Yuzu taste

di Maru_Tsubaki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giorno in cui tutto iniziò ***
Capitolo 2: *** Se solo non fossi pigra ***
Capitolo 3: *** Quello che non si può fare ***
Capitolo 4: *** Sarà solo un amico ***
Capitolo 5: *** Buonanotte ***
Capitolo 6: *** In una notte d'eclissi ***



Capitolo 1
*** Il giorno in cui tutto iniziò ***


CAPITOLO 1
Il giorno in cui tutto ebbe inizio


 

Lavorare in quel negozio di souvenirs, dove tutti parlavano una lingua incomprensibile ai più, cominciava da qualche tempo a non pesarmi come prima.

La solitudine stava andando scemando grazie ai ragazzi dell'Izakaya affianco, all’affetto delle nonnine che mi avevano ormai adottata e alla quantità di dolciumi che potevo assaggiare durante i miei turni serali.

Ero la più giovane, ma VERAMENTE anni luce lontana dalla generazione delle mie colleghe, e questo non aveva facilitato la mia integrazione sul luogo di lavoro. Inoltre, il fatto di essere sempre vista come “la Gaijin”, nonostante i miei sforzi, non mi aveva aiutato ad inserirmi nella società giapponese.

Essere una Gaijin, una straniera, per alcune cose ha i suoi vantaggi, ma se vuoi integrarti, avere degli amici veri magari, o qualcuno con cui confidarti non è proprio il massimo della vita.

 

La gente per strada passava davanti a me senza entrare nel negozio, accennando solo un timido sguardo. Alcuni restavano colpiti nel vedermi lì ad accogliere i clienti, altri mi salutavano con un cenno del capo e altri ancora, soprattutto i ragazzi, si davano di gomito tra di loro indicandomi e sussurrando: 

“Ahh kawaii gaijin da ne!” (è una bella straniera!).

“Irasshaimase!”. Urlai per cercare di attirare qualche cliente.

Ultimamente il negozio era quasi sempre vuoto e avevo finito le idee per far passare il tempo.

Uno dei passanti mi sorrise e io risposi inchinandomi leggermente. Nonostante il mio invito ad entrare non si fermò e lo accompagnai con lo sguardo fino a perderlo tra la folla della vivace Kokusai street, la via turistica di Naha.

Due occhi incontrarono i miei. Neri come la pece e con la tipica forma a mandorla. 

Ancora adesso quando ci penso non riesco a trovare qualcosa di oggettivamente particolare in quegli occhi. So solo che fu come se il tempo si fosse fermato ed io stessi annegando lentamente in quell’oceano notturno, sprofondando sempre di più nelle sue tenebre.

Il vociare delle persone per la strada mi riportò alla realtà, rompendo quella piccola bolla spazio-tempo che si era creata intorno a me e al curioso ragazzo. 

Un nuovo cameriere dell’Izakaya?  

La sua pelle color caramello bruciato mi fece pensare che potesse essere di Okinawa, ma il viso era troppo magro e allungato perché fosse di lì.

Lo guardai per un tempo che mi sembrò infinito, analizzandolo: i suoi capelli corvini impeccabilmente ingellati all’indietro, il suo naso leggermente più alto rispetto allo standard nipponico e quelle labbra carnose che dovevano aver sicuramente provocato le invidie di milioni di ragazze e l’apprezzamento di tante altre. Chissà come sarebbe stato baciarle...

Realizzai che anche lui mi stava guardando... in silenzio.

Io guardavo lui e lui guardava me. 

Potevo sentire il filo rosso del destino legarsi intorno al mio mignolo. 

Com’è che dicevano i giapponesi? 

Ichigoi-ichie. Una volta, un incontro: l’incontro della vita.

Un sorriso comparve sul suo volto e potei vedere la genuinità di quel saluto che, diversamente dalle classiche carinerie giapponesi dettate da rigide regole sociali, mi diede un calore non provato da diverso tempo. 

Mi sentii improvvisamente tremendamente brutta. 

Distolsi lo sguardo rapidamente.

