On my way

di _katherine_lls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home, far away from home ***
Capitolo 2: *** Secrets and Lies ***
Capitolo 3: *** Bon Voyage ***
Capitolo 4: *** Forced cohabitation ***



Capitolo 1
*** Home, far away from home ***


-Merda!- sbottai chiudendo la porta dell’appartamento e lanciando le chiavi sul mobiletto dell’ingresso. Sapevo che non avrei dovuto accettare. Sapevo che non avrei dovuto accettare di trasferirmi all’estero insieme alla mia migliore amica. E invece mi trovavo là, a più di tremila chilometri da casa e circondata da persone odiose e tremendamente fastidiose che facevano di tutto per rendermi le giornate un inferno. Le era bastato davvero poco per convincermi, facendo leva sui punti giusti. Aveva sfruttato la mia situazione abbastanza incasinata a casa per darmi un apparente via di fuga. Da quando mio padre se n’era andato dopo il divorzio portandosi dietro anche quel decerebrato di mio fratello, mia mamma non era più la stessa. Era diventata intrattabile e in costante lotta con il mondo.

-Bea sei a casa? – urlò la mia migliore amica chiudendo il getto della doccia.

- No Serena, sono un ladro di passaggio. Rubo il poco cibo rimasto in frigo e me ne vado – risposi sarcastica sentendola sbuffare. Sorrisi lievemente. Eravamo giovani e praticamente scappate di casa anche se avevamo il consenso dei nostri genitori che ci finanziavano parte delle spese. A diciannove anni avevamo già colto quella che secondo Serena sarebbe stata la nostra opportunità di cambiare vita. E perché no? Avevamo pian piano iniziato a costruirci una vita in Inghilterra, nuovi amici, nuovo lavoro part-time, nuova scuola.

Mentre aspettavo che Serena uscisse dalla doccia mi preparai un panino con il poco prosciutto che era rimasto in frigo e il pane che avevo comperato tornando a casa.

-Non potevi cucinare anche per me? –

-Non c’è altro da mangiare! –

-Non potevi ordinare cinese? – sbuffò alzando un sopracciglio.

-Andiamo Sere, ho il turno al ristorante, non ti ci mettere anche tu! –

La prima cosa che avevamo fatto, dopo aver trovato l’appartamento, era stata cercare un lavoro, possibilmente part-time e possibilmente ben retribuito. Io ero riuscita a trovare come cameriera in un ristorante di un certo livello, avevo turni infiniti, ma uno stipendio decente. Serena invece lavorava come commessa in un negozio d’abbigliamento all’interno di un centro commerciale. Alla fine del mese riuscivamo a far quadrare tutte le spese e a pagarci l’università riuscendo a mettere anche qualche soldo da parte.

Lanciai un’occhiata all’orologio e finii l’ultimo pezzo di panino che mi restava. Mancavano ancora dieci minuti prima che Mark mi passasse a prendere. Faceva anche lui il cameriere e avevamo cominciato a lavorare al ristorante più o meno nello stesso periodo. Fortunatamente lui abitava a pochi passi dal mio appartamento e, soprattutto, aveva una macchina e mi aveva risparmiato un infinità di viaggi in metropolitana e taxi.

Stavo finendo di mettermi il mascara quando sentii la porta aprirsi e il rumore delle chiavi che venivano lanciate sul povero mobiletto accanto all’attaccapanni.

Guardai nuovamente il mio orologio sperando che fosse Riccardo che rientrava dal lavoro. Troppo presto. Avrebbe staccato tra circa due ore.

Dai due tonfi sul pavimento dedussi che il nuovo arrivato aveva appena fatto volare i suoi costosi anfibi per il salotto.

E niente, tutti gli indizi erano a favore dell’ultimo coinquilino. Quello più odioso di tutti.

-Merda! – sbottai per la seconda volta. Cosa ci facesse a casa a quell’ora era un mistero. Purtroppo non sarei riuscita ad evitarlo. Ecco, lui era esattamente il tipo di persona più fastidiosa e insopportabile sulla faccia della terra. Ti squadrava dall’alto del suo metro e ottanta e non riusciva a trattenersi dal commentare anche solo un capello fuori posto. Rimisi il mascara nella trousse respirando profondamente.

Consapevole del fatto che l’avrei trovato stravaccato in salotto con il telecomando in mano mi imposi di stare calma e di uscire senza badare alle sue provocazioni.

-Oh, è a casa. Sere, perché non mi hai detto che lo scricciolo era a casa? – ghignò appena mi vide. Questo era il suo modo di salutarmi; ed era anche stato gentile a non chiamarmi nano da giardino come al solito, visti i venti centimetri abbondanti di differenza.

Una delle poche cose che non avrei mai perdonato a Serena era l’avermi tenuto nascosto fino al mio arrivo in Inghilterra la presenza di quest’essere, che adesso sorrideva strafottente dal divano dove si era spalmato. Okay, Riccardo poteva passare: nel giro di due settimane avevamo instaurato un rapporto di convivenza civile, ma lui no. Sapeva che non sarei mai riuscita ad andare d’accordo con Jeremy Mercuri.

-Sì e sta uscendo, vedi di non darle fastidio! – gli rispose Serena dalla cucina. Probabilmente aveva rinunciato ad ordinarsi qualcosa e si era messa a cucinare con gli avanzi. Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto fare la spesa!

-Ma io non le do mai fastidio! Viene a prenderti il tuo amichetto io-sono-il-più-figo? – mi chiese e io dovetti respirare profondamente più volte per non saltargli alla giugulare. Per qualche motivo a me tuttora sconosciuto Jeremy non riusciva a vedere o a sentire nominare Mark senza sparare qualche suo commento cattivo.

-Sì, qualcosa in contrario? –

-E quando mai? Sei grande, puoi fare quello che ti pare, poi però non venire a piangere da me! – berciò per poi tornare a dedicarsi completamente allo zapping, segno che quella nostra bellissima conversazione era finalmente conclusa.

