalle. Gli occhi marroni si abbassarono di nuovo e Tooru sorrise con un po’ più di sincerità nel vedere il bambino tra le sue braccia muoversi per liberarsi dalla sua presa. “Vuole venire da te,” disse.
Anche Hajime abbassò gli occhi verdi e prese Tobio sotto le braccia mentre il piccolo si sporgeva con insistenza verso di lui. 
Tooru li guardò inteneriti. “Tobio-chan è così innamorato del suo papà!”
“Forse, perchè la mamma lo sveglia nel cuore della notte perchè si sente solo.”
“Non l’ho svegliato io!” Insistette Tooru con fare infantile. 
“Sì, sì, come vuoi...” Hajime baciò Tobio sulla guancia e lo accomodò contro la propria spalla. Gli occhi blu s’incatenarono ai suoi ed il Primo Cavaliere appoggiò le labbra sulla piccola fronte passando il peso del corpo da un piede all’altro in un tenero tentativo di cullarlo. Gli occhi di Tooru si fecero brillanti e prese a passare le dita tra i capelli neri del bambino con dolcezza.
“Tooru,” Hajime non era certo che quello fosse il momento più appropriato per parlarne ma, nonostante le logiche rassicurazioni dei suoi Cavalieri, la paura non gli era passata e sentire il cuoricino di Tobio battere contro il suo petto non aveva fatto altro che peggiorarla. “Perchè non torni al Castello Nero?”
Il sorriso sul viso del giovane sovrano morì immediatamente e la sua mano si allontanò dai capelli del loro bambino, come se volesse prendere le distanze. Ad essere sinceri, Hajime ci aveva pensato dal momento in cui quello sconosciuto di Shiratorizawa era comparso nelle loro terre ed in una zona che non giustificasse in alcun modo il suo vagabondare, se si escludeva la straordinaria presenza del giovane sovrano. Tooru, però, non gli aveva raccontato tutto riguardo alla sua fuga dal Castello Nero e Hajime doveva ammettere che aveva stupidamente dimenticato la questione grazie alla semplice felicità che si era creata intorno a loro nelle ultime settimane.
Ora, però, rimandare quel dialogo sarebbe potuto divenire pericoloso.
“Tooru, è successo qualcosa a casa che ti ha spaventato?”
“Sì è addormentato.”
“Eh?”
Tooru alzò una mano ed accarezzò una delle guance morbide di Tobio. “Si è addormentato,” disse accennando un sorriro. Hajime guardò il faccino addormentato con la coda dell’occhio e prese la via della loro camera da letto con Tooru al seguito.
Il Primo Cavaliere depose il piccolo Principe nella sua culletta con cautela, poi si concesse un istante per guardarlo dormire ed un sorriso spontaneo comparve sulle sue labbra, poi posò un bacio tra quei capelli corvini per augurargli la buona notte. Tooru si fermò al suo fianco e guardò il loro bambino dormire serenamente come se fosse la cosa più bella del mondo. “Non era così senza di te.”
Hajime sollevò lo sguardo sul suo profilo ma Tooru continuò ad osservare Tobio con un sorriso triste. “Tobio non ci ha mai reso le cose complicate, nemmeno appena nato,” disse allungando una mano per accarezzare le testolina corvina del piccino. “Quando sei partito, è tutto diventato impossibile.”
Hajime fu sorpreso da quella confessione: Tobio non era un bambino difficile da gestire il più delle volte; sapeva essere testardo quando andava incontro ad un disagio ma, per quanto fossero giovani, entrambi erano sempre stati molto attenti ad evitarglieli. Evidentemente, dovere o no, Hajime aveva sottovalutato l’influenza che la sua assenza avrebbe avuto sul loro bambino.
“Mi dispiace, non credevo...”
“Non è colpa tua,” aggiunse Tooru smettendo di toccare il Principe addormentato ma senza allontanare gli occhi dal faccino paffuto. “Sono io... Il problema sono io.”
Hajime aggrottò la fronte. “Che cosa stai dicendo, Tooru?”
Il sorriso del Demone morì in una frazione di secondo. “Non ne sono capace, io...” I grandi occhi scuri erano già pieni di lacrime quando si sollevarono su Hajime. “Non sono capace di proteggerlo.”
“Ehi...” Hajime asaurì immediatamente la poca distanza che c’era tra loro e gli prese il viso tra le mani per impedirgli di nascondersi dal suo sguardo. “Che cosa è successo al Castello Nero mentre ero via?”
Tooru prese un respiro profondo ed indicò il letto con un cenno del capo. “Non svegliamolo, dorme così sereno,” aggiunse.
Hajime lanciò un’ultima occhiata a Tobio, poi annuì. 
Tooru si accomodò contro i cuscini del letto stringendosi le ginocchia al petto. Hajime si sedette sul bordo del materasso appoggiandogli una mano sul ginocchio e muovendo appena il pollice per accarezzare la pelle pallida del Demone. “Tooru...”
“Non era più casa senza di te,” spiegò Tooru guardandolo. “Era insopportabile...”
“Siamo cresciuti insieme in quel castello,” gli ricordò Hajime. “Ci siamo... Siamo divenuti quello che siamo in quel castello.”
Tooru accennò un sorriso. “Stavi dicendo ci siamo innamorati in quel castello?”
Hajime si sporse in avanti appoggiando il mento sul ginocchio di Tooru precedentemente coperto dalla sua sua mano. “Lo sai che ti amo, quindi non fare qualche giochetto per...” Chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore. Fregato...
Tooru ridacchiò ed allungò una mano per accarezzare i neri capelli ribelli del suo Cavalieri. “Te l’ho fatto dire comunque e non mi sono nemmeno dovuto sforzare.”
Hajime fece per replicare in qualche modo brusco dei suoi.
“Perchè non restiamo qui, Hajime?” Propose Tooru con un sorriso malinconico ma dolcissimo. “Perchè non ci lasciamo tutto il resto alle spalle e ricominciamo da qui, solo noi tre: io, te ed il nostro Tobio-chan.”
Il Primo Cavaliere lo fissò perplesso per una manciata di secondi, poi un barlume di comprensione illuminò i suoi occhi verdi. “Tooru...”
“L’hai detto anche tu,” continuò il giovane Re. “Per Tobio ciò che conta è che siamo qui e che ci saremo sempre. Possiamo restare in questa casa, possiamo arredare la stanza accanto alla nostra per farla divenire la sua cameretta... Quella da cui si vedono i campi di grano.”
“Tooru...”
“Ho anche imparato a cucinare e se avrai un po’ di pazienza per insegnarmi, diventerò anche più bravo. Ho capito come prendermi personalmente cura di una terra da coltivare, penso di potermela cavare!”
“Tooru...”
“Possiamo insegnare a Tobio tutto quello che gli serve qui. Possiamo insegnargli noi a leggere e scrivere, possiamo raccontargli tutto ciò che abbiamo imparato sui libri di corte. Possiamo insegnargli quello che sappiamo come tuo padre ha fatto con te... Io gli insegnerò ad usare l’arco e le frecce, tu a dare di spada e, poi, gli insegnarai tutto il resto... Come funziona la coltivazione, quanto è importante rispettare le regole della terra affinchè ci dia tutti i frutti che le chiediamo.” Tooru si fermò e Hajime non fece nulla per replicare. “A Tobio non serve un Consiglio reale che lo faccia sentire in difetto quando metterà tutto se stesso in qualcosa d’importante per lui. Non ha bisogno di sentirsi diverso solo perchè non ha le corna o suo padre è un uomo d’onore, invece di un nobile bastardo. Non ha bisogno di una corona per valere qualcosa. È il nostro miracolo e tanto basta per...”
Hajime si sporse in avanti e baciò con leggerezza le labbra del giovane Re, poi asciugò con le dita le guance bagnate dalle lacrime che, silenziose, avevano preso a cadere dagli occhi grandi del suo compagno. Tooru singhizzò e lo guardò: quel bacio non era stato un sì ma un invito a calmarsi e a riflettere su quanto stava dicendo. “Tu non mi ameresti se fossi un comune ragazzo di campagna?”
E se la situazione non fosse già stata abbastanza delicata, Hajime lo avrebbe preso a schiaffi per una simile insicurezza. “Ricordi cosa ti ho detto il giorno in cui Tobio è nato?” Domandò con gentilezza. “Ti dissi che sarei potuto vivere senza un Re ma non senza di te.”
Tooru continuava a piangere ma non accennò ad abbassare lo sguardo nemmeno per un istante. Hajime sospirò e gli accarezzò la guancia con dolcezza. “Ti ho amato in punto di morte, non ti basta?”
Tooru si morse il labbro inferiore con vergogna.
“Quello che abbiamo trovato qui è completamente nuovo,” ammise Hajime guardandosi intorno per un istante, poi gli occhi verdi tornarono a posarsi su quelli scuri del giovane Demone. “Ma non possiamo prometterci che durerà per sempre: non sarebbe giusto.”
Tooru si accigliò. “Sono un Re, decido io cosa è giusto o...”
“Lo vedi?”
“Cosa?”
“Sei un Re,” concluse Hajime. “Non è una questione di titolo, Tooru. Non per te. In questo aveva ragione anche un uomo che non oserò nominare.”
Tooru comprese che si riferiva ad Ushijima.
“È la tua natura, il tuo modo di essere...” Hajime lo disse con una nota d’amarezza, sebbene fosse una verità di cui era conscio da ben prima che Tooru gli rubasse quel bacio a tredici anni. “Sei nato per essere Re e per quanto felice tu possa essere ora, quello che io posso darti qui non ti basterà mai.”
Tooru si sentiva colpito in malo modo da quelle parole. “Mi stai dicendo che pensi che il mio trono valga più di una vita felice con te e Tobio? Hai una stima così bassa di me...”
“No, Tooru, sono solo realista...” Ammise Hajime. “E qualunque cosa ci sia a casa che ti spaventa, ed ora mi dirai di cosa si tratta, non può distruggere quello che sei nato per essere.” Fece una smorfia. “No, senza me e Tobio la corona non basterebbe ma... Vale anche al contrario e non c’è nulla di sbagliato in questo perchè non ha senso amarti e poi lasciare che scappi via da stesso.”
Tooru sembrò rfiletterci sopra: prese da una parte la possibilità di una vita comune ma pacifica e piena di piccole cose preziose e dall’altra quella di un’esistenza gloriosa, di cui cantare alle generazioni future. Hajime e Tobio sarebbero stati con lui in ogni caso ma quale delle due immagini assomiglia di più a Tooru? Non aveva bisogno di tempo per pensarci e Hajime lesse la risposta nei suoi occhi ancor prima che pronunciasse parola.
“Inoltre,” aggiunse il Primo Cavaliere. “Abbiamo condotto questo Regno sull’orlo del baratro e non voglio insegnare a nostro figlio quanto sia conveniente scappare dalle proprie responsabilità. Seijou ha bisogno del suo Re ed in quanto Primo Cavaliere non abbandonerò la mia posizione: devo molto ai miei uomini e alla mia gente e posso permettermi l’arroganza di dirti che sei in debito con tutti loro anche tu.”
Tooru annuì. Non piangeva più e gli occhi marroni erano tornati quelli fieri ed un poco oscuri di un Re Demone degno del suo nome. Di colpo, sorrise.
“Che cosa c’è?” Domandò Hajime.
“L’hai fatto di nuovo...”
“Cosa?”
“Non lo so cosa sia,” ammise Tooru ridendo. “Ma mi sento improvvisamente invincibile ancora una volta.”

***


In quel mondo, la magia era come un frammento di divinità incarnata in persone senza nessun merito particolare. Era un dono del destino e come tale era impossibile da prevedere o da giudicare. Non era riservato ai buoni o ai potenti. Capitava e basta, indipendentemente che questo fosse segno di fortuna o sfortuna per il suo portatore.
La gente li chiamava Maghi ma non era poi così scontato che lo fossero.
Vi erano Cavalieri con quelle capacità, vi erano umili contadini delle campagne ed anche nobili ai vertici del potere. Non tutti erano uguali: non era assurdo che qualcuno potesse vivere tutta una vita con uno strano talento nella manica e non sospettare mai che fosse qualcosa di magico.
Per altri, invece, ignorare le proprie capacità era come guardarsi allo specchio cercando di non vedere la propria immagine riflessa. 
Eita era uno di questi. 
Se c’era stata un’età in cui il suo talento era stato silente dentro di lui, non la ricordava.
Fin da bambino, era stato artefice di quelle cose strane che tanto attiravano l’attenzione dei comuni mortali e non era stata una lieta scoperta rendersi conto che non erano eventi isolati. Non era un figlio di nobili, Eita e nel mondo in cui era nato le credenze più assurde e bigotte facevano da padrone sulla ragione. Aveva immagini confuse della sua prima infanzia ma le sensazioni gli erano rimaste attaccate addosso come una seconda pelle: la solitudine, il disprezzo e la freddezza di chi lo aveva messo al mondo.
L’immagine più bella che aveva della sua vecchia vita era di un promontorio isolato in cui gli piaceva rifugiasi per osservare il mare e scrutare l’orizzonte in cerca di un posto lontano da poter chiamare casa. Avevano pensato i suoi genitori a risolvere la questione per lui.
La povertà era stata la sua condanna e la sua salvezza.
Per qualche pezzo d’oro, i suoi gentiori si separarono da lui senza versare una lacrima e lo affidarono alle mani di due sconosciuti vestiti in armatura splendente e mantelli violacei.
Avevano sentito parlare di lui, gli spiegarono.
O meglio, avevano sentito parlare di un bambino nato maledetto e recluso in un villaggio in cui i cittadini avevano preso l’abitudine a chiamarlo demonio.
Ma Eita non era un Demone.
Fosse nato con due corna ed in un Regno diverso, poco lontano dalla sua casa, sarebbe anche potuto essere un Principe ma, per sua sfortuna, era solo nato col dono sbagliato nel luogo sbagliato. 
La casa reale era stata di tutt’altro avviso, però.
A differenza della sua gente, quei nobili non sembravano vedere in lui un mostro partorito da qualche demoniaca oscurità. Se per i suoi genitori Eita era stato scomodo, per la corte di Shiratorizava era divenuto conveniente.
E così aveva conosciuto il suo Re...


La tenuta di campagna sembrava vuota da quanto era silenziosa ma Eita sapeva bene quanto fosse piena di vita, in realtà.
Vagò per il primo piano indisturbato ed altrettanto facilmente trovò le scale per accedere al piano di sopra. Cosa fosse venuto a fare lì, nel cuore della notte, non ne era certo ma non sapeva per quanto altro tempo avrebbe potuto nascondersi senza attirrare l’attenzione delle persone sbagliate e c’erano cose che voleva vedere prima che accadesse.
Cose che non lo riguardavano ma che, allo stesso tempo, lo toccavano da vicino.
Cose a cui non sapeva che nome dare ma che era deciso a cercare nelle ombre di quella casa fino a che non si fosse sentito soddisfatto. Fu come mise piede al piano di sopra che cominciò a percepire la vita che animava quella casa. 
“Così mi uccidi...” Parole spezzate dalla passione.
“Shhh... Svegli il bambino...” Un rimprovero dolce, Eita era certo di poter sentire in quelle parole il sorriso di chi le pronunciare. Si fece immobile e rimase ad ascoltare. Seguirono una serie di respiri profondi ed altri suoni che non lasciavano spazio a nessuno dubbio riguardo a quanto si stava verificando nella stanza accanto.
Eita si ritrovò a stringere i pugni senza rendersene conto ed una rabbia improvvisa gli strinse la gola fino a dargli una spiacevole sensazione di soffocamento. I gemiti soffici di un amante perso nel piacere infransero l’immobilità della notte. Era una voce languida, tentatrice. La voce di un Demone che sa di avere l’anima del suo compagno solo per sè.
“Il mio Cavaliere...” La voce rotta dal piacere crescente.
Eita conosceva quei suoni, aveva provato sulla sua pelle le sensazioni che li provocavano. Eppure, in quel momento, gli sembravano solo ricordi lontani, tanto da sembrare essere frammenti di un’altra vita. Era un altro il pensiero che stringeva al petto e glielo comprimeva dolorosamente, come si faceva man mano più nitido nella sua testa.
I suoni che udiva erano gli stessi da cui il suo Re si era lasciato ammaliare quando lo aveva tradito?
La voce del Demone era la sola che Eita potesse udire dove si trovava e la sua mente fu tanto crudele con lui da dipingere davanti ai suoi occhi una scena che Ushijima non gli aveva mai descritto ma di cui ora riusciva ad indovinare anche il più intimo dei dettagli.
Vide quel Demone prendersi tutto il piacere che il suo Re era disposto a concedergli, quello che non perdeva più tempo a regalare a lui. Eita dovette mordersi il labbro inferiore per trattenere un singhiozzo e ricomporsi.
“Stai bene?”
Quella nuova voce attirò la sua attenzione, la stessa che prima aveva sussurrato qualcosa in merito al bambino.
Il Demone rise con leggerezza. “Dopo tutto questo tempo non sono ancora riuscito a convincerti che le tue gesta tra le lenzuola sono degne di quelle con la spada,” ancora una risata. “E non sei diventato Primo Cavaliere per niente...”
“Stupido...”
“Puoi essere rude quanto vuoi, in queste settimane ti sei lasciato sfuggire tante di quelle dolcezze che non ho nemmeno voglia di fingermi offeso.”
Seguì un momento di silenzio ed Eita immaginò che si stessero scambiando un lungo bacio.
“Allora era come immaginavo...” Continuò la voce di quello che Eita immaginò fosse il Cavaliere che Ushijima non era riuscito a battere per avere il cuore del Re Demone. “Hai paura per Tobio.”
Tobio. Il piccolo Principe che il Re dell’Aquila aveva desiderato come erede.
“Io non piaccio ai vecchi del Consiglio,” rispose il Demone con voce decisamente più seria. “E non gli piaci neanche tu.”
“Non è una novità...”
“La splendida creatura che abbiamo messo al mondo è quanto più di vicino c’è ad un abominio per loro.”
“Tobio non può crescere in un Regno così...”
“Lo so,” era quasi funerea la voce del Re. “La storia è piena di piccoli Principi morti per una comune disgrazia, Hajime.”
“Non la devi nemmeno pensare una cosa del genere!”
“Sono fuggito qui da te perchè non riuscivo a smettere di farlo!” 
Il pianto di un bambino interruppe la discussione dei due amanti ed Eita adocchiò la porta socchiusa della camera da letto con timore.
“Bravo...” Fu il commento acido del Cavaliere.
“Sei stato tu il primo ad alzare la voce!”
L’uscio si spalancò ed Eita trasalì facendo un passo indietro automaticamente. Di fronte a lui comparve un giovane Cavaliere dagli scuri capelli ribelli. A causa della poca luce nella stanza non poteva indovinare di che colore fossero i suoi occhi ma, nonostante i lineamenti marcati, Eita vide tanta dolcezza in quel viso, forse complice il fatto che stringeva un bambino di pochi mesi al petto.
“Che stai guardando, Iwa-chan?” Domandò il Demone da dentro la camera.
Eita ricambiò lo sguardo del Cavaliere: lo fissava come se potesse vederlo davvero. 
“Niente,” rispose infine dirigendosi verso la grande finestra dell’anticamera cullando il bambino nervoso tra le sue braccia. “Mi pareva di aver udito un rumore.”
Eita continuò ad osservarlo indisturbato, completamente al sicuro grazie alla temporanea invisibilità di cui si era vestito. “Buono, piccolo, buono...” Mormorò con dolcezza il Cavaliere baciando il faccino bagnato di lacrime del bambino, poi la luce della luna rivelò completamente la sua nudità ed Eita si ritrovò ad abbassare lo sguardo mentre un calore familiare gli saliva alle guance.
Il Re Demone che divideva il letto da anni con un Cavaliere Umano: non aveva più ragione di chiedersene il perchè. Eita aveva assaporato la sensazione di un solo corpo contro il suo nel corso del sua giovane vita ma ne sapeva abbastanza per ammettere che quel comune mortale aveva tutto ciò di cui c’era bisogno per rendere felice un amante.
Un contadino... 
Eita fece una smorfia nel ricordare la bugia con cui il Primo Cavaliere di Seijou aveva tentato di nascondere la sua vera identità: se tutti i contadini dei Regni fossero stati come lui, le nobil donne avrebbero avuto di che allietarsi in assenza dei loro grassi e viscidi mariti.
Il bambino pronunciò qualche suono, come se stesse cercando di dire qualcosa.
“Che fai? Parli?” 
Eita sollevò lo sguardo, suo malgrado. Il Cavaliere aveva appoggiato la schiena all’arco della finestra e rivolgeva al bambino tra le sue braccia un sorriso completamente innamorato. Lo aveva capito fin da subito, il Mago di Shiratorizawa, quanta adorazione quel giovanissimo padre provava per la sua creatura ma al loro primo incontro non era potuto restare a guardare così bene.
Sì, quel bambino era bellissimo e poteva dirlo anche con solo la luce della luna ad illuminare la stanza. Muoveva le piccole labbra emettendo versetti scoordinati che facevano sorridere il Cavaliere come se la stanchezza di un giorno di lavoro non gli pesasse affatto. Il giovane padre sfiorò la punta del piccolo naso con quella del proprio ed il bambino emise dei versetti eccitati simili ad una risata, prima di accomodare la guancia contro la spalla del genitore e portarsi un pugnetto alla bocca. Il Cavaliere posò le labbra tra i capelli corvini di suo figlio e prese a passare il peso del corpo da un piede all’altro, aspettando pazientemente che si addormentasse.
Eita sentì un nodo stringergli la gola di fronte a quell’immagine: un papà col suo bambino in braccio nel cuore della notte, come se non esistessero che loro due al mondo e andasse bene così.
Era tutto così intimo e speciale che Eita si sentì dentro tutto l’imbarazzo che non aveva provato nell’udire il Re Demone consumare la propria passione con il suo amante.
La porta della camera si aprì di nuovo e tutta la poesia del momento s’infranse come un giovane dai capelli ricciuti e due corna scure impose la sua presenza nella scena. Non si era disturbato ad indossare i propri abiti nemmeno lui ma Eita non ebbe il tempo di vergognarsi: lo squadrò come se al posto di quello splendido giovane fosse comparso il più diabolico dei mostri.
Il Cavaliere si voltò ed il Demone posò un bacio sulle sue labbra, poi portò la sua attenzione sul bambino accoccolato sulla sua spalla e passò la punta delle dita sul faccino paffuto. “Tobio-chan è meraviglioso,” mormorò Tooru, sovrano del Regno di Seijou e oggetto del desiderio del Re dell’Aquila. “Basta coccolarlo un po’ e si riaddormenta subito.”
Hajime gli lanciò un’occhiata storta. “Vedi di svegliarlo per la terza volta in una notte e piangerà fino all’alba.”
Tooru mise su il broncio. “Non trattarmi come se non avessimo appena smesso di fare l’amore,” lo rimproverò a bassa voce, poi sollevò le mani per prendere in custodia il piccolo Principe addormentato. Hajime lo assecondò assicurandosi di compiere di minor numero di movimenti possibile. 
Tobio aprì gli occhi per un istante ma bastò che Tooru lo stringesse a sè canticchiando una dolce ninnananna perchè si rilassasse completamente. Il Demone appoggiò una mano sulla testolina del bambino accarezzandone i capelli corvini lentamente. “Cerchiamo di dormire un po’, Iwa-chan?”
Il Cavaliere annuì ed aspettò che l’altro lo precedesse in camera da letto, prima di seguirlo a sua volta.
Prima di richiudere la porta, Hajime si guardò intorno con espressione sospettosa ma Eita non lo vide indugiare lo sguardo nella sua direzione nemmeno per un istante.
Si assicurò che nella casa tutto tornasse immobile e si ritirò.


***



“Non riusciamo a trovarlo, mio signore.”
Reon fece quella comunicazione senza nessuna reale intonazione, non che il giovane Re seduto sul tono bianco se lo aspettasse. Annuì. “Non ho altri ordini per voi.”
Reon e la sua squadra di ricerca fecero un breve inchino e presero la via della porta senza aggiungere una parola.
Ushijima se ne stava seduto sul suo trono con il viso appoggiato su di un pugno chiuso in una posizione contemplativa. Era la terza squadra che tornava al Castello Bianco senza nessuna notizia o un indizio concreto su dove cercare, se ci fosse da preoccuparsi o se bastasse aspettare.
Eita era scomparso da giorni senza dire una parola su dove si sarebbe diretto o perchè e la situazione stava diventando fin troppo allarmante anche per un uomo dai nervi saldi come il giovane sovrano del Regno di Shiratorizawa.
Il portone della sala dal trono si spalancò con poca grazia e Satori esaurì la distanza tra loro alla stessa maniera, come se fossero due vecchi amici di pari livello e non un Re ed il suo Cavaliere. Ushijima era tutto meno che offeso: Satori non gli aveva mai dimostrato alcun rispetto formale, a costo di apparire sfacciato di fronte a tutta la corte e non c’era ragione per cui dovesse cambiare in una situazione fuori dal comune come quella.
“Dove sono i tuoi uomini?”
Il Cavaliere lo guardò scocciato. “Li ho mandati a casa. Non serve un corteo per comunicarti che non ho notizie utili per te.” Qualcosa lo irritava e Ushijima pensava di sapere cosa ma non era certo di voler affrontare la questione in quel momento: si sarebbe sorbito tutti i discorsi fin troppo sinceri del suo vecchio amico d’infanzia quando Eita sarebbe tornato a casa.
“Tu non vuoi sentire quello che sto per dire,” lo avvertì Satori.
Ushijima aveva dimenticato che, indipendemente dai suoi desideri, se il Cavaliere avesse deciso di condividere i suoi pensieri non ci sarebbe stato modo di poterlo fermare. 
“Ma io te lo dico lo stesso,” Satori salì le poche scale che lo dividevano dal trono bianco ma non al punto di dover costringere il suo sovrano a guardarlo dal basso all’alto: sfacciato sì ma stupido o folle non lo era mai stato. “Puoi anche sparpagliare l’esercito fino ai confini più remoti del Regno e non lo troverai.”
Ushijima lo fissò senza una reale espressione ma il suo silenzio fu il permesso per andare avanti.
“Il perchè se ne è andato, io posso solo immaginarlo,” continuò Satori, “ed anche se dubito di avere torto, quella è una questione che puoi conoscere a fondo soltanto tu.”
Questione? Tooru, il suo tradimento, il fatto che Ushijima lo avesse praticamente usato per sfogare la rabbia che aveva provato nel vedere il legame del Re Demone e del suo Cavaliere divenuto di carne e sangue. 
Il Re dell’Aquila non era senz’anima e si era reso conto di aver fatto male ad Eita nel momento in cui la rabbia era sfumata insieme a quella passione violenta ma l’orgoglio era stato troppo forte per  spingerlo a prendere il suo compagno di una vita tra le braccia e chiedergli perdono.
Perchè era questo tutto quello che Ushijima doveva fare ed era tutto quello che, in quanto Re, non si sarebbe mai permesso di chiedere.
Prima Re e poi uomo. Era questo il suo destino, la sua maledizione. Non conosceva altro modo per vivere. Prima o poi, anche Tooru se ne sarebbe accorto ed era quel giorno che doveva aspettare con pazienza ma fino ad allora...
“Dove pensi che sia?”
Satori si mise le mani sui fianchi. “Quando si sta male, è utile curare i sintomi ma non è mai una soluzione a lunga scadenza. Eita è troppo intelligente per accontentarsi di questo. È andato a cercare la causa del suo male, mio Re e mi auguro che non sia degno del tuo nome come spera o siamo già alle prime battute di un’altra guerra.”
Ushijima si alzò in piedi, i pugni stretti e l’espressione marmorea. “Uno della nostra gente a Seijou...”
“Lo so,” Satori annuì. “Lo sa anche Eita ed è questo il punto, mio signore: che cosa gli avete fatto per indurlo a mettere la sua stessa vita in pericolo?” Quel poco di rispetto che il Cavaliere riservava al suo Re di tanto in tanto sembrava sparito del tutto.
Ushijima lo superò senza aggiungere una parola.
Satori sbuffò e si voltò. “Re dell’Aquila,” lo richiamò. “Accetta il consiglio di un amico pericolosamente sincero: abbiamo combattuto e perso una guerra scoppiata per capriccio e non ce ne siamo lamentati perchè i benefici politici dietro cui ti nascondevi erano reali.”
Il Re dell’Aquila si fermò ma non si voltò.
“Se a causa della tua ossessione i nostri cominciamo a morire per disperazione, quelle ragioni politiche non potrebbero più essere abbastanza... Non so se mi spiego.”
L’accusa era tutto meno che velata ed il giovane sovrano si ritrovò costretto a guardare in faccia il suo compagno di sempre, uno dei pochi che gli era rimasto accanto nei giochi dell’infanzia e sul campo di battaglia. “MI stai dicendo che se succede qualcosa ad Eita sarà colpa mia?”
Satori scrollò le spalle. “Qualunqu cosa sia mai successa ad Eita, bella o brutta, è sempre stata colpa tua e lo sai,” rispose. “Quello che ti sto dicendo è che anche la lealtà della strettessima cerchia dei tuoi amici potrebbe diventare pericolosa se ci rendiamo conto che sei disposto a sacrificarci per quel capriccio che è Tooru, Re di Seijou. Noi siamo cresciuti insieme e lui non è niente, Ushijima. Scegli bene cosa ti conviene perdere, prima che sia troppo tardi.”
Il Re dell’Aquila annuì, sebbene le unghie fossero affondate nella carne dei suoi palmi al punto da ferirli. Si voltò ed il portone della sala del trono si aprì per l’ennesima volta in quella giornata. Kenjirou si bloccò di colpo come vide il suo Re lontano dal suo trono bianco ed abbassò la testa in segno di rispetto. “Mio signore, io...”
Ushijima lo superò con ampi passi, come se non esistesse.
Kenjirou rimase immobile, come congelato, gli occhi fissi sul lucido pavimento della sala del trono. Sentì Satori sospirare pesantemente e udì l’eco dei suoi passi mentre si avvicinava a lui. “Tu sei un altro che non riesco proprio a capire,” commentò il Cavaliere più grande. “Sei intelligente, sei sveglio... Io metterei la mia vita nelle tue mani, lo ammetto.” Una pausa. “Eppure, sei anche uno di quei ragazzi che non sanno distinguere una notte di passione fugace da qualcosa di più.”
Kenjirou lanciò al compagno uno sguardo pieno di rancore.
“Avanti, ragazzino,” lo pregò Satori con tono annoiato, sebbene tra loro vi fosse solo un anno di differenza. “Non sei il primo e non sarai l’ultimo ad entrare nel letto di un Re con tante illusioni ed uscirne col cuore spezzato. Sii abbastanza furbo per andare avanti a testa alta... C’è una fila troppo lunga di fronte all’uomo che desideri e, ironia della sorte, colui che è desiderato da questo uomo in questione è il solo a non esserne interessato.”


***




Tooru scese in cucina a mattina inoltrata. Hajime era seduto a capotavola e teneva Tobio sul bordo di legno sorridendo mentre il bambino cercava di comunicare con lui in quel nuovo modo che stava sperimentando da qualche giorno. 
Il giovane Re sorrise. “Riesce a dire niente di riconoscibile?”
Hajime alzò gli occhi verdi su di lui e scosse la testa con un sorriso. “No e devi vedere come si arrabbia quando si rende conto di non riuscirci.”
Tooru ridacchiò e si chinò per baciare una delle guance morbide del piccolo Principe. “È orgoglioso, il nostro Tobio-chan!” Esclamò e Hajime spinse la sedia indietro quel tanto che bastava per permettergli di sedersi sulle sue gambe. “Gli riesce difficile accettare che ci sia qualcosa che ancora non sa fare.”
Hajime fece una smorfia divertita. “Mi chiedo da chi abbia preso...”
Tooru si voltò a guardarlo con un finto broncio. “Non me lo faccio dire dal Cavaliere che ha sfidato il Re più potente dei Regni liberi per me.”
Si baciarono, poi Tooru appoggiò la fronte su quella di Hajime con un sorriso. “Buongiorno...” Disse con fare sensuale.
“Buongiorno,” rispose Hajime allo stesso modo.
Tobio cominciò ad agitarsi sul bordo del tavolo pretendendo l’attenzione di entrambi i suoi genitori e Tooru e Hajime si sporsero immediatamente in avanti per afferrarlo ed impedirgli di cadere. Il giovane Re sospirò. “Tobio...” Mormorò con un nota di rimprovero, mentre si sollevava dalle gambe di Hajime e prendeva il bambino tra le braccia. “Solo perchè mamma e papà non ti guardano per un istante, non significa che ci siamo dimenticati di te!”
Tobio lo fissò con un broncio identico al suo ed entrambi i giovani genitori risero di quell’espressione. Per tutta risposta, Tobio s’indignò ancora di più e nascose il faccino offeso contro la spalla del giovane Re.
Hajime rise e si alzò in piedi. “Tobio, avanti...” Disse gentilmente passando la punta delle dita sulla testolina corvina. 
“Com’è permaloso, il nostro Principe!” Esclamò Tooru prendendo il bambino sotto le braccia e sollevandolo per poterlo guardare. Tobio continuò a fissarli complemente indignato e la giovane scoppia si scambiò un’occhiata divertita. “Ci siamo messi nei guai, mio Cavaliere,” commentò Tooru fingendosi allarmato e passando il piccolo Principe al compagno.
“Sembra di sì,” rispose il Cavaliere con un sorriso accomodando il figlio contro il suo petto. “Dovremmo rimediare alle nostre colpe...”
Tooru reclinò la testa da un lato. “Chissà come potremmo fare?”
Gli occhi blu di Tobio lo guardarono sospettosi ma s’illuminarono immediatamente come il giovane Re allungò le mani per fargli il solletico dove sapeva che lo faceva ridere di più. Hajime fu attento a non lasciare andare la presa mentre Tobio si agitava tra le sue braccia emettendo acuti versetti divertiti. “Eccolo che ride!” Esclamò Tooru avventadosi su una delle guance morbide e baciandola a ripetizione. “Il nostro Principe... Un adorabile musone come il suo papà.”
“E permaloso e testardo come la mamma,” replicò Hajime.
“Penso che su questi due punti ci possiamo anche dividere la colpa, Iwa-chan.”
Il Cavaliere scrollò le spalle ed acconsentì. 
“Bello, geniale e superbo come la mamma è molto più azzeccato,” aggiunse Tooru con gli occhi brillanti.
Hajime alzò gli occhi al cielo e lo guardò storto evitando di commentare.
“Cosa c’è?” Domandò Tooru vagamente indignato, come lo era stato il loro bambino fino ad un istante prima. “Sei tu ad aver detto che sta diventando bello come me e...!”
La lagna venne bloccata sul nascere da un lungo bacio rubato dal Cavaliere.
Le guance di Tooru erano rosse quando si separarono e la sua espressione irrimediabilmente frustrata. Hajime sorrise vittorioso. “Ecco, quando eviti di aprire bocca puoi anche essere decente.”
Tooru fece per replicare quando la porta che dava sul cortile interno si aprì e sbattè violentemente facendoli sobbalzare entrambi.
Il giovane Re fu il primo a cercare gli occhi del compagno. “Che cosa è stato?” Domandò
Hajime fissò la porta come se potesse dargli qualche risposta. “Non lo so...” Affidò Tobio alle braccia di Tooru e si diresse verso l’uscio incriminato senza indugiare. Guardò fuori e non vide nessuno. Strinse le labbra. “Tooru?”
Gli occhi del compagno si posarono sui suoi insieme a quelli blu di suo figlio. “Faccio tornare qualcuno dei ragazzi dai campi...”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Perchè?”
Hajime recuperò la cintura con la spada dallo schinale della sedia e la strinse intorno alla vita sotto lo sguardo spaventato del giovane Re. “Hajime?”
Il Cavaliere gli posò una mano sulla guancia. “Resta qui,” gli ordinò ma con gentilezza ma Tooru gli afferrò la mano prima che potesse allontanarsi da lui. “Che cosa sta succedendo?” Domandò sospettoso.
Hajime strinse le labbra e non rispose.
“Non si tratta di un gruppo di banditi, vero?” 
Il Cavaliere sospirò, posò un bacio tra i capelli del loro bambino e guardò il suo compagno negli occhi. “Resta qui, non lasciare Tobio da solo neanche per un istante.”
Tooru annuì stringendo il piccolo Principe contro il petto con fare protettivo.
“Hajime...”
“Tornerò presto, fidati di me!”


***



Eita sentì le gambe cedere e decise di arrendersi alla sua debolezza ai piedi di una piccola cascata.
Non sapeva quando le lacrime avevano cominciato a rigargli le guance ma i singhiozzi si erano fatti tanto violenti da rendergli difficile anche solo respirare. Strinse le dita sull’erba umida fino a strapparla e macchiarsi le mani con la terra bagnata sottostante. Vi appoggiò la fronte e pianse disperatamente, dando sfogo a tutta la rabbia ed il dolore che si era stretto al petto dal giorno in cui Ushijima era uscito dalle porte del Castello Bianco con l’intenzione prendere come consorte il Principe ereditario del Regno di Seijou.
Eita non aveva lasciato la sua casa per introdursi in un Regno nemico completamente da solo per questo. Faceva tutto già abbastanza male senza che si rimettesse ad aprire vecchie ferite che non erano mai guarite del tutto, si era solo convinto di poter dimenticare il dolore che provocavano quando il suo Re dormiva stringendolo tra le braccia per tutta la notte.
Ora, però, non gli restava nemmeno questo...
No, perchè Tooru del Regno di Seijou si era portato via anche quel poco di Ushijima che Eita si era convinto fosse solo suo e nessuno, nemmeno la sete di potere, sarebbe riuscito a portarglielo via.
Tooru era stato il suo unico obbiettivo fin dal principio.
Doveva parlargli e doveva ottenere da lui quel qualcosa che gli avrebbe permesso di rendere quel dolore sopportabile, forse al punto da diventare silente. Il Re Demone glielo doveva. Sì, glielo doveva.
Ma il destino aveva voluto che fosse un Cavaliere e non un Re ad incrociare la sua strada per primo.
Un giovane Cavaliere con un bellissimo bambino tra le braccia.
Era stata la curiosità a spingere Eita a rivedere il suo piano. Una curiosità masochista ma doveva sapere che cosa aveva colpito il suo Re al punto da trattarlo con tanta freddezza quando era tornato a casa da lui. Ora, sebbene il dolore dell’ultima notte che avevano passato insieme fosse ancora lì a rendere pesante il suo cuore, Eita credeva di vedere le cose dal suo punto di vista...
Aveva passato innumerevoli notti insonni a cercare di dipingere nella sua mente come sarebbe potuto essere se tutto fosse andato come avevano desiderato. Eita si era immaginato con un bel bambino tra le braccia con lo stesso sguardo sicuro e fiero del suo Re. Si era immaginato Ushijima come il più devoto dei padri, forse goffo nelle dimostrazioni d’affetto ma comunque sincero.
Non si era immaginato gloria e potere.
A Eita sarebbe bastata una famiglia con l’uomo che amava. Sapeva che gli sarebbe bastato, lo aveva sempre saputo.
Immaginare, però, non era come vedere e rimanere a guardare nell’ombra mentre il giovane Demone che gli aveva sottratto tutto viveva il suo sogno mai realizzato, era stata la peggiore delle torture.
Tooru non era semplicemente un Re brillante in un Regno pieno di possibilità.
Tooru era il compagno di un Cavaliere che lo adorava, indipendentemente dal titolo che portava. Un giovane che stringeva tra le braccia il loro bambino come se fosse la cosa più bella e preziosa al mondo perchè era loro. Tooru aveva dato alla luce il frutto del suo amore e se ne prendeva cura con attenzione insieme al suo amato, gioendo insieme a lui di ogni semplice, sereno momento insieme.
Un felicità così splendente nella sua semplicità.
Una felicità che a lui ed il suo Re era stata preclusa per sempre.
Eita si sollevò sulle ginocchia e cercò di asciugarsi le guance finendo per sporcarsi il viso di fango.
Ingoiò a vuoto e prese un respiro profondo ma questo non rese il suo cuore libero dall’angoscia. Nulla avrebbe potuto, ormai.
Il nitrire di un cavallo lo fece sobbalzare. 
Sollevò gli occhi chiari da terra e rimase congelato quando incrociò quelli verdi del Cavaliere che aveva osato far sentire un perdente il suo signore.
Hajime lo guardò dall’alto in basso per un manciata di secondi, poi le iridi verdi si accesero di rabbia mentre scendeva a terra ed estraeva la sua spada. Eita scattò in piedi terrorizzato ma finì con la schiena costretta contro il tronco di un albero. Hajime fu su di lui in pochi istanti, la lama puntata alla gola e il viso iracondo a pochi centimetri dal suo.
“Dammi una buona ragione per cui non dovrei farlo,” disse il Cavaliere. “Mago della corte di Shiratorizawa.”
Eita strinse le labbra e cercò di mantenere la calma per quanto gli era possibile. “Non vi ho mai mentito,” gli ricordò. “A differenza vostra.”
“Con quale arroganza vi presentate nelle mie terre coi colori del nemico che i miei uomini hanno costretto in ginocchio?”
“Non ho mai avuto alcuna intenzione di nascondermi, a dire il vero,” ammise Eita. Una mezza verità. “Era il vostro Re che cercavo.”
Questo non fece che peggiorare la situazione. La lama fece ulteriore pressione contro la sua gola ed una goccia di sangue scivolò lungo il suo collo macchiandogli il colletto del mantello violaceo. 
“Non c’è uomo di Shiratorizawa che possa sperare di avvicinarsi al mio Re riuscendo a tenersi la testa attaccata al collo.”
“Pesate che se avessi voluto fargli del male sarei venuto da solo?”
“Chi mi dice che non ti manda quel bastardo del tuo Re?”
“In tutta onestà, Cavaliere,” replicò Eita. “Pensate che il Re dell’Aquila ordinerebbe a qualcuno dei suoi sottoposti di toccare voi o il vostro Re?”
Hajime ci riflettè ma non dovette farlo a lungo: no, quel bastardo era troppo superbo ed orgoglioso per mandare chiunque ad occuparsi di una faccenda che, sebbene gli facesse schifo ammetterlo, lo toccava intimamente. Sospirò e allontanò la lama dalla gola del giovane straniero ma non rifoderò la spada.
Eita prese un respiro profondo. “Devo credere che mi ascolterete?”
Hajime lo studiò con freddezza. “Sei disarmato, questo lo vedo da me,” commentò. “Hai detto di essere solo...”
“Lo confermo.”
“Perchè sei qui?”
“Ve l’ho detto, devo parlare col vostro Re.”
“Il Re dell’Aquila cos’ha a che fare con questo?”
“Niente...” Confessò Eita con un filo di voce. “Sono venuto qui di mia spontanea volontà.”
Hajime lo guardò basito. “Devi essere un idiota, oppure un folle per avventurarti in un territorio nemico così apertamente.”
“Ho fiducia nel fatto che il vostro sovrano mi permetterà di parlargli.”
“Perchè?”
Eita abbassò lo sguardo. “Ho le mie buone ragioni...”
“E ti aspetti che ti conduca da lui?” Domandò Hajime irritato. “Non sono un idiota, chiunque tu sia!”
“Eita,” rispose il giovane Mago sollevando gli occhi chiari su quelli verdi del Cavaliere. “Il mio nome è Eita. Come vedete, non ho ragione di nascondervi nulla...”
L’espressione di Hajime non si addolcì nemmeno un poco. “Eri tu nella nostra casa...”
“Sì.”
“Perchè nessuno di noi ti ha visto?”
“Magia, mio Cavaliere,” Eita scrollò le spalle. “Nulla di più.”
“Ti sei introdotto nella nostra casa di nascosto.”
“Avete ragione,” ammise il giovane Mago. “Non so come giustificarmi, mi dispiace.”
Hajime sbuffò. “Sei completamente fuori di testa o...?” Si bloccò, gli occhi verdi si fecero grandi e sorpresi. Eita non comprese, poi sentì qualcosa di umido sulle labbra e sul mento e si portò una mano al viso: glli stava uscendo del sangue dal naso. Sospirò frustrato ma non se ne preoccupò più del dovuto, a differenza del Cavaliere che aveva di fronte.
“Stai bene?” Domandò Hajime.
Eita sorrise amaramente. “Per voi Cavalieri fare pratica senza sosta può essere una lama a doppio taglio. Per quelli come me è lo stesso quando si abusa del proprio potere...”
“Sei arrivato al punto di farti del male pur di spiarci?”
“Ho molta premura, Cavaliere,” si giustifcò Eita. “Non vi chiedo di fidarvi di me ma, credetemi, se non mi lasciate parlare con il vostro Re finirete per pentirvene.”


***



Tooru venne svegliato da una mano gentile tra i suoi capelli, due labbra calde sulla sua guancia ed un sussurro direttamente dentro al suo orecchio. “Tooru...”
“Hajime...” Rispose ancor prima di aprire gli occhi: avrebbe riconosciuto la sua voce in qualsiasi situazione. Si girò sulla schiena e la mano del suo Cavaliere gli tirò gentilmente i capelli all’indietro mentre si prendeva il suo tempo per svegliarsi completamente ed aprire gli occhi. Quando, finalmente, si guardarono, Tooru sollevò una mano e l’appoggiò sulla guancia del suo Cavaliere. “Sei tornato...”
“Tooru, ho bisogno che ti alzi,” disse Hajime a bassa voce ma con urgenza.
Il giovane Re si sollevò sui gomiti mugugnando. “Si può sapere che cosa succede?” Domandò e poi sbadigliò. “Tobio sta dormendo?” Domandò lanciando un’occhiata alla piccola culla.
“Sì,” Hajime annuì. “È tranquillo, cerchiamo di non svegliarlo.”
Il Cavaliere si alzò e Tooru si sedette sul bordo del letto. “Non possiamo lasciarlo da solo, Hajime.”
“Non sarà da solo,” replicò l’altro tornando accanto al letto con i vestiti per il suo Re ed un paio di stivali. “Ci sono Shinji ed un altro paio dei ragazzi qui fuori, penseranno loro a lui.”
Tooru si vestì velocemente, poi si portò vicino alla culla mentre un imporvviso senso di angoscia gli chiudeva la gola. “Hajime, io non lo lascio.”
Il Cavaliere strinse le labbra per un istante. “Ve bene,” si avvicinò alla culla a sua volta e sollevò il bambino con cautela. Tobio aprì gli occhi per un istante ma si riaddomentò non appena si accoccolò contro la spalla del padre. Tooru afferrò la copertina ed entrambi si assicurarono che il Principe stesse caldo, prima di prendere la via della porta.
“Vieni...” Disse Hajime stringendo Tobio con il braccio destro ed afferrando la mano di Tooru con la mancina.
Era da quando erano bambino che non lo faceva.

 


La casa era in rovina, nascosta nella zona più buia del bosco.
Tooru non ci era mai stato ma Hajime gli disse che i Cavalieri l’avevano trovata perlustrando la zona alla ricerca di quel qualcosa di cui il suo compagno proprio non voleva parlare. Tobio starnutì e Hajime sollevò la copertina fin sopra la testolina di capelli corvini, poi cercò di nuovo la mano di Tooru e la strinse nella sua.
Dalle finestre prive di vetri e persiane proveniva la luce di un focolare e Tooru comprese che erano arrivati a destinazione.
“Promettimi di rimanere calmo,” disse Hajime.
Tooru lo guardò più sospettoso che mai ma annuì. 
Il Cavaliere fece lo stesso poi bussò tre volte contro la porta che sembrava essere agganciata ai suoi cardini per puro miracolo. “Issei, Takahiro...” Chiamò.
L’usciò si aprì immediatamente e la giovane coppia si guadagnò uno sguardo basito dai due Cavalieri come si accorsero del bambino addormentato tra le braccia del loro superiore. “Sei uscito di senno?” Chiese Takahiro.
“Non volevo lasciarlo da solo,” intervenne Tooru, prima che Hajime potesse aprire bocca.
Issei sospirò. “Non è che abbia un’aria minacciosa, comunque...”
Tooru stava per chiedere di chi stesse parlando, quando i due Cavalieri si fecero da parte facendo comparire nel suo campo visivo il motivo di tutto quello compiglio. 
Il giovane era pallido, aveva i capelli chiari e così anche gli occhi. Era seduto su di una sedia con le mani legate dietro la schiena e Kentaro al suo fianco a fargli da secondino. Tooru pensò che dovessero avere all’incirca la stessa età e che nemmeno il loro lignaggio dovesse differire visto il genere di abiti che portava, sebbene rovinati da quello che doveva essere stato un lungo viaggio. Fu un particolare di questi che attirò inevitabilmente la sua attenzione: il mantello violaceo sulle sue spalle.
Il giovane Re sgranò gli occhi marroni mentre uno dei Cavalieri richiudeva la porta traballante e Hajime si spostava accanto a lui.
Lo conosciuto sorrise cordialmente. “Felice di conoscervi, Re Demone.”
Tooru non gli rispose e spostò lo sguardo confuso sul suo Primo Cavaliere. Hajime si umettò il labbro inferiore. “Lui è Eita,” spiegò cadenzando ogni parola in modo da non doversi ripetere. “È il Mago di corte del Regno di Shiratorizawa.”
L’espressione di Tooru si fece ancora più allarmata mentre riportava gli occhi sull’intruso. “Che cosa ci fa qui?” Domandò. Lo fissava ma non si stava rivolgendo a lui. “Hajime, perchè hai...”
“Vuole solo parlare.”
“E tu gli hai creduto?”
“Mio Re,” intervenne Eita educamente. “Come ho detto al vostro Cavaliere, non ho fatto nulla per nascondere la mia identità... Nè ho fatto nulla che potesse minacciava la vostra incolumità.”
Tooru gli lanciò un’occhiata velenosa. “Perchè il tuo Re ti ha mandato qui?”
“Il Re dell’Aquila non sa nulla del mio viaggio.”
“E quale follia ti ha spinto ad introdurti in un territorio nemico completamente da solo?”
“Voglio parlarvi,” ammise Eita in totale sincerità. “Nulla di più.”
Un rumorino completamente fuori contesto attirò l’attenzione dei presenti: Tobio si era svegliato ed aveva cominciato a lamentarsi contro la spalla del suo papà. Hajime prese a cullarlo dolcemente posando le labbra tra i capelli del bambino, gli occhi verdi fissi in quelli di Tooru.
Il giovane Re ricambiò lo sguardo per una manciata di secondi, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al giovane sconosciuto e quello che vide lo disturbò come poche cose erano riuscite a fare nella sua vita: Eita aveva portato gli occhi chiari su suo figlio ed il suo Cavaliere e li osservava con quello che Tooru poteva solo definire incanto.
Strinse le labbra con rabbia. “Fuori di qui!” Ordino con forza e Tobio si spaventò nel sentire la sua voce tramutata in quel modo. Anche Hajime sembrò sorpreso ma Tooru non perse tempo a dargli alcun tipo di spiegazione. “Il nostro ospite vuole parlare con me,” disse con un sorriso sarcastico. “Non facciamolo aspettare ulteriormente.”
Tooru lanciò uno sguardo raggelante a Kentaro che, ringhiando a bassa voce, si allontanò dal prigioniero e sparì dal suo campo visivo. Il Re udì la porta alle sue spalle aprirsi e seppe che tutti i Cavalieri avevano rispettato la sua volontà.
Tutti tranne uno.
“Tooru?”
ll Re si voltò verso il suo Cavaliere ma non c’era nessuna gentilezza nella sua espressione. “Porta mio figlio fuori di qui,” gli ordinò. Hajime avrebbe voluto replicare, trovare una spiegazione a quel comportamente complemente fuori dall’ordinario, almeno con lui ma Tobio piangeva e l’atmosfera stava diventando sempre più pesante istante dopo istante.
Hajime fu l’ultimo ad andarsene e richiuse la porta della casa abbandonata, lasciando ai due tutta la discrezione di cui avevano bisogno.
“Parla,” ordinò Tooru con espressione annoiata.
Eita lo guardò e rimase in silenzio.
Tooru strinse i pugni. “Non ti conviene prendermi in giro,” sibilò.
“Non è mia intenzione,” lo rassicurò Eita. “In tutta onestà, mi sento in soggezione di fronte a voi e mi disprezzo per questo.”
Il Re gli rivolse un sorriso oscuro. “Non c’è nulla di strano nel sentirti a disagio alla presenza di un sovrano che ha sconfitto il tuo.”
“Non mi riferisco a questo,” replicò Eita. “Non sono qui per parlare di Re.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “E di cos’altro dovremmo parlare noi due?”
Eita abbassò lo sguardo come se fosse imbarazzato, poi si umettò le labbra e si fece coraggio. “Di amore...”
“Amore?” 
“Quello che non volete accettare da parte dell’uomo che ha sempre ricevuto il mio,” confessò Eita senza guardarlo negli occhi.
Passarono alcuni istanti di totale silenzio. Istati in cui Tooru fissò lo sconosciuto incapace di pronunciare parola o di formulare un pensiero che avesse senso. Non era certo quello che si era aspettato. Aprì la bocca ma non un suono uscì dalle sue labbra, sospirò frustrato, poi si spostò alle spalle del prigioniero ed allentò i nodi delle corde che gli imprigionavano i polsi.
Quando ebbe finito, Eita si alzò in piedi e si massaggiò i polsi mentre il giovane Re tornava a guardarlo in faccia. “Vi ringrazio,” disse sinceramente.
Era Tooru quello a sentirsi in difficoltà, ora. “Che cosa ci fai qui?”
Eita sorrise amaramente. “Immagino lo sappiate,” rispose. “Per questo avete cambiato atteggiamento, no?”
“Posso sapere esattamente chi sei?” Domandò Tooru. “Non per il Re. Sei il Mago di corte, questo l’ho capito. Per Ushijima, intendo... Chi sei?”
Eita impiegò qualche istante per rispondere. “La controparte del vostro Cavaliere, immagino,” rispose. “O, se preferite, colui che più ha sofferto della notte che il mio Re ha passato con voi.”
Tooru si morse l’interno guancia e si odiò per il calore che sentì salirgli alle guance. “Immagino che Ushijima sia sincero con il suo compagno almeno quanto lo è con il resto del mondo.”
“È il suo miglior pregio ed il suo peggior difetto, immagino.”
Tooru sospirò e si guardò intorno per non dover osservare il ritratto vivente del concetto di cuore infranto. “Dirò a te quello che ho detto a Hajime,” rispose. “Non mi fa piacere farlo ma, al tuo posto, cercherei le stesse risposte ed immagino ti spettino di diritto.”
Eita scosse la testa. “Non avete bisogno di dirmi niente mio signore, io... Io sono una delle parti tradite ma questo non significa che abbia il diritto di sentirmi così.”
“Perchè? Perchè non sei il suo consorte?”
Eita aprì la bocca ma non replicò.
Tooru alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Il padre di mio figlio è il Primo Cavaliere del mio Regno. Immagino tu conosca molto bene la nostra storia e non ti annoierò con ulteriori dettagli ma, per essere sinceri tra noi, è giusto ammettere che qui non hanno per forza importanza le relazioni ufficiali... Non so se mi spiego.”
Eita annuì.
Tooru si fece più vicino e non parlò fino a che quegli occhi chiari non incrociarono i suoi. “Io non amo il tuo Re,” confessò quasi con gentilezza. “Mentirei se ti dicessi che non ci sono stati degli attimi in cui mi sono sentito attratto da Ushijima ma la sola ragione per cui ho giaciuto con lui è stato per garantire un futuro a mio figlio.”
Di colpo, Eita provò tanta vergogna per la sua rabbia ed il suo rancore.
Tooru si voltò e prese a vagare per l’unica stanza di quella casa abbandonata senza nessuna reale ragione. “Mi avevano detto che il mio Cavaliere era morto ed ho scoperto di aspettare il mio bambino solo qualche giorno più tardi.” C’era un dolore vivo in quelle parole, sebbene la conclusione di quella vicenda fosse stata lieta per lui ma Eita non si fece sfuggire la dignità con cui condivideva quei brutti ricordi. “Devi amarlo molto il tuo Re se il dolore del suo tradimento ti ha spinto a rischiare tanto...”
“È così,” ammise Eita e non gli costò poco una simile sincerità.
Tooru tornò a guardarlo in faccia. “Allora immagina come sarebbe perderlo... Come sarebbe rimanere senza di lui nel vostro mondo sull’orlo del baratro e con un bambino non ancora nato da proteggere.”
No, Eita non poteva immaginarla una cosa così.
“Avevo questo nel cuore quando ho permesso al tuo Re di prendermi,” concluse. “È stato gentile, non te lo nego... Ma c’erano solo ragioni politiche dietro le mie azioni, niente di più.”
Eita annuì e prese un respiro profondo per combattere il nodo che aveva preso a stringergli la gola.  Tooru era stato molto chiaro nell’esplicare la sua posizione in tutta quella storia di sentimenti ossessivi e cuori infranti ma questo non consolava il giovane Mago nemmeno un poco.
“Se sei venuto qui per questo,” aggiunse il sovrano. “Farò in modo di farti avere un cavallo e non ti accadrà nulla ma ho bisogno che tu lasci questo Regno questa stessa notte.”
Per il Re Demone la discussione era conclusa.
Eita, tuttavia, non aveva detto nemmeno la metà di quello che doveva.
“Il Re dell’Aquila vi ama, mio signore,” ammise con le lacrime agli occhi. Era inutile continuare a mentire a se stesso, dopotutto.
Tooru si bloccò con la mano sospesa sopra la maniglia della porta. Si voltò molto lentamente ed Eita non sopportò tutta la pietà che vide riflessa in quegli occhi scuri. “Mi dispiace,” era sincero.
“Voi non avete idea di quanto lo abbia ferito sapere della nascita del vostro bambino.”
“È solo orgoglio, Eita.”
“No,” il giovane Mago scosse la testa. “È il dolore di un sogno infranto, mio Re.” Prese un respiro profondo. “Voi non avete idea di quanto tempo abbiamo sognato insieme quello che voi avete con il vostro Cavaliere.” Nonostante l’orgoglio, alcune lacrime cominciarono a bagnare il suo viso. “Quando è stato chiaro che nulla sarebbe potuto nascere da noi, l’ossessione ha avuto la meglio sull’amore e la sete di potere è stato ciò che ha sostituito i sogni.”
Prese un respiro profondo.
“Mi permettete di farvi una confessione crudele?”
Tooru annuì.
“In principio, Ushijima vi voleva solo per le ragioni politiche che tutti conosciamo e per un erede.”
“Questo lo so.”
“Quello che non sapete è che il Re dell’Aquila mi aveva promesso il bambino che avreste messo al mondo.”
Tooru aggrottò la fronte.
“Sareste dovuto essere uno strumento, nulla di più,” concluse il Mago. “Il Re dell’Aquila non aveva considerato la possibilità d’innamorarsi di voi... Innamorarsi di voi come mai si era innamorato di nessuno dei suoi amanti,” una pausa. “Compreso me.”
Tooru non replicò: uno strano meccanismo aveva preso a far lavorare la sua mente. 
“Da quanto tempo siete insieme?” Domandò.
Il giovane dai capelli chiari chiuse gli occhi per un istante. “Da tutta la vita...”
Era quella la portata del potere che Tooru aveva sul Re dell’Aquila? Era tanto forte da spingerlo a lasciare nell’ombra l’amante con cui, con ogni probabilità, aveva condiviso ogni gioia e dolore della sua giovane vita? Era un sentimento come quello suo e di Hajime che legava il giovane Mago al suo Re? Sì, forse, sì... E Tooru aveva solo dovuto sorridere per poi voltarsi per spezzarlo.
Eita non si accorse del ghigno vittorioso che, per un istante, colorò di sfumature oscure il viso del giovane Re.
“Sono qui per proporvi un patto, mio Re.”
Tooru tornò serio di colpo come quegli occhi chiari tornavano sui suoi. “Un patto?”
“Sono un Mago, ricordate?”
“E con questo?”
“So che potere possono avere i sogni, mio signore.”
Il cuore di Tooru saltò un battito e prese a boccheggiare come se fosse stato accusato di un crimine da cui credeva di essere fuori da ogni sospetto. “Io... Io...”
“Ushijima sapeva tutto quando è venuto da voi,” spiegò Eita. “Io l’ho spinto tra le vostre braccia quando gli ho predetto che vostro figlio sarebbe stato il Re col potere di conquistare i Regni liberi.”
Tooru addocchiò la porta con terrore, poi esaurì la distanza tra sè e l’altro in un baleno. “Non farti sentire,” gli ordinò.
Eita inarcò un sopracciglio. “Il vostro Cavaliere non sa...”
“Taci,” lo bloccò il giovane sovrano con rabbia. “Che cosa sa Ushijima? Che cosa ti hanno rivelato i  tuoi sogni su mio figlio?”
Eita si umettò le labbra. “Dopo la nascita del vostro bambino, i sogni sono cominciati a divenire più frequenti e più chiari.”
“E...?”
“C’è un Principe nel destino di vostro figlio,” raccontò Eita. “Un Principe che attirerà la sua attenzione come quella del Re dell’Aquila.”
Tooru non comprendeva. “Che significa?”
“Le colpe dei padri, mio signore,” spiegò Eita con tono funereo. “Quello che il Re non è riuscito a portar via al vostro Cavaliere, lo porterà via a vostro figlio.”
“Mio figlio avrà per compagno un Principe che attirerà l’attenzione di Ushijima come l’attiro io oggi?” Il solo pensiero lo irritava.
Eita annuì. “Vostro figlio morirà per quel Principe.”
Tooru sgranò gli occhi, il fiato gli venne a mancare. “Che cosa?”
“È il principio di tutto, mio Re,” spiegò il giovane Mago. “Il Principe Demone tende l’arco verso un Corvo ma lo abbassa nel momento in cui questo si trasforma in un fanciullo e rimane incantato dalla propria preda.”
“Un corvo?” Tooru non era certo di voler sentire il seguito.
“Quel fanciullo è l’unico, dopo di voi, a poter dare un erede al Regno di Shiratorizawa...”
“Ma cosa centra il corvo?”
“Avete combattuto una guerra per il vostro Cavaliere,” gli ricordò Eita. “Di cosa pensata sarà capace sangue del vostro sangue per riavere ciò che ama?”
Tooru non riusciva a respirare. “Ma cosa centrano i corvi?”
“Il Principe dei Corvi è il promesso di vostro figlio,” concluse Eita. “Ma è anche colui che darà alla luce il futuro Principe dell’Aquila.”
Il Re Demone lo fissò orripilato. Una sequenza di eventi non ancora avvenuti ma perfettamente logici si susseguirono nella sua mente. Pensò a Koushi, pensò al neonato prematuro che era venuto alla luce nel giorno del solstizio d’estate. 
Appoggiò la schiena alla parete di pietra e fissò il vuoto.
Tobio e Shouyou?
Era quello che aveva deciso il destino?
Pensò a Kenma, al corvo sulla spalla del giovane condottiero del primo sogno che gli aveva confidato.
“Dimmi che Ushijima non sta cercando quel Principe dei Corvi.”
“No...”
Tooru prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.
“Voi siete il suo unico pensiero,” aggiunse il Mago con voce amara. “Mio signore, io sono qui, in verità, per cercare di evitare che la tragedia dei miei sogni divenga realtà.”
Tooru gli concesse tutta la sua attenzione. “Ti ascolto...”
“C’è un modo in cui il mio Re può ottenere quello che vuole senza il vostro bambino o quello di chiunque altro venga toccato. C’è un prezzo da pagare ma sarò lieto di farlo io... Mi serve solo una goccia del vostro sangue...”


***




Tooru aveva dei problemi a dormire serenamente nelle ultime notti, così Hajime aveva deciso di lasciarlo riposare quanto voleva. Gli aveva dato un bacio e poi aveva preso Tobio e lo aveva portato con sè per lasciare il compagno tranquillo.
Ed il Primo Cavaliere si era ritrovato ancora una volta lì, di fronte a quel campo di fiori.
Se ne stava seduto sotto la chioma del grande albero in cima alla collina, Tobio seduto tra le sue gambe che osservava incantato una piccola coccinella che camminava tra le sue manine. Hajime sorrise. “Non farle male,” gli disse prendendo il piccolo insetto sul palmo della mano e lasciando che prendesse il volo. Sospirò. “Dobbiamo farci venire in mente qualche regalo da fare alla mamma, piccolo.”
Il Principe lo guardò come se avesse portato alla luce una questione interessantissima. Tooru aveva ragione: Tobio era innamorato della sua voce, lo era stato fin da quando era dentro la pancia e le sue storie erano l’unico modo per convincerlo a smetere di prendere a calci Tooru per tutta la notte. Probabilmente, doveva centrare qualcosa con quella parte del suo carattere che gli faceva detestare la confusione inutile. Tooru gli aveva sempre detto che aveva un tono di voce tranquillo, rassicurante... Almeno fino a che non perdeva le staffe.
“Ehi, Tobio...” 
Gli occhi blu fuurono immediatamente su di lui. 
“Ce la fai a dire papà?” Domandò con un sorriso. Tooru faceva quelle scena idiote continuamente ed aveva proclamato la contesa della prima parola di Tobio già da qualche settimana, quindi non ci vedeva nulla di male a giocare le sue carte per ottenere la vittoria. “Papà... Papà... Io sono papà.”
Inoltre, non c’era nessuno lì che a guardarlo e giudicarlo.
“Avanti, tesoro. Papà... Pa-pà...”
“Porva con Sir, magari gli viene più naturale!”
“Secondo me ha più probabilità con Iwa-chan!”
Il Primo Cavaliere fissò il vuoto per un istante, poi s’impose di mantenere la calma mentre alzava gli occhi verdi sui tre Cavaliere che erano comparsi da dietro la quercia sotto cui si era seduto. Li fissò tutti in cagnesco, da Issei a Takahiro e Kentaro... Quest’ultimo poi ricambiò lo sguardo in maniera ben più efficace.
“Bravi bastardi che evitano il lavoro...” Commentò il Primo Cavaliere.
“In realtà, stanno compiendo il loro dovere nel migliore dei modi,” aggiunse una voce che per Hajime non era ancora completamente familiare. Eita comparve nel suo campo visivo un istante più tardi e gli rivolse un sorriso elegante e cortese. “Vi faccio i complimenti per i vostri uomini, Primo Cavaliere. Sono dei veri gentiluomini.”
Issei e Takahiro gli rivolsero un sorriso soddisfatto per cui Hajime avrebbe voluto prenderli a pugni. Kentaro ebbe la decenza di mantenere la sua espressione da cane rabbioso.
Eita si fece più vicino. “Il vostro Regno è meraviglioso e sono felice che il vostro Re mi hanno concesso di poterlo esplorare ancora un poco.”
Da principio, Hajime era stato sorpreso da tanta gentilezza da parte di Tooru, specie nei confronti di un membro della corte del Regno di Shiratorizawa. Tutto era notevolmente cambiato quando il suo Re gli aveva confessato quale era il vero ruolo di Eita nella vita di Ushijima ed in tutta quella storia. 
Tooru gli aveva concesso ospitalità per qualche giorno allo scopo di provare a Shiratorizawa che non erano delle bestie incivili ma questo non era sufficiente per convincerlo a lasciare il giovane Mago girovagare indisturbato per le loro terre e nelle loro vicinanze.
Hajime prese Tobio tra le braccia ed il bambino studiò con attenzione il viso di quel giovane sconosciuto che, però, Hajime doveva ammetterlo, aveva qualcosa di familiare.
Eita sorrise all’indirizzo del bambino ma Tobio continuò a fissarlo seriamente, come se stesse cercando di capire le sue reali intenzioni.
“Ragazzi, tornate a dare una mano con il raccolto. Rimango io col nostro ospite.”
Eita era disarmato e non sembrava avere l’addestramento di un soldato: non c’era ragione di sottrarre sei braccia giovani e forti dove erano più necessarie.
Eita portò gli occhi chiari su di lui, sembrava sorpreso ma il Primo Cavaliere aveva attenzioni soltando per i suoi uomini. “Dite a Tooru che ho ordinato così.”
Takahiro e Issei si scambiarono un’occhiata poco convinta ma annuirono comunque e ridiscesero la collina senza aggiungere altro.
“Non dovreste rinunciare a del tempo con vostro figlio per me,” disse Eita.
Hajime scrollò le spalle e guardò il bambino tra le sue braccia. “Tobio non va da nessuno parte e voglio che i miei uomini aiutino la nostra gente quando io non sono lì a farlo di persona.”
“Il vostro Re stava lavorando nei campi quando siamo usciti dal bosco.”
Hajime sgranò gli occhi e poi sbuffò. “Mai una volta che usi la testa quell’idiota,” commentò annoiato, poi si ricordò davanti a chi era davanti e si morse l’interno della guancia.
Eita ridacchiò appena. “Non dovete preoccuparvi,” lo rassicurò, poi abbassò lo sguardo timidamente. “Vi devo confessare che sono rimasto sorpreso di trovare il vostro Re lavorare insieme alla sua gente... È diverso da come me lo aspettavo.”
“Ti aspettavi qualcuno che fosse semplice da odiare,” rispose Hajime, poi Tobio prese ad agitarsi tra le sue braccia in una chiara richiesta. “Vuoi stare giù? Va bene ma non cominciare a gattonare dove ti pare.”
Eita rimase a guardare mentre il Primo Cavaliere metteva suo figlio a sedere sull’erba e restava con un ginocchio a terra per averlo a portata di mano in caso di una qualunque emergenza. 
Il giovane Mago accennò un sorriso malinconico. “Il vostro Re vi ha raccontato tutto...” Non era una domanda.
“Anche il tuo non sembra sforzarsi di mantenere alcun segreto, nemmeno quelli scomodi.”
Eita si sedette sull’erba portandosi le ginocchia contro il petto. “Hai ragione,” annuì. “Mi aspettavo un ragazzino viziato. Un giovane sovrano tenuto in piedi dalla superbia e dalla sete di potere.”
“La superbia c’è,” disse Hajime senza staccare gli occhi di dosso da suo figlio. “Non c’è solo quella, tutto qui.”
“Già...” Eita si vergognava un poco per i pensieri che aveva fatto su Tooru senza conoscerlo, senza riflettere su quanto la guerra che Ushijima aveva fatto scoppiare con furbizia avesse potuto ferirlo in modo inguaribile. Aveva pensato molto alle parole del giovane Re di Seijou. Lo aveva immaginato completamente da solo con un bambino in grembo e con la consapevolezza che il futuro della sua creatura e di tutto il suo mondo dipendeva esclusivamente da lui.
Tooru era uscito a testa alta da quella situazione e, nel peggiore dei casi, era riuscito a trovare una soluzione che potesse garantire un futuro a suo figlio.
Eita non credeva che, al suo posto, sarebbe riuscito ad essere altrettanto forte e razionale.
Anche il suo atteggiamento nei suoi confronti era stimabile: non aveva mai minacciato la sua vita e ancora prima di ascoltare le sue parole ed il patto che voleva proporgli, tutto ciò a cui aveva pensato era stato cacciarlo e non fargli del male.
Eita non credeva che un altro Re sarebbe stato tanto civile con un membro di una corte avversaria, specie se così vicino ad un nemico che aveva avuto il potere d’infliggere ferite molto più che politiche.
“Nemmeno Tooru ha nascosto nulla a voi,” disse con un filo di voce.
Hajime continuò ad osservare suo figlio come se la questione non lo toccasse. “Mi ha confessato ogni cosa la notte stessa in cui ci siamo ritrovati.”
Eita si morse il labbro inferiore. “Non deve essere stato facile,” commentò. “Voglio dire... Ritornare da lui e sapere che...”
“Non ci ho più pensato, a dire il vero.”
Il giovane Mago sgranò gli occhi. “Dite sul serio?” Chiese incredulo. “Siete davvero riuscito a dimenticare un tradimento come se non fosse mai successo.”
Hajime accennò un sorriso, sebbene dalle sfumature amare. “Ho cacciato Ushijima dal nostro Regno il giorno seguente, ho fatto di nuovo mio quello che si era illuso di avermi strappato. Appena un giorno dopo la confessione di Tooru, io ero un Primo Cavaliere vittorioso che stava per diventare padre del figlio di chi amava di più al mondo.” Guardò il giovane dai capelli chiari accanto a sè. “Come avrei mai potuto permettere che un bastardo potesse rovinarmi la mia più grande vittoria?”
Eita ignorò deliberatamente il modo in cui era stato aprostrofato il suo Re. 
“E poi è arrivato Tobio,” aggiunse il Cavaliere con un sorriso orgoglioso posado una carezza sulla testolina del bambino seduto sull’erba, “tutto il resto non ha più avuto importanza dopo.”
Eita osservò il piccolo Principe strappare quelche ciuffo d’erba per gioco. “È un amore indescrivibile, vero?”
Hajime sospirò. “Era dentro la pancia e non credevo possibile di poterlo amare come facevo, poi è nato, me lo hanno messo tra le braccia e quello che ho provato è stato completamente assurdo... È completamente assurdo tutt’ora...”
Il giovane Mago annuì tristemente. “Capisco...”
“Che cosa hai detto per convincere Tooru a tenerti qui?” Domandò Hajime di colpo, gli occhi verdi fissi in quelli chiari dello straniero.
Eita rimase congelato per una manciata di secondi, poi ridacchiò. “Volevate avere questa conversazione fin dal principio, vero?”
“Un avevrtimento,” gli disse Hajime senza rancore. “Tooru è bravo a nascondere le cose, è bravo a sorridere e a farlo sembrare reale ma con me non funziona... Non ha mai funzionato...”
Eita sorrise malinconicamente. “Un legame per la vita,” mormorò. “So cosa vuol dire restare al fianco di qualcuno da quando si ha memoria. Il modo in cui si conosce le persone con cui si condivide ogni momento della propria vita non è paragonabile a niente... Nemmeno al modo in cui conosciamo noi stessi.”
“La mia posizione è simile alla tua,” ammise Hajime.
Eita scosse la testa senza smettere di sorridere. “Vi sbagliate, Cavaliere... Se fossi nella vostra stessa situazione, non sarei venuto qui a cercare di alleviare un dolore inflittomi dalla persona che mai avrebbe dovuto ferirmi.”
“Posso capire perchè tu sia venuto qui per parlare con Tooru,” aggiunse il Primo Cavaliere. “Io ho spaccato la faccia al tuo Re... Tu sei venuto a parlare al mio. Tooru è nato Demone ma penso che lo sia diventato sotto un altro punto di vista per te: avevi bisogno di renderlo reale.”
Eita annuì. “È fortunato il vostro Re...”
Hajime scrollò le spalle. “Siamo entrambi fortunati,” replicò. “Posso sapere l’altro motivo per cui sei qui, ora? Oltre che per sconfiggere il demone del tradimento del tuo Re, s’intende.”
Eita ci pensò a fondo prima di rispondere. “Ushijima è innamorato di Tooru.”
Il Cavaliere si tese di colpo ma la sua espressione non cambiò di una virgola: Eita non aveva fatto altro che confermare l’ovvio ma sentirselo dire da qualcuno che era stato al fianco del Re dell’Aquila come lui era stato a quello di Tooru da tutta la vita, era piuttosto sconvolgente.
“Lo ama in un modo in cui penso non abbia mai amato,” continuò Eita nel modo più dignitoso possibile. “Non ho mai dubitato del suo affetto, sai? Non ne dubito neanche ora e penso che soffrirebbe se mi perdesse in qualche modo ma, come dire...” Ridacchiò. “Non combatterebbe mai una guerra per me, non come lui ha fatto per cercare di conquistare il tuo Re e come tu e Tooru avete fatto per proteggervi l’un l’altro.”
“Perchè?” Domandò Hajime guardando suo figlio. “Tooru era un Principe di quindici anni che era stato educato a deliziare i candidati più potenti, quando si sono conosciuti. Sì, Tooru è malizioso, superbo e starò qui a negare che si sia divertito a ricevere tante attenzione dal Re più potente dei Regni liberi ma... Ha detto no,” concluse Hajime. “Ha detto no di fronte al mondo intero e l’ha massacrato di fronte allo stesso per orgoglio e per difendere il suo onore all’umiliazione. Sarebbe dovuta finire lì.”
“Per Ushijima era solo cominciata,” raccontò Eita. “Non lo so, qualcosa di Tooru l’ha semplicemente incantato...”
“E tu, che hai passato tutta la vita accanto la bastardo, non sai indovinare di cosa si tratti?”
Eita cercò di rifletterci. “In realtà, penso di saperlo...” Disse come se stesse pensando ad alta voce. “In un certo senso, Tooru è un po’ come era il Re dell’Aquila di cui mi sono innamorato.”
Hajime inarcò le sopracciglia poco convinto ed Eita rise. “No, non aveva la stessa vivacità o solarità... Dico negli obbiettivi... Anche Ushijima si sporcava le mani come un uomo comune per la sua gente. La cerchia dei suoi fedelissimi è formata da legami che ha creato personalmente e nessuno di loro viene da un lignaggio particolarmente elevato, nemmeno io. Ushijima non segue le regole degli altri Re e così fa Tooru...” Sospirò pesantemente. “Quando ancora il nostro futuro si prospettava radioso, Ushijima mi faceva promesse che... Beh, non erano poi così romantiche nella forma ma io sapevo il loro reale significato perchè conoscevo il giovane che me le faceva e gli avevo dato il mio cuore senza esitare.” Il sorrise di Eita morì immediatamente. “Poi è divenuto Re ed ha scoperto la vera estensione del suo potere e tutte le buone intenzioni sono andate perdute sotto un incolmabile desiderio di divenire sempre più forte, sempre più forte... La cosa peggiore era che ci riusciva e, quindi, non c’era ragione per cui non dovesse continuare per quella strada.”
Gli occhi chiari esitarono un istante sulla piccola figura di Tobio ed Hajime se ne accorse.
“C’è molta magia del mio sangue,” confessò Eita. “Abbastanza perchè potessi dare al mio Re l’erede di cui aveva bisogno... Ma poi abbiamo scoperto che il mio potere non era nulla in confronto al suo e che non sarai mai stato abbastanza forte per permettere al suo seme di germogliare nel mio grembo. Probabilmente, quella fu solo la goccia che fece traboccare il vaso ma non riesco a smettere di pensare che, se solo fossi stato più forte, se fossi stato davvero degno di lui, tante cose brutte non sarebbero dovute accadere.”
Hajime abbassò lo sguardo con rispetto: conosceva quel genere di disperazione, l’aveva provata la notte in cui Tooru lo aveva salvato da Re dell’Aquila e, fuori di sè, aveva proposto al suo amore di rinunciare a lui per una via più ragionevole. Una via che avrebbe concesso a Tooru potere, sicurezza ed un erede al trono.
Accarezzò di nuovo i capelli di Tobio: non avrebbe mai potuto lasciare che una singola notte pregna di disperazione rovinasse la gioia del piccolo miracolo che avevano messo al mondo.
Hajime non aveva mai riflettuto attentamente su come sarebbe andata se il destino non avesse concesso loro una simile occasione. Un erede sarebbe dovuto esserci ed entrambi avrebbero dovuto convivere con un tradimento quotidiano consumato per dovere.
Quanto mai avrebbero potuto reggere facendosi del male in quel modo?
Prese Tobio tra le braccia, se lo strinse al petto e gli baciò la fronte. “Ehi...” 
“È un bellissimo bambino,” commentò Eita accanto a lui.
“Ti ringrazio...”
“Ushijima darebbe qualsiasi cosa perchè fosse suo,” ammise Eita con voce funerea. “Ma non temete, mio Cavaliere: presto finirà anche questa storia e la vostra famiglia non dovrà più temere  nulla dal mio Re.”
Hajime riportò immediatamente gli occhi verdi su di lui.
Eita gli sorrise enigmatico ed inquietante al tempo stesso. “Ho smesso di essere debole, mio Cavaliere...”


***



 
Tooru sorrise con gli occhi ancora chiusi come sentì due labbra calde vezzeggiargli il collo sensualmente.
“Hajime...” Chiamò con un sospiro passando una mano tra le lenzuola nello stiracchiarsi e sfiorando qualcosa di morbido e fresco con le dita. Sollevò le palpebre ed un sorriso sorpreso gli graziò le labbra. “Petali neri?” Domandò deliziato spiando da sopra la propria spalla il Cavaliere alle sue spalle.
Hajime era sollevato su di un gomito, una rosa nera tra le dita ed un sorriso che faceva venire voglia di cancellarlo con un bacio.
“Buon compleanno, Tooru.”
Il giovane Re rimase senza parole per un attimo, poi rise spingendosi contro il petto caldo del compagno ed accettando l’elegante dono che aveva pensato per lui. “E’ questo il fiore il hai pensato fosse adatto a me?” Domandò Tooru portandosi la rosa sotto il naso.
“Elegante, oscura e tenatrice...” Spiegò Hajime passandogli le dita tra i capelli con dolcezza.
Tooru gli sorrise malizioso. “Bello. Mi piace...”
Il Primo Cavaliere si concesse ancora un istante per guardarlo, poi gli tolse gentilmente la rosa di mano e la posò sul materasso accanto a loro. Tooru lo guardò con gli occhi grandi e smarriti mentre si spostava sopra di lui con un’intenzione più che chiara.
“Hajime, aspetta, Tobio...”
“E’ di sotto con i ragazzi,” rispose il Cavaliere chinandosi su di lui per rubargli un lungo bacio che spezzò il fiato ad entrambi. Quando si separarono, Tooru era tornato a sorridergli come il Demone tentatore che era. “Allora celebrami come mi merito,” disse circondando il collo del suo Cavaliere con le braccia e tirandoselo addosso.
I baci si accessero immediatamente e le mani non furono affatto pazienti nel ripercorrere percorsi che conoscevano a memoria e che adoravano riscoprire ad ogni possibile occasione. Hajime si sollevò a sedere al centro del letto e trascinò Tooru con sè. Il Demone sorrise nel bacio sentendo le mani calde del compagno risalire sui suoi fianchi per offrire un aiuto che di lì a poco sarebbe stato molto utile.
La prima volta che bussarono alla porta non se ne accorsero.
La seconda, li fece irrigidire entrambi.
Gli occhi scuri del Re e quelli verdi del Cavaliere saettarono verso l’uscio chiuso. “Cosa c’è?” Domandò Hajime senza sforzarsi di nascondere la profonda irritazione che provava per quell’improvvisa interruzione. Tooru gli posò le labbra tra i capelli ribelli come ad invitarlo a stare calmo, sebbene quel cambio di atmosfera avesse dato sui nervi anche a lui.
“Hajime, rivestitevi e scendete di sotto,” era la voce di Issei ed era tanto seria che il Primo Cavaliere dimenticò immediatamente quello che stavano facendo e invitò Tooru a togliersi da sopra di lui per sedersi sulle lenzuola.
“Che succede?” Domandò a chiunque fosse dietro quella porta mentre si alzava dal letto.
“Si tratta del Castello Nero,” era la voce di Takahiro quella volta. “C’è stato un colpo di stato...”



***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Ok, miei cari lettori... Ho smesso di cercare giustificazioni, mi limiterò a dire che questo capitolo stava superando le 50 pagine e ho deciso di darci un punto prima che diventasse enorme.
Ormai, questa storia si scrive da sola e mi ritrovo a rimandare ancora di un capitolo l’avvento del Kagehina... Non odiatemi, vi prego! Dopodichè tutti i pezzi saranno al loro posto e la nuova generazione ruberà la scena senza indugio.
Grazie a tutti per la pazienza, spero di non aver deluso le aspettative!
 





 

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Capitolo 15
*** Di essere Re ed essere Uomini ***



13
Di essere Re ed essere Uomini


Hajime se ne era andato.
Dove? Non era più importante, ciò che contava era che aveva infranto il suo giuramento e lo aveva lasciato solo. Non lo aveva voluto. No, nemmeno dopo quel bacio sotto le stelle o dopo tutti gli sguardi. Tooru lo amava, lo aveva sempre amato e Hajime non lo voleva.
Di fronte a lui vi era un bel giovane, il Re più potente dei Regni liberi, un signore che era già divenuto leggenda e si era guadagnato un posto d’onore nella storia del mondo conosciuto. Ai suoi piedi, in ginocchio, in attesa, vi era un Re che, nonostante il suo cuore di pietra, era riuscito a sedurre a soli quindici anni.
Quel Re lo voleva e non solo per ragioni politiche. Tooru lo aveva capito questo ed anche se non lo amava, non come amava Hajime, forse, da lui avrebbe avuto tutto ciò che il suo compagno di giochi si era rifiutato di dargli. Forse, avrebbe potuto imparare ad amarlo con la stessa intensità con cui lo desiderava.
Il Re dell’Aquila gli stava offrendo tutto, Hajime lo aveva lasciato con niente.
Sorrise con entusiasmo quasi reale, come allungò una mano per afferrare quella di Ushijima.
“Sì...” Fu la sua risposta.
E, nel boato della sala del trono del Castello Nero, Tooru, Principe di Seijou, divenne il sovrano consorte Regno di Shiratorizawa.


***


Il Castello Nero cadde nelle mani del Consiglio un giorno impreciso del mese di luglio ma la notizia ufficiale della ribellione arrivò alle campagne del Regno di Seijou solo il giorno del diciottesimo compleanno del Re Demone, portata dal Generale Mizoguchi insieme a quegli ultimi Cavalieri rimasti alla rocca e ancora fedeli al loro sovrano e al Primo Cavaliere.
“Dicono che non siete in grado di essere Re,” spiegò il Generale seduto al tavolo della loro cucina, i Cavalieri più vicini alla corona tutt’intorno a lui. “Dicono che le vostre idee folli ci manderanno alla rovina. Il popolo per le strade della Capitale non è dello stesso avviso, mio signore, ma la vecchia nobiltà non vede di buon occhio i vostri metodi rivoluzionari.”
Tooru annuì senza traccia di rancore sul viso: il Generale si stava solo limitando ad illustrare la situazione nel modo più oggettivo possibile ed il giovane Re non poteva permettersi di non voler ascoltare verità scomode in una situazione di emergenza come quella.
“I vostri Cavalieri sono con voi,” concluse Mizoguchi alzandosi dalla sedia per poggiare un ginocchio a terra con rispetto ma Tooru si fece avanti e gli appoggiò una mano sulla spalla per fermarlo. “Vi prego, non fatelo,” gli chiese con fermezza. “Sono io che dovrei inginocchiarmi al vostro cospetto per la vostra lealtà.”
Il Generale lo guardò sorpreso a quelle parole ma Tooru si voltò verso Issei, Takahiro e gli altri Cavalieri nella cucina. “Fate in modo che il Generale ed i vostri compagni alloggino comodamente,” ordinò. “Hanno fatto un lungo viaggio e non nelle condizioni migliori.”
“Sìssignore!” Risposero in coro i giovani nella stanza.
“Col vostro permesso, Generale,” aggiunse Tooru guardando un’ultima volta Mizoguchi e poi prendendo la via delle scale che portavano al piano di sopra. 
Hajime lo aspettava seduto davanti al caminetto spento, Tobio seduto sulle sue ginocchia con i pugnetti stretti tra le dita del padre mentre questi lo faceva rimbalzare come se stesse andando a cavallo. In un situazione normale, Tooru avrebbe sorriso senza pensarci di fronte ad una scena simile ma in quel momento gli mise solo molta tristezza.
“Hai sentito tutto?” Domandò.
“Sì,” rispose Hajime continuando a guardare il bambino che, invece, aveva portato gli occhi blu sulla figura dell’altro genitore comparso in cima alle scale. 
Tooru ricambiò quello sguardo per una manciata di secondi, poi prese un respiro profondo e parlò. “Non ero paranoico, quindi,” disse. “I miei timori riguardo all’incolumità mia e di Tobio erano fondati.”
“Sì...” Hajime rispondeva distrattamente, come se stesse duellando con qualche pensiero che, per assurdo, lo coinvolgeva più del disastro politico imminente. Tooru non se la prese: aveva intuito perfettamente cosa tormentava il suo Cavaliere e non gli piaceva. Poteva quasi sentirli i suoi pensieri, mentre si ripeteva che se non avesse lasciato il Castello Nero con trequarti dell’esercito, tutto quello non sarebbe mai accaduto.
“La nostra gente aveva bisogno di noi, Hajime,” lo rassicurò.
Hajime smise di far trotterellare Tobio ma il bambino non fece capricci, come se avesse compreso perfettamente l’atmosfera nella stanza. Il Cavaliere continuò a fissare il loro bambino, non vedeva altro. “Se avessero toccato te e lui in mia assenza, io...”
“Non è successo,” Tooru esauirì la distanza tra loro ed appoggiò entrambe le mani sulle spalle tese del compagno. “Io e Tobio stiamo bene, tutto il resto possiamo risolverlo.”
Hajime sollevò gli occhi verdi verso il viso del suo Re. “Che cosa vuoi fare?” Lo avrebbe seguito ovunque e comunque come aveva sempre fatto.
Tooru si concesse un timido sorriso mentre passava le dita tra i corti capelli sulla nuca del suo uomo. “Abbiamo l’esercito, abbiamo l’appoggio del popolo. Una guerra civile è la cosa più crudele che posso fare alla mia terra in questo momento ma mi riprenderò il Castello Nero e tutto ciò che è nostro.”
Hajime annuì con aria grave. “Quando hai intenzione di farci partire?”
Tooru non esitò un istante nel rispondere. “Tu non partirai...”
Per tutta risposta, Hajime gli rivolse uno sguardo pen peggiore di quello con cui lo aveva guardato quando gli aveva confessato di aver passato una notte nel letto del Re dell’Aquila. 
“Tu resterai qui, con Tobio,” aggiunse Tooru prima che il Cavaliere potesse pronunciar parola. “Issei, Takahiro e Kentaro rimarranno qui con te. A te servirà una mano e qualcuno deve continuare a fare la guardia ad Eita finchè il nostro accordo non sarà concluso.”
Hajime non sapeva un bel nulla dell’accordo tra il suo Re ed il Mago di Shiratorizawa ma sapeva che Tooru aveva fatto l’impossibile negli ultimi giorno per tenerglielo nascosto ed il biondino nella casetta del bosco non era da meno. Tuttavia, quella questione passò immediatamente in secondo piano rispetto a quanto Tooru gli stava dicendo ora. “Piuttosto la morte,” ringhiò come un cane sul punto di sbranare chiunque avesse davanti.
“Sarà nostro figlio a pagare, è questo che vuoi?”
“Togliti dalla faccia quell’espressione da Re del cazzo, stai parlando con me!”
“Sto parlando col mio Primo Cavaliere.”
“No, Tooru, stai parlando con me!”
Il suono di una vocina spezzata riportò immediatamente l’attenzione del Primo Cavaliere sul bambino seduto sulle sue gambe. La boccuccia di Tobio tremava mentre alcune lacrimucce avevano preso a rigargli le guance.
Hajime sospirò, prese il bimbo sotto le braccia e lo passò al giovane alle sue spalle: era stato lui a spaventarlo e Tobio non si sarebbe mai calmato con lui.
“Va tutto bene, Tobio-chan,” sentì mormorare Tooru dietro di lui. “Va tutto bene, mamma e papà sono qui con te.”
Hajime fece una smorfia. “Non dirgli una bugia del genere.”
Alle sue spalle, Tooru fissò la nuca del suo Cavaliere con un poco di astio, “non vi sto abbandonando. Voglio solo compiere il mio dovere.”
“Compiere il tuo dovere...” Ripeté Hajime con tono sarcastico. Si alzò in piedi e fissò il compagno con rabbia. “Il tuo dovere è rimanere indietro mentre i tuoi Cavalieri combattono per te. I Re non combattono mai in prima linea, lo sai bene!”
Tooru sospirò. “Risparmiami queste sciocchezze politiche, Hajime o devo ricordarti chi ha combattuto la guerra contro Shiratorizawa?”
“Non tu!”
“Appunto...” Tooru era sull’orlo delle lacrime, nulla di nuovo ma c’era troppo orgoglio in quel momento perchè potesse lasciarle andare. “Sul quel campo di battaglia c’era Daichi, c’era Kuroo e  c’era anche quel bastardo. Tre Re per quattro Regni, come pensi che mi senta a questo pensiero?”
Hajime sospirò. “Tooru, tu hai combattuto sul campo per tutta la prima parte del conflitto e dopo... Dopo aspettavi Tobio!”
“Sì ma non lo sapevo!”
“Forse ma è di gran lunga meglio che sia andata come è stato, piuttosto che scoprire che eravamo riusciti a compiere l’impossibile sotto le mura di una città inassediabile.”
Tooru posò le labbra sulla testolina di capelli di corvini del loro bambino. “Tobio è qui ora.”
“E ha bisogno di noi,” concluse Hajime.
“Come il Regno,” aggiunse il giovane Re con fermezza. “Non possiamo restare entrambi con Tobio ma che io sia maledetto se gli toglierò entrambi i suoi genitori per combattere una guerra che ho causato io.”
“Per questo mi lasci indietro?” Domandò Hajime con rabbia.
“Sì, Hajime,” disse Tooru fermamente. “A Seijou serve un Re ma a Tobio serve un padre. Potrai odiarmi quanto vuoi dopo ma non lascio mio figlio in mani diverse dalle tue.”
Il Primo Cavaliere sospirò pesantemente, si alzò in piedi e guardò il suo Re dritto negli occhi. “Lascia andare me,” gli propose. “Resta con Tobio.  L’abbiamo già fatto una volta...”
“Non voglio farlo mai più,” concluse Tooru sull’orlo del pianto. “Posso combattere al tuo fianco qualsiasi guerra, Hajime ma Tobio deve venire prima di questo ed io non ti lascio partire per un altro fronte in nome mio.” Tirò su col caso ed acune lacrime sfuggirono al suo controllo. “Devo farlo, Hajime. Devo farlo io, lasciamelo fare.”
Hajime strinse le labbra e scosse la testa. “No...” Sembrava lui sul punto di mettersi a piangere, ora.
Tooru tenne sollevato Tobio con un braccio e alzò quello libero per accarezzare il viso del compagno, poi lo baciò a fior di labbra. “È un ordine, mio Cavaliere.”




Servì una settimana per organizzare le truppe.
I Cavalieri non esitarono a fare quello che era il loro dovere ed alcuni giovani uomini delle campagne si offrirono volontariamente per poter servire il loro Re. 
Nell’aria si respirò una strana aria di leggerezza in quei giorni, come se la guerra imminente fosse solo un miraggio destinato a non concretizzarsi. In realtà, era proprio la consapevolezza dell’inevitabilità di quello che stava per accadere che spingeva tutti a comportarsi in quel modo.
I Cavalieri ballavano con le fanciulle delle campagne ogni sera, altri facevano brindisi infiniti ridendo per il troppo vino bevuto, poi c’erano Tooru e Hajime: il primo disposto a spendere ogni minuti di ogni giorno con il suo compagno ed il loro bambino, il secondo che provava ad assecondarlo ma lo guardava con la malinconia di chi non riusciva a non pensare alla tragedia che li avrebbe investiti tutti.
Ogni notte era un delirio di passione e disperazione, il perfetto opposto di quello che avevano vissuto in quelle settimane di semplicità e pace.
Hajime toccava Tooru come le prime volte, come se avesse paura che al primo movimento sbagliato qualcosa avrebbe potuto rompersi senza possibilità di ripararlo.
Ogni bacio di Tooru era una rassicurazione, una promessa che ci sarebbero state altre mille e più notti come quella, che quella non era la fine, solo la strada tortuosa verso un nuovo inizio.
L’ultima notte fu la peggiore e la più dolce.
Dopo aver fatto l’amore, Tooru baciò il suo Cavaliere e gli chiese di portare Tobio nel loro letto. 
Il giovane Re strinse a sè il suo piccolo Principe baciandolo con tutto l’amore di cui era capace mentre quegli occhioni blu lo guardavano sicuri, ignari di quanto stava per accadere alla sua famiglia e alla sua casa. Hajime rimase a guardarli in silenzio, una mano che si muoveva lentamente sul fianco di Tooru.
Tobio si riaddormentò dolcemente, i pugnetti stretti intorno alle dita del giovane genitore.
Tooru guardò Hajime ed il Cavaliere portò la mano che aveva sul suo fianco al suo viso.
Non si dissero una parola: se avessero parlato, qualcuno avrebbe sicuramente detto qualcosa di sbagliato e non potevano permettersi inciampi simili in una notte come quella.
Si strinsero ancor di più, il loro bambino addormentato tra di loro.
Cullati dal calore l’uno dell’altro, ben presto di lasciarono vincere dal sonno.




Tooru non seppe cosa lo svegliò.
Se ci fosse stato un rumore percettibile, Hajime sarebbe scattato molto prima di lui.
Probabilmente, fu solo un presentimento, una sensazione o quel qualcosa che, in un modo o nell’altro, permette alle creature non umane di riconoscersi tra loro.
Hajime dormiva e sereno e così Tobio con un dito del suo papà stretto tra le labbra.
Tooru non potè non sorridere guardandoli e passò una mano tra i capelli ribelli del suo Cavaliere con devozione, prima di alzarsi in piedi e recuperare la tunica da notte finita sul pavimento nella passione delle ore precedenti.
Vide la luce di una candela al piano di sotto ancor prima di scendere le scale e non si sorprese particolarmente di trovare il giovane dai capelli biondi e gli occhi chiari seduto al tavolo della cucina con lo sguardo perso nel vuoto. Tooru s’imbronciò appena, come se fosse scocciato. “Non dovresti essere qui.”
Eita lo guardò. “Dovevo parlarti.”
Tooru sbirciò fuori dalle finestre come se non avesse parlato. “Dove sono i miei Cavalieri?”
“Addormentati...”
Il giovane Re lanciò al suo ospite un’occhiata storta e questi scosse la testa con un sospiro. “Non è colpa mia, ne sono venuti degli altri a passare la serata con loro e hanno messo in piedi una piccola  festicciola fuori dalla casa abbandonata in cui così gentilmente mi permetti di restare.”
“Tieniti il sarcasmo per te.”
“Hanno parlato,” continuò Eita. “Sembrava l’ultima serata insieme prima di qualcosa di grosso... Poi hanno cominciato ad essere più chiari...”
C’era forse dispiacere nella sua voce? Tooru non ne era sicuro. “Non ti riguarda,” tagliò corto.
“Posso aspettare ancora un ciclo lunare, Tooru ma se la nuova luna sorgerà nel bel mezzo della guerra... Se l’incatesimo fa effetto, tu...”
“Hajime è un essere umano ed è tornato vivo da una guerra contro quel bastardo del tuo Re,” gli ricordò Tooru velenoso. “Se l’incantesimo farà effetto, hai tre notti per fare quello che devi. Vattene da qui, torna dal tuo Re.”
“Non avrai i tuoi poteri per quei giorni,” gli ricordò Eita con premura. “Se parti per una guerra...”
Tooru lo guardò dall’alto in basso con espressione tagliente. “Preoccupati di compiere il tuo dovere ed io penserò al mio.”
Eita scosse la testa e si alzò in piedi. “Tooru, ti ho spiegato come funziona,” gli ricordò con pazienza. “È magia nera e ci deve essere un caro prezzo da pagare. Un prezzo che voglio far cadere su di me perchè nessun altro deve soffrire per i miei desideri ma se concedi un’occasione al destino...”
Tooru ridacchiò senza gioia. “Ci manca solo che il destino si prenda la mia vita per concedere a te di dare alla luce l’erede del Re dell’Aquila!”
“Non prenderti gioco della magia nera, Tooru.”
“Prendermi gioco della magia?” Il giovane Re fissò l’altro con astio. “Siamo qui per colpa della magia...”
Eita accennò un sorriso. “La magia nel tuo sangue, però, ti ha concesso di dare alla luce Tobio.”
Il viso di Tooru si addolcì notevolmente. Abbassò lo sguardo per un istante. “Tornerò a casa,” fu tutto ciò che disse. “Destino o meno.”


***



Tooru indossò la propria armatura da solo.
Il suo Cavaliere dormiva sereno accanto al loro bambino e preferiva godersi ancora un po’ quello spettacolo, prima che quegli occhi verdi si aprissero e lo guardassero pregandolo in silenzio di non andare. Passò la mano tra i capelli di Hajime e le immagini veloci di centinaia di notti passate tra le sue braccia gli costrinsero il cuore in una morsa che gli spezzò il respiro per qualche istante.
Si morse il labbro inferiore e si obbligò a lasciarlo andare.
Hajime venne svegliato dal rumore della porta che veniva aperta. Da principio, non ricordò nulla, poi si sollevò su di un gomito e vide lo splendido giovane in armatura splendente e mantello nero. I grandi occhi marroni si voltarono e si fissarono sui suoi e, per un momento, il mondo sembrò fermarsi solo per loro due.
Non ci furono parole nemmeno allora.
Tooru non corse dal suo Cavaliere per baciarlo ancora una volta.
Hajime non si alzò per prendere il suo Re tra le braccia come se non volesse lasciarlo andare mai più.
Lo sapevano entrambi: se si fossero toccati, dividersi sarebbe stato impossibile.
Tooru non allontanò lo sguardò da quegli occhi verdi fino a che la porta non nascose definitamente la camera da lui. Hajime rimase immobile a sentire i passi del sovrano che superavano il salottino adiacente per poi scendere le scale.
Ci furono minuti di silenzio lunghi come secoli, poi udì la voce di Tooru dal cortile interno che ordinava ai Cavalieri di mettersi in marcia. Non si affacciò per guardarlo. Rimase immobile a fissare il vuoto mentre, all’esterno, il fragore di centinaia di zocccoli spezzava l’immobilità del momento.
Quando il silenzio tornò a fare da padrone, Hajime fu costretto a realizzare quanto era appena successo, quanto aveva permesso che accadesse senza ribellarsi come avrebbe dovuto. Tooru, però, gli aveva dato un ordine e non l’aveva fatto per fargli un torto. Questo, però, non significava che non facesse male lo stesso.
Si lasciò ricadere sul letto e si coprì gli occhi con un braccio. 
Per un attimo non sentì niente, assolutamente niente.
Si ritrovò ad artigliare le lenzuola prima che se ne rendesse conto e le lacrime rabbiose presero a pungergli agli angoli degli occhi prima che avesse il tempo di ricacciarle indietro. 
Un bambino cominciò a piangere e, di colpo, il Cavaliere sentì la ragione vincere su qualsiasi disperata impulsività. Allontanò il bracciò dal viso e si girò su di un fianco per controllare il piccolo che si era svegliato e lo supplicava con gli occhi blu pieni di lacrime.
Sì, Tooru gli aveva dato un ordine crudele, gli aveva ordinato di lasciarlo andare e di restare indietro ad aspettare col cuore in gola.Tuttavia...
Hajime ingoiò a forza e sollevò Tobio tra le braccia. “Shhh... Va tutto bene,” mormorò. “Va tutto bene, Tobio.”
Non aveva importanza che non ci credesse, l’importante era che se ne convincesse suo figlio.


***



Con la partenza dell’esercito, Eita era stato trasferito in una delle camere inferiori della tenuta, in modo che Issei, Takahiro e Kentaro non dovessero dividersi per tenere sotto cotrollo il prigioniero ed il Primo Cavaliere contemporaneamente. 
Nè Eita nè Hajime ebbero particolari reazioni a quella decisione.
Il Primo Cavaliere, in particolare, passò i primi giorni che seguirono la partenza di Tooru in uno stato di quasi completo isolamento che, però, non comprendeva il piccolo Tobio. Eita si ritrovò spesso a passare sotto le scale che conducedevano all’area riservata al compagno del Re e al suo bambino e si fermò più volte e sentire il Cavaliere parlare con dolcezza al Principe che, a modo suo, gli rispondeva prontamente mentre erano impegnati in qualche gioco che il giovane Mago non poteva indovinare.
Come i giorni si trasformavano in settimane, Hajime cominciò a farsi più presente.
Parlava con i suoi Cavalieri, oppure prendeva Tobio con sè ed usciva dalla tenuta per una passeggiata. Eita non sapeva dove andasse e non si era disturbato a chiedere ma non poteva fare a meno di osservare quel giovane padre con maggior fascino giorno dopo giorno.
Non era uno spettacolo a cui era abituato.
Suo padre non aveva avuto molta cura di lui e, nell’ambiente di corte in cui era cresciuto, pochissime nobili si occupavano personalmente dei loro figli, ancor più rari erano i padri. Hajime, al contrario, sembrava gestire la situazione perfettamente da solo anche se dentro, probabilmente, Eita immaginava si sentisse impotente sotto molti punti di vista. Per quanto riguardava Tooru e la scelta che aveva fatto, non faceva che sentire il giovane Mago ancor più a disagio nei confronti di quanto aveva provato e, forse, provava ancora per il giovane sovrano.
Hajime aveva avuto ragione quel giorno al prato fiorito: avrebbe voluto odiarlo ma Tooru non era solo ambizione ed invece che chiedersi che cosa avesse mai quel Demone che lui non avesse, Eita aveva cominciato anche a vedere perchè il suo Re avesse deciso di mettere tutto se stesso nel conquistare il suo cuore. Era una sensazione terribile... Sì, terribile ma Tooru non meritava di sentirsi gettare addosso tutta l’oscurità che Eita sentiva nel cuore a quella consapevolezza.
Tooru era stato un Re giusto e fiero nel partire per riprendersi ciò che era suo, nella speranza di rendere quel Regno un po’ più libero ed un po’ più splendente per tutti e non solo pochi nobili affamati di potere.
Tooru era stato anche un compagno ed un genitore devoto ad assicurarsi che il suo bambino non fosse privato completamente della sua famiglia e trovando al suo Cavaliere un posto sicuro che non avrebbe potuto rifiutare nemmeno per amor suo.
Eita guardava Hajime e Tobio e non osava immaginare come dovesse sentirsi Tooru al pensiero di non averli vicino a sè ma poteva capire un poco quel Cavaliere. Sapeva cosa voleva dire essere lasciato indietro ad aspettare che il proprio amato tornasse a casa, possibilmente tutto intero.
“Sei molto forte lo sai?” Glielo disse un giorno per caso, tre settimane dopo la partenza di Tooru. Hajime era sceso in cortile per far giocare Tobio con una palla di stracci che si divertiva a far rotolare per poi gattonarci dietro. Il Cavaliere era seduto a terra con la gambe incrociate e rivolse uno sguardo confuso al giovane Mago seduto sulla panca accanto a lui.
All’interno della casa, i tre Cavaliere loro secondini stavano ingaggiando una gran lotta con i fornelli nel tentativo di preparare una cena commestibile.
“Ti dicono che la prima volta è la peggiore e poi passa,” continuò Eita. “Non è vero, non passa mai... Finisci solo per abituarti al dolore provocato dalla distanza al punto che riesci a nasconderlo molto bene.”
Hajime non era certo di voler parlare di quelle cose col giovane Mago, dato che il suo termine di paragone era l’uomo che lo aveva tenuto distante da Tooru per primo ma Eita non era mai stato scortese con lui e, forse, poteva sforzarsi di essere educato. “Non sono forte,” replicò. “Non mi posso permettere di stare male apertamente, è diverso.”
Il Cavaliere fece rotolare la palla e Tobio si lanciò subito all’inseguimento con gli occhi grandi e brillanti di emozione.
Eita guardò il bambino con malinconia. “Deve rendere molto forti sapere di dover proteggere una creatura così fragile.”
Hajime guardò Tobio afferrare la palla con un sorrisetto trionfante. Accennò un sorriso. “Sì, è così...”
Ed Eita sentì il cuore farsi ancora più pesante. “Mi dispiace,” disse di colpo.
Gli occhi verdi si voltarono a guardarlo.
“Per qualunque cosa abbia fatto il mio Re,” aggiunse il giovane Mago. “Mi dispiace... Mi dispiace davvero tanto...”
Hajime impiegò qualche istante per elaborare quelle parole. Avrebbe potuto dire che non avevano significato dato che non c’era modo di cancellare tutto ciò che lui e Tooru e molti altri avevano già sopportato a causa dell’ossessione di un conquistare incapace di perdere. Eita, però, avrebbe potuto rispondergli che Tooru aveva la sua parte di colpa e così anche lui ed allora Hajime avrebbe perso quella discussione in partenza. Si limitò a dire solo la cosa più semplice e più vera. “Non è colpa tua.”
Eita non aveva combatutto quella guerra.
Eita aveva sofferto quanto loro delle scelte del Re dell’Aquila.
“Non è vero,” rispose il giovane Mago. “La mia incapacità è ciò che ha spinto Ushijima da Tooru.”
“Non devi nemmeno dirla una cosa del genere,” replicò Hajime. “Non sei incapace di nulla... È solo che...” Guardò Tobio e ripensò a come si era sentito quando Ushijima gli aveva rivelato con molta crudeltà come la sua natura umana gli avrebbe impedito di concepire alcun figlio con Tooru, un Re Demone dal sangue potente da generazioni. Sì, si era sentito in colpa, si era sentito impotente, si era sentito peggio di quando si era reso conto che in un duello serio non avrebbe potuto nulla contro il Re dell’Aquila.
“Nemmeno noi potevamo,” concluse Hajime posando una mano sulla testolina di Tobio.
Eita sorrise tristemente. “I miracoli non sono per tutti, mio Cavaliere,” gli rispose. “Per i meno fortunati, esistono le maledizioni.”
Hajime agrottò la fronte e lo guardò perplesso ma Eita aveva già allontanato gli occhi da lui per fissarli su Tobio.
“La cena è pronta!” Esclamarono Issei e Takahiro dalla cucina.



Alla fine di agosto, un mese dopo la parteza di Tooru, Shinji tornò alla tenuta con una lettera per il Primo Cavaliere e le prime notizie dal fronte. Il Re Demone si era rivelato uno stratega capace, un condottiero valoroso ed un sovrano che non temeva la prima linea.
“Lo seguiamo tutti con stima,” disse il giovane Arciere rivolgendosi esclusivamente a Hajime. “Il Castello Nero sarà di nuovo nostro prima dell’inverno, non abbiamo nulla da temere finchè siamo nelle mani di sua maestà.”
E questo era tutto quello che Hajime aveva mai desiderato sentirsi dire.
Non aveva mai dubitato delle capacità di Tooru, nemmeno per un istante. Semplicemente, Hajime conosceva i suoi lati oscuri, quelli fragili e sapeva quali situazioni potevano scatenarli e quali no. Una guerra civile non era il contesto migliore in cui dar prova del proprio valore senza sporcarsi le mani. Hajime sapeva che Tooru non avrebbe esitato a farlo, se fosse stato necessario. Si chiedeva solo se, dopo, avrebbe retto il peso emotivo che sarebbe derivato da una simile decisione.
L’esercito comunque non sembrava aver visto nessuna di queste ombre intorno alla figura fiera del giovane Re Demone e Hajime non poteva che sperare che tutto finisse in fretta.
Quella notte, coricato a letto e con Tobio disteso sul petto, Hajime lesse le parole che Tooru aveva scritto per lui e poi posò un bacio tra i capelli corvini del bambino. “Questo te lo manda la mamma...” Gli disse con dolcezza.
E Tobio fissò gli occhi blu su di lui come se avesse capito.


***


Tooru rise la sua prima notte di nozze.
Rise e sapeva bene che era un privilegio concesso solo a pochi giovani sposi incanstrati in un matrimonio combinato per ragioni politiche. Nel suo caso, le ragioni politiche c’erano ed erano immense ma non c’era solo quello...
Lui ed Ushijima erano stati insieme solo poco tempo ma, evidentemente, era stato sufficiente a permettere al desiderio di sbocciare con sincera passione tra loro e Tooru ne aveva avuto la prova sulla sua stessa pelle con ogni carezza, ogni bacio... Il Re dell’Aquila lo aveva amato con gentilezza, lo aveva guidato con pazienza in quel mondo di cui aveva fantasticato per tanto tempo ma che era completamente estraneo per lui.
Di piacere ce ne era stato... Ce ne era stato anche tanto...
Forse, non era stato perfetto ma avevano tutto il tempo perchè lo diventasse.
Tooru riposava steso su un fianco, un sorriso leggero ad illuminargli il viso, le lenzuola strette al petto ed il calore del giovane uomo che aveva conquistato la cima del mondo e che era suo, solo suo.
Ushijima gli baciò una spalla circondandogli la vita con un braccio. “Stai bene?”
Tooru ridacchiò. “Sì...” Si rigirò in quell’abbraccio forte per guardare il suo Re negli occhi. “Prometti che ogni mia notte da questa in poi sarà così.”
Ushijima non cambiò espressione ma c’era sincerità nei suoi occhi quando rispose. “Prometto.”
Tooru rise ancora, poi ebbe l’ardire di gettarsi addoso al suo consorte mettendosi a cavalcioni su di  lui e guardandolo dall’alto al basso con malizia tentatrice. “Ne voglio ancora, mio Re.”
E, per qualche istante d’ingenuo piacere, riuscì a non pensare a Hajime.



***



Erano i primi giorni di settembre e, con gioia di Takahiro ed Issei, Hajime concesse loro di badare a Tobio mentre si prendeva un pomeriggio per andare a caccia e svagarsi un po’ dopo settimane di infiniti doveri paterni. Eita osservò la scena dalla finestra della sua stanza: il Cavaliere baciò il suo bambino e poi salì in sella al suo cavallo ma non cavalcò via prima di essersi voltato ancora una volta ed aver alzato la mano per salutare suo figlio. Tobio alzò una manina in un’imitazione perfetta del gesto ed Eita si allontanò dalla finestra portandosi una mano al petto e stringendo tra le dita qualcosa che custodiva gelosamente fin dalla notte in cui lui e Tooru si erano parlati per la prima volta.
Ancora poche notti e la nuova luna sarebbe sorta nel cielo.
Ancora poche notti e quella storia sarebbe finalmente giunta alla sua fine.



Il destino diede prova del suo immenso potere quella sera stessa.
Al tramonto, Hajime non era ancora tornato ed i tre Cavalieri, dopo aver messo a dormire il bambino, sembrava si stessero intrattenendo fin troppo con alcune fanciulle ben disposte ad insegnare loro a cucinare come si doveva per accorgersi del pianto che aveva interrotto il silenzio al piano di sopra.
Per assurdo, Eita fu l’unico ad udirlo e, uscendo dalla sua stanza e ritrovandosi in fondo alle scale che portavano alle stanze del Primo Cavaliere, esitò solo un istante prima di salire quei gradini uno ad uno. La porta della camera da letto era aperta ed il Principe si era alzato a sedere nella culletta accanto al letto dei suoi genitori chiamando a gran voce chiunque fosse disposto a consolarlo.
Quando quegli occhi blu si posarono sul suo viso, Eita comprese perfettamente di non essere la persona che il piccolo Principe aveva sperato di vedere ma il suo papà non era lì e qualcuno doveva pur provare a consolarlo. Eita si fece coraggio, si avvicinò e sollevò il piccolo tra le braccia stringendoselo contro il petto.
Un caos di emozioni lo travolse come un fiume in piena.
Non seppe cosa fece di così speciale da calmare il pianto del bambino ma Tobio alzò subito gli occhi blu su di lui e si calmò mentre studiava i dettagli del suo viso con evidente curiosità. Non aveva paura di lui e questo alleggerì un poco il cuore di Eita che, prendendo confidenza, posò una mano sulla nuca del piccolo accarezzandone i morbidi capelli neri.
“Va tutto bene,” mormorò dolcemente invitando il bambino a rilassarsi contro la sua spalla. “Va tutto bene, il tuo papà torna presto... Non temere...”
Eita poteva sentire il cuoricino forte e veloce battere nel piccolo petto, poteva sentirlo abbassarsi e alzarsi velocemente come il respiro di Tobio tornava regolare dopo il pianto. Le manine si aggrapparono alla sua tunica ed Eita sentì un’immensa voglia di piangere in quel momento.
Era la prima volta che stringeva una creatura così piccola tra le sue braccia, la prima volta che aveva l’occasione di assaggiare ciò che il destino gli aveva proibito di avere per sè e per il suo Re.
Posò le labbra tra quei capelli corvini, poi chiuse gli occhi e si rilassò, godendosi il piacevole calore di quel corpicino stretto contro il suo petto.
Pensò che sarebbe potuto rimanere così per sempre.
La porta alle sue spalle si aprì con un cigolio ed Eita sobbalzò. Due occhi verdi lo rassicurarono immediatamente ma l’espressione sul viso del Cavaliere gli fece trattenere immediatamente il respiro. Hajime lo fissava come se lo avesse colto nell’atto di compiere un omicidio o qualcosa di altrettanto terribile.
“Stava piangendo,” disse con voce tremante. “Volevo vedere come stava...”
Hajime esaurì immediatamente la distanza tra loro. “Dammelo...” Sibilò e gli strappò il bambino dalle braccia prima che Eita potesse passarglielo volontariamente.
Tobio riprese a piangere a causa di quel movimento brusco ma l’attenzione del giovane padre era tutta per il Mago che si era introdotto nelle sue stanze senza permesso. “Che cosa credevi di fare?” Domandò come se Eita avesse fatto qualcosa di concreto per attentare alla vita di Tobio.
Il giovane di Shiratorizawa strinse i pugni. “Stava piangendo e l’ho preso in braccio, tutto qui.”
“Non ti permettere mai più!”
“Avrei dovuto lasciarlo piangere?”
“Nessun cane del Re dell’Aquila deve toccare mio figlio!” Sbottò il Primo Cavaliere con astio. 
Eita rimase congelato.
Tobio piangeva contro il petto di suo padre, mentre gli occhi verdi di Hajime divenivano grandi e sorpresi per la sua stessa rabbia. Quelli di Eita si riempirono di lacrime ma il Mago si guardò bene dal lasciarle scorrere. “Le mie più profonde scuse, mio signore,” disse a testa bassa.
Hajime sospirò. “Eita, aspetta...”
Il Mago, però, lo aveva già superato ed era sparito fuori dalla porta.



Il giorno seguente, Hajime scese in cortile con due archi e due faretre da schiena piene di frecce.
Eita era seduto sulla sua solita panca sotto gli occhi vigili dei tre Cavalieri e ci fu sorpresa sul suo viso quando il Primo Cavaliere gli passò una delle due armi. “Sai tirare?” Domandò Hajime.
Eita prese l’arco tra le dita ed una strana emozione gli fece tremare il petto, forse nostalgia. “Ero un Arciere.”
Per qualche assurda ragione, Hajime non se ne sorprese. Lanciò un’occhiata raggelante ai tre Cavalieri alle sue spalle. “Tobio è di sopra che dorme,” li informò. “Non ammetto altri errori.”
Takahiro ed Issei si limitarono ad annuire con un sorriso nervoso, Kentaro grignò.



“Così eri un Arciere,” fu Hajime il primo ad interruppere il silenzio mentre si dirigevano a piedi verso la parte più folta del bosco, dove sarebbe stato più facile trovare qualche preda da cacciare. 
Eita accennò un sorriso. “Pensavo dovesse esserci silenzio durante una battuta di caccia.”
“Questa non è una seria battuta di caccia,” rispose Hajime continuando a camminare un paio di passi avanti a lui per non doverlo guardare negli occhi. “È una scusa per farmi perdonare del mio ignobile comportamento di ieri sera.”
Eita l’aveva compreso fin dal principio ma gli fece piacere sentirselo dire sinceramente, senza maschere o inganni. Non era abituato a parlare con uomini così, che non avevano ragione di celare ciò che portavano nel cuore. Anche il suo Re era così... O lo sarebbe stato se solo ci fosse stata qualche emozione ad illuminare i suoi occhi di tanto in tanto. “Sì,” rispose infine. “Ero un Arciere del Re, prima che Ushijima ereditasse il trono.”
Hajime gli lanciò un’occhiata veloce da sopra la spalla. “Poi che è successo?”
Eita scrollò le spalle. “Il mio Re ha voluto la mia sicurezza... A corte, lontano dai campi di battaglia.”
“Ma a te manca la battaglia, dico bene?”
Il giovane Mago si fermò e Hajime fece ancora qualche passo prima di voltarsi. “L’ho capito dal modo in cui hai preso quell’arco in mano,” spiegò.
Eita sorrise. “Non ti lasci sfuggire nulla, Cavaliere.”
“Ho al mio fianco un compagno che non mi permette distrazioni,” replicò Hajime riprendendo a camminare. “Per questo non eri qui a Seijou durante la guerra, quindi?”
Eita si concesse un istante prima di rispondere. “No...”
“Come no?”
“Penso che, in quel specifico caso, Ushijima non mi abbia voluto per poter concentrare tutta la sua  attenzione solo su Tooru.”
Fu il turno del Cavaliere di fermarsi ma fu solo per un istante. “Come puoi amarlo ancora?”
“Nello stesso modo in cui fai tu, immagino.”
Hajime lanciò al Mago un’occhiata velenosa. “Non è la stessa cosa.”
Eita abbassò lo sguardo immediatamente. “No, hai ragione...” Non gli disse che sarebbe stato molto più facile per lui se lo fosse stata, se Tooru si fosse rivelato un vero rivale da combattere ed odiare. “Devi scusarmi se, alle volte, dico cose che potrebbero offendere il tuo Re ma sono stato tradito talmente tante volte dal mio che...” Eita s’interruppe, le guance divennero rosse, gli occhi grandi. “Perdonami, non avrai dovuto parlare a sproposito.”
Hajime lo fissava allibito. “Tooru non è il primo che...?”
“Sì,” rispose immediatamente Eita. “Tooru è il primo di tante cose per il mio Re e senza ombra di dubbio è l’unico per cui ha scatenato una guerra.”
Il Primo Cavaliere non riusciva seriamente a capirlo. “E tu riesci a sopportare di stare al fianco di un uomo simile?”
Eita scosse la spalle. “Si tratta di amanti con cui scaldarsi la notte dopo una lunga battaglia lontano da casa, nulla di più.”
“E lo accetti così?”
“No, Hajime, non lo accetto...”
“Ma allora perchè...?”
“Perchè quando ti ritrovi nelle mani di un uomo di potere e gli cedi il tuo cuore senza timore, ci sono cose che devi imparare a sopportare.”
Hajime fece una smorfia. “Non so se riuscirei a sopportare un simile prezzo.”
“Tu che cosa sei senza Tooru?”
Gli occhi verdi si fissarono in quelli chiari. Il Primo Cavaliere fece per rispondere ma nessuna parola uscì dalla sua bocca. Eita annuì con aria grave. “Esatto,” disse tristemente. “È così anche per me. Non c’è nulla dopo Ushijima. Non c’è una vita, una casa o un futuro. Niente. Questo è quello che siamo senza i nostri Re.” Detto questo, incoccò una freccia, sollevò l’arco e ancor prima che Hajime potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, lasciò andare il colpo.
Il Primo Cavaliere rimase congelato come la freccia provocava uno spostamente d’aria minimo ma che percepì chiaramente sul suo viso. Il grido di un rapace lo costrinse a voltare lo sguardo e vide alcune piume marroncine macchiate di sangue cadere sul terreno erboso del bosco.
Sopra di loro, da qualche parte, l’Aquila cantò: aveva vinto contro il cacciatore.
“Riesci a sentirlo, Cavaliere?” Domandò Eita. 
Hajime fece una smorfia. “Bel colpo,” commentò. “Shiratorizawa ha perso una mano ferma ed una bella mira...” Solo un’altra volta il Primo Cavaliere aveva assistito ad una scena simile ed era accaduto anni fa, nella foresta che circondava il Castello Nero e la Capitale. Un pomeriggio d’estate passato al fianco di un Principe che non aveva ancora baciato.
Eita gli sorrise e Hajime si sentì pazzo a pensarlo ma in quel sorriso gli parve di rivedere Tooru.



“No, non sei pazzo,” commentò Issei.
“È strano che te ne sia accorto solo ora, invero,” aggiunse Takahiro al suo fianco.
Entrambi davano le spalle al Primo Cavaliere completamente presi dalla pentola sul fuoco e da quello che stava capitando al suo interno. Hajime, seduto al tavolo della cucina con Tobio accomodato sulle sue gambe, inarcò le sopracciglia confuso. “Che volete dire?”
I due si voltarono a guardarlo in contemporanea, poi si lanciarono un’occhiata tra loro.
“Devono essere gli occhi chiari,” ipotizzò Takahiro.
“Anche i capelli biondi possono confondere,” aggiunse Issei.
“Ehi, smettetela di parlare come se fossi un idiota e non fossi nemmeno qui!” Esclamò Hajime, poi guardò Tobio per assicurarsi di non averlo spaventato ma il piccolo sembrava bello rapito dalla sua palla di pezza e non si curava minimamente di suo padre o della conversazione in corso.
“Ammettiamo una cosa,” disse Takahiro. “Se tutti sapessero quello che sappiamo noi, probabilmente tutto l’esercito avrebbe il suo pettegolezzo per la nuova stagione.”
Hajime li fissò più confuso di prima. “Parlate chiaro.”
Issei scrollò le spalle. “Diciamo che se tutti fossero a conoscenza di quanto passionali siano state le ragioni che hanno spinto il Re dell’Aquila a combattere una guerra contro di noi, tutti guarderebbero Eita e farebbero una gran bella risata di comprensione.”
Hajime era certo di essersi perso. “Giuro che non...”
“Davvero non hai notato che sono praticamente identici?” Buttò lì Takahiro e per il Primo Cavaliere fu come se fosse esploso un colpo di cannone.
“Prego?” Domandò.
“Hajime, avanti...” Issei si portò un passo in avanti. “L’altezza più o meno è quella, fisicamente sembrano fatti con lo stampo... Ma su quello dovresti indagare meglio tu.”
Hajime divenne paonazzo. “Ancora una parola e...”
“Eita ha i capelli chiari ma hai visto come si arricciano sulle punte?” Domandò Takahiro.
“Quelli di Tooru lo sono di più,” commentò Hajime.
“E gli occhi? Li hanno entrambi piuttosto grandi ed espressivi... In conclusione, differiscono sui colori,” disse Issei.
“Per non parlare dell’arco!”
“Già... L’arco!”
“Piantatela subito!” Esclamò Hajime sbattendo un pugno sul tavolo. “Tooru ed Eita non si somigliano per niente!”



Fu solo l’inizio di una lunga serie di episodi imbarazzanti.



Per togliersi il dubbio, Hajime prese a fissare Eita più spesso di quanto fosse consono e se il giovane Mago se ne era accorto, non disse nulla in proposito.
Punti in comune con Tooru effettivamente ne trovò ma nulla di così allarmante da farne un caso di stato: probabilmente, al bastardo Re dei polli piacevano i tipi longilinei ma con una buona muscolatura su cui mettere le mani, con delle belle gambe lunghe da allacciarsi intorno alla vita e tanti capelli morbidi e ricciuti in cui infilare le dita, mentre due occhi grandi...
Si ritrovò a sbattere la fronte contro il muro esterno della casa senza rendersene conto e dovettero farglielo notare i suoi Cavalieri per farlo smettere.



Poi, un bel giorno di fine estate, Hajime fu svegliato dal caos provocato dai suoi compagni al piano di sotto ed anche il sonno di Tobio fu disturbato inducendolo a piangere già di prima mattina e, a sua volta, provocando nel Primo Cavaliere una crisi di nervi tale che meditò seriamente di scendere di sotto a spada sguainata e decapitarli tutti.
Non lo fece e se ne pentì.
“Eita non è nella sua stanza!” Esclamò Takahiro.
“Non riusciamo a trovarlo,” seguì Issei.



Hajime lo trovò poco meno di un’ora più tardi con la stessa facilità e nello stesso luogo in cui lo aveva scovato quando lo aveva fatto prigioniero. Peccato che i dettagli di quell’occasione fossero completamente diversi.
“Buongiorno!” Eita sorrideva quella volta e lo faceva dal centro del laghetto sotto alla cascata con, Hajime dedusse, niente altro addosso a parte la sua pelle. “Ha fatto un gran caldo questa notte e volevo rinfrescarmi un po’,” disse con naturale sincerità, come se non fosse un prigioniero in terra nemica. Sì, un prigioniero speciale e trattato con i guanti su ordine del Re ma pur sempre un prigioniero!
Hajime scese da cavallo sbuffando. “Non devi allontanarti dalla tenuta senza scorta!” Esclamò irritato portandosi sulla riva del laghetto. Non gli piaceva che Eita fosse lì e non aveva importanza che non ci fosse nessuno diritto di proprietà su quel luogo: era il posto speciale suo e di Tooru e che l’amante del Re dell’Aquila vi facesse il bagno con tanta naturalezza era quasi un sacrilegio.
“Volevo rivedere questo luogo,” ammise Eita portando gli occhi chiari sulla cascata. “È bellissimo, non trovi?”
Hajime non aveva bisogno di rispondere. “Esci dall’acqua immediatamente,” disse con fermezza e recuperò i vestiti lasciati sull’erba. Gli occhi verdi rimasero fissi in quelli del Mago per convincerlo che non gli restava altra scelta che eseguire il suo ordine. 
Eita arrossì. “Cavaliere, sono...”
“Muoviti!” Sbottò Hajime.
Eita si fece rigido e poi eseguì. Solo allora il Primo Cavaliere si rese conto che fu un errore non starlo ad ascoltare: tutti gli indumenti di Eita erano lì, tra le sue mani ma la rabbia nel vedere il compagno del suo peggior nemico in quel luogo praticamente sacro per lui aveva cancellato quel fondamentale dettaglio dalla sua mente.
Le guance di Eita si fecero rosse come uscì dall’acqua ma tenne la testa alta per tutto il tempo, come se non provasse alcuna vergogna a farsi guardare così. Hajime, da parte sua, non seppe che fare, così rimase col braccio sospeso a fissare il giovane Mago fino a che questi non recuperò i propri vestiti ed allora si voltò. “Rivestiti ed andiamocene.”
“Tu vuoi che mi rivesta?” Domandò Eita.
Hajime non comprese la domanda ma non si voltò nemmeno di poco. “Non mi hai sentito?”
“Ho sentito il tuo sguardo su di me per giorni,” rispose il giovane Mago.
Hajime sospirò con una smorfia. “Qualunque cosa tu creda devi aver frainteso.”
“Sei sicuro?”
Il Cavaliere avvertì una mano umida posarsi sul retro del suo collo per poi risalire tra i corti capelli neri sulla sua nuca. Hajime fece un passo in avanti sottraendosi a quella carezza. “Che cosa stai facendo?” Sibilò.
“C’è un pensiero molesto che mi tormenta da quando ho cominciato ad osservarti,” ammise Eita. “In principio, dovevo parlare solo con Tooru... Tu non centravi nulla. Però sei stato tu il primo che ho incrociato sul mio cammino... Tu ed il tuo splendido bambino...”
“Arriva al punto, Eita.”
“Vi ho osservati senza farmi vedere e mi sono reso conto che, invece di guardare Tooru, guardavo te.”
Hajime chiuse gli occhi per un istante. “Eita, smettila, questo non risolverà niente!”
“Allora perchè non sali su quel cavallo e te ne vai?”
“Perchè ho bisogno che tu capisca!”
“Cosa?” Domandò Eita e Hajime potè udire le lacrime nella sua voce. “Ho passato anni ad immaginare che quel che mancava alla felicità mia e di Ushijima era un figlio. In principio, ho guardato la tua famiglia e ho pensato che tutto quello sarebbe potuto essere nostro se solo... Poi ho smesso di osservarvi nella vostra totalità e ho cominciato a guardare te... Ho visto il padre devoto, ho visto il compagno innamorato...” Una pausa. “Io non so come sarebbe Ushijima come padre ma so che tra me ed il mio Re non c’è mai stato quello che vedo tra te e Tooru.”
Un singhiozzo.
“E allora ho cominciato a pensare che Ushijima e Tooru ci avevano traditi l’uno con l’altro e che, in un certo senso, eravamo così simili io e te nel condividere un destino accanto a due Re che ci hanno dato tutto quello che abbiamo in cambio del nostro cuore... E che quel cuore non è al sicuro tra quelle mani meno di quanto lo sia alla mercè di questo mondo crudele.”
Un sospiro.
“Ho pensato che io e te... Non lo so, Hajime ma l’ho pensato e questo pensiero non mi ha lasciato più andare.”
Hajime si morse il labbro inferiore: gli dispiaceva, lo doveva ammettere. Gli dispiaceva che un giovane che nulla avrebbe dovuto elemosinare per un poco di felicità fosse prigioniero di un amore oscuro per il Re dell’Aquila. Sì, Hajime provava compassione per quel giovane ma non poteva salvarlo.
Si voltò lentamente: Eita si era stretto i vestiti contro il corpo nudo coprendendosi alla male e peggio ma il Cavaliere fu attento a porre attenzione soltanto ai suoi occhi.
“Ti ho chiesto di uscire immediatamente da quell’acqua perchè questo è il luogo in cui io e Tooru ci siamo baciati per la prima volta,” gli spiegò con voce gentile e paziente. “Questo è il luogo in cui abbiamo concepito Tobio. Ogni nostro inizio è partito da qui ed avevo solo fretta che ne andassi perchè Shiratorizawa questo luogo non deve averlo in alcun modo.”
Eita strinse le labbra e non disse una parola.
“Per qualunque cosa abbia fatto per alimentare quel pensiero ti chiedo scusa,” aggiunse il Cavaliere ma non chinò la testa neanche per un istante. “Io amo Tooru e Tooru ama me. Questo è tutto, quella notte col tuo Re non è stato niente e, per quanto io possa essere arrabbiato, non sarò il tuo amante di una volta sola per leccarci le ferite a vicenda e vendicarci del tradimento che abbiamo subito. Non sarebbe giusto... Io sono il padre del figlio di Tooru, io sono chi Tooru ha scelto... Mi dispiace che tu non sia nessuna delle due cose per il tuo Re ma io non posso...” Si bloccò. “Non posso,” concluse. Semplice. Coinciso.
Eita annuì e non si azzardò a pronunciare parola.
“Ti lascio il mio cavallo,” aggiunse il Cavaliere voltandosi definitivamente. “Prenditi il tuo tempo e torna alla tenuta, io andrò a piedi.”
Nessuno dei due si accorse dell’aquila che li osservava.


***




Kenjirou era un giovane e promettente Arciere quando Ushijima era divenuto il Re dell’Aquila e aveva preso a combattere guerre per rendere il suo Regno più grande e potente di quanto già non fosse. Eita era il Primo Arciere di tutta Shiratorizawa allora e vederlo insieme al loro Re camminare l’uno al fianco dell’altro era quanto di più poetico e favoleggiante si potesse vedere all’interno della corte. Entrambi giovani, entrambi bellissimi e con un futuro dorato di fronte a loro.
Erano solo due adolescenti e sembrava potessero far inginocchiare l’intero mondo ai loro piedi.
Kenjirou li aveva sempre guardati da lontano nascondendo l’invidia che provava per quel giovane dai capelli dorati nel migliore dei modi che conosceva. Eita era bello, talentuoso e con una personalità che sembrava incantare tutti i membri della corte facendo dimenticare loro le sue umili origini.
Kenjirou era il figlio più piccolo di una famiglia della nobiltà minore e non ci sarebbe stata nessuna eredità degna di nota per lui nel suo futuro, per questo i suoi genitori avevano accettato di farlo addestrare a corte. Era il solo modo che avesse per conquistarsi qualcosa di suo.
Kenjirou non era bello, non come Eita comunque e non aveva una personalità carismatica e brillante come l’amico più vecchio ed intimo del Re, Satori. Era solo un ragazzino quando Ushijima divenne Re e tutto quello di cui poteva vantare era un naturale talento con l’arco e le frecce che, però, sembrava nulla in confronto a quello del fanciullo accanto al giovane sovrano.
La sua fortuna, infine, arrivò poco dopo l’incoronazione del Re dell’Aquila e dovette ringraziare Eita ed il modo in cui incantava il suo potente amante per questo. Ushijima non aveva più permesso al suo migliore Arciere di scendere sul campo di battaglia, relegandolo esclusivamente al ruolo di Mago di corte. Il dono che scorreva nel suo sangue, evidentemente, era ben più prezioso di quello che poteva mettere in pratica quando le sue dita si stringevano intorno ad un arco ed una freccia.
Nessuno aveva accennato alla sua terza dote, quella che rivelava solo al suo signore quando la porta della sua camera da letto veniva chiusa e le lenzuola che stringeva tra le dita nella passione divenivano il suo unico contatto con la realtà. Satori e gli altri Cavalieri del Re non erano così meschini nei suoi confronti. Forse, perchè si conoscevano fin da bambini o, forse, perchè Eita aveva saputo incantare con la sua dolcezza anche loro.
Kenjirou, tuttavia, nel suo silenzio fatto di espressioni vuoti e di sguardi lontani, guardava Eita e non vedeva altro che una nullità che era riuscita a divenire qualcuno accogliendo tra le cosce l’uomo più potente in circolazione. Una storia vecchia come il mondo, dopotutto.
Così, Kenjirou era strisciato fuori dal suo angolo buio e aveva dato prova del suo valore in ogni battaglia che era seguita all’incoronazione del suo Re.
Così, era successo...
Ushijima aveva, infine, allonatanato gli occhi da Eita per posarli su di lui.
Kenjirou avrebbe mentito se non avesse detto che quello era stato il giorno più felice della sua vita.
Forse, per la prima volta nella sua giovane vita, aveva deciso di dare una possibilità alla felicità, anche se folle ma, dopotutto, i più esperti non era così che la definivano?
Quella di Kenjirou era durata una notte e solo al sorgere del sole aveva compreso quanto la sua felicità fosse, in realtà, stata solo pura ingenuità. Anche le battaglie erano finite e, forte del nome che si era creato, Ushijima, Re dell’Aquila, era tornato tra le braccia del suo Eita senza nemmeno accenare a volersi voltare.
Kenjirou non aveva detto nulla, era tornato dietro al suo muro di silenzio: l’unico luogo a cui appartenesse.
Satori sapeva qualcosa. Kenjirou non dubitava che Ushijima fosse rimasto completamente in silenzio riguardo alla faccenda ma Satori, semplicemente, sapeva e lo capì dalla sfumatura di pietà appena percettibile nei suoi occhi quando lo guardava.
Nulla era cambiato.
Nulla.
Nulla fino a che la luce di Ushijima ed Eita aveva cominciato a morire lentamente per ragioni che tutti gli altri potevano solo intuire. Fino a che il Principe Demone non era comparso sul palcoscenico di quel mondo di Re pronto a divenire protagonista della scena con chiunque fosse stato ben disposto a reggere il suo ruolo.
Infine, era scoppiata la guerra contro il Regno di Seijou ed il cuore del Re dell’Aquila era divenuto impossibile da raggiungere per chiunque non avesse un bel sorriso solare e tentatore, due grandi occhi scuri e la personalità carismatica del giovane Demone che aveva saputo incantare Ushijima megllio di quanto Eita avesse mai saputo fare.
Peccato che Tooru di Seijou di quel cuore tanto ambito non sapesse che farsene ma la sua indifferenza non era stata sufficiente a riportare Ushijima da Eita. Tuttavia, era servita a convincere il bel biondino ad andarsene.
Kenjirou, in cuor suo, si era lasciato sfuggire un sorriso sollevato quando il Re aveva ordinato che fossero organizzate delle squadre di ricerca e che queste si erano rivelate completamente inutili.
Per questo, quel giorno, Kenjirou fece esattamente quello per cui aveva biasimato Eita per anni: si assicurò che nessuno lo vedesse e salì fino agli appartamenti del Re con l’assoluta certezza di trovarlo da solo, abbandonato, arrabbiato.
Tooru non lo voleva e, alla fine, nemmeno Eita era riuscito a rimanere al suo fianco.
Il Re dell’Aquila era da solo e Kenjirou poteva...
“Non lo troverai...” Disse una voce alle sue spalle, bloccandolo a metà della scalinata di marmo bianco. Kenjirou si voltò e trovò Satori ai piedi delle scale che lo guardava col suo solito sorriso pieno di consapevolezza. “Non è al Castello Bianco.”
Kenjirou inarcò le sopracciglia. “E dov’è?”
Satori lo guardò con pietà e lo odiò per questo. “A riprendersi quello che è suo.”


***



Il Castello Bianco non era come casa.
No, era completamente il contrario.
Tooru, però, era troppo vivace ed entusista per il futuro splendente che gli si mostrava davanti, salone dopo salone, per sentirsi smarrito. Non faceva che sorridere raggiante a chiunque Ushijima gli presentasse, sebbene non riuscì a memorizzare nemmeno la metà di quei nomi.
Le sua stanza dava sul mare ed era uno spettacolo che al Castello Nero non si sarebbe mai potuto sognare. 
“La mia stanza è quella accanto alla tua,” gli disse Ushijima.
Quello fu il primo dettaglio a far sentire Tooru contrariato. “Pensa che questa fosse... Non dormire insieme?”
“Ogni notte,” rispose Ushijima prendendogli il viso tra le mani. “Le coppie reali, però, hanno dormito in stanze separate da sempre. Il Re deve attendere degli obblighi che potrebbero annoiarti.”
Tooru rise. “Mi hanno cresciuto per essere Re a mia volte, non sono una damina capricciosa.”
Se Hajime fosse stato lì, avrebbe replicato che sì, era capirccioso eccome ma Tooru decise di scacciare il pensiero del suo amico d’infanzia con determinazione. 
“Così è,” insistette Ushijima e Tooru dovette sforzarsi per nascondere la profonda delusione. 
Strinse le labbra per un istante. “Vorrà dire che troverò un modo per farti cambiare idea molto presto,” disse come il Demone tentatore che era.
Bussarono alla porta e Ushijima diede il permesso di entrare. Un giovane dai capelli biondi e gli occhi chiari entrò nella stanza con la testa china in segno di rispetto. “Miei signori...”
“Avvicinati, Eita,” gli concesse Ushijima. “Tooru, ti presento colui che è stato il nostro Primo Arciere del Regno ed ora Mago di corte.”
Gli occhi del giovane Demone s’illuminarono. “Il Primo Arciere del Regno...”
Eita non si azzardò ad alzare lo sguardo. “In passato, mio signore.”
“Lo conosco da quando eravamo bambini,” continuò Ushijima. “Sei nelle sue mani in mia assenza.”
Tooru si fece più vicino all’altro ragazzo senza il minimo rispetto per il suo spazio personale. “Pratichi ancora l’arco?”
“Quando mi è possibile, mio signore.”
“Oh, chiamami pure Tooru, mi par di capire che passeremo molto tempo insieme!”
Eita sgranò gli occhi chiari e guardò in faccia il giovane consorte per la prima volta da quando era entrato nella stanza. Tooru sorrise. “Così va molto meglio!” Esclamò. “Che ne dici di mostrarmi dove un Arciere può fare pratica col suo arco da queste parti?”
Aveva solo quindici anni, Tooru di Seijou e per quanto fosse brillante, gli sfuggì completamente un dettaglio in quella scena, tipo il leggero rancore con cui Eita lo guardò per tutto il tempo.


***



Eita salì sul cavallo che Hajime gli aveva gentilmente concesso per tornare indietro almeno un’ora dopo che il Cavaliere lo aveva lasciato da solo. Piangeva ancora e l’animale si muoveva lentamente tra gli alberi provando quanta poca voglia avesse il giovane Mago di tornare alla tenuta dopo quello che era successo ma, in fin dei conti, doveva portare a termine il suo piano e non poteva permettersi di tornare a Shiratorizawa a mani vuote, ora meno che mai.
Non sapeva a che punto del bosco fosse giunto quando qualcosa lo colpì con violenza alla testa disarcionandolo. Cadde su un fianco e non si fece eccessivamente male ma il suo cavallo si spaventò e prese a correre tra gli alberi sfuggendo velocemente dalla sua portata. 
Eita si sollevò facendo leva sulle braccia mentre il suo viso si contorceva in una smorfia dolorante. La voce di un’aquila spezzò il silenzio del bosco ed Eita non si sorprese di sentire due mani forti afferrarlo per le braccia e sollevarlo di peso per poi intrappolarlo con la schiena contro il tronco dell’albero più vicino.
Due occhi taglienti lo fissarono dall’alto al basso con quello che parve astio.
Eita sorrise con sarcasmo.
“Che cosa ci trovi di così divertente?” Domandò il suo aggressore.
“È ironico, tutto qui,” rispose Eita. “Anni tra le tue braccia e non sono mai riuscito ad ottenere la reazione che hai ora, dopo avermi visto tra quelle di un altro uomo.”
Ushijima lo lasciò andare e fece un passo indietro. Gli occhi chiari di Eita caddero sulla manica destra della sua camicia, dove la stoffa bianca era stata macchiata dal sangue fuoriuscito da una ferita recente ma superficiale. Anche il Re dell’Aquila abbassò lo sguardo sulla parte lesa. “Sai che cosa potrei farti per questa, vero?”
Eita non si sentì intimorito neanche un po’. “Sai che se ti avessi voluto colpire, lo avrei fatto,” replicò. “Ero il tuo Primo Arciere, ricordi? Prima che quel moccioso inespressivo prendesse il mio posto, intendo.”
“Sei geloso anche di Kenjirou, ora?”
“Non trattarmi come se fossi un pazzo paranoico, Ushijima,” era il turno di Eita di essere astioso. “Non posso odiare Tooru, nonostante sostieni di amarlo. Almeno lasciami odiare un ragazzino ingenuo che ti sbava dietro senza ritegno.”
Ushijima tornò a rivolgergli la sua solita espressione marmorea. “Non parliamo di cose inutili.”
“No,” Eita staccò la schiena dal tronco dell’albero e posò una mano sul petto del suo Re con naturalezza. “Parliamo del fatto che avrei fatto l’amore col Primo Cavaliere del Regno di Seijou sapendo che mi stavi osservando e mi sarebbe piaciuto... Mi sarebbe piaciuto tanto.”
Ushijima strinse i pugni ed un barlume di rabbia illuminò quegli occhi taglienti per una frazione di secondo.
“Hai idea di quanto goda Tooru tra le sue braccia?” Domandò Eita con occhi gelidi. “Li ho sentiti fare l’amore e non ricordo più l’ultima volta che anche noi siamo stati così passionali. Dimmi che sono banale se vuoi ma comincio a credere che Hajime sia riuscito a concepire un figlio col suo Re semplicemente perchè è un uomo più capace di te.”
Ushijima gli afferrò la gola ma non strinse la presa ed Eita non ebbe paura di lui nemmeno in quel momento. Fu un istante, poi lo lasciò andare. “Che cosa sei venuto a fare qui?” Era più calda la voce del Re e così anche il viso di Eita si addolcì notevolmente. “Posso risolvere ogni cosa, Ushijima. Devi solo concedermi un altro po’ di tempo.”
Il Re dell’Aquila lo guardò con quella che poteva essere confusione. “Spiegati...”
“Fidati di me.”
“Stavi per tradirmi.”
“Ma non te lo avrei nascosto,” ribadì il giovane Mago tornando accanto al suo amante ed accarezzandogli il petto forte da sopra la camicia. “Come tu non lo hai nascosto a me.”
“Dovrei prendere questa come una prova del tuo amore?”
Eita sorrise e per un momento fu semplicemente il giovane fanciullo innamorato che il Re dell’Aquila aveva voluto al suo fianco senza alcuna altra ragione che non fosse un sentimento sincero. “Riceverai presto una prova del mio amore,” sfiorò le labbra del suo Re con le proprie. “Mi aspetterai questa notte?”
“Sono venuto per riportarti a casa.”
“Ancora una notte,” lo pregò Eita appoggiando una guancia sopra il suo cuore. “Aspettami, mio Re, come quando eravamo ragazzini che combinavano guai lungo le spiagge del Castello Bianco. Sarò da te al sorgere del sole ed allora potremo dimenticare tutto questo.”
Quella notte, la nuova luna sarebbe sorta nel cielo ed allora il loro destino non sarebbe più stato così sfortunato. Dovevano solo avere ancora un po’ di pazienza.


***




Tooru aveva vinto.
Sì, aveva vinto e lo aveva fatto con le sue sole forze.
Certo, non avevano ancora il Castello Nero ma cosa potevano un gruppo di nobili vecchi ed idioti barricati dentro una fortezza che dava su di un dirupo? 
La Capitale era loro ed il popolo li aveva accolti come se fossero dei liberatori.
Ancora pochi giorni e sarebbero potuti tornare a casa e quel Regno sarebbe diivenuto il luogo che lui e Hajime avevano sempre sognato per loro ed il loro bambino. 
Tuttavia, non aveva rispettato la sua promessa e, sebbene tra una smorfia di dolore e l’altra, non poteva fare a meno di sorridere all’idea di quanto il suo Cavaliere gli avrebbe urlato contro a sapere  di come si era ridotto per permettere al suo esercito di superare le porte della Capitale.
Shinji entrò nella sua tenda al calar del sole con un calice di vino in mano. 
“State bene, mio signore?”
Tooru era costretto a letto da quasi due giorni e, sebbene il Generale Mizoguchi avesse insistito per prendere il comando affinchè si riposasse, era difficile tenere fermo il ribelle Re Demone a meno che non ci fosse il Primo Cavaliere in persona a prendersi cura di tutto.
Il sovrano gli sorrise mettendo da parte il libro che stava leggendo e prendendo il dono offerto dal giovane Arciere molto volentieri. “Ti ringrazio...”
“Dovere, mio signore. Posso permettermi di chiedervi come sta vostra maestà?”
Tooru sospirò con un broncio infantile osservando con noia la gamba fasciata appoggiata sopra la trapunta del suo letto da campo. “Me la caverò, anche se il Curatore mi ha ripetuto per l’ennesima volta che se non fossi stato un Demone, salvarmi la gamba sarebbe stato impossibile e tenermi in vita ancor più difficile.”
“Provate ancora molto dolore?”
Tooru lasciò andare una risata. “Dopo la nascita del mio Tobio-chan, ogni dolore è solo un mero fastidio per me.” Prese un gran sorso del suo vino e rilassò la schiena contro i cuscini del letto. “Domani potresti partire per le campagne?” Domandò con un sorriso dolce e sommesso. “Non ho una lettera pronta ma vorrei che il mio Cavaliere sapesse che il mio pensiero va a lui e al nostro bambino e che presto potremo tornare tutti a casa.”
Shinji sorrise. “Sarà fatto, mio sigore.”
S’inchinò ed uscì lasciando il giovane sovrano di nuovo solo.
Tooru sorrise tra sè e sè, poi appoggiò il calice di vino sul comodino accanto al suo letto e fece scivolare una mano sotto uno dei cuscini per tirarne fuori una bianca cuffietta per neonati merlata di pizzo. La prese tra le mani accarezzandone la stoffa bianca con la stessa dolcezza con cui era solito accarezzare il suo Tobio-chan. Se la portò alle labbra e chiuse gli occhi cercando tracce dell’odore del suo bambino. 
Quanto gli mancava il suo Principe. Quanto gli mancava suo padre e quanto gli mancavano i loro momenti insieme, come una famiglia qualunque, felice del semplice fatto di essere insieme.
“Non vedo l’ora di essere di nuovo con voi...”


***



Eita si ritirò in camera senza cenare: non aveva alcuna voglia di affrontare gli occhi verdi di Hajime e doveva prepararsi per qualcosa di molto più importante.
Il cielo era scuro e la nuova luna era appena visibile sopra le chiome degli alberi fuori dalla sua finestra. Fece scivolare una mano sotto il cuscino e ne tirò fuori una piccola fiala piena di un liquido vermiglio: la gentile concessione che Tooru gli aveva fatto con la promessa che i loro destini non si sarebbero incrociati mai più.
Si portò davanti alla finestra con gli occhi chiari rivolti alla luna e con sommo rispetto recitò le parole del sortilegio che non avrebbe mai dovuto imparare.
Alla fine, aprì la piccola fiala con mani tremanti e ne bevve il contenuto tutto d’un fiato.
Aspetto. Aspetto. Aspetto ancora.
Mentre un nodo doloroso gli stringeva la gola provò ad alzarsi in piedi per valutare se qualcosa fosse seriamente cambiato o meno. Le gambe lo ressero per appena un passo, poi collassò a terra e perse i sensi.



La prima parola di Tobio fu mamma.
Hajime, da principio, rimase a fissarlo basito, dopo averlo udito. Il Principe sedeva nella sua culletta con una camicia che Tooru si era lasciato dietro stretta tra le manine, l’orlo stretto tra le piccole labbra piene. C’era ancora l’odore di Tooru su quella stoffa e Hajime aveva scoperto che era un gran conforto per Tobio dormirci insieme in assenza della mamma ma mai avrebbe creduto che avrebbe sortito un effetto simile, non dopo i lunghi monologhi che la mamma in questione faceva all’insaputa (o almeno così l’idiota s’illudeva che fosse) del papà per far sua la prima parola del loro bambino.
“Tobio...”
L’orlo della camicia scivolò via dalla bella boccuccia piena come gli occhi blu si fissarono in quelli verdi del Cavaliere. Hajime si sedette a terra, accanto alla culla. “Puoi ripetere a papà quello che hai detto?”
Tobio riprese giocare con la camicia bianca tendendo le piccole braccia in avanti e tenendo la stoffa sollevata davanti al faccino come se la stesse studiando con attenzione. “Mama...” Lo disse a bassa voce, come se si vergognasse.
“Piccolo,” Hajime si fece più vicino e posò una mano sulla nuca del bambino. “C’è qui papà, avanti...”
Gli occhi blu si sollevarono di nuovo e lo guardarono. “Mamma...” La vocina era incerta ma non c’era dubbio su quello che stesse cercando di dire.
Hajime sentì un nodo stringergli la gola.
”Iwa-chan! Iwa-chan! Ho vinto! Ho vinto io!”
Tooru non era lì per dirglielo, non era lì per sentire il loro bambino pronunciare la sua prima parola e nominarlo vincitore ufficiale di quella sciocca sfida. Non era lì per commuoversi un istante più tardi perchè, Re o non Re, Tooru era sempre stato di lacrima facile per qualsiasi emozione più forte dell’ordinario e quella era unica... Tanto unica che Hajime si chiedeva come sarebbe stato sentirlo dire papà.
Strinse la labbra in Cavaliere e coricò sotto le copertine il suo bambino posando un bacio tra quei capelli cornivi che, se chiudeva gli occhi, poteva quasi dire fossero morbidi come quelli della mamma. “Buona notte, piccolo.”


***



Ushijima fece come Eita gli aveva pregato di fare: aspettò.
Vagò per tutta la notte tra gli alberi di quel bosco in cui gli era capitato di volare più di una volta e, inevitabilmente, finì per avvicinarsi pericolosamente alla tenuta in cui sapeva che Tooru risiedeva insieme al suo Cavaliere e al bambino che avevano messo al mondo.
Che cosa si aspettasse di vedere nel cuore della notte da quelle finestre non lo sapeva neanche lui ma il bambino avrebbe potuto piangere e svegliare i suoi genitori costringendoli ad accendere una candela che potesse rendere visibile qualcosa oltre quei vetri scuri.
Ushijima non seppe per quante ore restò lì, vicino ma comunque nascosto, ad osservare invano quella casa che non era lontanamente degna di chi ospitava. Non accadde nulla tra quelle mura ma, ad un certo punto, accadde qualcosa all’esterno.
Un cavallo arrivò al galoppo ed un giovane Cavaliere con addosso i colori di Seijou scese dalla sella e corse all’interno del cortile della tenuta come se fosse una questione di vita o di morte.



Hajime venne svegliato da Issei e Takahiro insieme e non ebbe tempo di chiedere cosa diavolo stesse succedendo che i due lo tirarono giù dal letto e lo misero in piedi. 
“È urgente!” Si giustificò il primo.
“Si tratta di Tooru!” Aggiunse il secondo.
Hajime fu fuori dalla tenuta in men che non si dica e trovò Shinji ad aspettarlo con espressione allarmata ed il fiaco corto: doveva aver cavalcato senza sosta dal Castello Nero fino a lì.
“Parla!” Ordinò Hajime cercando di mantenere il controllo ma il cuore nel suo petto non ne voleva sapere di battere normalmente.
“Il R-Re... L-lui...”
“Cosa è successo al Re?” Domandò Hajime.
Shinji cercò di parlare ma tremava da capo a piedi.
Il Primo Cavaliere perse la testa. Afferrò il giovane Arciere per le spalle e lo scosse con forza. “Che cosa è successo a Tooru, parla!”
Takahiro ed Issei furono subito al suo fianco cercando di tenerlo fermo.
“È in fin di vita, mio signore,” disse finalmente Shinji ed allora il Primo Cavaliere smise di strattonarlo, smise di respirare, smise di fare qualsiasi cosa...
“Hajime?” Lo chiamò Issei stringendogli una spalla.
“Ehi, amico...” Takahiro gli afferrò un braccio mentre il Cavaliere lasciava ricadere le proprie mani lungo i fianchi liberando Shinji dalla sua presa. Ci fu un attimo d’immobilità totale in cui nessuno dei tre Cavalieri seppe cosa fare, poi tutto accadde d’impulso: Hajime si liberò dalla presa dei suoi amici e salì sul cavallo su cui era arrivato Shinji.
Takahiro ed Issei intervennero immediatamente cercando di afferrare le briglie dell’animale per impedire al Primo Cavaliere di compiere qualche sciocchezze. 
“Non puoi cavalcare fino al Castello Nero nel cuore della notte, è pericoloso!” Diceva uno.
“Sei fuori te, non puoi andare da solo!” Diceva l’altro.
Hajime non ascoltava nessuno, non gli importava di nessuno. In quel momento, sembrò dimenticarsi persino del bambino che dormiva nella culla nella sua camera da letto. “Toglietevi di mezzo!” Urlò, poi lanciò il cavallo al galoppo.
Complice l’oscurità della notte, nessuno vide l’aquila volare al seguiro del Primo Cavaliere di Seijou.


***



I Curatori non seppero spiegarselo.
Tooru si era ferito malamente, era vero ma la lesione aveva reaggito come qualunque altro danno fisico inferno ad un Demone: aveva immediatamente preso a guarire da sola col tempo e col riposo necessario perchè il corpo del giovane Re facesse il suo lavoro al meglio col supporto esterno di tutte le cure mediche necessarie.
Gli era stato detto che era una brutta ferita.
Gli era stato detto che, in condizioni umane, nessuno avrebbe potuto salvargli la gamba e che se un’infezione fosse sopraggiunta, ci sarebbero state poche possibilità di salvare la sua stessa vita. 
Tooru aveva risposto con un sorriso arrogante e aveva detto, pur febbricitante e poco lucido per il danno appena subito, quello che diceva a chiunque gli chiedesse se il dolore era sopportabile: “ho dato alla luce un bambino, rispondetevi da soli!”
I Cavalieri avevano riso. I Curatori avevano alzato gli occhi al cielo squotendo la testa.
Ora, entrambi le parti era congelati di fronte all’improvviso peggioramente del giovane Re.
Per dirla in parole povere, sembrava che tutta la magia nel suo sangue, quella che aveva reso quella ferita un semplice danno temporaneo, fosse sparita di colpo lasciando Tooru agonizzante come un comune essere umano nelle sue stesse condizioni.
“Hajime... Hajime...” Quelle erano stato le uniche parole che era stato capace di pronunciare per ore, tra i singhiozzi. “Hajime... Tobio... Devi proteggere Tobio... Hajime...”
Per questo Shinji era partito senza aspettare l’alba o un ordine del Generale.



Per questo Hajime stava correndo disperatamente per raggiungere il Castello Nero prima che fosse troppo tardi.



Fu un altro, però, ad afferrare la mano tremante di Tooru per primo.



Tooru, da principio, neanche si accorse della presenza di un’altra persona all’interno della sua tenda. 
La febbre lo costringeva in uno stato di dormi-veglia continuo e distinguere la realtà dagli incubi e dai deliri stava divenendo più difficile ogni ora che passava. Voleva che il suo Cavaliere gli stringesse la mano, voleva stringere il suo Tobio tra le braccia ancora una volta prima che... Prima che...
“Non voglio morire,” sussurrò all’oscurità. “Non voglio morire... Non...”
Una mano fresca passò tra i suoi capelli umidi di sudore. “Questo non accadrà,” disse la voce ferma di un uomo. “Non te lo permetterò mai.”
E Tooru s’illuse che qualcuno avesse ascoltato le sue suppliche ed avesse portato il suo Cavaliere ed il suo Principe da lui. “Hajime...” Chiamò cercando di sorridere mentre le lacrime gli bagnavano le guance già umide. “Mio Cavaliere... Sei venuto da me...”
Tentò di aprire gli occhi e continuò a farlo fino a che non ci riuscì e le sue dolci speranze s’infransero contro le mura della cruda realtà, come il suo sorriso. 
Gli occhi taglienti del Re dell’Aquila non si fecero sfuggire la delusione scritta a chiare lettere in quelli scuri dell’altro sovrano. Tooru esitò solo un istante, poi voltò il viso nella direzione opposta e lo ignorò deliberatamente.
“Tooru...”
“Sei solo un incubo, sparirai non appena mi sveglierò.”
“Sei già sveglio, Tooru,” Ushijima gli accarezzò i capelli ancora una volta chinandosi verso di lui. “Guardami. Sono qui, guardami.”
Tooru artigliò le lenzuola e strinse gli occhi. “Se sei qui, vattene!” Avrebbe dovuto essere un urlo ma fu poco più di un’esclamazione stridula. “Non puoi essere reale. I miei uomini non ti avrebbero mai fatto arrivare vivo da me.”
Ushijima sospirò. “Sai bene che potrei evitarli senza problemi.”
“Già...” Tooru aprì gli occhi e fissò il vuoto. “Sei sempre stato un mostro ma non sono mai riuscito a dare un nome a ciò che ti rendeva tale.” Poi riprese a singhiozzare. “Dov’è Hajime? Voglio svegliarmi...”
“Sei già sveglio,” gli ricordò Ushijima. “Il tuo Cavaliere sarà qui molto presto.”
Tooru lo guardò con gli occhi scuri resi ancor più grandi dalla paura. 
“Non gli ho fatto alcun male,” lo rassicurò.
Il giovane Re scosse la testa. “Me lo dissi anche la notte in cui mi costrinsi a tradirlo... Era una bugia... L’hai spinto nel dirupo, me lo ha detto lui...”
“Non ti ho costretto a fare nulla,” gli ricordò Ushijima. “Tu sei venuto da me.”
“Dovevo proteggere il mio bambino,” L’espressione di Tooru si era addolcita, sebbene stesse ancora guardando in faccia il suo peggior nemico. Ushijima ebbe come la spiacevole sensazione che lo stesse guardando senza realmente vederlo. “Il mio bambino... Tobio...” Un sorriso delirante. “È bellissimo il mio piccolo Principe, il mio Tobio-chan...”
”Non è bello come te,” avrebbe voluto replicare il Re dell’Aquila ma decise di rimanere in silenzio.
“È nato per sconfiggerti, lo sai?” Ora, l’espressione di Tooru era puramente folle. “È nato per essere il Principe Demone più grande e forte dei Regni liberi.”
Ushijima sapeva benissimo che in una situazione normale non avrebbero mai avuto quella conversazione. Per quanto fosse assurdo, era una fortuna che lui già sapesse ogni cosa e che i sogni di cui parlava Tooru gli fossero già stati descritti da Eita tempo fa.
“Sarà bellissimo, forte, valoroso...” Tooru parlava da solo ed il Re dell’Aquila ascoltava paziente. “Tutte le Principesse ed i Principi cadranno ai suoi piedi come cadevano ai miei... Come hai fatto anche tu...”
Ushijima non replicò.
“E Tobio non vedrà nessuno di loro, perchè avrà occhi solo per uno... Per il Principe che lo porterà alla sua rovina... Così è scritto, così accadrà... Proprio come è accaduto a me...”
Il Re dell’Aquila si fece immediatamente attento. “Te ne penti?” Domandò.
Tooru sorrise e, quando lo guardò, Ushijima vide un abisso di pietà nei suoi occhi. “Pentirmi? I peccatori si pentono delle loro colpe, i perdenti delle loro debolezze. Io sono il Re vittorioso qui...”
“Sì ma a che prezzo?”
“Hai mai amato Re dell’Aquila?”
Ushijima non esitò un attimo. “Sì...”
“Non me,” aggiunse Tooru chiudendo gli occhi stancamente per un istante. “Intendo amore vero, quello che non ha altro scopo all’infuori di se stesso.”
“Non si può vivere solo d’amore, Tooru.”
“Sarebbe meglio che i Re dell’amore non conoscessero nulla,” aggiunse il giovane Demone malinconicamente. “Alla fine, non è nemmeno una questione di potere o ambizione... È responsabilità, è condanna... Non puoi essere uomo e Re, non puoi provare e governare.”
La mano di Ushijima si muoveva da sola tra i capelli del Re Demone. “Sedere sulla cima del mondo significa essere soli.”
“Ti senti solo, Re dell’Aquila?”
“E tu?”
Quei grandi occhi scuri sembravano ancor più belli lucidi di febbre. “Io ho un Cavaliere devoto al mio fianco. Il padre di un figlio che abbiamo desiderato e amato ancor prima che nascesse...”
“Hajime non può capirti come ti capisco io,” replicò Ushijima senza una reale intonazione. “Avevi quindici anni, eri solo un Principe più bello e più sveglio degli altri ma non era questo ad avermi compito di te...”
“Cosa allora?”
“L’insoddisfazione...” Mormorò il Re dell’Aquila sommessamente. “Sapere di avere tutto e non poter fare a meno di desiderare di più. Nemmeno il mondo intero ai tuoi piedi avrebbe saputo soddisfarti e mi sono innamorato di quella tua superbia perchè è anche la mia. La prima volta che l’ho sentito, mi sono guardato allo specchio con la paura di vedere un mostro.”
“Non avevo Hajime allora...” Gli ricordò Tooru. “Non avevo Tobio... E li desideravo entrambi.”
“Ed ora che li hai ti basta così?”
Tooru non rispose, i frammenti di una convervazione che aveva avuto con Hajime gli tornarono in mente senza permesso: una vita semplice con i suoi amori non gli sarebbe mai potuto bastare e questo il suo Cavaliere lo aveva capito ed accettato come un fatto naturale ma Tooru non aveva una vita semplice, Tooru era un Re con un Cavaliere ed un erede... Già, solo un Re...
Riprese a piangere senza rendersene conto. “Non hai risposto alla mia domanda...”
Il Re dell’Aquila rimase in silenzio.
“Hai mai amato e basta?” Domandò Tooru. “Prima di me...” Sottolineò.
Ushijima non esitò nemmeno allora. “Sì...”
“E sei stato disposto a rinunciare a quell’amore per potere?”
“Non devo scegliere,” disse Ushijima con naturalezza. “Sono un Re.”
Tooru sorriso amaramente. “Che risposta stupida, Re dell’Aquila...”
“È solo logico,” replicò l’altro. “Chi ha il potere può avere tutto.”
“Se io avessi scelto te avrei avuto il potere,” disse Tooru con fare quasi solenne, se non fosse stato per il tono debole della sua voce. “Non avrei avuto Hajime. Non avrei avuto Tobio. Il potere non conquista tutto, Ushijima, per questo chi ne è affamato non si placherà mai... Proprio come te...”
“E tu con me.”
Era incredibile come Tooru riuscisse a reggere il suo sguardo con fierezza anche nello stato in cui versava e ancora non riusciva a comprendere perchè Ushijima sostenesse di amarlo, di volerlo al suo fianco sulla cima del mondo. Era nato per questo, non c’era nessuna spigazione complessa, solo la semplice verità. “Io non morirò solo,” fu la sua unica risposta e, pur trovandosi sul suo letto di morte, bastò a renderlo vincitore di quella battaglia di parole. “E non sarà la tua mano quella che stringerò prima di morire perchè, potere o non potere, io non la voglio. E, se i nostri destini fossero andati in modo inverso, non sarei stato io a stringere la tua...” Guardò altrove, come se quel giovane uomo non fosse degno nemmeno del suo sguardo. “Siamo tutti bravi a giurare di rimanere per sempre ma esserci fino alla fine è tutta un’altra storia. È orribile morire soli e non  è augurabile ritrovarsi nel proprio letto di morte a pentirsi di aver allontanato da sè l’unica mano che avrebbe potuto stringere la nostra nel momento estremo, Re dell’Aquila.”
Tooru sospirò. “Quando lo hai gettato nel vuoto, Hajime ha pensato a me...” Una pausa. “Ed ora tu sei qui e spero solo che tu sparisca nel nulla come uno dei miei tanti incubi. Ben presto sarò un fantasma, Ushijima... Smettila d’inseguirmi. Lascia morire quel desiderio per il bene di un amore reale. Mi consola solo sapere che morirò prima di divenire come te.”
Il Re dell’Aquila non disse altro e, con la consapevolezza che quelle sarebbero potute essere le ultime parole di Tooru per lui, se ne andò come un incubo che si dissolve alle prime luci del mattino.
Tooru, stesso, poco dopo, non fu del tutto certo se fosse stata una scena reale o una mera illusione. 

***


Le stagioni erano passate. 
Tooru aveva diciassette anni e, nonostante la passione tra lui ed il suo Re fosse ancora accesa con fierezza, non c’era traccia di un erede per il Re dell’Aquila ed il Re Demone. Ushijima era sceso in guerra contro alcuni regni vicini minori ed aveva aumentato la potenza e l’estensione del Regno di Shiratorizawa. Oramai, lui e Tooru condividevano la stessa camera da mesi ed in questo il giovane consorte era stato vittorioso sotto ogni punto di vista, come lo era stato nel convincere il suo Re a portarlo nei campi di battaglia con sè.
Erano una coppia meravigliosa, Tooru e Ushijima.
Erano quel genere di sovrani che avrebbero potuto conquistare il mondo l’uno grazie all’altro perchè erano simili e differenti dove era utile che fosse così. Tooru aveva fatto suo il Re dell’Aquila sotto molti punti di vista e si era reso conto che, così, aveva spezzato più cuori di quelli che si fosse distubato a contare.
Non sospettò mai di Eita, mai, nemmeno una volta. Il giovane Mago, probabilmente, era l’unico amico sincero a cui potesse fare affidamento, a differenza di tutti gli altri Cavalieri che lo guardavano con sospetto. Satori in particolar modo.
Ushijima non li ascoltava più come soleva fare. Il loro consiglio non valeva la metà di quello di Tooru e questo aveva fatto guadagnare al giovane Demone più nemici di quelli di cui fosse consapevole.
“Sei tanto capace in tutto da darmi sui nervi!” Esclamò Satori una sera, alla fine di una battaglia. “Ma sembra che non ti riesca proprio di portare a termine il principale dei tuoi compiti, peccato!”
Era stata una frecciatina velenosa e Tooru non era riuscito a farsela scivolare addosso. 
Ushijima lo stringeva a sè ogni notte, rammentandogli quanto il suo sentimento fosse sincero e di come avessero tutta la vita davanti per concepire un figlio degno di loro. Tooru gli credeva, sapeva di avere il suo cuore nel suo pugno e sapeva di non dover temere nulla ma questo non era sufficiente a mettere a tacere le sue insicurezze, quelle che, con maestria, era riuscito a nascondere a tutti, tranne a Hajime.
Alle volte, non riusciva nemmeno a lasciarsi andare mentre faceva l’amore col suo Re e scoppiava a piangere come un idiota per la sua incapacità. 
Che cosa faceva di sbagliato?
Perchè quel bambino non voleva arrivare?
Perchè?
“Non devi temere nulla,” diceva Eita porgendogli una tisana prima di coricarsi. “Ushijima non ha mai amato nessuno come ama te.” Tooru poteva percepire la sua sincerità ma era troppo preso da se stesso per cogliere l’amarezza di quelle parole.
Alla fine, amore o no, Ushijima finì per lasciarlo indietro.
Le guerre di conquista continuarono. I Regni caddero e Shiratorizawa divenne più grande e così il nome dei suoi giovani sovrani ma Tooru non combatteva più a fianco del Re dell’Aquila. Un nuovo Arciere spiccava nell’esercito delle aquile, un giovane di nome Kenjirou e Tooru non lo sopportava. Non poteva accettare di essere secondo ad una nullità simile ma il Re era stato chiaro: se avessero concepito un bambino sul campo di battaglia, sarebbe stata un’occasione troppo pericolosa per qualsiasi nemico o traditore. Tooru doveva rimanere al Castello Bianco, dove era al sicuro e sperare che, nelle notti in cui Ushijima lasciava il campo di battaglia per tornare da lui, qualcosa potesse nascere da loro.
Fu durante una campagna militare più lunga e tormentata delle altre, quando Tooru si era ormai convinto che nemmeno quella volta lui ed il suo Re avrebbero raccolto alcun frutto, che Hajime entrò di nuovo nella sua vita.



***



Eita venne svegliato dalle prime luci del nuovo giorno e dal pianto disperato di un bambino nella stanza accanto. Da principio, non si allarmò ed aspettò di udire la voce calma e confortevole di Hajime che consolava il piccolo Principe per qualunque disagio stesse provando.
Non accadde.
Si sollevò dal pavimento lentamente, combattendo un improvviso giramento di testa ed appoggiò una mano sul fondo del letto per assicurarsi che le gambe lo avrebbero retto senza problemi. Quando si sentì più sicuro, sollevò entrambi i palmi all’altezza del viso e li osservò con attenzione, come se potessero dare una risposta concreta a tutti i suoi dubbi. 
Aveva funzionato? Il potere di cui aveva bisogno scorreva nelle sue vene come avrebbe dovuto?
Il pianto nella stanza accanto si fece più acuto e disperato e, nonostante le sue esigenze fossero altre al momento, si diresse verso la cucina per accertarsi di quando stava succedendo.



Tobio piangeva tra le braccia di uno dei Cavalieri di Hajime. 
Uno di loro si prese la briga di spiegargli che cosa era successo al Castello Nero e di come Hajime fosse partito senza esitare nemmeno un istante. Atterrito, Eita voltò lo sguardo verso la finestra, verso quel bosco in cui il suo Re avrebbe dovuto aspettarlo.
Si ritrovò a correre fuori prima che la ragione gli urlasse che era una pessima idea.
Corse tra gli alberi alla ricerca di un’aquila dall’aspetto regale, di un giovane alto e bello vestito dei colori che gli ricordavano casa.
Quando i Cavalieri lo afferrarono e lo riportarono dentro quasi di peso, aveva praticamente smesso di correre, gli occhi persi nel vuoto: Ushijima non lo aveva aspettato, era volato da Tooru perchè perdersi gli ultimi momenti della sua vita era un prezzo molto alto da pagare rispetto all’infrangere una promessa fatta a lui.
“Portatemi al Castello Nero,” li pregò con le lacrime agli occhi qualche tempo più tardi, quando fu in grado di parlare di nuovo. “Posso salvare il vostro Re, portatemi da lui.”
Tobio piangeva ancora.


***



Hajime arrivò all’accampamento sotto le mura del Castello Nero alle prime luci dell’alba e, non appena lo videro, i Cavalieri lo accolsero con animo andando a chiamare il Generale Mizoguchi che, a sua volta, corse come se fosse una questione di vita o di morte.
“Primo Cavaliere...” Salutò quest’ultimo con rispetto.
“Lui dov’è?” Tagliò corto Hajime saltando i convenevoli. 
Il Generale non se la prese per questo e gli fece strada senza esitare. La tenda era la più grande e più lussuosa dell’accampamento e Hajime non comprese perchè non fosse stata spostata dal limitare della foresta. “Avete riconquistato la città,” guardò le grandi porte aperte delle mura. “Perchè non siete dentro?”
“I Curatori ci hanno proibito di spostare il Re,” rispose Mizoguchi. “I suoi Cavaliere non lo abbandonano.”
Hajime fissò il Generale e poi tutti i visi, giovani o meno, che i suoi occhi poterono distinguere alle sue spalle. “Vi ringrazio... Tutti voi...”
Il Primo Cavaliere trovò uno dei Curatori di corte all’esterno della tenda. Questi lo riconobbe e chinò la testa in segno di rispetto. “Mio signore...”
Hajime prese un respiro profondo. “Non fatemi porre domande,” lo pregò. “Parlate onestamente e non abbiate timore.”
Il vecchio annuì con aria grave. “Il Re si è schiacciato una gamba durante la battaglia per la riconquista della città. Ne è uscito vittorioso ma ad un caro prezzo...”
Hajime strinse le labbra ed annuì.
“Da principio, le sue condizioni erano serie ma non critiche grazie al potere di Demone nel suo sangue: ha perso i sensi per il dolore durante le prime ore ma, al risveglio, era in sè ed in via di guarigione, sebbene siano stati necessari degli interventi medici per rendergli sopportabile il processo...”
Il Primo Cavaliere non comprendeva. “Tooru non era in pericolo subito dopo la battaglia?”
“Esatto, mio signore. Vorrei potervi dare una spiegazione razionale di quanto accaduto ma, nonostante i molti inverni che ho vissuto, non ho mai visto una cosa del genere: è come se tutto il potere del Re fosse sparito nel nulla lasciandolo in corpo puramente umano e quindi troppo fragile per sopportare i danni subiti.”
“La...” Hajime non aveva il coraggio di chiedere. “La gamba... Avete dovuto...
“No,” dal tono del vecchio non sembrava una cosa positiva. “Ancora una cosa che non so spiegarmi: nel giro di pochi minuti il Re sembra aver sviluppato un’infezione che un’amputazione avrebbe dovuto prevenire, sì ma che, di norma, richiede giorni e di cui non c’era traccia fino a poco prima. Amputargliela ora significherebbe condannarlo a morte certa.”
“E in che stato versa ora?”
Il Curatore esitò un istante. “Il piccolo Principe è con voi?”
Tobio. Solo in quel momento Hajime si ricordò di averlo lasciato solo. “No...” Ammise.
“Con tutto il rispetto, Primo Cavaliere, sarebbe gentile farlo arrivare qui prima del sorgere del nuovo sole.”
Hajime si sentì morire e, per un attimo, sperò che accadesse, sperò che il suo cuore si fermasse e l’oblio gli risparmiasse un simile dolore. “Mi sta dicendo che questo è l’ultimo giorno che...”
Il Curatore abbassò la testa. “Sì, mio signore.”



I grandi occhi marroni del suo amore furono sui suoi non appena il Cavaliere mise piede all’interno della tenda. Hajime sentì il cuore andare in mille pezzi come vide quelle belle labbra, ora screpolate, piegarsi in un dolcissimo sorriso, mentre a stento una mano si sollevava nella sua direzione.
“Il mio Cavaliere...”
Hajime l’afferrò d’impeto e si sedette sul bordo del letto baciando ed accarezzando il viso di Tooru come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Anche Tooru lo toccò ma debolmente, come se fosse assonnato. “Ti prego,” lo implorò il giovane Re. “Dimmi che sei qui, che sei reale... Dimmi che sei venuto da me...”
Hajime gli baciò le labbra con dolcezza ed appoggiò la fronte alla sua. “Sono qui, Tooru... Sono qui...”
“Ho sognato che il Re dell’Aquila era qui,” mormorò il giovane Re. “Sembrava così reale, Hajime...”
Il Cavaliere gli prese il viso tra le mani e lo baciò anccora. “Sono qui, nessuno ti farà del male.”
“No, certo...” Tooru gli rivolse un sorriso tremolante. “Il mio Cavaliere mi proteggerà da tutto, come sempre.”
Hajime non voleva sollevare le coperte e vedere cosa vi era nascosto sotto, non voleva vedere il bel corpo di Tooru corroso dall’infezione, voleva solo guardare quel viso e trovare in quei grandi occhi scuri la speranza che quelli non sarebbero stati i loro ultimi momenti.
“Tobio...” Mormorò Tooru aggrappandosi alla tunica del suo Cavaliere con quelle poche forze che aveva.
Hajime forzò un sorriso. “Ha detto la sua prima parola.”
Gli occhi stanchi di Tooru s’illuminarono. “Davvero?”
“Sì,” Hajime non sapeva spiegare quanto aveva voglia di piangere. “È stata mamma
Per un attimo, Tooru sorrise come soleva fare di solito, quando poteva farlo sinceramente e senza maschere. “Ho vinto...” Mormorò con una nota d’arrogante orgoglio. “Ho vinto...”
“Gli manchi così tanto,” aggiunse il Primo Cavaliere con malinconia. “Mi è impossibile dormire da solo in quel letto, Tooru. Devo sentire almeno Tobio accanto a me...”
“Lo stai viziando, Iwa-chan...”
“No,” Hajime scosse la testa. “È che non dobbiamo separarci mai più.”
“Non accadrà,” promise Tooru e tanto ottimismo non fece che ferire il Cavaliere ancor di più. “Riconquisterò il Castello Nero, non appena starò meglio... E’ solo questione di pochi giorni e potremmo tornare a casa e questo Regno diverrà come lo abbiamo sempre sognato.”
Hajime non sapeva se lo stesse facendo per lui, per proteggerlo dall’inevitabile e se fosse la febbre a parlare. Sapeva solo che la pallida speranza negli occhi di Tooru era tutto ciò che lo separava dall’insanità più assoluta. 
“Tobio è con te?”
“No, dormiva ed io sono corso da te.”
“Hajime, non è mai restato da solo così...”
“Sarà qui presto,” avrebbe mandato un messaggero alla tenuta in campagna non appena Tooru si fosse addormentato. “Ha una vocina mentre ti chiama...”
Il giovane Re sollevò una mano debolmente portandola sulla guancia del suo Cavaliere che la coprì con la propria. “Ti amo...” Lo disse come se gli stesse dicendo addio. “Ti amo...”
Il cuore di Hajime non resse oltre: le lacrime gli bagnarono le guance prima che avesse il tempo di rencedersene conto ma Tooru non disse niente, continuò a soridergli, poi lo invitò ad appoggiare la guancia sul suo petto, sopra il suo cuore, le belle dita tra i neri capelli ribelli.
“Ti amo, ti ho sempre amato, Hajime.”
Lo disse come se fosse stata la sua ultima occasione di ripeterlo.


***



Hajime riconquistò il Castello Nero in un giorno, sebbene avesse pregato Tooru di poter restare al suo fianco e di lasciare che il Generale guidasse i Cavalieri verso una vittoria facile ma per il giovane Re era importante che fosse lui a rendere di nuovo loro la casa in cui erano cresciuti. Tooru voleva che i folli che avevano osato ribellarsi a lui per le sue scelte vedessero con i loro occhi quanto quegli errori fossero la cosa migliore che avesse mai fatto
Alcuni dei ribelli morirono in battaglia, altri furono incarcerati su ordine di Hajime in attesa di un giusto processo per tradimento. Di più non avrebbe fatto, nemmeno se fosse stato Tooru a chiederlo. Non si sarebbe più allontanato da quel letto se non per aiutare il suo Re a rialzarsi.
Quando rientrò nella tenda reale, Tooru non era solo ma gli occhi chiari di Eita si abbassarono non appena lo riconobbero. Tooru si era seduto contro i cuscini del letto e sorrideva con amore al bambino seduto sulle sue gambe.
“Mama... Mam-ma... Mamma...” Tobio doveva aver ripetuto quel ritornello per un po’ ma Tooru non sembrava esserne affatto stufo e strinse il piccolo a sè baciandone la testolina corvina. “Il mio Principe...” Mormorò. “Il mio bellissimo Principe.”
Hajime si avvicinò lentamente, gli occhi blu furono subito su di lui e così quelli scuri del suo Re che, però, si limitò a salutarlo con un sorriso stanco. “Il Castello Nero è di nuovo nostro, mio Re,” annunciò accennando un sorriso. “Possiamo tornare a casa.”
Tooru provò a dire qualcosa ma si bloccò nel rendersi conto quanto quel semplice gesto fosse un’azione troppo faticosa nelle sue condizioni. Hajime strinse le labbra: poche ore prima erano riusciti a parlare quasi normalmente e ora... 
“Quando siete arrivati?” Domandò all’indirizzo di Eita.
Il giovane Mago sollevò gli occhi chiari timidamente. “Nel bel mezzo dell’attacco, i vostri Cavalieri vi hanno raggiunto immediatamente ed io ho pensato che il Re volesse vedere il Principe, così...”
“Ti ringrazio,” tagliò corto il Primo Cavaliere. “Lasciaci soli ora.”
Eita annuì e chinò la testa in segno di rispetto mentre se ne andava. Hajime non si accorse di come quegli occhi chiari incrociarono quelli scuri del suo Re un attimo prima di uscire dalla tenda ma vide che lo sguardo di Tooru si era allontanato dal suo viso. “Quando tutto questoo finirà, sarà bene che mi spieghi cosa tu ed Eita state combinando.”
Tooru si limitò a sorridergli e, a fatica, gli sfiorò il viso con una mano. Hajime si chinò e gli baciò le labbra. Tobio si era addormentato contro il petto della mamma e non c’era ragione di disturbarlo.
“Siamo solo noi tre, Tooru,” mormorò Hajime. “Questa notte è solo nostra, lo giuro.”
Ma Tooru riuscì soltando a sorridergli in risposta.


***



Il Re dell’Aquila era rimasto nella foresta.
Non aveva più osato avvicinarsi al Re Demone, non dopo che il suo Cavaliere l’aveva raggiunto appena poche ore dopo di lui. Non se ne era andato, però.
Non poteva. Non senza sapere come sarebbe andata a finire.
Il Castello Nero apparteneva di nuovo al suo legittimo proprietario e Tooru era di nuovo Re di una corona che poteva dire di essersi conquistato con le sue mani, ora. Ancora una prova di forza, ancora una vittoria ma nessun trionfo ad attendere il giovane Re che giaceva febbricitante in quel letto fuori dalle mura della sua Capitale.
Ushijima aveva cercato una spiegazione a quanto era successo a Tooru e qualunque riflessione avesse fatto, alla fine, la conclusione era sempre la stessa...
“Mio Re...”
Sobbalzò nel voltarsi ma il suo cuore si calmò nel riconoscere il giovane dai capelli chiari che aveva avuto al suo fianco per la maggior parte della sua vita. Era notte, ormai, la luna stava sorgendo, eppure potevano vedere chiaramente l’uno gli occhi dell’altro.
“Come hai fatto a trovarmi?”
Eita sorrise. “Che domanda stupida da parte tua. Ho sempre saputo come trovarti, ricordi?” Quegli occhi erano due pozzi di tristezza. “O hai dimenticato anche questo?”
Ushijima era troppo stanco per provare disappunto. Appoggiò di nuovo la schiena contro l’alto albero alle sue spalle e continuò a scrutare nell’oscurità della foresta alla ricerca di un modo per salvare Tooru dal suo destino. “Che cosa hai fatto, Eita?” Domandò senza girarci intorno.
Il giovane Mago però aveva tutt’altri sentimenti a cui dare voce. “Sei corso da lui...” Mormorò sull’orlo delle lacrime. “Mi avevi promesso di aspettare... E tu sei corso da lui...”
Ushijima non aveva parole per sgiustificarsi, così rimase in silenzio.
Eita si fece più vicino. “Sapevi che non saresti stato tu a stringere la sua mano nei suoi ultimi momenti, eppure hai preferito essere al suo fianco nella sua morte, piuttosto che aspettare che io tornassi al tuo per il resto della nostra vita.”
Ushijima lo guardò con freddezza. “Tu saresti felice se morisse...”
Eita strinse le labbra e lo fissò con astio. “Sì...” Ammise. “Ma non per odio verso Tooru... Sarei felice solo perchè così saprei che nella morte è riuscito a farti tutto il male che non è riuscito a farti in vita.”
“Mi odi così tanto, Eita?”
“E tu?” Il Mago arrivò davanti al suo Re. “Tu cosa provi per me, mio signore? In questo momento, non sono nemmeno certo che tu abbia mai provato amore per me...”
Ushijima allora fece qqualcosa d’inaspettato: sollevò la mano e sfiorò la guancia del giovane con la punta delle dita in un gesto tenero e complice al contempo. Eita si sentì arrossire come una ragazzino: da troppo tempo il suo Re non lo toccava in quel modo. 
“Hai le mani fredde,” commentò afferrando quella che gli toccava il viso e prendendola tra le sue. Se la portò alle labbra per scaldarla ma l’altra si appoggiò sulla sua guancia prima che potesse toccarla. 
Gli occhi chiari incontrarono quelli taglienti del Re dell’Aquila. “Tooru mi ha chiesto se nelle mia vita ho mai amato,” raccontò. “Amato e basta, senza altre ragioni che mi spingessero se non il sentimento fine a se stesso.”
Eita trattenne il fiato per un istante.
“Gli ho detto di sì.”
Le lacrime cominciarono a cadere dagli occhi chiari.
“Pensi che mentirei sul suo letto di morte?”
Eita appoggiò la fronte sulla mano stretta tra le sue. “No...”
Il Re dell’Aquila si mosse in avanti appoggiando le labbra tra i capelli chiaro del giovane amante, poi Eita si ritrovò stretto contro un petto forte che gli era mancato per tanto, troppo tempo. Comprese di poter respirare di nuovo. “Tooru non morirà questa notte, Ushijima.”
Eita sapeva che sarebbe tornato tra quelle braccia a qualsiasi condizione ma non avrebbe sopportato di essere abbandonato ancora non appena l’incantesimo fosse finito ed il potere sarebbe tornato nelle mani del suo legittimo proprietario. 
“Tooru vuole il suo Cavaliere,” concluse Ushijima. 
“Torni da me solo per non rimanere solo?”
“Torno da te perchè ci sei sempre stato,” concluse il Re dell’Aquila. “E saresti continuato ad esserci, con o senza di lui, fino a stringermi la mano sul mio letto di morte.”
Non c’era niente di realmente romantico in quella confessione ma c’era tutto ciò di cui Eita aveva bisogno. Lui non veniva prima o dopo di Tooru, lui c’era e basta nel cuore del Re dell’Aquila e ci sarebbe sempre stato. Le labbra del suo uomo furono sulle sue un istante più tardi.

***


Fu il destino a portare Hajime sulle bianche spiagge di Shiratorizawa e fu sempre il destino a decidere che Tooru fosse proprio lì ad allenarsi con il suo arco per poterlo vedere.
Erano stati separati per più di due anni e quando si riconobbero fu come guardare negli occhi un fantasma di un passato perduto ed un perfetto estraneo. Tooru non era più Re e non indossava più i colori di Seijou, Hajime non era più un Cavaliere.
Fu quest’ultimo a voltarsi per primo, a cercare di scappare via dal suo destino perchè, in fin dei conti, era meglio così.
“Hajime!”
Ma dove poteva andare quando Tooru chiamava il suo nome in quel modo.
Hajime si voltò: erano pieni di lacrime gli occhi grandi e scuri di Tooru e non si vergognò a lasciarle andare nel farsi più vicino per afferrare la mano dell’amico d’infanzia, del suo primo amore. 
“Vieni con me.”
E Hajime non potè fare altro che seguirlo. 
Era primavera ed il Re dell’Aquila tornò solo all’inizio dell’estate. Allora, Tooru pretese ed ottenne che Hajime divenisse il suo Cavaliere personale.
Pochi giorni prima della fine di quello stesso anno, Tooru diede alla luce un bellissimo bambino dai capelli corvini. Ushijima non fu lì per assistere alla nascita del suo erede ma Hajime strinse la mano del suo Re per tutto il tempo.
“Come dobbiamo chiamarlo?” Domandò Tooru nel stringere tra le braccia suo figlio per la prima volta.
Hajime rimase smarrito nell’udire quella domanda. “Non posso rispondere, Tooru.”
Il Cavaliere sapeva. Entrambi sapevano ma non avrebbe dovuto sapere nessun altro.
“Qual’era il nome di tuo padre?”
“Tobio...” Rispose Hajime.
Tooru guardò gli occhi bluastri del bambino tra le sue braccia. “E Tobio sia...”



***



Tooru si svegliò sobbalzando destando il Cavaliere che si era addormentato al suo capezzale senza mai lasciargli la mano.
“Ehi...” Mormorò Hajime passandogli una mano tra i capelli umidi di sudore a causa della febbre.
Tooru forzò un sorriso. “Uno strano sogno... Mi capita ultimamente...”
Hajime fu solo felice di vedere che aveva recuperato abbastanza le forze per parlare di nuovo.
“Tobio?” Domandò il giovane Re.
“L’ho lasciato con i ragazzi,” rispose Hajime. “Posso portarlo qui se...” Fece per alzarsi ma Tooru gli strinse la mano prima che potesse allonarsi troppo. “No,” disse con fatica. “Resta qui con me, ti prego...”
Hajime annuì e rimase al suo posto accanto al letto. “All’alba lo porteranno qui, lo vedrai allora.”
“Iwa-chan...”
“Si fa ogni giorno più bello, vero?” Hajime aveva biosgno di sorridere, di parlare di qualcosa che sapesse di vita, di speranza. “E più lo guardo e più vedo te.”
Tooru chiuse gli occhi per un istante ma non smise di sorridere. “Strano... Perchè io più lo guardo più vedo te... Ma forse è così che deve essere: rivederci l’un l’altro sul viso della nostra creatura.” Le lacrime tornarono a scendere sulle sue guance. “Avrei solo voluto vederlo diventare un uomo...”
“Lo vedrai!” Esclamò Hajime disperatamente facendosi più vicino. “Lo guarderemo crescere insieme come deve essere, Tooru. Io lo renderò un Cavaliere, tu un Arciere e faremo tutto il possibile per renderlo il più grande Re che i Regni liberi abbiano mai visto!”
“Giurami che gli resterai accanto, che per Tobio ci sarai sempre... Sempre...”
“Ci saremo entrambi!”
“Hajime...”
“No!” Hajime si sedette sul bordo del letto prendendo il giovane Demone tra le sue braccia con cautela. “Io posso insegnargli ad essere un uomo ma non posso insegnargli ad essere Re.”
Tooru sorrise con dolcezza disarmante, le guance perdevano colore ma riuscì comunque ad alzare una mano per toccare il viso del suo Cavaliere. “Chi pensi che mi abbia reso quello che sono?” Domandò. “Sai che cosa vedo nei miei sogni, Hajime? Vedo la storia che sarebbe potuta essere scritta se, quella notte, avessi detto ...” Tooru non riusciva a tenere gli occhi aperti. “Vuoi sapere come va a finire, mio Cavaliere?”
Il Re Demone perse i sensi tra le braccia del suo Cavaliere e Hajime si sentì come se gli fosse stato strappato il cuore dal petto. “Ehi...” Chiamò con voce tremante passando una mano tra i capelli in disordine del giovane Demone. “Tooru...” Invocò il suo nome. “Tooru!”


***



Con la testa gettata all’indietro, Eita aprì gli occhi e la nuova luna ricambiò lo sguardo.
Due mani calde gli stringevano i fianchi e sotto le sue un petto scolpito si alzava ed abbassava velocemente, mentre il cuore sotto il suo palmo riprendeva gradualmente un ritmo regolare dopo il piacere appena provato. Eita abbassò il viso e guardò il bellissimo giovane uomo sotto di sè che lo fissava con gli occhi ardenti di una passione che credeva fosse ormai morta tra loro.
Qualunque cosa gli avesse detto Tooru sul suo letto di morte, aveva riportato il suo Re da lui e gli sarebbe stato eternamente grato per questo.
Ushijima invertì le loro posizione adagiandolo sopra il mantello viola che fungeva da giaciglio per quella notte da amanti clandestini, come quando erano solo dei ragazzini che scoprivano insieme i misteri dell’amore.
Eita sentì il Re dell’Aquila intrecciare le dita alle sue.
“Ehi...” Le labbra di Ushijima gli sfiorarono una guancia. “Stai piangendo...”
Eita se ne rese conto solo allora. Sorrise: il suo cuore sapeva già ciò che il suo corpo doveva ancora  realizzare. “Niente, mio Re,” gli disse. “E’ solo l’amore...”


***



“Ti prego...”
Hajime aveva riadagiato Tooru sul letto ed aveva appoggiato la fronte sul suo petto chiudendo gli occhi. “Ti prego, Tooru...” Il cuore batteva ancora dentro al petto del giovane Re ed il Cavaliere non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare ancora. “Tooru, non puoi farlo! Non puoi arrendermi ora! No, non adesso... Ti prego... Ti prego!”
Il suo Re rimase completamente immobile sotto di lui e Hajime non riuscì a trattenere l’istinto insano e rabbioso che lo portò a colpire il petto del giovane col pugno chiuso e tutta la forza della sua disperazione. “Tooru!” Urlò, poi il primo singhiozzo gli spezzò il respiro.
“Amore...”
Le lacrime caddero copiose mentre il desiderio di morire col suo Re lo portarono a pensare alla spada che aveva appoggiato accanto al letto e quanto andava fatto perchè potesse seguirlo anche in quel cammino come aveva giurato di fare da sempre.
Una mano tra i suoi capelli ebbe il potere di fermargli il cuore ma non morì come aveva sperato.
“Adesso sai come ci si sente...” 
Hajime sollevò la testa lentamente, gli occhi verdi sgranati oltre l’inverosimile: erano stanchi gli occhi scuri di Tooru ed era ancora pallido il suo viso, sebbene le guance stessero recuperando colore lentamente ed i capelli castani fosse scomposti ed umidi di sudore ma il Cavaliere pensò che non fosse mai stato così bello in tutta la sua vita.
Sorrise quasi delirante prendendo quel viso tanto amato tra le mani. “Bastardo...” Disse tra i singhiozzi.
Tooru sorrise in quel modo che chiedeva a gran voce di essere cancellato con un pugno. “Sono quasi morto per farmi chiamare amore,” gli disse. “Non dirmi che ho rischiato per nulla... Amore...”
Hajime decise che il migliore modo per cancellare quell’espressione insopportabile dalla faccia di Tooru poteva essere solo un bacio.


***




Alla fine dell’ultima notte della nuova luna, Tooru, Re di Seijou, guarì miracolosamente da una ferita che era stata sul punto di ucciderlo. Fu come se, misteriosamente come era scomparso, il potere di Demone nel suo sangue fosse tornato a fluire come doveva rimediando a qualsiasi trauma fisico di grave entità.
All’alba del giorno dopo fu lo stesso Primo Cavaliere a sollevarlo tra le sue braccia e a riportarlo a casa, al Castello Nero, col sottofondo degli applausi e dei cori vittoriosi dei loro Cavalieri.
Tooru e Hajime erano insieme ed erano tornati al posto a cui appartenevano da sempre.



“Papà,” Provò Hajime guardando intensamente il bambino seduto tra le coperte in mezzo a loro. “Avanti, Tobio, prova... Pa-pà.”
Gli occhi blu però si rivolsero al genitore nella direzione opposta. “Mamma...” Disse con maggior sicurezza rispetto ai suoi primi tentativi. Hajime sospirò distendendosi sulla schiena e fissando il soffitto. “Mi arrendo...”
Tooru afferrò il bambino sotto le braccia e lo sollevò sopra di sè con un sorriso luminoso. “Perchè Tobio-chan è innamorato della mamma, sì!”
Tobio rideva sospeso a mezz’aria e Hajime li guardava entrambi come se fossero dei traditori della peggior specie. Fu allora che lo colse un pensiero improvviso, di quelli che gli erano completamente sfuggiti con la felicità degli ultimi giorni. “Come finiva quella storia?”
Tooru lo guardò perplesso facendo sedere Tobio su di sè. “Uhm?”
“Quella notte,” ricordò Hajime. “Mi hai detto di aver fatto dei sogni strani, di aver visto come sarebbe andata la storia se avessi detto di sì al bastardo.”
Tooru si fece serio di colpo, poi sorrise e rivolse la sua attenzione al piccolo Principe su di lui. “Io non mi pento di niente, Hajime,” disse con sollenità. “Rivivrei questa vita esattamente come l’ho vissuta. Questo è stato il mio ultimo pensiero quella notte, sai?”
Hajime si sentiva più confuso di prima. “Va bene ma come finiva quel sogno?”
E Tooru era troppo infantile per limitarsi a rispondere sinceramente e lasciar cadere la questione. “Ti basti sapere che siamo esattamente dove dobbiamo essere, Iwa-chan... Qualunque strada avessimo preso, qui era dove dovevamo arrivare.”
“Ma qui dove?”
“Papà...” 
Hajime si voltò verso Tobio automanticamente, poi seguì un istante d’immobilità totale ed un altro in cui lui e Tooru si guardarono completamente senza parole. “Fermi tutti!” Esclamò Hajime mettendosi a sedere di colpo.
“Non si è mosso nessuno, Iwa-chan!”
Il Primo Cavaliere ignorò bellamente il suo Re per prendere il suo bambino tra le braccia e fissarlo con gli occhi verdi brillanti di aspettativa. “Dillo ancora, Tobio, avanti...”
Il bambino lo fissò perplesso, poi riportò la sua attenzione su Tooru. “Mamma... Mamma!”
Hajime quasi lo lanciò nel riconsegnarlo alla mamma in questione. Tooru strinse il bambino a sè scoppiando a ridere.
“Che io sia maledetto quando mi è scappato detto che è tutto uguale a te ed ho avuto ragione!”  Ringhiò il Primo Cavaliere indignato.



Fu Tooru a cercare Eita quando fu in grado di camminare da solo, dopo essersi assicurato che Hajime fosse occupato con Tooru e con gli altri Cavalieri nel cortile principale del castello.
Il Principe gli aveva finalmente fatto l’onore di chiamarlo papà ed il Primo Cavaliere non aveva perso tempo per mostrare all’intero esercito come fosse stato ufficialmente investito di quel titolo dallo stesso erede al trono.
Tooru, ovviamente, ne era stato felice ma aveva ancora una questione da sbrigare prima che potesse tornare dalla sua famiglia consapevole che le loro sventure erano definitivamente giunte alla loro conclusione.
Riconquistato il Castello Nero, Eita lo aveva pregato di non costringerlo a mettere piede tra quelle mura e Tooru non era stato tanto crudele dal costringerlo. 
Chiese discrezione ed il giovane Re poteva benissimo intuire il perchè ma finse di non capire e fece in modo che Eita risiedesse in una piccola cascina nella foresta, dove i cacciatori erano soliti fermarsi nella stagione di caccia. Tooru fu così libero di dire al suo compagno ed ai suoi Cavalieri che il giovane Mago era rientrato in patria poco dopo l’assedio alla rocca.
Tooru entrò nella cascina senza chiedere il permesso e, senza far rumore, salì al piano di sopra dove una piccola camera da letto era stata ripulita da cima a fondo per accogliere quell’ospite segreto. Eita era seduto contro i cuscini del letto, una coperta leggera gli copriva le gambe, mentre le mani erano appoggiate sul grembo in un gesto protettivo che Tooru conosceva bene e che aveva ripetuto a sua volta innumerevoli volte non molto tempo prima.
“Siamo soli?” Domandò.
Eita annuì ed abbassò lo sguardo sul suo corpo. “Gli ho detto di andarsene ma non mi vuole lasciare nelle mie condizioni.”
“Non puoi biasimarlo,” replicò Tooru facendosi più vicino. “Come l’ha presa?”
Eita sorrise malinconicamente. “Non riesce a capire...”
Tooru fece una smorfia. “Il figlio mio e di Hajime è nato, perchè non dovrebbe succedere anche al vostro e basta?”
“Nessuno crede a due miracoli così vicini, Tooru.”
Il Re Demone sbuffò. “Che ti ha detto?”
“E’ felice,” Eita gli sorrise sinceramente per la prima volta da quando si erano conosciuti. “E’ così premuroso con me, adesso. Sembra tornato ad essere quello che era quando tutto tra di noi è cominciato e...”
“Eita risparmiami i dettagli sdolcinati,” lo pregò Tooru con aria annoiata: se Hajime avesse scoperto cosa stava facendo lì, avrebbe avuto poco di cui sbuffare ma il suo Cavaliere era completamente perso nel delirio euforico dell’essere papà e non c’era motivo per cui dovesse tornare ad essere il sospetto, burbero vecchio se stesso troppo presto. “E’ andato tutto secondo le tue speranze, alla fine. Il tuo Re è venuto a riprenderti e avete passato le tre notti di luna nuova insieme.”
Il viso di Eita si oscurò appena. “Era venuto per me,” confermò. “La prima notte di luna nuova, però, non è al mio fianco che l’ha passata. E’ corso da te...”
Tooru sbuffò. “Ho sperato che fosse un incubo per tutto il tempo...”
“Non è vero,” replicò Eita con gentilezza. “Gli hai detto esattamente quello che gli serviva per tornare da me. Sapevi quello che facevi.”
Tooru scrollò le spalle. “Non ha più importanza, quello che doveva accadere è accaduto e non c’è ragione di pensarci ulteriormente.”
Eita sospirò. “Ho temuto davvero che il prezzo da pagare per questo bambino sarebbe stata la tua vita.”
Tooru gli sorrise. “Non potevo morire: non avresti avuto speranze, se fossi morto,” disse con un sorriso diabolico ed il Mago lo fissò confuso. “Se fossi morto quella notte per il Re dell’Aquila sarei divenuto immortale.”
Eita strinse le labbra e non disse nulla.
Fu il turno di Tooru di sospirare. “Ti auguro tutta la felicità che ti meriti ma spero che le nostre strade non s’incrocino mai più.”
“Lo capisco,” Eita annuì. “Lo spero anche io.”
Il Re Demone annuì e si voltò prendendo la via delle scale.
Uscì senza emettere rumore, esattamente come era entrato ma trovò un giovane uomo ad attenderlo fuori dalla porta. Per un attimo, il cuore di Tooru si fermò ed i suoi occhi divennero grandi e pieni di timore, poi strinse i pugni e, con espressione decisa, superò Ushijima senza rivolgergli una parola.
Il Re dell’Aquila gli afferrò un braccio e Tooru sentì il fiato morirgli in gola. “Lasciami andare,” ordinò.
Ushijima lo fece ma il giovane Demone sapeva che non lo avrebbe lasciato in pace così facilmente, così si voltò e lo guardò con astio. “Vi do tre giorni e poi vi voglio fuori dalle mie terre.”
Il Re dell’Aquila annuì e non disse nulla.
Tooru attese ancora qualche istante, poi riprese a camminare tra gli alberi.
“Doveva essere nostro...” Disse Ushijima di colpo.
Tooru si fermò.
Volevo che mio figlio fosse il tuo. Volevo che Tobio fosse nostro...”
Il Re Demone chiuse gli occhi per un istante, prese un respiro profondo e si voltò ancora una volta. “Tobio non sarebbe mai potuto nascere da noi,” disse quasi con gentilezza. “Nulla sarebbe mai potuto nascere da noi e sarebbe andato bene così.”
Il viso di Ushijima non tradiva alcuna espressione. 
“Hai ragione: io e te siamo uguali ed il mondo intero non sarà sufficiente ad appagare il nostro ego. Tu hai quasi perso tutto per questo ed io spero di poter placare quella parte oscura di me abbastanza a lungo perchè non faccia del male a chi amo. Ma io e te insieme...” Tooru rise. “L’unica cosa che saremmo mai capaci di mettere al mondo è distruzione.”
“C’è una profezia su Tobio...” Gli ricordò Ushijima.
Tooru resse il suo sguardo alla perfezione. “Tobio ha il cuore di Hajime,” disse con un sorriso orgoglioso, sicuro. “Non m’importa che cosa i Maghi dei Regni liberi hanno visto nei loro sogni. Io non lo so se Tobio sarà un Re, un conquistatore, un distruttore... So solo che se suo padre sarà capace di renderlo un uomo, come lo è lui, allora andrà tutto bene.”
Si umettò le labbra.
“E spero che tuo figlio abbia il cuore di Eita,” aggiunse il Re Demone. “Come spero che tu sia devoto al dono che ti farà e la smetterai di agire in nome di qualcosa che t’illudi potesse essere ma, te lo assicuro, non sarebbe mai stato...”
“Non potremo mai saperlo...” Replicò il Re dell’Aquila.
Tooru accennò un sorriso. “Ho fatto dei sogni, sai? Sogni strani,” rivide le spiagge bianche su cui non aveva mai camminato, rivide il mantello viola sulle proprie spalle e rivide quel Cavaliere camminare verso di lui. Un Cavaliere che gli aveva fatto dimenticare l’uomo più potente del mondo con uno sguardo. “Penso che sia stato uno di quei fantomatici segni del destino...”
“Di cosa?”
Tooru sorrise con arroganza e Ushijima, semplicemente, lo guardò e lo amò in silenzio per l’ultima volta. 
“Che sto percorrendo la strada giusta,” rispose il Re Demone e quegli occhi scuri scomparvero ancora una volta dalla visuale dell’altro sovrano. “Addio, Re dell’Aquila.”


***



Quella notte, Tooru tornò dalla sua famiglia, addormentò suo figlio insieme al suo compagno e poi fece l’amore col suo Cavaliere fino a che la stanchezza non ebbe la meglio sulla fame che avevano l’uno dell’altro.
Solo allora, accomodato contro il suo petto, Tooru raccontò tutto ad Hajime con l’eccezione della presenza del Re dell’Aquila in tutta quella vicenda.
“E’ magia nera,” spiegò. “Non può verificarsi senza che qualcuno ne paghi le conseguenze...”
“E che cosa dovrà pagare, Eita?”
“Non lo so,” ammise Tooru, “ma è stato così sicuro della sua scelta e lo capisco: c’è stato un tempo in cui anche io avrei dato tutto per avere un figlio da te.”
Hajime gli baciò i capelli stringendolo di più a sè. “Quindi è stato un patto tra te e lui...”
“Gli serviva il mio sangue e con un incantesimo proibito avrebbe ricevuto in prestito il mio potere per il tempo di una nuova luna.”
“Per questo la tua ferita è peggiorata e migliorata di colpo,” concluse Hajime.
Tooru annuì contro il suo petto e gli posò un bacio sopra al cuore. “Perdonami se ti ho fatto del male...”
Hajime sospirò. “Hai dato tutto per salvare la nostra famiglia, se non ci fossero dei precedenti da parte mia potrei anche prenderti a calci ma... Ci sono...”
Tooru sorrise. “Spero che Eita abbia un bambino sano e forte,” disse ed era sincero. “Spero che conosca la felicità che ha lottato per avere.”
“Uhm...” Rispose Hajime chiudendo gli occhi stancamente.
“Amore?” 
Gli occhi verdi si riaprirono immediatamente ed arrossì come un idiota come due iridi scure ricambiarono il suo sguardo e realizzò il modo in cui il suo amante lo aveva chiamato. Tooru si sollevò suo gomiti e gli baciò le labbra. “Vuoi sapere come finisce la storia dei miei sogni?”
Hajime rimase in silenzio, in attesa.
“Finisce esattamente qui, dove siamo ora.”
Il Primo Cavaliere non comprese.
“Qualunque decisione avessimo preso, era scritto nel destino che dovessimo stare insieme. Solo da noi poteva nascere il piccolo miracolo che è nostro figlio... Qualunque strada avessimo percorso, Tobio sarebbe sempre stato il nostro destino ed io non mi pento di nulla, Hajime, di nulla...”



***



“Buon compleanno a te! Buon compleanno, Principe Tobio! Buon compleanno a te!”
Tutti presero ad applaudire nel piccolo salottino personale della coppia reale ed il festeggiato riuscì, infine, ad allungare una manina per affonadarla nella sontuosa torta che aveva di fronte, prima che suo padre gli afferrasse il polso e lo fermasse da fare altri danni.
“Ti piace la tua torta, Tobio-chan?” Domandò Tooru al bambino seduto sulle sue gambe, prima di posare un gran bacio sulla testolina di capelli corvini. Tobio si portò la manina sporca alla bocca gustandosi la sua conquista ignorando deliberamente i tentativi di Hajime di pulirgli le dita con un fazzoletto di stoffa prima che imbrattasse tutto e tutti.
“Guardata quanto è diligente papà!” Esclamò Takahiro divertito e, al suo fianco, Issei rise.
Tooru e Hajime non avevano voluto una festa chiassosa e sontuosa per il primo compleanno del loro bambino: nulla di più inadatto per il carattere di Tobio. Così, avevano optato per qualcosa di semplice e molto intimo con le persone a cui volevano bene nelle loro stanze personali.
“È già passato un anno,” commentò Tooru incredulo, poi prese a lagnare. “Iwa-chan! Tobio sta crescendo sotto i nostri occhi ogni giorno di più! Ben presto, comincerà l’addestramento, diverrà un Cavaliere, poi un Re, poi troverà qualcuno speciale e si dimenticherà di noi e...”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tooru, non deve succedere tutto stasera, rilassati.”
“E poi, prima di avere il tempo di realizzarlo, diventeremo nonni!” Esclamò Tooru come se fosse la peggiore delle disgrazie possibili. “Sono troppo giovane per essere nonno!”
Hajime gli tolse Tobio di mano prima che potesse compiere qualche gesto estremo dei suoi. Il piccolo Principe prese a gattonare sul tappeto verso i Cavalieri che furono ben felici di concedergli tutta la loro attenzione.
“Vieni con me,” disse Hajime perentorio prendendo la mano del suo Re e guidandolo nell’unico angolo in disparte della stanza. La neve cadeva silenziosa fuori dalla finestra e Tooru fissò il suo Cavaliere con un broncio infantile per non aver preso sul serio la sua ultima crisi esistenziale.
Hajime, da parte sua, sorrise e, dal nulla, porse al suo compagno una bella rosa nera come quella che gli aveva regalato in quel giorno d’estate in cui la loro felicità aveva subito un brusco arresto ancora una volta.
Tooru sgranò gli occhi e prese il fiore tra le dita. “Ma... Siamo in pieno inverno...”
Hajime sorrise vittorioso. “Sembra che in città qualcuno conosca un modo per far crescere i fiori a dispetto della stagione in cui ci troviamo...”
“L’hai fatta coltivare per me?”
“Insieme a tutte quelle che troverai in camera nostra quando la festa sarà finita,” rispose il Cavaliere con fare malizioso e Tooru sorrise ed arrossì come un ragazzino alla sua prima cotta. “Mi spiace solo che il tuo compleanno sia passato da un po’...”
Tooru scosse la testa. “Oggi è il compleanno di entrambi, vale doppio!”
Hajime inarcò un sopracciglio.
“Ma sì! Oggi compiamo un anno come genitori, come noi nel modo più indissolubile ed eterno che esista.”
Il Cavaliere tornò a sorridere portando una mano sulla guancia del suo compagno e Tooru si fece avanti perchè sapeva quello che sarebbe seguito e lo voleva come l’aveva voluto fin da quella notte d’estate dei loro tredici anni.
“Hajime! Tooru!”
“Il Principe è in marcia! Il Principe è in marcia!”
I due giovane genitori abbassarono lo sguardo ed entrambi rimasero senza fiato nel vedere Tobio che, al centro della stanza, muoveva traballante i suoi primi passi per estinguere la distanza tra sè e loro.
Hajime e Tooru s’inginocchiarono in contemporanea tendendo le braccia verso il loro bambino con entusiasmo. 
“Avanti, Tobio, coraggio!”
“Sei bravissimo, Tobio-chan! Vieni da mamma!”
“Ignoralo! Vieni da papà!”
“Rude, Iwa-chan!”
Tobio alzò gli occhi blu verso i suoi genitori e, con un sorriso sicuro, procedette senza paura finchè non trovò il sostegno di quelle mani che mai e poi mai lo avrebbero lasciando andare.


***



Quella stessa notte, in un castello dalle mura bianche sulla riva del mare, un bambino, figlio di un amore disperato e della magia nera, venne alla luce per essere l’erede al trono più potente dei Regni liberi.
Non fu un lieto evento.
Sarebbe dovuto essere il giorno in cui il Re dell’Aquila faceva finalmente suo tutto ciò che desiderava e di cui aveva bisogno.
Fu il giorno in cui perse tutto ciò che era rimasto a renderlo un uomo.




***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Ma ditelo che ci avevate sperato nel finale di capitolo lieto e leggero!
Spiacente, miei cari lettori, non è la storia giusta! O, forse, è l’autrice ad essere sbagliata...
Dunque, dunque, dunque... Il sogno di Tooru diviso in parti in questo capitolo è l’unico a non avere alcuna conseguenza su ciò che accadrà in seguito. Semplicemente, rendeva certi dialoghi più poetici ed è da quando Tooru è finito con Hajime che avevo in me il desiderio di scarabocchiare qualche What if... su come sarebbe andata se il nostro demonietto avesse scelto diversamente.
Per il resto, spero che l’incantesimo tra Tooru ed Eita sia risultato chiaro sul finale ma per qualunque cosa sarò lieta di chiarire eventuali dubbi... Con questi eccessi di zelo ho sempre paura di essere esaustiva solo nella mia testa!
...
Dunque signore mie è finalmente giunto il momento! Dal prossimo capitolo, Shouyou Hinata, detto Chibi-chan, detto Raggio di Sole o che so io! Si prende definitivamente tutta la scena per sè (con la poco gentile collaborazione di Tobio) e non ce ne libereremo più! State quindi pronti agli intrecci sentimentali della nuova generazione in crescita e alle relazioni in declino di quella vecchia (in altre parole, godetevi l’Iwaoi finchè dura e non fa male al cuore!)
Per chi ha preso i conti dei mesi e si sta chiedendo come ha fatto questo fantomatico aquilotto a nascere in così poco tempo, tranquilli, l’autrice ha i suoi motivi (più pratici che di trama) e le sue giustificazioni ma diamo tempo al tempo....
Grazie dell’ascolto, alla prossima con l’inizio del Kagehina!

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Capitolo 16
*** Di spicchi di cielo e castelli di sabbia ***


14
Di spicchi di cielo e castelli di sabbia



Il cacciatore era silenzioso.
I suoi passi sul terreno erboso della foresta non emettevano alcun rumore.
Il sole stava tagliando l’orizzonte in quel momento ma gli occhi scuri erano attenti, focalizzati sulla preda che credeva di nascondersi nella semi oscurità, sotto quegli alti alberi che gettavano un’ombra secolare tutto intorno a loro. Il corvo se ne stava immobile sul suo ramo: aveva percepito la presenza di un predatore ed ora attendeva che facesse una mossa falsa e si liberasse per procedere con la fuga.
Il cacciatore allungò il braccio oltre la sua spalla, afferrò una freccia senza guardarla e la portò sulla corda prima di tendere l’arco. Rimase immobile, paziente, quasi come se non respirasse.
Il corvo era immobile, fissava il suo carnefice come se lo sfidasse.
Era solo questione di tempo: il primo a muoversi non sarebbe stato il vincitore e lo sapevano entrambi.
Poi avvenne qualcosa d’inaspettato.
L’imprevisto.
Il corvo udì qualcosa che il cacciatore non percepì e questo provocò una reazione. 
Prese il volo.
La mano del cacciatore era ferma, la sua forma perfetta. Il suo colpo letale.
Il corvo cadde ad appena un metro di distanza dal ramo dell’albero su cui aveva trovato riposo.
La freccia non emise rumore così come la sua caduta. La foresta aveva conservato la sua pace naturale ignara dello scontro che si era consumato sotto i suoi alberi: il cacciatore aveva vinto ed il corvo aveva perso.
Tooru abbassò l’arco e prese un respiro profondo: lo tratteneva sempre un istante prima di lasciare andare la freccia. Era un pensiero che lo faceva sempre sorridere perchè lo faceva anche un istante prima che il suo Cavaliere gli concedesse il massimo piacere. Dopotutto, entrambe le cose erano fatte della stessa materia della passione.
Indossò una smorfia, poi si voltò a fissare un cespuglio alle sue spalle. “È l’alba,” disse con una nota di rimprovero nella voce. “Si presume che un piccolo Principe debba essere nella sua cameretta, sotto le coperte a quest’ora del mattino.”
Per un attimo, non si mosse nulla. 
Tooru sospirò, aggiustò l’arco dietro la schiena e prese a parlare con tono più dolce. “Avanti, non sono arrabbiato. Vieni fuori.”
Ancora un istante di assoluta immobilità, poi, lentamente, una piccola figura venne allo scoperto.
Suo malgrado, Tooru sorrise: era stato talmente ansioso di seguirlo che aveva indossato gli stivaletti sotto i vestiti da notte. Le manine erano strette intorno all’orlo della maglietta con nervosismo, gli occhi blu fissi sul terreno erboso e parzialmente coperti dalla frangia di capelli corvini. Tooru appoggiò un ginocchio a terra e tese le braccia verso il bambino in un invito amorevole. “Vieni qui, Tobio.”
Il Principe sollevò gli occhi blu per un istante, poi si avvicinò con andatura titubante, fino a che il giovane genitore non gli strinse le braccia e se lo portò vicino per posargli un gran bacio sul broncio. Tobio, per tutta risposta, voltò il viso di lato mentre le guance gli si coloravano appena.
Tooru sbuffò. “Sei troppo piccolo per vergognarti dei baci della mamma, sai?”
Tobio, in effetti, lo guardò come se si vergognasse ma non era il bacio appena ricevuto il problema. “Ho fatto scappare il corvo.”
Il giovane Re rise e scosse la testa. “Se bastasse questo a farmi fallire un colpo, non sarei il miglior Arciere dei Regni liberi.” Si tirò in piedi ma Tobio gli afferrò l’orlo del mantello appoggiando una guancia contro la sua gamba e guardandolo con quegli occhi blu che, per chi non lo conosceva, sembravano fin troppo gelidi per essere quelli di un bambino ma Tooru poteva vedere la luce che li illuminava con aspettativa e ciò che l’alimentava. “Ancora...” Chiese con un filo di voce.
Tooru sospirò e gli posò una mano tra i capelli. “No, mio Principe,” rispose. “Fa troppo freddo perchè tu possa restare nella foresta così,” detto questo, Tooru si tolse il mantello e lo posò sulle spalle del bambino per cercare di risolvere il problema: se si fosse preso un raffreddore perchè lo aveva seguito di nascosto, Iwa-chan avrebbe avuto di che lamentarsi.
“Solo uno,” chiese Tobio.
Tooru lo guardò in difficoltà: il buon senso, che aveva stranamente la voce del suo Cavaliere, gli urlava di prendere suo figlio e rimetterlo a letto il più velocemente possibile; l’orgoglio da genitore, invece, gli suggeriva di accontentare il suo bambino affinchè si sentisse incoraggiato a coltivare le sue stesse passioni.
Prese l’arco ed una freccia, poi s’inginocchiò accanto a Tobio e lo aiutò a mettere le piccole mani nella posizione giusta. Quell’arma non era adatta per lui ma Tooru non voleva deluderlo: sarebbe venuto presto il tempo in cui avrebbe potuto stringere un arco suo ed allora avrebbe potuto averlo al suo fianco come allievo, oltre che come erede.
“Stringi le dita qui,” lo istruì Tooru. “Tendi il braccio così e non smettere mai di guardare di fronte a te con entrambi gli occhi ben aperti. Ricorda, sei tu il cacciatore: è il tuo colpo che decide chi vince e chi perde. Tieni la mano ferma e non abbassare gli occhi di fronte al tuo nemico. Mai.”
Tobio non aveva ancora sei anni, eppure in quel momento Tooru lo guardò e, come il giorno in cui era nato, vide il miracolo che lui ed il suo Cavaliere avevano messo al mondo e che, giorno dopo giorno, si avvicinava ad essere un Principe Demone degno del suo nome. 
“Lascia andare, Tobio.”
Ed il Principe scoccò la freccia.



Il Cavaliere dormiva sulla schiena, un braccio piegato dietro la testa ed uno appoggiato in grembo svogliatamente. La coperta era scesa per mostrare il bel corpo giovane e forte ed il Re si ritrovò a guardarlo incantato per qualche istante, una spalla appoggiata alla colonna del baldacchino ed un sorriso innamorato sulle labbra. Si sfilò gli stivali senza far rumore e si tolse i vestiti con naturalezza prima d’infilarsi sotto le coperte e passare una mano fredda sul braccio del suo amante fino ad intrecciare le dita alle sue.
Hajime si svegliò, aprì gli occhi verdi quel tanto che bastò per riconoscerlo e li richiuse pigramente.  “Tooru...” La voce ancora impastata di sonno.
“Ben svegliato, mio Cavaliere.”
“Non sono sveglio...”
Per tutta risposta, Tooru si spostò sopra di lui guadagnandosi un’altra occhiata da quegli occhi verdi ancora pieni di sonno. “Sono stanco,” disse Hajime e Tooru sorrise. “Dovrai impegnarti parecchio...”
Non era una scusa per rifiutarlo, il suo Cavaliere non lo rifiutava mai, solo un modo per convincerlo a dargli più attenzioni di quelle che gli servivano per riaccendere il desiderio. In tutta onestà, Tooru poteva già sentirlo bello che acceso quel desiderio ma se Hajime voleva farsi viziare un po’ non aveva ragione di negarglielo.
Si chinò e baciò le labbra del suo Cavaliere lentamente, mentre Hajime gli portava un braccio intorno alla vita ed affondava l’altra mano tra i suoi capelli. “Sei freddo,” commentò. “Sei andato di nuovo nella foresta?”
Tooru mugognò qualcosa assaggiando con le mani i muscoli del petto del compagno. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui sarebbe riuscito a resistergli? Rise tra sè e sè: gli bastava che Hajime non si accorgesse quanto il ruolo del tentatore non appartenesse solo a lui.
“Tobio ha abbattuta la sua prima preda,” mormorò il Re a pochi millimetri dalle labbra del compagno e gli occhi verdi si fecero immediatamente svegli ed attenti. “Tobio?” Domandò Hajime ma si diede la risposta da solo. “Ti ha seguito nella foresta?”
“Non ti agitare, Hajime, stiamo per fare l’amore qui...”
“Quel moccioso!”
“Non lo sgridare,” disse Tooru passando una mano tra quei capelli ribelli. “Sta dormendo serenamente nella sua stanza, non c’è ragione di arrabbiarsi.”
“Ha cinque anni, Tooru!”
“Cinque anni e mezzo... Settimana più, settimana meno...”
“E già pensa di potersi ribellare all’autorità!”
“È testardo, come noi,” gli ricordò Tooru dolcemente. “È ribelle, come noi. È orgoglioso, come noi...” Posò un bacio leggero sulle labbra del suo Cavaliere. “È un prodigio, come me! Ah!” Il Re restò a fissare il soffitto allibito per una manciata di secondi. “Iwa-chan!” Esclamò poi indignato. “Se fossi troppo stupido per rendertene conto, ti ero addosso completamente nudo e particolarmente voglioso!”
Hajime si massaggiò la fronte. “Dammi un minuto...”
“Oh, la virilità del mio Cavaliere sta perdedo colpi.”
“Ancora una parola e vedrai che fine faccio fare alla tua di virilità!”
“Non essere volgare...” Tooru si sedette sulle sue gambe circondandogli il collo con le braccia, del tutto deciso a prendersi la sua razione di sesso della mattina. “Avanti, Iwa-chan, siamo adulti ed ora andiamo sempre in giro in tre! Non possiamo fare l’amore dove ci capita e quando ci garba, dobbiamo cogliere l’occasione!”
Hajime lo fissò e basta. “Come se Tobio fosse mai stato un impedimento...”
“Appunto, siamo genitori fortunati, approfittiamone!”
“Non può scappare così senza che noi ce ne accorgiamo, Tooru!”
“Era con me...”
“Se fosse uscito con te, avrei preso a calci te e non mi sarei posto problemi.”
“Rude!” Tooru gli passò entrambe le mani tra i capelli e Hajime chiuse gli occhi rilassandosi sotto quelle carezze. “Voglio fargli fabbricare un arco per il suo sesto compleanno,” lo informò ed il Cavaliere mugugnò il suo assenso. “Siamo in primavera inoltrata, perchè non cominci ad addestrarlo?”
Gli occhi verdi lo guardarono pigramente. “Non ha sei anni, lasciamolo giocare ancora un po’ prima di dargli certi impegni.”
“A Tobio non piace giocare,” replicò Tooru ed era totalmente serio nel dirlo.
Hajime sospirò con amarezza. “Lo so...”
“Forse, se lo addestri insieme agli altri bambini...”
“Non riesce nemmeno a giocarci con gli altri bambini, figurarsi fare lavoro di squadra. Dovrà essere la loro guida, un giorno. Dovrà essere quello a tenerli uniti e mi preoccupa pensare che è lui il primo ad isolarsi da loro.”
Tooru appoggiò la fronte sulla spalla del compagno e Hajime prese ad accarezzargli i riccioli alla base della nuca. “Forse, possiamo ancora provare a fare una cosa...”
Il Cavaliere gli posò un bacio tra i capelli. “Che cosa hai in mente, ora?”
Per tutta risposta, il giovane Re lo spinse sul materasso e lo guardò come il Demone tentatore che era. “Prima fa il tuo dovere, Cavaliere. Parleremo dopo...”


***



I tempi dei viaggi a cavallo erano finiti da quando era nato il Principe e Tooru aveva ordinato che venissero preparate tre carrozze per la loro imminente partenza. 
“Mamma?” 
Tooru non poteva spiegare come il suo cuore ancora facesse le piroette a sentirsi chiamare così. Sorrise al bambino che stringeva la sua mano concendendogli tutta la sua attenzione. 
“Dove andiamo?” Domandò Tobio scendendo le scale di pietra con una compostezza a cui Tooru non aveva mai dovuto educarlo. Non credeva di aver mai dovuto dire a suo figlio di stare fermo e zitto. Certo, aveva dovuto dirgli un sacco di volte di non uscire dal Castello Nero da solo, di non giocare con la spada di papà e di non provare a cavalcare un destriero adulto senza la supervisione di qualcuno ma Tooru doveva ammettere di non essersi mai trovato nella posizione di dare rimproveri che la maggior parte dei genitori sembrava ripetere quotidianamente ai propri figli.
Hajime aveva ragione, erano stati dei genitori molto fortunati considerata anche la loro giovane età quando Tobio era venuto al mondo ma la personalità del loro Principe, crescendo, si stava dimostrando tanto diversa dalla loro che, alle volte, si ritrovavano a chiedersi se stessero sbagliando qualcosa.
“Al castello sul mare,” rispose il Re allegramente.
Gli occhi di Tobio si fecero grandi e brillanti. “E dov’è?”
“All’incirca ad un giorno di viaggio da qui, verso sud. Ormai sei abbastanza grande per viaggiare ed io e papà abbiamo pensato che ti sarebbe piaciuto vedere il mare.”
Tobio gli rivolse uno di quei sorrisi un po’ timidi e goffi che faceva solo quando era veramente contento per qualcosa e Tooru si consolò all’idea che, per quanto solitario potesse essere, suo figlio almeno non era un bambino incapace di essere felice.



Il viaggio era stato lungo ma Tobio non aveva creato alcun problema passando la maggior parte del tempo seduto sulle gambe di Hajime ad ascoltare con attenzione ogni storia che avesse voglia di raccontargli, gli occhi blu fissi sul paesaggio fuori dal finestrino. Tooru li guardava e sorrideva: il suo Cavaliere era più entusiasta di suo figlio nell’esporre alcune gesta epiche dei tempi della guerra e Tobio era completamente tranquillo con la testa appoggiata al suo petto.
Era sempre stato così, fin da quando il piccolo Principe era nella pancia e la voce di suo padre era l’unica cosa che potesse convincerlo a smettere di prendere a calci il giovane sovrano che lo portava in grembo. 
“Sei stanco, Tobio?” Domandò Hajime ad un certo punto passando una mano tra i capelli neri del figlio. Tooru si sporse in avanti e prese il piccolo Principe tra le braccia. “Vuoi provare riposare un po’ con la mamma, Tobio-chan?” 
Non ci volle molto: poche carezze e Tobio era già bello che assopito contro il petto del giovane Re.
“È sfinito...” Commentò Hajime a bassa voce.
“È sereno,” replico Tooru. “Smettila di preoccuparti, Iwa-chan. Si sveglierà che saremo già arrivati.”



Tooru e Hajime non mettevano piede al castello al mare dall’inizio della guerra contro Shiratorizawa quando, per essere portati al cospetto del Re dell’Aquila come prigionieri, il giovane Demone ed il consorte reale di Karasuno erano stati portati via a forza permettendo ai soldati di fare quello che volevano dell’edificio. Tooru non lo sapeva ancora ma portava già Tobio in grembo quel terribile giorno e, come spesso gli capitava quando ripensava ai giorni della sua prigionia al Castello Nero, accarezzò i capelli corvini del Principe addormentato convincendosi che quei tempi erano solo un passato lontano che si era concluso con il lieto fine suo e del suo Cavaliere.
“Tutto bene?” Domandò Hajime scendendo dalla carrozza assicurandosi di non disturbare il sonno del bambino tra le sue braccia. 
Tooru scosse la testa e forzò un sorrise, poi rivolse lo sguardo alla costruzione di fronte a loro. “È proprio come l’ultima volta, vero? Non si direbbe che l’hanno quasi dovuto ricostruire da nuovo.”
Hajime annuì. “Chiedi a qualcuno che fine ha fatto la nostra stanza, tanto per esserne sicuri.”
“Iwa-chan si perderebbe anche sulla strada dalla nostra camera da letto alla sala del trono, se non fosse per la mia meravigliosa guida!”
“Ehi...”
“Scherzavo! Scherzavo! Non essere il solito rude, Iwa-chan!”
La servitù li aveva preceduti di alcuni giorno rendendo quelle mura di pietra abitabili per la familgia reale. Tooru fu lieto di scoprire che la loro camera dava ancora sul mare con un’ampia balconata su cui fare colazione nelle mattine più calde. “È tutto perfetto, Iwa-chan...” Commentò osservado l’orizzonte oltre i vetri delle alte finestre.
Hajime non gli rispose, troppo occupato a coricare Tobio al centro del grande letto togliendogli gli stivaletti col massimo della cura. Tobio, da parte sua, si accocolò tra i grandi cuscini e non venne disturbato dall’assenza del calore delle braccia del padre. Hajime si concesse un sorriso, poi rivolse tutta la sua attenzione al giovane Re che si era fatto di colpo silenzioso.
“Ehi...”
Gli occhi scuri lo guardarono malinconici.
“Tutto bene?”
Tooru gli sorrise e Hajime si rasserenò nel constatare che era un sorriso sincero il suo.
“Mi vengono solo in mente tante cose...” Rispose.
“Spero non spiacevoli,” disse Hajime facendosi più vicino ed intrecciando le loro dita in un gesto tanto naturale che nessuno dei due ci fece caso.
Tooru ridacchiò. “In realtà, stavo ripensando a quando sei venuto da me scovolto all’idea che potessimo avere un bambino.”
Hajime fece una smorfia. “Ho passeggiato per ore nella foresta che costeggia la costa, prima di decidermi a venire da te.”
“Eri così terrorizzato all’idea di essere padre.”
“Avevo quindici anni!”
“Ne avevi diciassette quando ti ho preso la mano, me la sono messa sulla pancia e, ancora prima che ci fosse davvero prova che qualcosa stesse crescendo dentro di me, l’abbiamo subito chiamato Tobio.”
Risero entrambi, poi si voltarono verso la piccola figura addormentata al centro del letto.
“Ne abbiamo fatta di strada insieme, Iwa-chan...”



“Tobio, vieni qui, prima che ti bagni i vestiti,” lo richiamò Hajime sedendosi sulla sabbia.
“Papà, la sabbia affonda,” commentò Tobio con una smorfia.
Il Cavaliere sorrise. “Per questo ci si può camminare scalzi. Appoggiati alla mia spalla, ti tolgo gli stivaletti.”
Tobio fece come gli era stato detto e rimase fermo fino a che suo padre non gli ebbe arrotolato i pantaloni fino a sopra il ginocchio. “Posso andare a giocare con l’acqua?”
“Sì, ma non caderci dentro.”
Tobio fece una smorfia. “No che non ci cado.”
Hajime sorrise e gli spettinò i capelli. “Gioca pure, Tobio.”
Il Principe non se lo fece ripetere due volte e trotterellò verso la riva, dove la sabbia era umida e fresca. Hajime appoggiò le braccia alle ginocchia e continuò a guardarlo con occhio vigile e le labbra perennemente piegate in un sorriso: gli piaceva stare con Tobio e questo valeva al di là di ogni responsabilità paterna che avesse nei suoi riguardi. Era un bambino tranquillo, se non era irritato da qualcosa e aveva la buona abitudine di ascoltare con attenzione quando si tratta d’imparare qualcosa di nuovo e Hajime aveva una gran voglia d’insegnargli tante cose ancora, voleva solo aspettare che diventasse abbastanza grande per brandire una spada.
Tobio piegò le ginocchia fissando incuriosito l’acqua che si avvicinava e si ritraeva in piccole onde. La toccò con una mano e scoprì che era più fredda di quello che pensava, poi si portò le piccole dita alla bocca e subito fece una smorfia disgustata tirando fuori la lingua. “Papà, l’acqua è salata!” Esclamò come se fosse una brutta sorpresa.
“Te l’avevamo già raccontato,” rispose suo padre dietro di lui. “L’acqua del mare non si può bere, Tobio.”
“E allora cosa bevono i pesci?”
Hajime ridacchiò. “I pesci non funzionano come noi.”
Le domande finirono lì. Tobio prese a fare piccoli disegni con la punta dell’indice sulla sabbia umida ma s’imbronciò immediatamente come un’altra piccola onda passò sulla sua opera, cancellandola in un istante. Riprovò con testardaggine solo per ritrovarsi ad osservare lo stesso fenomeno. Spazientito, si alzò in piedi e fece qualche passo nell’acqua più bassa con espressione ferma, come se volesse intimidire il mare stesso per aver osato rovinare il suo operato.
Ben presto, però, i disegni sulla sabbia furono dimenticati come gli occhi blu si accorsero di come l’acqua quasi piatta riflettesse perfettamente tutto ciò che vi era sopra, dalle nuvole bianche alle sfumature del cielo al tramonto. Tobio alzò lo sguardo, poi lo abbassò di nuovo e sorrise: era come se stesse camminando lassù pur rimanendo coi piedi per terra.
“Papà, guarda! Il mare è lo specchio del cielo!” Suo padre non gli rispose ma non si voltò per indagare sul perchè. Si chinò sul proprio riflesso come se si aspettasse che la sua immagine facesse qualcosa di sua spontanea volontà. Uno spostamento dell’acqua più forte degli altri gli bagnò la parte inferiore del viso e Tobio si sollevò di colpo arricciando il naso al sapore sgradevole del sale sulle sue labbra. Si pulì con il dorso della mano continuando a fissare la superficie riflettente, ora increspata. Attese che l’immagine tornasse nitida ma, quando riuscì a vedere di nuovo se stesso, non era più il sole a specchiarsi in quel mare.
Passò gli occhi blu dalla propria immagine a quella del bambino dai capelli assurdi e dal sorriso quasi stupido, poi ritornò sulla propria e di nuovo su quella dell’altro. Di colpo, l’immagine si mosse e Tobio udì il suono di una risata accanto a lui. Sollevò lo sguardo bluastro e sobbalzò nell’accorgersi che era comparso davvero un altro bambino accanto a lui.
Gli sorrideva con convinzione, come se lo conoscesse e potesse permettersi un’espressione tanto sincera davanti a lui. Tobio lo fissò indeciso per una manciata di secondi. Il bambino non diceva nulla e lo guardava come se si aspettasse che fosse lui a fare qualcosa. Da parte sua, Tobio non aveva intenzione di dire o fare niente, così fece un passo indietro e l’altro bambino ne fece uno in avanti di riflesso.
Tobio decise di provare ancora ma l’altro continuò ad andargli vicino, fino a che la cosa non divenne irritante ed il Princpe prese a battere in ritirata camminando all’indietro. Inciampò sui propri piedi non appena fuori dall’acqua. Si rimise in piedi e corse da suo padre artigliando la stoffa dei suoi pantaloni come se quel bambino fosse una strana creatura da evitare a tutti i costi.
Non fece minimamente caso all’altra persona che era comparsa sulla spiaggia e con cui suo padre stava parlando. Il bambino dal sorriso stupido e dai capelli assurdi corse dallo sconosciuto come lui era corso dal suo papà ma non dimostrò la sua stessa irritazione.
Tobio sentì una mano tra i suoi capelli ma non sollevò lo sguardo. “Lui è Shouyou,” disse suo padre. “Il piccolo Shouyou.”
Il bambino... No, Shouyou guardò lo sconosciuto al suo fianco con fare entusiasta. “È un po’ timido, vero, mamma?”
Tobio alzò gli occhi sul giovane per la prima volta e notò che non aveva i capelli strani come suo figlio ma gli sorrideva come la sua mamma tendeva a sorridere a lui. Tutte le mamme dovevano avere lo stesso sorriso, eviedentemente.
“Forse lo è perchè non lo hai ancora salutato,” rispose dolcemente la mamma di Shouyou e lui guardò Tobio con gli occhi sgranati come se si fosse ricordato di colpo di qualcosa di assolutamente importante. Tornò a sorridere immediatamente salterellando nella direzione del povero Principe che, invece, nascose il viso contro la gamba del padre con l’eccezione di un solo occhio per controllare i movimenti dell’altro.
“Ciao, Tobio!” Disse Shouyou amichevolmente.
Tobio continuò a fissarlo imbronciato.
“Ti ho detto ciao,” ripetè l’altro un po’ meno sicuro e con occhi confusi.
Tobio sentì ancora una volta la mano di suo padre tra i suoi capelli e sollevò lo sguardo in automatico. 
“Ehi, perchè non rispondi?” Domandò Hajime.
Tobio scosse la testa e si voltò imbronciando le labbra e sollevando il naso con fare superiore: un riflesso quasi perfetto dell’atteggiamento di Tooru.
Hajime fece un passò in avanti privandolo di qualsiasi nascondiglio. “Non hai paura, vero?”
Il Principe lo fissò con un’espressione indignata che urlava Re Demone di Seijou da ogni angolazione ed il Cavaliere sospirò portando una mano dietro la schiena del figlio e spingendolo appena in avanti. “Allora muoviti.”
Tobio sgranò gli occhi come si ritrovò Shouyou davanti che saltellava e gli sorrideva con aspettativa. “Ciao...” Disse con un muso tanto lungo che avrebbe potuto pulirci il pavimento e gli occhi fissi in un qualunque punto che non fosse il viso di quel bambino.
Fu l’accoglienza peggiore della storia ma Shouyou non dovette interpretarla così perchè saltò addosso al Principe di Seijou in un entusiasta tentativo di abbracciarlo. Tobio, da parte sua, la interpretò come un’aggressione e lo spinse via da sè tornando a rifugiardi dietro a suo padre.
Shouyou cadde a terra e scoppiò a piangere arrabbiato. “Stupido!” Esclamò fissando l’altro bambino con astio. “Stupido! Stupido Tobio!”
Il Principe di Seijou s’indignò oltre ogni limite. “Lo stupido sarai tu!”



La prima volta che si videro, fu in un giorno di neve. Tobio aveva un giorno di vita e Shouyou appena sei mesi.
Naturalmente, nessuno dei due serbò alcun ricordo di quel giorno.
La seconda volta che s’incontrarono, fu sulla riva del mare, all’inizio dell’estate. Shouyou aveva sei anni da pochi giorni e Tobio li avrebbe compiuti l’inverno a venire.
Fu un giorno impossibile da dimenticare.



“È incredibile come siano cresciuti,” commentò Koushi azzardando una carezza tra i capelli corvini di Tobio che non si ritrasse ma abbassò lo sguardo ed arrossì timidamente. 
Tooru rise. “Shou-chan ha gli stessi identici capelli del giorno in cui è nato, però!” Notò con allegria. 
Daichi e Hajime si erano attardati al piano di sotto per intrattersi in qualche discussione che non girasse intorno a bambini e giochi infantili, mentre i rispettivi compagni si erano ritirati con i Principi nella stanza che era stata appositamente preparata per loro. Sia Tobio che Shouyou erano stati cambiati nei loro pigiamini e se ne stavano buoni vicino alle rispettive mamme, seduti sul tappeto in fondo ai due piccoli letti, entrambi troppo occupati a lanciarsi occhiate storte per dimostrare stanchezza.
“Tobio rende perfettamente omaggio sia a te che al papà,” disse Koushi.
“Dici?” Tooru passò una mano tra i capelli del figlio. “In realtà, mi vedo in qualche espressione, specie quando imbroncia la bocca ma, per il resto, mi sembra di guardare Hajime.”
“È bello che tu lo dica,” Koushi sospirò ma continuò a sorridere. “Shouyou qui non assomiglia a nessuno in particolare,” il piccolo Principe dei Corvi sorrise affondando il viso contro il grembo del genitore alla ricerca di qualche coccola ma anche da quella posizione si premurò di continuare a fissare l’altro bambino con fare irritato.
“Io ti ci rivedo. Forse, nei lineamenti in generale... Daichi ha tutto un altro tipo di viso,” ammise Tooru. “Però, no, del papà non vedo assolutamente nulla.”
“La nostra corte si è riempita di bambini, sai?”
“Ah, io avrei voluto che Issei e Takahiro si dessero una mossa per non far crescere Tobio da solo ma non siamo stati molto fortunati. Qualcuno dei vostri amici d’infanzia ha messo su famiglia?”
Koushi rise. “Praticamente tutti!”
Tooru fece lo stesso. “Ci si diverte nel Regno di Karasuno, allora.”
“Il nostro Primo Cavaliere ed il suo compagno...”
“Il piccoletto incrollabile?”
“Sì, lui! Hanno due bambini, ora. Li hanno adottati alla fine della guerra e sono molto amici con Shouyou, stessa età. Poi Ryuu...”
“L’inseparabile complice del piccoletto, giusto?”
“Esatto! Lui ha avuto una bambina con Kiyoko, alla fine dell’estate successiva alla guerra. Ha passato mesi a lodare in anticipo le imprese del suo erede maschio ma ha pianto di gioia quando ha preso in braccio sua figlia per la prima volta. Ha un anno meno dei nostri ma è una bambina così tranquilla... Shouyou ci va molto d’accordo.”
“Ah, anche io e Hajime vorremmo tanto che questo musone qui andasse d’accordo con qualcuno!” 
Tobio sollevò gli occhi blu su quelli scuri del genitore.
“Sì, mio Principe,” aggiunse Tooru con un sorriso. “Sto parlando di te.”
Il bambino scrollò le spalle ed appoggiò la guancia sulle gambe del Re Demone per farsi fare qualche coccola a sua volta. “I bambini sono stupidi...” Commentò a bassa voce.
“Tu sei un bambino!” Esclamò Shouyou con gran sorriso trionfante. “Quindi sei stupido!”
Il Principe di Seijou lo trafisse con lo sguardo. “Mai quanto te!”
“Tobio!” Lo rimproverò Tooru.
“Smettila anche tu, Shouyou!”



Tooru rientrò in camera che Hajime si era già coricato.
“Hai un aspetto terribile,” commentò il Cavaliere.
“Ti amo anche io, Iwa-chan,” rispose Tooru con un sorriso stanco cambiandosi velocemente negli abiti da notte per infilarsi sotto le coperte. “Volevo che questa notte fosse un modo per rivivere quell’estate di tanto tempo fa,” mormorò accocolandosi contro il petto del compagno. “Ma sono così demoralizzato che nemmeno tutta questa meraviglia riesce a convincermi,” aggiunse passando il palmo aperto sul petto scolpito del suo uomo.
Hajime lo guardò più allibito che lusingato. “Sei proprio messo male per farmi un complimento.”
“Tobio-chan è ancor più rude di te, la cosa comincia a preoccuparmi.”
“Con Shouyou non si è risolto nulla, vero?”
“No...”
“Koushi che ha detto?” 
Tooru sospirò di nuovo. “Che il piccoletto a casa ha tanti amichetti con cui gioca con naturalezza. È stato troppo sperare che contaggiasse anche Tobio, vero?”
Hajime non sapeva davvero cosa dire. “Che cosa ti ha fatto credere che Shouyou sarebbe stato diverso dagli altri bambini?”
Tooru chiuse gli occhi. ”Il sogno di un giovane Mago di tanto tempo fa...” sarebbe stata la risposta giusta. “Niente,” disse, invece. “Solo una speranza...”



Daichi accolse il suo consorte tra le braccia con un sorriso sereno. “Si è addormentato?”
“È crollato,” rispose Koushi appoggiando la guancia sopra il cuore del suo Re. “Sono crollati entrambi.”
“Hanno litigato di nuovo.”
Koushi ridacchiò. “È un po’ come con Kei, capisci?”
Daichi alzò gli occhi al cielo. “Shouyou cerca d’interagirsi a tutti i costi, pur sapendo che finirà male e Tobio lo ignora.”
“No...”
“No?”
“Cioè, Kei lo ignora, è vero,” chiarì Koushi. “Ma Tobio non lo fa. Gli risponde, gli tiene testa e non gliela da vinta neanche per sogno!”
Daichi rise. “Che sarebbe stato un prodigio lo sapevamo da quando è nato ma che riesca a tenere testa a Shouyou... Diamogli un paio di giorni e crollerà sotto l’insistente assedio del nostro principino.”
Koushi chiuse gli occhi e sospirò. “Io non darei il finale così scontato...”



Tobio si svegliò nel cuore della notte senza nessuna ragione particolare.
Si rigirò sotto le sue copertine cercando di riaddormentarsi ma le calciò via un’istante dopo ritrovandosi a fissare il soffitto della cameretta con un broncio. Si mise a sedere e lanciò un’occhiata al lettino accanto al suo: lo stupido dormiva scomposto, scoperto per metà e con la bocca spalancata da cui usciva un filo di bava.
Tobio fece una smorfia disgustata e scese dal letto per avvicinarsi alla finestra che vi era accanto. Non si poteva vedere il mare da lì ma il cielo era limpido e pieno di stelle ed il Principe pensò a quanto dovesse essre bello quel grande specchio in una notte così. Infilò gli stivaletti velocemente e, dopo essersi assicurato che lo stupido non si fosse accorto di nulla, uscì nel corridoio buio. Conosceva la strada e non ebbe alcun timore di uscire all’esterno del castello completamente da solo. Fu abbastanza accorto da non farsi sentire e scoprire: la mamma ed il papà non lo avrebbero mai lasciato andare così ma Tobio era grande e poteva benissimo andare a vedere le stelle che si riflettevano sul mare senza che nulla di brutto accadesse.
Non doveva nemmeno allontanarsi da casa: avrebbe dovuto solo scendere le scale che portavano dal cortile interno del castello alla spiaggia, tutto lì. Tobio, però, ebbe appena il tempo di sentire la sabbia sotto i piedi e di congratularsi con se stesso per quell’avventura perfettamente riuscita quando si accorse di non essere il solo sotto quel cielo stellato.
C’era qualcosa di piccolo ranicchiato vicino alla riva. Tobio, da principio, si fece rigido e trattenne il respiro, poi gli parve di vedere un colore acceso in tutto quel buio ed il suo timore si trasformò in confusione. “Ehi?” Chiamò.
Due grandi occhi lucidi di lacrime e tanto espressivi da sembrar brillare di luce propria lo guardarono dall’angolino tra l’acqua e la spiaggia in cui si era ranicchiato. “To-Tobio...” Singhiozzò Shouyou.
Il Principe di Seijou si fece più vicino. “Non puoi essere qui, dormivi!”
Per tutta risposta, Shouyou affondò di nuovo il viso tra le braccia e scoppiò in un pianto a dirotto. 
“Ehi, smettila!” Tobio si fece più vicino pensando velocemente ad un qualunque modo per farlo smettere e si accorse che non aveva addosso alcun vestito. “Perchè sei nudo?”
Shouyou gli lanciò addosso un pugno di sabbia e singhiozzò. “Vai via, stupido!”
Tobio si arrabbiò immediatamente. “Tu ti perdi i vestiti senza sapere come e lo stupido sarei io?!” Sbottò, poi si voltò e prese la via per tornare al castello. Era tutta colpa di Shouyou se non aveva potuto vedere le stesse riflesse sul mare. Salì un primo gradino, poi un secondo ed un terzo...
Shouyou strinse di più le ginocchia al petto per combattere un brivido di freddo, poi sentì qualcosa di caldo posarsi sulla sua testa e sollevò gli occhi dalla sorpresa. Tobio lo fissava in piedi con solo i pantaloni addosso e Shouyou comprese che gli aveva ceduto la sua tunica. 
“Mettila e finiscila di piagnucolare,” disse Tobio scocciato.
Shouyou si alzò in piedi e s’infilò la tunichetta bianca che, vista la loro differenza d’altezza, gli arrivava sopra le ginocchia. 
“Sei piccolo,” commentò il Principe di Seijou come se fosse un difetto. “Quanti anni hai?”
“Sei...” Rispose Shouyou lisciando la stoffa di quella sorta di abitino incidentato pur di non dover guardare l’altro negli occhi e dirgli grazie.
“Sei!” Urlò Tobio.
Shouyou sobbalzò “Cos’hai da urlare, stupido?” 
“Non puoi avere sei anni!”
“Perchè no?”
“Perchè sei piccoli ed io non li ho!”
Shouyou reclinò la testa da un lato, poi scoppiò a ridere. “Sei piccolo!” Esclamò puntandogli l’indice contro.
Tobio strinse i pugni. “Mai quanto te!”
“Quando è il tuo compleanno?” Domandò Shouyou più gentilmente, con sincera curiosità.
“A dicembre,” rispose l’altro bambino a mezza bocca.
“Il mio è stato dieci giorni fa.”
“Non m’interessa...”
“Quanto sei antipatico!” Esclamò Shouyou, poi prese a guardarsi intorno smarrito. “Dove si passa per tornare in cameretta?”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Per la stessa strada da cui sei passato per uscire.”
Shouyou si torse le mani. “Non me la ricordo.”
“Allora sei stupido sul serio!”
“Non lo faccio a posta!” Esclamò Shouyou, la voce di nuovo rotta dal pianto. “Mi succede qualche volta... Sogno e mi risveglio fuori. Non so come faccio ma...”
“Va bene! Va bene, smettila di piagnucolare, ho detto!”
“Non è casa questa, non so come tornare indietro... Mi sono spaventato...”
Tobio lo fissò seccato ma avrebbe passato dei guai se lo avesse lasciato lì solo e se avesse deciso di mettersi a piangere lungo la strada di ritorno svegliando tutto il castello, sarebbe stato anche peggio. La mamma non lo aveva sgridato l’ultima volta che lo aveva seguito nella foresta ma questa volta non sarebbe stato altrettanto fortunato. Sbuffò ed afferrò il polso di Shouyou tirandolo senza gentilezza verso le scale che riportavano al cortile interno del castello.
“Cammina e stai zitto,” gli disse perentorio.
Shouyou non fece resistenza ma non dovette sentire la seconda parte di quell’ordine. “Tu perchè sei sceso?”
“Ti ho detto di stare zitto.”
“Sei davvero antipatico, lo sai?”
Tobio gli lanciò un’occhiata storta. “E tu? Come hai fatto a scendere prima di me?”
“Te l’ho detto, faccio dei sogni e mi succede!”
“Che genere di sogni?”
Shouyou si voltò e guardò il mare: un grande specchio per il cielo trapunto di stelle. “Nei miei sogni, mi sembra di volare...”


***



Tooru si passò una mano tra i capelli uscendo sulla balconata e godendosi le prime luci del mattino che coloravano il cielo di diverse sfumature di rosa. Appoggiò i gomiti sul parapetto ma la sua solitudine non durò che pochi istanti. Due braccia calde e forti gli circondarono la vita e due labbra che conosceva bene gli baciarono il retro del collo.
“Buongiorno...” Mormorò la voce assonnata del suo Cavaliere.
Tooru gettò la testa all’indietro appoggiando la nuca sulla sua spalla. “Buongiorno, Iwa-chan.”
“Ti sei svegliato presto.”
Il giovane Re si voltò con una smorfia. “Qualche pensiero...”
“Si tratta di Tobio, vero?” Domandò Hajime appoggiando la fronte alla sua. 
Tooru si umettò le labbra. “Pensi che abbiamo sbagliato qualcosa con lui?”
Il Cavaliere sospirò. “Tooru...”
“Io vorrei solo che...” Sospirò. “Il mio amichetto di giochi è divenuto il suo papà.”
Hajime accennò un sorriso. “Vuoi trovargli un amichetto di giochi che dovrà sopportare per tutta la vita come io sopporto te?”
“Quanto sei rude, Iwa-chan!”
“Ehi...” Il Cavaliere si era fatto serio di colpo. “Quella dell’amichetto di giochi è una storia che conosco molto bene anche io e mentirei se dicessi che non ho desiderato qualcosa di simile per Tobio qualche volta...”
Fu il turno di Tooru di sorridere.
“Posso solo sperare che, crescendo, Tobio riesca ad aprirsi un po’ e capire che, all’infuori di noi due, al mondo esistono anche altre persone che vale la pena conoscere.”
Il giovane Re abbassò gli occhi scuri. “E se non accadesse, Hajime?”
“Ehi...” Hajime gli prese il mento tra due dita e lo invitò a guardarlo di nuovo. “C’è qualcosa che devi dirmi, Tooru?”
“Stupido, non scavare lì o la torre cede!”
“Scavavo il fossato!”
“E non scavarlo lì!”
“Chi lo dice?”
“Lo dico io!”
“E chi dice che hai ragione?”
I due giovani genitori si guardarono tra loro, poi si spostarono sul versante della balconata che dava sulla spiaggia. Tobio e Shouyou erano seduti in riva al mare e giocavano con la sabbia umida costruendo quello che sarebbe dovuto essere un castello.
“Guarda, guarda, guarda...” Mormorò Tooru con un gran sorriso.



“La servitù ha detto che si sono svegliati presto insieme, hanno chiesto degli strumenti per costruire un castello e le donne intenerite hanno dato loro degli attrezzi fatti di legno con cui giocano i bambini nelle campagne,” spiegò Koushi seduto sulle scale che portavano alla spiaggia. Tooru si era accomodato accanto a lui, gli occhi di entrambi fissi sui due bambini che, dopo averli salutati di fretta, erano tornati alla loro opera.
“Come...” Tooru ridacchiò. “Ieri non si sopportavano ed ora costruiscono un castello insieme.”
“Shouyou ha detto che si è svegliato stanotte e Tobio gli ha fatto compagnia. Penso che non voglia dirmi qualcosa ma da come ho capito hanno cominciato a parlare e...” Anche Koushi rise. “Non lo so, hanno avuto questa idea ed ora non c’è niente che possa persuaderli a lasciar perdere.”
Tooru si strinse le ginocchia contro il petto e guardò il suo Tobio osservare con assoluta concentrazione la costruzione sua e di Shouyou, valutando se fosse fedele alle loro aspettative. 
Koushi gli strinse il braccio. “Tooru, va tutto bene?”
Il Re Demone si portò il dorso della mano sul viso e forzò un sorriso. “Scusami, non sono abituato a vedere Tobio giocare con altri bambini. Lui è così... Solitario.”
“Oh...” Koushi annuì.
“Non gli piace la confusione, non gli piace essere circondato da molte persone... Abbiamo anche smesso di fare le feste di compleanno perchè accadeva che si divertissero tutti meno che lui.”
“Che cosa gli piace fare?”
Tooru scrollò le spalle. “Qualunque cosa facciamo io e suo padre,” rispose. “Mi segue di nascosto quando vada a caccia. Scappa sul balcone che da sul cortile interno per guardare Hajime combattere con gli altri Cavalieri. È capace di rimanere ore intere immobile a fissare me e suo padre mentre ci alleniamo e non si annoia. Anzi, gli secca che non possiamo andare avanti all’infinito.”
Koushi sorrise. “Sei fortunato,” commentò. “Hai un figlio interessato alle tue passioni. Continuerete a passare del tempo insieme anche quando crescerà, così.”
Tooru lo guardò incuriosito. “A Shouyou l’arco non piace?”
Il consorte reale del Regno di Karasuno rise stancamente. “Shouyou è... Indisciplinato.”
“No!” Esclamò il Re Demone divertito. “Non potrei mai credere che il figlio tuo e di Daichi sia un carattere indomabile.”
“Non ci credevamo neanche noi, fino a che non ci siamo resi conto che, crescendo, non accennava a calmarsi,” rise. “Io lo adoro. È sicuro, testardo, impulsivo e solare... È tutto quello che io non sono mai stato e spero che rimanga così anche crescendo, nella speranza che si cacci nei guai meno di ora,” fece una pausa ed abbassò lo sguardo. “Daichi, invece, è terrorizzato.”
Tooru aggrottò la fronte. “Per quale motivo?”
Koushi scrollò le spalle. “Lo è sempre stato, da quando Shouyou era piccolino. Non lo so, sembra che viva nel terrore che, se lo perdiamo d’occhio anche solo per un istante, possa succedergli qualcosa d’irreparabile.”
Un dubbio sinistro s’insinuò nella mente di Tooru. “Spiegati.”
“Non saprei come dirlo,” ammise l’altro. “Shouyou è... È un bambino prematuro e, probabilmente, non avrà mai la prestanza fisica di suo padre ma Daichi è fermamente convinto a non volerlo addestrare a dare di spada e so che Shouyou ne soffrirebbe tantissimo,” sorrise amaramente, “sogna di divenire un eroe, sai? Come quelli dellle leggende...”
Tooru rise. “Sta giocando con Tobio da ore, io un po’ di fiducia gliela darei!” Si fece serio. “È un bambino sano, non sembra cagionevole o fisicamente incapace. Perchè Daichi dovrebbe negargli una possibilità?”
Koushi sospirò tristemente e non gli rispose.
Tooru lo chiese anche a se stesso ed un’intuizione fastidiosa prese forma nella sua mente.
Riportò gli occhi sui due bambini che continuavano a giocare autonomamente, bisticciando ad intervalli regolari. Il Re Demone aveva voluto che si conoscessero per un motivo preciso, un motivo di cui Hajime non sospettava nemmeno, così come Koushi non comprendeva la ragione del terrore di Dacihi.
Tooru strinse le labbra. “Gli passerà...” Disse, infine, sebbene non ci credesse neanche lui.



Il Re di Karasuno cadde a terra e la sua spada con lui.
Hajime fu subito pronto a rifoderare la sua e porre una mano all’avversario sconfitto. “Tutto bene?” 
Daichi accettò l’aiuto e si rimise in piedi ridacchiando. “Passano gli anni, credo di divenire un esperto ma, alla fine, il braccio che hai tu in attacco non sono ancora riuscito ad eguagliarlo!”
Il Primo Cavaliere si concesse un sorriso. “Contro una difesa ferrea come la tua serva una testa dura.”
Due fanciulle si avvicinarono portando ad entrambi un bicchiere d’acqua. “E tra qualche anno dovrò aspettarmi un erede al trono con le tue stesse doti, vero?”
Hajime scrollò le spalle. “Tobio sembra avere un’adorazione per l’arco o per come lo usa Tooru.”
“Diciamo che ha un’adorazione particolare per me, esattamente come il suo papà!” Esclamò l’Arciere in questione comparendo alle spalle del compagno e scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. “Il gioco preferito di Tobio è rimanere a guardarci mentre ci alleniamo, io con l’arco, Iwa-chan con la spada. Sono certo che la prossima primavera ci darà tante soddisfazioni!”
Il sorriso do Daichi divenne più forzato e Tooru sapeva riconoscere un momento giusto quando se ne trovava uno davanti. “Iwa-chan, il nostro Principe sta costruendo una vera e propria fortezza con l’ausilio del piccolo Shouyou. Valla a vedere, lo farai contento.”
Hajime sorrise ed annuì: sebbene fosse meno preoccupato di lui sulla questione della capacità di socializzare di Tobio, Tooru sapeva che era sollevato di vedere che almeno un carattere solare come Shouyou riusciva a coinvolgerlo in qualcosa.
“Il tuo Principe dei Corvi ha un dono, Daichi,” commentò il Re Demone come il suo Cavaliere si fu allontanato. “In quasi sei anni di vita, nessun bambino ha resistito accanto a Tobio per più di dieci minuti, prima di essere freddamente allontanato.”
Il Re di Karasuno sorrise come un padre innamorato del proprio bambino. “Shouyou ha un carattere unico. Non so da chi l’abbia preso ma è impossibile non farsi coinvolgere da lui. Shouyou è... È sole e tempesta.”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Sarà un bel modo per descriverlo quando i suoi rivali parleranno delle sue gesta con la spada!” Esclamò con allegria perfettamente simulata. “Sempre ammesso che non abbia il talento della mamma.”
Il viso di Daichi cambiò completamente: il sorriso sparì e, al suo posto, comparve una smorfia di cortesia che chiedeva a gran voce di non affrontare quell’argomento. Tooru seppe cosa fare allora. “Posso parlarti, Daichi?”
Il Re annuì. “Certo, lascia che vada un attimo da Koushi e Shouyou e...”
“Da soli,” sottolineò il Re Demone. “Andiamo nel mio studio...”



“Che cosa succede, Tooru?” Domandò Il Re dei Corvi confuso non appena furono lontani da occhi ed orecchie indiscreti.
Tooru richiuse la porta e vi appoggiò la schiena con un sospiro stanco. “Che cosa ti ha detto Kenma?” Fu diretto perchè era inutile girarci intorno. 
Il viso di Daichi si oscuro di colpo, i lineamenti forti divennero tesi, ostili. “A che cosa stai alludendo?”
Tooru strinse le labbra. “Daichi, lo so, va bene?”
“Non c’è niente da sapere, Tooru. Non so di cosa...”
“Tobio non era neanche nato la prima volta che Kenma venne da me a parlarmi del suo destino,” lo interruppe Tooru con voce ferma e Daichi sgranò gli occhi. “Non mentirmi o lo capirò...”
“Kenma mi aveva detto che...”
“Perchè non è venuto da me, invece di parlare con te?”
“Non voleva che tu e Koushi soffriste ancora.”
Tooru sorrise amaramente. “E tu hai tenuto per anni il segreto anche con la madre di tuo figlio, dico bene?”
Daichi fu sorpreso da quella confessione mal mascherata. “È quello che hai fatto anche tu con Hajime?”
“E sporcare la sua felicità con un futuro che non ci appartiene ancora?” Tooru sospirò di nuovo. “Un altro Mago mi ha rivelato di altri sogni, dopo quelli di Kenma e penso siano gli stessi che lui ha confidato a te e celato a me.”
“Che altro Mago?”
“Non è importante...”
Daichi lo fissò intensamente. “C’è in gioco la vita di mio figlio.”
“Anche del mio,” replicò Tooru quasi duramente. “Se è lealtà che cerchi sappi che per proteggere Tobio farò tutto, esattamente come tu faresti con Shouyou.”
Daichi annuì.
“Che cosa ti ha detto Kenma sul tuo bambino?” Domandò il Re Demone.
Daichi abbassò lo sguardo, si voltò e si avvicinò alla finestra più vicina a lui osservando con attenzione il paesaggio sottostante. Tooru continuò a fissargli la schiena, ricurva per chissà quale presagio e seppe che stava guardando i loro eredi giocare come se fossero dei normalissimi bambini senza nessun destino speciale.
“Conosci le leggende del Principe Corvo?”
Tooru annuì, sebbene l’altro non lo stesse guardando. “Il Principe che, secondo la leggenda, ha unito le vostre terre e portato la pace tra le vostra gente, allontanando la tirannia dei regni invasori più forti. Dicono che la tua casata discenda direttamente da lui...”
“Non ci ho mai creduto sul serio,” ammise. “Era una bellissima storia ed ero orgoglioso di poterne essere il seguito in qualche modo e, quando è nato Shouyou, gliel’ho raccontata tante di quelle volte che, alla fine, ci ha creduto come io non sono stato capace. Il Principe Corvo è il suo eroe ed è pronto a tutto per seguire la sua stessa strada ed entrare nella leggenda.”
C’era tenerezza e tristezza nelle parole di Daichi a Tooru continuò ad ascoltare con rispetto.
“Kenma mi ha rivelato che Shouyou potrebbe essere l’erede del potere del Principe Corvo e che questo potere sarà...”
“La sua rovina?” Concluse Tooru.
Daichi si voltò a guardarlo. “Non sembri sorpreso.”
Tooru sorrise con amarezza. “È tutto molto logico dal mio punto di vista.”
“Che vuoi dire?”
“È destinato ad un grande Re,” rispose il Demone fissando il vuoto. “È giusto che sia portatore di un grande potere.”
Daichi inarcò le sopracciglia e si fece più vicino. “Di che cosa stai parlando, Tooru?”
Il Re di Seijou scosse appena la testa. “Voglio che tu sappia che quel presagio non deve tormentarti più. Le ragioni che avrebbero minacciato Shouyou a causa del suo potere non sussistono più.”
Il Regno di Shiratorizawa aveva il suo erede ed il Re dell’Aquila non aveva più alcun bisogno di usare un ragazzino per forzarlo a mettere alla luce il suo Principe. Se Shouyou era davvero destinato a Tobio, non c’era più ragione per cui qualcuno avesse dovuto portarglielo via.
Daichi lo fissò per una manciata di secondi. “Kenma non mi ha parlato delle ragioni...”
Tooru scrollò le spalle. “Non ha più senso farlo, comunque.”
“Come puoi assicurarmi che mio figlio è al sicuro?”
“Perchè mi sono assicurato che lo fosse il mio, anni fa, durante la rivoluzione qui a Seijou,” spiegò il Re Demone.
“E come potrebbe questo essere una garanzia per me?”
Tooru rise divertito. “Davvero non lo intuisci, Daichi?”
Il Re di Karasuno, invece, non era divertito affatto. “Smettila di giocare, Re Demone.”
Gli occhi scuri lo fissarono per una manciata di secondi. “Shouyou è per Tobio,” rispose. “E Tobio è per Shouyou.”
L’espressione di Daichi divenne di colpo inebetita. “Eh?”
Tooru rise di nuovo. “Come Hajime è per me e Koushi è per te... E viceversa... I loro destini sono gli stessi e sono grandi, Daichi... Sono grandi...”
Il Re di Karasuno era senza parole. “Tobio e Shouyou? Il mio Shouyou?”
Tooru annuì. “Per favore, quando tuo figlio verrà da te con quegli occhioni brillanti e ti chiederà d’insegnargli a dare di spada, non lo rifiutare per il brutto sogno di un Mago. Dagli una possibilità tu e non aspettare che se la prenda da solo... Perchè, con quel caratterino, non si accontenterà di un no.”


***



Finito di modellare la sua ultima torre, Shouyou alzò gli occhi grandi su Tobio con curiosità. “Ma se tu sei un Principe, allora da grande farai il Re!”
Tobio abbassò la sua paletta di legno e lo fissò. “Sì...”
“E ti piace?”
Il Principe di Seijou scrollò le spalle. “Non lo so, non l’ho mai fatto,” poi guardò l’altro bambino con sufficienza. “Anche tu sei un Principe e diventerai un Re, stupido! Che razza di domande fai?”
Shouyou drizzò la schiena e sorrise tutto orgoglioso. “No! Io no!”
Tobio lo fissò come se avesse detto la cosa più stupida sulla faccia della terra. “Non si può scegliere, sai? Si nasce Principi e si diventa Re, punto.”
“Ma io non voglio fare il Re!”
“Tutti vogliono fare i Re, stupido!” Replicò Tobio seccato.
“No!” Shouyou incrociò le braccia contro il petto con convinzione. “Io non voglio essere Re! Voglio essere qualcosa di più grande di un Re!”
Tobio non credeva che fosse possibile ma sapeva che tanto lo stupido glielo avrebbe detto comunque e tanto valeva accontentarlo e farlo stare zitto. “E che cosa ci sarebbe di più grande di un Re?”
Shouyou gli rivolse un sorriso luminoso come il sole. “Un eroe!”


E il destino cominciò a giocare le sue carte.




***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Tutte le mani alzate per la seconda stagione, popolo! Yay!
Bene, alla mia veneranda età tutta questa euforia dovrebbe essere contenuta ma dato che gli anni di una signora (?) sono sempre sgreti, mi ostino a credere di poter ancora saltellare dalla gioia per questi piccoli eventi! 
Capitolo breve ma dovuto... Sì, l’ammetto, il nipotastro mi ha attaccato la prima di una lunga serie d’influenze, quindi questo è tutto ciò che è uscito dal mio cervello incapace di pianificare un capitolo con mille tornanti di trama come vi ho abituati (malamente).
Dal prossimo riprendiamo i due protagonisti della nuova generazione separatamente e ci diamo ad un viaggio temporale che, secondo i piani, dovrebbe comprendere fino ai loro 14 anni... Tante cose, tanti personaggi nuovi e stimo di averlo pronto entro 15 giorni, il tempo di dedicarmi un po’ alle fic che ho lasciato un po’ indietro... Una sospesa a quattro capitoli dalla fine che mi sta facendo sputare sangue!
Bando alle ciance.
Alla prossima, miei prodi (perchè se siete ancora qui lo siete di cuore!)

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Capitolo 17
*** Di prodigi e disastri ***


15
Di prodigi e disastri


Era usanza comune credere che la stagione in cui si nascesse potesse essere, in un qualche magico modo, un criterio generico attraverso cui prevedere che genere di persona un neonato sarebbe divenuto crescendo.
Tobio, Principe Demone del Regno di Seijou, era figlio dell’inverno.
Non aveva la burbera gentilezza del Primo Cavaliere, nè la solare vivacità del Re.
Era un bambino solitario, silenzioso con i più ma estremamente rispettoso nei confronti degli adulti, a meno che non li giudicasse come dei perfetti idioti. Nessuno l’aveva mai visto giocare nel cortile del castello con gli altri piccoli di corte ed era ben risaputo che la coppia reale non credeva fosse utile crescere l’erede al trono in isolamento come era accaduto per le generazioni precedenti.
A Tobio non piaceva giocare.
Gli piaceva passare tutto il suo tempo in compagnia dei suoi genitori e quando questi erano impegnati nei loro doveri, gli piaceva osservarli. Non era un bambino fastidioso e non era raro che assistesse a qualche addestramento degli uomini migliori dell’esercito o alle riunioni del nuovo Consiglio reale. 
L’unico bambino con cui avesse mai giocato era il Principe di un Regno lontano ma anche quell’estate era finita.
“E allora Shouyou ha provato ad arrampicarsi... Gli avevo detto che quell’albero era troppo alto per lui ma ci ha provato lo stesso, poi è caduto e si è fatto male. Quanto è stupido!”
Nonostante il tono sgarbato di suo figlio, Tooru si voltò con un sorriso e guardò Hajime, che ricambiò l’espressione. “Tobio-chan, non è che Shou-chan ti piace un pochino?” Domandò Tooru allungando il braccio in direzione del piccolo. Il suo Principe lo guardò con un broncio, poi gli afferrò la mano con naturalezza e continuarono a camminare sotto gli alti alberi della foresta che circondava il Castello Nero. Hajime li affiancò e Tobio afferrò anche la sua.
Era un settembre caldo ma piacevole ed il giovane Re aveva organizzato per sè e la cerchia dei suoi uomini più fidati qualche giorno di battuta di caccia, prima che il freddo dell’inverno li costringesse tutti tra le pareti di pietra del loro castello.
“Shouyou è un bambino. Non mi piacciono i bambini.”
Entrambi i genitori ridacchiarono. “Anche tu sei un bambino, amore mio,” gli ricordò Tooru. 
Tobio scrollò le piccole spalle. “Io però non sono stupido.”
“Sai chi era l’ultimo bambino a cui ho dato dello stupido?” Disse Hajime con un sorriso e quello del Re divenne di colpo meno luminoso ma più intimo, dolce. Tobio alzò lo sguardo curioso sul padre. “Chi era, papà?”
Gli occhi verdi di Hajime incontrarono quelli grandi e scuri di Tooru. “Indovina... È un Re che ti piace tanto guardare mentre tira con l’arco.”
Tobio sgranò gli occhi blu, li sollevò su Tooru ed il giovane Re continuò a sorridergli, poi appoggiò un ginocchio a terra. “E tanti, tanti anni dopo, quando papà ha scoperto che quel bambino non era poi così stupido come credeva,” Tooru fece la linguaccia al compagno e Hajime alzò gli occhi al cielo, “è nato un bellissimo Principe con gli occhioni blu.”



“Riusciremo a prendere qualcosa domani?” Domandò Tobio avvilito alzando le piccole braccia per permettere al padre d’infilargli i vestiti per dormire. “Io voglio vedere mamma tirare con l’arco...”
Hajime gli spettinò i capelli con una carezza poi gli diede un colpetto gentile sul sederino per invitarlo a salire sul letto. Tobio gattonò fino al cuscino ed aspettò che suo padre si sedesse sul bordo del materasso e gli coricasse le coperte. “Non sempre otteniamo quello che vogliamo, Tobio,” gli disse il Primo Cavaliere. “Alle volte, si deve imparare ad aspettare per ottenere qualcosa, altre è necessario lottare per averla ma non sempre è sufficiente.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Non potrò avere e fare tutto quello che voglio quando sarò Re, papà?”
Hajime gli rivolse un sorriso paziente. “Essere Re comporta delle responsabilità, Tobio ma di questo parleremo quando sarai più grande.” Si chinò per posare un bacio sulla fronte di suo figlio ma il bambino gli afferrò una mano prima che potesse allontanarsi. Hajime si rese conto ancora una volta di quanto fossero piccole e si chiese se le sue fossero state così quando gli avevano messo nelle mani una spada per la prima volta.
“Cosa c’è, piccolo?”
“Voglio diventare un Cavaliere come te.”
E, dopo un attimo di sorpresa, Hajime non potè impedire agli angoli della sua bocca di sollevarsi in un sorriso tra l’emozionato e l’orgoglioso. “Davvero?”
“E un Arciere come mamma.”
Hajime ridacchiò. “Superbo, eh?” Proprio come Tooru.
“Voglio essere forte, papà. Come te e mamma.”
Hajime posò un’altro bacio tra i capelli corvini del suo bambino. “Lo sarai, Tobio,” disse a bassa voce. “Lo sarai.”


Tooru sorrise al soffitto della camera da letto della cascina che avevano occupato per loro. Gli uomini erano accampati al piano di sotto ed avevano concesso loro tutta l’intimità di cui una giovane coppia aveva bisogno. 
“È successo qualcosa di bello?” Domandò Tooru continuando a passare le dita tra i neri capelli ribelli del Cavaliere adagiato sul suo petto.
“Uhm...” Rispose Hajime stancamente, gli occhi chiusi ed il corpo completamente rilassato dopo l’amore appena consumato.
“Voglio dire... Non è che io mi lamenti, Hajime... È solo che, dopo anni, un amante comincia a capire quando si fa l’amore per festeggiare qualcosa, invece che per semplice voglia.”
Il Cavaliere sospirò profondamente e Tooru prese ad accarezzargli il retro del collo e le spalle con la punta delle dita. “Tobio mi ha detto che vuole diventare un Cavaliere,” rispose Hajime stancamente.
Tooru inarcò un sopracciglio, poi sorrise e posò le labbra tra i capelli del compagno. “Davvero?”
“Ed un Arciere,” aggiunse Hajime sollevandosi sui gomiti per guardare il suo Re negli occhi.
Gli occhi scuri di Tooru s’illuminarono. “Superbo,” ridacchiò. “È proprio il mio bambino!”
“L’ho pensato anche io,” Hajime si chinò su di lui dandogli un lungo e lento bacio. Le mani di Tooru erano sul suo viso quando si allontanò. “In primavera comincerò ad addestrarlo.”
“Ti sei convinto!”
“Me l’ha chiesto lui... Dovremmo anche riprendere il discorso del suo regalo di compleanno. Fai costruire quell’arco per Tobio. Facciamogli fare le cose che gli piacciono e speriamo per il meglio.”
Tooru sorrise, “mi piace questo piano d’attacco, mio Cavaliere.”
“Vuole essere forte...”
“Ha detto così?”
“Sì...” 
Si diedero un altro caldo bacio, poi le mani presero a vagare di nuovo lungo la pelle già tiepida d’amore e Hajime non si sentì più così stanco mentre Tooru si aggrappava alle sue spalle con fiducia. Il resto fu solo calore.



Tobio ricevette il suo primo arco il giorno del suo sesto compleanno.
Tooru si emozionò a guardare suo figlio stringere le piccole dita intorno ad una delle frecce costruite appositamente per lui e Hajime, seduto sulla poltrona accanto al fuoco, rise sotto i baffi per tutto il tempo. Il Re gli rivolse una smorfia. “Rude, Iwa-chan!” Esclamò, sebbene il Cavaliere non avesse detto nulla. “Aspetta di vederlo nel cortile interno insieme agli altri bambini pronto a seguire le orme di papà e vedremo chi prenderà in giro chi!” Tirò su col naso e Hajime rise tirandolo per l’orlo della tunica e facendolo cadere a sedere sulle sue gambe. “Stai un po’ zitto e goditi il momento,” disse.
“Grazie,” disse Tobio con gli occhi grandi e le guance rosse per l’emozione. “Grazie!”
Nessuno dei due l’aveva mai visto così felice come in quel momento.
Tooru lo guardò incantato lasciando che il suo Cavaliere gli appoggiasse la testa contro il petto e cercò di memorizzare alla perfezione il sorriso che Tobio rivolgeva ad entrambi in quel momento. Forse, erano sulla strada giusta.


 
Tobio cominciò la sue educazione da Arciere appena la neve si sciolse.
“Il tuo arco è come il mio, Tobio,” disse Tooru con un sorriso orgoglioso passando la punta delle dita sulla curva di legno. “Non c’è un altro arco uguale in nessuno dei Regni conosciuti. Sono unici, come me e te, così che tutti possano ricordare che sei diverso dagli altri. Sei speciale, mio Principe . Non devi dimenticarlo mai.”
Tobio sollevò gli occhi blu sul viso del genitore. “Sono speciale perchè non ho le corna, mamma?”
Il sorriso di Tooru sparì per una frazione di secondo, poi tornò ma senza la luce sincera di prima. “No,” rispose. “Sei speciale perchè sei nato con un potere che gli altri non potranno mai avere. Ora, tendi la corda, prendi la mira con entrambi gli occhi ben aperti e scocca la freccia... Colpisci il centro, Tobio. Non devi provarci. Devi farlo e basta. Se vuoi vincere devi guardare dritto davanti a te e non abbassare mai lo sguardo davanti al nemico. Mai.”
Era una lezione che Tooru doveva insegnargli a qualsiasi costo. 
Doveva se voleva renderlo abbastanza forte perchè fosse in grado di percorrere il cammino a cui era destinato con le sue gambe e a testa alta. 



Tobio colpì il centro una volta, due volte, tre volte...
Alla fine di quel primo giorno, il Principe di Seijou era il degno erede del Re Demone sotto molti punti di vista.



Era primavera inoltrata quando al Castello Nero ebbe inizio l’addestramento per i bambini di corte destinati a divenire Cavalieri. Tobio era alto per la sua età ma c’era qualcuno degli altri piccoli Demoni che lo superava. Hajime sorrise nel vederlo in fila con la schiena dritta e lo sguardo  deciso e fiero insieme agli altri cadetti e non gli parve possibile che un tempo fosse stato al posto di suo figlio.
Il suo bambino stava per compiere il primo passo per divenire un Cavaliere e Hajime non poteva evitare di continuare a sentirsi felice come il peggiore degli idioti. Era una fortuna che Tooru non fosse lì per farglielo notare o sarebbero servite drastiche misure per farlo smettere e non voleva compiere atti osceni in presenza di quelle povere creature innocenti.
Ci avrebbe pensato dopo, quando il sole sarebbe calato e avrebbe potuto celbrare il debutto ufficiale del loro erede nel modo migliore che lui e Tooru conoscevano.
“Occhio su papà Iwa-chan.”
“È radioso.”
“Più radioso di Tooru quando aspettava Tobio.”
“Decisamente...”
Hajime si girò molto lentamente alla sua destra fissando in cagnesco i due Cavaliere che si stavano mordendo l’interno bocca a sangue pur di non scoppiare a ridere. Certe volte, il Primo Cavaliere si chiedeva se Issei e Takahiro non fossero divenuti così amici di Tooru per il puro gusto di complottare alle sue spalle e, al contempo, si domandava se fossero sempre nei suoi paraggi in assenza del Re appositamente per fare le sue veci.
“Seijou è un Regno da sempre orgoglioso dei Cavaliere che forgia,” Mizoguchi faceva quel discorso almeno una volta ogni cinque anni e Hajime era certo di poterlo quasi recitare a memoria insieme ai giovani che erano divenuti Cavalieri con lui. “Tutti voi discendete da quel sangue nobile e glorioso.”
Per Hajime non era stato così ma per Tobio sarebbe stato diverso.
“Primo Cavaliere,” lo richiamò Mizoguchi.
Hajime si sentì smarrito per una manciata di secondi.
“È il tuo momento, Hajime,” mormorò Issei.
“Non arrossire se incroci lo sguardo del Principe,” aggiunse Takahiro.
Lanciò ad entrambi uno sguardo raggelante, poi fece tre passi in avanti affiancando il Generale e guardando i bambini di fronte a sè, che ricambiarono il suo sguardo incantati, come se si ritrovassero al cospetto di uno di quegli eroi delle leggende con cui tutti loro erano cresciuti.
Eppure, solo due occhi blu ebbero il potere di farlo sentire a disagio ed il bambino a cui appartenevano era l’unico che aveva il serio timore di deludere. “Non ho grandi discorsi da farvi,” cominciò. “Il Generale Mizoguchi ha già adempiuto a questo dovere più che adeguatamente.”
Il Generale gli lanciò un’occhiata vagamente storta ma Hajime continuò. “C’è solo una cosa che voglio dirvi. Non è molto più di un consiglio peronale ma vorrei che la prendeste come una lezione di base sopra cui costruire l’immagine del Cavaliere che diventerete. Non siete qui per voi stessi, non siete qui per la gloria personale, non siete qui per far brillare il vostro nome sopra quello degli altri. Agite così e, non importa quanto sia forte il vostro braccio, non durerete che un battito di ciglia fuori da queste mura. I Cavalieri sono una fratellanza prima di un corpo militare. L’arma più potente che sfodererete sul campo di battaglia non sarà la spada che stringerete nel pugno ma il compagno al vostro fianco ed il legame che vi unirà gli uni agli altri sarà una difesa più impenetrabile di qualsiasi scudo brandirete mai.”
Alla fine, gli occhi verdi si posarono su quelli blu che tanto gli mettevano soggezione.
“Fate che quel legame vi renda forti perchè da soli non riuscirete mai a diventarlo,” concluse. Li guardò tutti dal primo all’ultimo e vide nei loro occhi tutti i sogni, le speranze e le mille possibilità di quelle piccole vite non ancora sbocciate. Pregò che nessuno di loro dovesse mai combattere una guerra vera. “Buona fortuna a tutti voi.”
Hajime si voltò ed i bambini presero ad applaudire emozionati.
Qualcosa... Il Primo Cavaliere non era certo di cosa, forse un presentimento, lo spinse ad alzare gli occhi verdi verso il cielo. Dalla balconata del castello, un bellissimo giovane gli sorrise e gli rivolse un cenno di saluto con la mano. Hajime ricambiò l’espressione poi tornò in fila, accanto ai suoi compagni. 
“Commuovente...” Commentò Takahiro divertito.
“Davvero ispirativo, Hajime,” aggiunse Issei.
“E chiudete quella fogna.”
“Non scherzavamo,” disse il primo appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Il Principino è, in una parola, entusiasta!” Commentò Takahiro circondandogli le spalle con un braccio. 
Hajime, allora, cercò con lo sguardo quello di Tobio e trovò i suoi occhi blu fissarlo con un orgoglio ed un sorriso che lo fecero sentire appagato più di qualunque titolo o grande vittoria avesse mai conquistato per sè. Non si sentiva così dal giorno in cui Tobio lo aveva chiamato papà per la prima volta.



Tobio era un prodigio.
Altre parole per descriverlo non ve ne erano. 
Se a Tooru erano bastati un paio di mesi per renderlo un Arciere autonomo a Hajime bastarono poche settimane per renderlo l’apprendista Cavaliere più talentuoso della sua generazione. 
C’era poco da spiegare, semplicemente, le mani del Principe sembravano essere state create per l’arte del combattimento. Spada o arco facevano poca importanza, bastava mettergli una delle due armi in mano per rimanere incantati.
“Ce l’ha nel sangue!” Fu l’unica spiegazione logica che trovò Tooru rivolgendo un gran sorriso orgoglioso al suo Cavaliere. 
E, certamente, Hajime era il padre più orgoglioso di tutto il Regno di Seijou ma c’era ancora una questione che non era stata risolta. Tobio scendeva tutte le mattine nel cortile interno insieme a lui  e sempre insieme a lui tornava negli appartamente reali, dove Tooru li aspettava con un bagno caldo appena preparato ed una lunga lista di domande curiose da porre al loro bambino.
Nelle ore di mezzo, Tobio non parlava con nessuno.
Più di una volta, durante le pause, il Principe si era staccato dagli altri bambini per avvicinarsi a suo padre ed i suoi compagni. Hajime non aveva mai avuto il cuore di cacciarlo via ma, gradualmente, aveva cominciato a non essere presente agli addestramenti più tempo del dovuto nella speranza che Tobio, ritrovandosi da solo, si sentisse spinto ad interagire coi coetanei per cause di forza maggiore.
Questo non fece che peggiorare la situazione.
Un giorno, Hajime si ripresentò nel cortile interno poco prima della fine della pausa e trovò Tobio che se ne stava seduto completamente da solo sulle scale che portavano alle mura. La sua spada di legno tra le mani e lo sguardo rivolto verso il cielo. Cosa stesse guardando, Hajime non lo seppe mai.
“Ehi... Ciao, ragazzino,” disse il Primo Cavaliere sedendosi accanto al figlio.
“Ciao, papà.” Tobio sembrava sereno, come se non ci fosse nulla di strano in quella situazione. 
“È successo qualcosa con gli altri bambini, Tobio?”
Il bambino inarcò le sopracciglia. “No, non ho parlato con nessuno oggi.”
Hajime si sentì colpito da quella risposta ancor più se gli avesse confessato una scaramuccia senza senso ma dalle dimensioni tragiche, come sempre avveniva a quell’età. “Non ti trovi bene con loro.”
Tobio scrollò le spalle facendo roteare la sua spada di legno. “Sono noiosi.”
“Perchè?”
“Ci mettono un secolo anche solo per imparare come tenere la spada.”
Hajime sospirò. “Non tutti impariamo con la stessa velocità, Tobio.”
“Sono tutti degli stupidi...”
“Ehi!” L’espressione di Hajime si fece più dura e così il suo tono di voce. “Non voglio sentire frasi del genere, va bene? Saranno i tuoi Cavalieri e tu li rispetterai come loro rispetteranno te.”
Tobio sollevò gli occhi blu con un poco di timore. “Ma anche tu ci sarai quando sarò Re, no?”
Hajime rimase un secondo interdetto, poi si passò una mano tra i capelli e sospirò. “Tobio, io e la mamma non saremo sempre...” Si fermò: non era certo che motivare un bambino di sei anni e mezzo facendo appello alla mortalità dei suoi genitori fosse una bella idea. “Non ti piacerebbe avere degli amici?”
Gli occhi di Tobio si fecero ancora più grandi. “Come tu avevi la mamma?”
Hajime ridacchiò. “Non credo che esista al mondo qualcuno come la mamma, Tobio.” Voleva essere una battuta tra i tenero ed il sarcastico ma il Principe lo guardò seriamente, prima si alzarsi e rispondergli con fare deluso: “appunto...”



Quella dei duelli fu un’idea di Hajime.
Di prassi, Mizoguchi non usava quel metodo di apprendimento prima del secondo anno di addestramento se non oltre ma il Primo Cavaliere aveva pensato alle possibilità d’integrazione che potessero crearsi in quel modo.
Lo schema era semplice: si dividevano i bambini in una serie di coppie ed i vincitori di ciascun duello passavano il turno per combattere tra loro e così via, fino agli ultimi due cadetti rimasti.
Non furono duelli che potessero offrire qualche spunto didattico.
Alcuni dei bambini non avevano ancora imparato a stringere una spada nel modo giusto ed altri non sapevano ancora distinguere tra posizione di difesa e posizione d’attacco. 
“Uhm... Alla luce dei recenti sviluppi, se escludiamo il nostro Principino,” commentò Issei appoggiando la schiena alla parete di pietra. “Un buon secondo posto lo possiamo dare all’erede dei Kindaichi.”
Takahiro scrollò le spalle. “Nemmeno quello dei Kunimi è male.”
“Qual’è?”
“Quello alto più o meno quanto Tobio con la riga in mezzo e la faccia apatica.”
“Ah, quello! Sì, non è male.”
Akira Kunimi fu sconfitto da Tobio nel penultimo duello della giornata ed il primo ad aver attirato almeno un poco l’attenzione degli adulti. Yutaro Kindaichi perse per mano del Principe nello scontro seguente.
“Morale della favola...”
“...Buon sangue non mente!” Dissero in coro Takahiro ed Issei.
Hajime alzò gli occhi al cielo ma si concesse un sorriso.


Le conseguenze di quel giorno non furono minimamente positive.
I bambini ignorati da Tobio, che lo ignoravano a loro volta, finirono per guardarlo in un modo strano, pericolosamente simile all’astioso. Se il Principe se ne era accorto, non ne parlò con i suoi genitori e Hajime e Tooru si limitarono a preoccuparsi di quanta poca voglia di socializzare avesse il loro bambino.
“Iwa-chan e se prendessimo in considerazione il fatto che quei bambini non sono davvero all’altezza di Tobio?” Tooru propose quella soluzione democratica una mattina a colazione, prima che il bambino si svegliasse.
“Tooru, non possiamo farci sentire da lui che consideriamo gli altri bambini inferiori... È già un’idea bella che radicata in quella testolina e non mi piace per niente!”
Tooru scrollò le spalle. “È un Principe... Superiore a loro oggettivamente lo è.”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Lasciamo i vaneggiamenti di gloria e potere per un’altra età!”
“Quanto sei rude!”
“Voglio dire che in un campo di battaglia il titolo ha ben poco conto se non c’è il rispetto e tra Tobio e quei bambini al massimo vi è antipatia.”
Tooru sbuffò. “Iwa-chan, lungi il voler passare come quei genitori da mio figlio è un prodigio, comuni mortali sentitevi fortunati a respirare la sua aria ma...”
“Già lo fai, Tooru...”
“Perchè Tobio lo è!” Esclamò il Re. “Voglio dire, quei bambini non hanno nulla che non va ma nostro figlio è cento passi avanti a loro, Iwa-chan, non possiamo negarlo!”
Oggettivamente, Hajime non poteva completamente dargli torto. 
Tooru gli rivolse un sorriso furbetto. “Tu mi tenevi testa ed ero un prodigio anche io,” gli ricordò con orgoglio. “Non è un caso se sei divenuto il Primo Cavaliere Umano in un regno di Demoni. La nostra creatura non poteva essere da meno...”
Hajime sorrise amaramente. “Nessuno riesce a tenere testa a Tobio, è questo che stai cercando di dirmi?”
“Il piccoletto di Koushi e Daichi ci è riuscito l’estate scorsa. Tobio non è incapace di fare amicizia, Iwa-chan, non dobbiamo preoccuparci di questo.”
“Un giorno capirò da dove ti è venuta quell’idea l’anno scorso...”
Tooru sorrise. “Un giorno, forse, te lo racconterò...”



La tragedia si sfiorò alla fine di quella estate.



Hajime e Tooru decisero di spostare l’ersercito nelle campagne in seguito al compleanno del giovane sovrano. Avrebbero aiutato col raccolto come ormai era tradizione da parte della casa reale ed il popolo era ben contento di accogliere il suo sovrano ed i suoi Cavalieri nelle loro terre ogni anno.
Tornarono a risiedere nella tenuta di campagna dalle mura bianca ma Tobio ebbe la sua cameretta in quell’occasione e Hajime fu orgoglioso di vedere che non si tirava indietro nemmeno quando si trattava d’imparare cose nuove che non riguardassero spade o archi.
Nessuno lo costrinse.
I suoi genitori facevano a turni per aiutare nei campi per non lasciarlo solo e, un bel giorno, semplicemente, Hajime se lo ritrovò con gli occhi ancora gonfi di sonno che lo aspettava accanto alla porta con una zappa su cui s’interrogò della provenienza ma che lo fece sorridere perchè era almeno il doppio del suo bambino. 
Da quella volta, lo portò con sè nei campi ogni giorno.



Fu tra i dorati campi di grano di Seijou e non tra le mura di pietra del Castello Nero che cominciò l’educazione da Re di Tobio.



“E questo è tutto mio, papà?” Domandò Tobio seduto sopra le spalle del genitore. “Tutte le terre fino al mare?”
Hajime teneva le dita strette intorno alle caviglie del suo bambino, il grano gli arrivava alla vita e, ai piedi della collina, i contadini ed i Cavalieri si stavano adoperando per raccoglierlo. “La terra è un bene prezioso, Tobio,” gli spiegò abbassando una mano per accarezzare le spighe dorate con orgoglio. “Molto più prezioso dell’oro o del potere. Se privi un uomo della sua terra, lo privi della dignità di essere umano.”
Erano discorsi compleassi ma Tobio era sempre stato bravo ad ascoltarlo e, anche se non perdeva occasione per sfuggire al suo tutore durante le sue lezioni, era un bambino sveglio per quel che lo interessava ed essere all’altezza dei suoi genitori lo interessava in modo particolare.
“Quindi un Re possiede le terre ma non lo possiede davvero?”
“Il compito di un Re è proteggere le sue terre, Tobio,” spiegò Hajime. “In modo che il suo popolo possa ricavarne tutti i doni che rendono grande un Regno.”
“Che cosa sono questi doni?”
Hajime lo afferrò per la vita e, con un piccolo sforzo, lo posò a terra. Era ancora cresciuto in altezza?  Tornati a casa avrebbero dovuto controllare: Tooru aveva distrutto lo stipite della porta del loro salottino privato per prendere nota della crescita del loro bambino.
Finita la gara sulla prima parola, ora c’era da vedere da chi il Principe avrebbe ereditato l’altezza. Perchè il Re finiva un po’ troppo spesso di ricordare al suo Primo Cavaliere di quegli immensi cinque centimetri che c’erano tra loro e che, a più di tre metri, nessun essere dotato di vista ordinaria avrebbe mai potuto notare.
Hajime non osava immaginare come si sarebbe trasformata la sua vita se anche Tobio avesse deciso di superarlo in altezza. Tooru non lo avrebbe fatto arrivare sano di mente al suo letto di morte.
“A cosa servono queste, papà?” Domandò Tobio picchiettando su di una spiga e guardandola dondolare. 
“Il grano serve a fare tante cose,” rispose Hajime posando un ginocchio a terra. “Ad esempio il pane che mangi tutti i giorni.”
Tobio guardò la spiga di grano dubbioso. “Questo è uno dei doni preziosi?”
“Sì...”
“I doni sono quello che mangiamo?”
“In breve...”
“E senza mangiare gli uomini non possono essere... Niente.”
Hajime spettinò i capelli del figlio con tenerezza. “Esatto, Tobio.”
“Iwa-chan! Tobio-chan! Il pranzo è pronto!”
Il Primo Cavaliere diede una spintarella giocosa sulla schiena del figlio. “Corri dalla mamma, avanti!”



Tooru e Hajime non erano tornati alla loro cascata per molto tempo: con l’arrivo di Tobio, i viaggi si erano fatti meno frequenti, specie quelli furtivi a cui erano abituati prima di divenire genitori.
“Vuoi sapere una cosa, Tobio-chan?” Domandò Tooru con un gran sorriso luminoso passandosi una mano tra i capelli bagnati per tirarli indietro, poi finì di frizionare quelli del figlio. Alla fine, i perennemente ordinati capelli di Tobio erano sparati in ogni direzione. “Iwa-chan, guardalo! Un piccolo te!”
Il Primo Cavaliere finì d’infilarsi i pantaloni, poi si sedette sull’erba accanto alla sua famiglia.
“Qual’è la cosa che vuoi dirmi, papà?” Domandò il Principe.
Tooru se lo mise seduto sulle gambe pettinandogli i capelli corvini con le dita. “Questo è il posto dove mamma e papà hanno fatto l’amore e poi sei nato tu!”
Hajime credette di essere sul punto di una crisi di panico mista ad una crisi respiratoria. “To-Tooru...”
Il suo Re lo guardò con un broncio infantile. “Rilassati, Iwa-chan, mamma e Tobio-chan hanno già affrontato il discorso su come nascono i bambini. Vero, mio Principe?”
“Senza di me?!” Domandò il Cavaliere scandalizzato.
“Oh, Iwa-chan, non volevo farti rivivere i traumi di quell’anno al castello al mare quando scopristi che...”
“Tooru, guai a te!”
Tobio, da parte sua, si guardava attorno con fare confuso chiedendosi che cosa avesse quel posto di tanto speciale per poterci avere un bambino. 
Hajime si fece più vicino. “Esattamente cosa gli hai detto?” Chiese a voce bassissima.
Tooru sbuffò. “Che quando mamma e papà si vogliono bene, come noi, si fa l’amore e poi nascono i bambini.”
“Quindi lui crede che non facciamo l’amore da quasi sette anni?”
“Iwa-chan, non essere assurdo! È un bambino!”
“Per questo ti dovevi inventare qualcosa!”
“Che cosa avrei dovuto dirgli? Che l’avevamo trovato sotto un carciofo?”
“Mamma...” 
Tooro tornò subito a sorridere al suo bambino. “Che cosa c’è, Tobio-chan?”
“Però io non so cosa vuol dire fare l’amore,” disse il Principe con un tenero broncetto.
Il Re Demone sgranò gli occhi completamente in panico. “Ah... Ehm... Ecco...” Si voltò verso il suo Cavaliere ma Hajime aveva già optato per la fuga strategica ed era a metri di distanza da loro. “Iwa-chan!” Chiamò disperato.
Il Primo Cavaliere lo guardò storto. “Non mi hai voluto coinvolgere e non mi faccio trascinare dentro sul punto peggiore della vicenda!”
“Iwa-chan!”



Tobio non scoprì cosa volesse dire fare l’amore quel giorno.



La prima volta che il Re Demone ed il Primo Cavaliere avevano lasciato il Castello Nero per aiutare personalmente il loro popolo, Tobio era stato l’unico neonato della compagnia. Tuttavia, quell’anno di bambini ne nacquero molti ed ora, diverse stagioni dopo, molti altri Cavalieri avevano portato le loro famiglie con loro nelle campagne e questo comprendeva molti dei cadetti con cui Tobio veniva addestrato al Castello Nero.
Il Principe ne era consapevola ma, ovviamente, la sua condotta non era diversa da quella che teneva a casa. Lui li ignorava e loro ignoravano lui.
Fino a quel fatidico giorno in cui riuscirono ad attirare la sua attenzione.
C’era un piccolo magazzino sul retro della tenuta in cui risiedeva la famiglia reale e Tobio vi stava giocando davanti da solo prendendo a calci una palla di stracci che aveva trovato per caso e che la mamma gli aveva spiegato essere stata sua quando era molto più piccolo. 
Hajime era nei campi con i suoi uomini e Tooru era in casa ad accuparsi con Shinji di alcune lettere giunte dalla Capitale che avevano bisogno di risposta immediata.
“Fai il bravo,” gli aveva detto il giovane Re lasciandolo giocare fuori. Tobio non era un bambino che si cacciava nei guai, se si escludevano le sue fughe all’alba per seguirlo nella foresta e Tooru non aveva avuto ragione di credere che potesse succedergli qualsiasi cosa ad appena pochi metri da lui.
Tobio, di fatto, non stava facendo nulla di assurdo, fino a che non si accorse che la porta del magazzino era aperta e che dal suo interno provenivano delle voci.
Fu la sua curiosità di bambino a spingerlo ad entrare. 
C’erano cinque bambini lì dentro e tutti si voltarono in direzione della porta non appena si videro investiti dalla luce del sole. Tobio riconobbe solo Yutaro ed Akira, degli altri tre non ricordava minimamente il nome.
“Che cosa vuoi?” Chiese sgarbatamente il primo, il più alto del gruppo.
Tobio non si offese: avrebbe dovuto riconoscere un qualche valore a quei bambini per farlo. “Che cosa state facendo?” Domandò con voce neutrale, sebbene la sua espressione fosse lungi dall’apparire amichevole.
“Vai via,” si limitò a rispondere Yutaro.
Tobio, da parte sua, entrò nel magazzino senza esitazione e si avvicinò al gruppetto con altrettanta arroganza. 
“Ehi!” Yutaro gli afferrò una spalla e lo spinse indietro ma Tobio aveva già avuto il tempo di vedere il tesoro prezioso che aveva attirato l’attenzione di tutti loro. C’era una cassa tra i cumuli di paglia ed al suo interno vi erano delle armi, quelle vere, non quei giocattoli che rifilavano loro durante l’addestramento.
“Non provare a dirlo a nessuno!” Esclamò Yutaro. “Le abbiamo trovate noi, sono nostre!”
Tobio si limitò a guardarlo negli occhi. “Cosa ci volete fare?”
“Niente...” Rispose Akira, poi guardò il bambino più alto al suo fianco. “Andiamo Yutaro, non dovremmo essere qui.”
Yutaro, però, sembrava essere stato colto da un’idea improvvisa. “Ti piacerebbe usarle? Sono armi vere, armi da grandi...”
Tobio sollevò un sopracciglio. “Io ho già un arco da grande.”
Yutaro sgranò gli occhi e s’irritò ancora di più. “Allora perchè non lo usi all’addestramento, se sei tanto bravo da usare un arco vero?”
Akira alzò gli occhi al cielo. “Stupido, siamo Cavalieri, non Arcieri.”
“Allora perchè lui ha un arco?”
“Bhe... Lui è il Principe.”
Tobio rivolse tutta la sua attenzione ad Akira. Era la prima volta che qualcuno pronunciava il suo titolo così, come se fosse un insulto.
“Tu mi devi ancora una rivincita!” Esclamò Yutaro puntando l’indice contro il Principe.
“La deve a tutti,” rispose uno dei bambini di cui Tobio non ricordava il nome.
“Infatti, è stupido sfidarlo,” aggiunse Akira con espressione annoiata. “Andiamo via, Yutaro, sul serio.”
Tobio, però, non fece nulla per migliorare la situazione, al contrario. “Se vuoi sfidarmi, sono pronto.” Non aveva ragione di temere nulla. Nessuno di quei bambini era forte quanto lui e questo  bastava a fargli perdere qualsiasi interesse nei loro confronti. Anzi, la loro vicinanza lo irritava: era anche per colpa loro che all’addestramento continuavano a fare sempre i soliti esercizi senza fare nemmeno un passo avanti verso il titolo di Cavaliere!
Yutaro afferrò due delle armi dentro la cassa e Akira lo guardò seriamente allarmato. “Che hai intenzione di fare?”
“Voglio batterlo!”
Tobio strinse le labbra. “Provaci, se ne sei capace.”
Yutaro gli lanciò una delle due armi e questa finì ai suoi piedi: non era una spada, sembrava più un lungo pugnale. Tobio si chinò e raccolse la lama, non ebbe il tempo di drizzare la schiena.
“Yutaro, aspetta!”
Il Principe precipitò sulla ghiaia fuori dal magazzino, l’arma ancora stretta in mano ed il sole d’estate ad accecarlo. Si alzò in piedi con rabbia. “Sei sleale!”
“Hai paura di perdere?” Domandò Yutaro.
“Prova a ripeterlo!” Sbottò Tobio.
Yutaro lo attaccò con un affondo e a Tobio bastò scansarsi per evitare il colpo. L’altro per poco non perse l’equilibrio cadendo sui suoi stessi piedi.
“Smettetela subito!” Urlò Akira. “Sono armi vere! Potete farvi male!”
“Avanti!” Tobio spronò il suo avversario. “Sconfiggimi, avanti!”
Yutaro attaccò ancora una volta dall’alto e Tobio si difese con una naturalezza da Cavaliere consumato. L’avversario cercò di renderla una questione di forza ma il Principe gli diede un calcio su di un stinco costringendolo in ginocchio.
La lama cadde di mano a Yutaro e Tobio gli puntò la sua alla gola con rabbia. “Adesso hai capito chi è il più forte?”
Una linea scarlatta solcò il collo di Yutaro, prima che qualcuno intervenisse.
“Tobio!” 
Una mano afferrò il polso del Principe e gli occhi blu incrociarono quelli scuri e furenti del Re Demone. “Lascia,” ordinò Tooru. “Lasciala subito.”
E la lama cadde a terra.



“Sei completamente uscito di senno?”
Hajime era tornato dai campi al tramonto e aveva trovato Tobio seduto in fondo al letto della loro camera, gli occhi blu pieni di lacrime e Tooru che non la piantava di urlargli contro rimproveri da cui il Cavaliere non riuscì a dedurre niente. Servì una mezz’ora buona prima che il Re gli raccontasse l’accaduto. In seguito, Hajime non ebbe particolari reazioni: si rivestì, uscì ed andò a cercare il padre di Yutaro, uno dei suoi Cavalieri.
Al suo ritorno, il Primo Cavaliere informò il compagno che il piccolo Kindaichi aveva ammesso di aver istigato ed offeso il Principe e che suo padre si scusava con entrambi pregandoli affinchè non ci fossero conseguenze su Yutaro. Nè Tooru nè Hajime avevano alcuna intenzione di fare qualcosa contro quel bambino.
Era stato un bisticcio infantile.
Sarebbe potuto finire molto male ma erano stati fortunati.
Per quanto riguardava le conseguenze, era loro dovere che fosse Tobio ad affrontarle, prima di tutto.
Non appena Tooru si fu calmato, fu il turno di Hajime di urlare. “Quante volte hai giocato con la mia spada e quante volte ti abbiamo rimproverato per questo?” Domandò con rabbia.
Tobio tirava su col naso cercando di trattenere i singhiozzi. “Mi dispiace...” Riuscì a dire. “Ma, papà, lui...”
“Non m’interessa che cosa ha fatto Yutaro, Tobio!”
Il Principe s’indignò. “Mi ha sfidato per primo! Mi ha offeso!”
“E tu avresti dovuto lasciar perdere!” Sbottò Hajime. “Sapevi di essere più forte di lui, lo sapevano tutti ma non hai resistito alla tentazione di dimostrarlo! Volevi dargli una lezione!”
“Sì!” Esclamò il bambino sollevando il viso rigato di lacrime. “Sono il più forte, non devono peremettersi di sfidarmi così.”
Hajime lo fissò con gli occhi sgranati e, se si fosse voltato, avrebbe visto che la sua era la stessa espressione che indossava Tooru ma erano così diverse le sfumature sui volti di entrambi. Il Re Demone si rivide nelle parole del suo erede e, per quanto la ragione gli urlasse che quello che era successo era sbagliato, la parte più intima della sua anima non poteva che giustificare la condotta del Principe.
Sì, era il più forte.
Sì, era bene che tutti lo ricordassero.
“Non sarai mai un Re con questo carattere tirannico, Tobio,” concluse Hajime velenoso e gli occhi blu di suo figlio lo guardarono feriti. Tooru fissò la sua schiena indignato ma il Cavaliere non se ne accorse neanche quando si voltò perchè lo superò con pochi, ampi passi rabbiosi.



“Non avresti dovuto dirgli una cosa del genere,” disse il Re Demone alcune ore dopo, quando furono finalmente da soli nella loro camera. “L’hai ferito, lo sai?”
Hajime sospirò. “Me ne sono accorto,” rispose con irritazione: si era pentito di quelle parole un istante dopo averle pronunciare e non sapeva più se provava più rabbia verso quello che era successo o verso se stesso. Il Cavaliere si coricò ed il Re fece lo stesso. Hajime fissava il soffitto e Tooru fissava lui.
“Hajime...”
Il Primo Cavaliere lo guardò immediatamente: l’aveva chiamato per nome e questo voleva dire che la questione era seria.
“Voglio che tu prenda Tobio con te, voglio che lo rendi un Cavaliere.”
“È quello che sto cercando di fare.”
Tooru scosse appena la testa. “Voglio che torniamo alle vecchie regole: i bambini di corte verranno addestrati insieme, il Principe seguirà la sua educazione separatamente.”
Hajime si sollevò su di un gomito e guardò il compagno con insistenza. “Sei stato tu il primo a suggerrire d’inserirlo nell’addestramento,” gli ricordò. “E sei stato anche il primo a dire che al Principe avrebbe fatto bene crescere con i suoi futuri Cavalieri.”
“Ho cambiato idea.”
“Perchè?”
“Perchè Tobio è un prodigio, Hajime!” Esclamò Tooru sollevandosi a sedere di colpo. “Non è la nostra adorazione da genitori a dirlo ma sono i fatti! Tobio è cento passi avanti a tutti quei bambini e tenerlo con loro non fa che renderlo frustrato e peggiorare la sua capacità d’interagire con gli altri!”
Hajime avrebbe voluto dargli torto, avrebbe voluto trovare una buona ragione per affermare che era meglio che Tobio rimanesse in compagnia dei suoi coetanei ma, al di là del comune buon senso, non ce ne erano. “Vuoi che addestri Tobio personalmente?”
Tooru annuì. “Io penso a renderlo un Arciere. Tu pensa a renderlo un Cavaliere ed insieme lo faremo diventare Re.”
Hajime annuì, poi si alzò in piedi con un sospiro stanco. 
“Dove vai?” Domandò Tooru confuso.
“Da Tobio...” Fu la risposta del Cavaliere.
Il Re Demone sorrise e si addormentò prima che il suo compagno tornasse.



Il mattino seguente, Tooru fu svegliato da un gran vociare nel cortile interno della tenuta. Sospirò stancamente e si costrinse ad alzarsi per avvicinarsi alla finestra. Sorrise nel vedere il suo Cavaliere intento ad istruire il loro Principe nell’arte della spada. 



Quello fu l’inizio dell’educazione da Cavaliere di Tobio.



***




Shouyou, Principe dei Corvi del Regno di Karasuno, era figlio dell’estate e, cielo... Non c’era assolutamente nessun lato di lui che non ne fosse prova.
Era quanto di più diverso ci fosse al mondo della naturale compostezza e serietà del Re e della quieta gentilezza del suo consorte.
Suo padre lo definiva come sole e tempesta e mai lo si potè descrivere brevemente meglio di così.
Era un bambino minuto, Shouyou. Ancor più minuto di quanto lo fosse mai stato Koushi e la speranza che quelle spalle divenissero larghe e forti come quelle di suo padre si era già persa alla fine della sua settima estate di vita. Il Principe Tobio era sei mesi più piccolo di lui e a quell’età avrebbe ancora dovuto fare la differenza ma sia Koushi che Daichi non avevano potuto fare a meno di notare che la faceva nel modo sbagliato: Tobio era visibilmente più alto e non esprimeva quel pericoloso senso di fragilità che faceva tremare il Re di Karasuno quando guardava il suo erede.
Koushi, però, non aveva mai alimentato tali insicurezze nel compagno. Al contrario, pur non potendo essere cieco di fronte alle differenze fisiche tra il suo bambino ed i suoi coetanei, gli era impossibile non vedere la forza di Shouyou.
La vedeva nella sua determinazione, nel fuoco che lo accendeva quando non riusciva a fare qualcosa e nella testardaggine, a volte estrema, con cui puntava a raggiungere i suoi obbiettivi.
Daichi non lo diceva ma Koushi sapeva che, in realtà, non era il fatto che Shouyou fosse un bambino prematuro e che questo potesse avere delle conseguenze a lungo termine sulla sua crescita a terrorizzarlo ma che il loro Principe avesse nel sangue quell’eredità scomoda che aveva etichettato il consorte reale come inferiore, fino a che non era stato accettato a corte come apprendista Arciere.
Un Omega lo si poteva riconoscere da molte cose e Koushi sarebbe stato uno stolto, oltre che un cieco, se avesse negato che, pur a soli sei anni di età, Shouyou ne portasse i segni. Razionalmente, prima della pubertà sarebbe stato impossibile determinare qualsiasi cosa ma più Koushi vedeva il terrore negli occhi di Daichi, più quella possibilità spaventava anche lui e non voleva.
Shouyou non aveva motivo di soffrire ciò che lui aveva sofferto e l’idea che il suo stesso compagno ritenesse un problema che la sua natura fosse passata in eredità al loro bambino lo feriva.
Non aveva parlato a nessuno di questo, nemmeno con Tooru in quell’estate che avevano passato assieme.
Al ritorno a casa, però, Koushi aveva avuto come l’impressione che il cuore di Daichi fosse tornato ad essere più leggero. Non ebbe mai occasione di chiedere a Tooru se si fossero detti qualcosa ma il Re smise di trattare il suo Principe come se fosse fatto di vetro e questo fu un gran passo avanti.
Shouyou parlò di Tobio per mesi interi... Non nella maniera più carina possibile ma non c’era modo di farlo stare zitto quando per disgrazia toccava l’argomento e, quando gli capitava di sentirlo, Koushi si chiedeva se al povero Principe di Seijou non fischiassero le orecchie ad intervalli regolari.
“Quanto sei noioso, Shouyou,” disse un giorno Kei alzando miracolosamente gli occhi dall’ennesimo libro che aveva rubato alla biblioteca di corte e che si era andato a leggere sulle scale che portavano al cortile esterno solo per rassicurare il fratello maggiore che non fosse un bambino completamente asociale. 
“Ah! Noioso! Noioso!” Esclamò Tadashi, seduto accanto a lui, puntando l’indice contro il Principe imbroncianto per l’indignazione.
“Zitto, Tadashi.
“Scusa, Kei...”
Shouyou strinse i pugni. “Poco importa!” Esclamò sollevando la sua spada giocattolo. “Quando diverterò l’eroe di tutti i Regni liberi, quel Tobio smetterà di essere così antipatico con me!” Lanciò un’occhiata storta al bambino biondo seduto sulle scale. “E tu farai lo stesso!”
Kouji, seduto sull’erba, alzò gli occhi al cielo. “Ci risiamo...”
Izumi forzò un sorriso ed afferrò l’orlo del mantello di Shouyou. “Shou-chan, non irritare Kei,” gli disse a bassa voce.
Kei sospirò annoiato, poi rivolse al Principe una smorfia sarcastica. “Smetterò di prendermi gioco di te quel giorno in cui proverai di essere intelligente.”
“Vieni qui, Kei antipatico!” Sbottò Shouyou prendendo a correre in direzione delle scale ma Kouji gli aveva afferrato il mantello e non andò molto lontano.
“Ho... Ho un’idea!” Disse Yachi saltando in piedi e parandosi davanti a Shouyou, come se lui e Kei fossero sul punto di darsele. “Kei, Tadashi,” li chiamò la bambina timidamente e le guance le divennero rosse. “Perchè non giocate con noi oggi?”
Kei scrollò le spalle e si alzò in piedi stringendosi il suo libro contro il petto. Tadashi lo imitò ma non si mosse: Kei non aveva ancora avuto l’ultima parola.
“Mi spiace, Yachi, non è per te ma non mi piace giocare con gli imbecilli...”
Shouyou emise un verso simile a quello di un gatto infuriato. “Vieni qui, invece di battere in ritirata, codardo!”



Kei e Shouyou erano cresciuti insieme e le differenze tra loro erano le stesse che esistevano tra la luna ed il sole. 
Erano nati a tre mesi di distanza ed avevano giocato negli stessi saloni d’inverno e negli stessi boschi d’estate, eppure non erano mai riusciti ad andare d’accordo. Kei era riservato, introspettivo e l’unica persona per cui sembrasse nutrire un po’ di affetto e rispetto era il fratello maggiore che si prendeva cura di lui completamente da solo dopo la morte dei suoi genitori.
Shouyou... Era Shouyou.
Era solare, espansivo, completamente cristallino nell’esprimere le sue emozioni e questo sembrava infastidire il minore dei fratelli Tsukishima, che si sentiva in dovere di far irritare il Principe ogni qual volta gli capitava l’occasione. 
Kei era riflessivo lì dove Shouyou era impulsivo.
Kei era controllato lì dove Shouyou era completamente spontaneo.
Non si sarebbero mai compresi. Non si sarebbero mai nemmeno incrociati a metà strada per stabilire un equilibrio crescendo. Semplicemente, Shouyou brillava e Kei lo osservava annoiato dall’ombra, ripetendosi quanto fosse fastidiosa quella luce vitale ed insistente.
Probabilmente, era Yachi la bambina più vicina al piccolo Principe e, subito dopo, venivano i bambini adottati dal Primo Cavaliere ed il suo compagno, Kouji e Izumi. Questi ultimi, però, pur essendo estremamente pazienti come Asahi, seppur in modo diverso, mancavano di quell’elemento ribelle che spingeva Shouyou a cacciarsi continuamente nei guai e faceva impazzire la coppia reale.
Yachi non era ribelle come lui.
No, Yachi non era assolutamente vicina all’esserlo ma era garbata, quieta come lo era sua madre Kiyoko ma, contrariamente da lei, era particolarmente timorosa ed incapace d’imporre la sua volontà sugli altri. Così, era molto facile che si facesse coinvolgere dall’entusiasmo di Shouyou per qualunque cosa gli passasse per la testa.
E questo faceva disperare Ryuu più di quanto facesse preoccupare Daichi e Koushi.
Tuttavia, il Cavaliere non sembrava aver alcun problema col fatto che sua la sua adorata, meravigliose, bellissima bambina fosse amica intima del Principe ed era un’eccezione che non passava inosservata, quando qualunque altro bambino sarebbe stato minacciato violentemente nel qual caso avesse dato segno di voler infangare l’onore della sua dolce fanciulla.
Yuu aveva tentato di ricordargli che erano bambini di sei o sette anni e che il rischio che una tale tragedia si verificasse era veramente basso.
Poi, era stato il turno di Koushi.
Alla fine, erano dovute intervenire Kiyoko e Saeko e Ryuu aveva dovuto arrendersi al fatto che la sua guerra personale contro i giovani indegni di sua figlia sarebbe dovuta essere rimandata per ancora qualche anno.
Koushi, da parte sua, si chiedeva quando sarebbe arrivata l’età in cui Shouyou avrebbe fatto riprendere il fiato a tutti e avrebbe lasciato il suo amore per l’avventura in favore di qualche altro interesse più discreto, poi si ricordava come Daichi non fosse poi così diverso da Ryuu sulla questione primi amori ed allora si nascondeva il viso tra le mani e sospirava, facendo appello a tutto il suo autocontrollo.
Daichi era un padre protettivo ed il suo consorte sapeva che lo sarebbe stato nel momento in cui gli aveva annunciato che stavano per avere un bambino ma la situazione gli era sfuggita di mano con il passare degli anni. E, quasi che fosse una punizione divina, gli era capitato in sorte un figlio  che di stasene buono, calmo e al sicuro non ci pensava proprio.
Nemmeno un anno di vita, poca autonomia di movimento e Shouyou aveva ben pensato che arrampicarsi su per le scale più ripide della torre più alta del Castello dei Corvi fosse un’ottima avventura con cui cominciare.
Tre anni e, dopo aver udito la leggenda del Principe Corvo, Shouyou era salito sulle mura del castello e si era messo in piedi sul bordo a braccia aperte per vedere se si potesse tasformare la storia in realtà. Sventato il pericolo, Daichi aveva giurato per giorni che non avrebbe mai più raccontato quella storia a Shouyou, nemmeno se lo avesse pregato in ginocchio.
Una settimana dopo, con i grandi occhi pieni di lacrime, Shouyou aveva giurato che non avrebbe più provato ad imitare i contenuti delle storie di suo padre e Daichi si era letteralmente sciolto. Quella sera, come tutte quelle a venire negli anni che seguirono, il Re di Karasuno continuò a raccontere a suo figlio le mitiche gesta del Principe Corvo e dei suoi Cavalieri.
A sei anni, Shouyou non poteva avere altro desiderio che quello di divenire un eroe.
Per questo fuggiva di continuo dalle lezioni col Maestro Takeda, tanto che Koushi aveva deciso di prendere su di sè la responsabilità dell’educazione teorica di suo figlio. Shouyou non poteva essere contenuto in una stanza con dei libri, non era possibile quando dall’alto delle montagne del Regno di Karasuno vedeva un orizzonte infinito che sembrava chiamarlo a gran voce.
“Shouyou è come un pulcino che scalpita per volare via dal suo nido ancor prima che le ali finiscano di crescergli,” soleva dire Koushi.
Non aveva idea di quanto avesse ragione.


La prima volta che era successo, era stato nell’estate in cui Shouyou aveva compiuto tre anni.
Da principio, Daichi e Koushi non gli avevano dato particolarmente importanza: capitava più giorni di seguito che la coppia reale non trovasse il Principe nella sua stanza al mattimo e lo scovasse a dormire in qualche angolo remoto del castello. Sempre nelle torri più alte. Una volta, sulle mura di vedetta.
Quegli episodi cessarono con l’inizio della stagione fredda e nè Koushi nè Daichi ne parlano più.
In verità, non finirono mai ma Shouyou cominciò a svegliarsi prima che qualcuno lo trovasse.