Dopo qualche secondo, senza riuscire  controllarmi, sbirciai per vedere se il ragazzo avesse spostato la sua attenzione su altro. Lo trovai a ricercare i miei occhi, un’altra volta.

Lasciai che si ricreasse quel ponte invisibile tra me e lui e,come se ci conoscessimo da una vita, sorrisi: 

“Ciao”, sussurrai.

“Ciao”.

 

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Capitolo 2
*** Se solo non fossi pigra ***


CAPITOLO 2
Se solo non fossi pigra

 

La mia coinquilina tedesca, a cui avevo trovato un posto all'Izakaya vicino, si stava lamentando ormai da una decina di minuti.

“...e poi dai, lui non si preoccupa di chi deve servire cosa semplicemente dice che non è il suo tavolo così poi Bruno-san dà la colpa a me, perché sono straniera e dice che non capisco niente... ”.

Potevo in parte capire le accuse di Bruno, lei non era abituata a lavorare come cameriera e si aspettava sempre un po' la 'pappa pronta', cosa molto poco giapponese.

“Cioè tu cosa ne pensi? Cosa dovrei fare?”mi chiese Bibi-chan aspettandosi supporto da parte mia.

“Uhm...non saprei. Se posso darti un consiglio: impara velocemente guardando cosa fanno gli altri e, se proprio non capisci, chiedi. Comunque se questo Touma continua a crearti problemi parlagli, è pur sempre nuovo lì e tu sei la sua sempai” risposi sovrappensiero, mentre mi concentravo sulla mia omelette.

Non poteva fregarmene di meno di risolvere i problemi del mondo, ne avevo già fin troppo dei miei. 

Inoltre, tutti lì imparavano osservando, sbagliando e riprovando e io avevo appena finito quel periodo terribile in cui non sai mai che cavolo devi fare e continui a dover chiedere tutto ai colleghi. 

Comunque ero dalla parte dei suoi colleghi, si doveva svegliare un po’.

“No, ma cavolo quello…” e continuò imperterrita a lamentarsi come faceva sempre.


Dopo una colazione/pranzo mi misi a guardare un telefilm prima di andare a lavoro, mentre Bibi si preparava.

Attaccavo il turno serale in negozio alle sei e fino alle undici sarei dovuta stare in piedi al caldo, perché i miei capi non volevano riparare l'aria condizionata. In fondo a chi serviva l'aria condizionata a luglio a Okinawa con ottanta gradi all'ombra?!

Le nonnine del negozio mi raccontavano sempre tante cose, soprattutto Uehara-san e Miyagi-san. 

Verso le otto ci raggiungeva anche Shimojo-san e tutte insieme si mettevano a fare ginnastica in mezzo agli scaffali di biscotti. Le adoravo! Insieme le tre nonnine erano divertentissime.

Ai miei occhi italiani ricordavano le comari del sud che, affacciate alle finestre, commentavano i passanti per strada. 

Quella sera il ragazzo dagli occhi neri non c'era e tutto fu tranquillo come sempre.

L'unico momento che ogni santo giorno vivevo come un incubo era la chiusura. 

Dovevamo buttare la spazzatura accumulata durante la giornata in un piccolo sgabuzzino che si erigeva proprio sopra lo scolo che portava alle fognature… l'habitat naturale degli scarafaggi giapponesi, i kokiburi.

Ogni sera speravo che non ce ne fossero sui sacchetti, ma non sempre si può essere fortunati. Mi sentii camminare qualcosa sul braccio e abbassando lo sguardo vidi il sacco ricoperto di bestie che correvano. Trattenni il conato di vomito e,  nel giro di un microsecondo, buttai il sacchetto in mezzo alla strada, urlai agitando il braccio fino a far cadere l'immondo essere e corsi come un ghepardo dentro al negozio. 

Uehara-san e Chinami-san, una ragazza dell'izakaya, ridevano a crepapelle.

“Non avete gli scarafaggi in Italia?” mi chiese Uehara-san.

Ancora scossa dai brividi risposi, nel mio strano giapponese, “Sì, ci sono, ma non sono grandi come un gatto e non ne abbiamo così tanti”.

“Tranquilla ti abituerai” disse la nonnina.

