~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

di foschi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Cap.1 – Sei tu la soluzione ***
Capitolo 2: *** ~ Cap.2 – Fino a quando il sole non c’è ***
Capitolo 3: *** ~ Cap.3 – Ti regalo la mia illusione ***
Capitolo 4: *** ~ Cap.4 – E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi ***



Capitolo 1
*** ~ Cap.1 – Sei tu la soluzione ***


~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of th Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

Note dell’autore: È davvero da tantissimo tempo che non scrivo una fan fiction e dopo aver deciso di lasciar passare da sé il mio blocco, eccomi di nuovo in questo fandom con questa coppia che mi ha mandata in tilt.

E quindi mettevi comodi e buona lettura! Che la forza della giovinezza sia con voi! ~ <3

 

 

 

 

 

~ Cap.1 – Sei tu la soluzione

 

 

      

 

 

 

 

   La brezza fresca, ambasciatrice della sera che lentamente incombeva sul Villaggio della Sabbia, portava con sé gli ultimi rimasugli dei raggi del sole che tramontavano silenziosamente, allungando le ombre delle dune di sabbia, colline silenziose, baluardo ed allo stesso tempo nemico del paese che andava man mano spegnendosi.

A volte, per richiamare i bambini più ribelli che si attardavano a giocare in strada, i genitori raccontavano leggende di spaventosi ninja che si appostavano dietro quelle dune per rapirli e far loro del male. Allora essi rientravano a casa, provando un timore quasi reverenziale per quelle colline sabbiose e guardandosi bene dal tornare ad allontanarsi da casa. La quiete tornava quindi su Suna che man mano andava addormentandosi.

 

  Lo sguardo acquamarina del Kazekage vagava sul profilo delle case, come un padre che si assicura che i figli stessero bene. Il volto diafano era accarezzato da quell’arancio che conferiva un’aria malinconica a quegli occhi contornati da nere occhiaie – e forse malinconici lo erano davvero, soprattutto quando, finite le sue mansioni giornaliere, smetteva i panni del capo villaggio e saliva sul terrazzo dell’edificio, facendo vagare i pensieri oltre le dune immediatamente visibili, fino a dove il confine tra orizzonte e sabbia diventava così labile da mescolarsi e scomparire. Era lì che a lui piaceva far arrivare i pensieri; era lì che essi si rincorrevano senza un filo, alternandosi, mescolandosi fino a diventare pesanti e far sfuggire un sospiro malinconico al proprietario.

 Altre volte, invece, il giovane dai capelli rossi saliva sul terrazzo con una piccola e fragile speranza che spazzava via la malinconia: vederlo correre verso di lui, alzando polveroni di sabbia e sbraitando qualcosa riguardo all’eterna giovinezza; il vento gli portava quelle urla ed allora le labbra screpolate si rilassavano in una dolce curva ed il cuore batteva forte prima di ritrovarselo con il respiro affannato davanti a sé e venire stretto da quelle braccia muscolose e forti, sua casa e rifugio.

Quel terrazzo era l’unico posto che conosceva le sue gioie, la sua tristezza, le sue speranze e se vi era salito ora, era solo per condividere con esso la tristezza che gli opprimeva il cuore…

 

  Il rumore dei passi lo riscosse da quelle riflessioni, conosceva quel suono calmo e pesante che sembrava trascinarsi: era il prolungamento di un’agonia straziante, messaggero di un saluto non voluto. Quando si sarebbero rivisti? Quando sarebbe tornato? Queste domande ronzavano nella mente del Kazekage mentre gli occhi insolitamente grandi e profondi, neri come onice brillante, del sopraggiunto si fermavano sul suo volto, il fiato appena trattenuto in attesa di quello che sarebbe avvenuto. Gaara sentiva il fantasma di quel saluto gravare sul suo petto, facendogli trattenere il fiato, costringendolo ad un’apnea che sembrava non terminare più. E forse era così, visto che il tempo sembrava scorrere lentamente…

Solo quando Lee si avvicinò a lui poggiando i polpastrelli callosi e ruvidi non coperti dalle bende sulla sua guancia in una delicata carezza – sembrava impossibile che quelle mani sempre in movimento fossero capaci di quella delicatezza e dolcezza – si ricordava di respirare, godendo dell’aria fresca.

«Gaara…» la voce era un sussurro roco, come se stesse cercando di trattenere il pianto.

L’ex possessore del Demone Tasso chiuse gli occhi facendosi cullare da quel contatto e dalla brezza divenuta improvvisamente più fredda – e Gaara poteva giurare che no, non era per l’escursione termica del deserto.

Un brivido attraversò la schiena di Lee che lottava contro sé stesso per non piangere: non era un piagnone, cercava sempre di essere ottimista e guardare il lato positivo delle cose, visto che di sofferenze ne aveva passate, ma ogni volta il separarsi dal suo amato gli causava una stilettata al cuore. Quando si sarebbero rivisti? Si chiedeva a sua volta, incapace di darsi una risposta.

«Io vado…» oh, eccola la voce incrinata.

Gaara aprì gli occhi e lo guardò con un’espressione impassibile: non era da lui lasciarsi andare al sentimentalismo e Lee lo sapeva e lo accettava, in cuor suo però sapeva cosa provava il compagno. Lo vide annuire e per un momento un’ombra triste oscurò quelle due iridi acqua marina; fu solo un istante, ma la Bestia Verde della Foglia colse quell’ombra ed il cuore divenne più pesante.

«Buon viaggio, Rock Lee.» la voce era impassibile e questo fece sospirare il ninja della Foglia che si lasciò andare ad una dolce e, forse esagerata, reazione.

