Un viaggio alla scoperta di sé

di Chiaretta160311
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un bambino vivace ***
Capitolo 2: *** Una persona indimenticabile ***
Capitolo 3: *** Inferno terrestre ***
Capitolo 4: *** Da che parte stai? ***



Capitolo 1
*** Un bambino vivace ***


L’unico ricordo che Matteo ha di quel caldo giorno di inizio giugno è il suono del motore unito al rumore dei suoi pugni contro il vetro dell’auto. Suo padre alla guida e sua madre seduta al suo fianco con lo sguardo perso nel vuoto, lo stavano lasciando da solo per la prima volta, non si sarebbero rivisti per anni e a loro sembrava non importare e anche se non era quella la realtà dei fatti a lui non importava, lo stavano abbandonando e lui non li avrebbe mai perdonati per questo gesto. Il tragitto fino al collegio fu lungo e stancante tra il baccano del ragazzo e il silenzio assordante dei due adulti, la strada sembrava essere interminabile ma per Matteo era sempre troppo breve. Dopo un’ora passata tra le urla si calmò e stremato si addormentò. Matteo non era mai stato un bambino calmo, non si poteva dire di lui che riuscisse a stare fermo più di cinque minuti e stargli dietro era estenuante, fino ai cinque anni non aveva mai dato grossi problemi ai genitori, era un bambino vivace ma era anche sempre sorridente e gioioso e nonostante tenerlo d’occhio fosse un lavoro a tempo pieno nessuno si era mai lamentato del suo comportamento. Era un bambino tenerissimo con i suoi grandi occhioni verdi che riuscivano ad ottenere qualsiasi cosa volesse e quei riccioli tra il rosso e il castano che gli davano un’aria un po’ ribelle smorzata dalle guance piene e sempre colorate. I veri guai iniziarono all’età di sei anni quando il piccolo Matteo iniziò la prima elementare, il suo mondo era stato completamente stravolto, non trascorreva più le sue mattine a correre e giocare insieme agli altri bambini, non era più semplice risolvere i piccoli litigi. Il primo giorno nella sua nuova scuola fu disastroso per lui, era finalmente in prima elementare, un traguardo che non vedeva l’ora di raggiungere, voleva sentirsi grande come la sorella, Alice, così arrivò davanti al grande portone con un gran sorriso, lo zaino in spalla e salutò felice la madre mentre si allontanava. L’idea che si era fatto della scuola era completamente sbagliata e i primi litigi con compagni e insegnanti non tardarono ad arrivare. Odiava stare seduto fermo per delle ore senza poter parlare, ridere o correre e ogni volta che la maestra lo rimproverava si innervosiva sempre di più; un piccolo mostro nero era nato dentro di lui e ad ogni rimprovero diventava sempre più grande fino a quando non riusciva più a tenerlo ed esplodeva, e si sa le esplosioni quasi sempre fanno danni consistenti. Rispondeva male ai docenti, alzava la voce e sbatteva gli oggetti sul banco; il culmine lo raggiunse a gennaio quando vide un gruppo di bambini ridere di lui per un litigio che aveva avuto il giorno prima con la maestra e il mostro diventò così grande e così cupo che quel piccolo bambino indifeso ne fu sopraffatto e spinse uno dei bambini facendolo sbattere contro il muro e cadere a terra, fortunatamente il povero bulletto non riportò gravi ferite a parte un graffio ma raccontò l’accaduto alla maestra che allarmata chiamò i genitori di Matteo. Da quel giorno, per paura di subire nuovamente i rimproveri dei genitori e degli insegnanti, cercò di controllare il mostro tenendolo in gabbia in un angolino della sua mente e riuscì così a superare, se pur con qualche problemino qui e lì, sia le elementari che le medie, il demone si ripresentò alla sua porta il primo anno delle scuole superiori.