Per quanto mi avrebbe rinfacciato ancora quello che era successo quella sera? Ero arrivata da due settimane, ed ero completamente ubriaca e disperata fuori da una discoteca perché avevo appena lasciato il mio ragazzo storico, decisione avventata che poi si era rivelata la migliore in assoluto. Jeremy era l’unica persona che non ne poteva più di restare ammassato in quel locale dove non si riusciva nemmeno a respirare e per la prima volta dopo due settimane mi era sembrato umano, non il solito stronzo antipatico che girava per l’appartamento. E quando mi chiese cosa non andasse, risposi ingenuamente con la verità. Naturalmente la peggiore cosa che potessi fare perché, un po’ a causa dell’alcol e un po’ perché ero veramente disperata, scoppiai a piangere davanti a lui, che da tre mesi a quella parte non perdeva un’occasione per rinfacciarmelo.

Mi infilai le scarpe da ginnastica e il giubbotto leggero, in fondo era solo settembre, e presi le chiavi dal mobile. Salutai con una mano Serena mentre aprivo la porta. Sembrava dispiaciuta, ma era tutta colpa sua. Sapeva che se mi avesse detto della presenza di quel deficiente non mi sarei mossa da casa.

Motivo per cui aveva deciso di omettere la cosa fino al mio arrivo nell’appartamento dopo il quale sarebbe stato un po’ difficile nascondere un ragazzo alto quasi due metri che lasciava le sue cose ovunque, che non faceva mai la spesa e che passava intere giornate davanti alla televisione a fare zapping.

Salii in macchina di Mark che come sempre mi stava aspettando davanti al portone del palazzo. Dio, fossero stati tutti come lui.

-Ciao! Fatto storie anche oggi? – sorrise non appena chiusi la portiera dell’auto, vedendomi infuriata.

-L’unico momento in cui smetterà di darmi fastidio è da morto e ultimamente sta facendo di tutto per far sì che la sua ora arrivi prima del previsto! – sbottai agganciando la cintura e abbassando il volume della radio. Lo sentii sghignazzare e poi si immise nel traffico. I venti minuti che ci separavano dal ristorante passarono veloci e soprattutto in silenzio.

Non riuscivo a smetterla di pensare ai modi più cruenti per uccidere Jeremy nel sonno, arrivando sempre alla stessa conclusione: entrare nella sua stanza senza fare rumore, per il disastro di oggetti sparsi sul pavimento, dove sembrava essere sempre in atto una guerra, era decisamente impossibile e quindi mi avrebbe senza dubbio scoperta. E lì si sarebbe conclusa la storia della mia vita.

Non l’avevo mai visto arrabbiato per fortuna, ma già da calmo era insopportabile, non osavo immaginarlo con i nervi a fior di pelle.

Staccai cinque minuti prima, data la scarsa clientela, e cominciai a sistemare le mie cose aspettando che finisse anche Mark. L’avevo conosciuto qualche settimana dopo il mio arrivo in Inghilterra. Mi era sembrato simpatico sin da subito. Aveva ventun anni, era alto con i capelli ricci e castani e gli occhi verdi. Da quello che sapevo si era trasferito per continuare gli studi anche se non avevo ancora capito cosa volesse fare dopo, data la sua capacità di cambiare i corsi settimanalmente.

-Andiamo? - mi chiese infilandosi la giacca. Non l’avevo sentito arrivare.

-Sì! - risposi sbadigliando. Guardai velocemente l’orologio, le due e mezza. Per fortuna era sabato. Almeno avevo qualche speranza di riuscire a dormire qualche ora in più, sempre che qualche deficiente, uno a caso, Jeremy per esempio, non si sognasse di accendere le casse alle otto del mattino e di alzare il volume dello schifo che ascoltava al massimo.

Non è che avessi litigato con lui. Solo mi stava antipatico. L’avevo visto per la prima volta qualche anno fa a un compleanno di Serena;  da quello che avevo capito i loro genitori avevano fatto lo stesso college. Lui abitava in Inghilterra anche se suo padre era italiano e per qualche strana coincidenza si trovava in Italia in quel periodo. In qualche strano modo era venuto a conoscenza della festa e Serena si era sentita costretta ad invitarlo. O forse era stata colpa della cotta adolescenziale che temevo avesse nei suoi confronti.

Fatto sta che Mr. Simpatia aveva passato tutta la serata a giocare con il telefono, e quando non giocava era in un angolo a fumare qualche sigaretta. Vizio che per fortuna aveva perso con il tempo. Poi, la cara e dolce Serena aveva ben pensato di invitarlo al mare con noi l’anno scorso, e li era venuto fuori il putiferio. A momenti lo annegavo in acqua, ma lui era riuscito lo stesso a proporre alla mia migliore amica di trasferirsi in Inghilterra dove avrebbe potuto poi frequentare lo stesso college che frequentava lui perché a suo dire dava buone opportunità per il futuro. E Serena aveva ben pensato di andare dritta a domandare il permesso a mia madre senza chiedermi la mia opinione; non che mi dispiacesse trasferirmi in Inghilterra ad essere sinceri. Mia mamma, neanche a dirlo era stata più che entusiasta, forse a causa del nostro rapporto che negli ultimi anni si era lentamente distrutto, e neanche dieci mesi dopo eravamo in un aereo, pronte ad andare via da casa.

Sembrava un sogno, che si era infranto quando, aprendo la porta dell’appartamento, avevo scoperto che era in condivisione con quella specie di scimmia amica di Serena. E a quanto pareva la simpatia era reciproca.

Entrai in casa cercando di fare meno rumore possibile, ero civile io. Trovai Jeremy addormentato sul divano con la TV in sottofondo. Mentre dormiva sembrava quasi una brava persona anche se la tipica espressione di coloro che hanno la puzza sotto il naso non accennava mai ad abbandonare il suo viso.

Andai in cucina e salutai Riccardo che stava finendo di mangiare la pizza che a quanto pareva aveva ordinato.

-Mai che torno a casa e trovo qualcosa di pronto, o anche solo qualcosa di commestibile in frigo! – sbottò con un sorriso.