Il capo del Villaggio della Sabbia lo guardò attentamente trattenendo appena, e di nuovo, il respiro mentre le orecchie captavano il leggero tonfo del ginocchio sul cemento. Un brivido attraversò la sua schiena quando le labbra ruvide e sottili di Rock Lee si poggiarono sul dorso della sua mano morbida, sicuramente non adatta al combattimento.

In quel momento, entrambi non sapevano se il tempo si fosse fermato o dilatato; non riuscivano mai a definire le sensazioni che provavano, ma Rock Lee era certo di una cosa: voleva che quell’attimo durasse per sempre, che qualcuno li immortalasse così, lui inginocchiato davanti al compagno, un bacio casto sulla sua mano.

Ma così com’era arrivato, quell’attimo si dissolse quando lo shinobi di Konoha si alzò e lo guardò un’ultima volta con un sorriso triste sul volto – possibile sorridesse sempre, anche quando era triste? Gaara non avrebbe mai capito come facesse, tralasciando il discorso “giovinezza”.

«Ci vediamo presto, Gaara. Te lo prometto.» e gli regalò un bacio sulla fronte, lì dove c’era il tatuaggio che lui stesso si era disegnato anni addietro, racchiudendo quello che provava per lui: amore. Un amore dolce e paziente, che si era insinuato lentamente fra loro, crescendo finché tutte le difese erano cadute e loro si erano trovati nudi l’uno di fronte all’altro a scoprirsi reciprocamente.

Gaara osservò quelle spalle larghe e possenti voltarsi ed allontanarsi di qualche passo. Il cuore sussultava man mano che lui se ne andava ed un’improvvisa angoscia lo spinse ad abbracciarlo, premendo la testa contro quelle spalle.

«Resta un altro po’ con me, Lee.» lo pregò con un singhiozzo represso: poteva provare a fare l’apatico quanto voleva, ma sapeva che la soluzione alla matassa di sentimenti che sentiva nel petto era solo lui, il suo Rock Lee.

Grazie a lui, che già durante l’esame di selezione di Chunin aveva minato le basi delle sue certezze, aveva lasciato indietro gli spettri del passato e guardato oltre i confini delle sue convinzioni.

Grazie a lui, aveva lasciato alle spalle i suoi timori, le sue paure su sentimenti come l’amicizia e l’amore. Aveva lasciato che il vento li portasse via e si era affidato a lui fino a non distinguere più orizzonti, universi, direzioni. Si era affidato a lui, sapendo, sperando, che lo avrebbe preso in quella caduta libera, senza più lasciarlo andare.

Lee era la soluzione alle sue paure, ai suoi problemi e lui aveva giurato a sé stesso che non lo avrebbe fatto andare via. Ora finalmente anche lui aveva qualcuno di caro da proteggere.

Il maestro delle arti marziali si voltò con un sorriso dolce e lo strinse a sé in un abbraccio quasi soffocante. «Per tutto il tempo che vuoi, Gaara.»

L’altro sorrise chiudendo gli occhi e rintanandosi di più in quell’abbraccio: quella era la sua casa.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** ~ Cap.2 – Fino a quando il sole non c’è ***


~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of th Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

 

 

Ringrazio di cuore Sato, Arya Dream e Nao Yoshikawa per aver recensito il capitolo precedente! ** 

Che la giovinezza sia con voi ~ <3

 

 

 

 

 

~ Cap.2 – Fino a quando il sole non c’è

 

 

     

 

    Era un contatto tra labbra che non accennava ad esaurirsi, quello che univa i due giovani all’interno della stanza spoglia del Kazekage. Era un continuo schiocco di lingue che voraci, infrenabili, si scontravano, si accarezzavano, si univano, mischiando i sapori dei rispettivi proprietari.

Le mani tremanti di Gaara stringevano il collo del giubbotto di Lee; sembravano volerglielo strappare di dosso, volerlo lasciare nudo perché i suoi occhi languidi potessero godere del suo petto nudo e scosso dal respiro irregolare. Poteva sentire da lì il cuore che pompava sangue più velocemente del solito, come se stesse per fuoriuscire dallo sterno.

Era in quel tumulto di sensazioni, in cui il capo del Villaggio della Sabbia sentiva il proprio petto seguire un ritmo irregolare, che la soddisfazione di essere lui, e solo lui, a ridurre la Bestia Verde della Foglia in quelle condizioni gli faceva aprire un sorriso di vittoria sul volto appena colorato – era così intenso il candore della sua pelle che il rossore poteva solo sfumare una leggero rosa.

Si separò mordendo le labbra sottili e gonfie del ninja e leccandole con la punta della lingua, il sorriso che rimaneva lì, come fosse un invito ad andare oltre.

 

   Rock Lee guardò quasi con devozione l’altro, accarezzando con gli occhi di pece prima il volto, poi il corpo dell’altro, tornando poi a quelle labbra ancora umide e che chiedevano solamente di essere prese a morsi – e Lee avrebbe davvero voluto strapparle a morsi e godere dei suoi sospiri rochi.

Sapeva che la richiesta da parte del Ninja del Deserto, fatta mentre gli ultimi raggi solari allungavano le loro ombre creandone una singola, avrebbe portato a quella situazione e, ad essere onesti, era quello che intimamente sperava si realizzasse. Per questo colse l’invito che lo shinobi gli stava rivolgendo: senza indugiare, lo spinse sul letto alle sue spalle, bloccandogli i polsi sopra i ribelli riccioli rossi. Dio se era bello, il suo Gaara: il rosso dei suoi capelli gli ricordava il colore del fuoco della passione che ora li avvolgeva e che era lo stesso della giovinezza che professava sempre – ma d’altronde, cos’era la passione se non figlia della stessa giovinezza?