Alle undici, esausta e schifata, finalmente chiusi il negozio, già pregustando il mio giorno di riposo.

Recuperai Bibi dall'Izakaya e insieme ci dirigemmo verso casa raccontandoci la nostra giornata a lavoro.

“Maru-chan, ho pensato di invitare Touma a casa per pranzo domani, perché abbiamo il turno tutto il giorno e, dato che è appena arrivato, anche lui non ha amici” disse la mia coinquilina.

“Va bene. Io ho il giorno libero, se decidiamo cosa cucinare, faccio la spesa e preparo, così trovate pronto”.

Non mi piaceva cucinare per gli altri, mi metteva a disagio, ma avrebbero avuto poco tempo e almeno così mi sarei occupata la mattinata.

Optammo per la Nabe, un pentolone di brodo nel quale si fanno bollire diverse cose.

Alla fine una cosa semplice: avrei solo dovuto preparare gli ingredienti.

 

L'indomani mi alzai e andai a far la spesa al supermercato vicino a casa. 

Faceva un caldo allucinante e ovviamente non avevo più nulla da mettermi: era il mio giorno libero, potevo andare in giro come cavolo volevo, tanto...

Tornata a casa pulii tutto l'appartamento, nascondendo la biancheria di Bibi che era sparsa un po' qua e là.

Verso le 12 cominciai a tagliare roba e preparare le polpette allo zenzero. Misi tutto in ordine nella pentola: funghi da una parte, pomodori dall'altra, verdure giapponesi non meglio identificate al centro,eccetera eccetera.

Stavo cercando di affettare la zucca senza amputarmi una mano, quando suonarono alla porta.

Andai ad aprire. 

“Ohayou, Maru-chan. Siamo tornati! ” mi salutò la mia coinquilina. Annuii e guardai dietro di lei. Il respiro mi si bloccò a metà. Era il ragazzo dagli occhi neri. 

“Hajimemashite, sono Touma”.

Volevo morire in quel momento. Avevo su dei pantaloncini troppo grandi, dato che ero dimagrita, una canotta sbrindellata, gli occhiali, ero struccata e non pettinavo i capelli da almeno due giorni.

Ma cazzo Bibi, dovevi proprio invitare lui?

“Hajimemashite, sono Martina, ma tutti mi chiamano Maru”.

Mi maledissi per essere stata così pigra da non averci nemmeno provato a cercare qualcosa di decente da mettermi.

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Capitolo 3
*** Quello che non si può fare ***


CAPITOLO 3
Quello che non si può fare


“Touma-kun, mi spiace chiedertelo, ma non riesco a tagliare la zucca. Puoi farlo tu?” chiesi un po' in imbarazzo.

Lui, senza fare una piega, entrò e si mise a tagliare.

Mettemmo la pentola a bollire sul fuoco e andammo ad aspettare in camera da letto, l’unica stanza con l’aria condizionata.

Confesso di essere una di quelle persone che ha il vizio di girare senza vestiti per casa e in quel momento mi sarei volentieri spogliata, ma con un ragazzo giapponese in casa avrei rischiato di farlo ricoverare d'urgenza.

“Quindi ti sei trasferito adesso da Tokyo?”, domandai per rompere il silenzio imbarazzante che era calato da quando avevamo chiuso la porta.

“Sì, sono venuto a Okinawa in gita scolastica e me ne sono innamorato. Così ho deciso di venire a vivere qui".

"Amore a prima vista, giusto?" chiese Bibi. 

Lui annuì.

“Stai cercando casa?”.

“Non ancora, per adesso sono in guest house. Posso chiederti quanto pagate voi di affitto?” chiese il ragazzo.

“Circa 25000 yen al mese, tutto compreso, però come vedi siamo in quattro ragazze in una stanza e a volte la convivenza è difficile” risposi. 

Ah, se solo avessero potuto vivere con noi anche i ragazzi…

“Anche le altre ragazze sono occidentali?”.

“No, una è coreana e l'altra è giapponese. Non fanno niente in casa e sono asociali” intervenne Bibi.

Touma ci guardò con aria interrogativa. 

Avrà pensato che fossimo le solite gaijin che credono di essere migliori degli altri.