-Vado a fare la spesa stamattina! – promisi. Ero stanca anche io di mangiare sempre qualcosa cucinato con degli avanzi. Mimò un grazie con le labbra prima di ficcarsi in bocca l’ultima fetta di pizza. Sorrisi e gli arruffai i capelli neri beccandomi un'occhiataccia. Odiava che gli fossero toccati i capelli. Nemmeno con lui andavo d’accordo all’inizio. Aveva il brutto vizio di rincasare sempre tardi e non per lavoro, di portare ragazze nell’appartamento senza farsi mezzo problema e di fumare in salotto. Poi per fortuna eravamo riusciti a scendere a patti per la convivenza civile che comprendevano un messaggio quando voleva avere compagnia, così che potessi starmene da qualche altra parte, e le sigarette solo in terrazza. Adesso andavamo parecchio d’accordo e, soprattutto, eravamo complici nelle bricconate nei confronti di Jeremy, suo migliore amico da sempre.

Mi versai un bicchiere di latte e mi sedetti sul bancone della cucina.

-Come è andata al ristorante? – mi chiese prima di trangugiare mezza lattina di birra che era rimasta chiusa fino a quel momento.

-Abbastanza bene, tu come mai sei ancora sveglio? – gli chiesi curiosa. Sapevo che doveva finire di lavorare più o meno verso le dieci ma adesso erano quasi le tre.

-Sono andato in discoteca con i ragazzi. Poi è arrivata quella vipera di Ashley e mi ha fatto passare la voglia di ubriacarmi! – sbottò tornando a concentrarsi sulla lattina. Ashley era la sua ex ragazza storica. Si erano mollati prima che arrivassi in Inghilterra dopo circa quattro anni che stavano insieme. E tutto perché lui aveva scoperto che lei lo tradiva. Per poco non ero scoppiata a ridere in faccia a Serena quando mi aveva raccontato il motivo delle tensioni tra i due. Andiamo, Riccardo non aveva esattamente la faccia e la reputazione di uno che si faceva mettere i piedi in testa dalla sua ragazza. Sinceramente non aveva nemmeno la faccia di uno che era riuscito a stare quattro anni con la stessa persona visto il tran tran di amiche che aveva avuto poi.

Finii il latte e gli diedi la buonanotte con due baci sulle guance. Tornando in camera lanciai un occhiata all’angioletto che dormiva placido sul divano e mi venne voglia di mettere in pratica tutte le varie vendette che avevo escogitato durante il turno al ristorante. Cercai di avvicinarmi senza fare rumore al divano, ma quando presi lo spigolo del mobile sul ginocchio mi resi conto che non sarei stata in grado nemmeno di disegnargli dei baffi decenti e masticando bestemmie tornai in camera sperando con tutto il cuore che quel cretino, almeno per un sabato, riuscisse a dormire fino alle nove.

NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti!
Questa è la prima storia mia che pubblico su EFP. Spero che la trama vi abbia incuriositi e che il primo capitolo vi sia piaciuto. Mi farebbe davvero molto piacere sapere cosa ne pensate. 
Cercherò di aggiornare il prima possibile ma, chi mi conosce, sa che non posso promettere nulla :)
A presto, spero ;)

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Capitolo 2
*** Secrets and Lies ***


Mi svegliai infreddolita e cercai di recuperare la trapunta che avevo buttato ai piedi del letto durante la notte. Guardai la radiosveglia. Erano le dieci meno un quarto di sabato mattina e nell’appartamento c’era un silenzio di tomba.

Decisi lo stesso di alzarmi e di far fruttare la mattinata, visto che avevo promesso che sarei andata a fare una spesa decente. Mi infilai un maglione andando in cucina e salutai Serena e Riccardo che stavano parlando seduti ai lati opposti del bancone.

-Per curiosità qualcuno gli ha messo del sonnifero nell’acqua ieri sera? – chiesi indicando con un cenno del capo Jeremy che dormiva ancora profondamente sul divano. Non che mi desse fastidio il silenzio surreale che c’era, solo che sembrava alquanto strano che Jeremy fosse ancora nel mondo dei sogni visto che, in tre mesi che abitavamo nella stessa casa, non l’avevo mai visto dormire oltre le otto anche se tornava a orari indecenti, sembrava quasi non avere bisogno di dormire.

- Non l’ha nemmeno toccata l’acqua ieri sera, si è scolato alcune lattine di birra e poi si è piazzato in divano prima di passare alla vodka. Ha ricevuto una chiamata, non so che dispiaceri abbia cercato di affogare nell’alcol! – spiegò Serena lanciando un occhiata quasi disgustata a Jeremy. Non aveva mai amato esagerare con l’alcol forse perché aveva visto amici finire in coma etilico a una stupida festa e non sopportava le persone che cercavano di affogare così i loro dispiaceri senza provare nemmeno ad affrontare i problemi.

- A quanto pare è riuscito ad affogare solamente il cervello e il suo orologio biologico che di solito sente la necessità di farlo alzare all’alba! – ghignò Riccardo. Da quello che mi aveva raccontato Serena i due moschettieri erano cresciuti insieme, frequentando le stesse scuole e trasferendosi per andare alla stessa facoltà. Non avevo ancora capito se uno dei due fosse stupido oppure se a entrambi piacessero le stesse cose. Bah, i misteri della vita.

-Chissà che, per una volta, anche la sua lingua sia affogata nel dopo sbornia e che abbia troppo mal di testa per rovinarmi la giornata- sbottai probabilmente non troppo a bassa voce visto il sorrisetto divertito sulle labbra della mia migliore amica.

Trangugiai  il mio mezzo bicchiere di latte e rubai una brioche che qualcuno aveva comperato questa mattina prima di andare a prendere dal cassetto la parte di soldi riservati alla spesa.

-Sere, ti prego dimmi che non si è dimenticato anche questa volta di dare il suo maledetto contributo! - mormorai scocciata tornando in cucina con la lista delle cose da comprare e i soldi. Ovviamente mancavano quelli del bell’addormentato. Ricco sfondato come era, fosse mai che potesse finire sul lastrico per contribuire alla spesa dei coinquilini. No, lui mangiava e basta. Come un maiale per giunta.