I suoi occhi acquamarina, ora lucidi e languidi, gli ricordavano due specchi d’acqua in cui avrebbe voluto affogare per sempre; le sue labbra, appena colorate dai baci, gli ricordavano due pesche mature e, assaporandole, gli fece piacere scoprire che avevano la stessa consistenza vellutata di quel frutto.

Gli piaceva Gaara, più di quanto potesse ammettere ed era orgoglioso che l’ex possessore del Demone Tasso avesse iniziato ad aprirsi a lui, ammettendolo inizialmente nella cerchia dei suoi primi amici e poi scegliendolo come compagno di vita.

Il suo sguardo da innamorato – così intenso e venerante, come quello di un artista che ammira il suo capolavoro – fu un momento attraversato da un velo di tristezza e stizza; odiava pensarci, soprattutto in quelle circostanze, quando potevano godere l’uno dell’altro nei rari momenti in cui erano insieme, ma ogni volta l’ombra nera di quella consapevolezza lo attanagliava, bloccandogli il respiro: perché? Perché dovevano continuare a nascondersi? Perché nessuno doveva sapere di loro due quando lui avrebbe voluto solo gridarlo al mondo intero? Perché, perché, perché… tanti quesiti e nessuna risposta, o meglio, una risposta c’era, ma lui si ostinava ad ignorarla; non riusciva ad accettarla anche se, ogni volta che andava a Suna, tutto sembrava urlarglielo: Gaara era il Kazekage che doveva provvedere al benessere del paese e questo significava mantenere relazioni pacifiche con il Villaggio della Foglia e gli altri Paesi. Se avessero saputo che il Kazekage aveva una relazione che poteva favorire i rapporti con Konoha a discapito degli altri Paesi,  la pace faticosamente conquistata si sarebbe frantumata e la morte di molti ninja, tra cui il suo caro amico Neji, sarebbe stata vana. Non potevano permetterlo, ma lo frustrava così tanto dover sacrificare la propria relazione per il benessere comune!

Poteva permettersi, almeno una volta nella sua vita, di essere egoista? No, a quanto sembrava no. L’unico compromesso era tacere e tenere tutto segreto, sperando che nulla si infrangesse, sperando che tutto sarebbe durato per sempre.

 

«Lee…» la voce di Gaara tradiva una nota di preoccupazione che lo riscosse: no, non doveva pensarci, non adesso che aveva un’eccitazione che gli premeva contro la stoffa dei boxer.

Il sorriso tornò a manifestarsi sul suo volto mentre le dita ora libere di Gaara accarezzavano con i polpastrelli quel petto sudato, disegnando le linee dei suoi muscoli lentamente, amandoli centimetro dopo centimetro. Amava ogni cicatrice che copriva quel petto: erano il segno indelebile del suo impegno nei continui e strambi allenamenti; erano il segno della sua dedizione al suo credo ninja; erano lo scopo della sua vita – anche se sapeva che il suo scopo numero uno era proteggerlo ed amarlo con tutta la forza della giovinezza, fino alla morte.

Sussultò appena le dita ruvide del maestro delle arti marziali si strinsero attorno alle sue, portandole poi alle labbra. Era grato a Rock Lee per il modo in cui lo amava: dolcemente e senza fretta, trasmettendogli con piccoli gesti tutto l’amore che provava.

«Ti amo.» e gli occhi di Gaara si sgranarono a sentire quelle parole; lacrime di commozione presero a rigargli silenziosamente le guance, prontamente raccolte dall’allievo di Gai che fece scivolare le labbra lungo il suo collo immacolato, mordendolo appena, lasciando piccoli segni rossi e facendo uscire gemiti al proprietario che man mano sentiva il contatto della fredda aria notturna a contatto con la pelle lasciata nuda dai vestiti che lentamente scivolavano via.

     Lee si fermò a guardarlo, divorandolo con i suoi grandi occhi colmi d’amore: ogni traccia della frustrazione provata prima era sparita ed ora le labbra potevano dedicarsi ai capezzoli rosa e turgidi dell’altro, gemiti sommessi uscivano dalle labbra socchiuse mentre gli occhi contornati da nere occhiaie profonde si serravano. A Rock Lee piaceva quella visione: lo inebriava, trasportandolo in una dimensione offuscata dal piacere intenso, confusa dalle loro voci che si univano, dai loro corpi che spingevano l’uno contro l’altro. Rock Lee amava far entrare il suo sesso in Gaara che non opponeva più alcuna resistenza, ma anzi, lo accoglieva dentro di sé, desideroso di riempire il vuoto che sentiva quando lui non c’era.

Era difficile per Gaara ammetterlo, ma amava quella comunione tra i propri corpi e non era pura retorica: in quel modo si sentivano l’uno parte dell’altro, si appartenevano completamente e se doveva morire, voleva che fosse in quel momento, fra gli spasmi, i movimenti repentini dei loro corpi; fra le labbra che si rincorrevano, fra il sesso di Lee che si faceva strada in lui, sempre più grosso e duro. Avrebbe voluto morire fra le mani che sfregavano il suo membro turgido, stuzzicandolo e masturbandolo; avrebbe voluto fosse dopo le ultime stoccate, quando venivano insieme, l’uno gridando il nome dell’altro, avvinghiati in un abbraccio dove le braccia di uno erano l’ancora del compagno.