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Capitolo 2
*** Una persona indimenticabile ***


Il bambino gioioso che era un tempo si era pian piano chiuso in se, i suoi brillanti occhi verdi erano diventati leggermente più scuri e quelli che prima erano boccoli si erano ammorbiditi un po’, le guance si erano sgonfiate e su di esse iniziavano a spuntare piccoli gruppetti di lentiggini. Con il suo carattere non era facile farsi molti amici infatti al liceo era riuscito ad avvicinarsi ad un solo ragazzo, Andrea, il suo compagno di banco, un tipo un po’ timido, la pelle bianchissima, i capelli castani con un ciuffo che gli cadeva sulla fronte e un paio di occhi azzurri non molto grandi, portava gli occhiali da vista e questo gli dava un’aria un po’ da secchione ma a Matteo non importava, era l’unico amico che aveva, quando era con lui il mostro con si faceva mai vivo ed era una sensazione che non provava con nessun altro; era convinto che la vera amicizia fosse così, aveva avuto altri amici in passato ma con nessun altro riusciva ad essere come quando era insieme a lui, avevano un mondo loro ed erano contenti che nessun altro ne facesse parte. Passavano spesso giornate intere insieme, ai due a volte si aggiungeva Alice, Matteo voleva bene a sua sorella, era l’unica della famiglia che lo capiva veramente ma quando c’era anche Andrea odiava vederla varcare la soglia del loro mondo perfetto e rompere quella bolla che si era creata. Tra Matteo e Andrea c’era assoluta fiducia, il primo gli parlava dei continui litigi con i genitori a causa del suo comportamento, gli raccontava che non volevano che stesse troppo vicino alla sorella più piccola, che avevano addirittura paura che potesse farle del male in uno dei suoi attacchi d’ira, odiava la sua situazione familiare e insieme all’amico sognava di scappare un giorno, andare in un posto lontano dove nessuno conosceva il suo mostro, Andrea lo avrebbe aiutato a tenerlo sotto controllo e avrebbero vissuto sereni lontani dai giudizi e dalle risatine che erano riservati anche ad Andrea ma per motivi diversi. Lui teneva in modo particolare al suo aspetto esteriore, passava molto tempo a scegliere i vestiti da indossare e a sistemare i capelli, a scuola un gruppetto di ragazzi lo prendeva in giro chiamandolo gay e in altri modi molto meno delicati e molto più offensivi, Andrea cercava di non dargli troppo peso ma in realtà ne soffriva, a stento sapeva cosa significassero quelle parole e non capiva perchè le usassero per insultarlo; veniva da una famiglia molto religiosa in cui determinati argomenti erano tabù infatti la prima volta che provò a chiedere alla madre cosa significasse la parola “gay” questa le disse che era un peccato e che non avrebbe mai più dovuto pensarci, si arrese all’idea che la madre non avrebbe mai soddisfatto pienamente la sua curiosità quindi fece la stessa domanda a Matteo e lui gli spiegò che una persona è gay se sta con un’altra persona dello stesso sesso, non avevano mai conosciuto persone così quindi il concetto per loro non era molto chiaro e soprattutto non capivano perchè venisse usato come insulto ma ad Andrea non interessava, finché erano insieme stava bene e gli altri potevano chiamarlo come preferivano, lui avrebbe continuato a girarsi dall’altro lato. E’ risaputo che le cose belle non durano a lungo e la magia tra i due fu presto spezzata il tragico giorno arrivò mascherato da giorno ordinario e se ne andò lasciando tristezza e sofferenza, era la prima settimana di maggio, il caldo iniziava a farsi sentire e le vacanze estive erano alle porte; il gruppo di bulli che per tutto l’anno non aveva fatto altro che insultare Andrea aveva deciso di cambiare bersaglio e di prendere di mira Matteo << Frocietto, quello chi è? Il tuo ragazzo? >> iniziò con voce stridula uno dei ragazzi del gruppo provocando una risata generale << Hai deciso di diventare una femminuccia anche tu? Se vuoi ti regalo un vestitino. >> sentendo queste parole e le risate che ne conseguirono Matteo fu riportato all’inizio di tutti i suoi problemi, si sentì di nuovo quel bambino impotente che non riusciva a combattere il suo