Shouyou aveva quattro anni la prima volta che aprì gli occhi e si ritrovò senza i suoi vestiti fuori dalla sua casa. Era arrivato appena al cortile esterno del Castello dei Corvi ma la paura aveva avuto il sopravvento e non era riuscito a fare altro che stringersi le ginocchia al petto e scoppiare a piangere. Erano state le due guardie della prima vedetta del mattimo a trovarlo.
L’avevano avvolto in uno dei loro mantelli e lo avevano portato di corsa dai suoi genitori.
Shouyou si era tranquillizzato solo dopo che Koushi lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva riempito di baci caldi ed amorevoli.
Il Maestro Takeda aveva parlato di sonnambulismo e aveva assicurato ai due genitori che sarebbe passato da solo con la crescita. Tutto quello che Shouyou capì con la sua mente di bambino fu che quello che gli era successo era una cosa brutta che aveva spaventato la mamma e terrorizzato il papà.



Non lo dimenticò mai



“Mamma?”
Koushi si sollevò su di un gomito sorridendo al bellissimo bambino accoccolato sotto le coperte accanto a lui. “Che cosa c’è, mio Principe?”
Shouyou aveva sei anni e, forse, Koushi avrebbe dovuto smettere di essere così amorevole e paziente ed insegnargli finalmente ad addormentarsi da solo ma era impossibile resistere a quei grandi occhioni da cucciolo il cui colore era una perfetta via di mezzo tra i suoi e quelli di Daichi.
Il piccolo Principe si accocolò contro di lui sotto le coperte e Koushi gli posò un bacio tra i capelli, prima di prendere ad accarezzarli amorevolmente per farlo sentire al sicuro. “Andremo al mare a giocare con Tobio anche la prossima estate?”
Koushi sorrise intenerito. “La prossima primavera, Tobio inizierà il suo addestramento ed anche tu,”  ancora non poteva credere che Daichi si fosse finalmente convinto. “Ma possiamo accordarci con Tooru per qualche altra occasione, se vorrete ancora giocare insieme.”
Shouyou s’imbronciò immediatamente ed incrociò le braccia contro il petto in una tenera espressione offesa. “No!”
“Come no? Hai appena chiesto se avresti potuto giocare con Tobio la prossima estate.”
“Perchè non voglio vederlo più, è stupido!”
“Shouyou...”
“E antipatico!” Concluse Shouyou annuendo alla sua stessa affermazione. 
Koushi inarcò un sopracciglio sorridendo divertito. “E allora perchè non fai che parlarne con tutti?”
“Perchè è più antipatico di Kei, mamma! Come si può essere più antipatici di Kei?”
Il consorte reale ridacchiò e baciò una delle guance morbide del loro bambino. “Spiacente deluderti, amore mio. Siete due Principi di due Regni alleati, capiterà che la sua strada incroci la tua prima o poi.”
Shouyou si fece ancora più imbronciato. “Speriamo di no!”
“Cerca di dormire, tesoro, avanti...” Koushi aggiustò le coperte intorno al corpicino del suo bambino che si girò su un fianco e si fece immobile in pochi istanti. Il giovane genitore sospirò e si voltò verso il comodino per spegnere l’unica candela nella stanza rimasta accesa. 
“Mamma?”
Gli occhi dorati di Koushi incontrarono ancora una volta quelli ambrati di suo figlio.
“Veramente papà mi permetterà di divenire un Cavaliere la prossima estate?”
Koushi sorrise. “Sì e ti rivelo un segreto, se farai il buono questo inverno, potresti ricevere un regalo inaspettato per il tuo compleanno.”
Shouyou saltò a sedere e sgranò gli occhi eccitato. “Un cavallo?”
Koushi lo rispinse tra i cuscini. “Vedremo, ora dormi su!”
“Ti prometto che sarò buonissimo, mamma... Buonissimo!”
Il consorte reale alzò gli occhi al cielo. “Shouyou, te l’ho detto tante volte. Non fare promesse che sai di non poter mantenere,” ridacchiò, poi posò un bacio sul nasino del suo bambino e spense la candela sul comodino. “Ora, dormi su.”
“Mamma?”
“Cosa c’è ancora, Shouyou?” Chiese pazientemente il giovane genitore alla stanza buia.
“Cavalcare è come volare?”
Koushi sorrise tra sè e sè. “Non lo so, non ho mai volato, amore mio ma penso che sia quanto di più simile ci sia per noi creature senza ali.”
“Mamma...”
“Uhm...” Mugugnò Koushi con gli occhi chiusi.
“Io sogno di volare quasi tutte le notti.”
Koushi, però, si era già addormentato e non rispose.



In primavera, due mesi prima del suo compleanno, Shouyou cominciò l’addestramento per divenire Cavaliere insieme a Kei, Tadashi, Kouji ed Izumi. 
Era il bambino più entusiasta di quelli in fila e Daichi giurò che quegli occhi dello stesso colore dell’ambra fossero più lucenti di tutte le stelle nel cielo in quel momento.
Era il primo passo per realizzare il suo grande sogno.
Sorrise. Forse, sarebbe andata bene.



Shouyou era un disastro
Non era possibile mettergli un’arma in mano senza che combinasse qualche guaio. Era scoordinato nei movimenti, saltava non appena uno dei bambini più grandi gli si avvicinava ed agiva talmente impulsivament che il Generale Ukai aveva urlato il suo nome più di quanto avesse fatto con quello dei suoi compagni.
Shouyou si scusava di continuo, ripetendo che avrebbe fatto di meglio la volta successiva... E la volta successiva andava ancora peggio.
La sua più grande arma ed il suo miglior talento erano la sua determinazione ma non era sufficiente.



A settimane dall’inizio dell’addestramento, la situazione non migliorò ma Shouyou non si arrese ancora.



Il giorno del suo settimo compleanno, il Principe dei Corvi vide realizzarsi almeno uno dei suoi sogni.
Quel puledro nero era meraviglioso e a Shouyou bastò vederlo per essere il bambino più felice del mondo. I grandi occhi color ambra divennero grandi e luminosi, mentre si sollevavano increduli sul viso di Koushi. Il genitore gli passò una mano tra i capelli. “Ti piace, tesoro?”
“È per me?” Domandò incredulo.
“Buon compleanno, amore mio!” Esclamò Koushi sollevando il suo bambino tra le braccia e posando un bacio su una delle guance morbide.
Al sicuro tra le braccia della sua mamma, anche Yachi era rimasta senza parole. 
“Ehi,” Ryuu le si avvicinò per darle un tenero buffetto sulla guancia. “Il papà ti farà un regalo ancor più bello di questo quando arriverà il tuo compleanno!”
Yuu, con la mano di Kouji stretta nella sua, rise. “Non fare promesse che non puoi mantenere, vecchio mio.”
Kiyoko sospirò. “Ha ragione...”
“Potreste non infrangere i sogni di una bambina per piacere?” Domandò Ryuu con aria vagamente minacciosa.
“Della bambina o del padre?” Chiese Yuu ridendo.
“Papà...” Intervenne Yachi timidamente. “Io non voglio niente di grande, qualunque cosa regalata da te è speciale.”
Gli occhi di Ryuu divennero grandi ed il suo viso paonazzo per il troppo amore. Si commosse come un idiota. “La principessa di papà!”
“Shou-chan, quanto sei fortunato!” Esclamò Izumi da sopra le spalle del Primo Cavaliere ed il Principe gli sorrise con orgoglio.
“Ma non è un regalo un po’ pericoloso per un bambino di sette anni?” Domandò Asahi con un filo di voce.
Yuu alzò gli occhi al cielo e gli diede una pacca sulla spalla. “Asahi, certe volte mi chiedo come non fai a farti venire delle crisi di panico nel bel mezzo dell’addestramento dei bambini.”
Asahi non gli disse che ne aveva... Oh, se ne aveva ma aveva di gran lunga più paura di spaventare i bambini e quindi si lasciava consumare dalle sue insicurezza in completo silenzio.
Daichi teneva il giovane puledro per briglie facendolo correre in tondo nel cortile delle scuderie. Sorrideva come un ragazzino e Koushi si sorprese a fissarlo come se fosse la prima volta che lo vedeva: non era una cosa da tutti i giorni sorprendere il loro Re in abiti comuni, con gli stivali sporchi di fango e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. 
I loro occhi s’incrociarono, Daichi gli fece l’occhiolino e Koushi si sentì avvampare come un ragazzino alla sua prima cotta. Rise di se stesso, poi appoggiò Shouyou a terra e Daichi fermò il cavallo, poi gli accarezzò il muso per assicurarsi che fosse tranquillo e cedette le briglie ad uno dei giovani delle scuderie.
“Allora, mio Principe?” Domandò con un sorriso lumisoso avvicinandosi a Shouyou e sollevando in aria. “Ti piace il tuo regalo di compleanno?”
“È bellissimo, papà!” Shouyou allacciò le piccole braccia intorno al collo del padre e Daichi gli accarezzò i capelli posandovi un bacio dolcemente. Sollevò lo sguardo ed i suoi occhi incrociarono di nuovo quelli di Koushi. I sorrisi che si scambiarono erano pieni di calde promesse per quando sarebero rimasti da soli.
“Papà, posso farci un giro?” Domandò Shouyou entusiasta. “Posso?”
Daichi gli sorrise. “Sicuro, mio Principe... Hayato, fai selllare il mio cavallo, per favore?”
L’amico di sempre annuì e si allontanò per parlare con i ragazzi della scuderia. Koushi si fece più vicino, il viso animato da un’espressione ansiosa. Appoggiò una mano sulla schiena del bambino e poi guardò il suo compagno negli occhi. “Daichi...”
Il suo Re gli posò una mano sulla guancia tenendo Shouyou sollevato su di un braccio solo. “Non c’è nulla di cui aver paura, Koushi,” lo rassicurò. “Giuro che lo proteggerò a costo della vita.”
Koushi sospirò ed alzò gli occhi al cielo. “Daichi...”
“Sono con papà, mamma!” Esclamò Shouyou con un gran sorriso. “Per favore, non può succedermi niente!”
“L’hai sentito?” Aggiunse il Re.
Koushi lo guardò storto e poi si rivolse a suo figlio. “Va bene,” acconsentì. “Ma non allontanarti da papà e fa esattamente come ti dice, chiaro?”
Shouyou annuì entuasiasta e Daichi se lo carcò in spalla per gioco.
“Ahah! Dai, papà!”
“In marcia, mio Principe!”



Il Regno di Karasuno era una terra di alte montagne e valli meravigliose. Non era una terra facile da gestire e bisognava imparare a conoscerne le regole per viverci degnamente ma era sicura ed il suo popolo si era dimostrato forte in molte circostanze, come le continue guerre tra di loro e la gente del Regno di Seijou, prima che i due attuali Re unissero le loro corone grazie ad un’alleanza.
Questo aveva permesso a Karasuno di crescere politicamente salvandolo dal titolo di Regno di provincia che sia era guadagnato con i sovrani che avevano preceduto Daichi.
Il giovane Re di Karasuno era fermo ma non tirannico. Negli anni, aveva concentrato tutte le forze dell’ersercito nella difesa e non aveva mai preso in considerazione l’invasione o la conquista come metodo per aumentare il suo potere. Daichi aveva avuto la sua gloria sul campo di battaglia a diciassette anni e aveva quasi perso il suo compagno ed il suo bambino non ancora nato nel processo.
Non aveva bisogno di altre guerre nella sua vita e tutto quello che poteva fare come uomo, come padre e come Re era costruire un luogo sicuro per Shouyou e per quei bambini che si stavano impegnando per divenire Cavalieri con l’entusiasmo che nasceva dalle belle storie che venivano raccontate loro ma che non avevano la minima idea di cosa volesse dire combattere una guerra vera.
Daichi sperava con tutto il cuore che non lo scoprissero mai.
Suo figlio cavalcava al suo fianco e guardava il paesaggio di montagna intorno a sè come se lo vedesse per la prima volta ma Shouyou aveva imparato a camminare presto e questo aveva permesso al Re e al suo consorte di portarlo ad esplorare i luoghi più segreti e belli della loro terra molto prima di molti altri bambini.
Shouyou non accusava la fatica facilmente.
Al contrario, era la sedentarietà a frustrarlo più di qualsiasi altra cosa ed era un fatto di cui Daichi era molto orgoglioso. Certo, non era particolarmente portato per gli studi ma almeno non lo si poteva accusare di essere pigro.
E, quel giorno, fu una bella sorpresa scoprire che, oltre alla determinazione, Shouyou sebrava possedere anche un certo talento per l’equitazione. 
“Ti piace?” Domandò Daichi, sebbene gli bastasse guardare in quegli occhi color ambra per avere la sua risposta.
Il sorriso di Shouyou era più luminoso del sole. “È bellissimo, papà.”
Daichi era lieto di vederlo così allegro: le ultime settimane non dovevano essere state così facili anche se Shouyou non aveva dimostrato particolare disagio di fronte a lui o Koushi. Divenire un Cavaliere sarebbe dovuto essere il suo primo passo per realizzare il suo sogno di divenire un eroe e, per quanto poco realistico potesse essere, Daichi non era felice che suo figlio dovesse fare i conti con la dura realtà così presto.
Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per diventare grande e aveva tutto il diritto di sognare ancora per un po’...
Daichi non l’aveva detto a Koushi e non l’avrebbe mai detto a nessuno ma una parte di lui, quella terrorizzata ed egoista, era lieta che Shouyou avesse rispettato le aspettative di tutti e non avesse sorpreso nessuno: fin tanto che suo figlio rimaneva un bambino particolamente vivace ma generalmente prevedibile, ordinario, il Re di Karasuno poteva ancora sperare che gli avvertimenti di Kenma non gli sarebbe serviti mai.
Shouyou era un bambino con una grande personalità ma con scarsa capacità per l’arte del combattimento.
Nessuno potere fuori dal comune.
Nulla che rendesse il suo bambino speciale più di quanto lui e Koushi e chi gli voleva bene lo considerasse.
“Hai scelto il nome?” Domandò Daichi.
Shouyou lo guardò confuso ed il Re indicò il puledro nero con un cenno del capo. “È tuo! Devi scegliere un nome per lui.”
Shouyou allungò una delle manine per accarezzare la criniera corvina del puledro. “Karasu!” Decise con entusiasmo.
Daichi rise. “Karasu?”
“È nero,” si giustifcò il Principe.
“È adatto ad un Principe dei Corvi,” replicò Daichi. “Vuoi provare ad andare al galoppo?”
“Sì!”
“Va bene, ma rimani sempre accanto a me! Tre, due, uno...”
“Via!” Shouyou partì in anticipò e Daichi alzò gli occhi al cielo ma, suo malgrado, sorrise prima d’inseguirlo.



“E poi siamo andati nella valle su a nord e da lontano abbiamo visto le montagne ancora coperte di neve!”
Koushi sorrise accarezzando i capelli del figlio. “Mangia, Shouyou! Finirai di raccontarmi tutti prima di andare a dormire!”
“Ma non ti ho ancora detto quando io e papà abbiamo fatto a gara a chi arrivava prima alle cascate e che mi ha promesso che, qualche volta, posso andare a cavalcare con lui nelle ore dell’addestramento!”
Il sorriso di Koushi morì velocemente e puntò gli occhi dorati verso il giovane uomo dal lato opposto del tavolo rotondo. Daichi inghiottì ancor prima di aver finito a masticare sapendo di doversi giustificare in fretta, prima che il suo consorte pensasse a qualche modo dei suoi per fargliela pagare. “Shouyou cavalca molto bene, lo sai?”
“Davvero?” L’espressione di Koushi era dura, quasi furente.
“Sì, sembra che vada a cavallo da sempre.”
“Sei arrabbiato, mamma?” Domandò Shouyou confuso.
Koushi forzò un sorriso e gli concesse un’altra carezza. “No, tesoro, non preoccuparti.”
“Domani, se non fa troppo freddo, possiamo andare a cavalcare tutti e tre insieme?” Propose il Principe con entusiasmo. 
“Domani il papà ha da fare, tesoro,” rispose il consorte reale, prima che Daichi riuscisse ad aprire bocca. Il Re inarcò un sopracciglio ma non disse niente.
“Allora posso portare i miei amici a giocare con Karasu e possiamo...”
“Shouyou,” lo richiamò Koushi fermamente ma senza suonare troppo duro. Gli occhi d’ambra furono immediatamente su di lui. “Devi promettermi che non ti avvicinerai a quel cavallo se io e tuo padre non siamo con te.”
Shouyou si fece immediatamente serio. “Va bene, mamma...”


 
“Ci è rimasto male!” Esclamò Daichi una volta che furono rimasti in camera da letto da soli.
Quella mattina, si era detto che avrebbe festeggiato il compleanno di suo figlio privatamente con il suo consorte ma l’atmosfera che si era creata alle scuderie doveva essersi spezzata da qualche parte durante la cena.
Koushi lo guardò freddamente. “Come pensi ci sarebbe rimasto se avesse capito perchè gli hai regalato quel cavallo?”
Daichi lo guardò come se non sapesse a che cosa stava alludendo. “Gliel’ho regalato perchè esprime il desiderio di averne uno da quando sa parlare.”
“Perchè gli hai proposto di andare a cavallo nelle stesse ore degli addestramenti?” Domandò il consorte reale senza girarci troppo intorno. “Sei disposto a renderlo un eccellente Cavaliere ma senza spada nè armatura?”
“Non mentivo quando ho detto che Shouyou cavalca splendidamente,” si difese il Re.
“E ne sono felice!” Esclamò Koushi. “E non vedo l’ora di vederlo con i miei occhi ma non voglio che questo diventi il tuo metodo pulito per allontanarlo dalla strada che tu non vuoi che percorra!”
Daichi si umettò il labbro inferiore e fissò il pavimento per una manciata di secondi, poi sospirò e tornò a guardare il compagno negli occhi. “Dobbiamo accettare la realtà, Koushi,” disse amaramente. “Shouyou non può diventare un Cavaliere.”
Per tutta risposta, Koushi si alzò dal bordo del letto e si diresse nel salotto adiacente con espressione frustrata.
“Non si tratta delle mie paure, Koushi!” Continuò Daichi andandogli dietro. “Sono due mesi che Shouyou si allena e...”
“Sono due mesi che non si arrende,” replicò Koushi guardando il consorte negli occhi pregandolo in silenzio. “Sono due mesi che mette tutto se stesso in quello che fa. Ha aspettato questa occasione da quando era piccolo, per questo ho insistito tanto quando ti ostinavi a dire che non l’avresti mai fatto addestrare.”
Daichi non poteva dirgli che allora era diverso, che c’era una ragione più che buona per impedire a  Shouyou di prendere il volo e farsi notare ma ora la questione era di tipo pratico e razionale e non poteva rischiare che suo figlio si facesse male.
“Koushi, in due mesi Kei ha dimostrato doti eccezionali ed anche il piccolo Tadashi ha avuto i suoi momenti di gloria. Izumi, probabilmente, passerà agli arcieri, mentre Kouji è degno erede di due Cavalieri del Re... Shouyou a stento riesce a tenere in mano una spada.”
Il consorte reale chiuse gli occhi e si lasciò cadere sulla poltrona accanto al caminetto acceso. “Gli spezzeremo il cuore, Daichi.”
“Lo stiamo solo proteggendo.”
Gli occhi dorati si sollevarono in quelli scuri. “Forse ma ciò non toglie che lo renderemo molto triste...”




Nessuno dei due si accorse che la porta era socchiusa e, quindi, non videro il bambino dai grandi occhi color ambra da solo nel corridoio buio.



La mattina seguente, Koushi si alzò presto e si vestì.
Andò a controllare che il suo bambino dormisse sereno, poi scese nelle scuderie e si fece preparare il suo cavallo: aveva bisogno di schiarirsi le idee o, forse, semplicemente non aveva ancora il coraggio di guardare Shouyou negli occhi.
Daichi non gli aveva detto che cosa avesse intenzione di fare a quel punto e avrebbero dovuto parlarne ma questo non avrebbe cambiato il risultato. Shouyou avrebbe assaggiato la sconfitta ad un’età in cui avrebbe dovuto ancora credersi capace di realizzare qualsiasi suo sogno ma se le capacità di suo figlio erano tali da metterlo solo in pericolo, Koushi non poteva biasimare poi così tanto il suo compagno.
Cavalcò nella foresta, superò il lago ed arrivò al piccolo castello di vedetta abbandonato che era stato il rifugio suo e di Daichi fin da quando non erano altro che ragazzini animati da un sentimento più grande di loro. Salì sulla balconata e rimase a guardare lo splendido paesaggio di montagna davanti ai suoi occhi con una spalla appoggiata al muro di pietra.
Non seppe per quanto tempo rimase così ma dovette essere abbastanza perchè, quando si voltò, si accorse che un certo Re aveva avuto tutto il tempo di raggiungerlo.
“Sapevo che eri qui,” disse Daichi avvicinandosi.
“Volevo restare da solo...”
“Vuoi che me ne vada?”
Koushi non ebbe bisogno di pensarci. “No...”
Daichi accennò un sorriso. “Eppure, non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tu ce l’abbia ancora con me.”
Koushi tornò a guardare l’orizzonte con un sospiro. “Mentre Shouyou cresceva ed io ti vedevo divenire sempre più terrorizzato da un pericolo invisibile ai miei occhi, sono arrivato a credere che ciò che ti preoccupava fosse che Shouyou potessere essere come me...”
Daichi sgranò gli occhi.
“Credevo che, nel caso Shouyou si fosse rivelato un Omega come me, ne avresti fatto una maledizione come i parenti che mi avevano in custodia fecere con me prima di arrivare a corte.”
Il Re si avvicinò ancora un poco, poi posò una mano sulla guancia del compagno invitandolo a guardarlo negli occhi. “Non avresti mai dovuto pensarla una cosa del genere.”
L’espressione di Koushi era un poco accusatoria quando gli rispose. “Hai una vaga idea di come mi sia sentito? Abbiamo un bambino meraviglioso, con dentro una luce più forte di quella del sole e c’erano giorni in cui la nostra felicità sembrava incontenibile ed altri in cui, improvvisamente, ti guardavo e vedevo riflesso nei tuoi occhi un presagio oscuro di cui non sapevo indovinare la fonte.”
Se Daichi avesse potuto dirgli quanto aveva ragione. “Mi dispiace, Koushi...”
“Ti sentivo così distante in quei momenti, Daichi e non ti ho mai sentito così nemmeno quando ancora portavo nostro figlio in grembo e c’era una guerra a dividerci.”
Il Re prese il viso del consorte tra le mani ed appoggiò la fronte alla sua. “Il mio silenzio ci ha quasi distrutto, vero?”
“No,” ammise Koushi. “Siamo più forti di così, tutti e tre ma questo non significa che non abbia fatto male.”
“Mi dispiace immensamente,” Daichi gli sfiorò le labbra con le proprie e Koushi si sporse in avanti per farsi baciare come si doveva: glielo doveva, dopo tutto quello!
“Forse, c’è una cosa che posso fare,” aggiunse Daichi. “Per quanto riguarda Shouyou, intendo.”
Gli occhi dorati si fecero immediatamente più brillanti. “Di cosa si tratta?”
“Hajime e Tooru lo stanno facendo con Tobio, mi è giunta voce. Lo addestrano personalmente, separatamente dagli altri bambini.”
“Vuoi dividere Shouyou dagli altri bambini?”
“Diciamo che posso addestrarlo io, una cosa tra padre e figlio... Così che io possa stare dietro ai suoi tempi e lui non finisca per sentirsi in difficoltà rispetto agli altri bambini. Potrò metterlo alla prova con Kei o Tadashi quando lo riterrò abbastanza pronto. Riuscirei a seguirlo meglio da solo, mi sentirei più tranquillo e lui non dovrebbe rinunciare al suo sogno.”
Koushi gli regalò un sorriso più luminoso del sole, lo stesso sorriso del loro Principe. “Ti amo...”
Daichi lo baciò ancora. “Scusa per non essermelo meritato negli ultimi tempi.”
Il consorte reale si spinse in avanti facendo aderire completamente i loro corpi, le bocche a pochi millimetri di distanza. “Puoi sempre farti perdonare,” gli suggerì Koushi con quella voce maliziosa a cui Daichi non avrebbe saputo resistere nemmeno tra un milione di anni.
Lo trascinò in un caldo bacio facendolo scivolare dolcemente a terra, poi lo guardò e si accorse che il suo consorte stava ridendo. “Siamo genitori e facciamo ancora l’amore di nascosto come due ragazzini,” disse per giustifcarsi. Daichi si liberò dal mantello e della tunica appallottolando quest’ultima sotto la testa dell’altro. “Per essere precisi...” Replicò. “Non siamo costretti a comportarci da adulti responsabili in assenza del bambino.”
Koushi rise di nuovo, fino a che il suo Re non lo baciò di nuovo con passione lasciandolo senza fiato.
Fu un’agonia lasciarlo andare quando si sollevò sulle ginocchia.
Gli occhi dorati lo spiarono da sotto le ciglia chiare mentre, molto lentamente, le mani del suo Re lo invitavano a piegare le gambe per lasciargli sfilare gli stivali. Una volta fatto, Daichi si piegò di nuovo su di lui ma Koushi gli premette l’indice contro le labbra rifiutando il bacio. “Adempi al tuo dovere fino in fondo, prima,” gli ordinò.
Daichi sentì un brivido caldo corrergli lungo la schiena e, dopo, liberò l’amante dei pantaloni con una certa fretta. Quando quella bocca fu di nuovo sulla sua, Koushi infilò le mani tra le loro percorrendo alla cieca l’ampio petto scolpito fino a raggiungere la cintura che lo divideva da quel piacere di cui aveva un febbrile bisogno.
Ci fu un ultimo sguardo pieno di passione tra quelle iridi dorate e quelle scure, poi il mondo sembrò scoparire e rimasero solo loro due, i loro corpi che si amavano con la voglia dei primi tempi  e la perfezione che avevano fatto loro con l’esperienza.
Fu bello come non lo era da un po’.
Troppi silenzi, troppe paure...
Quando il mondo tornò ad essere reale, si guardarono e si dissero, senza parole, di volerne ancora... Di più...
Di più...



Shouyou era uscito dalla sua cameretta che il sole era già alto.
Nel salotto dei suoi genitori avevano trovato Kiyoko con Yachi. 
“La mamma ed il papà sono dovuti uscire ma torneranno presto,” disse la mamma della sua amichetta accarezzandogli amorevolmente i capelli ribelli. Generalmente, Shouyou si sentiva a suo agio molto di più con le femminucce che con i maschietti ma esprimeva una certa timidezza nei confronti delle belle donne. Quel giorno, però, Shouyou nemmeno arrossì e quando Yachi gli chiese di giocare insieme, le rispose con voce un po’ troppo secca che doveva andare all’addestramento.
“Vuoi che ti accompagnamo?” Chiese Kiyoko.
“Kouji ed Izumi mi aspettano sempre in fondo alla scale per andare insieme,” rispose Shouyou per declinare la proposta. Se la Kiyoko notò qualcosa di strano nel Principe, non disse nulla. Yachi, invece, fu assolutamente certa che c’era qualcosa di diverso nel suo compagno di giochi ma prima che potesse aprire bocca, il Principe era già uscito fuori dalla porta.
“Mamma che cos’ha Shouyou?”
“Che cosa vuoi dire, piccola?”
“È strano...”



Non appena la porta del salotto si richiuse, Shouyou corse via con tutte le forze che aveva.
Non scese mai nel cortile interno del castello per l’addestramento.



“Spero che Shouyou non si sia preoccupato,” disse Koushi scendendo da cavallo ed afferrando le briglie per esaurire la distanza tra il limitare del bosco e le scuderie a piedi.
“Non c’è d’aver paura,” replicò Daichi facendo lo stesso ed affiancandosi al consorte. “Ho detto a Kiyoko di avvisarlo e a quest’ora sarà ancora all’addestramento, si sarà accorto a stento della nostra assenza...”
“È un vero peccato che, non appena il suo addestramento passerà nelle tue mani, questa esperienza non si potrà ripetere così facilmente.”
Daichi sgranò gli occhi e poi rise: alle volte, ancora rimaneva senza parole di fronte al lato per nulla innocente del suo compagno... E gli piaceva. “No, penso che... Ci possiamo organizzare... Dopotutto, abbiamo un castello di zii che sembrano non vedere l’ora di...”
Il Re smise di parlare come vide Hayato uscire dalle scuderie e correre nella loro direzione col viso pallido, come se stesse per svenire da un momento all’altro. Parlò con un filo di voce tremante quando li ebbe raggiunti. “I-Il Pri-Principe... Il Principe, mio si-signore...”



La coppia reale avrebbe di gran lunga preferito la morte, piuttosto che ricevere una notizia simile.
I fatti non erano ancora chiari ma sembrava che Shouyou fosse uscito dal castello di nascosto per dirigersi nelle scuderie e cavalcare il suo puledro nero senza permesso. Non l’aveva sellato, non l’aveva imbrigliato. Il Principe si era semplicemente arrampicato sull’animale e l’aveva lanciato al galoppo tenendosi alla criniera corvina.
Il fatto assurdo era che fosse arrivato tremendamente lontano prima di perdere il controllo del cavallo. Il puledro lo aveva disarcionato con violenza ed il Principe era caduto battendo la testa.
Se non fosse stato per le due vedette di pattuglia sulle mura che avevano notato un cavallo nero correre verso nord e per Kiyoko, che era scesa nel cortile interno del castello per assicurarsi che Shouyou fosse lì, ci sarebbero volute ore prima di ritrovare il piccolo Principe ed allora sarebbe stato troppo tardi.



Koushi piangeva, gli occhi dorati spenti e persi nel vuoto, le sue mani strette intorno a quella minuscola del suo bambino privo di sensi al centro del letto. La medicazione fasciava quasi interamente la piccola testa, tanto che solo alcuni ciuffi di capelli ribelli erano visibili.
Daichi se ne stava in piedi, alle spalle del suo compagno ed aspettava agonizzante che la terra gli si aprisse sotto i piedi inghiottendolo e trascinandolo via da quella scena atroce: Shoyou era immobile, il viso pallido ed il corpicino composto come non lo era mai stato nemmeno nel sonno più profondo.
Il Generale Ukai era rimasto vicino alla porta, mentre il Maestro Takeda dava un’ultima occhiata al bambino privo di sensi e la sua espressione non preannunciava nulla di buono. “Aspettiamo che si svegli, non possiamo fare altro,” disse con voce funerea.
“Quando si sveglierà?” Domandò Daichi. Koushi, probabilmente, nemmeno si ricordava della loro presenza nella stanza.
“Potrebbero volerci giorni, settimane...” 
“Mai?” Concluse il giovane Re con gli occhi ancora fissi sulla piccola figura immobile.
Il Maestro Takeda strinse le labbra per un istante. “Daichi...” Si rivolse a lui come quando era un bambino. “Non scambiare le mie parole per crudeltà ma il colpo è stato tremendo e la ferita alla testa è molto estesa... È un miracolo che respiri ancora...”
Daichi strinse i pugni. “Shouyou è forte, lui...” Non ci aveva mai creduto come in quel momento.
“Daichi, devo chiedervi di prepararvi al peggio,” disse il Maestro con le lacrime agli occhi. “Anche ammesso che Shouyou si svegli, potrebbe non essere più lui... Potrebbe non vivere più una vita norm...”
“Basta!” Sbottò il Re di Karasuno ed allora anche Koushi fu costretto a portare l’attenzione sul consorte e sugli altri due uomini.
“Vi ringraziamo per ogni cosa, Maestro Takeda,” riuscì a dire, sebbene con voce rotta. “Lasciateci soli con nostro figlio, vi prego.”
Il Maestro annuì con lo sguardo basso ed Ukai aprì la porta per farlo uscire, poi lo seguì.
Rimasti soli, Koushi riportò tutta la sua attenzione sul suo bambino. “Saremmo dovuti essere con lui...”
“Koushi...”
“Ero arrabbiato!” Koushi singhiozzò. “Ero arrabbiato e le ragioni mi sembrano così stupide, ora! Me ne sono andato pensando solo a me, sarei dovuto restare col mio bambino!”
Daichi gli afferrò entrambe le spalle e si accorse che tremava. “Non è colpa tua...”
“Sì che lo è! Se non fossi uscito, tu non mi avresti mai seguito e saresti sceso nel cortile interno insieme a Shouyou come hai sempre fatto!”
“Non potevamo prevederlo, Koushi.”
“Invece sì...” E fu terribile il modo in cui il consorte reale guardò il suo Re in quel momento. “Se tu non gli avessi detto che poteva saltare gli addestramenti ed andare a cavallo, lui...”
Daichi si sentì morire. “Stai dicendo che è colpa mia?”
“Sto dicendo che mio figlio è quasi morto mentre noi... Noi...” Koushi si lasciò spezzare il respiro da un’altra serie di singhiozzi. 
Daichi lo lasciò andare e fece un passo indietro. “È anche mio figlio, ti ricordo.”
Koushi si morse il labbro inferiore a sangue e scosse la testa. “Non sei mai riuscito ad accettarlo, mai!”
“Che diavolo stai dicendo?”
“Hai sempre creduto che fosse un debole! Sempre!”
“Ho solo cercato di proteggere mio figlio dal giorno in cui tu me l’hai messo tra le braccia!”
Koushi scattò in piedi. “Ed ecco a cose è servita la tua protezione, Daichi!”
“Sei ingiusto! Sei maledettamente ingiusto!”
“Questo è ingiusto!” Replicò il consorte reale indicanto il letto. “Perchè il mio bambino? Perchè Shouyou?” 
Daichi aprì e chiuse la bocca almeno due volte, prima di riuscire a parlare. 
Kenma gli aveva parlato di un grande potere e di un destino tragico. Tooru gli aveva assicurato che il presagio che lo aveva terrorizzato non avrebbe più avuto ragione di avvesarsi. Non sapeva più che cosa credere di fronte al viso pallido ed immobile del suo Principe.
“Vorrei avere una risposta, Koushi,” le lacrime presero a scendere sul viso del Re. “Lo vorrei tanto...”



Al calar della notte, Koushi era crollato sul bordo del letto con le mani strette intorno a quella più piccola del loro Principe. Daichi si era seduto a terra e si era imposto di non addormentarsi per nessuna ragione al mondo: una voce terribile nella sua testa continuava a ripetergli che se avesse smesso di controllare che il petto di Shouyou continasse ad alzarsi ed abbassarsi lentamente, sarebbe stato completamente immobile quando avrebbe aperto gli occhi.
Si erano rifiutati di parlare con chiunque e di mangiare non li aveva nemmeno sfiorati il pensiero.
Fossero deceduti al capezzale del loro bambino morente, probabilmente, sarebbe stata una fortuna per entrambi. Daichi non s’illudeva di ragionare lucidamente in quel momento e, di sicuro, valeva lo stesso per Koushi ma era molto chiaro che, se il loro cuore doveva morire su quel letto ad appena sette anni di età, il loro amore non sarebbe andato molto più lontano.
Tutta la loro vita sarebbe sfumata via con l’ultimo respiro di Shouyou.
Daichi non era certo di voler vivere per vedere quel giorno ma non poteva di certo scappare.
Via di fuga da quel dolore non ce ne erano, non che fosse disposto a prendere in considerazione.
Drizzò la testa con testadaggine come sentì il sonno cercare di conquistarlo ma questo non impedì agli occhi di chiudersi praticamente da soli. Quando li riaprì, Daichi potè giurare che non fossero passati più di alcuni istanti o, forse, doveva essersi infine addormentato e star sognando perchè non era possibile che il letto di fronte a lui fosse vuoto.
Scattò a sedere nel panico più totale e si fece più vicino, scostando le coperte ed assicurandosi che, effettivamente, suo figlio fosse sparito. Koushi venne svegliato da tutto quel movimento agitato e gli occhi dorati divennero grandi e terrorizzati come videro quello che aveva fatto fermare il cuore di Daichi.
“Shouyou?” Domandò il consorte reale.
Il Re scosse la testa. “Non lo so...”
Fu allora che lo udirono, un momento prima che il panico più folle assalisse entrambi. Si voltarono in direzione della finestra ancor prima di realizzare che cosa avesse attirato la loro attenzione: vi era un piccolo corvo sul davanzale di pietra e saltellava da una parte all’altra picchiattando il becco scuro contro il vetro come se stesse chiedendo a gran voce di uscire.
I due reali si guardarono, l’espressione di uno era indecifrabile quanto quella dell’altro.
Il corvo prese a picchiare contro il vetro con più violenza e velocità.
“Finirà per farsi male così,” notò Koushi con premura facendo velocemente il giro del letto. Il corvo non sembrò infastidito o spaventato dalla sua presenza. Al contrario, lo guardò come se si aspettasse che avrebbe realizzato il suo desiderio senza indugio.
“Koushi, aspetta....”
Gli occhi dorati cercarono quelli scuri del consorte. “Credi anche tu quello che credo io?”
“In questo momento, devo ancora decidere se credere di essere sveglio!”
Il corvo sembrò cambiare idea. Planò sul letto e prese a saltellare lì, dove aveva giaciuto il corpo di Shouyou. Koushi lo osservò da un lato, Daichi dall’altro.
La magia si verificò davanti ai loro occhi in un istante.
Fu fu una tenue luce, poi un vorticare di piume nere, sebbene non vi fosse un alito di vento dentro a quella camera. Sia Daichi che Koushi le allontanarono dal loro viso con un gesto veloce della mano e queste scomparvero ancor prima di aver toccato terra.
Quando i loro sguardi tornarono sul centro del letto, due grandi occhi dello stesso colore dell’ambra ricambiarono il loro sguardo.
Ci fu un momento di assoluta immobilità in cui Koushi credette di non riuscire più a respirare, mentre Daichi fu certo che il suo cuore si fosse fermato e sarebbe collassato a terra morto nel giro di pochi istanti.
Da parte sua, Shouyou si limitò a stringersi le gambe contro il piccolo petto nudo scoppiando a piangere. “È successo di nuovo!” Esclamò disperato.
Koushi si precipitò da lui prendendolo tra le braccia e riempiendolo di baci, mentre le sue lacrime di gioia si univano a quelle di sconforto del suo bambino.
Daichi, da parte sua, alla fine, lasciò che le sue gambe cedettero sotto il suo peso.



Ed il destino iniziò a compiersi.



Il Maestro Takeda non la smetteva di camminare avanti ed indietro tra gli scaffali della biblioteca ed il Generale Ukai giurò che si sarebbe preso un colpo se non si fosse fermato a riprendere fiato.
Non che la sintuazione lo consentisse.
Koushi e Daichi erano subito venuti da loro, pur nel cuore della notte, per raccontare loro l’assurdo e miracoloso fatto e tutti e quattro, più il piccolo Principe, si erano precipitati in biblioteca perchè era lì che il Maestro era abituato a cercare risposte.
“Come sta?” Domandò Daichi avvicinandosi al suo compagno seduto davanti al gran caminetto di quell’immensa stanza. Koushi gli sorrise amorevolmente, sebbene il suo viso mostrasse ancora i segni evidenti del dolore che lo aveva torturato. “Dorme come se nulla fosse successo,” rispose.
Una volta calmato ed avvolto in una coperta calda, il Principe si era addormentato serenamente tra le braccia di sua madre, lasciando tutti ancor più sconvolti di quanto già non fossero. 
Il Generale Ukai si fece più vicino e passò tentativamente una mano tra i capelli ribelli del bambino. Era stato lui a sollevarlo da terra e a portarlo di corsa al castello quando lo avevano trovato ed ora era ben lieto che nessuno dei due giovani genitori avesse dovuto vedere tutto quel sangue a terra o sentire le sensazione di quel piccolo cranio frantumato tra le sue dita. Probabilmente, quell’immagine lo avrebbe tormentato più di tutte quelle terribili che aveva collezionato negli anni di guerra e questo rendeva quella pronta guarigione ancor più assurda ai suoi occhi.
“Non c’è rimasto niente,” commentò allontanando la mano dal Principe. “Non un segno, una cicatrice...”
“Proprio come se nulla fosse successo...” Commentò Daichi appoggiando un ginocchio a terra e passando lentamente una mano sulla schiena della sua creatura. Koushi lo guardava ma restava in silenzio ed il giovane Re sapeva che avrebbero dovuto parlare non appena avessero potuto lasciarsi quella brutta storia alle spalle.
“Ecco!” Il Maestro Takeda tornò da loro con una traballante pila di libri tra le braccia e Ukai non poté fare a meno di pensare a quanto fosse comico con gli occhiali storti, i capelli in disordine e la camicia da notte a sacco. 
“Che cosa avete trovato, Maestro?” Domandò Daichi.
“Leggende!” Esclamò Takeda lasciando cadere i pesanti volumi sul tavolo da lettura più vicino. “Leggende! Leggende e leggende! Molte sono versioni degli stessi fatti, altre compongono un ciclo e tutte concordano sul fatto che il Principe Corvo avesse il potere di trasformare se stesso ed i suoi Cavaliere in corvi, per l’appunto... In altre parole, le sole risposte che posso darvi sono le storie con cui voi siete cresciuti da bambini e che avete, a vostra volta, raccontato a vostro figlio.”
Il Generale rise. “Quindi dobbiamo credere seriamente che un Principe Corvo sia esistito e che il piccoletto sia erede del suo potere?”
“Suona troppo poetico?” Domandò il Maestro timoroso.
“Suona completamente fuori dal mondo, è diverso!”
“Noi sappiamo quello che abbiamo visto!” Intervenne Koushi e cercò gli occhi di Daichi per avere un sostegno. “Nostro figlio era morente nel suo letto, poi è scomparso e, al suo posto, abbiamo trovato un corvo... Lo stesso che poi ha ripreso le sembienza di Shouyou davanti ai nostri occhi.”
Il Maestro Takeda prese a strofinarsi le mani. “Oh! Siamo di fronte ad un vero e proprio evento leggendario.”
Ukai alzò gli occhi al cielo. “Mantieni la calma, la situazione è ancora incerta...”
Daichi si morse il labbro per una frazione di secondo. “La magia, però, è un dato di fatto nel nostro mondo.”
Gli occhi dei tre presenti furono immediatamente su di lui.
Il Re prese un respiro profondo e guardò il proprio consorte negli occhi con aria colpevole. “Prima di tutto, ti chiedo infinitamente scusa per non avertelo detto subito.”
Koushi inarcò un sopracciglio. “Detto cosa?”
“Il giorno del primo compleanno di Shouyou, Kenma venne da me e disse che voleva parlarmi in privato... Mi raccontò di alcuni sogni che aveva cominciato a fare molto prima della nascita di nostro figlio, sogni che riguardavano il suo destino.”
Koushi continuò a guardarlo confuso ma non disse nulla.
“Non mi raccontò i dettagli,” aggiunse Daichi, “ma mi disse che Shouyou era destinato ad un grande potere e ad un grande destino.”
Decise di non definirlo tragico: Tooru gli aveva assicurato che le ragione per cui avrebbero dovuto esserlo non sussistevano più.
Koushi lo fissò basito, poi guardò il bambino addormentato tra le sue braccia. “Perchè non mi hai detto nulla?”
Daichi provò a dirgli una mezza verità. “Non sapevo che tipo di potere sarebbe stato quello di Shouyou e questo mi terrorizzava... Non volevo trascinarti con me in questo delirio.”
Il Maestro Takeda sgranò gli occhi. “Una profezia!” Esclamò. “Il nostro Principe è protagonista di una profezia del Mago del Regno di Nekoma!”
Il Generale li guardava con occhi e bocca splancati e non parlava più.
Koushi posò una mano sulla nuca del suo bambino in un gesto protettivo. “Shouyou è l’erede del Principe Corvo.”
Daichi annuì con aria solenne.
Gli occhi dorati lo fissarono smarrito. “Che cosa facciamo, ora?”


Il piccolo castello sulle montagne era già circondato dalla neve pur essendo ancora in estate. Koushi e Daichi ci erano stati solo due o tre volta da quando erano insieme, quando le faccende di corte s’intromettevano troppo tra loro e anche allontanarsi da casa diveniva una necessità.
Non era speciale per loro come lo era la torre di vedetta in rovina, eppure Koushi ricordava alla perfezione le ore di passione condivise con il suo Re tra quelle mura di pietra con il camino perennemente acceso, il tappeto di pelliccia su cui fare l’amore e la neve che cadeva lenta all’esterno. Koushi ricordava quanto avessero sperato che quelle dolci parentesi intime potessero portare al concepimento di un bambino ma no, Shouyou era voluto arrivare nel bel mezzo di una guerra.
Spericolato fin dal principio.
Daichi entrò per primo con il piccolo Principe avvolto in un grande mantello di pelliccia nera. Il Generale ed il Maestro li avevano preceduti con pochi membri della servitù per rendere il castello abitabile per loro. Fu Koushi a richiudersi il pesante portone alle spalle e gli sfuggì un respiro nel sentire l’aria tiepida del salone riscaldato sul viso. 
“Mamma...”
Shouyou quasi scompariva contro il petto del suo papà con il mantello nero che lo copriva quasi completamente lasciando libera solo la testolina di capelli ribelli ed una manina serrata sulla tunica di Daichi. Koushi sorrise amorevolmente e la coprì con la sua. “Va tutto bene, amore.”
No, non andava tutto bene.
Koushi e Daichi avevano discusso animatamente dopo quella notte e questo aveva impedito loro di ricucire le ferite che si erano inferti a vicenda al capezzale del loro bambino. Per Koushi non era così semplice capire perchè il suo compagno aveva scelto di tenerlo all’oscuro di un segreto così grande che riguardava un figlio loro e decidere di gestire tutta quella paura per anni da solo.
Per Daichi, invece, non era semplice accettare che la profezia di Kenma si fosse tramutata in realtà. Se negli anni qualcosa d’invisibile lo aveva spaventato, ora sembrava lo stesse facendo impazzire. 
L’idea di allontanare Shouyou era stata la sua.
“Fino a che non controllerà il suo potere,” aveva assicurato. “Porteremo il Maestro e il Generale con noi, il Castello dei Corvi sarà lasciato in mano ai ragazzi... È solo per un estate!”
Non era che Koushi non lo capisse, non era che sentisse la necessità di urlare dalle mura del castello che il suo bambino incarnava un potere antico e leggenderio ma tutta quella necessità di segretezza...
“Parleremo con gli altri alla fine dell’estate,” aveva aggiunto Daichi. “Non voglio tenerli all’oscuro di tutto, qualcuno dovrà essere dalla parte di nostro figlio in modo consapevole ma voglio che prima Shouyou impari a non temere questa parte di lui!”
“E pensi che quello che stiamo facendo non lo terrorizzi?” Aveva replicato Koushi animatamente.
La discussione che era seguita aveva raggiunto le orecchie del bambino e avevano dovuto farla finita per consolarlo ma ciò non rimediava al danno: qualunque loro parola, qualunque loro azione stava facendo sentire Shouyou sbagliato e se a Koushi si spezzava il cuore, per Daichi era un male necessario per il suo bene.
Anche in quel momento, nell’atrio del castello sulle montagne, con Shouyou premuto contro il petto di suo padre come se qualcosa di oscuro e pericoloso potesse sbucare di colpo da un angolo e fargli del male, Daichi cercava i suoi occhi con la stessa necessità con cui aspettava il suo perdono e Koushi era ancora deciso a negarli entrambi.
“Mamma...” Shouyou si sporse verso l’altro genitore e Koushi lo prese tra le braccia senza esitare. Il Principe gli circondò il collo con le piccole braccia e nascose il faccino contro la sua spalla.
“Sta bene?” Domandò Daichi passando una mano tra i capelli del loro bambino.
“È stanco...” Rispose Koushi guardando di fronte a sè ed attraversando l’atrio in modo da sottrarre se stesso e suo figlio dalle mani del giovane Re.



“Molto bene, mio Principe.”
Il Maestro Takeda era una persona gentile, adatta ad educare i bambini ed entrambi i membri della coppia reale avevano un buon ricordo delle sue lezioni. In un certo senso, erano quelle ad averli riportati insieme dopo quel loro breve incontro durante il funerale del precedente Re di Karasuno.
Koushi non aveva alcun problema ad affidare suo figlio alle cure del Maestro, come non ne aveva avuto al metterlo nelle mani del Generale per l’addestramento ma questo non cancellava gli attriti tra lui e Daichi.
Shouyou era seduto sul bordo del lungo tavolo da pranzo, i piccoli piedi ciondolavano distrattamente e gli occhi color ambra erano puntati in quelli del Maestro senza timore.
“Tu sei consapevole che ti succede qualcosa mentre dormi, dico bene?”
Shouyou guardò i suoi genitori. Prima uno e poi l’altro: Koushi e Daichi si erano accomodati ai tavoli opposti del tavolo, il primo seduto, il secondo in piedi con le mani appoggiate sull’alto schienale di una delle sedie di legno.
Koushi forzò un sorriso. “Va tutto bene, piccolo, avanti...”
Shouyou prese a torcersi le manine. “Avevate parlato di sottambulismo
Il Maestro Takede rise appena. “Sonnambulismo, mio Principe e, sì, pensavamo che lo avessi. Non è raro nei bambini e li fa camminare di notte mentre dormono.”
“Io non cammino,” disse Shouyou con sicurezza. “Io volo!” Spalancò entrambe le braccia per sottolineare il concetto.
Daichi guardò Koushi ed il consorte evitò di proposito di rispondere al suo sguardo.
“Lo vedi nitidamente?” Domandò il Maestro.
Dal lato opposto della stanza, il Generale sbuffò. “Parole più semplici, Ittetsu, ha sette anni!”
“Come dire,” il Maestro ci pensò. “Quando voli vedi davanti a te come se camminassi da sveglio?”
Shouyou scrollò le spalle. “Più o meno... All’inizio, era un sogno... Poi ho cercato di svegliarmi mentre lo facevo ma non svaniva via come i sogni normali.”
“E c’è qualcosa in particolare che ti fa volare?”
Shouyou ci pensò e poi scosse la testa. “Mi succede e basta...”
Il Maestro Takeda annuì. “Capisco...”
“Che cosa significa?” Domandò Daichi.
“È come un evento fisico spontaneo come di solito se ne vedono nella pubertà, si verifica senza una reale causa quando Shouyou non è controllato,” fu la spiegazione. “In altre parole: il suo potere ci sta dicendo che c’è ma potrà dominarlo solo con la pratica... Come un bambino che impara a camminare: all’inizio prende coscienza di potersi muovere quasi per caso, poi inziai la curiosità e la sperimentazione, fino a che non si raggiunge l’equilibrio.”
Koushi annuì. “Dobbiamo insegnargli a volare come gli abbiamo insegnato a camminare.”
Ukai si grattò distrattamente la nuca. “Qualcuno qui sa volare?”
Il Maestro indossò subito un’espressione frustrata, Koushi sospirò sconfortato e Daichi rimase in silenzio. 
“Divento un corvo quando volo?” Domandò Shouyou con occhi brillanti.
Koushi lo osservò confuso. “Ti senti volare ma non sei consapevole di cambiar forma?”
“Cambia tutto,” cercò di spiegare Shouyou. “Prima vedo e sento in un modo poi, di colpo, vedo e sento in un altro... È più forte, mamma.”
Il consorte reale annuì e guardò il Maestro in cerca di qualche intuizione, questi reclinò la testa da un lato. “La sensorialità cambia con la forma che assume ma mantiene un’intelligenza umana. È magia, Vostre Maestà! Della più potente e più antica posso osar dire!”
“Gli farà del male?” Domandò Daichi.
Shouyou sgranò subito gli occhi spaventato e Koushi lanciò al compagno un’occhiata storta.
“No,” lo rassicurò il Maestro con un sorriso. “Non è magia nera, non è una maledizione o un incantesino. È un dono, un talento... Shouyou ce l’ha sangue come i vostri non più così leggendari antenati. Dobbiamo solo capire il meccanismo per poterlo attivare e solo il tempo ce lo dirà.”
“Tempo?” Domandò Koushi. “Possiamo essere più specifici?”
Il Maestro Takeda sembrò in difficoltà sulla risposta. “Possiamo rimanere qui tutta l’estate e arrivare ad una degna conclusione, oppure il potere maturerà e si stabilizzerà con la crescita e, per ripetere il parallelismo, Shouyou imparerà a farne uso con la stessa facilità con, ora, riesce ad usare le gambe per camminare.”
“Anni...” Ripeté Koushi allarmato e puntò lo sguardo su Daichi con insistenza ma fu il turno del suo Re di evitare il suo sguardo.
“Concediamoci un’estate,” propose Ukai. “Con l’arrivo di settembre decideremo il da farsi. Se avremo trovato un modo per educare il Principe attraverso il suo potenziale, bene... Altrimenti, torneremo a casa e lasceremo fare al destino.”
Daichi sentì lo sguardo del Generale su di sè e strinse le labbra: avrebbe voluto dire che il destino, a quel punto della storia, avrebbe potuto prendere qualsiasi direzione ma Shouyou stava bene, mentre lui e Koushi no. Forse, avrebbe dovuto mettere a tacere le sue paure e sperare che i due mesi che restavano loro portassero a qualche risultato.
“Va bene...” Acconsentì.


Di risultati ce ne furono ben pochi.
Il piano fu di fare dei turni ogni notte per controllare il sonno del bambino ma Shouyou di addormentarsi con solo il Maestro o il Generale non ne aveva la minima intenzione e, in conclusione, Koushi e Daichi finirono per non dormire mai insieme per settimane, finendo così di costruire il muro che si erano creato tra loro con gli ultimi eventi.
Il Principe, da parte sua, non aveva mostrato altre prove tangibili del suo potenziale e, ormai all’inizio di agosto, Daichi cominciava a dubitare che quel potere fosse una cosa anche solo parzialmente accessibile per averne il minimo controllo.
Era una cosa solo di Shouyou e tutto quello che potevano fare era sostenerlo in questa sua diversità nella speranza che non nuocesse al suo futuro.
Nel frattempo, il Re di Karasuno doveva assicurarsi che lui ed il suo consorte ne avessero uno.



Shoyou dormiva serenamente al centro del letto, Koushi se ne stava con i gomiti appoggiati sul bordo osservandolo con un sorriso leggero sulle labbra ed assicurandosi che le coperte non scivolassero troppo perchè prendesse freddo. 
La boccuccia del suo piccolo Principe era socchiusa ed erano colorate e calde le guance morbide. Koushi passava distrattamente le dita tra quei capelli ribelli osservandolo con aria sognante e cercando di cancellarsi dalla testa la terribile immagine del suo bambino immobile a letto con la manina fredda stretta tra le sue. 
Si sporse in avanti e posò un bacio sul piccolo viso addormentato.
Non poteva immaginare una vita senza di lui. Non era naturale.
Questo, però, non lo faceva sentire meglio per quel che riguardava Daichi e ciò che stava accadendo tra loro. Non negava la sua parte di colpa ma c’era qualcosa che ancora non riusciva a buttare giù e tutte le attenzioni che stavano dando a Shouyou non erano utili a concedere loro il tempo di cui avevano bisogno. 
La porta della cameretta si arpì lentamente e Koushi si voltò automanticamente per incontrare gli occhi scuri del suo Re. 
“Ciao...” Mormorò Daichi con un sorriso timido, quasi timoroso.
“Ciao,” rispose Koushi con la stessa naturalezza: non aveva voglia di continuare a fare muro anche nel cuore della notte. Era stanco, erano tutti stanchi e farsi la guerra non avrebbe risolto nulla.
“Sta dormendo?” Domandò il giovane Re sporgendosi per posare una carezza tra i capelli ribelli del loro bambino e Koushi sentì il suo calore sfiorargli la spalla. 
“È sereno...” Rispose il consorte reale. “Beato lui...”
Daichi, allora, lo fissò con una dolce preoccupazione ad illuminargli gli occhi. “Tu come stai?” La sua mano si posò sul suo viso e Koushi non lo respinse. “Stanco,” rispose.
Il Re annuì, poi si voltò e vide il Maestro addormentato su una poltrona accanto al camino in una posizione quasi comica: gli occhiali storti, la bocca spalancata ed un filo di bava che gli scendeva giù dal mento. Daichi rise a bassa voce. “Da quanto tempo sta così?”
Anche Koushi ridacchiò. “Insiste per tenermi compagnia ogni notte ed è il primo a crollare, poveretto. Ci vuole bene, altrimenti non lo farebbe.”
“Hai ragione.”
Koushi si strinse le braccia intorno al corpo per combattere un brivido improvviso.
“Hai freddo?” Domandò Daichi.
“Un po’...”
Il Re si sclacciò la casacca. Koushi se ne accorse e si alzò in piedi. “Non serve...”
Daichi si limitò a sorridere e a sfilarsela per appoggiarla sulle spalle del consorte. “Abbiamo un figlio insieme, non lo faccio per attirare l’attenzione. Voglio solo prendermi cura di te... Di lui...” Una pausa. “Di noi...”
Koushi si strinse la casacca intorno alle spalle e sospirò. “Non sono state delle settimane facili per nessuno...”
“Sì, ma io non sopporto che tu continui a guardarmi come se ti avessi tradito.”
“Un po’ mi ci sento, Daichi...”
“Qualunque cosa abbia fatto,” disse il Re di Karasuno appoggiando le mani sulle spalle del suo consorte, “l’ho fatto per proteggervi... Non dico di aver fatto la cosa giusta ma non era mia intenzione farvi alcun male.”
“Però l’hai fatto,” replicò Koushi.
Daichi gli posò le labbra sulla fronte. “Perdervi è la cosa che mi terrorizza di più,” mormorò. “Quando ho visto Shouyou su quel letto... Quando hai detto quelle cose, io...”
“Non avrei dovuto,” disse immediatamente Koushi facendo un passo indietro per guardare il compagno negli occhi. “Ero fuori di me, ci avevano appena detto che avremmo perso il nostro bambino ed io...”
“Shhh...” Daichi lo strinse a sè posandogli le labbra tra i capelli. “Il nostro bambino non andrà da nessuna parte, non senza di noi.”
Koushi chiuse gli occhi affondando il viso nella spalla del compagno respirando il suo profumo a pieni polmoni: avrebbe mentito a se stesso se non avesse ammesso che gli mancava da morire.
“In realtà, ero venuto qui per parlarti,” ammise il Re.
“Potremmo svegliare Shouyou...”
“Allora andiamo,” Daichi gli afferrò la mano ed indicò la porta con un cenno del capo.
Koushi guardò Shouyou addormentato al centro del letto. “Pensavo avessimo una missione qui...”
“Shouyou non farà nulla davanti ai nostri occhi,” rispose Daichi con un sorriso amaro. “Lo farà a modo suo...”
“Imprevedibile e quando meno ce lo aspettiamo?” Domandò Koushi. 
“È questo che mi spaventa,” ammise il Re passando entrambe le mani tra i capelli chiari del compagno. “Ma non questa notte, va bene? Questa notte, siamo io e te...”
Entrambi guardarono il loro bambino ancora una volta, poi uscirono dalla cameretta senza far rumore.



Il mantello di pelliccia era ancora lì, davanti al caminetto acceso, esattamente dove Koushi ricordava che fosse. Lo fece sorridere, sebbene la stanchezza ed i pensieri non fossero proprio edaguati per accendere il desiderio. 
Daichi si accorse immediatamente che lo guardava e gli afferrò i fianchi con entrambe le mani facendo aderire la schiena del compagno al suo petto. “Ci sediamo lì?”
Koushi sentì un brivido caldo lungo la schiena ma scosse la testa e avanzò di un paio di passi, poi si voltò e guardò il giovane Re negli occhi. “Smettila...” Con quel sorriso non suonava molto convincente ma, sul serio, avevano bisogno di parlare e fare l’amore non era una soluzione a lunga scandenza per i loro problemi, poco importava se non si toccavano da settimane e le notti fredde e solitarie cominciavano a stufare entrambi.
Koushi fu il primo a sedersi sul tappeto di pelliccia e Daichi si accomodò dietro di lui, invitandolo a mettersi comodo contro il suo petto. “Dovremmo parlare...” Gli ricordò il consorte reale appoggiado la nuca sulla spalla del giovane Re..
“E parliamo...” Daichi gli baciò una guancia. “Sono solo felice di poterti avere ancora così.”
Koushi lo guardò sorpreso. “E dove credevi che potessi andare?”
Il Re non rispose e lo sguardo di quegli occhi dorati si fece intenso, profondo. “Temevi che non ti amassi più?” Domandò il consorte reale.
“Lo hai detto tu,” rispose Daichi. “Sono state settimane difficili.”
Koushi abbassò lo sguardo per una manciata di secondi. “Io ho avuto la stessa paura per anni,” gli confidò. “Ogni volta che la tua paura ed i tuoi segreti ti facevano rimanere in silenzio.”
Il Re lo guardò con aria colpevole. “Non ho mai amato altri che te...”
“Hai detto qualcosa di simile anche la notte del primo compleanno di Shouyou,” gli ricordò Koushi. “Quando mi hai mostrato quel fiore che ti avevo dato da bambino... Quando hai parlato di Kenma al Generale e al Maestro, ho capito che è stata quella notte che hai cominciato a mentirmi.”
“Koushi...”
“Non vediamo i membri della corte di Nekoma da quel giorno. Hai usato il nostro primo ricordo insieme per nascondermi quella profezia su nostro figlio e...”
Daichi gli afferrò il mento non troppo gentilmente e lo baciò con impeto. Koushi rispose al bacio con la stessa passione e quando si allontanarono avevano entrambi le guance rosse ed erano senza fiato. Il Re si umettò le labbra, gli occhi scuri incollati a quelli dorati. “Questo è tutto quello che avrei dovuto dimostrarti,” disse. “Questo è tutto quello che ho mai provato per te e mi dispiace di non essere stato in grado di dartelo come avresti meritato ma Kenma mi aveva avvisato del potere di Shouyou perchè lo potessi mettere al sicuro da qualcosa.”
“Da che cosa?”
“Non lo so...” Ammise il Re. “So che Tooru ne sa qualcosa a sua volta perchè c’è qualcosa del destino di nostro figlio che riguarda anche il suo.”
“L’estate scorsa, Tooru ha... Per questo hai accettato di far addestrare Shouyou.”
“Mi ha detto di non temere nulla,” proseguì Daichi. “Mi ha detto che qualunque cosa potesse mettere in pericolo Shouyou non esisteva più e che mi dava la sua parola perchè quello stesso pericolo avrebbe minacciato anche Tobio.”
Koushi inarcò le sopracciglia e scosse la testa. “Daichi, è una storia troppo vaga, io...”
“Non ti fidi di me?”
“Sì, mi fido!” Esclamò il consorte reale. “Ma se Kenma ha visto qualcosa che l’ha spaventato perchè non ti ha raccontato i dettagli? Che cosa c’è di tanto terribile in quella profezia?”
“Non ha più importanza, ormai.”
“Allora perchè ci hai portati fino a qui?” Domandò Koushi. “Se Shouyou è al sicuro, perchè temi il suo potere così tanto?”
Daichi abbassò lo sguardo. “Quando mi hai detto di aspettare un bambino, tutto quello che ho desiderato in quel momento è stato poter rendere il mondo sicuro per nostro figlio.”
“Non è possibile, Daichi.”
“Volevo una vita ordinaria per lui.”
Koushi ridacchiò. “È un Principe...”
“Di un piccolo Regno,” replicò Daichi. “Un Regno che voglio rendere autonomo e sicuro ma non mi vedrai mai scendere su un campo di battaglia per renderlo più potente con qualche conquista. Non è il tipo di Re che voglio insegnargli ad essere.”
“Hai paura che questo suo potere attiri l’attenzione di qualcuno di pericoloso,” concluse Koushi. “Temi che la sua voglia di conquistare il mondo, in senso assolutamente non politico, possa farlo entrare in quell’eterno gioco tra Principe e Re in cui non ci si può non fare male.”
Daichi non rispose e prese a fissare le fiamme scoppiettanti nel caminetto con una guancia appoggiata tra i morbidi capelli del consorte. Koushi sospirò contrò il suo collo, poi alzò lo sguardo e prese il viso del suo uomo tra le mani. “Shouyou crescerà, mio Re e noi non possiamo farci niente, non possiamo impedirglielo. Possiamo solo indicargli la strada e, se non la seguirà, possiamo solo sperare che, per allora, gli avremmo insegnato a camminare abbastanza bene perchè possa percorrere il suo cammino da solo.”
“Camminare e volare,” aggiunse Daichi.
Koushi ridacchiò. “Camminare e volare...” Appoggiò la fronte su quella del giovane sovrano. “Smettiamola di scappare, Daichi. Basta così...” Fu lui a baciarlo questa volta e Daichi gli portò una mano sul retro del collo per non farlo allontanara. 
Non gli avrebbe dato motivo di allontanarsi mai più.
Koushi le strinse la tunica tra le mani tirandolo dolcemente. 
“Che stai facendo?” Domandò Daichi contro le sue labbra.
“Mi riprendo ciò che è mio,” rispose il consorte reale tirandosi sopra il suo Re, che rise appena. “Eri tu ad allontanarmi, nessuno mi ha portato via da te, nè mai lo farà.”
Koushi si sollevò sui gomiti, la punta del suo naso sfiorò quella dell’altro e gli occhi dorati s’illuminarono di una luce pericolosa da cui Daichi si sentì ammalliato ed atterrito al contempo. “Certo che no, mio Re,” disse Koushi spingendolo a sedere e lavorando sui lacci della tunica. “Ti ricordo che non siedi su quel trono da solo...” Strappò in due la stoffa in un gesto aggressivo e completamente sensuale. Daichi rimase senza parole ed ingoiò a vuoto: sapeva chi aveva scelto come suo consorte ma l’innata gentilezza di Koushi, alle volte, gli faceva dimenticare con chi aveva realmente a che fare.
Il compagno lo spinse contro il tappetto di pelliccia con tutto il peso del corpo e Daichi sorrise timoroso a quegli occhi dorati che lo guardavano dall’alto al basso con fare da predatore. Fu un attimo, il viso di Koushi tornò quello dolce di sempre. “E questo vale per qualsiasi cosa,” aggiunse  a pochi millimetri dalle sue labbra. “Non dimenticarlo mai, mio Re.”



All’alba erano ancora svegli, senza vestiti e per nulla intenzionati a cedere al sonno.
“Lasciavamo la porta della sua cameretta socchiusa ogni notte,” disse Koushi quasi casualmente passando distrattamente la punta delle dita sul petto del compagno. “Per questo lo trovavamo in ogni angolo del castello al mattimo... Volava via...”
Daichi sospirò fissando il soffitto sopra di loro. “Il fatto di non avere precedenti mi preoccupa.”
Koushi sbuffò. “Pensavo avessimo detto niente preoccupazioni. Non più.”
“È che, per usare la metafora del Maestro, io posso insegnare a Shouyou come camminare, posso insegnargli a dare di spada, posso insegnargli ad andare a cavallo e tante altre cose perchè le so fare anche io. Io non so volare, Koushi... Io non ho questi poteri e non so come aiutarlo.”
Koushi sorrise pazientemente nel comprendere come il suo compagno di sentisse inadeguato. “Ti chiedo solo una cosa, Daichi,” disse alzando lo sguardò dorato sul viso del compagno. “Evitiamo che le nostre preoccupazioni da genitori facciano pesare a Shouyou dei problemi inesistenti. Non trasformiamo il suo dono in una maledizione.”
Daichi si umettò le labbra. “Non possiamo crescerlo illudendolo che sia una cosa normale, di cui parlare col primo che capita.”
“Lo so,” Koushi si sollevò sui gomiti. “Gli faremo capire che è importante ma che non è sbagliato. Non facciamolo sentire un mostro, ti prego.”
“Non era mia intenzione...”
“Lo so ma gli faremo un gran torto se comincerà ad aver paura di se stesso ed io non voglio che Shouyou sia insicuro come lo ero io. Vuole conquistare il mondo? Che lo faccia! Appoggiamolo, Daichi, ti scongiuro... Non possiamo comprendere il suo potere ma possiamo essergli vicino mentre impara a conoscerlo da sè.”
Il Re di Karasuno sospirò, poi sorrise. “Se è questo che vuole il mio consorte...”
Koushi gli posò un bacio sul petto. “Un’ultima cosa.”
“Tutto ciò che vuoi.”
“Anche se Shouyou non ha più usato il suo potere, restiamo qui fino a settembre come pattuito.”
Daichi sorrise. “Vuoi restare in montagna per il resto dell’estate?”
Koushi si spostò su di lui e gli baciò le labbra. “Voglio stare con te,” rispose. “E voglio farlo come stanotte, come non capitava da un po’...”
Il Re invertì le loro posizioni lentamente, assicurandosi che il suo amante stesse comodo sotto di lui. “Non facevamo l’amore da poco più di un mese e siamo stati insieme per anni.”
“Anni in cui non mi sono mai mancate le tue carezze perchè eri sempre pronto a regalarmene delle altre,” replicò Koushi piegando le gambe e la pelle bollente delle cosce accarezzò i fianchi del suo uomo. “Ti ricordo che siamo stati dei genitori orribili in più di un’occasione solo per avere qualche ora per noi.”
Daichi rise. “A Shouyou non sembra essere mancato l’amore, però.”
Koushi gli circondò il collo con le braccia e lo tirò a sè. “Shouyou è nato dall’amore, mio Re, non ha ragione di dubitare del nostro.”

  

Daichi fu sincero con i suoi cavalieri più fidati: aveva bisogno di ganratire a Shouyou tutta la sicurezza che poteva dargli ed il solo modo era metterlo anche nelle mani degli uomini a cui avrebbe affidato la sua stessa vita. 
I Cavalieri compresero e agirono come i grandi amici che erano: non dissero nulla ai bambini e continuarono a garantire a Shouyou un’infanzia normale, con degli amichetti con cui giocare ed altri con cui bisticciare continuamente. Daichi fu di parola e continuò ad addestrare il Principe separatamente dagli altri bambini e, per fortuna, Shouyou si convinse che questo lo rendesse speciale e non diverso o più debole.
Andare a cavallo divenne il passatempo preferito del Principe e fu una tregdia quando cadde la prima neve e bisognò spiegargli che si sarebbe dovuta aspettare la primavera per tornare a cavalcare.



Fu Koushi a trovare un dolcissimo modo per distrarlo da quella lunga attesa.



“Shouyou, vieni qui.”
Stavano giocando davanti al caminetto acceso nel salotto degli appartamenti reali. Daichi aveva fatto preparare per il loro bambino un piccolo esercito in miniatura con cui giocare nelle lunghe giornate d’inverno e, dopo l’ennesima battaglia persa, Koushi lo prese tra le braccia e lo fece accomodare sulle sue gambe. “Riesci a custodire un segreto, amore mio?” Domandò battento gentilmente la punta dell’indice sul piccolo naso.
Gli occhi del Principe si fecero subito grandi e curiosi. “Un segreto grande?” Chiese allargando le piccole braccia.
Koushi rise. “No, tesoro. E’ un segreto piccolo, piccolo ma speciale... Tanto speciale.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Papà lo sa?”
“Non ancora. E’ un segreto solo tra me e te.”
Il sorrise del Principe divenne più luminoso del sole. “E che segreto è, mamma?”
“Guarda...” Koushi abbassò lo sguardo. “Appoggia le mani qui, bravo...”
Shouyou fece aderire i piccoli palmi alla sua pancia con fare concentrato.
“Sai che tanto, tanto tempo fa, quando eri piccolo, piccolo, te ne stavi qua dentro?”
Il bambino lo guardò poco convinto. Gli avevano già raccontato la storia della sua nascita molte volte cercando di spiegarla nel modo più semplice possibile: tutta la verità sul contensto in cui era venuto al mondo l’avrebbe scoperta col tempo, crescendo. Tuttavia, Shouyou continuava ad essere convinto che se fosse mai stato nella pancia della mamma se ne sarebbbe ricordato e non aveva senso per lui non avere memoria di una cosa tanto importante.
Forse, quel dolce segreto era il modo migliore per chiarirgli definitivamente le idee.
“Sai chi c’è qui dentro, ora, Shouyou?” Koushi coprì le manine di suo figlio con le proprie.
Il piccolo Principe scrutò la pancia del genitore confuso. “Io non vedo niente, mamma.”
“Perchè è ancora piccina, amore mio.”
“Chi è piccina, mamma?”
Koushi sorrise e gli passò una mano tra i capelli. “La tua sorellina, mio Principe,” rispose con un sorriso dolcissimo. “O il tuo fratellino,” rise. “Mamma, però, riesce a pensare a lei solo come ad una bambina... Una piccola Principessa.”
Shouyou sgranò gli occhi e li passò velocemente dal viso del genitore alla sua pancia, poi di nuovo sul suo viso. “Qui c’è la mia sorellina?”
Koushi si sporse in avanti e gli baciò la fronte. “Sì, Shouyou... La tua Principessa...” La commozione era perfettamente udibile nella sua voce ma cercò di darsi un contegno così che la sua emozione non fosse fraintesa da suo figlio in un momento così importante.
Shouyou scese dalle gambe del consorte reale, poi appoggiò una guancia al suo grembo e rimase in ascolto. Koushi lo lasciò fare passando lentamente le dita tra quelle ciocche ribelli dello stesso colore del tramonto.
“È timida, mamma, non si sente.”
Koushi sorrise ma non disse nulla.
Souyou appoggiò la fronte al suo sterno. “Non ti preoccupare,” disse a voce bassissima. “Con me il nostro segreto è al sicuro.”



Quella sera, quel segreto tra loro tre, divenne anche del papà e Shouyou guardò i suoi genitori stringersi forte per minuti interi mentre lui se ne stava seduto sul tappeto davanti al fuoco caldo, i suoi soldatini sparsi sul tappeto. 
Daichi riuscì solo ad abbracciare e baciare il suo consorte per un numero infinito di volte e quando  i suoi occhi scuri incrociarono quelli color ambra del suo loro piccolo Principe, corse a sollevarlo tra le braccia ed il Re strinse a sè tutta la sua famiglia cercando di convincersi che tutte le nubi delle sue paure fossero ormai scomparse all’orizzonte per sempre...



Fu alla festa del nuovo anno che la coppia reale del Regno di Karasuno annunciò ufficialmente l’arrivo del loro secondo genito.



Il giorno del suo ottavo compleanno, Shouyou ricevette il più bel regalo che i suoi genitori gli avrebbero mai fatto.
La prima volta che la vide, era avvolta in una copertina bianca ed era stretta al petto della mamma. 
Shouyou era in braccio al papà, era restato con lui per tutto il tempo che era servito alla bambina di venire al mondo. Daichi aveva riempito di baci e carezze il suo Principe durante tutta l’attesa: si era promesso che sarebbe rimasto accanto a Koushi ma nessuno poteva rassicurare Shouyou come uno di loro e non era giusto che il piccolo ricordasse quel giorno per la paura e la solitudine di un evento che non poteva comprendere del tutto. 
Non sarebbe stato così.
Koushi lo comprese non appena vide gli occhi d’ambra del suo piccolo amore guardare il dolce tesoro tra le sue braccia come non aveva mai guardato nessuno. Daichi lo fece sedere sul bordo del letto e Koushi si premurò subito di toccarlo e sorriderli per assicurargli che stava bene. 
“Avvicinati, Shouyou, non aver paura... C’è una persona che vuole conoscerti.”
Era la prima volta che i due genitori vedevano il loro piccolo Principe non agire in modo impulsivo di fronte a qualcosa di nuovo e non visibilmente minaccioso. Shouyou si sporse in avanti lentamente e solo dopo si mosse per dare un’occhiata più da vicino alla bambina tra le braccia della sua mamma.
“Vuoi tenerla?” 
Shouyou annuì ma Koushi lo aiutò a sorreggere il fagottino per tutto il tempo. “Ti presento la tua sorellina, mio Principe,” disse gurdando la neonata sveglissima e vivacissima che fissava il fratello maggiore senza timore. “La nostra piccola Principessa Natsu.”
“Natsu?” Domandò Shouyou sollevando gli occhi.
“Sì, Natsu,” confermò Daichi posando una mano sulla testa del figlio. “Come la mamma di papà.”
Shouyou tornò ad osservare la bambina con espressione solenne, quasi adulta. Natsu lo guardava con due occhi grandi come i suoi da sotto alcuni ciuffetti dello stesso colore dei suoi capelli. Si sporse per darle un bacio e poi tornò a sorridere sicuro e solare come era sua abitudine. “Ciao, Natsu, io sono il tuo fratellone,” si presentò con orgoglio. “Con me non avrai mai paura di niente. Ti proteggerò da tutto! Sarò il tuo eroe, lo prometto!”
E per quanto entrambi sapessero che fosse impossibile, Koushi e Daichi poterono giurare di vedere la loro bambina piegare la piccola bocca in un’imitazione quasi perfetta di un sorriso.



Shouyou divenne grande lo stesso giorno in cui divenne un fratello maggiore.
Koushi e Daichi non dovettero fare nulla per sensibilizzare una simile maturazione.
Semplicemente, il bene di Natsu era divenuto una priorità per Shouyou più di quanto lo fosse quello di entrambi per la coppia di genitori. Non faceva più capricci, non si cacciava più nei guai e cercava di rendersi utile per accudire la sorellina come meglio poteva per la sua età.
Nulla della sua educazione come erede al trono lo fece crescere come l’arrivo della sua Principessa.
Sua e di nessun altro... Con l’eccezione speciale di mamma e papà.



La festa per la presentazione della Principessa del Regno di Karasuno si tenne alla fine dell’estate, quando l’aria era più dolce.
Fu il secondo eveto politico di grande importanza di quella generazione.



Shouyou era seduto sulla poltrona accanto al fuoco di solito occupata dal papà.
La mamma lo aveva infilato in un vestitino nero elegante ed aveva tentato di pettinarlo con pochi risultati concreti. Gli aveva dato il permesso di andare a giocare con Yachi, i ragazzi e i bambini degli altri Regni riuniti nel cortile interno dove un folto gruppetto di padri orgogliosi sfoggiavano i loro eredi come se fossero la cosa più straordinaria e meravigliosa al mondo.
Shouyou non era sceso: gli estranei lo incuriosivano e intimidivano al contempo e non voleva lasciare la sua sorellina. Non gli piacevano tutti quegli sconosciuti che continuavano ad entrare ed uscire nel salotto dei suoi genitori. La mamma sorrideva e tutti sembravano gentili e simpatici ma non la smettevano di prendere in braccio Natsu come se fosse una cosa di tutti e al piccolo Principe non piaceva.
Poi era arrivato un Re che aveva già conosciuto.
Il signore del castello sul mare in cui aveva giocato per un’intera estate.
La mamma di Tobio.
Koushi concesse a Tooru di prendere in braccio la sua bambina ed il Re Demone sorrise come Shouyou sapeva erano soliti fare i genitori. “È un’onore conoscervi, Principessa,” disse prendendo una delle piccole manine tra le dita, poi tornò a guardare il consorte reale. “Natsu, giusto?”
Koushi annuì. “Come la madre di Daichi.”
“Perfetto. Avete onorato la famiglia di entrambi.”
“Sono felice che siate potuti venire,” disse Koushi sinceramente.
Tooru gli sorrise. “E non porgere i miei omaggi alla tua Principessa? C’ero con il tuo Principe e tu col mio, non volevo perdermi la seconda parte del capolavoro.”
“Ti ringrazio,” disse Koushi accarezzando il faccio paffuto della bambina avvolta nel fagottino nero, il colore del loro Regno. “Io e Daichi ci abbiamo provato per anni e lei è arrivata in un momento in cui... Proprio quando ne avevamo bisogno, ecco.”
Tooru annuì con aria un poco nostalgica. “Già... Questi piccoletti hanno un tempismo straordinario.”
Koushi strinse la labbra per un istante, poi forzò un sorriso all’indirizzo del figlio. “Shouyou, perchè non vai a vedere cosa sta facendo papà?”
Il Re Demone non sollevò gli occhi dalla bambina ma udì perfettamente una nota stonata nella voce del consorte reale di Karasuno.
Shouyou scivolò giù dalla poltrona e si avvicinl a loro con sguardo poco convinto. “E Natsu?”
“La proteggo io, va bene?”
“Giura...”
Koushi sospirò e appoggiò un ginocchio a terra rivolgendo al figlio un sorriso paziente. “Sul mio cuore, amore mio,” gli diede una spintarella affettuosa. “Ora vai!”
Una volta rimasti soli, Tooru lasciò andare una risatina. “Fratello maggiore protettivo...” Commentò divertito. “Per non sentirsi completamente sicuro nemmeno con la mamma.”
“Sono nati lo stesso giorno e Shouyou vede Natsu come se fosse una cosa sua, un nostro regalo e si sente responsabile per lei più di quanto dovrebbe.”
Tooru sospirò depositando la bambina nella sua culletta. “Di che cosa volevi parlarmi, Koushi?” Domandò fissando gli occhi scuri in quelli dorati dell’altro.
Il consorte reale del Regno di Karasuno resse lo sguardo perfettamente ed il Re Demone rise senza allegria. “Lo sapeva che l’avresti fatto parlare, alla fine.”
“Kenma ha confidato a Daichi una profezia sul futuro di Shouyou, il suo consiglio era nascondere qualunque potere potesse manifestare crescendo. Due anni fa, tu gli hai detto che ciò che lo metteva in pericolo non esisteva più e gli hai dato la tua parola sostenendo che, di qualunque cosa si trattasse, riguardava anche il tuo bambino.”
“Shouyou ha manifestato qualche potere, Koushi?”
“Potrebbe...”
L’espressione di Tooru non era tesa: se lo aspettava, evidentemente. “Kenma non ha detto tutto a Daichi.”
“Lo so,” Koushi ingoiò a vuoto. “Ma io non mi accontento...”
Tooru annuì. “È giusto...”
“Che cosa doveva esserci nel destino dei nostri figli di tanto terribile? E perchè non c’è più ragione di temerlo?”
Il Re Demone lo fissò ancora per un istante. “Posso avere la tua parola sul fatto che non ne parlerai mai con nessuno?”
“Hai già la mia parola e lo sai.”
“Anni fa, era la prima estate di Tobio, il Mago di corte di Shiratorizawa venne da me per confidarmi alcuni sogni che aveva avuto e cercando il mio aiuto affinchè non si realizzassero.”
Koushi sgranò gli occhi. “Il Mago di Shiratorizawa...” Non riusciva a crederci.
Tooru fece una smorfia. “Ti basti sapere che quel giovane è per Ushijima ciò che Hajime è per me e ciò che tu sei per Daichi. Un legame politicamente scomodo ma emotivamente intenso che, però, non ha mai dato frutti...”
“Quelli che il Re dell’Aquila voleva da te.”
Tooru annuì e prese a guardare la bambina nella culla con aria distratta. “Durante la rivoluzione a Seijou, io ed Eita... Questo è il nome del Mago, comunque, abbiamo fatto un patto... Magia Nera...”
Koushi sgranò gli occhi. “Tooru!”
“No, tranquillo... Ci ho quasi rimesso la vita, lo ammetto ma almeno Hajime mi ha chiamato amore... Il prezzo da pagare non era mio, comunque.”
“E chi l’ha pagato?”
Gli occhi di Tooru erano pieni di tristezza quando si sollevarono di nuovo ma la dissumulò perfettamente con un’espressione un po’ più sarcastica della solita. “Eita non riusciva ad avere un erede, ha fatto tutto quello che era in suo potere per averlo.”
Koushi inarcò le sopracciglia. “Shiratorizawa ha un erede?”
“Di un anno più piccolo dei nostri.”
“Non è mai girata una notizia ufficiale tra i Regni.”
“Lo so... Ma Koutaro, il Re dei Gufi, m’informò che è nato un erede alla fine di quell’anno... Un maschio, sembra...”
“Ma quale Re non urla ai quattro venti la nascita di un erede maschio cercato per anni?”
Tooru scrollò le spalle. “Quel bambino è la salvezza del mio e del tuo, mi basta sapere questo.”
“In che modo?”
“Ushijima voleva un figlio da me perchè ero l’unico che poteva dargli un erede. Ero l’unico con un grande potere nel sangue...”
Koushi fece per chiedere ulteriori spiegazioni ma la risposta si formò spontaneamente nella sua mente e Tooru seppe che aveva capito nel momento in cui vide l’orrore in fondo a quegli occhi dorati. “Shouyou...” Mormorò il consorte reale di Karasuno. “Shouyou... Il mio Shouyou, lui...”
Tooru scosse immediatamente la testa aiutando Koushi a sedersi su una delle poltrone. “Non c’è più ragione perchè debba accadere...”
Koushi si asciugò velocemente le gote prima che le lacrime gli rigassero il viso, strinse gli occhi ed annuì. “Capisco perchè Kenma non sia stato completamente sincero con Daichi, ora.”
“Non c’è bisogno che lo sappia.”
“Non lo saprà... Ha già abbastanza paura per il nostro bambino così.”
Tooru annuì e si sedette sul bracciolo della poltrona. “Shouyou, quindi...”
“Sì,” Koushi annuì passandosi una mano tra i capelli. “Sì, è speciale.” Sollevò gli occhi dorati su quelli del sovrano al suo fianco. “E Tobio? Che cosa ha a che fare Tobio con tutto questo?”
Tooru gli rivolse un sorriso quasi solenne. “Tu credi alle storie degli amanti predestinati, Koushi?”


***




Kei finì a terra con gran sgomento di tutti i suoi compagni di allenamento ed il fratello maggiore fu subito al suo fianco per assicurarsi che stesse bene e lo aiutasse.
“Tutto bene?” Domandò il Primo Cavaliere di Seijou affiancando il figlio, posando una mano tra quei capelli corvini per complimentarsi della sua vittoria in silenzio.
Akiteru sorriuì. “Gran bel duello, Hajime.”
“Il tuo fratellino ha un gran bel braccio,” replicò Hajime gurdando il bambino dai capelli biondi che si era rialzato ed era intento a togliere la polvere del cortile dai vestiti. Tadashi fu subito al suo fianco con espressione terribilmente preoccupato e Kei lo zittì con poche, scocciate parole. 
La sua attenzion era tutta per il Principe Demone. 
Tobio continuava a fissare il suo avversario come se il duello non fosse ancora finito e Kei faceva lo stesso. Nè il padre del primo, nè il fratello maggiore del secondo ci fecero caso e continuarono a scambiarsi qualche parola scortese mentre altri bambini della corte si stringevano intorno a Kei, presi di sorpresa dalla sua sconfitta.
“Ti sei fatto male?” Domandò Yachi.
Kei ebbe la gentilezza almeno di guardarla negli occhi. “No...”
“Ma cos’è quello?” Si chiese Kouji. “Una specie di mostro, per caso?”
Kei cercò ancora una volta gli occhi blu del Principe di Seijou ma il Primo Cavaliere lo aveva sollevato sulle spalle avvicinandosi ai suoi uomini in festa per la vittoria del piccolo erede al trono.
“E’ molto abile...” Commentò Izumi timidamente.
Kei sbuffò con una smorfia e si voltò per andarsene. Akiteru provò a richiamarlo ma gli fu subito dietro tenendo il piccolo Tadashi per mano e scusandosi con gli altri Cavalieri per l’improvviso congedo.
Daichi, da parte sua, era completamente senza parole e, a giudicare dal sinistro silenzio di Yuu e Ryuu, non doveva essere l’unico. Guardò Hajime sollevare il figlio in aria con orgoglio per poi riadagiarlo a terra ma non senza concedergli un’ulteriore carezza tra i capelli.
Il Maestro Takeda si aggiustò gli occhiali sul naso. “Un addestramento personale ha un simile effetto?” Domandò ancora con gli occhi sgranati.
“No,” rispose il Generale Ukai. “Non è sufficiente a giustificare una cosa del genere.”
Daichi si rese conto che anche quel veterano di guerra era sorpreso almeno quanto loro e questo, in un certo senso, gli chiuse lo stomaco. 
“Non è umano,” commentò Ryuu riprendendo in braccio la sua bambina. “Stai lontano dal Principe di Seijou, Yachi, è un presunto mostro.”
Yachi fissò Tobio dall’altra parte del cortile come se avesse due testa, quattro zampe e sputasse fuoco. Yuu gli diede una gomitata. “Non siamo esagerati! Io l’ho trovato figo!”
“È un prodigio,” disse Daichi di colpo. “Non c’è altro modo di definirlo, non c’è metodo di addestramento che possa spiegarlo, non dopo solo un anno di pratica,” guardò Hajime e notò che non riusciva proprio a fare a meno di guardare il suo erede e di sorridere come se fosse l’uomo a cui si doveva l’esistenza della cosa più sorprendente del mondo. “Usa la spada esattamente come suo padre.”
Yuu scrollò le spalle. “Lo allena, dopotutto...”
“No, lo fa in modo completamente fuori dal comune,” aggiunse Ukai. “Uno può apprendere una tecnica, adottare uno stile... Il Principe di Seijou ha completamente fatto suo uno stile di combattimento e, lasciatevelo dire, io ho ho addestrato molti ragazzini ma nessuno di loro era uguale all’altro. E’ un genio, era Cavaliere dal momento in cui ha emesso il primo respiro... Non che sia così sorprendente coi natali che ha,” rise. “E pensare che i vecchi bigotti del consiglio reale hanno perso una rivoluzione inutile perchè lo ritenevano indegno in quanto mezzosangue!”
Fu in quel momento che Asahi comparve sulla scena e non da solo.
“Papà!” 
Daichi si sentì tirare l’orlo del mantello e abbassò lo sguardo per incontrare gli occhi grandi del suo erede al trono. “Shouyou,” gli spettinò i capelli già ribelli per natura ed il bambino rise soddisfatto.
“Che mi sono perso?” Domandò il Primo Cavaliere al proprio compagno, mentre Izumi e Kouji gli correvano incontro per farsi sollevare.
Yuu sorrise. “Conoscendoti, un attacco di panico.”
“Eh?”
Tutti i presenti risero.
“Papà! Papà!” Prese a chiamare Shouyou saltellando. “C’è la mamma di Tobio di sopra! Dov’è Tobio? È qui Tobio, papà?”
“Frena l’entusiasmo, piccolo!” Esclamò Daichi sorridendo. “Tobio è lì, col suo papà,” rispose, infine, indicando il gruppetto di Cavalieri che vestiva i colori di Seijou.
Shouyou li esaminò un attimo, poi vide il bambino dai capelli corvini accanto al Primo Cavaliere e attraversò il cortile con ampi passi, tanto quanto le sue piccole gambe gli permettevano di fare.
Non appena Tobio lo vide, la sua espressione si fece minacciosa.
“Ma cos’ha quel bambino?” Domandò Asahi vagamente blu in faccia.
“Adesso sì che ci divertiamo!” Esclamò Yuu dandogli una pacca sulla spalla.
Daichi li guardò. Non udì una parola di quello che si dissero ma fu impossibile non vedere Shouyou che afferrava il braccio di Tobio e, saltellando, lo trascinava via dalla folla. Il Principe di Seijou indossò un’espressione tra l’annoiato ed il contrariato ma non rese a Shouyou difficile portarlo via in alcun modo. 
Hajime alzò gli occhi nella sua direzione e, dopo uno sguardo d’intesa, si allontanarono dai loro Cavalieri facendo appello a tutta la pazienza di cui disponevano.


***



“Lei è Natsu!” Esclamò Shouyou orgoglioso. “È la mia sorellina e la mia Principessa! Mamma e papà me l’hanno regalata per il mio compleanno!”
Tooru dovette mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
Dopo un pomeriggio al seguito dei piccoli mostri, Daichi e Hajime avevano dichiarato la resa a metà dei festeggiamenti per la Principessa e Koushi e Tooru avevano preso in custodia gli irruenti eredi al trono permettendo ai compagni di ritirarsi nelle loro stanze per una pausa.
Anche se entrambi sostenevano che fossero più caduti in un sonno profondo senza possibilità di risveglio a breve.
Koushi aveva categoricamente ordinato a Shouyou di starsene buono ed il Principe dei Corvi aveva deciso d’intrattenere il suo ospite, il Principe Demone, mostrandogli quanto fosse bella la sua sorellina e trascinando la povera creatura nell’ennesima delle loro gare su cui i genitori avevano smesso di porsi domande.
“Non esiste niente di più bello di lei!” Concluse Shouyou orgoglioso.
Erano comici tutti e due in piedi sulla poltrona con le manine aggrappate al bordo della culla. Esprimevano una tenerezza tale che i due genitori accomodati accanto al fuoco non potevano fare a meno di guardarli sorridendo. 
Tooru osservava con sorpresa l’espressione di Tobio mentre guardava la piccola Natsu: si erano fatti più grandi quegli occhi blu ed il suo solito broncetto si era trasformato in un’espressione tra il timido ed il curioso. Non aveva mai visto un bambino così piccolo e doveva essere strano per lui.
Il suo Tobio... Prodigioso nell’arte della guerra ma completamente ingenuo, se non fuori dal mondo, per le cose più banali.
Non aveva ancora otto anni e sapeva leggere e disegnare un piano di guerra sulla carta ma non era capace di immagazzinare nemmeno metà delle nozioni delle sue lezioni private.
Tooru passava le sue giornate a dirsi quanto fosse meraviglioso come lui per poi sorpredersi ad affermare ad alta voce cose del genere: “bruto e tonto come papà Iwa-chan...”
Ed il suo Cavaliere non mancava mai di essere presente in simili occasioni, purtroppo per la povera nuca del Re.
“Quindi ho vinto io!” Proclamò Shouyou incrociando le braccia contro il piccolo petto.
Il viso di Tobio tornò quello imbronciato di sempre. “Non mi ricordo di aver fatto una simile gara!”
“Perchè sei stupido!”
“Stupido sarai tu!”
Natsu scoppiò a piangere e sia Koushi che Tooru si tirarono in piedi con un sospiro stanco. 
“Tobio, è ora di andare a letto,” disse il Re Demone afferrando la mano del figlio e fancendolo scendere dalla poltrona. Koushi sollevò Natsu tra le braccia, mentre Shouyou lo guardava dispiaciuto. Il consorte reale sorrise passando una mano tra i capelli del figlio. “Mi aiuti ad addormentare la sorellina, poi andiamo a letto anche noi?”
Shouyou sorrise radioso ed annuì ma non seguì la mamma prima di aver fatto la linguaccia al Principe Demone.
Tobio ricambiò il gesto.
Koushi sospirò e guardò Tooru. “Chiedimi ancora se ci credo...”
Il Re Demone si limitò a ridere.


***



“Sei sicuro che non vuoi che resti con te fino a che non ti addormenti?” Domandò Tooru dolcemente rimboccando le coperte al suo piccolo Principe.
Gli occhi di Tobio sembravano ancora più blu alla luce della luna. Sia Tooru che Hajime avevano sempre riconosciuto quanto fossero simili a quelli della Regina ma il Re Demone non era mai riuscito a rivedere la propria madre in quello sguardo. Ne era felice: Tobio era speciale per come era e non per i fantasmi di un passato che non gli apparteneva.
No, gli occhi del suo Principe erano più belli di quelli di sua madre.
“Non c’è nulla di male a sentirsi un po’ intimoriti a dormire in una cameretta non propria e lontano da casa.”
Tooru sapeva che Tobio avrebbe avuto difficoltà ad addormentarsi ed Hajime glielo aveva ricordato abbondantemente ogni volta che erano rimasti da soli. Tobio era un’abitudinario e le novità non lo stuzzicavano un granchè e mai positivamente.
Tobio, però, aveva tanto di quell’orgoglio da non ammettere le sue paure nemmeno ai propri genitori.
“Sto bene, mamma...”
Tooru sospirò poco convinto. “Io e papà siamo nella stanza accanto se hai bisogno di noi,” gli disse, poi gli baciò una guancia. “Buona notte, mio Principe.”



Tobio non si addormentò mai.
Restò steso con gli occhi chiusi per un po’, convincendosi che così facendo sarebbe arrivato il mattino prima che se ne accorgesse ma finì solo con lo sbirciare il cielo scuro fuori dalla finestra accanto al suo letto per controllare se si stesse schiarendo almeno ogni cinque minuti.
Alla fine, gli vennero i nervi e si stese sulla schiena prendendo a fissare il soffitto.
Era il primo viaggio così lontano da casa che faceva e l’unico in un altro Regno fino ad allora.
Si mise a sedere, gattonò fino al centro del letto in modo da poter vedere il paesaggio fuori dalla sua camera: non c’era nulla di Karasuno che gli ricordasse Seijou. Dalla sua cameretta, era abituato a vedere tutto dall’alto in basso, lì poteva vedere solo cime più alte, sempre più alte, alcune anche coperte di neve. 
Tobio si sentiva schiacciato e non era una sensazione a cui era abituato.
Le dolci colline di casa ed i campi sconfinati non c’erano più, erano stati sostituiti da valli e strapiombi improvvisi. Non gli piaceva, voleva tornare a casa ma non lo avrebbe mai detto alla mamma e al papà. Non avrebbe mai ammesso davanti a nessuno di avere paura.
“Tobio...”
Una mano toccò la sua ed il Principe Demone la allontanò da sè immediatamente mettendosi in fuga da qualunque mostro nel buio avesse cercato di afferrarlo. Finì solo col rotolare giù dal letto e battere la testa. Si mise a sedere sul pavimento di pietra portandosi entrambe le mani sulla nuca per massaggiarla.
“Ti ho spaventato?”
Gli occhi blu si sollevarono e ne trovarono un paio color ambra che lo fissavano divertiti dall’alto del letto. Shouyou gli rivolse un ghignetto derisorio. “Hai paura, vero?”
Tobio strinse i pugni e si alzò in piedi immediatamente, come se la caduta non lo facesse sentire tutto indolenzito. “Certo che no, stupido!”
“Shhh...” Shouyou si premette l’indice contro le piccole labbra piene. “Non urlare! Svegli tutti e ci metti nei guai!”
“Sei tu che sei venuto nella mia stanza, io non ho fatto nulla!”
“Non dormivi, però!”
“Non me andavo in giro a combinare guai come uno stupido!”
“Nemmeno io riuscivo a dormire,” disse Shouyou scendendo giù dal letto. “Voglio farti vedere una cosa.”
Tobio lo fissò annoiato. “Non voglio vedere niente. Torna nella tua stanza...”
Il Principe dei Corvi sbuffò. “Quanto sei antipatico! Volevo chiederti scusa di quella volta al mare che non hai visto le stelle per colpa mia.”
Tobio ci mise un attimo per ricordarselo. Se la ricordava bene quell’estate al mare con Shouyou.
Oh, se se la ricordava...
Però c’erano stati tanti di quei momenti che la notte in cui Tobio era sceso in spiaggia di nascosto ed aveva trovato il Principe dei Corvi a piangere da solo per qualche sogno che non aveva ben capito era diventata solo uno dei tanti.
“Bene, mi hai chiesto scusa. Ora fuori!” Tobio prese l’altro bambino per le piccole spalle, lo fece voltare e cominciò a spingerlo verso la porta.
“Aspetta! Non mi voglio scusare così!”
“Non m’importa, lasciami in pace...”
“Quanto sei antipatico!” Shouyou si liberò e lo guardò negli occhi con indignazione. “Volevo solo farti vedere le stelle.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Posso vederle anche dalla mia finestra le stelle.”
Il Principe dei Corvi sorrise. “Ma non così!”
L’erede al trono del Regno di Seijou aveva due possibilità a quel punto: assecondare lo stupido o continuare a respingerlo fino a che qualcuno non si fosse svegliato e li avesse sgridati e, forse, puniti.
Sbuffò e Shoyou dovette prenderlo come un cenno d’assenso perchè prese a saltellare entusiasta verso la finestra. Tobio lo fissò come se fosse il peggiore dei folli mentre si arrampicava sul davanzale ed afferrava la maniglia.
“Ma cosa stai facendo?” Domandò.
Shouyou, per un attimo, rimase come congelato. Lanciò un’occhiata all’altro bambino da sopra la propria spalla, poi saltò giù con agilità. “Ah, dimenticavo...” Disse tornando vicino all’altro Principe ed afferrandogli la mano. “Tu non sai volare.”
E Tobio decise di non chiedere.



C’era un buco sul tetto della torre più alta del Castello dei Corvi. 
Le travi erano crollate anni addietro ma essendo quella parte del castello quasi disabitata, nessuno si era preoccupato di riparare al danno. Era pieno di vecchie cose sulla cima della torra ed era facile arrampicarsi fin fuori dal buco per ritrovarsi sul tetto.
Tanto facile quanto pericoloso.
Shouyou, però, l’aveva fatto talmente tante di quelle volte da essersi scordato la seconda parte.
“Ce la fai?” Domandò il Principe dei Corvi porgendo una mano all’altro.
Tobio lo guardò dal basso. “Sono più grande di te!” Affermò con prepotenza.
“Non hai ancora otto anni, io sì!”
“Sei comunque più piccolo!” Esclamando questo, Tobio riuscì, infine, ad uscire all’esterno e a sentire l’aria fresca della notte tirargli indietro i capelli sul viso. Si fece immobile di fronte a quello che vide e Shouyou dovette accorgersene perchè sorrise con soddisfazione e si sedette sul tetto accanto a lui. “È bello, vero?”
Tobio non ricordava lucidamente la meraviglia che aveva provato nel vedere il mare divenire lo specchio del cielo ma sapeva che non avrebbe mai dimenticato quella provata in quel momento.
Le montagne c’erano ancora e le loro cime erano ancora più in alto di quanto non fosse lui ma non aveva più importanza perchè non era loro che Tobio stava guardando, bensì tutti i Regni liberi nella direzione opposta. Una terra scura sotto un cielo trapunto di stelle.
“Casa tua è più o meno in quella direzione,” disse Shouyou indicando un punto nell’oscurità. “Là c’è il mare... A Seijou c’è il mare, no?”
Tobio annuì distrattamente osservando l’infinito che si presentava di fronte ai suoi occhi. La finestra della sua cameretta non gli sarebbe più sembrata così in alto come prima dopo quello.
“Tobio, perchè non chiedi alla tua mamma ed al tuo papà una sorellina per il tuo compleanno?”
Il Principe Demone guardò l’altro come se fosse un idiota. “Stupido, Natsu non è mica un regalo per il tuo compleanno.”
Shouyou gonfiò le guance. “Invece lo è!”
“Se ti piace credere cose stupide...”
“Mamma dice che i bambini nascono quando i genitori si vogliono bene. I tuoi genitori non si vogliono bene, Tobio?”
“Certo che sì!” Sbottò il Principe Demone.
“Allora! A te Natsu piace tanto! Ti ho visto! Magari ti regalerano una sorellina, prima o poi... Magari se smetti di fare l’antipatico.”
Tobio abbassò lo sguardo. “No, non si può...”
L’espressione di Shouyou divenne subito triste. “Come mai?”
Il Principe Demone scrollò le spalle. “Mamma e papà dicono che sono un miracolo o qualcosa del genere...”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “E che cos’è?”
Tobio scrollò le spalle. “Non lo so, forse, qualcosa che non si ripete...”
“Una cosa che non si ripete più è speciale. Mamma dice sempre che lo sono...” Raccontò il Principe dei Corvi.
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Tutti i genitori lo dicono, stupido.”
“Ma non è sempre una cosa bella quando lo dicono i miei.”
Il Principe Demone percepì un notevole cambio di tonalità nella voce dell’altro bambino e si ritrovò a guardarlo per capire che cosa fosse cambiato. Shouyou si stringeva le ginocchia al petto e guardava di fronte a sè. “Mamma e papà diventano tristi quando si ricordano che sono speciale.”
“Perchè?”
“Perchè riesco a volare.”
Tobio lo fissò per una manciata di secondi, poi scoppiò a ridere. “Quanto sei stupido!”
Shouyou lo guardò indignato. “È la verità!”
“Solo gli uccelli, gli insetti e i draghi possono volare!”
Fu il turno del Principe dei Corvi di fissare l’altro come se fosse un idiota. “I draghi non esistono, Tobio...”
L’altro sbuffò. “Tu non puoi comunque volare!”
“Va bene...” Shouyou lo guardò con aria di sfida. “Vorrà dire che un giorno, quando sarò più bravo, ti lascerò senza parole.”
“La tua stupidità mi lascia senza parole.”
“Diventerò il nuovo Principe Corvo ed allora sarò un eroe e tu non potrai più prendermi in giro!”
Tobio lo fissò per un lungo istante. “Stai cercando di dirmi che ti trasformi in un uccello?”
“Un corvo!” Esclamò Shouyou. “E posso volare fin là, fino al mare!”
“L’hai mai fatto?”
“Ancora no, ma...”
“Allora è una stupidaggine!” Sbottò Tobio spazientito. “Gli eroi, quelli veri, sono uomini che si sono distinti in grandi battaglie. Sono Cavalieri, Re, Generali...”
“Il tuo papà è un eroe!” Lo interruppe Shouyou con un gran sorriso. “Si raccontano grandi storie su di lui!”
Tobio piegò le ginocchia e v’incrociò sopra le braccia premendovi contro le labbra per nascondere un sorriso orgoglioso.
“È stato il primo Umano a divenire Cavaliere nel tuo Regno, vero?”
Tobio annuì.
“E dopo aver vinto contro il Re dell’Aquila, è divenuto Primo Cavaliere! Il mio papà me lo ha raccontato molte volte, è una storia che mi piace!”
“Non è solo una storia,” replicò il Principe Demone fissando l’orizzonte di fronte a sè. “E’ successo davvero. Quella guerra è verità... Il Principe Corvo di cui parli tu non lo è!” Era quasi gentile, come un adulto che prova a convincere un bambino di una realtà scomoda ma Shouyou non si sarebbe arreso all’evidenza tanto facilmente. “È una leggenda raccontata in molti Regni, oltre Karasuno...”
“Appunto, è una leggenda... È solo una favola...”
“Ma io quel potere ce l’ho davvero!” Esclamò il Principe dei Corvi sporgendosi verso l’altro bambino. Tobio lo guardò e si sentì irritato da tanta ingenuità e con quanta insistenza cercava di far valere le sue stupide convinzioni. Anche lui era cresciuto con simili storie: la sua mamma gli aveva sempre raccontato di un popolo che viveva sulle stelle e li osservava in segreto da lassù e suo padre lo aveva pregato di non farla una fissazione sua parlandogli invece di quando erano piccoli, delle loro prima avventure e di come, dopo, era arrivato lui... Ed era stata l’avventura più bella di tutte.
“Un potere simile non esiste,” replicò. “Esiste solo quello che riesci a conquistarti e devi essere forte per conquistarlo... Il più forte di tutti.” Una delle lezioni del Re Demone.
Shouyou lo guardò con espressione quasi matura. “Tu sei un miracolo, non puoi non credere che nel mondo ci sia qualcosa di magico!”
“Tu puoi credere solo a quello dato che come cadetto fai schifo...” Tobio si pentì di averlo detto un secondo dopo averlo pronunciato. Gli occhi di Shouyou divennero più grandi di quanto già non fossero. “Non ho duellato con nessuno... Papà non ha voluto...”
“L’ha detto lo stronzo con i capelli biondi...”
“Kei?” Domandò Shouyou, poi scosse la testa. “I tuoi genitori lo sanno che parli così?!”
“Parlo così solo con te, stupido!” Sbottò il Principe Demone. 
“Hai duellato con Kei? Ti ha sconfitto?”
“Ovvio che no!”
Shouyou prese a ridere di colpo. “Ben gli sta a quell’antipatico!” Il suo entusiasmo ebbe vita breve e rivolse all’altro bambino una smorfia delusa. “Sei un antipatico anche tu, però!”
Tobio sbuffò e decise di concentrare tutta la sua attenzione su di un punto qualunque delle tegole consumate su cui erano seduti. 
“Tu non ce l’hai un sogno, Tobio?” Domandò Shouyou con sincera cuoriosità e gli occhi blu tornarono immediatamente su di lui. “Diventerò un Re,” gli rispose il Principe Demone.
Shouyou scosse la testa. “Quello non lo hai deciso! Tu cosa vuoi diventare? Vuoi essere il Cavaliere più forte di tutti, come il tuo papà?”
“Non solo...” Tobio non lo aveva mai detto a nessuno e quella fu la prima volta che disse ad alta voce. “Voglio essere il più forte tra i Cavalieri e gli Arcieri. Voglio essere Re e Primo Cavaliere, come nel Regno di Shiratorizawa.”
“Wow...” Commentò Shouyou tornando a guardare l’orizzonte. “È praticamente come essere un eroe...”
“Io non voglio essere una leggenda, Shouyou...”
“Allora ti accontenti di poco!” 
Tobio guardò il bambino accanto a lui e vide che fissava le stelle con aria sognante. “Io conquisterò la cima del mondo.”
Shouyou ricambiò il suo sguardo. “Allora, io volerò fino a lì!” Sorrise con aria di sfida. “Ti aspetterò lassù, se riesci ad arrivare!”
E Tobio lo guardò con la stessa espressione. “Se non arrivo io per primo...”
Shouyou sembrò riflettere su qualcosa, poi allungò la mano destra. Tobio fissò quel mignolo puntato verso di lui come se fosse un gesto minaccioso. 
“Fino alla cima del mondo...” Disse Shouyou a bassa voce ma con determinazione.
Tobio avrebbe voluto dirgli che era l’ennesima cosa stupida che gli vedeva fare ma non aveva mai preso sottogamba una sfida, nemmeno quelle che sapeva di poter vincere facilmente. Non sottovalutare l’avversario era una delle prime lezioni che gli aveva impartito suo padre, non voltare mai le spalle alle sfide glielo aveva insegnato sua madre.
E quella del Principe dei Corvi era una sfida per la vita.
Tobiò allacciò il suo mignolo a quello di Shouyou. “Fino alla cima del mondo...”



***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni

Edit: nello scorso capitolo, in una delle frasi finali avevo lasciato intendere che Shouyou e Tobio non si sarebbero più incontrati fino all’adolescenza. Diamo la colpa alla febbre del momento, non avevo calcolato queste ultime scene (già pianificate dagli albori), motivo per cui quella frase è stata cancellata per evitare incoerenze di trama. Mi scuso per la confusione.  

Chi era la povera illusa che credeva di poter riassumere tutta l’infanzia di Tobio e Shouyou in un solo capitolo? Sì, lo so, dovrei smettere di fare false promesse a me stessa!
E dopo la prima (sì, solo la prima) crisi della Daisuga, tutti pronti per il lento declino dell’Iwaoi... Adesso comprendete perchè un solo capitolo non bastava... Il dolore occupa spazio...
Ma sono in arrivo anche tante altre belle cose! Il ritorno dei gufi e dei felini del cast per cominciare! Altri Principi e Principesse ed il ritorno del solo ed unico Re dell’Aquila... Per la sofferenza di tutti noi (tranne l’autrice che è una sadica per natura!)...
Penso che tutti qui lo sappiano o lo abbiano intuito ma Karasu significa “corvo” in giapponese secondo uno dei tanti sistemi di traduzione... Anni ed anni tra manga ed anime ed ancora in occidente fanno errori di traduzione con i nomi impensabili (c’è qualcuno qui di Attack On Titan?) quindi non ho mai provato a capirci più del dovuto.
E detto questo mi dileguo!
Alla prossima miei prodi!



 
 


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Capitolo 18
*** Di gloria e grandi imprese ***


16
Di gloria e grandi imprese



“Hai mai pensato ad un nostro secondo figlio?”
Tooru lo domandò nel cuore della loro prima notte a Karasuno, mentre quelle sue dita maliziose accarezzavano i muscoli del petto del suo Primo Cavaliere. Hajime lo fissò intontito dalla stanchezza e dalla domanda improvvisa. “Eh?”
Tooru rise affondando il viso contro il suo collo e baciandolo quasi per gioco. “Hai fatto una faccia...”
“Mi hai proposto di fare un figlio, che faccia dovrei fare?”
L’altro si sollevò su di un gomito e lo guardò divertito. “Quella della prima volta rimane imbattibile.”
Hajime premette la punta dell’indice contro quella del naso del suo Re. “Idiota...”
Tooru si accoccolò di nuovo contro l’amante e sospirò con espressione sognante. “Immagina, Hajime, potremmo avere una piccola principessa come Koushi e Daichi... Magari con i miei capelli ed i miei occhi grandi ma verdissimi come i tuoi.”
Il Primo Cavaliere perse tutta la voglia di dormire a quel punto. “Sei serio, Tooru?”
Il sorriso di Tooru divenne più dolce che divertito. “Secondo te, mio Cavaliere?” Si spostò sopra di lui calandosi sulle sue labbra con una voglia impossibile da fraintendere. “Facciamo un altro tentativo?”
Hajime gli portò le mani sui fianchi obbligandolo a smettere di strusciarglisi addosso in quel modo che, Tooru lo sapeva bene, lo avrebbe fatto smettere di ragionare in breve tempo. “Rallenta, Grande Re, rallenta...”
Tooru ridacchiò. “Ti senti intimorito?” Domandò divertito. “Forti e valorosi in battaglia e tremanti di fronte alla prospettiva di divenire padre.”
“Sono già un padre,” gli ricordò Hajime.
“Lo so,” Tooru riprese a muoversi contro il suo amante. “E quando sei con Tobio mi fai innamorare di te molto più di quanto possano farlo questi pettorali, queste braccia e questo...” Infilò una mano tra i loro corpi ma Hajime invertì le loro posizioni prima che potesse divenire il solo ed unico padrone della situazione. Tooru rise allacciandogli le gambe intorno alla vita e tirandolo a sè per baciarlo di nuovo. “Credo che per Tobio una sorellina o un fratellino sarebbe perfetto.”
Hajime gli passò una mano tra i capelli. “Tobio non va d’accordo con gli altri bambini, ricordi?”
“Però ha un bellissimo rapporto con noi,” replicò Tooru. “È protettivo con ciò che considera suo.”
“Hai tenuto in braccio quella bambina e ti è venuta nostalgia?” 
Tooru disegnò il contorno della labbra del suo Cavaliere con la punta dell’indice ed il suo sguardo si fece di colpo malinconico. “So cosa stai per dirmi...”
Hajime rimase in silenzio.
Tooru sospirò e si aggrappò a quegli occhi verdi come aveva fatto tante di quelle volte da non poterle contare. “Tobio è un miracolo,” disse. “E sperare che un simile evento si ripeta è pura arroganza.”
Le dita tra i suoi capelli scivolarono fino a che il palmo della mano di Hajime non aderì alla sua guancia. “Tooru, abbiamo tutto ciò che si possa desiderare in questo mondo,” disse con dolcezza.
Il giovane Re voltò il viso e baciò quella mano segnata da anni ed anni di addestramento con la spada. “Lo so...”
“Amerò ogni figlio che nascerà da noi e lo sai.”
“Sì, lo so.”
“Ma non voglio che tu ne faccia un’ossessione,” concluse Hajime. “Continuiamo a fare quello che abbiamo fatto negli ultimi otto anni e... Facciamo decidere al destino, immagino.”
“Quello che abbiamo fatto negli ultimi otto anni,” ripetè Tooru con un sorriso malizioso. “Non penso di sapere a cosa ti riferisci, mio Cavaliere.”
Hajime ricambiò l’espressione e si chinò su di lui per dargli un altro lungo, caldo bacio.



La mattina dopo, non trovarono Tobio nella sua stanza e dopo un’intensa mezz’ora di panico il Principe Demone ricomparve spontaneamente nel cortile interno del castello trascinando per una mano ed insultando il piccolo Principe dei Corvi che ancora sbadigliava e si stropicciava gli occhi.



Tooru e Hajime non parlarono più di un secondo figlio per molto tempo.
Il Primo Cavaliere tornò a dedicarsi completamente a Tobio e alla sua educazione sia come Cavaliere che come uomo.
Il Re Demone rimase in silenzio ma i suoi pensieri non fecero altrettanto.



Quella non fu la prima volta che Tooru si sentì insodisfatto della sua perfetta felicità.



I tornei furono un’idea di Tooru.
Un’idea che Kuroo e Koutaro accolsero con grande entusiasmo e la voce ben presto si sparse in tutte le corti raccogliendo tanti consensi da renderla una possibilità concreta in meno di un anno. 
Il Regno di Seijou organizzò il primo torneo dei Regni liberi ad un anno preciso di distanza dalla fine della rivoluzione che aveva visto il giovane Re Demone trionfare su un gruppo di nobili conservatori che avevano tentato di usurpare il suo trono.
Fu solo l’ennesima dimostrazione di effettivo potere di un giovane sovrano che non aveva avuto alcun timore all’andare contro le regole del proprio mondo e fu conferma di quanto solidi fossero non solo la sua personalità ed il suo carisma ma anche l’appoggio di chi combatteva al suo fianco.
Come la prima neve cadavera sul Castello Nero, poche settimane prima del secondo compleanno del suo Principe, Tooru conquistò per sè il titolo di miglior Arciere dei Regni liberi.
Sollevò suo figlio verso il cielo con accanto il suo compagno e circondato dai suoi soldati.
Alla fine, Tobio scoppiò a piangere per la gran confusione e Tooru lo strinse al petto con un sorriso. Hajime posò un bacio tra quei capelli corvini, poi sulle labbra del suo Re.



Quella scena si ripetè per anni, ogni volta in un Regno diverso e le voci sull’invincibilità del giovane Re Demone non fecero che aumentare. La vita politica dei Regni liberi divenne improvvisamente vivace con il susseguirsi di simili eventi: nacquero degli eroi, vennero scoperti dei prodigi e alcune leggende viventi non fecero che aumentare il loro prestigio.
Non tutti i Regni partecipavano contemporaneamente ad ogni torneo ma furono due i nomi la cui assenza si fece notare per anni più di ogni altra: Karasuno e Shiratorizawa.
Del primo si diceva che non avessero guerrieri abbastanza capaci per sostenere una competizione ma chi aveva combattuto al loro fianco non si faceva scurpoli ad affermare il contrario. Tooru spediva un invito a Daichi ogni anno ed ogni anno il Re dei Corvi aveva una ragione più che valida per dedicarsi anima e corpo a rafforzare il suo regno, badare alla sua gente e preoccuparsi che la sua famiglia fosse felice.
Su Shiratorizawa nessuno osò fare commenti.
Solo Koutaro, il Re dei Gufi, un anno fece un commento sul fatto che non si sentiva completamente soddisfatto a ricevere il titolo di spadaccino migliore dei Regni liberi senza aver messo al tappeto quell’antipatico del Re dell’Aquila e si guadagnò una gomitata non troppo amichevole da parte di Keiji per questo.
L’autunno prima dell’undicesimo compleanno di Tobio, fu proprio il Regno di Fukurodani ad ospitare il torneo annuale. Nessuno si aspettava qualcosa di normale. Era assolutamente impossibile che Koutaro, Re dei Gufi, fosse capace di organizzare una competizione tradizionale tra i migliori guerrieri dei Regni liberi.
Senza contare che, inoltre, il torneo sarebbe stata l’occasione più propizia per festeggiare il tanto atteso erede al trono che sarebbe arrivato in primavera e doveva essere omaggiato in largo anticipo in grande stile.
Quello che nessuno si aspettava, però, era che il grande stile sfociasse tragicamente in una dimesione al di fuori di ogni realtà.



Hajime lesse la lettera con in fondo il sigillo reale del Regno di Fukurodani almeno una decina di volte. Quando, dopo l’undicesimo tentativo, si rese conto che il contenuto della missiva non aveva senso, provò a reclinare la testa di lato per vedere se non vi fosse un messaggio scritto in codice da qualche parte.
Tooru rise. “Puoi anche metterla al contrario, Iwa-chan e le parole non cambieranno assolutamente di significato!”
Il Primo Cavaliere guardò il compagno con la stessa espressione basita con cui aveva fissato quella missiva per minuti interi. “Un drago...” Fu tutto ciò che riuscì a dire e Tooru rise di nuovo. “Kuroo sta scommettendo sulla vera natura della creatura che possa aver portato Koutaro a credere di aver visto un drago vero!”
“E Keiji glielo lascia fare?”
Tooru scrollò le spalle. “Ce lo chiadiamo tutti ma, forse, è talmente preso dal bambino che risparmia energie per lui, invece di combatterle in una guerra persa in partenza.”
“Siamo certi che non sia uno scherzo?”
“Con Koutaro?” Tooru non la smetteva più di ridere. “Sarebbe stato uno scherzo se si fosse trattato di un invito ordinario!”
Hajime era senza parole. “Devo credere che Koutaro ha mandato ad ogni corte dei Regni liberi una lettera con il sigillo reale in cui sfida ogni guerriero che si senta all’altezza di uccidere il drago che terrorizza le sue terre?”
“Così sembra,” Tooru rilassò la schiena contro la sua poltrona. “Dopotutto, tra magie e miracoli, un drago non dovrebbe essere così sorprendente per noi.”



“Un drago?”
Gli occhi blu di Tobio divennero tanto grandi per la sorpresa che Hajime pensò che assomigliasse tanto a Tooru con quell’espressione. Sorrise sommesamente incrociando le braccia contro il petto ed appoggiando la nuca contro l’albero alle sue spalle.
La foresta era un luogo piacevole in cui camminare alla fine di settembre, quando l’aria non era più troppo calda ma l’autunno non aveva ancora spazzato via ciò che rimaneva dell’estate. Tobio soleva passarci la maggior parte del suo tempo da un po’ ed i suoi genitori avevano notato quanto gli cominciassero a stare strette le mura della sua cameretta o dell’intero Castello Nero nei lunghi pomeriggi di neve e gelo.
Questo, purtroppo, faceva impazzire i suoi tutori da cui non faceva che sfuggire nei modi più furbi e fantasiosi. Questo, ovviamente, toglieva ogni dubbio sulla sua intelligenza e confermava un talento naturale nell’arte della strategia ma non faceva che peggiorare l’irritazione sia sua che di Tooru: non c’era nulla di più frustrante di uno studente capace ma che si rifiutava di applicarsi.
Come allievo Cavaliere ed Arciere, al contrario...
Di colpo, Tobio tese l’arco e scoccò la freccia prima che Hajime realizzasse quello che stava per fare.
L’ultimo grido di un volatile interruppe il silenzio sotto gli alberi secolari ed il Primo Cavaliere si ritrovò a guardare nella direzione da cui era venuto con gli occhi e la bocca spalancati. Rise un istante più tardi. “Devo ancora farci l’abitudine...” Mormorò a se stesso.
Tobio lo guardò confuso. “Abituato a cosa?”
Hajime si limitò a scuotere la testa. “Vai pure a cercare la tua preda...”
Il Principe si allontanò di pochi metri, poi si voltò con un broncio. “E’ finita in un fossato,” disse. “Ho perso la freccia.”
Hajime gli sorrise orgoglioso. “Ma il colpo era vincente!” Appena lo ebbe a portata, gli spettino i capelli corvini e gli circondò le spalle con un braccio. 
Tobio era cresciuto moltissimo negli ultimi due anni e, sebbene indossasse ancora i lineamenti infantili di qualsiasi bambino, era divenuto troppo alto perchè Hajime potesse portarlo sulle spalle o Tooru potesse prenderlo in braccio. Entrambi avevano anche rinunciato a sgridarlo se andava nella foresta di nascosto o rubava un cavallo dalle scuderie per andare a cavalcare da solo chissà dove. Il Primo Cavaliere provava ancora a dargli qualche ceffone sulla nuca per rimetterlo in riga ma erano colpi ben più gentili di quelli che Tooru aveva ricevuto spesso e volentieri e Tobio non aveva mai versato una lacrima a causa loro. Senza contare che Hajime non era il genere di padre capace di rimanere fermo ed astioso a lungo. 
Sia Hajime che Tooru erano testardi ed orgogliosi e Tobio non era da meno ma dove il Re Demone era stato ribelle, il Principe Demone aveva qualcosa di selvaggio.
Non aveva mai apertamente mancato di rispetto a nessuno dei due genitori ma non aveva mai mancato di far valere il suo punto di vista, indipendente da quello che questi pensavano. 
Questo, alle volte, poteva irritare Hajime superficialmente ma, in fondo, lo riempiva di orgoglio, mentre generava una serie di emozioni contrastanti in Tooru. Il Primo Cavaliere aveva notato qualcosa di strano da un po’ ma non sapeva ancora dargli un nome: Tobio aveva una personalità forte, degna di un Re e, per una ragione che non riusciva a spiegarsi, certe volte Tooru lo guardava come se lo temesse.
“Papà?”
Gli occhi verdi del Primo Cavaliere si abbassarono su quelli blu del Principe. “Ma questa storia del drago è vera?” Domandò. “Cioè vera... Vera?”
Hajime sorrise. “Se lo sarà lo vedrai con i tuoi occhi, non ti preoccupare,” gli dispiaceva solo che, con ogni probabilità, sarebbe rimasto deluso. Sospirò e si staccò dall’albero a cui era appoggiato. “È tardi, torniamo a casa prima che tramonti il sole.”
Tobio si allontanò da lui di un paio di passi. “Mamma ha detto che sarebbe venuto più tardi.”
Hajime si fece serio di colpo. “Ha detto questo?”
Il Principe annuì con occhi grandi e brillanti di aspettativa.
“Tobio...” Hajime strinse appena le labbra prima di continuare. “Mamma è in riunione con il Re di Dateko, lo sai.”
Tobio non cambiò espressione ma una sfumatura di delusione rese più scuri i suoi occhi blu. “Aveva promesso...”
“Deve esserselo dimenticato.”
“Si dimentica sempre.” Non c’era accusa nella voce di Tobio, stava solo esponendo ad alta voce un fatto che soleva ripetersi un po’ troppo spesso nell’ultimo periodo e Hajime non poteva rimproverarlo per aver detto la verità, poteva solo cercare di giustificare Tooru in qualche modo.
“Il tuo Re sta facendo tutto quello che è in suo potere per far sì che tu erediti un Regno forte e stabile, Tobio,” gli disse gentilmente. “Questo richiede molti sforzi e molto tempo... Tempo che non può dedicare a noi ma questo non significa che per lui non siamo importanti.”
Tobio scrollò le spalle. “Non importa... C’è sempre domani...”
“Certo, c’è sempre domani,” Hajime si sentì di colpo un verme, come se avesse detto una bugia al suo stesso figlio.



Kaname era una brava persona.
Purtroppo per lui, questo non si addiceva affatto al titolo di Re e Tooru non sapeva se sentirsi in colpa a metterlo con le spalle al muro, oppure essere frustrato per quanto quella trattativa fosse semplice: erano anni che non si ritrovava davanti ad una bella sfida e la calma che lo circondava cominciava a trasformarsi in noia.
Il fatto che poi il Re di Dateko non volesse arrendersi alla cruda realtà, non faceva che irritarlo ancora di più. 
“Non posso abbandonare la mia gente,” Kaname non si era nemmeno accomodato come il Re Demone lo aveva invitato a fare: nulla lo avrebbe smosso dalle sue convinzioni. “Non ha importanza quanto le cose vadano male, il nostro Regno è sempre stato solido e so di non essere stato un Re abbastanza capace ma non venderò la mia gente al miglior offerente come se fosse della merce!”
Tooru sospirò annoiato. “Kaname, la crisi economica di Dateko è un peso che non affligge solo te ma anche altri Regni liberi.”
“La crisi economica del mio Regno non è solo una mia responsabilità!” Ribadì il Re di Dateko quasi con disperazione. “Sei rimasto solo tu a commerciare con le nostre armerie.”
“I sovrani pretendevano da te le armi migliori dei Regni liberi.”
“E lo sono!” Replicò Kaname con forza. “Hai sconfitto Shiratorizawa con quelle armi, Tooru! Il mio Regno vive di questo! Forgia armi, armature... Rediamo sicure le città ed in castelli! Dalle nostre cave esce tutto ciò che serve ad un Re per difendere la sua gente!”
Tooru fece una smorfia. “Già, è proprio questo il tuo problema Kaname... La difesa... Non si può rendere grande un Regno basandosi solo su quella. Serve strategia...”
“Non mi è mai importato che Dateko fosse grande come la intendi tu!” Esclamò Kaname. “M’importava che fosse libero, solido, sicuro per la sua gente.”
Tooru rise con sarcasmo. “Non esiste muro che non venga abbattuto, prima o poi,” replicò. “Cerca di scendere a patti con la realtà: metà del tuo territorio e sull’altra continuerai ad essere il Re che sei sempre stato.”
Kaname scosse la testa, gli occhi sgranati. “Se ti concedo questo, potremmo divenire prede facili per qualunque Regno assetato di conquista... Te compreso!”
“Non ho mai conquistato un altro Regno in più di un decennio di governo.”
“E cosa pensi di star facendo con me?”
Tooru alzò gli occhi al cielo e, per distrarsi, portò la sua attenzione sull’energumeno alla destra del Re di Dateko: non aveva cambiato espressione nemmeno per sbaglio per tutto quel tempo, non dava nemmeno segno di grande intelligente, eppure era il Primo Cavaliere del suo Regno e Kaname se lo portava dietro come se fosse il più fedele dei suoi uomini.
Quel che era certo era che compensava magnificamente l’aspetto mite e quasi indifeso del suo sovrano.
“Ti sto facendo un favore,” rispose infine. “Pensa cosa succederebbe se un altro Regno ti attaccasse ora... Shiratorizawa, ad esempio. Il suo Re è sempre in cerca di nuove conquiste e non puoi negare di essere una preda perfetta nella tua attuale situazione.”
Kaname strinse le labbra ed ingoiò a vuoto. 
“Vendimi metà delle tue terre, la tua crisi economica sarà un ricordo ed avrai molte più possibilità di difendere quello che sarà rimasto, rispetto a quello che hai ora. Potrei anche garantirti una certa protezione, lo sai?” Era crudele il sorriso di Tooru. Era il sorriso di un Re che sapeva di aver vinto e senza nemmeno allontanarsi dal suo trono.
Kaname sgranò gli occhi. “Non sarebbe un’alleanza.”
Tooru rise. “Certo che lo sarebbe!”
“No,” il Re di Dateko scosse la testa. “Sarebbe un modo pulito per renderci tuoi schiavi senza versare sangue.”
Il sorriso di Tooru sparì immediatamente ma era seria e ferma la sua voce quando parlò. “So che non mi crederai ma sono molto più gentile di quel che pensi offrendoti quello che ti sto offrendo.”
“Sei tanto vigliacco da prenderti ciò che vuoi con delle strategie tanto perfide, piuttosto che scendere sul campo di battaglia e combattere una guerra vera?”
Gli occhi di Tooru si fecero taglienti. “Hai mai combattuto una guerra vera, Kaname?”
Il Re di Dateko non rispose ed il Re Demone comprese che si era pentito di aver pronunciato simili parole ma, ormai, era troppo tardi. 
“No, eri troppo felice di nasconderti dietro le tue mura inviolabili,” continuò Tooru. “Quella che tu chiami codardia è la più grande gentilezza che un Re possa concederti. Mi auguro che valuterai con attenzione la tua scelta, perchè il prossimo sovrano che metterà gli occhi sul tuo Regno non si farà scrupoli a calare sulla tua gente debole ed affamata.”
Kaname era pietrificato.
“Fai la tua scelta, Re di Dateko...”



Tooru gettò la propria camicia sul pavimento con rabbia. “Quell’idiota...” Sibilò fissando le fiamme nel caminetto acceso.
Hajime si tolse la propria ripiegandola per bene ed abbandonandola sulla sedia più vicina, mentre Tooru si lasciava cadere sulla sua poltrona preferita: quella su cuI si era seduto per un’infinità di sere per addormentare Tobio, quella su cui lo aveva tenuto tra le braccia raccontangli un sacco di storie idiote sulla loro infanzia, quella su cui lui ed Hajime avevano fatto acrobazie che avrebbero fatto arrossire anche il Re di Nekoma.
Dov’erano finiti quei momenti? Eppure era certo che fino a pochi mesi fa fossero all’ordine del giorno. Ora, invece, Hajime ci ripensava come se fossero frammenti di una vita passata. 
“Sei teso,” commentò con voce incolore afferrandolo per le spalle e cominciando a massaggiarle per farlo rilassare. Se fosse stato uno dei loro tanti momenti insieme, sarebbero passati pochi minuti prima che Tooru gettasse la testa all’indietro e lo guardasse con quei grandi occhi scuri ed ammaliatori. Probabilmente, non si sarebbero nemmeno disturbati ad arrivare al letto. No, sarebbero scivolati sul tappeto di pelliccia di fronte al fuoco ed avrebbero fatto l’amore lì, come se un figlio e più di un decennio insieme non fossero sufficienti a far passare ad entrambi quella passione da ragazzini.
Hajime non aveva mai preso il conto delle volte che solevano fare l’amore... Sarebbe stato impensabile...
Negli ultimi mesi aveva cominciato a farlo pur non volendolo.
Tutto era cominciato da dopo il decimo compleanno di Tobio o, forse no, forse era cominciato prima, dal primo torneo del loro bambino. Quello in cui, da prodigio quale era, Tobio aveva vinto sia come miglior Arciere che come miglior spadaccino nelle sfide dedicate ai ragazzini ancora troppo piccoli per avere un titolo ufficiale o una vera esperienza nel campo del combattimento.
Seijou aveva esultato come mai era successo nemmeno dopo le vittorie di Tooru. Hajime aveva completamente perso la testa e si era gettato nell’arena, seguito dai suoi Cavalieri, come se suo figlio avesse compiuto l’impresa del secolo. Tooru era rimasto immobile, come congelato ed aveva osservato la scena con espressione che il Primo Cavaliere aveva solo saputo definire terrorizzata. 
Era stato un attimo dilatato nel tempo, poi Tooru era tornato a sorridere ed aveva riempito il loro bambino di baci sotto gli occhi di tutto con sommo imbarazzo del povero Principe.
Se Hajime ripensava alle settimane successive, al decimo compleanno di Tobio e ai mesi dell’inverno, avrebbe potuto giurare che erano stati pieni di momenti felici. Poi la neve si era sciolta ed una nuova luce era comparsa negli occhi di Tooru: l’ossessione.
Aveva ordinato ad Hajime di duellare con lui per divenire più abile con la spada ed inutile erano stati i tentativi del Primo Cavaliere di convincerlo che già lo era. Non avevano più duellato seriamente dopo nascita di Tobio e, dopo, prendere due spade in mano e fronteggiarsi era divenuto solo un modo accattivante per strapparsi di dosso i vestiti.
Quella primavera, Hajime si era dovuto difendere dagli attacchi del Re al punto da fargli male. Non gravemente, mai gravemente ma quando Tobio aveva cominciato a fare domande sul perchè la mamma piangesse, Hajime aveva detto no con fermezza. Tooru allora lo aveva guardato con astio, lo aveva accusato di crederlo un debole e poi lo aveva attaccato senza preavviso ed aveva continuato a farlo fino a che il Primo Cavaliere non si era ritrovato a terra con la spada puntata alla gola e due occhi ardenti d’ira a fissarlo.
Non aveva saputo chi fosse il giovane Demone di fronte a lui in quel momento.
Tooru era tornato in sè un istante più tardi e lo aveva guardato con orrore per quello che gli aveva fatto. Tra le lacrime, aveva medicato personalmente ogni ferita che gli aveva inferto, sebbene fossero tutte superficiali e Hajime fosse di gran lunga più preoccupato per il suo compagno che per sè stesso. Tooru aveva baciato ogni fasciatura ed aveva invocato il suo perdono come se avesse compiuto il più grave dei crimini. Dopo, aveva cercato il suo calore nel loro letto ed Hajime glielo aveva concesso senza esitare stringendolo tra le braccia per tutta la notte.
Il giorno dopo, Tooru sembrava tornato quello di sempre e aveva costretto il suo Cavaliere a letto ben oltre l’orario che era consentito ad entrambi. “Restiamo tutto il giorno a letto insieme, ti prego,” gli aveva detto a fior di labbra.
Hajime gli aveva scostato un ciuffo di capelli da davanti agli occhi con un sorriso: era bello riaverlo lì, come lo aveva sempre avuto. “Tobio potrebbe chiedersi che fine abbiamo fatto,” aveva risposto.
E Tooru lo aveva guardato come se gli avesse confessato di averlo tradito.
Allora era cominciata la parte peggiore, quella che Hajime proprio non riusciva a spiegarsi.
Tooru aveva cominciato ad allenarsi con Tobio sempre meno, tanto che, alla fine, doveva essere sempre il Principe ad elemosinare la sua compagnia ed il Re faceva quanto di più spregevole Hajime gli avesse mai visto fare: gli rivolgeva un sorriso falso, gli concedeva una carezza che non aveva nulla di tenero e poi gli negava ogni sua attenzione per il resto della giornata.
Avevano passato un’intera primavera e metà dell’ultima estate a litigare su questo: Hajime chiedeva spiegazioni sul suo comportamente orribile con il loro bambino e Tooru lo accusava di passare con quel moccioso più tempo di quanto non dedicasse a lui.
Hajime non aveva avuto il coraggio di fargli notare che era tornato a sfinirsi con gli allenamenti con l’arco e che, proprio per questo, era lui il primo a togliere tempo sia al suo compagno che a suo figlio. Aveva temuto le conseguenze di quello che sarebbe potuto succedere poi.
Era stato un codardo, Hajime e lo sapeva bene.
Arrivato il momento del raccolto, aveva preso Tobio con sè ed i suoi uomini più fidati, poi si era ritirato in campagna come era mai loro tradizione in quel periodo dell’anno ma quella era stata la prima volta che Tooru non lo aveva seguito e non aveva avuto il coraggio di ammettere completamente a se stesso che non l’avrebbe nemmeno voluto.
Tobio faceva domanda ma era un bravo bambino e Hajime si sentiva un vero ed autentico bastardo a fargli subire le vicissitudini della vita di coppia sua e di Tooru, anche se, in verità, era l’assenteismo del Re come genitore che aveva spinto il Primo Cavaliere fino a quel punto.
Per fortuna, era durato tutto ben poco.
Una sera, Hajime era rientrato dal lavoro nei campi ed Issei e Takahiro gli avevano detto che Tobio era già stato messo a letto. Quando era entrato in camera di suo figlio, il Primo Cavaliere aveva trovato un giovane Demone vestito con abiti semplici che accarezzava lentamente i capelli di Tobio parlandogli con dolcezza.
“Mi mancavate da impazzire,” si era giustificato Tooru quando erano rimasti soli nella loro camera da letto. “Mi mancava noi.”
E Hajime non aveva nemmeno dovuto prendere in considerazione l’idea di perdonarlo, perchè si era ritrovato con quel bel viso tra le mani, quelle labbra sulle sue ed il cuore di nuovo leggero alla realizzazione che poteva amarlo ancora.
Poi erano tornati a casa, la notizie della crisi economica del Regno di Dateko era arrivata alla corte di Seijou e Tooru era stato sottratto a loro ancora una volta.
“Iwa-chan...”
Hajime sobbalzò appena ed abbassò lo sguardo per incrociare gli occhi scuri del suo Re. “Dove sei?” Suonava quasi come un’accusa.
“Sono qui con te,” rispose Hajime, le sue mani ancora sulle spalle dell’altro.
“Non è vero,” rispose Tooru e portò le mani sui fianchi del suo Cavaliere. “A che cosa stai pensando?”
Hajime non si fece sfuggire il modo in cui gli occhi del compagno viaggiarono sul suo petto nudo ma questo non gli provocò alcun brivido caldo come faceva di solito. “All’ultima volta che abbiamo fatto l’amore.”
Il sorriso di Tooru si fece apertamente malizioso. “Sì, me la ricordo bene.”
“È stato bello,” commentò Hajime con malinconia. “È passato un po’...”
“Lo so,” Tooru posò un bacio sotto l’ombellico del suo Cavaliere prendendo la pelle calda tra le labbra per una frazione di secondo. “Possiamo rimediare,” concluse cominciando a lavorare sulla cintura dell’amante senza allontanare quegli occhi ammalianti da quelli dell’amante.
Hajime, per un attimo, arrossì come un ragazzino. “Aspetta un attimo...”
“Che cosa c’è?” Domandò Tooru confuso.
“Avevi promesso a Tobio di venire nella foresta con noi oggi.”
Hajime si sentì un idiota nel provare conforto di fronte all’espressione colpevole del suo Re: almeno aveva una prova che gli importasse ancora.
“L’ho detto senza pensare,” si giustificò Tooru. “Non credo neanche di averlo ascoltato quando me lo ha chiesto,” aggiunse abbassando lo sguardo.
“Gli manchi...”
Il Re alzò di nuovo il viso. “Sono sempre qui...”
“Sei di nuovo freddo con lui, come facevi prima che ci raggiungessi nelle campagne.”
Tooru fece una smorfia. “Ho avuto molto da fare per la questione economica di Dateko, tutto qui.”
“Gliel’ho detto.”
“Allora mi avrà perdonato.”
Hajime si umettò le labbra. “È un bambino,” replicò. “Siamo i suoi genitori. Non credo non possa perdonarci...”
E Tooru tornò a sorridere: dal suo punto di vista, il problema era risolto. “Dov’eravamo?” Domandò. La cintura del Cavaliere finì a terra un istante più tardi ed il primo bottone dei pantaloni venne slacciato. Tooru posò un altro bacio bollente sulla pelle appena scoperta e Hajime seppe di non potersi tenere attaccato alla ragione ancora per molto. “Ci ami ancora, Tooru?”
Il Re Demone si bloccò e c’era sincero dolore nei suoi occhi quando lo guardò di nuovo. “Perchè me lo domandi?”
“Perchè, da qualche tempo, mi trovo a chiederlo a me stesso più di quanto mi faccia piacere.”
L’espressione di Tooru divenne ferita. “Se lo chiede anche Tobio?”
Hajime abbassò lo sguardo e scosse la testa. “No,” rispose.
Il Re Demone annuì e posò lo sguardo sulle fiamme scoppiettanti nel caminetto ma Hajime poteva quasi sentirlo il caos dei suoi pensieri. Sospirò. “Tooru...” Fece aderire il palmo della sua mano alla guancia del compagno e questi chiuse gli occhi abbandonandosi a quella carezza. “Io sono qui, parlami... Urlami contro se ne hai bisogno ma non chiuderti dietro ad un sorriso falso e ad un muro di silenzio.”
Tooru ridacchiò. “Se ti urlassi contro, mi prenderesti a calci.”
“Non se me lo meritassi.”
Il Re Demone lo guardò e Hajime seppe che aveva capito cosa gli stava chiedendo. Ho fatto qualcosa di male? Ti ho fatto mancare qualcosa? Sono qui, posso aiutarti?
Tooru gli rivolse un sorriso innamorato ma anche tanto stanco. “Tu sei perfetto, Hajime e lo sei sotto ogni punto di vista.”
L’espressione del Primo Cavaliere divenne dura. “Se sei di nuovo del bel mezzo di una crisi di autostima, dimmelo subito così ti prendo a schiaffi e risolviamo il problema a letto, alla vecchia maniera.”
Tooru rise e questa volta sinceramente. “Mi piace quanto sei rude con me...”
“Sei divenuto più idiota del solito?”
Il Re Demone baciò il palmo della mano del suo Cavaliere. “Mi ricorda quando ancora eravamo bambini. Non mi hai mai trattato come un Principe, eppure era solo con te che mi ci sentivo ed è successo anche quando sono divenuto Re. Sei molto più di quanto ho mai meritato... Tu e Tobio siete più di quanto ho mai meritato...”
Hajime sbuffò e allontanò la mano dal suo viso. “Va bene, basta. Che cosa succede?” Appoggiò un ginocchio a terra e coprì una delle mani del suo Re con la propria. 
Tooru dischiuse le labbra. Insieme abbiamo costruito qualcosa di perfetto avrebbe dovuto dire. Ma non mi basta più...
Le ultime battute avute col suo peggior nemico tanti anni prima, quando era stato certo di essere in punto di morte tornarono a riecheggiare nella sua mente. ”La mia unica consolazione è che morirò prima di diventare come te.”
Quello, però, non era stato il suo ultimo giorno.
Tooru sorrise. “Sono solo stanco, Iwa-chan,” mormorò con dolcezza. “Questa notte, voglio solo dimenticare tutto ed addormentarmi tra le tue braccia.”
E, putroppo, Hajime gli credette.



Tooru amava la sua famiglia.
Tooru amava il suo compagno ed amava quella creatura prodigiosa che avevano messo al mondo e che dava loro solo ragioni per essere orgogliosi. 
Hajime e Tobio erano suoi come lui era loro ma c’era un pensiero che Tooru proprio non riusciva a togliersi dalla testa da quando suo figlio aveva ottenuto una doppia vittoria all’ultimo torneo: il suo Principe stava crescendo e la piccola stella luminosa che era ben presto si sarebbe trasformata in un sole che nessuno avrebbe potuto ignorare. 
Tooru non era mai stato così.
Aveva voluto esserlo... Aveva sempre voluto esserlo ed aveva fatto di tutto per diventarlo. Era stato uno dei motivi che l’avevano spinto a sedurre il Re dell’Aquila a soli quindici anni, nella convinzione che Hajime non sarebbe mai stato suo come l’avrebbe voluto. Era stata la ragione per cui, pur vittorioso, non si era sentito un Re trionfante alla fine della guerra contro Shiratorizawa perchè ci erano voluti ben quattro Regni per salvare il suo. Era stato anche ciò che, pur già genitore di un bambino bellissimo ed un compagno innamorato al suo fianco, lo aveva fatto avvampare di soddisfazione, forse anche eccitazione, nel sapere dalla bocca dello stesso Eita che non c’era mai stato nessun altro come lui per Ushijima.
Aveva rinunciato ad ottenere la cima del mondo nel modo più semplice e lo aveva fatto in nome di un amore che non aveva mai rinnegato ma questo non significava che avesse smesso di sognare di conquistarla, anche a costo di strapparla al Re dell’Aquila.
Il Regno di Seijou era quello più potente dopo quello di Shiratorizawa. La sua politica interna era solida, le sue relazioni con le altre corti erano buone e spesso rette da relazioni personali. Il popolo adorava il suo Re ed i suoi Cavalieri ed il nuovo Consiglio che aveva formato in seguito alla rivoluzione era composto da gente capace di amministrare le città principali di cui non poteva occuparsi personalmente. Seijou era un regno forte, libero e con tutte le carte in regola per divenire quel luogo migliore che lui e Hajime aveva sognato per tanto tempo per loro stessi e, in seguito, per il loro bambino.
E Tooru sapeva che tutto questo gli era bastato fino a che Tobio non aveva brillato in quel modo l’autunno precedente. Dopo di quell’evento, semplicemente, si era reso conto di quanto suo figlio sarebbero potuto essere prodigioso, leggendario... Grande!
Mentre, in più di dieci anni di Regno, Tooru era solo stato capace di essere un buon Re.
Certo, aveva compiuto le sue imprese e, senza ombra di dubbio, aveva dato molti motivi di farsi conoscere in tutti i Regni liberi. Il suo posto nella storia se l’era già costruito ed era quello di un sovrano uscito vittorioso da una guerra contro il mondo in cui era nato, contro il Regno più forte della sua generazione e contro le conseguenze di tante scelte ribelli.
Era una bella immagine con cui essere ricordato.
Era una buona ragione per spingere Tobio a dare il suo nome al figlio che avrebbe potuto avere.
Ma nulla di più...
Tooru aveva avuto il suo lieto fine, lo aveva avuto con l’uomo che amava, il padre del suo bambino ed era stato convinto per anni che non gli sarebbe servito altro dalla vita. 
Invece, Tobio, il Principe Demone, cresceva e brillava, brillava e brillava ancora... Mentre il Re Demone scivolava nell’ombra ogni giorni di più.
Per questo aveva chiesto a Hajime di allenarlo con la spada: si era detto che se dimostrava di essere un prodigio al pari del suo erede, forse, si sarebbe sentito meglio. Aveva solo finito per perdere la testa e far del male al suo Cavaliere senza motivo.
Si era sfogato con l’arco perchè non era una novità che Tooru tendesse ad autodistruggersi per superare un limite che si era già lasciato alle spalle da un pezzo ma che, per lui, non era mai abbastanza.
Hajime aveva avuto le sue ragioni per andarsene ma Tooru non se l’era aspettato perchè, di fatto, il suo Cavaliere l’aveva minacciato più volte di abbandonarlo prima che la vita li mettesse insieme definitivamente ma non lo aveva mai fatto sul serio... Soltato il Re dell’Aquila era riuscito a dividerli per tre giorni e, al quarto, avevano fatto l’amore per la prima volta.
Quella era stata un’ulteriore conferma di come l’ombra lo stesse lentamente inghiottendo.
Hajime sarebbe rimasto se fossero stati solo loro due. Sarebbe rimasto se avesse semplicemente perso la testa come era stato solito fare in passato ma... Hajime aveva preferito Tobio...
Tooru sapeva di aver ferito suo figlio quando aveva deciso di non addestrarlo più ma non aveva trovato in sè il coraggio di dirgli che non aveva più nulla da insegnargli perchè questo avrebbe potuto voler dire due cose terrificanti: il suo Principe non aveva più bisogno di lui e lo aveva superato a nemmeno undici anni di età.
Per quanto crudele fosse, nella sua testa gli era stato infinitamente più semplice negargli il suo tempo e tenerlo legato a lui da un bisogno non soddisfatto. Tooru sapeva di essere stato un bastardo e Hajime aveva avuto tutte le ragioni di averlo voluto allontanare da suo figlio ma il Re non l’aveva fatto con cattiveria, bensì disperazione.
Erano bastate poche notti di lacrime per convincerlo ad indossare dei vestiti semplici e cavalcare fino alle campagne dove erano stati felici pur non avendo nulla che potesse ricordare loro che erano un Re, un Principe ed un Primo Cavaliere. 
Aveva stretto il suo bambino tra le braccia e lo aveva fatto addormentare, poi aveva lasciato che il suo uomo stringesse le proprie intorno a lui e non lo lasciasse più andare per tutte le notti che quell’estate concesse loro.
E Tooru si era chiesto come avesse anche solo potuto pensare che tutto quello non gli bastasse quando era tutto così brillante, lieto ed infinitamente semplice quando Hajime lo stringeva a sè nel loro letto e Tobio dormiva sereno nella stanza accanto.
Un’estate... Poi erano tornati al Castello Nero e Tooru aveva visto nella crisi economica del Regno di Dateko un altro disperato tentativo di brillare di nuovo, prima che fosse troppo tardi.
E, senza rendersene conto, aveva spinto il suo uomo a dubitare del suo amore.



Tooru venne svegliato da qualcosa che strisciava sotto le coperte infilandosi prepotentemente tra lui e Hajime, ancora profondamente addormentato alle sue spalle. Si rigirò tra le lenzuola appena in tempo per vedere una testolina di capelli corvini spuntare da sotto la trapunta.
Non potè evitare di sorridere quando quegli occhi blu furono sui suoi. “Buon giorno, Tobio-chan...” Mormorò posando un bacio su quel nasino ancora piccolo e dalla forma infantile. “Come mai già sveglio?”
“Ho fatto un brutto sogno,” rispose il bambino con le guance un po’ rosse per l’imbarazzo.
Tooru fece emergere una mano da sotto le coperte posandola sulla guancia del Principe. “Non c’è nulla di cui vergognarsi, Tobio...”
“Mi ha spaventato...”
“Non devi vergognarti nemmeno di questo,” lo rassicurò Tooru posando le labbra sulla sua fronte ed annusando il dolce profumo di quei capelli corvini. “Me ne vuoi parlare?”
Tobio si girò su di un fianco accocolandosi meglio contro di lui. “C’era un’aquila,” raccontò appoggiando la fronte contro il petto del genitore. “Un’aquila che divorava un corvo mentre era ancora vivo.”
Tooru divenne improvvisamente serio ma cercò di sorridere un istante più tardi. “È solo un sogno, amore mio.” Gli accarezzò di nuovo i capelli e gli occhi blu furono di nuovo sui suoi in un istante. “Non sei più arrabbiato con me?” Domandò.
Il Re Demone si umettò le labbra. “Non lo sono mai stato, Tobio.”
“Allora perchè non tiriamo più frecce insieme?”
A quel punto, Tooru avrebbe potuto ammettere la verità e farci i conti definitivamente, oppure giustificarsi in qualche modo che lo rendesse meno colpevole. “Sono stati mesi impegnativi per me.” Scelse la seconda. “Mi dispiace non averti potuto dedicare molto tempo.”
Tobio annuì ed abbassò lo sguardo per un istante, poi tornò a guardare il genitore timoroso. “Posso dormire qui questa notte?” Domandò.
Tooru gli sorrise dolcemente. “Certo...” Non gli avrebbe mai negato una cosa così semplice. Dopotutto, prodigio o meno, era ancora un bambino. “Non prendere a calci papà, però o se la prenderà con me.”
Tobio gli rivolse quel suo adorabile sorriso un po’ goffo, poi si mise comodo e Tooru gli aggiustò le coperte intorno al corpo, prima di baciargli una guancia. 
“Buona notte, mamma.”
“Buona notte, mio Principe.”



All’alba, Hajime si ridestò a causa delle prime luci del sole.
Questo, di norma, non gli impediva di riaddormentarsi immediatamente ma si rese conto che il loro letto, nel corso della notte, si era fatto decisamente più affollato. Tooru dormiva sul suo lato steso su di un fianco, una mano appoggiata sul petto del bambino che dormiva sulla schiena al centro del grande letto, le dita della destra strette intorno alle dita del Re, mentre la mancina era salda sulla sua di mano. 
Hajime non si era neanche reso conto che Tobio si fosse infilato nel loro letto ma, a giudicare dal modo in cui erano accoccolati l’uno vicino all’altro, dedusse che Tooru doveva aver messo a tacere qualsiasi timore l’avesse spinto a cercarli nel cuore della notte.
Si sollevò su di un gomito e rimase a guardarli incantato come non aveva occasione da un po’ e proprio per questo li osservò con cura, cercando di memorizzare ogni dettaglio di quell’immagine di pace e bellezza. Ad una prima occhiata, molti erano soliti guardare Tobio ed afferamare quanto assomigliasse a suo padre, forse per i capelli neri e per lo sguardo tagliente.
Hajime la pensava diversamente: non aveva mai posseduto i lineamenti eleganti del viso di Tobio, nè dei cappelli che sembrassero seta al tatto e restassero prodigiosamente in ordine in qualsiasi occasione. Hajime vedeva Tooru in ogni dettagli di Tobio accanto a qualcosa che sapeva di lui e pensava che fosse bellissimo.
“Hajime...”
Gli occhi scuri ed assonnati del suo Re lo riportarono alla realtà.
“Ehi...” Lo salutò il Primo Cavaliere con un sorriso dolce, innamorato, adorante quasi.
Tooru se ne accorse e gli angoli della sua bocca si alzarono pigramente all’insù. “Sei felice?”
Per tutta risposta, Hajime allungò un braccio fino a toccare il fianco del compagno, il loro bambino addormentato tra loro. 
Il sole di fine settembre sorgeva sul Regno di Seijou e la famiglia reale poteva ancora dire di essere felice.



Il Regno di Fukurodani non era poi così diverso dal Regno di Seijou, aveva solo alte montagne ai confini al posto del mare ed era un poco più freddo. Il viaggio fu lungo, non spiacevole ma Tobio fu il primo a scattare fuori dalla carrozza quando si fermò ed i suoi genitori risero.
“È silenzioso ma incapace di stare fermo,” commentò Tooru stringendosi il mantello nero intorno alle spalle nello scendere dalla carrozza.
“Tu sei sempre stato incapace di stare fermo ma mai silenzioso, mi ritengo un padre fortunato,” commentò Hajime seguendolo.
“Rude!” Esclamò il Re Demone ma rideva. 



Il povero Keiji sembrava sul punto di commettere un omicidio e, probabilmente, non si sarebbe fatto problemi a compierlo anche di fronte a tutti quei testimoni, bambini compresi se il Re dei Gufi avesse continuato a fare l’idiota.
“Keiji, sei abbastanza caldo?” Domandò Koutaro per almeno la terza volta da quando il sovrano di Nekoma e quello di Seijou erano entrati nella stanza insieme ai rispettivi compagni ed eredi. L’Arciere sospirò pazientemente tirandosi la coperta che Koutaro gli aveva costretto addosso fino al petto. “Sto bene...”
“Ne sei completamente sicuro? Perchè posso...”
“Koutaro, aspetta un bambino, non ha perso la capacità d’intendere e di volere,” intervenne Tooru divertito. “Se dice che sta bene, credimi, vuol dire che sta bene. Quando non lo sarà più lo saprai per primo!”
Keiji gli rivolse uno sguardo grato e Tooru gli sorrise.
Kuroo sbuffò accomodandosi su una delle poltrone del salotto privato della coppia reale come se fosse a casa propria. “E poi vi chiedete perchè io non cedo alla tentazione di perdere completamente il senno?” Domandò sarcastico.
“Ma ci sono io!” Esclamò il bambino dagli occhi felini seduto sul tappeto davanti al fuoco. Un gran numero di soldatini giocattoli erano sparsi intorno a lui e Tobio li fissava indeciso se accettare l’invito a giocarci o meno. 
“Io non sono la causa di qualunque evento drammatico abbia portato alla tua nascita, Lev,” replicò Kuroo con sarcasmo. Kenma sollevò lo sguardo dai due bambini per rivolgerli al proprio Re, una sfumatura i rimprovero nei suoi occhi. 
Hajime allungò una mano dalla poltrona su cui si era accomodato sfiorando la tempia di Tobio. “Perchè non giochi un po’ con Lev?” Propose con un sorriso. Tooru osservò la scena con interesse ma il loro Principe si limitò a fissare il padre come se gli avesse chiesto di buttarsi da un dirupo.
Koutaro rise. “Letale nell’arena e timido nella vita reale!” Commentò guardando i due bambini. “Chissà il nostro come sarà?” Aggiunse guardando Keiji. L’Arciere alzò gli occhi al cielo, sospirò stancamente e non rispose.
Kuroo si sporse verso i due bambini. “Lev non è poi così male, ci sono giorni in cui non sta un attimo zitto ma c’è Kenma per questo.”
Il Mago lo fissò di nuovo esasperato. Il bambino non sembrò essere disturbato dai continui commenti sarcastici del Re che aveva la sua custodia e Tooru credette che non li comprendesse nemmeno. Lev sembrava un bambino allegro e Tobio perlomeno non lo guardava come se fosse qualcosa di fastidioso di cui liberarsi. 
Gli occhi felini di quel bambino dai lineamenti stranamente affilati si spostarono sul Re Demone. “Tu sei la sua mamma, vero?” Domandò indicando il bambino di fronte a sè. Per qualche strana ragione, Tobio arrossì.
Tooru sorrise. “Sì, Principe di Nekoma.”
Lev sbattè le palpebre un paio di volte e tornò a guardare Tobio. “Quindi, tu sei il Principe Demone.”
Hajime e Tooru si scambiarono un’occhiata mentre il loro bambino annuiva timidamente, le guance ancor più rosse di prima.
Lev inclinò la testa da un lato confuso. “Allora perchè tu non hai le corna?”
Sia Hajime che Tooru si fecero rigidi e non si lasciarono sfuggire il modo in cui ogni colore sparì dal viso di Tobio. Gli occhi blu si fecero più scuri, l’espressione dura, quella che rivolgeva agli altri bambini della corte. Lev dovette capire di aver detto qualcosa di sbagliato perchè si fece indietro ed incassò la testa nelle spalle. Hajime si alzò ed appoggiò un ginocchio sul tappeto ricoperto di giochi. “Tobio è anche mio figlio,” spiegò con un sorriso gentile. “Non ha la corna perchè assomiglia più a me, tutto qui.”
Gli occhi di Lev si accesero di colpo. “Tu sei il Primo Cavaliere di Seijou?”
Hajime annuì.
Gli occhi felini divennero ancora più grandi e si voltò verso Koutaro. “È il Cavaliere di cui parli sempre, zio?”
Il Primo Cavaliere alzò gli occhi sul Re dei Gufi che scoppiò a ridere con entusiasmo. “Ehi! Ehi! Ehi! Guarda un po’ chi si ricorda tutte le mie meravigliose storie!”
L’espressione scocciata di Keiji si addolcì notevolmente nel vedere il compagno sedersi a gambe incrociate sul tappeto, vicino ai bambini. “Dunque, Tobio, papà ti ha mai raccontato di quella volta che è scivolato giù dal dirupo del Castello Nero, è rimasto impigliato ad un albero per puro miracolo ed è stato salvato dal grande, insuperabile, magnifico...”
“Ha capito, Koutaro,” lo interruppe Keiji.
Tooru rise e si accomodò vicino al compagno del Re dei Gufi. “Continua pure,” lo incoraggiò.
Keiji lo fissò. “Te ne pentirai, lo sai?”
“Non abbiamo mai raccontato a Tobio storie di quel periodo,” spiegò il Re Demone a bassa voce. “Non siamo mai riusciti a trovare un modo per renderle epiche.”
Keiji comprese ed annuì, poi riportò l’attenzione sul compagno concedendogli il suo silenzioso consenso ad andare avanti. 
Koutaro si sfregò le mani con entusiasmo. “Dicevo, Tobio,” continuò. “Il tuo papà è il protagonista delle storie migliori che conosco... Suubito dopo le mie, ovviamente!”
“Mettiamoci comodi a ricevere il supplizio,” commentò Kuroo con sarcasmo.
Tooru, però, notò come gli occhi di Tobio erano di nuovo tornati ad essere di quel blu che tanto assomigliava a quello del cielo poco prima del sorgere del sole. Koutaro raccontò solo le parti migliori della storia e, sebbene non glielo avrebbe mai detto, Tooru gli sarebbe stato eternamente grato per questo. 
Tobio aveva chiesto molte volte della storia della sua nascita crescendo e, sebbene fosse una trama conosciuta in tutte le corti dei Regni liberi, Tooru e Hajime si erano sempre trovati in difficoltà ad affrontare l’argomento. Tutto diveniva improvvisamente facile quando si trattava di dire a Tobio quando si era cominciata a vedere la pancia o quando aveva deciso di passare il suo tempo lì dentro prendendo a calci la mamma ad ogni ora del giorno e delle notte ma prima... Prima...
Raccontare di come Tooru aveva scoperto di aspettarlo e di dove fosse Hajime in quel momento non era semplice, nè piacevole. Alla fine, per rendersi le cose meno complicate, entrambi avevano deciso di spostare la data della lieta scoperta alla fine della guerra, quando si era festeggiata la nascita di Shouyou ed il Re Demone aveva approfittato dell’occasione per annunciare l’arrivo del suo erede.
“E dovevi vederlo il tuo papà allora!” Esclamò Koutaro. “Ha guardato il Re dell’Aquila dritto negli occhi e gli ha detto senza battere ciglio che il Regno di Seijou non sarebbe mai divenuto schiavo di Shiratorizawa!”
Le guance di Tobio si erano colorate di nuovo per l’emozione e Lev lo fissò con occhi brillanti per l’entusiasmo. “Forte il tuo papà!” Esclamò ed il Principe Demone gli rivolse un sorriso goffo ma pieno di orgoglio.
“E alla fine...” Koutaro alzò le braccia al cielo con fare teatrale. 
“Oh, siamo vissuti abbastanza a lungo per sentire la fine!” Esclamò Kuroo.
“È nato un bel Principe!” Concluse il Re dei Gufi. “Alla faccia di quel bastardo di Ushijima!”
“Koutaro!” Esclamò Keiji.
“Che ho detto?” Domandò Kouatro confuso, poi riprese a sorridere. “Ehi! Ehi! Ehi! E poi non vi ho ancora raccontato di quando...”
“Magari domani,” intervenne prontamente Kenma alzandosi dal suo posto per la prima volta da quando si era accomodato. “Lev deve andare a dormire.”
Kuroo non lo amò mai come in quel momento.
“Ma io voglio sentire ancora una storia!” Si lagnò il Principe di Nekoma ma non oppose resistanza quando il Mago di corte gli afferrò una mano e lo condusse verso la porta del salotto. “Auguro a tutti la buona notte,” disse Kenma educatamente e Lev sollevò una mano per salutarli allegramente, poi uscirono entrambi dalla stanza.
Koutaro emise un fischio. “Ma si è alzato ancora un po’?” Domandò al Re di Nekoma.
Kuroo scrollò le spalle. 
“Tobio è alto ma quel bambino è sulla buona strada per diventare un gigante!” Commentò Hajime spettinando i capelli del figlio.
“Mia sorella ha sposato un signore dell’estremo nord,” spiegò il Re di Nekoma. “Lev ha tutte le caratteristiche fisiche della casata di suo padre.”
“È lui l’erede, quindi...” Concluse Tooru fissando la porta chiusa  della stanza.
“Mia sorella me l’ha dato in custodia sostenendo che, ormai, è abbastanza grande per ricevere la sua educazione da futuro Re. Io e Kenma l’abbiamo portato perchè le sue doti con la spada non sono poi così male.”
“È forte?” Domandò Tobio di colpo.
Kuroo gli sorrise. “Non fargli troppo male quando te lo ritroverai davanti, ti prego.”
“Non sottovaluto gli avversari che non conosco,” rispose il Principe Demone con espressione adulta. “Mio padre e mia madre mi hanno insegnato così.”
“Esattamente quello che ci si aspetta dal figlio del Re Demone e del suo Cavaliere!” Koutaro rise ed appoggiò la schiena alle gambe di Keiji ricercando qualche tenera attenzione ed il compagno prese ad accarezzargli i capelli distrattamente. “Per noi grandi, però, ho tutto un altro programma quest’anno!”
“Lo abbiamo letto il tuo programma,” disse Kuroo. “Si sono aperte scommesse su quanto fossi ubriaco quando ti è venuta l’idea.” Rise.
“Non era ubriaco,” rispose Keiji ed anche il Re di Nekoma dovette farsi serio a quel punto. “C’è veramente un drago sulle montagne del Regno, l’ho visto anche io.”
Cadde un pesante silenzio nella stanza. Kuroo fissò Keiji. Tooru e Hajime si scambiarono un’occhiata. Koutaro li guardò tutti. “Credevate davvero che fosse un parto della mia fantasia?”
“Non abbiamo mai dubitato che tu ci credessi,” giurò Kuroo.
“Io l’ho sempre creduto, signore!” Esclamò Tobio alzandosi in piedi.
Tooru rise e Hajime lo spinse a sedersi di nuovo sul tappeto e a stare tranquillo. “Lascia parlare i grandi, Tobio,” disse il Primo Cavaliere gentilmente.
“Fatelo parlare, invece!” Replciò Koutaro. “Il ragazzino mi piace!”
“Puoi raccontarci che cosa è successo?” Domandò Tooru a Keiji e questi annuì. “Eravamo a metà della primavera scorsa ed io e Koutaro eravamo a caccia sulle montagne quando l’abbiamo avvistato.”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Tutto qui?”
Keiji annuì.
“Sono tornato con i miei uomini migliori,” aggiunse Koutaro. “Lo abbiamo avvistato di nuovo ed abbiamo cercato di abbatterlo ma non è andata bene.”
“Alcuni uomini sono morti,” disse Keiji abbassando lo sguardo e questo non fece che aumentare il dubbio di Tooru che stesse nascondendo qualcosa. 
Kuroo inarcò un sopracciglio. “Un attimo,” disse alzandosi in piedi. “Tu hai organizzato un torneo trasformandolo in una caccia al drago perchè tu ed il tuo compagno avete rischiato la vita nel cercare di fermarlo e alcuni dei tuoi Cavalieri migliori sono morti?”
Koutaro si umettò le labbra in difficoltà e guardò Keiji. L’Arciere sospirò. “Vi chiediamo scusa,” disse con sincerità. “Ma siamo davvero disperati e i vostri sono i guerrieri migliori dei Regni liberi.”
Anche Tooru si alzò in piedi. “Iwa-chan, per favore...”
Hajime annuì e si alzò in piedi. “Vieni, Tobio, è ora di andare a dormire anche per te...”
Il bambino si alzò senza fare storie ma fissò il Re Demone fino a che questi non si avvicinò per posare un bacio tra quei capelli corvini. “Non ti preoccupare, vai con papà. Io arrivo tra poco...”
Non appena suo figlio fu fuori dalla stanza, Tooru fissò il Re dei Gufi con sguardo glaciale. “Ho portato la mia famiglia nelle tue terre, Koutaro.”
“Calmi! Calmi! Siete voi che non mi avete preso sul serio!” Esclamò Koutaro alzandosi in piedi a sua volta. 
“L’hai fatto passare come un gioco,” gli fece notare Kuroo. “Non suonavate disperati in quell’invito.”
“Avevamo paura che diceste di no,” ammise Keiji. 
“E qual’è il piano, ora?” Domandò il Re di Nekoma. “Ci trascinate sulle vostre montagne ed abbattiamo il vostro drago per voi?”
Koutaro rispose ma Tooru non lo udì: la sua attenzione era tutta per il giovane Arciere ancora seduto sulla sua poltrona con una mano nascosta sotto la coperta ed il Re Demone poteva intuire benissimo dove fosse appoggiata. “Potete uscire per cortesia?” Lo chiese gentilmente ma con l’espressione di chi non vuole essere contrariato.
Kuroo e Koutaro lo fissarono basiti. “Si starebbe discutendo il da farsi qui, Tooru,” gli fece notare il primo un poco scocciato.
“Allora uscite in corridoio e fatelo da un’altra parte,” replicò il Re Demone. “Devo parlare con Keiji e non voglio gente che non possa compredere nelle vicinanze.”
“Gente che non possa comprendere?” Domandò Koutaro. “Ehi! Ehi! Ehi! È del mio compagno che stiamo parlando!”
“Vai, Koutaro,” disse Keiji con fermezza. “Anche io voglio parlare da solo con Tooru, per favore.”
I due amici di vecchia data si guardarono, poi si rivolsero una smorfia indignata come se avessero cinque anni e avessero appena subito uno un dispetto dall’altro e viceversa. Quando se ne andarono, Tooru si lasciò sfuggire un sospiro. “Credimi, Hajime era iperprotettivo quando è toccato a me stare nella tua posizione ma almeno evitava di costruirmi un nido di coperte intorno!”
Keiji non rise. “Sono davvero mortificato per l’inganno.”
“L’hai già detto,” gli ricordò Tooru. “Ti credo,” gli concesse, sebbene la sua espressione non fosse proprio amichevole. “Potresti essere sincero riguardo alla storia dell’avvistamente del drago, ora?”
Keiji strinse le labbra per una manciata di secondi e Tooru non si lasciò sfuggire il modo in cui abbassò lo sguardo sulla sua pancia nel processo. “Comincia a vedersi?” Domandò quasi senza pensarci.
Gli occhi verdi dell’Arciere divennero improvvisamente grandi. “No,” rispose. “Io la cerco già ma lei non si fa ancora vedere.”
Tooru sorrise. “Lei?”
Keiji arrossì appena. “Koutaro vorrebbe un maschio e non è mia abitudine parlare del bambino così.”
“Non c’è nulla di male,” lo rassicurò Tooru. “Tobio ancora non si vedeva ed io gli parlavo chiamandolo per nome. Sapevo che era un maschio nel momento in cui ho saputo di aspettarlo,” ridacchiò.
“Il primo era un maschio...” Mormorò Keiji.
Tooru divenne serio di colpo.
“Non me lo hanno confermato,” continuò l’Arciere. “Era troppo presto, hanno detto...”
Il Re Demone si sentì improvvisamente in difficoltà e tutta la fermezza con cui aveva voluto affrontare quella discussione gli scivolò addosso. “Hai perso un bambino?”
“La scorsa primavera.”
“Al vostro primo avvistamento.”
Keiji annuì. “Koutaro ti ha mai raccontato nulla di me?”
“No,” ammise Tooru. “In tutta onestà, quando si tratta di te, diviene improvvisamente geloso e riservato... Sei solo suo, non vuole condividere nulla di te con nessuno.”
“Io non sono figlio di questo Regno,” raccontò. “Vengo dal nord... Da un Regno che non esiste più...”
“Mi dispiace...”
“I Regni nascono e muoiono continuamente in questo mondo, Tooru.”
“Mi dispiace lo stesso.”
Keiji scrollò le spalle. “Non era una vita delle più facili la mia,” raccontò. “Sono nato in una condizione scomoda e me l’hanno fatto pesare da quando ho memoria.”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Scomoda?”
“Sì, io...” Keiji si accarezzò la pancia da sopra le coperte. “In tutta sincerità, c’è stato un periodo in cui ho temuto che questo accadesse... La vedevo come una maledizione, una condanna. Quando ho saputo di aspettare il primo bambino non sono mai stato così felice in vita mia.”
“Sei un Omega?” Concluse Tooru.
“Non mi piace dirlo,” ammise Keiji.
“Non c’è nulla di cui vergognarsi.”
Keiji strinse le labbra. “Non voglio parlare di questo.”
“Scusami...”
“Quello che ti volevo dire è che nel mio Regno si raccontavano storie di draghi di continuo... I Cavalieri dicevano di vederli sulle montagne e qualcuno si vantava anche di averne ucciso uno,” scrollò le spalle. “Ero un bambino che viveva in povertà un giorno alla volta e mi piaceva credere a qualsiasi storia fantastica mi capitasse di sentire, crescendo non ci ho più ripensato...”
“Fino alla scorsa primavera...”
Keiji annuì. “Non ero con Koutaro durante quella battuta di caccia,” ammise. “Aspettavo al casolare ai piedi delle montagne, dove avremmo alloggiato per la stagione calda. Sapevo del bambino ma non glielo avevo ancora detto... Volevo solo... Volevo...” 
Tooru annuì. “Lo so, sentiamo la necessità di dirlo in un momento che sia speciale...”
Il giovane dai capelli corvini prese a fissare il fuoco al suo fianco come se stesse rivivendo una scena dolorosa. “Koutaro era privo di sensi quando lo hanno riportato da me. Non aveva ustioni ma aveva respirato molto fumo e... Ho avuto paura non si risvegliasse più. Poi si è ripreso e ha cominciato a dire che doveva tornare lì, che doveva abbattere quel mostro prima che arrivasse dove c’era più gente...” Strinse le labbra. “Quanto vorrei che facesse il Re valoroso soltando nelle sue storie!”
“Ne so qualcosa...” Concordò Tooru amaramente. “Lo hai seguito?”
“No,” Keiji continuare a fissare il fuoco ed evitare il suo sguardo. “Aveva bisogno di alcuni giorni per recuperare le forze e radunare altri uomini, così ho ripensato alle storie della mia gente. Quei Cavalieri raccontavano che la cosa peggiore da fare in presenza di un drago è mirare al cuore: non puoi penetrare le sua pelle.”
“Io so solo quello che dicono le antiche storie,” ammise il Re Demone. 
“C’è un solo modo per uccidere un drago,” continuò Keiji. “Trapassargli il cranio.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Hai appena detto che la loro pelle è impegnetrabile.”
“Non lo sono gli occhi e non lo è nemmeno la bocca... Quando è aperta.”
Ci fu un lungo minuto di silenzio.
“Mi vuoi dire che il solo modo per uccidere quella bestia è affrontarlo faccia a faccia un istante prima che lui uccida noi?” Domandò Tooru cominciando a comprendere la vera gravità della situazione.
“Solo un Arciere può farlo,” disse Keiji. “Serve mira, mano ferma e sangue freddo. Tirare una spada non sarebbe un colpo nemmeno lontanamente efficace.”
“Sei andato lì...” Dedusse Tooru di colpo. “Per impedire a Koutaro di rischiare la vita, sei andato lì da solo ed hai tentato di abbattere il drago.”
Keiji artigliò la coperta che gli copriva le gambe. “Ero in piedi su di una roccia... Ho tentato di prenderlo di sorpresa. Ho mirato all’occhio. Non mi ha visto ma deve aver percepito la mia presenza perchè si è spostato improvvisamente. Mi ha colpito, sono caduto... Sono corso via, sentivo dolore ovunque ma... Mi sono accorto del sangue solo quando sono tornato alla tenuta.”
Tooru si umettò il labbro inferiore ed abbassò lo sguardo per essere discreto. 
“Koutaro ha pianto...” Anche la voce di Keiji era incrinata ed era terribile da sentire. “Koutaro ha pianto così tanto che io non sono riuscito a versare una lacrima. L’ho fatto mesi dopo quando è arrivata lei...” Si toccò la pancia. “Lei è l’unica cosa con cui ho impedito a Koutaro di partire di nuovo. L’ho minacciato che lo avrei seguito di nascosto, se avesse osato lasciarmi da solo per andare a farsi ammazzare.” Strinse le labbra e scosse la testa imponendosi di riprendere il controllo delle proprie emozioni. “Mi dispiace di avervi ingannato... Mi dispiace davvero tanto...”
Tooru prese un respiro profondo. “Keiji, se mio figlio ha un padre lo devo a te e a Koutaro,” disse. “Questo, però, non significa che lo sacrificherò per salvare quello di tua figlia.”
Keiji strinse gli occhi ed annuì. “Comprendo...”
“Hajime rimane qui con Tobio... Io andrò con chiunque vorrà venire con me.”
Gli occhi verdi dell’Aciere si aprirono di colpo e cercarono quelli scuri del Re Demone.
“Hai detto che è un lavoro di arco e frecce,” Tooru sorrise con una sfumatura diabolica. “E tu sai benissimo che nessuna mano nei Regni liberi può scoccare una freccia meglio della mia.”
Per anni, Keiji aveva perso il torneo degli Arcieri contro il Re Demone ma non gli era mai importanto un granchè: non poteva non riconoscere la sua superiorità praticamente sotto ogni forma e gli bastava che ci fosse Koutaro a rendere tutti chiassosi col il suo titolo di spadaccino più potente dei Regni liberi. 
Ora, però, era improvvisamente felice di tutte quelle sconfitte.



“Non se ne parla!” 
Tooru sospirò con fare melodrammatico: aspettarsi che Hajime fosse collaborativo usando come scusante il bene di Tobio era una strategia che aveva già usato ed aveva anche perfettamente funzionato, peccato che fosse quasi morto nel processo ed il suo Primo Cavaliere fosse particolarmente reticente a dimenticare i dettagli più drammatici dei loro guai.
“Iwa-cha...”
“No!” 
Poco importava che Tobio fosse coricato al centro del loro letto passando gli occhi blu da uno all’altro intuendo solo vagamente il motivo della discussione. Era certo che nemmeno si fossero accorti della sua presenza nella stanza.
Tooru aveva giocato molto bene le sue carte: si era svegliato presto, aveva preparato un bagno caldo per il suo Cavaliere e, al risveglio, gli aveva fatto un invito particolarmente sensuale a cui non aveva saputo dire di no... Poi aveva cominciato a parlare lentamente, dolcemente, come se gli stesse facendo un incantesimo di qualche tipo. La magia si era spezzata alle parole ”io sono l’unico col potere di uccidere il drago e ho intezione di pagare il mio debito,”. Hajime aveva sgranato gli occhi verdi, se lo era tolto di dosso con poca grazia ed era saettato fuori dal bagno mezzo nudo. Tooru dietro di lui.
“Hajime, ti hanno salvato la vita!” Gli ricordò Tooru infilandosi la tunica del Cavaliere perchè fu il primo indumento che trovò a portata di mano. “Hanno salvato noi! Non posso voltare loro le spalle, non sarebbe giusto!”
“Non ho mai detto questo!” Replicò il Primo Cavaliere lanciando il proprio asciugamano in direzione del letto e colpendo il povero Tobio senza volerlo. Il bambino se ne liberò con una smorfia e lo gettò a terra, mentre il padre s’infilava i pantaloni. “Pagheremo il nostro debito... Comprendi? Io e te. Insieme!”
Tooru scosse la testa. “Non è un lavoro da spadaccini, te l’ho detto!”
“Va bene, me ne starò in un angolo a godermi il tuo momento di gloria senza rovinartelo ma è lì che sarò, ad un passo dal tuo fottuto culo!”
Tobio ridacchiò a bassa voce ad udire il padre pronunciare simili volgarità.
“Hajime, è pericoloso!”
“Lo so che è pericoloso, Tooru... Evita di scavarti una fossa più profonda di quella in cui già sei!”
“Siamo seri,” il Re Demone si fece più vicino appoggiando le mani sulle spalle nude del Cavaliere. “Dobbiamo pensare a Tobio, prima di pensare l’uno all’altro.”
“Oh, ma io ci penserò, Tooru. Quando il fottuto culo in tuo possesso di cui parlavo prima rischierà di finire arrosto, io mi preoccuperò che si salvi in modo che Tobio sappia esattamente quale esempio non seguire.”
Tooru fece una smorfia. “Sei talmente antipatico che mi viene voglia d’incoraggiarti e seguirmi!”
“Non devi incoraggiarmi! Mi hai convinto quando hai affermato che non mi avresti voluto al tuo fianco!”
“Hajime, fallo per Tobio!”
“Posso venire anche io?”
Il Re ed il Cavaliere gelarono. Si guardarono e poi, molto lentamente, voltarono lo sguardo in direzione di quegli occhi blu che li fissavano entrambi dal centro del loro letto. Tobio si mise a sedere sul materasso. “Se vengo anche io, papà non dovrà restare con me lasciando mamma,” spiegò il piccolo Principe. “Così risolviamo tutto e non avete bisogno di litigare.”
Tooru fu indeciso se sbirciare l’espressione di Hajime o meno perchè non era certo che gli sarebbe piaciuta. Il Primo Cavaliere, però, si limitò a schiaffarsi una mano in faccia con fare frustrato. “Ragiona come te...” Commentò come se fosse una tragedia.
“Certo che ragiona come me!” Esclamò Tooru. “Se avesse le tue capacità intellettuali io starei ancora qui a chiedermi che cosa ho fatto di male in quei nove mesi!”
Hajime gli lanciò un’occhiata a dir poco storta, tendente all’omicida.
“Scusa! Scusa, Iwa-chan! Scherzavo!”



“Quando partite?”
C’era voluto un intero pomeriggio passato nel cortile interno del Castello dei Gufi, dove Tobio e Lev si allenarono insieme con dei duelli amichevoli ed il primo provò per l’ennesima volta la sua indubbia superiorità. C’erano volute ore di musi lunghi, da parte di Hajime, e di dialoghi disperati a senso unico, da parte di Tooru. C’erano voluti infiniti commenti divertiti e sarcastici di Koutaro e Kuroo, uniti ad altrettanti sospiri e occhiate di scuse di Keiji e Kenma.
Alla fine, però, arrivati in camera con Hajime ancora silenzioso e Tooru impegnato in quello che, ormai, era divenuto un monologo, il Primo Cavaliere aveva deciso di tappare la bocca al suo Re nell’unico modo non violento che conosceva.
Qualche momento di passione dopo, Hajime si era finalmente arreso all’idea di non poter trattenere Tooru o proteggerlo come avrebbe voluto.
“Tra tre giorni,” rispose il Re Demone contro il suo petto. 
Hajime lo guardò. “Tooru...”
“Uhm...”
“Tra la gloria e la vita, scegli la vita... Non fare il bastardo.”
Tooru sollevò lo sguardo ed accennò un sorriso. “Come se potessi mai tradire il mio Cavaliere per la gloria... Dopotutto, posso ottenerla anche solo esistendo!”
Hajime gli diede una botta in testa ed il compagno gli diede del rude per l’ennesima volta nella loro vita insieme. Il Primo Cavaliere lo strinse tra le braccia e gli baciò i capelli ed il Re Demone si addormentò contro il suo petto.



L’alba del giorno in cui Tooru partì, Hajime entrò in camera di suo figlio dopo aver salutato il suo sovrano e si coricò accanto al Principe ancora addormentato.
Rimase a guardarlo sollevato su di un gomito fino a che quegli occhi blu non si aprirono incontrando i suoi.
“Buongiorno...” Mormorò Hajime tirandogli i capelli corvini all’indietro.
“Mamma è ad uccidere il drago?” Domandò Tobio tra uno sbadiglio e l’altro.
“Sì, mio Principe...”
Gli occhi blu tornarono a fissarlo. “Dovevo andare anche io.”
Hajime sospirò e non riuscì a sorridere quella volta. “Inseguite la gloria uno alla volta,” lo disse come se fosse un rimprovero. “Non posso correre in due direzioni diverse per venirvi a salvare.”



Kuroo si diede una manata sul collo uccidendo un insetto di dubbia natura che pulì via dal palmo della sua mano sfregandola sulla spalla di Koutaro.
“Che diavolo combini?” Domandò quest’ultimo cercando di vedere che cosa l’altro gli avesse attaccato addosso. 
“Restituisco i mostri volanti di questa terra al suo signore!” Esclamò Kuroo. “Non bastavano i draghi, anche le zanzare giganti... Ad ottobre!”
“Ohi! Ohi! Ohi! Taci e fai silenzio... Il drago potrebbe sentirti!”
“Il drago è sulle montagne e noi siamo ancora a valle!”
Tooru si li guardava e rideva con discrezione e lo facevano anche gli uomini che avevano accettato di seguirli nell’impresa. Lui aveva portato Shinji con lui ed un giovane Arciere che non aveva potuto fare a meno di notare durante la guerra contro Shiratorizawa e la rivoluzione di un decennio prima, un giovane di nome Shigeru... Poi, si era offerto Kentaro. Offerto... Tooru non avrebbe mai pensato a lui come terzo uomo ma un certo Cavaliere che dormiva nel suo letto doveva aver gentilmente convinto il cane rabbioso a rendersi utile e fare le sue veci.
Considerando quanto era bruto e scoordinato in un’impresa che richiedeva calma e precisione perchè riuscisse, Tooru concluse che Hajime volesse che lo usasse come scudo o qualcosa del genere... O, forse, il suo suggerimento, molto più da Iwa-chan, era di lasciare che le due bestie feroci se la vedessero tra di loro senza coinvolgere comuni mortali.
Tooru, però, non era comune e se fosse esistito un modo per non essere più mortale, avrebbe fatto suo anche quello. Avrebbe sconfitto quel drago con le sue mani ed i Regni liberi avrebbero avuto un’altra epica storia d’accostare al suo nome. Doveva uccidere quel drago... Doveva, prima che i suoi demoni lo divorassero e l’oscurità inghiottisse il suo nome...


***




Il bambino aveva occhi chiari e taglienti e dei capelli corvini acconcianti con un taglio a scodella che aiutava a rendere la sua espressione di gran lunga meno minacciosa di quanto, probabilmente, sarebbe dovuta essere.
“Sono qui per sfidare il Principe Demone!” Affermò con l’espressione determinata di un guerriero consumato. Issei e Takahiro lo fissarono per un lungo momento di silenzio, poi si guardarono tra loro. 
Il bambino sbattè un piede a terra come se fosse sul punto di una scenata capricciosa. “Sono qui per sfidare il Principe Demone!” Esclamò a voce più alta. “Siete i Cavalieri del Regno di Seijou, no?”
“Sì...” Risppose Takahiro in tono auromatico.
“Bene!” Il bambino incrociò le braccia contro il petto. “Portatemi dal Principe Demone!”
“Chi dobbiamo annunciare?” Domandò Issei con una smorfia vagamente divertita. Takahiro gli lanciò una gomitata amichevole, sebbene stesse sorridendo a sua volta.
“Non sono affari che vi riguardano!” Esclamò il bambino con prepotenza. “Non rivelo il mio nome a dei Cavalieri senza titolo!”
I due cominciarono seriamente ad irritarsi di fronte a tanta arroganza. A quel punto della storia potevano prenderlo a calci ed usare la sicurezza di Tobio come loro giusttificazione, oppure permettere a quel piccolo mostro di ottenere quello che voleva e aspettare che il loro Principe facesse il resto.
Si scambiarono uno sguardo di diabolica complicità.
“Tobio!” Chiamò Takahiro voltandosi verso il cortile interno del castello.
Il loro Principe era seduto sulle scale di pietra che conducevano alla rocca insieme a Lev e sotto la supervisione di Kenma. Il Principe di Nekoma gesticolava da un’ora e Tobio lo fissava annoiato da almeno trequarti del tempo ma era stato abbastanza educato da non zittire malamente Lev di fronte ad uno dei suoi tutori. Parve di gran lunga sollevato quando gli occhi blu si sollevarono verso i due Cavalieri.
“Vieni un po’ qui!” Aggiunse Issei invitandolo ad avvicinarsi con un gesto della mano. 
Tobio annuì, disse qualcosa al Principe di Nekoma per congedarsi e si avvicinò ai due Cavalieri quasi correndo. Il Principe guardò i due uomini e poi fissò il bambino con i capelli a scodella. “Chi è?” Domandò.
“Non lo conosci?” Chiese Takahiro.
Tobio scosse la testa ed il bambino con i capelli a scodella lo fissò con una smorfia. “E questo chi è?”
Issei storse la bocca. “Il Principe Demone, piccolo genio.”
“Vi sembro stupido?” Domandò il bambino con prepotenza. “Come osate tentare d’ingannarmi!”
Tobio strinse le labbra per un istante ed i suoi occhi blu si fecero più scuri. “Il mio nome è Tobio, Principe Demone ed erede al trono del Regno di Seijou,” si presentò con tono formale, freddo e vagamente minaccioso. I due Cavalieri si guardarono con una smorfia soddisfatta.
Il viso del bambino divenne paonazzo per una manciata di secondi, poi si fece coraggio. “Sono qui per sfidarti.”
“Il torneo non è ancora cominciato,” replicò Tobio. “Non mi mostro in combattimento prima dell’inizio della competzione.”
Il bambino strinse i pugni e lo guardò con rabbia. “Codardo!” Esclamò poi spinse Tobio con una rabbia che lo fece quasi cadere a terra se Isse non lo avesse afferrato per un braccio. 
“Ehi!” Esclamò Takahiro mettendosi tra il piccolo sconosciuto ed il Principe. “Stai esagerando, moccioso!”
“Sono qui per difendere il mio onore!”
“Avrai dieci anni, di che onori parli?”
“Come osi? Io sono Tsutomu, Principe dell’Aquila ed erede al trono di Shiratorizawa!”
Takahiro gelò, si voltò verso Issei e si accorse che il compagno versava nel suo stesso stato. 
“Tobio,” disse il primo. “Torna dentro al castello, va bene?”
Il Principe passò gli occhi blu da un Cavaliere all’altro. 
Issei gli strinse la spalla con gentilezza. “Andiamo a cercare tuo padre.”



***




“Fermi tutti!”
I cavalli si arrestarono di colpo.
Tooru fissò Koutaro con gli occhi sgranati per lo spavento, Kuroo lo guardò come se fosse un completo idiota. “Hai visto una di quelle cose che sei capace di vedere solo tu?” Domandò il Re di Nekoma.
“Shhh...” Koutaro si premette l’indice contro le labbra. “Sento qualcosa che si avvicina.”
Tooru si fece immobile, attento, gli occhi scuri attenti a captare anche il più minimo movimento. Il nitrire di un cavallo fece sobbalzare troppo. Koutaro drizzò la schiena puntando l’indice in una direzione a caso. “Il dra...!”
Kuroo gli arrivò alle spalle e gli assestò un colpo alla nuca prima che potesse alimentare il panico tra gli uomini. “Solo il cielo sa come fa Keiji a sopportarti. Ricomponiti, arriva qualcuno.”
Tooru guardò i suoi uomini, questi ricambiarono l’occhiata e Kentaro portò discretamente la mano sull’elsa della spada a far intendere che aveva capito. Il Re Demone annuì, le labbra serrate. 
A meno che Hajime non avesse deciso di fare di testa sua, Tooru non era certo che fare degli incontri ravvicinati con altri esseri umani nel bel mezzo del nulla fosse più sicuro che ritrovarsi faccia a faccia con un drago.
Accadde velocemente.
Un cavallo bianco sfrecciò davanti a loro comparendo all’improvviso da dietro gli alberi alla loro destra. Koutaro sobbalzò al punto che cadde da cavallo. Kuroo sgainò la spada in atto meccanico e, al seguito, lo fecero molti degli altri uomini. Tooru ebbe appena il tempo di trattenere il fiato, poi vide il mantello dal vivace colore volteggiare nell’aria, gli orli dorati.
La sua espressione si riempì di orrore ancor prima ancora che lo sconosciuto che era comparso sulla sua loro strada si voltasse e mostrasse a tutti il suo volto. 
Tooru strinse le briglie del suo cavallo tanto forte che quasi si ferì i palmi. Kentaro si spostò davanti a lui pur senza aver ricevuto ordini ed anche Shinji e Shigeru si fecero più vicini. 
Il Re dell’Aquila li scrutò tutti con occhi taglienti dall’alto del suo cavallo bianco e nessuno oso dire una parola per pochi ma infiti istanti.
Poi Koutaro si rialzò in piedi con la disinvoltura di chi si è semplicemente chinato per allacciarsi gli stivali e sorrise come un Re che per pura casualità incontra un sovrano di un regno vicino. “Ma tu guarda se non è il grande Ushijima che abbiamo incontrato sulla nostra strada!”
Kuroo, pur passato lo spavento iniziale, non aveva rifoderato la spada.
Tooru non era capace di respirare regolarmente e per questo non fece nè disse nulla.
Il Re dei Gufi, a differenza loro, sembrava avere la situazione completamente sotto controllo o fingeva dannatamente bene. “Spero tu sia da solo,” disse Koutaro quasi con gentilezza. “Non vorrei dover interpretare questo incontro come la fatale circostanza in cui scopro che stai spostando il tuo esercito nei miei territori con intenzioni poco raccomandabili.”
“Sono solo,” rispose Ushijima glaciale. “Solo con la mia cerchia di Cavalieri più fidati, nessuno di più.”
Koutaro annuì. “Oh, bene,” si guardò intorno. “E dove sarebbe questa cerchia? Non per suonare scortese ma il pensiero dei tuoi fedelissimi a piede libero nelle mie terre mi urta un po’!”
Ushijima si voltò verso il folto degli alberi. “Kenjirou...”
Gli occhi di tutti si puntarono nella medesima direzione e l’Arciere venne allo scoperto lentamente, a cavallo di un destriero dal manto scuro. Li guardò tutti, uno ad uno e Tooru non si fece sfuggire il modo in cui quegli occhi privi di luce sembrarono brillare in qualche modo quando incrociarono i suoi. 
Koutaro risalì a cavallo. “È stato un piacere, spero di non rivederti per un altro decennio ma io ed i miei amici dobbiamo proprio andare!”
“Hai radunato i tuoi alleati più forti per abbattere il drago,” concluse Ushijima passando gli occhi sui Cavalieri vestiti dei colori dei rispettivi Regni di appartenenza. “Deduco che i Gufi non sappiano più volare come una volta, Koutaro.”
Prima di rispondere, Koutaro prese un gran respiro profondo e forzò un sorriso che dovette costargli davvero tanto. “Ho solo voluto rendere l’impresa più divertente!”
“Come ci si aspetta da te,” concluse Ushijima, poi voltò il proprio destriero in direzione delle montagne.
“Aspetta un attimo, Re dell’Aquila!” Esclamò Koutaro per nulla divertito. “Se procedi in quella direzione, non farai altro che addentrarti nelle mie terre! Casa tua è nella direzione opposta!”
Ushijima non si voltò nemmeno a guardarlo.
“Il Re dell’Aquila è qui per prendere parte all’impresa per abbattere il drago,” rispose Kenjirou. “Le voci girano, Re dei Gufi...”
Koutaro si morse il labbro inferiore a sangue. 
Kuroo si sporse nella sua direzione. “Sicuro di non averlo invitato tu e di non ricordartelo?” Domandò a bassa voce.
L’altro lo guardò storto. “Come se fossi tanto idiota da invitare il signore della guerra in casa mia con Keiji che... Lo sai!”
Kuroo scrollò le spalle. “Era tanto per chiarire...”
“Ehi! Ushijima!” Chiamò Koutaro a gran voce.
Questa volta, gli occhi taglienti del Re dell’Aquila tornarono su di lui.
“Per la possibilità, solo per quella, che il drago possa arrostirti il culo...” 
Tutti guardarono il Re dei Gufi come se fosse completamente uscito di senno. Ushijima non cambiò espressione nemmeno di poco.
“... Ti concederò di unirti a noi!” Concluse Koutaro.
Tooru sgranò gli occhi e si sentì mancare.
Kenjirou li guardò con sufficienza. “Il Re dell’Aquila non ha bisogno...”
Ushijima alzò una mano e lo mise a tacere. “Se queste sono le condizione del signore di queste terre,” rispose. “Fai strada, Re dei Gufi.”
Tooru si rese conto di star tremando ma fece di tutto per nasconderlo.
“Maestà...” Shirabu si permise di toccargli una spalla. “Non ci muoveremo senza un ordine.”
Il Re Demone lo fissò per alcuni istanti, poi guardò Shinji e, infine, Kentaro.
Se avesse deciso di tornare indietro come un codardo, lo avrebbero seguito senza battere ciglio, onore o meno. Sì, se fosse strisciato indietro nell’ombra in cui era lentamente caduto, Tooru non avrebbe corso il rischio di essere toccato da un pericolo che lo spaventava molto di più di una bestia alata e sputafuoco. Se avesse proseguito, invece...
Strinse gli occhi. Quanto avrebbe voluto avere Hajime con sè in quel momento...
“Non preoccupatevi,” disse con un sorriso sicuro magistralmente simulato. “Andremo avanti e torneremo vittoriosi!”
I due Arcieri sorrisero. Kentaro grugnì in segno di assenso.
Tooru non si accorse di come, nel momento in cui aveva allontanto i suoi occhi da Ushijima, il Re dell’Aquila aveva preso a fissarlo con interesse.


***



Keiji esaminò la situazione velocemente ed agì come solo un buon Re avrebbe fatto al suo posto.
Il bambino venne fatto accomodare nel salotto privato della coppia reale, in modo che potesse riscaldarsi. Gli venne offerto da mangiare e da bere e tutto come se fosse realmente l’erede al trono del Regno di Shiratorizawa come sosteneva di essere. Keiji aveva chiesto a Kenma di scrivere una lettera per Koutaro: se un messaggero fosse partito subito avrebbe potuto raggiungerli alla tenuta di caccia dove si sarebbe fermati prima di dare inizio alla missione vera e propria. Per buon senso, Keiji sapeva che cosa fare ma non avrebbe preso decisioni importanti senza informare il suo Re.
Su sua richiesta, Hajime ed i suoi due Cavalieri erano rimasti con lui per tutto il tempo.
Tobio se ne stava in piedi accanto al padre, una spalla appoggiata al suo fianco. Hajime gli toccava distrattamente i capelli mentre Keiji, seduto accanto al piccolo ospite inatteso, cercava di comprendere la vera natura di quella situazione. “Posso fare qualcos’altro per te?” Domandò educatamente.
Il bambino, Tsutomu rimase in silenzio e Keiji provò di nuovo. “Hai detto di essere il Principe ereditario di Shiratorizawa.”
“Sì,” rispose il piccolo.
“È un’affermazione importante e pericolosa da fare davanti ad estranei ed in un altro Regno,” gli spiegò l’Arciere con pazienza. “Dovrebbero avertelo insegnato.”
“Ho imparato che il mio nome è abbastanza per far tremare chiunque nei regni liberi,” replicò Tsutomu. 
Sia Takahiro che Issei lanciarono delle occhiate seriamente scocciate all’indirizzo del loro Primo Cavaliere. Hajime sospirò e li invitò a mantenere la calma con un gesto della mano. 
“Come sei arrivato fin qui da solo?” Domandò Keiji.
“Sono scappato,” ammise Tsutomu. “Ho saputo che il torneo annuale dei Regni liberi si sarebbe tenuto qui e so che l’anno scorso sia la competizione con arco che quella con spada sono state vinte dal Principe Demone.”
Keiji e Hajime si lanciarono una breve occhiata. “Hai detto ai Cavalieri di Seijou che volevi sfidarlo,” continuò il primo. “Perchè?”
“Perchè sono il più forte!” Esclamò Tsutomu con prepotenza. “Mio padre è il Re più forte dei Regni liberi ed io ne sono il degno erede! Sono qui per dimostrarlo!”
“Possiamo farlo tacere?” Domandò Issei a voce bassissima.
“Con quella testa a scodella che si ritrova, nessuno farebbe domande se cadesse giù dalla scala principale del castello,” aggiunse Takahiro. “È un taglio di capelli tanto ridicolo che smuoverebbe istinti violenti in chiunque.”
Hajime sospirò. “Restiamo calmi.” Strinse per breve tempo la spalla di Tobio, poi si portò in avanti in modo che Tsutomu lo guardasse.
“Sei il figlio di Ushijima?” Diretto, pratico, tipico del Primo Cavalieri di Seijou.
Tsutomu lo guardò in cagnesco. “Come osi chiamare mio padre per nome?”
“Ho combattuto e sconfitto tuo padre, il Re più forte dei Regni liberi, grazie al coraggio dei miei uomini e l’aiuto dei miei alleati, Fukurodani compreso. Quindi, in questa stanza, chiunque si riferirà a lui nel modo che preferisce.”
Keiji sorrise appena sotto i baffi. Issei e Takahiro si diedero il pugno in segno di vittoria. Gli occhi di Tobio divennero grandi e luminosi, mentre Tsutomu arrossiva per l’umiliazione di essere stato messo al suo posto da un perfetto sconosciuto di rango, molto probabilmente, inferiore al suo.
“Ripeto: sei figlio di Ushijima?”
“Sì,” rispose Tsutomu con astio, quasi ringhiando.
“E sei arrivato da Shiratorizawa a qui a piedi?” Domandò il Primo Cavaliere dubbioso.
“No, risiedevamo al confine vicino a questo Regno.”
Tobio fece una smorfia. “Questo Regno? Sai almeno dove ti trovi, stupido?”
Tsutomu saltò in piedi. “Come osi!”
“Tobio!” Lo riprese Hajime con voce ferma. “Non parlare senza permesso!”
Il Principe Demone strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile ma non obbiettò.
Gli occhi verdi del Primo Cavaliere tornarono su Tsutomu. “Tu, stai seduto e cerca di avere un po’ di controllo.”
“Non prendo ordini da te! Non so nemmeno chi sei!”
“È il Primo Cavaliere del Regno di Seijou,” rispose Keiji. “Gli devi più rispetto di quanto ne devi a me per le sue imprese.”
Gli occhi chiari di Tsutomu divennero enormi e l’astio di cui arderono un istante più tardi acquisì tutta un’altra natura.
Hajime provò pena per lui e lo guardò con espressione malinconica. Sì, quel bambino sapeva esattamente chi era, conosceva il ruolo che aveva avuto nella guerra tra i loro due Regni e, con ogni probabilità, aveva una vaga idea di quello che era stato per suo padre. La realtà da cui lui e Tooru avevano cercato di proteggere Tobio in attesa di un’età più adeguata doveva essere stata scaricata sulle spalle di Tsutomu senza particolare considerazione.
Hajime lo guardava e vedeva in ogni gesto o parola sconsiderata i chiari segni di un’ossessione che doveva avere radici antiche. Antiche... Quel bambino era nato ad un anno preciso di distanza da suo figlio. Tanto sangue e tante lacrime per un erede che Ushijima aveva cresciuto nutrendolo con i suoi stessi demoni.
Che assurdità...
Tsutomu aveva lo stesso sguardo tagliente di Ushijima ma era pieno di vita quel viso ancora paffuto ed i suoi occhi erano chiari come quelli di un giovane innamorato e disperato che il Primo Cavaliere aveva conosciuto per breve tempo ma abbastanza bene per riconoscere le sue iridi sul viso di suo figlio.
“Hai gli occhi di tua madre,” commentò Hajime con una naturalezza di cui si sorprese.
Quelle parole ebbero su Tsutomu un impatto che non aveva previsto.
Di colpo, la sua espressione divenne smarrita, quasi spaventata ed assomigliò al bambino di soli dieci anni che avrebbe dovuto essere.
Hajime fece per aggiungere qualcosa ma venne interrotto dalla porta che si apriva.
“Keiji?” Chiamò Kenma rimanendo sull’uscio.
“Che cosa c’è?” Domandò l’Arciere voltandosi.
“C’è un uomo con addosso i colori di Shiratorizawa che chiede del bambino,” ripspose il Mago di Nekoma.
Keiji guardò Hajime. “Ci penso io,” gli assicurò quest’ultimo.
“Sicuro?”
Il Primo Cavaliere annuì. “Con ogni probabilità, mi conosce ed è meglio che mi esponga io che tu.”
Keiji annuì. “Ti sono grato.”
“Voi due rimanete con lui,” disse Hajime ad Issei e Takahiro.
“Io vengo con te!” Tobio fece un passo avanti deciso.
Hajime fece per replicare quando Keiji si alzò in piedi. “Se ti mostri con tuo figlio, sospetteranno meno che abbiamo toccato il loro Principe.”
“Oh, se lo avessimo toccato se ne sarebbero accorti alla riconsegna dell’ostaggio,” commentò Takahiro con sarcasmo e Issei annuì.
“Sono un ostaggio?” Domandò Tsutomu in panico.
Hajime alzò gli occhi al cielo esasperato. “Tu,” disse indicanto il Principe dell’Aquila, “nessuno ti toccherà, quindi taci. Tu, non preoccuparti,” si rivolse a Keiji. “Voi,” guardò i suoi Cavalieri, “chiudete quella bocca una volta per tutte e tu...” Abbassò gli occhi verdi su Tobio. “Tu vieni con me, non mi fido a lasciarti nella stessa stanza con Tsutomu.”
Il Principe Demone sorrise soddisfatto e trottellerò dietro al Primo Cavaliere fuori dalla porta del salotto... Non prima di aver fatto la linguaccia a Tsutomu, il quale ricambiò il gesto.



Hajime fece un passo dentro alla sala del trono, si bloccò nel riconoscere l’uomo con il mantello violaceo. “Aspetta qui,” disse a Tobio ed il Principe annuì, poi esaurì la distanza tra lui e l'altro. “Satori...”
Il Cavaliere di Shiratorizawa sgranò gli occhi ma parve divertito più che sorpreso. “Guarda, guarda, guarda...”
“Sei qui per il tuo Principe?” Tagliò corto il Primo Cavaliere.
“Spero non gli abbiate tagliato la lingua,” disse Satori con tono sarcastico. “So che può spingere a tanto quando apre quella bocca arrogante...”
Hajime non disse nulla in proposito. “Sei il suo Cavaliere?”
“Ho la sfortuna di essere uno degli amici d’infanzia del Re,” rispose Satori. “Disgraziatamente, si fida di me abbastanza da mettere nelle mie mani la sicurezza di suo figlio.”
“È vero, dunque... È suo figlio.”
“Non lo hai guardato negli occhi, Cavaliere?” 
Hajime sapeva a che cosa si riferiva: gli occhi chiari di Eita e lo sguardo tagliente del Re dell’Aquila.
“Riconsegnamelo e ti libero dalla scocciatura,” Satori sospirò.
Il Primo Cavaliere resse il suo sguardo senza timore. “Che cosa ci fate al confine?”
Satori fece una smorfia. “Il moccioso ha la lingua lunga, sì, dovrei dire a suo padre di dargli un; taglienti prima che finisca in mani meno nobili delle tue.”
“Dov’è Ushijima? Se mio figlio fosse scappato di testa propria, sarei andato a riprenderlo personalmente.”
Satori si grattò la testa. “Il mio Re è altrove.”
“Altrove?”
Il Cavaliere di Shiratorizawa scrollò le spalle. “Considerando che questo è il Castello dei Gufi, che tu sei qui e non c’è nessun Re per ricevermi, deduco che sia con Tooru.”
Hajime trattenne il fiato per una frazione di secondo. “Prego?”
Satori ridacchiò. “Tu sei rimasto a casina e hai lasciato il tuo Re ad andare da solo ad inseguire la gloria?”
Hajime lo fissò astioso ma non fece in tempo a replicare che una mano più piccola si aggrappò alla sua ed abbassò gli occhi verdi per vedere Tobio ergersi davanti a lui come se fosse un uomo adulto e fiero. “Mio padre non è un codardo!” Disse con freddezza. “Non permetto che qualcuno lo tratti come tale!”
“Tobio,” Hajime infilò le dita tra quei capelli corvini e fece un passo in avanti come per nasconderlo dietro di lui.
Satori incrociò le braccia contro il petto e guardò il bambino con interesse. “Eccolo qui... Parlano di lui in tutte le corti, lo sai?” Disse con un ghigno. “Tobio, giusto? Dicono che sia un prodigio e, credimi, anche Ushijima ha cominciato ad ascoltare queste voci... Il nostro Principe deve aver creduto di compiere un’imrpesa venendo a sfidarlo a duello.”
“Ushijima è sulle montagne con Tooru?” Domandò Hajime più interessato a capire dove fosse il bastardo e quali fossero le sue intenzioni. Potevano parlare di suo figlio quanto volevano, Tobio era lì con lui e poteva proteggerlo fino al suo ultimo respiro ma Tooru no. 
“Ushijima è andato a caccia di draghi,” rispose Satori, poi sbuffò. “Ha portato Kenjirou e lasciato a casa noi... Egoista, vero?” 
“Hajime...”
Il Primo Cavaliere si voltò: Keiji era sulla porta laterale della sala del trono e, probabilmente, doveva aver sentito la parte finale del dialogo. ll terrore nei suoi occhi lo confermò.
“Consorte reale,” disse Satori con rispetto inchinandosi. “Non dovete temere nulla da me. Mi riprendo il moccioso reale e tolgo il disturbo.”
Keiji annuì cercando di rimanere tranquillo ma Hajime non si fece sfuggire il modo in cui si portò una mano tremante in grembo. Sparì per pochi minuti e tornò stringendo una spalla di Tsutomu.
Il Principe di Shiratorizawa raggiunse il suo Cavaliere con le braccia incrociate contro il petto e l’espressione indignata. “Sono scappato per il mio onore...”
Satori alzò gli occhi al cielo, poi s’inchinò di nuovo al cospetto di Keiji. “Il Regno di Shiratorizawa vi è grato,” disse in tono formale. “Vi assicuro che il nostro Principe non vi arrecherà ulteriore disturbo.” 
Keiji annuì. Hajime rimase in silenzio.
“Col vostro permesso...” Satori afferrò il braccio di Tsutomu e lo tirò verso il portone d’uscita. Il Principe di Shiratorizawa si voltò e fece la linguaccia un’ultima volta al Principe Demone e Tobio non mancò di rispondergli.
Non appena il Cavaliere dal mantello violaceo fu scomparso insieme al bambino, Keiji prese un respiro profondo e si premette una mano contro la pancia. Hajime se ne accorse. “Tobio, vai a chiamare Kenma...”
“Sto bene...” Mormorò Keiji ma strinse le labbra in un’espressione dolorante.
“Tobio, corri!” 


***



Tooru non aveva più detto una parola per tutto il resto del viaggio.
I suoi uomini avevano continuato a cavalcare intorno a lui, come se dovessero constantemente proteggerlo da un pericolo imminente. Ushijima, però, era in testa al gruppo, accanto a Koutaro e Kuroo, lontano dal Principe Demone. Soltanto Kenjirou si voltava verso di loro di tanto in tanto e Tooru non poteva evitare d’incrociare i suoi occhi ogni qual volta che lo faceva. All’Arciere non doveva fare piacere perchè tornava a guardare di fronte a sè immediatamente, come se volesse osservare senza essere osservato.
Tooru sospirò e fece una smorfia.
“Che avrà da fissare?” Domando Shinji alla sua destra.
“Si sentirà minacciato,” rispose Shigeru. “E ha ragione.”
Kentaro, di fronte a tutti loro, ringhiò qualcosa a bassa voce.
Il Re Demone li guardò soopreso poi ridacchiò. “Cerchiamo di essere maturi, ragazzi.”
Il cane rabbioso lo fissò da sopra la propria spalla come se non fosse d’accordo con lui ma si astenesse dal dirlo ad alta voce. Tooru sospirò. “Lo so, non sono il tuo padrone ma immagino che tu sia qui per un suo ordine quindi, in sua assenza, comando io!” Esclamò Tooru con un sorriso allegro falsissimo ma che avrebbe ingannato chiuque.
“No...” Brontolò Kentaro ed il Re Demone sgranò gli occhi scuri sdegnato. 
“Prego?” Domandò.
I due Arcieri ai suoi lati si misero a ridere. “Il Primo Cavaliere gli ha dato ordini ben precisi,” disse Shigeru divertito. “Non avremmo dovuto dirverlo, Maestà, vi preghiamo di mantenere il segreto.”
Tooru sospirò frustrato. “Che cosa gli ha detto Hajime esattamente?”
“Qualcosa lungo la linea del il Re non ha voce in capitolo, agisci come se il tuo unico signore fossi io ,” rispose Shinji.
Il Re Demone fissò i suoi uomini senza espressione. “È la buona volta che non mi faccio intimidire e lo prendo a calci!”
Shinji e Shigeru risero ed anche Tooru sorrise.
L’aria era tornata respirabile.



Smise di esserlo di nuovo quando arrivarono alla tenuta di caccia ai piedi delle montagne. Il cielo si era fatto scuro e l’aria fredda. Ushijima aveva annunciato che lui e Kenjirou si sarebbero accampati all’esterno, prima che Koutaro avesse il tempo di dire qualcosa che l’avrebbe messi tutti nei guai.
Tooru sospirò di sollievo ed entrò nella tenuta prima di tutti gli altri, i suoi uomini dietro di lui.
“I Re nelle camere di sopra,” istruì Koutaro nell’ingresso. “Gli altri si accomodino dove meglio credino. Siamo tra amici qui!”
“Più o meno,” aggiunse Kuroo guardando fuori da una delle finestre del primo piano. Tooru fece lo stesso e vide Kenjirou e Ushijima montare una tenda tra gli alberi, non molto lontano dalla tenuta. Scosse la testa e salì le scale che portavano al piano di sopra un po’ troppo velocemente.
Pochi giorni... Solo pochi giorni e sarebbe tornato dal suo Principe e dal suo Cavaliere.


***



“Il bambino sta bene,” proclamò Kenma alla fine. “Ma tu devi riposare, hai capito?”
Keiji annuì distrattamente portandosi entrambe le mani in grembo. Due paia di occhi curiosi lo fissavano dal fondo del letto e l’Arciere concesse un sorriso ai due bambini che se ne erano rimasti in silenzio per tutto il tempo. “Potete avvicinarvi.”
Tobio guardò Lev ed Principe di Nekoma ricambiò l’occhiata dubbiosa. Spostò gli occhi felini su Kenma ed il curatore sospirò, poi annuì un paio di volte lentamente. I bambini si spostarono dalla parte del letto occupata da Keiji e Lev fu il primo a prendere la parola. “Davvero hai un bambino nella pancia?”
“Hai undici anni, sai come nascono i bambini, Lev,” gli ricordò Kenma con una nota annoiata nella voce, poi si avvicinò al fuoco acceso per controllare che la sua tisana si stesse riscaldando al meglio.
“Sì ma non ne ho mai visto uno dentro la pancia!” Replicò il bambino.
“Neanche io...” Si aggiunse Tobio timidamente.
Keiji scostò un poco le coperte da sè. “Spiacente deludervi, miei Principi. Questo piccoletto non vuole ancora farsi vedere.”
Hajime era rimasto a guardare fuori dalla finestra della camera da letto reale per tutto il tempo come se stesse aspettando che qualcosa di minaccioso comparisse all’orizzonte all’improvviso. 
“Se capiterà, succederà in maniera tale che non potremo farci nulla,” gli disse Kenma a bassa voce avvicinandosi. “Il messaggero è tornato: Koutaro ha confermato che Ushjima è con loro e che la sua presenza qui non ha ulteriori ragioni oltre al caccia al drago.”
Il Primo Cavaliere allontanò lo sguardo dall’orizzonte per fissarlo sul viso del Mago. “Ci crediamo?”
Kenma sospirò e guardò il consorte reale di Fukurodani che cercava di non pensare al peggio rispondendo alle sciocche domande di due ragazzini. “Abbiamo altra scelta?”


***



Tooru si svegliò con il cuore in gola, le immagini dell’incubo che lo aveva svegliato erano ancora nitide di fronte ai suoi occhi e cercò di scacciarle scuotendo la testa e passandosi una mano tra i capelli. 
Un’Aquila che divorava un Corvo mentre era ancora vivo. 
Si mise a sedere sul letto e si nascose il viso tra le mani: ci mancava solo che si facesse influenzare dagli incubi di suoi figlio in un momento come quello. Shinji e Shgeru si erano accampati accanto al suo letto. Kentaro si era addormentato seduto contro il muro in un angolo e russava come se non ci fosse un domani. Tooru lo fissò con espressione esasperata: non c’era modo che si potesse riaddormentare con quel rumore infenale.
Calciò via le coperte, s’infilò gli stivali e si mise il mantello sulle spalle.


***



Tobio aveva sempre fatto dei sogni strani.
“Ma, amore, se i sogni non fossero strani non sarebbero tali,” gli aveva detto una volta la mamma e Tobio ne aveva fatta un po’ una risposta con cui rassicurarsi ogni volta che si svegliava di soprassalto per un sogno un po’ troppo reale.
Fin da quando era più piccolo, gli era capitato di rado di avere difficoltà ad addormentarsi o di spaventarsi al punto da voler andare a dormire tra la mamma ed il papà ma, di recente, lo stesso sogno lo tormentava più notti di fila.
Lo stesso che lo spinse a svegliarsi di soprassalto quella notte nella sua cameretta nel Castello dei Gufi. Non urlò. Il respiro gli rimase bloccato in gola per qualche secondo, poi si mise a sedere e si guardò intorno per assicurarsi di essere ancora dove si era addormentato.
Era stato il suo papà a metterlo a letto e Tobio non ricordava di averlo visto andare via: probabilmente, doveva aver aspettato che si addormentasse. Scese dal letto ed incrociò le braccia sul davanzale della finestra. Poteva vedere le montagne da lì, le stesse in cui raccontavano che si nascondesse il drago che la mamma era andato ad abbattere.
Chissà se Shouyou fosse stato lì?
Stupido com’era, sicuramente si sarebbe lanciato contro la bestia senza nemmeno pensare alle conseguenze, tanto preso com’era dall’idea di divenire un eroe. “Che assurdità...” Commentò Tobio con se stesso, poi si voltò e fece per tornare a letto.
”Fino alla cima del mondo?” 
Quella voce nella sua testa lo bloccò.
”Non è un lavoro da spadaccini!” Aveva detto la mamma, per questo non aveva voluto che papà andasse con lui. Tobio, però, non era solo uno spadaccino. Tornò a guardare le alte montagne fuori dalla sua finestra, poi gli occhi blu si posarono sull’arco appoggiato in fondo al letto.
”Fino alla cima del mondo!”.


***



Tooru si coprì la testa con il cappuccio e si strinse nelle braccia come uscì fuori dalla tenuta di caccia. Erano fredde le montagne di Fukurodani, molto più delle campagne di Seijou e la lieve aria sul viso fu abbastanza per spazzare via quel poco di sonno che gli era rimasto addosso.
Uscì dal piccolo cortile interno dell’edificio ed appoggiò la schiena ad una delle colonne che avrebbero dovuto sorreggerne il cancello. Alzò gli occhi verso il cielo e cercò nelle stelle sopra di lui il conforto che il suo Cavaliere non poteva dargli. Non era una novità per Tooru non riuscire a dormire da solo. Non aveva mai dovuto farlo davvero. Fin da bambino, aveva sempre saputo che avrebbe potuto uscire dal suo letto ed infilarsi in quello di Hajime qualunque volta ne avesse avuto  desiderio. Una volta divenuti amanti, restare in camere separate non era più stata una possibilità da prendere in considerazione.
Anni dopo, la stanza di Hajime era divenuta la cameretta di Tobio e Tooru aveva immaginato molte volte di occupare quella che era appartenuta a sua madre con il secondo miracolo suo e del suo Cavaliere. Forse, se adesso avesse avuto un bambino piccolo a saltellargli intorno, il Re Demone non avrebbe sofferto la fame di gloria e splendore che, invece, alle volte, sapeva possederlo al punto da far dubitare anche il suo compagno del suo amore.
Occupato a prendersi cura di un’altra creaturina loro, Tooru avrebbe anche potuto non accorgersi di come la prima stava crescendo per essere la promessa vivente di quel futuro pieno di gloria e di splendore che aveva sempre desiderato per sè e, a differenza sua, Tobio non avrebbe dovuto nemmeno sforzarsi troppo per ottenerlo.
Sorrise amaramente a se stesso. “Dopotutto, è superbia aspettare e sperare che lo stesso miracolo si verifichi due volte.”
“Allora divienine l’artefice...”
Tooru sobblazò, si allontanò dalla colonna di pietra ma congelò come riconobbe gli occhi taglienti che lo fissavano alla luce della luna. La immagini dei suoi incubi avevano avuto il potere di fargli dimenticare della sua presenza. “Re dell’Aquila...” Salutò con formalità, poi si voltò per tornare dentro. Non avrebbe dormito ma preferiva di gran lunga fissare il soffitto della sua stanza fino all’alba, piuttosto che restare nelle vicinanze di quell’essere.
“Di che miracolo parlavi?”
Tooru sbuffò senza voltarsi. “Non sono affari che ti riguardano.”
“Non c’è nulla che tu non possa fare se lo vuoi davvero,” replicò Ushijima. “M’incuriosiva solo sapere che cosa sia questo evento tanto fuori dalla tua portata da non poterlo rendere reale da te.”
Tooru lo fissò storto da sopra la propria spalla. “Nulla che ti riguardi,” rispose di nuovo e fece davvero per andarsene questa volta.
“Hai capito che Hajime non era destinato a te, alla fine?” 
Fu solo per irritazione che Tooru si voltò a guardarlo. “Prego?” 
Solo più tardi, il Re Demone avrebbe riflettuto su quanto bene Ushijima avesse giocato le sue carte: aveva pronunciato l’unico nome che avesse il potere di farlo restare ed affrontare quella conversazione.
“Non è qui con te,” notò Ushijima.
“Ti ricordo che abbiamo un figlio, idiota,” replicò il Re Demone. “Non era con me nemmeno durante la rivoluzione, se rammenti...” 
Oh, certo che Ushijima lo rammentava. Tooru era certo che ricordasse ogni loro momento insieme nei minimi dettagli ed era un’idea che lo faceva sentire investito di un potere che agoniava da tempo. 
“All’epoca era poco più di un neonato,” disse il Re dell’Aquila avvicinandosi di qualche passo. “Ora, dovrebbe avere quasi undici anni. Non dovrebbe avere bisogno di almeno uno dei due genitori perennemente al suo fianco.”
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Evitiamoci un’inutile discussione sull’educazione dei figli. Nella mia casa si crescono in due. Non mi sorprenderebbe se Eita facesse tutto il lavoro mentre tu ti limiti a rivendicare il tuo diritto di paternità solo per aver fatto quello che qualunque uomo è capace di fare!” Comprese immediatamente di aver detto qualcosa che non andava. Lo comprese dal modo in cui il viso di Ushijima si oscurò, divenendo minaccioso più di quanto la sua ordinaria espressione non lo facesse apparire. “Non pronunciare il suo nome,” disse.
Tooru ghignò diabolico. “Tu sei stato il primo a pronunciare quello del mio Cavaliere,” gli fece notare. “A differenza tua, però, io non ho cercato di uccidere il tuo compagno nel disperato tenativo di averti.” Voleva giocare? Allora giocassero!
“Era una guerra, Tooru...” Gli ricordò Ushijima.
“Smettiamola di nasconderci dietro questa maledetta scusa,” replicò il Re Demone scuotendo appena la testa. “Come fanno i tuoi Cavalieri ad esserti ancora fedeli quando sanno che li hai portati a farsi massacrare per una tua ragione personale?”
“Non è necessario che lo sappiano...”
“Satori lo sa,” replicò Tooru con convinzione. “Chiunque girasse per gli appartamenti nobili del mio castello lo sa, compreso quell’Arciere che ti porti dietro e che ti segue e sbava dietro come un cagnolino perfettamente addestrato.”
Ushijima fece una smorfia. “Parli e mi sembra di sentire Eita, adesso.”
“Lui è l’unico che non ho capito ma che ho ascoltato comunque,” disse Tooru con una nota di rispetto. 
“Eppure, lo hai aiutato.”
“Lo sai il perchè,” erano tornati di nuovo accusatori gli occhi scuri del Re Demone. “Eita si è illuso di vedere gentilezza nei miei gesti, tu non lo fare.”
Ushijima resse perfettamente il suo sguardo. “Parla spesso di te,” gli disse.
Il viso di Tooru si addolcì appena, gli occhi resi grandi dalla sorpresa.
“Mentre aspettava nostro figlio ed i primi tempi con lui, lo faceva continuamente. Ti prendeva come esempio, come modello. Non l’ha mai detto apertamente ma penso che volesse una famiglia come la tua per Tsutomu.”
“Tsutomu...” Ripetè Tooru poco sorpreso. “Il nome di tuo padre.”
“Qualunque Principe ereditario ha il nome di un Re da cui discende.”
Tooru colse l’allusione tra le righe molto bene ma si assicurò di sorridere orgoglioso prima di replicare. “Tobio è troppo speciale per uniformarsi alla massa!”
“Sì, lo so...”
Il Re Demone inarcò un sopracciglio confuso.
“Campione di spada e di arco nello stesso torneo a nemmeno dieci anni di età. Un prodigio... Come ci si aspetterebbe da tuo figlio, dopotutto,” commentò Ushijima. “Tutte lo corti parlano di lui da ormai un anno e a me ricorda tanto quando parlavano di te, quando eri l’incarnazione di tante grandi speranze.”
Tooru si sentì come se qualcuno gli stesse infilazando una lama tra le costole ma lo stesse facendo lentamente, quasi per essere gentile. “Seijou è esattamente come sognavamo che fosse.”
“Sognavamo?” Ripeté Ushijima. “Continui a parlare al plurale, Tooru?”
“Non importa quanto tu sostenga il contrario, io non sono da solo in quello che faccio.”
“In quello che fai... In quel che desideri, invece?”
Tooru strinse le labbra. “Non so che cosa vuoi dire...”
“Hai lasciato Hajime indietro solo perchè restasse con Tobio?”
“È un lavoro da Arcieri e tu sei meno utile qui di quanto il sia il tuo fedele cane!”
“L’hai lasciato per proteggerlo, quindi?”
“Ma perchè sto parlando con te?” Sbottò Tooru alla fine e si voltò ancora una volta avvicinandosi all’ingresso della casa con grandi passi.
“Pensi che uccidere questo drago ti darà quello che cerchi, Tooru?”
Il Re Demone rimase congelato a meno di un metro dalla porta ma non si voltò. No, questa volta no.
“Lo farà...” Rispose Ushijima “Lo farà, fino a che non comincerai a desiderarne di più.”
Di più?
Di gloria, di luce, di potere...
Rientrò nella cascina senza aggiungere un’altra parola. 
Quando tornò sotto le coperte si sforzò di pensare al suo Principe ed al suo Cavaliere ma riuscì solo ad affondare il viso nel cuscino e piangere.


***



Il mattino seguente, Hajime si risvegliò seduto sulla poltrona della camera da letto che era stata assegnata a lui e Tooru. Non aveva chiuso occhio per la maggior parte della notte, semplicemente, era crollato ad un certo punto lasciando che il fuoco nel caminetto accanto a lui morisse.
Si tirò in piedi massaggiandosi il retro del collo ed imprecando a bassa voce contro la sua stupidità. Era completamente infreddolito e non c’era muscolo che non gli facesse male. La spada era rimasta attaccata alla sua cintura per tutto il tempo e non se ne sarebbe liberato nemmeno se avesse deciso di arrivare al letto.
Senza pensarci, seguendo un istinto che era divenuto parte di lui da poco più di un decennio, Hajime si trascinò nella stanza accanto e, sebbene avesse ancora i sensi intorpiditi dal sonno, controllò che Tobio stesse ancora dormendo sereno.
Sentì il cuore fermarsi ed il respiro venire meno nel rendersi conto che quel letto era vuoto.


***



Che Tooru avesse qualcosa di strano lo si poteva capire semplicemente guardandolo negli occhi.
Non si era sforzato di nascondere nulla, il Re Demone. Si era limitato a simulare un sorriso rassicurante quando i suoi Arcieri si era premurati di sapere che cosa lo infastidisse. Ovviamente, Tooru non aveva potuto rispondere loro che gli sarebbe enormemente piaciuto commettere un regicidio quasi gratuito in una terra che non gli apparteneva nemmeno.
A pensarci, se si fosse macchiato le mani di quel sangue, sicuramente il suo nome non sarebbe scivolato nell’ombra tanto presto come temeva. Ma a che prezzo?
Perchè la gloria aveva sempre un prezzo e Tooru vi aveva tenuto gli occhi fissi per più di un decennio chiedendosi se ne valesse la pena, facendo i conti con i suoi demoni interiori e, infine, riuscendo solo ad entrare in guerra con se stesso nel momento in cui un Principe si era dimostrato capace di ottenere molto senza scontare nulla al destino.
La notte prima, Ushijima aveva scoperto una ferita che Tooru si era già inflitto da solo e l’aveva fatto con una precisione tale da spaventarlo.


***



“Un drago?”
Koushi aveva fatto una faccia tale che Daichi era scoppiato a ridere senza freni. Il compagno lo aveva guardato come se fosse ubriaco o completamente pazzo, poi aveva riformulato una domanda. “Koutaro, il Re dei Gufi, ci ha invitato ad una caccia al drago?”
“Shhh...” Daichi si premette un dito contro le labbra sebbene stesse ancora sorridendo. “Non vogliamo che un apprendista eroe ci costringa a prendere armi e bagagli e partire, no?”
Koushi si voltò verso la porta della camera da letto rimasta aperta. Natsu e Shouyou ridevano tanto che, probabilmente, non si sarebbero accorti nemmeno se avessero cominciato ad urlare. Lei stesa al centro del letto dei genitori e lui che la torturava a suon di solletico concedendole qualche bacio sulle guance morbide di tanto in tanto per riprendere fiato.
Il consorte reale di Karasuno sorrise senza neanche accorgersene, poi tornò a guardare il suo Re per continuare ad indagare sulla questione. “E Tooru è andato?”
“Hajime con lui,” rispose Daichi annuendo. “Hanno portato anche Tobio...”
“E tu me lo racconti solo ora?”
“Sono stati giorni impegnativi e non avremmo mai preso in considerazione l’invito al torneo, figurarsi una cosa così!”
“E Keiji?”
Daichi scrollò le spalle. “Deve essere talmente stanco per il bambino in arrivo che lascia che Koutaro si dedichi liberamente alle sue stranezze, a quanto pare.”
“Spero di riuscire a partire quando l’erede nascerà,” sospirò Koushi sedendosi sulle gambe del suo Re e continuando a fissare distrattamente la lettera con il sigillo reale di Fukurodani in fondo. “Natsu ha tre anni, potremmo anche riprendere a viaggiare per qualche occasione mondana...”
Daichi gli baciò il collo. “Vuoi chiudere le nostre bestiole in una carrozza per ore? Uno lo trattenevamo a stento, ricordi?”
“Possiamo viaggiare di notte,” propose Koushi con un sorrisetto poco serio.
Daichi rise, gli afferrò il mento e lo baciò sulle labbra. “Il bambino di Keiji e Koushi dovrebbe nascere in primavera,” disse. “Se riceveremo un invito per la sua presentazione ufficiale, vedrò di non avere impegni che m’impediscano di partire.”
Koushi sorrise circondandogli il collo con le braccia. Non si accorse della mano che Daichi gli premeva contro il grembo.
“A meno che...” Aggiunse il Re un poco malizioso. “Non decidiamo di lavorare al terzo.”
Koushi lo guardò prima serissimo, poi scoppiò a ridere.
“Che cosa c’è di così divertente?” Domandò Daichi un poco confuso.
“Smettila...” Disse Koushi ridendo ancora. “Siamo insieme da anni, abbiamo due figli, se vuoi portarmi a letto puoi anche dirmelo chiaramente, non ti dirò di no.”
Daichi arrossì come un ragazzino alle prime esperienze di fronte ad un amante ben più esperto e maturo di lui. Doveva ammettere che, spesso, Koushi ce lo faceva sentire... Anche tra le lenzuola.
Il consorte gli sorrise malizioso. “Metto a dormire i bambini,” gli disse. “Hai ancora qualche minuto per finire il tuo lavoro,” passò le dita tra i capelli corvini del suo Re. “Non accetterò di aspettare in un letto freddo, quando tornerò.”
Si voltò lasciando Daichi talmente stordito che gli venne il dubbio che Koushi gli avesse fatto un incantesimo.
Rise di se stesso e ricominciò a leggere i documenti sulla sua scrivania. Diede un’ultima occhiata all’invito alla caccia al drago. “Che follia...” Commentò divertito, poi lo mise da parte. Voleva che Koushi trovasse il letto già caldo quando sarebbe tornato.


***



Tooru poteva aver lasciato la sua casa quasi per gioco, cuioso di vedere quali fossero le reali sembianze del drago di Koutaro. In seguito, aveva ascoltato ogni parola del racconto di Keiji e gli aveva creduto. Oh, sì, non aveva potuto non credergli.
Vedersi davanti agli occhi ciò che rendeva vividi i suoi incubi, come quelli del suo Re e dell’intero Regno di Fukurodani, era una faccenda ben diversa. 
La bestia sonnecchiava e non si era accorta di loro. Aveva fatto di un’ampia conca naturale il suo nido e doveva sentirsi particolarmente al sicuro per non percepire la presenza degli uomini che lo spiavano dal bordo del suo rifugio.
“È reale...” Constatò Shigeru di fianco a lui, gli occhi sbarrati.
La sua espressione era la stessa di tutti gli uomini intorno a lui, solo quella di Koutaro sembrava una maschera di rabbia quieta e Tooru non aveva bisogno d’immaginare il perchè. La pelle del drago era dello stesso colore del sottobosco e se non fosse stato per il forte rumore del suo respiro sarebbe stato difficile distinguere la sua sagoma con la poca luce che filtrava attraverso le chiome degli alberi secoli.
“Bene...” Kuroo annuì. “Ed ora?”
“Scendiamo lì sotto e lo facciamo a pezzi,” fu la risposta ferma di Koutaro.
Tooru lo fissò dalla parte opposta della conca: poteva giurare di non averlo mai visto tanto serio e deciso in più di un decennio che lo conosceva. 
Il Re di Nekoma fece una smorfia sarcastica. “Bene, il piano di riserva? Almeno quello è ragionevole?”
“Non c’è molto altro da fare,” commentò Ushijima attirando gli occhi di tutti su di sè. “Io scendo...”
Tooru storse il naso, “vado avanti io...”
Kentaro, Shinji e Shigeru lo fissarono basiti ma gli occhi del Re Demone erano fissi in quelli tagliente del Re dell’Aquila. “Finirai immediatamente nella sua linea di fuoco,” disse quest’ultimo.
“La sua linea di fuoco è la stessa che la mia freccia deve percorrere,” replicò Tooru.
“Scendo insieme a te,” si propose Ushijima ed il Re Demone non si fece sfuggire il modo in cui il suo Arciere lo guardò. “Non è necessario,” replicò.
“Vengo anche io,” intervenne Koutaro. 
Kuroo alzò gli occhi al cielo. “Ma sì! Caliamoci in gruppo!”
“Shhh...” Il Re dei Gufi lo guardò premendosi l’indice contro le labbra. L’altro lo sguardò storto. “Tu dici a me di stare zitto?”
Tooru non perse altro tempo ed appoggiò il piede su di una sporgenza naturale per calarsi nella conca senza bisogno di supporti che avrebbero potuto impedire la sua libertà di movimenti. 
“Too...!” Fece per esclamare Koutaro ma Kuroo gli schiaffò una mano in faccia prima che potesse condannarli tutti a morte.
Tooru sentì i tre uomini alle sue spalle trattenere il fiato ed udì Shinji dire a Shigeru di prepararsi. Il tenue rumore di una corda che veniva tesa lo convinsero a fare ancora un passo ed uno ancora... I suoi uomini gli avrebbero guardato le spalle mentre si avvicinava alla prima linea a testa alta.
Avrebbe voluto alzare lo sguardo per assicurarsi che Ushijima lo stesse guardando ma c’era veramente troppa poca luce perchè potesse peremettersi di non guardare dove metteva i piedi. Nella tensione e nel silenzio assoluto della foresta, però, anche la voce di un uccello poteva suonare come il fragore di un tuono e, da qualche parte, un corvo gracchiò e si mosse velocemente tra le chiome degli alberi sopra di loro.
Tutti trasalirono, anche Tooru...
Sollevò gli occhi per un istante e fu sufficiente perchè l’equilibrio venisse meno. Fu per un secondo, uno solo, che non lasciò andare l’urlo che a stento riuscì ad inghiottire di nuovo. Voltò lentamente la testa: Ushijima lo aveva seguito e gli aveva afferrato un braccio prima che potesse cadere di peso sulla bestia dormiente.
Si guardarono per un istante che parve eterno, poi il Re dell’Aquila lo aiutò a recuperare l’equilibrio su entrambi i piedi. “Vado davanti,” disse e lo fece senza aspetta che Tooru rispondesse. Scese di un paio di metri, poi si fermò e porse al Re Demone la mano destra. “Vieni, ti aiuto...”
Se si fossero trovati in un’altra situazione, Tooru avrebbe rifiutato quel gesto con orgoglio tagliente ma Ushijima non aspettò che lo declinasse in qualche modo. “La tua è l’unica mano che può ucciderlo,” gli disse.
Tooru sgranò gli occhi a quelle parole.
“Se perdiamo te, qui siamo tutti morti.”
Non lo disse per adularlo. Lo disse perchè lo credeva e Tooru lo lesse nei suoi occhi privi di malizia, come quando gli esponeva la più crudele delle verità ma solo perchè smettesse di negarla, non per fargli del male. Strinse le labbra e poi allungò la mano destra.
Non si rese conto di star trattenendo il fiato fino a che non sentì il palmo caldo del Re dell’Aquila sotto i polpastretti e quelle dita forti stringergli la mano saldamente. Inspirò dal naso ed avanzò.
Gli occhi di tutti erano su di loro ma dovevano essere tutti troppo tesi per riflettere su quanto assurda fosse la situazione in cui i due Re si trovavano, considerando i ruoli che avevano interpretato l’uno nella storia personale e politica dell’altro. Di certo ci stava pensando quel cane addestrato di un Arciere e Tooru provò un oscuro piacere nel realizzarlo.
Dopo quella che parve un’eternità, Ushijima mise finalmente piede sul fondo della conca e Tooru dietro di lui. Il rumore del respiro del drago assomigliava al fragore provocato dalle onde nell’andare incontro agli scogli. L’aria era irrespirabile lì sotto.
Tooru non poteva indovinare le dimensioni esatte della bestia. La sua capacità di mimetismo era eccezionale e la luce era ancor più fievole lì sotto.
Ushijima sfoderò la spada e Tooru gli afferrò il polso in un movimento automatico.
Gli occhi taglienti furono immediatamente sui suoi.
“Hai detto che la mia mano è l’unica che può,” gli ricordò a voce bassissima. “Sai che non puoi farlo così.”
“Possiamo farlo colpendolo agli occhi o alla bocca.”
Tooru annuì.
“Dobbiamo svegliarlo, Tooru. Se non solleva almeno le palprebe, è inutile colpirlo...”
La presa sul polso del Re dell’Aquila si fece solida. “Se lo svegli sarai tu quello sulla sua linea di fuoco,” disse Tooru indeciso su come interpretare quell’atto folle da parte del nemico di sempre.
“Vedi i suoi occhi?” Domandò Ushijima.
Tooru portò lo sguardo sulla figura semi-immobile della bestia. Gli sembrò di vedere la punta della lunga coda, la sagoma di quella che pareva una gobba ma, probabilmente, erano le ali e, alla fine...
“Sì...” Rispose con certezza.
“Colpiscilo prima che lui colpisca me,” disse Ushijima e Tooru lo fissò completamente smarrito. Sorrise nervosamente. “Non puoi fidar...”
“Sempre,” lo interruppe Ushijima. “Della tua mano? Sempre... Mi hai colpito per fermarmi ma non per uccidermi, una volta. Era un colpo ben più difficile di questo.”
Tooru ripensò al giorno in cui aveva trovato Hajime a terra nel cortile interno di una piccola rocca affollata da Cavalieri vestiti con i colori di Shiratorizawa. Ricordò di aver tirato quella freccia quasi senza pensare... La freccia che era stata la scusa per causare la guerra contro Seijou...
Quello era stato un colpo perfetto.
“Non appena quell’occhio si apre, tu colpisci,” disse Ushijima come se non stesse rischiando di perdere la vita in modo brutale. 
Tooru strinse l’arco nel pugno, incoccò la freccia ma non tese ancora la corda. “Stai mettendo la tua vita nelle mie mani.”
“Te l’ho detto,” rispose il Re dell’Aquila. “Mi fido della tua mano.”
Per assurdo, era tutta quella sicurezza a rendere insicuro il Re Demone ma il tempo a loro disposizione stava scadendo. Sollevò l’arco, si mise in posizione e tese la corda. Fece un lieve cenno d’assenso. Ushijima lo imitlò, poi si voltò verso la bestia dormiente.
Il Re dell’Aquila sollevò la spada.
Lo sguardo di Tooru rimase fisso sulla palpebre ancora chiusa, la mano ferma, il bersarglio perfettamente inquadrato.
Non furono abbastanza veloci, nessuno dei due.
Il drago si mosse nel sonno, un’ala si aprì senza preavviso e colpì il Re dell’Aquila sul fianco facendolo cadere a terra e disarmandolo. Il rumore metallico dell’armatura che sbatteva contro la parete di roccia provocò un gran baccano. 
Tooru si spaventò e fece per allontanare gli occhi dal drago per cercare Ushijima nella semi-oscurità. “Mano ferma, Tooru!” Esclamò il Re dell’Aquila e Tooru percepì del dolore nella sua voce ma quelle parole furono abbastanza per portarlo a prendere di nuovo la mira sull’occhio ancora chiuso.
Il drago stava per svegliarsi, era solo una questione di secondi... Solo un altro...
Qualcosa gli colpì il dorso della mano destra. Tooru lasciò andare la freccia troppo presto mentre un gemito di dolore gli sfuggiva dalle labbra. Non seppe mai dove fosse finito il suo colpo. Gli occhi scuri fissarono terrorizzati il taglio che gli squarciava il dorso della mano destra. Quando li sollevò di nuovo, una pupilla allungata in un’iride tanto dorata da sembrar brillare di luce propria lo fissava minacciosa.
La bestia era sveglia e riusciva a vederlo anche nell’ombra.
“Tooru!”



***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Sapevo che sarebbe stata dura ma non così dura...
E vi pareva che dopo essere cresciuta a dolci e Tolkien non riuscissi ad infilare un drago da qualche parte? Che fantasy sarebbe, altrimenti! Scherzi a parte, il drago era previsto fin dal principio e avrà un ruolo importante non solo in questa generazione ma anche in quella successiva. Divido la caccia di Tooru e la compagnia dei Re in due parti così da non farvi ritrovare un capitolo estremamente lungo ed anche perchè così posso anticiparvi con estremo sadismo che nel prossimo avremo una convivenza distruttiva di Ushioi e Iwaoi per la gioia e disperazione di molti!
So che siete lì fuori! Voi che vorreste Oikawa con il suo Iwa-chan ma poi c’è UshiWaka e... Da qui iniziano i rotoloni regina del dolore da OTP e alla mia venerando età sono ancora peggio di quando ero adolescente! Dramma...
Alla prossima, miei prodi!

 



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Capitolo 19
*** Di specchi e tradimenti ***


17
Di specchi e tradimenti



“Tooru!”


Tooru non seppe mai chi aveva urlato il suo nome in quel modo. 
L’aveva sentito nitidamente, la voce alta quasi gli aveva dato fastidio e questo escludeva a priori Kuroo e Koutaro, che erano rimasti sul bordo della conca ad assistere all’impresa gloriosa che gli stava costando la vita.
Andando per esclusione, l’unico poteva essere stato Ushijima.
Eppure, se qualcuno lo avesse chiesto a lui, Tooru avrebbe giurato di aver udito la voce di Hajime.
Non sarebbe stata la prima volta che lo sentiva in punto di morte.
Non era nemmeno la prima volta che si ritrovava a guardare in faccia una sorte crudele e violenta, semplicemente, non gli era mai capito che avesse le sembienze di un’enorme bestia alata dagli occhi dorati. Forse, però, non si era mai ritrovato di fronte alla nera signora così lucidamente.
Aveva aspettato che gli porgesse la mano quando gli avevano detto che Hajime era morto e non sapeva di portare in grembo Tobio. Probabilmente, doveva anche averla invocato un paio di volte nel corso delle ore che gli ci erano volute per dare alle luce il suo Principe e, sì, infine l’aveva sfiorata durante la rivoluzione di Seijou.
Quella volta, però, non sarebbe stato un processo lento.
La tragedia si sarebbe consumata in un battito di ciglia.
Il cuore che pompava sangue un attimo ed era completamente immobile quello successivo.
La sottile linea tra le vita e la morte, Tooru avrebbe potuto giurare di esservi con un piede oltre ed uno ancora dietro. E tutto ciò che aveva avuto senso nella sua vita, nel bene e nel male, gli passò davanti agli occhi con una nitidezza tale che a raccontarlo non ci avrebbe creduto nessuno.
Si vide nella camera di sua madre in quel giorno d’estate in cui le guardie portarono al Castello Nero un bambino delle campagne. Si vide mentre scoccava la sua prima freccia e quello stesso bambino riceveva la sua spada per l’addestramento da Cavaliere. 
Si vide alla cascata, sotto la luna, con le lacrime agli occhi per la morte di sua madre e le labbra di Hajime contro le sue. Credette di sentire di nuovo quell’innocenza, come il fuoco della rabbia che lo aveva consumato nel vedere il suo Cavaliere non fare nessun passo verso di lui. 
Vide Ushijima come lo aveva visto per la prima volta, a quindici anni, quando si era inginocchiato ai suoi piedi e gli aveva baciato la mano con fare galante. Si vide mentre stuzzicava la sua attenzione con tutta la malizia di un adolescente assetato di sguardi.
Sentì la mano di Hajime prendere la sua su quella scalinata in cui aveva permesso ad Ushijima di sottrarlo a lui un’ultima volta, prima del fatidico no. Sentì il dolore della sconfitta che aveva subito in seguito e poi il piacere insicuro della prima volta che aveva fatto l’amore col suo Cavaliere. Vide il castello al mare, quell’estate con Koushi e Daichi. 
Si vide incoronato Re e Hajime che esultava insieme agli altri Cavalieri.
E ancora l’amore, la disperazione di un figlio che aveva già un nome ma non voleva arrivare. La guerra contro Shiratorizawa, la morte che li aveva separati, il tradimento di cui si era dovuto macchiare.
Si vide piangere calde lacrime mentre passava le notti a parlare con un bambino non ancora nato.
E poi di nuovo Hajime, di nuovo amore. La vittoria, la felicità e Tobio, Tobio e ancora Tobio.
Hajime e Tobio.
Fu questo il suo ultimo pensiero, prima che la mano della morte si allungasse per afferrarlo.



Fu un istante lungo una vita e Tooru non avrebbe mai trovato le parole per descriverlo.



La bestia ruggì, la terra tremò.
Tooru chiuse gli occhi istintivamente e qualcosa si scaraventò contro di lui costringendolo a terra sotto il suo peso. Qualcosa fendette l’aria ed un terribile urlo di dolore riecheggiò direttamente nelle sue orecchie. Udì altre voci. Grida concitate. Kuroo? Koutaro? Non ne era certo.
Qualcos’altro attraversò l’aria.
Un sibilio che nessuno avrebbe udito ma Tooru lo fece.
La bestia ruggì di nuovo in modo terribile ma c’era qualcosa di diverso. C’era dolore.
Alla fine, Tooru aprì gli occhi.
Era seduto contro la parete di roccia, Ushijima era su di lui come uno scudo umano. Le sue mani gli stringevano le spalle quasi a fargli male, la fronte premuta contro il suo collo, il respiro affaticato. C’era odore di sangue nell’aria. Il drago lo aveva colpito... Ushijima gli si era parato davanti per ricevere un colpo destinato a lui.
Tooru gli afferrò le braccia come ad assicurargli che c’era, era vivo.
Sentì la presenza di altri uomini vicino a sè ma la sua attenzione era tutta per la bestia che continuava a dimenarsi a pochi metri da lui artigliandosi il lungo muso scuro da solo per ragioni che non riusciva ad indovinare. Qualcuno, probabilmente il cane di Shiratorizawa, gli tolse Ushijima di dosso. “Mio Re!” Sentì dire disperatamente. “Mio Re, rispondetemi!”
Tooru cercò di sollevarsi in piedi, sebbene le gambe gli tremassero.
Delle braccia lo sorressero, forse Kentaro, mentre avvertì molto chiaramente le voci concitate dei suoi Arcieri ma non comprese le loro parole. Kuroo e Koutaro urlavano ordini dal lato opposto della conca. Frecce fendevano l’aria alla rinfusa mentre la bestia continuava a farsi del male da sola ignorandoli tutti.
Alla fine, qualcosa si staccò e cadde a terra. 
Il drago emise un ruggito disperato e, completamente fuori controllo, prese ad arrampicarsi per la parete di pietra e, non appena arrivato in cima, spalancò le ali e volò via.
Nessuno osò muoversi fino a che i suoi bestiali gemiti di dolore non furono lontani, quasi inudibili.
Koutaro, ovviamente, fu il primo a parlare. “Siamo tutti vivi?”
Fu solo allora che Tooru si voltò al suo fianco per vedere in che stato versasse il Re che era stato al suo fianco per tutto il tempo. Ushijima si era alzato sulle sue gambe sorreggendosi alla parete rocciosa della conca. Il mantello violaceo era ridotto in brandelli e sporco di sangue.
Kenjirou lo toccava e gli parlava disperato, poi il suo Re lo scostò di lato con rabbia e Tooru fece un passo in avanti quasi per istinto che per reale interesse. Poi vide il Re dell’Aquila indicare una freccia che si era conficcata nel terreno accanto a loro. Tooru si sfiorò il dorso della mano destra, ancora sanguinante per lo squarcio. Era una freccia di Shiratorizawa.
“Che cosa significa?” Sibilò il Re dell’Aquila e suonò incredibilmente minaccioso, nonostante la voce affaticata.
Le labbra di Kenjirou tremavano. “Signore, io...”
“Ti ho chiesto che cosa significa...”
“La bestia si era mossa,” si giustificò l’Arciere. “Vi aveva colpito, credevo di aver mirato all’occhio e...”
Ushijima si mosse in avanti ed afferrò il braccio di Tooru prima che questi potesse opporre resistenza. Kentaro estrasse la sua spada ma il Re Demone non diede alcun ordine: il Re dell’Aquila si stava limitando a mostrare al suo uomo la ferita che, pur involontariamente, gli aveva inferto.
“Stavi per farci ammazzare tutti!” Tuonò il Re dell’Aquila con una rabbia che Tooru non gli aveva mai sentito esprimere e che, in un certo senso, gli mise paura.
Kenjirou abbassò lo sguardo e strinse i pugni. Ushijima lo lasciò andare e Tooru fece il grande errore di sollevare i propri occhi sui suoi. Il Re dell’Aquila lo fissava costernato e con quel qualcosa che la paura lascia sul viso di qualcuno quando, ormai, è passata.
Ushijima dischiuse le labbra ma Tooru non seppe mai cosa volesse dirgli.
“Ma che cos’è?” Domandò Kuroo alle loro spalle.
Entrambi si voltarono: Koutaro aveva sollevato da terra il qualcosa che si era staccato dal muso del drago prima che scappasse. Era una freccia... Una freccia con qualcosa conficcato sulla sua punta.
“Oh!” Esclamò Koutaro euforico dopo un poco. “È un occhio!” 
Portò l’oggetto tanto vicino al viso di Kuroo, che questi dovette fare un passo indietro per non esserne toccato. “Tieni lontano quella cosa schifosa da me!”
“Ma è un occhio!” Continuò imperterrito il Re dei Gufi. “Per questo si dimenava così! Non siamo riusciti a trapassargli il cranio ma gli hai cavato un occhio, Tooru!”
Il Re Demone si fece immobile. Con la coda dell’occhio vide il suo arco giacere a terra e, con esso, la freccia che aveva incoccato prima di venir ferito. “Io non ho tirato nessun colpo...”
Kuroo e Koutaro si fissarono confusi, poi analizzarono la freccia una seconda volta. “I colori del pennacchio sono quelli di Seijou,” disse quest’ultimo con sicurezza.
Incapace di dare agli altri sovrani una risposta soddisfacente, Tooru guardò i suoi Arcieri ma entrambi scossero la testa con sicurezza. “Non abbiamo tirato frecce prima di scendere quaggiù, vostra maestà,” disse Shigeru.
“Ed era troppo tardi,” aggiunse Shinji.
Confuso oltre ragione, Tooru guardò Ushijima ma questi sembrava incapace di riscostruire i fatti almeno quanto lui.
“Mamma...”
Per un istante, Tooru credette ancora di udire nella testa le voci di persone amate che non potevano essere lì, poi, però, Kuroo e Koutaro si voltarono ed anche lui reclinò appena la testa di lato per vedere che cosa avesse attirato la loro attenzione.
Il cuore si fermò, il respiro gli morì in gola.
La luce lì sotto era misera ma Tooru potè giurare di distinguere il colore blu degli occhi che lo fissavano timorosi anche così. Esaurì la distanza tra sè e quel bambino prima ancora di essere certo che fosse reale. Come sentì le guance calde contro i palmi ed i capelli corvini morbidi come seta tra le dita, Tooru seppe che Tobio era lì, davanti a lui.
“Tobio...” Lo strinse a sè quasi con violenza, premendo le labbra tra le ciocche d’ebano inspirandone l’odore a pieni polmoni. “Tobio... Tobio...” Non riuscì a dire altro per un po’, poi prese il viso di suo figlio tra le mani e lo fissò tra la rabbia ed il panico. “Che cosa ci fai qui?” Quasi urlò ed il Principe abbassò lo sguardo immeditamente. 
“Sei arrabbiato...”
“Arrabbiato?” Era furibondo, era ben diverso. “Dov’è tuo padre? Sei da solo? Che cosa ci fai qui?”
Tobio voltò gli occhi blu verso la freccia che ancora Koutaro stringeva in mano. “Volevo aiutare... Solo aiutare...”
Anche Tooru sollevò lo sguardo, vide l’arco in spalla a suo figlio e la risposta agli interrogativi che tutti si stavano ponendo sui fatti appena avvenuti gli comparve davanti agli occhi improvvisamente.
“Oh! Oh! Oh!” Esclamò Koutaro completamente estasiato. “Hai tirato tu questa freccia, Tobio?”
Il Principe annuì. “Sì, è mia...”
“Oh! Oh! Oh! Sono senza parole!”
“Eppure, non riesci a stare zitto!” Commentò Kuroo.
Tooru vide i suoi uomini avvicinarsi a loro, toccare il suo bambino, parlarci, assicurarsi che stesse bene. Il Re Demone riusciva solo a fissarlo con espressione inorridita.
“Tooru...”
Gli occhi scuri incontrarono quelli taglienti del Re dell’Aquila. Kentaro, Shigeru e Shinji si fecero rispettosamente da parte, sebbene lo guardassero con espressione dura. 
Ushijima posò lo sguardo sul viso del Principe Demone e Tobio cercò quello del genitore. “Chi è, mamma?” Domandò.
Tooru si umettò il labbro inferiore e si riscosse. Passò una mano tra i capelli di suo figlio cercando di mettere a tacere la rabbia che gli faceva tremare le dita al punto che gli costava fatica toccarlo con tanta gentilezza. “Lui è il Re di Shiratorizawa, Tobio.”
Il Principe sgranò gli occhi blu e la sua espressione si fece più dura. Si portò un passo in avanti e Tooru sentì la necessità di stringergli una spalla per evitare che andasse oltre. “Grazie per aver salvato la vita a mamma,” disse con formalità ed il Re Demone si sorprese di tanta educazione nei confronti dell’uomo che sapeva essere acerrimo nemico della sua casa.
L’espressione di Ushijima non si addolcì nemmeno un poco. “Grazie a te per salvato la vita ad entrambi, Principe Tobio.”
Tooru sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena.


***


Tobio cavalcò con Tooru per tutto il viaggio di ritorno.
Come Ushijima riuscisse a cavalcare, era un mistero su cui nessuno perse tempo ad interrogarsi.
Sia il Re dell’Aquila che il Re Demone rimasero completamente in silenzio per tutto il tragitto lasciando agli altri due sovrani il compito di coprirlo facendo volteggiare quell’occhio trafitto in aria come il più prezioso dei trofei di guerra.
Un trofeo che aveva conquistato Tobio, Principe ereditario del Regno di Seijou.
Perchè Tooru non riusciva a sentirsi orgoglioso come avrebbe dovuto?
La sua creatura era materiale da leggenda a solo un decennio di vita e tutto quello che riusciva a sentire era un soffocante, infinito vuoto.
E l’oscurità fece un passo avanti...



La tenuta non era vuota quando la raggiunsero.
Tooru non fu particolarmente sorpreso di trovare Issei e Takahiro nel cortile interno insieme ad un decina di soldati con addosso i colori del Regno di Fukurodani. Gli corsero praticamente incontro quando lo riconobbero e presero a parlare a raffica quando si accorsero che Tobio era con lui.
“Sei nei guai, giovanotto!” Disse uno.
“Aspetta che ti becchi tuo padre!” Esclamò il secondo.
Tooru scese da cavallo ignorando il coretto concitato ed aiutò Tobio a fare lo stesso. “Dov’è Hajime?” Chiese senza troppi giri di parole. Aveva bisogno di vederlo. Aveva bisogno di rimanere solo con lui tra quattro mura e scrollarsi quella pesante oscurità di dosso.
“State bene?” Domandò Takahiro.
“Dov’è il drago? Cos’è successo?” Chiese Issei.
Tooru si limitò a scuotere la testa, una risposta che non aveva senso ma non aveva tempo da dedicare alla loro curiosità. Aveva bisogno di Hajime, di parlare con lui. La sua ricerca terminò ancor prima di cominciare: il Primo Cavaliere di Seijou comparve sull’entrata della tenuta, gli occhi verdi animati da una paura di cui Tooru poteva benissimo indovinare la natura.
Gli angoli della bocca del Re Demone si sollevarono in un sorriso dolce, un po’ tremante. “Hajime...” Mormorò a voce bassissima ma, come se il suo Cavaliere lo avesse udito, corse nella sua direzione come se da questo dipendesse la sua stessa vita. Tooru si aspettò di sentire quelle braccia forti intorno a sè, quelle labbra calde sul suo viso e quelle dita segnate da anni di addestramento tra i suoi capelli. Aveva bisogno di perdersi in lui per trovare un po’ di pace.
Ne aveva bisogno per il suo cuore...
Hajime, però, lo superò di un passo senza neanche guardarlo, senza toccarlo. 
Fu come se Tooru non fosse nemmeno lì ed il Re Demone sentì il respiro mancargli ancora una volta in poche ore. Si voltò: Hajime aveva preso Tobio per le spalle e lo scuoteva senza fargli male ma abbastanza per fargli capire quanto fosse arrabbiato per il suo gesto sconsiderato.
Tobio s’imbronciò, gli occhi lucidi ma non abbassò lo sguardo. “Volevo aiutare! Ho salvato mamma!”
Hajime si sentì completamente smarrito. “Cosa?”
“È vero, amico!” Esclamò Koutaro scendendo da cavallo in tutta fretta per correre in soccorso del Principe Demone. La freccia con il trofeo di caccia di Tobio era stretta nel suo pugno. “Guarda che impresa ha compito il tuo ragazzo! Se non fosse stato lì, del tuo Tooru sarebbero rimasti i pezzi!”
Hajime prese la freccia tra le mani e la fissò come se ancora non comprendesse.
“È tutto vero!” Confermò Kuroo avvicinandosi. “Il signore dei Gufi non sta nemmeno esagerando questa volta.”
Il Primo Cavaliere di Seijou abbassò gli occhi su suo figlio. “Hai cavato un occhio al drago?”
Tobio annuì lentamente, come se non sapesse se ametterlo fosse una buona idea o meno.
Tooru vide ogni minimo cambiamento sul viso di Hajime: l’incredulità si trasformò in un sorriso euforico, quasi commosso, poi il buon senso ebbe la meglio e l’espressione severa, a tratti iraconda, tornò al suo posto. “Non ti permettere più di avere un’idea simile!” Tuonò e Tobio abbassò gli occhi arrabbiato a sua volta. “Tuttavia...” Aggiunse il Cavaliere, l’espressione notevolmente addolcita. “Tuttavia...”
Gli occhi blu si sollevarono di nuovo. Hajime sospirò, frustrato con se stesso, poi si chinò, posò un bacio tra i capelli di suo figlio e lo strinse a sè.
Tooru rimase a guardarli in completo silenzio.


***


Non era comune vedere Keiji avere delle reazioni spontanee ed il modo in cui si gettò tra le braccia di Koutaro ebbe il potere di lasciare senza parole il Re dei Gufi stesso.
“Ehi! Ehi! Ehi! Sto bene!” Esclamò il sovrano di Fukurodani prendendo il viso del consorte tra le mani per potersi perdere in quegli occhi verdi di solito tanto freddi. “Tu? Il nostro pulcino?”
Keiji gli prese una mano e se la portò in grembo. Nemmeno quello era un gesto che soleva fare sotto gli occhi di altri ma l’Arciere era troppo felice di vedere il proprio compagno vivo ed in piedi sulle sue gambe per potersi preoccupare di simili piccolezze.
“È una bambina,” Keiji accennò un sorriso ed appoggiò la fronte a quella del suo Re. 
Koutaro sgranò gli occhi. “E come lo sai?”
“Lo so...” Rispose Keiji con un filo di voce a pochi millimetri dalle sue labbra. “Avevo paura di non potertelo dire mai.”
“Ohi! Ohi! Ohi! Non avrai davvero pensato di poterti liberare di me tanto facilmente?”
L’Arciere si limitò a circondargli il collo con le braccia e Koutaro lo strinse a sè ancora di più, affondando il viso contro la sua spalla. 
La sala del trono era affollata: l’intera corte era scesa per ascoltare le storie degli uomini che avevano partecipato allacaccia e questi non la smettevano di parlare del Principe di Seijou e di come la sua freccia aveva salvato il Re Demone ed il Re dell’Aquila da morte certa.
Issei e Takahiro avevano rubato una bottiglia di vino dalle cucine con l’aria soddisfatta di chi aveva compiuto un’impresa epica. Shinji li guardò con un’ombra di rimprovero ad oscurargli il viso e Shigeru gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. “Siamo tornati vittoriosi, ce lo meritiamo!”
Issei lo indicò. “Parole sante!”
“Il nostro Principe è la nuova leggenda vivente dei Regni liberi, penso che ci possiamo concedere una sbornia!” Concluse Takahiro alzando il suo calice per primo. “Al Principe Tobio!” Esclamò.
“Al Principe Tobio!” risposero gli amici in coro.
“Possiamo unirci?” Domandò Koutaro rubando la bottiglia dalle mani del Cavaliere ed sollevandola sopra la testa. “Al Principe Tobio!”
Un istante più tardi, tutta la sala del trono di Fukurodani brindava in nome del bambino che aveva compiuto l’impresa, peccato che nè la coppia reale di Seijou nè il sovrano di Shiratorizawa fossero presenti.



Tooru se ne stava seduto nell’acqua calda con le ginocchia strette al petto.
C’era solo silenzio intorno a lui, nemmeno le voci dei festaggiamenti arrivavano fino alle sue stanze e ne era grato: non era decisamente in vena di festeggiare, doveva ancora scendere a patti con troppi eventi che si erano verificati senza che lui ne avesse il minimo controllo.
Già... Il Re Demone era rimasto completamente impotente mentre il destino giocava la sua mano...
Non si accorse della porta che veniva aperta, nè del Cavaliere che si avvicinava alla vasca e s’inginocchiava alle sue spalle. Sentì solo le mani calde del suo compagno sulle sue spalle, quelle che aveva voluto avere sul suo viso con tutto se stesso quando era sceso da quel cavallo, schiacciato dalla gloria del suo stesso sangue.
Hajime gli baciò il retro del collo, appena sotto l’attaccatura dei capelli ma Tooru non sentì il brivido caldo che era solito provare. Reclinò la testa da un lato per pura abitudine, mentre le labbra del Cavaliere tracciavano un percorso umido dal suo collo alla sua spalla. La destra di Hajime scese lungo il suo petto, esitò sui pettorali, sugli addominali. Tooru gli afferrò il polso come sfiorò il suo basso ventro. “Non ne ho voglia, Hajime...”
Il Cavaliere si fece rigido.
Più di dieci anni insieme, innumerevoli battaglie che non li avevano scalfiti nemmeno un poco, un figlio cresciuto insieme e Tooru era il primo di loro a rifiutare l’altro tanto apertamente, freddamente. Lo aveva fatto anche chiamandolo per nome...
Hajime allontanò le mani da lui e Tooru si sollevò dall’acqua con un sospiro stanco afferrando l’asciugamano che aveva lasciato sul bordo ed avvolgendoselo intorno alle spalle.
Quando si voltò, il suo Cavaliere aveva ancora un ginocchio appoggiato a terra e lo fissava smarrito, forse un po’ ferito. Non andava bene, pensò Tooru, doveva sentirsi profondamente ferito, esattamente come si era sentito lui quando lo aveva ignorato per dare priorità a Tobio.
“Sei ancora qui?” Domandò velenoso. “Ti ho detto che non ne ho voglia.”
Hajime si alzò in piedi, c’era rabbia sul suo viso ora. “Da quando ho bisogno di un motivo per stare con te?”
“Da quando sembra che rammenti la mia presenza solo quando ti servo per questo.”
Il Cavaliere sgranò gli occhi verdi. “Che idiozia è mai questa, ora?”
Aveva ragione e Tooru lo sapeva bene. Hajime non era mai stato un uomo così, non lo era stato nemmeno d’adolescente quando la maggior parte dei suoi coetanei avrebbero sfruttato qualsiasi essere vivente anche solo lontanamente desiderabile per avere un po’ di piacere. Hajime era il tipo che domandava se fosse stato bello alla fine, che chiedeva scusa per ogni gemito ambiguo, anche quando non ce n’era bisogno. Era il genere di uomo che si approcciava così, con baci e carezze gentili e graduali ed aspettava che il suo amante gli concedesse il permesso per andare oltre.
Tooru serrò i denti sul labbro inferiore e quando sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua scosse la testa e tornò in camera da letto a passo di marcia. Quando lo raggiunse, Hajime vide che si era già rivestito. 
“Che cosa ci faceva Tobio lì?” Domandò Tooru finendo di allacciarsi la camicia.
“È scappato...” Rispose Hajime con aria colpevole.
Il Re Demone pensò bene di farlo sentire peggio guardandolo con fare accusatorio. “E tu dov’eri?”
Il Primo Cavaliere impiegò un istante per comrpendere completamente ciò che il compagno stava insinuando. “L’ho messo a dormire. Ho aspettato che si addormentasse e poi sono tornato in camera... Non contavo di addormentarmi, non ci riuscivo! Sono crollato sulla poltrono prima che me ne rendessi conto!”
“Ti ordino di restare a casa per proteggerlo e questo è tutto quello che riesci a fare?” C’era un veleno incomprensibile nelle parole di Tooru ma questo non significava che a Hajime facesse meno male. “Mi sono mosso non appena me ne sono accorto!”
“Era tardi quando te ne sei accorto!”
“Pensi che non mi sia spaventato? No, paura non è nemmeno la parola giusta per quello che ho provato... Mi sono sentito morire fino a che non ho visto Tobio tutto intero accanto a te!”
“Tobio non doveva essere con me, doveva restare con te. Questo era il tuo compito, la tua missione...”
“Lo so, maledizione!” Se fosse stato anche solo di poco meno orgoglioso di come era, Hajime sarebbe già scoppiato a piangere come un ragazzino. “Vuoi dirmi che sono un pessimo padre? Vuoi dirmi che non ti fidi a lasciare nostro figlio nelle mie mani? Che cosa stai cercando di dirmi, Tooru?”
“Sto cercando di dire che Tobio non doveva essere lì!” Sbottò il Re Demone. “Non doveva derubarmi della mia gloria ancora una volta...”
Fu Tooru a scoppiare a piangere. Si lasciò cadere seduto in fondo al letto, i pugni serrati ed lo sguardo fisso sul pavimento. 
“È questo che ti preoccupa?” Domandò Hajime incredulo. “Tobio ti ha salvato la vita rischiando la sua e la tua gloria è tutto ciò a cui riesci a pensare?”
Tooru non rispose, si limitò a stringere gli occhi, come se questo bastasse a farlo scomparire. Che cosa credeva? Che essere consapevole di quel senso d’invidia e risentimento nei confronti del loro stesso figlio lo facesse star bene?
“Sono in guerra con me stesso al punto che quando mi guardo allo specchio non so più chi vi vedo riflesso,” disse Tooru con voce tremante. “E sai qual’è la cosa peggiore? Tobio è ciò che mi riduce in pezzi,” sollevò gli occhi scuri su quelli verdi di Hajime, “tu sei ciò che riesce a tenermi insieme.”
Hajime non era certo di comprenderlo o, almeno, così sperava perchè se quel che stava prendendo forma nella sua testa era ciò che infuriava dentro il suo compagno, allora poteva anche considerarsi un uomo distrutto. “Come posso aiutarti, Tooru?” Era tutto ciò che gli serviva sapere.
Tooru lasciò andare una risata isterica. “Come puoi aiutarmi, amore mio?” Lo chiese quasi con sarcasmo. “Non posso vivere senza di te, non posso vivere senza Tobio. Non posso vivere senza amarvi e senza sapere di essere amato da voi.”
Hajime riprese a respirare ma non sapeva quando aveva trattenuto il fiato. “Tooru, noi...”
“Poi penso che se non fosse per questo mio amore per voi, sarei il Re più potente dei Regni liberi,” aggiunse Tooru. “Penso che ho rinunciato alla cima del mondo per amor tuo. Penso che ho rinunciato ad un Regno di potere e conquiste vittoriose per crescere Tobio in un mondo stabile, sicuro. Per anni... Per tutti questi anni ho pensato che ne era valsa la pena...”
Hajime si rese conto di tremare solo quando provò a parlare di nuovo. “E... Ed ora?”
Le lacrime rigavano ancora le guance di Tooru ma i suoi occhi erano vuoti, spenti, quando rispose. “Ora, vorrei che quella parte del mio cuore che vive grazie a voi smettesse di combattere per sopravvivere e lasciasse che l’oscurità della mia superbia divori tutto... Almeno tutto questo smetterebbe di fare male...”
Fu solo una la lacrima che Tooru vide scendere sul viso di Hajime, prima che il Cavaliere si voltasse con rabbia portandosi davanti alla finestra. “Hai fatto l’amore con me tre giorni fa, Tooru.”
“Lo so...”
“E allora?” Sbottò il Primo Cavaliere. “Tre giorni fa mi amavi ed ora non mi ami più?”
Tooru gli fissò la schiena. “No, io ti amo... Ti amo... Ti amo come ti ho sempre amato, come non amerò mai nessun altro.”
Il viso di Hajime era madido di lacrime quando si voltò a guardarlo di nuovo. “Allora perchè?”
“Perchè sei tu che ami solo una parte di me.”
Fu il turno del Primo Cavaliere di ridere istericamente. “Solo una parte...” Tirò su col naso. “Tooru io ti vedo come nessuno ti vedrà mai. Vedo cose di te che spero nemmeno nostro figlio vedrà mai e, comunque, sono rimasto qui, con te!”
“E rimarresti qui anche se smettessi di essere il Re che tutti rispettano per essere quello che tutti temono?” Domandò Tooru. “Mi ameresti lo stesso se sfruttassi a mio vantaggio tutte le debolezze dei Regni che ci sono intorno per renderle armi invincibili nelle nostre mani? Io ho questo potere, Hajime, tu lo sai che ho questo potere... Ma non è nobile, non è giusto. È gloria, grandezza e non può non essere una cosa sporca.”
“Che cosa vuoi, Tooru? Vuoi guerra? Vuoi distruzione?”
“No,” il Re Demone scosse la testa. “Voglio la gloria, il potere, tutto ciò che potrei provare nel rendere mio tutto il conquistabile e vedere gli altri sovrani inginocchiarsi ai miei piedi. Voglio essere il più forte, l’ultimo a restare in piedi.”
I grandi occhi scuri incontrarono di nuovo quelli verdi. “Mi ameresti anche così, Hajime?”



Il Re Demone ed i suoi uomini lasciarono il Regno di Fukurodani il giorno seguente.
Non ci fu nessun torneo quell’anno, nessun vincitore da incoronare.
Il drago, semplicemente, sparì senza lasciare traccia.



Il mese seguente, col cadere della prima neve, il Regno di Seijou partì alla conquista del Regno di Dateko.



Tobio compì undici anni al Castello Nero senza i suoi genitori.


***


Forse, un giorno, Hajime avrebbe trovato il coraggio di ammettere con se stesso una crudele verità: qualunque oscurità avesse conquistato il cuore di Tooru, doveva aver affetto un poco anche il suo.
Il suo Re era stata l’unica ragione per cui era appartito per una guerra di conquista senza nessuna nobile scusante a giustificarla. Lui e Tooru avevano pensato a tutto insieme, il Re con molto più entusiasmo del suo Primo Cavaliere. 
Hajime aveva dovuto farlo.
Non era una giustificazione dietro cui si sarebbe mai nascosto ma, se non lo avesse seguito, Tooru avrebbe continuato a percorrere la sua strada oscura completamente da solo e tra perderlo nel tentativo di proteggerlo e lasciarlo scivolare via, Hajime aveva dolorosamente preferito la prima.
Proteggerlo...
Si poteva veramente proteggere un uomo da se stesso?
Hajime aveva avuto in sè solo il potere di non lasciarlo da solo e, suo malgrado, il campo di battaglia si era rivelato un rimedio per entrambi. Era stato bello vedere Tooru di nuovo integro dopo mesi passati a rimettere insieme i pezzi alla peggio, per poi ritrovarsi a rifare tutto il lavoro da capo. Era stato bello ritrovarsi a combattere spalla a spalla, trattenere il fiato fino al limite per poi tornare a respirare quando gli occhi scuri incontravano quelli verdi in un campo di battaglia che avevano vinto insieme.
Per Tooru era stato quasi un miracolo rendersi conto che, a dispetto di quello che aveva detto il Re dell’Aquila, nemmeno sulla strada dei suoi desideri più oscuri si era ritrovato da solo. 
Era tornato a sorridere con sincerità.
Erano tornati a ridere entrambi mentre facevano l’amore dopo essersi liberati delle armature a vicenda. La dolce passione a cui si erano lasciati andare per anni trasformata in un fuoco che li consumava entrambi ogni notte.
Nell’essere completamente se stesso, Tooru era riuscito ad amare di nuovo il suo uomo e suo figlio come entrambi meritavano, come aveva temuto di non riuscire più a fare.



Tooru s’inarcò contro il corpo sopra il suo per quanto gli fu possibile... E non fu comunque sufficiente a soddisfare il bisogno che aveva di sentirlo vicino. Hajime si fece immobile, il respiro affaticato, il petto muscoloso, appena umido di sudore, che si alzava ed abbassava velocemente. Gli occhi verdi chiusi, le guance rosse per il piacere appena consumato e le labbra un poco gonfie per i mille baci affamati che si erano scambiati.  
Tooru fissava quello spettacolo sospeso sopra di lui con gli occhi socchiusi, impegnato a ricordare come respirare correttamente a sua volta. Le dita di entrambe le mani erano intrecciate a quelle del suo Cavaliere che le premeva contro le lenzuola con tutto il peso del corpo, un atto di dominio che non faceva che rendere il Re Demone più affamato di quanto non fosse.
Il suo corpo era umido del piacere di entrambi ma Tooru non era sazio di lui dopo più di dieci anni e non c’era modo che potesse esserlo ora, la notte della loro prima, gloriosa vittoria come conquistatori. Fare l’amore in una tenda per mesi era stato molto eccitante ma farlo negli appartamente reali di un altro Re era tutta un’altra storia.
Kaname non aveva opposto particolare resistenza una volta che erano giunti alla capitale di Dateko. Da brav’uomo quale era, aveva pensato prima a quanti danni avrebbe provocato un assedio di lunga durata prima della inevitabile sconfitta finale ed aveva scelto la strada meno tragica per sè e la sua gente. Tooru aveva dei progetti per lui: non era un incapace e conquistare un Regno era una cosa ma un regicidio aveva tutto un altro peso e il Re Demone non era certo di volersi portare anche quello sulle spalle.
Ora, però, tutto ciò che aveva importanza era quello splendido Cavaliere che era rimasto al suo fianco fino alla fine, anche nei meandri più oscuri della sua anima capricciosa, affamata di gloria. Tooru non aveva mai dubitato di amarlo. Forse, aveva dubitato che quell’amore gli sarebbe potuto bastare in eterno ma, ora ne era certo, quella vittoria senza Hajime non avrebbe saputo appagarlo nemmeno lontanamente.
Il Cavaliere si lasciò andare lentamente, rilassandosi sopra il corpo del suo signore che lo accolse ben volentieri tra le sue braccia. Hajime nascose il viso contro il suo collo, Tooru gli baciò una spalla, poi prese a passare le dita tra i suoi capelli distrattamente. I grandi occhi scuri si voltarono verso il grande specchio appeso al muro accanto al letto. Poteva vedere tutto in quel riflesso: le coperte calciate in fondo al letto, i loro corpi ancora uniti, il modo perfetto in cui aderivano l’uno all’altro anche dopo la passione.
Hajime si mosse appena e Tooru allacciò le gambe alle sue per fermarlo. “No, aspetta...” Mormorò suadente. “Voglio sentirti ancora un po’...”
Hajime si sollevò sui gomiti, lo guardò e, sorridendo, Tooru pensò che quegli occhi verdi fossero i più belli del mondo. Solo dopo i suoi, ben inteso!
“Il mio Cavaliere...” Mormorò scostando alcune ciocche di capelli corvini da quel viso dai tratti marcati ma in cui Tooru aveva sempre trovato tutta la dolcezza di cui aveva bisogno. “Guarda...” Tornò a guardare lo specchio accanto e loro e trovò quelle iridi verdi nel riflesso un istante più tardi. “Che cosa vedi?”
“Tutto ciò che conta...” Rispose Hajime.
Tooru ridacchiò e tornò a guardarlo. “Ed il nostro Principe dove lo mettiamo?”
Hajime gli sorrise sfiorandogli le labbra con le prorprie. “È bello sentirti parlare di Tobio...”
Un velo di colpevolezza calò sul viso del Re Demone. “Mi perdonerà mai?”
“Non si è accorto di nulla,” rispose Hajime passando a baciargli una guancia, poi il collo.
“E tu mi perdonerai mai?”
Il Primo Cavaliere tornò a guardarlo. “Sei ancora qui...”
“Ero io quello che temeva che te ne saresti andato, se fossi diventato quello che sono ora.”
“Sei Tooru,” rispose Hajime con sicurezza. “Ti guardo e so che sei Tooru, mi basta...”
Tooru sorrise e lo attirò a sè per un altro lungo e caldo bacio. Si staccarono entrambi di scatto come la porta della camera si aprì. Hajime si tolse da sopra il suo Re immediatamente e recuperò le coperte ad una velocità impressionante. Per loro fortuna, il Principe aveva gli occhi più chiusi che aperti e non fece minimamente caso alla situazione compromettente in cui aveva sorpreso i genitori. 
Senza dire una parola, Tobio si arrampicò sul letto, si trascinò fino al centro e poi si lasciò cadere tra i cuscini addormentandosi istantaneamente. Tooru e Hajime si scambiarono un’occhiata. Il primo scoppiò a ridere ma cercò di non fare troppo rumore, l’altro arrossì come un ragazzino.
“Muoviamoci,” borbottò alzandosi dal letto. “Ricomponiamoci, prima che si svegli... Come avrà fatto ad arrivare fino a qui con gli occhi mezzi chiusi poi!”
Ebbero appena il tempo di darsi una ripulita e recuperare gli abiti da notte che Tobio sollevò la testolina di capelli corvini per scrutare nei paraggi ed assicurarsi che i suoi genitori non se la fossero data a gambe. Tooru sorrise tornando sotto le coperte. “Siamo qui, Tobio-chan, siamo qui...” Aiutò il Principe ad accomodarsi sotto le coperte ma mise il broncio quando allungò alla cieca entrambe le mani per afferrare quelle dei suoi genitori. “Non sei un po’ troppo grande per queste cose?”
Tobio, però, era già tornato nel mondo dei sogni.
Hajime fece una smorfia. “È la prima volta che lo lasciamo completamente da solo.”
“Sì, ma comincia ad essere grande. Non possiamo stare perennemente con lui.
“Come vuoi... Ma non lagnare quando varcherà la soglia dell’adolescenza e comincerà ad ignorarci per giorni interi perso in chissà quale mondo interiore.”
“Oh, come se Tobio potesse mai ignorare me, la sua mamma!” Detto questo, Tooru prese a riempire di carezze e baci i capelli corvini del ragazzino addormentato.
Hajime lo guardò storto. “Chi è troppo grande per fare cosa, ora?”
“Rude, Iwa-chan!”


***

Era appena cominciata la primavera e Tooru non si sentiva più soffocare dalle mura di pietra del Castello Nero. Le cose tra lui e Hajime erano tornate come erano sempre state e Tobio aveva di nuovo l’assoluta attenzione di entrambi i suoi genitori ma qualcosa era cambiato per sempre nel cuore del Re Demone. In lui si era accesa una fame che la conquista di Dateko, se possibile, aveva peggiorato, come le ultime gocce d’acqua nel bicchiere di un uomo assetato.
Gli occhi di Tooru non guardavano lì ed ora. No, si perdevano in un orizzonte pieno di possibilità che aveva sempre avuto a portata di mano ma che era stato troppo pigro per vedere. 
“Buongiorno,” Hajime gli baciò il retro del collo trovandolo chino su delle carte nel loro salottino privato. “Ti cercavo...” Mormorò direttamente contro il suo orecchio. Il Re Demone sorrise e si disse che non lo avrebbe fatto attendere a lungo. “Più tardi,” promise. “Prima voglio farti vedere una cosa.”
Hajime piegò un braccio dietro la schiena distendendosi e Tooru si godette lo spettacolo di quei pettorali tesi, prima di riportare gli occhi scuri sulle carte che stava guardando. “Sai cosa sono queste?”
Il Primo Cavaliere reclinò la testa da un lato. “Sono carte nautiche,” rispose.
“Tutte le rotte che i nostri esploratori sono stati in grado di tracciare spingendosi verso Est, dove finiscono le nostre conoscenze.”
“E perchè c’interessano?”
Tooru gli rivolse un sorriso furbetto. “Diciamo che sto progettando la nostra prossima grande impresa,” rispose un poco enigmatico ma non fu incuriosita l’espressione che Hajime gli rivolse. “In mare?” Domandò scettico.
“Esatto!” Rispose Tooru con euforia. “La terra su cui poggiamo i piedi non è infinita e così non deve esserlo questa enorme distesa d’acqua.”
Hajime si sedette sul bracciolo della poltrona occupata dal suo Re. “E tu cosa pensi di fare?”
“Tracciarne il confine,” rispose Tooru con voce ferma, sorriso sicuro ed occhi luminosi. Hajime lo fissò per un secondo, poi scoppiò a ridere. Il Re Demone mise su il broncio. “Quando sei rude, Iwa-chan! È del nostro glorioso futuro che si parla qui!”
“Io pensavo più ad un cosa tipo invecchiare insieme e badare ai nipotini,” replicò il Primo Cavaliere.
Tooru gli afferrò la mano come se dovesse pregarlo. “Avremo entrambe le cose, un giorno... Ora, però, voglio vivere qualche bella storia da raccontare in futuro o i nipotini sentiranno solo parlare del prode Cavaliere di Seijou volato giù dal dirupo del Castello Nero e tornato a casa tutto intero e non ce ne sarà abbastanza per me!”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Vuoi essere un esempio per le nuove generazioni? Potrei mettermi a ridere di nuovo...”
“Sono serio, Hajime,” gli occhi di Tooru erano grandi e profondi. “È un’avventura che voglio vivere e voglio farlo con te, mio Cavaliere.”
Hajime lanciò un’occhiata alle carte nautiche. “Non è la mia materia.”
Tooru ridacchiò. “Nemmeno la mia ma possiamo imparare. Abbiamo dei porti e delle navi...”
“Sono navi mercantili, Tooru, fanno avanti ed indietro per tutta la costa, tra i vari Regni. Sono rotte conosciute, rotte sicure.”
“È il miglior modo per cominciare, allora,” rispose Tooru. “Rendiamoci conto di come sia vivere per mare e rimandiamo le grandi imprese al prossimo anno, quando gli uomini saranno riposati e avremo una nave costruita appositamente per noi.”
“Abbiamo una nave simile in cantiere?”
“No, ma posso ordinare che lo facciano,” replicò Tooru. “Devi solo dire di sì.”
“Non ho ancora capito a cosa devo dire di sì.”
“Un’estate,” propose Tooru. “Un’estate per mare... Io, te, Tobio e pochi uomini. Saremo di ritorno a casa non appena sarà finita la stagione calda. Impareremo cose nuove e così nostro figlio!”
Hajime ci pensò: erano da poco tornati a casa ma non era che avessero passato gli ultimi mesi a rilassarsi, perciò... Forse...
Gli venne da sorridere ma non volle farlo così venne fuori una smorfia da cui, però, Tooru non si fece ingannare. Saltò su e baciò le labbra del suo Cavaliere con entusiasmo. “Immagina Tobio quanto sarà contento quando glielo diremo.”
“Non è sono poi così certo,” replicò Hajime. “Non è che si possa mettere a tirare frecce ai pesci per passare il tempo.”
Tooru si ridacchiò e si alzò. “Vado a svegliarlo e lo porto qui!”
Hajime annuì distrattamente e prese tra le mani una delle carte nautiche per vedere di capirci qualcosa e controllare se vi fosse qualcosa di simile alle mappe dei piani di guerra a cui era senza dubbio più abituato. Fu non sentire la porta aprirsi e richiudersi che lo indusse ad alzare lo sguardo. 
Tooru si era fermato al centro della stanza, una mano appoggiata sullo schienale di una delle altre poltrone ed il corpo completamente immobile. “Tooru?” Chiamò. Il compagno non si mosse di un millimetro e Hajime lasciò perdere quello che stava facendo per avvicinarsi ed afferrarlo per le spalle. Toori si lasciò andare contro di lui completamente.
“Ehi!” Chiamò Hajime allarmato aiutandolo a mettersi a sedere. “Che cos’hai?”
Tooru chiuse gli occhi, appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e prese un respiro profondo. “Sto bene,” dichiarò sollevando le palpebre. “Un capogiro, nulla di più.”
Hajime sospirò profondamente. “Tooru?”
Gli occhi scuri si sollevarono. “Cosa?”
“È un bel progetto il tuo,” dichiarò Hajime sinceramente lanciando un’occhiata verso il tavolo ricoperto di carte nautiche. “Ma diamoci un anno di tempo, almeno.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Hai appena detto che...”
“Ho cambiato idea,” disse il Cavaliere afferrandogli una mano e baciandone il dorso. “I nostri uomini hanno bisogno di riposo ed anche tu,” aggiunse. “È stata una guerra semplice quella contro Dateko ma hai combattuta tutte le battaglie in prima linea ed è normale che il tuo corpo ne risenta.”
“Conquista...”
“Cosa?”
“Era una conquista la nostra, non dimenticarlo,” disse Tooru come se fosse di fondamentale importanza. 
Hajime non rispose, baciò la mano nella sua ancora una volta e si alzò in piedi. “Vado io a svegliare Tobio, resta seduto.”
Tooru annuì stancamente forzando un sorriso. Quando il suo Cavaliere lo lasciò andare e sparì alle sue spalle, strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile, poi abbassò lo sguardo e si portò una mano in grembo. Trattenne il respiro per una alcuni istanti, poi scosse la testa come a voler scacciare un pensiero molesto. Si fece leva sui braccioli della poltrona ma ricadde a sedere premendosi una mano davanti alla bocca ancora prima di riuscire a drizzare la schiena. 
Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente aspettando che la nausea passasse. Doveva passare e doveva accadere prima che Hajime tornasse insieme a Tobio. Quando, finalmente, il nodo alla gola si fu sciolto e Tooru potè respirare di nuovo regolarmente, appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e prese a fissare il tavolo pieno di carte nautiche di fronte a sè senza vederlo.
Strinse le labbra. Era passato, non c’era niente di cui preoccuparsi, niente su cui valesse la pena spendere dei pensieri.
“Mamma...” Lo chiamò la voce assonnata di Tobio.
Tooru indossò un sorriso falso e salutò suo figlio con una carezza tra i capelli, poi si premurò di cancellare quell’espressione preoccupato dalla faccia del suo Cavaliere con un bacio a fior di labbra.
Hajime non fece più domande e Tooru si sforzò di non pensarci più.



Non ci riuscì.



Passarono pochi giorno, Tooru per poco non collassò a terra nel bel mezzo di una riunione del Consiglio per la riorganizzazione delle terre dopo la guerra di conquista di Dateko e Hajime lo costrinse a letto senza troppa gentilezza.
Era pallido il viso del Re Demone ed il Primo Cavaliere non sembrava voler scendere a compromessi per nessuna ragione.
“Sto bene!” Esclamò Tooru per l’ennesima volta nel giro di poche ore. Aveva smesso di essere dolcemente rassicuramente per trasformarsi in apertamente scocciato già da un po’. 
Hajime camminava avanti ed indietro per la camera da letto come se fossero nel bel mezzo di una crisi di guerra. “Vado a chiamare un Curatore!”
“No!” Sbottò Tooru. “Sto benissimo! Sono solo stanco! Lo hai detto tu che dovremmo riposare dopo l’impresa che abbiamo compiuto questo inverno!”
Hajime fece una smorfia. “Non avevi una faccia tanto brutta da quando aspettavi Tobio!” Commentò.
Tooru trattenne il fiato ma il suo Cavaliere non aggiunse altro e decise che fosse meglio comportarsi come se quelle parole non lo avessero minimamente toccato. “Quanto sei rude, Iwa-chan! Rude!” Esclamò incrociando le braccia contro il petto. “Dov’è Tobio?”
Hajime si fermò, sembrò pensarci e quando lo guardò negli occhi, Tooru seppe che non conosceva la risposta. “Bene...” Fu il suo unico commento.
“Deve essere nella foresta a fare pratica con l’arco!” Tagliò corto il Primo Cavaliere. “O, forse, è fuori a cavalcare! Eravamo in riunione con il Consiglio! Non lo posso legare!”
Tooru ridacchiò. “Anche se ci provassimo, troverebbe il modo di liberarsi comunque.”
Suo malgrado, anche Hajime sorrise. “Sì, hai ragione...” Si sedette sul bordo del letto prendendo tra le sue una della mani del compagno e Tooru lo lasciò fare, godendosi la sensazione di quelle dita segnate da anni di devozione alla spada sul suo palmo liscio. 
“Non lo capirò mai...” Disse Hajime di colpo.
Tooru lo guardò confuso. “Cosa?”
“Come hai potuto distruggerti per anni col tuo arco ma non portarne i segni,” rispose il Primo Cavaliere baciando la mano del suo Re con dolcezza. Tooru adorava quei semplici gesti d’intimità, lo facevano ancora illudere che fosse tutto quello di cui aveva bisogno e che l’ombra della superbia non stesse gridando a gran voce di essere nutrita ancora una volta. Se solo Hajime avesse saputo davvero quello che stava succedendo loro...
“Io ho sempre amato le tue mani, lo sai?” Disse Tooru con un sorriso un po’ triste. 
C’era stato un tempo in cui le mani di Hajime erano state tutto ciò che avesse mai voluto conquistare per sè. Ricordi di un’età perduta. I pomeriggi dei suoi quindici anni passati a guardare quel giovane Cavaliere allenarsi nel cortile intero del Castello Nero insieme agli altri giovani Demoni. La pelle scoperta baciata dal sole, i muscoli che si delineavano stagione dopo stagione e quelle mani che non lasciavano mai andare l’elsa della spada... Mai, neppure una volta...
Tooru si era immaginato molte volte quelle mani su di sè. Si era chiesto se, come sul campo di battaglia, non avrebbero mai lasciato andare nemmeno lui.
Hajime scrollò le spalle. “Sono le mani di un Cavaliere...” Disse, come se fosse scontanto che non avessero nulla di elegante o raffinato.
“Per questo le amo,” si giustificò Tooru sporgendosi in avanti per prenderle entrmbe e portasele al viso. Le baciò con devozione e Hajime lo lasciò fare, le guance un po’ rosse. “Adoro il modo in cui le usi per accarezzarmi. Sento le loro imperfezioni sulla mia pelle e penso che sono le mani di un uomo forte e valoroso quelle da cui mi faccio toccare. Non ve ne sono altre al mondo altrettanto degne...”
E lo credeva. Sì, lo credeva davvero, eppure non riusciva a confessargli di portare in grembo suo figlio per la seconda volta. Un altro miracolo che avevano fatto insieme e in cui non avevano davvero osato sperare. Un desiderio che Tooru aveva espresso pochi anni prima, eppure erano cambiate tante cose da quella notte.
Tooru ripensava a quando aveva scoperto che stava per arrivare Tobio, a tutti i mesi che aveva passato ad aspettarlo con Hajime e a come lo aveva amato più di quanto già non facesse quando il loro Principe era venuto al mondo. Ricordava ogni momento dell’infanzia di Tobio. Ricordava come erano praticamente cresciuti insieme a lui tanto giovani erano.
Ricordava di aver pensato quanto quello che aveva fosse bellissimo, speciale.
Ricordava di essere stato davvero felice.
Eppure, se pensava a quel secondo figlio non ancora nato non riusciva a smettere di chiedersi se lo volesse davvero, se sarebbe stato capace di amarlo e questo lo faceva sentire uno schifo.
“Ehi...” Hajime sottrasse una mano dalla sua presa e gliela appoggiò sulla guancia. “Tooru, se è successo qualcosa...”
Sì, aveva ragione. Avrebbe dovuto parlargliene, avrebbe dovuto mettersi di nuovo nelle sue mani ed avere fiducia in lui. Perchè se c’era una cosa che Tooru non poteva negare, neppure con l’oscurità che gli attanagliava il cuore, era che Hajime non lo aveva mai tradito. Mai.
E sapeva di non poter affermare lo stesso.
“Hajime...” Mormorò umettandosi le labbra. Se si fosse fidato di lui ancora una volta, forse...
“Io...” 
La porta della camera da letto si spalancò senza permesso.
“Tooru!”
Issei e Takahiro si avvicinavano a loro velocemente, il fiato corto. “Che cosa succede?” Domandò il Re con una nota scocciata: non erano certo giunti nel momento migliore.
“Shiratorizawa,” disse Issei.
Tooru sentì freddo di colpo e strinse la mano di Hajime tra le sue con paura.
“C’è un messaggero per te da Shiratorizawa,” completò Takahiro col fiato corto.



Ci fu un momento, uno solo, in cui Tooru temette di entrare nella sua sala del trono e trovarsi un giovane uomo alto, vestito in abiti semplici ma con lo sguardo di chi voleva e poteva conquistare il mondo. Così aveva visto Ushijima per la prima volta a quindici anni e se ne era sentito attratto in una maniera oscura ed incontrollabile che nulla aveva di paragonabile con i sentimenti che provava per Hajime. Si sentì notevolmente sollevato, quando riconobbe uno dei fedelissimi Cavalieri del Re dell’Aquila con addosso il mantello violaceo del Regno di Shiratorizawa e nessuna arma alla mano che potesse renderlo pericoloso. Issei e Takahiro doveva avere preso le dovute preocauzioni prima di chiamarlo.
“Satori...” Disse Hajime alle sue spalle.
Sì, Tooru si ricordava di lui. Ricordava che ordinava un sacco di dolci dalle sue cucine e poggiava i suoi sporchi stivali sul tavolo di ogni salottino dei piani nobili in cui decidesse di accomodarsi. Un tipo rumoroso, perennemente sorridente e con l’aspetto meno raccomandabile di tutti i cani di Ushijima ma non era affatto da sottovalutare.
Senza contare che, in quel preciso caso, non sorrideva nemmeno e questo, se possibile, lo rendeva ancora più inquietante di quanto non fosse.
Appoggiò un ginocchio a terra con rispetto. “Maestà...”
Tooru alzò gli occhi al cielo: il falso rispetto dei suoi antichi nemici lo disturbava più della loro arroganza. “Alzati...” Disse con voce priva di qualsiasi formalità. “Non ricordo di averti mai visto abbasssare lo sguardo quando mangiavi alla mia tavola, camminavi nei miei corridoi e ti rilassavi nei miei giardini.”
Satori lasciò andare una risata prima di gioia nel tirarsi in piedi. “Bei vecchi tempi, eh, Tooru?”
Sì, lo preferiva di gran lunga così: schietto e decisamente capace di portare rispetto.
“Ti sei perso il moccioso ancora una volta?” Domandò Hajime sarcastico. “Perchè, in caso, non l’ho visto e non posso garantire sulla pazienza dei miei uomini in sua presenza.”
“No,” rispose Satori. Non era più un sorriso quello sul suo viso, più un ghigno venuto male. “Sono qui per il tuo Re, Hajime... Nulla di diverso dal solito, dunque.”
Sia Tooru che Hajime si fecero rigidi. “E che cosa vorrebbe il tuo Re da me?” Domandò il Re Demone.
Satori scosse la testa con espressione oscura. “Nulla...”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Se mi stai prendendo in giro...”
“Quello che Ushijima ordina e quello che vuole davvero non sempre corrispondono,” lo interruppe Satori. “Non mi ha mandato lui, non ho messaggi da riferirti in sua vece ma in nome di Shiratorizawa che sono qui.”
“Questa risposta non ha alcun senso,” commentò Hajime irritato. “Se non sei qui per ordine del Re dell’Aquila, perchè mai saresti dovuto arrivare fino alla nostra porta?”
“Per un aiuto,” confessò Satori e non nascose quando gli costasse pronunciare simili parole.
Tooru scoppiò a ridere. “Devi aver battuto violentemente la testa lungo la cavalcata ed aver sbattuto la testa, Satori, perchè non è certo questa la direzione che ti eri prefissato!”
“Sono proprio dove devo essere, Tooru!”
“Come se il Regno di Seijou potesse essere di qualche aiuto al Re dell’Aquila!”
“Ti ha salvato la vita, mi pare,” replicò Satori con voce atona.
Tooru spalancò la bocca ma non disse nulla. Gli occhi verdi di Hajime furono immediatamente su di lui ed il Re Demone non dovette incrociare il suo sguardo per sapere che erano pieni di confusioni. Satori rise divertito. “Non glielo hai deto al tuo Cavaliere, vero?” Domandò conoscendo benissimo la risposta. “Non gli hai detto che, in sua assenza, il Re dell’Aquila ti ha fatto scudo col suo corpo salvandoti da morte certa durante quella caccia al drago, giusto?”
Hajime non credeva alle sue orecchie. “Tooru...”
“Sono successe tante cose dopo, non lo ritenevo importante,” tagliò corto il sovrano lanciando al compagno una breve occhiata. “Non vedo perchè ora sia importante.”
“Perchè c’erano almeno altri due sovrani ad assistere al fatto e ad essere consapevoli del tuo debito, non vorrai mica che, oltre alla fama di conquistatore, di te si spargano anche voci sulla tua poca gratitudine.”
“Piantale con queste inutilità e dimmi cosa vuoi, Satori!”
“Che vieni con me.”
“Dove?”
“Al Castello Bianco sul mare, ovvio.”
Tooru sgranò gli occhi. Quel Cavaliere doveva essere del tutto impazzito! Come se lui, il Re Demone, potesse mettersi in viaggio verso il Castello del Re dell’Aquila senza un esercito al seguito!
“Ti rendi conto che è pura follia la tua, vero?” Domandò Hajime con calma e Tooru dedusse che non lo aveva preso sul serio.
“Credimi, Primo Cavaliere, di follia ho imparato fin troppo nell’ultimo inverno e non mi fa piacere ammettere che è stato il mio stesso Re a darmi qualche lezione.”
Tooru inarcò la fronte senza capire ma non ebbe bisogno di porgere domande perchè Satori aveva pronta per loro una notizia che li avrebbe atterriti senza bisogno di spiegazioni approfondite. “Abbiamo conquistato il Re di Fukurodani questo inverno,” confessò.
Tooru trattenne il fiato e Hajime fece due passi in avanti con urgenza. “Com’è possibile? Sono nostri alleati, avrebbero...”
“Non ne hanno avuto il tempo,” lo interruppe Satori. “Eravamo su di loro prima della fine dell’anno. Non se lo aspettavano, molte delle loro truppe erano disseminate tra le montagne per la questione del drago e i Cavaliere migliori erano già morti nell’impresa di abbatterlo. Non importa quanto un esercito sia grande o potente, è molto più facile abbatterlo quando è sparpagliato e tu hai già messo in ginocchio il Re a cui risponde.”
Tooru si rese conto di star tremando. 
“Inoltre, è caduta tanta neve durante l’inverno che siamo rimasti isolati a nostra volta al Castello dei Gufi per mesi.”
“Keiji...” Riuscì a dire Tooru, alla fine. “Il consorte reale, lui...”
“Sta bene,” lo rassicurò Satori. “È rinchiuso nella torre, della nostra prigione... Praticamente una camera da letto reale con un lucchetto. Il Re dei Gufi, invece, è al piano di sotto... Nelle segrete, per capirci.”
“Con che diritto quel bastardo ha compiuto un abominio simile?” Domandò Hajime.
“Nessuno,” rispose Satori. “È proprio questo il punto. Ushijima non ha mandato avanti una guerra di conquista ma di distruzione totale. Fukurodani è ridotta peggio di come ne sarebbe uscita dopo il passaggio di quel drago che tanto temevano.”
Tooru strinse i pugni. “E per cosa chiederesti il mio aiuto esattamente?” Domandò. 
“Voglio che tu gli parli...”
Tooru si voltò di colpo e fece per andarsene.
“Non agisce più per ragioni politiche ma per pura rabbia!” Esclamò Satori. “Gli è successo qualcosa e solo tu puoi rimediare!”
Il Re Demone tornò a guardarlo con un sorriso isterico. “Fammi capire,” disse passandosi una mano tra i capelli nervosamente. “Io dovrei essere causa e soluzione di ogni follia del vostro Re? Eita l’ha fatto per primo ed ora tu.”
“Eita non è più parte di questo mondo, Tooru.” La confessione di Satori ebbe il potere di congelare la rabbia del Re Demone in un singolo istante.
“Che cosa?” Domandò Hajime allibito. “È giovane e un Mago, maledizione! Che cosa può essergli mai successo?”
“Un prezzo da pagare...” Mormorò Tooru atterrito. “C’era un prezzo da pagare.”
Satori annuì con aria grave. “È stato abbastanza forte da rimandare il pagamento per un decennio.”
Tooru provò a parlare di nuovo ma le labbra gli tremavano pericolosamente. “Ushijima ha chiesto di me?” Domandò con atteggiamento notevolmente più collaborativo e Hajime lo guardò esterrefatto. 
“No,” rispose Satori. “Non mi avrebbe mai chiesto di venire qui a prenderti ma il tuo nome è l’unico che pronuncia nei suoi deliri dopo quello di Eita.”
“Di che deliri stai parlando?”
“Il Re dell’Aquila è solo l’ombra dell’uomo che conoscevi,” rispose Satori. “Ma non è meno pericoloso di quanto lo fosse prima, solo privo di ragione.”
Hajime si mise tra il suo Re e l’altro Cavaliere. “Non abbiamo alcun aiuto da offrire.”
Satori sospirò. “Con tutto il rispetto, Hajime... Fukurodani è stato la prima vittima della sua rabbia contro il mondo e gli mancano pochi passi prima di distruggere completamente l’impero che ha costruito ma se Shiratorizawa affonda, si premurerà di portare giù con sè tutto ciò che gli è vicino e i nostri Re si sono toccati anche troppe volte lunga la strada perchè il tuo sovrano possa ritenersi al sicuro.”
Tooru sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi. “Hajime...”
“No!” Sbottò il suo Primo Cavaliere voltandosi verso di lui.
“Se non vado io, potrebbe venire lui ed allora sappiamo entrambi chi sarà a pagarne il prezzo più di ogni altro!” 
Hajime pensò a Tobio, alla loro gente, a chiunque non avesse nulla a che fare con tutta quella storia assurda ma fosse sulla prima linea per essere colpito dalle conseguenze a lunga scandenza della stessa. Scosse la testa con espressione disperata. “No...”
“Il nostro esercito è stanco,” disse Tooru cercando di mantenersi composto. “Se scoppiasse una guerra prima dell’inverno, noi... Non posso permettere che accada.”
“Io non posso permettere che tu vada alla corte di un Re folle che ci ha già fatto del male innumerevoli volte!”
“Non gli farà nulla,” disse Satori quasi annoiato da tanta protettività. “E’ una delle poche cose di cui sono certo. Se venisse qui, nello stato in cui versa ora, potrebbe uccidere te ed il tuo bambino ma sta pur tranquillo che non toccherebbe lui...” C’era un insopportabile sarcasmo nella voce di Satori e Hajime si chiese che cosa lo trattenesse dal spaccargli la faccia.
“Perchè lo fai?” Domandò il Primo Cavaliere.
“Perchè Tooru è l’unico che può rimettere insieme il mio buon vecchio amico e Re ed io, suo figlio e la sua gente ne ha un gran bisogno... Senza contare tutti quelli che rischiano di far la fine di Fukurodani.”
“Shiratorizawa verrà distrutta per questo!”
“E da chi, Primo Cavaliere? Una questione era cacciarci a calci dalle vostre terre, invadere le nostre e distruggerci non è una cosa che quattro Regni insieme possono sperare di fare, specie se uno è già divenuto nostro territorio e l’altra è Karasuno. Dal Regno di Nekoma mandano messaggi per riscattare il Re dei Gufi ed il suo consorte ma non hanno mosso un soldato per farla pagare al Re dell’Aquila, non sono tanto stupidi e, se lo conosco bene, non lo è neanche lui,” concluse Satori guardando Tooru.
“Questa tirannia finirà prima o poi,” sibilò Hajime stringendo i pugni.
Satori scrollò le spalle. “Ci vorrebbe un miracolo. No, un eroe... Forse, un mostro. Di sicuro, sarebbe una storia che diventerebbe leggenda, nel qual caso un evento simile si verificasse.”
“Hajime,” Tooru lo chiamò gentilmente prendendo le mani del suo Cavaliere nelle sue. “So di aver...”
“Tooru, no!”
“So di averti chiesto prove di fiducia innumerevoli volte, amore mio,” mormorò il Re Demone forzando un sorriso. “Ma io ho il compito di proteggere te e nostro figlio, oltre che la nostra gente, lo capisci?”
“Questo è un compito mio!”
Tooru gli premette l’indice contro le labbra. “Non questa volta, Hajime,” mormorò. “Non questa volta...”
Gli occhi verdi si riempirono di lacrime mentre il Primo Cavaliere si scontrava per l’ennesima volta contro la sua impotenza. “Se ti succede qualcosa...”
Tooru gli sfiorò le labbra con le proprie. “Fidati di me un’ultima volta, ti prego...” Guardò il Cavaliere di Shiratorizawa di fronte a loro. “Quando vuoi partire?”


***


Tooru non si era mai fermato realmente a cercare d’immaginarsi il Castello Bianco.
Forse, lo aveva fatto a quindici anni, quando la possibilità di divenirne il sovrano era stata più realistica di amare Hajime liberamente per quasi tre lustri. Comunque, non serbava alcun ricordo di quelle fantasie e avrebbe mentito se non avesse ammesso che la prima cosa che aveva pensato di quel posto era che fosse bellissimo.
La spiaggia era bianca, il mare azzurro e calmo ed il sole era abbastanza brillante da dar l’impressione che quelle torri brillassero di luce propria. Un castello decisamente favoleggiante per un sovrano che ricordava essere pragmatico e razionale. Tooru seguì Satori stando attento a non farsi scivolare il cappuccio scuro da sopra la testa: non credeva dovesse rimanere un segreto la sua presenza corte ma nemmeno ci teneva a sbandierarla ai quattro venti prima di giungere al cospetto del padrone di casa.
Tooru non prese particolare nota delle scuderie in cui lasciarono i cavalli o dei lunghi corridoi dalle pareti bianche che attraversarono a passo svelto. Cominciò a guardarsi intorno solo quando cominciarono a salire una larga scala a chiocciola dai gradini di marmo. Le piccole finestre che superavano di pari passo gli suggerivano che le stanze che stavano per raggiungere dovevano affacciarsi sul mare.
“Stiamo andando nei suoi appartamenti?” Domandò fissando il paesaggio oltre il vetro.
“Come se lo si potesse trovare in un altro posto da quando siamo tornati dal Castello dei Gufi,” rispose Satori con una nota di sarcasmo. 
Tooru decise d’ignorarla e continuò a camminare. Sembrarono passare ore prima che raggiungessero la cima della torre ritrovandosi davanti ad una porta chiusa. Satori la fissò come se avesse potuto aprirsi da sola, poi sospirò e si voltò verso il Re Demone. “Il resto lo lascio a te...”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Prego?”
“Non bussare, si finge sordo... Oppure muto. Comunque entra senza troppe cerimonie.”
“E tu dove vai?”
Satori inarcò un sopracciglio. “Aspettavi che ti accompagnassi dentro tenendosi per mano?”
Tooru alzò gli occhi al cielo e lo superò seccato: non aveva bisogno di quel buffone di corte per fare qualunque cosa dovesse fare... Gli sarebbe piaciuto averla chiara almeno nella sua testa, però.
Guardò la maniglia della porta come se il solo aprirla avesse potuto condannarlo ad una fine orribile, poi si voltò e vide che Satori attendeva con un ghigno che compiesse il passo decisivo. Tooru provò l’improvviso desiderio di spingerlo giù per quelle scale e scommetere con se stesso quante ossa si sarebbe rotto nel processo ma decise d’imprimere tutta la rabbia nel modo in cui abbassò quella maniglia e spalancò quella porta. Se la richiuse alle spalle prima di avere il tempo di registrare quello che stava facendo: non era certo che sarebbe riuscito ad arrivare fino in fondo, altrimenti.
Quello che si ritrovò davanti non si avvicinava nemmeno a quello che si era aspettato di vedere.
La stanza era circolare, con almeno quattro finestre che permettessero alla luce del giorno d’illuminarla ma non era una camera da letto. Non perchè fosse troppo fredda. Vi era un letto appoggiato contro il muro opposto a quello della porta ma questo non bastava a render quel posto ciò che avrebbe dovuto essere. Un giovane dai capelli biondi ed il viso pallido giaceva sopra le coperte, le mani deposte in grembo, un vestito regale addosso ed una corona dorata poggiata sul capo. C’erano fiori variopinti tutt’intorno a quel giovane corpo immobile.
Tooru fece aderire la schiena alla porta chiusa, gli occhi scuri divenuti grandi per un oscuro senso di orrore che non si riusciva a spiegare. Eita continuava ad essere bellissimo anche nella morte, eppure era terribile da guardare.
Quella non era una camera da letto, era una tomba.
Un uomo sedeva accanto al letto, il corpo completamente abbandonato sulla poltrona e gli occhi rivolsi verso la finestra al suo fianco da dove si vedeva il mare e l’orizzonte sconfinato.
Tooru aprì la bocca un paio di volte, prima di riuscire a parlare. “Ushijima...”
Il Re dell’Aquila doveva essersi reso conto della sua presenza solo in quel momento perchè si voltò molto lentamente nella sua direzione e lo guardò con un’espressione che Tooru non avrebbe mai creduto di vedere su quel viso, come se si fosse appena svegliato da un brutto sogno.
Era troppo lunghi quei capelli castani e i lineamenti scolpiti erano stati nascosti da un sottile strato di barba. Satori aveva ragione: Ushijima non era neanche l’ombra di se stesso.
“Sei davvero qui?” Domandò.
“Sì,” Tooru annuì e fece un paio di passi in avanti, come se questo avesse potuto provare le sue parole. “Sono qui. Sei sveglio, Ushijima.”
Per assurdo, quella scena sembrava l’immagine speculare di un’altra che avevano vissuto molti anni prima, quando Tooru era stato ad un passo della morte. Se possibile, il Re dell’Aquila sembrava giacere in una condizione peggiore della sua di allora ma non c’erano ferite a piegare il suo corpo. Era un altro tipo di dolore quello che lo schiacciava e Tooru dovette ripetersi in silenzio quanto Satori gli aveva raccontato su Fukurodani perchè le emozioni non lo trascinassero con loro verso mete sconosciute e che era meglio restassero tali.
“Il tuo vecchio amico Satori era molto preoccupato per te,” disse per giustificare la sua presenza. “Mi ha raccontato quello che hai fatto e,” lanciò un’occhiata veloce al letto, “quello che è successo.”
C’erano degli evidenti segni neri sotto gli occhi taglienti di Ushijima. Non doveva dormire da innumerevoli notti e, forse, non aveva toccato cibo da un po’. “Perchè sei venuto?” Domandò. “Per quello ho fatto o per quello che è successo?”
“Per quello che hai fatto, prima di tutto,” ammise il Re Demone, mentire sarebbe stato inutile. “Sei un conquistatore, Ushijima, la distruzione ti accompagna ovunque vai... Ma, questa volta, Satori ha avuto ragione di preoccuparsi.”
“Koutaro non è il primo che riceve un trattamento simile da me.”
“Tu rispetti Koutaro,” replicò Tooru. “Lo rispetti perchè nei duelli è sempre riuscito a tenerti testa e non ha mai abbassato la testa, nonostante non ti abbia mai sconfitto.”
“È uno dei Regni più potenti che abbia mai messo in ginocchio,” disse Ushijima. “I miei avi vi hanno provato diverse volte senza riuscirci, come quelli di Koutaro ci hanno provato con le mie terre. Il nostro mondo è pieno di storie come questa, anche tra Seijou e Karasuno ci sono trascorsi simili.”
“Io non ho piegato Daichi per sfogare una rabbia del tutto personale.”
“Hai rischiato la vita per dare la caccia ad un drago per soddisfare una sete del tutto personale, Tooru. Non dimenticarlo.”
“Non l’ho mai negato...”
“Invece sì... Ti è piaciuto farlo passare come un gesto per sdebitarti di quanto Koutaro aveva fatto per te durante la nostra guerra. Non hai avuto il coraggio di ammettere con nessuno che, lì, tutto era sacrificabile meno la tua vittoria.”
Tooru strinse i pugni. “Mi chiami nei tuoi incubi, mi hanno detto.”
“E che altro nome dovrei chiamare, oltre al suo?” Ushijima guardò Eita ed il Re Demone si ritrovò a fare lo stesso. “Non mi ha raccontato tutta la storia fino all’ultimo,” aggiunse. “Mi aveva detto che per avere nostro figlio aveva avuto bisogno del tuo sangue ma non avevo idea che fosse arrivato a toccare il lato oscuro della Magia per farlo.”
Tooru fece una smorfia. “Lo hai avuto per tutta la vita ma non lo hai mai conosciuto...”
Per un attimo, Ushijima tornò ad essere il Re freddo e privo di espressione che era sempre stato. “Tu sì?”
“A differenza tua, so cosa vuol dire amare disperatamente,” disse Tooru quasi con astio. “Eita ti amava così e non riuscirò mai a spiegarmi perchè.”
“Ti sei mai chiesto perchè Hajime ti ama?”
“Non fare paragoni assurdi, ora...”
“È esattamente la stessa cosa, Tooru,” insistette Ushijima. “Abbiamo passato tutta la nostra vita con loro, li amiamo, non possiamo farne a meno ma non sono come noi, non ci comprenderanno mai. Amavo te, volevo te ma non avrei mai rinunciato a lui.”
Tooru lo guardò disgustato. “Che pezzo di...”
“La sola differenza è che lui lo avrebbe accettato e tu no.”
“Non ti fai schifo a dire simili cose sulla sua tomba, Ushijima?”
“Non è morto,” replicò il Re dell’Aquila con voce atona. 
Tooru lo fissò come se fosse completamente impazzito e, forse, lo era davvero. “Sono davanti al suo cadavere.”
“Sei di fronte ad un giovane uomo completamente immobile che versa in questo stato da settimane,” disse Ushijima alzandosi in piedi. “E’ lieve il suo respiro ma è reale...”
Tooru fece per dargli del pazzo quando i suoi occhi videro esattamente quello che l’altro stava cercando di fargli vedere: il petto di Eita si alzava appena ma era sufficiente perchè confermasse che c’erano ancora segni di vita in quel corpo. Tooru si portò una mano alla bocca ed indietreggiò terrorizzato. “Com’è possibile?”
“Ho abbastanza superbia per distruggere un Regno per sfogo,” rispose Ushijima, “ma non abbastanza per credere di comprendere la Magia nera.”
“Ma com’è successo?”
“In nessun modo,” raccontò il Re dell’Aquila. “Si è addormentato accanto a me e, al mattino, non si è più svegliato.”
“Oddio...” Tooru si passò una mano tra i capelli.
“Ho provato a svegliarlo fino a diventare pazzo ed allora sapevo che se non avessi rivolto tutta la mia rabbia contro un oggetto di conquista, lo avrei fatto contro chi mi è più vicino.”
Il Re Demone sgranò gli occhi come un’intuizione prese forma nella sua mente. “Tuo figlio...”
Ushijima strinse i pugni. “C’è stato un momento di follia dilatato nel tempo fino all’esasperazione in cui ho pensato che se avessi restituito al destino ciò che Eita aveva voluto darmi attraverso le vie oscure di questo nostro mondo, forse... Una vita per una vita, dopotutto.”
“Dopo tutto quello che è successo perchè quel bambino nascesse?” Urlò Tooru. “Per cosa pensi che Eita sia ridotto in questo stato? Per cosa pensi che le nostre strade si siano incrociate disseminando distruzione intorno a noi ed infondendo dolore in chi abbiamo sempre amato?”
I loro visi erano a pochi centimetri di distanza ora. “Ti ha amato, per un erede è stato disposto a spingerti verso chi poteva dartelo e quando ti ho rifiutato mi hai dichiarato guerra con la scusa di amarmi. L’ho aiutato ad avere un figlio da te, io ne ho avuto uno con l’uomo che amo e tu sei tornato da chi ti amava davvero. L’erede per cui hai mandato in pezzi le nostre vite è nato e tu avresti gettato al vento qualsiasi sacrificio perchè hai comunque perso qualcosa nel processo?”
Ushijima non rispose.
“Ma che diavolo vuoi, Re dell’Aquila?” Urlò Tooru esasperato.
“Tutto...” Rispose Ushijima senza esitare. “Volevo te. Volete il mio erede. Volevo Eita. Volevo tutto alle mie codizioni.”
“Non ti basta essere Re per questo, Ushijima. Dovresti essere un dio!”
“Ed io sono quanto di più vicino ci sia ad un dio in questo mondo!” Esclamò Ushijima. “Tu lo sai... L’hai saputo nel momento in cui hai cominciato a chiamarmi mostro.”
“Provalo!” Urlò Tooru. “Se sei un dio, provamelo!”
Gli occhi di Ushijima cambiarono di colpo, gli occhi si fecero più dorati, le pupille più sottili. Il Re Demone si pentì amaramente di qualsiasi cosa avesse detto ma il terrore lo congelò al punto che non riuscì a pronunciare parola.
Il Re dell’Aquila fece scivolare una mano sul retro del suo collo, infilando le dita tra i capelli sulla nuca. “Eccoti la tua prova...” Mormorò.
Dopo, ci fu solo vento e mare... E cielo.



Quando rimisero piede e terra, Tooru si sentì mancare e Ushijima lo sorresse mentre scivolava a sedere sulla sabbia tiepida. Gli occhi scuri erano sgranati, la bocca spalancata ed il respiro spezzato.
“Mi spiace,” disse il Re dell’Aquila con sincerità. “Non era mia intenzione spaventarti così. Quando lo faccio con i miei uomini, riesce quasi ad essere piacevole. Tutti desiderano volare una volta nella vita, dopotutto.”
Tooru continuò a fissare il vuoto di fronte a sè, si avvolse le braccia intorno al corpo sebbene non avesse freddo. “Il modo in cui riuscivi a spostare il tuo esercito...” Mormorò con voce rotta. “Il modo in cui riuscivi a muoverti senza che nessuno ti notasse.”
“Ti ho osservato per molto tempo,” confessò Ushijima. “Dopo la fine della guerra, fino a che Eita non è venuto a cercarti...”
Tooru lo fissò terrorizzato. “Ti sei avvicinato alla mia famiglia?”
“Volevo vedere tuo figlio,” ammise il Re dell’Aquila. “Non avrei mai potuto farlo in un incontro ufficiale. Mi sono infilato nella vostra stanza della tenuta di campagna quella sua prima estate...”
Tooru strinse gli occhi e le lacrime presero a rigargli le guance. “Volevo solo avere il potere di sconfiggerti...” Aveva passato anni a cercare di superare quello che era a tutti gli effetti un dio. Si era distrutto per combattere un nemico che non avrebbe mai avuto la forza di mettere in ginocchio.
“Tu puoi averlo quel potere...”
Tooru fissò il Re dietro di lui da sopra la sua spalla. “Hai ancora voglia di umiliarmi, Re dell’Aquila?”
“Non ho mai voluto farlo,” replicò Ushijima appoggiando un ginocchio a terra per poterlo guardare dritto negli occhi.
“Mi hai massacrato in duello a quindici anni...”
“Mi hai ferito tu per primo, Tooru.”
“Non ti amavo,” ripeté il Re Demone per l’ennesima volta nella sua vita. “Amavo Hajime...”
Ushijima lo fissò per un lungo minuto. “Ed è ancora così?” Domandò.
Tooru lo guardò con astio e non rispose. “Tu ed Eita siete stati felici?” Domandò, invece. “Lui era convinto che un figlio fosse l’unica cosa che mancava a rendervi tali.”
Qualcosa di umano comparve in fondo allo sguardo del Re dell’Aquila, qualcosa a cui, però, Tooru non si azzardò a dare un nome. “Sì...” Rispose senza pensarci troppo. “Tsutomu ha impiegato quattro mesi e mezzo a venire al mondo. Inutile dire che è stata un’impresa per il corpo di Eita. Non appena nostro figlio ha emesso il primo vagito, ha sorriso, l’ho baciato e poi è collassato tra le mie braccia. Non perdeva sangue, non c’era nulla che spiegasse quello che gli stava succedendo...” Gli occhi taglienti si voltarono a guardare il mare e l’orizzonte sconfinato. “E’ stato allora che ho cominciato a capire che tipo di magia dovevate aver usato e mi sono detto che doveva essere quello il pezzo da pagare... La vita di nostro figlio per la sua...”
“Eita, però, ce l’ha fatta,” concluse Tooru. “Avete avuto la vostra vita insieme.”
“Sì,” Ushijima annuì. “Per dieci anni non ho avuto ragione di voltare lo sguardo da nessun’altra parte.”
“Fino alla caccia al drago...”
“Eita aveva cominciato ad indebolirsi,” spiegò Ushijima. “Pensava che se avessi portato Tsutomu via per un po’, saremmo riusciti a non incupire nostro figlio con qualche scomoda verità riguardo alla sua nascita.”
“Non sa niente, vero?”
“Non c’è ragione per cui lo debba sapere.”
Tooru annuì. “Hai attaccato il Regno di Fukurodani dopo che Eita si è addormentato per non risvegliarsi più.”
Ushijima non lo guardava. “Quando sono tornato a casa sconfitto per la prima volta nella mia vita, Eita ha continuato ad amarmi fingendo che tu non esistessi. Io gli ho confessato tutto e lui ha continuato a fare finta di nulla, fino a che non me ne sono andato per vedere tuo figlio. Dopo che è nato Tsutomu, però, le cose sono andate al contrario. Era Eita a parlare di te, ero io a fingere di averti dimenticato. Parlava di come facevi il genitore, parlava di come Hajime faceva il padre...”
Tooru non si fece sfuggire il modo in cui la voce del Re dell’Aquila si era fatta più fredda nel pronunciare il nome del suo Cavaliere. 
“Sai qual’è stata l’ultima cosa che mi ha detto Eita?” Era oscura l’espressione del Re dell’Aquila. “Ha detto di provare pietà per me perchè pretendevo che il mio amore per te avesse qualche possibilità contro quello di Hajime. Mi ha pregato di rinunciare perchè non sono in grado di amare come lui e non lo sarò mai.”
Tooru fece per dire qualcosa ma Ushijima andò avanti. “Gli ho chiesto come faceva ad esserne tanto sicuro e mi ha risposto che se Hajime fosse al mio livello, avrebbe accettato di essere suo complice nel punirci.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
“Non lo sapevi?” Ushijima si alzò in piedi e lo guardò dall’alto al basso. “Eita ha tentato di sedurre Hajime quando te ne sei andato per combattere la rivoluzione. Il tuo Cavaliere ha detto no.”
Tooru si alzò in piedi molto lentamente.
“Assurdo, vero?” Commentò il Re dell’Aquila. “Io ho toccato te. Hajime avrebbe potuto toccare Eita ma non l’ha fatto ed io sono quello sconfitto tre volte.” Solo allora pose attenzione all’espressione sul viso dell’altro. “Non lo sapevi...” Non era una domanda.
Tooru non rispose, poi incrociò le braccia contro il petto. “Non è successo niente, no?” Disse senza guardarlo in faccia. “Non aveva motivo di parlarmene...”
“Al contrario,” replicò Ushijima. “Proprio perchè non è successo niente avrebbe dovuto dirtelo.”
“Non siamo qui per parlare di questo!” Esclamò Tooru, poi prese a camminare verso il Castello Bianco in lontananza. “Voglio rientrare, ho freddo!”
“Se lo desideri...” disse Ushijima superandolo. “C’è ancora una cosa che devo mostrarti, dopotutto.”