   Fu solo dopo interminabili secondi - in cui erano rimasti, sudati ed ansimanti, abbracciati; le dita di Lee che giocavano con i riccioli rossi, la brezza notturna e fredda, figlia dell’escursione termica, che si infiltrava dalla finestra accostata e che non riusciva a raffreddare i loro corpi bollenti - che Lee scivolò al fianco del capo villaggio, permettendogli di baciare il petto che ora si muoveva regolarmente e le cicatrici che tanto amava, scivolando poi in un sonno ristoratore.

 

 

*****

 

 

    Gaara accarezzava il posto vuoto accanto a sé, seduto con le gambe raccolte al petto, la schiena appoggiata alla parete di quella stanza piccola in cui si trovava l’indispensabile: un armadio, una scrivania, un comodino ed il letto dove poche ore prima avevano fatto l’amore.

Gli occhi avevano quella sfumatura triste di chi si era alzato al sorgere del sole senza il proprio compagno al suo fianco, pronto a dargli il buongiorno con il solito buonumore ed il sorriso a trentadue denti.

Rock Lee se ne era andato e lui sapeva perché non l’aveva svegliato: quell’arrivederci sarebbe stato più difficile da dire ed avrebbe compromesso tutto. Conosceva bene la loro posizione e non potevano rovinare tutto per la loro storia, anche se lo frustrava essere privato di quell’amore che finalmente conosceva e di cui non poteva mai fare a meno.

Gli aveva chiesto di restare con lui finché non fosse sorto il sole e così aveva fatto, lasciandolo poi con un bacio leggero sulla fronte ed un semplice biglietto che però recava quello che gli aveva ripetuto più volte durante quella serata: “Ti amo” .

«Ti amo anche io, Lee.» sussurrò prima di alzarsi e vestire di nuovo i panni del Kazekage, in attesa della prossima volta in cui si sarebbero visti ed amati.

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Capitolo 3
*** ~ Cap.3 – Ti regalo la mia illusione ***


~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

Note dell’autore:  Ben ritrovati in questo nuovo capitolo, costruito sulla base di un flash back in cui viene spiegato come è nata la relazione fra Lee e Gaara!

Ringrazio di cuore chi legge e Sato, AryaDream, Nao Yoshikawa ed evil 65, _aivy_demi_ ed Harriet Strimell  per averla recensita! **

Questo capitolo partecipa alla “Fast Challenge  di Fandom Deserti: Occhi” del gruppo Facebook “Il Giardino di Efp”

Prompt: “Cosa guardi?” “Guardo te”

 

Che la giovinezza sia con voi! ~ <3

 

 

 

~ Cap.3 – Ti regalo la mia illusione

 

 

 

 

   Quando si era fermato a guardarlo, Rock Lee aveva capito di essersene innamorato ed aveva quasi desiderato che quella non fosse un’illusione: era così estremamente dolce ed intenso quello che si stava ritrovando a provare mentre guardava il ninja dai capelli rossi del Villaggio della Sabbia, che avrebbe voluto vivere per sempre in quella dimensione.

Non sapeva come fosse successo, né perché, né quando, ma era successo. Forse era bastato uno sguardo in più lanciato di sottecchi all’altro; forse era stata la sfumatura dei suoi occhi impassibili al tramonto – eppure, lui avrebbe voluto solo sprofondare in quelle pozze chiare e non riemergere più, strappando il velo scuro di tristezza che li aveva ricoperti per troppo tempo.

Forse era stata la sua pelle, così bianca da sembrare innaturale, oppure era stato il suo carattere schivo, solitario, quasi scostante - anche se, dall’ultima volta in cui ne era stato a contatto, anni ed anni indietro, quando l’aveva salvato dallo scontro contro Kimimaro, era stato ben felice di notare quell’accenno di cambiamento.

Forse erano state quelle cose tutte insieme o forse non era stata nessuna di esse; quello che contava era che Rock Lee sapeva che, da quando il suo volto aveva assunto un colorito rosa accesso ed ogni muscolo allenato del corpo si era irrigidito, non appena Gaara aveva ricambiato lo sguardo – quasi con fastidio in realtà, visto che in passato gli sguardi rivolti a lui erano stati puramente di odio e disprezzo –,  lui si era sentito in trappola, come se una morsa si fosse stretta intorno al suo cuore e lo avesse schiacciato – esattamente come aveva fatto la sua sabbia, in quel dannato esame di selezione dei chunin, quando aveva compromesso la sua carriera di ninja –, mozzandogli il respiro.

Più aveva continuato a pensarci, più gli era sembrata una sensazione strana, dolce-amara: ora gli faceva battere forte il cuore, facendogli desiderare di incontrarlo presto; ora lo abbatteva, poggiandosi sul suo petto come un masso e schiacciandolo con la paura – ossessione quasi – che nemmeno si ricordasse di lui.

Non sapeva ancora come definirla, ma sapeva solo che gli piaceva, che lo faceva sentire bene e per la prima volta aveva pensato che la forza della giovinezza c’entrasse ben poco.

 

*****

 

     

   La sensazione che qualcuno lo stesse fissando aveva fatto scorrere un brivido lungo la sua schiena. Era fastidioso: gli sembrava di essere legato, vincolato, impossibilitato a muoversi. Nessuno poteva osare tanto senza rischiare la propria vita e qualche sfortunato ninja nemico aveva avuto il dispiacere di provarlo.

 E tutto perché, nonostante i tentativi di aprirsi agli altri, a volte sentiva ancora quelli sguardi di odio e disprezzo che gli bruciavano l’anima, incolpandolo per quello che altri avevano deciso al suo posto e della sua vita. Erano ancora lì quegli sguardi, marchiati a fuoco nell’animo; ancora lo tormentavano e lo costringevano a vivere isolato, facendogli temere anche sé stesso – perché lui aveva ancora quella paura: quella di ferire, o peggio, uccidere qualcuno.