“La ragazza coreana non parla molto con nessuna delle coinquiline e anche quando proviamo ad invitarla fuori lei rifiuta. La giapponese è anche carina, ma ha 18 anni, è ancora molto giovane e sta ancora imparando a vivere da sola con qualche difficoltà nel rispettare le regole” spiegai meglio.

“Anche io ho 18 anni” sussurrò lui.

“Si può capire, insomma… scusa, come?” ero sovrappensiero e non colsi subito il significato delle sue parole.

Non potevo crederci. Doveva esserci un'alleanza divina volta a distruggere ogni barlume di speranza per me di avere nuovamente una vita sentimentale. 

Ma che cavolo, 18 anni? Davvero? Cioè voleva farmi credere di avere cinque anni in meno di me?! Impossible!

“Ho 18 anni” ripeté lui.

Io e Bibi restammo attonite.

Per me fu come una sentenza di morte: mi passò davanti agli occhi l'immagine della mia vita futura circondata da gatti.

Non potevo andare dietro ad un ragazzo così tanto più piccolo. Tralasciando il fatto che in Giappone si è minorenni fino ai 20 anni, in Italia mi avrebbero deriso tutti: non si può fare! 

Potevo già sentire le mie amiche: ‘Ci starà perché sei straniera, ma è solo una botta e via per potersene vantare con gli amici’, 

‘Ma è un bambino!’, 

‘Martina va' che finisce come l'ultima volta’.

Mandai giù questo boccone amaro e pensai 'Maru, puoi farcela! Ignora quella parte di te che pensa che lui sia il giapponese più figo che tu abbia incontrato'. 

Bibi, interrompendo il mio monologo interiore, finalmente ci avvisò che era pronto, così potei concentrarmi su altro.

Mettemmo in tavola l'enorme pentola e cominciammo a mangiare. 

Avendo cucinato la stanza si era scaldata trasformandosi in una sauna.

“Maru-chan apriamo il muro della stanza almeno arriva un po' di aria condizionata” propose la mia coinquilina.

Annuii e feci scivolare il muro tradizionale giapponese Shoji, ma faceva così caldo che quel poco di aria che arrivava dalla stanza affianco sembrava il respiro di un gatto.

Mi legai i capelli, Bibi aprì la finestra e mangiò lì in piedi, mentre Touma si tolse la camicia.

C'è da sapere una cosa sui giapponesi: con qualsiasi temperatura, umiditá, che siano nel deserto o sul Sole, LORO NON SUDANO, ma nemmeno un po'. Quindi non mi sorprese che, con l'inferno in terra, il ragazzo sotto la camicia portasse anche una canottiera e che, sebbene io e Bibi ci stessimo squagliando, lui non avesse manco una goccia di sudore.

“Allora Touma domani sei libero?” disse Bibi porgendogli un gelato.

“Domani lavoro dalla mattina alla sera”.

“Ah, giusto sei quello che si è rubato i miei turni".

Adesso capivo perché l'altro giorno Bibi fosse così arrabbiata con Touma. 

“Noi stiamo organizzando una colazione in spiaggia. Se ti va puoi venire prima del turno, tanto viene anche un'altra mia amica che lavora” proseguì la mia coinquilina.

“Beh, se riesco vengo. Ma da che ora?”.

“Pensavamo verso le 8, così chi deve poi andare sta almeno due ore ” risposi.

Ci pensò un po' su, “Se mi sveglio vengo!”.

 

Poco dopo fu l'ora per la mia coinquilina e il ragazzo di andare. Touma cercò di darmi dei soldi per la spesa.

“Touma, figurati. Sei stato nostro ospite e gli ospiti non pagano”. 

Non ho mai capito la relazione dei giapponesi con i soldi:

1) non si parla di soldi, se no qualcuno poi te li chiede,

2) non si chiede in prestito niente nemmeno tra amici, 

3) di tutto si fa a metà oppure si calcola con precisione la propria parte,

4) se esci con dei ragazzi pagano loro, tu non devi manco averlo il portafogli.

Sta di fatto che per me era inaccettabile il gesto del ragazzo, ma sapendo che avevamo culture diverse mi limitai a dirgli che avrebbe offerto un caffè la prossima volta.