Il Re dell’Aquila era stato gentile con lui, Keiji non lo poteva negare.
Certo, gentile come poteva esserlo il conquistatore e distruttore della sua casa.
Erano vivi, però. Koutaro nelle segrete del Castello Bianco e lui nella cella riservata ai prigionieri politici di spicco ma potevano ancora sperare. Non c’erano sbarre alle finestre e solo una guardia era fuori dalla sua porta: Ushijima non lo riteneva pericoloso nelle condizioni in cui versava ed aveva ragione. Keiji non aveva smesso di combattere ma proteggere la loro bambina era il solo modo in cui potesse farlo al momento.
Fece una smorfia dolorante all’ennesimo calcio che la piccola gli assestò, poi sorrise con se stesso accarezzandosi la pancia. “Sei come tuo padre, eh?” Domandò alla stanza vuota. “Non ce la fai proprio a stare ferma...”
Una serie di movimenti bruschi nel corridoio lo misero in allerta immediatamente.
“Non hai l’ordine di farmi passare? Ma tu lo sai chi sono io, razza di idiota?!” La porta della cella si spalancò e si richiuse con violenza. Keiji impiegò un istante di troppo prima di riconoscere il giovane con ler corna che era comparso davanti a lui senza farsi annunciare.
Tooru emise un sospiro di sollievo nel vederlo. “Stai bene...” Commentò facendosi più vicino.
Keiji fece per sollevarsi. 
“No, no,” disse il Re Demone gentilmente avvicinandosi abbastanza da posargli le mani sulle spalle. “Non c’è bisogno che ti alzi,” sorrise e si accomodò su di un poggiapiedi accanto alla poltrona occupata dal consorte reale di Fukurodani.
“Sei veramente qui?” Domandò Keiji smarrito.
Tooru sorrise. “So di essere una visione ma non fino a questo punto. Non in questo Regno, comunque.”
“Hai visto Koutaro?” Domandò l’Arciere. “Se qui per...”
Il Re Demone scosse la testa. “Credo che l’unica ragione per cui mi ha permesso di vedere te sia di tipo pratico,” indicò il tesoro prezioso che ancora Keiji custodiva dentro di sè. “Ha un nome?”
Keiji si guardò la pacia, poi sbuffò. “Koutaro ne ha scelto uno ma... Sai, no? È Koutaro.”
Tooru ridacchiò. “Che nome ha scelto?”
Keijiko...” Mormorò il consorte reale di Fukurodani.
Il sorriso sul di Tooru morì immediatamente. “Eh?”
Keiji alzò gli occhi al cielo. “Esatto...”
Il Re Demone rise. “Lo hai detto tu! È Koutaro!”
Keiji si appoggiò entrambe le mani in grembo. “Non l’ho mai preso realmente in considerazione prima degli ultimi eventi.”
Tooru abbassò lo sguardo. “Non lo sapevamo, Keiji, noi...”
“Non è colpa vostra,” lo interruppe Keiji. “Non è colpa di Kuroo. Non è colpa di...” Prese un respiro profondo. “Ci siamo arresi quasi subito,” raccontò. “Non avevamo l’esercito pronto ed Ushijima non si limitava ad avanzare verso di noi, faceva terra bruciata intorno a sè come se volesse distruggerci uno ad uno. Che ragione aveva di farlo? Era lì per conquistarci, avrebbe dovuto ricostruire tutto, una volta vinta la guerra.”
“Non è stata una guerra di conquista, Keiji.”
“Lo abbiamo capito,” replicò l’Arciere. “Troppo tardi ma lo abbiamo capito. Ci ha portati con sè per tenere buona la nostra gente, per impedire ai nostri alleati di organizzare un’offensiva contro di lui... Una precauzione inutile, nessuno si getterebbe mai contro un nemico come il Re dell’Aquila, nemmeno per un vecchio amico. Tu e Kuroo avete la vostra gente e la vostra famiglia da proteggere e lui lo sapeva.”
Keiji portò lo sguardo verso l’orizzonte sconfinato oltre la finestra e Tooru decise di cambiare discorso. “Siamo in primavera,” notò. “La tua bambina dovrebbe arrivare a momenti.”
Keiji sospirò. “A stento riesco a mantenere la calma se penso che verrà al mondo in una cella,” si voltò verso il Re Demone. “Ma tu come hai fatto? Hajime era morto per te e Tobio era molto più fragile di quanto lo fosse lei ora.”
Tooru scrollò le spalle. “Ushijima mi ha dato la possibilità di uscirne, lo sai. Ora, non agisce razionalmente, per questo ha raso al suolo le vostre terre... È rabbia la sua, non mera sete di potere. Koutaro era semplicemente il bersaglio perfetto su cui sfogarsi.”
Keiji si accarezzò la pancia. “Voleva esserci durante la nascita della bambina,” raccontò. “Gli dissi che sarebbe collassato per terra dopo cinque minuti e si è offeso... Ha sempre quel broncio da bambino quando si offende. Ora, vorrei che fosse accanto a me...”
Tooru annuì. “Sì, lo so...”




Tooru cenò con il Re dell’Aquila quella sera.
Non che avesse una gran voglia di mangiare, ma doveva seguire le regole del gioco fino a che era lì. 
“Satori non ha agito di testa sua,” disse facendo ondeggiare il vino del suo calice con sguardo assente. “Lo hai mandato tu, ormai non ne dubito.”
Ushijima lo guardò dalla parte opposta del tavolo: si era rasato, aveva indossato degli abiti degni di un Re e aveva fatto servire un cena degna dell’ospite più illustre. La carta della disperazione era stata efficace per trarre Tooru in inganno ma ora aveva ben poco valore dopo quell’improvvisa ripresa.
“Non mi sembra che tu stia per scappare,” gli fece notare Ushijima. “Sarebbe la mossa più naturale dopo aver compreso di essere caduti in una trappola.”
Tooru fece una smorfia. “Sono un tuo prigioniero anche io, ora?”
“No,” Ushijima scosse la testa. “Ho bisogno di te per il bambino di Keiji.”
Tooru ridacchiò. “Inventane un’altra, Ushijima!” Esclamò. “Per far nascere un bambino serve un Curatore ed allora avresti convocato Kenma, non me. No, era importante che Satori mi spaventasse con la storia di come hai distrutto il Regno di Fukurodani. Non poteva dirmi chiaramente il prossimo sarai tu, sarebbe stata una minaccia vera e propria allora.”
“No, Tooru, non è mia intenzione distruggerti...”
Il Re Demone appoggiò il calice di vino sul tavolo. “Perchè sono qui, dunque?”
“Perchè hai deciso di venirci?”
“Per evitare che la tua follia arrivasse fino alle porte della mia casa,” rispose Tooru senza pensarci.
Ushijima lo fissò con occhi taglienti. “Solo questo?”
Il Re Demone reclinò la testa da un lato. “Mi hai mentito oggi, vero? Tutto il dolore per Eita è stata solo una farsa.”
Il Re dell’Aquila scosse la testa. “No...”
“Si è addormentato per sempre sbattendonti in faccia quanto il tuo potere fosse niente in confronto all’amore che il mio Cavaliere prova per me,” gli fece notare Tooru. “Dovevi essere arrabbiato con lui. Molto arrabbiato... Tanto da dover dimostrare a te stesso che col tuo potere potevi distruggere la terra e la felicità di un altro Re, vero? Era la tua rivincita. Incapace di amare degnamente ma ancora un maestro in materia di conquista e distruzione. Sei un Re, dopotutto. Non si chiede ai Re di amare, solo di essere potenti... Eita avrebbe dovuto tenerlo in considerazione...”
“Mi ha detto quelle cose perchè gli ho mentito,” disse Ushijima con tono casuale.
Tooru sollevò gli occhi scuri dalla tavola e lo fissò. 
“E’ accaduto l’ultima notte che abbiamo passato insieme,” raccontò. “I rapporti tra di noi si erano raffreddati dopo la caccia al drago. Eita se ne era accorto e tentava di sedurmi come un compagno è capace di fare e quella notte lo avevo assecondato. Deve aver capito che qualcosa non andava dal modo in cui l’ho amato, suppongo.”
“Mi hai detto che siete stati felici...”
“Lo siamo stati,” confermò Ushijima. “Solo che Eita avrebbe potuto vivere di quella felicità per sempre, io no. Penso che mi abbia spinto verso quella caccia al drago per permettermi di assaggiare ancora quel potere da Re invincibile che non ho più provato dopo la sconfitta che ho subito contro di te. Eita aveva ragione quando ti ha detto che un figlio era tutto ciò che mancava alla nostra felicità... Lo credevo anche io. Credevo che, una volta nato Tsutomu, la mia famiglia sarebbe stata l’unica cosa capace di attirare completamente la mia attenzione.”
Erano sincere le parole di Ushijima.
“Non è stato così,” concluse. “Mio figlio cresceva, il mio compagno mi amava ed io continuavo a fissare l’orizzonte desiderando di più. Quella notte è stato lui a chiedermi se mi mancava qualcosa. Gli ho detto che l’amavo, che mi aveva reso felice e che non desideravo altro. Non mi ha creduto...”
Tooru abbassò lo sguardo. “Hai mentito solo sull’ultima parte?”
“Sì, gliel’ho giurato ma non c’è stato niente da fare,” rispose Ushijima. “Allora mi ha detto che se al suo posto ci fossi stato tu, sarebbe stato diverso per me.”
Gli occhi scuri del Re Demone tornarono su quelli taglienti del Re dell’Aquila. 
“Eita ha detto che mi ha dato tutto quello che volevo ma non quel di cui avevo bisogno,” aggiunse Ushijima. “Infine, mi ha detto di provare pietà per me perchè non sarei mai stato capace di sconfiggere Hajime per avere il tuo cuore.”
Tooru non sapeva cosa dire, così rimase in silenzio.
“Piangeva... Eppure, mi sono sentito schiacciato dalle sue parole, in qualche modo.”
“Perchè erano velenose?”
“Perchè erano vere,” replicò il Re dell’Aquila e Tooru trattenne il fiato. “Anni fa, quando Eita aspettava nostro figlio ed il tuo era poco più di un neonato, mi hai detto che da noi non sarebbe mai nato nulla. Mi hai detto che insieme saremmo stati in grado di creare solo distruzione. Ci hai descritto come due mostri.”
“Lo credo ancora,” replicò il Re Demone con voce terribilmente flebile.
Il Re dell’Aquila si alzò in piedi ed attraversò la sala da pranzo con pochi, ampi passi. “Forse, hai ragione,” disse. “Forse, siamo due mostri e non siamo capaci di vivere in nessun altro modo. So solo che ho visto il modo in cui guardavi tuo figlio quando ti ha portato via la gloria colpendo quel drago. So che cosa ti ha spinto a lasciare indietro il tuo Cavaliere per il bene di un Regno che non era nemmeno tuo. So anche che cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto al Regno di Dateko. Infine, so che non ti basterà...”
Tooru si rese conto di star trattenendo il fiato solo quando gli fu impossibile farlo ancora.
“Tu dici che ho distrutto Fukurodani per rabbia?” Ushijima scosse la testa. “No, volevo solo vedere fino a dove potevo spingermi se permettevo al mostro di uscire. Eita era ciò che lo teneva a bada, il suo amore era ciò che teneva in vita la mia umanità.”
Tooru lo fissò senza battere ciglio anche se stava artigliando i braccioli della sedia su cui sedeva. “Te lo chiedo un’ultima volta,” disse freddamente. “Perchè sono qui?”
“Perchè tra mostri ci si comprende, Tooru.”
Il Re Demone fece per replicare quando la porta della sala da pranzo si aprì. Kenjirou si avvicinò di un paio di passi, poi s’inchinò. “Le mie scuse, mio signore.”
Tooru alzò gli occhi al cielo.
“Parla,” gli concesse Ushijima senza nemmeno guardarlo. 
“Si tratta del consorte reale del Regno di Fukurodani, il bambino sta...” disse Kenjirou sollevando lo sguardo. Tooru si sollevò di colpo dal suo posto e si portò davanti all’Arciere. “Fammi strada,” ordinò.
Kenjirou guardò Ushijima ed il Re Demone sbuffò e scioccò le dita irritato per riportre i suoi occhi su di lui. “Guarda me, non lui! Fammi strada e muovi quei piedi in fretta, se arriverò tardi ti considererò responsabile!”



La Principessa del Regno di Fukurodani venne alla luce all’alba di un giorno di primavera dal cielo limpido e l’aria gentile. Era una bellissima bambina dai capelli neri come sua madre e strordinariamente rumorosa come il Re dei Gufi.
Tooru si passò una mano tra i capelli stancamente e rispose allo sguardo di quegli occhi grandi ancora incolori con un mezzo sorriso. “Ehi, Keijiko,” disse sporgendosi in avanti. “Che fai? Mi guardi?”
Keiji sorrise stancamente posando un bacio tra i capelli corvini della sua bambina. “Non ti ringrazierò mai abbastanza dopo questa notte.”
Tooru scrollò le spalle. “È stata lei ad essere brava,” disse allungando una mano per accarezzare una delle guance della piccola. “Ti somiglia.”
Keiji tolse gli occhi di dosso a sua figlia solo per sorridergli un istante. “Questo sguardo curioso non è mio, però.” Il suo viso si riempì di malinconia. “Cosa non darei perchè Koutaro potesse vederla almeno una volta.”
“Non può andare avanti così per sempre.”
“Sì, Ushijima ha anche l’erede al trono di Fukurodani nelle sue mani, ora. Il Re non gli serve più.”
Tooru scosse la testa. “Non muoverà un dito contro di voi.”
“Come lo sai?”
“La vostra gente vi ama,” disse Tooru. “Non può permettersi di farsi odiare o quelle terre, col tempo, diverranno per lui solo una condanna a morte e lo sa bene.”
“Quello di cui parli era un conquistatore ma, lo hai detto tu, il Re dell’Aquila non è altro che un distrtuttore, ormai.”
“È un mostro,” mormorò Tooru guardando il mare oltre la finestra tingersi dei dolci colori dell’aurora. “Questo non lo rende immortale, però.”
Keiji fece una smorfia. “Nelle grandi storie tocca agli eroi uccidere i mostri ma dalla nostra parte abbiamo solo Re che non vogliono arrendersi e Cavalieri valorosi.”
“Questa non è una bella storia,” replicò Tooru. “Nella realtà serve solo un mostro più potente per sconfiggerne un altro.” Gli occhi scuri caddero sul fagotto bianco che Keiji cullava con amore contro il suo petto. Un pensiero molesto prese forma nella sua mente senza che lo volesse. Non lo scaccio, però. No, vi rimase aggrappato con particolare interesse.
“Già...” Mormorò sommesamente. “Un altro mostro.”
Se era destino di un Re condannare la sua anima in qualche modo, che almeno accadesse finchè aveva ancora il potere di deciderne le condizioni.



Ushijima lo aspettava a metà delle scale a chiocciola, le braccia incrociate contro il petto e la schiena appoggiata alla parete di pietra. “Come sta?” Domandò.
“Bene,” rispose Tooru. “Se avesse dato alla luce sua figlia nella sua casa, con a fianco il suo compagno e la sua gente tutt’intorno a festeggiare il lieto evento, sarebbe stato di gran lunga meglio ma... Meglio di niente, immagino!” Concluse con sarcasmo.
“Una Principessa, dunque,” disse Ushijima per nulla toccato dal veleno nelle sue parole. “Stanno bene entrambi?”
“Perchè non la smetti di fingere che t’importi?”
“Perchè sono un padre e non voglio avere la vita di una bambina appena nata sulla coscienza.”
Tooru fece una smorfia. “Quanta nobiltà ipocrita, Re dell’Aquila!”
“Quella bambina è preziosa per tenere buono ciò che rimane dell’esercito di Fukurodani.”
“Adesso va meglio!” Tooru lo guardò quasi cagnesco e lo superò
“Dove vai?” Domandò il Re dell’Aquila seguendolo con lo sguardo.
“Nelle segrete,” rispose Tooru scocciato. “Dovrei riuscirci anche senza uno dei tuoi cani. Sono segrete, dopotutto. Scenderò tutte le scale che portano sotto il livello del mare e, prima o poi, ci arriverò.”
“Vuoi vedere Koutato?”
Il Re Demone lo fissò. “Sarà un Re sconfitto ed un prigioniero politico e potenzialmente pericoloso ma avrà pur il diritto sapere di aver appena avuto una figlia. Come padre dovresti capirlo, no?”
“Ti accompagno,” Ushijima fece per afferrargli il braccio ma Tooru si allontanò prima che potesse farlo. 
“Vai a fare il padre, Ushijima. Un giorno che sono qui e del tuo Principe non ne ho visto neanche l’ombra. Nelle mie terre, prima di affermare di essere un genitore, bisogna farlo!” Scese un paio di gradini, poi si voltò e gli rivolse un ghigno diabolico. “Eita aveva ragione ad avere pietà di te ma non ti ha detto una cosa. Hajime vince anche come padre, Re dell’Aquila.”


 
Tooru ci mise un po’.
Imprecò spazientito un paio di volte, poi si concesse di chiedere indicazioni ad un paio di ragazzini della servitù a cui non si presentò formalmente per evitare che rendessero quell’incontro casuale la storia della loro vita. Le guardie non furono un problema, se ne liberò come se fosse il padrone  di casa ed ogni sua parola fosse legge. Quella di Koutaro era l’unica cella occuppata.
Non sollevò la testa nemmeno quando il Re Demone si fermò e prese tra le dita una delle sbarre. “Koutaro...”
Il Re dei Gufi sollevò lo sguardo lentamente, con aria stanca e lo guardò con la stessa espressione con cui lo aveva fissato Keiji non appena lo aveva riconosciuto. Koutaro, però, non aveva avuto la stessa fortuna del suo consorte. I capelli gli ricadevano sul viso dandogli un’aria più adulta che stonava completamente con l’immagine che Tooru aveva di lui. Impiegò qualche istante prima di alzarsi in piedi e di fissarlo come se stesse guardando un fantasma. “Tooru...”
Il Re Demone strinse le labbra ed annuì. “Devo...”
“Che cosa ci fai qui?” Chiese Koutaro completamente smarrito.
“Evito una catastrofe o due,” rispose Tooru, non era una bugia. “Devo darti una notizia,” accennò un sorriso.
Koutaro esaurì la distanza tra loro immediatamente. “Si tratta di Keiji?”
Tooru annuì. “Ha dato alla luce la vostra bambina appena poche ore fa.”
Il Re dei Gufi gli sorrise tremolante, gli occhi gli si riempirono di lacrime e passò qualche istante prima che potesse parlare di nuovo. “Una bambina...” Mormorò. “Keijiko...”
“Sì,” Tooru annuì di nuovo. “Keiji ha detto che era giusto che avesse il nome che suo padre ha scelto per lei.”
Koutaro rise emozionato. “Sono padre,” disse incredulo. “Sono padre...” Il sorriso sul suo viso morì un istante più tardi, appoggiò una spalle alle sbarre di ferro scuro e si lasciò scivolare a terra. Dal modo in cui le quelle spalle tremavano, Tooru dedusse che era scoppiato a piangere. Sospirò ed appoggiò un ginocchio a terra. “Koutaro...”
“Giurami che stanno bene,” singhiozzò il Re dei Gufi continuando a tenere lo sguardo basso.
“Sulla mia vita,” rispose Tooru.
“E lei? Com’è lei?”
“Assomiglia a Keiji. Ha i suoi capelli neri, comunque...”
Koutaro riuscì a sorridere almeno un poco. “Non sono stato in grado di proteggerli,” disse con astio rivolto unicamente a se stesso. “Che razza di Re sono? Non ho protetto la mia gente ed ho fallito anche con la mia famiglia!”
“Non avresti potuto fare nulla, Koutaro,” gli disse Tooru cercando di essergli di qualche conforto. “Però, c’è ancora speranza...”
“E come?” Domandò Koutaro. “Fukurodani non c’è più e nessun Regno si metterà contro Shiratorizawa per noi.”
“No, non se cerchiamo di sconfiggere Shiratorizawa sul campo di battaglia.”
“E che altre soluzioni avresti?”
Tooru lo guardò per un lungo minuto di silenzio. “Che cosa saresti disposto a fare per la tua famiglia, Koutaro?”
“Qualsiasi cosa,” rispose il Re dei Gufi senza esitazione.
“Anche a tradire un amico?”



Keiji guardò la bambina tra le sue braccia e poi fissò il Re Demone come se gli avesse appena chiesto di strpparsi il cuore dal petto da solo e consegnarglielo. Tooru annuì con espressione malinconica. “Lo so, preferiresti morire invece di lasciarla.”
Keiji non rispose, continuò a guardare la sua bambina in religioso silenzio come se lei potesse dargli un suggerimento su come uscire indenni da quella terribile soluzione. Altre vie, però, non ce ne erano. Quella che Tooru gli stava offrendo era l’unica che avesse trovato. Tirò su col naso, strinse la sua bambina contro il petto e la baciò. “Che cosa vuoi che faccia?”



“È scappato!” Urlò Kenjirou entrando le salotto privato del Re dell’Aquila senza permesso facendo sobbalzare tutti i presenti. Satori si versò anche parte del suo vino sui vestiti appena indossati e questo fece guadagnare all’Arciere un’occhiata decisamente storta. Gli altri Cavalieri lo fissarono in silenzio mentre attraversava la stanza con ampi passi e s’inginocchiava di fronte alla poltrona su cui era accomodato il suo Re. “Il Re Demone è scappato, mio signore!”
Satori non aspettò che Ushijima rispondesse per saltare su e protestatre. “Non era un prigioniero, piccolo idiota. Se ha deciso di andarsene, che se ne vada!” Esclamò, poi fu il turno di guardare storto anche il suo Re. “Evita la corsa alla riconquista del Re Demone perduto, abbi pietà di te stesso.”
Ushijima fissò l’amico di vecchia data con sguardo tagliente ma lo riportò sull’Arciere non appena questi ripresi a parlare. “Non è tutto, mio Re,” aggiunse Kenjirou. “Anche la Principessa di Fukurodani è scomparsa...”



Tooru giunse al Regno di Nekoma una settimana più tardi.
“Quando mi è giunta notizia che avevi lasciato il Castello Nero per andare a Shiratorizawa, ho pensato il peggio!” Esclamò Kuroo stappando una bottiglia di vino ed invitando Tooru a sedersi sulla poltrona più vicino al fuoco.
Il Demone scosse la testa. “Resto in piedi, ti ringrazio,” rispose consegnando la bambina tra le sue braccia alle cura di Kenma. “Ho fatto quel che ho potuto perchè fosse nutrita ed al caldo ma il viaggio non è stato dei migliori e sei l’unico di cui mi fidi.”
Il Curatore annuì. “Me ne occupo subito.” Si spostò sul tavolo al centro della stanza con Lev che gli trotterellava dietro curioso di osservare quella creatura minuscola. Kuroo guardò il compagno liberare la piccola della copertina e cominciare ad analizzarne i riflessi. Sorrise. “E Koutaro, alla fine, è ufficialmente entrato nel mondo degli adulti! La piccola assomiglia a Keiji, però! Siamo fortunati!”
“È una bambina forte,” commentò Tooru. “Non ha fatto storie mentre la trascinavo con me per le montagne di Fukurodani,” lanciò un’occhiata alla finestra, il sole non era ancora scomparso dietro la linea dell’orizzonte. “Mi ci sono voluti giorni per radunare tutti i superstiti dell’esercito del Re dei Gufi.”
“Questo castello è abbastanza grande per tutti,” disse Kuroo. “Ci prenderemo cura di loro in attesa che vengano giorni migliori.”
Tooru notò che Kenma aveva finito con la bambina e la stava riavvolgendo nella copertina. Si fece avanti e la prese in braccio prima che potesse farlo il Curatore. “E’ stato molto coraggioso da parte tua,” commentò Kenma. “Portare via la Principessa dal Castello Bianco e concedere a Keiji e Koutaro almeno questa speranza.”
Tooru lo guardò e non rispose. Guardò un’altra volta fuori dalla finestra: il sole era quasi sparito del tutto. Alle spalle di Kenma, Kuroo era troppo impegnato a versare il vino in tre calici per porre attenzione a loro. Gli occhi scuuri di Tooru tornarono su quelli felini di terra. “So che non mi crederai,” gli disse. “Mi dispiace...”
Kenma inarcò un sopracciglio ma non fece in tempo a chiedere di che cosa stesse parlando che la porta del salotto si spalancò con violenza e i Cavalieri più vicino al Re dei Gufi fecero il loro ingresso con le spade alla mano. Kuroo lasciò andare la bottiglia di vino, che s’infranse a terra. “Che diavolo succede?” Domandò mentre tre Cavalieri lo circondavano e gli bloccavano le mani dietro la schiena. “Mi spiace, mio signore,” disse uno di questi, uno di quelli che Kuroo conosceva da anni. “Ma siamo disposti anche a sporcarci le mani per il nostro Re.”
Altri tre Cavalieri circondarono Kenma e Lev, che si era attaccato al giovane Mago terrorizzato. “Tooru...” Chiamò quest’ultimo guardando esterrefatto. “Che cosa hai fatto, Tooru?”
Il Re Demone sentì su di sè anche lo sguardo del sovrano di Nekoma ma fu al suo compagno che decise di rivolgersi. “I soldati del castello sono stati resi inoffensivi mentre parlavamo,” comunicò loro con tono gelido ma chiaro, in modo che capissero alla perfezione la situazione in cui si trovavano. “Il castello è sotto assedio. Fate un qualunque tentativo di radunare l’esercito esterno alla Capitale e non posso garantire per la vostra incolumità.”
Kuroo lo insultò e cercò andargli contro ma i Cavalieri di Fukurodani lo trattennero prima che potesse fare anche solo un passo. 
Kenma continuava a guardarlo con gli occhi sgranati. “Che cosa stai facendo, Tooru?”
Il Re Demone strinse la Principessa di Fukurodani contro il petto. “Distruggo il mostro...”


***


Hajime si era appisolato su di una poltrona quando lo vennero a chiamare.
I suoi Cavalieri sapevano che faceva fatica a dormire da quando il Re era partito per il Regno di Shiratorizawa e non lo avrebbero mai disturbato se non si fosse trattata di una questione della massima urgenza. Quanto grave fosse, Hajime lo dedusse dal mondo in cui i suoi Cavalieri lo guardarono. Si erano radunati tutti nella sua stanza, quando sarebbero bastati Issei e Takahiro per svegliarlo. Shinji e Shigeru piangevano, Kentaro teneva lo sguardo basso ed i suoi due amici d’infanzia lo guardavano cercando di parlare ma fallendo a causa del nodo che stringeva la gola di entrambi.
Hajime scattò in piedi prima che gli fosse data alcuna spiegazione. I suoi Cavalieri urlarono il suo nome ma non li ascoltò. Scese le scale che portavano dagli appartamenti reali al cortile interno del Castello Nero. Fuori pioveva ma non sentì neanche una goccia di pioggia come mise piede all’esterno e si ritrovò davanti il peggiore dei suoi incubi divenuto realtà.
Lo avevano gettato su di un carro, i bastardi. Il mantello lo copriva fino alla vita ma doveva essere scivolato lungo il tragitto perchè il Primo Cavaliere poteva vedere chiaramente il punto in cui la lama del nemico era affondata ed aveva trapassato il corpo del suo Re fino a privarlo della vita. Hajime non si curò di chi gli era intorno. Appoggiò entrambe le mani sul bordo del carro e chinò la testa fino a che la sua fronte non toccò quella gelida di Tooru.
Una mano afferrò la sua.
”Papà...”
Hajime trasalì. Spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare quel che era rimasto del fuoco nel camino. Erano nella camera da letto sua e di Tooru, fuori pioveva ma nessuno dei suoi Cavalieri era venuto a svegliarlo per guidarlo dal cadavere del suo compagno. “Papà...”
Solo allora si ricordò della mano che stringeva la sua, quella che lo aveva strappato a quell’incubo terribile. Tobio lo guardava, in piedi accanto alla poltrona su cui si era addormentato senza rendersene conto. 
Hajime sospirò. “Tobio...”
“Un brutto sogno?” Domandò il ragazzino.
Il Primo Cavaliere forzò un sorriso. “Qualcosa del genere...”
“Notizie dalla mamma?”
Quella era la domanda che temeva di più, quella che non mancava mai di fargli. Hajime gli passò una mano tra i capelli e si rese conto di dover sollevare il braccio più del dovuto per poterlo farlo. Cresceva a vista d’occhio, il loro Tobio. Se l’idiota non si sbrigava a tornare a casa, se lo sarebbe ritrovato attaccato al braccio a lagnare di come Tobio-chan fosse diventato più alto di lui senza che se ne fosse reso conto.
“Non ancora, ragazzino,” disse cercando di suonare il più tranquillo possibile. Anche se l’ansia lo corrodeva da quando Tooru aveva varcato i cancelli del loro castello, non c’era bisogno che Tobio lo sapesse e soffrisse anche di questo. 
“Oggi ho battuto Kentaro a duello,” raccontò Tobio.
Hajime sorrise. “Davvero?”
“Non è stata una bella vittoria,” aggiunse il Principe con una smorfia. “Si è distratto per tutto il combattimento.”
Il Primo Cavaliere sospirò. “Kentaro non è il Cavaliere più disciplinato che abbiamo,” gli disse. “Ma tu li stai superando tutti, uno ad uno...”
“Non ho ancora superato te.”
Ed il modo in cui lo disse fu quello di un Cavaliere fiero e forte che non desiderava altro che migliorarsi. Hajime gli spettinò i capelli orgoglioso. “Vacci piano, ragazzino.”
Tobio gli rivolse uno di quei suoi gossi sorrisi e Hajime seppe di averlo messo di nuovo di buon umore. Si alzò in piedi stancamente. “Ti accompagno a letto e resterò a fare la guardia fino a che non ti addormenti.”
“Non sono più un bambino!” Esclamò Tobio indignato.
Hajime lo guardò divertito. “Eppure, a Dateko continuavi ad infilarti nella nostra camera!”
Tobio sgranò gli occhi, arrossi ed abbassò lo sguardo. “Perchè quel castello non era casa.”
Non fecero in tempo ad arrivare fuori dalla porta che Issei e Takahiro corserono loro incontro con urgenza e, per un attimo, Hajime temette di rivivere l’incubo da cui la mano di suo figlio lo aveva salvato. Tooru, però, non era lì. Non era ancora tornato a casa e nella lettera che Issei gli mise tra le mani vi erano scritte tutte le ragioni.


***


Tooru ce l’aveva fatta.
Ci aveva messo più tempo del previsto ma, alla fine, era riuscito il Re che aveva sempre desiderato essere. Il Regno di Nekoma era caduto nelle sue mani con eccessiva semplicità. A Kuroo era bastata una pressione minima, qualche minaccia contro di lui e la sua famiglia ed aveva firmato nero su bianco ciò che lo privava di qualsiasi potere per cederlo al Re Demone.
E pensare che Kaname aveva avuto bisogno di una prova di forza, prima di cedere.
Tante parole ed apparenza e nessuna sostanza, ecco come si era rivelato il sovrano di Nekoma ma questo non faceva che giocare a favore di Tooru.
Per quanto riguardava il Regno di Fukurodani, era stato tutto tanto divertente che Tooru si era sentito ripagato di ogni sforzo. Non era certo che il piano sarebbe funzionato quando si era presentato dai fedelissimi del Re con una lettera firmata da Keiji in cui spiegava tutta la trama che Tooru aveva scritto per sè, per dipingersi come il salvatore del Regno dei Gufi.
Quei Cavalieri si erano rivelati troppo disperati per non credere in quell’unica speranza di salvare il loro adorato Re e non avevano esitato a tradire i loro vecchi alleati ed amici di Nekoma in suo nome. In sua difesa, Tooru avrebbe sempre potuto dire che a Koutaro aveva offerto una scelta e la sua risposta era stata qualunque cosa per la mia famiglia.
Kuroo non gli avrebbe mai perdonato un simile atto di nobiltà.
Koutaro, però, fu l’ultimo a conoscere tutta la storia.
Mentre tutta la gente di Fukurodani salutava Tooru come un salvatore, un liberatore dalla tirannia di Shiratorizawa, il Re dell’Aquila si ritrovò costretto a rilasciare il Re dei Gufi ed il suo consorte. Tooru pretese che li scortasse di persona al loro vecchio castello.
Talmenti presi da quel lieto fine insperato, nessuno si era reso conto che il Re Demone aveva lasciato il castello di Nekoma senza avere la bambina della coppia reale con sè.
Fu impossibile ignorarlo solo nel momento più tragico, quando Koutaro fu condotto nella sua sala trono solo per scoprire che non gli apparteneva più. Tooru si era accomodato al posto che sarebbe spettato lui in modo particolarmente comodo.
“Bentornato a casa, Koutaro,” disse il Re Demone con un sorriso diabolico ma i suoi occhi erano tutti per il Re dell’Aquila alle sue spalle. Il Re dei Gufi lo guardò con un’espressione da bambino smarrito. “Tooru, cosa...?”
Keiji fu di gran lunga più sveglio di lui. “Dov’è nostra figlia?” Domandò immediatamente.
“Oh, la piccola Keijiko,” disse Tooru simulando un tono dolce. “E’ una bambina buonissima, lo sai? Non mi ha mai dato noie durante il viaggio. E’ coraggiosa, anche.”
Anche Koutaro sembrò capire che cosa ci fosse davvero in gioco. “Tooru, non scherziamo, dov’è la nostra bambina?”
Tooru scrollò le spalle. “Al sicuro... Da quache parte...” Gli occhi scuri incrociarono di nuovo quelli del Re dell’Aquila e comprese di avere per sè tutta la sua attenzione. Gli piacque.
“Tooru!” Keiji scattò in avanti ma Koutaro lo trattenne. Alle sue spalle, Ushijima alzò una mano e tanto bastò ad armare i suoi uomini. Il Re dei Gufi si voltò e fissò la scena incredulo. “Eravate d’accordo...”
“No, in realtà no!” Confessò Tooru allegramente. “Ma immagino che Ushijima abbia saputo comprendermi.”
“Dov’è mia figlia, maledetto bastardo?” Urlò Keiji fuori di sè.
“Oh, non siamo scortesi ora, Keiji,” disse Tooru sporgendosi in avanti. “Ti ho aiutato io a farla nascere, ricordi? Dicevi che non sapevi come sdebitarti, così ti ho liberato del problema.”
Keiji fece per dire qualcos’altro ma Koutaro lo strinse a sè costringendolo a tacere. “Ve bene,” disse il Re dei Gufi disperatamente. “Hai coquistato Nekoma, no? Dimmi cos’altro vuoi per riavere mia figlia.”
Tooru simulò un sorriso amichevole. “Una semplice formalità...” Disse. “Inginocchiati...”
Keiji riemerse dal petto del compagno e lo guardò con gli occhi sgranati. “Tooru...”
“In ginocchio,” ripetè Tooru. “Tutti e due. Shiratorizawa vi aveva già sconfitto, mi sono limitato a togliervi dalle sue mani per mettervi nelle mie, ritenetevi fortunati.”
“Koutaro,” Keiji scosse la testa. “No... No...”
Koutaro posò una mano sulla guancia del compagno e guardò il Re Demone. “Vuoi che ti ceda il trono? A te il potere e a me mia figlia?”
Tooru annuì con un sorriso. “Precisamente, Koutaro.”
“Koutaro,” Keiji lo costrinse a guardarlo ma il Re dei Gufi aveva già fatto la sua scelta. Koutaro sorrise. “Preferisco ridere da Re sconfitto con te e nostra figlia, piuttosto che... Piuttosto che tutto il potere del mondo, Keiji.”
L’Arciere chiuse gli occhi e lasciò andare un singhiozzo.
“Avanti, Koutaro... In ginocchio,” ordinò il Re Demone.
Il Re dei Gufi ubbidì. Fu la sua ultima azione da Re.



Fu Kaname a riportare la piccola Keijiko dai suoi genitori quando entrambi furono rinchiusi nella torra del Castello dei Gufi insieme alla famiglia reale di Nekoma. Si giustificò dicendo che Tooru gli permetteva ancora di svolgere il ruolo di governatore delle sue vecchie terre e rappresentante in Consiglio. “Non posso rischiare di abbandonare la mia gente,” disse, prima di andarsene. 
“Almeno siamo tutti insieme,” fu il commento di Koutaro nel tenere in braccio la sua bambina per la prima volta. Cercò lo sguardo di Kuroo ma l’amico di sempre faceva finta che non esistesse.
“Ehi, amico...” 
“Non mi parlare!” Sbottò Kuroo facendo sobbalzare tutti. Kenma lasciò Lev per un istante e posò una mano sul braccio del compagno. “Kuroo, hanno protetto la loro famiglia...”
“Sacrificando la mia!” Esclamò il Re di Nekoma furente. “Il mio migliore amico mi ha venduto al Re Demone solo per i suoi interessi.”
Koutaro consegnò la bambina alle braccia di Keiji. “Mia figlia era appena nata, che cosa potevo fare?”
“Scegliere meglio il tuo alleato, tanto per cominciare!”
“Basta!” Esclamò Keiji. “Non lo capite che così facciamo il suo gioco? Se cominciamo a distruggerci tra di noi, non avremo mai possibilità di sconfiggere Tooru e riprenderci ciò che è nostro!”
“Sconfiggere Tooru?” Kuroo rise senza gioia. “Ushijima è ancora di sotto, vero?”
Koutaro scrollò le spalle. “Sono sempre stati nemici. Ha conquistato noi per mettere in ombra lui, no?”
“No,” rispose Kenma a bassa voce ma riuscì comunque ad attirare l’attenzione di tutti. “Tooru lo conosce, sa che non può sconfiggerlo. Non su di un campo di battaglia comunque...”
“Quindi?” Domandò Koutaro completamente confuso.
“Un mostro per sconfiggere un mostro...” Mormorò Keiji.
“Eh?”
“È quello che mi ha detto la mattina in cui è nata lei,” spiegò l’Arciere guardando la bambina addormentata tra le sue braccia.
“Ushijima è un mostro,” riassunse Kuroo. “Nessun Re può sconfiggerlo. Solo un altro mostro... E’ questo che Tooru sta cercando di diventare.”
“Lo eguaglia e poi ne cerca l’alleanza,” disse Kenma.
“Perchè l’alleanza?” Domandò Koutaro perplesso. “Ero rimasto al punto in cui si odiavano!”
“Però si comprendono,” disse Keiji ripensando ad uno scambio di battute che era avvenuto poco prima nella sala del trono. “Se non riesci sconfiggere il Re dell’Aquila, ti allei con lui.”
Koutaro sgranò gli occhi. “Seijou e Shiratorizawa insieme? Non sia mai!” Esclamò. “Se quei due diventano alleati, rassegnamoci ad essere territori conquistati. Non li sconfiggeremo mai, nemmeno insieme a Dateko!” Si bloccò come se un pensiero lo avesse fulminato di colpo. “Oh...”
Kuroo alzò gli occhi al cielo. “Benvenuto tra noi, genio!”



“Non dici niente?”
Non c’era più nessuno nella sala del trono, eccetto loro due.
“Rimani in silenzio, Re dell’Aquila?” Tooru scese da quel trono che non gli apparteneva ed esaurì lentamente la distanza tra sè ed il nemico di sempre. Ushijima aveva fatto ritirare i suoi Cavalieri ma non si era mosso dal centro della stanza, gli occhi gelidi fissi su quelli scuri e splendenti del Re Demone.
“E se chiedessi anche a te d’inginocchiati?” Domandò Tooru con un ghigno diabolico.
“Sarei costretto ad assecondarti,” rispose Ushijima con voce atona. “Sei il signore di queste terre, ora... Le terre su cui ho marciato appena una stagione fa.”
“Sì,” Tooru era deliziato. “Ti ho sottratto una conquista e poi sono andato oltre e sei stato tu a concedermi l’arma necessaria perchè potessi realizzare tutto questo. Mi hai fatto entrare nella tua casa, mi hai fatto avvicinare ai tuoi prigionieri e la coppia reale di Fukurodani è stata così ingenua da mettermi il loro più grande tesoro nelle mie mani. Non ho dovuto far scoppiare una guerra per costringere in ginocchio due dei miei più grandi alleati, mi è bastato usare la testa. La forza bruta la lascio a chi non ha niente altro.”
Erano l’uno davanti all’altro. Tooru rise, una risata isterica, priva di gioia. “E tu che dovresti essere come un dio, Re dell’Aquila? Sei stato il primo a cadere vittima del mio gioco. Ho vinto, Ushijima! I più grandi Regni tra quelli liberi ora sono ai miei piedi e non devo ringraziare nessuno per questo. Dunque, dimmi, chi è il dio tra noi, ora?” Quelle parole rimbalzarono contro le pareti di pietra della sala del trono per pochi istanti ma parvero eterni nella loro solennità.
Fu solo allora, nel totale silenzio che cadde su di loro, che l’espressione sul viso di Ushijima cambiò. Gli angoli della sua bocca si sollevarono lentamente e Tooru si fece serio mentre l’antico nemico gli rivolgeva un’espressione di pura soddisfazione. Alzò una mano, l’appoggiò sulla guancia del Re Demone e l’osservò con oscura soddisfazione. “Eccoti, finalmente...”
Tooru non comprese ma tenne lo sguardo alto, fermo.
“Alla fine, sei diventato davvero ciò che sei nato per essere,” aggiunse Ushijima. “Quello in cui avrei voluto plasmarti io se quel giorno di tanti anni fa avessi detto sì. Devo ammetterlo, però, non sarei mai stato capace di creare un simile capolavoro.”
La mano del Re dell’Aquila scivolò sul suo collo, s’infilò tra i capelli ricciuti sulla nuca e Tooru sentì un brivido caldo percorrergli la schiena. “Come ti sei sentito?” Domandò di colpo. “Quanto Eita si è addormentato e non c’è più niente che tenesse insieme i frammenti della sua umanità... Come ti sei sentito?”
Ushijima continuò a sorridergli. “Tu come ti senti ora?”
Tooru ci pensò, non lo disse ad alta voce ma si sorprese a sorridere di nuovo, un sorriso oscuro ma sincero. Non vide arrivare quello che accade poi ma non fece nulla per evitarlo. Le labbra di Ushijima erano bollenti contro le sue. Il sorriso di Tooru morì in quel bacio ma non si sottrasse, aspettò che fosse il Re dell’Aquila ad allontanarsi da lui ed allora i loro occhi s’incatenarono per un momento infinito.
“Tooru...”
Il cuore del Re Demone si fermò, i suoi occhi si fecero grandi e le sue labbra presero a tremare come il sguardo si posò su quelle iridi verdi che conosceva da tutta la vita. 
Hajime se ne stava sulla porta della sala del trono e lo fissava con la sua stessa espressione sconvolta. Tooru tentò di dire qualcosa ma tremava troppo perchè delle parole comprensibili potessero uscire dalla sua bocca. 
“La mia proposta per te è sempre valida, Tooru,” disse Ushijima a voce abbastanza alta perchè anche il Cavaliere potesse udirlo. “Non me ne andrò da Fukurodani fino a che non avrò ricevuto una risposta.”
Tooru nemmeno lo guardò. I suoi occhi erano incatenati a quelli del suo Cavalieri ed invocavano un perdono silenzioso che Hajime non sembrava udire.
Ushijima prese la via della porta ma si fermò accanto al Primo Cavaliere di Seijou, prima di oltrepassarla. Tooru rimase a guardarli terrorizzato mentre si scambiavano un’occhiata terribilmente simile ad una dichiarazione di guerra. 
Il Re dell’Aquila se ne andò senza dire altro.



Hajime entrò nel salotto degli appartamenti reali con tanta furia che la porta sbattè contro il muro e rimbalzò. Tooru gli era dietro, il passo veloce, il respiro affaticato.
“Non è come credi!” Esclamò con disperazione e si sentì un folle a farlo perchè il suo Cavaliere aveva visto tutto ed affermando il contrario non faceva che offendere la sua intelligenza. “Hajime, quello non era niente!” Almeno, questa era la verità in cui Tooru decideva di credere. 
Il Primo Cavaliere gli dava le spalle, gli occhi puntati verso la finestra che dava sulla Capitale del Regno dei Gufi. 
“Hajime, guardami!” Tooru lasciò andare le lacrime che pungevano agli angoli dei suoi occhi da quando il suo compagno era comparso in quella sala del trono nel peggiore dei momenti possibili.
Il Cavaliere si voltò verso di lui molto lentamente e Tooru realizzò di non essere l’unico disperato fino alla lacrime in quella stanza. Hajime dischiuse le labbra, tentò di dire qualcosa ma non ci riuscì. Si lasciò cadere sul bracciolo di una poltrona, chinò la testa e scoppiò a piangere a dirotto. Non si disturbò nemmeno a trattenere i singhiozzi.
Tooru si sentì congelare: aveva perso il conto delle volte che avevo spinto Hajime fino alle lacrime nell’ultimo periodo ma questo... Non lo aveva mai visto così. Col cuore a pezzi, si avvicinò un passo alla volta, poi sollevò una mano per posarla tra i neri capelli ribelli del compagno in un gesto di consolazione. Era stato lui a fargli del male, era suo compito rimediare.
Hajime, però, non ne voleva sapere del suo amore.
“Non mi toccare!” Tuonò alzandosi e sottraendosi alla carezza del Re.
Tooru rimase immobile, con la mano sospesa a mezz’aria. “Hajime, io...”
“Che cosa stai facendo?” Domandò il suo Cavaliere fissandolo tra il rabbioso ed il disperato.
“Cosa?”
“Ti ho chiesto che cosa diavolo stai facendo?” Ripeté Hajime. “Questa non è nemmeno la nostra casa, Tooru! Che cosa ci fai qui? Che cosa hai fatto a Nekoma? Che... Che cosa hai fatto?” La sua voce era poco più di un sussurro spezzato quando smise di parlare.
Tooru riabbassò il braccio lungo il fianco. “Ho fatto ciò che era necessario...”
“Necessario per cosa?”
“Per essere grandi!” Esclamò Tooru. “Non potevamo più permetterci di essere un Regno dei tanti, Hajime. Dovevamo giocare d’anticipo!”
“Che cosa stai dicendo, Tooru?” Domandò Hajime incapace di comprendere. “Siamo appena tornati da una trionfante guerra di conquista, il nostro Regno è forte e solido. Non c’è nulla che ci manchi a casa!”
“Forte, solido...” Ripetè Tooru come se fossero parole prive di senso. “Io voglio essere il grande Re di un Regno senza precedenti, Hajime. È questo che ho sempre voluto e tu lo sai! Tu lo sai che io posso rendere Seijou più grande di qualsiasi altra terra libera! Più grande di Shiratorizawa, se voglio!”
Hajime lo guardava come se fosse un folle delirante. “Che cosa stai dicendo, Tooru?” Domandò ancora. “Torniamo a casa! La nostra casa! Questo luogo non ci appartiene! NekomA non ci appartiene!”
“Nemmeno Dateko era nostra prima che costringessimo la nostra bandiera sulle loro mura,” gli fece notare Tooru. “Mi hai seguito in quell’impresa. Perchè ora dovrebbe essere diverso?”
“Era una guerra, Tooru!” Esclamò Hajime. “Soldati contro soldati. I più forti vincono ed i più deboli perdono ma quello che hai fatto a Nekoma... Quello che hai fatto qui... Sono i nostri alleati, Tooru! I nostri amici di sempre! Ci hanno salvato quando non avevamo speranze!”
“Le amicizie tra Re sono meri fatti politici,” rispose Tooru con freddezza. “Kuroo e Koutaro ne sono perfattamente consapevoli. Cambia il gioco di potere, cambia tutto il resto.”
“Koutaro ha messo sua figlia nelle tue mani,” replicò Hajime. “Kuroo ti ha aperto le porte della sua casa e tu hai usato al loro fiducia per accoltellarli alla spalle!”
Tooru tirò su col naso e scosse la testa. “Perchè fai così?” Domandò come se fosse lui quello ferito. “Lo sapevamo fin da quando eravamo bambini che ci saremmo dovuti sporcare le mani! Sono un Re, tu sei il mio Primo Cavaliere. Non esistono eroi e mostri in questa storia, Hajime!È tutto solo un punto di vista, ciò che conta davvero è essere i più forti!”
Un pesante silenzio cadde tra di loro. Tooru prese un respiro profondo ed esaurì la distanza tra sè ed il Cavaliere. Prese le mani nelle sue e lo guardò con lo stesso sorriso dolce che gli rivolgeva nei loro momenti più intimi. “Insieme, possiamo costruire qualcosa senza precedenti, Hajime,” disse speranzoso baciando le sue mani. “Non posso ancora sconfiggere Shiratorizawa ma se accettiamo di divenire loro alleati...”
Hajime fece un passo indietro sottraendo le proprie mani alle sue. “Definisci alleati, Tooru,” disse con astio. “Quello che hai fatto nella sala del trono era per firmare la vostra fottuta alleanza?”
Tooru abbassò lo sguardo con aria colpevole. “È stato un errore, ti chiedo scusa.”
“E quanti errori si ripeteranno dopo che il bastardo avrà tutto il diritto di entrare a far parte delle nostre vite?”
Gli occhi del Re Demone si riempirono d’indignazione. “Mi stai dando della puttana, Hajime?”
“Io non ti sto dando del bel niente!” Sbottò Hajime. “Le tue azioni parlano per te!”
Tooru non ebbe la volontà di fermare la sua mano e lasciò che si abbattesse sulla guancia del suo Cavaliere con tutta la rabbia provocata da quell’affermazione. “Sono il tuo compagno, maledizione!” Urlò piangendo. “Mi devi rispetto!”
Hajime rise. Una risata terribile. “Il rispetto che tu dai a me, Tooru?”
“Non parlare come se non avessi nulla da nascondere!” Urlò il Re Demone.
Il Primo Cavaliere lo fissò allibilito. “Che cosa stai delirando, ora?”
“Di te ed Eita,” sibilò Tooru. “Ushijima mi ha detto tutto.”
Hajime lo guardò con gli occhi sgranati. “Non è successo niente tra me ed Eita...”
“Allora perchè non mi hai detto che ha tentato di sedurti?” Domandò Tooru come se quello tradito fosse lui. “Perchè lui l’ha fatto solo prima di addormenarsi per sempre?”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Che cosa è successo ad Eita?”
“Rispondimi!”
“Tooru!” Hajime lo afferrò per le spalle e lo guardò negli occhi. “Guardami! Sono io! Non ho avuto altri che te da quando siamo insieme! Non ho mai sentito la necessità di tradirti perchè ti amo! Hai capito? Ti amo, maledizione!”
Tooru fece per replicare ma non una parola uscì dalla sua bocca. Le lacrime continuarono a scendere dagli occhi scuri, come ogni colore spariva dal suo e la sua espressione si faceva atterrita, congelata. Hajime se ne accorse immediatamente. “Tooru?” 
Il compagno non ripose, abbassò lo sguardo e si strinse entrambe le braccia intorno all’addome.
“Tooru? Parlami! Che ti succede? Tooru!”
Tooru sentì le gambe non reggerlo più ma Hajime lo sorresse fino a metterlo a sedere sul pavimento. Lo sentiva urlare il suo nome ma non riusciva a rispondergli. Un dolore insopportabile lo costinse a chiudere gli occhi e raggomitolarsi su se stesso.
Urlò fino a che non perse i sensi.




“Mi dispiace,” Kenma fu sincero nel pronunciare quelle parole. Probabilmente, lo fu perchè si rese conto che per il Primo Cavaliere quella notizia era sia l’inizio che la fine. “Non lo sapevi, non è vero?”
Hajime continuò a fissare il pavimento e prese un respiro profondo prima di riuscire a parlare di nuovo. “No...” Mormorò tirando su con il naso. Aveva una gran voglia di rimettersi a piangere ma non l’avrebbe fatto davanti ad uno degli amici a cui Tooru aveva portato via tutto. “Ti ringrazio per la gentilezza, Kenma.”
“Dovere...”
“No,” il Cavaliere sollevò lo sguardo. “Non eri in dovere di fare nulla per noi. Per questo ti ringrazio.”
Kenma non si mosse. “Non sapevi nulla nemmeno del resto, vero?” Domandò. “Di quello che stava facendo...”
Hajime scosse la testa. “Mi dispiace...”
“Lo so,” il Curatore abbassò lo sguardo e seguì le guardie che erano rimaste per riaccompagnarlo alla torre in cui era ancora prigioniero.
Hajime aspettò che fossero scompasi in fondo al corridoio, poi asciugò velocemente un paio di lacrime prima che potessero rigargli le guance e trovò in sè la forza di entrare in quella camera da letto ed affrontare il suo Re ancora una volta.
Tooru era steso al centro del letto, su di un fianco. Gli bastò voltare appena il viso per spostare lo sguardo sul suo Cavaliere ed i loro occhi rimasero incantenati fino a che Hajime non arrivò accanto al letto. “Come ti senti?” Domandò, pur sentendosi un idiota nel farlo.
Era pallido il viso di Tooru, i capelli in disordine e le guance madide per tutte le lacrime che doveva aver versato. Gli occhi scuri lo guardavano vuoti, stanchi.
Hajime si sedette sul bordo del letto senza attendere una risposta. Passò una mano tra quei morbidi capelli ricciuti e Tooru accettò la carezza di buon grado. “Kenma ti ha detto tutto?” Domandò.
Hajime annuì.
“Dobbiamo averlo concepito a Dateko,” ipotizzò il Re Demone con voce tanto tranquilla che Hajime comprese immediatamente che stava cercando di prendere distanza dalla cosa perchè non lo toccasse. Lo odiò per questo. “È l’unico momento plausibile,” aggiunse. “Spiegherebbe perchè non c’erano segni evidenti. Era troppo presto...”
“Tooru, per favore...”
Il Re Demone sollevò gli occhi sui suoi. “Ti fa soffrire parlarne?”
Hajime tirò su col naso. “Lo dici come se non fosse normale.”
“Non lo sapevi. Tu non hai avuto il tempo di amarlo.”
“Era pur sempre mio figlio! Nostro figlio!” Esclamò il Cavaliere allontanando la mano dal suo Re alzandosi in piedi. Tooru poteva difendere se stesso con tutta l’indifferenza che voleva ma Hajime non ci riusciva e non si sarebbe costretto a non soffrire per farlo contento! 
“Stavo pensando di chiamarlo Takeru,” mormorò Tooru di colpo, come se stessero affrontando una conversazione casuale. Hajime, invece, sentì il respiro venire meno. “Non so perchè, me lo sono immaginato subito maschio. Così, pur non volendo, ho cominciato a pensare a come avremmo potuto chiamarlo.”
Hajime si voltò nuovamente. Tooru piangeva. O, meglio, le lacrime erano tornate a rigargli le guance ma non c’era nulla nella sua voce che lo tradisse, come se il suo cuore e la sua mente stessero andando in due direzione completamente opposte. “Takeru... Non so nemmeno da dove venga questo nome, ho solo pensato che... Tooru, Tobio, Takeru... Pensavo che fosse carino mantenere l’iniziale ed immaginavo che mi avresti preso in giro... Avresti detto che, come al solito, lo facevo solo per celebrare me stesso...” Il suo viso si accartocciò come un foglio di carta mentre si portava una mano agli occhi e lasciava andare i singhiozzi.
Hajime lo guardava esattamente come lo aveva guardato nella sala del trono. “Tu lo sapevi...” Non era una domanda. “Tu sapevi di aspettare nostro figlio...”
Tooru continuò a singhiozzare e basta.
“Tu hai fatto quello che hai fatto sapendo che avresti potuto mettere in pericolo entrambi.”
Il Re Demone si tirò a sedere, il viso nascosto tra le mani. “Non sarebbe dovuto accadere...” Mormorò.
“No,” concordò Hajime. “Avresti dovuto dirmelo! Saresti dovuto restare a casa, al sicuro!”
“Sta dicendo che è colpa mia?” Sbottò Tooru guardandolo con astio.
Hajime scosse la testa. “Io non sto...”
“Non ha mai pensato che potrebbe essere tua la colpa, invece!” Urlò il Re Demone ed il Primo Cavaliere si sentì gelare. “Era un ibrido! Non aveva solo sangue di Demone nelle vene, era il tuo a renderlo debole! Tu hai reso debole nostro figlio al punto che non è riuscito a venire al mondo! Tu e la tua misera natura da Umano!”
Tooru si pentì di aver pronunciato quelle parole un istante più tardi. Gli occhi scuri divennero grandi, disperati ma il danno era fatto. Se non era riuscito a spezzare il cuore di Hajime fino ad allora, non poteva più concedersi il privilegio del dubbio.
Quegli occhi verdi lo guardavano come se lo avesse appena pugnalato al petto con le sue stesse mani.
“Hai ragione,” disse Hajime con voce tremante. “È colpa mia...”
“Hajime...” Mormorò Tooru sporgendosi verso di lui. “Hajime, ti prego...”
“È colpa mia perchè non sono stato in grado di prendermi cura di te come avevo giurato a tua madre che avrei fatto...” 
Quegli occhi verdi erano pieni di lacrime quando il Primo Cavaliere si voltò sottraendo il suo viso dallo sguardo del Re Demone. 
“Hajime!” Chiamò Tooru disperatamente. “Hajime, ti prego!”
Quella volta, però, il suo Cavaliere non si voltò.



Ushijima venne da lui al calar del sole.
Tooru si era addormentato piangendo e si svegliò di colpo quando si rese conto di non essere più solo. Il Re dell’Aquila sedeva su di una poltrona accanto al suo letto e si sporse verso di lui quando tentò di solleversi. “Riposa,” gli disse gentilmente. “Hai bisogno di recuperare le forze.”
Tooru si stese su di un fianco per poterlo guardare. “Sai tutto?”
“Sì,” rispose Ushijima. “Mi dispiace...”
“Non mentirmi per educazione, ti prego.”
“Non mento. Nulla che ti faccia soffrire mi fa piacere,” replicò il Re dell’Aquila e Tooru decise di credergli. “Dov’è Hajime?” Domandò sollevandosi su di un gomito. “Voglio vederlo. Ho bisogno di parlargli...”
Ushijima lo fissò per un lungo momento di silenzio.
“Ushijima,” Tooru sentì le lacrime pungergli di nuovo agli angolo degli occhi. “Dov’è Hajime?”
“Se ne è andato,” rispose il Re dell’Aquila.
Tooru sorrise. Un sorriso tremulo, quasi isterico. “No, lui non lo farebbe mai,” replicò.
Ushijima rimase in silenzio.
“Hajime non mi lascerebbe mai da solo,” aggiunse. “Non mi abbandonerebbe così...”
L’altro abbassò lo sguardo. “Immagino che gli ultimi eventi siano stati troppo per lui, Tooru.”
Il Re Demone piangeva di nuovo. “Ho appena perso nostro figlio, non può lasciarmi così!”
Oh, sì che poteva... Tooru lo sapeva bene e conosceva ogni ragione che poteva aver spinto il suo Cavaliere a prendere una decisione simile. Non era stato per crudeltà che Hajime se ne era andato ma per disperazione e Tooru sapeva di non avere altri da biasimare se non se stesso.
“E adesso?” Domandò più a sè che all’uomo che aveva di fronte. “Che cosa faccio adesso?”
Ushijima allungò una mano e gli accarezzò il viso madido di lacrime. “Permettimi di dimostrare quello che non mi hai mai concesso prima,” disse. “Lascia che ti mostri che posso essere un alleato prezioso per te. Voglio farti vedere la cima del mondo...”
Tooru dischiuse le labbra ed il Re dell’Aquila premette l’indice contro le sue labbra. “Non ora,” aggiunse. “Prima, devi recuperare le forze e devi guarire non solo fisicamente. Accettare di essere quelli che si è non è facile, Tooru. E’ qualcosa di terrbilmente simile alla disperazione. Ne so qualcosa, l’ho provato quando Eita si è addormentato per non risvegliarsi mai più e, di ritorno da Fukurodani, mi sono abbandonato al suo capezzale perchè non sapevo che farmene di quel nuovo me stesso. Tu mi hai aiutato... Permettimi di fare lo stesso...”
Tooru inspirò profondamente e si lasciò sfuggire un singhiozzo. 
“Ci vorrà del tempo, non avere fretta. Ti chiedo solo di aver fiducia in me ed andrà tutto bene. Ti do la mia parola.”



Quello fu l’inizio dell’alleanza tra il Re dell’Aquile ed il Re Demone.


***


Ci vollero settimane perchè Tooru trovasse dentro di sè la forza di alzarsi da quel letto e ci volle ancora un po’ prima che fosse capace di camminare sotto gli sguardi di tutti a testa alta e con lo sguardo fiero che lo contraddistingueva.
Ushijima fu di parola. Gli concesse tutto il tempo di cui aveva bisogno per venire a patti col dolore di ciò che era accaduto con Hajime e col bambino e, lentamente, Tooru cominciò a guardarsi allo specchio riconoscendosi in un’immagine nuova. Non estranea, però. Era come se il Re che ricambiava il suo sguardo dalla superficie riflettente fosse sempre stato lì e guardasse dicendogli con fare complice: “finalmente, te ne sei accorto.”
Non fu indolore venire a patti col nuovo se stesso ma Tooru non si era mai arreso facilmente in vita sua e, ben presto, tornò ad essere il Re Demone dal passo sicuro ma forgiato in un altro fuoco.
Da parte sua, il Re dell’Aquila si ritrovò accanto l’alleato di cui aveva bisogno, uno della sua stessa natura.
A metà dell’estate, Ushijima propose a Tooru un piano militare per conquistare un gruppo di piccoli regni a nord che avrebbero potuto spartirsi una volta finita la guerra di conquista. Il Re Demone accettò e spedì al Castello Nero un ordine ufficiale che affidava al Primo Cavaliere il compito di guidare l’esercito fino a Fukurodani.
I Cavalieri del Regno di Seijou raggiunsero il loro sovrano in tre giorni ma Hajime no.
Non ci furono lettere per Tooru. Issei e Takahiro si limitarono a dirgli che era partito per le campagne con le nuove leve e che preferiva prendersi cura della loro gente in assenza del loro Re, piuttosto che lasciarli completamente privi di protezione.
Il Re Demone abbassò lo sguardò, annuì e finse di crederci.


***


Le conquiste a Nord furono un successo.
Gli eserciti di Seijou e Shiratorizawa diedero vita alla più grande e letale macchina da guerra che si fosse mai vista in tutti i Regni liberi e ben presto chiunque non fosse stato toccato dalla grandezza di quell’alleanza imparò a temerla da lontano. Bastò una stagione perchè cominciassero ad essere raccontate delle storie e se tutti conoscevano il nome del Re Demone e del Re dell’Aquila, in seguito, fu impossibile che non venissero pronunciati insieme in una qualunque delle corti del mondo conosciuto.
Tooru ed Ushijima avevano segnato la fine e l’inizio di un’era con le loro stesse mani e se il primo era estasiato di fronte a quel nuovo mondo, il secondo restava un passo indietro come per godersi un capolavoro che aveva aspettato di ammirare per anni. Tooru brillava sul campo di battaglia. Tooru brillava nella grande tenda del Consiglio di guerra dove ogni sua strategia non faceva che mettere in ombra i più fidati consiglieri del Re dell’Aquila. Ushijima ascoltava ogni sua parola e la metteva in atto come se fosse un fedele generale ai suoi comandi. 
L’unico che poteva permettersi di commentare apertamente la cosa era Satori, che non mancava di alzare gli occhi al cielo ogni qual volta Ushijima si dimostrava più che disposto a seguire l’ultimo schema d’attacco che Tooru aveva abbozzato durante l’ennesima notte insonne. Oltre a questo, però, non poteva che tacere di fronte all’indiscusso talento da stratega del Re Demone.
I suoi piani era astuti ma pratici e non rendevano necessario l’uso del potere del Re dell’Aquila per prendere di sorpresa il nemico. Che ai Cavalieri di ambo le parti facesse piacere o meno, Tooru e Ushijima funzionavano e lo facevano in quel modo perfetto che sembrava esistere solo nelle epiche storie dei grandi Re e degli eroi leggendari.
Quello che pochi sapevano, però, era di come tutta quella gloriosa luce sparisse dagli occhi scuri di Tooru non appena si ritirava dall’ennesimo campo di battaglia conquistato e si ritrovava a correre euforico all’interno di una tenda completamente vuota. “Iwa-ch...” Quel nome gli moriva sulle labbra alla fine di ogni maledetto giorno e l’unica risposta che riceveva era il più assoluto silenzio.
Il suo Primo Cavaliere non era lì per condividere con lui il suo momento di assoluto splendore. Nessuno compagno che lo aiutasse a liberarsi dell’armatura e baciasse via il fastidio di ogni livido, nessun figlio che lo guardava con occhi orgogliosi e brillanti come se fosse il più grande degli eroi.
Tooru aveva un esercito al suo seguito, aveva l’appoggio del Re dell’Aquila ma, sulla cima del mondo che tanto aveva desiderato, era completamente da solo. Ogni notte, dopo aver riguardato i piani di guerra e prima di concedersi qualche ora di riposo prima dell’alba, Tooru scriveva un’infinità di parole per suo figlio ed il suo Cavaliere ed ogni mattina consegnata una lettera priva di sigillo reale ad uno dei suoi messaggeri. Si firmava Tooru e nulla di più.
La guerra stava per finire e non aveva mai ricevuto risposta.
Fu Ushijima il primo ad accorgersi della sua solitudine.
“Posso?”
Tooru sollevò gli occhi dalla piccola scrivania e riconobbe immediatamente il suo alleato sull’ingresso della tenda. Accennò un sorriso. “Sei un Re, non dovresti chiedere il permesso.”
Ushijima entrò lasciando che le luci ed i rumori dell’accampamento venissero di nuovo chiusi fuori dalla tenda. “È mio dovere mostrare rispetto ai miei pari.”
Tooru continuò a sorridere stancamente rileggendo distrattamente l’ultima frase che aveva scritto nero su bianco. Ti prego, torna da me.
“Non hai mai considerato gli altri Re tuoi pari.”
Ushijima si fermò davanti alla piccola scrivania. “Tu non sei un Re dei tanti.”
Tooru sollevò gli occhi e si sentì sinceramente gratificato da quel complimento. C’era ancora un uomo per cui avesse valore, almeno. 
“Stai ancora lavorado al prossimo piano d’attacco?” Domandò il Re dell’Aquila. Tooru guardò la lettera poggiata in bella vista davanti agli occhi di entrambi, scosse la testa e vi spostò sopra una mappa su cui aveva disegnato decine di linee in un gesto casuale. “No,” rispose. “Una lettera privata.”
“Scrivi al tuo Cavaliere?”
Il sorriso sparì immediatamente dalle labbra di Tooru e Ushijima si morse l’interno della lingua. “Scusami...”
“Tra poco sarà il compleanno di mio figlio,” disse il Re Demone. “Non potrò essere lì, così...”
“Comprendo...”
“Tobio e Tsutomu sono nati lo stesso giorno, vero?”
Ushijima annuì. “Ad un anno preciso di distanza l’uno dall’altro. Tsutomu, però, è abituato a non avermi accanto in determinate situazioni. Non soffrirà la mia assenza.”
“Non è vero,” replicò Tooru. “Sarà il suo primo compleanno senza nessuno dei suoi genitori, non potrà essergli indifferente.”
“Hai l’aria stanca,” cambiò discorso Ushijima. “Dovresti riposare. Siamo alla fine, ormai ma non voglio che tu ti distrugga proprio ora.”
“Devo solo finire di scrivere questa lettera e poi andrò a dormire.”
“Puoi finirla domani.”
“No,” rispose Tooru con calma ma fermamente. “Voglio consegnarla ai messaggeri di domani. Voglio che arrivi il prima possibile...”
Ushijima annuì e lo guardò mentre si rimetteva all’opera. Vide nella sua espressione lo sforzo che faceva nel scegliere le parole giuste e poi metterle per iscritto. Quando si accorse che non se ne sarebbe andato, Tooru si fermò nuovamente e lo guardò confuso. “Dovevi dirmi qualcosa?”
Il Re dell’Aquila si umettò le labbra prima di rispondere. “Non devi elemosinare nulla, Tooru,” disse sinceramente.
Il Re Demone non s’irrigidì a vista d’occhio e quegli occhi scuri si riempirono di lacrime immediatamente. Tooru appoggiò le spalle allo schienale della sua sedia e guardò altrove con orgoglio. “Tu non pensi mai ad Eita?”
“Continuamente...
“E non ti manca?”
“Certo...”
“Ti prego, allora, di non rivolgermi parole del genere,” disse Tooru guardandolo negli occhi. “Hai detto che Eita era ciò che riusciva a mantenerti umano, ciò che metteva un limite al mostro che avevi dentro. Io vorrei che Hajime amasse anche quella parte di me.”
“Non ne sarà mai capace, Tooru.”
“Non lo puoi sapere,” replicò il Re Demone. 
“Ti ha abbandonato.”
“Io gli ho spezzato il cuore per primo!” Esclamò. “Lui ci ha provato... Ha cercato di capirmi quando gli ho detto che quello che avevamo non mi bastava più. Non ha mai voluto conquistare Dateko ma lo ha fatto per me! Se non è amore questo, che cos’è?”
“Non ho il potere di rispondere,” ammise Ushijima. “Ma se il Primo Cavaliere di Seijou non riuscisse ad amare ciò che sei diventato... Voglio solo che tu ti convinca che non c’è nulla di sbagliato in quello che sei.”
Tooru non gli disse nulla mentre se ne andava ma non riuscì a trattenere le lacrime, una volta che fu rimasto da solo.



Era caduta la prima neve da pochi giorni quando Tooru venne svegliato da una gran confusione fuori dalla sua tenda. In un primo momento, con i sensi ancora intorpiditi dal sonno, pensò che fossero sotto atacco, poi si ricordò che la guerra era finita ormai da qualche giorno e che erano nel pieno delle trattative con i Regni sconfitti. Un attacco in un momento simile non avrebbe avuto alcun senso e per i loro nemici non si sarebbe rivelato poi così diverso da un suicidio.
Solo dopo essersi sollevato su di un gomito si rese conto che quelle voci non erano allarmate ma gioiose. Era come se i festeggiamenti della notte precedente non si fossero mai conclusi, al contrario, fossero stati animati da nuova vita.
Uscì dal suo letto lentamente, infilò i pantaloni, gli stivali e poi recuperò il mantello scuro dallo schienale della sedia posta accanto alla scrivania. Un’altra lettera, questa lasciata incompiuta, giaceva sulla superficie di legno, sotto una serie di mappe segnate. Un raggio di sole illuminava le uniche parole visibili: ti prego, torna da me.
Qualcuno doveva averla udita quella preghiera. Quando Tooru uscì dalla tenda, non fu il sole del tardo mattino ad accecarlo, bensì il sorriso di un Cavaliere che era stato protagonista dei suoi sogni più lieti e dei suoi incubi peggiori per troppo tempo.
Hajime sorrideva nel rivolgersi ai suoi Cavalieri, le mani appoggiate sulle spalle di un ragazzino che Tooru ebbe difficoltà a riconoscere come suo figlio. Era cresciuto, Tobio. Si era fatto incredibilmente più alto ed il viso stava già perdendo i lineamenti infantili che aveva indossato fino alla primavera precedente. Il suo Principe stava sbocciando. Un meraviglioso fiore d’inverno con gli occhi di un blu che persino il cielo gli invidiava, ed i capelli neri come ali di corvo.
Suo figlio stava sbocciando... E Tooru se lo era perso.
Era chiaro come il sole l’orgoglio sul viso di Hajime mentre lo mostrava ai suoi uomini e Tobio che li guardava un po’ a disagio, come se si vergognasse. 
D’un tratto, gli occhi blu si posarono su quelli scuri del Re Demone e Tooru si sentì messo con le spalle al muro con mille spada puntate contro di sè. Anche Tobio devette farsi teso perchè Hajime smise di sorridere per guardarlo. Fu impossibile non seguire la linea del suo sguardo e, prima che Tooru fosse pronto a ricevere il colpo, quegli occhi verdi furono su di lui.
Fu come se quelle mille spada gli avessero trapassato il corpo tutte insieme.



“Mi hanno fatto Cavaliere!” Raccontò Tobio con orgoglio, le guance appena arrossate per l’emozione. Tooru non ne fu particolarmente sorpreso ma sorrise comunque con entusiasmo e cercò gli occhi verdi del suo Cavaliere per condividere quell’emozione ma Hajime se ne stava in un angolo, con le braccia incrociate contro il petto e lo sguardo perso in un punto qualunque che non fosse il suo viso.
“Papà mi ha regalato questa per la mia nomina!” Tobio si slacciò la cintura e mostrò al Re Demone una spada che conosceva bene. Era stato lui stesso a darla al suo Primo Cavaliere quando la guerra per difendere le loro terre dal Re dell’Aquila li aveva costretti a dividersi. Quella era la spada tutti i Re del Castello Nero avevano impugnato fino alla morte e Tooru l’aveva ceduta all’unico uomo che fosse degno di brandirla a parte lui. Forse, più di lui. “Mi ha detto che gliel’hai donata quando è partito per combattere la guerra contro il Re dell’Aquila!”
Tooru annuì debolmente, gli occhi fissi sulla spada. “È così,” disse. “Questa spada è passata di generazione in generazioni per secoli. “La donai a tuo padre come prova del legale di amore e fiducia che ci unica. È il più grande tesoro che avrai mai in eredità da noi. Abbine cura, Tobio.”
Il Principe annuì con sguardo fiero.
Tooru cercò di nuovo gli occhi di Hajime ma il Primo Cavaliere continuò a comportarsi come se non avesse udito nessuna delle parole che aveva pronunciato.



Al tramonto, i festeggiamenti per la vittoria continuarono.
Tooru ed Ushijima avevano concluso le trattative e la spartizione dei territori sarebbe andata esclusiavamente a loro discrezione. Il Re dell’Aquila era aperto a qualsiasi proposta, il Re Demone si accontento che le conquiste fossero suddivise equamente tra le due parti e non pretese nulla di più. Non l’avrebbe fatto comunque ma gli ultimi eventi lo spinsero a rendere quella riunione tra Re il più breve possibile. Aveva la sua gloria, ora, doveva assicurarsi di averla ottenuta alle sue condizioni.
“Sei distratto...” Commentò Ushijima.
Tooru sospirò stancamente alzandosi dalla sua sedia. “Hajime è qui.”
“Lo so...”
“Allora non hai motivo di pormi altre domande,” concluse Tooru uscendo dalla tenda del consiglio. 



La parte dell’accampamento che portava i colori di Seijou era ben più sobria di quella di Shiratorizawa. Nel ritornare alla sua tenda, Tooru notò che Tobio si era seduto insieme a Issei, Takahiro e a tutti gli altri Cavalieri che lo avevano visto crescere ed erano buoni amici di suo padre. Non poteva udire quello che gli stavano raccontando ma a giudicare dall’espressione di Tobio doveva trattarsi di una storia avvincente, probabilmente riguardava una delle imprese di Hajime. 
Tooru sorrise e passò oltre: suo figlio si stava divertendo e lui non era certo dell’umore per lasciarsi coinvolgere da vecchie storie a lieto fine. 
Il Principe ed il Primo Cavaliere non si erano accomodati nella tenda del Re, sebbene Tooru ne avesse espresso il desiderio. No, i Cavalieri ne avevano issata una ai confini dell’accampamento, poco lontana da quella del Re Demone ma comunque abbastanza perchè fosse impossibile non notare la distanza che si era creata tra i genitori del Principe ereditario.
Se Tobio aveva notato qualcosa, se vi aveva fatto caso nei mesi di distanza che si erano lasciati alle spalle, non lo dimostrava. Tooru sperava che fosse ancora troppo bambino ed ingenuo per essere consapevole dei loro lati oscuri e che Hajime avesse saputo tessere magistralmente una bella storia che potesse giustificare la sua assenza senza svalutarlo agli occhi del suo erede.
Sperò...
Si fermò davanti alla sua tenda vuota, gli occhi scuri si sollevarono su quella ad un centinaio di passi di distanza. Una debole luce proveniva dal suo interno. Hajime era lì. Tobio era al campo, insieme agli altri. Il Cavaliere era completamente da solo.
Tooru non esitò. 
Percorse quei cento passi nel tempo di un solo respiro ed entrò in quella tenda senza chiedere il permesso. Gli occhi verdi di Hajime furono immediatamente su di lui. Sedeva alla luce di una singola candela, tra le mani la mappa di quello che Tooru riconobbe come uno dei suoi piani d’attacco. Issei e Takahiro dovevano averglielo fatto avere.
Tooru prese un respiro profondo per calmare il suo cuore impazzito. Si sentiva come se avesse corso per ore. “T’interessi al mio lavoro?”
Hajime non rispose, continuò a fissarlo come un intruso decisamente non gradito. Tooru fece un passo in avanti. “Abbiamo mandato avanti questa campagna con solo le mie strategie,” raccontò. “Non abbiamo perso su nemmeno un campo di battaglia.”
Hajime continuò a rimanere in silenzio.
Tooru si morse il labbro inferiore con nervosismo. “Dovresti già saperlo, però,” mormorò. “Penso di averti scritto almeno centinaia di lettere. Ti ho raccontato ogni minuto che ho passato lontano da te.”
Hajime abbandonò la carta sul tavolo che aveva accanto, gli occhi verdi ancora fissi in quelli scuri del suo Re.
“Sono trascorse più di due stagioni, Hajime,” Tooru non perse tempo ad aggrapparsi all’orgoglio, non lo avrebbe portato da nessuna parte. “Ho perso il conto dei modi in cui ho provato... Ho scritto ogni parola utile che esistesse a chiedere perdono!”
“Non sei mai tornato,” quelle furono le prime parole che il suo Primo Cavaliere gli rivolse dopo mesi. “Ti prego, torna da me... L’ho letto fino alla nausea, Tooru!”
Tooru incassò il colpo in silenzio, mentre Hajime si alzava in piedi e gli dava le spalle. “Come se fossi stato io il primo ad andarmene...”
“Mi hai abbandonato a Fukurodani dopo che avevo perso nostro figlio!” Urlò Tooru.
Quegli occhi verdi lo fissarono astiosi. Era così stanco di essere guardato così da lui. “Ricordi quello che mi hai detto, Tooru?” Sibilò. 
“Sì!” Tooru non perse tempo a trattenere le lacrime. “Mi metterò in ginocchio se questo servirà ad avere il tuo perdono ma, ti prego...”
“Smettila di pregarmi!” Sbottò Hajime. “Lo hai fatto per mesi ma non ti è mai venuto in mente di abbandonare questa follia e tornare a casa, vero? Ero io quello che ti aspettava! Ero io quello che s’inventava nobili scuse per impedire a nostro figlio di credere che tu lo avessi abbandonato per inseguire i tuoi dorati sogni di gloria!”
“Non è vero niente!” Urlò Tooru. “Io non vi ho abbandonato! Ti ho ordinato di combattere al mio fianco e non ti sei presentato!”
“Morirò prima di essere un cane al comando del Re dell’Aquila!”
“Ushijima è nostro alleato!” 
Hajime fece una smorfia. “Non sopporto di sentire il suo nome pronunciato dalla tua voce. Non tollero di restare ad ascoltare mentre lo difendi!” Si mosse velocemente ma Tooru lo afferrò prima che potesse superarlo.
“Mi parli come se fossi fuggito con un amante!”
“Non è forse così?”
Tooru sgranò gli occhi. “No...” Disse incredulo. “Hajime, quel bacio è stato un maledetto errore e, te lo giuro sulla vita di nostro figlio...”
“Lascia fuori Tobio da tutto questo schifo!”
“Non mi ha mai toccato!” Urlò Tooru. “L’ho seguito per conquistare la cima del mondo, non per essere suo! Io non lo amo... Io amo te! Hajime, io amo te!” Gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Era stufo anche di quei baci al sapore di lacrime!
Ci fu un momento in cui Tooru temette che del loro amore non fosse rimasto nemmeno un frammento nel cuore del Cavaliere ma Hajime si sciolse in quel bacio. Tooru credette di poter respirare ancora, il cuore di nuovo vivo e pulsante. Sorrise ed appoggiò la fronte contro quella del suo compagno. “Sono tuo. Sono sempre stato tuo...”
“Io non sono certo di volerlo più, Tooru...”
Se lo avesse pugnalato al petto, sarebbe stato di gran lunga meglio.
Tooru sgranò gli occhi, fece un passo indietro e fissò il suo Cavaliere come se lo avesse appena condannato a morte. Hajime lo guardava distrutto, ancora una volta sull’orlo del pianto.
“Non mi ami più?” Domandò Tooru con la voce tremante.
“Sì,” Hajime tirò su col naso. “Sì, Tooru, ti amo... Ti amo... Non c’è mai stato nessun altro e sono certo che non ci sarà mai. Come può? Come può esserci chiunque altro quando non ho un ricordo nitido di me stesso in cui non ci sei anche tu?”
Tooru gli rivolse un sorriso tremolante. “Allora non c’è ragione per cui dovremmo farci del male ancora. Non dobbiamo...”
Tu ci fai del male, Tooru,” replicò Hajime. “Tu ti sei fatto corrodere l’animo dall’invidia per il talento di nostro figlio, invece di esserne orgoglioso. Tu hai etichettato la nostra felicità come comune sostenendo che non ti bastava più. Lo sapevo che eri ambizioso... L’ho sempre saputo ma...” Serrò i denti sul labbro inferiore. “Una volta, anni fa, durante una notte d’estate nelle campagne di Seijou, mi ha chiesto di restare lì, lontano dalle guerre, dalle faccende politiche, dai giochi di potere... Solo io, te e Tobio...”
Tooru piangeva in silenzio.
“Io sapevo che avevi bisogno di un trono per sentirti completo,” continuò Hajime, “ma fui così felice di sentirti pronunciare quelle parole... Sono stato felice ogni giorno che ho passato con te...” Una pausa. “Ma per te non è stato lo stesso. Hai sentito il bisogno di conquistare Dateko per sentirti in pace con te stesso e ti ho seguito. Volevi conquistare anche il mare oltre le rotte conosciute e ti avrei seguito anche in quello. A te, però, non bastava. A te non sarebbe bastato niente fino a che non saresti divenuto un suo pari, vero? Il prezzo non era importante... Che fossimo noi, la tua anima... Tutto valeva la cima del mondo, vero, Tooru?”
Il Re Demone non rispose.
“Rispondi ad una domanda... Solo una domanda,” aggiunse Hajime. “Dici mi amarmi. Dici di volermi ma in tutti questi mesi hai mai pensato di mollare tutto questo per tornare da me?”
Tooru sapeva che avrebbe dovuto mentire. Quella era l’unica cosa che gli avrebbe permesso di tenerlo con sè.
“No...”
Non ci riuscì.
La sua occasione di rimettere insieme il cuore del suo Cavaliere morì in quel preciso momento. Ci fu un attimo in cui gli occhi di Hajime brillarono di disperazione, poi la rabbia e l’orgoglio ebbero la meglio. “Vattene, Tooru...”
Il Re Demone non se lo fece ripetere due volte.



Ushijima era ancora sveglio quando Tooru entrò nella sua tenda senza chiedere il permesso. Lo fece lentamente, come se fosse un sobbambulo capitato lì per puro caso ma erano svegli e vivi quegli occhi scuri ed il Re dell’Aquila non fu affatto disturbato dalla sua presenza. “Tooru...” Disse alzandosi in piedi e rimettendo a posto alcune carte sparse sulla sua scrivania. “Stavo valutando quale fosse la successiva mossa politica che ci convenisse fare a questo punto e...”
“Non mi vuole...”
Solo allora Ushijima si decise a guardarlo davvero. Vide che aveva le guance bagnate e che i suoi occhi erano ancora pieni di lacrime. “Hajime non mi vuole,” ripetè Tooru con voce tremante, disperata. 
Il Re dell’Aquila rimase completamente immobile per un istante, poi fece il giro della scrivania e si portò davanti al Re Demone. “Tooru...”
“Mi sento morire!” Singhiozzò Tooru. “È come quando mi hanno detto che era morto ma è infinitamente peggio perchè è ad appena un passo da me e non mi permette nemmeno di sfiorarlo!”
Ushijima lo lasciò sfogare.
“Ho sempre pensato che... Non ho mai dipinto un mio futuro senza di lui perchè, senza Hajime, io un futuro non ce l’ho!” 
“Ti sbagli,” replicò Ushijima con calma prendendogli lentamente il viso tra le mani. “Ti sbagli e lo sai. Guardati intorno, Tooru, hai conquistato in poche stagioni quello che io ho messo insieme in una vita. Non devi ringraziare nessuno per questo. Tuo è il potere e tua è la gloria. Non hai bisogno di nessuno quando conquisti la cima del mondo.”
Tremavano le labbra di Tooru. “Non credo che la solutidine faccia meno male dell’odio che nasce dalla morte di un amore.”
“Allora trova qualcuno in grado di capire come sei e che è capace di accettarlo senza compromessi.”
C’era una preghiera scritta a chiare lettere negli occhi di Tooru. “E chi mai potrebbe amarmi così?”
Tu puoi amarmi così?
Ushijima si chinò su di lui. “Se sicuro di non conoscere già la risposta.”
Io posso amarti così...
Le loro labbra s’incontrarono a metà strada. Non fu come il loro ultimo bacio, Tooru lo volle questa volta. Lo desiderò. Il suo cuore giaceva a pezzi nelle mani del suo Cavaliere ma Hajime non lo voleva più, Ushijima sì. Il Re dell’Aquila lo voleva, l’aveva sempre voluto.
Fu impossibile dire chi dei due prese l’iniziativa.
Tooru sapeva solo che aveva bisogno di quelle carezze. Aveva bisogno di sentirsi amato, desiderato. Erano fredde le mani di Ushijima sulla sua pelle ma sapevano come toccarlo, come dargli piacere. Tooru si abbandonò completamente tra quelle lenzuola, si aggrappò alle spalle forti del Re dell’Aquila e si lasciò andare...
Le labbra di Ushijima furono sulle sue per tutto il tempo. Lo amò lentamente, sensualmente, come se volesse rendere quella notte eterna.
Non lo fu. Non poteva.
Tooru aveva imparato a suo spese che nulla dura davvero per sempre ma se quegli attimi di eternità erano tutto quello che gli rimaneva, ne avrebbe goduto appieno. Quella notte, lo fece più di una volta. Come se non potesse averne abbastanza... Come se abbastanza non fosse nemmeno un concetto che si potesse comprendere.
Ushijima lo amò e Tooru si sentì amato.
La solitudine non poteva toccarlo fin tanto che quelle braccia lo stringevano.
Se quello era il prezzo per sedere su di un trono sulla cima del mondo, lo avrebbe pagato.
S’illuse di credere che fosse per sua scelta.



***



Hajime non seppe che cosa lo svegliò.
Non udì i passi del giovane uomo che entrò nella sua tenda, nè si accorse della mano tremante che passò amorevolmente tra i suoi capelli. Per assurdo, si destò solo quando percepì una presenza accanto a suo figlio. Portò la mano all’elsa della spada in un gesto automatico ma si rilassò non appena incrociò gli occhi scuri dell’intruso seduto sul bordo del letto del Principe.
“Scusami,” mormorò Tooru. “Non volevo svegliarti...”
Hajime scosse appena la testa. Una mano del Re Demone era tra i capelli corvini di suo figlio ma Tobio non si sarebbe svegliato a breve. “Si è addormentato vestito e sopra le coperte,” notò Tooru con un sorriso intenerito. “Devono averlo trattenuto con delle belle storie fino a tardi.”
“Ti cercava,” disse Hajime.
Tooru lo guardò.
“Non ti ha trovato nella tua tenda ed è venuto qui, convinto che fossi con me.”
Erano dannatamente bravi a recitare per riuscire a parlare tanto naturalmente l’uno con l’altro.
“Gli ho detto che dovevi essere rimasto alzato a rivedere qualche strategia d’attacco.”
Tooru annuì. “È così...” Mentì. “Mi dispiace, l’ho visto così coinvolto con gli altri ragazzi ieri notte che non credevo mi avrebbe cercato.”
“I posti nuovi lo innervosiscono sempre...”
“Già, è vero...”
Passarono alcuni minuti di totale silenzio, gli occhi di entrambi fissi sul bel viso del fanciullo addormentato. Fu Tooru a smettere di fingere per primo. “Te ne vuoi andare?” Domandò.
Hajime strinse le labbra per un istante. “No,” rispose senza aver bisogno di pensarci. “Dovrei smettere di amarti per andarmene.”
“Però l’amore non è più abbastanza...”
“No, non è più abbastanza.”
Gli occhi verdi del Cavaliere tornarono sul viso di suo figlio. “Sarò il padre di Tobio, sarò il Primo Cavaliere di Seijou, continuerò ad essere devoto ai miei doveri nei confronti della mia gente e del mio Re.”
“E per me?” Domandò Tooru. “Che cosa sarai per me?”
Il Cavaliere non rispose ed il Re Demone non domandò altro. Entrambi restarono a guardare in il Principe addormentato. Ammirarono in silenzio ciò che era rimasto di loro.




***
Angolo dei deliri e delle inutili giutificazioni.
In mia difesa... Avrei potuto fare di peggio! Ma non temete, popolo! Tutto ciò che ho scartato qui finisce dritto nello Star Wars AU, così siamo tutti tranquilli e sereni e le mie torture emotive all’insegna dell’angst non vengono censurate al mondo!
No, va bene... Questo capitolo ha una storia...
Prima di tutto, almeno trequarti di queste scene sono state progettate fin da quel benedetto prologo che vi ha portato tutti qui... Quindi sono una carnefice lucida e consapevole.
Secondo, ho cominciato a scrivere questo capitolo il giorno seguente all’ultimo aggiornamento ma, arrivata alla 35esima pagina, mi sono ritrovata a cancellare tutto perchè no! Non rendeva come volevo io! So che ci sono delle scrittrici qui, quindi so che comprendete il dolore interiore di chi cerca di rendere una scena madre come vorrebbe e, invece, nel rileggerla, pensa meh!. Mi ci è voluto un po’... Ma, alla fine, ho trovato la sintonizzazione giusta ed eccovi qui la caduta di Tooru in perfetto stile Anna Karenina dei poveri... Non importa cosa scelta, alla fine, perde (senza offesa per il grande maestro Lev!). No, nessuno si butterà sotto un treno (per pura fortuna, qui non esistono treni), anche se qualcuno dovrebbe prescrivere al Re Demone un bel volo dalla torre più alta nelle vicinanze...
In conclusione, ecco la caduta strannunciata dell’Iwaoi. A voi, miei cari lettori, l’ardua sentenza.
Piccola anticipazione: Il prossimo capitolo sarà un Interludio, quindi prevedo di scriverlo in tempi decisamente più brevi degli ultimi aggiornamenti. 
Alla prossima!



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Capitolo 20
*** Interludio: di sogni infranti ed ingenue speranze ***


Interludio
Di sogni infranti ed ingenue speranze.



Il mantello di piume di corvo era di un nero lucido dalle sfumature bluastre. 
Kei lo notava appena alla luce del fuoco che scoppiettava nel camino e degli alti candelabri ai lati del letto ricoperto da petali di rose nere. Era tutto esattamente come Shouyou lo avrebbe voluto ed il Principe ne aveva goduto con lo sposo sbagliato.
Non era restato abbastanza per dare a Kei una simile occasione.
“Kei...”
Allontanò gli occhi dal mantello corvino appoggiato sulla poltrona per la prima volta dopo quelle che gli erano parse ore. Suo fratello era sulla porta e lo guardava con espressione malinconica. “Sei chiuso in questa stanza da giorni e so che hai dato ordine di non essere disturbato da nessuno ma...”
“Appunto,” disse Kei con voce fredda, atona. “Non voglio parlare con nessuno, fratello.”
Akiteru fece per aggiungere qualcos’altro, poi annuì. “Volevo solo dirti che non ci sono tracce del Principe in nessuna delle terre del Regno ma il Re non intende rinunciare a cercarlo.”
Kei non replicò in alcun modo, anche se ci sarebbero stati decine di modi per commentare quella notizia. Ovvio che non erano rimasti a Karasuno, il Re dei Ribelli poteva anche non brillare per capacità intellettuali ma era pur sempre uno stratega geniale in campo bellico ed era questo che stava facendo: combatteva la battaglia del suo cuore ed era pronto al tutto e per tutto pur di vincerla. 
Era ovvio anche che Daichi non avrebbe semplicemente accettato le scelte di suo figlio restando a guardare con le mani in mano, mentre le conseguenze delle stesse di ripercuotevano su tutti loro. 
Non poteva dire lo stesso di Koushi, però. Non aveva prove per affermare che il consorte reale fosse stato complice nella fuga di Shouyou. Se così era, Daichi di certo lo aveva già scoperto e lo aveva saggimente tenuto per sè, rendendo la questione un problema tra coniugi e genitori; se non lo era, Koushi non doveva essere molto sorpreso dalla reazionie di suo figlio alle decisione che suo padre aveva preso per lui e, forse, in quel suo modo silenzioso ma molto chiaro, lo appoggiava.
Koushi aveva scelto Daichi per amore e non avrebbe voluto nulla di meno per Shouyou, anche se avesse significato concedere la sua mano ad un Principe senza trono e senza Regno ma con abbastanza arroganza da essersi guadagnato il titolo di Re dei Ribelli in un gioco di potere che nessuno aveva il coraggio di chiamare con il suo nome: guerra civile.
Il Re di Karasuno aveva desiderato qualcosa di diverso per il suo Principe. Qualcosa che, forse, non aveva la poesia di una storia tra due eredi al trono nemici fatta di sentimento e passione ma era  comunque un’alternativa sicura, solida, con un vero futuro davanti. Kei e Shouyou erano cresciuti insieme. Caratteri compatibili o meno, si conoscevano da sempre ed era molto di più di quello che avessero la maggior parte dei promessi sposi messi insieme da decisioni più grandi di loro.
Kei non era mai venuto meno ad un dovere. Era un aggressivo passivo e questo la faceva passare come composto, ragionevole e giudizioso agli occhi degli altri. Daichi aveva visto delle mani sicure in cui affidare il suo tesoro più prezioso. Avevo visto in lui un leader capace di proteggere Shouyou e portare avanti un Regno come un Re che faceva di razionalità e riflessione le sue armi principali.
Kei era il miglior Cavaliere della sua generazione e avrebbe da tempo superato lo stesso Primo Cavaliere, se solo avesse messo un poco di passione in quello che faceva ma, più di ogni altra cosa, era un ottimo politico. Le sue conoscenze erano inferiori solo a quelle del Maestro Takeda e non si faceva scrupoli a metterle in atto per zittire chiunque.
Shouyou era sempre stata la sua grande eccezione ma usare la razionalità con il Principe era sempre stato come cercare di spegnere un incendio con un calice d’acqua. Per contenere il loro selvaggio erede al trono, l’essere ligio e freddo non serviva. Shouyou era un fuoco che andava domato con qualcosa di altrettanto divampante ed imprevedibile.
Kei non aveva mai avuto quel potere, nonostante Daichi lo avesse messo al suo fianco come sua guardia del corpo molto prima che Shouyou spiccasse il volo e la natura della loro unione dovette essere modificata per porre rimedio ai suoi guai.
Tobio, invece, sì.
Pur non volendolo, il Principe Demone aveva tutto ciò che Koushi e Daichi avevano cercato in vano in chiunque fosse cresciuto al fianco di Shouyou. Forse, fu proprio questo a rendere Tobio quello che nessuno poteva essere. Chi era cresciuto al fianco di Shouyou lo conosceva, non sapeva prevederlo ma si era rassegnato a questa sua determinante caratteristica.
Tobio non si era accontenta di così poco. Tobio aveva fatto molto più che conoscerlo, aveva saputo comprenderlo e quello che davvero Kei non riusciva a sopportare, sebbene non l’avrebbe mai detto a nessuno, era che c’era riuscito senza nemmeno doversi sforzare.
Era come se Tobio fosse per Shouyou ed il loro Principe dei Corvi fosse, semplicemente, per il Re dei Ribelli.
Era tanto semplice quanto scomodo.
Kei non si era mai sentito all’altezza di Tobio. Dal suo punto di vista, non aveva senso cercare di superare un prodigio che la guerra ce l’aveva nel sangue. Il giudizio sulla sua persona era totalmente diverso: Tobio era un genio sul campo di battaglia, almeno quanto era un perfetto idiota per le questione della vita comune.
Il dominio che aveva sugli avversari negli scontri, si trasformava in terribile ingenuità quando lo si spingeva in terrotori inesplorati per lui. Se ci rifletteva abbastanza, Kei poteva anche azzardare che riscoprirsi innamorato di Shouyou sia stato per il Re dei Ribelli un autentico trauma.
Il Principe dei Corvi era un bambino, prima di finire tra le sue braccia, eppure, pur avendo in comune col suo amante una bella dose di assurda ingenuità, probabilmente era stato il primo a dare un nome a quel legame che si era andato man mano creando tra loro, in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse.
Kei, comunque, non lo aveva previsto e scoprirlo a fatto compiuto l’aveva fatto sentire un idiota più di quando aveva scoperto che suo fratello non era il migliore Cavaliere di niente, nonostante per anni gli avesse fatto credere il contrario. Non l’aveva sopportato.
Shouyou aveva fatto innumerevoli passi avanti proprio sotto i suoi occhi, fino a sfuggire completamente dal suo raggio di azione e lui non se ne era neanche accorto.
Per Kei, Tobio e Shouyou erano sempre e solo stati due ragazzini inadatti al loro ruolo che avevano in comune tutti i difetti ma nulla di più. Tobio, però, lo aveva sorpreso: si era accorto di come, forse, quando abbassava la guardia, i suoi occhi indugiassero un po’ troppo sul suo Principe ed il Re dei Ribelli non lo aveva gradito.
Era lì che aveva capito davvero e quello che lo faceva infuriare di più era che Tobio non aveva nemmeno fatto nulla per nasconderlo. Forse, se fosse stato più attento, Kei avrebbe notato quanto la distanza fisica tra loro si fosse ridimensionata, quanto si guardassero negli occhi con naturalezza sia che litigassero o facessero una delle loro solite idiozie.
Forse, avrebbe dovuto controllare che Shouyou passasse nel suo letto ogni notte.
Daichi non lo aveva accusato di nulla quando il disastro si era consumato ma si chiedeva se lo avrebbe continuato a guardare con rispetto se avesse saputo che il Principe Demone aveva fatto i suoi comodi con suo figlio proprio sotto gli occhi di tutti e nessuno aveva avuto il potere di accorgersene.
Kei si chiedeva se il Re gli avrebbe messo Shouyou tra le mani come suo promesso se avesse saputo di come lo guardava fin da quando il suo unico dovere era stata la sua protezione. Il Cavaliere dubitava che avrebbe potuto difendersi facendo appello al fatto che quella fosse stata una severa sconfitta per lui.
Lui, tanto devoto alla ragione e all’essenza di emozioni inutili, si era ritrovato a provare desiderio senza che lo avesse scelto. Era successo e basta e non sapeva con precisione quando, non faceva che rendere la sua sconfitta ancor più umiliante. 
Semplicemente, un giorno, nel giocare nell’acqua del fiume, Shouyou aveva smesso di togliersi di dosso ogni vestito e Kei aveva desiderato in silenzio che, invece, l’avesse fatto.
Gli occhi dorati erano caduti di nuovo sul mantello di piume di corvo sulla poltrona. Quello era stato confezionato appositamente per la loro nomina a futuri consorti reali del Regno di Karasuno ma Shouyou ne aveva posseduto uno identico per tutta la vita. Non c’era più traccia di quel primo mantello, Kei lo aveva bruciato per puro sfregio la prima volta che il suo promesso lo aveva sfidato apertamente confessandogli cosa rappresentava.
Tobio lo aveva fatto suo su quel mantello e Kei, con lo stesso viso privo di espressione con cui lo aveva ascoltato, lo aveva privato dell’ultima cosa materiale che lo legasse ai giorni col suo amante proibito.
Se ripensava al giorno in cui il Re li aveva convocati entrambi al suo cospetto, Koushi e suo fratello accanto a loro... Shouyou era stato così fiducioso quando Daichi aveva espresso ad alta voce quella che, per il Principe, non era stata altro che una semplice follia. Aveva cercato immediatamente il suo appoggio e Kei non avrebbe mai dimenticato l’orrore nei suoi occhi quando non glielo aveva concesso.
Dal quel giorno... Dal giorno in cui Kei lo aveva condotto nel castello della sua famiglia, in una delle regioni più remote di Karasuno, Shouyou gli aveva fatto la guerra e gliel’aveva fatta con la stessa caparbietà con cui faceva ogni cosa. Suo fratello gli aveva detto che era il senso di ribellione dell’età, che avrebbe saputo comprendere le ragioni dietro la decisione di suo padre col tempo, divenendo adulto ed allora sarebbe stato felice di ciò che gli era stato concesso.
Era sempre stato un ottimista suo fratello, sebbene si fosse sentito in dovere di mentirgli per guadagnarsi il suo rispetto e la sua ammirazione. Kei era più realista: Shouyou non si sarebbe semplicemente abituato, non si sarebbe arreso.
C’era stata della tenerezza ma, se si erano sfiorati, per Shouyou non era stato abbastanza.
Kei si era illuso di domarlo, aveva anche cercato di piegarlo.
Sì, lo aveva fatto su quello stesso letto coperto di petali di rose nere durante l’ennesima battaglia verbale, dopo avergli sbattuto in faccia ancora una volta che lui, miglior Cavaliere della sua generazione e scelto dal Re di Karasuno stesso per sedere su quel trono dopo di lui, non valeva la metà di Tobio, un Principe che avrebbe potuto governare sulla cima del mondo ma che era stato bandito dalla sua stessa casa per mano di chi l’aveva messo al mondo.
Non aveva importanza che Tobio gli avesse spezzato il cuore, non aveva importanza che Tobio lo avesse abbandonato dopo aver portato la guerra alla porta della loro casa. Tobio vinceva ancora, ancora ed ancora... E Kei, che mai si era disturbato a voler superare un prodigio come quello, aveva sentito il desiderio di farlo a pezzi.
Aveva quasi perso il diritto di essere chiamato uomo quella notte ma, nello sconfiggerlo, Shouyou era riuscito a salvarlo anche da questo. 
Poi Tobio era tornato e Kei si era arreso su di un campo di battaglia su cui aveva perso fin dal principio. Semplicemente, non aveva potuto ammetterlo. Non era potuto andare dal Re e rinunciare a Shouyou di sua spontanea volontà.
Poi c’era stato Tadashi. 
Tadashi, che lo aveva tradito più di chiunque altro.
Tadashi, che aveva permesso a Tobio di entrare in quella stessa camera, di giacere con Shouyou in quel letto di rose nere che avrebbe dovuto essere per loro e loro soltanto. Tadashi era stato la loro guida nella notte oltre i cancelli del suo castello, verso i confini del Regno. Nessuno cercava il Cavaliere dalle misere doti di spadaccino e Kei non aveva fatto il suo nome a nessuno, nemmeno a suo fratello quando era venuto a chiedergli dove potesse essere.
Kei prese il mantello di piume di corvo tra le mani, lo esaminò con lo sguardo per un’ultima volta. Rivide Shouyou mentre lo provava, Tadashi che gli appoggiava la corona dorata sul capo e lo invitava a guardarsi allo specchio per vedere come stava. Kei non avrebbe mai dimentico gli occhi d’ambra che si erano riflessi in quello specchio. C’era stato un terribile momento in cui si era chiesto se quelli fossero davvero gli occhi del Principe dei Corvi.
Poi c’era stata la notte in cui Shouyou era scappato, la notte in cui, ufficialmente, non aveva visto nulla.
Non aveva visto Tobio in sella a Karasu e non lo aveva visto porgere la mano ad un fanciullo incappucciato di nero per aiutarlo a salire dietro di lui. Non aveva visto quello stesso fanciullo sollevare gli occhi d’ambra verso la sua finestra per incrociare i suoi e non aveva visto quel cappuccio venir abbassato da un colpo d’aria, mentre il cavallo partiva al galoppo, liberando una chioma di capelli ribelli dello stesso colore del tramonto.
Se solo il Re avesse saputo cosa non aveva visto... Ma Kei aveva rivisto gli occhi di Shouyou quella notte, gli occhi che aveva cercato invano in quello specchio alla vigilia della loro unione.
Gettò il mantello corvino nel fuoco e restò a guardare mentre le fiamme lo consumavano velocemente, così come velocemente era sfumato il suo sogno ad occhi aperti insieme al Principe dei Corvi.
Lasciarlo andare era l’unica prova d’amore che gli avesse concesso.


***


Il sangue che sporcava le sue mani era di un rosso vivo... Terribile.
Tsutomu non era degno del titolo che portava.
Non era adatto per essere il Principe dell’Aquila, nonostante avesse passato tutta la vita a cercare di dimostrare il contrario, a provare di essere all’altezza di un padre che non lo aveva mai rinnegato ma che aveva creduto che il modo migliore d’insegnargli a volare fosse lasciarlo cadere nel vuoto ed aspettare che l’istinto facesse il resto.
Tsutomu quell’istinto, probabilmente, nemmeno lo aveva.
Per questo, forse, in quel momento si sentiva completamente schiacciato dalle sue stesse dita umide di una vita spezzata. Nemmeno Shouyou sarebbe potuto sopravvivere a quella freccia, dopotutto...
Tobio lo aveva stretto tra le braccia ed era corso via disperatamente ma nemmeno se avesse avuto le ali sarebbe mai arrivato in tempo per affidare il Principe dei Corvi alle mani di chiunque potesse salvargli la vita. Shouyou era morto... Shouyou era morto per salvargli la vita e Tsutomu sapeva di non meritarselo... Eccome se lo sapeva...
Uno stivale si appoggiò sul bordo del ceppo su cui si era accomodato. Gli occhi chiari si sollevarono sul Cavaliere col viso un po’ folle, abbastanza arrogante da interrompere la sua riflessione. “Non pensare troppo, ragazzino,” disse Satori con il sorriso di chi la sapeva lunga. “Fa venire il mal di testa pensare senza cervello.”
Tsutomu non se la prese come avrebbe fatto in una situazione normale. Al contrario, gli sfuggì un sorriso nostalgico ed abbassò lo sguardo con un sospiro. “Vorrei essere ancora un ragazzino...”
Satori sbuffò. “Quindici anni scarsi, sei un neonato! Non prenderti per adulto o vorresti forse dire che io sono vecchio?”
Il Principe non rispose e continuò a fissare le proprie dita sporche di sangue.
“È stato un folle, il piccoletto,” commentò il Cavaliere con rispetto.
Tsutomu lo guardò.
“Il Re dei Ribelli sapeva quello che faceva quando ha puntato quella freccia contro di te,” aggiunse Satori. “Aveva capito che non poteva vincere contro il Re dell’Aquila, ha visto suo padre cadere e la sua casa ridotta in cenere e macerie. Ha pensato che se non c’era un futuro per Seijou, Shiratorizawa avrebbe sofferto la stessa sorte. Degno del sangue di Tooru, non c’è che dire...”
“Perchè Shouyou mi ha difeso?” Di tutte le vite che avrebbe potuto spezzare per sua mano o che sarebbero potute andare distrutte per causa sua, perchè Shouyou? Perchè non Tobio? Avrebbe avuto più significato e, forse, il senso di vendetta e rivincita avrebbero avuto la meglio su qualsiasi senso di colpa. 
“Perchè uccidere Ushijima sarebbe stata una rivincita legittima,” rispose Satori. “Uccidere te sarebbe stato un omicidio.”
“Possiamo ancora permetterci di fare simili onorevoli differenze?”
“No, noi no,” ammise Satori. “Quel piccoletto, però, non ha ancora venduto l’anima a nessun desiderio oscuro, ancora. Se l’è tenuta ben stretta e l’ha devota ad una causa che non ha nulla a che fare con i giochi di potere ma che, come ha dimostrato, è capace di ribaltare le carte in tavola in modo totalmente imprevedibile.”
Tsutomu inarcò un sopracciglio. “Parli dell’amore, Satori?”
Il Cavaliere sbuffò, poggiò entrambi i piedi a terra e guardò verso il cielo con aria frustrata. “Sto facendo il poeta patetico, eh?” Domandò a se stesso. “Maledizione, sto invecchiando davvero!”
Suo malgrado, Tsutomu rise, mentre l’altro si lasciava cadere seduto a terra a gambe larghe proprio come un ragazzino. “Non c’è il suo sangue sulle tue mani,” aggiunse il Cavaliere dopo un po’.
Tsutomu tornò a fissarlo confuso. 
“O, perlomeno, vi è solo fisicamente... Non nell’altro senso.”
Il Principe si morse il labbro inferiore. “Non è possibile che Shouyou sia sopravvissuto a quella freccia.”
“Ragazzino, se tutte le cose impossibili fossero rimaste tali in questa storia, ci saremmo tutti annoiati parecchio: prima di tutto, non avremmo due reali capaci di divenire volatili come nelle antiche leggende; secondo, il Re dei Ribelli non sarebbe nemmeno dovuto nascere; terzo, hai una vaga idea di quante volte il Primo Cavaliere di Seijou, misero Umano in un Regno di Demoni, sarebbe dovuto morire?”
Tsutomu lo fissò con rinnovato interesse. “Mio padre crede che Shouyou sia vivo? È di questo che stiamo realmente parlando?”
Satori sorrise. “Ragazzo mio, ho sempre saputo che non brillavi d’intelligenza ma, mi sono detto, crescerà...”
“Satori!”
“Seriamente, Tobio era ad un passo da tuo padre, il Re dell’Aquila aveva una spada in mano ed il Re dei Ribelli se ne stava inginocchiato a terra con un corvo morente tra le mani e nessuna arma a portata di mano dopo aver cercato di ucciderti... Dammi una buona ragione per cui non avrebbe dovuto tagliargli la testa seduta stante?”
Tsutomu corrugò la fronte. “Ha permesso a Tobio di salvare Shouyou...”
“Bravo! E, guarda caso, al Castello Nero risiede il più esperto Curatore di tutti i Regni liberi, una volta mago di Corte di Nekoma! Il Principe dei Corvi è vivo, ragazzo mio! Ushijima sa sempre come giocare le sue carte, dovresti averlo imparato da un po’!”
Il Principe non restò seduto oltre. Si addentrò nell’accampamento ed arrivò alla tenda del Re in pochi istanti. Entrò senza chiedere il permesso ma suo padre era solo. Certo, questo non lo salvò dall’occhiata gelida che soleva rivolgere a chiunque lo disturbasse ma Tsutomu non aveva tempo per il rispetto in quel preciso momento.
“Shouyou è vivo...”
Ushijima non rispose.
“Perchè non hai detto nulla?”
“La mia è un’ipotesi ragionevole, nulla di più,” replicò il Re.
“Ipotesi ragionevole?” Domandò Tsutomu perplesso. “È stato trapassato da una freccia, padre.”
“Ho subito ferite mortali molte volte nella mia vita,” disse Ushijima. “Così è accaduto a Tooru. Il potere nel sangue di Shouyou non è inferiore al nostro ma, forse, è superiore. Non basterà questo ad ucciderlo.”
Tsutomu rimase in silenzio per alcuni istanti. “E che cosa abbiamo intenzione di fare?”
“Ti ha salvato la vita...”
“Questo lo so bene!”
“Di tutte le cose che potremmo fargli per essere dalla parte per cui combatte, ci limiteremo a trattarlo come un bottino di guerra.”
“Cioè?”
Ushijima lo guardò. “Lo darò in dono a te...”
Tsutomu aprì la bocca e la richiuse. 
Il Re dell’Aquila scosse la testa. “Sei ancora giovane ed ingenuo, Tsutomu.”
Il Principe strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Pensi che non abbia capito?”
“Dal colore sulle tue guance, deduco che ha capito perfettamente.”
Per tutta risposta, Tsutomu arrossì ancora di più. “Il Re di Karasuno ha rifutato di...”
“Non ha più valore la sua parola fintanto che suo figlio è amante di un Principe nostro nemico,” lo interruppe Ushijima. “La guerra di Tooru contro Karasuno non era solo per annientare i ribelli, era anche un modo per avvisare il Re dei Corvi che non è nostra abitudine accettare un no come risposta.”
Tsutomu ingoiò a vuoto.
“Shouyou ci ha semplicemente reso le trattative più facili,” concluse il Re dell’Aquila. “Il resto spetta a te.”


***


Yachi non riusciva a dormire.
Non era una cosa poi così strana nell’ultimo periodo ed era ormai abituata a restare stesa nel suo letto, sotto le coperte, a fissare il cielo stellato oltre la finestra della sua camera. Era come se aspettasse qualcosa ma cosa non sapeva dirlo nemmeno lei.
Il demone della guerra gli aveva ormai toccati tutti, uno ad uno e sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno fosse riuscito di nuovo a fare sogni tranquilli sentendosi al sicuro nella propria casa. Era una delle convinzioni che tutti loro avevano avuto fin da bambini e che i loro genitori si erano premurati di alimentare: il Castello dei Corvi era solido, era il posto più sicuro del mondo.
Non era vero.
Era stata una favola per bambini anche quella.
Il Castello dei Corvi era un insieme di mattoni con sopra una bandiera a dargli un’identità: i primi potevano essere abbattuti e la seconda bruciata con relativa facilità e, con loro, sarebbe sparito il mondo in cui erano nati, di cui avevano sempre fatto parte.
Yachi e tutti i ragazzi che erano cresciuti con lei l’avevano imparata di recente questa cruda verità ed era bastata per disimparare tutto il resto, tutto quello che i loro genitori avevano costruito perchè avessero una vita felice.
Bastava guardare il loro Re, spaventato al punto da sacrificare la felicità del suo Principe pur di metterlo al sicuro. Come se Shouyou avrebbe mai potuto accettare un simile compromesso, poi...
Forse, era lui che Yachi aspettava ogni notte, sebbene sapesse che non sarebbe tornato mai più.
Aveva preferito la sua ribelle felicità ad una casa distrutta, che, alla fine, l’aveva soffocato sul serio. Yachi non lo giudicava, si erano detti addio in lacrime ma si erano capiti come facevano fin da bambini. Tobio si sarebbe preso cura di Shouyou come Kei non avrebbe mai imparato a fare.
Le dispiaceva per il Cavaliere, dopotutto erano cresciuti insieme ma il compromesso di Daichi non avrebbe mai potuto rendere felice nessuno. Tuttavia, non era come se la felicità di Shouyou potesse avverarsi senza un prezzo.
“Yachi...”
Non aveva sentito la porta della sua camera aprirsi ma non faticò a riconoscere la figuretta che fece capolino all’interno della stanza con una bambola di pezza stretta al petto e le lacrime agli occhi. Yachi si sollevò su di un gomito per guardarla meglio. “Natsu...”
La Principessa si fece avanti e, prima che potesse chiederglielo, la fanciulla si fece da parte e le permise di coricarsi nel suo letto. “Che cosa è successo?” Domandò passando una mano tra quei capelli dal colore impossibile esattamente come quelli di suo fratello.
La bambina singhiozzò facendosi piccola piccola sotto le coperte. “Mamme a papà litigano di nuovo...”
Yachi si prese il labbro inferiore tra i denti: stava diventando una cosa fin troppo comune. Lei stessa, durante il giorno, era certa di aver sentito Koushi e Daichi urlare l’uno contro l’altro mentre camminava lungo i corridoi del piano nobile. Se erano rimasti insieme fino a quel momento, anche dopo infinite difficoltà, i reali del Regno di Karasuno non sarebbero usciti indenni dalla recente perdita del loro primogenito. 
Perchè di questo si trattava, Shouyou era vivo e vegeto ma a loro non era dato sapere dove fosse, se stesse davvero bene e se fosse al sicuro. La vita era e sua era la felicità che aveva deciso d’inseguire ma, per quella sua battaglia, avevano pagato tutti quelli che lo amavano.
Yachi stessa non riusciva più a chiamare casa il Castello Nero senza di lui e non sapeva come sarebbe stato per la Principessa quando si sarebbe davvero resa conto che il fratellone non sarebbe tornato mai più. 
Era un mondo che cadeva a pezzi quello della gente di Karasuno ma Natsu era solo una bambina e Yachi le disse l’unica cosa che aveva bisogno di sapere e credere. “Non ti preoccupare,” forzò un sorriso. “Andrà tutto bene...”


***


Koushi non piangeva più. Non credeva fosse possibile, non dopo aver praticamente perso un figlio ma non aveva più lacrime. Sedeva accanto alla finestra con una tempia appoggiata al vetro gelido e gli occhi fissi nel vuoto. 
“Sono stanco...” Proclamò il Re al centro della stanza.
Koushi ebbe una gran voglia di mandarlo al diavolo, di dirgli che gran parte di quella fatica se l’era procurata da solo. Poteva esserci un lieto fine per Shouyou, poteva esserci un lieto fine per tutti loro e poteva esserci lì, al Castello dei Corvi, se solo Daichi lo avesse voluto.
No, il Re di Karasuno si era di nuovo fatto spaventare dal destino e dalle sue infinite trame e aveva giocato nel modo in cui gli riusciva meglio: in difesa.
“Sarà la prima di una lunga serie di notti insonni,” gli disse Koushi. “Prepariamoci...”
Daichi lo guardò con aria afflitta. “Dimmi che non lo sapevi.”
“Dipende cosa tu intenda col sapere,” replicò Koushi. “Nostro figlio ha tradito il suo promesso la notte stessa in cui abbiamo costretto Tooru alla resa e alla ritirata dalle nostre terre ma Shouyou non me lo ha mai confidato, invero. Sempre ammesso che il suo si possa definire tradimento...”
Daichi lo fissò confuso. “Parla chiaro, Koushi, sono veramente stanco.”
Il consorte lo guardò e la sua espressione non era più riposata della sua. “Mi è bastato guardarlo per capire tutto,” spiegò. “Shouyou non ha dovuto dirmi nulla ed io non ho dovuto chiedere niente. L’ho guardato ed in quel momento ho saputo che aveva passato la notte tra le braccia del Principe che ha scelto come compagno. L’ultima volta che l’ho visto, è stata la medesima cosa... L’ho guardato, mi ha guardato ed ho capito che mi stava dicendo addio.”
“Perchè non me ne hai parlato?” Domandò Daichi quasi disperatamente.
“Di cosa? Di un presentimento?”
“Io l’avrei ascoltato, Koushi!” Esclamò Daichi. “Avrei avvertito Kei. Avrei fatto qualcosa...”
“Proprio per questo non ho voluto dirtelo,” replicò Koushi con fredda sincerità. “Non volevo che tu facessi niente, Daichi. Non dovevi fare niente.”
Il Re lo guardò fuori di sè. “E’ questo il compromesso che hai scelto?” Domandò con un filo di voce. “Rinunciare per sempre a nostro figlio in nome di un amore adolescenziale che potrebbe finire domani?”
“Daichi, smettila,” Koushi sorrise tristemente, stancamente. “Lo sai che non finirà. Lo sai... E sai che potrai cercare in lungo ed in largo, fino a raggiungere Regni sconosciuti a noi e non troverai mai un Principe con la possibilità di avere l’intero mondo ai suoi piedi che sia capace di rinunciare ad un potere simile per amore.”
“Come hai potuto accettare di perdere nostro figlio, Koushi? Come?!”
“L’avevamo già perso, Daichi,” replicò il consorte reale. “Lo stavamo perdendo ogni giorno un poco alla volta... Tra saperlo lontano da me ma dove vuole essere, piuttosto che sotto i miei occhi mentre soffoca lentamente per mano nostra, preferisco di gran lunga la prima, Daichi. A Shouyou, Karasuno bastava a stento ma l’amava... Ma noi abbiamo dovuto rinchiuderlo in una gabbia dorata per mettere a tacere i nostri timori e difenderci dietro il bene superiore della sua sicurezza, vero?”
Daichi non rispose.
“Quando Tobio è venuto ad inginocchiarsi davanti a te con una dignita ed un coraggio che nessuno di noi in questa storia sarebbe in grado di eguagliare dichiarando che non era nessuno, che non aveva niente a parte se stesso e che quel poco sarebbe stato solo per Shouyou, avresti dovuto fare solo una cosa, Daichi... Avresti dovuto mettere la mano di nostro figlio in quella di quel Principe e capire che era, semplicemente, giusto così.”
Daichi rimase in silenzio e Koushi sospirò. “Abituiamoci ai silenzi,” mormorò. “Anche di questi ce ne saranno una lunga serie tra noi...”


***


L’orizzonte era scuro.
Tadashi sapeva che avrebbe potuto vedere il Regno di Seijou estendersi sotto i suoi occhi, non appena si fosse sollevato il sole. In quel momento, tuttavia, era rivolto verso l’alto il suo sguardo, verso quelle stelle lontante che, per assurdo, facevano apparire quella storia scritta di generazione in generazione come una piccola cosa inutile.
Si strinse le ginocchia al petto e strofinò i palmi delle mani l’uno contro l’altro: erano fredde le montagne del Regno di Karasuno, avrebbe dovuto saperlo ma non le aveva mai vissute in piena notte così lontano da casa. Che assurdità... Era nelle sue terre, eppure non sapeva dire nemmeno in che direzione fosse la regione in cui era venuto al mondo ed era cresciuto insieme a Kei, prima che il giovane signore li portasse entrambi a risiedere stabilmente a corte per la loro educazione.
Kei era diventato qualcuno al Castello dei Corvi. Tadashi, invece, era rimasto se stesso: nessuno.
Forse, però, un motivo per far ricordare il suo nome almeno ad un Cavaliere lo aveva appena concesso.
“Ecco qua!”
Qualcosa di caldo cadde sulle sue spalle e Tadashi alzò gli occhi per incontrare quelli felini di Lev.
“Devi stare di guardi,” gli disse sedendosi accanto a lui. “Non devi morire congelato nel processo!”
Tadashi si strinse nella coperta che gli era stata offerta senza pensarci troppo. “Grazie,” disse. “Non è ancora il tuo turno, torna a dormire.”
“Non ho sonno, a dire il vero!”
Tadashi non si sorprese particolarmente: il ragazzo che sarebbe dovuto essere l’erede al trono di Nekoma non si distingueva per il suo essere razionale ma non era una cattiva compagnia. Semplicemente, era troppo frizzante per il genere di giovani che Tadashi era abituato ad avere al suo fianco. Uno solo, a dire il vero...
“Nessuna traccia di Tobio, Shouyou e del Primo Cavaliere, vero?” Domandò Lev scrutando l’orizzonte scuro.
Tadashi sospirò malinconicamente. “No...” Rispose.
Era impossibile, ormai, illudersi che non fosse successo niente e che si stessero semplicemente prendendo il loro tempo per tornare indietro in tutta sicurezza. Qualunque cosa fosse successa al Castello Nero non poteva essere buona, non con tutto quel fumo proveniente dalla Capitale e visibile fino alle montagne. 
“Domani dovremmo discutere di nuovo sul da farsi,” aggiunse.
Lev annuì. “Non credo che Kuroo e Koutaro se ne staranno a guardare ancora per molto. Oridini o no, questa ribellione ha vita breve senza il cuore e la testa della missione e poco importanza se Seijou è stata messa in ginocchio da qualcun altro.”
“Già...” Tadashi sospirò di nuovo. “Se il Re Demone è stato sconfitto, questo ci mette davanti ad un nemico ben più forte di lui.”
Lev fece una smorfia. “Non è che abbiamo molti candidati tra cui scegliere.”
Tadashi si morse il labbro inferiore. “No, non li abbiamo.”
Sperò solo che, in qualunque direzione fosse, il luogo che chiamava casa fosse al sicuro.


***


Yuutaro non potè credere ai suoi occhi quando lo vide.
Lo fissò senza ritegno come se fosse un fantasma o qualche altra creatura da incubo.
A rendergli più difficile credere che fosse davvero lì, fosse davvero lui e non un parto della sua mente dovuto a tutti i colpi che si era preso durante l’assedio del castello fu la naturalezza con cui sfilò davanti a tutti loro. Non li degnò di uno sguardo. Si comportò come se non esistessero e si allontanò dalla rocca per addentrarsi nei giardini reali con un pugnale in bella vista.
Non si curò minimamente del fatto che tutti gli occhi fossero puntato su di lui.
Tornò poco più di un minuto dopo, il pugnale appeso cintura ed una rosa nera tra le dita.
Prese a salire le scale come se tutti i Cavalieri intorno a lui fossero invisibili, poi, di colpo, si voltò e li fissò tutti con un’espressione che nessuno riuscì ad interpretare. Non era la solita smorfia di sufficienza, nè lo sguardo raggelante con cui era solito zittirli tutti nel qual caso avessero da condividere un’opinione. Sembrava si stesse sforzando per fare qualcosa.
Dischiuse le labbra, fece per parlare ed ancora prima che pronunciasse parola, tutti i Cavalieri trasalirono. Il Principe Demone... No, il Re dei Ribelli li fissò spaesato. Nel dubbio, rimase in silenzio e riprese a salire le scale.
Yuutaro si guardò intorno, smarrito quanto i suoi compagni, poi imprecò: “maledizione!” Se ce l’avesse con il tiranno o con se stesso non era dato saperlo.
“Che ti prende?” Domandò Akira di ritorno solo in quel momento.
Yuutaro lo guardò con gli occhi ancora sgranati e rosso in viso per la sorpresa e la rabbia. “Non indovinerai mai chi si è appena presentato come se non fosse stato bandito a suon di calci in culo dal Re Demone in persona!”


***


Hajime aprì gli occhi verdi per incontrarne un paio grandi e scuri che conosceva bene.
Non rammentava l’ultima volta che si era svegliato in quel modo ma ricordava nitidamente di aver pensato più volte che era un momento che non avrebbe vissuto mai più. Tooru gli disegnava lentamente il contorno delle labbra con la punta dell’indice come se ne studiasse la forma, come se non le avesse baciate per tutta la vita.
Eppure, quella notte si erano amati come se fosse la prima volta, come se non conoscessero l’uno il corpo dell’altro a memoria e non sapessero esattamente come accarezzarlo per rendere tutto perfetto. Perchè questo erano stati insieme: perfezione.
Fino a che Tooru non aveva cercato di divenirlo da solo in un modo completamente diverso.
“Cosa c’è?” Domandò Hajime con gli occhi socchiusi. Era stanco. Era certo che il suo Curatore avrebbe avuto di che ridire se avesse saputo come aveva passato la notte ma sarebbe stato di gran lunga peggio se non lo avesse fatto.
Entrambi avevano avuto bisogno di smettere di combattere, di arrendersi, di lasciare che tutto tornasse a posto senza sistemare nulla... Almeno per una notte...
“Non appena usciremo da questa camera, sarà tutto come prima, vero?” Domandò Tooru. “Come se in questo letto non fosse successo niente...”
Hajime infilò le dita tra i capelli ricciuti sulla nuca del Re. “Non è mai possibile tornare come prima, Tooru. Quel che è stato non sarà mai più. Nè quello che eravamo quando Tobio era bambino, nè quello che è accaduto dopo... Adesso, è ancora una volta tutta un’altra storia.”
“Ma non è finita, vero?” Disse Tooru con malinconia.
“No,” rispose Hajime, poi sospirò e si girò sulla schiena chiudendo gli occhi e trascinando Tooru sopra di sè.
Il Re Demone se ne rimase per un po’ così, con la guancia pemuta contro il petto dell’amante concentrandosi sulla mano appoggiato con gentilezza sulla sua nuca. “Hajime...”
“Uhm?” Il Cavaliere si stava per riaddormentare.
“So di non aver nessun diritto di porti la domanda che sto per fare ma...”
“No...”
Tooru non sollevò lo sguardo, non si mosse.
“Non c’è stato nessun altro,” chiarì Hajime continuando ad accarezzargli i capelli. “Ero troppo impegnato ad assicurarmi che un Re appena nato non inciampasse proprio sui suoi primi passi.”
Suo malgrado, Tooru sorrise.
“È come te,” aggiunse il Cavaliere. “Ha i difetti di entrambi e nemmeno un pregio per compensare, come te. Non sopporto il modo in cui storce quella dannata bocca, gliela spaccherei ogni volta che lo fa perchè mi sembra che tu mi stia guardando.”
Tooru rise appena. “Ma ha il tuo cuore,” replicò appoggiando il palmo sul petto nel punto in cui il battito del suo Cavaliere si sentiva di più. “Per questo ha usato tutti i difetti che ha ereditato da me per amore e non per il potere.”
Hajime si concesse un sorriso. “Un pregio, però, ce l’ha...”
“È bellissimo,” Tooru sollevò lo sguardo incontrando gli occhi verdi del suo Cavaliere. “Almeno, la cosa più bella che abbiamo fatto l’abbiamo fatta insieme.”
“Sì,” rispose il Cavaliere. “Comunque finirà, questo non ce lo potrà mai togliere nessuno.”



Fu la carezza del sole del tardo mattino a destare Shouyou.
Gli occhi d’ambra si aprirono lentamente abituandosi alla luce che illuminava quella camera da letto sconosciuta. Nel sonno si era girato su di un fianco ed il mantello rosso con cui era stato coperto gli era scivolato fino alla vita. La spalla sinistra gli doleva e posò una mano sulla fasciatura che la ricopriva con una smorfia infastidita. Non faceva nemmeno così male, eppure, la notte precedente, era certo di essere stato ad un passo dalla morte. 
Strinse le labbra come se fosse in collera con se stesso: il potere nel suo sangue lo rendeva un mostro fino a quel punto? Scosse appena la testa, non doveva essere ingrato del dono che gli aveva fatto il destino, le parole velenose che gli erano state rivolte da Kei, da suo padre, non avevano alcun valore ormai. 
Tobio era tornato da lui e tanto bastava a renderle vane.
Un movimento sul bordo del letto attirò la sua attenzione ed abbassò lo sguardo su di una testa di capelli corvini che conosceva bene. Sorrise stancamente: doveva essersi addormentato per vegliare su di lui durante la notte. Allungò una mano e la passò tra quei fili d’ebano morbidi come seta, una caratteristica per cui l’aveva sempre preso in giro ma gli piaceva. Sì, gli piaceva tanto.
Il respiro di Tobio cambiò andamento e Shouyou non dovette aspettare molto perchè due occhi blu assonnati si sollevassero sui suoi. “Ciao...” Mormorò continuando ad accarezzargli i capelli. Tobio saltò su immediatamente chinandosi su di lui con aria allarmata.
“Shhh...” Shouyou gli premette l’indice contro le labbra. “Baciami e basta, non voglio altro da questa bocca.”
Tobio gli rivolse una smorfia frustrata oltre ogni dire ma il Principe dei Corvi non dovette attendere molto per veder realizzato il suo desiderio. Erano fredde le labbra di Tobio ma era piacevole sentirle sulla sua pelle ancora accaldata per la febbre. Il Re dei Ribelli appoggiò la fronte sulla sua e sospirò. “Lo sapevo che eri stupido ma non credevo tanto stupido!” Avrebbe voluto urlare ma lo esclamò a bassa voce.
Shouyou si distese sulla schiena, infilò le dita tra i capelli corvini di Tobio e chiuse gli occhi. “Sei tu quello che stava per compiere un errore fatale, non io.”
Tobio si allontanò quel tanto che bastava per fissarlo negli occhi. “Hai protetto il nemico con la tua vita.”
“Ti ho salvato da una condanna certa,” replicò il Principe dei Corvi.
“Condannandoti tu?” Domandò Tobio posando una mano sulla fasciatura.
Shouyou la coprì con le sue. “Non fa nemmeno più così male,” disse come se fosse una cosa da nulla. “Sono solo indolenzito e ho la testa leggera, come se potessi addormentarmi da un momento all’altro...”
Tobio gli tirò i capelli all’indietro. Shouyou chiuse di nuovo gli occhi: le sue mani erano fresche come le sue labbra e questo era piacevole. Sentì qualcosa di morbido solleticargli le labbra ed il naso. Le palpebre si sollevarono di nuovo da quelle iridi d’ambra e Shouyou si ritrovò a fissare una rosa nera non del tutto sbocciata. Sorrise prendendola tra le dita. Tobio lo guardava con le labbra strette per evitare smorfie incomprensibili e le guance rosse. 
“È l’unico dono che riesci a farmi?” Domandò il Principe dei Corvi con una nota sarcastica.
“Apprezza il gesto e taci, idiota!” Esclamò Tobio furente e più rosso di prima.
“È bellissima,” commentò Shouyou passando la punta dell’indice sui petali corvini. “Tuo padre ordinò di far coltivare un roseto nel giardino reale per tua madre, vero?”
Tobio annuì. “Una rosa nera è stato il suo dono per il suo diciottesimo compleanno, il primo dopo la mia nascita. Dopo, è stato un po’ come se fosse divenuto il loro fiore...”
Shouyou rise con leggerezza.
Tobio lo guardò storto. “Che cosa ci trovi di così divertente idiota?”
“Niente, sono felice...”
“Se me lo avessi detto prima che essere ad un passo dalla morte era il segreto per tua felicità, ti avrei pestato a sangue quando potevo!”
Shouyou continuò a sorridere a se stesso fissando il fiore tra le sue dita. “Il tuo primo dono per me è stato il più importante che tuo padre ha fatto a tua madre. Ora, è un po’ come se fosse anche il nostro fiore, non ti pare?”
Tobio non rispose, tutto quello che aveva da dire era scritto nel suo sguardo e, non appena Shouyou avesse alzato gli occhi, avrebbe saputo leggerlo con facilità e gli avrebbe sorriso in quel modo che era solo suo.
La storia non finiva lì ma erano ancora insieme.
Dopotutto, era un buon inizio.



***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Ed eccovi qui l’Interludio annunciato nello scorso capitolo.
Non credo di voler aggiungere nulla questa volta. Mi limiterò a lasciarlo qui e permettere a voi di tirare liberamente le vostre conclusione e fare le vostre ipotesi. V’invito solo a fare una riflessione, nello scorso capitolo abbiamo avuto la rottura dell’Iwaoi, qui abbiamo subito una scena dolceamare ma comunque piena di speranza. D’autrice diabolica quale sono, mi sento in dovere di sottolineare che ad una prima occhiata potrebbe apparire una soluzione fin troppo semplice, vero?
Non aggiungo altro!
Note pratiche. E con questa storia credo proprio che si rivediamo nel 2016, cari lettori. Sicuramente dopo Natale. In questo fandom continuerete a trovarmi nello Star Wars AU nelle prossime due settimane. Devo ancora concludere la mia fanfiction di Attack On Titan e quella di Tokyo Ghoul ha bisogno di spiccare il volo. 
Detto questo!
Buon Natale a tutti voi, cari lettori! Vi auguro di passare delle feste serene con chi amate!
La vostra perfida (ma non troppo) autrice!






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Capitolo 21
*** Di piume nere e primi passi ***


18
Di piume nere e primi passi
 
 
 
Il cielo era di un azzurro intenso quel giorno, coperto solo da poche nuvole completamente bianche che, grazie al contrasto cromatico, non facevano che rendere più acceso quel colore che sapeva d’infinito, di libertà. Il pallore dell’inverno era sfumato via lasciandosi alle spalle solo un vento leggero che portava a valle quel che rimaneva del gelo che ancora faceva da padrone sulle cime più alte.
Gli occhi d’ambra del fanciullo dal mantello nero erano persi in quel cielo che sapeva di primavera. Quella stagione era come la sua età: ancora acerba e piena di splendenti promesse per un futuro in cui poteva solo splendere il sole.
Shouyou non sapeva quantificare quanto grande fosse il suo desiderio di volare in quel cielo.
“Fratellone!”
Sobbalzò appena ritornando alla realtà, poi si sollevò su di un gomito e si sporse in avanti per guardare sotto il ramo su cui si era steso. Natsu era seduta sulle gambe della mamma, i grandi occhi rivolti verso l’alto. “Ti sei addormentato?”
Koushi smise di spazzolare i capelli della sua bambina per guardare suo figlio. “È un po’ che ti chiamiamo,” spiegò.
Shouyou sorrise. “Mi sono incantato a guardare il cielo!”
L’espressione del consorte reale di Karasuno si fece malinconica, mentre la piccola Principessa sulle sue gambe sollevava la testa più che poteva per guardare le volta celeste oltre le chiome degli alberi. “È azzurro...” Commentò confusa. “Come sempre!”
Shouyou le sorrise e tornò a stendersi sulla schiena, un piede lasciato a ciondoloni. Alcuni volatili gli passarano davanti agli occhi e sospirò con malinconia. “Mamma...” Chiamò seguendo con lo sguardo il movimento di alcune nuvole bianche spinte dal vento.
“Che cosa c’è, tesoro?” Domandò Koushi, le mani di nuovo impegnate a spazzolare i capelli di sua figlia.
“Pensi che papà mi lascerebbe volare per qualche ora se glielo chiedessi?” Domandò speranzoso ma non ebbe il coraggio di voltarsi di nuovo a guardare il proprio genitore negli occhi. “Tra alcune settimane è il mio compleanno e... Non voglio niente, davvero! Voglio solo...”
Non era vero che non voleva niente. Voleva tante di quelle cose da non poterle elencare senza perdere il fiato ma il cielo era quella che bramava più di ogni altra, che più gli era mancata nei lunghi e freddi giorni invernali passati perennemente all’interno delle mura del Castello dei Corvi.
Certo, si era arrampicato sui tetti delle torri più alte ed aveva fatto prendere un colpo a chiunque lo vedesse. Aveva passeggiato sotto gli alberi della foresta che circondava la Capitale senza allontanarsi troppo, come suo padre gli aveva ordinato e come quell’antipatico del suo Cavaliere personale gli ricordava per dovere.
Kei Tsukishima...
La speranza della nuova generazione di Cavalieri del Regno di Karasuno era tutto quello che Shouyou non sarebbe stato mai, sebbene non volesse ammetterlo con se stesso. Spadaccino talentuoso d’indubbia intelligenza, ecco cos’era l’erede più giovane della casata degli Tsukishima e non potendo ancora ereditare il titolo di Primo Cavaliere, che, in altri tempi, gli sarebbe spettato automaticamente, il Re dei Corvi non aveva esitato a renderlo il Cavaliere personale del Principe ereditario.
Una decisione che Kei aveva accettato semplicemente per prestigio e dovere e su cui Shouyou aveva avuto molto da ridire ma, per quanto l’arroganza e la testardaggine non gli mancassero, nessuno lo aveva ascoltato.
Suo padre riteneva che viste le sue condizioni sarebbe stato irresponsabile da parte sua non garantirgli il massimo della sicurezza e non avendo il potere di chiudere Shouyou dentro ad una gabbia, aveva trovato il modo di assicurarsi che qualcuno lo tenesse constantemente legato ad una catena.
Passò qualche istante di troppo, prima che Koushi riuscisse a rispondere. “Ancora pochi giorni ed anche questo vento freddo sarà un ricordo,” gli disse con gentilezza. “Potrai prendere Karasu tutte le volte che vorrai e potrai cavalcare a valle quanto desideri.”
Non era la risposta in cui Shouyou aveva sperato. “Tornerò a cavalcare comunque, mamma,” disse sporgendosi oltre il ramo e guardando in basso. Natsu era seduta sull’erba, occupata a raccogliere le prime margherite della stagione e depositarle nella gonna del suo abitino e non prestò la minima attenzione alla loro conversazione. “Quello che chiedo è che...”
“Lo so,” lo interruppe Koushi con espressione dispiaciuta e lo era davvero.
“Solo per il mio compleanno, ti prego.”
“Mi dispiace, Shouyou.”
Il sorriso esitante del Principe scomparve immediatamente e tornò a rivolgere il suo sguardo al cielo per non dover mostrare al genitore le lacrime che sentiva pungergli agli angoli degli occhi. “Mi darete il permesso di cavalcare Karasu da solo, almeno?”
Koushi sospirò. “Shouyou...”
“Cavalco meglio di qualunque Cavaliere di mio padre!” Esclamò il Principe con una nota di rabbia. “Almeno questo dovreste riconoscermelo...”
Shouyou non aveva mai rinunciato ad essere un Cavaliere, non aveva mai rinunciato ad essere un eroe. Suo padre continuava ad addestrarlo regolarmente con la spada e, sebbene non fosse ancora al livello di Kei, Tadashi e degli altri, aveva imparato moltissimo. Non abbastanza, però...
Erano due parole con cui aveva dovuto fare spesso i conti crescendo e, sebbene all’inizio non avesse dato loro particolare importanza, cominciava a sentire il loro peso sulle piccole spalle nell’ultima stagione: tutti i bambini con cui era cresciuto avevano trovato la loro strada e lui, nonostante il titolo che gli spettava per diritto di nascita, non sapeva ancora chi era e gli era impedito diventare ciò che desiderava.
Kei era il migliore Cavaliere della loro generazione. Tadashi non era un prodigio ma nessuno aveva mai avuto ragione di lamentarsi di lui e, insieme a Kouji, era divenuto uno delle guardie reali del Castello. Izumi e Yachi aveva preferito una strada fatta di libri e conoscenze e li si vedeva in compagnia del Maestro Takeda molto più di quanto li si vedesse accanto al Principe, ormai.
Erano cresciuti. Non erano ancora adulti ma tutti sembravano aver trovato il loro posto nel mondo.
Tutti, tranne Shouyou, che, con più spontaneità di quella che faceva piacere ai suoi genitori, continuava a sognare un orizzonte lontano e a desiderare il cielo.
“Shouyou...” Sentì sua madre toccargli la caviglia del piede che aveva lasciato sospeso nel vuoto. Dal tono della sua voce credette anche che fosse riuscito a comprenderlo. “Quelle ali sono tue,” gli disse e Shouyou ebbe la certezza che, se dargli il suo stesso cuore lo avrebbe reso felice, lo avrebbe fatto. “Non devi chiedere il permesso a nessuno per usarle.”
Shouyou voltò appena il viso. Non riuscì a vedere quello di Koushi ma, pur nella sua naturale ingenuità, comprese immediatamente quello che gli stava dicendo e quanto gli costava farlo.
Non rispose e continuò a guadare il cielo.
 
 
 
“I bambini dormono?” Fu la prima cosa che domandò Daichi, sebbene vedere Koushi varcare la soglia della loro camera da solo fosse una risposta più che sufficiente. Il consorte reale accennò un sorriso. “La bambina si è addormentata, sì...”
Daichi inarcò le sopracciglia. “E Shouyou?”
Koushi rise appena. “Shouyou compierà quindici anni questa estate, Daichi,” gli ricordò divertito. “Non la ricordo nemmeno l’ultima volta che ho dovuto metterlo a letto io e, credimi, Natsu imparerà ad essere indipendente molto prima di lui.”
Daichi si fece più vicino e gli appoggiò entrambe le mani sui fianchi. “Questo significa più tempo soli per noi...” Lo baciò ed il suo consorte rispose al bacio con lo stesso entusiasmo. Koushi sospirò appoggiando la fronte su quella del compagno. “Quindici anni...” Mormorò. “Mi sembra ieri che lo portavo in grembo.”
Daichi gli baciò la fronte e lo strinse a sè. “A me sembra ieri di averti tenuto tra le braccia proprio così, dopo avermi rivelato il tuo dolce segreto.”
Koushi sorrise con nostalgia ed un poco di tristezza al ricordo di quello che era accaduto dopo. Toou non aveva avuto accanto il suo Cavaliere quando aveva saputo di Tobio ma Hajime era stato con lui dall’inizio alla fine, dopo il termine della guerra. Koushi non aveva avuto la stessa fortuna e non avrebbe dimenticato mai quanto Daichi gli fosse mancato in quei mesi in cui i dolci movimenti di Shouyou dentro di lui erano l’unica cosa a convincerlo a non cedere.
C’era stato un momento, dopo la nascita di suo figlio ma prima della fine della guerra, in cui Koushi aveva quasi imparato ad accettare quella solitudine, a dimenticare quanto gli mancasse Daichi. Aveva dovuto farlo perchè, pur con tutto l’amore che provava per il suo Re, la creatura che stringeva tra le braccia era ciò a cui aveva veramente devoto la sua vita.
Era stato come se al mondo ci fossero solo loro due: Koushi e Shouyou.
Per Natsu aveva provato lo stesso amore incondizionato nel momento in cui aveva saputo di portarla in grembo ma, con lei, non c’era stata la paura, la disperazione. Certo, era una fortuna e la sua bambina era ancora troppo piccola perchè potesse dargli particolari preoccupazioni ma... Il dolore di Shouyou era il suo, esattamente come il suo piccolo cuore lo aveva animato nei lunghi mesi della guerra contro Shiratorizawa.
Koushi sapeva che sarebbe stato pronto a tutto per i suoi figli ed era certo che per Daichi fosse lo stesso, come se avessero fatto un patto senza pronunciare alcuna parola.
Tuttavia...
Sarebbe stato davvero disposto a tradire Daichi per amore di Shouyou?
Il suo Re gli slacciò i primi bottoni della camicia, gli scoprì una spalla e prese ad inumidire la pelle lasciata scoperta con le proprie labbra. Koushi chiuse gli occhi e reclinò il capo di lato per fargli spazio: non pensò nemmeno per un istante di dirgli di no.
La risposta alla sua domanda si perse nel piacere che seguì.
 
 
 
 
Shouyou non riusciva a dormire, gli occhi rivolti al cielo stellato fuori dalla sua finestra.
Se ne stava disteso su di un fianco a pensare.
Gli sarebbe bastato aprire la finestra e ad aspettarlo avrebbe trovato l’infinito e sarebbe stato tutto per lui. Se fosse rimasto a letto, i suoi genitori avrebbero dormito sonni tranquilli e non avrebbero avuto ragione di preoccuparsi per lui più di quanto già non facessero. Se fosse rimasto a letto, l’indomani la mamma sarebbe venuto a svegliarlo, avrebbe fatto colazione con la sua famiglia e Kei sarebbe comparso al suo fianco prima che potesse illudersi che la sua vita gli appartenesse ancora.
Non sapeva perchè avesse accettato di essere il suo Cavaliere.
Non erano mai andati d’accordo e tra loro c’era lo stesso numero di differenze che vi erano tra il giorno e la notte ma erano cresciuti insieme. Da parte sua, Shouyou non si vergognava a dire di tenere a Kei in qualche remoto modo. L’altro, non lo aveva mai considerato degno di attenzioni se non per essere deriso.
Suo padre lo credeva al sicuro nelle mani di Kei. Shouyou, semplicemente, non aveva ancora trovato un modo efficace per sfuggirgli come era accaduto per chiunque avesse avuto la sfortuna di doversi prendere cura della sua persona. Shouyou era nato Principe ma aveva il cuore di un ribelle e, non aveva importanza quanto Koushi e Daichi si fossero impegnati, non era stato possibile domarlo. Intimorirlo era fin troppo semplice ma la testardaggine sembrava sempre essere più grande di qualsiasi paura.
Koushi e Daichi erano genitori amorevoli, attenti e avevano seguito i loro figli personalmente dai primi passi ai primi momenti di distacco da loro. Shouyou non aveva mai dubitato di essere amato, non gli sarebbe mai stato possibile ma sapeva quanto suo padre fosse intimidatorio quando si arrabbiava e sua madre non era altrettanto incline a scendere a compromessi quando si trattava della sua educazione.
Koushi, semplicemente, sorrideva quando Shouyou gli parlava dei suoi grandi sogni fatti di avventure, grandi imprese e terre lontane che aveva solo potuto vedere dalla cima delle montagne di Karasuno. Daichi non era così. Il Re lo ascoltava ma non mancava mai di ricordargli le sue responsabilità e del segreto che portava dentro e che non sarebbe mai dovuto essere rivelato al mondo per il suo bene.
Quello di Shouyou non era un padre autoritario, era semplicemente realista lì dove sua madre ancora gli concedeva di sognare.
Da parte sua, Shouyou aveva sempre cercato di dare il meglio, finendo solo per non dimostrare molto.
Per i suoi genitori non era un problema. Lo amavano e lo facevano in modo incondizionato.
Shouyou, invece, alle volte, si guardava allo specchio e, nonostante la solarità e la forza di volontà di cui disponeva, non vedeva nemmeno l’ombra di qualcosa di cui essere orgogliosi. Sapeva che i suoi genitori erano spaventati ma tutto quello che voleva era una possibilità.
Voleva poter dimostrare il suo valore attraverso l’unico talento che aveva e non temerlo come se fosse una maledizione, come se fosse qualcosa di sbagliato.
Se solo avesse potuto spiegare loro com’era volare e cosa significava per il suo cuore.
”Quelle ali sono tue.”
Shouyou si alzò dal letto, aprì la finestra della sua camera e lasciò che l’aria fredda della notte lo investisse. Sapeva che sarebbe stata gelida, dopo e che non gliene sarebbe importanto di fronte all’infinità del cielo.
Trattenne il fiato, chiuse gli occhi.
Quando la terra gli mancò sotto i piedi, tornò, finalmente, a respirare.  
 
 
 
***
 
 
 
Gli invasori venivano dall’estremo Nord.
Non sventolavano stendardi conosciuti, non avevano neanche un Re da servire. Erano i signori selvaggi di terre ancor più selvagge di loro. Non vivevano in città costruite in mura di pietra e non vi erano leggi che valesse la pena scrivere per loro. Non erano avvezzi ai giochi di potere ma vedere Seijou e Shiratorizawa divenire padroni di tutti i Regni degni di questo nome doveva averli messi in allerta.
All’atto pratico, erano solo delle tribù che si rivaleggiavano nelle terre selvagge, quelle che nemmeno il Re dell’Aquila aveva avuto interesse a conquistare e si erano illusi di poter scongiurare il pericolo attaccando prima di essere attaccati.
A causa della nebbia, Hajime a stento riusciva a vedere la fila di uomini dalla parte opposta della pianura. La ragione non sarebbe servita a nulla, non quando le loro terre di confine erano state messe a ferro e fuoco e la gente che era stata di Nekoma e Fukurodani era stata massacrata per lanciare un messaggio ingenuo e pericoloso. Forse, gli invasori si erano illusi d’incutere timore abbastanza perchè Seijou concedesse loro delle garanzie sulla loro libertà.
Quello che gli invasori non sapevano, però, quello che persino il Re dell’Aquila aveva imparato a sue spese, era che Seijou non aveva timore di nulla.
Il Primo Cavaliere, Generale Supremo delle armate unite sotto la bandiera di Seijou si voltò verso i suoi uomini: Kuroo e Koutaro erano appena dietro di lui, Issei e Takahiro subito dopo di loro. Non c’era alcun timore nei loro occhi, nessun dubbio. Hajime avrebbe fatto un passo in avanti e tutti loro lo avrebbero seguito senza esitazione. Tornò a guardare di fronte a sè, sollevò il braccio.
Non appena lo avrebbe abbassato, di quel silenzio immobile sarebbe rimasto solo il ricordo.
“Signore!”
Hajime si voltò, il braccio bloccato a mezz’aria. Il ragazzo a cavallo del destriero bianco si avvicinò con l’impudenza di chi non teme alcuna punizione ed il Primo Cavaliere sospirò pesantemente facendo appello a tutta la sua pazienza. “Tobio...” Mormorò, poi strinse le labbra. “Torna in posizione.”
“È questa la mia posizione, Sir,” replicò il ragazzo con determinazione.
Hajime lo guardò con astio. “Torna in posizione. È un ordine.”
“Vi ripeto che sono già in posizione, Sir.”
Il Primo Cavaliere si sporse in avanti ed afferrò il ragazzo dai capelli corvini per il mantello. “Sei il Principe Demone,” quasi sibilò. “Sei l’erede al trono di Seijou.”
Tobio gli aferrò il polso, gli occhi blu accesi da un fuoco che Hajime conosceva bene. “Sono anche il vostro, Sir.”
Hajime lo fissò per un lungo istante, poi lo lasciò andare. “Alla mia destra, ragazzino.”
Tobio, il Principe Demone, annuì una volta, sicuro.
Quel giorno combatté al fianco di suo padre per la prima volta.
 
 
 
 
 
Il Re Demone immerse il panno pulito nel catino ricolmo d’acqua critallina, poi si avvicinò al fanciullo mezzonudo in piedi al centro della tenda reale. “La mia unica consolazione è che, perlomeno, i miei ordini non sono gli unici che trasgredisci,” disse Tooru con un sorriso. Tobio lo guardò negli occhi ma non rispose e voltò lo sguardo non appena il panno umido toccò la sua pelle, le guance rosse. Tooru se ne accorse ed il suo sorriso morì immediatamente. “Preferisci che lo faccia tuo padre?” Domandò rivolgendo lo sguardo verso il Cavaliere seduto vicino al fuoco acceso.
Tobio non rispose, si limitò a fissare suo padre fino a che questi non si alzò con un sospiro stanco. Tooru gli porse il panno umido e Hajime lo prese senza guardarlo negli occhi. “Dovresti trovarti qualcuno per fare queste cose, ragazzino,” disse con un sorriso divertito.
Tobio arricciò il naso mentre suo padre lavava via il sangue ed il sangue dal suo viso. “Qualcuno chi?” Domandò confuso.
Hajime lo guardò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. “Assurdo,” commentò facendolo voltare per passare alla schiena. “Quattordici anni e mi devo sentir porre queste domande.”
Tooru rise recuperando dal suo baule alcuni vestiti puliti per il Principe. “Tobio-chan potrebbe avere chiunque ed invece non ha occhi per nessuno.”
Tobio passò gli occhi confusi dal Re al Cavaliere alle sue spalle. “Ma chi sarebbe questo qualcuno che devo trovare?”
“Nessuno,” Hajime gli appoggiò il panno sulla spalla. “Il davanti lo puoi fare da solo.”
Il Principe si avvicinò al catino e v’immerse il panno. L’acqua pulita si tinse immediatamente di rosso e Tobio sentì una sensazione spiacevole in fondo alla gola ma questo non gli impedì di fissare quello spettacolo qualche istante di troppo. Hajime se ne accorse. “Tobio,” lo richiamò. “Tutto bene?”
Anche Tooru smise di lisciare la stoffa dei vestiti puliti e sollevò lo sguardo sul figlio che annuì premendo le labbra, poi si voltò di colpo. “Tutto bene,” confermò passandosi il panno umido sul petto e finendo di pulirsi. Quando ebbe concluso, Tooru si avvicinò e gliene porse uno asciutto. “Sono fredde queste terre,” lo avvertì. “Asciugati come si deve.”
Tobio annuì ma Tooru gli passò la stoffa pulita sul lato del collo prima che potesse afferrarla per fare da sè. Le dita del Re arrivarono sul suo viso e scostarono alcune ciocche di capelli corvini da quegli occhi blu per poterli studiare meglio. Il Re Demone sorrise e Tobio sentì un brivido freddo attraversargli la schiena. “Guardati, stai diventando un uomo,” commentò il Demone con quello che sarebbe potuto essere orgoglio ma c’era una nota sarcastica nella sua voce. “Hai raggiunto l’altezza di tuo padre. Poche stagioni e potresti anche superare me.”
Hajime lo guardò: c’era molto più in quelle parole di quanto trasparisse ma Tobio continuò a mantenere lo sguardo alto per tutto il tempo.
“La tua prima vittoria sul campo di battaglia,” continuò Tooru voltandosi ed avvicinandosi al letto. Tornò porgendo al figlio i vestiti puliti. “Questa notte è solo tua, goditela. Sei degno del nome che porti, Tobio.”
Il Principe si rivesti in fretta, poi guardò il Re e chinò rispettosamente la testa, le guance di nuovo rosse. “Vi ringrazio, Maestà.”
Tooru sorrise e solo Hajime si accorse di quanto fosse falso quel sorriso. Il Re recuperò il mantello rosso dalla pelliccia di ermellino e vi avvolse le spalle del suo erede. “Vai, Tobio...” Mormorò spingendolo appena verso l’ingresso della tenda.
Gli occhi blu cercarono quelli verdi del Primo Cavaliere. Hajime accennò un sorriso ma sparì nel momento in cui suo figlio fu fuori dalla scena. Nemmeno Tooru sorrideva più. “Non so neanche più a chi somiglia...” Commentò stringendosi nelle braccia ed abbassando lo sguardo.
Hajime lo guardò. “A te,” rispose e tornò accanto al catino liberandosi della tunica lurida, lasciandola cadere vicino al fuoco. “Ha tutti i tuoi difetti. Non accetta i suoi limiti, si lancia in avanti sempre e comunque.”
Immerse il panno lasciato da Tobio nell’acqua. Quando lo sollevò, le mani di Tooru afferrarono la sua. “Lascia che faccia io...”
“Non è necessario.”
“Mio figlio non vuole farsi toccare da me.”
Hajime si sentì costretto a sollevare gli occhi su quelli del Re a quell’affermazione.
“Lascia che faccia io,” ripetè Tooru in poco più che un sussurro ed il Cavaliere lasciò che sottraesse il panno umido dalle sue dita. Hajime si avvicinò al fuoco e fu bene attento a tenere lo sguardo fisso sulle fiamme, mentre la mano di Tooru ripuliva la sua pelle dalle tracce della battaglia. Non era nulla a cui il suo corpo fosse nuovo.
“Non ha visto che è arrossito?”
Tooru sollevò gli occhi scuri sul viso del Cavaliere ma questi si ostinò ad evitare il suo sguardo. “Sì, ma non ho saputo come interpretare una simile reazione.”
Hajime lo guardò e Tooru si sentì piccolo piccolo sotto la pressione di quegli occhi verdi. “Era imbarazzato,” rispose il Cavaliere. “Niente di più, niente di meno...”
Tooru fece una smorfia continuando a passare il panno sul petto forte del Generale Supremo delle sue armate. Era stato un titolo necessario quando Seijou era divenuta un Regno grande quanto quello di Shiratorizawa: i Re sconfitti non si sarebbero mai fatti guidare da lui.
“L’ho messo al mondo,” replicò Tooru. “Perchè dovrebbe sentirsi imbarazzato dalla mia mano?”
“Sta diventando un uomo, lo hai detto tu.”
“Non ha senso...”
“Tobio ha un’adorazione particolare per te,” disse Hajime. “Gli metti soggezione...”
Tooru rise. “Che assurdità! E l’adorazione che prova per te, allora?”
“Tobio sa che sono un suo superiore e mi rispetta come tale.”
“Ti adora come padre, Hajime.”
“Ciò non toglie che io sia più vicino ad essere un suo pari di quanto lo sia tu,” concluse il Primo Cavaliere, poi abbassò lo sguardo. “Non si riferisce a noi come i suoi genitori da un po’ di tempo.”
La mano di Tooru si bloccò e così il suo respiro. “Comincerà a provare imbarazzo anche per quello.”
“Oppure comincia a capire...” Mormorò Hajime con tono grave. “Forse, non se ne rende neanche conto ma penso che senta da tempo che qualcosa è cambiato.”
Tooru non replicò. Finì di ripulire la pelle dell’altro, poi abbandonò il panno umido nel catino ormai colmo di acqua cremisi. Non aveva vestiti puliti da offrire a quel Cavaliere. Passò le dita bagnate sul petto forte, dai muscoli perfettamenti disegnati. Era ardente la luce negli occhi di Hajime quando incrociarono i suoi. Non fece domande, non chiese spiegazioni: avevano già superato quella fase.
“Ogni Cavaliere merita una notte di piacere alla fine di un giorno di battaglia e ad ogni Re spetta il piacere maggiore,” mormrò Tooru con un sorriso malizioso sedendosi sul bordo del letto e slacciando i pantaloni del Cavaliere senza particolare difficoltà. Gli occhi scuri fissi in quelli verdi.
“Mi stai dando un ordine?” Domandò Hajime passando le dita tra i capelli ricciuti sulla nuca del Re e stringendo un po’ troppo.
Tooru rise. “Ti sto dicendo che puoi farmi quello che vuoi, perchè so perfettamente che nessun amante può dare piacere come un Cavaliere vittorioso.”
I pantaloni del Cavaliere si ripiegarono sulle sue gambe e Tooru portò le mani ai nastri della camicia scigliendone uno alla volta con fare sensuale. Hajime perse la pazienza e gliela strappò di dosso senza troppe cerimonie. Tooru rise e si lasciò ricadere sul letto. “Sei un barbaro, mio Cavaliere...” I pantaloni gli vennero tolti di dosso con la stessa irruenza e Hajime s’infilò tra le sue gambe senza chiedere il permesso. Non che ne avesse bisogno.
Tooru chiuse gli occhi aspettando un bacio ma sentì solo le mani del Cavaliere che lo costringevano in posizione prona, la guancia premuta contro il cuscino. Hajime si chinò su di lui. “Hai detto che potevo farti tutto quello che volevo,” mormorò a pochi millimetri dal suo orecchio.
Tooru sorrise amaramente. “La mia è la parola di un Re, mio Cavaliere,” disse. Sollevò i fianchi quel tanto che basta perchè Hajime vi affondasse le dita fino a segnare la pelle.
Il resto, come aveva desiderato Tooru, fu solo piacere.
Rabbioso, ustionante al punto che il giorno dopo ne avrebbero portato entrambi i segni ma era tutto ciò che fosse rimasto ad entrambi.
 
 
 
Tobio non aveva partecipato ai festeggiamenti per la vittoria nemmeno per un minuto.
Era uscito dalla tenda del Re e si era infilato nella sua prima chiunque provasse a trascinarlo vicino al grande falò al centro del campo dove il caos faceva da padrone.
Tobio non era per quel genere di cose, nemmeno quando era la sua persona a venire omaggiata per qualche impresa degna di nota. Birra e vino non lo interessavano ed ancor meno le ragazze che sembravano spuntare nei campi militari dei vittoriosi a fine battaglia come delle lumache in un giorno di pioggia. Nessuno era venuto a cercarlo. Nessuno era venuto a disturbarlo, almeno fino al sorgere del sole...
“Tobio!”
Il Principe scattò a sedere, con la mancina afferrò l’intruso, mentre le dita della destra si erano già strette intorno all’elsa della spada dei sovrani di Seijou. Per fortuna dell’altro, il Principe Demone riconobbe immediatamente gli occhi felini che lo fissavano. Lo lasciò andare ed il ragazzo più alto fece un paio di passi indietro ridendo. “Potevo decapitarti, idiota!” Esclamò Tobio alzandosi in piedi ed infilando gli stivali.
Lev continuò a ridere come se gli fosse riuscito un bello scherzo. “Avresti dovuto vedere la tua faccia!”
“La tua non è un bello spettacolo appena svegli, idiota!” Esclamò Tobio allacciandosi la cintura con la spada intorno alla vita. Solo allora si accorse degli altri due che erano rimasti sull’ingresso della tenda. Sou sorrideva divertito, mentre Kanji aveva un’espressione scocciata molto simile alla sua, probabilmente.
“Che diavolo volete?” Domandò senza girarci troppo intorno.
“Giusto!” Lev sollevò l’indice in aria, come se si fosse ricordato solo in quel momento del motivo della sua intrusione senza permesso. “Hanno avvistato gli stendardi di Shiratorizawa. l nostri vecchi non riescono a trovare il Generale Supremo, quindi abbiamo pensato di avvisare te, prima che Tsutomu arrivi e cominci a guardare tutti dall’alto al basso come se fosse il padrone del mondo!”
“Shiratorizawa...” Ripetè Tobio.
Lev annuì e così fecero Sou e Kanji.
“Maledizione!” Imprecò il Principe a denti stretti. Afferrò il mantello rosso ai piedi del suo letto ed uscì a passo di marcia seguito dagli altri tre.
 
 
 
“Ma Hajime dov’è finito?” Domandò Koutaro esasperato.
Kuroo sospirò e gli diede una pacca sulla spalla. “Respira e sorridi, amico. Respira e sorridi, fai come me.”
Koutaro inarcò un sopracciglio. “Cioè lo devo guardare come se volessi farlo a pezzi lentamente ed infliggendogli più dolore possibile?”
Kuroo lo guardò storto.
“La tua espressione dice questo!” Si giustificò Koutaro.
“Signori...” Li richiamò una voce atona che entrambi conoscevano bene.
I due amici si scambiarono un sorriso forzato, poi sollevarono lo sguardo sul Re dal mantello violaceo che li fissava dall’alto del suo cavallo. “Vostra Maestà,” lo salutò Kuroo con tutto il sarcasmo di cui era capace ma fece un mezzo inchino per mascherare la cosa. Koutaro emise un verso, piegò appena la testa e decise che era tutto quello che avrebbe fatto per fingere rispetto.
Il Re dell’Aquila non diede peso al disprezzo di nessuno dei due: non contavano abbastanza, erano schiavi di Seijou e fin tanto che ubbidivano al Re Demone non c’era ragione di sporcarsi le mani con loro. “Devo parlare con il Re,” si limitò a dire Ushijima.
Kuroo e Koutaro aprirono la bocca contemporaneamente.
“Il Re sta ancora dormendo.”
Non era stato nessuno dei due a rispondere.
Ushijima riportò lo sguardo di fronte a sè ed incrociò gli occhi blu del Principe che con arroganza si era fermato davanti al suo cavallo, come se volesse bloccargli la strada. C’erano tre giovani Cavalieri alle sue spalle ma erano a debita distanza: l’erede al trono del Regno di Seijou non aveva bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle per avere quello sguardo fiero.
“Siete scesi in battaglia senza l’approvazione di Shiratorizawa,” disse il Re dell’Aquila.
“Siamo scesi in battaglia per difendere i nostri confini da degli invasori, non vedo perchè dovesse servirci il permesso di un Re straniero per farlo,” replicò Tobio.
Kuroo e Koutaro risero sotto i baffi.
Il ragazzino accanto ad Ushijima mosse il suo cavallo in avanti. “Come osi parlare così al sovrano più potente dei Regni liberi?” Domandò Tsutomu con orgoglio. Ushijima non aspettò che il Principe Demone rispondesse, afferrò suo figlio per un braccio e lo invintò in silenzio a tornare alle sue spalle. Tsutomu lo guardò sorpreso, forse ferito ma poi abbassò lo sguardo.
“Avreste dovuto aspettare il nostro intervento,” insistette Ushijima.
“Non ne avevamo bisogno,” rispose Tobio lapidario.
Ushijima mosse il cavallo in avanti. “Lasciami passare, ragazzino.”
Tobio si piantò proprio in mezzo alla sua strada. Kuroo e Koutaro smisero di ridere. Ushijima non parve sorpreso.
“Trattatemi con il rispetto che si conviene ad un Principe ereditario e, se ne avrò voglia, vi farò passare,” disse Tobio.
Ci fu un attimo un cui gli occhi di Ushijima arsero come fuoco ma era calma la sua voce quando parlò. “Vi chiedo il permesso di passare, mio Principe.”
Tobio sembrò pensarci, poi si mosse di lato lentamente e fece cenno ai Cavalieri alle sue spalle di fare lo stesso. Tsutomu sbuffò e fece per dare comando al suo cavallo di proseguire ma il Principe Demone afferrò le briglie prima che potesse farlo. “Ho dato il permesso di passare a tuo padre, non a te.”
Tsutomu strinse i pugni. “Maledetto...” Cercò alla cieca l’elsa della spada.
“Tsutomu, fermati prima di combinare qualche guaio,” lo avvertì Satori.
Tobio sollevò lo sguardo sul Cavaliere dal mantello violaceo e vide che lo fissava con interesse. “Il Principe Demone è il degno erede di entrambi i suoi genitori e non possiamo fargliene una colpa, dopotutto.”
Il Principe di Seijou si limitò a rivolgergli uno sguardo gelido mentre rispondeva. “Attendete al centro del campo, vicino al grande falò, insieme ai Cavalieri di mio padre.”
 
 
 
Hajime venne svegliato dal rumore metallico delle armature indossate dai Cavalieri in movimento fuori dalla tenda. Probabilmente, stava succedendo qualcosa e doveva alzarsi per compiere il suo dovere di Generale e Primo Cavaliere, prima che si sentissero costretti a venirlo a cercare. Tooru dormiva contro di lui, la fronte appoggiata tra le sue scapole. Hajime non aveva avuto alcuna intenzione di passare la notte con lui ma la stanchezza aveva avuto il sopravvento sulla ragione ed il sonno lo aveva colto nel letto del Re prima che potesse ricordarsi che restare sarebbe stata una cattiva idea.
Si alzò in piedi cercando di essere il più silenzioso possibile e, troppo occupato a recuperare i suoi vestiti, non si accorse degli occhi scuri che fissavano la sua schiena da sotto una frangia di capelli castani. Tooru non fece nulla per attirare la sua attenzione e fargli capire che era sveglio. Non la ricordava neanche l’ultima volta che erano rimasti nello stesso letto abbastanza a lungo da veder sorgere il sole e sapeva che Hajime se ne sarebbe solo andato più velocemente se si fosse accorto del suo sguardo.
Il Cavaliere non perse tempo ad aggiustare la cintura con la spada intorno alla vita e prese la direzione dell’uscita della tenda. Ci fu un momento, un solo, in cui Tooru fece appello a tutto il suo coraggio per chiamare il suo nome e fermarlo ma riuscì solo a stringere la federa del cuscino e premere le labbra per trattenere un singhiozzo che risaliva crudelmente su per la sua gola.
Hajime scostò la stoffa pesante del tendaggio e la luce del sole abbagliò per un istante gli occhi di Tooru. Il Cavaliere rimase immobile per un istante di troppo, poi fece un passo indietro ed il sole venne coperto di nuovo. Tooru trattenne il fiato nel vederlo voltarsi verso il letto e si sollevò su di un fianco guardandolo speranzoso.
Hajime si bloccò per un istante: non si era accorto che era stato sveglio per tutto il tempo.
Tooru gli sorrise dolcemente e gli porse la mano. “Vieni qui,” mormorò. “Vieni da me, mio Cavaliere.”
Il viso di Hajime era di pietra ma si avvicinò comunque, sollevò la mano e Tooru sentì un brivido caldo lungo la schiena nell’avvertire quelle dita sfiorare il palmo della sua mano.
Fu un istante, poi l’ingresso della tenda si spalancò e Tooru vide comparire di fronte a lui un uomo alto, dagli occhi gelidi e dal mantello violaceo. Ushijima perse sicurezza nel vederli insieme. “Perdonate il disturbo,” disse educatamente e fece per andarsene.
“Nessun disturbo,” disse Hajime lasciando andare la mano del suo Re e voltandosi. “Abbiamo finito...”
Tooru sentì il repentino bisogno di coprirsi a quell’affermazione e si portò le coperte contro il petto.
Gli occhi verdi del Cavaliere si fissarono in quelli più scuri del Re dell’Aquila.
“Non avete aspettato il nostro intervento per attaccare,” disse quest’ultimo.
“E abbiamo vinto splendidamente comunque,” concluse il Primo Cavaliere di Seijou. “I miei Cavalieri non hanno bisogno di volare per vincere.”
Hajime uscì dalla tenda senza attendere la replica del Re dell’Aquila e, sopratutto, senza degnarsi di guardare un’ultima volta Tooru. Il sole della tarda mattinata lo accecò per alcuni istanti. Sbattè le palpebre ed aspettò che gli occhi si abituassero alla luce.
Quando riuscì a guardare di fronte a sè, la prima cosa che vide fu il ragazzo con addosso il mantello rosso degli eredi al trono di Seijou. C’erano anche altri giovani Cavalieri vicino a lui e Kuroo e Koutaro erano a pochi metri di distanza ma Hajime non vide altro che Tobio ed il giudizio di quegli occhi blu fu l’unico che gli pesò.
Non gli fu possibile interpretare l’espressione del Principe, Tobio si voltò quasi immediatamente e se ne andò.
Più tardi, una volta faccia a faccia, non parlarono di quella mattina ma Hajime non poté evitare di sentirsi colpevole per il resto della giornata.
 
 
***
 
 
Il Principe dei Corvi rientrò nella sua camera alle prime luci del giorno.
Mise piede a terra in un vorticare di piume nere e, dopo aver richiuso velocemente la finestra, si strinse le braccia intorno al corpo nudo e corse a letto, sotto le coperte. Se le tirò fin sopra la testa e rise... Rise come non gli capitava da un sacco di tempo, il battito del cuore reso velocissimo dall’emozione ed il fiato corto per il lungo volo. Sentiva le membra doloranti ed infreddolite ma era un dolore buono, il prezzo di una notte di libertà dopo tanto tempo passato dentro una gabbia.
Shouyou prese un respiro profondo cercando di calmare il suo cuore impazzito ma non ci riusciva. Voleva solo ridere, ridere...
Uscì fuori dal suo nascondiglio e guardò il sole appena sorto nei cieli di Karasuno come se fosse il peggiore dei traditori: voleva che sparisse di nuovo dietro la linea dell’orizzonte, voleva che calasse la notte e volevare aprire di nuovo quelle sue ali corvine sotto il cielo stellato.
Si lasciò ricadere sui cuscini con un sorriso sognante e fissò il soffitto della sua camera da letto come se fosse la volta celeste, poi gli angoli della sua bocca si abbassarono ed una strana malinconia cominciò a comprimergli il petto: aveva disubbidito ad un ordine di suo padre.
No, non era la prima volta che lo faceva. A Karasuno si poteva quasi dire che ogni volta che il Re dava delle direttive a suo figlio tutti si preparassero al momento in cui questi avrebbe fatto di testa sua ma quella volta era diverso. Non si trattava di scappare via dalle sue lezioni o di cercare di far perdere Kei nel bosco per non averlo più tra i piedi.
Shouyou non aveva chiesto di possedere quelle ali corvine, gliele avevano date in dono i suoi  genitori come avevano fatto con la sua stessa vita. Era successo e basta. Nessun colpevole da biasimare. Nessuna soluzione su cui riflettere. Il destino aveva scelto per quella giovane vita come faceva con ogni bambino che veniva al mondo.
Shouyou era stato fortunato.
O, almeno, gli era sempre piaciuto pensarla così.
Era nato sano e forte pur prematuro e nel bel mezzo di una guerra, dopotutto. Sì, era rimasto un piccoletto ma sarebbe potuto crescere ancora! Sì, non aveva il braccio forte dei Cavalieri di suo padre! Sì, nemmeno le materie intellettuali facevano per lui ma... ma... Sapeva volare.
Non era come tutti gli altri, non era come si erano aspettati che fosse il figlio di Koushi e Daichi ma, a differenza di tutti loro, sapeva volare... E gli era proibito farlo.
Sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi ma scosse la testa e tirò su col naso. Si alzò avvolgendosi le braccia intorno al corpo per combattere un brivido di freddo e si diresse verso il bagno. Shouyou non era mai stato uno di quei Principi che si sentiva in diritto di essere servito e riverito per ogni suo capriccio. Non era eccesivamente bravo a prendersi cura di sè ma questo era dovuto alla sua naturale inclinazione a cacciarsi nei guai e non sarebbe stato diverso se fosse nato da due genitori di umili origini. Sua madre, semplicemente, non era nato con il futuro dorato che poi aveva costruito passo dopo passo al fianco del suo Re ed aveva educato lui e sua sorella ad essere indipenti su molte cose.
Per questo non ebbe difficoltà a prepararsi un bagno caldo e si lasciò scivolare nell’acqua con un sospiro stanco. Le sue membra sembrarono gioire di quel trattamento e Shouyou cercò di scansare i cattivi pensieri altrove. Chiuse gli occhi e riportò alla mente quelle meravigliosi sensazioni che aveva provato tutta la notte: quel leggero senso di vuoto allo stomaco prima di abituarsi alla mancanza di un terreno sotto i suoi piedi, il vento freddo tra le piume che non disturbava affatto e la possibilità di avere di fronte ai suoi occhi niente altro che l’orizzonte infinito e nemmeno le cime più alte del Regno potevano coprire una simile visione.
Se solo avesse potuto condividere quel potere con qualcuno. Se solo avesse potuto far comprendere ad altri cosa significava per lui volare, anche solo per un istante.
Ma non esisteva nessuno come lui a quel mondo ed era questo a tramutare quel dono in una maledizione, ad indurre suo padre a temerlo come se potesse essere la sua condanna a morte. Shouyou non conosceva il mondo al di là dei confini di Karasuno. Poteva camminare in quei boschi ed avventurarsi su quelle montagne senza rischiare di perdersi ma quella era pur sempre casa sua. Cosa ci fosse al di là di quei confini lo aveva scoperto solo tramite le pagine degli unici libri che avesse mai letto e quei racconti lo avevano fatto sognare, insieme alle storie delle imprese compiute dai suoi genitori al fianco del Re Demone e contro il Re dell’Aquila.
Karasuno era uscita da quel gioco di potere subito dopo la sua nascita e questo l’aveva salvata dall’essere coinvolta nella grande campagna di conquista che aveva reso Seijou un Regno pari a quello di Shiratorizawa ma questo non aveva fatto altro che isolarli più di quanto non fossero. L’apertura politica che avevano avuto prima della sua nascita, attraverso suo padre, si era persa come i rapporti personali tra il Re dei Corvi ed il Re Demone erano andati perduti.
Karasuno era ancora un alleato di Seijou su di una pergamena firmata anni fa ma la volontà di suo padre di pensare prima a rendere solida la politica interna e le linee di difesa della sua casa, aveva impoverito i contatti con gli altri Regni ed il Castello dei Corvi era rimasta la casa reale di un piccolo Regno autonomo ma privo di glorie.
Questo poteva averli salvati dal potere di Seijou ma Shouyou, pur amando la sua casa, non poteva smettere di desiderare qualunque cosa ci fosse oltre quei confini. Le cose nuove lo spaventavano, gli mettevano una soggezione tale che gli stringevano lo stomaco in una morsa dolorosa ma quel castello non poteva essere tutto il suo mondo. Se c’era tanta paura, c’era anche quella voce nella sua testa che continuava a sussurrare di più! Di più! ed ignorarla stava diventando sempre più difficile.
Shouyou si portò le ginocchia al petto e vi appoggiò le guancia, gli occhi d’ambra rivolti alla piccola finestra della stanza. Il sonno ebbe la meglio e si addormentò avvolto dal calore dell’acqua della vasca.
 
 
 
Quando Kei si presentò nel salotto privato della coppia reale, non si sorprese particolarmente che il Principe non fosse lì.
“Non deve essersi svegliato,” disse il Re con un sorriso paziente. “Deve essere rimasto a leggere storie di terre lontane fino a tarda notte...”
Il consorte reale sospirò pulendo la guancia sporca di panna della Principessa e fece per alzarsi. “Vado a svegliarlo,” disse ma il Re allungò una mano per toccargli una gamba. “Resta,” disse il sovrano. “Lasciamo che vada Kei a chiamarlo. Sa sicuramente essere più severo di noi quando si tratta di Shouyou.”
L’espressione di Koushi si fece tesa ma il suo compagno stava rivolgendo tutta la sua attenzione a Kei e non se ne accorse. “Per favore, vai a svegliare il Principe,” disse Daichi.
Il giovane Cavaliere chinò il capo con rispetto. “Come desiderate, mio signore.”
 
 
 
Kei non avrebbe mai detto al suo sovrano che detestava ogni minuto che passava in compagnia del Principe dei Corvi. Non era nella posizione di fare una simile affermazione e, comunque, solo un pazzo avrebbe rinunciato ad un compito simile. Sì, un pazzo o chiunque conoscesse Shouyou abbastanza da sapere che era una tortura stargli vicino ed assicurarsi che non si cacciasse nei guai contemporaneamente. Il prestigio del suo nome era ciò che lo aveva spinto ad accettare quando il Re gli aveva proposto di essere il Cavaliere personale dell’erede al trono. Suo fratello aveva già commesso un grave errore quando aveva sfidato a duello il Primo Cavaliere per provare a se stesso e alla famiglia un valore che non possedeva e Kei si era ritrovato nella posizione di dover far brillare di nuovo gli Tsukishima in qualunque modo gli fosse possibile.
Non era interessato all’arte della spada, preferiva i libri, a dire il vero, ma il destino aveva voluto premiarlo con un naturale talento per entrambe le cose. Il Maestro Takeda lo aveva definito un giovane completo sotto tutti i punti di vista: era un abile guerriero e, se il Regno di Karasuno gli avesse concesso l’occasione, sarebbe divenuto un ottimo politico.
L’unica cosa che Kei non possedeva era la passione e il Principe che era stato messo nelle sue mani, invece, sembrava esserne ricco al punto d’apparire insopportabile. Poche settimane dal suo quindicesimo compleanno e Shouyou sognava ancora di terre lontane, di grandi avventure di cui era l’indiscusso protagonista nei panni dell’erore.
Kei lo guardava con aria annoiata ogni volta che gli rivolgeva la parola e tentava di confidargli quelle sciocche fantasie da bambino ed allora il Cavaliere non perdeva occasione per prendersi gioco di lui in qualche modo, per quel che gli era possibile. Shouyou avrebbe anche potuto avere il potere di bandirlo per averlo deriso ma, in verità, il Principe dei Corvi non aveva la minima idea di cosa volesse dire essere un erede al trono e se alla sua età i suoi genitori erano stati incoronati, lui non avrebbe dovuto faticare molto a mandare al diavolo tutto il loro lavoro in poche stagioni.
Shouyou, Principe dei Corvi, era ancora un bambino ed il modo caparbio in cui i suoi genitori lo proteggevano non era di molto aiuto da quel punto di vista. Kei li vedeva sorridere con indulgenza quando Shouyou passava intere cene a parlare dei suoi gloriosi progetti che non avrebbero mai visto la luce e nè il Re nè il suo consorte avevano ancora trovato il coraggio di sbattergli in faccia la cruda verità per farlo crescere un po’: Shouyou non sarebbe mai divenuto un Cavaliere, non sarebbe mai stato in grado di guidare i suoi uomini in battaglia e, senza ombra di dubbio, non avrebbe mai potuto reggere sulle sue spalle le sorti di un Regno.
La sua unica salvezza era un matrimonio combinato con qualche altro erede più capace di lui ma questo i reali non volevano ammetterlo a loro stessi. Kei non li biasimava: non doveva essere facile venire a patti con il fatto che il loro primogenito era il tradimento fatto a persona di tutte le loro aspettative.
Il Re Daichi era un uomo dalla personalità equilibrata, capace di essere duro quando era necessario ma non tirannico come altri Re della sua generazione erano divenuti. Il suo talento come Cavaliere e condottiero erano indiscutibili e la sua linea politica aveva i suoi meriti, nonostante tutto. Koushi, da parte sua, era elegante negli atteggiamenti, garbato nei modi ed aveva la personalità giusta per sorreggere un Re e tutte le sue responsabilità come si richiedeva ad un consorte reale. Inoltre, era abbastanza istruito da essersi preso personalmente la responsabilità dell’educazione dei suoi figli per non dover costringere il Maestro Takeda ad impazzire dietro al carattere ribelle di suo figlio.
Shouyou non era nulla di tutto questo.
Se Kei avesse avuto la possibilità di giudicarlo apertamente, avrebbe detto che era un piccolo idiota irrecuperabile a cui era capitato in sorte un potere che non avrebbe mai saputo usare a suo vantaggio.
Certo, Kei sapeva. Aveva dovuto saperlo per il compito che gli era stato affidato ma non dubativa che molti altri all’interno della corte fossero a conoscenza del segreto del Principe. Quello che davvero lo sorprendeva era che Shouyou non lo avesse urlato in faccia al Regno intero negli ultimi quindici anni.
C’era ancora da scongiurare la possibilità che il Principe dei Corvi fosse un Omega, inoltre.
Sua madre lo era e non era stato questo ad impedirgli di essere amato dagli altri nobili e dal popolo. Anzi, divenendo il consorte reale molte idee popolari sugli Omega erano cambiate nel corso degli anni ma non abbastanza. Se Shouyou fosse stato tutto quello che era, più un Omega, l’unico valore che avrebbe avuto sul piano politico sarebbe stato quello di una creatura priva di talenti al di fuori di quello di avere figli.
Sarebbe stato un destino a dir poco pietoso, Kei doveva ammetterlo ma Shouyou non era nato per nessuno dei cammini gloriosi che aveva dipinto per se stesso nei suoi sogni.
Kei bussò tre volte alla porta della camera da letto del Principe. Nessuno gli rispose e premette la guancia contro la superficie di legno. “Vostra altezza,” chiamò con rispetto perfettamente simulato. Non percepì nessun movimento all’interno della stanza. Sospirò e fece appello a tutta la sua pazienza ed abbassò la maniglia.
Il letto era in disordine ma vuoto e questo bastò a cancellare l’espressione annoiata dal viso di Kei. “Vostra altezza,” chiamò con voce chiara ma a rispondergli fu il più assoluto silenzio. “Shouyou?” Lo sguardo del Cavaliere cadde sulla porta del bagno e si accorse che era socchiusa. Si avvicinò. “Shouyou,” chiamò di nuovo ma nessuno gli rispose.
La spalancò con una certa urgenza ma la noia e l’irritazione fecero di nuovo da padroni sul suo viso come vide il ragazzino addormentato dentro la vasca da bagno. Shouyou aveva la guancia appoggiata bordo di marmo bianco e le labbra dischiuse. Non era la prima volta che Kei lo trovava addormentato in qualche luogo o posizione strana ma non riusciva ad indovinare il motivo che doveva aver spinto il Principe a fare un bagno preparato da sè prima di essere completamente sveglio.
Shouyou era un tipo mattutino ma svegliarlo mentre dormiva profondamente era un’impresa di cui Kei non era ancora riuscito a vantarsi. Fece il giro della vasca, un sottile strato di sapone ricopriva la superficie dell’acqua rendendo quella situazione meno imbarazzante di quanto avrebbe dovuto essere. Non che Kei provasse particolare interesse per quelo che c’era nascosto sotto: anche se Shouyou si fosse sollevato dall’acqua, tutto quello che avrebbe visto non sarebbe stato nulla di diverso da quello che aveva avuto sotto gli occhi per tutte le estati della sua vita fino ai dodici anni.
Shouyou non si era alzato di un centimetro negli ultimi due anni e sospettava che sotto i vestiti qualcosa fosse cambiato. L’aria della stanza era pregna di umidità e Kei arricciò il naso avvicinandosi alla piccola finestra. La aprì emettendo un cigolio che in tutto quel silenzio sembrò particolarmente stridulo.
Alle spalle del Cavaliere, Shouyou sobbalzò.
Kei si voltò a guardarlo e realizzò che non si era affatto accorto della sua presenza. Vide il Principe stringersi le braccia intorno al corpo e tremare visibilmente. Il Cavaliere fece una smorfia: solo quell’idiota poteva addormentarsi in una vasca d’acqua calda per poi restare addormentato mentre si raffreddava. Dischiuse le labbra per attirare la sua attenzione ma Shouyou si sollevò dall’acqua prima che avesse il tempo di farlo.
Kei rimase con le labbra socchiuse, incapace di dire qualsiasi cosa.
Quando si era svegliato, si era aspettato di tutto da quella giornata con il Principe dei Corvi ma non quello. Strinse le labbra e si diede dell’idiota. “Altezza...”
Shouyou si voltò di scatto e Kei ebbe appena il tempo di vedere gli occhi d’ambra resi grandi dalla paura, prima che il Principe scivolasse all’interno della vasca e cadesse nell’acqua fredda.
Kei chiuse gli occhi, prese un respiro profondo, poi afferrò l’asciugamano più si vicino ed attraversò la stanza. Il Principe riemerse passando le mani sul viso per liberarsi dai capelli che gli erano ricaduti sugli occhi. “Maledizione, Kei!”
“Non prendertela con me perchè sei nato imbranato,” replicò il Cavaliere.
Shouyou lo guardò storto, nonostante assomigliasse ad un pulcino bagnato.
Kei gli porse l’asciugamano e Shouyou lo afferrò ma senza sollevarsi dall’acqua. “Ti dispiace?” Domandò con espressione indignata.
Kei gli rise in faccia. “Come volete, altezza.”
 
 
 
Il Cavaliere decise di attendere nella camera. Per un istante, pensò anche di trovare qualche vestito pulito da portare al suo Principe e fingersi gentile quanto bastava. O, forse, voleva solo evitare di vedere di nuovo quello che aveva visto in quel bagno. Si diede dell’idiota una seconda volta in pochi minuti e non era una cosa che gli capitava spesso: si riteneva troppo intelligente per quella definizione.
La porta della camera si aprì e si sentì estremamente sollevato nell’incrociare gli occhi dorati del consorte reale. “Oh,” disse Koushi guardando il letto con un sorriso. “È sveglio, dunque.”
“Sta finendo di farsi il bagno,” disse il Cavaliere sorvolando volontariamente sul fatto che lo aveva trovato addormentato in dell’acqua fredda. “Non credo abbia dei vestiti puliti alla mano, però.”
Koushi rise. “Il nostro Principe è sempre così distratto,” disse con voce intenerita. “Ha sempre la mente molto lontana da qui. Alle volte, mi piacerebbe sapere dove.” L’espressione del consorte reale si fece malinconica ma simulò una risata un attimo dopo. “Scusami, sto facendo del melodramma!” Affermò con falsa allegria.
Kei se ne accorse ma non disse nulla. “Aspetto fuori.”
Koushi annuì e si fece da parte per permettere al ragazzo di uscire, poi si avvicinò all’armadio in fondo al letto per recuperare qualche vestito da portare a Shouyou. La sua mano rimase sospesa a mezz’aria: c’era qualcosa sul pavimento vicino alla finestra. Koushi si fece più vicino ed il suo cuore saltò un battito nel riconoscere le piume corvine che giacevano sul pavimento di pietra. Si chinò e ne raccolse una studiando il modo in cui il nero intenso sfumava in un colore bluastro alla luce del sole che entrava dalla finestra.
La porta del bagno si aprì e Shouyou ne uscì con addosso solo la camicia da notte. Fece per sorridere, poi si accorse della piuma nera che il genitore stringeva tra le dita e si sentì mancare il respiro. “Io...” Mormorò timoroso. Era certo che le piume sarebbero sparite da sole come era sempre successo. “Io...”
Koushi prese un respiro profondo, fece il giro del letto e si fermò di fronte a suo figlio. Gli prese una mano e depositò sul palmo la piuma corvina. “A tua sorella piace entrare in camera tua senza permesso e sai che viene da te quando ha paura la notte.”
Shouyou lo guardò confuso.
Koushi gli aggiustò un ciuffo di capelli umidi dietro l’orecchio di suo figlio e gli rivolse un sorriso leggero. “Non dirlo a tuo padre,” lo disse dolcemente. Lo disse come quando gli aveva confidato di aspettare sua sorella quando suo padre non lo sapeva ancora. Lo disse come faceva sempre quando, con un sospiro ed una vaga espressione di rimprovero, gli concedeva di trasgredire le regole per qualcosa d’innocente.
Quella, però, era una storia completamente diversa.
Shouyou chiuse le dita a pugno e si premette la piuma corvina contro il petto. “Grazie...”
 
 
***
 
 
 
Il Re dell’Aquila entrò al Castello Nero al fianco del Re Demone.
La Capitale era in festa quando varcarono il cancello principale e Tooru sorrise al suo popolo salutando la folla con la mano destra sollevata. Da parte sua, Ushijima mantenne l’espressione marmorea che lo contraddistingueva ma questo non sembrò smorzare l’entusiasmo generale. Alle spalle dei due sovrani, cavalcavano il Generale Supremo e Primo Cavaliere di Seijou ed i suoi condottiere supplementari: i sovrani detronati di Nekoma e Fukurodani. Per ultimi venivano i due eredi al trono: Tobio, Principe Demone e Tsutomu, Principe dell’Aquila. Il primo teneva gli occhi blu fissi di fronte a sè, la testa alta, lo sguardo fiero. Il secondo, invece, cotinuava a guardarsi intorno e ad osservare il Principe accanto a sè come se stesse cercando d’imitarlo ma fallisse nell’ottenere lo stesso risultato. Per ultimi, sfilarono i Cavalieri dei due Regni.
I festaggiamenti si fecero ancora più fragorosi non appena entrarono nel cortile del Castello Nero. Ushijima e Tooru si portarono in testa ed aspettarono che due ragazzi delle scuderie prendessero in custodia i loro cavalli prima di scendere. Il Re Demone si concesse un istante per voltarsi: il Primo Cavaliere era ancora in sella ed i suoi occhi verdi incrociarono i suoi per un istante di pura freddezza. Hajime allontanò lo sguardo con indifferenza prima ancora di scendere da cavallo. Tooru strinse le labbra fino a farle diventare una dura linea sottile poi salì le scale che poratvano ai piani nobili ed Ushijima lo seguì.
“Ehi! Ehi! Ehi!” Esclamò Koutaro riconoscendo il giovane uomo dai capelli corvini che si distaccò dalla folla lentamente per farsi riconoscere. Tra le braccia stringeva una bambina dai lunghi capelli dello stesso colore dei suoi. Koutaro scese dal cavallo con un salto e si avvicinò alla sua famiglia con le braccia spalancate. “Eccola qui, la mia principessa!”
Keiji si concesse un sorriso appena accennato permettendo a Koutaro di stringere a sè la loro bambina. Keijiko portò le braccia intorno al collo del genitore. “Bentornato, papà!”
“Grazie, piccola,” mormorò Koutaro posando un bacio tra quei capelli corvini e solo allora incrociò gli occhi verdi di Keiji e gli rivolse un sorriso più luminoso del sole. “Ciao...” Mormorò con dolcezza.
Keiji gli rivolse uno di quei suoi rari sorrisi sinceri e si avvicinò per baciare il padre di sua figlia dopo tante lunghe settimane di lontananza. “Bentornato...” Mormorò appoggiando la fronte su quella di Koutaro. Keijiko rise ed abbracciò entrambi i suoi genitori. “Ancora!” Esclamò e gli occhi verdi si fecero grandi e luminosi. “Papà, bacia ancora la mamma!”
Koutaro rise e la baciò sulla guancia. “La mia principessa è tutta me!”
Keiji aggiustò una lunga ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio di sua figlia e sospirò. “Sì, lo è davvero,” concordò e Keijiko gli sorrise stringendosi ancora di più al suo papà.
Alle loro spalle, Lev attraversò il cortile correndo. “Zio Kenma! Zio Kenma!”
Il Curatore dalla lunga tunica e dai capelli biondi sospirò stancamente ancor prima che il giovane alto quasi due metri gli arrivasse davanti. “Lev...”
“Sono vivo!”
“Lo vedo,” Kenma annuì. “Kuroo non ti ha voluto in battaglia nemmeno questa volta, vedo.”
Lev continuò a sorridere con entusiasmo non giustificato. “In realtà, Tobio non ha seguito gli ordini ed ha cavalcato fino alla prima linea, così io e Kanji abbiamo pensato fosse un’idea forte cercare di essere suoi degni compari, però Sou ha tentato di fermarci e Morisuke e Kenji ci hanno beccati... Alla fine, io e Kanji siamo finiti legati ad un palo al centro del campo per mano di Takanobu.”
Kenma lo fissò per alcuni secondi di totale silenzio. “Bene...” Fu il suo unico commento. “Kuroo è ancora vivo?” Domandò con il suo solito tono apatico. Lev venne spinto da parte con poca grazia. “Quanti anni ti ci vogliono ancora per capire che non hai nessuna possibilità di liberarti di me?” Domandò con un sorriso sarcastico l’uomo che era stato il Re di Nekoma.
Suo malgrado, Kenma accennò un sorriso. “Bentornato...” Disse a bassa voce e Kuroo si chinò per posargli un bacio veloce sulle labbra. “Più tardi il resto,” mormorò con un sorriso diabolico e Kenma alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla.
“Questi paesani sono così rumorosi!” Esclamò Tsutomu a voce appositamente alta per farsi sentire dal Principe che cavalcava accanto a lui. Voleva provocarlo, nulla di nuovo ma gli occhi di Tobio erano fissi sul Primo Cavaliere. Hajime cedette le briglie del suo cavallo ad uno dei ragazzi delle scuderie. “Generale!” Chiamò il Principe Demone spronando il suo destriero ad avvicinarsi.
Tsutomu lo fissò scandalizzato. “Come osi ignorarmi?” Fece per scendere da cavallo con un movimento che sarebbe dovuto essere agile. “Maledetto mezzo san... Oh!”
Satori se la rise senza ritegno nel vedere il figlio del proprio sovrano cadere rovinosamente a terra con un piede ancora impigliato nella staffa della sella. “Sei l’orgoglio di Shiratorizawa, mio Principe!” Esclamò sarcastico e gli insulti che seguirono da parte di sua altezza, l’erede al trono, non sembrarono smorzare in alcun modo il suo buon umore.
Nonostante il baccano, però, Tobio non si accorse di nulla.
Scese da cavallo ed uno servitori gli fu subito vicino per prendere in custodia l’animale. Hajime lo guardava, in attesa. “Che cosa c’è, Tobio?”
Prima che il Principe potesse rispondere, un gran fragore si alzò da tutto il cortile. Gli occhi blu si sollevarono e videro il suo Re salutare di nuovo i suoi uomini e la sua corte dalla balconata dei piani nobili. Al suo fianco, vi era il Re dell’Aquila con la sua espressione vuota ed il suo mantello violaceo mosso dal vento.
Tobio fece una smorfia. “Dovresti esserci tu lassù.”
Hajime sollevò lo sguardo come se non si fosse minimamente accorto di quanto era appena accaduto intorno a loro. Quando riportò gli occhi sul viso di suo figlio, sorrideva. “No, questo genere di cose non hanno mai fatto per me,” dichiarò. “Il giorno in cui il Re ti ha messo al mondo, non ho nemmeno annunciato la tua nascita di persona.”
“La vittoria è tua,” insistette Tobio. “Non del Re dell’Aquila.”
Hajime sospirò. “Ho combattuto troppe battaglie per aver voglia di festeggiare il massacro di un popolo.”
Il Principe aggrottò la fronte. “Erano invasori. Ci siamo difesi...”
Hajime sorrise malinconicamente. “Già, invasori...” Ripetè sollevando gli occhi sui due Re sulla balconata. “Un popolo fatto di tribù nomadi in una terra crudele e selvaggia. Nemmeno il Re dell’Aquila era interessato a conquistarla prima di oggi e questo la dice lunga.”
Tobio continuava a non capire. “Abbiamo difeso la nostra gente, la nostra casa...”
Hajime annuì. “Sì, abbiamo compiuto il nostro dovere contro un popolo che non possedeva nemmeno delle vere armature.”
Il Principe fece per replicare ma non trovò altre parole da dire ed il Primo Cavaliere scosse la testa. “Perdonami...” Disse con sincerità e spettinò con affetto i capelli corvini del ragazzo. “È la tua prima vittoria, non dovresti stare a sentire i miei discorsi noiosi.”
“È la tua vittoria...” Ripetè Tobio.
Hajime sospirò. “La prossima volta che brinderò sarà alla tua incoronazione o al tuo matrimonio!” Esclamò con allegria per prenderlo in giro, poi si accorse che il Principe dell’Aquila era salito sulla balconata al fianco di suo padre. “Vai, meriti di stare lassù più di quel moccioso dai capelli terribili, comunque.”
Tobio alzò gli occhi per un istante, poi scosse la testa. “Sir, io...”
“Vai,” disse Hajime con più fermezza, come se stesse impartendo un ordine sul campo di battaglia.
Tobio strinse le labbra ma annuì. “Ricevuto, Sir...”
 
 
 
Tooru emise un sospiro nel vedere Tobio comparire al suo fianco. “Per un attimo, ho creduto che saresti rimasto laggiù con i comuni mortali!” Esclamò con allegria.
Il Principe cercò la figura di suo padre e lo sorprese a guardarlo dal basso. “C’è anche il vostro Generale Supremo laggiù, mio signore,” gli ricordò senza nessuna intonazione particolare.
Tooru fissò il profilo del suo erede con espressione glaciale ma quando cercò gli occhi verdi del giovane uomo che era stato il suo Cavaliere, tutto ciò che trovò fu freddezza.
Sotto gli sguardi del suo Re e del suo Principe, Hajime si voltò e scomparve dal cortile del Castello Nero.
Tobio non comprese il motivo di un tale gesto.
“Nessuno gli ha impedito di salire fino a qui, accanto al suo Re,” disse Tooru con una glacialità tale che il Principe fu costretto a guardarlo. “Immagino che non abbia desiderio di farlo, dunque.”
Tobio abbassò gli occhi e non rispose.
 
 
 
“Re dell’Aquila,” cominciò il Re Demone accomodandosi sulla sua poltrona nella sala del consiglio. “A te la prima parola.”
In piedi vicino ad una delle alte finestre, Tobio inarcò le sopracciglia. “Con tutto il rispetto, mio Re. Shiratorizawa non ha contribuito in alcun modo a questa vittoria.”
Seduto al centro del tavolo, Tsutomu incrociò le braccia contro il petto. “Solo perchè il vostro Generale Supremo ha voluto fare di testa sua senza aspettare i rinforzi.”
Tobio lo guardò confuso. “Si parla di rinforzi solo in caso di aiuto necessario e non ricordo che Seijou abbia mai espresso un simile bisogno.”
Tsutomu sollevò il pugno ad una risposta tanto logica quanto stupida: quel ragazzo era l’incarnazione stessa del futuro della strategia militare ed era un completo idiota in un dialogo aperto.
“Il tuo Principe non ha tutti i torti,” disse Ushijima seduto in posizione opposta a quella del Re Demone.
Tooru fece una smorfia. “Il Generale a cui spetterebbe la prima parola non si è presentato a questo consiglio,” disse e guardò Issei e Takahiro in cerca di una risposta. I due Cavaliere si limitarono a scrollare le spalle ed il sovrano sospirò stancamente.
“Il tuo Principe ha partecipato alla vittoria,” aggiunse Ushijima e gli occhi gelide incrociarono quelli blu del ragazzo. “Penso che possa parlare in vece del Generale. È suo padre, dopotutto.”
Tobio si fece rigido come gli capitava ogni volta che gli veniva sottolineato di chi era figlio e di cosa, di conseguenza, ci si aspettasse da lui.
“Tobio...”
Il Principe Demone rivolse lo sguardo al suo Re.
“Hai partecipato alla tua prima vittoria sconfiggendo le tribù dell’estremo nord,” disse Tooru. “Le leggi dei Regni non hanno alcun valore per quella gente ma non ci comporteremo diversamente dal solito. Abbiamo vinto ed abbiamo ottenuto un diritto su ciò che è dei nostri nemici. Che cosa proponi di fare?” Non poteva negare di essere interessato alla risposta: non aveva mai messo alla prova Tobio in quel modo e sarebbe stato utile vedere come se la cavava in un consiglio di guerra, alla mercè di un Re potente quanto lui.
“Niente,” rispose Tobio.
Tooru sgranò gli occhi ma il Principe resse il suo sguardo meravigliosamente.
Tsutomu scoppiò a ridere senza contegno. “Prima fa tutto il pignolo per avere la prima parola e sottolineare la vittoria di suo padre, poi... Ah! Cederebbe tutto, se dipendesse da lui!”
Tobio allora lo guardò dritto negli occhi. “Pensi di poter conquistare quelle terre?”
Il Principe dell’Aquila saltò in piedi tutto orgoglioso e, per poco, non fece cadere la sua sedia a terra: fu Satori a tenerla ferma alzando gli occhi al cielo. “Mi stai sfidando, Principe Demone?”
“Calmo, Tsutomu,” disse Ushijima con tono apatico.
“Voglio la mia risposta,” insistette Tobio. “Pensi di poter conquistare quelle terre, Principe dell’Aquila?”
“Tobio...” Lo rimproverò Tooru a bassa voce per la sua arroganza, eppure un ghigno era comparso sul suo viso.
Tustomu gli rivolse un gran sorriso sicuro. “Una terra fatta di tribù sparse e nessun esercito d’abbattere? Ah! Potrei ricavarne il mio Regno personale in poche stagioni!”
Satori rise. “Una cosa è certa, Ushijima: il ragazzo ti ha superato a parole da tempo!”
“Taci!” Sbottò Tsutomu.
Ushijima li fissò entrambi come se non avesse minimamente capito che cosa il Cavaliere avesse cercato di dire. Tooru se ne accorse ma non lo fece notare. “Perchè non permetti al tuo erede di dimostrare il suo valore, Re dell’Aquila?” Propose, invece. “Lo spirito sembra quello giusto ed in duello non è al livello di Tobio ma chi lo è?”
“Grazie, Maestà,” disse Tobio chinando la testa con rispetto. Tsutomu fissò il Re Demone come se avesse appena detto con naturalezza la peggiore delle blasfemie e Satori rise ancora.
Ushijima fissò il Re Demone per un lungo minuto, poi si alzò. “Non sarebbe una cattiva idea,” concluse.
Gli occhi chiari di Tsutomu si fecero grandi e brillanti. “Padre, ti renderò fiero! Se mi dai questa possibilità, ti dimostrerò quanto sono degno di essere tuo erede!”
Ushijima gli passò accanto e lo guardò. “Dobbiamo ancora discutere i dettagli, non c’è niente di ufficiale...”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Quanta formalità... Ha praticamente detto sì.”
Tobio guardò Ushijima avvicinarsi al suo Re ed appoggiargli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. “Ci ritiriamo nelle nostre stanze,” disse il Re dell’Aquila.
Tooru accennò un sorriso ed annuì. “Godiamoci questi giorni di festa, riparlaremo della questione con calma dopo che ti sarai accordato col tuo erede sul da farsi. Il mio,” gli occhi scuri incrociarono quelli blu del suo Principe, “sembra avere le idee molto chiare,” concluse con orgoglio. Sospirò e si rivolse a Issei e Takahiro. “Andate anche voi,” concesse loro con gentilezza. “Meritate tutto il riposo e lo svago che la vostra casa può offrire.”
I due Cavaliere chinarono la testa in segno di rispetto. “Grazie, Maestà,” dissero ma non si mossero prima che il Re dell’Aquila ed i suoi uomini furono usciti.
Tobio si mosse per ultimo.
“No, mio Principe,” disse il Re Demone con un sorriso quasi gentile ed il giovane si fermò a guardarlo. “Tu no...”
Tobio annuì ed aspettò che la porta si richiudesse, prima di parlare. “Mio signore?”
Tooru sorrise con più sincerità. “Vieni...” Appoggiò la mano sul bracciolo della poltrona accanto alla sua. “Occupa il posto che ti spetta.”
Tobio esitò, poi fece come gli era stato detto. “Volete dirmi qualcosa?”
“Vorrei che mi spiegassi nei dettagli ciò che hai tentato di fare un attimo fa con il Principe dell’Aquila.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Ho solo risposto alla vostra domanda.”
“Mi vorresti dire che non hai spinto il piccolo Tsutomu verso un obbiettivo che non t’interessa per puro caso?”
Il Principe Demone strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Ho solo elaborato una strategia.”
Tooru sorrise compiaciuto. “Continua...”
“Mio padre ha descritto le terre dell’estremo nord come crudeli e selvagge, tanto che i suoi popoli non sono riusciti a costruire altro che misere tribù e si sono sentiti spinti dalla loro situazione ad invadere anche un Regno fin troppo potente per loro.”
Tooru annuì. “E...?”
“Le nostre conoscenze su quelle terre sono misere, anche le nostre mappe sono approssimative,” aggiunse Tobio. “Spendere risorse economiche ed umane in una campagna di conquista nell’estremo nord sarebbe decisamente stupido. Tsutomu non lo ha compreso ma il Re dell’Aquila non glielo lascerà mai fare.”
Tooru rise. “Mai dire mai, mio piccolo Tobio.”
Il Principe parve sorpreso. “Correrebbe davvero un rischio simile?”
“Dispone del potere e delle ricchezze necessarie per impartire a Tsutomu questa lezione di vita senza rischiare il crollo economico. Ushijima è un tipo pratico ed il suo ragazzo è nettamente inferiore a te.”
Le guance di Tobio si colorarono un poco e Tooru rise di nuovo. “Non c’è alcun bisogno di essere imbarazzato, Tobio-chan!”
“Sono onorato di ricevere complimenti da voi, mio signore,” rispose Tobio con formalità.
Il viso di Tooru si oscurò appena. “Siamo solo noi due, Tobio,” gli fece notare. “Non c’è bisogno di essere così rigidi.”
Tobio sbattè le palpebre un paio di volte. “Le mie scuse, Maestà,” disse dubbioso e Tooru comprese che non aveva affatto capito le sue parole ma non provò a spiegarsi più chiaramente.
“Ushijima ti teme, mio Principe,” disse, invece. “Se decidesse di mandare Tsutomu in battaglia, lo farebbe per ottenere un qualche vantaggio su di te.”
L'ingenuità che trasparì dagli occhi di suo figlio gli diede quasi fastidio. “È stato il Generale Supremo a vincere contro le tribù del nord,” replicò il ragazzo. “Voi ed il Generale avete reso grande questo Regno. Il Re dell'Aquila ha ragione di temere Seijou, se è quello che state cercando di dire, ma non ha alcuna intenzione di temere me, mio signore.”
Tooru sentì l’improvviso bisogno di dargli uno schiaffo. “È modestia la tua o è semplice stupidità?” Domandò con un sorriso sarcastico. Qualunque colore scomparve immediatamente dal viso di Tobio e si ritrovò ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua. “I-Io... I-Io...”
La porta della stanza del consiglio si aprì senza che nessuno ebbe bussato.
Tooru si voltò con espressione indignata ma si frenò dal dire qualsiasi cosa non appena vide il Primo Cavaliere sulla porta. Tobio scattò in piedi e per poco la poltrona su cui era seduto non cadde all’indietro. “Generale,” salutò con rispetto.
Tooru fissò Hajime con tutta la freddezza di cui era capace. “Lasciaci, Tobio,” ordinò alzandosi in piedi e voltandosi verso il suo erede. Il Principe lo guardò confuso e non si mosse. Il Re sbuffò apertamente scocciato. “Devo ripetermi, Tobio?”
L’erede al trono scosse la testa e lo superò tenendo lo sguardo basso in segno di rispetto. Hajime ebbe modo d’incrociare gli occhi blu per una frazione di secondo, prima che Tobio uscisse dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
“Che cosa è successo?” Domandò il Primo Cavaliere una volta rimasto da solo con il Re.
Tooru si spostò davanti ad una delle grandi finestre della stanza e fissò i tetti delle case sottostanti. “Sei in ritardo. Il consiglio di guerra è finito,” disse, come se non avesse affatto udito la domande del Cavaliere.
“Non era mia intezione presentarmi fin dal principio,” replicò Hajime con voce incolore. “Che cosa è successo?” Chiese di nuovo.
Tooru si voltò di colpo, il viso animato dall’ira. “Allora perchè sei qui?” Domandò quasi sibilando.
“Issei e Takahiro mi hanno informato che Tobio ha assestato un colpo diretto al Principe dell’Aquila,” rispose Hajime completamente indifferente ai sentimenti rabbiosi dell’altro. “Volevo conoscere i dettagli.”
“I detttagli?” Domandò Tooru stringendo i pugni. “Il Principe di questo Regno è un piccolo idiota, eccoli i dettagli!”
Qualcosa cambiò nell’espressione del Cavaliere. “Che cosa è successo? È l’ultima volta che te lo chiederò gentilmente.”
“Quel ragazzino si prende gioco di me...”
Hajime gli rivolse un sorriso sarcastico. “Questa è l’ennesima paranoia che esiste solo nella tua testa, Tooru.”
“Cammina a testa alta, lì fuori. Guarda tutti i ragazzi della sua età dall’alto in basso come il peggiore dei tiranni e poi arrossisce come un idiota se gli faccio un complimento!”
“È questo che ti offende?” Domandò Hajime ed una nota di rabbia cominciò a comparire anche nella sua voce. “Il tuo giudizio pesa su di lui più di quello di chiunque altro!”
Tooru fece un gesto scocciato con la mano e tornò a rivolgere gli occhi alla finestra.
“Che cosa gli hai detto, Tooru?”
“Perchè t’interessa?”
“Perchè era pallido come un morto quando è uscito di qui?”
“Non sopporto tutta la falsa modestia che mostra davanti a me,” replicò Tooru. “Pensa d’ingannare me, il suo Re?”
Hajime attraversò la stanza con ampi passi e costrinse l’altro a guardarlo negli occhi. “Ti ascolti quando parli?”
Tooru strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “E tu comprendi il significato delle tue azioni quando agisci?” Domandò con tono ferito e, sebbene si odiasse per questo, sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi. “Ti sei reso conto di quello che hai fatto quella mattina al nostro accampamento, il giorno dopo la vittoria tua e di Tobio?”
Gli occhi verdi di Hajime si fecero gelidi. “Questo non ha nulla a che fare con mio figlio.”
“Ah, è tuo figlio adesso?”
“Non puoi sfogare su Tobio la rabbia che provi per me!” Tuonò Hajime.
“Rabbia...” Mormorò Tooru e le lacrime presero a rigargli le guance. “Mi hai fatto male, Hajime!” Singhiozzò disperato. “Pensi che non abbia capito quello che hai fatto? Ti ho guardato rivestirti quella mattina... Lo faccio ogni volta che te ne vai dal mio letto ma faccio attenzione affinchè tu non te ne accorga.”
Hajime sospirò stancamente. “Non temere, non accadrà più.”
“Riesci ancora a crederci, Cavaliere?” Domandò Tooru con astio. “Lo ripeti da due anni e da due anni sei ancora l’unico uomo a cui permetto di entrare nel mio letto...”
Hajime gli rivolse una smorfia sarcastica. “Il tuo Re ha approfittato di questa grande invasione ai confini nord per tornare.”
Tooru si morse il labbro inferiore e si costrinse a rimanere calmo. “Non lo vedevo da anni e tu lo sai.”
“Non dormo con te ogni notte, Tooru. Non lo so dove vai quando cala la notte e nemmeno m’interessa.”
Tooru sorrise in modo orribile. “Non è vero,” replicò con sicurezza, sebbene stesse piangendo. “Se non ti fosse importato di nulla, quella mattina te ne saresti andato e basta! Invece... Invece, sei tornato indietro perché volevi che Ushijima ci vedesse insieme, che capisse senza ombra di dubbio che avevano dormito nello stesso letto quella notte.”
“Mi hai offerto una scopata e me la sono presa. Ne avevi voglia anche tu e ne hai goduto dal primo all'ultimo momento, fine della storia,” replicò Hajime con un'indifferenza che non gli apparteneva.
Tooru sentiva il cuore andare in frantumi ad ogni parola. “Quando mi hai preso la mano, un istante prima che capissi perchè, dopo tanto attendere, ti eri finalmente voltato per cercare i miei occhi, ho creduto che... Ho creduto che... Perchè hai fatto una cosa del genere?”
La risposta di Hajime fu terribile. “Perchè mi andava,” disse. “Perchè volevo che il Re dell’Aquila sapesse che si era disturbato solo per avere i miei scarti.”
Lo schiaffo fu veloce, tanto che Hajime non riuscì ad evitarlo.
Il viso di Tooru erano una maschera di pura ira e lacrime ma il Primo Cavaliere non lo biasimava, anche se non glielo avrebbe mai detto. “Non mi farò più toccare da te,” concluse il Re con voce tremante. “È finita, Hajime! Questa volta, è finita davvero!”
Il Primo Cavaliere sospirò stancamente. “È finita due anni fa, Tooru,” replicò. “Solo che non possiamo evitare di farci male a vicenda, evidentemente.”
“Ho passato due anni ad implorare il tuo perdono,” singhiozzò Tooru. “Ho passato due anni a credere che ogni notte che passavamo insieme potesse essere il nostro nuovo inizio.”
“No, Tooru,” replicò Hajime con rabbia. “Hai passato due anni ad essere quello che sei diventato quando ci hai tradito tutti! Me compreso... Tutto il resto è stato debolezza. Ogni notte che passavo con te era un passo indietro fatto per stanchezza perchè avevo bisogno d’illudermi che... Già, siamo sempre stati bravi a farci del male a vicenda.”
Ci fu un lungo momento di silenzio in cui Tooru continuò a piangere e Hajime guardò in ogni direzione pur di non incrociare i suoi occhi. “In ogni caso, sono qui anche per un'altra ragione.”
Le labbra di Tooru tramavano troppo perché potesse parlare.
“Partirò per la costa tra pochi giorni,” disse il Primo Cavaliere. “E Tobio verrà con me.”
Tooru sbattè le palpebre un paio di volte. “Che cosa significa?”
“Il progetto che avevamo noi di esplorare i mari,” spiegò Hajime. “Tobio ha cercato di svilupparlo ma non può farlo stando qui.”
“Non puoi...” Tooru scosse la testa. “Non potete andarvene dopo che le porte dell’estremo nord sono state aperte per noi.”
“Non rischierò nessuno dei miei uomini per una campagna suicida,” fu la replica categorica del Primo Cavaliere. “E tu lo sai benissimo. Il nord non t’interessa, vero?”
Tooru voltò lo sguardo altrove e non rispose.
“Per tutto il resto, non hai bisogno di me...”
“Lascialo decidere a me questo, Hajime.”
“Non resto sotto lo stesso tetto del Re dell’Aquila, Tooru,” concluse Hajime. “E noi abbiamo bisogno di stare lontani. Non lascio Tobio in mezzo a questo schifo, quindi concedigli di partire, salutalo come si merita e manda avanti i tuoi piani politici senza coinvolgerlo.” Si voltò.
“Non puoi fuggire in eterno, Hajime!” Esclamò Tooru piangendo ancora. “Non puoi proteggere Tobio da quello che è nato per essere.”
Il Primo Cavaliere se ne andò come se non lo avesse udito.
Tooru appoggiò la fronte contro il vetro freddo della finestra, gli occhi scuri rivolti all’orizzonte. “Non puoi proteggerlo dal suo destino.”
 
 
 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Bentornata a me! Bentornata a me!
Vi devo le mie scuse. Avevo intenzione di prendermi una pausa ma non credevo sarebbe stata così lunga. Ho continuato a scrivere per tutto il periodo di silenzio ma molto lentamente. Siamo in periodo di forti cambiamenti dalle mie parti (tutte cose belle ma che comunque ingombrano la mente) e spesso mi ritrovavo a fissare i capitoli senza sapere che scrivervi per troppa stanchezza.
Ora, stiamo ristabilendo un equilibrio.
Capitolo breve per i miei standard questo, lo so. In principio, le pagine dovevano essere il doppio e si doveva arrivare fino al primo incontro tra i due Principi. Però, ho sforato talmente tanto la tabella di marcia che ho deciso di mettere un punto al primo salto temporale disponibile.
Nel prossimo capitolo (vi do qualche spoilers), saremo già in estate inoltrata. Shouyou avrà quindici anni, Tobio tornerà dal suo viaggio di esplorazione dei mari e vedremo come se l’è cavata Tsutomu nella sua compagna di conquista dell’estremo nord e da questi fatti si svilupperà la situazione che porterà le strade di Tomeo e Shouliet ad incrociarsi.
Piccolo sondaggio. Immagino che la maggior parte di voi abbia accessibilità a Facebook ma mi chiedevo quanti di voi sono pratici di Tumblr?
Onde evitare di passare per stalker, vi spiego il motivo di una tale richiesta: per mia immensa e somma gioia ricevo molti messaggi privati nell’accout che ho qui riguardanti sia questa che altre storie ma non riesco mai a rispondere qui con il tempismo che vorrei e ci sono informazioni che mi ritrovo a condividere con più persone. Ora, mi farebbe piacere rendere lo scambio più facile e divertente, quindi sto preparando una pagina Tumblr (ma eventualmente ne aggiungerei una Facebook) completamente in italiano affiancata a quella che ho in inglese (non illudetevi, di mio lì ci trovate solo i miei scleri ed i miei gifset), anche in vista di alcuni progetti originali per cui (almeno così mi è stato detto) è sempre utile avere una porta social.
Ovviamente, è solo una proposta e siete liberissimi d’ignorarmi.
Detto questo, non pensiate che non rispondo alle recensioni per pigrizia ma dopo tutte queste settimane mi sento veramente una cafona, anche per non darvi un capitolo completo come mio solito.
Vi ringrazio molto per la vostra attenzione ed il vostro tempo.
Alla prossima!
Edit: per ragioni a me ignote, non mi è possibile aggiornare tramite tablet come è mia abitudine e trasferendo il documento al pc si sono verificate delle "metamorfosi" nello stile di scrittura. Se questo dovesse creare problemi con la lettura siate liberi di farmelo sapere e m'impegnerò per rimediare!

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Capitolo 22
*** Di lunghi viaggi e nuovi orizzonti ***


19

Di lunghi viaggi e nuovi orizzonti

 

 

Era il giorno del solstizio d’estate e Kei aveva in programma di passarlo tra le mura del castello, negli ambienti freschi e semi-bui della biblioteca, circondato dalla silenziosa compagnia di qualche libro che potesse tenere occupata la sua mente fino al tramonto.

La porta della biblioteca si aprì con una tale impetuosità che andò a sbattere contro il muro di pietra. “Kei!” Esclamò una vocetta acuta e dalle note ancora infantili che, suo malgrado, il Cavaliere conosceva molto bene.

Sbuffò prima ancora che l’intruso comparisse nel suo campo visivo e chiuse gli occhi facendo appello a tutta la sua traballante pazienza. “Che cosa vuoi, Shouyou?”

Quando riaprì gli occhi, lo trovò lì, di fronte a lui. Le mani sui fianchi e un’espressione sicura che, viste le sue effettive incapacità, non poteva permettersi. Gli occhi d’ambra brillavano più del sole fuori da quella stanza ma Kei aveva ragione di allontanarlo e non voleva lasciar correre la cosa. “Non sono in servizio oggi,” gli ricordò.

Shouyou appoggiò le mani sul tavolo e si sporse verso di lui. “È il mio compleanno, oggi!” Esclamò come se fosse ancora nell’età in cui potesse emozionarsi per eventi del genere. Kei non se ne sorprese: era arrivato al suo quindicesimo compleanno intero per puro miracolo e di quei tre lustri non ne dimostrava neanche la metà.

Moccioso, pensò ma decise di tenersi quel commento sarcastico per sè per una volta. “Fai sempre di tutto per tenermi a distanza ed ora mi stai tra i piedi di tua spontanea volontà?”

Shouyou arricciò il naso in un’espressione confusa. “Che stai dicendo, Kei?” Domandò. “Gli altri  giorni sei il mio secondino...”

“Cavaliere personale,” replicò Kei a bassa voce, come se il Principe lo avesse appena insultato.

“Oggi, però, è un giorno speciale!” Esclamò Shouyou tornando a sorridere in quel modo abbagliante. “È il mio compleanno e voglio passarlo con tutti i miei amici!”

Kei non se ne sorprese: Shouyou aveva una definizione tutta sua della parola amicizia. Da parte sua, Kei si limitava ad affermare che erano cresciuti insieme come capitava a tutti i bambini di famiglia nobile delle piccole corti. Non c’era nulla di speciale in quello. Non si erano scelti, non erano stati avvicinati da qualche inclinazione naturale che avevano in comune. Erano solo nati in un piccolo mondo sicuro in cui le loro possibilità erano limitate e non avevano potuto fare altro che legarsi in qualche modo.

Kei abbassò lo sguardo sul libro appoggiato sul tavolo e continuò a leggere come se fosse di nuovo da solo. Una piccola mano comparve nel suo campo visivo ed afferrò la sua. Kei trattenne il fiato per un istante, poi sollevò lo sguardo gelido su quello caldo ed innocente di Shouyou. “Kei, per favore!”

Il Cavaliere lo fissò scocciato, poi sospirò stancamente e liberò la sua mano da quella del Principe per richiudere il libro.

 

 

 

“Non potevamo organizzare una battuta di caccia come è di tradizione per tutti i normali eredi di famiglie nobili?” Kei si passò una mano tra i capelli biondi umidi di sudore.

“A Shouyou non piacciono le battute di caccia, lo sai,” rispose Tadashi sedendosi sull’erba accanto a lui. Kei lo guardò incuriosito: quando erano bambini a stento lasciava il suo fianco o si permetteva di parlare per primo ed ora sembrava quasi una persona autonoma. Il Cavaliere sospirò profondamente, afferrò l’orlo della sua tunica e se la tolse esponendo la pelle ancora pallida alla luce del sole. La usò per asciugarsi il viso sudato e la lasciò cadere a terra.

Quando sollevò di nuovo gli occhi, Tadashi aveva riportato lo sguardo sul lago e sui fanciulli che continuavano ad entrare ed uscire dall’acqua cristallina in un continuo ciclo di tuffi. C’era del colore sulle sue gote e Kei era abbastanza sveglio dal capire perchè. “Smettila...” Mormorò guardando di fronte a sè. Pur con l’irritazione che lo divorava, doveva ammettere che le acque blu del lago ed i boschi e le montagne sullo sfondo creavano un paesaggio incantevole sotto il caldo sole d’estate.

Tadashi lo sguardo con gli occhi sgranati ed il respiro corto ma non fece in tempo a replicare in alcun modo.

“I miei più sinceri ringraziamenti, Sir, per averci onorato con la sua presenza in questo giorno di festa,” disse Shouyou facendo la voce grossa, come se stesse cercando d’imitare il Re, suo padre. Kei lo fissò: si era liberato della tunica e degli stivali non appena erano arrivati sulla riva del lago e si era appena concesso il tempo di liberare la Principessa dal suo abitino, prima di sollevarla tra le braccia e di buttarsi in acqua con lei.

Kei lanciò un’occhiata veloce a Kouji ed Izumi, assicurandosi che fossero entrambi ben attenti ai movimenti della Principessa in acqua, poi tornò a guardare l’erede al trono. “Se riuscissi a parlare così normalmente, tuo padre non si sentirebbe costretto ad ordinare ad un Cavaliere di seguirti dall’alba al tramonto.”

Shouyou fece una smorfia. “Se parlassi così a corte, nulla m’impedirebbe di essere come sono fuori da quelle mura di pietra.”

Kei non si sorprese per una replica tanto arrogante ma per il fatto che, per una volta, aveva senso. Non lo diede a vedere, ovviamente. “Avrei dovuto consigliare al Re di organizzare una battuta di caccia in tuo onore,” disse scocciato passandosi di nuovo una mano tra i capelli. “Queste giornate al lago sono per i bambini...”

Shouyou reclinò la testa da un lato. “Tadashi non te lo ha detto?” Domandò guardando il ragazzo che era rimasto in silenzio per tutto il tempo. “Era con me quando mio padre mi ha fatto la tua stessa proposta. Ho rifiutato.”

Kei guardò l’amico d’infanzia e Tadashi gli rivolse un sorriso paziente. Te lo avevo detto, sembravano dirgli quegli occhi gentili ma non avrebbe mai avuto l’arroganza di farlo ad alta voce.

“Inoltre, preferisci davvero correre in cento dietro ad un singolo animale in una giornata come questa, quando puoi avere tutto questo?” Il Principe si voltò ed indicò l’orizzonte: il lago blu, i boschi verdi e le alte e forti montagne di Karasuno. Kei non gli disse che aveva ragione, non gli avrebbe mai dato una simile soddisfazione.

“Fratellone!” La piccola Natsu comparve accanto al Principe con addosso solo la sottoveste di colore chiaro. Afferrò la mano di Shouyou e lo tirò verso la riva del lago. “Andiamo in acqua, vieni!”

Shouyou la sollevò tra le braccia e la Principessa rise circondando il collo del fratello maggiore con entrambe le braccia. Era piccola e Shouyou riusciva ancora a prenderla in braccio con facilità. Kei lo guardò mentre si avvicinava di nuovo all’acqua e ad Izumi e Kouji.

“Quindici anni...” Mormorò a se stesso. Kei non li aveva ancora, li avrebbe compiuti a settembre e sembrava più grande. Il Cavaliere guardò il Principe davanti a lui e avrebbe tanto voluto vedere il bambino che gli sembrava di guardare quando aveva tutti i vestiti addosso.

No, Shouyou non era più un bambino.

Era un’idea di cui si erano convinti tutti perchè era più semplice credere che quella creatura dall’entusiasmo incotrollabile fosse ancora nell’età in cui nessuno potesse usare quella sua ingenuità per scopi malsani. Shouyou era minuto, aveva un aspetto fragile ma... Non era decisamente un bambino e Kei temeva che l’ultimo timore del Re riguardo alla natura di suo figlio avrebbe ben presto trovato conferma.

Tadashi si accorse del modo in cui l’amico d’infanzia guardava dritto di fronte a sè. Lo fissò con una tale intensità che chiunque avrebbe potuto notare il suo sguardo ma Kei non lo fece. L’attenzione del Cavaliere era tutta per l’allegra scenetta che si stava consumando tra le acque di quel lago in cui avevano giocato per tutte le estati della loro infanzia. Tadashi si sarebbe potuto illudere che il Cavaliere si fosse semplicemente incantato a guardare il paesaggio. Avrebbe potuto convincersi che si era semplicemente isolato per il troppo caldo e che non stava davvero vedendo niente di quello che i suoi occhi perennemente annoiati guardavano.

Sì, Tadashi avrebbe potuto credere a qualsiasi cosa fosse più facile d’accettare: non avrebbe comunque mai avuto il coraggio di dare voce ai suoi dubbi e Kei, pur accorgendosi di tutto, non gli avrebbe mai rivolto tutta quell’attenzione.

Si chiedeva se il suo amico d’infanzia se ne fosse accorto. Sì, Tadashi si chiedeva se Kei avesse realizzato che i suoi occhi non stavano, semplicemente, guardando il Principe che il Re aveva messo nelle sue mani perchè lo proteggesse.

No, Kei guardava Shouyou e lui... E Tadashi era come se non esistesse.

 

 

***

 

 

“La neve si sta sciogliendo. L’estate sta arrivando...”

Satori guardò il suo Principe con aria stanca. “Tsutomu...” Cominciò ma il ragazzino non aveva alcuna intenzione di farlo parlare.

“L’estate sta arrivando!” Esclamò Tsutomu con convinzione. “La strada diverrà più facile da percorrere giorno dopo giorno.”

Satori lanciò un’occhiata veloce ai Cavalieri seduti a terra, dietro di loro. Li avevano seguiti per quasi quattro mesi. Settimane e settimane passate ad assecondare i sogni di gloria di un bambino a cui il loro Re aveva permesso di uscire nel mondo alle sue regole e alle sue condizioni ma la realtà si era dimostrata molto diversa dai giochi di guerra e alle grandi storie con cui Tsutomu era cresciuto.

Satori non aveva chiesto spiegazioni ad Ushijima quando aveva messo un centinaio di uomini nelle mani di suo figlio di soli tredici anni. Era un’iniziazione quella che aveva pensato il Re dell’Aquila. I rischi e le conseguenze non erano particolarmente importanti se, alla fine, Tsutomu avesse lasciato il ragazzino che era in quelle terre selvagge per ritornare al Castello Bianco come un uomo. Oppure, come Satori credeva fosse più opportuno affermare, come quell’erede perfetto, nato per essere un sovrano, di cui il Re Demone ed il Generale Supremo di Seijou potevano andare fieri.

Tobio e Tsutomu erano nati ad un anno di distanza l’uno dall’altro.

Il Principe Demone era venuto al mondo appena in tempo per completare una felicità che Tooru e Hajime si erano conquistati versando lacrime e sangue. Un ciclo di stagioni più tardi, Tsutomu aveva segnato l’inizio di una lunga ed intima decadenza all’interno della corte del Re dell’Aquila.

Negli anni che erano seguiti, le strade percorse dai due giovanissimi eredi al trono non aveva fatto altro che confermare un destino che sembrava averli segnati fin dal loro primo vagito: Tobio era tutto quello che Ushijima avesse mai desiderato, Tsutomu era tutto quello che aveva ottenuto.

C’erano delle volte in cui, pur consapevole della crudeltà di quel pensiero, Satori concludeva con se stesso quanto fosse meglio che Eita fosse prigioniero di quel sonno senza fine: dopo tutto quello che aveva fatto, non meritava di essere testimone di quanto stava accadendo nel loro mondo.

Ushijima non aveva piegato la testa.

Shiratorizawa era il Regno glorioso che era sempre stato, anche con Seijou che cresceva di anno in anno ad un solo confine di distanza ma Satori aveva smesso di provare a capire che cosa passasse per la testa del Re dell’Aquila e per quanto riguardava il suo cuore, lo considerava un territorio tanto oscuro che provava pietà per chiunque tentasse di metterci piede.

In un momento di assoluta fragilità, Tooru vi aveva avuto libero accesso ma, forse, sia il Re Demone che il Re dell’Aquila doveva aver concluso che tutto quello che era per loro non era altro che quello, proprio lì, a metà strada tra la disperazione e la distruzione, in un luogo oscuro chiamato solitudine.

Ushijima aveva voluto tutto. Aveva voluto Eita come amante, aveva voluto Tooru come consorte e avrebbe sicuramente amato qualsiasi cosa sarebbe potuta nascere da una situazione simile, senza pensare alle conseguenze.

Ushijima aveva voluto tutto e, alla fine, si era sentito costretto a spedire in una terra di morte quell’unica cosa che gli era rimasta e per cui aveva perso tutto il resto. Questo solo per convincersi che suo figlio valeva quanto quello di un Cavaliere che lo aveva sconfitto già troppe volte in un duello senza spade. Satori avrebbe mentito se avesse affermato che Ushijima non amava Tsutomu.

Era la creatura sua e di Eita e, perlomeno, non aveva abbandonato suo figlio quando il suo compagno era venuto a mancare senza essere morto. Semplicemente, Ushijima amava a modo suo. Eita lo aveva capito. Tooru non ci aveva nemmeno provato. Tsutomu era stato costretto a farlo.

Se Hajime aveva messo tutto nel cercare di proteggere Tobio dal mondo che Tooru stava costruendo col ferro e col fuoco, Ushijima aveva ben pensato che suo figlio dovesse conoscerla da solo quella cruda realtà e le porte dell’estremo nord si erano aperte per loro nel momento più giusto perchè questo fosse possibile.

Ushijima aveva saputo vedere quello che era successo nella sala del Consiglio del Castello Nero, dopo la vittoria del Generale Supremo di Seijou. Era rimasto a guardare in silenzio mentre, ancora una volta, il figlio di Tooru si dimostrava degno del suo nome scegliendo di rinunciare ad una conquista inutile, mentre Tsutomu vedeva gloria in qualsiasi situazione richiedesse stringere una spada nel pugno.

Si era sentito deluso ancora una volta, il Re dell’Aquila e, sebbene non ci fosse ragione di provare rabbia nei confronti del suo erede, aveva deciso di metterlo alla prova senza spiegargli la lezione. Satori era stato scelto come sua guida, ovviamente: il moccioso sarebbe potuto anche morire congelato dopo aver accidentalmente fatto marciare gli uomini sopra il ghiaccio sottile di un lago a primavera inoltrata. Ushijima non gli aveva spiegato le regole ma Satori aveva saputo interpretare il suo ruolo egregiamente: non poteva suggerire a Tsutomu la decisione giusta da prendere o quella prova si sarebbe rivelata completamente vana ma aveva il compito di segnare un limite chiaro, se il Principe avesse perso completamente il senso della realtà.

Le prime settimane di missione erano andate, tutto sommato, meglio di quanto Satori avesse sperato. Tsutomu aveva guidato gli uomini in battaglia contro alcune tribù nomadi che non avevano mai avuto alcuna possibilità di uscire vincitori da uno scontro contro dei veri Cavalieri ma il Principe non si era fatto impressionare dall’orrore di una battaglia vissuta in prima linea e Satori aveva pensato che, comunque fosse andata a finire, almeno avrebbe assicurato al Re dell’Aquila che il suo erede non temeva la vista del sangue, nemmeno quando gli sporcava le mani.

Quello sì che era requisito importante quando si nasceva figli del più grande conquistatore di tutti i tempi.

Anche gli uomini erano stati di buon umore in quei giorni: la loro missione aveva reso possibile individuare percorsi che prima non erano segnati su nessuna delle loro mappe accidentate e c’era stata un’euforia generale nel realizzare di essere i primi Cavalieri a calpestare quelle terre in nome di un vero Re. Inutile dire che questo aveva reso Tsutomu il bambino più felice del mondo.

Perchè, non aveva importanza che avesse un centinaio di uomini al seguito, Satori guardava il suo Principe e, a dispetto dei desideri del suo sovrano, vedeva solo un bambino che ancora giocava alla guerra di conquista senza rendersi conto di cosa volesse dire imporre il proprio potere sugli altri.

Questa sua ingenuità li aveva portati alla situazione in cui erano ora e Satori si colpevolizzava in parte per l’accaduto.

Si erano spinti troppo oltre.

Avevano reso le loro mappe dell’estremo nord più chiare di quanto mai fossero state ma, dopo tutta la strada che avevano percorso, l’orizzonte non sembrava meno sconfinato e casa era sempre più lontana. Andare oltre e cercare di soddisfare la sete di avventura che animava il loro Principe stava diventando troppo pericoloso.

“Tsutomu...” Satori si alzò in piedi e si rese conto di essere sfinito a sua volta. “Se adesso tornassimo indietro, ci vorrebbero settimane per varcare i confini con la terra di Shiratorizawa o quella di Seijou.”

Il Principe lo fissò come se non capisse. “Ma la neve si sta sciogliendo!” Esclamò ancora una volta, come se stesse parlando con un sordo. Indicò il magnifico paesaggio che si estendeva sotto l’altura, davanti ai loro occhi. “La strada che abbiamo percorso in settimane fino ad ora, possiamo percorrerla in giorni.” Sorrideva con sicurezza Tsutomu. “Marcheremo il confine dell’estremo nord e torneremo a casa con la notizia che il Re dell’Aquila ha camminato su tutte le strade di queste terre inesplorate!”

Satori sospirò con pazienza. “E se non ci fosse un cofine?”

Tsutomu fece una smorfia. “Non dire sciocchezze! Non può continuare all’infinito!”

“Non è necessario che continui all’infinito,” replicò il Cavaliere. “Basta che continui abbastanza perchè questo mondo sconosciuto ci circondi al punto da non permetterci più di tornare indietro.”

“E perchè dovremmo fermarci ora?” Insistette il Principe.

Satori sapeva che le truppe lo stavano ascoltando e se quel moccioso fosse andato oltre con quella sua ingenua arroganza, non era impossibile che qualcuno degli altri Cavalieri decidesse di metterlo al suo posto. Satori aveva abbastanza esperienza da tenerli ancora in riga ma non avrebbe potuto fermarli, nè biasimarli, se avessero deciso di legare il Principe in un sacco e trascinarlo fino a casa.

Sarebbe stato anche un modo gentile di concludere la questione, dopotutto.

Chiunque conosceva storie di soldati che si erano ribellati ai loro condottieri e li avevano fatti a pezzi. Satori cercava di farsi forza con la consapevolezza che tutti loro erano fedeli al padre di quel moccioso e che questo avrebbe spinto il buon senso di tutti a prendere in considerazione corda e sacco, piuttosto che lame e precipizi. Tuttavia...

“È arrivato il momento di fermarsi, Tsutomu,” disse il Cavaliere con una serietà che, di solito, non gli apparteneva. “Un Re degno di questo nome è in grado di capire quando anche un solo passo potrebbe essere troppo.”

Tsutomu sgranò gli occhi chiari. “Mi stai chiedendo di arrendermi?”

“Non hai nessun nemico da sconfiggere, Tsutomu.”

“Ho il mondo intero davanti ai miei occhi!”

“Combatti contro il mondo e perderai,” replicò il Cavaliere. “Per far sì che tu vinca una battaglia simile, dovresti avere una perfetta conoscenza e padronanza della realtà che ti circonda e noi siamo solo esploratori a cui la sorte ha voluto sorridere, fino ad ora.”

“E perchè non dovrei continuare a rischiare la sorte?” Domandò il Principe dell’Aquila. “Sono l’erde al trono di Shiratorizawa. Mio padre ha corso rischi peggiori di questo! Si è lanciato contro ben tre Regni per difendere il suo onore.”

Satori alzò gli occhi al cielo: quanto avrebbe voluto dire a quel moccioso che Ushijima aveva combattuto contro Seijou, alleata con Nekoma e Karasuno, per questioni che con l’onore avevano poco a che fare e che lo aveva fatto con l’assoluta certezza di vincere. Avrebbe anche voluto aggiungere che avevano perso nel momento in cui i tre Regni erano divenuti quattro e che tutti, escluso Karasuno, ora erano territori del Re che Ushijima era stato così convinto di sconfiggere e fare suo... Quindici anni dopo, Tooru poteva anche aver graziato le lenzuola del letto del loro sovrano con la sua presenza ma era ancora lì, sul suo trono, libero e solo ed unico padrone delle sue ricchezze e del suo destino.

Questo, però, avrebbe voluto dire infrangere tante certezze su cui Tsutomu aveva cercato di modellare anche se stesso e non era proprio il caso di fargli avere una crisi adolescenziale senza precedenti nel bel mezzo del nulla: Satori non voleva spingere i Cavalieri alle sue spalle a prendere seriamente in considerazione le lame ed i precipizi per risolvere il problema.

“Ah!” Esclamò il Principe esasperato. “Andate pure! Continuerò da solo!”

Satori dovette attendere qualche istante per comprendere un’affermazione tanto stupida.

I Cavalieri alle sue spalle risero e solo quello sarebbe bastato a vanificare tutti i suoi sforzi se il Re dell’Aquila fosse venuto a sapere che il suo erede era stato deriso dai suoi stessi uomini per la sua indubbia e profonda stupidità.

“Tsutomu!” Esclamò andandogli dietro. “Dove credi andare? Un piede storto e ti ritrovi a valle in un lampo e con tutte le ossa rotte! Non andare a passo di marcia come se sapessi dove stai mettendo i piedi e guarda davanti! Tsuto...!”

Quello che accadde dopo, Satori non seppe mai spiegarselo.

Anche poi, una volta tornati a casa ridotti in pezzi, non avrebbe trovato le parole per descrivere al suo Re quanto era realmente accaduto. In seguito, a mente lucida, avrebbe realizzato che se Tsutomu non si fosse fatto forte delle sue assurde convinzioni e non si fosse allontanato dalle truppe, probabilmente sarebbero morti entrambi.

In quel preciso momento, però, Satori udì solo un boato che gli fece gelare il sangue nelle vene ed uno spostamento d’aria tale che sembrò che la montagna stesse si stesse muovendo.

Dopo, fu come se dal cielo stesse piovendo fuoco.

 

 

***

 

 

Il cielo era di un azzurro tanto terso da non sembrare reale ed il mare rifletteva il sole d’estate da rendere impossibile fissare la superficie dell’acqua.

Il Generale Supremo se ne stava a prua con un sorriso leggero sulle labbra a rendere più gentili i lineamenti del suo viso. Una lunga linea di terra stava comparendo di fronte alla loro nave ma Hajime non se ne era davvero accorto: la sua attenzione era tutta per il giovane steso sullo sperone della nave con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi blu rivolti verso il cielo. Se per qualche ragione si fosse sbilanciato troppo di lato, sarebbe finito in acqua in un istante ma il Primo Cavaliere non temeva una simile possibilità: suo figlio si era abituato alla vita di mare con una naturalezza quasi inquietante per un ragazzino che era cresciuto tra le campagne sconfinate di Seijou, la foresta che circondava la sua Capitale e le pareti di pietra del Castello Nero.

Un orrido rumore che Hajime aveva imparato a conoscere negli ultimi mesi attirò la sua attenzione: Yuutaro era di nuovo attaccato al bordo del pento come se da questo dipendesse la sua vita, la testa completamente sporta in avanti. Issei e Takahiro si assicurarono che non cadesse di sotto mentre buttava fuori quel che non aveva digerito della colazione e lo rassicuravano senza suonare troppo convincenti. Akira li ossevava a debita distanza da possibili schizzi, scuotendo la testa con espressione esasperata.

Hajime si concesse una risata: non tutti erano adatti alla vita di mare, dopotutto.

“Tobio...”

Il ragazzo steso sullo sperose reclinò la testa all’indietro per guardarlo.

“Saremo a casa entro un paio di giorni al massimo,” disse il Primo Cavaliere.

Tobio annuì, poi tornò a rivolgere gli occhi blu alla volta celeste.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Hajime sollevando lo sguardo per cercare di capire che cosa avesse attirato l’attenzione del Principe.

“I gabbiani,” rispose Tobio distrattamente. “Volano in modo diverso dagli uccelli della nostra foresta.”

Hajime annuì. “Diverso ambiente, diverse ali.” Riportò gli occhi sulla figura del ragazzo. “Ti manca tirare frecce nella foresta?”

Tobio reclinò di nuovo la testa. “Ho imparato molte altre cose in questi mesi.”

“Ma ti manca?”

Il Principe si sollevò a sedere e voltò lo sguardo lontano dalla striscia di terra, dove l’orizzonte ed il mare sembravano potersi toccare in un punto molto, molto lontano. “Sì,” ammise. “Mi mancherà anche tutto questo, però.”

Hajime voltò gli occhi verdi verso l’infinito che si stavano lasciando alle spalle e di cui si erano illusi di esserne i padroni per tutti quei mesi. Alla fine della spedizione, avevano ottenuto tutto quello che si erano promessi di conquistare e, forse, anche di più. Era stato diverso dalla campagne di guerra a cui il suo Re lo aveva abituato. Era stato tutto per il piacere della scoperta, della conoscenza. Ad Hajime era piaciuto essere quel genere di condottiero per una volta nella vita ed era fiero di avere avuto una simile possibilità al fianco del suo ragazzo.

Quel mare, però... Quell’orizzonte non aveva alcun padrone.

“Sì, mancherà anche a me,” ammise con un poco di malinconia.

Ed era un bene che fosse così.

 

 

***

 

 

Negli anni in cui le storie di corte non ebbero altro che Seijou e Shiratorizawa come indiscussi protagonisti, il Regno di Karasuno fece del suo meglio per non attirare l’attenzione di nessuna delle forze a comando del nuovo equilibrio di potere.

L’unico sogno che il Re aveva avuto per sè lo aveva realizzato quando il giovane Arciere con cui aveva passato la fanciullezza era divenuto suo consorte e la guerra contro Shiratorizawa era stata un’impresa abbastanza grande d’accontentare la poca superbia di un sovrano che aveva sempre agito nel nome della serenità della sua gente e la felicità della sua famiglia. L’erede al trono era arrivato piuttosto presto e, in seguito, si era aggiunta una dolce Principessa a rallegrare la casa reale.

Il Regno di Karasuno era pacifico, autonomo e libero ed il suo Re non voleva nulla di più per il Principe che lo avrebbe succeduto. Il destino, però, aveva altri progetti e ben più grandi di quelli che il sovrano di Karasuno avrebbe desiderato per la vita dei suoi figli.

Bussò alle porte del Castello dei Corvi sotto le sembianze di un messaggero dal mantello nero e prese la forma di una lettera sigillata con lo stemma della casata reale del Regno di Seijou.

 

 

 

“Shouyou!”

Koushi entrò in camera di suo figlio con urgenza e la certezza di trovarlo ancora addormentato. Il letto era sfatto, vuoto ma la finestra era chiusa e tanto bastò a rassicurare il consorte reale, almeno un poco. Richiuse la porta e percorse il corridoio con ampi passi. Scese le scale ed uscì sul cortile interno dove sapeva che avrebbe trovato i Cavalieri più giovani a quell’ora del mattino. Trovò il fanciullo che cercava impegnato ad osservare alcuni ragazzini del gruppo d’addestramento.

“Kei!” Chiamò con urgenza.

Il giovane Cavaliere si voltò immediatamente e s’inchinò con eleganza quando lo riconobbe. “Buongiorno, Maestà.”

Koushi accennò un sorriso. “Buongiorno a te,” disse. “Hai visto Shouyou questa mattina, per caso?”

Kei inarcò le sopracciglia. “Il Principe non è ancora sceso dopo la colazione, mio signore.”

Il consorte reale strinse le labbra e si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. “Capisco. Grazie, Kei,” disse e fece per andarsene.

“Si è cacciato di nuovo nei guai?” Domandò Kei, prima che l’altro potesse voltarsi.

Koushi lasciò andare un sospiro. “È successa una cosa importante questa mattina,” disse. “Il Re sta radunando i suoi Cavalieri nella sala del trono per fare un annuncio ed è necessario che Shouyou sia presente.”

Kei annuì, poi si voltò. “Tadashi, Kouji!”

Le due giovani Guardie reali erano a lato del cortile e concessero immediatamente la loro attenzione al Cavaliere. Kei fece loro segno di avvicinarsi e questi s’inchinarono al cospetto al consorte reale come aveva fatto il loro superiore in precedenza.

“Kouji, resta a controllare le nuove reclute,” ordinò Kei, poi rivolse a Tadashi. “Tu vieni con me.”

“È accaduto qualcosa?” Domandò quest’ultimo preoccupato.

“Non riusciamo a trovare il Principe,” disse Koushi con cortesia. “Vi sarei grato se poteste darmi una mano. Suo padre, il Re, lo vuole nella sala del trono con una certa urgenza.”

Sia Tadashi che Kouji annuirono immediatamente. Il primo si avvicinò al gruppetto di ragazzini, il secondo fece un passo più vicino al Cavaliere.

“Prenderemo i cavalli e cercheremo nella foresta e a valle. Il Principe non perde occasione per cavalcare, dopotutto,” disse Kei.

Koushi sorrise. “Vi ringrazio,” disse e pensò che avrebbe fatto meglio a raggiungere il suo compagno nella sala del trono e cercare di calmare i suoi nervi, prima che il ritardo dell’erede cominciasse a divenire qualcosa più che sconveniente.

 

 

***

 

 

Non appena il ponte della nave venne calato, Yuutaro lo attraversò praticamente volando e s’inginocchiò sul pontile come se fosse qualcosa di sacro, da venerare. Akira sospirò stancamente e gli fu subito accanto per assicurarsi che non stesse per dare di stomaco, ancora una volta, davanti a tutto il porto reale di Seijou.

Issei e Takahiro risero assistento alla scena dal parapetto della nave. “Di sicuro non si può dire che non abbia forza di volontà!” Esclamò il primo.

“Povero ragazzo, sarebbe diventato matto se avessimo ritardato l’arrivo anche solo di un giorno,” aggiunse il secondo.

“Piantatela di ridacchiare come ragazzini e date il buon esempio.” Hajime comparve accanto a loro già vestito di armatura e con il mantello del Generale supremo sulle spalle. I due Cavaliri si scambiarono uno sguardo complice che l’altro non si fece sfuggire. “Cosa c’è?” Domandò con la netta sensazione che, non appena non avrebbero aperto bocca, avrebbe sentito la necessità di buttarli a mare.

“Niente,” disse Issei divertito.

“Ora, sì, che siamo tornati a casa!” Esclamò Takahiro.

Hajime li fissò in cagnesco per un istante, poi alzò gli occhi al cielo. “Andiamo, idioti...”

“Sì, Sir!”

Scesero a terra insieme.

Yuutaro si scusò con il Primo Cavaliere fino alle lacrime per il suo indegno comportamento ma Hajime lo rassicurò con un sorriso gentile ed una pacca sulla spalla. “Ce la fai a cavalcare?” Domandò.

Yuutaro si tirò in piedi immediatamente. “Sì, Sir!”

Akira lo guardò poco convinto. “Se ci fossero dei problemi, cavalcherà con me, Sir,” intervenne con aria seria. Yuutaro arrossì di vergogna più di prima ma il Primo Cavaliere non fece nulla per peggiorare il suo stato d’animo. “Molto bene,” rispose ad Akira. “Andiamo a prendere i cavalli e mettiamoci in marcia. Con la fortuna dalla nostra parte, arriveremo al Castello Nero prima del tramonto.”

“Sì, Sir!”

Hajime sorrise loro ancora una volta, poi si voltò verso la folla che si era radunata intorno alla nave e tanto bastò perchè le urla vittoriose coprissero il rumore del mare ed il canto dei gabbiani. Sembrava quasi che fossero tornati vittoriosi da una guerra.

“Dovremmo portarlo in giro più spesso,” commentò Issei alla destra del Primo Cavaliere.

“Decisamente!” Esclamò Takahiro sul lato opposto. “Se ci aspetta un simile comitato di accoglienza ogni volta...”

“Tacete...” Sibilò il Primo Cavaliere a voce abbastanza bassa perchè lo udissero solo i suoi compagni, mentre la folla si apriva gradualmente per permettere loro il passaggio.

Ancora sul pontile, Yuutaro osservava la scena completamente incantato. “Il Primo Cavaliere è un tale uomo d’onore...”

“Sì,” Akira sospirò stancamente. “Ma guarda dove metti i piedi quando cammini, la folla non stenderà il tappeto rosso anche per te.”

Yuutaro arrossì di nuovo, poi prese un respiro profondo e fece un passo in avanti: non poteva mettere in imbarazzo i suoi compagni e superiori più di quanto aveva fatto ed il Primo Cavaliere era già stato fin troppo gentile a sorvolare sul suo comportamento indegno di poco prima. Fece un passo, uno solo, poi un braccio gli sbarrò la strada.

Il giovane Cavaliere sollevò lo sguardo e due occhi blu lo fissarono taglienti, gelidi. “Lascia passare i tuoi signori,” disse Tobio. “I Cavalieri più giovani marciano per ultimi e vedi di non disonorare i tuoi compagni e superiori più di quanto non hai già fatto,” lo avvertì con fare minaccioso.

Yuutaro assottigliò la bocca e strinse i pugni. Qualunque cosa volesse dire, non aveva alcun diritto di dirla: quello che aveva davanti era un Principe e lui non era nessuno. Abbassò gli occhi e così fece Akira, sebbene costasse anche all’altro questo costava a lui.

“Sì, Altezza...”

Il Principe Demone raggiunse suo padre. I due Cavalieri rimasero indietro.

 

 

***

 

 

L’arte del cavalcare non era mai stata un mistero per il Principe dei Corvi.

Il Re lo aveva spinto verso quell’attività quasi solo per allontanarlo dal suo proposito irrealizzabile di divenire un Cavaliere ma Shouyou aveva sorpreso tutti dimostrando di possedere un talento naturale che nessuno sospettava. Nonostante una caduta da cavallo lo avesse quasi ucciso da bambino, non c’era stato verso di togliergli il vizio di uscire dalle scuderie reali al galoppo ogni qual volta ne trovava l’occasione e, spesso, senza averne il permesso.

Il Re aveva fatto di tutto per evitare che si ripetesse a disgrazia che glielo aveva quasi portato via ma non c’era Cavaliere del Regno che potesse stare dietro all’erede al trono e Shouyou sapeva seminare i suoi secondini con difficoltà lungo gli impervi sentieri della foresta o nella vastità della prateria a valle.

Quella del cavalcare era qualcosa che nessuno sarebbe mai riuscito a togliergli ed i suoi protettivi genitori si erano dovuti arrendere all’idea che non potevano privarlo anche di quella libertà per paura.

“È quasi come volare,” si giustificava Shouyou ogni qual volta che qualcuno lo interrogava su quella sua passione assolutamente idonea al suo carattere vivace e ribelle. “Se chiudo gli occhi è un po’ come avere le ali.”

Non poteva dire a nessuno che non era nemmeno lontanamente paragonabile.

 

 

 

“Corri!” Esclamò Shouyou con un sorriso estatico ad illuminargli il viso. “Corri, Karasu! Corri!”

La prateria a valle delle montagne di Karasuno era il luogo che il Principe dei Corvi preferiva per cavalcare: gli dava l’impressione che avrebbe potuto correre incontro all’orizzonte per sempre. Non c’erano mura di pietra che lo trattenessero lì, non c’erano strade di nessuno signore. Non c’era nulla. Solo erba verde, fiumiciattoli cristallini e la solida sicurezza delle montagne di casa tutt’intorno.

“Corri, bello! Non ti fermare! Corri!”

Il vento d’estate tra i capelli, quello strano senso di vuoto allo stomaco che gli dava un po’ di vertigine all’inizio e poi lo rendeva euforico... Shouyou sarebbe potuto andare avanti così per sempre, fino ai confini del mondo.

Quando sentì le gambe intorpidite, afferrò le briglie con più forza e le tirò gradualmente. Karasu prese a camminare lentamente lungo il letto di un piccolo ruscello e Shouyou gli accarezzò la criniera corvina soddisfatto. “Bravo, Karasu! Bravo!”

Quella pace, però, non durò per molto. Shouyou udì in lontanaza voci che non riconobbe ma che era certo stessero chiamando lui. Alzò lo sguardo e si guardò intorno: due cavalli correvano nella sua direzione ma non poteva riconoscere i due Cavalieri da quella distanza. Concluse per semplice intuizione che uno dei due doveva essere Kei e tanto bastò a fargli perdere l’euforia che lo aveva caricato fino a quel momento.

“Altezza!” Le voci si fecero più chiare. “Altezza!”

Shouyou, però, venne colto da un pensiero molesto, dispettoso. Si chinò verso il muso del cavallo. “Non starli a sentire,” mormorò, poi diede un colpo leggero al fianco dell’animale con il tacco dello stivale. “Corri, Karasu! Vai!”

 

 

 

Kei fermò i cavallo e così fece Tadashi.

“Sta tornando verso la foresta,” disse quest’ultimo confuso. “A questo punto, tornerà al castello anche da solo. Che cosa dobbiamo fare, Kei?”

Il Cavaliere continuò a fissare la sagoma scura del destriero dal manto corvino fino a che questa non sparì tra gli alti alberi secolari. “Non sta tornando a casa,” disse con espressione a dir poco irritata. “Ci sta sfidando.”

Kei lanciò il suo cavallo al galoppo e, dopo un istante di esitazione, Tadashi gli andò dietro.

 

 

***

 

 

L’accoglienza che avevano riservato al Generale Supremo, all’erede al trono e ai loro uomini al porto reale non fu nulla in confronto alla folla festante che li accompagnò ai lati delle strade della Capitale del Regno di Seijou.

“Dovresti cavalcare davanti a me,” disse Hajime rivolgendosi al Principe.

Tobio lo guardò come se non avesse compreso le sue parole. “Sono dove devo essere,” replicò. “Non ho ragione di pormi davanti a te.”

Hajime sospirò contrariato ma lo lasciò fare. “Il Re non vuole che il suo erede sminuisca se stesso e la sua posizione.”

“Il Re non vorrebbe che lo facessi nemmeno tu.”

Il Primo Cavaliere guardò suo figlio sorpreso e Tobio abbassò immediatamente lo sguardo. “Ho parlato a sproposito, perdonami.”

Hajime non chiese altro ma si guardò bene dal dimenticare quelle parole. “Solleva la testa, Tobio,” ordinò. “Nessun Principe vittorioso deve permettersi di rientrare al suo castello a testa bassa.”

Tobio drizzò immediatamente il capo. “Ma io non ho vinto nulla.”

Il Primo Cavaliere sorrise. “Sei tornato a casa sano e salvo, è un motivo sufficiente per festeggiare un erede al trono.”

Tobio non parve tanto convinto dalle sue parole ma tornò a puntare lo sguardo di fronte a sè con la fierezza che Hajime si aspettava da lui.

 

 

 

All’interno del cortile del Castello Nero, la gente era ancora più euforica e rumorosa e Hajime alzò gli occhi al cielo ancor prima di scendere da cavallo quando riconobbe i due folli in testa al corteo di bentornato.

“E noi che già stavamo scrivendo un discorso funebre strappa lacrime in tuo onore!” Esclamò Kuroo senza vergogna. Koutaro era accanto a lui, con un braccio a circondargli le spalle. “Ecco la nostra possibilità di passare di grado svanire via tra cori vittoriosi e folle festanti!” Fece finta di lagnarsi.

Hajime rivolse ad entrambi un sorriso crudele. “Spero per voi che le truppe abbiano continuato ad allenarsi con constanza in mia assenza o ne pagherete le conseguenze.”

I due smisero immediatamente di ridere.

“E non hai sconfitto nessun mostro marino?!” Domandò emozionato Lev camminando al fianco del cavallo dell’erede trono. Tobio lo fissava stranito ascoltandolo solo a metà: era troppo impegnato a chiedersi quanto l’altro potesse ancora crescere in altezza e definirsi ancora umano.

“No, Lev, non ho sconfitto mostri marini...” Rispose con una smorfia, seriamente disturbato da quanto poco dovesse alzare la voce, pur essendo ancora in sella, perchè l’altro lo udisse con chiarezza.

Lev fece una smorfia delusa. “Non dirlo allo zio Kenma, però! Non ha fatto che ripetermi che i mostri marini non esistono da quando sei partito ma, dopotutto, nemmeno i draghi dovevano esistere e tu ne hai accecato uno! Forse, attirare creature inesistenti è un tuo potere, Tobio!”

Il Principe Demone sbatté le palpebre un paio di volte. “Va-Vado avanti. Mio padre mi aspetta.”

Lev aprì la bocca ma non fece in tempo a replicare in alcun modo.

I cancelli del Castello Nero si aprirono di nuovo ed il Re Demone entrò al galoppo, seguito da alcuni dei migliori arcieri del regno. Le voci festanti tacquero immediatamente in segno di rispetto ed alcuni chinarono il capo con umiltà. Hajime non si disturbò nemmeno a pensare di farlo ed il sovrano gli sorriso con tutta la sua oscura eleganza mentre portava il proprio cavallo accanto a quello del suo Primo Cavaliere. “Hai la pelle baciata dal sole più del solito, Hajime,” commentò Tooru con la naturalezza di qualcuno che accoglie il suo innamorato a casa dopo un lungo viaggio. “Ti dona ma stai attento che qualcuno non usi questo inutile dettaglio per ricordarti delle tue umili origini. Sai bene che vi sono delle lingue affilate a corte...”

Molti trattennero il fiato a quel commento ed il Principe Tobio sgranò gli occhi, colpito dall’offesa arrecata a suo padre come se fosse stata rivolta a lui. Fece per far avanzare il suo cavallo ed intervenire ma uno degli arciere che aveva varcato i cancelli accanto al Re si spostò davanti a lui. Tobio fece per ordinargli di farsi da parte ma Keiji abbassò il cappuccio e si fece riconoscere prima che potesse farlo. “Resta qui. Tuo padre non si perdonerebbe di coinvolgerti in certe faccende.”

L’erede al trono strinse le labbra ma non si mosse da dov’era.

Poco più in là, Hajime resse lo sguardo del Re Demone alla perfezione. “Mi auguro che siate rimasto l’unico Re a dimorare tra queste mura, allora, mio signore,” replicò. “Non vogliamo dare a quelle lingue velenose ulteriori motivi di parlare, vero?”

Il sorriso sicuro di Tooru sparì immediatamente.

Tobio guardò suo padre nel medesimo modo in cui aveva fissato il suo Re e avvertì ancor più di prima la necessità di mettersi in mezzo ma Keiji non aveva alcuna intenzione di spostarsi ed obbligarlo avrebbe creato troppo rumore per una sola giornata. Strinse le briglie del suo cavallo e sperò che finisse in fretta.

Il Re Demone aveva assottigliato le labbra ed i suoi occhi scuri si erano fatti gelidi ma il Primo Cavaliere non si fece impressionare nemmeno allora. “Renditi presentabile, ho bisogno di parlarti nel mio salotto privato e porta il Principe...” Il sovrano si bloccò. Aveva voltato il viso per cercare quello di suo figlio ma incrociare gli occhi di Tobio dopo tante settimane di lontananza non fu l’esperienza tiepida che si era immaginato. Hajime seguì le linea del suo sguardo e comprese immediatamente ciò che aveva soffocato la voce di Tooru.

Tobio li guardava in silenzio ma la sua espressione non era poi così diversa da quella che rivolgeva ai Cavalieri della sua età, quelli che non riteneva degni di alcun rispetto.

Tooru fu quello ad abbassare gli occhi con vergogna per primo ma si riprese immediatamente sollevando lo sguardo con fierezza di fronte a sè, evitando di proposito quella del suo erede. “Fate in fretta,” ordinò al Cavaliere, poi scese da cavallo ed entrò nella rocca subito dopo aver ceduto le briglie ad uno dei giovani della scuderia.

Hajime continuò a guardare suo figlio e, a differenza di Tooru, non ebbe problemi a chiedergli scusa in silenzio.

Tobio portò il suo cavallo nelle scuderie personalmente e Hajime comprese che lo fece esclusivamente per evitare di parlargli.

 

 

***  

 

 

Koushi scese nelle scuderie un’ora dopo aver parlato con Kei, nella speranza di trovare qualche segno della presenza di suo figlio. Tutto quello che i ragazzi della servitù poterono fare per lui fu confermare che Karasu non era al suo posto ma che nessuno di loro lo aveva preparato per uscire. Koushi li ringraziò, poi lasciò andare un sospiro stanco: non era neanche l’ora di pranzo e già non vedeva l’ora che tramontasse il sole e che Shouyou fosse al sicuro tra le quattro mura della sua camera.

“Il fratellone è nei guai, mamma?” Domandò Natsu giocando con l’orlo del suo mantello.

Koushi la guardò con un sorriso innamorato. La sua dolce, piccola Principessa non aveva mai dato motivo a lui o suo padre di preoccuparsi per lei e Shouyou si sentiva ancora in dovere di animare quella pace familiare nonostante avesse ormai quindici anni compiuti. Alla sua età, Koushi era il consorte di un Re e si chiedeva seriamente quanto tempo ancora Daichi avrebbe aspettato per pianificare una successione solida. Avevano entrambi aspettato e temuto quel giorno da quando Shouyou era nato e, dopo la lettera che Daichi aveva trovato sul tavolo del loro salotto accanto alla colazione, Koushi aveva il presentimento che non avrebbero potuto temporeggiare ancora per molto.

Se Shouyou fosse pronto o no era una domanda che avevano preferito non porsi.

Di colpo, un cavallo nero irruppe nel cortile delle scuderie animando l’atmosfera con alcune esclamazioni sollevate da parte dei giovani della servitù. Koushi, invece, rimase immobile, in silenzio mentre il destriero dal manto corvino si fermava proprio accanto a lui ed il Principe dei Corvi scendeva a terra con un movimento agile ed un sorriso luminoso in volto. “Eccomi qui!” Esclamò Shouyou con aria trionfante.

Kouhsi lo guardò dall’alto in basso con aria furente e tutta l’allegria di Shouyou svanì nel giro di un attimo. “Cosa c’è?” Domandò.

Koushi incrociò le braccia le contro il petto ed il Principe comprese il messaggio. “Mamma, ero...”

“Non voglio sentire scuse,” disse Koushi gelide voltandosi. “Seguimi, tuo padre ti vuole nella sala del trono.”

Shouyou aprì la bocca per replicare ma Natsu si aggrappò alla sua mano pretendendo la sua attenzione. “M’insegni a ballare, fratellone?” Domandò saltellando felice. “M’insegni? M’insegni?”

Il Principe le sorrise. “Pensavo volessi imparare a cavalcare!”

“Anche! Prima, però, voglio che m’insegni a ballare!”

Shouyou la sollevò tra le braccia stando attento a non sgualcire più del dovuto il suo bel vestitino bianco. “Perchè hai tanta fretta d’imparare a ballare?” Domandò curioso.

Natsu gli circondò il collo con le piccole braccia e gli rivolse quel sorriso un po’ misterioso che, di solito, la mamma rivoleva al papà. “Così potrò ballare con il Principe Demone quando partiremo per il Castello Nero!”

Di colpo, Shouyou non sorrise più.

Altri due cavalli entrarono nelle scuderie. Il Principe si voltò e vide il suo Cavaliere personale guardarlo con astio perfettamente contenuto. Gli rivolse un ghignetto. “Troppo lento, Kei!” Esclamò vittorioso. “Troppo lento!”

“Shouyou!” Lo richiamò il consorte reale, tutto meno che gentile.

Il Principe trasalì. Incrorciò gli occhi del genitore e comprese di aver già forzato fin troppo la mano per quel giorno. Posò sua sorella a terra ma non le impedì di prendergli la mano: forse, suo padre avrebbe avuto pietà di lui se fosse restato vicino alla sua Principessa.

 

 

***

 

 

“Un ballo?” Domandò Tobio inarcando le sopracciglia fin tanto che gli fu possibile.

“Esattamente!” Esclamò Tooru con un sorriso raggiante seduto sulla sua poltrona preferita, davanti al caminetto spento. Si era tolto i vestiti da caccia per indossarne alcuni degni del suo titolo e Hajime non evitò di notare come evitava deliberatamente di guardare nella sua direzione. “Per il giorno del mio compleanno,” chiarì. “Tuttavia, vorrei cederti la gloria e renderlo un festeggiamento in tuo onore.”

Tobio non comprese. “Per quale ragione?”

Il sorriso di Tooru si fece quasi dolce e Hajime pensò che fosse un’imitazione terribile, grottesca. “Vieni qui...” Il Re allungò una mano e Tobio si avvicinò per permettergli di afferrare la sua in un gesto di affetto contenuto ma, il Cavaliere dovette concederglielo, sincero. “Questo inverno compirai quindici anni, mio Principe,” disse con una nota di nostalgia e Hajime rivide un tenue riflesso del vecchio Tooru in quell’espressione. “Avevo la stessa età quando mi hanno incoronato e quando...” Hajime si accorse dello sguardo fuggevole che Tooru gli rivolse ma voltò gli occhi verso la finestra e gli tolse l’occasione di coinvolgerlo in quel discorso sul loro passato perduto immediatamente. Non aveva alcuna voglia di fare il sentimentale con il Re.

“Grazie al cielo, a te sarà risparmiato un fardello simile ad una così giovane età...” Aggiunse Tooru tornando a guardare il suo erede negli occhi. “Questo, però, non significa che non stai diventando grande, Tobio.”

Il Principe annuì. “Combatterò ogni battaglia che sarà necessaria per il bene del Regno, mio signore!”

Tooru rise. “Frena, ragazzo mio! Frena! Hai appena messo piede sulla porta di casa!”

“Oh...” Tobio sbattè le palpre confuso. “Che cosa volete che faccia, allora?”

Il Re Demone prese un respiro profondo. “Danzare, per esempio...”

“Danzare?”

Volento o nolente, Hajime si sentì costretto a riportare lo sguardo su quei due e l’euforia che trovò sul viso di Tooru non poteva voler dire nulla di buono. “Sì, al ballo per il mio compleanno. Danza quanto vuoi, con chi vuoi e chiunque deciderai che possa essere di tuo gusto, sarà tuo.”

“Tooru...” Hajime fece due passi in avanti ed il Re sollevò subito gli occhi sul suo viso. Impossibile fu non notare quanto fu soddisfatto di averlo coinvolto in quella piccola riunione familiare. “Che cosa hai intenzione di fare? E parla chiaro.”

Tooru ridacchiò e per Hajime fu un suono spiacevole da udire. “Il nostro piccolo Principe si sta facendo un uomo, mio Cavaliere e, per quanto la corona di questo Regno possa poggiare su di una sola testa, non possiamo permettere che affronti il suo destino completamente da solo, non ti pare?”

“Non mi ritenete all’altezza?” Domandò Tobio con orgoglio.

Tooru si alzò in piedi. “Non è quello che intendo, mio Principe,” rispose, la mano di suo figlio ancora tra le sue. “Sei giovane e puoi credere di avere in pugno tutto quello che ti serve per essere il Re del mondo che io e tuo padre abbiamo creato per te...”

“Non darmi meriti che non ho,” intervenne Hajime.

Tooru lo ignorò. “Tuttavia...” passò le dita tra i capelli corvini di suo figlio. “La solitudine è un prezzo che avrai tempo di pagare in futuro, se sarà destino che sia così. Non voglio, però, che ti privi della possibilità di avere un compagno degno di te.”

Tobio sgranò gli occhi fin tanto che gli fu umanamente possibile. “Volete scegliere un consorte per me?”

“No, Tobio,” intervenne Hajime. “Il Re ti concede la possibilità di sceglierne uno da te... Tra i candidati che ha scelto personalmente, mi pare ovvio,” aggiunse guardando il sovrano negli occhi e Tooru gli sorrise con innocenza perfettamente simulata. “Non sarei un genitore ed un Re degno di tale nome se mi perdessi l’occasione per dare qualche suggerimento.”

Hajime evitò di replicare.

“Con tutto il rispetto, mio Re, non è mia intenzione scegliere nessuno.”

Nessuno dei due genitori parve particolarmente sorpreso da quella replica ma, come Hajime ben sapeva e Tobio un po’ meno, Tooru non era particolarmente incline alla resa facile. “Aspetta il ballo prima di dirlo, Tobio,” gli consigliò con gentilezza. “Questo genere di cose succede quando meno te le aspetti. Come te. Tu sei successo quando meno ce lo aspettavamo!”

“Non credo sarà una di quelle occasioni!” Insistette Tobio.

Hajime, per la prima volta da quando erano entrati, diede un’occhiata al vassoio di biscotti che il Re aveva fatto servire col thè e prese in considerazione l’idea di accomodarsi e servirsi: non sarebbe stata una discussione breve ma lasciarli da soli non era saggio. Tobio, alle volte, non era bravo a leggere l’atmosfera e non voleva dare occasione a Tooru di saltare alla gola del loro unico figlio.

Tooru, però, sembrava essersi preparato un asso nella manica molto prima che Tobio decidesse di fare i capricci. “Te lo ricordi il piccolo Shouyou, Tobio?”

Il Principe Demone si fece immediatamente silenzioso.

Hajime, invece, si ritrovò costretto a lasciar perdere i biscotti e guardare il suo Re. Che cosa centrava il Regno di Karasuno nella sfilata di Principi e Principesse che Tooru aveva preparato per sistemare Tobio e l’eventuale successione?

Tobio arricciò le labbra in un’espressione che, suo malgrado, Hajime sapeva essere la copia carbone di quella di Tooru quando sapeva che avrebbe ricevuto uno scacco matto.

“Oh, vedo che lo ricordi!” Esclamò Tooru allegro. “Mi fa piacere perchè sono certo che ci sarà anche lui!”

Fu il turno di Hajime si sgranare gli occhi ma Tooru continuò ad ignorarlo. “È l’unico bambino con cui tu abbia mai giocato. Ci scommetto quel che vuoi che sarà l’unico fanciullo con cui danzerai a quel ballo.”

“Giammai!” Sbottò Tobio.

Tooru fu solo divertito dalla sua reazione. “Dicono che sia un fanciullo graziosissimo!”

“Perchè? Girano voci sul Regno di Karasuno?” Domandò Tobio perplesso. Hajime non poteva biasimarlo: Daichi era stato così attento a tenersi a distanza dagli attuali giochi di potere che il suo nome era stato dimenticato nella maggior parte delle corti dei Regni liberi. Tooru, tuttavia e loro malgrado, sembrava essere dotato di una memoria migliore dei più.

“Sono un Re, Tobio,” gli ricordò Tooru con un sorriso sicuro. “Non ho bisogno di porre attenzione a cose volgari come le voci. Sono certo che il piccolo Shouyou sia una creatura adorabile e sono altrettanto certo che, prima della fine di quel ballo, tu gli chiederai di danzare.”

Tobio aprì la bocca con il chiaro intento di replicare a tono.

“Quel che è deciso è deciso,” lo bloccò Tooru con fare perentorio. “Il ballo ci sarà e tu parteciperai e, per quando la musica sarà finita, mi aspetto di trovare al tuo fianco il Principe o la Principessa che siederà al tuo fianco sul mio trono.”

Tobio strinse i pugni con indignazione ma fu abbastanza furbo da non discutere ulteriormente la volontà del suo Re. Tuttavia, non si disturbò a chiedere il permesso per andarsene. Si voltò, aprì la porta e si assicurò di richiuderla fancendo il più rumore possibile.

Hajime prese un respiro profondo portando gli occhi verdi dalla porta che era stata appena sbattuta al profilo del suo Re. “Che cosa hai in mente, Tooru?”

Il sovrano tornò ad accomodarsi sulla sua poltrona. “Qualcosa che eviti a qualche lingua molesta di fare commenti velenosi come il tuo di poco fa,” rispose con tono gelido.

Hajime strinse i pugni ma mantenne le calma: tenere testa a Tooru davanti ad un pubblico aveva sempre le sue aspre conseguenze. “Hai usato le mie umili origini come un insulto.”

“Non ho detto altro che la verità: tuo padre lavorava la terra per vivere.”

“Ed è altrettanto vero che il tuo erede al trono porta il suo nome,” gli ricordò Hajime velenoso quanto lui. “Questo renderà onore alla sua memoria, nonostante sia morto in povertà. Baciare un altro Re ed ospitarlo sotto il tuo tetto senza valide ragioni condannerà il tuo al destino contrario.”

Tooru sospirò come un vecchio guerriero che è condannato a combattere la stessa battaglia innumerevoli volte. “Non ti ho mai tradito, non dopo...”

“Non l’ho mai considerato un tradimento quello,” lo interruppe il Cavaliere. “Non offenderci entrambi sostenendo il contrario.”

“E tu non farlo dandomi ancora del bugiardo,” replicò Tooru. C’era rabbia nella sua voce ma questo non rendeva quelle parole una preghiera meno di quel che pareva.

Hajime lo fissò dall’alto in basso con fare gelido. “No, non te lo dirò.”

Tooru dischiuse le labbra e fece per aggiungere qualcosa.

“Ti dirò, invece, che non me ne importa nulla, Tooru. Che tu mi abbia mentito o no, che tu mi abbia tradito o no. Non m’importa più di niente.”

Per un attimo, Tooru parve ferito. “Che strano...” Mormorò con occhi lucidi ma con l’espressione orgogliosa di chi non vuole perdere ulteriormente la dignità. “Adesso sei tu il bugiardo.”

Hajime non replicò a quel commento ma aveva ancora qualcosa da aggiungere. “Penso che siamo d’accordo a voler tenere il lato torbido del nostro rapporto lontano da Tobio.”

Tooru annuì due volte. “Certo...”

“E quello che gli hai detto è vero?” Domandò.

Il Re lo guardò. “Riguardo a cosa?”

“Pensi di far entrare il Regno di Karasuno in questo gioco di potere attraverso la politica matrimoniale?”

Tooru sospirò stancamente ed appoggiò la spalla allo schienale della poltrona. “Non centra la politca su quello, Hajime,” replicò. “È tutta una questione di destino.”

 

 

***

 

 

“Un ballo?” Domandò Shouyou passando gli occhi dalla lettera tra le sue mani ai suoi genitori in piedi ai lati del trono. “Un ballo al Castello Nero del Regno di Seijou?” Gli occhi del Principe dei Corvi si animarono di gioia. “Andiamo davvero, papà?” Domandò euforico.

“Sembra che la buona educazione ci costringa a farlo,” replicò il Re con un’espressione che intimorì gli altri Cavalieri presenti nella stanza. Koushi, però, non aveva mai subito alcuna soggezione dal suo compagno ed assestò una gomitata tra le sue costole senza smettere di sorridere amorevolmente a suo figlio. “Tuo padre intende dire che è bene che tu cominci a partecipare a questo genere di eventi. Non puoi rimanere chiuso tra le mura di questo castello per sempre, Shouyou.”

Daichi lo guardò di traverso. “Perchè n... Ahi!” Un’altra gomitata tra le costole lo fece desistere dal dire qualsiasi altra cosa. A poca distanza, Asahi, Yuu e Ryuu assistettero alla scena domandandosi in silenzio come il Re avrebbe sfogato la frustrazione sui poveri giovani dell’addestramento, una volta tornato nel cortile interno.

“Gwaaah!” Esclamò Shouyou tornando a fissare la lettere come se fosse un tesoro prezioso. “Chissà in quanti verranno dagli altri regni! Quanti Cavalieri e guerrieri parteciperanno narrando le loro epiche imprese!”

Yuu sorrise intenerito. “Guardatelo quanto è contento...” Mormorò.

“Lo credo bene,” replicò io. “Se aspettava Daichi, sarebbe divenuto vecchio senza mettere un piede al di là del confine.”

“Shhh...” Momrorò Asahi intimorito.

Il Re lanciò loro un’occhiata storta ed i Cavalieri tornarono a tacere.

“Molto bene,” disse Koushi avvicinandosi a suo figlio. “Non ci resta che prepararci, allora.”

Shouyou si fece serio. “Prepararmi?” Domandò. “Prepararmi per cosa?”

 

 

***

 

 

Dopo che Tobio ebbe buttato Yuutaro a terra per la terza volta di seguito, Hajime pensò fosse buona cosa intervenire e dare fine a quel massacro annunciato. “Bene!” Esclamò porgendo una mano al giovane Cavaliere a terra e porgendo quella libera verso il suo erede per impedirgli di sollevare ulteriomente la spada. “Siamo tutti piacevolmente sorpresi dalla tua forza di carattere,” aggiunse lanciando un’occhiata molto eloquente a Tobio, poi sorrise all’indirizzo del ragazzo che si era appena rimesso in piedi. “Tutta questa volontà è degna di un Cavaliere,” commentò il Generale supremo dando una pacca sulla spalla a Yuutaro. Questi sorrise ed arrossì. “Vi ringrazio, Sir.”

“Non ti hanno fatto Primo Cavaliere,” gli fece notare Tobio. “Non c’è bisogno di sentirsi lusing...”

“Tobio!” Lo mise a tacere il Primo Cavaliere rivolgendo i taglienti occhi versi nella sua direzione. Il Principe strinse le labbra e rifoderò la spada. Hajime guardò Issei e Takahiro. “Qui continuate voi,” ordinò. I due Cavalieri annuirono e si fecero avanti.

Hajime si avvicinò a suo figlio. “Tu, con me,” disse superandolo e Tobio non obbiettò.

Passarono per le scuderie, in modo da non dover attraversare la città per arrivare alla foresta.

“Che cosa ti prende?” Domandò Hajime non appena furono circondati dagli alberi. “Sei nervoso da quando siamo tornati a casa.”

“Non è ovvio?” Domandò Tobio camminando davanti a lui.

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non essere come il Re, Tobio. Parla chiaramente, sei già abbastanza misterioso quando non parli affatto e ti accanisci sui tuoi uomini.”

“Se quelli sono i miei uomini, posso benissimo proteggere questo Regno completamente da solo!” Sbottò il giovane. Hajime lo afferrò per il colletto del mantello e l’obbligò a guardarlo. “Quante volte ti devo ripetere che il fatto di essere stato messo al mondo da un Re non ti rende superiore?” Domandò quasi con rabbia. “Tutti loro hanno due corna sulla testa, tranne te.”

Tobio lo fissò esterrefatto. “Per voi due non ha mai fatto differenza prima,” replicò.

“E non la farà mai,” lo rassicurò Hajime lasciandolo andare. “Ma per una generazione di nobili che vuole ribellarsi al suo Re può fare la differenza tra la vita e la morte. Non lasciare che le tue origini parlino per te, siano quelle del Re o le mie. Fa che le tue azioni decidano chi sei!” Esclamò il Primo Cavaliere. “Ma lasciatelo dire, ragazzo mio, devi impegnarti di più da quel punto di vista.”

“I miei predecessori non mi rendono le cose facili.”

“Questa non è una giustificazione...”

“Come si può vivere all’altezza delle aspettative quando i tuoi genitori sono stati gli unici a mettere in ginocchio il Re dell’Aquila?” Domandò Tobio un po’ orgoglioso ed un po’ frustrato.

Hajime rimase in silenzio, poi si concesse una risata. “Mettere in ginocchio il Re dell’Aquila è stata un’impresa di quattro Regni, Tobio. Non solo mia e di Tooru.”

“Due dei quali ora sono sudditi di Seijou.”

Gli occhi verdi del Cavaliere si fecero nuovamente freddi. “Non chiamare suddito chi è stato Re prima di te e sa cosa vuol dire portare quella corona sulla testa.”

Tobio parve sinceramente dispiaciuto a quel punto. “Provo solo rispetto per Koutaro e Kuroo,” disse.

Hajime annuì. “Lo so...”

“Ed i loro ragazzi sono degni compagni,” ammise sebbene storse la bocca in tutti i modi possibili prima di dirlo. “I giovani Demoni della corte non lo sono.”

Hajime sospirò profondamente. “Se vuoi dedicare la tua vita a questo Regno, Tobio, dovrai porla di fronte a quella di tutta la tua gente e credere che non valga quanto la loro. Nella tua generazione, forse, non vedi Cavalieri degni di tale nome ma chiunque guardasse me, alla loro età, non mi avrebbe dato nessuna speranza.”

Tobio si sentì immediatamente in colpa per aver alluso a cose che non aveva mai creduto vere. “Tu eri diverso.”

“Eri già un eroe quando sono nato, non puoi saperlo,” replicò Hajime posandogli una mano sulla spalla. “Su una cosa ero diverso, però, sì, avevo al mio fianco i migliori compagni in cui un giovane senza futuro poteva sperare.”

Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Ed avevi il bambino a cui davi dello stupido.”

Hajime smise di sorridere ma resse il suo sguardo. “Sì, il bambino a cui davo dello stupido,” diede un colpetto affettuoso alla testa di suo figlio. “Io ed il Re non desideriamo nulla di meno per te. Condivido il suo desiderio di volerti vedere al fianco di un compagno degno di te e so che sei giovane ma lo gioventù è una stagione impervia, Tobio, meglio affrontarla con accanto qualcuno di cui ti fidi.”

Tobio fece una smorfia. “Facile... Tu avevi il Re, io ho... Shouyou...”

Il tono annoiato con cui suo figlio pronunciò quel nome fece ridere il Cavaliere. “E pensare che pronunciavo il nome del Re nello stesso modo...”

Tobio lo guardò subito atterrito. “Che vuoi dire?”

“Nulla,” rispose Hajime tornando verso il Castello Nero. “Ti senti più leggero, però?”

Tobio sbuffò. “Mai come lo sarò dopo la fine del ballo!”

“Abituati a fingerti allegro. Gli ospiti arriveranno a giorni e ho visto alleanze saltare per Principi e Principesse poco sorridenti,” scherzò il Primo Cavaliere.

Non si rese conto di aver gettato il suo Principe nel panico più di prima.

 

 

***

 

 

Il fanciullo riflesso nello specchio aveva l’espressione di un condannato a morte, poco importava che avesse sulle spalle un brillante mantello di piume di corvo ed una corona dorata sul capo. Tadashi ripose l’ultimo ago nell’aposito cuscinetto e richiuse la scatola per il cucito appoggiata sul tappeto. “State benissimo, mio Principe,” commentò con gentilezza.

“Mi spiace che abbiano disturbato te per una cosa simile,” ammise Shouyou abbassando lo sguardo su di lui.

Tadashi continuò a sorridergli aggiustando l’orlo del mantello in modo che cadesse alle spalle del Principe. “Non ho dovuto fare molto,” ammise. “Il modello è lo stesso da generazioni, non ho dovuto fare altro che copiare il modello di quelli dei vostri genitori. Inoltre, prendermi cura di voi mi fa sentire utile.”

Shouyou s’inginocchiò sul tappeto di fronte a lui. “È così noioso essere una Guardia?” Domandò. “Avete le spade, potete partecipare ai duelli degli addestramenti giornalieri e...”

Tadashi rise con modestia. “La vita di una Guardia non è impegnata ed avventurosa come quella di un Cavaliere, Altezza. Per lo più, diveniamo indispensabili quando l’esercito parte per una guerra o il Re si assenta dal Castello dei Corvi per qualche ragione.”

“Ma se verrai al Castello Nero con me, non potrai prestare servizio!” Esclamò Shouyou allarmato.

“Pazienza...” Tadashi scrollò le spalle. “Anche Kouji verrà, dopotutto e, comunque, non sarà uno come me a decidere le sorti del Regno se dovesse accadere qualcosa.”

Shouyou lo guardò dispiaciuto e fece per replicare ma la porta della stanza si aprì di colpo. “Ecco, Tadashi, ho trovato... Cielo, ho dimenticato di bussare!” Esclamò Yachi stringendo al petto il rocchetto di filo nero.

Shouyou rise. “Yachi, non puoi essere così formale con me!” battè il palmo su uno dei cuscini sul tappetto. “Vieni! Vieni! Stavamo parlando del Castello Nero!”

Yachi s’inginocchiò lentamente tra i due giovani aggiustandosi la gonna dell’abito con cura. “Non sembri temere nulla di questo viaggio, Shouyou.”

Il Principe dei Corvi sorrise radioso. “E perchè dovrei?” Domandò, poi rise. “Ah! Ho sempre sognato di vedere altre corti e conoscere delle leggende viventi. Anche il Re Demone per me è come il personaggio di una favola!”

“Lo avete conosciuto da bambino...” Mormorò Tadashi reclinando la testa da un lato confuso. “Sì, ma lo ricordo poco. Ricordo molto bene quell’antipatico del Principe Demone, però!” Esclamò con una smorfia irritata. “Mai una volta che non si lamentasse!”

“Io ricordo che è venuto qui quando è nata la Principessa,” disse Yachi.

“Sì, ha sconfitto Kei in duello,” aggiunse Tadashi. A Kei quella sconfitta era bruciata per giorni ed era stato necessario l’intervento del fratello maggiore per fargli tornare il buon umore.

“Quindi, se andiamo al castello nero, danzerai con lui?” Domandò Yachi curiosa.

“Neanche per sogno!” Sbottò Shouyou

La fanciulla trasalì ma comprese di aver toccato un punto particolarmente sensibile per il Principe.

“Piuttosto, gli pesto i piedi fino a che non cade a terra dolorante!” Aggiunse incrociando le braccia contro il petto.

“Dubito che il Re permetterà che danziate con un giovane in età da matrimonio alla vostra prima festa fuori dal Regno,” disse Tadashi.

“Tanto meglio!”

“Probabilmente, danzerai con Kei, allora,” propose Yachi.

Tadashi smise di sorridere immediatamente e Shouyou guardò l’amica come se gli avesse appena chiesto di attraversare il cortile tenendosi per mano con il suo peggior nemico. “Danzerò con un servitore!” Proclamò il Principe con tono imparativo.

Tadashi non potè evitare di ridere. “Siete scandaloso, Altezza!”

La porta si spalancò di nuovo ed un piccolo uragano vestito di azzurro irruppe nella stanza saltellando allegra. “Guarda, fratellone!” Esclamò lanciandosi tra le braccia del Principe. “Mamma mi ha fatto fare un vestito nuovo per il ballo!”

Shouyou la mise a sedere sulle sue ginocchia e la guardo. “Siete bellissima, mia Principessa,” disse con amore sincero poi posò un bacio tra i capelli della sorellina e questa lo abbracciò.

“Natsu, non irrompere in camera di tuo fratello senza permesso!” Esclamò Koushi affacciandosi oltre la porta socchiusa.

Yachi e Tadashi si alzarono in piedi in contemporanea ma il consorte reale sollevò immediatamente la mano. “Comodi! State comodi!” Disse ridendo. “Tu, invece,” disse rivolgendosi a suo figlio. “Mi piacerebbe vederti in piedi e con la schiena dritta!”

Shouyou sospirò, posò Natsu sul tappeto e fece qanto gli era stato detto.

Koushi gli portò le dita sotto il mento. “Facciamo a meno di quest’espressione da condannato a morte, Shouyou,” gli disse gentilmente.

Il Principe abbozzò un sorriso che faceva apparire il suo viso più scocciato di quanto non fosse prima. Koushi gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle. “È un modico prezzo per un ballo ad una delle due corti più grandi dei Regni liberi, Shouyou,” aggiustò la corona dorato sul capo di suo figlio e fece un passo indietro. Lo studiò con lo sguardo per alcuni istanti, poi si portò una mano al petto. “Sei bellissimo, amore mio.”

Shouyou lo guardò allarmato. “Non ti senti bene, mamma?”

“No, mio Principe,” Koushi prese il viso del figlio tra le mani ed appoggiò la fronte sulla sua. “Va tutto bene.”

Natsu saltellò tra di loro. “Sei bellissimo, fratellone!”

Shouyou le posò una mano tra i capelli. “Permettimi di ballare con te e sarò tuo per tutta la sera.”

Koushi rise e così gli altri due giovani.

“Ma io voglio ballare con il Principe Demone!” Esclamò Natsu con un broncio.

Koushi alzò gli occhi al cielo. “Non farti sentire dal Re, mia Principessa!”

 

 

***

 

 

Tooru teneva gli occhi fuori dalla finestra del suo salotto con le braccia incrociate contro il petto e l’espressione insofferente. Era tanto preso dai suoi pensieri che non si accorse della porta che veniva aperta e poi richiusa.

“Aspettate qualcuno, mio Re?”

Tooru sobbalzò e si voltò di colpo. “Kenma...” Sibilò.

“Mi avete fatto chiamare voi,” si giustificò il curatore.

“Lo so,” il Re andò a sedersi sulla sua poltrona e invitò l’altro ad accomodarsi davanti a lui. “Sai bene qual’è la mia prima domanda.”

“Sì, lo so,” Kenma annuì. “Anche oggi, tuttavia, non ho notizie da darvi.”

Tooru annuì due volte. “Quindici anni di silenzio.”

“Se i sogni sono reali, sappiamo già cosa ci aspetta nell’immediato futuro,” disse Kenma. “Non avete, forse ,invitato i reali di Karasuno per questo?”

Tooru sorrise compiaciuto. “Sai leggermi ancora così bene, Kenma.”

“In realtà, non vi comprendo,” ammise il Curatore. “Secondo il disegno dei sogni, vostro figlio metterà in ginocchio tutti i Regni liberi con un corvo sulla spalla.”

“E secondo quanto disse Eita, Tobio sarebbe stato disposto a morire per quel piccolo corvo,” aggiunse Tooru. “Le ragioni per cui una simile tragedia debba consumarsi non sussistono più.”

“Tuttavia, esiste ancora quella ragione che avrebbe attirato lo sguardo del Re dell’Aquila, se non avesse già avuto un erede,” concluse il Curatore.

“Tobio è per Shouyou e Shouyou è per Tobio,” disse Tooru con aria soddisfatta. “È il disegno del destino e non un mio piano, questa volta.”

“Pensate, dunque, che divverrà realtà solo parte di quel disegno... Ciò che vi fa più comodo?”

Tooru lo guardò duramente. “Non minacciarmi, Kenma.”

“Non era mia intenzione,” ammise il Curatore. “Vi sto solo ponendo di fronte al fatto che credere che Tobio sceglierà Shouyou come suo consorte e che questo non abbia conseguenze è troppo stupido per voi.”

Tooru ridacchiò. “Hai paura per me, Kenma?” Domandò sarcastico. “Temi che plasmerò la mia sconfitta con le mie stesse mani?”

“Non lo temo, mio Re,” replicò Kenma. “Ne sono certo.”

Il Re Demone smise di sorridere immediatamente.

“E non ho bisogno di alcun sogno per saperlo,” aggiunse.

Tooru scattò in piedi minaccioso ma Kenma aveva smesso di avere paura di lui: sapeva osare, il Re Demone, eccome se lo sapeva ma era troppo ragionevole per mettere a rischio il suo potere per capriccio. Metterlo a tacere avrebbe significato crearsi un problema con il popolo del territorio di Nekoma e non ottenere nulla di concreto tra le mani. Tooru era nato per essere Re: ne aveva l’intelligenza e la crudeltà al punto giusto. Sapeva quando fermarsi per essere temuto e, da qualcuno, rispettato ma aveva di gran lunga calpestato le sue possibilità di essere amato.

“E’ nell’interesse di tutti che Shouyou divenga il consorte del futuro Re di Seijou, compresi i suoi genitori.”

“E come pensate di convicere il Re dei Corvi?”

“Se saremo fortunati ci penserà il suo adorato Principe e non potrà dire di no.”

“Altrimenti?”

Tooru scrollò le spalle. “Altrimento o è mio figlio o è quello del Re dell’Aquila ed io non ho alcuna intenzione di nuocere a quel bambino,” disse. “Non posso garantire per Ushijima, però.”

“V’investite del ruolo di salvatore e ne uscite pulito, quindi...”

Tooru sorrise e Kenma fu sorpreso d’intravvedero qualche sfumatura di sincerità nelle pieghe di quell’espressione. “Un amore tanto forte da spingerlo a combattere fino alla fine,” mormorò con sguardo distante. “Se questo è l’amore che Tobio avrà con Shouyou, tutto quello che dovrò fare sarà dargli la mia benedizione e restare a guardare mentre lo vive felice. Tutto il resto saranno solo chiacchiere...”

“È invidia quella che sento?”

“Forse, nostalgia...” Ammise Tooru con una scrollata di spalle. “Perchè me lo chiedi?”

Kenma si alzò in piedi. “Se è invidia per l’amore nel destino di vostro figlio quella che provate e non per il potere che potrebbe conquistare in futuro, allora c’è speranza per tutti noi.”

Tooru sbuffò immediatamente. “Non dire sciocchezze, Kenma,” disse. “Tobio non sarà mai un Re alla mia altezza ma posso assicurarmi che metta al mondo eredi con un potere in grado di rendere questo Regno immortale.”

Kenma strinse le labbra e tornò realista annuendo lentamente: il Re Demone era tornato al suo posto e Tooru si era perso di nuovo da qualche parte nell’oscurità che circondava il suo cuore. “Tobio crescerà, Tooru,” gli ricodò.

“Sì,” il Re Demone sorrise diabolico. “E lo farà accecato dalla sua devozione per me e per suo padre.”

“Quest’alleanza varrebbe se Hajime ti fosse fedele in eterno.”

“Come Cavaliere lo sarà, lo farà per Tobio.”

Bussarono alla porta. Tooru diede il permesso di entrare ed un giovane servitore annunciò che il sarto di corte chiedeva di vedere sua Maestà. Il Re Demone congedò il Curatore velocemente e corse nella stanza accanto come un fanciullo emozionato per il suo primo ballo.

“Sempre ammesso che Tobio continui a provare dezione per te,” replicò Kenma alla stanza vuota. “Sempre ammesso che Hajime non decida di tradirti per vostro figlio.”

 

 

 

Hajime salì le scale che portavano ai piani nobili due a due. “Tooru!” Prese a chiamare, una volta raggiunto il corridoio. “Tobio!”

La porta della camera di suo figlio si spalancò ed il Re gli corse incontro letteralmente saltellando. “Iwa-chan! Eccoti qui!”

Era talmente radioso che Hajime dimenticò di correggerlo. “Mi hai fatto chiamare con urgenza,” gli disse. “È successo qualcosa a Tobio?” Domandò allarmato, sebbene non ce ne fosse bisogno visto il buon umore di Tooru.

“È successo molto più di qualcosa!” Esclamò Tooru con una solarità che non gli apparteneva più da tanto tempo. “Vieni, Iwa-chan!” Afferrò la mano del suo Cavaliere ma l’entusiasmo morì come sentì il palmo caldo dell’altro contro il suo. Gli occhi scuri incrociarono quelli verdi e seguì un attimo di assoluta immobilità. Tooru lasciò la presa per primo. “Hajime...” Si corresse con molto meno entusiasmo. “Vorrei che vedessi una cosa...”

Il Cavaliere annuì ma aspettò che Tooru lo precedette all’interno della stanza. Hajime si fermò appena un passo oltre l’uscio. Tobio lo guardava invocando pietà in silenzio ma il Cavaliere comprese immediatamente il motivo di tutto l’entusiasmo di Tooru.

“Non è splendido?” Domandò il Re Demone, poi posò un bacio sulla guancia di suo figlio.

L’ultima volta che quel mantello rosso aveva visto la luce lo avevano usato per avvolgere il loro piccolo miracolo appena nato durante la presentazione ufficiale dell’erede al trono, come era tradizione per ogni Principe Demone. Hajime ricordava bene di esserselo tenuto stretto al petto per tutta la sera e di aver maledetto Tooru non troppo segretamente perchè aveva preteso che il Cavaliere non sollevasse da terra lo strascico di pelliccia di ermellino. Sulle spalle di Tobio, tuttavia, quel mantello ricordava al Cavaliere un’altra notte di festa: quella in cui un fanciullo di quindici anni appena compiuti lo aveva guardato con occhi brillanti d’amore, prima che un altro giovane Re sottraesse quella mano alla sua. La notte in cui Tooru aveva detto no al Re dell’Aquila per amor suo.

Tobio non brillava come Tooru, al contrario: le gote erano troppo rosse per l’imbarazzo, la corona posata sui suoi capelli corvini pendeva da un lato e teneva le spalle curve, come se volesse nascondersi.

“E stai dritto!” Esclamò Tooru con una smorfia. “Hai le spalle larghe di tuo padre e questo mantello dovrebbe fare più figura su di te di quanto l’abbia fatta su di me! E dov’è lo sguardo fiero del Principe Demone? Avanti, Tobio!”

Tooru era allegro come un bambino il giorno del suo compleanno, Tobio non era mai stato avvezzo alle celebrazioni in suo onore.

“Non posso presentarmi con l’armatura come tutti i Cavalieri?” Propose il Principe con una nota di speranza.

Hajime sospirò ma non potè evitare di sorridere, mentre Tooru storceva la bocca in un’espressione annoiata. “Non ho alcuna intenzione di privarti di quell’armatura ma a quel ballo sarai il Principe Demone, il mio erede e ho desiderio che tu porti i colori che spettano a questo titolo!” Nel dire questo, provò ad aggiusta la corona sulla testa di Tobio ma questa finì solo per pendere più di prima.

“Sua Maestà ha ragione, Tobio,” intervenne Hajime incrociando le braccia contro il petto ed appoggiando la spalla all’architrave della porta. Il Principe lo guardò con un broncio che era identico a quello di Tooru quando non si sentiva appoggiato in una discussione in cui non avrebbe potuto mai aver ragione ma la pretendeva comunque.

“Tutti i Principi e le Principesse dei Regni liberi cadranno ai tuoi piedi,” disse Tooru orgoglioso. “Tutto quello che dovrai fare, sarà indicare chi più rispetta i tuoi gusti.”

“Io non voglio nessuno,” bortbottò Tobio.

Tooru sospirò con fare melodrammatico. “Ogni genitore teme l’adolescenza dei propri figli per i volubili sentimenti e passioni che questa comporta ed io vorrei solo vederti perdere la testa per qualcuno! Chiunque, a questo punto!”

“Se prometto t’interessarmi a qualcuno, mi allene...”

“No.”

Hajime simulò un paio di colpi di tosse e Tooru lo guardò storto, molto storto ma il Primo Cavaliere aveva ben deciso di voltare lo sguardo verso le finestre con fare distratto. Ci mancò poco che il Re sbuffasse come un ragazzino. “Va bene, Tobio...” Disse sollevando l’indice della mano destra. “Un ballo. Scegli tu con chi ma concedi un’occasione a qualcuno e, forse...”

“Non vi deluderò, Maestà!” Rispose Tobio con entusiasmo e chinò la testa in segno di rispetto ma lo fece con tanta foga che la corona sulla testa cadde ed etterrò dritta dritta sul naso del Re.

Hajime dovette girare i tacchi e bofonchiare qualcosa sui Cavalieri che lo aspettavano nel cortile per evitare di ridere in faccia al Re Demone ed al suo erede.

Avrebbe chiesto scusa a Tobio per averlo abbandonato più tardi.

 

 

 

***

 

 

La mattina del primo giorno del mese di luglio, il Castello dei Corvi venne completamente invaso dalla luce del sole d’estate. I bagagli della famiglia reale e dei loro accompagnatori erano stati portati nel cortile interno e le stanze dei piani nobili erano state liberate in modo che la servitù potesse pulirle da cima a fonda durante l’assenza dei signori.

Il Principe Shouyou uscì dal salotto privato dei suoi genitori dopo aver consumato la colazione con la Principessa Natsu e non mancò di rivolgere un saluto solare a qualunque membro della servitù incrocciasse lungo la sua strada.

“Buongiorno!” Salutò afferrando la mano di sua sorella per scendere le scale.

“Buongiorno, Altezza!” Risposero molte voci con la stessa allegria.

Passarono per la sala del trono. “Buongiorno a tutti!” Rinnovò i suoi saluti l’erede al trono.

“Buongiorno, Altezza!” Risposero altri. “Fate buon viaggio!”

Koushi accanto alla grande porta e li accolse con un sorriso amorevole. “Buongiorno, miei tesori,” disse con voce pregna di tenerezza.

“Buongiorno, mamma!” Natsu lasciò la mano del fratello per correre in braccio al genitore. Koushi le diede un gran bacio sulla guancia, poi rivolse tutta la sua attenzione al suo Principe. Tenne sollevata la bambina con un solo braccio e posò una mano sulla guancia di Shouyou. “Sei radioso questa mattina, mio Principe.”

Le guance di Shouyou si colorarono come il suo sorriso si fece più luminoso di prima. “Come potrebbe essere altrimenti?” Domandò. “Oggi è il giorno in cui, finalmente, si compie il mio destino!”

Koushi sospirò e alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere. “Spero che questo viaggio non ti deluda,” mormorò ma Shouyou lo aveva già superato saltellando giù per la scale che portavano al cortile interno, dove avevano dato ordine di far portare le carrozze per il viaggio.

Kei andava avanti ed indietro assicurandosi che tutto stesse procedendo bene ed impartendo alcuni istruzioni ai giovani appena scesi per caricare i bagagli. Shouyou gli arrivò accanto improvviso come un temporale estivo e Kei si sentì improvvisamente stanco ancor prima che aprisse bocca.

Shouyou sbuffò. “Non puoi essere di cattivo umore anche oggi!” Esclamò.

“Ho molti pensieri per la testa, mio Principe,” si limitò a dire il Cavaliere osservando come due membri della servitù legavano un enorme baule sul retro di una della carrozze. “Questo genere di eventi richiede particolari accorgimenti ma non mi aspetto che voi lo capiate.” Terminò la frase con un ghignetto sarcastico.

Shouyou s’imbronciò immediatamente. “Ti hanno mai detto che sei un guastafeste?”

“Certo, mio Principe,” rispose il Cavaliere. “Voi ed innumerevoli volte.”

 

 

***

 

 

Il Castello Nero era un via vai continuo di membri della servitù impegnati a ripulire anche il più remoto angolo di quelle mura di pietra e di fornitori provenienti dalla Capitale impegnati a rendere la casa reale più bella di quanto non fosse mai stata. Anche gli addestramenti delle truppe erano stati sospesi: non era nelle intenzioni del Re far trovare ai suoi ospiti una corte di giovani prestanti e sudati nel cortile interno al loro arrivo.

“Anche se molti potrebbero ringraziarci per lo spettacolo,” era stato il suo commento sarcastico. Tobio, ovviamente, non aveva riso ed un istante dopo si era permesso di chiedere se potesse prendere il suo arco ed assentarsi per il pomeriggio. Tooru aveva smesso di tenerlo legato al suo fianco da quando si era assicurato che il mantello degli eredi al trono di Seijou avrebbe fatto addosso a lui la figura che si era aspettato.

Non era nel suo interesse torturare suo figlio più del dovuto e Tobio era il perfetto opposto di lui quando si trattava di quel genere di cose: non gli piaceva essere celebrato da una folla festante. Per il Principe Demone ogni vittoria, ogni lieto evento era qualcosa di privato, di intimo. Per il Re Demone era qualcosa da mostrare agli occhi del mondo e farsene vanto.

Quello che Tobio non aveva ancora comprese del tutto era che, in quell’occasione, il tesoro d’ammirare sarebbe stato lui.

“Dov’è Tobio?”

La voce del Primo Cavaliere fece riemergere il Re Demone dai suoi pensieri. “Nella foresta, suppongo,” rispose con un sorriso discreto osservando la Capitale dall’alto della balconata della sua camera. “Ti ha detto nulla, per caso?”

“Cosa avrebbe dovuto dirmi?” Domandò Hajime arrivandogli di fianco ed osservando il paesaggio insieme al suo Re.

“Una qualunque cosa che non dice a me,” rispose Tooru con un poco di amarezza. “Non gli ho ancora concesso di parlare in Consiglio del vostro viaggio in mare e dei risultati che avete ottenuto. Immagino ce l’abbia un po’ con me per questo.”

“A me non ha detto nulla di simile,” lo rassicurò Hajime.

Tooru lo guardò. “I Governatori delle città sulla costa si sono detti onorati di aver ricevuto la vostra visita, che potremmo anche ricevere dei cadetti da loro tra qualche anno. Tu e Tobio avete dato prova delle capacità del Cavalieri di Seijou?”

“Mi auguro che quei bambini non prendano in mano altra arma che non sia la canna da pesca dei loro padri,” ammise Hajime. “Non era mia intenzione fare propaganda fermandomi in quelle città.”

“Hai comunque contribuito a rendere Tobio qualcosa più di un nome per loro e gli sarà senz’altro utile quando sarà Re.”

Hajime appoggiò le braccia sul parapetto di pietra scura. “Non sembrava nemmeno il Principe ereditario là fuori,” ammise.

“Non fatico ad immaginarlo,” replicò Tooru con una smorfia. “Gira per i corridoi vestito come un cacciatore comune. Non voglio sapere com’è lontano dal questo castello!”

“Un ragazzo con una superbia che è paragonabile solo alla tua,” replicò Hajime con tono neutrale. Tooru si sentì in dovere di fissarlo storto, però.

“Ha imparato tutto sul mondo del mare, tutto,” continuò il Primo Cavaliere. “E non lo ha fatto nel salotto di qualche nobile a capo dei porti. No, è sceso sui pontili, ha parlato con i marinai che sono abituati a stare in prima linea e si è sporcato le mani con loro. Qualcuno è rimasto scandalizzato...”

“Non ne dubito...” Tuttavia, Tooru sorrise.

“Sì, ha una gran voglia di parlare al Consiglio di quello che ha imparato,” disse Hajime. “Questo implica che comincerà a prendere delle iniziative per quanto riguarda la gestione del Regno. Certo, chiederà la nostra approvazione come è sua abitudine ma, se vuoi che sia sincero, penso che dobbiamo abituarci all’idea che dobbiamo lasciarlo andare.”

Tooru trattenne il fiato per un attimo e strinse le labbra. “Che cosa vuoi dire, Hajime?” Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella discussione.

Il Primo Cavaliere lo guardò dritto negli occhi. “Che Tobio ha una personalità difficile ed è ancora troppo giovane per evitare di cadere in contraddizione con se stesso: è molto rispettoso coi miei uomini, con la gente comune ma non sopporto i giovani nobili che gli sono cresciuti accanto. L’amore del popolo e dei veterani non gli sarà sufficiente quando avrà sul capo la tua corona.”

“Parliamo di questo da quando era bambino,” gli ricordò Tooru. “Ma non mi hai detto perchè dovremmo prepararci a lasciarlo andare.”

“Seijou non è abbastanza per lui, Tooru.”

Il Re Demone strinse i pugni. “Seijou è il Regno più grande tra quelli liberi, insieme a Shiratorizawa.”

Hajime fece la smorfia. “Lo sapevo...”

“Cosa?” Tooru cominciava ad irritarsi.

“Non ti chiedere perchè Tobio non parla con te,” disse Hajime. “Non quando non capiresti nemmeno una parola che potrebbe rivolgerti.”

Il Re Demone era indignato. “Mi accusi anche senza causa adesso?”

“Tu e Tobio volete la stessa, identica cosa,” disse Hajime drizzando la schiena. “Il mondo intero e le divinità assistano chiunque tenti di fermarvi, tuttavia lo volete in modo completamente diverso.”

Tooru gli rivolse un sorriso orribile. “Immagino che ora mi direi che il mio modo è quello sbagliato, giusto?”

“No,” rispose Hajime. “Voglio solo dirti che, per quanta ambizione io veda negli occhi di Tobio, non ho mai visto nemmeno un ombra dell’oscurità che scorgo nei tuoi e di questo sono grato...”

Tooru scosse lentamente la testa. “La gloria ha il suo prezzo, Hajime. Non si può essere potenti ed essere felici. Se Tobio è così ambizioso come dici, dovrà rinunciare alla sua anima, prima o poi. Non c’è via di scampo da questo, a meno che non si limiti a sottostare a me.”

Hajime, però, udì solo in parte quelle parole. “È così, dunque...” Disse con voce terribilmente atona. “Hai conquistato la cima del mondo, eppure non sei felice.”

Tooru avrebbe voluto dire altro, avrebbe voluto avvertire Hajime che non era nell’interesse di nessuno che Tobio alzasse la testa più di quanto gli era richiesto. Entrambi potevano volere il mondo ma, per quanto diversi fossero i loro modi di desiderarlo, poteva solo esserci un vincitore in quella guerra.

“Miei Signori...”

Entrambi si voltarono. Keiji si era fermato sulla porta finestra, lo sguardo basso.

“Sua Maestà, il Re di Shiratorizawa è qui.”

 

 

***

 

 

Tenere il Principe dei Corvi chiuso in una carrozza per la durata di un intero viaggio non fu un’impresa da cui la coppia reale uscì vittoriosa.

“Shouyou, sei sicuro che non ti affatichi troppo così?” Domandò Koushi sporgendosi dal finestrino della carrozza reale

Seduto in sella al suo cavallo nero, Shouyou rivolse al genitore un sorriso sicuro. “Sto benissimo dove sto, mamma. Questa foresta è stupenda! Non potrei godermela chiuso lì dentro!” Esclamò sollevando lo sguardo verso le chiome degli alti alberi secolari. Koushi sorrise intenerito, poi rivolse la sua attenzione al giovane Cavaliere che cavalcava accanto a suo figlio. “Grazie mille della pazienza, Kei.”

Il ragazzo chinò la testa in segno di rispetto e rimase in silenzio. Non poteva dire al consorte reale che avrebbe di gran lunga preferito legare l’erede al trono al tetto di una delle carrozze, piuttosto che dover sentire ancora per un minuto i suoi discorsi euforici sulla meravigliosa esperienza che stavano per vivere.

“Per quanta distanza pensi che si estenda?” Domandò Shouyou sollevando la testa quanto poteva. “Persino nelle nostre dove gli alberi sono più folti riescono a penetrare i raggi del sole.”

“Non ne ho idea,” tagliò corto Kei tenendo lo sguardo fisso di fronte a sè nella speranza di vedere presto le torri del Castello Nero comparire all’orizzonte ed annunciare l’imminente fine di quella tortura. Passarono diversi istanti prima che si accorgesse che Shouyou lo stava fissando.

“Che cosa c’è?” Domandò senza nascondere l’evidente noia che provava per la loro vicinanza e l’impossibilità di porvi rimedio.

“A te piace danzare?” Domandò Shouyou con semplice curiosità.

Kei gli rivolse una smorfia. “Non sono una dama di compagnia, mio Principe. Sono il vostro secondino, ricordate?”

“Quindi, nel remoto ed improbabile caso in cui il tuo Principe esprima il desiderio di ballare con te, tu rifiuteresti?”

Kei lo guardò storto. “Sarebbe un ordine, Altezza?” L’avrebbe definita più una condanna.

Shouyou parve sorpreso. “No,” rispose. “Possiamo definirlo un favore per un amico...”

Il Cavaliere evitò di sottolineare che il fatto di essere cresciuti insieme non li rendeva per forza degli amici. “Non vi presenterete a quel ballo per ballare con un amico, Altezza.”

Shouyou lo guardò dubbioso. “Immagino che un fanciullo abbia la libertà di decidere con chi danzare.”

“Dubito che vostro padre sarebbe d’accordo con una simile affermazione.”

Shouyou rise. “Mio padre pensa di dovermi proteggere dal mondo intero.”

“E ha tutte le ragioni di farlo,” commentò Kei con nonchalance.

Il Principe dei Corvi lo guardò con un broncio. “Perchè non ammetti che non sai ballare e basta?” Domandò con fare birichino.

Kei prese un respiro profondo e fece appello a tutta la sua pazienza. “Potrebbe essere la verità e questo, mi spiace deludervi, non è per me una sconfitta che possa appagare il vostro capriccioso ego infantile.”

“Sei un nobile,” replicò Shouyou accennando un sorriso. “Viene richiesta una certa serie di talenti a quelli come te.”

“Anche a quelli come voi altezza,” replicò il Cavaliere con voce derisorisa. “Tuttavia, non rammento di avervi mai visto dare prova di possederne alcuno.”

Kei non era solito risparmiare all’erede al trono le sue critiche ed i suoi commenti sarcastici ma si pentì immediatamente di aver parlato come vide la luce negli occhi di Shouyou svanire di colpo, così come il suo sorriso. Pur non avendo fatto altro che ripetere ciò che aveva già detto in passato, Kei comprese di aver parlato troppo.

“Vi domando scusa...” Mormorò.

Shouyou scosse la testa. “Con permesso...” Disse a bassa voce e spronò il cavallo ad andare avanti per allontanarsi da quello del Cavaliere.

Kei rimase a guardarlo in silenzio, parole che non avrebbe mai nemmeno preso in considerazione di pronunciare gli rimasero congelate in gola e, quando ingoiò, fu come se un’enorme pietra fosse precipitata nel suo stomaco. Vide la testa del consorte reale sporgersi fuori dal finestrino della carrozza per osservare il proprio figlio allontanarsi, poi si voltò verso il Cavaliere con sguardo confuso.

“Dice che vuole cavalcare davanti,” mentì Kei con maestria. “Vuole varcare i cancelli della Capitale di Seijou per primo.”

Dovette suonare piuttosto credibile perchè Koushi gli sorrise e tornò comodo all’interno della sua carrozza. Kei riportò gli occhi sulla piccola figura del Principe dei Corvi e si sforzò di mettere a tacere l’improvviso bisogno di raggiungerlo e di porre rimedio al suo ultimo errore.

Ci riuscì.

 

 

Shouyou strinse i pugni al punto che le briglie tra le sue mani cominciarono a fargli male.

Sentì uno brivido sinistro attraversargli le membra. Se qualcuno lo avesse guardato negli occhi in quel momento, avrebbe trovato qualcosa di pericolosamente non umano nel suo sguardo. Per tanto, chiuse le palpebre e prese un respiro profondo. Si portò una mano al petto cercando di calmare il suo cuore impazzito.

La rabbia non gli era mai appartenuta, non con tanta intensità ma, in quel momento, fu come se il suo sangue si fosse trasformato in fuoco liquido espandendo il potere che aveva sempre cercato di rinchiudere dentro di sè in tutto il suo essere.

Chinò la testa, strinse le labbra e pregò che passasse.

“Shouyou!”

Il Principe dei Corvi sollevò il viso di colpo ed in modo altrettanto brusco fermò il suo cavallo. Non si era reso conto di aver superato la fila di carrozze ed essersi portato al centro della strada. Non si era accorto del cavallo bianco che era uscito di colpo dagli alberi della foresta che li circordava e che si era arrestato proprio di fronte a lui.

Il giovane seduto in sella al destriero dal manto candido doveva essere stato vittima della sua stessa distrazione perchè lo fissava con gli occhi spalancati, spaventati, come se anche lui fosse sbucato fuori dal nulla.

Shouyou non seppe per quanto tempo rimasero immobili, a fissarsi, i respiri di entrambi bloccati in gola per lo spavento.

Il giovane sconosciuto parlò per primo. “State bene?” Domandò.

Shouyou annuì e basta.

L’altro prese un respiro pronfondo visibilmente rasserenato. “Mi spiace, stavo...” Sollevò gli occhi come per cercare qualcosa. “Stavo inseguendo un corvo e non ho fatto caso alla strada come avrei dovuto.”

Shouyou reclinò la testa da un lato. “Inseguivate un corvo?” Solo allora notò l’arco sulla schiena del giovane.

“Allenamento,” rispose il ragazzo.

Shouyou lo guardò indignato. “Inseguire una creatura che non è in grado di difendersi e avete il coraggio di chiamarlo allenamento?”

Lo sconosciuto lo fissò basito, come se non fosse abituato a repliche di quel genere. “Ci conosciamo, per caso?” Non era una domanda arrogante ma Shouyou aveva tanta voglia di esserlo. “Perchè lo chiedete?”

“Perchè ho la netta sensazione di avervi già visto...”

Il Principe dei Corvi ridacchiò. “Se avessi mai avuto a che fare con qualcuno tanto pieno di sè da credere che uccidere corvi per passare il tempo si possa definire un allenamento, me lo ricorderei!” Replicò ma perse tutta la sua irritazione non appena ebbe pronunciato quelle parole: quella sensazione non gli era affatto nuova.

Fissò il giovane di fronte a lui con sguardo più attento e, suo malgrado, dovette ammettere che aveva qualcosa di familiare.

“Tobio...” Mormorò incerto.

“Shouyou!”

Il Principe dei Corvi non si voltò, vide solo suo padre comparire alla sua destra in sella al suo cavallo e Kei a sinistra. “Ragazzo,” disse il Re dei Corvi con fermezza. “Non so chi siate ma...” Si bloccò per un attimo. “Tobio?”

Solo allora Shouyou portò gli occhi sul viso di suo padre: il Re sorrideva piacevolmente sorpreso e tanto bastò a confermare i suoi peggiori sospetti.

“Perdonatemi...” disse il giovane che non aveva ancora confermato la propria identità.

“Oh, certo!” Esclamò Daichi. “È passato tanto tempo ed eri solo un bambino. Sono il Re del Regno di Karasuno, sono un caro amico dei tuoi genitori. Ho avuto l’onore di combattere al fianco di tuo padre durante la guerra contro il Re dell’Aquila.”

Shouyou tornò ad osservare il ragazzo e vide i suoi occhi blu farsi grandi e le sue guance colorarsi appena. Scese da cavallo in tutta fretta e chinò la testa con rispetto. “Perdonatemi, mio Signore, non vi avevo riconosciuto.”

Daichi scese da cavallo con un sorriso quasi paterno. “Non c’è alcun problema, ragazzo. Solleva la testa, avanti, fatti guardare!”

Il Principe Demone fece come gli era stato detto e Daichi si permise di posargli le mani su entrambe le spalle. “Sei alto!” Commentò.

Shouyou fece una smorfia e si costrinse a rimanere in silenzio.

“Immagino che ricordi mio figlio Shouyou meglio di me!” Aggiunse il Re dei Corvi voltandosi verso il suo erede.

Tobio sollevò gli occhi blu su quelli ambrati di Shouyou.

“Sì, mio Re, mi ricordo del Principe dei Corvi,” rispose il Principe Demone con formalità.

Shouyou strinse le labbra e cercò di buttar giù l’improvviso bisogno di fargli la linguaccia.

“Incontrarti sul nostro cammino è un buon segno!” Esclamò suo padre.

“Già, una vera fortuna...” Borbottò Shouyou a voce basse ma non abbastanza per impedire a Kei di guardarlo storto.

“Significa che il Castello Nero è vicino e che siamo alla fine del nostro viaggio,” aggiunse il Re.

Tobio annuì due volte. “La Capitale e a meno di mezz’ora da qui a cavallo e posso scortarvi, se vi fa piacere.”