demone personale, ora il mostro era cresciuto e aveva cambiato le sue sembianze ma non per questo provocava meno danni, anzi questa sua evoluzione avrebbe dato vita ad un boato talmente forte da rimanere impresso nella memoria di Matteo per tutta la vita, non si sarebbe mai dimenticato quel momento, il momento in cui con una freddezza glaciale si girò verso Andrea e disse << Io con lui? Ma per favore, ci sto soltanto per fare un favore a mia sorella, ho provato a spiegarle che non c’è nulla da fare, che è una povera checca e non ha nessuna speranza con lui ma non ne vuole sapere. Ah cosa non si fa per la famiglia! >> e dopo queste parole si unì agli altri in una grossa risata, col tempo ha dimenticato nomi e volti di quel gruppo di bulli ma la delusione che si leggeva chiaramente sul viso di Andrea non l’ha mai dimenticata, Matteo gli voleva bene ma adesso lui lo odiava e aveva ogni ragione per farlo, si era fidato di lui, aveva sopportato gli stessi insulti per mesi rimanendo in silenzio, era riuscito a reggere grazie al sostegno dell’amico ma a quanto pare a Matteo non bastava, Andrea non gli bastava, scappò via in lacrime, non gli interessava se l’avrebbero chiamato femminuccia ancora una volta, per lui non avevano la minima importanza le parole di quattro stupidi adolescenti, ma la sua voce, la voce della persona alla quale teneva di più che pronunciava quelle stesse parole, che lo insultava, sapere che non voleva stare con lui ma lo faceva solo per fare un favore alla sorella, questo lui non poteva sopportarlo; da una parte il suo cuore sapeva che le sue parole non potevano essere vere, lui sapeva cosa c’era tra loro due, sapeva che c’era un legame forte a legarli ma ripensare a quelle parole pronunciate proprio da lui era una doccia gelata, ti fa male, ti lascia senza fiato, senza sapere come reagire. Non voleva più vederlo, non voleva più sentirlo e nonostante le numerose chiamate non aveva intenzione di parlargli ancora anche se gli mancava terribilmente, non poteva guardarlo in faccia o sentire la sua voce senza ripensare a quelle parole dette con tanta facilità. Il numero di chiamate e di messaggi di Matteo fu enorme, si sentiva in colpa, non riusciva a dormire, ogni volta che chiudeva gli occhi l’unica cosa che vedeva erano i suoi occhi azzurri pieni di lacrime, una faccia incredula che prova a realizzare ciò che è appena successo; quell’immagine avrebbe tormentato Matteo per anni ma la verità è che aveva avuto paura, paura di quel mostro che non riesce a controllare ma non aveva considerato che senza Andrea non avrebbe avuto più un secondo senza quella paura opprimente, il mostro era tornato ed era più forte di prima. Il giorno dopo a scuola Matteo incontrò di nuovo quei ragazzi che gli avevano fatto perdere il suo migliore amico, li sentì parlare, parlavano di Andrea, si intromise e con tono deciso e un po’ scocciato disse << Adesso basta, è vero ieri anche io l’ho preso in giro ma non vi sembra di esagerare adesso? Cosa vi avrà mai fatto di male un ragazzo che parlava a stento con me? Mi sembra che sia arrivato il momento di crescere un po’ e conoscerle le persone al posto di insultarle o per lo meno lasciarle in pace. >> e se ne andò senza aspettare una risposta, il mostro era rimasto in un angolo e lo aveva lasciato fare, sperò che questa cosa durasse ma così non fu. Passò un altro po’ di tempo e Matteo era sempre più angosciato, non era più abituato a passare intere giornate senza Andrea, lui era la sua ancora e adesso l’aveva perso; d’altro canto il suo demone era in forma smagliante, entrò in classe senza guardare nessuno, durante la lezione era distratto e alle domande rispondeva in modo scostante, rifiutò un interrogazione e al primo rimprovero dell’insegnante scoppiò, iniziò ad urlare e a tirare oggetti di ogni tipo non curante delle conseguenze che la sua azione avrebbe avuto, dopo essersi reso conto della situazione e del suo comportamento uscì fuori dalla classe correndo e dirigendosi verso il piccolo cortile della scuola, si sdraiò per terra e iniziò a respirare a fatica. Andrea che era in classe con lui e conosceva i suoi problemi assisté