Touma probabilmente sarà stato in imbarazzo anche lui a dover accettare una cosa così, ma d'altro canto le culture in ballo erano due e sebbene io abbia sempre anteposto la loro alla mia per non risultare sgarbata, c'erano aspetti che reputavo importanti e non potevo fare a meno di impormi a riguardo.

 

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Capitolo 4
*** Sarà solo un amico ***


CAPITOLO 4
Sarà solo un amico
 

Bibi tornò da lavoro verso mezzanotte e decise di preparare i dorayaki per la colazione del giorno dopo.

Dopo i primi tre si rese conto che richiedevano più tempo del previsto e decise di fare cambio con me così da potersi depilare.

Alla fine mi ritrovai a cucinare io una marea di pancake che dovevano essere perfettamente rotondi e del diametro giusto altrimenti la mia coinquilina li avrebbe mangiati.

Andai avanti a sfornare pancake fino alle tre del mattino e poi li farcimmo. Per le quattro finalmente riuscii ad andare a letto.

 

Quando il cellulare squillò la mattina successiva, ero a pezzi. Sarei voluta rimanere a letto tutto il giorno fino al turno di lavoro, ma avevamo preso un impegno. Così mi alzai, mi feci una doccia veloce ed entrai nel mio nuovo costume tutto intrecciato all'uncinetto. 

Anche Bibi aveva preso un nuovo costume con una gonnellina tutta colorata, molto giapponese.

Finalmente pronte, ci incamminammo verso il mare.

Sotto il sole che diventava sempre più caldo giungemmo a Naminoue beach. 

“Ah, lì c'è Touma!” disse Bibi.

Raggiungemmo il ragazzo seduto sulle gradinate che portavano alla spiaggia.

“Ohayou!”. Fu il coro che intonammo.

“Ossu!” rispose lui mezzo addormentato e già affranto per il caldo. 

“Dov'è l'altra vostra amica?”.

“Probabilmente in ritardo” rispose Bibi.

Dopo una breve pausa Touma disse: “Io andrò via verso le 10, perché dalle 11 ho il turno all’izakaya”.

“Allora, se vogliamo fare un bagno, forse è il caso di tuffarci ora” propose Bibi.

Decidemmo, viste anche le temperature, di aspettare l'amica di Bibi in acqua.

Il mare era bellissimo: fresco, trasparente e col sole del primo mattino riflesso sulle onde.

Eravamo solo noi tre, un po' imbarazzati non sapendo bene cosa dire.

Sospettavo che il ragazzo si sentisse a disagio vicino a me, soprattutto ora che indossavo solo un costume un po' provocante visto il mio fisico particolarmente formoso.

Da lontano, la mia coinquilina riconobbe la sua collega. "È arrivata!".

Uscimmo dall'acqua rinfrescati, ma nel giro di qualche metro eravamo già asciutti. Meglio, visto che Touma non aveva portato niente per fare il bagno.

Gli offrii il mio telo, che in realtà era un pareo, ma rifiutò. Naturalmente.

Preparammo tutto su un tavolo nell'area pic nic vicino alla spiaggia. Avevamo portato un sacco di dolci e la collega di Bibi aveva fatto dei tramezzini buonissimi.

Mangiammo chiaccherando del più e del meno. 

Verso le 10 Touma si avviò verso l'izakaya, mentre noi ragazze continuammo a parlare.

Quando lui fu fuori dalla portata d’orecchio, chiesi all'amica di Bibi cosa pensasse del ragazzo.

"È un bel giapponese", rispose.

"Quanti anni pensi che abbia?".

"Bho, difficile dirlo…ventidue?"

Allora non ero solo io! 

Persino una ragazza giapponese conveniva che Touma dimostrasse più della sua età.

Sorrisi soddisfatta, pensando tra me e me che a sto punto le opinioni dei miei amici italiani sarebbero state messe da parte con la scusa del "sembra più grande".

"Perché ridete?" chiese la ragazza guardando me e Bibi.

"Perché noi pensavamo che fosse più grande e quando ci ha detto di avere 18 anni non potevamo crederci".