  Il suo cervello era andato in totale black out quando gli occhi insolitamente più grandi di Lee avevano incontrato i propri: non aveva mai fatto caso a quanto fossero brillanti, sembrava che dentro di loro brillasse davvero quello di cui vaneggiava, la fiamma della giovinezza o qualcosa del genere.

Con sua sorpresa, si era ritrovato a non riuscire ad interrompere quel contatto: c’era qualcosa di strano, che lo faceva sentire confuso, ma che allo stesso tempo gli aveva scaldato il petto. Era stata una sensazione nuova ed inaspettata, ma che comunque gli aveva fatto bene: per un attimo, gli era sembrato che qualcuno gli avesse donato una carezza, una di quelle che le mamme davano ai propri figli e che lui non aveva mai ricevuto.

Quando aveva interrotto il contatto, quando la ragione aveva ripreso il controllo dei suoi pensieri, nonostante il cuore battesse più veloce del solito, il sangue gli avesse colorato appena le guance, si era ritrovato a pensare che, per un momento, aveva sperato che il ninja di Konoha non smettesse più di guardarlo. Per la prima volta, sentire uno sguardo su di sé l’aveva fatto sentire bene. Per la prima volta, le labbra si erano distese in un accenno di sorriso.

 

 

 

*****

 

 

  La Bestia Verde della Foglia aveva trovato Gaara in cima alla collina raffigurante i volti degli Hokage, quando lo sguardo di pece si era soffermato sulla sua figura e la mente si era persa in pensieri che riguardano in ninja di Suna. Aveva sussultato quando, ritornato dalle sue riflessioni, Gaara lo aveva guardato apparentemente impassibile – in realtà, era incuriosito da quell’insolito atteggiamento di Lee, sembrava quasi timido ed a lui non era mai sembrato di conoscere un Lee timido.

«Cosa guardi?» aveva sussurrato neutro, come se la cosa non gli interessasse.

 

Le labbra sottili di Lee si erano aperte un sorriso dolce – no, non uno di quelli imbarazzanti che accompagnavano la ridicola posa del ‘nice guy’, ma uno davvero dolce. Nessuno si sarebbe aspettato che un tipo espansivo come lui potesse essere in grado di avvicinarsi a qualcosa che fosse la dolcezza.

«Guardo te.»

Era stato poco più che un sussurro, ma Gaara l’aveva sentito benissimo, visto che aveva sgranato appena gli occhi e si era voltato a guardarlo, permettendo che i colori opposti delle loro iridi si incontrassero: cosa dicevano quelle iridi? Cosa cercavano? Non ne era sicuro, ma le sue cercavano la fine delle sofferenze che si portavano dietro da una vita; cercavano un rifugio sicuro dove si sarebbero sentiti a casa. E quelle di Rock Lee? Sembravano promettergli quel rifugio, quel calore e quell’amore che, gli era stato difficile ammettere a sé stesso, aveva desiderato ricevere. Per un momento, Gaara si era illuso che potesse essere così, che tutto quello fosse vero ed aveva permesso che la mano dello shinobi del Villaggio della Foglia prendesse timidamente la sua.

Erano diverse, esattamente come le loro iridi, i loro caratteri, loro due: quella di Lee era grande, ruvida e callosa, coperta di cicatrici, lì dove le bende non arrivavano, e dalle dita tozze - eppure, nonostante quell’aspetto, era capace di trasmettere tutto il calore che emanavano. La sua mano invece era piccola, dalle dita affusolate e lunghe; era bianca e fredda, ma desiderosa di quel calore.

La stretta si era rafforzata mentre un altro sguardo reciproco accompagnava i loro sorrisi: entrambi sapevano ora che tutto quello non era un’illusione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

 

Buonasera!

Grazie per essere arrivati fino a questo angoletto, necessario per qualche spiegazione che vi fornisco subito.

Come avrete notato, il capitolo è suddiviso in parti e più precisamente:

  • La prima riguarda Rock Lee e descrive i suoi pensieri non appena si rende conto di essersi innamorato di Gaara;
  • La seconda riguarda lo stesso Gaara e descrive i suoi pensieri. Spero di averlo reso bene, ho cercato di mettere in luce il motivo per cui non vuole essere guardato/toccato e perché permette che lo faccia solo Lee;
  • Le due scene, quelle di Lee e Gaara si svolgono contemporaneamente mentre quella finale spiega come i due si siano avvicinati, anche fisicamente (non ho voluto inserire baci o contatti più intimi per non snaturare il personaggio di Gaara).

 

Credo di aver concluso. Nel caso qualcosa non fosse chiaro scrivetemi pure ^^

Alla prossima,

Olivier_Rei

 

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Capitolo 4
*** ~ Cap.4 – E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi ***


~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

 

 

 

 

Titolo: ~ The secret boyfriend of the Kazekage ~

Raiting: Arancione

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico

Personaggi: Sabaku no Gaara, Rock Lee

Avvertimenti: OOC

Note dell’autore: La forza della giovinezza è tornata e porta con sé un quarto capitolo che spero sia di vostro gradimento! Esso ritorna alla storia principale con una piega alquanto triste per i nostri protagonisti, ma non vi svelo altro, leggete e scoprirete, ehehe!

Ringrazio di cuore Sato, AryaDream, Nao Yoshikawa, Harriet Strimell ed aivy_demi_ per aver recensito i precedenti capitoli e chiunque legga questa storia! :D

Che la giovinezza sia con voi!