Shouyou si morse l’interno guancia per obbligarsi a tacere. Suo padre, ovviamente, fu entusiasta della proposta. “Sarebbe un onore poter varcare di nuovo quei cancelli al vostro fianco, Principe Demone.”

“L’onore è mio, Vostra Maestà.”

Shouyou alzò gli occhi al cielo ma si costrinse ancora una volta a rimanere in silenzio.

“E’ deciso, allora!” Daichi sorrise all’indirizzo di suo figlio. “Shouyou, cavalca a fianco del Principe Demone e fai gli onori per tutti noi.”

Il Principe dei Corvi sgranò gli occhi fino a che gli fu umanamente possibile ma rimase talmente spiazzato dalla richiesta che, di tutte le obbiezioni che avrebbe potuto esporre, non riuscì a dare voce a nemmeno una di loro.

Non si accorse che, accanto a lui, Kei si stava divertendo con discrezione.

“Vi seguiamo!” Concluse Daichi tornando in sella al suo cavallo. “Kei...”

Il Cavaliere annuì. “Sì. mio Re.”

Il sovrano annuì e fece voltare il suo cavallo per tornare dal resto della sua famiglia.

Shouyou se ne rimase immobile, come congelato di fronte ad una condanna inevitabile. Guardò Tobio salire di nuovo in sella al suo cavallo. “Seguitemi...” Disse senza nemmeno guardarlo.

Il Principe dei Corvi strinse le brigli tra le sue mani immaginando che fosse il suo collo.

“Sono dietro di voi,” gli disse Kei permettendogli di affiancarsi all’erede al trono di Seijou.

Fu la cavalcata più imbarazzate a cui Shouyou avesse mai preso parte.

Tobio se ne stava accanto a lui con le spalle dritte e lo sguardo fiero di un fanciullo perfettamente consapevole della sua posizione e con tutte le intenzioni di ricordarla a chi gli stava intorno. Shouyou avrebbe solo voluto avere una pala per dargliela in testa e costringerlo a chinarla. Nessuno gli vietava di provare a farlo a parole, comunque.

“Così, siete un cacciatore,” disse per riprendere la discussione lasciata in sospeso.

 

“Sono un Arciere,” replicò Tobio continuando a guardare di fronte a sè.

“Oh, strano... Di solito, si spinge i Principi a fare propria l’arte della spada ma, evidentemente, non tutti...”

“Sono anche Cavaliere.”

Shouyou rimase a fissarlo con la bocca spalancata come un pesce fuor d’acqua. Tobio non si disturbò a guardarlo nemmeno allora.

“Certo,” replicò cercando di nascondere il suo nervosismo. “Immagino che vi abbia insegnato tutto vostro padre. Il mio racconta spesso delle imprese che hanno compiuto insieme durante la guerra.”

“I miei genitori non amano parlare di quel periodo,” tagliò corto Tobio.

Shouyou si morse l’interno guancia. “Posso capire...” Si umettò le labbra. “Deduco sappiate anche cavalcare come si deve.”

“E perchè lo deducete?”

Shouyou pensò che non fosse opportuno prenderlo subito in giro per l’immagine da Principe perfetto che ispirava in chiunque lo guardasse e che gli dava particolarmente sui nervi, così si limitò a rispondere con un dato di fatto. “Siete spuntato fuori da quegli alberi su di un cavallo in corsa!” Esclamò. “Pochi cavalcherebbero così dentro una foresta tanto fitta. Dovreste, perlomeno, avere delle decenti capacità da cavallerizzo.”

Shouyou seppe di averlo urtato nel momento in cui quegli occhi blu si degnarono di concedergli la loro attenzione. Non potè evitare ad un vittorioso sorrisetto arrogante di sbocciare sulle sue labbra.

“Decenti capacità?” Domandò il Principe Demone indignato. “Per correre a cavallo tra gli alberi serve molto di più di una capacià decente.”

Shouyou scrollò le spalle con aria superiore. “Lo faccio da quando avevo sette anni, non ne ho mai capito la difficoltà. Tuttavia, immagino serva una decente padronanza dell’animale per cavalcare tra gli alberi ed inseguire un corvo, allo stesso tempo,” commentò. “I corvi sono furbi, agili... O siete il migliore Arciere che abbia mai camminato in tutti i Regni liberi o siete di quei cacciatori incapaci che finiscono le loro prede un colpo alla volta perchè non riescono a fare centro, poco importa che, nel frattempo, una creatura incapace di difendersi agonizzi nel tentativo di sfuggire alla morte.”

Una pausa.

“Ma, considerato che il migliore Arciere dei Regni liberi è il Re Demone, il dubbio non ha ragione di esistere.”

Tobio fermò il suo cavallo di colpo. Shouyou fece lo stesso con appena un passo di ritardo.

“Io non sbaglio mai,” replicò il Principe Demone con gelide fermezza. “Quando tiro una freccia, non sbaglio mai.”

Shouyou gli rivolse un ghignetto, poi si voltò e vide che Kei era ancora a debita distanza per non udirli. “Diciamo che vi credo sulla parola ed il vostro orgoglio di Arciere è salvo,” disse con aria di sfida. “Cosa pensate di fare riguardo al vostro orgoglio da cavallerizzo?”

Tobio guardò gli alberi intorno a loro. “Sette anni, avete detto? Vista la vostra età, non avete nemmeno un decennio di esperienza.”

“Muovevo i primi passi quando voi a stento riuscivate a reggervi la testa sul collo,” replicò Shouyou. “Non sfidatemi in termini di tempo, non potete vincere: siete comunque più giovane di me di due stagioni.”

Lo sguardo di Tobio si fece ancora più tagliente di quanto non fosse. “Se fosse per me, vi sfiderei a duello qui ed adesso.”

Shouyou si fece rigido per un attimo ma incassò bene la minaccia. “Peccato che non abbiamo le spade,” replicò con un sorrisetto un poco nervoso.

“Abbiamo i cavalli,” gli fece notare Tobio.

Il Principe dei Corvi strinse le briglie tra le sue mani in un gesto automatico. “Sì, abbiamo i cavalli...”

Tobio ghignò. “Sarò gentile, non testerò il vostro talento nella mia foresta.”

“Non ho bisogno di alcuna gentilezza per vincere!” Esclamò Shouyou con un sorriso pregno di tutta quell’euforia che credeva di aver perduto dopo le parole di Kei. Poteva avere pochi talenti ma non avrebbe mai permesso a nessuno di affermare che non era in grado di fare qualcosa, fosse anche far subire un’umilante sconfitta al Principe Demone nella sua stessa casa.

Drizzò la schiena e rinsaldò sulle briglie di Karasu. “Tre...”

Tobio gli rivolse un insopportabile sorrisetto di sfida e, per un attimo, fu di nuovo il bambino antipatico che Shouyou ricordava. “Due,” disse.

“Uno!”

 

 

 

***

Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni

So che dovrei giustificare questo impossibile ritardo ma alcuni di voi hanno sentito le mie giustificazioni fino alla nausea, quindi mi limito a dare un paio di buone notizie: primo, il prossimo capitolo è già in elaborazione e, secondo, ho avuto abbastanza tempo per riflettere sulla trama e pianificare nel dettagli i futuri alti e bassi di questa reale vicenda familiare... Finale compreso!

Questo per assicurarvi che la mia assenza non è stata del tutto improduttiva.

Una semi-novità, già comparva sulla pagina del mio profilo qui su EFP ed arrivata già ad alcuni di voi. Da oggi, potete trovarmi anche nella mia pagina autore su facebook.

 

https://m.facebook.com/MforMarta

 

Da qui sarà più facile per voi contattarvi e per me rispondervi. Inoltre, mi sto impegnando ad aggiornarla con informazioni riguardanti i capitoli in via di sviluppo, progetti a lunga scadenza e mi piace anche lasciare la parola a voi lettori, quando si presenta l’occasione e sono particolarmente curiosa di conoscere il vostro punto di vista. Spero che sia una novità utile e gradita.

Ultimo ma non ultimo, le strade di Shouyou e Tobio si sono finalmente incrociate e dal prossimo capitolo ci occuperemo di tanto Kagehina-Building, non so se mi spiego...

Mi metto ancora una volta nelle vostre mani.

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Di onore e duelli ***


20
Di onore e duelli
 
 

Il Re dell’Aquila non nascose la sua delusione quando vide il Primo Cavaliere di Seijou uscire dal portone della sala del trono al seguito del suo sovrano. Hajime se ne accorse e decise di mettere bene in vista il ghignetto soddisfatto appena comparso sulle sue labbra.
Tooru, da parte sua, si limitò a sorridere in quel modo luminoso ed affascinante che avrebbe potuto far cadere il mondo intero ai suoi piedi. “Benvenuto, Wakatoshi!”
Il Re dell’Aquila gli concesse immediatamente tutta l’attenzione dei suoi occhi taglienti e Hajime seppe che avrebbe fatto di tutto per ignorarlo. Decise che non gli avrebbe reso le cose facili.
“Non vi aspettavamo così presto,” disse. “Siete il primo ad arrivare.”
“Non amo particolarmente le entrate in scena teatrali,” replicò Wakatoshi senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Tooru rise. “Sempre il solito noioso!” Commentò con fare solare. “Le entrate in scena teatrali sono quelle che lasciano subito il segno.”
Wakatoshi gli concesse una smorfia simile ad un sorriso. “Lasciare il segno non è una cosa in cui hai mai avuto difficoltà, Tooru.”
Il Re Demone sorrise come un fanciullo a cui non è mai stato fatto un complimento prima e Hajime alzò gli occhi al cielo voltando lo sguardo di lato per non dover assistere al momento in cui offendeva la sua stessa intelligenza e si metteva in ridicolo per fare piacere al sovrano dei bastardi. Notò che Tetsuro e Koutaro lo stavano guardando con l’espressione di chi comprendeva senza bisogno di spiegazioni ma l’orgoglio costrinse Hajime a far finta di non averli visti.
“Faccio portare le tue cose nelle tue stanze,” disse Tooru gentilmente. Si voltò e Hajime si accorse che stava guardando i due uomini, un tempo Re, che li avevano aiutati a mettere in ginocchio l’uomo dal mantello violaceo che ora se ne stava su quelle scale di pietra come se fosse il padrone del Castello Nero.
Il Re Demone dischiuse le labbra.
“Non i miei uomini.”
Tooru voltò il viso verso il Primo Cavaliere. Quegli occhi verdi erano taglienti mentre lo fissavano e non mostrarono alcun timore mentre si parava davanti a lui nascondendo Tetsuro e Koutaro dalla sua vista. “Non i miei uomini,” disse di nuovo con voce fredda, ferma.
C’era rabbia negli occhi scuri del Re Demone ma era gelida e quieta.
Il Re dell’Aquila li osservò senza dire una parola e Hajime sapeva che non avrebbe guadagnato altro che guai dal colpirlo direttamente. La soluzione gliela offri l’Arciere dai capelli castani che girava intorno alle tre carrozze con sopra lo stemma del Castello Bianco. “Kenjirou!” Chiamò a gran voce.
L’Arciere si voltò immediatamente nella sua direzione.
“Tu ed i tuoi uomini portate i bagagli del vostro Re nelle sue stanze,” il Primo Cavaliere guardò Wakatoshi dritto negli occhi. “Sono sempre le stesse, immagino ricordiate la strada.”
Tooru lo guardava rabbioso ma Hajime non si fece problemi a reggere quello sguardo. “Il Re dell’Aquila dispone di tutti gli uomini necessari per servirlo adeguatamente. Non intendo accettare che i miei uomini vengano umiliati in nessuno dei tuoi modi sottili.” Si voltò di nuovo verso l’Arciere di Shiratorizawa. “Kenjirou, fai spostare quelle carrozze in fretta,” ordinò. “Il Re dell’Aquila non sarà l’unico ospite di questo castello.”
Wakatoshi annuì. “Il Cavaliere ha ragione, Kenjirou. Cerchiamo di non essere d’impiccio.”
Tooru si voltò e simulò un perfetto sorriso gentile. “Nessun impiccio!”
“Se dovesse arrivare qualcun altro, non potrebbe entrare comodamente e la sua visita al Castello Nero comincerebbe con il piede sbagliato, non voglio che tu venga biasimato per la lentezza dei miei uomini,” replicò Wakatoshi.
Tooru annuì due volte. Hajime guardò i ragazzi vestiti di bianco e viola e si chiese se potessero mostrarsi più ridicoli di quanto già non fossero. Tooru era il peggiore dei due. Tooru ed il suo continuo insistere che non c’era nessun altro, nemmeno il Re dell’Aquila.
Si voltò con tutte le intenzioni di andarsene.
“Attenzione!”
Il Cavaliere non seppe chi aveva urlato e non si voltò abbastanza velocemente per assistere alla piccola catastrofe che seguì. Tutto ciò che vide fu la torre di bauli del Re dell’Aquila completamente distrutta, un cavallo bianco che camminava verso le scuderie senza un cavaliere a guidarlo ed un fanciullo dai capelli corvini e l’espressione dolorante che cercava di sollevarsi da un mare di vestiti che erano volati in aria nello scontro ed atterrati su tutto il cortile.
“Tobio!” Chiamò Tooru per primo ma Hajime fu più veloce. Corse giù dalle scale di pietra ed attraversò la fila di carrozze per inginocchiarsi di fianco a suo figlio.
“Ehi!” Esclamò circondando le spalle del figlio con un braccio ed aiutandolo a mettersi seduto. “Stai bene? Riesci a muoverti?”
Tobio continuò a stringere gli occhi per il dolore. “Sì...” Riuscì a dire, poi prese un respiro profondo e si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa. “Ho vinto?” Domandò.
Hajime inarcò un sopracciglio. “Hai vinto cosa?”
“Tobio!” Tooru s’inginocchiò accanto al Cavaliere e sollevò e sollevò una mano per passargli le dita tra i capelli. “Stai bene? Hai battuto la testa?”
“No,” Tobio si portò una mano alla schiena. “Che cosa ci facevano quei bauli in mezzo al cortile?” Sbottò innervosito.
“Colpa mia,” intervenne Wakatoshi. Si era avvicinato ma era comunque rimasto in disparte. “I miei uomini sono stati troppi lenti.”
Hajime lo sopportava ancor meno quando cercava di essere gentile ma Tooru sembrava essere troppo preoccupato per l’incolumità del Principe per curarsi delle sue parole.
“Perché sei entrato correndo in quel modo?” Domandò Tooru arrabbiato aiutando suo figlio ad alzarsi in piedi. “Ti sei fatto male tu e poteva andare peggio ma avresti anche potuto investire qualcuno!”
Hajime incrociò le braccia contro il petto e non replicò in alcun modo: c’erano ancora situazioni in cui era costretto a tacere e a dare a Tooru tutta la ragione. Tobio s’imbronciò appena, poi si guardò intorno di nuovo ed un ghignetto soddisfatto gli illuminò il viso. “Ho vinto!” Esclamò.
Tooru e Hajime si guardarono negli occhi con espressione confusa ma nessuno dei due domandò nulla. Non ci fu il tempo. Un cavallo nero entrò nel cortile interno a velocità decisamente più moderata ma il fanciullo che vi era sopra non si fece scrupoli a lanciare un’occhiata storta al Principe Demone. Il sorriso di Tobio si fece più largo e superò entrambi i genitori per avvicinarsi al nuovo arrivato ed afferrare le briglie del suo cavallo. “Troppo lento!” Commentò con arroganza.
Hajime e Tooru si avvicinarono di un paio di passi ma decisero di assistere alla scena in disparte.
Il piccolo sconosciuto scese a terra con agilità, un broncio bello in vista sul viso da bambino. “Eri avvantaggiato perché questa è casa tua!”
“Non cominciare,” replicò Tobio. “Avevi detto di non aver bisogno di nessuna gentilezza per vincere. Sei stato solo più lento!”
Il piccoletto gonfiò le guance con rabbia. “Voglio la rivincita!”
Tobio gli afferrò la testa riuscendo a bloccarlo con la forza di un solo braccio. “Se hai perso, hai perso. Fattene una ragione, stupido!”
Il piccoletto allungo le braccia per cercare di combatterlo ma erano troppo corte e a stento riusciva a sfiorare il petto del Principe che lo teneva bloccato.
Hajime si ritrovò a sorridere divertito senza rendersene conto.
Tooru ridacchiò. “Questa poi...” Si avvicinò di qualche passo. “Va bene, fanciulli, non c’è alcun bisogno di essere maneschi!”
Entrambi sollevarono gli occhi su di lui. Tobio riportò il braccio lungo il fianco ed il piccoletto smise di agitarsi per guardarlo confuso e curioso al tempo stesso. Tooru gli sorrise con fare amichevole e fece per presentarsi ma qualcosa lo bloccò. Forse, furono i capelli ribelli dal colore impossibile o, forse, i grandi occhi ambrati. La sua mente fu più veloce di lui ad elaborare una soluzione e l’immagine di un neonato prematuro e tremante tra le sue mani gli passò davanti agli occhi nitida e vibrante, come se non fossero passati tre lustri da quel giorno.
“Shouyou...” Disse e le sue labbra si piegarono in un sorriso gentile.
Hajime inarcò un sopracciglio e gli si affiancò. “Shouyou?” Domandò guardando il piccoletto col mantello di piume di corvo. Solo quel dettaglio bastava a rendere la risposta scontata ma nella confusione provocata dalla caduta di Tobio, il Cavaliere non ci aveva fatto caso. Sorrise a sua volta. “Il piccolo Principe dei Corvi.”
Shouyou passò i grandi occhi dall’uno all’altro con espressione intimorita.
“Tobio,” lo richiamò Tooru. “Vuoi fare gli onori di casa o vuoi mettere il nostro ospite in imbarazzo ulteriormente?”
Il Principe Demone si riscosse immediatamente. “Shouyou, ti presento il Re Demone ed il Primo Cavaliere e Generale Supremo del Regno di Seijou.”
Se possibile, gli occhi di Shouyou si fecero anche più grandi ma il timore era sparito, dissolto nella luce che illuminò di colpo quelle iridi ambrate. “Oh! Oh! Gwah!”
Tooru rise. “Hanno inventato una nuova lingua sulle montagne di Karasuno!”
Hajime alzò gli occhi al cielo per una battuta tanto stupida.
“In ogni caso, siamo anche i genitori di Tobio!” Aggiunse il Re Demone. “Anche se il nostro Principe si sente imbarazzato a presentarci come tali.”
Le guance di Tobio si fecero rosse e così quelle di Shouyou ma per una ragione completamente diversa. Il Principe dei Corvi fece un inchino goffo ma pieno di spontaneità. “Sono onorato di conoscervi!” Drizzò la schiena ma tenne lo sguardo basso, imbarazzato. “Cioè... Vi ho già conosciuti da bambino... Al tempo, però, non sapevo che... Aaaah, sono entrato al Castello Nero come un invasato! Che imbarazzo!” Shouyou si premette le mani contro le guance rosse.
Tobio gli lanciò un’occhiata storta. “Respira, idiota, se collassi in mezzo al cortile non migliorerai la tua situazione.”
“Suvvia! Suvvia!” Tooru si fece ancora più vicino. “Non c’è ragione di vergognarsi di nulla, Shou-chan!”
Tobio sgranò gli occhi nell’udire quel soprannome, poi guardò suo padre ma il Cavaliere si limitò a scrollare le spalle.
Tooru sollevò la mano destra. “Bentornato al Castello Nero, Principe dei Corvi.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Bentornato?”
“Certo,” il Re Demone gli rivolse un sorriso nostalgico e solo il Primo Cavaliere seppe quanto era sincero. “Sei nato qui. I tuoi genitori dovrebbero avertelo raccontato.”
Gli occhi del Principe dei Corvi si tinsero di una sfumatura gentile che a Tooru ricordò tanto Koushi.
Shouyou sollevò la mano e strinse quella del Re Demone. “Grazie...” Mormorò emozionato.
“Ho capito bene?”
Shouyou saltò all’indietro nel vedere un tipo fin troppo alto e dall’aspetto diabolico avvicinarsi curioso.
Tetsuro reclinò la testa da un lato. “Questo è il piccolino di Koushi e Daichi?”
“Oh! Oh! Oh!” Koutaro spuntò da sopra la spalla del vecchio amico. “Me lo ricordo questo piccoletto! I capelli sono rimasti gli stessi! Eri fortissimo già da fagottino!”
Shouyou drizzò le spalle ergendosi in tutta la sua modesta altezza. “Davvero? Cioè... Lo so!” Disse tentando di gonfiare il petto e fallendo miseramente. “Non so chi sei ma grazie del complimento!”
Koutaro lo guardò sconvolto e Tetsuro scoppiò a ridere. “Come chi sono?” Si lagnò. “Sono il sovrano di Fukurodani! Il Re dei Gufi!”
“Non più,” gli ricordò Tooru con un sorriso crudele. “Comportatevi con il Principe come si conviene nei confronti di qualcuno superiore a voi.”
Tetsuro smise immediatamente di ridere e Koutaro divenne serio di colpo.
“Non mi hanno offeso in alcun modo,” si sentì in dovere di dire Shouyou non comprendendo l’atmosfera che era calata. “I miei genitori mi hanno raccontato molte storie su tutti voi e siete un po’ come degli eroi da leggenda per me!”
Il viso di Koutaro s’illuminò immediatamente. “Eroi?” Domandò euforico. “Tetsuro, hai sentito il ragazzino?”
L’uomo che era stato il sovrano di Nekoma circondò le spalle dell’amico con un braccio. “Sì, piccoletto, siamo gli eroi delle storie di Daichi e Koushi in carne ed ossa.”
Gli occhi di Shouyou brillarono più del sole d’estate. “Gwah!”
Tooru fece per aggiungere qualcosa e smorzare l’entusiasmo.
“Non ti azzardare a dire nulla,” disse Hajime posandogli una mano sulla spalla per rendere le sue parole più incisive. “Torna dal tuo ospite e fa si che porti via le sue carrozze. Se il Principe dei Corvi è qui, Daichi è sulla strada per il Castello Nero.”
Il Re Demone non replicò e lasciò che il Cavaliere lo superasse, poi si voltò e gli sfuggì un sospirò stanco di fronte al casino che l’entrata in scena di suo figlio aveva provocato. “Entrata ad effetto, eh?” Fece una smorfia. “Tu porti ogni mia lezione di vita ad un altro livello, Tobio.”
Koutaro e Tetsuro cominciarono a farsi rumorosi e Shouyou si sentì in dovere di esserlo a sua volta.
Tobio alzò gli occhi al cielo annoiato.
“Cancellati quell’espressione dalla faccia,” disse Hajime divertito prendendolo per il retro del colletto della camicia e tirandolo verso il delirio di bauli rovesciati e vestiti che gli uomini di Shiratorizawa stavano cercando di mettere insieme. “Rimedia ai tuoi guai, ragazzo!” Esclamò divertito lasciandolo andare e dandogli una pacca sulla spalla.
“Non è necessario,” disse Wakatoshi.
“Io sono il padre, decido io cosa è necessario,” replicò Hajime. “È entrato in un cortile affollato cavalcando ad una velocità folle. Il minimo che può fare è raccogliere qualche vestito da terra. Aiuta Kenjirou.”
L’Arciere sollevò lo sguardo sul Principe e Tobio ricambiò l’occhiata. Si conoscevano appena e Tobio non aveva nessuna valida ragione per non andare d’accordo con un guerriero che, tutto sommato, avrebbe anche potuto insegnargli qualcosa. Kenjirou, però, lo guardava sempre come se fosse colpevole di qualche sgarbo fatto nei suoi confronti e Tobio non era tanto interessato alla sua amicizia da chiedersi il perché.
Raddrizzò uno dei bauli e prese a mettervi dentro i vestiti senza dire una parola.
 
 

Tooru era rientrato, le carrozze di Shiratorizawa erano state spostate ed i bauli erano stati quasi tutti portati all’interno del castello, quando il Re dei Corvi giunse al centro del cortile sul suo cavallo, seguito da un giovane Cavaliere dai capelli biondi.
Daichi fermò il destriero di fronte alle scale che portavano dal portone della sala del trono e Hajime fu il primo che si avvicinò. “Bentornato, amico,” disse il Cavaliere con un sorriso afferrando le briglie del suo cavallo.
Il Re dei Corvi lasciò andare un sospiro stanco. “Ti prego, dimmi che è qui.”
Hajime si voltò ed indicò con un cenno del capo il piccolo gruppetto che si era radunato intorno al Principe dei Corvi. Tetsuro e Koutaro avevano attirato l’attenzione dei rispettivi compagni ed era stata solo questione di tempo prima che Lev si avvicinasse curioso e gli altri giovani lo seguissero.
Daichi si portò una mano davanti agli occhi.
“Porta allegria,” commentò Hajime continuando a sorridere. “Non è per forza un difetto.”
Il Re dei Corvi liberò gli occhi e guardò il compagno di tante imprese con un sorriso stanco. “Prova a stargli dietro e ne riparliamo,” scese a terra
Hajime fece un cenno ad uno dei ragazzi della servitù e gli consegnò le briglie del cavallo.
Daichi lo guardò da capo a piedi con un sorriso. “Sempre il Cavaliere pronto all’azione,” commentò.
“Ti dovevo una rivincita, mi pare,” disse Hajime.
“Una?” Domandò Daichi. “Diciamo anche un centinaio!”
Risero entrambi, poi si abbracciarono da vecchi amici.
“Non passa anno in cui non si parli delle tue imprese,” disse Daichi allontanandosi.
Il sorriso di Hajime si spense un poco. “Questo Regno è molto diverso da come lo ricordavi.”
“Sì,” Daichi annuì. “L’ho capito dalle storie che narrano...”
“Mio signore?”
Entrambi si voltarono e Daichi sorrise al suo giovane Cavaliere invitandolo a farsi avanti. “Hajime, ti presento il nostro prodigio, Kei Tsukishima.”
Hajime gli porse la mano destra. “Il fratello minore di Akitero. Mi ricordo di te, hai sfidato mio figlio a duello quando eravate ancora bambini.”
Kei strinse la mano del Primo Cavaliere e chinò la testa in segno di rispetto. “Mio signore.”
“Alza la testa, ragazzo. Non sono un nobile,” disse Hajime con un sorriso.
Il giovane Cavaliere non se lo fece ripetere due volte. Il Re gli diede una pacca sulla spalla. “Andiamo a recuperare il Principe, Kei.”
“Vi faccio strada,” disse Hajime affiancandosi al Re dei Corvi. “Ora, in questo castello vivono molti vecchi amici che erano entusiasti all’idea di rivederti e tuo figlio ha saputo come alimentare la loro euforia.”
“Non ne dubito,” Daichi alzò gli occhi al cielo ma continuò a sorridere.
La piccola folla si diradò per permettere loro di passare. In mezzo a tutti, Shouyou se ne stava sollevato sulle punte davanti a Lev. “Ma quanto sei alto?” Esclamò come se si sentisse offeso.
Lev rise. “Mi ricordo di te,” disse allegro, poi sollevò una mano per posarla sulla testa di Shouyou. “Non sei cresciuto molto d’allora!”
La piccola folla rise e Shouyou si fece paonazzo per la rabbia. “Duelliamo,” propose con un sorriso di sfida. “Deve fare un gran male cadere da quell’altezza!”
“Magari un’altra volta.”
Shouyou raggelò immediatamente nell’udire quella voce e sbarrò gli occhi come sentì una mano pesante sulla sua spalla. Sollevò lo sguardo molto lentamente ed il sorriso inquietante di suo padre fu abbastanza per bloccare il respiro suo, di Lev e chiunque stesse assistendo alla scena.
“Dobbiamo parlare, mio Principe.”
 
 
***
 
 
Koushi lanciò un’occhiata veloce a suo figlio muovendosi da un lato all’altro della stanza per sistemare i loro bagagli. Le stanze che avevano preparato per loro erano le stesse in cui si erano trasferiti quando, quindici anni prima, Daichi era stato ferito sul campo di battaglia e c’erano volute settimane di riposo prima che potesse alzarsi. Shouyou era appena nato ed era tanto piccolo che quasi si perdeva tra le braccia dei suoi genitori.
Faceva un certo effetto vederlo seduto al centro di quello stesso letto ora, a quindici anni di età.
“Tuo padre non ti ha messo agli arresti domiciliari,” gli disse con un sorriso gentile. “Ti ha solo detto di non andare in giro da solo a combinare guai. Non è casa nostra questa.”
Shouyou se ne stava con la schiena appoggiata ai cuscini, le braccia incrociate contro il petto ed un broncio ben marcato in volto. “Il Principe Demone mi ha sfidato,” tentò di giustificarsi.
“O tu hai sfidato lui?” Domandò Koushi passando a Natsu una delle camicie del fratello. “Mettila nel primo cassetto con le altre, amore.”
La Principessa annuì con entusiasmo e si avvicinò all’armadio. Koushi la guardò con un sorriso innamorato, poi si sedette sul bordo del letto ed allungò una mano per posarla sulla gamba del primogenito. “Com’è diventato?” Domandò.
Shouyou lo guardò confuso. “Chi?”
“Tobio,” rispose Koushi con un sorriso divertito. “Tuo padre mi ha detto che si è fatto un giovane alto e forte.”
Shouyou scrollò le spalle. “Non l’ho guardato così bene.”
“Vi siete parlati, però,” replicò il consorte reale di Karasuno.
“È sempre lo stesso antipatico!”
Bussarono alla porta. Koushi si alzò ma non si allontanò prima di stringere un poco la gamba del figlio per invitarlo a fare lo stesso. “Avanti,” disse.
Non appena l’uscio si aprì, Natsu si allontanò dall’armadio e trotterellò fino ad affiancarsi al genitore. Koushi gli posò una mano sulla testolina, poi sollevò gli occhi ed incontrò quelli scuri del Re Demone. Continuò a sorridere ma in modo più discreto. “Tooru...”
L’altro non sembrò provare alcun imbarazzo e si rivolse a lui come se tutti gli anni in cui erano stati divisi non fossero mai esistiti. “Koushi!” Disse allegramente. Fece alcuni passi all’interno della stanza permettendo al ragazzo dietro di lui di mostrarsi ai loro ospiti.
Koushi fissò il fanciullo con espressione sorpresa. Alle sue spalle, Shouyou si decise a scivolare giù dal letto.
“Tobio...” Mormorò Koushi. “Sei davvero tu?”
Tooru guardò il fanciullo al suo fianco con espressione orgogliosa. “È cresciuto, vero?”
Tobio chinò la testa con rispetto. “Maestà...”
“Oh, no!” Koushi si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Ti ho fatto nascere, non accetto una simile formalità da parte tua!”
Tobio sollevò appena gli occhi blu, le guance rosse. In disparte, Shouyou se la rise sotto i baffi.
Tooru, invece, ridacchiò apertamente. “È uno spilungone geniale con la spada e con l’arco ma è fondamentalmente timido!” Esclamò guardando il figlio con espressione intenerita.
Tobio abbassò lo sguardo e tentò di farsi invisibile. Lo spettacolo fu tanto divertente che Shouyou dovette mordersi l’interno guancia per non scoppiare a ridere, poi vide Natsu allontanarsi dalla mamma e si fece completamente serio. Tobio se la ritrovò letteralmente sotto gli occhi ed inarcò le sopracciglia confuso lasciando che la bambina lo studiasse con occhio critico. “Tu sei il Principe Demone, quindi?”
Tooru osservò la Principessa incantato, mentre Koushi sospirò. “Natsu, comportati bene.”
La piccola si voltò. “Ho fatto solo una domanda, mamma.”
“S-Sì...” Rispose Tobio con espressione smarrita. “Sono il Principe Demone.”
Natsu incrociò le dita dietro la schiena e lo guardò con un sorriso soddisfatto. “Allora sei tu che ballerai con me la sera della festa!”
Gli occhi di Tobio si fecero enormi e Tooru scoppiò a ridere.
“Natsu!” La rimproverò bonariamente Koushi afferrando le spalle della bambina. Tooru appoggiò un ginocchio a terra per guardare la piccola dritto negli occhi. “Sei cresciuta moltissimo, sai? Ti sei fatta davvero bella, mia Principessa.”
Natsu nascose il viso contro la gamba di Koushi per timidezza ed il Re Demone si alzò di nuovo in piedi. “È adorabile,” commentò.
“Ti ringrazio,” rispose Koushi abbassando lo sguardo sulla sua bambina.
“Anche il tuo Principe è una meraviglia,” aggiunse il Re Demone reclinando la testa da un lato per incrociare lo sguardo del fanciullo rimasto in disparte. Shouyou arrossì, poi sorrise timidamente e chinò la testa con rispetto. “Grazie...”
Tobio fece una smorfia convinto di non essere visto ma Tooru gli appoggiò una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. “Tobio, perché non fai il Principe degno di questo nome e porti questa splendida creatura e la sua sorellina a fare una passeggiata nei giardini reali?”
Gli occhi blu del Principe Demone si fecero grandi, quasi traumatizzati ma Tooru continuò a sorridere come se la sua idea non avesse ragione di essere respinta. “A te farebbe piacere, Shouyou?” Domandò.
L’espressione sul viso del Principe dei Corvi non era migliore di quella dell’altro giovane. Gli occhi ambrati si spostarono sul viso del genitore e Koushi lo guardò come a dirgli di non essere scortese. Strinse le labbra, chiuse gli occhi e si concesse qualche istante per farsi coraggio. Forzò un sorriso e si fece avanti. “Mi farebbe molto piacere,” disse cercando di suonare allegro.
Sia Koushi che Tooru annuirono soddisfatti.
“Natsu, non ti allontanare da tuo fratello, mi raccomando,” disse il consorte reale di Karasuno spingendo la bambina verso il suo primogenito. Natsu afferrò la mano di Shouyou con fiducia. “Sì, mamma!” Rispose.
Tobio lanciò un’ultima occhiata indignata al suo Re e Tooru rispose con un sorriso amorevole ed una tenera carezza sulla spalla.
Entrambi i Principi s’impegnarono per non incrociare l’uno lo sguardo dell’altro mentre uscivano dalla stanza.
Il Re Demone fissò la porta chiusa con una smorfia divertita. “Sono proprio destinati l’uno all’altro.”
Koushi si umettò le labbra. Non sorrideva più. “Volevi parlarmi, quindi?”
Tooru lo guardò dritto negli occhi. “Sei intelligente, Koushi. Lo sapevi nel momento in cui mi hai visto aprire quella porta.”
Il consorte reale di Karasuno resse lo sguardo dell’altro ma non disse una parola. Tooru continuò a sorridere come se gli ultimi anni non avessero intaccato la loro amicizia in alcun modo. Se si fosse trattata solo di una questione di lontananza sarebbe anche stato così ma erano mutate le stagioni non solo nei loro Regni ma nelle loro anime.
“Sediamoci!” Esclamò allegro il Re Demone prendendo posto su una delle poltrone davanti al caminetto spento.
Koushi aspettò che si accomodasse, poi fece lo stesso.
“Questo stanze sono di tuo gradimento?” Domandò Tooru. “Sono le stesse in cui hai alloggiato nei mesi dopo la nostra vittoria.”
Koushi si guardò intorno. “Come potrei dimenticarle?” Tra quelle mura erano trascorsi i primi sei mesi della vita di Shouyou, dopotutto.
“È veramente una meraviglia.”
Gli occhi dorati tornarono su quelli scuri del Re.
“Il tuo Principe,” chiarì Tooru. “Le mie parole sono sincere.”
“Ti ringrazio,” rispose Koushi con formalità.
“È il suo primo viaggio lontano da casa, vero?”
“Sì, è così.”
Il sorriso di Tooru si fece più luminoso. “Adesso capisco tutta l’euforia che esprime in ogni suo gesto!”
In realtà, Shouyou era così semplicemente perché quella era la sua natura ma il Re Demone questo non aveva bisogno di saperlo e Koushi non sprecò parole per sottolinearlo. “Che cosa vuoi, Tooru?” La formalità era scivolata via solo per lasciare lo spazio all’urgenza.
Tooru non parve sorpreso ma si fece serio. “Non gradisci la mia presenza, mi par di capire.”
“Un tempo, sarebbe stata più che gradita per me,” ammise Koushi. “Ora, non sono certo di sapere con chi sto parlando.”
Il Re Demone sospirò annoiato. “Il Regno di Karasuno sarà anche piccolo ed isolato ma sembra che la tua corte non sia sorda alle storie che narrano...”
“Le fai passare come le imprese che raccontavamo ai bambini.”
“È esattamente quello che sono,” puntualizzò Tooru con il tono di chi non avrebbe accettato nessuna contraddizione. “Ho creato quanto ci sia di più simile ad un Impero, Koushi. Nessuno si vergogna di aver reso il proprio nome immortale.”
Koushi abbassò lo sguardo. “Vorrei chiederti a che prezzo...”
Tooru fece un gesto scocciato con la mano. “Non farlo. Tieniti la tua sensibilità per altre faccende. Mi serve che tu faccia lavorare la ragione qui.”
Koushi annuì una volta sola.
“Bene!” Tooru tornò a sorridere con facilità. “Parlami dei poteri di Shouyou!”
Il consorte reale del Regno di Karasuno impallidì di colpo.
“Cosa c’è?” Domandò il Re Demone. “Me lo hai confidato quando è nata la tua bambina, lo hai dimenticato?”
“No...” Rispose Koushi con voce appena udibile. “Non l’ho dimenticato.”
Per un momento estrema ingenuità, aveva sperato che l’avesse fatto Tooru, però.
“Dunque?” Insistette il Re Demone.
Koushi si umettò le labbra. “Non posso rispondere.”
Tooru sospirò annoiato. “Non è questo il momento più opportuno per cominciare ad avere segreti con me, Koushi.”
“Intendo dire che Shouyou non usa i suoi poteri,” replicò l’altro. “Io e suo padre non l’abbiamo incoraggiato in alcun modo. Per tanto, non ho davvero una risposta da darti.”
L’espressione del Re Demone fu indecifrabile per alcuni istanti. “Oh...” Mormorò. “Devo ammettere che questo mi rasserena.”
Koushi sgranò gli occhi sorpreso e Tooru gli sorrise con dolcezza. “Siamo entrambi felici se il Re dell’Aquila non lo nota, no?”
Per un momento, Koushi ebbe l’impressione di ritrovarsi di nuovo di fronte al vecchio amico ed alleato e questo gli riscaldò un poco il petto. “Pensavo che con la nascita di un erede maschio, Wakatoshi non avesse più ragione di minacciare i nostri figli.”
Tooru fece una smorfia. “Il suo erede maschio di tredici anni è in missione al nord e, anche se non ufficialmente, è disperso.”
Koushi sgranò gli occhi. “Cosa?”
“Mi hai sentito.”
“Ma lui è qui!” Esclamò il consorte reale del Regno di Karasuno. “Wakatoshi è qui per partecipare al tuo ballo. Chi avrebbe il cuore di fare una cosa del genere col proprio figlio disperso in terre sconosciute a chiunque.”
Tooru sospirò stancamente. “Se penso cosa ha fatto Eita per quel figlio...”
Koushi scosse la testa. “Non può esistere un padre capace di...”
“È un Re,” lo interruppe il Demone. “Prima di un padre, di un compagno o di qualsiasi altra cosa... Wakatoshi è un Re. La vita di Tsutomu è come un campo di battaglia, può vincerlo o perderlo ed in entrambi i casi, probabilmente, ha già un piano in mente.”
Koushi strinse gli occhi. “Povero bambino...”
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Non lo hai conosciuto davvero.”
L’altro evitò di rispondergli e portò invece la discussione su una questione che gli stava decisamente a cuore. “Shouyou...” Mormorò spaventato. “Se Wakatoshi nota Shouyou in qualche modo...”
“Non accadrà,” disse Tooru con un sorriso ottimista. “Il piccoletto non ha l’abitudine di usare i suoi poteri e già è qualcosa.”
Koushi strinse l’orlo della sua tunica e rimase in silenzio. Anche ammesso che Tooru fosse lì per cercare di aiutarlo, non poteva rimangiarsi ciò che aveva appena affermato. Avrebbe dovuto comportarsi di conseguenza con Shouyou. Avrebbe dovuto convincerlo che volare, anche se di nascosto, avrebbe potuto condannarlo.
“Inoltre, c’è Tobio...”
Koushi sollevò gli occhi confuso e Tooru gli sorrise come se avesse vinto la battaglia di una vita. “C’era anche un altro dettaglio ben più lieto nei sogni di Kenma.”
L’altro batte le palpebre un paio di volte, poi ricordò. “Tobio e Shouyou...”
“Esattamente!”
“Quello per il ballo non era solo un invito di cortesia.” Improvvisamente, per Koushi, tutto divenne più chiaro. “Tu vuoi che Tobio e Shouyou...”
“Sì!” Tooru si alzò in piedi con un saltello. “Il destino è dalla nostra parte. Tutto quello che dobbiamo fare noi è dare una spintarella agli scontrosi pargoli!”
Koushi lo guardò dubbioso. “Che cosa intendi?” Domandò. “Fin dove vuoi arrivare?”
Tooru tornò a mettersi comodo e cercò di contenere l’euforia. “Fino alla strategia più antica ed efficiente che sia mai stata usata nella storia dei Regni: un matrimonio.”
D’impatto, a Koushi venne da ridere. “Si conoscono appena...”
“Non sarebbero né i primi né gli ultimi,” replicò Tooru. “Una volontà superiore ci dice che si ameranno. Accontentiamoci di questo.”
Koushi divenne serio di colpo. “Io non obbligo mio figlio a sposare nessuno.”
Anche Tooru smise di sorridere. “Ah, quindi lo lascerai libero di scegliere, di spiccare il volo e di farsi abbattere sul finale!”
“Io e te abbiamo scelto!”
“Sì,” Tooru annuì. “Era un’altra storia ed eravamo completamente soli. Tobio e Shouyou non hanno questa sfortuna. Possiamo guidarli.”
“Smettila di parlare come se ci fossimo innamorati dei nostri compagni solo per follia adolescenziale!”
“Mi vorresti dire che non è così?” Domandò il Re Demone. “Mi vorresti dire che credi ancora nel per sempre?”
Koushi fece per replicare, poi si bloccò. Guardò il vecchio amico con occhi tanto grandi che l’altro dovette voltare lo sguardo per fingersi annoiato da una reazione tanto esagerata, seppur silenziosa. “Tu e Hajime...” Mormorò Koushi incredulo. “Non può essere...”
“Credevi davvero che avrebbe accettato tutto questo?” Domandò Tooru fissando il camino spento. “Lo conosci... Il nobile, coraggioso ed umano Cavaliere. Ho tradito i nostri vecchi e cari amici, poi sono fuggito al nord per conquistare dei Regni minori con il Re dell’Aquila. Quando ho varcato di nuovo le porte del Castello Nero l’ho fatto da solo...”
Koushi non riuscì a parlare per alcuni istanti. “E Tobio?”
Tooru fece una smorfia e scrollò le spalle. “Ci ha presentati al tuo Principe come il Re Demone ed il Primo Cavaliere di Seijou. Si riferisce così a noi... Il rapporto con Hajime è più caldo, lo ammetto. Tobio adora suo padre e Hajime sostiene che ha una tale stima di me che gli metto soggezione, oltre al fatto che farebbe qualsiasi cosa per sentirsi dire che sono orgoglio di lui.”
“Non lo sei?” Domandò Koushi. “Il suo nome è conosciuto in ogni dove e non ha nemmeno compiuto quindici anni.”
Tooru strinse le labbra, esitò. Forzò un sorriso. “Certo che lo sono.” Si alzò in piedi. Fin tanto che era lui a fare le domande andava bene ma non era certo di poter sopportare ulteriormente la pietà negli occhi di Koushi. “Ti cedo la mano. Non ci ritroveremo nella sala del consiglio a firmare un documento che lega Tobio e Shouyou senza la loro partecipazione ai fatti. Mancano tre settimane a quel ballo, diamo loro tempo e vediamo che succede.”
Koushi annuì ma non lo ringraziò: la libertà di suo figlio non era una grazia che il Re Demone poteva permettersi di concedere o sottrarre.
“Tuttavia...”
Gli occhi scuri di Tooru si fissarono in quelli dorati di Koushi. “È mia premura ricordarti che se non sarà il Principe Demone, sarà il Re dell’Aquila ed io ti darei la mia parola che nulla di male accadrebbe mai a Shouyou. Wakatoshi non ti riserverebbe mai la stessa cortesia...”
 
 
***
 
 
I giardini reali erano situati sul retro del castello. Ai due lati vi era una grande balconata che dava sul precipizio e permetteva di scrutare l’orizzonte per una grande distanza. Sull’angolo estremo vi era un’alta torre fortificata. Era l’unica cosa che Shouyou continuava a guardare, mentre Natsu continuava a correre a destra e sinistra incantata da quel piccolo paradiso floreale. “È tutto colorato qui!” Esclamò la Principessa afferrando di nuovo la mano del fratello maggiore.
Shouyou abbassò lo sguardo e le sorrise. “Ti piace?”
Natsu annuì allegra, poi riprese a correre.
“Non ti allontanare troppo,” le disse Shouyou, poi tornò a guardare la torre di fronte a lui.
Tobio se ne stava seduto sul bordo della grande fontana che segnava il centro dei giardini reali ed osservava il Principe di fronte a sé cercando d’intuirne i pensieri. Dopo una breve analisi, però, si rese conto che sarebbe stato costretto a parlare per avere le sue risposte. “Perché ti affascina tanto?”
Shouyou si voltò a guardarlo. “Come?”
“Quella torre,” chiarì Tobio indicando l’edificio con un movimento del capo. “Non fai che fissarla. Ti affascina in qualche modo?”
Shouyou scosse la testa. “Non proprio,” si sedette sul bordo della fontana a sua volta. “Mia madre mi ha raccontato che sono venuto alla luce all’interno di una torre fortificata durante l’assedio degli uomini del Re dell’Aquila a questo castello,” spiegò. “Mi chiedevo se...”
“Sì,” rispose Tobio con voce incolore. “È quella la torre. Il Re mi ha raccontato di essere stato rinchiuso lì dentro con il consorte reale del Regno di Karasuno ed il Mago di corte di Nekoma nello stesso periodo di cui parli tu. È l’unico edificio isolato dal resto del castello. Mi hanno raccontato che l’hanno costruita come ultimo rifugio in caso di attacco per la famiglia reale o come cella per prigionieri di particolare valore.”
“Oh...” Shouyou annuì, poi sorrise. “Sembrano riecheggiare molte storie tra le mura di questo castello.”
Tobio scrollò le spalle. “Non è così per tutti i castelli?”
“Il Castello dei Corvi non è così,” disse Shouyou con un piccolo broncio. “Non abbiamo giardini reali, tanto per cominciare ed è molto più piccolo.” Cercò sua sorella con lo sguardo e la vide seduta sull’erba curata mentre esaminava con un sorriso un fiore dai colori vivacissimi. “Noi siamo cresciuti correndo nelle foreste. Arrampicandoci sugli alberi e nuotando nelle acque dei nostri grandi laghi.” Sorrise orgoglioso. “I fiori di Karasuno non brillano come questi. Hanno colori molto più sobri ma sono selvatici, a volte riescono a sbocciare anche d’inverno.”
Il Principe dei Corvi sorrise al Principe Demone con una sicurezza tinta di arroganza e Tobio seppe che doveva trovare il modo di vincere quel piccolo scontro verbale. “Anche al Castello Nero c’è un fiore che sboccia persino d’inverno,” disse.
Shouyou lo guardò sorpreso ma tornò a sorridere immediatamente. “Posso vederlo?”
Tobio si alzò in piedi.
“Natsu, non ti muovere da lì,” disse Shouyou alla sorella minore, poi seguì il Principe Demone verso la balconata che dava sull’est. Non ci fu alcun bisogno che Tobio gli indicasse il fiore di cui parlava, Shouyou lo riconobbe da sé e non poté impedirsi di sorridere con euforia. “Gwaah!” Esclamò a voce tanto alta che Tobio sobbalzò.
Gli occhi blu guardarono il Principe dei Corvi con sguardo tagliente ma non disse niente mentre lo superava e si chinava su una delle rose nere ancora non del tutto sbocciate. “Sono splendide,” commentò Shouyou con voce più quieta, poi chiuse gli occhi ed inspiro a pieni polmoni. “Hanno anche un buon profumo.”
Drizzò la schiena e tornò a guardare Tobio negli occhi. “Hai detto che sbocciano anche in inverno.”
“Sì.”
Shouyou parve confuso. “Nessuna rosa sboccia d’inverno.”
Tobio gli rivolse un ghignetto vittorioso. “Questa sì.”
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle, deciso a non farsi impressionare per concedere una qualunque soddisfazione all’altro. “Deve essere una rosa particolare, allora.”
“Sì, lo è,” confermò Tobio. “Non come lo intendi tu, però.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. Tobio sollevò la mano destra e sfiorò i petali neri di un fiore completamente sbocciato. “In qualunque altro angolo del mondo, questa rosa vivrebbe il tempo di una qualunque. Germoglierebbe col primo sole caldo e morirebbe prima della fine dell’estate, bruciata dai raggi troppo caldi del sole,” spiegò. “Il Primo Cavaliere trovò la prima in una delle serre reali che la prima neve era già caduta da un pezzo. Fece piantare questo roseto la primavera successiva e non è mai appassito da allora.”
Gli occhi di Shouyou si erano fatti ancor più grandi.
“Nessuno sa spiegarsi perché,” aggiunse Tobio. “Non c’è una spiegazione logica. Questi fiori non appassiscono e basta.”
“Come una magia,” mormorò Shouyou incantato. “Perché la piantarono?” Chiese curioso.
Tobio scrollò le spalle. “È una storia che riguarda il Re ed il Primo Cavaliere.”
Shouyou lo guardò sinceramente confuso. “Perché non fai che riferirti ai tuoi genitori con il loro titolo?”
“Perché è rispettoso,” rispose Tobio. “E perché non sono più un bambino.”
Si voltò per tornare alla fontana. Shouyou gli fu immediatamente dietro. “Mio padre e mia madre si offenderebbero se non li chiamassi mamma e papà.”
Tobio non rispose.
“Dopotutto, sono i nostri genitori prima di essere Re, Cavalieri e...”
Il Principe Demone si voltò di colpo e Shouyou trasalì.
“Quando si nasce Re, non c’è nulla che venga prima di questo,” affermò Tobio.
Il Principe dei Corvi lo guardò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. “Che sciocchezza è mai questa?”
“È come funziona questo mondo,” rispose Tobio con sufficienza. “Sei un Principe, dovresti saperlo.”
“Siamo entrambi nati da due amori che andavano contro le regole del mondo di cui parli quindi, perdonami, se sono sorpreso dall’udire simili sciocchezze uscire dalla tua bocca.”
Quelle parole in qualche modo offesero Tobio. “Il Primo Cavaliere è sempre stato un uomo d’onore,” replicò. “E tua madre era un Arciere del Re e ti ha dato alla luce nel bel mezzo della più grande guerra dei nostri tempi, motivo per cui non merita altro che rispetto.”
Shouyou fece una smorfia. “Stiamo dicendo la stessa cosa, ti rendi conto?”
“Non credo proprio.”
“Invece, sì!” Esclamò Shouyou arrivandogli davanti. Evitò di pensare quanto gli desse fastidio sollevare lo sguardo per poter guardare negli occhi l’altro Principe. “Io parlo di sentimenti e tu parli d’imprese ma stiamo dicendo la stessa cosa.”
“L’onore vale più dei sentimenti.”
“L’onore è il più grande dei sentimenti!” Esclamò Shouyou con convinzione. “Nemmeno l’amore può esistere senza onore. Per questo un uomo non può essere Re se, prima, non è capace di essere padre.”
Tobio sbuffò. “Certi discorsi fatti con la tua voce suonano ancor più stupidi delle tue ordinarie sciocchezze.”
Shouyou sbuffò. “Non hai molti amici, vero?” Disse con tono polemico.
Il Principe Demone lo guardò con freddezza, poi lo afferrò per il colletto della tunica e lo tirò verso di sé con fare minaccioso. “Sarai Re un giorno, come lo sarò io,” sibilò con rabbia. “E quando questo accadrà vedremo quale delle nostre definizione di onore sarà più adatta per la strada del potere. A chi perderà, non resterà altra scelta che inginocchiarsi.”
 
 
***
 
 
Il Re dei Corvi atterrò sul fondoschiena. La sua spada cadde a terra con un rumore metallico.
Seguì il silenzio, poi Daichi rise e sollevò lo sguardo. “Che sortilegio devo eseguire per avere una qualche speranza con te?”
Hajime rise a sua volta, poi rifoderò la spada e porse una mano al vecchio amico. “È sempre un onore combattere con te,” disse.
Daichi si lasciò aiutare. “Per me, è sempre un onore perdere contro di te.”
I Cavalieri intorno a loro batterono le mani.
“Gran bel duello!” Esclamò qualcuno.
“Onore al Re dei Corvi e al Generale Supremo!” Urlava qualcun altro.
Daichi sollevò un grazio. “La mia gratitudine per la vostra pietà.”
Hajime incrociò le braccia contro il petto. “Non essere così severo con te stesso, Daichi. A differenza dei miei vecchi compagni, sei ancora capace di mettermi in difficoltà, almeno.” Lanciò un’occhiata storta ad Issei e Takahiro che beveravano e mangiavano al lato del cortile interno, dove il Primo Cavaliere aveva dato ordine di portare tutto il necessario per dissetare e sfamare i soldati che avevano il desiderio di sfidarsi con gli uomini degli altri Regni.
Issei e Takahiro scrollarono le spalle come a dire di non badare a loro e Hajime si sforzò veramente tanto per evitare di notare Kentaro che ingurgitava ogni cosa commestibile riusciva a raggiungere con le sue mani sgraziate.
“Vuoi la rivincita?” Domandò Hajime.
Daichi scosse la testa e si voltò verso il suo Primo Cavaliere. “Asahi, vuoi avere l’onore?”
Asahi, sentendosi chiamare in causa così improvvisamente, prima arrossì, poi, quando gli occhi di tutti furono su di lui, divenne blu e tremante. Tutti risero, compresi Ryuu e Yuu. Daichi, invece, alzò gli occhi al cielo annoiato. “Mi consolo solo sapendo che molti qui c’erano quando ha combattuto la guerra contro Shiratorizawa.”
“Non gli piaceva la violenza neanche allora, però,” ricordò Hajime. “È un’ammissione degna d’onore, Cavaliere!” Chinò la testa con rispetto.
Yuu guardò il compagno con orgoglio ma Asahi finì solo per abbassare lo sguardo imbarazzato.
“Lasciamo il posto ai fanciulli, allora!” Propose Hajime. “Yuutaro!”
Il giovane Cavaliere sollevò lo sguardo di colpo, le gote si colorarono immediatamente. “Io?” Domandò indicandosi. Accanto a lui, Akira alzò gli occhi al cielo annoiato. “Fatti avanti e basta,” mormorò.
Hajime gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. “Hai il braccio più forte tra i ragazzi. Fai vedere a quelli del Regno di Karasuno cosa sa fare la nuova generazione di Cavalieri di Seijou.”
Yuutaro annuì con un timido sorriso. “Grazie, Sir.”
Daichi si voltò verso i suoi ragazzi. A differenza di Hajime, non aveva molte opzioni tra cui scegliere. “Kei!”
Il Cavaliere dai capelli biondi fece immediatamente un passo in avanti.
Kouji alzò gli occhi al cielo. “Se vince qui si farà ancora più insopportabile.”
“Che ci piaccia o no, è l’unico che possa farlo,” commentò Izumi.
“Questo non deve farmelo andare simpatico!” Concluse il fratello con un broncio.
Tadashi non disse nulla e cercò di non dare importanza al freddo che sentì non appena Kei si allontanò dal suo fianco. Strinse le labbra: avrebbe dovuto smetterla di farsi condizionare da emozioni che provava solo lui.
Kei chinò la testa rispettosamente. “Mio Re.”
Daichi gli appoggiò una mano sulla spalla. “Rendici onore, ragazzo mio.”
“Date una spada ai due Cavalieri!” Ordinò Hajime facendosi da parte.
Il Re dei Corvi fece lo stesso. “Mi dispiace, amico mio,” disse con un sorriso. “Questa sfida non la vinci.”
Hajime sorrise a sua volta. “Staremo a vedere.”
I due ragazzi si portarono al centro del cortile.
Yuutaro chinò la testa per primo. “Che sia un duello leale.”
“Sì, un duello leale,” concordò Kei ma il suo capo restò alto e fiero.
“È solo una sfida al primo sangue, ragazzi,” ricordò loro Hajime facendo un passo in avanti. “Date prova della vostra abilità e non fatevi male inutilmente.”
Entrambi i giovani annuirono, poi tornarono ai lati opposti del cortile. Due servitori si avvicinarono porgendo loro delle spade appena affilate.
“Molto bene,” Hajime tornò al fianco di Daichi. “Cominciate!”
 
 
***
 
 
“Mi fa piacere vedere che stai bene,” disse Koushi con sincerità.
Kenma accennò un sorriso. “Tooru non ha mai minacciato la nostra vita. Ci ha solo portato via la nostra libertà.”
“Come se fosse poco...” Mormorò Koushi un poco velenoso uscendo sulla balconata che dava sul cortile interno con l’urgenza di chi ha bisogno di aria.
Kenma lo seguì. “Non angustiarti per noi,” disse con gentilezza. “Su una cosa Tooru è stato di parola: potrà essere un conquistatore ma è più gentile di come lo sarebbero i più. Koutaro e Tetsuro non sono più Re ma sono Cavalieri, sono vivi e sono nelle mani di un uomo d’onore. Lo seguono per rispetto prima che per dovere.”
Koushi abbassò lo sguardo per alcuni istanti. “Tooru me lo ha detto,” confessò. “Di lui e Hajime.”
Kenma annuì. “Non ti ha detto tutto, però,” disse. “Non avrebbe potuto, non lo sa nemmeno lui.”
“Cosa?” Domandò Koushi guardandolo negli occhi.
Il Mago gli sorrise enigmatico. “Starai qui per un po’. Te ne accorgerai con il tempo.”
Un rumore dal cortile attirò la loro attenzione. Koushi si sporse in avanti. “Che stanno facendo?”
“Il tuo Re ed il nostro Generale volevano sfidarsi a duello. Si staranno ancora divertendo.”
Koushi si sporse in avanti. “No,” disse. “Quelli non sono Daichi e Hajime.”
 
 
***
 
 
Nemmeno il tempo di un battito di ciglia ed il tipico rumore metallico provocato da due spade che si scontrano riecheggiò contro le mura di pietra che circondavano il cortile interno del Castello Nero.
Le lame s’incrociarono ed i visi dei due Cavalieri si ritrovarono a pochi centimetri di distanza. “Tu sei il Cavaliere personale del Principe dei Corpi, vero?” Domandò Yuutaro.
Kei lo spinse lontano da sè. “Sì, è così...” Rispose.
“Dicono che sei il Cavaliere più forte della tua generazione.”
Kei gli rivolse un ghigno derisorio. “Alla gente piace parlare...” Si mosse velocemente in avanti e Yuutaro riuscì a parare il colpo per pura fortuna.
“Ehi!” Disse con gli occhi sgranati. “È un duello al primo sangue, non c’è alcun bisogno di fare sul serio!”
Kei continuò a ghignare. “Anche te piace parlare.” Sferrò un attacco dall'alto. Yuutaro si difese con facilità. Troppa.
“Stai usando tutta la forza in corpo per reggere il colpo del mio braccio,” commentò Kei con sufficienza, sebbene fosse un evidente sforzo. “Hai ragione di agire così... Se fossi molto più basso di come sono.”
Yuutaro comprese quelle parole solo quando il ginocchio del Cavaliere di Karasuno lo colpì all'addome con la forza di una mazza ferrata. Si sentì mancare il fiato e la spada scivolò via dalle sue dita mentre cadeva all'indietro.
Un silenzio attonito cadde sul cortile.
La spada di Yuutaro scivolò a lato del cortile, lontano dalla sua portata. Kei aspettò che sollevasse lo sguardo poi gli puntò la lama contro la gola. “Un consiglio: se non vuoi fare sul serio, non agire affatto,” disse con aria annoiata, poi fece aderire la punta della spada alla pelle dell’avversario fino a che un rivolo di cremisi non colò lungo il suo collo. “Primo sangue!” Dichiarò a gran voce e tanto bastò per renderlo vincitore del duello.
Non ci furono applausi quella volta.
Kei si voltò ma l'espressione annoiata sul suo viso ebbe vita breve.
Ora, era lui il Cavaliere con una spada puntata alla gola.
“Sono assolutamente d'accordo con quello che hai detto,” disse il Principe Demone.
 
 
*** 
 
 
“I giochi sono finiti,” commentò Kenma portando tutta la sua attenzione sul cortile sotto di loro.
“Che vuoi dire?” Domandò Koushi senza distogliere lo sguardo dalla scena. “Kei ha vinto e Tobio sarà il suo prossimo avversario. Il mio Cavaliere ha sconfitto quello del Re Demone, è naturale che il suo erede voglia prendere in mano la situazione.”
Kenma sospirò. “Non è così semplice, Koushi,” replicò. “Al Principe Demone non piace giocare.”
Koushi si sporse in avanti. “Dov’è Shouyou?”
“Mamma!”
Il consorte reale di Karasuno si voltò e sorrise alla bambina che saltellò verso di lui. “Ehi, piccola,” si chinò e sollevò la sua Principessa tra le braccia. “Dov’è tuo fratello?”
“Laggiù,” rispose Natsu indicando il cortile sotto la balconata. “Mi ha detto di salire a cercarti perché non è una cosa da femmine.”
Koushi non rispose. Aggiustò una ciocca di capelli dietro l’orecchio della sua bambina, poi tornò a guardare oltre il parapetto della balconata.
Il Principe dei Corvi emerse dalla folla di giovani proprio in quel momento.
 
 
***
 
 
Il Principe Demone fissò il Cavaliere e questi ricambiò lo sguardo come se l’erede al trono non gli stesse puntando una spada alla gola.
“Mi ricordo di te,” disse Tobio. “Ti ho sfidato a duello da bambino e ti ho sconfitto.”
“È un onore, Altezza,” rispose Kei più con sarcasmo che  rispetto.
Tobio reclinò la testa da un lato e vide che Yuutaro era ancora a terra. “Quante volte conti di gettare vergogna su questo esercito?” Domandò velenoso.
Il Cavaliere abbassò lo sguardo e cercò di alzarsi in piedi. Akira ed altri si avvicinarono e lo aiutarono a farsi da parte.
“Tobio,” lo richiamò Hajime con fermezza.
Il Principe guardò suo padre. “Mi concedi il permesso di duellare con lui?”
“È il Cavaliere del Re dei Corvi, non il mio,” replicò Hajime.
Daichi guardò Kei. “Tutto bene, ragazzo?” Domandò.
“È mio desiderio accettare la sfida,” rispose il giovane Cavaliere.
Il sovrano di Karasuno annuì. “Bene...”
“Avete già le spade,” disse Hajime facendo due passi in avanti. “Quindi, potete...”
“Permesso! Fatemi passare!” Prese ad urlare qualcuno tra la folla. “Permesso! Scusate!”
Daichi riconobbe quella voce prima che Shouyou comparisse al centro del cortile ed alzò gli occhi al cielo facendo appello a tutta la sua pazienza: Kei aveva preso la sua decisione ma era bene che Shouyou  decidesse di fare di testa sua anche in quell’occasione.
Il Principe dei Corvi si bloccò a pochi passi di distanza dal Principe Demone e fissò lui ed il suo Cavaliere con espressione smarrita. Daichi si fece avanti. “Shouyou...”
Suo figlio si voltò nella sua direzione ed il Re allungò la mano destra in un chiaro invito. “Vieni qui...”
Il fanciullo l’afferrò e lasciò che il padre lo guidasse lontano dai due giovani duellanti. “Che cosa succede, papà?” Domandò Shouyou.
“Kei ha vinto contro uno dei ragazzi di Seijou,” spiegò Daichi con un sorriso paziente.
Shouyou sembrò non comprendere. “Va bene, ma perché Tobio è tanto arrabbiato?”
“È orgoglio,” intervenne il Primo Cavaliere di Seijou guardando il piccolo Principe con un sorriso amichevole. “Uno dei suoi uomini ha perso e Tobio, in quanto erede al trono, non può permettere al Cavaliere di un altro Regno di ventare una vittoria nella sua stessa casa.”
Shouyou fece una smorfia. “È solo un duello al primo sangue!”
Daichi appoggiò entrambe le mani sulle spalle di suo figlio per indurlo a tacere. “Maniere, Shouyou.”
Hajime ridacchiò ed incrociò le braccia contro il petto. “Lascia che il ragazzo parli, Daichi.”
Tutti e tre riportarono gli sguardi sui due giovani duellanti. Sia Tobio che Kei si erano messi in posizione e si scrutavano in silenzio.
Il Primo Cavaliere di Seijou fece un passo in avanti. “Cominciate!”
L’attacco di Tobio fu tanto fulminio che Shouyou sobbalzò.
Il rumore metallico fu tanto forte che sembrò che un fulmine si fosse schiantato lì, al centro del cortile. Gli occhi del Principe dei Corvi si fecero grandi, spaventati e si sorprese di vedere ancora entrambe le spade integre.
Qualsiasi traccia di noia o sarcasmo era completamente scomparsa dal viso di Kei. Il braccio con cui aveva parato il colpo gli doleva, mentre Tobio non sembrava accusare alcuna fatica. Erano taglienti gli occhi blu che lo guardavano ed era dura la linea della bocca del Principe Demone.
“E tu saresti il miglior Cavaliere della tua generazione?” Domandò Tobio duramente.
Kei strinse i denti e lo spinse all’indietro ma lo allontanò di appena un passo di distanza da lui. “Sei una specie di mostro, per caso?”
Tobio non parve divertito né soddisfatto da quel commento. Non rispose.
Attaccò. Veloce, fatale. Rialzò ed abbassò la lama tre volte e Kei ebbe a stento il tempo di difendersi. Al quarto colpo di braccio, la spada del Cavaliere di Karasuno si frantumò come se fosse di vetro. Kei non riuscì a reggere il contraccolpo e cadde a terra, come era accaduto a Yuutaro prima di lui.
Tobio lo guardò dall’alto al basso con l’espressione fredda e sicuro di chi non teme nulla. L’espressione di un cacciatore che guarda la sua preda ormai morente. Kei non si fece scrupoli a ricambiare quello sguardo con tutto il disprezzo che poteva esprimere. Al diavolo il rispetto!
“Mostro...” Sibilò.
“Questo non fa che renderti più mortale di quello che sei,” replicò Tobio con freddezza, poi si voltò verso suo padre. “Primo sangue!” Esclamò.
Daichi spostò Shouyou da parte con gentilezza e fece un passo in avanti. “Un momento, Kei non è...” S’interruppe come il Cavaliere sollevò la mano destra sporca di sangue. Dovevano averla ferita le schegge della spada mentre andava in frantumi.
Shouyou non si fece sfuggire il modo in cui Kei teneva lo sguardo basso e le labbra strette, come se provasse vergogna per se stesso.
I soldati di Seijou esultarono ma non quelli più giovani.
Tadashi attraversò il cortile e s’inginocchiò accanto a Kei prendendo la mano ferita tra le sue.
Shouyou vide suo padre andargli vicino a sua volta. Lui non si mosse, la sua attenzione era tutta per il Principe Demone che era rimasto al centro del cortile osservando tutti loro con espressione fredda e sguardo tagliente. Non si vantò apertamente della sua vittoria. Non alzò la spada in aria per incitare i suoi uomini a riempirlo di gloria.
Tobio non sembrava nutrire alcun interesse per qualunque altra cosa oltre alla vittoria in se stessa.
Suo padre aiutò Kei ad alzarsi, mentre Tadashi stringeva la mano ferita per cercare di fermare il sangue. Si avvicinarono agli altri Cavalieri di Karasuno e Shouyou fece per raggiungerli ma un tenue bagliore alla periferia del suo campo visivo attirò la sua attenzione: c’era una spada lasciata incustodita contro il muro di pietra.
Di colpo, Shouyou non udì più nulla, sebbene i Cavalieri di Seijou continuassero ad urlare il nome del loro giovane signore esultanti. Nessuno fece caso a lui mentre allungava il braccio e stringeva le dita intorno all’elsa della spada.
Sentiva il battito del suo cuore riecheggiare in fondo alle sue orecchie, come un tamburo di guerra poco prima della marcia fatale. Fu come se il suo sangue fosse divenuto fuoco liquido. Prese la lama tra le mani e vi si specchiò, i suoi occhi brillavano di una luce atipica, le pupille sottili, verticali, come quelle di un rapace che sta per calare sulla preda con la certezza di poterla sottomettere.
Si voltò. Il Principe Demone era ancora al centro del cortile.
Shouyou non sapeva se qualcuno lo stava osservando ma anche se l’avesse fatto, nessun occhio umano avrebbe potuto vederlo muoversi.
Tobio fu l’unico a riuscirci e lo fece appena in tempo per sollevare la spada e salvarsi dall’attacco.
Tutti gli altri udirono solo il rumore di entrambe le spade che andavano in pezzi.
Ci fu un momento in cui gli occhi blu del Principe Demone incrociarono quelli ardenti del Principe dei Corvi. Tobio non seppe cosa vide in quelle iridi disumane e non avrebbe saputo descriverlo nemmeno a distanza di tempo, una volta ottenute tutte le risposte del caso.
Di una cosa fu certo ma non l’avrebbe mai ammessa con nessuno: per una frazione di secondo, ebbe paura.
Shouyou, però, non era un Cavaliere. Tobio, invece, era molto più di questo.
Reagì immediatamente ed il Principe dei Corvi si ritrovò con la schiena premuta contro il terreno lastricato di pietre del cortile e quel che rimaneva della spada del suo avversario premuta contro la gola. Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte, il respiro veloce, il cuore galoppante nel petto.
Tobio lo guardò bene: i suoi occhi erano di nuovo grandi e dello stesso color dell’ambra ma, ciò nonostante, la determinazione non era sfumata. “Che cosa credevi di fare, idiota?” Sibilò il Principe Demone.
“Difendere l’onore del mio Cavaliere!” Esclamò Shouyou con orgoglio. “Ottenere la rivincita per il mio Regno!”
Tobio sollevò lo sguardo sulla seconda spada ridotta in pezzi: il suo avversario l’aveva lasciata andare subito dopo che l’aveva afferrato per scaraventarlo a terra. L’aveva colto di sorpresa. Non stava guardando, certo e solo questo il nanerottolo di sarebbe potuto ritrovare la giugulare recisa ma... Ma... Nessuno dei Cavalieri con cui aveva combattuto era mai riuscito a sorprenderlo in quel modo, nemmeno suo padre. Nessuno dei suoi avversari lo aveva mai attaccato in quel modo.
Un momento, Shouyou non era nemmeno un Cavaliere. Il Re dei Corvi non gli aveva mai impartito l’educazione di un guerriero. Tutti i ragazzi che erano cresciuti con lui erano stati sottoposti a prove continue fin dall’infanzia e nessuno di loro aveva mai attirato la sua attenzione, se non per le ragioni peggiori.
E adesso quel piccolo Principe senza una degna formazione o un talento con cui potesse distinguersi, afferrava una spada e osava lanciarsi contro di lui come se potesse...
Era proprio quello il punto: se Shouyou fosse stato educato all’arte della spada almeno un poco, avrebbe anche potuto sconfiggerlo.
Tobio sentì un’ondata di rabbia travolgerlo per una ragione che non comprese del tutto. Fissò il Principe dei Corvi con aria furente ma Shouyou resse il suo sguardo splendidamente. “Che cosa sei?” Domandò. “Che razza di mostro sei?”
Tutta l’arroganza negli occhi del Principe dei Corvi sparì in un battito di ciglia.
Shouyou si guardò intorno, come se avesse realizzato solo in quel momento quel che aveva fatto. Ricordava tutto lucidamente. Avrebbe potuto descrivere nei dettagli ogni brivido bollente che aveva sentito lungo la schiena mentre scattava in avanti per attaccare il Principe Demone. Eppure... Eppure...
Shouyou prese a tremare ma non era la spada che Tobio gli stava puntando alla gola a spaventarlo.
“Che cazzo fai?!”
Tobio gli venne strappato di dosso e Shouyou ebbe appena il tempo di vedere il Primo Cavaliere che lo trascinava via, prima che il viso preoccupato di suo padre comparisse nel suo campo visivo. “Shouyou...” Chiamò con un filo di voce. “Shouyou, stai bene?”
Era pallido e Shouyou si accorse che la sua mano tremava un poco mentre gli accarezzava i capelli e lo aiutava a rialzarsi in piedi.
“Sei ferito da qualche parte?”
“Sto bene, papà,” mormorò il Principe dei Corvi stando ben attendo a tenere lo sguardo basso. Non voleva vedere le espressioni sulle facce di chi aveva assistito alla scena, non voleva leggere nei loro sguardi la stessa accusa che Tobio gli aveva rivolto.
”Che razza di mostro sei?”
“Shouyou.”
Gli occhi ambrati si alzarono automaticamente su quelli blu del Principe Demone.
Tobio aveva sollevato la manica della tunica e gli stava mostrando il polso.
Shouyou non seppe come sentirsi quando vide il piccolo taglio ed il rivolo scarlatto che era sceso sull’avambraccio del suo avversario. “Il primo sangue di questo duello è tuo,” disse Tobio con un rispetto che non gli aveva mai rivolto.
Di colpo, un brusio prese a sollevarsi dai lati del cortile.
“Il Principe dei Corvi ha sconfitto il Principe Demone?”
“Ma si può definire un duello?”
“Il Principe Demone ha ceduto al piccoletto il primo sangue!”
Quelli del Regno di Karasuno sembrarono animarsi improvvisamente.
“Abbiamo il primo sangue!” Esclamò Ryuu come se avessero fatta loro un’imprese titanica. “Il nostro Principe ha ottenuto il primo sangue contro l’erede al trono di Seijou!”
“Vittoria per il Principe dei Corvi!” Esclamò Yuu con orgoglio. “E che non si dica più che i piccoletti non possono essere eccellenti guerrieri!”
Alle sue spalle, Asahi sospirò con un sorriso. “Mai dubitato di questo...”
Gli uomini del Re dei Corvi presero a gridare il suo nome in un coro vittorioso e solo Shouyou sapeva quanto aveva sognato un giorno così, eppure in quel momento voleva solo che smettessero. Sentì le mani forti e calde di suo padre sulle sue spalle ma nessuno quelle riuscirono a farlo sentire al sicuro. “Torniamo dalla mamma e da tua sorella, piccolo.”
Shouyou strinse gli occhi ed annuì. Chinò il capo quanto poteva per nascondere le lacrime che gli rigavano il viso.
 
 
***
 
 
Quando Hajime entrò nel salotto privato del Re Demone, Tooru stava cenando in compagnia del Re dell’Aquila. Era entrato senza bussare e questo gli fece guadagnare un’occhiata storta dal suo signore ma il Primo Cavaliere era troppo euforico per i fatti avvenuti quel pomeriggio per potersi permettere di esitare.
Si avvicinò al capo del tavolo a cui era seduto il Re Demone e si accomodò su una sedia accanto alla sua. “Devo parlarti.”
Tooru lo guardò scandalizzato. “Sto cenando con uno dei nostri ospiti,” gli fece notare.
Hajime guardò Wakatoshi come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. Lo salutò con un cenno del capo che non avrebbe rivolto nemmeno al più intimo dei suoi amici. Il Re dell’Aquila si limitò a stringere le labbra e a restare in silenzio.
Gli occhi verdi del Cavaliere tornarono su quelli scuri del suo Re. “Penso che il nostro ospite conosca abbastanza bene questo castello per ritrovare la strada per le sue stanze da solo. Se non ricordo male, ha avuto modo di esplorare questi corridoi per diverse settimane, quindici anni fa.”
Definire l’espressione di Tooru indignata sarebbe stato impreciso a quel punto. “Stiamo cenando...” Sibilò.
Hajime lanciò un’occhiata al piatto sotto i suoi occhi. “Tu sembri aver finito.”
“Il nostro ospite sta ancora mangiando.”
“Vuoi imboccarlo?”
Tooru strinse i pugni per costringersi a non colpirlo.
Hajime si alzò in piedi e gli afferrò il polso. “Andiamo in camera.”
L’altro fu costretto ad alzarsi per non cadere a terra. “Hajime!” Esclamò rabbioso.
“Mangia pure con calma,” il Cavaliere diede al Re dell’Aquila una pacca sulla spalla mentre lo superava.
Wakatoshi restò con la sua forchetta sospesa a mezz’aria fino a che la porta alle sue spalle non si fu richiusa.
 
 

“Spero che tu abbia una degna giustificazione per un simile comportamento!” Esclamò Tooru furioso.
Hajime lo ignorò deliberatamente, poi si avvicinò al letto e prese a mettere in disordine le coperte.
Tooru sgranò gli occhi. “Che cosa stai facendo?”
“Qualcosa che possa dispiacere al tuo maledetto ospite,” rispose il Cavaliere con nonchalance.
Il Re Demone spalancò la bocca. “Sei un illuso se speri che venga a letto con te.”
“E chi ti vuole?”
Tooru lo sguardo scandalizzato. Hajime, invece, gli sorrise e si accomodò su una delle due poltrone davanti al caminetto spento. “Devo darti delle buone notizie.”
“Chi ti ha dato il permesso di accomodarti?”
“Stai zitto, Tooru, era la mia poltrona.”
“Io sono il tuo Re!”
“Ed io sono l’alquanto orgoglioso padre dell’erede al trono!” Esclamò Hajime con un sorriso soddisfatto. L’atteggiamento di Tooru cambiò immediatamente. “È successo qualcosa a Tobio?”
“Siediti...” Hajime indicò la poltrona davanti alla sua con un cenno del capo e l’altro lo assecondò. “Abbiamo fatto dei duelli al primo sangue questo pomeriggio, nel cortile.”
Tooru gli rivolse uno di quei sorrisetti da Demone. “Ed il mio Primo Cavaliere ed il mio Principe hanno saputo tenere alto l’onore del nostro Regno, immagino.”
“Immagini bene,” rispose Hajime. “Tuttavia, è successo qualcosa d’inaspettato.”
Tooru era attento, curioso.
“Il Principe dei Corvi...”
“Shouyou?”
Hajime annuì con un sorriso. “Sì. Non so come abbia fatto ma attaccato Tobio di sorpresa ed entrambe le spade sono andate in mille pezzi.”
Gli occhi del Re Demone si fecero grandi. “Ma Shouyou è un piccoletto!”
“Non so dove abbia trovato la forza, lo ammetto,” disse il Primo Cavaliere. “E, se devo essere sincero, in un duello vero, Tobio lo avrebbe sconfitto senza eccessiva difficoltà.”
Tooru reclinò la testa da un lato. “Stai cercando di dirmi che Tobio ha perso quel duello?”
Hajime scrollò le spalle. “Secondo le regole, il piccoletto lo ha ferito per primo, quindi sì.”
“Hai detto che l’ha preso di sorpresa, però.”
“Te l’ho detto, Tooru, non dubito che Tobio avrebbe vinto in una situazione normale ma non è questo l’importante.”
“Un Principe senza addestramento riesce a sconfiggere tuo figlio, sebbene solo per amor delle regole di un duello e per te non è importante?”
“Lo è di più la reazione di Tobio.”
Tooru fece una smorfia. “Deve essere chiuso in camera con il muso lungo. Vuoi che andiamo a parlarci tutti e due? Di solito, quando agiamo insieme otteniamo più risultati con lui.”
“Non ha affatto il muso lungo.”
Il Re Demone lo guardò confuso. “Che vuoi dire?”
Hajime sorrise e si sporse in avanti. “Shouyou nemmeno si è accorto di aver vinto. È stato Tobio a mostrargli la ferita. Dovevi vedere come lo guardava...”
“Perché?” Domandò Tooru. “Come lo guardava, Hajime?”
“Con rispetto...”
 
 
***
 
 
“Non farmi più uno scherzo del genere,” gemette Koushi inginocchiandosi sul tappeto davanti alla poltrona su cui era seduto suo figlio.
Shouyou fissava il vuoto. “Mi dispiace...” Mormorò.
Natsu si sedette a terra accanto alla sua mamma. “Ti male da qualche parte, fratellone?”
“No...” Rispose Shouyou con voce apatica.
“Allora perché hai le guance bagnate?”
Daichi si avvicinò forzando un sorriso. “Lascia in pace tuo fratello e la mamma, mia Principessa,” disse sollevando la piccola tra le braccia e facendosi da parte. “Controlliamo se le bambole nel tuo baule stanno bene.”
Koushi gli rivolse un sorriso ringraziandolo in silenzio, poi afferrò la mano di suo figlio. “Shouyou, non siamo arrabbiati con te.”
Il Principe si ostinò a non guardarlo negli occhi. “Lo so...”
“So cosa hai tentato di fare e sei stato molto coraggioso,” Koushi strofinò il polpastrello del pollice sul dorso della mano del figlio. “Tuttavia, ti prego, non farlo mai più. Hai agito in modo pericoloso ed io e tuo padre non vogliamo che tu ti faccia del male.”
Shouyou abbassò lo sguardo sul viso del genitore. “Ho distrutto due spade, mamma.”
Koushi forzò un sorriso. “Può capitare, amore. Spesso le armi sono vecchie e logore e...”
“La lama era tanto lucida che mi ci sono potuto specchiare.”
“Shouyou...” Koushi si sedette sul bordo della poltrona e passò le dita tra i capelli di suo figlio. “Non è accaduto niente per cui tu ti debba sentire così.”
“Ho visto i miei occhi riflessi in quella lama, mamma. Non erano occhi umani...”
“Che cosa stai dicendo?”
“Lo sai...” Gli occhi di Shouyou si fecero lucidi. “Nemmeno il Primo Cavaliere di Seijou avrebbe potuto frantumare due spada in un solo attacco.”
Koushi prese un sorriso profondo e continuò ad accarezzargli i capelli. “Non è accaduto nulla, Shouyou,” lo rassicurò. “Hajime mi ha assicurato che Tobio non si è fatto nulla di grave.”
Shouyou quasi non ci pensava più. “Tobio...”
Non si era vergognato di mostrargli davanti a tutti la ferita che gli aveva fatto guadagnare la vittoria. Era stato corretto con lui, nonostante non avesse mostrato nemmeno un briciolo di gentilezza nei confronti del compagno che Kei aveva sconfitto. Eppure, gli aveva dato del mostro.
“Mamma?”
“Che cosa c’è, tesoro?”
“Si tratta di Tobio...” Shouyou sollevò gli occhi grandi su quelli del genitore. “Per caso Tobio è qualcosa?”
 
 
***
 
 
Tooru sollevò gli occhi dal bendaggio che stava stringendo intorno al polso di suo figlio. “Vuoi sapere se Shouyou è qualcosa?” Domandò confuso.
Tobio annuì. “È un ibrido come me o qualcosa del genere?”
Hajime allontanò la sua attenzione dal panorama fuori dalla finestra. “Tu non sei un ibrido, Tobio.”
Tooru annuì con aria seria. “Tuo padre ha ragione.”
Il Principe li guardò con ingenua confusione. “Sono un mezzo sangue. Non sono né un Demone né un Umano e, siccome non esistono altri figli di...”
“Ehi!” Hajime gli strinse la spalla costringendolo a guadarlo negli occhi. “Smettila di fare certi discorsi.”
Il Re annuì per rafforzare il concetto.
Tobio si zittò di colpo e Tooru finì di medicargli il polso e lo lasciò andare. “Se proprio vuoi saperlo, Shouyou potrebbe essere qualcosa.”
Il Principe mosse tentativamente il polso per assicurarsi che la medicazione non fosse troppo stretta. “Di cosa parli?” Domandò.
“Già...” Hajime incrociò le braccia contro il petto. “Che cosa intendi?”
Tooru accennò un sorriso. “Conosci i genitori di Shouyou.”
“E con questo?” Domandò Tobio. “È una famiglia come la nostra.”
Nessuno dei due rispose. Per Hajime sarebbe stato come mentire ammettere che erano una famiglia, in primo luogo ma negarlo non era una buona idea: Tobio non doveva pagare per la loro oscurità e se poteva vedere ancora del buono in quello che erano, ingenuità o no, era meglio così.
“Non proprio,” spiegò Tooru pazientemente. “I Demoni hanno magia nera nel sangue e più sono potenti, più possono usare quella magia naturale come più desiderano. Per fare un esempio pratico: io desideravo tanto te e tu sei arrivato!”
Tobio arrossì ed entrambi i suoi genitori sorrisero, sebbene continuassero a non guardarsi negli occhi. “Nel Regno di Karasuno non ci sono Demoni,” continuò Tooru. “Tuttavia, in questo mondo, vi sono creature particolari. Kenma, una volta, mi disse che probabilmente hanno un poco di magia dentro di loro per poter fare quello che fanno ma in molti paesi sono considerati... Diciamo che non tutti hanno il destino fortunato di Koushi o Keiji.”
“Koushi è come la madre di Keijiko? È un Omega, giusto?”
Tooru annuì. “Esatto...”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Ma questo cosa ha a che fare con Shouyou?”
Il Re Demone scrollò le spalle. “È figlio di un Omega, ci sono alte possibilità che lo sia a sua volta.”
“Tooru...” Lo richiamò Hajime.
“Cosa?” Domandò l’altro scocciato. “Ha quindici anni e lo abbiamo visto tutti, mi pare.”
“Ciò non toglie che sono questioni delicate che non ci riguardano!”
Tobio passò gli occhi da un genitore all’altro. “No, io non stavo chiedendo questo,” chiarì. “Gli Omega si distinguono perché sono fanciulli in grado di avere dei bambini, giusto?”
“Precisamente!” Esclamò Tooru. “Ed è meglio che tu lo tenga a mente. Non vogliamo cacciarci nei guai, vero?” Gli fece l’occhiolino. Tobio lo guardò completamente smarrito, Hajime rise ed il Re Demone sbuffò sapendo di avere un completo idiota come erede al trono. “In ogni caso, cos’è che stavi chiedendo se questa risposta non ti aggrada?”
“Ha distrutto due spade in un singolo attacco,” disse Tobio. “Nessuno dei Cavalieri della mia generazione potrebbe fare una cosa del genere, nemmeno in condizioni ottimali.”
“Smettila di criticare i ragazzi che saranno i tuoi uomini, Tobio!” Lo rimproverò Hajime aspramente.
Tooru lo ignorò ed afferrò le mani del figlio per costringere gli occhi blu ad incrociare i suoi. “Che cosa hai visto quando Shouyou ti ha attaccato?” Domandò. “Tuo padre mi ha detto che gli hai mostrato del rispetto alla fine del duello.” Sorrise. “Non capita tutti i giorni.”
Tobio scrollò le spalle. “Non credevo che fosse così forte, tutto qui.”
“Nessuno lo crederebbe guardando un piccoletto simile.”
Hajime squadrò il proprio Re con sospetto ma decise di non chiedere nulla per il momento.
“Perché suo padre non lo ha addestrato?” Domandò Tobio. “Credevo facesse schifo con la spada e con qualunque altra arma ma se è in grado di fare quello, allora...”
Il Cavaliere portò gli occhi dal profilo del Re a quello del figlio. “Hai in mente qualcosa, Tobio?”
Il Principe prese un respiro profondo e guardò entrambi i suoi genitori. “Vorrei chiedere il vostro permesso per fare una cosa.”
 
 
***
 
 
“Tobio è un Demone mezzo sangue, Shouyou,” spiegò Koushi gentilmente. “Uno dei suoi genitori è l’ultimo discendente di un’antica stirpe di Demoni e l’altro...”
“Lo so questo,” lo interruppe Shouyou. “Ma è qualcos’altro?”
Daichi allontanò l’attenzione dalle bambole di Natsu per poter seguire meglio quel dialogo. Koushi gli lanciò un’occhiata veloce, poi tornò a guardare suo figlio. “Perché me lo chiedi, Shouyou?”
Il suo Principe scrollò le spalle. “È di un’antipatia disumana!” Esclamò con un broncio. “Tuttavia... Non lo so, ci sono alcuni momenti in cui...” Scosse la testa. “Non lo so!” Esclamò passandosi entrambe le mani tra i capelli sbuffando con aria frustrata. “E proprio per questo lo sopporto anche meno!”
Koushi rise con leggerezza e Daichi tornò a giocare con Natsu serenamente ma entrambi si guardarono quando bussarono alla porta.
“Avanti!” Disse Daichi alzandosi in piedi e prendendo in braccio la bambina. Natsu strinse una delle sue bambole contro il petto appoggiando la guancia contro la spalla del suo papà. Koushi si sollevò a sua volta come la porta si aprì e Tooru entrò nella stanza seguito da Hajime.
“Buonasera, Vostre Maestà,” disse il Re Demone con un sorriso educato. “Perdonate l’intrusione ma volevamo sapere se Shouyou avesse qualche minuto da dedicare al nostro Principe.”
Il Principe dei Corvi sollevò gli occhi ambrati su sua madre e Koushi gli sfiorò i capelli sulla nuca per rassicurarlo. “Possiamo sapere che cosa è successo?”
“Oh! Niente di grave!” Esclamò Tooru immediatamente. “È solo che Tobio avrebbe piacere di parlare con Shouyou in privato ma è affetto da estrema timidezza e ha mandato avanti noi!”
Shouyou s’imbronciò. “Non è affatto timido quando deve fare l’antipatico, però!”
“Shouyou!” Lo ripresero Daichi e Koushi in coro.
Tooru e Hajime risero. “Non c’è nulla di più vero,” disse il Cavaliere portandosi avanti con un sorriso. “Tobio è qui fuori che aspetta, Shouyou. Noi parleremo con i tuoi genitori, mentre sei fuori.”
 
 

Tobio era appoggiato alla parete di pietra del corridoio, le braccia incrociate contro il petto.
Gli occhi blu si sollevarono immediatamente su quelli d’ambra non appena Shouyou si richiuse la porta degli appartamenti dei suoi genitori alle spalle. “Ciao...” Disse.
“Ciao,” rispose Tobio.
Shouyou si avvicinò lentamente ma non abbassò lo sguardo nemmeno per un istante. “I tuoi genitori mi hanno detto che vuoi parlarmi.”
“Sì,” Tobio annuì. “Riguardo a quello che è successo oggi nel cortile.”
Gli occhi del Principe dei Corvi si fecero grandi, spaventati. “Mi dispiace tanto,” disse senza pensarci.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Non ti ho accusato di nulla.”
“Ti ho ferito.”
Il Principe Demone fece una smorfia, poi sollevò la manica della tunica mostrando la fasciatura all’altro. “Le bende non sono nemmeno sporche. Pochi giorni e non rimarrà neanche un segno.”
Shouyou annuì. “Mi dispiace comunque.”
Tobio reclinò la testa di lato. “Che cosa ti è successo?”
“Che cosa vuoi dire?”
“L’espressione che avevi quando mi hai attaccato,” spiegò il Principe Demone. “Ammetto di non conoscerti bene ma non ti credevo capace di fare un’espressione simile. Di agire in un modo simile...”
“L’avevo immaginato,” Shouyou annuì con una smorfia. “Mi hai dato del mostro, dopotutto.”
Tobio lo guardò come se quello offeso fosse lui. “Avresti dovuto guardarti in faccia.”
“L’ho fatto!” Esclamò Shouyou. “Ho visto il mio riflesso sulla lama della spada con cui ti ho attaccato!” Strinse le labbra: non si sarebbe messo a piangere davanti al Principe Demone. “Senti...” Aggiunse nervoso. “Dimmi quello che dovevi.”
Tobio si fece imbronciato. “Quello che hai fatto oggi è completamente assurdo, privo di senso.”
“Hai sconfitto il mio Cavaliere e ho tentato di riscattare l’onore del mio Regno,” rispose Shouyou con tono scocciato. “Nulla di diverso da quello che hai fatto tu.”
“Non mi riferivo a quello,” replicò Tobio. “Per quanto la tua assenza di addestramento abbia reso la tua reazione completamente idiota, piuttosto che onorevole.”
Shouyou strinse i denti e sollevò il pugno con fare minaccioso. Quanto aveva voglia di picchiarlo! Anche se, effettivamente, era il doppio di lui...
“Perché tuo padre non ti ha mai addestrato?” Domandò Tobio e Shouyou lo guardò confuso. “L’arte della spada, solitamente, fa parte dell’educazione base di un Principe. Non tutti siamo destinati a divenire grandi guerrieri, il titolo di Primo Cavaliere serve a questo ma potrebbe comunque esserci un campo di battaglia nella nostra vita.”
“Il Regno di Karasuno non è come questo,” replicò Shouyou.
“Tuo padre, però, ha combattuto nella più grande guerra della sua generazione.”
“Immagino che sia per questo che Karasuno è diverso da Seijou,” il Principe dei Corvi si umettò le labbra. “In ogni caso, se fosse dipeso da me, avrei seguito qualsiasi addestramento.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Il Re dei Corvi ti ha espressamente proibito di divenire un Cavaliere?”
Come avrebbe potuto rispondere Shouyou per non ferire il proprio orgoglio? Avrebbe dovuto confessare a quel ragazzo poco più che sconosciuto che suo padre, probabilmente, lo riteneva troppo debole ed imbranato? Doveva, forse, dirgli che Kei era il suo Cavaliere proprio per ovviare a quella sua fragilità? Avrebbe dovuto affermare che, in realtà, non era né debole, né tantomeno fragile... Sì, forse, era un poco imbranato ma tutto quello che chiedeva era una possibilità e qualcuno che credesse che ce la potesse fare?
Shouyou non disse assolutamente nulla. Strinse le labbra e portò lo sguardo sulla parete di pietra al suo fianco per non dover guardare in faccia il Principe Demone.
Tobio sospirò. “Non importa,” rispose. “Mi serve solo sapere se hai desiderio di divenirne uno.”
Shouyou sgranò gli occhi e riportò lo sguardo sul viso dell’altro. “Cosa?”
Il Principe Demone si fece più vicino. “Non hai idea di quanto mi abbia dato sui nervi vedere un fanciullino senza addestramento dimostrarsi migliore di quei giovani Cavalieri che dovrebbero essere i miei uomini,” sibilò come se fosse una questione personale.
“Non è un problema mio,” ripose Shouyou.
“Mio, però, sì,” replicò Tobio. “Vogliamo farne una questione di onore? Facciamone una questione di onore: posso accettare la sconfitta, non di rimanere sconfitto in eterno.”
“Che cosa vuoi da me? Un altro duello?”
“Sì!”
Shouyou parve sorpreso. “Ti brucia veramente la sconfitta di questo pomeriggio?”
Tobio storse la bocca. “Era un buon attacco,” disse con voce forzata, come se gli pesasse ammetterlo. “Nessuno ti ha visto muoverti. Ho chiesto a mio padre e ad altri Cavalieri presenti. Ti ho visto solo io, gli altri hanno sentito solo le spade andare in pezzi.”
Shouyou scrollò le spalle. “Quindi?”
“Quindi hai qualcosa in te con cui combattere anche se, probabilmente, non lo sai tu e non l’ha mai saputo nemmeno chi ti ha messo una spada in mano prima di oggi.”
Il Principe dei Corvi cambiò completamente espressione. I suoi occhi si fecero grandi, luminosi ma era ancora dura la linea della sua bocca. “Credi che io possa essere un Cavaliere?”
Di tutte le persone che Shouyou sapeva di avere vicine con affetto, il primo a credere in lui doveva proprio essere il Principe degli antipatici?
Tobio annuì. “Credo che tu abbia bisogno di essere addestrato da qualcuno che sappia riconoscere il tuo potenziale e possa insegnarti come sfruttarlo.”
“E tu credi di essere quella persona?”
“Sì.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Non capisco,” ammise. “Dici di volere un altro duello con me e poi affermi di potermi rendere un Cavaliere. È stupido! Ora potresti sconfiggermi con poco! Che motivo hai di rendermi più forte se il tuo unico fine è sconfiggermi ed avere la rivincita?”
“È proprio questo il punto,” replicò Tobio. “Che senso avrebbe sconfiggerti ora che non hai possibilità di battermi? Voglio un duello vero e tu puoi combatterlo ma nemmeno un genio può dimostrare di essere tale se non gli vengono spiegate le regole dell’arte per cui ha un talento naturale.”
Shouyou ghignò vittorioso. “Mi hai dato del genio?”
Tobio sbuffò. “Non dire sciocchezze! Sei più stupido dei Cavalieri della mia generazione e ce ne vuole...”
Il Principe dei Corvi fece per replicare aspramente.
“Tuttavia,” aggiunse Tobio, “hai qualcosa che loro non potranno mai avere e voglio tirarla fuori.”
Shouyou si umettò le labbra. “Che cosa sei venuto a chiedermi, dunque?”
“Sono venuto a chiederti di poterti addestrare,” rispose il Principe Demone. “Fino alla cima del mondo, giusto?”
L’espressione del Principe dei Corvi si fece improvvisamente più gentile. “Te lo ricordi...” Era sinceramente sorpreso.
Tobio alzò gli occhi al cielo. “È difficile dimenticarsi delle tue sciocchezze!” Esclamò scocciato. “Comunque, se la cima del mondo è la tua meta, dovrai essere molto più forte di così. Dovrai essere il più forte, perché solo i più forti restano in piedi fino alla fine.”
Shouyou annuì. “Tu sei il prodigio di questa generazione,” disse. “Per essere l’ultimo a restare in piedi, devo divenire più forte di te e sconfiggerti.”
Le labbra di Tobio si piegarono in un ghignetto. “Sempre ammesso che tu ce la faccia, Principe dei Corvi.”
Shouyou sorrise. “Accetto la sfida, Principe Demone.”




 

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Capitolo 24
*** Di prede e predatori ***


21
Di prede e predatori

 
 
 
C’era una cosa che Tsutomu non era mai venuto a sapere riguardo alla sua missione.
Un dettaglio che era stato volontariamente tenuto segreto perché il Principe potesse agire liberamente, senza sentirsi osservato. Solo Satori era a conoscenza di quel particolare ed aveva dovuto giurare di fronte al suo Re che non ne avrebbe fatto parola con anima viva.
Wakatoshi non aveva mai lasciato suo figlio da solo.
Mai, nemmeno per un giorno.
Al calar del sole, non appena i suoi doveri di corte terminavano e Wakatoshi poteva finalmente ritirarsi nell’ambiente privato dei suoi appartamenti, spiccava il volo e si dirigeva a nord. Satori gli faceva rapporto in gran segreto, poco lontano dal luogo dell’accampamento per quella notte e gli forniva qualche indicazione su dove li avrebbe potuti trovare la volta successiva.
Tsutomu non era stato abbandonato a se stesso nemmeno per un istante. Tuttavia, era giusto che credesse di star camminando con le proprie gambe per una volta, che suo padre non fosse alle sue spalle pronto a sorreggerlo come se fosse un pulcino indifeso. Il Principe dell’Aquila aveva bisogno di spiccare il volo e questo implicava un enorme rischio di cadere nel vuoto.
Wakatoshi conosceva le regole del gioco, le aveva provate sulla sua stessa pelle e per Tsutomu sarebbe stato lo stesso ma non a qualsiasi prezzo. Si era dato un limite, il Re dell’Aquila: se suo figlio fosse arrivato al punto da volersi spingere oltre senza realizzare di star camminando sulla strada della sua distruzione, sarebbe intervenuto e questo anche a costo di distruggere quel fragile orgoglio da fanciullo che aveva.
Entrambi avrebbero compreso ciò che il Re dell’Aquila aveva avuto bisogno di capire quando aveva accettato di concedere al suo erede quell’occasione di gloria: se il Principe dell’Aquila fosse pronto o meno a fare il primo passo di quel lungo cammino che lo avrebbe reso Re.
Wakatoshi non aveva lasciato Tsutomu da solo nemmeno per un istante ma gli era bastato voltarsi un attimo per perderlo.
 
 
Il Re dell’Aquila sentiva tutte le membra pesanti e la testa gli doleva.
Il Castello Nero era più vicino ai confini nord del suo ma aveva forzato se stesso oltre limiti di sopportazione che non aveva mai sperimentato prima. Non c’era una singola notte in cui non volasse verso le crudeli Terre del Nord per cercare di ritrovare ciò che aveva perduto e, all’alba, tornava dove i suoi uomini e la sua gente avevano bisogno di lui, anche se questo significava sottoporre il suo corpo ad una fatica insostenibile.
Incontrò un paio di guardie che si davano il cambio per il sorgere del sole. Lo salutarono con rispetto e lo lasciarono andare: era il più potente alleato di Seijou e non avrebbero mai osato guardarlo con sospetto. Wakatoshi, però, sapeva di avere un aspetto molto diverso da quello che era solito mostrare. Le spalle curve, il viso pallido e il respiro pesante di chi non riesce a riprendere fiato dopo una lunga corsa.
Arrivò alle scale che conducevano ai piani nobili e dovette sorreggersi al muro di pietra per salire le scale. Strinse i denti ingoiando tutto il disprezzo che provava per se stesso e per quella debolezza che non sarebbe dovuta appartenergli. Aveva puntato alla cima del mondo e l’aveva fatta sua ma non poteva mostrare simili fragilità umane se contava di continuare a stringerla nel pugno, se voleva ritrovare Tsutomu e Satori…
“Wakatoshi?”
Il Re dell’Aquila trattenne il respiro per un istante, poi sollevò gli occhi e non fu affatto felice d’incontrare quelli grandi e scuri del Re Demone. Era l’ultima persona da cui avrebbe voluto farsi vedere così.
Si staccò dal muro e la forza del suo orgoglio sembrò sufficiente a farlo stare in piedi. “Buongiorno, Tooru…” Voce atona, viso inespressivo. Per lui era tutto naturale.
Tooru, però, era stato graziato da un’intelligenza troppo sottile per poter cadere in un inganno tanto infantile. Scese le scale che li superavano lentamente, concedendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno per studiarlo e Wakatoshi si sentì esposto sotto il giudizio di quegli occhi scuri. Nulla che non avesse già provato ma non sentì alcun brivido caldo correre lungo la sua schiena in quell’occasione: doveva essere davvero disperato se nemmeno gli occhi di Tooru riuscivano più a fargli sentire qualcosa.
“Tu non stai bene…” Non era una domanda.
“Ho passato la notte fuori,” rispose. Vago, impreciso. Fu una pessima mossa: il Re Demone non si sarebbe accontentato di questo.
Tooru abbassò gli occhi, poi allungò una mano per stringere la sua. Fu un istante e la ritrasse. “Sei gelido,” commentò inarcando le sopracciglia.
“Sono stato fuori tutta la notte, te l’ho detto.”
“È estate, Wakatoshi.”
Il Re dell’Aquila si arrese all’evidenza che non se ne sarebbe potuto andare senza dirgli qualcosa. “È estate qui,” sottolineò, poi fece appello a tutta la sua forza e lo superò. “Vado a riposare. Non farmi venire a cercare prima che mi presenti da me.”
Tooru, però, non aveva mai lasciato una questione aperta in vita sua, a costo di rimetterci. “Hai volato fino alle Terre del Nord, non è vero?”
 Wakatoshi si bloccò. “Anche se fosse?”
“Lo stai cercando?”
Fu la sorpresa nella voce di Tooru ad indurre il Re dell’Aquila a voltarsi. “Lo dici come se fosse qualcosa di strano…”
La colpa rese grandi gli occhi del Re Demone per un istante, poi si umettò le labbra e tornò ad essere il vecchio e sicuro se stesso. “Lo fai da molto?”
“L’ho fatto fin dal principio, se t’interessa.”
E il viso del Re Demone s’illuminò di nuovo per la sorpresa. Wakatoshi si sentì quasi offeso da una simile reazione. “Hai davvero pensato che avrei abbandonato mio figlio?”
L’espressione di Tooru si fece dura. “Ti conosco come Re e, sebbene per ragioni spiacevoli, so che genere di compagno sei… Tutto quello che so di te come padre l’ho dedotto da ciò che ho visto nel corso della storia di cui siamo protagonisti.”
Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Eita voleva per nostro figlio un padre come quello del tuo,” spiegò. “Lo amavo. Amare Tsutomu è stato più facile di quello che pensavo…”
“Facile?” Domandò Tooru come se fosse una parola poco consona alla conversazione.
Naturale…” Si corresse il Re dell’Aquila.
“Già…” Tooru annuì un paio di volte. “Naturale, forse… Facile sicuramente no.”
Wakatoshi si concesse un istante per guardarlo. Era vestito semplicemente, l’arco e la faretra appesi alla schiena: doveva essersi svegliato presto per allenarsi.
“Posso fornirti alcune decine di uomini per aiutare nelle ricerche,” propose Tooru.
Wakatoshi lo fissò dritto negli occhi. “A te non interessa nulla della vita di mio figlio.”
“Sono quasi morto per permettere a te ed Eita di concepire quel moccioso,” gli ricordò Tooru con voce velenosa. “Sfortunatamente è il fanciullo meno piacevole che abbia mai camminato in queste terre ma non biasimo Eita per questo, deve averci messo tutto se stesso nel tempo che gli è stato concesso con lui.”
Il Re dell’Aquila percepì l’insulto nascosto in quelle parole ma decise d’ignorarlo.
“Tuttavia, mi fa comodo che resti vivo,” concluse Tooru. “Esattamente come a te farebbe comodo che il mio non lo fosse.”
Wakatoshi lasciò andare un sospiro. “Nulla di quelle profezie ha più senso, ormai. Tutto partiva dal fatto che io non avevo un figlio e tu eri destinato a darne alla luce uno capace di cambiare la storia di questi Regni.”
“Hai ragione,” Tooru annuì. “Per questo mi fa comodo che tu continui ad averlo quel figlio.”
Il Re dell’Aquila non fece in tempo ad aggiungere nulla. Dei passi svelti riecheggiarono lungo la scalinata e Tobio comparve sul pianerottolo sopra di loro in un lampo. Sembrava di fretta ma si bloccò come li vide.
“Buongiorno, mio Principe,” disse Tooru con un sorriso gentile.
“Buongiorno…” Rispose Tobio scendendo ancora qualche gradino, lo sguardo dubbioso fisso sul viso del loro ospite.
“Stai andando a prendere il piccolo Shouyou per il primo giorno di allenamento?” S’informò il Principe Demone.
“Sì…”
Non appena gli fu abbastanza vicino, Tooru allungò una mano ed aggiustò un ciuffo di capelli corvini dietro il suo orecchio. “Comportati bene con il nostro piccolo Principe, mi raccomando.”
Tobio annuì, lanciò un’ultima occhiata silenziosa al sovrano loro ospite, poi sparì in fondo alle scale ed uscì nel cortile interno. Tooru sospirò. “Accetta il mio aiuto, Wakatoshi,” insistette. “Il motivo per cui questa alleanza funziona è perché entrambi abbiamo un futuro sicuro per i nostri Regni e lo sappiamo bene. Non è gentilezza la mia, il tuo orgoglio può considerarsi intoccato.”
Il Re dell’Aquila sapeva di star mostrando una debolezza pericolosa di fronte ad un alleato tanto potente ma Tooru aveva agito da genitore fin dal giorno in cui, da solo e quasi sconfitto, lo aveva messo in ginocchio confessandogli di aspettare il figlio del Cavaliere che aveva cercato di uccidere con le sue stesse mani. Sì, era stato naturale amare Tsutomu quando Eita glielo aveva messo tra le braccia, come era altrettanto naturale che quella sarebbe divenuta la sua più grande debolezza.
“Accetto il tuo aiuto, Tooru…”
 
 
***
 
 
Era brillante il sole d’estate in quella mattina d’inizio luglio ma non avrebbe mai potuto eguagliare la luce degli occhi di Shouyou.
“Che cosa ti ha insegnato tuo padre?” Domandò Tobio camminando un paio di metri avanti a lui, l’arco e la faretra appesa ad una spalla, una sacca con gli strumenti per il loro addestramento appoggiata all’altra. Shouyou non aveva idea di dove lo stesse guidando ma non era così importante in confronto all’idea che stava per essere addestrato per divenire un vero Cavaliere. “Mio padre non dedicava molto tempo al mio addestramento,” ammise con un sorriso: se Tobio doveva renderlo un guerriero era giusto essere sincero con lui riguardo alla sua formazione. “Alle volte, d’inverno, mi permetteva di allenarmi con lui nel cortile interno... Gli inverni sono molto freddi a Karasuno e capita di restare intere settimane chiusi all’interno del castello. Penso lo facesse più per farmi svagare che per vero e proprio interesse ad addestrarmi.”
Accennò un sorriso: in realtà, ogni volta che suo padre gli metteva una spada in mano, aveva sempre sperato che gli sarebbe stata data la possibilità che tanto aspettava. Non si accorse che Tobio si era fermato e gli andò a sbattere contro. “Ehi!” Esclamò preso di sorpresa.
Gli occhi blu lo guardavano dall’alto con fare sospettoso. “Perché non ci ha mai nemmeno provato?” Domandò. “Quel piccoletto... Yuu?”
Shouyou annuì. “Sì, Yuu.”
“Penso sia anche più piccolo di te, eppure mio padre mi ha assicurato che si è fatto valere durante la guerra contro Shiratorizawa.”
“Yuu è un grande!” Esclamò Shouyou con orgoglio. “Tutti i Cavalieri della generazione dei miei genitori lo sono!”
Tobio annuì e continuò a camminare. “Mio padre mi racconta storie su di loro qualche volta,” ammise. Shouyou lo affiancò guardandolo con interesse. “E che cosa dice?”
Il Principe Demone scrollò le spalle. “Niente che mi aiuti a capire perché tu non abbia ricevuto nemmeno un addestramento base.”
Shouyou scrollò le spalle. “A cosa ti serve scoprirlo?”
“Sei cresciuto circondato da Cavalieri degni di questo nome, anche se Karasuno è un Regno pacifico,” disse Tobio. “E davvero nessuno di loro è riuscito a tirar fuori quello che hai mostrato ieri in quel cortile?”
Shouyou strinse le labbra ed abbassò lo sguardo. “Quello che è successo ieri non è così importante.”
“Per una volta, hai ragione.”
Gli occhi d’ambra si sollevarono di colpo ma Tobio continuò a guardare di fronte a sé. “Non posso addestrarti partendo da una cosa che è successa una volta e non so quando si ripeterà,” fece una smorfia. “Immagino che tu non abbia nemmeno idea di come hai fatto a scatenarlo.”
Shouyou ci pensò ma poteva sentire quelle emozioni sulla pelle come se lo avessero ustionato, marchiandolo con cicatrici invisibili. “Rabbia...”
Tobio si fermò e lo fissò.
“Penso che dipenda dalla rabbia,” chiarì Shouyou.
“Rabbia...” Ripeté Tobio. “Non ti piace, vero?”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Perché lo pensi?”
“Per l’espressione che stai facendo...” Il Principe Demone riprese a camminare. “In ogni caso, se è la rabbia a scatenare quella forza, non ci serve.”
“Ah, no?” Domandò Shouyou confuso.
Tobio sbuffò. “No, la rabbia al massimo può aiutarti a farti ammazzare. Se fosse stato uno scontro reale, ti saresti ritrovato con la testa staccata dal collo.”
Shouyou ingoiò a vuoto.
“La forza non è il tuo forte,” disse Tobio con un sorrisetto. “Ma credo di sapere cosa potrebbe esserlo...”
 
 
***
 
 
Tooru era radioso.
Tanto radioso che per Hajime era difficile guardarlo senza desiderare di prenderlo a calci. Sua Maestà si stava allenando nei giardini reali ed il Cavaliere se ne stava lì in piedi come un perfetto idiota perché il bastardo l’aveva fatto chiamare venti minuti prima ma ancora non si era degnato nemmeno di guardarlo.
Dopo l’ennesimo centro perfetto, Tooru abbassò l’arco e si passò una mano tra i capelli castani simulando un sospiro stanco: Hajime l’aveva trascinato via da allenamenti disumani e sapeva che tirare ad un bersaglio immobile nel loro giardino era praticamente un gioco per passare il tempo.
“Che bella giornata, vero, Hajime?” Domandò rivolgendogli uno di quei suoi sorrisi solari che, un tempo, erano capaci di renderlo la cosa più bella del mondo ma, ora, il Cavaliere non vedeva alcuna bellezza in tutta quella falsità.
“Che cosa vuoi, Tooru?” Domandò visibilmente annoiato.
“Oh, Daichi non avrà tempo di duellare con te, oggi,” gli fece notare. “Sarà troppo occupato a preoccuparti dell’inevitabile!”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Che inevitabile?”
Tooru scrollò le spalle con un sorrisetto innocente. “Due adolescenti nella foresta...” Ridacchiò e per Hajime fu come un cigolio insopportabile. “Il nostro Tobio non è poi così ingenuo come credevamo. Speriamo che il piccoletto non torni con qualche segno evidente o Koushi dovrà passare una lunga serata a cercare di calmare il suo consorte.”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tobio non farà nulla di quello che tu stai sperando.”
“Certo!” Esclamò guardandolo scandalizzato.
Il Cavaliere non ricordava l’ultima volta che si era comportato in modo tanto idiota.
“Ci manca solo che il mio erede alzi le mani su di un Principe appena arrivato in visita alla prima occasione!” Tooru si lasciò cadere a sedere sull’erba e guardò il cielo terso sopra di loro. “Inoltre, non do tutta questa fiducia a Tobio.” Ridacchiò, poi il suo sorriso divenne più dolce. “Diamogli tempo, l’innocenza della loro età farà il resto...”
Hajime si sorprese per quella espressione. “Sei sincero...”
Tooru lo guardò confuso.
“Quel sorriso era sincero.”
Gli angoli della bocca del Re Demone si sollevarono di nuovo ma la genuinità di quell’espressione si era persa. “Anche le mie speranze lo sono...” Disse, poi sollevò gli occhi scuri sul Cavaliere in piedi al suo fianco. “Ah, ho mandato un paio di decine dei nostri uomini, capitanati da Issei e Takahiro, verso le terre del Nord.”
Hajime passò dall’essere piacevolmente sorpresa ad iracondo nel tempo di un battito di ciglia. “Che cosa?!” Esclamò allibito.
Tooru scrollò le spalle come se fosse una questione della minima importanza. “C’è un Principe ufficialmente disperso e non mi posso permettere che il suo Re recuperi un cadavere, così ho deciso di contribuire alle sue ricerche in qualche modo.”
Gli occhi verdi di Hajime divennero grandi. “Il Principe dell’Aquila è ufficialmente disperso?”
Tooru fece una smorfia. “Nessuno ha mai annunciato ufficialmente la sua nascita, figuriamoci se suo padre si scomoda ad ammettere che lo ha perso per strada.”
Hajime non riusciva a capire: vedeva Wakatoshi tutti i giorni, pur non volendolo. Lo incrociava nel cortile del Castello Nero con i suoi uomini, lo trovava in compagni di Tooru e, alle volte, era anche costretto a rivolgergli la parola ma non gli era apparso mai diverso dal freddo, distaccato se stesso. “Come diavolo fa?”
“A fare cosa?”
“A reggersi in piedi, tanto per cominciare!” Esclamò il Cavaliere scandalizzato. “Suo figlio potrebbe essere morto e lui si presenta come ospite d’onore per la tua festa di compleanno?”
“Festa di compleanno usata come scusante per indurre il nostro Principe e scegliere il suo consorte.”
“E questo cosa cambia?” Domandò Hajime. “Tsutomu non è un Omega, non è niente. Wakatoshi non ha nulla da presentare a Tobio per questo scopo e la sua presenza qui è semplicemente di facciata in quanto tuo alleato.”
Tooru lasciò andare una risatina diabolica. “Hai perfettamente ragione, mio Cavaliere,” disse sollevandosi in piedi. “Il piccolo pulcino di Shiratorizawa non è niente…” Gli occhi scuri si fissarono in quelli verdi. “Immagina come l’equilibrio del potere potrebbe cambiare se Tobio, invece, decide di far sua una creatura che sia tutto.”
Gli occhi di Hajime si fecero gelidi. “Sono un essere pessimo…”
Tooru rise. “Ho bisogno che Shiratorizawa continui ad avere il suo erede. Sono quasi morto perché quel moccioso venisse al mondo, per poi tacere sul resto… Non mi serve che Wakatoshi riporti a galla certe vecchie e superate questioni.”
“E chi potrebbe fermarlo, ora?” Domandò Hajime.
Tooru fissò il vuoto per un istante, poi cercò di nuovo gli occhi del Cavaliere con l’intima speranza di aver mal interpretato le sue parole.
Hajime scrollò le spalle con un’aria tanto indifferente da far male. “Se il peggio dovesse avverarsi ed il Re dell’Aquila decidesse di venir a cercare un altro erede da te, chi lo fermerebbe? A parte un tuo no, ovvio ma tu non sei il tipo da ripeterti, Tooru, ti piace troppo sorprendere il tuo pubblico…”
Tooru strinse le labbra per un istante. “Non diresti nulla nemmeno per il bene di Tobio?”
“Il bene di Tobio?” Hajime rise con sarcasmo. “Se uniste le due corone ufficialmente, Tobio sarebbe un primogenito erede al trono sia per Shiratorizawa che per Seijou e sarebbe una mossa molto stupida da parte di Wakatoshi. Nel peggiore dei casi, Tobio continuerebbe ad essere il futuro Re di Seijou mentre a te resterebbe il titolo di consorte reale di Shiratorizawa. Quindi, se la metti sotto questa luce, puoi dare alla luce tutti i bastardi politicamente comodi che vuoi, mio figlio non perde niente ed io vinco comunque.”
Tooru dovette aggrapparsi al suo orgoglio con tutta la forza che aveva per non scoppiare a piangere lì, davanti agli occhi astiosi del Cavaliere che, un tempo, era quasi morto per poter tornare da lui.
Hajime gli rese le cose più facili. Si voltò e sparì all’interno del Castello Nero senza dire un’altra parola.
 
 
***
 
 
“Dobbiamo camminare ancora per molto?” Domandò Shouyou.
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Smettila di lamentarti...”
“È la prima volta che parlo da ore.”
“Saranno passati al massimo dieci minuti.”
Shouyou si guardò intorno: gli alberi della foresta erano tanto alti e dalle chiome tanto fitte che a stento la luce del sole riusciva a filtrare lì sotto. “Quanto è grande questa foresta?”
“Circonda il Castello Nero per chilometri,” rispose Tobio. “E l’attraversa solo la strada da cui sei arrivato insieme alla tua famiglia.”
Wow...” Mormorò Shouyou incantato. “Ce ne sono di foreste sulle nostre montagne ma non con alberi tanto vecchi. Tu l’hai esplorata tutta?”
“Sì...”
“Davvero?” Shouyou recuperò subito le energie e gli si affiancò ancora una volta. “Prima della fine dell’estate, mi porterai a vederla tutta?”
Tobio lo guardò con sufficienza. “Ma se cominci a lamentarti dopo meno di un’ora di marcia!”
“È che sono emozionato per questa cosa dell’addestramento,” esclamò Shouyou. “Non vedevo l’ora di cominciare quando mi sono svegliato ma l’ora sembra non arrivare mai!”
“Taci, Principe dell’impazienza, siamo arrivati.”
Shouyou sollevò gli occhi e guardò di fronte a sé con espressione incantata. “Gwaaah!”
Tobio sobbalzò ad almeno mezzo metro di distanza. “Ma la vuoi finire?!”
Il Principe dei Corvi, però, non lo ascoltava. “È bellissimo qui!” Esclamò superandolo. Tobio restò a guardarlo mentre si spostava al centro della radura e sollevava gli occhi verso il cielo. “È tanto buio tutto intorno che qui la luce sembra qualcosa da poter toccare.”
Tobio alzò gli occhi al cielo ma il piccolo idiota non aveva del tutto torto. Quello era uno dei pochi posti nel folto della foresta in cui la luce del sole penetrava con tanta forza da sembrare palpabile. Era come un magico cerchio di luce, solo senza magia.
“Oh, c’è un ruscello!” Esclamò Shouyou ed il Principe Demone lo vide inginocchiarsi sull’erba per immergere le mani nell’acqua cristallina. “Ah! Fredda!” Esclamò ridendo. Tobio rimase nascosto tra le ombre di quegli alberi secolari e l’osservò come se stesse studiando un animale selvatico che non aveva mai visto prima.
Tutto quel suo solare entusiasmo per qualsiasi stupida cosa gli dava sui nervi ma aveva anche qualcosa di familiare. Rifletté su cosa potesse essere mentre si toglieva l’arco di spalla e lo stringeva nel pugno. Lasciò cadere la sacca sull’erba e piegò il braccio all’indietro per sfilare una freccia dalla faretra, la incoccò e mirò al fanciullo che aveva di fronte.
Shouyou si chinò ulteriormente per bere dalle sue stesse mani, poi si passò le dita umide tra i capelli gettando un poco la testa all’indietro.
Tobio venne preso di sorpresa da un pensiero molesto mentre tendeva la corda dell’arco: in qualche modo, Shouyou gli ricordava il Re Demone.
Scoccò la freccia.
 
 
***
 
 
“Ripetimi perché lo abbiamo permesso.”
Koushi prese un respiro profondo e si costrinse a rimanere calmo. Si era sempre considerato un tipo piuttosto paziente e dopo quindici anni dalla nascita del suo primo figlio, Koushi poteva contarle sulle dita di una mano sola le volte che aveva Davvero perso le staffe. Daichi, però, stava portando il concetto di sopportazione tutto ad un altro livello. “Perché Tobio lo ha chiesto gentilmente,” rispose con un sorriso tanto forzato da essere inquietante. “Perché a Shouyou brillavano gli occhi e non sei stato capace di dirgli di no.”
“Me ne pento amaramente...”
“Perché sono gli eredi di due regni alleati ed è positivo che imparino a socializzare in modo costruttivo!”
“Perché urli adesso?”
“Perché non ti sopporto più!” Dichiarò il consorte reale di Karasuno senza remore. “Natsu è con Kiyoko e Hitoka, Shouyou è con Tobio e, per l’ennesima volta, non è in pericolo di vita! Ti dispiacerebbe staccare gli occhi da quella finestra per un istante e guardare me!”
Daichi si voltò con gli occhi sgranati: nemmeno la ricordava l’ultima volta che l’altro gli aveva dato addosso in quel modo. “Avevi dei progetti particolari per noi?”
Koushi gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Non lo so, Daichi. Che ragione potrei mai avere per voler restare da solo con te?”
Il Re dei Corvi si vergognò improvvisamente di sé stesso. “Scusami...” Mormorò con sincerità sedendosi sul bordo del letto accanto al compagno. “È che sono preoccupato, tutto qui.”
Koushi lasciò andare un altro sospiro stanco. “Aspetto con ansia il giorno in cui sarà Natsu a farti perdere il sonno.”
Daichi lo guardò allibito. “Non dici sul serio...”
“Sì, almeno smetteremmo di parlare di come rendere la vita di Shouyou una prigionia nel miglior modo possibile!”
“Lo facciamo per il suo bene,” Daichi prese la mano del compagno tra le sue. “Shouyou è speciale e non possiamo dimenticarlo.”
Koushi annuì con una smorfia. “Speciale...” Ripeté. “Noi lo abbiamo cresciuto come se fosse maledetto.”
 
 
***
 
 
Shouyou non avrebbe saputo come spiegarlo.
Non sarebbe stato giusto dire che aveva udito la freccia, perché Tobio era stato magistrale nel non emettere alcun rumore. Dopotutto, quale rumore avrebbe mai potuto fare una freccia che fende l’aria? Se Shouyou avesse potuto rispondere, avrebbe detto che assomigliava ad un sibilo ma molto più flebile, più difficile da riconoscere. In realtà, non sarebbe stato corretto dire nemmeno che l’aveva riconosciuto perché, in fin dei conti, nessuno gli aveva mai tirato delle frecce addosso… Anche se Kei aveva minacciato di farlo in più di un’occasione.
In conclusione, fu tutto molto caotico e veloce…
L’unico pensiero coerente che Shouyou seppe riconoscere fu che qualcosa lo stava minacciando e si stava avvicinando velocemente, molto velocemente. Il suo corpo aveva agito completamente da solo, come mosso da una forza esterna. Ogni altro rumore o sensazione era svanito…
Si era voltato ed aveva avuto il tempo di vedere la freccia che volava verso di lui, di sollevare la mano e di afferrarne l’asta.
Shouyou tornò alla realtà nel momento in cui sentì la terra mancargli sotto i piedi ed appena un battito di ciglia dopo atterrò sulla schiena dentro al ruscello, il braccio destro teso in avanti e la freccia stretta nel pugno. Non si curò dell’acqua gelida che gli stava bagnando completamente i capelli ed i vestiti. A stento riusciva a respirare. Non riusciva a staccare gli occhi da quella punta di ferro, fino a che la rabbia non ebbe il sopravvento. “Tobio!” Urlò e diversi uccelli nelle vicinanze si alzarono in volo, spaventati dalla sua voce iraconda. Shouyou si alzò in piedi, sebbene le gambe gli tremassero terribilmente. “Che… Che…” Non riusciva nemmeno a dire una frase di senso compiuto. “Che cosa ti è saltato in testa?! Sei completamente impazzito?! Devi essere folle per metterti a fare cose simili?! Avevi intenzione di uccidermi?!” Quando ebbe finito, Shouyou era tanto senza fiato che dovette ingoiare aria per evitare di soffocare. Il suo cuore non accennava a calmarsi ma non riuscì a dire altro, non perché gli mancasse il fiato ma perché l’espressione di Tobio era assurda almeno quanto il gesto che aveva appena compiuto.
Gli occhi blu erano spalancati ma ancor di più lo era la bocca.
Shouyou dubitava riuscisse a respirare bene in quel modo e, per un attimo, rimase a chiedere a se stesso se fosse meglio destarlo dal suo stato di shock, oppure lasciare che soffocasse nel suo stesso sbigottimento e vendicarsi del tentato omicidio a cui era scampato.
Tobio non gli concesse la soddisfazione di fare una scelta.
Lo sconcerto sul suo viso venne presto sostituito da un’ira folgorante e Shouyou sentì la rabbia scivolare via da sé in favore di un ben più familiare timore. Tobio lasciò cadere l’arco a terra e si avvicinò con passi veloci. La freccia cadde dalle dita di Shouyou che portò le braccia in avanti in un gesto d’inutile difesa. “Tobio, aspetta!” Esclamò, come se quello ad aver tentato un omicidio fosse lui. “Perché sei così arrabbiato adesso? Tobio, fermati!”
E Tobio lo fece. Si fermò proprio davanti a lui e lo guardò dall’alto al basso con quegli occhi blu raggelanti che sembravano avere il potere di trafiggerlo con lame invisibili. Il corpo di Shouyou era un pezzo di marmo, persino il respiro si era bloccato. Gli occhi d’ambra si abbassarono solo quando videro la mano dell’altro muoversi per afferrare l’elsa della spada.
“Tobio?”
Il Principe Demone estrasse la lama ad una velocità tale che Shouyou sarebbe stato squarciato in due se non avesse avuto la prontezza di tirarsi indietro. Cadde di nuovo nelle acque del ruscello ma fu svelto a tirarsi in piedi quella volta. “Tobio!” Lo chiamò spaventato mentre il Principe Demone esauriva di nuovo la distanza tra loro. “Tobio, sono disarmato!” Esclamò come se non fosse abbastanza evidente.
Il Principe Demone continuò a fissarlo come se fosse un insetto da schiacciare. “Lo so…” Replicò e sollevò di nuovo la spada.
“Tobio!” Shouyou evitò il colpo ancora una volta. Inciampò nei suoi stessi piedi ma recuperò l’equilibrio all’ultimo.
Che cosa stava succedendo? Che cosa diavolo stava succedendo?
“Tobio, se ti ho umiliato in qualche modo, io…”
Certo che lo aveva umiliato! Aveva vinto un duello contro di lui senza possederne le capacità. Aveva sconfitto il Principe Demone di fronte alla sua stessa corte ed all’interno della sua casa.
“Smettila d’invocare pietà e reagisci!” Sbottò Tobio sferzando un altro colpo.
Shouyou riuscì a sottrarsi al suo raggio di azione ancora una volta ma si ritrovò con la schiena premuta contro il tronco di un albero a lato della radura. “Tobio, fermati! Fermati!”
Gli occhi blu del Principe Demone erano oscuri, glaciali. “Fermami tu,” sollevò la spada ancora una volta.
“Tobio, fermati! Fermati!”
Accadde di nuovo. Accade come il giorno prima nel cortile del Catello Nero. Di colpo, tutto il panico che aveva stretto il petto di Shouyou in una morsa scomparve ed il suo cuore prese a battere ad un ritmo più lento, quasi sereno. Abbassò le mani che aveva sollevato in un inutile tentativo di difendersi e guardò il suo nemico dritto negli occhi.
Da parte di Tobio, fu tutto troppo veloce per poterne cogliere i dettagli ma sapeva cosa stava cercando e lo trovò lì, per il tempo che servì alle ciglia di Shouyou di chiudersi e riaprirsi e mostrargli il mostro che aveva avuto l’ardine di attaccarlo sotto gli occhi di decine di testimoni ma che solo lui era riuscito a vedere.
Il Principe Demone si ritrovò con la schiena contro il terreno erboso, le sue dita lasciarono andare l’elsa della spada e questa gli venne sottratta prima che potesse avere i riflessi per ribellarsi. Quando gli occhi blu si aprirono di nuovo, la lama che era stata brandita da tutti i signori della casa reale di Seijou scintillava come cristallo sopra il suo viso ma non poteva eguagliare la luce che animava gli occhi di Shouyou.
L’ambra delle sue iridi sembrava pulsare, come se dietro vi fosse divampato un fuoco. Le pupille si erano fatte strette, minacciose come quelle di un rapace pronto a calare sulla propria preda, pronto a toglierle la vita velocemente, in silenzio.
Gli occhi di un predatore del cielo.
Tobio, però, non provò alcun timore. Forse, si sentì affascinato…
Il tempo di un respiro e Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte, come se si fosse appena ridestato da un sogno ma il terrore che comparve in quegli occhi di nuovo ambrati era troppo evidente perché non rammentasse quanto era appena accaduto. Tobio ebbe l’impressione che stesse per scoppiare a piangere. Afferrò la lama sopra al suo viso senza stringere e la gettò a terra prima che Shouyou provasse a reagire in qualche modo. Gli occhi d’ambra guardarono la lama confusi e Tobio ne approfittò per ribaltare le loro posizioni.
Shouyou lasciò andare un piccolo grido sorpreso, mentre si ritrovava con la schiena a terra, i polsi bloccati ai lati della testa dalle mani di Tobio. Gli occhi blu di lui fissi sui suoi, taglienti come lame di ghiaccio. “Perché piangi?”
Shouyou voltò il viso di lato in un vano tentativo di nascondersi.
“Rispondimi!” Ordinò Tobio con fermezza.
Shouyou trasalì e chiuse gli occhi per un istante, poi sollevò le palpebre e si costrinse a guardare in faccia il Principe Demone. “Lo hai fatto a posta,” disse quasi sibilando, peccato che la voce gli tremasse troppo per suonare minacciosa. “Sapevi che sarebbe successo e non ti sei fermato fino a che non è accaduto.”
Non c’era nemmeno un’ombra di colpevolezza nell’espressione di Tobio. “Dovevo assicurarmi che quello che ho visto ieri in quel cortile fosse vero.”
“E che cosa hai ottenuto, eh?” Domandò Shouyou con rabbia. “Stavi per uccidermi ed io stavo per uccidere te! Ecco cosa!”
“Non ti avrei mai ucciso,” replicò Tobio con calma lasciandogli andare le mani e sedendosi sull’erba, accanto a lui. Shouyou si sollevò a sua volta. “Mi hai quasi colpito con una freccia!”
“Non ti avrei mai colpito,” disse Tobio. “La freccia ti sarebbe passata accanto e sarebbe finita in acqua, se non l’avessi fermata.”
“Potevi sbagliare!” Sbottò il Principe dei Corvi.
Tobio lo guardò come se lo avesse appena offeso nell’orgoglio. “Io non sbaglio mai,” disse come se fosse una verità assoluta. Shouyou non sapeva quantificare la rabbia che provava in quel momento: voleva picchiarlo, voleva fargli male e non era un desiderio che gli era familiare. Non aveva mai voluto del male a nessuno, in vita sua, nemmeno a quell’antipatico di Kei ma il Principe Demone lo aveva volutamente forzato a tirar fuori una parte di sé che non gli piaceva, che detestava. Shouyou si sentiva scoperto… Violato…
Si alzò in piedi e si voltò.
“Dove te ne vai?” Domandò Tobio con voce annoiata.
“Avevi detto che non mi avresti mai fatto usare un potere che non posso controllare per combattere!” Urlò Shouyou tornando a guardarlo. Piangeva ma, ormai, che senso aveva nasconderlo? “Avevi detto che la rabbia mi avrebbe fatto solo uccidere.”
Tobio annuì. “È vero…”
“Allora perché?!” Shouyou non riusciva a capire. “Hai detto che la forza non era il mio forte! Va bene, lo accetto! Però, hai anche detto di avere un’idea di cosa potesse esserlo!”
“Velocità…”
Shouyou si calmò di colpo e sbatté le palpebre un paio di volte confuso. “Velocità?”
Tobio si alzò in piedi. “Con la prima sferzata che ti ho riservato, ho disarmato tutti i Cavalieri della mia generazione senza nemmeno sudare. Tu l’hai vista, ti sei scansato. Mi hai tenuto testa disarmato, sebbene solo per qualche secondo…”
“Credevo che mi stessi uccidendo!” Sbottò Shouyou rabbioso.
“Lavoreremo su quella,” concluse Tobio raccogliendo la sua spada e facendola scivolare dentro al fodero. “Non importa se hai di fronte un energumeno di due metri, se sai usare la velocita e sai dove colpire, anche il Cavaliere dal braccio più forte dei Regni liberi dovrà temerti.”
Gli occhi di Shouyou si fecero di nuovo grandi, speranzosi.
“Ciò non toglie che allo stato attuale fai particolarmente schifo…”
La rabbia tornò come un’onda un’improvvisa e Shouyou dovette stringere pugni e denti per trattenersi dal gettarsi addosso al Principe Demone con tutto il peso del corpo. Poteva anche essere il doppio di lui in altezza ma, se prendeva abbastanza velocità, poteva pur sempre scaraventarlo a terra e sperare che si spaccasse la testa nel processo.
“Shouyou…”
Il Principe dei Corvi sobbalzò appena: non ne era completamente certo ma credeva che quella fosse la prima volta che l’altro lo chiamava per nome così. Gli occhi blu si spostarono sui suoi ma, per una volta, non erano minacciosi. “Tu sei un Demone o qualcosa del genere?” Domandò Tobio con sincera curiosità.
Il silenzio che calò fu a dir poco imbarazzante. Shouyou prese a giocherellare con l’orlo della sua tunica passando gli occhi d’ambra da una parte all’altra. “E me lo chiedi con quella faccia?”
Tobio s’irritò immediatamente. “Di che faccia stai parlando?”
“Come se fosse una cosa completamente normale…”
“Per me lo è, sono figlio di un Demone, ricordi?”
“Sì,” Shouyou annuì. “Io no, però!” Esclamò forzando un sorriso.
“Non significa niente,” replicò Tobio. “La magia non segue regole fisse. Se ce l’hai nel sangue, ce l’hai nel sangue, punto!”
“Forse ma i miei genitori sono persone completamente normali, i miei nonni anche, e…”
“Discendi dal Principe Corvo, no?”
Shouyou sgranò gli occhi a quelle parole e serrò i pugni sull’orlo della tunica, tanto per reggersi a qualcosa. Gli sarebbe stata più utile una fossa in cui seppellirsi, in realtà. Tobio continuava a guardarlo come se l’argomento della loro conversazione fosse completamente comune e non una questione di vita o di morte come Shouyou era stato educato a pensare. Certo, Seijou era un Regno di Demoni e la magia non era cosa rara in quelle terre, senza contare che avevano anche un Mago di corte ma… I suoi genitori gli avevano raccomandato di non parlare del suo dono con nessuno, che sarebbe stato pericoloso se ne fossero venute a conoscenza le persone sbagliate. “È…” Si umettò le labbra. “È solo una leggenda…” Forzò un altro sorriso.
Tobio inarcò le sopracciglia confuso. “Da bambino ne parlavi come se fosse il tuo credo.”
Shouyou strinse le labbra: ci mancava solo che quell’antipatico ricordasse a memoria ogni singolo minuto dei pochi incontri che avevano avuto durante l’infanzia! Erano passati anni, in fin dei conti! Chi mai avrebbe ripensato ad un episodio di quando era bambino al punto da ricordarselo tanto lucidamente?
”Fino alla cima del mondo?”
Shouyou sgranò gli occhi e trattenne il respiro per un istante.
”Fino alla cima del mondo!”
Già… Tobio si era ricordato anche quello.
Scrollò le spalle. “Le persone crescono…” Riprovò.
Il Principe Demone non sembrò esserne affatto convinto. “Tu mi nascondi qualcosa…”
La pressione di quegli occhi blu era più minacciosa della lama della sua spada e Shouyou dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non tradirsi da solo. “Non sono un Demone,” era la pura e semplice verità. “Non lo so cosa sono…” Abbassò lo sguardo.
Aveva detto troppo, pur non dicendo nulla ma era stato sincero e Tobio se ne rese conto. “Quindi… Ammetti di essere qualco…?”
“Ti ho detto che non lo so!” Lo interruppe Shouyou con forza. “Lo so che non è normale, va bene? Quello che ho fatto nel cortile ieri, quello che ho fatto qui poco fa… So che non è normale ma non so che cos’è!”
In fin dei conti, non stavano parlando del suo potere di trasformarsi in un corvo e, quindi, a rigor di logica, non stava disubbidendo ai suoi genitori. Loro nemmeno erano consapevoli di quella parte del suo potere, comunque ed era meglio che ne restassero all’oscuro… Sempre ammesso che non avessero dato un nuovo significato agli eventi del giorno precedente e avessero tirato da soli le loro conclusioni.
Suo padre sarebbe potuto impazzire se avesse scoperto che poteva tirare fuori una forza fuori dal comune se sotto l’effetto della rabbia.
“Allora dobbiamo scoprirlo,” concluse Tobio.
Shouyou sgranò gli occhi. “Lo fai ancora?” Domandò basito. “Prima dici che non vuoi sfruttare una capacità che non so controllare ed ora vuoi che la conosca?”
“Precisamente…”
“E che ne è della velocità?”
“Lavoreremo anche su quella.”
“Non possiamo lavorare solamente su quella?”
Tobio gli andò vicino e Shouyou lo guardò come se stesse per estrarre di nuovo quella spada senza preavviso e tagliargli un arto. “Tu hai paura, vero?” Domandò il Principe Demone con un ghignetto derisorio.
Shouyou lo fissò offeso. “Prego?”
“Quel lato di te non ti piace perché è la rabbia a scatenarlo e la rabbia può essere pericolosa.”
Il Principe dei Corvi ebbe la netta sensazione di star parlando con un perfetto idiota. “Proprio per questo dobbiamo evitare che lo usi, non credi?” Domandò sollevando gli angoli della bocca in una smorfietta eloquente.
“Vuoi divenire un Cavaliere?”
“Sì!” Esclamò Shouyou esasperato. “Per questo m’insegnerai ad usare la mia velocità!”
“Senza dubbio e sinceramente mi chiedo come un inetto ambulante come te possa essere stato graziato da riflessi invidiabili come quelli…”
“Ecco che ricominciamo coi complimenti,” gli occhi d’ambra si alzarono verso il cielo.
“Tuttavia, non posso ignorare il resto,” concluse Tobio.
“Ma tu hai detto che…!”
“Ho cambiato idea, idiota! Smettila di ripetermi quello che ho detto! Perché pensi che ti abbia portato qui? Perché mi sei simpatico… Credimi, non lo sei!”
Shouyou si morse il labbro inferiore con forza e pensò che il sentimento era completamente ricambiato.
“Ti ho portato qui perché ieri ho visto qualcosa nei tuoi occhi!” Tobio sollevò la mano destra e picchiettò l’indice contro la fronte dell’altro. Shouyou scostò quella mano da sé con una smorfia. “La stessa cosa che ho visto oggi con più chiarezza. Ti ho chiamato mostro e non l’ho fatto per offenderti.”
“Lo fai ogni volta che lo ripeti, però.” Gli fece notare Shouyou.
“Facci l’abitudine,” disse Tobio superandolo. “È un titolo con cui convivo da tutta la vita…”
 
 
***
 
 
Koushi lo giurava sulla vita dei suoi figli, se fosse tornato in camera ed avesse trovato Daichi ancora impalato davanti alla finestra a fissare il vuoto con aria inquietante, Karasuno avrebbe dovuto organizzare una nuova incoronazione prima del tempo. L’irritazione era tale che nemmeno si accorse che qualcuno stava camminando lungo il corridoio in senso opposto e l’urto fu inevitabile.
“Oh! Mi dispiace!” Esclamò il consorte reale di Karasuno educatamente voltandosi per assicurarsi che nemmeno l’altro si fosse fatto male. Lo conosceva. “Tooru?”
Il Re Demone lo guardò confuso, gli occhi scuri erano stanchi, rossi. Koushi pensò che nemmeno lui doveva averlo visto. Tooru non esitò a forzare un sorriso. “Koushi!” Disse con allegria perfettamente simulata. “I ragazzi sono già tornati?” Domandò.
Koushi scosse appena la testa. “No…”
“Oh! Meglio così!” Esclamò Tooru. “Si saranno trovati bene in compagni l’uno dell’altro e saranno rimasti più a lungo!”
“Può darsi,” Koushi continuava a studiare il viso dell’altro con espressione sospettosa. “È successo qualcosa?” Domandò.
Tooru reclinò la testa da un lato. “Perché me lo chiedi?”
“Perché hai la faccia di uno che ha pianto fino a sfinirsi,” rispose Koushi senza girarci troppo intorno.
Gli occhi scuri del Demone divennero grandi, poi il suo sorriso si trasformò in una smorfia amara. “Pensavo non mi conoscessi più…”
“Non ti conosco,” concordò Koushi. “Il Tooru che conoscevo io non avrebbe mai minacciato mio figlio per convincermi a spingerlo verso un matrimonio di convenienza.”
“Non ho minacciato il tuo pulcino di corvo in alcun modo,” replicò Tooru. “Mi sono limitato a dire la verità. Per la cronaca, il Re dell’Aquila teme seriamente per l’incolumità del suo erede. Ho mandato dei miei uomini al nord a cercarlo e mi auguro finisca bene ma, in caso contrario…”
Koushi fece finta di non capire a quello che stava alludendo. “Che cosa ti è successo?” Chiese, invece. La sua poteva passare come educata preoccupazione ma, in verità, c’era un poco di crudeltà in quella domanda: spingere qualcosa a parlare di ciò che fa male non è mai piacevole.
Tooru, però, aveva molta più esperienza di lui con quel genere di armi. “Ho visto la tua bambina giocare nei giardini con due delle tue dame,” disse. “L’erede al trono è con il mio… Che cosa ti spinge fuori dalle tue stanze proprio ora che hai occasione di starvi chiuso dentro per una ragione piacevole?”
Sì, il Re Demone sapeva essere molto sgradevole quando voleva e in quella precisa occasione aveva toccato proprio il centro dell’irritazione di Koushi. “Daichi è un padre molto protettivo
Tooru ridacchiò. “È un modo carino per dire che è incollato alla finestra in attesa che il suo Principe rientri?”
Koushi preferì non dirgli quanto aveva ragione.
“Vieni, pranziamo insieme. Ti va?”
“No…”
“Lo sospettavo,” rispose Tooru soddisfatto. “Tuttavia, abbiamo una discussione in sospeso che riguarda i nostri figli, no?”
Koushi non aveva temuto nulla quando era partito dal Regno di Karasuno con la sua famiglia per giungere fino a lì, al Castello Nero di Seijou. Avrebbe anche potuto accettare che la presenza di Shouyou fosse stata gradita ad un ballo a cui il Principe Demone avrebbe dovuto scegliere il proprio consorte ma mai avrebbe pensato di ritrovarsi incastrato in una simile situazione.
“Accetto l’invito,” disse con un sospiro.
 
 
Per fortuna di Koushi, c’era un intero tavolo tra loro: non credeva sarebbe stato saggio non mettere alcun ostacolo tra sé ed il Re Demone quando la questione in sospeso era tanto delicata, troppo per la sua buona educazione.
“Spero che sia stato tutto di tuo gradimento,” disse Tooru con un gran sorriso.
“Sì…” Rispose Koushi freddamente. L’altro era stato abile a voler rimandare la loro discussione fino a pranzo finito: la tensione era sempre stata un’arma che Tooru sapeva usare a suo vantaggio e Koushi doveva ammettere di non possedere la personalità giusta per prendere parte ad un intrigo di corte come quello che stava andando avanti tra lui ed il Re Demone.
“Siamo ottimisti, Koushi,” propose Tooru. “Diciamo che entro la sera di questo ballo il tuo Shouyou si affezioni al mio Tobio e decidesse di passare qui il resto dell’estate?”
“Se fosse suo desiderio…” Rispose Koushi.
“E mettiamo che per la fine dell’estate nasca qualcos’altro…”
“Sono sentimento loro, Tooru, non è affar nostro prevedere come si evolveranno.”
“Su questo ci siamo già confrontati,” gli ricordò il Re Demone. “Ma facciamo finta che accada ciò che è stato predetto… Diciamo che Tobio e Shouyou finiscano per innamorarsi sinceramente e spontaneamente, quale sarebbe la tua reazione?”
Koushi si umettò le labbra. “Non farei mai nulla che possa ostacolare la felicità di mio figlio e lo sai.”
“E perché me lo dici con quella faccia?”
“Perché hai detto di voler vedere quello che succederà tra loro ma io so che troverai il modo di plasmare la realtà a tuo piacimento se questo non dovesse accadere spontaneamente.”
Tooru ridacchiò. “Dici di non sapere più chi sono e poi mi conosci così bene…”
“Possibile che Hajime non dica niente riguardo a tutto questo?” Domandò Koushi.
“Tu pensi che Hajime sappia qualcosa?” Tooru si fece serio di colpo. “Non gli ho detto nulla sul destino di nostro figlio quando è nato e non lo farò ora.”
“Perché?” Domandò Koushi. “Anche Daichi ha tenuto il segreto con me, eppure me lo ha detto alla fine. Tu mi hai detto che Tobio era per Shouyou. Che motivo hai di continuare a mentire al padre di tuo figlio?”
“Perché c’è una cosa che non sai, Koushi,” disse Tooru. “Tu sai che se Shouyou mostra il suo potere alle persone sbagliate, potrebbe succedergli qualcosa di brutto. Tu sai che tuo figlio è destinato al mio ma sei all’oscuro della parte migliore del sogno.”
Koushi non era certo di voler sapere.
Tooru rilassò le spalle contro lo schienale della sua sedia, lo sguardo rivolto alla finestra accanto a lui. “Il Principe Demone tende l’arco verso un corvo ma lo abbassa nel momento in cui questo si trasforma in un fanciullo e rimane incantato dalla propria preda.”
Koushi inarcò le sopracciglia, un nodo cominciò a stringergli la gola. “E questo cosa potrebbe significare?”
“A te cosa sembra, Koushi?” Domandò Tooru tornando a guardarlo. “Queste parole mi sono state rivolte da un Mago che mio figlio aveva appena sei mesi di vita ed il tuo neanche un anno.”
“Kenma?”
“No, Kenma ha messo in guardia Daichi riguardo al potere di Shouyou, successivamente io ti ho dato i dettagli che Eita mi ha confidato. Immagino che Kenma tenesse a noi abbastanza da volerci proteggere dalla verità.”
“Quale verità?”
“Che Tobio morirà per Shouyou se il Re dell’Aquila decide di volerlo per sé,” concluse Tooru con voce funerea.
Gli occhi di Koushi divennero grandi ed il respiro gli morì in gola. “Non… Non me lo avevi detto…”
“Non aveva importanza, allora,” rispose Tooru. “Wakatoshi aveva il suo erede maschio e non c’era più una valida ragione per cui Shouyou avrebbe dovuto interessarlo. Perché avrei dovuto dirti che mio figlio era condannato come il tuo fin dal principio.”
“Per questo hai mandato i tuoi uomini al nord,” concluse Koushi. “Non si tratta solo di Shouyou…”
“Esatto, vedo che cominci a capire,” disse Tooru guardandolo dritto negli occhi e Koushi si sentì trafitto in qualche modo. “Vuoi prenderti la responsabilità dell’infelicità di tuo figlio rischiando che finisca nelle mani del Re dell’Aquila? Bene, è la tua creatura ma te lo giuro su tutto il mio Regno, Koushi, non condannerai anche la mia.”
Il consorte reale del Regno di Karasuno si sentì messo contro un angolo, le spalle al muro, una lama invisibile puntata alla gola. “Ancora una volta, Tooru… Che cosa mi stai chiedendo di fare?”
“E ancora una volta la mia risposta è la stessa, Koushi: niente,” rispose il Re Demone. “Ho fiducia nel destino ma se il Principe dell’Aquila dovesse ritornare a suo padre un pazzo alla volta, voglio assicurarmi che tu sappia esattamente a cosa potremmo andare incontro.”
Koushi annuì due volte, lentamente. “E se non succede niente?” Domandò. “Il Principe dell’Aquila torna, Tobio e Shouyou non si amano e tutte le premonizioni divengono nulle… Che cosa succede allora?”
Tooru fece una smorfia: Shouyou sarebbe stato di Tobio a qualunque costo, era necessario perché suo figlio divenisse il Principe Demone col potere di mettere in ginocchio tutti i Regni liberi. Era un sogno più vecchio degli stessi Tobio e Shouyou e, non aveva importanza come lo si interpretava, il Principe di quella visione aveva un corvo sulla spalla e non c’erano molti candidati contro cui puntare il dito. Perché Tooru, Re Demone di Seijou, potesse avere tra le mani la più grande arma umana della storia, il pulcino di corvo doveva essere al fianco di Tobio.
Questo, però, non era necessario che Koushi lo sapesse.
Tooru forzò un sorriso. “In quel caso, tutto e bene quel che finisce bene!” Esclamò, sebbene sapesse fin troppo bene che c’era nessun lieto fino da considerare.
 
 
***
 
 
Kei non ci avrebbe messo la mano sul fuoco ma quel giorno si avvicinava di gran lunga ad essere il migliore della sua vita.
“Se il Principe torna non dovresti farti trovare così,” lo rimproverò bonariamente Tadashi continuando a sistemare nell’armadio gli ultimi abiti che erano rimasti nel baule da viaggio di Shouyou. Kei fece finta di non averlo sentito.
Se ne stava seduto su una delle grandi poltrone davanti al caminetto spento, gli stivali erano sul poggiapiedi ed era rilassato al punto che Tadashi aveva come l’impressione che non si sarebbe mosso di lì neanche se lo avessero informato che il Re era stato aggredito. Non era una novità da poco che Shouyou fosse messo nelle mani di qualcuno che non fosse il più giovane dei fratelli Tsukishima e Kei aveva tutto il diritto di godersi quel momento. Tuttavia, Tadashi non poté evitare di notare che aveva l’aria stanca.
Richiuse l’armadio e si avvicinò alla poltrona. “Ti senti bene?” Domandò con premura.
Kei sollevò gli occhi annoiata sui suoi. “Sì…” Rispose poggiando i piedi a terra e assumendo una posizione composta. Tanto bastò perché un’espressione dolorante passasse sul suo viso. Tadashi sospirò con un sorriso. “Lascia che ti aiuti.”
“Non serve,” replicò Kei inarcando la schiena. “Quel moccioso non è capace di tenere una spada in mano senza correre il rischio di farsela cadere sui piedi ma riuscirebbe a fare a pezzi chiunque con quell’orribile personalità che si ritrova.”
Tadashi ridacchiò. “Togliti la tunica e mettiti seduto di lato.”
Kei sbuffò ed ubbidì. “Se andassi in guerra regolarmente non verserei in questo stato.”
“Non dire così,” disse Tadashi portando le mani sulle sue spalle. “Non bisogno mai augurarsi un periodo di guerra. Lo so che sei un Cavaliere e che il campo di battaglia è…”
“Non dire sciocchezze, Tadashi,” lo interruppe il Cavaliere.
“Sì, Kei,” disse Tadashi con voce quieta prendendo a massaggiare le spalle dell’amico d’infanzia. Tutti i muscoli erano tesi e dal modo in cui Kei reclinava la testa comprese che gli stava facendo male. “Questa non è colpa di Shouyou, sono tutte le ore che hai passato a cavallo prima di arrivare qui.”
“E per colpa di chi sono qui?” Domandò Kei con tono sarcastico.
“Siamo pur sempre ospiti alla più grande corte del Regni liberi insieme a quella di Shiratorizawa.”
“Non provo interesse per queste cose.”
Tadashi non se ne sorprese. Erano cresciuti insieme, eppure non aveva la minima idea di che cosa piacesse a Kei. Gli avevano messo una spada in mano perché era scontato che accadesse e ci aveva messo impegno perché era quello che Kei faceva ma, escluse alcune parentesi con suo fratello, il giovane signore degli Tsukishima non si sarebbe potuto definire un tipo emotivo… Figurarsi passionale.
Era per questo che la compagnia di Shouyou gli era tanto insopportabile, mentre gli era stato più facile tollerare la vicinanza ben più quieta di Tadashi. Quest’ultimo non si era mai illuso di essere qualcosa di più di questo per il suo giovane signore: compagnia. Amici era una parola con cui gli piaceva definire il loro rapporto facendo appello ad un’infanzia che, nonostante i periodi passati a corte, avevano condiviso solo loro due: Kei non aveva un carattere facile e non era mai sembrato particolarmente interessato a fare amicizia con gli altri bambini delle loro terre; Tadashi si sarebbe anche accomodato alla personalità di chiunque ma la sua timidezza e l’assenza di un titolo non lo aiutavano con la socializzazione.
Era divenuto una Guardia più per seguire Kei nel cammino per divenire Cavaliere che per reale interesse ma, dopotutto, non possedeva alcun talento naturale che lo spingesse a prendere una direzione diversa. Kei giudicava Shouyou ma, all’atto pratico, Tadashi non poteva vantare molte più abilità di lui: era arrivato in fondo all’addestramento per puro miracolo ed era divenuto una Guardia, invece di entrare nell’esercito del Re, perché la sua spada sarebbe servita a poco su di un campo di battaglia.
In conclusione, pur avendo il diritto di possedere un’arma, i suoi doveri non erano molto diversi da quelli di un servo personale del Principe ereditario. Non era la più onorevole delle posizioni e, di sicuro, la sua incapacità a divenire qualcosa di più non aveva fatto altro che aumentare la distanza tra lui e Kei ma, almeno, Shouyou era gentile con lui e lo trattava come un suo pari. Un altro difetto che il suo Cavaliere personale non mancava mai di fargli pesare.
Era pallida la pelle di Kei sotto le sue dita, nonostante passassero molto tempo all’aperto da quando la stagione calda era cominciata. I muscoli delle spalle, però, erano solidi sotto le sue dita. Tadashi osservava quella schiena incantato perdendosi in tutta la virilità che non avrebbe mai saputo eguagliare. Kei non aveva ancora quindici anni ma aveva già il corpo di uomo e non sarebbe potuto che migliorare con il passare delle stagioni. Tadashi non era minuto come Shouyou ma aveva sempre pensato che il Principe avesse una bellezza tutta sua, fatta di minuscole e perfetto proporzioni. Lui non possedeva neanche quelle: era troppo magro e, spesso, gli capitava di camminare gobbo.
Kei poteva disprezzare Shouyou a parole quando voleva ma Tadashi aveva notato come spesso i suoi occhi si attardassero sulla figura del Principe in circostanze che sembravano essere fatte per attirare l’attenzione, come i pomeriggi passati al lago. Shouyou non avrebbe mai avuto le spalle larghe e la prestanza del Re dei Corvi e, forse, non sarebbe riuscito a raggiungere nemmeno l’altezza di sua madre ma c’era qualcosa di perfetto in lui, qualcosa che rendeva la sua luce naturale ancor più brillante.
Era solo questione di tempo prima che Kei se ne accorgesse ed il pensiero che quegli sguardi sfuggevoli potessero essere l’inizio di qualcosa di più era abbastanza perché Tadashi si sentisse mancare il fiato. Passò a massaggiare il collo e lì la pelle era più morbida ma comunque piacevole da toccare. Rimase a guardare l’attaccatura dei capelli biondi di Kei per diversi istanti, sorridendo ai piccoli riccioli che si formavano alla base della nuca: avrebbe dovuto tagliarglieli prima del ballo.
Non pensò a quello che stava facendo quando vi passò le dita in una tenera carezza.
Le spalle di Kei si fecero rigide ed il respiro di Tadashi si fermò come gli occhi dorati del suo giovane signore si sollevarono su di lui in una muta domanda.
Non fu nessuno dei due ad interrompere il silenzio.
La porta della camera si spalancò ed il Principe dei Corvi entrò a tutta velocità pronunciando almeno un centinaio di parole al secondo. “E non fare quello! E non fare questo! E stai zitto! Ti muovi troppo! Ti muovi troppo poco! Fai schifo! Riprova! Ah! Che antipatia! Antipatia pura!” Si fiondò in bagno sbattendo la porta. Riemerse appena un istante dopo guardando i due ragazzi con espressione confusa. “Oh!” Esclamò forzando un sorriso imbarazzato. “Siete qui!”
Tadashi colse subito l’occasione per allontanarsi da Kei. “Vi preparo un bagno, mio Principe,” disse gentilmente. “Sarete stanco.”
Kei lanciò un’occhiata alle finestre della camera: stava calando il sole e i due Principi se ne erano andati che appena albeggiava. “È vivo dopo tutte queste ore di allenamento?” Commentò tra sé e sé.
“Hai detto qualcosa, Kei?” Domandò Shouyou irritato dalla porta del bagno.
Il Cavaliere si rimise la tunica. “Cominciavo a chiedermi dove il Principe Demone avesse deciso di nascondere il tuo cadavere, dato che non tornavi,” disse con un sorriso sarcastico.
Shouyou emise quello che sarebbe dovuto essere un ruggito, poi richiuse la porta sbattendola restando solo con Tadashi.
 
 
“È una cosa impossibile!” Esclamò Tobio gettando i suoi vestiti a terra, come se fossero da biasimare per il suo cattivo umore. “Non è sopportabile!” Aggiunse immergendosi nell’acqua della vasca.
Hajime rimase appoggiato alla parete di pietra. “Hai chiesto tu di poterlo addestrare, ti ricordo.”
“Sì!” Esclamò Tobio. “Ma non pensavo fosse un simile idiota!”
“Ti ha tenuto testa per l’intera giornata,” gli fece notare il Cavaliere con espressione divertita. “A meno che non abbiate passato tutte queste ore a litigare ed anche se fosse sarebbe comunque da tenere in considerazione.”
“Per cosa?” Domandò Tobio passandosi le dita tra i capelli neri e tirandoseli indietro.
“Per le cronache delle tue imprese come essere capace di socializzare,” rispose Hajime. Suo figlio lo guardò sinceramente annoiato ma questo non scalfì in alcun modo il suo buon umore: Tobio era stato via tutto il giorno in compagni di un suo coetaneo e non c’erano stati spargimenti di sangue lungo la strada, la considerava una piccola ma non trascurabile vittoria.
Poco importava che Tobio continuasse a lamentarsi: era pur sempre una reazione più emotiva di quella che aveva quando si trattava di offendere i suoi Cavalieri. Non aveva idea di che cosa facesse Shouyou per irritarlo in quel modo ma di sicuro aveva il potere di toccarlo abbastanza da farla diventare una cosa personale e Hajime aveva aspettato per tanto tempo che Tobio prendesse sul personale il rapporto con un altro essere vivente che non fosse una preda d’abbattere nella foresta.
A modo suo, gli dimostrava che gli importava.
“È così negato?” Domandò Hajime, sebbene dubitasse che sarebbero tornati al Castello Nero al tramonto se così fosse stato.
Tobio smise di colpo di lamentarsi e prese a lavarsi i capelli come se non avesse nulla da dire.
Hajime intuì la sua risposta da solo. “Non è negato…”
“Fa schifo!” Esclamò Tobio come se dovesse difendersi in qualche modo.
Hajime sorrise. “Reazione tardiva. Hai temporeggiato, quindi non pensi davvero che faccia schifo.”
“No! Sì!”
“Prima di giudicare il Principe dei Corvi, lavora sulla tua capacità di espressione, Tobio.”
Il Principe s’immerse nell’acqua della vasca per qualche secondo per liberarsi del sapone, poi riemerse con un sospiro. “Ha qualcosa…”
Hajime inarcò le sopracciglia. “E questo cosa vorrebbe significare?”
“Che ha qualcosa,” ripeté Tobio non riuscendo a chiarirsi in altro modo. “È un po’ come un Demone ma non è un Demone.”
“Pensavo che avessimo chiarito questo punto con il Re,” disse il Cavaliere. “Il Principe dei Corvi non ha nulla che non sia comune, a parte la possibilità di essere un Omega ma questo non ti deve interessare.”
Tobio non colse la sottile minaccia nelle parole di suo padre, la sua mente era altrove, al fanciullo dagli occhi rapaci che lo aveva steso puntandogli la sua stessa lama alla gola. “C’è della magia nel suo sangue,” concluse e meglio di così non avrebbe saputo esprimersi.
Hajime non era certo di stargli dietro: gli sembrava di sentire Tooru quando delirava riguardo ad un popolo che viveva sulle stelle e li osservava dall’alto. “Magia?” Domandò. “C’è magia nel sangue del Principe dei Corvi?”
Tobio lo guardò. “Lo hai visto ieri, nel cortile.”
“Le spade potevano essere consumate. Capita anche durante l’addestramento.”
“Non lo erano…”
Hajime sospirò. “Non puoi esserne sicuro, ora.”
“Perché è tanto difficile da credere?” Domandò Tobio non riuscendo a comprendere perché suo padre continuasse a dubitare della sua ipotesi.
“Perché Daichi e Koushi sono persone normali,” rispose Hajime. “Non sono Demoni, non sono creature la cui natura possa giustificare la presenza di magia nel loro sangue. Per te è diverso.”
“Appunto…” Disse Tobio ma il Cavaliere non comprese immediatamente quello che stava dicendo. “Per me è diverso. Diverto da chiunque… Perché, secondo le regole della magia, io non sarei nemmeno dovuto nascere, no?”
Hajime strinse le labbra per un istante. “Non ti è mai piaciuto studiare ed ora salta fuori che leggi dei libri?”
“Riesco a memorizzare all’istante tutto quello che m’interessa quando lo leggo,” ammise Tobio senza vergogna e suo padre dovette stringere i pugni per non andare lì e prenderlo a pugni in testa: se pensava a quante lagne aveva fatto Tooru sostenendo che il loro bambino non si applicava allo studio perché era tonto come papà Iwa-chan ed ora salvata fuori che Tobio disponeva di tutta l’intelligenza del mondo ma era un completo idiota nell’applicarla.
Quanto gli sarebbe piaciuto prenderli a calci insieme, alle volte.
“Kenma, una volta, mi ha detto che la magia non segue per forza regole logiche,” continuò Tobio. “Lui, per esempio, è il primo della sua famiglia ad avere dei poteri.”
Hajime inarcò le sopracciglia fino a quanto gli fu umanamente possibile. “Tu e Kenma parlate?” Non era una cosa strana in sé: Tobio tendeva ad essere rispettoso con le persone più grandi di lui. Quello che davvero non riusciva ad immaginarsi era un dialogo tra suo figlio, il tetro musone e Kenma, il Mago con il dono della preveggenza ma, alle volte, non della parola. Questo, però, avrebbe dovuto chiederselo dopo aver compreso come potesse una creatura tanto quieta vivere al fianco di quell’essere irritante di Tetsuro.
“Sì…” Rispose Tobio non comprendendo cosa ci fosse di strano. Drizzò le spalle, come se gli fosse venuto in mente qualcosa. “Posso chiedere a lui cos’è Shouyou,” concluse sollevando dall’acqua. Hajime recuperò un asciugamano e gli andò vicino per passarglielo. “Hai parlato per un’ora di lui ma, allo stesso tempo, non mi hai detto niente.”
“È qualcosa,” ripeté Tobio allacciandosi l’asciugamano alla vita.
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Sì, Tobio, questo lo avevo capito. Qualcos’altro?”
Tobio s’imbronciò come se non trovasse alcun senso a parlare delle potenzialità del suo allievo quando poteva liberamente lamentarsene. “È molto veloce,” ammise a mezza bocca. “Ha dei riflessi fuori dal comune,” concluse completamente serio.
Hajime annuì. “È minuto,” commentò. “Quella può essere un’ottima arma nelle sue condizioni, se riesci a fargliela usare come si deve.”
Tobio annuì distrattamente. Adattare i movimenti di Shouyou a quelli di un Cavaliere non sarebbe stato difficile: i riflessi c’erano e sembrava sopportare la fatica di simili spostamenti veloci senza troppe difficoltà. Tutto quello che doveva fare era migliorare il controllo sul proprio corpo facendo più attenzione a ciò che lo circondava. Una volta che si fosse abituato alla presenza di una spada tra le sue mani e avesse memorizzato l’obbiettivo da colpire, Tobio non dubitava che Shouyou avrebbe concluso più duelli vittorioso di quelli che molti suoi compagni dal braccio forte potevano vantare.
Certo, era un’arma con il tempo contato. Se Tobio fosse stato il maestro di Shouyou in questo, avrebbe saputo prevedere i suoi movimento pur non vedendoli chiaramente e sarebbe capitato così con ogni Cavaliere che avesse una buona adattabilità. Questo escludeva a priori tutti i giovani guerrieri della sua generazione ma su di un campo di battaglia vero e proprio, Shouyou avrebbe dovuto brandire un’arma in più ed era proprio quella che Tobio puntava a fargli usare.
“Non sarà difficile,” rispose infine. “Ce la farà…”
Hajime lo guardò sorpreso. “Se hai appena finito di dire che fa schifo!”
Tobio sentì le guance farsi rosse e tornò in camera sua senza dire una parola di più.
 
 
***
 
 
Era ormai calato il sole quando Reon entrò nella camera del suo sovrano annunciando la visita del Re Demone.
Wakatoshi era seduto su di una poltrona accanto alla finestra che dava sul nord. “Fallo entrare,” disse. Reon annuì e non fece in tempo a mettersi da parte che Tooru entrò nella sua camera e richiuse la porta. “Non ti sei fatto vedere affatto, oggi.” Disse prendendosi il suo tempo per studiare il viso stanco del Re dell’Aquila.
Wakatoshi mantenne comunque altro lo sguardo fiero e tagliente. “Sapevo che non mi saresti venuto a cercare.”
“Credevo stessi riposando.”
“Non posso riposare.”
Tooru sospirò e si sedette sulla poltrona di fronte alla sua, sebbene non invitato. “Posso capirlo…” Sì, gli era capitato di avere Tobio lontano per diverso tempo ma era sempre stato per sua scelta e sapeva che Hajime era con lui per tutto il tempo. Non sapeva come fosse non sapere dove si trovasse o, peggio, avere la certezza che non fosse al sicuro ma non doveva essere piacevole.
“Inoltre, volevo chiederti di Eita.”
Wakatoshi lo guardò come se lo avesse appena minacciato come un pugnale alla gola. “Che ragione hai di pormi questa domanda?”
“Perché continuo a pensarci,” ammise Tooru ed era sincero. “C’è stato un tempo in cui sarei stato disposto a tutto per avere un figlio con l’uomo che amavo ma Eita ha portato questo pensiero a tutto un altro livello.”
“Non è cambiato niente rispetto a quello che hai visto anni fa,” rispose Wakatoshi. “Un servitore si prende cura del suo corpo, per così dire ma non è deperito, sebbene non mangi. Il suo cuore batte ed il suo respiro è leggero, come se dormisse e nulla di più.”
Tooru annuì. “Hai mai parlato con Kenma di…?”
“Non c’è rimedio a questo, Tooru,” lo interruppe il Re dell’Aquila. “Anni fa, sono partito per quella caccia al drago pensando di abbatterlo e di prendermi il suo cuore.”
Tooru sorrise amaramente. “Come nelle leggende…”
“Noi due sappiamo bene come le leggende siano vere. Dicono che il potere del cuore di un drago sia impossibile da misurare.”
Tooru annuì. “Le leggende dicono che possa riportare in vita i moribondi.”
“Già…” Wakatoshi annuì. “Persa quella speranza non avevo ragione d’illudermi di altro. La magia che Eita ha usato con il tuo aiuto era nera e ha sempre il suo prezzo.”
Tooru annuì di nuovo. “Ti confesso che credevo che sarebbe morto dando alla luce il vostro bambino.”
“Lo credeva anche lui,” raccontò Wakatoshi. “Io non lo sopportavo quando lo faceva ma non la finiva di farmi promettere che mi sarei preso cura di nostro figlio per tutti e due. Chiedeva solo il tempo necessario per poterlo stringere tra le braccia almeno una volta.”
Tooru fece una smorfia. “Non riusciva proprio a dare un valore alla sua vita senza di te, vero?”
“C’è accusa nella tua voce, Tooru?” Domandò il Re dell’Aquila. “O, forse, è invidia?”
L’espressione del Re Demone si fece di pietra ma lasciò andare una risata appena un istante dopo. “È passata la stagione in cui tentavi di arrivare al mio cuore, vero?” Domandò più a se stesso che all’altro. “Ci siamo sfiorati davvero solo in un momento di totale disperazione. Avevamo il potere, avevamo qualcuno capace di capire quella follia ma dovevamo anche sentirci vivi nel più umano dei modi, vero?”
“Non sono io che ti ho cacciato al sorgere del sole,” gli ricordò Wakatoshi. “Se fossi rimasto, ti avrei tenuto con me.”
Tooru annuì. “Lo so…”
“Ma tu sei voluto comunque tornare dal tuo Cavaliere, Tooru.”
“So anche questo.”
“Te ne penti?”
Tooru prese un respiro profondo. “Dovevo riprovarci… Sono anni che ci riprovo.”
“È per questo che sei qui?” Domandò Wakatoshi.
Il Re dell’Aquila scrollò le spalle. “Se potessimo amarci almeno quanto ci facciamo del male…”
“Lo stai dicendo a me o al tuo Cavaliere?”
“Hajime non è mio,” lo corresse Tooru. “Non lo è più, ormai.”
“Eita è stato mio fino alla fine,” replicò Wakatoshi.
Il Re Demone lasciò andare una risata priva di gioia. “Te lo confesso, Re dell’Aquila!” Disse con finta allegria. “La mia è invidia, sì. Vorrei che Hajime avesse tradito se stesso per continuare ad amarmi…” Divenne serio di colpo. “In fin dei conti, però, se lo avesse fatto non sarebbe stato più l’uomo che amo… Tragico, vero? Non c’è speranza in questa storia.”
Wakatoshi non rispose Tooru si alzò in piedi con un sospiro. “Volevo dirti che ho mandato i miei uomini a nord e mi auguro sinceramente che abbiano più successo dei tuoi. Sono i Cavalieri che hanno mandati avanti l’assedio al Castello Nero durante la tua invasione, puoi scommettere sulle loro capacità.”
Wakatoshi annuì. “Ti ringrazio.”
Fece per alzarsi ma Tooru glielo impedì con un gesto della mano. “Non scomodarti,” disse. “Devi riposare,” aggiunse con riguardo.
 
 
 
Koushi lo aspettava fuori dagli appartamenti che il Re dell’Aquila aveva occupato insieme ai suoi uomini e non risparmiò al Re Demone un’occhiata contrariata come lo vide uscire. “Io davvero non riesco a capirti, Tooru,” disse.
Il Re Demone fece una smorfia e prese a scendere le scale. “Mettiti in fila, amico mio, nessuno ci riesce.”
“È l’uomo che potrebbe dividere ed uccidere i nostri figli!”
“Parla a bassa voce…”
“Capisco il motivo per cui lo aiuti a ritrovare suo figlio. Lo capirei anche se non ci fosse di mezzo la sicurezza del mio ma perché ti avvicini tanto?”
Tooru sbuffò e guardò il suo ospite con un sorriso falso ed infastidito. “Gentilmente, Koushi, continua a fare le tue riflessioni su ciò che è giusto e sbagliato in silenzio, mentre ti godi il tuo e vissero felici e contenti. Lascia a me il lavoro di un certo livello e limitati a fare gli stessi passi che faccio io.”
Koushi lo guardò con sincera pietà. “Che cosa ti ha detto Hajime per ferirti in questo modo?”
Il Re Demone strinse le labbra e riprese a scendere le scale velocemente rimanendo in silenzio.
 
 
***
 
 
“In una battaglia vera,” cominciò Tobio spostandosi al centro della radura, “quando devi colpire, mira qui,” posò le dita sul bordo del collo di Shouyou, poi s’inginocchiò. “E qui,” gli toccò la gamba poco sopra il ginocchio. “Non puntare al petto e fai attenzione alla testa solo se l’elmo è già finito a terra. Anzi, doppia attenzione se non lo hai tu… Ti possono spaccare la faccia con una testata e, credimi, un naso rotto può farti rimanere a terre quanto una freccia alla spalla.”
Shouyou sorrise. “Ti hanno rotto il naso?”
“Non dire sciocchezze,” replicò Tobio. “Sono troppo alto. Ne ho rotto qualcuno io.”
Il Principe dei Corvi smise immediatamente di sorridere. “Ah…”
Tobio gli rivolse un ghigno divertito mentre si chinava sulla sua sacca e ne tirava fuori una spada foderata. “Tranquillo,” disse lanciandogliela. “Non romperò anche il tuo… Forse…”
Shouyou fece per rispondergli a tono ma rinunciò quando si accorse di dover usare due mani per sorreggere la spada. Tobio si alzò in piedi ridacchiando divertito.
“Smettila di ridere!” Sbottò il Principe dei Corvi.
“E così ti è difficile tenere la spada in mano se non usi quel tuo potere,” disse Tobio.
Le guance di Shouyou assunsero una sfumatura di blu. “Vuoi tentare di uccidermi di nuovo per obbligarmi a tirarlo fuori?”
Tobio scosse la testa. “No, cominciamo da qualcosa di più semplice. Sfodera la spada.”
Shouyou ubbidì, sebbene goffamente.
“Non puoi contare sulla forza delle braccia,” disse il Principe Demone spostandosi dietro di lui. Shouyou continuò ad adocchiarlo come se avesse paura che potesse pugnalarlo alle spalle. “Voglio che impari ad usare la tua velocità come se fosse un’arma.”
Shouyou trattenne il fiato ed i suoi occhi d’ambra si fecero grandi come Tobio si chinò su di lui allineando le braccia con le sue. “Aggiustati a me. Devi imparare a tenere questa posizione.” Disse il Principe Demone e a Shouyou non fece piacere sentirsi così piccolo. Fu un sollievo quando Tobio si allontanò. “Voglio che prenda confidenza con la spada,” disse. “Il suo peso, le sue dimensioni… Devi poterla sentire come senti un braccio ed una gamba e muoverla con altrettanta naturalezza.”
Shouyou lo guardò con la coda dell’occhio: non osava muoversi per paura di perdere la posizione in cui Tobio lo aveva spinto a stare. “Per arrivare ad una simile naturalezza non ci vogliono anni?”
“Esatto,” rispose il Re Demone con un ghigno. “Puoi far avverare l’impossibile ed impararlo in pochi giorni o puoi rinunciare. A te la scelta.”
Shouyou strinse le labbra e rafforzò la presa sull’elsa della spada. “Ho superato il punto in cui avevo una scelta,” rispose e sferzò l’aria con un colpo di lama.
 
 
“Sono stato bravo, vero? Vero?” Shouyou non la finiva di saltellare, mentre Tobio si sedeva all’ombra di un albero. “No, hai fatto schifo,” rispose con un ghigno.
Shouyou gonfiò le guance. “Come puoi aspettarti che migliori se non mi fai qualche complimento?”
“Come puoi aspettarti di migliorare se non sottolineo dove sbagli?” Gli fece il verso il Principe Demone, poi allungò una mano per afferrare la sua sacca. “Vieni, mangiamo qualcosa prima che crolli…”
“Io non sto affatto crollando!” Esclamò Shouyou ma andò a sedersi all’ombra del grande albero comunque.
“Afferra…” Tobio lanciò una mela ed il Principe dei Corvi l’afferrò con gli occhi brillanti. “Sì mangia!” Esclamò addentandola. Tobio fece lo stesso con la sua. “Se può esserti utile, è un po’ come cavalcare?”
“Uhm?” Domandò Shouyou con le guance gonfie di cibo.
“La prima volta che hai cavalcato stavi rigido, immagino,” disse Tobio. “Ora sali in sella e corri senza nemmeno starci a pensare. Con la spada è uguale. Prima, pensi a dove devi mettere i piedi o come muovere le braccia ed il resto del corpo e, dopo, lo fai e basta. Diventa parte di te.”
“Non mi sono mai sentito rigido a cavallo,” ammise Shouyou.
Tobio lo guardò. “Non ho mai pensato a dove mettere i piedi in un duello,” replicò come se stessero facendo una gara di qualche tipo. Il Principe dei Corvi, però, si limitò a sorridere a quel punto. “Tu sei nato per le spade come io sono nato per cavalcare!” Esclamò pensando che fosse un’onesta parità. “Ed ora tu m’insegni ad usare la spada.”
“Ma tu non hai dovuto insegnarmi a cavalcare,” replicò Tobio con un ghigno.
“Dettagli!” Esclamò Shouyou, poi si prese a pugni il petto a causa di un pezzo di mela andato di traverso.
“Sei tanto idiota che non riesci a mangiare da solo…”
“Taci!” Sbottò Shouyou tra un colpo di tosse e l’altro. “Con l’arco, invece, come è stato?” Domandò poi curioso. “Talento naturale anche lì o ti ha insegnato il Re?”
Tobio scrollò le spalle. “Ne ho voluto uno fin da bambino e l’ho avuto ancor prima della spada: più leggero.”
Shouyou lo guardò un poco demoralizzato. “Hai imparato da solo anche quello?”
“No,” ammise Tobio. “Ho imparato guardando il Re.”
Il Principe dei Corvi sbatté le palpebre un paio di volte. “Hai imparato guardando?”
“Sì,” rispose l’erede al trono di Seijou, poi scrollò le spalle come se non ci fosse nulla di strano. “Ho imparato così anche con la spada. Ho potuto guardare i miei genitori fin da bambino e quando è toccato a me sapevo già cosa fare perché avevo fatto pratica guardando.”
Shouyou lo fissò come se avesse detto la più grande assurdità che avesse mai udito. “Nessuno…” Cominciò. “Nessuno può imparare a fare quello che fai tu solo guardando.”
Tobio fece una smorfia. “Tu mi hai visto solo duellare, che ne sai?”
“Solo duellare?” Domandò Shouyou esterrefatto. Non avrebbe commentato così nemmeno l’operato di Kei, eppure non aveva potuto nulla in un duello contro il Principe Demone. “In ogni caso, mi hai quasi ucciso con una freccia, quello conta!”
Tobio sbuffò esasperato. “Non ti volevo uccidere, la freccia non ti avrebbe colpito!”
“Non puoi esserne sicuro!”
“Io non sbaglio mai…”
“Smettila di ripeterlo!” Shouyou finì la sua mela in un sol boccone e rischiò di strozzarsi ancora una volta. “Raccontano storie su di te,” aggiunse con un broncio, come se quel fatto gli arrecasse qualche danno. “Tante…” Arrossì un poco.
Tobio ghignò vittorioso. “Ti piace ascoltare storie su di me?”
“No!” Negò subito Shouyou scuotendo velocemente la testa. “È che la gente parla e l’inverno a Karasuno è lungo ed uno deve pur passare il tempo in qualche modo e c’è… Tadashi! Sì, Tadashi è un tuo grande ammiratore! Non si perde mai un dettaglio delle tue imprese e…”
“Fai più schifo come bugiardo che come spadaccino,” lo interruppe Tobio con una smorfia. “Non credevo che fosse possibile, onestamente!”
“Non è che mi piacciono le storie su di te!” Negò di nuovo Shouyou, sebbene ormai forse fatica sprecata. “È che sono invidioso, tutto qui!” Decise di ammettere incrociando le braccia contro il petto come se il destino avesse voluto offenderlo volutamente negandogli tutti i talenti gloriosi che avevano reso il Principe Demone una leggenda vivente ancor prima dei suoi quindici anni.
Tobio sbuffò sonoramente. “Quanto sei stupido…” Disse con qualcosa che assomigliava tanto al disprezzo.
Shouyou lo guardò e vide che gli occhi blu erano rivolti in alto, verso le chiome degli alberi. “Di cosa sei invidioso? Che abbia combattuto una guerra?”
Il Principe dei Corvi si fermò a rifletterci per alcuni istanti e, di colpo, si sentì uno stupido veramente. No, non l’avrebbe mai ammesso davanti a quell’antipatico ma si rese conto di aver detto una grande sciocchezza. “Hai sconfitto un drago…” Riprovò.
“Stava quasi uccidendo il Re Demone!” Esclamò Tobio guardandolo. “Che altro avrei dovuto fare?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “A te non piace la gloria, vero?”
Il Principe Demone lo guardò come se non avesse compreso la domanda.
“Voglio dire,” Shouyou si passò una mano tra i capelli. “Tornare a casa ed essere accolto da tutti come eroe! Sapere che la gente ti stima ed apprezza per quello che sei!”
“Non mi è mai interessato che cosa pensasse la gente di me,” ammise Tobio ancor più confuso di prima. “Voglio solo diventare più forte, a qualsiasi costo.”
“Sì,” Shouyou credeva di comprendere. “Ma perché? Per chi?”
Tobio strinse le labbra per un istante. “Per nessuno…” Mentì e la cosa peggiore fu che il Principe dei Corvi se ne accorse immediatamente.
“Non è vero,” disse Shouyou. “Devi pur avere uno scopo. Non dico che sia sbagliato volere qualcosa per se stessi ma… Quando qualcuno ha un talento come il tuo deve pur voler diventare più forte per uno scopo.”
Tobio scrollò le spalle. “Sono nato per essere un Re,” rispose. “Mi serve un’altra ragione per voler essere più forte?”
Shouyou cercò un modo per replicare ma non ci riuscì. “Beh… Dopotutto, non serve nemmeno una ragione per non voler perdere.”
Tobio sospirò scocciato e si tirò in piedi. “Almeno questo lo hai capito…”
“Sì, ma…” Shouyou si alzò a sua volta. “Dici di voler essere forte perché sei nato per essere Re. Al contempo, però, dimostri di non sopportare le persone…” Scrollò le spalle. “E nemmeno le persone sopportano tanto te.”
Tobio lo guardò storto.
“Un Re è forte per la sua gente, per proteggerla. Quindi… Non lo so, non riesco a capirti…” Ammise Shouyou spettinandosi i capelli già ribelli.
“Ti devo proprio insegnare tutto…”
“Eh?”
“Non ti hanno educato ad essere Cavaliere,” disse Tobio portandosi al centro della radura, sotto il sole. “Ti hanno educato per essere Re, almeno? Ogni volta che facciamo un discorso di questo genere, argomenti come se volessi il sovrano di qualche bella favola a lieto fine!” Sospirò. “Forza, alzati, ricominciamo…”
Shouyou non se lo fece ripetere due volte.
 
 
I giorni si trasformarono in settimane e non aveva importanza quanto Tobio si lamentasse della testardaggine di del Principe dei Corvi o quanto Shouyou avesse da ridire sull’orribile personalità del Principe Demone, alla fine, erano sempre insieme e nessuno dei due aveva mai dimostrato di voler essere da un’altra parte, nonostante le minacce.
 
 
“Mia sorella ha una cotta per te!” Esclamò Shouyou intenerito camminando un paio di passi dietro a Tobio.
Il Principe Demone gli lanciò una veloce occhiata confusa da sopra la spalla. “Una cotta per me?” Domandò inarcando un sopracciglio. “Quanti anni ha? Cinque?”
“Sette,” lo corresse Shouyou. “Siamo nati lo stesso giorno ad otto anni di distanza. Quando è arrivata, i miei l’hanno fatta passare come il mio regalo di compleanno o qualcosa del genere,” ridacchiò a quel ricordo.
“Rammento una sciocchezza simile anche io,” disse Tobio tornando a guardare avanti a sé. “Credo che delirassi qualcosa del genere il giorno della presentazione ufficiale di tua sorella.”
Shouyou alzò gli occhi al cielo ma non perse tempo a replicare: il Principe Demone era un inguaribile antipatico e doveva accettarlo, almeno fino a che avesse continuato a addestrarlo.
“In ogni caso,” aggiunse Tobio con una tale serietà che Shouyou gli presto la massima attenzione. “Mi dispiace ma sono troppo grande per tua sorella.”
Gli occhi d’ambra si fecero grandi per un istante e la risata che seguì fu inevitabile. Tobio si fermò a guardarlo indignato. “Che cosa ci trovi di tanto divertente?”
“Il fatto che tu non lo sia!” Esclamò Shouyou affiancandolo. “Certo che sei troppo grande per lei! Lo sei a questa età, almeno… Natsu è una bambina e tu sei l’indiscusso signore dell’antipatia!”
“Ehi!”
“È una cotta da bambini,” spiegò Shouyou. “Sei il primo Principe alto, con le spalle larghe e gli occhi blu che incontra e vuole essere la Principessa della situazione, tutto qui.” Sorrise intenerito ma l’espressione sul viso di Tobio gli fece intuire che non aveva capito proprio un bel niente. Sbuffò. “Hai presente me quando parlo con Koutaro o Tetsuro e sento tutto un gwah! perché sono gli eroi delle storie che mio padre mi raccontava da bambino?”
Tobio annuì sforzandosi di capire.
“Natsu fa lo stesso con i Principi perché le piacciono storie di altro genere,” spiegò Shouyou. “A me piacciono le avventure, a lei le storie d’amore… Quelle tutti uguali che si possono riassumere in: la Principessa è un pericolo, il Principe la salva e vissero per sempre felici e contenti. Ah, sì! Ad un certo punto c’è sempre un ballo ed è la parte che Natsu preferisce!” Esclamò come se fosse una cosa di fondamentale importanza. “Capisci? Siamo venuti fino a qui per partecipare ad un ballo in onore di un Principe. Le sembra di vivere in una favola.”
Tobio rifletté ancora per alcuni istanti, poi sgranò gli occhi colto da un’improvvisa comprensione. “Oh!”
Shouyou lo guardò. “Sarai anche un genio sul campo di battaglia ma non sei molto sveglio con le questioni di vita comune, vero?”
Il Principe Demone fece per colpirlo ma Shouyou fu più veloce e si allontanò abbastanza per sfuggire al raggio d’azione del suo braccio. “Questioni di vita comune…” Borbottò. “Siamo Principi, non ci riguardano queste cose.”
Shouyou scrollò le spalle. “Mio padre ha preso per consorte un fanciullo senza titolo, eredità o altro. Mi hanno insegnato molte cose comuni pur essendo un Principe. Penso l’abbiano fatto per rendermi indipendente.”
L’espressione di Tobio si addolcì. “Mio padre mi ha insegnato a coltivare i campi,” ammise.
Shouyou gli sorrise. “Lo so,” disse. “Il mio lo stima molto per essersi spaccato la schiena in prima persona per aiutare la propria gente. È un esempio da seguire, per questo non capisco te.”
“Che c’entro io, ora?”
“Non provi lo stesso desiderio di proteggere ed aiutare del Primo Cavaliere?” Domandò Shouyou confuso. “Lui è forte, tanto forte e lo è più degli altri perché è divenuto quel che è in un mondo di Demoni. Mio padre mi ha raccontato che è divenuto quello che è oggi per proteggere il Re Demone, che ha combattuto la guerra di Shiratorizawa fino alla fine per lui, anche se sembrava non esserci alcuna speranza per Seijou ed i suoi alleati. Tuo padre è divenuto forte per proteggere ciò che ama.”
Fu il turno di Tobio di alzare gli occhi al cielo. “Stiamo di nuovo facendo quei discorsi sul come essere Re in cui non ti darò mai ragione?”
“Uno non può essere forte e basta!” Esclamò Shouyou. “Sarebbe una forza vuota. Che te fai di una forza vuota?”
Tobio non rispose: non gli avrebbe dato ragione perché, allora, avrebbe dovuto ammettere che uno scopo ce l’aveva, che voleva essere il più forte per un qualcosa, un qualcuno… Shouyou, però, non era necessario che lo sapesse.
 
 
Parlavano.
Parlavano un sacco.
Per Shouyou non era una gran novità ma per Tobio fu un’esperienza inedita senza che se ne accorgesse: fosse perché il Principe dei Corvi non stava zitto un minuto o, perché, in un modo o nell’altro, i suoi discorsi lo stimolavano a rispondere, il Principe Demone si accostò alla socievolezza dell’altro in modo del tutto naturale.
“Com’è avere una sorella?” Domandò durante una delle loro pause seduti all’ombra dei grandi alberi della foresta. Tobio non l’aveva chiesto per una reale ragione, né aveva mai riflettuto particolarmente sull’argomento ma la radura era quieta e l’aria fresca che tirava quel pomeriggio rischiava di farlo addormentare se non si fosse tenuto impegnato in qualche modo.
Shouyou doveva essere caduto nello stesso torpore perché ci mise un po’ a rispondere. Erano seduti entrambi con la schiena contro il tronco di un albero, gli sguardi rivolti all’acqua del ruscello che continuava a scorrere indisturbata. Shouyou scrollò le spalle. “È la donna della mia vita…” Rispose, infine.
Tobio gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, poi si mise a ridere.
Shouyou se ne accorse e mise su il broncio. “Cos’hai da ridere?”
L’altro gli rivolse una smorfia derisoria. “Non è che tu abbia molte donne tra cui scegliere, dopotutto…”
Il Principe dei Corvi sgranò gli occhi d’ambra e divenne paonazzo. “Parla per te!” Replicò offeso. “Io almeno ho un’amica, si chiama Hitoka. Tu che cosa puoi vantare?”
“L’assoluto menefreghismo riguardo a queste faccende,” rispose Tobio. “Non rischierò mai di essere stregato da una donna e di rovinarmi come succede a molti uomini di potere.”
Shouyou lo fissò. “Sei una persona decisamente triste, lo sai?”
Tobio sbuffò. “E tu sei noioso come pochi,” replicò. “Non ti lancerai in un discorso sull’amore, ora?”
Il Principe dei Corvi fece una smorfia. “No, lascio perdere: con te sarebbe inutile comunque…” Lo guardò. “Eppure, tu sei figlio dell’amore…”
L’espressione di Tobio si oscurò di colpo. “Tu che ne sai?”
Shouyou scrollò le spalle ed accennò un sorriso. “Ho sentito i miei genitori parlare spesso dei tuoi…” Non era sua intenzione aggiungere altro ma il Principe Demone lo guardò con inaspettato interesse. “Che cosa dicono?” Domandò.
Gli occhi ambrati lo guardarono confusi per alcuni istanti. “Dicono che il Re Demone è stato pronto a combattere una guerra contro il Re dell’Aquila per il suo Cavaliere,” raccontò Shouyou. “Dicono che ti hanno desiderato tanto… Ma perché me lo chiedi? Non te lo hanno mai detto?”
Gli occhi blu di Tobio si spostarono su qualunque cosa non fosse il viso di Shouyou. “Mi hanno detto che non sono arrivato subito.”
“Per fortuna, direi!” Esclamò Shouyou. “Io sono nato nel bel mezzo dell’assedio del Castello Nero ma non sarebbe stato facile per il Re Demone ed il Primo Cavaliere combattere col pensiero di te ancora piccolino, non credi?”
“Non ci ho mai pensato…” Ammise Tobio. “Mi hanno detto di aver scoperto di me subito dopo la fine della guerra. Hanno annunciato il mio arrivo alla stessa festa a cui tu sei stato presentato ufficialmente.”
Shouyou sorrise. “Sì, questo lo hanno raccontato anche me,” l’altro continuava ad evitare il suo sguardo ma gli occhi d’ambra non si spostarono. “È strano, non trovi?”
“Che cosa?” Domandò Tobio distrattamente.
“Ci conosciamo appena, eppure, sembra che siamo i protagonisti della stessa storia.”
Quelle parole bastarono a convincere il Principe Demone e riportare gli occhi blu sul viso dell’altro. Shouyou continuava a sorridergli con luminosa gentilezza ma lui rispose con una smorfia. “Non ce la fai proprio a smettere di credere di essere in una favola, eh?”
 
 
***
 
 
Kei cominciava ad apprezzare quelle settimane al Castello Nero.
Non solo il moccioso reale non gli stava continuamente tra i piedi ma c’era qualcosa d’interessante nel restare ad osservare i migliori guerrieri degli altri territori duellare tra loro. Era come passare intere giornate a studiare in biblioteca ma senza aver bisogno di un libro. Kei se ne stava in disparte, quasi in ombra e quegli idioti non facevano che dare il meglio di loro davanti ai suoi occhi, come se non fosse la cosa più pericolosa da fare di fronte ad un ipotetico nemico.
Se a Kei fosse mai stata data la possibilità di scendere su di un campo di battaglia, sarebbe stato uno stratega pratico. Avrebbe dato ai grandi numeri solo l’importanza necessaria e poi, per così dire, avrebbe colpito il serpente alla testa e lo avrebbe decapitato.
Nessun esercito sarebbe mai restato in piedi dopo la perdita dei suoi leader, i suoi guerrieri migliori. Era una lezione solo per pochi Generali ma era quella che Kei apprezzava di più.
Per questo osservava, studiava, esaminava…
“Kei…” Il Re dei Corvi gli strinse una spalla nel sedersi sulle scale di pietra accanto a lui. “Vedo che i duelli t’interessano.” Notò con un sorriso quasi paterno.
Kei rispose all’espressione con una puramente neutrale. “È raro potersi confrontare con guerrieri che non siano cresciuti ad un passo da te per noi di Karasuno.”
Daichi accennò una risata. “Hai ragione,” concordò. “Non vi ho permesso di crescere in un Regno pieno di opportunità.”
Kei inarcò un poco le sopracciglia. “La mia non era critica, mio signore.”
“No, ma hai detto una grande verità,” ammise Daichi con un sorriso amaro. “Karasuno è pacifica ma è piccola ed è normale per i giovani della vostra età sentirsi stretti tra i confini delle sue terre. Ho visto che anche Kouji ed Izumi non hanno avuto problemi a fare amicizia con gli altri ragazzi. È una bella età per cominciare ad esplorare il mondo. Avevo l’età di Shouyou quando ho lasciato il mio Regno per la prima volta, ricordo come è stato.”
Kei sapeva poco o niente riguardo quella storia di Daichi, ancora Principe, scappato via dalla corte con Koushi per ribellarsi ad un matrimonio deciso a tavolino dal consiglio reale e dimostrare al mondo i suoi sentimenti per un Arciere senza titolo. Quello che era certo era che non riusciva proprio ad immaginarsi il Re che conosceva compiere un gesto di ribellione simile.
Forse, la personalità ribelli del Principe dei Corvi non era poi un vero mistero.
“Shouyou ti racconta nulla?” Domandò il Re.
“Riguardo a cosa?”
“Il Principe Demone…”
Daichi, probabilmente, sopravvalutava il legame tra lui e suo figlio. Kei e Shouyou erano cresciuti insieme ma non erano amici, non c’era nessun reale rapporto confidenziale tra loro. “Il Principe non parla con me di queste cose, mio signore.”
Il Re annuì guardando distrattamente di fronte a sé. “Non ne parla con nessuno,” ammise. “Nemmeno con Izumi e Kouji. Persino Tadashi e Hitoka non hanno saputo dirmi niente. Per assurdo, Shouyou si confida più con sua sorella che con gli amici della sua età.”
Kei doveva ammettere che era strano: Shouyou, di norma, era uno di quelli che bisognava obbligare a tacere quando cominciava a parlare. Per poi tacere sulle questioni che lo riempivano di euforia…
In realtà, si era più o meno aspettato che il Principe dei Corvi avrebbe passato ogni sera, dopo l’addestramento giornaliero con l’erede al trono di Seijou, a parlare di tutto quello che avevano fatto curandosi in modo snervante di non tralasciare alcun dettaglio. Di fatto, Shouyou era sempre rientrato disseminando il solito caos rumoroso fatto di lamentele ed insulti rivolti al Principe Demone ma, a parte questo, non aveva mai speso una parola sul tipo di addestramento che stava seguendo.
Dopo anni ed anni di attese un pazzo gli metteva, finalmente, una spada in mano e Shouyou sprecava tutto il fiato che aveva a parlare male di Tobio?
“C’è una cosa che ho bisogno di chiederti, Kei.” Disse il Re dei Corvi con aria completamente seria.
Il giovane Cavaliere s’irrigidì un poco.
Daichi lo guardò dritto negli occhi. “Si tratta di Shouyou.”
Il ragazzo non se ne sorprese.
“Ogni sera, non posso fare a meno di notare che ha un nuovo livido, da qualche parte.”
Kei non comprese il motivo di tanta serietà. “Tutti ci facciamo degli ematomi durante l’addestramento. È normale.”
Daichi annuì. “Sì, lo so…” Rispose ma non sembrava riuscire a convincere nemmeno se stesso. “Ciò non toglie che Shouyou sia… Diverso.”
Di colpo, Kei comprese la ragione per cui stavano parlando. “Non ha l’aspetto di un guerriero, no,” decise di tacere sulla personalità.
“Quella è una cosa con cui io e sua madre abbiamo fatto i conti da tempo,” ammise il Re. “Quello che volevo chiederti è un’altra cosa.”
“Vi ascolto, mio signore.”
“Shouyou è un erede un altro. È nato per essere Re.”
Kei annuì.
“Volevo chiederti, Kei. Passi con lui più tempo di me o di Koushi e comprendo che il nostro giudizio possa non essere completamente obbiettivo…” Daichi si umettò le labbra ed esitò per un istante. “Kei, pensi che Shouyou sarebbe in grado di essere un Re?”
 
 
***
 
 
 
Una settimana prima del ballo, Tobio ottenne, finalmente, la vittoria in cui aveva sperato.
 
 
“Sei troppo lento!” Esclamò scostandosi ed evitando il colpo della spada di Shoyou senza aver bisogno di difendersi con la propria. Il Principe dei Corvi, per poco, non si sbilanciò al punto da cadere a terra. Recuperò il controllo di sé velocemente, comunque e cercò di assestare un altro colpo.
Le lame s’incrociarono.
Tobio si difese senza il minimo sforzo e non aveva importanza quando Shouyou cercasse di fare forza, non c’era modo di smuoverlo. “Ti ho detto di non usare attacchi diretti!” Sbottò Tobio dandogli una spinta e facendolo cadere a terra. “Non puoi vincere uno scontro di forza fisica, mettitelo in testa!”
Shouyou sentiva male ovunque. Stavano andando avanti da parecchio ma non aveva alcuna intenzione di mollare perché che aveva tutti i muscoli del corpo indolenziti: la spada nella sua mano non pesava più come prima, doveva solo trovare il modo di sentirla come una parte di sé, come Tobio aveva detto.
Si rialzò in piedi, rimase immobile. Il respiro pesante, lo sguardo scintillante di determinazione.
“Vuoi restare lì e lasciare che ti sconfigga?” Domandò Tobio.
Shouyou non rispose, ogni parte del corpo tesa come un predatore che aspetta il momento giusto per azzannare la preda. Tobio ghignò. “Come desideri…” Il movimento delle sue gambe fu veloce quanto quello del suo braccio ma Shouyou ebbe come l’impressione di vedere ogni suo movimento a rallentatore.
Aspettò che si facesse vicino, più vicino, ancora un po’…
Una spada volò in aria per un paio di metri, poi la sua lama conficcò il terreno vibrando per alcuni istanti.
Tobio rimase con le braccia sollevate come congelato.
L’espressione di Shouyou non era meno sorpresa della sua, la spada sollevata sopra la testa.
Rimasero immobili per quella che parve un’eternità.
Toccò al Principe dei Corvi spezzare l’immobilità. “Gwah!” Urlò trionfante lasciando andare la sua stessa arma. Tobio ne approfittò subito per guardarlo storto. “Non perdere mai la prese sulla tua spada!” Sbottò ma l’altro non lo ascoltava. Lo superò saltellando ed osservò l’antica spada dei reali di Seijou conficcata nel terreno come se fosse una specie di miracolo.
“Gwah!” Esclamò di nuovo.
“E smettila!”
“Ti ho sconfitto!” Shouyou si voltò con aria trionfante puntando l’indice contro il Principe Demone. “Ti ho disarmato e ti ho… Ehi, che fai?”
Tobio aveva esaurito la distanza tra loro e lo guardava dall’alto al basso con aria minacciosa. Gli diede un pugno in testa e Shouyou si lamentò immediatamente portando entrambe le mani sul punto colpito. “Ma che ho fatto ora?” Domandò rabbioso.
“Non lasciare mai andare la tua arma!” Sibilò Tobio. “E non esultare così! Il movimento che hai fatto era completamente sbagliato!”
“Come hai fatto ad averlo visto se non hai nemmeno avuto il tempo di evitare il colpo!”
“Sei stato più veloce di me,” ammise Tobio. “Questo, però, non significa che non ti abbia visto. Hai aspettato di capire l’angolo del mio attacco e hai contrattaccato dal basso invece di difenderti. Hai valutato lo slancio, l’angolazione del mio polso e hai colpito in modo da costringermi a lasciare la presa.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Io ho solo pensato che non avresti potuto stringere il polso se avessi colpito dal basso… O, comunque, ti avrebbe fatto male e…”
“Straparli,” lo interruppe Tobio superandolo e recuperando la sua spada.
Shouyou lo guardò annoiato. “Ti ho disarmato, però! Questi devi riconoscermelo!”
Tobio lo guardò storto. “Non sferrare attacchi diretti,” disse. “Quante volte devo ripetertelo?”
Il Principe dei Corvi s’imbronciò. “Mi pareva di vederti a rallentatore,” ammise. “Per questo ho saputo dove colpire… Ho avuto tutto il tempo per deciderlo!”
Tobio inarcò le sopracciglia e Shouyou aspettò nella speranza che gli dicesse qualcosa di carino.
“Il tuo cervello è talmente lento che anche le cose che vedi le percepisci in ritardo?”
Shouyou strinse i pugni ed emise un ringhio frustrato.
 
 
***
 
 
“Non può continuare così…”
A quelle parole, Koushi trattenne il respiro per una manciata di secondi, guardò la bambina seduto sul tappeto davanti a lui e forzò un sorriso. “Natsu, tesoro, perché non vai a giocare nella stanza di tuo fratello per un po’?” Le propose dolcemente. “C’è anche Hitoka con lui e sicuramente Shouyou racconterà altre storie sul Principe Demone.”
Gli occhi d’ambra della piccola Principessa si fecero grandi per l’emozione e si alzò in piedi con un saltello. “Vado, mamma!”
“Non correre o rischi d’inciampare sull’orlo del vestito,” le disse Koushi ma la sua bambina era già corsa fuori dalla stanza. Il sorriso scivolò via dalle labbra del consorte reale di Karasuno e gli occhi dorati erano oscurati da un velo di rabbia quando si voltarono verso il suo compagno. Daichi se ne stava di nuovo in piedi davanti a quella dannata finestra, le braccia incrociate contro il petto e lo sguardo fisso su qualcosa che doveva aver attirato in modo particolare la sua attenzione.
Koushi prese un respiro profondo. “Vedi di elaborare in fretta quello che volevi dire, non credo di avere la pazienza di ascoltarti per molto…”
Daichi nemmeno si voltò. “Che cosa ne pensi di Kei?”
Koushi inarcò le sopracciglia. “Kei?”
“Sì,” Daichi si voltò, si allontanò dalla finestra e si accomodò su una delle poltrone ai lati del tappeto in modo da poter guardare Koushi negli occhi. “Che giudizio hai su di lui?”
Il consorte reale del Regno di Karasuno non comprendeva. “L’ho visto crescere,” rispose con una lieve scrollata di spalle. “Suo fratello è cresciuto con noi, quindi, gli sono affezionato. È naturale.”
Daichi annuì distrattamente. “Già… Sa prendersi cura di Shouyou molto bene, non ti pare?”
“È un ottimo Cavaliere,” si limitò a dire Koushi. “Il migliore della generazione sua e di nostro figlio, è ovvio che esegua al meglio un ordine che gli ha impartito il suo Re di persona.”
Daichi inarcò un sopracciglio. “Di solito, non sei così freddo e cinico.”
“Non starò qui a dire che Kei è una persona espansiva che sacrificherebbe se stesso con piacere per nostro figlio perché non è così,” replicò Koushi. “È un ragazzo responsabile, intelligente e mi fido di lui. Sì, mi sento più tranquillo al pensiero che sia il Cavaliere personale di nostro figlio e penso che Shouyou gli voglia bene, nonostante l’evidente incompatibilità dei loro caratteri, ma non capisco perché stiamo parlando di questo.”
Daichi prese un respiro profondo. “Mi sento in difficoltà ad affrontare questa questione con te,” ammise. “Non vorrei che fraintendessi le mie parole.”
Koushi strinse le labbra per un istante. “Provaci…” Non era gentile la sua voce.
Il Re dei Corvi lo guardò dritto negli occhi. “Shouyou ha quindici anni, Koushi,” gli disse. “Pensi che ci sia un modo per capire se sia come te o…”
Si fecero duri gli occhi di Koushi. “Lo sapevi che c’era la possibilità che fosse un Omega, era naturale che fossi così!”
Daichi sospirò stancamente. “Non è questo il problema, Koushi.”
“Allora qual è?”
“Penso che dovremmo seriamente cominciare a pensare ad un matrimonio per Shouyou.”
Koushi, da principio, non seppe come rispondere. Forse, in cuor suo, credeva di aver capito male perché non era possibile che Daichi si mettesse a fare discorsi alla pari del Re Demone, non per un argomento di quel genere. Si alzò in piedi e così fece il suo compagno. “Koushi…” Lo chiamò sollevando un braccio per toccarlo ma il consorte fece un passo indietro.
“Non stai dicendo quello che penso…” Mormorò Koushi cercando di combattere il nodo che gli stringeva la gola.
Gli occhi di Daichi erano resi grandi dal senso di colpo ma non ritrattò quanto appena detto. “Dobbiamo renderci conto della realtà.”
“Quale realtà?”
“Shouyou non è in grado di essere Re e mai lo sarà…”
Nessuno dei due si accorse che, uscendo, Natsu non aveva richiuso adeguatamente la porta.
 
 
Shouyou rimase con la mano sospesa a mezz’aria a pochi centimetri dalla maniglia della porta.
Sua sorella aveva dimenticato la sua bambola e lui doveva comunque parlare con i suoi genitori, così…
La discussione all’interno della stanza continuava, sua madre fu il primo ad alzare la voce e suo padre lo invitò alla calma e a ragionare diverse volte, prima che il suo tono di voce divenisse duro a sua volta. Shouyou, però, non poneva più attenzione alle loro parole. Aveva smesso di farlo dal momento in cui suo padre aveva detto senza mezzi termini che l’unico futuro che aveva era in un matrimonio che altri avrebbero dovuto scegliere per lui.
Respirare divenne doloroso, mentre il cuore divenne rumoroso fino al punto che ebbe il timore che gli scoppiasse nel petto.
Provò il grande desiderio di entrare in quella stanza di colpo e di mettersi ad urlare più forte dei suoi genitori, di far valere le sue ragioni e rivendicare per sé il diritto di decidere della propria vita. Non lo fece. Non era adatto per essere Re. Non era adatto per essere un Cavaliere. Non era adatto a… Niente.
Riadagiò il braccio lungo il fianco e se ne andò in silenzio.
 
 
***
 
 
C’era ancora un poco di luce dopo che tutti ebbero finito di cenare ed era decisamente troppo caldo per andarsi a chiudere tra le mura di pietra del Castello Nero, così tutti i Cavalieri si radunarono di nuovo nel cortile interno portando con loro del buon vino preso dalle cucine senza permesso. I giovani si erano radunati da una parte ed i veterani dall’altra.
Hajime osservava la scena un po’ in disparte. Koutaro e Tetsuro erano vicino a lui e riuscivano perfettamente ad animare la serata anche da soli. Kenma e Kouji li ascoltavano a stento: il primo era troppo occupato a controllare che Lev non esagerasse col dare spettacolo di sé dal lato opposto del cortile, il secondo teneva gli occhi fissi sulla piccola Keijiko che se ne stava seduta insieme agli altri bambini più ad ascoltare i giovani raccontare le loro esagerate imprese di guerra.
Tobio non scese prima che il cielo si fosse fatto scuro e le prime fiaccole vennero accese.
Gli occhi blu incrociarono immediatamente quelli verdi del Primo Cavaliere e Hajime gli sorrise. “Ti credevo già a letto,” disse mentre suo figlio si affiancava a lui. “Sei tornato tardi…”
“Fa troppo caldo,” replicò il Principe. “Non riesco a dormire. Ho proposto al Re di tirare qualche freccia nei giardini con me ma ha detto di essere stanco.”
Hajime fece una smorfia e non disse nulla: non parlava con Tooru dal giorno in cui gli aveva confessato senza mezzi termini che, per quel che lo riguardava, il Re dell’Aquila poteva fare di lui quello che voleva. Sapeva di essere stato crudele e non poteva negare a se stesso di essersi sentito in colpa ma non gli era passato per la testa nemmeno per un istante di andare a chiedere scusa. Mai.
“Come va col piccoletto?” Domandò, invece.
Tobio scrollò le spalle. “Oggi ha fatto meno schifo del solito,” confessò. “Continua a fare di testa sua, però.”
Hajime sorrise. “Mi fa piacere…”
Il Principe lo guardò confuso.
“Hai trovato qualcuno che ti tiene testa,” aggiunse il Primo Cavaliere.
“Se ha cominciato solo ora a reggere una spada degnamente.”
“Non mi riferivo al campo di battaglia, Tobio,” disse Hajime battendogli un pugno sul petto con gentilezza. “È una questione di personalità…”
Tobio non comprese ma decise di non chiedere oltre: aveva avuto Shouyou tra i piedi anche troppo per una sola giornata. Il destino, però, sembrava pensarla diversamente.
“Oh! Oh! Oh!” Esclamò Koutaro. “Ecco il piccolo corvo! Che aria seria che ha, però…”
“Non è serio,” si aggiunse Testuro. “È decisamente fumante di rabbia,” reclinò la testa all’indietro. “Che cosa gli hai fatto, Tobio?”
Il Principe Demone non rispose, gli occhi blu fissi su Shouyou. Lo vide attraversare il cortile con passo veloce, lo sguardo freddo, distanza. Era decisamente un’immagine fuori dal comune per la sua esperienza con lui. Si avvicinò al gruppetto di giovani da cui la testa di Lev spuntava più in alto delle altre. Questi lo salutò allegramente ma Shouyou lo ignorò deliberatamente e si avvicinò al ragazzo biondo seduto in disparte, sulle scale che portavano alle mura di cinta.
Se Tobio ricordava bene, il suo nome era Kei.
“Che cosa gli hai detto?”
La voce di Shouyou ebbe il potere di sovrastare tutte le altre ed un silenzio pesante cadde sul cortile.
“Sei stato tu, ammettilo! Sei stato tu a mettergli un’idea del genere in testa!”
Da dov’era, Tobio riusciva a vederlo solo di schiena ma era certo che stesse per scoppiare a piangere tanto era arrabbiato. Kei si alzò in piedi ma l’espressione sul suo viso non cambiò da quella apatica, un poco annoiata con cui Tobio era abituato a vederlo. Disse al suo Principe qualcosa che nessun altro poté udire: forse, di abbassare la voce.
“Non mi calmo fino a che non mi dici cosa centri tu con questa storia!” Shouyou era decisamente fuori di sé. Tobio non lo aveva sentito così nemmeno il giorno in cui gli aveva tirato addosso una freccia e lo aveva accusato di tentato omicidio. Si staccò dal muro di pietra. Sentì gli occhi di suo padre su di sé ma non si voltò a spiegargli le sue intenzioni: nemmeno lui sapeva cosa stava facendo ma sapeva che non era saggio lasciare che quell’idiota si arrabbiasse tanto in un luogo tanto affollato.
“Non ho la minima idea di quello che stai dicendo,” replicava Kei ma non doveva essere del tutto la verità.
Shouyou stringeva i pugni e Tobio si domandò come non avesse fatto ancora a ferirsi i palmi. Afferrò il giovane Cavaliere per il colletto della tunica. “Devi dirmi che cosa gli hai detto, Kei!”
Tobio si bloccò. Non perché la voce di Shouyou suonava pericolosamente disperata, non perché aveva alzato le mani su di un ragazzo cha avrebbe tranquillamente potuto sbatterlo a terra, se non fosse stato il suo Principe. No, fu il modo in cui l’espressione di Kei cambiò a far scattare qualcosa nella mente del Principe Demone.
Il Cavaliere che fino ad un istante prima aveva rasentato l’apatia, ora fissava il suo giovane signore come se non lo riconoscesse. Dovette essere per istinto che portò la mano all’elsa della spada appesa al suo fianco.
Tobio fu più veloce.
Gli staccò Shouyou di dosso e lo sbatté contro la parete di pietra con poca grazia.
“Tobio!” Lo richiamò la voce di suo padre da qualche parte alle sue spalle. Il Principe Demone, però, non aveva il tempo per giustificare le sue azioni. Con una mano teneva bloccato il braccio di Shouyou contro il muro, con l’altra gli afferrò il mento con poca gentilezza e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
Vide esattamente quello che si era aspettato di vedere.
Quelle iridi da predatore del cielo lo fissarono minacciosi ma Tobio notò solo le lacrime che li bagnavano e non provò alcun timore. “Calmati,” disse a basa voce ma fermamente, come se stesse impartendo un ordine. “Calmati immediatamente, stupido.”
Sentì Shouyou trattenere il respiro, poi le lunghe ciglia si abbassarono ed alzarono due volte. Quando il Principe dei Corvi sollevò di nuovo lo sguardo sul Principe Demone, i suoi occhi erano tornati dello stesso colore dell’ambra.
Shouyou fissò Tobio smarrito per dei secondi di assoluta immobilità, poi si morse il labbro inferiore, strinse gli occhi ed abbassò il viso lasciandosi andare alle lacrime.
Tobio tirò un sospiro di sollievo e allontanò la mano dal suo viso ma non mosse di un millimetro quella che gli stringeva il braccio. Portò lo sguardo sul viso del giovane Cavaliere dai capelli biondi. Kei li fissava completamente smarrito e l’incomprensione doveva pesargli parecchio perché ora sembrava lui quello fuori di sé ma lo era in silenzio. Gli occhi dorati incrociarono quelli blu e Tobio indicò la mano con cui ancora stringeva l’elsa della spada.
Kei abbassò lo sguardo e riadagiò il braccio lungo il fianco.
Tobio riportò la sua attenzione sul Principe dei Corvi. “Vieni con me,” ordinò. Non aspettò una replica, lo trascinò per il braccio e Shouyou si fece condurre senza fare storie. Il Principe Demone si accorse dello sguardo del Primo Cavaliere ma non era quello il tempo di dare spiegazioni.
Il silenzio si prolungò nel cortile interno del Castello Nero anche quando se ne furono andati.
 
 



 

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Capitolo 25
*** Di debiti e corone ***


22
Di debiti e corone
 
 

Era calato un pesante silenzio nella camera da letto dei reali di Karasuno.
Koushi si era lasciato cadere sulla poltrona precedentemente occupata dal compagno e Daichi era tornato accanto a quella maledetta finestra, una spalla appoggiata alla parete di pietra e lo sguardo colpevole rivolto al suo consorte. Nulla di quello che aveva detto gli faceva piacere e non aveva mancato di affermarlo con chiarezza ma a Koushi non sembrava importare: nulla poteva dissuaderlo dall’idea che stavano facendo a Shouyou il peggiore de torti.
“Kei?” Domandò Koushi con un filo di voce. “Kei è tutto quello a cui sei riuscito a pensare?”
Daichi si umettò le labbra. “Si conoscono fin da bambini, non metterei mai mio figlio nelle mani di uno sconosciuto e non sarò mai uno di quei padri che cede il proprio erede ad un vecchio potente per ragioni politiche.”
“No,” Koushi gli rivolse un’espressione pregna di velenoso sarcasmo. “Tu sei quel genitore che per proteggere i propri figli li rinchiude in una gabbia.”
“Koushi…” Daichi s’inginocchiò sul davanti, davanti al suo compagno. “Pensi che abbia sognato per Shouyou qualcosa di diverso da quello che abbiamo avuto io e te?”
“Io e te siamo scappati da Karasuno per restare insieme, Daichi,” replicò Koushi. “Pensavo che avremmo garantito ai nostri figli la libertà che non è stata concessa a noi ma, no, tu stai facendo con Shouyou esattamente quello che hanno provato a fare con te. Yui era una tua amica d’infanzia, era una dama educata per essere la moglie di un Re e c’era affetto e fiducia tra di voi ma non l’amavi… Non l’amavi e piuttosto che sposarla hai preferito spezzarle il cuore, tradire le aspettative di tutti e combattere per essere felice.”
“Avevamo quindici anni,” gli ricordò Daichi. “E siamo stati fortunati… Se Tooru non avesse mandato quella lettera per legittimare la nostra unione, non sarebbe stato così semplice.”
“Sì,” Koushi annuì. “Eravamo giovani e, sì, siamo stati fortunati ma Shouyou quindici anni li ha ora e non ha bisogno dell’intervento di un altro Re per avere la sua libertà perché noi abbiamo il potere di dargliela!”
“Pensi davvero che Shouyou possa sopravvivere su di un trono?” Domandò Daichi un poco duramente. “È caparbio, Koushi, lo sappiamo bene entrambi ma è impulsivo, ingenuo ed è troppo sensibile per reggere un peso del genere.”
“Non diventerà Re domani, Daichi.”
“Ma noi non vivremo in eterno…”
“Per questo dobbiamo smettere di proteggerlo!” Esclamò Koushi. “Sì, anche io tremo all’idea che possa farsi male in qualche modo ma la vita è così, Daichi, lo sappiamo bene entrambi e non capisco perché tu non possa accettarlo!”
Daichi strinse le labbra per un istante. “Lo sai bene perché,” replicò.
Koushi chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Shouyou è nato con un dono, Daichi e non possiamo colpevolizzarlo per questo. Qualunque cosa abbia sognato Kenma, ora…”
“Lo so,” il Re dei Corvi si alzò in piedi. “Questo però non toglie dalla circolazione tutti gli uomini che potrebbero approfittarsi di lui. Con ogni probabilità, Shouyou è un Omega e questo, sommato al dono di cui parli, lo rende una creatura troppo preziosa perché possiamo permetterci di mostrarlo agli occhi del mondo!”
Koushi sospirò. “Hai mai preso in considerazione l’idea che possa finire nelle mani di qualcuno che ama e da cui è ricambiato? Qualcuno abbastanza forte per proteggerlo e che lo rispetterebbe?”
Daichi lo guardò sospettoso. “Sai qualcosa che io non so…”
Koushi si morse il labbro inferiore: non era certo che fosse saggio confessarlo ora ma, suo malgrado, il piano di Tooru non appariva poi così sbagliato in confronto a quello del suo compagno. In quel caso, almeno, poteva avere fede nel destino.
“Hai mai preso in considerazione…” Esitò. “Hai mai pensato a Shouyou e Tobio?”
Daichi non reagì immediatamente, poi i suoi occhi si fecero grandi e Koushi si preparò alla discussione che, inevitabilmente, stava per avere inizio. “Io voglio nascondere nostro figlio agli occhi del mondo e tu vuoi concedere la sua mano all’erede di uno dei due troni più potenti dei Regni liberi?”
Koushi scrollò le spalle. “Se ci rifletti, in questo modo, ogni problema si estingue da solo…”
“Non credo di capire…”
“Tooru te lo aveva detto anni fa, durante la nostra ultima estate al castello al mare,” gli ricordò Koushi. “Tu non hai dato ascolto alle sue parole e, di fatto, è successo quel che è successo poco prima che Natsu nascesse.”
“Tooru mi aveva detto che nostro figlio era al sicuro,” ricordò Daichi. “Non mi disse come faceva ad esserne certo e così non raccontai nulla a te e decisi di fare come Kenma mi aveva consigliato in ogni caso.”
“Tu sai chi è Eita, Daichi?”
“So che era il Mago di corte di Shiratorizawa. So che ha dato alla luce il Principe dell’Aquila…”
Koushi annuì. “Tsutomu non è nato e basta. Non come i nostri figlio o come Tobio… È figlio della magia… Magia nera.”
Daichi inarcò le sopracciglia. “Ma questo cosa centra con Shouyou?”
“Tooru ed Eita si sono conosciuti,” spiegò Koushi. “Per farla breve, se il Re dell’Aquila ha concepito un figlio con il suo compagno è anche grazie a Tooru.”
“Per farla breve?”
“Non è questo che c’interessa… Il punto è che Eita ha fatto un sogno riguardo a nostro figlio e al giovane Tobio.”
Daichi annuì.
“Ha predetto che Tobio era per Shouyou e che Shouyou era per Tobio.”
Ci fu un altro momento di assoluta immobilità. Daichi si guardò intorno, come se volesse assicurarsi di essere sveglio e di non essere precipitato in una realtà alternativa. “Nostro figlio è destinato al Principe Demone?”
Koushi accennò un sorriso. “Sì, Daichi…”
Il Re dei Corvi parve più confuso di prima. “È stato predetto che Shouyou, il nostro Shouyou, diverrà il consorte del futuro Re Demone?”
Koushi scrollò le spalle. “Oppure diverrà il sovrano del Regno di Karasuno, come è suo diritto e, contemporaneamente, il compagno del futuro Re Demone, sì. Siederà su di un trono al fianco di Tobio, regneranno insieme, darà alla luce i suoi figli…”
Daichi alzò entrambe le mani. “Rallenta,” affermò un po’ duramente. “Noi non siamo stati invitati a questo ballo solo per cortesia, vero? E nemmeno in nome di una vecchia amicizia, giusto?”
Koushi sospirò. “Tooru ha delle speranze per questo ballo, sì.”
Daichi ne era certo, avrebbe perso la sanità mentale prima di rientrare nel suo piccolo e pacifico Regno, oppure i giochi di potere del Re Demone e del Re dell’Aquila li avrebbero divorati vivi ed allora rimanere lucidi sarebbe divenuta l’ultima delle sue preoccupazioni. “Non ho capito in che modo tutto questo possa risolvere i nostri problemi. Mi pare chiaro che non si sopportano!”
Koushi scrollò le spalle. “Non sono io che riesco a spiare tra le infinite trame del destino, Daichi.”
Bussarono alla porta ed entrambi si voltarono.
“Avanti!” Disse Daichi.
Timidamente, il giovane Tadashi si affacciò sulla stanza. “Scusate il disturbo,” disse accennando un sorriso.
Koushi si alzò in piedi con un sorriso. “Tadashi…”
“Shouyou non è qui?” Domandò il ragazzo confuso.
Koushi guardò Daichi ed il Re ricambiò lo sguardo. “Pensavo fosse con voi,” disse quest’ultimo.
Tadashi annuì. “È uscito perché la Principessa voleva la sua bambola e ha detto di dover parlare con voi…”
“Perché allora non è…” Koushi s’interruppe e sgranò gli occhi per un istante, poi abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. “Daichi…”
Al Re bastò guardare il compagno per comprendere il suo timore. “Ci ha sentiti?”
“Ho paura di sì…”
Il Re trattenne a stento un’imprecazione, poi guardò il ragazzo di fronte a sé. “C’è qualcuno con Natsu?” Domandò.
Tadashi annuì. “Hitoka.”
“Bene… Dille di restare con la Principessa e chiama Kei,” ordinò Daichi. “Cerchiamo di scoprire dove si è cacciato Shouyou alla svelta!”
Il ragazzo annuì di nuovo ed uscì dalla camera con urgenza.
Il Re dei Corvi si passò una mano tra i capelli con fare frustrato. Cercò gli occhi dorati del compagno ma Koushi fissava un punto di fronte a sé con espressione tesa.
“Koushi…” Lo chiamò e gli strinse una spalla.
Il consorte gli concesse la sua attenzione ma non c’era dolcezza nel suo sguardo. “Non m’importa se sediamo su di un trono e non m’importa se siamo i suoi genitori, quando lo troveremo gli daremo tutte le giustificazioni di cui ha diritto e gli chiederemo scusa.”
Il Re dei Corvi esitò, poi annuì. “Andiamo a cercare a nostro figlio…” Mormorò cercando la mano del compagno.
Koushi non la rifiutò e Daichi seppe che lo aveva perdonato di nuovo.
 
 
***
 
 
Tooru non riusciva a dormire.
Avrebbe voluto dare la colpa al caldo e convincersi che non ci fosse altro a disturbarlo ma avrebbe dovuto mettere a tacere tutti i pensieri che vorticavano nella sua testa per riuscirci.
Non sapeva che cosa lo disturbasse di più, se sedere in una camera da letto silenziosa e buia o la vista del grande letto completamente intatto. Nessuno avrebbe sgualcito quelle lenzuola se non si fosse preso la briga di alzarsi da quella poltrona per coricarsi ma era lì che il circolo vizioso delle sue riflessioni gli impediva di cedere al sonno: non voleva dormire in un letto vuoto.
Sospirò. Non era del tutto corretto quel pensiero.
Non era il letto vuoto in sé a disturbarlo ma l’assenza di una persona in particolare.
Si passò una mano tra i capelli e si alzò in piedi. Se avesse voluto dar ragione alle parole velenose di Hajime, avrebbe dovuto attraversare i piani nobili fino ad arrivare all’ala opposta del castello e lì avrebbe bussato alla porta di un Re che, probabilmente, era l’unico a comprendere la sua solitudine.
Sbuffò. Il suo cuore si era fatto troppo gelido perché la disperazione avesse la prevalenza sull’orgoglio. L’ultima volta che si era concesso a Wakatoshi era stato per annientare il dolore ma Tooru non soffriva più il disprezzo di Hajime come allora. Sì, quel Cavaliere aveva ancora il potere di farlo piangere ma era in piedi.
Quello era il dettaglio più inquietante.
Non era indifferenza la sua o avrebbe trovato il modo di riempire quel letto vuoto come qualunque altro Re. Hajime non gli sarebbe stato mai indifferente ed era una realtà che aveva accettato da tempo ma era il suo modo di provare, di sentire ad essere diverso.
Il Re dell’Aquila si distruggeva per suo figlio in privato ma non lasciava cadere la sua maschera di fredda compostezza di fronte agli altri. Tooru, alle volte, guardava il suo e non sapeva come sentirsi.
Il Re Demone guardava il suo Principe e, per un attimo, vedeva il suo capolavoro, la grande vittoria che aveva stretto tra le braccia alla fine di una guerra che stava per strappargli via tutto. C’erano dei momenti, come quello in cui aveva messo sulle spalle di Tobio il suo mantello rosso, in cui sentiva il petto gonfiarsi di orgoglio per un sentimento che assomigliava un po’ a quello che provava per Hajime quando, al suo passaggio, la gente sollevava gli occhi ed allungava il collo solo per poter vedere da lontano il Primo Cavaliere di Seijou.
Non è bellissimo? È mio!
Non era forse quella l’emozione naturale di cui aveva parlato Wakatoshi?
Tooru la ricordava bene quando Tobio era piccolo e lo stringeva a sé. Era bellissimo… Il suo bambino con gli occhi blu come il cielo ed i capelli neri come ali di corvo. Era impossibile non fermarsi a guardarlo incantati e Tooru rammentava come fosse facile sentirsi un Re con quella creatura tra le braccia e la consapevolezza che era sua, che era al mondo grazie a lui e che era nata dall’amore suo e del Cavaliere che aveva accanto.
Dov’era quell’emozione, ora?
Tobio era un Principe e lo era in un modo che riassumeva alla perfezione sia Hajime che lui. Non era aggraziato come Tooru e non attirava gli occhi degli altri su di sé per le stesse ragioni, eppure c’erano dei dettagli, seppur nascosti, che tradivano tutta l’eleganza del Re Demone. Tobio era bello, pur non avendo la sua bellezza. Non brillava, non gli importava nemmeno farlo ma il fascino oscuro che indossava, pur non sapendolo, rendeva impossibile non guardarlo.
Tobio era come la neve appena caduta sotto il sole d’inverno: fredda, eppure bellissima.
Né Tooru né Hajime erano mai stati così, sebbene Tobio assomigliasse ad un Cavaliere in un modo che lo rendeva il degno erede di suo padre.
Certo, ogni fascino si dissolveva nel momento in cui apriva bocca ma nemmeno Hajime era mai stato un poeta, dopotutto. Tooru si chiedeva seriamente se suo figlio ignorasse deliberatamente tutte le fanciulle che gli rivolgevano inviti silenziosi con gli sguardi ma impossibili da non intendere o se, semplicemente, fosse un completo idiota. Considerando che, goffaggine o meno, Tobio non si era mai disturbato ad assecondare certi desideri, Tooru aveva quasi preso in considerazione l’idea che la questione proprio non gli interessasse.
E pensare che c’erano nobili che passavano l’adolescenza dei loro figli a preoccuparsi che qualche bastardo potesse saltar fuori da ogni angolo. Tooru sapeva che, suo malgrado, Hajime un po’ di quel timore lo avrebbe voluto…
Il Re Demone si ritrovò a pensare al Principe dei Corvi e non poté evitare di provare un poco di pietà per quel piccoletto, per il giovane imbranato a cui era destinato. Decise di non domandarsi come quella creaturina tutta luce e vivacità potesse smuovere in qualche modo la natura da uomo di suo figlio o l’assenza di sonno sarebbe divenuta un problema a lunga scadenza.
“Patetico…” Mormorò al cielo stellato. La portafinestra che dava sulla balconata era aperta e Tooru uscì lasciando che quel poco di brezza estiva che riusciva a soffiare gli concedesse una qualche forma di sollievo ma non spazzò via i suoi pensieri.
Non aveva importanza quanto cercasse dentro di sé quell’amore innocente, brillante ed assoluto che, prima, era stato per lui e Hajime e, dopo, anche per Tobio. Non c’era più. Era quasi morto per esso ed ora era come se fosse successo ad un altro, non a lui. Un’immagine gli tornò alla mente: un tramonto d’estate nelle campagne di Seijou. Tobio doveva aver avuto due o tre anni e a stento lo si vedeva circondato dalle spighe di grano. Hajime era inginocchiato dietro di lui, un braccio avvolto intorno alla piccola vita mentre pronunciava parole che Tooru non poteva udire e, di tanto in tanto, posava un bacio tra i capelli corvini del loro bambino. Tobio prendeva tra le manine le spighe di grano e, di tanto in tanto, annuiva alle parole del suo papà. Tooru non ricordava con certezza quanto tempo era rimasto a guardarli ma era certo di aver pensato che avrebbe potuto farlo per ore… Ed ore… Per sempre…
Era come una bella storia. Era come un’altra vita.
Tooru sapeva che era stata reale ma non la sentiva.
Ora, guardava Tobio, ammirava quella promessa di perfezione ancora imperfetta e vedeva solo ciò che avrebbe potuto oscurarlo. Suo figlio era l’unico nemico che temeva e Tooru non aveva temuto nemmeno il Re dell’Aquila. Perché andava bene che Tobio fosse nato Cavaliere, andava bene che tutti conoscessero il suo nome come Principe e andava bene anche che fosse degno di essere un Re… A costo che non lo superasse. Quello era un affronto che il Re Demone non avrebbe perdonato nemmeno a sangue del suo sangue.
Tobio era destinato a mettere in ginocchio tutti i Regni liberi con il piccolo Shouyou al suo fianco? Bene, tutto quello che Tooru doveva fare era plasmare quella profezia a suo favore tenendo buono il Re dell’Aquila con la gentilezza di un alleato e spingendo Koushi ad essere suo complice nell’avvicinare i loro Principi.
Tutto partiva da lì: Shouyou doveva essere di Tobio ed entro la notte di quel ballo lo sarebbe stato.
Qualcosa si mosse sotto la balconata, sul lato dei giardini. Tooru si voltò in un gesto automatico ma qualcosa attirò la sua attenzione al punto da spingerlo ad affacciarsi da quel lato e guardare meglio.
Sorrise con diabolica soddisfazione: il destino stava giocando le sue carte.
 
 
***
 
 
Shouyou non chiese dove Tobio lo stava portando e non si preoccupò di guardarsi intorno fino a che il Principe Demone non lo spinse a sedersi su di un terreno erboso. Solo allora si rese conto che erano nei giardini reali. “Aspetta qui…” Disse Tobio.
Shouyou annuì tirando su col naso: non sapeva nemmeno come rientrare passando da lì, quindi non c’era pericolo che si muovesse. Il silenzio che lo circondava era interrotto solo dal canto dei grilli. Sopra di lui, la volta celeste era trapunta di stelle ma Shouyou non era dell’umore adatto per godersi un simile spettacolo.
La luce di un fuoco lo indusse a voltarsi e vide Tobio appendere una fiaccola alla parete di pietra, accanto alle scale. Tra le mani aveva due archi ed una faretra appesa alla spalla.
Shouyou inarcò le sopracciglia ma non chiese nulla.
“Alzati,” disse Tobio affiancandolo.
Il Principe dei Corvi ubbidì per semplice curiosità. Fissò il profilo dell’altro per un lungo istante, poi seguì la linea del suo sguardo: solo allora, grazie alla luce della fiaccola, notò il bersaglio posto ad una decina di metri di distanza. “Io non so tirare con l’arco,” disse immediatamente, senza pensare.
Tobio lo guardò come se avesse parlato a sproposito. “Lo so…”
Shouyou annuì appena. Certo che lo sapeva: l’unica cosa che sapeva fare era anche la sola che non poteva mostrare al mondo per non mettere a rischio la sua sicurezza. O, almeno, questa era la versione dei suoi genitori.
“Tieni,” Tobio gli passò uno dei due archi e Shouyou lo afferrò solo per non farlo arrabbiare: era sinceramente curioso di vedere dove volesse arrivare. Appoggiò la faretra a terra tra loro, poi afferrò una freccia. “A chiunque ti dica che essere un Arciere è più facile di essere un Cavaliere,” disse tendendo la corda e puntando gli occhi dritto di fronte a sé. “A chi affermi in tua presenza che un Arciere è un codardo per natura che non è riuscito a divenire Cavaliere per non dover affrontare direttamente un nemico sul campo di battaglia, sfidalo a fare questo…”
Shouyou trasalì per il movimento improvviso con cui lasciò andare la freccia. Quando si voltò a guardare il bersaglio, la trovò precisamente al centro. Cos’altro avrebbe dovuto aspettarsi dal figlio del Re Demone, il più grande Arciere dei Regni liberi, dopotutto?
“Mia madre era un Arciere,” disse. “Come consorte reale non può combattere in guerra ma, alle volte, ha fatto vedere come si fa a me e Natsu…”
Tobio riadagiò le braccia lungo i fianchi e lo guardò. “Non hai mai provato…”
Shouyou scosse la testa con un sorriso amaro. “Non l’ho mai trovato divertente,” scrollò le spalle. “Bisogna stare fermi…”
Tobio lo guardò con sufficienza e sbuffò. “Tornando agli idioti che mal giudicano gli Arcieri… Un bersaglio fermo come quello che hai davanti è quanto di più facile esista per chi sa usare l’arco. I bambini ben addestrati possono farlo ad occhi chiusi…”
Shouyou lo guardò con una certa freddezza. “Senti, non è la serata adatta per…”
“Prova tu,” lo interruppe Tobio.
Il Principe dei Corvi lo guardò come se fosse un idiota. “Non ho mai tirato una freccia in vita mia.”
Il Principe Demone sbuffò nuovamente, sfilò un’altra freccia dalla faretra a terra e si spostò dietro al suo stupido ospite. “Allarga le gambe,” disse colpendo con il piede la caviglia di Shouyou. “Stai dritto, immobile ma non stare rigido o la freccia non farà neanche un metro.”
Shouyou lo guardò storto. “Mi stai ascoltando, Tobio?”
Il Principe Demone gli afferrò le braccia e le mise in posizione. Incoccò la freccia per lui e Shouyou si ritrovò costretto in una posizione che non gli era naturale con Tobio attaccato alla schiena. “E stringi questa freccia!” Esclamò il Principe Demone spazientito.
Shouyou ubbidì e le dita di Tobio si spostarono sul suo polso.
“Tendi di più la corda… Così…” Mormorò concentrato. “La senti?”
“Cosa?”
“La tensione,” disse il Principe Demone. “La tua vittoria è appena un filo più sottile di quello del tuo arco. Hai una frazione di secondo per fare di te un vincitore o un miserabile perdente messo in ginocchio dalla sua preda.”
“Non mi piace andare a caccia,” gli ricordò Shouyou.
“Non stai andando a caccia,” replicò Tobio. “Stai combattendo per quello che hai di più caro al mondo. Sbaglia il colpo e perderai qualcosa di ben più prezioso della tua vita… E non guardare me! Guarda il bersaglio e concentrati! Hai il cuore a mille, non riesci a respirare e l’istinto ti sta urlando di fare qualcosa e di farlo subito ma non hai una spada tra le mani, non puoi buttarti nella mischia ed agitare le braccia sperando di colpire qualcosa… Devi restare immobile, devi trovare un equilibrio… Devi vedere dove la freccia andrà a colpire…”
Tobio non era mai stato tanto intenso nelle sue lezioni con la spada. Tecnico, preciso, esperto ma mai intenso. Shouyou si sentì investire da quella forza emotiva. Non si era mai fermato a cercare di comprendere l’amore che Tobio aveva per il suo titolo di Arciere, non gli era mai interessato. Shouyou aveva sempre e solo sognato di essere un Cavaliere, dopotutto.
Eppure… Eppure ora lo sentiva.
Si concentrò al punto da non accorgersi che le mani di Tobio non lo toccavano più. “Lascia andare, Shouyou…”
Lo fece e fu una sensazione tanto intensa che il Principe dei Corvi udì un boato da qualche parte ma dovette essere solo la sua immaginazione, perché la freccia non emise alcun rumore nel fendere l’aria ed appena percettibile fu quello dell’asta di legno che andava in pezzi. Fu un centro assolutamente perfetto.
Shouyou spalancò occhi e bocca e fissò ciò che era rimasto della prima freccia lanciata da Tobio come se fosse qualcosa di un altro mondo. Gli angoli della sua bocca si sollevarono spontaneamente ed una risata liberatoria gli rimase bloccata in gola per la troppa emozione.
“È una bella sensazione, vero?”
Shouyou guardò Tobio ma gli occhi blu del Principe Demone erano rivolti al bersaglio, alle loro due frecce. Sorrideva ed il Principe dei Corvi ebbe come l’impressione di essere testimone di un evento più unico che raro. Ecco, il ghiaccio si era sciolto e Shouyou seppe come appariva la passione sul viso di Tobio.
“Ancora! Ancora! Ancora!” Esclamò afferrando un’altra freccia. Una volta lasciata la corda, la punta di metallo andò a conficcarsi dritta nel terreno ad appena due metri di distanza. Shouyou la fissò esterrefatto.
“Idiota…” Mormorò Tobio sposandosi per recuperare da terra il secondo arco. “Prima, ho preso la mira e dato forza al lancio io… Tu stavi solo lì a reggere l’arco.”
Shouyou gli ringhiò contro. “Perché devi spezzare il mio cuore in questo modo?”
Bene, concluse Tobio, era tornato in sé. “Che cosa è successo?” Domandò tirando un’altra freccia che andò a colpire il centro del bersaglio, solo un po’ più a lato.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte confuso.
“Il tuo Cavaliere stava quasi per decapitarti, lo sai?” Gli rese noto Tobio abbassando l’arco. “Gli hai mostrato proprio quello che non ti piace tirare fuori di te…”
Il Principe dei Corvi si morse il labbro inferiore e guardò il bersaglio di fronte a sé solo per non dover incrociare lo sguardo dell’altro. “Ero arrabbiato…”
“Questo lo avevo intuito, scemo.”
“Ho sentito per sbaglio i miei genitori litigare a causa mia.”
“E che c’è di strano?” Domandò Tobio perplesso. “I genitori litigano in continuazione per le questioni che riguardano i figli…”
“Non i miei,” ammise Shouyou. “Cioè… Se finiscono per discutere è quasi sempre colpa mia ma non lo fanno quasi mai. Non è una cosa a cui sono abituato.”
“Tutto qui?” Domandò Tobio. “Eri arrabbiato perché i tuoi genitori litigavano a causa tua?”
Shouyou scosse la testa. “Mio padre…” Si umettò le labbra ed esitò, come se si vergognasse. “Mio padre non crede che sia o che sarò mai in grado di essere un Re.”
Tobio scrollò le spalle. “Non gli do tutti i torti…”
Shouyou sollevò timidamente gli occhi su di lui, le guance rosse. “Vogliono che rimedi sposando qualcuno in grado di esserlo…”
“Oh…” Fu la sola reazione di Tobio. Sì, la questione poteva essere fastidiosa anche secondo i suoi parametri. “E sai già chi sarà?”
Shouyou scrollò le spalle. “Non credo abbiano preso alcuna decisione, ne stavano discutendo tra loro… Mia madre non è d’accordo.”
“E perché hai aggredito quel Cavaliere?”
Le guance di Shouyou si fecero ancora più rosse. “Perché è lui…”
“Oh…”
“Ma non riesci a dire qualcosa di diverso?”
“Che vuoi da me?!” Sbottò Tobio, poi sospirò. “Quel tipo non sembrava sapere nulla, comunque.”
Shouyou annuì. “No, non lo sapeva…”
“Se non ti piace puoi sempre dire che ha cercato di decapitarti perché la tua faccia l’ha spaventato.”
Shouyou lo guardò storto, poi si prese il viso tra le mani imbarazzato. “Ho fatto una scenata davanti a tutti!”
“Sì, da vero idiota…”
“Non accetto giudizi da te!”
“Certo che è un candidato strano…”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Eh?”
Tobio scrollò le spalle. “Quando si organizzano dei matrimoni per ragioni di comodità non ci limita a prendere in considerazione un Cavaliere qualunque, dello stesso Regno del Principe poi… Cosa ci guadagna Karasuno?”
Il Principe dei Corvi fece un gran sospiro. “Kei è il miglior Cavaliere della sua generazione. È di un’antipatia incredibile ma è intelligente, responsabile…”
Tobio annuì. “Capisco… Il Regno di guadagna ad essere salvato dalla tua idiozia…”
Shouyou strinse i pugni e ringhiò di nuovo.
Il Principe Demone inarcò le sopracciglia e storse la bocca. “Ma non si presume che il consorte reale sia quello a mettere al mondo i figli?”
Shouyou trattenne il respiro, gli occhi d’ambra si fecero grandi e, per un istante, non riesci a dire assolutamente niente. Fece un passo indietro e poi un altro e, alla fine, si voltò in un infantile tentativo di nascondersi.
“Ehi…” Lo richiamò Tobio. “Che ti prende adesso?”
Shouyou prese un respiro profondo e si costrinse a mantenere la calma. “Non ti hanno detto niente di me?” Domandò. “Di quello che potrei essere?”
In realtà, sì, Tobio era stato ad ascoltare un lungo discorso sugli Omega da parte dei genitori ma non era mai stato interessato a quel lato di Shouyou. Quello che lo aveva colpito era qualcosa di ben più particolare ma quella conversazione gli tornò improvvisamente utile. “Tua madre è un Omega e, quindi, potresti esserlo anche tu,” concluse per semplice logica.
Shouyou si voltò a guardarlo di colpo come se fosse appena stato offeso nell’orgoglio. “E lo dici così?”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “È la seconda volta che abbiamo questo scambio di battute: sono nato in un Regno di Demoni, ricordi? Nessuno dei miei due genitori è una donna ed è stato il Re a mettermi al mondo… Vuoi che mi scandalizzi perché tu potresti fare lo stesso?”
Il Principe dei Corvi parve smarrito. “Lo dici con così tanta semplicità…”
“Perché è semplice.”
“No!” Replicò Shouyou con forza. “Non lo è! Prima di diventare consorte reale, mia madre è stato spesso mal giudicato per questa cosa… Si sentono storie assurde sugli Omega e sono tutte sbagliate!”
Tobio scrollò le spalle. “Non so di cosa farmene delle storie.”
“Ciò non cambia che io non voglio esserlo!” Sbottò Shouyou arrabbiato. Col destino, coi suoi genitori, con Kei ed anche con quel Principe antipatico che non sembrava comprendere la profondità del suo problema. “E non voglio nemmeno essere Re!” Sentì un nodo stringergli la gola e seppe che era solo questione di tempo prima che scoppiasse a piangere di nuovo. “Non l’ho mai desiderato… Sapevo di doverlo diventare ma l’ho sempre vista come una cosa lontana e, intanto, sognavo di grandi imprese e grandi avventure e… Aspettavo che qualcosa cambiasse.” Tirò su col naso. “Tutto quello che ho sempre chiesto è una possibilità e mio padre crede che sarei al sicuro solo accanto a qualcuno che non amo ma non è vero… Io posso essere di più! Posso fare di più!”
“E allora dimostralo…”
Shouyou sollevò lo sguardo: c’era una strana determinazione negli occhi di Tobio. “Vai da loro e digli che non vuoi essere quello che loro vogliono,” concluse il Principe Demone.
Shouyou si umettò le labbra con nervosismo. “Se sono un Omega non posso fare niente per cambiarlo.”
“Puoi smetterla di essere un idiota e continuare a credere che questo possa fare qualche differenza, però,” replicò Tobio avvicinandosi. “Non vuoi essere un consorte reale? Allora prenditi quella corona e diventa un Re! È così difficile da capire?” Concluse Tobio annoiato.
Shouyou non rispose. Non sapeva se era più sorpreso da quelle parole o dal modo in cui erano state in grado di farlo sentire rassicurato.
Rassicurato dal Principe Demone… Era decisamente una serata assurda.
“Non ho mai voluto essere un Re.” Era la prima volta che Shouyou lo confessava ad alta voce ma Tobio non ebbe la reazione violenta che si era aspettato. No, si limitò a fare una smorfia. “Non mi sorprende…”
“Davvero?” Domandò Shouyou inarcando le sopracciglia. “E da cosa lo hai capito?”
“Dai discorsi stupidi che fai, tanto per cominciare,” rispose il Principe Demone incrociando le braccia contro il petto. “E che cos’altro vorresti allora? Ci sono fanciulli che ucciderebbero per essere al tuo posto.”
Shouyou si umettò le labbra e sollevò lo sguardo sul cielo stellato sopra di loro. “L’orizzonte…”
Tobio non comprese. “Uhm?”
Il Principe dei Corvi annuì a se stesso e gli sorrise. “Sì, l’orizzonte,” rispose più chiaramente. “Io non so cosa ci sia dall’altra parte del mare che ho visto da bambino... Dall’altro lato del cielo.”
“Nessuno lo sa…”
“Per questo vorrei andarci!” Esclamò Shouyou con euforia. “Vorrei volare sul mare! Vorrei toccare terre di cui nessuno nei Regni liberi ha mai raccontato delle storie! Voglio essere io il primo… Voglio poter raccontare quelle storie ed esserne il protagonista!”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Come gli eroi delle leggende, eh?”
Il sorriso di Shouyou morì di fronte alla sua espressione. “Sì…” Annuì appena. “Come gli eroi delle leggende…” Perché suonava tanto stupido detto guardando negli occhi il Principe Demone?
“Ora prova a non essere egoista…” Propose Tobio.
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Cosa?”
“Sei nato Principe,” rispose l’altro. “Sei nato per essere Re. Può non piacerti ma è il tuo destino.”
Il Principe dei Corvi strinse i pugni. “Me lo scelgo da solo il mio destino!”
“Ah, sì?” Tobio ghignò derisorio. “Voglio proprio vedere come conti di poterlo fare con i tuoi sogni da bambino. Svegliati! Il destino non è uno strumento nelle nostre mani… Dovresti essere un dio per avere un simile potere! Puoi fare delle scelte, certo! Ma hai scelto di nascere Re? No! La trama che il destino ha scelto per te ce l’hai cucita addosso e non otterrai nulla cercando di strapparla via!”
“E cosa dovrei fare, dunque?” Domandò Shouyou esasperato. “Dovrei restare fermo a lasciare che altri decidano per me perché il destino vuole che sia così?”
Il Principe Demone scosse appena la testa. “No, lascia che si compia ma alle tue regole.”
Gli occhi d’ambra si fecero grandi e confusi e Tobio lasciò andare l’ennesimo sbuffo scocciato della serata. “Sei proprio stupido…” Mormorò. “Non puoi non essere Re. Guarda in faccia la realtà! Questa tua scelta può portare a due strade: la tua prigionia in un matrimonio non desiderato o la lenta decadenza del Regno di Karasuno.”
“Io non permetterei mai che a Karasuno succeda qualcosa!” Esclamò Shouyou. “È la mia casa!”
“Allora prenditi quella maledetta corona per te!” Concluse Tobio decisamente esasperato. “Ami la tua casa ma non vuoi essere Re? Devi scegliere: o ti prendi le tue responsabilità o accetti le conseguenze se decidi d’ignorarle.”
“Non sarei schiavo di un matrimonio ma sarei schiavo di una corona!”
“Sempre meglio che essere indegni, no?” Domandò Tobio.
Shouyou strinse le labbra e non rispose immediatamente. “Per essere degno dovrei prendermi una corona che non voglio?”
Tobio scrollò le spalle. “È già tua per diritto di nascita, metà della fatica ti verrà risparmiata.”
“E che altro devo fare?”
“Convinci l’attuale Re che sei il suo degno erede,” concluse il Principe Demone. “Alzati fino ad arrivare al suo livello e superalo, se ci riesci… Fallo ma alle tue regole, non alle loro.”
Shouyou credeva di comprendere ma questo non era sufficiente a privarlo di quel senso di smarrimento. “Ma come?” Domandò. “Come faccio a dimostrarmi degno?”
“Tue le regole, tuo il gioco,” rispose Tobio e Shouyou avrebbe voluto prenderlo a sberle per il modo enigmatico in cui parlava e l’espressione da superiore che indossava nel farlo.
“Shouyou!”
Il Principe dei Corvi si voltò. Tadashi gli corse incontro accennando un sorriso. “Ti abbiamo trovato!” Esclamò lieto, poi si accorse della presenza del secondo Principe e s’inchinò con rispetto arrossendo appena. “Altezza reale…” Mormorò.
“Il vostro Principe è richiesto altrove?” Domandò Tobio.
Tadashi sollevò la testa e sorrise cortesemente. “Il Re ed il consorte reale desiderano parlargli con urgenza e non sapevamo dove fosse.”
Gli occhi d’ambra di Shouyou cercarono immediatamente quelli blu di Tobio. Il Principe Demone annuì una volta. Il Principe dei Corvi strinse le labbra ed imitò il gesto. “Buona notte, Tobio,” disse senza nessuna particolare intonazione. “Portami dai miei genitori, Tadashi.”
 
 
Le loro strade incrociarono quelle di Kei salendo le scale.
Il Cavaliere si bloccò nel riconoscerli e Tadashi lo informò che lo aveva trovato nei giardini in compagnia del Principe Demone. Shouyou non disse una parola. Gli occhi dorati di Kei incrociarono i suoi.
Per la prima volta, non fu il Principe dei Corvi il primo ad abbassare lo sguardo.
 
 
La prima cosa che Shouyou vide non appena varcata la porta della stanza dei suoi genitori fu il sorriso spontaneo di sua madre. “Shouyou…” Fece per correre da lui ma qualcosa nella sua espressione dovette bloccarlo. Suo padre era accanto alla finestra e non mosse un passo nel vederlo. Anzi, sembrava come congelato con la spalla appoggiata contro il muro di pietra.
Shouyou non aveva la lama di una spada a portata di mano su cui vedere riflessa la propria immagine ma sapeva di non aver mai guardato i suoi genitori come lo stava facendo in quel momento.
Era solo. Aveva dato a Tadashi e Kei il permesso di andare a dormire dicendo che avrebbe parlato da solo con i sua madre e suo padre e poi sarebbe tornato in camera sua per mettere a letto sua sorella e permettere a Hitoka di andarsi a coricare a sua volta. Nessuno dei due aveva avuto ragione di restare.
Shouyou si appoggiò alla porta chiusa alle sue spalle, le mani nascoste dietro la schiena per torcersi le dita dal nervosismo senza che nessuno se ne accorgesse. Strinse le labbra e lasciò che il silenzio si dilatasse ancora per qualche istante. Koushi sospirò profondamente e si voltò verso il suo compagno. “Daichi, noi…”
“Non intendo essere il consorte di nessuno.”
Fu una cosa strana. Shouyou pensava di averla sperimentata in sogno, qualche volta e, forse, durante le sue prime esperienze di volo: era come se si stesse guardando, ascoltando e non fosse parte integrante della scena di cui era protagonista. Impiegò anche qualche istante a realizzare che aveva parlato chiaramente, senza inciampare sulle sue stesse parole.
Suo padre si allontanò dalla finestra per affiancarsi a sua madre e Shouyou premette di più le spalle contro la porta, come se questa potesse inghiottirlo ed evitargli quello che stava per succedere. Non sarebbe successo e tacere, a quel punto, non sarebbe stata un’azione a suo favore. “Non voglio essere il consorte di nessuno,” ripeté scuotendo appena la testa per sottolineare il concetto.
Era impossibile per lui decifrare le espressioni dei suoi genitori.
Non sembravano arrabbiati ed era positivo ma il loro silenzio non incoraggiava Shouyou in alcun modo.
Tobio gli aveva detto di non ribellarsi all’inevitabile ma di realizzarlo secondo le sue regole ma suo padre era un Re, dopotutto ed aveva il potere oggettivo d’imporgli qualsiasi sua volontà.
”Superalo, se ci riesci…”
Come poteva Shouyou sperare anche solo di eguagliare un uomo che aveva sempre visto come inarrivabile?
Era suo padre, dopotutto. Succederlo era un conto ma superarlo era tutt’altra cosa, specie quando non c’era un qualcosa di preciso in cui primeggiare. Alla fine, Shouyou decise che, per cominciare, avrebbe puntato tutto sulla forza di volontà. “Non sarò di Kei,” disse con la voce più ferma che avesse mai osato usare in presenza dei suoi genitori. “Non sarò di chiunque decidiate che sia giusto per me o per Karasuno.”
Shouyou era sempre stato un figlio rispettoso. Ribelle e vivace, certo ma l’idea di dare dispiacere ai suoi genitori o di deluderli al punto da vedere un simile sentimento nei loro occhi quando lo guardavano lo aveva sempre atterrito.
“Io sono giusto per Karasuno,” concluse. “Né Kei, né nessun altro…”
Per assurdo, il silenzio sembrò divenire pesante come un macigno quando Shouyou tornò a stringere le labbra nella speranza di tenersi dentro tutto il nervosismo ed il timore per quello che stava facendo. L’espressione di sua madre pareva quasi sollevata, quella di suo padre non era cambiata poi tanto ma aveva schiuso un poco le labbra ed era rimasto così, come pietrificato nel tentativo di dire qualcosa a cui proprio non riusciva a dare voce.
“Ti chiediamo scusa per qualsiasi cosa tu abbia sentito,” disse Koushi.
Daichi lo guardò come se avesse parlato di colpo una lingua sconosciuta ma non obbiettò in alcun modo.
“Non avevamo il diritto di decidere del tuo futuro in quel modo,” aggiunse il consorte reale avvicinandosi al figlio e prendendo il piccolo viso tra le mani con dolcezza. Accennò un sorriso. “Certo che sei giusto per Karasuno. Sei quanto di meglio il nostro Regno potesse sperare e non potranno non amarti come Re, Shouyou, perché è impossibile non amare il fanciullo che sei.”
Koushi si voltò verso Daichi per cercare il suo sostegno ma il Re dei Corvi era rimasto lì, inebetito ed il consorte reale seppe di non poter contare sul suo aiuto.
“Inoltre, non abbiamo alcun diritto di forzare il tuo cuore ad accattare qualcuno al tuo fianco che non sia il custode dei tuoi sentimenti più profondi,” aggiunse Koushi. “Hai tutto il diritto d’innamorarti di chi vuoi, Shouyou…” Pensò alle parole di Tooru ma decise di non dargli troppa importanza.
Se era destino che Tobio fosse per Shouyou, né lui né il Re avevano il potere di modificare o forzare in qualche modo quel processo. Sarebbe accaduto quel che doveva accadere e basta.
Le guance del Principe dei Corvi si colorarono appena. “Veramente, non…” Si morse il labbro inferiore.
Koushi rise con leggerezza e gli posò un bacio sulla fronte. “Non adesso, mio Principe.” Alle sue spalle, Daichi emise un verso strozzato. “Nel momento in cui ti sentirai pronto a donare il tuo cuore a qualcuno lo saprai, credimi…”
“Kou-Koushi…”
Il consorte reale di Karasuno si voltò con un sospiro. “E anche tuo padre è esattamente del mio stesso avviso su tutta la questione, vero?”
Daichi conosceva quello sguardo: una parola di troppo e gliela avrebbe fatta pagare pesantemente.
Sospirò. Era in momenti come quelli che realizzava come mai lui e Tooru erano andati tanto d’accordo, prima che quest’ultimo facesse della conquista il suo stile di vita. “Tua madre ha ragione, Shouyou,” disse e gli occhi del suo Principe si fecero grandi per la sorpresa. “Tu sei adatto per Karasuno e noi non abbiamo alcun diritto di scegliere per te con chi passare la tua vita.”
Koushi annuì soddisfatto ma il sollievo che Daichi lesse negli occhi di suo figlio gli fece male: quanto lo aveva fatto soffrire dicendo quello che aveva detto tanto liberamente?
“Grazie mille, papà!” Esclamò il suo Principe euforico. “Non ti deluderò, lo giuro! Diventerò un erede degno e, prima della fine dell’estate, sarai fiero di avermi come figlio!”
Daichi sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma io sono già…”
Shouyou uscì dalla stanza saltellando per il suo delirio euforico e non si preoccupò di salutare o di assicurarsi che avessero finito di parlare.
“… Fiero di averti come figlio,” concluse il Re dei Corvi e gli sfuggì un sorriso.
Un colpetto di tosse gli ricordò che non era da solo. Koushi lo fissava con le braccia incrociate contro il petto ed il sorriso soddisfatto di chi ha dichiarato la vittoria ancor prima dell’inizio della guerra e l’ha ottenuta. Daichi, da parte sua, si sentiva estremamente confuso. “Che cosa c’è?”
Koushi scosse un poco la testa. “Stavi sorridendo come solevi sorridere a me quando avevamo la sua età. Un sorriso pieno di amore…”
“I miei sorrisi per te sono ancora pieni d’amore anche ora che abbiamo il doppio della sua età,” replicò Daichi come se si sentisse offeso. Koushi, però, aveva portato gli occhi sulla porta chiusa della loro stanza. “Lo hai visto?” Domandò incantato.
Daichi non aveva bisogno di chiedere cosa. “Sì, anche se, per un attimo, ho dubitato che fosse vero…”
Koushi ridacchiò e tornò a guardare il compagno dritto negli occhi. “Non l’ho mai visto così…” Confessò. “L’ho sempre visto convinto delle sue idee. Testardo fino all’inverosimile ma quella… Quella era fermezza, Daichi. Ci ha letteralmente ordinato di tenere le nostre mani lontano dalla sua vita e l’ha fatto in modo meravigliosamente convincente.”
Il Re dei Corvi era il primo a non saper dare una spiegazione a quanto era appena accaduto. “Ma che cosa gli è successo?” Domandò completamente smarrito. “Non stava facendo i capricci come fa quando cerca di convincerci di qualcosa… Stava…”
“Facendo il Re,” concluse Koushi con espressione incantata. “Pensi ancora che stare vicino a Tobio possa ferirlo in qualche modo?” Perché, anche se non lo avrebbe mai detto ad alta voce di fronte al suo Re, il Principe Demone era la sola variabile nel piccolo mondo di Shouyou che potesse aver dato inizio a quel cambiamento.
Daichi scrollò le spalle. “Si conoscono da così poco tempo…”
Koushi gli sorrise con dolcezza. “Quanto tempo ci è voluto a te perché diventassi indimenticabile?”
Il Re dei Corvi non rispose immediatamente ma la nitida immagine di un rogo funebre gli passò davanti agli occhi. Aveva sei anni, era ancor più piccolo di sua figlia ora ed un bambino sconosciuto gli aveva donato un fiore nel tentativo di farlo sentire meno solo. Oggi, gli doveva ogni momento felice della sua vita.
“Un istante…” Rispose e si chinò per baciare quelle labbra familiari ma di cui non si sarebbe stancato nemmeno in centinaia e centinaia di anni.
Poi un pensiero lo fulminò all’improvviso. “Un attimo, non abbiamo appena finito di dire che Tobio…”
“Shhh…” Koushi gli premette l’indice contro le labbra prontamente. “L’unico Re nel cuore di tuo figlio sei ancora tu, quindi smettila di preoccuparti e baciami ancora.”
 
 
Hitoka aveva appena smesso di rimboccare le coperte alla piccola Principessa quando la porta della camera si aprì e si voltò per incrociare gli occhi di Shouyou.
“Oh, sei tornato…” Mormorò con un sorriso gentile.
Il Principe dei Corvi ricambiò l’espressione. “Mi dispiace di averti fatto rimanere fino a tardi. I tuoi si arrabbieranno?”
“No,” Hitoka scosse la testa. “Papà farà un po’ di storie per paura che abbia passato la sera a parlare con qualche ragazzo di qui ma ci penserà la mamma a farlo ragionare.”
Shouyou sorrise imbarazzato. “Mi dispiace tanto…”
“Non fa niente,” Hitoka si voltò verso il letto al centro della stanza. “Crollava dal sonno ma non ne voleva sapere di andare nella sua camera, così…”
“Hai fatto bene,” disse Shouyou guardando la sua sorellina raggomitolata al centro del letto. “La faccio dormire con me, questa notte. A mia madre spiegherò tutto domani io. Non ti preoccupare.”
Hitoka annuì ma non si mosse. “È successo qualcosa?” Domandò timidamente.
Shouyou la guardò confuso.
“Tadashi sembrava allarmato, ecco tutto,” spiegò lei. “Ha detto che non riuscivano a trovarti.”
“Ero nei giardini,” spiegò Shouyou. “Con Tobio. Ero arrabbiato ma dopo mi è passata…”
“Oh, avete litigato di nuovo?”
“No,” rispose Shouyou. “No, non ero arrabbiato con lui, questa volta. Tobio ha solo cercato di…” S’interruppe ed il sorriso sulle sue labbra scivolò via.
Hitoka sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa ha cercato di fare?” Domandò curiosa.
Shouyou scosse la testa. “Nulla…” Tornò a sorridere. “Ci vediamo domani, Hitoka. Buona notte…”
“Buona notte, Shouyou,” rispose lei e se ne andò.
Il Principe dei Corvi si concesse un attimo d’immobilità per realizzare che era ancora in piedi, che la sua vita era ancora una sua proprietà e che non sarebbe accaduto nulla se non per sua scelta… Destino permettendo!
Si svestì velocemente ma serva far rumore, poi s’infilò sotto le coperte stando attendo a non destare in alcun modo la sua sorellina.
“Fratellone…”
Ovviamente, fallì. Due occhi identici ai suoi lo fissarono attraverso la semi-oscurità della stanza.
“Sei tornato,” disse Natsu sbadigliando senza coprirsi la bocca con una mano.
“Sì,” Shouyou allungò una mano e prese ad accarezzarle i capelli: di solito, l’aiutava a prendere sonno. “Ti ho fatto preoccupare.”
Natsu scosse appena la piccola testa di capelli ribelli. “Tu non andresti mai via senza di me,” disse con convinzione.
Shouyou sorrise. “Sì, hai perfettamente ragione…” Non aveva esagerato quando aveva detto a Tobio che sua sorella era la donna della sua vita.
“Eri con il Principe Demone?” Domandò Natsu con una curiosità che non tradiva alcun segno di stanchezza.
Shouyou tornò a farsi serio nel sentir nominare ancora una volta l’erede al trono di Seijou. “Sì, ero con Tobio.”
“Avete litigato di nuovo?”
Persino sua sorella era arrivata a dare per scontati avvenimenti come quello. Che si fosse lamentato troppo del brutto carattere del giovane signore del Castello Nero? No, non esisteva il troppo quando si trattava di un antipatico di simili proporzioni… Reale per di più!
“No,” rispose. “Ero un po’ arrabbiato ed abbiamo parlato.”
“Arrabbiato con lui?”
“No, Natsu.”
“Quindi ti ha parlato per aiutarti a non essere più arrabbiato?”
Perché sua sorella era così brava a sbattergli in faccia verità di cui era consapevole ma che era meglio non esprimere ad alta voce. “Sì…” Rispose comunque. Perché era Natsu e perché non aveva nulla da temere dalla sua Principessa di otto anni. “Sì, penso che mi abbia aiutato.”
Natsu parve particolarmente interessata dalla piega che avevano preso gli eventi. “Quindi non è più antipatico!”
“Abbassa la voce,” disse Shouyou. “E, comunque, sì! È ancora antipaticissimo!” Disse senza preoccuparsi di regolare la sua.
“Adesso sei tu quello rumoroso, fratellone…”
“Scusa…”
“Ti arrabbierai se ballerò con lui?” Domandò Natsu di colpo col tono di chi teme una risposta precisa. Shouyou la guardò sorpreso, poi sorrise. “Certo che puoi ballare con lui, piccola,” la rassicurò. Tobio poteva anche essere la compagnia più sgradevole sulla faccia della terra ma, perlomeno, non era un orco mangia bambini.
Natsu scrollò le piccole spalle, poi si rigirò tra le lenzuola e gli diede la schiena. “Se fosse veramente antipatico non lo lasceresti ballare con me.”
Shouyou se ne restò immobile, la mano appoggiata sulla testolina di sua sorella. Natsu non parlò più ed il ritmo lento del suo respiro lo informò che doveva essersi riaddormentata. Rimase a giocare con i suoi capelli per un po’, perso in una riflessione di per sé semplice ma Shouyou percepiva come complessa, inspiegabile: in un momento in cui si era sentito spinto verso il basso persino dai suoi genitori, Tobio lo aveva aiutato. Non lo aveva fatto porgendogli una mano, però.
No, sarebbe stato più giusto dire che lo aveva rimesso in piedi con un calcio.
Shouyou ripensò a tutti gli eventi di quella sera e cercò qualcosa che potesse dargli la conferma che Tobio non era niente altro che quello che gli era sempre sembrato: un prepotente, alle volte tirannico, Principe di ghiaccio dalla personalità decisamente spiacevole.
Rivide quel sorriso… L’espressione che era comparsa sul viso di Tobio dopo che aveva tirato quella freccia e ripensò a come il ghiaccio di quegli occhi blu era divenuto un mare in tempesta.
Shouyou prese un respiro profondo e chiuse gli occhi sperando che il respiro sereno di sua sorella potesse placare il caos nella sua testa.
Non si addormentò prima del sorgere del sole.
 
 
***
 
 
Shouyou non si presentò quella mattina ma Tobio non se ne sorprese.
Concludendo di avere tra le mani un po’ di tempo da dedicare a se stesso, il Principe Demone recuperò il suo arco, la copia perfetta di quello del Re Demone e, mettendosi la faretra in spalla, decise che avrebbe passato la giornata a cacciare, ad inseguire qualche cacciatore del cielo che non avesse i capelli ribelli dal colore impossibile o gli occhi d’ambra. Inoltre, non aveva una gran voglia di parlare di quanto era successo la sera precedente e non dubitava che suo padre gli avrebbe chiesto una spiegazione di qualche tipo se lo avesse incrociato.
Che ci pensasse quello stupido del Principe dei Corvi a giustificare le sue scenate in pubblico!
Per poi tacere su cosa avrebbe potuto dire il Re se fosse venuto a conoscenza dei fatti…
No, Tobio decise che era meglio passare la giornata lontano da presenze moleste, a partire dai suoi genitori per poi finire con la fonte principale di tutto quel caos.
“Tobio!”
Il suo primo istinto fu di correre via approfittando della sua profonda conoscenza di quella foresta per seminare la minaccia in procinto di aggredirlo, poi concluse che, in un modo o nell’altro, in quella storia ci si era cacciato da solo. Sospirò e si voltò.
Shouyou aveva il fiato corto e l’aspetto di chi si è preparato per uscire in fretta e furia. “Non mi hai aspettato,” disse con un filo di voce.
“Non credevo saresti venuto,” ammise Tobio. “Pensavo volessi riposare per oggi…”
Shouyou accennò un sorriso stanco. “Non ho dormito un granché, effettivamente.”
Il Principe Demone strinse le labbra e passò qualche istante a duellare col desiderio di chiedere di più e la ben più logica scelta di far cadere il discorso e continuare per la sua strada. Shouyou scelse per lui. “I miei genitori mi hanno ascoltato,” raccontò con un sorriso luminoso. “Ho detto loro che non voglio essere il consorte di nessuno e che sono adatto per essere il Re di Karasuno…”
Tobio inarcò le sopracciglia. “E ti hanno ascoltato?” Raccontato così pareva che avesse cominciato a fare i capricci per le decisioni prese da mamma e papà e non poteva pensare a qualcosa di più stupido.
“Erano sorpresi…” Disse Shouyou arrossendo appena per la soddisfazione. “In effetti, non ho mai parlato loro così… Mio padre riesce ad incutere un certo timore quando è arrabbiato e rispondergli a tono non è semplice. Solo mia mamma ci riesce, persino il suo Primo Cavaliere tace e trema quando si irrita.”
“E ieri non si è irritato?”
Shouyou scrollò le spalle. “Erano sorpresi, te l’ho detto…”
Tobio sapeva di dover dire qualcosa, così tradusse la questione in termine che fossero semplici da gestire per lui. “La sorpresa in battaglia è sempre un’ottima cosa,” disse scrollando le spalle. Il Principe dei Corvi non colse il significato delle sue parole e reclinò la testa da un lato con fare confuso.
Tobio arrossì appena al pensiero di aver detto qualcosa completamente fuori luogo. Strinse le labbra in un’espressione minacciosa e si voltò. “Torna al castello o tuo padre manderà di nuovo i suoi Cavalieri a cercarti…”
“Aspetta, Tobio!” Shouyou gli afferrò un polso costringendolo così a tornare a guardarlo. Il Principe dei Corvi sorrise con un poco di timidezza, le guance colorate. “Io… Io volevo ringraziarti.”
L’espressione che Tobio fece a quel punto fu assurda e Shouyou si sentì più smarrito di prima. “Perché mi guardi come se ti avessi appena insultato?”
Perché Tobio nemmeno la ricordava l’ultima volta che qualcuno lo aveva ringraziato per qualcosa… Sempre ammesso che fosse mai successo. “No, sei tu ad essere stupido…” Sì, quella gli sembrava la reazione giusta.
Shouyou, però, non s’imbronciò. “In realtà, adesso mi sento in debito con te, così… Se hai bisogno di qualcosa…”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Di che cosa dovrei aver bisogno?” Non lo seguiva. Forse, era uno di quei suoi discorsi idioti senza fondamenta.
Il Principe dei Corvi sorrise con pazienza. “Ma sì!” Esclamò gioviale. “Tu hai fatto qualcosa per me ed io faccio qualcosa per te per sdebitarmi… È così che funziona!”
Magari era vero ma Tobio non ne aveva la minima idea. Avrebbe dovuto avere dei rapporti interpersonali veri con qualcuno che non lo avesse visto nascere per averne. “Non mi serve niente,” disse ingenuamente e ansioso di liberarsi da quella situazione.
“Non deve essere qualcosa di materiale,” gli disse Shouyou con un broncio. “Tipo… Tu mi hai insegnato con la spada e con l’arco, io posso insegnare qualcosa a te… Tipo cavalcare!”
Per il Principe Demone quel discorso era privo di qualsiasi senso. “Prima di tutto, so già cavalcare,” replicò. “Secondo, tu non sai usare né la spada né l’arco.”
Non ancora…
Gli occhi di Shouyou si fecero grandi e, finalmente, s’irritò. “Va bene, non sono un Cavaliere o un Arciere ma so comunque fare molto di più di quello che sapevo quando sono arrivato qui.”
“Se da nulla a qualcosa è un miglioramento…”
“La smetti di fare l’antipatico? Sto cercando di capire cosa potrei insegnarti per sdebitarmi!”
“Io non ho bisogno che tu m’insegni qualcosa...”
“Ci deve essere qualcosa che non sai fare!” Shouyou prese a guardarsi intorno con fare pensieroso. “Cucinare!” Esclamò vittorioso. “T’insegnerò a cucinare!”
Tobio inarcò le sopracciglia dubbioso. “Sai cucinare?”
Il sorriso del Principe dei Corvi morì immediatamente. “No…” Ammise forzando una risatina imbarazzata. “Cioè… Ho provato, una volta e…” Decise di concludere la frase lì e di non dover ammettere che aveva quasi dato fuoco ad un castello che era rimasto in piedi per decine e decine di assedi. “Cucire!” Ritentò.
Tobio parve meno convinto di prima. “Cosa sei una dama?” Domandò. “Non ti hanno mai fatto prendere in mano una spada ma hanno perso tempo ad educarti ad usare ago e filo?”
A quella reazione, Shouyou evitò di dirgli che sì, lo avevano fatto. Sua madre non vantava origini tali da essere stato servito per tutta la vita, così era capace di fare molte cose che, generalmente, venivano lasciate ai domestici. Koushi aveva tentato d’insegnare a Shouyou quasi per gioco, perché non si annoiasse nelle lunghe e noiose settimane di neve che caratterizzavano le alture di Karasuno.
Quel gioco era costato a Shouyou otto dei suoi dieci polpastrelli e nessuno lo aveva più coinvolto in quel genere di attività. Questo, però, Tobio non aveva alcun bisogno di saperlo.
“In effetti, non sono tanto bravo…” Disse prendendo a torturare l’orlo della sua tunica e guardando il terreno ricoperto di erba con fare frustrato. Possibile che Tobio, il Principe Demone, fosse in tutto e per tutto perfetto?
“Ci sarà qualcosa che non sai fare!” Sbottò, alla fine.
“Non so ballare…”
Shouyou smise di agitarsi e, per un attimo, fissò il vuoto con gli occhi sgranati rimanendo completamente immobile. Li sollevò lentamente solo qualche istante più tardi e l’espressione che trovò sul viso del Principe Demone fu qualcosa che non sarebbe riuscito a dimenticare neppure in una vita intera.
Tobio si stava sforzando di rimanere impassibile ma l’angolo destro della bocca continuava a tremare pericolosamente con nervosismo, i pugni erano stretti e la leggera sfumatura che gli colorava le gote era un evidente sintomo d’imbarazzo. Shouyou, per natura, era una persona gentile, anche dolce e avrebbe anche potuto capire la difficoltà del perfetto Principe di Seijou ad ammettere di non essere capace a fare qualcosa che, generalmente, era richiesta a tutti i fanciulli ben educati della nobiltà. Tobio, però, aveva il pericoloso potere di fargli riscoprire lati di lui che nemmeno sapeva di avere. Esempio: la crudeltà.
Scoppiò a ridere senza ritegno e la compostezza di Tobio s’infranse come un bicchiere di cristallo finito a terra. “Non ridere, stupido!” Tuonò ma il Principe dei Corvi era troppo divertito per sentirsi minacciato.
“Davvero non sai ballare?” Domandò Shouyou recuperando parte del suo controllo.
“Stai zitto!” Tobio gli diede le spalle per nascondersi da quell’umiliazione.
Shouyou sorrise con più dolcezza. “Ehi! Non c’è niente di male!” Esclamò rassicurante spostandosi in maniera tale da guardarlo di nuovo in faccia: non aveva mai visto il Principe Demone con le guance tanto rosse. “Sei un genio con l’arco e la spada, penso che nessuno ti abbia rimproverato se non sai condurre una dama al suon di musica.”
“Non ho mai partecipato a dei balli,” si giustificò Tobio. “Non mi piacciono…”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non ti piacciono le feste?”
“No…”
“Ma sono tra le cose più divertenti del mondo! Inoltre, fanno piacere quando sono in tuo onore, no?”
“Non mi piacciono!” Sbottò di nuovo Tobio.
Shouyou sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Noioso, oltre che antipatico, non ti riesco proprio a trovare un pregio.”
“Nessuno ti ha chiesto di provarci…”
“In ogni caso, non è un problema!” Shouyou porse la mano destra al Principe Demone e questi lo fissò come se lo avesse appena sfidato a duello completamente disarmato.
“Che cosa stai facendo?” Domandò Tobio.
“T’insegno a ballare!” Rispose Shouyou come se non fosse evidente. “Ho imparato da piccolo, me lo ha insegnato la mia mamma. Nemmeno io ho mai partecipato ad un ballo vero e proprio ma mi piace ballare ed è semplice, credimi! Non appena smetti di essere rigido, diventa molto divertente!”
Tobio lo fissò in cagnesco, poi lo superò senza dire una parola.
Shouyou lo guardò confuso. “Ma dove vai?”
“A caccia…” Fu la risposta borbottata dell’altro.
Shouyou si accigliò. “Perché non impieghi il tuo tempo in qualcosa che non comprenda la morte di un povero animale indifeso? Il ballo è vicino! Dobbiamo esercitarci!”
“Non ho alcuna intenzione di esercitarmi a ballare con te!” Tuonò Tobio e non si fermò nemmeno un istante per guardarlo in faccia. Shouyou rimase immobile a guardarlo sparire tra gli alti alberi della foresta, poi s’imbronciò. “Sei l’essere più insopportabile sulla faccia della terra!” Gli urlò contro. “Stupido io ad aver pensato di essere in debito con te!”
Se ne andò.
Tobio rallentò il passo ed aspettò che il borbottio continuo del Principe dei Corvi sparisse in lontananza e solo allora si voltò. Ebbe appena il tempo di scorgere la piccola figura di Shouyou uscire dagli alberi della foresta, poi seppe di essere rimasto di nuovo da solo.  E così non solo il Principe dei Corvi sapeva ballare ma gli piaceva anche farlo.
”Tobio-chan, vieni dalla mamma, avanti!”
“Tooru, non torturare nostro figlio con l’ennesima delle tue idee…”
“Non esser rude, Iwa-chan! Sto educando!”

Tobio non aveva ripensato a quei giorni da molto tempo. Non era il tipo da perdersi nei ricordi per carattere ma quella piccola discussione con il Principe dei Corvi ne aveva fatto riaffiorare uno particolare: la sua ultima estate con entrambi i suoi genitori nelle campagne di Seijou.
”Non vogliamo mica che il nostro Tobio-chan diventi rude come il suo papà, no?”
“Ehi! Io lo sto educando da Cavaliere!”
“Io, invece, ho il compito di educarlo da Principe.”

Il Principe Demone ricordava nitidamente la sua confusione, come ogni volta che i suoi genitori discutevano per una questione che non riusciva a comprendere. Ora, a stento si parlavano.
Tobio ricordava che il Re gli aveva preso le mani e gli aveva sorriso con dolcezza.
”Balliamo, Tobio-chan?”
Non gli aveva più sorriso così dopo quell’estate.
Tobio scosse la testa e riprese a camminare sotto gli alberi della foresta come se quel ricordo non fosse stato altro che un sogno ad occhi aperti.
 
 
***
 
 
Shouyou non sapeva quello che cosa aveva intenzione di fare.
All’atto pratico, non faceva altro che imprecare contro qualcuno che non c’era e scoccare frecce contro un bersaglio che non riusciva a colpire nemmeno con tutta la concentrazione di cui era capace.
Come l’ennesima freccia colpì il terreno, ad almeno un metro di distanza dal suo reale obbiettivo, Shouyou ringhiò come un cucciolo di cane arrabbiato. “Maledetto Tobio!” Esclamò.
Hitoka osservava la scena seduta all’ombra di uno degli alberi del giardino reale. Aveva tre carte da gioco tra le dita ma non aveva distolto l’attenzione dalla partita in corso da tempo: era impossibile non sollevare lo sguardo ad ogni parola che il Principe dei Corvi pronunciava con una tale rabbia che sembrava voler maledire il mondo intero.
“Tesoro, tocca a te,” la richiamò gentilmente la voce di sua madre.
Hitoka si riscosse e la guardò per un breve istante di confusione, poi posò una carta sull’erba e ne pescò un'altra dal mazzo posto al centro del piccolo cerchio che avevano creato. “Non riesci a staccare gli occhi di dosso dal Principe, eh?” Domandò la zia Saeko con un sorriso eloquente.
“Eh?” Hitoka arrossì ed abbassò lo sguardo. “No, non è come sembra…”
Kiyoko sorrise appena e corse in soccorso della figlia. “Sono come fratello e sorella, Saeko…”
“Non mi riferivo a quello infatti!” Esclamò Saeko alzando gli occhi in direzione del Principe nervoso. “È impossibile ignorarlo con tutto il rumore che fa!”
“È di nuovo arrabbiato con Tobio…”
La fanciulla e le due dame abbassarono gli occhi sul quarto membro del loro gruppo. Natsu scelse una carta da giocare, ne pescò una nuova e poi sorrise a tutte e tre con convinzione. “Penso che al fratellone, Tobio piaccia.”
Hitoka inarcò un sopracciglio. “E perché lo credi, Nacchan?”
La piccola Principessa scrollò le spalle. “Non fa che parlare di lui!”
Saeko parve confusa. “Ma non ne parla in malo modo?”
Kiyoko annuì. “Così mi ha raccontato Koushi…”
Natsu scrollò di nuovo le piccole spalle. “Però, stanno sempre insieme…”
Saeko guardò Kiyoko ma Hitoka si accorse che sua madre non aveva molto d’aggiungere e non era diverso dalla sua parte. “Shouyou non ha mai avuto problemi a fare amicizia con le altre persone…” Disse con un timido sorriso. “Forse, passa così tanto tempo con Tobio perché vuole divenire suo amico ma il Principe Demone non gli rende le cose facili.”
“E io che ho detto?” Domandò Natsu, i grandi occhi d’ambra confusi. “Si piacciono!”
Kiyoko sorrise intenerita e Saeko lasciò andare una risata. “Se i sentimenti fossero una faccenda così semplice come lo è per i bambini,” disse passando una mano tra i capelli ribelli della Principessa.
“Mi trovi perfettamente d’accordo…”
La fanciulla e le due dame sollevarono immediatamente lo sguardo sull’uomo comparso alle spalle, lasciarono cadere le carte da gioco a terra e s’inchinarono con rispetto. “Vostra Maestà…”
“Comode,” disse il Re Demone con un sorriso amichevole. “Comode, signore. Non era mia intenzione disturbarvi in alcun modo.”
Di fatto, la piccola Natsu nemmeno si era alzata dal suo posto. Lo fece per ultima e non si disturbò a chinare la testa per rispetto nemmeno per un istante. “Perché Tobio è così antipatico col fratellone?” Domandò incrociando le piccole braccia contro il petto.
Hitoka le andò subito dietro ed appoggiò le mani sulle piccole spalle. “Principessa…” La riprese.
“Le mie scuse, Vostra Maestà,” intervenne Kiyoko.
Tooru continuò a sorridere con allegria. “Non c’è assolutamente nulla di cui scusarsi,” disse, poi appoggiò un ginocchio a terra. “Questa piccola Altezza non ha fatto altro che porre una domanda legittima.”
Natsu lo guardava imbronciata cercando d’imitare l’espressione con cui il suo papà guardava i suoi Cavalieri quando commettevano qualche guaio. “Tobio non dovrebbe comportarsi male col fratellone! Lo ha fatto arrabbiare!”
“Avete perfettamente ragione, mia Principessa,” disse Tooru con voce gentile. “Avete la mia parola che il Principe Demone non farà altro per offendere vostro fratello. Fidatevi di me.”
Natsu annuì due volte con convinzione.
Tooru le passò una mano tra i capelli e si tirò in piedi, poi guardò Kiyoko. “Dite a Koushi che la sua bambina sarà una grande Regina, un giorno. Sarà fortunato il sovrano che l’avrà come sposa…”
La dama annuì appena. “Come desiderate, Vostra Maestà.”
 
 
“Genio dei miei stivali!”
Shouyou si accorse della presenza del Re Demone solo quando incoccò l’ennesima freccia, sollevò l’arco e si accorse che il bersaglio non era più visibile. Gli occhi d’ambra si fecero enormi per la sorpresa.
Tooru sorrise. “Ci sono circa tre metri tra di noi,” disse. “Se tendi bene la corda, potresti anche infliggermi una ferita mortale senza che tu debba prendere la mira.”
Shouyou riadagiò il braccio immediatamente. “Le mie scuse, mio signore,” disse educatamente e con un poco di timore.
Tooru reclinò la testa da un lato, ancora quell’espressione amichevole sul volto. “Che ragione hai di chiedermi scusa?” Domandò. “Ti stavi allenando ed io mi sono frapposto tra te ed il tuo bersaglio. Non c’è nulla di cui ti debba rimproverare.”
“Sì!” Esclamò Shouyou teso. “Assolutamente no!”
Tooru inarcò un sopracciglio: quella creatura era adorabile e graziosa ma cominciava a capire come mai una volontà superiore avesse deciso di destinarla a suo figlio. “Tobio non è con te,” non era una domanda. “La tua Principessa mi ha informato che ti ha fatto arrabbiare.”
Shouyou lanciò un’occhiata alla sorella e la vide sorridergli orgogliosa, a dispetto di Hitoka e delle altre due dame che, in realtà, osservavano la scena piuttosto tese. “Non è importante…” Mormorò educatamente. Non si sarebbe mai permesso di lamentarsi con il Re Demone in persona per quell’idiota del suo erede.
Tooru annuì. “Se lo dici tu…” Disse. “Bene, perché avevo una certa urgenza di parlare da solo con te.”
Gli occhi del Principe dei Corvi si fecero ancora più grandi. “Con me?” Domandò incredulo.
“Esattamente, mio Principe,” rispose Tooru con un sorriso dalle sfumature più oscure ma il ragazzino, ovviamente, non se ne accorse. “Non ho potuto fare a meno di pensare che non abbiamo ancora avuto modo di fare conoscenza come si deve,” aggiunse avvicinandosi. “Tobio ti ha rubato a tutti noi così presto!”
Shouyou strinse le labbra ed arrossì un poco. “Non credevo di…” Esitò. “Non pensavo che la mia presenza fosse così importante.”
Tooru rise. “Tua madre mi ha detto che questo è il tuo primo viaggio lontano da casa.”
Shouyou annuì.
“Sai, quella di Seijou è una corte molto grande, posta al centro di uno dei due Regni più potenti tra quelli liberi e vanta un gran numero di guerrieri originari di terre cadute come quelle di Nekoma o Fukurodani…”
“Ho avuto modo di parlare con alcuni di loro, sì,” disse Shouyou accennando un timido sorriso. “Ho passato la maggior parte del mio tempo qui con Tobio ma loro si sono sempre dimostrati carini nei miei confronti.”
“Hanno un ottimo ricordo dei tuoi genitori,” disse il Re Demone. “Molti di loro ti hanno conosciuto che eri ancora in fasce e fa sempre piacere vedere come una creaturina che si è vista nascere sia sbocciata per divenire un fanciullo tanto grazioso.”
Le gote di Shouyou continuarono ad essere colorate ma il suo sorriso non svanì: era gentile, il Re Demone, quanto ci fosse di completamente diverso da quel prepotente di suo figlio.
Tooru esaurì la distanza tra loro e sollevò una mano per aggiustare una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio del Principe dei Corvi. Shouyou trattenne il fiato per un istante a quella carezza improvvisa.
“Avevi la testolina piena di capelli ribelli anche quando sei nato, lo sai?” Ricordò Tooru con una nota di quella che Shouyou interpretò come nostalgia. “Ti ho fatto nascere io,” aggiunse e si voltò. “Lì, dentro quella torre.”
Gli occhi d’ambra del Principe dei Corvi si spostarono sull’edificio isolato nell’angolo estremo dei giardini reali. “Sì…” Mormorò. “Me lo hanno raccontato.”
Tooru gli sorrise. “Saresti dovuto nascere alla fine dell’estate… Ci hai spaventato tutti a morte…”
“Mi dispiace…” Disse Shouyou quasi automaticamente.
Il Re Demone rise. “Tu non hai alcuna colpa, piccoletto!” Esclamò con allegria. “Tutto è andato a finire per il meglio, non c’è ragione di ripensare agli eventi di quel giorno come qualcosa di negativo,” Tooru portò le dita sotto il mento del Principe e lo costrinse con gentilezza a guardarlo dritto negli occhi. “Koushi ha dato alla luce un erede non solo infinitamente grazioso ma anche dalla personalità decisamente interessante.”
Shouyou avrebbe voluto abbassare lo sguardo ma la mano sotto al suo viso glielo impediva. “Come fate a dirlo?” Domandò. “Avete appena detto che non avete ancora potuto conoscermi come avreste voluto.”
“Tobio…” Rispose Tooru.
“Tobio?”
“Sì,” il Re Demone riadagiò il braccio lungo il fianco. “Il mio Principe non fa che parlare di te, piccoletto. È un evento a cui io e suo padre non siamo affatto abituati… A stento ricorda tutti i nomi dei Cavalieri della sua generazione. Sono più fortunati i giovani degli altri Regni ma non ho la minima idea di come siano i loro rapporti perché, di fatto, Tobio non parla mai di loro. Tu, però… Tu sei speciale, piccolo corvo
“Speciale?” Domandò Shouyou confuso.
Tooru si allontanò di un paio di passi. “Tobio è a caccia, mi hanno detto.”
“Sì…”
“Questo significa che non tornerà prima del tramonto,” concluse il Re Demone porgendogli la mano destra. “Mi concedi un po’ del tuo tempo per conoscerti meglio, Principe dei Corvi?”
Shouyou esitò, guardò sua sorella, la sua amica d’infanzia e le due dame a poche distanza da loro ed anche Tooru si ricordò di colpo che erano ancora lì. “Oh, giusto…” Mormorò voltandosi. “Posso chiedervi d’informare Koushi che il suo erede è nelle mie mani e che non ha nulla di cui preoccuparsi?”
Kiyoko fu l’unica ad annuire. “Sì, mio signore,” rispose.
“Voglio venire anche io!” Esclamò Natsu ma Hitoka l’afferrò prima che potesse correre via.
“Mi spiace ma io e vostro fratello saremo impegnati in alcuni discorsi poco consoni ad una Principessa,” disse Tooru con un tenero sorriso. Natsu s’imbronciò ma non tentò di liberarsi dalla stretta di Hitoka.
Kiyoko guardò Saeko e si compresero senza dire una parola. “Col vostro permesso, Vostra Maestà,” disse la prima. “Vado ad informare il consorte reale.”
Tooru annuì. “Certamente…” Tornò a guardare il Principe dei Corvi. “Vieni, Shouyou…”
 
 
***
 
 
Tobio non rientrò al Castello Nero al tramonto.
Non aspettò nemmeno l’ora di pranzo.
Dopo aver colpito un nido di api ed aver imprecato contro il Principe dei Corvi per tutta la fuga che era seguita, aveva deciso che sarebbe stato meglio fare qualcosa per mettere a tacere i suoi pensieri e che la caccia non poteva essergli di alcun aiuto in quell’occasione. Nessuno lo vide mentre attraversava il cortile interno e ne fu lieto: non aveva voglia di dare spiegazioni per il suo comportamento e suo padre sicuramente gliene avrebbe chieste.
Era solito cercare tranquillità nella foresta quando ne aveva bisogno e non aveva mai cercato delle risposte dove gli altri erano soliti trovarle ma non aveva idea da chi altri andare per chiedere aiuto.
Kaname sbatté le palpebre un paio di volte. “Potete ripetere, mio Principe?”
L’uomo che era stato il sovrano di Dateko lo aveva fissato con stupore dal momento in cui aveva varcato la porta della biblioteca. Tobio non poteva biasimarlo: non aveva mai messo piede in quell’ala del castello se non costretto. Era un tipo da spazi aperti, il Principe Demone.
Il Re Demone, una volta, lo aveva definito selvaggio ma Tobio non se l’era mai presa: sapeva di non essere come quei figli di nobili modellati secondo le regole dell’etichetta e non gli importava diventarlo. Tuttavia, le circostanze ora rendevano necessario che fingesse di esserlo e tutto solo per non sentirsi superato da un ragazzino stupido che non avrebbe mai potuto minacciarlo su di un campo di battaglia ma a cui non poteva concedere alcun vantaggio, fosse anche una questione idiota come quella del ballo.
“Mi… Mi…” Tobio era lieto che Kenma non fosse lì. Kaname era di animo gentile e non si sarebbe permesso di fare parola ad anima viva della sua piccola fuga nella biblioteca. “Mi servirebbe un libro per imparare a ballare…”
Kaname annuì nuovamente ma la confusione nei suoi occhi non si diradò nemmeno un poco. Accennò un sorriso. “Mi spiace,” rispose. “Temo che non esistano libri del genere, mio Principe. L’arte della danza è come l’arte della spada: la si impara direttamente usandola.”
Tobio annuì un paio di volte. “Capisco…”
“Pensavo che vi avesse insegnato vostra madre,” ammise Kaname, poi abbassò lo sguardo arrossendo un poco. “Non ho mai partecipato ad un ballo a cui il Re abbia preso parte a sua volta ma ho sentito dire che, un tempo, le fanciulle facevano a gara per ballare con lui… Potete chiedere a Testuro. Hanno ballato insieme durante una delle feste organizzate dal vecchio consiglio reale di Seijou per scegliere il futuro consorte…”
Tobio annuì di nuovo. “Quello che non c’è mai stato,” concluse. Conosceva quelle storie e sapeva dei Principi e delle Principesse che si erano educatamente messi in fila per avere una possibilità con l’allora erede al trono di Seijou. Persino il giovane Re dell’Aquila era stato uno di loro e, come tutti gli altri, aveva fallito.
Non c’era stato nessun consorte reale per il Re Demone di quella generazione, c’era stato un Cavaliere.
“I vostri genitori non hanno mai ballato in pubblico, vero?” Era gentile la voce di Kaname. Tobio non riusciva davvero a capire come facesse ad esserlo con tanta naturalezza: era pur sempre il figlio dei due uomini che avevano segnato la sua rovina.
Scosse la testa. “No…” Mormorò. “Credo che al Generale Supremo questo genere di cose non piacciano.”
Kaname annuì. “Capisco…” Disse. “Mi dispiace di non potervi essere di alcun aiuto.”
“Non importa,” rispose Tobio. “Buona giornata, Kaname”
“Buona giornata, mio Principe.”
 
 
***
 
 
 
Shouyou non aveva posto domande su dove sarebbero andati ma non si sorprese particolarmente di seguire il Re Demone fino all’ingresso dalla torre di cui tanto aveva sentito parlare nelle storie di sua madre. “Sai a che cosa serve?” Domandò Tooru recuperando una chiave dorata dalla tasca dei suoi pantaloni.
“Tobio mi ha detto che è isolata dal resto dell’edificio perché è stata concepita come prigione per nemici politicamente importanti,” rispose Shouyou. “È impossibile scappare da qui senza buttarsi giù dal dirupo o passare per il Castello Nero.”
Tooru annuì. “Molto bene…”
“Tobio mi ha detto anche che, in caso di assedio, può essere usata come rifugio.”
“Già…” Tooru aprì la porta e Shouyou vide l’inizio di quella che doveva essere una lunga rampa di scale a chiocciola. “Non è consigliabile, però… Dopotutto, nascondersi qui durante un assedio è come rinchiudere se stessi tra il nemico ed un salto nel vuoto. O, forse, è proprio questo il punto: scegliere una morte certa e veloce al posto di qualcosa di peggio.”
Shouyou lo guardò un poco stranito e Tooru forzò un sorriso. “Scusami, non dovrei fare simili discorsi di fronte a te… Sei ancora così giovane. Prego, entra…”
Shouyou ubbidì. “Anche voi siete giovane, mio signore.” Si azzardò a dire, anche solo per coprire il silenzio.
Tooru richiuse la porta ridendo. “Sei molto gentile, piccolo Principe,” disse. “Avevo un paio di anni più di te quando è nato Tobio e, per quanto mi abbia reso felice, non è un’esperienza che raccomanderei al mio erede… Sarebbe opportuno divenire adulti prima di avere dei bambini.”
Shouyou accennò un sorriso ed annuì. “Mia madre dice sempre la stessa cosa a me,” disse. “Anche se aveva diciassette anni quando sono nato…”
Tooru lo superò annuendo. “La gioia che abbiamo provato nello stringervi tra le braccia è indiscutibile ma non è facile vivere con un pezzo del proprio cuore che se ne va in giro per il mondo, con una sua personalità e la sua libertà di scelta.” Prese a salire la scalinata a chiocciola.
Shouyou gli andò dietro stando ben attento a dove metteva i piedi. “Sì, mia madre dice anche qualcosa del genere… Dove stiamo andando?”
Tooru gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla e gli sorrise. “Porta pazienza, mio Principe,” disse con voce gentile. “Lo scoprirai a breve…”
Shouyou si ammutolì e strinse le labbra. Non disse una parola fino a che non arrivarono alla fine delle scale, su di un pianerottolo con una piccola finestra che dava sullo strapiombo sottostante ed una piccola porta. “Questa è…?”
“Sì, mio Principe…” Tooru recuperò la chiave dorata dalla tasca girandola nella serratura della porta e spingendola in modo da mostrare l’interno della stanza al fanciullo alle sue spalle. “Questa è la stanza in cui sei venuto alla luce.” Concluse facendosi da parte.
Non ci fu nessun chiaro invito ma Shouyou fece comunque un paio di passi in avanti ed entrò nella stanza lentamente, come se stesse mettendo piede in un luogo sacro per la prima volta. Si guardò intorno. “Non sembra una camera da letto…” Commentò.
“No,” Tooru lo superò e scostò la tenda da una delle finestre di colpo. “Non lo è più.”
Shouyou voltò il viso e chiuse gli occhi a causa della luce improvvisa.
“Adesso, è più una sorta di stanza del tesoro.”
Il Principe dei Corvi sbatté le palpebre un paio di volte, poi sollevò lo sguardo lentamente e i grandi occhi d’ambra fecero loro tutti i dettagli che non aveva potuto notare nella semi-oscurità. C’erano dei piedistalli di marmo lungo il perimetro della stanza su tre dei quali vi erano delle corone in bella vista dentro a delle teche di vetro dalle serrature d’oro. Su di un quarto vi era uno scrigno aperto e, al centro della camera, ve ne era un quinto di lucido metallo nero. A Shouyou ricordò un po’ le armature dei Cavalieri di Seijou.
“Questo è il tesoro reale?” Domandò incantato.
Tooru continuò a sorridergli con dolcezza. “Seijou non possiede un vero e proprio tesoro reale, non come quelli di cui parla la gente del popolo. Non ho mai ritenuto utile riempirsi di ricchezze di questo genere, preferisco usare l’oro nelle mie mani per rendere il mio Regno e la mia gente più forte… Le cose che luccicano chiuse in un forziere non hanno alcun valore per me.”
Shouyou annuì. “È giusto,” commentò. “Un Re che pensa prima al bene del proprio popolo è un buon Re.”
Tooru lo guardò. “Già…” Disse voltandosi. “Non hai ricevuto un’educazione da futuro sovrano, vero?”
L’entusiasmo negli occhi di Shouyou si spense un poco. “Ho detto qualcosa di sbagliato?”
Il Re Demone scosse la testa. “Non è un esame, mio Principe. Non esistono risposte sbagliate o rispose giuste… Esistono solo i tuoi punti di vista ed è molto interessante per me conoscerli.” Si avvicinò alla prima teca di vetro, quella più vicino alla porta. “Hai conosciuto Kaname, piccolo?”
Shouyou scosse la testa.
“Lo immaginavo,” disse Tooru. “Tobio potrebbe farti esplorare la nostra foresta in lungo ed in largo ma non gli salterebbe mai in testa di vantarsi dalla nostra splendida biblioteca.”
“Avete una biblioteca?” Domandò il Principe dei Corvi emozionato.
“Certamente… Ti piacciono i libri?”
“Sì!” Shouyou si umettò le labbra. “No…”
Tooru rise. “Quale delle due?”
“Mi piacciono le storie,” spiegò il fanciullo. “Non sono bravo con le materie intellettuali ma adoro le leggende!”
Il Re Demone sorrise intenerito ed annuì. “Tobio è proprio come te,” raccontò. “Non riuscivamo a tenerlo seduto a studiare nemmeno per un’ora ma era come se non ci fosse quando si perdeva in qualche bella storia.”
Shouyou lo guardò confuso. “A Tobio piacciono le storie?”
“Non te lo ha detto?”
“Mi prende sempre in giro perché le uso come modello…”
Tooru sospirò stancamente. “Sii paziente con lui, mio Principe. Non ha un bel carattere…”
Shouyou s’imbronciò. “Me ne sono accorto!”
“Ti andrebbe di sentire una bella storia da me?” Domandò Tooru. “Per farmi perdonare da parte del mio erede…”
Il Principe dei Corvi sbatté le palpebre un paio di volte. “Una bella storia?”
“Sai, Kaname ora si occupa della nostra biblioteca insieme a Kenma, il Mago e Curatore di corte,” spiegò Tooru appoggiando una mano sulla teca di vetro che aveva di fronte. “Un tempo, però, questa corona apparteneva proprio a lui.”
Da principio, Shouyou non comprese e passò gli occhi dal profilo al Re alla corona dorata alla ricerca di una risposta. “Per quale ragione la sua corona si trova qui?” Domandò ingenuamente.
Il Re Demone tornò a guardarlo ma Shouyou non trovò nessuna traccia della gentilezza di prima nel suo sorriso. “Perché io gliel’ho tolta, mio Principe,” disse con la stessa naturalezza di chi non ha motivo di vergognarsi delle proprie confessioni.
Shouyou trattenne il fiato, i suoi occhi si fecero grandi e la sua espressione di pietra: non era più certo di voler sentire il resto di quella storia.
“Dateko,” proseguì Tooru guardando per un’ultima volta la corona nella teca. “Kaname era il Re di Dateko ed ora il suo Regno è nelle mie mani.” Si spostò dalla parte opposta della stanza. “Fukurodani,” disse indicando la seconda corona nel suo scrigno di vetro. “Nekoma…” Concluse rivolgendo gli occhi scuri verso la terza. “Tutti questi Regni ora fanno parte di quella potenza mai sconfitta che è Seijou.”
Shouyou non sapeva come replicare ad una cosa del genere, così strinse le labbra e si chiuse dietro un muro di assoluto silenzio. Gli occhi d’ambra si posarono sullo scrigno aperto accanto alla corona che era appartenuta al sovrano di Dateko ma non ebbe il coraggio di porre alcuna domanda in proposito.
Non ce ne fu alcun bisogno.
“Quella appartiene a Tobio,” disse Tooru ed il Principe dei Corvi tornò a guardarlo. “Come è appartenuta a me prima di lui. È la corona degli eredi al trono… Ogni Principe è chiamato ad indossarla durante un’occasione ufficiale insieme ad un mantello rosso. Nelle generazioni in cui la famiglia reale poteva vantare più di un figlio era un modo per distinguere immediatamente il futuro Re del Castello Nero.”
Shouyou annuì ma solo per spezzare un poco l’immobilità che lo dominava.
“E di questo non vuoi sapere nulla?” Domandò Tooru passandogli davanti e fermandosi di fronte al secondo scrigno, quello di metallo nero ancora chiuso. “Questa è la parte migliore della storia…”
Shouyou non disse nulla e portò gli occhi d’ambra dal viso del Re alla serratura scura. Non sembrava nemmeno uno scrigno tanto prezioso visto così. Il Re Demone infilò una mano in tasca e ne estrasse una seconda chiave, decisamente più piccola della prima. La inserì nella serratura dello scrigno e Shouyou trasalì un poco quando scattò, come se fosse esploso un colpo di cannone.
Tooru sollevò il coperchio e lo lascio ricadere sollevando una leggera nuvola di polvere che si dissolse velocemente. Sorrise soddisfatto nel vedere gli occhi d’ambra del Principe dei Corvi farsi grandi, pieni d’incanto.
“La chiamano la Corona Corvina,” disse affiancandosi al fanciullo. “Io stesso l’ho indossata in sole due occasioni: quando mi hanno incoronato Re e quando ho presentato ufficialmente Tobio alla mia corte come erede al trono di Seijou.”
“Corona Corvina?” Shouyou lo guardò confuso.
Tooru rise con leggerezza. “Sì, è un nome strano considerando che Seijou è un Regno di Demoni, mentre vi è tutta una leggenda sui corvi che narra con chiarezza le origini del Regno di Karasuno. Immagino che sia tutto d’attribuire al colore…”
Shouyou tornò a fissare la corona nera di fronte ai suoi occhi. “Non ho mai visto una cosa così…”
“È unica nel suo genere, mio Principe.”
“Di che materiale è fatta?”
“Oro nero,” rispose Tooru. “Non ve ne sono più miniere in tutti i Regni liberi da secoli. Dicono che serva il fuoco di un drago per lavorarlo.”
Shouyou si ritrovò a sorridere senza volerlo. “Quanto è antica questa corona?”
“Nessuno conosce la risposta con certezza,” rispose Tooru.
“E, un giorno, sarà di Tobio?” Domandò il Principe dei Corvi.
Il Re Demone lo guardò in un modo che poté solo definire strano. “Sì…” Rispose. “Di Tobio e di chiunque decida di avere al suo fianco.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Non è un po’ scomodo avere una sola corona per due persone?”
Tooru ridacchiò. “Certo, sciocchino, ma, non potendone fare una copia uguale, la Corona Corvina viene usata per l’incoronazione di entrambi i regnanti di Seijou.”
“Oh…”
Gli occhi scuri del Re Demone si posarono sul viso del fanciullo e ne studiarono i lineamenti con cura. “Non assomigli molto a tuo padre…”
Le iridi d’ambra si sollevarono.
“C’è decisamente più di Koushi in te che di Daichi,” disse Tooru con più chiarezza. “Tuttavia, non posso nemmeno dire che tu sia il suo ritratto.”
Shouyou accennò un sorriso. “Me lo dicono spesso, anche a mia sorella…”
“I tuoi occhi, in particolare…” Tooru allungò le braccia verso la corona e l’afferrò. “Quando sei nato, tuo padre sperò fino all’ultimo che avessi gli occhi dorati di tua madre, sai?”
“Sì, me lo ha raccontato…” Rispose Shouyou distrattamente, lo sguardo fisso sul tesoro nero tra le mani del Re Demone.
“Alla fine, pareva che il destino lo avesse accontentato ma ora vedo che non è andata così,” Tooru sorrideva ma Shouyou si sentiva minacciato in quale modo. “I tuoi occhi sembrano due frammenti vivi di ambra, sai?”
Shouyou arrossì un poco. “Grazie…”
“C’è l’estate in loro,” proseguì il Re Demone con voce dolce. “Sembrano animati dalla stessa luce del sole…”
Il Principe dei Corvi sorrise timidamente. “Vi ringrazio, Maestà…”
Tooru continuò a sorridere e strinse la corona con una sola mano, mentre l’altra si sollevava per accarezzare con dolcezza materna il viso del Principe. “I tuoi occhi sono l’opposto perfetto di quelli di Tobio, mio piccolo Shouyou.” Commentò con sincero incanto. “Insieme sareste belli come la luna ed il sole nello stesso cielo.”
Il Principe dei Corvi lo fissò smarrito. “Non capisco…”
“Non c’è nulla che tu debba comprendere, mio Principe. Devi solo permettermi… Concedimi di vedere una cosa…”
Shouyou dischiuse le labbra ma non ebbe il tempo di emettere un solo suono.
Il Re Demone posò la Corona Corvina tra i suoi capelli con grazia. Non pesava quasi nulla, eppure il Principe dei Corvi si sentì come se quel tesoro d’oro nero potesse schiacciarlo da un momento all’altro.
Non accadde.
La Corona Corvina rimase dritta sulla sua testa come se fosse stata appositamente forgiata per lui fin dal principio.
Tooru gli passò una mano sotto il mento e lo invitò a sollevare il viso. Scostò alcune ciocche della frangia ribelle in modo da liberargli gli occhi, poi sorrise con una dolcezza dalle sfumature oscure. Disegnò il contorno della bocca di Shouyou con la punta dell’indice, poi batté il polpastrello sul piccolo naso in un gesto tenero, quasi materno.
Solo un commento sfuggì dalle labbra del Re Demone. “Perfetto…”
Il Principe dei Corvi rimase in silenzio.


 
 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Probabilmente vi immaginavate un significato più profondo dietro al titolo di questa serie ma, credetemi, non è così banale come sembra. Semplicemente, all’autrice piace inserire elementi fondamentali senza preavviso, così… Perché le piace prendere i suoi lettori alla sprovvista e vedere come reagiscono…
Dopo questa digressione infantile alla terza persona, torniamo a noi.
E qui, finalmente, le strade del Re Demone e del piccolo Principe dei Corvi s’incrociato definitivamente in un punto d’incontro che, ovviamente, è tutto rappresentato da Tobio. Inutile dire che sarà una relazione di spicco e dalle mille sfumature con l’avanzare della trama…
Shiratorizawa rimane ancora in ombra ma ci resterà per poco, è una promessa… O una mianccia?
Prossimo aggiornamento previsto tra quindici giorni circa! Vi sarò sempre grata per la vostra pazienza…
Alla prossima!

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Capitolo 26
*** Di rosso e corvino ***


23
Di rosso e corvino


 
 
“Io non ho ancora capito perché siamo qui!” Si lamentò Takahiro affondando gli stivali nella neve alta. “È estate a casa nostra! Estate!” Sembrava assurdo con tutto quel bianco intorno ma stava letteralmente sudando a farsi strada tra quegli alberi.
“Non porti domande inutile,” sibilò Issei scocciato quanto lui. “E la cosa peggiore è che ci perdiamo il primo ballo del piccolo…”
Takahiro alzò le mani al cielo con fare drammatico. “Non mi ci far pensare!” Esclamò. “Tutte le scene umilianti che ci perderemo…”
“E Hajime che assiste alle scene umilianti,” aggiunse Issei. “Le facce di Hajime mentre assiste alle scene umilianti in questione.”
“Tragedia!”
Dietro di loro, Shigeru li guardò quasi scandalizzato. “Ma speravate nella dipartita del nostro Principe o qualcosa del genere?”
Shinji rise sommessamente e Kentaro emise un verso simile ad un grugnito.
“Dipartita è una parola grossa!” Esclamò Issei. “Non deve mica morire qualcuno… Non per forza, almeno!”
“Non per forza?” Domandò Shigeru esterrefatto.
Takahiro scrollò le spalle. “Hajime ha fatto scorrere il sangue, perché Tobio dovrebbe essere da meno?”
“Il Generale non ha fatto scorrere il sangue!” Replicò Shigeru.
“No!” Esclamò Issei con un mezzo sorrisetto. “È solo passato dal letto del Principe al cortile interno del Castello Nero per prendere a pugni in faccia il Re dell’Aquila!”
“Non è scorso molto sangue, quel giorno,” borbottò Kentaro prendendo di sorpresa tutti i suoi compagni. Quattro paia di occhi sgranati si voltarono nella sua direzione.
“Miracolo!” Esclamò Takahiro e cadde seduto sulla neve tra le risate. “La bestia feroce del Regno di Seijou ha acquisito il dono della parola!”
“Ha sempre potuto parlare,” replicò Shigeru non comprendo il motivo di tanto entusiasmo, sebbene fosse una grossa novità anche per lui.
“Il freddo deve avergli fatto bene!” Commentò Shinji.
A Issei sfuggì uno starnuto. “Non fa bene per niente a me, però,” replicò tirando su col naso. “Tutto per quella testa di scodella…”
Takahiro sbuffò. “Non me lo ricordare, ti prego!”
“Dovremmo parlare con più rispetto del Principe dell’Aquila,” li rimproverò Shigeru cercando di farsi avanti tra la neve. “È pur sempre un ragazzino…”
“L’incarnazione dell’antipatia,” disse Takahiro rialzandosi in piedi.
“Antipatia?” Domandò Issei. “Sei clemente…”
Shigeru li superò sbuffando. “Non ha importanza quanto il Principe dell’Aquila abbia un brutto carattere, il nostro Re ci ha dato una missione e noi dobbia… Aaah!”
Il Cavaliere cadde indietro, sulla neve e strisciò via terrorizzato fino a che non si ritrovò con la schiena premuta contro il tronco di un albero. I compagni lo fissarono straniti.
“Che c’è?” Domandò Takahiro andandogli vicino.
“Qualcosa mi afferrato la caviglia!” Esclamò Shigeru indicando i folti cespugli secchi di fronte a loro.
“Potresti aver inciampato in una radice in superficie,” ipotizzò Issei avvicinandosi al luogo incriminato.
“No!” Continuò ad urlare Shigeru, mentre Takahiro s’inginocchiava accanto a lui. “Mi ha stretto! Era qualcosa di caldo!”
“Caldo?” Issei sospirò. “Mi piacerebbe tanto essere toccato da qualcosa di caldo…”
“Issei!” Lo rimproverò Shinji, sebbene ridesse.
Kentaro ringhiò con approvazione e l’Arciere lo guardò storto. “Ti ci metti anche tu?”
“Ragazzi…” Li richiamò Issei immediatamente. “Venite qui immediatamente…”
Nell’udire il tono di voce dell’amico, Takahiro si alzò in piedi. “Che cosa c’è?”
Anche Shigeru si fece coraggio. I cinque Cavalieri si affiancarono l’uno all’altro scrutando tra i cespugli secchi. Non dovettero cercare molto per scorgere ciò che aveva attirato l’attenzione d’Issei.
“Oh, mio…” Mormorò Shigeru
“Sì, decisamente!” Esclamò Takahiro estraendo la spada e cominciando a tagliare via i ramoscelli secchi del cespuglio.
“Tutti insieme, avanti!” Ordinò Issei facendo lo stesso. Gli altri tre non si fecero attendere.”
“Ehi!” Chiamò a gran voce Takahiro inginocchiandosi sulla neve fresca. “Ehi! Riesci a sentirmi!”
Dell’uomo che giaceva a terra riusciva a vedere solo una testa di capelli rossi e che stringeva ancora il pugno sul cappuccio di un altro sepolto dalla neve. “Ehi!” Takahiro lo voltò e tutti e cinque lo riconobbero immediatamente.
“Satori…” Mormorò Issei ma ebbe lo stesso potere di un’invocazione: il Cavaliere spalancò gli occhi ed ingoiò aria come un cadavere ritornato di colpo alla vita. Takahiro, per poco, non cadde all’indietro nell’incontrare lo sguardo allucinato dell’uomo del Re dell’Aquila.
“Il moccioso…” Disse Satori con un filo di voce che sembrava davvero essere quella di un morto. “Il dannato moccioso…” Tentò di sollevare la mano stretta a pugno sul cappuccio di un compagno completamente sepolto dalla neve e, probabilmente, morto.
A tutti e cinque i Cavalieri mancò il fiato.
“Oddio!” Shigeru si buttò in avanti e Shinji e Kentaro gli andarono dietro. “Principe dell’Aquila… Sua Altezza, riesce a sentirmi?” Tutti e tre presero a scavare ed il cappuccio del mantello violaceo sfuggì, infine, alla presa di Satori.
Issei s’inginocchiò accanto a Takahiro. “Satori,” chiamò. “Riesci a parlare? Che cosa è successo?”
Il Cavaliere di Shiratorizawa aprì e chiuse la bocca un paio di volte ma non un suono riconoscibile uscì dalle sue labbra. Alla fine, sollevò la mano ormai libera ed indicò la foresta di fronte a loro. I due Cavaliere di Seijou puntarono gli sguardi in quella direzione ed entrambi sgranarono gli occhi increduli.
“Issei…”
“Sì, lo vedo.”
C’era neve ovunque intorno a loro. Neve alta e fresca e questo significava che doveva nevicare spesso ed in abbondanza in quelle terre. Loro stessi si erano dovuti fermare per non perdersi in una bufera più di una volta.
“Questo come te lo spieghi, Takahiro?”
“Non me lo spiego ma adesso ho una gran fretta di tornare a casa!”
Erano in una terra d’eterno inverno, sì.
Eppure, l’intera foresta di fronte ai loro occhi sembrava essere stata divorata dal fuoco.
 
 
***
 
 
Tobio non seppe per quanto restò davanti a quella porta chiusa fissandola con espressione ostile, come se fosse un nemico da intimorire.
“Tuo padre è nella sala del Consiglio,” aveva detto Keiji sollevando gli occhi dalla piccola Keijiko per rivolgergli un sorriso stanco. “Con gli altri due…”
Tobio aveva compreso perfettamente l’avvertimento, per questo non era ancora entrato per chiedere ciò che gli faceva formicolare le dita per l’agitazione: ci mancava solo che i vecchi Re di Nekoma e Fukurodani contribuissero in qualche modo a rendere quella situazione più umiliante di quanto non fosse. Tuttavia, Kaname gli aveva detto quanto Tetsuro fosse molto bravo a danzare e non sarebbe andato a chiedere conferma a Kenma nemmeno si fosse trattato di una questione di vita o di morte. Dubitava che il Mago fosse un tipo da balli, comunque.
Tobio prese un respiro profondo e sollevò la mano per portarla alla maniglia. Prese ad aprire e chiudere le dita come se non sapesse come usarle e, alla fine, sbuffò frustrato e strinse i pugni come se dovesse picchiarli contro la superficie di legno.
“Maledizione…” Imprecò a denti stretti e si voltò. Fece due passi, poi sospirò e tornò indietro: non aveva altra scelta, dopotutto. Non pensò a quello che stava facendo. Lo fece e basta.
Alla fine, irruppe nella sala del Consiglio come un conquistatore nel pieno di un assedio e tanto bastò ad attirare l’attenzione dei tre uomini nella stanza su di sé. Suo padre era in piedi in fondo al lungo tavolo con un braccio appoggiato all’alto schienale della sedia che era solito occupare il Re. Koutaro e Tetsuro se ne stavano seduti ai lati del tavolo. Tra di loro vi era quella che Tobio riconobbe come una mappa dei confini del nord. Ricordava di aver sentito il Re parlare di qualcosa riguardo ad una missione di salvataggio da quelle parti e che suo padre non era stato completamente d’accordo sul da farsi ma non conosceva i dettagli e non era il caso d’interessarsene ora.
C’era un problema ben più importante d’affrontare…
“Vorrei che m’insegnasti a danzare!” Disse a voce troppo alta e troppo velocemente. Lo fece guardando suo padre dritto negli occhi, come se gli stesse impartendo un ordine.
Hajime inarcò le sopracciglia con un’espressione a metà tra lo sbalordito ed il confuso. Koutaro e Tetsuro cominciarono a passare gli occhi dall’uno all’altro, aspettando che uno dei due interrompesse il silenzio e facesse luce sulla faccenda che si era appena presentata.
“Tobio,” Hajime fece una smorfia. “Puoi ripetere?”
Tobio avvertì uno spiacevole calore alle guance e seppe di poter dire addio alla sua dignità. “Vorrei che m’insegnasti a danzare,” ripeté con più calma ma non meno fermamente. “Hai fatto di me un Cavaliere ed ora vorrei che facessi di me un… Ehm… Ballerino?”
Gli occhi di Koutaro incontrarono quelli di Testuro e la risata caotica che seguì ebbe il potere di far sobbalzare il Primo Cavaliere. Tobio strinse le labbra e si costrinse a rimanere immobile, sebbene sentisse le guance divenire più calde istante dopo istante.
“Se qualcuno me lo avesse raccontato…” Riuscì a dire Testsuro tra le risate.
“No, non ci avremmo mai creduto!” Concluse Koutaro dando pugni sul tavolo tanto era divertito.
L’irritazione crescente di Tobio era specchio di quella di Hajime. “Fuori di qui,” ordinò il Primo Cavaliere.
“Giammai!” Esclamò Koutaro come se gli avessero chiesto di fare qualcosa che andava completamente contro tutti i suoi principi morali.
“Sì! Con tutto il rispetto, Generale, ma non possiamo permetterci di perdere la prima follia del tuo Principe!” Esclamò Tetsuro alzandosi in piedi. “Cominciavamo a preoccuparci, ragazzo,” aggiunse appoggiando una mano sulla spalla dell’erede al trono di Seijou. “Parla col tuo vecchio zio Tetsuro… Chi è la ragazza?” Gli fece l’occhiolino.
Tobio sentì l’imbarazzo scivolare via e venir sostituito da un’ondata di sincera confusione. “Eh?”
Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Vuoi imparare a ballare per passare del tempo costruttivo col tuo cavallo?” Domandò sarcastico. “Qual è la ragazza su cui vuoi fare colpo alla festa del Re?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Non ho intenzione di fare colpo su nessuno.”
Koutaro si sollevò in piedi a sua volta, fece il giro del tavolo e si affiancò al suo amico di sempre. “Stai facendo la domanda sbagliata, Tetsuro,” disse con un gran sorriso. “Qual è la ragione per cui vuoi imparare l’arte della danza a solo una settimana dal grande evento, Tobio?”
Il Principe guardò suo padre ma il Primo Cavaliere lo fissava con sincera curiosità, in attesa che rispondesse.
“Sto sfidando una persona,” rispose, non aveva ragione di mentire. “Questa persona sa danzare ed io no. Non posso permettergli di superarmi.”
Gli occhi di Tetsuro e Koutaro si fecero enormi, poi entrambi rivolsero all’erede al trono una smorfia di pura delusione.
“Io me ne vado,” disse il primo.
“Ti seguo, amico!” Esclamò il secondo. “Hajime, riprendiamo il discorso dopo…”
“Sedetevi immediatamente,” ordinò il Primo Cavaliere ridacchiando.
Entrambi lo fissarono. “Un attimo fa volevi che ce ne andassimo!” Esclamò Koutaro.
“Sedetevi!” Ordinò di nuovo Hajime avvicinandosi a suo figlio, mentre i due tornavano ai loro rispettivi posti con un broncio in bella vista. Tobio era più imbarazzato che mai ma il Primo Cavaliere riusciva solo a sorridere. “E così, Shouyou sa danzare, eh?”
Tobio voltò lo sguardo da una parte storcendo le labbra. Hajime conosceva quell’espressione da tutta la vita: era la stessa che faceva Tooru quando, per troppo orgoglio, non voleva dargli ragione su qualcosa. Gli appoggiò una mano sulla spalla e la strinse con tenerezza. “Dovresti chiederlo al Re, non a me.”
Il Principe lo guardò di nuovo, gli occhi grandi. “No,” scosse la testa. “Non voglio disturbarlo per una sciocchezza simile…”
“Di che sciocchezza si tratta, Tobio-chan?”
Sia il Principe che il Primo Cavaliere portarono gli occhi sul Re dai profondi occhi scuri comparso sulla porta.
Koutaro e Tetsuro si scambiarono un’occhiata e si alzarono in piedi contemporaneamente.
“Io torno dalla mia famiglia,” disse il primo.
“Ed io dalla mia,” si aggiunse il secondo, poi si morse la lingua. “Cioè da Kenma e da quel nipote di…”
“Andate,” disse Hajime con la voce incolore che soleva usare solo in presenza del Re Demone. I due amici si guardarono, annuirono contemporaneamente e tolsero il disturbo. Tooru si fece da parte per farli passare, poi si assicurò di chiudere la porta.
Erano solo loro tre ed era un evento che non si verificava da un po’ di tempo.
“Allora?” Domandò Tooru accennando un sorriso ed incrociando le dita dietro la schiena. “Quale sciocchezza tormenta la mente del nostro Tobio-chan?”
Il Principe sentì le guance farsi di nuovo calde e maledisse la sua gola secca che gli impedì di parlare. Avrebbe voluto guardare suo padre in cerca di supporto ma era troppo orgoglioso per chiedere aiuto di fronte al suo Re e simulò un colpetto di tosse per cercare di recuperare il dono della parola. “Vorrei imparare a danzare,” disse con la voce più ferma che riuscì ad usare.
Gli occhi di Tooru si fecero grandi e si spostarono su quelli verdi del Cavaliere in cerca di conferma.
“Non scherza,” rispose Hajime incrociando le braccia contro il petto. “Lo ha chiesto a me ma io non ne sono in grado e lo sai.”
Tobio lo guardò con la coda dell’occhio: era uno di quei momenti in cui i suoi genitori riuscivano a parlare tra loro senza dire realmente niente. Non aveva mai capito come facessero ma non gli era mai piaciuto molto: andava sempre a suo discapito.
Tooru ridacchiò e si fece più vicino. “Vuoi che t’insegni a ballare, mio Principe?” Domandò.
Le guance di Tobio si fecero color porpora ed il Re rise di nuovo. “Non fare questa faccia, Tobio-chan!” Esclamò. “Sarebbe dovuto accadere, prima o poi.”
Tobio s’imbronciò. “La danza non serve a proteggere un Regno o renderlo più grande.”
“Certe volte, nemmeno la spada,” disse Tooru. “Ci sono modi di divenire grandi che non includono per forza spargimenti di sangue inutili e distruzioni materiali che poi dovrebbero andar sanate.”
“Come la manipolazione,” disse Hajime a bassa voce ma non abbastanza perché Tooru non lo udisse. Il sorriso del Re morì immediatamente e quella che comparve al suo posto fu un’orribile copia di un’espressione allegra.
“Fammi indovinare!” Esclamò Tooru fingendosi pensieroso. “Dobbiamo ringraziare il piccolo Shouyou per questo tuo improvviso interesse per materia da feste e celebrazioni?”
Tobio si limitò a stringere le labbra in un’espressione un poco astiosa e Tooru seppe di aver toccato il punto giusto. “Sono stato con lui questo pomeriggio, sai?”
Il Principe guardò il genitore sorpreso ma non domandò nulla.
“È una creatura meravigliosa,” Commentò Tooru con aria sognante. Hajime studiò la luce nei suoi occhi cercando di capirne la natura ma non ci riuscì.
“È talmente insopportabile da non sembrare reale,” replicò Tobio con una smorfia.
“Sì, tuo padre soleva ripetermelo continuamente,” rammentò Tooru con una risatina. “Insieme ad un’altra lunga serie d’insulti e, indovina… Alla fine, sei nato tu!”
Hajime strinse le labbra nel sentire il Demone che era stato il suo compagno parlare di un passato che, in quel momento, sembrava impossibile essere stato il loro. Tobio, complice la sua ingenuità, non comprese il messaggio nascosto nelle parole del Re. “Come?”
Tooru alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Ti faccio vedere…” Afferrò un polso del figlio e portò la sua mano sul suo fianco, mentre intrecciava le dita dell’altra tenendola sollevata a mezz’aria. “Nel caso si tratti di una dama, tocca a te guidare. Qui si tratta del piccolo Shouyou, quindi… Guidi comunque tu!”
“Non voglio ballare con quello stupido!” Esclamò Tobio.
“Silenzio,” lo rimproverò Tooru. “Stiamo facendo lezione.”
Hajime si fece indietro e si accomodò sulla sedia a capo del lungo tavolo per poterli guardare bene entrambi. Il viso di Tobio era talmente rosso e frustrato che il Primo Cavaliere temette si sarebbe sciolto come una candela, se non si fosse calmato.
“Consiglio,” disse Tooru. “Comincia sempre con un passo in avanti... Avanti!”
Tobio abbassò lo sguardo e si mosse come gli era stato detto.
“Ah, ah, ah!” Lo rimproverò Tooru dividendo le loro mani per portare le dita sotto il viso del suo erede. “Non è nulla di diverso da quello che ti abbiamo già insegnato,” gli disse. “Duelli e guardi il tuo avversario negli occhi. Vai a caccia e cerchi lo sguardo della tua preda. Danzi e hai occhi solo per il tuo amante.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Quale amante?”
Tooru sorrise dolcemente. Fu uno di quei rari momenti in cui a Hajime parve di rivedere il giovane che aveva amato più della sua stessa vita. “La danza è un’arte d’amanti,” spiegò il Re Demone. “Lo capirai… Abbi pazienza, Tobio e lo capirai.”
“Non capisco,” ammise il Principe.
“Guardami negli occhi e muoviti,” disse Tooru. “Non pensare…”
Hajime ricordava quelle parole: in un’estate in cui il suo Re era ancora un Principe, sulla balconata della loro camera con tutte le stelle del cielo a fare loro da testimoni, gliele aveva sussurrate all’orecchio ma con una lieve differenza.
”È un po’ come fare l’amore, Iwa-chan…”
Questo, ovviamente, a Tobio non avrebbe mai potuto dirlo.
 