Anche lei sorrise e dopo una piccola pausa mi chiese: "Maru-chan, Touma ga suki no?" (Maru-chan, ti piace Touma?). 

Il mio sorriso si spense leggermente. Non sapevo se rispondere sinceramente o meno.

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Capitolo 5
*** Buonanotte ***


CAPITOLO 5
Buonanotte

Rispondere avrebbe potuto compromettere tutto, anche quello che non c'era. Bibi sapeva essere crudele alle volte. Non so se per gelosia, o per che altra ragione, ma era già capitato che mi dicesse delle cattiverie se mi mostravo interessata ad un ragazzo. 

Decisi di non dire nulla. 

Anche se non sapevo il perché, sentivo che Touma era troppo importante e non volevo che si mettesse in mezzo. Lei nello specifico poi mi avrebbe mandato in bestia.

“No, è ovviamente un bel ragazzo, ma ha 18 anni, potrebbe essere mio fratello” risposi.

La colazione/pranzo finì e anche la collega di Bibi andò a lavoro. 

Noi ci fermammo in spiaggia alternando bagni di sole a quelli in acqua. Stavo prendendo una bella tintarella  color caffe latte.

Sia in acqua che sotto il sole l'argomento "che ne pensi del ragazzino giapponese" uscì più volte. Lo evitai come la peste: "È un bel ragazzo, ma potremmo essere solo amici".

Forse il ripeterlo a voce alta mi avrebbe convinta.

 

Alle due del pomeriggio scoprimmo un'attività che potrebbe tranquillamente rientrare tra le attrazioni turistiche di Naha per il pubblico femminile: l'allenamento dei bagnini.

Non erano particolarmente belli di viso (i miei standard sono parecchio alti sia per gli asiatici che per i caucasici), ma vederli fare trazioni, pesi e addominali era uno spettacolo.

Ben presto scoprii che anche io ero diventata il loro “spettacolo”. Li vidi più volte guardarmi e darsi di gomito e quando si accorgevano che li avevo visti mi sorridevano e mi salutavano.

Nel momento in cui andai con Bibi a prendere l'ombrellone si presentarono tutti con un sacco di domande. Il più interessato fu Taiga, un ragazzo di 26 anni che aveva il nonno americano e in effetti sembrava un meticcio, ma la bellezza non era pari a quella degli “harufu” come vengono chiamati in Giappone.

Nel primo pomeriggio tornammo a casa per prepararci prima di andare a lavoro.

Doccia veloce e mi incamminai verso il forno che gli altri chiamavano negozio di souvenir.

Durante il mio turno parlai un po' con Bibi.

I clienti scarseggiavano sempre verso ora di cena.

A fine turno rimasi fuori davanti alla saracinesca chiusa aspettando la mia coinquilina.

Vidi scendere un gruppetto di ragazzi, due maschi e due femmine. Uno sembrava Touma, ma pareva essere in procinto di un'uscita a quattro quindi non mi avvicinai.

Mentre aspettavano il taxi, lo vidi infilare la sua mano dentro i pantaloncini della ragazza affianco a lui. 

 

Ero esterrefatta! Quel ragazzo un po' timido che era venuto a pranzo da noi … .

Li guardai salire tutti e quattro sul taxi sapendo perfettamente quale sarebbe stata la destinazione.

Ancora un po' schifata da quella mancanza di classe e stanca di aspettare la mia coinquilina decisi di salire su all'izakaya di Bibi e magari bermi pure qualcosa.

Chiamai l'ascensore seccata.

Quando si aprì feci per entrare. Mi trovai la strada bloccata e quasi mi scontrai con l'occupante dell'abitacolo.

"Ah, sumimasen!" bisbigliai alzando lo sguardo da terra.

Era Touma.

Tutti e due sgranammo gli occhi non aspettandoci di incontrarci lì.

Il mio stupore mutó in gioia, poi in sollievo e gli regalai uno dei sorrisi più genuini che avessi.

Lui ricambiò probabilmente un po' confuso.

“Bibi wa mada ue ni iru no?” (Bibi è ancora su) chiesi.

Lui annuì. 