Buona lettura! ~ <3

 

 

 

 

 

 

 

~ Cap.4 – E vorrei fuggire via, vorrei nascondermi

 

 

  


 

E vorrei fuggire via
E nascondermi da tutto questo
Ma resto immobile qui
Senza parlare, non ci riesco a staccarmi da te
E cancellare tutte le pagine con la tua immagine
E vivere
Come se non fosse stato mai amore

{Laura Pausini - Come se non fosse stato mai amore}

 

 

 

 

 

   Il sole lasciava tracce del suo ultimo passaggio sulla Terra colorando di un arancio sgargiante  il cielo terso, nonostante all’orizzonte i suoi occhi acqua marina potessero intravedere il blu avanzare lentamente, come un anziano che si trascina stanco; qualche puntino luminoso sembrava essere gli occhi di quel blu, sembrava essere la guida di quel vecchietto.

Non era una bella sensazione, quella che pervadeva il Kazekage del Villaggio della Sabbia: glielo diceva il vento, che vorticava fra le dune, come le spire di un serpente che, viscide, si stringono attorno alla sua preda – ed era una coincidenza che la prima impressione avuta fosse quella di un serpente? No, sicuramente lui ed il suo – suo e soltanto suo – Rock Lee erano già stati infettati dal letale veleno che gelava la loro anima, faceva male al loro cuore.

Glielo diceva proprio quel buio che si avvicinava: il blu lasciava il posto al nero e, si sapeva, il nero non era portatore di buone notizie. Oh, ma forse stava proprio arrivando, la brutta notizia, visto che la mano grande e callosa di suo fratello Kankuro stava stringendo la sua esile spalla,in una presa salda, come se volesse infondergli calore e sicurezza, come se non volesse farlo crollare.

Si era avvicinato silenziosamente il marionettista, qualcuno non esperto non l’avrebbe nemmeno notato, ma lui sì, riconosceva i passi silenziosi del fratello, riconosceva il suo respiro  pesante e perennemente preoccupato. E riconosceva quando portava con sé cattive novità: abbassava lo sguardo, sospirava, si mordeva il labbro... sì era decisamente prevedibile, ma questo lo aiutava a prepararsi mentalmente a quanto stava per avvenire.

 

    Kankuro odiava quando gli anziani di Suna lo designavano come ambasciatore di cattive novelle, soprattutto quando queste riguardavano suo fratello: avrebbe voluto evitargli ulteriore dolore, avrebbe voluto proteggerlo e preservarlo! Perché di dolore ne aveva già provato troppo, Gaara: non era bastato rinchiudere quel maledetto Tasso nel suo corpo? Non era bastato condannarlo alla solitudine, all’odio dei cittadini? Perché ora dovevano fargli anche quello? In nome di cosa? Della protezione del Villaggio o della sua crescita economica e militare, per diventare il primo tra tutti i Villaggi? La risposta la conosceva e gli faceva ribollire il sangue nelle vene: privarlo dell’unico e vero amore era la cosa più crudele che potessero fargli; per loro, Gaara non era un essere umano, ma uno strumento e come tale andava usato.

E come se non fosse abbastanza, lo faceva infuriare l’atteggiamento remissivo di Gaara: diventare Kazekage non voleva dire sottomettersi a quei vecchi dalle smanie di conquista, voleva dire governare rettamente il paese, farsi amare dalla gente che aveva iniziato ad amarlo timidamente, finendo poi per adorarlo, dato che era ormai il Protettore del Villaggio! Perché allora Gaara non si ribellava? Volevano strappargli via anche chi lo amava incondizionatamente e lo sapeva, allora perché si voleva condannare a tutto quello?

«Gaara.» lo chiamò con la voce più piatta che potesse avere; non voleva spaventarlo, ma dal sospiro che il ninja emise aveva capito che lui sapeva già tutto. «Devi dimenticarlo, Gaara. È impossibile per voi continuare così.» si era appoggiato alla parete di roccia che circondava il terrazzo del palazzo del Kazekage, le braccia dai muscoli allenati incrociate sul petto, il volto, segnato dai tatuaggi, grave: non voleva cadesse di nuovo in quel dolore, non poteva accettarlo.

 

   Le spesse occhiaie – segni indelebili delle lunghe notti insonni, quando il Demone ad una coda continuava a ripetergli parole di odio e scherno, mandando completamente in crisi la sua psiche. Perché quel maledetto lo sapeva che era lui la causa della sua sofferenza e ne godeva, eccome se ne godeva! Rideva fino agli spasimi, mentre Gaara crollava pezzo dopo pezzo – circondarono le palpebre pesanti, una lacrima impigliata all’angolo dell’occhio minacciava crudele di uscire e bagnare il suo volto diafano.

«È per non turbare la pace fra i Paesi, vero?» un sospiro uscì dalle labbra pallide del giovane mentre la lacrima rimaneva lì, minacciosa; gli dava quasi fastidio: invece di minacciare poteva rotolare giù ed infrangersi sul pavimento!

«Mi dispiace, Gaara.» la voce di Kankuro era appena un sussurro, ma che fosse incrinata si sentiva benissimo.

«Gli parlerò e non ci vedremo più.» sospirò il Kazekage, il cuore pesante e ferito piangeva sangue: usciva a fiotti, denso e scuro; scivolava nel suo corpo – e forse era per questo che si sentiva come se gli mancasse l’aria, come se fosse circondato da una bolla che lo avrebbe portato ad una lunga e sofferente agonia.

Si voltò senza incontrare lo sguardo del fratello, non ce l’avrebbe fatta e sarebbe crollato altrimenti. L’armatura che stava tentando di mettere su si sarebbe sgretolata e lui sarebbe rimasto inerme contro il vento che ora ululava più forte, sferzando le cime delle dune come frustate ed accompagnando il suo cuore ora agonizzante. Doveva dirgli addio, doveva cancellare tutte le pagine della vita vissuta fino a quel momento e vivere, come se non fosse stato mai amore.