 
***
 
 
Shouyou si spogliò davanti ai suoi occhi senza vergogna.
Non ne aveva mai provata con lui, nemmeno crescendo ma, per assurdo, era Koushi quello che cominciava a sentirsi a disagio in quelle situazioni. Era una sensazione strana, che non aveva provato a spiegare nemmeno a Daichi. Koushi si era sempre preso cura personalmente dei suoi figli fin dai primi istanti della loro vita e li aveva visti crescere sotto i suoi occhi e mutare sotto le sue mani ma non aveva mai dubitato di conoscere il loro corpo alla perfezione, come solo un genitore poteva.
Quando guardava Shouyou, però, alle volte gli pareva di posare gli occhi su di una creatura completamente estranea e questo provocava in lui emozioni contrastanti. Stava accadendo anche in quel preciso momento: Shouyou era di fronte a lui senza alcun vestito addosso e stava parlando del suo incontro con Tooru mentre passava le dita nell’acqua della vasca per testarne la temperatura e Koushi lo guardava come se stesse cercando di conoscerlo da capo ancora una volta.
Non era più un bambino, il suo Shouyou.
Non c’era nulla di più naturale, certo e stava anche accadendo in ritardo rispetto ai suoi coetanei ma Koushi si sentiva un poco disorientato di fronte a quella metamorfosi. Shouyou non era cresciuto molto in altezza nelle ultime stagioni ma il suo corpicino si era modellato per divenire qualcosa che aveva davvero poco del bambino che Koushi aveva stretto al petto per anni, lavandone la pelle morbida con la dolcezza che si riserva solo alle cose più preziose.
Shouyou stava sbocciando e lo stava facendo in un modo decisamente aggraziato, completamente in contrasto con il suo carattere. Poteva essere minuto ma lo era in un’armonia di linee e forme che non avrebbe avuto problemi ad attirare gli occhi di qualsiasi fanciullo animato da naturali desideri giovanili.
Koushi non poté evitare di chiedersi se anche lo sguardo di Tobio fosse illuminato da quella luce.
“…E mi ha poggiato sulla testa la Corona Corvina,” concluse Shouyou immergendosi nella vasca lentamente.
Koushi sbatté le palpebre un paio di colte. “La Corona Corvina?”
“La corona dei Re di Seijou,” spiegò Shouyou portandosi le ginocchia contro il petto. Koushi si avvicinò e s’inginocchiò accanto alla vasca. “Che motivo aveva per farti provare la corona della sua casata?”
Shouyou scrollò le spalle. “È stato gentile con me,” disse con un sorriso. “È decisamente diverso da quell’antipatico di suo figlio.”
Koushi strinse le labbra ed annuì sommessamente. “Sì, è diverso…”
Tooru sapeva recitare molto bene. Tobio, probabilmente, no.
Non si era sorpreso di venire a sapere da Kiyoko che il Re Demone aveva preteso di passare del tempo da solo con suo figlio. Dopotutto, era chiaro quello che voleva ottenere da quel ballo e cercare di conoscere Shouyou era solo un passo naturale da compiere. Forse, avrebbe dovuto fare lo stesso con Tobio.
“Tra te ed il Principe Demone i rapporti sono così burrascosi sul serio?” Domandò Koushi con un sorriso appena accennato portandosi alle spalle del figlio per aiutarlo a lavarsi i capelli. “Ti ha aiutato la sera che hai sentito me e tuo padre litigare, no?”
“Sì,” ammise Shouyou, poi sbuffò. “Ma non gli si può dire grazie senza rischiare che ti ringhi contro!”
Koushi rise passando le dita tra i capelli ribelli del suo Principe. “Forse, non ci è abituato.”
Shouyou gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “A cosa?”
“Ad avere un amico.”
Il Principe dei Corvi rimase in silenzio per qualche istante e Koushi seppe che stava riflettendo attentamente sulle sue parole. “Io e Tobio non siamo amici,” concluse, infine. “Io e Tobio non andiamo neanche d’accordo.”
“Forse…” Ammise Koushi sorridendo ancora. “Eppure state sempre insieme.”
Gli occhi d’ambra di Shouyou si fecero grandi e le sue gote si colorarono un poco. Tornò a guardare dritto di fronte a sé con un broncio. “Non è vero!” Esclamò.
Koushi rise con leggerezza. “È bello sentirtelo dire,” ammise. “Significa che sei ancora abbastanza bambino da negare l’evidenza…”
E che lui e Daichi avevano ancora tempo per abituarsi all’idea che Shouyou non sarebbe più stato solo loro in eterno.
 
 
***
 
 
Il Principe Demone cenò con i suoi genitori quella sera.
Un evento ancor più raro dell’essere tutti e tre insieme e da soli nella stessa stanza.
Tobio era seduto al centro del tavolo, mentre Hajime e Tooru ai due lati opposti. Quest’ultimo sembrava l’unico davvero felice di quella situazione. “Danzi bene, lo sai?” Disse rivolgendosi al suo erede. Il fanciullo abbassò lo sguardo imbarazzato. “Grazie…”
Tooru appoggiò i gomiti sul tavolo. “Ci alleneremo per tutta la settimana, così la sera del ballo sarai perfetto ed il Principe dei Corvi sarà contento!”
Tobio s’imbronciò immediatamente. “Non ho alcuna intenzione di ballare con Shouyou.”
“E in che altro modo conti di dimostrarti migliore di lui?” Domandò Tooru.
Il Principe storse la bocca ancor di più sapendo che il Re aveva perfettamente ragione: l’unico modo per sfidare e vincere Shouyou era sorprenderlo sulla pista da ballo al punto da renderlo frustrato. “Loro lo sanno?” Domandò.
Il Re sbatté le palpebre un paio di volte. “Loro chi?” Chiese confuso. “E cosa dovrebbero sapere?”
“I reali di Karasuno,” disse Tobio. “Sanno perché vuoi che balli con Shouyou?”
Hajime sollevò lo sguardo dal suo piatto vuoto per fissarlo sul viso del suo Re: anche lui era curioso di sentire la risposta.
“Sì,” rispose Tooru accennando un sorriso. “Ne ho parlato con Koushi e lui si è preoccupato di discuterne con il suo Re.”
Hajime inarcò le sopracciglia. “Daichi non mi ha detto nulla.”
“Ne è venuto a conoscenza da poco,” rispose Tooru.
“E non ha nulla da dire in proposito?” Domandò il Primo Cavaliere sorpreso.
“Nessuno ha proposto nulla a nessuno,” gli fece notare Tooru. “Non c’è ragione per cui debba dire niente.”
“Non ci sarà mai ragione per cui dire niente,” intervenne Tobio. “Ballerò con Shouyou, gli farò ammettere che ha perso la sfida e poi se ne tornerà a casa sua, a Karasuno.”
“Vuoi davvero che il tuo lavoro rimanga incompiuto?” Tooru lo fissò per alcuni istanti. “Vuoi lasciarlo andare?”
Il Principe sollevò gli occhi blu su di lui rivolgendogli una muta domanda.
“Non è ancora un Cavaliere e non è un Arciere,” gli ricordò il Re. “Non hai fatto di lui niente, ancora. Gli hai solo insegnato le basi e hai cominciato a valutare il suo potenziale. Sono anche certo che hai pensato a come plasmarlo nel migliore dei modi ma non accadrà se se ne andrà.”
L’espressione di Tobio si distese un poco e Tooru seppe di avergli dato qualcosa su cui riflettere attentamente.
“Non spetta a noi decidere se Shouyou resterà o no,” disse Hajime.
“Oh, no!” Concordò Tooru con un sorriso afferrando il suo calice e bevendo un sorso del suo vino. “Spetta al piccolo Principe dei Corvi decidere del suo destino.”
“E ai suoi genitori,” aggiunse il Primo Cavaliere.
Tooru gli lanciò un’occhiata gelida e Hajime ricambiò l’espressione.
“Perché non avete mai ballato?”
Entrambi portarono gli sguardi sul loro Principe. Tobio passava gli occhi da uno all’altro attendendo una risposta. “Mi hanno detto che non avete mai ballato insieme,” spiegò e le sue guance divennero un po’ rosse: non era il genere di cose a cui era solito interessarsi. “Io non vi ho mai visto ma ho pensato che fosse accaduto prima che nascessi. Al Re piace ballare…”
Tooru esitò un istante, poi dischiuse le labbra ma ebbe il tempo di parlare.
“Colpa mia,” lo precedette Hajime.
Il Re lo guardò sorpreso.
“Sì, a tua madre piaceva molto danzare,” raccontò il Primo Cavaliere accennando un sorriso. “Nelle feste che hanno preceduto la sua incoronazione in molti sono rimasti incantati dal modo in cui ballava. Avrebbe potuto conquistare il cuore di ogni pretendente alla sua mano solo danzando…”
Tooru lo osservò con attenzione, le labbra dischiuse in un’espressione sorpresa: era un evento più unico che raro sentirlo parlare del loro passato con gli occhi verdi liberi da qualsiasi ombra. Probabilmente, si stava sforzando di celare qualunque lato negativo per il bene di Tobio ma Tooru non poté evitare di sentire una stretta al cuore nel guardarlo sorridere come se stesse semplicemente raccontando al loro unico figlio una vecchia storia della loro adolescenza.
“Non ha più voluto danzare dopo la sua incoronazione,” concluse il Cavaliere afferrando il suo calice.
“Ma ci sono state altre feste,” disse Tobio inarcando un sopracciglio. “Per quale ragione non ha più voluto danzare?”
“Non aveva più senso farlo,” intervenne Tooru ma non guardò suo figlio nel rispondere. Gli occhi verdi di Hajime si posarono sui suoi. “C’era solo una persona al mondo con cui avrei danzato ma non era suo desiderio farlo, così…”
Hajime si umettò le labbra prima di parlare di nuovo. “Non ti avrei mai impedito di farlo con qualcun altro.”
Tooru sorrise con nostalgia e scosse la testa. “Lo so,” replicò. “Te l’ho detto, non aveva alcun senso se non era con te…”
Tobio simulò un paio di colpi di tosse: ebbe la sensazione che i suoi genitori si fossero dimenticati della sua presenza e che fosse necessario ricordarglielo prima che la scena si evolvesse. Gli occhi di suo padre furono i primi che si spostarono sui suoi, sorrideva. “Il tuo Principe non soffrirà mai di una simile mancanza da parte tua,” disse. “Sei un ottimo ballerino come il tuo Re, Tobio. Bastava solo tirartelo fuori…”
“Non sono un ballerino!” Esclamò Tobio con le guance rosse. “E Shouyou non è il mio Principe!”
Hajime rise con leggerezza e Tooru con lui.
Nessuno dei due ricordava l’ultima volta che avevano riso insieme.
Sentendosi preso in giro, Tobio si alzò senza chiedere il permesso. “Vado ad allenarmi con l’arco,” li informò quasi sibilando.
“Tobio-chan, avanti!” Esclamò Tooru ancora divertito ma il Principe lanciò ad entrambi un’occhiata storta ed uscì dal salotto privato senza aggiungere una parola di più. Il Re sospirò. “È permaloso come te!” Commentò rivolgendosi al suo Cavaliere.
Hajime fece una smorfia. “Non puoi davvero giudicare chi è permaloso o no. Non tu.” Riappoggiò il calice sul tavolo, poi si bloccò e fissò il vuoto per alcuni istanti. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Mi dispiace per quel che ho detto…” Disse ma a bassa voce.
Tooru lo udì comunque e scosse la testa. “Per tua informazione, non ho intenzione di avere altri figli.”
“La mia era una cattiveria, Tooru.”
“Lo so,” disse il Re guardando fuori dalla finestra per non dover affrontare lo sguardo di quegli occhi verdi. “Ma volevo che lo sapessi…” Aggiunse. “Ho desiderato avere Tobio con te perché eri tu ma… Basta così…”
Hajime annuì solo perché non sapeva in che altro modo reagire a quelle parole. Si alzò in piedi con l’intenzione di andarsene ma Tooru fece lo stesso e comprese dal suo sguardo che non aveva ancora finito di parlare. “È vero quello che mi hai detto?” Domandò. “Qualunque cosa io faccia, resteresti indifferente?”
Il Cavaliere avrebbe dovuto riflettere bene su come rispondere: non poteva mai sapere quando il Re Demone avrebbe deciso di usare i suoi sentimenti contro di lui. Tuttavia, c’era solo sincerità negli occhi di Tooru in quel momento e Hajime decise di rischiare e di fidarsi di lui ancora una volta. “Non potrai mai essermi indifferente, Tooru,” ammise. “Sono partito per il mare perché pensavo che standoti lontano questo sarebbe potuto cambiare ma è stata una mia ingenuità. Abbiamo passato insieme tutta la vita e c’è Tobio… Questo non posso cancellarlo. Non voglio cancellarlo.”
Tooru annuì ed abbassò lo sguardo con tristezza. “Vale lo stesso anche per me...” Si morse il labbro inferiore. “Non partirai mai più, quindi?”
Hajime scrollò le spalle. “Andrò dove Tobio desidererà andare, dove i miei doveri mi porteranno.”
“Certo…” Tooru annuì. “Giusto.”
Il Primo Cavaliere lo guardò con aria stanca. “Possiamo stipulare una tregua definitiva?”
Gli occhi scuri del Re tornarono sui suoi.
“Non sentirai altre parole crudeli da me,” gli promise Hajime. “Vorrei che facessi lo stesso anche tu. È andata come doveva andare, Tooru. Tutto quello che c’era per noi lo abbiamo avuto ed ora vorrei, semplicemente, che la smettessimo di farci del male.”
Tooru annuì una volta. “Lo prometto…”
Hajime strinse le labbra e prese la via della porta. Non si aspettò le dita che gli strinsero il polso trattenendolo con gentilezza. “Hai detto che tutto quello che c’era per noi lo abbiamo avuto,” disse Tooru con voce tremante ed il Cavaliere seppe che stava per piangere ma non si voltò. “È davvero così, Hajime? Non c’è veramente niente altro per noi?”
Il Primo Cavaliere chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Tooru gli stava chiedendo una speranza e lui non poteva dargliela ma doveva dirgli la verità guardandolo negli occhi o nemmeno lui avrebbe creduto alle sue parole. “Dovrei dimenticare quello che mi hai detto il giorno in cui hai perso quel bambino,” disse e le labbra del suo Re tremarono pericolosamente. “Non lo dico per ferirti ancora, Tooru. Te lo dico perché, sinceramente, non riesco a dimenticare le tue parole di quel giorno e non posso fingere il contrario, mi dispiace.”
Il Re Demone annuì e lo lasciò andare.
Non si permise di piangere prima che il Cavaliere non se ne fosse andato.
 
 
***
 
 
Le scuderie erano l’unico posto in tutto il Castello Nero in cui Tobio sapeva che sarebbe stato da solo. Dopo il tramonto, nessuno usciva a cavallo né d’estate né d’inverno. La Capitale era circondata da una foresta tanto grande e oscura da essere pericolosa per chiunque non la conoscesse più che bene e non invogliava a fare passeggiate a cavallo come una verde e sconfinata prateria.
Tobio, però, non era mai stato disturbato dalle cose oscure. Inconsciamente, le ricercava, alle volte. Forse, per via di quella personalità fin troppo introspettiva che si ritrovava ed il suo amore per la solitudine che i suoi genitori proprio non riuscivano a comprendere.
Aprì il box del suo cavallo ed accennò un sorriso. “Ehi…” Mormorò con voce gentile accarezzando il muso bianco della sua cavalla. “Ti sono mancato, Yuki?” Domandò passando il palmo della mano sul collo dell’animale lentamente. “Mi dispiace. Sono stato impegnato con un piccolo stupido.”
Allungò un braccio ed afferrò le briglie appese alla parete di legno. “Andiamo a fare un giro, ti va?”
La preparò e la guidò all’esterno, nel cortile delle scuderie.
Era quello che piaceva a Tobio: una compagnia silenziosa in una quieta notte d’estate, senza piccoli stupidi che delirarono su cose come onore ed amore ed i suoi genitori che vaneggiavano su di un ballo a cui nemmeno voleva andare.
“Tobio!”
Il Principe Demone si bloccò e prese a fissare il vuoto in cagnesco.
Si voltò molto lentamente e trovò due grandi occhi color ambra fissarlo da sopra la porta di un altro box. Sorrideva e Tobio avrebbe solo voluto prenderlo a pugni. “Che cosa ci fai qui?”
Shouyou aprì la porta del box e si fece avanti seguito dallo stesso cavallo nero che Tobio gli aveva visto cavalcare il giorno in cui era arrivato al Castello Nero. “Pensavo di fare una cavalcata sotto le stelle,” ammise con un sorriso amichevole.
Tobio alzò gli occhi al cielo: non si era affatto reso conto di essere di troppo.
“Lei è tua, quindi?” Domandò Shouyou indicando la cavalla bianca. Tentò di avvicinarsi ma Tobio si mise in mezzo. “Non le piacciono gli estranei,” quasi sibilò. “Anzi, non le piace essere toccata in generale.”
Shouyou scrollò le spalle. “Tale e quale al suo padrone, quindi,” commentò ma non si fece scoraggiare dalle parole dell’altro Principe. Allungò una mano e toccò il fianco dell’animale con gentilezza, ignorando deliberatamente l’occhiata storta di Tobio. La cavalla non obbiettò in alcun modo. “No, non sei antipatica come il tuo Principe,” commentò Shouyou facendosi indietro.
Salì sul suo cavallo ma Tobio non si era ancora mosso. “Non vieni?” Domandò.
Il Principe Demone storse la bocca. “Non credevo stessimo andando da qualche parte.”
“Avanti!” Lo incoraggiò Shouyou. “Mia madre mi ha fatto scendere solo perché sapeva che c’eri tu! Non si fidava a lasciarmi andare nella foresta da solo…”
Tobio lo fissò con gli occhi sgranati. “Volevi andare nella foresta da solo? Sei completamente stupido, per caso?”
Shouyou scrollò le spalle. “Le foreste non mi spaventano.”
“Non fare l’idiota! Persino la gente di qui rischia di perdersi lì dentro senza una degna guida!”
“Allora sali a cavallo e andiamo!” Insistette Shouyou come se fosse la cosa più logica.
Tobio lo fissò. Sì, lo fissò a lungo, poi imprecò a bassa voce e salì in sella.
 
 
“Come si chiama?” Domandò Shouyou mentre entravano nella foresta a passo lento. Non era sicuro correre di notte con tutti quegli alberi.
Tobio continuò a guardare di fronte a sé. “Yuki…”
“Yuki…” Ripeté Shouyou con un sorriso. “Un nome che sa d’inverno.”
“È nata in inverno,” chiarì Tobio. “È nata il giorno del mio compleanno. Non credevano sarebbe sopravvissuta per via del freddo.”
“Ma lei è forte ed è degna di un Re,” concluse il Principe dei Corvi. “Siete nati lo stesso giorno, eravate destinati l’uno all’altra. Quanti anni avevi?”
“Sette…”
Shouyou rise. “Anche io avevo la stessa età quando mi hanno regalato Karasu.”
Tobio lo guardò. “Karasu?”
Il Principe dei Corvi si sporse in avanti ed accarezzò il lato del collo del suo destriero. “Sì, Karasu.” Rispose. “Perché?”
Tobio strinse le labbra per non scoppiare a ridere.
“E non ridere!” Esclamò Shouyou irritato.
“Perché dovrei?” Domandò Tobio, nonostante lo stesse evidentemente facendo. “Un cavallo nero, per il Principe dei Corvi che si chiama Karasu… Non c’è veramente ragione di ridere!”
“Tu hai chiamato Yuki la tua cavalla bianca!” Replicò Shouyou con forza. “Non sei nessuno per giudicarmi!”
“Non offendere la mia cavalla!”
“Non offendevo certo lei! Offendevo la tua opinabile fantasia in fatto di nomi!”
Sbuffarono insieme e tornarono a puntare gli occhi sugli alti alberi davanti a loro. Si chiusero entrambi dietro ad un forzato silenzio. Se fosse stato per Tobio sarebbero potuti andare avanti così anche fino al sorgere del sole ma Shouyou non sarebbe mai riuscito a restare con la bocca chiusa per più di cinque minuti. “Allora…” Cominciò guardandosi intorno. “Dove stiamo andando?”
“Da nessuna parte,” rispose Tobio con tono funereo.
“Tu dove volevi andare prima d’incontrare me?”
“Da nessuna parte…”
“Certo che sei davvero noioso!”
“Se ti annoi tanto puoi sempre tornare indietro!” Sbottò Tobio.
Shouyou mise su il broncio. “Non voglio tornare indietro...” Mormorò come un bambino che tenta di fare obbiezione all’ordine di un genitore. Tobio alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: avrebbe dovuto pensare ad una strategia bellica senza precedenti per liberarsi del piccolo stupido, evidentemente.
Cavalcarono per dei lunghissimi e silenziosi minuti, Tobio poco più avanti.
“Ho passato un po’ di tempo con il Re Demone questo pomeriggio…” Disse di colpo il Principe dei Corvi.
Gli occhi blu di Tobio si spostarono sul viso dell’altro quasi meccanicamente nel sentir pronunciare nominare il genitore. Shouyou sorrideva guardando di fronte a sé. “È stato gentile con me.” Commentò, poi rivolse lo sguardo al fanciullo al suo fianco. “Non ti ha detto nulla?”
Tobio scosse appena la testa. “No…” Rispose e ne era sorpreso.
“Mi ha mostrato le corone nella torre,” raccontò Shouyou.
“Oh…”
“Mi ha mostrato quella che un giorno sarà tua…” Il Principe dei Corvi decise di non dirgli che gliel’aveva messa sul capo: non era certo che il Principe Demone l’avrebbe presa bene. “È molto bella…”
“La Corona Corvina,” disse Tobio fissando un punto nel vuoto. “È la corona più antica dei Regni liberi.”
“Sì, il Re me lo ha raccontato.”
“Il nome di Shiratorizawa ha brillato di più nelle ultime generazioni ma non è il primo Regno ad essersi formato.”
“So anche questo…” Disse Shouyou. “Non ero molto attento durante le mie lezioni e, se riuscivo, le saltavo ben volentieri ma ricordo tutto sulle storie dei Regni e le loro leggende. Le adoravo…”
Tobio gli rivolse una smorfia. “Ma non mi dire…” Disse sarcastico.
Shouyou, però, non ci fece caso. “Seijou è l’unico Regno in cui dominano ancora i Demoni… I Demoni sono delle creature molto antiche. Se escludiamo Nekoma, non ci sono molti altri territori in cui sono comuni.”
“Già…” Tobio annuì. “Questo rende ordinarie per me cose che per la maggior parte delle persone non lo sono.”
“Anche gli Omega sono così…” Shouyou incrociò per un istante gli occhi blu del Principe Demone ma li riabbassò immediatamente per imbarazzo. “Mi hanno insegnato che, probabilmente, hanno un poco di magia nel sangue e questo permette loro di dare alla luce dei bambini, nonostante siano dei maschi…” Si umettò le labbra. “A meno che non me lo abbiano detto per rendermi più facile accettare la mia possibile natura.”
“No…”
Gli occhi d’ambra si sollevarono di nuovo.
“Anche il Re me lo ha spiegato così,” spiegò il Principe Demone. “È una teoria di cui è a conoscenza anche il nostro Mago di corte, quindi, presumo che sia vera. Avrebbe senso, dopotutto… I Demoni più potenti, come il mio Re, possono dare la vita e c’è molta magia nera nel loro sangue. Non sarebbe poi così strano definire gli Omega delle creature magiche… Senza ombra di dubbio, riceverebbero più rispetto in questo modo.”
Shouyou gli sorrise timidamente, poi ridacchiò. “Certo che sei strano!”
Tobio lo guardò storto. “Che vuoi dire ora, stupido?”
“Ecco, lo sapevo!” Esclamò il Principe dei Corvi.
“Cosa?!” Domandò il Principe Demone irritato.
“Faccio appena in tempo a credere che tu sia gentile e subito dopo torni a fare l’antipatico!” Shouyou sospirò stancamente. “Eppure, quando serve, sei gentile… A modo tuo, certo.”
“E con questo che cosa vorresti dire?”
Shouyou scrollò le spalle. “È strano…” Commentò come se stesse pensando ad alta voce. “Sei gentile o sei antipatico? Quale dei due?”
Tobio sbuffò. “Per te le persone sono bianco o nero?”
“Se fosse così non considererei Kei un mio amico,” replicò Shouyou. “Anche se non sono certo che l’amicizia sia ricambiata…”
“Passare ogni minuto di ogni giorno con te?” Tobio fece una smorfia. “Diverrei insopportabile anche io per una tortura simile…”
“Non hai bisogno di essere torturato per divenire insopportabile,” lo rassicurò Shouyou. “Lo sei già!”
Tobio lo guardò in cagnesco ma non fece in tempo a dire nulla.
“Oh!” Shouyou lanciò il cavallo in avanti ma si bloccò solo a pochi metri di distanza. “Ecco dove siamo!” Esclamò esultate. Tobio allungò il collo e riconobbe la radura che era stata teatro dei loro allenamenti. Non si era nemmeno reso conto di aver preso quella direzione ma il piccolo idiota sembrava contento e, forse, questo avrebbe giocato a suo favore.
Shouyou scese a terra. “Vieni, Karasu,” disse prendendo le briglie del suo cavallo tra le mani. “Guarda che bel posto…”
Tobio lo guardò con aria annoiata. “Parli anche con i cavalli, ora?”
Gli occhi ambrati del Principe dei Corvi gli lanciarono un’occhiata storta da sopra la spalla. “Anche tu parlavi con Yuki mentre credevi di essere solo nelle scuderie!” Esclamò in risposta.
Tobio digrignò i denti e sentì le guance divenire calde. “Non stavo parlando con lei!” Negò l’evidenza.
“Oh!” Shouyou ridacchiò legando le briglie di Karasu al ramo più basso di un albero a lato della radura. “Quindi parlavi da solo!”
Tobio avrebbe voluto averlo a portata di mano solo per prenderlo a pugni su quella testolina idiota. Shouyou camminò quasi saltellando fino alla riva del ruscello, poi sollevò lo sguardo verso la volta celeste e gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorriso incantato. “È magico anche di notte qui…” Si lasciò cadere disteso sull’erba con le braccia spalancate.
Tobio commentò tanta allegria alzando gli occhi al cielo e facendo appello a tutta la sua traballante pazienza. Scese dalla sella e passò la mano sul collo della sua cavalla per tranquillizzarla ma sembrava che lui fosse l’unico nervoso lì e questo non faceva che peggiorare il suo umore.
“Che cosa stai facendo?” Domandò avvicinandosi.
“Non è ovvio?” Domandò Shouyou. “Guardo le stelle…”
Sì, era ovvio ma Tobio non avrebbe mai ammesso di aver fatto una domanda stupida. “Perché lo fai?” Chiese. Shouyou sollevò la testa e vide che vi era sincera curiosità in quegli occhi blu. “Non lo hai mai fatto?” Domandò perplesso.
Tobio strinse le labbra, mentre l’immagine di una notte d’estate lontano dalle mura di pietra del Castello Nero gli tornava alla mente veloce ed improvvisa come un bagliore nel cuore della notte. La nuca appoggiata al petto del Primo Cavaliere, le dita del Re Demone tra i suoi capelli.
”Hai visto, Iwa-chan? Anche a Tobio-chan piacciono le storie sul popolo delle stelle!”
“A me sembra solo che si stia addormentando…”

“No…” Mentì.
Shouyou piegò le gambe e si sollevò a sedere. Sorrise e porse una mano al Principe Demone. “Vieni, ti faccio vedere.”
Tobio non aveva idea di che cosa l’idiota volesse mostrargli ma no, non si sarebbe tirato indietro. Questo, però, non significava che avrebbe afferrato quella mano. Si distese ad almeno un metro di distanza dal Principe dei Corvi e piegò le braccia dietro la testa per stare più comodo.
Shouyou s’imbronciò per una simile dimostrazione di freddezza, poi tornò a stendersi sulla schiena e a puntare gli occhi sul cielo trapunto di stelle. “A Karasuno sembrano più luminose,” commentò.
“Sali ancora sui tetti delle torri ad osservare l’orizzonte?” Domandò Tobio cercando in quei lontani puntini luminosi qualcosa che potesse incantarlo.
Shouyou lo guardò. “Te lo ricordi?”
Tobio scrollò le spalle ma non ricambiò lo sguardo. “Non mi è capitato spesso di salire sul tetto di una torre nel cuore della notte.”
“Comunque sì,” rispose Shouyou riportando la sua attenzione verso il cielo. “Lo faccio ancora… Lo faccio ogni volta che ne ho la possibilità.”
Tobio sbirciò il profilo dell’altro con la coda dell’occhio. “Sei innamorato del cielo, per caso?”
Shouyou sorrise sommessamente. “Non è la prima volta che mi pongono questa domanda…”
“Allora è vero?”
“Sì…” Rispose il Principe dei Corvi con una nota malinconica. “Sì, immagino di esserne innamorato.”
Gli occhi blu del Principe Demone si allontanarono dalle stelle. “Per quale ragione?”
“Ci deve essere una ragione per essere innamorati del cielo?” Domandò Shouyou. “Mia madre mi ha raccontato che quando ero molto piccolo, l’unico modo per tranquillizzarmi era cullarmi davanti una finestra. Guardavo l’orizzonte e smettevo di piangere…”
Tobio fece una smorfia. “Come no… Tutti i genitori raccontano storie strane sui loro figli. I miei mi hanno detto che mi sono fatto crescere i primi denti mordicchiando l’elsa della spada dei miei antenati.”
Shouyou lo fissò con gli occhi sgranati. “Davvero?”
“Certo che no, stupido! È che i genitori fanno cose così… Raccontano storie insensate!”
“Che non ti separi mai da quella spada, però, è vero,” gli fece notare Shouyou.
Tobio portò per un attimo lo sguardo sull’arma appesa al suo fianco. “Il Primo Cavaliere me l’ha ceduto per il mio dodicesimo compleanno,” raccontò. “Fu il secondo regalo più bello della mia vita, dopo il mio primo arco.”
“Dodici anni…” Ripeté Shouyou confuso. “Non è un po’ presto per ereditare una spada simile?”
Gli occhi blu tornarono sulle stelle sopra di loro. “È stato strano,” ammise il Principe Demone. “Il Primo Cavaliere mi ha sempre proibito di toccarla senza il suo permesso. Non è un giocattolo, dopotutto. Non credevo me l’avrebbe messa tra le mani prima di una grande vittoria come condottiero o qualche impresa del genere…”
Shouyou s’imbronciò. “Hai sconfitto un drago a dieci anni. Non contava come impresa?”
“Non l’ho ucciso,” gli ricordò Tobio. “E comunque è stato strano lo stesso… È stato come se il Primo Cavaliere mi stesse cedendo qualcosa per cui non si sentiva più degno.”
Shouyou esitò un istante, poi portò lo sguardo sul profilo del fanciullo al suo fianco. “È successo qualcosa di strano al tuo dodicesimo compleanno?”
“Sì, è stato l’anno in cui il Re Demone ha…”
Gli occhi blu incrociarono quelli d’ambra ed il Principe Demone sentì la voce morirgli in gola, come se si fosse appena risvegliato da un sogno. “Ma perché stiamo parlando di questo?!” Sbottò irritato.
“Ci stavamo solo confidando delle cose di quando eravamo bambini,” disse Shouyou con un sorriso rassicurante.
“Io non confido niente a nessuno!” Esclamò Tobio arrabbiato. Per cosa e con chi non ne era del tutto certo nemmeno lui.
Shouyou fece per rispondergli a tono ma la voce di sua madre nella sua testa lo tranquillizzò immediatamente.
”Forse, non è abituato…”
“A cosa?”
“Ad avere un amico.”

Strinse le labbra, s’imbronciò ma comprese che non sarebbe servito a nulla alzare la voce con Tobio, solo a renderlo più arrabbiato, antipatico e spaventoso di quanto già non fosse. “Come… Come è andata la caccia?” Domandò senza pensare.
Tobio inarcò le sopracciglia. “A te non piace la caccia.”
Shouyou strinse le labbra e si sentì un’idiota. “Lo so…”
“Allora perché me lo chiedi?”
“Perché spero che non si andata bene…?”
“Me lo stai domandando, scemo?”
“Non è facile sapere cosa dire quando tu ti arrabbi per ogni parola che mi esce di bocca!”
“Non è quello che dici!” Replicò Tobio. “È solo il fatto che parli!”
“Toglimi una curiosità!” Esclamò Shouyou mettendosi a sedere. “Tu mi hai chiesto perché sono innamorato del cielo e ti ho risposto. Tu perché sei innamorato della solitudine?”
Il Principe Demone non esitò a rispondere allo sguardo di quegli occhi d’ambra e fece anche per replicare con forza ma, invece, se ne rimase lì, con le labbra socchiuse e nessuna parola che valesse la pena pronunciare. “Mi piace il silenzio…” Buttò lì, perché di dire la verità non se ne parlava proprio.
Shouyou lo guardò con quella che sarebbe potuta essere sufficienza e Tobio non lo sopportò: aveva visto fin troppe volte quell’espressione sul viso del Re Demone mentre lo guardava dall’alta al basso e suo padre con lui.
“Parli da solo per coprire il silenzio,” gli fece notare il Principe dei Corvi.
Tobio strinse i pugni. “Non parlavo da solo, stavo parlando con Yuki!”
“Oh!” Shouyou si alzò in piedi con un saltello. “Allora è vero che parlavi con lei!”
Il Principe Demone aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi imprecò a denti stretti. Quanto odiava darla vinta a quel piccolo stupido!
Shouyou sorrise ai due cavalli legati l’uno accanto all’altra.
“Non la toccare!” L’avvisò Tobio ma fu tutto inutile.
“Buona… Buona…” Mormorò il Principe dei Corvi accarezzando il muso della cavalla bianca. “Sei davvero bella, lo sai? Sei degna di un futuro Re ma questo qui è davvero troppo brutto per te!”
“Ehi!”
“Yuki, eh?” Domandò Shouyou con un dolce sorriso. “Nevicava quando sei nata? Scommetto che quella neve non era bianca quanto te.”
Tobio corrugò la fronte. “Le parli come se ti capisse davvero…”
Shouyou lo guardò. “Le parlo perché lei mi capisce,” replicò.
Il Principe Demone ridacchiò. “Quanto ti piaceranno mai le storie per bambini…”
“Non è una storia per bambini!” Esclamò il Principe dei Corvi come se fosse stato insultato. “Io parlo con Karasu continuamente e lui mi risponde, anche se non come fai tu, tutto qui.”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Sei serio, stupido?”
Shouyou gli lanciò un’altra breve occhiata, poi continuò ad accarezzare la cavalla bianca. “Mio padre mi ha portato a caccia un paio di volte quando ero bambino. Non ero molto emozionato all’idea ma era una cosa che tutti i figli facevano con i loro padri ed io non ero riuscito nemmeno a partecipare all’addestramento regolare e… Be’, lo sai già!”
Tobio si fece più vicino e guardò il cavallo nero accanto al suo indeciso se toccarlo o meno. “E non ti sei divertito?”
“Ho pianto disperatamente fino a che mio padre non mi ha riportato da mia madre,” rispose Shouyou con espressione triste. “È stato terribile…”
“Cosa è stato terribile?” Domandò Tobio distrattamente sollevando tentativamente la mano per toccare il muso del cavallo nero ma questi si mosse un poco e la ritrasse spaventato, come se avesse accennato a volergli staccare le dita con un morso.
“La disperazione…” Mormorò Shouyou e la sua voce fu tanto triste che gli occhi blu del Principe Demone si sollevarono a guardarlo: la piccola mano continuava ad accarezzare il manto candido della cavalla a gli occhi d’ambra si erano fatti più scuri, distanti. “Hai mai avuto paura da morire?”
Tobio ci pensò. “Da bambino credo di averlo pensato qualche volta…”
“No, intendo… Ti sei mai sentito braccato? Senza via d’uscita?”
Lo sguardo del Principe Demone si fece tagliente. “La sconfitta non è mai stata un’opzione per me.”
Shouyou piegò le labbra in un’espressione che era un sorriso ma non era un sorriso. “Già,” gli occhi d’ambra si fissarono in quelli blu senza timore e Tobio non poté evitare di notare che erano un poco più dorati del solito. “Tu sei il cacciatore, dopotutto. La preda è un’altra cosa…”
Tobio non ebbe il tempo di replicare.
Un suono improvvisò attirò l’attenzione di entrambi.
Shouyou si guardò intorno smarrito. “Che cos’è?”
Tobio puntò lo sguardo dritto verso le mura della Capitale. “Monta in sella,” ordinò allontanandolo dalla sua cavalla. Shouyou slegò le briglie del suo destriero dal ramo dell’albero. “Mi dici che succede?”
“È il corno delle mura! È un segnale d’allarme,” rispose Tobio. “Cavalca più veloce che puoi e cerca di non rimanere indietro!”
 
 
***
 
 
Tsutomu, il Principe dell’Aquila, non sarebbe stato mai in grado di ricostruire alla perfezione quel che era accaduto dopo il suo ultimo litigio con Satori. Le urla, però… Le voci disperate dei suoi Cavalieri mentre morivano uno ad uno non avrebbe potuto mai cancellarle dalla sua memoria.
Tutto il resto era un turbinio d’immagini molto chiare ma frammentarie, all’apparenza prive di senso. Dopotutto, non era possibile che piovesse fuoco dal cielo, no?
Eppure… Eppure…
“Ci ha inseguito fino quasi al confine…”
Era la voce di Satori.
“L’ha fatto con cognizione di causa! Non stava solo creando distruzione intorno a sé, ci voleva uccidere!”
Chi? Chi aveva certo di ucciderli?
Tsutomu non ricordava che qualcuno li avesse attaccati. No, avevano sconfitto tutti i nemici che avevano incontrato sulla sua loro strada durante l’esplorazione delle Terre del Nord. Nessuno di loro erano riusciti ad essere una minaccia per i Cavalieri di Shiratorizawa.
Nessuno…
Sentì una mano stringergli il polso. Tsutomu era certo di conoscerla, sebbene non riuscisse ad aprire gli occhi per accentarsene. Provò a muovere le dita e ci riuscì ma fece un male incredibile, come se non muovesse da un sacco di tempo. Le gambe gli formicolavano, come se fossero addormentate ma non gli passò per la testa di provare a muovere anche quelle.
“Tu lo hai visto,” sentì dire Satori. “Tu e Kenjirou lo avete affrontato! Sai perfettamente che non sto delirando, Wakatoshi!”
Il nome di suo padre.
Il respiro del Principe dell’Aquila si fece veloce. Tentò di alzarsi ma finì solo per farsi del male e la scossa di dolore che attraversò tutto il suo corpo lo spinse a gridare con tutto il fiato che aveva. Ci fu un gran movimento intorno a lui. Delle mani lo afferrarono per tenerlo fermo ma Tsutomu si concentrò solo su quella che gli tirò i capelli all’indietro: la mano del suo Re.
“Pa-Padre…” Riuscì a dire con un filo di voce. “Pa… Pa-Padre.”
Per un attimo, nulla intorno a lui si mosse, poi sentì il respiro di qualcun altro sul lato destro del viso. “Sei al sicuro,” mormorò la voce di suo padre. “Hai lottato con coraggio e sono orgoglioso di te. Nulla può farti del male qui.”
Tsutomu strinse gli occhi ma questo non impedì alle lacrime di rigargli le guance. “Sono morti tutti, padre… Sono morti tutti…”
“Fate qualcosa per lui,” ordinò il Re dell’Aquila e Tsutomu seppe che non si stava più rivolgendo a lui.
“Sollevategli la testa, Maestà,” disse un’altra voce placidamente.
Tsutomu sentì le dita di suo padre scivolare sulla sua nuca e non si oppose quando gli venne premuto qualcosa contro le labbra screpolate a causa di tutto il freddo che aveva dovuto soffrire. Avvertì un liquido caldo sulla lingua ed ingoiò solo per non soffocare.
“Lo aiuterà a dormire,” aggiunse la voce placida. “Non so quanto tempo sia rimasto in ipotermia, gli serve tempo.”
Ci fu un momento di silenzio.
“Aiutate anche il mio Cavaliere, per favore.” Disse il Re dell’Aquila.
“Io sono in piedi, Wakatoshi…”
“Hai delle ustioni da ghiaccio, non accetto obbiezioni…”
“Padre…” Mormorò Tsutomu sentendo l’abisso dell’incoscienza inghiottirlo di nuovo, un poco alla volta. “Sono morti tutti, padre…”
Quella mano consumata da anni ed anni passati ad impugnare una spada aderirono alla sua fronte con gentilezza inedita anche per lui che era cresciuto stringendola.
“Tu sei vivo,” replicò il Re dell’Aquila come se fosse l’unica cosa davvero importante. “Tu sei vivo.”
“Padre…” Il Principe dell’Aquila riuscì a sollevare un poco le palpebre ma fu sufficiente a trovare gli occhi fieri e taglienti del suo Re in mezzo a tutta quell’oscurità. “Anche lui ha le ali, padre…”
Prima che l’oscurità avesse la meglio, le iridi chiare di Tsutomu si spostarono sul soffitto di pietra di quella che doveva essere una camera da letto ma fu tutt’altro quello che vide: un frammento di ricordo, una di quelle immagini insensate dell’inferno da cui lui e Satori erano riemersi.
Poco prima che piovesse fuoco dal cielo ed i suoi uomini cominciassero ad urlare disperatamente, aveva sollevato lo sguardo verso il cielo terso ed aveva visto un’enorme creatura nera dalle grandi ali attraversarlo.
 
 
***
 
 
Tooru era rimasto nel salotto privato del Re dell’Aquila con le braccia incrociate contro il petto e gli occhi scuri rivolti al cielo stellato oltre la finestra.
Il Principe dell’Aquila era vivo.
Ridotto male, certo ma respirava e tanto bastava a rendere il suo cuore più leggero e sapeva che lo stesso sarebbe valso per Koushi. Il Re di Shiratorizawa aveva ancora il suo erede e non aveva più ragione per rivolgere la sua attenzione ad altri Principi fanciulli. Tooru sospirò e si passò una mano tra i capelli stancamente: non aveva mai provato particolare simpatia per Tsutomu ma non era stato piacevole vedere un ragazzino di tredici anni ridotto in quello stato.
Doveva aver ereditato parte della magia che scorreva nel sangue dei suoi genitori o doveva avere una personalità più forte di quanto le sue continue lamentele lasciassero intendere per sopravvivere ad un’esperienza simile. Dopotutto, né Wakatoshi né Eita erano mai stati inclini alla resa facile.
Lo stava rivalutando un poco, doveva ammetterlo.
La porta del salotto si aprì e Tooru vide il viso del Re dell’Aquila riflesso nel vetro della finestra, poi si voltò. “Come sta?” Domandò e la preoccupazione ed era sincera la preoccupazione nei suoi occhi: per quanto il suo cuore si fosse raffreddato negli anni, era pur sempre un genitore e non era piacevole per lui vedere un ragazzino in fin di vita.
“Kenma è ottimista,” rispose Wakatoshi lasciando andare un sospiro. “Sta riposando ma il suo cuore batte con determinazione.”
Tooru accennò un sorriso. “Come è tornare a respirare?”
Il Re dell’Aquila lo guardò confuso.
“Non ti sei sentito così?” Domandò Tooru con gentilezza. “Come se ti mancasse l’aria ogni momento in cui non sapevi dov’era…”
Wakatoshi annuì un paio di volte. “Non ti sarò mai abbastanza grato.”
Tooru scosse appena la testa. “Non devi essere grato a me,” replicò. “Tuo figlio è stato salvato dai Cavalieri di Hajime. Io ho solo dato un ordine, nulla di più.”
“Ringrazierò anche il tuo Generale, lo prometto.”
Il Re Demone lo trovò divertente ma si guardò dal dimostrarsi divertito in una situazione simile. “Potete rimanere quanto volete,” lo rassicurò. “Fino a al ballo, fino a che Tsutomu non si sarà rimesso in forze… Decidi tu.”
“Ti ringrazio di nuovo,” disse Wakatoshi ma la sua voce non fu poi così diversa da quella monocorde di sempre.
Tooru scrollò le spalle. “Siamo alleati,” replicò. “Sediamo entrambi sulla cima del mondo, dopotutto.” Non aveva altro d’aggiungere ma il Re dell’Aquila non gli permise di fare nemmeno un passo verso la porta.
“Penso che sia stato un drago…”
Il Re Demone si bloccò ed i suoi occhi scuri erano grandi quanto tornarono su quelli taglienti di Wakatoshi. “Come?”
“La mente di Tsutomu è confusa,” ammise il Re dell’Aquila. “Satori, però, è rimasto lucido per tutto il tempo e mi ha raccontato quello che è successo. Sono stati attaccati da un drago. I miei Cavalieri sono morti perché dal cielo è cominciato a piovere fuoco. Ti ricorda nulla?”
Tooru strinse le labbra per un istante. “Qualcuna delle storie assurde di Koutaro prima di quella caccia al drago a Fukurodani.”
“Non voglio spaventare nessuno, Tooru ma…”
“Raduneremo il Consiglio subito dopo il ballo,” lo interruppe il Re Demone e l’altro annuì. “Diamo tempo al tuo Principe e al tuo Cavaliere per riposare: dovranno poter raccontare tutto quello che ricordano,” si umettò le labbra. “E speriamo si sia trattato solo di un brutto sogno.”
 
 
***
 
 
Nell’udire il segnale di emergenza spezzare il silenzio della notte, una piccola folla di servi e Cavalieri si era radunata nel cortile interno del Castello Nero. La maggior parte di loro non sapeva ancora niente, compresi i Cavalieri di Shiratorizawa ma Hajime non credeva di avere il diritto di poter fare alcun annuncio ufficiale, non quando le condizioni del Principe dell’Aquila erano incerte e non c’era nessuna storia coerente che potesse giustificare lo stato in cui versava.
C’erano le più alte personalità di tre Regni in quel castello ed il Primo Cavaliere non ci teneva a scatenare il panico in casa sua quando nemmeno lui era completamente a conoscenza della situazione.
“Non so come descrivertelo,” ammise Takahiro sedendosi sulle scale di pietra che portavano alle mura.
Issei si accomodò accanto a lui. “La descrizione pioggia di fuoco è l’unica che possa spiegare quello che abbiamo visto.”
“Neve tutt’intorno a noi e la foresta ridotta in cenere… Da brivido!” Takahiro si strinse nelle braccia come se potesse ancora percepire il freddo di quelle terre crudeli sotto i vestiti. “Non sappiamo come abbiano fatto a sopravvivere tanto quei due.”
Hajime annuì e strinse le spalle dei due amici sollevato dal vederli abbastanza in forze da camminare sulle loro gambe.
Tetsuro fece una smorfia. “Cosa si usa dire sull’erba cattiva?” Domandò guardando Koutaro ma il complice di sempre non rise. No, era terribilmente serio. “Hajime…”
Il Primo Cavaliere lo guardò e s’inquietò nel vedere l’espressione sul suo viso. “Che ti prende, Koutaro?”
“Non vi ricorda niente?” Domandò passando gli occhi da Hajime a Tetsuro. “Io sì. Ho perso un figlio l’ultima volta che mi hanno raccontato di foreste ridotte in cenere e piogge di fuoco.”
Gli occhi verdi di Hajime incontrarono quelli scuri di Tetsuro. “Koutaro…” Mormorò quest’ultimo stringendo una spalla dell’amico. “Non starai pensando a…”
“Hajime!” Tooru comparve alcuni scalini più in alto ed il Primo Cavaliere superò i suoi uomini per andargli vicino. Takahiro ed Issei si voltarono a guardarli, poi si scambiarono un’occhiata.
“I vecchi vizi sono duri a morire,” commentò il primo.
L’altro annuì. “Uno chiama e l’altro corre…”
Koutaro strinse le labbra e guardò Testuro dritto negli occhi. “Non una parola con Keiji,” disse assolutamente serio. “È salito presto con Keijiko e, forse, stanno già dormendo entrambi.”
Tetsuro annuì. “Hai la mia parola,” rispose. “Tuttavia, se il Principe dell’Aquila o quel Cavaliere hanno visto qualcosa, ormai Tooru lo sa e non potrà rimanere un segreto ancora a lungo.”
Koutaro abbassò lo sguardo. “Preferisco lo venga a sapere da me, se i miei sospetti sono fondati.”
L’altro gli strinse una spalla con fare amichevole. “Hai la mia parola, amico.”
Un cavallo nero ed uno bianco entrarono nel cortile in quel preciso momento attirando l’attenzione della piccola folla. Hajime e Tooru riconobbero immediatamente il destriero dal manto candido del loro erede e scesero gli ultimi gradini che li dividevano dal cortile per andargli incontro.
“Padre!” Esclamò Tobio scendendo dalla sella ancor prima che la sua cavalla si fosse fermata. “Che cosa succede?”
Hajime comprese che doveva aver udito il segnale e doveva essersi spaventato. Gli strinse una spalla per rassicurarlo, poi sollevò lo sguardo sul piccolo Principe dei Corvi che ancora non aveva osato mettere piede a terra. “Non c’è nulla da temere,” disse rivolgendosi ad entrambi i fanciulli.
Tooru annuì e si avvicinò al cavallo nero del loro ospite. “Vieni pure, Shou-chan,” gli disse con un sorriso. Il piccolo Principe annuì ed accettò l’invito. Una volta con entrambi i piedi a terra, il Re Demone gli circondò le spalle con un braccio e lo guidò verso le scale. “Hajime…” Richiamò.
Il Primo Cavaliere annuì e si fece più vicino a sua volta, spingendo Tobio a fare lo stesso.
“Ascoltatemi bene!” Disse Tooru a gran voce fermandosi di fronte all’ingresso esterno della sala del trono in modo da potersi far vedere da tutta la folla che si era radunata nel cortile. “Il Principe dell’Aquila è tornato a casa!”
Molti tirarono un sospiro di sollievo, i Cavalieri di Shiratorizawa presero ad esultare.
Al fianco del Re Demone, Shouyou cercò gli occhi di Tobio ma il Principe Demone era confuso quanto lui e si limitò a scuotere un poco la testa.
“Le sue condizioni non sono delle migliori ma se la caverà!” Aggiunse Tooru. “Per qualunque cosa riguardi il Re dell’Aquila, rivolgetevi prima a me e non disturbatelo… Tornate pure a riposare, non c’è nulla da temere!” Concluse ma Hajime non si fece sfuggire il modo in cui quegli occhi scuri si posarono su Koutaro e Tetsuro nel dirlo.
La folla cominciò a disperdersi ma la tensione nell’aria era notevolmente diminuita.
Tooru strinse le spalle del Principe dei Corvi ed il ragazzino lo guardò dritto negli occhi. “Ti riaccompagno dai tuoi genitori, Shou-chan,” disse con un sorriso gentile. Shouyou annuì e si lasciò guidare verso la scalina che conduceva ai piani nobili. Lanciò un’occhiata da sopra la sua spalla e Tobio ricambiò lo sguardo ma rimase comunque indietro, insieme al Primo Cavaliere.
“Che cosa succede, padre?” Domandò il fanciullo.
Hajime lo guardò stringendogli la spalla con più forza. “Andiamo nel salotto privato del Re,” disse, poi guardò i suoi Cavalieri. “Tutti noi. Tetsuro vai a cercare Lev ma lascia che Kenma si occupi dei due feriti. Issei, Takahiro andate a chiamare Kaname. Koutaro, tu vieni da solo… Non è necessario far rivivere a Keiji ricordi spiacevoli prima di fare luce sulla situazione.”
Koutaro annuì accennando un sorriso. “Ti ringrazio.”
Hajime annuì e lasciò andare la spalla di suo figlio per incamminarsi verso i piani nobili. Tobio fece per seguirlo ma Issei e Takahiro lo affiancarono prima che potesse allontanarsi troppo.
“Passeggiata a cavallo al chiaro di luna col Principe dei Corvi?” Domandò il primo. “Visto, Takahiro? Lo sapevo che ci saremmo persi degli svolgimenti importanti!”
Tobio li guardò completamente smarrito. “Eh?”
“Abbiamo interrotto qualcosa con la nostra entrata in scena, Vostra Altezza?” Domandò Takahiro con un sorrisetto malizioso.
“Interrotto?” Domandò Tobio confuso. “Cosa c’era da interrompere?”
Entrambi i Cavalieri alzarono gli occhi al cielo.
“Beh…” Takahiro scrollò le spalle. “Almeno non ci siamo persi il colpo di scena.”
“Siamo ancora in tempo per il ballo,” aggiunse Issei.
Il Principe Demone non seppe di cosa diavolo stessero parlando per tutto il tempo.
 
 
***
 
 
“Tu e Tobio siete andati a fare una passeggiata a cavallo?” Domandò Tooru con gentilezza precedendo il Principe dei Corvi sulla scalinata di pietra.
Shouyou scrollò le spalle. “Ci siamo incontrati per sbaglio nelle scuderie e siamo andati insieme,” raccontò. “L’ho colto sul fatto mentre parlava con Yuki ma ha negato spudoratamente, come se fosse qualcosa di ridicolo.”
Tooru ridacchiò. “Hai conosciuto l’unica amica di Tobio, quindi…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Chi? Yuki?”
“Certamente!” Esclamò il Re Demone. “Non ti ha raccontato la storia di come l’ha avuta? Povera creatura, nata nel cuore dell’inverno e che inverno! Nevicò fino a primavera inoltrata quell’anno e quando quella stupenda puledrina bianca venne al mondo ci fecero chiamare perché, sai, era il giorno del compleanno del Principe e la gente tende a credere che piccoli eventi di questo genere siano segnali di buona fortuna o qualcosa del genere.”
Shouyou salì due scalini alla volta affiancandosi al sovrano. “Tobio mi ha raccontato che gli avevate promesso che sarebbe stata sua se fosse stata abbastanza forte da sopravvivere all’inverno.”
Tooru aggrottò la fronte. “Ti ha detto questo?”
“S-Sì…” Rispose il fanciullo un poco confuso. “Non è la verità?”
Il Re rise. “Non è nemmeno metà della verità!” Esclamò. “La storia è molto più lunga di così!”
Gli occhi di Shouyou si fecero grandi. “Voglio saperla, per favore!”
Tooru sorrise soddisfatto. “Tanto per cominciare, ci dissero immediatamente che era un gran peccato che una così bella creatura fosse nata proprio in quel periodo dell’anno.”
“Perché?”
“Perché era praticamente morta ancor prima di venire al mondo.”
“Oh…” Fu l’unico commento di Shouyou. “Ma come…?”
“Se non fosse stato per Tobio, Yuki non sarebbe mai arrivata alla primavera successiva,” Tooru sorrise con tenerezza. “Scappava ogni notte con più coperte di quelle che potesse portare e si accampava lì, nel box della sua puledrina e la teneva al caldo per tutta la notte. Io e Hajime eravamo disperati… Non sapevamo più come tenerlo in camera sua! Una volta ci minacciò che se avessimo chiuso la porta a chiave, sarebbe scappato dalla finestra… Non ci provammo mai perché sapevamo che era abbastanza stupido da mettere in pratica la minaccia in questione ed ammazzarsi nel processo e… Shouyou?”
Nella foga del discorso, Tooru non se ne era accorto ma il Principe dei Corvi era rimasto almeno una decina di gradini indietro e lo fissava dal basso con gli occhi d’ambra sgranati, come se non potesse credere a quel che aveva appena detto. “Tobio ha…” No, non poteva crederci. “Tobio è davvero capace di fare questo genere di cose?”
Il Re Demone si sentì improvvisamente soddisfatto di se stesso. “Oh, certo,” annuì. “Hai perfettamente ragione tu: Tobio stava parlando con Yuki… È una cosa che fa spesso, anche se poi se ne vergogna e lo nega. Assurdo, vero?”
“No…” Rispose Shouyou sorridendo sommessamente. “Lo trovo bello…”
Allora aveva davvero intravisto della gentilezza nel cuore di Tobio, sebbene ben nascosta tra una naturale tendenza all’essere antipatico e un carattere decisamente orrendo. Non sapeva perché ma il Principe dei Corvi si sentì improvvisamente come se avesse ottenuto un enorme vantaggio sul nemico e non aveva alcuna intenzione di sprecarlo.
 
 
***
 
 
Kaname guardò tutti i presenti nella stanza come se fossero impazziti. “Un drago?” Domandò.
Quella sarebbe stata una notte da ricordare per molti motivi ma il fatto che tutti i sovrani dei Regni conquistati da Seijou sedessero insieme nella stessa stanza per la prima volta superava tutti gli altri di netto. Non era mai capitato. Mai.
Tutti i sovrani sconfitti dal Re Demone riuniti con quest’ultimo nel suo salotto privato per discutere di un pericolo comune, sebbene ancora non confermato.
Seduto pigramente su di una delle poltrone, Testuro indicò quello che era stato il Re di Dateko. “Tobio, fai un riassunto veloce per chi quel giorno non c’era.”
Kaname sospirò. “Conosco l’impresa di Tobio contro il drago,” disse. “So che tutti voi eravate lì per vederlo e so che quell’occhio viene ancora custodito qui, al Castello Nero… Anche se ammetto di non averlo mai visto.”
“Non è uno spettacolo adatto alle persone sensibili,” replicò Tooru con un sorrisetto. “In ogni caso, vi ho voluti tutti qui perché i primi racconti di Satori hanno dell’incredibile: dice che… Sì, un drago ha ucciso tutti i loro uomini e che loro si sono salvati perché erano lontani dal resto del gruppo.”
“Ma i Cavalieri li hanno ritrovati vicino al confine con le nostre terre se ho ben capito,” disse Kaname.
Tetsuro annuì. “E qui viene il bello…”
Takahiro ed Issei si guardarono. “Satori ha sostenuto per tutto il viaggio che il drago li ha inseguiti…”
Koutaro inarcò le sopracciglia. “Se un drago decide di ucciderti, sei morto… Ne sanno qualcosa i miei Cavalieri finiti in cenere.”
“È proprio questo il punto,” intervenne Tooru. “Ho sentito Satori raccontarlo al suo Re: sostiene che il drago non li ha mai voluti uccidere, solo terrorizzare a morte… Come un avvertimento.”
Tetsuro fece una smorfia. “Riconsegni ad un Re la testa mozzata di un suo messaggero e segue una dichiarazione di guerra…”
Kaname inarcò le sopracciglia. “Un drago ci ha dichiarato guerra uccidendo decine e decine di Cavalieri di Shiratorizawa?”
“Gli serviva che qualcuno tornasse indietro per recapitare il messaggio,” concluse Tooru sommessamente.
“Un attimo!” Esclamò Koutaro. “Non stiamo realmente prendendo in considerazione quello che penso, vero?” Domandò guardando Tooru. “Voglio dire, c’eravamo tutti in quel buco anni fa! È di una bestia che stiamo parlando! Una bestia grande, sputafuoco e, per di più, volante!”
“Tanto letale da ridurre in cenere territori interi ma senza riuscire a fare centro su due piccoli e fragili esseri umani,” aggiunse Tooru con una nota di sarcasmo nella voce. “Non mi piace, non mi piace per niente ma conosco Satori abbastanza per dare peso alle sue parole e alle sue impressioni. È, probabilmente, l’uomo più razionale della corte di Shiratorizawa e Wakatoshi si fida di lui al punto d’affidargli la vita del suo erede… Non parlerebbe mai a vanvera di una cosa del genere se non ne fosse sicuro, specie col loro Principe ridotto in quello stato.”
Kaname passò gli occhi sui visi di tutti i presenti. “Quindi?”
“Quindi,” Tetsuro sospirò con fare drammatico, “stiamo realmente prendendo in considerazione che ci sia un drago al confine con le Terre del Nord che ci ha dichiarato guerra massacrando il piccolo esercito del Principe dell’Aquila e, di conseguenza, siamo già morti anche noi,” concluse con un sorriso amichevole e decisamente inquietante.
Nel salotto calò un silenzio di tomba.
“Wow…” Mormorò Lev sgranando gli occhi felici. “Allora i draghi potrebbero anche parlare…”
Tetsuro lo guardò tanto storto che i presenti temettero che si sarebbe alzato e lo avrebbe strangolato. Indicò il ragazzo accanto alla sua poltrona con la punta dell’indice. “Non chiedetemi più perché non ho figli miei…”
“Hajime,” disse Tooru sporgendosi in avanti. “Tu hai qualcosa da dire?”
Il Primo Cavaliere ed il Principe Demone se ne erano rimasti in disparte ad osservare la scena.
“Che cosa vuoi che dica?” Domandò Hajime. “Non ero con voi a caccia del drago a Fukurodani ed io combatto battaglie contro altri uomini... Non contro i mostri.”
Tooru accennò un sorriso. “Non ci credi nemmeno tu, vero? Alla storia che questo drago possa essere una creatura senziente al punto da dichiararci guerra, intendo.”
Hajime non rispose.
“Qualcuno, prima, dovrebbe convincere Kaname che il drago in questione esiste,” intervenne Tetsuro.
“Io credo all’impresa di Tobio!” Esclamò il povero Kaname. “Trovo solo difficile… Immaginarlo, credo…”
Koutaro si umettò le labbra. “Quindi, che si fa?”
Calò di nuovo il silenzio nella stanza.
Tobio si fece avanti, testa alta e sguardo fiero. “L’ho sconfitto una volta,” disse con fermezza. “Posso farlo di nuovo per proteggere Seijou.”
Sia Hajime che Tooru accennarono un sorriso.
“Sei molto coraggioso, mio Principe,” disse il Re. “Tuttavia, dubito che sarà così semplice.”
“Mandatemi nelle Terre del Nord,” insistette il fanciullo.
“Tobio…” Lo riprese Hajime alzando gli occhi al cielo.
“Decine di uomini di Shiratorizawa sono già morti,” proseguì Tobio con convinzione. “I prossimi potrebbero essere i nostri. Solo un Arciere può uccidere un drago e non ha senso mandare un esercito di Cavalieri a morire se non possono né combattere, né difendersi.”
“Non è una battaglia che puoi combattere da solo, ragazzo,” intervenne Koutaro. “Sì, serve un Arciere e sì, basta un solo colpo ma se lo fallisci non c’è via di scampo, a meno che tu non sia baciato dalla fortuna. Se non credi a noi, chiedilo a Keiji.”
“L’ho già fatto una volta,” sottolineò Tobio.
“Non significa che tu possa farlo una volta ancora,” replicò il Re Demone. “Sì, quel colpo era perfetto ma non ci sono garanzie che lo sarà anche la prossima volta.”
Gli occhi blu del Principe Demone si fissarono con fierezza in quelli del genitore. “Io non sbaglio mai…” Replicò con convinzione.
Tooru resse quello sguardo alla perfezione: quel moccioso era in anticipo di almeno un quarto di secolo se credeva di poter avere l’ultima parola contro di lui.
“Tobio,” intervenne Hajime afferrando una spalla del figlio ed interrompendo la tensione che si era creata tra il Principe ed il Re. “Tu non vai da nessuna parte,” disse fermamente. “Senza ombra di dubbio c’è qualcosa che non va nelle Terre del Nord e dovremmo affrontarla molto velocemente ma non ora.” Guardò il suo Re. “Non mentre al Castello Nero vi sono famiglie che non hanno nulla a che fare con i nostri problemi.”
Tooru comprese che si riferiva ai reali di Karasuno ed annuì. “Aspettiamo la fine del ballo,” disse. “Aspettiamo che Tsutomu e Satori tornino in forze e ci raccontino tutta la storia nei dettagli.” Si alzò in piedi e così fecero tutti gli altri.
Gli occhi scuri del Re Demone cercarono quelli blu del suo erede. “Non accetto nessun colpo di testa da te, Tobio,” disse freddamente. “Non confondere il coraggio con la stupidità.”
Portò poi lo sguardo sul Primo Cavaliere al suo fianco.
Hajime annuì e Tooru seppe che, per quanto assurdo fosse dopo tanto tempo, erano d’accordo.
 
 
***
 
 
Il giorno seguente, il Principe dell’Aquila tornò cosciente e il Mago di corte dichiarò ufficialmente che non c’era più motivo di temere per la sua vita e che le ferite sarebbe completamente guarite con il tempo. Il Re dell’Aquila, tuttavia, proibì categoricamente che chiunque venisse a disturbare il suo erede chiedendogli degli eventi che lo avevano portato a versare in quello stato. Il Re Demone non fece obbiezioni ma sapeva che Wakatoshi era perfettamente consapevole che non avrebbero potuto far finta di nulla ancora per molto.
Da parte sua, Tooru impiegò i pochi giorni che erano rimasti per il ballo a mettere ordine tra i propri affari.
 
 
 
“Tobio e Shouyou sono al sicuro, quindi…” Concluse Koushi appoggiando le mani sul parapetto della balconata ed osservando l’orizzonte. “Wakatoshi ha ancora il suo Principe e non ha ragioni d’interessarsi a mio figlio.”
Tooru l’osservava appoggiato allo stipite della portafinestra. “È un sollievo per entrambi, immagino.”
Koushi gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Erano insieme anche quella notte, vero?”
Il Re Demone scrollò le spalle. “Si sono incontrati per caso, ha detto il tuo piccoletto. Tobio non parla con me di queste cose e, comunque, è completamente preso da tutt’altro genere di preoccupazioni.”
Koushi si voltò ed inarcò un sopracciglio confuso.
Tooru sorrise divertito. “Gli sto insegnando a danzare,” confessò. “Non vuole farlo sapere a nessuno ma Tetsuro e Koutaro lo sanno già e tanto basta per non considerarlo più un segreto.”
Il consorte reale di Karasuno parve sorpreso. “Shouyou non mi ha detto nulla…”
“Perché Shouyou non sa nulla,” replicò Tooru avvicinandosi ed appoggiando i gomiti sul parapetto di marmo. “Shouyou non deve sapere nulla,” sottolineò.
Koushi osservò il profilo del Re Demone per alcuni istanti, poi un sorriso leggero comparve sulle sue labbra. “Tobio sta imparando a danzare per Shouyou?” Domandò.
Tooru ridacchiò. “Se lo chiedi a lui, ti risponderà che lo fa perché vuole lasciare il tuo Principe senza parole e fare sua un’altra vittoria! Dice che non sopporta di non essere capace di fare qualcosa che, invece, a Shouyou riesce bene… Vallo a capire!”
Koushi rise a sua volta. “I miei figli non fanno altro che parlare del Principe Demone,” confessò. “Natsu fa progetti per il ballo come una Regina perfettamente consapevole del suo titolo e Shouyou… Beh, lo sai già.”
Tooru lo guardò. “È molto sveglia la tua bambina,” commentò. “Prevedo che sposerà uno dei Re più potenti che saranno in giro per la sua generazione e lo farà facendolo innamorare perdutamente di sé.”
Koushi sospirò. “Non è il genere di discorsi che affrontiamo io e Daichi.”
“Per la tua Principessa c’è ancora tempo,” disse Tooru. “Ma molto presto arriverà la notte del tuo Principe…”
Koushi si fece serio di colpo. “Ho compreso i tuoi timori per il futuro dei nostri figli,” ammise. “Politicamente parlando, comprendo anche perché tu abbia pensato a mio figlio per questo ballo.”
Il Re Demone piegò le labbra in una smorfia. “Ma non è politica, Koushi… È destino…”
“E se questo destino non si avverasse?” Domandò il consorte reale di Karasuno. “Fino ad ora ci siamo preoccupati del Principe e del Re di Shiratorizawa ma, ora, guardiamo in faccia la realtà: non si stanno innamorando, Tooru. Il ballo è tra pochi giorni e, dopo, tutti noi torneremo ai nostri Regni e alle nostre storie.”
Tooru sbuffò. “Ti ho già detto che non ho intenzione di costringere nessuno a fare nulla…”
“Ma la speranza che provi per questo ballo mi spaventa.”
“È solo un ballo, Koushi, non un duello all’ultimo sangue.”
“Per te non è poi così diverso,” replicò Koushi. “Il mio timore è che se non otterrai quello che vorrai come hai previsto, troverai un altro modo per farlo.”
Il sorriso di Tooru assunse delle sfumature oscure. “Mi ferisci, Koushi…” Non lo pensava davvero. No, in realtà stimava quel consorte reale perché sapeva leggerlo e temerlo come nemmeno Wakatoshi era mai riuscito a fare: se Koushi avesse posseduto un trono più potente di quello di Karasuno, sarebbe potuto essere un rivale più temibile di Koutaro e Tetsuro. “Lo ripeterò fino all’ultimo atto: lasciamo che sia il destino a giocare le sue carte…”
 
 
***
 
 
I giorni seguenti trascorsero in modo quieto, senza altri colpi di scena.
 
 
Daichi sospirò per l’ennesima volta da quando era sceso nel cortile interno del Castello Nero insieme a Shouyou e suo figlio aveva presto abbandonato il suo fianco per attaccarsi al Principe Demone. Per sua fortuna, non se ne erano andati in giro come era loro solito o non era certo che avrebbe controllato l’ansia al punto da poter guardare il suo Principe allontanarsi con un fanciullo il doppio della sua stazza che, secondo i sogni di qualcuno, era il suo promesso.
Shouyou gli aveva raccontato che lui e Tobio erano andati nella foresta a guardare le stelle, prima che al Castello Nero si scatenasse il panico e lo aveva fatto con tanta ingenuità che Daichi non aveva avuto ragione di sospettare nulla ma aveva trovato qualche difficoltà a dormire nell’immagine il suo primogenito da solo con l’erede al trono di Seijou nella foresta… Di notte…
Dubitava che ci fosse qualcosa di cui preoccuparsi, certo ma, in fin dei conti, anche lui e Koushi avevano cominciato ad andare al lago per gioco, no? Non era più o meno l’inizio per tutti? Se poi sommava quel pensiero al fatto che i due fanciullo fossero destinati l’uno all’altro…
Daichi sospirò ancora una volta.
“Che ti prende?” Domandò Hajime sedendosi accanto a lui.
Nel cortile, due giovani stavano duellando amichevolmente ma Daichi non riusciva a staccare gli occhi dai due fanciulli seduti sopra di loro, sulle mura di cinta. Hajime seguì la linea del suo sguardo e sospirò a sua volta. “È innocuo, te lo assicuro.”
Daichi lo guardò come se si fosse appena risvegliato da un sogno. “Eh?”
“Tobio…” Chiarì Hajime sollevando a sua volta gli occhi verdi sui due Principi. Se ne stavano seduti tra due merli e c’era abbastanza spazio perché Shouyou potesse distendere le gambe, mentre Tobio ne teneva una piegata ed una a ciondoloni verso la facciata esterna delle mura. Parlavano ma era impossibile udire cosa si stessero dicendo da quella distanza. “È talmente lontano da certi pensieri che comincio a preoccuparmi,” aggiunse il Primo Cavaliere.
Daichi afferrò il concetto e si sentì un poco rassicurato. “A te preoccupa che non ci pensi?” Domandò un poco divertito.
Hajime scrollò le spalle. “Non ha ancora quindici anni e la vera stagione della sua giovinezza non si può dire ancora cominciata ma…”
“Ma alla sua età per te era diverso,” concluse Daichi con un sorriso. “Io, invece, vivo nel terrore che Shouyou cominci a farli quei pensieri ed anche io ricordo bene cosa facevo alla sua età.”
Hajime ridacchiò. “Tipo scappare di casa per amore?”
“Shouyou non conosce tutta la verità su quella storia e vorrei che restasse così.”
“Hai paura che prenda esempio dai suoi genitori?”
“Ho paura che ci superi,” rispose Daichi. “Per noi quello fu un gesto di ribellione estremo. Shouyou è ribelle per natura e non oso immaginare cosa sarebbe capace di fare se decidesse di superare il suo limite.”
“Rilassati,” disse Hajime stringendogli una spalla. “Dovrebbe innamorarsi sul serio per farlo e dovrebbe anche avere le stesse ragioni che hanno spinto te e Koushi a fare quello che avete fatto.”
Daichi lo guardò. “Che vuoi dire?”
“Noi eravamo innamorati e contro il mondo,” disse Hajime quasi divertito. “Loro non hanno ragione di essere contro nessuno. Dopotutto, hanno noi…”
Daichi strinse le labbra: da parte sua, aveva contribuito a rendere la vita suo figlio migliore pensando ad un matrimonio che non fosse troppo traumatico ma che non avesse nessuna base sentimentale. Non lo disse, però. Se ne vergognava.
“Già…” Mormorò. “Loro sono liberi di scegliere perché siamo noi che glielo permettiamo.”
Il Primo Cavaliere non replicò immediatamente. Non c’era nulla di diverso nell’espressione di Tobio in quel preciso momento ma era proprio questo a fare la differenza: suo figlio accettava la vicinanza di Shouyou con una naturalezza che aveva del surreale per il suo carattere. “Però, devo confessarti che non è mai stato così con nessuno…”
Daichi sbatté le palpebre un paio di volte. “Chi?”
“Tobio,” Hajime accennò un sorriso senza allontanare gli occhi dai due fanciulli. “Non è mai stato così perennemente emotivo. Da quanto c’è Shouyou in giro, non fa che essere arrabbiato!”
Il Re dei Corvi inarcò un sopracciglio. “Ed è una cosa positiva?”
“Lo è quando tuo figlio è gelido come l’inverno con la maggior parte delle persone,” replicò Hajime. “Con Shouyou è un turbinio di emozioni, invece e penso che abbia difficoltà a venirne a capo… Il tuo Principe ha un grande potere sul mio!” Rise.
Daichi sospirò per l’ennesima volta. “Meglio non dirglielo o si monterà la testa!”
 
 
“Che tipo è?” Domandò Shouyou. “Il Principe dell’Aquila che tipo è?”
Tobio non distolse lo sguardo dal panorama e scrollò le spalle. “Non te lo so dire con esattezza,” rispose. “Non siamo amici.”
Shouyou ridacchiò. “Sì, questo lo sapevo già…”
Il Principe Demone lo guardò storto ma l’altro ci aveva fatto talmente tanto l’abitudine che era ormai impossibile sentirsi minacciati da quell’espressione. “Sta bene?” Domandò con espressione seria.
Tobio scrollò le spalle di nuovo. “Dicono che stia in piedi, ormai.”
Shouyou annuì. “Mi vuoi dire che cosa fai tutti i pomeriggi?” Chiese con sincera curiosità. “Non vai a caccia, non ti alleni con l’arco e non duelli nel cortile come tutti gli altri. Passo tutti i giorni per le scuderie convinto che tu sia lì e non ci sei. Vado a cavallo per passare il tempo, lo sai?”
Tobio gli rivolse un ghignetto arrogante. “Ti annoi senza di me, stupido?”
Shouyou ricambiò l’espressione e si sporse in avanti. “Mi stai evitando, forse?”
Il Principe Demone storse la bocca. “Niente affatto…”
“Allora c’è qualcosa che vuoi tenermi segreto!”
“Pensi davvero di essere così importante?” Domandò Tobio ma le sue guance lo tradirono e Shouyou gli puntò l’indice contro con espressione trionfante. “Sei arrossito!” Esclamò. “Vuol dire che ho indovinato! Che cosa mi sta tenendo nascosto, Tobio?”
Gli occhi blu tornarono a guardare il panorama. “È il caldo! Siamo in estate!”
“Siamo seduti quassù da più di un’ora e tu cominci a soffrire il caldo solo adesso?”
“Taci, stupido!”
“Vostra Altezza…”
Entrambi trattennero il respiro e sgranarono gli occhi tanto furono colti di sorpresa. Riconoscendo l’Arciere che li aveva interrotti, Tobio si alzò in piedi per primo. “Kenjirou…”
L’uomo dal mantello violaceo abbassò lo sguardo con rispetto ma solo per qualche istante. “Il Principe dell’Aquila chiede di vedervi…”
 
 
Daichi e Hajime avevano portato la loro attenzione altrove e non si accorsero di nulla.
 
 
***
 
 
Il Principe Demone era generalmente rispettoso con chiunque considerasse un suo superiore.
Una condotta dovuta, probabilmente, alla sua educazione come Cavaliere.
Tobio non aveva mai dimenticato che Tetsuro e Koutaro erano stati dei Re, prima di essere i sottoposti di suo padre, non aveva importanza che fosse stato proprio Tooru a farli cadere. Era una forma di rispetto di cui non era mai riuscito a liberarsi: aveva ancora troppo da imparare da personalità simili per potersi permettere una simile superbia.
Di un’altra cosa, però, non era mai riuscito a liberarsi: l’impossibilità di piegare la testa o anche solo abbassare lo sguardo al cospetto del Re dell’Aquila.
Wakatoshi lo fissò per un lungo momento di silenzio. “Principe Demone…” Lo salutò con freddezza.
“Maestà…” Rispose Tobio con lo stesso tono di voce.
Il Re dell’Aquila non si aspettava nulla di più da quel fanciullo. Portò la sua attenzione altrove. “Lui chi è?”
Tobio si fece rigido per un istante, poi voltò il capo: Shouyou se ne stava un passo dietro di lui tanto teso che sarebbe bastato sfiorarlo per farlo saltare. Kenjirou non aveva detto nulla in proposito alla sua presenza, sebbene l’invito fosse stato rivolto solo al Principe Demone. Tobio, da parte sua, cominciava ad abituarsi a quella piccola presenza accanto a lui al punto che non aveva nemmeno provato a mandarlo via.
Si sentì un completo idiota ma fu bravo a coprirlo. “Lui è Shouyou, Principe di Karasuno,” lo presentò con fare formale, poi lanciò un’occhiataccia al fanciullo in questione per spingerlo a farsi avanti e fare la sua parte. Shouyou si affiancò al Principe Demone e chinò esageratamente la testa. “È un onore essere al vostro cospetto, Re dell’Aquila!” Disse a voce troppo alta. Tobio alzò gli occhi al cielo e si ripromise di prenderlo a calci più tardi per tanto nervosismo insensato.
“Sei il figlio di Daichi e Koushi?” Domandò Wakatoshi.
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quelli del Re. “Sì…” Rispose timidamente e sentì le guance farsi più calde.
Wakatoshi lo studiò per alcuni istanti. “Quindi sei tu il primo figlio di quella guerra,” disse, infine. “Sembri più piccolo della tua età…”
Tobio continuò a guardare di fronte a sé mentre il Re dell’Aquila lo superava senza aggiungere una parola.
Kenjirou sospirò e si fece avanti. “Seguitemi…”
 
 
Quello che Tobio aveva detto a Shouyou era vero: lui e Tsutomu non erano mai stati amici.
In sua difesa, il Principe dell’Aquila non aveva mai tentato di esserlo come avevano fatto Lev e gli altri ragazzi dei Regni che il Re Demone aveva conquistato. Una cosa che Tobio proprio non riusciva a capire, però, era il rancore che l’altro sembrava riserbargli. Era come se gli avesse fatto un torto imperdonabile di cui il Principe Demone non conservava alcuna memoria.
In tutta onestà, non gli aveva mai dato particolare importanza ma se aveva chiesto di vederlo, evidentemente, doveva essere un sentimento accantonato.
Gli occhi di Tsutomu, però, brillavano ancora di quella rabbia inspiegabile anche quando Kenjirou aprì la porta della sua camera per permettere a Tobio e Shouyou di entrare.
“Vi lascio soli,” disse l’Arciere andandosene.
Shouyou passò gli occhi da un Principe all’altro percependo una tensione di cui non conosceva la fonte e, di colpo, si pentì di aver seguito Tobio fino a lì: l’atmosfera tra quei due gli metteva paura.
“Vedo che sei in piedi,” commentò Tobio, come se non fosse ovvio.
L’espressione di Tsutomu si fece ancora più rancorosa. “Anche tu…”
Shouyou inarcò le sopracciglia: aveva la netta sensazione che all’altro dispiacesse che il Principe Demone godesse di ottima salute.
“Il mare non era pericoloso come dicevano, quindi…” Aggiunse il Principe dell’Aquila.
Tobio cambiò immediatamente argomento. “Hai chiesto di vedermi,” gli ricordò. Non gli piaceva perdere tempo e sapeva che l’erede al trono di Shiratorizawa sapeva riempire un dialogo di questioni inutili prima di arrivare al punto.
Tsutomu annuì e, per un momento, abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
Tobio si accorse che erano ancora completamente ricoperte dalle bende. “Kenma ha detto che se non fossi stato figlio dei miei genitori, sarei sopravvissuto a stento ed avrei portato addosso i segni di quel che è successo per tutta la vita,” disse. “È la prima volta che qualcuno mi attribuisce un qualche potere…”
“Vuoi dirmi qualcosa riguardo a quello che ti è successo nelle Terre del Nord?”
Tsutomu lo guardò con espressione tagliente e Shouyou pensò che assomigliava molto al Re dell’Aquila in quel momento. “Sei stupido o fingi di esserlo, Tobio?” Domandò l’erede al trono di Shiratorizawa.
“Tsutomu,” la voce di Tobio si stava facendo irritata. “Non farmi perdere tempo,” lo avvertì.
Tsutomu strinse le labbra come un bambino rimproverato ingiustamente, poi abbassò gli occhi chiari sulla terza persona nella stanza. “Lui chi è?” Domandò.
Shouyou trattenne di nuovo il fiato, intimorito.
“Lui è Shouyou, Principe di Karasuno,” rispose Tobio con la voce annoiata di chi ha ripetuto troppe volte la stessa cosa, sebbene fosse solo la seconda volta che presentava il piccoletto al suo fianco. Tsutomu fissò il fanciullo incuriosito. “Lui è il bambino prematuro nato durante l’assedio di mio padre a questo castello?”
“Esatto…” Rispose Tobio. “Ora, dimmi perché mi hai fatto chiamare.”
Il Principe dell’Aquila riportò gli occhi chiari su quelli blu dell’altro. “Tu te lo ricordi chiaramente?” Domandò. “Il drago che hai accecato…”
Tobio annuì due volte. “Sì…”
“Quanto chiaramente?”
“Ha importanza?”
“Lo ricordi abbastanza da vederlo nitidamente nei tuoi incubi?” Domandò Tsutomu con robbia a stento trattenuta.
Tobio scosse la testa. “Non ho mai fatto incubi che riguardassero quel drago,” ammise in totale sincerità.
Tsutomu sgranò gli occhi, poi la sua bocca prese una piega orribile e lasciò andare una risata isterica che fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena di Shouyou. “Certo…” Sibilò. “Il grande Principe Demone, il Re che è già tale pur non essendo ancora stato incoronato, non potrebbe mai essere vittima di incubi di nessun tipo.”
Tobio non replicò.
“È strano, sai?” Tsutomu parlava come se si stesse per mettere a piangere. “Non sono riuscito a vederlo chiaramente, non come te… Eppure, la sua immagine è nitida nei miei incubi. Riesco anche a vedere chiaramente l’occhio che gli hai strappato tu.”
“Non gliel’ho strappato,” lo corresse Tobio. “L’ho solo colpito. Per liberarsi della freccia, se lo è cavato da solo.”
“Sogno che arriva qui,” continuò Tsutomu. “Che vola fino al Castello Nero e…” Scosse la testa. “C’è una cosa che devo chiederti… Non ho avuto il coraggio di farlo con mio padre.”
Tobio annuì. “Ti ascolto…”
Tsutomu si umettò le labbra. “Ti ha parlato?” Domandò a bassa voce. “Quel drago ti ha parlato?”
Il Principe Demone non rispose immediatamente. Inarcò le sopracciglia e fece per chiedere a Tsutomu di ripetere ma questi lo precedette. “Non è una domanda difficile, Tobio!” Esclamò con rabbia. “Hai sentito la voce di quel drago nella tua testa?”
Per un momento, Tobio si sentì tanto in difficoltà che si ritrovò ad abbassare lo sguardo su Shouyou ma il Principe dei Corvi ricambiò lo sguardo e basta, incapace di dire qualsiasi cosa.
“No…” Rispose, infine. “No, non ha comunicato con me in alcun modo, Tsutomu.”
Gli occhi di Tsutomu si riempirono di lacrime ma si voltò prima che ne versasse alcuna. “Vattene…” Sibilò. “Vattene! Vattene!”
“Aspetta…”
Il Principe dell’Aquila trattenne il fiato per un attimo nell’udire quella voce sconosciuta e voltò la testa quel tanto che bastava per guardare oltre la sua spalla. Il Principe di Karasuno si era portato davanti a Tobio e lo guardava con fare preoccupato. “Hai sentito delle vere e proprie parole?” Domandò gentilmente e con un poco di timore. “Come senti le nostre ora?”
Tsutomu si voltò completamente: quel piccoletto gli credeva, forse?
“Qualcosa di simile,” ammise. “Erano più emozioni che parole…”
Shouyou accennò un sorriso. “Capisco…”
Il Principe dell’Aquila si umettò le labbra speranzoso. “Non sono pazzo, quindi?”
L’altro fanciullo scosse la testa. “Però… Che parole hai udito? È difficile capire le emozioni di un’altra creatura ma…”
“Era rabbia,” lo interruppe Tsutomu di colpo. “Rabbia cieca…”
Shouyou si spaventò un poco ma annuì. “Non ricordi le parole che hai udito nella testa?”
Tsutomu ci pensò, strinse gli occhi ma poi scosse la testa. “No, mi dispiace…”
Tobio inarcò le sopracciglia: era la prima volta che sentiva il Principe dell’Aquila dispiacersi per qualcosa.
“Non è colpa tua,” lo rassicurò Shouyou con un sorriso gentile. “Deve essere stato spaventoso per te…”
Il Principe Demone sentì uno strano nervosismo fargli tremare le dita e strinse i pugni in un gesto inconscio. “Shouyou…” Chiamò.
Il Principe dei Corvi si voltò a guardarlo.
“Andiamocene,” disse freddamente. “Ora…”
Shouyou guardò Tsutomu un’ultima volta e chinò la testa in segno di rispetto. “Piacere di aver fatto la tua conoscenza.”
Il Principe dell’Aquila annuì. “Il piacere è stato mio, Principe dei Corvi…”
 
 
“Sei completamente stupido?” Domandò Tobio irritato mentre scendevano le scale degli appartamenti del Re dell’Aquila.
Shouyou lo guardò con gli occhi sgranati. “Per quale motivo?”
“Tsutomu è evidentemente fuori di testa!” Esclamò. “Non c’era motivo di dargli corda in quel modo per farlo sentire meglio…”
“Non l’ho fatto per farlo sentire meglio!” Replicò Shouyou con forza. “Sono cose che succedono… A me succedono!”
Tobio lo studiò per alcuni istanti. “Tu non sei normale per naturale…”
Shouyou non lo prese come un complimento. “Oh, certo! Io sono un mostro quindi è normale per me sentire le cose!”
“Non ti ho dato del mostro e smettila di urlare!” Esclamò Tobio.
“Quello che Tsutomu dice di aver sentito…” Proseguì Shouyou. “Io sentivo qualcosa di simile quando mio padre mi portava a caccia con lui, per questo non sopporto le battute di caccia… Io sento quello che provano quelle creature ed è terribile!”
Tobio non replicò. “Stai piangendo…”
“Cosa?” Domandò Shouyou con un filo di voce.
“Stai piangendo, stupido.”
Il Principe dei Corvi si portò immediatamente una mano al viso e si asciugò le guance prendendo un respiro profondo. “Perché neghi di sentire cose del genere anche tu?”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Io non sono un folle che sente le voci, stupido.”
“Ma sei abbastanza sensibile da sentire qualcosa comunque!” Insistette il Principe dei Corvi. “Perché vuoi nasconderlo? Tooru mi ha raccontato di quello che hai fatto con Yuki quando è nata…”
Tobio sgranò gli occhi per un istante ma la sua espressione si fece gelida un istante dopo. “E con questo?”
“Perché non me lo hai detto?” Domandò Shouyou. “Hai fatto una bella cosa per quella puledrina! Perché vergognarsi di dirlo?”
“Sono obbligato a raccontarti tutto, per caso?” Domandò Tobio con voce tremante per la rabbia. “Tu lo fai?”
Shouyou dischiuse le labbra ma finì solo con l’abbassare lo sguardo dispiaciuto. “Mi dispiace solo che non ti fidi di me…” Ammise.
“Nemmeno tu lo fai,” replicò Tobio. “Non lo fai perché, altrimenti, mi diresti che cosa mi tieni nascosto fin dal primo giorno!”
Shouyou trattenne il fiato per un istante e sollevò gli occhi d’ambra molto lentamente.
“Tu sai che cosa sei!” Sbottò Tobio. “Sai da dove viene il tuo potere! È solo che non vuoi dirlo a me!”
Il Principe dei Corvi dischiuse le labbra e fece per replicare disperatamente, per negare l’evidenza ma la voce gli morì in gola: c’era un limite alle bugie che riusciva a dire e non sapeva davvero spiegarsi come Tobio fosse riuscito a vedere attraverso i suoi silenzi tanto chiaramente. Non erano amici e si conoscevano appena, dopotutto…
“Perché stiamo avendo questa conversazione?” Domandò, invece. “Perché t’interessa avere la mia fiducia?”
Tobio si sentì preso in contropiede e si voltò. “Perché tu vuoi la mia?” Domandò riprendendo a scendere le scale.
“L’ho chiesto prima io!”
“Non importa!” Sbottò il Principe Demone. “Rispondi prima tu!”
“Neanche per sogno!” Esclamò Shouyou, poi sospirò. “Una cosa… Non parliamo a nessuno di quello che ci ha detto Tsutomu.”
Tobio gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Vuoi anche la fiducia del Principe dell’Aquila, ora?”
“Dico solo che ha ammesso di non averne parlato nemmeno con suo padre!” Insistette Shouyou. “Non abbiamo il diritto di dirlo ai nostri genitori, ecco tutto!”
“Per quel che m’interessa…” Ammise Tobio.
“Sul resto gli credete tutti, però,” notò Shouyou affiancando il Principe Demone. “Lui ed il suo Cavaliere sono stati attaccati da un drago.”
Tobio strinse le labbra e rivolse all’altro uno sguardo tagliente. “Tu questo non avresti nemmeno dovuto saperlo…”
Shouyou fece per dire qualcosa ma venne zittito da una serie di passi veloci che salivano le scale.
Tooru e Koushi comparvero sul pianerottolo sotto di loro un istante dopo, gli occhi sgranati ed i respiri affaticati.
“Mamma?” Domandò il Principe dei Corvi.
“Shouyou…” Rispose il consorte reale di Karasuno con un filo di voce.
Tooru forzò subito un sorriso. “Ed eccoli qui!” Esclamò allegro. “Non riuscivamo a trovarvi e ci siamo spaventati.”
“Ci hanno fatto chiamare…” Rispose Tobio. “Il Principe dell’Aquila ci ha fatto chiamare.”
“Oh…” Tooru si fece serio. “Come sta?” Domandò, sebbene non fosse quello che voleva sapere con più urgenza.
Tobio scrollò le spalle. “È in piedi.”
“E perché voleva vederti?” Domandò il Re Demone.
Anche Koushi rimase in silenzio in attesa di una risposta ma fu Shouyou a rispondere. “Tsutomu voleva conoscermi!” Esclamò con un sorriso nervoso. “Così ha fatto chiamare Tobio perché facesse le presentazioni ufficiali. Sono un suo ospite, dopotutto.”
“Certo…” Mormorò Tooru ma continuò a fissare suo figlio, come se si aspettasse una diversa versione da lui da un momento all’altro. Tobio, però, annuì. “È così…” Confermò senza entusiasmo.
Il Re Demone annuì con una smorfia. “E chi lo avrebbe mai detto che Tsutomu sarebbe divenuto un fanciullo voglioso di fare nuove amicizie!” Esclamò. Non credeva ad una sola parola di quei due ma non era quello il momento né il luogo giusto per conoscere la verità. “Penso sia ora che ce ne torniamo tutti nelle nostre stanze, fanciulli.”
Shouyou e Tobio annuirono ed i due genitori lasciarono che li precedessero nel scendere le scale.
Koushi afferrò un polso di Tooru per attirare la sua attenzione. “Shouyou sta mentendo…” Lo informò.
“Anche Tobio,” ammise il Re Demone, poi sorrise. “Bene, mentono anche insieme. Che bella coppia saranno!”
Koushi alzò gli occhi al cielo e lo lasciò andare.
 
 
***
 
 
“Stasera è la gran sera!” Esclamò Koutaro entrando nella sala comune dei Cavalieri come se stesse per verificarsi un evento senza precedenti. “Prepariamo il piano d’attacco! La mia bambina resta in camera, lontano da occhi indiscreti!”
Seduto in un angolo, Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Keijiko è ancor più piccola della Principessa di Karasuno. Che vuoi che le succeda?”
“Di tutto!” Esclamò Koutaro. “Può succederle di tutto!”
Lev si guardò intorno emozionato. “Io che devo fare?”
Tetsuro lo guardò con espressione annoiata. “Non parlare, non ti muovere e non farti vedere.”
Il fanciullo lo guardò confuso. “Praticamente, non devo fare nulla, però!”
“Esatto, Lev…”
Takahiro ed Issei si scambiarono un sorrisetto complice.
Hajime se ne accorse. “Non ci provate…” Li avvertì.
Issei guardò il Primo Cavaliere con falsa espressione ferita. “Non abbiamo detto nulla!”
“Esatto, Hajime,” disse Takahiro ma gli veniva da ridere. “Siamo rimasti in religioso silenzio.”
“Un motivo in più per avvertirvi di non fare nulla,” insistette Hajime per nulla divertito.
Tetsuro si alzò in piedi con un sospiro. “Kenma toccherà trascinarlo lungo tutti i corridoi del castello mentre si finge morto,” disse, già stanco prima di cominciare. Portò lo sguardo sui Cavalieri originari di Dateko. “Ehi, Futakuchi! Kaname ha intenzione di uscire da quella biblioteca per l’occasione?”
Quello che era stato il giovane Generale del Regno di Dateko sospirò annoiato. “Il nostro Re non è solito partecipare a questi eventi,” disse. “Se non mi avesse chiesto personalmente di farlo al posto suo, non mi presenterei nemmeno io.”
Nessuno di loro aveva dimenticato che il Re Demone li aveva costretti in ginocchio e privati della libertà ma per quelli di Dateko la faccenda era leggermente diversa: Tetsuro e Koutaro vedevano in Hajime un alleato ma il Primo Cavaliere era stato uno degli artifici della caduta di Kaname e certi fatti non erano facili da dimenticare.
“L’importante è che Kaname non dia asilo a Kenma dentro alla biblioteca,” disse Tetsuro.
Lev si avvicinò a Kanji. “Tu balli questa sera?”
Lì vicino, Sou scoppiò a ridere e Morisuke guardò quello che sarebbe dovuto essere il loro erede al trono come se avesse una gran voglia di colpirlo in testa.
“Ma chi vuoi che sia interessato alla danza?!” Sbottò il giovane Arciere originario di Dateko.
“A me piacciono le danze…” Disse Takanobu con la sua voce cavernosa attirando su di sé gli sguardi di tutti.
Ci fu un lungo momento di silenzio attonito che venne interrotto dalle risate di Koutaro. “Dopo questo, sarà un evento senza precedenti per davvero! Oh… Eccoli qua!” Esclamò vedendo Keiji entrare nella sala comune con la piccola Keijiko in braccio. “La mia piccola Principessa!”
Keiji lasciò che il compagno prendesse il braccio la loro bambina e si avvicinò al Primo Cavaliere. “Tooru e Tobio chiedono di te, Hajime.”
 
 
***
 
 
“Molto bene, gente! Questa non è un’esercitazione!” Esclamò Ryuu alzando le braccia per attirare l’attenzione di tutti. “Yuu sostieni Asahi, ci saranno abbastanza persone per provocargli un attacco di panico. Daichi e Koushi davanti a tutti come da tradizione, insieme alla piccola Principessa. Noi Cavalieri dietro e se qualcuno osa guardare mia moglie o la mia bambina anche solo da lontano lo ammazzo!”
Una pausa.
“Ma se qualcuno volesse sposarsi mia sorella per portarla in qualche posto lontano, invece…”
Saeko lo interruppe tirandogli addosso uno stivale che le era capitato sotto mano per puro caso, mentre Kiyoko sospirava stancamente ed era lieta che Hitoka non fosse lì per assistere a quella scena ridicola: non era il caso d’imbarazzarla più del dovuto. La stanza era un delirio di vestiti, come se la festa fosse già cominciata ed i partecipanti fossero tutti dei ragazzini emozionati e non degli adulti e con figli per di più!
“Come ci accordiamo con Daichi?” Domandò Asahi timidamente.
Ryuu fece un veloce gesto con la mano. “Il nostro Re è abbastanza inquietante per convincere chiunque a tenere le mani lontano da Koushi con un solo sguardo!”
“Si sta riferendo a Shouyou, Ryuu,” chiarì Yuu con un sorrisetto un poco malizioso. “Non se ne starò buono e calmo per tutta la sera e sono aperte scommesse su chi sarà il suo Cavaliere per le danze!”
“Oh!” Gli occhi di Ryuu si fecero grandi. “Posso puntare su Kei?”
“Ragazzi…” Li riprese Asahi, sebbene non col tono giusto. “È una cosa seria!”
“Io scommetterei sul Principe Demone,” disse Kiyoko con voce quieta cominciando a raccogliere da terra i vestiti che erano finiti a terra nel delirio dei preparativi per il ballo.
Saeko la indicò ed annuì. “Sono dello stesso avviso!”
Asahi divenne completamente blu. “State sperando che si consumi una tragedia?”
Yuu si portò una mano sotto al mento. “Il nostro Shouyou ed il Principe Demone…”
Ryuu assunse la stessa posizione pensierosa. “Potrebbe anche funzionare…”
Era in momenti come quelli che Asahi proprio non riusciva a comprenderli. “Pensate a Daichi… Nessuno uscirà vivo da quella sala se…”
“T’immagini il nostro Shouyou seduto su di un trono accanto al futuro Re Demone?” Lo interruppe Yuu con emozione.
Ryuu gonfiò il petto con orgoglio. “Potremmo divenire i Cavalieri di uno dei Re più potenti dei Regni liberi!”
Asahi si portò una mano al viso con fare rassegnato. “Non c’è niente da fare… Sarà un bagno di sangue…”
Kiyoko gli batté una mano sulla spalla con fare amichevole per rassicurarlo ma sorrideva.
“Cambiando discorso!” Esclamò Ryuu guardandosi intorno. “I ragazzi dove sono?”
 
 
“Solleva le braccia, Natsu,” disse Shouyou con un sorriso afferrando il vestitino azzurro che Hitoka gli stava porgendo. La giovane dama sospirò. “Mi dispiace,” disse imbarazzato. “So che avrei dovuto farlo io ma voleva farsi vestire da te ad ogni costo.”
Shouyou scosse la testa. “Non è un problema,” disse infilando l’abitino sopra la testa di sua sorella. “So cosa succede quando questa peste vuole qualcosa ad ogni costo.”
Riemersa dalla stoffa azzurrina, Natsu fissò il Principe con estrema serietà. “Fratello, dobbiamo parlare.”
Shouyou non poté evitare di scoppiare a ridere di fronte a quell’espressione tanto adulta. “Va bene ma voltati, così posso allacciare il vestito…”
Natsu ubbidì. “Hai il mio permesso per danzare con il Principe Demone,” disse con tono solenne.
Le mani di Shouyou si bloccarono per un attimo. Hitoka se ne accorse ma non disse nulla.
“Pensavo volessi ballarci tu,” replicò il Principe dei Corvi.
La Principesse si voltò con una piroetta, poi scrollò le spalle. “È troppo alto per me,” concluse.
Shouyou le sorrise di nuovo e le posò un bacio tra i capelli.
Bussarono alla porta ed il Principe concesse il permesso per entrare.
Izumi e Kouji entrarono con un gran sorriso emozionato ad illuminare i loro volti.
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Che cosa c’è?” Domandò alzandosi in piedi.
“Non potevamo perderci il momento solenne,” disse Kouji aiutando il povero Tadashi ad entrare. “Con permesso, mio Principe,” disse quest’ultimo appoggiando sul letto l’abito che il consorte reale gli aveva appena consegnato. Sospirò. “Ed eccoci qua…” Aggiunse con un sorriso.
“Koushi ha detto che possiamo aiutarti a prepararti, lui arriverà non appena avrà finito con tuo padre,” disse Izumi gentilmente.
Natsu fece una smorfia. “Perché l’abito del fratellone è quasi tutto nero?”
“Perché è il Principe dei Corvi,” rispose Hitoka inginocchiandosi di fronte alla piccola Principessa. “È il colore che deve indossare in quanto erede al trono. Tutti i Regni ne hanno uno…”
“E quello del Principe Demone qual è?” Domandò Natsu.
“Rosso…” Rispose Shouyou senza pensarci passando le dita sul mantello di piume di corvo. “Il colore degli eredi al trono di Seijou è il rosso.”
 
 
***
 
 
Tooru non sapeva perché la sua mente gli giocasse simili scherzi ma c’erano delle occasioni in cui, improvvisamente, il suo cuore tornava a battere un poco per qualcuno che non era il suo Cavaliere e, molto spesso, era Tobio a provocare simili emozioni in lui. Non lo sopportava.
Eppure, mentre passava le dita tra quei capelli neri morbidi come seta per tirarli all’indietro e guardava il riflesso nello specchio del fanciullo dagli occhi blu che era solo ad un passo dal diventare un uomo, Tooru non poteva fare a meno di pensare al primo giorno in cui lo aveva sentito muovere dentro di sé per la prima volta e Hajime aveva quasi perso la testa per la preoccupazione quando lo aveva fatto chiamare.
Tobio dovette notare qualcosa nella sua espressione. “Qualcosa non va?” Domandò guardandolo attraverso lo specchio.
Tooru forzò un sorriso e scosse la testa. “No, mio Principe,” disse allontanando le mani dai suoi capelli. “La corona mettila prima di scendere, va bene?” Aggiunse aggiustando un’ultima volta il mantello sulle spalle del giovane.
Tobio s’imbronciò immediatamente. “Devo proprio?”
“È la tradizione!” Esclamò Tooru come se fosse una questione di vita o di morte. “L’ho indossata anche io per il ballo a cui avrei dovuto scegliere il mio compagno.”
“Quello in cui hai rifiutato il Re dell’Aquila e hai scelto mio padre?” Domandò Tobio.
Tooru trattenne il fiato per un istante ed annuì. “Sì, quello…”
“Io non sceglierò nessuno,” disse immediatamente il Principe con lo sguardo gelido di chi non ammette obbiezioni.
Tooru rise. “Rilassati e goditi la serata, mio Principe,” gli disse. “E ricorda… Guardalo negli occhi!
Tobio divenne tanto rosso in viso che il Re Demone non poté evitare di scoppiare a ridere con evidenti intenti derisori. “E ricordati di respirare!” Aggiunse divertito. “Se hai una crisi respiratoria sulla pista da ballo non otterrai mai la tua vittoria sul Principe dei Corvi!”
Tobio borbottò qualcosa riguardo al fatto che non si sarebbe lasciato sconfiggere, poi la porta della camera si aprì ed il Primo Cavaliere si affacciò per controllare la situazione. “È permesso?”
“Hajime!” Esclamò Tooru radioso. “Vieni e vedere quanto è bello il nostro Principe!”
Il Primo Cavaliere aveva già visto suo figlio con il mantello dei Principi di Seijou sulle spalle ma, sì, l’effetto era completamente diverso in quel momento. “Alzati, fammi vedere,” disse con un sorriso.
Tobio ubbidì, le guance rosse.
Hajime incrociò le braccia contro il petto. “Bianco, Tooru?” Domandò osservando la casacca ed i pantaloni del completo di suoi figlio.
“Tra Demoni e Corvi…” Sospirò il Re Demone. “Ci sarà nero ovunque, il nostro Principe deve distinguersi. Inoltre, il bianco sta bene ai giovani con i capelli corvini.”
“La cintura è nera…” Hajime la indicò.
“Sta con gli stivali quella.”
“Io non sceglierò nessuno questa sera,” ripeté Tobio alla presenza di suo padre.
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Tobio, abbiamo capito!” Esclamò. “Bene, vado a cambiarmi,” guardò il Primo Cavaliere. “Dovresti andare anche tu.”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Noi Cavalieri ci vestiamo tutti uguali.”
“No, tu no,” disse il Re Demone con un sorriso aprendo la porta. “Nella tua camera c’è tutto quello di cui hai bisogno,” concluse andandosene. Si riaffacciò all’interno della stanza un istante dopo. “Mi raccomando la corona, Tobio!”
Il Principe Demone storse la bocca e basta.
 
 
***
 
 
Koushi sentiva il petto stringersi per la commozione istante dopo istante.
Aveva mandato gli altri fanciulli a cambiarsi e si era occupato personalmente di suo figlio.
L’abito, in fin dei conti, non era nulla di particolare: una camicia di seta bianca sotto ad una casacca senza maniche di lucido velluto nero, il tutto completato da una cravatta che sporgeva oltre la scollatura. Avrebbe pensato il mantello di piume di corvo a rendere il tutto più regale ma Koushi non aveva mai visto il suo piccolo Principe così e sospirò diverse volte per costringersi a celare l’emozione.
Shouyou non gli rendeva la situazione più semplice con quello sguardo serio, quasi maturo, fisso sul suo riflesso nello specchio. “Che cosa c’è?” Domandò Koushi.
Il Principe dei Corvi sbatté le palpebre come se si fosse appena risvegliato da un sogno ad occhi aperti. “Nulla…” Rispose continuando ad osservare la propria immagine. “Mi sento solo un po’ strano.”
Koushi annuì. “È un’esperienza nuova per te e le novità ti hanno sempre intimorito un poco.”
“Non è questo,” ammise Shouyou. “È che è già tutto finito…”
Il consorte reale di Karasuno appoggiò le mani sulle spalle del suo erede. “Che vuoi dire, tesoro?”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “È già passato un mese dal nostro arrivo qui, al Castello Nero.”
Koushi sorrise ed annuì. “Il tempo è volato, vero?”
“Sì,” concordò Shouyou distrattamente. “Eppure, al contempo, è come se fosse passato molto più tempo.”
“Sono successe molte cose per te in queste settimane, tesoro. È una sensazione completamente naturale quella che provi.”
Il Principe dei Corvi prese un respiro profondo ed abbassò lo sguardo. “Sì, sono successe tante cose,” non poté pensare di evitare a Tobio e la sua espressione si oscurò un poco. “E finirà tutto questa notte, come un sogno al mattino.”
Koushi smise di sorridere. “Shouyou…” Non fece in tempo ad aggiungere altro. La porta si aprì e Daichi fece il suo ingresso nella camera del Principe con la corona di Karasuno sulla testa, il mantello corvino sulle spalle ed un sorriso incantato. “Wow…”
Shouyou arrossì ed accennò un sorriso. “Mi sento un po’ in imbarazzo,” ammise e tornò a guardare il proprio riflesso nello specchio. “Non sono abituato a vedermi così. Non sembro nemmeno io.”
“No, sei sempre tu,” disse Daichi affiancandosi al suo consorte. “Il te che hai tenuto nascosto per tutto questo tempo e che, gradualmente, sta sbocciando…” Aggiunse con un sorriso un poco malinconico. Koushi lo guardò ma rimase in silenzio: comprendeva perfettamente quello che provava e non c’era bisogno di spendere parole in merito, le emozioni facevano già tutto da sole.
Shouyou guardò i suoi genitori, confuso dalle loro espressioni.
Koushi scosse la testa come a dirgli che non c’era niente di cui preoccuparsi e Daichi simulò un colpetto di tosse. “C’è un’ultima cosa che manca però!” Esclamò.
Shouyou annuì. “Certo, il mantello!”
“No…” Disse il Re dei Corvi con un sorriso paziente ed il suo erede lo guardò senza capire. Solo allora, il fanciullo si accorse che suo padre stava nascondendo le mani dietro la schiena.
Daichi e Koushi si scambiarono un sorriso complice, poi il consorte reale annuì ed il Re dei Corvi mostrò al loro Principe il tesoro che stava nascondendo con tanta premura.
Gli occhi d’ambra del Principe dei Corvi si fecero enormi per la sorpresa.
“Voltati verso lo specchio,” disse Daichi con gentilezza.
Shouyou ubbidì.
Lasciò andare il respiro che non si era reso conto di star trattenendo non appena sentì il peso della corona dorata sulla sua testa. Daichi si fece da una parte e Koushi pensò a sistemare il mantello di piume di corvo sulle spalle del loro erede.
Sorrisero entrambi con emozione.
Shouyou guardava l’immagine riflessa nel suo specchio e a stento si riconobbe.
Fu uno dei suoi genitori ad interrompere quel silenzio incantato ma, ipnotizzato dal suo stesso sguardo ambrato riflesso nello specchio, il fanciullo non seppe dire quale dei due.
“Lunga vita al Principe Corvo…”
 
 
***
 
 
Tooru fece il suo ingresso nella sala del trono sfilando sul tappeto rosso che attraversava la stanza dal portone principale fino al trono nero. Nulla che la sua corte non si fosse aspettata: il Re Demone non perdeva mai occasione di mostrarsi di fronte ad una folla obbligata per etichetta ad inginocchiarsi al suo cospetto.
“Che il ballo abbia inizio!” Dichiarò con allegria sedendosi sul suo trono.
Nessuno sapeva dove fosse Hajime e Tobio, probabilmente, si era dato alla fuga all’ultimo senza nervosismo ma Tooru continuò a starsene seduto con un sorriso soddisfatto sul volto mentre la sua corte ed i suoi ospiti si servivano lungo le due tavole imbandite ai lati dal salone e cominciavano i primi brindisi in onore del padrone di casa.
“Noi vestiti di nero, loro vestiti di nero… Quelli di Shiratorizawa vestiti di bianco e viola,” Tetsuro rifletté per un istante. “Più ridicoli di così non potremmo davvero essere…”
“Perché io sono qui?” Era l’ennesima volta che Kenma glielo chiedeva. “Mi ero accordato con Kaname per passare la serata in biblioteca…”
“Proprio per questo ho mandato i ragazzi ad aspettarti davanti alla porta e a braccarti prima che entrassi!” Esclamò Tetsuro con un ghigno sadico.
Kenma alzò gli occhi al cielo, incrociò le braccia contro il petto e decise che avrebbe passato tutta la notte seduto sulla sedia che aveva occupato appena arrivato, a costo di non mangiare nulla e di far annoiare il suo così detto signore fino allo sfinimento. A quel punto, forse, sarebbero potuti tornare nelle loro stanze, lontano da quel rumoroso contesto sociale
“Ma dov’è Tobio?” Domandò Lev portandosi una mano alla fronte e scrutando i volti tra la folla come solo la sua altezza gli permetteva di fare.
“La vera domanda è dove è Hajime?” Anche Issei si stava guardando intorno con aria confusa.
“Secondo me, il primo si è fatto prendere da un attacco di panico all’ultimo ed il secondo sta tentato di rimediare,” disse Takahiro finendo di bere il primo calice di vino della serata.
Issei scrollò le spalle. “Avrebbe senso…”
Anche Kenma finì per guardarsi intorno, suo malgrado. “Koutaro e Keiji dove sono?”
Tetsuro puntò l’indice verso destra. “Sono là con Daichi e Koushi. Le loro Principesse sembrano andare d’accordo.”
La Principessa Natsu di Karasuno era una creaturina piccola ed adorabile ma doveva chinarsi per parlare con la piccola Keijiko e questo creava un quadretto di pura tenerezza che Koushi e Keiji osservavano incantati, entrambi con lo stesso sorriso innamorato sul volto. Koutaro, invece, aveva afferrato le spalle di Daichi e si era lanciato in quello che, dalla sua espressione, sembrava essere un lungo dialogo drammatico sul destino dei padri con le figlie femmine.
La cosa assurda era che Daichi sembrava concordare perfettamente con ogni parola che diceva.
Tetsuro alzò gli occhi al cielo, poi guardò Kenma. “Non ti venisse mai in mente di avere una figlia femmina…” Borbottò. Gli era bastato guardare Koutaro passare da scemo a senza speranza.
Kenma lo guardò come se fosse completamente impazzito. “Eh?”
Tetsuro sorrise e fece per aggiungere qualcosa di sarcastico ma qualcosa attirò la sua attenzione: un giovane uomo vestito da nobile gli passò davanti senza nemmeno guardarlo ma aveva un’aria dannatamente familiare…
“Hajime!” Esclamò poi con tanta sorpresa che Kenma sobbalzò.
Il nobile in questione si voltò ed Issei e Takahiro per poco non si strozzarono con il vino che stavano bevendo. Anche l’attenzione di Koutaro e Daichi venne attratta da tutto quel baccano. “Hajime?” Domandarono in coro increduli.
Sì, il Primo Cavaliere era proprio davanti a loro con addosso abiti che potevano essere usciti solo dall’armadio del Re Demone in persona. Nessuna tunica nera per il Generale Supremo degli eserciti di Seijou, piuttosto una camicia di seta ed un mantello monospalla blu scuro dai ricami dorati.
Tetsuro e Koutaro aprirono la bocca in contemporanea e così fecero Issei e Takahiro.
Il Primo Cavaliere sollevò l’indice con l’espressione più minacciosa che gli altri gli avessero mai visto fare. “Non una parola…” Sibilò ed i quattro richiusero immediatamente la bocca senza emettere nemmeno un suono.
Daichi gli strinse una spalla amichevolmente. “Stai bene,” commentò ed era sincero.
“Sì!” Koutaro annuì con un po’ troppo entusiasmo.
“Assolutamente!” Concordò Tetsuro.
Kenma alzò gli occhi al cielo e chiese scusa al primo Cavaliere con lo sguardo.
“Non dare retta a loro,” intervenne Keiji passando distrattamente una mano tra i capelli della sua bambina ancora impegnata a ridacchiare con la Principessa di Karasuno.
Koushi annuì a sua volta. “Stai molto bene.”
“Benissimo!” Dissero insieme Issei e Takahiro con un gran sorriso.
Hajime li guardò in cagnesco ed i due Cavalieri alzarono le mani in segno di resa.
“Mio Cavaliere…”
L’atmosfera cambiò drasticamente come gli occhi di tutti si spostarono sul viso sorridente del Re Demone. “Posso rubarvelo?” Domandò al piccolo gruppetto che si era stretto intorno al Primo Cavaliere.
Hajime sospirò e si avvicinò al suo Re. “Dimmi…” Disse a bassa voce.
Tooru indicò il trono con un cenno del capo. “Mi fai compagnia?”
Il Primo Cavaliere non replicò ma fece un passo avanti ed il Re Demone seppe che l’avrebbe seguito ovunque avesse voluto.
Koutaro inarcò le sopracciglia. “È successo qualcosa che non sappiamo?”
“Bevi,” gli consiglio Tetsuro offrendogli un calice di vino. “Bevi e non porti domande.”
Issei sospirò. “Sarà una lunga notte.”
Takahiro annuì. “E Tobio non ha ancora fatto la sua entrata in scena.”
“Oh, giusto!” Esclamò Koutaro guardando i reali di Karasuno. “Il vostro Principe?”
Sia Koushi che Daichi sorrisero. “Aveva bisogno di un momento da solo,” disse il primo.
“Ci raggiungerà a breve,” concluse il Re dei Corvi.
“Forse…” Mormorò la piccola Natsu.
I due genitori abbassarono lo sguardo su di lei con espressione confusa. “Perché dici questo, tesoro?” Domandò Koushi accarezzandole i capelli.
Natsu scrollò le spalle. “Nemmeno il Principe Demone è qui,” notò.
Daichi strinse le labbra. “E con questo, piccola?” Domandò con un sorriso tirato.
La Principessa guardò i due genitori come se fosse una cosa ovvia. “Che motivo hanno di venire qui se sono già insieme?”
Ci fu un momento d’immobilità totale, poi Daichi guardò Koushi con espressione livida ed il consorte reale sorrise nervosamente.
“Bevi,” intervenne Tetsuro porgendo un calice al Re dei Corvi, mentre Koutaro annuiva con convinzione. “Bevi anche tu, Daichi.”
 
 
Kei se ne stava con le spalle appoggiate alla parete di pietra, lontano dai Cavalieri di Karasuno come da chiunque altro. Se fosse stato per lui, avrebbe passato quella ultima notte al Castello Nero nella sua camera, lontano dal caos della folla e da entusiasmi che aveva sempre giudicato frivoli, inutili.
Il suo dovere come Cavaliere personale del Principe, però, gli imponeva di starsene lì, a perdere tempo. Senza contare che Shouyou non era ancora arrivato e, probabilmente, si era perso per i corridoi del castello nel tentativo di trovare da solo la strada per la sala del trono.
Lo stesso destino doveva essere toccato anche al Principe Demone, dato che il Re Demone era già seduto sul suo trono e l’unico ad essergli accanto era il Primo Cavaliere.
Poteva quasi immaginarseli quei due Principi idioti mentre litigavano per ritrovare la direzione giusta da prendere e finivano solo col peggiorare la loro situazione, incapace di mettere insieme quelle due mezze menti che si ritrovavano.
Grazie al cielo il Re dei Corvi non era il genere di sovrano dedito alla politica matrimoniale in grande stile o avrebbe potuto creare l’arma perfetta per distruggere Seijou senza che nessun nemico dovesse muovere un dito.
Un pensiero improvvisò balenò nella sua mente, un’immagine a cui non aveva dato importanza per alcuni giorni: gli occhi di Shouyou che lo fissavano con rabbia cieca la notte che aveva fatto una scenata contro di lui nel cortile interno del castello. Non aveva mai visto due occhi così e il fatto che fossero quelli di Shouyou aveva reso l’esperienza ancor più surreale.
Kei si era sentito piccolo di fronte a quello sguardo, minacciato e senza via di fuga, esattamente come un topo che si rende conto del rapace che plana in picchiata verso di lui quando è ormai troppo tardi.  Aveva cercato la spada appesa al suo fianco senza rendersene conto ma, di fatto, era stato sul punto di aggredire il suo stesso Principe davanti a decine e decine di testimoni.
Il Principe Demone se ne era accorto. Già… Quel despota aveva visto tutto e glielo aveva anche sottolineato. Che cosa lo avesse fermato dall’informare il Re dei Corvi era un mistero ma Kei non sarebbe di certo andato a chiedergli spiegazioni.
Non lo aveva fatto nemmeno con Shouyou ma, dopotutto, non avevano avuto abbastanza tempo insieme da quando erano arrivati lì perché si potesse affrontare l’argomento. Kei era consapevole dei poteri del suo Principe e non ci voleva certo un genio per sapere che quello da cui si era sentito minacciato quella notte doveva essere un’estensione di quel dono ma era qualcosa a cui non era stato preparato da reali ed aveva come la netta sensazione che Shouyou lo stesse sperimentando per la prima volta.
Adesso che ci pensava, però…
Ricordò nitidamente il Principe Demone che gli toglieva di dosso il piccolo idiota e lo sbatteva contro il muro intimandogli di calmarsi e lo faceva guardandolo dritto negli occhi, come se sapesse esattamente quello che Shouyou stava passando.
Un dubbio pericoloso prese forma nella mente di Kei: che il Principe Demone sapesse…
“Ti stai annoiando?”
Kei sbatté le palpebre come se si fosse svegliato di colpo da un sogno, poi abbassò lo sguardo alla sua sinistra e vide che Tadashi aveva appoggiato la schiena alla parete a sua volta e gli sorrideva timidamente. “Eri completamente perso nei tuoi pensieri,” gli fece notare.
Kei tornò a guardare il salone affollato. “Non c’è nulla che m’interessi qui,” confessò.
Tadashi ridacchiò. “Lo immaginavo ma hai intuito per la politica, sai quanto questi eventi siano importanti.”
“Non per noi,” replicò il Cavaliere. “Siamo un piccolo Regno autonomo con un futuro quasi certo ma nessuna ambizione. Siamo qui come ospiti solo per onorare una vecchia alleanza che non ha più ragione di esistere.”
Tadashi sospirò. “Proprio come ho detto. Sei razionalità pura…”
Kei non replicò, non ne aveva ragione. “L’idiota?”
“L’ho lasciato che si stava preparando,” rispose Tadashi. “Era con il consorte reale ma lui ed il Re sono già qui.”
Il Cavaliere fece una smorfia. “Un ballo e gli unici a non essersi ancora presentati sono il Principe dei Corvi ed il giovane padrone di casa…” Disse sospettoso.
Tadashi lo guardò con un poco di malinconia. “A cosa stai pensando, Kei?” Domandò.
Il Cavaliere scosse la testa. “Si tratta di Shouyou,” rispose. “Quindi, niente… Non penso a niente.”
 
 
“Stai davvero bene,” commentò Tooru osservando con attenzione il Primo Cavaliere in piedi al suo fianco.
Hajime lo guardò con espressione indecifrabile. “Non era necessario.”
“Sono vestiti miei, Hajime.”
“Lo so…” Rispose il Cavaliere. “Me li ricordo…”
“Allora, sai che non è stato un gran disturbo,” disse il Re Demone. “Avevo piacere che li indossassi, tutto qui.”
“Non ho mai indossato abiti da nobile in tutti gli anni che ho vissuto in questo castello,” gli ricordò Hajime senza nessuna intenzione in particolare, solo sottolineare i fatti.
Tooru annuì. “Volevo che questa notte fosse diverso.”
“Sono il Primo Cavaliere. Sono il tuo Generale Supremo. Non provo vergogna a vestire come i miei uomini.”
“Infatti, non c’è nulla di cui vergognarsi,” replicò Tooru con sincerità. “Tuttavia, sei anche il padre dell’erede al trono di Seijou e, almeno questa notte, voglio che tutti lo notino. Pensa che lo stai facendo per Tobio.”
Hajime fece una smorfia. “Se non lo avessi vestito tu, Tobio si sarebbe presentato a questo ballo con gli stessi abiti con cui va a caccia.”
“Non mi riferisco ad una questione estetica,” spiegò Tooru. “Cioè, sì… Ma non è quello il fine. È un discorso di potere.”
Hajime sorrise con amarezza. “Perché non mi sorprende?”
Il Re Demone gli afferrò un polso con gentilezza e quando gli occhi verdi si abbassarono non videro alcuna ombra inquietante nelle iridi scure del sovrano. “Sto parlando di un dato di fatto,” disse Tooru. “Tobio oggi potrebbe compiere il suo primo grande passo in campo politico.”
“Stiamo parlando della vita sentimentale di nostro figlio come se fosse una strategia a lunga scadenza?” Domandò Hajime orripilato.
“Lo è,” insistette Tooru. “Non sto dicendo che dobbiamo forzarlo a scegliere qualcuno in particolare…”
“Anche perché non ha intenzione di scegliere nessuno.”
“Ma chiunque sceglierà, Tobio è un futuro Re e ci saranno delle conseguenze nell’equilibrio del potere attuale. Lo capisci?”
Hajime si limitò ad annuire.
“In questa sala c’è tutto ciò che potrebbe distruggerci o renderci grandi,” disse Tooru. “Tutte le persone che potrebbero essere nostri alleati o nostri nemici. Ho bisogno che, qualunque cosa scelga Tobio questa notte, qualunque siano i nostri sentimenti personali, tutti questi occhi vedano che siamo uniti, saldi e forti per il futuro del nostro erede. Capisci di cosa sto parlando?”
Suo malgrado, Hajime dovette ammettere con se stesso che aveva senso. Le dita di Tooru scivolarono fino alla sua mano. “Sei con me in questo?” Domandò.
Ci fu un istante in cui il Primo Cavaliere fu sul punto di stringere quella mano nella sua ma, alla fine, si costrinse a rimanere immobile. “Sì, Tooru…” Mormorò.
“Vostra Maestà.”
Entrambi si voltarono appena in tempo per vedere il Re dell’Aquila ed il suo erede chinare la testa con rispetto al cospetto del signore di Seijou. Tooru sorrise immediatamente e dal suo viso scivolò via ogni traccia di sincerità. “Wakatoshi!” Esclamò alzandosi ed avvicinandosi ai suoi ospiti. “Sei riuscito ad onorarci con la tua presenza, alla fine!”
Wakatoshi annuì. “Tsutomu sta molto meglio,” disse. “E ci teneva a ringraziarti di persona.”
Il Principe dell’Aquila arrossì un poco. “Vi ringrazio per aver mandato i vostri Cavalieri in missione a cercarmi, Maestà,” disse timidamente. “Devo a voi e a loro la mia e quella del mio Cavaliere.”
Tooru pensò che l’esperienza doveva averlo scioccato per davvero per renderlo tanto educato ma tenne le battute sarcastiche per sé, almeno per quella notte. “Felice di vedere che sei vivo ed in salute, ragazzo.” Quella era la verità, dopotutto. “Ho saputo che Tobio ti ha presentato il nostro piccolo ospite, il Principe dei Corvi.”
Tobio e Shouyou avevano mentito in perfetto accordo sul loro incontro con l’erede al trono di Shiratorizawa ma se c’era una parte debole in quel segreto a tre era proprio il Principe dell’Aquila.
Tsutomu, di fatto, sgranò gli occhi, come se fosse stato preso in contropiede. “Sì,” rispose. “È esatto.”
“Sono curioso,” disse Tooru con falsa ingenuità. “Di cosa avete parlato? Tobio è un gran musone e non racconta quasi niente a me e suo padre.”
Tsutomu aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a parlare. “Nulla d’importante,” mentì. “Volevo sapere del viaggio in mare del vostro Principe e Shouyou era con lui, così…”
Tooru accennò una smorfia insoddisfatta. “Capisco…”
“Shouyou è qui?” Domandò il Principe dell’Aquila di colpo.
Il Re Demone si fece serio. “No,” rispose. “Non ancora ma i reali di Karasuno sono arrivati, quindi non dovrebbe tardare di molto.”
Cominciò a chiedersi con una certa urgenza dove diavolo fosse Tobio.
 
 
Tobio se ne stava nel corridoio buio, gli occhi blu fissi sul fascio di luce dorata che proveniva dall’interno della sala del trono. La musica sembrava fare da padrone alla scena e le danze dovevano già essere cominciate-
Shouyou era arrivato? Stava già ballando con qualcuno?
Quel suo Cavaliere dai capelli biondi, magari. No, non dopo che i suoi genitori glielo avevano quasi affiancato come promesso sposo. Forse, con il Principe dell’Aquila… Ma Tsutomu sapeva ballare? Avrebbe dovuto indagare sulla faccenda perché sarebbe stata un’umiliazione tremenda sapere che anche un Principe più giovane di lui, sebbene solo di un anno, lo aveva superato in quel campo.
Scosse la testa e scacciò via quell’inutile pensiero.
Chiuse gli occhi per un istante e prese un respiro profondo. Era una di quelle questioni da adesso o mai più!
Tutto finiva quella notte, pensò Tobio facendo il primo passo verso la sala del trono. Sì, tutto…
Si bloccò.
La realizzazione lo colse all’improvviso come un fulmine a ciel sereno.
Quella notte… Solo quella notte e Shouyou se ne sarebbe andato.
Un’ultima notte e tutto al Castello Nero sarebbe tornare ad essere come se non fosse mai cambiato nulla.
”Vuoi davvero lasciare il tuo lavoro incompiuto?”
Domandò la voce del Re Demone nella sua testa ancora una volta.
”Vuoi davvero lasciarlo andare?”
Quello che Tobio non sopportò fu rendersi conto che la risposta non era affatto ovvio.
“Al diavolo…” Imprecò tra i denti e lasciò che la luce dorata della sala del trono lo investisse.
 
 
Shouyou rinunciò a tutti i suoi gloriosi propositi nel momento stesso in cui mise piede nella sala del trono e si rese di conto di quanto era affollata. Scivolò, letteralmente, da uno degli ingressi secondari e tentò di farsi più piccolo di quanto non fosse per non attirare l’attenzione di nessuno.
Il nuovo piano era semplice: non danzare assolutamente con nessuno, trovare i suoi genitori e rimanere incollato a loro per tutta la notte, se necessario.
Che cosa poteva andare storto?
La risposta gli si presentò a lato della pista da ballo quando inciampò sul piede di qualcuno e finì schiena contro schiena con qualcun altro. Ebbe, però, i riflessi per recuperare l’equilibrio e non cadere completamente addosso al malcapitato. “Mi dispiace tanto!” Esclamò voltandosi.
Il giovane dal mantello violaceo e dai capelli corvini lo fissò per alcuni istanti prima di riconoscerlo. “Shouyou…” Mormorò Tsutomu.
Gli occhi del Principe dei Corvi divennero grandi per la sorpresa ed un sorriso spontaneo comparve sulle belle labbra. “Principe dell’Aquila!” Esclamò. “Sei uscito dalla tua camera!”
Tsutomu annuì. “Mi sento molto meglio…” Mormorò.
Shouyou sorrise. “Ne sono felice!”
La musica s’interruppe improvvisamente e la pista da ballo si liberò immediatamente. La folla cominciò a farsi da parte ed il Principe dei Corvi allungò il collo per vedere che cosa stava succedendo.
“Oh, è arrivato,” disse Tsutomu come se si fosse arrabbiato di colpo per qualcosa.
Shouyou aspettò che le ultime persone si fossero allontanate dall’ingresso della sala del trono e, infine, lo vide.
Gli fece uno strano effetto, doveva ammetterlo
Fu una sensazione simile a quella che aveva provato nel guardarsi allo specchio con la corona dorata sul capo, il mantello di piume di corvo sulle spalle e tutto il resto. C’erano stati comunque i suoi occhi nello specchio a rispondere al suo sguardo.
Vedere Tobio nelle vesti del Principe Demone per la prima volta gli provocò una strana sensazione di smarrimento che gli spezzò il fiato.
L’erede al trono di Seijou attraversò la sala del trono a testa alta ma il sguardo non era puntato di fronte a sé. No, sembrava stesse cercando qualcuno tra la folla.
Shouyou si ritrovò a chiedersi chi mai potesse essere, poi quegli occhi blu incrociarono i suoi e Tobio si bloccò di colpo, come congelato.
Il Principe dei Corvi non comprese quello che stava accadendo e, probabilmente, nemmeno le decine e decine di persone intorno a lui.
Nessuno si accorse che il Re Demone aveva fatto cenno ai musicisti di tornare a suonare.
La musica tornò, semplicemente, a coprire il silenzio e le due metà perfetta in cui la folla si era suddivisa per permettere al giovane signore del Castello Nero di passare si sfaldarono gradualmente. Le prime coppie ripresero a ballare e tutto tornò come fino ad un istante prima.
Tobio, però, continuò a rimanere immobile, lo sguardo fisso in quei grandi occhi color ambra.
Shouyou tratteneva ancora il fiato e non gli fu di alcun aiuto vedere il Principe Demone avvicinarsi a lui con fare quasi minaccioso. “To-Tobio…” Balbettò sollevando le mani in un istintivo tentativo di difendersi.
Il Principe Demone si fermò ad un passo da lui. Quegli occhi blu sembravano un mare in tempesta ed il Principe dei Corvi aveva il serio timore di annegarci dentro.
Tobio gli porse la mano e Shouyou la guardò completamente smarrito.
“Mi…” Tentò di dire Tobio mentre quegli occhi d’ambra tornavano sui suoi. “Mi concederesti l’onore di questo ballo?” Questo era quello che il Re gli aveva detto di dire.
Shouyou lo fissò ancor più confuso di prima ma sollevò la mano con naturalezza, poi la lasciò sospesa a mezz’aria sopra quella dell’altro. “Un momento, ma tu non sai… Wah!” Tobio lo afferrò con poca grazia e senza preavviso e lo trascinò al centro della pista da ballo ignorando tutte le sue timorose proteste. “Ma che ti prende?”
Tobio si voltò a guardarlo. “Non è evidente, stupido?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma tu non sai danzare…”
Il Prime Demone gli rivolse un ghigno arrogante. “Quella è una vecchia storia.”
“Come?”
Tobio si fece avanti e gli passò una mano intorno alla vita tirandolo di più verso di sé.
Fu allora che Shouyou ebbe la certezza che non avrebbe respirato mai più.
“Che c’è?” Domandò il Principe Demone un poco annoiato. “Pensavo che ti piacesse danzare?”
Gli occhi d’ambra dell’altro guardarono da una parte all’altra con timore. “Ci stanno guardando tutti…”
“E t’interessa?”
Shouyou sollevò lo sguardo sul viso del Principe Demone.
“Stai ballando con me,” disse Tobio come se fosse una cosa ovvia. “Non devi guardare loro. Ti basta guardare me.” Disse afferrandogli la mano esattamente come il Re gli aveva insegnato.
Shouyou fece come gli era stato detto e gli venne da ridere. Una risata leggera, però, quasi intima.
“Che c’è di così divertente, ora?” Domandò Tobio per nulla contento.
Shouyou scosse la testa. “Sei incredibile…” Commentò facendo scivolare la mano libera sulla spalla dell’altro Principe. “Sei la persona col carattere peggiore che conosco, eppure riesci sempre a dire le cose giuste al momento giusto.”
Tobio fece una smorfia irritata ma le sue guance si colorarono un poco. “Non dire sciocchezze, stupido.” Borbottò.
Shouyou rise di nuovo lasciando che il Principe Demone lo guidasse attraverso la musica. “Era questo il tuo segreto?” Domandò. “Stavi imparando a danzare?”
“Taci…” Disse Tobio distrattamente continuando a guardare in basso. “Mi fai perdere la concentrazione.”
“Non la troverai se continui a guardare per terra,” lo rimproverò Shouyou ma con gentilezza. “Quello che mi hai detto vale anche per te, sai? Devi guardare me.”
Tobio lo fece, sebbene quel broncio fosse ancora al suo posto. Shouyou, però, sorrideva e, suo malgrado, anche i lineamenti dei Principe Demone finirono per rilassarsi.
Non parlarono più, si guardarono e basta.
La musica era divenuta l’unica cosa reale nella stanza. Tutto il resto era sparito come qualcosa privo d’importanza. Tobio sentì la mente sgombrarsi da ogni pensiero o preoccupazione, persino le lezioni con il Re scivolarono via lasciando che il suo corpo si muovesse con una naturalezza che Shouyou assecondava alla perfezione.
Andarono avanti per quello che sarebbe potuto essere un istante o un’eternità.
Non aveva importanza. Nessuno dei due se ne stancò.
“Mi sento strano,” disse Shouyou ad un certo punto, sebbene sorridesse ancora.
“Ti gira la testa?” Domandò Tobio.
“No, la sento leggera…”
Il Principe Demone non gli disse che si sentiva nello stesso modo. “Vuoi fermarti?”
“No,” rispose Shouyou. “Aspettiamo che finisca la musica.”
Tobio annuì ma si fermò al passo successivo.
Gli occhi d’ambra del Principe dei Corvi si fecero grandi per la confusione. “Perché ti sei fermato?”
“La musica…” Mormorò Tobio guardandosi intorno. “È finita la musica…”
Shouyou allontanò gli occhi dal suo viso e li fece vagare per la stanza a sua volta.
La pista da ballo era deserta e loro erano fermi al centro, gli occhi di tutti fissi su di loro. La musica era finita senza che se ne rendessero conto ed avevano continuato a danzare come se nulla fosse.
Shouyou strinse le labbra e sentì il respiro venire meno, mentre un calore familiare cominciava a salirgli alle guance. A Tobio accadde la medesima cosa ed in tutta la sala del trono cadde un’immobilità quasi surreale.
Tooru osservava i due fanciulli seduto sul suo trono, incapace di dire alcunché.
Al suo fianco, Hajime era nello stesso stato.
Di Takahiro e Issei non si sapeva chi fosse il più allibito, mentre Tetsuro e Koutaro erano tanto silenziosi che Kenma e Keiji continuavano a punzecchiargli con l’indice per assicurarsi che fossero vivi.
Koushi guardò Daichi con evidente preoccupazione e fu lieto di vedere che aveva Natsu in braccio o, dal pallore del suo viso, dubitava si sarebbe costretto a mantenere la calma.
La tensione venne interrotta da Takanobu che, sotto lo sguardo sconvolto di Futakuchi, prese a battere le mani per omaggiare i due Principi. La seconda fu la Principessa Natsu e Daichi dovette tenerla ferma per frenare il suo entusiasmo ed evitare che si sporgesse al punto da cadergli dalle braccia.
In un istante, il silenzio venne frantumato da un applauso entusiasta ed i due Principi si ritrovarono al centro di quella strana scena incapaci di dire o fare alcunché.
Tobio guardò Shouyou e vide che era tornato a sorridere. Forse, fu per la tensione che scemava sotto tutti quegli applausi ma rispose a quel sorriso senza nemmeno rendersene conto.
 
 
Quella notte, il mondo vide per la prima volta il Principe dei Corvi al fianco del Principe Demone.
Ci sarebbe voluto ancora un po’ di tempo perché tutti lo ricordassero come l’inizio un’Era.
 
 
 
 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Voi non potete saperlo ma io è dalla prima riga del prologo che progetto la scena di questo ballo e adesso che è nero su bianco mi sento una persona realizzata!
Deliri a parte, questo capitolo doveva finire almeno tre scene dopo ma per motivi di tempi e di lunghezza ho deciso di chiuderlo di netto con una scena felice. Ve la meritate, miei cari lettori! Godetevela!
Prossimo aggiornamento previsto entro il 10 di agosto (circa…) e… Si ricomincia con l’azione!


Pagina autore: M for Marta


 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Di draghi e salti nel vuoto ***


24
Di draghi e salti nel vuoto
 
 
“È stato… Intenso,” disse Tooru mentre gli angoli della sua bocca si sollevavano. “Che ne pensi, Hajime?”
Il Primo Cavaliere di Seijou si era lasciato cadere seduto sul bracciolo del trono nero e poco importava che non fosse rispettoso. Il Re Demone non se la prese, comunque e sorrise divertito di fronte alla luce smarrita degli occhi verdi dell’altro. “Senza parole, eh?” Ridacchiò. “È riuscito ad ammutolire anche me, lo ammetto. Eppure, secondo i piani, quello a rimanere sorpreso doveva essere il piccolo Principe dei Corvi.”
Hajime prese un respiro profondo e si tirò di nuovo in piedi. “Per un lungo momento, l’intera corte è rimasta senza parole,” accennò un sorriso a sua volta. “Il risultato finale ha di gran lunga superato le aspettative…”
“Non le mie,” ammise Tooru guardando i due Principi muoversi a lato della sala del trono, verso le vetrate della balconata. “È esattamente tutto come speravo che fosse.” Rise di nuovo. “Shou-chan è fortunato. Danzare così con un Principe al suo primo ballo di corte… A quindici anni sognavo qualcosa di simile anche io.”
Restò a guardare il suo erede dire qualcosa al Principe dei Corvi e poi dirigersi verso una delle tavole imbandite, mentre il piccoletto usciva sulla balconata.
“Avrei potuto imparare a danzare…”
Tooru sbatté le palpebre un paio di volte, come se non fosse certo di aver udito quelle parole per davvero o essersele solo immaginate. Si voltò e notò che le gote del suo Cavaliere si erano colorate appena. “Non era mio dovere farlo,” aggiunse, “ma avrei potuto imparare a danzare…”
Il Re Demone mascherò la sorpresa di quella confessione con un sorriso. “Non c’è ragione di chiedere scusa.”
“Non lo stavo facendo,” replicò il Cavaliere con orgoglio.
Tooru, tuttavia, continuò a sorridere intenerito. “Lo so, Hajime. Lo so…”
 
 
Kenma aveva avuto il buon cuore di alzarsi dalla sedia che aveva occupato per tutto il tempo dall’inizio del ballo per permettere al Re dei Corvi di accomodarsi, mentre Keiji aveva suggerito a Koutaro di andare a prendergli qualcosa da bere.
“Daichi, mio Re, lascia che ti dica quanto sono orgoglioso di te!” Esclamò Ryuu dando una pacca sulla spalla al sovrano silenzioso. “Hai mantenuto la calma per tutto il tempo! Hai la mia più profonda stima! Ci fosse stata mia figlia a danzare, ancora starebbero ripulendo il sangue dal pavimento!”
Kiyoko afferrò un braccio del marito cercando di farlo tornare al suo posto.
“A Shouyou piace tanto danzare, poi!” Esclamò Yuu con un gran sorriso. “È andata bene che il Principe Demone sia tanto bravo… È stata una sorpresa! Vero, Asahi?”
“S-Sì…” Balbettò il Primo Cavaliere di Karasuno fissando terrorizzato l’espressione del Re dei Corvi che, istante dopo istante, si faceva sempre più inquietante.
Koushi sbuffò. “Daichi, recupera il controllo in fretta,” ordinò. “Tobio ha chiesto a Shouyou di ballare ed è stato meraviglioso da parte sua! Cancellati quell’espressione dal viso, stai spaventando Natsu!”
La Principessa di Karasuno, in realtà, era tanto concentrata ad osservare la folla intorno a lei da non essersi accorta di nulla. Stava cercando qualcosa ma nessuno si preoccupò di chiederle cosa, fino a che non la trovò. “Ehi, tu!” Esclamò con un gran sorriso saltellando tra gli invitati senza temere di perdersi.
Koushi perse immediatamente qualsiasi interesse per l’umore del suo compagno e corse dietro a sua figlia. “Natsu!”
La piccola Principessa, però, non andò lontano fermandosi di fronte ad un ragazzino che vestiva i colori del Regno di Shiratorizawa. “Tu sei un Principe, vero?”
Per un attimo, Tsutomu si guardò intorno, come se quel piccolo indice non stesse indicando proprio lui. Persino il Re dell’Aquila si voltò. Guardò la bambina, poi il suo erede. “È sgarbato non rispondere,” lo rimproverò con la sua solita voce incolore.
“S-Sì…” Rispose, infine, il fanciullo. “Sono il Principe dell’Aquila, erede al trono di Shiratorizawa.” Aggiunse con orgoglio
Natsu riabbassò l’indice soddisfatta, poi prese tra le dita la gonna del suo abitino e fece un inchino perfetto. “Principessa Natsu del Regno di Karasuno,” si presentò.
Tsutomu si fece più attento. “Sei la sorella di Shouyou?” Domandò, come se la somiglianza di quella bambina col Principe dei Corvi non fosse una risposta sufficiente.
“Sì!” Esclamò la piccola. “Il mio fratellone, però, è solo del Principe Demone. Non darò la mia benedizione a nessun altro pretendente alla sua mano!”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Eh?”
“Tuttavia, ti concedo il permesso per ballare con me,” concluse la Principessa di Karasuno sbattendo le ciglia.
“Natsu!” Koushi riuscì, finalmente, a farsi strada tra la folla e portò le mani sulle spalle della sua bambina. “Non devi allontanarti così!” La rimproverò, poi sollevò gli occhi sul Re dell’Aquila ed il suo erede. “Sono desolato per il disturbo.”
Il Re dell’Aquila scosse appena la testa. “Non c’è alcun bisogno di scusarsi,” disse. “La Principessa non ha fatto nulla di male. È mio figlio che deve acconsentire alla sua richiesta.”
Tsutomu lo guardò come se gli avesse appena chiesto di buttarsi in un burrone. “Cosa?”
Koushi abbassò gli occhi su sua figlia. “Che cosa hai fatto?”
Natsu rivolse al genitore un sorriso trionfante. “Il Principe dell’Aquila ballerà con me!” Esclamò.
“No!” Replicò Tsutomu, le guance rosse. “Io…”
“Non si rifiuta la richiesta di una Principessa,” lo interruppe suo padre.
“E come si presume che debba fare?”
Koushi prese in braccio la sua bambina. “Mi spiace ancora…” Disse con sincerità. Accennò un inchino frettoloso, poi tornò sui suoi passi.
Daichi era ancora seduto in totale silenzio, lo sguardo perso nel vuoto. Koutaro era tornato con un altro calice di vino che stava bevendo da solo, dopo un evidente rifiuto del Re dei Corvi. Keiji fu il primo a vederlo. “Tutto bene?” Domandò, mentre la piccola Keijiko si avvicinava a Natsu e riprendevano a giocare insieme.
Il Consorte di Karasuno sospirò e raccontò quanto era appena successo.
Le sue parole ebbero in terribile potere di attirare l’attenzione di Daichi ma questo non ebbe alcuna influenza sulla sua espressione.
Sia Koutaro che Tetsuro sgranarono gli occhi.
“Io non sono un Mago ma ho appena avuto una chiara visione del futuro,” disse il primo. “Al prossimo ribaltamento dell’equilibrio del potere, quella bambina sarà la Regina che ci dominerà tutti.”
Tetsuro rise. “E nemmeno Tooru potrà fare nulla in proposito.”
Daichi si voltò molto lentamente nella loro direzione.
Entrambi smisero di ridere ed ingoiarono a vuoto.
“Io, però, non sono un Mago!” Esclamò Koutaro.
“Già…” Annuì Tetsuro.
 
 
Shouyou si sentiva stranamente leggero, come se stesse volando.
Eppure, aveva entrambi i piedi a terra.
La semi-oscurità ed il silenzio della balconata della sala del trono erano quasi un sollievo dopo tante emozioni vissute sotto gli occhi di un’intera corte di nobili e Cavalieri. Shouyou non ci era abituato, eppure non riusciva a smettere di sorridere mentre se ne stava con le braccia piegate sul parapetto di marmo e gli occhi d’ambra sollevati verso le stelle. Il cielo era limpido, la brezza notturna piacevole e tutto aveva l’euforico sapore della perfezione, se non fosse stato per quella malinconia di fondo di cui non riusciva a liberarsi.
Col sorgere del sole sarebbe finito tutto come un bel sogno e questo Shouyou lo sapeva bene.
“A cosa pensi?”
Gli occhi d’ambra si allontanarono dalle stelle ma il blu di quelli di Tobio non aveva nulla da invidiare al cielo di quella notte d’estate. Un pensiero colse Shouyou all’improvviso. “Da chi hai ereditato i tuoi occhi?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte, poi fece una smorfia. “Eh?”
Shouyou ridacchiò. “Intendevo…” Si umettò le labbra. “Hai gli occhi più grandi del Primo Cavaliere, anche se alle volte avete lo stesso sguardo. Tuttavia, non sono identici nemmeno a quelli del Re Demone. Hai qualcosa di entrambi ma nessuno dei due ha gli occhi blu.”
Tobio scrollò le spalle. “Mi hanno detto che ho gli occhi della precedente Regina di Seijou.”
“Tua nonna, quindi? La madre del Re Demone.”
“Sì.”
“E hai il nome di tuo nonno, giusto? Il padre del Primo Cavaliere.”
Tobio annuì. “Perché mi fai queste domande adesso?”
“Curiosità…” Shouyou scrollò le spalle. “Io assomiglio più ad uno dei miei nonni che ai miei genitori, lo stesso da cui ho ereditato il nome.”
“Tua sorella somiglia a te.” Disse Tobio.
“Da piccoli eravamo identici!” Esclamò Shouyou. “Yuu e Ryuu, due Cavalieri di mio padre, qualche volta scherzano sul fatto che Natsu sia la mia versione al femminile!” Ridacchiò. Tobio non comprese che cosa ci fosse di tanto divertente e così rimase in silenzio.
“Non è vero, però,” aggiunse il Principe dei Corvi tornando ad osservare le stelle. “Mia sorella avrà un destino molto diverso dal mio…”
Tobio s’imbronciò appena. “Perché ti stai deprimendo, ora?”
Shouyou lo guardò confuso. “Non mi sto deprimendo…”
“Invece, sì!”
Gli occhi d’ambra si abbassarono su ciò che il Principe Demone aveva tra le mani. “Che cos’hai lì?”
C’erano due calici stretti tra le dita di Tobio. Ne appoggiò uno sul bordo del parapetto. “È per te,” disse. “Il Re mi ha detto che è buona educazione prendere da bere dopo aver invitato qualcuno a ballare.”
“Oh…” Mormorò Shouyou prendendo il calice con entrambe le mani. Bevve un sorso del contenuto scuro per assaggiarlo e storse la bocca. “Che cos’è?”
“Vino,” rispose Tobio come se fosse una cosa scontata. “Che c’è? Non ne hai mai bevuto?”
“In realtà no!” Shouyou ne prese un altro sorso ed accennò un timido sorriso. “Di solito, io non… Non sono abituato a tutto questo.”
“Questo cosa?”
Il Principe dei Corvi sorrise nell’osservare la grande sala del trono oltre le alte vetrate. Le danze erano riprese e la festa si era rianimata come se il loro piccolo incidente non si fosse mai verificato. Era meglio così: Shouyou non si trovava completamente a suo agio al centro dell’attenzione e sapeva che nemmeno Tobio era amante di certe cose. Tuttavia, avere gli occhi di tutti su di loro per quell’istante era stato bello… Magico
“Notti d’estate come questa succedono solo nelle storie che raccontano per me,” spiegò il Principe dei Corvi. “Penso che il mio primo compleanno sia stata l’ultima festa organizzata alla corte di Karasuno e solo perché i miei genitori non hanno potuto presentarmi ufficialmente nel nostro Regno. La presentazione di mia sorella è stata molto più sobria. Musica, danze, vino…” Sollevò appena il calice. “Sono tutte cose da favola per me,” concluse con un sorriso un po’ malinconico. “Non so come sia vivere in un mondo dorato come questo…”
Tobio storse la bocca e portò lo sguardo annoiato sulle coppie che continuavano a girare come trottole al centro della sala seguendo le note della musica. “Ti piace tutto questo?”
Shouyou scrollò le spalle ancora una volta. “Non lo so se mi piace,” ammise tornando a guardare l’orizzonte. “So che sognavo di vivere qualcosa di simile e mi è successo. Non credo che riuscirei a reggere atmosfere simili nei panni dell’erede al trono di corte! Con un’entrata in scena come quella che hai fatto tu, sarei inciampato nei miei stessi piedi al centro preciso della sala!”
Gli angoli della bocca di Tobio si sollevarono in un sorrisetto sarcastico. “Quello è sicuro, stupido come sei.”
“Ehi!” Esclamò Shouyou guardandolo storto.
“Alla fine, ci si stanca anche dell’oro,” disse Tobio appoggiando il suo calice sul parapetto e rivolgendo lo sguardo all’orizzonte a sua volta.
Shouyou osservò il suo profilo per un po’ e, per un attimo, ebbe come la sensazione che Tobio volesse dire di più ma, alla fine, rimasero entrambi in silenzio.
Il Principe dei Corvi sospirò. Le stelle sopra di loro brillavano ancora. “Non ha importanza, comunque,” disse. “Al sorgere del sole tutto tornerà come era prima…”
Tobio l’osservò con la coda dell’occhio e fu una fortuna che Shouyou fosse troppo rapito dalle costellazioni sopra di loro per accorgersene.
”Vuoi davvero lasciare il tuo lavoro incompiuto?”
Quella domanda era sbagliata sotto ogni punto di vista. Quel che voleva lui era completamente inutile di fronte alla solida realtà dei fatti: il Re dei Corvi avrebbe riportato il suo erede al trono a Karasuno, dove era il suo posto e chi era lui per impedire che qualcosa di tanto ovvio e ragionevole accadesse? Che potere aveva per impedire che le cose tornassero, semplicemente, come erano sempre state prima di quell’estate?
”Vuoi davvero lasciarlo andare?”
“Maledizione…” Imprecò a denti stretti prendendosi la testa tra le mani con evidente frustrazione.
Shouyou sobbalzò per quella reazione improvvisa. “Tutto bene?” Domandò confuso.
“Sì…” Sibilò Tobio fissando il vuoto sotto la balconata come se fosse la causa di tutti i suoi problemi. “Lasciami in pace…”
Shouyou sbuffò. “Sei proprio antipatico, non c’è niente da fare.”
Il Principe Demone fece per replicare con astio ma l’altro si tolse il mantello di piume di corvo dalle spalle e lo appoggiò sul parapetto, prima di salirvi sopra…
Tobio si sentì mancare il fiato per un istante e si mosse tempestivamente, tanto che entrambi i calici caddero nel vuoto urtati dal suo braccio. “Ehi! Ehi!” Strinse le dita intorno alla cintura del piccolo stupido e si sentì investire da un’ondata di rabbia come quegli occhi d’ambra lo fissarono confusi.
“Che cosa c’è?” Domandò Shouyou.
Tobio lo avrebbe preso a calci se questo non avesse voluto dire farlo cadere nel vuoto, cosa che stava cercando di evitare. “Hai completamente perso la testa?!” Sbottò a voce tanto alta che non si sarebbe sorpreso se qualcuno fosse uscito dalla sala del trono per controllare che cosa stesse succedendo. “Hai i piedi sospesi nel vuoto e mi chiedi che cosa c’è? Sarà un salto di almeno cento metri da qui!”
Shouyou non parve allarmato in alcun modo. Anzi, si sporse in avanti per meglio vedere di sotto e Tobio gli afferrò la cintura anche con l’altra mano. “Cento metri?” Il Principe dei Corvi gli rivolse un sorriso rassicurante. “Tranquillo, non è niente in confronto ai burroni tra le montagne di Karasuno!”
“Se vuoi ammazzarti sulle tue montagne, fai pure!” Esclamò Tobio furioso. “Non lo farai al Castello Nero!”
“Se ti senti più sicuro a tenermi, fai pure,” gli concesse Shouyou dondolando i piedi come se non ci fosse assolutamente nulla di pericoloso in quello che stava facendo. “I salti nel vuoto non mi hanno mai fatto paura…”
Tobio si quietò per un istante soppesando quelle parole con attenzione. Ricordò quella notte d’estate della sua infanzia, durante la sua prima ed unica visita al Regno di Karasuno quando Shouyou lo aveva condotto sul tetto di una torre e si era messo a parlare con euforia di sciocchezze che avevano senso solo per lui. No, il vuoto e l’altezza non gli facevano paura neanche allora.
Per quale ragione?
“Dimmelo…”
Shouyou lo guardò da sopra la propria spalla. “Che cosa dovrei dirti?”
“Il tuo segreto,” disse Tobio con espressione assolutamente seria. “Quello che stai cercando di tenermi nascosto da quando hai vinto quel duello contro di me…”
Il Principe dei Corvi rimase in silenzio, l’espressione immobile. Strinse le labbra e qualcosa molto simile al dispiacere comparve nei suoi occhi. “Tobio, io…” Non andò avanti.
“È così terribile?” Domandò Tobio.
“No,” Shouyou scosse la testa e piegò una gamba sul parapetto di marmo per poter guardare l’altro dritto negli occhi. “Non mi ha mai fatto paura prima di questa estate.”
“Ti riferisci a quello che succede quando la rabbia ha il sopravvento?”
“Sì…”
“Che altro c’è?” Domandò Tobio con voce stranamente tranquilla. “Che cosa ti permette di avere simili poteri? Che cosa sei?”
Shouyou resse il suo sguardo alla perfezione. “Non lo so…” Ammise e la voce gli tremò un poco.
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “I tuoi genitori…”
“Sanno tutto,” lo interruppe Shouyou. “È per loro che non posso essere sincero con te, capisci?”
“No,” Tobio scosse la testa. “Se capissi non sarei qui.”
Shouyou forzò un sorriso. “Non mi crederesti,” disse infine. “Domani io tornerò a casa e sparirò, mentre tu continuerai ad essere il Principe di cui tutti parlano. Sarà come se questa estate non ci fosse mai stata.” Scese dal parapetto e superò il Principe Demone. “Per questo non ha senso parlarne…”
Shouyou sapeva che era troppo pericoloso restare, andare avanti…
Non furono gentili le dita che gli strinsero il polso per impedirgli di allontanarsi ulteriormente ma nemmeno gli fecero male. Quando si voltò, negli occhi blu di Tobio c’era la determinazione di un Cavaliere incapace di prendere in considerazione la sconfitta come possibilità.
“Mettimi alla prova,” disse il Principe Demone.
Gli occhi d’ambra del Principe dei Corvi si fecero grandi. “Perché?” Domandò. “Perché vuoi saperlo così tanto?” C’era troppa intensità nell’espressione dell’altro perché fosse semplice curiosità.
Tobio strinse le labbra. ”Vuoi davvero lasciarlo andare?” Domandò per l’ennesima volta la voce del Re Demone nella sua testa. “Resteresti?” Domandò a voce troppo bassa perché l’altro potesse udirlo chiaramente.
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Cosa hai detto?”
Tobio si umettò le labbra e maledì la sua gola per essersi fatta improvvisamente secca senza motivo. “Se ti fosse concessa l’occasione,” riprovò cercando di non inciampare sulle sue stesse parole, “resteresti qui, al Castello Nero?”
Se possibile, gli occhi di Shouyou si fecero ancora più grandi. Le dita di Tobio erano ancora strette intorno al suo polso e tanto bastava per suggerirgli che non poteva scappare da nessuna parte, l’altro glielo avrebbe impedito e non avrebbe mai accettato il silenzio come risposta. “Perché dovrei restare?” Domandò. Non c’era niente per lui al Castello Nero, dopotutto. Aveva avuto la sua occasione in un grande Regno, aveva duellato, sebbene a modo suo, con il Principe Demone e questi gli aveva chiesto di danzare con lui al suo primo, vero ballo di corte.
Era molto di più di quanto si fosse aspettato durante il viaggio che lo aveva condotto fino al Regno di Seijou.
Che cosa avrebbe potuto chiedere di più?
Tobio pensò a lungo ad una risposta da dare ma la voce del Re Demone non gli fu di alcun aiuto in quel momento. “Vuoi tornare a casa?” Si morse la lingua un istante più tardi. Non solo aveva evitato di rispondere con un’altra domanda ma aveva anche posto la più stupida possibile in quella situazione.
Shouyou dischiuse le labbra: non aveva bisogno di pensare ad una risposta. “Io…”
Le parole, tuttavia, rimasero prigioniere e quello che seguì non fu altro che silenzio. Per la prima volta nella sua vita, Shouyou ebbe difficoltà a comprendere se stesso. Che motivo aveva di esitare? Chi avrebbe mai esitato ad ammettere di voler tornare a casa? Era il desiderio più naturale del mondo, no? Shouyou amava il Regno di Karasuno.
Sì, amava le sue praterie, i suoi boschi e le alte montagne. Amava cavalcare nelle terre di suo padre, conoscerne ogni angolo a memoria e sentirsene padrone, a modo suo. Shouyou amava il cielo di Karasuno. Amava il modo in cui era vivo, sempre in movimento, come il sole d’estate potesse trasformarsi velocemente in una pioggia frizzante.
Sì, Shouyou amava il Regno di Karasuno. Lo aveva sempre amato.
Tuttavia…
“Io…”
Un istante.
”Siate maledetti. Possiate bruciare…”
Fu come se qualcuno avesse sussurrato quelle parole direttamente nel suo orecchio.
Shouyou sentì il respiro venire meno ed un brivido di paura correre lungo la sua schiena. Guardò Tobio per capire se anche lui aveva udito quelle parole sibilate con odio e si accorse che quegli occhi blu non lo guardavano più ma si erano sollevati verso il cielo.
“Hai sentito?” Domandò Shouyou con voce tremante.
Tobio lo lasciò andare e si portò tra lui ed il parapetto della balconata. “No,” rispose il Principe Demone scrutando l’orizzonte buio. “Ho visto qualcosa muoversi…”
“Dove?” Domandò Shouyou avvicinandosi alle sue spalle.
“In alto,” rispose Tobio continuando a far vagare gli occhi in ogni direzione. “Per un istante, le stelle si sono oscurate.”
Shouyou prese a scrutare nell’oscurità a sua volta ma non vide nulla e questo lo spaventò ancora di più. “Tobio…”
“Indietreggia, Shouyou,” disse il Principe Demone portando una mano all’elsa della spada appesa al suo fianco. Shouyou ubbidì stringendo tra le dita la stoffa rossa del mantello dell’altro.
Ancora un passo e sarebbero rientrati nella sala del trono. Tobio, però, si bloccò e così fece Shouyou. “Che cosa succede?” Chiese quest’ultimo.
Il Principe Demone non rispose, gli occhi blu sgranati fissi su qualcosa di fronte a sé che Shouyou non riusciva a vedere.
“Tobio?”
L’altro rimase in silenzio anche allora. Shouyou si sporse da un lato per vedere ma ebbe appena il tempo di scorgere un luccichio nel buio. Tobio lasciò andare la spada. “A terra!” Urlò.
Shouyou chiuse gli occhi nel sentire la terra mancargli sotto i piedi e lasciò andare un gemito di dolore come la sua schiena atterrò sul duro pavimento della sala del trono. L’aria si fece improvvisamente ustionante e Shouyou strinse le palpebre ancor di più aggrappandosi al corpo sopra il suo, quello di Tobio. Non udiva più nessuna musica, solo urla disperate ed il rumore emesso da centinaia di passi frettolosi.
Gli occhi d’ambra si riaprirono solo nel momento in cui due mani gli afferrarono le spalle rimettendolo in piedi. “Stai bene?” Domandò Tobio. Shouyou lo fissò terrorizzato e basta. Il Principe Demone lo scosse con poca gentilezza. “Ehi, rispondimi, stupido!” Sbottò. “Stai bene?”
Shouyou si riscosse e riuscì appena ad annuire tremando.
Si guardò intorno.
La gente correva in ogni direzione alla ricerca di un rifugio. Alcuni tavoli erano stati trabaltati ed il cibo era finito sul pavimento, altri, quelle più vicine alle alte finestre, ardevano e così gli arazzi alle pareti. Le vetrate erano andate completamente in pezzi.
“Che cosa…” Shouyou sentì le lacrime scendere a bagnargli le guance. “Che cosa è successo?”
Tobio non ebbe il tempo di rispondergli: la terra tremo sotto i loro piedi e caddero a terra.
 
 
Hajime si tolse di dosso il mantello che aveva sulle spalle, poi si fece leva sul bracciolo del trono nero e si tirò in piedi. “Tooru…”
Il Re Demone erano caduto in ginocchio di fronte a lui. Gli occhi scuri resi grandi dalla paura. “Hajime, io…” Provò a dire. Il Primo Cavaliere non aspettò che riuscisse a parlare, gli afferrò le spalle e lo aiutò ad alzarsi. “Sei ferito?” Domandò.
Tooru scosse la testa e Hajime portò la sua attenzione sulla sala del trono: le fiamme stavano divorando tutto ciò che potevano e la gente continuava ad urlare correndo in ogni direzione.
Era il panico, puro caos…
“Dov’è Tobio?” Domandò Hajime perlustrando la sala con lo sguardo col cuore in gola.
Tooru fece lo stesso ma non ebbe più fortuna del suo Cavaliere. “Vai a cercarlo,” ordinò afferrandogli la spalla. “Trovalo, Hajime!”
Il Primo Cavaliere annuì e coprì la mano sulla sua spalla con la propria in un istintivo gesto di rassicurazione. Probabilmente, non si era nemmeno reso conto di averlo fatto ma Tooru sentì il cuore battere più forte per un istante.
Non appena il suo Cavaliere si fu lanciato tra la folla terrorizzata, qualcun altro corse nella sua direzione. Drizzò le spalle immediatamente. “Wakatoshi…”
Per una volta, anche il Re dell’Aquila sembrava avere un’espressione allarmata. “Lo hai visto?” Domandò con voce affaticata.
Tooru scosse la testa. “No ma è quello che temo, vero?”
Wakatoshi annuì.
Il Re Demone abbassò lo sguardo sulla propria mano, ne osservò per un istante le dita tremanti, poi strinse il pugno con astio. “Raduna tutti gli Arcieri che riesci a trovare e portali ai piedi delle scale che portano ai pieni nobili,” ordinò ignorando deliberatamente il fatto che si stesse rivolgendo ad un suo pari. “Tranne Keiji. A lui devi dire di condurre chiunque non possa combattere nelle segrete.”
Wakatoshi annuì e lo guardò mentre lo superava. “E tu dove vai?”
Tooru gli rivolse un sguardo gelido da sopra la spalla. “A prendere il mio arco.”
 
 
“Moccioso, non è proprio il momento adatto per fare lo stupido!” Sbottò Satori cercando di trascinare il suo Principe fuori dalla sala del trono. Peccato che il piccolo idiota non la smettesse di agitare in aria la sua spada ripetendo assurdità. “Ne va del mio onore, Satori!” Esclamò cercando di ritornare al centro della sala. “Devo difendere il mio onore!”
Kenjirou sbuffò, tornò sui suoi passi e tolse la spada di mano al ragazzino. “Finirai per decapitare qualcuno, così!” Esclamò perdendo parte di quella perenne aria calma che lo caratterizzava. “E non difenderai il tuo onore facendoti uccidere!”
Satori inarcò le sopracciglia: non era una cosa da tutti i giorni vedere l’Arciere farsi avanti per qualcosa che non riguardava direttamente il Re dell’Aquila ma fu grato dell’intervento.
Tsutomu, tuttavia, non ne voleva proprio saperne di essere ragionevole. Digrignò i denti e recuperò la sua spada dalle mani di Kenjirou. “Non sei nessuno per parlarmi in questo modo!” Sbottò con arroganza.
Gli occhi dell’Arciere si fecero grandi, sorpresi: non si era aspettato una simile reazione.
Satori afferrò la spalla del Principe con poca grazia e lo tirò all’indietro trattenendo l’improvviso bisogno di prenderlo a schiaffi.
“Tsutomu.” Chiamò una voce gelida ed il Principe dell’Aquila s’irrigidì come vide suo padre comparire tra la folla.
“Vostra Maestà,” Kenjirou chinò la testa con rispetto.
Wakatoshi lo guardò. “Il Re Demone ha convocato tutti gli Arcieri in grado di combattere nell’atrio del castello. Vieni con me.”
Kenjirou annuì prontamente. “Sì, signore.”
Satori alzò gli occhi al cielo: sarebbe stato capace di seguirlo anche tra le fauci della bestia che li stava assediando a giudicare dall’adorazione nei suoi occhi. Tsutomu fece un passo avanti ed il Cavaliere rinnovò la stretta sulla sua spalla. “Vengo anche io!” Esclamò cercando di liberarsi.
“No,” replicò Wakatoshi. “Non sei un Arciere esperto e la spada non serve a nulla contro questo genere di nemico.”
“Ho già affrontato questo mostro e sono sopravvissuto!” Sbottò Tsutomu con determinazione. “Posso farlo ancora!”
“Hai avuto la fortuna di sopravvivere, sì,” Wakatoshi annuì, “ma non perché lo hai affrontato e lo sai bene.”
Tsutomu sgranò gli occhi. “Padre, io posso combattere… Io…”
“Satori, conducilo con te nelle segrete e assicurati che ci resti fino a che non risolviamo questa situazione,” ordinò il Re dell’Aquila al suo Cavaliere.
Satori annuì accennando un sorriso dei suoi, poi tirò il Principe all’indietro. “Andiamo, moccioso…”
“Padre…” Chiamò di nuovo Tsutomu ma Wakatoshi si era già voltato e Kenjirou con lui. “Posso combattere, padre!”
Wakatoshi, però, era già troppo lontano per udirlo.
 
 
Koushi stringeva Natsu a sé con forza mentre Daichi gli circondava le spalle con un braccio per impedire che la gente in fuga li superasse lungo la strada. “Hanno detto di andare nelle segrete,” disse il Re dei Corvi. “Tu conosci questo castello, Koushi. Porta Natsu al sicuro, io vado a cercare Shouyou.”
Gli occhi dorati del consorte reale di Karasuno si fecero grandi per la paura. “No, Daichi! Non puoi andare da solo!”
“Non possiamo riportare Natsu nella sala del trono!” Esclamò Daichi in risposta. “Sta ardendo tutto là dentro!”
Qualcuno lo urtò ed il sovrano strinse entrambe le braccia intorno alla sua famiglia perché non venissero colpiti a loro volta.
“Daichi…”
Il Re dei Corvi sollevò gli occhi e si accorse che l’uomo che gli era venuto addosso altri non era che il Primo Cavaliere di Seijou. “Hajime!” Esclamò. “Hai visto Shouyou?”
Anche Koushi lo guardò speranzoso ma il Cavaliere scosse la testa con espressione preoccupato. “So che era con Tobio prima che scoppiasse l’inferno!” Esclamò quasi nel panico continuando a guardarsi intorno. “Non riesco a trovare neanche lui!”
“Oddio…” Koushi strinse le labbra ed affondò il viso tra i capelli ribelli della sua bambina, mentre Daichi li stringeva entrambi a sé.
“Maledizione!” Imprecò Hajime. “Dove diavolo sono finiti?!”


 
***
 
 
Shouyou non sapeva quando Tobio gli aveva preso la mano ma cominciava a perdere sensibilità alle dita.
“Dove stiamo andando?” Domandò tirando su col naso. I corridoi che stavano attraversando erano più stretti di quelli che aveva imparato a conoscere. Non poteva nemmeno udire le voci della gente in fuga. “Ma dove siamo?” Aveva smesso di piangere lungo la strada ma non riusciva ancora a smettere di tremare.
“Sono passaggi secondari,” spiegò Tobio senza voltarsi, “per la servitù o per sistemare cose che non sarebbe buona educazione mettere accanto alla camera di un nobile.”
“Che cosa significa?”
Tobio si fermò di fronte ad una porta dalla maniglia arrugginita. La aprì e Shouyou riuscì a vedere nella semi oscurità una grande quantità di armi buttate più o meno alla rinfusa. “È questa l’armeria?” Chiese con una smorfia delusa.
“No, certo che no, idiota,” rispose Tobio addentrandosi nella stanza semi-buia e cercando qualcosa appeso alla parete. “Qui è dove tengono le armi troppo vecchie per essere usate in battaglia ma ancora utili per addestramenti, duelli amichevoli o cose del genere. È da qui che ho recuperato l’arco con cui hai lanciato la tua prima freccia.”
Shouyou si guardò intorno. “Siamo vicino ai giardini?”
“Sì…” Tobio tornò indietro con una faretra piena di frecce appesa alla spalla ed un arco alla mano.
Shouyou sgranò gli occhi. “Vuoi affrontare qualsiasi cosa ci sia là fuori con un vecchio arco che non è nemmeno il tuo?”
“Fin tanto che è integro, non è l’arco a fare la differenza nelle capacità di un Arciere,” replicò Tobio, poi gli afferrò il braccio con poca gentilezza.
“Ahia!” Si lamentò Shouyou guardandolo storto. “Mi fai male!”
“Ascoltami bene!” Esclamò Tobio portandosi di fronte a lui. “Riesci a ripercorrere questi corridoi al contrario?”
“S-Sì… Credo di sì…”
“Bene, arrivato in fondo, troverai una porta e dietro di essa delle scale. Scendila e sarai nelle segrete, sarai al sicuro lì.”
Shouyou sgranò gli occhi d’ambra. “Un momento!” Esclamò. “Mi lasci qui?”
Tobio sbuffò. “Se ti perdi, mettiti seduto per terra ed aspetta che questo inferno finisca. Se al mio ritorno nessuno ti avrà visto, verrò a riprenderti!”
“Non mi riferivo a quello!” Esclamò Shouyou con rabbia. “Non voglio andare a nascondermi come un codardo mentre tu vai a rischiare la vita là fuori!”
Tobio fece una smorfia. “Non essere stupido…” Riprese a camminare lungo il corridoio ma una piccola mano gli afferrò il polso inducendolo a fermarsi.
“Lascia che ti aiuti!” Shouyou si portò davanti a lui e lo guardò con l’espressione di chi non ha alcuna intenzione di cambiare idea a breve e per nessuna ragione. “Non puoi andare da solo là fuori!”
Tobio strinse i pugni. “Possibile che tu non capisca?!” Sbottò. “C’è un drago, lì fuori! Un drago!”
Gli occhi del Principe dei Corvi si fecero grandi, spaventati. “Sì, dal fuoco lo avevo immaginato…” Disse forzandosi di non far tremare la voce.
“Solo un Arciere può qualcosa contro un drago!” Continuò Tobio con rabbia. “E tu non lo sei! A meno che tu non sappia volare, non c’è nessun modo in cui tu possa aiutarmi! Fatti da parte!” Le piccole dita, però, non fecero che stringergli il polso con più forza.
“Volare…” Ripeté Shouyou con un filo di voce e, per un momento, Tobio pensò seriamente di sbatterlo contro il muro e toglierselo dai piedi. “Posso aiutarti!” Esclamò il Principe dei Corvi con sicurezza. “Posso combattere con te, Tobio!”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che follia è mai questa?”
“Perché, vedi, io…” Shouyou fece per confessare l’inconfessabile, poi abbassò lo sguardo.
Il Principe Demone fece per perdere la pazienza ma un pensiero improvviso lo costrinse a mantenere la calma. “È per via del tuo segreto che ti stai offrendo di aiutarmi?”
Le guance del Principe dei Corvi si colorarono appena e tenne lo sguardo basso.
Tobio sospirò. “Nemmeno in un momento come questo mi vuoi dire che cosa sei, Shouyou?”
Shouyou strinse le labbra e lo guardò dritto negli occhi. “Fidati di me.” Disse come se stesse impartendo un ordine.
“Nessuno può fidarsi di un altro basandosi sul niente!” Sbottò Tobio esasperato.
“Io posso volare per te!” Esclamò Shouyou. “Ti basti sapere questo…”
Gli occhi blu del Principe Demone si fecero grandi. “Non ha alcun senso quello che dici! E…”
Shouyou premette l’indice contro le sue labbra. “Ho bisogno di una prova di fiducia da te!” Confessò a cuore aperto. “È egoistico, lo so! Tu, però, sei il Principe più potente che ci sia nei Regni liberi ed io…” Esitò. “Io non sono nessuno…” Aggiunse con voce decisamente più malinconica. “Fidati di me adesso e non avrò più nulla da nasconderti!”
Era un giuramento enorme, troppo perché Shouyou fosse completamente preparato a mantenerlo ma non aveva altra scelta: Tobio non poteva andare lì fuori completamente da solo e l’unico modo per sconfiggere un nemico con le ali era avere il potere di non temere un salto nel vuoto. Shouyou era l’unico che lo possedesse lì.
Il Principe Demone strinse le labbra, poi la sua espressione si rilassò di colpo. “Andiamo…”
Shouyou sorrise.
 
 
***
 
 
“La terra ha tremato subito dopo l’attacco,” disse Tooru. “Forse, è atterrato da qualche parte.” Si mise la faretra in spalla e strinse l’arco nel pugno mentre ripercorreva quasi correndo il corridoio dei piani nobili. Si era liberato degli abiti da Re ed era tornato ad essere l’Arciere più grande dei Regni liberi, mentre Wakatoshi aveva radunato al piano di sotto tutti i giovani capaci armati di arco e frecce.
“Koutaro e Tetsuro sono dei nostri,” lo informò Wakatoshi mentre scendevano insieme le scale.
Tooru lo guardò sorpreso. “Davvero?”
“Hanno detto di non volersene stare con le mani in mano.”
“Incapaci di farsi da parte, eh?” Replicò Tooru con un sorrisetto. “Poco male. Sono qui per chi amano e questo li rende forti. Spero che il tuo Arciere abbia migliorato la mira negli ultimi anni,” aggiunse ricordando come Kenjirou li aveva fatti quasi ammazzare durante la loro prima impresa con un drago.
“Kenjirou non sbaglia mai,” disse Wakatoshi. “Te lo posso garantire…”
Tooru fece una smorfia. “Lo dico sempre anche io ma so che non è vero,” sospirò. “E lo dice anche Tobio ma quella è un’altra storia…”
Chissà dov’era? Chissà se Hajime era riuscito a trovarlo e lo aveva messo al sicuro?
Che quel moccioso non si azzardasse a fare di testa sua in una situazione di emergenza come quella!
“Come vuoi attaccare?” Domandò Wakatoshi.
Tooru strinse le labbra e rifletté velocemente. “Passiamo dal cortile interno, saliamo sulla prima cinta di mura. È la più alta e da lì potremo vedere dove…”
“Non lo fate, mio signore!”
Entrambi i Re si bloccarono e si voltarono. Affacciato dal pianerottolo sopra di loro c’era Kaname con una faretra in spalla ed un arco stretto nel pugno. “Ho visto tutto dalle finestre della biblioteca e non ci potevo credere,” disse scendendo lentamente le scale. “Per un attimo, ho pensato che foste tutti morti.”
Tooru piegò le labbra in un’espressione quasi divertita. “Dove credi di andare vestito così?” Domandò. “Deve essere arrivata la fine del mondo se ti decidi ad uscire dalla biblioteca.”
Kaname arrossì un poco, poi prese coraggio. “Ero un Arciere oltre ad un Re, mio signore. La mia gente ora vive in terre che appartengono a voi ed i miei ragazzi vivono qui, al Castello Nero, proprio come i vostri Cavalieri. È mio dovere e diritto fare tutto ciò che è in mio potere per difenderli quanto voi.”
Le sfumature dell’espressione di Tooru cambiarono notevolmente. “Ho sempre provato del rispetto per te, Kaname,” ammise. “L’amore dei tuoi uomini per te è completamente giustificato.”
Tooru era fortunato che l’uomo che era stato il Re di Dateko fosse un tipo docile perché, in caso contrario, sarebbe stato molto difficile toccarlo senza rischiare un qualche tipo di ribellione da parte dei suoi Cavalieri. “Che cosa hai visto dalle tue finestre che possa esserci utile?”
“Il drago è sul tetto dell’edificio principale,” rispose Kaname.
Tooru guardò Wakatoshi. “Ecco perché sembrava ci fosse un terremoto nella sala del trono…”
“Guarda la Capitale…”
Il Re Demone inarcò le sopracciglia. “Che cosa vorrebbe dire?”
“Quello che ho detto,” rispose Kaname. “Se ne sta immobile e guarda la Capitale, come se stesse aspettando qualcosa.”
Tooru si morse il labbro inferiore. “Ha una strategia…”
Wakatoshi gli afferrò una spalla. “Tooru, aspetta…”
“Satori te lo ha detto!” Lo interruppe il Re Demone. “Ti ha detto che si sentiva come se quel mostro stesse inseguendo lui e tuo figlio, come se li avesse lasciati vivere a posta perché potessero tornare qui… Come una dichiarazione di guerra.”
Kaname sospirò. “Appare come un comportamento intelligente, mio signore,” commentò. “Il cortile interno è l’unica eventuale via di fuga dal Castello Nero. Andare nella direzione opposta porterebbe ai giardini e alla torre e non ci sarebbe scampo contro un nemico simile.”
“Chiunque metta piede fuori dal Castello Nero diviene cenere ancor prima di arrivare al cancello…” Disse Tooru come se stesse pensando ad alta voce. “Succede altrettanto per chiunque decide d’intervenire dall’esterno.”
Kaname annuì. “Non attaccate dal cortile interno,” ripeté. “Sarebbe una condanna a morte certa.”
“Dove allora?” Domandò il Re dell’Aquila rivolgendosi al Demone.
Tooru sapeva di avere pochi istanti per riflettere. “I giardini…” Mormorò infine. “Passiamo dai giardini. Salgo sulla torre e ci inventiamo qualcosa per attirare la sua attenzione. Mirerò all’occhio e che io sia maledetto se questa volta non gli trapasso il cervello!”
Kaname sgranò gli occhi. “È un suicidio!”
“Ha ragione,” intervenne Wakatoshi. “Se sali su quella torre con un drago contro ti ritrovi intrappolato tra un mostro ed un salto nel vuoto.”
“Appunto,” disse Tooru. “Non c’è niente lì dietro. Concentriamo la sua attenzione verso quel vuoto e la Capitale sarà salva.” Fece per scendere le scale ma Wakatoshi lo afferrò per le spalle.
“Non c’è via di scampo da questo tuo piano,” concluse il Re dell’Aquila con voce glaciale. 
Tooru ghignò. “Vorrà dire che voleremo…”
Per un istante, uno solo, Wakatoshi sgranò gli occhi.
Tooru si liberò dalla sua presa. “Non è che tu possa fare molto altro con quell’inutile spada che hai, dopotutto!” Esclamò con tono sarcastico.
Si sentiva vittorioso anche se non avrebbe saputo spiegare il perché.
 
 
***
 
 
Kei non seppe mai come arrivarono fino alle segrete del Castello Nero.
A stento aveva compreso ciò che era successo nella sala del trono. Tutto quello che aveva percepito con chiarezza era stato il rumore delle vetrate mentre andavano in frantumi e, in un gesto istintivo, aveva afferrato il braccio di Tadashi e lo aveva tirato verso il basso. Aveva chiuso gli occhi nel sentire la sala divenire improvvisamente calda e, quando aveva sollevato le palpebre di nuovo, il fuoco aveva già cominciato a divorare ogni cosa e la gente aveva preso a correre in ogni direzione, mossa dal panico.
L’unica cosa che Kei era riuscito a pensare era che non potevano rimanere lì. Tadashi era scoppiato in lacrime per la paura ma lo aveva ignorato e se lo era tirato dietro di forza cercando di non perdere la presa sul suo braccio nel fiume di gente che si era riversata nel corridoio. Non aveva fatto altro che seguire la folla, a quel punto.
Erano in quelle segrete da abbastanza tempo da riuscire a scrutare facilmente in quella semi-oscurità quando Kei realizzò di avere ancora la mano stretta intorno al braccio di Tadashi. L’altro se ne stava praticamente appoggiato alla sua spalla piangendo quasi silenziosamente. Non era il solo.
I bambini non si preoccupavano di nascondere le loro emozioni ed era difficile per dei genitori altrettanto spaventati consolarli. Kei non sapeva dove fossero gli altri ma non lo chiese ad alta voce: non c’era alcun bisogno di dare a Tadashi un’altra ragione per piangere.
Quello che davvero non riusciva a smettere di chiedersi era che diavolo fosse successo.
Ero certo di aver sentito qualcuno gridare: ”drago! È un drago!”. Tuttavia, Kei sapeva che la mente delle persone poteva giocare brutti scherzi quando dominata dal terrore. La cosa veramente assurda era che quella del drago era l’unica risposta che potesse giustificare tutto quel fuoco piovuto dal cielo. Fece una smorfia e decise di non perdersi in altri ragionamenti che potessero offendere la sua intelligenza. Personalmente, non aveva mai creduto nemmeno alla storia del drago accecato dal Principe Demone, sebbene almeno quattro Re potessero sostenere di aver assistito alla scena.
Nel Regno di Karasuno si viveva di quelle grandi ed epiche storie per rendere la tediosa quotidianità del Castello dei Corvi un po’ più sopportabile ma Kei non aveva mai vissuto esperienze così eccessivamente da favola e non avrebbe cominciato a credere nelle fate solo perché qualche idiota raccontava di averle viste.
”E allora io?” Domandò la petulante voce di Shouyou nella sua testa. ”Dici di non credere alle grandi storie degli altri Regni ma io sono qui, davanti ai tuoi occhi. Io esisto!”
Kei non lo aveva mai sopportato ma arrivava quasi ad odiarlo quando i suoi ragionamenti improvvisamente acquisivano un senso.
Per arrivare a credere all’esistenza di un drago, però, avrebbe dovuto vederne uno.
“Kei…” Lo chiamò una vocina gentile e tremante.
Il giovane Cavaliere sbatté le palpebre un paio di volte nell’abbassare lo sguardo alla sua destra. “Hitoka…” Riconobbe assottigliando le palpebre.
La fanciulla annuì sorridendo sollevata.
“Hitoka…” Mormorò Tadashi tornando in sé dalla prima volta dopo l’attacco.
“Che bello vedere che state bene,” disse lei con le lacrime agli occhi. “Si teme il peggio per chi non si riesce a trovare…”
“Dove sono gli altri?” Domandò Kei. Hitoka si voltò e fece per indicare un punto nel buio, poi abbassò la mano ed afferrò il polso del Cavaliere. “Seguitemi,” disse.
Il resto della corte di Karasuno era radunato dalla parte opposta della grande stanza. Asahi e Yuu gli si avvicinarono preoccupandosi di chiedere come stava, mentre Ryuu diede qualche pacca troppo forte sulla schiena di Tadashi per cercare di tirarlo su di morale.
“Kei…”
Il giovane Cavaliere riconobbe i capelli chiari del consorte reale anche in tutto quel buio. “Maestà…” Mormorò con rispetto. Notò che la Principessa era attaccata alla sua vita con il faccino nascosto contro il fianco: probabilmente, stava piangendo.
Koushi si avvicinò ancora di un passo e gli posò una mano sulla spalla con gentilezza quasi materna. “Kei…” Mormorò con la voce di chi sta per mettersi a piangere. “Hai visto Shouyou per caso?”
Per un istante, un solo, Kei si fece immobile. Come tutti gli altri aveva visto il Principe dei Corvi ballare con il Principe Demone ma non aveva posto nessuna attenzione ai movimenti di Shouyou quando gli applausi erano cessati e la musica era ripresa. Non aveva preso in considerazione neppure per un istante che Shouyou potesse essere in pericolo. La corte di Karasuno era tutta lì, intorno a lui, dopotutto. Dove diavolo si era cacciato quell’idiota per non essere lì con tutti loro?
“No, mio signore,” rispose. “Mi dispiace.” Era da un po’ che non gli capitava di essere così sincero.
Koushi allontanò la mano dal suo viso ed abbassò lo sguardo. “Capisco…” Mormorò. “Il Re è di sopra con il Primo Cavaliere di Seijou. Shouyou e Tobio non si trovano.”
Kei strinse le labbra. Certo, Shouyou non era con il resto della sua corte perché era stato troppo occupato a seguire il Principe Demone come un cagnolino scodinzolante che aspetta un premio del suo padrone. Che stupido!
“Vado a cercarlo,” disse voltandosi.
Qualcuno gli afferrò il polso. Sollevò gli occhi: era Tadashi.
“Non puoi tornare di sopra da solo,” disse come se fosse sul punto di mettersi in ginocchio e pregarlo di restare. “C’è un drago lassù, Kei. È qualcosa di troppo grande e pericoloso per noi!”
“Non resterò qui a credere a queste sciocchezze,” replicò annoiato cercando di liberarsi dalla stretta dell’altro.
“Devi, invece, ragazzo.”
Kei non conosceva quella voce ma si bloccò comunque e scrutò nella semi-oscurità cercando d’individuare chi aveva parlato. Lo sconosciuto si fece avanti e lo riconobbe: nessuno li aveva mai ufficialmente presentati ma Kei sapeva che, un tempo, quell’uomo era stato il consorte reale del Regno di Fukorodani, Keiji.
Stringeva tra le braccia una bambina ancor più piccola di Natsu e aveva l’espressione stanca di chi aveva già vissuto quell’esperienza per troppe volte. “Sono nato nell’ultimo Regno di cacciatore di draghi,” disse a bassa voce, come se non volessi farsi udire da altri. “Sento storie su quelle creature da quando ho memoria. Per molti territori del sud si tratta solo di materiale da leggenda per spaventare i bambini ma ti posso giurare che il mondo a cui appartenevo è finito in cenere a causa loro. Ho perso qualcosa di molto prezioso per cercare di abbattere quello che minacciava la mia casa. Non credere di salire lassù impugnando una spada come nelle grandi leggende. Non è così che funziona…”
“So tirare con l’arco,” replicò Kei ripensando alla storia del Principe Demone che aveva reso il suo nome conosciuto in tutti i Regni liberi.
“Io ero il Primo Arciere del mio Regno,” replicò Keiji. “Sono vivo per miracolo… Il Re Demone è il più grande Arciere dei Regni liberi ed è quasi morto per compiere una simile impresa. È stato Tobio a salvarlo, come chiunque altro fosse presente quel giorno.”
L’eco di decine e decine di passi li avvisò che qualcun altro aveva trovato la strada per quel rifugio sotterraneo. “Maledizione…” Imprecò tra i denti Satori scendendo gli ultimi gradini di pietra con il resto dei Cavalieri di Shiratorizawa al seguito. “Maledizione… Maledizione…”
“Chiedi a lui se non credi a me,” aggiunse Keiji. “Ha guardato uno di quei mostri negli occhi.”
Kei non replicò, gli occhi fissi sul Cavaliere di Shiratorizawa che continuava ad imprecare a bassa voce ma era possibile non udirlo con tutto quell’eco. Un energumeno gli passò accanto. Non lo conosceva ma vide che aveva sulle spalle il mantello violaceo dei Cavalieri di Shiratorizawa.
“Satori…”
“Reon!” Esclamò il Cavaliere dai capelli rossi. “Ti prego, dimmi che il moccioso è qui!”
“Il moccioso?” Domandò l’energumeno.
Kei tese le orecchie per cercare di capire di chi stessero parlando.
“Sì! Quella creatura ingrata che dovevamo prendere a calci appena nato così magari rigava dritto fin dal principio!” Sbottò Satori.
L’altro sembrò non capire. “Ma chi…?”
“Tsutomu!” Esclamò Satori esasperato. “Il Principe dell’Aquila dei miei stivali ha approfittato di un istante di distrazione da parte mia e si è dato alla fuga!”
 
 
***
 
 
Tsutomu non aveva la minima idea di dove fosse finito ma non sarebbe certo stato questo a fermarlo. “Come se io fossi una Principessa da difendere!” Continuò a borbottare tra sé e sé percorrendo quello stretto corridoio sconosciuto a passo di marcia. “O un bambino incapace di combattere, assurdo! Io sono il Principe dell’Aquila, erede al trono di Shiratorizawa e non c’è nulla che… Aaah!”
Tsutomu fece aderire la schiena alla parete di pietra cercando alla cieca l’elsa della sua spada e non trovandola. Al contrario, il giovane che era sbucato da dietro l’angolo senza preavviso non esitò un istante ad incoccare una freccia e puntargliela contro. Impiegarono una manciata di secondi per riconoscersi.
Tobio fece una smorfia ed abbassò l’arco. “Che diavolo ci fai qui?”
Tsutomu prese un respiro profondo obbligandosi a recuperare il controllo di sé. “Potrei dirti la stessa cosa!” Sbottò.
Tobio inarcò un sopracciglio. “Davvero?”
Il Principe dell’Aquila dischiuse le labbra, poi si fermò a riflettere per un istante. Sbuffò. “Certo,” disse con evidente astio. “La minaccia di un drago incombe su di noi ed il Principe Demone corre a prendere arco e frecce per risollevare la situazione e salvare il suo Regno. È già leggenda prima ancora che accada, no?”
Tobio, però, si era già voltato per proseguire la sua marcia. “Andiamo, Shouyou.”
Tsutomu non fece caso al fatto che si era rivolto ad una terza persona. Tutto quello a cui riuscì a dare importanza fu il fatto che lo aveva superato come se fosse nessuno. “Ehi!” Sbottò puntando un indice accusatorio contro il Principe Demone. “Dove credi di andare?” Qualcuno andò a sbattere contro la sua spalla.
“Oh!” Esclamò un piccoletto dai capelli di un colore acceso. “Domando scusa! Tobio, aspetta!”
Tsutomu sbatté le palpebre un paio di volte. “Shouyou?”
Il fanciullo si fermò un paio di passi dopo e si voltò a guardarlo. “Tsutomu!” Esclamò con un sorriso. “Stai bene? Non ti è successo nulla di male?”
Il Principe dell’Aquila scosse la testa. Poco più avanti, Tobio sbuffò e tornò sui suoi passi. “Non fare lo stupido, Shouyou. Non c’è tempo di fare conversazione!”
Tsutomu passò lo sguardo da un Principe all’altro. “Tu…” Provò a parlare rivolgendosi all’erede al trono di Seijou. “Tu stai portando lui con te, contro il drago?!” Sbottò, infine.
“Sì!” Esclamò Shouyou con un’euforia completamente fuori luogo. “Io posso aiutare!”
Tsutomu sgranò gli occhi e guardò il Principe Demone. “Sei completamente impazzito?”
Shouyou smise di sorridere. “Perché?” Domandò imbronciandosi.
Tobio sbuffò ancora ed afferrò il polso del Principe dei Corvi. “Muoviti o ti lascio qui!”
“Sei completamente impazzito, Tobio?” Tsutomu non riusciva a credere alle sue orecchie. “Non è né un Cavaliere né un Arciere! Lo farai ammazzare!”
Shouyou si liberò dalla stretta dell’altro. “Io posso combattere!” Esclamò.
“Tsutomu, non ti mettere in mezzo,” disse Tobio con voce gelida. “Stiamo facendo una prova di fiducia qui e non ti riguarda!”
Il Principe dell’Aquila inarcò le sopracciglia. “Prova di fidu… Oh, andiamo! È un’idiozia!”
Tobio afferrò di nuovo il braccio di Shouyou e riprese a camminare. “Non gli serve il tuo permesso per fare lo stupido!”
Shouyou annuì. “Esatto, non mi serve il tuo permesso per…” Si bloccò e guardò Tobio di traverso. “Cosa?!”
“Vengo anche io!” Esclamò Tsutomu con aria solenne. “Io sono il Principe dell’Aquila! Io sono…”
Shouyou lo guardò confuso. “Lo sappiamo chi sei. Perché ce lo ripeti?”
Il Principe dell’Aquila aprì di nuovo la bocca, poi fece un gesto seccato con la mano. “Aspetta…” Venne interrotto da un ruggito tanto forte che ebbe il potere di far tremare le pareti di pietra.
 
 
***
 
 
Durò non più di qualche secondo ma il silenzio che seguì fu terribile.
Tetsuro allontanò le mani dalle orecchie molto lentamente, gli occhi rivolti verso l’alto. “Ti ricorda qualcosa?” Domandò rivolgendosi all’amico con la schiena premuta contro la sua.
Anche gli occhi di Koutaro erano rivolti verso l’alto soffitto. “Sì…” Rispose con voce terribilmente seria. “Sì e non mi piace…”
L’eco di una serie di passi frettolosi fece sobbalzare tutti. Kenjirou fu il primo a sospirare nel riconoscere il suo Re scendere le scale dei piani nobili. “Mio signore…”
Tooru lo ignorò completamente e si avvicinò a Koutaro e Tetsuro. “Hajime è con voi?”
Entrambi scossero la testa. “Non lo vediamo dal ballo,” aggiunse Tetsuro.
Il Re Demone annuì. “Bene. Meglio così.”
Koutaro inarcò le sopracciglia. “Hai un piano?”
“Sì,” rispose Tooru. “Ce l’ho.”
Tetsuro incrociò le braccia contro il petto. “Un piano che a Hajime non piacerebbe, immagino.”
Tooru gli rivolse un sorriso sarcastico. “Non me la ricordo nemmeno l’ultima volta che io ed il mio Cavalieri siamo stati d’accordo su di un piano,” replicò.
“Vostra Maestà…”
Il Re Demone si voltò e vide che Kaname si era avvicinato ai suoi uomini. Futakuchi aveva l’espressione di chi, alla fine, vedeva con i propri occhi qualcosa che aveva solo osato sperare in silenzio. L’uomo che era stato il Re di Dateko gli sorrise amichevolmente e gli posò una mano sulla spalla. “Sono onorato di poter combattere di nuovo al tuo fianco.”
Futakuchi sembrava sul punto di mettersi a piangere per l’emozione. “Non dovreste…”
“Non dimenticare chi ti ha insegnato a tirare con l’arco, Kenji,” lo interruppe Kaname con gentilezza. “Takanobu e gli altri sono al sicuro?”
Futakuchi annuì. “Ho dovuto minacciarli ma si sono tolti dai piedi, alla fine.”
Kaname sorrise. “Va bene così.”
“Già…” Intervenne Tooru interrompendo quella scenetta fin troppo commuovente per i suoi gusti. “Non ci serve nessun altro qui. Solo uno può abbattere questo drago.”
Tetsuro ghignò. “Hai un candidato?” Mormorò.
Koutaro storse la bocca. “Non saprei…”
 
 
***
 
 
Daichi strinse le labbra e scosse la testa. “Non l’ho mai toccato in vita mia, lo giuro” sibilò camminando stancamente lungo l’ennesimo corridoio semi-buio e completamente vuoto. “Non appena lo trovo, però… Lo prendo a schiaffi. Sì, tutti gli schiaffi che non gli ho dato in quindici anni di vita!”
“Non lo fare,” replicò Hajime. “Io ne ho dati pochi e ti giuro che mi brucia ancora la mano, mentre Tobio ha continuato a fare di testa sua come se non lo avessi mai toccato.”
“Li avremmo cresciuti troppo liberi?” Si domandò Daichi e gli vennero subito in mente una o due risposte saccate che Koushi avrebbe potuto dargli.
Hajime scrollò le spalle. “Beh… Alla loro età abbiamo combattuto per la nostra di libertà, in un certo senso,” portò lo sguardo sulla finestra e gli mancò il respiro per un istante. “Daichi…”
Il Re dei Corvi si avvicinò. “Cosa?”
Sotto di loro vi erano i giardini reali e, nonostante l’oscurità, fu impossibile non distinguere il mantello rosso di Tobio o il colore dei capelli di Shouyou. Daichi lasciò andare un sospiro di sollievo. “Maledizione…” No, non avrebbe mai toccato suo figlio nemmeno se lo avesse fatto completamente uscire di senno dalla rabbia, ora lo sapeva. “Come usciamo di qui?”
Hajime fece un cenno col capo verso la sua destra. “Vieni, passiamo per…”
Qualcosa di enorme passò davanti alle finestre. Fu un istante, una sagoma nera nel buio e nulla di più ma sia il Re che il Cavaliere scattarono all’indietro ritrovandosi con la schiena premuta contro il muro di pietra. “Maledizione!” Sbottò Hajime. “Maledizione! Maledizione! Maledizione!”
“Che diavolo era?” Domandò Daichi completamente in panico.
“Non lo so… Una coda?” Hajime scosse la testa. “Non ha importanza! Andiamo a prendere i ragazzi, seguimi!”
 
 
***
 
“Esattamente quale è il piano?” Domandò Tsutomu entrando per ultimo nella torre.
Tobio era in testa al piccolo gruppo, Shouyou solo un paio di passi dietro di lui.
“Sei con noi da dieci minuti e hai parlato più di questo stupido qui in tre settimane!” Esclamò il Re Demone annoiato.
Shouyou s’imbronciò. “Ma perché mi devi insultare anche quando ce l’hai con lui?”
Tobio non si preoccupò di rispondere e continuò a salire le scale due a due. Sentiva le dita di Shouyou strette intorno alla stoffa del suo mantello e questo gli assicurò che era proprio dietro di lui, mentre Tsutomu continuava a lamentarsi a qualche passo di distanza.
Raggiunsero il pianerottolo della stanza delle corone. Tobio lanciò un’occhiata veloce alla porta chiusa ed andò avanti. Shouyou fece lo stesso, poi sollevò gli occhi sulla nuca del Principe Demone. “Che cosa c’è più su?”
“Il sottotetto,” rispose Tobio. “C’è una botola per uscire all’esterno.”
Tre gradini più in basso, Tsutomu sgranò gli occhi. “Vuoi uscire sul tetto?” Domandò a voce troppo alta. “Vuoi metterti in posa per morire carbonizzato?”
“Dovrei prima assicurarmi di avere un buon equilibrio,” replicò Tobio.
Tsutomu sollevò le braccia esasperato. “Allora vuoi fare un salto nel vuoto!”
Tobio si fermò e lanciò un’occhiata al piccoletto dietro di lui da sopra la sua spalla. “Non ho paura del vuoto…” Mormorò e Shouyou gli rispose con un sorriso sicuro.
“Qui sono tutti pazzi…” Borbottò il Principe dell’Aquila ma questo non gli impedì di andare avanti.
Shouyou lasciò andare il mantello di Tobio non appena riuscì a distinguere le travi del tetto e vide la botola quadrata proprio sopra al punto in cui terminavano le scale. “Ci siamo…” Mormorò Tobio guardandolo. “Se ho ben capito, tu puoi impedirmi di cadere nel vuoto.”
Shouyou annuì.
“Ma non puoi dirmi come hai intenzione di fare.”
Il Principe dei Corvi lanciò una breve occhiata a Tsutomu, poi scosse la testa. Tobio guardò l’erede al trono di Shiratorizawa con espressione astiosa e l’altro rispose con una smorfia. “Cosa vuoi?” Domandò irritato. “Col cavolo che ti lascio compiere un’altra grande impresa con un drago mentre io me ne sto in un sotterraneo come l’ultimo dei codardi!” Esclamò, anche se aveva la netta sensazione di essere di troppo.
Tobio si tolse il mantello da sopra le spalle e lo lasciò cadere a terra. “Se le cose si mettono male,” disse guardando Shouyou dritto negli occhi, “corri…”
Shouyou s’imbronciò. “Io non scappo.”
“Non ti ho chiesto di scappare,” replicò Tobio. “Ti ho ordinato di correre. È la stessa differenza tra coraggio e stupidità, cerca di tenerlo a mente…”
“Questa è stupidità,” intervenne Tsutomu.
Tobio lo ignorò, prese un respiro profondo e portò la mano sulla maniglia della botola. “Bene…”
Shouyou rabbrividì quando l’aria della notte lo investì. Tobio appese l’arco alla spalla ed uscì all’esterno facendosi leva sulle braccia. Rimase accovacciato sul tetto cercando l’equilibrio, gli occhi blu rivolti verso il Castello Nero.
“Tobio,” Shouyou si portò sotto la botola. “Vedi qualcosa?”
Il Principe Demone rimase in silenzio per un lungo istante.
“Ehi, idiota, ti sei mangiato la lingua?” Domandò Tsutomu con aria strafottente.
Shouyou lo guardò storto. “Fai silenzio!” Esclamò, poi tornò a rivolgersi al Principe Demone. “Tobio?”
Gli occhi blu del Principe Demone erano divenuti grandi per quella che avrebbe potuto essere paura.
“Tobio?” Chiamò ancora una volta.
Il Principe Demone riportò la sua attenzione su di lui. “Devi giurarmi che non urlerai.”
Shouyou scosse la testa. “Non ho paura.” Mentiva.
“Non essere stupido,” replicò Tobio. “Avrai paura e ne avrai tanta ma non devi urlare per nessuna ragione al mondo.”
Shouyou strinse le labbra ed annuì. “Lo giuro…”
Il Principe Demone lo scrutò per un istante ancora, poi allungò una mano. “Vieni…”
Shouyou la strinse e lasciò che l’altro lo aiutasse a salire sul tetto. Chiuse gli occhi per un istante nel sentire l’aria fredda contro il viso, poi si ritrovò a fissare un orizzonte sconfinato, come quello che era abituato a vedere dall’alto delle torri del suo castello sulle montagne.
Sentì una mano afferrargli la spalla. “Da questa parte…” Mormorò Tobio.
Shouyou si voltò ma lo fece troppo velocemente. Pur nell’oscurità riuscì a vedere molto bene quello da cui Tobio lo aveva messo in guardia. Sentì il respiro morirgli in gola e questo gli impedì di gridare, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Indietreggiò in un gesto istintivo.
“Stupido…” Sibilò Tobio circondandogli le spalle con un braccio.
Shouyou guardò oltre la sua spalla e si accorse di essere quasi ricaduto dentro la botola.
“Sei hai paura vattene ora,” disse Tobio vicino al suo orecchio.
Il Principe dei Corvi lo guardò dritto negli occhi, poi rivolse la sua attenzione alla creatura che se ne stava sul tetto del Castello Nero. Era scura, non poteva essere certo del suo colore ma era enorme, con la testa rivolta verso la Capitale come se stesse aspettando qualcosa. Muoveva la lunga coda ritmicamente, come un pendolo gigantesco.
Shouyou non osava immaginare come sarebbe stato se avesse deciso di aprire le ali.
Tobio si alzò in piedi e gli diede una mano a fare lo stesso. Dietro di loro, Tsutomu si mise in punta di piedi cercando di sbirciare la scena all’esterno. “Che cosa succede?” Domandò.
“Fa silenzio, Tsutomu,” replicò Tobio. Si tolse la faretra dalla spalla, ne prese una freccia e gettò le altre dentro la botola colpendo il Principe dell’Aquila dritto in testa. Shouyou lo guardò confuso per quel gesto. “Tengo meglio l’equilibrio con le spalle libere,” spiegò il Principe Demone. “Non avrò possibilità di tirare un secondo colpo comunque.”
Shouyou non riusciva proprio a spiegarsi come facesse a restare così calmo. “Sei tanto sicuro di vincere?” Non voleva suonare arrogante ma Tobio lo guardò in modo gelido. “Devo,” rispose. “Se fallisco qui, la mia casa verrà distrutta e la mia gente uccisa.”
Il Principe dei Corvi accennò un sorriso. “Proprio come un Re…” Mormorò.
Tobio lo guardò ma non replicò. “Devo attirare la sua attenzione.”
“Ma sì! Mettiamoci a fare i fuochi d’artificio già che ci siamo!” Sbottò Tsutomu dall’interno della botola.
“Puoi sempre andartene,” gli ricordò Tobio senza voltarsi a guardarlo.
Tsutomu si arrampicò in modo da starsene con le braccia incrociate sul bordo della botola. “E perdermi la tua disfatta?” Domandò. “Giammai!”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “So che sei antipatico per natura ma a lui in particolare che cosa hai fatto?”
“Niente,” rispose Tobio.
“Niente?”
“Niente…”
“Esisti!” Esclamò il Principe dell’Aquila per fare luce sulla questione.
”Siate maledetti…”
Shouyou si sentì mancare il fiato e si portò una mano al petto.
Tobio se ne accorse. “Ehi…”
Il Principe dei Corvi ricambiò lo sguardo e fece per rassicurare l’altro sulle sue condizioni.
”Possiate morire tutti bruciati!”
Sentì un dolore lancinante al petto e poggiò un ginocchio a terra prima di perdere l’equilibrio.
“Ehi,” Tobio gli afferrò un braccio. “Che ti prendo, adesso?”
Shouyou riuscì a sollevare lo sguardo e non fu solo terrore quello che il Principe Demone vide nei suoi occhi: le iridi si erano fatte dorate, brillanti e la pupilla verticale.
“Shouyou, che stai facendo?” Domandò di nuovo.
“Io non sto facendo niente…” Rispose il Principe dei Corvi con voce tremante.
“Lo senti anche tu, vero?” Domandò Tsutomu. “Senti la sua voce nella tua testa, Shouyou?”
Tobio nemmeno si voltò cercando di sollevare l’altro di peso. “Avanti, stupido, non puoi farti venire le gambe molli proprio ora!” Se lo strinse contro il petto e Shouyou non si ribellò in alcun modo, poi sentì che anche il respiro del Principe Demone veniva meno per un istante. “Tobio…”
Sollevò gli occhi ma Tobio continuò a fissare dritto di fronte a sé. Shouyou riportò l’attenzione sul tetto del Castello Nero e sentì la paura stringergli il petto in una morsa come vide un singolo occhio dorato rispondere al suo sguardo. “Ci ha visto…” Mormorò.
“Che vorrebbe dire che ci ha visto?!” Sbottò Tsutomu alle loro spalle. “E come ha fatto?!”
“Ha sentito me…” Sussurrò Shouyou guardando il Principe Demone. “Ha sentito me come io ho sentito lui.”
Il drago si mosse putando l’unico occhio nella loro direzione.
Ci fu un attimo d’immobilità totale, poi il mostro spalancò la bocca ed un ruggito ancor più spaventoso del primo infranse il silenzio della notte.
Per coprirsi le orecchie, Tobio lasciò andare Shouyou ed il fanciullo cadde in ginocchio scivolando pericolosamente più in basso. Il Principe Demone tornò subito in sé, lo afferrò e sollevò di nuovo prima che finisse troppo lontano dalla sua portata. Cercò d’incoccare la freccia ma si rese conto che per farlo avrebbe dovuto mollare di nuovo la presa su Shouyou.
“Maledizione…” Sibilò tra i denti, poi chiuse gli occhi e pensò, pensò… Pensò più velocemente che poteva. Prima che il grido del mostro si fosse dissolto nella notte, Tobio seppe che cosa doveva fare.
 
 
***
 
 
“Maledetto…” Sibilò Hajime allontanando le mani dalle proprie orecchie.
“Dove sono i ragazzi?” Daichi prese a guardarsi disperatamente intorno ma era come se fosse scomparsi nel nulla.
“Hajime!” Tooru scese le scale del castello di corsa seguito dal Re dell’Aquila e dai loro uomini. “Daichi…” Aggiunse nel riconoscere il Re dei Corvi.
“Shouyou non si trova,” spiegò subito il Cavaliere. “Crediamo che sia insieme a Tobio.”
“Non li avete ancora trovati?” Domandò Tooru allarmato.
“Erano qui!” Esclamò Daichi girando su se stesso. “Non possono essere spariti…”
“Tooru…” Chiamò Wakatoshi.
“Cosa?” Domandò il Re Demone guardandolo.
“La torre…”
Gli occhi di tutti si sollevarono ma Tooru fu il primo a reagire. “No…” Disse con un filo di voce. “No, questo no…”
“Veloci!” Ordinò Hajime prendendo a correre tra i corridoi di siepi dei giardini, Daichi al suo fianco. Gli altri guerrieri lo seguirono senza esitare. Tooru non era riuscito a muovere un passo, congelato dalla vista di Tobio e Shouyou in bilico sul vuoto. Bastava un passo falso e…
Il Principe dei Corvi poteva pur avere delle ali ma il Principe Demone era solo un essere umano!
Doveva arrivare lassù e doveva farlo in fretta.
“Wakatoshi!” Tooru si voltò.
Kenjirou era ancora lì ma il Re dell’Aquila non c’era più.
 
 
***
 
 
“Shouyou, incocca la freccia…” Ordinò.
Il Principe dei Corvi non comprese immediatamente, poi Tobio lo costrinse con la schiena contro il suo petto. Shouyou si ritrovò con le dita stretta sulla freccia e l’arco, le mani del Principe Demone coprivano le sue. “Che cosa stai facendo?” Domandò terrorizzato. “Che intenzioni hai, Tobio?”
“Smettila subito di tremare!” Esclamò Tobio. “Tu non devi fare nulla, solo restare fermo e penso a tutto io. Non ti reggi in piedi, idiota. Non posso sorreggerti e lanciare contemporaneamente.”
“È una follia!” Urlò Tsutomu alle loro spalle. “Tobio, scendi subito! È una follia!”
Tobio riuscì a vedere chiaramente il drago tendere i muscoli delle zampe un istante prima di aprire le ali. Shouyou si morse il labbro inferiore per evitare di gridare. “Tobio…”
“Stai zitto!” Esclamò il Principe Demone. “Volevi una prova di fiducia? Bene, io non ho altra scelta che fidarmi di te e tu sei nella stessa identica posizione!”
“Come fai a sapere dove colpire?” Domandò Shouyou. “È troppo buio…”
“Appunto,” Tobio fissò lo sguardo sull’unico occhio dorato. “Il bersaglio è l’unico punto visibile.”
Shouyou non replicò. Una lacrima gli solcò la guancia ma non cedette e non abbassò lo sguardo neanche per un istante.
Accadde tutto in un istante.
Sia Shouyou che Tobio, però, avrebbero potuto descrivere ogni respiro nel minimo dettaglio.
La bestia si staccò dal tetto del castello con le fauci spalancate ed entrambi i Principi riuscirono a vedere lo scintillio delle fiamme in fondo alla sua gola. Il bersaglio, però, era ancora troppo lontano.
“Non ancora, non ancora,” continuava a sussurrare Tobio all’orecchio di Shouyou. “Fidati di me, non ancora…”
Tsutomu continuava ad urlare frasi sconnesse.
Tutto durò un istante, solo un istante… Sembrò un’eternità.
“Ora!” Ordinò il Principe Demone ed il Principe dei Corvi ubbidì.
Fu un movimento minimo. Perfetto.
L’occhio dorato del drago venne inghiottito dal buio della notte e la fauci si richiusero. Le ali si ripiegarono su loro stesse e la bestia perse quota.
Tobio e Shouyou ebbero appena il tempo di capire quello che stava per accadere.
Il corpo del drago si schiantò contro la torre e questa crollò come se fosse fatta di carta.
Quello che seguì fu un salto nel vuoto.
 
 
***
 
 
Tooru riprese conoscenza all’alba.
Si ritrovò ad osservare le ultime stelle visibili per alcuni istanti, prima che il sole comparisse all’orizzonte. Ci volle un po’ perché si riuscisse a parlare. “Sono ancora vivo?” Non lo credeva possibile, non dopo aver visto il drago cadere e quella torre crollargli praticamente addosso. Cercò di muovere le dita di mani e piedi: fece male ma almeno seppe di avere ancora sensibilità agli arti.
“Sì, sei vivo…” Mormorò una voce stanca accanto a lui.
Tooru allontanò gli occhi scuri dal cielo ormai azzurrognolo. “Koushi…”
Il consorte reale del Regno di Karasuno era pallido ed aveva gli occhi stanchi e gonfi di chi ha passato troppo tempo a piangere. “Stanno soccorrendo i feriti più gravi. Non hanno ancora avuto tempo di portarti in camera tua.”
Tooru strinse le labbra e tentò di sollevarsi a sedere e Koushi gli circondò le spalle con un braccio per aiutarlo. Lo aveva depositato su una di quelle barelle che usavano sui campi di battaglia. Si portò una mano alla testa e si rese conto che era fasciata. “Ci sono molti feriti?” Domandò.
Koushi scosse la testa. “No, per fortuna. Qualcuno è ridotto peggio di altri ma nessuno sembra essere in pericolo di vita.”
“Hajime?”
“Sta bene,” lo tranquillizzò Koushi. “Lui è Daichi hanno visto la torre cadere in pezzi sopra di loro ma non sono stati colpiti da detriti.”
Tooru chiuse gli occhi e prese un respiro profondo: poco importava che la testa sembrasse scoppiargli, fin tanto che il suo Cavaliere si reggeva sulle proprie gambe andava tutto bene.
Fu allora che si ricordò del resto...
“Tobio?” Domandò sollevando le palpebre. Guardò Koushi e vide che gli occhi dell’altro erano pieni di lacrime. “Koushi…” Mormorò il Re Demone con evidente timore. “Dove sono Tobio e Shouyou?”
Koushi strinse le labbra e tirò su col naso. “Daichi e Hajime sono andati a cercarli nella foresta…” Rispose con voce tremante. Era evidente che temeva il peggio.
Tooru si morse il labbro inferiore e si guardò intorno: i giardini reali erano un cimitero di macerie e ciò che rimaneva della torre copriva l’orizzonte. “Stanno bene,” dichiarò e non si sarebbe permesso di pensarla diversamente fino a che non gli avrebbero portato il cadavere di suo figlio. “Sono insieme, quindi stanno bene.”
“Mi hanno detto che erano sul tetto di quella torre, Tooru,” disse Koushi chinando la testa.
“Lo so…”
“Chi può sopravvivere ad una caduta del genere?”
Il Re Demone lo guardò. “Qualcuno in grado di volare…”
Koushi sollevò lo sguardo ed i suoi occhi parvero pieni di speranza per un istante, uno solo. “Questo può valere per Shouyou ma…”
“Tobio sta bene,” concluse Tooru con tono di chi non ammette repliche. “Erano insieme su quella torre. Stanno bene.”
Koushi strinse le labbra e si costrinse ad annuire e crederci.
“La tua bambina?” Domandò Tooru.
“Piange,” rispose il consorte reale. “Vuole suo fratello. L’ho lasciata con le mie dame. Il resto della mia gente sta bene. Alcuni di loro hanno seguito Daichi e Hajime.”
“Ti ringrazio…”
“Non devi, anche i tuoi Cavalieri sono nella foresta in questo momento,” disse Koushi. “E quelli di Shiratorizawa.”
Tooru inarcò le sopracciglia e si guardò intorno. “Dove è Wakatoshi?”
“Insieme a Daichi e Hajime.”
“Perché?”
“Tsutomu non si trova,” disse Koushi. “Satori dice che gli è sfuggito durante il caos della notte scorsa.”
Tooru sgranò gli occhi. “Era su quella torre?”
“Pensiamo di sì…”
Il Re Demone strinse gli occhi e si passò una mano tra i capelli con frustrazione. “Maledizione…”
 
 
***
 
 
Le dita di Tobio erano ancora strette intorno all’arco quando recuperò i sensi.
La prima cosa che vide fu il cielo terso del primo mattino e solo dopo si rese conto di essere completamente bagnato. Si sollevò ingoiando aria come se avesse appena rischiato di annegare ma l’acqua del laghetto a stento arrivava all’altezza delle sue ginocchia.
Gli occhi blu erano sgranati, il fiato corto ed il cuore galoppante.
Per un attimo, Tobio credette che le gambe non lo avrebbero retto e si sedette sulla sponda del laghetto lasciando cadere l’arco sull’erba. Prese un paio di respiri profondi nel tentativo di calmare il battito impazzito nel suo petto. Si portò una mano alla scollatura della camicia e restò immobile a sentire la cassa toracica vibrare sotto il palmo della sua mano.
Prese a tremare senza rendersene conto, le lacrime scesero spontanee dagli occhi blu ed il Principe non fece nulla per fermarle. Abbassò il viso prendendosi la testa tra le mani e singhiozzando senza vergogna. “Maledizione!” Imprecò. “Maledizione! Maledizione!”
A chi si stesse rivolgendo non era chiaro neppure a lui. Semplicemente, sentiva qualcosa di pesante nel petto e sapeva di doverlo tirare fuori in qualche modo o sarebbe impazzito.
Era morto…
Per un attimo, quando aveva sentito la terra mancargli sotto i piedi, aveva creduto che sarebbe morto. Dopo, però, gli era parso di volare
Si asciugò il viso con la manica della camicia in un movimento rabbioso, poi afferrò il suo arco e si sollevò in piedi. Tremava ancora ma decise d’ignorarlo.
Sollevò lo sguardo dove le chiome degli alberi non coprivano completamente il cielo: riusciva a vedere l’altura del Castello Nero sopra di lui e questo gli permise di orientarsi un poco. Doveva essere caduto nella parte più folta della foresta ma almeno era ancora vicino a casa.
Tobio si guardò intorno ed una macchia rossa attirò immediatamente la sua attenzione.
Sospirò. “Non ci posso credere…” Sibilò quasi scocciato nel vedere il mantello scarlatto degli eredi al trono di Seijou appeso al ramo di un albero. Ne afferrò l’orlo e tirò. La faretra di cui si era liberato sulla cima della torre gli cadde in testa ed imprecò ad alta voce. “Non ci posso proprio credere…” Aggiunse mettendosi la faretra in spalla. Un’intera costruzione era andata distrutta a causa di un drago e, dopo un salto nel vuoto, le gambe reggevano ancora, aveva ancora quello stupido mantello ed un arco perfettamente funzionante.
Si mise il mantello sulle spalle per combattere un brivido di freddo. Se l’avesse raccontato, nessuno ci avrebbe creduto.
Forse, solo Shouyou…
Tobio sentì il fiato morirgli in gola per un istante. Prese a guardarsi intorno con urgenza e capire di essere completamente da solo non fece che peggiorare il senso di panico che sentiva stringergli il petto istante dopo istante. “Shouyou!” Tuonò con quanto fiato aveva in gola. “Shouyou!”
Era fuori di sé dalla rabbia.
“Shouyou!”
Qualcosa si mosse di colpo da qualche parte. Tobio scattò all’indietro facendo aderire la schiena al tronco di un albero. Tremava di nuovo e si odiò per questo. Sapeva di aver colpito l’occhio del drago e questo lo aveva sicuramente privato della vista ma lo aveva ucciso? La freccia avrebbe dovuto penetrargli il cranio e non era certo di aver messo tanta forza nel colpo.
Una bestia dolorante ed acciecata non era il genere di creatura di cui volesse attirare l’attenzione. Non fu facile recuperare una freccia dalla faretra a causa delle dita tremanti ma strinse i denti e riuscì ad incoccarla. Per un lungo momento, Tobio riuscì solo ad udire il proprio respiro accelerato.
“Stai calmo,” mormorò a se stesso. “Stai calmo…”
Non ci riuscì e la rabbia che seguì non fu d’aiuto ai suoi nervi.
Qualcosa si mosse alla sua destra. Riuscì a vederla solo con la coda dell’occhio ma si spostò fulmineamente e tirò la freccia senza riflettere.
Tobio vide chiaramente il corvo solo dopo averlo colpito. Ebbe appena il tempo di scorgere la piccola figura scura cadere a terra a poca distanza da lui, tra i cespugli.
Prese un respiro profondo e rilassò le spalle. “Idiota…” Disse a se stesso. Fece per voltarsi, per tornare al laghetto e decidere quale fosse la direzione più giusta da prendere per tornare a casa il più presto possibile e cercare aiuto. Se Shouyou era in quella foresta non lo avrebbe mai trovato da solo.
Uno strano suono lo fermò.
Tobio riportò lo sguardo sui cespugli dietro a cui era caduto il corvo e tese le orecchie. Udì un altro suono identico al primo, come il singhiozzo di un bambino in lacrime. Allungò una mano alle sue spalle e recuperò un’altra freccia. Si mosse in avanti lentamente.
Era un cacciatore ed era nella sua natura muoversi senza far rumore.
Forse, era solo il corvo ferito che si lamentava. Forse, le sue dita avevano tremato troppo e la freccia non aveva colpito un punto vitale.
Se fosse stato più onesto con se stesso, Tobio avrebbe semplicemente ammesso che aveva paura.
Superò i cespugli e sollevò l’arco ancor prima di vedere chiaramente contro cosa lo stava puntando.
Se la sua mano fosse stata ferma come lo era di solito, Tobio avrebbe abbattuto la preda e le sue mani si sarebbe sporcate di sangue in modo indelebile.
Per un attimo, Tobio provò lo stesso senso di vertigine che gli aveva spezzato il respiro quando aveva sentito la torre crollare sotto i suoi piedi e si era ritrovato ad agitarsi nel vuoto, senza via di scampo. Ricordava di aver cercato gli occhi di Shouyou e di non averli trovati.
Ora, però, aveva entrambi i piedi a terra e le iridi d’ambra del Principe dei Corvi erano tanti grandi e vive da sembrare che brillassero di luce propria.
“To-Tobio…”
Udire la voce di Shouyou fu per Tobio la conferma che non stava sognando ma questo non fu sufficiente a dare una spiegazione a tutto il resto.
La freccia aveva colpito il tronco dell’albero contro cui Shouyou era raggomitolato. Non aveva alcun vestito addosso e le piccole spalle erano scosse violentemente dai singhiozzi. Era pallido come non lo era mai stato.
Tobio lasciò andare l’arco e cadde in ginocchio, schiacciato dalla forza di una stanchezza che non aveva percepito prima di quel momento. Aveva gli occhi sgranati e non riusciva a respirare. “Shouyou…” Disse con un filo di voce.
Il Principe dei Corvi piangeva disperatamente rannicchiato in posizione fetale. Allontanò gli occhi dai suoi e nascose il viso tra le braccia. Solo allora, Tobio vide lo squarcio sulla sua spalla.
“Sei ferito!” Esclamò ed allungò una mano.
Gli occhi di Shouyou erano rabbiosi quando tornò a guardarlo. “Non mi toccare!” Urlò, come se l’altro l’avesse minacciato in qualche modo.
La mano di Tobio rimase bloccata a mezz’aria. “Sto solo cercando di aiutarti, stupido!” Replicò duramente.
“Non mi toccare…” Singhiozzò Shouyou nascondendosi di nuovo dall’altro. “Non mi toccare…”
Tobio riadagiò il braccio lungo il fianco e provò a mettere insieme gli ultimi avvenimenti in modo che assumessero un senso, uno qualunque. Doveva o sapeva che sarebbe impazzito. Si prese la testa tra le mani, chiuse gli occhi e cercò di pensare razionalmente: aveva tirato la freccia ad un corvo, lo aveva colpito ed ora Shouyou era ferito.
La risposta che cercava era tanto semplice da essere incredibile.
Tobio sollevò lo sguardo: Shouyou piangeva ancora e non aveva la minima idea di cosa fare per calmarlo. Sapeva come farlo smettere di tremare, però. Si tolse il mantello rosso dalle spalle e si sporse in avanti per coprirci il fanciullo completamente nudo.
Shouyou smise di singhiozzare di colpo e sollevò gli occhi d’ambra su quelli dell’altro. La rabbia si era dissolta lasciando il posto allo smarrimento. “Copriti…” disse Tobio. “Stai tremando.”
Shouyou si mosse lentamente avvolgendosi il mantello rosso intorno alle spalle. “Grazie…” Sussurrò.
Tobio non rispose e si alzò in piedi, slacciò velocemente i bottoni della camicia e se la tolse di dosso. Non si accorse di come gli occhi di Shouyou divennero grandi a quel gesto. “Che stai facendo?” Domandò.
Il Principe Demone si portò la stoffa alla guancia: era ancora umida ma se la sarebbero fatta bastare. Afferrò l’orlo e ne strappò un lungo lembo, poi tornò accanto all’altro fanciullo. “Scopri la spalla ferita.”
Shouyou ubbidì ma fece attenzione a tenere il mantello stretto al petto con la mano libera.
Tobio analizzò la ferita velocemente. “Ti ho preso di striscio,” disse sollevato.
Gli occhi d’ambra lo guardarono confusi.
“Sono stato io, no?” Tobio cercò di non guardarlo in faccia di proposito. “Per questo non volevi che ti toccassi…”
Shouyou continuò a rimanere in silenzio. Strinse appena le labbra quando Tobio passò la camicia sulla ferita per pulirla. “Stai fermo!” Esclamò il Principe Demone irritato. Shouyou lo guardò storto ma non replicò.
Tobio recuperò il lembo di stoffa che aveva strappato. “Dovrò stringere e farà un po’ male,” avvertì.
Shouyou annuì. Le dita di Tobio erano calde sulla sua pelle ed era piacevole dopo tutto quel freddo. Fu insolitamente gentile ed il fastidio fu sopportabile. “Ecco fatto,” disse il Principe Demone annodando gli orli della stoffa lacerata per tenere ferma la fasciatura. “Fino al castello dovrebbe bastare.” Si sforzò a guadarlo negli occhi. “Stai meglio?”
Shouyou annuì e tornò a raggomitolarsi sotto il mantello e contro il tronco dell’albero.
Tobio si umettò le labbra e si guardò intorno. “Pensi di riuscire a camminare?”
Shouyou scosse la testa senza guardarlo.
“Hai perso la lingua per caso?” Domandò Tobio irritato. Shouyou lo guardò storto, gli occhi grandi ancora pieni di lacrime. “Lo stai facendo a posta?” Domandò.
“A fare cosa, stupido?”
“A non parlarne!” Esclamò il Principe dei Corvi. “A fare finta di niente…” Aggiunse, mentre le lacrime gli rigavano di nuovo le guance.
Tobio lo guardò fisso. “È per colpa mia che stai piangendo?”
“S-Sì…”
“La ferita fa così male?”
“N-No…”
“Allora cos’hai?!” Sbottò Tobio esasperato.
Shouyou prese un respiro profondo e cercò di calmarsi. “Volevi uccidermi…” Mormorò con voce tremante.
Il Principe Demone dischiuse le labbra ma poi si fece immobile e si voltò in preda alla frustrazione. “Maledizione…” Sibilò. Chiuse gli occhi e s’impose di mantenere il controllo. “Mi disp… Mi disf… Mi dip…”
“Ti dispiace?”
Tobio sobbalzò, sebbene Shouyou avesse parlato a bassa voce.
Il Principe dei Corvi si era tirato in piedi ma il suo viso era decisamente pallido e Tobio sapeva che non sarebbe arrivato lontano. Sembrava ancor più piccolo avvolto nel suo mantello.
“Possiamo parlarne?” Domandò il Principe Demone.
“Ora?” Chiese Shouyou abbassando gli occhi su di sé ed arrossendo.
Tobio scosse appena la testa. “No…” Non avrebbe accettato nessuna verità nello stato in cui versava ora. Doveva prima smettere di tremare. “Dobbiamo tornare al castello… Dobbiamo tornare dai nostri genitori.”
“Sì, hai ragione,” Shouyou fece un passo in avanti ma la testa gli girò, perse l’equilibrio e non sentì più la terra sotto i piedi per un istante. Due braccia forti lo afferrarono prima che cadesse.
“Stupido…” Udì mormorare Tobio.
Le stesse braccia che lo avevano sorretto lo sollevarono da terra senza sforzo.
“Dovevi dirmelo che non riesci a camminare.”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quelli blu del Principe Demone. “Te l’ho detto,” replicò ma non era arrabbiato. “Tu, però, non mi ascolti mai.”
Tobio s’imbronciò. “Non sei proprio nella posizione per dirmi una cosa del genere.”
Per un attimo, Shouyou fece per dargli dell’antipatico per l’ennesima volta da quando si conoscevano ma si calmò subito e sorrise. Tobio se ne accorse solo qualche passo dopo. “Cosa c’è?” Domandò.
Il Principe dei Corvi scosse la testa. “Niente…”
“Ancora segreti?” Chiese il Principe Demone. “Non è troppo tardi, ormai?”
“Sì, è troppo tardi davvero…” Mormorò Shouyou in risposta. “Per questo sorrido.”
Tobio lo guardò senza comprendere ma decise che avrebbe rimandato anche quella verità a più tardi. “Torniamo a casa…”



 

 

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Capitolo 28
*** Di scelte e bugie ***


25
Di scelte e bugie


 
 
 
Tsutomu lo aveva sognato.
Non gli aveva dato alcuna importanza.
Aveva attribuito quegli incubi all’esperienze a cui era sopravvissuto per miracolo e non ne aveva parlato con nessuno.
“Tsutomu…”
Forse, era stato un errore.
“Tsutomu, guardami…”
Il Principe dell’Aquila sollevò gli occhi chiari sul viso del Re. Non appena aveva ripreso conoscenza, aveva trovato suo padre accanto a lui ed il suo mantello violaceo addosso. Non aveva idea di dove fossero finiti i suoi vestiti ma non gliene importava. Aveva appoggiato la schiena al tronco di un albero vicino ed era rimasto lì, accovacciato, incapace di dire o di pensare qualsiasi cosa.
Nell’ultimo istante di lucidità che aveva avuto, Tsutomu aveva chiuso gli occhi e si era reso conto che avrebbe dovuto dare importanza a quegli incubi, avrebbe dovuto vedervi più di un riflesso inconscio delle sue paure.  
“Tsutomu,” lo chiamò suo padre ancora una volta stringendogli una spalla in un gesto rassicurante.
Il Principe dell’Aquila sbatté le palpebre un paio di volte, poi guardò il suo Re dritto negli occhi e Wakatoshi seppe che era di nuovo in sé. Tsutomu non disse nulla, si limitò a sollevare lo sguardo sull’enorme figura scura a pochi metri di distanza da loro. Erano crollate decine di alberi nello schianto ed era stato molto fortunato a non essere investito nel processo.
Tsutomu poteva vedere chiaramente l’ossatura delle ali sotto la pelle nera del mostro e le squame lucide della lunga coda inanimata. Era grande ma non così grande come gli era apparso nel buio.
“È morto,” lo rassicurò suo padre. “La freccia che ha colpito l’occhio buono è arrivata fino al cervello.”
Tsutomu continuò a guardare fisso di fronte a sé come se non lo avesse udito.
“È stato il Principe Demone a scoccarla, vero?”
“Sì…” Rispose Tsutomu con un filo di voce. Non aveva importanza quanto lo volesse, non riusciva proprio a distogliere lo sguardo da quel cadavere enorme. “Sono morto?”
“No,” Wakatoshi gli spettinò i capelli senza cambiare espressione. “Hai volato…”
Solo allora Tsutomu riuscì a guardare il genitore negli occhi per più di un istante. “Sei stato tu?” Domandò confuso.
“No,” Wakatoshi scosse la testa. “Non sono arrivato in tempo.”
“Sono stato io?” Gli occhi del Principe dell’Aquila si fecero grandi.
“Non lo so,” ammise suo padre alzandosi in piedi. “Devi dirmelo tu…”
Tsutomu sospirò, scosse la testa e poi l’appoggiò al tronco alle sue spalle. “Non mi ricordo niente,” ammise. “Niente di niente. L’ultima cosa che ho visto è stato il vuoto sotto di me dopo il crollo della torre.”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “C’era qualcun altro?”
Tsutomu sollevò lo sguardo. “Cosa?”
“C’era qualcun altro con te e Tobio su quella torre?”
Tsutomu non ebbe il tempo di rispondere.
“Wakatoshi!”
Il Re dell’Aquila voltò lo sguardo e sollevò il collo per scrutare tra gli alberi oltre il cadavere del drago.
Il Primo Cavaliere di Seijou emerse dagli alberi a passo spedito ma si bloccarono immediatamente come videro la bestia morta che c’era tra loro.
“È morto…” Notò Hajime.
“Un’altra impresa del tuo erede, Cavaliere.”
Gli occhi verdi si sollevarono su quelli scuri del sovrano di Shiratorizawa e solo allora notò il ragazzino avvolto nel mantello violaceo. Accorgendosi di quello sguardo, Tsutomu si alzò in piedi e fece aderire la schiena al tronco dell’albero alle sue spalle come se sperasse che lo inghiottisse. Hajime superò il Re dell’Aquila senza alcun rispetto. “Dov’è?” Quasi sibilò.
Tsutomu scosse la testa spaventato ed il Primo Cavaliere lo afferrò per le spalle. “Dov’è mio figlio, ragazzino?” Qualcuno lo afferrò per la tunica e lo tirò violentemente all’indietro. Wakatoshi si frappose fra lui ed il suo erede. “Capisco il tuo stato d’animo ma mio figlio non è responsabile per le scelte del tuo.”
Hajime strinse i pugni e digrignò i denti. “Ha salvato il culo tuo e del tuo fottuto erede,” gli ricordò. “Perdonami se sono un po’ sospettoso nel vedere che il tuo moccioso si regge sulle sue gambe, mentre mio figlio è disperso.”
“Il motivo giace morto alle tue spalle, Cavaliere,” gli fece notare Wakatoshi freddamente.
“Il vigliacco che spinge i nemici nel vuoto per non affrontarli ce l’ho davanti, però,” replicò Hajime.
Tsutomu inarcò le sopracciglia: non aveva la minima idea di che cosa stesse accadendo tra suo padre e quel Cavaliere ma, di colpo, desiderò non essere lì.
“Buono, buono, Hajime…”
Tsutomu sollevò lo sguardo e non seppe descrivere il sollievo che provò nel vedere Satori, Kenjirou, Reon e gli altri uscire dagli alberi ed affiancarsi a suo padre. Il primo mise una mano sulla spalla del Re guardando il Cavaliere dritto negli occhi. “I tuoi compari non sono particolarmente bravi con le situazioni d’emergenza, vero?” Domandò con sarcasmo. “Li abbiamo incrociati che giravano intorno come galline nell’aia. Non dovresti correre nella foresta e lasciarli da soli, Hajime.”
“Chiudi quella fottuta bocca, Satori.”
Hajime sentì una mano afferrargli il braccio e tirarlo indietro di un paio di passi. Tetsuro e Koutaro comparvero alla sua destra, Takahiro ed Issei alla sua sinistra.
Satori inarcò le sopracciglia. “Sembra di essere di nuovo nella sala del trono del Castello Nero come quindici anni fa. Mancano solo quelli di Karasuno!”
“Hajime! Hajime!” Daichi corse fuori dagli alberi seguito da due dei suoi Cavalieri e superò il cadavere del drago come se non l’avesse neanche visto.
“Parli del diavolo…” Borbottò Satori.
Il Primo Cavaliere andò incontro al Re dei Corvi. “Hai trovato qualcosa?”
Daichi si limitò a mostrargli la corona rossa che, poche ore prima, il suo Re aveva posato sulla testa del loro unico figlio. Le mani gli tremavano mentre Daichi gliela lasciava prendere. “Hai trovato…?”
Daichi scosse immediatamente la testa. “Questa e quella di Shouyou erano sotto il suo mantello a poca distanza da qui ma…” Il suo sguardo incontrò quello del Principe dell’Aquila. Tsutomu abbassò il viso immediatamente come se si vergognasse. “Lui sta bene…” Aggiunse il Re dei Corvi con espressione incredula.
“Appunto…” Sibilò Hajime superando la carcassa del drago ed inoltrandosi di nuovo tra gli alberi. “Tobio!” Riprese a chiamare a gran voce. “Tobio!”
Daichi prese la direzione opposta. “Shouyou!” Gridò. “Shouyou!”
Satori inarcò le sopracciglia. “Shouyou non è il nome del piccoletto di Karasuno?” Domandò.
“È un futuro Re per diritto di sangue,” gli ricordò Tetsuro con un ghigno.
Koutaro annuì. “Conviene essere rispettosi con i giovani sovrani delle future generazioni, non si sa mai quando l’equilibrio del potere possa ribaltarsi.”
Entrambi si voltarono e ripresero le ricerche insieme al resto dei Cavalieri.
Satori sbatté le palpebre allibito. “Mi hanno minacciato?”
Wakatoshi, però, era sempre stato sordo a qualsiasi provocazione di quel tipo. La sua attenzione era stata catturata da un dettaglio a cui nessuno sembrava porre particolare attenzione. “Il Principe dei Corvi era lì?” Domandò rivolgendosi a suo figlio.
Tsutomu aprì e chiuse la bocca per un paio di volte.
“Tsutomu,” il Re dell’Aquila si portò davanti a suo figlio, “il Principe dei Corvi era sulla torre con te ed il Principe Demone?”
Il ragazzino si umettò le labbra, poi annuì un paio di volte. “Era con Tobio… Sono io che ho trovato loro e li ho seguiti.”
“Per quello prenderai tanti calci in culo più tardi,” gli assicurò Satori puntandogli l’indice contro.
“Non essere volgare,” lo riprese Kenjirou con voce neutrale.
Satori lo guardò storto. “Fai il controllato perché sei in presenza del tuo adorato sovrano, ora?”
L’Arciere si voltò dalla parte opposta.
“E non ignorarmi!” Sbottò il Cavaliere
Wakatoshi fissò il suo Principe per ancora un lungo minuto di silenzio, poi si voltò. “Torniamo al Castello Nero,” ordinò.
“Non aiutiamo con le ricerche?” Domandò Reon.
“Non ce ne è alcun bisogno,” rispose il sovrano ed i suoi occhi incrociarono per un istante quelli di Kenjirou.
Satori alzò gli occhi al cielo, afferrò il braccio di Tsutomu e lo tirò verso Reon come se fosse un sacco di patate. “Se piange per essere preso in braccio, lascia che pianga,” ordinò.
Tsutomu lo guardò storto. Reon gli avvolse le spalle con un braccio con fare protettivo e prese a camminare.
Satori aspettò un istante. Rimase a fissare la schiena del suo Re riflettendo in silenzio, poi si portò in testa al gruppetto. “Che cosa è successo?” Domandò.
Wakatoshi non rispose.
“Oh…” Satori si voltò assicurandosi che Kenjirou non fosse a portata d’orecchio. “Quindi è davvero successo qualcosa…”
“C’è qualcosa di Tsutomu che non mi hai detto?” Domandò Wakatoshi continuando a guardare dritto di fronte a sé. “È successo qualcosa nelle settimane che avete passato al Nord?”
Satori inarcò le sopracciglia. “Venivi a cercarci per un rapporto dettagliato continuamente… Non mi sarei potuto scordare qualcosa riguardo al nostro moccioso neanche volendo.”
Wakatoshi si umettò le labbra e continuò a camminare come se stessero marciando su di un campo di battaglia.
“Ehi,” Satori gli tirò un poco la manica della tunica. “Di che diavolo stiamo parlando?”
Wakatoshi lanciò un’occhiata veloce al suo Principe. “Qualcuno si è trasformato…”
Il Cavaliere si fece rigido per un istante e si sforzò di non voltarsi per guardare il loro moccioso reale. “Pensi che Tsutomu…”
“Non lo so.”
“Lui che cosa ha detto?”
“Non ricorda niente…”
Satori storse la bocca. “Beh… Anche tu eri un po’ confuso le prime volte che ti capitava, no?”
Wakatoshi lo guardò. “Io credevo di sognare, Tsutomu non ricorda nulla…”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Qualcuno deve essere pur stato,” concluse con una scrollata di spalle. “Tsutomu è qui, dopotutto. A meno che non sia stato tu…”
“No…” Wakatoshi scosse la testa. “Non sono arrivato in tempo.”
“Quindi…” Satori si guardò intorno come se qualcosa potesse spuntare fuori dagli alberi della foresta ed aggredirli da un momento all’altro. “Chi è? Chi ha dei poteri segreti qui?”
Wakatoshi strinse le labbra. “Per capire che cosa è realmente successo ci servono gli altri due…”
 
 
***
 
 
 
Tobio dovette aprire la porta della cascina con un calcio.
Tra le sue braccia, Shouyou sobbalzò e sollevò lo sguardo. Due occhi blu incrociarono i suoi immediatamente. “Ti eri addormentato?” Domandò Tobio.
Shouyou mugugnò. “Mi gira la testa,” si lamentò. “Mi fa male tutto…”
Non era un bene. “Sei solo troppo delicato per la vita da uomo e… Ahi!” Tobio saltellò sulle assi di lagno del pavimento della cascina mentre l’improvviso dolore al petto sfumava come era arrivato: il piccolo scemo gli aveva dato un pizzicotto sul petto. “Tieni le mani a posto o ti lascio cadere e me ne vado!” Sbottò.
Shouyou si nascoste sotto l’orlo del mantello rosso ridacchiando.
“La forza di fare l’idiota ce l’hai ancora, però…” Commentò Tobio a bassa voce.
“Dove siamo?” Domandò Shouyou appoggiando la guancia contro la spalla del Principe Demone come se non riuscisse a reggere la testa.
“È una cascina di caccia,” rispose Tobio. “Se ti affacci dalle finestre del piano di sopra, riesci a vedere il Castello Nero in lontananza.”
“E perché ci fermiamo qui?” Domandò Shouyou.
“Perché tu non ce la fai più, stupido.”
Shouyou lo guardò dritto negli occhi anche se a stento riusciva a tenere aperti i suoi. “Ce la faccio…”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Ma stai zitto,” borbottò prendendo la via delle scale. Doveva esserci ancora il letto con il bagno al piano di sopra.
“Ce la faccio, ti dico,” disse Shouyou con più convinzione. “Sono un guerriero, diverrò un Cavaliere, un eroe e…”
“Senza ombra di dubbio sei qualcosa,” lo interruppe Tobio arrivando al piano superiore. “E sarà il centro di un lungo discorso che dovremo fare…”
Shouyou aprì la bocca.
“Non ora,” lo bloccò Tobio. “Ne parleremo ma non ora…”
Shouyou s’imbronciò. “Sto bene…”
“Stai peggio di me dopo la mia prima battaglia.”
“Sei stato ferito durante la tua prima battaglia?”
Tobio lo guardò per un lungo istante di silenzio. “No…”
Il letto era senza lenzuola ed il materasso era logoro ma era quanto di meglio avevano in quel momento e Tobio sapeva che il piccolo stupido tra le sue braccia non era tanto viziato da lamentarsi di simili cose. Lo depositò con cura e Shouyou non si sforzò nemmeno di mettersi seduto. Tobio l’osservò con attenzione: aveva perso nuovamente colore?
“Ascolta,” gli disse, “C’è un bagno dietro quella porta. Dentro c’è una specie di vasca… Sembra più un catino gigante ma contiene comunque acqua calda mentre ti c’immergi dentro.”
Disteso su di un fianco, con le mani appoggiate davanti al viso, Shouyou lo guardò stancamente. “Mi vuoi preparare un bagno?”
Tobio appoggiò un ginocchio sul materasso e posò una mano sulla guancia del Principe dei Corvi. “Stai sudando pur tremando. Devi avere la febbre alta.”
“Un bagno può aiutare?”
Tobio lo guardò confuso. “Perché? A te non aiutava?”
“Che vuoi dire?” Domandò Shouyou.
Il Principe Demone scrollò le spalle. “I miei genitori lo facevano,” spiegò. “Ho preso la febbre poche volte da bambino ma ogni volta era una maledizione. Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e non riuscivo a dormire. Mio padre mi hanno detto che avevo tre anni la prima volta che successe e, puoi non credermi ma me lo ricordo nitidamente.”
Shouyou sorrise. “Ti hanno curato con un bagno?”
Tobio scrollò le spalle. “Sono stato meglio dopo…”
Rimasero in silenzio per un po’. Shouyou cercò di rimanere sveglio mentre Tobio scendeva e saliva quelle scale scricchiolanti con una pentola in mano. Shouyou non aveva la forza di chiedersi da dove venisse quella pentola o perché l’acqua al suo interno fumasse quando tornava al piano di sopra. Lo sentì imprecare un paio di volte perché si era scottato ma non ebbe abbastanza fiato per fare qualche battutina sarcastica o chiedergli se stava bene. Sì, avrebbe anche potuto chiedergli se stava bene dato che, pur col carattere terribile che aveva, Tobio stava cercando di prendersi cura di lui.
“Shouyou?”
Sentì una mano schiaffeggiargli la guancia gentilmente. Shouyou non sapeva quando si era addormentato ma aprire gli occhi non fu così facile come avrebbe dovuto essere.
“Ti aiuto a camminare,” si offrì Tobio afferrandogli le spalle. A Shouyou non piacque particolarmente la facilità con cui lo sollevò e dovette guidarlo fino al bordo della vasca da bagno. Vi appoggiò le mani e vide il suo riflesso tremulo sulla superficie dell’acqua: non aveva mai avuto un aspetto del genere e non era un buon segno.
“Prenditi il tuo tempo,” disse Tobio allontanandosi da lui.
Shouyou tentò di voltarsi ma non ci riuscì. “Il tuo mantello…”
“Gettalo pure a terra…”
“Tobio, aspetta…”
Il Principe Demone si fermò sulla porta e guardò la piccola figura dell’altro avvolta nel mantello degli eredi al trono di Seijou. “Che cosa c’è?”
Shouyou si umettò le labbra. “Puoi restare qui?”
Tobio ghignò. “Hai paura di restare da solo?”
“Sì…” Fu la risposta appena mormorata del Principe dei Corvi. Tobio non riuscì a credere alle sue orecchie di fronte a tanta sincerità e si sentì smarrito per pochi, imbarazzati istanti. “Devo aiutarti ad entrare nella vasca?”
“N-No…” Rispose Shouyou. “Faccio da solo. Tu resta lì e basta…” Una pausa. “Puoi voltarti mentre entro in acqua, per favore?”
Tobio alzò gli occhi al cielo, incrociò le braccia contro il petto ed appoggiò la spalla nuda all’architrave della porta. “Fatto,” disse annoiato. Rimase così fino a che non sentì il rumore dell’acqua ed anche allora dietro un’occhiata da sopra la sua spalla prima di voltarsi.
Shouyou si era seduto portandosi le ginocchia al petto. Sembrava che a stento riuscisse a tenere gli occhi aperti. No, decise Tobio, non era proprio il caso di lasciarlo da solo: l’unica cosa che non era ancora successa in quell’assurda storia era che qualcuno rischiasse di annegare dentro ad una vasca in cui nemmeno il Principe dei Corvi avrebbe mai avuto abbastanza spazio per distendere le gambe.
Tobio esaurì lentamente la distanza tra sé e quella sorta di tinello gigante, poi si sedette a gambe incrociate sulle assi del pavimento. Shouyou lo guardò confuso.
“Ti do fastidio?” Domandò il Principe Demone.
“No,” rispose il Principe dei Corvi. “Solo che fissarci senza dire nulla è un po’ stupido…”
“Non hai la faccia di qualcuno che può reggere un vero e proprio dialogo.”
Shouyou non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di dargli ragione e decise di proporre qualcosa. “Raccontami qualcosa, io ti ascolto…”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa potrei mai raccontarti?”
Shouyou accennò un sorriso. “Sei stato in così tanti posti, hai fatto tante cose…”
“Non sono bravo a raccontare storie.” In generale, Tobio non era un grande amante dei lunghi dialoghi. Il suo Re era il genere di persona capace di chiacchierare per ore ed ore ma lui no. Da quel punto di vista, era più figlio di suo padre ma senza quella capacità di porsi come un leader da seguire per motivi che andassero oltre il titolo. Il Primo Cavaliere di Seijou, Generale Supremo dell’esercito del Re Demone, non era un nobile, non lo era mai stato e non aveva mai desiderato diventarlo ma almeno metà dei nobili Demoni del Castello Nero lo avrebbe seguito ad occhi chiusi in qualsiasi direzione.
Tobio era un erede al trono dal nome conosciuto in tutti i Regni liberi ma non poteva vantare un simile potere.
“Parlami della tua prima battaglia,” propose Shouyou di colpo.
Tobio sollevò gli occhi blu sui suoi.
“Hai detto di non essere stato ferito. Che cosa ti è successo di così brutto?”
Il Principe Demone strinse le labbra per un istante. “Ti ho già detto che non sopporto il modo epico in cui tutti raccontano delle guerre passate, comprese quelle dei nostri genitori.”
Shouyou annuì.
“Quella battaglia è uno dei motivi.”
“È stata una vittoria difficile?”
“No,” ammise Tobio. “Non come deve esserlo stato mettere in ginocchio Shiratorizawa per i nostri genitori. Erano degli invasori del nord. Poca strategia, preparazione militare blanda e nessun centro di potere a guidare l’impresa. Tsutomu si è recato a nord per quella nostra vittoria.”
“Hai protetto le tue terre, quindi?” Domandò Shouyou. “Erano invasori…”
Tobio annuì. “Da morti, però, erano comunque cadaveri,” disse fissando un punto qualunque del pavimento. “Hai idea di quanto tempo ci voglia per pulirsi il sangue di dosso? Dai vestiti, poi, non va via più. Non è come lo sporco di quando corri nella foresta e te lo lasci alle spalle dopo un bagno caldo. No… Alla fine di una battaglia, ti togli l’armatura e cerchi di toglierti tutto quel sangue di dosso ma finisci solo con lo sporcare tutto il resto: il panno con cui cerchi di lavarlo via, l’acqua in cui lo bagni… Tutto si colora di rosso e, alla fine, nonostante gli sforzi, tu hai ancora quel sangue addosso e hai imbrattato ogni cosa che è intorno a te.” Sollevò di nuovo lo sguardo e si accorse che gli occhi ambrati di Shouyou si erano fatti grandi. Fece una smorfia. “Per questo non sopporto le storie delle grandi imprese. La mia esperienza sul campo di battaglia è stata semplice. Come deve essere una vera guerra?”
Shouyou si umettò le labbra come se fosse imbarazzato. “Non ho mai sognato quel genere di avventure,” disse come per giustificarsi. “Sì, ascolto le storie sulle grandi guerre e mi piace sentire delle imprese di guerrieri che sono leggende viventi per la nostra generazione ma… Il mio concetto di conquista del mondo è un po’ diverso da quello di un qualunque Re.”
“Già…” Tobio annuì distrattamente. “Sono salito su di una nave per il genere di conquista di cui parli.”
Shouyou inarcò un sopracciglio confuso ma Tobio si stava già alzando in piedi. “Nell’armadio vicino al letto deve esserci qualche vecchio vestito lasciato qui dai miei genitori o, forse, da me,” disse. “Deve esserci anche qualche vecchio lenzuolo o qualcosa che possiamo usare per asciugarti.”
 
 
Alla fine, Shouyou si asciugò con la federa di un cuscino e Tobio trovò sul fondo dell’armadio una tunica che addosso al Principe dei Corvi sembrava più una camicia da notte.
Tobio lo riportò sul letto e tornò a coprirlo col suo mantello rosso. “Aspetta qui…” Mormorò appoggiando l’arco e la faretra accanto al materasso, in modo che Shouyou potesse afferrarli facilmente.
Quegli occhi d’ambra lo guardarono spaventati. “Dove vai?”
“Devo trovare aiuto per te, stupido,” rispose il Principe Demone. “Il Castello Nero è vicino, sarò di ritorno in un’ora.”
Shouyou si sollevò su di un gomito. “Allora portami con te…”
“Non ho alcuna intenzione di spostarti nelle tue condizioni,” replicò Tobio completamente serio. “Ci metterei il doppio del tempo ad arrivare portandoti in braccio e diverresti solo più debole. Porterò Kenma da te, lui saprà cosa fare.”
Shouyou gli afferrò il polso prima che potesse alzarsi. “Non sai se lo hai ucciso…” Mormorò debolmente. “Non puoi andare lì fuori disarmato.”
“E tu non puoi restare qui da solo disarmato.”
“Io non sono allo scoperto, Tobio.”
“Io mi reggo ancora sulle mie gambe.” Il Principe Demone prese la mano dell’altro e costrinse le piccole dita a stringere il legno dell’arco. “Aspetta qui,” disse col tono di chi non vuole sentire obbiezioni.
Shouyou sospirò stancamente: odiava quella debolezza ed odiava ancor di più che lo costringesse a concedere a Tobio l’ultima parola.
“Tornerò presto, lo prometto.”
 
 
***
 
 
Stava volando.
Non era una grande novità nel suo caso ma non sentiva il vento tra le piume.
Non erano le sue ali quelle che lo tenevano sollevato.
Aveva la guancia appoggiata su di una superficie calda, morbida ma incredibilmente solida. L’accarezzò con la punta delle dita e, per qualche strana ragione, seppe di essere al sicuro.  Seppe, con assoluta certezza, che nulla al mondo avrebbe mai avuto il potere di fargli del male.
Sollevò le palpebre e tutto quel che vide furono le nuvole e due enormi ali che volavano per lui.
Quelle ali erano la sua armatura ed il calore da cui si sentiva avvolto era quello che lo faceva sentire vivo.

 
 
Fu il rumore di una porta che sbatteva a svegliarlo ma Shouyou cercò di aprire gli occhi solo quando due mani calde gli afferrarono il viso ed una voce che conosceva da tutta la vita prese a chiamare il suo nome. “Shouyou! Shouyou!”
Impiegò qualche istante per realizzare di essere tra le braccia di suo padre.
“Papà…”
Daichi sorrise a suo figlio come se non credesse di poterlo di nuovo stringere a sé. “Sì, piccolo,” mormorò con voce rotta sollevando il suo Principe come se non pesasse nulla. “Sono qui, tesoro… Sono qui, va tutto bene.”
 
 
***
 
Tooru era senza ombra di dubbio il sovrano che più aveva reso onore al titolo di Re Demone. Non si poteva davvero discutere sulla sua intelligenza, sulla sua inspiegabile capacità di fare sua qualsiasi cosa volesse, anche ad un passo dalla sconfitta. Questo, però, non gli impediva in alcune occasioni di essere irrimediabilmente ed insopportabilmente stupido.
Hajime finì di raccontare gli eventi per l’ennesima volta da quando era entrato in quella camera da letto annunciando che il loro unico figlio e gli altri due Principi erano vivi e tutti interi ed aspettò che il suo sovrano facesse le sue conclusioni. Tooru, però, non fece niente di diverso da quello aveva fatto per l’ultima ora: sbatté le palpebre, guardò il suo Cavaliere con espressione smarrita e disse solo tre parole. “Non ho capito…”
Hajime emise un verso esasperato e si alzò dal bordo del materasso per fare qualche passo nervoso: lo avrebbe strozzato se lo avesse avuto a portata di mano, ne era certo!
Prese un respiro profondo, si costrinse a restare calmo e tornò a guardare negli occhi il suo Re. “Tobio sta bene,” concluse. “Così come Shouyou e Tsutomu.”
Tooru annuì. “Sì, questo l’ho capito. È per questo che siamo entrambi così tranquilli e non ci sono altri due Re disperati nei miei appartamenti, no?”
“Il drago è morto,” aggiunse Hajime.
“Ho capito anche questo,” replicò Tooru con voce notevolmente più seria. Avrebbe dovuto indagare sul come quell’evento si era verificato e a chi si dovesse una simile impresa ma solo uno dei tre ragazzi poteva fornirgli simili informazioni. “La sua carcassa è nella foresta?”
Hajime annuì. “Abbiamo trovato Tsutomu vicino alla carcassa,” raccontò. “O, meglio, lo ha trovato Wakatoshi… Noi siamo arrivati poco dopo. Come avrà fatto ad arrivare così lontano prima di noi?”
Tooru fece una smorfia ed evitò di dire qualsiasi cosa in proposito. “Era senza vestiti… Tsutomu, intendo.”
“Quando siamo arrivati, era avvolto nel mantello di suo padre ma, sì, non aveva i vestiti addosso e non aveva nemmeno alcuna idea di dove fossero finiti.”
“Tobio e Shouyou non erano con lui?”
“No. Tobio mi ha detto di non aver visto né Tsutomu né il drago quando ha ripreso conoscenza. È finito in un laghetto nel folto della foresta. Sono precipitati insieme ma anche poche decine di metri fanno la differenza sotto degli alberi così fitti.”
“Tobio e Shouyou sono riusciti a ritrovarti, mentre Tsutomu era distante… Con il drago morto.”
Hajime annuì felice che il Re stesse, finalmente, riuscendo a mettere insieme i pezzi di quell’assurda storia. “Esatto. Tobio ha preso Shouyou ed è tornato verso il Castello Nero. È stata la sfortuna a non farci incrociare. Ho visto nostro figli solo vicino alle mura della Capitale, nella zona di caccia… Dove c’è quella cascina, vicino al ruscello.”
Tooru si umettò le labbra. “Tobio ha portato Shouyou lì, gli ha preparato un bagno, lo ha messo a letto e, dopo essersi assicurato che fosse al sicuro, si è allontanato per cercare i soccorsi.”
Hajime annuì due volte. “E allora ha incontrato noi e li abbiamo riportati a casa.”
Il Re Demone fece una smorfia. “Quindi il fatto che Tsutomu fosse senza vestiti non è relazione al fatto che lo fosse anche Shouyou, ho capito bene?”
Hajime lo fissò per alcuni secondi di silenzio, poi si voltò e prese la via della porta senza dire nulla.
“Dove stai andando?” Domandò Tooru con voce stridula.
“Stai alludendo a qualche assurdità delle tue e ho saggiamente deciso di battere in ritirata prima che cominci a delirare!” Esclamò il Cavaliere irritato.
Il sovrano s’imbronciò. “Assurdità?” Ripeté. “Arrivi dicendomi di aver trovato i ragazzi mezzi nudi o completamente nudi nella foresta, nei pressi di un drago morto. Io che cosa dovrei pensare?”
“Hai ragione!” Esclamò Hajime con sarcasmo. “La prima cosa che mi è venuta pensata è che, nell’euforia dell’impresa appena compiuta, si siano dati tutti e tre ad atti di dubbia moralità.”
Tooru sbuffò. “Non fare lo spiritoso, non ti riesce bene,” una pausa. “In compenso, Tobio era l’unico coi pantaloni ancora addosso...”
Hajime lo guardò allibito.
“Che c’è?!” Esclamò Tooru. “Mi sta bene tutto! Mi stanno bene tutti ma mio figlio messo a…”
“Non dire volgarità, Tooru.”
“… Dal Principe dell’Aquila, assolutamente no!”
Suo malgrado, il Cavaliere per poco non rise. “Dovrebbe gelare l’inferno prima di una simile eventualità.”
Tooru incrociò le braccia contro il petto offeso ed appoggiò la schiena ai cuscini. “Il piccoletto?”
“Shouyou è negli appartamenti dei suoi genitori,” rispose Hajime tornando vicino al letto. “È debole, ha la febbre ma ho mandato Kenma. È in buone mani.”
“Tobio?”
“L’ho infilato dentro una vasca d’acqua calda e l’ho mandato a dormire,” disse il Cavaliere. “A stento è arrivato al Castello Nero sulle sue gambe.”
Tooru lo guardò dritto negli occhi. “Ma sta bene?”
“Sì,” Hajime sorrise. “È duro a morire…”
“Chissà da chi ha preso?” Si domandò Tooru sorridendo a sua volta. “Si è preso cura del principino di Daichi e Koushi, quindi?”
“Così ha detto Shouyou,” confermò Hajime. “Ha detto un sacco di cose tutte insieme, per dire la verità.”
Il Re Demone storse le labbra in un ghignetto soddisfatto. “L’ha portato di peso fino alla cascina di caccia. È andato avanti ed indietro dal ruscello per prendere l’acqua, gliel’ha riscaldata e, dopo un bel bagno caldo, lo ha messo a letto. L’ha lasciato solo dopo essersi assicurato che sarebbe stato al sicuro.”
“Ah, gli ha lasciato l’arco.”
“Eh?”
“Tobio non sapeva se il drago era ancora vivo o meno. Ha lasciato l’arco a Shouyou perché potesse difendersi da quello o da qualsiasi altra cosa potesse aggredirlo in sua assenza.”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Tobio non sapeva se il drago era ancora vivo e si è messo a camminare in mezzo alla foresta completamente disarmato?”
Hajime annuì.
Il Re Demone abbassò lo sguardo. “Interessante…”
Il Cavaliere sospirò. “Non raccontarti storie d’amore che non esistono, Tooru.”
“Oh, no!” Esclamò il sovrano con sarcasmo. “Perché dovrei? In fondo, ci fosse stato qualcun altro al posto di Shouyou, Tobio avrebbe reagito nella stessa identica maniera!”
“Non essere estremo!” Esclamò Hajime. “Tobio non avrebbe lasciato morire nessuno nella foresta in quel modo.”
“No,” Tooru annuì. “Si sarebbe assicurato che fosse vivo, gli avrebbe detto di non piagnucolare mentre andava a cercare aiuto e lo avrebbe lasciato lì!”
“Shouyou è piccolo!” Replicò Hajime. “Non è un gran problema trasportarlo… Immagina se si fosse trattato di Yuutaro! È più alto di Tobio!”
“Non mi serve immaginare,” disse il Re Demone. “Tsutomu era lì e nessuno lo ha raccolto.”
Hajime fece per ribattere, poi si bloccò e scosse la testa. “Su una cosa hai ragione, però,” ammise. “Qualcosa è successo tra Tobio e Shouyou…”
Tooru si voltò molto lentamente a guardarlo e dovette sforzarsi immensamente per trattenere il sorrisetto soddisfatto in cui si stavano piegando le sue labbra.
Hajime gli puntò l’indice contro. “Non ci provare!”
“A fare che?” Domandò il sovrano con aria innocente. “A far notare che dall’arrivo di Tobio alla cascina al vostro arrivo sono passate ore e che un bagno caldo può eliminare tracc… Ahi!” Il Cavaliere lo aveva colpito in testa. “Ma non la vedi la fasciatura?” Piagnucolò indicando le bende tra i suoi capelli.
Hajime scrollò le spalle. “Smettila con questa farsa e alzati da questo letto! Non sei tornato moribondo da una guerra…”
“Mi è caduta una torre addosso!”
“Tsutomu, il Principe dell’Aquila, ha fatto un volo di un centinaio di metri e quando lo abbiamo trovato strepitava come se non ci fosse un domani. Vuoi davvero perdere il confronto?” Il Cavaliere sapeva che per una questione di orgoglio, Tooru sarebbe stato anche capace di rendere inverosimile l’evidenza. Il Re Demone, di fatto, storse le labbra, diede un calcio alle coperte e si alzò in piedi come se nulla fosse.
“Ora, dimmi nei dettagli quello che pensi sia successo tra Tobio e Shouyou,” disse come un bambino sul punto di ricevere un regalo desiderato a lungo.
Hajime lo fissò, poi l’angolo della sua bocca si alzò un poco. “Chiedilo a Tobio quando si sveglierà.” Si voltò e si diresse verso la porta.
Tooru restò a fissarlo con gli occhi sgranati. “Come sarebbe a dire?”
“La mia è solo un’intuizione,” disse Hajime voltandosi a guardarlo un’ultima volta. “Per avere delle informazioni certe, Tobio è l’unica fonte a tua disposizione. Non ti conviene andare sa Shouyou: ho la netta sensazione che Daichi potrebbe sgozzare chiunque osi chiedere di suo figlio in questo frangente.”
“Fonte?!” Esclamò Tooru disperato. “Quel moccioso del nostro erede dovrebbe saper parlare come un essere umano normale per essere una fonte!”
Hajime rise. “Buona fortuna, Tooru!”
 
 
***
 
 
Natsu gli era saltata in braccio e non c’era stato modo di staccargliela di dosso. Alla fine, Shouyou si era limitato ad appoggiare la schiena ai cuscini del suo letto avvolgendo le braccia intorno a quella bambolina viva che era sua sorella. Koushi e Daichi chiesero scusa a Kenma in silenzio per quello.
Il Mago si limitò a sospirare, poi espose la sua diagnosi. “Hai la febbre alta.”
I due reali di Karasuno si guardarono allarmati.
“È qualcosa di grave?” Domandò Daichi avvolgendo un braccio intorno alle spalle del suo compagno.
Kenma scosse la testa e si alzò dal bordo del letto. “È quello che succede quando si pretende troppo da se stessi,” disse e sollevò lo sguardo sulla coppia di genitori. “Posso parlare liberamente?”
Anche Shouyou li guardò. “Che cosa significa?”
Koushi sorrise gentilmente e si sporse per posare una carezza tra i capelli del figlio. “Kenma è un nostro vecchio amico, tesoro,” spiegò. “Ha dei poteri molto potenti.”
Kenma scrollò le spalle. “Mai quanto i vostri, Principe dei Corvi.”
Shouyou guardò il Mago con espressione sorpresa ma non fece in tempo a chiedere nulla che Natsu riemerse dal suo petto e guardò tutti con fare sospettoso. “Di che cosa state parlando?” Domandò.
Daichi prese un respiro profondo e si avvicinò. “È il momento per te di andare a dormire, Principessa,” disse. “È stata una dura notte per tutti quanti e abbiamo bisogno di riposare. Vieni con papà, aspetteremo insieme la mamma nel letto grande, ti va?”
Natsu strinse tra i pugnetti la stoffa della camicia da notte del fratello. “Non voglio dormire con mamma e papà. Voglio dormire col mio fratellone!”
Suo malgrado, Kenma simulò un colpetto di tosse per non mettersi a ridere. Koushi, invece, dovette sforzarsi per rimanere serio e non dare a sua figlia l’impressione che parteggiasse per lei. Daichi, invece, rimase in silenzio per qualche istante, poi si limitò a sporgersi in avanti, sollevò Natsu con entrambe le mani con relativa facilità ed approfittò della confusione di lei per allontanarla dal fratello. “Ascolta,” mormorò prendendo la sua bambina tra le braccia, “tuo fratello ha bisogno di riposare, Natsu.”
Per tutta risposta, la Principessa s’imbronciò.
“Se non riposa non guarirà,” continuò Daichi. “E se non guarisce, non potrà più tornare a giocare con te.”
Natsu scosse immediatamente la testa. “Io starò bene, papà! Devo prendermi cura di Shouyou, altrimenti Tobio si sentirà solo senza di lui!”
Il sorriso paziente di Daichi sfumò in un battito di ciglia.
“Natsu!” Esclamò Shouyou tentando di sollevarsi sui gomiti ma la testa gli girava e a stento riusciva a tenere gli occhi aperti. Koushi se ne accorse e gli afferrò una spalla immediatamente. “Buono, Shouyou,” gli ordinò.
“Noi andiamo a dormire,” concluse Daichi rivolgendo a tutti un sorriso nervoso ed un’occhiata veloce al suo consorte. Koushi sospirò: ci sarebbe stato un lungo discorso più tardi, non appena tutti avrebbero ripreso un po’ di forze. “Buon riposo, amore mio,” disse alzandosi per posare un bacio sulla guancia della sua bambina. “Fai la brava con papà…”
Natsu posò la guancia sulla spalla di Daichi ed il Re presa la via della porta ma non prima di aver rivolto un ultimo sguardo dubbioso al suo Principe. Shouyou si lasciò cadere di nuovo tra i cuscini con aria esausta e si portò le mani al viso desiderando con tutto se stesso di poter divenire invisibile per qualche istante di pausa.
“Rilassati,” disse Koushi tornando a sedersi accanto a suo figlio. “I più pericolosi se ne sono appena andati.”
Kenma lo guardò con in faccia la sua personale versione di un’espressione inquietata. “Sta ricominciando?” Domandò. “Siamo di nuovo a quella stagione?”
Koushi scosse la testa. Shouyou, invece, riemerse dal suo nascondiglio di fortuna. “Che cosa vuol dire?” Domandò guardando il genitore.
Il consorte reale di Karasuno scosse la testa con un sorriso. “Parliamo della scorsa notte,” disse gentilmente. Gli occhi di Shouyou si fecero grandi e lucenti per un istante e guardò Kenma come se fosse una minaccia.
“Non avete nulla da temere, mio Principe,” disse il Mago con rispetto. “Conosco il vostro segreto. Lo conosco da prima che nasceste.”
Shouyou inarcò le sopracciglia e guardò il genitore in cerca di una risposta. Non aveva la forza di fare tutte le domande che avrebbe fatto in una situazione normale. Koushi gli accarezzò i capelli. “Kenma riesce a scorgere le trame del destino nei suoi sogni. Ha visto la nascita tua e di Tobio molto tempo prima che voi veniste concepiti.”
Shouyou riportò lo sguardo sorpreso sul piccolo uomo dai capelli biondi. Sembrava un ragazzino, poco più di un suo coetaneo. “Tu sai quello che sono?” Domandò con un filo di voce.
Kenma tornò a sedersi sul bordo del letto. “Solo voi lo sapete, mio Principe,” rispose. “Noi possiamo solo immaginarlo.”
Shouyou abbassò lo sguardo e si umettò le labbra. “È per il mio potere che sono così debole?”
Kenma annuì. “È probabile. Abbiamo bisogno che tu ci dica cosa è successo la notte scorsa, però.”
Shouyou continuò a tenere gli occhi fissi sulle sule mani e Koushi non si lasciò sfuggire il modo in cui quelle piccole dita torcevano le lenzuola. “Shouyou…” Mormorò dolcemente prendendo quelle mani nelle sue come faceva fin da quando era bambino. “È una cosa che sarai chiamato a raccontare più di una volta e non potrai sottrarti,” lo avvertì ma con gentilezza. “Qui puoi permetterti di essere sincero.”
Shouyou si morsicò le labbra. Sentiva un nodo stringergli la gola e sapeva che sarebbe scoppiato a piangere presto. “Pensavo di poter aiutare.”
Kenma inarcò le sopracciglia. “Avete fatto un volo di almeno cento metri dopo aver ucciso un drago,” gli disse. “Il fatto che siete tutti e tre vivi mi pare un buon risultato.”
“Sapevo di poterlo fare,” disse. “L’ho letto sui libri ma non l’ho mai fatto prima di ieri notte…”
Koushi guardò quelle manine strette tra le sue: erano ancora piccole ma non appartenevano più ad un bambino. “Come credevi di poter aiutare Tobio, tesoro?”
Shouyou inspirò profondamente dal naso. “Il Principe Corvo trasformava i suoi Cavalieri in corvi,” disse. “Pensavo di poter aiutare Tobio nello stesso modo.”
Koushi sgranò gli occhi. “Sei salito su quella torre perché credevi di poter trasformare Tobio in corvo in caso di pericolo?” La sua voce non era più così gentile.
Shouyou sollevò lo sguardo sul viso del genitore. “Ce l’ho fatta, però,” disse accennando un sorriso.
“Non ha importanza!” Esclamò Koushi lasciando andare le sue mani per prendergli il viso tra le mani. “Hai idea di quanto hai rischiato, Shouyou? Di quanto hai messo in pericolo anche Tobio?”
Kenma si chiese se Koushi non fosse a conoscenza del fatto che anche il Principe dell’Aquila era stato presente al momento del crollo della torre o lo stesse semplicemente ignorando. Ci pensò il piccolo erede al trono di Karasuno a togliere ogni dubbio. “Anche Tsutomu era lì,” disse. “Ho trasformato anche lui.”
L’espressione di Koushi si fece seriamente furibonda ma il Mago intervenne prima che potesse dare al figlio la strigliata che meritava. “Per questo siete così debole,” disse. “Non avete mai trasformato nessuno, oltre voi stesso, prima di oggi. Mutarne due contemporaneamente in una situazione pericolosa come quella deve essere stato uno sforzo eccessivo per il vostro corpo. Dopotutto, non riuscite ancora a trasformare voi stesso al massimo delle vostre capacità.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa significa?”
“È per i vestiti?” Domandò Koushi.
Kenma annuì. “Se fosse padrone del suo potere, non avrebbe questa difficoltà.”
“Non posso usare il mio potere,” confessò Shouyou tenendo di nuovo gli occhi bassi. “Lo uso di nascosto e basta.”
Koushi sentì tutta la rabbia scivolare via da lui per lasciare il posto al senso di colpa. Fu il suo turno di abbassare lo sguardo con vergogna. Kenma sospirò. “Avete avuto un ottimo controllo con Tobio, però.”
Shouyou lo guardò confuso. “Eh?”
“Aveva ancora tutti i vestiti addosso,” disse il Mago. “Volevate salvarlo proprio a tutti i costi, vero?”
Il Principe dei Corvi parve non capire. “Non lo so,” ammise. “Quando ho sentito il vuoto sotto i piedi, mi sono stretto a lui e ho pensato che gli avevo promesso che l’avrei aiutato, che lui si era fidato di me e che io… Io…” Shouyou strinse i pugni sulle lenzuola e le lacrime scesero a bagnargli le guance. “Avevo paura. Avevo tanta paura ma avevo promesso che lo avrei aiutato e Tobio si era fidato di me.”
Koushi avvolse le braccia intorno a suo figlio e lo strinse al petto. “Va tutto bene, tesoro. È tutto finito.”
Fu il turno di Kenma di essere confuso. Il Principe Demone non era il ragazzino più facile da leggere che conosceva ma aveva sicuramente più speranze di divenire un adulto autonomo di Lev ma c’era qualcosa che non aveva senso nel racconto di quel fanciullo. “Esattamente cosa avete detto a Tobio per spingerlo a fidarsi di voi, mio Principe?”
Koushi trattenne il respiro per un istante e sentì Shouyou irrigidirsi tra le sue braccia immediatamente.
Fu il Principe ad allontanarsi per primo da quell’abbraccio ma impiegò qualche istante di troppo a sollevare gli occhi d’ambra su quelli dorati del genitore.
“Shouyou…” Cominciò Koushi molto lentamente. “Che cosa hai fatto?”
Il Principe dei Corvi strinse le labbra e si ritrasse contro i cuscini come se volesse nascondervici in mezzo.
Kenma chiuse gli occhi con espressione esasperata e cominciò a desiderare ardente che qualcuno lo tirasse fuori da quella stanza prima che il dramma familiare cominciasse.
Non credette alle sue orecchie quando bussarono alla porta.
“Avanti,” disse Koushi senza staccare gli occhi irati di dosso a suo figlio.
Keiji si affacciò dalla porta senza mettere piede nella camera da letto. “Mi dispiace disturbare,” disse educatamente. “Chiedono urgentemente di Kenma in biblioteca.”
 
 
***
 
 
“Vo-Vostra Altezza…”
Tobio era rimasto steso sul suo letto per due lunghe ore insonni e, alla fine, aveva concluso che il caos dentro di lui non si sarebbe placato continuando a fissare i tendaggi del suo baldacchino.
“Che cosa c’è, Kaname?” Domandò il Principe Demone sollevando lo sguardo dal terzo libro che consultava in una sola ora. Il poveretto di fronte a lui aveva il viso più stanco di quanto lo avesse lui e lo fissava come se fossero ancora nel pieno dell’emergenza. O, meglio, con se l’emergenza fosse lui.
“Siete stanco,” disse Kaname gentilmente accennando un sorriso. “Siete appena ritornato a casa dopo aver rischiato la vita per tutti noi ed averci salvato. Dovreste riposare.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Grazie, ma sto bene qui.” Riportò gli occhi blu sulla pagina che stava leggendo.
Kaname sospirò e sollevò lo sguardo sul gruppo di Cavalieri che si erano radunato di fronte alla porta d’ingresso della biblioteca.
“C’erano buone probabilità che diventasse matto fin dal principio,” concluse Tetsuro con un sorrisetto divertito. “Solo non pensavo che la follia avrebbe preso la forma di un improvviso bisogno intellettuale.”
Dietro di lui, Koutaro allungò il collo per meglio vedere la scena. “Ma che libri sta leggendo?” Domandò. “Magari vuole estrarre il cuore del drago e conservarlo e sta cercando un libro per capire come fare.”
Tetsuro lo guardò con una smorfia disgustata. “Si può fare?”
Koutaro scrollò le spalle. “Nel Regno in cui è nato Keiji, i cacciatori erano pronti ad uccidere per un cuore di drago. Perché credi che Wakatoshi fosse a Fukurodani anni fa?”
Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Gli idioti che vivono per diventare più forti possono credere a qualsiasi tipo d’idiozia pur che riguardi il potere.”
“Non ha importanza quello che sta leggendo,” disse Takahiro con espressione addolorata. “Il semplice fatto che lo stia facendo di sua spontanea volontà da almeno un’ora è davvero un brutto segno.”
“Deve aver battuto la testa quando è caduto,” disse Issei incrociando le braccia contro il petto. “Un volo di cento metri da una torre abbattuta da un drago. Solo a dirlo ad alta voce mi sento idiota…”
“La vera cosa idiota è vederselo stare calmo e tranquillo dopo quello che ha fatto,” aggiunse Tetsuro. “Qualcuno lo ha informato che ha ucciso un drago?”
“Non gli è interessato,” replicò Koutaro. “Quando lo abbiamo trovato nella foresta non faceva che parlare di Shouyou e non si è calmato fino a che Daichi non è uscito da quella cascina di caccia con il piccoletto tra le braccia.”
Ci fu un istante di assoluto silenzio. I quattro Cavalieri cominciarono a guardarsi l’un con l’altro e seppero con assoluta certezza che tutti stavano avendo lo stesso pensiero.
“Oh…” Tetsuro sorrise divertito. “Allora è quel tipo di pazzia…”
Koutaro inarcò le sopracciglia poco convinto. “Lui?”
Issei scrollò le spalle. “Dopo quel ballo…”
“Già, il ballo!” Ricordò improvvisamente Takahiro. “Dobbiamo ricordarci di parlare dell’accaduto col Primo Cavaliere, ragazzi!” Aggiunse con un sorrisetto diabolico. Gli altri risero.
“Più tardi,” disse Tetsuro. “Ora, tocca al Principe…” Si fece avanti con passo sicuro. Kaname lo guardò e sospirò. Tetsuro alzò entrambi le mani come ad assicurargli che non aveva nessuna brutta intenzione ma l’altro non parve particolarmente convinto.
Dal canto suo, Tobio continuò a leggere come se fosse l’unico presente nella stanza.
“Ragazzo,” cominciò Tetsuro poggiando una mano sulla spalla del fanciullo con fare amichevole.
Gli occhi blu si sollevarono immediatamente ma Tobio non fece nulla per nascondere l’espressione annoiata sul suo viso.
Tetsuro rise. “Ti sto disturbando, ragazzo?” Domandò, mentre gli altri tre si allontanavano dalla porta e si avvicinavano a loro volta.
“Sì,” rispose Tobio con la sincerità che lo contraddistingueva.
Tetsuro ghignò. “Sempre diretto tu, eh?”
“Che leggi, Tobio?” Domandò Koutaro appoggiando i gomiti sul tavolo e dando un occhiato al libro aperto di fronte al Principe. Sgranò gli occhi. “Shiratorizawa?” Domandò allibito. “Stai leggendo le antiche storie del Regno di Shiratorizawa?”
Issei e Takahiro si sporsero sopra di lui per vedere a loro volta.
Tobio chiuse il libro di colpo e li guardò tutti storto. “Non avete niente di meglio da fare?”
“Il Generale dorme e noi siamo bambini troppo cattivi per andare buoni buoni nei nostri lettini,” disse Tetsuro con sarcasmo punzecchiando la guancia del fanciullo. Tobio allontanò immediatamente quella mano da sè in malo modo.
“Perché t’interessi alle aquile, Tobio-chan?” Domandò Takahiro afferrando un libro della torre che il Principe aveva messo insieme accanto a sé.
Tobio lo recuperò con una smorfia. “Non chiamarmi così.”
Issei alzò gli occhi al cielo. “Perché tu non sei a letto, Tobio-chan?”
“Non riesco a dormire,” rispose il Principe. “Ora, sparite…”
Tetsuro passò lo sguardo dal libro chiuso al viso del ragazzo. “Ti prego, dimmi che non sei interessato veramente alle aquile. Se devi perdere la testa fallo per qualcosa per cui ne valga la pena…”
Tobio lo guardò seriamente confuso. “Prego?”
I quattro Cavalieri sospirarono di sollievo in contemporanea. Kaname alzò gli occhi al cielo. “Se avete bisogno di qualche altro libro chiedete pure, mio Principe,” disse allontanandosi dal tavolo da lettura.
“Ti ringrazio, Kaname,” disse Tobio educatamente.
Koutaro indicò l’Arciere. “Perché lui lo tratti come si deve?”
“Perché non è uno scocciatore idiota!”
Issei e Takahiro si lanciarono un’occhiata complice. “Tobio-chan,” chiamò quest’ultimo, “come sta il Principe dei Corvi?”
Tobio divenne visibilmente rigido, i suoi occhi si fecero grandi e girò il viso di lato per cercare di nascondere quell’espressione agli uomini di suo padre. Takahiro sollevò la mano destra ed Issei gli diede il cinque. “Torturavamo psicologicamente tuo padre da molto prima che tu nascessi, Tobio,” disse Issei. “Non puoi sfuggire a noi, non importa dove ti nascondi!”
Tobio sbuffò e si alzò in piedi.
“Con calma, ragazzo!” Tetsuro gli afferrò una spalla e lo costrinse a sedersi di nuovo.
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, quello gelido di Tobio avrebbe provocato una strage.
“È ora che tu faccia una lunga chiacchierata con i tuoi zii!” Esclamò Koutaro sedendosi a capo del tavolo da lettura.
“Già,” Issei annuì. “Cos’è che ti tiene sveglio, esattamente?”
“Niente…” Sibilò Tobio fissando il vuoto.
“Magari qualcosa successo nella foresta?” Domandò Koutaro con un sorriso curioso.
“Già, qualcosa con i capelli color tramonto e gli occhi d’ambra,” aggiunse Tetsuro con un sorriso malizioso.
Tobio li guardò tutti come se fossero dei perfetti idioti. “Non so di che diavolo state parlando.”
“Vediamo… C’erano un bel po’ di vestiti mancanti sulla scena,” disse Takahiro.
“Sì,” Koutaro annuì. “Non è chiaro perché il Principe dei Polli sia stato coinvolto in questo ma non importa! Quello che importa è che il piccolo Shouyou era avvolto nel tuo mantello col tuo arco stretto tra le dita e ha delirato qualcosa sul fatto che gli avevi fatto un bagno lungo la strada verso casa.”
Tobio rimase in completo silenzio.
“Dicci un po’, piccolo Tobio,” disse Tetsuro con un gran sorriso. “Come avete festeggiato l’impresa tu ed il tuo principino?”
Il Principe Demone inarcò le sopracciglia. “Eh?”
I quattro Cavalieri sbuffarono esasperati.
“La tua innocenza è quasi disturbante,” disse Tetsuro.
“Tetsuro…”
Il ghignetto dell’uomo che era stato il Re di Nekoma sparì nel momento in cui si voltò verso la porta ed il suo silenzio bastò ad attirare l’attenzione degli altri. Koutaro scattò subito sull’attenti. “Keiji!” Esclamò con un sorriso solare. “Già sveglio? E la nostra Principessa?”
“Non sono mai andato a dormire,” rispose Keiji con tono incolore.
L’attenzione di Tetsuro, invece, era tutta per il piccoletto dai capelli biondi e lo sguardo annoiato che lo fissava in totale silenzio. Forzò un sorriso, diede un’altra pacca amichevole alla spalla del Principe e si allontanò dal tavolo da lettura. “È stato un piacere, Tobio!” Esclamò con allegria. “Adesso, noi togliamo il disturbo.”
Gli altri tre compresero il messaggio immediatamente.
“Buona lettura, Tobio-chan,” disse Takahiro.
“E vai a dormire, ragazzino,” aggiunse Issei spettinando i capelli corvini del fanciullo.
Tobio sospirò frustrato ed appoggiò la guancia al pugno chiuso aspettando che i grandi Re di Nekona e Fukurodani scappassero a gambe levate sotto gli sguardi minacciosi dei rispettivi compagni. Solo Koutaro si fermò a metà strada e tornò indietro con un gran sorriso. “Daichi ha dato ordine di non disturbare il piccoletto per nessuna ragione al mondo e tuo padre gli ha concesso la sua collaborazione ma, per quel che ne sappiamo, stanno tutti dormendo in questo momento.”
“Koutaro…” Lo richiamò Keiji.
Koutaro gli rivolse un sorrisetto complice ma Tobio non riuscì davvero a comprendere cosa stesse cercando di suggerirgli. Non aveva capito molto del discorso in generale, ad essere onesti. Era abituato al fatto che gli uomini di suo padre venissero ad importunarlo per i motivi più idioti ma da quando aveva Shouyou intorno quei motivi si erano fatti incomprensibili. Come se i piani del Re Demone per lui ed il piccolo stupido non fossero già una cosa abbastanza assurda ed ingombrante di per sé.
Non appena sentì la porta della biblioteca richiudersi, Tobio sospirò e riaprì il libro alla pagina a cui era arrivato prima che interrompessero la sua lettura. Un colpetto di tosse lo fece irrigidire. Sollevò gli occhi blu lentamente ed impiegò un intero istante per rendersi conto che Kenma era ancora lì e si era anche fatto più vicino.
Tobio si umettò le labbra. “Devi parlarmi?”
Il Mago lo fissò a lungo con quell’espressione enigmatica che rendeva impossibile capire a cosa stesse pensando. Tobio resse lo sguardo e, nonostante la confusione, rimase in silenzio. Kenma sospirò e allontanò gli occhi dai suoi. “Kaname,” chiamò a voce abbastanza alta perché l’altro potesse udirlo.
L’Arciere che era stato il Re di Dateko comparve da dietro uno scaffale vicino alla finestra. “Oh, Kenma!” Esclamò con un sorriso. Tobio dedusse che era felice di vederlo e, visto come Kenma aveva fatto fuggire Tetsuro ed i suoi alleati, comprendeva perfettamente quello stato d’animo.
Il Mago gli rivolse uno sguardo costernato. “Ti chiedo scusa per quello che hai dovuto sopportare.”
Kaname scosse la testa e sorrise gentilmente. “Non devi scusarti,” disse. “Li conosco, ormai. Mi dispiace solo che abbiano importunato il Principe.”
Tobio drizzò immediatamente le spalle. “Non c’è problema,” disse.
“Qui ci penso io,” aggiunse Kenma. “Vai a riposare. Non hai ancora dormito dopo gli eventi dell’ultima notte.”
Kaname annuì. “Ti ringrazio,” disse. “Buona giornata, mio Principe.”
Tobio lo seguì con lo sguardo mentre usciva dalla biblioteca. Non appena la porta si fu richiusa per la seconda volta, trovò gli occhi felini di Kenma fissi su di lui e seppe che non gli sarebbe sfuggito con la stessa facilità con cui si era liberato del suo compagno e degli altri. “Che cosa devi dirmi?” Chiese con espressione seria.
“Io non devo dirti niente,” ammise Kenma.
Tobio aggrottò la fronte.
Il Mago si allontanò dal tavolo da lettura e sparì tra gli alti scaffali pieni di libri per alcuni istanti. Quando tornò aveva  tra le mani un volume dalla copertina nera e le scritte dorate. “Questo è quello che stavi cercando,” disse. “Ti risparmio la fatica di leggere tutte le leggende dei Regni liberi.”
Tobio prese il libro tra le mani e la sua confusione non fece che aumentare. “Come fai a sapere cosa sto cercando?”
Kenma sospirò. “Ho fatto nascere sia te che lui, Tobio. Non sono un Re, non ho mai seduto alla tavola dei potenti ma quelli come me, che assistono ad ogni cosa in silenzio, sanno più cose di quelle che sarebbe sicuro sapere.”
Il Principe Demone sollevò gli occhi blu sul viso del Mago. “Tu sai che cos’è, non è vero?”
Kenma sospirò. “Non è con me che devi avere questa conversazione,” replicò. “Non dare retta a Koutaro. Non andare da Shouyou ora, peggiorerai solo le cose.”
“Che cose?”
“Ha rischiato molto più di te su quella torre,” disse il Mago. “Tu ci hai salvati tutti ma non saresti una leggenda tanto vivente se non fosse per lui.” Una pausa. “Questo, però, già lo sai.”
“Non sono sicuro di quello che so,” ammise Tobio.
Kenma annuì. “In quel libro c’è scritto ciò di cui hai bisogno per riposare. Ti aiuterà a fare le domande giuste quando sarai di nuovo faccia a faccia con Shouyou.”
Tobio annuì ma non distolse lo sguardo. “Lo avevi sognato?” Domandò. “Quello che è accaduto questa notte, lo avevi sognato?”
Kenma non esitò a rispondere. “No…”
 
 
***
 
 
“Vorrei essere arrabbiato con te…”
Shouyou singhiozzò e Koushi lo strinse di più a sé.
Erano entrambi stesi sul letto. Shouyou con gli occhi rivolti alla finestra ed il genitore dietro di lui.
“Dopo tutto quello che io e tuo padre abbiamo fatto per proteggerti,” aggiunse il consorte reale di Karasuno.
“Non voglio più essere protetto,” singhiozzò Shouyou.
Koushi sorrise con amarezza. “Non puoi chiedere una cosa del genere ad una madre ed un padre, tesoro…” Disse. “Hai fatto una cosa molto pericolosa dicendo a Tobio che avresti potuto salvarlo.”
“Sì, ma l’ho salvato…” Concluse Shouyou tirando su col naso.
Koushi fece una smorfia. “Non è stato molto furbo nemmeno lui a mettere la sua vita nelle tue mani senza sapere come lo avresti aiutato. Si è fidato e basta…”
Shouyou non gli disse che era quello che voleva. Non gli parlò della prova di fiducia che aveva preteso dal Principe Demone in cambio del segreto che custodiva tanto gelosamente. Era di gran lunga più facile dire che Tobio lo aveva visto e basta.
“Anche tu,” aggiunse sua madre, “anche tu gli dai fiducia e basta.”
Shouyou lo guardò da sopra la propria spalla. “Non dovrei?”
Koushi si mise a sedere e scrollò le spalle. “Non così… Non con tanta naturalezza.”
“Perché?” Domandò il Principe.
Il genitore esitò un poco prima di rispondere. “Pensaci, Shouyou. Da quanto tempo vi conoscete?”
“Fin da bambini…”
“No, dico per davvero,” chiarì Koushi con pazienza. “Siete stati insieme solo in queste poche settimane. Come puoi fidarti di lui in questo modo?”
Shouyou non si era mai davvero allontanato dal loro occhio vigile ed il consorte reale di Karasuno sapeva che questo poteva aver contribuito a renderlo più ingenuo rispetto ai suoi coetanei. Senza poi considerare il gran cuore che aveva per natura.
Shouyou tornò a guardare la finestra. “Non lo so,” ammise. “Mi fido e basta.”
Non era una risposta esauriente e Koushi non poteva farsela bastare. Tuttavia, era stata un notte terribile per tutti ed il viso pallido di suo figlio gli ricordò che ci sarebbe stato tempo per affrontare quella questione con più calma in seguito.
Si alzò da letto lentamente. “Cerca di riposare, Shouyou…”
 
 
***
 
 
La sala del trono era devastata.
Tobio era stato su di un campo di battaglia ed aveva assistito alla caduta del Regno di Dateko per mano dei suoi genitori ma non aveva mai visto tanta distruzione in una stanza. Nessuno sembrava avervi ancora messo piede dalla notte precedente, eppure Tobio credeva di udire ancora le urla della gente mentre scappava dalla porta che ora si ritrovava ad attraversare con passo lento. Conosceva quella sensazione e conosceva quel silenzio: erano entrambe cose che aveva trovato sul campo di battaglia dopo la sua prima vittoria al fianco di suo padre.
Non c’erano cadaveri su quel pavimento, solo frammenti di vetro, ciò che rimaneva dei tendaggi e degli stendardi andati in fiamme ed un sacco di cibo calpestato ma l’atmosfera era la stessa.
Si avvicinò alle finestre che davano sulla balconata, al punto in cui lui e Shouyou si erano trovati al momento dell’attacco. Notò un oggetto familiare sul pavimento ed affrettò il passo per assicurarsi che fosse proprio ciò che credeva. La spada dei Re di Seijou brillava come se non appartenesse affatto a quella scena. Tobio la raccolse e passò qualche istante ad osservare la sua immagine riflessa sulla lama lucida.
La notte prima, quando si era guardato allo specchio col suo costume da Principe addosso, si era sentito un perfetto idiota. Ora, non sapeva come definirsi ma qualcosa era cambiato senza ombra di dubbio.
“Oh, eccoti!”
Il Principe Demone si voltò e vide il suo Re attraversare la porta d’ingresso del salone per venirgli vicino. Era la prima volta che si vedevano da dopo l’attacco ed il sovrano sembrava essere stato toccato dall’evento più di lui a giudicare dalla fasciatura che aveva intorno alla testa.
“Stai bene?” Domandò Tobio.
“Oh, sì!” Rispose Tooru passando le dita sulle bende pulite. “Tuo padre mi ha già preso in giro per queste.”
“Non voleva essere una presa in giro,” disse immediatamente Tobio.
“Lo so, lo so…” Per un attimo, gli occhi di Tooru si spostarono sulla lama scintillante stretta nel pugno di suo figlio. “Tu, invece, hai fatto un salto nel vuoto e non hai neanche un graffio.”
Tobio strinse le labbra. “Dovrei andare a riposare…” Non voleva affrontare una discussione su quello che era successo la notte precedente, non con il Re e non prima di aver parlato con Shouyou.
Tooru alzò gli occhi al cielo. “So già tutto, Tobio-chan. Non hai ragione di evitarmi per paura di tradire il segreto del tuo piccolo corvo.”
Gli occhi blu di Tobio si fecero grandi e non seppe cosa dire per diversi istanti.
Tooru sorrise non proprio gentilmente. “Kenma ha saputo darci molte informazioni sui nostri piccoli molto prima che venissero concepiti,” spiegò.
“Il Re di Karasuno ed il suo consorte…”
“Sanno della mia consapevolezza,” rispose immediatamente il sovrano.
L’espressione di Tobio cambiò notevolmente ed i suoi occhi blu si tinsero di una scura sfumatura di accusa. “Sapevi tutto fin dal principio, vero?”
Tooru sospirò annoiato. “Non prendertela con me, adesso.”
“Ti ho chiesto di dirmi se Shouyou era qualcosa e mi hai mentito.”
“Quello che è Shouyou è un affare di Shouyou,” replicò il Re Demone con tono di rimprovero. “Ti ha detto la verità quando è stato suo desiderio farlo ed era un suo diritto, Tobio. Non mio. Pensi che sarebbe stato meglio per voi se Shouyou fosse venuto a sapere che avevi scoperto il suo segreto alle sue spalle?”
Tobio non rispose o avrebbe cominciato a parlare di prove di fiducia ed altre sciocchezze simili.
Tooru reclinò la testa da un lato. “Ti ha salvato lui, vero?”
Il Principe Demone abbassò lo sguardo. “Credo di sì…”
“E non dirlo con l’espressione di chi ha appena subito una sconfitta personale!” Esclamò Tooru incrociando le braccia contro il petto. “Che diavolo di piano era il tuo, eh?” Si stava tingendo di rabbia la sua voce.
Tobio storse le labbra e si voltò.
“Non darmi le spalle!” Sbottò il Re.
Il Principe si limitò a guardarlo di traverso.
“Non ci provare, moccioso,” lo avvertì Tooru. “Puoi anche essere un fottuto eroe per il resto del mondo ma questo non cambia che tu abbia agito d’impulso come un completo idiota. Hai la stessa consapevolezza della morte che hanno i bambini: pensi che tocchi tutti tranne te, maledizione!”
“Ti ha dato fastidio…” Sibilò Tobio.
“Che tu abbia quasi fatto una morte orribile? Sì!”
Tobio si voltò e guardò il Re Demone dritto negli occhi. “Ti ha dato fastidio che anche questa volta sia stato io e non tu.”
Gli occhi scuri di Tooru si fecero grandi e la sua espressione divenne una maschera di pietra.
Tobio appese la spada alla cintura come se stesse mettendo un punto, uno di quelli tra un prima ed un dopo. “Certo che vuoi che scelga Shouyou come consorte,” disse. “Ci sono leggende molto simili in tutti i Regni liberi ma quelle di Shiratorizawa e Karasuno sono troppo simili.”
Tooru strinse le labbra. “Non lo so cosa è il Re dell’Aquila ma tu, probabilmente, credi che Shouyou sia qualcosa di simile… Quel qualcosa che manca al Regno di Seijou.”
“Tobio…”
“Ma non accadrà…”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Che cosa non accadrà?”
“Qualunque cosa tu abbia in mente,” rispose Tobio freddamente. “Qualunque sia il tuo piano per superare Shiratorizawa una volta per tutte, non accadrà.”
Lo sguardo di Tooru si fece oscuro, gelido. “E cosa credi di fare, eh?” Domandò avvicinandosi di qualche passo. “Bravo, mi hai scoperto! Cosa pensi di poter fare a questo punto? Lo farai tornare a casa, dove chiunque potrebbe andare a prenderlo con la forza? Perché entrambi sappiamo che Karasuno non potrebbe resistere ad un attacco degno di questo nome.”
Tutta la sicurezza negli occhi di Tobio scivolò via.
“Oh!” Tooru sorrise diabolico. “Non ci avevi pensato, vero? Credevi che se avessi fatto l’idiota fino alla fine, invece d’interessarti a quella creaturina fragile dal bel faccino, mi sarei fatto da parte e avrei semplicemente lasciato che tornasse a casa?”
Tobio strinse i pugni con rabbia. “Certo che no, saresti pronto a vendere me e mio padre per avere il Re dell’Aquila ai tuoi piedi come tutti gli altri!”
Lo schiaffo fu fulminio, tanto violento che Tobio per poco non perse l’equilibrio. Impiegò qualche istante per capire quello che era veramente successo e si toccò la guancia allibito mentre sollevava lo sguardo.
Il Re Demone piangeva. Sì, piangeva anche se la sua espressione era rabbiosa.
“Non accusarmi come se tu non volessi la stessa identica cosa…” Sibilò velenoso. “Pensi di potermi sfidare, Tobio? Tolto Shouyou che cos’hai, eh? Niente. Assolutamente niente. Hai un grande nome, una grande eredità e nemmeno un uomo che sarebbe disposto a seguirti. Sei solo, Tobio. Sei sempre stato solo e c’è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo è un Re sconfitto in partenza. Vuoi giudicare i miei piani? Nei miei piani, almeno, non sei destinato a morire da solo.”
“Shouyou non ti appartiene,” gli ricordò Tobio.
“Non ho mai voluto che appartenesse a me,” Tooru ghignò. “Hai ragione, però. Allora sarà del Re dell’Aquila.”
Gli occhi blu di Tobio si fecero enormi.
“Tsutomu era lì con voi e qualcuno lo ha salvato. Quanto pensi che ci vorrà perché Wakatoshi arrivi a Shouyou, eh? Pensi che gli darà la possibilità di scegliere come ho fatto io con voi?”
Tobio non seppe come replicare e l’espressione di Tooru si addolcì un poco. Si asciugò il viso e prese un respiro profondo. “Non farlo tornare a casa, Tobio,” gli disse. “Non può più essere al sicuro a casa, non dopo la scorsa notte.”
“Gli ho chiesto di restare…” Confessò Tobio senza pensare. “Gliel’ho chiesto dopo aver danzato con lui.”
Tooru inarcò le sopracciglia: non si era aspettato tanta intraprendenza da parte del suo erede. “E lui?”
“Non ha avuto il tempo di rispondere.”
“Capisco…” Tooru l’osservò con attenzione. “Che cosa ti è successo, Tobio?”
Il Principe Demone fece una smorfia. “Una volta mi ha raccontato che mio padre ha detto di amarti per la prima volta solo dopo che tu lo avevi creduto morto in una battaglia contro il Re dell’Aquila.”
Suo malgrado, Tooru sorrise. “Tuo padre aveva creduto se stesso spacciato in quell’occasione,” disse. “Diceva che poi ogni sua paura sembrava essere divenuta stupida, compresa quella di dire ad alta voce che mi amava.”
“Anche io sono morto ieri notte.” Confessò Tobio. “Ho fatto un salto nel vuoto e ho chiuso gli occhi con la convinzione che non li avrei riaperti mai più.”
Il sorriso scomparve dal viso di Tooru.
“Nemmeno io ho più paura,” ammise il Principe Demone con tono gelido. “E mi sembra improvvisamente stupido avere paura di ammettere a me stesso che tu mi temi più di amarmi.”
Il Re Demone non aveva parole per replicare a quella confessione.
Tobio fece una smorfia. “Non provi nemmeno a negare…” Lo superò con pochi passi veloci e si fermò. “Stanno cercando un modo per scuoiare il drago o qualche altra cosa disgustosa del genere. Ho letto che il cuore di un drago non si decompone mai, che sia pregno di un potere quasi divino. Per diritto spetterebbe a me ma è tuo se lo vuoi.”
Tooru chiuse gli occhi e sospirò. “Tobio…” Avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno della sua pietà ma non voleva mostrarsi più debole di quanto non fosse: Tobio non era più così manovrabile con quella nuova consapevolezza di sé. Da quel momento in poi, avrebbe dovuto fare i conti con un suo pari.
“C’è anche un’altra cosa,” aggiunse Tobio. “Tsutomu…”
Tooru si voltò e fissò la schiena di suo figlio. “Che cosa centra il figlio di Wakatoshi?”
“Prima del ballo, mi ha confessato di aver sognato che il drago distruggeva questo castello,” raccontò Tobio. “Continuava a ripetere di poter sentire la voce della bestia nella sua testa.”
Tooru sgranò gli occhi ma non disse nulla.
“Non gli ho dato ascolto,” ammise Tobio. “Ma il suo secondo genitore era un Mago…”
Il Re Demone annuì. “Grazie per avermelo detto…” Avrebbe dovuto indagare meglio anche su quella faccenda.
Tobio annuì e fece per andarsene.
“E… Tobio?” Lo richiamò Tooru.
Il Principe Demone si fermò ma non si voltò.
“Perché hai chiesto a Shouyou di restare?”
“Non era quello che speravi che facessi?”
“Sì,” ammise il Re Demone. “Ma voglio sapere il perché.”
“Perché quell’idiota non può andarsene in giro senza saper controllare il suo potere e a Karasuno nessuno sembra avere intenzione di educarlo in tal senso.”
“Tu non hai quei poteri,” gli fece notare Tooru. “Come pensi di aiutarlo?”
Tobio non rispose.
Il Re Demone sorrise sommessamente ed annuì. “Non c’è nessun altro motivo?”
“No.” Fu la breve risposta di Tobio.
“Non puoi andare da lui adesso, Tobio-chan,” lo avvertì Tooru quasi divertito. “Daichi ha giurato che decapiterà con la sua spada chiunque provi a chiedere del suo Principe.”
“Non sto andando da lui!” Esclamò Tobio rabbioso.
Tooru non ebbe difficoltà a capire che mentiva.
 
 
***
 
 
Tooru provò a non andare da Shouyou per tutta la settimana seguente e non passava giorno in cui non andasse a cercare Kenma in biblioteca per chiedere delle sue condizioni. Ogni giorno, il Mago rispondeva sempre allo stesso modo. “Dice di stare male…”
A quel punto, Tobio inarcava le sopracciglia confuso. “Ma è in pericolo?”
“Non sta morendo,” lo rassicurava Kenma a quel punto.
Se il Mago fosse stato completamente onesto, avrebbe dovuto confessare al Principe Demone che Shouyou era tornato perfettamente in forze appena un giorno dopo l’uccisione del drago ma il suo paziente sembrava tenerci particolarmente a far sapere a tutti che stava male, che era debole e che non avvertiva nessun segno di miglioramento. Chi era lui per andare contro la sua volontà?
Per un po’ si era anche chiesto il motivo di una simile farsa e si era detto che almeno in quel modo non sarebbe stato costretto a vedere il Principe Demone. Poi, però, era stato Shouyou a cominciare a chiedere notizie di Tobio e Kenma aveva seriamente cercato di rimanere fuori da quella storia il più possibile e limitarsi a compiere il suo dovere di Mago e Curatore per una volta.
La stagione degli amori di Tooru e Koushi era stata un’esperienza abbastanza costruttiva per convincerlo che era cosa buona e giusta per la sua sanità mentale non divenire un alleato anche in quella dei loro figli.
 
 
***
 
 
Daichi ne era certo: Koushi sapeva molto di più di quello che dimostrava ed era una cosa che non gli piaceva proprio per niente.
“Tu mi nascondi qualcosa…” Mormorò sospettoso una notte, mentre entrambi erano a letto.
Koushi sollevò il viso dal suo petto e lo guardò con un finto sorrisetto scocciato. “Ci siamo concessi un’ora d’amore e dobbiamo tornare subito a preoccuparci?”
Daichi scrollò le spalle. “Siamo genitori…” Disse come se fosse una giustificazione.
Koushi sospirò e tornò ad accomodarsi contro il suo petto. “Non me lo ricordare adesso.”
Il Re dei Corvi inarcò le sopracciglia. “Ho passato quindici anni a credere che ti piacesse fare la mamma.”
Suo malgrado, Koushi sorrise. “Non saprei immaginare la nostra vita senza i nostri figli.”
“Ma?”
Il consorte reale di Karasuno rimase in silenzio: non voleva affrontare una discussione sul fatto che Shouyou stesse crescendo da un giorno all’altro e lo stesse facendo grazie ad un Principe dagli occhi blu senza che nemmeno se ne rendesse conto.
“Hajime mi ha detto che Tobio continua a chiedere di Shouyou,” disse Daichi.
Koushi fece una smorfia rassegnato.
“Tooru ti ha detto nulla in proposito?”
“Non vedo Tooru dal giorno dell’attacco,” ammise Koushi. “Credo che voglia stare un po’ per conto suo.”
Daichi annuì. “Metà della sua casa è stata distrutta, dopotutto.”
“Non credo si tratti solo di questo.” In realtà, Koushi era certo che quello fosse l’ultimo dei problemi del Re Demone. “Penso che sia più una questione di figli anche la sua.”
Daichi lo guardò. “Intendi Tobio e Shouyou?”
“Sì, ha a che fare con Tobio e Shouyou ma non è così semplice.”
“Va bene,” Daichi invertì le loro posizioni in modo che il consorte non potesse più evitare di guardarlo negli occhi. “Mi stai nascondendo qualcosa?”
“No,” non era la verità. “Ho la netta sensazione che Shouyou stia nascondendo qualcosa a noi, però.” Doveva essere successo qualcosa oltre al fatto che Tobio aveva scoperto il suo segreto, qualcosa che lo portava a fingere di stare male quando era evidente che non era così.
Daichi inarcò le sopracciglia. “Qualcosa di cui non siamo a conoscenza ma che ci induce a non preoccuparci a morte, nonostante lui dichiari di essere praticamente in fin di vita?”
Koushi sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
“Che cosa c’è da ridere?” Domandò il Re.
“Ti sei accorto che sta fingendo, quindi?”
“Ieri ha cominciando a lamentarsi come se stesse agonizzando,” commentò Daichi. “E lo fa solo in nostra presenza o quella di Kenma. Non sono stupido, Koushi.”
“Lo so, lo so…” Mormorò il consorte reale accarezzandogli i capelli corvini distrattamente. “È che non credevo lo avresti assecondato. Di solito, quello è un vizio mio.”
“È che non mi ricordo l’ultima volta che Shouyou ha finto di stare male.”
“Non lo ha mai fatto, Daichi,” disse Koushi. “Ha finto di stare bene, alle volte. Stare male significava stare fermi a letto, capisci?”
Il Re sorrise. “Quale tortura…”
Koushi ridacchiò. “Non lo so che cosa sta facendo Shouyou,” ammise. “È questo che mi preoccupa, capisci? Non posso chiederglielo e basta come un tempo… Questa volta temo che non mi direbbe la verità e, dopo, me ne accorgerei ma dovrei fare finta del contrario.”
Daichi soppesò quelle parole per un istante. “Si tratta di Tobio, vero?” Domandò con tono decisamente meno sereno.
Koushi sorrise. “Eccolo il padre protettivo,” mormorò intenerito. “Mi stavo chiedendo quando sarebbe saltato fuori…”
“Parlo sul serio, Koushi,” disse Daichi prendendo la mano del consorte nella sua. “C’è qualcosa che…?” Lasciò la domanda sospesa a metà.
Koushi si umettò le labbra. “Impedisci a Tobio di vedere Shouyou.”
“Lo sto facendo,” gli fece notare Daichi. “Ma non potrò farlo per sempre…”
“Ancora un po’…”
Il Re lo guardò sospettoso. “Si stanno cercando disperatamente ed altrettanto disperatamente lo stanno negando…” Rise. “Eravamo così stupidi alla loro età?”
Koushi scrollò le spalle. “Eravamo innamorati, ci va vicino…”
“Uno dei due crollerà, prima o poi…” Gli fece notare Daichi.
Koushi lo guardò con un sorrisetto furbetto. “Appunto…” Mormorò. “Ancora per un po’, Daichi… Ho bisogno di una prova di fiducia anche io, ora.”
 