alla scena e per un momento esitò, voleva andare a controllare se andasse tutto bene ma sapeva che questo sarebbe stato in parte come perdonarlo per il suo comportamento e questo Andrea non poteva permetterselo, si inchiodò alla sedia e con la pena nel cuore sperò soltanto che Matteo stesse bene e che qualcuno fosse andato ad aiutarlo non vedendolo solo come una furia ma come qualcuno che ha bisogno di una mano. Matteo non ricevette mai un aiuto, non aveva amici a parte Andrea e gli insegnanti non lo vedevano di buon occhio, l’unica cosa che ottenne fu una convocazione nell’ufficio del preside e un’espulsione, benché i suoi genitori avessero fatto di tutto per evitare quest’ultima il preside fu irremovibile, era una di quelle persone di vecchio stampo che rimangono ferme delle loro idee, inoltre questa non era la prima volta che Matteo usciva fuori di se ed erano stanchi di dover sempre stare attenti con lui. Purtroppo nella nostra società i problemi comportamentali sono visti solo come una cosa sconveniente non come una cosa che necessita un aiuto costante da parte di una persona competente e la comprensione delle persone intorno, così erano visti i suoi attacchi di rabbia, come una semplice scocciatura, lo vedevano come un ragazzo viziato che non riesce ad accettare un no come risposta e batte i piedi ma la realtà dei fatti non era questa, lui non sapeva davvero come fare a reprimere il mostro ma questo nessuno glielo aveva mai chiesto. Tornato a casa corse in camera della sorella, era l’unica che gli era rimasta, l’unica con cui ancora poteva parlare, a prima vista sembravano gemelli, stessi occhi, stessi capelli mossi anche se Alice li portava più lunghi, guardandoli meglio era chiaro che gli occhi di Matteo seppur dello stesso colore della sorella erano più spenti e cupi, i capelli un po’ meno curati e il viso più stanco; Alice era due anni più grande di lui, erano cresciuti insieme e nonostante gli innumerevoli problemi non si erano mai separati per più di 24 ore. Spiegò la situazione alla sorella e la pregò di aiutarlo con i genitori, le loro punizioni stavano diventando sempre meno efficaci e di conseguenza sempre più dure, Matteo non sapeva cosa aspettarsi stavolta ma la discussione che fecero a cena non se la sarebbe mai immaginata << Io e tuo padre abbiamo deciso, la settimana prossima ti trasferirai in collegio >> lo disse tutto d’un fiato, con gli occhi sbarrati e la mascella rigida, nemmeno lei sapeva se il suo tono duro era dovuto alla difficoltà delle parole appena pronunciate o alla rabbia mischiata alla seccatura. Matteo ci mise qualche secondo a realizzare cosa avesse detto la madre << tutto ma non questo >> pensò poco dopo accasciandosi sulla sedia, sapeva che fare resistenza sarebbe stato inutile e una scenata glia avrebbe fatto più male che bene quindi guardò Alice di sfuggita mentre gli occhi gli si inumidivano e continuò a mangiare senza proferir parola. Una settimana e la sua vita sarebbe stata stravolta, una settimana e non avrebbe più visto sua sorella per anni, una settimana e avrebbe dovuto lasciare casa sua, una settimana e non avrebbe avuto il tempo di farsi perdonare da Andrea, gli mancava da impazzire, in quel momento avrebbe solo voluto parlare con lui ma non c’era ed era colpa sua, finì di cenare e andò nella sua stanza, non ebbe nemmeno il tempo di chiudere la porta che sentì sua sorella urlare che non potevano farlo, che non potevano mandarlo via ma era tutto inutile. Durante la settima che precedeva la partenza Matteo aveva avuto la stessa vita di un vegetale e adesso era lì in quella macchina con le poche forze che aveva accumulato che si sfogava un’ultima volta, non sapeva cosa lo aspettasse e dato che suo padre non sarebbe tornato indietro voleva liberare spontaneamente il mostro per un volta sperando che non sarebbe più tornato indietro nonostante fosse consapevole che quel grande essere maligno è parte di lui e non riuscirà mai a liberarsene del tutto. Dopo qualche ora venne svegliato dalla madre e dopo essersi stropicciato gli occhi vide un enorme edificio, lì avrebbe trascorso i prossimi quattro anni della sua vita.