-Ah, non lo so-

-Il suo giaccone è lì! – si intromise Riccardo con un sorriso furbo. Ci misi un po’ a capire cosa intendesse ma poi mi avvicinai alla giacca e frugai nelle tasche. Recuperai il portafoglio e tirai fuori due banconote da cinquanta. La spesa di quel giorno e quella di due settimane e mezzo prima. Che poi se avessi dovuto considerare tutte le volte che si era dimenticato di contribuire alle spese sarei dovuta passare direttamente alla carta di credito o a un versamento sui nostri conti in banca. Ma mi sentivo buona.

-Vengo con te! – berciò Riccardo strusciando la sedia sul pavimento e beccandosi un’occhiataccia da Serena. Ecco una delle poche cose che la mia migliore amica non sopportava proprio. Lui le rispose con un sorriso prima di infilarsi le scarpe e seguirmi fuori dall’appartamento.

 

***

 

Due ore dopo eravamo di ritorno con le mani piene di borse del supermercato. Finalmente si poteva mangiare qualcosa di buono e cucinato decentemente.

Il bell’addormentato ovviamente stava ancora dormendo. Solo Dio sapeva che cosa si fosse sciolto in uno dei tanti drink della sera prima.

-Non è finito in coma vero? – chiesi entrando in cucina dove Serena stava rispondendo ad alcune mail dal portatile.

-No, si gira continuamente come se lo avesse punto una tarantola. Aveva semplicemente bisogno di dormire. Chissà che adesso sia anche più trattabile- sbuffò illuminandosi poi alla vista delle borse della spesa –avete trovato tutto? –

-Sì, e ovviamente per metà finanziato dal bellimbusto! – ghignò Riccardo. Io speravo solamente che non avesse una reazione esagerata al piccolo furto al suo conto in banca. D’altronde non poteva continuare a campare a spese nostre.

Serena soffocò una risata all’ennesimo lamento proveniente dal divano.

-Certo che s’è ubriacato parecchio ieri sera! - constatò Riccardo prendendo il telefono di Jeremy dal tavolino di cristallo dove l’aveva posato. L’iphone, che cambiava con la stessa facilità con cui cambiava le sue mutande, era abbandonato in un lago di bottiglie vuote e dalla faccia stupita di Riccardo era anche senza il codice di blocco. Altra cosa alquanto strana. Di solito tutte le cose che gli appartenevano erano protette da quindici codici diversi, neanche avesse documenti riservati della NASA.

-Oh, vediamo un po' chi l’ha costretto ad ubriacarsi ieri sera-

-Fossi in te non lo farei- berciò Jeremy con una voce che sembrava quella di uno che aveva passato gli ultimi giorni senza bere e mangiare.

-Non potevi continuare a dormire altri cinque minuti? – chiese Riccardo roteando gli occhi al cielo e lanciando il telefono addosso a Jeremy. Evidentemente anche quando era ridotto a un vegetale sentiva le persone avvicinarsi alle cose di sua proprietà.

-NO! – sbottò cercando inutilmente di mettersi a sedere.

- Sei una spugna! –

-Grazie Serena, questo insulto non era nella lista! – rispose lui controllando alcuni messaggi della sera prima e strizzando gli occhi per cercare di leggere qualcosa.

- Tu, tappo ambulante, non dici nulla? – chiese alzando un sopracciglio e guardandomi di sottecchi. Alzai le spalle indifferente ma non feci in tempo a rispondere perché la patetica suoneria del cellulare di Riccardo ruppe lo strano silenzio.

- Pronto? - fece lui stupito -Ah, ciao Rebecca, come stai?- chiese con falsa felicità girando i tacchi e chiudendosi dietro la porta di camera sua. Conversazione privata.

Rebecca?

Lanciai un’occhiata di sottecchi a Serena, ma anche lei sembrava stupita quanto me.

- È sua sorella, quella più grande! – specificò Jeremy guardandomi. Sapevo gran poco della famiglia di Riccardo: solo che non era figlio unico e che non aveva un gran rapporto con i suoi genitori.

Decisi di lasciar perdere l’argomento e andai in cucina per preparare il pranzo.

 

***

 

Riccardo era arrivato da circa cinque minuti. Non aveva detto nulla sulla telefonata, e non sembrava nemmeno tanto scosso. Aveva preso i piatti e apparecchiato la tavola in silenzio, tranne per qualche battuta cattiva sul presentatore del programma che stavano trasmettendo in quel momento in tv.

Stavo ancora ridendo quando con la coda dell’occhio vidi arrivare in cucina Jeremy con il portafoglio in mano e gli occhi ridotti a due fessure.

-Ero convinto di avere soldi nel portafoglio! – sbottò togliendo due banconote e rovesciandolo. -Oh, vedo che avete fatto la spesa! – ringhiò.  Non ci aveva messo troppo ad accorgersene e ovviamente non sembrava troppo felice.

-Che hai amico? – chiese Riccardo mentre io cercavo di allontanarmi il più possibile da lui.

-Che ho? Spariscono più di cento sterline e tu mi chiedi che cosa ho? –

-Non sono sparite, sono i soldi che non hai tirato fuori per le altre spese!- rispose gelido Riccardo. Sentii un brivido corrermi lungo la colonna vertebrale. Non l’avevo mai visto senza il suo sorriso gentile e disponibile.

Gli occhi marroni tendevano pericolosamente al nero e sul suo viso non c’era una traccia di sorriso. Era arrabbiato.

-Che ne vuoi sapere tu di quanti soldi ho tirato fuori io per le spese? Dimentichi che questo appartamento è mio? – Cosa? Questo era davvero il suo appartamento? Perché diavolo Serena non mi aveva detto nulla?

-Jeremy te lo devo ripetere un'altra volta che è tuo per eredità e che non l’hai comperato? –

-Dovrebbe cambiare qualcosa? – chiese seccato Jeremy stringendo i pugni e avvicinandosi pericolosamente all’amico.

-Cambia che questo non ti esonera dal tirare fuori i soldi con cui compriamo la roba che mangi, perché tu non sai nemmeno come è fatto un supermercato! – rispose Riccardo serrando la mascella. Dall’occhiata d’avvertimento che gli lanciò Jeremy capii che c’era sotto qualcosa di grosso che non sapevo, e se prima ero intenzionata ad andare a chiamare Serena perché li facesse smettere, adesso non avevo intenzione di perdermi nemmeno una parola di quello che dicevano.