 
***
 
 
Tobio fu il primo a scoppiare.
Accadde a dieci giorni di distanza dall’abbattimento del drago.
Il Re Demone aveva richiamato vecchi cacciatori da ogni angolo dei Regni liberi per poter recuperare da quella carcassa tutto ciò che potesse definirsi di valore ma il processo si era rivelato piuttosto lungo e non c’era nulla al Castello Nero che impegnasse l’attenzione di tutti più del Principe Demone che saliva e scendeva le scale che portavano agli appartamenti dei reali di Karasuno.
I Cavalieri del Re dei Corvi avevano anche smesso di presentarsi nel cortile interno del castello per evitare che il Principe li disturbasse insistentemente chiedendo informazioni sul loro erede al trono o pretendendo di essere scortato da lui anche senza il consenso del loro sovrano.
Se non fosse stato troppo occupato ad essere scocciato con il resto del mondo, Kei l’avrebbe anche trovato divertente. Lui non aveva nessun problema ad uscire allo scoperto e non aveva alcuna intenzione di rinchiudersi in una stanza dalle pareti di pietra con tutto quel caldo solo perché quell’idiota di Shouyou non la finiva di fingersi moribondo. Alla fine, anche Tadashi lo aveva seguito solo per evitare che fosse il Principe dei Corvi a tormentare lui perché aiutasse Tobio ad entrare nei suoi appartamenti senza che suo padre lo sapesse.
“Davvero te lo ha chiesto?” Domandò Kei appoggiando la schiena alla parete di pietra.
Seduto sulle scale che portavano alle mura, Tadashi annuì. “Prima ha tentato con Hitoka,” disse con un sorriso divertito. “Poverina, ha cercato di parlare con Tobio in corridoio ma ha cominciato a balbettare al punto che il Principe non ci ha capito più nulla ed è dovuto correre via per l’imbarazzo.”
Kei inarcò le sopracciglia: Shouyou non ne voleva sapere di uscire da quella camera da letto e stava giocando carte false per riuscirci ma vedere Tobio sembrava essere una faccenda altrettanto urgente. Quello che lo faceva pensare era che le due cose di escludevano a vicenda e questo il loro Principe, per quanto idiota, lo sapeva bene. Se non era per evitare il Principe Demone che continuava a fingersi malato, che cosa gli impediva di alzarsi da quel letto ed andare a cercarlo di persona?
Kei sospirò: se avesse cominciato a tentare seriamente di entrare nella testa di Shouyou ne sarebbe uscito completamente scemo a sua volta.
“Oggi ce ne andiamo tutti a caccia!” Esclamò il Primo Cavalieri di colpo.
Kei sollevò gli occhi e vide che si era spostato al centro del cortile stringendo il braccio del Principe Demone con una certa insistenza. “Mio figlio ha abbattuto un drago e non possiamo offrirgli la celebrazione che merita. Concediamoci qualche giorni di caccia in suo onore e, quando il Castello Nero sarà tornato quello di un tempo, mangeremo la cacciagione e brinderemo alla sua impresa.”
Molti Cavalieri alzarono il pugno esultando ma Kei non si lasciò sfuggire come i più giovani rimasero in silenzio, scuri in volto.
“Dobbiamo farlo per forza?” Domandò un ragazzo ancor più alto di lui.
Il suo amico, un piccoletto dall’espressione apatica sospirò visibilmente annoiato. “Non abbiamo altra scelta,” disse. “Vanno tutti…”
Kei li osservò per un po’ senza essere visto, poi li vide confondersi con i Cavalieri più anziani e riportò la sua attenzione al centro del cortile, sul Primo Cavaliere e su suo figlio.
“Non sembra molto amato…”
Abbassò lo sguardo. Tadashi stava osservando il Principe Demone con quella che sarebbe potuta essere pietà. “Dovrà essere il loro signore e non lo sopportano.”
Kei tornò a fissare Tobio. Gli occhi blu del Principe Demone erano rivolti verso l’alto ed il Cavaliere non ebbe bisogno di seguire la linea del suo sguardo per sapere che stava guardando le finestre degli appartamenti dei reali di Karasuno. Il Primo Cavaliere stringeva il suo braccio come se temesse che sarebbe corso di nuovo su per quelle scale se solo avesse lasciato la presa per un istante.
Sospirò: non erano affari suoi ma se fosse stato per quegli idioti sarebbero tutti rimasti sospesi in quella situazione in eterno. “Andiamo…” Ordinò.
Tadashi si alzò immediatamente. “Vuoi andare a caccia anche tu?”
“Questa corte comincia a divenire insopportabile,” disse Kei e, finalmente, gli occhi blu di Tobio incrociarono i suoi. “Qualcuno deve darci un taglio…”
 
 
Se fosse stato per Tobio, non avrebbe rivolto parola a quel Cavaliere nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo del Regno di Karasuno ancora in circolazione. Peccato che, in realtà, lo fosse. Tutti gli altri sembrava essersi dileguati nel nulla. Come se non bastasse, avrebbe potuto recitare il maledetto libro di Kenma a memoria, Shouyou non accennava a migliorare e nessuno sembrava convincersi a lasciarglielo vedere.
Inoltre, quel Cavaliere non sembrava del tutto contrario all’idea di parlare con lui.
“C’è qualcosa che devi dirmi?” Fu Tobio ad interrompere il silenzio per primo.
Si erano isolati rispetto agli altri. Non abbastanza perché non fossero in vista ma Tobio non l’aveva considerata una cosa casuale.
Kei fece una smorfia. “Mi piacerebbe che qualcosa me lo diceste voi.”
Tobio resse il suo sguardo alla perfezione, poi portò gli occhi sul viso dell’altro ragazzo, quello di cui non conosceva il nome. Questi arrossi ed abbassò lo sguardo immediatamente.
“Lui è Tadashi,” disse Kei. “Voi, però, dovete parlare con me.”
“A che proposito?” Domandò Tobio.
“Mi sembra ovvio…”
Certo che lo era. “Non ho nulla da dire al Cavaliere del Principe dei Corvi. È con lui che devo parlare, con nessun altro.”
Kei lo guardò divertito. “Questo lo ha capito tutta la corte, mio Principe.”
“E allora perché insistete a tenermi lontano?”
“Ordini,” rispose il Cavaliere. “Il nostro giovane signore non sta bene ed i suoi genitori non vogliono affaticarlo con visite inutili.” Tadashi gli lanciò subito un’occhiata e Kei ricambiò invitandolo a tacere senza usare le parole. Si portò in avanti, in modo che il Principe Demone non ponesse attenzione alle reazioni istintive del suo amico d’infanzia.
“Non ha chiesto di me?” Domandò Tobio affiancandosi al Cavaliere.
Kei poteva sentire lo sguardo insistente di Tadashi contro la nuca ma decise d’ignorarlo. “Nemmeno io ho avuto il permesso di passare molto tempo con il mio Principe in questi giorni.”
Tobio lo guardò un poco allarmato. “Le sue condizioni sono così gravi?”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Non sono un Curatore. Non posso rispondere con certezza.”
“Ehi!” Tobio lo afferrò per il colletto della tunica e lo guardò in cagnesco. “Mi pareva che fossimo qui per parlare e tu non stai dicendo niente.”
Alle loro spalle, Tadashi osservava la scena in silenzio, spaventato. Se il Principe Demone avesse fatto del male al suo amico, che cosa avrebbe potuto fare lui?
Kei, però, tornò a sorridere con fare sarcastico. “Credete davvero che intimidendo il nemico senza la reale intenzioni di fargli del male possiate ottenere qualcosa da esso?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte e lo lasciò andare. “Allora smetti di parlare solo a metà.”
Kei riprese a camminare. “Posso sapere per quale motivo insistete tanto a voler parlare con il nostro Principe?”
“Ti ho già detto che non sono affari tuoi.”
“Adesso siete voi a parlare a metà, Altezza.”
Tobio si fermò e lo guardò dritto negli occhi. “Puoi portarmi da Shouyou o no?”
Domanda diretta, risposta diretta e Kei seppe di aver perso. “No…” Disse con una mezza smorfia.
Il Principe Demone annuì. “Allora non è mio interesse parlare con te.”
Si allontanò di alcuni passi, poi il rumore di una freccia che fendeva l’aria spezzò il silenzio seguita da un verso vittorioso.
“Oh, no!”
Kei si voltò e vide lo stesso ragazzo più alto di lui che aveva sentito lamentarsi nel cortile interno del castello. Il suo amico gli era accanto ed entrambi avevano lo sguardo rivolto a terra. Sembravano delusi.
“È un corvo,” disse il ragazzo con la faccia apatica. “Lo hai preso in pieno.”
“Sì,” disse il più alto con aria sconsolata. “I corvi, però, non sono così buoni da mangiare.”
Kei si sentì intimamente disgustato da quel discorso. Sospirò e portò lo sguardo altrove. Si accorse che Tobio era ancora un paio di metri davanti a lui. Non si muoveva, come se fosse congelato e la sua espressione era terribile, come se avesse appena assistito al peggiore dei crimini.
Inarcò le sopracciglia. “Vostra Altezza?” Chiamò. Tadashi arrivò al suo fianco ed il suo sguardo venne animato dalla stessa confusione. “Vi sentite poco bene?” Domandò a sua volta.
Tobio, però, sembrava completamente sordo alle loro parole. I suoi occhi erano fissi su quei due giovani Cavalieri come se non riuscisse a vedere niente altro. “Che cosa hai fatto?” Domandò a voce troppo bassa perché gli altri due potessero comprendere le sue parole.
Kei, però, le udì chiaramente.
“Che cosa hai fatto, bastardo?!” Sbottò lanciandosi in avanti.
Kei assistette alla scena da lontano. Il ragazzo più alto fu il primo ad alzare lo sguardo e quello che Tobio spintonò via per inginocchiarsi a terra. “Che succede?” Domandò ma il Principe Demone sembrava troppo occupato ad esaminare la creaturina colpita per porre attenzione a lui.
“È morto,” disse il ragazzino con l’espressione apatica. “La freccia gli ha trapassato il petto.”
Di fronte a quell’ovvietà, gli occhi blu del Principe Demone si sollevarono sul viso del ragazzo più alto e Kei sentì un brivido scendergli lungo la schiena di fronte a quell’espressione. Ora, sì, che avrebbe potuto convincerlo a temerlo.
“Che cosa hai fatto, maledetto?!” Tobio afferrò il proprio Cavaliere per il colletto della tunica e lo sbatté con violenza contro il tronco più vicino. “Hai idea di quello che hai appena fatto?!”
In un’altra occasione, Kei lo avrebbe creduto completamente pazzo. Per un attimo, lo fece ma poi un’intuizione molesta prese forma nella sua mente e gli spezzò il respiro prima ancora che prendesse completamente forma. Sentì la mano di Tadashi stringergli il braccio e, quando abbassò lo sguardo, vide negli occhi dell’amico d’infanzia lo stesso sgomento che provava lui.
“Lo sa…” Mormorò Tadashi e non era una domanda.
Non c’era spazio per le domande di fronte ad una reazione tanto violenta per un corvo morto.
“Tobio! Tobio!” Servì l’intervento del Primo Cavaliere per allontanare il Principe Demone dalla gola dello sventurato Cavaliere. “Che cosa ti prende, maledizione?!”
Il fanciullo dai capelli corvini era a metà tra il rabbioso ed il disperato. “Non puoi capire, padre! Non puoi capire! Nessuno può!”
Il Primo Cavaliere fissò suo figlio con sincera preoccupazione. “Tobio, che cosa ti succede?” Domandò prendendo il viso del giovane tra le mani.
Il Principe Demone tremava e non fu capace di rispondere in alcun modo. “Devo andare…” Disse allontanandosi dal padre. “Devo andare!”
Prese a correre tra gli alberi sotto gli sguardi sbigottiti di tutti.
Kei digrignò i denti. “Merda…”
 
 
***
 
 
Tobio non volle sentir ragioni.
Irruppe negli appartamenti dei reali di Karasuno come un folle. Fu un ingresso talmente violento che alcune donne gridarono. Molte voci lo intimarono di fermarsi e qualcuno provò anche a mettergli le mani addosso. Tobio non guardò in faccia nessuno. Si fece strada con le unghie e con i denti e non si fermò fino a che non ebbe spalancato la porta in fondo al corridoio.
“Shouyou!” Urlò.
La prima cosa che mise a fuoco come recuperò il senno fu la figurina in camicia da notte di un fanciullo dai capelli dal colore impossibile. Era seduto sul bordo del suo letto e lo fissava a metà tra l’atterrito ed il confuso. Di fronte a lui vi erano i suoi genitori ma Tobio non diede loro particolare attenzione. Non per mancanza di rispetto ma perché, di colpo, si rese conto di essere senza fiato.
“Tobio!” Esclamò Shouyou alzandosi dal letto ed andandogli vicino.
Il Principe Demone lo guardò come se fosse un fantasma. “Stai bene…” Non era una domanda e, di colpo, si sentì tanto idiota per essere corso fino a lì come se si trattasse di una questione di vita o di morte.
“Sì,” disse il Principe dei Corvi col suo solito sorriso luminoso. “Perché non dovrei stare bene?”
Alle loro spalle, il sovrano di Karasuno incrociò le braccia contro il petto. “Oh… Ora stai bene?”
Shouyou sobbalzò come se qualcuno avesse urlato e si voltò molto lentamente a guardare i suoi genitori con aria costernata.
“Daichi… “ Mormorò dolorante quello che Tobio riconobbe come il Primo Cavalieri mentre si alzava dal pavimento. Il Principe Demone non credette ai suoi occhi quando vide che ce ne erano altri due a terra.
Koushi scosse la testa. “Asahi, Yuu, Ryuu, va tutto bene,” li rassicurò con un sorriso gentile.
Yuu si sollevò immediatamente sulle ginocchia. “Questo pazzo è entrato come se dovesse compiere una strage!”
Tobio sentì le guance farsi calde e decise di non dire niente per giustificarsi, non ancora.
“Nessuno sconfigge il grande Ryuu senza ricevere una lezione in cambio!” Esclamò Ryuu rabbioso.
“Ragazzi,” disse Koushi con voce più ferma. “Va tutto bene, potete andare.” Era un ordine perentorio ed i tre Cavalieri non tardarono un istante di più a rimettersi in piedi e a togliere il disturbo. Il rumore della porta che veniva richiusa sembrò quasi un colpo di cannone.
“Davvero sei corso qui come un pazzo?” Domandò Shouyou.
Tobio si mordicchiò le labbra. “Hanno ucciso un corvo, giù… Alla foresta…”
“Oh…” Gli occhi di Shouyou si fecero grandi.
“E mi sono span… Spat…”
“Spaventato?”
Provò Shouyou con un timido sorriso. “Credevi che fossi io?”
Dapprima, Daichi non comprese, poi le cose cominciarono ad assumere lentamente un senso e, ricollegandosi agli eventi degli ultimi giorni, finì per guardare il suo consorte con espressione sinceramente scioccata. Koushi si premette l’indice contro le labbra: avrebbe affrontato quelle conseguenze più tardi, ora che il Principe Demone era scoppiato non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire l’occasione di capire finalmente tutta la storia.
Tobio impiegò un istante a ritornare il solito, rabbioso se stesso. “Se stai bene per quale motivo non hai voluto vedermi?”
Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte. “Cosa?” Domandò. “Sono io che ho continuato a chiedere di te a tutti e tu non ti sei mai presentato!”
“Dicevano che eri moribondo!”
“E tu hai creduto che fossi là fuori nella foresta trasformato se eri convinto fossi moribondo?”
“Non ho pensato in quel momento! Ho agito d’istinto!”
“E non potevi agire d’istinto prima e venire da me?”
“M’impedivano di venire da te!”
“Eh?” Shouyou si voltò verso i due genitori. Daichi era ancora completamente sconvolto ma Koushi resse il suo sguardo alla perfezione. “Io… Io…”
“Andiamo, Daichi,” disse Koushi con voce stranamente atona e tanto bastò ad attirare l’attenzione del suo compagno. “Lasciamoli da soli.”
Il Re di Karasuno indicò i due con occhi sgranati e bocca spalancata. “Ma… Ma…” Prese a balbettare. Koushi lo zittì afferrandogli una mano ed incrociando le loro dita. Daichi si calmò come sentì quanto forte il suo compagno lo strinse.
“Andiamo…” Ripeté Koushi guardandolo negli occhi ed il Re non seppe spiegarsi la ragione di tutta la tristezza che vide riflessa in quelle iriti dorate.
Shouyou tenne lo sguardo basso per evitare d’incrociare quello dei suoi genitori mentre superavano lui e Tobio ed uscivano dalla stanza. Solo quando sentì la porta richiudersi cercò di nuovo gli occhi blu del Principe Demone e li trovò lì, davanti a lui, ad attenderlo. “Davvero ti hanno impedito di vedermi?” Domandò.
Tobio annuì. “Dicevano che per le tue condizioni non potevi ricevere visite.”
“Fingevo…” Confessò Shouyou con un filo di voce. “Pensavo lo avessero capito ma continuavano a stare tutti al gioco.”
“Penso lo facessero perché in questo modo era più facile tenermi lontano.”
“Sì ma… Perché?”
Tobio scrollò le spalle. “Sono i tuoi genitori,” rispose. “Per me è già abbastanza difficile comprendere gli intrighi dei miei.”
Shouyou si umettò le labbra e si sedette in fondo al suo letto. “Dovevo fingere.”
“Perché?” Domandò Tobio. “Ho pensato che mi stessi evitando.”
“No,” Shouyou scosse la testa. “Era esattamente il contrario: avevo bisogno di tempo per parlare con te.”
“E perché non l’hai piantata con questa farsa e non mi sei venuto a cercare, invece di aspettare che io venissi da te?”
“Perché se mi fossi sentito meglio, sarei dovuto tornare a casa,” confessò Shouyou, alla fine. “L’unica cosa a tenere i miei genitori ancora qui, al Castello Nero, erano le mie condizioni.”
Tobio lo guardò in silenzio per alcuni istante, poi inarcò le sopracciglia. “Non vuoi tornare a casa?”
“No…” Shouyou si morse il labbro inferiore. “Non lo so…”
“Non lo so non è una risposta.”
“È che ho ripensato alla tua proposta,” disse Shouyou. “Non riesco a smettere di pensarci e dopo quello che è successo, io…”
“Tu cosa?” Domandò Tobio. “Non ti bloccare sempre a metà.”
“Io…” Shouyou si mordicchiò le labbra e poi prese un respiro profondo. “Non voglio far soffrire nessuno, capisci?”
“No…”
Il Principe dei Corvi sospirò esasperato. “Non hai mai avuto paura di deludere i tuoi genitori?” Domandò. “Di far loro del male in qualche modo con le tue scelte?”
Tobio ripensò all’ultima volta che aveva parlato con il Re Demone, alle lacrime rabbiose che erano scese sulle sue guance dopo che lo aveva accusato di vivere solo per il potere. Ripensò a come gli aveva sbattuto in faccia di aver capito che la gelosia che provava nei suoi confronti fosse più forte e viva di qualsiasi amore genitoriale. Tobio ripensò anche a tutto ciò che era accaduto da quella prima caccia al drago in poi, di come si era sentito disperato in più di un’occasione perché non riusciva più a vedere quella luce negli occhi del Re quando lo guardava, non aveva importanza quanto fosse bravo in quello che faceva. Per anni aveva reagito a quella freddezza dando il meglio più di quanto già non facesse. Si era accorto troppo tardi che proprio quel suo continuo diventare più forte era la ragione per cui il Re Demone aveva cominciato a vederlo come un rivale. No, una minaccia.
Guardare la morte in faccia gli aveva solo dato la forza di accettare quell’ovvietà.
Sarebbe stato il più forte per se stesso e nessun altro, anche se questo significava far soffrire chi lo aveva messo al mondo.
Shouyou, però, non aveva bisogno di sapere tutto quello.
“No,” rispose alla fine. Il numero di volte che gli aveva mentito in quel modo era quasi superiore a quello delle volte che gli aveva chiesto di condividere il suo segreto con lui. Non gli importò. Non c’era alcuna buona ragione per cui Shouyou dovesse venire a conoscenza di quel che detestava di se stesso. Non sarebbe servito a nessuno.
Gli occhi di Shouyou erano grandi e spaventati in quel momento ma non era la stessa paura che li aveva animati sulla cima di quella torre, con un drago di fronte a loro ed un salto nel vuoto alle loro spalle.
“Io so che spezzerei loro il cuore se non tornassi a casa,” disse artigliando la stoffa della camicia da notte.
“Ma tu vuoi tornare a casa?” Domandò Tobio.
Shouyou scosse la testa. “Non è così semplice.”
“Invece, lo è,” replicò il Principe Demone. “Smetti di pensare a quello che gli altri vogliono da te, stupido. Mi pareva che avessimo già fatto questo discorso. Se vuoi ottenere quello che desideri, non puoi scappare da quello che sei, lo devi affrontare.”
“E come affronto il fatto di far del male alle persone che amo di più al mondo?” Domandò Shouyou con le lacrime agli occhi. “Come posso accettare di seguire i miei desideri quando so che darò un dolore a chi mi ha dato tutto, compresa la mia vita?”
Gli occhi di Tobio rimasero di un blu limpido per tutto il tempo, senza che nessuna ombra d’irritazione o rabbia li rovinasse. “Il fatto che ti abbiano dato la vita non significa che appartenga a loro.”
Shouyou sentì il respiro venire meno per un istante. Gli occhi d’ambra si persero in quelli blu del Principe Demone per un lungo momento di silenzio. Fu Tobio a spezzarlo. “Te lo chiedo un’ultima volta,” disse facendosi più vicino. “Tu vuoi restare?” Domandò. “Vuoi restare qui?”
Shouyou sentì le unghie conficcarsi nei palmi delle mani tanto stava stringendo i pugni. Se fosse tornato, anche se lo avesse fatto per non far del male a chi amava, casa gli sarebbe sembrata solo una gabbia e non lo avrebbe sopportato.
“Sì,” rispose con sicurezza. “Sì, io voglio restare.”
 
 
Nel corridoio, sia Daichi che Koushi se ne stavano con la schiena premuta contro la superficie di legno della porta chiusa. Il Re vi aveva appoggiato la nuca, gli occhi rivolti al soffitto, mentre il suo consorte fissava il pavimento di pietra con le braccia incrociate contro il petto.
“Che cosa facciamo?” Domandò Daichi con tono stanco, quasi rassegnato.
Conosceva già la risposta. La conoscevano entrambi.
“Non c’è niente da fare,” rispose Koushi staccandosi dalla porta. “La sua vita non ci appartiene e ha fatto la sua scelta. Da qui in poi, possiamo solo decidere se essere dei genitori o dei tiranni.” Si voltò e sparì all’interno della loro camera prima che Daichi avesse modo di guardarlo in faccia.
Tuttavia, il Re dei Corvi non aveva bisogno di farlo per sapere che stava piangendo.
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Di eredi e condanne ***


26
Di eredi e condanne


 
 
 
In cuor suo, Koushi aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato.
Lo aveva saputo nel momento in cui aveva preso il suo Shouyou tra le braccia per la prima volta ed aveva finto che non sarebbe divenuto meno suo compleanno dopo compleanno. Sapere da Tooru che il fato aveva destinato il suo bambino al Principe Demone non aveva fatto altro che segnare un punto quasi certo della vita di Shouyou in cui il sole sarebbe sorto su quel fatidico giorno.
Il giorno in cui un bellissimo fanciullo dagli occhi blu e dai capelli corvini s’inginocchiò al cospetto suo e del suo Re per chiedere di concedergli una delle due ragioni che davano senso ad ogni loro respiro.
Shouyou non si era nemmeno rivestito. Se ne stava in piedi alle spalle del Principe Demone con solo una vestaglia leggera sopra la camicia da notte. Tobio, invece, era inginocchiato a terra, al cospetto loro, dei Cavalieri più fidati del Re e delle loro dame.
Aveva espresso la sua richiesta guardandoli dritti negli occhi.
Shouyou, invece, se ne era stato con i suoi fissi sul pavimento, come se provasse vergogna o timore.
Quando Tobio ebbe finito di parlare, nella stanza cadde un pesante silenzio.
La bocca di Koushi era una linea sottile e sollevò gli occhi sul viso del suo Re attendendo che prendesse la parola per primo. Daichi non si era espresso in alcun modo fino a quel momento ed ora Koushi scorgeva sul suo volto sfumature che non aveva mai visto prima.
Fece un passo in avanti e Tobio abbassò lo sguardo con rispetto.
Era educato per essere il ladro che li stava derubando del loro futuro.
Koushi sapeva che non avrebbe dovuto pensare così di quel fanciullo, che non avrebbe dovuto vivere quella situazione in quel modo funesto ma se poteva impedire alla sua bocca di parlare con sincerità, non poteva mettere a tacere in modo altrettanto efficace il suo cuore.
“Parli per suo ordine?” Domandò Daichi con voce tremante di rabbia.
Koushi fissò lo sguardo sulla nuca del compagno, poi si accorse che aveva stretto i pugni tanto forte che temette si sarebbe ferito i palmi delle mani da solo.
“Parla! Sei qui per suo ordine?” Sbottò il Re dei Corvi.
Shouyou sobbalzò e Tobio abbandonò ogni formalità e si sollevò in piedi, gli occhi blu confusi ed intimoriti al contempo. “Non so di cosa state parlando, mio Re.”
“Dei piani matrimoniali del Re Demone, ad esempio!” Rispose Daichi con rabbia. “Del fatto che mio figlio sia erede di un piccolo Regno e che sia ignaro delle regole crudeli del mondo, a differenza tua!”
Koushi guardò Shouyou e notò come gli occhi di suo figlio si erano fatti confusi e spaventati di colpo.
Tobio, però, superata l’esitazione iniziale, non si azzardò a retrocedere nemmeno di mezzo passo. Si mosse in avanti, invece e resse lo sguardo di Daichi alla perfezione. “Se avete mai pensato, sire, che io sia un pupazzo nelle mani di uno dei miei genitori, vi sbagliate di grosso!” Replicò con orgoglio ed arroganza al tempo stesso. “Sono un futuro Re che è venuto qui con l’intenzione di parlare con un suo pari e non per essere additato come un burattino facile da manipolare. Siete al cospetto del Principe Demone, state guardando negli occhi quello che diverrà Re, Primo Cavaliere e Generale Supremo del Regno di Seijou, quindi abbiate il rispetto di rispondere a me, alle mie parole e non quelle di mia madre!”
Il silenzio che cadde allora, se possibile, fu ancor più pesante del precedente.
Ci fu un attimo, uno solo, in cui Koushi temette che Daichi avrebbe alzato il pugno ed avrebbe colpito il Principe Demone in volto. Poco importava che fossero ancora ospiti del Castello Nero e quel gesto avrebbe potuto avere conseguente politicamente gravi.
Non lo fece. Al contrario, retrocedette di un passo e Tobio rilassò le spalle di fronte a quella dimostrazione di rispetto. Dopo, si voltò verso Shouyou. “Il Re Demone aveva pensato ad un matrimonio combinato tra noi due,” confessò senza vergogna. “Non ho mai assecondato questo piano. Non ti ho mai avvicinato per fargli piacere e non te ne ho parlato perché non volevo spaventarti inutilmente, dato che ero il primo ad essere disaccordo.”
Shouyou esitò un istante, poi annuì e la confusione sfumò via dagli occhi d’ambra.
Koushi se ne sorprese: erano bastate poche parole per placare i timori che avevano fatto infuriare il suo stesso padre? Quanta fiducia riponeva il loro Shouyou in quel Principe?
“Rinnovo la mia richiesta,” disse Tobio tornando a guardare il Re dei Corvi. “Vi chiedo di mettere l’educazione da Cavaliere di vostro figlio nelle mie mani. Vi do la mia parola che sarà sotto la mia protezione per tutto il tempo che passerà nelle terre del Regno di Seijou e la sua persona non verrà usata per alcun motivo politico che possa nuocere a lui o a voi. Di conseguenza, mio Re, nessuno sarà obbligato a sposare nessuno e non sarei qui ad espormi se il vostro Principe non mi avesse già assicurato che è, prima di tutto, un suo desiderio restare qui.”
Shouyou seppe di dover potare lo sguardo sui suoi genitori a quel punto e si sforzò d’ingoiare il nodo che gli stringeva la gola per dare voce alla sua volontà. “È così,” confermò. “Tobio non ha mai fatto o detto nulla che mi facesse sentire obbligato a restare. In realtà, sono stato io il primo ad aver dimostrato reticenza a voler lasciare il Castello Nero così presto.”
“È davvero Shouyou quello che sta parlando?”
Koushi sentì Ryuu chiedere a bassa voce alle sue spalle.
“Shhh… È diventato grande, vero?” Replicò Yuu con quello che sembrava essere orgoglio.
Koushi sapeva che avrebbe dovuto sentirsi così a sua volta, eppure non ci riusciva.
Suo figlio se ne stava di fronte a loro a testa alta facendo valere le ragioni dietro al suo desiderio e Koushi non riusciva ad essere felice per quella sua crescita improvvisa. Shouyou era sbocciato in poco più di tre settimane e non era stato grazie a loro.
La loro creatura si portò in avanti, affiancandosi al Principe Demone come un suo pari e Tobio lo accettò.
“Io voglio restare!” Esclamò Shouyou con fermezza. “So di chiedervi molto ma è il solo desiderio che io abbia mai espresso e vi prego di ascoltarlo.”
Diretti. Sinceri.
Nelle parole di Tobio non c’era stata alcuna traccia dell’ombra degli inganni e degli enigmi di Tooru.
Era stato cristallino sia nell’affermare la sua posizione lontano da quella del Re Demone, sia nel farla valere come altrettanto significativa.
Che cosa avrebbe potuto dire il Re dei Corvi per negare al suo erede quel desiderio del tutto innocente?
Che cosa avrebbero potuto fare Koushi e Daichi per riprendere il loro primogenito con loro e portarlo a casa senza assomigliare più a dei carcerieri che a dei genitori?
Non potevano, semplicemente e lo sapeva entrambi.
“Parleremo con il Re Demone e col il Primo Cavaliere,” disse Daichi.
Koushi abbassò lo sguardo: potevano solo prendere tempo.
“Da pari a pari, non siete ancora il signore di questo castello e la presenza di un altro Principe all’interno di una corte tanto affollata potrebbe avere delle conseguenze economiche che ancora non ti riguardano.”
Tobio annuì ma il suo viso era tranquillo e così lo era quello di Shouyou.
Koushi sapeva il perché: Tooru avrebbe fatto i salti di gioia nel sapere che entrambi i loro Principi avevano deciso del loro futuro insieme ancor prima d’interpellare loro.
Non era certo che avrebbe avuto lo stomaco di sopportare il suo entusiasmo.
 
 
***
 
 
Il sole era calato e la luna si era alzata fino a raggiungere il punto più alto del cielo.
Le stelle erano brillanti ed il vento sembrava essersi placato per rendere l’aria di quella notte di grandi decisioni più soffocante di quanto già non fosse per chi non riusciva a chiudere occhio.
Il Castello Nero dormiva ma due fanciulli non sarebbero riusciti a chiudere occhio quella notte.
“Perché ci mettono tanto?” Si domandò Tobio andando avanti ed indietro con le braccia incrociate contro il petto. Nessuno si era disturbato ad invitarlo a tornare nelle sue stanze nell’attesa che i due Re terminassero di accordarsi sui dettagli di quella nuova situazione. Forse, volevano evitare che origliasse la conversazione e concedesse loro il massimo riserbo o, semplicemente, erano rimasti tutti talmente storditi dalla sua richiesta e dalla fermezza che Shouyou aveva dimostrato nell’assecondarla che nessuno aveva avuto il coraggio di cacciarlo.
Shouyou era seduto al centro del letto con le ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso sulla figura del Principe. “Che cosa è successo nella foresta di preciso?”
Tobio nemmeno lo guardò. “Niente d’importante…”
“Sei entrato qui come un pazzo, Tobio,” gli ricordò Shouyou. “E quando Kei e Tadashi sono tornati ti hanno guardato come se lo fossi realmente.”
Vi erano solo una decina di candele ad illuminare la stanza ma Shouyou non si fece sfuggire il modo in cui le guance del Principe Demone si colorarono un poco. “Uno dei miei Cavalieri ha trafitto un corvo durante una battuta di caccia… Per gioco, hanno detto.”
Shouyou fece una smorfia, poi, però, le sue labbra si piegarono in un timido sorriso. “Hai temuto che fossi io?”
“Non farmi ripetere…” Si limitò a dire Tobio continuando a vagare avanti ed indietro.
Shouyou sospirò. “Mi fai venire l’agitazione così…”
“Sono nervoso,” replicò Tobio.
“Lo so,” ammise il Principe dei Corvi. “Vieni qui…”
Tobio si fermò e lo guardò con gli sgranati. “Cosa?”
Shouyou batté una mano sulla coperta. “Vieni qui,” disse. “Parliamo…”
“Di cosa?”
“Non lo so,” ammise il Principe dei Corvi. “Troviamo sempre qualcosa di cui parlare.”
“Davvero?” Domandò Tobio inarcando le sopracciglia.
“Davvero!” Shouyou annuì con un sorriso, poi i suoi occhi s’illuminarono come un’idea prese forma nella sua mente. “Parlami del mare…”
Il Principe Demone lo guardò confuso. “Come?”
“Sì,” Shouyou annuì. “È una cosa di cui ha parlato Tsutomu quando me lo hai presentato ma non ho mai avuto occasione di chiederti nulla. Lui ha parlato del fatto che sei tornato dal mare…”
Tobio esitò, poi camminò accanto al letto e si sedette sul bordo del materasso in modo da poter guardare comodamente il Principe dei Corvi negli occhi. “Era un progetto dei miei genitori,” spiegò. “Dopo la conquista di Dateko, il Re espresse il desiderio di esplorare i mari ed il Primo Cavaliere gli rispose che avrebbe organizzato la missione ed in un paio d’anni sarebbero potuti ripartire.”
“La scorsa primavera…”
“Già…” Tobio annuì. “Il Re, però, ha rivolto la sua attenzione ad altro in questi due anni ed il progetto è andato comunque avanti ma…”
“Siete partiti solo tu e tuo padre.”
Tobio annuì. “Siamo partiti in primavera e siamo tornati all’inizio dell’estate. Quasi tre mesi in mare.”
Shouyou appoggiò la nuca al cuscino e lo guardò con aria sognante. “È bello, vero?” Domandò. “Andare per mare… Viaggiare in direzioni sconosciute…”
“Se riesci a sopportare il mal di mare…”
“Mal di mare?”
Tobio ghignò divertito. “La maggior parte dei Cavalieri della mia generazione ha vomitato dal primo all’ultimo giorno di navigazione e, ogni volta che ci fermavamo ad un porto, scendevano dalla nave tanto velocemente che sembrava volassero.”
Shouyou rise. “Poveretti…”
“Deboli in tutto e per tutto.”
“E smettila!” Esclamò Shouyou. “Non tutti nascono con le tue doti, sai?”
Tobio lo guardò storto. “E questo cosa centra?”
“Centra eccome!” Affermò il piccolo Principe. “Tu sei nato dalle due personalità che più di ogni altra hanno influenzato la storia di questa generazione. I nomi dei tuoi genitori vengono nominati insieme a quello del Re dell’Aquila. Non prima, né dopo… Insieme! Tu non potevi essere altro che un’altra stella luminosa come loro! Non puoi pretendere che lo siano tutti, però… Ed il fatto che non lo siano non li rende meno importanti o utili. Sono vite, sono persone e non importa quanto sei geniale come Generale, come Cavaliere o come Arciere, un minuto da solo su di un campo di battaglia contro un esercito e sei morto.”
Tobio lo guardò duramente. “Vuoi dire che tutto quello che sono lo devo solo ed unicamente ai miei genitori?”
“Non prenderla così,” disse Shouyou. “Non sto dicendo che non ti meriti la tua fama. Dico solo che non è un crimine essere umani… Semplicemente umani, tutto qui.”
Tobio non replicò e Shouyou seppe che lo aveva ascoltato.
“Probabilmente, saresti stato un Principe anche senza un titolo,” aggiunse.
Gli occhi blu si fecero confusi. “E come avrei fatto?”
“Come tutti gli antichi Re,” rispose Shouyou. “Diventando grande con le tue sole forze… E la benedizione del destino, ovviamente.”
Tobio fece una smorfia divertita, poi ridacchiò a bassa voce.
“Che cosa c’è?” Domandò Shouyou.
“Niente…”
Il piccolo Principe si fece più vicino. “Dai, che cosa c’è?”
Tobio scrollò le spalle. “Niente, hai solo detto qualcosa che ho sentito ripetere spesso dal Primo Cavaliere ma con parole diverse.”
Shouyou sorrise. “Tuo padre dice che sei un Principe per natura e non per diritto di sangue?”
“No, lo dice di mia madre.”
Gli occhi d’ambra studiarono con attenzione il viso del Principe Demone e non si lasciarono sfuggire la sfumatura malinconica di cui si tinsero quelle iridi blu. “È la seconda volta che lo fai…”
“Cosa?” Domandò Tobio guardandolo.
“Che ti riferisci al Re come uno dei tuoi genitori,” rispose Shouyou. “Lo hai fatto anche prima, mentre tenevi testa a mio padre. Non credo che tu te ne sia nemmeno reso conto.”
“Ho agito d’istinto,” si giustificò Tobio. “Non sopporto che qualcuno confonda il mio agire con quello del Re Demone.”
“Sì, l’hai fatto capire molto bene.” Shouyou reclinò la testa da un lato. “Non capisco il perché della rabbia che ci metti nel sottolinearlo, però. È tua madre…”
“È un Re,” replicò Tobio freddamente. “Ai Re non piace confondersi con altri Re, nemmeno se sono i loro figli.”
Shouyou arricciò il naso. “Di nuovo la stupida logica del potere.”
Tobio lo guardò storto. “Dovrà essere la logica con cui imparerai a pensare.”
“Perché?” Domandò il Principe dei Corvi con una smorfietta sarcastica. “Vuoi rendermi un Re dopo aver fatto di me un Cavaliere?”
“Se necessario, lo farò.”
Gli occhi di Shouyou si fecero grandi a quell’affermazione. “Cosa?”
“Ufficialmente, completerai la tua educazione alla corte del Re Demone,” spiegò Tobio. “Tutti i Regni liberi ne parleranno. È praticamente una faccenda politica…”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Sto per dichiarare guerra a qualcuno?”
Tobio sbuffò. “No, idiota!” Esclamò. “Ma diverrai un uomo tra queste mura, mentre sei sotto la mia tutale e se non diverrai un Re capace questo toccherà immancabilmente anche il mio nome. Quindi, sì, ti renderò un Cavaliere e quando avrò finito farò in modo che tu divenga un Re.”
Shouyou lo guardò sospettoso. “Hai appena detto che ai Re non piacciono gli altri Re.”
“Perfetto, noi non ci sopportiamo.”
Shouyou scrollò le spalle accettando quella semplice verità come se non avesse alcun peso sul loro futuro, poco importava che fosse quasi deciso che lo avrebbero affrontato insieme. “Parlami di nuovo del mare…” Chiese Shouyou.
“Lo hai già visto,” gli ricordò Tobio. “Quando eravamo bambini.”
Shouyou ridacchiò. “Tu non avevi ancora sei anni ed io li avevo appena compiuti. Non ho più visto il mare d’allora.”
Tobio sospirò. “Che cosa vuoi sapere?”
“Tutto!” Esclamò Shouyou. “Non credo che dormiremo molto questa notte, comunque. Tanto vale aspettare parlando, no?”
Tobio non gli disse che aveva ragione, si limitò ad assecondare il suo desiderio. “Non hai idea di quanto tu sia piccolo, fino a che non ti ritrovi in mezzo al mare nel cuore della notte e ti ritrovi completamente circondato da stelle…”
“E fa paura?”
“No. È bellissimo…”
 
 
***
 
 
“Hai mai pensato di rinunciare a Tobio?”
Hajime sollevò lo sguardo dai gradini di pietra solo dopo che Daichi gli ebbe posto quella domanda.
Non sapeva da quanto se ne stavano seduti lì, al buio e non aveva idea di quanto ci sarebbero rimasti ancora. Lanciò un’occhiata veloce alla porta degli appartamenti reali ma non riusciva ad udire nulla. Qualunque cosa stessero facendo Tooru e Koushi in quella stanza la stavano facendo in silenzio.
“No,” rispose alla fine. “Tobio è l’unico figlio di Tooru. È nato per sedere sul Trono Nero e ho sempre saputo che, per quanto la vita potesse allontanarlo da noi, sarebbe sempre tornato qui perché questo è il suo posto. Inoltre, se ci sarà una battaglia o una guerra nel suo futuro, è mio dovere come Primo Cavaliere e Generale Supremo combattere al suo fianco fino al mio ultimo respiro, perciò… No, Daichi, non ho mai temuto di dover rinunciare a lui.”
Il Re dei Corvi annuì, gli occhi scuri fissi sul vuoto. “Io non ho mai preso in considerazione l’idea di dover rinunciare a Shouyou,” ammise. “Non ho mai… Shouyou è il mio primogenito e, come tale, la mia corona sarà sua un giorno e…” Prese un respiro profondo combattendo un peso invisibile che gli opprimeva il petto. “Ho mandato avanti il mio Regno perché fosse libero ed indipendente. Non l’ho reso una grande potenza ma l’ho reso un posto sicuro.”
“Non hai nulla di cui rimproverarti, Daichi,” lo interruppe gentilmente Hajime. “Il tuo popolo ti ama, i tuoi uomini ti seguirebbero fino alla morte, il tuo consorte ti sostiene con lealtà ed i tuoi figli sono cresciuti con un padre, prima di un Re. Non hai assolutamente nulla da rimproverarti.”
“Allora perché mi sembra di non aver dato abbastanza a mio figlio?” Domandò il sovrano. “Perché mi sembra che non voglia tornare a casa perché noi non gli abbiamo dato…”
“Non vuole tornare a casa perché casa non è abbastanza,” replicò Hajime.
Daichi lo guardò ed il Cavaliere notò l’accusa nei suoi occhi. Scosse la testa. “Nemmeno a te casa è bastata, Daichi,” disse. “Non ti è bastata quando non ti è stato permesso di avere Koushi come lo desideravi.”
“Era diver…”
“Non lo è.”
Daichi lo guardò duramente. “Che cosa stai cercando di dirmi?”
“Che a te volevano far sposare una dama educata ad essere una Regina ma hai scelto un Arciere,” rispose Hajime. “Tu hai educato Shouyou a non fare rumore, a non attirare l’attenzione ma tuo figlio è come il sole, Daichi,” gli venne da ridere. “È impossibile non notarlo. È impossibile contenerlo e… No, tu e Koushi gli avete dato tutto quello di cui aveva bisogno ed è proprio per questo che adesso ha potuto guardarvi negli occhi e dirvi con sincerità quale è il suo desiderio. Si è fidato di voi.”
Il viso di Daichi si distese un poco e posò di nuovo gli occhi sui gradini di pietra. “Mi stai dicendo che fino a che mio figlio non si sente costretto a mentirmi per essere se stesso, non sono un cattivo padre?”
Hajime annuì con un mezzo sorriso. “Qualcosa del genere…”
Daichi non gli disse che probabilmente Shouyou gli aveva già mentito con la complicità di sua madre e non gli disse che Tobio era stato capace di capirlo e sostenerlo in quelle poche settimane meglio di quanto non avesse mai fatto lui per paura di metterlo in pericolo. Non aveva preso in considerazione la possibilità che sarebbe arrivato il giorno in cui Shouyou lo avrebbe guardato negli occhi chiedendogli, anche se indirettamente, che di quella protezione non aveva bisogno.
Forse, non se ne era nemmeno reso conto quando lo aveva detto ma era stato Tobio a togliergli quella responsabilità dalle mani e lo aveva fatto senza sapere che gli stava strappando dalle mani un suo diritto e dovere di padre. “Allora perché non riesco a respirare?”
Hajime abbassò lo sguardo si umettò le labbra. “Perché siamo ragionevoli e ci ripetiamo ogni giorno che, anche se li abbiamo messi al mondo noi, i figli non sono una nostra proprietà…” Sorrise con amarezza. “Non è vero. Non importa che sia giusto o sbagliato, in fondo al cuore vogliamo solo che siano nostri prima di qualunque altra cosa per sempre e fa dannatamente male rendersi conto che non è possibile.”
 
 
Tooru era seduto sulla poltrona di fronte al caminetto della sua camera.
Quasi quindici anni prima, quando Hajime tornava nelle loro stanze dopo un’intera giornata di doveri, si sedeva lì, prendeva Tobio tra le braccia e gli parlava a bassa voce per tanto di quel tempo che Tooru restava incantato a guardarli fino a che il sole non tramontava ed anche allora sarebbe potuto rimanere a guardarli fino al mattino. Non la ricordava più l’ultima volta che aveva vissuto un momento felice in quelle stanze.
Avrebbe dovuto fare i salti di gioia per il modo in cui Tobio si era fatto valere al cospetto dei Re dei Corvi ma non ci riusciva, non mentre Koushi se ne stava appoggiato all’arco della portafinestra che portava sul balcone con il viso bagnato di lacrime e gli occhi rivolti alla luna. “Devi giurarmelo su ciò che hai di più caro al mondo,” disse e, nonostante le lacrime, la sua voce era ferma, quasi minacciosa. “Giuramelo sul tuo Regno… Giuramelo sulla vita di tuo figlio, se devi.”
Gli occhi dorati si voltarono verso di lui e Tooru dovette stringere i pugni per costringersi a non abbassare i suoi. Prese un respiro profondo e si alzò in piedi. “Mio figlio ti ha detto che è sotto la sua protezione,” disse. “Capisco che sia difficile fidarsi di un fanciullo di quattordici anni ma la sua parola vale più di qualsiasi trattato reale.”
Koushi gli puntò l’indice contro. “Tu…” Disse avvicinandosi. “Tobio lo affronterò più tardi ma prima devi farmi un giuramento anche tu.”
“Te lo giuro sulla mia vita,” replicò Tooru. “Non gli accadrà niente, nessuno gli torcerà un capello senza essere prima passato sul mio cadavere.”
Koushi piangeva ma il suo sguardo era terribilmente minaccioso. “Nemmeno per il potere?”
Il viso di Tooru rimase immobile. “La vita di tuo figlio è legata a quella del mio. Ti basta come garanzia?”
Koushi resse il suo sguardo ancora un po’, poi tirò su col naso ed abbassò il viso. “Sì,” disse annuendo. “Sì, mi basta.”
 
 
***
 
 
Il rumore della porta della loro camera che si richiudeva fu come quello di un colpo di cannone dopo un’esecuzione.
“Non dovremmo passare da Shouyou?” Domandò Daichi rimanendo in piedi al centro della stanza, mentre Koushi si sedeva in fondo al letto portando le dita ai nastri della camicia.
“Non hai visto la luce che filtrava da sotto la porta?” Domandò il consorte reale di Karasuno. “Sono ancora insieme… Credo stiano parlando.”
L’espressione di Daichi si fece severa. “È ancora mio figlio, ho il diritto di…”
“Hai idea di quante notti passeranno insieme?” Domandò Koushi con un sorriso malinconico ma paziente. “Non potrai perdere la testa ad ogni tramonto al pensiero che Shouyou possa essere in compagnia di un altro fanciullo, lontano da occhi indiscreti.”
“Cominciano ad essere un po’ troppe cose insieme d’accettare, Koushi.”
“Stanno parlando,” ripeté Koushi con dolcezza. “Stanno solo parlando…”
Daichi rimase fermo al centro della stanza per un altro istante di reticenza, poi sospirò ed andò a sedersi accanto al suo compagno. “Che cosa dobbiamo fare a questo punto?”
Koushi scosse la testa. “Niente…” Rispose. “Domani, lo diremo a Natsu e a tutti gli altri e, dopo, partiremo… Credo…”
Daichi gli rivolse un sorriso tirato. “Ha tifato per Tobio fin dal primo giorno, la nostra bambina…” Disse quasi divertito, poi strinse le labbra. “Non credo abbia realizzato che la vittoria del Principe Demone avrebbe significato perdere suo fratello.”
“Non lo stiamo perdendo,” replicò Koushi.
“Ah, no?” Domandò Daichi con sarcasmo. “E quello che sta succedendo come lo chiami?”
Inevitabile…” Rispose Koushi. “Lo chiamo inevitabile.”
Daichi voltò il viso dalla parte opposta in modo che il consorte non potesse guardarlo negli occhi ma erano insieme da troppo tempo perché Koushi non lo notasse. “Daichi…” Chiamò passando le dita tra i capelli corvini del suo compagno. Erano tese le spalle del suo Re ed il suo respiro era irregolare, come se qualcosa gli comprimesse il petto. “Daichi, non nasconderti da me…”
“Maledizione…” Imprecò il Re prendendosi la testa tra le mani, la schiena scossa appena per i singhiozzi che riusciva a stento a trattenere.
Koushi gli circondò le spalle con un braccio. “Oh, Daichi…”
Ci volle qualche istante perché il Re dei Corvi potesse guardare il suo compagno in faccia. “Mi ha sfidato guardandomi negli occhi, lo capisci?”
“Parli di Shouyou?”
“Parlo di Tobio,” rispose Daichi. “Io ho perso la testa e lui mi ha guardato negli occhi con fierezza e mi ha rimesso al mio posto come se il ragazzino fossi io.”
Koushi si umettò le labbra. “Non è stato sgarbato… Forse, arrogante ma non sgarbato.”
“Appunto…”
“T’infastidisce che un fanciullo di quattordici anni ti abbia tenuto testa?”
“M’infastidisce che quel fanciullo di quattordici anni mi abbia tenuto testa mentre, di fatto, mi portava via mio figlio.”
Koushi accennò un sorriso. “Non lo sta rapendo, Daichi. Al contrario, la risposta di Shouyou era quella importante per lui e non la nostra. Sono venuti da noi solo dopo.”
“E questo lo sopporto ancor meno.”
“Lo hai sentito,” gli ricordò Koushi accarezzandogli la schiena. “Shouyou era terrorizzato all’idea di farci del male… E lo sta facendo ma questo non significa che il suo desiderio sia sbagliato, lo capisci? Sarebbe sbagliato farglielo pesare…”
“Lo so,” Daichi annuì, “saperlo ed accettarlo, però, sono due cose differenti.”
“Potrà tornare a casa in ogni momento, Daichi. Non è un addio è solo un grosso cambiamento.”
“Koushi…” Il Re lo guardò con esasperazione. “Hai guardato bene gli occhi di Tobio? A quell’età avevo uno sguardo così soltanto per una ragione ed eri tu.”
Suo malgrado Koushi sorrise. “Almeno, da padre, sai che quel fanciullo vuole tuo figlio al suo fianco con la stessa determinazione con cui tu volevi me.”
“Pensi che siano amanti?” Domandò Daichi terrorizzato.
“Non si guardano nemmeno in quel modo, Daichi.”
“Non ancora…”
Koushi gli prese il viso tra le mani. “Tobio non vuole Shouyou per fargli del male, non vuole Shouyou per usarlo, vuole Shouyou perché… Perché vuole Shouyou.”
Il Re strinse il suo compagno a sé posando la guancia tra i suoi capelli e lasciandosi consolare un poco dal calore della sua vicinanza. “Non tornerà,” concluse con un nodo alla gola. “E se lo farà non sarà da solo.”
 
 
***
 
 
Tobio si svegliò a causa di un dolore al collo e di qualcosa che continuava a solleticargli il viso.
Comprese dov’era e con chi era nel momento in cui si rese conto di essersi addormentato con tutti i vestiti addosso. Una testa di capelli ribelli era proprio sotto il suo naso e lo arricciò in una smorfia disgustata come si rese conto che Shouyou non solo si era addormentato sopra di lui ma gli stava anche sbavando addosso. Scivolò giù dal letto senza troppa difficoltà e fissò la macchina umida sulla sua tunica come se fosse la cosa più schifosa al mondo.
Il sonno di Shouyou non venne disturbato in alcun modo ma si raggomitolò su se stesso a causa dell’improvvisa assenza di calore. Tobio alzò gli occhi al cielo, poi afferrò le coperte sbuffando e le gettò sopra il corpicino infreddolito del piccolo stupido. Shouyou si girò in modo da dargli le spalle e continuò a dormire.
Soddisfatto del risultato, Tobio si voltò con tutte le intenzioni di andarsene e tornare nella sua stanza prima che il castello si svegliasse e qualcuno lo vedesse. Si bloccò dopo solo un passo e dovette stringere le labbra per non lasciare andare un’esclamazione sorpresa.
Il consorte reale del Regno di Karasuno era seduto accanto al caminetto spento e lo guardava con espressione indecifrabile. “Scusami,” disse Koushi con un sorriso che avrebbe potuto essere gentile ma non lo era davvero. “Non volevo spaventarti…”
Tobio si umettò le labbra. “Non vi ho sentito entrare…”
Koushi annuì e si alzò in piedi. “Certo,” disse. “Sei un cacciatore, dopotutto ed è insolito per te non percepire i cambiamenti intorno a te, vero?”
Tobio scrollò le spalle, poi abbassò gli occhi e si accorse che l’altro aveva un arco tra le mani ed una faretra piena era a terra, appoggiata alla poltrona.
“Ti va di farmi compagnia?” Propose Koushi e gli occhi blu del Principe Demone tornarono sui suoi. “Mi va di fare qualche tiro ma non conosco la foresta. Nei mesi in cui ho vissuto in questo castello avevo avuto da poco Shouyou e non ho avuto occasione, capisci?”
Tobio annuì, poi si voltò verso il letto. Shouyou sbavava sul cuscino ora.
“Lascialo dormire,” disse Koushi avvicinandosi alla porta. “Si sveglierà tra poco e ti cercherà, tanto vale fare in fretta.”
Al Principe Demone non piaceva molto il modo in cui quell’Arciere lo guardava. Era come rispondere allo sguardo di un predatore della sua stessa specie e Tobio sapeva che non era una situazione da sottovalutare.
I Re non si affiancavano bene ad altri Re.
“D’accordo…”
 
 
 
Koushi era bravo.
Sì, sua madre glielo aveva raccontato più di una volta aggiungendo quanto fosse un peccato che il consorte del Re dei Corvi avesse preferito smettere di coltivare il suo talento. Ora, Tobio non poteva che dargli ragione mentre guardava la forma perfetta di Koushi.
Gli sorrise. “Mi mancava,” ammise. “Non ero molto bravo… Non come te e Tooru, comunque ma mi piaceva.”
“Siete molto bravo, invece,” commentò Tobio.
“Oh, ti prego, dammi del tu.”
Era gentile la voce di Koushi, eppure Tobio non riusciva a smettere di stare in guardia, come se temesse che quell’Arciere potesse puntare l’arco nella sua direzione da un momento all’altro. Scosse appena la testa, poi incoccò una freccia a sua volta e puntò gli occhi blu verso gli alberi aspettando che una preda comparisse nel suo campo visivo.
Non dovette attendere molto. Puntò saldamente i piedi sul terreno erboso e tese la corda.
Seguì i movimenti tra le foglie degli alberi con pazienza ed attenzione.
Un istante. Il corvo uscì allo scoperto solo per una frazione di secondo. Per Tobio sarebbe stata sufficiente solo la metà del tempo ma non si mosse. Gli occhi blu si fecero enormi ma le dita rimasero salde sulla freccia. Il volatile nero fuggì tra gli alberi e Tobio abbassò l’arco con un sospirò frustrato. “Maledizione…” Sibilò.
“Shouyou sta dormendo…”
Il Principe Demone sollevò gli occhi su quelli dorati del consorte reale del Regno di Karasuno.
“Sta dormendo,” ripeté Koushi. Sul suo viso era tornata quell’espressione gentile e dalle sfumature materne con cui Tobio lo aveva conosciuto.
Si sentì improvvisamente rilassato.
“Io non posso saperlo,” si giustificò.
Koushi rise con leggerezza. “Dormiva accanto a te nella sua camera, lo hai visto tu stesso.”
“Sì ma è una sicurezza solo per oggi,” replicò il Principe. “A meno che non sia accanto a me, non posso avere la certezza che…” Scosse la testa. “Suono come un idiota.”
“No,” Koushi si avvicinò. “In realtà, mi sento sollevato.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Perché?”
“Prendi sul serio questa storia come se fosse in gioco la tua vita.”
Il Principe Demone non rispose, strinse le labbra e poi tornò a guardare di fronte a sé con aria colpevole.
Koushi se ne accorse e reclinò la testa da un lato. “Che cosa c’è?”
Tobio esitò per un istante, poi si toccò la parte superiore per braccio sinistro. “Shouyou aveva… Aveva una ferita dopo… La notte dell’attacco del drago, lui…”
“Sì,” Koushi annuì. “Era bendata. Mi ha detto che sei stato tu.”
“Non gliel’ho solo medicata,” replicò Tobio abbassando lo sguardo. “Io ho… Io ho…” Si morse il labbro inferiore. “Ero terrorizzato e mi tremava il braccio e questa è la sola ragione per cui non l’ho centrato.” Confessò. “È così che ho scoperto tutto.”
Non sapeva cosa si era aspettato. La reazione più logica sarebbe stata portare Shouyou a casa, anche contro la sua volontà e far saltare ogni accordo. Koushi, però, nemmeno perse la calma. Al contrario, gli passò una mano tra i capelli con una dolcezza che, in passato, aveva conosciuto grazie alle mani del Re Demone.
Sollevò lo sguardo ed arrossì. Koushi gli sorrise. “Non riesco ad immaginare quanto tu possa aver avuto paura su quella torre,” disse. “Eppure, ci hai salvati tutti lo stesso.”
“Shouyou ha salvato me…” Replicò Tobio.
“Gli hai chiesto di restare per sdebitarti?” Domandò Koushi con curiosità.
“La prima volta che gli ho chiesto di restare è stato al ballo,” rispose Tobio. “La gratitudine non centra…”
“Che cosa ne vuoi fare?”
Il Principe Demone sollevò gli occhi confuso. “Che vuoi dire?”
“Di mio figlio,” chiarì Koushi. “Non lo fai per gratitudine, non lo fai per assecondare i piani di Tooru… Perché vuoi Shouyou?”
Tobio non sapeva come rispondere e non lo sapeva perché non si era mai posto la domanda. Era stato il Re Demone a sottolineargli che Shouyou non sarebbe restato al Castello Nero per sempre e che il suo lavoro con lui sarebbe potuto rimanere incompiuto ma, no, non avrebbe dato al suo sovrano la responsabilità di una simile scelta. Era stato Tobio a chiedere a Shouyou di restare, il Re Demone non aveva nulla a che fare con quello.
“Può diventare grande,” rispose. Probabilmente, furono le parole più sincere che disse riguardo a Shouyou. “Posso renderlo grande.”
Koushi si fece serio. “Io e Daichi non abbiamo mai preteso che Shouyou diventasse grande nel modo in cui intendi.”
“Io non lo intendo nel modo del Re Demone,” replicò Tobio freddamente. “Ed è questo che tu stai pensando in questo momento.”
Koushi dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo ed accettò la sconfitta di buon grado. “Mi dispiace,” disse. “Hai quattordici anni e so che Tooru sa essere una personalità molto…”
“Io sono io e lui è lui,” lo interruppe Tobio. “L’ho detto al tuo Re e lo ripeto a te: agisco solo in nome mio.”
Koushi sorrise. “Quattordici anni e già Re.”
Tobio non replicò a quel commento.
“In che modo rendesti Shouyou grande?”
“Nel modo in cui desidera.”
“A Shouyou piacciono le favole e le grandi storie, Tobio.”
“Shouyou è il personaggio di una di quelle favole,” disse il Principe Demone. “Io sono il protagonista di alcune delle sue grandi storie,” si sarebbe strappato la lingua prima di fare una simile confessione al piccolo stupido. “Non sto giocando. Non stiamo giocando.”
Per fortuna sua e del suo orgoglio, il piccolo stupido non era lì.
Koushi si limitò a reggere il suo sguardo in silenzio. “Vuoi rendere mio figlio un guerriero?”
“Lo è già.”
“No, non lo è.”
“Non ha ricevuto l’educazione di un Cavaliere. Essere un guerriero è una cosa diversa.”
Il consorte reale di Karasuno aggrottò la fronte. “Non ti seguo.”
“Lui vuole il mondo,” disse Tobio. “Non lo vuole in senso politico, non come lo vorrebbe il Re Demone o il Re dell’Aquila ma il trono di un piccolo Regno non gli può bastare. Un qualunque trono per lui sarebbe come una gabbia…”
Koushi dischiuse le labbra ma non riuscì a dire niente per diversi istanti. “Abbiamo dato tutto a nostro figlio.”
“Lo so…” Tobio annuì. Non gli disse con quanta sincerità lo credeva.
Non era ancora pronto per affrontare quella parte oscura di sé di cui i suoi genitori gli avevano fatto dono. Hajime, forse, lo aveva fatto inconsapevolmente ma Tooru era una faccenda completamente diversa.
“Ma avete affrontato il suo potere come una maledizione.” Sapeva di non avere alcun diritto di giudicare le azioni dei genitori di Shouyou ma non era una bugia educata quello che l’altro voleva da lui. “Shouyou ama il suo potere…”
Koushi si morse il labbro inferiore ed il nodo che sentiva alla gola cominciò a fare male. “Qualunque errore abbiamo fatto è stato per amore.”
“Lo so. Lo sa anche lui.”
Shouyou non avrebbe mai avuto tanta paura di far del male ai suoi genitori con le sue scelte, altrimenti.
Koushi sospirò stringendosi le braccia intorno al corpo. “Lo so che non era giusto chiedergli di non essere quello che era solo perché noi ne avevamo paura,” disse. “Ho mentito a suo padre più di una volta per permettergli di volare,” confessò, “pensavo fosse un compromesso sufficiente ma lui… Shouyou ama volare.”
“E chi non lo farebbe?”
Gli occhi dorati tornarono su quelli blu del Principe Demone e Koushi provò un’improvvisa tenerezza per quel fanciullo di quattordici anni che gli parlava come se fosse già un uomo. Tobio appoggiò un ginocchio a terra con rispetto ma non smise di guardarlo in faccia. “Io non gli impedirò di volare,” disse con la voce solenne di chi fa un giuramento, “e quando avrò finito con lui, voi non avrete più ragione di temere che lo faccia.”
Koushi non seppe cosa dire per diversi istanti. “Vuoi renderlo forte?” Domandò. “È questo che intendi col diventare grande?”
Tobio annuì.
“Perché?” Domandò il consorte reale. “Cosa ci guadagni? Vuoi renderlo forte perché questo possa servirti in qualche modo?”
“Ogni Re sceglie i suoi alleati tra i più forti,” ammise Tobio. “Io lo sarò, lui lo sarà e Karasuno non può rimanere intoccata per sempre e lo sapete anche tu ed il tuo Re.”
Koushi annuì. “Vuoi rendere forte un tuo futuro alleato,” aveva senso. “Il Principe dell’Aquila…”
“Il Principe dell’Aquila non l’ho scelto io,” lo interruppe Tobio. “Shiratorizawa è leale a Tooru non a me. Siamo due cose diverse.”
Koushi sbatté le palpebre un paio di volte, poi si chinò per stringere le spalle del ragazzo ed invitarlo ad alzarsi in piedi. Gli posò una mano sulla guancia. “È facile ferire Shouyou,” gli disse come un genitore preoccupato per il proprio figlio. “Ha grandi desideri ma è completamente impreparato nei confronti del mondo.”
“È una delle lacune che voglio colmare.”
Koushi annuì, poi sorrise. “È ribelle, vivace e non ti ascolterà… Tu, però, questo già lo sai, non è vero?”
Tobio annuì con una smorfia sforzandosi di tenere per sé tutti i commenti del caso.
“Permettigli di volerti bene,” la voce di Koushi si fece flebile. “Nemmeno io ho idea di quello che potrebbe fare per le persone che ama. Permettigli di volerti bene e, permetti a me di dirti una cosa da genitore, Tobio,” prese le mani del fanciullo tra le sue. “Rendi Shouyou forte. Sì, hai ragione, Karasuno non può rimanere lontana da questi giochi di potere per sempre ed io e suo padre non siamo in grado di prepararlo a questo. Non cercare solo un alleato in lui, però. Quello lo hai trovato già, credimi. Permettigli di essere tuo amico.”
Tobio lo fissò. Koushi trovò del sincero smarrimento in quegli occhi blu e sorrise: non poteva fare di più per quel fanciullo ma era certo che Shouyou avrebbe saputo cosa fare al momento opportuno.
Col tempo, lui e Daichi avrebbero saputo accettare ed avere fiducia. Ora, sapeva che Shouyou era in buone mani e se lo sarebbe fatto bastare.
Al resto, avrebbe pensato il destino.
 
 
***
 
 
L’orizzonte sconfinato era bellissimo sulla riva del mare ed il rumore delle onde era come una ninna nanna senza parole da cui lasciarsi cullare, sebbene il sole stesse sorgendo.
L’inizio di un nuovo giorno era uno spettacolo meraviglioso ma il principio di una nuova vita era qualcosa d’indescrivibile. Esserne testimone era un’esperienza imponente. Esserne uno dei due autori, invece, era qualcosa di troppo grande per un semplice uomo.
Aveva vinto guerre, aveva ucciso draghi, i Re si erano inginocchiati al suo cospetto ed aveva fatto suo un potere che nessun uomo aveva stretto tra le sue mani.
Tuttavia, mentre stringeva sua figlia tra le braccia alla luce della prima alba della sua vita, se ne restava incantato, senza parole, a contemplare la cosa più bella che avesse mai fatto.
La baciò… La baciò con la stessa devozione e dolcezza che aveva imparato a mostrare solo alla creatura che l’aveva data alla luce. Sua figlia le assomigliava tanto. Una piccola stella luminosa nata dal sole, rimasta intatta nel suo splendore nonostante l’oscurità nel suo sangue.
L’accarezzò. La baciò di nuovo. “Mia Regina…”
Non era il suo nome, quello lo avevano scelto molto prima che potessero stringerla tra le braccia. Era il titolo che un giorno avrebbe indossato per diritto di nascita, se il destino fosse stato magnanimo con lei ma era appena nata, la sua Principessa ed aveva ancora tutto il tempo del mondo prima di portare sulla testa il peso di una corona.
Tuttavia, non avrebbe potuta chiamarla in nessun altro modo in quel momento, sulla riva del mare, riscaldati entrambi dai primi raggi di sole del mattino. Non poteva perché, sebbene fosse l’uomo più potente al mondo, si sarebbe inginocchiato al cospetto di lei chinando la testa e se la sua corona fosse rotolata via nel processo, che il destino facesse di lui ciò che preferiva.

 
 
Shouyou si svegliò a causa di una forte luce contro le palpebre chiuse.
Arricciò il naso emettendo un lamento, poi si tirò le coperte fin sopra la testa combattendo per restare nel mondo dei sogni. Una risata leggera spezzò il silenzio nella camera. “Sveglia, piccolo Corvo, il sole è già alta…” Disse una voce con dolcezza materna, mentre una mano altrettanto gentile gli accarezzava i capelli.
Il Principe dei Corvi si stiracchiò sotto le coperte venendo allo scoperto. “Mamma…” Mormorò come una protesta infantile.
Un sospiro. “No, piccolo, mi dispiace…”
Shouyou aprì gli occhi d’ambra pigramente e realizzò che la persona seduta sul suo letto aveva gli occhi ed i capelli troppo scuri per essere sua madre. Così, ricordò tutto. “Oh…” Mormorò mettendosi a sedere contro i cuscini. “Mi dispiace…” Aggiunse mentre le sue guance si coloravano un poco.
Tooru scosse la testa. “Non c’è alcun bisogno di scusarsi,” disse. “Era da tanto tempo che non venivo chiamato in quel modo… Mi mancava, a dire il vero.”
“Uhm…” Commentò Shouyou portandosi le ginocchia al petto ed appoggiandovi il mento, lo sguardo basso ed assento.
Tooru smise immediatamente di sorridere. “Non credo di essere l’unico a cui manca qualcosa, però.”
Il Principe sollevò immediatamente il viso. “Come?”
“Ti manca casa, piccolo?”
Shouyou scrollò le piccole spalle. “Non è casa che mi manca,” ammise accennando un sorriso. “È che non sono mai stato separato dai miei genitori.”
Tooru annuì. “Capisco…”
Il Principe strinse le labbra. “Mi sto lamentando come un bambino.”
“Non dire così,” il Re Demone gli prese il viso tra le mani. “Tobio non è mai andato da nessuna parte senza me o suo padre. Ad essere del tutto sinceri, è abituato a stare senza di me ma non credo che sarebbe facile per lui adattarsi senza Hajime. Lo sai, non è molto bravo con le questioni sociali e l’amore ed il rispetto che tutti nutrono per suo padre è un grande aiuto per lui.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Sembra così sicuro di sé…”
“In un campo di battaglia con una spada o un arco alla mano,” disse Tooru. “Hai ballato con lui nella sala del trono, ti sarai reso conto di quanto era nervoso…”
“Sì,” concordò Shouyou, poi i suoi occhi si posarono su qualcosa che il Re non poteva vedere ed un sorriso dolcissimo sbocciò sulle belle labbra, “è passato non appena è cominciata la musica, però.”
Tooru sorrise. “L’ho preparato molto per quel ballo, lo sai?” Disse con orgoglio. “L’idea di deluderti lo terrorizzava.”
“L’idea di non vincere lo terrorizzava,” replicò Shouyou con una smorfietta. “Non sopporta di essere secondo in qualcosa.”
Tooru ridacchiò. “È tipico di un Re,” lo pensava sinceramente.
“Già, immagino che lo sia…” Concordò Shouyou.
Bussarono alla porta.
“Avanti!” Concesse il Re Demone.
Tadashi riuscì goffamente ad aprire e ad entrare nella camera da letto con il vassoio della colazione del Principe dei Corvi in mano. “Buongiorno, vostra alte… Oh, Vostra Maestà!” Esclamò nel riconoscere il sovrano seduto sul bordo del letto del suo giovane signore. Cercò d’inchinarsi ma finì solo per rischiare di far cadere tutto a terra.
Tooru rise senza cattiveria e si alzò per togliere quel peso ingombrante dalle mani del giovane.
“Non… Non dovete…” Provò Tadashi timidamente.
“Tranquillo, ragazzo,” disse il Re portando la colazione al Principe seduto sul letto. “Ho vissuto la vita dei campi di battaglia e della campagna. Non dirò mai di sapere cosa vuol dire vivere un’esistenza semplice ma non mi vergogno di portare un vassoio al nostro adorabile ospite.”
Shouyou arrossì un poco afferrando la sua tazza fumante. “Siete così gentile con me,” disse. “Anche il vostro Cavaliere… Ed i suoi uomini. Sono tutti così gentili con me.”
“Io e Hajime ti siamo personalmente grati per una cosa o due,” ammise Tooru con un sorrisetto misterioso. “Ed entrambe riguardano Tobio.”
Shouyou inarcò un sopracciglio confuso.
“Non ti preoccupare,” disse Tooru liberando il piccolo viso da una ciocca di capelli ribelle. “Goditi la tua colazione e prenditi il tuo tempo…”
Tadashi s’inchinò con rispetto mentre il sovrano spariva fuori dalla stanza.
Non appena rimasero soli si guardarono e Shouyou lasciò andare un sospiro prendendo un altro sorso dalla sua tazza calda.
“Vostra Altezza?” Domandò Tadashi avvicinandosi.
“Tadashi, per favore,” disse Shouyou. “Siamo rimasti io, te e Kei qui al Castello Nero, lasciamo perdere le formalità… Siamo cresciuti insieme.”
L’altro annuì e si prese la libertà di sedersi in fondo al suo letto. “Stai bene?” Domandò con sincera preoccupazione.
Shouyou accennò un sorriso ed annuì. “Non sto male…” Ammise. “Ma sono passate due settimane dalla partenza di mamma e papà e a me sembrano passati due mesi.”
Tadashi annuì. “È normale… Almeno, così credo.”
Il Principe lo guardò con espressione colpevole. “Tu e Kei soffrite la mancanza di casa?” Domandò. Quando aveva deciso di restare al Castello Nero con Tobio per completare la sua educazione come Cavaliere, Shouyou non aveva considerato che i suoi genitori non gli avrebbero mai permesso di restare in quella terra straniera senza qualcuno che lo tenesse d’occhio. Sapeva che la sua scelta avrebbe avuto delle conseguenze sulla sua famiglia ma rendersi conto di aver costretto qualcun altro a cambiare la propria vita per causa sua non lo rendeva affatto tranquillo.
Kei era stata una scelta ragionevole: era il suo Cavaliere, era molto bravo in quello che faceva e devoto ai suoi doveri come nessun altro della loro generazione. Suo padre non gli aveva affidato la sua sicurezza per niente ed era naturale che la sua scelta ricadesse su di lui anche in quell’occasione completamente nuova per tutti loro. Dopodiché, sua madre aveva ritenuto necessaria la presenza di qualcuno che potesse restargli accanto nelle faccende di tutti i giorni. Shouyou aveva scelto Tadashi perché sapeva che farlo tornare a casa senza Kei sarebbe stata una crudeltà gratuita.
Hitoka aveva pianto.
Aveva pianto tanto mentre lo abbracciava e gli diceva che gli sarebbe mancato tanto.
Shouyou lo aveva fatto dopo, lontano dagli occhi di chiunque: aveva bisogno che gli altri lo credessero convinto della decisione che aveva preso e le lacrime non avrebbero giocato a suo favore.
“Kei mi odia, vero?” Domandò Shouyou con un sospiro stanco.
Tadashi scosse la testa. “Kei… Lui…” Il suo sorriso morì lentamente. “Sarebbe preoccupante se fosse allegro, credo…”
Suo malgrado, Shouyou sorrise. “L’ho visto parlare con gli uomini del Primo Cavaliere. Ai loro tempi, erano Re rispettati e temuti, devono avere molto da insegnargli sul combattimento.”
Tadashi scrollò le spalle. “Lo sai com’è Kei,” disse. “Non si confida… Non ha mai avuto l’abitudine di farlo.”
Shouyou afferrò la sua fetta di dolce e prese un morso. “Colazione in camera, eh?” Disse con la bocca ancora piena. “A casa non me l’avrebbero mai permesso…”
“È un grande castello, Shouyou,” disse Tadashi. “Hai dei veri e propri appartamenti in cui vivere e questo ti concede tutta la libertà di cui hai bisogno.”
“Forse,” disse Shouyou guardandosi intorno. “Forse, però, il piccolo Castello dei Corvi sapeva più di casa.”
Tadashi sorrise con pazienza alzandosi in piedi e dirigendosi verso l’armadio. “Non è il fatto che questo castello sia piccolo o grande,” disse aprendo le ante di legno. “Semplicemente, non è casa, tutto qui.”
Shouyou accettò quella semplice verità con un lieve movimento del capo e finì di fare colazione mentre Tadashi sceglieva per lui dei vestiti puliti da mettere. La porta della camera da letto si aprì senza che nessuno avesse bussato o aspettato che arrivasse il permesso. Per un attimo, Shouyou si voltò aspettandosi di vedere Natsu saltare sul suo letto ripetendo a gran voce il suo nome.
Solo dopo che i suoi occhi ebbero incontrato quelli blu del Principe Demone, si ricordò che sua sorella era ormai a foreste, fiumi e montagne di distanza. “Sei ancora a letto?” Domandò Tobio con chiaro tono di rimprovero.
Shouyou alzò gli occhi al cielo e, per tutta risposta, appoggiò la schiena ai suoi cuscini gustandosi come si doveva la sua fetta di dolce. “La colazione è il pasto più importante della giornata,” disse con espressione saputa.
Tobio sbuffò. “Falla finita di dire sciocchezze e muoviti!”
Shouyou non si affrettò neanche un poco.
Kei si affacciò e diede un’occhiata in giro con fare annoiato. “Il bruto non ha ucciso nessuno?” Domandò con sarcasmo.
Tadashi ridacchiò portando gli abiti per il suo Principe sul letto. Tobio, invece, si voltò a guardarlo storto. “Porta rispetto, Cavaliere.”
Kei gli rivolse un sorrisetto sghembo. “Certo, Principe dei tiranni
“Ehi!”
Shouyou rise e quegli occhi blu furono immediatamente su di lui mettendolo a tacere. “Vestiti,” disse il Principe Demone annoiato. “Muoviti…”
Il Principe dei Corvi infilò di nuovo i piedi sotto le coperte tirandosele fino al petto come una giovane dama ancora nubile che viene colta in un momento poco adeguato. “Io non mi spoglio davanti a due bruti,” concluse sollevando il naso come il più viziato dei figli nobili.
Tobio guardò Kei ed il Cavaliere ricambiò l’occhiata, poi sollevò le mani in segno di resa. “Non guardare me,” disse. “Ci sono cresciuto insieme ma questo non significa che capisco quello che gli passa per la testolina stupida.”
“Ehi!” Esclamò Shouyou puntandogli l’indice contro. “Sei il mio Cavaliere, si presume che tu debba difendermi!”
“Sai difenderti perfettamente da solo,” disse Tobio avvicinandosi alla porta.
Il piccolo Principe sorrise.
“Per essere un perfetto idiota,” aggiunse il padrone di casa rivolgendogli un insopportabile ghigno.
Gli angoli della bocca di Shouyou si abbassarono immediatamente ma non disse nulla mentre il Principe Demone ed il Cavaliere uscivano dalla sua camera. Almeno, si ricordarono di chiudere la porta. Shouyou calciò via le coperte sbuffando e si alzò in piedi. “Due antipatici al prezzo di uno! Incredibile…”
Tadashi ridacchiò aspettando che il suo Principe si spogliasse della camicia da notte. “Kei lo conosci bene, almeno,” gli disse. “Per quanto riguarda l’erede al trono, tutti dicono che tu abbia su di lui un potere che nessun altro ha mai vantato.”
Non aveva importanza quanto il sole di agosto fosse caldo, le mura di pietra non si riscaldavano mai e Shouyou si strinse le braccia intorno al corpo per combattere un brivido di freddo. “Chi?” Domandò confuso. “Chi lo dice?”
Tadashi scrollò le spalle afferrando la camicia per aiutare il suo giovane signore ad infilarla. “Per servirti come devo, inevitabilmente, interagire con i servitori del Castello Nero e con alcuni dei Cavalieri. Nelle corti la gente parla, Shouyou e tu sei la più grande novità dopo la caduta di Fukurodani e Nekoma, sembra.”
Shouyou sorrise contento ed imbarazzato al tempo stesso. “Non sono una persona così importante…”
“No, infatti.”
“Eh?”
Tadashi scosse la testa. “Non fraintendermi,” aggiunse velocemente. “Però, penso di aver capito il loro punto di vista. In fondo, noi veniamo da un piccolo Regno che non ha mai preso parte ai giochi politici degli ultimi anni e il Principe Tobio non è tipo da fare amicizia. Da quel che ho capito, il Principe dell’Aquila frequenta questa corte piuttosto spesso ma la servitù giura di poter contare sulle dita di una mano sola le volte che hanno interagito tra loro senza la presenza dei rispettivi Re.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Chiacchierano così tanto tra queste mura?” Domandò stupito.
“Grandi corti, grandi pettegolezzi.”
“E sono finito al centro di una cosa del genere?” Domandò il Principe rendendosi conto che quella situazione non gli piaceva proprio per niente. Tutti i grandi eroi venivano ricordati grazie alle storie più avvincenti ma quello era qualcosa d’immensamente più basso.
“Non è per forza una brutta cosa,” disse Tadashi, mentre l’altro si abbottonava la camicia con cura. “Il Principe Demone non ha mai dimostrato il suo interesse per nessuno ed ora, parole loro, perde la testa per il Principe che meno potrebbe influenzare l’equilibrio del potere della prossima generazione. Ecco… Capisco la loro sorpresa, se la vedi da questo punto di vista.”
Il viso di Shouyou divenne paonazzo e si nascose il viso tra le mani. “No! Parlano di me e Tobio come due promessi sposi! Bisogna porre rimedio a questa cosa… Forse, dovremmo litigare di più!”
Tadashi rise di cuore. “Con tutto il rispetto, Shouyou,” disse passandogli i pantaloni, “non credo che nessuno vi abbia mai visto stare insieme per più di cinque minuti in modo pacifico.”
Il Principe dei Corvi non sapeva se sentirsi ancor più imbarazzato o sollevato per quello. “Ma allora…” Si umettò le labbra. “Perché dicono…”
“Non dicono che vi sposerete,” disse Tadashi. “Tuttavia, se è vero che il Principe Demone non ha mai condiviso il suo tempo con nessuno, nonostante viva nella corte più affollata dei Regni liberi, è normale che ora tutti gli occhi siano puntati su di te. Non hai nessun valore politico particolare, non porteresti alla sua famiglia nulla che non abbia già, eppure… Sì, eppure il Principe ha scelto te. Ti ha chiesto di restare.”
Shouyou restò a fissarlo con i pantaloni slacciati e l’espressione sconvolta. “Ora sei tu che parli di noi come se fossimo promessi sposi.”
“Lunga vita alla Regina Demone!” Esclamò Kei con sarcasmo fuori dalla porta.
“Kei!” Esclamò Shouyou prendendo la via della porta. “Da quanto è che stai ascoltan… Ah!” Non si era allacciato i pantaloni e finì per inciampare lungo il corridoio. “Non guardate!” Esclamò.
“Ci sono solo io, idiota!” Esclamò Kei annoiato. “Il tiranno ti aspetta nel cortile interno, ha detto.”
Tadashi sospirò: si chiese come Shouyou avrebbe reagito se qualcuno gli avesse raccontato nei dettagli come il Principe Demone aveva seriamente perso la testa nel vedere quel corvo morto nella foresta.
 
 
***
 
 
Tobio uscì dagli appartamenti del Principe dei Corvi sbattendo la porta e sbuffando sonoramente. Raggiunse il cortile interno e fu sollevato di constatare che non c’era nessuno.
Il sole era alto ma c’era una grossa e leggendaria distrazione nella foresta a tenere gli uomini lontani dai loro doveri ed era stato proprio Tobio ad offrigliela. Suo padre se ne lamentava ma lo faceva a bassa voce e con un sorriso divertito: i Cavalieri avevano bisogno di distrazioni, diceva.
Si lasciò cadere su uno dei gradini che portavano alle mura di cinta e prese a battere un piede sul pavimento con fare irritato.
“È in ritardo?”
Sollevò lo sguardo. Keiji era di fronte a lui con la piccola Keijiko tra le braccia e fu sorpreso di non vedere Koutaro con loro. Inarcò le sopracciglia. “Dove…?”
“Dove sono tutti gli altri?” Lo interruppe Keiji. “Kenma è andato per la loro sicurezza. Per me non è così divertente da guardare.”
Tobio annuì. “Capisco, i due scemi mi hanno raccontato qualcosa…” Si morse la lingua. “Non volevo dire…”
“Non hai detto niente di sbagliato.” Keiji si sedette accanto lui.
Keijiko guardò Tobio con curiosità, il Principe accennò un sorriso e la bambina si nascose contro la spalla del genitore. Niente di nuovo: non era mai piaciuto ai bambini.
“Le faccio paura, per caso?” Domandò.
Keiji accarezzò i capelli della sua bambina. “No è che ti vede come uno dei grandi.”
“Anche tutti gli altri sono grandi,” replicò Tobio poco convinto. “Ha anche giocato con Shouyou, l’altro giorno.”
Keiji accennò un sorriso. “È diverso,” disse. “Il piccolo Principe dei Corvi è un fratello maggiore. I bambini le sentono queste cose… Non riescono a spiegare bene a parole ma loro sentono.”
Aveva ragione. Nessuno aveva spiegato a Tobio quello che era successo ai suoi genitori, né lui era certo del momento in cui tutto era cominciato ma l’aveva sentito quando era accaduto. Aveva sentito che i suoi genitori avevano smesso di amarsi, aveva sentito che Tooru aveva smesso di essere sua madre per essere solo il Re Demone.
“Tu sai cosa stanno facendo?” Domandò. “Laggiù, nella foresta?”
Keijiko sollevò il faccino e lo guardò con un sorriso. “Stanno cercando il cuore!” Esclamò.
Tobio la guardò ed inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
Keiji sospirò. “Keijiko…” Chiamò tirandole i lunghi capelli neri all’indietro. “Devi smetterla di origliare me e tuo padre quando parliamo.”
“Ma io non l’ho sentito da te e papà,” si difese la bambina. “Me lo ha raccontato Lev!”
“Sono passate due settimane,” disse Tobio. “Per un cacciatore, un animale morto da tanto tempo è completamente inutile.”
Keiji scosse la testa. “I draghi non sono così… Non sono semplicemente animali, capisci?”
“No…”
L’Arciere sospirò. “La pelle di un drago non può essere danneggiate da armi umane, questo lo sai.”
Tobio annuì.
“La loro pelle non cede, non marcisce… Nel mondo in cui sono nato, raccontavano di Re pronti a finire in rovina per avere un’armatura di drago.”
Tobio sgranò gli occhi blu. “Si possono mettere insieme delle armature con la pelle di drago? E come si fa?”
Keiji scrollò le spalle. “Non ne ho idea, dicono che la corono corvina sia stata forgiata con fuoco di drago, però,” rispose. “Il mio era un Regno di cacciatori ma sono nato che era già morente a causa dei pochi draghi che vivevano ancora sulle montagne. Gli esperti che Tooru ha fatto chiamare hanno risposto subito al suo messaggio perché, probabilmente, sono una famiglia del mio stesso Regno sopravvissuta alla distruzione.”
“Che cosa è successo?” Domandò Tobio. “Nessuno me lo ha mai raccontato…”
“Com’è prevedibile,” rispose Keiji con un sorriso malinconico. “Ricevevamo attacchi come quello avvenuto qui continuamente e quando i draghi sono spariti, Shiratorizawa è passata su quello che è rimasto. Il primo Tsutomu di Shiratorizawa, il padre di Wakatoshi.”
Tobio annuì e tornò a guardare di fronte a sé. “Capisco…” Mormorò. “La faccenda del cuore, invece?”
Keiji dischiuse le labbra ma fu Keijiko a rispondere. “È magico!” Esclamò sollevando le piccole braccia. “Il cuore dei draghi è magico!”
L’Arciere le accarezzò i capelli con un sorriso paziente. “Così dicono…”
Tobio fece una smorfia. “Questa è una storia che raccontavano anche a me da bambina ma credevo che…”
“Non conosco la verità,” ammise Keiji. “Armature, cuori di drago… Tutto quello che so è che i draghi portano distruzione, nulla di più. Ci sono centinaia di storie su quelle creature e la corona corvina è l’unico oggetto di cui narrano che abbia mai visto con i miei occhi.”
“E ben presto si aggiungerà molto altro.”
Tobio sollevò gli occhi blu e quelli scuri del Re Demone ricambiarono lo sguardo. Si alzò e Keiji lo imitò stringendo la sua bambina contro il petto. “Buona giornata, mio Principe,” disse educatamente, poi si voltò. “Mio Re…” Aggiunse.
Tooru sorrise e l’Arciere lo superò senza dire una parola.
Tobio non si mosse ma avrebbe voluto farlo, sarebbe voluto correre via anche a costo di calpestare il suo stesso orgoglio. Non lo fece.
“Tobio-chan!” Esclamò Tooru avvicinandosi. “Il piccoletto non è ancora sceso?”
Tobio lo fissò dritto negli occhi stringendo i pugni. “No,” rispose. “Vado a vedere cosa combina…” Era una fuga e lo sapeva bene ma doveva ancora del tutto prendere coscienza di quello che era stato detto ad alta voce il giorno successivo la sua impresa contro il drago e non credeva di poter sopportare di più. Perché, sicuramente, qualcosa di più c’era.
Delle dita gli strinsero gentilmente il braccio. Sarebbe stato facile liberarsi ma non lo fece.
“Non ci siamo mai visti in questi giorni,” disse Tooru. “Passi tutto il tuo tempo con Shouyou.”
Non sembrava dispiacergli. Forse, era un modo indiretto per scoprire come andavano le cose tra loro. “Non è mai stato lontano da casa senza la sua famiglia,” disse Tobio. “Ho giurato ai suoi genitori che mi sarei preso cura di lui, perciò…”
Tooru sorrise. “È bello scoprire questa parte di te,” sembrava sincero. “Assomigli a tuo padre…”
Tobio strinse le labbra ed annuì frettolosamente. “Devo andare…”
“Un attimo,” Tooru lo trattenne di nuovo. “Il tuo piccolo Corvo conosce la strada, non ha bisogno di te anche per scendere le scale… Sa volare, dopotutto!” Voleva essere una battuta ma Tobio non rise. “Dobbiamo parlare io e te. Non ha più senso mentirsi e lo ha ancora meno fingere che non sia successo niente.”
Il fanciullo abbassò lo sguardo per un istante. “Non credo che…”
“Avevi perfettamente ragione,” confessò il Re Demone. “Avrei voluto essere io… Avrei voluto essere io anche anni fa, quando hai compiuto la tua prima impresa. Penso di aver cominciato a guardarti in modo diverso d’allora, a dire la verità.”
“In modo diverso…” Ripeté Tobio. “Avevo undici anni.”
“Lo so,” era terribilmente seria l’espressione di Tobio. “E già eri abbastanza forte da mettermi in ombra.”
Tobio guardò il genitore dritto negli occhi e la freddezza nel suo sguardo fu impossibile da non notare. “Combattiamo per le stesse cose…” Mormorò timidamente, come se avesse commesso uno sbaglio in buona fede e stesse cercando di giustificarsi.
Il sorriso che Tooru gli rivolse fu terribile. “Vedi, Tobio, io non ho avuto un padre,” raccontò. “Sono divenuto Re con le mie forze e l’appoggio di Hajime.”
Almeno non negava che il Primo Cavaliere avesse significato qualcosa per lui, pensò il Principe.
“Quando ti ho tenuto tra le braccia per la prima volta, è stato come stringere a me la più grande delle vittorie possibile,” aggiunse.
Tobio annuì. “Me lo avete raccontato spesso tu e mio padre.”
Tutte bugie.
“Nessuno mi ha avvertito che guardarti crescere sarebbe stato come vedere la mia condanna plasmarsi giorno dopo giorno sotto i miei occhi…” Erano pieni di lacrime gli occhi del Principe Demone. “Saresti dovuto essere l’amore della mia vita insieme a tuo padre, invece ti guardavo e vedevo la mia caduta, la mia sconfitta, la mia parte più oscura.”
Tobio non comprendeva. Non le sue parole, quelle gli erano terribilmente chiare ma la sua espressione… Perché lo guardava come se fosse colpevole di qualcosa? Non era un impostore, non era un conquistatore che poteva minacciare la sua posizione, non era il maledetto Re dell’Aquila che aveva distrutto il loro Regno e, per poco, non aveva fatto a pezzi anche i suoi genitori. Lo stesso sovrano di Shiratorizawa che ora risiedeva come il più nobile degli ospiti nel castello che aveva fatto suo con la forza per un’intera estate. Il Re Demone poteva davvero accettare di condividere la sua casa con un essere simile e poi confessare al suo erede che non riusciva a guardarlo senza vedere in lui una minaccia?
“È colpa mia?” Domandò Tobio. “Se è finita con mio padre è colpa mia?”
Tooru sgranò gli occhi. “Cosa?”
“Perché è finita tra te e mio padre, no?” Insistette il fanciullo. “È finita da qualche parte tra la conquista di Dateko e l’alleanza con Shiratorizawa, non è vero?”
Tooru non rispose immediatamente e si sentì costretto ad abbassare lo sguardo. “Quella storia non riguarda te…”
“Certo, siete i miei genitori, perché dovrebbe riguardarmi?” Domandò con sarcasmo il Principe Demone e non si fece altri scrupoli ad allontanarsi dal genitore con uno strattone.
“Tobio!” Tooru lo afferrò con più forza. “Non è questo il momento di perdere tempo in sciocchezze!”
“Cosa?”
“Le carte sono scoperte!” Affermò il Re Demone. “Non dobbiamo più mentire, non dobbiamo più fingere. C’è qualcosa che non va e…”
Tu!” Sbottò Tobio in preda alla rabbia. “Tu sei quello che non va nella vita mia e di mio padre! Tu e solamente tu!”
Tooru lo guardò atterrito. Non riuscì nemmeno a schiaffeggiarlo quella volta perché Tobio non lo stava guardando come un ragazzino che manca di rispetto ad un genitore di proposito, per provocazione. No, lo stava guardando come se si fosse permesso di fare qualcosa che andava ben oltre il suo potere e Tooru non aveva mai dovuto guardare dal basso nessuno, nemmeno il Re dell’Aquila.
Lo lasciò andare ma Tobio non si mosse: era il suo turno di scoprire le carte. “Che cosa credevi?” Domandò quasi ringhiando. “Che avrei accettato il fatto che mi vedi come la tua fine invece del tuo futuro come un fatto naturale e che avrei continuato ad essere quello che tu desideravi? Come credevi che mio padre avrebbe continuato ad essere il tuo Cavaliere dopo che avevi tradito tutti gli alleati che avevano combattuto al vostro fianco?”
Tooru non rispose, le labbra premute in una linea sottile, il respiro bloccato in gola.
“Non siamo i tuoi pupazzi,” concluse Tobio con un sibilo. “Mio padre, forse, ha ancora un motivo per esserti fedele. Io no…” Scosse la testa. “Io sono nato per superarti, lo hai detto tu.”
La bocca di Tooru prese a tremare, le lacrime gli rigavano le guance ed i suoi occhi erano due specchi di rabbia cocente e dolore profondo.
Strano, pensò Tobio, non c’era niente in quell’immagine che riuscisse a toccarlo.
“Tooru, Tobio…”
Il Principe Demone si voltò ed i suoi occhi blu incrociarono quelli verdi del Primo Cavaliere. Tooru si voltò nella direzione opposta e si asciugò il viso velocemente ma fu inutile perché Hajime si avvicinò comunque. “Che cosa sta succedendo qui?”
Il Re Demone sorrise e guardò il suo Cavaliere. “Non è nulla, Hajime,” disse. “Un momento tra me ed il nostro Principe, tutto qui.”
Hajime non gli credette. Non credette a quell’espressione forzata né tantomeno a quelle parole e portò lo sguardo sul viso di suo figlio alla ricerca di una risposta sincera. Lo sguardo di Tobio, però, rimase quello gelido con cui si era rivolto al suo sovrano.
Prima che il silenzio si facesse soffocante, un gran caos dall’interno della rocca attirò l’attenzione del Principe Demone. Delle fanciulle urlarono allarmate e, subito dopo, qualcuno prese a scusarsi ripetutamente. “Mi dispiace! Mi dispiace!”
Gli occhi blu si alzarono verso il cielo. E fu così che il Principe dei Corvi fece la sua entrata in scena.
“Eccomi! Eccomi! Ecco…” Shouyou tacque nel momento in cui uscì nel cortile e percepì l’atmosfera pesante che circondava la famiglia reale. “Oh… Io…”
Tooru gli sorrise gentilmente. “Ti sei fatto male, Shou-chan?”
“Io… Io sono rotolato giù dalle scale e ho quasi investito un paio delle fanciulle della servitù ma…” Rispose il piccolo Principe ma i suoi occhi erano fissi sul viso di Tobio e non quello del Re. “Sto bene,” concluse.
Tobio sospirò annoiato, poi allungò una mano. “Muoviti, stupido…”
“Tobio…” Lo rimproverò Hajime.
Shouyou, però, si mosse senza replicare e non si ribellò nemmeno quando Tobio lo afferrò per un braccio trascinandolo via. “Fai piano!” Esclamò solo dopo che si furono allontanati.
Hajime li osservò fino a che non furono spariti oltre al cancello che portava alle scuderie, poi portò gli occhi sul suo Re. “Tooru…”
Il sovrano continuò a sorridere. “Che cosa c’è, Hajime?”
“I mocciosi se ne sono andati, smettila di fare l’idiota.”
Le labbra di Tooru tornarono ad essere una linea sottile, poi gli angoli si sollevarono di nuovo in un’espressione tristissima. “Il giorno che aspettavi è finalmente arrivato, mio Cavaliere,” disse con sarcasmo. “Il tuo Principe è divenuto un Re…”
 
 
***
 
 
“Stanotte ho sognato che tenevi in braccio tua figlia.”
Tobio era perfettamente consapevole del talento di Shouyou di dire la cosa più sbagliata nel momento peggiore ma questo non gli impediva di rimanere sorpreso ogni volta che il piccolo stupido dava prova del suo pessimo tempismo. Sollevò gli occhi blu verso la chioma dell’albero sotto cui si era steso: era troppo caldo per allenarsi e neanche lui era tanto crudele da spingere Shouyou a sfinirsi nelle prime ore di quegli assolati pomeriggi di agosto.
Il Principe dei Corvi si era accomodato su uno dei rami più bassi e lo squadrava dall’alto con un sorriso intenerito che non riusciva a spiegarsi.
“Perché mi guardi così?” Domandò Tobio con tono offeso.
“Perché è stato un bel sogno,” rispose Shouyou. “Guardavi tua figlia come un uomo perdutamente innamorato… Era una bella immagine.”
Tobio si chiese se il Re Demone lo aveva mai guardato così quando ancora vedeva in lui la sua più grande vittoria. Sentì lo stomaco contrarsi, la gola chiudersi e si mise a sedere in modo che l’altro non potesse guardarlo in faccia.
“Tobio?” Shouyou, però, aveva visto abbastanza per sapere che qualcosa non andava senza che nessuno glielo spiegasse. “Che cosa è successo con i tuoi genitori?”
Il Principe Demone continuò a fissare il vuoto. “Niente…” Mentì. Non aveva fatto altro fin dal principio con Shouyou, dopotutto. Sì, gli aveva rivelato le intenzioni segrete del suo Re riguardo al loro futuro insieme ed il piccolo stupido aveva accettato la sua sincerità a cuor leggero ma era stata solo una parentesi necessaria. Su tutto il resto, su se stesso, Tobio non aveva mai detto nulla di vero e, nonostante questo, Shouyou insisteva a volerlo conoscere e a farsi conoscere.
Tobio sapeva di non potersene lamentare a quel punto: aveva chiesto lui al Principe dei Corvi di restare ed ora era una sua responsabilità. Proprio per questo insisteva a mentire, a restare in silenzio, a coprire tutto sfogando la sua rabbia verso il mondo con Shouyou, dato che sembrava tanto bravo ad incassarla ed uscirne illeso.
Non gli faceva piacere e, forse, un po’ se ne vergognava ma se Shouyou riusciva ad aprirsi a lui completamente come uno stupido, Tobio non poteva permetterselo. No, nemmeno dopo che gli aveva salvato la vita.
“Come la chiameresti?”
Gli occhi blu si sollevarono confusi su quelli d’ambra dell’altro. “Eh?”
Shouyou incrociò le braccia sul ramo dell’albero e vi appoggiò il viso. “Se avessi una bambina come la chiameresti?”
Tobio sbuffò. “Che domanda idiota sarebbe?”
“Non è idiota!” Esclamò Shouyou mettendo su il broncio. “I nomi sono faccende importante, specie per quelli come noi! Voglio dire, quando un Re si crea il suo posto nella storia il suo nome diviene una sorta di simbolo. Ad esempio, si potrebbe chiamare Tobio un bambino particolarmente antipatico!”
“Ehi…” Ringhiò Tobio.
Shouyou, però, continuò imperterrito. “Mia sorella ha il nome della precedente regina di Karasuno ma è un’usanza comune! Prendi me e te! I nostri nomi sono unici… Nessun Re li ha avuti prima di noi!”
“Il Re Demone precedente si chiamava Tooru a sua volta,” spiegò Tobio. “Se avessero chiamato Tooru anche me, qualcuno avrebbe perso la testa per la confusione!”
Shouyou annuì. “Sì, forse, hai ragione…” Un momento di riflessione. “Come si chiamava tua nonna?”
“E perché t’interessa? Non l’ho mai conosciuta!”
“No, però, hai i suoi occhi!” Esclamò Shouyou con un sorriso. “Anche io e mia sorella assomigliamo al nonno che non abbiamo mai conosciuto. È una cosa strana, non trovi? Essere tanto legati nell’aspetto a qualcuno che non si è mai visto… Tua figlia potrebbe avere gli occhi verdi del Primo Cavaliere o quelli scuri del Re Demone.”
Tobio scrollò le spalle. “L’hai vista tu in sogno, dovresti dirmelo tu.”
“No, non l’ho vista.”
“Eh?”
“Ho visto te mentre la stringevi a te e la guardavi innamorato perso ma non ho visto lei. Penso che tu l’abbia chiamata mia Regina ad un certo punto… Dovevi proprio desiderarla tanto.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Non parlare come Kenma, tu non fai sogni premonitori.”
“In teoria, non li dovrebbe fare nemmeno Tsutomu.”
“Per lui è diverso… Sua madre era un Mago, non sarebbe poi così assurdo.”
“Ed io ho due genitori normalissimi ma possiedo un enorme potere!”
Tobio tornò a guardarlo ed il sorriso di Shouyou aveva un qualcosa di adulto che non gli piacque affatto. “La magia non ha regole,” disse come se stesse ripetendo a memoria una delle lezioni di Kenma. “Il sangue ne ha, vero ma la magia no.”
Il Principe Demone sospirò annoiato. “Conosco le lezioni sulla magia, Shouyou. Kenma le ha usate fino allo sfinimento per convincermi che non ero secondo a nessun Demone della mia corte.”
Shouyou scese dal ramo con un saltello. “Perché?” Domandò sorpreso. “Ti sentivi inferiore a loro?”
“No…” Rispose Tobio gonfiando un po’ le guance. “Ci fu una ribellione a Seijou nell’estate successiva alla mia nascita. Molti vecchi nobili non approvavano la condotta del giovane Re Demone ed avere un erede al trono senza corna li ha completamente esasperati… La maggior parte di loro ora non è più in vita o non possiede più alcun potere ma, come in tutte le guerre, ci sono quelli che cambiano idea a seconda del vincitore.”
Shouyou annuì un paio di volte. “C’è qualcuno che fa buon viso a cattivo gioco con te…”
“Già… E i bambini tendono a ripetere quello che sentono dire dai genitori senza pensare, così… Succedevano cose…”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “Sei il figlio delle due personalità più potenti del Regno, perché non…”
“Non ho mai detto niente,” spiegò Tobio. “Una volta mi è capitato di duellare con uno di loro, avevo sette anni… Yuutaro, lo hai conosciuto. Non ho cominciato io ma ho finito e sono stati guai…”
“Non avrai le corna ma le tue capacità sono comunque fuori dal comune,” commentò Shouyou. “Sei incredibile, davvero!” Sorrise. “Quello che hai fatto su quella torre è stato epico! E poi…” Tacque nel rendersi conto che l’altro lo guardava con gli occhi sgranati e le guance rosse. “Tobio?”
“Stu-Stupido…” Borbottò Tobio alzandosi in piedi.
Shouyou sorrise divertito. “Ti sei imbarazzato per caso?”
“No!” Sbottò il Principe Demone camminano tra gli alberi senza nessuna reale motivazione.
“Invece sì!” Esclamò Shouyou andandogli dietro. Rise. “Ti ho fatto un complimento! Sei moralmente obbligato a ricambiarlo quando si presenterà la giusta occasione!”
Tobio lo guardò storto da sopra la spalla. “Dubito ci sarà mai motivo di farti un complimento!”
“Ehi!” Replicò Shouyou offeso mentre Tobio spariva dietro al tronco di una grande quercia. “Tobio?” Chiamò sporgendosi in avanti per guardarlo.
Il Principe Demone se ne stava lì a fissare la foresta di fronte a sé con le guance rosse e l’espressione frustrata di chi non riesce a venire a patti con se stesso. Shouyou rise di nuovo ma con più leggerezza.
“Stai zitto…” Sibilò Tobio senza guardarlo.
“Non sai proprio come prenderli i complimenti, eh?” Shouyou gli andò vicino e, senza preavviso, gli pizzicò un fianco. Tobio saltò esageratamente e lo guardò come se avesse osato fargli un affronto ma il Principe dei Corvi continuò a sorridergli.
“Piccolo stu…” Tobio cercò di afferrarlo e fargliela pagare ma Shouyou fu più veloce e scappò via. Rideva e non accennava a voler smettere. Tobio gli fu dietro immediatamente ma fu una fuga di breve durata.
Inciampò su qualcosa, probabilmente la radice di un albero e la terra gli mancò sotto i piedi di colpo. Il fiato gli morì in gola mentre precipitava addosso a Shouyou. Entrambi rotolarono tra gli alberi, gli arti di uno intrecciati a quelli dell’altro.
Si fermarono dopo quella che parve un’eternità.
Tobio rimase immobile, il viso premuto contro l’addome dell’altro e l’acqua cristallina del ruscello che continuava a scorrere sotto di loro bagnandoli entrambi. Il corpo di Shouyou prese a tremare e, per un momento, Tobio temette che si fosse fatto male nella caduta e che stesse piagendo.
Il suono cristallino che seguì lo rassicurò.
Shouyou stava ridendo.
Erano entrambi finiti in un ruscello come due idioti ed il piccolo stupido stava ridendo.
Tobio non seppe se dare la colpa alla paura che scivolava via o al fatto che la risata di Shouyou fosse insopportabilmente contagiosa ma si ritrovò a ridere anche lui. Il nodo alla gola era sparito e le ombre sembravano essersi diradate almeno per un po’.
“Idiota…” Commentò Tobio inginocchiandosi nell’acqua bassa, il viso basso per nascondere l’attacco d’ilarità che non voleva lasciarlo andare.
Shouyou si mise a sedere: i vestiti ed i capelli completamente bagnati. “Me lo vuoi dire adesso?” Domandò.
“Che cosa?” Domandò Tobio continuando a fissare l’acqua cristallina.
“Il nome di tua figlia.”
Gli occhi blu si sollevarono, l’allegria era scomparsa velocemente come era arrivata e Shouyou dovette accorgersene perché smise di sorridere a sua volta.
Tobio scosse appena la testa. “Non ha bisogno di un nome,” rispose. “Non nascerà mai. Non ho intenzione di avere dei figli.”
Non voglio macchiarmi anche della colpa di essere padre.
Shouyou dischiuse le labbra. Probabilmente, stava per obbiettare, per fargli notare che il suo ruolo gli imponeva di mettere al mondo un erede che prendesse il suo posto sul trono di Seijou. Non ne ebbe il tempo e Tobio ne fu grato.
“Shouyou…”
Gli occhi d’ambra si sollevarono confusi verso gli alberi. Sorrise. “Kei! Tadashi!” Esclamò alzandosi in piedi. Tobio fece lo stesso.
“Stai bene?” Domandò Tadashi avvicinandosi di qualche passo.
“Sì,” rispose Shouyou con un sorriso confuso. “Perché?”
“Abbiamo visto questo qui che ti aggrediva,” rispose Kei guardando il Principe Demone con espressione glaciale.
“Sono inciampato, idiota!” Sbottò Tobio rabbioso.
“Oh!” Il Cavaliere sorrise con sarcasmo. “Così anche le leggendo viventi cadono.”
“Vai al diavolo!”
“Ti sei fatto male?” Domandò Tadashi al suo Principe posandogli una mano sulla spalla. “Sei tutto bagnato.”
Shouyou sorrise. “No, sto bene… Stavamo solo giocando. Voi, invece, dove stavate andando?”
“Estraggono il cuore del drago,” rispose Kei guardando Tobio. “Il Re vi desidera al suo fianco, Principe Demone.”
 
 
 

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Capitolo 30
*** Di cuori di drago e creature magiche ***


27
Di cuori di drago e creature magiche
 
 

Tooru non aveva fatto una piega quando il giovane messaggero si era inchinato al suo cospetto e lo aveva informato che il cuore del drago stava per essere estratto dalla carcassa. Il suo sguardo era rimasto vuoto, disinteressato quasi, poi aveva annuito ed aveva ordinato al ragazzo di trovare uno dei giovani Cavalieri di Karasuno e di mandarlo nella Foresta a cercare l’erede al trono di Seijou ed il piccolo Principe loro ospite.
Hajime non sapeva che cosa aspettarsi.
In realtà, non aveva mai fantasticato sul fatto che la loro casata sarebbe entrata a far parte di quel ciclo di grandi storie che narravano di epiche battaglie tra draghi e Cavalieri. Dopo l’avventura di Tobio con quell’occhio, non aveva mai pensato che potesse succedere qualcosa di più grande: sarebbe stato come augurare al suo stesso figlio una morte quasi certa.
Tooru, però, era una persona diversa.
Tooru viveva di quella grandezza indipendentemente dal prezzo che portava.
Essere Re e genitore di un fanciullo che aveva abbattuto un drago con le sue sole forze salvando la sua gente era molto di più di quello che si era aspettato dal talento innato di Tobio, probabilmente. Hajime decise di non chiedersi quanto dovesse bruciargli quell’ennesima sconfitta.
Perché era che così che Tooru viveva ogni vittoria di Tobio e non c’era modo per il Primo Cavaliere di farsene una ragione. Per questa ragione, per anni aveva deciso d’ignorarlo e basta continuando a fare il possibile per rendere il loro unico figlio l’uomo forte di cui Seijou aveva bisogno.
Tuttavia, il modo in cui Tooru si liberò di quel messaggero per poi abbandonarsi sulla poltrona davanti al caminetto spento con aria stanca aveva qualcosa di sospetto al punto da essergli insopportabile.
Hajime non aveva udito una parola di quello che Tobio e Tooru si erano detti nel cortile ma non aveva potuto evitare di notare le lacrime negli occhi del Re e l’orribile oscurità che aveva reso più scuri e tempestosi quelli di suo figlio.
Era successo qualcosa dopo la caduta del drago.
Era successo qualcosa che aveva spinto Tobio a smettere di guardare il suo Re dal basso verso l’alto e che aveva costretto Tooru ad abbassare lo sguardo.
“Ha capito tutto, vero?”
Il Primo Cavaliere non avrebbe perso tempo a girarci intorno. Non aveva mai riservato simili gentilezze al suo Re e non avrebbe cominciato in quel momento. Tooru continuò a fissare il vuoto di fronte a sé.
“Sai che cosa non sopporto?” Confessò con voce atona. “Di non essermene reso conto…”
Hajime non comprese completamente quelle parole e rimase in silenzio.
“Ho amato quella creatura dal momento in cui ho saputo che la portavo in grembo,” ammise Tooru con un sorriso nostalgico, terribile. “L’ho guardata mentre diveniva quello che io non avrò il potere di essere. Da principio, era una vittoria mia e, dopo, mentre vedevo Tobio superarmi senza che nemmeno se ne rendesse conto, è divenuta gelosia.”
Hajime strinse i pugni. “Non parliamo ancora di questo, Tooru. È inutile e lo sai bene.”
“No, non lo è,” replicò Tooru alzando gli occhi scuri sul Cavaliere. “A te non può piacere ma dobbiamo parlarne.”
Il Primo Cavaliere si costrinse a premere le labbra fino a farle divenire una linea sottile.
“Sì,” confermò il Re. “Tobio sa perfettamente cosa provo per lui. Penso che lo sappia da molto tempo, a dire il vero. Gli ultimi avvenimenti gli hanno solo dato il coraggio di affrontarlo…”
Hajime sentì il petto comprimersi ma non avrebbe mai lasciato andare le emozioni che provava in quel momento, non di fronte a Tooru. Era da idioti credere che Tobio non si sarebbe mai accorto di niente, di come quello che era stato amore si era trasformato in rancore per tutti loro. Per Hajime verso Tooru ed i suoi tradimenti, per Tooru verso di lui perché non riusciva più comprenderlo e per Tobio che, crescendo, lo stava spodestando senza fare alcuno sforzo.
Ora, ci sarebbe stato spazio anche per il rancore che Tobio provava per loro, per non essere stati i genitori che avevano giurato di essere.
Hajime si sentiva in colpa per non averlo capito, per essersi illuso che Tobio fosse abbastanza ingenuo da non vedere. Pensare che suo figlio stava duellando con quella verità da più tempo di quanto ne fosse consapevole gli faceva male.
Un dramma familiare quasi banale: due genitori che si facevano la guerra, mentre il sangue del loro sangue urlava in silenzio.
“Togliti dalla faccia quell’espressione addolorata,” ringhiò Hajime voltandosi verso la finestra che dava sul balcone. Non poteva guardare il suo Re in quel momento.
Sentì quegli occhi scuri contro la sua schiena ma sapeva che non avrebbe trovato nessun senso di colpa in quelle iridi se si fosse voltato: erano troppo distanti e Tooru troppo orgoglioso per provare a smuovere un qualche senso di pietà in lui.
“Non credevo mi avrebbe sfidato…”
Hajime sgranò gli occhi, poi rise. Sì, rise e si voltò. “E cosa credevi che avrebbe mai fatto?” Domandò. “È tuo figlio. È nostro figlio. Offendi me e te stesso se credevi che sarebbe rimasto un burattino nelle tue mani anche dopo aver fatto i conti con la tua sporca verità.”
Tooru artigliò i braccioli della poltrona. “Sì,” ammise con rabbia. “Sì, credevo che il suo desiderio di rendermi orgoglioso di lui mi concedesse un potere illimitato!”
“Peccato che Tobio abbia deciso che non sa cosa farsene del tuo giudizio,” concluse Hajime e lo fece con una nota di giubilo nella voce, come se stesse gustando una vittoria a lungo attesa.
Tooru se ne accorse e lo guardò come se gli stesse puntando una lama alla gola. “Sei felice di vendermi in questo stato miserabile.”
“Ti ripeto una lezione che, nonostante tutto, non hai ancora compreso, Tooru: quello dell’eroe e della vittima da tempo non sono più ruoli che ti spettano in questa storia!” Esclamò Hajime con rabbia. “È il turno di Tobio, fatti da parte!”
Era perfettamente consapevole di quanto quelle parole fossero taglienti.
Tooru scattò in piedi e lo guardò come se fosse indeciso se colpirlo o meno.
Hajime non se ne preoccupò. “In conclusione? Nostro figlio è divenuto consapevole di quello che sei veramente e di quello che può diventare, giusto? Ti ha messo al tuo posto senza sforzo ed ora non sai come uscire da questa tremenda situazione emotiva… Perché ora non si tratta più del fatto che Tobio potrebbe tenerti testa e, volendo, superarti. Tobio può tenerti testa. Tobio può superarti ed ora non è più solo una tua paura ma una sua consapevolezza.”
Si erano riempiti di nuovo di lacrime gli occhi di Tooru.
“È questo che ti ha dimostrato in cortile poco fa, vero?” Domandò Hajime con pazienza. “Non hai più me. Non hai più lui. Non puoi fare a meno di nessuno dei due. Sei sulla cima del mondo e sei completamente da solo, Tooru,” anche la sua gola era stretta in una morsa ma che fosse maledetto se fosse stato tanto debole da farlo capire al Re. “Congratulazioni, mio Re.”
Tooru non reagì subito e quando lo fece non fu nel modo in cui si era aspettato. “Siediti,” ordinò.
Hajime inarcò un sopracciglio. “Per quale ragione?”
“Perché ogni volta che penso che potremmo sfiorarci di nuovo qualcosa ci spinge via l’uno dall’altro in un ciclo inesorabile di dolore!” Esclamò Tooru piangendo. “A questo punto, non ha più senso tenerti nascosto qualcosa…”
Il viso del Primo Cavaliere divenne una maschera di pietra. “Che cosa stai dicendo, Tooru?” Non era certo di voler sapere la risposta.
Il Re Demone si avvicinò.
“Devo raccontarti una storia,” disse con voce quasi dolce, quella con cui si sarebbe rivolto a lui anni addietro. Quando l’amore non era ancora rancore. “Comincia molti anni fa, ancor prima della nascita di Tobio.”
Hajime non ebbe il coraggio di parlare.
“E prima che io finisca di raccontartela, tu mi odierai… Mi odierai come non hai mai fatto ma devo chiederti di ascoltarmi fino alla fine, Hajime.”
 
 
***


 
Tobio avvertì l’odore di sangue ancor prima di arrivare alla radura creata dalla caduta del drago. Shouyou, invece, si limitò ad arricciare il naso. “Ma cos’è?” Domandò continuando a camminare.
“Le carcasse puzzano, idiota,” gli rispose Kei annoiato da quel fetore quanto lui.
“Ma dicono che i draghi non si decompongono come gli altri animali,” intervenne Tadashi.
Tobio abbassò lo sguardo sul piccolo Principe al suo fianco ma non disse niente. Shouyou si mise sulla difensiva. “Che cosa c’è?” Domandò sollevando i piccoli pugni. “Hai una faccia strana…”
“Forse dovresti tornare indietro,” disse Tobio.
Alle loro spalle, Kei e Tadashi si scambiarono un’occhiata confusa. “È da escludere,” intervenne il primo. “Ci siamo addentrati troppo nella foresta e non riuscirebbe a tornare indietro da solo.”
“Puoi volare, no?” Disse Tobio continuando a guardare il piccolo Principe.
Kei e Tadashi s’irrigidirono ma fu solo per un istante: non erano ancora abituati al fatto che il Principe Demone fosse a conoscenza del segreto di Shouyou. Kei, in particolare, non si era ancora convinto che fosse una cosa positiva.
“Shouyou è più sereno, però,” gli aveva detto Tadashi poco dopo la partenza dei reali di Karasuno.
Kei aveva alzato gli occhi al cielo e basta: sarebbe stato inutile ripetere per l’ennesima volta che i giudizi di Shouyou non erano attendibili. Sì, era più sereno. Era terribilmente sereno per un moccioso che non era mai stato lontano da casa per così tanto tempo e che era stato separato dai genitori per la prima volta nella sua vita. Al Cavaliere quel dettaglio non piaceva affatto e gli piaceva ancor meno se pensava che il Principe Demone aveva un ruolo fondamentale in quella maturazione improvvisa del loro erede al trono.
“Perché dovrei tornare indietro?” Domandò Shouyou sinceramente confuso. “Tutta la corte è lì a vedere, no?”
“Come fanno poi ad estrarre degli organi da una bestia che non si può ferire con nessuna lama?” Domandò Tadashi a bassa voce.
Kei scrollò le spalle. “Ed io che ne so…” Per il bene della sua mente aveva smesso di farsi domande da quando avevano lasciato Karasuno ed avevano trovato un altro reale idiota che poteva tenere testa al loro. Non riusciva ancora a credere che fosse accaduto davvero.
Era seria, però, l’espressione di Tobio e non sembrava sul punto di sputare una di quelle battute sarcastiche che tanto facevano arrabbiare il loro piccolo Principe. “Potresti vedere qualcosa che non ti piace,” disse. “O, peggio, potrebbe colpirti nel modo sbagliato.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “È troppo tardi per preoccuparti per la mia sensibilità,” gli fece notare. “Abbiamo abbattuto quel drago insieme, ricordi?”
“Non scherzo,” insistette Tobio. “Stanno per consegnarmi il cuore di una creatura che hai sentito nella tua testa. Non so cosa potresti percepire in una simile situazione.”
Shouyou non parve più così tranquillo ed abbassò lo sguardo incerto.
Tadashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Hai sentito il drago nella tua testa, Shouyou?”
Kei alzò gli occhi al cielo e fece appello a tutta la sua pazienza: un’altra stranezza d’aggiungere alla lunga lista che rendeva il loro Principe più simile ad un mostro che ad un essere umano. Un piccolo mostro troppo ingenuo per il suo stesso bene. Quanto gli dava sui nervi.
“Ma tu guarda chi abbiamo incontrato!”
I tre fanciulli sollevarono lo sguardo. Fu facile identificare il gruppetto di Cavalieri dai mantelli violacei tra la vegetazione.
Era stato Satori a parlare ma furono gli occhi del Re dell’Aquila quelli che Tobio incrociò per primo. Si impose di non abbassare lo sguardo per nessuna ragione.
“Tsutomu!” Esclamò Shouyou allontanandosi dal suo fianco.
Per un attimo, Tobio fece per allungare un braccio e riportarlo al suo posto ma strinse il pugno e si costrinse a darsi un contegno. Il Principe dell’Aquila andò incontro a Shouyou con un’espressione completamente idiota sulla faccia. Sembrava stesse cercando di fare l’indifferente quando era chiaro che aveva una gran voglia di parlare con l’erede al trono di Karasuno.
“E siamo a tre…” Sentì mormorare Kei ma non disturbo a chiedergli a che cosa si riferisse.
“Stai bene!” Esclamò Shouyou allegro guardando il Principe dell’Aquila dal basso all’altro.
Tsutomu annuì. Tobio si chiese perché diavolo stesse arrossendo.
“Mi fa piacere!” Aggiunse Shouyou.
E perché il piccolo stupido doveva essere così amichevole?
“Dov’è il Re?” Domandò Wakatoshi e Tobio fu costretto ad allontanare l’attenzione dagli altri due Principi.
“Non è qui.” Rispose.
“Questo lo vedo,” replicò Wakatoshi.
“Allora non vedo perché dobbiamo starcene qui a sprecare il fiato,” concluse Tobio con arroganza, poi si decise ad allungare una mano ed afferrare la tunica di Shouyou. “Andiamo…”
Shouyou per poco non inciampò sui suoi stessi piedi. “Ora mi vuoi portare a qualunque costo?”
“Ora so che è meglio che tu sia dove ti posso vedere,” replicò Tobio trascinandoselo dietro.
“Non tirare! So camminare da solo!”
Kei e Tadashi li seguirono in silenzio, il primo sbuffando ed il secondo ridendo sotto i baffi.
“Complimenti, Tsutomu!” Esclamò Satori quando il gruppetto fu ormai distante. “Se importuni il Principe dei Corvi, riesci a provocare una reazione nel Principe Demone!”
Tsutomu lo guardò in cagnesco. “Io non ho importunato nessuno!”
Kenjirou sospirò stancamente. “Basta fare rumore inutile,” disse portandosi in avanti.
“Io non faccio rumore inutile!” Replicò il Principe ma l’Arciere gli afferrò il braccio e lo spinse ad andare avanti.
Satori fece per seguirli quando notò che il suo Re aveva lo sguardo fisso su qualcosa. Fu tentato di restare in silenzio e far finta di niente ma poi avrebbe passato il resto della giornata a farsi domande sui pensieri del suo sovrano e gli sarebbe venuta un’emicrania. “Di chi sospetti?” Chiese intuendo il ragionamento in cui il suo signore doveva essersi perso.
Gli occhi di Wakatoshi erano rivolti al gruppetto di quattro fanciulli ancora visibile tra gli alberi. “Il sangue del Principe Demone parla da sé.”
Satori fece una smorfia. “È figlio anche di un comune mortale, non dimenticarlo.”
“Un comune mortale che mi ha sconfitto,” gli ricordò Wakatoshi. “Tobio non è Tooru ma questo non lo rende meno pericoloso. Se avesse poteri di qualche tipo…”
“Non è ancora detto che il nostro pulcino non li abbia,” lo interruppe Satori. “Ed anche fosse un comune mortale… Non guardarmi così, non è un insulto. Nulla può impedire a Tsutomu di essere un grande condottiero ed anche un grande Re.” Ci pensò. “A parte Tsutomu stesso, probabilmente...” Scrollò le spalle. “Crescerà…”
“Compirà quattordici anni questo inverno,” gli ricordò Wakatoshi. “A quell’età ho vinto la mia prima guerra. A quindici mi hanno incoronato.”
Satori annuì. “E nel frattempo hai fatto tua sua madre. Tsutomu non credo che abbia chiaro nemmeno come nascondo i bambini… Perché mi guardi così, adesso?”
Wakatoshi lo fissava e non c’era nulla di amichevole nella sua espressione. Non che vi fosse di norma ma a Satori bastò guardarlo negli occhi per comprendere di aver parlato troppo. “Perché l’ho nominato?” Domandò sarcastico il Cavaliere. “Eita, mio Re. Il suo nome era Eita e puoi continuare a riscaldare le tue notti solitarie con Kenjirou e a guardare Tooru ma, sensi di colpa o no, il secondo genitore del tuo erede è prigioniero di un sonno maledetto per la tua superbia. Non siamo tenuti a far finta che sia morto per renderti la storia più facile, sai?”
L’espressione del Re dell’Aquila non mutò di una virgola. “Pensa ad una strategia, Satori,” disse cambiando completamente discorso. “Erano in tre su quella torre. Uno di loro deve avere un potere tale da sopravvivere ad una caduta nel vuoto e salvare altre due persone. Escludendo Tsutomu…”
Satori sospirò. “Non glielo dire ma mi sento male ad escluderlo subito senza un secondo pensiero.”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “C’è una possibilità che ci siamo sbagliati?”
Satori incrociò le braccia contro il petto e scosse la testa. “Sono dolorosamente convinto che quel figlio della magia, messo al mondo da un Mago e da quanto ci sia di più vicino su questa terra ad un semidio, non abbia in sé nessun talento che non sia assolutamente umano.” Scrollò le spalle. “Come hai ricordato, però, è stata una creatura assolutamente umana a sconfiggerti e negarti Seijou, il Re Demone e l’erede perfetto a cui aspiravi. Anzi, quello non lo avresti avuto comunque perché Tobio era già stato concepito…”
“Non sto dubitando delle capacità di mio figlio,” si sentì in dovere di sottolineare il Re dell’Aquila. “Ma anche per il suo bene devo sapere chi lo ha salvato quella notte.”
“Il Principe Demone o il Principe dei Corvi,” Satori storse la bocca. “Il primo non sarebbe una gran sorpresa: sembra essere nato già Re e Cavaliere e se saltasse fuori che è anche una sorta di semidio sarebbe quasi logico…”
“E il figlio di Koushi e Daichi?” Domandò Wakatoshi.
Satori lo guardò. “È l’unica creatura al mondo che tratta come un amico quell’essere antipatico del nostro Principe, chiedergli di essere anche una creatura magica sarebbe praticamente come considerarlo un miracolo vivente!”
Wakatoshi annuì. “Lui e Tsutomu sembrano andare d’accordo…”
“Io direi che il fanciullino ha il carattere adatto per provare ad essere gentile con tutti,” replicò il Cavaliere. “Stai pensando a Tsutomu in qualche modo? Non sarebbe una cattiva idea… Il cielo sa se ha bisogno di qualche responsabilità per sentirsi importante! Tuttavia, dice di non ricordarsi nulla.”
“No, hai ragione,” concordò Wakatoshi. “Tuttavia, non sarebbe assurdo se chiedesse l’aiuto di qualcuno per ricordare.”
Satori inarcò le sopracciglia. “Vuoi approfittare del primo legame vagamente amichevole che il nostro pulcino è riuscito a creare per sapere se gli altri due nascondono qualcosa?”
“Tobio non parlerà mai con Tsutomu.”
“Io non credo che Tobio e Tsutomu abbiano mai parlato l’uno con l’altro… Al massimo, ho visto il primo rimanere in silenzio mentre l’altro gli abbaiava contro.”
“Potrebbe parlare con Principe dei Corvi, però.”
Satori strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Wakatoshi,” disse con la massima serietà. “Eita fece un sogno poco dopo la nascita di Tobio. Lo fece nella stessa stagione in cui fuggì a Seijou con la speranza che Tooru sarebbe stato suo complice nel mettere in atto quel rito magico proibito che poi ha portato alla nascita di Tsutomu.” Una pausa. “Quel sogno terrorizzò il Re Demone al punto d’aiutare l’amante del suo peggior nemico. Sappiamo tutti che un Regno senza eredi è un Regno destinato a divenire instabile, facile da conquistare e Tooru aveva già un figlio: una trentina d’anni, Tobio sarebbe stato un adulto e che cosa gli avrebbe impedito di piegare il vecchio e logorato te? È destinato a far inginocchiare tutti i Re dei Regni liberi, no?”
“Stai parlando da un tempo infinito e ancora non hai detto quel che vuoi davvero dire, Satori,” gli fece notare Wakatoshi.
Il Cavaliere reclinò la testa da un lato. “Eita non mi confidò mai il contenuto di quel sogno e pensai fosse una cosa strana dato che, mentre tu correvi da una guerra di conquista all’altra, io facevo continuamente il tragitto dal campo di battaglia al Castello Bianco per rassicurarlo costantemente sul tuo stato di salute. Eravamo soliti dirci tutto…”
Wakatoshi annuì. “Lo so…”
“Allora che cosa ha visto Eita di così terribile in quel sogno da convincere Tooru ha darti un futuro, quando da lui non meritavi assolutamente niente?” Domandò Satori. “Che cosa c’era in quel sogno da terrorizzare tanto anche lui?”
Il Re dell’Aquila non rispose, poi tornò a guardare dritto di fronte a sé. “Andiamo…”
“Wakatoshi,” Satori lo afferrò per il mantello o lo costrinse a guardarlo negli occhi ancora una volta, “fa che non sia un’altra storia di superbia ed ossessione. Sei già sulla cima del mondo e se ti sporgi per tentare di afferrare il cielo, potresti perdere l’equilibrio ed allora la caduta sarebbe a dir poco rovinosa.”
Wakatoshi si liberò dalla stretta del vecchio amico gentilmente nonostante il suo avvertimento suonasse terribilmente come una minaccia. “Chi sa volare non teme i salti nel vuoto, Satori…” Riprese a camminare verso la radura.
Satori rimase dov’era qualche istante ancora. “Spero con tutto il cuore che non sarà il tuo destino, Wakatoshi,” disse sinceramente, “ma le ali si possono anche spezzare.”
 
 
***
 
 
Yuji Terushima aveva vissuto nei castelli dei grandi signori per tutta la vita.
Eppure, non aveva un titolo di nessun tipo.
Non era una nobile di qualche sorta e non era un guerriero con un onore da rispettare.
La sua famiglia era originaria di una terra che non esisteva più ma che aveva fondato la sua ricchezza sulla caccia ai draghi. Peccato che lo aveva fatto con troppa superbia.
Yuji non era cresciuto in quelle terre. Le aveva conosciute solo attraverso le storie di suo nonno. Era da lui che aveva imparato tutto quello che c’era da sapere sulle creature leggendarie e questo gli aveva permesso di vivere da signore pur non essendolo di sangue.
Un drago, però…
Suo nonno gli aveva raccontato tutte le storie che fossero mai state narrate nei Regni libere, più quelle scomode, quelle che avrebbero fatto accapponare la pelle anche agli uomini più impavidi.
“I draghi sono come i Re. Maestosi, orgogliosi…” soleva dire il suo vecchio. “Affrontarne uno di petto è un suicidio certo ma se trovi il modo di togliergli ciò che è più importante per lui, lo piegherai con a stessa facilità con cui una folata di vento piega un fiore di campo.”
Perché uccidere un drago adulto poteva essere difficile. Al diavolo, era quasi impossibile!
Uccidere i piccoli, però… Quello era decisamente più semplice.
Per questo quando gli era arrivata la notizia che un drago degno di tale nome era stato abbattuto dall’erede al trono di Seijou, si era precipitato alla corte del Re Demone senza preoccuparsi del compenso.
E ne era valsa dannatamente la pena…
Occuparsi della carcassa di un drago in modo da ricavarne tutti i tesori possibili era un lavoro lungo e fatto di precisione. Yuji se lo era goduto pieno perché, a malincuore, sapeva che quelle erano opportunità che non capitavano due volte nella stessa vita.
Ora, però, mentre estraeva il cuore della bestia, dovette ingoiare l’amaro boccone della consapevolezza che quel bottino non era suo.
No, suo nonno glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento, come se fosse una legge ben più antica di quelle degli uomini e dei Re.
“Il cuore di un drago spetta al cacciatore che lo ha abbattuto,” diceva il suo vecchio, “perché, Re o uomo comune, si è guadagnato il diritto di custodire il potere di un dio in terra.”
“Yuji?”
Sollevò gli occhi e trovò il sorriso di Hana ad accoglierlo, uno scrigno nero tra le sue mani. Aveva il viso stanco, era sporca di sangue e di altre sporcizie ma Yuji pensò che fosse bellissima. Lei non faceva parte di quel modo, aveva scelto di seguirlo e di toccare con mano le leggende che tutti nei Regni liberi raccontavano. Non credeva sarebbe mai stato grato abbastanza al destino per avergli dato una donna così.
“Avanti,” lo esortò. “Non è tuo…”
Yuji abbassò gli occhi sull’organo rosso tra le sue mani. Era ancora caldo, come se avesse battuto fino ad un istante prima. Ah, i draghi e la loro anatomia impossibile da spiegare razionalmente…
Gli dispiaceva, quasi. Sospirò.
“Una creatura tanto fiera caduta sotto il colpo di una singola freccia…” Mormorò.
“Il Principe lo ha abbattuto per proteggere la sua casa e la sua gente,” gli ricordò Hana. “È stato uno scontro d’onore...”
Perché c’era un’altra lezione che suo nonno aveva impartito a Yuji. “Divieni maledetto quando percorri la strada da cacciatore di draghi,” diceva. “Perché un uomo, anche un Re, può avere la superbia di sfidare un dio e farlo cadere ma questi non conoscerà mai il baratro da solo.”
Le antiche terre della sua famiglia ne erano la prova: distrutte da quelle stesse bestie che avevano creduto di poter domare, intimorire. Non c’erano più draghi sulle montagne del nord grazie a quel popolo di cacciatori ma si erano vendicati degnamente dei loro carnefici.
I cacciatori avevano portato via il loro futuro facendo strage dei loro piccoli ed i draghi si erano assicurati di trascinarli in quell’abisso di cui parlava suo nonno, prima di accettare con dignità il loro destino.
Yuji depose il cuore nello scrigno nero tra le mani di Hana. Lei lo richiuse e glielo porse.
Si era radunata una piccola folla di curiosi intorno alla carcassa della bestia nera. La maggior parte di loro erano Cavalieri ansiosi di divenire testimoni di quell’impresa senza precedenti. Il Re Demone non era tra loro. Era strano ma non importante: il campione a cui spettava quel premio era un altro, comunque.
Yuji non aveva mai visto il Principe Demone. Quando era giunto al Castello Nero, era stato il Primo Cavaliere ad accoglierlo e a condurlo dal Re. Gli accordi erano stati veloci e non c’era stato bisogno di convocare l’erede al trono. Non aveva neanche quindici anni, dopotutto.
“Ed è già una leggenda vivente.” Yuji lo riconobbe non appena fece il giro dell’enorme carcassa nera e se lo ritrovò davanti.
Occhi blu. Capelli corvini e abiti semplici che non si addicevano affatto ad un Principe. Eppure, Yuji seppe che doveva trattarsi di lui: nessun altro si era avvicinato tanto a quel drago. Non aveva importanza che quella bestia fosse morta, incuteva ancora timore.
Solo chi l’aveva abbattuto poteva esserne immune.
Sorrise con un po’ di arroganza, poi chinò la testa e allungò le braccia porgendo al Principe Demone il tesoro che gli spettava di diritto. “Il cuore della vostra preda, giovane cacciatore.”
Passò un istante soltanto prima che le sue dita venissero liberate dal peso dello scrigno nero.
Sollevò di nuovo lo sguardo. Il Principe Demone osservava il suo bottino con espressione indecifrabile, poi lo guardò in faccia per un istante prima di voltarsi. “Grazie,” disse con voce incolore.
Yuji non ebbe il tempo di rispondergli.
 
 
Dopo una poco seria e poco profonda analisi, Kei arrivò alla conclusione che tutti gli uomini del Primo Cavaliere di Seijou – perché non sembrava naturale chiamarli Cavalieri del Re in quella corte – erano affetti da coraggio relativo.
“Dai, Tetsuro, pochi passi e vedi tutto,” disse Koutaro spingendo il vecchio amico verso la carcassa del drago nero.
Quasi tutti gli abitanti del castello e buona parte di quelli della Capitale si erano avventurati della foresta per assistere all’estrazione del cuore della bestia abbattuta dal loro Principe.
Kei ricordava come il Maestro Takeda soleva raccontare loro storie di altro tipo, come quella del Principe Corvo, ma a Seijou sembravano molto appassionati alle imprese più sanguinose ed essere testimoni dell’epilogo di una caccia al drago era un’occasione più unica che rara. Dopotutto, però, il loro erede al trono li aveva abituati alle grandi gesta fin dall’infanzia.
Tuttavia, tutti si erano accomodati in maniera tale da vedere solo la schiena del drago morto ed evitare, così, lo spettacolo sanguinoso che si stava consumando sul lato opposto.
“Ma vai avanti tu, mio buon, vecchio Koutaro,” replicò l’uomo che era stato il sovrano di Nekoma afferrando il braccio dell’amico e spingendolo in avanti.
Kenma alzò gli occhi al cielo. “Perché non sono potuto rimanere al castello con Keiji e la bambina?” Domandò sconsolato.
“Perché se il nostro spilungone sviene per troppa sensibilità qualcuno deve pur sorreggerlo!” Esclamò Tetsuro indicando il nipote alto quasi due metri con un cenno del capo.
La testa di capelli chiari di Lev svettava da sopra quelle di tutti i giovani curiosi che si erano avvicinati più degli altri. Si voltò nel sentirsi chiamato in causa. “Ma da qui non si vede nulla!”
Tetsuro appoggiò il gomito sulla spalla di Koutaro con un sorrisetto sarcastico. “Fai il giro, nipote mio, o rischi di perderti lo spettacolo…”
Kenma alzò gli occhi al cielo. “Lev, vieni qui. Siediti accanto a Shouyou.”
Il Principe dei Corvi sollevò gli occhi sul Mago.
Kenma se ne accorse. “Vi prometto che non vi infastidirà, mio Principe.”
Shouyou sorrise e scosse la testa. “Oh, no, ho già parlato con Lev qualche volta. Nessun problema.”
“Oh, sì!” Esclamò Lev avvicinandosi con ampie falcate. “Tu sei il piccoletto di Tobio!”
Shouyou sgranò gli occhi e gonfiò le guance offeso. “Io non sono di Tobio in nessun senso possibile!”
“Lunga vita alla futura Regina…” Disse Kei a bassa voce ma non abbastanza perché Tadashi non lo sentisse e così anche il piccolo Principe accanto a lui.
Shouyou sollevò il pugno con aria minacciosa. “Ti ho sentito, sai?”
Tadashi si coprì la bocca con una mano per nascondere che stava ridendo.
“Oh, giusto! Tu sei il Principe dei Corvi!” Esclamò un ragazzo dai ribelli capelli castani staccandosi dal gruppo dei giovani di corte per avvicinarsi a Lev e ai tre fanciulli del Regno di Karasuno.
Shouyou si alzò in piedi educatamente. “Sì… Ehm…” Arrossì. “Perdonami, non ricordo il tuo nome.”
“Oh, mi chiamo Sou!” Rispose il ragazzo con un gran sorriso. “Sono del Regno di Nekoma, come Lev!”
“Io, in realtà,” lo corresse Lev indicando l’indice verso se stesso, “sono nato sulle montagne al confine nord, nelle terre di uno dei nobili più potenti del Regno. Mia mamma è la sorella di Tetsuro.”
“Oh!” Shouyou annuì cercando di memorizzare quelle informazioni velocemente: quelli erano i ragazzi della corte di Seijou, il Castello Nero sarebbe stata la sua casa per tanto tempo ed aveva un gran voglia di sentirlo come tale. Il miglior modo che conosceva per cominciare era cercare di ricordarsi i nomi dei giovani della sua generazione e, magari, farseli amici.
Era umanamente impossibile che qualcuno di loro avesse un carattere più difficile di quello di Tobio, no?
Un altro ragazzo dai capelli ribelli e dal viso squadrato si avvicinò. Aveva l’espressione seria, la bocca storta e le braccia incrociate contro il petto. “È piccoletto ma se è sopravvissuto a Tobio fino ad ora ci sarà un motivo…”
“Kanji!” Esclamò un tipo non troppo alto e dai capelli scuri vestito come Kenma. “Stai parlando ad un Principe riferendoti al nostro erede al trono! Porta rispetto!”
Shouyou non credeva di averlo mai visto, a differenza dei fanciulli.
“Si chiama Kaname,” disse Kenma notando il suo sguardo. “Era il Re di Dateko,” spiegò. “Era anche un ottimo Arciere ma ora passa la maggior parte del suo tempo in biblioteca.”
“Oh…” Fu tutto quello che riuscì a dire Shouyou ed abbassò un poco lo sguardo: alle volte dimenticava che quella corte era piena di Re sconfitti a cui era stato portato via non solo il trono che era loro di diritto ma anche la libertà.
“Ma sei un Cavaliere anche piccoletto come sei?” Domandò il ragazzo chiamato Kanji reclinando la testa da un lato confuso.
“Kanji!” Esclamò ancora una volta l’uomo che era stato il Re di Dateko avvicinandosi. “Perdonatelo, mio Principe,” disse con un sorriso gentile rivolgendosi all’erede al trono di Karasuno. “È un bravo ragazzo, solo che…”
“Nessun problema! Nessun problema!” Esclamò Shouyou alzandosi in piedi con un gran sorriso. “Vi ho visto comportarvi normalmente con Tobio, non deve essere diverso con me!” Rise. “Dopotutto, alle volte, i miei mi rimproverano che non sembro affatto un Principe da come mi comporto!”
“Quanto è vero…” Kei sbuffò frustrato.
Shouyou lo guardò storto ma le risate che seguirono presero di sorpresa tutti e tre, Tadashi compreso.
“Sentito, Tetsuro, vecchio mio?” Domandò Koutaro facendosi vicino al gruppetto di giovani. “C’è qualcuno che è più simpatico di te!”
Tetsuro rise. “Non diciamo fesserie!” Replicò rivolgendo un ghigno al giovane Cavaliere di Karasuno. “Nessuno qui è più simpatico di me!”
“Oh!” Koutaro diede una pacca sulla spalla di Kei ed il fanciullo lo guardò come se a toccarlo fosse stata una mano ricoperta di fango. “Se lo addestriamo bene, questo qui potrebbe anche superarti!”
Shouyou girò il viso di lato e Tadashi abbassò il suo per non far vedere a Kei che stavano facendo l’impossibile per non ridere.
Tetsuro si chinò e guardò il giovane Cavaliere di Karasuno con fare minaccioso. “Vuoi superarmi, ragazzino? Me? Il grande, temuto Re di Nekoma?”
Koutaro scrollò le spalle. “Tecnicamente non sei più Re,” disse. “E… Qualcuno ti ha mai temuto?”
“Lev ancora mi teme,” replicò Tetsuro drizzando di nuovo la schiena e guardando l’amico con espressione annoiata.
“Ma io non so nemmeno che cosa voglia dire!” Si difese il fanciullo alto quasi due metri.
L’uomo che era stato il Re di Nekoma lo fissò con espressione sinceramente sconfitta. “Lev, vai a vedere che fine ha fatto Tobio e se alla vista del sangue rischi di svenire, digli di lasciarti per terra… Magari se batti la testa migliori!” Voltò lo sguardo di colpo. “Ehi! Satori! Che ne dici di tenere alto il nome dei Cavalieri di Shiratorizawa ed andare lì dietro a dare un’occhiata?”
Sebbene si fossero isolati da tutti, era impossibile non notare il Re dell’Aquila ed i suoi uomini con quei mantelli violacei.
Satori fece una smorfia per nulla divertita e parecchio inquietante. “Grazie dell’offerta ma sto bene qui!” Si limitò a dire.
Tetsuro e Koutaro sembravano delusi.
“Dai!” Esclamò il primo. “Dacci una buona ragione per fare una rissa!”
Il secondo sfregò le mani insieme. “Sì, c’è troppa pace da troppo tempo da queste parti!”
Kenma sospirò stancamente e ringraziò il Cavaliere di Shiratorizawa in silenzio per aver ignorato volutamente la provocazione. “Sarei dovuto restare al castello con Keiji.”
Kaname, intanto, stava ancora cercando di far capire a Kanji che non era buona educazione giudicare qualcuno dalla propria altezza, specialmente un Principe.
“Ma non l’ho giudicato!” Si difese il giovane Arciere puntando l’indice verso il Principe dei Corvi. “Che sia piccolo è un dato di fatto!”
“Kanji…” Ripeté Kaname stancamente. “Ti prego…”
“Ehi!” Esclamò Shouyou gonfiando il petto con orgoglio. “Sarò anche piccolo ma so volare!”
I primi a gelare furono Kei e Tadashi.
Kenma alzò lo sguardo da terra e si fece improvvisamente attento.
Koutaro e Tetsuro si lanciarono delle occhiate confuse e gli altri fanciulli fecero lo stesso.
Shouyou fu l’ultimo a rendersi conto di quanto aveva appena esclamato con tanta naturalezza.
“Prego, mio Principe?” Domandò Kaname reclinando la testa di lato.
Dalla parte opposta della radura, Satori allungò il collo. “Che succede?” Domandò. “Che cosa ha detto il piccoletto di tanto sorprendente?”
Anche il Re dell’Aquila si era voltato ad osservare la scena.
Il viso di Shouyou perse velocemente colore, gli occhi sgranati e la gola bloccata da un nodo stretto, doloroso. Provò a dire qualcosa che potesse sviare il discorso ma non riusciva a parlare, a stento riusciva a disperare.
Tobio… Dov’era Tobio?
Tobio!
“Che cosa state facendo?”
Nel momento in cui la voce del Principe Demone interruppe quel silenzio attonito, Shouyou riprese a respirare.
“Ecco il nostro campione!” Esclamò Tetsuro sarcastico allontanandosi da Kei, Koutaro fece lo stesso.
Il giovane Cavaliere di Karasuno esaurì la distanza tra sé ed il suo Principe. “Sei completamente impazzito?” Sibilò a bassa voce.
“Kei, fermo,” disse Tadashi gentilmente afferrandogli il braccio. “Nessuno ci sta più pensando, evitiamo di attirare l’attenzione ulteriormente. Quelli di Shiratorizawa ci stanno già guardando troppo.”
Kei lanciò un’occhiata veloce alla parte opposta della radura e il primo sguardo che incrociò fu quello tagliente del Re dell’Aquila. Ingoiò a vuoto ed abbassò il viso su Shouyou.
Il piccolo Principe sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
“Mi dispiace…” Mormorava con voce tremante. “Mi dispiace… Io…”
I membri della corte di Seijou si stavano man mano radunando intorno al Principe Demone osservando curiosi lo scrigno nero tra le sue mani.
“Ehi, come è stato?” Domandò Lev euforico. “Posso vederlo?”
“Magari quando compirai la tua prima impresa,” intervenne Tetsuro. “Sei troppo sensibile per uno spettacolo tanto sanguinoso al momento.”
“Oh, se Keijiko fosse qui!” Esclamò Koutaro. “Io volevo portarla ma Keiji ha detto di no.”
“Chissà perché?” Mormorò Kenma, gli occhi felini fissi su di un altro Principe, quello che aveva la faccia di qualcuno sospeso sul baratro. Si voltò e si rese conto di non essere l’unico ad aver notato l’estremo disagio del Principe dei Corvi.
Tobio sentiva le voci di tutti gli uomini di suo padre e dei giovani della sua generazione che continuavano a riempirlo di domande, di commenti entusiasti ma non riusciva a porre attenzione a nessuno di loro. I tre fanciulli di Karasuno non si erano mossi di un passo da quando aveva fatto la sua entrata in scena.
Shouyou non lo guardava nemmeno.
Gli occhi blu si abbassarono per un istante e fu felice d’individuare subito il viso di Kenma. Si avvicinò e gli porse lo scrigno. “Portalo ai miei genitori,” ordinò senza indugiare nemmeno un secondo.
Kenma non perse tempo a fare domande ed annuì, sebbene il Principe l’avesse già superato.
Tetsuro e Koutaro lo guardarono allibiti.
“È il campione a cui spetta il cuore di drago e lo molla così?” Domandò quest’ultimo allibito.
“Diamo un’occhiata, diamo un’occhiata…” L’uomo che era stato il Re di Nekoma si avvicinò allo scrigno nero con un’espressione da felino affamato ma Kenma allontanò quella mano curiosa con un gesto poco gentile. Tetsuro lo guardò sorpreso e ferito al contempo ma il Mago non si fece intenerire. “Nessuno di voi ha il diritto di toccarlo,” disse con fare intransigente, poi si voltò e prese la via del Castello Nero.
“Kenma!” Esclamò Tetsuro. “Sono io! Il tuo Re! Ti ricordi di me?”
Il Mago nemmeno si voltò.
“Kenma!”
Koutaro rise fino a reggersi lo stomaco. “Ha un bel caratterino quando vuole!”
L’intero gruppetto della corte di Seijou finì per seguire il Mago come se fossero stati tutti ipnotizzati. Tra quelli di Shiratorizawa, Satori fu il primo ad alzarsi con uno sbuffo. “Spettacolo noioso,” commentò. “Andiamo a pranzo?”
“Ma io non ho visto niente!” Esclamò Tsutomu come un bambino capriccioso.
Il Cavaliere alzò gli occhi al cielo. “Lo hai sentito il pazzo di Nekoma? Compi un’impresa ed il prossimo a dominare la scena sarai tu!”
“C’ero anche io quella notte su quella torre!”
“Ma se nemmeno tu ti ricordi come è andata veramente!”
Kenjirou prese un respiro profondo. “Fatevela finita entrambi…” Fece per seguire Satori ed il suo Principe sulla via del ritorno quando si rese conto che Wakatoshi non si era ancora mosso. Esitò un istante, poi si avvicinò di un passo e sfiorò la spalla coperta dal mantello violaceo. “Mio signore?” Chiamò educatamente. “Non volete rientrare?”
Wakatoshi abbassò lo sguardo ma l’Arciere non trovò nessuna espressione sul suo viso che potesse aiutarlo a comprendere quali pensieri affollassero la sua testa. “Sì,” si limitò a dire lanciando un’ultima occhiata al Principe Demone che stringeva le spalle del Principe dei Corvi per rassicurarlo. Per cosa, però, non gli era dato saperlo.
“Andiamo…”
 
 
***
 
 
Quando Tooru ebbe finito di parlare, Hajime si sentì come se avessero taciuto tutti i rumori del mondo.
Gli occhi del Re Demone erano grandi, timorosi. L’espressione tipica che gli rivolgeva ogni volta che sapeva di dovergli dire qualcosa che lo avrebbe fatto arrabbiare. Era un segnale, un modo per prepararlo al peggio e a rendergli più facile perdonarlo dopo, una volta che le parole sarebbero state dette.
Tooru allungò una mano per toccarlo e Hajime si ridestò dalla sua immobilità e si alzò in piedi prima che potesse riuscirci.
Il Re Demone rimase con la mano sospesa a mezz’aria, poi strinse le labbra e l’appoggiò sulla sua gamba sollevando lentamente lo sguardo sul Cavaliere che si era fermato di fronte alla portafinestra della balconata.
“Mi sono disperato con te quando abbiamo scoperto che non potevano avere un figlio,” gli ricordò. “E tu sapevi…”
“No,” lo interruppe Tooru. “Sapevo solo che il Principe Demone dopo di me avrebbe fatto inginocchiare ai suoi piedi tutti i Re dei Regni liberi, non sapevo di chi sarebbe stato figlio.”
Hajime chiuse gli occhi e si massaggiò la fronte: nessuno lo avrebbe salvato da un gran mal di testa alla fine di quella conversazione. “Dammi una buona ragione per cui non mi hai detto niente,” disse. “Kenma sapeva, Koushi sapeva, Daichi… Persino Eita e quel bastardo di Wakatoshi!”
“Non so cosa sappia Wakatoshi,” replicò Tooru. “Non credo che Eita sia stato chiaro con lui come lo è stato con me, altrimenti nulla gli avrebbe impedito di avere Shouyou. Io penso… Penso che Eita si sia tenuto per sè i dettagli di quell’ultimo sogno per impedire al suo Re di compiere un crimine.”
Hajime fece una smorfia e si voltò. “Non è quello che fa continuamente?” Domandò. “Compiere crimini è nella sua natura…”
Tooru prese un respiro profondo. “Se la pensi così, allora lo è anche la mia.”
“Lo so…”
“Lo sai?” Il Re sorrise tristemente. “Nemmeno lo neghi?”
“Per quale ragione dovrei?” Domandò Hajime voltandosi bruscamente.
Tooru premette la schiena contro la poltrona in un istintivo, inutile tentativo di nascondersi: il Primo Cavaliere non l’aveva mai colpito con l’intenzione di fargli veramente del male ma era passata da tempo la stagione in cui erano stati certi di conoscersi l’un l’altro meglio di quanto conoscessero loro stessi.
“Nostro figlio è destinato a divenire un mostro e tu lo sapevi da molto tempo prima che lo concepissimo!”
“E tu non riesci a vedere niente altro che inganno in questo, vero?” Domandò Tooru alzandosi in piedi, gli occhi già pieni di lacrime. “Non ti viene in mente che potrei averlo fatto perché volevo una vita normale per lui, per te! Perché volevo credere che Tobio non sarebbe mai divenuto un tiranno assetato di potere con te come padre!”
Hajime strinse gli occhi in un’espressione addolorata per alcuni istanti. “Per me, per lui…” Ripeté. “Qui l’unico assetato di potere se tu, Tooru,” disse. “Ed il tiranno è il Re che hai accolto sotto il tuo tetto come un alleato! Quello che è destinato ad uccidere il figlio che dici di voler proteggere! Nostro figlio! Mio figlio!”
Tooru esaurì la distanza tra loro e prese tra le mani il viso del suo Cavaliere. “Hajime, ascoltami,” disse con la voce di un Re che impartisce un ordine. “Ascoltami attentamente… Sì, l’idea che Tobio possa divenire più potente di me mi è insopportabile. Sì, ho cercato renderlo dipendente da me e dalle mie attenzioni per spingerlo nella direzione che ritenevo più comoda e, sì, ho reso il Re che ci braccato, torturato e quasi sconfitto il nostro più grande alleato. Sì, ti ho ingannato per anni e, forse, lo sto facendo ancora… Forse, c’è ancora qualcosa di sporco che ti sto nascondendo ma, maledizione, possibile che tu non riesca a vedere me in tutto questo? Vedi solo il Re Demone? Vedi solo il sovrano assetato di potere?”
Hajime gli prese le mani e le allontanò da sé. “Perché?” Domandò rabbioso. “Cos’altro dovrei vedere?”
Tooru strinse le labbra e si costrinse a non scoppiare a piangere. Dovevano arrivare ad un punto d’incontro, dovevano essere alleati se non potevano più amarsi. Era indispensabile per il bene di tutti loro. “Forse che Wakatoshi non può toccare Tobio fino a che è nostro alleato,” replicò Tooru con tono un poco velenoso. “I Re dei Regni liberi possono non amare me ma non credere che non sappia quanto tu e Tobio siate potenti in questa situazione.”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tooru, non m’interessa il potere…”
“I giovani di Seijou detestano Tobio ma non te,” gli ricordò Tooru. “Sei il loro eroe, mentre tutti gli altri riescono ad andare d’accordo anche con quell’essere insopportabile del nostro erede. Koutaro e Tetsuro non muoverebbero un dito per me e non li biasimerei ma pensi che resterebbero in disparte se a venir toccato fosse qualcosa di tuo. Non sarò mai il loro Re, sarò sempre e solo il loro conquistatore ma per Tobio sarà diverso. Per te lo è già da adesso.”
Hajime non replicò, l’espressione sul suo viso era completamente cambiata. Tooru provò a toccarlo di nuovo. “Wakatoshi non ha potuto niente contro di noi quando eravamo divisi e fatti e pezzi… Pensaci Hajime, pensa come sarebbe se marciassimo tutti in nome di un singolo Principe verso il Castello Bianco. Shiratorizawa può essere grande e Wakatoshi può renderla ancor più potente ma continuare a conquistare le terre del Nord non lo renderà forte quanto potremmo esserlo noi.”
Hajime chiuse di nuovo gli occhi: gli scoppiava la testa. “Tooru…” Mormorò guardando il suo Re negli occhi. “Che cosa stai facendo?”
Tooru gli accarezzò la guancia. “Faccio compiere il destino a modo mio,” rispose. “Tobio stringerà tutti i Regni liberi nelle sue mani per volere degli stessi uomini che sedevano su quei troni e Shouyou sarà suo prima che il Re o il Principe dell’Aquila possano toccarlo in alcun modo.”
Il Cavaliere non rispose.
“Hajime…” Tooru fece un passo in avanti ma il Primo Cavaliere afferrò la sua mano e con gentilezza l’allontanò da sé.
Passarono alcuni istanti di silenzio in cui Hajime parve riflettere con se stesso. “Facciamoli scegliere…” Disse, infine.
Tooru reclinò la testa da un lato.
“Cosa?” Domandò.
“È il loro destino,” Hajime non aveva ancora lasciato andare la mano del suo Re. “Lasciamo che siano loro a scegliere…”
 
 
***


 
“E smettila di piagnucolare!” Esclamò Tobio perdendo la pazienza, eppure afferrò un nuovo tovagliolo – quello di Kei − e lo portò al naso del Principe dei Corvi. “Soffia!” Ordinò.
Shouyou lo guardò arrabbiato pur avendo gli occhi pieni di lacrime, poi allontanò quella mano con poca grazia tenendo il tovagliolo premuto contro il naso autonomamente. “So soffiarmi il naso da solo!” Esclamò e lo fece.
“Dovrei essere io quello arrabbiato, non tu,” gli fece notare Tobio inarcando un sopracciglio.
“E perché non lo sei?” Domandò Shouyou rabbioso. “Ho rovinato il tuo momento di gloria e tu non hai fatto alcuna reazione!”
“Quando mi arrabbio non ti sta bene e quando non lo faccio ti arrabbi tu?” Domandò Tobio irritato.
Shouyou lasciò andare un paio di singhiozzi, le labbra sporgenti in un broncio.
Dall’altra parte del tavolo, Kei storse la bocca in una smorfia disgustata. “Non ci posso credere…” Mormorò con aria stanca.
“Io penso siano carini,” disse Tadashi con un sorriso. “Un po’ sciocchi, forse…”
“Un po’?” Domandò Kei irritato. “Per fortuna, non sono gli unici idioti qui.” Si guardò intorno ma era impossibile trovare un ordine in quel caos di persone troppo vogliose di festeggiare.
In onore di Tobio, i Cavalieri avevano ben pensato di improvvisare un banchetto con quel che c’era nelle cucine reali. Yuutaro e Akira erano stati mandati da Takahiro ed Issei negli appartamenti reali per chiedere il permesso del Re e del suo Primo Cavaliere. Erano scesi pochi minuti dopo sostenendo che i due avevano concesso loro di fare quello che li rendeva felici.
Issei e Takahiro si erano guardati un poco confusi, poi avevano scrollato le spalle e si erano voltati verso l’esercito di Cavalieri provenienti da tutti i territori dei Regni liberi chiedendo: “chi vuole del vino?”
E così si erano ritrovati nella grande sala comune seduti a lunghi tavoli puliti non troppo bene e su panche senza schienale che persino a Karasuno non usavano più all’interno del castello.
“Questo è il vero volto delle grandi corti, quindi,” commentò Kei guardando Koutaro e Tetsuro ballare su di uno dei tavoli al centro della stanza, mentre Issei, Takahiro ed altri Cavalieri cantavano canzoni dal contenuto osceno. “Un vero porcile…”
Nessuno aveva brindato all’onore del Principe Demone o aveva sprecato anche solo una parola per congratularsi della sua impresa. Era stata tutta una grande scusa per poter bere prima che il sole tramontasse.
Kei guardò il giovane padrone di casa seduto dalla parte opposta del tavolo: non sembrava disturbato da quell’assenza di attenzioni nei suoi confronti neanche un po’. Al contrario, si era liberato di quel cuore di drago come se non avesse alcun valore ed allora tutta la sua attenzione era stata per Shouyou.
“Comunque, qui qualcuno non ci fa caso se dici qualche sciocchezza,” Tobio sollevò lo sguardo annoiato sui due idioti che ballavano sul tavolo. E pensare che una volta erano stati Re… “Qui è all’ordine del giorno.”
Shouyou sollevò gli occhi dal suo fazzoletto improvvisato. “Quindi non ho detto niente di male?”
Tobio gli afferrò il naso con poca grazia. “Certo che sì! Hai detto una cosa pericolosa! Pensa prima di aprire la bocca, idiota!” Lo spinse all’indietro e il piccolo Principe per poco non cadde sulla schiena.
Shouyou si massaggiò il naso ma la sua espressione si fece più gentile. “Non vuoi andare a vederlo?”
Tobio afferrò il suo calice e bevve un gran sorso d’acqua. “Che cosa?” Chiese guardandosi intorno con aria distratta. Tutti sembravano divertirsi molto.
“Il cuore del drago.”
Gli occhi blu tornarono su quelli d’ambra.
“No,” rispose Tobio posando il calice di legno sul tavolo.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Perché?” Domandò. “Sei tu il campione e quello è il tuo premio. Solo le più grandi leggende narrano d’imprese come la tua e per te non sembra avere alcuna importanza.”
“Ho salvato la mia gente?” Domandò.
Shouyou scrollò le spalle. “Sì, ma…”
“Ho salvato la mia casa.”
“Sì…”
“C’è qualcosa con più valore di questo?” Domandò Tobio senza nessuna particolare intonazione, come se stesse sottolineando qualcosa di ovvio.
Kei inarcò un sopracciglio ed i suoi occhi incontrarono quelli di Tadashi: li aveva sorpresi entrambi.
“Credevo che vi piacesse essere il migliore, mio Principe,” disse il giovane Cavaliere di Karasuno.
“Infatti,” rispose Tobio guardandolo dritto negli occhi. “Ho accecato e poi ucciso lo stesso drago e nessun Principe, Re o Cavaliere vivente può dire di aver fatto lo stesso. Sono già il migliore.”
Kei si fece rigido, come se il Principe Demone avesse appena detto qualcosa di minaccioso.
Non era così. Semplicemente, aveva detto l’opposto di quello che si era aspettato: nessun vanto, nessuna ostentazione del proprio ego. Tobio si era limitato a sottolineare i fatti e non sentiva alcun bisogno di autoglorificarsi per sentirsi più sicuro di sé.
Shouyou rise con leggerezza attirando su di sé l’attenzione del Principe Demone e dei suoi due amici d’infanzia.
“Che cosa c’è di così divertente ora?” Domandò Tobio con un poco d’irritazione.
“Niente,” Shouyou scosse la testa e sorrise gentilmente. “Lo hai fatto di nuovo…”
“Cosa?”
“Per un attimo, ho visto il Re che c’è in te.”
Kei non si lasciò sfuggire il modo in cui gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, come il suo viso divenne una maschera di pietra. Stava trattenendo il respiro, forse?
“Permettete una parola, mio Principe?”
Fu Shouyou a voltare lo sguardo per primo. Tobio lo fece solo quando quegli occhi d’ambra non furono più sui suoi. C’era un ragazzo dai capelli biondi e dall’aria ribelle accanto alla loro panca. Aveva un calice in mano ed un ghignetto fin troppo arrogante in volto.
In un’altra occasione, Tobio si sarebbe sentito infastidito ma la riconobbe immediatamente e si sorprese di trovarlo lì. “Tu sei…”
“Il mio nome è Yuji,” si presentò il giovane uomo inchinandosi con rispetto. “Temo che non ci abbiamo mai presentati ufficialmente.”
Tobio si alzò in piedi. “No,” confermò. “Di solito è il Re che si occupa di accogliere gli ospiti ufficiali.”
Yuji ridacchiò prendendo un altro sorso di vino dal suo calice. “Ospite ufficiale… Potrei vantarmi.”
“Siete l’unico cacciatore di creature magiche che abbiamo trovato. Non siete un ospite comune di certo,” insistette Tobio.
Yuji annuì. “Non chiamatele creature magiche. Non è un nome degno per loro, le fanno sembrare dei personaggi di una favola.”
“Lo sono!” Intervenne Shouyou alzandosi a sua volta.
Yuji lo guardò confuso.
Shouyou arrossì. “Perdonami, non volevo essere scortese ma… Ecco… Nessuno di noi ha mai visto un drago prima, nemmeno i più anziani di questa corte, credo. Fino a pochi giorni fa, cose come quelle successe qui al Castello Nero ci venivano raccontate come leggende, nulla di più.”
Yuji sorrise, divertito. “Leggende…” Ripeté. “Sì, immagino che tutti saremo personaggi di una leggenda un giorno…”
“Volevi parlarmi?” Domandò Tobio riportando l’attenzione del giovane uomo su di sé. “Allora parla…”
Yuji scrollò le spalle. “Ero curioso di sapere se eravate consapevole della reale portata della vostra impresa e del premio che vi siete guadagnato in quanto campione ma dal modo in cui lo avete ceduto con tanta facilità alle mani del Mago di corte, immagino di no…”
L’espressione di Tobio non cambiò di una virgola. “È il cuore di una bestia morta. Nulla di più.”
“Temo che vi sbagliate...”
“Che vuoi dire?”
“Per cominciare, non si decomporrà mai.”
“Magia. Niente che mi sorprenda. Sono figlio di un Demone, sono abituato a cose ritenute assurde dagli esseri umani.”
Yuji sospirò con pazienza ma il ghignetto arrogante era ancora al suo posto. “Mi concedete qualche minuto, Principe Demone?” Domandò. “Qualche parola in più?”
Tobio annuì una volta soltanto.
“Molto bene,” Yuji si sporse per appoggiare il calice sul tavolo e poi si guardò intorno: il resto dei Cavalieri e della servitù era impegnata a godersi le conseguenze di quel banchetto improvvisato e nessuno avrebbe fatto caso a loro. “Quali storie conoscete sui draghi, mio Principe?”
“Il consorte di uno degli uomini di mio padre è figlio di una terra di cacciatori di draghi,” disse Tobio. “La maggior parte delle storie che conosco le ho udite da lui…”
Yuji sgranò gli occhi. “Un sopravvissuto?” Domandò.
“Keiji non parla molto del suo passato,” ammise Tobio. “Tuttavia, dice che tutte le ricchezze delle sue terre derivavano dal commercio di parti di drago.”
Shouyou storse la bocca ed abbassò lo sguardo ma non disse nulla.
“Tuttavia, le leggende vogliono che nessuna arma possa scalfire la pelle di un drago. Per tanto, non ho mai compreso come sia possibile arricchirsi con i corpi di quelle bestie e poterlo raccontare. A meno che i cacciatori di draghi non siano stati tutti degli Arcieri dalle grandi capacità.”
Yuji rise. “Credetemi se vi dico che la parola onore non si potrebbe mai accostare bene al titolo di Cacciatore di draghi. Almeno, non si poteva fino a che non siete arrivato voi, mio Principe. La vostra impresa racconta di un’azione folle e coraggiosa, ottimo materiale da leggenda.”
Shouyou sorrise soddisfatto. “Visto? Siamo materiale da leggenda.”
Tobio nemmeno lo guardò. “Stai un po’ zitto…”
Yuji estrasse il grande coltello appeso alla sua cintura e lo porse al Principe Demone. “Prendetelo. Date un’occhiata alla sua lama. Siete già un Cavaliere consumato da quel che dicono, quindi dovreste essere un esperto di armi.”
Tobio non confermò né negò. Liberò l’arma dalla sua guaina e sgranò gli occhi l’istante successivo.
Il ghigno di Yuji si fece pregno di soddisfazione.
Shouyou si alzò in piedi e, dall’altra parte del tavolo, lo stesso fecero Tadashi e Kei.
“Ma che metallo è?” Domandò Tadashi confuso.
Gli occhi di Shouyou fissavano la lama nera incantati. “È come la Corona Corvina.”
Yuji annuì. “Già…” Allungò la mano ed il Principe Demone gli restituì la sua arma. “Sapevo che quella Corona si trovava qui ma non ho mai avuto l’onore di vederla di persona.”
“Gioca bene le tue carte con il Re e potrebbe essere parte del tuo compenso,” disse Tobio.
Yuji rise. “Non sono un folle come voi, mio Principe. Non chiederei mai ad un Re di mostrarmi un simile tesoro e, accettate il mio consiglio, non commettete più una simile leggerezza.”
Tobio lo guardò mentre rifoderava il pugnale. “Di che materiale è fatto?” Domandò
Yuji appese di nuovo il fodero alla sua cintura. “Pelle di drago. Impossibile da distruggere.”
Tobio non parve sorpreso. “Però è impossibile scalfire la pelle di un drago…”
“Sì e no,” spiegò Yuji. “Possiedo altri attrezzi così,” confessò. “Attrezzi che ho ereditato da mio nonno. Anche lui viveva nella terra di cui il sopravvissuto che avete nominata vi ha parlato. Immagino fosse molto giovane quando la sua città è andata distrutta o avrebbe saputo raccontarvi più di qualche leggenda…”
“Parla senza girarci troppo intorno,” lo interruppe Tobio. “Io non sono il Re Demone. A me non piace perdere tempo.”
Yuji smise di sorridere ma solo per un istante. “Pragmatico…” Commentò. “Sì, siete diverso dal vostro Re: al vostro posto, lui sarebbe rientrato al Castello Nero a cavallo, seguito dai suoi Cavalieri e tenendo sollevato lo scrigno con il cuore di drago in modo che la folla lo vedesse ed applaudisse.” Scrollò le spalle. “O, almeno, mi ha dato questa impressione.”
Tobio non gli disse che aveva perfettamente ragione. “Stai ancora perdendo tempo,” lo avvertì.
“Allora vi dirò perché non è corretto definire i draghi o altre creature mitologiche altrettanto pericolose come creature magiche. Non sono folletti, sempre ammesso che esistano e, no, io non ne ho mai incontrati nel mio vagabondare. Comunque sia, è importante che capiate che quando affrontate un drago, non state semplicemente affrontando una bestia.”
Shouyou si fece improvvisamente attento e l’eco della voce del drago tornò a rimbalzare contro le pareti della sua memoria.
“E contro cosa sto combattendo?” Domandò Tobio.
“Un Re,” rispose Yuji. “Un semidio Re per essere precisi.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Non ha senso quello che dite.”
“Dicono che siate un cacciatore.”
“Sono un Arciere. Cacciare è un buon allenamento.”
“Bene ma sappiate che se paragonate il drago che avete abbattuto ad uno dei volatili della vostra foresta, state compiendo un errore madornale.”
“E per quale motivo?”
“I volatili non parlano…”
Tobio aveva molto da ridere a riguardo, in realtà. Ne conosceva uno piccolo e stupido che proprio non ce la faceva a stare zitto.
“I draghi sono creature senzienti, mio Principe,” disse Yuji. “È nella loro natura vincere sui loro nemici come un Re ha la necessità di vincere sui propri. Vi siete scontrato con un vostro pari ed avete vinto, nulla di più e nulla di meno.”
Tobio si era accorto di come Shouyou si era appena avvicinato a lui ma non poteva concedergli la sua attenzione in quel momento. “Come ha fatto tuo nonno a costruire degli strumenti con la pelle di una creatura quasi impossibile da uccidere?”
Yuji sospirò. “Voi siete il tesoro più prezioso per i vostri genitori, vero?”
Tobio venne prese di sorpresa da quella domanda.
“Certo che lo siete,” continuò Yuji. “Ma siete ancora così giovane e, sì, il vostro nome è conosciuto in ogni angolo dei Regni liberi ma, in fondo, siete ancora indifeso nei confronti del mondo.”
Tobio reclinò la testa da un lato. “Mi state insultando?”
“No, sto solo affermando che basterebbe ferire voi per mettere in ginocchio il Re Demone o il Primo Cavaliere di Seijou. È enormemente più facile fare a pezzi un fanciullo che un esercito, non trovate?”
Tobio non comprese. Shouyou sì.
“I piccoli…” Mormorò il Principe dei Corvi sconvolto. “I cacciatori di draghi uccidevano i piccoli, non è così?”
Tobio abbassò lo sguardo: Shouyou era terribilmente a disagio in quella situazione e fece per dirgli di andarsene. Tacque quando sentì le sue dita stringersi sull’orlo della sua tunica in un silenzioso tentativo di farsi coraggio da solo attraverso di lui. Tobio decise di lasciarlo fare.
“Il fanciullo è sveglio,” commentò Yuji indicandolo senza rispetto.
Tobio strinse le labbra. “Il fanciullo è il Principe dei Corvi, erede al trono del Regno di Karasuno. Porta rispetto.”
Yuji sgranò gli occhi e divenne improvvisamente serio. Abbassò il capo arrossendo appena. “Perdonatemi, Altezza.”
Shouyou sgranò gli occhi e sorrise nervosamente. “No, no, no… Va bene, io… Non c’è problema!”
Tobio sbuffò. “Ha ragione lui, dunque?” Domandò. “I cacciatori si servivano dei piccoli per uccidere i draghi adulti?”
Yuji riportò lo sguardo sull’erede al trono di Seijou. “I draghi depongono uova per riprodursi,” spiegò. “Distruggere il un nido, significa portargli via il futuro.”
“Come uccidere un Principe significa strappare il futuro di mano ad un Re.”
“Vedo che cominciate a comprendere…”
“In che modo i piccoli sono utili nella costruzione di armi.”
“Come per tutte le creature con una lunga vita, i piccoli draghi sono creature incomplete, fragili. Hanno bisogno della cura dei loro genitori per sopravvivere.”
Tobio sentì Shouyou stringersi ulteriormente a lui.
“La loro pelle è notevolmente più morbida di quella di un drago adulto dalla gola, passando per lo sterno, fino all’intestino. A quel punto, spellarli è semplice.”
Tobio sentì l’altra mano di Shouyou stringergli il braccio, come se avesse bisogno di un appiglio.
“Sulla schiena, però, è diverso. Le scaglie, le corna, tutto il resto…”
“Solo un drago può uccidere un altro drago,” concluse Tobio. “Serve un’arma fatta di pelle di drago per abbatterne uno con semplicità.”
Yuji annuì. “Esattamente…”
“E non provavano alcuna vergogna?” Domandò Shouyou di colpo.
Gli occhi di tutti furono su di lui. Le iridi d’ambra brillavano d’ira.
“Quella di cui parli non è caccia ma un crimine.”
Yuji non se la prese ed annuì. “E hanno pagato, mio Principe. Hanno pagato tutti i cacciatori ed i loro figli.”
L’espressione di Shouyou si addolcì un poco ed abbassò lo sguardo sentendosi in colpa.
“Che cosa hai da dire sul cuore, invece?” Domandò Tobio. “È la prova di una grande impresa e questo basterebbe a dargli valore agli occhi di molti ma perché dovrebbe averne per me?”
La bocca di Yuji si piegò di nuovo in quel ghigno insopportabile. “Siete figlio di Demone, c’è Magia Nera nel vostro sangue…”
“Così dicono…”
“Le creature come i draghi non sono solo magiche, sono figli di quella forza naturale che noi piccoli mortali abbiamo deciso di chiamare Magia. I Demoni sono fatti di Magia Nera ed umanità, per tanto, avete combattuto contro un vostro simile sotto molti punti di vista.”
“I Demoni non sono semidei,” ribatté Tobio.
“Il vostro Re vi ha dato la vita e sfido qualunque uomo mortale a poter fare lo stesso.”
“Anche gli Omega possono dare la vita, eppure nessuno si preoccupa di concedere loro qualche rispetto,” disse Tobio con disprezzo. “Se i comuni mortali provano davvero tanta venerazione per ciò che, per natura, ha più capacità di loro, perché non concedere a simili creature il rispetto che meritano?”
Gli angoli della bocca di Shouyou si sollevarono appena.
“Eh, la magia e le sue infinite forme…” Disse Yuji. “Che cosa sia degno di rispetto lo decide la storia, mio Principe. I Demoni hanno costruito Seijou, gli Omega non sono divenuti Re… Tuttavia, grazie a vostra madre le cose sono notevolmente cambiate.” Aggiunse rivolgendosi al piccolo Principe dei Corvi.
Shouyou accennò un timido sorriso. “Mia madre è fiera di ciò e spera che le cose continuino a migliorare.”
“E per rispondere alla vostra domanda, Principe Demone,” aggiunse Yuji. “Qualunque creatura, per natura, teme ciò che è più potente di essa e non può sottrarsi dal tentare di distruggerla o usarla.”
Quelle parole per Tobio furono come delle dita moleste su di una ferita ancora aperta. “Lo so…” Si limitò a dire. “È una lezione che ho già imparato.”
Sentì gli occhi di Shouyou su di sé ma non rispose al suo sguardo: aveva paura di quello che vi avrebbe trovato riflesso.
“Avete studiato Magia, mio Principe?”
“Non tanto quanto i miei precettori avrebbero voluto,” rispose Tobio. “Ho sempre preferito le materie militari…”
“Non ne dubitavo.”
“Stai per impartirmi una lezione, Yuji?”
“Non so dire se sia una vera lezione,” ammise l’altro. “Forse, assomiglia più ad una delle leggende di cui voi ed il Principe dei Corvi siete così esperti. Tuttavia, il mio sesto senso mi suggerisce che sarebbe un errore non raccontarvela.”
“Ti ascolto.”
Yuji sospirò. “Sembra che una legge non scritta o proibita della magia affermi qualcosa sul fatto che per acquisire la forza di una creatura magica, come la chiamate voi, sia necessario divorarla.”
Sia Shouyou che Tobio si fecero rigidi.
“Ora,” aggiunse Yuji, “non so come questa legge si concretizzi nella realtà ed ad ogni creatura si applica in modo diverso ma per quanto riguarda i draghi,” scrollò le spalle, “diciamo che si racconta che chi divora il cuore di un drago ne diviene l’erede, forza e poteri compresi.”
Tobio inarcò un sopracciglio e storse la bocca in una smorfia disgustata. “E chi mai farebbe una cosa del genere?”
Yuji scrollò di nuovo le spalle. “Ho visto uomini compiere pazzie peggiori,” ammise. “In punto di morte, un uomo farebbe qualunque cosa per salvare se stesso o il proprio figlio, se vogliamo. Nutrirsi di un cuore di drago non sarebbe poi un prezzo così caro da pagare in cambio della salvezza della vita e dicono che possieda anche questa capacità.”
“Se fosse come dici, il mondo dovrebbe essere pieno di uomini simili a semidei, tutti provenienti dalla tua terra di cacciatori di draghi.”
“È qui che vi sbagliate, mio Principe,” disse Yuji ed il suo ghigno si fece ancor più evidente. “Per essere l’erede di un drago non basta squarciare il petto di una creatura morta, bisogna essere abbastanza forti per sopportarne le conseguenze e tutti sappiamo che c’è una lunga lista di nomi scritta dalla storia di uomini assetati di gloria che si sono fatti inghiottire dal potere che avevano conquistato e che non erano più in grado di controllare.”
Yuji non poteva star alludendo a niente, eppure Tobio si sentì come se quelle parole fossero un avvertimento di qualche tipo. “Quindi, mi stai dicendo che se divorassi il cuore dentro quello scrigno, diverrei erede di quel drago, ricevendone la forza, le capacità e tutto il resto?”
Fu quasi sinistro il sorriso che Yuji gli rivolse. “Per dirla in modo poetico: per divenire erede di un drago bisogna esserne degni,” disse, “che, tradotto in termini reali, penso significhi che non tutti possono reggere fisicamente la portata di tanto potere magicoin un solo corpo. Tuttavia, voi siete l’unico mezzo Demone di cui la storia abbia memoria, siete un miracolo vivente solo per questo e dubito che le vostre origini umane abbiano intaccato in qualche modo la magia nel vostro sangue. Al contrario, ho il sospetto che vi abbiano reso molto più potente ed unico di quanto l’assenza di corna sulla vostra testa non tradisca.”
Tobio rimase in silenzio. Shouyou gli stringeva ancora il braccio.
Yuji aveva finito di parlare. “Detto questo,” concluse con un’espressione molto più amichevole ma non meno arrogante. “Ringraziate i vostri Cavalieri per l’invito ma il cuore di drago che vi ho consegnato non è l’unico tesoro che quella carcassa nasconde ed il Re Demone mi paga per ricavarne più oggetti di valore possibili.” Passò gli occhi da Tobio e Shouyou. “È stato un piacere parlare con voi, miei Principi.”
S’inchinò in modo quasi teatrale, poi si voltò senza aspettare che uno dei due giovani reali gli concedesse il permesso di andarsene.
Kei e Tadashi lo seguirono con lo sguardo, le bocche spalancate.
“In vita mia non ho mai sentito tante assurdità tutte insieme,” disse il giovane Cavaliere di Karasuno.
“Eppure, ha senso,” intervenne Tadashi. “Voglio dire, la storia dei draghi senzienti e di come i cacciatori ottenevano le armi necessarie per abbatterli…”
Tobio li ascoltò battibeccare senza interesse, poi portò gli occhi sul viso di Shouyou: sembrava provato.
“Te la senti di Cavalcare?” Domandò di colpo.
Il Principe dei Corvi lo guardò confuso. “Cosa?”
“Kei e Tadashi possono venire, se riescono a reggere qualche ora a cavallo. Porterò con noi anche altri dei miei Cavalieri, se accetteranno.”
Shouyou non riusciva a comprenderlo. “Che cosa stai dicendo, Tobio?”
Tobio scrollò le spalle. “C’è troppo odore di sangue in questo castello e sono stufo di sentir parlare di quel drago o di doverlo fare io stesso. Ho voglia di cambiare aria.”
“Oh…” Shouyou annuì. “Va bene…” Non sembrava convinto ma l’idea di prendere un po’ le distanze da quella loro impresa lo faceva sentire più leggero.
Sì, Tobio aveva ragione, c’era troppo odore di sangue intorno a loro.
“State partendo?” Domandò Tadashi sporgendosi in avanti. “Devo preparare i bagagli di Shouyou?”
Tobio scosse la testa. “Non sarà necessario,” rispose. “Viaggiamo leggeri. Un mantello sulle spalle e si parte subito in sella ai cavalli.”
Kei assunse un’aria dolorante e si massaggiò la fronte. “Non erano già accadute troppe assurdità per una sola giornata, vero?”
Tadashi rise. “È appena passato mezzogiorno, Kei!”
“E non oso immaginare in che stato verseremo al tramonto…”
 
 
***
 
 
Lo scrigno nero che conteneva il cuore del drago era stato abbandonato sul tavolo del salotto privato del Re pochi istanti dopo che Kenma aveva varcato la porta d’ingresso.
L’impresa di Tobio poteva essere anche materiale da leggenda ma c’era una storia ben più antica e grande che si stava consumando tra le mura del Castello Nero ed era arrivate ad un capitolo fondamentale.
Uno di quelli che avrebbero segnato un prima ed un dopo nella vita di molti.
“Ne siete sicuri?” Domandò Kenma. La prima cosa assurda di quella scena era la vicinanza fisica tra Hajime e Tooru e di come le loro mani quasi si toccassero. Erano passati anni dall’ultima volta che il Mago li aveva visti così. Per non parlare del fatto che sembrava concordi sull’agire nello stesso modo.
Tooru annuì. “Questa è la decisione che abbiamo preso,” disse e guardò il suo Cavaliere in cerca di conferma.
Hajime annuì. “In tutta onestà, Kenma, non starò qui a credere che quei bambini non avessero scelta da prima di nascere,” disse. “Ma non posso non credere nella magia o nel destino. Alcune volte abbiamo delle scelte, altre volte ci sono forze invisibili che fanno di noi quello che vogliono. Se tutte le leggi del mondo fossero inviolabili, Tobio non sarebbe nemmeno dovuto nascere.”
Tooru accennò un sorriso.
“Così,” aggiunse il Cavaliere, “voglio credere a questa assurda storia e voglio credere che sia una possibilità che ci sia stata concessa. Per quanto mi ha raccontato Tooru, fino ad ora tutto è stato nelle vostre mani in parte, come in quelle di Eita e di Koushi e Daichi,” una pausa, “persino di Wakatoshi.”
Kenma non si perse il modo in cui le dita del Re Demone si tesero sfiorando quelle del Cavaliere.
“Adesso basta,” disse Hajime con voce tranquilla. “Questo avvertimento non è solo per noi ma anche… Soprattutto per Tobio e Shouyou. Non possiamo manipolare le loro vinte e convincerci che li stiamo proteggendo. Daichi ha rischiato di guadagnarsi il disprezzo di suo figlio in questo modo e Tooru ha, ormai, quello di Tobio.”
Il Re Demone strinse le labbra e non replicò.
“Sono le loro vite,” aggiunse il Cavaliere, “proteggerli è nella nostra natura di genitori, anche contro la loro volontà. Non dico che dobbiamo smettere di farlo ma dobbiamo farlo con sincerità. Dobbiamo offrire loro la libertà di una scelta o finiranno per ribellarsi a noi ed allora non avremmo più il controllo del loro destino, sogni premonitori o meno.”
Tooru annuì. “Tobio e Shouyou devono scegliere ma abbiamo bisogno del tuo aiuto per spiegare, capisci?” Disse. “Temo che se lo facessi solo io, Tobio penserebbe che sto cercando di manipolarlo e credo che sia tanto arrabbiato d’arrivare a credere che Hajime sia mio complice in questo.”
Il Cavaliere fece una smorfia ma non disse niente.
Kenma annuì. “Avrete il mio appoggio se ne avete bisogno.” Era strano vedere Hajime e Tooru di nuovo l’uno al fianco dell’altro ma, al contempo, lo rassicurava.
Nell’alzarsi, il Cavaliere strinse per un istante la mano del suo Re. Un altro gesto che il Mago non si fece sfuggire.
“Vado a chiamare i nostri Principi,” disse Hajime dirigendosi verso la porta. “Tu sai dove sono finiti dopo la consegna del cuore?” Chiese al Mago.
Kenma ripensò a Tetsuro che, sulla via di ritorno al Castello Nero, progettava un banchetto in onore del loro erede al trono ma che con Tobio non aveva assolutamente nulla a che fare. Ricordava anche Koutaro annuire con euforia ed Issei e Takahiro mettere insieme i dettagli prima di subito.
Avevano mandato due bambini a chiedere il permesso per creare il delirio. Codardi…
Tooru li aveva liquidati per la questione ben più urgente del destino di Tobio e Shouyou e, probabilmente, nemmeno li aveva ascoltati.
Se fosse stato un compagno degno di tale nome, Kenma avrebbe trovato il modo di evitare a Tetsuro e ai suoi complici di pagare le conseguenze della loro piccola festicciola fuori programma. Forse, se a scendere fosse stato Tooru nessuno si sarebbe fatto troppo male.
Tuttavia, era Hajime quello sulla porta ad aspettare che rispondesse e Kenma si sentiva particolarmente crudele in quel momento. Tetsuro non lo aveva scelto senza un motivo, dopotutto.
“Segui il caos…” Rispose.
 
 
***
 
 
Tsutomu era nella scuderia reali quando un gruppetto rumoroso di giovani si riversò fuori dai box.
Era sceso fino a lì con la scusa di prendersi cura del suo cavallo ma, in verità, aveva solo una gran voglia di stare da solo e mettere un po’ di ordine nella sua testa. Da quando era tornato dal confine Nord, non gli riusciva particolarmente bene.
Il primo che riconobbe fu il tipo altissimo che, se il destino fosse stato diverso, sarebbe stato il futuro Re del Regno di Nekoma. Gli parve di vedere l’Arciere originario di Dateko e qualche altro ragazzo che conosceva solo di vista. Nessuno osava tanto d’avvicinarsi al Principe dell’Aquila per fare amicizia, dopotutto.
Fu dopo aver riconosciuto il Cavaliere ed il servitore personale di Shouyou che Tsutomu decise di prestare veramente attenzione alla scena.
I ragazzi sembravano euforici, come se non stessero più nella pelle per qualcosa.
Ma cosa?
Una testolina dai ribelli capelli del colore del tramonto sfrecciò davanti al box del suo cavallo.
Tsutomu uscì allo scoperto velocemente. “Shouyou!” Chiamò.
Il Principe dei Corvi si fermò. Gli occhi d’ambra erano confusi quando si voltò ma brillarono immediatamente nel riconoscerlo, le labbra piegate in un sorriso gentile. “Tsutomu!” Gli andò vicino. “Non ti ho visto al banchetto in onore di Tobio.”
Tsutomu aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Non… Non mi hanno invitato.”
Il sorriso di Shouyou sparì immediatamente e le guance si fecero rosse per l’imbarazzo. “Non… Non era niente di ufficiale… È che Tetsuro, poi Koutaro…”
Tsutomu scosse la testa. “Non è il genere di eventi da cui mi piace partecipare,” ammise. “Come mio padre. Partecipiamo ai balli di corte e alle grandi feste solo perché è politica anche questa.”
“Oh,” Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “E quando ti diverti?”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
Il piccolo Principe scrollò le spalle. “Sei sempre serio, tutto d’un pezzo… E quando perdi il controllo è per arrabbiarti con Tobio,” rise. “È comprensibile, certo. È impossibile non arrabbiarsi con Tobio ma…”
“Ehi, stupido!”
Shouyou si voltò ed anche Tsutomu sollevò lo sguardo.
Il Principe Demone era già in sella alla sua cavalla e guardava il Principe dei Corvi con evidente irritazione. “Sei ancora a piedi! Muoviti!”
Shouyou sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Devo andare,” disse educatamente a Tsutomu. “Spero di rivederti presto. Ti auguro ogni bene.”
Il Principe dell’Aquila fece un passo in avanti. “Dove andate?” Domandò.
Shouyou scrollò le spalle. “Non lo so!” Rispose allegramente. “Tobio dice che è una sorpresa! Sarà un’avventura!”
“Muoviti, idiota!” Sbottò il Principe Demone portando il suo cavallo all’entrata delle scuderie.
“Arrivo!” Esclamò Shouyou camminando indietro, verso il box del suo cavallo. “A presto, Tsutomu!”
Il Principe dell’Aquila sollevò la mano in un goffo gesto di saluto.
Qualunque cosa stessero facendo Shouyou, Tobio e tutti gli altri, non lo avevano invitato nemmeno in quel caso.
 
 
Pochi minuti dopo, incontrò il Primo Cavaliere nel cortile interno del Castello Nero intento a trascinarsi dietro i Re detronati di Nekoma e Fukurodani sbraintando qualcosa riguardo al fatto che li avrebbe fatti rigare dritto a calci.
Fu lui a dirgli che il Principe Demone ed il Principe dei Corvi erano partiti senza permesso.
 
 
“Questa è colpa tua!” Sbottò Hajime camminando avanti ed indietro nel salotto privato del suo Re.
Tooru lo guardò confuso puntandosi un dito contro il petto. “Mia?”
“Sì! Tu sei così!” Esclamò il Cavaliere irato. “Lui prende, scappa… Si fa trascinare da un’idea impulsiva e via, prende Shouyou, i ragazzi e se ne va!”
Tooru sorrise sommessamente. “Non lo ha mai fatto, Hajime.”
“No, non l’ha mai fatto!” Continuò ad urlare il Cavaliere. “Ecco, perché io…” Si bloccò, si calmò e guardò il suo Re negli occhi.
Tooru rise. Una risata sincera come non gli capitava di fare da tanto tempo. “È un moccioso,” disse scrollando le spalle. “Si comporta da moccioso.”
Hajime sbuffò. “Beh… Doveva abituarci prima!” Recuperò il suo mantello dalla poltrona accanto al caminetto spento.
Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Dove vai?” Domandò curioso.
“Penso di sapere dove sta andando Tobio,” rispose il Cavaliere. “Lo raggiungo e lo riporto a casa a suon di calci sul…” Fu la mano del suo Re sulla spalla a farlo tacere.
Hajime lo guardò confuso ma Tooru sembrava sereno, forse un po’ malinconico. “Lascialo andare…”
Il Cavaliere strinse le labbra irritato. “Pensavo fosse una questione di vita o di morte.”
Tooru annuì. “Wakatoshi è qui, però,” gli ricordò, “ed il suo erede non ha seguito il nostro, quindi… Abbiamo ancora un po’ di tempo. Loro hanno ancora un po’ di tempo.”
Hajime rilassò le spalle. “Io non voglio perdere altro tempo.”
Il Re Demone scosse la testa. “Shouyou è arrivato qui all’inizio dell’estate. Lasciamo che Tobio abbia con lui almeno una stagione, glielo dobbiamo…”
Hajime inarcò un sopracciglio.
Io glielo devo,” si corresse Tooru suo malgrado. “Adesso è arrabbiato… Probabilmente ha portato via Shouyou per cambiare aria. Tobio non tollera bene di essere al centro dell’attenzione, lo sai e questa storia del drago deve averlo esasperato e… Io non gli ho dato una mano.”
Il Cavaliere rimase in silenzio.
“Lasciamo loro un’estate, Hajime. Solo un’estate. Almeno questo possiamo concederglielo.”
 
 
 
 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Dunque...
Il Capitolo può sembrare corto ma non lo è!
Avrei potuto aggiornare la prima settimana di gennaio ma rileggendo molte cose mi stonavano e mi sono ritrovata a riscrivere delle scene da capo ed aggiungerne altre. Conclusione: il capitolo intero è divenuto una cosa improponibile e ho deciso di dividere in due... Sì, nulla di nuovo.
Mi scuso immensamente per l'assenza di queste settimane ma dovrebbe andar meglio da adesso in poi.
Vi ringrazio infinitamente per la vostra pazienza e per l'interesse che dimostrato attraverso le recensioni ed i messaggi privati.
Barcollo ma non mollo!
Alla prossima.



 

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Capitolo 31
*** Di sole e d'estate ***


28
Di sole e d'estate


Il rumore delle onde del mare che accarezzavano la sabbia era l’unica cosa a spezzare il silenzio di quel paesaggio di morte.
La guerra ne aveva disegnato le linee con crudele fermezza tingendo la spiaggia bianca su cui aveva fatto i suoi primi passi col crudele colore del sangue.
Il sangue dei suoi uomini, dei suoi amici, della sua gente, della sua famiglia.
Tutto ciò che era nato per proteggere a costo della sua stessa vita giaceva a pezzi, in riva al mare e lui non aveva potuto far nulla per evitare una simile catastrofe.
Sollevò lo sguardo verso il castello che sorgeva sulla scogliera. Le bianche torri erano cadute sotto i colpi dei nemici che erano venuti dal cielo, come divinità malevole pronte a punirli per tutta la loro superbia.
Perché era quella che li aveva spinti fino a quel punto di non ritorno, no?
La superbia. La sete di potere. Il desiderio di elevarsi ad essere dei… O quanto di più simile ci fosse.
Erano stati gli artefici della loro stessa caduta ed ora era rimasto solo lui, l’ultimo su di un campo di battaglia che vedeva il trionfo di una vincitrice ancora e per sempre imbattuta: la morte.
Perché gli fosse ancora concesso di respirare era un mistero a cui non aveva la forza di venire a capo.
Piangeva, le mani sporche di sangue artigliavano la sabbia non più bianca ma era un appiglio instabile, inutile. Di fronte a lui, l’Aquila giaceva morta. Di un’ala non era rimasto nulla, dell’altra sono piume bruciate. La testa era girata, il collo spezzato.
E lui non si sentiva poi così tanto protetto avvolto nel suo mantello violaceo come gli succedeva quando era bambino e suo padre lo sollevava tra le braccia per fargli vedere il mare.
Era bellissimo quell’orizzonte ed era stato suo fin dalla nascita.
Non aveva saputo dargli la giusta importanza ed ora sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua disperandosi perché il nemico gli concedesse un istante ancora per ammirarlo.
Chi l’aveva sconfitto, però, aveva da tempo dimenticato cosa fosse la pietà.
Un violento spostamento d’aria alle sue spalle non lo spaventò, attirò semplicemente la sua attenzione.
Nessuno aveva abbattuto la bestia e sapeva che era solo questione di tempo perché uscisse allo scoperto per completare la sua opera e fare di quella distruzione totale il suo capolavoro.
Lo aveva lasciato in vita ancora un poco soltanto per permettergli di vedere dove le gloriose azioni dell’Aquila li avevano portati.
Si voltò.
Gli occhi del drago erano di un blu che sarebbe potuto essere meraviglioso, se solo le scure pupille da rettile non li avessero resi terrificanti. Le enormi ali bianche ripiegate sulla schiena.
Era scritto che sarebbe accaduto.
Era stato deciso molto tempo prima della nascita di entrambi ma sia l’uno che l’altro avevano combattuto la loro battaglia contro il destino e contro loro stessi.
Si alzò in piedi e seppe che quello che vedeva negli occhi blu di quel Drago bianco era il riflesso della sua fine.
La bestia si avvicinò e spalancò le fauci.
Non gli restava che accettarla.

 
 
La storia di Kenjirou era tanto banale che se ne vergognava.
Figlio più piccolo di una famiglia di nobili minori, era riuscito a distinguersi durante l’addestramento regolare come Arciere e questo gli aveva garantito un posto molto vicino al giovane Re dell’Aquila. Nessuna sete di gloria, nessun inciampo e nemmeno una personalità particolarmente adatta alle relazioni di gruppo.
Non c’era niente in Kenjirou che potesse definirsi interessante.
A parte i segreti…
”Tu lo ami, non è vero?”
Quelli che non poteva confidare a nessuno perché Kenjirou, in realtà, un amico non lo aveva.
Fino al giorno in cui l’unica persona che avesse mai invidiato, aveva fatto un passo verso di lui quando avrebbe avuto tutto il diritto di calpestarlo.
Il suo legame con Eita non poteva definirsi una vera e propria amicizia. Il Mago e Satori erano amici, oppure quest’ultimo ed il Re dell’Aquila. Kenjirou era entrato in quell’equazione strisciando e passando per vie di cui, suo malgrado, si vergognava. Eppure, non rimpiangeva nulla del peccato che aveva commesso.
Eita ne era venuto a conoscenza quasi subito. Satori anche e spesso Kenjirou si era chiesto che cosa frenasse entrambi dal liberarsi di lui. Perché, che a lui piacesse o meno, Wakatoshi non gli apparteneva.
Una parte di lui era di Eita e l’altra, per quanto fosse doloroso ammetterlo, era e sarebbe sempre stata del Re Demone.
Nella breve lista degli amanti del Re dell’Aquila – perché, a dispetto delle dicerie, era davvero breve – Kenjirou era quel tipo di amore che nessuno avrebbe mai voluto rappresentare. Un amore che amore non era. Un amore a senso unico che differiva da quello di una prostituta per il suo cliente solo perché non era coinvolto del denaro.
”Se lo ami… Se lo ami davvero, prova a raggiungere il suo cuore. Ti prego, Kenjirou. Io non ci sono riuscito e Tooru si è rifiutato di farlo. Ti scongiuro, trova il suo cuore…”
Kenjirou non avrebbe mai dimenticato quel giorno.
Non avrebbe mai dimenticato lo smarrimento che lo aveva colto perché Eita gli aveva appena concesso il cuore del Re dell’Aquila a parole ma, dopo, gli aveva messo tra le braccia il fagottino che stringeva con amore al petto.
Quella era stata la prima volta che aveva tenuto Tsutomu in braccio. Ricordava quella manina minuscola stretta intorno al suo indice e rammentava di aver giurato a se stesso, sebbene Eita non glielo avesse chiesto, che non l’avrebbe più lasciata andare.
Per questo, Kenjirou sentì il respiro venire meno quando udì le grida del Principe dell’Aquila nel cuore della notte. Sì, fu proprio per questo che uscì dalla sua camera e si precipitò in quella di Tsutomu senza preoccuparsi di dover giustificare la sua presenza in alcun modo.
Satori era già lì e Wakatoshi aveva afferrato le spalle del ragazzo svegliandolo bruscamente.
Gli occhi di Kenjirou incontrarono per un istante quelli del Cavaliere ma il Re nemmeno si accorse della sua presenza. Non ebbe molta importanza quando Tsutomu aprì di colpo gli occhi aggrappandosi alle braccia di suo padre come se stesse annegando in un mare invisibile.
Sia l’Arciere che il Cavaliere si avvicinarono al letto.
Il ragazzo tremava, le guance pallide e madide di lacrime.
Chiamarono il suo nome ma non rispose, gli occhi chiari fissi nel vuoto. Gli occhi di Eita.
“Tsutomu!” Tuonò Wakatoshi prendendogli il viso tra le mani.
Il Principe trasalì spingendosi verso i cuscini, poi passò lo sguardo atterrito sui loro volti come se li vedesse per la prima volta. “Il… Il…”
“Tsutomu, respira…” Mormorò Satori stringendogli una spalla. “Piano, respira…”
Il ragazzo chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Kenjirou si azzardò ad allungare una mano per liberargli il viso dalla frangia di capelli corvini madida di sudore.
Fu allora che Wakatoshi sollevò gli occhi ed incrociò i suoi.
Un istante, niente di più.
“Il drago…” Singhiozzò Tsutomu.
Tutti e tre riportarono l’attenzione su di lui.
Satori sospirò. “Tsutomu, il drago è morto. Tobio lo ha abbattuto, ricordi? Tu c’eri…”
“No!” Esclamò il giovane irato. “Era un altro drago. Un drago bianco! Ero a casa, sulla spiaggia e c’erano centinaia di morti intorno a me.”
“Era solo un brutto sogno,” intervenne Kenjirou. “Nessuno riesce ad invadere Shiratorizawa da generazioni e lo sai.”
Solo Wakatoshi rimaneva in silenzio ascoltando con attenzione ogni parola che usciva dalla bocca di suo figlio.
“Non era un brutto sogno!” Sbottò Tsutomu. “Lo dicevate anche dei miei incubi prima che il drago arrivasse qui, al Castello Nero! Bene, è successo! Questa volta è stato lo stesso… Non era un sogno, io ero lì! Io sarò lì e quel drago mi divorerà dopo aver distrutto la nostra casa ed averci massacrati tutti!” Scoppiò a piangere disperato, terrorizzato.
Satori guardò il suo Re alla ricerca di un aiuto valido ma Wakatoshi continuava a rimanersene in silenzio, lo sguardo fisso sulla figura tremante di suo figlio.
“Tsutomu,” Kenjirou gli prese il viso tra le mani costringendolo a guardarlo. “Ascoltami bene. Tu sei il Principe dell’Aquila, erede al trono del Regno di Shiratorizawa. Sei l’ultimo di una dinastia di grandi sovrani e prodi guerrieri… Sovrani e guerrieri che hanno reso la tua casa impossibile da conquistare, lo capisci? Tuo padre Wakatoshi è il Re più potente dei Regni liberi e tu lo diverrai dopo di lui. Sei sopravvissuto per pura fortuna all’ira di un drago ma ciò che ti minacciava non esiste più, ricordi? Il drago è morto.”
Tsutomu si calmò. Piangeva ancora ma, almeno, sembrava aver recuperato il lume della ragione.
Satori rinnovò la stretta sulla sua spalla. “Tutto bene, ragazzino?”
Il Principe annuì debolmente rilassandosi contro i cuscini. “Sì, sto bene…” Non era completamente vero ma aveva già umiliato se stesso fin troppo per una sola notte.
Wakatoshi si alzò dal letto e si diresse verso la porta senza dire una parola. Sembrava che per lui non fosse successo niente.
“Dove te ne vai, ora?” Domandò Satori.
Il Re si fermò al centro della stanza. “Andate a dormire,” ordinò. “Domani lasceremo questo castello.”
Kenjirou fu sorpreso da una simile affermazione ma non disse nulla. Ci pensò Satori ad esprimere il pensiero di entrambi. “Ci diamo alla fuga?” Domandò. “Abbiamo fatto qualcosa di cui potremmo essere accusati?”
Wakatoshi lanciò loro un’occhiata da sopra la spalla. “Partiamo domani,” ripeté. “Questa è la volontà del vostro Re.”
Ancora una volta, quegli occhi taglienti incrociarono quelli di Kenjirou.
L’Arciere non poté fare altro che abbassare lo sguardo.
“… E quando lo troverai, ti prego, salvalo.”
 
 
***
 
 
“Tobio, è meraviglioso qui!”
Shouyou era il sole.
Non era un giudizio che la mente di Tobio aveva partorito spontaneamente. Se non ricordava male, era stata sua madre a fare una simile affermazione durante uno dei loro noiosi dialoghi che avevano come fine quello di spingere il Principe Demone ad avvicinarsi un po’ troppo all’erede al trono di Karasuno.
In quel momento, semplicemente, Tobio si ritrovò a pensare a quel paragone e concludere che, in fin dei conti, era piuttosto vero. Lui era ancora nel cortile interno della tenuta di campagna intento a legare le briglie del suo cavallo e di quello del piccolo stupido, mentre Shouyou lo osservava con un sorriso luminoso affacciato ad una delle finestre del piano superiore. Una di quelle del salotto vicino alle camere padronali, se non ricordava male.
Come fosse arrivato fino a lassù nel tempo di un respiro era un mistero su cui Tobio non perse tempo ad interrogarsi. Quello che davvero lo irritava, era che tutti gli idioti gli erano andati dietro lasciando i cavalli a vagare per il cortile come se fossero delle galline troppo cresciute.
Sì, Shouyou era davvero un raggio di sole… Uno di quelli fastidiosi del primo mattino che, in un modo o nell’altro, riuscivano sempre a penetrare attraverso le tende per colpirlo dritto in faccia.
“Perché non fai uscire tutti quegli idioti a calci per sistemare questo casino!” Sbottò il Principe Demone indicando i destrieri privi di cavalieri. “Se qualcuno di loro scappa non correrò a riprenderlo e il padrone idiota se ne ritornerà al Castello Nero a piedi!”
Shouyou sbuffò sonoramente. “Quanta antipatia per una giornata di sole!” Esclamò allontanandosi dalla finestra.
“Shouyou, non ignorarmi!” Urlò il Principe Demone dall’esterno, peccato che l’altro non gli stesse più dando ascolto.
“Io ancora devo capire che cosa ci facciamo qui,” disse Kei con tono annoiato. Si era accomodato su una delle poltrone di quello che pareva un salotto e senza nemmeno scomodarsi a togliere il telo che la ricopriva.
“Shouyou ha ragione, però,” disse Tadashi con un sorriso allegro continuando ad aprire le finestre per far entrare aria fresca tra quelle mura rimaste disabitate per mesi. “Qui è davvero bellissimo,” commentò appoggiando le mani sul davanzale ed osservando i campi dorati che li circondavano.
Kei scrollò le spalle. “Se vi piacciono le atmosfere bucoliche…”
Shouyou liberò la poltrona accanto alla sua dal telo che la ricopriva e glielo gettò addosso sollevando una gran quantità di polvere. “Il giorno in cui troveremo qualcosa che piace a te, Kei, saremo prossimi alla fine del mondo. Tanto vale che continui a non essere contento da nessuna parte!” Disse divertito.
Il Cavaliere si liberò del telo con un calcio tossendo per la polvere.
“Aspettate,” esclamò Tadashi. “Aspettiamo di aprire tutte le finestre prima di scoprire i mobili o la polvere ci soffocherà. Kei dai una mano, per favore,” aggiunse sfiorando una spalla del giovane dai capelli biondi.
“Se è per favore,” replicò il Cavaliere alzandosi in piedi con aria scocciata. “Che devo fare?”
“Apri le finestre nelle altre stanze, lasciamo entrare l’aria.”
Shouyou si passò una mano sui vestiti liberandoli distrattamente dalla polvere che vi si era posata sopra. Si avvicinò ad una delle finestre che dava sul retro della tenuta. “Wow…” Disse senza fiato perdendosi in quel mare d’oro che si estendeva di fronte ai suoi occhi.
Non vi erano tesori del genere nella montuosa Karasuno. C’erano valli meravigliose e praterie incolte ma c’era qualcosa di magico in quello spettacolo. In realtà, non poteva fare a meno di vedere un po’ di magia in tutto quello che lo incantava da quando era arrivato a Seijou.
Doveva essere l’euforia di poter far sue tante cose e luoghi fino ad allora sconosciuti.
Oppure la consapevolezza che le sue ali potevano, finalmente, essere simbolo di libertà e non più di maledizione.
Il vento d’estate gli accarezzò il viso infilandosi tra i suoi capelli. D’istinto sollevò una mano facendola volteggiare. Chiuse gli occhi ed assaggiò la brezza tra le dita, sulla pelle…
“Ti piace davvero così tanto?”
Si voltò e gli occhi blu di Tobio risposero al suo sguardo.
Shouyou sorrise. “Possibile che tu non veda alcuna bellezza in tutto questo?” Domandò.
Tobio scrollò le spalle avvicinandosi alla finestra a sua volta. “Non ho mai negato che sia bello,” replicò. “Ma l’ho avuto da quando sono nato.”
Shouyou sospirò. “Non darlo per scontato, Tobio.”
Il Principe Demone lo guardò storto. “Non sto dando per scontato niente,” ribatté. “In guerra, questa bellezza, come la chiami tu, è la prima cosa che va persa.”
Shouyou annuì distrattamente non volendo fare sue simili immagine negative in una giornata tanto bella. “Quindi è qui che tu ed i tuoi genitori passavate l’estate, se non al castello in riva al mare.”
Tobio annuì appoggiando i gomiti al davanzale. “Quel castello è lontano,” spiegò, “inoltre, penso che questo posto avesse un significato particolare per i miei genitori.”
Avesse?” Domandò Shouyou curioso. “Perché? Non lo ha più?”
L’espressione di Tobio non cambiò drasticamente ma il Principe dei Corvi non si lasciò sfuggire il modo in cui la linea della sua bocca divenne improvvisamente più dura. Abbassò lo sguardo. “Scusa, ho parlato troppo.”
Sì, lo aveva fatto ma Tobio non disse nulla a proposito: era la sua oscurità e sua sarebbe rimasta.
“Mi viene voglia di volarci sopra,” ammise Shouyou con un sorriso incantato osservando la distesa di grano.
Tobio si voltò, osservò il suo profilo e l’espressione serena che indossava. Gli piacque pensare di esserne l’artefice in qualche modo. “Allora fallo…”
Gli occhi d’ambra si fissarono nei suoi, grandi, sorpresi. “Cosa?” Domandò.
“Se vuoi volare, allora vola.”
Le labbra di Shouyou si piegarono in un sorriso imbarazzato. “No, non posso…” Disse distogliendo lo sguardo dal viso del Principe Demone.
“Per quale ragione?”
“Non conosco la zona e il sole è alto…”
“Non dire sciocchezze. Puoi volare, orientarti non è difficile per te,” lo interruppe Tobio. “Inoltre, ci sono solo campi qui intorno ed un boschetto nella direzione opposta, verso nord, se segui il fiume controcorrente. Non è come la foresta del Castello Nero, non puoi perderti.”
Shouyou si umettò le labbra come se stesse assaggiando quella tentazione. “Potrebbe vedermi qualcuno.”
“Saresti un corvo che vola su di un campo di grano.”
“Sì, ma se dovessi ritrasformarmi, resterei senza vestiti e…”
“Cerca di non essere tanto stupido e ritrasformati solo una volta che sarai tornato qui.”
Shouyou gli lanciò un’occhiata storta ma la sua espressione si addolcì immediatamente. Ridacchiò. Una risata nervosa.
“Che ti prende adesso?” Domandò Tobio.
Shouyou scosse la testa. “È che non ho mai avuto tanta libertà…”
“Allora usala bene,” concluse il Principe Demone allontanandosi dal parapetto. Shouyou lo seguì con lo sguardo ma Tobio si voltò solo dopo essere arrivato dalla parte opposta del salotto. “Sei ancora qui?” Domandò con espressione scocciata.
Shouyou sorrise. “Grazie…”
Tobio inarcò le sopracciglia confuso, poi scosse la testa e si voltò. Gli altri due idioti di Karasuno parlavano con naturalezza all’interno della camera che era appartenuta ai suoi genitori. Avrebbe dovuto raggiungerli e discutere con loro e gli altri della divisione delle camere. Eppure, non si mosse, come se fosse in attesa di qualcosa. L’idiozia era non sapere cosa.
“Shouyou…” Si voltò ma l’unica risposta che ricevette fu una carezza da parte del vento estivo.
Sul pavimento del salottino vi erano alcune piume corvine.
Tobio attraversò di nuovo la stanza, ne raccolse una esaurendo la distanza tra sé e la finestra. Appoggiò la schiena al davanzale dando le spalle al paesaggio. Passò i polpastrelli sulla piuma: era morbida, completamente diversa dal piumaggio di qualsiasi volatile avesse abbattuto.
“Chissà cosa si prova?” Domandò a se stesso.
“Cosa si prova a fare cosa?”
Tobio sollevò gli occhi ed incrociò gli sguardi confusi di Kei e Tadashi. Entrambi stringevano al petto un mucchio di teli impolverati che dovevano aver tolto da sopra i mobili della camera. Fece una smorfia: adesso avrebbe anche dovuto ringraziarli.
“Il Principe Demone parla da solo, adesso?” Domandò il Cavaliere con un sorrisetto sarcastico.
No, decise, poteva anche non farlo.
“Dov’è Shouyou?” Domandò Tadashi guardandosi intorno.
Tobio si voltò a guardare il campo di grano all’esterno. “Sta volando…” Rispose con naturalezza lasciando andare la piuma nera. Il vento la portò via.
Sia Kei che Tadashi trasalirono. “Cosa?!” Domandò quest’ultimo in panico. “Ma… Ma…”
“Non c’è nulla di cui preoccuparsi,” li rassicurò il Principe Demone, poi li superò per scendere le scale. “Venite di sotto. Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare tutti insieme.”
Tadashi guardò il Cavaliere con espressione allarmata. “E adesso cosa facciamo?”
La vena sulla tempia destra di Kei stava pulsando dolorosamente. “L’idiota può anche spezzarsi entrambe le ali per quel che mi riguarda,” affermò con tono decisamente irritato. “Quando ci riconsegneranno il suo cadavere, daremo tutta la colpa al Re dei tiranni.”
“Kei!”
 
 
***
 
 
Non c’erano dubbi sul fatto che la corte di Seijou brillasse sotto molti punti di vista ma la discrezione, di certo, non era uno di quelli.
I Cavalieri di Shiratorizawa non avevano fatto altro che entrare ed uscire dal Castello Nero per tutta la mattina intenti a prepararsi per la partenza e tutti gli uomini del Re Demone – o, forse, sarebbe stato meglio dire del Primo Cavaliere – erano rimasti ad osservarli con attenzione, come se stessero assistendo a qualche spettacolo senza precedenti.
Koutaro sbuffò. “Peccato…”
Tetsuro lo guardò stranito. “Come sarebbe a dire peccato?”
“Chi maltratteremo, ora?” Si lagnò l’uomo che era stato il sovrano di Fukurodani.
Tetsuro sgranò gli occhi. “Hai ragione!” Esclamò preoccupato. “Senza contare che i ragazzi non sono più al castello.”
“Già!”
“Tranquilli! Tranquilli!” Intervenne Takahiro con un sorriso diabolico. “Siamo fortunati che Tobio non si sia fatto amico anche gli altri,” disse indicando il gruppo di ragazzini che osservava la scena da sotto le logge. Solo Yuutaro ed Akira si accorsero del gesto del Cavaliere e si scambiarono uno sguardo confuso a proposito.
Koutaro fece una smorfia. “Ma quelli sono troppo normali.”
“E a noi piacciono i casi umani.”
Issei incrociò le braccia contro il petto. “Ci sono sempre quelli simpatici di Dateko che non vanno da nessuno parte,” propose.
“Sì, Futakuchi è uno spasso da far irritare,” ammise Tetsuro. “Ma se ci sbaraglia dietro il gigante? Questo catello non è abbastanza grande per nasconderci tutti!”
“E noi sguinzagliamo il cane!” Esclamò Takahiro puntando l’indice verso Kentaro, il quale stava intavolando una sorta di conversazione con Shigeru… Tra un ringhio e l’altro.
“Come faranno a comunicare quei due?” Si domandò Issei.
Fu allora che una testa rossa scese le scale dei piani nobili per la gioia di Koutaro e Tetsuro.
“Satori!” Esclamò il primo.
“Ci mancherai!” Aggiunse il secondo fingendo di asciugarsi una lacrimuccia.
Il Cavaliere di Shiratorizawa rivolse loro un sorrisetto sarcastico. “Non lo dire con tanta sicurezza,” replicò. “Non si sa mai quando gli eventi potrebbero farci incontrare di nuovo e quali eventi.”
Sia Koutaro che Tetsuro inarcarono le sopracciglia.
“Ci ha appena dichiarato guerra?” Domandò quest’ultimo.
“Se è così,” disse Koutaro portando una mano all’elsa della spada sfoggiando un ghignetto di sfida. “Perché aspettare?”
“Perché aspettare cosa?”
Tutti i Cavaliere drizzarono la schiena fingendo una qualche compostezza mentre il Primo Cavaliere emergeva dalla folla e compariva davanti a loro. “Non eravate tanto attenti nemmeno mentre squartavano il cadavere di quel drago.”
“Non si possono fare risse con i cadaveri, Hajime,” spiegò Takahiro innocentemente, mentre Issei annuiva.
Il Primo Cavaliere li guardò uno per uno con sguardo molto eloquente. “Se proprio volete fare i perdigiorno, fatelo in silenzio,” ordinò. “Lasciate che mi giunga una sola parola di una lite tra uno di voi e quelli di Shiratorizawa e ve ne farò pentire.”
Koutaro e Tetsuro ingoiarono a vuoto, poi forzarono un sorrisetto innocente.
Hajime sbuffò annoiato, poi prese a guardarsi intorno. Satori rispose alla sua occhiata salutandolo con un cenno del capo.
Il Primo Cavaliere ricambiò. Kenjirou uscì dalla rocca in quel preciso momento, alle sue spalle il Principe dell’Aquila.
Gli uomini erano quasi pronti per partire e non c’era alcuna traccia di Wakatoshi.
Un pensiero fastidioso passò per la testa di Hajime in quel momento e si voltò verso i suoi uomini. “Avete visto Tooru?”
 
 
Tooru si sedette su ciò che rimaneva del suo Trono Nero osservando la sala distrutta come un bambino che fissa il suo giocattolo preferito andato rovinato per sempre. “Quanto ci vorrà perché torni come prima?” Si domandò gonfiando le guance.
Sì, Seijou era un Regno tutt’altro che povero e fare dei lavori di ristrutturazione non li avrebbe mandati in bancarotta, senza contare che architetti, mastri e operai sarebbero stati felici di avere del lavoro ben pagato da svolgere ma Tooru non poteva che irritarsi di fronte a tutto quel caos.
No, non era colpa di nessuno, certo… A parte del moccioso di Wakatoshi e della sua stupida campagna di conquista al nord, forse ma Tooru aveva il bisogno psico-fisico di lamentarsi di qualcosa almeno una volta al giorno e Tobio non era nei paraggi, quindi…
Si alzò, passò la punta delle dita sul bracciolo del trono ricoperto di polvere e portò gli occhi verso le grandi finestre. La maggior parte era in frantumi ed il vento estivo lo raggiunse accarezzandogli i capelli. Guardò l’orizzonte e pensò a Tobio, a dove doveva aver portato Shouyou.
La risposta era semplice ed un sorriso graziò le labbra del Re Demone mentre ci pensava. “Ah, il piccoletto si divertirà a volare su tutti quei campi di grano,” commentò tra sé e sé. Gran parte dell’estate era già passata e non ci sarebbe voluto molto perché Tobio tornasse a casa con il suo piccolo corvo.
Tooru si chiese se sarebbero stati pronti ad udire quello che aveva da dire loro quando sarebbero tornati.
Si chiese se lo sarebbero stati lui e Hajime.
“Tooru…”
Il Re Demone riemerse dai suoi pensieri ma non fu particolarmente sorpreso di trovare il Re dell’Aquila al centro della sala distrutta. “Ah, giusto!” Esclamò allontanandosi dal Trono Nero per esaurire la distanza tra loro. “Te ne torni al tuo Castello Bianco.”
Tooru sorrideva con democratica educazione. Wakatoshi indossava la sua solita espressione. “Sì,” confermò. “Ma volevo parlarti prima di partire.”
Tooru reclinò la testa da un lato con espressione confusa. “E di cosa?”
 
 
C’era una cosa su cui Eita aveva insistito particolarmente nel periodo in cui erano stati per così dire amici.
“Non avercela con Tooru. Quello che gli ha fatto Wakatoshi non è nulla che io e te saremo in grado di perdonare.” Gli aveva detto una volta, poi aveva sorriso al neonato tra le sue braccia. “E gli devo così tanto…”
In risposta, Kenjirou gli aveva fatto notare che l’unico motivo che aveva avuto il Re Demone per concedere ad Eita la possibilità di concepire un figlio con Wakatoshi era di potersi liberare di loro. Il Mago, però, a quel punto aveva sorriso. “E chi lo biasimerebbe?” Aveva replicato. “Ciò non toglie che lo abbia fatto…”
L’Arciere non era stato tanto arrogante da rimproverarlo per la sua ingenuità. Forse, in fin dei conti, aveva ragione: Tsutomu era nato e lui ed il Re avevano avuto la loro occasione di essere felici.
Ma a che prezzo?
Non era stato Tooru di Seijou a far del male ad Eita. In un certo senso, Kenjirou era più colpevole di quello di quanto lo era il Re Demone.
Come in tutti i giochi tra Principi e Re, l’unica d’accusare era la sete di potere ed il destino aveva voluto che fosse proprio Wakatoshi ad incarnarla.
Eita lo aveva perdonato. Kenjirou, suo malgrado, era stato attratto verso il suo Re proprio da quel lato oscuro, invincibile.
Poi c’era Tooru…
Sì, Wakatoshi gli aveva fatto cose che Kenjirou non sarebbe mai stato capace di perdonare.
Eppure… Eppure…
Non era la gelosia a spingerlo a provare disprezzo per il Re Demone perché, in realtà, a Tooru non importava. Ed era proprio quello l’affronto peggiore.
Eita aveva rinunciato alla sua vita e Kenjirou al suo onore. Tooru avrebbe potuto avere tutto e non aveva voluto niente.
L’Arciere era consapevole di quanto infantile fosse il suo disappunto ma questo non lo rendeva meno reale.
Quando rientrò al Castello Nero e salì nei loro alloggi per assicurarsi che non si fossero dimenticati nulla, non si sorprese di trovare la servitù già impegnata a ripulire tutto da cima a fondo. Evidentemente, il Re Demone era ben felice di essersi liberato di loro.
Strinse i pugni e si voltò con una smorfia ma non andò lontano.
La sorpresa sul viso del Primo Cavaliere era riflesso della sua. “Kenjirou…”
L’Arciere si sorprese che si ricordasse il suo nome. Da parte sua, non rammentava che si fossero mai rivolti la parola.
“Perdonate l’intrusione,” disse con fredda educazione. “Volevo solo assicurarmi che non ci fossimo dimenticati nulla.”
Hajime annuì. “Il tuo Re non è qui?”
Kenjirou scosse la testa. “Lo stavo cercando anche io.”
“Ed io stavo cercando il mio.”
“Immagino che siano insieme, allora,” non voleva essere velenosa quell’affermazione da parte di Kenjirou ma il viso del Cavaliere si oscurò comunque.
“Immagino…” Replicò voltandosi.
Semplice. Il solo ed unico dialogo che l’Arciere del Re dell’Aquila ed il Primo Cavaliere del Re Demone avessero mai avuto non aveva ragione di protrarsi oltre. In fin dei conti, di che cosa avrebbero mai dovuto parlare?
L’unica cosa che avevano in comune era solo l’infinito ciclo di tradimenti in cui erano stati trascinati da uomini più potenti di loro.
“Generale?” Lo richiamò.
Hajime si fermò e si voltò. “Sì?”
Kenjirou esitò un istante. “Permettete una parola?”
 
 
Non appena Wakatoshi ebbe finito di parlare, Tooru inarcò le sopracciglia e gli rivolse una smorfia. “Sei impazzito, Wakatoshi?”
L’espressione del Re dell’Aquila non cambiò di una virgola. “Non mi prendi sul serio, Tooru?”
Il Re Demone incrociò le braccia contro il petto. “Guardati intorno, Wakatoshi,” gli suggerì con poca gentilezza. “Ti sembro nella posizione di non poter prendere sul serio storie come quella?”
Wakatoshi annuì. “E quindi?”
Tooru sbuffò voltandosi e facendo qualche passo in direzione del trono. “Quindi, cosa, Wakatoshi?”
“I sogni di Tsutomu non sono semplicemente dei sogni,” insistette il Re dell’Aquila. “Può non avere il mio potere ma nelle sue vene scorre anche il sangue di Eita.”
Il Re Demone lasciò andare un sospiro stanco. “Non dirlo come se fosse una benedizione…”
“Se lo sentissi urlare nella notte capiresti che non la considera tale,” replicò Wakatoshi.
Tooru si voltò nuovamente. “E, così, tuo figlio ha sognato che Shiratorizawa cadrà per mano di un drago.”
“Così pare…”
“Mi stai chiedendo aiuto, Wakatoshi?”
“Non lo so,” ammise il Re dell’Aquila. “Per chiederti aiuto dovrei avere un nemico contro cui muovermi ed una strategia da proporti.”
“E, ufficialmente, quello che Tobio ha abbattuto era l’ultimo drago in circolazione,” Tooru scrollò le spalle, “o, almeno, ci fa comodo credere che sia così.”
Wakatoshi rifletté per alcuni istanti. “Che cosa ne sa il consorte di Koutaro?”
Tooru scosse la testa. “Era un bambino quando il suo paese è andato distrutto dai draghi. A mio figlio e agli altri ragazzini ha raccontato storie di cui lui stesso ha sentito semplicemente parlare dagli adulti che aveva intorno.”
“Sì, ma potrebbe aiutarci a trovare quel paese perduto,” insistette il Re dell’Aquila. “Era un Regno?”
Tooru scosse la testa. “Un Regno che esisteva almeno poco più di vent’anni fa ma di cui né tu né io abbiamo mai sentito parlare?” Domandò sarcastico. “Un Regno perduto distrutto dai draghi… Sembra la trama di una favola.”
“E che cosa ipotizzi, allora?”
“Sulle carte non c’è nulla,” pensò Tooru. “Qualunque luogo fosse…” Si bloccò e puntò gli occhi scuri verso le vetrate in frantumi della sua sala del trono.
Wakatoshi inarcò appena un sopracciglio.
“Tooru…”
Il Re Demone si voltò solo perché la voce del Re dell’Aquila gli suonò strana. Di fatto, non era stato solo Wakatoshi a chiamare il suo nome.
Hajime se ne stava sulla grande porta mezza scardinata a scambiarsi sguardi gelidi con il sovrano di Shiratorizawa. Tooru accennò un sorriso, poi si accorse che il suo Cavaliere non era da solo.
“Kenjirou?” Domandò.
“Vostra Maestà,” salutò cordialmente l’Arciere chinando la testa, si rivolse poi a Wakatoshi. “Mio Re, siamo tutti pronti. Il Principe sta aspettando.”
Il Re dell’Aquila annuì una volta, poi cercò gli occhi del Re Demone. “Finiremo il discorso un’altra volta?”
Tooru annuì.
Erano ad almeno cinque metri di distanza ma Kenjirou strinse i pugni comunque.
Dal canto suo, Hajime non si scansò né chinò il capo di fronte all’altro sovrano.
“Primo Cavaliere,” salutò Wakatoshi superandolo.
“Re dell’Aquila,” rispose Hajime osservando allontanarsi con la coda dell’occhio. Il suo sguardo incrociò quello di Kenjirou per un istante ma l’Arciere seguì il suo sovrano lungo il corridoio vuoto senza indugiare oltre. Quando si voltò di nuovo, il viso di Tooru era tanto vicino al suo che trasalì.
“Che diavolo fai, idiota?!”
Tooru lo afferrò per i lembi della casacca tirandolo verso di sé con un sorrisetto diabolico stampato in faccia. “Sai a che cosa sto pensando, Hajime?”
Il Primo Cavaliere assottigliò gli occhi. “No e non lo voglio sapere.”
“Sai cosa potremmo fare noi in queste ultime settimane estive?”
“Niente,” propose Hajime quasi minacciosamente. “Assolutamente niente!”
“Risposta sbagliata!” Rispose Tooru con un po’ troppo entusiasmo scuotendolo appena. “Io e te, mio caro Hajime, andremo a caccia di draghi!”
 
 
 
“Che cosa stavi facendo?” Domandò il Re dell’Aquila un po’ troppo freddamente perché fosse una domanda casuale.
L’angolo destro della bocca di Kenjirou si sollevò lentamente. “Non ti trovavo,” si giustificò. “Ho sospettato che fossi con lui ed il Primo Cavaliere sapeva dove trovarvi, tutto qui.”
Camminavano l’uno al fianco dell’altro in quel momento ma Kenjirou sapeva che se avessero incontrato qualcuno di loro conoscenza lungo quel corridoio si sarebbe dovuto impegnare per far passare quel dettaglio come casuale ed assicurarsi di rimanere prontamente un passo dietro al suo Re.
Wakatoshi continuò a guardare fisso di fronte a sé. “Tutto qui?”
Kenjirou non poté trattenersi dal sfoderare un ghigno. “Pensi che abbia cercato di sedurlo come ha fatto Eita per punire te?”
Il Re dell’Aquila si arrestò di colpo afferrandogli il braccio e non con troppa gentilezza. “Non prenderti gioco di me, Kenjirou.”
L’Arciere non ebbe problemi a rispondere a quello sguardo tagliente. “E tu non offendermi.”
Wakatoshi strinse le labbra per un istante, poi lo lasciò andare. “Perdonami,” disse con quell’unica nota di sincerità appena accennata che era in grado di esprimere. “Non era mia intenzione.”
Kenjirou gli credette. “Hai lasciato qualcosa in sospeso con il Re Demone?” Domandò. Voleva solo provare se anche il suo signore gli avrebbe concesso la grazia di fidarsi di lui.
“Nulla d’importante,” rispose Wakatoshi riprendendo a camminare.
Kenjirou chiuse gli occhi per un istante: Eita gli aveva chiesto di trovare il suo cuore e a stento riusciva ad avere la sua fiducia.
Non disse niente.
Lo seguì e basta e lo fece stando ben attento a restare almeno un passo dietro di lui come era buona educazione.
 
 
***
 
 
Tobio aveva lasciato la finestra della camera aperta.
Una candela appoggiata sul comodino ed un libro di favole aperto sulle gambe. Lo aveva trovato nella sua vecchia camera da letto, quella in cui aveva accomodato quel Cavaliere dalla faccia da stronzo e quella Guardia reale che assomigliava più ad una dama di compagnia.
Tobio girò pagina sistemandosi meglio contro i cuscini del letto. Ricordava quel libro: Tooru lo aveva recuperato dalla biblioteca per tenerlo occupato durante il viaggio in carrozza dal Catello Nero a lì ed aveva continuato a leggerglielo prima di metterlo a letto nelle sere in cui Hajime crollava distrutto non appena toccava il letto.
Erano state solo sue e di Tooru quelle serate
”Vuoi uscire a vedere le stelle, Tobio-chan? Shhh… Facciamo piano, non dobbiamo svegliare papà.”
Tobio ricordava il modo in cui sedeva contro il petto del Re Demone, la sua mano tra i capelli e quella voce idiota che cercava d’imitare tutte quelle dei personaggi di quelle favole. Ricordava anche che, alle volte, quelle storie non era sufficienti per cullarlo ed allora Tooru gli rivolgeva un sorriso complice e lo aiutava ad infilarsi gli stivaletti stringendogli la mano.
”Vuoi uscire a vedere le stelle, Tobio-chan? Shhh… Facciamo piano, non dobbiamo svegliare papà.”
“Ridicolo…” Commentò lasciando il libro di favole aperto sul petto. Appoggiò la nuca ai cuscini e fissò il soffitto. Sì, poteva essere ridicolo quanto voleva ma quei ricordi erano reali e quei momenti tra loro due non erano un inganno, un’illusione, un sorriso forzato per mascherare sentimenti troppo scomodi per poter essere espressi.
C’era stato un tempo in cui Tooru gli aveva sorriso con sincerità.
C’era stato un tempo in cui non in cui il pensiero che Tooru lo amasse non lo aveva mai sfiorato perché lo aveva dato per scontato, naturale.
C’era stato un tempo in cui, per Tobio, c’erano stati solo mamma e papà e tutto il resto era un insieme di dettagli a cui non era necessario dare importanza.
Lasciò andare un sospiro. Era inutile ripensarci, ora: la breve stagione dell’infanzia era sfumata in altro e alla fine di quel nuovo capitolo della sua vita, Tobio sarebbe stato un uomo ed allora nemmeno il ricordo della mano che stringeva la sua sotto un cielo stellato nelle notti d’estate avrebbe più avuto molta importanza.
Qualcosa entrò dalla finestra e lo strappò da quei pensieri malinconici.
Il piccolo corvo si posò sul pavimento di legno, poi saltellò guardandosi intorno.
Tobio rispose allo sguardo di quei piccoli occhi luccicanti. Si girò di nuovo mostrandogli la coda.
Più tardi, il Principe Demone non avrebbe saputo descrivere con esattezza quello che vide in quel momento ma avrebbe mentito se avesse affermato che lo aveva stupito. La camera venne illuminata da un veloce ma gentile scintillio. Simile a polvere di stelle.
Alcune piume corvine danzarono in aria per poi posarsi a terra.
Tobio ne seguì una con lo sguardo e quando questa finì sul pavimento e sollevò di nuovo gli occhi blu, il piccolo corvo non c’era più.
Shouyou gli dava la schiena, i grandi occhi d’ambra lo guardavano da sopra la spalla. “Ti dispiace?” Domandò. Si stava stringendo nelle braccia. Forse, più per imbarazzo che freddo.
Tobio, da parte sua, alla sua nudità a stento aveva fatto caso.
“Aspetta…” Si alzò in piedi ed il libro di favole finì tra le lenzuola.
Tadashi gli aveva lasciato dei vestiti da notte da dare al suo Principe una volta che fosse tornato. Tobio si limitò a prendere la camicia da notte e a porgergliela.
“Grazie,” Shouyou accennò un sorriso vestendosi velocemente. Alla fine, si voltò e lo guardò dritto negli occhi. “Non sei arrabbiato,” disse sorpreso.
Tobio inarcò un sopracciglio. “Perché dovrei esserlo?” Domandò tornando accanto al letto per recuperare il suo libro.
“Sono stato fuori tutto il pomeriggio,” disse Shouyou con voce flebile. “Gli altri dormono tutti?”
“Sì…”
“Anche Kei e Tadashi?”
“Sono nella stanza accanto e non escludo che siano attaccati al muro che ci divide aspettando di sentire la tua voce.”
Shouyou si umettò le labbra. “Li ho fatti preoccupare, vero?”
Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Hai avuto il tuo assaggio di libertà, no?” Gli fece notare. “Non ti è piaciuto?”
Un sorriso incantato comparve sulle labbra di Shouyou. “Sì…” Mormorò quasi commosso. “Sì, infinitamente.”
“Stai per metterti a piangere?”
“No,” mentì il Principe dei Corvi mordendosi l’interno della bocca. “È solo che mi sento… Credo di essere in conflitto con me stesso, tutto qui.”
“Tutto qui?” Tobio lo guardò con una smorfietta sarcastica. “Gli uomini impazziscono per i conflitti interiori.”
“Non prendermi in giro.”
“Non ti sto prendendo in giro,” replicò il Principe Demone seriamente.
A Shouyou bastò guardarlo negli occhi per capire che era sincero. “Dove…” Indicò il letto con un veloce gesto della mano. “Questa è la tua camera, vero?”
“No,” rispose Tobio. “Era quella dei miei genitori. Kei e Tadashi sono nella mia.”
Il Principe dei Corvi annuì. “Dove posso dormire?”
“Qui…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Ma tu…”
“C’è un divano nel salotto,” chiarì subito Tobio. “Starò bene…” Detto quello, sarebbe anche potuto andare a dormire. Avrebbe pensato l’indomani a come rendere quella loro visita nelle campagne di Seijou costruttiva.
C’era poco da decidere, in realtà: avrebbero aiutato con il raccolto e, nel tempo rimasto, avrebbe continuato ad addestrare Shouyou e a permettergli di volare. Forse, avrebbe anche potuto portarlo alla cascata, dato che quell’estate non avrebbero avuto il tempo di viaggiare fino al mare.
“Tobio, aspetta…”
La piccola mano intorno al suo polso lo prese tanto di sorpresa che il libro che stringeva tra le dita cadde a terra provocando un tonfo paragonabile al colpo di un cannone.
Entrambi i Principi si ritrovarono a fissare l’oggetto dalla copertina rossiccia. Si chinarono entrambi ma Shouyou lo raccolse per primo. “È un libro di favole,” disse con espressione intenerita. “Ne avevo uno simile a casa. Era il mio libro preferito. L’unico che abbia mai letto di mia spontanea volontà, a dire il vero.”
“Non mi sorprende…” Commentò Tobio.
Shouyou gli fece la linguaccia, poi lo aprì. “Wow!” Esclamò. “C’è anche la leggenda del Principe Corvo.”
“Ed un sacco di storie avvincenti sui draghi,” aggiunse Tobio con meno entusiasmo. “Possiamo tranquillamente dire che è la cronaca della nostra vita.”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra dalle pagine ingiallite. “Vuoi restare ancora un po’?” Propose. “Lo leggiamo insieme, ti va?”
“Lo conosco a memoria,” ammise Tobio. “E tu anche, probabilmente.”
“Allora commentiamo insieme quanto queste favole siano distanti dalla realtà,” insistette Shouyou. “È la nostra vita, lo hai detto tu.”
Tobio gli prese il libro dalle mani e posò gli occhi sull’illustrazione di un drago nero in volo. “Mi parlerai anche del tuo conflitto interiore?”
Shouyou scrollò le spalle. “Solo se lo vorrai, altrimenti…”
“Lo voglio,” tagliò corto Tobio. “Sei una mia responsabilità e se cominci ad avere pensieri oscuri di cui non sono a conoscenza mi sentirò in dovere di prenderti a calci per farti parlare.”
Shouyou sbuffò. “Sempre gentile tu, vero?” Si mise a letto con un saltello e Tobio si accomodò accanto a lui. C’era abbastanza spazio per permettere ad entrambi di stare comodi e di mantenere una distanza dignitosa.
“Cosa c’è?” Domandò Tobio sfogliando il libro di favole senza realmente porre attenzione alle pagine. “La libertà ti fa sentire in colpa.”
Shouyou sorrise amaramente. “Più o meno…”
“Nessuno è qui per rimproverarti.”
“Sì, ma i miei genitori hanno lottato tutta la vita per evitare che facessi quello che sto facendo.”
“Shouyou, i tuoi genitori sono gli stessi che volevano farti sposare col tuo Cavaliere per evitare che finissi in qualche corte lontana come consorte ed ora sei con me, a Seijou ed il tuo potere non è più un segreto.”
“Per te non lo è,” sottolineò il Principe dei Corvi.
“Nessuno svela al primo che capita i suoi talenti.”
“È questo che credi che abbia?” Domandò Shouyou sorridendo. “Un talento?”
Tobio lasciò in pagine le pagine ingiallite per rispondere allo sguardo di quegli occhi d’ambra. “Credi che esista un uomo in questo mondo che non abbia mai desiderato di volare?”
Il sorriso di Shouyou scivolò via ma sentì un tepore all’altezza del petto che lo convinse ad aprirsi ancora un poco. “C’è un’altra cosa,” mormorò. “Pur sapendo che, probabilmente, sto mancando di rispetto ai miei genitori e a chiunque mi ha protetto da sempre… Non credo di poter più fare a meno di questa libertà, Tobio.”
Il Principe Demone accennò un sorriso. “Lo sospettavo…”
Shouyou tornò a sorridere, le ombre del suo conflitto interiore dimenticate. “Seijou è meravigliosa!” Commentò entusiasta. “Ho volato su quei campi di grano per tutto il giorno… Il vento d’estate tra le piume, le spighe che mi sfiorano le ali quando volo basso e… E i colori! L’oro che splende quando il sole è alto ed il rosso del cielo al tramonto.” Si lasciò ricadere sul cuscino fissando il soffitto della camera di nuovo con quel sorriso commosso. “È bellissimo…”
Tobio non comprese da dove venisse la sensazione che provò in quel momento. Era tiepida, silenziosa, simile alla soddisfazione ma più grande.
E Shouyou non gli rese le cose più facili quando tornò a guardarlo. “E tutto questo è grazia a te…”
Tobio resse quello sguardo semplicemente perché era troppo orgoglioso voltarlo altrove. “Non essere stupido…” Disse scuotendo la testa e si alzò in piedi. “Dormi, adesso. Non pensare che ti farò poltrire domani…”
Shouyou lo guardò storto e gli fece la linguaccia.
Arrivato sulla porta, Tobio si umettò le labbra, maledì se stesso e poi si voltò. “Buona nof… Buona net…”
Shouyou inarcò le sopracciglia, poi rise.
Tobio s’innervosì, le guance rosse. “Ehi!”
“Buona notte anche a te, Tobio,” disse Shouyou gentilmente.
Il Principe Demone se ne resto lì, immobile come il peggiore degli idioti.
Impiegò un indignitoso lungo minuto a ricordarsi come abbassare la maniglia ed uscire dalla stanza.
 
 
***
 
 
Tsutomu cavalcava a testa bassa, lo sguardo fisso sulle sue stesse dita strette intorno alla briglia del suo destriero.
“I tuoi pensieri fanno troppo rumore, moccioso, piantala.”
Il Principe dell’Aquila sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissare il non poi così gentile sorriso di Satori. “Dunque?” Insistette il Cavaliere. “Che cosa passa di così complicato per quella tua testolina caotica?”
Tsutomu s’imbronciò. “Non sono affari tuoi…”
“Uhm…” Satori finse di pensarci. “Io credo, anche se potrei sbagliare, che sia da biasimare qualche Principe di qualche altro Regno, vero?”
“Stai zitto…”
“Anzi, più di uno,” continuò il Cavaliere imperterrito. “Ipotizzerei quello che sembra essere nato per metterti in ombra e quello che, tuo malgrado, gli sta addosso come se ci fosse una catena invisibile a legarli,” sospirò con aria melodrammatica. “E pensare che quel piccoletto era anche capace di trovare della simpatia in te. Penso sia l’unico fanciullo sulla faccia della terra che non ti ha mai guardato con l’espressione di chi ha un gran desiderio di sputare in faccia a qualcuno.”
“Hai finito?!” Sbottò Tsutomu. “C’era una legge su ci offende gli eredi al trono…”
Satori lo guardò con fare altezzoso. “Dillo a chi non ti ha salvato il culo dopo avertelo ripulito innumerevoli volte, mio Principe.”
Tsutomu sgranò gli occhi ed arrossì, poi voltò lo sguardo altrove stringendo con forze le briglie tra le sue mani.
“Volevi partire con loro, vero?” Ipotizzò Satori con tono un po’ più gentile.
“No!” Mentì il Principe dell’Aquila.
Il Cavaliere sospirò. “Non sei stato molto fortunato, sai?” Ammise. “Non voglio biasimarti per la tua pessima personalità, conosco troppo bene tuo padre.”
“La smetti d’insultarmi?” Abbaiò Tsutomu.
“La tua sfortuna sta nel non aver condiviso la tua infanzia con qualcuno di altrettanto pessimo,” concluse Satori. “Guarda me e tuo padre: siamo due casi umani!” Se avesse potuto essere onesto, Wakatoshi era quanto di più lontano ci fosse dal termine umano ma non era necessario che il Principe lo sapesse. Il punto era un altro.
Pur con i loro oggettivi problemi, che fossero sotto forma di poteri o di personalità strambe, Satori e Wakatoshi erano cresciuti insieme e Reon con loro. Eita si era aggiunto al gruppo con particolare naturalezza e, alla fine, erano sempre stati al fianco l’uno dell’altro in qualsiasi situazione… Anche quando uno di loro aveva tradito tutti gli altri.
Tsutomu non aveva avuto una simile fortuna.
Tobio, pur essendosi già inimicato tutta la nobiltà della sua generazione, poteva vantarsi almeno dell’appoggio di quegli eredi che non avrebbero mai ereditato un trono o di quei giovani soldati nati sotto una bandiera diversa da quella di Seijou e ancora leali nei confronti di un sovrano caduto.
Tsutomu aveva avuto loro e questo gli aveva garantito la sicurezza di una successivo senza inciampi, certo ma Satori sapeva che avere degli amici della propria età era un’altra cosa. Specie in quella burrascosa stagione che era l’adolescenza.
“Senti…” Provò tenendo gli occhi fissi sulle spalle larghe del Re dell’Aquila. “Tu sai dove sono andati?”
Tsutomu scrollò le spalle. “Ho sentito gli altri idioti della corte del Re Demone dire qualcosa a proposito delle campagne di Seijou.”
“Oh!” Satori annuì interessato. “Per tua informazione, conosco la strada.”
Il Principe lo guardò confuso. “E quindi?”
Il Cavaliere scrollò le spalle. “Detto e considerato che tuo padre non ti ha mai dato uno schiaffo in vita sua e che io sono l’adulto responsabile tra di noi, puoi sempre dare la colpa a me quando ci beccheranno.”
La situazione era meno chiara di prima per Tsutomu. “Perché dovrebbero beccarci?”
Satori alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Perché ora tu corri verso est ed io ti vengo dietro.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi, poi strinse le labbra e scosse la testa. “No…”
“Sì, invece!” Insistette Satori. “Stai per compiere quattordici anni. È ora che tu divenga ribelle ed insopportabile… Ah, quello lo sei già.”
“Ti dimentichi la faccenda del drago?”
“Ah, quella possiamo anche fartela passare,” disse il Cavaliere con un sorrisetto inquietante. “Sei stupido, ti sei perso nel castello e il piccolo di Karasuno ed il padrone di casa ti hanno tratto in salvo.”
Tsutomu ghignò. “Preferisco la versione in cui scappo da te.”
“Vuoi un calcio in bocca o vuoi essere protagonista di un’avventura?” Domandò Satori tra il divertito e l’irritato.
Il Principe dell’Aquila si fece serio: la proposta era allettante… Molto più che allettante. Sollevò lo sguardo sulla schiena di suo padre. Anche Kenjirou gli dava le spalle e, a giudicare dalla calma della scena, avrebbero impiegato qualche minuto per riprendersi dalla sorpresa.
Forse, sarebbero anche potuti sfuggire senza bisogno di dare spiegazioni.
Forse… Ma poi cosa avrebbero fatto. Anche ammesso che Tsutomu trovasse il luogo in cui Tobio aveva condotto Shouyou e gli altri, che cosa aveva intenzione di fare? Non sarebbe stato il benvenuto e a Tobio avrebbe dato un gran fastidio.
Il fiume dei suoi pensieri s’interruppe lì. A Tobio avrebbe dato un gran fastidio.
Un ghignetto diabolico comparve sulle sue labbra. Si voltò di nuovo verso il Cavaliere e questi gli sorrise con fare complice.
“Al mio tre,” disse Satori. “Uno… Due…”
“Tre!” Tuonò Tsutomu girando il suo cavallo di colpo e galoppando quanto più veloce poteva tra gli alberi, verso est.
Verso il Regno di Seijou.
 
 
***
 
 
Tutto sommato, a distanza di due giorni dalla partenza dei ragazzi, i Cavalieri avevano trovato un altro modo di divertirsi.
“Hajime, dammi quelle briglie!”
“Io non ti do un bel niente, fino a che non scendi da quella sella e torni ad essere l’imitazione più o meno credibile di una persona normale!”
“Hajime, non essere rude!”
Se si fossero accorti di star intrattenendo un pubblico non se ne curarono molto perché era almeno una mezz’ora buona che andavano avanti in quel modo e nessuno degli spettatori aveva alcuna intenzione di fermarli.
“Ci diamo un limite per intervenire?” Propose Issei.
“Aspettiamo che passino alle mani,” rispose Takahiro.
“No, le mani è troppo poco!” Esclamò Koutaro. “Deve scorrere il sangue.”
Tetsuro annuì con convinzione. “Sì, sangue,” concordò. “Quello di Hajime. Per quello di Tooru possiamo anche restare a guardare.”
Persino quelli di Dateko si erano presi una pausa dai loro orgogliosi principi ed erano usciti all’aperto per assistere alla scena. “Non posso credere che il nostro Regno sia caduto per mano di due idioti di tali proporzioni,” commentò Futakuchi stringendo i pugni.
Il gigante accanto a lui osservava la scena con espressione neutra. “Fanno ridere,” fu, però, il suo commento.
“Non sarà questo a renderli nostri amici,” replicò con astio l’Arciere che era stato Generale dei soldati di Dateko. “Che umiliazione…”
“Oh, io non la prenderei così male, Futakuchi,” intervenne Tetsuro. “Tooru può essere alla pari di Wakatoshi come Re ma senza Hajime non sarebbe arrivato molto lontano.”
Koutaro annuì. “Proprio così!” Esclamò. “A Tooru la corona ma il potere militare è tutto di Hajime. Nemmeno le leggendarie mura di Dateko avrebbero potuto nulla contro di lui!”
Futakuchi li guardò con astio fulminante. “Dissero i Re a cui fu portato via il trono senza che Tooru dovette versare una goccia di sangue.”
Issei e Takahiro sapevano che sarebbe stato poco corretto scoppiare a ridere per una geniale sconfitta inflitta dal loro Re, quindi si assicurarono di tenere la bocca ben chiusa mentre le loro labbra tremavano per le risate mal trattenute. Koutaro e Tetsuro, però, incassarono quel colpo con stile: le braccia incrociate contro il petto, la schiena dritta, la testa alta… E gli sguardi di due pesci morti.
“Che cosa sta succedendo qui?” Domandò Kenma facendosi largo tra la folla, Keiji dietro di lui.
“Keiji!” Koutaro tirò immediatamente il compagno vicino a sé. “Dov’è la nostra splendida principessa?”
“Sta ancora dormendo,” rispose Keiji senza nessuna particolare intonazione. “Ma che succede qui?” Domandò reclinando la testa per dare un’occhiata alla scena oltre la spalla del suo compagno.
“Per farla breve,” rispose Tetsuro sia per Kenma che per Keiji. “Tooru è uscito saltellando… Sì, saltellava ed anche allegramente e ha preteso che uno dei servi gli portasse due cavalli sellati. Hajime l’ha seguito furibondo e, in pratica, è una mezzora buona che Tooru sale e scende da quel cavallo pretendendo che il nostro Generale faccia lo stesso e lo segua…”
“Ed il Primo Cavaliere ovviamente non è d’accordo,” concluse Kenma, poi sospirò. “Nulla di nuovo.”
Keiji fece una smorfia. “Lo sarebbe stato anni fa, prima che Tooru ci tradisse tutti.”
“In effetti è tutto tanto familiare da essere inquietante,” disse Takahiro. “Sembra di essere tornati a quando eravamo ragazzini e Hajime era libero di pestare l’erede al trono a sua discrezione.”
Issei scrollò le spalle. “Non era così violento. Erano tutte minacce.”
Takahiro scrollò le spalle. “Lo ha minacciato di ammazzarlo brutalmente almeno sette volte nell’ultima mezz’ora, stanno recuperando il tempo perso…”
“Per caso, sono di nuovo come un tempo?” Fu Keiji ad avere il coraggio di fare quella domanda per primo ad alta voce. Gli occhi di tutti furono su di lui, tranne quelli di Kenma.
Dopo, Issei guardò Takahiro e Koutaro guardò Tetsuro.
“Qualcuno sa qualcosa?” Domandò quest’ultimo a tutto il gruppo. “Se qualcuno sa allora parli.”
Kenma prese un respiro profondo. “Tetsuro,” disse sollevando lo sguardo, “pensi davvero che se fosse successo qualcosa tra lui e Tooru, Hajime sarebbe venuto a raccontarlo a chiunque di voi.”
“Ehi! Ehi! Ehi!” Esclamò Koutaro indignato. “Siamo i suoi uomini fidati, siamo quelli che gli coprono le spalle ad un passo dalla morte. Siamo amici!”
Kenma annuì. “Certo, lo siete,” confermò. “Ma era Tooru il suo migliore amico, non voi.” Tornò a guardare i due litiganti. “Pensate davvero che qualunque altra amicizia possa prendere il posto di un legame così?”
Alla fine, Hajime strattonò con violenza il piede del Re e Tooru cadde da sella crollandogli addosso. Il cavallo, spaventato, uscì dal cortile interno correndo verso le scuderie.
Il Primo Cavaliere strinse gli occhi per il dolore, “Maledizione…” Sibilò, mentre l’altro gli faceva il piacere di togliersi di dosso. Quando riuscì a guardarlo in faccia, Tooru era livido di rabbia. “Dannazione, Iwa-chan!” Quel soprannome scivolò sulla sua lingua con dolorosa naturalezza e fece altrettanto male rendersi conto di quanto fosse strano pronunciato dalla sua voce. Quasi estraneo…
Erano anni che non lo chiamava così.
Erano anni che aveva perso il diritto di farlo.
Se Hajime fu scosso da quel semplice evento, Tooru non gli diede il tempo di dimostrarlo: strinse i pugni e rientrò nella rocca come un bambino offeso che abbandona una discussione che sa di non poter vincere. Il Primo Cavaliere sospirò, poi si alzò e fece per seguirlo ma si fermò.
Solo allora notò la piccola folla che doveva essere stata attratta da tutto il caos che lui e Tooru avevano provocato.
Sentendo un vago senso di panico, tutti i Cavalieri alzarono le mani come se si stessero arrendendo ad un nemico troppo forte da sconfiggere.
“Noi non abbiamo visto o sentito niente!” Esclamò Takahiro ed Issei annuì.
“Siamo appena arrivati!” Aggiunse Koutaro e Tetsuro gli diede man forte facendo cenno di sì con la testa.
Kenma e Keiji si scambiarono un’occhiata ma decisero di non commentare in alcun modo la situazione.
Hajime si limitò a guardarli in cagnesco, poi rientrò per cercare il suo Re.
Koutaro tirò un sospiro di sollievo, poi sorrise con aria trionfante. “Credo che l’abbia bevuta!”
 
 
***
 
 
Tadashi non riusciva a smettere di sorridere e Kei era di pessimo umore.
“Smettila…” Disse il Cavaliere con aria annoiata afferrando il calice d’acqua che l’amico gli stava porgendo.
Tadashi si limitò a ridacchiare. “Non ci credo che non ti stai divertendo almeno un po’.”
Il Principe Demone aveva ordinato loro di rendersi utili con la gente del posto e quei campi di grano si estendevano al punto che Kei cominciava a pensare che ci sarebbe voluto un esercito per finire il lavoro prima della stagione fredda. Tadashi si era occupato di viveri e bevande accomodandosi all’ombra dell’unico albero che potesse offrire riparo dal sole cocente d’agosto.
Kei non ce l’aveva con lui, però. No, ce l’aveva con quel Principe dei tiranni che dopo averli praticamente minacciati per convincerli a rendersi utili, era sparito chissà dove con quell’altro idiota del loro erede al trono.
“Certo,” replicò con sarcasmo asciugandosi il sudore dalla fronte. “Il divertimento di una vita intera in un solo giorno!” Vide Lev far roteare la falce tanto in alto che per poco non decapitò il braccio di Kanji.
“E stai un po’ attento!” Esclamò quest’ultimo quasi blu in faccia per la paura.
“Che branco d’idioti…” Commentò Kei a bassa voce appoggiando la schiena al tronco dell’albero con un sospiro.
“Non essere sempre così negativo,” disse Tadashi con un sorriso gentile. “Dovremmo essere felici per Shouyou, almeno.”
“Eh?” Kei lo guardò con aria annoiata. “Felici per cosa?”
Tadashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Non lo hai notato?”
“Che cosa avrei dovuto notare?”
Tadashi scrollò le spalle con un sorrisetto. “Tobio e Shouyou. Si urlano contro tutto il giorno ma stanno continuamente insieme ed il nostro Principe sorride più spesso da quando sta con lui.”
Kei inarcò un sopracciglio. “C’è mai stato un periodo della sua vita in cui Shouyou non ha sorriso?”
“Avanti!” Esclamò Tadashi. “Hai capito che intendo…”
“No e non ho alcuna voglia di farlo,” il Cavaliere tornò a fissare i campi di grano portandosi il calice alle labbra per prendere un altro sorso d’acqua.
Non aveva idea di che cosa vedesse Tadashi nel legame tra quei due idioti ma Kei, di sicuro, non vedeva nulla di buono. Come se si potesse ottenere qualcosa del mettere insieme due idioti. Uno fin troppo ingenuo e l’altro tirannico per natura, tra l’altro.
“Se saremo fortunati, prima che cada la prima neve saremo di nuovo a casa,” disse e lo sperava davvero.
Tadashi lo guardò sorpreso. “Vuoi tornare a casa?”
“Tu no?”
La giovane Guardia abbassò lo sguardo arrossendo appena. “Non è che non mi manchi casa, però…” Prese a torcersi le dita.
“Però cosa?” Insistette Kei. “Non ti starai affezionando a questo posto, a questa gente…”
Tadashi lo guardò duramente. “E anche se fosse?”
Il Cavaliere lo guardò sorpreso da quel cambio di tono. “Ti sei offeso, ora?”
Tadashi tornò immediatamente in sé. “No, Kei, solo che…”
“Solo che cosa?” Domandò Kei irritato. “Finisci una frase in una sola volta.”
L’altro strinse le labbra e scosse la testa. “Lascia stare…”
Kei sbatté le palpebre un paio di volte: aveva la netta sensazione che Tadashi si fosse arrabbiato con lui ed era una novità a cui non era preparato. “Ehi…” Fece per toccarlo, per convincerlo a tornarlo a guardare negli occhi ma vennero disturbati.
Fu il rumore di cavalli al galoppo a spingerli a voltarsi. A Kei bastò guardarli da distanza per capire che erano soldati e recuperò la spada che aveva abbandonato sulle radici dell’albero, pronto a battersi se fosse stato necessario.
Tadashi si avvicinò a lui. “Chi sono?” Chiese intimorito.
Kei non rispose. Solo quando arrivarono ai piedi della collina, entrambi riconobbero i colori dei Cavalieri di Seijou e si rilassarono.
“Cavaliere…” Saluto un giovane dai capelli corvini che Kei aveva conosciuto durante uno dei duelli amichevoli al Castello Nero. Non ricordava il suo nome, però.
“Yuutaro!” Urlò Lev dal campo di grano sollevando la mano in segno di saluto. “Oh, c’è anche Akira…”
Se Kei non ricordava male, doveva essere il ragazzino con l’aria perennemente annoiata alla destra del Cavaliere che aveva parlato.
“Il Principe Demone è qui?” Domandò Yuutaro.
Kei si concesse un minuto per contarli: erano una decina, troppi perché avessero cavalcato fino a lì per recapitare un messaggio importante.
“No…” Rispose infine.
Yuutaro strinse le labbra per un istante. “Alloggiate alla tenuta del Re Demone?”
“È una grande casa bianca,” intervenne Tadashi. “Tra i campi ed il boschetto sulle colline.”
“È quella…” Confermò Akira.
“Siete qui per ordine del Re,” indagò Kei, che ancora non era riuscito ad intuire la natura del loro viaggio.
“Viviamo in un Regno libero, Cavaliere,” replicò Yuutaro. “Abbiamo viaggiato di nostra iniziativa…”
Intuendo il tono polemico, Kei fece una smorfietta. “Se il vostro castello dovesse subire un attacco a sorpresa, non credo che il vostro Re sarebbe tanto felice di non sapere dove trovarvi.”
Yuutaro sgranò gli occhi ed Akira gli lanciò un’occhiata apertamente velenosa.
Tadashi si fece avanti stringendo un polso dell’amico come a suggerirgli di non esagerare troppo. Kei accettò il consiglio semplicemente perché nessuno dei due Principi era presente e perché non era suo interesse dare il via ad una disputa tra Cavalieri.
“Invece di stare lì a non fare nulla, venite a dare una mano!” Sbottò Kanji senza rispetto.
Di fatto, l’espressione di Yuutaro si fece indignato. “Come osa,” sibilò. “Qualcuno dovrebbe ricordargli che è figlio di un Regno che è stato distrutto dal nostro!”
“Calmati, Yuutaro…” Disse Akira con tono apatico.
Gli altri Cavalieri, però, non parvero nutrire sentimenti diversi. Kei li vide riflessi nelle loro espressioni, nel modo in cui guardavano i due giovani provenienti da Nekoma e Dateko e, sorprendentemente, gli fu subito chiaro perché Tobio non li tollerava: probabilmente, il Principe Demone era troppo stupido per ricordarsi da quale lato del Regno provenisse ognuno dei suoi uomini ma non c’erano dubbi sul fatto che fosse dolorosamente consapevole che quelli nati a Seijou non rendevano onore al loro titolo di Cavaliere al punto da guadagnarsi il suo rispetto.
Kei non glielo avrebbe mai detto ma, forse, quello era un punto su cui potevano essere d’accordo.
“Che diavolo ci fate voi qui?”
Il Cavaliere non dovette voltarsi per capire chi aveva parlato: il tono gentile era stato sufficiente.
Tobio li squadrava tutti con freddezza dall’alto del suo cavallo bianco, la spada dei Re di Seijou appesa alla cintura e le maniche della camicia arrotolate fino al gomito. Kei fece una smorfia e si chiese se dopo averli mandati a sgobbare era andato a schiacciare un pisolino o se era talmente disumano da non essere in grado di sudare.
“Vostra altezza!” Salutarono in coro i Cavalieri di Seijou.
Tobio sfilò davanti a loro studiando i loro visi uno ad uno. “Yuutaro, china la testa quando saluti il tuo Principe,” disse fermandosi davanti al giovane in testa al gruppo.
Kei non poté fare a meno di notare come il Cavaliere strinse le briglie del suo cavallo tra le dita: probabilmente stava immaginando che fosse il collo dell’erede al trono.
Yuutaro chinò la testa. “Mio Principe…” Ripeté quasi sibilando.
Felice di aver ottenuto quel che voleva, Tobio drizzò le spalle con orgoglio. “Andate alla tenuta, lasciate i cavalli e poi datevi da fare,” ordinò senza premesse.
Kei guardò Tadashi e questi scrollò le spalle.
Yuutaro divenne livido di rabbia e così anche Akira ma non dissero nulla mentre giravano i cavalli.
“Un momento,” Tadashi prese a guardarsi intorno. “Dov’è Shouyou?”
“Eh? Ah, sì, abbiamo un Principe anche noi,” replicò Kei con sarcasmo e l’altro gli diede una gomitata.
“Starà volando qui intorno,” rispose Tobio distrattamente scendendo da sella. “Buona, buona…” Aggiunse accarezzando il muso della sua cavalla.
Tadashi sgranò gli occhi. “Volare qui intorno!” Esclamò.
Kei gli schiaffò una mano sulla bocca. “E questo il genere di allenamento che vuoi dargli?” Domandò. “Tu non fai un bel niente tutto il giorno e lui vola in giro?”
“Kei, mi hai fatto male,” mormorò Tadashi massaggiandosi la bocca.
“Non urlare che il nostro Principe vola in giro per abitudine, allora,” replicò Kei con tutta calma. “Se il Principe mi facesse il piacere di rispondermi…”
“Nessuno a Karasuno gli ha permesso di conoscere il suo potere,” replicò Tobio. “Posso aiutarlo con la spada ma non posso aiutarlo ad essere forte se lui è il primo a non conoscere le sue possibilità!”
“Shouyou non ha bisogno di essere incoraggio, Principe Demone,” disse Kei incrociando le braccia contro il petto. “Solo controllato.”
Tobio gli lanciò una breve occhiata. “Questa poteva essere la politica della casa di suo padre ma siamo nelle mie terre, ora,” disse. “I reali di Karasuno sapevano cosa facevano quando me lo hanno affidato, per tanto…” Scrollò le spalle. “Dei tuoi consigli non me faccio nulla.” Afferrò le briglie del suo cavallo e risalì la collina.
Kei e Tadashi continuarono a fissare l’orizzonte di fronte a loro, mentre li superava.
“Sei ancora sicuro di voler restare qui?” Domandò il Cavaliere.
 
 
***
 
 
Hajime entrò nella camera di Tooru che era quasi ora di pranzo e non si disturbò a bussare.
L’idiota non era uscito dalle sue stanze per tutta la mattina ed il Cavaliere cominciava ad avere un’idea dello stato in cui versava. Di fatto, quando aprì la porta, si ritrovò davanti una stanza ancora buia.
Alzò gli occhi al cielo. “Tooru…” Gemette sbattendo la porta alle sue spalle ed attraversando la camera da letto. “È passato un giorno, il tuo malumore dovrebbe essere sulla via del miglioramento, ormai!” Esclamò aprendo le tende.
La figura al centro del letto si rifugiò prontamente sotto le lenzuola. “Hajime…”
“Sì, sono io!” Esclamò il Cavaliere facendo il giro del letto per scoprire la seconda finestra.
Tooru gemette, poi uscì dallo scoperto. “Hajime!”
Aveva i capelli in disordine e l’espressione di chi è sopravvissuto a stento ad una notte brava.
Suo malgrado, Hajime rise. “Ma che cosa hai fatto?!”
Tooru gli lanciò un cuscino quasi alla cieca e, ovviamente, lo mancò. “A meno che tu non mi abbia portato un cucciolo di drago, lasciami in pace…”
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non possiamo tornare al popolo delle stelle come ai vecchi tempi?” Domandò con sarcasmo. Recuperò il cuscino fino a terra e si sedette in fondo al letto appoggiando la schiena ad una delle colonne del baldacchino. “Sembravi un invasato ieri e tutta la corte ha assistito!”
Tooru strinse uno dei cuscini al petto e lo guardò negli occhi. “Tu non capisci…”
“Non capisco perché tu non parli come le persone normali!” Replicò il Cavaliere. “Tutti hanno delirato su quel maledetto drago per settimane ed ora cominci tu?”
Tooru sbuffò passandosi una mano tra i capelli. “Non parlavo di quel drago…”
“Quello l’ho capito, non sono idiota!” Esclamò Hajime. “Tu ne vuoi uno vivo! Vuoi catturarlo, no? Perché vuoi catturare un drago? Ti serve compagnia?”
“Quanto sei spiritoso,” commentò Tooru muovendosi nella sua direzione. “Hajime, la questione è seria…”
Il Cavaliere lo fissò. “Prova a dirmelo mentre sembri un essere umano adulto e non ti muovi a carponi sul letto…”
“Hajime!” Tooru gli afferrò una mano e lo guardò dritto negli occhi da sotto la frangia di capelli in disordine. “Il Principe dell’Aquila ha fatto un sogno e…”
“No! No! No!” Sbottò Hajime con gli occhi sgranati. “Non voglio più sentir parlare di sogni premonitori per il resto della mia vita!”
Tooru lo guardò duramente. “Va bene!” Esclamò. “Manderò una spedizione sulle montagne, a cui parteciperò anche io, alla ricerca di un nido di drago da cui prendere un cucciolo! La ragione sarà semplicemente affar mio e potremmo tornare a convivere ognuno con i propri segreti!”
Hajime sospirò stancamente. “Sei sempre così melodrammatico…”
“Hajime, stammi a sentire, va bene?”
Il Cavaliere alzò le mani come a dire che non andava da nessuna parte.
Tooru si umettò le labbra, gli occhi brillanti. “È destino che Shiratorizawa cada per mano di un drago.”
Hajime resse quello sguardo alla perfezione. Sbatté le palpebre un paio di volte ma il Re Demone continuò a guardarlo con quel sorrisetto inquietante che compariva solo quando un piano oscuro lo teneva occupato. Di fatto, in un’altra occasione, Hajime si sarebbe fatto rigido e avrebbe affrontato la situazione come la sua natura di Cavaliere gli suggeriva.
Tuttavia…
“Un drago sarà la causa della caduta di Shiratorizawa…” Ripeté.
Tooru annuì.
“E nostro figlio morirà combattendo il Re dell’Aquila per amore del Principe dei Corvi.”
Tooru divenne serio di colpo, poi colpì il braccio del Primo Cavaliere con rabbia. “È una cosa seria, Hajime!”
“No,” Hajime scosse la testa. “Era una cosa seria prima, ora sta diventando un delirio!” Si alzò dal letto ma Tooru si appese al suo braccio impedendogli di fare un solo passo.
“Hajime, non è il momento di mettere in discussione il lume della mia ragione.”
“Mai creduto che tu lo avessi, tranquillo.”
“Hajime, sono serio,” Tooru si sedette in fondo al letto stringendo le dita intorno alla mano del Cavaliere. “Wakatoshi crede che Tsutomu abbia gli stessi poteri di Eita. Se pensi che io stia delirando va bene ma Eita lo hai conosciuto e sai come ha dato alla luce suo figlio. La magia esiste, lo sappiamo entrambi! Tobio non sarebbe qui se non fosse così!”
Hajime tornò a sedersi. “Va bene…” Sospirò. “Quindi Tsutomu ha sognato che Shiratorizawa verrà distrutta da un drago?”
Tooru annuì ancora una volta.
“Bene,” lo sguardo del Cavaliere si fece gelido. “Quindi, tu pensi di crescere un drago a Seijou quando Wakatoshi è a conoscenza dei sogni di suo figlio? E magari speri pure che questo non scateni una guerra che possa distruggerci tutti, vero?”
Tooru smise di sorridere immediatamente. “Non sei divertente…”
“Non volevo esserlo!” Sbottò Hajime. “Ma che ti passa per la testa?”
“Tsutomu deve aver fatto quel sogno per una ragione!” Affermò Tooru con convinzione. “Non possiamo ignorarlo e basta.”
“Qualunque ragione ci sia dietro il sogno di Tsutomu, non credo che la distruzione di suo padre sia tra queste.”
“Ma noi non dobbiamo distruggere Shiratorizawa!” Esclamò Tooru, alla fine. “È un alleato potente e che me ne faccio di un Regno in cui un drago ha disseminato il caos? Hai visto la nostra sala del trono, no? Immagina in grande.”
Hajime lo guardò fisso. “Tooru, dimmi qualcosa… Qualunque cosa che mi convinca che non sei completamente uscito di senno e che devo farti abdicare in favore di nostro figlio.”
Tooru fece una smorfia sprezzante. “Sì, buttati nel dirupo insieme a tutto l’esercito già che ci sei!”
“Tu stai dicendo di volere un drago perché è destino che uno distrugga Shiratorizawa ma non lo vuoi usare per sconfiggere Wakatoshi!”
“Esatto!” Affermò il Re Demone. “Così che Wakatoshi sappia chi è padrone del suo destino!”
A quel punto del delirio, Hajime non sapeva davvero più che faccia fare. “Perché noi non ci accontentiamo di batterci contro il destino,” disse con voce incolore. “No, noi vogliamo controllarlo!”
“Hajime!” Tooru era sul punto di arrabbiarsi davvero. “Il nemico ha svelato un punto debole e noi…”
“È un alleato, non un nemico!” Sbottò il Primo Cavaliere. “E deve continuare esserlo, Tooru! Devo ricordarti chi mi hai rivelato un segreto vecchio di quindici anni riguardo alla futura, tragica morte di nostro figlio?”
“Ed è per Tobio che…”
“No, non è per Tobio, Tooru!” Hajime si alzò in piedi. “L’alleanza con Shiratorizawa può essere per Tobio! Voler stringere in pugno il destino dell’unico Regno che t’impedisce di essere l’unico ed assoluto sovrano di tutte le terre conosciute è per te, Tooru! Solo per te!”
Tooru non replicò in alcun modo, qualsiasi sfumatura sciocca sparì immediatamente dal suo viso e si fece indietro. “Tregua,” disse alzando entrambe le mani. “Un passo indietro, va bene? Dimentica quello che ho detto fino ad ora…”
Per la prima volta dopo anni, Hajime ebbe la netta sensazione che Tooru stessa davvero cercando di andargli incontro, invece di restare fermo delle sue convinzioni senza nemmeno ascoltarlo. L’espressione del Cavaliere si addolcì mentre annuiva. “D’accordo…”
Tooru annuì. “Però non cambia che Tsutomu fa sogni pericolosi e che questo potrebbe essere un problema.”
“Ha sognato la distruzione del suo regno,” disse Hajime. “Come potrebbe essere una minaccia per noi?”
“Siamo alleati, lo hai detto tu,” disse Tooru tornando a sedersi in fondo al letto. “Se Shiratorizawa è destinata a cadere, alla fine. Che cosa ne sarà di tutti noi?”




***
 
 
Tobio riemerse dall’acqua con un sospiro.
Faceva davvero caldo quel giorno ed una piccola, remota parte di lui era dispiaciuta per quei poveri idioti che se ne stavano nei campi ad aiutare i contadini, mentre lui aveva la libertà di bagnarsi nelle acque della cascata nascosta nel boschetto più a nord, vicino alle montagne.
Era piccola e remota, però.
Un pensiero fastidioso di cui liberarsi con una scrollata di spalle.
Per il resto, Lev e gli altri si divertivano e più Yuutaro ed Akira s’irritavano, più Tobio aveva motivo di sentirsi soddisfatto. Quei figli di nobili troppo viziati avevano un gran bisogno di spaccarsi davvero la schiena per qualcosa, dato che nel combattimento non eccellevano affatto.
Seijou era stata la casa di grandi Cavalieri, suo padre tra tutti ma, ora, Tobio davvero non sapeva cosa ne sarebbe stato di quel glorioso esercito che aveva tenuto testa a Shiratorizawa, aveva conquistato Dateko e, in quanto numero, era di gran lunga superiore a quello di qualsiasi Regno.
Tobio però di quei numeri non sapeva che farsene quando non si fidava nemmeno della metà di quei soldati.
S’infilò i pantaloni sopra la pelle ancora umida e si passò una mano tra i neri capelli ancora gocciolanti. “Maledizione…” Borbottò tra sé e sé facendo a pugni con quelle riflessioni scomode.
Che la nobiltà non lo vedesse di buon occhio non era una gran novità ma col gran numero di esili che c’era stato durante la rivoluzione di quindici anni prima, in pochi avrebbero osato alzare la testa in sua presenza, specie quando c’erano almeno tre sovrani caduti alle sue spalle.
Tetsuro, Koutaro e Kaname potevano avere le loro ragioni per nutrire rancore nei confronti di Tooru ma, di fatto, Tobio aveva ricevuto solo gentilezza da parte loro. Dai primi due più idiozia gratuita, in realtà.
Si chiese se essere figlio di suo padre influisse e la risposta fu tanto semplice che strinse le labbra ed ingoiò a vuoto per cercare di liberarsi dell’amarezza che aveva risalito la sua gola come un conato di vomito.
La frattura tra i suoi genitori era stata sotto i suoi occhi da sempre, evidente in ogni dettaglio del mondo che lo circondava. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Un gracchiare alla sua destra lo distolse da quei pensieri. Gli occhi blu si sollevarono ed incontrarono quelli neri e rotondi di un corvo che se ne stava tra l’erba, sotto il sole d’estate e lo guardava a testa alta, quasi con arroganza.
Tobio fece una smorfia. “Che cosa vuoi?” Domandò. “Se vuoi dire la tua dilla e basta, non stare lì a fissarmi.”
Il volatile si limitò a reclinare la testa.
“Sei stanco di volare?” Chiese Tobio. “Fa troppo per allenarsi ancora, quindi non preoccuparti. Sei in grado di disarmarmi almeno una volta su dieci, ormai. Non migliorerai più di così, fattene una ragione.” Un pensiero gli attraversò la mente. “Potrei farti duellare con qualcuno, però. Ormai, hai un controllo della spada quasi perfetto… Quando non ti agiti come un idiota. Non puoi contare sulla forza del tuo braccio in situazioni normali ma sappiamo che quando serve tiri fuori quel tuo potere e riesci anche a spezzare le spade, quindi…” Scrollò le spalle. “Non sei male, tutto sommato. A questo punto, se imparassi a controllare il tuo potere alla perfezione, potremmo sommare l’arte della spada a quello e…”
Uno spostamento d’aria improvviso lo travolse portando con sé un gran numero di piume corvine.
Tobio sgranò gli occhi e se ne rimase lì come un idiota a fissare il corvo di fronte a sé.
Quando udì la risata cristallina alle sue spalle seppe di essere strato un idiota.
Una piccola mano fredda s’infilò tra i capelli umidi sulla sua nuca e Tobio strinse gli occhi in una smorfia che suggeriva tutta la voglia che aveva di prendersi a pugni da solo.
Quando sollevò di nuovo le palpebre, Shouyou era inginocchiato nell’acqua più bassa del laghetto e lo guardava con espressione evidentemente divertita.
“Non ridere, stupido,” lo avvertì il Principe Demone con tono glaciale.
Per tutta risposta, Shouyou si strinse nelle spalle e ridacchiò. “Scusami ma eri troppo buffo.”
“Credevo fossi tu!”
“Per questo è divertente…”
Tobio lo guardò seriamente. “È pericoloso così, però,” disse. “Devo essere in grado di riconoscerti o finirò per tirarti di nuovo una freccia addosso.”
Shouyou s’imbronciò. “Non puoi smettere di tirare ai corvi e basta?”
“Ho avuto una crisi isterica perché uno dei miei Cavaliere ha abbattuto un corvo dopo la nostra impresa contro il drago!” Replicò Tobio con forza. “Vorrei evitarlo in futuro!”
Shouyou, allora prese in seria considerazione la cosa. “Gli addestratori di rapaci, di solito, legano qualcosa intorno alla zampa del loro animale.” Disse ricordando alcuni episodi di quando era bambino.
Tobio fece una smorfia. “Tu riesci a perderti tutti i vestiti non appena ti trasformi.”
“Sì, ma tu potresti legarmi qualcosa intorno alla zampa dopo!”
Tobio scosse la testa poco convinto. “Stupido come sei te lo perderesti in volo,” disse. “Inoltre, non sei un animale, sono io che devo imparare a riconoscerti.”
Shouyou avvertì un piacevole calore all’altezza del petto a quelle parole. “Sei gentile…”
Tobio lo fissò confuso, poi scrollò le spalle. “C’è un mercato nella cittadina più grande della zona per la festa del raccolto. Potrei trovare un guantone per rapaci. Potrei osservarti mentre voli.”
Il Principe dei Corvi sorrise. “Mi passi la tunica?”
Tobio lo fece, poi voltò lo sguardo per permettergli d’indossarla senza sentirsi osservato.
Tornò a guardarlo solo quando si sedette accanto a lui.
“Non ti annoieresti?” Domandò Shouyou.
Tobio scrollò le spalle. “Sono un cacciatore, Shouyou,” gli ricordò. “Osservo i volatili volare da quando sono bambino. So che imparerei a riconoscerti se avessi la possibilità di osservarti, di studiarti…” Raccolse una delle piume nere che era finita sull’erba e la esaminò affascinato esattamente come era accaduto il giorno del loro arrivo.
“Ti piacerebbe provare?” Domandò Shouyou di colpo.
Gli occhi blu si fissarono in quelli d’ambra.
Il Principe dei Corvi sorrideva, le gote un poco arrossate ed una luce speranzosa nello sguardo che Tobio non seppe spiegarsi. “Non saprei come fare ora come ora, lo ammetto,” disse Shouyou. “Quando ci siamo ritrovati sospesi tra la vita e la morte ho agito d’istinto…”
“Non ricordo molto della nostra caduta da quella torre,” ammise Tobio. “Almeno, però, io avevo tutti i vestiti addosso.”
“Ci ho pensato, sai? Quella notte tu stringevi me e Tsutomu si è aggrappato a te prima del crollo. Io, però, ho pensato a te… Ho pensato che dovevo salvare te.”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Pensi che sia stato l’unico a rimanere con tutti i miei vestiti addosso perché tu ti sei concentrato su di me?”
Shouyou scrollò le spalle. “Credo…”
“E allora perché non riesci a ritrasformarti senza perdere i tuoi?”
“Non devo concentrarmi molto quando lo faccio,” ammise il Principe dei Corvi. “Le prime volte che ho volato l’ho fatto nel dormiveglia. Per me farlo è spontaneo come respirare.”
Tobio annuì. “Dovresti provare a spendere qualche energia mentale sulla questione vestiti. Se potessi trasformarti a tuo piacimento su di un campo di battaglia sarebbe un’arma potentissima per te ma non puoi rischiare di rimanere nudo come un verme.”
Shouyou lo fissò con attenzione. “Non hai risposto alla mia domanda, Tobio.”
Il Principe Demone lo guardò. “Gli esseri umani sognano di volare da sempre, Shouyou.”
“Nemmeno questa è una risposta.”
“Ma cosa vuoi?” Sbottò Tobio stendendo sulla schiena ed incrociando le braccia dietro la testa. “A sentire te, sembra che non esista sensazione più bella al mondo!”
“È così,” confermò Shouyou. “È la cosa più bella che abbia mai provato in vita mia. Non credo esista nulla di paragonabile…”
Suo malgrado, Tobio si ritrovò ad osservarlo con attenzione. “Quanto soffrivi quando t’impedivano di volare?”
Shouyou lo guardò come se lo avesse schiaffeggiato, poi sorrise ma una tristezza infinita aveva oscurato il suo sguardo. Si stese accanto al Principe Demone ed entrambi restarono a guardare il cielo azzurro attraverso la chioma dell’albero che li riparava dal caldo sole d’estate.
Intorno a loro c’era solo pace.
“Impara a controllare la trasformazione,” disse Tobio.
Shouyou si voltò ad osservarne il profilo.
“Diviene padrone del tuo potere e poi, se vorrai, m’insegnerai a volare.”
E gli occhi del Principe dei Corvi s’illuminarono di nuovo.
“Tobio, non per vantarmi ma abbiamo trovato qualcosa che devo essere io ad insegnare a te.”
“Stai zitto, Shouyou.”
 



 

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Capitolo 32
*** Di più e ancor di più ***


29
Di più e ancor di più
 
 
Kenjirou non era preoccupato.
Si era chiuso negli alloggi del Re dell’Aquila senza chiedere il permesso a nessuno ma chiunque si era guardato bene dal cercare di cacciarlo. Reon si era limitato a chiedergli se stava bene e Kenjirou aveva annuito distrattamente dirigendosi verso le scale dopo aver mangiato a stento.
La camera da letto era in ordine ma buia ed un po’ polverosa.
Spalancò la portafinestra che dava sulla balconata. Cambiò le lenzuola ed accese qualche candela per non restare solo con l’oscurità. Si sarebbe messo a ripulire da capo a piedi anche il salottino privato adiacente se questo fosse servito a calmare i suoi nervi. Non lo fece semplicemente perché allo stato attuale sarebbe finito col distruggere qualsiasi oggetto gli fosse finito tra le mani.
Che cosa era passato per la mente di Satori?
Non c’era nulla di riflessivo nella personalità di Tsutomu e non poteva esserci niente di costruttivo nello spingerlo a dare voce a tutta la voglia di ribellione che si portava dentro.
Ancora una volta, ripensò a quel pomeriggio di primavera in cui Eita gli aveva messo tra le braccia quel bambino di pochi mesi. Ricordava come si era reso conto di quanto fossero pochi gli anni che aveva vissuto su quella terra e che non fossero molti di più quelli sulle spalle di Eita, di Satori e, sì, anche su quelle del loro Re.
Kenjirou non si sentiva molto più adulto nemmeno in quel momento, mentre camminava avanti ed indietro in una camera da letto in cui dormiva solo per impedire ad un’anima solitaria di perdersi in se stessa, aspettando che il padre di un figlio che non era il suo tornasse solo per rassicurarlo sulle sue condizioni.
Sì, era con Satori. No, non gli sarebbe accaduto niente fino a che il braccio destro del Re era con lui.
Tuttavia…
Uno spostamento d’aria lo investì ma non si voltò per controllare di cosa si trattasse. Fissò lo sguardo sulla fiammella di una delle candele che aveva acceso sul davanzale del cammino e lì rimase anche quando avvertì il respiro caldo del suo Re tra i capelli sulla nuca.
“Sei tornato da solo,” non era una domanda quella di Kenjirou.
“Questo ti delude?”
Kenjirou si voltò e guardò il suo Re dritto negli occhi. Sul viso di Wakatoshi non trovò nemmeno la metà della preoccupazione che gli stringeva il cuore. “Gli hai raggiunti, allora.”
“Non mi sono fatto vedere,” replicò il Re dell’Aquila sedendosi in fondo al suo letto e procedendo a togliersi gli stivali. “Stanno andando verso le campagne di Seijou.”
Kenjirou sgranò gli occhi. “E tu non li hai fermati?”
“Tobio è partito per le campagne del suo Regno prima che ce ne andassimo,” disse Wakatoshi alzandosi in piedi per liberarsi della tunica. “Tsutomu non corre alcun rischio.”
“Sei serio, Wakatoshi?” Domandò Kenjirou quasi con rabbia.
Il Re dell’Aquila lo trafisse con lo sguardo. “Stai di nuovo mettendo in discussione una mia decisione, Kenjirou.”
Il viso dell’Arciere si fece teso. “Non ho più il permesso di dire la mia, mio Re?” Domandò quasi con sarcasmo. Quasi… Non poteva permettersi altro.
 Era gelida l’espressione di Wakatoshi. “Una volta, eseguivi i miei ordini come se a parlarti fosse un dio.”
L’espressione di Kenjirou si addolcì. “Perché quando ti guardava credevo seriamente che lo fossi,” replicò. “La prima volta che mi hai toccato, ho creduto davvero che stessi giacendo con un dio.”
“Tale era la tua devozione verso di me?” Domandò Wakatoshi come se non ci credesse.
“Lo è stata fino a che non ho capito che ti serviva un po’ di calore dopo che la distanza tra te ed Eita si era fatta troppo grande troppo presto,” disse Kenjirou riportando le sguardo sulla candela che poco prima aveva attirato la sua attenzione.
“L’assenza di un figlio è una maledizione enorme, Kenjirou,” disse Wakatoshi. “Immagino tu non possa…”
“È l’unico pensiero che mi consola quando mi rendo conto che non sono né Eita né Tooru,” lo interruppe l’Arciere.
“Che cosa vuoi dire?”
Kenjirou ingoiò a vuoto. “Io non sono un Demone,” rispose. “Non sono un Mago. Sono solo un Arciere e se fosse esistita una magia abbastanza grande da permettermi di darti un figlio, molto probabilmente mi avrebbe ucciso.”
Wakatoshi lo guardò in silenzio. “Non ho mai preteso che chi amavo morisse per me.”
Kenjirou gli rivolse un sorriso sarcastico. “Bugiardo…” Sibilò.
“Non l’ho mai preteso,” insistette il Re dell’Aquila.
“Quante volte al giorno te lo ripeti per evitare al senso di colpa di schiacciarti?” Domandò l’Arciere.
Wakatoshi esaurì la distanza tra loro guardandolo dall’alto in basso.
Kenjirou rispose a quello sguardo per alcuni istanti, poi si sentì costretto ad abbassare il viso. Tooru ed Eita non l’avrebbero mai fatto e si odiò per tanto debolezza. “Il sogno di Tsutomu ti ha spaventato, non è vero?” Disse. “Per questo sei andato da Tooru prima di ripartire…”
“Mi ha creduto.”
“Non ne dubito.” Kenjirou provò a guardarlo di nuovo in faccia. “E per quanto riguarda la questione del cuore di drago?” Domandò.
Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Non è un’impresa di Tsutomu,” rispose, infine. “Non possiamo vantare alcun diritto su quel cuore…”
Kenjirou inarcò le sopracciglia. “Lasci andare così l’unica possibilità che hai di risvegliare Eita dal suo sonno?”
“Non lascio andare nulla, Kenjirou,” replicò Wakatoshi. “Però, sì, c’è qualcosa che mi spaventa…”
L’Arciere fu sorpreso da una simile confessione. “Per quale motivo un drago dovrebbe attaccarci?” Domandò cercando di fare appello alla razionalità. “Se è vero che sono creature senzienti e capaci di provare sentimenti come il desiderio di vendetta, non è contro di noi che sarà rivolto. È stato Tobio ad abbattere quel drago, non Tsutomu.”
“Non è quel sogno che mi spaventa,” ammise Wakatoshi. “Sì, mi ha messo in guardia ma la questione che più temo è un’altra…”
Kenjirou fece per chiedere ulteriori spiegazioni, poi ricordò. “Parli del modo in cui Tsutomu e gli altri due Principi si sono salvati da quella caduta?”
Wakatoshi annuì. “Tsutomu non ha il potere di…”
“Lo so,” Kenjirou annuì. “Ha dei poteri, senza ombra di dubbio ma non il tuo. Di chi sospetti?”
“Tutto mi spinge a sospettare di Tobio.”
“Sia tu che Eita avete della magia nel vostro sangue. Tsutomu non poteva non ereditarne una parte. Tobio, però, è umano per metà. È un genio sul campo di battaglia ma, dopotutto, i suoi genitori li conosci… Questo non lo rende un campione degno delle leggende di cui sei figlio tu, però.”
“Umano per metà…” Ripeté Wakatoshi. “Hajime è un comune mortale ma sottovalutarlo per un simile dettaglio è una condanna a morte. Sai che sono state fatte delle profezie sul destino di Tobio…”
“Quelle profezie non significano niente,” replicò Tsutomu. “Tobio non può mettere in ginocchio tutti i Re dei Regni liberi… Non finché tra quei Re ci sei anche tu.”
Il viso di Wakatoshi si addolcì un poco. Sollevò una mano e sfiorò i capelli castani del suo Arciere in un raro gesto di tenerezza. “Mi disprezzi e al contempo la tua devozione per me è ancora intoccata.”
Kenjirou si voltò per sottrarsi all’esame di quegli occhi inespressivi. “È più complicato di così, mio Re.”
Il Re dell’Aquila decise di non insistere oltre. “Satori sa cosa sta facendo portando Tsutomu a Seijou.”
Kenjirou gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Avete un piano che mette Tsutomu in prima linea contro il nemico?”
“No,” rispose Wakatoshi. “Non ho un piano. Satori lo ha.”
Kenjirou sbatté le palpebre un paio di volte. “Se il Principe Demone ed il Principe dei Corvi stanno nascondendo qualcosa, un fanciullo della loro età dovrebbe saperli avvicinare più facilmente di un adulto.”
Wakatoshi annuì. “Esatto…”
“Tobio e Tsutomu non sono mai stati amici, però.”
“Il disprezzo di Tsutomu non è ricambiato da Tobio. Non lo è mai stato…”
“E questo basterà a convincerlo ad accettarlo?”
Wakatoshi sospirò e tornò a sedersi in fondo al letto. “Non ne sono sicuro ma penso che il Principe dei Corvi provi della simpatia per mio figlio.”
Kenjirou fece una smorfia. “Elemento vincente quando un fanciullo sa affrontare l’interazione con i propri coetanei come Tsutomu.”
“Tobio non è migliore in questo,” replicò Wakatoshi. “Eppure, quel fanciullo… Shouyou continua a restare al suo fianco.”
“Dobbiamo credere che l’erede al trono del Regno più piccolo e politicamente inutile tra quelli liberi sia tanto speciale?” Domandò Kenjirou poco convinto.
“Sì,” rispose il Re dell’Aquila. “Dobbiamo perché il Principe Demone che conquisterà tutti i Regni liberi lo farà con un corvo sulla spalla e ho imparato da tempo a non credere alle coincidenze.”
 
 
***
 
 
 
“Ragazzi! Bagnate le lenzuola così, state attenti! Shouyou, vieni a darmi una mano!” Esclamò Tadashi cercando di sollevare il cesto del bucato senza cadere all’indietro. Il Principe dei Corvi smise di dare attenzione alla palla di pezza con cui lui e gli altri giovani stavano giocando e corse in aiuto dell’amico.
Tobio osservava la scena dall’alto, seduto sotto le logge del piano superiore con i capelli ancora umidi per il bagno appena fatto e la camicia allacciata solo per metà, le maniche arrotolate. Kanji e Lev avevano letteralmente rubato quella palla ad uno dei figli dei contadini e l’avevano presa a calci fino alla tenuta coinvolgendo tutti gli altri in un gioco insensato che consisteva nel rubare il giocattolo di pezza all’avversario per il puro gusto di farlo irritare. Chi fosse nella squadra di chi era l’antipatia a deciderlo e, a grandi linee, Tobio poteva dire che i ragazzi originari di Seijou stavano giocando contro quelli provenienti da tutti gli altri Regni conquistati.
Tobio non li degnò di ulteriori attenzioni e portò lo sguardo verso l’angolo del cortile interno in cui avevano issato i pali per appendere il bucato. Shouyou aveva i capelli più in disordine del solito ma non era sudato e sporco come un porcello come tutti gli altri fanciulli nel cortile. Dopotutto, a differenza loro, non aveva lavorato nei campi.
“È tornato?” Domandò Kei uscendo sulla terrazza con solo i pantaloni addosso ed i capelli bagnati a sua volta.
“Sì,” rispose Tobio senza guardarlo. “Non è stato fuori per molto, pensò che tornerà a volare dopo che avremo cenato e sarà calato il sole.”
Kei ridacchiò divertito.
Il Principe Demone lo guardò storto. “Che cosa c’è?”
“Parlavo di Tadashi, mio Principe,” disse Kei con sarcasmo sedendosi di fronte all’erede al trono di Seijou. “Tu, però, ovviamente, hai dato per scontato che parlassi di Shouyou.”
Tobio sbuffò. “Se devi dire qualcosa, dilla e basta, stronzo.”
Kei scrollò le spalle. “Non mi mettere mai a parlare per enigmi con te,” replicò. “Non sei abbastanza sveglio e non sarebbe divertente.”
“Ci stai ancora girando intorno.”
“Come va l’addestramento del mio Principe?” Domandò Kei.
“T’interessa?”
“No,” ammise il Cavaliere. “M’interessa sapere cosa fai con l’erede dei miei signori quando nessuno vi guarda, però.”
Tobio inarcò le sopracciglia, poi la sua espressione si fece terribilmente indignata. “Ti sei bevuto il cervello, per caso?”
“Non ho insinuato niente,” gli fece notare Kei con una smorfia un poco disgustata. “È mio dovere sapere cosa succede al mio Principe… Che me ne freghi a livello personale o meno.”
Tobio lo guardò con disprezzo. “A te non importa niente di nessuno, eh?”
“A me importa avere un ruolo solido in questo delirio di Re e Principi,” rispose Kei. “Non m’interessa la gloria. Non m’interessa essere un eroe, il Cavaliere più forte dei Regni liberi e idiozie simili. Sono nato in una famiglia nobile e non voglio offenderne il nome in alcun modo.”
Il Principe Demone lo guardò sospettoso. “Hai i piedi ben piantati per terra per essere il favorito a divenire il Primo Cavaliere di Shouyou.”
“Hai conosciuto il nostro attuale Primo Cavaliere?” Domandò Kei con una mezza smorfia. “Ottimo braccio. Leale al suo Re. Personalità completamente inadatta al ruolo.”
Tobio storse la bocca. “Quindi tu sei uno di quelli…”
Kei lo guardò confuso. “Uno di quelli come?”
“Quelli che hanno la superbia di guardare tutti dall’alto giudicandoli degli idioti a prescindere.”
Il Cavaliere ridacchiò. “Non sei nella posizione di farmi la morale, Principe Demone,” replicò. “Tu guardi il mondo nello stesso modo.”
“Sì…” Ammise Tobio alzandosi in piedi.
Kei lo seguì con lo sguardo ma tenne gli occhi fissi di fronte a sé come il Principe Demone gli afferrò una spalla con un po’ troppa forza. “Io, però, ho un’ambizione, Cavaliere e per gli ambiziosi non esistono le regole a cui fai tanto affidamento.”
Il Cavaliere strinse le labbra. “E Shouyou fa parte di questa ambizione?”
Tobio lo lasciò andare. “Shouyou è un altro ambizioso,” rispose. “Non può essere trascinato nell’ambizione di nessun altro, a meno che non scelga di farne parte.”
Kei si voltò a guardarlo cercando di capire dalla sua espressione qualcosa di più ma il Principe Demone si era già voltato.
 
 
“Ho la netta sensazione che quei due stiano progettando la conquista del mondo o qualche idiozia del genere,” disse Kei quella sera fissando il soffitto della camera da letto che divideva con Tadashi.
L’amico lo guardò confuso coricandosi sotto le lenzuola. “Che cosa hai detto?”
Kei scrollò le spalle incrociando un braccio dietro la testa. “Oggi, il Principe Demone si è messo a parlare di ambizioni con me,” disse. “Penso che mi disprezzi perché io non ne ho una.”
Tadashi si girò su di un fianco studiando il profilo dell’amico. “È una cosa di te che non ho mai capito, invero.”
Il Cavaliere lo guardò. “Non ho mai preteso che qualcuno mi capisse.”
“Esatto!” Tadashi si sollevò su di un gomito. “Tu non pretendi di essere capito! Non pretendi l’amicizia o l’affetto di nessuno!”
“Pretendo rispetto ed un comportamento intelligente da parte di chi mi sta intorno,” replicò Kei annoiato. “Credimi, è già troppo da chiedere al tuo prossimo…”
Tadashi abbassò lo sguardo per un istante umettandosi il labbro inferiore. “E se qualcuno volesse darti di più?”
“Di più?”
Ci volle un po’ perché Tadashi trovasse il coraggio di guardare in faccia il suo più vecchio amico, il suo primo compagno di vita… L’unico che avrebbe voluto al suo fianco fino alla fine. Anche se Kei non lo sapeva. Nessuno lo sapeva.
“Ad esempio, tu dici di voler tornare a casa,” disse Tadashi timidamente. “Ma stando qui puoi avere di più di quello che Karasuno può offrire.”
Kei sospirò stancamente. “Come te lo devo dire che la gloria non m’interessa?”
“Non si tratta della gloria, Kei,” insistette Tadashi. “Pensi che Shouyou sia felice di essere qui per la gloria.”
“Non tentare di entrare nella testa di un idiota, potresti venir contagiato, Tadashi.”
“Avanti…” Tadashi si alzò dal suo letto sedendosi sul bordo di quello dell’amico. “Shouyou ne è l’esempio vivente, Kei. Lui ha sempre desiderato quel di più e Tobio glielo ha donato.”
Kei alzò gli occhi al cielo. “Non ricominciare con le tue teorie sdolcinate completamente fuori luogo,” disse girandosi su di un fianco per dare le spalle all’amico. “Sono due idioti che parlano di ambizioni senza sapere cosa siano.”
Tadashi s’imbronciò tornando al suo letto. “Fino a prova contraria, Tobio è un Principe che si sporca le mani nei campi come il più comune dei contadini e Shouyou… Beh, è Shouyou.”
“E questo cosa vorrebbe dire?” Domandò il Cavaliere guardandolo da sopra la spalla.
“Che sono talmente al di fuori degli schemi a modo loro che hanno tutto il diritto di essere ambiziosi,” rispose Tadashi girandosi sotto le lenzuola in modo da dare le spalle al compagno di stanza. “E comunque non m’invento le cose. So quello che vedo e posso affermare senza ombra di dubbio che anche Tobio ha trovato il suo di più e lo ha trovato in Shouyou.”
Kei si accigliò. “L’idiozia ti ha contagione, ormai è ufficiale.”
Tadashi sospirò. “Forse, dovresti lasciarti contagiare un po’ anche tu… Ti farebbe bene…”
“Ma da che parte stai, Tadashi?”
“Adesso, improvvisamente, pretendi di avere qualcuno dalla tua parte, Kei?”
Il Cavaliere non rispose.
 
 
***

Aprì gli occhi blu ed il cielo d’estate rispose al suo sguardo.
Si sollevò a sedere. Il mare di spighe dorate intorno a lui era mosso dal vento, il cielo infiammato dai colori del tramonto. La tenuta dalle mura bianche era ben visibile in cima alla collina, le persiane spalancate per permettere alla brezza estiva di entrare.
Gli parve di udire una ninna nanna, una melodia che conosceva da sempre.
Si alzò in piedi osservando quelle finestre quasi con sospetto.
Conosceva la voce che stava cantando. Sì, la conosceva ma non l’aveva mai udita cantare.
Fece per chiamare il suo nome a gran voce ma qualcuno lo precedette e chiamò il suo. “Papà?”
Abbassò lo sguardo nel sentirsi tirare una manica e due occhi dello stesso colore dei suoi ma più grandi ricambiarono lo sguardo. Nella manina stringeva tre papaveri rossi, i capelli dal colore impossibile legati all’indietro. Era vestita come un maschietto ma non lo era. “In braccio, papà.”
Sorrise e la sollevò senza sforzo. Non avrebbe mai potuto negarle niente, anche se era una condotta completamente contraria al suo carattere. Lei, però, non aveva bisogno di conoscere il Re, la leggenda vivente. A lei serviva un uomo, un padre… Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo.
A lui bastava riuscire ad essere il suo eroe anche al di fuori delle grandi storie.
Fu lei ad allontanare gli occhi da lui per primo: la ninna nanna che usciva dalle finestre della tenuta era stata interrotta dal pianto di un neonato.
“Il fratellino si è svegliato, papà.”
Lui sospirò mettendola a sedere sulle spalle come suo padre soleva fare con lui nelle estati della sua infanzia. “Torniamo a casa, mia Regina.”

 
 
“Tobio?”
Fu un ritmico picchiettare sulla sua fronte a svegliare il Principe Demone. Contrasse il viso in una smorfia e sollevò solo la palpebra destra. Quando riuscì a distinguere due occhi color ambra nella semi-oscurità della camera da letto, emise un verso scocciato e si girò su di un fianco per dargli le spalle.
“Tobio!” Esclamò Shouyou offeso arrampicandosi sul letto. “Devi vedere una cosa, svegliati!”
“Domani…”
“Ma domani mi sarò già cambiato, non potrai più vederla!”
Suo malgrado, Tobio aprì entrambi gli occhi e lanciò uno sguardo di puro astio al piccolo idiota che si era praticamente appollaiato sulla sua spalla. “Che diavolo…” Si bloccò. “Perché hai indossato di nuovo i vestiti che avevi stamattina?”
Il sorriso di Shouyou si fece abbagliante e prese a saltellare sul letto esultante.
“Ehi!” Esclamò Tobio sollevandosi a sedere. “Calmati, idiota! Che ti prende?”
“Guarda!” Esclamò Shouyou indicando le piume nere sul pavimento sotto la finestra lasciata aperta appositamente per lui.
Tobio passò gli occhi blu dalle piume corvine al viso del Principe dei Corvi. “Oh…” Fu l’unico commentò che riuscì a fare.
Shouyou lo guardò arrabbiato. “Oh!” Sbottò. “Riesco a tornare nella mia forma umana con addosso i vestiti e tutto e l’unica cosa che riesci a dire è oh?”
Tobio sbuffò. “Dormivo fino ad un minuto fa!” Esclamò. “Cosa pretendi? Che mi metta a ballare dalla gioia…”
“No, a te sarebbe chiedere troppo anche solo un sorriso!” Shouyou si lasciò ricadere tra i cuscini fissando il soffitto con espressione incantata. “Bastava fare pratica…”
Tobio sospirò stancamente stendendosi di nuovo a sua volta. “Per qualunque cosa basta fare pratica, Shouyou.”
“Chissà quante altre cose riuscirò a fare prima della fine dell’estate,” il Principe dei Corvi ridacchiò emozionato. “Forse, prima dell’arrivo della stagione fredda, riuscirò a farti volare con me.”
Il viso di Tobio si distese nel guardarlo di nuovo. “Tra pochi giorni, nei villaggi cominceranno le feste per la fine dell’estate. Possiamo andare al mercato e trovare un guanto per rapaci come ti avevo detto.”
Shouyou storse la bocca. “Ti ho appena proposto di volare con me.”
“Ti ho sentito.”
“Perché stiamo parlando di un guanto per rapaci, allora?”
“Perché tu riesci a tornare umano con i vestiti e tutto ma io non sono ancora in grado di riconoscerti,” replicò Tobio. “È inutile che tu mi dia completa fiducia quando io per primo non sono certo che non ti colpirei in una situazione caotica.”
Shouyou si fece serio. “Vuoi guardarmi mentre volo?”
“Potrebbe aiutare, sì.”
“E se mi trovassi appollaiato sul ramo di un albero, come…”
“Un problema alla volta, Shouyou,” lo interruppe Tobio alzandosi dal letto.
Shouyou lo fissò confuso. “Dove vai?”
“Aspettavo che tornassi e mi sono addormentato per sbaglio,” spiegò Tobio. “Torno sul divano, come sempre.”
“Ma…” Provò il Principe dei Corvi ma non andò avanti.
Tobio si voltò a guardarlo. “Cosa?”
Shouyou sentì le guance farsi calde ma sperò che grazie alla semi oscurità della stanza, l’altro non se ne accorgesse. “Niente,” disse scuotendo appena la testa. “Buona notte, Tobio.”
“Buona notte…” Replicò il Principe Demone. Fece un passo fuori dalla camera da letto, poi si voltò ancora una volta. “Ottimo lavoro.”
Shouyou sollevò lo sguardo sorpreso ma Tobio si era già richiuso la porta alle spalle.
“Ottimo lavoro…” Ripeté a se stesso, poi ridacchiò lasciandosi ricadere tra le lenzuola. “Ottimo lavoro…”
 
 
***
 
 
Tetsuro stava giocherellando con la sua piuma d’oca da una buona mezz’ora.
Koutaro, da parte sua, era collassato contro lo schienale della sedia con una pergamena a coprirgli il volto, come se fosse un soldato caduto al tavolo di lettura della biblioteca reale di Seijou.
Keiji e Kenma si lanciarono un’occhiata, poi sospirarono all’unisono.
“Si batte la fiacca,” commentò quest’ultimo prendendo una piccola pila di libri per portarli nella sezione a cui appartenevano.
Seduta sul pavimento al centro della grande stanza, la piccola Keijiko allontanò l’attenzione dal disegno che stava facendo per cercare lo sguardo del genitore. “Che cosa vuol dire, mamma?” Domandò.
“È quello che stanno facendo papà e lo zio Tetsuro in questo momento,” spiegò Keiji passando una mano tra i capelli neri della sua bambina. “Lamentarsi di non avere nulla da fare quando, in realtà, del lavoro c’è.”
Tetsuro lo guardò storto. “Io non sto dicendo una parola,” replicò, poi lanciò un’occhiata all’amico al suo fianco. “Lui, probabilmente, è morto.”
Per tutta risposta, Koutaro scansò la pergamena sul suo viso in modo da liberare solo un occhio. “Ti piacerebbe…”
“Potevate non farvi avanti quando Kaname ha chiesto aiuto per mettere a posto la biblioteca,” fece notare loro Kenma recuperando un’altra pila di libri e sparendo di nuovo dietro gli alti scaffali.
“Così dopo mi avresti tenuto il muso fino alla fine dei tempi,” replicò Tetsuro con un sorrisetto divertito.
Kenma, nascosto dalla vista di tutti, fece finta di non averlo udito.
“Oh! Oh! Oh!” Esclamò Koutaro tornando magicamente in vita.
Keijiko guardò il padre ridendo. “Mamma, papà è matto!”
Keiji non pareva altrettanto divertito. “Sì, decisamente…” Rispose per evitare di dire quello che davvero pensava: sua figlia aveva tutto il diritto di credere che suo padre fosse un eroe tra gli eroi, dopotutto. Crescendo, avrebbe imparato la dura realtà.
“Senza i marmocchi, questo castello è meno allegro di un cimitero!” Esclamò Koutaro cominciando a fare avanti ed indietro per la stanza.
Tetsuro sospirò malinconicamente. “Nessuno da tormentare…”
“Torturare!” Aggiunse Koutaro con aria tragica.
“Umiliare pubblicamente!”
Keiji afferrò una pila di libri e decise di raggiungere Kenma prima che una mano gli scivolasse ed uno dei volumi più pesanti atterrasse misteriosamente sulla faccia del suo uomo.
“Papà!” Keijiko si alzò in piedi saltellando verso il genitore. “Tu e zio Tetsuro siete tristi perché non avete nessuno con cui giocare, vero?”
Koutaro appoggiò un ginocchio a terra, un sorriso innamorato gli illuminò il volto. “Sei davvero la donna della mia vita, Keijiko.”
“Puoi anche dire l’unica, amico,” disse Tetsuro con un ghignetto.
“Papà e zio Tetsuro vorrebbero tanto andare a giocare con gli altri bambini ma sono partiti tutti e ci sentiamo tanto soli,” spiegò Koutaro con fare esagerato.
Keijiko sbatté le lunghe ciglia un paio di volte. “Allora perché non andiamo anche noi?”
Per la prima volta da quando erano entrati in quella biblioteca, Tetsuro lasciò andare la piuma d’oca e guardò Koutaro. L’amico ricambiò immediatamente l’occhiata.
Un istante e si scambiarono un sorriso complice.
“Hajime si arrabbierà,” disse Koutaro.
Tetsuro ridacchiò. “E questo basta a renderlo divertente…”
 
 
***
 
 
Dal suo arrivo a Seijou, Shouyou si era ritrovato a guardare Tobio in molti modi diversi. La prima impressione era stata tutto meno che buona ma, con l’avanzare dell’estate, si erano aggiunti tanti dettagli al ritratto di quel fanciullo a tratti gelido e a tratti rabbioso. Dettagli che, messi insieme, facevano apparire il Principe Demone come una creatura oscura, complessa ma impossibile da non guardare.
“Niente addestramento per oggi?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte allontanando lo sguardo dal campo di grano che si estendeva ai piedi della collina. Tadashi lo guardava sorridendo attendendo una risposta.
“No,” rispose il Principe dei Corvi accennando un sorriso. “Tobio dice che ha altri doveri qui.” Disse tornando a guardare il giovane dai capelli corvini con la falce in mano che parlava con espressione scocciata al Cavaliere dai capelli biondi poco lontano da lui. Vide un sorrisetto sarcastico comparire sul viso di Kei e Tobio ringhiargli contro in risposta.
“Stanno litigando da quando hanno cominciato,” disse Tadashi ridacchiando. “Non riescono a smettere di punzecchiarsi…”
Shouyou storse la bocca in una smorfia. “Le due facce dell’antipatia, cosa ti aspetti?”
Erano seduti entrambi all’ombra di un grande albero ad osservare gli altri che lavoravano nei campi insieme alle famiglie di contadini del luogo. Quella mattina, dopo che il Principe Demone gli aveva comunicato che non si sarebbero allenati, Shouyou si era offerto per dare una mano e Tobio prontamente gli aveva risposto che non poteva rischiare di mettergli una falce in mano. “Stupido come sei, decapiterai metà del mio esercito per puro sbaglio,” aveva detto.
Shouyou lo aveva guardato storto ma, col senno di poi, vedendo quanto tutti faticavano sotto il sole cocente d’agosto, pensò che, forse, Tobio lo aveva fatto per permettergli di riposare un po’. Shouyou sospirò sentendosi un po’ in colpa: usare il suo potere a suo piacimento era una libertà in cui non aveva mai sperato ma usare il buon senso per porsi dei limiti non era una virtù che gli apparteneva.
Col passare dei giorni, aveva cominciato a volare fino a notte fonda e, ogni volta, Tobio rimaneva in piedi ad aspettare che rientrasse nonostante sulle sue spalle pesasse la fatica di un’intera giornata di allenamento e lavoro. Quello era uno dei dettagli di Tobio che Shouyou non sapeva bene come interpretare: era duro con lui per qualunque questione ma non lo rimproverava mai quando si trattava del suo potere.
Shouyou non glielo aveva mai detto ma era grato per questo: per la prima volta in vita sua, poteva affermare senza paura che quelle ali corvine erano sue e sue soltanto.
Sì, era una libertà in cui non aveva mai sperato ed era stato Tobio a dargliela.
“Perché sorridi?”
Shouyou sobbalzò ed incrociò lo sguardo di Tadashi. “Cosa?” Domandò.
Il vecchio amico ridacchiò. “Stavi sorridendo…”
“Oh…” Fu l’unico commento del Principe dei Corvi. “Non me ne sono reso conto.”
“Pensieri piacevoli?”
Shouyou scrollò le spalle. “In questo momento, ho più o meno tutto quello che voglio,” disse con un sorriso luminoso. “Alcune volte, riesco anche a non pensare a casa.”
Tadashi studiò il profilo del Principe con attenzione. “Alcune volte o il più delle volte?”
Shouyou lo guardò confuso. “Eh?”
“Non nomini mai casa,” disse Tadashi ma non era un’accusa la sua. “Non parli mai della tua famiglia. Non ti ho mai sentito dire che ti mancano o cose del genere…”
Le labbra di Shouyou si strinsero in una linea netta. “Sono passate solo poche settimane…”
“Per noi che non siamo mai stati lontano da casa è molto tempo.”
Shouyou abbassò lo sguardo. “Io non… Se potessi vedere mamma e papà… E Natsu, io…”
“Non fraintendermi, Shouyou,” lo interruppe Tadashi gentilmente. “Non ti sto giudicando e non pretendo di conoscere quello che provi. Volevo solo dire che sembri felice qui, a Seijou… Tutto qui…”
A quel punto, il Principe dei Corvi guardò l’amico preoccupato. “Tu non ti trovi bene qui?” Domandò. “Preferiresti tornare a casa e… Mi dispiace, Tadashi, non volevo che fossi costretto a…”
Tadashi scosse la testa: se quella era l’unica occasione che avrebbe mai avuto in vita sua per essere al fianco di Kei quasi come suo pari, allora l’avrebbe vissuta fino in fondo. Questo, però, al suo Principe non poteva confidarlo. “Io sto molto bene qui, Shouyou,” disse lanciando un’occhiata veloce al Cavaliere dai capelli biondi che si passava una manica sulla fronte per asciugare il sudore. “Kei è il mio più grande amico ed è un onore prendermi cura di te, così… Non mi manca nulla.”
Shouyou lanciò un’occhiata al Cavaliere in questione con un sorrisetto sarcastico. “Kei non si sente molto onorato… Pazienza!”
Tadashi rise. “Kei non lo dirà mai a me e te ma sa che questa occasione è molto importante per noi come lo è per Karasuno e non potrà non influire sul suo futuro.”
“Come se Kei si sia mai dimostrato interessato per qualsiasi cosa…” Shouyou guardò il ragazzo accanto a lui. “Tranne te.”
Tadashi arrossì violentemente. “Io?”
“Certo!” Shouyou ridacchiò. “Siete cresciuti insieme e, nonostante la tremenda personalità, te lo tieni ancora stretto. Kei ha un legame con te come non lo ha con nessun altro. Dubito che sarebbe rimasto con me, futuro o non futuro, se non fossi rimasto anche tu.”
Tadashi sorrise malinconicamente. “Temo che tu stia esagerando, mio Principe. Kei si finge indifferente ma, in fondo, è superbo. No, non lo vedremo mai inseguire la gloria come il Cavaliere di una bella storia ma penso che farà grandi cose nella sua vita… Cose che aiuteranno Karasuno e crescere…” Si morse la lingua nel rendersi conto di quanto aveva detto. “Mi dispiace, mio Principe, non avrei dovuto…”
“Non devi scusarti,” lo interruppe Shouyou, poi sospirò. “Kei è un Cavaliere ed un politico in una sola persona. Come Re sarebbe perfetto. Meglio di me, sicuramente e non è un segreto.”
“Non dire così, Shouyou…”
“Temo di non essere nato per esserlo,” ammise il Principe dei Corvi senza vergogna. “Un Re, dico. Io e Tobio abbiamo avuto una discussione a proposito,” raccontò. “E lui mi ha convinto che è una mia responsabilità ma che, se non posso cambiare le cose, almeno posso battermi perché prendano la forma che voglio. In altre parole, mi ha detto di essere Re a modo mio, con le mie regole.” Una pausa. “Decidere di restare qui a Seijou è stato il mio primo passo per dimostrarlo.”
Tadashi annuì. “Quindi hai deciso di restare per divenire un Cavaliere, il solo padrone del tuo potere e prendere in mano le redini del tuo futuro come Re?”
Shouyou sollevò lo sguardo sulle foglie del grande grande albero che li riparava dal sole. “Sì,” rispose. “Credo di sì…”
“Niente altro?” Domandò Tadashi sporgendosi un poco verso di lui.
“Per quale altra ragione sarei dovuto restare?” Domandò Shouyou confuso.
“Non lo so,” Tadashi scrollò le spalle. “Perché è stato Tobio a chiedertelo?”
Il Principe dei Corvi non rispose. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte ma non trovando una replica efficace, si limitò a ridacchiare nervosamente. “Non so nemmeno perché Tobio me lo abbia chiesto, a dire il vero!” Esclamò. “Cioè… Me lo ha detto ma non aveva un gran senso!”
“Cioè?”
“Ha detto che gli vengono i nervi al pensiero di un potenziale non sfruttato,” disse Shouyou, “o qualcosa del genere…”
Tadashi inarcò le sopracciglia. “Tutto qui?”
Shouyou lo guardò confuso. “Perché?” Domandò. “Che cosa ti aspettavi?” Non fece in tempo ad udire la risposta che si ritrovò con una tunica umida di sudore in faccia. “Tobio!” Esclamò sebbene non avesse nemmeno avuto il tempo di guardare in faccia il suo aggressore.
Non c’era dubbi su chi potesse essere.
Il Principe Demone lo guardò con sufficienza sedendosi all’ombra dell’albero per trovare un po’ di conforto dall’afa di agosto. “Stasera il bucato tocca a te,” disse con tono perentorio, poi guardò Tadashi. “Ti proibisco di aiutarlo.”
Shouyou emise un verso simile ad un ringhio.
Tadashi annuì e ridacchiò: forse, Kei aveva ragione ed era lui a vedere troppe cose nella loro permanenza a Seijou.
“Oh, il povero Principe Demone ha già raggiunto il suo limite!” Esclamò Kei con sarcasmo dal bordo del campo di grano. “Il sole è troppo alto, mio Principe? Rischiate di divenire polvere?”
Tobio si alzò ringhiando. “Vai al diavolo!” Sbottò tornando al lavoro e calpestando la tunica che Shouyou stava piegando con tanta cura del processo.
“Tobio!” Si lamentò il Principe dei Corvi.
Tadashi sospirò stancamente. Forse, nessuno di loro parlava di Karasuno ma una cosa era certa: se fossero tornati a casa, avrebbero nominato Seijou per molto tempo… Tutti e tre per ragioni differenti.
 
 
***
 
 
Avevano lasciato un biglietto, gli idioti.
Un biglietto in cui affermavano che i ragazzini sarebbero stati più al sicuro con un paio di adulti maturi e responsabili pronti a prendersi cura di loro. Alla parola adulti, Takahiro aveva già riso sotto i baffi ma lo sguardo raggelante del Primo Cavaliere aveva fatto passare a lui ed Issei qualsiasi attacco d’ilarità provocato da quell’assurda situazione.
Koutaro e Tetsuro erano fuggiti.
Altro modo di spiegarlo non c’era. Senza farne parola con nessuna, aveva preso i loro cavalli ed erano partiti per le campagne di Seijou… Prendendo Keiji e Kenma in ostaggio, probabilmente.
O, almeno, Takahiro ed Issei dubitavano che fossero loro complici in quel colpo di testa.
Hajime non avrebbe sbollito la rabbia in pochi giorni e, di sicuro, non si sarebbe dimenticato di farla pagare ad entrambi quando li avrebbe avuti di nuovo a portata di mano. Già erano fortunati che il Primo Cavaliere non si fosse mobilitato per riportarli al Castello Nero trascinati da un cavallo ma, dopotutto, Hajime era un uomo razionale: perché prendersi un disturbo inutile per consumare una vendetta che gli sarebbe stata comunque servita su di un piatto d’argento?
Koutaro e Tetsuro non potevano certo scappare per sempre e l’estate era, ormai, quasi finita.
Takahiro ed Issei, almeno, ora avevano modo di combattere la noia ipotizzando su quanto epico sarebbe stato il ritorno a corte dei due Re caduti. Sì, in un certo senso, potevano comprendere il motivo che aveva spinto Koutaro e Tetsuro ad andarsene. Da quando erano nati, i bambini non se ne erano mai andati a zonzo senza di loro ed il Castello Nero era terribilmente quieto senza Lev a far danni in giro, Kanji a cercare di far valere il suo onore di uomo di Dateko e Tobio… Beh, il Principe Demone li aveva abituati alle imprese contro i draghi, dopotutto.
Quello che i Cavalieri di Seijou non sapevano, però, era che Tetsuro e Koutaro si sarebbero pentiti amaramente di aver tagliato la corda così presto ma non per le ragioni che credevano.
“Hajime!”
Takahiro ed Issei si risvegliarono dal loro torpore lanciando un’occhiata all’ingresso della sala comune senza reale interesse. Entrambi drizzarono la schiena nel vedere il Re Demone sulla porta vestito con abiti semplici e l’arco alla mano.
Il Primo Cavaliere se ne era stato seduto al centro della stanza a borbottare tra sé e sé per quasi mezza giornata ma non fu meno sorpreso degli altri quando il Re attraversò la stanza per avvicinarsi a lui.
“Sei libero?” Domandò Tooru con un sorriso, come se non ci fosse nulla di strano nella sua presenza negli ambienti di solito frequentati solo dai Cavalieri. Qualche anno prima nessuno ci avrebbe fatto caso, sì, ma dopo che nell’esercito di Seijou erano tornati a far parte anche i soldati dei Regni presi con la forza, le cose erano cambiate.
Il Primo Cavaliere ed il Re Demone erano cambiati.
“S-Sì…” Rispose guardandosi intorno. Avevano gli occhi di tutti puntati addosso e quelli di Dateko, in particolare, sembravano guardarli in modo sospettoso.
“Grandioso!” Esclamò Tooru. “Vieni a caccia con me!” Non era una proposta, non era un ordine. Era il modo in cui Tooru aveva sempre parlato a Hajime prima che quel gioco di potere si mettesse tra loro avvelenando i sentimenti che provavano l’uno per l’altro.
Il Primo Cavaliere lo fissò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. “Tooru…”
“Avanti,” Tooru gli afferrò la mano e lo tirò in piedi.
Preso di sorpresa, il Cavaliere non oppose resistenza. “Tooru!”
“Sì, andiamo a tirare qualche freccia nella foresta!” Esclamò il Re Demone trascinandolo fuori. “Solo io e te, come ai vecchi tempi!”
Hajime farfugliò qualcosa in risposta ma non servì a nulla. In un’altra occasione, sarebbe anche riuscito a liberarsi dalla stretta di quelle dita per riprendere il controllo della situazione ma per riuscirci il sorriso di Tooru non avrebbe dovuto essere tanto luminoso d’abbagliarlo.
Issei storse la bocca in una smorfia. “Li seguiamo?” Domandò sporgendosi verso Takahiro.
Questi scrollò le spalle. “Aspettiamo…” disse. “Se ne torna solo uno, almeno dovremo organizzare una squadra di ricerca per trovare il cadavere dell’altro e sapremo come occupato tutto questo tempo dedicato alla noia.”
 
 
***
 
 
Il Corvo volò in alto e Tobio lo seguì con lo sguardo fino a che il sole non lo accecò e fu costretto ad abbassare gli occhi. “Lo hai fatto a posta,” disse a se stesso. Sollevò di nuovo il viso riparandosi dalla luce con una mano. Il Corvo planò, poi prese a volare orizzontalmente ad appena un palmo dalle spighe di grano.
Tobio sorrise ed infilò il guanto di pelle nera nella mano destra. Sollevò il braccio e piegò il gomito. Il Corvo lo raggiunse pochi istanti dopo e sentì distintamente gli artigli che si stringevano sulle sue dita. Non seppe perché ma quella sensazione gli infuse una certa euforia.
“Bene…” Commentò con un sorriso vittorioso accarezzando le piume corvine sul petto del rapace con le dita della mancina. Il Corvo aprì le ali e prese ad agitarsi. “Ehi! Idiota!” Sbottò Tobio distendendo il braccio per evitare di essere colpito in faccia.
Il volatile perse la presa sul guanto e cadde all’indietro tra le spighe di grano.
Tobio restò a fissare il punto in cui era sparito per un istante di allibito silenzio, poi lasciò andare una risatina sarcastica. “Alle volte ti dimentichi di avere le ali, piccolo e stupido Corvo?”
Una testa di capelli ribelli emerse dal mare di spighe e due occhi color ambra lo guardarono arrabbiati. “Quando ci proverai, potrai giudicarmi…” Si tirò in piedi. “Allora? Qualcosa da dire sul mio modo di volare?”
Tobio scrollò le spalle togliendosi il guanto di pelle nera. “Non ho mai visto un rapace volare come te, se vuoi saperlo.”
Shouyou sorrise come se gli avesse fatto un complimento. “Davvero?”
“Perché sei lusingato, ora?”
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle. “È una cosa che mi fa sentire speciale…”
Tobio si mise a sedere tra le spighe appoggiando le braccia sulle ginocchia. “Sei un ragazzo capace di tramutarsi in corvo,” gli fece notare. “Questo non ti fa sentire abbastanza speciale?”
Per un istante, l’espressione di Shouyou si fece seria, poi gli angoli della sua bocca si sollevarono di nuovo e si sedette accanto al Principe Demone. “Solo di recente…” Ammise. “A casa, il mio potere non era visto come qualcosa di speciale, lo sai. Per non parlare di quando mi arrabbiavo…”
Tobio lo guardò dubbioso. “Tu ti arrabbi?”
Shouyou ridacchiò. “Non fingere di non saperlo.”
“Credevo che farti arrabbiare fosse un talento solo mio e del Cavaliere stronzo.”
Il Principe dei Corvi e rise. “Tu e Kei avete un tocco speciale, lo devo ammettere!”
“Mi paragoni ad uno stronzo, ora?”
Shouyou gli lanciò un’occhiata eloquente. “Non mi piace usare queste parole, però…”
“Selvaggio ma ben educato, eh?”
“Non sono selvaggio!” Replicò Shouyou, poi ci pensò. “Forse, un pochino…”
Un pochino,” ripeté Tobio con una smorfia sarcastica. “Sei il ritratto del principino elegante e raffinato per eccellenza.”
Shouyou lo fissò intensamente per alcuni istanti. “Mi guarderesti se lo fossi?” Domandò con serietà.
Gli angoli della bocca di Tobio si abbassarono e ricambiò lo sguardo con la stessa intensità. “No,” ammise. “No, non m’interesseresti se lo fossi.”
Shouyou ridacchiò distendendosi tra le spighe, le mani appoggiate in grembo. “Perché sei un po’ selvaggio anche tu.”
Tobio fece lo stesso incrociando le braccia dietro la testa. “Non lo nego,” ammise. “Il semplice fatto che sia nato è uno strappo alla regola, dopotutto.”
“Lo stesso vale per me!” Disse Shouyou allegramente. “Eravamo destinati ad essere ribelli ancor prima di nascere, Tobio.”
Il Principe Demone accennò un sorriso. “Questo non ci ha impedito di essere la vergogna dei nostri genitori.”
“Beh… I nostri genitori sono cresciuti, sono diventati adulti responsabili ed ora è loro compito guidarci lungo una via più sicura.”
“Che prontamente ignoriamo.”
Shouyou ridacchiò, poi inarcò le sopracciglia e studiò il profilo del Principe Demone. “I tuoi genitori si vergognano di te?”
Tobio strinse le labbra ma continuò a fissare il cielo per non mostrare alcun cambiamento nella sua espressione. “Sono uno stronzo, ricordi?”
Shouyou si sollevò su di un gomito e l’altro fu costretto a guardarlo negli occhi. “Io non l’ho mai detto.”
“Mi hai paragonato a quel tuo Cavaliere.”
“L’hai fatto tu per primo,” replicò Shouyou. “Io non ti paragonerei mai a Kei.”
“Per quale motivo?” Domandò Tobio incuriosito.
Shouyou scrollò le spalle. “L’unica cosa che avete in comune è l’antipatia, nulla di più.”
“Gran consolazione…”
“Kei è un tipo… Annoiato.”
“Annoiato?”
“Sì, un annoiato ingiustificato,” continuò Shouyou. “È sempre il migliore in quello che fa senza sforzo e senza passione. Ha sempre avuto al suo fianco qualcuno di cui fidarsi: suo fratello per primo e Tadashi subito dopo. Dovrebbe dimostrargli qualche apprezzamento, ogni tanto. L’amicizia non è una cosa scontata…”
Tobio non replicò.
“Kei è… Sì, lui è annoiato col mondo intero,” Shouyou annuì. “Tu sei arrabbiato.”
Tobio trattenne il fiato per un istante.
“Non so per cosa,” ammise il Principe dei Corvi. “Non so con chi. Però, Tobio, questa è la sensazione che ho quanto sto con te… Non dico che tu non abbia un caratteraccio per natura ma, sì, sei arrabbiato.” Ridacchiò. “Ho sentito alcuni dei ragazzi… Tipo Yuutaro o Akira, dire che sei freddo, glaciale. Non lo sei. Sì, lo fai ma dovresti essere indifferente per essere davvero… Davvero freddo ma non lo sei! Ti ho visto tirare con l’arco! Ti ho visto affrontare quel drago guardandolo dritto negli occhi! Tu sei fuoco, Tobio! Hai una passione dentro che non vuoi mostrare a tutti ma è viva ed è forte! Ma sei arrabbiato… Sì, sei arrabbiato col mondo intero…”
Gli occhi d’ambra si fissarono in quelli blu del Principe Demone.
“…Vorrei capire perché.”
Tobio avrebbe potuto liberarsi da quella situazione senza sforzo: una risposta brusca, uno sbuffo, un insulto gratuito. Qualunque cosa e Shouyou si sarebbe fatto indietro… Per il momento. Tuttavia, cominciò a prendere in considerazione una seconda possibilità, una su cui non si era mai soffermato.
Sollevò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto di sfida. “Tu insegnami a volare,” disse alzandosi in piedi e guardando il piccolo Principe dall’alto verso il basso, “e se ne avrò voglia ti aiuterò a capire.”
Shouyou gonfiò le guance. “Ma non è giusto!” Si sollevò con un saltello, si sbilanciò un po’ troppo e si aggrappò alle braccia del Principe Demone. “Non si fanno così gli accordi! Non devi dire se ne avrò voglia, devi assicurarmi che mi darai qualcosa in cambio!”
Tobio fece un passo indietro e prese ad incamminarsi verso casa. “Sono uno stronzo, ricordi?”
“Io non ti ho mai chiamato così!” Esclamò Shouyou spintonandolo per gioco.
Tobio, però, la prese a modo suo. Si voltò di scatto, lo guardò male, poi cercò di afferrarlo.
Shouyou scattò all’indietro ridacchiando.
Il Principe Demone sbuffò. “Fatti prendere…”
“Non ci penso neanche!” Esclamò Shouyou cominciando a correre tra le spighe di grano.
Tobio gli fu immediatamente dietro. “Hai le gambe più corte delle mie, idiota.”
Il Principe dei Corvi si voltò a prese a correre all’indietro. “Ma sono più veloce!”
“Questo lo dici tu!”
“Va bene!” Shouyou rise. “Chi arriva prima a casa?”
“Affare fatto!”


 
***
 
 
Kenma sapeva che la fine di quell’estate sarebbe stata molto lunga non appena il carro che avevano rubato al Castello Nero entrò nel cortile interno della tenuta di campagna dalle pareti bianche. Il primo dettaglio che lo mise in allerta fu l’assenza del Principe Demone e del Principe dei Corvi e non lo rincuorò rendersi conto che era completamente inutile chiedere agli altri fanciulli.
Nessuno di loro sembrava felice della loro fuga, oltretutto.
Tranne Lev, certo ma Lev era sempre stato poco bravo a leggere le situazioni.
Ora che avevano degli adulti in giro, sebbene due non fossero esattamente maturi e responsabili, quei ragazzi si sentivano deprivati di una libertà che avevano inseguito appositamente allontanandosi da casa. Questo, ovviamente, non frenava in alcun modo l’entusiasmo di Koutaro e Tetsuro: avevano recuperato la scorta segreta di vino dalle cantine della tenuta ed avevano preso a torturare tutti i fanciulli, uno per uno, recuperando il tempo perduto nei giorni di noia che si erano lasciati alle spalle.
“Metto Keijiko a letto,” disse Keiji accarezzando la schiena della bimba addormentata tra le sue braccia. “Per ora la sistema nella vecchia camera di Tobio e mi riposo un po’ insieme a lei. Stasera ci accorderemo con i ragazzi per la sistemazione.”
Kenma allontanò la sua attenzione dallo spettacolo all’esterno ed annuì. “Tranquillo, faccio la guardia io,” disse tornando a guardare il cortile sottostante.
Keiji sospirò. “Se qualcosa prende fuoco o qualcuno muore o succede qualche altra tragedia di questo tipo…”
“Ti chiamo,” concluse Kenma incrociando le braccia contro il petto.
“A meno che non sia uno dei nostri uomini. Per quelli non mi scomodo.”
“Uhm… Uhm…” Il Mago annuì ed istante dopo il rumore di una porta che si apriva e richiudeva lo informò che era rimasto da solo.
Sotto di lui: la fiera dei Re senza vergogna.
“Yuutaro! Bevi! Ragazzo, bevi!” Esclamò Koutaro prendendo assestando delle violente pacche sulla schiena del povero e timido Cavaliere. “Bevi! Sei un gigante! Ci supererai tutti in altezza e ancora non sei mai stato con una donna! Almeno bevi!”
Kenma alzò gli occhi al cielo. “Come se questo bastasse a fare di un uomo quello che è…”
“Nessuno qui è mai stato con una donna!” Esclamò Yuutaro paonazzo in volto per l’imbarazzo.
“Parla per te!” Replicò Kanji a gran voce come se ne andasse del suo onore.
Tetsuro rise. “Mocciosi, donna è un concetto relativo in un mondo come il nostro. Ampliate le vostre possibilità!”
Kenma inarcò un sopracciglio: se avesse avuto qualcosa di pesante ma maneggevole a portata di mano, glielo avrebbe tirato dritto in testa e poi sarebbe anche riuscito a farlo passare per un incidente.
Quelle parole bastarono a scatenare la folla di ragazzini. Qualcuno rise, altri negare con un po’ troppa emotività di aver mai preso in considerazione un altro ragazzo come amante. Yuutaro divenne ancor più rosso, se possibile. Kanji si allontanò da quella discussione con un gesto seccato della mano. Lev si guardò intorno con un sorriso confuso senza intervenire in alcun modo.
Kenma sospirò e pensò che qualcosa di pesante avrebbe dovuto tirarlo in testa a lui: non poteva che migliorare a quel punto, no?
“Tobio! Ah! Tobio aspetta!”
Il suono delle risate di due fanciulli fu il suono che fece tacere tutti gli altri.
 