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Capitolo 3
*** Inferno terrestre ***


Visto da fuori il collegio non aveva un’aria così spaventosa, era un edificio enorme con grandi arcate esterne, il colore che spiccava maggiormente era il bianco ma sulle pareti risaltavano dei piccoli dettagli neri, la pesantezza dovuta alla grandezza dell’edificio era alleggerita da maestose finestra in vetro opaco che gli conferivano un aspetto un po’ più moderno. La struttura aveva la forma di un quadrato, uno dei quattro lati era costituito da tre grandi cancelli ad arco, uno più grande al centro e due più piccoli ai lati, questi erano tenuti sempre chiusi ed erano sorvegliati notte e giorno da una guardia, gli altri tre lati rappresentavano il vero e proprio edificio; al centro del quadrato si trovava un sentiero a forma di croce realizzato in sampietrini, ogni braccio della croce conduceva ad un ingresso, agli angoli erano presenti delle zone verdi con una panchina ciascuno. L’interno era altrettanto ben arredato, le pareti bianche accentuavano l’ampiezza dell’ambiente e i grandi lampadari gli concedevano un aspetto classico; appena entrati era possibile scegliere tra quattro diversi corridoi, quelli laterali conducevano alle classi mentre quelli frontali erano diretti all’aula magna e alla mensa, perfettamente di fronte all’ingresso era presente una lunga scalinata che permetteva di accedere ai piani superiori in cui erano situate le classi, gli studenti erano organizzati per anno, al primo piano alloggiavano i ragazzi del primo anno, al secondo piano quelli del secondo anno e via dicendo, ogni piano aveva un’ulteriore spartizione, a destra erano presenti le camere per i ragazzi, a sinistra le camere per le ragazze mentre la parete che si trovava di fronte alle scale era utilizzata per appendere eventuali comunicazioni del preside. Nonostante l’aspetto accogliente del collegio Matteo non era particolarmente felice di dover passare interi anni in quel luogo, non conosceva nessuno ed era lontano da casa, inoltre sapeva che la maggior parte degli studenti era lì non era formata da ragazzi gentili e a modo ma da ragazzi ritenuti dai genitori troppo impegnativi tanto da aver preso la decisione di allontanarli da casa, un’ultima lacrima scese dagli occhi di Matteo prima di scendere dalla macchina pensando che questo era proprio il destino che era toccato a lui, lo avevo promesso a se stesso però, in quella scuola lui sarebbe stato forte, chi non lo era non sopravviveva, questo concetto vale in qualsiasi ambito ma in quella situazione più che mai, si asciugò quell’ultima miscela di acqua, sale e amarezza e scese dalla macchina seguendo il padre a passo svelto. Suonarono al campanello e il portone centrale si aprì, la cosa che colpì maggiormente tutti e tre fu la maestosità dell’edificio, una grandezza che incute un po’ di timore inizialmente, la seconda cosa che notarono fu un uomo alto e impostato davanti al portone d’entrata che rivolse un occhiataccia al ragazzo e poi un mezzo sorriso ai genitori chiedendogli di seguirlo, non sapevano dove erano diretti ma guardandosi intorno notarono un gran numero di ragazzi, chi sembrava un po’ spaesato e chi invece si destreggiava perfettamente tra i corridoi di quell’immensa struttura. Imboccarono il corridoio a destra e dopo aver superato numerose classi ancora vuote arrivarono ad una stanza molto più grande delle altre dove non era presente nessuno, sull’elegante scrivania si leggeva un cartellino con scritto “Preside”; quello sarebbe diventato uno dei luoghi più frequentati da Matteo negli anni a venire. Dopo qualche minuto di attesa, nella stanza si presentò un uomo sulla sessantina, bassino e con quei pochi capelli che ancora riusciva a garantirsi; sembrava una persona gentile e alla mano a prima vista anche se nei suoi occhi scuri si leggeva il suo rigore. Salutò i genitori di Matteo con un gran sorriso e rivolse uno sguardo intollerante al ragazzo, una di quelle occhiate che ti parlano chiaramente e la sua diceva << Ho visto tanti