-Questo non ti dà il permesso di mettere le mani nel mio portafoglio e di prenderteli da solo! -

-Non mi pare di averti dato il permesso di dare il mio numero di cellulare a mia sorella, e nemmeno di dirle che sarei stato felice di andare alla sua laurea, perché sai che non è un cazzo vero! – sbottò Riccardo. Rebecca. Rebecca si laureava e lui non voleva andarci. Perché?

-Sentiamo, cosa avrei dovuto dirle secondo te? Tuo fratello ti odia, non ti vuole nemmeno vedere figurarsi se vuole venire alla tua laurea? – chiese Jeremy alzando pericolosamente il tono della voce e attirando, finalmente, l’attenzione di Serena che sembrava non avere nessuna voglia di cercare di fermarli.

-Proprio questo! - sbottò Riccardo prendendo il telefono e le chiavi della macchina dalla credenza.

-Dove cazzo stai andando? - gli urlò dietro Jeremy mentre il ragazzo tranquillo, che non aveva mai perso la pazienza e che mi aveva aiutato con la maggior parte dei dispetti al coinquilino fastidioso si chiudeva dietro la porta dell’appartamento.

-Vuoi l’applauso? - chiese Serena alzando un sopracciglio infastidita e mettendosi le mani su fianchi mentre io me ne stavo immobile in un angolo, il più lontano possibile da loro.

-Stai zitta, non ho intenzione di sentire un'altra tua predica! -

-Infatti, vedo quanto hai ascoltato l’ultima! Non credevo ti avesse davvero chiamato sua sorella. Sai che non la sopporta! - sbottò. Prima allora era stupita perché lui non aveva ancora detto nulla a Riccardo. Sapeva benissimo chi era Rebecca.

Mi dimenticavo troppo spesso che era praticamente cresciuta con Jeremy e che doveva per forza conoscere la maggior parte dei segreti del suo migliore amico.

-Chiudi la bocca Serena, non ho intenzione di sentire nient’altro! –

-Spero solo che ti scuserai visto che l’hai appena costretto ad andare per quasi due settimane in Italia circondato dalle vipere dei suoi parenti. Questa non te la perdonerà tanto facilmente! –

-Beatrice, mi passi la pasta? – chiese Jeremy ignorando completamente l’affermazione di Serena. Gli passai la pentola e lui ne mise un po' sul suo piatto e un po' sul mio mentre la mia migliore amica pestava i piedi per terra e usciva dalla cucina.

Cosa stava succedendo?

NOTE DELL'AUTRICE
Ecco il secondo capitolo di 'On My Way'. Sono riuscita ad aggiornare in tempi record. Spero vi piaccia e che vi stia piacendo anche la storia. Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensare, commenti sia positivi che negativi, tutto aiuta a migliorare. 
Vi ricordo che sia questa storia che 'Elthain' vengono pubblicate contemporaneamente anche sul mio profilo Wattpad. 
A presto, spero, con un altro capitolo 

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Capitolo 3
*** Bon Voyage ***


Avevo appena finito di caricare la lavastoviglie con Jeremy. Da quando Serena era uscita infuriata dalla cucina non aveva più detto nulla. Aveva mangiato in silenzio e non aveva fatto nessuna delle battute che lo divertivano tanto. Mi aveva addirittura dato una mano a sparecchiare la tavola, quando di solito spariva in salotto e si piazzava davanti alla televisione.

Non avevo il coraggio di chiedergli nulla per paura della sua reazione e lui non sembrava neanche lontanamente intenzionato a dirmi che cosa stava succedendo.

Riccardo non era ancora tornato, ma conoscendolo sarebbe rimasto fuori per un bel po’ ancora, anche per tutta la notte probabilmente.

Jeremy stava controllando il cellulare, vizio che gli faceva smettere di fare qualsiasi cosa ogni due minuti, quando Serena entrò in cucina come una furia versandosi del caffè. Giusto perché le mancava qualcosa che la rendesse ancora più agitata e nervosa di quanto già non fosse!

-Ho chiamato mia madre! – disse appoggiandosi al bancone con i fianchi e trangugiando mezza tazza.

-E con questo? – chiese Jeremy lasciando momentaneamente perdere il cellulare. Non mi stupiva più di tanto la chiamata a sua madre, avevano un bel rapporto. Mi puzzava di più lo sguardo di sfida che aveva lanciato a Jeremy.

-Torno in Italia per dare una mano a mia sorella ad organizzare il matrimonio. Te l'avevo detto che si sposa a metà ottobre vero? – chiese con una faccina da angelo a Jeremy.

-Me lo hai accennato probabilmente! – ringhiò lui mentre il sorriso della mia migliore amica si allargava ancora.

-Bene, ti informo che parto la settimana prossima! –

-C’è la laurea della sorella di Riccardo la prossima settimana, non puoi partire quella dopo? – chiese Jeremy stringendo i pugni. Cominciavo a capire quale fosse il piano di Serena: partire con Riccardo in modo da lasciare me e Jeremy da soli nell’appartamento. Dio, la ucciderei adesso.

-No, parto tra cinque giorni, ho già comperato il biglietto dell’aereo! – rispose finendo il suo caffè e lasciando la cucina senza degnarmi nemmeno di uno sguardo.

Complimenti alla tua maturità, Serena! Per fare un dispetto al tuo migliore amico che ha appena litigato con il suo ti sei completamente dimenticata che sei riuscita a mettere nella merda anche me.

Tirai un calcio alla sedia e me ne tornai in camera. Non avevo alcuna intenzione di respirare la stessa aria di Jeremy ancora per molto visto che sarebbe stata la mia unica compagnia per le prossime due settimane e che sembrava sul punto di scoppiare.

 

***

 

Benissimo! Non sapevo se ringraziare di più Riccardo o Serena per le cazzate che erano riusciti a fare nelle ultime ventiquattro ore.