Ci scambiammo di posto e ci guardammo per un altro secondo.

“Oyasumi”. Buonanotte

“Oyasumi” risposi e le porte dell'ascensore si chiusero.

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Capitolo 6
*** In una notte d'eclissi ***


CAPITOLO 6
In una notte d'eclissi

 

“Bibi dicono che domani ci sia un eclissi di luna completa insieme ad una super luna. Sarà uno spettacolo fantastico!” dissi scorrendo l'articolo in inglese.

 

“Fighissimo! Raggiungimi dopo il lavoro che magari usciamo anche con gli altri e potremmo andare in spiaggia a vederla”.

Si prospettava una bella serata.

Sarebbe stato bello vedere l'eclissi con anche Touma, ma nonostante l'invito di Bibi disse che aveva già preso un impegno.

 

Ero a casa da sola, così dopo cena ebbi tutto il tempo per prepararmi al meglio. Il motivo? Avrei probabilmente incontrato un ragazzo che mi era piaciuto precedentemente, ma per lui ero troppo "gaijin" così non era andata. 

Meglio per me! Al contrario, non avrei mai notato Touma.

Mi infilai il nuovo vestitino bianco con le spalline sottili e lungo fino a sopra il ginocchio che avevo comprato qualche giorno prima al Main Place, un centro commerciale del centro di Naha. 

Dovetti mettere dei leggins corti per evitare che si vedesse  sotto la gonna.

Mi truccai con un leggero smokey eyes e un po’ di eyeliner, ma niente di eccessivo.

 

Tutta agghindata raggiunsi la mia coinquilina alla sua izakaya e mi misi a chiaccherare con due ragazze che erano lì al bancone: Marian e la sua amica. 

C'era anche il ragazzo che avevo invitato per un caffè, ma come sempre mi ignoró chiudendosi in cucina. 

“Bene, appena Bibi finisce potremmo andare a far festa da qualche parte” proposi a Marian. 

 

Poco dopo eravamo in un bar a ballare e scherzare tra amiche e tra un bicchiere e l'altro confessai alla nostra nuova compagna di avventure che avrei voluto invitare questo ragazzo che mi interessava, ma aveva già preso un altro impegno per quella sera. 

“Ah, tra qualche minuto comincia l’eclissi!” annunciai.

Uscimmo dal locale per ammirare lo spettacolo celeste. Potevamo vedere chiaramente questa palla infuocata annerirsi lentamente. 

"Maru-chan, prova ad invitarlo tu ora quel ragazzo. Al massimo ti dice che non può, ma se viene sarebbe molto romantico non credi?", disse Marian. 

Ci pensai un attimo. Sarà stato l'alcol, o la bellezza e la poesia in quella luna di sangue, ma decisi di non avere rimpianti e di provare: 

 

Ciao Touma, sono Maru. Noi siamo a questo indirizzo se ti va di raggiungerci dopo il tuo impegno ...

 

Tornai a guardare il cielo, fiera di aver messo sul tavolo un po' di coraggio, ma ben cosciente del fatto che non sarebbe venuto. 

 

"Maru-chan!". 

Sentii il mio nome provenire da in fondo alla strada. 

Touma. 

Era venuto, con dei suoi amici, ma c'era. 

 

Oh cazzo, oh cazzo e mo’ che faccio? Panico!

Sia io che Bibi gli andammo incontro. Uno dei suoi amici era Hiromu-san, dell’izakaya, mentre l’altro ragazzo si presentò come Kosuke.

Entrammo tutti e sei nel locale e i ragazzi ci offrirono un altro giro. Mi trovai seduta tra Touma e Kosuke, ma quest’ultimo continuava a parlarmi e farmi domande, così non ebbi modo di parlare con il ragazzo che mi interessava. 

Anche Kosuke era carino, con un viso più simile a quello dei coreani,  si stava laureando in inglese e forse per questo era interessato a conoscere persone straniere.

I nostri drink arrivarono insieme ad nuovo invitato: il ragazzo a cui avevo chiesto di uscire, Hama-chan.

La serata si prospettava comica.