ragazzi come te, qui dentro ti conviene stare alle mie regole >>, quell’espressione fece subito capire al giovane che l’idea iniziale che si era fatto di quel simpatico vecchietto era totalmente sbagliata. << Prego, accomodatevi, sarò lieto di rispondere ad ogni vostra domanda e chiarire ogni vostro dubbio nei riguardi della scuola. >> aprì il discorso il preside non rivolgendo un secondo sguardo a Matteo ma concentrandosi esclusivamente sui due adulti che si stavano sedendo. Una volta che il preside si fu seduto l’uomo che li aveva accompagnati si congedò cordialmente e tornò alla sua postazione, le sedie disponibili erano soltanto due così Matteo fu costretto a rimanere in piedi dietro i genitori con le mani sudate e lo sguardo basso, non voleva rischiare di ricevere un’altra occhiata pietrificante dall’anziano signore. Dopo un’infinita conversazione Matteo aveva appreso molte cose interessanti sulla scuola, alla mensa servivano solo piatti genuini, i ragazzi organizzavano spesso dei ritrovi per distrarsi un po’ dall’ansia scolastica, le lezioni si tenevano di mattina e qualche giorno più tardi avrebbe dovuto compilare un suo piano di studi personalizzato per l’intero semestre. Tutto sommato quel luogo che per lui sembrava la cosa più simile ad un inferno terreste non si era rivelato poi così male e pensò che in fondo non sarebbe stato così terribile passare un po’ di tempo lì. Dopo una stretta di mano e un saluto arrivò il momento dell’addio tra Matteo e i suoi genitori, si stava separando dalle persone che fino a quel momento l’avevano cresciuto, nutrito e curato e il minimo che si potesse aspettare era un abbraccio, purtroppo il suo desiderio non fu esaudito, la madre lo salutò con un buffetto in testa e un mezzo sorriso, il padre mentre si dirigeva verso l’uscita gli disse << Ci vediamo Matteo, vedi di non far impazzire nessuno qui dentro >> e scomparvero oltre la porta. Matteo era devastato, davvero quelle persone in cui lui credeva tanto gli avevano voltato le spalle così senza un minimo di sentimento o colpa, davvero a loro non interessava niente di lui; quel giorno sparirono dalla sua vita per volontà loro e quello stesso giorno Matteo giurò a se stesso che per quanto sarebbe stata dura senza di loro non gli avrebbe mai più permesso di tornare indietro come se nulla fosse, per loro lui non contava nulla e da quel momento anche per lui i suoi genitori avrebbero perso ogni significato. Uscì dalla stanza con l’amaro in bocca, ricordava il primo giorno di liceo, uno dei ragazzi gli aveva fatto da guida ma in quel posto immenso lui era da solo, nessuno si sarebbe fermato a dargli una mano; iniziò a vagare per i corridoi dell’istituto senza sapere dove stesse andando, il preside aveva lasciato sul tavolo un bigliettino con il suo numero di stanza e questo era tutto ciò che aveva, in quella solitudine ripensò al suo migliore amico e al giorno in cui si erano conosciuti quasi un anno prima…

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Capitolo 4
*** Da che parte stai? ***


Setacciò diversi piani e corridoi prima di trovare finalmente il suo alloggio, girò la chiave che il preside gli aveva lasciato insieme al bigliettino e rabbrividì al pensiero che quella sarebbe stata casa sua. La stanza era minuscola, l’unica fonte di luce era una minuscola lampadina collegata in modo molto precario al tetto e l’atmosfera era pesante; non erano presenti finestre da cui respirare aria pulita e la polvere era talmente alta da fare da materasso ai numerosi insetti, le pareti erano di un colore grigio scuro, di fronte alla porta d’entrata c’era una scrivania con una sedia che doveva averne passate tante, alla sua destra un lettino che ad ogni movimento scricchiolava come se volesse cedere da un momento all’altro e a sinistra un paravento in legno dietro al quale si nascondeva la versione molto ridotta di un bagno. L’ambiente non era dei migliori ma Matteo si sarebbe dovuto abituare alle sue nuove condizioni di vita, lo consolava un po’ l’idea che non avrebbe passato molto tempo