 
Shouyou perse quella gara solo per un paio di metri.
Si sentì afferrare per la vita ad appena tre o quattro passi dal cancello che conduceva al cortile interno della tenuta. Continuò a ridere quando la terra gli mancò sotto i piedi e si ritrovò a testa in giù.
“Tobio!” Esclamò rendendosi conto che il Principe Demone se lo era caricato in spalla come un sacco di patate.
“Hai perso!” Esclamò Tobio con un sorrisetto divertito avanzando come se il fanciullo sulla sua spalla non pesasse niente.
Shouyou rideva ancora. “Non hai vinto! Hai barato! Dovevi superarmi, non acchiapparmi!”
“Non ti agitare o ti faccio cadere!”
“Ma se stai ridendo!”
Appena un passo dopo il cancello, Tobio si fermò e smise di ridere nel vedere decine di paia di occhi puntati su di lui. No, non era verosimile aspettarsi che il cortile fosse vuoto a quell’ora ma non ci aveva pensato. Gli capitava spesso di smettere di pensare quando era con Shouyou.
In realtà, se si fosse trattato dei suoi allegri idioti o dei due di Karasuno non gliene sarebbe importato. Per quanto riguardava i giovani nobili del Castello Nero, non li avrebbe nemmeno degnati di uno sguardo. C’erano due visi familiari, però, tra quella piccola folla di giovani Cavalieri.
Due visi che non gli fece particolarmente piacere trovare anche lì.
Lasciò andare il fanciullo appeso alla sua spalla e Shouyou cadde a terra con un’esclamazione stridula ed un tonfo.
“Che cazzo sta succedendo qui?”
 
 
***
 
 
“Come sarebbe a dire che non è successo niente?!” Takahiro sgranò gli occhi sconvolto ed Issei ricambiò l’occhiata con una smorfia delusa.
La sala comune dei Cavalieri era quasi deserta e la partenza di Tetsuro e Koutaro l’aveva resa decisamente silenziosa. Hajime, però, non sembrava sorpreso da quella novità più che dalla reazione dei suoi più vecchi amici al suo breve rapporto di fine giornata. “Che cosa vi aspettavate?” Domandò inarcando le sopracciglia.
“Non lo so,” disse Takahiro con voce sarcastica. “Tu e Tooru…”
“Da soli nella Foresta…” Aggiunse Issei.
“Entrambi armati di arco.”
Hajime passò gli occhi verdi dal viso del primo a quello del secondo. “Non riesco a capire se siete delusi che nessuno sia morto o se vi aspettavate una storia volgare.”
Issei scrollò le spalle. “Uno dei due, probabilmente.”
“Ma tutti e due sarebbe stato meglio,” ammise Takahiro.
Hajime li squadrò ancora per un istante, poi vuotò il suo calice con un solo sorso e si alzò dalla panca senza dire una parola.
“No!” Esclamò Takahiro.
Issei lo afferrò per le spalle e lo costrinse a mettersi di nuovo seduto. “Senza fretta…”
“Ma che volete, idioti?”
“Oh, sono in momenti di tenerezza come questo che ci ricordiamo di quanto il piccolo Tobio ti assomigli!” Esclamò Takahiro con un sorriso amichevole. “Allora, ricapitolando… Siete andati nella foresta per tirare qualche freccia e…?”
“Abbiamo parlato di tutto e niente!” Esclamò Hajime esasperato. “Abbiamo parlato per lo più di Tobio e dopo di Seijou… Nel caso ve ne foste dimenticati, abbiamo un figlio ed un Regno in comune e, sì, capita che ne parliamo!” Sbatté entrambe le mani sul tavolo alzandosi in piedi di forza.
Issei e Takahiro alzarono le mani in segno di resa e lo lasciarono andare.
 
 
Se fosse stato completamente onesto con se stesso, Hajime avrebbe ammesso che il primo motivo per cui aveva accettato la compagnia di Tooru e lui aveva cercato la sua era lo stesso che aveva spinto Koutaro e Tetsuro ad andarsene e che aveva reso Issei e Takahiro isterici per un pomeriggio di caccia nella Foresta: la noia.
Da quando era nato, quella era prima volta che Tobio se ne andava in giro di sua iniziativa e non per seguire uno dei due genitori verso il compimento di un’altra leggendaria impresa. Sì, era capitato che Hajime si allontanasse dalla sua famiglia per qualche giorno e Tooru era scomparso per ben sei mesi quando Tobio era ancora bambino. Di fatto, però, erano quasi quindici anni che Hajime e Tooru non si ritrovavano da soli l’uno con l’altro, senza un figlio che ricordasse loro perché erano ancora insieme.
Il Re Demone, tuttavia, non parve in alcun modo sorpreso quando aprì la porta delle sue stanze private e se lo ritrovò davanti. Hajime non poté evitare di notare che aveva l’aria assonnata ma Tooru gli sorrise come se gli avesse fatto una bella sorpresa. “Hajime!”
Il Primo Cavaliere sbatté le palpebre un paio di volte cercando qualcosa d’intelligente da dire. “Io… Ecco… Posso entrare?”
“Certamente!” Esclamò il Re facendosi da parte per permettere al Cavaliere di entrare.
Hajime lo fece stringendo le spalle, come se fosse un intruso in un ambiente sconosciuto e non fosse uscito ed entrato da quelle stanze per tutta la vita.
“Ho fatto lasciare del vino,” disse Tooru precedendolo al centro del salottino privato. “Ne vuoi un po’?”
“Sì, grazie…” Disse Hajime guardandosi intorno come se vedesse quel salotto privato per la prima volta. Il rumore del vino che veniva versato in un calice lo fece voltare. “Non era necessario, Tooru.”
Il Re lo guardò confuso riappoggiando la caraffa sul tavolo e prendendo i due calici lucenti con un sorrisetto. “Che cosa c’è, Hajime?”
Il Cavaliere si morsicò il labbro inferiore. “Avrei dovuto farlo io…”
Tooru reclinò la testa da un lato ridacchiando. “Che cosa stai dicendo, Hajime?” Domandò porgendo al Cavaliere il proprio calice.
Hajime accettò l’offerta. “Bhe… Tu sei… Io sono…”
Il Re gli premette l’indice contro le labbra. Un gesto intimo, naturale, a cui Hajime si era abituato in un’altra vita. O, forse, quei giorni erano distanti da loro solo di pochi anni.
“Non so cosa vuoi dire ma sono certo che è una sciocchezza,” disse Tooru con quel suo fare un po’ infantile ed un po’ stupido.
Hajime fece una smorfia annoiata. “Finiscila…”
Tooru ridacchiò. “Così va meglio,” si sedette su una delle poltrone davanti al caminetto spento e invitò il Cavaliere ad accomodarsi su quella che aveva di fronte con un gesto della mano. “Avanti, fammi compagnia…”
“Avevi l’aria assonnata quando ho aperto,” commentò Hajime facendo come gli veniva detto.
“Sì, mi sono assopito sulla poltrona,” ammise Tooru. “Ho fatto uno strano sogno…”
Hajime sospirò. “Non credo di voler sentire altre storie su sogni strani.”
Tooru ridacchiò. “Tranquillo, questo era bello. C’eri anche tu: avevi una bellissima bambina con grandi occhi blu tra le braccia, la guardavi completamente innamorato ed io ti prendevo in giro perché eri dovuto diventare vecchio per trovare la Principessa del tuo cuore come ogni buon Cavaliere degno di tale nome.”
Hajime lo guardò offeso. “Ho un figlio di quasi quindici anni e potrei essere suo fratello!”
Il Re rise ed anche in modo abbastanza insopportabile. “Sì, un fratello molto maggiore!” Esclamò divertito. “Avevamo diciassette anni, Hajime, non dodici.”
“Eravamo comunque troppo giovani…”
“Non lo pensavi allora,” replicò Tooru. “Non lo pensavi nemmeno quando ne avevamo quindici e ci siamo giurati amore eterno.”
“Forse ma sono felice che Tobio sia arrivato solo due anni dopo,” ammise il Cavaliere.
“Hai ragione,” Tooru annuì. “Era giusto che avessimo del tempo per stare insieme, prima di essere genitori.”
Hajime annuì a sua volta. “Tuttavia, spero che Tobio non segua le nostre orme e si prenda il suo tempo.”
Il Re rise di nuovo. “Mio caro Cavaliere, all’età del nostro unico erede eravamo già vittime delle pene d’amore, mentre Tobio sembra essere la creatura più distante da simili questioni.”
“Questo un po’ mi consola,” ammise Hajime. “Ed un po’ mi preoccupa.”
Tooru gli lanciò un’occhiata maliziosa. “S’infilerà tra le cosce di qualche creatura affamata di desiderio, prima o poi, vedrai…”
Hajime sbuffò. “Non intendevo questo!”
“No, i padri dei figli maschi non ci pensano mai!”
“Tu volevi che si sposasse!”
“Io lo voglio ancora!” Ammise Tooru senza problemi. “Non ho più alcun potere su di lui, sempre ammesso che l’abbia mai avuto…”
“Alla fine, te ne sei accorto.”
“Tuttavia, se lui e Shouyou…” Il Re non andò avanti e prese un altro sorso di vino portando lo sguardo alle grandi finestre della stanza. “Quest’estate non finirà mai troppo presto.”
Hajime comprese che stava pensando alla verità che avrebbero dovuto svelare a Tobio e Shouyou non appena fossero tornati. “E quando accadrà sarà finita troppo presto,” replicò, poi alzò il calice accennando un sorriso. “Ai segreti svelati.”
Tooru sorrise a sua volta e ricambiò il gesto. “E a chi resta anche dopo che la verità viene alla luce.”
 
 
***
 
 
“E questo è quanto,” concluse Kenma con un sospiro stanco.
Tobio se ne rimase con la schiena appoggiata al davanzale del caminetto spento, le braccia incrociate contro il petto. Puntò gli occhi blu sui due Re che sedevano scompostamente sul divano di fronte a lui. Sia Tetsuro che Koutaro sorridevano. Il primo assomigliava ad un bandito con male intenzioni, il secondo ad un completo idiota. Tornò a guardare Kenma, in piedi accanto ai due folli. Gli aveva raccontato tutto: della calma piatta al Castello Nero, della noia generale che era seguito e di come quei due Re caduti avessero deciso di porre rimedio alla questione a modo loro.
Solo alla fine, Tobio guardò Keiji e, soprattutto, guardò la bambina semi-addormentata tra le sue braccia. Strinse le labbra e sospirò: se non fosse stato per Keijiko avrebbe buttato quei due fuori a calci ignorando il fatto che il sole fosse tramontato. Quella Principessa, però, aveva ancora bisogno di credere che suo padre fosse un eroe.
“Accomodatevi nella dependance,” ordinò. “Qui dentro siamo già uno sopra l’altro per colpa di quegli idioti di nobili Demoni.”
Gli occhi di Tetsuro e Koutaro s’illuminarono.
“Grazie, mio Principe,” rispose Keiji a nome di tutti alzandosi stringendo sua figlia tra le braccia. “Tornati a casa, questi due affronteranno le conseguenze delle loro azioni con vostro padre.”
I due Re guardarono l’Arciere come se fossero dei bambini traditi da uno dei loro genitori.
“La questione non mi riguarda,” ammise Tobio. “Spetterà a mio padre agire come meglio crede. Sono i suoi uomini.”
Keiji annuì ed il Principe non si lasciò sfuggire la luce soddisfatta che gli illuminò il viso per un istante. “Col vostro permesso, ci ritiriamo,” disse. “Mia figlia è stanca e…”
“Prego,” concesse loro Tobio. “Fatevi aiutare da Lev e Kanji per rendere la dependance confortevole,” puntò l’indice contro i due Re seduti sul divano. “Domani li seguirete nei campi senza fare storie.”
Koutaro e Tetsuro provarono ad obbiettare ma un’occhiata di traverso da parte di Keiji e Kenma su sufficiente e farli tacere.
“Sarà fatto, mio Principe,” disse l’Arciere, poi indicò le scale ai due accusati con un cenno del capo.
Sia Koutaro che Tetsuro si alzarono in piedi imbronciati come due bambini delusi e seguirono Keiji senza dire una parola di più.
Una volta che furono spariti dalla sua vista, Tobio storse la bocca in una smorfia. “Che idioti…”
“Mi trovate completamente d’accordo.”
Il Principe Demone quasi sobbalzò e dovette voltare lo sguardo per ricordarsi della quarta persona che era stata nella stanza per tutto il tempo. Kenma era stato l’unico a parlare ma era stato il primo di cui Tobio si era dimenticato. Dischiuse le labbra per dire qualcosa, scusarsi, forse…
“Non c’è problema, mio Principe,” lo precedette il Mago sedendosi al centro del divano lasciato libero dai due Re. “Essere invisibile è uno dei miei poteri,” ammise accennando un sorriso. “Può non essere efficace come quello del vostro Principe Corvo ma…”
dei Corvi,” lo corresse Tobio. “Shouyou è il Principe dei Corvi.”
Kenma sospirò. “Sapete cosa intendo…”
“Passi dal voi al tu continuamente… Lo fate tutti con me. È come se non sapeste quanta distanza di sicurezza tenere.”
“Voi cosa preferite?” Domandò Kenma con tono diretto.
“Fa come preferisci, Kenma,” ammise Tobio. “Non sei tu o quegli idioti che dovete piegare la testa al mio cospetto.”
“Secondo le regole, tutti noi dovremmo.”
“Di che cosa vuoi parlarmi, Kenma?” Tagliò corto il Principe Demone. “Perché sei rimasto per dirmi qualcosa, no? Dopotutto, sei l’unico membro delle famiglie reali messe in ginocchio dal Re Demone che prova ancora un qualche rispetto per lui.”
“Quello che provo per vostra madre è un po’ più complicato di così.”
“Non m’interessa,” ammise Tobio. “Non sono affari miei. So che parlate, però e so anche di cosa.”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Il Re Demone…”
“Il Re Demone non mi dice niente,” lo interruppe Tobio. “Qualunque trama abbia preso forma nella sua testa, non ne conosco i dettagli. So solo due cose: che ne faccio parte e che non ho alcuna intenzione di assecondarlo.”
“Oh, mio Principe…” Il Mago sospirò ancora una volta. “Credetemi, Tooru ne è perfettamente consapevole ora.”
“Allora è tempo che sia perfettamente consapevole anche io.”
“Che cosa volete dire?”
Tobio fece un paio di passi verso il divano. “Quale è la vera ragione per cui Tooru hai tanta paura di me?” Domandò. “Perché vuole che scelga Shouyou con tanto entusiasmo? Perché…”
“Mi ponete domande di cui conosco la risposta, mio giovane signore,” lo interruppe il Mago. “Ma non ho il diritto né la volontà di concedervele.”
Tobio sbuffò. “Ordine di Tooru.”
“In realtà, è volontà di entrambi i vostri genitori parlarvene di persone al momento giusto.”
“E sarebbe?”
Kenma strinse le labbra per un istante. “Quando tornerete… Alla fine dell’estate…” Questo poteva dirglielo se poteva aiutarlo in qualche modo a prepararsi al cataclisma a cui stava andando incontro.
Tobio annuì due volte. “E tu che cosa vorresti dirmi, intanto?”
“Voglio parlare del vostro Principe.”
“Shouyou non è mio.”
“Quante volte al giorno lo ripetete a voi stesso?”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Prego?”
“Avete voluto che restasse con voi,” gli ricordò Kenma. “E l’avete fatto sapendo che sarebbe stata una vostra responsabilità e di nessun altro.”
“E con questo?”
“È vostro,” concluse il Mago con una scrollata di spalle. “Non in quanto proprietà, ben inteso. Tuttavia, siete stato voi a dargli qualcosa che nessuno prima gli ha mai concesso e, immagino, che Shouyou abbia ricambiato il favore a modo suo.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Kenma, tieni per te i tuoi complicati discorsi insensati,” disse. “Ho voluto che Shouyou restasse. Ho voluto dargli la possibilità di essere padrone del suo potere, di essere quello che è necessario che sia ma alle sue condizioni.”
“Perché?” Era una domanda semplice quella di Kenma. Una domanda che, in un certo senso, Tooru gli aveva già rivolto e a cui Tobio non aveva mai risposto realmente.
Il Principe Demone strinse le labbra e si voltò verso il caminetto spento. “Sei venuto fino a qui per Shouyou, vero?” Ancora una volta, evitò la vera risposta a quella semplice domanda.
Kenma, però, a differenza di Tooru, ebbe pietà di lui. “Sono qui per entrambi, mio giovane signore,” ammise. “Non dubito delle vostre capacità come Cavaliere o Principe. Siete il degno figlio dei vostri genitori ma la Magia è un’arte… Complicata.”
Tobio lo guardò da sopra la spalla. “Vuoi aiutare Shouyou con i suoi poteri?”
“Non voglio essere di troppo tra voi due,” ammise Kenma. “Ma voglio essere una guida, se mi è possibile…”
Il Principe Demone si voltò nuovamente. “Diventa più forte,” gli confidò incrociando le braccia contro il petto. “Più prende confidenza con il suo potere, meno lo teme e… Sì, diventa ogni giorno più forte. È anche più bravo con la spada. No, è ancora un mezzo disastro ma il modo in cui si muove, il modo in cui reagisce…”
“Non ha più paura di se stesso, mio Principe,” disse Kenma. “Questo è un potere enorme, Tobio. Più potente di qualsiasi magia.”
Il Principe Demone annuì. “C’è qualcosa che non sono più riuscito a tirare fuori, però.”
Kenma inarcò le sopracciglia. “Di che parlate?”
“C’è qualcosa del potere di Shouyou che lo spaventa ancora,” Tobio fece una smorfia. “Credo che il suo primo problema sia con la rabbia, piuttosto che col suo potere, in realtà…”
“Shouyou cambia quando è arrabbiato?”
“Diciamo che tira fuori una forza completamente inspiegabile,” raccontò Tobio a modo suo. “Ha spezzato due spade con un colpo la prima volta che gliel’ho visto fare. È impulsivo per natura e il suo potere reagisce alla sua rabbia nello stesso modo.”
“Ci sono cambiamenti fisici?”
“Il colore degli occhi,” ammise Tobio. “Divengono come quelli di un rapace e, credimi, non è un bello spettacolo su quel faccino da bambino del cazzo che si ritrova. È inquietante.”
Kenma annuì. “Shouyou che ne pensa?”
“Ne è terrorizzato ed io gli ho giurato che non lo spingerò ad usarlo se c’è il rischio che questo divenga una lama a doppio taglio ma…”
“Ma per essere davvero padrone del suo potere, deve saperlo conoscere fino in fondo,” concluse Kenma. “Vuoi che vi aiuti in questo?”
“Non ora,” rispose Tobio. “Ma se il momento verrà…”
“Sarò preparato.” Kenma si alzò in piedi. “Ho il permesso di ritirarmi, mio giovane signore? Sono molto stanco per il viaggio e…”
“Sì, vai pure,” gli concesse Tobio.
Kenma annuì: la loro conversazione non era realmente terminata ma quelle non era questioni che si potessero affrontare in una sera, sperando che non vi fossero conseguenze.
“Ed io sarò preparato?”
Kenma si fermò dopo solo un gradino. “Come, mio signore?”
C’era malinconia negli occhi blu di Tobio quando incrociarono i suoi. “Io sarò preparato quando il momento arriverà?” Domandò.
Di colpo, Kenma si ricordò che quello che aveva davanti era un fanciullo che non aveva ancora compiuto quindici anni. Il Principe Demone era un bambino. Da quando era nato, lo avevano sempre guardato immaginandosi come sarebbe cresciuto il Principe destinato a regnare su tutti i Regni liberi ed il fatto che stessero gettando quel destino sulle spalle di un ragazzino non li aveva mai nemmeno sfiorati.
“Sei forte, Tobio,” disse Kenma mettendo da parte qualsiasi fredda formalità.
“Lo so,” replicò il Principe Demone.
“No,” Kenma accennò un sorriso. “Sei molto più forte di quel che credi. Solo che anche tu devi ancora imparare a conoscere fino in fondo il tuo potere.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Sono un essere umano…”
“Te l’ho già detto,” disse Kenma con pazienza. “Esistono poteri più potenti di qualsiasi magia.”
 
 
***
 
 
“Ti fa ancora male la testa?”
Shouyou allontanò lo sguardo dalla finestra appoggiando la nuca al bordo della vasca. “Eh?”
Tadashi sorrise raccogliendo gli abiti sporchi del suo Principe da terra. “La testa,” disse tamburellando l’indice sul proprio capo. “L’hai battuta abbastanza forte quando Tobio ti ha fatto cadere.”
“Oh…” Shouyou si massaggiò la nuca distrattamente. “Me ne ero dimenticato.”
“Meglio così!” Esclamò Tadashi inginocchiandosi accanto alla vasca. “Oh, scusa… Vuoi che ti lasci da solo?”
“No,” Shouyou accennò un sorriso stringendosi le ginocchia al petto. “Mi fa piacere avere un po’ di compagnia… La compagnia di qualcuno che non è perennemente imbronciato, almeno.”
Tadashi rise. “So cosa significa.”
“Oh, giusto!” Anche Shouyou ridacchiò. “Tu non sei molto più fortunato di me in questo!”
“Kei non riesce ad adattarsi,” ammise Tadashi con un sospiro stanco. “Troppi ragazzi, troppo rumore…”
“Pensavo avesse rinunciato a cercare di fuggire dal caos stando con me!”
“Diciamo che a Karasuno sapeva come muoversi. Qui è diverso…”
“Già…” Shouyou si umettò le labbra. “È diverso…” Tornò a guardare il cielo ormai scuro fuori dalla finestra.
Tadashi sorrise con se stesso. “Immagino che per ognuno di noi sia diverso a modo suo.”
Shouyou tornò a guardarlo e le guance si fecero un po’ rosse. “Hai detto a Kei come mi sento io qui, a Seijou?”
Tadashi sgranò gli occhi, poi scosse la testa. “Non mi permetterei mai, Shouyou.”
“Non ci sarebbe nulla di male,” ammise il Principe dei Corvi. “Però, immagino la faccia che farebbe Kei se sapesse che sono l’unico ad essere felice qui.”
“Non sei l’unico,” ammise Tadashi alzandosi in piedi per recuperare la spugna e i sali dal tavolo da bagno. “Anche io sto bene qui a Seijou.”
Shouyou lo guardò sorpreso. “Davvero?”
“Sì,” Tadashi gli porse la spugna ed una delle boccette. “Preferisci fare da solo?”
“Sì, grazie,” Shouyou prese a strofinarsi la pelle con cura. “Pensavo che non ti facesse piacere vedere Kei così.”
“Non mi fa piacere, infatti,” ammise Tadashi. “Tuttavia, sono passati anni dall’ultima volta che io e lui abbiamo passato così tanto tempo insieme e…”
Shouyou lo guardò con gli occhi sgranati. “Oh, alla corte eravamo un po’ troppo…”
“Non è colpa tua o degli altri, Shouyou,” lo interruppe Tadashi con gentilezza. “Il castello degli Tsukishima è piuttosto isolato rispetto alle grandi città di Karasuno. Sempre ammesso che si possano definire grandi rispetto alla capitale di Seijou.”
“Già…” Shouyou annuì. “Il mondo che abbiamo definito nostro si è fatto improvvisamente piccolo e stretto da quando siamo arrivati al Castello Nero.”
“Per te lo è sempre stato,” gli ricordò Tadashi.
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle con un sorrisetto. “È vero…”
“Per me è sempre stato il contrario,” raccontò l’altro. “Il castello degli Tsukishima era il piccolo mondo che dividevo con Kei e mi bastava… Eravamo solo bambini ed avevamo esigenza diverse ma credo che mi basterebbe ancora.”
Shouyou lo guardò sinceramente dispiaciuto. “Tadashi, io non volevo…”
“No,” Tadashi scosse la testa. “Qui mi sembra di aver ritrovato quello che avevamo,” ammise. “Alla corte di Karasuno, Kei aveva gli occhi di tutti puntati su di sé e, di contro, non faceva che allontanarsi da tutto e tutti… Anche da me. Ora, qui, non abbiamo altro che l’un l’altro e mi piace. È egoista ma mi piace.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Tu vuoi bene a Kei…” Non era una domanda ma c’era comunque della confusione nella sua voce.
Tadashi ridacchiò nervosamente. “Siamo cresciuti insieme…”
“Sì, ma…” Shouyou non sapeva come chiederlo. “Tu gli vuoi bene davvero…”
Tadashi sentì le guance farsi calde ma si sforzò di non abbassare lo sguardo: sarebbe stato come confessare un segreto troppo intimo per essere condiviso. “E tu vuoi bene a Tobio?” Lo chiese gentilmente ma fu un colpo basso, codardo.
Per sua fortuna, Shouyou era abbastanza ingenuo da non accorgersene. “Tadashi…” Disse con tono vagamente esasperato.
L’altro rise. “Sai, Shouyou? Io e te siamo opposti da questo punto di vista,” disse. “A me Kei è sempre bastato. Tu, invece, sei sempre stato circondato da tante persone. È strano vederti passare il tuo tempo solo con Tobio.”
Shouyou scrollò le spalle. “Lui sa del mio potere ma questo non significa che sia pronto a dirlo a chiunque.”
“Non mi riferivo solo a quello,” disse Tadashi. “Il tempo che passi a volare, Tobio è con noi e fa il Principe. Negli altri momenti, però… La maggior parte del giorno, a dire il vero…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Vuoi chiedermi qualcosa ma non riesco a capire cosa.”
“Te l’ho già chiesto,” disse Tadashi. “Vuoi bene a Tobio? Gli vuoi bene del tipo che ti basta?”
Il Principe dei Corvi dischiuse le labbra ma non pronunciò una singola parola.
“Ehi…” Kei entrò nella sala da bagno senza annunciarsi in alcun modo.
Tadashi sobbalzò e Shouyou si strinse le ginocchia contro il petto. “Ma non si bussa?”
Il Cavaliere lo guardò con fare annoiato. “Figurarsi…” Disse. “Il Principe dei tiranni ha sistemato gli idioti fuggiaschi nella dependance. Così a noi restano le nostre stanze e non dobbiamo stringerci ancor di più.”
Tadashi annuì. “Bene…” Si alzò in piedi per recuperare un asciugamano pulito per il suo Principe.
“Tobio?” Domandò Shouyou.
“Ti aspetta nella vostra stanza,” replicò Kei.
Shouyou arrossì. “Non è la nostra…” Scosse la testa. “Dormo da solo in quella camera da letto!”
Kei inarcò le sopracciglia. “E perché credi che m’interessi?”
“Kei…” Tadashi si portò davanti a lui. “Devo aiutare Shouyou, puoi uscire per cortesia?”
Il Cavaliere passò gli occhi dal Principe nella vasca da bagno al giovane con cui era cresciuto. “Come se ci fosse qualcosa d’interessante da vedere,” disse prima di uscire dalla porta.
Tadashi strinse le labbra. “Non dovresti guardarlo, se lo pensassi davvero…”
“Come?”
Il giovane si voltò ed il Principe ricambiò lo sguardo confuso. “Niente, Shouyou,” disse forzando un sorriso. “Avanti, ti aiuto ad asciugarti.”
 
 
***
 
 
Hajime non ricordava come erano finiti stesi sul tappeto come due ragazzini senza maniere ma qualcosa gli diceva che la brocca di vino vuota lasciata sul tavolo doveva avere avuto la sua parte.
“E ti ricordi quella volta che Kentaro si è messo in piedi sul tavolo al centro della sala comune urlando come un orco quanto amava Shigeru!” Esclamò Tooru.
Il Cavaliere rise. “Issei e Takahiro non facevano che correre di qua e di là con le braccia sollevate gridando al miracolo!”
“Ed il povero Shigeru voleva solo che qualcuno gli scavasse una fossa per potercisi buttare… Di testa, probabilmente…”
Hajime rise ancor di più. “Merda, che caldo…” Si liberò della tunica senza troppe cerimonie e si slacciò la cintura per stare più comodo.
C’era mezzo metro a separarli. I calici ormai vuoti dimenticati sul pavimento.
Tooru lo guardò, poi riprese a ridere completamente da solo.
Il Cavaliere si voltò e ne studiò il profilo perfetto. “Che cosa c’è di così divertente?”
“Devo farti una domanda,” rispose il Re. “Ed avrò il coraggio di farla solo perché penso di essere abbastanza ubriaco?”
Hajime piegò un braccio e se lo appoggiò sulla fronte. “Abbastanza?” Domandò divertito. “Che cosa vuoi domandarmi?”
Tooru si stiracchiò. “Mi chiedevo da quanto tempo non ti scaldi con qualcuno?”
Se fosse stato lucido, probabilmente, il Cavaliere lo avrebbe guardato freddamente e gli avrebbe risposto nel peggiore dei modi. Il vino, però, contribuì enormemente a rendere le cose meno tragiche.
Hajime rise di nuovo. “Il vino riaccende vecchi desideri, Tooru?” Domandò. Era abbastanza brillo per non preoccuparsi della sua dignità calpestata.
Tooru ridacchiò mordicchiandosi il labbro inferiore. “Potrebbe esserci tutto il rancore di questo mondo tra di noi, Hajime ma mi concederei a te senza pensarci due volte se solo tu fossi meno orgoglioso.”
Hajime scosse la testa con una smorfia. “Lo abbiamo fatto per due anni e ci siamo solo fatti male…”
“Sì, molto male,” ammise Tooru con quel sorrisetto insopportabile. “Tra un orgasmo da spezzare il fiato e l’altro.”
Hajime chiuse gli occhi sentendo la stanchezza della giornata avere la meglio. “Il sesso ci è sempre venuto bene…”
“Abbiamo imparato il significato di desiderio l’uno sul corpo dell’altro,” gli ricordò Tooru. “Non sarebbe potuto essere altrimenti.”
“Ci siamo amanti, Tooru,” replicò Hajime fissando il soffitto un po’ troppo intensamente. “Ci siamo amati davvero, tutto il resto era naturale…”
Tooru si voltò e studiò il profilo del suo Cavaliere per qualche istante. “Non hai risposto alla mia domanda, però…”
Gli occhi verdi del Cavaliere si persero in quelli grandi e scuri del Re. “Lo farò se risponderai alla mia per primo.”
Tooru sorrise. “È una di quelle in cui il vino potrebbe aiutare?”
“Probabilmente…”
“Ti ascolto…”
Hajime sarebbe voluto tornare a guardare il soffitto ma era già abbastanza codardo affrontare quella conversazione da mezzo ubriaco per provare anche a nascondersi. “Sei il suo amante?”
La linea della bocca di Tooru si fece dura, quasi astiosa, poi scoppiò a ridere: un modo per dissimulare le emozioni negative. “No, ci vorrebbe molto più vino per questo…”
“Più vino e non riusciremo più nemmeno a dire una parola di senso compiuto.”
Tooru ridacchiò ma non era più allegro. “Mio malgrado, hai ragione…”
“Allora?” Insistette il Cavaliere. “Mi hai rivelato i segreti di quei sogni, Tooru. È troppo tardi per avere paura della verità…”
Tooru annuì. “Per un po’ lo siamo stati…” Ammise e non senza sforzo. “Ma non è andata come pensi tu o molti altri. Wakatoshi non è… Ci sono stati tre amanti nella sua vita ed io non so nemmeno che ruolo avere in questo terzetto. Eravamo qualcosa ma non eravamo abbastanza... Non era destino, Hajime. Non lo è mai stato.”
Il Cavaliere tornò a guardare il soffitto e si prese il labbro inferiore tra i denti. “Lo hai mai amato?”
Tooru si strozzò con una risata. “Hajime…”
“Cosa?”
Gli occhi verdi del Cavaliere incontrarono di nuovo quelli scuri del suo Re.
“Stai per dirmi che non potresti mai amare nessuno come hai amato me o qualche altra sciocchezza simile?” Domandò Hajime quasi divertito.
Tooru, però, non rideva più. “Sì…” Mormorò. “Sì, non potrò mai amare nessuno come ho amato te. Non potrò mai vivere un amore simile neanche volendo e lo sai. Non potrò più crescere con nessun altro. Non ci sarà più nessuno a rubarmi il mio primo bacio o ad amarmi per la prima volta. Non ci sarà più nessuno per cui combatterò una guerra o a cui darò un figlio.”
Hajime dovette allontanare lo sguardo. “Perché continuiamo a raccontarci sempre la stessa storia, Tooru?”
Il Re si distese prono sollevandosi sui gomiti per poter guardare il suo Cavaliere. “Forse, perché è la storia più bella che conosciamo,” disse prendendo a giocherellare con i capelli corvini dell’altro. “O, forse, perché non è ancora finita.”
Hajime lo guardò quasi con fare accusatorio. “Non puoi farmi questo, Tooru.”
Il Re strinse le labbra offeso. “Non sto facendo niente.”
Il Cavaliere gli afferrò il polso con un po’ troppa forza spingendolo con rabbia contro il tappeto. “Ti ho detto di smetterla.”
Tooru non era intimorito neanche lontanamente. “Io la smetto se cominci tu…” Mormorò sollevandosi.
Fu Hajime ad aver paura di quegli occhi scuri, a quel punto. Paura di perdervisi come gli succedeva da quando era solo un fanciullo. Strinse le labbra e si costrinse a mantenere il controllo. “Non credo che potrei gestire una storia con un amante, Tooru.”
Il Re ridacchiò. “Un uomo non può vivere solo di armi, lo sai?” Disse passandogli una mano tra i capelli. “Sei un eroe, Hajime. Potresti avere chi vuoi…”
Il Cavaliere scosse la testa. “Non credo sarei capace di andare a letto con qualcuno senza affezionarmici, alla fine.”
“L’affetto non è tassativo come l’amore, dopotutto.”
“Questo vale per me ma ci sarebbe il cuore di un’altra persone di mezzo.”
“Il cuore è una faccenda complicata, vero? Io e te lo sappiamo bene…”
Hajime annuì e fece per alzarsi ma un giramento di testa non lo fece andare molto lontano. Gli venne da ridere e sentì che Tooru faceva lo stesso. “Vieni,” disse il Re afferrandogli la mano ed aiutandolo ad alzarsi. “Andiamo a letto, su.”
Il Cavaliere scoppiò di nuovo a ridere. “Sono ubriaco ma non abbastanza per questo…”
“No, penso che tu sia sufficientemente ubriaco per dormire in un letto non tuo,” disse Tooru tirandolo verso la camera da letto. “Ci manca solo che lasci che il mio Primo Cavaliere scenda tutte quelle scale di pietra con il rischio che ci rimetta la testa.”
“Non sono messo così male,” disse Hajime con un broncio. Completamente dimentico della cintura slacciata, non fece nulla per impedire ai pantaloni di scendergli fino alle caviglie. Inciampò e cadde rovinosamente sopra il suo Re.
Tooru scoppiò a ridere. “Prova a ripeterlo adesso, mio Cavaliere.”
 
 
***
 
 
Shouyou prese a torturarsi il labbro inferiore con nervosismo sporgendosi quanto poteva per rendersi conto della portata del salto nel vuoto che avrebbero fatto se fosse finita male.
Alla fine scosse la testa e si voltò verso il genio che era l’unico responsabile di quella folle idea.
“Non credo sia una buona idea,” concluse.
“Non deve esserlo per te,” replicò Tobio. “Se va male, tu puoi sempre volare via. Quello folle devo essere io.”
Shouyou non si sentì rassicurato neanche un po’. Si sporse di nuovo oltre il bordo dell’altura: la cascata non era poi così alta e, nella peggiore delle ipotesi, avrebbe fatto un brutto tuffo in acqua ma nessuno si sarebbe fatto male in modo grave.
Shouyou, però, proprio non riusciva a sentirsi tranquillo. “Tobio, ascolta, non…” Non ebbe il tempo di finire di parlare. Qualcosa lo spinse oltre il bordo dell’altura e la terra gli mancò sotto i piedi. Venne preso tanto di sorpresa che non ebbe neanche il tempo di trasformarsi.
L’impatto con l’acqua non fu dei migliori.
Shouyou riemerse quasi immediatamente, i vestiti appiccicati addosso, i capelli davanti agli occhi, la bocca spalancata per ingoiare aria.
“Maledizione…” Imprecò Tobio alle sue spalle. “Dai, riproviamo…”
Shouyou si voltò, gli occhi d’ambra sgranati per la rabbia. “Tobio! Che diavolo credevi di fare?!”
Il Principe Demone sospirò annoiato. “La prima volta che lo hai fatto è stato in un momento di panico, no?”
“Panico? Mi si è fermato il cuore, maledizione!” Shouyou uscì dall’acqua a fatica, la testa bassa.
Tobio lo guardò fisso. “Ehi…” Lo richiamò, sebbene con poca gentilezza. “Ehi, stupido…”
Shouyou si voltò di scatto, i grandi occhi pieni di lacrime. “Non ho voglia di parlarti, adesso!” Si sedette sotto l’albero più vicino alla sponda del laghetto tirando su con il naso.
Tobio se ne rimase in acqua a fissarlo attonito per alcuni istante. “Shouyou…” Chiamò uscendo dall’acqua. Si passò una mano tra i capelli neri tirandoli all’indietro.
Il Principe dei Corvi fece finta di non averlo sentito. Si liberò degli stivali, poi dei pantaloni. Si spettinò i capelli già ribelli.
“Shouyou!” Tobio s’inginocchiò davanti a lui e lo afferrò per le spalle. “Non m’ignorare!”
Il Principe dei Corvi si fece indietro facendo aderire la schiena al trono dell’albero.
“Ti ho spaventato?” Domandò Tobio. “È per questo che stai per scoppiare a piangere come un bambino?”
Shouyou lo guardò freddamente ed il Principe Demone si sentì come se qualcuno lo avesse preso a calci nello stomaco. Non c’era niente di giusto in quell’espressione sul viso del Principe dei Corvi. Assolutamente niente.
“Scusami…” Tobio lo disse senza rendersene conto. “Scusami, non volevo spaventarti.”
Il viso di Shouyou si addolcì immediatamente. “Non sei abituato a chiedere scusa, vero?”
Tobio si mise a sedere sull’erba e si tolse la tunica bagnata solo per avere qualcosa da fare e non dover guardare l’altro Principe negli occhi.
Shouyou si fece più vicino appoggiando il mento sulla sua spalla con un sorrisetto.
“Non sei più arrabbiato con me, adesso?” Domandò Tobio.
“Ma guardati!” Shouyou ridacchiò. “Sei imbronciato come un bambino.”
“Smettila…”
“Hai tanta fretta di volare?” Domandò il Principe dei Corvi.
Tobio gli rivolse una smorfia. “Senti chi parla.”
Shouyou gli pizzicò un fianco e lo fece saltare.
Gli occhi blu si persero in quelli d’ambra.
“Che diavolo fai?” Domandò Tobio.
Shouyou sorrise ancor di più. “Soffri il solletico?”
“No.”
Un altro pizzicotto e Tobio dovette mordersi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
“Ah! Soffri il solletico!” Esclamò Shouyou esultato torturandolo con più determinazione.
“Shouyou! Smettila! Ti avverto che… Smettila!”
Per difendersi efficacemente, Tobio dovette afferrarlo per le braccia e costringerlo contro l’erba. Shouyou continuò a ridere.
“Basta,” ordinò il Principe Demone, i capelli in disordine e le guance rosse. Sotto di lui, Shouyou continuò a ridere e non smise fino a che un ghignetto diabolico comparse sul viso dell’altro.
“Tobio, che… Ah! No! Smettila!” Il Principe dei Corvi riprese a ridere ma per una ragione ben diversa, le mani dell’altro sui fianchi.
“Chi soffre il solletico, ora?” Domandò Tobio provocatorio.
Per tutta risposta, gli arrivò un calcio nello stomaco. Gli mancò il fiato e si accasciò sul piccolo Principe sotto di lui.
“Scusa! Scusa! Scusa!” Esclamò Shouyou.
Tobio strinse gli occhi ed imprecò tra i denti. “Sto bene…”
“Sicuro? Ce la fai a stare seduto? Aspetta, ti aiuto…” Shouyou fece pressione sul petto dell’altro con entrambe le mani.
Tobio lasciò andare un paio di colpi di tosse passandosi una mano sullo stomaco.
“Ehi,” Shouyou gli prese gentilmente il viso tra le mani. “Guardami. Tobio, guardami.”
Gli occhi blu si sollevarono su quelli d’ambra. Tutta la preoccupazione di Shouyou svanì in un brivido caldo del tutto inaspettato. Arrossì e si fece indietro.
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Che ti prende?”
Shouyou rise nervosamente. “Niente,” appoggiò di nuovo la schiena al tronco dell’albero. “Hai degli occhi molto belli, tutto qui.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Se è niente puoi dirmelo anche guardandomi in faccia,” disse reclinando la testa da un lato.
Shouyou gonfiò le guance. “Quanto sei stupido…”
“Ah, io sarei stupido!” Tobio riprese a ghignare e tornò a torturare il Principe dei Corvi facendogli il solletico.
“No! Tobio, basta!” Shouyou si dimenava e rideva e l’altro non sembrava dar cenno di voler smettere a breve. “Dai! Non riesco a respirare! Basta!”
Il Principe Demone si fermò per pura pietà. Shouyou si rilassò contro l’erba cercando di riprendere fiato, gli angoli della bocca ancora rivolti verso l’alto. Qualcosa era cambiato sul viso di Tobio ma Shouyou non sapeva dire cosa con esattezza. Di una cosa era certo, però: la curva della sua bocca si era fatta più gentile, quasi dolce…
Senza pensarci, Shouyou sollevò una mano ed aggiustò una ciocca di capelli corvini ancora umidi dietro l’orecchio del Principe Demone.
Tobio smise di sorridere immediatamente. “Che cosa fai?”
Shouyou lasciò ricadere la mano sull’erba, accanto alla sua testa. “Niente…” Rispose quasi timoroso. Tobio, però, non sembrava arrabbiato. Irrigidito, forse ma non poteva biasimarlo per quello: si sentiva allo stesso modo. Si umettò le labbra nervosamente.
“Smettila,” disse Tobio.
“Di fare cosa?”
“Quello che stai facendo?”
“Non sto facendo niente,” insistette Shouyou confuso. Artigliò l’orlo della tunica tirandolo verso il basso. Sentì il bisogno di stringere le gambe ma questo non lo liberò in alcun modo dal peso che gli era caduto dal nulla sullo stomaco rendendogli difficile il solo respirare.
Tobio si chinò su di lui e Shouyou trattenne il fiato fissando il cielo limpido sopra di loro mentre il respiro caldo dell’altro gli sfiorava il collo. “Tobio…” Chiamò un po’ spaventato.
“Che stai facendo?” Domandò il Principe Demone ancora una volta.
Shouyou ingoiò a vuoto. “Non sto facendo niente, davvero.”
Tobio si sollevò per poterlo guardare negli occhi. “Allora perché sento il tuo odore così?”
Il Principe dei Corvi sentì il respiro venire meno per un lungo istante, poi la paura ebbe il sopravvento. Tobio dovette accorgersene perché anche la luce nei suoi occhi cambiò. “Shouyou?” Domandò afferrandogli una spalla.
Il Principe dei Corvi scosse la testa e si fece indietro. “Scusami…” Mormorò alzandosi in piedi imbarazzato. “Scusami, io…”
Il nitrito di un cavallo lo fece sobbalzare come se fosse esploso un colpo di cannone. Tobio fu subito in piedi e lo spinse dietro di sé. Istintivamente, la sua mano cecò la spada appesa alla cintura ma non la trovò.
Per sua fortuna, quella dimenticanza non gli sarebbe costata cara quel giorno.
Tsutomu li fissava dall’alto del suo cavallo con fare confuso. “Che state facendo?” Domandò.
Tobio inspirò aria dal naso e si costrinse a mantenere la calma. “Non sono affari tuoi,” disse e sentì Shouyou strinse contro la sua schiena. “Tu che diavolo ci fai qui?”
Shouyou si sporse oltre la spalla del Principe Demone accennando un sorriso e muovendo una mano in segno di saluto.
“I nostri Regni sono alleati, non ho bisogno del tuo permesso per varcare i confini che li dividono,” replicò Tsutomu con orgoglio.
“Ciò non mi priva del diritto di mandarti via a calci,” replicò Tobio con un ghigno.
“Come osi! Io sono il Principe dell’Aquila! Sono…”
“Sì! Sì, mio Principe! Nessuno sa essere amichevole quanto te!”
Un secondo cavallo uscì dagli alberi e Tobio riconobbe immediatamente il Cavaliere che portava in sella. “Satori…” Salutò in modo educato ma decisamente freddo.
“Principe Demone,” rispose Satori con un sorrisetto insopportabile. “Io ed il mio Principe abbiamo fatto una deviazione e ci siamo persi nelle vostre belle campagne!”
Tsutomu guardò il Cavaliere confuso e tanto bastò a far capire a Tobio che mentiva. “Poche scemenze, Satori. Perché siete qui?”
Il sorriso del Cavaliere divenne terribilmente forzato. “Sarò breve allora: il mio Principe è un idiota nelle relazioni sociali e si è preso una cotta per il vostro Principe dei Corvi.”
Tsutomu divenne paonazzo nel tempo di un respiro. “Cosa?!”
“Cosa?” Gli fece eco Tobio inarcando un sopracciglio.
“Eh?” Domandò Shouyou sentendosi chiamato in causa.
“Oh!” Esclamò Satori. “Eccolo qui, Tsutomu! È così piccolo che non l’ho neanche visto!”
Il Principe dei Corvi strinse i pugni irritati. “Ehi! Non sottovalutarmi perché sono piccolo!”
Gli occhi di Satori s’illuminarono. “Guarda, guarda che carattere! È quello che ci vuole per te, Tsutomu! Hai la mia approvazione, conquistalo!”
Il Principe dell’Aquila si schiaffò una mano in faccia desiderando che la terra si aprisse sotto i loro piedi ponendo fine a quella scena umiliante.
“Eh?!” Shouyou arrossì fino alle orecchie. “Ma che cosa ho fatto?”
Tobio lo guardò profondamente irritato. “Mi piacerebbe saperlo anche me!” Sibilò. “Non fai assolutamente niente ma prima il Re Demone, poi il Principe dell’Aquila sembrano non vedere l’ora di sistemarti su uno dei due troni più potenti dei Regni liberi.”
“Non è colpa mia!” Ribatté Shouyou imbarazzato. “Perché sei arrabbiato con me?”
“Fermi tutti! Io non voglio mettere nessuno su nessun trono!” Esclamò Tsutomu in sua difesa.
Satori osservò meglio la scena e fece una smorfia. “Già… Anche perché a giudicare da quel che vedo, il Re Demone ha già vinto la guerra.”
Tobio fece per chiedere spiegazioni, poi si rese conto di essere ancora completamente bagnato e mezzo nudo e che Shouyou non versava in uno stato meno imbarazzante. Si guardarono, sgranarono gli occhi ed arrossirono nello stesso istante.
“Non è come sembra!” Si affrettò ad esclamare Tobio mentre Shouyou cercava di farsi piccolo piccolo.
“Uhm…” Satori fece una smorfia e guardò il suo Principe. “Ed io che ero sicuro che, almeno in quello, saresti riuscito a superare il tuo rivale qui, il Principe Demone.”
“Taci!” Ordinarono all’unisono gli eredi al trono dei due Regni più potenti tra quelli liberi.
Satori passò gli occhi da uno all’altro. “Aaaah…” Sospirò sconfortato. “I giovani d’oggi…”
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 33
*** Di lucciole e stelle ***


30
Di lucciole e stelle
 
 

Il Principe Demone aveva permesso all’erede al trono di Shiratorizawa e al suo Cavaliere di sistemarsi nel fienile dietro alla tenuta dalle bianche mura ma si era assicurato che tutti fossero a letto prima di farlo, come se si vergognasse della loro presenza.
Tsutomu si era addormentato raggomitolato su di un accidentato letto di paglia spuntando una lunga serie d’insulti contro chiunque gli passasse per la testa, compreso il Cavaliere che lo aveva accompagnato in quell’assurda impresa.
Da parte sua, Satori l’aveva presa a ridere. “Non te la prendere, Tsutomu. Ci saranno altri Principe o Principesse per te!”
“Vai al diavolo!”
Il Principe dell’Aquila aveva dormito poco e male in quella sua prima notte nelle campagne di Seijou e, tanto per peggiorare la situazione, il Principe Demone lo aveva anche buttato giù dal letto all’alba.
“Come sarebbe a dire che dobbiamo lavorare nei campi?”
Se fosse stato un poco più onesto con se stesso, Tsutomu avrebbe ammesso che quello che più gli dava fastidio era il fatto che il Principe Demone se ne stesse lì, fresco come una rosa mentre il sole non aveva ancora tagliato l’orizzonte, ad apparire come un Re degno di tale nome anche con dei semplici abiti da contadino addosso.
Satori non parve molto disturbato da quella prospettiva. “Sembra divertente!” Commentò entusiasta consumando una pagnotta di pane con del latte sotto il portico della tenuta.
Tsutomu, seduto dalla parte opposta del tavolo, lo guardò storto. “Siamo dei nobili, noi…”
“Mangiate cibo che viene prodotto lavorando la terra, come qualunque uomo che respiri,” replicò Tobio con voce incolore. “Essere umili non è una caratteristica degli indegni. Casomai il contrario, Tsutomu.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi. “Ma sei un Principe, esattamente come me!” Esclamò. “Dove è il tuo orgoglio?”
Tobio fece una smorfia. “Sta nel fatto di essermi guadagnato in parte il trono che erediterò,” replicò. “Appena avete finito di mangiare, seguitemi. Vi spiegherò cosa faremo prima che gli altri si alzino e qui si scateni il caos a causa della vostra presenza.”
Tsutomu fece per dire qualcosa di molto scortese ma Satori lo precedette. “Vi ringraziamo per la vostra gentilezza, Principe Demone,” disse forzando un sorriso.
Tobio annuì e rientrò all’interno della casa.
“Uhm…” Satori prese un sorso del suo latte. “No, quel moccioso non è niente male.”
Il suo Principe lo guardò con astio. “Non basta mio padre, ti ci metti anche tu!”
“Quando imparerai a controllare la lingua, forse, il mio giudizio cambierà,” disse Satori. “Per ora, l’anno di differenza che c’è tra voi corrisponde ad almeno un decennio nei fatti.”
Tsutomu sbatté il pugno sul tavolo. “Io sono partito per conquistare il nord, mentre l’idiota risaliva la costa a bordo di una nave perfettamente sicura!”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Continua così, Tsutomu. Continua a credere che il tasso di rischio di un’impresa renda un uomo più degno di un altro e diverrai l’erede che tuo padre merita.”
Il Principe dell’Aquila guardò il Cavaliere un poco smarrito, ogni traccia d’arroganza era sparita dal suo viso. “Perché lo dici come se fosse una cosa negativa?”
Satori rimase con la sua tazza sospesa a mezz’aria osservando il fanciullo dalla parte opposta del tavolo con un barlume di pietà ad illuminargli gli occhi. “Per essere il degno erede di un Re, non devi imitarlo, Tsutomu. Devi superarlo. Questa è una lezione che il piccolo Tobio sembra aver imparato molto in fretta. Quando lo capirai anche tu, allora potrete combattere sullo stesso campo di battaglia.”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Mi stai consigliando di sconfiggere mio padre.”
Satori sbuffò. “Quanto siete tragici, voi adolescenti. Arriva all’età giusta per avere una donna prima di pensare ai colpi di stato, almeno!”
“Me lo hai appena detto tu!”
“Ti ho detto di superare tuo padre,” chiarì Satori. “Se pensi che per superare qualcuno sia necessario decapitarlo, allora la strada che hai davanti a te è davvero ma davvero tanto lunga.”
Tsutomu piegò le labbra in un ghignetto sicuro. “Uccidere un nemico è la sconfitta ultima, no?”
“Quanto sei ingenuo…” Commentò Satori con un sorrisetto. “Decapita un uomo amato dalle masse e sii abbastanza stupido da farlo di fronte al suo popolo e vedrai quanto ti sentirai vittorioso, alla fine.”
“Non credo di capire…”
Il Cavaliere sorrise con pazienza. “Sei giovane,” disse. “Non sei obbligato a capire. Non ancora…”
“E quando, allora?” Domandò Tsutomu.
“Quando arriverà il momento, lo capirai,” concluse il Cavaliere finendo di bere il suo latte. “Per ora, impara che offendere un Principe più potente di te in casa sua è davvero poco intelligente. Sei un ospite, sappi comportarti come tale.”
“Oh! Oh! Oh!”
Satori si fece rigido nell’udire quell’esclamazione idiota.
“Sogno o son desto?” Domandò una seconda voce. “Satori!”
Il Cavaliere si voltò e non fu felice di riconoscere i due idioti che erano comparsi al centro del cortile interno della tenuta.
“Oh, merda…” Sibilò tra i denti, mentre Koutaro di Fukurodani e Tetsuro di Nekoma si avvicinavano per dare il loro benvenuto ai nuovi ospiti.
 
 
***
 
 
Kenjirou venne svegliato dal rumore del mare.
Avevano tenuto le finestre aperte per lasciare che la brezza fresca della notte alleviasse un poco i fastidi del caldo di fine estate. Sospirò e si stiracchiò tra le lenzuola. Wakatoshi non era accanto a lui, lo seppe ancora prima di aprire gli occhi ed allungare la mano verso la parte di letto lasciata vuota.
Non perse tempo a provare malinconia: ci era abituato.
Quella mattina, non rimase solo a lungo, però.
Si mise a sedere quasi di scatto nel sentire la porta della camera venire aperta. Si strinse le lenzuola al petto mettendosi sulla difensiva ma a varcare l’uscio fu solo Wakatoshi.
 “Buongiorno,” salutò il Re avvicinandosi.
“Buongiorno,” rispose Kenjirou sinceramente sorpreso.
“Sei sveglio da molto?” Domandò Wakatoshi sedendosi sul bordo del letto, accanto al suo amante. “Vuoi che ti faccia portare la colazione?”
“No, resta…” Kenjirou esitò. “Resta e basta.”
Wakatoshi annuì. “Hai dormito bene, almeno?”
“Sì,” ammise l’Arciere. “Ero nervoso la notte scorsa, non credevo ci sarei riuscito.”
“Sei ancora arrabbiato con me?”
“Non mi è permesso essere arrabbiato con il mio Re.”
“Ti è permesso essere arrabbiato con il tuo amante, però,” replicò Wakatoshi.
Kenjirou venne preso di sorpresa da quelle parole. Si umettò le labbra e decise di sviare l’argomento di quella conversazione. “Sei andato da lui?”
Il Re annuì.
“Gli hai portato dei fiori?”
“Non mi piace portargli dei fiori,” rispose Wakatoshi. “I fiori sono un regalo per i morti. Eita non è morto.”
Kenjirou scrollò le spalle. “Sono anche regali per gli innamorati, però,” replicò. “Satori glieli porta continuamente.”
Wakatoshi accennò un sorriso. “Vuoi forse dire che il mio più fidato amico è segretamente innamorato della madre di mio figlio?”
“Sicuramente prova per lui un profondo affetto,” disse Kenjirou. Non pensava ci fosse nulla di male. Erano cresciuti insieme, dopotutto e quella era una delle ragioni principali per cui lui era stato messo da parte per molto tempo.
“Mi preoccuperei se non fosse così,” ammise Wakatoshi. “Eita ha sempre saputo come farsi voler bene. È sempre stato riservato ma gentile, a modo suo.”
“È questo che ti ha fatto innamorare di lui?” Kenjirou si pentì di averlo domandato un istane troppo tardi.
Wakatoshi lo fissò dritto negli occhi. “Pensavo non ti piacesse parlare di Eita,” disse.
“Non mi piace parlarne con te,” rispose l’Arciere. “Ma non per la ragione che credi.”
Il Re annuì. “Eravate amici, voi due. Forse, lo eravate più di quanto lo fossero lui e Satori.”
Kenjirou scosse la testa. “La natura del nostro legame era solo diversa, niente di più,” disse. “Non era più o meno profonda dell’amicizia con Satori. Immagino abbia confidato a me cose che non ha mai confessato a nessuno.”
“Nemmeno a me?”
“Non posso saperlo, Wakatoshi,” Kenjirou scosse la testa. “Per rispetto suo, non ti ho mai posto molte domande che continuano a tormentarmi. Ti sarei grato se avessi a cuore le sue volontà quanto me.”
Il Re dell’Aquila annuì. “Non voglio forzarti ad infrangere una promessa.”
“Puoi rispondere alla mia domanda, però?” Insistette l’Arciere. “Era per quella discrezione e quella gentilezza che ti sei innamorato di lui?”
Wakatoshi prese a fissare un punto qualunque del pavimento lucido. “L’amore è una questione su cui ho smesso d’interrogarmi,” ammise. “Quello che provo per Tsutomu è quello per cui non alcun dubbio.”
Kenjirou accennò un sorriso, suo malgrado. “Ha ancora tanto bisogno di te.”
“Perché lo fai?”
“Che cosa?”
Wakatoshi tornò a guardarlo negli occhi. “Sarà l’unica domanda che ti porrò riguardo al tuo rapporto con Eita e, lo prometto, dopo non ne parleremo mai più. A meno che tu non lo voglia…”
Kenjirou annuì. “Parla…”
“Tu ami Tsutomu come se fosse tuo perché lo hai promesso a lui o perché lo hai tenuto tra le braccia fin dal principio?”
Kenjirou si umettò le labbra. “Non credo di essere un genitore per Tsutomu… In particolare, non credo di essere quello che ha perso.”
“Ma?”
“Non c’è un ma,” replicò l’Arciere. “Non si può promettere l’amore, Wakatoshi. Tu hai amato Tsutomu nel momento in cui Eita ti ha detto che lo portava in grembo? Hai amato lui ancor di più nel renderti di conto di dove si era spinto per esaudire il tuo desiderio?”
Lo sguardo di Wakatoshi si tinse di una sfumatura terribile, la stessa che si sarebbe potuta trovare negli occhi di un uomo tormentato. “No,” ammise. “Non ho amato quel figlio quando Eita mi ha detto di portarlo in grembo. Non l’ho amato mentre lo vedevo crescere fin troppo velocemente in lui.”
Kenjirou strinse le labbra e si costrinse a non dire una sola parola.
“Quel giorno d’inverno, però,” aggiunse il Re dell’Aquila. “Nevicava, ricordi? Dopo tanto cercare, concepire quel bambino era stato terribilmente facile e l’attesa per metterlo al mondo altrettanto terribilmente breve. Quella notte, però, sembrava non passare mai.”
Kenjirou annuì. “Me lo ricordo…”
“Poi quel neonato ha cominciato a piangere,” Wakatoshi portò lo sguardo verso la finestra, verso quell’orizzonte ancora misterioso per qualunque Re dei Regni liberi. “L’ho messo io tra le braccia di Eita. Era ancora sporco, coperto solo da un lenzuolo. Si agitava come poteva e gridava a pieni polmoni.”
Suo malgrado, Kenjirou sorrise. “È sempre stato se stesso fin dall’inizio…”
“Se ho mai dubitato di sapere cosa fosse quel gran mistero chiamato amore, l’ho capito in quel momento,” confessò il Re dell’Aquila. “Nel momento in cui Tsutomu ha aperto gli occhi la prima volta e mi ha guardato.”
Kenjirou osservò il profilo del suo signore come se lo vedesse per la prima volta. Restò in silenzio a contemplare il dio che diveniva uomo e lo faceva senza vergogna né paura e si disse che, in fondo, la creatura così distante da ogni essere umano che tanto aveva idolatrato non era nemmeno la metà di quello che gli era permesso di vedere ora.
“Poi Eita ha perso i sensi,” aggiunse Wakatoshi. “La nascita di nostro figlio è stato l’inizio della sua fine…”
Kenjirou abbassò lo sguardo con rispetto. “Te ne sei mai pentito?” Domandò pur sapendo che era una risposta crudele.
“Di aver messo al mondo Tsutomu?” Domandò Wakatoshi.
L’Arciere sospirò. “Non intendevo questo…”
“So cosa intendevi,” lo interruppe il Re. “Ciò non cambia i fatti: pentirmi di aver spinto Eita a fare quello che ha fatto significherebbe pentirmi di aver messo al mondo mio figlio.”
Kenjirou non disse altro.
“E tu conosci già la risposta, Kenjirou.”
 
 
***
 
 
Tobio salì le scale lentamente cercando di fare meno rumore possibile e s’infilò all’intero della camera che era appartenuta ai suoi genitori in punta di piedi. Shouyou dormiva con il viso rivolto verso la finestra e le prime luci del giorno gli accarezzavano le guance ed i capelli ma non abbastanza intensamente da svegliarlo.
Il Principe Demone l’osservò per un istante, poi esaurì la distanza tra sé ed il letto sedendovisi sul bordo. “Shouyou…” Chiamò afferrandogli una spalla gentilmente.
Bastò così poco a destare il piccolo Principe ma gli occhi d’ambra si aprirono appena per guardarlo. “Tobio?”
Il giovane dai capelli corvini strinse le labbra. “Hai avuto problemi ad addormentarti, non è così?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “No…”
“Ti ho sentito, stupido,” replicò il Principe Demone con una smorfia. “Ti sei mosso per tutta la notte.”
Il piccolo Principe si stese sulla schiena e scrollò le spalle. “Pensieri…”
“Pensieri che hanno a che fare con la presenza di Tsutomu?”
Shouyou scosse la testa. “No,” si umettò le labbra. “Mi ero quasi dimenticato di lui, a dire il vero…”
Tobio sospirò. “Allora, qualcosa che a che fare con quello che è successo ieri alla cascata?”
Gli occhi d’ambra si fecero attenti ed il Principe Demone non poté evitare di notare quanto fossero luminosi, nonostante la poca luce nella camera da letto.
“Resta a riposo, oggi,” disse stringendo ancora una volta la spalla del piccolo Principe. “Tadashi si occuperà di te e chiederò a Kenma e Keiji di restare nei paraggi, se avessi bisogno di qualcosa.”
Shouyou si sollevò su di un gomito. “Non voglio essere di…”
“Non sarai di disturbo a nessuno,” lo interruppe Tobio. “Sappiamo entrambi cosa è successo ieri alla cascata e non voglio che tu resti da solo, capito? Non con tutti questi nobili adolescenti completamente idioti che se ne vanno in giro.”
Shouyou abbassò lo sguardo, le sue guance si fecero rosse. “Non è successo niente ieri…”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Shouyou…”
“Non è successo niente!” Insistette il Principe dei Corvi, gli occhi pieni di lacrime.
Il Principe Demone gli concesse il tempo di un respiro, poi riprese a parlare. “Ricordi la prima volta che mi hai parlato della tua paura di essere un Omega, Shouyou?”
L’altro annuì lentamente. “Mi hai detto che non te ne importava niente.”
“Esatto,” Tobio annuì per sottolineare il concetto. “Continua a non importarmene niente. Per tanto, non rendere una maledizione qualcosa che non lo è. Non è cambiato niente.”
“Mi vuoi chiuso in casa per stare lontano dai tuoi uomini e hai anche il coraggio di dire che non è cambiato niente?” Replicò Shouyou tirando su col naso.
“Ehi…” Tobio gli diede un colpetto sul mento per invitarlo a guardarlo di nuovo negli occhi. “Non ti sto punendo, non vedere questo ordine come un’azione contro di te.”
“E come dovrei interpretarlo, Tobio?”
“Sarei stupido a comportarmi come se nulla fosse successo,” spiegò il Principe Demone. “Se ti stai presentando, devo tenere in considerazione che potresti sentirti strano. Come quando cresci di una spanna in una sola estate ed allora ti fa male tutto fino alla primavera successiva.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Mi stai prendendo in giro?”
“Sì,” ammise Tobio senza cambiare espressione.
Shouyou gli diede una gomitata. Era tornato a sorridere. “Veramente?” Domandò. “Ti faceva male tutto?”
“Come se mi avessero calpestato in centomila vestiti di armatura e tutto il resto,” rispose Tobio accennando un sorriso. “Non ho idea di come funzioni per gli Omega, quindi preferisco lasciarti in mani più esperte delle mie.”
Shouyou annuì. “Keiji è come me, vero? Ha partorito la sua bambina, no?”
“Esatto…” Tobio si alzò in piedi. “Se avrai bisogno di fare domande, penso che lui sia il più adatto a cui chiedere. Se, invece, vuoi qualcosa che ti aiuti a riposare o se comincia a farti male tutto, Kenma è più indicato.” Si portò le mani ai fianchi. “Se prometti di non fare una scenata, pensavo di farci qualche parola anche io… Per… Capire, immagino.”
Le guance di Shouyou si colorarono ancor di più. “Sì, immagino che possa essere utile per entrambi…”
Tobio annuì. “Voglio sapere come posso comportarmi. Cosa devo fare, cosa non devo fare e così via…”
Shouyou si portò le ginocchia al petto. “Puoi… Puoi non…”
“Se vuoi parlarne, lo farai tu,” concluse Tobio. “Per ora, pensa a riposarti.”
Il Principe dei Corvi annuì. “Tu che cosa farai?”
“Andrò nei campi,” rispose Tobio. “Il tuo Cavaliere verrà con me e, se sarò fortunato, al mio ritorno l’avrò annoiato abbastanza da raccontarti qualcosa di divertente.”
Shouyou ridacchiò. “Porterai anche Tsutomu con te?”
“Non l’ho nominato perché, senza ombra di dubbio, avrò molto da raccontare su di lui.”
“Fai il simpatico ora, Tobio?”
“No, sono ancora arrabbiato col mondo come sempre, Shouyou,” confessò il Principe Demone.
Il sorriso del Principe dei Corvi si fece malinconico. “Ed io sto ancora qui a chiedermi perché.”
Le labbra di Tobio si piegarono in una smorfietta. “Mi devi ancora una lezione di volo…”
“Sì,” Shouyou reclinò la testa da un lato. “A proposito di quello: vorrei che facessimo a modo mio, va bene? Niente più colpi di testa come quello di ieri.”
Tobio annuì. “Affare fatto,” si voltò. “Torna a riposare, Shouyou.”
 
 
***
 
 
Takahiro non si sentiva molto a suo agio con quel vassoio in mano e fissava il calice che vi era al centro e che a stento riusciva a mantenere in equilibrio come se potesse attaccarlo da un momento all’altro.
“Sei riuscito a fare le scale,” gli disse Issei, “il peggio è passato.”
“Ancora non ho capito perché dobbiamo farlo noi,” si lamentò Takahiro che, oltre ad essere di nobili natali, era anche divenuto Cavaliere lungo la strada e questo sarebbe dovuto bastare a tenerlo lontano da vassoi, calici ed intrugli destinati a rendere meno terribile il giorno successivo ad una sbronza colossale.
“Perché il Re ha chiesto espressamente di noi ai suoi servitori,” gli ricordò Issei.
“Il fatto stesso che abbia dei servitori rende inutile la nostra presenza,” replicò Takahiro imboccando l’ingresso degli appartamenti privati del Re Demone.
Issei scrollò le spalle. “Avrà le sue ragioni…”
“È proprio questo che mi preoccupa,” disse l’altro Cavaliere stizzito. “Tooru è formale con noi da anni ed ora vuole che gli portiamo questo veleno per alleviare i postumi della sbronza? Perché non lo ha chiesto a Hajime?”
“Il Primo Cavaliere è più in alto di noi nella gerarchia, dopotutto.”
“Questo non giustifica il fatto che stia facendo il cameriere!”
“Alle volte, ti è capitato di fare il contadino…”
“Non è paragonabile! Quello è lavoro utile! Portare questo intruglio al Re… A proposito, siamo sicuri che non sia veramente veleno?”
Issei scrollò le spalle. “L’ha preparato Kaname. Ha detto di non essere bravo come Kenma ma che sarebbe stato comunque utile.”
“Appunto!” Esclamò Takahiro. “Kaname, Re di Dateko… Lo sai quanto ci amano quelli di Dateko, no?” Sottolineò con sarcasmo.
“Kaname non sembra assetato di vendetta quanto Futakuchi.”
“E se Futakuchi ha corretto la ricetta?”
“E rischiare che il suo signore venga condannato a morte per regicidio? No, quei soldati adorano troppo Kaname per considerarlo sacrificabile.”
“Una volta anche noi adoravamo il nostro Re…” Replicò Takahiro amaramente.
Issei fece una smorfia. “Non ci pensare, siamo arrivati.” Bussò due volte alla porta della camera del Re Demone. Non dovettero attendere molto per una risposta.
“Oh, buongiorno a tutti e due!” Salutò Tooru con un sorriso solare affacciandosi dalla porta.
I due Cavalieri inarcarono le sopracciglia.
“State bene, Maestà?” Domandò Issei.
“Oh, sì!” Esclamò il Re Demone uscendo nel corridoio ma stando attento a non aprire troppo la porta della camera da letto. “Vi farei accomodare ma il vostro signore e padrone dorme ancora… Anche se, a giudicare dai versi doloranti che emette di tanto in tanto, è solo questione di tempo prima che si svegli.”
Takahiro passò gli occhi dal vassoio tra le sue mani al viso allegro del Re Demone. “Questo non è per voi?”
“No!” Tooru ridacchiò. “Ho sempre saputo reggere un po’ di vino meglio di Hajime. Lui, d’altro canto… Ma non devo raccontarvi niente, avete condiviso con lui più notti brave di me!”
Issei ci pensò un attimo. “Hajime è lì dentro?” Domandò indicando la porta della camera reale.
Tooru annuì con naturalezza. “Ieri notte abbiamo esagerato, non si reggeva in piedi,” prese il vassoio dalle mani di Takahiro ma il Cavaliere rimase con le mani sollevate comunque, come se fosse pietrificato. “Ho fatto chiamare voi perché penso che sia giusto che siate voi ad avvisare gli altri soldati che, per oggi, il loro Primo Cavaliere non sarà disponibile. Da domani, però, tutto tornerò come sempre, promesso!”
Il Re rivolse ai due un occhiolino amichevole ma i Cavalieri trasalirono come se li avesse minacciati con il suo arco. Per loro fortuna, Tooru non ci fece caso. “Vi ringrazio per il disturbo!” Disse infilandosi di nuovo all’interno della camera da letto. “A presto!”
Richiuse la porta velocemente come l’aveva aperta.
Issei e Takahiro non si mossero. Entrambi fissarono la superficie di legno lucido davanti a loro, poi si scambiarono un’occhiata basita.
Ad entrambi sarebbe servita mezza giornata per recuperare il dono della parola e saperlo usare lucidamente.
 
 
 
Hajime si sentiva come se un cavallo avesse ballato sulla sua testa e pregò con tutte le sue forze di perdere di nuovo i sensi perché quella tortura proprio non voleva viverla. No, non era più abbastanza giovane e scellerato per quel genere di dolore.
Una luce improvvisa, però, comparve di fronte alle sue palpebre ancora chiuse e fu come se qualcuno stesse cercando di cavargli gli occhi con una lama rovente.
“Oh! Buongiorno!” Cinguettò in modo insopportabilmente allegro una voce che, suo malgrado, conosceva bene.
“Tooru…” Gemette premendosi il cuscino contro il viso. Sentiva le lenzuola attorcigliate intorno alle gambe ed era una sensazione poco piacevole ma poteva ignorarla in favore di qualche altra ora di sonno. Un peso improvviso sullo stomaco lo avvisò che non gli sarebbero stati concessi nemmeno cinque minuti. “Tooru!”
Il Re Demone rise da qualche parte nella stanza che continuava a girare. O, forse, era la sua testa.
Dopo tutte quelle storie di premonizioni e magie, Hajime non riusciva più a dare per scontato nulla.
Sollevò il cuscino dal viso quel tanto che bastava per sbirciare la situazione: Tooru era seduto a cavalcioni su di lui. Vestiti semplici, capelli spettinati ed un sorriso furbetto che chiedeva solo di essere cancellato a pugni.
Nulla di nuovo…
Il Cavaliere gemette e si rintanò di nuovo in quel suo non poi così sicuro nascondiglio.
“Hajime!” Tooru non dovette usare poi tanta forza per togliergli il cuscino di mano ed esporlo alla luce diabolica del sole d’estate che inondava la camera.
“Sto per morire…” Si lamentò il Cavaliere prendendosi la testa tra le mani.
Tooru rise di nuovo. “È solo un’impressione, passerà presto.”
Hajime provò a mandarlo al diavolo ma, troppo stordito, finì per emettere solo un mugolio disarticolato.
Il peso sul suo stomaco si bilanciò sul resto del corpo.
Aprì un occhio per puro istinto di sopravvivenza e vide che Tooru lo osservava con le braccia incrociate sopra il suo petto.
Hajime sospirò. “Voglio dormire…”
“Quando calerà il sole.”
“Voglio dormire adesso…”
“Sei davvero troppo vecchio per fare i capricci, Hajime.”
Il Cavaliere spalancò gli occhi e lo guardò storto. “Tu non hai il potere di giudicarmi in questo.”
Tooru si sollevò di nuovo sulle ginocchia. “Puzzi un po’,” disse con naturalezza. “Ti preparo un bagno e faccio cambiare le lenzuola.”
Hajime chiuse gli occhi nella speranza di perdere i sensi una volta per tutte.
Una leggera e veloce pressione contro l’angolo destro della bocca gli fece inarcare le sopracciglia.
“Ti chiamo non appena finisco di riscaldare l’acqua. Riposa.”
Il Cavaliere sollevò di nuovo le palpebre ma Tooru si era già alzato dal letto. Lo guardò mentre si dirigeva verso la stanza da bagno domandandosi se quel bacio fosse stato reale o solo l’eco di un sogno. Una fitta alla testa lo costrinse a smettere di pensare: ci avrebbe riflettuto non appena gli fosse passata la sbornia.
Tooru gli lanciò un’ultima occhiata prima di entrare nella stanza adiacente e sentì gli angoli della bocca sollevarsi un poco. Il pensiero di quello che aveva appena fatto lo congelò ad appena un passo dopo la soglia. Si portò una mano al viso e si sfiorò le labbra con la punta delle dita.
Riadagiò il braccio lungo il fianco e decise di lasciar perdere.
 
 
***
 
 
Shouyou si alzò dal letto in tarda mattinata.
Si era appisolato di nuovo dopo che Tobio lo aveva lasciato e nessuno era venuto a disturbarlo. Si mise a sedere sul letto quando la camera da letto cominciò ad essere troppo calda e sollevò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. Si guardò intorno, poi si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra che dava sul cortile interno. Spalancò le persiane e dovette chiudere gli occhi alcuni istanti per abituarsi alla luce accecante del sole d’estate.
“Oh… Buongiorno, mio Principe!” Esclamò con allegria una voce sotto di lui.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte ed abbassò lo sguardo. Tadashi gli sorrideva, mentre Keiji aggiustava le lenzuola appena lavate sul filo per il bucato. Nella cesta vuota al suo fianco giocava una bambina dai capelli corvini. Se Shouyou non ricordava male, si chiamava Keijiko.
Non vedeva Kenma.
Bussarono alla porta e si voltò. “Avanti…”
Non fu del tutto sorpreso di vedere il Mago entrare nella camera da letto. “Buongiorno, mio Principe,” disse con neutrale educazione.
Shouyou accennò un sorriso allontanandosi dalla finestra. “Buongiorno…”
“Vi sentite bene?” Domandò Kenma senza muovere un passo più del necessario.
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle lasciandosi cadere seduto sul bordo del letto. “In realtà, non so nemmeno come dovrei sentirmi,” ammise. “Voglio dire, mi guardo allo specchio e sono sempre lo stesso. Dovrei avvertire qualche cambiamento?”
Kenma scrollò le spalle. “Non come succede alle fanciulle, questo è certo.”
Shouyou non era certo di capire ma era assolutamente sicuro di non voler sapere.
“Posso dire che è strano, però.” Aggiunse il Mago.
“Str-Strano?”
“Certo, non mi pare che abbiate sviluppato nessuno carattere sessuale secondario e questo avrebbe dovuto essere un segnale chiaro da qualche stagione, ormai.”
Shouyou arrossì pur non volendolo. “Caratteri sessuali secondari?”
“Non credo che Daichi abbia mai dovuto spiegarvi come radervi per essere chiari.”
“N-No…” Inarcò le sopracciglia. “Ma Tobio…”
“È sei mesi più giovane di voi,” gli ricordò Kenma, “e fonti certe mi hanno informato che il Primo Cavaliere è stato visto mentre gli insegnava ad usare un rasoio. A parte questo, non ci vuole certo un esame approfondito per notare come i vostri corpi siano sviluppati diversamente.”
Shouyou reclinò la testa da un lato con aria depressa. “Non mi alzerò mai di una spanna in una sola estate io, vero? Non mi farà mai male tutto per una crescita improvvisa, non è così?”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Non so di cosa stiate parlando ma, dopotutto, avete quindici anni ed è naturale che crescerete ancora…”
Gli occhi di Shouyou s’illuminarono di colpo.
“Certo, vedendovi ora e prendendo in considerazione la vostra natura di Omega, dubito che raggiungerete mai Tobio…”
Shouyou abbassò di nuovo lo sguardo deluso.
“Tuttavia, il vostro corpo sta maturando davvero solo ora… Dategli qualche stagione e cambierete completamente.”
Il Principe dei Corvi si premette una mano contro il petto. “Il mio corpo sta maturando solo ora per via del…”
“Sì, mio Principe.”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quelli del Mago. “Che cosa lo ha provocato?”
Kenma scrollò le spalle. “Questo dovreste dirlo voi a me.”
Il fanciullo reclinò la testa da un lato confuso. “Che cosa significa?”
“Che nella fanciullezza il corpo prova desideri ancor prima che la mente riesca ad elaborarli.”
Shouyou si voltò verso la porta: Keiji era sulla soglia con la sua bambina in braccio, Tadashi era dietro di lui.
“Possiamo entrare?” Domandò il consorte dell’uomo che era stato Re di Fukurodani.
“Certo,” permise loro il Principe accennando un sorriso. Keiji posò la bambina a terra e si avvicinò. Shouyou notò che Tadashi fece un paio di passi all’interno della stanza ma rimase comunque in disparte.
“Ovviamente, però,” aggiunse Keiji sedendosi sul bordo del letto accanto al piccolo Principe, “una semplice attrazione non può giustificare nessun atto in cui tu non sia completamente consenziente.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
“Keiji,” lo richiamò Kenma incrociando le braccia contro il petto, “prima i dettagli più leggeri. È sotto la protezione del Principe più potente dei Regni liberi, nessuno lo toccherebbe contro la sua volontà… A meno che non voglia scatenare una guerra.”
Tadashi si sentì improvvisamente a disagio. “Di cosa stiamo parlando?”
“Come ho detto,” rispose il Mago, “nulla che riguarda il Principe dei Corvi. Non ancora…”
Keiji annuì.
“Mamma…” Keijiko sollevò le piccole braccia ed il genitore la sollevò mettendola a sedere sulle sue gambe.
Shouyou la guardò con particolare interesse. “Lei…” Mormorò un poco imbarazzato. “Tu hai…”
Fu il turno di Keiji di essere confuso. “Avete una sorella minore,” notò. “C’è abbastanza differenza d’età tra voi… Dovresti ricordare il giorno della sua nascita.”
Shouyou annuì fissando un punto qualunque del movimento. “Ricordo anche che la sentivo scalciare dentro la pancia della mamma,” ammise. “Solo che… Ehm…”
Keiji annuì con pazienza. “Capisco,” disse. “Sul serio, mio Principe. Fino a ieri non pensavate di poterlo fare, invece…”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra di colpo. “Posso farlo?” Domandò, le gote rosse. “Sul serio?”
“Ci sono donne che non riescono a concepire,” spiegò Kenma. “Nulla esclude che questo possa accadere anche ad un Omega ma, considerando che Koushi è riuscito a dare alla luce voi e vostra sorella, non vedo perché non dovreste essere in grado di mettere al mondo dei bambini.”
“Mettere al mondo dei bambini…” Ripeté Shouyou col viso rosso e la voce un poco tremante.
“In altre parole, e lo dico da genitore,” aggiunse Keiji, “se vi piace qualcuno, state attenti a quello che fate. Io tuoi genitori e quelli di Tobio vi hanno avuti che erano ancora fanciulli, ma…”
“Cosa centra Tobio?” Domandò Shouyou con voce stridula.
“È stato lui ad accorgersi di questa cosa,” gli ricordò Kenma. “È stato lui a parlarcene.”
Keiji accennò un sorriso. “Voi e Tobio siete…”
“No!” Esclamò Shouyou sulla difensiva. “Nella maniera più assoluta, no!”
“In questo caso…” Keiji si alzò stringendo al petto la sua bambina, le labbra ancora piegate in un sorriso paziente. “Non abbiamo niente di cui preoccuparci.”
Kenma gli lanciò un’occhiata ma non disse nulla. “Se avete bisogno qualcosa, mio Principe…” Disse prendendo la via della porta.
“Chiamatemi Shouyou,” disse il Principe dei Corvi con un sorriso. “Solo Shouyou…”
Sia il Mago che Keiji annuirono e tolsero il disturbo.
Tadashi se ne era rimasto appoggiato al muro accanto alla porta per tutto il tempo.
Si guardarono. Fu Shouyou a rompere il silenzio per primo. “Lo hai saputo da Tobio anche tu?”
Tadashi annuì. “Io e Kei…” Aggiunse timidamente esaurendo la distanza tra sé ed il letto.
Shouyou strinse le labbra. “Anche Kei?”
“Tobio ha ritenuto opportuno che lo sapessimo entrambi,” disse sedendosi sul bordo del letto. “Non avercela con lui per questo. Noi due non siamo chiunque, Shouyou. Se vogliamo proteggerti al meglio, dobbiamo…”
“Sì, certo,” lo interruppe il piccolo Principe, gli occhi d’ambra rivolti alla finestra e le guance ancora rosse. “È successo con lui…” Forse, con Tadashi poteva permettersi di essere sincero.
“Cosa?”
Shouyou scrollò le spalle. “Qualunque cosa sia successa… Non credo di essere in grado di spiegarlo a parole. Eravamo io e Tobio. Eravamo vicini… Molto vicini…”
Tadashi annuì. “Capisco…”
Il Principe lo guardò. “Perché lo dici anche tu?”
L’amico sbatté le palpebre un paio di volte. “Tobio è… Beh, se ti costringessero a sposarlo per motivi politici, non sarebbe il Principe peggiore che potrebbe capitarti.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Ti piace Tobio?”
“No!” Esclamò Tadashi un poco irritato per l’ottusità del suo Principe. “Shouyou, non starò qui a dirti che Tobio non è un ragazzo attraente per assecondare la tua negazione.”
“Quale negazione?”
“Hai provato qualcosa con lui, altrimenti non sarebbe stato il primo ad accorgersi che sei… Sei…”
Shouyou mise su il broncio e fissò con insistenza un punto del muro davanti a sé. “Qualcosa ho provato, sì…” Ammise.
Tadashi annuì due volte. “Vuoi parlarne?”
“Te l’ho detto, non so come descriverlo,” rispose Shouyou. “So solo che era piacevole, che avrei voluto durasse di più e che… Ad un certo punto ho stretto le gambe.”
Fu il turno di Tadashi di arrossire. “Eh?!”
“Sei stato tu a chiedermi se volevo parlarne!” Esclamò Shouyou frustrato. “Mi sentivo strano , va bene? Non lo so perché…”
Tadashi parve ancora più confuso. “Non ti era mai capitato di sentirti strano ?”
Shouyou lo guardò con un’innocenza disarmante. “Perché? A te sì?”
L’altro si sentì in difficoltà. “Beh… Dovrebbe capitare a tutti, prima o poi.”
Il Principe dei Corvi lo guardò con interesse. “Anche a te è capitato con qualcun altro?”
“Non proprio, Shouyou…”
“Lo conosco?”
“Shouyou,” disse Tadashi fermamente. “Non stiamo parlando di me,” gli ricordò. Non poteva confessargli che Kei lo faceva sentire così da qualche stagione ormai.
Shouyou sospirò. “Non c’è molto da dire su di me, però…”
“O, forse, non hai voglia di dirlo,” disse Tadashi pazientemente. “E, non fraintendermi, va bene così! Solo non vorrei che questa cosa ti facesse stare male.”
“Pensavo che sarebbe accaduto,” ammise Shouyou. “Voglio dire… Ho sempre voluto essere un Cavaliere, il degno erede di mio padre ed anche di più… Come gli eroi delle leggende. Credevo che…” Scosse la testa.
“Sia tua madre che il Re Demone hanno combattuto una guerra,” gli ricordò Tadashi. “Tu sei nato durante quella guerra e Koushi ti ha tenuto al sicuro. Avere la possibilità di avere bambini non rende deboli,” lo disse un po’ troppo freddamente.
Shouyou, però, non ci fece caso. Scosse la testa e si alzò in piedi.
“Dove vai?” Domandò Tadashi.
Il Principe dei Corvi aprì i vetri della finestra. “Non mi è successo niente,” concluse. “Sono quello che sono, basta avere paura. Non ho bisogno di essere messo da parte.”
Tadashi si alzò in piedi. “Tobio ha ordinato che…”
“Per Tobio non è cambiato niente,” Shouyou sorrise lanciando un’occhiata all’altro da sopra la spalla. “Allora, non è cambiato niente nemmeno per me.”
 
 
***
 
 
Tsutomu si gettò all’ombra dell’unico albero nelle vicinanze come se avesse compiuto un’impresa estenuante.
“Che tu sia dannato, Tobio…” Sibilò tra i denti coprendosi il viso con un braccio.
Satori ridacchiò raggiungendo il suo Principe. “Sai fingere così bene,” commentò.
Tsutomu lo guardò con rabbia. “Io non fingo!”
“Ma smettila!” Il Cavaliere si mise a sedere sull’erba. “Sei stato addestrato a Shiratorizawa, Tsutomu! Ti abbiamo cresciuto perché tu divenga non solo Re dell’Aquila ma anche Primo Cavaliere del tuo Regno. Hai tredici anni e le mani massacrate da ora di allenamento con la spada. Non sei uno sfaticato, quindi smettila di fingere!”
“La spada è un’arte nobile!” Replicò Tsutomu con rabbia, poi indicò il campo di grano di fronte a loro. “Questo… Questo è… Ah!” Puntò gli occhi chiari sul giovane con i capelli neri in disparte da tutti gli altri. “Guardalo! Guardalo! Riesce a far sembrare epico anche questo!”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Un giorno capirò la vera ragione per cui lo odi tanto,” sospirò. “Anche se il mistero più grande qui è come mai lui non odi te.”
“C’è bisogno di chiederlo?”
Il Cavaliere guardò il ragazzino. “Non puoi odiare qualcuno perché è migliore di te, Tsutomu,” gli disse. “È una perdita di tempo. Specie quando hai tredici anni e tutta la vita davanti per dimostrare chi sei…”
“Una sconfitta,” disse Tsutomu con rabbia. “Tredici anni e ho già sulle spalle una fottuta sconfitta. Tobio ha solo un anno più di me e ha vinto una guerra contro i popoli del Nord al fianco di suo padre, ha accecato un drago ad undici anni e non devo ricordarti che cosa è successo poche settimane fa!”
Satori annuì. “Bravo, continua a biasimare altri per le tue debolezze.”
Il Principe dell’Aquila guardò il Cavaliere scandalizzato. “Io non…”
“Uno non diventa il Re dell’Aquila per diritto divino,” ammise Satori.
“No, lo diventerò per diritto di nascita, infatti.”
“Non basterà, Tsutomu.”
“Sono un perdente e tu giri il coltello nella piaga?”
“Sei un perdente solo se decidi di esserlo,” rispose Satori chinandosi verso di lui. “E tu, ragazzo mio, non puoi permettertelo. Smettila di odiare un rivale per le sue vittorie, non farai altro che regalargliene un’altra.”
Tsutomu non riuscì a replicare con arroganza. Non in quel momento. “E che cosa dovrei fare?”
Satori sorrise soddisfatto. “Sii furbo,” disse. “Sconfiggilo ma non in campo aperto.”
Tsutomu inarcò un sopracciglio. “Attaccare alle spalle è codardo.”
“Tuo padre si è intrufolato nel campo del primo nemico che ha dovuto combattere e lo ha decapitato nel sonno,” disse il Cavaliere. “Sei nato per essere potente, Tsutomu. L’onore è un lusso che non puoi permetterti.”
Tsutomu parve ancor più confuso. “Mio padre sostiene che l’onore sia indispensabile per un Re. È per questo che prova stima per il Primo Cavaliere di Seijou.”
Satori rise sonoramente.
“Che c’è di tanto divertente?” Domandò il Principe dell’Aquila.
“Un giorno ti racconterò la verità su tuo padre e Hajime ed allora capirai il motivo della stima di cui parli.”
“Mio padre stima anche Tobio,” ammise Tsutomu tornando a guardare il Principe Demone che lavorava in quel campo di grano come un semplice contadino e lo faceva senza vergognarsene, senza lamentarsene. “Forse, lo stima più di me…”
Satori sbuffò. “Evitami la lagna del ragazzino che dubita dall’amore del padre.”
“L’amore e la stima sono due cose differenti.”
“Tuo padre teme Tobio,” replicò il Cavaliere. “Diverrà Re della metà dei Regni liberi, dopotutto. Non lo si può evitare…”
Il Principe dell’Aquila strinse le labbra. “Il timore di un Re vale più di qualsiasi rispetto.” Sbuffò e si alzò in piedi. Satori si voltò a guardarlo. “Dove vai?”
“Da qualche parte!” Rispose Tsutomu bruscamente. “Di sicuro non me ne starò qui ad ubbidire agli ordini del Principe Demone.”
Satori non provò a fermarlo: conosceva una guerra persa quando la vedeva. Si distese sull’erba guardando la verde chioma dell’albero sopra di sé. “Questo non è molto furbo, Tsutomu…” Sorrise. “Però, è ribelle… E un ribelle può essere più forte di un Re.”


 
***
 
 
Tobio appoggiò la falce a terra passandosi una mano tra i capelli corvini umidi di sudore.
Arrotolò di nuovo le maniche della tunica sopra i gomiti e fece per riprendere il suo attrezzo tra le mani.
“Dobbiamo parlarne…”
Sollevò gli occhi blu ed incontrò quelli dorati e perennemente annoiati del Cavaliere del Principe dei Corvi. In quel particolare momento, però, c’era qualcosa di nuovo sul viso di Kei. Tobio ghignò. “Preoccupato, Cavaliere?”
Kei fece una smorfia. “Tadashi è quello preoccupato, io mi limito a fare ciò che è indispensabile per adempiere al mio dovere.”
“Conosci Shouyou da molto più tempo di me. Tutto quello che c’è da sapere lo sai già.”
Kei affondò la punta della sua zappa nella terra ed appoggiò il mento sull’estremità di legno. “Vogliamo fingere che non sia successo niente?”
Tobio lo guardò. “Perché? Che cosa è successo?”
Il Cavaliere sbuffò. “Cerco di fatelo capire con un semplice esempio: se fossi nato femmina o come il mio Principe, i tuoi genitori non sarebbero così felici di lasciarti andare in giro come ti pare.”
Fu il turno del Principe Demone di sbuffare. “È con me tutto il tempo che tu quell’altro non lo avete sotto gli occhi.”
“Oh, quanto mi sento rassicurato!” Esclamò Kei con sarcasmo.
Tobio lo guardò storto. “Non gli accadrà niente fin tanto che è sotto la mia protezione.”
Il Cavaliere annuì. “Di questo non dubito, mio malgrado,” disse. “Ma puoi proteggerlo anche da te stesso?”
“Dimmi quello che vuoi dirmi e torna al lavoro, bastardo,” tagliò corto Tobio a voce abbastanza bassa perché nessun altro potesse udirli. Non era sicuro lasciare che quegli idioti di Tetsuro e Koutaro venissero a conoscenza dell’ultimo segreto di Shouyou. Alla prima battuta volgare si sarebbe sentito in dovere di decapitare qualcuno, altrimenti. La cosa positiva era che né Kenma né Keiji avrebbero mosso un dito per fermarlo.
Kei sospirò. “Non so cosa funziona questa cosa,” ammise. “Questa seconda natura di Shouyou.”
“Oh, tu che ammetti di non sapere qualcosa!”
“So cosa raccontano, però, Principe Demone,” insistette il Cavaliere molto seriamente. “E, pur con la vostra discutibile intelligente, so che lo sapete anche voi…”
Tobio sospirò. “Avete un sovrano Omega ed ancora credete alle storie?”
“Nessuno pone domande al Re su quello che succede nella sua camera da letto, ovviamente.”
“Ti dirò come agiremo,” disse Tobio guardandolo dritto negli occhi. “Tu ed il tuo amico smetterete di farne un dramma. Al resto penso io.”
Kei inarcò le sopracciglia. “Con tutto il rispetto…”
“Gli Omega non sono demoni tentatori che se ne vanno in giro a fare a pezzi la lucidità a l’autocontrollo degli uomini,” disse il Principe Demone con fermezza. “Hanno una reazione fisica solo quando provano attrazione esattamente come me e te,” fece una pausa. “Solo in modo diverso…” Riprese la sua falce e tornò a lavorare.
Kei, però, rimase a guardarlo ancora per un istante. “Era con te quando gli è successo…”
Tobio si bloccò a tenne gli occhi blu fissi sulle spighe dorate. Si umettò le labbra, poi scosse la testa. “Torna al lavoro, Kei.” Lui stesso, però, non lo fece ancora per molto. Un gracchiare proveniente dal cielo lo costrinse a sollevare lo sguardo. Per un attimo, guardò il Cavaliere vicino a lui ma Kei non sembrava aver udito nulla di strano.
Il verso si ripeté e Tobio sollevò lo sguardo verso il cielo.
Il Corvo volò sopra la sua testa tanto velocemente che fu difficile distinguere la piccola figura nera. Tornò indietro ed il Principe Demone sgranò gli occhi. “Ma che diavolo…”
Kei lo guardò. “Io non ho detto niente.”
Tobio, però, nemmeno rispose al suo sguardo. Lasciò cadere la falce a terra e prese a correre tra le spighe di grano con lo sguardo sollevato verso il cielo. Notò che il Corvo aveva rallentato l’andatura per permettergli di seguirlo.
Sentì gli occhi degli altri su di sé e qualcuno pronunciò il suo nome ma non si fermò per scoprire chi. Risalì la collina e per poco non inciampò sul Cavaliere di Shiratorizawa che aveva accompagnato Tsutomu. La sua cavalla bianca era sul lato opposto all’ombra del grande albero.
Salì in sella con un movimento rapido e lanciò il suo destriero al galoppo.
Il Corvo prese a volare più velocemente verso il boschetto che confinava con i campi di grano.
Tobio venne accecato dal sole e fu costretto ad abbassare gli occhi per vedere dove stava cavalcando. Tirò le redini della sua cavalla e rallentò l’andatura. Quando alzò di nuovo il viso, il Corvo era sparito.
“Buona, buona…” Mormorò Tobio passando le dita sulla criniera bianca del suo destriero. Si guardò intorno ma non vide nulla, solo un mare di spighe dorate. “Ma che diavolo…?”
Non vide il Corvo sollevarsi dal grano alle sue spalle. I suoi sensi di cacciatore percepirono solo un lieve spostamento d’aria dovuto al battito delle ali. Voltò gli occhi blu ma riuscì solo a vedere delle piume nere, prima che gli artigli del Corvo affondassero nella sua spalla.
 
 
***
 
 
Kaname sbattè le palpebre un paio di volte. “Temo di non capire…”
Issei e Takahiro presero entrambi un respiro profondo. Un sorriso amichevole ma inquietante illuminava i loro volti.
Seduto accanto all’uomo che era stato il suo Re, Futakuchi lanciò un’occhiata a Shigeru che sembrava essere lì completamente contro voglia. Di fatto, il Cavaliere di Seijou alzò entrambe le mani. “Non guardare me,” disse. Al suo fianco, Kentare emise un verso animalesco a bassa voce che non aiutò a rendere più chiara la situazione.
“Voi volete,” disse Kaname nel tentativo di capirci qualcosa, “che ce ne andiamo tutti nelle campagne di Seijou, dal Principe Tobio per lasciare il Castello Nero completamente incustodito?”
Takahiro fece una smorfia. “Detto così, sembra che stiamo organizzando un colpo di stato.”
“È proprio quello che sembra,” sottolineò Futakuchi.
Issei si grattò il retro del collo. “Non siamo tanto annoiati da metterci ad organizzare colpi di stato. Troppo pigri per il nostro bene.”
Futakuchi li guardò entrambi con aria disgustata. “Mio signore, questi due sono completamente idioti.”
Kaname, però, posò una mano sul suo braccio invitandolo ad essere paziente. “Perdonate, Cavalieri, vorrei capire ma temo che dovrete essere più chiari perché io ci riesca.”
Issei e Takahiro si guardarono: l’educazione di quel Re sconfitto li metteva sempre a disagio, in un modo o nell’altro. Forse, perché era l’unico in quella corte che aveva contribuito a far cadere.
“Per farla breve,” disse Takahiro. “Vorremmo che tutti… O quasi, ce ne andassimo dal Castello Nero per lasciare il nostro beneamato Primo Cavaliere da solo nelle grinfie del Re Demone.”
Futakuchi inarcò le sopracciglia. “Bene, non è un colpo di stato. È solo un tradimento degno di questo nome.”
Issei scosse la testa. “Lo faccia per il suo bene.”
“Nessuno rimane da solo con il Re Demone per il proprio bene!” Sbottò l’uomo che era stato Generale dell’esercito di Dateko.
Takahiro scrollò le spalle. “Hajime ha sempre avuto gusti difficili…”
Kaname, però, stava cercando di capirli davvero. “Si sono riavvicinati?” Domandò.
Futakuchi lo guardò con gli occhi sgranati. “Mio signore…”
“Diciamo che vogliamo togliere a Hajime ogni possibilità di parlare con qualcuno che non sia Tooru,” concluse Takahiro. “E vedere cosa succede…”
Futakuchi sbuffò esasperato. “Ho sentito abbastanza sciocchezze per una sola giornata.”
Kaname, però, non gli diede ascolto. “Se non volete sbilanciarvi, vi capisco ma, rispondetemi, è successo qualcosa tra Hajime e Tooru durante l’estate, vero?”
Issei scrollò le spalle. “Questo piccolo piano diabolico è per far luce sulla questione.”
Kaname annuì. “Capisco…”
Futakuchi appoggiò una mano sul tavolo e si chinò verso il suo Re. “Non vorrà davvero dare ascolto al delirio di questi due!”
Il suo signore lo guardò con un sorriso paziente. “Capisco il tuo rancore, Kenji, davvero,” disse. “Tuttavia, se il Primo Cavaliere si riavvicina al Re Demone sarà solo una cosa positiva per noi…”
“In che modo?” Domandò Futakuchi. “Il nostro Regno non ci verrà mai restituito, mio Re. Lo sapete bene!”
Kaname si fece immediatamente serio. Si alzò in piedi. Non era alto, non quanto il suo Generale, comunque, ma Takahiro ed Issei videro l’espressione sul viso di Futakuchi cambiare drasticamente.
“La caduta di Dateko non è colpa di Tooru o Hajime,” disse Kaname con una dignità degna di un grande Re. “I Re conquistano altri Regni dall’alba dei tempi. Era solo questione di tempo… Se non fosse stato Tooru, sarebbe avvenuto per mano di Wakatoshi.”
Futakuchi scosse la testa. “Mio signore, non dovete…”
“Non è nemmeno colpa tua, Kenji,” aggiunse Kaname. “Né tua né di tutti gli altri ragazzi. Il Re di Dateko ero io e non sono stato abbastanza forte da proteggervi. Mentre i Regni accanto al nostro crescevano in potenza mi sono limitato a chiudermi dentro le nostre leggendarie mura e sperare che questo bastasse. Un Re non dovrebbe limitarsi a sperare. Un Re ha troppo da perdere per potersi permettere di rimanere sulla difensiva. Dateko è caduta per la mia debolezza ma Tooru avrebbe potuto farci molto di peggio e nessuno avrebbe mosso un dito perché sarebbe stato un suo diritto. Wakatoshi non sarebbe mai stato altrettanto magnanimo…”
Futakuchi strinse i pugni ma non si permise di aggiungere nulla.
L’atmosfera si era fatta talmente tesa che nemmeno Issei e Takahiro sapevano più come spezzare il silenzio.
Per loro fortuna, fu proprio un Cavaliere di Dateko a salvarli da quell’imbarazzante situazione.
“A me piace la campagna,” proclamò Aone dal nulla.
Tutti i presenti lo guardarono. Futakuchi aveva l’espressione di chi aveva appena visto un fantasma, mentre Kaname sorrideva.
Issei e Takahiro si scambiarono un sorriso vittorioso e quest’ultimo batté le mani con fare esultate. “È deciso, allora!”
 
 
***
 
 
Quello che accadde quel giorno, Tobio non sarebbe riuscito a descriverlo nemmeno a distanza di anni. Non lo sapeva ancora, ma lo avrebbe fatto innumerevoli altre volte e di quelle avrebbe saputo raccontare qualcosa… Dare un’idea di quello che da sempre era il sogno dell’umanità.
La prima volta che volò, però, Tobio non avrebbe mai potuto dimenticarla.
La caduta in acqua fu scioccante.
Fu come risvegliarsi da un sogno di soprassalto ma non riuscire a respirare.
Sgranò gli occhi blu agitandosi come se non sapesse nuotare. Solo quando due piccole mani gli strinsero le braccia e cercarono di tirarlo su recuperò il controllo di sé abbastanza per muovere le gambe come doveva per tornare in superficie.
Ingoiò aria come un naufrago tossendo dopo ogni respiro profondo.
Quelle piccole dita calde lo stringevano ancora. “Tobio?”
I capelli bagnati gli erano ricaduti davanti agli occhi ma quelli di Shouyou erano grandi e luminosi come sempre, solo un po’ preoccuparti. Lo lasciò andare solo per tirargli indietro la frangia corvina e guardarlo meglio. “Ehi,” riprovò Shouyou gentilmente. “Tobio, parlami!” Gli prese il viso tra le mani. “Perché non ti muovevi? Sai nuotare, no? Mi hai spaventato!”
Tobio lo guardava, lo ascoltava ma non riusciva a rispondergli. Il petto gli doleva ancora per la mancanza d’aria e la testa di girava ma non si sentiva male.
Shouyou gli prese il viso tra le mani. “Tobio…”
Si fece più vicino ed i loro corpi si toccarono. Il Principe Demone si accorse solo allora che non avevano più i vestiti addosso ma non aveva voglia di essere arrabbiato per quello. Sì, per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, Tobio non sentiva alcuna rabbia divorarlo dentro.
Scoppiò a ridere.
Un suono strano, quasi estraneo, come se quella non fosse nemmeno la sua voce.
Tobio rise, rise… E si sentì improvvisamente libero.
“Tobio,” Shouyou gli passò di nuovo una mano tra i capelli.
Gli occhi blu tornarono su quelli d’ambra. Sorrideva ancora. “Mi gira la testa,” disse. “Mi viene da vomitare…”
Shouyou rise. Un suono leggero, cristallino. “Lo so,” disse. “Le prime volte può capitare. Vieni, ti aiuto.”
Lo spinse verso il bordo roccioso del laghetto. Tobio si guardò intorno e realizzò che erano precipitati nell’acqua delle cascate dei suoi genitori. Si appoggiò alla parete fredda ed umida chiudendo gli occhi.
“Prendi respiri profondi lentamente,” lo istruì Shouyou gentilmente. “Il senso di vertigine passerà presto. Col tempo non accadrà più, promesso.”
Tobio riaprì gli occhi guardandolo come un bambino smarrito. “Ho volato?”
Il sorriso di Shouyou si fece ancor più luminoso mentre annuiva. “Solo per pochi istanti ma, sì, stavamo volando… Poi ho avuto paura di perderti e ho tentato un atterraggio di emergenza.”
Tobio prese un altro gran respiro ed ingoiò a vuoto. “Come ci sei riuscito?”
“Non lo so,” ammise Shouyou. “Volevo solo giocare. Prenderti un po’ in giro e poi ho pensato di… Provarci,” scrollò le spalle. “Te l’ho detto che dovevamo fare a modo mio.”
Tobio annuì distrattamente, ancora stordito. Un ciuffo di capelli corvini gli ricadde davanti agli occhi e fece per scostarlo ma la piccola mano di Shouyou fu più veloce. Lo lasciò fare studiando in silenzio la sua espressione: lo fissava con interesse, quasi incanto.
“Che cosa c’è?” Domandò Tobio.
“La rabbia non c’è più,” notò Shouyou con dolcezza. “In questo preciso instate, non sei arrabbiato col mondo.”
Tobio corrugò la fronte e fece per dire qualcosa.
“No,” Shouyou premette l’indice contro le sue labbra. “Non ci pensare, adesso. Non è importante, ora.”
Il Principe Demone annuì. Non era difficile: tutte le ragioni per cui era stato arrabbiato con se stesso e col mondo, sembravano essere scivolate in un angolo oscuro della sua mente, abbastanza lontani perché non potessero toccarlo.
L’aria s’impregnò di un dolce profumo. Tobio si fece rigido, abbassò lo sguardo. Vide Shouyou umettarsi le labbra e lo sentì allontanarsi da lui. “Fermo, Shouyou…” Gli circondò la vita con un braccio impedendogli di fare un passo ancora.
Shouyou gli premette le mani contro il petto scuotendo la testa. “Tobio,” accennò un sorriso forzato. “Questo non sei tu, sono io che… Sono io…”
“È questo quello che credi dei tuoi genitori?” Domandò il Principe Demone.
Shouyou strinse le labbra per un istante. “No, ma…”
Tobio ghignò. “Forse, sei la reincarnazione del Principe Corvo e puoi anche credere che il tuo profumo abbia la facoltà di rendere un uomo un completo folle,” disse facendo scivolare una mano sul retro del collo del piccolo Principe sfiorando i capelli morbidi sulla nuca. “Ma io non sono un uomo, Shouyou. Sono un Demone. Sono il Re Demone. Puoi giocare con me quanto vuoi... Non ti lascerò mai vincere.”
I loro nasi si sfioravano, i loro respiri si confondevano.
Shouyou sorrise. Era sicuro, arrogante, luminoso.
Non provò più ad allontanarsi ed il Principe Demone non fece nulla per scostarlo da sé.
Fu il rumore di un ramo spezzato a riportarli alla realtà.
Shouyou si voltò per primo ma Tobio lo costrinse dietro di sé, contro la parete rocciosa.
Lo stato d’allerta finì nel momento in cui gli occhi blu del Principe Demone incontrarono quelli chiari di un altro erede al trono che conosceva bene. Sbuffò. “Tsutomu…”
Il Principe dell’Aquila se ne rimase immobile, atterrito.
“Perché non sei nei campi?” Domandò Tobio.
Tsutomu non parlava e lo guardava come se gli fossero spuntate di colpo le corna. Per un attimo, Tobio pensò che sarebbe stato divertente considerando che aveva appena dichiarato di essere un Demone, poi, però, una piccola mano gli afferrò il braccio con urgenza. Si voltò e quello che vide sul viso di Shouyou fu orribile: gli occhi d’ambra erano grandi, pieni di terrore.
Tobio fece per chiedergli che cosa non andava, poi comprese. Anche i suoi occhi si erano fatti enormi quando tornò a guardare l’erede al trono di Shiratorizawa. “Da quanto tempo sei lì?” Domandò.
Tsutomu appoggiò la schiena al tronco di un albero e strinse le labbra. Tobio si portò al centro del laghetto. “Parla!” Tuonò “Da quanto tempo sei lì?”
Shouyou si fece piccolo piccolo contro la parete di roccia e s’immerse nell’acqua fino alle spalle.
Il Principe dell’Aquila li fissava come pietrificato. “È stato lui…” Disse con voce tremante guardando il piccolo Principe dei Corvi. “Quella notte al Castello Nero, mentre la torre cadeva…”
Shouyou si strinse le braccia intorno al corpo, un nodo gli stringeva la gola.
“Tsutomu, guarda me!” Sbottò Tobio con rabbia. “Guarda me e dimmi quello che hai visto e sentito!”
Il Principe dell’Aquila portò gli occhi chiari sul viso del Principe Demone. “Che cos’è?” Domandò. “È come mio padre? Lui è un…”
“Non osare dire una parola di più!” Lo interruppe Tobio con rabbia.
Tsutomu sobbalzò. Non sarebbe andato da nessuno parte.
Tobio si voltò porgendo una mano al piccolo Principe tremante quasi del tutto immerso nell’acqua. “Shouyou, vieni qui…”
Gli occhi d’ambra erano grandi, pieni di lacrime.
“Andrà tutto bene,” aggiunse Tobio con fermezza. “Andrà tutto bene, te lo prometto. Fidati di me.”
Furono quelle ultime tre parole a spingere Shouyou a reagire. Ingoiò a vuoto, poi si fece più vicino fino ad afferrare la mano del Principe Demone. I suoi occhi incrociarono per un istante quelli ancora spaventati di Tsutomu ma li abbassò l’istante seguente.
“Bene,” disse Tobio trafiggendo il Principe dell’Aquila con lo sguardo. “Ora togliti la tunica ed i pantaloni…”
 
 
***
 
 
Hajime venne svegliato da un getto d’acqua rovesciato direttamente sopra la sua testa.
Scattò in avanti prendendo a tossire violentemente.
Da qualche parte nella stanza, Tooru rideva.
“Maledetto idiota!” Lo apostrofò con rabbia passandosi una mano sul viso. Delle dita gentile s’infilarono tra i suoi capelli tirandoli all’indietro. Sollevò le palpebre e due grandi occhi scuri lo accolsero.
“Ti sei addormentato mentre facevi il bagno,” disse Tooru incrociando le braccia sul bordo della vasca. “Non ho resistito,” aggiunse con un’espressione infantile.
Hajime s’imbronciò. “Non crescerai mai, Tooru…”
“Certe volte vorrei non averlo fatto davvero,” ammise il Re con un sorriso nostalgico. “Restare per sempre ad una singola stagione della mia vita.”
Hajime sospirò. “Sei troppo giovane per cominciare a fare questi discorsi.”
“Nostro figlio, però, ha quasi quindici anni,” disse Tooru guardandolo dritto negli occhi. “È terribilmente vicino all’età a cui vorrei tornare.”
Il Cavaliere inarcò un sopracciglio. “Vuoi combattere di nuovo contro Shiratorizawa, per caso? Ti manca così tanto il campo di battaglia?”
Tooru scosse la testa. “No, mi manca tutto quello che è venuto subito dopo. Mi mancano le stagioni in cui Tobio era ancora abbastanza piccolo da incantarsi per qualsiasi cosa gli facevamo fare o per qualunque cosa gli raccontavamo.”
Suo malgrado, anche Hajime sorrise. “Ricordi come si arrabbiava quando pretendeva di giocare con la mia spada e noi glielo impedivamo?”
Tooru ridacchiò. “Sì, poi è passato a fare tentativi col mio arco… Quanto rimase deluso l’anno in cui promettemmo di regalargli un’arma per il suo quinto compleanno e tu arrivasti con una spada di legno!”
“Ogni volta che fa una smorfia storce sempre quella dannata bocca in un modo che… In un modo che…” Hajime s’interruppe, si umettò le labbra e poi sospirò. “Puoi passarmi un asciugamano? Quest’acqua è gelida!”
Tooru si alzò in piedi. “Ci hai dormito dentro, ti ricordo.”
“Ah… E non sai quanto vorrei dormire ancora…”
Il Re Demone appoggiò l’asciugamano sul bordo della vasca. “La servitù ha finito di là,” disse. “Ti aspetto in camera. Ci sono le lenzuola pulite sul letto, puoi riposarti quanto vuoi.”
“Uhm… Uhm…” Fu la pigra risposta del Primo Cavaliere. Afferrò l’asciugamano e fece per alzarsi in piedi. Un pensiero molesto lo fermò. “Tooru…” Chiamò. “Mi hai appena invitato a…?”
La porta del bagno si richiuse prima che ebbe finito di parlare.
 
 
***
 
 
Se Tsutomu non fosse stato travolto da tutto quel caos emotivo, si sarebbe sentito profondamente e terribilmente umiliato.
Tobio e Shouyou camminavano davanti a lui: il primo con i suoi pantaloni addosso ed il secondo con la sua tunica. Non parlava, il Principe dell’Aquila. Non sapeva cosa dire ed anche se lo avesse saputo, non avrebbe avuto la minima idea di come dirlo.
Tuttavia, quel silenzio stava cominciando ad essere un po’ troppo pesante.
“Cosa di quello che ho udito è un segreto?” Domandò.
Gli altri due smisero di camminare e si voltarono a guardarlo. Lo sguardo di Shouyou non lo preoccupava ma se Tobio avesse avuto una spada con sé non avrebbe esitato ad usarla contro di lui, glielo si leggeva in faccia. “Secondo te?” Domandò il Principe Demone.
Tsutomu ingoiò a vuoto. “Tutto… Deduco…” Rispose. “Dalla prima all’ultima parola…”
Tobio annuì due volte. “Allora non sei un idiota come sembri.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi. “Come ti permetti?!” Fece un passo in avanti e non si sarebbe fatto problemi a passare alle mani se l’altro gli avesse dato una buona ragione per farlo.
“Tobio,” Shouyou si parò davanti al Principe Demone. “Non è così che risolveremo la situazione…”
“Esattamente,” s’intromise Tsutomu. “Che cosa c’è da risolvere? Nessuno qui ha commesso un crimine!” Esclamò incrociando le braccia contro il petto. “A meno che qualcuno non abbia privato dell’onore qualcun altro senza il consenso del Re, suo padre…”
Le guance di Shouyou divennero color porpora ed abbassò lo sguardo serrando i denti sul labbro inferiore. Tobio lo spinse dietro di lui. “Tu non hai idea di quanto sia lunga la lista delle ragioni per cui vorrei spaccarti la faccia in questo momento,” sibilò con rabbia.
Tsutomu ghignò. “Davvero?” Domandò con tono di sfida. “Improvvisamente sono una minaccia per te, Tobio? Questo vostro amore segreto deve essere davvero scomodo per qualcuno… Forse, per il Re Demone.”
“Racconta quello che hai visto al Re Demone e tutto quello che riceverai in cambio sarà un invito ufficiale alle mie nozze,” replicò Tobio con sarcasmo.
Il Principe dell’Aquila strinse i pugni nel vedere l’effettiva inefficienza della sua minaccia. “È il suo potere il problema, allora?”
Tobio lo afferrò per le spalle e lo spinse contro rabbia contro il tronco dell’albero più vicino.
“Tobio!” Urlò Shouyou.
“Tu prova anche solo ad accennare a quanto hai udito o visto a quella cascata e sta pur certo che la fama di tuo padre non potrà nulla per fermarmi,” disse il Principe Demone con tono gelido.
“Non puoi toccarmi senza rischiare di scatenare una guerra,” ribatté Tsutomu.
“Tu osa dire o fare qualcosa che possa mettere a repentaglio l’incolumità del Principe dei Corvi e la guerra con cui mi minacci sarà la spada con cui taglierò la tua testa, Principe dell’Aquila.”
“Tobio!” Shouyou afferrò il Principe Demone per un polso e lo costrinse a voltarsi. “Basta così…” Disse con rabbia, gli occhi lucidi di lacrime. “Voglio andare a casa…”
Tobio si liberò dalla stretta dell’altro con uno strattone. “Prima voglio assicurarmi che…”
“Ha capito!” Esclamò Shouyou costringendosi a guardare Tsutomu negli occhi. “Sei custode di un segreto, Principe dell’Aquila,” disse con voce un poco tremante. “Giura che rispetterai questo patto.”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Non c’è nessun patto tra me ed il Principe Demone. Non gli devo niente e lui non ha niente per comprarsi la mia parola!”
“Io sì, però,” ribatté Shouyou con orgoglio. “Mi devi la tua vita, Tsutomu. È una cosa che tu e Tobio avete in comune: quella notte sareste morti entrambi se non fossi stato lì. Quindi, questo giuramento ti lega a me.”
Non c’era più tanta arroganza sul viso del Principe dell’Aquila. Senso di colpa, forse. Vergogna.
“La tua vita per il tuo silenzio,” disse Tobio per sottolineare il concetto. “Fino alla fine dei tuoi giorni.”
Tsutomu strinse le labbra per un istante. “Mi dispiace,” disse e lo fece rivolgendosi esclusivamente a Shouyou. “Hai ragione, ti devo la mia vita,” annuì, “giuro che custodirò il tuo segreto fino al mio ultimo respiro, Principe dei Corvi.”
Nonostante gli occhi lucidi, Shouyou accennò un sorriso gentile.
Tobio sbuffò. “Meno poetico ed avrebbe afferrato il concetto lo stesso, Tsutomu.”
“Altezza…”
I tre Principi si voltarono in contemporanea.
A chi il Mago si stesse rivolgendo, non lo seppero mai ma i suoi occhi felini li squadrarono uno ad uno con la stessa espressione pregna di disagio. “Vi stavamo cercando…” Concluse Kenma.
 
 
***
 
 
“Davvero nessuno è venuto a cercarmi?” Domandò Hajime affondando il viso nel cuscino che un tempo era stato suo.
“Issei e Takahiro sono responsabili per l’intruglio che hai bevuto questa mattina,” disse Tooru seduto alla sua scrivania, vicino alla portafinestra.
Hajime lo guardò. “Issei e Takahiro sanno che sono qui.”
“Ho sottolineato che non ti ho rapito,” aggiunse Tooru con un sorriso furbetto. “Non si presenteranno alla porta battendovi contro i pugni come se dovessero assediare una fortezza.”
“Qualche volta penso che a loro manchi,” ammise Hajime. “La battaglia, le grandi imprese…”
Tooru ridacchiò continuando a far vagare lo sguardo sulle carte sotto i suoi occhi. “Hai guidato una generazione che verrà ricordata nelle grandi storie per sempre, Hajime. Dovresti esserne orgoglioso.”
“Non sento di aver compiuto grandi imprese,” ammise il Primo Cavaliere. “Almeno, non quelle che tutti definiscono tali…”
Tooru gli lanciò un’occhiata veloce. “Hai preso a pugni il Re dell’Aquila…”
“Grande soddisfazione quella!”
Il Re Demone s’imbronciò. “Davvero?” Domandò. “Quella è l’unica soddisfazione che ti ricordi di quel giorno?”
Hajime accennò un sorriso distendendosi sulla schiena. “Con te… È stato meglio dopo.”
Tooru sgranò gli occhi scuri e lo guardò scandalizzato. “Come sarebbe a dire? Pensavo che morissi di desiderio per me!”
“Oh, sì!” Confermò Hajime. “Devo ricordarti che, folle per la gelosia, sono scappato dal Castello Nero pur di non vederti con lui?”
“E allora?” Domandò Tooru abbandonandosi contro l’alto schienale della sua sedia. “Hai appena detto che…”
“Ero terrorizzato,” confessò Hajime fissando il soffitto. “Le ragazze con cui ero stato sapevano cosa fare meglio di me e non m’importava… Tu…” Sentì uno strano calore alle guance e sbuffò frustrato. “Tu eri tu, Tooru. Dovevo essere perfetto per te. Tutto doveva esserlo e se non potevo renderlo tale…”
“Lo hai fatto.”
Il Primo Cavaliere cercò gli occhi scuri del Re.
Tooru lo guardava un po’ incantato ed un po’ malinconico. “L’hai fatto, davvero,” annuì. “Avevo un labbro spaccato, uno zigomo gonfio ed avevo appena buttato via l’occasione politica della mia vita ma…” Sospirò. “Quella notte è stata perfetta.”
Hajime decise di non mostrare alcun segno di soddisfazione: meglio rimanere sulla difensiva con il il Re Demone.
“E non dirmi che, la mattina seguente, uscire dalla mia camera per andare a prendere a pugni Wakatoshi non ha contribuito enormemente alla tua soddisfazione.”
“Forse…”
“Bugiardo.”
“Quella seconda notte insieme ero molto più rilassato, però,” ammise Hajime. “La notte in cui hai scelto il nome per quel figlio che non avevamo ancora.”
“Tu me lo hai suggerito,” gli ricordò Tooru.
“Hai chiesto di conoscere il nome di mio padre e te l’ho detto.”
“Chissà come Tobio e Shouyou sceglieranno il nome del loro bambino,” si chiese Tooru con aria sognante.
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tooru, non ricominciare…”
“Va bene, allora prova a dirmi che Tobio si comporta con Shouyou come con chiunque altro.”
“Su questo hai ragione, però…”
“Però, dico che Shouyou e Tobio avranno una bambina.”
“Perfetto, Tooru, sei ufficialmente fuori di testa.” Hajime si alzò dal letto a fatica. “Trovo qualcuno che ci porti la cena…”
“Ma ci pensi?” Il Re Demone guardò fuori dalla portafinestra al suo fianco. “Sarebbe una bella novità per tutti noi, no? Una bella Principessa con un sorriso luminoso e con gli occhi blu…”
 
 
***
 
 
Quando Tobio smise di parlare, Kenma si umettò le labbra. “Non parlerà, dunque?”
Shouyou sospirò. “L’ha giurato…”
“Non essere così ingenuo, stupido!” Esclamò Tobio allontanandosi dalla finestra e prendendo a vagare per la stanza. Tutti erano nel cortile per consumare la cena insieme e non c’era pericolo che qualcuno li udisse.
“Mi è sembrato sincero,” insistette Shouyou. “Sfiderebbe te per qualsiasi cosa, Tobio! Sei il suo diretto rivale, dopotutto.”
“È un’informazione pericolosa nelle mani della persona sbagliata,” disse Kenma con voce quieta ma scura, come se stesse riflettendo su come agire.
Seduto sul letto, Shouyou si strinse le ginocchia al petto. “Tsutomu era sincero, Tobio,” insistette. “Io e lui abbiamo tante cose in comune. Non credo che spingerlo via sia la soluzione giusta. Noi… C’è qualcosa nel nostro potere che si somiglia, in un certo senso.”
Kenma sollevò immediatamente lo sguardo sul Principe dei Corvi. “No, mio Principe,” disse. “Non avvicinate l’erede di Shiratorizawa. Non è sicuro.”
“Ed in che modo tenerlo a distanza potrebbe aiutarci?” Domandò Shouyou.
Il Mago prese un respiro profondo. “Il sangue dell’Aquila è pericoloso, Vostra Altezza,” insistette. “Il vostro segreto nelle mani di uno di loro è qualcosa che non avevo previsto ma dovete restare lontano da Tsutomu, capite? Forse, avete ragione ed il patto che vi lega sarà abbastanza per tenervi al sicuro ma…”
“Ha parlato di suo padre!” Insistette Shouyou. “Ha detto che è… Come me? È possibile che il Re dell’Aquila sia come me?” Domandò guardando Tobio.
“Tooru mi ha raccontato qualcosa del genere, una volta,” ammise Tobio. “Le sue storie con Wakatoshi sono sempre state confuse ma puoi parlare con chiunque abbia combattuto la guerra contro Shiratorizawa e saranno pronti a giurarti che l’esercito dell’Aquila si muoveva come se volasse.”
“Non è importante, ora,” disse Kenma. “Shouyou, anche se Tsutomu può comprendere il tuo potere, questo non lo rende un alleato sicuro. Lo capisci?”
No, Shouyou non capiva. “È alleato di Seijou, no?”
Il Mago si avvicinò al letto. “I giochi di poteri tra Re e Principi sono molto più complessi di così,” disse con pazienza. “Nostro malgrado, Tooru ha creato ciò che di più vicino ci sia ad un equilibrio stabile ma non mancano le personalità forti in grado di ribaltarlo.”
Shouyou sorrise nervosamente. “Perché l’equilibrio dei Regni liberi dovrebbe essere ribaltato per me?” Domandò. “Non ha senso. Sono l’erede al trono del Regno più piccolo e meno potente nelle vicinanze. Il mio valore politico è quasi nullo. Mio padre voleva darmi in sposo al mio Cavaliere piuttosto che provare a propormi per qualche matrimonio politico o che so io…”
“Kenma,” Tobio guardò il Mago con fare sospettoso. “Che cosa ci stai nascondendo?”
“Mio Principe,” disse Kenma con pazienza. “Immagino possiate immaginare quale sia il primo desiderio di un Re con un grande potere nel sangue.”
Tobio scrollò le spalle. “Mio padre possiede l’arte della spada,” disse. “Si è preoccupato di passarmi quella.”
Kenma annuì. “Tsutomu è figlio di due creature magiche ma il suo potere non è forte come Wakatoshi sperava o, forse, non lo ha ancora scatenato.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “E tutto questo che cosa avrebbe a che fare con me?”
Kenma tornò a guardarlo. “Vostro padre non aveva ragione di rinchiudervi in una gabbia dorata, piccolo Principe,” disse. “Tuttavia, i suoi timori erano fondati. Dite di essere un Principe senza valore politico ma portate nel sangue un potere che vale più di qualsiasi dote matrimoniale.”
Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Bam-Bambini?” Domandò con vocetta stridula. “Stiamo parlando di bambini?”
Tobio pareva preso di sorpresa quanto lui. “Kenma, stai cercando di dirmi che Shouyou deve astenersi dal sollecitare l’interesse di Tsutomu anche per solo per ragioni amichevoli perché se, disgraziatamente, la notizia del suo potere arriva alle orecchie di Wakatoshi, a qualcuno potrebbe venir voglia di organizzare un matrimonio?”
Shouyou lasciò andare un lamento prendendosi il viso tra le mani. “Che imbarazzo…”
“Ovunque vai, sei destinato ad un matrimonio, Shouyou,” disse Tobio con un ghignetto.
“Non esserne così divertito!” Esclamò il piccolo Principe.
“Non è uno scherzo,” insistette Kenma. “Wakatoshi potrebbe costringerti ad un matrimonio con suo figlio in modo che il potere di entrambe le vostre stirpi scorra nel sangue di un erede comune.”
Shouyou sbuffò saltando giù dal letto. “È troppo chiedere che mi venga concesso il tempo di scegliere chi sposare?” Domandò attraversando la stanza con ampi passi fino ad arrivare davanti alla finestra. Nel cortile interno, gli altri Cavaliere stavano mangiando, bevendo e festeggiando la fine di un’altra giornata produttiva passata nei campi.
Era una felicità semplice, genuina.
Shouyou li invidiava particolarmente in quel momento. “Vorrei solo…”  Si voltò verso Tobio e quegli occhi blu ricambiarono il suo sguardo confusi ma non aggiunse altra parola.
“Scegliere è il potere che stiamo cercando di concedere ad entrambi,” disse Kenma.
Il Principe Demone lo fissò sospettoso. “Che vuoi dire?”
Il Mago si umettò le labbra. Forse, stava agendo in preda al panico, spinto dalla paura di vedere le immagini dei suoi peggiori incubi divenire realtà. Era sempre stato lucido e razionale nel suo agire, il Mago della corte di Nekoma e, forse, era stato semplice accettare le visioni di morte di due fanciulli ancora in fasce. Quegli stessi fanciulli, però, ora erano lì davanti a lui. Creature con un destino troppo grande e complesso per il loro bene.
E Shouyou chiedeva solo di poter scegliere.
Sì, Shouyou chiedeva di scegliere come Tobio gli aveva chiesto di capire.
Gli sarebbe bastato raccontare una sola storia per realizzare entrambi quei desideri.
Kenma allungò una mano e la posò sulla spalla di Tobio, poi porse l’altra a Shouyou invitandolo ad afferrarla. “Miei Principi,” disse gentilmente. “Ho bisogno che ascoltiate le parole che sto per dirvi con molta attenzione.” Guardò il fanciullo dai capelli corvini. “Ti avevo detto che al tuo ritorno, i tuoi genitori ti avrebbero dato tutte le risposte che stavi cercando e tu, Tobio, mi hai chiesto se saresti stato pronto ad accettarle.”
Il Principe Demone annuì.
Kenma prese un respiro profondo: Tooru non lo avrebbe mai perdonato per quello che stava per fare ma il Principe dell’Aquila sapeva troppo ed il giuramento che aveva fatto a Shouyou poteva essere stato sincero ma erano fragili le condizioni su cui si reggeva… Troppo fragili.
“Vi prego, miei Principi, ascoltate questa storia fino alla fine…”
 
 
***
 
 
Hajime era affacciato ad una delle finestre del salotto privato del Re.
“Che cosa stai facendo?” Domandò Tooru uscendo dalla camera da letto per accomodarsi alla tavola imbandita.
Il Primo Cavaliere osservò il cortile interno del castello completamente deserto con espressione sospettosa. “C’è troppo silenzio…” Sibilò.
Tooru ridacchiò versandosi del vino. “Senza Koutaro e Tetsuro…”
“No,” Hajime si voltò avvicinandosi al tavolo a sua volta. “Non si tratta solo di questo.”
Tooru gli sorrise. “Ti aspetti un colpo di stato da parte di Takahiro ed Issei?”
“Se ci tengono a morire,” replicò il Cavaliere cominciando a mangiare.
Il Re Demone continuò a sorridere come se quella fosse una normalissima cena. “Una domanda che non ti ho ancora fatto,” disse con tono casuale. “Cosa ne pensi del piccolo Principe dei Corvi?”
Hajime scrollò le spalle. “Ammetto di non aver passato con lui abbastanza tempo per avere un giudizio.”
“Peccato…”
“Tooru, Tobio non si sposerà per l’amore di un’estate.”
“Allora ammetti che è amore.”
“È qualcosa,” disse Hajime afferrando il suo calice e prendendo un sorso di vino. “Sì, senza dubbio è qualcosa.”
Tooru sospirò. “Tu proprio non riesci ad immaginarti Tobio innamorato, vero?”
Hajime lo guardò fisso. “Tu sì?”
Il Re Demone rise. “Ho difficoltà,” ammise. “Però, mi piace giocare un po’ con la fantasia…”
“E cosa immagini?”
“Come te,” ammise Tooru. “Più bello, meno sveglio ma… Sì, come te: pronto a tutto per il bene di chi ama, anche combattere una guerra.”
Il Primo Cavaliere accennò un sorriso. “Mi vedi ancora così?”
“Oh, Hajime, sarebbe impossibile vederti in qualunque altro modo,” rispose Tooru appoggiando le spalle allo schienale della sua poltrona. “I tuoi Cavalieri ti amano. I Re che ho fatto cadere ti sono leali come se il loro nuovo sovrano fossi tu, Tobio ti guarda e vede il più grande eroe che abbia mai camminato nei Regni liberi ed io... Io ti guardo e vedo l’uomo che ha dedicato tutta la sua vita a me e che, nonostante gli abbia spezzato il cuore, continua a farlo.” Prese un altro sorso di vino portando lo sguardo al cielo scuro oltre la finestra.
Hajime continuò a guardarlo in silenzio per alcuni istanti. C’era tanto da dire. C’era sempre stato tanto da dire tra loro due, anche se spesso erano solo parole ripetute ancora, ancora, ancora…
Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo…
Quell’eco rimbalzava ancora sulle pareti di pietra di quelle stanze, insieme al suono delle loro risate di bambini, dei primi sospiri di piacere, della vocina infantile di Tobio che imparava a dire mamma e papà.
Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo…
Dov’era finita quella voce?
“Perché pensi che sarà una bambina?” Domandò Hajime di colpo.
Tooru inarcò le sopracciglia.
“Tobio,” chiarì il Cavalieri. “Perché credi che avrà una bambina? È un altro sogno di cui non mi hai parlato? Non avrai ricominciato a riflettere sulle tue visioni di quell’inverno di più di dieci anni fa quando ti sei tramutato in una…”
“No,” lo interruppe Tooru con un sorriso furbetto, poi scrollò le spalle. “È solo una fantasia anche questa.” Ammise. “O una speranza…”
 
 
***
 
 
Il silenzio che calò quando Kenma smise di parlare fu assordante.
Shouyou era seduto sul letto, Tobio era in piedi accanto a lui e l’orrore riflesso sui loro giovani visi era insopportabile da guardare.
Ecco, era fatta. Tobio aveva le sue risposte e Shouyou tutto ciò che gli serviva per scegliere liberamente chi amare. Due fiori non ancora sbocciati a cui veniva descritto il modo prematuro in cui sarebbero appassiti.
No, Tooru non lo avrebbe mai perdonato per aver fatto quello che aveva fatto e Kenma ne ebbe la conferma guardando Tobio negli occhi e vedendovi riflessa la rabbia disperata di una creatura troppo forte per il suo bene ma non abbastanza da sconfiggere il destino.
“Lasciaci, Kenma…” Fu tutto quello che il Principe Demone riuscì a dire.
Il Principe dei Corvi fissava il pavimento con espressione terribile, i grandi occhi privi della loro solita luce.
Kenma sentì la morsa del senso di colpa stringergli il cuore ma annuì e prese la via della porta senza dire niente altro: il suo compito era definitivamente concluso. Non c’erano più segreti da cui i due Principi dovessero venir protetti e non ci sarebbero stati altri incubi a tormentare la mente del Mago: cosa poteva esserci di peggio della visione della loro morte, dopotutto?
Più di quindici anni di attesa ed era tutto finito.
“Mi dispiace…” Mormorò abbassando la maniglia della porta. “Mi dispiace…” Era sincero, eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, non c’era più nessuna catena invisibile a legarlo.
 
 
 
Il rumore della porta che si richiudeva fu peggio di quello di un colpo di cannone.
Tobio fu il primo a spezzare l’immobilità della stanza. Si mosse fino al lato opposto fermandosi di fronte alla finestra che dava sui campi di grano sul retro della tenuta. La notte era quieta e solo un soffio di vento muoveva il mare dorato che al mattino sarebbe tornato a splendere di luce riflessa come ogni giorno.
Anche per il sorriso di Shouyou sarebbe stato lo stesso?
Aveva paura di voltarsi, Tobio. Aveva paura di vedere la disperazione negli occhi dei Principe dei Corvi e sapere che, no, non era solo un brutto sogno. Al mattino, il sole sarebbe tornato a brillare ma loro sarebbero rimasti intrappolati in quell’incubo che, a loro insaputa, li aveva incatenati fin dal giorno della loro nascita.
 Shouyou ingoiò aria disperatamente e si costrinse ad alzarsi in piedi.
 “Tobio…”
Il Principe Demone continuò a fissare il cielo scuro. Era strano: non aveva visto nuvole per tutto il giorno, eppure non brillava neanche una stella.
“Tobio…”
Sentì le mani del Principe dei Corvi contro la sua schiena. Erano piccole, tremanti. Erano le mani di un fanciullo che aveva sognato da sempre di vivere grandi avventure e compiere imprese leggendarie e, da sempre, erano legate da una maledizione invisibile di cui non era mai stato a conoscenza.
Ed il Principe Demone quelle mani le aveva afferrate innumerevoli volte sotto il sole di quell’estate che stava volgendo al termine. Lo aveva sempre fatto con poca gentilezza ed ancor meno cura. Ma ora… Ora…
Allungò un braccio all’indietro.
Shouyou intrecciò le loro dita con naturalezza, come se fosse un gesto abituale. Non lo era. Era la prima volta che si toccavano così e lo stavano facendo per non crollare, per ricordare ad entrambi che non erano soli in quella maledizione e che erano ancora vivi. Per ora…
Eppure, Tobio non poté fare a meno di notare quanto fosse facile stringere le sue dita intorno alla mano del Principe dei Corvi.
Shouyou appoggiò la guancia alla sua schiena.
Non poteva fare altro che piangere.
“Tobio, ti prego…” Provò a parlare.
Non ci riuscì.
La voce gli morì in gola e l’idea che potesse tutto finire così, senza che lui potesse fare niente, lo terrorizzava più della verità che avevano appena dovuto subire. “È soltanto un sogno…”
Non era vero e lo sapeva bene. Lo sapevano entrambi.
Tobio, però, continuava a dargli le spalle, a rimanere in silenzio, ad ignorare i suoi singhiozzi e le sue preghiere. Quando parlò, infine, lo fece a bassa voce ma Shouyou trasalì come se fosse appena esploso un colpo di cannone. “Un’estate,” mormorò il Principe Demone. “Il resto della tua vita in cambio di un’estate,” si voltò e Shouyou avrebbe tanto voluto avere il potere di capire che cosa fosse quel che vedeva riflesso in quegli occhi blu. “È solo un’estate, stupido…”
Le loro dita erano ancora intrecciate.
Shouyou strinse le labbra costringendosi a rispondere a quello sguardo. Le lacrime continuavano a rigargli le guance ma i suoi occhi erano accesi, infuocati. C’era qualcosa di simile alla rabbia in fondo a quelle iridi d’ambra ma di molto, molto più pericoloso. “Non è stata solo un’estate,” replicò. “Il resto della mia vita non c’è senza questa estate.”
Tobio serrò i denti sul labbro inferiore. “Che cosa vuoi?”
Ancora la stessa storia: una domanda semplice ed una risposta più grande di loro.
Shouyou dischiuse le labbra. Tremavano. “Non lo so,” ammise. Aveva quindici anni, Tobio non li aveva nemmeno compiuti. Come potevano avere il potere di prendere una decisione tanto grande ad un’età tanto fragile, fatta d’incertezze?
Erano nati con la maledizione di essere Re, dopotutto, e potevano solo combattere o fuggire.
In entrambi i casi, il destino avrebbe avuto l’ultima parola comunque.
“So che non voglio solo un’estate,” rispose il Principe dei Corvi. La sua voce era ferma, nonostante le lacrime. “Non mi basta…”
Tobio annuì e lo fece con la compostezza e la regalità di un Re che accetta la sua condanna a morte.
”È questo che sto facendo? Si domandò Shouyou. Ti sto condannando a morte?
“Me ne voglio andare,” disse Tobio di colpo.
Shouyou sbatté le ciglia umide di lacrime con espressione smarrita. “Dove?”
“Non lo so,” ammise il Principe Demone. “Sono l’erede al trono di uno dei due Regni più potenti tra quelli liberi, mi farò venire in mente qualcosa. Aspettiamo la fine dell’estate e poi…” Il blu dei suoi occhi si riversò nell’ambra di quelli del Principe dei Corvi. “Vieni con me?”
Shouyou se ne rimase in silenzio solo per un battito di cuore ma quando guardò senza timore il futuro Re Demone a cui era destinato, fu come riprendere fiato dopo averlo trattenuto troppo a lungo. “Sì…”
 
 
***
 
 
Tsutomu fissava le finestre dei piani nobili della tenuta con particolare interesse.
La cena era degenerata e gli uomini che erano stati Re di Nekoma e Fukurodani avevano preso a ballare e cantare in piedi sui tavoli, mentre i giovani idioti delle loro casate davano loro corda. Tsutomu non aveva ragione di unirsi a quella follia generale. Nessuno in quel cortile era suo amico e, sebbene tutti conoscessero il suo nome, lui non era certo di ricordare quello di nemmeno la metà di quelli degli uomini che lo circondavano.
In ogni caso, erano solo due quelli che continuavano a ripetersi nella sua testa.
“A che cosa stai pensando?” Domandò Satori appoggiando al muro bianco accanto a lui.
“A niente…” Mentì Tsutomu ma lo fece con voce tanto distratta che il Cavaliere ci credette.
“Ti ho trovato in mutande in un bosco insieme a due Principi mezzi nudi a loro volta,” disse Satori. “Il Principe Demone ed il Principe dei Corvi per essere precisi…”
Il ragazzino si voltò a guardarlo storto sapendo cosa sarebbe seguito.
Satori sorrise sarcastico. “Sei precoce ragazzino.”
“Ma stai zitto!” Sbottò l’erede al trono di Shiratorizawa tornando a guardare le finestre scure. Né Tobio né Shouyou si erano più visti dopo il calar del sole e Tsutomu non aveva abbastanza confidenza con nessuno per chiedere il motivo del loro isolamento. O, forse, la risposta era la più semplice e scontata e vi si era trovato davanti quel pomeriggio.
Ripensò al modo in cui aveva visto Tobio e Shouyou toccarsi, stringersi…
“Al diavolo!” Sbottò
Satori sobbalzò per l’esclamazione improvvisa. “Non ho detto nulla.”
“Non tu!”
Il Cavaliere inarcò le sopracciglia confuso. “Allora è successo davvero qualcosa di cui non vuoi parlare?”
Tsutomu arrossì per nessuna ragione in particolare ma tanto bastò a dare al Cavaliere un’idea sbagliata.
“Moccioso…” Provò Satori con cautela. “Tu e gli altri due avete davvero…”
“No!”
“Oh, bene…” Sospirò. “Sei un po’ troppo giovane per esperienze di questo genere, comunque.”
“Non farò simili discorsi con te!”
“Arrenditi all’idea che prima o poi dovrai farli!” Esclamò Satori divertito. “Non sia mai che lasci questa incombenza a tuo padre… Potresti finire per mettere incinta qualche Principessa prima ancora dei tuoi sedici anni!”
“Oh, perché i Regni liberi pullulano di Principesse, vero?” Replicò il Principe dell’Aquila con velenoso sarcasmo.
Satori scrollò le spalle. “Ce ne è una nel Regno di Karasuno, la sorella del Principe dei Corvi…”
“Ha sette anni!”
“Ma le piacevi e solo per questo è da prendere in considerazione per il futuro!”
“Vai al diavolo anche tu, allora!” Concluse Tsutomu ma gli occhi chiari tornarono comunque sulle finestre di quella camera buia. La camera in cui Tobio e Shouyou dovevano essere insieme in quel momento.
Era davvero normale passare tutto quel tempo con un semplice amico? Condividere con lui un segreto come quello di cui era venuto a conoscenza per puro sbaglio?
Pensò al modo in cui Tobio aveva circondato la vita di Shouyou quando quest’ultimo aveva accennato ad allontanarsi da lui e pensò che aveva visto suo padre fare lo stesso con Kenjirou una volta o, forse, due…
Scrollò le spalle.
Sì, evidentemente era una cosa normale e se solo avesse avuto un amico, l’avrebbe saputo.
Dopotutto, però, era proprio questo il punto: Tsutomu non aveva amici, Tsutomu era sempre stato solo.
E così lo era stato Tobio, fino a che…
”Mi devi la tua vita.”
Shouyou gli aveva sorriso. Si era fidato della sua parola senza esitare e poi gli aveva sorriso.
Si passò una mano tra i capelli con frustrazione. “Vado a dormire…”
 
 
***
 
 
Le dita di Shouyou era ancora intrecciate a quelle di Tobio quando quest’ultimo lo guidò fuori passando per la porta sul retro. Erano ancora tutti nel cortile e nessuno li vide.
I campi di grano erano un’immensa distesa scura mossa dal vento estivo.
“Dove andiamo?” Domandò Shouyou camminando tra le alte spighe.
Tobio lo guardò. “Voglio farti vedere una cosa.”
Il Principe dei Corvi non chiese altro. Si lasciò guidare nel buio con fiducia, gli occhi bassi per cercare di vedere dove metteva i piedi.
Quando Tobio decise che si erano allontanati abbastanza, lo lasciò andare e si voltò. “Va bene qui…”
Shouyou si guardò intorno. “Quindi?” Domandò confuso.
“Siediti,” lo istruì Tobio accomodandosi a terra.
Il Principe dei Corvi fece lo stesso ma ancora non riusciva a capire. “Quindi?”
Tobio sbuffò. “Non ce la fai ad essere paziente?”
Shouyou gonfiò le guance si voltò dalla parte opposta. Il silenzio, però, era l’ultima cosa di cui entrambi avevano bisogno in quel momento. “Kenma ha parlato di alcune risposte che stavi cercando,” disse. “Le hai trovate adesso?”
Tobio fissò la nuca del piccolo Principe ed annuì. “Sì…”
Shouyou tornò a guardarlo. “Che genere di risposte stavi cercando?”
“Dovevo capire delle cose riguardo a me, a Tooru e a mio padre.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Kenma non li ha nominati quasi mai.”
“Non è stato necessario,” rispose Tobio fissando un punto nel buio di fronte a lui. “Ho capito…”
Shouyou si umettò le labbra. “Posso conoscere le domande?”
Tobio sorrise amaramente. “È la storia della rabbia che mi porto dentro, Shouyou,” disse. “Niente di più, niente di meno…”
Il Principe dei Corvi si fece più vicino. “Raccontamela…”
Tobio lo guardò. “Non ne hai abbastanza di storie per questa notte?”
Shouyou scrollò le spalle accennando un sorriso. “Già mi dovevi questa storia perché ti ho insegnato a volare…”
“Insegnato è una parola grossa per quel capitombolo nell’acqua.”
“Vuoi rimangiarti la parola?”
Il Principe Demone scosse la testa. “C’erano delle cose che non riuscivo a capire e sapere di quelle profezie riguardo al nostro destino… Diciamo che ora ho tutte le spiegazioni che mi servono.”
“Spiegazioni per cosa?”
“Per capire perché Tooru mi odia…”
Shouyou dischiuse le labbra ma qualunque cosa volesse dire la dimenticò velocemente. Restò con gli occhi fissi sul profilo di Tobio aspettando che lui si voltasse, aggiungesse qualcosa o chiarisse il punto. Non lo fece, gli occhi blu del Principe Demone continuarono a contemplare il buio di fronte a sé.
“Tobio, tu… ?”
“Hai capito benissimo,” lo interruppe Tobio. “Non porre domande inutili.”
Shouyou rimase in silenzio un istante ancora, indeciso su cosa dire, timoroso di trovare le parole sbagliate. “Ma tu sei il Principe Demone!” Esclamò, infine. “Il tuo nome è conosciuto nei Regni liberi come quello di un Re.”
“E pensi che questo basti per farsi amare?” Domandò Tobio quasi con rabbia. Gli occhi blu cercarono quelli d’ambra. “Chi mi guarda vede o un eroe o un Principe sulla strada giusta per divenire il peggiore dei tiranni. Non esiste una via di mezzo. Non l’ho creata! Non mi sono disturbato a farlo!”
Shouyou scosse appena la testa. “E perché Tooru dovrebbe odiarti per questo?” Domandò con voce smarrita. “Mio padre darebbe qualsiasi cosa per…”
“Per vederti felice?” Concluse Tobio. “Per saperti al sicuro?”
Il Principe dei Corvi non disse niente.
“Perché è questo quello che ho compreso di tuo padre, Shouyou. Ho visto un uomo pronto a tutto per la sua famiglia e la sua terra. Ho visto un Re che ha fatto della felicità e libertà del suo popolo le sue uniche ambizioni e questo può averlo reso il sovrano meno potete della sua generazione ma, di certo, gli ha permesso di essere fedele a se stesso e ai suoi ideali.”
“Tooru è un grande Re, Tobio,” disse Shouyou. “È stato il primo a sconfiggere il Re dell’Aquila, è stato l’unico che…”
“Ha messo insieme un’alleanza di Regni liberi per fermare un conquistatore fino ad allora imbattuto.” Il Principe Demone annuì sommessamente. “Sì, poi ha fatto di quell’alleanza una strategia per conquistare due Regni senza versare neanche una goccia di sangue. Geniale, eh? Come può esserlo solo un traditore…”
Shouyou abbassò lo sguardo per un istante. “È così che vedi Tooru?”
Tobio scosse la testa ed il suo viso si contrasse in una smorfia. “No…” Ammise. “Io guardavo i miei genitori e vedevo tutto quello che volevo essere. Mio padre era il tipo di Cavaliere, di guerriero che volevo diventare. Tooru era tutto il resto… Tutto quello che ho sempre voluto eguagliare, tutto quello che desideravo superare. Ho fatto di questo la mia ambizione, la mia ossessione. Tooru si allontanava da me ed io ero convinto che tutto quello che dovevo fare per guadagnarmi di nuovo la sua approvazione, la sua stima, il suo amore fosse dimostrare di essere il migliore, il più grande.”
Una pausa.
“Di recente, ho compreso che, invece, quello che tormentava Tooru era proprio il fatto lo fossi… Il Principe Demone che sono diventato, quello di cui parlano tutte le grandi storie che conosci anche tu… Quel Principe è la ragione per cui Tooru mi teme e per cui, a causa del suo orgoglio e della sua ambizione calpestati, ha finito per odiarmi.”
Shouyou non sapeva cosa dire così rimase in silenzio.
“Anni passati a cercare di dimostrare qualcosa e mi sono condannato con le mie stesse mani,” aggiunse Tobio. “Sono diventato il peggior nemico di chi volevo rendere orgoglioso. E sai qual è la parte peggiore, Shouyou? Quando l’ho capito, quando gliel’ho confessato, quando ho visto quella paura riflessa negli occhi di Tooru mentre mi guardava e lui ha compreso che non poteva più manipolarmi con la mia fame di approvazione… In quel momento, non mi sono sentito come mi ero aspettato.”
Shouyou ingoiò a vuoto. “Come credevi che ti saresti sentito?”
“Ferito,” rispose Tobio. “Tradito… Qualcosa del genere…”
“E come ti sei sentito, invece?”
I loro occhi s’incontrarono di nuovo e, nonostante il buio, Shouyou avrebbe potuto giurare di poter distinguere ogni sfumatura di blu delle iridi di Tobio.
“Forte…” Rispose il Principe Demone. “Potente…” Si umettò le labbra. “Libero…”
Shouyou sgranò gli occhi sorpreso. “Libero?”
“Sì,” Tobio annuì. “Non avevo più bisogno di dimostrare niente. Non c’era più nessuno che dovessi rendere orgoglioso di me. A quel punto della storia, c’ero solo io e quello che volevo diventare… Che voglio diventare.”
Il Principe dei Corvi trattenne il fiato per un istante. “E che cosa vuoi diventare, Tobio?”
“Il destino sembra aver già deciso per me,” replicò Tobio. “Lo stesso destino che vuole che diventi più potente di Tooru.”
Shouyou scosse la testa. Si avvicinò, s’inginocchiò di fronte al Principe Demone per impedire a quegli occhi blu di allontanarsi dai suoi. “Non pensare al destino,” disse con fermezza ma era gentile la sua voce. “Non pensare alla storia di Kenma. I suoi sogni ci hanno già condannato a morte, dopotutto.”
“E abbiamo deciso di restare insieme comunque.”
“Perché non vogliamo morire!” Esclamò Shouyou. “Non voglio nemmeno fuggire, però! Non voglio rinunciare a quello che voglio perché ho paura! Tanto varrebbe non vivere affatto! Io voglio combattere e so che lo vuoi anche tu!” Inspirò profondamente. “Perciò, non pensare al destino, non questa notte… Dimmi che cosa vuoi. Io ti ho detto che un’estate non mi basta ma tu… Tu che cosa vuoi?”
Shouyou seppe di essersi spinto troppo oltre quando l’espressione di Tobio si fece scostante. “Torniamo indietro…” Fece per alzarsi ma l’altro gli fu addosso prima che ci riuscisse.
Finirono entrambi stesi tra le spighe di grano mosse della brezza notturna.
Shouyou si fece leva sulle mani per guardare il Principe Demone dritto negli occhi. “Perché sei così?” Domandò esasperato, quasi disperato. “Io cerco di venire verso di te nella speranza che tu, almeno, ti decida a guardarmi ma più io mi apro a te, più ti allontani e mi spingi via!” Esclamò, le lacrime agli occhi. “Io mi fido di te! Ho messo la mia vita nelle tue mani ma tu non ti fidi di me nemmeno per confidarmi quello che senti!”
Tobio lo guardò con rabbia e lo spinse a terra senza sforzo. “Perché non la smetti d’investirmi con quello che senti tu, invece?” Domandò con ira. “Credi che sia facile, stupido, starmene qui a subire ogni tua emozione quando io non riesco nemmeno a dare un nome alle mie? A che cosa servirebbe dirti che non ho mai desiderato la vicinanza di nessuno ma che sono terrorizzato dalla solitudine da quando ci sei tu?”
Shouyou non aveva una risposta a quelle domande ma Tobio non le pretendeva. Era arrivato il suo turno di parlare.
“Cambierebbe qualcosa se ti confessassi che tengo le distanze da te perché spingerti via mi è più sopportabile di aspettare che tu decida di lasciarmi indietro?”
“Tobio, io non…”
“Lo farai!” Tuonò il Principe Demone. “Lo farai! Perché lo fanno tutti! Tooru l’ha fatto con i suoi alleati, poi con mio padre e, infine, con me… E tu… Anche tu sei così! Anche tu hai sogni più grandi di te! Anche tu desideri di più sempre di più! Hai la stessa luce… E mi abbaglia…” Chinò la testa. “Tu mi abbagli e non lo sopporto… Non ti sopporto…”
Shouyou rimase immobile, il respiro bloccato in gola ed il cuore velocissimo. Tobio appoggiò la fronte contro il suo petto per impedirgli di guardarlo in faccia. Le spalle gli tremavano.
“Tobio,” lo chiamò. “Tobio…”
Gli afferrò le braccia, lo spinse a sollevarsi, a guardarlo di nuovo negli occhi.
Non vide le lacrime di Tobio ma sentì le guance bagnate sotto le sue dita quando gli prese il viso tra le mani. Sarebbe stato facile per Shouyou colmare la distanza tra loro a quel punto e prendersi quel che sentiva essere suo. Lo aveva deciso il destino, dopotutto, no?
No, era solo una scusa.
Tobio lo sapeva che cosa voleva, glielo aveva suggerito in più di un modo e non sempre per sua volontà.
Adesso era il turno di Shouyou di aspettare, di essere raggiunto, desiderato. Così, se ne rimase lì, tra le spighe di grano, sotto le stelle di quella notte d’estate. Aveva occhi solo per Tobio e questo era il suo modo silenzioso di dirgli che c’era, che lo aspettava se necessario ma che non sarebbe andato da nessuna parte.
E Tobio non si sottrasse al suo sguardo nemmeno per un istante. Per fare la sua scelta impiegò un’eternità lunga un istante. Ne valse la pena.
Tutto quello che era rimasto nascosto nel cuore del Principe Demone, tutto quello che non sarebbe mai riuscito a dire a parole, lo confessò con un bacio.
E il Principe dei Corvi lo accettò.
 
 
Nessuno dei due si accorse delle lucciole che cominciarono a brillare intorno a loro, tra le spighe di grano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 34
*** Interludio: di possibile ed impossibile ***


Interludio:
Di possibile ed impossibile



Tooru venne svegliato da un raggio di sole contro le palpebre chiuse.

Per un attimo, si guardò intorno chiedendosi dove si trovava, poi ricordò che il Principe di Karasuno dormiva nella sua camera da letto dopo essersi sottratto per un soffio dalle braccia della morte e Tobio era tornato a dormire nel proprio. Forse… Se non si era di nuovo alzato presto per cacciarsi in qualche altro guaio.

“Hajime?” Chiamò stiracchiandosi, gli occhi ancora chiusi. Allungò un braccio verso il suo lato del letto ma le lenzuola erano fredde. Sollevò le palpebre ma non fu poi così sorpreso di ritrovarsi da solo. Lasciò andare un sospiro e si sollevò a sedere. I suoi vestiti perfettamente piegati in fondo al letto ebbero il potere di strappargli un sorriso.

No, non era tornato tutto come prima.

Non sarebbe mai tornato tutto come prima, non era possibile.

Almeno, però, alcune ferite stavano cominciando a guarire.

Uscì nel corridoio nello stesso momento in cui Hajime aprì la porta della camera da letto che avevano condiviso per anni.

Tooru sorrise. “Ciao…” Salutò a bassa voce, sebbene non ci fosse nessuno da disturbare.

“Ciao,” rispose Hajime ricambiando l’espressione stando attento a richiudersi la porta alle spalle con cura. Solo allora, Tooru notò il mantello rosso appeso al suo braccio.

“Il Principe Corvo dorme?” Domandò il Re Demone avvicinandosi.

“Sì,” disse il Cavaliere. “Ho provato a convincere Tobio a fare lo stesso ma non è servito a molto: la sua stanza è vuota. Starà vagando per il castello con troppi pensieri per la testa.”

Tooru adocchiò il mantello. “E quello?” Domandò.

Hajime scrollò le spalle. “Shouyou vuole che lo abbia di nuovo. Dice che è importante che lo indossi in un momento come questo. Non riesco a capirne l’utilità, a dire il vero.”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Nemmeno Tobio la comprenderà ma, per fortuna, il piccolo Principe sembra essere un gradino sopra ad entrambi.”

“Ehi…” Lo avvisò Hajime nel modo in cui soleva fare quando diceva una parola di troppo.

“Hajime,” Tooru prese il mantello tra le mani, “non ha alcun significato e, allo stesso tempo, significa tutto.”

“Tooru, non cominciare a fare politica…”

“Non è politica!” Esclamò il Re Demone con un broncio sollevando il mantello di fronte a sè. “È un simbolo.”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Un simbolo?”

“Sì,” confermò Tooru stringendo il mantello al petto con orgoglio. “Il nostro Regno sarà anche a pezzi ma il nostro futuro è ancora in piedi.”

Suo malgrado, Hajime sorrise. “Lo sei anche tu…”

Tooru lo guardò sorpreso, poi sentì uno strano colore salire alle guance e si costrinse e recuperare il controllo di sè: non aveva davvero più l’età per arrossire come un adolescente. “Non ci hanno ancora sconfitti, Hajime,” affermò con un sorriso sicuro. “E sembra che sia io che il piccolo Principe Corvo vogliamo che Tobio ne sia convinto quanto noi.”


***

La sala del trono di Shiratorizawa era tanto bella da sembrare uscita dalle pagine di una di quelle grandi storie con cui era cresciuto. Le stesse che ora era solito leggere al bambino dai capelli dello stesso colore del tramonto che ne se stava a lato del Trono Bianco con le piccole manine appoggiate sulla superficie ricamata d’oro.

Rivedeva se stesso in quella scena, tutti i sogni della sua infanzia che aveva lasciato andare in favore di una realtà che aveva saputo superare ogni sua aspettativa.

Si avvicinò senza farsi sentire. “Ehi…” Mormorò appoggiando un ginocchio a terra.

Il bambino sobbalzò appena nel voltarsi e lo guardò come se temesse di aver fatto qualcosa di male.

Non aveva i suoi occhi, ma lo stesso sguardo tagliente. Possedeva tutti i pregi che i Re di Shiratorizawa non avevano mai posseduto: pazienza, bontà, spontaneità.

E due ali che non sapeva ancora di possedere.

A meno che il destino non avesse deciso altrimenti.

Poco importava. Lo amava come non aveva mai creduto di essere capace di amare.

“Vuoi sederti?” Domandò.

Gli occhi scuri del bambino si fecero grandi, poi abbassò lo sguardo scuotendo velocemente la testa. Le gote colorate di rosso.

Decise di non dargli ascolto. Senza alcun preavviso, lo sollevò da sotto le braccia e lo mise a sedere sul Trono Bianco.

Il bambino se ne rimase rigido, immobile, i grandi occhi fissi sulla sala deserta di fronte a sè.

Sorrise. “Come ti sembra?”

Il piccino sollevò lo sguardo intimorito su di lui, poi tornò a guardarsi intorno. Quando i loro occhi s’incontrarono nuovamente, sollevò le piccole braccia.

Lo accontentò con un sorriso comprensivo. “Sì. Faceva paura anche a me…”



Il Principe dell’Aquila venne svegliato da una mano stretta sulla sua spalla.

La prima cosa che percepì fu un paralizzante dolore alla schiena che, però, svanì lentamente come riuscì a spezzare l’immobilità delle sue membra. Era crollato sul tavolo della tenda del consiglio: l’unico posto in tutto l’accampamento in cui nessuno lo sarebbe mai venuto a cercare.

Tranne una persona, evidentemente.

“Tsutomu…”

Sollevò il viso e gli occhi castani di Kenjirou risposero al suo sguardo.

Il Principe si scostò malamente per allontanare quella mano da sè. L’Arciere lo comprese e fece un passo indietro ma non uno di più. “Dobbiamo parlare…”

“Non abbiamo nulla da dirci,” replicò Tsutomu fissando le mappe in disordine di fronte a sè.

Kenjirou fece lo stesso. “Che cosa sei venuto a fare qui?”

“Avevo bisogno di pensare.”

“A che cosa?”

“Ad una soluzione,” replicò il Principe dell’Aquila velenoso lanciandogli un’occhiata storta. Sollevò le mani, mostrando i palmi ancora sporchi di sangue, così come i suoi vestiti. “Pensi che io volessi questo? No, Kenjirou! Io non volevo nulla di tutto questo!”

Kenjirou rispose allo sguardo colmo di rabbia dell’erede al trono con fierezza “Tuo padre…”

Tsutomu lo interruppe con una risata isterica, stridula. “Mio padre…” Sibilò. “Era troppo chiederti di rispettare le ultime volontà di mia madre, vero? Era troppo pretendere che amassi me più di lui, giusto?”

Kenjirou si morse il labbro inferiore ma non abbassò lo sguardo. “Eita voleva che vi proteggessi ed entrambi sappiamo che questo era l’unico modo.”

Tsutomu sorriso con sarcasmo. “Dove è il cuore di drago?”

L’Arciere non rispose.

“Abbiamo raso al suolo la capitale di Seijou per cosa, allora?”

“Tuo padre può pretendere qualsiasi cosa dal Re Demone, ora,” disse Kenjirou con voce ferma. “Il cuore di drago, il Principe Corvo…”

Tsutomu scattò in piedi. “Tu Shouyou non lo devi nemmeno nominare!” Sbottò in preda all’ira. “Tobio aveva tutte la ragioni di fare quello che ha fatto ma Shouyou non doveva pagarne le conseguenze!”

L’Arciere non replicò.

“Oh… Resti in silenzio, ora? Parli del Principe Corvo ma non ti hanno detto che...”

“Il Principe Corvo è ancora vivo, mio giovane signore,” confessò l’Arciere diretto. “Uno dei nostri messaggeri ci ha portato la notizia poco fa.” Una pausa, abbassò lo sguardo. “Pensavo volessi saperlo…”

Il Principe dell’Aquila rimase a fissarlo con gli occhi sgranati per alcuni istanti. “E che cosa ha intenzione di fare mio padre?”

“Te l’ho appena detto,” disse Kenjirou. “Il Principe Corvo ed il cuore di drago in cambio della salvezza di Seijou. Altrimenti…”

“Cosa?” Domandò Tsutomu sarcastico. “Spediremo la testa del Primo Cavaliere ai ribelli per mostrare loro cosa succede a chi si ribella al potere di un Re?”

“Esattamente…”

Il Principe dell’Aquila sentì il respiro venire meno per un attimo. “Che cosa hai detto?”

“Tuo padre…” Le labbra di Kenjirou tremavano a quel punto. “Il Re dell’Aquila ha intenzione di porre fine alla dinastia dei Re Demoni, se Tooru non dovesse accettare le sue condizioni.”

Tsutomu scosse la testa incapace di accettare il significato di quelle parole. “È un’assurdità!” Esclamò. “Se tocchiamo Tooru o Tobio… Anche il Primo Cavaliere! Basta uno di loro e altri tre Regni si scaglieranno contro di noi senza alcuna pietà o ragionevolezza.”

“Se così sarà li fermeremo,” disse Kenjirou.

“Sono le parole di mio padre queste?” Domandò. “Kenjirou, è una follia! Ci condanneremo ad un destino peggiore di quello dei miei sogni! I Regni liberi non dimenticheranno mai un bagno di sangue del genere! Mai! Caleremo la scure non solo sulle nostre teste ma anche su quelle di chiunque porterà la stendardo di Shiratorizawa!”

Kenjirou gli strinse le spalle con forza. “Tuo figlio porterà lo stendardo di Shiratorizawa.” Disse con fermezza. “Ma solo dopo di te.”

Tsutomu lo spinse via. “Non voglio ascoltarti!” Sbottò. “Non voglio essere vostro complice in questa follia!”

“Tsutomu!” Kenjirou gli afferrò un polso impedendogli di andarsene. C’era rabbia e rancore negli occhi azzurri del Principe dell’Aquila ma questo non impedì all’Arciere di dire quello che doveva. “Se pensi che Wakatoshi si fermerà di fronte a qualcosa, a qualunque cosa, per proteggerti allora ti sbagli di grosso!”

“Allora non voglio essere protetto!” Replicò duramente il Principe dell’Aquila. “Non ne ho bisogno!”

Kenjirou lo scosse con forza. “Tsutomu, torna in te ed ascoltami…”

“Tornare in me? Non sono io che sto pianificando l’omicidio di un’intera famiglia reale!”

“Non è un omicidio.”

Tsutomu avvertì un gelo improvviso calare su di lui nell’udire quella voce. Chiuse gli occhi e strinse le labbra, prima di trovare il coraggio di alzare lo sguardo verso l’ingresso della tenda.

“Si tratta di guerra, Tsutomu,” disse Wakatoshi facendo ancora qualche passo verso di loro. “Non esistono omicidi in guerra.”

“Hai detto di aver amato Tooru,” gli ricordò Tsutomu con astio. “Hai detto di stimare il Primo Cavaliere. Hai detto…”

“Di temere Tobio,” concluse il Re dell’Aquila con voce glaciale ed un’espressione ancor peggiore. “Un sentimento che non avrei creduto di poter provare prima.”

“Prima di me, vero?” Domandò Tsutomu. “Perchè è di questo che stiamo parlando. Togli ad un Re il futuro e sarà ancora peggio di una condanna a morte, no? Una lezione che Tobio ha imparato prima di me, evidentemente. Per questo ha cercato di uccidermi.”

“E continuerà a farlo,” insistette Kenjirou, le mani ancora strette sulle spalle dell’erede al trono di Shiratorizawa. “Divenire il tuo assassino è nel suo destino, Tsutomu. Per questo dobbiamo…”

“Non ho visto solo questo nei miei sogni,” lo interruppe il Principe dell’Aquila, gli occhi chiari fissi in quelli scuri di suo padre. “Quelle visioni si contraddicono tra loro.”

Wakatoshi annuì. “Il destino non è una forza immobile, Tsutomu. Il tuo potere ti sta mostrando delle strade. Su quale camminare dipende solo da te e da noi.”

Tsutomu si liberò dalla stretta di Kenjirou sbattendo il pugno sul tavolo. “Smettila di parlare del destino come se fossi un dio!” Urlò in preda all’ira.

Kenjirou gli afferrò un braccio per paura che il Principe decidesse di aggredire fisicamente il sovrano. “Io so che futuro voglio, padre,” disse Tsutomu con voce più bassa ma ferma. “E non è quello che vuoi tu.”

Wakatoshi non disse altro e quando il Principe fece un passo in avanti, Kenjirou seppe di doverlo lasciare andare.

Il fanciullo non si voltò a guardarli di nuovo.

“Non deve rimanere da solo,” disse Kenjirou. “Potrebbe commettere un errore.”

“Lasciamolo andare…” Replicò Wakatoshi.

L’Arciere lo guardò sospettoso. “Ma, Wakatoshi…”

“Lasciamolo andare,” insistette il Re. “Ci porterà esattamente dove vogliamo arrivare.”


***


La Capitale del Regno di Seijou era deserta, le sue strade simili a quelle di una città fantasma.

Tobio la osservava da ciò che era stato ricostruito della balconata della Sala del Trono.

Non sapeva cosa provava di fronte a quello spettacolo.

Gli avevano detto che Tooru aveva fatto evacuare tutti i civili nelle campagne rendendo il Castello Nero l’ultima roccaforte contro la devastante politica di conquista del Regno di Shiratorizawa.

Sempre ammesso che avesse ancora senso usare la parola politica all’interno di quella storia.

“Che cosa ti hanno fatto per convincerti a lasciare il capezzale del tuo piccolo Corvo?”

Si voltò.

Tooru lo guardava con un sorrisetto appoggiato all’architrave di una grande finestra ridotta in frantumi. Tra le braccia, stringeva il suo mantello rosso.

Tobio tornò a rivolgere la sua attenzione al terribile panorama oltre la balconata. “Papà è con lui,” rispose. “Dice che devo riposare.”

“Me lo ha detto.” Tooru sospirò e si avvicinò. “Non sarà contemplando questo spettacolo umiliante che ti riposerai,” replicò.

“Umiliante…” Ripeté Tobio soprapensiero. “Ti senti umiliato, Tooru?”

Il Re Demone non rispose immediatamente. “Tu e Shouyou siete vivi,” disse. “Tuo padre è sopravvissuto…”

Tobio lo guardò, ne studiò il profilo. “Non è questo che ti ho chiesto.”

“Ma sono le uniche cose a cui riesco a pensare,” replicò Tooru con un sorriso malinconico.

Il Re dei Ribelli decise di non indagare oltre.

“Che cosa è successo?” Domandò, invece. Gli occhi blu rivolti alla Capitale in rovina.

Tooru strinse le labbra in una linea sottile. “Che cosa sai?”

“Niente,” ammise Tobio scuotendo appena la testa. “I miei uomini mi hanno cercato dicendo di avere un messaggio urgente per me e papà. Hanno detto che Wakatoshi stava assediando il Castello Nero, nulla di più. Nessuna spiegazione.”

Tooru sorrise. “Siete corsi fino a qui senza chiedere spiegazioni, quindi…” Ridacchiò. “Tipico di te e Hajime.” Reclinò la testa da un lato. “Sei rimasto a riflettere altrettanto a lungo anche quando hai deciso di rapire Shouyou?”

“Non l’ho rapito,” replicò Tobio con un broncio. “Siamo scappati insieme.”

“Non credo che Daichi abbia dato importanza a simili sfumature.”

“Daichi è stato qui?” Domandò Tobio sorpreso.

Tooru rise. “Dopo che gli abbiamo invaso il Regno?” Domandò con sarcasmo. “C’è un limite a quello che l’orgoglio di un Re è disposto ad accettare. Io e Daichi alleati per fare la guerra ai nostri eredi? No, ci sono ancora storie troppo assurde anche per questo mondo.”

Gli occhi blu del Re dei Ribelli studiarono a fondo il volto del Re Demone. “Nessuno di loro è venuto qui?” Domandò. “Davvero nessuno?”

Tooru sorriso con malinconia. “Se sospetti di Koushi, non lo conosci bene,” disse. “Shouyou è tuo, Tobio. Karasuno non può portartelo via.”

“Non è Karasuno che temo,” ammise il Re dei Ribelli.

“Oh!” Tooru gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Allora c’è ancora qualcosa che temi, giovane Re.”

“Non dire assurdità,” la voce di Tobio non aveva nessuna intonazione particolare. “Dimmi che cosa è successo?”

Tooru rivolse la sua attenzione alla Capitale in rovina. “Era inevitabile…” Disse con rassegnazione.

“Dovrai dirmi molto di più di questo, Tooru.”

“La storia non cambia, Tobio: è per il potere. Sempre per il potere.”

Il Re dei Ribelli scosse la testa. “Non è solo per il potere,” disse. “Non per te. Non per Wakatoshi.”

Suo malgrado, Tooru continuò a sorridere: non c’era davvero più niente che potesse insegnare a quell’erede ribelle. Il ragazzo si era fatto uomo senza che lui avesse alcun merito in questo.

Forse, era quella la sua sconfitta più grande.

“Vieni con me, Tobio.”


***


“Tadashi…”

Si sentì scuotere con gentilezza e, in un primo momento, pensò di star ancora sognando: avrebbe riconosciuto quella voce anche in mezzo ad una folla urlante ma non era possibile che stesse chiamando il suo nome.

“Tadashi, svegliati…”

Il giovane ribelle si girò sulla schiena sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il fanciullo in ginocchio accanto al suo giaciglio. Gli bastò incrociare lo sguardo di quegli occhi dorati per un istante per rendersi conto che non si trattava di un sogno.

Scattò a sedere, cercò di ritrarsi ma finì solo col fare aderire dolorosamente la schiena al tronco dell’albero sotto cui aveva trovato riparo.

A differenza sua, Kei non pareva nè allarmato nè sorpreso.

“Come…” Tadashi si guardò intorno. “Come hai fatto a trovarmi?”

Il Cavaliere inarcò un sopracciglio. “Sei serio?” Domandò, poi indicò la vallata con un cenno del capo. “Quello è il castello in cui siamo nati e cresciuti e questi sono gli alberi sotto cui abbiamo giocato fin da bambini, Tadashi.”

Il ribelle non replicò, le spalle ancora rigide. La spada era foderata, appesa alla sua cintura ma sapeva che non sarebbe servito a niente impugnare quell’elsa e tentare di fare il minaccioso: aveva di fronte quello che, probabilmente, era il miglior Cavaliere della sua generazione dopo i Principe di Seijou e Shiratorizawa, dopotutto.

Kei sospirò col suo solito fare annoiato. “Rilassati,” disse con una naturalezza completamente fuori luogo per i loro ruoli. “Non ho intenzione di farti alcun male.”

L’espressione di Tadashi si addolcì appena ma s’impegnò a mantenere dura la linea della bocca mentre lo guardava. “Siamo nemici, Kei.”

“Per il bene del tuo signore, sii furbo e non aprire quella bocca per ricordare al tuo avversario perchè gli farebbe comodo chiudertela,” disse il Cavaliere. “Sei fortunato che ti abbia trovato io.”

“Mi hai trovato perchè mi stavi cercando,” replicò Tadashi.

“Tutti vi stanno cercando.”

“Non è la stessa cosa, Kei. Tu cercavi me.”

Il giovane Tsukishima non disse nulla in proposito. “Ti hanno ordinato di restare qui?”

“L’ho proposto io.”

“Tobio ti permette di mettere bocca nelle sue strategie?”

“Tobio non è un tiranno con chi gli parla con gentilezza,” spiegò il ribelle. “E tu non ti sei mai impegnato particolarmente in tal senso.”

“Dovresti andartene,” disse Kei ignorando deliberatamente quelle parole. “Ti hanno visto mentre aiutavi Shouyou a fuggire e qualcuno della servitù ti ha riconosciuto. A corte ti conoscono e, credimi, non vuoi essere portato al cospetto del Re in questo momento.”

Tadashi abbassò lo sguardo con aria colpevole. “Devono essere distrutti…”

“È troppo tardi per i pentimenti.”

“Non mi pento di nulla, Kei.” Chiarì Tadashi. “E so che il Consorte reale non la pensa diversamente.”

Il Cavaliere fece una smorfia. “Siete tutti affetti dalla stessa follia suicida.”

“La stessa che ti ha spinto a cercarmi?” Domandò Tadashi duramente.

Kei venne preso di sorpresa da quella domanda.

“Se ti vedono con me, sarai condannato come traditore.” Gli fece notare il ribelle.

“Non mi ha seguito nessuno.”

“Ne sono certo,” suo malgrado, Tadashi sorrise. “Sei sempre eccezionale in qualunque cosa tu faccia.”

Kei inarcò un sopracciglio. “Pensavo mi odiassi, Tadashi.”

“Vorrei…” Ammise il ribelle mentre sentiva la gola farsi secca. “Molte cose sarebbero più facili.”

L’espressione del Cavaliere non mutò di una virgola.

“E tu mi odi, Kei?”

Il giovane Tsukishima si alzò in piedi, si voltò. Tadashi si fece leva contro il tronco dell’albero alle sue spalle e fece lo stesso, gli occhi fissi sulle spalle dell’altro.

“Non negherò che è stato umiliante,” ammise il Cavaliere. “Non negherò nemmeno di aver provato rabbia.”

Tadashi si umettò le labbra. “Rabbia?”

“Sì…” Kei gli lanciò un’occhiata glaciale da sopra la spalla. “Da quando abbiamo lasciato Karasuno, non c’è stato un singolo giorno in cui io non abbia fatto tutto quello che era in mio potere per proteggervi, Tadashi. Tu e quello stupido di Shouyou.”

Se il giovane ribelle avesse potuto negare quella verità, avrebbe vinto quella discussione ancor prima della conclusione. Suo malgrado, però, era l’unica che conosceva: nonostante l’evidente aria annoiata con cui lo faceva, Kei non li aveva mai messi in secondo piano.

Tuttavia…

“Avresti sposato Shouyou, Kei,” gli ricordò Tadashi. “E lo avresti fatto accettando tutto quello che una simile azione avrebbe comportato.”

Kei tornò a guardare di fronte a sè. “Sai perchè l’ho fatto,” disse. “Anche Shouyou lo sapeva.”

“E per te questo era sufficiente perchè lo accettassimo?” Domandò Tadashi sentendo le lacrime pungere agli angoli degli occhi. “Kei… Avresti costretto Shouyou ad essere il tuo consorte sapendo che amava Tobio, mentre io… Io…” Esitò.

Kei si voltò. “Non ti ho mai promesso niente.”

“Ed io non ti ho mai chiesto nulla,” Tadashi si avvicinò. “Nonostante questo, però…”

Il Cavaliere strinse le labbra e si sentì costretto ad allontanare lo sguardo per un istante. “Era tutto vero, Tadashi,” si sentì in dovere di confermare.

Gli occhi del ribelle si fecero grandi, accesi per la sorpresa.

“Per quel che vale,” aggiunse Kei ignorando deliberatamente il calore che sentì salirgli alle guance, “era tutto vero.”

Un sorriso malinconico sbocciò sulle labbra del ribelle. “Hai solo messo i tuoi doveri prima dei nostri sentimenti,” disse con una lieve nota di sarcasmo. “I tuoi. I miei. Quelli di Shouyou…”

“Sareste rimasti al sicuro, se solo…”

“Non esiste più nessun posto sicuro, Kei,” lo interruppe Tadashi con espressione triste. “Non è più nemmeno possibile scappare. Tobio e Shouyou hanno scelto di combattere ed io li stimo per questo.”

Kei tornò a guardarlo. “E tu per che cosa combatti, Tadashi?”

Il ribelle dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo. “Un sogno,” rispose. “Un sogno che non ho nemmeno fatto io ma su cui ho costruito tante, splendide speranze, Kei,” si morse il labbro inferiore per non scoppiare a piangere. “Speranze troppo grandi per una persona come me, evidentemente.”

Kei sospirò. “Tadashi, sappiamo entrambi che il sogno di Shouyou non sarebbe mai divenuto realtà.”

“E perchè no?” Domandò il ribelle.

“Perchè siamo due comuni esseri umani,” rispose il Cavaliere. “Quel futuro per noi non sarebbe mai stato possibile.”

Tadashi scosse la testa. “Tutta questa storia, Kei, si basa su cose impossibili che sono accadute,” gli ricordò. “Tobio e Tsutomu non sarebbero mai dovuti venire al mondo secondo le leggi del possibile e dell’impossibile.” Tirò su col naso. “Non so come e non so quando, Kei ma quel bambino… Il bambino del sogno di Shouyou,” lasciò andare un sospiro. “Io ho bisogno di sperare che un giorno sarà reale, come quello che abbiamo condiviso io e te. È per questo che combatto, Kei.”

Il Cavaliere rimase in silenzio: non aveva nulla da dire in proposito che non potesse far del male a Tadashi e gliene aveva già fatto abbastanza.

Il ribelle cercò di ricomporsi. “Perchè sei venuto a cercarmi, comunque?” Domandò.

E Kei non ci girò intorno. “Ho lasciato due cavalli a valle,” confessò. “Sto partendo per Seijou e vorrei che tu venissi con me.”

In un primo momento, sul viso di Tadashi non cambiò nulla, poi inarcò le sopracciglia, dischiuse le labbra ma non disse nulla e, alla fine, si ritrovò a fissare il Cavaliere come un pesce fuor d’acqua.

Kei scrollò le spalle. “Dato che non abbiamo altra scelta che combattere, tanto vale farlo in due.”


***


Per assurdo, la Torre nei giardini reali era la parte del Castello Nero meno toccata dalla distruzione portata dal Re dell’Aquila. Non c’era stato il tempo di ricostruirla a dovere ma gran parte dell’opera era conclusa.

Non vi era più una porta d’ingresso. Salendo le scale, Tobio sollevò lo sguardo verso l’alto e si accorse che non vi era alcun tetto.

Tooru lo precedeva. “Abbiamo avuto il tempo di ricostruire solo la stanza delle corone,” disse. “La stanza in cui è venuto al mondo il tuo Principe, tra l’altro.”

“Lo so,” si limitò a replicare Tobio seguendolo oltre l’architrave privo di porta.

Non vi erano più piedistalli di marmo e teche di vetro a contenere le corone dei sovrani caduti per mano del Re Demone, solo comuni scrigni lasciati a terra, con l’eccezione di quello della Corona Corvina.

Tra questi, però, ve ne era uno più piccolo, ugualmente nero.

Tobio lo riconobbe immediatamente: dopo essere stato riempito ed il suo coperchio richiuso, era alle sue mani che era stato affidato. E lui lo aveva lasciato indietro giudicandolo privo d’importanza.

Tooru appese il mantello rosso ad un braccio e si chinò per raccoglierlo, poi si voltò verso il suo erede. “Kenma si è liberato della maledizione a cui il destino lo aveva condannato nel momento in cui ha permesso a te e Shouyou di fare una scelta,” spiegò con un sorriso amaro. “Tuttavia, il destino non è una forza immobile. Quella maledizione è solo passata a qualcun altro.”

“Tsutomu,” disse Tobio, gli occhi blu fissi sulla piccola scatola tra le mani del genitore. “Shouyou…”

“Tu,” concluse Tooru.

Il Re dei Ribelli scosse la testa. “I miei sono solo sogni.”

Tooru scrollò le spalle. “Crediamo ciò che ci piace credere, Tobio,” concluse. “Cosa accadrà o meno lo scopriremo solo andando avanti.”

Il giovane storse la bocca in una smorfia rabbiosa. “Tutto…” Strinse i pugni. “Tutto solo per quello?”

Tooru scosse la testa. “No, Tobio, non è stato tutto solo per questo,” disse guardando il piccolo scrigno tra le sue dita. “In passato, Wakatoshi ha cercato in ogni modo di abbattere un drago nella speranza che il suo cuore potesse riportare da lui la madre di Tsutomu.”

“Non ha cercato di sottrarmi il diritto di proprietà su ciò che hai tra le tue mani, però,” disse.

Tooru scrollò le spalle. “Ci sono limiti anche a ciò che un Re è disposto a sacrificare, Tobio. Wakatoshi ha imposto a se stesso quel limite quando è divenuto padre.”

“E questo cosa vorrebbe dire?”

Tooru sospirò con pazienza. “Non poteva permettersi di minacciare il Principe che tutti i Re caduti dei Regni liberi avrebbero difeso,” spiegò. “Nel momento in cui quel Principe, però, è stato scelto dal destino come carnefice della sua gente e di suo figlio, le cose sono completamente cambiate.”

L’attenzione degli occhi blu di Tobio tornò sul piccolo scrigno nero. “Il drago bianco…”

Tooru annuì. “È una storia già scritta, Tobio,” disse. “Tutto è talmente semplice da essere banale.”

Tobio gli rivolse una smorfia sarcastica. “Tsutomu non guarirà mai da quel che gli è successo nelle Terre del Nord e posso anche sforzarmi di comprendere la sua assurda ossessione!” Esclamò. “Ma tu e Wakatoshi…”

“Abbiamo visto troppi sogni divenire di carne e sangue per permetterci di non prendere provvedimenti, ecco tutto,” concluse Tooru. “Tu e Shouyou siete due di quei sogni, Tobio, dopotutto.”

“Shouyou può avere un potere antico nel sangue ed io posso essere unico nel mio genere per essere figlio di un Umano ed un Demone ma quello che pensate si nasconda dietro gli incubi di Tsutomu è pura assurdità!”

“Ma tu e Shouyou avete fatto sogni simili, no?”

“Tooru…” Tobio sospirò. “Secondo i sogni di Kenma io dovrei morire al fianco di Shouyou…”

“E si narra che un cuore di drago possa strappare un guerriero abbastanza forte dall’abbraccio della morte,” aggiunse Tooru avanzando di un passo. “Dimmi che non lo faresti. Dimmi che se la morte ti lasciasse andare non faresti tutto per vendicare la morte di Shouyou.”

Gli occhi blu di Tobio si velarono di brina. “Shouyou è vivo,” gli ricordò. “Non ci sarà nessuna morte da vendicare. Mai.”

Tooru annuì. “Spero la stessa cosa, Tobio.” Disse. “Tuttavia, sulla strada della vendetta lo hai quasi perso e lo hai fatto attentando alla vita di Tsutomu.”

“Giustifichi le paranoie di Wakatoshi, ora?”
Tooru gli afferrò un polso tirandolo verso di sè ed invitandolo a prendere il piccolo scrigno tra le mani.

“Hai conosciuto un Signore dei Draghi, Tobio,” gli ricordò. “Me lo hai raccontato tu stesso. Me lo ha raccontato Shouyou.”

Tobio fissò il piccolo scrigno nero con astio. “Non so nulla di lui. Non conosco la sua storia. Potrebbe essere nato con il suo potere, esattamente come Shouyou o il Re dell’Aquila.”

“Oppure, potrebbe essere la conferma che quelle leggende sono vere,” disse Tooru. “Che questo cuore può conferire la forza di un drago al guerriero che ne ha abbattuto il possessore.”

“Mi stai dicendo che Wakatoshi ha paura che io mi trasformi nel drago che distruggerà la sua casa, massacrerà la sua gente ed ucciderà suo figlio?” disse Tobio con voce tremante di rabbia. “Mi stai dicendo che è per questa assurdità che ha attaccato Seijou? Avrebbe potuto tradirci in qualsiasi momento!”

Tooru si umettò le labbra. “Wakatoshi è uno stratega, Tobio. E ciò che rendeva forte Seijou, ciò che impediva al Re dell’Aquila di avanzare ancora, ha tradito me per essere fedele a te.”

Gli occhi blu di Tobio divennero grandi, atterriti.

Suo padre aveva detto qualcosa del genere nelle loro corsa disperata verso casa. Se davvero Wakatoshi credeva che quel cuore di drago avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per Shiratorizawa, allora doveva aver progettato quell’attacco da tempo.

Dichiarando guerra al Re Demone, privandolo del supporto militare dei sovrani conquistati e dei loro eserciti, Tobio aveva spogliato il Regno di Seijou della sua arma più grande.

Per poi tacere sul fatto che Tooru aveva dovuto resistere a quell’assedio dopo aver fallito la conquista di Karasuno.

“È colpa mia…” Concluse con un filo di voce.

Tooru scosse la testa. “Non ti sto accusando,” disse. “Abbiamo combattuto ognuno le nostre guerre. Io per primo.”

“No, ci siamo fatti la guerra a vicenda mentre Wakatoshi restava a guardare,” disse Tobio stringendo le dita sul piccolo scrigno nero con un po’ troppa forza. “È rimasto da solo con i suoi folli timori a lungo progettando tutto questo.”

“È un padre che tenta di salvare suo figlio da un destino più grande di lui,” disse Tooru malinconicamente.

C’era astio negli occhi di Tobio quando tornarono su quelli del genitore. “Continui a parlare come se lo comprendessi!”

“Parlo così perchè non voglio che tu lo giudichi folle!” Esclamò Tooru. “Wakatoshi sa esattamente quello che sta facendo e non devi sottovalutarlo, Tobio!”

Tobio si passò una mano tra i capelli con frustrazione, poi fece qualche passo per la testa. “Tornerà, vero?” Domandò fermandosi al centro di essa. “Lo abbiamo respinto ma se la posta in gioco è così alta, tornerà.”

“Parte di quello che vuole lo hai tra le mani, Tobio,” disse Tooru. “L’altra parte vuole essere tua per sua scelta…”

“Parli di Shouyou?”

Il Re Demone annuì. “Quel cuore gli serve per garantire un presente a se stesso e a chi ama. Shouyou gli serve per garantire un futuro a Shiratorizawa attraverso Tsutomu.”

“E tu che cosa vuoi che faccia?” Domandò Tobio.

“Oh…” Le labbra del Re Demone si piegarono in un sorrisetto sarcastico. “Questa è una novità! Non ti è mai interessata la mia opinione…”

“Sono in debito nei confronti di questo Regno,” disse Tobio con serietà. “Il mio Regno.”

“Ecco che torni ad osare troppo, moccioso.”

“Ce l’ho nel sangue per colpa tua,” replicò Tobio con sicurezza. “È nella mia natura, non posso farci niente.”

Tooru venne preso di sorpresa da quelle parole, poi ridacchiò, soddisfatto con se stesso. Forse, anche col cuore più leggero. “E così, alla fine, sei diventato davvero un Re.”

Tobio lo guardò spaesato e, per un istante, il Re Demone rivide in quegli occhi blu il bambino tanto introspettivo da non riuscire ad incassare nemmeno un complimento.

Ridacchiò come vide le guance del suo erede colorarsi pericolosamente ma decise di essere magnanimo e di non torturarlo ulteriormente. “Tienilo al sicuro,” disse posando una mano sul piccolo scrigno nero. “Cosa farne è solo una tua decisione.”

Tooru tornò a stringersi il mantello rosso al petto, come se fosse più prezioso dei tesori che aveva nascosto in quella stanza. “Come è stato fin dal principio, Tobio, tutto sta nel crederci o meno.” Disse. “Speranza. Atto di fede. Illusione. Follia. Chiamalo come vuoi, mio giovane Re ma, qualunque cosa tu decida di fare, il tuo destino ti attende e non puoi sfuggirgli.”

Tobio gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Non sono mai stato bravo a scappare.”

Tooru ricambiò l’espressione. “Lo so…” Lo superò, precedendolo fuori dalla stanza. Non si aspettava che lo seguisse. Era come con Hajime: il sangue aveva smesso di scorrere ma la ferita era ancora fresca e tutti e tre si sarebbero ricordati della cicatrice che sarebbe rimasta per molto tempo.

Tornando nei giardini reali, Tooru decise che avrebbe affrontato quella sfida a testa alta fin tanto che erano di nuovo insieme.

“Tooru…”

Il Re Demone sentì il respiro venire meno. Il solo suono di quella voce ebbe il potere di farlo precipitare in un incubo ad occhi aperti da cui si era illuso di essersi svegliato quando era stato certo di aver tratto in salvo il suo Cavaliere ed i due Principi che rappresentavano il loro futuro e la loro unica speranza.

Nel sollievo di quella felicità rubata ad un destino che si stava consumando tra fiamme e macerie, aveva compiuto il madornale errore di dimenticare che il nemico non era ancora stato sconfitto.

Nel voltarsi, sentì un tremore percorrergli tutto il corpo, un macigno sembrava essergli crollato sul petto rendendogli difficile respirare. Quando i suoi occhi incontrarono quelli taglienti e glaciali del Re dell’Aquila, fu come se la spada che aveva ferito il suo Cavaliere l’avesse trapassato da parte a parte.

“C-Come…?” Detestò la paura nella sua voce ma non poté far nulla per liberarsene.

“Non fare domande di cui già conosci la risposta, Tooru,” lo interruppe Wakatoshi facendo un passo in avanti.

In risposta, il Re Demone indietreggiò. Si erano guardati negli occhi molte volte lui ed il Re dell’Aquila. Avevano cominciato a farlo appena fanciulli e le sfumature delle espressioni che si erano rivolti erano mutate nei modi più imprevedibili durante gli anni in cui avevano scritto una storia che, loro malgrado, era stata anche loro.

Quella, però, era la prima volta che Wakatoshi lo guardava così, come se non fosse Tooru ma solo un altro Re che gli impediva di avere più di quello che aveva. Di più, sempre di più.

Tooru strinse i pugni e si costrinse a guardarlo negli occhi a testa alta, facendo appello a tutto l’orgoglio e la rabbia che lo tenevano ancora in piedi. “Che cosa vuoi?”

Wakatoshi mosse ancora un passo. “Lo sai bene che cosa voglio, Tooru.”

Il Re Demone sentiva le lacrime pungergli agli angoli degli occhi ma ingoiò a vuoto ed combatté contro il nodo che gli stringeva la gola. “E che cosa ti fa pensare che sarò disposto a dartelo?”

Wakatoshi si guardò intorno. “Perchè sei Re in un castello di macerie ed il mio esercito attende un mio ordine al di là della foresta mentre quello che era rimasto del tuo è stato decimato dai miei uomini?”

Tooru inspirò profondamente dalla bocca. “Facile vincere una guerra combattuta da ragazzini, vero?”

“Tu eri un ragazzino quando hai vinto contro di me,” gli ricordò Wakatoshi. “Eri ancor più giovane quando mi hai sfidato e hai perso ed il tuo Cavaliere mi ha dato un pugno in faccia per salvare il tuo onore. Anche tuo figlio è un ragazzino e ha cercato di uccidere il mio. Non sono io che faccio le regole, Tooru.”

Il Re Demone strinse i pugni. “Ipocrita da parte di chi gioca a fare il dio.”

“Attento a chi dai dell’ipocrita, Tooru. Abbiamo giocato allo stesso gioco insieme per molto tempo.”

Tooru avrebbe voluto colpirlo, fargli male, cancellare quella verità scomoda e riprendersi pieno possesso della sua vita ma, da ogni punto di vista possibile, era già un Re caduto.

“E siamo dunque arrivati al punto in cui solo uno può rimanere in piedi, vero?” Domandò con un sorriso amaro

Wakatoshi annuì.

“Perchè sono ancora vivo, allora?” Domandò Tooru. “Perchè non marci su questo castello e non ti prendi tutto quello che vuoi?”

Sorprendentemente, il Re dell’Aquila esitò. “Perchè ti ho amato,” rispose. “Perchè la tua morte sarebbe un atto che mi perseguiterebbe fino alla fine dei miei giorni.”

Tooru sorrise con sarcasmo velenoso, oscuro. Il sorriso del Re Demone. “Potrebbe essere romantico,” fu il suo turno di avvicinarsi. “Non posso essere tuo da vivo ma il mio fantasma ti perseguiterà fino al tuo ultimo respiro. Mi hai rincorso così tanto da rendermi la tua maledizione. Poetico, Wakatoshi. Davvero poetico.”

Una lama contro la sua gola fu l’unica risposta che ottenne dal Re dell’Aquila.

Eppure, il sorriso di Tooru rimase al suo posto. “Mi decapiterai, Wakatoshi?” Domandò. “Mi piacerebbe essere un bel cadavere, se posso esprimere un ultimo desiderio.”

Wakatoshi strinse le labbra. “Non farmelo fare, Tooru.”

“Cosa?” Domandò il Re Demone melifluo. “Lasciarti libero di condannarti a morte?”

L’espressione di Wakatoshi si fece anche più dura.

“Fai di me quel che vuoi, Re dell’Aquila,” disse Tooru con occhi ardenti. “Il mio destino si è compiuto, dopotutto. Ho messo al mondo il Principe capace di superare tutti i Re della nostra generazione, te compreso. Posso essermi macchiato di molte colpe ma Tobio erediterà un potere che ho messo insieme ma che non è mai stato mio,” una lacrima sfuggì al suo controllo, “e questa è l’unica cosa che sono riuscito a dargli.”

Wakatoshi dischiuse le labbra, fece per dire qualcosa ma una pressione dolorosa contro la  nuca lo costrinse a tacere.

“Rifodera la spada, Re dell’Aquila,” ordinò il Re dei Ribelli con voce appena tremante di rabbia. “Se deciderai di fare altrimenti, sappi che ho meno paura di te di sporcarmi le mani di sangue.”

Wakatoshi inspirò profondamente dal naso, drizzò la schiena allontanando la lama dal collo di Tooru. Dischiuse le dita e la spada cadde a terra.

Il Re Demone si mosse ed il sovrano di Shiratorizawa lo seguì con lo sguardo. Lo vide afferrare la mano libera del fanciullo dai capelli corvini che lo stava minacciando con la spada che i signori del Castello Nero avevano portato al loro fianco fin dagli albori del Regno di Seijou. La spada contro cui il Re dell’Aquila aveva combattuto molte volte, brandita da tre persone diverse.

Tobio spinse Tooru dietro di sè ma Wakatoshi si dimenticò del Re Demone non appena guardò i segni che il giovane signore dei ribelli portava sul volto.

Un ghigno comparve sul viso dell’erede al trono di Seijou, il riflesso perfetto dell’espressione che Tooru gli aveva rivolto poco prima. “È paura quella che vedo, Re dell’Aquila?”

Wakatoshi non replicò, gli occhi fissi sulle labbra sporche di sangue del fanciullo che non aveva mai temuto di affrontarlo.

“Che cosa hai fatto, Tobio?” Domandò Tooru sfiorando il viso del figlio.

Tobio non allontanò gli occhi dal sovrano di fronte a lui nemmeno per un istante. “Il destino doveva farsi di carne e sangue, no?” Passò la lingua sulle labbra tinte di cremisi gustando ancora una volta il sapore metallico del sangue. “Ecco qui, Wakatoshi,” concluse rifoderando la spada. “Il peggiore dei tuoi timori divenuto realtà. Ecco il Signore dei Draghi che tanto temi.”

Tobio fece un passo in avanti in segno di sfida. Tooru gli afferrò il polso spaventato.

Suo malgrado, Wakatoshi indietreggiò.

Gli occhi blu del giovane sovrano si fissarono in quelli taglienti del Re dell’Aquila.

Nessuna paura.

Il sorriso sarcastico sul viso di Tobio sparì. “Codardo…” Commentò. “Terrorizzato da una leggenda.” Si ripulì il viso con una manica storcendo la bocca in un’espressione disgustata. “Il potere ha lo stesso sapore del sangue, a quanto pare. Quello che per cui hai fatto tutto questo, Wakatoshi, però, non esiste.”

Si guardarono negli occhi ancora una volta ma il Re dell’Aquila continuò a rimanere in silenzio.

“Fuori dal mio Regno, Wakatoshi.” Ordinò. “Non sarà un drago a far cadere Shiratorizawa. Non serve. Basta un Re.”

Il Re dell’Aquila non replicò. Si chinò a raccogliere la sua spada. La rifoderò, poi si voltò e sparì tra gli alti cespugli del giardino reale.

Quando Tobio vide un’aquila alzarsi in volo, lasciò andare un sospiro e si rilassò. “Tooru…” Fece per chiedergli se stava bene quando un calore familiare gli avvolse le spalle. La voce gli morì in gola e così anche il respiro.

Tooru sorrise e si spostò davanti a lui per aggiustargli il mantello rosso sulle spalle.

Il mantello dei Principe di Seijou.

“Non osare più toglierlo,” gli ordinò Tooru prima di lasciarlo andare. “Non toglierlo mai, Tobio.”

***

Il mare era calmo e la brezza estiva piacevole contro il viso.

Era una bella mattina per fare colazione sulla balconata.

La tranquillità di quei semplici momenti di quotidianità era una delle cose che amava di più. Lo era sempre stata, fin da quando aveva quindici anni e si era reso conto che il suo cuore apparteneva ad un erede al trono che non avrebbe mai dovuto amare.

Suo malgrado, col senno di poi, alla fine delle sue giornate peggiori, il Primo Cavaliere di Seijou si fermava a riflettere se ne fosse valsa pena combattere tutta la vita per quell’amore e divenire una leggenda vivente nel processo.

“A che pensi, nonno?”

Poi si ritrovava a guardare gli occhi blu della Regina grazie alla quale era arrivato al Castello Nero ma sul viso di una bambina che non lo era ancora e quel pensiero assurdo spariva come se non fosse mai esistito.

“Niente, piccola…” Mormorò allungando una mano per afferrare un tovagliolo e ripulire il faccino sporco di crema della suo Principessa.

Se venti anni prima qualcuno gli avesse detto che ci sarebbe stata una donna nella sua vita e che l’avrebbe amata come nessun altro, il Primo Cavaliere si Seijou ci avrebbe riso di gusto e poi si sarebbe dimenticato della faccenda.

Con l’esclusione di sua madre, di cui suo malgrado aveva solo un vago ricordo, c’erano state tre donne nella sua vita e di nessuna ricordava il nome. Dopotutto, la prima era stata solo un infantile tentativo di non pensare ad un amore impossibile e le altre due lo sforzo, ancor più fallimentare, di dimenticarlo.

E, più di due decenni dopo, eccola lì: il risultato indiretto di quell’amore impossibile che, nonostante tutto, era divenuto quello della sua vita.

“Quando avrò una spada così?” Domandò la donna della sua vita, quella strana e meravigliosa creatura che tanto assomigliava ai Principi di Karasuno ma che era degna erede dei due Principi Demoni che aveva conosciuto nel corso della sua vita.

Il Primo Cavaliere sorrise sottraendo dalle mani della bambina l’elsa della spada che era appartenuta a tutti gli uomini che avevano occupato il Trono Nero. “Quando sarai più grande,” fu la sua risposta.

La piccina lo guardò con un broncio che rendeva onore sia a suo padre che a suo nonno. L’altro nonno, per la precisione. Quello che non aveva alcun problema ad avere una nipote ma ne aveva parecchi a rendersi conto che non aveva più vent’anni.

“E l’arco del Re?” Domandò la bambina.

“Quale Re?” Chiese il Cavaliere solo perchè prevedeva la risposta.

“Quello vecchio,” specificò la piccola con disinvoltura, come era solito fare suo padre quando insultava qualcuno affermando che fosse un dato di fatto.

“Ti ho sentito, piccola carogna!” Esclamò il vecchio Re in questione dall’interno della camera da letto.

La bambina lo guardò, un sorrisetto complice comparve sulla piccola bocca perfetta.

Sorrise a sua volta.

Poi c’erano quei momenti, quelli in cui il Primo Cavaliere guardava quella splendida creatura e, oltre a vedervi tutto ciò che amava, riusciva a scorgere qualcosa anche di sè ed allora decideva che, sì, ne era valsa la pena.



Hajime si svegliò sobbalzando e subito imprecò tra i denti contro il dolore che gli attraversò la schiena e l’addome. Avrebbe dovuto vegliare sul Principe dei Corvi e, invece, si era addormentato sulla poltrona. La più scomoda di tutto il castello a quanto pareva.

“Dormito male?”

Il Primo Cavaliere si sforzò di aprire gli occhi.

Shouyou se ne stava seduto contro i cuscini del grande letto con una rosa nera tra le mani. Un regalo di Tobio, senza ombra di dubbio.

Sorrise. “Buongiorno, mio Principe.”

Anche Shouyou sorrideva. “Finalmente qualcuno con una faccia meno antipatica,” commentò con allegria.

“È diventato ancor più antipatico quando ho minacciato di buttarlo fuori a calci.”

Shouyou non ne era sorpreso. “Sta riposando?”

“No, sta vagando per il castello probabilmente…”

Il piccolo Principe sospirò. “Non riesce a darsi pace.”
“Non gli passerà presto,” disse Hajime. “Tanto vale portare pazienza.” Studiò il profilo del fanciullo per un istante. “Tu come stai?”

Shouyou scrollò le spalle ma evitò di guardarlo in faccia. “Sto bene…” Mormorò.

Non era vero e Hajime se ne accorse immediatamente ma non era suo compito indagare oltre. Non ne aveva il diritto e Shouyou, probabilmente, non si sarebbe aperto con altri che Tobio.

Gli occhi d’ambra si spostarono su quelli verdi del Cavaliere. “Stavi facendo un bel sogno.”

Hajime inarcò un sopracciglio. “Come lo sai?”

“Eri sereno. Non lo siamo più da un po’.”

“Troppe notti insonni, nulla di più,” replicò Hajime con una smorfia. “E le sciocchezze di Tooru che mi danno alla testa.”

“Perchè?” Domandò Shouyou curioso.

Hajime si rilassò contro lo schienale della poltrona. “Niente d’importante,” ammise. “Prima che tutto andasse completamente in pezzi, a Tooru piaceva delirare sui futuri figli tuoi e di Tobio.”

Shouyou ridacchiò. “Davvero? E cosa diceva?”

Il Cavaliere scrollò le spalle. “Qualcosa a proposito di una piccola Principessa con gli occhi blu.”

Gli angoli della bocca di Shouyou si abbassarono gradualmente. Hajime se ne accorse. “Che c’è?” Domandò. “Ho detto qualcosa che ti ha turbato?”

“No,” Shouyou forzò un sorriso scuotendo la testa. “Non turbato.”

“Allora perchè quella faccia?”

Il piccolo Principe giocherellò nervosamente con la rosa nera tra le sue dita. “Tu credi ai sogni, Hajime?” Domandò.

“Non ho ancora deciso,” ammise il Cavaliere con sincerità.

“Io vorrei sapere a quali dei miei credere,” gli confidò Shouyou accoccolandosi contro i cuscini del grande letto. “Alle volte, vedo cose terribili ed altre volte cose meravigliose.”

Hajime si alzò dalla poltrona e si sedette sul bordo del letto. “Succede a tutti. Una volta si fa un bel sogno ed una volta ci si ritrova in un incubo.”

Shouyou sorrise gentilmente. “Vedo anche io una bambina, sai?” Ammise. “Una piccola Principessa con gli occhi blu. Anche Tobio la vede ma non lo vuole ammettere. Ci crede e non ci crede allo stesso tempo.”

“È uno stratega, Shouyou. Non puoi pretendere altro da lui.”

“No,” replicò il piccolo Principe accarezzando i petali corvini della sua rosa. “È solo terrorizzato all’idea di non poter avere il completo controllo di tutto.”

Hajime accennò un sorriso. “Il più grande difetto di Tobio è essere figlio di Tooru e, mio malgrado, è un errore di cui non mi voglio pentire.”

Risero insieme, con leggerezza.

“Che cosa vedi nei tuoi sogni, Shouyou?” Domandò Hajime, infine.

Shouyou inarcò le sopracciglia dubbioso.

“Sono più disposto a credere a te che a Tooru,” chiarì il Cavaliere. “Avanti, sorprendimi…”

Il Principe dei Corvi si stese sulla schiena, gli occhi fissi in quelli del padre del giovane che amava e a cui era legato a doppio filo dal destino. “Alcune volte, va come ha raccontato Kenma: io e Tobio siamo separati da qualcosa che non possiamo evitare, tutti i Regni liberi cadono e Shiratorizawa è l’ultimo.”

“Per mano del drago bianco?”

Shouyou annuì. “Alla fine, rimane solo il silenzio ed il pianto del drago. Ha consumato la sua vendetta e tutto ciò che gli rimane è un futuro vuoto.”

“E il drago sarebbe Tobio?”

“Non lo so,” ammise Shouyou scuotendo appena la testa. “L’ho creduto ma, certe notti, la storia cambia completamente. Non siamo più costretti a scegliere tra i futuro di un Regno o di un altro.”

Hajime si umettò le labbra. “Per un futuro del genere, non sarebbe mai dovuta scoppiare la guerra che stiamo combattendo adesso.”

“Lo so…”  mormorò Shouyou tristemente. “Ma mi piace sperare che sia una strada ancora possibile…”

“E come è?” Domandò il Primo Cavaliere. “Che cosa vedi in fondo a quella strada?”

Shouyou si mise a sedere, la sua attenzione rivolta alla rosa nera tra le sue dita. “C’è una bambina. Credo sia mia figlia. È piccolissima. La stringo a me ed il Principe dell’Aquila… Tsutomu è lì con me.” Si morse il labbro inferiore per un istante. “La bambina, però, ha gli occhi blu di Tobio.”


 

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Capitolo 35
*** Di fughe ed inseguimenti ***


31
Di fughe ed inseguimenti




La rosa nera tra le sue dita era calda, come se fosse viva.

Qualcuno, però, l’aveva recisa e non lo sarebbe rimasta per molto.

Erano state le sue mani a compiere quel crimine innocente?

Non ne era certo: i fiori non lo avevano mai interessato.

Eppure, quella rosa nera faceva parte della sua storia. Della storia dei suoi genitori, per essere precisi. Il roseto che il sovrano di Seijou aveva fatto piantare nei giardini reali, proprio sotto la balconata della sua camera, era l’unica cosa che era rimasta di un amore ormai finito… Oltre a lui.

In un certo senso, quella rosa nera era una curiosa rappresentazione di se stesso.

L’amore tra il Re Demone ed il suo Primo Cavaliere era morto da tempo ma lui e quel fiore c’erano ancora, entrambi vivi ed appena sbocciati.

Quella rosa, però, non sarebbe vissuta a lungo, non avrebbe avuto il tempo di richiudere i petali corvini e di esaurire la sua esistenza un petalo alla volta. Quel fiore sarebbe morto così, prematuramente ed al massimo del suo splendore.

Sfiorò il velluto corvino di uno dei petali con la punta delle dita e questo si staccò dagli altri.

I suoi occhi blu ne seguirono la discesa fino a che non finì a terra e lì rimasero, come ipnotizzati.

Seguì una goccia di sangue.

Sbattè le palpebre un paio di volte. Una seconda goccia cadde accanto al petalo ed una terza. Portò gli occhi sulle sue mani ma non era lui a sanguinare, bensì la rosa.

La paura gli strinse il cuore in una morsa ed un secondo petalo cadde. Altro sangue si riversò sul terreno, come una pioggia scarlatta.

Preso dal panico, strinse le dita intorno al fiore per impedire ad altri petali di cadere a terra. Il sangue cessò ma la rosa divenne fredda contro il palmo della sua mano.

Ogni suo tentativo di salvarla era stato inutile.

Era morta.






Quando Tobio aprì gli occhi, il cielo era striato di rosa.

Intorno a lui, le spighe di grano erano agitate dalla brezza dell’alba. Si mise a sedere lentamente e  quando i suoi muscoli protestarono per la posizione scomoda in cui erano stati costretti tutta la notte, strinse le labbra.

Shouyou era ancora accanto a lui. Giaceva su di un fianco, le ginocchia strette al petto: doveva avere freddo. Tobio non lo svegliò, non ancora.

Approfittò di quel vantaggio per guardarlo, per pensare.

Si era addormentato cullato dal bagliore di quelle iridi d’ambra liquida e dal silenzio che era seguito dopo quel bacio e quello dopo e quello dopo ancora…

Shouyou non aveva infranto quella quiete per porre domande, per cercare certezze. Era rimasto in silenzio tra le sue braccia e, semplicemente, lo aveva guardato fino a che il sonno non aveva avuto la meglio.

Tobio appoggiò le braccia alle ginocchia e chinò la testa in avanti lasciando andare un sospiro stanco. Non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi, ma era certo che quella che gli stringeva il cuore non fosse l’emozione giusta.

Faceva male, gli chiudeva lo stomaco e, al contempo, aveva una gran voglia di vomitare.

Non era disgusto. Sarebbe stato tutto dannatamente semplice se fosse stato disgusto.

L’immagine degli occhi di Shouyou nella notte, con la luce delle lucciole a far loro compagnia, era impressa a fuoco nella sua mente e nemmeno tenere gli occhi aperti serviva a liberarsene.

Avvertì un movimento alle sue spalle e si fece rigido nel sentire qualcosa toccargli la schiena. “Buongiorno…”

Tobio poteve sentire il sorriso di Shouyou nel tono della sua voce e respirare divenne improvvisamente difficile.

Il dolore, però, rimase  al suo posto all’interno del petto, vicino al cuore.

Avvertì Shouyou stiracchiarsi addosso a lui, appoggiare la schiena alla sua. Poteva sentire chiaramente la curva della nuca contro la sua spalla. Doveva aver alzato gli occhi verso il cielo. Tobio, da parte sua, riusciva solo a fissare il terreno.

Non parlava, il Principe dei Corvi ed il Principe Demone non sapeva cosa pensare. Era stato colto dal panico a sua volta o, semplicemente, gli stava lasciando il suo spazio? La naturalezza con cui lo toccava era una risposta più che sufficiente.

Tobio strinse i pugni e desiderò ardentemente che il mondo finisse in quell’istante.

“Tobio?” Nell’udire Shouyou pronunciare il suo nome, il Principe Demone si arrese all’evidenza che non sarebbe accaduto. Nessun drago sarebbe volato su quelle campagne reclamando la sua attenzione. Non c’era un’impresa verso cui scappare.

Per una volta, il Principe che era divenuto leggenda ancor prima di compiere quindici anni era da solo di fronte a qualcosa di tanto comune da essere terrorizzante: un sentimento verso qualcun altro.

E non sapeva come affrontarlo.

Shouyou staccò la schiena dalla sua e Tobio avvertì la pressione gentile di quegli occhi d’ambra sulla sua nuca. Non lo stava tirando verso di sè, era una sensazione simile a quella di piccole dita che s’infilavano tra le sue.

La stessa sensazione che aveva provato per davvero la notte precedente, quando Kenma li aveva condannati entrambi a morte e, invece di scappare, Shouyou gli aveva preso la mano.

Perchè Tobio non l’aveva lasciata andare?

Perchè l’aveva stretta e lo aveva condotto in quel luogo?

Perchè aveva spinto il proprio cuore sull’orlo dell’abisso sapendo di non poter affrontare la caduta? Tra loro due, non era lui quello con le ali.

Shouyou non chiamò il suo nome una seconda volta. Fu Tobio a voltarsi, ad affrontare quella luce.

Negli occhi grandi di Shouyou non c’era confusione o urgenza. Tobio non conosceva le parole giuste per descrivere la sua espressione ma no, non vi trovò alcuna traccia della paura che attanagliava il suo cuore.

Shouyou sorrise e Tobio rivide Tooru in quel sorriso. Seguì il panico.

“Torniamo indietro,” disse alzandosi in piedi.

Shouyou lo guardò dal basso verso l’alto ed anche così Tobio si sentì costretto in una posizione svantaggiosa. Strinse le labbra, distolse lo sguardo e allungò distrattamente una mano in direzione del Principe dei Corvi. “Andiamo,” ripetè.

Shouyou si alzò senza afferrarla.






Fu Tadashi a scatenare il panico. “Kei!” Urlò entrando nella camera che divideva con il suo amico d’infanzia. Impiegò meno di un istante a raggiungere il letto del giovane Cavaliere e tanto bastò a Kei Tsukishima per fissare il soffitto bianco della stanza e rimpiangere ogni scelta di vita che lo aveva condotto fino al Regno di Seijou.

“Kei!” Urlò di nuovo Tadashi scuotendolo. “Kei!”

“Sono sveglio!” Ringhiò il Cavaliere mettendosi a sedere. Imprecò a denti stretti contro chiunque gli venisse in mente, ma si ritrovò a ripetere il nome dei sovrano di Nekoma e Fukurodani un paio di volte di troppo. “Maledizione…” Sibilò prendendosi la testa tra le mani.

Aveva perso il conto dei calici di vino che i due idioti gli avevano versato in gola a cinque e tutto il resto lo aveva scordato. “Ho ballato sul tavolo?” Domandò orripilato..

Tadashi inarcò le sopracciglia. “Cosa?” Domandò. “Sicuro di essere sveglio, Kei?”

Il Cavaliere strinse le labbra ed annuì due volte, poi afferrò l’amico per il colletto della camicia senza guardarlo in faccia. “Ho ballato sul tavolo?” Ripeté fissando il muro di fronte a sè come se potesse sbriciolarlo con uno sguardo.

“Ci sei collassato sul tavolo!” Ribatté Tadashi irritato liberandosi della sua mano. “Kei, Shouyou non si trova!”

Kei si lasciò ricadere sul letto con un gemito. “Che bella notizia…” Mormorò.

Tadashi sgranò gli occhi. “Sei ubriaco?” Domandò sorpreso.

“No,” rispose Kei abbracciando il cuscino. “Sono assolutamente lucido nell’affermare che sono lieto di sapere che il nostro Principe non è nei paraggi.”

Tadashi non seppe cosa dire per un lungo minuto. “Non ha dormito nel suo letto!” Continuò con voce più stridula. “E nessuno sa dove sia Tobio!”

“Saranno insieme...“ Tagliò corto il Cavaliere lasciando che il sonno avesse di nuovo la meglio su di lui.

“Questo significa che hanno passato la notte insieme, Kei!” Tadashi si sedette sul letto con un sospiro stanco. “Lo so che tu non lo credi possibile ma io penso che dovresti darmi ascolto: sta succedendo qualcosa tra Shouyou e Tobio… Qualcosa, capisci?”

“No…” Biascicò il Cavaliere.

Tadashi si prese la testa tra le mani. “Che cosa dobbiamo fare?” Si domandò in panico. “Il nostro compito è proteggerlo e facciamo del nostro meglio ma il motivo per cui Shouyou è rimasto qui è legato a Tobio e… Oh, dovremmo impedirgli di danneggiare il suo onore, vero? Fa parte del nostro compito anche questo, giusto? Però se Shouyou vuole... E non possiamo comunque impedirgli di vedere Tobio perchè è per lui che…”

Un lieve russare lo interruppe. Tadashi si voltò molto lentamente verso il Cavaliere addormentato e lasciò andare un altro sospiro. “E se Shouyou s’innamorasse di Tobio, Kei?” Domandò, pur sapendo che l’altro non lo ascoltava. “Se Shouyou si facesse nel male in un modo da cui noi non possiamo proteggerlo?”

“Stai zitto, Tadashi,” mugugnò Kei affondando il viso nel cuscino.





***





Quella mattina, Tooru si era svegliato con uno strano senso di serenità.

Il sole aveva appena tagliato l’orizzonte e l’aria era piacevole. Indossò i primi vestiti che trovò e si spostò nel salottino privato cercando di fare meno rumore possibile.

Un sorriso gli graziò le labbra nel trovare il Primo Cavaliere di Seijou ancora addormentato sul divano di fronte al caminetto spento. Hajime si era addormentato con addosso i vestiti del giorno precedente, i piedi appoggiati sul bracciolo imbottito ed un braccio piegato dietro la testa.

Tooru incrociò le braccia sullo schienale del mobile e vi appoggiò il mento. Il respiro del suo Cavaliere era tranquillo e la sua espressione serena.

Una malinconia tinta di nostalgia strinse il cuore di Tooru ma solo per un istante. Voltò lo sguardo verso le finestre: non c’erano nuvole in cielo.

Hajime si mosse improvvisamente, come se si fosse accorto della sua presenza. Tooru riportò gli occhi su di lui e tornò a sorridere. “Ben svegliato, mio Cavaliere.”

Hajime borbottò qualcosa simile ad un buongiorno, poi si mise a sedere con un mugolio.

“Mal di schiena?” Domandò Tooru.

Hajime annuì, appoggiò le spalle allo schienale del divano: era tutto un dolore ed il mal di testa del giorno non se ne era ancora andato.

Tooru gli strinse le spalle. “Fatti un po’ più avanti.”

Hajime ubbidì quasi istintivamente: sapeva cosa sarebbe seguito.

“Togliti la camicia,” aggiunse il Re.

Il Cavaliere lo fece. Non appena le mani calde dell’altro presero a massaggiargli le spalle, chiuse gli occhi e lasciò andare un sospiro.

“Perchè non ti togli questi vestiti e non vai di là a riposare?” Propose Tooru gentilmente. “Io ho alcuni documenti di cui occuparmi, non farò rumore.”
Hajime scosse appena la testa. “I folli sono rimasti… Quanto? Due… Tre giorni senza di me? Ho paura di vedere cosa mi aspetta di sotto.”

Tooru ridacchiò. “Ancora il castello è tutto intero,” lo rassicurò. “Se escludiamo le parti già danneggiate…”

Hajime storse la bocca in una smorfia. “Di sotto regna l’anarchia, me lo sento.”

“Prova ad essere ottimista.”

“L’anarchia è un livello di caos ottimistico.”

Tooru rise. “Li adori proprio, eh?” Disse passando distrattamente il pollice tra i corti capelli neri sulla nuca del Cavaliere. “I tuoi uomini, dico.”

“Mi ritrovo a pensare ad almeno tre diversi modi per ucciderli dolorosamente ogni giorno.”

“Hajime!”

“È l’unica cosa che m’impedisce di farlo sul serio!” Si giustificò il Primo Cavalieri.

Tooru scrollò le spalle. “Sei sei tanto stanco, puoi sempre lasciare il comando a Tobio per un po’... Sarebbe un buon modo per prepararlo a quello che lo aspetta.”

“Sarebbe un pessimo modo per prepararlo a quello che lo aspetta!” Replicò Hajime assecondando i movimenti della mani di Tooru. “I folli divengono improvvisamente docili e collaborativi con lui. Non lo vedono come un leader. Per loro, Tobio è mio figlio. È il piccolo Principe che hanno visto crescere e non sarà sufficiente che erediti il mio titolo perchè lo vedano come un uomo.”

Tooru sospirò. “Beh… Almeno loro potrebbero seguirlo con il cuore. Com’è la situazione con i giovani nobili?”

“Lo hanno seguito nelle campagne…”

“Lo so questo.”

“Mi auguro che, al loro ritorno, qualcosa sia cambiato.”

“La fine di un’estate può davvero bastare a fare di Tobio il Principe della sua Corte?” Si domandò Tooru con un po’ di pessimismo.

Hajime gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Tobio è già il Principe del popolo e questa è una sicurezza che mi permette di dormire sereno la notte. Nessun nobile può permettersi di toccarlo fin tanto che ha le masse dalla sua parte.”

“Sì, Hajime ma è così solo per le sue imprese,” replicò Tooru. “Tobio è amato perchè è una leggenda. Perchè ti segue in battaglia ancora fanciullo, perchè abbatte draghi e perchè, sì, è figlio di una storia di cui la gente parlerà per molto, moltissimo tempo. Essere Re è un’altra cosa, non è sola la gloria delle grandi imprese.”

“Parli tu?” Disse Hajime un poco acido.

Le mani di Tooru si fermarono per un attimo ma non si allontanarono dalle spalle del Cavaliere. “Potere e gloria sono due cose diverse,” disse.

“Ah… Davvero?”

“È uno dei motivo per cui con Wakatoshi non ha funzionato,” aggiunse Tooru con una nota di crudeltà.

Era un contrattacco e Hajime lo accettò stringendo le labbra. “Non si può desiderare di conquistare la cima del mondo in due, Tooru.”

“Non si trattava solo di quello,” spiegò il Re. “Il potere di un sovrano è terreno, quasi materiale. Non può andare oltre la morte, può solo lasciare indietro qualcosa che valga la pena ricordare.”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Non è quello che pensa Wakatoshi.”

“La sete di potere di Wakatoshi è qualcosa che non riesco a calcolare, Hajime,” disse Tooru. “Non si tratta delle conquiste, non si tratta di rendere Shiratorizawa il Regno più potente mai esistito… Si tratta di lui, del sangue del suo sangue. Si tratta di un tipo d’immortalità che non riesco a comprendere… Potrei quasi definirla delirante.”

Hajime abbassò lo sguardo. “Per questo siamo caduti a pezzi?” Domandò. “Per costruire la nostra immortalità?”

Tooru si umettò le labbra. “Del nostro amore parleranno ancora quando saremo entrambi polvere, Hajime. La nostra immortalità ce la siamo costruita insieme.”

“E a te non è bastato,” concluse il Primo Cavaliere con un sorriso amaro. Si alzò in piedi e Tooru non cercò di trattenerlo.

“Mi chiedo se ne secoli racconteranno tutta la storia,” disse Hajime guardando il suo sovrano negli occhi. “Oppure la faranno finire nel punto che più si avvicina ad un lieto fine.”

Tooru accennò un sorriso. “La nascita di Tobio…”

“Il Principe Cacciatore di Draghi.”

Il Re Demone ridacchiò, poi il suo viso si tinse di un’emozione più cupa ma anche più profonda. “La storia non è ancora finita, Hajime.” Non seppe perchè lo disse, perchè decise di farsi del male.

Il Primo Cavaliere continuò a sorridergli in quel modo tanto malinconico da spezzargli il cuore. “Siamo prigionieri di un sortilegio, io e te,” disse recuperando la sua camicia ad indossandola. “Un sortilegio che impedirà a questa di finire per sempre, Tooru. Non possiamo vivere l’uno senza l’altro ma restare vicini equivale a farci del male. Che sia bellissimo o terribile, lasciamolo decidere a chi racconterà la storia.”

Un sorriso triste comparve sul viso di Tooru. Non replicò in alcun modo e Hajime decise di togliere il disturbo.





***





“Oggi in che cosa ci alleniamo?” Domandò Shouyou non appena girarono l’angolo.

Tobio gli lanciò un’occhiata veloce. “Hai la giornata per te,” rispose.

“Non sono stanco,” Shouyou allungò il passo e lo affiancò. “Mi piacerebbe continuare con le lezioni di volo,” disse con un sorriso. “Non quelle in cui trasformo te ma possiamo rivedere i segnali, testare fino a che punto posso controllarmi.”

“Non oggi, Shouyou,” disse Tobio con voce controllata ma scostante.

Il sorrise del Principe dei Corvi si spense. “Perchè fai così?”

Tobio si fermò, i pugni stretti. Non biasimava Shouyou per quella domanda, era rimasto in silenzio anche troppo a lungo.

Il Principe Demone, però, non era ancora venuto a capo di niente. “Non porre domande di cui non sei pronto a conoscere la risposta.” Era lui a non essere pronto a darne una ma scaricare ogni cosa su Shouyou era terribilmente semplice. Tobio si sentiva un verme.

Suo malgrado, il Principe dei Corvi non era codardo nemmeno la metà di lui. “Di che cosa dovrei aver paura?” Domandò spostandosi di fronte al fanciullo dagli occhi blu.

Tobio era senza parole. In quel momento, se il cielo fosse diventato nero non se ne sarebbe neanche accorto. “Di che cosa dovresti aver paura?” Ripeté con un filo di voce.

Shouyou annuì. “Siamo io e te, Tobio. Di che cosa dovrei aver paura?”

Per Tobio, era completamente folle. “Siamo la condanna a morte l’uno dell’altro, Shouyou.”

Il Principe dei Corvi non parve colpito in alcun modo da quelle parole. “Lo eravamo anche ieri notte,” rispose. “Da quel che ci hanno detto, lo siamo dal giorno in cui siamo nati.”

Tobio inspirò aria dalla bocca. “Non fare lo stupido.”

“Tu non fare lo stupido!” Replicò Shouyou con forza. “Posso sentire il rumore dei tuoi pensieri fino a qui. Non tornare a chiuderti in te stesso, Tobio! È troppo tardi!”

È troppo tardi!

Tutto era racchiuso in quelle tre parole. Ripensò alla rosa nera nel suo sogno, alla disperazione a cui aveva cercato di salvarla.

È troppo tardi!

“Te ne devi andare,” disse senza riflettere ma con voce terribilmente atona.

Shouyou sgranò gli occhi. “Cosa?”

“Alla fine dell’estate,” disse Tobio con più fermezza. “Non appena torneremo al Castello Nero, il Re Demone scriverà a tuo padre e tu tornerai a Karasuno.”

Fu il turno di Shouyou di rimanere senza parole. “No,” fu la sua risposta.

Tobio avrebbe voluto prenderlo a pugni. “Idiota…”

“Ti ho detto che un’estate non mi basta!” Esclamò Shouyou. “Ti ho detto che non voglio scappare! Ti ho detto tutto quello che provavo, Tobio! Tu hai fatto lo stesso con me e quando non ci sono più bastate le parole, abbiamo…”

Tobio lo superò, si rifiutò di ascoltare oltre.

Shouyou affondò le unghie nei palmi delle mani e si morse il labbro inferiore. “Tobio!” Chiamò inseguendolo fino al cortile interno della tenuta. “Tobio!”

La discussione s’interruppe lì.

“Ma tu guarda se non è il nostro nipotino preferito, Issei!”

“E sembra in buona compagnia!”

Tobio si era bloccato al centro del cortile e Shouyou era rimasto pochi metri dietro di lui. Sotto il portico, la festa della scorsa notte stava avendo seguito ma con qualche ospite in più.

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Mi padre lo sa che siete qui?” Domandò arrivando sotto al portico.

Takahiro gli circondò le spalle con un braccio ed Issei gli porse un boccale di birra. “Tu rilassati!” Esclamò il primo.

“Siamo tutti rilassati,” aggiunse il secondo.

“No, no, no,” Keiji uscì dalla porta d’ingresso per togliere dalle mani del Principe il boccale di birra. “È appena l’alba e sta pur tranquillo che resterò a guardare mentre diventi così,” indicò la panca appoggiata al muro. Koutaro e Tetsuro vi erano seduti, abbracciati e sorridenti. Canticchiavano ancora una di quelle volgari canzoncine da taverna ma avevano gli occhi chiusi ed era impossibile capire qualunque parola uscisse dalla loro bocca.

Tobio li fissò a lungo, mentre Keiji rientrava in casa.

“Sono così da ieri notte?” Domandò il Principe Demone.

“Noi siamo arrivati poco prima dell’alba,” raccontò Takahiro. “Abbiamo visto che gli animi erano allegri e ci siamo detti perchè no?” Prese un sorso di birra.

Tobio fece una smorfia. “Non mi sorprende.”

“Altezza,” salutò una voce alle sue spalle.

“È bello vedervi qui!” Rispose con allegria la voce di Shouyou.

Tobio si voltò: sul lato opposto del portico, Futakuchi, Aone ed alcuni soldati di Dateko sedevano e mangiavano. Shouyou li salutava con cortesia.

“Oh, sì, abbiamo portato compagnia,” intervenne Issei.

Tobio li guardò entrambi con gli occhi sgranati ed una vena prese a pulsare sulla tempia. “Se voi siete qui,” disse quasi ringhiando. “Se quei due sono qui,” indicò Koutaro e Tetsuro, i quali avevano preso a spintonarsi a vicenda per potersi stendere sulla panca. “E se tutti i giovani Cavalieri di Seijou sono qui… Chi diavolo è rimasto a proteggere il Castello Nero?!”

Takahiro si allontanò dal Principe coprendosi le orecchie con le mani. “Tutto suo padre…” Commentò.

“Eggià,” concordò Issei prendendo un altro sorso di birra. “Poveri noi.”




***




Tooru era occupato con i suoi documenti da meno di un’ora, quando un tremante Kaname bussò alla sua porta. “Il Primo Cavaliere richiede la vostra presenza, Maestà,” disse.

Il Re Demone inarcò le sopracciglia confuso. “Hajime chiede di me?” Domandò. “Se ne è andato meno di un’ora fa…”

Kaname abbassò lo sguardo con imbarazzo. “In realtà, mio signore, siamo noi della Corte ad aver bisogno di voi.”




***




Disteso nella vasca da bagno piena di acqua tiepida, con la nuca appoggiata al bordo di marmo bianco, Shoyou era serio, silenzioso. Tadashi si muoveva intorno a lui, parlava concitatamente ma il Principe non lo ascoltava.

Nella sua mente continuavano a ripetersi tutte le parole che Tobio gli aveva urlato contro la notte precedente. Cancellare l’immagine del suo viso rigate dalle lacrime era impossibile.

Quello che era accaduto non era stata una scintilla nel buio. C’erano gli eventi di tutta un’estate dietro. Shouyou se ne rendeva conto solo in quel momento.

“Mi stai ascoltando?” Domandò Tadashi con voce stridula.

Shouyou sobbalzò. “Hai detto qualcosa?” Domandò guardandolo mortificato.

Tadashi s’indispetti, prese tra le mani il secchio pieno d’acqua accanto alla vasca e lo gettò sopra la testa del Principe senza troppe cerimonie.

“Ah!” Esclamò Shouyou preso alla sprovvista. “È gelida!”

“Ci hai fatto preoccupare a morte!” Esclamò Tadashi, come un genitore indignato per l’indifferenza del figlio per i propri sentimenti. “Non hai passato la notte nel tuo letto, Shouyou! Sai come ci hai fatto sentire?”

Il Principe dei Corvi lo guardò confuso. “Ero con Tobio. Con chi pensavate che fossi?”

Tadashi strinse le labbra e sospirò. “Appunto…”

“Cosa vorrebbe dire?” Domandò Shouyou. “Sono qui per stare con Tobio. Non c’è nulla di cui sorprendersi.” Il colorito che gli accese le guance lo tradì.

Tadashi sentì il respiro venire meno per un istante. “Shouyou…”
“Cosa?” Il Principe fissò l’acqua della vasca per non doverlo guardare in faccia. “Mi ha portato a vedere le lucciole. È successo solo questo, nulla di più.”

Tadashi se ne rimase immobile, il secchio vuoto stretto al petto. Un dolore sconosciuto gli spezzò il respiro per un istante. “Shouyou…” S’inginocchiò. “Qualcosa ti ha scosso, non negarlo.”

“Non è successo niente,” insistette l’altro.

Tadashi sorrise pazientemente. “Non sei mai stato bravo a mentire, Shouyou.”

Sì, era una delle cose che il Principe dei Corvi aveva in comune con il Principe Demone.

La cruda sincerità di Tobio era una delle armi con cui si era conquistato il suo personale regno di solitudine. Shouyou aveva provato l’asprezza di quel fendente su di sè in più di un’occasione ma, forse per ingenuità, non lo aveva mai ferito abbastanza da convincerlo ad andarsene.

“Perché non la smetti d’investirmi con quello che senti tu, invece? Credi che sia facile, stupido, starmene qui a subire ogni tua emozione quando io non riesco nemmeno a dare un nome alle mie? A che cosa servirebbe dirti che non ho mai desiderato la vicinanza di nessuno ma che sono terrorizzato dalla solitudine da quando ci sei tu?”

Shouyou si strinse le ginocchia al petto, infilò le dita tra i capelli umidi. Sentiva le lacrime pungere agli angoli degli occhi, il cuore faceva male.

“Shouyou…” Tadashi gli strinse una spalla per rassicurarlo. “Sono qui. Sai che puoi fidarti di me, se hai bisogno di parlare.”

Perso nei suoi pensieri, Shouyou non gli rispose.

“Cambierebbe qualcosa se ti confessassi che tengo le distanze da te perché spingerti via mi è più sopportabile di aspettare che tu decida di lasciarmi indietro?”

Shouyou sentì il respiro venire meno per un istante. Gli occhi d’ambra si fecero grandi mentre tutta la questione assumeva sfumature completamente diverse da quelle che aveva visto fino a quel momento. La notte precedente, Tobio non aveva versato una lacrima per la profezia che li riguardava. Non era il destino che lo spaventava e nemmeno la promessa di morte che era stata sussurrata dal vento quando avevano deciso di restare insieme.

Sollevò gli occhi ed incontrò quelli colmi di preoccupazione di Tadashi.

“Tadashi…” Mormorò Shouyou con le lacrime agli occhi. “Sono stato così stupido…”

L’altro inarcò le sopracciglia e fece per dire qualcosa ma la porta del bagno si spalancò e Kei si trascinò all’interno della stanza. Tadashi lo guardò orripilato. “Kei!” Esclamò. “Ma che diavolo…?”

L’altro non lo fece finire di parlare. “Ho bisogno di un bagno,” borbottò con la voce di un morto appena riemerso dall’oltretomba.

“Non vedi che c’è Shouyou nella vasca da bagno?” Domandò Tadashi indicando il Principe.

“E tiralo fuori…”

“Kei!”

Shouyou non fece caso a loro. Non c’era molto su cui riflettere: sapeva cosa fare, doveva solo trovare Tobio. Si sollevò dalla vasca ed afferrò l’asciugamano. Kei e Tadashi si fecero silenziosi mentre infilava i vestiti velocemente, i capelli ancora umidi. Quando fu pronto, attraversò la stanza e spalancò la finestra. Si voltò e lanciò un’occhiata ai due amici da sopra la spalla. “Grazie…” Disse, poi spiccò il volo.

Rimasti soli, Kei guardò Tadashi. “Che cosa è successo?”

L’altro lo guardò confuso e scosse la testa. “Non lo so.”





***





Quando Tooru scese, Hajime era seduto al centro della sala comune dei Cavalieri con le braccia incrociate contro il petto e la stessa espressione di un cane rabbioso.

Oltre a lui, non c’era nessun altro.

“Che fine hanno fatto tutti?” Domandò il Re inarcando le sopracciglia.

Kanema sospirò. “Le mie scuse, mio signore.”

“Per cosa?”

“Temo che i Cavalieri abbiamo approfittato un po’ troppo dell’assenza del Generale e non sono stato in grado di persuaderli a non fare sciocchezze.”

Tooru sorrise gentilmente. “Non preoccuparti, Kaname. Conosco i Cavalieri di Seijou e solo un uomo è in grado di tenerli tutti in riga,” guardò il suo Primo Cavaliere con espressione intenerita. “Immagino sia la calma dopo la tempesta.”

Kaname annuì. “La servitù si è spaventata,” disse. “Ha tutte le ragioni di essere fuori di sè ma ho ritenuto opportuno informarvi.”

Tooru annuì. “Ti ringrazio, Kaname. Puoi ritirarti.”

L’uomo che era stato il Re di Dateko si congedò con un inchino. Con un sospiro, il Re Demone decise di affrontare la situazione di petto. “Ehi…” Mormorò avvicinandosi al Primo Cavaliere.

Hajime gli lanciò una breve occhiata e continuò a ringhiare a bassa voce.

Seppur non invitato, Tooru si sedette sulla panca di fronte a lui. “Pare che il nostro Tobio abbia più seguito di quel che sappiamo,” disse. “Ha lasciato il castello e se ne sono andati tutti in poche settimane.”

“E sta pur certo che non torneranno!” Sbraitò Hajime. “Li aspetterò alle porte delle capitale e mi prenderò le loro teste!”

Tooru ridacchiò. “Non temere. Sono certo che non appena vedranno la tua brutta faccia, s’inginocchieranno ai tuoi piedi invocando il tuo perdono. Ti invidio un po’ per questo, lo sai?”

“Non hai motivo di essere invidioso di me!” Ribattè Hajime appoggiando il gomito sul tavolo e reggendosi la testa stancamente. “Sono il tuo esercito di idioti! Io sono solo quello che c’è tra loro e te!”

Tooru sospirò, “No, Hajime, tu sei quello che rende loro il mio esercito. Abbiamo già avuto questa conversazione, ricordi? A me il potere di un Re ma quello militare è tutto tuo.”

Hajime si massaggiò la fronte stancamente.

Tooru allungò una mano e gli toccò una gamba. “Perchè non ne approfitti?”

Il Cavaliere lo osservò con un singolo occhio. “Uhm?”

“Non ci sono giovane d’addestrare,” disse Tooru allegramente. “Non ci sono vecchi compagni di avventure da tenere al loro posto e non ci sono figli adolescenti di cui preoccuparsi.”

Hajime si guardò intorno. “Tutto questo silenzio è inquietante.”

“Allora riempiamolo,” propose Tooru euforico. “Ci sono solo i nobili barbosi a corte e, per un giorno,  faranno volentieri a meno di entrambi!”

“Certo, il tempo di voltarci ed il Castello Nero non sarà più nostro,” replicò Hajime. “Hai idea di cosa potrebbe succedere se qualcuno ci attaccasse ora?”

“Non accadrà,” lo rassicuro Tooru.

“Non puoi saperlo.”

“Nemmeno tu, Hajime.”

“È mio dovere pensare ai rischi!”

“Bene!” Tooru si alzò in piedi con un saltello. “Allora andiamo a nasconderci! Così, nel peggiore dei casi, i vecchi barbosi al piano di sopra perderanno la testa ma il Regno di Seijou vivrebbe ancora nel suo Re e nel suo Primo Cavaliere.”

Hajime lo fissò a lungo. “Sai cosa mi rassicura di te, Tooru? Qualunque cosa accada, rimani un completo idiota!”

Il Re Demone rise. “Avanti, troviamo dei vestiti semplici ed usciamo in città!”




***





Tobio era stato solo per la maggior parte della sua vita ma quella era la prima volta che ci si sentiva. Non era andato nei campi a lavorare: non poteva promettere che avrebbe mantenuto il controllo di sè, se uno di quei nobili idioti lo avesse provocato.

Aveva portato l’arco con sè ma la sua mano non era ferma. Non quel giorno. Aveva il terrore di tirare a qualunque volatile, di sferrare il colpo per instinto, senza darsi il tempo d’identificare l’obbiettivo. Era troppo arrabbiato per stringere un’arma tra le mani.

Le armi, però, erano gli unici strumenti attraverso cui riusciva ad esprimersi.

Il fragore della cascata era l’unica cosa a spezzare il silenzio. Seduto all’ombra di un albero, Tobio non udiva neanche quello. Il rumore dei suoi pensieri era troppo alto.

Il cielo era terso, di un azzurro che nessun colore creato da mani umani avrebbe saputo riprodurre alla perfezione. A guardarlo, veniva una gran voglia di perdercisi dentro ma era un privilegio riservato solo a chi possedeva delle ali.

Ali che il Principe Demone avrebbe potuto avere, se solo l’avesse voluto.

Sbuffò e chinò la testa.

“Io cerco di venire verso di te nella speranza che tu ti decida a guardarmi, ma più io mi apro a te, più ti allontani e mi spingi via!”

“Maledizione,” sibilò. Si alzò in piedi e prese a camminare avanti ed indietro nervosamente.

”Tobio, io non…”

Non l’aveva lasciato finire di parlare. Gli aveva gettato addosso tutta la rabbia che aveva accumulato in anni passati all’ombra del disprezzo che i suoi genitori provavano l’uno per l’altro, che Tooru sentiva per lui.

Estrasse il pugnale dalla cintura. Lo fece roteare in aria e lo afferrò di nuovo. Ripeté il gesto distrattamente, mentre il ricordo del modo in cui Shouyou lo aveva guardato la notte precedente tornava a tormentarlo.

”Tu mi abbagli e non lo sopporto…”

Tobio conosceva la luce di quelle iridi d’ambra. L’aveva trovata da bambino in due occhi altrettanto grandi ma più scuri.

”Che cosa stai guardando con quel faccino incantato, Tobio-chan?”

Affondò il pugnale nella corteccia dell’albero. La lama entrò quasi per metà e ci volle il doppio della forza per estrarla. Pugnalò il tronco ancora una volta ed una terza, una quarta… Andò avanti fino a che il braccio non cominciò a dolergli e nemmeno allora si fermò. Pezzi di corteccia giacevano ai suoi piedi e sull’erba verde tutt’intorno.

La lama si spezzò e Tobio gettò l’impugnatura a terra. Quell’albero aveva subito gli effetti della sua ira ma non era stato uno sfogo sufficiente. Sferrò un pugno contro il tronco devastato. Fece male ma non gliene importò: se fosse servito a farlo smettere di pensare, si sarebbe volentieri rotto la mano.

“Tobio, fermo! Tobio!” Qualcuno gli afferrò il polso con forza.

A Tobio sarebbe bastato uno strattone per liberarsi ma l’ambra liquida degli occhi del Principe dei Corvi lo immobilizzarono.

Shouyou lo guardava con le labbra serrate e l’espressione severa. “Fermati,” ripetè, sebbene Tobio si fosse già fermato. “Non ti passerà mai, se continui a scappare.”

Il Principe Demone riadagiò il braccio lungo il fianco. Il suo viso era una maschera di pietra. “Vattene, Shouyou,” ordinò e si voltò.

“Lo fai di nuovo, Tobio?” Lo accusò Shouyou andandogli dietro.

“Cosa?”

“Ti nascondi da me. Fuggi. Possibile che tu sia tanto testardo da non capire quando non puoi vincere?”

Tobio si fermò. Quando si voltò a guardare l’altro Principe, i suoi occhi erano gelidi. “E sei proprio tu a rivolgermi queste parole, Shouyou?” Domandò con astio.

Il Principe dei Corvi strinse i pugni. “Ti ho fatto la domanda sbagliata questa mattina,” disse. “Di che cosa hai paura tu? Questo avrei dovuto chiederti.”

Tobio scosse la testa. “Hai già avuto l’umiliante confessione del Principe Demone, non avrai niente altro da me!”

“Umiliante?” Domandò Shouyou avvicinandosi. “È così che ti senti per avermi aperto il tuo cuore? Umiliato?”

“È una cosa che un Re non dovrebbe mai fare e nemmeno un guerriero.”

“Perhcè, Tobio? Perchè?”

“Perchè rende deboli, indifesi. Un Re non può permettersi di dare questa impressione di sè.”

Shouyou scosse la testa. “Siamo esseri umani, Tobio!”

Il Principe Demone ingoiò a vuoto. “Non possiamo essere sia uomini che Re.” Si voltò. “Dimentica la scorsa notte, Shouyou. Non sono quello che credi.”

“Ed io non sono Tooru!” Urlò il Principe dei Corvi con frustrazione.

Tobio si sentì gelare.

“Hai detto che lo rivedi in me ma io non sono luI!” Shouyou esaurì la distanza tra loro e gli bloccò il cammino. “Debole? Questo credi di tuo padre? Pensi che sia un debole per aver amato tua madre?”

Il Principe Demone si rifiutò di rispondere. “Lasciami passare.”

“Perchè?” Lo sfidò Shouyou. “Perchè tu possa scappare di nuovo? La paura di essere tradito è così forte che preferisci rinchiuderti in una roccaforte di solitudine?”

“Ho meno possibilità di cadere da solo,” disse Tobio. Nessuno gli aveva impartito quella lezione. Non era quello che suo padre gli aveva insegnato, nè a parole, nè con il suo esempio.

Era la conclusione naturale a cui Tobio era arrivato in anni di freddezza da parte di chi avrebbe dovuto amarlo.

“E anche tu,” aggiunse. “Hai sentito quella profezia, noi…”

“Non nasconderti dietro quella profezia!” Urlò Shouyou. “A te il destino non fa paura, Tobio! Non so se sia follia o coraggio il tuo ma tu sei così: se il fato ti condanna a morte, tu non puoi fare altro che sfidarlo ed avere l’ultima parola per te!” Riprese fiato. “Io non sono come te… Io sono spaventato, Tobio. Non voglio morire ma è con te che non ho paura. Sei tu che mi fai sentire al sicuro.”

Il Principe Demone lo superò. “Questo è ridicolo…” Fu tutto quello che disse.

Shouyou strinse gli occhi. Voleva mettersi a piangere ma non sarebbe servito a niente. Tobio avrebbe risposto con la crudeltà ad ogni suo tentativo di raggiungere di nuovo il suo cuore.

Non gli restava che usare la forza.

Tobio lo sentì urlare, prima di ricevere il colpo. Cadde in acqua senza nessuna possibilità di recuperare l’equilibrio e Shouyou con lui. Quando riemerse, il Principe dei Corvi tossiva aggrappato alle sue spalle. Non gli diede il tempo di riprendersi.

“Stupido!” Urlò Tobio costringendolo con la schiena contro la parete di roccia della cascata. “Possibile che tu non capisca quando è ora di arrenderti!” Sollevò il pugno. Se si fosse accanito contro il Principe dei Corvi, gli sarebbero bastati due colpi per spaccargli la faccia e con il terzo sarebbe riuscito a fargli male sul serio.

Quando Shouyou sollevò lo sguardo, però, Tobio si pietrificò.

Il piccolo petto si alzava ed abbassava velocemente, le labbra a cuore dischiuse per ingoiare aria. Appariva così piccolo e fragile contro la roccia fredda ed umida. Chiunque fosse venuto a conoscenza del suo destino di divenire Re, avrebbe provato pietà per quel fanciullo.

Anche Tobio lo aveva fatto e, lungo la strada, se ne era pentito ma in silenzio.

Ora, guardando Shouyou negli occhi, non riusciva a muoversi.

Le iridi d’ambra liquida si erano tinte di una sfumatura completamente diversa. La loro luce si era fatta dorata e le sottili pupille verticali erano come lame nere in grado di trapassarlo da parte a parte.

Tobio riadagiò il braccio lungo il fianco ma l’altra mano non smise di stringere la spalla del Principe dei Corvi. Chinò la testa ed ingoiò a vuoto per impedire alle lacrime di uscire di nuovo.

Shouyou infranse il silenzio con una risata. “Con te è sempre un passo avanti e due indietro, Tobio.”

Quando il Principe Demone sollevò lo sguardo, gli occhi d’ambra erano tornati grandi e gentili. “Ed io con te non riesco ad arrivare da nessuna parte,” replicò con voce un poco strozzata.

Shouyou sospirò. “Per adesso, allora, possiamo semplicemente restare qui… Così…”

Tobio appoggiò entrambe le mani alle parete di pietra: si sentiva improvvisamente stanco. “Tu hai le ali, Shouyou,” disse. “Se decidessi di andartene, non potrei mai seguirti.”

“Non me ne sto andando.”

“Potresti farlo…”

“Potremmo vivere insieme il resto della nostra vita,” replicò Shouyou. “Potremmo farlo felicemente, oppure no… Forse, entrambe le cose ma in momenti diversi. Potremmo crescere e prendere strade diverse. Il destino potrebbe compiersi e, come nella grandi storie, il nostro amore diverrebbe immortale.”

Tobio inarcò le sopracciglia. “Non ho mai parlato di amore.”

“Nemmeno io,” replicò Shouyou con serenità.

“Allora, di cosa stiamo parlando?”

Le piccole dita del Principe dei Corvi si aggrapparono alla camicia bagnata del Principe Demone. “Possiamo anche smettere di parlare,” propose.

Si guardarono, l’ambra si fuse con il mare in tempesta negli occhi dell’altro. Come la notte precedente, Shouyou aspettò. No, non avrebbe fatto nulla per rendere a Tobio le cose più facili. Non in quel momento.

“E se scappassi io?” Domandò Tobio. “Se mi voltassi e me ne andassi ancora una volta?”

Shouyou accettò la sfida con un sorrisetto. “Ho le ali, Tobio. Sarò sempre più veloce di te.”

L’angolo destro della bocca di Tobio si sollevò un poco, poi si allontanò di un passo.

Non lo baciò. Non quella volta.

“Comincia a volare, Shouyou,” lo sfidò il Principe Demone, poi si voltò ed uscì dall’acqua.

Il Principe dei Corvi rimase immobile per un lungo minuto di silenzio. “Non ci posso credere…” Mormorò fissando un punto nel vuoto di fronte a sè. “C’è qualcosa nella tua vita che non sia una sfida?” Domandò con voce stridula.

Tobio gli lanciò un’occhiata veloce da sopra la spalla. “Detto da te…”

Shouyou alzò gli occhi al cielo e si staccò dalla parete di pietra. “Tobio, aspettami!”




***




“È così bella la nostra Capitale,” disse Tooru osservando la strada principale della città e le persone che andavano e venivano. Hajime non si voltò ad osservare lo stesso panorama: sul viso incantato di Tooru c’era tutta la bellezza che Seijou poteva offrire. Era una realtà che non sarebbe mai mutata e Hajime aveva imparato ad accettarla con un sorriso amaro.

“Abbiamo fatto un ottimo lavoro in questi anni, non credi?” Domandò il Re guardando il suo Primo Cavaliere negli occhi.

Hajime annuì distrattamente prendendo un sorso della sua pinta di birra. “Forse, dovrei tirare il cappuccio del mantello.”

Tooru rise facendo un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere. “Hajime, ho addosso una divisa da Cavaliere e cammino accanto al braccio destro del Re. Da quando siamo usciti dai cancelle del castello, nessuno si è disturbato a guardarmi in faccia. Per una volta, tu sei il sole ed io vivo alla tua ombra.”

Hajime scrollò le spalle. “Non mi sono mai sentito in ombre con te,” ammise senza vergogna.

“Non lo desideravo, infatti,” disse Tooru, poi abbassò lo sguardo. “L’ho desiderato con Tobio, però.”

Hajime strinse il calice di birra tra le sue dita con un po’ troppa forza ma non replicò in alcun modo: accettava la sincerità di Tooru riguardo ai demoni che gli avevano tormentati in quegli ma questo non impediva a quegli stessi demoni di far loro ancora del male.

“Non mi perdonerà mai, vero?” Domandò il Re.

Hajime non conosceva la risposta a quella domanda. “Alla fine dell’estate, sarà un altro il nostro problema,” sviò il discorso. “Vuoi parlare a Tobio e Shouyou del loro destino, no?”

Tooru reclinò la testa da un lato. “Ne parli così serenamente…” Commentò. “Tu ancora non ci credi, eh?”

“Credo che Tobio avrà la mia stessa reazione,” disse il Primo Cavaliere. “Quindi, non rimanere deluso.”

“Già…” Il Re Demone alzò gli occhi al cielo. “Posso quasi immaginarlo mentre mi guardò con quel broncio arrogante ed afferma che può combattere contro il destino come e quando vuole.”

“Quindi, non sei preoccupato?”

“Non è la reazione di Tobio che mi preoccupa ma di Shouyou… Voglio vedere come entrambi gestiranno la situazione.”

Hajime sospirò annoiato. “Tu vuoi che Tobio confessi appassionatamente che non lascerà Shouyou per una stupida profezia che prevede la morte di entrambi per amore.”

“Non è così divertente, Hajime,” lo rimproverò Tooru.

“Lo è se ti concentri e pensi a Tobio appassionato.”

“Oh! Possibile che tu non gli dia un briciolo di fiducia?”

“Sei proprio tu a rimproverarmi per questo, Tooru?” Domandò Hajime. “Tobio compirà quindici anni questo inverno e mi fa piacere vederlo interessato ad un altro fanciullo, sul serio! Sono tutte le tue speranze che trovo esagerate!”

“Hajime, noi eravamo molto più giovani!”

“Ne abbiamo parlato abbastanza, Tooru,” tagliò corto Hajime. “Quello che davvero mi preoccupa di tutta questa storia è che Tobio riscopra la sua natura di uomo di colpo e lontano da casa.”

Tooru ridacchiò. “Hai paura che deflori il Principe dei Corvi senza pensare alle conseguenze?”

“Non voglio ritrovarmi Daichi davanti ai cancelli della Capitale a pretendere la testa di mio figlio,” disse Hajime. “Perchè sai che lo farebbe!”

“La scena potrebbe anche essere divertente…”

“Tooru!”

“Che ho detto?”

La cameriera della locanda si avvicinò al loro tavolo. Era giovane ma non era una ragazzina, con lunghi capelli castani e grandi occhi chiari. Scambiò con Hajime qualche parola gentile, prima di portare via il calice vuoto. Tooru pensò che fosse una bella donna e sorrise amaramente. “Come si chiama?” Domandò.

Hajime lo fissò. “Non ne sono sicuro,” rispose.

Tooru ridacchiò. “Sei un bugiardo.”

“Le donne ti sono sempre interessate solo da lontano, Tooru.”

“Non si può dire lo stesso di te,” fu una provocazione ma benevola. Fu l’ennesimo tentativo del Re Demone d’intavolare con il padre di suo figlio un discorso da uomini con una lunga storia alle spalle.

Hajime lo assecondò. “No, non sono mai andato a letto con Keiko.”

“Oh, Keiko!” Tooru annuì ed osservò la donna sorridere a due clienti seduti al bancone. “Lei lo vorrebbe, però.

Hajime sbuffò. “Tooru…”

“Ho visto come ti guarda.”

“Sapessi come mi guardano le altre donne… Ahi!” Esclamò. Il Re gli aveva dato un calcio sotto il tavolo.

“Contegno, Primo Cavaliere,” lo rimproverò Tooru ma non con serietà. “E nessuna guarda Tobio?”

“Tutti guardano Tobio,” ammise Hajime con un sospiro. “E a molti vorrei anche spaccare la faccia, aggiungo.”

Tooru sorrise: l’iperprotettività del suo Cavaliere era uno dei lati che gli mancavano di più. “Troppo vecchi?”

“Troppo tutto… Ma perchè stiamo parlando di nostro figlio in questo modo, maledizione?”

“Possiamo tornare a parlare del suo imminente matrimonio con il Principe dei Corvi, se lo desideri,” lo prese in giro il Re Demone.

“Non scherzare! Daichi pretenderà una testa anche per una proposta di matrimonio ufficiale.”

“Daichi se ne farà una ragione ed io avrò la mia nipotina!”

“Ricominci con questa storia?”

“Non ho mai finito!” Pur non volendo, gli occhi di Tooru caddero di nuovo sulla cameriera che li aveva serviti. “Mi somiglia?” Domandò.

Hajime inarcò le sopracciglia. “Chi?”

“Keiko…”

“Tooru, per l’amor del cielo!”

“Anche io avevo i capelli così lunghi quell’inverno, ricordi?” Il Re Demone prese una ciocca della frangia tra le dita e la osservò con espressione critica. “Non ero altrettanto fornito ma…”

“Piantala subito!” Ordinò Hajime.

“Mi adoravi,” continuò Tooru con un sorriso nostalgico. “Ricordo come facevamo l’amore. Eri… Diverso. Non sei mai stato un bruto a letto, penso che non ti piaccia, ma mi toccavi in un modo che…” Ridacchiò imbarazzato. “So che non dovremmo parlare di nostro figlio in questo modo ma penso che Tobio sarà così: nervoso, insicuro, un po’ imbranato e tanto dolce da conquistare il cuore di chiunque sarà suo amante.”

Hajime non trovò le parole per replicare.

Tooru si passò una mano tra i capelli spettinandoli. Era ancor più bello di quando sedeva sul suo trono, perfetto come solo un reale poteva essere. “C’è stata tanta disperazione nella nostra prima volta, Hajime,” aggiunse. “Quell’inverno, quando mi sono tramutato in una fanciulla, abbiamo un po’ recuperato quella spensieratezza che dovrebbe essere delle prime esperienze. È stato un bell’inverno.” Concluse.

“Sì,” Hajime annuì. “È stato davvero un bell’inverno.”

Tooru riportò gli occhi sulla finestra, sulle persone che camminavano all’esterno. Hajime ne approfittò per lanciare un’altra occhiata a Keiko. No, non era bella nemmeno la metà di quanto lo era stato Tooru sotto l’effetto di quel sortilegio.

Però, sì, un po’ le assomigliava.

“Ehi, Hajime,” Tooru gli sorrise con lo stesso entusiasmo di un bambino. “Questa notte, andiamo a cercare il popolo delle stelle? Non lo facciamo più da quando Tobio era piccolo.”

Hajime annuì distrattamente. “D’accordo.”



Non avrebbe mai mantenuto quella promessa.




***




Shouyou canticchiava appendendo le lenzuola umide ai fili per il bucato e Tadashi lo guardava sospettoso. “Che cosa è successo?” Nelle ultime ore, quelle erano le uniche parole che uscivano dalla sua bocca.

Il Principe gli lanciò un’occhiata veloce. “Perchè me lo chiedi?”

Tadashi scrollò le spalle. “Un paio d’ore fa, apparivi sconvolto e sul punto di scoppiare a piangere. Guardati ora!”

Shouyou ridacchiò. “È una bella giornata di sole!” Si giustificò. “È un peccato essere tristi in giorni come questo!”
Se si fosse trattato di qualcun altro, Tadashi si sarebbe sentito preso in giro. Shouyou, però, era così e gli sfuggì un sorriso a sua volta. “Ero preoccupato, sai?”

Il Principe prese una camicia dal cesto del bucato e lo guardò confuso. “Per cosa?”

“Beh… Eri tornato da una notte passata con Tobio con la peggiore delle espressioni,” disse Tadashi. “Ho temuto fosse successo qualcosa.”

“Litighiamo ogni minuto di ogni giorno,” disse Shouyou. “Che cosa avevi paura che succedesse?”

“Ecco…” Tadashi arrossì. “Hai scoperto cose nuove di te, ultimamente… È normale essere un po’ più accorti quando si tratta della tua sicurezza.”

Shouyou si sollevò sulle punte ed appese la camicia al filo per il bucato. “Parli della mia natura da Omega?” Domandò abbassando lo sguardo. Sorrideva ancora ma non con la stessa allegria.

Tadashi si sentì in colpa. “Ti fa stare ancora così male?” Domandò preoccupato. “Pensavo che Tobio…”

“Tobio è fantastico,” disse Shouyou continuando ad appendere il bucato.

Tadashi si fece immobile.

“A lui non importa,” aggiunse il Principe. “Non lo ignora ma non gli importa.”

L’altro annuì sommessamente. “Puoi capire che io e Kei non possiamo fare lo stesso, vero?”

“Certo,” Shouyou annuì. “Il vostro compito è proteggermi.”

“Ti senti al sicuro con Tobio?”

“Oh, sì!” Rispose il Principe senza pensarci due volte. “Mi metterei nelle mani di Tobio ad occhi chiusi… Cioè, lo sto già facendo.”

“In effetti…” Concordò Tadashi a bassa voce. Pensò a Kei, a come gli aveva dato del paranoico per aver pensato che tra Tobio e Shouyou ci fosse qualcosa. “Shouyou, sinceramente, provi qualcosa per lui?”

Il Principe dei Corvi lo guardò, le gote rosse ma non c’era panico nei suoi occhi. Non parlò velocemente per negare qualunque idea stessa passando per la testa dell’altro. “Tobio è…” Scrollò le spalle. “Non è spiacevole da guardare.”

Tadashi sollevò l’angolo della bocca. “Non è spiacevole da guardare.”

“Ho avuto il mio risveglio da Omega con lui,” disse Shouyou come se la cosa lo irritasse. “Vorrà pur dire qualcosa.”

Tadashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Lo hai appena ammesso?”

“Cosa?”

“Che sei attratto da Tobio?”

Shouyou rimase sollevato sulle punte con un braccio sospeso a mezz’aria per appendere una federa bianca. Non poteva dire di aver baciato Tobio solo per dimostrare che non aveva ragione. Anzi, non poteva dire di aver baciato Tobio e basta!

Tadaaashi...”

Entrambi sollevarono lo sguardo.

“Kei!” Esclamò Tadashi sgranando gli occhi. “Che cosa è successo?” Sì, quel giorno non riusciva davvero a chiedere altro.

Il Cavaliere se ne stava affacciato dalla finestra della loro camera con la testa pericolosamente sporta in avanti. “Penso di aver vomitato sul pavimento…” Ciondolò pericolosamente avanti ed indietro un paio di volte. Alla fine, cadde all’indietro con un tonfo udibile anche dal cortile.

Shouyou dovesse mordersi la lingua per non scoppiare a ridere.

“Kei!” Urlò Tadashi preoccupatissimo. “Shouyou, puoi…?”

“Vai pure,” lo congedò il Principe dei Corvi. “Sembra che il Cavaliere imperturbabile sia fin troppo turbato.”

Tadashi era già sparito dalla sua vista prima che finisse di parlare. Shouyou ridacchiò tra sè e sè continuando a stendere il bucato. Non rimase solo a lungo.

Una mano lo toccò alle spalle. “Ehi…”

Shouyou sobbalzò e la tunica che aveva tra le mani cadde a terra. “Tobio!” Esclamò un poco arrabbiato sollevando l’indumento di nuovo sporco. “Oh… Guarda…”

Il Principe Demone s’imbronciò. “Colpa tua che non stai in guardia.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Non sto andando a caccia, sto stendendo il bucato!”

“Un bandito può coglierti di sorpresa in qualsiasi momento,” ribatté Tobio.

Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Sì, se fosse per te, dovremmo vivere ogni giorno come se fossimo in guerra,” disse gettando la tunica sporca da una parte per occuparsi dei vestiti e delle lenzuola rimaste nel cesto. Dopo diversi istanti, si rese conto che l’altro non si era mosso. Gli lanciò un’occhiata da sopra la stalla. “Che stai facendo?”

Tobio era sporco di terra da capo e piedi e la stoffa della tunica che indossava era umida di sudore. Shouyou dedusse che dopo averlo lasciato alla tenuta, doveva essere andato a lavorare nei campi.

“Sono venuto a…” Tobio fissò la punta dei pronti stivali. “Trov… Vede… Controllarti.”

Shouyou si voltò ed il suo viso si addolcì alla luce di un sorriso. “Avevi voglia di vedermi?” Domandò. Erano giovani, sì, ma non abbastanza perchè il Principe Demone si prendesse il suo tempo e trovasse le parole giuste da dire. A Shouyou, però, non dispiaceva anticipare.

Era una strategia che aveva dovuto imparare per giocare con Tobio.

Il Principe Demone annuì e lo fece guardandolo negli occhi. Era un passo avanti.

Assecondando la felicità che lo travolse, Shouyou fece un saltello in avanti e sollevò le braccia per stringerlo. Si fermò a metà dell’opera.

A Tobio non fece piacere. “Che cosa c’è?” Quasi ringhiò.

Il Principe dei Corvi ridacchiò imbarazzato e fece un passo indietro. “Scusami,” si grattò la nuca. “Sei tutto sporco.”

Tobio si guardò. “Stavo lavorando!”

“Non era un giudizio! Non offenderti subito!” Shouyou sollevò lo sguardo sul bucato mosso dal vento estivo. “Solo che qui è tutto pulito e-”

Tobio non gli diede il tempo di finire a parlare. Gli bastò allungare le braccia per afferrargli i fianchi e tirarlo verso di sè. Preso di sorpresa, Shouyou non oppose alcuna resistenza e si ritrovò con le mani premute contro il petto sudato del Principe Demone, il suo ghigno soddisfatto a pochi centimetri dal suo viso.

“Tobio!” Fece per spingerlo via ma l’altro lo trattenne.

Era divertito, Tobio ma non nel suo solito modo un po’ oscuro. C’era qualcosa di luminoso in fondo ai suoi occhi blu e Shouyou non riuscì ad essere arrabbiato con lui per molto. Sorrise e scosse la testa. Imbarazzato con se stesso, premette la fronte contro la spalla del Principe Demone per nascondere il viso ma era sereno, felice.

“Non hai più paura che ti sporchi?” Domandò Tobio.

“Mi hai già sporcato, antipatico,” si lamentò Shouyou ma con voce troppo dolce perchè potesse essere credibile.

Tobio posò la mano sul lato dell’esile collo. “Shouyou…” Chiamò.

Il Principe dei Corvi sollevò il viso automaticamente e l’altro premette l’indice contro la punta del suo naso sporcandolo di terra.

Shouyou gonfiò le guance. “Tobio!” Era la terza volta in pochi minuti che chiamava quel nome con voce irritata.

“E stai fermo,” disse il Principe Demone prendendogli il viso tra le mani. Ancora una volta, Shouyou non oppose alcuna resistenza. Sorrise divertito quando Tobio disegnò due mezze lune sotto il suo naso.

“Così sembri un po’ più uomo,” lo prese in giro il Principe Demone.

Shouyou si passò la manica sul viso ed ottenne solo con lo sporcarsi le guance e la tunica. “Ho fatto il bagno questa mattina…”

“Puoi fartene un altro questa sera.”

“È appena passata l’ora di pranzo!”

“Fa il Principino solo quando ti pare?”

Gli occhi d’ambra si fissarono in quelli blu. Shouyou pareva frustrato e Tobio ne era compiaciuto ma non in modo maligno. Abbassò il capo e fece aderire la fronte a quella dell’altro. Il sorriso tornò con naturalezza sulle labbra di Shouyou. Sollevò le braccia per circondare il collo del Principe Demone e tenerlo vicino a sè.

Sarebbero potuti rimanere a guardarsì così anche fino al tramonto del sola, ma presto non furono più soli.

“Shouyou!”

I due si allontanarono l’uno dall’altro un istante prima che il Principe dell’Aquila sollevasse un lenzuolo per fare la sua entrata in scena.

“Ah,” disse guardando Tobio. “Ci sei anche tu.”

Il Principe Demone annuì. “Hai bisogno di qualcosa?” Domandò e non provò nemmeno a nascondere l’irritazione per essere stato disturbato.  

Shouyou alzò gli occhi al cielo, poi rivolse un sorriso al nuovo arrivato. “Mi stavi cercando, Tsutomu.”

“La tua Guardia sta facendo passeggiare il tuo Cavaliere sul retro della tenuta,” disse Tsutomu indicando l’edificio con un cenno del capo. “Il Cavaliere sembra sul punto del trapasso.”

Shouyou rise.

Tobio inarcò le sopracciglia. “Kei è moribondo?”

“Si è ubriacato la scorsa notte,” spiegò il Principe dei Corvi. “Non l’ha presa bene.”

“La Guardia ha detto che eri qui a svolgere delle faccende,” continuò Tsutomu. “E Satori ha detto che, per una volta, mi sarei dovuto rendere utile.”

“Il tuo Cavaliere ha ragione,” disse il Principe Demone.

“Tobio…” Lo rimproverò Shouyou. “Temo di dover lasciar perdere,” aggiunse mostrando le mani al Principe dell’Aquila. “Sono tutto sporco di terra, ora.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia, poi squadrò Tobio da capo a piedi. “Capisco…”

Tobio ghignò sotto i baffi ed attese che l’intruso togliesse il disturbo. Shouyou, però, aveva altri progetti. “Perchè non facciamo qualcosa tutti insieme?” Propose allegramente. “Andiamo alla cascata! Io e Tobio siamo tutti sporchi e ci farebbe bene una nuotata con questo caldo!”

Il Principe Demone gelò. Era tornato dai campi appositamente per stare con lui e Shouyou si permetteva di condividere il suo tempo con il peggiore dei Principi in circolazione? “Io me ne vado,” annunciò.

“Dove?” Domandò il Principe dei Corvi.

“Torno nei campi. Non mi piace starmene con le mani in mani, a differenza di qualcuno.”

Tsutomo sapeva che quella frecciatina era rivolta a lui e strinse i pugni. “Non mi faccio giudicare da un tipo che un uomo nato per essere Re e così bravo confondersi con i contadini.”

Gli occhi di Tobio si fecero glaciali. “Che cosa hai detto?” Ringhiò.

“Basta,” Shouyou si frappose tra i due con un sorriso. “Tobio, torna ai tuoi campi e tu, Tsutomu, mi accompagneresti alla cascata? Mi piacerebbe davvero farmi un bagno ma da solo sarebbe una noia!”

Tobio lo guardò allibito: perchè fare una simile proposta a Tsutomu? Era una punizione per lui? Che cosa aveva fatto di male?

Il Principe dell’Aquila aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua per alcuni istanti. “D’accordo… “ Disse, alla fine.
Tobio non si lasciò sfuggire il modo in cui le sue guance si colorarono. “Shouyou…” Chiamò.

Il Principe dei Corvi si voltò ma la luce calda dei suoi occhi era stata sostituita da quella fredda e dorata che, suo malgrado, aveva imparato a conoscere.

“Ci vediamo al tramonto, Tobio,” concluse Shouyou andandosene per primo.




***




La Torre del Castello Nero non era ancora stata ricostruita. Le corone dei Regni conquistati dal Re Demone erano state tutte recuperate e riposti a terra in semplici scrigni privi di sigilli. Erano stati abbandonati come oggetti senza valore.

L’Aquila li trattò come tali.

Atterrò all’interno della stanza dal soffitto crollato per metà senza far rumore. Il sole d’estate illuminava l’ambiente e non c’era altro che silenzio tutt’intorno. In un vorticare di piume bianche e marroni, il rumore dei passi del Re dell’Aquila contro il pavimento di pietra interruppe quella quieta così assurda per un luogo di distruzione.

Era un’assenza di rumori che Wakatoshi conosceva bene: ne era stato artefice su di molti campi di battaglia. Col tempo, aveva finito col considerarla la sua silenziosa marcia di vittoria.

Non c’era nessuna gloria di sua proprietà in quella stanza semi distrutta. Lì riposavano tutte le vittorie di Tooru e di suo figlio. Era proprio per l’impresa del giovane Principe Demone che si era intrufolato come un ladro nella reggia del suo più grande alleato e, potenzialmente, del suo peggior nemico.

Essere visto in quella stanza non invitato sarebbe stata una ragione sufficiente per Tooru di rivedere i loro rapporti. Lo stesso Wakatoshi non era certo di quello che stava facendo.

Paura. Era un sentimento a cui non era abituato ma che aveva imparato a riconoscere in seguito alla nascita di Tsutomu. Aveva temuto per la salute di Eita per dieci anni, fino a che quel sonno maledetto non lo aveva portato via.

Temere per la vita del suo unico figlio, però, era tutta un’altra cosa.

Se non fosse stato un uomo dai nervi d’acciaio ed il cuore di pietra, Wakatoshi avrebbe anche paragonato quel sentimento alla follia.

Sì, era per follia che aveva lasciato il Castello Bianco da solo.

Per un sogno.

Lo scrigno contenente il cuore di drago era stato riposto sull’unico piedistallo ancora in piedi. Non dubitava che Tooru e Hajime ne avessero fatto motivo di orgoglio ma il Principe Demone non si era disturbato a celare la sua indifferenza riguardo al suo premio.

Era un spreco di potere che il Re dell’Aquila non poteva tollerare, non quando quel potere poteva essere la chiave per salvare delle vite. Anche un’intera popolazione.

Gli bastarono pochi passi per attraversare la stanza ma non riuscì mai a toccare lo scrigno.

“Che cosa stai facendo?”

Wakatoshi accettò la lama premuta contro il retro del suo collo con un sospiro.

“Voltati.”

Lo fece e gli occhi scuri di Tooru lo trapassarono come la spada che gli puntava contro non avrebbe mai potuto fare.

“Che cosa stai facendo?” Ripeté il Re Demone.

Wakatoshi mantenne la calma: Tooru non era una testa calda, non per le questioni davvero importanti e non era saggio decapitare un sovrano disarmato nel proprio palazzo.

“Ammetto di essere in torno,” disse il Re dell’Aquila con voce incolore.

“Che bravo!” Esclamò Tooru sarcastico. “Scoppiano guerre per azioni del genere, Wakatoshi e credevo fossi tanto stupido.”

“Lo faresti? Faresti scoppiare una guerra per una cosa del genere?”

Tooru rifoderò la spada ma non allontanò le dita dall’elsa. “Fammi capire che cosa intendi per una cosa del genere.”

Wakatoshi non era bravo ad incantare con le parole. Quello era sempre stato un talento del Re Demone ed uno dei motivi per cui lo aveva tanto voluto al suo fianco in passato. “Voglio il cuore di drago,” disse diretto.

Tooru non reagì immediatamente. Dapprima, inarcò le sopracciglia, poi scoppiò a ridere. “Vuoi il cuore di drago che appartiene di diritto a mio figlio?” Ripetè il Re Demone, come se fosse la peggiore delle follie che avesse mai udito.

“Non lo chiedo per superbia.”

“No, solo fame di potere.”

“Non sto giocando, Tooru.” Wakatoshi strinse i pugni.

Il Re Demone si fece completamente serio. “Pensi che io lo stia facendo?” Domandò. “Stiamo affrontando di nuovo quella discussione di qualche settimana fa? Quella che il tuo Arciere ed il mio Cavaliere ci hanno impedito di concludere.”

“Il destino ci sta minacciando.”

“Il destino non minaccia, Wakatoshi,” replicò Tooru. “Il destino è imparziale. Si mostra e basta, qualsiasi sia la sua forma.”

“Ed io dovrei accettare che prenda forma nel massacro della mia gente e nella morte di mio figlio?” Domandò il Re dell’Aquila.

“E perchè quel cuore dovrebbe cambiare le cose?” Domandò Tooru indicando lo scrigno con un cenno del capo. “Se là fuori, sulle montagne, c’è un popolo di draghi assetato di vendetta, non pensi che distruggerebbero chiunque abbia quel cuore tra le mani?”

“Io non temo i draghi, Tooru,” disse Wakatoshi. “Io temo il proprietario di quel cuore.”

Il Re Demone non replicò immediatamente. “Tobio?”

Il Re dell’Aquila annuì.

“Tobio ha abbandonato il suo trofeo ed è scappato nelle campagne. Un fanciullo simile non può rappresentare alcuna minaccia per te.” Non era del tutto vero e Tooru lo sapeva, conosceva le profezie ed il ruolo di suo figlio all’interno del disegno del destino. Tuttavia…

“Qualunque potere possa portare quel cuore, Tobio non ne è interessato,” concluse. “Non so cosa veda Tsutomu nei suoi sogni ma non è mio figlio a decapitarlo, mi pare.”

“Ricordi la nostra prima impresa contro quel drago?” Domandò Wakatoshi.

Tooru annuì. “Quando Tobio lo ha accecato.”

“Sai perchè ero lì.”

“Certo, per Eita… Per tutte le leggende legate ai poteri quasi divini dei draghi.”

“E pensi che quel cuore non abbia poteri quasi divini?”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Wakatoshi, posso credere a qualsiasi forma di magia o potere che vada oltre il potere razionale ma tutto finisce con la morte. Il giorno in cui morirai, le tue ali svaniranno. Il potere di Eita se ne è andato con lui. Nemmeno la magia sconfigge la morte.”

“No, ma un dio può,” ribatté Wakatoshi con convinzione.

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Stai cercando di convincermi di cosa?” Domandò. “Vuoi farmi credere che mio figlio userà il potere di quel cuore per uccidere il tuo?”

“Si raccontano molte leggende sui Signori dei Draghi,”

“Sì, Wakatoshi, leggende.”

“Io sono una leggenda, Tooru.”

Il Re Demone scosse la testa. “Il tuo è un potere che scorre nel sangue. Lo hai ereditato dai tuoi antenati, come Tsutomu ha ereditato quello di Eita. È qualcosa di vivo. Non c’è modo di passarlo ad un altro se non attraverso la consanguineità ed il benvolere del destino.” Una pausa. “Nessuno può diventare un dio attraverso un cuore morto, Wakatoshi. Nessuno. Dici di conoscere le storie dei Signori dei Draghi, allora saprai anche che chiunque abbia tentato di fare suo il potere di un drago divorandone il cuore è morto tra atroci sofferenze o peggio.”

“La magia non è per tutti e lo sai.”

“E pensi che lo sia per un ragazzino che è demone solo per metà?!” Sbraitò Tooru. “Tobio non ha il tuo potere. Non ha il mio. Nel suo sangue non c’è magia sufficiente per sopportare un potere di quelle dimensioni e nemmeno in quello di tuo figlio!”

Tooru non poteva dirgli che aveva pensato di partire per le montagne del nord lui stesso. Non poteva dirgli che, per qualche ora di cieco entusiasmo, aveva pensato di catturare un drago e di divenirne il padrone solo per terrorizzare il Re dell’Aquila e schiacciare Shiratorizawa senza dover far scoppiare una guerra. Hajime aveva già bannato quel piano come ridicolo ma il timore del Re che aveva di fronte era pura follia.

Che cosa credeva? Pensava forse che Tobio avrebbe divorato quel cuore e si sarebbe tramutato nel drago degli incubi di Tsutomu? Tutta la vita di Tooru era stata scritta con la magia, ma a tutto c’era un limite.

“Stai cercando di convincere me o te stesso?” Domandò Wakatoshi.

Tooru scosse la testa. “Quel cuore è veleno,” concluse. “Credi che permetterei a mio figlio di avvelenarsi, Wakatoshi?”

Sì, Tobio era destinato a metterli tutti in ginocchio e a far suoi tutti i Regni liberi ma come Re e con un piccolo Corvo al suo fianco. Il drago degli incubi di Tsutomu non era parte del destino di Tobio.

Il Re dell’Aquila guardò lo scrigno nero per un lungo momento di silenzio. “Fino a dove ci può spingere la disperazione?”

Tooru inarcò le sopracciglia. “Come?”

Wakatoshi tornò a guardarlo. “Tempo fa… Ancor prima di Tsutomu nascesse, Eita fece un sogno e non volle raccontarmelo. Non compresi il perchè. Aveva condiviso con me la visione che mi aveva spinto verso di te. Che cosa aveva visto di tanto terribile da non riuscire a dargli voce?”

Tooru strinse le labbra ed ingoiò a vuoto. La sua espressione non diceva nulla ma i suoi occhi lo tradivano.

“Lo sapevo,” Wakatoshi annuì. “A te ha detto tutto, vero?”

Tooru non rispose.

“Era tanto terribile quella visione?” Domandò il Re dell’Aquila.

Il sovrano di Seijou scosse la testa. “È accaduto prima della nascita di Tsutomu. Non ha alcun senso parlarne.”

Invece, sì. Shouyou e Tobio erano ancora destinati a morire l’uno per l’altro. Al contempo, però, Shiratorizawa era destinata a cadere per mano di un drago. Tooru aveva perso da tempo la capacità di poter interpretare gli intrecci del destino e poterci giocare a proprio favore.

“E se accadesse?” Insistette Wakatoshi. “A che cosa saresti disposto a credere, se quella disperazione divenisse reale?”

Tooru ingoiò a vuoto ancora una volta ma un nodo doloroso gli stringeva la gola. Non pensò a Shouyou. Pensò a Tobio. Immaginò di stringere il corpo senza vita di suo figlio.

Gli occhi scuri caddero sullo scrigno contenente il cuore di drago e Wakatoshi se ne accorse. “Esattamente,” disse arrivandogli davanti. “Esattamente, Tooru.”

Il Re dell’Aquila posò un bacio tra i capelli del Re Demone.

Tooru non seppe come interpretare quel gesto ma sentì le lacrime salirgli agli occhi e la terribile sensazione di non avere scampo gli strinse il cuore in una morsa.

Wakatoshi, però, non lo minacciava. Era impotente quanto lui di fronte a quel disegno insensato, eppure inevitabile.

L’estate stava finendo. Tobio sarebbe tornato a casa ed il suo cuore sarebbe stato di Shouyou. Tooru ne era certo… E dopo?

“Nulla deve cambiare,” disse. “Lascia che tutto rimanga come è in questo momento e tuo figlio vivrà, Wakatoshi.” Non era una minaccia la sua, solo un avvertimento.

Il Re dell’Aquila si allontanò da lui. “Mi stai chiedendo di fidarmi di te?” Domandò guardandolo dritto negli occhi.

Tooru non lo biasimava per la sua reticenza: a sua insaputa, aveva fantasticato su più di un modo per stringerlo in pugno. Sorrise amaramente. “Sulla vita di mio figlio… Te lo giuro sulla vita di mio figlio,” disse. “Perchè è di questo che stiamo parlando, no?”

Wakatoshi annuì. “Allora rinnovo il mio patto di alleanza. Ti giuro lealtà e, sì, lo faccio sulla vita di mio figlio.”




Furono loro i primi a mettere le vite dei loro eredi sul piatto della bilancia.

Furono loro i primi a spingermi verso la la loro condanna.





***




Shouyou era carino.

Tsutomu non aveva ragione di negarlo fin tanto che si limitava a pensarlo in silenzio.

Era minuto ma ben proporzionato e morbido nei punti giusti.

Si schiaffò una mano in faccia con particolare violenza ed il Principe dei Corvi si spaventò.

“Qualcosa non va?” Domandò Shouyou nuotando verso di lui.

Tsutomu scosse la testa. “Una mosca…” Mentì.

Shouyou si limitò a sorridere. “Usciamo un po’. Cominciò ad avere la pelle d’oca.”

Il Principe dell’Aquila annuì. Si accomodarono sul lato roccioso della vita in modo da poter tenere i piedi a mollo senza sporcarsi con il fango.

“Mi dispiace per prima,” disse Shouyou. “Per Tobio.”

Tsutomu lo guardò. “Non dovresti scusarti tu per lui.”

“Devo, invece,” disse Shouyou. “È stato rude con te a causa mia.”

“Tobio è rude con tutti.”

“Sì, ma in quel preciso momento…”

“Mi hai chiesto di venire per indispettirlo, vero?” Domandò Tsutomu fissando la superficie cristallina dell’acqua. Shouyou non rispose ed il Principe dell’Aquila strinse le labbra: no, non ci era rimasto male. Dopotutto, lui non aveva amici e doveva per forza esserci un motivo secondario se il Principe dei Corvi aveva scelto di passare del tempo con lui.

“Mi dispiace…” Mormorò Shouyou e si strinse le ginocchia al petto. “In realtà, non me ne sono nemmeno reso conto.”

“Non sono arrabbiato,” disse Tsutomu, anche se aveva una gran voglia di prendere a pugni il Principe Demone.

“Non importa! Non avrei dovuto farlo!” Esclamò Shouyou. “È la prima volta che lo faccio, a dire il vero.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Non hai mai usato nessuno per far del male a qualcun altro?”

“No!” Il Principe dei Corvi sgranò gli occhi. “È una cosa orrenda!”

“Non hai commesso un crimine.”

“E con questo? Questa volta, si è trattato di qualcosa di piccolo ma… Scusami, Tsutomu, scusami tanto.”

“Non fa niente,” disse il Principe dell’Aquila scrollando le spalle. “Non ti ho mai visto arrabbiato in quel modo,” ammise un poco curioso. “Di solito, tu e quell’altro litigate facendo un gran rumore. Prima, non hai urlato ma lo hai guardato in un modo… Tobio si è irrigidito subito.”

Shouyou appoggiò il mento sulle ginocchia. “Non mi è piaciuto come ha reagito ad un certo punto.”

“Reagito a cosa?” Domandò Tsutomu.

Non ebbe il tempo di ricevere alcuna risposta. Qualcosa cadde dal cielo ed atterrò in mezzo al laghetto con un tonfo tale che mosse tutta l’acqua.

Entrambi i Principi sobbalzarono.

“C-Che… C-Che…?” Shouyou tremava.

Tsutomu cercò una spada che non c’era: i suoi vestiti erano ancora sull’erba, all’ombra degli alberi.

Un fanciullo dai capelli corvini riemerse al centro dell’acqua con un gran sospiro. Shouyou sgranò gli occhi. “Tobio!” Urlò alzandosi in piedi.

Il Principe Demone lo guardò storto. “Che cosa vuoi? Conosci questa cascata solo grazie a me, ricordalo!”

“Ma da dove arrivi?” Domandò Tsutomu sollevando lo sguardo.

“Mi sono buttato,” rispose Tobio.

“Dalla cima della cascata?!”

“No, da una nuvola, Tsutomu!”

“Come osi prendermi in giro!”

“Basta!” Esclamò Shouyou entrando in acqua e parandosi tra i due per la seconda volta della giornata. “Non c’è bisogno di litigare… E tu non dovevi lavorare nei campi?” Aggiunse rivolgendosi al Principe Demone.

“Ho lavorato in fretta per raggiungervi,” disse Tobio guardando un punto qualunque della boscaglia.

Per un attimo, Shouyou ne fu sorpreso, poi sorrise.

Tobio lo guardò con la coda dell’occhio e le sue gote si colorarono un poco.

Tsutomu distrusse il momento tuffandosi tra loro. “Non pensare che lascerò correre senza vendicarmi!” Urlò il Principe dell’Aquila riemergendo.

Tobio digrignò i denti e lo schizzò. Tsutomu rispose prontamente. Shouyou rise e si unì a loro.
Fu in mezzo a quel caos di acqua e strilli che il Principe dell’Aquila notò qualcosa. Fu un’immagine veloce e gli passò davanti agli occhi mentre tossiva per riprendere fiato. Tobio si era fermato e così anche Shouyou. Si guardavano e quest’ultimo sorrideva.
C’era qualcosa di strano ma Tsutomu non poteva indovinare cosa.

Fu il Principe Demone a spezzare l’immobilità: afferrò il Principe dei Corvi per i fianchi e lo gettò in acqua. Seguirono altre risate.

Giocarono fino al calar del sole.




***




Hajime sapeva che, in qualche modo, quell’esperienza non gli avrebbe fatto bene.

In cuor suo, prevedeva che se ne sarebbe pentito non appena tutto sarebbe finito.

Cioè non gli impedì di uscire dai cancelli del Castello Nero al calar del sole per andare alla locanda con cui era stato con Tooru solo quel pomeriggio.

C’era un ronzio nelle sue orecchie che non se ne voleva andare ed era stato Tooru a farlo cominciare. O, forse, no, non era proprio un ronzio.

Era l’eco di un ricordo. Le immagini di una giovane donna dai lunghi e ricciuti capelli castani e le curve di due semi morbidi accentuate dalla luce del caminetto acceso.

Era stata una magia, nulla di più ma era stata loro e non era stata fatta per fare del male a nessuno.

Tobio aveva tre anni e lui e Tooru erano tutta la sua vita.

Era stato un bell’inverno.

In quell’estate che finiva, però, non c’era rimasto nulla di tutto quello.

Hajime varcò la porta della locanda e la cameriera – quella che li aveva serviti quel pomeriggio e che un poco assomigliava a Tooru – gli sorrise.

Fu terribilmente facile per il Primo Cavaliere rispondere a quel sorriso.




***






Il cielo si era colorato delle tinte del tramonto. Seduto nell’acqua più bassa, con la schiena appoggiata alla parete di roccia, Tobio lo contemplava con la mente sgombra. Tsutomu aveva abbandonato il fronte da un po’ e si era addormentato sulla riva con solo i pantaloni addosso e la tunica appallottolata sotto la testa. Russava pure.

“A che pensi?” Shouyou nuotò nella sua direzione. Puntò le mani ai lati dei suoi fianchi, il corpo sospeso nell’acqua.

Tobio scrollò le spalle. “A niente…”

“Nessun brutto pensiero?” Si assicurò Shouyou inarcando un sopracciglio.

“Non ora,” ammise il Principe Demone. “Più tardi, forse…”

Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Tobio…” S’inginocchiò nell’acqua. “Perchè hai reagito tanto male, prima?”

L’espressione di Tobio s’indurì. “Perchè hai dovuto porre attenzione ad un idiota capitato lì per caso?”

“Mi sembrava cortese.”

“Io ero lì. Tanto rumore per attirare la mia attenzione e tu…”

Shouyou rise. “Non puoi essere gelose per una sciocchezza simile!”

“Non sono geloso!” Replicò il Principe Demone con forza. “Ma se ti dedico il mio tempo, io pretendo la tua attenzione!”

Shouyou storse la bocca. “Possessivo a dir poco…”

“E piantala!”

Il Principe dei Corvi mi mosse nell’acqua fino a ritrovarsi seduto sulle gambe del Principe Demone.

Tobio lo fissò con gli occhi sgranati. “Che cosa fai adesso?”

“Ti dedico tutta la mia attenzione,” rispose Shouyou con un sorriso furbetto.

“No, questa è aggressione!”

“Non mi pare di starti facendo male.”

“Mi hai preso in contropiede!”

“Devo chiederti il permesso per esaurire la distanza tra noi?” Domandò Shouyou annoiato, poi sorrise. “Beh… Almeno, non sono il più timido tra noi due.”

“Io non sono timido!” Sbottò Tobio. “Non sono… Abituato.”

C’era stato un tempo in cui sua madre lo riempiva di baci fino all’esasperazione, ma era passato e non voleva ricordare, non col Principe dei Corvi tra le sue braccia.

Di colpo, un profumo cominciò ad aleggiare nell’aria e Tobio comprese immediatamente quello che stava succedendo. “Smettila…” Sibilò. Era un buon profumo. Buonissimo.

Shouyou ridacchiò. “Lo sto facendo?”

Tobio inarcò le sopracciglia. “Non te ne rendi conto?”

Il Principe dei Corvi scrollò le spalle. “Non proprio,” ammise. “È come la voglia di baciarti. Sono vicino a te e succede.”

“Adesso hai voglia di baciarmi?” Domandò Tobio.

“Non bacio qualcuno che ha già rifiutato un bacio da me,” replicò Shouyou con un broncio.

Il Principe Demone alzò gli occhi al cielo. “Quando parli così mi ricordi tanto…” Si bloccò. Non voleva dirlo, non voleva pensarci. Se fosse tornato a riflettere su tutti i punti in comune che vedeva tra Tooru e Shouyou sarebbe diventato pazzo.

“Io ne sono onorato, a dire il vero,” disse Shouyou. “Se ho qualcosa che ricorda lui…”

“Contento tu.”

“È un grande Re.”
“È la persona che più mi ha ferito al mondo.”

Shouyou sospirò. “Sì, ma per amore di tuo padre è stato pronto a combattere una guerra. Se avesse perso, tutti lo avrebbero giudicato egoista e folle. Il destino gli ha concesso una fama diversa.”

“Tu che cosa ne pensi?” Domandò Tobio.

“C’è onore nel voler combattere per il proprio cuore,” rispose Shouyou sinceramente. “Per questo sto combattendo te.”

“Ah, noi stiamo combattendo…” Disse Tobio con un sorrisetto insopportabile.

“Tu scappi ed io volo per raggiungerti,” disse Shouyou. “Io sono qui, Tobio. Che cosa hai intenzione di fare?”

Erano ancora nella stessa posizione: a Tobio sarebbe bastato sporgersi in avanti per baciarlo ma, dopo, quanto sarebbe stato facile per Shouyou scappare?

“Non mi hai ancora detto cosa faresti,” disse il Principe dei Corvi, quasi avesse captato il suo pensiero. “Temi che, un giorno, volerò via da te… Non mi hai detto, però, che cosa faresti allora.”

Gli occhi blu di Tobio s’illuminarono di una luce strana: erano stupendi, eppure inquietanti. Shouyou non sarebbe mai riuscito a distogliere lo sguardo da quel fuoco gelido.

“Immagino che dovrei procurarmi delle ali più grandi e possenti delle tue per venirti a prendere.” Fu la risposta del Principe Demone.

Shouyou sentì un brivido freddo lungo la schiena. Si fece serio, rigido. Quelle parole lo spaventarono e lo affascinarono, al contempo. Qualcosa scorreva sotto la sua pelle rendendolo nervoso ma non in modo negativo.

Era quello il desiderio? L’eccitazione? La possessività di Tobio gli faceva un simile effetto?

Il profumo si era fatto soffocante ed il Principe Demone accettò la resa. Fece scivolare le dita tra i capelli umidi sulla nuca del Principe dei Corvi.

“Mi hai raggiunto, piccolo Corvo.”

Le labbra di Shouyou a stento sfiorarono le sue ma Tobio ebbe il tempo di percepire il sorrisetto in cui erano piegato, poi vi furono solo piume nere.

Il Principe Demone si ritrovò a fissare il vuoto di fronte a sè. Il Corvo aveva spiccato il volo ed era già lontano.

Tobio strinse a pugno le dita della mano con cui aveva toccato Shouyou e sorrise.

“Siamo in gioco. Giochiamo.”

Era un cacciatore e poche cose lo esaltavano come inseguire una preda che non aveva alcuna intenzione di farsi catturare.







A pochi metri di distanza, Tsutomu serrò le dita sull’erba sotto di lui ed usò tutta la concentrazione di cui disponeva per rimanere completamente immobile. Non aveva sentito niente. Non aveva capito niente.

Sì, proprio così! Se lo sarebbe ripetuto fino allo sfinimento e, con un po’ di fortuna, all’alba del giorno dopo avrebbe ricordato quegli istanti come uno strano sogno senza significato.












 

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Capitolo 36
*** Di persiane chiuse e bandierine colorate ***


32
​Di persiane chiuse e bandierine colorate




La risolutezza del Principe dell’Aquila durò meno di mezza giornata.

Non riusciva a togliersi dalla testa la conversazione di cui era stato l’involontario testimone. Aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, eppure gli sembrava di avere quella scena impressa a fuoco dietro le palpebre. Se provava ad addormentarsi, poteva vedere Shouyou e Tobio tanto vicini l’uno all’altro da non lasciare alcun dubbio sul tipo di legame che c’era tra loro.

Tsutomu incrociò le braccia dietro la testa e fissò il soffitto del granaio come se fosse un cielo stellato. Accanto a lui, Satori russava da qualche ora.

Il Principe non poteva parlare con lui di Shouyou e Tobio, a meno che non fosse pronto ad ascoltare un lungo discorso beffardo da parte del Cavaliere, su come il suo primo amore era finito ancor prima di essere vissuto. Tsutomu non provava nulla per Shouyou e non tollerava che chiunque affermasse il contrario.

Il Principe dei Corvi era stato l’unico fanciullo del Castello Nero ad aver cercato apertamente la sua amicizia, ma Tsutomu non aveva dato alcun valore alla sua gentilezza. Ne era rimasto sorpreso, certo ma Shouyou si era dimostrato un animo gentile per natura e non c’era nulla di speciale nei sorrisi amichevoli che gli rivolgeva.

Con Tobio, invece, tutto era diverso. C’era qualcosa tra loro, qualcosa che il Principe dell’Aquila non avrebbe mai avuto.

Aaaaaah!” Urlò, tirandosi i capelli per la frustrazione.

Satori saltò a sedere e sfoderò la sua spada in un battito di ciglia. “Che cosa succede?” Ringhiò, guardandosi intorno. “Che cosa c’è, Tsutomu?”

Il Principe si coprì il viso con le mani e non rispose. Il Cavaliere impiegò un solo istante per rendersi conto che non c’era alcun pericolo di morte nelle vicinanze, solo un adolescente in preda al delirio. “Tsutomu…” Rifoderò la spada.

“No!” Sbottò il fanciullo.

“No?” Satori si sporse verso il suo giaciglio e gli strattonò il braccio per obbligarlo ad uscire allo scoperto. “Non puoi urlare come un folle nel cuore della notte e poi pretendere di non dare spiegazioni!”

Tsutomu si liberò dalla stretta e si girò su di un fianco. “Lasciami in pace!”

Satori sospirò e rilassò le spalle. “Un giorno capirò da chi hai ereditato questo carattere chiassoso!” Esclamò. “Tua madre non stava agli scherzi ed era silenzioso per la maggior parte del tempo. Sorvoliamo su Wakatoshi…”

“Non voglio sentirti parlare dei miei genitori,” si lagnò Tsutomu, si premette le mani contro le orecchie. Non gli piaceva quando lo paragonavano a loro: fin da bambino, si era sentito in dovere di dimostrare di essere all’altezza di qualcuno e a quasi quattordici anni sapeva di non essere degno di nessuno dei due.

Era amato, certo ma quell’amore cominciava a non essere più abbastanza.

“Che cosa ti ha infastidito?” Domandò Satori con pazienza. “Sei stato tutto il giorno con il Principe Demone ed il Principe dei Corvi. Hai litigato di nuovo con Tobio?”

“Stupido…” Borbottò Tsutomu fissando il mucchio di fieno accanto al suo giaciglio. Litigare con Tobio non lo faceva stare male. Era sempre avere la peggio che lo feriva, sentirsi inferiore a lui e sapere che nonostante quell’orribile personalità che si ritrovava, aveva trovato qualcuno a cui affidare il suo cuore.

“Ehi!” Satori lo afferrò per la spalla spazientito. “Sei un moccioso, ne prendo atto, ma sono stufo del tuo atteggiamento!”

Tsutomu si guardò bene dal ribellarsi ancora al Cavaliere. Era testardo come un mulo ma sapeva quando era meglio smettere di tirare la corda. “Sono arrabbiato.”

Satori si passò una mano tra i capelli già ribelli per natura. “Questo lo vedo da me, ragazzino.”

“Sono arrabbiato col mondo intero!”

“Rilassati,” gli consigliò il Cavaliere. “È l’età. Anche se ho il presentimento che sarai una spina nel fianco anche quando avrai l’età di tuo padre.”

“La pianti di offendere?”

“Dammi una buona ragione per rispettarti,” disse Satori. “Fai ordine tra i tuoi pensieri e cerca di capire la causa che ha scatenato il tuo malumore. Non tirerò ad indovinare. Con tuo padre è già abbastanza difficile e ho dovuto combattere coi suoi silenzi per tutta la vita. Dammi una tregua almeno tu!”

Tsutomu si sollevò a sedere e si strinse le ginocchia al petto. Teneva lo sguardo basso e le labbra imbronciate. “Come si sono innamorati mio padre e mia madre?”

Satori inarcò le sopracciglia. “Hai battuto la testa, ragazzino?”

Il Principe dell’Aquila gli lanciò un’occhiata tagliente. “Non puoi rispondere e basta?”

“Tsutomu…” Preso in contropiede, il Cavaliere si guardò intorno ma le pareti di pietra non gli suggerirono le parole giuste da dire. “Cosa vuoi che ne sappia?” Concluse frustrato. “Siamo cresciuti tutti insieme e tra Wakashito ed Eita è successo.”

Tsutomu si prese il labbro inferiore tra i denti. “E cosa è accaduto tra mio padre e Kenjirou?”

Satori sbuffò e si chiese perchè era lui ad affrontare quella discussione e non il Re dell’Aquila. “Quella è stata una cosa diversa.” Non aveva alcun diritto di dirlo. “Esistono tipi di amore diverso, Tsutomu.”

“Un amante non si dovrebbe amare allo stesso modo?” Domandò il Principe dell’Aquila.

“Non necessariamente,” disse il Cavaliere. “La storia dei tuoi genitori è diversa da quella di Kenjirou. Perchè queste domande, ragazzino?”

Perchè sono custode di un segreto, avrebbe voluto dire Tsutomu. Anzi, due…

Tuttavia, la cattiveria e la corsa verso il potere non avevano ancora imbruttito l’animo del Principe dell’Aquila e non tradì il giuramente che aveva fatto a due suoi pari. Sì, era un ragazzino arrabbiato col mondo ma si stava rendendo conto che non sapeva più chi biasimare per la sua debolezza.

“Niente…” Rispose e si coricò nuovamente sul suo giaciglio, gli occhi chiari rivolti alla parete ancora una volta. “Sono solo arrabbiato.”

Satori non ci credette ma era troppo stanco per assediare il muro del silenzio che il suo Principe aveva eretto. Tsutomu non era capace di restare da solo con i suoi pensieri per troppo tempo. Il Cavaliere decise che gli avrebbe dato il suo spazio, certo che prima o poi sarebbe stato il ragazzino a vuotare il sacco.

“Buona notte, Tsutomu,” concluse. Si riaddormentò in pochi minuti.

Il Principe dell’Aquila, invece, non chiuse occhio per tutta la notte.

 
***



Hajime uscì dalla locanda alle prime luci dell’alba.

A quell’ora, soltanto le guardie di pattuglia camminavano per le strade della Capitale di Seijou. Il Princo Cavaliere ne incontrò un paio, queste lo salutarono con rispetto e continuarono il loro giro senza fare domande. Con gran sollievo di Hajime, non incontrò nessuno abbastanza vecchio d’aver fatto l’addestramento con lui: non era davvero dell’umore per fare una chiacchierata alle prime luci del giorno.

I suoi pensieri, tuttavia, non sembravano curarsi dell’ora o del fatto che non fosse riuscito a dormire un solo minuto nel letto sconosciuto in cui aveva passato la notte. Aveva provato a svignarsela come un ladro dopo aver commesso un furto, ma la donna che gli aveva dormito accanto si era svegliata e gli aveva gentilmente offerto di restare fino alla colazione.

L’ombra di un sorriso era comparsa sul viso del Primo Cavaliere ma aveva rifiutato l’offerta e se ne era andato a testa bassa, come un codardo.

Non riuscì ad essere tanto maligno da andare nella sua stanza e fingere di non aver commesso l’azione più bassa della sua vita. Sapeva che Tooru lo stava aspettando.

Salì le scale che conducevano agli appartamenti reali velocemente. Le guardie poste davanti all’ingresso non esitarono a farlo passare. Hajime non era un nobile e non aveva permesso a Tooru d’investirlo del titolo necessario per essere il consorte di un sovrano, ma era un signore all’interno del Castello Nero.

Se avesse voluto, avrebbe potuto fare del male al Re Demone e farla franca.

Se solo avesse voluto…

Si fermò di fronte alle stanze di Tooru per un istante e pensò che lo aveva già fatto.

Il sovrano di Seijou si era addormentato sul divano di fronte al caminetto spento. Aveva ancora i vestiti da Cavaliere addosso e Hajime dedusse che era rimasto ad aspettarlo tutta la notte, fino a che la stanchezza non aveva preso il sopravvento. Arrivò di fronte alla figura addormentata e posò un ginocchio a terra. “Non hai dubitato nemmeno un istante che sarei venuto da te, eh?”

La parte peggiore di lui esultava, felice di avere ancora tutto quel potere sul Demone che aveva stretto in pugno la sua vita e gli aveva spezzato il cuore. Era solo un bisbiglio fastidioso rispetto alle urla del suo senso di colpa.

Passò una mano tra i capelli di Tooru, liberando il bel viso dalla frangia un po’ ribelle, arricciate sulle punte. Erano così eleganti rispetto alla matassa di ciuffi corvini che lui aveva sulla testa. Pur non essendo ricciuti come quelli di Tooru, i capelli di Tobio erano egualmente eleganti, sempre in ordine.

Alla sua carezza, Tooru trasalì nel sonno ma si calmò immediatamente: doveva aver riconosciuto la sua mano.

I grandi occhi scuri si aprirono lentamente e Hajime non allontanò le dita dai suoi capelli nemmeno quando si fissarono sui suoi.

“Hajime…” Chiamò Tooru, ancora intontito dal sonno. Si stiracchiò. “Il sole sta sorgendo…” Notò sorpreso, gli occhi rivolti alla finestra

Il Primo Cavaliere annuì. “Sì,” rispose distrattamente.

Tooru incrociò il suo sguardo ed accennò un sorriso. “Mi stai guardando, Hajime?” Era una domanda scherzosa, nulla di serio.

Tuttavia, l’intensità che rendeva più profondo il verde degli occhi del Cavaliere era sincera. “Ieri notte non mi sono presentato.”

Tooru inarcò le sopracciglia, poi ricordò ed annuì. “Siamo troppo vecchi per fare queste cose, eh?” Domandò, un sorriso gentile gli illuminò il volto. “Ti sei addormentato anche tu?”

Hajime fu codardo ancora una volta. “Sì…”

Il Re Demone allungò la mano e gli pizzicò il naso. Un gesto tenero, figlio di una confidenza che non avrebbe mai avuto con nessun altro. “Hai dormito con l’armatura?”

Hajime scosse la testa. “Quando mi sono svegliato, ho notato che il cielo si stava facendo chiaro e mi sei venuto in mente tu,” mentì, sedendosi sul pavimento, la schiena contro il divano. “Mi sono vestito in fretta per paura che fossi ancora sveglio ad aspettarmi.”

Nell’udire quelle parole premurose, Tooru sorrise. “Non cambierai mai, Hajime.” Sfiorò i capelli corvini sulla nuca del Cavaliere con la punta delle dita. Una carezza che non era una vera carezza. Stava tastando il terreno, Tooru. Non c’era una direzione verso cui voleva spingersi ma i confini tra lui ed il padre di suo figlio non erano definiti da anni: muoversi in punta di piedi l’uno intorno all’altro era divenuta un’abitudine poco piacevole.

Hajime sospirò e rilassò la schiena contro il bordo del divano, la sua nuca toccò il dorso della mano che lo aveva toccato e Tooru si chiese se era un caso o se stava rispondendo alla domanda che non aveva mai posto. Allungò le dita e fece un secondo tentativo.

Hajime continuò a guardare di fronte a sè, come se quella scena fosse completamente normale. “Volevo farti una proposta.”

“Dimmi,” gli concesse il Re Demone.

Hajime si voltò, ma la mano di Tooru rimase a riposare sulla sua nuca. “Andiamo da Tobio,” disse il Cavaliere. “Partiamo per le campagne di Seijou. Solo io e te, due cavalli e due sacche da viaggio.”

Le labbra di Tooru si piegarono in un sorriso nostalgico. “Come quando eravamo ragazzini.”

“Non c’è più nessuno al Castello Nero. Siamo solo io e te.”

Per un attimo, Tooru pensò che rifiutare quella proposta sarebbe stato più allettante che cavalcare incontro all’alba col suo Cavaliere.

Solo io e te.

Da quanto tempo non capitava? Chissà quanto ne sarebbe passato, prima che vi fosse di nuovo l’occasione?

Hajime lo guardava, in attesa. Tooru rifletté sulle sue possibilità e scelse quella che più aveva il sapore della libertà. “Va bene,” disse e si mise a sedere sul divano. “Dammi il tempo di mettere qualcosa di comodo e di recuperare qualcos’altro per il viaggio.”

Hajime rimase a sedere sul tappeto, mentre Tooru si alzava e faceva il giro del divano.

“Ti aspetto qui,” disse il Cavaliere.

Il Re Demone si voltò e camminò all’indietro per un paio di passi. “Mi mancava correre verso l’avventura con te,” confessò, prima di sparire oltre la porta della camera da letto.

Un angolo della bocca di Hajime si sollevò un poco ma non appena il ricordo della notte che aveva trascorso alla taverna tornò a toccarlo, la sua bocca divenne una linea netta, dura ed i suoi occhi verdi si fissarono sui ricambi del tappeto.

Sì, era davvero un codardo.

 

***




Fu un insistente martellare a svegliare Shouyou.

La cosa non lo irritò particolarmente: la stanza era calda ed era rimasto sospeso nel dormiveglia per troppo tempo. Si stiracchiò e fissò il soffitto bianco sopra il suo letto per il tempo necessario a svegliarsi completamente. Prima di alzarsi, si voltò verso la finestra che dava sul cortile interno: i raggi dorati del sole entravano attraverso le fessure della persiana, disegnando delle linee dorate sul pavimento di legno; il rumore martellante veniva da lì fuori, accompagnato da voci vivaci che conosceva bene.

Si alzò e saltellò verso la finestra. I lacci della camicia da notte si erano sciolti nel sonno e la stoffa bianca era scivolata giù da una spalla.

Il Principe dei Corvi aprì le persiane e dovette stringere gli occhi a causa della luce splendente che lo investì. Chinò la testa e sbatté la palpebre svariate volte, prima di riuscire a vedere quello che stava accadendo sotto la sua finestra.

Il cortile interno era stato sgombrato dai pali del bucato, dai carri e dagli attrezzi che i più pigri non riponevano nel capanno apposito a fine giornata. Al loro posto, erano comparsi tavole di legno rettangolari di varie dimensioni.

Shouyou inarcò le sopracciglia ed osservò la scena con crescente curiosità. Tutti i Cavalieri che erano soliti lavorare nei campi erano lì, armati di martello e chiodi. Alcune tavole erano chiare, come se fossero state appena levigate, altre venivano messe da parte perchè il legno cominciava a marcire.

Mentre il sonno scivolava via, Shouyou credette d’intuire in che cosa erano tutti impegnati: stavano costruendo dei tavoli e delle panche.

“Buongiorno, Shouyou!”

Shouyou spostò lo sguardo verso l’angolo destro del cortile e sorrise: Tadashi lo salutava con la mancina, mentre reggeva la gamba di un tavolo con la mano destra e Kei, inginocchiato a terra, cercava d’inchiodarla ad una delle tavole.

Sembrava uno spettacolo divertente: il futuro Primo Cavaliere di Karasuno aveva molti talenti ma senza una spada, le sue mani erano incapaci di fare alcunchè.

“Tadashi, tieni dritta questa cosa!” Si lamentò Kei, un chiodo tra i denti.

Era in evidente difficoltà e nulla poteva divertire Shouyou di più.

Tadashi sospirò e si guardò intorno. “Lev!” Chiamò. “Lev, per favore, potresti aiutare Kei? Devo portare la colazione a Shouyou!” Non se ne accorse mai, ma Kei sollevò gli occhi velocemente e lo fulminò con lo sguardo.

Da dove si trovava, Shouyou non poteva vedere Lev e non udì mai la sua replica.

“Vado io!” Rispose una voce dal lato opposto del cortile.

Istintivamente, Shouyou voltò lo sguardo e vide Tobio abbandonare il martello che stringeva tra le dita. “Yutaro, prendi il mio posto,” ordinò.

Nell’udire il tono gentile, Shouyou sospirò e scosse un poco la testa. Un giorno, forse, sarebbe riuscito a portare definitivamente alla luce quel lato di Tobio che solo lui poteva vedere, anche se con molta fatica. Tuttavia, in quel momento, nulla poteva impedire al più dolce dei sorrisi di sbocciare sulle sue labbra.

Tobio fu molto attento a non alzare gli occhi verso di lui e Shouyou ridacchiò tra sè e sè. Accostò le persiane per impedire al sole d’estate di riscaldare troppo la stanza e si allontanò dalla finestra.




Tadashi guardò il Principe Demone sparire all’interno della casa e storse la bocca in una smorfia. “Hai visto, Kei?” Domandò.

“Visto che cosa?” Domandò il Cavaliere, battendo con rabbia il martello su di un chiodo che non aveva alcuna intenzione di restare dritto.

“Tobio si è offerto di andare da Shouyou.”

“Tanto meglio, meno problemi per noi,” disse Kei, estraendo il maledetto chiodo dalla tavola per l’ennesima volta.

Tadashi poggiò un ginocchio a terra. “Potresti sforzarti di essere un po’ più attento?” Chiese con gentilezza. “Sta succedendo qualcosa e mi serve una mano.”

Kei gli rivolse un’occhiata esasperata. “Vuoi una mano, Tadashi?” Domandò scocciato. “Comincia col tenere ferma la gamba di questo tavolo, prima che ti arrivi un chiodo su di un piede.”

Tadashi sospirò e si alzò in piedi, entrambe le mani strette sul pezzo di legno. Sollevò gli occhi e si accorse che Shouyou aveva chiuso la finestra.




Nel vedere Tobio entrare nella sua camera da letto con un vassoio tra le mani, Shouyou non potè evitare di sorridere e l’altro non tardò a mal interpretare la sua espressione.

“Smettila di guardarmi così,” disse il Principe Demone, posando il vassoio in fondo al letto.

“Non ti sto mica deridendo.” Shouyou gonfiò un po’ le guance. “Possibile che tu sia tanto ottuso da non saper interpretare un sorriso.” Si fermò a riflettere. “Ah, già, tu non sorridi molto…”

Tobio gli lanciò un’occhiata storta. “Mangia,” ordinò, indicando la colazione sopra il vassoio.

Shouyou saltellò fino al letto e si sedette a gambe incrociate tra le lenzuola in disordine. “Oh! C’è la torta!”

“Pare che sia opera di Aone,” disse Tobio, adocchiò le persiane socchiuse e appoggiò la schiena al davanzale.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Aone passa il suo tempo libero a cucinare torte?” Domandò sorpreso.

Tobio scrollò le spalle. “Imparerai che Aone è un uomo dai talenti e le passioni insospettabili,” disse. “Ancora accenna al nostro ballo al Castello Nero.”

Le gote di Shouyou si colorarono un poco a quel ricordo. “Che cosa sta succedendo lì fuori?” Prese tra le mani la sua tazza di latte e ne bevve un sorso, prima che si raffreddasse.

“Ci prepariamo per la festa di fine estate,” rispose l’erede al trono di Seijou con tono incolore.

“La festa di fine estate?” Indagò Shouyou.

Tobio annuì. “In principio, era il modo dei contadini di ringraziare i miei genitori ed i soldati per l’aiuto con i campi ed il raccolto. Come suo solito, Tooru l’ha voluta trasformare in una grande tradizione. Non sono più i contadini a spendere risorse ed energie per celebrare la nobiltà ma è l’esatto contrario.”

Un sorriso incantato comparve sul viso del Principe dei Corvi. “È straordinario…” Commentò.

“Lo credevo anche io,” disse Tobio, abbassò gli occhi sul pavimento, sulle linee dorate che il sole disegnava attraverso le fessure delle persiane. “L’ho creduto per tanto tempo…”

Shouyou udì chiaramente l’inclinazione malinconica della sua voce. Appoggiò la tazza quasi vuota sul vassoio e si dimenticò della fetta di torta che aspettava solo di essere mangiata. “Vieni qui,” disse con un sorriso gentile, incoraggiante.

Tobio inarcò le sopracciglia, come se non avesse capito cosa il Principe dei Corvi voleva da lui.

Shouyou allungò una mano. “Vieni qui,” lo esortò. “Sembra che tu stia facendo l’impossibile per mettere tra di noi tutta la distanza che questa stanza ti permette.”

Tobio si allontanò dalla finestra e si avvicinò con passi incerti. Shouyou si spinse con la schiena contro la parete e l’altro si sedette accanto a lui. “Hai l’espressione stanca,” notò. Sollevò la mano ed arrotolò una ciocca corvina intorno all’indice.

Tobio appoggiò la nuca alla parete e lasciò andare un sospiro. Non lo allontanò. “Non dormo molto,” rispose.

Il viso di Shouyou si fece preoccupato. “Stai dormendo sul divano per permettere a me di stare nella stanza dei tuoi genitori, potremmo-”

“No,” disse Tobio con voce placida, gli occhi blu erano scesi di nuovo sulle linee di luce sul pavimento. “Il problema non è il divano.”

Shouyou studiò il suo profilo ed una timida speranza si arrampicò dal suo cuore verso l’alto, fino a trovare voce. “È per me,” disse e gli angoli della sua bocca si sollevarono appena. “Non riesci a dormire per me.”

Tobio lo guardò di traverso. “Ti fa piacere farmi perdere il sonno?”

Shouyou scosse la testa. “No, non hai capito.”

“Capirti non fa parte dei miei talenti. Lo hai detto tu che non riesco nemmeno ad interpretare un sorriso.”

Shouyou strinse le ginocchia al petto. “Ti sbagli,” disse. “Non ti piace impegnarti, tutto qui. Quando ho avuto bisogno di te, hai sempre saputo capirlo senza che ti chiedessi aiuto e hai sempre trovato le parole giuste da dirmi. Hai fatto chiarezza nel mio cuore quando nemmeno io sapevo cosa provavo. Nessuno ci è mai riuscito, Tobio.” Impiegò un istante per rendersi conto di quello che aveva dichiarato ed allora nascose il viso tra le mani con imbarazzo.

Animato dallo stesso sentimento, Tobio strinse le labbra e voltò lo sguardo altrove. “Capisci?” Incrociò le braccia contro il petto. “Non è semplice.”

Shouyou, però, continuava ad essere quello meno in difficoltà dei due. “Sarebbe semplice, se uno dei due si decidesse a baciare l’altro,” concluse, gli occhi d’ambra fissi sulle persiane illuminate dal sole d’estate.

“Significherebbe smettere di giocare,” sottolineò Tobio. “Di rincorrerci.”

Shouyou sollevò l’angolo destro della bocca ed un sorriso furbetto illuminò il giovane volto. “Forse dovresti cominciare a sforzarti di prendermi.”

Per la prima volta da quando si erano seduti vicini, Tobio portò gli occhi blu su di lui.

Si guardarono. Shouyou sorrideva e Tobio lo guardava con quella sua solita espressione che non lasciava trasparire nulla. Tuttavia, non per il Principe dei Corvi.

Quei grandi occhi d’ambra avevano saputo vedere oltre e scorgevano qualcosa anche in quel momento, un sentimento confuso, cullato dalle onde di quelle iridi blu.

Non era in corso nessuna tempesta nel cuore di Tobio ma ciò che provava non era ancora delineato. Nel petto di Shouyou batteva lo stesso sentimento, ma era completamente diverso il modo in cui si poneva di fronte a quella nuova avventura.

Tobio si mosse verso di lui e lo studiò come un predatore indeciso se sferrare o meno un attacco. Shouyou fu più veloce: allungò la mano e pizzicò il fianco del Principe Demone.

Tobio sobbalzò esageratamente. “Che diavolo fai, stupido?”
Shouyou lo fissò con gli occhi sgranati ma non perchè aveva alzato la voce. “Soffri il solletico?” Domandò e le iridi d’ambra si accesero di una luce birichina.

Tobio la trovò inquietante. “No,” negò.

Il Principe dei Corvi non gli credette nemmeno per un istante. “Soffri il solletico!” Esclamò con entusiasmo.

“Stai lontano da me!” Lo avvertì Tobio. Non servì a nulla. In un battito di ciglia, Shouyou gli fu addosso e le piccole mani scovarono velocemente tutti i punti più sensibili del suo corpo.

Tobio non rideva, ringhiava e saltava come un grillo sulle lenzuola in disordine.

“Avanti!” Esclamò il Principe dei Corvi, imbronciato. “Che cosa devo fare per farti ridere un po’?”

Tobio lo afferrò per i fianchi e lo gettò sul materasso, invertendo le loro posizioni. Prima che Shouyou potesse reagire, il Principe Demone gli afferrò i polsi e glieli bloccò sopra la testa.

Gli occhi d’ambra si fecero enormi, smarriti.

Tobio sollevò l’angolo destro della bocca in un ghigno vittorioso. “Ti ho preso,” dichiarò. “Ho vinto io… Di nuovo.”

Per tutta risposta, Shouyou gonfiò le guance.

Tobio chinò la testa e scoppiò a ridere.

Il Principe dei Corvi si fece rigido. “Tobio…”

“Quando capisci di essere sconfitto, fai una faccia…” Il Principe Demone sollevò gli occhi blu, ma inarcò le sopracciglia nel vedere l’espressione dell’altro. “Ehi… Che ti prende?”

Shouyou lo guardava in modo strano, come se lo vedesse per la prima volta. Liberò un polso. Tobio lo lasciò fare e non si mosse, mentre Shouyou gli sfiorava la guancia con la punta delle dita.

Le voci ed i rumori provenienti dal cortile sotto la finestra sparirono.

Non era la prima volta che Tobio si sentiva così in presenza di Shouyou ma non si era mai concesso di vivere il momento fino in fondo e lasciare che l’emozione sbocciasse gradualmente, senza disturbare la ragione.

Gli angoli della bocca di Shouyou erano appena sollevati in un sorriso che aveva qualcosa di segreto, quasi stesse cercando di dire qualcosa senza usare le parole. Tobio non era bravo a comunicare nemmeno con la voce e tutto quel silenzio da parte del Principe dei Corvi lo inibiva. Sarebbe stato così semplice commettere un errore e rovinare tutto ed il pensiero lo terrorizzava.

Il cuore di Shouyou non era animato dallo stesso timore. Smise di accarezzargli il viso e lo prese tra le mani. Come la notte che si erano baciati circondati dalle lucciole, il Principe dei Corvi non fece niente, non disse niente.

Pretese da Tobio solo ciò che questi era disposto a dargli.

Afferralo! Urlava una voce nella testa del Principe Demone. Afferralo, è tuo!

Shouyou era veramente disposto a fargli vincere quel loro gioco con tanta semplicità? Tobio si aspettava che si trasformasse in corvo da un momento all’altro, che volasse fuori da quella finestra e lo lasciasse lì, a rendersi conto che le uniche ali che aveva gli erano state concesse da qualcun altro.

In cuor suo, Tobio sapeva che l’intento di Shouyou non era quello di farlo sentire insicuro, ma l’esatto contrario.

Se il Principe Demone avesse rincorso quella creatura dalle ali corvine con tutte le sue forze, come avrebbe potuto negare a se stesso, all’altro o al mondo intero che ci teneva?

Perchè, sì, Tobio ci teneva ma la profondità di quel sentimento nuovo lo spaventava ancora.

Una mano di Shouyou scivolò tra i capelli corvini sulla sua nuca e lo spinse un poco verso il basso. Non era un ordine, solo un invito.

Tobio poteva rifiutarsi, darsi ancora del tempo e sapeva che Shouyou sarebbe volato solo un po’ più in là ma non troppo da sfuggirgli.

Scappavano l’uno dall’altro solo col desiderio di farsi rincorrere.

Tobio si ritrovò a chiedersi se il primo capitolo della storia dei suoi genitori non fosse stato scritto con le stesse parole.

“Shouyou!”

Il Principe Demone girò la testa ma non ebbe nemmeno il tempo di posare gli occhi sulla porta ancora chiusa della camera: Shouyou affondò un ginocchio nel suo stomaco, facendolo rotolare giù dal letto. Cadendo, Tobio urtò il vassoio con sopra la colazione del Principe dei Corvi e lo trascinò a terra con sè.

Quando Kei abbassò la maniglia e fece capolino nella camera da letto, Shouyou era seduto sul letto e Tobio era terra, con quello che rimaneva della fetta di torta spalmato sulla sua faccia.

Kei ghignò divertito. “Il piccolo Corvo vi ha steso, Principe Demone?”

Tobio sollevò il viso e pur con il viso ricoperto di crema, riuscì ad apparire minaccioso.

Il Cavaliere di Karasuno non si fece impressionare. “Tadashi,” chiamò, voltandosi. “Aiuta Shouyou e ripulire questo casino, io continuo a fare quello che stava facendo di sotto.”

Tadashi comparve sulla porta immediatamente e fissò la scena con le sopracciglia inarcate: si era aspettato una scena del tutto diversa. “Serve una mano, mio Principe?” Domandò, poggiando un ginocchio a terra.

“No!” Ringhiò Tobio, tirandosi in piedi e pulendosi il viso con la manica della camicia. Si voltò e Shouyou lo guardò con espressione colpevole. Le sue labbra si mossero e gli chiesero scusa senza usare la voce.

Tobio scosse la testa e sbuffò. “Vado a cambiarmi e torno di sotto,” gli disse.

Tadashi si fece da parte e lo fece passare. “Che cosa è successo?” Domandò, richiudendo la porta della camera. “Avete litigato?”

Shouyou annuì con un po’ troppo entusiasmo. “Sì!” Esclamò. “Nulla di nuovo!”

Tadashi abbassò lo sguardo sul vassoio ribaltato e le stoviglie finite in mille pezzi. Avevano litigato al punto da provocare tutto quel caos e poi Tobio se ne andava quasi in tranquillità, mentre Shouyou non pareva nemmeno irritato.

No, non erano convincenti.

“Non scendere dal letto a piedi scalzi,” disse. “Prendo qualcosa per pulire.”

 
***



Hajime aveva sempre associato la luce del sole d’estate al modo in cui si rifletteva negli occhi grandi e scuri di Tooru. Era un’immagine di cui non era mai riuscito a liberarsi, nemmeno nei giorni in cui era quasi riuscito ad odiarlo.

Il Primo Cavaliere ricordava le stagioni calde della sua giovinezza ed il primo ricordo che gli tornava alla mente era quello di Tooru che giocava nella fontana dei giardini reali; prima bambino, solo con lui e poi fanciullo, insieme ai Cavalieri che erano entrati a far parte della loro cerchia di fedelissimi.