 

 

*****

 

   

   Le braccia di Rock Lee si piegavano sotto il peso dell’ultima flessione: era l’ultima della serie, poi sarebbe stato libero di andarsene, di raggiungerlo. Odiava doverlo lasciarlo al levar del Sole, mentre ancora dormiva e salutarlo con un dolce e malinconico bacio ed un “ti amo” appena sussurrato; odiava la distanza che li separava, il tempo che li separava: contava le ore, i minuti, i secondi che mancavano per poterlo stringere e baciarlo; per potersi beare del profumo della sua pelle, dei suoi capelli.

Agognava le sue braccia,  i suoi occhi, le sue labbra: le sognava ogni notte, quando il letto singolo della sua stanza era troppo freddo o troppo vuoto. Ogni mattina invece, la frustrazione di trovarsi lì da solo, di averlo potuto vedere solo nei suoi sogni, lo uccideva, spegnendo un po’ alla volta la sua esuberanza: annullava totalmente ogni cosa l’amore?

 

 La prima cosa che vide, quando l’esercizio fu terminato, fu il suo maestro guardarlo seriamente - ma Lee conosceva gli occhi del suo sensei e sapeva scorgere in quella serietà un velo di tristezza e preoccupazione - con le braccia incrociate sul petto: da quanto era lì? Non se ne era accorto, perso com’era nei suoi pensieri – in realtà non si era accorto nemmeno dell’erba fresca della sera che solleticava le sue mani poggiate saldamente a terra, o del vento che portava via le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Solo l’avanzare della sera era di suo interesse: con essa, sarebbe potuto correre da lui.

«Maestro Gai! Non l’avevo sentita arrivare.» mormorò con un sorriso sorpreso, non riuscendo a decifrare la sua espressione distrutta da un sospiro pesante: sembrava che qualcosa gravasse su di lui.

«Lee, ragazzo mio, dobbiamo parlare.» 

 

   Gai Maito stimava moltissimo il suo allievo: lo aveva cresciuto insegnandogli a credere in sé stesso, ad eccellere in quello che gli altri appena praticavano; gioiva con lui dei suoi successi, piangeva le sue sofferenze, desiderando assumersele pur di far splendere per sempre il sorriso sul volto del ragazzo.

Ed era felice ed orgoglioso che il suo pupillo avesse qualcuno da amare e per cui mettere a disposizione la propria vita! Era orgoglioso che avesse insegnato a chi aveva cercato di ucciderlo cosa significasse amare! Ma era preoccupato per ciò che significava tutto quello: amare il Kazekage significava minare le basi della pace faticosamente riconquistata. Che ne sarebbe stata della morte di tantissimi Ninja – fra cui soprattutto il suo amato allievo Neji – se si fosse riacceso un conflitto tra i Paesi? Amare un ninja di Konoha avrebbe portato gli altri Villaggi a credere che Sabbia e Foglia si stessero alleando per sottometterli, per questo gli anziani del Villaggio gli avevano ordinato di dissuadere la Bestia Verde da quell’amore: in una nuova guerra, non sarebbero stati al sicuro né loro né le loro ricchezze.

Odiava quegli uomini corrotti, ma soprattutto, odiava che fosse il suo Lee a rimetterci tornando a soffrire! Per questo la sua mano paterna si era appoggiata sulla schiena del ragazzo, in un dolce gesto che sembrava dire: “sono qui".

 

Ed era lì mentre sedevano su un tronco caduto al limitare del campo di allenamento; era lì mentre le lucciole illuminavano l’ombra della sera, ultimo baluardo di luce prima di venire inghiottite dalle tenebre della notte. Era lì mentre il cuore di Lee cessava di battere.

«Mi dispiace, Lee. So quanto lo ami, ma questa storia deve finire qui.»

Gli occhi d’ebano del giovane esperto di arti marziali lo guardarono lucidi, spalancati ed increduli: non poteva credere alle sue orecchie, il suo maestro gli stava dicendo di lasciare Gaara... in nome della ragione di Stato? No, non poteva essere vero, stava sognando, doveva essere  per forza così! Quello era senza dubbio uno dei suoi incubi, uno di quelli in cui Gaara non c’era e non sarebbe più tornato da lui! Doveva essere così! Ora si sarebbe svegliato, madido di sudore, con il cuore che batteva a mille e respirando affannosamente, e si sarebbe accorto che era stato solo un incubo. Sì, era così, vero?

«No, non può...» provò a ribattere, ma la voce non risultava convincente nemmeno a lui.

«Lee, dovete dirvi addio.» La risposta era stata così secca che l’anima di Rock Lee si era divisa in tanti pezzi, come se una fredda lama l’avesse squarciata.

La mano ricoperta di cicatrici del Jonin lo riportò alla realtà – ma quale realtà? Si rifiutava di accettarla ed il suo sguardo stralunato la diceva lunga! 

Si alzò di scatto, lasciando il suo maestro seduto lì, non accorgendosi nemmeno di quelle lacrime che, cristalline, solcavano le guance dell’uomo, bruciando come sale.

Come aveva potuto fare del male a quello che per lui era un figlio? Come avrebbe fatto a dimenticare, se si poteva dimenticare, quell’espressione stralunata, quelle lacrime che uscivano a fiotti ed arrossavano la pelle? Si sarebbe maledetto in eterno, per questo non aveva fatto nulla per fermarlo: sperava che, in qualche modo, ritrovasse la felicità andando da lui. Pregava che Lee ritrovasse la sua felicità, che il dolore non lo portasse di nuovo con sé. Questo si chiedeva Gai ed augurava con tutto il cuore che fosse così.