Il primo aveva fatto incazzare il migliore amico del fratello di Beatrice, alias uno stronzo e bastardo patentato, la seconda aveva organizzato un viaggio all’ultimo momento pur di lasciarmi per più di due settimane da solo con Beatrice nello stesso appartamento. Come se non avessi altri casini a cui pensare.

Avevo la testa che mi scoppiava a causa della sbornia micidiale che mi ero preso.

Non ero ancora riuscito a chiedere a Riccardo il motivo per cui, dall’alto della sua intelligenza, era andato a rompere le palle a Caleb. Tra tutte le persone presenti in discoteca proprio lui cazzo. Già non scorreva buon sangue tra i suoi amici e i nostri, mi mancava soltanto che lo facesse incazzare e che sparisse di casa sbattendo la porta e staccando il telefono.

Lessi velocemente il messaggio che mi aveva inviato mia madre più di due giorni fa e che avevo volutamente ignorato. Il suo ultimo messaggio diceva che mio padre aveva avuto un grave incidente d’auto ed era morto sul colpo, quindi di sicuro questo non portava buone notizie.  

Avevo tagliato ogni tipo di rapporto civile con lei, arrivando anche ad andare a studiare a più di cinquanta chilometri da casa, nell’appartamento che mio padre mi aveva comperato anni fa quando avevo deciso che sarei andato al college. Non gli erano mai mancati i soldi, e questo spiegava il motivo per cui mia madre lo aveva sposato e io ero ricco sfondato.

Quando aprii il messaggio per poco non mi soffocai con la mia stessa saliva.

Sapevo che i miei genitori non si amavano, ma non mi sarei mai aspettato che mia madre, dopo neanche cinque mesi dall’incidente di papà, avesse già organizzato le nozze con l’amante, l’uomo che grazie al cielo non avevo ancora avuto l’onore di conoscere.

Ancora per poco visto che tra esattamente due giorni avrebbe dato una festa alla sua mega villa ereditata e desiderava ardentemente la mia presenza, tanto da scomodarsi di mandare l’autista a prendermi. Dopo che non la sentivo e non mi facevo sentire dal funerale di papà.

Tirai un pugno alla testiera del letto e lanciai il cellulare il più lontano possibile da me. In questo momento avevo una fottuta voglia di piangere.

Perché giustamente un casino alla volta non basta mai. Prima Riccardo, poi Serena e adesso ci si metteva pure mia madre. Mi era rimasta solo Beatrice che non mi aveva ancora giocato qualche brutto scherzo, ma mi odiava. Quindi non sarebbe stato così ancora per molto.

L’avevo sempre trattata male, senza un motivo preciso. Io e lei non avevamo nemmeno mai litigato. Sin dalla prima volta che l’avevo vista al compleanno di Serena mi era sembrata una persona controllata e pacata, cosa che mi urtava altamente i nervi e che mi rendeva ancora più semplice prenderla in giro o darle fastidio. Poi quando avevo scoperto che era la sorella di Christian, il pezzo di merda che conosco dalla culla, avevo cominciato a divertirmi ancora di più a importunarla credendo che assomigliasse al fratello.

Poi quando mi sono reso conto che non era così, era già troppo tardi per tornare indietro o per smetterla perché aveva cominciato a lanciare frecciatine anche lei e se io non dicevo nulla trovava un pretesto per darmi fastidio o per fare qualche commento.

Ringraziavo il cielo perché lei non sapeva ancora che suo fratello era tornato dall’America dove si era rintanato insieme a quel gruppo di topi che sono i suoi compagni di gang. Da quanto avevo capito, quando i suoi genitori si erano separati alcuni anni fa, lui era grande abbastanza da scegliere con chi stare e aveva deciso di seguire il padre a New York perdendo ogni contatto con la mamma e la sorella.

Probabilmente Beatrice non era nemmeno a conoscenza della fama di suo fratello, buona e gentile come era con gli altri, non doveva nemmeno sospettare che il suo adorato fratellino fosse uno spacciatore e si divertisse ad andare in giro facendo sparire gente e spaventando a morte gli altri.

Adesso poi che era in Inghilterra speravo solamente che le nostre strade, dopo che avrò sistemato il casino di Riccardo sborsando qualche soldo, non si incontrassero più.

Dal casino che proveniva dall’altra stanza dedussi che la cara e piccola Bea era andata a chiedere spiegazioni a Serena che probabilmente non aveva le palle di ammettere tutta la verità. Anche un cieco si sarebbe accorto del motivo per cui lei voleva partire a tutti i costi insieme a Riccardo per un matrimonio che sarà tra due mesi e che è già stato completamente organizzato.

Uscii dalla mia stanza ed entrai in quella di Serena senza nemmeno bussare.

-Ma si può almeno sapere il perché? – stava urlando in quel momento Beatrice lanciando un vestito addosso a Serena che stava preparando la valigia.

-Che cazzo sta succedendo? – chiesi. Sapevo che Sere non era una cima nell’autocontrollo ma non avevo mai visto Beatrice perdere così tanto la pazienza. Aveva il viso rosso dalla rabbia, gli occhi ridotti pericolosamente a due fessure e stava cercando di trattenere le lacrime.

-Ho anticipato il volo! – spiegò Serena e io strinsi immediatamente i pugni lungo i fianchi. Avrei voluto saltarle addosso e soffocarla dal nervoso, ma dovevo trattenermi. Perché se l’avessi uccisa Riccardo non mi avrebbe di sicuro perdonato.

-E si può sapere perché o è un segreto? – chiesi mentre Beatrice cercava inutilmente di calmarsi facendo dei respiri profondi. Temevo di sapere il motivo della sua partenza ma volevo semplicemente farglielo ammettere. Guardai con una smorfia di disgusto la pila ordinata di vestiti del mio migliore amico che veniva messa all’interno della seconda valigia che stava preparando Serena.

-Allora? –

-Riccardo è partito dall’aeroporto cinque minuti fa con il primo volo per Venezia e a causa tua non si è nemmeno portato dietro nulla se non le chiavi dell’auto e il cellulare che probabilmente è anche scarico. Come credi che si vestirà in Italia? Con i sacchi della spazzatura? – mi chiese riducendo gli occhi a due fessure. Complimenti a Riccardo. Era riuscito ancora una volta e farle fare quello che voleva lui.