Afferrai il mio bicchiere e ne bevvi un sorso rabbrividendo per il freddo. Maledissi la passione dei giapponesi per il ghiaccio, i bicchieri freddi e l’aria condizionata che ospita pinguini e orsi polari.

“Maru, qui ci sono delle coperte se vuoi” disse Bibi indicandomi l’angolo opposto del tavolo.

Annuii e appoggiai il bicchiere per alzarmi, mentre Kosuke continuava a farmi domande su domande.

Sentii improvvisamente qualcosa di morbido coprirmi le spalle e due mani sfregarmi il plaid lungo le braccia per farlo aderire bene e riscaldarmi.

Si alzò un coro di “uh,uh,uh” tra i presenti, mentre Touma si risedeva affianco a me. 

“Va meglio?”.

Sorrisi, “Sì, grazie Touma”.

Marian mi guardò e mi fece l’occhiolino.

 

Ballammo tutti un altro po’ nel locale prima di decidere di andare al karaoke. Uscimmo per strada che il sole stava sorgendo e ci dirigemmo ridendo come dei matti verso il karaoke più vicino. Lì salutammo Marian che decise di tornare a casa, mentre io e Bibi entrammo con i ragazzi nella stanzetta con lo schermo e i microfoni. 

Non avevo mai visto nessuno buttare giù quelle quantità di birra nel giro di pochi minuti, i giapponesi quando bevono fanno paura. Vidi il cameriere entrare ed uscire portando sempre più drink che venivano finiti in meno di una canzone.

Ero seduta di nuovo vicino a Kosuke. Ogni tanto buttavo un occhio dall’altra parte del tavolo per controllare la mia coinquilina che era invece vicina a Touma.

 

Alle 8 di mattina Touma dormiva sul divano di fronte a me, così mi avvicinai “Touma, io vado vuoi venire con me?” gli sussurrai ad un orecchio. Lui scosse solo la testa e si riaddormentò.

“Maru-chan, ti accompagno alla porta!”, si offrì Kosuke. Annuii e uscimmo entrambi dalla stanza.

Feci un paio di passi lungo il corridoio prima di sentirmi tirare per un braccio e sbattere contro il muro.

Le labbra di Kosuke aprirono violentemente le mie dando il via ad un bacio tutt’altro che dolce.

Le sue mani si strinsero lungo i miei fianchi facendo aderire i nostri corpi.

Tra l’alcol, la stanchezza e la rapidità con cui tutto avenne non riuscii a capire subito cosa stava accadendo, finchè non sentii la mano del ragazzo salire lungo la mia gamba e cercare di infilarsi sotto la mia gonna.

“Fermo! Che fai?”.

“Maru-chan, non vuoi?” sospirò lui senza allontanarsi.

“No, non mi piace che mi tocchi così liberamente” risposi, ma forse poco convinta. Non riuscivo a reggermi in piedi, ero stanca.

“Posso abbracciarti un altro po’?” chiese il ragazzo.

No, avrei voluto rispondere, ma la verità era che volevo così tanto che qualcuno mi toccasse ancora così. Dalla mia ultima relazione era passato davvero tanto tempo. 

Annuii legando le mie braccia intorno al suo collo.

Lui si chinò e potei sentire i brividi di piacere che i suoi baci si lasciavano dietro mano a mano che scendeva lungo il mio collo. 

Oddio. Stavo impazzendo.

Mi sentii gemere leggermente nel silenzio del corridoio.

Kosuke fece scivolare una mano sul mio seno.

Mi ripresi immediatamente e lo fermai. 

Cosa stavo facendo? Era l’amico di Touma! Cazzo, cazzo, sono un’idiota!

“Scusa devo andare!” gli dissi allontanandomi.

Feci per scendere le scale e mi girai: “Why all japanese guys think that gaijin girls are so simple?” chiesi.

“Non è così! Maru-chan mi interessi davvero, te lo dimostro: se mi aggiungi su instagram ti scriverò tutti i giorni!” rispose lui con una voce disperata, come insultato dalla mia accusa nemmeno tanto implicita.

“Voglio proprio vedere chi di noi ha ragione!” esclamai prima di andarmene e lo aggiunsi.

La sfida era aperta.

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