Alzò lo sguardo ancora bagnato al cielo: quella sarebbe stata una fredda notte.

 

 

*****

 

   

  Il fiato era corto a causa della veloce e folle corsa: si era fermato solo quando era giunto a Suna, alle prime luci dell’alba – un’alba che di meraviglioso non aveva niente, questa volta. Ma quando  mai lo era stata? Aveva sempre sancito un triste saluto fra loro.

Aveva coperto la distanza che separava il Villaggio della Sabbia e quello della Foglia nel giro di una notte. Impresa straordinaria per i più, ma niente di che per lui che era stato solo dalla disperazione – e no, la giovinezza non centrava proprio niente ora, anzi: i muscoli delle gambe che bruciavano, il respiro che a momenti mancava e le perle di lacrime e sudore che gli offuscavano la vista erano stati bellamente ignorati per tutto il tempo, nella mente un solo pensiero: non era vero, tutto quello non era vero.

Doveva vederlo, doveva parlargli! Voleva sentirsi dire che era solo uno stupido scherzo, che loro avrebbero continuato a stare insieme!

 

«Gaara...» sussurrò con un sorriso sul volto, avvicinandoglisi non appena gli occhi avevano messo a fuoco la figura longilinea del giovane ninja della Sabbia che rimaneva inerte lì, davanti a lui, le braccia raccolte sul petto e gli occhi chiusi – si illudeva che, non guardandolo, mantenendo la sua espressione impassibile, quell’addio sarebbe stato meno doloroso; nelle sue orecchie, invece, il vento ululava ancora e sembrava ridere di quella sua convinzione: come aveva fatto quella relazione segreta ad essere scoperta?

«Va’ via.» ordinò seccamente mentre qualcosa dentro di lui si rompeva, esplodendo e sommergendolo con il freddo che portava con sé, era il suo cuore ad essere esploso? La sabbia che lui comandava si erse come un muro fra loro, rispondendo agli ordini del suo padrone.

«Va’ via, Lee.» ordinò una seconda volta, quando lo vide avanzare testardo verso di lui, l’espressione assente nei suoi grandi occhi d’ebano.

«Gaara...» sussurrò il ninja trascinandosi stancamente, come un assetato che aveva trovato un’oasi nel deserto, come un moribondo che attendeva la morte, ignorando la sua barriera; ignorando i dardi di sabbia che lo ferivano – in realtà nemmeno si rendeva conto del sangue che imbrattava il suo volto, delle maniche della tunica strappate; voleva solo stringerlo a sé e lo fece, quando le braccia circondarono il corpo tremante di Gaara, vittima di singhiozzi irrefrenabili. Sentiva in quell’abbraccio, nella presa ferrea delle sue mani, il suo stesso dolore, quello dato dalla loro divisione.

«Ti amo, Gaara.» sussurrò tra i singhiozzi, stringendo il suo uomo che era crollato in ginocchio a terra, sollevando una nuvola di sabbia che li abbracciò teneramente,  il corpo scosso dai tremori e le lacrime che deturpavano il volto che amava da morire.

Ed a quelle parole sussurrate dolcemente e disperatamente al suo orecchio Gaara si sentì esplodere, sentì di nuovo il mondo – faticosamente creato – crollare, diventare oscuro; l’unico appiglio, l’unico suo faro nella notte, gli era stato sottratto e lui si trovava a brancolare, come un cieco, seguendo quella voce ormai lontana.

Per questo avrebbe voluto che quell’addio fosse il meno doloroso possibile, per questo aveva cercato di allontanarlo anche fisicamente, facendogli male. Avrebbe voluto che Rock Lee non fosse così testardo da continuare ad avanzare; avrebbe voluto che le lacrime non uscissero come un fiume in piena, che i singhiozzi non scuotessero il suo corpo; avrebbe voluto allontanarlo a suon di pugni sul petto ampio, dove tante volte si era rifugiato; avrebbe voluto tante cose, ma non era in grado di compierne nessuna. Avrebbe voluto fuggire via, nascondersi da tutto quello, ma rimaneva immobile lì, non riuscendo a staccarsi da lui e cancellare l’immagine del ninja di Konoha dalla sua vita; doveva vivere, come se non fosse stato mai amore.

 «Ti amo, Lee.»

 

   Il vento sollevava la sabbia che copriva le loro figure, unite in un’una sola; un bacio suggellava quelle parole, l’ultimo: da quel momento le loro strade sarebbero state divise e, forse, non si sarebbero mai più riviste; avrebbero ripreso a vivere come se non fosse stato mai amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice

 

 

Buon pomeriggio a tutti!

Ecco a voi il quarto il capitolo, spero sia stato di vostro gradimento! A me è piaciuto tanto scriverlo: mi passavano in mente come se fossero parte di un episodio tutte le immagini della loro separazione, di chi avrebbe voluto risparmiare loro quel dolore (Kankuro ed il maestro Gai) e del loro stato d’animo.

Ho cercato di rendere i sentimenti/pensieri di tutti, incatenando nell’ultima parte quelli dei protagonisti, ora scoperti e costretti a dirsi addio.

Guest star sono, appunto, Kankuro e Gai, le figure più vicine ai due personaggi e che forse soffrono di più per loro. Spero di essere riuscita a trasmettere al meglio anche il loro stato d’animo.

Dal punto di vista stilistico, volevo solo chiarire che alcune ripetizioni sono decisamente volute, per conferire un tono più triste alla storia.

Bene, io vi saluto qui.

Alla prossima,

foschi

 

 

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