-Ti ha chiamata? E comunque a casa dei suoi ci sono ancora vestiti e può sempre andarseli a comperare! – berciai seccato. Lui apriva bocca e lei correva. Me ne ero accorto da poco che Serena si era presa una cotta per lui, esattamente l’ultima volta che Riccardo era rientrato con una delle tante ragazze che rimorchiava in discoteca.

-No, non mi ha chiamata. Ha lasciato il portafoglio e gli euro che non aveva ancora cambiato qua e i vestiti che ha dai suoi non gli vanno più bene. Lo sai anche tu! – mi rispose continuando a preparare le valigie. Beatrice era rimasta immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Non aveva più detto nulla perché sapeva benissimo che Serena sarebbe partita lo stesso con una settimana d’anticipo.

-Sua madre gli presterà venti euro per una volta. Non puoi andare adesso in aeroporto. Sono le sei e dubito fortemente che ci sia un volo prima di domani mattina! –

-Sua madre non gli presterà nulla, e anche se lo facesse lui non accetterebbe nemmeno un euro dalla sua famiglia dopo che si è sempre guadagnato tutto. Credo di essere abbastanza grande da poter decidere da me cosa fare, e io ho deciso che vado in aeroporto! – sbottò lanciandomi un’occhiata di sfida. In risposta Beatrice uscì dalla camera chiudendosi dietro la porta e io la fulminai con lo sguardo.

-Abbi la decenza di mandarle un messaggio quando trovi un volo e quando atterri. A me non frega un cazzo ma lei ti vuole bene! – le dissi passandole il vestito che aveva posato sulla sedia e che le avevo regalato al suo compleanno.

-Da quando in qua ti importa di lei? –

-Non sono lo stronzo che lei pensa che io sia e lo sai benissimo! –

-Hai ancora paura di Christian? – mi chiese chiudendo la valigia. La sua abilità di cambiare discorso con così tanta nonchalance mi lasciava sempre stupito. Tuttavia alzai le spalle.

-Non mi fa paura, è solo imprevedibile. Tutto qua. Non si sa mai come reagisce! – le risposi. Non avevo paura né del fratello della mia coinquilina né tanto meno della sua gang di amici.  Semplicemente evitavo di finire nei casini anche quando non ce n’era bisogno.

-Vedi di trattarla bene e di evitare che le venga un esaurimento nervoso mentre sono via! – mi disse Serena attirando nuovamente la mia attenzione.

-Non ti preoccupare, mi hai battuto sul tempo. Glielo hai appena fatto venire tu un esaurimento nervoso. Se vuoi io posso provare a non peggiorare la situazione ma non ti assicuro nulla! – risposi accennando un sorriso e un saluto prima di uscire dalla sua stanza.

Sarebbero state due settimane e mezzo davvero difficili.

 
Note dell'autrice
Ciao a tutti. Questo è il nuovo capitolo di On My Way. Spero vi piaccia :)
A presto

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Capitolo 4
*** Forced cohabitation ***


Jeremy e Serena avevano finito di urlarsi dietro circa una ventina di minuti fa e la mia migliore amica si era appena chiusa dietro le spalle la porta dell’appartamento. 

Ero da sola con Jeremy. Sarei stata da sola con lui per due settimane e mezzo. La persona più insopportabile della Gran Bretagna stava esattamente ad alcuni metri di distanza da me e c’erano solamente le pareti a dividerci. 

Riccardo non aveva ancora risposto a nessuno dei tanti messaggi che gli avevo mandato. Probabilmente era ancora in aereo o gli era morto il cellulare.

-Avanti! – risposi a Jeremy che stava bussando alla porta della mia stanza.

-Ordino la pizza, ti va? – mi chiese con un sorriso cortese. Gli lanciai un’occhiata scettica.

-Si grazie, una margherita per favore! – gli risposi stupita prima di tornare a leggere il libro che avevo in mano. Lui uscì dalla mia stanza, che poi era la sua stanza visto che era casa sua, senza dire nulla.

Uscii dalla mia stanza solo quando sentii il campanello dell’appartamento suonare e la porta chiudersi. 

-Quanto sono costate? – chiesi a Jeremy alludendo alle due pizze mentre cercavo il portafoglio nella mia borsa.

-Lascia stare, offro io questa volta! – mi rispose andando in cucina e io lo seguii stupita. Per poco non mi strozzai quando vidi che aveva anche preparato il tavolo in maniera decente.

-Che hai stasera? Hai battuto la testa e non me ne sono accorta? Stai male? Devo…? –

-Guarda che se ti do fastidio quando mi comporto civilmente ci metto esattamente due secondi a ritornare stronzo come prima se non di più. Devi solo chiedere! – mi rispose sedendosi e versandosi la birra.

-Vuoi? – mi chiese indicando con un cenno del capo la lattina.

-Si grazie! – risposi ancora sconvolta andandomi a sedere. Non era mai stato gentile con me da quando lo conoscevo, a parte appena arrivata in Inghilterra quando mi aveva consolata all’uscita della discoteca.

-Scusa per prima, solo che non me l’aspettavo…! – farfugliai mandando giù un pezzo di pizza. Nulla a che fare con quella che mangiavo in Italia, ma non era affatto male.

-Si beh, immagino. Non sono sempre stronzo. Qualche volta ho bisogno anch'io di essere umano – mi rispose sorridendo mesto e abbassando lo sguardo. E per la seconda volta in un giorno avevo l’impressione che ci fosse qualcosa che non mi stavano dicendo e non era affatto una bella sensazione.

-Stai bene? – gli chiesi curiosa e Jeremy alzò stupito gli occhi. 

-Si perché? –

-Sembri strano! –

-sai, sono successe parecchie cose nelle ultime ventiquattro ore che mi danno più di un motivo per sembrare e per essere strano – mi rispose aprendo la seconda lattina di birra e versandone più di metà.

-Hai sentito Riccardo per caso? – mi chiese interrompendo il silenzio che era sceso in cucina. Non avevamo molti argomenti di cui parlare e non lo conoscevo nemmeno così bene da tirare fuori vecchi aneddoti o qualcosa di simile per fare conversazione come faceva di solito Serena.