Per anni, Hajime non aveva potuto vedere il vero Tooru: il giovane che si nascondeva dietro la corona, quello che si sentiva a suo agio con gli abiti semplici di un figlio del popolo e che non si preoccupava della sua immagine.

Tooru sarebbe riuscito ad essere elegante anche sporco di fango e vestito di stracci e lo aveva dimostrato durante le loro estati nelle campagne del Regno. Era ipnotico, il Re Demone ma non era di quello che il Primo Cavaliere si era innamorato.

“Tooru, rallenta!” Disse Hajime a gran voce. Lui era abituato alla vita a cavallo ma non ricordava l’ultima volta che aveva visto Tooru lanciarsi al galoppo in quel modo.

Il Re Demone si voltò, i capelli tirati indietro dal vento ed il viso illuminato da un sorriso che Hajime aveva rivisto nei suoi sogni per anni. Ecco, era proprio di quello che si era innamorato: del ribelle travestito da Re.

“Non riesci a starmi dietro, mio Cavaliere?” Domandò arrogante.

Il desiderio familiare di acciuffarlo e prenderlo a schiaffi spinse Hajime ad osare di più. Piegò la schiena in avanti e spinse il suo cavallo ad andare più veloce.

Si ritrovarono l’uno di fianco all’altro. Si scambiarono una risata complice ed un sorrisetto di sfida.

Non c’era nulla tra loro e l’orizzonte, solo una distesa verde brillante che sembrava estendersi fino ai confini del mondo.

Da tanto tempo, Hajime non assaggiava l’emozione che gli stava facendo battere il cuore. Le settimane passate in mare con Tobio gli avevano dato la possibilità di rievocarla ma non di riviverla a pieno.

Sarebbe potuto andare avanti così per sempre, con le gambe dolenti ma il desiderio di andare avanti, di continuare a correre verso qualcosa che non poteva ancora vedere ma che era certo sarebbe stato bellissimo perchè Tooru era con lui.

Suo malgrado, Hajime non aveva più la resistenza di un fanciullo. Prese un respiro profondo e drizzò la schiena. Rallentò il cavallo gradualmente, rafforzando la prese sulle briglie a poco a poco.

Pochi metri più avanti, Tooru fece lo stesso. “Tutto bene?” Domandò preoccupato.

Hajime lo raggiunse. “Sì,” rispose, il fiato corto. “Non sono più abituato.”

Il Re Demone sollevò l’angolo della bocca in un ghignetto. “Stai invecchiando, Hajime?”

L’espressione del Cavaliere si fece dura. “Ho visto poco più di trenta inverni!” Replicò, un po’ offeso.

“E hai un figlio alto quanto te,” aggiunse Tooru, spingendo il suo cavallo a camminare ma con calma. Il gioco era finito e non avevano alcuna fretta.

“Questa è una benedizione,” disse il Primo Cavaliere, seguendolo. “Vederlo crescere mi ha riempito di gioia. Mio padre non ha potuto farlo con me. La considero una vittoria personale.”

Tooru accennò un sorriso e portò gli occhi scuri di fronte a sè. “Potrai guardarlo per altri trenta inverni ancora, Hajime.”

“Non ho altro desiderio,” disse il Cavaliere.

Tooru sospirò e gonfiò un po’ le guance. “Non ce la facciamo, eh?”

“A fare cosa?” Domandò Hajime, voltanosi a guardarlo.

“A non parlare di Tobio.”

Il Primo Cavaliere accennò un sorriso. “Se non ricordo male, abbiamo già avuto questa conversazione.”

“Sì, è probabile,” concordò il Re Demone. “Sarà felice di vederci?”

Hajime fissò il suo profilo per un lungo istante di silenzio. “Non credo che si aspetti di vederti.”

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Già…” Fu attento a non incrociare lo sguardo del suo Cavaliere. “Credo che abbia smesso di aspettarsi molte cose da me.”

“Non è tardi per rimediare.”

“Sei ottimista, Hajime.”

“Tobio non è rancoroso come appare,” disse Hajime. “Ha poca pazienza e non è sempre facile capire cosa gli passa per la testa… Penso che la maggior parte del tempo non lo sappia neanche lui. Tutta la maestria e la lucidità che dimostra sul campo di battaglia si disintegra non appena posa la spada.”

“Forse Shouyou ci riuscirà,” disse Tooru. “Forse, il piccolo Corvo troverà il mondo di saper leggere dentro nostro figlio.”

Hajime scrollò le spalle. “Dovrebbero essere davvero destinati l’uno all’altro perchè questo sia possibile.” Si morse la lingua un isttante dopo e lanciò un’occhiata al Demone con la coda dell’occhio. “Questo non significa che comincerò a credere alle tue storie assurde!”

Tooru ridacchiò. “Vorrei riuscire ad essere scettico quanto te.”

Hajime sbuffò. “Non sono sicuro di essere scettico,” ammise.

Il Re Demone inarcò le sopracciglia. “Non mi sono nemmeno sforzato di farti cambiare idea.”

“Non ce ne è stato bisogno.” Hajime portò gli occhi verdi sull’orizzonte e gli parve di vedere i tetti di alcune case dove prima vi era solo cielo azzurro. “Mi piace credere che tu abbia smarrito la strada e ti sia allontanato da noi cercando di salvare nostro figlio dal suo destino. Voglio pensare che, da bravo idiota, tu abbia scelto la strada sbagliata per fare la cosa più giusta.”

Tooru strinse le labbra ed abbassò il capo.

“Gliene parlerai?” Domandò Hajime. “A Tobio e Shouyou, intendo. Racconterai loro tutta la storia dei sogni e del loro destino?”

Il Re Demone ignorò deliberatamente la domanda. “C’è una piccola cittadina là,” disse, indicando i tetti delle case che Hajime aveva già notato. “Potremmo cercare un alloggio per la notte.”

Il Primo Cavaliere scosse la testa. “Sei un Re, Tooru, non puoi…”

“Come potrebbero riconoscermi?”

“Sei consapevole delle due corna che hai sopra la testa?” Domandò Hajime, annoiato. “Raggiungeremo il bosco che precede i campi di grano e la tenuta prima del tramonto. Ci accamperemo tra gli alberi.”

Tooru s’imbronciò. “Io volevo dormire comodo.”

“Non ti lamentare.”

“Prima che faccia buio, riusciremo ad arrivare alla cascata?”

Hajime sollevò lo sguardo perchè la voce di Tooru era cambiata. Il tono da moccioso lamentoso era stato sostituita da un’inclinazione più dolce, nostalgica. “Vorresti passare la notte lì?”

Tooru sorrise con malinconia. “Non vedo quel luogo da anni.”

“Nemmeno io,” disse Hajime. Non poteva confessargli che aveva portato Tobio a caccia in quel bosco molte volte.

Hajime si era allontanato da Tooru inseguendo il suo ricordo ed aveva coinvolto Tobio in quella ricerca disperata. L’aveva fatto inconsciamente, in silenzio ed aveva nascosto tutto concentrandosi su Tobio e sui suoi doveri di Primo Cavaliere.

Non era servito a niente.

Era Tooru ad essergli mancato in tutto quel tempo e tutte le emozioni che era in grado di fargli provare.

Solo la notte prima, Hajime aveva compiuto l’ennesimo tentativo di spezzare quel legame e liberarsi da una maledizione che, suo malgrado, aveva reso la sua vita degna di essere vissuta. Si era rifugiato nell’abbraccio caldo di una donna che non da lui non aveva preteso altro che piacere, il Primo Cavaliere e al risveglio, il desiderio di correre da Tooru era stato soffocante quanto il suo senso di colpa.

Per cosa? Non voleva rispondersi. Era una storia vecchia e quello era un filo di pensieri in cui si era perso troppe volte per i suoi gusti: lui e Tooru non erano più niente e tutto quello che erano stati riviveva in Tobio.

Quella era l’unica forma di per sempre che erano riusciti a conquistare per loro.

Niente di più. Niente di meno.

Allora perchè continuavano a ritrovarsi l’uno accanto all’altro? Che fosse per trovare un accordo in nome di un bene comune o per farsi del male a vicenda, nessuno dei due si allontanava troppo dall’altro.

“Dormiremo alla cascata,” disse il Cavaliere, anche se significava allungare di parecchio la prima parte di quel viaggio improvvisato. “Andremo da Tobio domani.”

Tooru sorrise.

 
***



In quanto Cavaliere secondo solo al Re dell’Aquila, avrebbe dovuto essere un dovere di Satori tenere d’occhio i giovani della corte di Shiratorizawa ed individuare tra loro i futuri campionidel Regno.

Di fatto, però, se ne erano sempre occupati Reon e Hayato.

Satori non era particolarmente popolare tra i ragazzini e dopo la nascita di Tsutomu, Wakatoshi aveva preteso che il suo braccio destro si dedicasse esclusivamente all’addestramento e alla sicurezza del Principe.

Affacciato dalla balconata degli appartamenti reali, Kenjirou osservava i fanciulli duellare sulla spiaggia sotto lo sguardo vigile dei Cavalieri del Re dell’Aquila.

Ricordava che prima di addormentarsi, Eita aveva espresso il desiderio di far addestrare Tsutomu insieme ai figli degli altri nobili. Eita, che non aveva avuto altri amici al di fuori di quelli che erano cresciuti insieme a lui. Kenjirou aveva pensato che il suo fosse un tentativo per evitare a Tsutomu di crescere isolato e circondato solo da persone adulte.

Di fatto, a pochi mesi dal suo quattordicesimo compleanno, Tsutomu non aveva un amico e fin troppe persone pronte a prendersi cura di lui.

Suo malgrado, Kenjirou doveva ammettere che l’idea di Satori di portarlo via per l’estate non era stata del tutto una pessima. Forse…

“A cosa stai pensando?”

Kenjirou si voltò: il Re dell’Aquila era comparso sulla portafinestra e lo osservava con la sua solita espressione indecifrabile.

“Non ti manca?” Domandò l’Arciere, portando di nuovo lo sguardo sui giovani cadetti sulla spiaggia.

“Non ho mai preteso di rinchiuderlo in questo castello,” rispose Wakatoshi.

“Sì, ma non ti manca?”

“È strano sentirti fare simili domande.”

Kenjirou non poteva affermare il contrario. Una delle ragioni per cui era divenuto l’amante del Re era la sua capacità di nascondere qualsiasi emozione. Tranne per Satori ma Kenjirou si era rassegnato da tempo a non poter celare nulla a quel Cavaliere.

“Non sono abituato a non sentire le sue lamentele ad ogni ora del giorno,” disse l’Arciere.

Wakatoshi si avvicinò, posò le mani sul parapetto di marmo bianco ed osservò il profilo dell’altro. “C’è Satori con lui,” disse. “Non c’è ragione di preoccuparsi.”

“L’ultima volta che è stato lontano da casa non è finita bene,” gli ricordò Kenjirou. “Era nelle mani di Satori anche allora.”

“Mi fido di Satori,” disse Wakatoshi, secco. “So che c’è una ragione per cui ha portato Tsutomu con sè.”

“A Seijou,” sottolineò Kenjirou, un po’ freddamente.

“Seijou non è il nord.”

“Sì, è molto peggio.”

“Stai mettendo in discussione il mio giudizio, Kenjirou?” Fu il turno del Re dell’Aquila di tornare freddo.

L’Arciere si liberò dell’espressione arrogante che aveva sul viso. “Non mi permetterei mai,” disse, guardando il suo sovrano negli occhi. Kenjirou non era Eita, sapeva che gli erano concesse delle libertà ma dimenticarsi di restare al suo posto non era tra queste.

Tra i tre amanti del Re dell’Aquila, solo Tooru aveva avuto la superbia di guardare Watakoshi dall’alto in basso e, sebbene la loro relazione clandestina fosse durata meno dei loro giochi di potere, Kenjirou dubitava che il suo signore fosse riuscito a dimenticarlo.

La sola ragione per cui lui dormiva nel letto del Re dell’Aquila era perchè il Re Demone si era fatto da parte. Nessuno lo aveva superato o sconfitto. Tooru aveva lasciato il fianco di Wakatoshi di sua spontanea volontà e con la testa alta.

Eita non aveva avuto il tempo di fare sua una simile vittoria e Kenjirou sapeva che non ne avrebbe mai avuto il potere. Lui adorava Wakatoshi ed era quel suo sentimento quasi ossessivo che gli aveva fatto guadagnare l’antipatia di Satori.

A Kenjirou non importava del potere, non gli importava nemmeno di essere ricambiato con un sentimento profondo quanto il suo. Si accontentava di essere l’ombra del suo signore, il Primo Arciere del Re dell’Aquila.

“E nell’ombra strisciano le creature più infide.” Era stato Satori a rivolgergli quelle parole.

Kenjirou strinse le labbra e guardò il sovrano dritto negli occhi. “Ho il permesso di partire per Seijou?” Domandò rispettosamente.

Wakatoshi non era sorpreso da quella richiesta. “Continui a dimostrare di non fidarti di me, Kenjirou.”

“Non mi fido di Satori, Wakatoshi,” disse e cercò di suonare gentile. “Non si tratta di te.”

“Certo che si tratta di me, mio Arciere,” replicò il Re. “Satori è il mio braccio destro. È l’uomo a cui affiderei la mia vita ad occhi chiusi. In un certo senso, l’ho fatto quando gli ho chiesto di restare al fianco di Tsutomu e proteggerlo.”

Qualcun altro mi ha fatto la medesima richiesta e lo sai bene,” disse Kenjirou. “Non posso tradire quella promessa.”

Gli occhi vuoti di Wakatoshi si spostarono sull’orizzonte. “Eita si fidava di Satori. Alle volte, li guardavo da lontano e pensavo che fossero più legati tra loro di quanto entrambi lo fossero a me. Il mio ruolo implicava una certa distanza tra di noi… Distanza che non aveva ragione di esistere tra loro.”

“Non ho idea di quale fosse il legame tra Satori ed Eita,” ammise Kenjirou. “Con me parlava solo di te e di suo figlio. Mi ha chiesto di proteggervi entrambi e non posso venire meno alla parola data.”

Mi ha chiesto di toccare il tuo cuore. Quel giuramento sarebbe riecheggiato nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni ma mai avrebbe potuto confessarlo al suo Re. Farlo avrebbe significato dare voce ai timori più oscuri di Etia e fino all’ultimo, Kenjirou non era riuscito a dar loro credito.

“L’estate sta per finire,” disse Wakatoshi. “Se non avrò notizie di Satori per l’inizio dell’autunno, andrò a cercare lui e Tsutomu personalmente.”

Kenjirou strinse i pugni. “L’autunno non arriverà prima di qualche settimana, mio Re.”

“Usa questo tempo per renderti conto che non fidarti di Satori oggi significa compromettere la posizione di Tsutomu in futuro,” replicò il Re dell’Aquila. “Tu ed Eita vi siete avvicinati nel periodo che ha preceduto il suo sonno, ma le sue disperate ultime volontà non possono spingere l’Arciere ed il Cavaliere che mi sono più vicini a contendersi mio figlio.”

Kenjirou sapeva che aveva ragione. Ancora una volta, la volontà del Re dell’Aquila ebbe la meglio su qualsiasi suo desiderio o giudizio.

La lealtà cieca era la catena che lo univa al suo signore e così sarebbe stato fino al suo ultimo respiro. Anche lui, come i Re ed i Principi coinvolti in quella storia, aveva la sua maledizione e non aveva alcuna intenzione di liberarsene.

“Come desiderate, mio Re.”


 
***



“Te lo giuro sulla testa di mio fratello, Tadashi,” ringhiò Kei a bassa voce. “Smettila di delirare su questo argomento e dammi una mano a fare questa stupidaggine!”

“Ti sto già dando una mano!” Esclamò Tadashi, allargando le mani. “Anzi… Sei tu che stai dando una mano a me.”

Nella destra stringeva un paio di forbici e nella sinistra del filo bianco. Alcuni spilli erano appuntati sulla sua camicia e un disastro di stoffe colorate ricoprivano il grande tavolo della cucina.

Tutte le donne dei villaggi vicini si erano adoperate a far arrivare alla tenuta bianca tutte gli scarti di tessuto che avevano in casa. Tadashi era stato incaricato di ricavarne delle bandierine triangolari ed aveva chiesto a Kei di aiutarlo ad attaccarle alla corda con cui sarebbero state appese nel cortile interno.

Il Cavaliere aveva accettato solo per poter prendere le distanze da Tetsuro, Koutaro ed i Cavalieri di Seijou.

“E comunque sta succedendo qualcosa tra Shouyou e Tobio,” disse Tadashi.

Kei lasciò ricadere la corda con le bandierine sul tavolo e fissò l’amico d’infanzia con sguardo tagliente. “Che cosa ho appena detto?”

Tadashi afferrò un altro pezzo di stoffa, rosso. “Il Principe Demone che si offre di portare la colazione in camera a qualcuno ti sembra normale?” Domandò stizzito.

Kei alzò gli occhi al cielo. “Stai ancora pensando a questa mattina?”

“Per quanti minuti sono rimasti in camera da soli?”

“Stavano litigando, Tadashi.”

“Quando Shouyou e Tobio litigano, possono sentire le urla in tutti i villaggi vicini!” Esclamò Tadashi. “Quanto tempo sono rimasti chiusi in quella camera? Non hanno fatto alcun rumore!”

“Pochi minuti, Tadashi,” disse Kei, massaggiandosi la fronte. “Pochi dannati minuti. Nulla per cui dovessi disturbarmi a controllarli… Anche se vedere il Principe Demone con quell’aspetto ridicolo mi ha rallegrato la giornata.”

Tadashi afferrò le forbici e si apprestò a tagliare un’altra bandierina. “Non stavano litigando.”

“Allora Shouyou stava tentando di soffocarlo con la sua fetta di torta!” Esclamò Kei esasperato. “Oppure un’altra cosa altrettanto idiota!”
Tadashi smise di ritagliare la stoffa ma non posò le forbici sul tavolo, rimase così, immobile e con gli occhi fissi nel vuoto. “Kei…” Una breve esitazione. “Tu vuoi bene a Shouyou?”

“Che domanda è mai questo?” Domandò il Cavaliere, senza allontanare lo sguardo annoiato dalla corda tra le sue mani.

Tadashi scrollò le spalle. “Rispondi e basta.”

“La sua incolumità è un mio dovere.”

“Non ti ho chiesto questo.” Tadashi appoggiò le mani sul tavolo, non sollevò lo sguardo. “So che il nostro Re mi ha investito del titolo di Guardia reale per pura gentilezza. Non ho origini nobili e mio padre era un semplice maestro di spada, ma la generosità di tuo fratello mi ha garantito un futuro.”

Kei piegò il gomito sul tavolo ed appoggiò il viso al pugno chiuso. “Stai facendo discorsi che non hanno alcun senso, lo sai?” Domandò pazientemente, come se stesse parlando ad un bambino.

Tadashi strinse le labbra ed ingoiò a forza un improvviso rigurgito di rabbia. “Non sono uno stupido, Kei.”

“Non l’ho mai pensato.”

“Non si direbbe dal modo in cui parli,” replicò Tadashi e trovò il coraggio di sollevare gli occhi. “Io ti parlo di Shouyou, della possibilità che gli stia succedendo qualcosa e tu non prendi sul serio i segnali solo perchè sono io a farteli notare.”

Kei sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Questo non è vero,” disse, incrociò le braccia contro il petto. “Non credo alle tue teorie su Shouyou ed il Principe Demone perchè se fossero vere, significherebbe che sono bravi a nasconderlo.”

“E ti disturberebbe?”

“Non dubito che l’erede al trono di Seijou abbia qualche talento nascosto. Se non fosse così, non sarebbe mai riuscito a divenire una leggenda vivente ancor prima di essere un adulto,” disse. “D’altra parte, Shouyou è quel che è. Non è mai stato nulla di diverso da quello che mostra al mondo e non mi piace pensare che riesca a nasconderci un simile segreto. Significherebbe che non stiamo facendo bene il nostro dovere.”

“Non è così bravo a nascondersi con me,” disse Tadashi, la voce più gentile. “È questo che sto cercando di dirti: io sto con Shouyou tutti i giorni e non posso fare a meno di notare delle differenze.”

“Perdonami, Tadashi. Il mio giudizio è l’unico di cui mi fido.”

Tadashi accettò la sconfitta con un sospiro. “Non hai risposto alla mia domanda, Kei,” gli fece notare. “Vuoi bene a Shouyou?” Non ebbe il coraggio di dirgli che quelli in Shouyou non erano stati i primi cambiamenti che aveva notato durante l’estate. Prima che partissero per il Regno di Seijou, Tadashi aveva visto negli occhi di Kei un’emozione simile a quella che scorgeva quotidianamente in quelli di Shouyou.

Era come una luce tremolante, non ben definita. Assomigliava all’incertezza ma Tadashi sapeva che aveva un altro nome. Suo malgrado, non lo conosceva.

Doveva essere tormentoso sentire di provare qualcosa per un’altra persona ma non riuscire a dare una forma a quel sentimento. Tadashi non lo sapeva, aveva sempre saputo che cosa provava per il Cavaliere che gli era seduto accanto, ma non era servito a risparmiare al suo giovane cuore il dolore del silenzio.

“Kei, provi qualcosa per Shouyou?” Tadashi non seppe dove trovò il coraggio di porre quella domanda.

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, la noia e l’irritazione scivolarono via dal viso di Kei e vennero sostituite da un’espressione smarrita che Tadashi non aveva mai visto sul viso del suo amico d’infanzia.

Il Cavaliere era stato preso di sorpresa e non c’era nessuno scudo nei paraggi dietro cui potesse nascondersi.

Era la prima volta che Tadashi riusciva a raggiungere un simile risultato in una discussione con Kei, ma non si sentiva affatto vittorioso.

“Che cosa state facendo?”

Voltarono lo sguardo nello stesso momento.

Shouyou era comparso in fondo alle scale, senza far rumore. L’espressione curiosa con cui li guardava rassicurò entrambi che non doveva aver udito nessuna delle battute che si erano scambiati.

“Quando sei rientrato?” Domandò Tadashi, lanciando un’occhiata alla porta della cucina che dava sul cortile interno.

Kei storse la bocca in una smorfia. “Non è rientrato dalla porta,” concluse.

“Non guardarmi così!” Esclamò Shouyou, gonfiando un poco le guance. “Non se ne è accorto nessuno.”

Tadashi sgranò gli occhi terrorizzato. “Shouyou, devi smetterla!” Lo rimproverò. “Non importa se il Principe Demone sa tutto, non puoi-”

“C’è ancora della torta?” Domandò il Principe dei Corvi, ignorando deliberatamente le parole preoccupate dell’amico.

“Sei scese di un altro gradino nella scala della stupidità o fingi di essere sordo?” Domandò Kei.

“No, non voglio parlarne e non ne parleremo,” concluse Shouyou con una fermezza inedita.

Sia il Cavaliere che la Guardia ne furono sorpresi.

“La compagnia del Principe Demone comincia a dare i suoi frutti,” concluse Kei sarcastico.

“Che centra Tobio?” Shouyou si sedette in fondo al tavolo, distante da entrambi gli amici d’infanzia. “Ho solo fame,” aggiunse, massaggiandosi lo stomaco.

“Non hai fame, sei solo incapace di stare fermo e quando ti siedi, devi trovare qualcosa da fare per non annoiarti,” disse Kei. “Mangiare, per esempio.”

Shouyou lo guardò storto, poi rivolse a Tadashi uno dei suoi sorrisi luminosi. “Posso mangiare, Tadashi?”

“Non è tua madre,” gli ricordò il Cavaliere.

“Shouyou, siamo preoccupati per te,” disse Tadashi sinceramente preoccupato.

Il Principe dei Corvi prese la corda a cui erano appese le piccole bandiere colorate. “Belle!” Esclamò entusiasta. “Sono per la festa di stasera?”

Kei gli diede una schiaffo sul dorso della mano.

“Ahi!” Si lamentò il piccolo Principe.

“Sono seduto su questa sedia da tutto il pomeriggio e tu provochi caos e distruzione ovunque sposti la tua attenzione!” Esclamò Kei tirando la corda dalla sua parte del tavolo.

“Non è vero!” Sbottò Shouyou.

“Il Principe Demone non è con te?” Domandò Tadashi.

“Lui deve usare la porta per tornare,” gli ricordò Kei.

“Tobio è rimasto nel bosco ma ha promesso che tornerà in tempo per la festa.”

“Quindi siete stati insieme tutto il giorno,” concluse Tadashi.

Il Cavaliere inspirò profondamente dal naso ed alzò gli occhi al cielo.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Come tutti i giorni,” concluse. C’era qualcosa di strano nell’espressione di Tadashi ma il Principe non riusciva ad indovinare che cosa. Abbassò lo sguardo. “Scusate se sono suonato arrogante poco fa.”

Tadashi accennò un sorriso. “Non fa niente, ma…”

“Renditi utile.” Kei lanciò alcuni pezzi di stoffa colorata in direzione del Principe. “Trova un paio di forbici o usa i denti… Sei abbastanza selvaggio da farlo, vero?”

Shouyou gli fece la linguaccia.

“Selvaggio e maturo,” commentò Kei con un sorrisetto sarcastico.

Tadashi si alzò in piedi e gli occhi del Cavaliere furono su di lui. “Dove vai?” Domandò, un sopracciglio inarcato. L’amico d’infanzia gli passò le forbici e spinse verso di lui scatola con all’interno aghi e filo. “Continua tu, per favore.”

Kei lo guardò disgustato, come se gli avesse chiesto di fare il bagno nella fosse del letame. “Prego?”

“Devo aiutare Shouyou a prepararsi per la festa,” disse Tadashi con naturalezza. “Non vorrai mica che il nostro erede al trono sfiguri.” Parlò guardando Kei dritto negli occhi ed il giovane dai capelli biondi comprese che stava cercando una scusa per rimanere solo con il loro Principe.

Kei sbuffò, afferrò le forbici come se volesse brandirle contro il Principe ed il suo amico d’infanzia e riprese il lavoro dopo Tadashi lo aveva interrotto.

“Grazie!” Disse quest’ultimo, concedendogli un’amichevole pacca sulla spalla.

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Non è necessario…”

“Sciocchezze!” Tadashi allontanò la sedia su cui era seduto il Principe dal tavolo. “Sei l’erede al trono di un Regno, Shouyou.”

“È una festa informale,” obiettò il Principe dei Corvi, ma non oppose resistenza quando l’amico gli afferrò le mani per aiutarlo ad alzarsi. “Una tunica pulita ed un paio di stivali penso siano sufficienti.”

“Sì, ma dovrai pur farti un bagno!”

“Puzzo?” Domandò Shouyou allarmato.

“Non preoccuparti, il Principe Demone è selvaggio quanto te, non se ne sarà reso conto,” disse Kei con un ghignetto maligno.

Shouyou lo guardò storto ed emise un ringhio a bassa voce.

“Su! Su! Si sta facendo tardi!” Tadashi si spostò alle spalle del Principe e lo spinse su per la scale.

“Piano!” Esclamò Shouyou, facendo fatica a mettere un piede davanti all’altro. “Piano, così mi fai cadere!”

Ancora seduto al tavolo, Kei finì di ritagliare un’altra bandierina e la guardò cadere in mezzo al mucchio di stoffa colorata, simile ad una foglia in autunno.

Sospirò. “Questa maledetta estate finirà, prima o poi.”

 
***


Tobio sapeva che se Shouyou lo avesse visto, non avrebbe approvato.

Tuttavia, la natura del cacciatore faceva parte di lui ed avere un piccolo corvo appollaiato sulla sua spalla non poteva cambiare quello che era fin dalle fondamenta.

Non avrebbe mai potuto chiedere al Principe dei Corvi di accompagnarlo in una battuta di caccia, ma non ne avrebbe sofferto. La caccia era un momento che gli piaceva condividere solo con se stesso. Era il suo momento di meditazione, quello che gli era necessario per mantenere la calma quando il mondo intero sembrava fare l’impossibile per dargli sui nervi.

La caccia era miracolosa per placare i nervi del Principe Demone. Inseguire una preda richiedeva sangue freddo e concentrazione. In quei momenti, avvertiva nel petto un sentimento del tutto contrario a quello che provava vicino a Shouyou.

Circondato dal silenzio del bosco, il cuore di Tobio si placava, il suo respiro si faceva più regolare ed ogni percezione sembrava accentuata.

Il Principe Demone camminava sotto gli alberi come un predatore consumato, attento a non spezzare l’immobilità e l’assenza di suoni.

Tutto ciò che doveva fare era attendere che la sua preda lo facesse per lui.

“Tobio…”

Il Principe Demone si voltò e tese la corda dell’arco.

Il Principe dell’Aquila rimase immobile, come pietrificato, gli occhi azzurri resi grandi dalla paura.

Tobio emise un ringhio a bassa voce. “Maledizione, Tsutomu!” Esclamò, abbassando l’arco.

“Maledizione?” Ripeté l’erede al trono di Shiratorizawa. “Ci sono decine di piccoli villaggi intorno a questo bosco, sarebbe potuto essere chiunque!”

“Solo i cacciatori si spingono tanto dietro agli alberi, siamo lontani dal sentiero principale,” spiegò il Principe Demone, togliendosi la faretra di spalla per infilarvi la freccia.

“E se fossi stato un cacciatore?” Ipotizzò Tsutomu, incrociando le braccia contro il petto.

“Avresti notato che la mia postura era tesa, che mi stavo muovendo senza fare rumore e che disturbarmi sarebbe stato poco saggio,” replicò Tobio con voce incolore. “Non vi insegnano ad andare a caccia nel Regno di Shiratorizawa.”

Tsutomu scrollò le spalle. “Il Castello Bianco e la Capitale sono sul mare e non ci sono boschi nelle vicinanze. Tutti i fanciulli del luogo sanno pescare.”

“Serve pazienza e concentrazione anche lì,” disse Tobio.

“Ma non la precisione.” Tsutomu sollevò lo sguardo verso le chiome degli alti alberi. “Un Arciere è letale su di un campo di battaglia. Non si può dire lo stesso di un uomo armato di canna e pesca.”

Tobio storse la bocca in una smorfia. “Vallo a dire ai tiratori di lance,” disse, incamminandosi verso il folto del bosco.

Tsutomu non si preoccupò di risultare sfacciato e lo affiancò. “I tiratori di lance?”

Tobio lo guardò perplesso. “Sei nato e cresciuto sul mare e non sai di cosa sto parlando?”

Il Principe dell’Aquila s’imbronciò. “Non sono mica un pescatore.”

“Abbiamo lo stesso titolo nobiliare, Tsutomu, eppure io sono qui.”

“E non mi pare tu abbia una lancia!”

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Sono pescatori di predatori, per così dire.”

“Pescatori di predatori?” Tsutomu inarcò le sopracciglia.

“Li ho visti all’opera quando ho risalito la costa con mio padre,” raccontò il Principe Demone. “Non puoi catturare uno squalo con una canna da pesca… Sai che cos’è uno squalo?”

“Non trattarmi come un idiota, Tobio!”

L’erede al trono di Seijou gli rivolse un sorrisetto sarcastico, come a dire che ci avrebbe provato. “Questi pescatori usano delle lance per uccidere gli squali,” proseguì. “Lance che fanno più paura di quelle delle nostre armerie. Quei pescatori hanno un braccio ed una mira migliore di molti Cavalieri che conosco e sarebbe più pericolosi dell’Arciere medio su di un campo di battaglia.”

Tsutomu lo guardò fisso. “Ti piace trovare valore in cose che non ne hanno per gli altri, vero?”

Tobio aggrottò la fronte e ricambiò lo sguardo. “Che cosa vuoi dire?”

“Nessuno penserebbe ad un pescatore, seppur di predatori, come un combattente degno di tale nome.”

Il Principe Demone storse la bocca in un sorrisetto sarcastico. “Ecco perchè Wakatoshi non è mai riuscito a piegare il Re Demone,” disse.

Tsutomu si bloccò. “Che cosa hai detto?” Sbottò.

“Un dato di fatto, nulla di più,” disse Tobio, continuando a camminare.

“Hai appena insultato mio padre!” Il Principe dell’Aquila lo raggiunse con ampi passi e si parò di fronte a lui. “Satori dice che non riesco a tenere a freno la lingua ma in questo non sei migliore di me.”

Tobio inarcò un sopracciglio. “Vuoi un premio?”

“Voglio che ti rimangi quello che hai detto!”

“Perchè? Ti risulta che Shiratorizawa sia mai riuscito a sconfiggere Seijou da quando i nostri genitori sono al trono?”

Tsutomu aprì la bocca prontamente, sicuro di avere la risposta pronta. Non l’aveva. La storia che il Re dell’Aquila ed il Re Demone avevano scritto prima della loro nascita non andava a suo favore.

“Appunto,” concluse Tobio e lo superò.

Tsutomu strinse i pugni. “L’alleanza con gli altri Regni liberi è stata l’unica ragione che ha permesso ai tuoi genitori di sconfiggere mio padre.”

“Ed il mio vuole che faccia una lezione di vita!” Esclamò Tobio, spazientito. Si voltò. “Mi vuoi dire perchè mi hai cercato o dobbiamo continuare a perdere tempo a battibeccare su un pezzo di storia che non ci riguarda e che non si può cambiare?”

Ancora una volta, il Principe dell’Aquila aprì la bocca solo per non dire niente.

Tobio sospirò annoiato. “Torna alla tenuta, Tsutomu.”

“Aspetta!”

Fu un raro moto di pietà a spingere il Principe Demone ad ascoltare quella richiesta.

Tsutomu esaurì la distanza tra loro con passi veloci, nervosi. “Devo confessarti una cosa,” disse, le guance rosse. “L’altro giorno, alla cascata, non stavo dormendo.”

Non capendolo, Tobio inarcò le sopracciglia e fece per chiedere di cose stava parlando.

”Tu scappi ed io volo per raggiungerti.” Il ricordò delle parole di Shouyou lo colse di sorpresa. ”Io sono qui, Tobio. Che cosa hai intenzione di fare?”

Il Principe Demone seppe di essere arrossito fino alla punta delle orecchie dall’espressione che comparve sul viso di Tsutomu.

“Sei un idiota!” Esclamò quest’ultimo, avvampando a sua volta.

Tobio digrignò i denti come un cane furioso. “Perchè sei imbarazzato come se la cosa riguardasse te?”

“Perchè riguarda me!” Sbottò l’erede al trono di Shiratorizawa. “Anche me!” Si corresse. “È solo il secondo dannato segreto in cui mi coinvolgete, tu ed il tuo Corvo!”

“Coinvolgerti? Sei tu che sei sempre in mezzo, Tsutomu!”

“E pensi che mi faccia piacere, Principe Demone?”

“Ma io che ci posso fare?”

“Non lo so!”

Rimasti entrambi senza fiato, si fissarono per un lungo minuto di silenzio, mentre i petti si alzavano ed abbassavano velocemente per il troppo urlare.

“E quello mio e di Shouyou non è un segreto,” aggiunse Tobio, posando lo sguardo su qualunque cosa che non fosse il viso dell’altro Principe.

Quello?” Domandò Tsutomu. “Non ha un nome, quello?”

Il Principe Demone scosse la testa frustrato. “Non lo so,” ammise con un filo di voce. Non sapeva nemmeno perchè lo stava dicendo al figlio dell’uomo di cui meno si fidava al mondo.

Era strano il rapporto tra lui, Tsutomu ed il modo in cui vedevano i loro genitori.

Wakatoshi e Tooru avevano firmato un’alleanza perchè i loro Regni ed erede potessero godere di un futuro radioso e di pace, ma i Principi in questione sembravano aver dimenticato il seno di quell’accordo strada facendo.

Tobio non provava disprezzo per il Principe dell’Aquila. Non provava assolutamente nulla, a dire la verità. Da parte sua, Tsutomu non aveva mai mancato di dimostrargli che lo guardava come il suo nemico giurato.

Il destino aveva fatto loro lo sgambetto tenendoli legati da non uno ma ben due segreti!

“È tutta colpa di Shouyou,” sibilò Tobio. “Come sempre!”

“Che cosa centra il Principe dei Corvi?” Domandò Tsutomu. “Non è nemmeno qui!”

L’erede al trono di Seijou inarcò un sopracciglio. “Non centra niente?” Ripetè. “Sul serio?”

Tobio sospirò, appoggiò la schiena al tronco di un albero e si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto sul terreno erboso. “No,” rispose. “Certo che no.”

Tsutomu riflette con se stesso per meno di un istante, poi scrollò le spalle e si sedette accanto al Principe Demone. Tobio lo osservò con la coda dell’occhio. “Che cosa stai facendo?”

“Non lo so,” ammise Tsutomu, scrollando le spalle ed incrociando le gambe. “È così che ci si dovrebbe comportare in queste situazioni… Credo.”

“Quali situazioni?”

“Quelle in cui qualcuno è in difficoltà e ha bisogno di parlare con un amico.”

Tobio si voltò a guardarlo. “Noi non siamo amici.”

“Lo so!” Esclamò Tsutomu.

“Allora perchè ti sei seduto accanto a me?”

“Non lo so!”

“Non sai dire altro?”

“Non lo… Oh! Vai al diavolo, Tobio!”

“Vai al diavolo tu!”

Tsutomu guardò verso destra e Tobio verso sinistra.

Fu il Principe dell’Aquila a provare a spezzare il silenzio per primo. “Hai detto che non è un segreto.”

Tobio annuì. “Ti sentirai sollevato, immagino.”

“Confuso, a dire il vero,” ammise Tsutomu. “La scena dell’altro giorno non lasciava molti dubbi.”

“Beato te,” disse il Principe Demone. “Nella mia testa, dubbio è l’unico concetto che mi è chiaro.”

“A me è parso che tu e Shouyou vi… Piacciate?” Ipotizzò Tsutomu. “Non lo avrei mai detto.”

“Perchè?” Domandò Tobio incuriosito.

“Litigate continuamente, eppure passate ogni minuto di ogni giorno insieme. Ho passato tutta l’estate a pensare che fosse una contraddizione ma non credevo che sotto ci fosse dell’altro.”

“Non lo credevo neppure io,” disse Tobio, piegò le ginocchia e vi appoggiò le braccia. “Eppure…”

Tsutomu aggrottò la fronte. “Queste cose non succedono e basta! Deve succedere qualcosa che le scatena!”

“Tutta l’estate!” Esclamò Tobio. “Tutta l’estate ha scatenato quello che sta succedendo ora!”

Il Principe dell’Aquila studiò il fanciullo più grande per alcuni istanti. “Shouyou non sembra confuso quanto te.”

“Shouyou è più bravo di me a leggere nel proprio cuore,” spiegò Tobio. “Lui aspetta… Mi guarda da lontano, prova a fare un passo verso di me e poi sorride… Sì, sorride e basta. Non mi spinge in nessuna direzione, non pretende. Aspetta che lo acchiappi.”

“Acchiappi? Curiosa scelta di parole.”

“È un altro dei nostri giochi. Uno dei due insegue l’altro, ci tocchiamo per un istante e poi si  riprende a scappare.”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Che idiozia è mai questa?”

Tobio lo guardò storto. “Ehi!”

“Cosa? Come gioco è assurdamente idiota!”

“Non è idiota è una tattica, scemo!” Replicò Tobio duramente. “Non hai mai studiato strategie di guerra?”

“Non parlarmi come se fossi un genio intellettuale!”

Tobio sbuffò. “Io non sono sicuro nemmeno di quello che penso, Shouyou lo è più di me ma imporsi non è nella sua natura.”

“Quindi?” Domandò il Principe dell’Aquila sempre più confuso.

“Te l’ho detto, aspetta. Sta lì, non troppo distante, a ricordarmi che lui c’è e che mi basterebbe fare un passo per toccarlo.”

“E perchè non ti acchiappa lui per primo?”

“Perchè c’è di mezzo anche l’orgoglio, Tsutomu.”

“Orgoglio? Shouyou mi è sempre parso più emotivo che orgoglioso.”

Tobio fece una smorfia. “Si vede che non lo conosci bene,” disse. “Se continui a scappare e la persona che vuoi continua ad inseguirti, allora significa che ci tiene davvero.”

Tsutomu ci pensò un attimo, annuì: aveva senso. “In conclusione: tu sei indeciso sui tuoi sentimenti, Shouyou gioca a farsi rincorrere per mettere alla prova il tuo interesse ma, essendo di natura gentile, non gioca con i tuoi sentimenti, rallenta, ti aspetta e ti concede la possibilità di vincere ma solo quando sarai sicuro di volerlo fare.”

L’angolo della bocca di Tobio si sollevò appena. “Allora sei ferrato in strategie.”

Tsutomu gonfiò appena le guance e borbottò qualcosa tra un’imprecazione ed un insulto all’indirizzo dell’altro Principe. “E che cosa ti blocca?” Domandò, infine. “Non sei paziente con le persone, non lo sei mai stato. Conoscendoti, se continui ad inseguirlo vorrà pur dire qualcosa.”

Tobio appoggiò la nuca al tronco dell’albero con un sospiro. “Sì, ci ho già pensato.”

Tsutomu allargò le braccia. “Siete entrambi i Principi, nessuno dei due è promesso ad altri ed i vostri genitori hanno un’alleanza che ha cambiato la storia alle spalle. La vostra potrebbe essere la storia più facile che si sia mai scritta tra due eredi al trono.”

Tobio non poteva dirgli che quella era solo parte della verità su lui e Shouyou, la più superficiale, la più semplice. I sogni di Kenma potevano essere solo sogni, ma i demoni nell’animo di Tobio erano reali ed anche se Shouyou era bravo a farli tacere, gli era difficile fidarsi completamente di se stesso.

“La loro storia non ha potere su di te?” Domandò il Principe Demone distrattamente.

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “La storia di chi?”

“Dei tuoi genitori,” rispose Tobio, tornando a guardarlo. “Non ti è mai capitato di pensare a loro e dirti io non sarò così, non voglio essere così.”

Tsutomu aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire a dare voce ai suoi pensieri. “Ho sempre vissuto cercando di emulare mio padre,” ammise. “Lo considero un emblema di perfezione e se riuscissi ad essere metà di quello che è lui…” Lasciò la frase sospesa, chiedendosi perchè stava facendo simili confessioni ad un Principe che non aveva mai considerato un alleato, tantomeno un amico. Scacciò quel pensiero con una scrollata di spalle: c’era un segreto ad unirli e dopo quell’estate, sarebbe stato difficile continuare ognuno sulla propria strada, come se nulla fosse accaduto. “Non è così per te?” Aggiunse incuriosito.

Tobio fissò gli occhi blu in un punto qualunque di fronte a sè. “No,” rispose, senza esitare. “Non voglio essere come il Re Demone.” Lo aveva fatto ma era accaduto durante una stagione felice, ormai appassita. “Voglio superarlo.”





 

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Capitolo 37
*** Di debolezze e rischi calcolati ***


33
Di debolezze e rischi calcolati



Shouyou giocava distrattamente con le bolle di sapone sulla superficie dell’acqua.

Tadashi lo osservava dal riflesso nello specchio: sorrideva tra sè e sè, perso in pensieri che l’altro poteva solo indovinare.

Non aveva importanza quanto Kei fosse cieco, entrambi conoscevano Shouyou da tutta la vita e Tadashi non lo aveva mai visto indossare quell’espressione.

“Shouyou?”

“Uhm?”

Tadashi afferrò il secchio accanto alla vasca da bagno e rovesciò l’acqua che lo riempiva sulla testa del Principe dei Corvi. Preso alla sprovvista, Shouyou si agitò bagnando il pavimento.

“Tadashi!” Esclamò Shouyou. Tossì un paio di volte e si strofinò gli occhi con i pugni chiusi.

Tadashi girò il secchio vuoto e lo posò a terra in modo da potercisi sedere sopra.

Quando il suo Principe tornò a guardarlo negli occhi, incrociò le braccia contro il petto e fissò il fanciullo di fronte a sè come un genitore alterato. “Dobbiamo parlare,” disse col tono di chi non ammette obiezioni.

Con i capelli ancora davanti agli occhi, Shouyou inarcò le sopracciglia. “D’accordo…” Disse con un filo di voce, come se fosse spaventato. “Non c’è bisogno di dirlo così.”

“Sì, invece,” replicò Tadashi. “Non facciamo che ripetere la stessa scena: io che ti chiedo di fidarti di me e tu che non lo fai.”

Shouyou aggrottò la fronte. “Non è vero!” Esclamò ferito. “Non ho fatto niente per mettere in discussione la nostra amicizia.”

Tadashi scosse la testa. “Non si tratta della nostra amicizia, Shouyou,” disse con più gentilezza. “Riguarda il fatto che i tuoi genitori hanno affidato a me e Kei la tua sicurezza.”

Shouyou strinse le ginocchia al petto. “Sì, lo so,” disse ingenuamente.

“Questo significa che non puoi avere segreti con noi,” concluse Tadashi molto seriamente. “Non esistono questioni personali. Sei un Principe, Shouyou, un erede al trono. Sei un affare di stato, non puoi dimenticarlo.”

Il Principe dei Corvi lo guardò e basta, le labbra dischiuse in un’espressione a metà tra il dispiaciuto e l’arrabbiato. “Una volta per tutte,” mormorò, la voce resa flebile a causa dal nodo che gli stringeva la gola. “Puoi essere tu a fidarti di me?”

Tadashi dischiuse le labbra ma non rispose immediatamente. Se Kei fosse stato lì avrebbe detto che era fuori discussione, che il loro Principe non era affidabile e che lasciargli troppa libertà di azione sarebbe stato pericoloso.

Kei, però, era anche il primo a sottovalutare la situazione e a continuare a credere che Shouyou fosse troppo stupido per nascondere loro qualcosa.

“Shouyou, anche Tobio è un Principe.” Tadashi decise di essere diretto.

L’erede al trono di Karasuno sbatté le palpebre un paio di volte. “Lo so questo.”

“È il Principe più potente della sua generazione,” insistette Tadashi. “Nemmeno il Principe dell’Aquila può competere con lui.”

“Tsutomu non è così indifeso come tutti lo credono.”

“Non cambiare argomento, Shouyou.” Tadashi piegò un braccio sul bordo della vasca. “Non puoi innamorarti del Principe destinato a dominare su tutti i Regni liberi solo perchè è il tuo cuore a suggerirtelo.”

A quelle parole, Shouyou rimase immobile, come pietrificato. Un battito di ciglia più tardi, scattò contro il bordo opposto della vasca in un vano tentativo di nascondersi. Gli occhi d’ambra rimasero fissi su quelli dell’altro fanciullo ma le guance pallide si colorarono velocemente. “Non ho mai detto che…”

“Non c’è bisogno che tu lo dica, Shouyou.”

“Non gettarmi addosso sentimenti che non ho mai detto di provare!” Esclamò il Principe dei Corvi con rabbia. “È una cosa mia e le faccende di stato non centrano nulla!”

Tadashi chiuse gli occhi per un istante: stava accadendo proprio quello che aveva temuto.

“Sì che lo è, Shouyou,” insistette con pazienza. “Io non ho la superbia di conoscere la natura dei tuoi sentimenti per il Principe Demone ma è chiaro come il sole che tu e lui siete legati.”

“E con questo?” Lo sfidò Shouyou. Il suo labbro inferiore tremava e i grandi occhi color ambra si erano fatti lucidi per le lacrime, eppure non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere.

“Shouyou.” Tadashi provò a parlargli come un amico, invece che un uomo del Re. “Tobio è più potente di te. So che hai fiducia in lui… Ti sei fidato di lui al punto da rivelargli il tuo segreto ma non puoi dimenticare che il Principe Demone è più potente di te. Un battito del tuo cuore può influenzare il destino di un intero Regno.”

Shouyou non sapeva come replicare a quelle parole. L’unico modo per chiudere quella discussione in modo definitivo era confessare a Tadashi quella parte della storia che non conosceva: ragion di stato o meno, lui e Tobio erano già legati da una forza ben più grande.

Tuttavia, Tadashi non meritava di preoccuparsi ancor di più nè di essere coinvolto in un intreccio senza fine che riguardava solo le famiglie reali di Karasuno, Seijou e Shiratorizawa.

Shouyou non poteva essere sincero con lui e l’altro fanciullo vedeva solo il suo Principe quando lo guardava. Tadashi vedeva in lui un dovere, una missione da portare a termine accettando solo rischi ben calcolati. In quel momento, Shouyou non era un fanciullo che era cresciuto insieme a lui, nè un amico a cui dare fiducia.

Ragion di stato, aveva detto.

Che cos’era la ragion di stato contro la forza del destino?

“Tobio non è Kei.” La cattiveria non era nella natura di Shouyou. La rabbia e l’impulsività forse ma non la cattiveria, quella calcolata ed usata per ferire qualcuno volontariamente.

Tuttavia, se Tadashi non riusciva ad essere qualcosa di diverso da una guardia del Re, Shouyou non aveva altra scelta che ricordargli chi era il suo Principe.

Gli occhi dell’altro fanciullo di fecero enormi e tutta la sua determinazione s’infranse con un sorriso nervoso. “Che cosa centra Kei?” Domandò, gli occhi bassi.

“È un nobile,” gli ricordò Shouyou con una freddezza che l’altro non aveva mai percepito nella sua voce. “È destinato ad essere il Primo Cavaliere del Regno di Karasuno. È più potente di te.”

Tadashi si allontanò dal bordo della vasca, come se stesse prendendo le distanze da qualcosa di pericoloso. “Shouyou…” Mormorò incredulo. “Io… Io…” Non riuscì a trovare una replica efficace.

“A differenza tua, qualunque cosa io provi, non sono il solo a farlo,” insistette Shouyou, piangeva. “Tobio è più potente di me, ma non mi ha mai dato ragione di dubitare di lui. Puoi dire lo stesso di Kei?”

Gli occhi di Tadashi si riempirono di lacrime velocemente e voltò lo sguardo altrove per nascondersi. Si alzò in piedi e fu svelto a tornare vicino allo specchio, lontano dal Principe dei Corvi.

I loro sguardi s’incrociarono di nuovo nella superficie riflettente. Shouyou piangeva ancora ma non aveva l’espressione di qualcuno pronto a chiedere scusa.

Avevano appena tracciato un confine che non sarebbero riusciti a cancellare facilmente, quello tra un Principe ed un servo.

“Vi aiuto a vestirvi, mio Principe,” disse Tadashi, ricacciando indietro le lacrime.




***



Tobio aveva scoperto quanto poteva essere pesante il silenzio quando Shouyou lo aveva infranto entrando nella sua vita. Suo malgrado, però, si rese conto che la portata della sua solitudine – di cui non era stato del tutto consapevole fino a che il Principe dei Corvi non era divenuto la sua ombra – non era confrontabile a quella dell’erede al trono di Shiratorizawa.

“... E così ho capito che tutti gli altri giovani nobili della mia corte sono un branco d’idioti.” Tsutomu concluse il suo racconto con una gran sospiro frustrato.

Tobio lo guardò senza una reale espressione.

Stavano camminando sotto quegli alberi da tanto tempo che il sole era scomparso dietro l’orizzonte. Il Principe Demone non aveva più tirato una freccia, si era limitato ad ascoltare – sebbene con poco interesse – tutto quello che l’altro aveva avuto voglia di dire.

Era come se Tobio avesse fatto breccia in una parete di roccia e l’acqua avesse cominciato a scorrere senza fine. Allo stesso modo, le parole erano cominciate ad uscire dalla bocca di Tsutomu, come se non avesse mai parlato con nessuno in vita sua ed avesse un gran bisogno di recuperare.

Il Principe dell’Aquila chinò la testa, sfinito. “E questa è la corte di Shiratorizawa.” Lanciò un’occhiata al Demone mezzo sangue che camminava al suo fianco. “Immagino che a Seijou ci si diverta di più.”

Tobio scrollò le spalle. “È casa mia,” si limitò a rispondere.

Tsutomu storse la bocca in una smorfia. “E Shiratorizawa è la mia, ma questo non significa che la ami!”

Il Principe Demone si fermò e lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Mi stai dicendo che sei l’erede al trono di una terra che non ami?”

Tsutomu sbattè le palpebre un paio di volte. “Non mi sembra che tu provi chissà quale stima per i Demoni nobili del Castello Nero.”

“Loro non sono Seijou.”

“Come puoi dire una cosa del genere, Tobio?” Domandò Tsutomu con sincera confusione. “Sono la nobiltà su cui si regge la tua corona.”

La linea della bocca di Tobio si fece più dura. “Non sto parlando di una corona,” disse. “Sto parlando di un Regno e non sono pochi nobili a farlo.”

Ripresero a camminare ma Tsutomu continuò a fissarlo. “Tua madre ha già affrontato una rivoluzione.”

“E l’ha vinta.”

“I discorsi che fai non ti porteranno su una strada differente dalla sua.”

Tobio gli si parò davanti. “E quanto pensi ci vorrà prima che capiti lo stesso a Shiratorizawa?”

“Che vuoi dire?” L’espressione del Principe dell’Aquila si fece più scura.

“Tuo padre conquista e conquista,” spiegò Tobio. “Tutti lo temono ed in molti lo rispettano anche. Puoi essere al suo livello?”

Tsutomu strinse i pugni. “Nemmeno tu vuoi essere come il Re Demone.”

“Io ho detto di volerlo superare,” disse Tobio. Non lo disse con arroganza ma con la calma di chi sa di star combattendo una battaglia alla sua altezza.

Tsutomu scosse la testa e lo superò. “Ti ascolti?” Domandò alterato. “Tra poco comincerai a parlare di regicidio.”

Il Principe Demone sbuffò. “Tsutomu,” chiamò. “Non è vivendo all’ombra di tuo padre che ne diventerai l’erede.”

Il Principe dell’Aquila si fermò ma non si voltò immediatamente. “Io non odio mio padre, Tobio,” replicò, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. “È una differenza che devi considerare.”

Il Principe Demone si umettò le labbra. “Io non odio Tooru.”

“No. Vuoi solo sconfiggerlo ed umiliarlo agli occhi della storia.”

“È una guerra che non ho cominciato io,” si giustificò il Demone mezzo sangue. Sentiva la rabbia salire parola dopo parola. “Tuttavia, non intendo perderla.”

Tsutomu inarcò il sopracciglio destro. “Se Shouyou riesce a capire almeno metà di quello che dici, allora non è un povero ingenuo come credo.”

Tobio non replicò.

“D’accordo,” Tsutomu annuì sommessamente. “Sei in guerra con il Re Demone e la tua corte ma ami Seijou. In breve, sei una contraddizione vivente.” Scrollò le spalle. “Hai un legame senza nome con un Principe che è il tuo esatto contrario, immagino abbia senso.”

Tobio rimase in silenzio anche quella volta.

“Ehi! Mi stai ascoltando?” Tsutomu tornò a guardarlo in faccia. “Che cosa hai visto?”

Gli occhi blu del Principe Demone fissavano qualcosa tra gli alberi.

Tsutomu guardò nella stessa direzione e non vide assolutamente niente. “Che cosa vedi?” Domandò, facendosi più vicino.

Tobio assottigliò gli occhi. “Mi è parso di vedere qualcosa…”

Tsutomu sbuffò. “Puoi smetterla d’inquietarmi con questo tuo atteggiamento da cacciatore nato e dirmi che cosa pensi di aver scorto?”

Il Principe Demone lo guardò annoiato. “Credevo di aver visto una luce tra gli alberi.”

Tsutomu fece qualche passo in avanti. “Dove?” Allungò il collo. “Ehi!” Esclamò quando l’altro lo afferrò per il braccio e prese trascinarlo lungo il sentiero.

“Fra poco farà buio,” disse il Principe Demone. “Meglio rientrare. La festa di fine estate è questa notte.”

“Oh!” Esclamò Tsutomu con un sorrisetto divertito. “Non sia mai che l’erede al trono di Seijou faccia attendere il Principe dei Corvi!”

“Stai zitto!”




***



Inginocchiato sull’erba, Tooru osservò la flebile fiammella che era riuscito ad accendere grazie ad un paio di pietre e qualche ramo secco. Bastò che la brezza della sera la toccasse per spegnerla.

“Ah!” Sbottò tirandosi i capelli per la frustrazione. “È la terza volta!” Si lamentò. “La terza maledetta volta!”

Occupato a legare le briglie dei loro cavalli ad un albero vicino, Hajime rise sotto i baffi. “Aspetta,” disse, accarezzando la schiena del suo destriero distrattamente. “Ti aiuto io.”

La replica di Tooru arrivò velocemente. “Non voglio il tuo aiuto!”

Il rumore di due pietre che battevano l’uno sull’altra si aggiunse al fragore della cascata.

Il Primo Cavaliere alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere. “Quanti anni devono ancora passare perchè tu la smetta di comportarti come un ragazzino?”

“Io sono un ragazzino, Hajime!”

Prevedibile, pensò il Primo Cavaliere.

“Ho meno rughe d’espressione di Tobio,” aggiunse il Re Demone, continuando a battere le due pietre l’una sull’altra. “Ridicolo! Ha i miei lineamenti ma il tuo orribile vizio di stare perennemente imbronciato!”

Hajime si allontanò dai cavalli e s’inginocchiò di fronte al sovrano di Seijou. “Sai com’è… L’abbiamo fatto in due.”

Tooru sollevò gli occhi scuri dalle due pietre ed il Cavaliere ne approfittò per prenderle dalle sue mani. “Lascia, ti faccio vedere.”

Orgoglioso com’era, Tooru non gli concesse l’opportunità d’insegnargli qualcosa. Si alzò in piedi e si avvicinò ai cavalli. “Prendo il necessario per montare la tenda.”

“Tu non sai montare una tenda, Tooru.” Gli ricordò Hajime. Non dovette nemmeno alzare lo sguardo, il Re Demone tornò sui suoi passi e lo superò senza dire una parola.

Il Cavaliere scosse la testa, gli angoli della bocca ancora rivolti verso l’alto. Il fuoco del loro accampamento, però, dovette attendere ancora un poco.

Una tunica atterrò sulla testa di Hajime oscurandogli la vista. Confuso, lasciò andare le due pietre e se ne liberò. “Tooru!”

Il Re Demone finì di slacciarsi la cintura e gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Cosa?” Domandò con un sorrisetto insopportabile dei suoi, poi si liberò degli stivali e dei pantaloni.

Hajime sgranò gli occhi verdi. “To-Tooru?”

“Oh!” Il Re Demone alzò gli occhi al cielo, come se non fosse completamente nudo. “Sei vent’anni in ritardo per fare il pudico!” Entrò in acqua lentamente, concedendo al Cavaliere tutto il tempo per osservare dettagli che già conosceva bene.

Se Tooru stava giocando la carta del Demone tentatore, Hajime doveva ammettere che lo stava facendo davvero bene. Si passò una mano tra i capelli ribelli. “Tooru…” Mormorò massaggiandosi il collo, tanto per distrarsi da sensazioni decisamente sconvenienti.

Il Re Demone non lo udì o decise deliberatamente d’ignorarlo.

Quando il Cavaliere sollevò gli occhi verdi, il suo signore si muoveva nell’acqua con un sorriso fanciullesco. L’atmosfera era leggera e di colpo Hajime si sentì di nuovo un ragazzino, occupato a riflettere su cose inutili e incantato da tutto ciò che era Tooru.

Era l’esperienza degli anni a farlo a sorridere, ad invitarlo ad accogliere l’eco di quelle emozioni con tenerezza e non rancore.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Hajime ripensava al passato e il cuore non gli doleva.

Tooru si voltò e i grandi occhi scuri cercarono i suoi. “Perchè non mi raggiungi?”

Era una richiesta allettante. “Perchè non mi fido,” disse.

Tooru ridacchiò. “Suvvia, Hajime, non ti mordo mica.”

“Non parlo di te,” replicò il Primo Cavaliere. “È di me stesso che non mi fido.”

Fu allora che Tooru smise di giocare ed il suo sorriso assunse sfumature completamente diverse: la fanciulezza era sparita, lasciando il posto all’esperienza. Eppure, i suoi occhi non smisero di brillare. “Ne sono lusingato.”

Hajime sbuffò. “Non essere ridicolo, Tooru.”

“Non posso essere felice di sapere che i tuoi occhi mi guardano ancora con desiderio?”

“È ridicolo che tu ne sia sorpreso.”

“Perchè non dovrei esserlo?” Domandò il Re Demone, serio. “Mi hai guardato con disprezzo per tanto di quel tempo…”

La bocca di Hajime divenne una linea sottile. “Era rabbia,” chiarì. “Non disprezzo. Se fossi riuscito ad odiarti, sarebbe stato più semplice.”

Tooru non replicò, portò lo sguardo verso il cielo e notò che le prime stelle della notte erano comparse. Un brivido gli attraversò la schiena e gli sfuggì uno starnuto.

Hajime si alzò in piedi e si tolse il mantello dalle spalle. “Vieni qui,” disse, rimanendo in piedi sulla riva del laghetto. “Non voglio dover fare il viaggio di ritorno con te che ti lamenti per un raffreddore.”

“Mai avuto un raffreddore in vita mia,” ribatté Tooru, imbronciato. “Sono un Demone, ricordi?”

Hajime sospirò. “Sì e non me la sento di rischiare di provare la nuova esperienza di accudirti ammalato. Esci fuori. Ora.”

Tooru gonfiò le guance come un bambino capriccioso ma ubbidì. Hajime gli avvolse il mantello intorno alle spalle e il Re Demone si voltò con una mezza piroetta. “Eri talmente distratto dalla mia bellezza da non poter accendere il fuoco?”

“Mi hai tirato i vestiti addosso,” gli ricordò Hajime.

“E tu te ne sei liberato per guardarmi in tutto il mio splendore.”

Il Primo Cavaliere sollevò il pugno. “Vuoi vedere che fine faccio fare al tuo splendore?”

Tooru non ebbe il tempo di lamentarsi ulteriormente: starnutì di nuovo.

Hajime fece appello a tutta la sua pazienza. “Vieni qui…” Afferrò il Re Demone per le spalle.

Tooru inarcò le sopracciglia. “Che fai?”

“Siediti.”

Il sovrano smise di porsi domande non appena si ritrovò con la schiena premuta contro il petto caldo del suo Primo Cavaliere, le braccia di lui lungo i fianchi. I brividi di freddo divennero immediatamente un ricordo. Un ghignetto divertito comparve sulle sue labbra. “E questo non lo trovi compromettente?” Domandò, guardando la cascata di fronte a loro.

Hajime scrollò le spalle. “Lo chiamo rischio calcolato.”

“Oh, quindi finchè ti sono vicino con uno strato di stoffa addosso non ho nulla di cui preoccuparmi.”

“Precisamente.”

“Basta così poco per spegnere il tuo interesse per me?” Domandò Tooru lanciando un’occhiata al Cavaliere da sopra la spalla, il labbro inferiore sporgente.

“Vuoi che ti ributti in acqua?” Propose Hajime con voce incolore.

“Ah!” Esclamò Tooru risentito. “Sempre il solito bruto, Iwa-chan!” Quel soprannome gli sfuggì dalle labbra con terribile naturalezza.

Il Re Demone si rese conto di averlo pronunciato solo quando avvertì il Cavaliere farsi più rigido. Abbassò lo sguardo. “Scusami, Hajime.”

“Non fa niente,” lo rassicurò l’altro.

“Non hai mai sopportato quel soprannome, non fingere.”

“Non ho mai sopportato nemmeno te,” gli ricordò Hajime. “Devo avere un problema…”

Suo malgrado, Tooru rise. Tornò a guardare il cielo: erano comparse altre stelle. Reclinò di più la testa per cercare la luna e finì per fare aderire la nuca alla spalla del Cavaliere.

Fece per spostarsi ma Hajime gli afferrò un braccio e lo bloccò “Va bene così.”

Tooru non fece obiezioni e non disse nulla nemmeno quando il braccio dell’altro scivolò lentamente intorno alla sua vita.

Rimasero in silenzio per un po’, gli sguardi rivolti al cielo.

“Te la ricordi la notte in cui abbiamo concepito Tobio?” Domandò Tooru senza preavviso.

“Penso che siamo gli unici genitori al mondo ad avere l’assoluta certezza di quando è stata compiuta l’impresa,” disse Hajime.

Tooru sorrise. “Hai sviluppato un po’ di senso dell’umorismo, vedo.”

“Quando tuo figlio è fin troppo serio devi imparare a difenderti.”

“È troppo serio perchè è identico a te.”

“Dobbiamo tornare a parlare dell’ereditarietà dei difetti?”

“Ha il tuo cuore,” disse Tooru. “Il cuore di un uomo, di un Cavaliere. La natura di Tobio non è quella di un Demone.”

Hajime posò gli occhi sul profilo perfetto del suo sovrana. “Ma è quella di un Re.”

Tooru rispose al suo sguardo. “Tu disprezzi il Re che sono diventato, mio Cavaliere. Tu non vedi me in Tobio. Se lo facessi, temeresti il giorno della sua incoronazione più di quello della tua morte.”

Hajime storse la bocca in una smorfia. “Stai avendo uno dei tuoi momenti di assoluta tragicità?”

Tooru sorrise con amarezza. “Ecco che torniamo a discutere di lui parlando di noi,” disse. “Lui e noi…” Si umettò le labbra nervosamente. “Perchè mi fa male dirlo ad alta voce?”

Hajime sospirò stancamente. “Perchè è attraverso di lui che ci sarà sempre un noi. Nemmeno la rabbia e l’odio possono cancellare quel legame.”

Tooru inspirò profondamente dal naso, combattendo le lacrime che sentiva pungere agli angoli degli occhi. “Non mi pento di quello che ho fatto, Hajime,” confessò. “Di aver reso Seijou potente forse più di Shiratorizawa? No, non me ne pento affatto.”

Il Cavaliere non si allontanò a quella confessione. “È comunque troppo tardi per chiedere scusa.”

“Ma fa così freddo…” Mormorò il Re Demone.

“Ti prendo i vestiti e cerco di accendere questo maledetto fuoco, prima che…” Hajime provò a muoversi ma l’altro gli artigliò il braccio impedendogli di muoversi.

“Seduti sul trono in cima al mondo, fa così freddo.” La voce di Tooru era ferma, non tradiva alcuna insicurezza. “Eppure è quello che ho sempre voluto. È quello che voglio.”

Hajime si costrinse a non vacillare. Se avesse ceduto, non ci sarebbe stato più nulla ad impedirgli di cadere nel baratro che era Tooru. “Allora, lunga vita al Re.” Si liberò della stretta del Demone e si alzò in piedi. “Accendo il fuoco.”

Tooru non gli disse che non sarebbe servito a riscaldarlo. Tobio poteva essere il loro noi  indissolubile ma c’erano troppe cicatrici ad imbruttire il loro legame.

La luce tremolante di un fuocherello illuminò la riva del laghetto.

Il Re Demone si voltò e gli occhi verdi del Cavaliere risposero al suo sguardo. “Vieni a scaldarti.”

Tooru sorrise. “Sì.”



***



“Io le metterei un po’ più in basso.”

“Così che qualche ubriaco possa salire sul tavolo e tirarle giù? Meglio il più in alto possibile, te lo dico io!”

Fermo in cima alla scala a pioli, con il braccio destro teso sopra la testa, Kei pensava a come buttarsi nel vuoto in modo da investire ed eliminare i due idioti che continuavano a dargli ordini dal basso.

“Non vuoi vedere qualche fanciullo alla sua prima sbronza tentare di assediare  le mura del cortile interno con le corde delle bandierine?” Propose Tetsuro con un sorriso diabolico.

Koutaro ci pensò. “A mia figlia le bandierine piacciono quando sono appese!” Esclamò. “Non voglio farla piangere!”

Tetsuro sbuffò. “Keijiko sarà già a letto col tuo consorte quando la festa comincerà per davvero!”

“Vogliamo davvero rischiare che qualche ragazzino si faccia del male?”

“Koutaro, metti da parte il tuo istinto paterno e torna ad essere te stesso. Immagina: vino, fanciulli innocenti, inconsapevoli dei loro limiti e tutto in uno spazio ristretto, sotto i nostri occhi.”

Koutaro si grattò il mento. “Hai dimenticato la musica!”

“Giusto! La musica!”

“E i dolci di Aone!”

“Il caos è garantito!” Concluse Tetsuro strofinando le mani con aspettativa. Si fece serio di colpo. “Dopo che Keiji e Kenma si saranno ritirati nelle loro stanze.”

Koutaro annuì con convinzione. “Saremo dei Cavalieri modello fino ad allora.”

“Degli adulti rispettabili.”

“Nessuno sospetterà che stiamo tramando qualcosa.”

Koutaro sorrise convinto, poi guardò l’amico un poco confuso. “Perchè? Che cosa stiamo tramando?”

Testuro aprì e chiuse la bocca un paio di volte.

“Sperare che i fanciulli perdano la testa per il nostro divertimento non è tramare, Tetsuro.” Gli fece notare Koutaro.

“Allungheremo qualche calice in più agli ingenui ed il divertimento sarà assicurato!” Si riprese l’uomo dai capelli corvini e con convinzione.

Nel silenzio che seguì, Kei decise che perdere la sensibilità al braccio destro non era un prezzo accettabile per accontentare due sovrani detronati e completamente idioti. Se solo avessero impiegato metà delle forze che sprecavano a fare idiozie per proteggere le loro case, forse Seijou non sarebbe divenuta la potenza che era.

Il giovane Cavaliere aveva abbastanza buon senso da tenere quel pensiero per sè, ma non sarebbe rimasto lì a farsi sfruttare un secondo di più. Quando tornò con i piedi a terra, Koutaro era corso a raccogliere le bandierine tanto amate dalla sua bambina e Tetsuto lo guardava con un sopracciglio scuro inarcato.

“Con tutto il rispetto, avrei altri doveri d’assolvere,” disse Kei con l’espressione annoiata di chi non vuole essere trattenuto un istante di più. “Ho il dovere di eseguire solo gli ordini del mio Principe, non i vostri.”

Tetsuro non parve impressionato neanche un po’. “Quali ordini? Il piccolo Shouyou mi sembra più che deciso a dimostrare a se stesso e al mondo che non ha bisogno della protezione di nessuno.”

Kei strinse i pugni e mantenne la calma. “Suo padre, il Re di Karasuno, mi ha dato un compito.”

“Che Tobio sta assolvendo al posto tuo, pare,” replicò Tetsuro. Se quel ragazzino aveva voglia di sfidarlo testa a testa, non aveva alcun problema ad accontentarlo.

“Tetsuro!” Koutaro si avvicinò all’amico con un groviglio di corda e bandierine stretto al petto. “Non c’è bisogno di essere così duro col ragazzo. Lo abbiamo annoiato con i nostri discorsi, non è la prima volta che succede. Pensi che Keiji e Kenma ci ascoltino tutto il tempo che parliamo con loro? Su, rilassati e datevi una stretta di mano. Questa deve essere una serata di festa!”

Se fosse stato per Tetsuro, quella discussione sarebbe andata avanti fino a che il biondino non avesse chiesto scusa in lacrime. Per fortuna del giovane Cavaliere di Karasuno, Tobio scelse quel momento per passare accanto a loro.

“Oh! Eccolo qui!” L’uomo che era stato il Re di Nekoma afferrò l’erede al trono di Seijou per un braccio e lo tirò verso di sè. “Dove lo hai lasciato il tuo piccolo corvo, eh?” Domandò, spettinandogli i capelli con forza.

Tobio si liberò dalla stretta con un ringhio. “Che diavolo fai?” Sibilò, indignato.

Alle sue spalle, ignorato da tutti, Tsutomu rise sotto i baffi e continuò a camminare: era meglio trovare Satori, prima che il Cavaliere lo venisse a cercare.

“Shouyou non è con te?” Domandò Koutaro, guardandosi intorno.

“No,” rispose Tobio a mezza bocca, passando le dita tra i capelli corvini.

“Il Principe dei Corvi è nelle sue stanze,” intervenne Kei con fare altezzoso. “Come vedete, sir Tetsuro, non lascio che altri assolvano i miei compiti.”

Tetsuro ghignò ed una vena sulla sua tempia destra cominciò a pulsare pericolosamente.

“Calma,” disse Koutaro con un sorriso, battendo una mano sulla sua spalla. “Non puoi prendertela se alla fine uno dei ragazzini è riuscito a tenerti testa.”

L’altro lanciò all’amico uno sguardo raggelante. “Ciò non toglie che mi fa incazzare...”

Tobio passò lo sguardo dai due uomini al giovane Cavaliere di Karasuno. “Ti sei fatto degli amici, vedo.”

Kei scrollò le spalle. “In questo non sono bravo quanto voi, Principe Demone.”

Il giovane dai capelli corvini ignorò la provocazione con un sospiro. “Dov’è Shouyou?”

“Dentro.” Kei indicò la tenuta con un cenno del capo. “Con Tadashi.”

Tobio non gli concesse neanche un cenno del capo per informarlo che aveva capito, lo superò a testa alta ed entrò nell’edificio passando per la porta della cucina.

Le labbra di Kei si piegarono in un sorriso sprezzante. Fece per voltarsi ma due mani gli afferrarono le spalle.

Koutaro e Tetsuro gli sorridevano con fare inquietante. “Visto?” Disse quest’ultimo. “Ci pensa il nostro Tobio a fare il tuo lavoro e ho la netta sensazione che Shouyou sia più contento così.”

“Tieni.” Koutaro spinse contro il petto del giovane la corda di bandierine. Era un intreccio colorato e senza fine. “Metti a posto, poi torna sulla scala e finiamo il lavoro.”

Tetsuro annuì, le braccia incrociate contro il petto.

Kei li guardò entrambi con gli occhi sgranati. Quando si rese conto di non avere via di fuga, gettò la corda sul tavolo e si mise al lavoro borbottando furiosamente tra sè e sè.



***


Tadashi si era rintanato nel piccolo salotto adiacente alle due camere occupate da lui e Kei e dal loro Principe.

Dal piano di sotto giungeva un gran vociare, accompagnato da risate e dal rumore di stoviglie che venivano recuperare dalle credenze e gettate sul tavolo con poca gentilezza. Tutti i Cavalieri capaci di cucinare si erano riuniti in cucina, sotto l’improbabile guida di Aone.

Anche Tadashi sarebbe dovuto scendere a dare una mano, ma proprio non riusciva a smettere di piangere.

La freddezza che Shouyou gli aveva riservato non era peggio di quella che Kei gli dimostrava quotidianamente. La parte difficile era accettare che fosse stato proprio il loro Principe a trattarlo così.

Tadashi sapeva di aver superato un confine che nessun servo avrebbe mai dovuto valicare ma era proprio questo a fargli male: Shouyou non li aveva mai guardati dall’alto in basso, non aveva mai brandito il suo titolo contro di loro.

C’era un antico legame ad unirli tutti e tre e andava ben oltre la lealtà verso il Re.

Shouyou era loro amico.

Troppo occupato a trattenere i singhiozzi, Tadashi non udì qualcuno salire le scale ed entrare nella stanza.

Tobio non aveva ancora salito l’ultimo gradino quando lo vide. “Ehi…”

Tadashi scattò in piedi, come se l’altro gli avesse urlato contro.

Quando si accorse che piangeva, gli occhi blu del Principe Demone divennero grandi. “È accaduto qualco-?”

“No!” Si affrettò a dire Tadashi, scuotendo la testa. “So cosa può sembrare ma Shouyou sta bene, mio Principe.”

Tobio portò gli occhi sulla porta chiusa della camera che era stata sua e che ora era occupata dal Principe dei Corvi. “Allora perchè stai piangendo?”

Tadashi fu veloce ad asciugarsi il viso e piegare le labbra in un sorriso di cortesia. “Siete rientrato dalla caccia,” notò, osservando l’arco appeso alla spalla del Principe Demone. “Volete che vi prepari un bagno?”

Tobio aggrottò la fronte. “Prepararmi un bagno potrebbe farti sentire meglio?” Domandò confuso.

Tadashi arrossì e scosse di nuovo la testa. “Lo dicevo perchè…” Non seppe come terminare la frase ed abbassò lo sguardo, imbarazzato. Sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi e non riuscì a trattenerle. “Perdonatemi, mio signore.”
Tobio si avvicinò, gli occhi ancora fissi sulla porta chiusa. “Non sono il tuo signore,” chiarì. Non lo fece sgarbatamente ma con la voce atona di chi afferma un dato di fatto.

Tadashi si torse le dita nervosamente. “Siete il Principe più potente dei Regni liberi, signore,” disse timidamente. “Solo un folle non vi porterebbe rispetto.”

“Qualcuno sembra non averne portato a te,” disse Tobio, guardandolo in faccia.

Tadashi fissò la punta dei propri stivali per non sfidare lo sguardo di quegli occhi blu. “Le preoccupazioni di un servo non devono turbare la mente di un erede al trono.”

“Servo?” Tobio non riusciva a capire. “Pensavo fossi una guardia reale.”

Le labbra di Tadashi si piegarono in un sorriso malinconico. “Solo di titolo,” ammise. “Da bambino ho cercato di seguire lo stesso addestramento di Kei e degli altri aspiranti Cavalieri, ma non era la mia strada. Per amicizia nei confronti della famiglia Tsukishima, il Re mi ha reso una guardia ma, di fatto, non faccio altro che servire Shouyou quando ne ha bisogno.”

“Tsukishima,” ripetè Tobio, come se stesse pensando ad alta voce. “È il nome della famiglia di quell’altro.”

Tadashi sapeva che il Principe Demone conosceva molto bene il nome di Kei. Fu per antipatia che non lo pronunciò ad alta voce. “Il maestro di spada del fratello maggiore di Kei, l’attuale Lord Tsukishima, era mio padre,” spiegò. “Ha servito Re Daichi nella guerra contro Shiratorizawa ed è morto in battaglia. Non l’ho mai conosciuto e mia madre se ne è andata dandomi alla luce. La famiglia Tsukishima mi ha accolto come un figlio e sono cresciuto al fianco di Kei, ma non sono un nobile.” Prese un respiro profondo. “Sono solo più fortunato di quanto una persona mediocre come me dovrebbe essere.” Quelle ultime parole gli sfuggirono di bocca. Non voleva piangersi addosso di fronte al Principe Demone. “Mi dispiace,” aggiunse. “Ho parlato troppo, perdo-”

“Mio padre è figlio di contadini,” lo interruppe Tobio. “I Cavalieri della Regina che preceduto Tooru lo hanno comprato come schiavo e lo hanno portato al Castello Nero. Mia nonna cercava un compagno di giochi per mia madre. È così che i miei genitori sono finiti insieme.”

Tadashi guardò il giovane di fronte a lui con gli occhi sgranati: giravano un’infinità di storie sul Re Demone ed il suo Primo Cavaliere ma era strano sentire la versione reale raccontata dal loro unico figlio.

“Vostro padre è un uomo di grande valore,” disse Tadashi con fare insicuro. “Le sue imprese parlano per lui. Perchè le sue origini dovrebbero avere importanza?”

“Appunto.” Disse Tobio, come se l’altro stesse parlando di una cosa ovvia. “Non si può dare valore a qualcuno per un titolo che ha ereditato. Il valore sono le imprese a deciderlo.”

Tadashi sbattè le palpebre un paio di volte.

Perchè il Principe Demone parlava con lui con tanta naturalezza? Forse lo faceva perchè Shouyou doveva aver parlato di lui e Kei come due amici, due pari, ma la realtà dei fatti era molto diversa.

“Era per questo che piangevi?” Domandò Tobio goffamente.

Fu allora che Tadashi si accorse che l’altro era ancor più in difficoltà di lui. “No,” rispose ed il sorriso che comparve sulle sue labbra fu un poco più sincero. “Ma sto molto meglio, grazie.”

Il Principe Demone annuì. “Bene…” Le sue guance si erano colorate appena. “Vado da...” Indicò la porta chiusa della camera di Shouyou.

Tadashi annuì e lo guardò entrare nella stanza adiacente. Non appena fu di nuovo solo, smise di sorridere.

Lui e il Principe Demone si erano mai parlati prima di allora? Non ne era sicuro, di certo non avevano mai avuto una conversazione vera e propria.

Tadashi non aveva idea di chi era Tobio, si era limitato a pensare a quello che rappresentava in quel grande gioco tra Re e Principi. Aveva messo in guardia Shouyou fino ad esasperarlo da un fanciullo che non si era nemmeno disturbato a conoscere.

Tadashi chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli. “Che stupido…”




Tobio non fu sorpreso di trovare Shouyou in uno stato simile a quello della giovane guardia.

Il Principe dei Corvi non piangeva ma se ne stava seduto in fondo al suo letto con le ginocchia strette al petto e gli occhi d’ambra fissi di fronte a lui. Quando chiuse la porta, li spostò sui suoi.

“Ciao,” disse Tobio.

“Ciao,” rispose Shouyou, suonava sorpreso.

“Perchè mi guardi così?”

“Credevo fossi fuori.”

Tobio scrollò le spalle. “Sono rientrato.”

Shouyou notò l’arco appeso alla sua spalla. “Eri a caccia?” Domandò, contrariato.

Il Principe Demone sbuffò irritato. “Se sei arrabbiato, non prendertela con me.” Nonostante quelle parole, appoggiò l’arma e la faretra al bordo del letto e si sedette accanto all’altro fanciullo. “Perchè tu e la tua guardia avete litigato?”

Shouyou inarcò le sopracciglia, lanciò uno sguardo alla porta e poi tornò a fissare Tobio. “Hai parlato con Tadashi?”

“Stava piangendo. Credevo avesse bisogno di aiuto.”

“Piange ancora?” Domandò il Principe dei Corvi, preoccupato. Scivolò giù dal letto ed attraverso la stanza con pochi passi veloci. Sollevò la mano per abbassare la maniglia ma si bloccò prima di toccarla.

Tobio restò a guardarlo mentre ritraeva il braccio e rimaneva immobile davanti alla porta. “Vuoi restare lì come un idiota o fare qualcosa?” Domandò, annoiato.

Shouyou si voltò verso di lui: i grandi occhi color ambra erano lucidi per le lacrime. “Ricordi quando ti ho confidato che non sono nato per essere Re?” Domandò. “Mi hai risposto che non avevo altra scelta, ma che potevo esserlo a modo mio.”

Tobio annuì. “Sì,” confermò. “L’ho detto.”

Shouyou tirò su col naso. “Non credo di poterci riuscire.”

Lo sguardo di Tobio era fermo ma non gelido. “Perchè hai fatto piangere qualcuno che conosci fin da bambino?”

Il Principe dei Corvi aggrottò la fronte. “Lo dici come se fosse una cosa stupida…”

“Lo è,” confermò Tobio, alzandosi in piedi.

Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Ho usato il mio titolo per mettere a tacere un mio amico,” disse con voce tremante. “L’ho umiliato come se avessi il diritto di farlo.”

Tobio annuì. “Essere Re significa anche questo.”

“Ma io non voglio che sia così!” Esclamò Shouyou. “Non voglio essere quel genere di Re.”

“Non puoi essere nemmeno quello che sei ora ed indossare una corona.”

“Hai detto… Sei stato tu a dirmi che potevo esserlo a modo mio.”

“Puoi essere Re a modo tuo,” disse Tobio, arrivandogli davanti. “Ma prima devi esserlo. Piangere perchè ti sei reso conto di aver fatto un errore è da mocciosi, non da Re.”

Shouyou lo fissò. “Non capisco se stai giustificando il mio comportamento o il contrario.”

“Nessuna delle due cose,” replicò Tobio. “Ed entrambe.”

“Grazie!” Esclamò il Principe dei Corvi sarcastico. “Capire quello che pensi non è mai stato difficile per me, perchè rendermi le cose più semplici?”

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Un Re non può essere come tutti gli altri, Shouyou,” disse pazientemente. “Puoi avere una ristretta cerchia di persone a te leali e forse puoi chiamarli amici, ma non sarai mai uno di loro.”

Shouyou serrò i denti sul labbro inferiore, tremava. “Mi stai dicendo che sono condannato a restare da solo.”

Tobio scosse la testa. “Hai me, non sei solo.”

Gli occhi d’ambra si fecero enormi. “Come?”

Il Principe Demone lo guardò dritto negli occhi. “Nemmeno io sarò mai uno di loro,” disse. “Finchè sono qui, però, tu non hai nulla da temere.”

Shouyou strinse e distese le dita un paio di volte, riflettendo sulle parole giuste da dire. “Tu non sei come me,” disse. “Tu sei più potente.”

Fu il turno di Tobio d’inarcare le sopracciglia. “Che cosa stai dicendo, stupido?”

“La verità.” Shouyou si rese conto che lo era solo in quel momento. “Io sono il Principe di un piccolo Regno, tu sei il futuro signore di un impero, Tobio.”

“Seijou non è impero.”

“Hai capito che voglio dire!” Esclamò Shouyou frustrato. “Tadashi ha cercato di mettermi in guardia, sai? Per questo abbiamo litigato. Lui ha paura che tu possa usare il tuo potere per farmi del male ed io gli ho risposto che non mi hai mai dato ragione di dubitare di te.”

Quelle parole non sembrarono toccare Tobio in alcun modo. “Si preoccupa per te. È leale.”

“Questo lo so!” Esclamò Shouyou con rabbia.

“Adesso sei in collera con me?” Il viso del Principe Demone continuava ad essere calmo e così la sua voce. “La tua rabbia ti spaventa, non sei bravo a gestirla.”

“Detto da te, Tobio…”

“Perchè sei arrabbiato?”

Il Principe dei Corvi abbassò lo sguardo e si umettò le labbra, i pugni serrati. Non stava cercando le parole da dire ma, al contrario, i suoi pensieri erano così chiari che aveva timore a dargli voce. “Ha ragione?” Domandò Shouyou. “Potresti farmi del male?”

Il viso di Tobio era una maschera inespressiva. “Conosci già i nostri ruoli in questo gioco.”

“Non lo sto domandando al Principe Demone,” chiarì Shouyou. “Ma a te.”

Gli occhi blu di Tobio divennero un mare gelido. “Ti stai arrendendo?”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “Come?”

“Non è questa la nostra sfida?” Tobio si fece più vicino. “Ci tocchiamo e scappiamo. Lo facciamo per vedere fino a punto l’altro sarà disposto ad inseguirci, no? Perde il primo che si fa prendere.”

“Perde?” Ripeté Shouyou. “Sarebbe una sconfitta per te?” Scosse la testa. “Non importa. Non m’interessa perdere! Dimmi che ho ragione e che mi posso…” Si bloccò e per un attimo trattenne il respiro. Sollevò lo sguardo su Tobio e vide la delusione riflessa nei suoi occhi.

“Tu non ti fidi di me.” Concluse il Principe Demone.

Shouyou chiuse gli occhi per un istante. “Non è così.”

“Basta che un amico ti metta in guardia da me per farti dubitare.”

“Ma tu sei destinato a regnare su tutti i Regni liberi, Tobio. Io sono solo-”

“Tu sei le mie ali, Shouyou,” lo interruppe il Principe Demone. “Io non posso volare senza di te.”

Shouyou sgranò gli occhi per la sorpresa. “Lo dici come se fosse una confessione di debolezza,” gli fece notare.

Tobio annuì. “Lo so,” disse. “E, credimi, non piace per niente neanche a me.” Prese il mento del Principe dei Corvi tra le dita.

Shouyou dischiuse le labbra ma il respiro gli rimase bloccato in gola. Il cuore gli batteva velocissimo.

“Tuttavia,” aggiunse Tobio, “mio padre mi ha insegnato che ignorare le proprie debolezze è il primo passo verso l’autodistruzione. Per tanto…” Si chinò.

Shouyou chiuse gli occhi ed aspettò di ricevere quel secondo bacio a lungo rimandato. Tobio lo aveva raggiunto e questo significava che aveva perso la sfida, ma non gliene importava. Era le ali del Principe Demone, non esisteva titolo più bello. Per sua sfortuna, non vide il ghignetto trionfante sulle labbra dell’altro, sentì solo le sue dita che gli stritolavano le guance.

“La sfida non si è ancora conclusa.” Tobio lo lasciò andare e si fece indietro

Shouyou si massaggiò le guance. “Mi hai fatto male!” Esclamò, ma il Principe Demone lo aveva già superato per raggiungere la porta.

“Fa che sia una vera vittoria,” disse Tobio. “Continua a volare, ti prenderò prima o poi.” Se ne andò con quel sorrisetto vittorioso ancora sulle labbra.

“Come se io volessi farmi prendere da te!” Urlò il Principe dei Corvi alla porta chiusa.

Suo malgrado, gli angoli della sua bocca si sollevarono.



***



Alla fine, Hajime decise di non montare la tenda.

A Tooru piaceva dormire sotto le stelle ed era una notte meravigliosa, senza luna. La brezza estiva era come una ninna nanna silenziosa ed il Primo Cavaliere di Seijou sarebbe stato ben lieto di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare… Se solo il suo sovrano si fosse deciso a chiudere la bocca.

“Li dovremmo far sposare d’estate… No, in inverno!” Esclamò Tooru.

Hajime si rifiutò di aprire gli occhi. L’idiota poteva essere rumoroso quanto voleva ma non gli avrebbe dato corda, nemmeno se avesse cominciato a cantare e ballare su di un solo piede.

“Karasuno o Seijou?” Tooru si grattò il mento, osservando la volta celeste con aria pensierosa. “Politicamente parlando, Seijou sarebbe la scelta migliore ma Karasuno d’inverno è splendida, così magica!”

Hajime strinse i denti.

“Inutile sottolineare che Tobio indosserà il mio mantello da Principe,” aggiunse il Re Demone. “E la Corona Corvina... Anche se quando l’ho fatta provare a Shouyou gli stava d’incanto!”

Hajime spalancò gli occhi. “Che cosa hai fatto?” Urlò sollevandosi sui gomiti.

Tooru sobbalzò. “Non c’è bisogno di avere queste reazioni da bruto!” Si difese.

“Quel tesoro appartiene alla tua famiglia da…”

“Nessuno lo sa con esattezza. Fa parte del tesoro reale dall’era in cui la caccia ai draghi era ancora un’impresa comune… Anche se negli ultimi tempi sembra essere tornata di moda.”

“Non cambiare discorso, Tooru!”

Il Re Demone sospirò. “Che cosa c’è?” Domandò esasperato. “Non è un segreto che voglio Shouyou al fianco di Tobio.”

“Ma la Corona Corvina dovrebbe essere di nostro figlio, non sua!” Esclamò Hajime con rabbia.

Tooru allungò una mano e la batté un paio di volte sul braccio del Cavaliere. “Ho pensato a tutto,” lo rassicurò, facendogli l’occhiolino. “Non ho fatto venire a Seijou l’unica famiglia di fabbri capaci di gestire la carcassa di un drago per niente!”

Hajime si lasciò ricadere nel suo giaciglio. “Non so se voglio sapere…”

“C’è abbastanza pelle di drago per forgiare un’altra Corona Corvina!” Tooru batté le mani con aria sognante. “Pensa a quanto saranno splendidi, Hajime!”

Il Primo Cavaliere si coprì gli occhi con una mano. “Già…” Rispose stancamente.

“Ma prima ho dato ordine di lavorare alle armature per te e Tobio!”

“Le armature per me e Tobio,” ripeté Hajime senza riflettere. Quando lo fece, sollevò il palmo dal viso e tornò a guardare il Re Demone. “Che cosa hai detto?”

Tooru scrollò le spalle, gli occhi scuri fissi sulle stelle. “Nulla può penetrare la corazza di un drago, ricordi? Le antiche leggende parlano di Re con armature impossibili da scalfire e, visti gli ultimi avvenimenti, immagino ci sia qualcosa di vero in quelle storie.”

Il Primo Cavaliere era ancora perplesso. “Vuoi far costruire per me e Tobio delle armature indistruttibili?”

“Continuate a cacciarvi nei guai,” si giustificò Tooru. “Dovrò pur proteggervi in qualche modo.” L’allegria nella sua espressione scivolò via velocemente. “Non l’ho mai fatto, vero?”

Hajime si sollevò su di un gomito. “Lo hai fatto,” rispose.

Tooru allontanò lo sguardo dalle stesse per spostarlo sul viso del suo Cavaliere.

“Mi hai salvato da Wakatoshi,” gli ricordò. “Hai dato inizio alla guerra contro Shiratorizawa con la freccia che mi ha salvato la vita dalla sua spada.”

Le labbra del Cavaliere si piegarono in un sorriso nostalgico. “Mi hai fatto promettere di prendermi cura di nostro figlio mentre partivi a combattere una rivoluzione scoppiata a causa mia. Hai dato al Regno di Shiratorizawa un futuro perchè non minacciassero il nostro.”

Tooru abbassò lo sguardo. “Non credo di essere uscito vittorioso da quest’ultima impresa,” disse. “I sogni di Kenma non sono cambiati negli ultimi quindici anni. Quello che ho fatto, anche le azioni che ho compiuto per egoismo e sete di potere non hanno cambiato il destino di Tobio.”

“Solo perchè hai deciso di crederci,” disse Hajime.

Tooru gli rivolse una smorfia. “Una volta, poco dopo la nascita di Tobio, ho sognato che gli facevo del male,” confessò. “Tanto male,” aggiunse. “E tu ne facevi a me. Non è quello che è successo, Hajime? Non saresti disposto ad uccidermi per amore di Tobio?”

Il Primo Cavaliere lo fissò, gli occhi verdi resi più scuri da una verità di cui il Re Demone era perfettamente consapevole. “Piantala di dire sciocchezze,” disse a voce più bassa, girandosi su un fianco e dando le spalle al suo sovrano. “È inutile sprecare il fiato per cose che non accadranno mai.”

Tooru tornò a guardare le stelle con un sospiro. Il suo cuore non era sereno ma non poteva obiettare. “Hai ragione,” disse.

Per un po’ nessuno dei due parlò. Credendolo che il Re si fosse addormentato, Hajime chiuse gli occhi e lasciò che la stanchezza avesse la meglio.

Non ebbe il tempo di addormentarsi.

“C’erano le stelle anche quella notte, vero?” Domandò Tooru.

Hajime inspirò profondamente dal naso e si obbligò a fare a appello a tutta la sua pazienza. “Quale notte?”
“Che domande!” Tooru ridacchiò. “Quella notte.”

Troppo stanco per riflettere, Hajime si girò sul fianco opposto. “Parli della notte in cui abbiamo concepito Tobio?” Domandò.

Tooru si distese sull’addome tenendosi sollevato sui gomiti. “Non sei mai stato molto sveglio, mio Cavaliere.”
“Piantala…” Hajime voleva solo dormire, non rispolverare per l’ennesima volta vecchi ricordi. Aveva rivissuto ogni suo momento con Tooru ogni volta che aveva ripetuto a se stesso di odiarlo. Non era mai riuscito a convincersi. “Perchè mi hai tradito?”

Non glielo aveva mai domandato. Era sempre stato troppo orgoglioso per umiliarsi in quel modo, troppo arrabbiato per poter accettare qualsiasi giustificazione. Ogni volta che si erano fatti la guerra erano sempre finiti a parlare di altro: Tobio o il modo in cui Tooru aveva voltato le spalle a tutti i loro alleati per il potere.

Hajime non aveva mai portato alla luce la questione che più lo toccava da vicino, quella che lo aveva ferito come uomo. Era stato un codardo a sua volta.

Tooru aprì e chiuse le labbra un paio di volte. Frustrato con se stesso, si alzò in piedi. Prima che gli desse le spalle, il Primo Cavaliere ebbe il tempo di accorgersi che aveva gli occhi pieni di lacrime. “È finita da tempo, Hajime.”

“Ma è cominciata molto prima che io lo sapessi.” Replicò Hajime, sollevandosi dal giaciglio a sua volta.

Il Re Demone scosse la testa. “Era già finita tra noi.” La voce di Tooru tremava. “È finita quando sono partito con Wakatoshi dopo aver perso il nostro secondo figlio.”

“Io non mi ero ancora arreso con te.” Disse Hajime, i pugni serrati per la rabbia. “Io non avevo ancora scritto la parola fine.”

Tooru si voltò lentamente. “Io ti avevo già tradito, Hajime. Non c’era modo di rimettere insieme i pezzi, avevo già distrutto ogni cosa.”

“E questo l’hai deciso da solo?”

Il Re Demone sorrise beffardo. “Oh, no, non lo fare…”

“Fare che cosa?”
“Ripensare a tutto col senno di poi! Non mi avresti mai perdonato. Mai.”

Hajime si fece più vicino. “Non mettermi in bocca parole che-”

“Puoi perdonarmi ora?” Domandò Tooru diretto. “Puoi accettare quello che è successo e continuare ad amarmi?”

Fu il turno di Hajime di non sapere come rispondere.

Tooru sorrise con amarezza. “Eccola la parola fine, Hajime.” Lo superò. Aveva bisogno di prendere le distanze.

Hajime non gli permise di andare troppo lontano.

Sentendosi afferrare, Tooru si voltò. “Hajim-”

Il Cavaliere lo costrinse con la schiena contro il tronco di un albero e non si disturbò ad essere gentile nel farlo.

“Hajime!” Il Re Demone lo guardò irato ma il suo sguardo non era paragonabile a quello del Primo Cavaliere di Seijou.

“Ti ho già detto,” disse Hajime con la voce tremante per la rabbia, “di non mettermi in bocca parole che non ho mai detto.” Lo baciò.

Tooru congelò.

Fu un’esitazione lunga un battito di cuore.



***



Shouyou non era sicuro che tutte quelle attenzioni fossero necessarie per un Principe ma dopo quello che era successo, l’idea di mandare via Tadashi non lo aveva nemmeno sfiorato.

Le persiane della sua stanza erano rimaste chiuse per tutto il giorno ma i vetri delle finestre erano aperti. Shouyou poteva sentire le voci della folla festante che si era radunata nel cortile interno. La musica non era ancora cominciata.

“Mi è venuta questa idea per caso,” confessò la giovane guardia, spazzolandogli i capelli con cura. “Ho pensato che sarebbe stato carino fare qualcosa di diverso.”

Shouyou continuò a fissare il proprio riflesso nello specchio, mentre Tadashi appoggiava la spazzola sul tavolo da toeletta e recuperava il nastro nero che vi aveva appoggiato prima di far accomodare il suo giovane signora.

Il Principe dei Corvi non ebbe alcuna reazione, la mente impegnata a cercare le parole giuste per farsi perdonare. Sapeva che non ce ne era bisogno, che Tadashi avrebbe dimenticato tutto con semplice scusami, non volevo ferirti.

Shouyou, però, non si accontentava. Prima di allora, non aveva mai ferito un suo amico intenzionalmente e non aveva mai abusato del suo titolo per far del male a qualcuno senza temere le conseguenze.

Non voleva che accadesse mai più.

“Ecco fatto!” Esclamò Tadashi con un’allegria che non raggiunse i suoi occhi.

Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte e pose di nuovo attenzione al suo riflesso: l’amico gli aveva legato i capelli all’indietro in modo che solo le ciocche più corte gli incorniciassero il viso. Reclinò la testa da un lato e studiò la sua immagine come se non l’avesse mai vista prima.

“Sembro più grande.” Un commentò mormorato. Sembrava più molte cose.

Più elegante. Più nobile. Ancor più indegno dell’amicizia dell’altro fanciullo.

Tadashi gli strinse le spalle. “Stai benissimo.” Lo lasciò andare e si voltò. “A Tobio piacerà.” Si apprestò a mettere a posto il letto e ripiegare i vestiti che vi aveva buttato sopra, alla ricerca di qualcosa di consono da far indossare al suo Principe.

Shouyou si voltò. “Avete parlato?” Era la prima volta che diceva una parola da quando Tadashi era entrato nella sua camera per aiutarlo a vestirsi.

L’altro annuì senza guardarlo negli occhi. “Abbiamo avuto una piacevole conversazione.”

Piacevole?” Domandò Shouyou con poca convinzione. “Non riesco ad immaginare una conversazione con Tobio che sia piacevole.”

Tadashi ridacchiò e gli angoli della bocca del Principe si sollevarono un poco. “Se è stato piacevole con te,” aggiunse quest’ultimo. “Immagino di essere io quello sbagliato.”

“Tu sei speciale,” lo corresse Tadashi, lanciandogli un’occhiata veloce da sopra la spalla. “Quando è con te, il Principe Demone è se stesso.”

Shouyou corrugò la fronte. “Ha davvero fatto un’impressione così buona?”

Tadashi non rispose immediatamente ma si avvicinò all’armadio e ripose con cura gli abiti perfettamente ripiegati. “Ho commesso un errore,” disse, il capo chino. “Ti chiedo perdono.”

Shouyou scosse la testa velocemente e si alzò dal suo posto di fronte allo specchio. “Non sei tu che devi chiedere scusa,” disse. “Stavi cercando di proteggermi.”

“Da qualcuno che ti sta già proteggendo.” Tadashi si voltò lentamente, un sorriso malinconico sulle labbra. “Ho lasciato che la fama del Principe Demone offuscasse il mio giudizio. Dovevo avere fiducia nel mio signore e sapere che tu non ti saresti mai messo nelle mani di qualcuno indegno della tua fiducia.”

Shouyou accennò un sorriso. “Sì…” Ammise. “Mi piacerebbe ricevere un po’ di fiducia. So che non faccio molto per guadagnarmela ma…” Prese a torcersi le dita con nervosismo. “Un giorno diverrò Re,” aggiunse con risolutezza. “Voglio essere degno del titolo che porto, non abusarne.”

Tadashi scosse la testa. “Ho cominciato io.”

“E io ho concluso.” Shouyou si fece più vicino. “Non giustificarmi.”

“Hai detto solo la verità riguardo a Kei.” Tadashi abbassò lo sguardo. “Io, invece, ho giudicato il tuo Principe senza conoscerlo.”

Il Principe dei Corvi prese a scuotere la testa velocemente, le guance rosse. “No! No! No! Tobio non è mio, noi… Noi…”

“Noi siamo in ritardo,” concluse Tadashi, aggiustando una ciocca di capelli del Principe finita fuori posto. “Non preoccuparti, Shouyou, non c’è nulla da perdonare.”

Gli angoli della bocca del Principe dei Corvi si sollevarono e gli occhi color ambra tornarono a brillare della loro solita luce.

“Vieni!” Shouyou afferrò la mano dell’amico. “Sto morendo di fame e non voglio perdermi l’inizio della musica!”

Tadashi per poco non inciampò sui propri piedi. “Shouyou, non correre!”

Il Principe ridacchiò. “Lo hai detto tu che non dobbiamo fare tardi!” Allungò la mano verso la maniglia della porta ma non fece in tempo ad afferrarla.

Kei aprì la porta appena in tempo per colpire Shouyou dritto in faccia. “Ma che diavolo…?”

“Ahi!” Piagnucolò il Principe dei Corvi con voce stridula. “Che dolore!”

“Non nasconderti dietro alle porte chiuse,” disse il Cavaliere. “E smettila di urlare!”

Pur avendo le lacrime agli occhi, Shouyou sollevò il pugno destro con fare minaccioso.

Fu Tadashi a placarlo. “Fammi vedere.” Prese il viso del Principe tra le mani e lo esaminò con cura. Sospirò. “Hai solo un segno rosso sulla fronte e sta andando via.”

Shouyou guardò Kei di traverso continuando a massaggiarsi il punto leso.

Il Cavaliere lo squadrò da capo a piedi con un sopracciglio inarcato. “Come ti sei conciato?” Domandò con un ghignetto divertito.

Shouyou arrossì fino alla punta delle orecchie ed abbassò lo sguardo.

“No!” Esclamò Tadashi, afferrando il mento del Principe e costringendolo a guardarlo negli occhi. “Non rovinare il mio lavoro!”

Kei sgranò gli occhi. “È stata una tua idea?”

Fu il turno di Tadashi di arrossire. “Sta bene!” Si giustificò, strinse le spalle del suo Principe e lo invitò a guardare in faccia il Cavaliere. “Digli che sta bene!”

Se Shouyou avesse potuto penetrarlo con uno sguardo, lo avrebbe fatto dritto al cuore ma non era nulla a cui Kei non fosse abituato. “Sembra che stia per azzannarmi.” Commentò. “Incantevole…”

Shouyou gonfiò le guance. “Al diavolo!” Esclamò e marciò fuori dalla camera.

Kei lo guardò scomparire oltre la porta, poi sbuffò annoiato e tornò a guardare il fanciullo con cui condivideva quella tediosa pena. Tadashi aveva le braccia incrociate contro il petto e l’espressione contrariata.

“Che cosa c’è?” Domandò il Cavaliere.

Tadashi scosse appena la testa. “Perchè fingi?”

“Cosa sto fingendo?”

“Che non ti piaccia, Kei.”

Il Cavaliere storse la bocca in una smorfia. “Lo hai fatto assomigliare ad un essere civilizzato, complimenti a te ma questo non cambia quello che è!”

Tadashi lo guardò fisso. “Ma come fai?”

Kei si passò una mano tra i capelli. “La serata è appena cominciata. È troppo presto per queste idiozie.” Fece per uscire dalla stanza, ma l’altro lo superò e si frappose tra di lui e la porta.

“Non riesco a capire se sei bravo a fingere o se sei tanto schiavo della noia da non capire quando provi qualcosa.” Tadashi strinse i pugni per la rabbia. “Non ti rendi conto di come lo guardi quando pensi che nessuno ti veda?”

Kei inarcò le sopracciglia. “Non stai dicendo quello che credo, vero?”

Gli occhi di Tadashi si riempirono di lacrime. “E ovviamente tu non mi prendi sul serio…” Mormorò con un amaro sorriso.

“Tadashi, hai passato settimane a delirare su un possibile legame tra Shouyou ed il Principe Demone ed ora sostieni che quello ad essere interessato al nostro piccolo idiota sia io?”

Tadashi abbassò lo sguardo. “Shouyou è come il sole,” disse. “Ignorarlo è impossibile persino per te. Un dettaglio del genere non può esserti indifferente.”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Mi auguro che tutta questa storia si riveli presto per il disastro che è,” si massaggiò la fronte, “così potremo tutti tornare a casa e dimenticarci di quest’estate.”

Tadashi si umettò le labbra. “Ti sbagli,” mormorò. “Quest’estate è stata solo l’inizio.”

“Di cosa?” Domandò Kei esasperato.

Tadashi scosse di nuovo la testa. “È chiaro come il sole, Kei,” disse. “Quando deciderai di vederlo, allora lo capirai.”




***



Hajime non la ricordava l’ultima volta che aveva davvero guardato le stelle.

Quando Tobio era piccolo, solevano farlo tutti e tre insieme, distesi su vecchie coperte e circondati dalle spighe di grano. Tooru parlava per tutto il tempo, raccontando storie di leggendari popoli che vivevano tra le stelle e Tobio non mancava mai di ascoltarlo incantato.

Perchè non ricordava l’ultima volta che avevano vissuto un momento come quello? Perchè aveva dato tutto per scontato?

“Ehi…”

Tooru era steso accanto a lui. Non erano abbracciati ma le loro spalle si toccavano e le loro dita erano intrecciate sotto le coperte. Hajime pensò che era la posizione in cui erano soliti dormire da bambini, quando ancora l’amore tra loro era privo di condizioni.

“Stai bene?” Domandò Tooru.

Un sorriso nostalgico comparve sulle labbra di Hajime. “Questo dovrei chiederlo io a te.”

La stessa espressione comparve sul volto del Re. “Abbiamo già avuto questa conversazione, Hajime. Tanto, tanto tempo fa…”

Il Cavaliere si coprì il viso con il braccio. “Mi fai sentire vecchio.”

Tooru si mosse tra le coperte, posò un bacio tra i capelli dell’altro. “Non lo sei,” mormorò. “Credimi, non lo sei…”

Il petto di Hajime vibrò per una risata mal trattenuta. “Potrei montarmi la testa.”

Tooru appoggiò la nuca alla sua spalla e rivolse gli occhi alle stelle. Il Cavaliere gli circondò le spalle con un braccio pigramente, un’abitudine consolidata in anni passati a dormire l’uno accanto all’altro.

“Hajime…”

“Uhm?”

“Hai passato la notte scorsa con la padrona della locanda, vero?”

Il Cavaliere sollevò il braccio ed abbassò gli occhi verdi, ma Tooru non lo guardava. La sua espressione era serena, come se non avesse nominato un’altra donna subito dopo aver fatto l’amore con lui.

“Tooru, io-”

“Non devi giustificarti,” lo interruppe Tooru, sollevando gli occhi scuri. “Abbi rispetto per entrambi e non lo fare.”

Hajime chiuse la bocca ma non c’era più serenità nel silenzio che seguì. “Ho mentito…”

“Non sei stato il primo a farlo, Hajime.”

“Ho deciso di lasciarti da solo ad aspettarmi,” proseguì il Cavaliere. “Volevo punirti. Volevo che tu mi aspettassi mentre io ero con qualcun altro.” Lasciò andare un risata nervosa, coprendosi gli occhi con una mano. “Ridicolo… Ho perso il potere di ferirti da tanto tempo.”

“È l’esatto contrario, Hajime,” obiettò Tooru. “Quello di ferici è stato l’unico potere che abbiamo avuto l’uno sull’altro per tanto tempo.”

Hajime prese un respiro profondo. Si sentiva come alla fine di una lunga e faticosa corsa sotto il sole, il cuore batteva alla stessa velocità. “Tu sei tutta la mia vita, Tooru,” confessò. “Non è una frase struggente, solo la realtà dei fatti. Non ho ricordi di quello che c’è stato prima di te. Non posso immaginare un futuro in cui tu non ci sei. Non posso sostituirti, non posso dimenticarti. Ci ho provato per tanto tempo e quando mi sono risvegliato accanto a qualcuno che non eri tu, ho capito qual è l’unica cosa che posso fare… La sola che non mai tentato.”

Tooru continuò a guardare le stelle. “E quale sarebbe?”

“Dirti addio,” rispose Hajime. “Ho cercato di andare avanti con il rancora, uccidendo il ricordo di noi. Volevo scrivere la parola fine a tutti i costi e questo non faceva che legarmi a te con una corda che mi stringeva la gola.”

“E un addio non è una fine?”

“No. È un punto e a capo.”

Tooru sollevò lo sguardo, un sorriso amaro sulle labbra. “Non puoi uccidere il ricordo di me ed andare avanti,” mormorò. “Ti serviva qualcosa che ti ricordasse che quel ricordo è reale.”

Hajime annuì.

“Ora puoi lasciarmi andare,” concluse il Re Demone. “E tu puoi proseguire sulla tua strada… Ma dove ti porterà?”

“Da qualche parte,” lo rassicuro Hajime. “Ma non lontano. Non sarò mai troppo lontano, Tooru.”

“E se la strada che hai scelto ci facesse incontrare di nuovo?” Domandò Tooru, sollevando gli occhi scuri verso le stelle.

Hajime fece lo stesso. “Potrebbe…” Ammise. “Ma non ancora...”

Tooru accettò la volontà dal suo Cavaliere con un sorriso triste ma consapevole. “Va bene. Non ancora…”

Poteva aspettare.




***



Il cortile interno della tenuta era un trionfo di luci e colori.

Le bandierine colorate non potevano competere con gli arazzi del Castello Nero, i musicisti erano solo contadini con una gran voglia di divertirsi e far divertire ed i lunghi tavoli di legno erano tutto meno che eleganti. Tuttavia, Tobio si sentiva più a suo agio in quell’ambiente che in uno dei saloni dalle mura di pietra in cui era cresciuto.

Le feste non erano mai state una sua priorità, le aveva sempre vissute come un dovere e non gli piaceva essere a stretto contatto con troppe persone. In campagna, però, nessuno pretendeva che fosse al centro dell’attenzione.

Tutti si divertivano spontaneamente e non era necessario che l’erede al trono dirigesse tutto ad arte. Tobio non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. Tooru era l’esperto, non lui.

“Ehi, ragazzino!”

Seduti dal lato opposto del cortile, Issei e Takahiro si erano alzati in piedi per fargli cenno di avvicinarsi. Testuro, Koutaro e le loro famiglie erano seduti allo stesso tavolo ma non lo guardavano, troppo impegnati a rivedere tutte le fasi di qualunque progetto diabolico avessero in serbo per la serata.

Con le braccia incrociate contro il petto, Tobio si limitò a scuotere la testa: una strana sensazione gli chiudeva lo stomaco ed era troppo impegnato a duellare con i suoi pensieri per intavolare una conversazione, seppur allegra, con chiunque.

Shouyou non era ancora sceso e questo lo rendeva irrequieto. Lanciò un’occhiata alle persiane chiuse della sua stanza. Forse stava parlando con quel suo amico – il suo nome era Tadashi?

Forse stava ripensando alle confessioni di debolezza che si erano scambiati.

Tobio sollevò l’angolo destro della bocca in una smorfia poco convinta: se quello era il loro modo di fare chiarezza sui sentimento che provavano l’uno per l’altro, dubitava che li avrebbe portati da qualche parte.

Giocare a rincorrersi era stato un modo per prendere tempo, ma Shouyou si sarebbe lasciato baciare senza temere le conseguenze. Lo avrebbe lasciato vincere quella loro sciocca sfida senza remore.

La beffa di tutta quella storia era che Tobio ne sarebbe uscito sconfitto proprio per quella ragione.

Shouyou aveva riconosciuto in lui una minaccia, aveva visto nel suo potere politico qualcosa da temere e, nonostante tutto, gli avrebbe permesso di baciarlo.

Tobio non aveva saputo dimostrare lo stesso coraggio. C’erano due ali corvine nei pensieri del Principe Demone e l’immagine di un orizzonte sconfinato verso cui sarebbero potute volare, con o senza di lui.

Alla fine, la mente di Tobio ruotava intorno alla stessa, spinosa conclusione: baciare Shouyou era un rischio. Poteva avere il coraggio di accettarlo o allontanarlo da sè definitivamente, privandosi di tutto ciò che il Principe dei Corvi gli aveva dato.

Cosa? Domandò una voce nella sua testa. Che cosa ti ha dato Shouyou?

“Che cosa stai facendo qui?”

Tobio sobbalzò e lanciò un’occhiata raggelante al giovane che era comparso al suo fianco interrompendo la linea dei suoi pensieri. “Che cosa vuoi?” Ringhiò.

Tsutomu si alterò immediatamente. “Ehi! Non mi sembra di averti mancato di rispetto!”

Tobio sospirò e tornò a rivolgere il suo sguardo alla folla festante. “Dov’è il tuo Cavaliere?” Domandò.

“A nascondersi,” disse Tsutomu con fare altezzoso. “Non se la sente di affrontare gli uomini di tuo padre. Che assurdità!”

Tobio lanciò un’altra occhiata agli uomini in questione: Tetsuro e Koutaro erano saliti sulla panca a cantare con due calici di vino in mano, mentre Takahiro ed Issei li incitavano dal basso.

Sospirò. “Non credo che il tuo Cavaliere li tema,” disse con fare annoiato. “Forse vuole risparmiarsi qualche idiozia.”

Tsutomu seguì la linea del suo sguardo e strabuzzò gli occhi scandalizzato. “Certe cose non succedono mai a Shiratorizawa.”

“Appunto…” Aggiunse Tobio. Non si era mai interessato molto alle assurdità della cerchia di fedelissimi di suo padre, ma ora che il Primo Cavaliere non era nei paraggi, il Principe di sentiva in dovere di fare qualcosa… Anche di violento se necessario.

Tsutomu, però, sembrava uscito allo scoperto proprio per interrompere ogni sua idea sul nascere. “Il Principe dei Corvi?” Domandò innocentemente, guardandosi intorno.

Tobio lo trafisse con lo sguardo. “Perchè t’interessa?”

“Perchè me lo chiedi come se ti avessi puntato una lama alla gola?”

“Perchè è una domanda irritante!”

“Sono solo sorpreso di non trovartelo attaccato al cu-”

“Shouyou!” Tuonarono all’unisono diverse voci tutte insieme.

I due Principe vennero presi tanto di sorpreso che sbatterono la nuca contro il muro alle loro spalle. Consapevoli di aver fatto la figura di due idioti ma troppo orgogliosi per ammetterlo, sopportarono il dolore in silenzio.

Il Principe dei Corvi aveva fatto la sua entrata in scena in silenzio, accompagnato dal suo servo e dal Cavaliere responsabile della sua sicurezza. Nel vederlo, però, Koutaro e Tetsuro non avevano potuto evitare di urlare il suo nome a squarciagola.

Il viso del povero Shouyou era rosso per l’imbarazzo e le sue labbra erano piegate in un sorriso nervoso. Tadashi versava nel medesimo stato, mentre Kei aveva l’aria distrutta di qualcuno che sarebbe volentieri fuggito altrove.

Tobio, però, non prestò particolare attenzione a quei due. Shouyou aveva tutta la sua attenzione.

“Si è legato i capelli?” Domandò Tsutomu, sporgendosi un poco verso di lui.

Tobio annuì distrattamente. “Sembra diverso…” Commentò. Un pensiero ad alta voce.

Il Principe dell’Aquila alzò gli occhi al cielo. “Perchè si è legato i capelli!”

Tobio lo guardò di traverso. “Non intendevo quello!”

L’altro scrollò le spalle. “Mah… Chi ti capisce è bravo!”

Glielo diceva sempre anche Shouyou, eppure lui ci riusciva. Non sempre e non alla perfezione, ma era in grado di farlo quando Tobio ne aveva più bisogno. Lo aveva fatto dopo il loro primo bacio e non aveva mai smesso d’allora.

Sì, quel gioco a rincorrersi era stato solo una scusa per lui, per il Principe Demone.

Shouyou non aveva mai avuto bisogno di prenderlo: lo teneva stretto in pugno da prima che lo baciasse.

Tobio aveva perso quella stupida sfida fin dal principio ed il suo orgoglio glielo faceva realizzare solo in quel momento. Sì, Shouyou aveva vinto. Tobio poteva accettarlo, oppure scappare.

“Ti sei di nuovo perso nella sua testa?” Domandò Tsutomu.

Tobio sbuffò: possibile che non riuscisse a chiudere la bocca?

“Tsutomu, se cerchi compagnia…”

“Credo ti stia cercando,” lo interruppe il Principe dell’Aquila.

Gli occhi blu di Tobio si spostarono su Shouyou: si era seduto alla stessa tavola degli amici di suo padre e tutti si stavano adoperando per riempirgli il piatto, ma lui continuava a guardarsi intorno.

Il Principe Demone premette la schiena contro la parete e tentò di farsi piccolo piccolo.

Tsutomu lo guardò confuso. “Non vai da lui?”

“Sta cenando…”

“Non ceni con lui?”

“Tsutomu!”

“Ti stai comportando come un idiota!”

Tobio non aveva il dovere di giustificare le sue azioni a lui, così rimase in silenzio ad osservare Shouyou per il resto della cena. Il Principe dell’Aquila continuò a borbottare idiozie ma evitò di dargli corda.

Shouyou sorrideva con gentilezza e parlava con tutti i Cavalieri. Di tanto in tanto, alcune espressioni esagerate gli animavano il viso, oppure scoppiare a ridere e s’illuminava tutto. Era una sua prerogativa. Le sue ali potevano essere più nere della notte, ma aveva il sole dentro e quella luce si rifletteva nei suoi occhi, prendeva forma nel suono della sua risata o nel modo in cui non riusciva a stare mai fermo per più di un minuto.

Shouyou era fuoco, così come lo era stato Tooru.

Quel paragone colpì Tobio dove più faceva male. Non era la prima volta che nella sua mente l’immagine del Re Demone si sovrapponeva a quella del Principe dei Corvi, ma era un confronto che la spaventava ed alimentava tutte le sue incertezze riguardo i suoi sentimenti.

Poteva dare il suo cuore a qualcuno che gli ricordava tanto la prima persona che gli aveva fatto del male?

Tobio non si rispose. La serata andò avanti velocemente e prima che potesse domandarsi da quanto tempo era lì in piedi come un idiota, tutti cominciarono ad alzarsi dai propri posti per spostare i tavoli e creare uno spiazzo al centro del cortile.

“Oh, finalmente iniziano le danze!” Esclamò Tsutomu.

Tobio lo guardò confuso. “Non ti ho mai visto ballare.”

“Perchè non ballo!”

“Allora perchè t’interessano le danze?”

“Andiamo, Tobio, guardati intorno!” Esclamò il Principe dell’Aquila. “Sono tutti o troppo ubriachi o troppo allegri. È solo questione di tempo prima che qualcuno renda questa serata memorabile!”

Il Principe Demone era sinceramente sorpreso dal concetto di divertimento dell’erede al trono di Shiratorizawa ma non disse nulla a proposito. In fin dei conti, quelli che sarebbero dovuti essere i veterani del loro esercito erano i primi a voler vedere i Cavalieri più giovane imabarazzare loro stessi.

I primi spettacoli si svolsero su di un tavolo vicino al portone d’entrata. Yuutaro vi era salito sopra, il viso paonazzo per il troppo vino bevuto ed un mestolo stretto nella mano destra. Tobio non aveva la minima idea di quello che stava dicendo ma agitava l’utensile da cucina come se fosse una spada e sembrava si stesse commuovendo per il suo stesso discorso.

“Ridicolo…” Commentò con un sospiro. Per fortuna del giovane e della reputazione dei nobili Demone di Seijou, Akira intervenne per farlo scendere.

“Non vedo più Shouyou,” disse Tsutomu allungando il collo.

Tobio lo cercò tra la folla. “È un nanerottolo. Sparisce facilmente…”

Tsutomu ridacchiò. “In guerra potrebbe commettere stragi così.”

Il Principe Demone lo guardò come se avesse detto una blasfemia.

“Che cosa c’è?” Domandò il più giovane. “Sarà Re, potrebbe combattere su di un vero campo di battaglia un giorno.”

Potrebbe,” sottolineò Tobio.

Tsutomu lo guardò con attenzione. “Gli insegni a combattere ma non vuoi che lo faccia.”

“Gli insegno a combattere perchè è giusto che sappia difendersi,” ribatté Tobio. “Non può dipendere sempre dalla protezione degli altri.”

“Non ha molto seno che tu dica questo se non vuoi che combatta le sue battaglie.”

“Shouyou non avrà mai battaglie sue,” replicò Tobio. “Non come le intendiamo io e te.”

Il Principe dei Corvi era tante cose e poteva divenirne molte altre ma non era una creatura nata per la guerra. Tobio non ci teneva che lo diventasse. La guerra aveva effetti imprevisti sulle persone e non voleva sapere che aspetto avrebbero assunto addosso a Shouyou.

Gli era bastato dare un’occhiata al modo in cui la rabbia illuminava i suoi occhi.

Tsutomu continuava a studiarlo. “Vuoi essere il suo Cavaliere?” Domandò ingenuamente. “Vuoi combattere le sue battaglie come tuo padre ha fatto col Re Demone?”

Era un paragone assurdo.

Tooru non aveva mai permesso a nessuno di prendersi le sue vittorie, nemmeno al sangue del suo sangue.

“Posso combattere con lui,” replicò Tobio senza riflettere. Lo fece dopo aver parlato. “Posso combattere con lui…” Ripetè.

Era semplice, quasi banale. Era un pensiero che non lo aveva mai sfiorato.

Shouyou temeva il potere del Principe Demone e Tobio temeva la possibilità di vedersi strappare via le sue ali da chi gliele aveva concesse. Fino a quel momento, Tobio non aveva fatto altro che pensare a quelle due debolezze separatamente. Sommandole, invece…

“Ignorare le proprie debolezze è il primo passo verso l’autodistruzione,” recitò l’insegnamento di suo padre a memoria. “Accettarle è il primo passo per crescere…”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Stai pensando ad alta voce?”

Tobio lo ignorò.

Shouyou comparve a lato della pista da ballo improvvisata. Lo vide mentre trascinava un imbarazzatissimo Tadashi ed un annoiato Kei al centro della folla danzante.

I due se ne rimasero immobili, completamente inibiti.

Shouyou no, lui prese a ballare come gli veniva, seguendo un ritmo tutto suo.

“È completamente impazzito?” Domandò Tsutomu.

“Gli piace danzare,” rispose Tobio distrattamente, incapace di staccare gli occhi dal Principe dei Corvi.

“Ti sembra danzare quello?” Obiettò l’erede al trono di Shiratorizawa.

Tobio non si disturbò a prestargli ulteriore attenzione. Shouyou fece una piroetta su se stesso ed i loro occhi s’incrociarono. Così, per caso…

Le iridi d’ambra che lo avevano cercato per tutta la sera s’incatenarono alle sue e Tobio smise di nascondersi.

Le labbra di Shouyou si piegarono nello stesso sorriso che il Principe Demone aveva visto tante volte sul viso di Tooru mentre guardava suo padre.

Quel ricordo non lo spaventò. La loro era un’altra storia.

Mentre si staccava dalla parete, Tsutomu gli chiese dove stava andando. Tobio non gli rispose e si fece strada tra i Cavalieri che s’improvvisavano ballerini con le fanciulle di campagna.

Occupato a convincere Kei a fare qualche passo di danza, Tadashi non si accorse che si avvicinava.

Il sorriso di Shouyou, invece, si fece ancor più dolce. “Sei ritar-” Cercò di dirgli, ma il modo in cui Tobio gli prese il viso tra le mani lo zittì.

“Sì,” disse il Principe Demone. “Sì, sono in ritardo.” E non aveva intenzione di perdere un respiro di più.

Le labbra di Tobio aderirono alle sue e Shouyou riprese a respirare. Non sapeva quando aveva smesso di farlo. Forse era rimasto col fiato sospeso dalla notte del loro primo bacio, aspettando che l’altro si decidesse a capire per che cosa batteva il suo cuore.

Non aveva importanza, ogni minuto di attesa era valso quel momento.

Il loro secondo bacio fu perfetto.

Shouyou sorrise contro le labbra di Tobio, si aggrappò a lui e si sollevò sulle punte per averlo più vicino. Le dita del Principe Demone s’infilarono tra i suoi capelli ed il nastro nero che li legava cadde a terra.

Quando si separarono, Tobio appoggiò la fronte alla sua, gli occhi ancora chiusi.

Shouyou gli circondò il collo con le braccia. “Sei riuscito ad afferrarmi, Sir Cacciatore.”

Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Sei tu l’idiota che è volato verso di me.” Nonostante l’insulto, il tono della sua voce era gentile.

Shouyou fece per baciarlo di nuovo, troppo felice per non vivere il momento fino in fondo. Tobio, però, si allontanò prima che ci riuscisse.

Entrambi si guardarono intorno: i musicisti avevano smesso di suonare e tutti si erano fermati a guardarli.

L’unico che sorrideva era Tadashi.

Kei, invece, sembrava alquanto confuso. “Che diavolo c’era in quel vino?” Domandò.

L’amico d’infanzia gli lanciò un’occhiata esasperata. “Kei…”

A bordo della pista da ballo, Aone sollevò entrambe le mani, pronto a battere l’una contro l’altra. Futakuchi gli afferrò il polso prima di ci provasse. “Giuro che se osi applaudire…” Lo minacciò con l’indice sollevato.

Ancora in piedi sul loro tavolo, i vecchi sovrani di Nekoma e Fukurodani non sapevano che dire o fare.

“Questo non era nei piani, Tetsuro,” mormorò Koutaro.

L’altro gli diede una pacca sulla spalla. “Lo so, amico. Lo so,” disse amaramente. “Le nuove generazioni sanno usare l’effetto sopresa meglio di noi. Ci stanno superando…”

Ancora seduto composto, Lev si guardò intorno spaesato. “Che cosa è successo?” Domandò allo zio. “Non ho visto! Mi sono perso qualcosa?”

Tetsuro sospirò. “Va bene. C’è ancora speranza per noi.”

Takahiro non la smetteva di prendere a pugni il braccio d’Issei. “Hai visto?” Chiese esaltato.

“Non credo ai miei occhi ma sì,” rispose l’altro.

“Sta accadendo tutto di nuovo!”

“E stavolta siamo abbastanza maturi da goderci tutte le fasi del delirio.”
“Oh, non riesco ad immaginare l’espressione di Hajime quando glielo racconteremo!”

“Che diavolo sta succedendo qui?!” Tuonò la voce del Primo Cavaliere di Seijou spezzando il silenzio.

Takahiro guardò Issei.

Issei guardò Takahiro. “Hai sentito anche tu?” Domandò quest’ultimo. L’altro annuì.

“Ho chiesto: che diavolo sta succedendo qui?” Ripetè la voce iraconda.

Gli occhi di tutti si spostarono dai due Principe all’ingresso del cortile.

Il portone era stato aperto e richiuso senza che nessuno se ne accorgesse ed il Re Demone aveva fatto capolino all’interno della tenuta in compagnia del Primo Cavaliere di Seijou, Generale degli eserciti reali, signore e padrone di tutti gli uomini che avevano lasciato il Castello Nero senza permesso e ora impegnati a festeggiare la fine dell’estate.

Dall’alto del suo tavolo, fu Koutaro a spezzare l’immobilità generale. “Ritirata!” Urlò, come se alle loro porte si fosse presentato un drago ancor più feroce di quello che aveva attaccato la corte di Seijou.

I Cavalieri non se lo fecero ripetere due volte e la folla cominciò a sparpagliarsi. Nel caos più totale, c’era chi rientrava nella tenuto e chi cercava rifugio altrove.

In un batter d’occhio, con la sola eccezione del Primo Cavaliere ed il Re Demone, il cortile era completamente vuoto.

Tooru guardò i tavoli di legno, le panche trabaltate e le bandierine colorate con un broncio contrariato. “Che cosa devo fare per avere anche io questo effetto sulla gente?”

Hajime lo guardò, la vena sulla sua tempia destra pulsava pericolosamente. “Non ti ci mettere anche tu,” lo avvisò.

Il Re Demone rabbrividì e prese ad annuire pateticamente. “Resterò muto come un pesce fino al Castello Nero,” promise.

Qualunque battaglia contro Hajime era già persa in partenza.

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Capitolo 38
*** Di nuove stagioni e altre fughe ***


Nota 1: la vecchia versione del capitolo 34 è stata cancellata e sostituita con quella che seguesegue. La prima parte del capitolo è rimasta pressoché invariata ma sono state aggiunte delle scene dove la versione precedente era stata interrotta. 
Nota 2: nell'ultima scena sono presenti riferimenti allo spin-off natalizio "Till my last breath" 

34


Di nuove stagioni e altre fughe








Nessuno aveva ancora parlato e il Primo Cavaliere di Seijou provava già un gran dolore alla testa. Si massaggiò il naso e prese un respiro profondo. “Tutto qui?”
Satori scrollò le spalle e la parodia di un’espressione amichevole comparve sul suo volto. “Tutto qui,” concluse il Cavaliere di Shiratorizawa, poi si guardò intorno. “Non avete ancora ristrutturato, vedo.”
Hajime lanciò un’occhiata veloce alla parete distrutta della sala del trono. “Risparmiami il sarcasmo, Satori,” lo avvisò. “Non sono dell’umore adatto.”
Satori annuì. “Posso capire,” disse. “Avete trascinato tutti i vostri uomini… No, l’intera corte del Castello Nero dalle campagne alla Capitale, dopo che questa si era data alla fuga sotto i vostri occhi sempre così attenti. È più che naturale che siate irritato, Hajime.”
Il Primo Cavaliere fece appello a tutto il suo autocontrollo e andò avanti. “In conclusione, tu e il tuo Principe siete qui perchè il ragazzo si sente solo a casa, nel Regno di Shiratorizawa?” Lanciò un’occhiata al fanciullo dai capelli corvini. Aveva tenuto lo sguardo basso per tutto il tempo e non aveva detto una parola.
“Esattamente, sir,” confermò Satori. “Immagino sappiate che il nostro Principe non è cresciuto a stretto contatto con giovani di rango inferiore al suo, a differenza di vostro figlio. Politiche interne del Castello Bianco che non ho il potere di cambiare ma che non ritengo completamente giuste.”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Sei il braccio destro del Re dell’Aquila… E smettila di darmi del voi, immagino che il ragazzo sia consapevole che non c’è alcun rispetto tra noi.”
Satori si portò una mano al petto. “Così mi ferisci, Hajime,” disse con fare drammatico. “In tutta onestà, non si può che provar rispetto per un Primo Cavaliere umano in un Regno di Demoni. Ai tempi in cui il tuo nome cominciava a essere conosciuto, si mormorava che ti fossi guadagnato i tuoi titoli alla vecchia maniera, ma le tue azioni hanno saputo mettere a tacere le male lingue alla svelta. Anche il mio Re ti vede come un degno avversario e sai che non è poco...”
Il modo in cui Wakatoshi lo riteneva un avversario era ben diverso da quello che Satori stava lasciando intendere. Lo sapeva. Lo sapevano entrambi, ma c’erano cose di cui non si poteva parlare esplicitamente davanti ai Principi.
Tsutomu pareva così piccolo con quel mantello violaceo sulle spalle e la sua sfrontata guardia del corpo accanto. Hajime provò tenerezza per lui: se era fragile come appariva, il nome di suo padre lo aveva già condannato. “Il piano del tuo Cavaliere ha dato i suoi frutti?” Domandò.
Tsutomu sollevò la testa di scatto e arrossì. “Come, sir?”
“I giovani di Seijou si sono dimostrati una buona compagnia?” Chiarì il Primo Cavaliere.
“Beh… Ecco…” Il Principe dell’Aquila aprì e chiuse la bocca un paio di volte.
Satori intervenne avvolgendogli un braccio intorno alle spalle. “È stata un’estate piena di emozioni per il mio giovane signore, Hajime,” rispose per il ragazzino. “Prima qui al Castello Nero, poi nelle campagne… Il piccolo Principe dei Corvi si è dimostrato davvero gentile con lui e sua altezza demoniaca l’ha portato a caccia con sè in più di un’occasione.”
Hajime aggrottò la fronte. “Tobio?” Era già difficile vedere suo figlio legarsi a Shouyou e convincersi che fosse vero, ma sapere che anche Tsutomu era entrato nella ristrettissima cerchia delle sue simpatie aveva dell’assurdo.
“Oh, sì!” Esclamò Satori con eccessivo entusiasmo. “I tre Principi hanno passato molto tempo insieme. Lo interpreto come un buon presagio. È positivo per il futuro di tutti che gli eredi delle tre monarchie principali di queste terre siano legati tra loro da qualcosa oltre la politica, non credi?”
Hajime non ne era così sicuro e dubitava che Satori credesse davvero a quello che stava dicendo. I giochi tra Principi e Re non finivano mai bene quando s’intrecciavano alle relazioni personali.
Il nome del piccolo Shouyou poteva non essere influente con due mostri come Seijou e Shiratorizawa a stabilire l’equilibrio del potere, ma Karasuno non poteva rimanere in disparte per sempre. Tooru aveva i suoi progetti e glieli aveva ripetuti fino alla nausea, ma Daichi non aveva ancora messo da parte le sue paure.
Shouyou era l’ultimo erede di un regno libero troppo piccolo per fare la differenza, ma che era come una nota stonata in una melodia che solo Tooru e Wakatoshi potevano comporre.
E come se non bastasse, il fanciullo era figlio di Koushi, che gli aveva passato l’unico potere di cui un consorte reale non poteva fare a meno.
Pur mettendo da parte tutta l’assurda storia di Tooru sui sogni, Hajime doveva ammettere che c’era qualcosa di predestinato nel futuro di Shouyou.
“Ne sono sollevato,” disse il Primo Cavaliere con voce incolore.
Satori annuì. “Le alleanze basate sull’amicizia sono le più durature.”
Hajime lo fissò, poi scosse la testa. “No,” replicò. “Sappiamo entrambi che le alleanze che hanno alla base qualcosa di personale sono le più pericolose.”
Satori si fece serio per un istante.
“Tuttavia…” Hajime esitò. “Sono contento che il Principe dell’Aquila abbia dei bei ricordi legati a Seijou e sono lieto di sentire che mio figlio è stato all’altezza del suo nome.”

Satori chinò il capo con rispetto e spinse Tsutomu a fare lo stesso. “Siamo noi a esservi grati per la vostra gentile ospitalità.”
“A proposito di questo…” Hajime si fece più vicino. “Posso essere informato sulla natura della tua prossima mossa, Satori?”
Il Cavaliere rise. “Me lo chiedi come se da me ti aspettassi solo i peggiori complotti!”
“Puoi biasimarmi?”
“Mio malgrado, no. Non temere, Primo Cavaliere, non ho intenzione d’imporre la mia presenza e quella del mio Principe qui alla vostra corte ancora a lungo.”
Hajime fu sollevato di sentirlo. “Posso fare qualcosa per voi?”
“Chiediamo solo due o tre giorni per recuperare le forze e prepararci per il viaggio di ritorno, se non è di troppo disturbo,” disse Satori, guardando il suo Principe. “Prima di fare ritorno al Castello Bianco, credo che Tsutomu voglia salutare i suoi amici come si deve.”
Hajime annuì distrattamente. “Pazientate alcuni minuti,” disse, superandoli. “Vi farò avere delle stanze.”
Fu imprudente da parte sua dare le spalle a una serpe come Satori. “Mi permetti di dirti che fare il padrone di casa in una sala del trono ti riesce incredibilmente bene, Hajime?”
Il Primo Cavaliere lo guardò. Non aveva alcuna intenzione di stare al suo gioco. “Parla chiaro o non parlare affatto, Satori.”
Tsutomu guardò la sua guardia del corpo con espressione perplessa. Non sapeva quando era cominciato, ma ebbe l’impressione che si stesse per svolgere un duello in quel salone.
Satori scrollò le spalle. “Niente, sono solo un nostalgico…” Disse. “Mi sono ricordato di quando i signori di questo castello erano due.”
Lo sguardo di Hajime si fece tagliente. “Non ho mai smesso di essere il Primo Cavaliere. Solo il Re Demone è sopra di me. Non sono le regole mie e di Tooru, ma quelle del mondo dei sovrani.”
Satori annuì. “Hai perfettamente ragione.”
Tsutomu non tolse gli occhi di dosso dal profilo del suo Cavaliere: era stato lui a gettare la spada a terra per primo e a dichiarare la resa, eppure teneva ancora la testa alta.
“Aspetteremo qui che vengano a portarci nelle nostre stanze,” aggiunse Satori.
Hajime annuì e scomparve oltre l’alto portone d’ingresso.
“Che cosa stavi facendo?” Domandò Tsutomu curioso.
Il Cavaliere lo guardò.
“Lo hai sfidato e ti sei nascosto…” Disse il Principe.
L’altro gli spettinò i capelli con fare paterno. “Sai perchè alcuni animali si fingono morti di fronte a un predatore, ragazzo mio?”
Tsutomu storse la bocca. “Perchè mi fai una domanda tanto stupida?”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Tipico del sangue di Wakatoshi,” disse, un poco esasperato. “Mai una volta che giochino di furbizia. Tieni a mente quello che hai appena visto, Tsutomu, perchè è una lezione che tuo padre non t’impartirà mai e un giorno potrebbe salvarti la vita.”
Tsutomu non comprese, ma rimase in silenzio.




***





Tooru non ebbe la reazione che Kenma si era aspettato.
Gli occhi scuri del Re Demone non s’incendiarono d’ira, nemmeno si alzò dalla sua scrivania. Si limitò ad abbassare lo sguardo per un istante, prese coscienza della situazione e annuì due volte. “Ho capito…”
In piedi al centro della stanza, Kenma ingoiò a vuoto. “Dovete perdonarmi, sire, ma-”
“No,” lo interruppe Tooru. “Non c’è alcun bisogno di chiedere scusa. Andava fatto. Se non mi avessi preceduto, lo avrei fatto io alla fine dell’estate.” Sollevò gli occhi su quelli del Mago. “Beh… L’estate è finita.”
Kenma inspirò profondamente dal naso. “Vi confesso che la mia è stata una scelta egoistica.” Come sempre, il suo tono non tradì alcuna emozione particolare.
Lo aveva cercato per raccontargli ogni cosa e tanto bastava a Tooru per sapere che parlare a due fanciulli della morte a cui erano destinati non gli aveva fatto piacere. “Quindi gli hai parlato dei tuoi sogni?”
“Sì, mio signore.”
“Tutti quanti?”
Kenma annuì. “Sia di quello che vede vostro figlio come il sovrano di tutti i regni liberi, sia…” Lasciò la frase sospesa. “Ho preferito non soffermarmi sui dettagli.”
Tooru annuì. “Comprendo.”
Kenma attese, ma il sovrano non aggiunse altro. Fu lui a incitarlo: “non volete sapere di più, Maestà?”
Tooru strofinò la nocca dell’indice contro le labbra distrattamente. “Sono rimasti insieme,” disse, sovrappensiero. “Sanno di essere l’uno la condanna dell’altro e sono rimasti insieme.”
“Il Principe Demone ha detto di rifiutarsi di basare le sue scelte su di un sogno che potrebbe non concretizzarsi mai.”
Tooru accennò un sorriso. “Il Principe Demone è figlio di suo padre.” Guardò il Mago. “Del piccolo Shouyou che mi dici?”
“Ha pianto,” raccontò Kenma. “L’ho spaventato…”
Tooru annuì di nuovo. “E sono ancora insieme…” Mormorò, poi rise. “Quanto mi manca la stupidità di quell’età.”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Pensavo che sareste stato felice di vederli insieme anche dopo la verità.”
“Lo sono,” confermò Tooru. “Solo che…” Si umettò le labbra. “Ci ho sperato tanto e ora mi sento sorpreso. Non riesco a capirmi.”
“Probabilmente fate fatica a credere che la il loro desiderio di restare insieme sia più grande della paura della morte.”
Tooru ridacchiò, sarcastico. “No, quello lo capisco perfettamente e tu dovresti saperlo.” Si sentì ridicolo ma senza cattiveria. “Forse faccio fatica a immaginare Tobio così appassionato. Il Principe Demone che non teme di sfidare il destino per restare con il suo Piccolo Corvo. Mi sono raccontato questa storia tante di quelle volte e Hajime mi ha ascoltato altrettante con aria così annoiata che alla fine ho smesso di crederci anche io.” Rilassò la schiena contro l’alto schienale della sua poltrona. “Eccoci qua,” mormorò con un sorrisetto compiaciuto dalle sfumature oscure. “È successo…”


***



Nessuno dei Cavalieri appartenenti alla cerchia dei fedelissimi del Generale Supremo aveva il permesso di lasciare il cortile interno del Castello Nero. I fanciulli potevano uscire, spostarsi sul piazzale esterno e arrivare alla scuderie. Ai veterani, invece, era stato detto che si sarebbero ritrovati con una scure sospesa sopra le loro teste se solo avessero osato guardare in direzione dei cancelli.
Non c’erano allenamenti in corso. Nessuno si era disturbato a indossare le protezioni per i duelli amichevoli. Gli uomini del Primo Cavaliere se ne stavano sparsi in tutto il cortile ad annoiarsi sotto il sole di fine settembre, i visi animati dalla stessa espressione corrucciata che avrebbe fatto un bambino costretto in punizione.
Seduto sulle scale che portavano alle mura di cinta, Koutaro sbuffò sonoramente. “Che noia!”
Per metà disteso sui gradini di pietra, Tetsuro scrollò le spalle. “Poteva andarci peggio.”
Koutaro gli lanciò un’occhiata perplessa da sopra la spalla. “In che modo poteva andarci peggio?”
“Potevamo perdere la testa,” buttò lì Takahiro, seduto all’ombra della logge insieme a Issei. “Non voglio più fare un viaggio come quello di ritorno dalle campagne. Non sono mai stato prigioniero di guerra, nemmeno quando il Castello Nero è stato assediato, ma fare la strada dalle compagne a qui…” Fece un gesto della mano come a dire che era meglio non parlarne.
“Quello che non capisco io è perchè Hajime ha deciso che giovani Cavalieri, tipo Lev, non hanno dovuto soffrire le conseguenze delle loro azioni,” disse Tetsuro.
“Beh… Sarebbe una cattiveria dare a Lev la responsabilità di qualsiasi cosa,” replicò Koutaro.
“E tutti i giovani Demoni?”
“Hanno genitori a cui il Primo Cavaliere non è andato contro,” intervenne Issei. “Ha lasciato a loro la libertà di decidere una punizione adeguata.”
Koutaro guardò la cima delle mura di cinta: poteva udire distintamente il frastuono provocato da tante giovani voci allegre. “A me non sembra stiano espiando come si deve…”
Tetsuro sorrise, diabolico. “Andiamo a rovinare loro la festa?” Propose.
Koutaro s’illuminò di colpo. “Che cosa hai in mente?”
“Di farsi uccidere?” Issei accennò un sorriso sarcastico. “Se uscite da quei cancelli, Hajime si dimenticherà del vostro vecchio titolo reale, della vostra amicizia e del fatto che vi deve la libertà.”
“Al contrario…” Takahiro ridacchiò. “Ve la restituirà in modo definitivo!”
Tetsuro si voltò verso la cima delle scale. “Ma noi non dobbiamo uscire dai cancelli per tediare i mocciosi che stanno giocando sotto queste mura.”
Koutaro sorrise entusiasta. “Raccogliamo tutte le pietre del cortile e saliamo!”
“Crudele,” disse Issei.
“Doloroso,” aggiunse Takahiro. “Anche un po’ vigliacco…”
Tetsuro li zittì con un seccato gesto della mano. “Impareranno che avere intorno a loro dei perfetti idioti non giustifica le loro idiozie.”
Koutaro sbatté le palpebre un paio di volte. “E questa quando l’hai pensata?”
“Sul momento, amico mio.”
I due si alzarono in piedi ma qualcosa salvò i poveri fanciulli fuori dalle mura dalla loro frustrazione.
“Oh, è vivo…” Commentò Issei dal nulla, guadagnandosi le occhiate perplesse dei suoi compagni. Bastò sollevare lo sguardo come lui per comprendere.
“Non solo è vivo,” disse Koutaro, incrociando le braccia contro il petto. “Si atteggia anche da Principe, guardatelo!”
Tetsuro lanciò all’amico un’occhiata eloquente. “Perchè è un Principe.”
Issei e Takahiro abbandonarono il fresco rifugio sotto le logge per guardare meglio.
Ben presto, tutti i Cavalieri nel cortile si ritrovarono col naso all’insù a cercare di capire perchè il Principe Demone se ne stava sulla grande balconata degli appartamenti reali a vagare come un’anima in pena.
“Ha in mano qualcosa?” Domandò Koutaro, coprendosi gli occhi dal sole con una mano.
“Penso abbia solo lo sguardo basso,” rispose Tetsuro.
“Ma ha le mani giunte!” Notò Takahiro affiancandoli.
Issei rimase indietro, l’espressione disinteressata. “Penso sia un fiore…”
“Un fiore?” Chiesero gli altri tre in coro.
“Lo tiene come un fiore.”
“Prima ruba un bacio appassionato al piccolo Corvo di fronte a tutta la corte di Seijou, poi parla con i fiori. Lo stiamo perdendo!” Esclamò Koutaro con un sorriso intenerito.
Tetsuro inarcò le sopracciglia. “Che cosa avrà quel piccoletto da far perdere la testa a tutti?” Si domandò. “Anche Kenma ne parla di continuo. Voglio dire, è Kenma!”
“Avete notato che anche Aone diventa improvvisamente socievole in sua presenza?” Takahiro rise delle sue stesse parole. “Nel modo di Aone, s’intende.”
“Riesce anche a intrattenere una conversazione con il Principe dell’Aquila,” aggiunse Tetsuro. “È praticamente cresciuto accanto ai mocciosi di tutti noi e nessuno è mai riuscito nell’impresa.”
Koutaro sollevò l’indice, pronto a sottolineare l’ovvio: “nessuno lo ha mai interessato.”
Tetsuro storse la bocca e incrociò le braccia contro il petto. “E io torno a chiedere che cosa potrà mai avere di così speciale?”




Quella che Tobio stringeva tra le dita non era un fiore ma una spiga di grano.
L’aveva strappata da uno dei campi dorati che avevano superato durante il viaggio di ritorno. Era stato un gesto impulsivo, senza una ragione concreta. Sulla strada verso casa una parte di lui aveva cercato di rimandare il momento in cui quell’estate sarebbe veramente finita, e le sue dita si erano tese verso la distesa d’oro che costeggiava il sentiero.
Era stato un suo modo di salutare, di godere di quegli ultimi istanti di libertà.
Quella spiga gli era rimasta tra le mani quasi per caso e gli aveva fatto compagnia nei giorni seguenti. Se la era rigirata tra le dita tante di quelle volte che aveva perso parte delle sua lucentezza. Tobio aveva scansato subito l’idea di gettarla: sarebbe stato come buttare via un frammento di ricordo.
Non poteva rinchiudere una lucciola e sperare che la sua luce brillasse per sempre, ma quella spiga poteva resistere ancora un po’, poteva portare un messaggio che lui non sarebbe mai riuscito a esprimere a parole.
Dal ritorno al Castello Nero, Tobio non aveva cercato più Shouyou.
Suo padre lo controllava da vicino, si assicurava che non stesse progettando un’altra fuga. Tooru vigilava sul Principe dei Corvi. Tenerlo al sicuro era una sua responsabilità di sovrano e non poteva permettersi di non avere il controllo della situazione, nemmeno se significava passarlo al suo unico erede.
Tobio poteva essere capace di proteggere Shouyou quanto voleva ma era a Tooru che i suoi genitori lo avevano affidato. Il piccolo Corvo era un erede al trono ospite a una corte straniera: la sua incolumità all’interno dei territori di Seijou era una questione politica.
A inibirlo, inoltre, era la consapevolezza che i suoi genitori non se ne sarebbero stati in silenzio. Tooru aveva avuto progetti su di lui e Shouyou fin dall’inizio. Hajime non aveva mai preso attivamente parte a quelle conversazioni ma, ora che le fantasie del Re Demone si erano concretizzate, avrebbe sicuramente detto la propria.
Tobio desiderava solo il silenzio.
C’era stato troppo rumore nella sua testa dopo il primo bacio con Shouyou e la pace era tornata solo in seguito al secondo. Non voleva che qualcuno rianimasse i tumulti del suo cuore, i suoi dubbi, i suoi timori.
Lui e Shouyou erano quello che erano, qualunque cosa fosse. Agli altri era concesso solo il silenzio.
E Tobio non era tanto ingenuo da sperare che lo avrebbe ottenuto.




Un modo per risolvere la situazione lo trovò quella stessa mattina. Non ci riflettè, non pianificò i dettagli. Incrociò Tadashi lungo il corridoio, aveva il vassoio con la colazione di Shouyou tra le mani e Tobio seppe di colpo quello che doveva fare.
“Buongiorno, Altezza,” lo salutò Tadashi con un sorriso cortese.
“Aspetta…”
“Qualcosa non va?”
Tobio accarezzò lo stelo della spiga di grano, la sollevò e la posò sul vassoio, accanto alla tazza rigirata. “Digli di raggiungermi nelle scuderie,” ordinò. “Fallo vestire come se dovesse compiere un lungo viaggio a cavallo.”
Tadashi sorrise perché aveva imparato a fidarsi di lui. “Lo farò.” Lo rassicurò.
Tobio lo guardò dritto negli occhi. “E fai in modo che-“
“Kei non saprà nulla, Tobio.”
Il Principe annuì. “Molto bene. Lo aspetterò…”



***



Shouyou sedeva al centro del grande letto, con le ginocchia piegate contro il petto. Gli occhi color ambra erano rivolti alla finestra, al cielo azzurro di fine estate visibile tra le tende socchiuse.
Non faceva che pensare a Tobio.
Tadashi bussò alla porta due volte ma non aspettò il permesso del suo Principe per entrare nella stanza. “Buongiorno…”
Shouyou sorrise, radioso. “Buongiorno!”
“Sei sveglio da molto?” Domandò Tadashi, appoggiando il vassoio in fondo al letto per poi spostarsi verso le finestre.
Il Principe dei Corvi scivolò sulle coperte per dare un’occhiata alla sua colazione. “Mi sono svegliato col primo sole…” Aveva fame ma il suo appetito perse importanza nel momento in cui notò la spiga di grano accanto al piattino di ceramica. Non s’interrogò sulla sua provenienza, se la portò alle labbra mentre la curva del suo sorriso assumeva sfumature diverse.
Tadashi aprì le tende di colpo e la camera si riempì di luce dorata.
Shouyou sollevò lo sguardo. “Ti ha lasciato un messaggio per me?”
L’amico annuì, avvicinandosi al suo armadio per recuperare i vestiti che il Principe Demone gli aveva ordinato di far indossare al suo giovane signore. “Non conosco i dettagli,” disse. “Mangia tutto, io preparo il necessario.”
Shouyou si passò la spiga sulle labbra. “Sarà un’avventura…” Mormorò con occhi brillanti di aspettativa.
Bussarono di nuova alla porta. Tadashi guardò Shouyou e il Principe dei Corvi gli fece cenno di andare ad aprire mentre cominciava a gustare la sua colazione.
Il Re Demone fece il suo ingresso in scena con un sorriso raggiante, e Shouyou per poco non si strozzò con il pezzo di dolce che aveva in bocca. “Maestà!” Esclamò tra un colpo di tosse e l’altro, mentre scivolava giù dal letto e accennava un inchino. Aveva ancora la camicia da notte addosso e non era neanche lontanamente presentabile, ma il sovrano di Seijou non dimostrò alcun interesse per la sua figura.
“Comodo, mio Principe,” disse, invece. “Sono io ad aver deciso di farti visita all’ora di colazione, non sentirti in imbarazzo.” Si rivolse poi al fanciullo di rango inferiore. “Ti dispiace lasciarci soli?”
Tadashi cercò gli occhi del Principe dei Corvi.
“Vai pure,” gli disse Shouyou, sebbene l’idea di rimanere da solo con il Re Demone non gli piacesse particolarmente. Tadashi non fu felice di andarsene, Shouyou lo comprese dal modo in cui i suoi occhi rimasero fissi sulla schiena del sovrano fino a che non richiuse la porta della camera.
“Mangia,” insistette Tooru.
Shouyou si rimise a sedere tra le coperte in disordine ma l’appetito gli era passato. “A che cosa devo la vostra visita?” Domandò con voce appena tremante. Il nervosismo che gli rendeva il petto pesante si rifletteva nei suoi occhi e a Tooru bastò un’occhiata per notarlo.
“Non hai alcuna ragione di essere teso,” disse, sedendosi di fronte al Principe.
Il vassoio appoggiato sul letto era l’unica cosa a dividerli.
Di colpo, l’assenza di Tobio pesò su Shouyou come un macigno e il fatto che non si fossero parlati dalla sera del loro secondo bacio contribuì a farlo sentire a disagio.
Tobio aveva parlato di loro con i suoi genitori? Il Re Demone sapeva che cosa si erano detti? Perchè Shouyou era venuto a conoscenza di molte riguardo alla persona che aveva di fronte. Le confidenze che Tobio gli aveva fatto durante l’estate, sebbene frammentate e poco dettagliate, avevano cambiato notevolmente il modo in cui Shouyou percepiva la figura del secondo sovrano più potente dei regni liberi.
Se prima Shouyou vedeva in lui un modello irraggiungibile per perfezione, ora non faceva che ripetersi che quella persona era la ragione per cui Tobio rifuggeva ogni emozione.
“L’estate sta finendo, piccolo Principe,” esordì Tooru. “I tuoi genitori vorranno avere tue notizie molto presto.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Volete che me ne vada?” Gli sfuggì di bocca.
Tooru ridacchiò. “No!” Spettinò i capelli già ribelli del fanciullo. “Nessuno ti caccerà mai via dal Castello Nero, mio piccolo Corvo! A meno che tu-”
“No!” Shouyou scosse la testa. “No, voglio restare!”
Tooru sgranò gli occhi, poi sorrise soddisfatto. “Quanta passione…” Commentò.
Suo malgrado, il Principe dei Corvi arrossì. “Sto imparando molte cose qui,” disse, forzando un sorriso. “Tobio mi sta-”
“Sì, sono certo che Tobio abbia la sua parte di merito.” Il sorriso di Tooru si fece gentile, quasi tenero. “Non hai alcun motivo di nascondere una cosa con un’altra, Shouyou, non con me.”
Shouyou strinse le labbra: non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito ad aprirsi con sua madre, figurarsi con quella del fanciullo che aveva baciato.
“Non c’è nulla di cui vuoi parlare, Shouyou?” Insistette Tooru.
Era con Tobio che Shouyou voleva parlare. Non si sentiva al sicuro con il Re Demone. “I miei genitori cosa sanno?” Sviò il discorso su un argomento più cupo ma, per assurdo, più facile da gestire.
“Stai parlando dei sogni?”
“Sì.”
Tooru inspirò profondamente dal naso. “Quanto basta per vedere il tuo potere come un pericolo.”
“E perchè voi il pericolo non lo vedete?” Domandò Shouyou. Era un quesito che solleticava la sua mente da un po’: i suoi genitori gli avevano tarpato le ali pur di proteggerlo, ma il Re Demone sembrava voler spingere Tobio sulla strada che, secondo le visione di Kenma, lo avrebbe condotto alla sua fine.
“Perchè non credo che il destino si riveli solo per condannarci,” rispose Tooru. “Ci deve essere una ragione se la cortina del tempo si apre quanto basta per permetterci di cogliere frammenti di futuro che, alle volte, si contraddicono l’uno con l’altro.”
“Sono possibilità…”
“Esatto!” Esclamò Tooru. “Proprio così, piccolo Principe.”
“E voi credete che io e Tobio realizzeremo il futuro in cui lui è il Re di tutti i Regni liberi?”
Il sorriso del Re Demone si fece enigmatico. Abbassò gli occhi scuri e vide la spiga dorata accanto al piattino di ceramica. “Anche io faccio dei sogni fin da fanciullo,” confessò. “Poco dopo la nascita di Tobio, ho sognato suo padre che mi accusava di avergli fatto del male e si vendicava di me.”
Shouyou trattenne il fiato ma Tooru era troppo occupato a osservare la spiga per porre attenzione a lui.
“Ho fatto del male a Tobio,” andò avanti il Re Demone, afferrando lo stelo dorato. “E la vendetta di suo padre è stata diversa da quella che ho sognato ma il finale non è cambiato: li ho persi entrambi.”
Shouyou non sapeva come replicare, così rimase in silenzio. Gli occhi scuri del Re Demone tornarono sui suoi e trasalì. “Non hai paura?” Domandò.
“Di cosa?”
Tooru rise di nuovo. “Devi essere molto coraggioso, piccolo Corvo,” disse. “O molto stupido.”
Il nervosismo di Shouyou si tramutò un qualcos’altro. “Perchè siete venuto da me, mio signore?” No, non era abbastanza intuitivo per riuscire a comprenderlo.
Tooru si fece serio di colpo. “Sto cercando di capire che cosa spinge un fanciullo di quindici anni a restare, nonostante sappia che questa scelta potrebbe condannarlo a morte.”
“La stessa cosa che spinge un Re di quindici anni a sfidarne uno più forte di lui per il suo Cavaliere, credo,” disse Shouyou d’impulso, senza pensare. Sbattè le palpebre un paio di volte e tornò in sè. “Perdonatemi, non…”
Tooru rise. “Andavi così bene prima di chiedere scusa,” gli disse, poi lasciò andare la spiga, che ricadde sulle coperte. “Lo ami così tanto?”
Già imbarazzato per lo slancio di arroganza di poco prima, Shouyou non potè evitare di avvampare a quelle parole. “No… Sì, io…” Scosse la testa. “Io voglio restare,” ripetè. “Voglio restare.” Era l’unica risposta che poteva dare con assoluta certezza.
Tooru annuì, lo sguardo malinconico. “Molto bene, mio Principe.”
La porta si aprì di colpo e Tobio fece il suo ingresso nella camera senza permesso.
“Oh, eccolo!” Cinguettò Tooru con un sorriso esagerato. “Stavamo giusto parlando di te!”
Gli occhi blu del Principe Demone cercarono quelli del Principe dei Corvi. Stai bene?
Shouyou sorrise. Sì.
“Vi lascio da soli.” Il Re Demone si alzò in piedi. “Mi raccomando, Tobio, basta colpi di testa,” aggiunse, rivolgendosi al figlio.
Il Principe Demone non si disturbò a rispondergli e il sovrano uscì senza che nessuno dei due lo salutasse.
Una volta che la porta si fu richiuse, Tobio sbuffò sonoramente.
“Ehi…” Shouyou si alzò dal letto, le labbra piegate in un dolce sorriso.
“Che cosa ti ha detto?” Domandò Tobio, un po’ brusco.
Il Principe dei Corvi s’imbronciò. “Non farti venire il malumore per una cosa del genere,” ordinò.
“Non mi fido di lui.”
“Tranquillo, nemmeno lui di te o non sarebbe venuto da me.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Che cosa ti ha chiesto, Shouyou?”
“Mi ha solo parlato dei sogni, del fatto che Kenma gli ha raccontato di averlo raccontato a noi.” Si grattò la base del collo con perplessità. “Penso che volesse capire che cosa abbiamo deciso di fare?”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa c’è da capire? Io sono qui. Tu sei qui.”
Shouyou scrollò le spalle, il suo sguardo cadde sulla spiga di grano tra le coperte e la raccolse. “Questa?” Domandò con un sorrisetto furbetto, mostrandola al mittente.
“Era un messaggio,” disse Tobio come se fosse una cosa ovvia.
“Sei già qui, perchè non…” Shouyou si fermò. “Tadashi ti ha detto di venire qui.” Non era una domanda.
“Penso che il tuo amico abbia imparato a fidarsi di me,” concluse Tobio con un mezzo sorriso.
“Lo credo anche io.” Shouyou ne era contento. “Allora, questo messaggio?”
Il Principe Demone adocchiò la porta, come se avesse paura che qualcuno potesse entrare e interromperli. “Ce ne andiamo?” Propose.
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Siamo tornati da una notte?”
Tobio scrollò le spalle, un sorriso pestifero sul viso. “E noi ce ne andiamo lo stesso,” ribatté. “Hai passato tutta la vita nello stesso castello, non vorrai ripetere l’esperienza anche qui a Seijou, spero.”
Suo malgrado, Shouyou sorrise. “Sua Maestà ti ha appena detto di fare il bravo.”
“Un motivo in più per volare via.”
Il piccolo Principe reclinò la testa da un lato. “Vuoi volare?” Domandò, sorpreso. “Proprio volare?”
Gli occhi di Tobio brillavano ed era un evento più unico che raro. “Quanta distanza puoi coprire in volo?”
“Non lo so. Ho volato più questa estate con te che in tutta la mia vita.”
“Vuoi metterti alla prova? Spingiamoci in avanti, osiamo di più.”
“Non lo so, Tobio. Se si trattasse solo di me, forse-”
“Hai paura?”
Fu l’assenza di buon senso ad avere la meglio in quel momento. Quella e una buona dose di orgoglio.
Shouyou sorrise con arroganza. “Mai…”



***



“Io non so che cosa è successo ma so con assoluta certezza che è colpa tua!”
“Mia? E che cosa potrei aver mai fatto?”
“Non lo so! Hai parlato con Shouyou, Tobio ti ha beccato e, casualmente, un’ora dopo non c’è traccia di loro in tutto il Castello Nero!”
Tsutomu origliò quella conversazione tra il Primo Cavaliere e il Re Demone per puro caso. Satori era crollato sulla poltrona del loro salotto privato, lasciandolo da solo con le sue riflessioni troppo complesse per permettergli di riposare a sua volta. Si era ritrovato a vagare per i corridoi del Castello Nero senza una ragione e, per un attimo, si era anche guardato intorno con l’intento di trovare un buon nascondiglio in cui rintanarsi per impedire a Satori di compiere il suo dovere di Cavaliere.
Per ragioni che gli sfuggivano completamente, Tsutomu a casa non ci voleva tornare.
Era così che si era ritrovato a passare davanti alle porte della sala del trono distrutta e aveva colto il sovrano di Seijou e il suo braccio destro nel pieno di un’accesa discussione.
“Io ho detto a tuo figlio di smetterla con i colpi di testa!” Esclamò il Re Demone.
“E tu dovresti sapere che qualunque cosa tu dica a tuo figlio, lui agisce al contrario in automatico!”
“La sua stupidità non è colpa mia!”
“Tooru, vedi di non ricominciare con questa storia!”
“Abbiamo mai smesso negli ultimi quindici anni?”
“Io voglio sapere dov’è Tobio!”
“Mettiti comodo, aspetta che si verifichi una catastrofe e lo scopriremo… Ehi! Che fai? Stammi lontano, bruto!”
Il rumore sordo di un colpo in testa fu l’ultima cosa che Tsutomu registrò di quel litigio.
Shouyou e Tobio non erano più al Castello Nero, pensò. Se ne erano andati senza preoccuparsi che lui non sarebbe più stato lì al loro ritorno, pensò. Contro ogni buon senso e tutte le responsabilità che derivavano dal loro titolo, i due Principi erano volati incontro a un’altra avventura che sapeva di libertà, pensò.
“Maledizione!” Urlò Tsutomu, ignorando le lacrime rabbiose che pungevano agli angoli degli occhi. Solo un istante dopo si ricordò di dove era.
“Che cosa è stato?” Domandò il Primo Cavaliere da dietro le grandi porte della sala del trono.
“Non lo so,” rispose il Re Demone. “Vai a vedere, Hajime.”
Prima che le porte si aprissero, Tsutomu era già sparito in fondo al corridoio e poi giù,  in fondo alle scale che portavano al cortile principale del Castello Nero.
Le stanze in cui Satori riposava erano nella direzione opposta e lui non aveva alcuna intenzione di tornarvi.



***



Pochi giorno dopo il suo quindicesimo compleanno, Kei Tsukishima decise che ne aveva abbastanza dei suoi doveri di Cavalieri, di Shouyou e in particolar modo del Principe Demone. Dopo qualche ora di rabbia silenziosa di cui solo Tadashi si accorse, Kei arrivò alla fulminante conclusione che non poteva sfuggire alle sue responsabilità, che il suo Principe era una di esse e che, per sua disgrazia, l’erede al trono di Seijou era divenuto parte integrante di quella tediosa storia.
“Ci scommetto quel che vuoi che sono andati verso nord,” disse il Primo Cavaliere, mentre scortava lui e Tadashi fino alle scuderie. “Questa è la mappa del castello in cui penso che Tobio abbia portato il vostro Principe. Si tratta di una piccola roccaforte di confine e il villaggio più vicino non è davvero vicino.”
Kei prese la carta ripiegata con cura e la infilò nella tasca interna della giacca. Che cosa era andato a fare Shouyou in un posto isolato da tutto e tutti? Non faticava a immaginare il Principe Demone a bearsi in un castello circondato dal niente, ma per il loro erede al trono il silenzio per come un nemico da sconfiggere… Per questo non stava mai zitto.
“Verrei con voi,” aggiunse il Primo Cavaliere, fermandosi sull’ingresso delle scuderie, “ma anche il Principe dell’Aquila è sparito. So per certo che non è andato con loro ma il sovrano di Shiratorizawa sarà qui a giorni e non voglio lasciare il Castello Nero.”
“Lasci fare a noi, sir,” disse Tadashi con un sorriso gentile. Non era preoccupato, non lo era stato nemmeno quando tutta la corte si era allarmata per la scomparsa dei due Principi. In un modo che il giovane Cavaliere di Karasuno non riusciva a spiegarsi, Tobio aveva fatto di Tadashi un suo alleato. Kei era furibondo per questo ma lo era in un modo tanto gelido e discreto che solo chi lo conosceva bene poteva accorgersene.
Se Tadashi c’era riuscito, non lo dava a vedere.
C’erano giorni di viaggio a cavallo davanti a loro e, in un certo senso, Kei temeva la solitudine che gli avrebbe circondati durante il cammino. Avevano passato insieme tutta la loro vita, eppure Kei non ricordava l’ultima volta che avevano condiviso un momento in cui Shouyou non fosse al centro della scena.
Era stata un’estate lunga, molto lunga.
Il Primo Cavaliere li studiò. C’era qualcosa che non lo convinceva: erano giovani, non erano nati a Seijou e vedersela con Tobio stava diventando un’impresa anche per lui.
Kei si accorso del suo tentennamento e fece per dire qualcosa che li convincesse a lasciarli andare. Tadashi lo precedette. “Li riporteremo a casa, sir,” disse con tono rassicurante. “Conti su di noi.” Parlò a testa alta, con un sorriso sicuro.
Kei lo fissò senza una reale espressione.
Alla fine, il Primo Cavaliere annuì due volte. “Molto bene,” disse. “Venite, ho fatto preparare i vostri cavalli.”



***



Il castello non era altro che una piccola roccaforte di vedetta. La struttura aveva una semplice forma rettangolare, con un singolo bastione che affacciava verso nord, in direzione delle montagne. Per accedere all’unico cortile interno bastava attraversare un piccolo ponte levatoio costruito sopra il letto di un fiumiciattolo. Non vi erano delle porte, solo un enorme cancello.
Non fu quello, però, l’ingresso che scelsero i due Principi. Al secondo piano, dove erano collocate le camere patronali, il legno di una delle persiane era marcito al punto da essersi staccato dai cardini.
Fu attraverso il vetro incorniciato dal ghiaccio che due corvi piombarono all’interno della stanza gettando una pioggia di vetri infranti e di piume nere sul pavimento.
Tobio si ritrovò con un ginocchio poggiato a terra, la testa china e il respiro bloccato in gola per le vertigini.
Shouyou comparve al suo fianco in un battito di ciglia. “Ehi!” Gli prese il viso tra le mani. “Ehi, guardami!”
Tobio ubbidì ma un brivido gelido gli attraversò la schiena prima che potesse parlare: avevano sfondato la finestra, quella camera era inutilizzabile. “Ma come ti è saltato in mente?” Sbottò, tirandosi in piedi. “Hai idea di quanto freddo faccia qui durante la notte anche a fine estate?”
Shouyou si sollevò a sua volta. “Possiamo inchiodare la finestra,” buttò lì, “e ci sono altre camere.”
Tobio fece un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere, poi gli afferrò il polso. “Vieni, ti faccio vedere il castello.”
Nonostante il tono brusco la sua stretta era gentile. Shouyou sorrise e si lasciò guidare fuori la porta, su un soppalco che dava su di un enorme salone.
“Ecco qui,” disse Tobio con una scrollata di spalle. “Ci sono una decina di stanze qui e per accedere al bastione dobbiamo uscire. È piccolo, te l’ho detto.”
Shouyou appoggiò entrambe le mani sulla balaustra e guardò tutto con occhi brillanti. “È perfetto!”
Tobio lo studiò e la sua attenzione venne catturata da un dettaglio che prima gli era sfuggito. “Abbiamo entrambi i vestiti addosso.”
“Cosa?”
“I nostri vestiti…”
Shouyou abbassò lo sguardo su di sè.
“Riesci a controllare il tuo potere sempre di più,” concluse Tobio con una smorfia soddisfatta.
“Passato il giramento di testa?” Domandò Shouyou. “Posso fare poco riguardo quello.”
“Starò bene…”
“Allora scendiamo!” Il piccolo Principe si diresse verso le scale saltellando. “Vieni, togliamo i teli dai mobili e accendiamo il fuoco!”



Dovettero aprire le porte per liberarsi di tutta la polvere che si era accumulata in anni e anni di abbandono.
“Da quanto tempo non venivi qui?” Domandò Shouyou, strofinandosi le braccia per combattere il freddo.
“Più di dieci anni,” rispose Tobio con voce incolore, inginocchiandosi di fronte al grande caminetto per riempirlo di legna. “Vai a cercare una coperta al piano di sopra, stai congelando.”
Si aggiustarono.
Collaborano ed entro il tramonto si ritrovarono seduti sul grande tappeto scuro, Tobio avvolto nel suo mantello rosso e Shouyou in quello corvino. Il fuoco era caldo, scoppiettante e attirava gli sguardi di entrambi.
Shouyou appoggiò pigramente la guancia alla spalla di Tobio e lui lo lasciò fare.
Era strana tutta quella quiete tra loro ma non fuori luogo. Non c’era più bisogno di chiamarsi per nome continuamente, di bisticciare per sottolineare in qualche modo la presenza dell’altro. Erano lì, erano insieme e non era più un pensiero che faceva paura
“Che cosa ti ha convinto?” Domandò Shouyou, infrangendo il silenzio.
“Uhm?” Tobio lo guardò.
Il Principe dei Corvi fissava il fuoco ed i suoi occhi sembravano di ambra liquida. “Che cosa ti ha convinto a darmi quel bacio?”
Tobio appoggiò la nuca al divano alle sue spalle. “E me lo chiedi solo ora?”
“Non posso chiederti il motivo dietro le tue azioni non appena le compi,” disse Shouyou, drizzando la testa e stringendo le ginocchia al petto. “Perchè spesso non lo conosci nemmeno tu. Hai bisogno di tempo, sei lento…”
“Ehi, mi stai dando dello stupido?”
Il Principe dei Corvi ridacchiò ed evitò la domanda. “Non hai più paura.”
Tobio sospirò. “Continui a essere tu le mie ali,” disse. “Avrò sempre paura. Penso sia inevitabile.”
Shouyou fu sorpreso da quella confessione. “Io valgo un rischio tale per il tuo cuore, Principe Demone?”
“No.” Tobio lo fissò. “Mi sono detto che posso inseguirti fino alla fine del mondo, se lo desidero.”
Era una confessione. Lo era nel modo di Tobio e Shouyou l’accolse con un sorriso commosso. “Ma io continuo a essere l’unico con le ali.”
“Vorrà dire che conquisterò delle ali che siano solo mie!” Esclamò Tobio con un po’ troppa rabbia. Shouyou, però, lo conosceva e sorrise e basta. “Avrò ali più grandi delle tue, così potrò inseguirti e raggiungerti!” Concluse il Principe Demone con un sorrisetto vittorioso.
I suoi occhi erano taglienti ma il blu delle sue iridi era profondo, rassicurante.
Shouyou lo fissò e il pensiero di quanto fosse bello lo colse tanto di sorpresa che sentì il bisogno di osare di più. “Puoi seguirmi fino a qui?”
Tobio inarcò le sopracciglia.
Shouyou si umettò il labbro inferiore per rendere l’invito più chiaro. Il Principe Demone alzò gli occhi al cielo ma il bacio non si fece attendere. Fu solo troppo breve.
“E fino a qui?” Domandò ancora Shouyou, quasi in un sussurro. “Puoi seguirmi fino a qui, Tobio?”
Le parole del Principe dei Corvi cominciavano a non avere alcun senso. Oppure sì? Era pur sempre di una distanza che stava parlando ma non fisica: a quella avevano già rimediato.
Il passo successivo era solo un po’ più delicato.
Il secondo bacio fu più lento, umido. Nulla che non avessero già fatto, ma quella poca esperienza che avevano accumulato lo rese diverso dai primi, goffi tentativi.
Il calore si faceva più intenso e qualcosa chiamato desiderio sbocciò dove prima c’era solo curiosità.
Preso dal panico, Tobio provò a farsi indietro. “Shouyou…”
Il Principe dei Corvi infilò una mano tra i suoi capelli. “Puoi…” Tremava, insicuro quanto le era lui. “Puoi seguirmi fino a qui?”
Lo portò giù con lui, guidandolo sopra di sè, sul mantello di piume corvine.
Tobio lo assecondò come un pupazzo inanimato, reso rigido da una consapevolezza che cercò di mascherare da confusione. La luce negli occhi di Shouyou lasciava pochi dubbi in merito a quello che stava per accadere alla luce tremolante di quel focolare, ma la battaglia era la sola cosa in cui Tobio procedeva con determinazione. Era così perchè ce l’aveva nel sangue, perchè quella era stata la sua educazione. L’amore era un’arte che i suoi genitori gli aveva insegnato senza impartirgli alcuna lezione e non erano stati i migliori maestri in merito.

“Ehi…” Le piccola dita di Shoyou s’infilarono tra i suoi capelli, lo trascinarono giù in un altro bacio. Prima le labbra morbide, poi la lingua che accarezzava la sua. Tobio rispondeva ma non si sentiva completamente presente a se stesso. La testa gli girava e l’odore familiare della legna che bruciava venne sostituito da qualcosa che aveva assaggiato solo una volta per puro caso.

“Shouyou…” Tobio strinse i pugni sul mantello corvino sotto di loro e si fece indietro ma non troppo. Non ci riusciva: una forza invisibile lo incatenava a Shouyou come mai era successo prima. Il Principe Demone si era sorpreso a provare desiderio per il Principe dei Corvi da tempo, da prima del bacio che si erano rubati circondati dalla luce delle lucciole. Il senso di stordimento che provava in quel momento, però, era diverso dalla leggerezza che sentiva addosso ogni volta che le labbra di Shouyou si posavano sulle sue.

Era come una magia invisibile. Tobio la sentiva entrargli dentro a ogni respiro, scivolava sotto la sua pelle e avvelenava il suo sangue di un dolce fiele, fino ad arrivare al cuore.

Shouyou emise una risata nervosa. “Immagino sia questo quello di cui parlano le leggende,” disse, con una nota malinconica. “Questo è quello che intendono quando raccontano che quelli come me ammaliano i loro innamorati.”

Ammaliato. Era così che Tobio si sentiva ma non era sicuro che fosse l’emozione che voleva mentre Shouyou era sotto di lui, le sua dita tra i capelli e le labbra umide che attendevano altri baci.

Si tirò indietro di nuovo, fino a sedersi sulla ginocchia. Shouyou si sollevò, gli occhi d’ambra ancora brillanti e per nulla insicuri. “Che cosa senti?” Domandò, sinceramente curioso.

“Eh?” Tobio aveva la stessa espressione di qualcuno dopo un calice di vino di troppo..

Shouyou rise ancora e appoggiò la fronte a quella del Principe Demone. “Sei il primo,” gli disse, come se l’altro già non lo sapesse. “Sai che non mi piace quello che sono. Lo so che è sempre magia, che ha permesso a me e mia sorella di nascere e che è l’eredità più importante che mi ha lasciato mia madre ma… Lo sai.”

Tobio annuì, di nuovo presente a se stesso. “Ma non lo fai volontariamente.”

Shouyou scrollò le spalle. “Non proprio,” ammise. “Accade con te perchè sei tu,” spiegò. “Perchè sono io a volerlo. È spiacevole?”

Tobio scosse la testa. “Non è spiacevole, è-”

“Soffocante?”

Totalizzante.”

“E non ti piace?” Domandò Shouyou diretto ma un poco timoroso.

Tobio inspirò profondamente dal naso. “Il tuo profumo mi da alla testa,” cercò di spiegare.

“Quindi è vero? Quelli come me fanno perdere i loro innamorati in loro stessi fino a privarli della ragione?” Il labbro inferiore di Shouyou tremava.

Tobio storse la bocca in una smorfia. “Non sto perdendo la ragione!” Disse, orgoglioso. “Sono ancora io!”

“Allora perchè ti sei tirato indietro?” Shouyou non avrebbe accettato il silenzio come risposta, nè una risposta sgarbata perchè il suo interlocutore non era in grado di trasformare i propri pensieri in frasi di senso compiuto.

Tobio sbuffò, frustrato con se stesso. “Sono io,” sottolineò. “Quello che provo sono emozioni miei, ne sono certo. Non mi stai dando alla testa in quel senso.”

Shouyou rilassò le spalle.

“È solo di più,” concluse Tobio.

“Che significa di più?”

“Sento di più! Desidero di più! Ti voglio di più! Che cosa ti aspetti che ti dica, stupido?” Il Principe Demone era arrossito fino alla punta delle orecchie. “È tutto di più...” Concluse in un sussurro, le labbra imbronciate.

Shouyou fece toccare le punte dei loro nasi. “E ti piace?” Domandò con un sorrisetto che al Principe Demone fece prudere le mani.

Tobio voltò il viso di lato, troppo orgoglioso per mostrare l’insicurezza che lo stava inibendo. “È una cosa che non conosco,” ammise. “Come faccio a gestirla se ha un effetto tanto potente.”

“Dicono che il desiderio sia potente per sua natura.”

“E il fatto che tu sia un Omega lo rende ancora più forte.” Tobio non aveva paura di chiamarlo per quello che era, non provava vergogna per la sua natura e non lo considerava inferiore per questo. Tuttavia, era una cosa che non conosceva e non voleva affrettare tutto solo per combinare un disastro. “Sei il primo anche tu, ti ricordo,” aggiunse, quasi astioso. “Come controllo una forza tanto grande se non la conosco?”

Shouyou premette le labbra per non scoppiare a ridere. “Perchè non dici semplicemente che non sei capace e hai paura di farmi male?”

Tobio sollevò il pugno. “Vuoi farmi arrabbiare?”

“Scusa! Scusa! Scusa!” Shouyou alzò le mani in segno di resa, poi prese un respiro profondo e si alzò in piedi.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Tobio, quasi avesse paura che l’altro facesse qualcosa che potesse nuocere alla sua incolumità. Gli stivali di entrambi erano già andati, appoggiati accanto a una delle poltrone del salotto e a Shouyou bastò un gesto veloce per liberarsi dei pantaloni.

“Sarà un po’ come volare,” disse il Principe dei Corvi, tornando a inginocchiarsi sul suo mantello. “La prima volta che ti ho dato delle ali l’ho fatto per caso, proprio come è accaduto con il nostro primo bacio. Poi mi hai aiutato a comandare il mio potere e insieme abbiamo capito che cosa volevamo essere l’uno per l’altro. E adesso siamo volati via entrambi, fino ai confini del tuo Regno…” Baciò le labbra imbronciate del Principe Demone. “Non siamo ancora in grado di volare fino alla cima del mondo come ci siamo promessi da bambini, abbiamo ancora tutto il tempo che vogliamo per fare pratica.”

Shouyou afferrò Tobio per le spalle, fece pressione per spingerlo a stendersi. Il Principe Demone non oppose resistenza: era piacevole il peso di Shouyou sopra di sè e lo fu ancor di più quando cercò le sue labbra e i loro corpi aderirono completamente. Fu solo questione d’istanti prima che Tobio cominciasse a sentirsi stretto nei suoi stessi vestiti. Cercò l’orlo della sua tunica, Shouyou lo aiutò ed entrambi si tirarono a sedere. Tobio ignorò il brivido di freddo che gli attraversò la schiena nuda e circondò la vita del piccolo Principe per stringerlo di più a sè e divorare la sua bocca con nuova sicurezza. Shouyou non si fece intimidire, gli avvolse le braccia intorno al collo e rispose con la stessa passione.

Le mani di Tobio lo lasciarono andare solo per cercare la cintura dei propri pantaloni, ma allontanarsi dalle labbra di Shouyou non era pensabile. L’impresa si rivelò più difficile del previsto e due piccole mani si aggiunsero alle sue per aiutarlo. Tobio sentì i pantaloni scivolargli giù dai fianchi e le dita di Shouyou dove gli piaceva di più. Il respiro si spezzò in un gemito che non lasciò mai la sua gola.

Tutto si fece immobile. Le labbra di Shouyou erano ferme, in attesa a pochi millimetri di quelle di Tobio. Non c’era alcuna ombra d’esitazione negli occhi color ambra, mentre quelli blu si erano tinti di una sfumatura più scura ma per nulla minacciosa. Le iridi del Principe Demone erano un mare in tempesta e il Principe dei Corvi era ben lieto di affogarci.

Shouyou mosse i fianchi in avanti, cercò la mano di Tobio e la invitò ad infilarsi sotto la tunica che aveva ancora addosso.

Il loro piacere si consumò velocemente. Goffe furono le carezze di entrambi, spezzati i loro respiri ma, alla fine di tutto, erano ancora stretti l’uno all’altro. Shouyou fu il primo a lasciarsi andare alla stanchezza: circondò il collo dell’amante con le braccia e posò la guancia sulla sua spalla. Tobio nascose il viso contro il suo collo, lasciandosi inebriare ancora un poco da quel profumo che riusciva a incendiare i suoi sensi anche dopo aver raggiunto la vetta del piacere.

Il silenzio era una cosa strana tra loro ma lo accolsero come una cosa preziosa.

Si addormentarono alla luce fioca delle braci nel caminetto.





***




“Non dovremmo viaggiare di notte,” disse Tadashi, mentre gli ultimi raggi di sole sparivano dietro le montagne all’orizzonte. “Non conosciamo queste terre, non possiamo rischiare.”

Kei era in sella al suo cavallo pochi metri avanti a lui. Non diede segno di averlo sentito.

“Kei,” insistette Tadashi.

“Karasu era ancora nelle stalle,” disse il Cavaliere senza voltarsi.

L’altro inarcò le sopracciglia. “Sì, l’ho notato.”

“Shouyou non partirebbe mai con un cavallo diverso dal suo.”

“Avranno preso quello del Principe Demone.”

“Anche quello era al suo posto. Il Primo Cavaliere me lo ha detto prima di ordinarmi di venirti a chiamare.”

“Avranno preso dei cavalli diversi per non far notare la loro fuga!”

Kei arrestò il suo destriero e si voltò. “Fingi di non capire?” La sua voce era controllata ma un fuoco rabbioso accendeva i suoi occhi dorati.

Tadashi strinse le labbra e lo affiancò. “Kei, Tobio sa del potere di Shouyou. Ha dedicato tutta l’estate ad aiutare il nostro Principe a dominarlo. Non mi sorprende che abbiano deciso di usarlo insieme per andarsene. Hanno testato un altro limite.”

“E, da come parli, sembri certo che siano riusciti nell’impresa.”

Tadashi scrollò le spalle. “Ho deciso di avere fiducia in Shouyou e Tobio.”

Nel sentir nominare l’erede al trono di Seijou, il viso di Kei si distorse in un’espressione che Tadashi non aveva mai visto prima. “Tobio?” Ripeté. “È riuscito a incantare anche te?”

“Incantare?” Ripeté la guardia con sbigottimento. “Hai passato un’intera estate a Seijou e ancora credi che Tobio sia in grado di manipolare qualcuno? Il Principe Demone è esattamente quel che si vede, senza recite e senza inganni… Anche a costo di essere sgradevole.”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Sei diventato un altro sostenitore della leggenda vivente che è il Principe Demone?”

“Tobio non è una leggenda vivente!” Insistette Tadashi. “È un fanciullo che ha fatto conoscere il suo nome attraverso le sue azioni, non è rimasto fermo a lasciare che quelle dei suoi genitori parlassero per lui. Il modo in cui si comporta con Shouyou non è meno diretto.”

“Il nostro Re ci ha affidato un compito, Tadashi e lo stiamo tradendo sotto ogni punto di vista.”

Tadashi drizzò la schiena con orgoglio. “Io sono fedele al Principe dei Corvi, lui è il mio signore.”

Fu il turno del Cavaliere di mostrarsi sbigottito. “Se pronunciassi parole del genere a Karasuno, potresti essere processato per tradimento.”

“Perchè? Perchè faccio il bene del mio Principe?”

“Quel mezzo Demone non è il bene dell’idiota che dobbiamo proteggere. Noi, Tadashi, non lui!”

“Chi sta parlando come un traditore, ora?”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Shouyou si mette nelle mani di un Principe che potrebbe usarlo come un pupazzo sia politico che personale e tu, che hai giurato a Re Daichi di vegliare sul suo erede, mi stai dicendo che sei ben felice di lasciarglielo fare?”

“Dico che Tobio è in grado di proteggere Shouyou meglio di quanto io e te possiamo fare.” Tadashi abbassò lo sguardo. “Forse ancor meglio di come hanno fatto i nostri sovrani fino ad ora,” aggiunse a voce più bassa, incerta.

Spazientito, Kei scese da cavallo e legò le briglie all’albero più vicino, poi fece segno al suo compagno di viaggio di fare lo stesso. Tadashi non s’illuse nemmeno per un istante che stesse seguendo il suo consiglio di accamparsi prima che la luce del giorno sparisse del tutto. Una volta poggiati i piedi a terra, seppe che stava per affrontare un duello col miglior candidato a divenire il nuovo Primo Cavaliere di Karasuno. Non un duello di spada, ma uno ben più pericoloso, che avrebbe potuto ferirlo più a fondo.

Kei gli arrivò davanti in pochi passi, torreggiando su di lui senza pietà. “Sai chi è Tobio di Seijou?”

“Che razza di domande-”

“Tobio è seriamente il giovane sovrano destinato a governare tutti i Regni liberi.” Era la prima volta che Kei riconosceva in Tobio qualche valore ma non c’era nulla di lusinghiero nelle sue parole. “Sì, Tadashi, ho passato l’estate a Seijou e mi sono guardato intorno. Mentre tutti eravate impegnati in giochetti puerili e tediosi, ho studiato da vicino quello che a casa conoscevo solo attraverso le parole di mio fratello. L’equilibrio del potere si sta spostando e quello che il Re Demone ha fatto non è niente in confronto a quello che il suo erede potrebbe fare.”

Tadashi scosse la testa. “Perchè parli di Tobio come di una minaccia?”

“Hai visto il Principe dell’Aquila?” Domandò Kei. “Lo hai osservato? Tobio disobbedisce ai suoi genitori con la stessa facilità con cui sbatte le ciglia, Tsutomu non è in grado di fare un passo senza il braccio destro di suo padre o qualcuno che lo sorregga.”

“Ha tredici anni, Kei.”

“Tobio non ne ha ancora quindici.”

“Tobio è solo unico.”

Kei annuì. “Esattamente.”

Tadashi scosse la testa. “Non capisco, Kei,” ammise. “Hai passato mesi a gettargli fango addosso a ogni occasione e ora tessi le sue lodi?”

“Sto solo tirando le somme.”

“Di cosa?”

“I sovrani detronati di Fukurodani e Nekoma non hanno alcuna intenzione di ribellarsi alla corona di Seijou, si è ben capito. Quelli di Dateko sono più bravi a mantenere la dignità e a provare disprezzo per il loro conquistatore ma sono più interessati alla serenità del loro vecchio Re che alla libertà.”

Tadashi scrollò le spalle. “In fin dei conti, nessuno di loro viene trattato come schiavo.”

Kei assottigliò gli occhi. “Il Re Demone li ha conquistati con l’inganno e il tradimento.”

“E senza uccidere nessuno,” aggiunse la guardia. “Shiratorizawa lo avrebbe fatto?”

“Questo lo renderebbe degno e onorevole ai tuoi occhi?”

“Dico che la storia di Shiratorizawa è scritta col sangue di popoli di cui nessuno ha più memoria, quella di Seijou no. Tooru si è sporcato le mani ma non c’è nessuno degli uomini che hai nominato che non si batterebbe per Tobio.”

“Appunto…”

“Appunto cosa?”

“Il giorno in cui Tobio di Seijou diverrà il Re Demone, per tutti i Regni rimasti indipendenti non ci sarà alcuna speranza.”

Tadashi sgranò gli occhi. “Credi che Tobio stia mirando a Karasuno?”

Kei sospirò e si guardò intorno, cercando le parole giuste per mettere insieme una riflessione che, si rese conto, avrebbe dovuto fare la generazione precedente alla loro. “Re Daichi si è preoccupato della salvezza e della serenità della sua gente. Ha sostenuto la guerra del Re Demone contro Shiratorizawa sia per ripagare un debito che per impedire al Re dell’Aquila di avanzare. Tooru di Seijou è divenuto potente perchè è stato l’unico a non temere Wakatoshi.”

“Nemmeno Tobio lo teme,” gli fece notare Tadashi.

“E Tsutomu non ha ragioni per essere temuto.”

“Quindi?”

“Quindi, quando il suo tempo arriverà, Tobio si ritroverà tra le mani un potere che nessun Re della nostra storia ha mai stretto in pugno. Shiratorizawa non reggerà con Tsutomu come sovrano. Una volta ottenuta la corona della dinastia dell’Aquila, a chi pensi che punterà Tobio?”

Tadashi prese un respiro profondo. “Tu pensi che Tobio possa scatenare una guerra contro Karasuno," dedusse. “Una guerra che non saremmo mai grado di affrontare perché il nostro Regno non è mai stato una potenza bellica.”

“Re Daichi ha pensato di difenderci tenendosi fuori dalla scena politica. Osservando il quadro nella sua totalità, ci ha resi piccoli, deboli, attaccabili.”

Tadashi lo fissò. “Dobbiamo tornare a parlare di tradimento, Kei?”

Il Cavaliere lo guardò storto. “Preferisci parlare di conquista?” Domandò. “Di tirannia?”

“Tirannia?” Tadashi sbuffò. “Va bene.” Alzò entrambe le mani invitando se stesso alla calma. “Ammettiamo per un istante che tu abbia tirato bene le somme e che Tobio sia destinato a essere il più grande sovrano che la storia abbia mai conosciuto. Perchè hai dato a tutto questo una natura diabolica? Tobio è amato dai sovrani detronati dal Re Demone e Shiratorizawa è sinonimo di terrore, lo hai detto tu. Perchè Shouyou dovrebbe essere in pericolo in tutto questo, quando potrebbe essere al fianco di Tobio come suo pari? Kei, non puoi fingere ancora di non vederlo, quei due sono destinati l’uno all’altro. Si amano…”

Kei si massaggiò la fronte stancamente. “Ancora queste tue sciocchezze sull’amore…”

“Hai detto che Tooru è divenuto grande perchè ha avuto il coraggio di mettersi contro Wakatoshi. Perchè lo ha fatto? Rispondi, Kei… Perchè Seijou ha combattuto fino al suo ultimo uomo contro il Re dell’Aquila?”

Il Cavaliere lo guardò esasperato. “Tu credi davvero alla storia del Principe Demone e del Primo Cavaliere? Credi davvero che tutto quell’inferno abbia avuto origine da una storia d’amore scomoda?”

“Sì,” rispose Tadashi risoluto. “Perchè il potere è anche questo, non solo politica e logica. Sono i sentimenti a rendere chi lo impugna imprevedibile e pericoloso.”

“E Tobio dovrebbe essere l’eccezione?”

“No,” ammise Tadashi. “Ma Tobio non è una persona malvagia, e Shouyou ha visto tutto il bene che c’è in lui prima di chiunque altro. Il Principe Demone stringerà in pugno tutto il potere di cui hai parlato e il nostro piccolo signore lo guiderà, lo aiuterà a usarlo nel migliore dei modi… Nello stesso modo in cui Tobio ha permesso a Shouyou di divenire padrone del suo.”

Kei storse la bocca in una smorfia. “Tu credi davvero a questa bella favola, Tadashi?” Domandò. “Tu credi che Shouyou diverrà il nuovo ago della bilancia in questo gioco tra sovrani e che, alla fine di tutto, quella che avremo sarà un’armonia che non ci appartiene da secoli?”

“Tu sei certo che stiamo andando incontro a un caos senza precedenti. Che cosa m’impedisce di credere l’esatto contrario?”

Kei prese a camminare in tondo nervosamente. “Hai detto che Tobio non è una persona malvagia.”

“Sì.”

“E lo credi?”

“Se non fosse così, pensi che gli lascerei toccare il mio Principe?”

“Quello che non capisco, Tadashi, è come abbiamo potuto guardare la stessa persona per tutta l’estate e vedere due cose totalmente diverse.”

“Punti di vista, Kei. Si scoprono mondi nuovi esplorandoli.”

“Hai imparato a fare il sarcastico?”

Tadashi si mosse in avanti e, sebbene vi fosse qualche centimetro a dividerli, i suoi occhi ebbero il potere d’inchiodare il Cavaliere lì, a mezzo passo da lui. “Ti da fastidio che abbia imparato ad avere un’idea diversa dalla tua, Kei?”

Il nobile fanciullo non rispose immediatamente. Per un istante, uno solo, pensò di ricordare all’altro ragazzo la differenza di rango che c’era tra loro, ma poi avrebbe dovuto disprezzarsi per quelle parole. “Tobio è un animo impavido. Qualcuno potrebbe chiamarlo coraggioso, io lo chiamo stupido.”

“E quindi?”

“E quindi, a poche settimane di distanza dal suo quindicesimo compleanno, sta sopravvivendo in un mondo dominato dal Re Demone e il Re dell’Aquila. Entrambi si sono accorti della minaccia che rappresenta Tobio e non resteranno fermi a guardare.”

Tadashi aggrottò la fronte. “Il sovrano di Seijou che motivo avrebbe di far del male al suo erede?”

“Forse lui nessuno, anche se il potere rende imprevedibili, lo hai detto tu.” Kei sollevò lo sguardo verso le montagne visibili oltre le chiome degli alberi: le loro cime erano a stento visibili ora che il sole era sparito del tutto.

“Il Re dell’Aquila è un mostro,” disse. “Per arrivare al giorno della sua incoronazione, Tobio dovrà prima sconfiggere lui,” abbassò lo sguardo. “Quello che mi chiedo è che cosa sarà costretto diventerà per vincere.”



***



Hajime entrò nella biblioteca del Castello Nero imprecando. Non solo era dovuto marciare fino alle campagne del regno per riportare tutti i soldati e i fanciulli nobili a corte, ma suo figlio aveva ben pensato di contribuire allo stress generale di quell'estate sparendo per la seconda volta in una sola stagione. Per poi tacere sul Principe dell'Aquila che aveva fatto a tutti la cortesia di sparire, ma aveva compiuto quel magnanimo gesto in terra straniera dando a suo padre un buon motivo per muovere guerra. Quando Satori lo aveva cercato per informarlo che di Tsutomu non c'era traccia in tutta la corte, Hajime aveva ipotizzato che Tobio lo avesse portato con sé ma era stato un pensiero di breve durata. Il Primo Cavaliere aveva accettato il fatto che era bastata un'estate perché Tobio andasse incontro a un cambiamento fuori controllo e, come genitore, stava cercando di recuperare terreno, ma da lì a immaginare suo figlio grande amico di Tsutomu…

"Generale." Kaname, che in quegli anni era divenuto l'indiscusso signore della biblioteca, gli andò incontro con espressione sinceramente preoccupata. "Ho saputo dei Principi. Ancora nessuna traccia di loro?"

"Ho mandato i ragazzi di Karasuno a nord," rispose Hajime. "Tobio conosce questi territori come il palmo della sua mano ma non sono molti i posti in cui porterebbe il Principe dei Corvi. Con un po' di fortuna, torneranno a casa prima che le foglie comincino a cadere dagli alberi."

Kaname sorrise cortesemente. "Ne sono lieto. Vostra Maestà sta cercando un libro nella sezione dei miti e delle leggende. Scendo a pranzo e vi lascio parlare."

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte. "Tooru è qui?"

"Oh, pensavo lo cercaste…"

No, Hajime era in biblioteca perché la sola idea d'incontrare chiunque altro in ansia per i Principi lo mandava fuori di testa e, tristemente, la corte di Seijou non era solita passare del tempo tra quegli alti scaffali. "Sì, lo cercavo," mentì il Primo Cavaliere.

Kaname chinò la testa in segno di rispetto e se ne andò.

Quando Hajime lo trovò, Tooru era seduto sul vano della finestra con un libro aperto sulle ginocchia e un sorriso nostalgico sulle labbra. La luce del sole ricalcava la linea del naso perfetto e la curva appena accennata delle belle labbra - Tobio aveva lo stesso profilo, pensò Hajime.

Il Cavaliere non si annunciò. Fu il Demone che, sentendosi osservato, sollevò gli occhi scuri e incontrò quelli verdi dell'altro.

"Hajime!" Tooru non nascose di essere felice di vederlo.

Il Primo Cavaliere sorrise. "Ti nascondi anche tu?"

"Più o meno," rispose il sovrano. "Nessuno viene da me a riempirmi di ansia per la sorte di Tobio, a parte te."

"Io non ti riempio di ansia, ti accuso apertamente."

"Sempre bruto," si lamentò Tooru, poi quel sorriso nostalgico tornò a illuminargli il volto. "E sempre sincero." Come Tobio, pensò. "Vieni, siediti accanto a me."

Hajime non aveva ragione di rifiutare. "Che cosa stai leggendo?"

Tooru scrollò le spalle. "Non sto davvero leggendo," disse, porgendo il libro all'altro. "Te lo ricordi?"

Era un volume piuttosto pesante, dalla copertina rossa elegantemente elaborata con complicati ghirigori dorati. Hajime sorrise: "Cronache dei Regni liberi," lesse il titolo. "Il solo libro che Tobio abbia letto fino a impararlo a memoria."

"Accontentiamoci," disse Tooru. "È il libro più bello e più importante di tutte le terre conosciute. Un Principe non potrebbe mai essere Re senza essersi perso tra queste pagine."

"Chissà se lo ha mostrato a Shouyou?" Si chiese Hajime, sfogliando distrattamente le pagine ingiallite, elegantemente scritte e piene di splendide illustrazioni.

"Oh! Quindi ora riconosci l'importanza del piccolo di Daichi e Koushi nella vita del nostro principino," lo punzecchiò Tooru.

"Io nego solo la parte sul destino che a te piace tanto."

Tooru guardò fuori dalla finestra con un sorriso intenerito. "Lo hai visto?"

"Cosa?"

"Nostro figlio mentre baciava un altro fanciullo."

Hajime gelò: era stato talmente occupato a essere arrabbiato per la fuga di massa alle campagne che non aveva avuto tempo di riflettere sulla tenera scena che, prima di annunciare la sua presenza, aveva intravisto.

"Sì…" Rispose in un mormorio. "È successo davvero."

Tooru ridacchiò. "Ti sei emozionato? Sul momento, io no, poi ho cominciato a ripensarci e… È sciocco, mi è tornato in mente quando lo tenevo ancora in braccio e quella boccuccia imbronciata la baciavo solo io."

"E gli dicevi idiozie tipo: facciamo ingelosire papà." Aggiunse Hajime, alzando gli occhi al cielo.

"Nah... Non ha mai funzionato, sei sempre stato il favorito."

"Non è vero, Tooru."

"Sì che lo è."

"È un Arciere e guarda a te come obiettivo da raggiungere."

"È un Cavaliere e tu sei l'uomo che lui vorrebbe diventare."

"La pianti?"

"Ho appena cominciato."

Si zittirono entrambi. Si guardarono. Scoppiarono a ridere come due ragazzini.

"Ho mandato i due fanciulli di Karasuno a nord," lo informò Hajime, una volta tornato serio. "Penso che sia al piccolo castello di vedetta al confine."

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. "Dove ci siamo sposati?" Lo disse con la naturalezza di qualcuno che parla di un bel ricordo, ma Hajime sentì una stretta al cuore a quelle parole. Lui e Tooru non erano mai stati altro che amanti per i Regni liberi. In un certo senso, solo la nascita di Tobio aveva legittimato in qualche modo la loro relazione. Eppure, ai confini del mondo dominato da Cavalieri e Re, con la complicità di un incantesimo di cui Hajime ancora non conosceva i dettagli, Tooru aveva indossato un abito bianco e aveva giurato di amarlo fino alla fine dei suoi giorni.

"Pensi che se lo ricordi?"

Il Cavaliere si riscosse dai suoi pensieri. "Chi?" Domandò. "Cosa?"

"Tobio!" Esclamò Tooru. "Pensi che si ricordi del matrimonio e di tutto il resto?"

"Io non credo che riuscirei a dimenticare uno dei miei genitori che una mattina, magicamente, si ritrova in un corpo del sesso opposto al proprio."

Tooru s'imbronciò. "Per lui non faceva alcuna differenza."

"E poi il favorito sarei io…"

"Ero una fanciulla bellissima e, per mia fortuna, Tobio ha i tuoi gusti. Shouyou è una piccola meraviglia e crescendo lo diverrà ancor di più."

Hajime lo fissò. "Ti sei appena fatto un complimento indiretto?"

"Chi?" Tooru si premette una mano contro il petto con finta innocenza. "Io?"

Hajime sbuffò frustrato. "Non posso nemmeno negare: non sei mai stato brutto in vita tua."

Le labbra di Tooru si piegarono appena in un sorriso che era sintomo di un piacere intimo, segreto.

In lontananza, le trombe del cancello principale presero a suonare.

Tooru inarcò le sopracciglia. "Sono già di ritorno?"

Hajime richiuse il libro tra le sue mani e imprecò tra i denti. "Hai mai visto nostro figlio entrare in grande stile dal cancello principale?”

Tooru fece una smorfia e scosse la testa. "No, sarebbe troppo principesco."

"Appunto…" Hajime rimise il grande libro al suo posto. "Questa è la cavalleria."

"Che cavalleria?"

"Quella volante."

Tooru sgranò. "Oh… Me ne ero quasi scordato."

Hajime si alzò in piedi. "Andiamo, prima che Satori si strazi al cospetto di Wakatoshi per convincerlo che Tsutomu non se lo è perso lui ma lo abbiamo rapito noi."


 

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Capitolo 39
*** Di sentieri e alte montagne ***


35
Di sentieri e alte montagne





Il Cavaliere che era stato il Generale di tutte e forze armate di Dateko, Kenji Futakuchi, fu l’ultimo a essere informato dell’arrivo del Re dell’Aquila e, per un breve istante, si chiese se non fosse finalmente giunto il giorno dello scoppio di una nuova guerra tra le ultime due potenze dei Regni liberi.

In un primo momento, il suo unico pensiero fu di trovare Aone e di ricongiungersi con il loro sovrano. Se stava per cominciare un assedio, Kaname era la priorità per loro e per tutti i Cavaliere che avevano combattuto indossando i colori della bandiera di Dateko.

La vera natura della situazione si rivelò a lui non appena mise piede nel cortile interno per cercare il suo vecchio braccio destro. Tutta la corte si era radunata sotto le logge, in disparte e, al contempo, in prima fila per assistere a quanto stava per accadere.

“Che cosa fate tutti qui?” Domandò Kenji ad Aone, non appena lo vide in attesa insieme agli altri.

“Aspettiamo…” Rispose il gigante, tenendo lo sguardo fisso di fronte a sè.

Kenji prese un respiro profondo. “Questo lo vedo,” disse, pazientemente. “Mi sfugge il motivo.”

Aone abbassò gli occhi su di lui. “Il Re dell’Aquila è fuori dai cancelli.”

“So anche questo.”

“Il Principe dell’Aquila è disperso.”

Kenji lo guardò fisso. “Oh…” Gli era giunta voce che Tobio era scappato di nuovo portandosi appresso l’erede al trono di Karasuno ma quell’ultimo evento doveva essergli sfuggito. “Siamo in guerra?” Chiese, mortalmente serio.

Qualcuno dalla prima fila scoppiò a ridere: era Koutaro. “Rilassati, Kenji,” disse, sollevando una mano per farsi vedere. “Sicuramente stanno per accadere grandi cose ma non una guerra!”

“L’erede di un alleato pericoloso è scomparso all’interno della corte, ci saranno sicuramente delle conseguenze,” ribatté Kenji, irritato da tutto quella leggerezza fuori luogo.

“Oh, sicuramente!” Intervenne Tetsuro, appoggiato a una delle colonne di pietra. “E nessuna di queste sarà seria!”

Kenji sbuffò ma dovette tenersi tutta la sua frustrazione per sé.

I cancelli si aprirono e il Re dell’Aquila fece il suo ingresso in sella a uno splendido stallone bianco. Al suo seguito, Kenji riconobbe il Primo Arciere. Non c’era nessun altro con loro.

“Un Re che viaggia senza una scorta?” Si domandò Kenji. 

“Questi due stanno diventando meno discreti di Tooru e Hajime ai tempi d’oro,” commentò Takahiro, da qualche parte alla destra di Koutaro.

“Hajime e Tooru sono mai stati discreti?” Ribatté Issei, proprio accanto all’amico di sempre.

Un brusio divertito si alzò dalla piccola folla.

Kenji alzò gli occhi al cielo. “Andate tutti al diavolo,” sibilò, ma non si mosse da dove era.
Satori fu il primo a entrare in scena e non deluse le aspettative di tutti gli spettatori in attesa. “Ce lo hanno rubato!” Urlò, scendendo le scale con le braccia alzate in una sceneggiata a dir poco esagerata. “Quale tragedia, mio Re!”

Il viso di Wakatoshi non tradì alcuna espressione mentre scendeva da cavallo. “Che cosa è successo?” 

Kenjirou rimase a cavallo ma a nessuno sfuggì lo sguardo di puro disprezzo che lanciò al braccio destro del sovrano di Shiratorizawa.

Satori sbuffò frustrato. “Noioso come sempre,” commentò, dandosi subito un contegno. “Il tuo moccioso ha dato di matto, di nuovo. Non ha ancora quattordici anni e se non comincia a darsi una regolata, non ti assicuro che arriverà ai quindici.”

Wakatoshi sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa è successo a Tsutomu?”

L’espressione di Kenjirou divenne evidentemente allarmata. “Satori, è accaduto qualcosa a Tsutomu?” Scese da cavallo e non si preoccupò di mancare di rispetto al suo Re portandosi un passo davanti a lui. “Avevi un compito: proteggerlo!”

Satori lo guardò di traverso. “Non mi pare che tu lo abbia generato, o sbaglio?”

Kenjirou sgranò gli occhi, ma Wakatoshi intervenne prima che quella discussione degenerasse. “Tsutomu non è qui al Castello Nero?” 

Il sovrano pareva confuso ma Satori lo era ancor di più. “Non sei qui per questo?”

“No.” Fu Kenjirou a rispondere. “Siamo qui perché l’assenza del Principe cominciava a prolungarsi esageratamente.”

Satori guardò il suo sovrano dritto negli occhi. “Si tratta di un pensiero condiviso o questo qui ti ha stressato fino a che non lo hai accontentato?”

Suo malgrado, Kenjirou arrossì, imbarazzato. Ma ora Wakatoshi aveva premura di capire che cosa fosse successo a suo figlio. “Dov’è Tsutomu?”

“È una domanda che ci stiamo ponendo tutti!” Esclamò il Re Demone, facendo la sua entrata in scena. Non indossava nessun abito regalo, eppure la sua presenza fu sufficiente a mettere tutti gli altri in ombra. Tutti, tranne il Primo Cavaliere che scese le scale al suo fianco.
I Cavalieri sotto le logge trattennero il fiato.

“Wow…” Commentò Koutaro.

Anche Tetsuro era sinceramente sorpreso. “E dopo questa,” disse, rivolgendosi ai più giovani. “Non chiedetevi più come hanno fatto a creare il secondo Regno più potente tra quelli liberi.”

Suo malgrado, Kenji doveva ammettere con se stesso che aveva ragione: Tooru aveva l’innata capacità di divenire padrone della scena solo con la sua presenza ma al fianco del Primo Cavaliere, Generale supremo dell’esercito di Seijou, emanava un’aura di fronte a cui chiunque avrebbe abbassato lo sguardo.

“Questo è il potere di chi ha scritto la storia ed è divenuto leggenda,” mormorò tra sè e sè con una nota di disprezzo.
Anche Wakatoshi subì quella soggezione, perché il suo sguardo andò prima a Hajime che al Re Demone. “Primo Cavaliere…” Salutò, gelido.

“Maestà,” rispose questi e non accennò neanche ad abbassare la testa in segno di rispetto.

“Sei qui in anticipo,” disse Tooru, per nulla infastidito dall’essere stato messo in secondo piano. “Immagino che la mia lettera non ti abbia mai raggiunto, Wakatoshi. A meno che tu non sappia volare.”

Satori alzò gli occhi al cielo e si fece da parte, vicino a Kenjirou ma non troppo: non voleva trovarsi in mezzo alla guerra di sguardi che stava per verificarsi, qualcuno avrebbe potuto trapassarlo per sbaglio.

“I Principi sono scomparsi?” Domandò il Re dell’Aquila, ancora incapace di mettere insieme tutti i pezzi.

Tooru sorrise con cortesia. “Il mio è in fuga d’amore ma, ovvio, non con il tuo,” disse con velato sarcasmo. “Dubito fortemente che Tobio lo abbia portato con sé quando tutto il suo interesse è stato catturato del piccolo Shouyou, ma immagino che, sì, la loro condotta abbia influenzato profondamente anche quella di Tsutomu. Sei d’accordo con me, Satori?”

Il Cavaliere in questione forzò un sorriso. “È stata una lunga estate.”

“Non ne dubito,” commentò Kenjirou a mezza bocca, guadagnandosi un’occhiata storta dal braccio destro del suo sovrano.

“Vogliamo parlarne in un luogo più comodo?” Propose Tooru, indicando la scalinata con un gesto della mano. “Il sole è ancora caldo e la storia che io e Satori dobbiamo raccontare è davvero molto lunga.”

Wakatoshi accettò l’invito con un silenzioso cenno del capo.

“Se volete seguirmi,” aggiunse Tooru, voltandosi. 

Il Re dell’Aquila salì i primi gradini in fretta, cercando di raggiungere il fianco del Re Demone. Il Primo Cavaliere andò contro tutte le regole dell’etichetta e affiancò il suo sovrano per primo.
Tutti lo notarono. Tutti.

Nessuno osò parlare fino a che il corteo reale non fu sparito in cima alle scale.

Issei fu il primo: “ma che succede?”

“Siamo tornati indietro di quindici anni e non ce ne siamo accorti, a quanto pare,” ipotizzò Takahiro, incrociando le braccia contro il petto. “La cosa va indagata,” aggiunse, rivolgendo un ghignetto divertito a Koutaro e Tetsuro.

Il primo diede la sua approvazione sollevando il pollice. “Conta su di noi.”

“Dovrà scendere nel cortile interno da solo, prima o poi,” disse Tetsuro, sfregando le mani. “E quando succederà-“

“Può essere successo nel viaggio dal Castello Nero alle campagne,” intervenne Aone, facendoli sobbalzare tutti - Kenji compreso. “Si tratta di un viaggio di almeno due giorni.”

Ci fu un veloce scambio di sguardi tra Issei, Takahiro, Koutaro e Testuro.

“Sono stati due giorni da soli…” Mormorò l’ex sovrano di Nekoma. “Come ho fatto a non pensarci prima?”

“Se fossero tornati a prima che Tooru ci tradisse tutti, ce ne saremmo accorti,” obiettò Koutaro.

“No, due giorni non bastano per dimenticare l’acredine di anni,” disse Issei.

“Forse non per dimenticare ma per mettere da parte, sì.” Takahiro andò avanti con le sue ipotesi. “Non dimentichiamo che Tobio c’è solo perché Hajime aveva deciso di prendersi una notte di pausa dalla guerra. Basta poco per girare le carte in tavola.”

Koutaro scrollò le spalle. “Non credo che sia voluta tutta la notte.”

Testuro sghignazzò diabolico. “Gli concedo al massimo quindici minuti sulla fiducia.”

“Basta!” Kenji alzò le mani al cielo, esasperato. “Me ne vado!”


***




Tadashi si svegliò con un potente mal di schiena e un cerchio alla testa.

A Karasuno, durante l’addestramento, avevano insegnato a lui e a tutti i cadetti come costruire un campo accidentato in caso di lunghi viaggi. Non avevano mai avuto la necessità di farlo davvero. 

Kei aveva fatto tutto il lavoro: aveva trovato la legna, acceso il fuoco e catturato il coniglio che era divenuto la loro cena. Tadashi non poteva lamentarsi quando era stato l’altro a prendersi cura di lui in tutto e per tutto. Il suo orgoglio un po’ ne soffriva ma la sua inettitudine non era nulla di nuovo.

“Kei?” Chiamò, massaggiandosi il collo con la mano.

Il suo amico d’infanzia non sembrava essere nei paraggi. 

Non si allarmò: doveva essere andato in ricognizione per valutare a che punto del cammino erano arrivati. Il Primo Cavaliere aveva dato loro delle mappe e tutte le indicazioni necessarie per raggiungere il castello dove forse Tobio aveva portato Shouyou, ma Seijou non era il loro Regno e non sapevano quanto fosse sicuro muoversi tra quei boschi.

Tadashi si alzò in piedi con un sospiro stanco. Se sollevava lo sguardo, poteva vedere che le montagne al confine nord di Seijou erano molto più vicine rispetto al giorno precedente. Non se ne sorprese. Se era andata come credeva e Tobio aveva chiesto a Shouyou di volare via, dubitava che il Principe Demone si fosse spinto in una zona sconosciuta o troppo lontana da casa. Inoltre, nonostante la sua natura selvaggia, Shouyou non era un soldato, non sapeva cosa volesse dire non avere un tetto solido sopra la testa o dormire in giacigli accidentati. 

Tobio ne era consapevole e doveva averlo pensato anche Hajime quando aveva detto loro dove andare.

“E voi?” Domandò Tadashi con un sorriso gentile, rivolgendosi ai due cavalli che Kei aveva legato a uno degli alberi che circondavano il loro campo. “Avete dormito bene? Sicuramente meglio di me.” Accarezzò il muso del suo puledro e l’animale sembrò felice di ricevere le sue attenzioni.

Lo stallone di Kei continuò a guardarsi intorno come se lui non fosse nemmeno lì.

“Sembra che condividiamo il destino di essere invisibili, amico mio,” aggiunse il fanciullo, sorridendo tristemente.

“Non solo sei diventato arrogante, parli anche con i cavalli.” Era Kei. Se aveva avuto fatica a riposare, non lo dimostrava in alcun modo.

Tadashi non perse tempo a giustificare l’ingenuità del suo comportamento e portò gli occhi sul cestino che il giovane Cavaliere aveva appeso al braccio. Era certo di non averlo mai visto prima. “Che cos’hai lì?”

“Pane appena sfornato,” rispose Kei, sedendosi a gambe incrociate sul sacco a pelo dentro cui aveva dormito.

“E dove lo hai trovato del pane appena sfornato?” Domandò Tadashi, accomodandosi accanto a lui.

Kei prese una delle due pagnotte nel cestino e gliela porse. “Non mangeremo altro prima che il sole raggiunga il punto più alto del cielo,” disse, autoritario.

Tadashi non se la prese e accettò l’offerta con un sorriso. “Non hai risposto alla mia domanda.”

Kei lo guardò, poi indicò gli alberi con un cenno del capo. “Più avanti, il sentiero diviene più grande e dopo una mezz’ora a piedi si arriva a un villaggio. Ci saranno una decina di case, poco più ma la donna a cui ho chiesto indicazioni ha insistito perché prendessi il suo pane.”

“Sono tanto gentili a Seijou?”

“No, lo è divenuta dopo che ho detto che siamo Cavalieri del Principe Demone.”

Tadashi lo guardò divertito. “E sei riuscito a dirlo senza provocarti qualche malessere?”

Kei scrollò le spalle. “Anche questa è politica.”

Già… Per quanto a Tadashi non piacesse, Kei sarebbe potuto essere un gran uomo di stato. Non era un caso che Daichi l’avesse voluto al fianco di Shouyou come suo Cavaliere. Non solo quello di Kei era il braccio più forte tra i soldati più giovani, ma la sua mente era un’arma preziosa che qualunque Re avrebbe voluto possedere. Poteva essere cinico e razionale al punto da essere crudele ma, suo malgrado, Tadashi doveva ammettere che uomini come Kei erano quelli che permettevano ai regni di sopravvivere.

Tuttavia…

“Il popolo ama molto Tobio, eh?” Tadashi sorrise ma la sua fu una provocazione.

Kei lo comprese e non gli diede la soddisfazione di ricambiare il suo sguardo. “Facile amare qualcosa che si conosce solo per sentito dire.”

“Le azioni di Tobio non sono sentito dire.”

“Di qualunque azione tu stia parlando, non dice nulla sulla personalità abrasiva dell’erede al trono di questo Regno.”

Tadashi decise di non insistere oltre: li aspettava una giornata molto lunga. “Che informazioni le hai chiesto?”

“Le ho mostrato le mappe del Primo Cavaliere per assicurarmi che fossimo sulla strada giusta. A suo avviso, saremo al castello entro stanotte o, se decidiamo di fermarci, domani nelle ore più calde.”

“Fermiamoci,” propose Tadashi. “Non saranno contenti di vederci, diamo loro un’altra notte da passare da soli.”

Questa volta, Kei non poté trattenersi dal guardarlo annoiato. “Non ti chiedo da che parte stai perché lo hai reso fin troppo chiaro, traditore.”

Tadashi rise.

“Non è divertente,” insistette il Cavaliere. “Prima li raggiungiamo e prima li riporteremo al Castello Nero.”

“Prima li raggiungiamo e più tempo passeremo con loro fino a che non decideranno di tornare di loro spontanea volontà,” replicò Tadashi. “Forse Tobio ti permetterà di scrivere a suo padre che sono vivi e stanno bene - a meno che non lo faccia lui stesso - ma non tornerà indietro se non ne avrà voglia.”

Kei sbuffò. “Che resti dove sta, a noi basta il nostro idiota.”

“E pensi che Shouyou non rimarrà con lui? Avanti, Kei! sei sempre quello più razionale, sii realista!”

Kei assottigliò gli occhi. “Io non passo l’inverno circondato dal nulla in compagnia del Principe Demone,” concluse, perentorio.

Tadashi avrebbe voluto dirgli che entrambi rappresentavano solo dei pedoni di troppo in una partita che era tutto di Tobio e Shouyou, ma, sì, la giornata era ancora lunga e non voleva far raffreddare il pane caldo tra le sue dita. “Buon appetito,” disse, addentandolo.



***




L’aria che si respirava lì era diversa da quella del Castello Nero.

Il cielo era limpido - forse più blu - e il sole era ancora caldo ma non tanto da essere soffocante.

Una volta che ebbe finito di fare quello che stava facendo, Tobio ripose il pugnale nella fodera appesa alla cintura e fece un passo indietro per dare un’occhiata al suo lavoro: i tre cerchi concentrici che aveva inciso sulla corteccia non erano perfetti ma se li sarebbero fatti andare bene.

“Mettiti in posizione,” ordinò, allontanandosi dall’albero.

Shouyou divaricò le gambe fino a sentirsi ben saldo sui piedi, incoccò la freccia e tese l’arco. 

“Tutti e due gli occhi aperti,” gli ricordò Tobio, portandosi alle sue spalle per assicurarsi che stesse puntando nella direzione giusta.

“Sto andando bene?” Domandò Shouyou.

Tobio osservò il modo in cui impugnava quell’arco: era troppo grande per lui ed era solo per ostinazione che non mostrava la fatica che stava facendo a tenerlo teso. Non glielo disse. Se imparava a tirare con quell’arlma, non avrebbe avuto alcuna difficoltà con una creata per lui.

“Tobio, sto andando bene?” Shouyou voltò appena la testa.

“Non perdere di vista il bersaglio,” disse Tobio, secco. Da dove si trovava, poteva vedere che la traiettoria era buona ma non perfetta. Era un tiro facile: l’albero era a circa una decina di metri di distanza e non c’era vento. “Decidi tu quando scoccare.”

Tobio notò che il braccio con cui Shouyou tendeva la corda stava tremando. Storse la bocca: stava perdendo troppo tempo a prendere la mira.

Shouyou lasciò la presa, lo squilibrio che si andò a creare lo portò ad abbassare l’arco e la freccia colpì la terra ai piedi dell’albero.

Tobio non se ne sorprese e l’angolo destra della bocca si sollevò in un sorrisetto.

“Ma perché?” Si lagnò Tobio, guardandolo. “Sono bravo a prendere la mira! So di essere bravo!”

Tobio annuì. “Infatti c’era quasi,” disse. “Ci sei andato vicino per alcuni istanti.”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “E poi?”

“Hai esitato, hai perso tempo a fare domande,” rispose Tobio. “Hai perso presa, equilibro e concentrazione. Un Arciere deve saper essere preciso e veloce e, allo stesso tempo, immobile.”

Shouyou lo guardò perplesso. “Spiegami.”

“I tuoi riflessi sono veloci per natura,” disse Tobio. “Questa è una buona cosa quando voli, ti muovi o dai di spada. Con l’arco devi fare la stessa cosa con gli occhi e la testa, il tuo corpo è solo un perno. Se la spada è l’estensione di un Cavaliere, la freccia lo è per l’Arciere… Un’estensione che devi lasciar andare.”

Shouyou sorrise. “Chi ti ha insegnato tutto questo?”

Tobio resse il suo sguardo per un istante, poi si chinò e recuperò un’altra freccia dalla faretra lasciata a terra. “Incocca,” ordinò. Non appena Shouyou afferrò la freccia, lo prese per i fianchi e lo spostò in una posizione migliore. “Un piede indietro e uno avanti.”

Shouyou abbassò lo sguardo sui suoi stivali e annuì.

“Testa dritta,” aggiunse Tobio.

Il Principe dei Corvi sollevò lo sguardo, seguirono le braccia e tese la corda. Prese la mira con gli occhi ben aperti, immaginò la freccia al centro del cerchio più piccolo e…

Tobio gli baciò il collo a tradimento.

Shouyou si fece rigido, le sue dita scivolarono via dalla freccia e questa colpì il tronco a metà tra il secondo cerchio e il terzo. “Tobio!” Esclamò, voltandosi, le guance rosse.

Il Principe Demone si allontanò, ridacchiando.

“Tobio!” Chiamò di nuovo Shouyou, ridendo. “Tobio, aspetta!” Gli saltò addosso con la certezza che l’altro lo avrebbe sorretto ma, preso di sorpreso, l’altro finì solo col cadere a faccia in avanti. 

Shouyou si lasciò andare a una fragorosa risata. Tobio, invece, imprecò tra i denti sollevandosi coi gomiti. “Smettila di ridere, idiota.”

Il Principe dei Corvi si allontanò rotolandosi sull’erba. “Sei tu il primo che mi ha preso alle spalle!”

Tobio ghignò. “Ha funzionato.”

Shouyou sbruffò, divertito. “Vieni qui…”

“Uhm…”

“Vieni qui.”

Tobio si sollevò e poggiò i gomiti ai lati della testa di capelli ribelli. 

Shouyou sorrideva sereno. Sollevò la mano e fece scivolare le dita tra i capelli corvini.

“Che stai facendo?” Domandò Tobio.

Shouyou scrollò le spalle. “Niente…” Mormorò. “Tu, piuttosto, perché fai questa faccia?” Premette l’indice contro la punta del suo naso e Tobio si ritrasse. “Smettila…” Borbottò, poi si chinò e posò un bacio veloce sulle labbra del piccolo corvo. Si alzò in piedi. “Andiamo,” gli porse la mano.

Shouyou la strinse con entusiasmo. “Sì…”

Tobio si caricò la faretra in spalla e raccolse l’arco che era finito a terra. “Io vado a caccia, mi vuoi accompagnare?” Non si aspettava un risposta affermativa.

“Certo!” Esclamò Shouyou come se fosse una cosa ovvia. 

Tobio corrugò la fronte. “Non ti piace quando vado a caccia.”

“Lo so, ma dovremmo pur mangiare qualcosa. Mentirei se dicessi che non mi piace la carne. Non mi piace quando usi i volatili come bersagli per allenarti.”

“È una fase necessaria nell’addestramento di ogni buon Arciere.”

“Come se ci fosse qualcuno in grado di superare te…”

Le labbra di Tobio si piegarono in un ghignetto arrogante. “Stai dichiarando la resa?”

Shouyou allanciò le dita dietro la schiena, avvicinandosi all’altro col naso all’insù. “Neanche per sogno,” disse e fece un saltello per baciarlo. Lo superò e fece per allontanarsi lungo il sentiero.

“Aspetta…” Tobio non ebbe bisogno di afferrarlo per convincerlo. Gli prese il viso tra le mani e si godette il vantaggio che gli offriva la sua altezza. Quando lo baciò lo fece lentamente, assaggiando le sue labbra come aveva fatto la notte precedente. Shouyou si aggrappò a lui, allontanandosi dalla sua bocca con un mugolio. “Devi proprio andare a caccia?” Non si rese conto di quanto fu languido ma Tobio sì, e non ci fu modo di salvarlo dall’imbarazzo.

“Quanto sei stupido!” Sbraitò, rosso in volto,

Shouyou sgranò gli occhi. “Che cosa ho detto?”

“Sei doppiamente stupido per non capirlo! Aspettami al castello, con te intorno non riuscirei a centrare nemmeno un bersaglio immobile.”

Il Principe dei Corvi tornò a sorridere. “Sono diventato una distrazione talmente grande?”

“Stai zitto!”



Erano partiti seguendo un pensiero folle, ribelle e lo avevano fatto volando perché nessun viaggio sarebbe stato divertente per loro se non avesse contenuto una sfida. Tuttavia, ora erano entrambi senza vestiti. Nemmeno l’arco con cui si erano esercitati quella mattina proveniva dal Castello Nero: Tobio lo aveva recuperata dalla minuscola sala delle armi nascosta dietro la porta del sottoscala.

Tobio gli aveva spiegato che nessuno metteva più piede in quel luogo da più di un decennio. Shouyou si guardava intorno e aveva come l’impressione che tutto fosse rimasto congelato all’ultimo giorno d’inverno in cui il grande camino nel salone principale era stato acceso. Tutto era pulito - a parte la polvere - e si erano premurati di conservare al meglio i mobili coprendoli con dei teli. Curiosando in giro, però, Shouyou aveva trovato dei calici fuori posto, come se qualcuno avesse brindato appena la notte precedente, e aveva notato un paio di vecchi stivali lungo il corridoio della camere in attesa di essere indossati dal loro padrone - forse sarebbero stati bene a Tobio. 

Esclusa la stanza di cui avevano distrutto la finestra, Shouyou esplorò ogni angolo di quel luogo silenzioso, a tratti tetro. Non lo sorprendeva che a Tobio fosse così caro: era il genere di calma che piaceva a lui, quella di cui non poteva godere per via del suo titolo di Principe. 

Di norma, Shouyou si sarebbe sentito soffocare da tutto quel silenzio ma in quel momento non aveva voglia di udire niente altro a parte la voce di Tobio. Quando avrebbero fatto ritorno al Castello Nero, il mondo sarebbe stato ancora lì ad aspettarli, a rimproverarli per la loro eccessiva voglia di libertà. A quel punto, non sarebbe rimasto nulla di quel silenzio, non ci sarebbe stato un luogo da poter chiamare solo loro. 

Avevano passato insieme tutta l’estate ma quella era la prima volta che rimanevano completamente da soli. Mentre esaminava il contenuto di un vecchio baule in una delle camere, Shouyou pensò che non era un caso se erano riusciti a lasciarsi andare come la notte scorsa solo in un posto come quello. 

Tobio era a caccia per procacciare loro la cena e il piccolo Principe dei Corvi si stava impegnando per rendere quel luogo più accogliente in tempo per il suo ritorno. Non c’era alcuna servitù a pensare ai loro bisogno, non c’erano Cavalieri o genitori a tenerli costantemente d’occhio.

Erano solo loro due. Erano solo Tobio e Shouyou.

Il Principe dei Corvi piegò una tunica grigia trovata nel vecchio baule e la ripose sul pavimento, insieme ai vestiti ancora utilizzabili che aveva trovato. 

Doveva sistemare una camera in modo che lui e Tobio potessero occuparla? Quella era grande e c’era un bel camino d’accedere per riscaldare l’aria fredda della notte. Tuttavia, Shouyou non era certo che sarebbe riuscito a rilassarsi lì, lasciando il salone e l’ingresso completamente incustoditi. Mentre quel flusso di pensieri scorreva nella sua mente, scrollò le spalle e pensò che non avevano dormito affatto male la notte precedente.

Ci ripensò. Shouyou smise di frugare all’interno del baule e portò gli occhi d’ambra verso la finestra. Non era stato imbarazzante svegliarsi tra le braccia di Tobio e nemmeno rendersi conto che non avevano tutti i vestiti addosso. Gli si era stiracchiato addosso, il mantello era scivolato via e aveva cercato le sue braccia per scaldarsi. Tobio non lo aveva allontanato, lo aveva accettato con la stessa naturalezza con cui lui l’aveva cercato. Shouyou aveva avvertito le sue dita tra i capelli - forse si era anche riaddormentato cullato dalle sue carezze - e si era sentito nel posto giusto per la prima volta nella sua vita. 

Sospirò, piegando le braccia sul bordo del baule e poggiandovi la guancia. Ormai scandiva ogni istante che passava lontano da Tobio a suon di sospiri. 

Da solo in quella piccola roccaforte di vedetta sul tetto del Regno di Seijou, Shouyou provò per la prima volta nostalgia di sua madre. Suo padre e sua sorella gli mancavano in egual misura ma, in quel preciso istante, l’assenza di Koushi e la sua impossibilità di contattarlo velocemente gli pesarono. Sapeva che quello che aveva condiviso con Tobio non era niente se paragonato all’amore adulto, quello dei veri amanti, ma era tanto per lui. Per loro.

Tobio non aveva mai toccato nessuno prima e Shouyou, ovviamente, non si era mai fatto toccare. 

Il Principe dei Corvi aveva lasciato il suo nido tra le montagne appena una stagione, eppure aveva l’impressione che fosse passato tanto di quel tempo da averne perso la cognizione. Pochi mesi prima si era esaltato all’idea di mettere piede fuori dal Regno di Karasuno per la prima volta e ora la sua innocenza stava scivolando via gradualmente tra le braccia dell’erede al trono di Seijou. Shouyou aveva avuto così fretta di diventare grande senza prendere in considerazione l’idea che un’estate sarebbe stata sufficiente per divenirlo davvero. Ora non voleva tornare indietro, mai, era solo indeciso se spiegare le sue ali senza curarsi dell’altezza, oppure volare basso ancora per un po’, studiare il vento e valutare quanto le sue forze potessero reggere un viaggio simile. La sua natura lo spingeva nella prima direzione, ma Tobio era il tesoro più prezioso che aveva, il solo che si era conquistato, che fosse solo suo

“Sei mio…” Mormorò Shouyou con incredulità alla stanza vuota. “Sei davvero mio…”

E se doveva diventare più forte perché Tobio continuasse ad esserlo, allora non aveva paura nemmeno di sfidare il Re Demone… No, il Re dell’Aquila in persona.

Forte di quella nuova determinazione, Shouyou riprese a esaminare i vestiti nel vecchio baule come se stesse compiendo un’impresa epica. Ci vollero pochi minuti perché si accorgesse che c’era qualcosa nascosto sul fondo. 



Tobio si allontanò più del dovuto per procacciare loro qualcosa da mangiare ma aveva bisogno di schiarirsi le idee e si pentì presto di aver avuto quella reazione isterica con Shouyou. Impiegò un tempo ridicolmente lungo per catturare una coppia di conigli e tutto a causa del piccolo corvo che continuava a infestare la sua mente. Shouyou era con lui anche quando fisicamente non c’era. Era un sentimento che aveva cominciato a covare già dal loro ritorno al Castello Nero, ma dopo quello che avevano condiviso la notte precedente era peggiorato. Si fermò di colpo e batté la fronte contro il tronco dell’albero più vicino. Se spaccarsi la testa era l’unico modo per mettere a tacere i pensieri, allora sarebbe andato in giro senza. Non ne era del tutto sicuro, ma ricordava di aver sentito una storia di fantasmi su di un Cavaliere senza testa quando era bambino. Dopo tutto quello che era successo, non si sarebbe sorpreso di scoprire che esisteva una maledizione per rendere quella favolette macabra una cosa vera. A pensarci bene, però, senza testa non avrebbe più potuto baciare Shouyou. 

“Che idiota…” Sibilò contro se stesso e batté la testa contro il tronco una seconda volta. Fece male. “Ahi!” La coppia di conigli stretta nel suo pugno cadde a terra e si portò entrambe le mani alla fronte. “Maledizione!”

“Va tutto bene?” 

Tobio sobbalzò, cerco la sua spada ma l’aveva lasciata al Castello Nero.

Per sua fortuna, lo sconosciuto che quel giorno incontrò sulla sua strada non aveva alcuna brutta intenzione. 

“Ehi…” L’uomo sollevò entrambe le mani e gli rivolse un sorriso amichevole. “Va tutto bene. Non ho alcuna intenzione di farti del male.”

Era alto e aveva delle sopracciglia enormi. Tobio lo esaminò con lo sguardo velocemente ma non trovò alcuna arma appesa alla sua cintura. 

“Sei un Cavaliere.” Quella dello sconosciuto non era una domanda. “Vieni dal Castello Nero o da una delle città a valle?”

Tobio aggrottò la fronte. “Come sapete che sono un Cavaliere? Non indosso i colori di Seijou.” Era sospetto.

L’uomo ridacchiò. “Beh… Hai un arco sulla in spalla e ti è venuto spontaneo cercare una spada.”

“Sono anche un Arciere,” disse Tobio, imbronciandosi.

“Non fatico a crederlo. Non è facile catturare due lepri adulte: bisogno avere buona mira e riflessi pronti.”

Tobio raccolse le sue due prede, come a voler sfidare lo conosciuto a portargliele via.

“Rilassati,” ripeté questi. “Sono uno dei fortunati che ha un pasto caldo che lo aspetta a casa tutte le sere.”

“Vivi al villaggio più a sud?”

“No, io vivo là.” Lo sconosciuto si voltò per indicare la cima delle montagne, dove la neve non si scioglieva mai. 

Tobio arricciò il naso. “Non è propriamente una zona in cui costruire una casa.”

L’altro rise. “Sì, sono d’accordo. Mi piacerebbe avere del buon vicinato ma io e il mio compagno la vediamo diversamente.”

“Il vostro compagno?” Tobio non era realmente interessato, gli sfuggì e basta.

“A giudicare da quelle povere lepri, non sei solo nemmeno tu.”

Tobio assottigliò gli occhi. “Sono solo,” rispose, secco. “Nemmeno a me piacciono le persone.”

Lo sconosciuto sorrise. “Lo immaginavo.”

“Da cosa?”

“Dai tuoi occhi, mi ricordano quelli di qualcuno,” disse lo sconosciuto con un sorriso nostalgico. “Da dove vieni? La mia natura socievole mi ha spinto a fare conoscenza di ogni essere senziente di queste montagne e sono certo di non averti mai visto prima.”

“Vengo dal Castello Nero.” Era un modo implicito per dire: se mi succederà qualcosa, verranno a cercarmi. Se quello che Tobio aveva davanti era un folle, la paura di una pena capitale non lo avrebbe fermato dal fare quello che voleva. Se era un comune criminale, si sarebbe ben guardato da aggredire una vittima che non poteva gestire. Tobio aveva un arco di cui disporre, certo, ma aveva la netta sensazione che lui e l’uomo non fossero le uniche persone su quel sentiero.

Come il Principe Demone aveva previsto, non appena sentì nominare il Castello Nero, l’espressione dello sconosciuto cambiò completamente. 

“Oh, la capitale di Seijou…” Disse, per nulla amichevole quella volta. “Devi essere un Cavaliere del Re Demone.”

“Può darsi…”

“Ma non sei un Demone.”

“Non lo è neanche il Primo Cavaliere.”

“Conosco le storie…” Ammise, stirando le labbra in un sorriso. “O meglio, conosco le versioni delle storie che arrivano fino a quassù. Siamo gente di confine, non riusciamo nemmeno a immaginare lo splendore della corte reale, con i suoi eroi e le loro grandi imprese.”

Tobio lo continuò a guardarlo dritto negli occhi, in silenzio.

“Ho saputo di come il Principe Demone ha abbattuto un drago,” proseguì lo sconosciuto. “Deve essere stato terribile…”

Ci mancò poco che Tobio alzasse gli occhi al cielo. “Meno di quel che si racconta,” rispose. “I castelli si ricostruiscono.”

“Punto di vista pragmatico, degno di un leader,” commentò l’uomo. “Tuttavia, era al drago che mi riferivo…”

Tobio aggrottò la fronte e l’altro gli rivolse un sorriso triste. “Quel Principe è una creatura più unica che rara, no? Non nascono mezzosangue da generazioni, tanto che ora si pensa erroneamente che i Demoni non possano avere figli con uomini o donne comuni.”

Non era la storia che avevano raccontato a Tobio e - il Principe ne era certo - neanche a Tooru.

“La tragedia è che ha dovuto sporcarsi le mani con il sangue di una creatura altrettanto unica,” proseguì l’uomo. “I Demoni dovrebbero proteggere ciò che di magico rimane in questo mondo e non contribuire a estirparlo.”

Tobio non sapeva come replicare, ma non perché non trovava le parole, era il punto di vista di quello strano individuo a mandarlo in confusione. Non aveva mai sentito parlare della sua gente - se così si poteva definirla - in quel modo. I libri sulla storia dei Regni liberi, sulle loro leggende erano quelli su cui aveva imparato a leggere e non ricordava di aver mai trovato la parole Demone vicino a quella di protettore.

Tooru era la prova in carne e osse di quanto quei due concetti insieme si negassero a vicenda. 

Potere, ecco cosa si addiceva a un Demone o, perlomeno, a quelli della stirpe di Seijou.

Lo sconosciuto sorrise, condiscendente. “Ma immagino che i miei pensieri siano figli di una storia che non conosci neanche tu.” Scosse la testa. “Dimentica i vaneggiamenti di questo uomo solo. Quando posso chiacchierare con qualcuno di nuovo, finisco sempre con lo straparlare.”

Lasciò andare una risatina divertita ma il sangue nelle vene di Tobio si era gelato da un pezzo.

“Buona giornata, giovane Cavaliere.”



***




“E questo è quanto,” concluse Tooru. “Penso che siamo tutti d’accordo che si tratta solo di un momento di ribellione, capita a tutti i fanciulli dell’età dai nostri figli. Ci siamo già passati, no?”

Era una provocazione. Nessuno di loro ci era mai passato, non con la stessa innocenza di Tobio, Shouyou e Tsutomu. Durante la sua fase ribelle, Tooru si era sentito lusingato dalle attenzione ricevute dal Re dell’Aquila, ma poi aveva mandato tutto all’aria per amore del suo amico d’infanzia. Questo aveva portato ad almeno due eventi di enorme portata: una guerra che aveva cambiato la storia dei Regni liberi e la nascita del Principe che, secondo i sogni di Kenma, avrebbe dovuto dominarli tutti.

C’era qualcosa d’ironico nel vedere tutte le persone coinvolte in quella storia caotica riunite intorno a un tavolo per discutere delle turbolenze emotive dei propri figli. Tooru aveva anche scelto la sala del consiglio reale per farlo, quasi si stessero preparando a una guerra contro i loro stessi eredi.

La cosa ancor più ironica era che l’unico ad essere seriamente alterato dalla scomparsa dei Principi non era uno dei genitori. “E questo è quanto?” Ripeté Kenjirou gelido. “È così che sminuire la scomparsa dell’erede al trono di Shiratorizawa.”

Il sorriso amichevole di Tooru rimase al suo posto. “Nessuno ha rapito Tsutomu,” gli ricordò. “Se ne è andato di sua spontanea volontà e non possiamo nemmeno biasimare mio figlio per la scelta: di fatto, nessuno lo ha invitato.”

“È completamente da solo in una terra straniera,” insistette Kenjirou.

Tooru guardò Wakatoshi. “Ha seguito un addestramento regolare, immagino. Ha tredici anni, ma dovrebbe sapersi muoversi su dei terreni battuti.”

“No, non ne è in grado,” intervenne Satori, prima che il suo sovrano potesse aprire bocca. “Qualcuno ha deciso che fosse meglio crescerlo sotto una campana di vetro.”

Wakatoshi sapeva che quella frecciatina era rivolta a lui, ma fu Kenjirou a prenderla sul personale. “Proteggere il Principe al costo della vita era compito tuo,” gli ricordò, composto e infuriato al contempo.

“Rilassati, Kenjirou!” Satori alzò le braccia al cielo esasperato. “Eri noioso dalla culla! Come puoi capire il significato degli eventi di questa estate?”

Wakatoshi allontanò gli occhi dal Re Demone per guardare il suo braccio destro. “Non fai che ripeterlo ma quello che racconta Tooru non fa luce sulla questione.”

Satori prese un respiro profondo e si rivolse al padrone di casa. “Ho il permesso di parlare, Maestà?”

“Illuminaci, Satori!” Gli concesse il Re Demone.

Alla destra del suo sovrano, Hajime appoggiò il viso al pugno chiuso: sarebbe stata una discussione lunga quanto inutile. 

“Sarò breve,” iniziò Satori.

Per fortuna, pensò il Primo Cavaliere. Ricordò poi che Satori non era mai stato breve in vita sua.

I fatti che raccontò non aggiunsero molto a quelli narrati da Tooru. La morale della storia era sempre quella: il Principe dei Corvi aveva attirato l’attenzione del Principe Demone al punto da condividere con lui tutto il suo tempo.

Nessuno aveva ancora saputo dare un nome al ruolo dell’erede al trono di Shiratorizawa in tutta quella lunga storia estiva.

“Wakatoshi…” Satori guardò l’amico di sempre dritto negli occhi. “È accaduta una cosa a cui non sapevo di dovermi preparare e che, ne sono certo, tu non sarai in grado di gestire… Lasciamo perdere lui,” aggiunse, facendo una vago gesto della mano in direzione di Kenjirou.

“Parla,” ordinò il Re dell’Aquila ignorando - o non afferrando - l’ennesimo insulto tra le righe che il suo braccio destro gli aveva riservato.

Satori sorrise teneramente e tutti nella stanza - tranne Wakatoshi - rabbrividirono. “Si è innamorato,” cinguettò.

Tooru si morse il labbro inferiore per non scoppiare a ridere e Hajime decise che valeva la pena prestare attenzione alla conversazione. Pur mantenendo una certa compostezza, Kenjirou non si sforzò di nascondere la sorpresa e persino Wakatoshi inarcò un sopracciglio con perplessità.

“Tsutomu si è innamorato?” Domandò quest’ultimo.

Satori batté le mani con emozione. “Sì e dovresti vederlo!” Esclamò. “Ovviamente, lui non lo sa…”

“Lui chi?” Lo interrogò Kenjirou.

“Ma Tsutomu, ovviamente!”

“Stiamo parlando di un fanciullo innamorato che non sa di essere innamorato?” Domandò Hajime. “Sul serio?” 

Tooru ridacchiò sotto i baffi.

Toccò a Wakatoshi gettare un velo di brina sulla questione. “Tsutomu si è innamorato di Tobio?”

L’attacco d’ilarità del Re Demone finì in mille pezzi e cercò gli occhi verdi del suo Primo Cavaliere in cerca di rassicurazione. Hajime, però, era sconvolto da quella possibilità quanto lui.

Per loro fortuna, Satori fu veloci a liberarli dal dubbio. “Per tutti i Regni liberi, Wakatoshi, no!”

Tooru e Hajime lasciarono andare un sospiro.

“Tsutomu ha una cotta per il piccolo corvo!” Aggiunse il Cavaliere di Shiratorizawa. “Se ne è andato perché gli da tremendamente fastidio essere stato escluso da Tobio.”

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Non mi sembra che Shouyou lo ricambi.”

“No, neanche un po’,” ammise Satori, amaramente. “Ma il piccolo stupido non sa nemmeno di avere una cotta. È come un animaletto che segue l’istinto: qualcosa lo innervosisce e, senza pensarci, fa qualcosa che pensa che lo farà stare meglio.”

“Lanciarsi in una ricerca disperata in territori che non conosce sarebbe la sua reazione per stare meglio?” Domandò Kenjirou, sarcastico.

“Purtroppo per noi, sì,” concluse Satori.

Wakatoshi si alzò dal suo posto senza preavviso. “Vado a cercarlo,” disse.

Da parte sua, Tooru non avrebbe mosso un dito per fermarlo: Tobio e Shouyou stavano scrivendo le prime pagine della loro storia e il Principe di Shiratorizawa era come una nota stonata.

“Wakatoshi, aspetta,” intervenne Satori. “Non credo sia saggio farlo…”

Kenjirou batté le mani sul tavolo. “Adesso basta con questi giochetti, Satori.”

“Non sono giochetti, Arciere di letto. Non metterti in mezzo quando parlo con il mio Re!” Satori non urlò. Non aveva bisogno di farlo con quelle parole.

Kenjirou gelò sul posto. Hajime si sentì in dovere di distogliere lo sguardo per rispetto. Tooru, invece, non lo fece: che il giocattolo del Re dell’Aquila comprendesse quanto era inutile cercare d’interpretare un ruolo che non gli apparteneva.

Wakatoshi tornò sui suoi passi e - prendendo di sorpresa sia Tooru che Satori - strinse la spalla del suo Arciere in un gesto rassicurante. “Ti ascolto.”

Non tornò a sedersi. Torreggiò sul suo braccio destro lasciandogli intendere che era andato ben oltre dei confini prestabiliti. 

Satori ricevette il messaggio e il tono che usò poi fu molto più formale: “il Principe non è in pericolo,” disse. “Se non troverà quello che sta cercando, tornerà qui. Il mio consiglio e di dargli fiducia e aspettarlo.”

Kenjirou sbuffò. “Dargli fiducia per cosa?”

Satori scrollò le spalle. “Volevamo che trovasse la sua strada, che smettesse di imitare suo padre per divenire se stesso. Questa cotta o qualsiasi cosa sia è la prima cosa che nessuno di noi gli ha imposto. Sì, è una questione fanciullesca, ma forse diverrà un uomo migliore proprio perché ne ha avuta una.”

In quel momento, Tooru provò molto rispetto per quel Cavaliere. Nonostante il suo Re lo avesse messo al suo posto, Satori non aveva affatto abbassato la testa. Il braccio destro del Re dell’Aquila non temeva di dire al suo sovrano quello che pensava e questo lo rendeva perfetto per il suo ruolo. Kenjirou poteva scaldare il letto del Re, ma Tooru era certo che se fosse arrivato il momento di scegliere, Wakatoshi non avrebbe esitato a preferire Satori.

Di contro, il Cavaliere avrebbe sempre scelto il giovane Tsutomu sopra chiunque altro. Tooru, però, non era certo che Wakatoshi si fosse reso conto di questo.

“Molto bene!” Esclamò, alzandosi in piedi. “Immagino che debba far preparare delle camere per tutti voi.”



***




Tsutomu non sapeva dov’era e non era troppo sicuro nemmeno di sapere quello che stava facendo.

In principio, correre dietro a Tobio e Shouyou gli era sembrata la cosa più intelligente da fare. 

Non sapeva perché se ne erano andati - ma poteva immaginarlo bene - non aveva idea di dove fossero diretti - anche se qualcosa gli diceva che sarebbero giunti a destinazione in volo - eppure di tornare al Castello Bianco non ne aveva proprio l’intenzione.

Quella non era casa sua, non davvero.

Quel pensiero lo aveva fulminato al calar della notte, quando si era reso conto di aver camminato per ore in una direzione indicatagli dall’istinto. Si sentiva come uno dei segugi addestrati per le battute di caccia: non conosceva quei luoghi, eppure sapeva dove andare.

Era come se una forza invisibile lo stesse spingendo verso l’ignoto ma non la temeva. Certo, nel cuore dell’ennesima foresta di Seijou, solo e al buio, aveva dubitato delle sue stesse azioni, ma non aveva mai preso in considerazione l’idea di tornare indietro.

Piuttosto la morte!

Era un pensiero esagerato, ma che riassumeva alla perfezione quanto per lui fosse insopportabile il pensiero di fare ritorno a Shiratorizawa. Non gli mancava il mare - non ricordava l’ultima volta che aveva giocato in acqua o sulla spiaggia. Non aveva alcun desiderio di rivedere le alte torri bianche del castello in cui era nato e cresciuto. 

C’erano altri fanciulli alla corte di suo padre ma non conosceva i loro nomi, non aveva mai condiviso nulla con loro. Per assurdo, aveva vissuto più esperienze in compagnia di Tobio e degli altri idioti del Castello Nero.

E poi c’era Shouyou.

Shouyou che era arrivato da solo un’estate e aveva cambiato tutto. Persino Tobio era divenuto una compagnia sopportabile grazie a lui. Tsutomu si chiedeva se il Principe dei Corvi era consapevole del potere che aveva avuto su tutti loro, della facilità con cui aveva attirato gli sguardi di tutto il Castello Nero, compreso quello del Re Demone. 

Tobio se ne era accorto di certo, altrimenti non lo avrebbe portato via a pochi giorni da una sfuriata campale da parte del Primo Cavaliere per la sua fuga sconsiderata nelle campagne. Tsutomu non aveva assistito ma una parte di lui aveva voluto parlare in difesa del fanciullo che aveva odiato per tutta la vita.

Hajime aveva accusato il figlio di aver lasciato senza difese il Castello Nero. I fatti, però, raccontavano una storia diversa: Tobio se ne era andato nelle campagne con Shouyou e solo Shouyou, tutti gli altri li avevano seguiti per loro stupidità - o per noia.

Quell’ulteriore fuga non era altro che un secondo tentativo di Tobio di tenere Shouyou per sé, lontano dal resto del mondo.

Allora perché Tsutomu si era deciso a seguirli? Perché non poteva evitare di sentirsi come se gli altri due lo avessero lasciato indietro.

Era un pensiero incoerente, stupido.

Lui e Tobio non erano amici. Shouyou era gentile con lui come lo era con chiunque altro. Nessuno dei due si era posto il problema che non avrebbero potuto trovarlo al loro ritorno al Castello Nero. Entrambi si erano risparmiati il disturbo di salutarlo.

Tsutomu si sentiva ferito senza un perché. 

L’estate era finita per tutti, ma il divertimento sembrava essere finito solo per lui.

Tobio poteva avere Shouyou anche in autunno, in inverno e fino alla primavera successiva. Tsutomu, invece, no. A lui restavano Satori con il suo sarcasmo imbarazzante, Kenjirou col suo atteggiamento opprimente e suo padre.

Quella era la parte peggiore del caos emotivo che peggiorare passo dopo passo: il Re dell’Aquila, l’uomo che aveva adorato fin da quando aveva memoria e che aveva desiderato emulare al punto da farsi quasi uccidere ai confini nord dei Regni liberi, non gli mancava. 

Suo padre.

Non lo vedeva da settimane e non gli importava. Quel pensiero lo spaventava più del rendersi conto che la compagnia di altri fanciulli e la loro amicizia gli erano necessari almeno quanto l’amore dell’unico genitore che gli era rimasto.

Crescere in compagnia della solitudine non lo aveva reso più forte.

Odiare Tobio non gli aveva dato alcun vantaggio su di lui, il quale non era nemmeno consapevole dell’esistenza di una rivalità tra di loro.

Ostentare un atteggiamento di superiorità solo perché era figlio di suo padre non gli aveva garantito né il rispetto né il potere.

Mentre sollevava gli occhi stanchi verso le montagne che si facevano più vicine di ora in ora, Tsutomu non sapeva perché stava percorrendo quella strada, ma era certo che non c’era un vero posto per lui nel luogo che si era lasciato alle spalle.



***




Il portone d’ingresso del piccolo castello di vedetta era piuttosto pesante. Niente che un uomo da solo non sarebbe riuscito ad aprire, ma poteva divenire un problema per un ubriaco dopo una notte di bagordi. Al suo ritorno, Tobio lo spalancò con tanta forza che il pannello di legno andò a sbattere contro la parete di pietra. 

“Shouyou!”

Gli occhi d’ambra del suo Principe lo raggiungessero da dietro lo schienale del divano. Era preoccupato. “Tobio…” Si alzò in piedi. “Sembri spaventato, che succede?”

Tobio superò il mobile che li divideva e gli prese il viso tra le mani. “Stai bene?”

Shouyou arrossì, afferrando i polsi di lui. “Sì, ma perché me lo chiedi?”

Il Principe Demone fece un passo indietro e si guardò intorno. “Sei solo?”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “Certo che sono solo. A che pensi?”

Tobio studiò il portone d’ingresso e studiò velocemente un modo per renderlo più sicuro da eventuali tentativi di scasso. 

Shouyou gli afferrò le braccia. “Tobio, che cosa succede?”

Il fanciullo dai capelli corvini prese un respiro profondo e scosse la testa. Stava diventando un paranoico. “Niente, ho solo-“ Lo sguardo gli cadde sul divano. “E quello che ci fa qui?”

Shouyou sorrise entusiasta. “Ho dato un’occhiata in giro e ho trovato dei vestiti che potremmo utilizzare per cambiarci e anche una camera in cui potremmo dormire.”

Tobio annuì distrattamente. “Ho capito, ma questo che ci fa qui?”

“L’ho trovato in fondo al baule della stanza più grande,” raccontò Shouyou. “Era avvolto in un telo. Lo hanno riposto con molta cura. Immagino sia prezioso come appare.”

Tobio passò gli occhi blu sull’abito deposto tra i cuscini, seguì le trame del pizzo floreale che ricopriva le maniche e in parte il corpino. La gonna non era abbellita con nessun ricamo ma era gonfia e a giudicare dagli orli irregolari doveva avere uno strascico. Se lo ricordava, ma i dettagli gli aveva persi col tempo.

“Non sembra molto vecchio,” continuò Shouyou. “Il pizzo è ancora bianco e di solito è il primo a ingiallirsi.”

Tobio lo guardò divertito. “Sei un esperto di cucito, ora?”

Shouyou arrossì, imbarazzato. “Mentre tutti venivano addestrati a compiere grandi imprese, io passano le giornate d’inverno più fredde nei saloni delle dame di corte, va bene?”

“Deve essere stato avvincente.”

“Oh, smettila! Piuttosto, sai di chi è?” Domandò Tobio curioso. “Hai detto di essere stato qui dieci anni fa e quest’abito non può essere più vecchio di molto.”

Tobio annuì. “Era di mia madre,” disse con naturalezza.

Shouyou lo guardò, sbatté le palpebre un paio di volte e ripeté quelle quattro parole nella sua testa fino a che non si rese conto che non c’era un modo segreto d’interpretarle. “Eh?” Domandò con espressione inebetita.

“È quello che ho detto…” Tobio prese tra le mani una delle maniche di pizzo. “Questo è l’abito da sposa di Tooru.”

Non era una spiegazione sufficiente e Shouyou ne aveva urgentemente bisogno. “Nessun uomo adulto potrebbe entrare in quel corpino,” gli fece notare.

Tobio passò il pollice sui fiori bianchi distrattamente. “Non lo ha indossato da uomo,” raccontò. “L’inverno in cui ho compiuto tre anni, mia madre si è trasformato in una donna per un po’. Il suo cambiamento spinse mio padre fino a questo castello: si era convinto che fosse tutto un sortilegio per danneggiare Seijou e qui era più sicuro.”

Shouyou si sedette sul divano, attento a non sgualcire la bella gonna. “E lo era?”

Tobio scrollò le spalle. “Avevo tre anni. Il fatto che Tooru si fosse tramutato in una donna per me non era un gran problema e quando tutto è tornato alla normalità, ero troppo piccolo per fare le domande giuste.”

“Per tuo padre deve essere stato sconvolgente.”

“Non troppo… Era arrabbiato ma questo abito lo ha fatto confezionare lui. Penso sia una storia interessante ma non ne ricordo i dettagli.”

Gli occhi di Shouyou brillarono d’incanto. “Hajime ha fatto confezionare un abito per Tooru?”

“Si sono sposati qui…” Tobio guardò il piccolo salone. “Non eravamo neanche dieci persone, eppure ricordo che erano felici.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Sposati?” Domandò, perplesso. “I tuoi genitori sono sposati?”

Tobio sbuffò. “Non per davvero,” chiarì. “Fu una cosa simbolica, nulla di più.”

Il Principe dei Corvi prese l’orlo della gonna tra le mani. “Mia madre sogna il giorno in cui mia sorella ne indosserà uno,” disse. “Mio padre lo vede nei suoi peggiori incubi, credo.”

Tobio guardò quelle piccole dita accarezzare la stoffa bianca e non si lasciò sfuggire la cura con cui la faceva, la luce sognante che rendeva più chiare quelle iridi d’ambra e la curva appena accennata di quelle belle labbra. C’era un desiderio riflesso negli occhi di Shouyou ma Tobio non riusciva a definirne i contorni. Disse la cosa più sbagliata che gli passò per la testa. “Vuoi indossarlo?”

Shouyou tornò alla realtà bruscamente e lo guardò come quando si prendeva gioco di lui al punto da fargli prendere le staffe. “Non sei divertente, stupido!” Afferrò l’abito e se lo caricò in spalla. “Lo rimette al suo posto prima che si rovini!”

Tobio lo guardò sparire in cima alle scale. “Che cosa ho detto?” Urlò e l’unica risposta che ricevette fu una porta che sbatteva.



***




Nessun sentiero battuto dai montanari arrivava fino alla cima della montagna. Non c’era nessuna ragione economica o politica perché qualcuno dovesse spingersi fino a lassù: solo pochi predatori vi cercavano rifugio per sfuggire al fucile dei cacciatori e non era possibile costruire o coltivare una terra in cui la neve non si scioglieva mai.

Alcuni animi avventurosi si erano spinto fin su quelle cime in cerca di avventura, molti avevano rinunciato all’impresa prima ancora di completarla e altri - quelli più testardi e meno fortunati - non erano mai tornati indietro per raccontare come fosse il mondo visto da lassù.

Per Motoya, quelle alture aspre e crudeli era solo casa.

“Sono tornato…” Disse, varcando l’ingresso di una grotta abbastanza alta da permettergli di camminare comodamente a testa alta. “Il cielo azzurro di stamattina è scomparso, ora è tutto ricoperto di nuvole.” Disse, togliendosi dalle spalle il mantello e poggiandolo sullo schienale di una poltrona che sarebbe potuta appartenere al salotto di uno qualunque dei montanari. 

Se ne pentì non appena un brivido di freddo gli attraversò la schiena. Sospirò, stringendosi nelle braccia. “Kyoomi…” Reclinò la testa da un lato. “Ti avevo chiesto di tenere calda la casa.”

Seguì un breve istante di silenzio. Una lingua di fuoco attraversò quella specie di salotto improvvisato incendiando la legna posta al centro del grande spazio. Il bagliore che illuminò la grotta per un istante permise a Motoya d’incrociare lo sguardo della bestia nascosta contro la roccia scura.

Ora un allegro fuocherello scoppiettava all’interno del cerchio di pietre di fronte alla poltrona. Motoya vi prese posto con un sorriso. “Grazie…” Mormorò, allungando le mani verso le fiamme. “Oggi è successa una cosa interessante,” raccontò. “Sono sceso al villaggio per prendere qualcosa da magiare… Oh, ho preso del pane. Ti dicevo, ho incontrato un fanciullo.” Ridacchiò. “Un bel fanciullo, di come non se ne vedono da queste parti. Era alto, con i capelli corvini e gli occhi di un blu intenso. Mi ha colpito, sembrava un Principe.”

Un violento spostamento d’aria dall’interno della grotta fece tremare pericolosamente il fuoco, ma non si spense. Motoya sollevò gli occhi sull’oscurità e aspettò che il giovane uomo che vi si nascondeva venisse avanti.

Kyoomi emerse dalle tenebre a piedi nudi, vestito di una semplice tunica e di un paio di pantaloni larghi. I neri capelli ricciuti gli ricadevano scompostamente sul volto. “Sembrava un Principe?” 

Il sorriso di Motoya si fece più tenero, poggiò le mani sulle ginocchia e rilassò le spalle contro lo schienale della poltrona. “La mia è solo un’intuizione. Sono solito raccontarti un sacco di sciocchezze, parole tue.”

“Hai pronunciato quelle parole con il chiaro intento di attirare la mia attenzione,” replicò Kyoomi. “Non fingerti innocente. Non lo sei.”

Motoya inspirò tanto da gonfiare il petto, poi lasciò andare il respiro. “Ti ha dato fastidio che lo abbia definito un Principe ma non quando te l’ho descritto in tutta la sua bellezza.”

“Credi che sia lui?”

“Il Principe Demone? Se lo fosse, le storie che raccontano su di lui lo descrivono molto bene.”

La figura di Kyoomi era spettrale, ma Motoya aveva smesso di provare soggezione in sua presenza da molto tempo. “Non puoi accusare un Principe per aver difeso la sua casa e la sua gente,” gli disse. 

“È il Principe che ha scoccato la prima freccia,” gli ricordo Kyoomi.

“Anni fa,” gli ricordò Motoya. “È un fanciullo, Kyoomi e al tempo era solo un bambino.”

“Questo non lo rende innocente.”

“E chi lo è?”

Kyoomi non aveva una risposta. “Che cosa ci fa qui?”

“Non me lo ha detto,” disse Motoya. “Ho cercato di fare conversazione ma temo abbia capito le mie intenzioni e si è messo sulla difensiva.”

“Che cosa hai dedotto?”

“Che non è da solo ma va in giro disarmato. Un Cavaliere che si muove senza la sua spada appesa alla cintura, non ha intenzioni di compiere grandi imprese.”

“E perché pensi che non sia da solo?”

“Perché si è impegnato a sottolineare che lo è. Anzi, lo ha fatto con talmente tanta fermezza che credo che si tratta di una persona speciale.”

Kyoomi inarcò le sopracciglia. “E come sei arrivato a una conclusione del genere?”

Motoya scrollò le spalle. “Intuito…”

L’altro decise di lasciar perdere. “Quindi non ha una squadra d’assalto con sé?”

“Puoi stare tranquillo,” lo rassicurò Motoya. “Non so che cosa lo ha spinto fino a qui ma non è a caccia di una grande impresa. Al contrario, sembrava avere premura di tornare dal suo compagno di viaggio e tagliare fuori il mondo. Mi ha ricordato qualcuno…”

Kyoomi non rise. Stava pensando.

“Kyoomi…” Lo richiamò Motoya. “È solo un fanciullo. Niente di più.”

Il giovane uomo dai ricciuti capelli corvini superò il cerchio di pietre e il fuoco che vi scoppiettava al centro. Arrivò di fronte alla poltrona e guardò il compagno dall’alto in basso. 

Motoya gli prese una mano, ne baciò il palmo e se la portò alla guancia. “Se il Principe Demone non ha fatto suo il cuore del drago che ha ucciso, perché continuo ad avere questa sensazione?”

“Ti fidi del mio giudizio?” Domandò Motoya, gentilmente.

Kyoomi annuì.

“Ne sono felice.” Motoya si alzò in piedi, la mano nell’altro stretta nella sua. “Hai acceso il fuoco ma l’aria qui dentro è gelida. Perché non cominci con lo scaldarmi tu?”

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Capitolo 40
*** D’intrusi e cambi di stagione ***


36


D’intrusi e cambi di stagione







Tobio spellò i conigli sul tavolo della cucina e pulì tutto prima che Shouyou scendesse e vedesse quel casino di sangue e di carne squarciata. 

Quando salì al piano di sopra a cercarlo, il sole era già sparito dietro le montagne più alte. Trovò la porta della camera padronale aperta: il fuoco era stato acceso nel caminetto e il letto era stato preparato con delle lenzuola pulite. Non vi era traccia dell’abito da sposa di Tooru: Shouyou doveva averlo rimesso al suo posto in fretta e furia dopo la sua uscita da idiota.

La porta del bagno adiacente era aperta. Tobio si affacciò oltre la soglia e vide Shouyou che rovesciava dei secchi d’acqua calda all’interno della vasca.

“E quelli quando li hai raccolti?” Domandò.

“Mentre eri a caccia,” rispose Shouyou. “Ho pensato che volessi fare un bagno caldo e ho trovato questi nella lavanderia di sotto, vicino alla cucina.”

Tobio guardò i secchi vuoti a terra: ne contò cinque. “Hai fatto avanti e indietro dal ruscello per prepararmi un bagno?”

Shouyou annuì distrattamente, rovesciando il contenuto dell’ultimo nella vasca. “Non è quello che si aspetta un Principe quando torna a casa?”

“Non è quello che un futuro Re si preoccupa di fare per un altro,” replicò Tobio.

Gli occhi d’ambra di Shouyou incontrarono i suoi. “Volevo farlo.” Replicò. “Ci sono gli asciugamani e i vestiti puliti sul letto. Preparo la cena, se-“

“Non sai preparare la cena,” disse Tobio, con un sorrisetto divertito.

Shouyou s’imbronciò. “Posso provare.”

“Nessuno t’impedisce d’imparare a cucinare se è questo che vuoi, ma lo farai al Castello Nero, dove una ricca dispensa potrà rimediare ai tuoi eventuali casini. Se bruci i due conigli che ho cacciato non avremo di che mangiare e credo che stanotte nevicherà.”

Suo malgrado, Shouyou dovette riconoscere che quel ragionamento non faceva una piega. “Allora ti aspetto di sott-“

“Fai il bagno con me,” disse Tobio, secco. Si liberò della faretra e dell’arco e li appoggiò entrambi contro l’architrave della porta. “Hai ripulito tutto questo castello, credo che tu abbia bisogno di lavarti almeno quanto me?”

“Mi stai dicendo che puzzo?!” Sbottò Shouyou, offeso.

“Sicuramente hai i capelli pieni di polvere e così i tuoi vestiti. Dovremo cambiare le lenzuola già domattina se vai a dormire così.”

Shouyou sbuffò e portò entrambe la mani sul primo bottone della camicia. 

“Lascia…” Tobio gli afferrò il polso gentilmente. “Faccio io.”

Shouyou s’irrigidì e sollevò lo sguardo sugli occhi blu del Principe Demone. 

Le guance di Tobio si accesero di colpo e rimase a balbettare con le mani sospese a mezz’aria. “S-Se… Po-Posso…”

Shouyou rise ma lo fece con tenerezza, non per prenderlo in giro. “Sì,” disse, le gote rosse. “Sì, puoi spogliarmi. Puoi…” Si umettò le labbra, obbligandosi a non dire altre cose imbarazzanti.

Era stato bello toccarsi la prima volta, dolce, spontaneo ma imparare a conoscere il corpo l’uno dell’altro richiedeva una certa attenzione. Tobio era un Cavaliere, uno stratega e gli metteva le mani addosso con la stessa cura con cui tendeva la freccia e prendeva la mira. Non appena l’ultimo bottone fu libero dall’asola, Shouyou non perse tempo ad afferrare l’orlo della tunica di Tobio e spogliarlo.

“Ehi, stupido, vai pian-“ La voce del Principe Demone morì contro le labbra del piccolo corvo. La tunica scura finì a terra senza far rumore e Tobio non perse tempo a fare domande. Fece scivolare la camicia giù dalle spalle di Shouyou, poi lo tirò più vicino a sé per rendere il bacio più intenso.

Il piccolo Principe si aggrappò alle sue spalle e sorrise contro la sua bocca.

Gli piaceva come lo baciava e Tobio si congratulò con se stesso per quella vittoria, ma perse tutta la sua sicurezza come sentì le mani di Shouyou lavorare sulla sua cintura. 

“Aspetta,” bofonchiò, allontanandosi. 

“Che cosa c’è?” Domandò Shouyou con un filo di voce, la sua bocca a pochi millimetri dalla propria.

“Non siamo mai…” Tobio si morse il labbro inferiore. “Non c’era molta luce ieri notte.”

Già…

Si erano toccati, avevano provato piacere insieme ma la semi-oscurità aveva giocato la sua parte nel farli sentire a loro agio. In quel momento, con gli ultimi raggi di sole che illuminavano la stanza e il fuoco scoppiettante nella camera accanto, non c’erano angoli bui in cui nascondersi.

Fu Shouyou il più coraggioso. Come sempre. 

Prese un respiro profondo, slacciò la cintura e lasciò cadere i pantaloni lungo le gambe. Incrociò le braccia contro il petto e portò gli occhi d’ambra sul pavimento. Rimase immobile, in silenzio, come se stesse aspettando un giudizio di qualche tipo.

Tobio non disse nulla, ma non lo lasciò in sospeso a lungo. Finì di spogliarsi nel modo frettoloso in cui faceva le cose quando era nervoso e non aspettò che Shouyou lo guardasse per infilarsi nell’acqua.

Il Principe dei Corvi sollevò gli occhi ma l’altro fanciullo non rispose al suo sguardo. Il suo viso era ancor più rosso di prima e fissava un punto qualunque del pavimento come se gli avesse fatto qualche torto.

Shouyou accettò la sua pudicizia in silenzio, anche se dovette mordersi il labbro inferiore per non ridere. Entrò nella vasca dal lato opposto a quello di Tobio.

“Almeno mi hai guardato?” Domandò Shouyou, stringendo le ginocchia al petto. 

“Sì,” rispose Tobio, senza rispondere al suo sguardo. “Di sfuggita…”

“Non ti piaccio?”

“Lo chiedi solo per mettermi in difficoltà!”

Shouyou scoppiò a ridere. “Sì,” ammise. “Sei divertente quando fai quella faccia. Sembra tu voglia prendere a testate il muro.”

Tobio si decise a guardarlo in faccia. “Preferisci che prenda a testate te?”

Shouyou scivolò verso di lui, fino ad appoggiare le mani sulle sue braccia e baciargli le labbra. “Adesso va bene.” 

L’acqua sbatté contro i bordi della vasca.

Tobio lo fissò. “Ti sei preso gioco di me solo per indurmi a guardarti?”

Shouyou appoggiò il mento sul suo petto. I suoi occhi d’ambra brillavano di una luce furbetta. “Quando sei nervoso, farti arrabbiare per qualcosa di stupido è un modo per aiutarti a calmarti.”

Tobio s’imbronciò. “Non è vero.”

”Ti pietrifichi ogni volta che l’insicurezza ti sfiora e non riesci a uscire dall’immobilità in cui tu stesso ti rinchiudi” aggiunse Shouyou. “Una volta spezzata quella, torni te stesso.” Si sollevò quanto bastava per poggiare la fronte su quella del Principe Demone.

Tobio gli circondò la vita con un braccio e infilò le dita della mancina tra i capelli ribelli. “Provi imbarazzo a stare così con me?”

“No.” Shouyou si sorprese della sua stessa risposta. “E tu?”

“Non è imbarazzo, è…” Tobio cercò le parole giuste. “Non so cosa fare. Odio non sapere cosa fare.”

Shouyou gli sfiorò il naso con il proprio. “Ma che cosa vuoi?”

Quella era una domanda semplice. “Te, stupido,” mormorò contro le sue labbra e il Principe dei Corvi ne fu felice. “Ma voglio farlo nel modo di giusto.”

Shouyou spostò le ginocchia contro i suoi fianchi. “Ieri notte hai usato il modo giusto.”

“Mi sono spaventato a metà strada.”

“E io ti ho teso la mano,” gli ricordò il Principe dei Corvi. “Funziona così: tu hai paura e io sono lì.”

“E quando hai paura tu?” Domandò Tobio.

Shouyou piegò le labbra in un sorrisetto arrogante. “Ma io non ho mai paura!”

Il Principe Demone gli diede una spinta, facendolo ricadere in acqua. 

“Idiota!” Esclamò Tobio, uscendo dalla vasca. 

Quando riemerse, Shouyou rideva e tossiva al contempo. Sollevò gli occhi e trovò il suo Principe che lo aspettava con un broncio offeso e l’asciugamano aperto. 

Shouyou si fermò un istante per contemplare la perfezione di quel momento, dal modo in cui la luce tiepida del tramonto rendeva ancor più blu gli occhi di Tobio a come l’aria sembrava più fredda ora che i loro corpi non si toccavano.

“Ti muovi?” Domandò il Principe Demone un po’ minaccioso.

E Shouyou non voleva altro che esaurire quella distanza per sempre. Si sollevò dell’acqua e lasciò che Tobio lo avvolgesse nell’asciugamano e lo stringesse contro il petto. 

Il Principe dei Corvi chiuse gli occhi. Nulla al mondo poteva fargli del male in quell’abbraccio.

“Il tuo profumo sta cambiando,” mormorò Tobio, affondando il viso contro il suo collo.

Shouyou non si scansò, non quella volta. Sapeva quello che era e così anche il compagno che aveva scelto per sé. Appoggiò la nuca alla spalla di Tobio. “Lo sai perché…” Mormorò, come se fosse un segreto. 

Tobio si tirò indietro e gli porse la mano. “Vieni.”

Shouyou la prese senza esitare e non si preoccupò dell’asciugamano che scivolava a terra, lasciandolo completamente scoperto.



***



L’aria della notte non era tiepida come prima, ma questo non aveva dissuaso Tooru dall’allenarsi con l’arco fino a tardi. I giardini reali non erano più il capolavoro della corte di Seijou, non dopo che il drago aveva abbattuto quasi completamente la torre esterna. La macerie erano state spostate tutte in angolo ma non aveva ancora dato ordine di portarle via - non che vi fosse qualcuno a cui chiedere dopo la grande fuga verso le compagne. La bella fontana era andata distrutta durante l’attacco e così gran parte dei roseti. 

Tooru tese l’arco un’ultima volta e colpì il centro del bersaglio. Quella piccola vittoria non gli fece provare alcuna soddisfazione. Fissò il pennacchio della sua stessa freccia come se lo stesse deridendo. Abbandonò l’arco e la faretra accanto al muro e prese a camminare tra i fiori dormienti.

Il roseto che Hajime aveva fatto piantare per lui, in onore della nascita di Tobio e del suo diciottesimo compleanno, non era stato toccato dalla distruzione. Tooru ne fu lieto. Accarezzò una rosa e un’ondata di nostalgia gli fece salire le lacrime agli occhi.

Quante promesse erano racchiuse tra i petali corvini di quei fiori? Per lui e Hajime non ce ne erano più, ma continuavano a sbocciare per Tobio e per l’amore che aveva scelto di proteggere.

Credere che un bacio alla soglia dei quindici anni potesse valere come una promessa per la vita era pura ingenuità, ma Tooru conosceva il suo Principe e una simile dedizione da parte sua nei confronti di un altro fanciullo era quasi inspiegabile.

Di Shouyou poteva dire solo quello che aveva intuito nel tempo che avevano trascorso insieme, ma Tobio… Tobio si stava concedendo completamente senza neanche saperlo. Tooru poteva solo immaginare quanto Daichi stesse rendendo la vita di Koushi un inferno con le sue preoccupazioni paterne, ma era Tobio quello più spaventato, col cuore più fragile. 

Tooru non dubitava che Shouyou fosse abbastanza forte per tutti e due. Tuttavia, non poteva evitare di pensare che tutte le insicurezza che Tobio aveva riguardo all’amore fossero colpa sua. Hajime non era da biasimare: se il suo Principe si fosse dimostrato un uomo innamorato allo stesso uomo di suo padre, Shouyou sarebbe stato suo per sempre.

Ci voleva coraggio ad amare come il suo Primo Cavaliere e ce ne voleva ancor di più a continuare a farlo riconoscendo il momento giusto per lasciar andare.

Hajime aveva pagato a duro prezzo quella maturità d’animo.

A Tobio che lezione avrebbe impartito l’amore?

Tooru non lo sapeva, poteva solo sperare che Shouyou si dimostrasse un maestro migliore di lui. Voltò gli occhi scuri verso la balconata settentrionale. Gran parte del parapetto di marmo era rimasto intatto e vi piegò le braccia, guardando l’orizzonte come un ragazzino che sogna grandi avventure in una terra lontana.

Gli mancava quel fanciullo, quello pronto a combattere qualsiasi battaglia, certo di avere il suo Cavaliere accanto. Si poteva dire che Tooru si annoiasse nella sua stessa corte. Aveva rinunciato a tutto per il potere e ora che poteva guardare il mondo dell’alto in basso, non gli restava che osservare Tobio mentre giocava la sua partita.

Le sue imprese le aveva compiute, le sue avventure le aveva vissute fino in fondo - compresa quella dell’amore proibito - e ora toccava a suo figlio scrivere la parte avvincente di quella storia.

Questo non toglieva che si annoiasse comunque.

Tooru sbuffò come un bambino capriccioso: la fuga con Hajime e la notte da amanti clandestini che avevano passato insieme gli avevano fatto provare un brivido dopo anni di nulla. 

Il cielo non era abbastanza limpido per permettergli di vedere le montagne a nord, ma sapeva che Tobio era lì e lo invidiò per quella stagione della sua vita, per l’intensità con cui poteva amare il suo piccolo corvo. 

Sì, Tooru invidiava il suo Principe. Per tutto.

Poggiò la fronte al pugno chiuso e abbassò le palpebre. Era stanco ma non aveva voglia di salire in camera sua e ritrovarsi da solo.

Se Wakatoshi non si fosse sistemato al piano di sopra con quell’insopportabile Arciere e quell’ancor peggiore Cavaliere, avrebbe preso il suo cavallo per raggiungere Tobio sulle montagne. Aveva una gran voglia di fargli un dispetto.

“Non riesci a dormire?” Quella voce infranse il silenzio della notte.

Tooru trasalì ma non dovette voltarsi per capire di chi si trattasse. 

“Lo sai che alcune delle tue stanze hanno le finestre che danno su questo lato dei giardini?” Domandò.

Wakatoshi si fece avanti e poggiò il gomito sul parapetto di marmo. “Ne ho memoria.”

“E allora vattene di qui, domani non ho voglia di sentirmi addosso le occhiate minacciose del tuo amante per tutto il giorno.”

“Kenjirou sa stare al suo posto.”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Kenjirou non è adatto a essere il compagno di un Re. Ti adora ciecamente, non ti mette mai in discussione ed entrambi sappiamo che un consorte dovrebbe fare altro.”

“Strano consiglio da parte di un Re che non è mai stato sposato,” replicò Wakatoshi.

Tooru rise. Voleva dirgli che in realtà lo era stato e che aveva anche indossato un abito da sposa per l’occasione, ma poi sarebbe divenuto matto per spiegarsi. “Siamo in due, eppure abbiamo dei principini cercati, legittimati e rampanti.” Una pausa. “Specialmente rampanti.”

“Non accuso Tobio della condotta di Tsutomu.”

“Vorrei vederti avere il coraggio di farlo!” Esclamò Tooru. “Tobio si è fatto gli affari suoi per tutta l’estate. Questo ha provocato dei problemi a me e suo padre, ma se tuo figlio è coinvolto è colpa sua.”

“Tu non hai notato niente di quello che ha raccontato Satori?” Domandò Wakatoshi.

“Ti riferisci al fatto che Tsutomu potrebbe essere innamorato del piccolo Shouyou?” Tooru scrollò le spalle. “Ti posso dire che il pulcino corvino è stato tutta l’estate al fianco di un fanciullo alto più o meno quanto me, con i capelli corvini come Hajime e con due occhi meravigliosi che, scandalosamente, non ha ereditato da nessuno dei due. Oh, giusto, era Tobio!”

“E dov’era Tsutomu per tutto il tempo?” Insistette il Re dell’Aquila.

Tooru alzò le braccia al cielo, esasperato. “Non lo so, Wakatoshi!” Esclamò. “Ne ho già uno di figlio da controllare ed è piuttosto impegnativo! Il Principe dei Corvi è una mia responsabilità, ma il tuo pulcino lo era di Satori.”

“Tsutomu ha tredici anni…”

“E a che età hai conosciuto sua madre?” Domandò Tooru, sapendo che così avrebbe posto fine alla discussione.

Wakatoshi capitolò in silenzio, portando lo sguardo verso l’orizzonte.

Tooru si umettò le labbra. “Gli parli mai di Eita?”

“Non ne ho bisogno,” rispose Wakatoshi. “Tsutomu aveva dieci anni quando si è addormentato, si ricorda di lui.”

“Quanto sei stupido,” disse Tooru, scuotendo la testa. “Quanto pensi che possa ricordare di quei dieci anni? Per quanto tempo è stato in forze abbastanza per poter giocare con lui?”

“Tsutomu non deve preoccuparsi di Eita,” disse Wakatoshi. “È una mia responsabilità.”

Tooru si umettò le labbra e scelse le sue prossime parole con molta cura. “Stai ancora cercando di svegliarlo perché lo ami o perché ti senti in colpa?”

Wakatoshi si allontanò dal parapetto. “Sono sceso perché volevo sapere di più di mio figlio, Tooru,” chiarì. 

“E non ti sembra strano che tu debba chiedere a me del primo amore di Tsutomu?” Replicò il Re Demone. “Quel ragazzino sa chi è suo padre? E non parlo del Re dell’Aquila, ma di Wakatoshi. Quel che i nostri figli sanno sull’amore glielo abbiamo insegnato noi senza nemmeno impegnarci. Tobio ci ha pensato Hajime a dargli un esempio giusto e a renderlo un uomo, ma Tsutomu? Di te dicono che hai un amante in ogni terra, città o villaggio che conquisti. È un modello di virilità duro da eguagliare per un ragazzino, specie quando non è vero.”

“Non credo che tu sia nella posizione di giudicarmi, Tooru,” disse Wakatoshi, gelido.

“No,” concordò il Re Demone. “Ma io sono fortunato… Tobio è fortunato. Sì, ho paura, ma non così tanta da non poterla gestire. Se quello che Satori ha detto è vero, Wakatoshi, Tsutomu sta per spezzarsi il cuore.” Sorrise, malinconico. “Farà male. Non ne morirà, ma farà male e non avrà bisogno del tuo braccio destro o dell’Arciere che ti scalda il letto. Avrà bisogno di te. Perciò riposa, Re dell’Aquila, tuo figlio diverrà grande prima che cada la neve e ti do un avvertimento: non sarai pronto.”

Tooru diede una pacca sulla spalla dell’avversario. Lo fece un po’ per deriderlo e un po’ per pietà. Se tutti i fanciulli della corte stavano vivendo la più bella stagione della loro vita, non si poteva dire lo stesso del piccolo Tsutomu. Tooru non si vergognava ad ammettere che, no, lui non lo invidiava affatto.

“A mio figlio ho insegnato a conquistarsi quello che vuole,” disse Wakatoshi senza preavviso. “Se è vero quello che pensa Satori, e Tsutomu vuole il cuore del Principe dei Corvi, non gli resta che lottare per averlo.”

Tooru alzò la mano in segno di saluto. “Sarà divertente vederlo provare.” 

Un piccola, remota e poco convinta parte di lui, sperava che non si dovesse mai arrivare a quel punto: Tsutomu non era il massimo della simpatia ma Tooru non aveva desiderio di vederlo massacrato da Tobio per il cuore di Shouyou.

“Ci sono tanti modi per conquistare un Principe fanciullo. Tu dovresti saperlo bene, Tooru.”

Il Re Demone si fermò e il sorriso sul suo viso morì immediatamente. Tornò a guardare il sovrano di Shiratorizawa. “Non lo stai pensando davvero.”

“Combattere per quel che si desidera,” disse Wakatoshi. “Non conosco altro modo di vivere, Tooru. Questo è il modo in cui sono divenuto Re, quello in cui ho creato un mondo in cui mi fosse permesso di amare Eita e poi te.”

“Tu non mi hai amato, Wakatoshi,” ribatté Tooru, ignorando il nodo che gli stringeva la gola. “Tu hai invaso la mia casa, ucciso il mio Primo Cavaliere e mi hai offerto il male minore.”

“Se Hajime non fosse tornato per salvarti, saresti stato mio alla fine di quella guerra,” gli fece notare Wakatoshi.

“No, sarei stato di Tobio,” disse Tooru e lo credeva. “Se Hajime non fosse sopravvissuto a quella guerra, avrei vissuto per mio figlio. Non sarebbe mai stata la vittoria che tu desideravi!” Inspirò dal naso. “È questo che vuoi insegnare a tuo figlio? Che il cuore di una persona è come una terra da conquistare? Che, se necessario, si è giustificati a uccidere e distruggere per ottenerlo?”

Wakatoshi non ebbe difficoltà a reggere il suo sguardo. “Karasuno è un regno indipendente, no?”

Tooru sentì il cuore saltare un battito. “È un territorio montuoso, senza valore.”

“Ma il primo a conquistarlo potrebbe vantare dei diritti sul Principe ereditario.”

“Distruggeresti un Regno per il capriccio di un ragazzino di tredici anni?”

“Tu ne avevi quindici quando hai rifiutato me per Hajime,” gli ricordò Wakatoshi. “L’amore è un’arma pericolosa, me lo hai insegnato tu.”

Tooru a stento riusciva a respirare, era teso come la corda di un arco. 

L’arco!

Con la coda dell’occhio vide la sua arma dove l’aveva lasciata.

Wakatoshi dava le spalle al vuoto. Se Tooru fosse riuscito a sferrare un colpo in modo da ferirlo mortalmente e farlo cadere...

“Ma non sappiamo che cosa desideri Tsutomu,” concluse il Re dell’Aquila. “Non deciderò per lui, non basandomi sulle storie di un’estate. È abbastanza grande per scegliere quali battaglie combattere.”

Tooru si sentì come se fosse riemerso dopo essere stato costretto a lungo sott’acqua. Annuì e si diede un contegno. “Lasciamo che i fanciulli risolvano le loro questioni tra loro.”

Wakatoshi annuì. “Sappi solo che non intendo aspettare qui tutto l’inverno.”

“E non è mia intenzione trattenerti,” lo rassicurò il Re Demone. “Se non saranno di ritorno con la prima neve, li andremo a prendere io e te, te lo prometto.”

Wakatoshi annuì e lo lasciò solo.



***



Il piacere li prese, trascinandoli entrambi in una danza imperfetta ma incendiata dai sensi. Nessuno dei due prese senza dare e la complicità, seppur goffa, che crearono tra quelle lenzuola non fu poi così diversa da quelle che avevano scoperto volando. Erano ancora loro, solo Tobio e Shouyou e quello era l’inizio di un’avventura che non  li avrebbe portati a esplorare luoghi lontani, ma solo i misteri più intimi l’uno dell’altro.

Shouyou si addormentò poco dopo che avevano finito. Erano state le dita di Tobio tra i suoi capelli a cullarlo e non si era reso conto di quando l’altro Principe si era alzato e lo aveva lasciato solo. 

Il Principe dei Corvi si svegliò al centro del grande letto e rabbrividì perché non aveva alcun vestito addosso e anche le lenzuola erano fredde ora che il suo compagno non c’era più. “Tobio?” Chiamò, mettendosi a sedere. Si accorse che si era premurato di ravvivare il fuoco prima di andarsene, ma il sole era completamente calato e così la temperatura nella stanza. Non dovette attendere molto: il suo Principe tornò con un gran vassoio da banchetto con sopra tutto quello che era riuscito a ricavare dal suo bottino di caccia. 

“Vieni a mangiare vicino al fuoco,” disse Tobio, inginocchiandosi sul tappeto di pelliccia.

Shouyou non se lo fece ripetere due volte. Afferrò la prima tunica che trovò - quella di Tobio - e saltellò sul pavimento freddo mentre la infilava.

“Sta nevicando fuori,” lo informò il Principe Demone.

Shouyou notò che anche lui si era infilato i pantaloni alla male e peggio, dimenticandosi la cintura. Sorrise tra sé e sé: nessuno dei due aveva intenzione di passare il resto della notte con dei vestiti addosso. Decise di stare al gioco: “di già? Non è nemmeno ottobre.”
“Qui l’estate è più calda ma dura meno,” spiegò Tobio. “Quella nei piatti è una zuppa di carne di coniglio e verdure: ne ho trovato qualcuna lungo il sentiero e mi è venuta l’ispirazione.”

“Oh, ti viene l’ispirazione sia sul campo di battaglia che in cucina.”

Tobio lo guardò di traverso, arrossendo. “Il resto della carne, come già sai, è coniglio.”

Shouyou afferrò una delle piccole cosce e vi affondò i denti: era perfettamente cotto, come se glielo avessero servito in un salone di corte. “Chi ti ha insegnato a cucinare?”

“Fa parte del progetto educativo dei miei genitori,” spiegò Tobio, cominciando a mangiare a sua volta. “Sono entrambi cresciuti con tutte le comodità del mondo, ma mio padre ha umili origini e non avrebbe sopportato di vedermi diventare come uno di quei damerini che non sanno nemmeno allacciarsi le scarpe.”

“I giovani Demoni di corte non mi sembravano così viziati,” ribatté Shouyou, staccando l’ultimo pezzo di carne bianca dall’osso. “Ho parlato poco con loro ma sembrano tutti dei bravi  ragazzi.”

“Non devono essere dei bravi ragazzi, ma dei guerrieri pronti a tutti.”

“Quanti di loro hanno combattuto delle guerre?” Domandò Shouyou. “Tu sei praticamente nato sul campo di battaglia. Loro hanno avuto una vita più agiata ma non per questo bisogna farli sentire in colpa. Non tutti sono stati cresciuti dal leggendario Primo Cavaliere di Seijou.”

“Anche tu sei nato sul campo di battaglia,” ribatté Tobio, passando alla zuppa. “Se vogliamo entrare nei dettagli: sei venuto al mondo prematuro, durante un assedio, mentre tuo padre combatteva tra la vita e la morte sotto le mura del Castello Nero.”

Shouyou prese il piatto tra le mani ma non mangiò. “Lo dici come se fosse un complimento.”

“Lo è,” confermò Tobio, guardandolo negli occhi con un mezzo sorriso. “Un bambino che è capace di sopravvivere in simili circostanze non può non essere forte.”

Il Principe dei Corvi sentì le guance farsi calde e il cuore battere forte. “Sì, ma i fanciulli del Castello Nero sono apprendisti Cavalieri da quando hanno mosso i primi passi.”

“Che t’importa dei loro primi passi, tu sai volare,” ribatté Tobio. “Mangia la zuppa prima che si freddi.”

Shouyou ubbidì, continuando a sorridere. “Mi hai reso felice.” Sentiva che era importante dirglielo a voce alta. 

Per poco a Tobio non andò la zuppa di traverso. “Prima,” indicò il letto con un cenno del capo. “O adesso?”

Se non avesse rischiato di rovesciare tutto sul tappeto, Shouyou gli avrebbe allungato un calcio. “Sia prima che adesso!” Esclamò. “Per tutto…” Aggiunse a voce più bassa, imbarazzata.

Tobio appoggiò il piatto vuoto sul vassoio e si versò dell’acqua. “Va bene così?” Domandò, evitando accuratamente lo sguardo dell’altro. “Quello che facciamo?” Si portò il calice alle labbra.

“Lo abbiamo fatto due volte e nessuno si è lamentato,” gli fece notare Shouyou.

“Sì, ma-”

“Vuoi fare altro?”

Tobio sollevò lo sguardo e si ritrovò il viso del suo piccolo Principe a pochi centimetri dal volto. Si fece indietro e per poco non si rovesciò l’acqua addosso. “Che cosa vuoi dire?”

Shouyou si spostò e si sedetta accanto a lui. “Niente è che mi chiedevo come deve essere,” disse, appoggiando la guancia alla spalla del suo Principe. 

“Cosa?”

Fare l’amore.

La reazione di Tobio fu silenziosa: trattenne il fiato, insicuro ma non allontanò il piccolo corvo da sé. Gli piaceva averlo vicino, ma gli pareva di capire che Shouyou volesse qualcosa di più da lui. “Ci mettiamo le mani addosso da solo due giorni.”

Shouyou reclinò la testa per guardarlo. “Perché ti stai giustificando?”

Tobio scrollò le spalle. “Forse ti aspettavi che ti togliessi i vestiti e ti facessi subito mio.”

“Sono già tuo,” replicò Shouyou, nessun timore, nessun imbarazzo. “Penso che sia una questione di cuore, non di carne, no?”

Tobio aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Non ho mai affrontato questo discorso con nessuno.” Di colpo gli mancò suo padre. Non credeva avrebbe mai trovato il coraggio di aprirsi completamente con lui, ma Hajime era bravo a saperlo leggere e sicuramente avrebbe trovato le parole giuste da dirgli.

“Nemmeno io,” disse Shouyou. “Cioè…” Rise. “Penso che i miei genitori mi abbiano dato l’esempio senza volerlo.”

Tobio aggrottò la fronte. “Che significa?”

“Prima non ci facevo caso ma dopo di te…”

“Abbiamo avuto solo un’estate.”

“Ma non è stata solo un’estate,” ribatté Shouyou. “Quando ripenso ai miei genitori, al modo in cui si sono sempre mossi intorno a me e mia sorella, come se fossero in punta di piedi…” Sorrise nostalgico. “Gli sguardi, quello sfiorarsi veloce, quasi segreto. Quei segnali...”

“I segnali,” lo scimmiottò Tobio.

Shouyou rise. “Vorrei fosse così tra me e te,” disse. “Vorrei ci fosse quella naturalezza.”

Il Principe Demone abbassò lo sguardo su di lui. “Penso che anche i miei genitori fossero così,” disse. “Mio padre non ne parla e con mia madre non parlo io, ma…” Scrollò le spalle. “Sento come ne parlano gli altri. Tutti si sentono in dovere di ripetermi che si amavano molto quando sono nato io.”

Shouyou drizzò la schiena per guardarlo negli occhi. “Non volevo rattristarti,” disse.

“Non mi hai rattristato,” rispose Tobio. Di fatto, era la prima volta che parlava della storia dei suoi genitori senza sentire rabbia o una dolorosa stretta al cuore. Che stesse imparando a prendere la distanze?

“Sto solo cercando d’immaginare Tooru e Hajime come me e te adesso,” spiegò il Principe Demone. “Sto cercando di capire come si può passare dal provare questo a,” fece un vago gesto della mano, “qualunque cosa ora sentano l’uno per l’altro.”

Shouyou si fece più vicino, scivolò su di lui a cavalcioni e lo guardò dall’alto in basso. “E questo che cos’è?”

Tobio storse la bocca in un sorrisetto diabolico. “No.”

Shouyou corrugò la fronte. “Cosa no?”

“Non mi farai dire niente mentre mi stai addosso mezzo nudo e mi guardi con gli occhi languidi. Impegnati di più.”

Shouyou s’imbronciò. “Quanto sei stupido!” Esclamò e lo spinse. Tobio si lasciò cadere sul tappeto di pelliccia, trascinandolo giù con sé.

Shouyou rise, afferrando le mani che gli stringevano i fianchi. “Tobio, mi fai il solletico!” Cercò di divincolarsi, ma l’altro lo strinse con più forza. “Mi fai il solletico!”

Il Principe Demone invertì le loro posizioni, infilando le mani sotto la tunica che ricopriva la pelle nivea del piccolo corvo. 

Le stanza si riempì delle risate di Shouyou. “Tobio, basta!” Esclamò, cercando di afferrare le sue mani ma l’altro era più forte, gli afferrò i polsi e li bloccò a terra, sopra la sua testa. 

Gli occhi d’ambra incrociarono quelli blu. 

Entrambi erano senza fiato.

Qualcosa smorzò il sorriso di Tobio ma nessun pensiero cupo inquinò il blu profondo dei suoi occhi. Intrecciò le dita a quelle di Shouyou e si chinò per baciare le sue labbra.

Il Principe dei Corvi si sciolse contro di lui immediatamente. Piegò il ginocchio e la stoffa della tunica scivolò fino a lasciargli scoperto il fianco. Tobio fece aderire il palmo alla coscia, affondò le dita nella pelle morbida e risalì, infilandosi sotto le stoffa color crema.

Anche le mani di Shouyou fecero la loro parte: afferrarono l’orlo dei pantaloni del suo Principe, li abbassarono e lo accarezzarono dove gli piaceva di più. 

Tobio gemette nel bacio e Shouyou sorrise contro la sua bocca. “Vuoi di più?” Domandò quest’ultimo.

Intontito dal piacere, il Principe Demone non riuscì a rispondere. Quelle piccole mani lo spinsero a stendersi sul tappeto e non oppose resistenza. Il sorriso di Shouyou aveva qualcosa di predatorio quando si spostò sopra di lui, guardandolo dall’alto al basso. 

“Rilassati.” Un bacio veloce sulle labbra e la bocca del Principe dei Corvi scese sul suo mento, poi sul collo e andò avanti.

Tobio tentò di dare forma a un’obiezione. “Shou- Ah!” La lingua calda dell’altro gli graziò lo sterno, facendogli venire i brividi in tutto il corpo, poi prese a scendere verso il ventre. Tobio non era più tanto sicuro di essere il mezzo-Demone tra di loro. Si morse il labbro inferiore per mettere a tacere un’imprecazione che avrebbe distrutto completamente l’atmosfera e si coprì il viso con il braccio per combattere l’ondata d’imbarazzo che gli stava comprimendo lo stomaco. O forse era eccitazione, non ne era certo.

Ricadde nel mondo reale con un metaforico tonk quando la bocca di Shouyou smise di dargli attenzioni.

Tobio non si mosse immediatamente. Aspettò, diede fiducia al suo amante finché non si sentì un completo idiota. “Shouyou?” Chiamò, sbirciando da sotto il braccio.

Il Principe dei Corvi era ancora lì, sopra di lui ma i suoi occhi d’ambra erano rivolti alla finestra. 

“Shouyou, che ti prende?” Tobio si sollevò sui gomiti.

“C’è qualcosa là fuori,” rispose il piccolo corvo, alzandosi in piedi.

Tobio rimase sul tappeto, pietrificato da un desiderio insoddisfatto di cui l’altro sembrava essersi scordato in un battito di ciglia. “Che cosa succede?” Domandò, aggiustandosi i pantaloni intorno alla vita e raggiungendolo accanto alla finestra.

Non c’era vento e la neve cadeva lenta. Le chiome degli alberi erano quasi completamente ricoperte, mentre la strada che portava a valle era ancora visibile. Con ogni probabilmente si sarebbero svegliati circondati da un’informe distesa bianca. Anche in assenza di una vera e propria tormenta, era da folli lasciare la propria abitazione in quelle condizioni e senza luce: bastava meno di un’ora perché il paesaggio cambiasse completamente. 

Nemmeno i predatori uscivano a caccia per paura di perdersi.

“Vuoi spiegarmi?” Domandò Tobio.

Shouyou continuava a guardare la strada. I suoi occhi erano ancora dello stesso colore dell’ambra, segno che il suo potere non stava interferendo con le sue percezioni sensoriali. 

“Non lo so,” ammise Shouyou. “Sento solo che c’è qualcosa là fuori.”

“Siamo in pericolo?” 

“No,” rispose il Principe dei Corvi, poi sollevò lo sguardo sull’altro. “L’istinto me lo direbbe se fossimo in pericolo.”

“Lo ha fatto in altre occasioni. Riesci a spiegarmi quello che senti?”

Shouyou tornò a guardare la strada buia e gli alti alberi che la costeggiarono. “Rivestiamoci,” disse. “Andiamo a vedere.”

Tobio annuì. “Porto l’arco.”



Shouyou era cresciuto in un Regno di montagna dove, come aveva detto Tobio, l’estate era più calda e la neve arrivava prima ma il freddo che lo investì quando uscì dal portone lo prese di sorpresa. 

“Queste montagne sono più alte di quelle dove sorge la capitale di Karasuno,” disse Tobio, tirandogli il cappuccio del mantello corvino sopra la testa. 

“Non ci sei mai stato!” Esclamò il Principe dei Corvi. “Come potresti saperlo?”

“Libri,” rispose Tobio, prendendo una freccia dalla faretra e camminando due passi avanti all’altro.

Shouyou storse il naso. “Non riesco a immaginarti mentre ti fai la gobba sui libri.”

“Non mi sono fatto la gobba da nessuna parte,” replicò Tobio, scrutando l’oscurità che li circondava. Non era facile avere una buona visuale senza la luna. “Come Cavaliere e come futuro Re devo avere un’idea chiara sui territori di Seijou e quelli che lo circondano. Ho memorizzato le mappe.”

Shouyou fissò gli occhi sulla sua schiena e ridacchiò.

Tobio gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Che cosa ci trovi di così divertente ora?”

“Niente, pensavo a quando hai detto che Re non si nasce,” rispose il piccolo corvo. “Non credo valga per te. Se esiste qualcuno nato per sedere su di un trono, quello sei tu.”

Come suo solito, Tobio non seppe reagire a quel complimento. “Piantala e guarda dove metti i pie-”

Fu veloce come un fulmine. 

Shouyou lo vide sollevare le braccia, ma quando alzò lo sguardo la freccia era già stata scoccata e si era conficcata in un albero a dieci passi davanti a loro. Non aveva mancato il bersaglio. Tobio aveva visto qualcosa muoversi nel buio e quel qualcosa era proprio lì, davanti a loro, con il cappuccio del mantello inchiodato al tronco.

Tsutomu li fissava entrambi con la bocca e gli occhi spalancati. Aveva la faccia di uno che si era visto passare tutta la vita davanti agli occhi, magari se la era anche fatta nei pantaloni.

“Tu…” Sibilò, con gli occhi fuori dalle orbite e l’indice tremante puntato in direzione di Tobio. “Tu...”

“Tsutomu, che ci fai qui?” Shouyou corse in soccorso del Principe dell’Aquila, mentre l’erede al trono di Seijou lo fissava come se fosse un topo da schiacciare.

“Dov’è il tuo cavallo?” Continuò Shouyou. “Sei arrivato fino a qui a piedi? Da solo?”

Tsutomu si accorse di lui solo quando estrasse la freccia dall’albero, liberandolo. “Shouyou?”

“Sì…” Il Principe dei Corvi annuì, confuso. “Ti senti bene? Sei pallido…”

“No, ho solo creduto di morire, adesso passa,” rispose Tsutomu sarcastico, portandosi una mano all’altezza del cuore per controllare che battesse ancora. “Tu!” Abbaiò in direzione del Principe Demone. “Avevi intenzioni di ammazzarmi?”

“Sei consapevole di starti aggirando nei dintorni di un castello in piena notte e senza invito, vero?” Ribatté Tobio, velenoso.

“Basta!” Shouyou si frappose prontamente tra i due. “Fa freddo, è buio e Tsutomu ha fatto un lungo viaggio.”

“E chi glielo ha chiesto?” Continuò a lamentarsi il Principe Demone.

“Non ha importanza perché sia qui,” insistette Shouyou. “Dobbiamo farlo entrare. Vuoi che muoia congelato?”

Contento di avere il Principe dei Corvi dalla sua parte, Tsutomu rivolse a Tobio un sorrisetto diabolico visibile anche nella penombra e gli fece la linguaccia.

“No,” rispose Tobio. “Voglio la sua testa su una picca.” 

Lo disse in modo tanto convincente che Tsutomu non si sentì più tanto sicuro di sé.

Shouyou sbuffò. “Andiamo, prima di prenderci un raffreddore tutti e tre!” 



***



Alla fine di ogni giornata, la sala comune dei Cavalieri era l’unico luogo del Castello Nero a rimanere affollato fino a tardi. I veterani erano soliti intrattenersi fino a un’ora che superava di gran lunga il buon senso e il giorno dopo ne pagavano le conseguenze al cospetto del Primo Cavaliere in persona. Quando non c’erano motivi di festeggiare - scusa perfetta per alzare il gomito - erano i pettegolezzi e i giochi a carte a far perdere ai soldati la cognizione del tempo. E quel passaggio dall’estate all’autunno stava fornendo molto materiale su cui discutere.

“Tetsuro, fai la tua mossa o passi?” Domandò Koutaro, pescando una carta dal mazzo al tavolo. “Quindi gli aquilotti si sono sistemati al piano di sopra?”

Il Demone dai capelli corvini lasciò cadere una carta. “Io non passo mai!” Esclamò. “Dovresti saperlo, amico mio. Sì, Kenma mi ha detto che Tooru li ha fatti sistemare allo stesso posto.”

“Ah, lontano da tutto e tutti, così che non li si possa incrociare per sbaglio,” commentò Issei, guardando con espressione amara la sua mano di carte. “Passo.”

“Qualcuno ha visto Hajime?” Domandò Tetsuro con un sorrisetto diabolico. “Se non lo conoscessi bene, direi che ci sta evitando di proposito.”

“Starà preparando qualche trappola a sorpresa per Wakatoshi,” ipotizzò Takahiro e buttò due carte. “O sarà impegnato in qualche rito della vittoria con Tooru.”

Koutaro lo guardò con gli occhi sgranati. “Quando parlavamo di ricaduta eravamo così seri?”

Tetsuro scrollò le spalle. “La scena sulla scalinata di fronte al Re dell’Aquila non si poteva non notare. Eravamo tutti lì!”

“Io continuo a dire che mentre venivano a riprenderci nelle campagne è successo qualcosa,” disse Issei, poi imprecò a bassa voce e pescò una carta.

“Di sessuale?” Koutaro si guardò intorno come se stessero complottando ai danni del Re Demone in persona.

“Beh…” Takahiro si grattò la nuca. “Presentarsi così di fronte a Wakatoshi è stata una grossa dimostrazione di virilità.”

Issei storse la bocca. “Hajime non ha mai avuto bisogno di far vedere che ce l’ha più grosso.”

“Non ne aveva bisogno quando Tooru lo amava al punto da combattere una guerra per lui,” disse Tetsuro. “Quelli di Shiratorizawa sono andati e venuti un po’ troppe volte negli ultimi mesi e, sì, questa estate ce la ricorderemo per un bel pezzo. Wakatoshi è arrivato senza preavviso per riprendersi il figlio e Hajime si è presentato al fianco di Tooru, a testa alta, pronto a ricordare a tutti qual è il suo ruolo all’interno di questa corte e di tutta la storia.” Allargò le braccia in modo teatrale. “Sì, doveva dimostrare di averlo più grosso.”

“Quindi…” Koutaro disegnò un cerchio in aria con l’indice destro. “Il Re Demone e il suo Primo Cavaliere sono tornati?”

Gli altri tre si scambiarono occhiate dubbiose, aspettando che fosse uno degli altri a rispondere.

Come previsto, fu Tetsuro a rompere il silenzio: “Io scommetto sulla tregua.”

“Che si traduce in scopiamo senza impegno?” Domandò Issei.

Takahiro scosse la testa. “C’è troppo vissuto, non riuscirebbero mai a divertirsi senza sentimento,” disse. “E sono entrambi troppo orgogliosi per concedersi l’uno all’altro con tanta leggerezza.”

Tregua,” insistette Tetsuro. “Diciamo che per il bene superiore sono pronti a fare fronte comune.”

Come unico padre del gruppo, Koutaro non ebbe difficoltà a capire di cosa l’amico stava parlando. “Tobio,” concluse.

“Tobio che sta diventando grande e che si è innamorato di un bel corvetto con gli occhi grandi,” aggiunse Takahiro divertito.

“Io adoro il pulcino di Koushi e Daichi… Non stiamo più giocando, vi siete accorti?” Koutaro buttò una carta sul tavolo e la partita riprese.

“Tobio è così diverso da quando quel moccioso è a corte,” commentò Issei.

Il moccioso ha quindici anni, il nostro principino non ancora,” gli ricordò Takahiro.

“Oh! Ne ha trovato uno più grande. Chi se lo sarebbe aspettato dal nostro Tobio!” Issei ridacchiò.

Tetsuro sbuffò. “Vorrei che qualcuno si portasse via Lev.”

“A me prenderebbe un colpo se qualcuno corteggiasse Keijiko!” Koutaro divenne un poco blu in faccia, come se il solo pensiero gli facesse venire la nausea.

“Ha tre anni…” Gli ricordò Tetsuro.

“Non li avrà per sempre!”

“Concentriamoci su una storia d’amore alla volta, anzi due,” Takahiro sollevò il pollice, “quella tra Tobio e Shouyou,” poi l’indice, “e quella tra Tooru e Hajime.”

“Possiamo subito chiarirci le idee su quest’ultima!” Tetsuro sollevò il braccio destro agitando la mano. “Generale, una parola!”

Gli altri tre si voltarono appena in tempo per vedere il Primo Cavaliere varcare il portone d’ingresso della sala comune e avvicinarsi al loro tavolo. “Su cosa state scommettendo questa notte?” Domandò Hajime, osservando le carte sparse su tutto il tavolo. “Perché non ho intenzione di partecipare.”

Tetsuro sorrise, amichevole come un predatore pronto ad attaccare alla gola. “Nessuna scommessa per questa sera, solo qualche pettegolezzo tra amici.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Già sparlate di Satori e delle sue scarse capacità da balia?”

Koutaro sbatté le palpebre un paio di volte. “Come abbiamo fatto a dimenticarlo?”

Issei scrollò le spalle. “Eravamo presi da altro.”

Hajime inarcò le sopracciglia e incrociò le braccia contro il petto. “Da cosa di preciso?”

Takahiro si nascose dietro la sua mano di carte e Koutaro si guardò intorno come se fosse capitato lì per puro caso.

Il Primo Cavaliere passò gli occhi verdi sui visi di tutti e quattro. Di fronte al loro silenzio avvertì la vena sulla sua tempia destra gonfiarsi pericolosamente. “Volete parlare di vostra spontanea volontà,” strinse la spalla di Takahiro con la mano destra e quella di Koutaro con la mancina, “o devo darvi una mano?”

I due Cavalieri presi di mira guardarono i compagni in cerca di aiuto, ma fu qualcun altro a salvarli.

“Hajime.” Nessuno si accorse di Tooru mentre varcava il portone della sala, ma gli occhi di tutti i presenti furono su di lui non appena chiamò il nome del suo Primo Cavaliere.

Sorpreso di vederlo lì quanto i suoi uomini, Hajime si dimenticò delle idiozie del quartetto di scemi per concedere al sovrano tutta la sua attenzione. “Tooru?” Si allontanò dal tavolo e Takahiro e Koutaro ripresero a respirare. “Che cosa ci fai qui?” Domandò. “È successo qualcosa?”

Tooru gli afferrò le mani con urgenza, sembrava allarmato. No, spaventato.

“Ho bisogno di parlarti,” disse.

Hajime annuì. “Certo, andiamo nei giardini.” 

Il sovrano scosse la testa. “No, nei giardini potrebbero vederci.”
“Va bene, andiamo qui fuori.” Hajime afferrò la mano del suo Re in un gesto istintivo e lasciarono la sala comune insieme.

Tetsuro osservò la scena grattandosi il mento. “Forse più di una tregua.”

Koutaro batté entrambe le mani sul tavolo. “La vuoi smettere? Sono quasi morto!”

Takahiro si accasciò sul tavolo, lasciando cadere le sue carte insieme alle altre. “Noi non moriremo su un campo di battaglia,” gemette, mentre Issei strofinava il palmo contro la sua schiena. “Come vuole il proverbio, sarà la curiosità a ucciderci.”



Una volta fuori, sotto le logge del cortile interno, Hajime lasciò andare la mano di Tooru per guardarlo dritto negli occhi. “Che succede?” Domandò. “Sei terrorizzato…”

Il Re non gli rispose, lo abbracciò. 

Il Primo Cavaliere esitò un istante prima di ricambiare il gesto. “Tooru, stai spaventando anche me.”

“Hajime…” Tooru si fece indietro e cercò le sue mani. “Devi fare una cosa per me.”

“Che genere di cosa?”

Il sovrano scosse la testa. “Non è per me, ma per Tobio.”

Hajime lo guardò fisso. “Va bene, ora mi stai spaventando sul serio.”

Tooru aprì la bocca, ma prima di parlare si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse spiando. Si avvicinò al Cavaliere di un passo. “Ho bisogno che tu vada da Tobio,” disse a bassa voce.

“Vuoi che lasci la corte?” Domandò Hajime, come se il messaggio non fosse abbastanza chiaro. “Vuoi che parta per il confine nord mentre Wakatoshi è qui?”

“È proprio per Wakatoshi che lo devi fare!”

Hajime mise insieme i pezzi in un istante. “Ha minacciato nostro figlio?”

“No!” Si affrettò a dire Tooru, poi ritrattò: “non proprio.”

“Sì o no, Tooru? Sii chiaro!”

“Parla a bassa voce!” Il sovrano spinse il suo Cavaliere all’indietro, lontano dalla luce delle torce che illuminavano il cortile interno. “Non ha minacciato espressamente Tobio, ma ha detto qualcosa che mi ha spaventato.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tooru non parlare per enigmi, ti prego. Dimmi che cosa è successo nei dettagli.”

“Ero nel nostro roseto, è venuto a cercarmi e abbiamo parlato di come i nostri figli si siano innamorati della stessa persona e-”

Hajime lo fulminò con lo sguardo. “Ti avverto, Tooru, se stai cercando di mettere bocca in qualsiasi cosa stia succedendo tra Tobio e Shouyou-”

“Ascoltami! Wakatoshi ha detto che se Tsutomu vorrà avere Shouyou per sé, non gli impedirà di ricorrere a mezzi politici per strapparlo a Tobio.”

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte. “Permetterebbe a suo figlio di conquistare Karasuno per avere qualche diritto sull’erede al trono?”

Tooru annuì.

“Non poteva essere serio.”

“Forse no,” concordò Tooru. “Ma noi non abbiamo agito in modo più razionale quando abbiamo accettato di combattere una guerra contro Shiratorizawa per stare insieme.”

“Questo temi per Tobio? Che combatta una guerra contro le aquile di Shiratorizawa per impedire a Tsutomu di portargli via Shouyou?”

“È meno ridicolo di come sembra.”

“Tsutomu ha tredici anni, un fallimento epocale alle spalle e Shouyou non lo ricambia. Non è Wakatoshi, Tooru, non ha la personalità giusta per prendersi qualcuno con la forza e non può niente contro Tobio!”

Tooru ingoiò a vuoto. “Appunto…”

Hajime inarcò le sopracciglia.

“Tsutomu si sente al sicuro per via di suo padre, non ci penserebbe due volte a minacciare Tobio e sono da soli su quelle montagne.”

“E che cosa hai paura che accada? Che gli tiri un destro e gli spacchi la faccia? L’ho fatto anche io quando Wakatoshi ha toccato te.”

“E io gli ho tirato una freccia mirando al cuore quando quello a terra eri tu,” gli ricordò Tooru. “Ho colpito la spalla per sbaglio. Lo avrei ucciso quel giorno se non si fosse spostato.”

Il sovrano e il suo Cavaliere si scambiarono un lungo sguardo silenzioso.

“Di che cosa hai paura esattamente?” Domandò Hajime. “Che nostro figlio non riesca a difendersi o che lo faccia?”

“Ho paura che Tobio viva l’inferno a cui siamo sopravvissuti noi,” rispose Tooru. “Non ha importanza per colpa di chi, ma non voglio vedere mio figlio marciare su Shiratorizawa perché un’Aquila gli ha strappato il cuore dal petto come è successo a me.” Ingoiò a vuoto e s’impose di darsi un contegno. “Inoltre, ho il dovere di proteggere Shouyou a qualsiasi costo. L’ho affidato a Tobio ma se dovesse rimanere coinvolto in un gioco di potere di una simile portata, non troverei mai il coraggio di spiegarlo a Koushi e Daichi.”

Hajime si umettò le labbra. “Parto domani all’alba,” disse. “Riporterò Tobio e Shouyou a casa, Wakatoshi se ne andrà con il suo erede e finalmente potremo dire che l’estate è finita.”



***



“Che cosa hai da dire in tua discolpa?” Domandò Tobio, fissando il Principe seduto al centro del divano con le braccia incrociate contro il petto e l’espressione di un bambino capriccioso non abituato a essere rimproverato.

Scendendo le scale, Shouyou sospirò. “Non è sotto processo, Tobio,” gli ricordò, avvicinandosi al Principe di Shiratorizawa per passargli la coperta che aveva tra le braccia. “Prova a scaldarti, Tsutomu.”

Il piccolo corvo non se ne rendeva conto, ma più era gentile con l’intruso e più Tobio sentiva la necessità di uccidere qualcuno per calmare i suoi nervi. 

“È il mio Regno,” disse, gelido. “Lo decido io se è sotto processo o no.”

“Tiranno…” Borbottò Tsutomu avvolgendosi nella coperta.

“Prova a ripeterlo, piccolo stolt-“

“Basta!” Esclamò Shouyou, parandosi di nuovo tra i due e rivolgendosi al Principe Demone. “È chiaro che è successo qualcosa al Castello Nero ma sarà difficile che Tsutomu ci spieghi qualcosa se continui a urlargli contro.”

“Se ti sta tanto simpatico, parlaci tu!” Abbaiò Tobio, piegando il gomito sul davanzale del caminetto e fissando gli occhi blu sulle fiamme scoppiettanti. Desiderava gettarci dentro l’intruso con ogni fibra del suo corpo.

Shouyou si sedette sul divano, accanto al Principe dell’Aquila. “Sul serio sei venuto fino a quassù a piedi?” 

Tsutomu annuì. “Voi siete arrivati in volo?”

“Ehi!” Tobio si voltò di colpo. “Non ti è permesso parlare del potere di Shouyou, vedi un po’ di farti gli affa-“

“Sì,” rispose il Principe dei Corvi, esasperato dal comportamento dell’erede al trono di Seijou. “Sì, siamo venuti in volo.”

Tobio lo mandò al diavolo con un gesto del braccio.

“Ma tu come hai fatto a trovarci?” Domandò Shouyou, curioso. “Ce ne siamo andati di nascosto e non abbiamo detto a nessuno dove avevamo intenzione di andare. Non lo sapevo nemmeno io, fino a che Tobio non mi ha guidato qui.”

Tsutomu lo fissò, cercando le parole per spiegare la sensazione che lo aveva guidato fino a quelle montagne. “Io… Io credo di sentirti,” ammise.

“Sentirmi?” Domandò Shouyou, inarcando le sopracciglia.

Tobio sgranò gli occhi chiedendosi fino a che punto avrebbe potuto reggere, prima di prendere il collo di quel Principe inetto e tirarlo come il pollo che era. Alla faccia delle Aquile di Shiratorizawa!

“Penso che abbiamo qualcosa in comune, io e te,” continuò Tsutomu, timidamente. “Tu hai dei poteri e penso di averli anche io. Mia madre era un Mago.”

E tuo padre è un mostro, pensò Tobio.

Shouyou annuì con un sorriso. “Le creature magiche si sentono a vicenda,” confermò. “Più sono forti e più si percepisce la loro presenza, me lo ha spiegato Kenma. Per questo ho sentito che eri qui fuori, anche se non ti ho riconosciuto.”

Tobio era così felice che Shouyou avesse trovato qualcuno di simile a lui che l’idea di mettere la testa di Tsutomu su una picca divenne bisogno. “Ciò non spiega perché ci hai seguiti,” intervenne. “Non ti abbiamo invitato e non siamo amici. Perché venirci a disturbare fino ai confini del Regno di Seijou?”

“Ma noi siamo amici!” Ribatté Shouyou. 

Tsutomu sgranò gli occhi, sorpreso.

“Ma sì!” Insistette il Principe dei Corvi con entusiasmo. “Abbiamo passato una bella estate insieme, no?”

Tsutomu aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Non lo so,” ammise, alla fine. “Non ho mai passato l’estate con degli amici.”

“Visto? Hai in comune qualcosa anche con Tobio!” 

“Che cosa vuoi da me?” Sentendosi chiamato in causa, il Principe Demone guardò storto il piccolo corvo. “Io non sono mai scappato dalla mia balia perché non volevo tornare a casa.”

“Satori non è la mia balia!” Ribatté Tsutomu, indignato.

“Ti senti solo a casa?” Shouyou era così gentile e comprensivo che Tobio aveva voglia di spaccare la faccia anche a lui. Aveva dimenticato perché erano scappati insieme in quel castello nel bel mezzo del nulla? Non era lì a rischiare l’ira funesta del Primo Cavaliere e del Re Demone perché il Principe dell’Aquila, improvvisamente, aveva capito di essere la creatura più sola al mondo.

Una vocina in fondo alla sua testa gli ricordò che anche a lui era successo qualcosa di simile, ma questo non lo spinse a essere amichevole: Shouyou era suo, aveva il diritto di desiderare la sua compagnia. Tsutomu poteva anche andare al diavolo!

“Shouyou, vieni di sopra,” ordinò, secco, allontanandosi dal caminetto per arrivare alle scale.

“Perché?” Domandò il Principe dei Corvi.

“Perché non sia mai che io offenda la sensibilità del nostro ospite!” Sbottò Tobio, salendo i gradini di legno due a due. Entrò nella camera che era stata dei suoi genitori e aspettò che Shouyou lo raggiungesse.

“Si può sapere cosa ti dice il cervello?” Sibilò, infuriato. “Dovevamo essere io e te. Io e te!”

Il piccolo corvo mantenne la calma. “Non possiamo certo cacciarlo,” disse.

“Se lo meriterebbe. È fuggito dal Castello Nero, mettendo in una situazione di merda il suo Cavaliere e i miei genitori, perché non voleva tornare a casa? Un comportamento da vero Re!”

Shouyou reclinò la testa da un lato. “Siamo scappati due volte da casa tua, provocando lo stesso genere di guai per due volte di seguito,” gli ricordò.

“Non è la stessa cosa!”

“Ciò non cambia che non possiamo cacciarlo!”

“Io non torno a Castello Nero per riportarlo a Satori!”

“Credo che sia l’ultima cosa che Tsutomu voglia…”

“Non m’interessa cosa vuole lui!”

Un colpo di tosse simulato attirò l’attenzione di entrambi: Tsutomu era sulla porta della stanza, il viso illuminato da un sorrisetto divertito. “I due Cavalieri di Karasuno hanno appena bussato alla porta. Dico loro di congelare o li lascio entrare?”

Tobio guardò Shouyou e il Principe dei Corvi alzò entrambe le mani. “Non è colpa mia!”

L’estate poteva aver lasciato il posto all’autunno ma il capitolo che si era aperto sotto il sole di giugno era tutto meno che concluso.
 

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