lì dentro, tra le lezioni, i ritrovi e il tempo che poteva spendere in quei piccoli angoli di verde situati appena fuori dall’edificio. Lasciò i suoi bagagli in angolo e si affrettò a lasciare quel posto un po’ inquietante, non aveva intenzione di fare nuove amicizie ma voleva capire il tipo di gente con cui avrebbe convissuto. Girando per i corridoi dell’istituto furono diverse le persone che incrociò, il primo gruppetto era formato dalle classiche ochette che credono che il mondo gli appartenga, non gli importa di nessuno se non di se stesse e lo fanno notare, andando avanti notò dei ragazzi con un’aria simile alla sua, un po’ sperduta, un po’ malinconica e capì che dovevano essere i ragazzi del primo anno che come lui stavano cercando di sondare un po’ il terreno, sceso al piano di sotto riconobbe quattro o cinque ragazzi occhialuti che camminavano a testa bassa, come se volessero diventare invisibili e questo gli riportò nuovamente alla mente Andrea ma scacciò subito quel pensiero, non voleva più che il suo ricordo lo tormentasse, poco dopo capì per quale motivo quei ragazzi sembravano tanto spaventati, a pochi passi da loro un gruppo molto più ampio dei precedenti si avvicinava a grandi passi, aveva temuto quegli stessi ragazzi tutta la vita ma si ricordò che in quel luogo nessuno lo conosceva, e stavolta non aveva nulla da perdere, l’unica cosa davvero importante che avesse mai avuto l’aveva già persa; poteva entrare a far parte di qualsiasi gruppo volesse, bastava soltanto una buona presentazione; quello era il gruppo che aveva scelto, a malincuore sapeva che la parte del bullo gli veniva bene e non si sarebbe più dovuto preoccupare di nulla se loro gli avessero permesso di far parte del gruppo. Guardò negli occhi quello che sembrava il capo tra i molteplici ragazzi e poi si girò verso i poveri fanciulli innocenti, urtò uno di loro facendolo cadere a terra e e poi con un sorriso da finto dispiaciuto lo prese in giro << Ops, non ti avevo mica visto >> e quel sorriso diventò una risata; quello stesso ragazzo che aveva fissato prima della sua “presentazione” si unì a lui << Stai attento a dove cammini o finirai per inciampare >> disse a gran voce mentre faceva lo sgambetto ad un’amico del ragazzo che si era appena rialzato e che come il primo vide da molto vicino il pavimento; si diedero un cinque accompagnato da un sorrisetto malizioso e poi si strinsero la mano << Io sono Francesco, benvenuto a casa >>, ricambiando la stretta di mano si presentò anche lui << Piacere, Matteo, lieto di essere qui >>, tanto lieto non lo era in realtà ma avrebbe fatto di tutto per evitare di rincontrare il mostro e far parte del gradino più in alto della catena alimentare l’avrebbe sicuramente aiutato; << Sei un novellino non è vero? Non ti ho mai visto qui >> Francesco provò ad aprire il discorso mentre gli altri ragazzi erano rimasti un po’ più indietro ad aspettarlo, dopo aver ricevuto un cenno da Matteo continuò << Vieni con noi, ti spiego un po’ come funziona qua, sono sicuro che il preside avrà raccontato un sacco di cazzate ai tuoi >>; Matteo venne colto un po’ di sorpresa, il preside aveva dipinto l’istituto come un luogo abbastanza piacevole in cui vivere ma adesso aveva il sentore che non sarebbe stato proprio tutto rose e fiori, accettò la proposta di Francesco e iniziò a camminare al suo fianco mentre gli altri li seguivano. Vederli camminare vicini era come se la luna e il sole decidessero di sorgere e tramontare insieme, Matteo con i suoi colori chiari e accesi, Francesco invece aveva la pelle scura, i capelli molto corti e gli occhi tendenti al nero, era impossibile leggere nei suoi occhi ciò che pensasse, era come se ti risucchiassero e tu non potessi fare nulla per uscirne; era un po’ più alto di Matteo, la mascella ben definita e un fisico che aveva visto più di qualche giorno di palestra, la sua camminata era decisa e a tratti prepotente e dalla sua espressione si intuiva che lì dentro non avesse paura di nulla.

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