-No, probabilmente è ancora in aereo o gli si è scaricata la batteria del cellulare. Chiamerà non appena arriverà da sua madre credo! –

-Si, stai tranquilla. Riccardo non è esattamente il tipo di persona che si diverte a far restare in pensiero gli altri. Tutti gli altri tranne me, ovviamente – mormorò. Non sapevo a cosa si stesse riferendo ma decisi di tenere a freno la mia curiosità. Non avevo nessuna intenzione di farlo arrabbiare adesso che sembrava una persona umana e non un mostro di prima categoria anche se sapevo che non sarebbe durata a lungo. Era un terreno minato, qualsiasi cosa dicessi rischiavo di fargli saltare i nervi.

-Domani sera ho il turno al ristorante! – gli dissi. Me ne stavo quasi dimenticando. Mi guardò stupito. Di solito non lavoravo di domenica ma avevo intenzione di fare un po' di straordinari per stare il più possibile lontano da casa e da lui visto che sicuramente non sarebbe andato da nessuna parte. Era troppo affezionato al divano per allontanarsi più di mezz’ora e soprattutto non aveva alcun bisogno di lavorare visti i soldi che si ritrovava in eredità. Poi era anche il compleanno di Mark e volevo fargli gli auguri di persona e passare più di cinque minuti in sua compagnia, evitando lo zerbino dell’appartamento di Jeremy e il suo <> dell’altra volta.

- Non ci sono domani a pranzo. Spero non ti dispiaccia! – mi disse lui e fu il mio turno di guardarlo sconvolta. Non che sapessi molto di lui, a volte spariva per mezza giornata ma non aveva nemmeno mai accennato a dove andasse e Riccardo cambiava sempre discorso ogni volta che glielo chiedevo. Sapevo che si dicevano tutto, lo capivo dagli sguardi di intesa che volavano tra i due e dal fatto che erano troppo spesso <> contemporaneamente perché fossero solo delle causalità.

-Mia mamma ha organizzato una festa alla villa per mostrare a me e ai miei parenti il suo amante che ha intenzione di sposare a breve – mi rispose seccato e poi vidi un lampo illuminargli gli occhi -Vieni anche tu? – mi chiese e io faticai  a tenere in bocca la birra che stavo bevendo e a deglutire senza che mi andasse completamente di traverso. 

-Jeremy, ecco, vedi… io… non la conosco nemmeno tua madre. Conosco a malapena te, non credo sia il caso che io venga con te domani. Infondo è un pranzo di famiglia! – balbettai. Non mi aspettavo la sua proposta. Fino a prima che litigasse con Serena non mi rivolgeva nemmeno la parola se non per trattarmi male e prendermi in giro, e adesso mi chiedeva di andare a pranzo con lui alla villa di sua madre. Non se ne parlava nemmeno.

-Non fraintendermi, nemmeno io conosco molto i miei parenti. Conosco fin troppo bene mia madre invece. Era solo perché tu non restassi qua da sola tutto il pomeriggio, ma se non vuoi non fa niente. Credo di essere ancora abbastanza bravo a eclissarmi dal resto del mondo e a far passare mezza giornata abbastanza velocemente – mi rispose e poi lasciò cadere l’argomento. 

Finimmo la cena tranquilli e per la prima volta da quando lo conoscevo non volarono frecciatine e insulti. 

-Devi studiare? – mi chiese mentre caricava la lavastoviglie. Per la seconda volta in un giorno dopo che si era rifiutato per tre mesi.

-No, lunedì non ho corsi e martedì nemmeno – gli risposi.

-Ah, io lunedì salto e martedì pure. Poi se voglio mi fingo ammalato anche mercoledì – sorrise facendomi scoppiare a ridere.

-Mi sono sempre chiesta come pensi di laurearti se salti tutte le lezioni-

-Facile, mi presento solo all’esame! -

-Si, ma i giorni di assenza influiscono sul voto! –

-Non se tuo padre era Alessandro Mercuri. Neanche se distruggessi mezza scuola mi abbasserebbero il voto – mi rispose abbassando il tono e preferii non fare altre domande. 

- Guardiamo un film? – 

-Jeremy, sicuro di non aver battuto la testa? Non è da te comportarti così, sto cominciando a preoccuparmi, seriamente! – dissi guardandolo spaventata. non che mi dispiacesse il suo nuovo modo di comportarsi che non includeva frecciatine costanti e mancanza di rispetto gratuita, ma non era da lui. Non era dall’odioso coinquilino a cui una volta avevo messo il dentifricio nelle scarpe nuove o scambiato lo shampoo con il miele. Tutto in compagnia di Riccardo ovviamente. 

-Se me lo chiedi un'altra volta giuro che divento peggio di come ero prima. Sto bene e non ho un cazzo da fare e nemmeno tu, quindi credo che piazzarci davanti alla televisione con una ciotola di popcorn e una lattina di birra sia un’ottima idea! – mi rispose e io non trovai niente con cui contraddirlo. 

Mi arresi a guardare un film con lui. Magari usciva il suo lato simpatico e gentile. D’altronde se dell’altro Jeremy conoscevo gran poco, di quello educato non conoscevo proprio nulla. 

-Preferenze per il film? – mi chiese distraendomi dai miei pensieri mentre mi sedevo sul divano.

-No, basta che non metti un horror se vuoi ancora avere le orecchie dopo! –

-Ti va bene un film di spionaggio o hai lo stomaco troppo sensibile anche per questo? – mi chiese alzando un sopracciglio divertito.

- un film di spionaggio non mi pare rientri nella categoria Horror quindi va più che bene, non ho lo stomaco così tanto sensibile! – risposi facendogli la linguaccia e lui scoppiò a ridere.

-Certo che sai essere simpatica quando ti impegni! – 

-Nah, tu saresti da ammazzare lo stesso! – risi mentre faceva partire il film e veniva a sedersi accanto a me. Forse queste due settimane e mezza di convivenza forzata sarebbero state meglio di come me le aspettavo.

 

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